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Friday, May 27, 2022

GRICE E CALOPRESE: ORLANDO FURIOSO

 ORLANDO FURIOSO LODOVICO ARIOSTOCORREDATO DA NOTE STORICHE E FILOLOGICHE E ILLUSTRATO DA GUSTAVO DORÈ CON 517 INCISIONI INTERCALATE NEL TESTO. MILANO. FRATELLI  TREVES, EDITORI  LA  PROPIETÀ  ABSOLUTA  DEI  DISBONI  SD  IN0I8IONI DI GUSTAVO DORÈ  È  RISERVATA VR  ITALIA E  PER  LA  LTlTOnA  I'.  LIANA  AI  FRATELLI  TREVEB. Milano.   Tip.  Treves. VITA  DI  LODOVICO. Lodovico Ariosto,  che  air  Heyse  "è  sempre  parso  la  personificazione  di tutto quanto si comprende  col  nome  di  poesia"  non  fu  soltanto  la  più  bella  e  compiuta  figura  letteraria del nostro  Rinascimento,  ma  avanzò  di  molto  il  suo  tempo  nel  quale  V  Italia  avanzava in  civiltà  ogni  altra  nazione  d'Europa. Ercole  I,  della  famiglia  d'Este,  figlio  di  Borse  investito  del  ducato di  Modena e  Reggio dair  imperatore  e  di quello  di Ferrara  dal  papa,  teneva  in  questa  ciCtà chiamata  dal Burkhart  " la prima  città  moderna  d' Europa  "una  corte  le di  cui  magnificenze precedettero di  mezzo  secolo  quelle  delle  quali  si  circondarono  poi  i  sovrani  de' grandi  stati. Niccolò Ariosto,  della  nobile  famiglia  degli  Ariosti,  oriunda  bolognese  e trapiantata a  Ferrara  alla metà  del  XIV  secolo,  creato  conte  da  Federico  III  fu  nel 1472  nominato  capitano  della cittadella  di  Reggio, dove  tolse  in  moglie  Daria  Malaguzzi  e  n'ebbe  l'S  settembre  1474 il  primo  figlio  battezzato  con  i  nomi  di  Ludovico  Giovanni. A  sette  anni  il  fanciullo  seguì  il padre  tramutato  al  comando  di  Rovigo  che  non  seppe  difendere dai  Veneziani.  Il  duca  rimandò il  capitano  Niccolò  a  Reggio  dove  rimase  fino  al  1486,  mentre  il  figlio  restava  con  la  madre  a Ferrara  studiando  grammatica  e  metrica  col  celebre  Luca  della  Ripa.  Costrettovi  dal  padre incominciò,  nel 1489,  lo  studio  delle  leggi  e  della  giurisprudenza,  sotto  Giovanni  Sadoleto modenese.  Dopo  cinque  anni,  ottenuto  il  titolo  di  dottore,  Lodovico  Ariosto  potè  tornare ai  geniali  e  diletti  studii  della  poesia  avendo  a  guida  Gregorio  EUio  o  Elladio  da  Spoleto, e  compagni  Ercole  Strozzi  e  poi  il  Bembo, conobbe  tutte  le  bellezze  de'  poeti  latini,  compresi i  comici;  e  come  portava  l'indole  del  tempo,  nel  quale  gì'  influssi  cristiani  non erano  spenti  ma  infievoliti  dal  risorgente  paganesimo  delle  lettere  e  delle  arti,  alternava allo  studio  de' poeti  i  facili  amori. Il  padre  di  Lodovicp  stato  prima  tramutato  da  Reggio  a  Modena,  poi  da  Modena  a Lugo,  e  nel  1494  privato  dell'ufficio,  venne  a  morte  nel  febbraio  del  1500.  Il giovine spensierato  dovette  allora  pensare  alla  madre  amatissima,  a  duo  sorelle  da  marito e  a quattro  fratelli  ancora  in  giovine  età,  per  provvedere  a'  quali  non  bastavano  le  rendita) dello  scarso  patrimonio  paterno  composto  della  casa  di  Ferrara  e  di  non  molta  terra  nel circondario  di  Reggio.  Gli  convenne  mutare .in  squarci  e  in  vacchette  Omero e  farsi  nominare  castellano  di  Canossa,  continuando  a  passare  parto  dolFanno  a  Ferrara  e non  dimenticando  le  bolle. Aveva  già  avuto  parte  in  alcune  rappresentazioni  drammatiche  alla  corto  del  duca  Ercole, e  nel  1502  dettò  il  bel  carme  catulliano  per  le  nozze  di  Alfonso  con  Lucrezia  Borgia. Sulla  fine  del  1503  entrò  ai  servigi  del  cardinale  Ippolito  fratello  d'Alfonso,  stato  creato vescovo  a  setto  anni,  cardinale  a  quattordici,  amantissimo  delle  belle  donne  ed  a  suo  modo anche  dei  letterati.  Gli  obblighi  dell'Ariosto  presso  il cardinale  non  erano  bene  deter minati, come  non  furono,  almeno  ne' primi  anni,  precisamente  stabiliti  gli emolumenti. Cortamente  all' ufficio  suo  presso  Ippolito  il  poeta  non  consacrava  gran  tempo  e  gliene rimaneva  tanto  da  potere  incominciare  V Orlando  Furioso  nel  1506.  Mandato  nel 1507 a  Mantova  per  congratularsi,  a  nome  del  cardinale,  con  la  marchesa  Isabella  d'Este  Gonzaga d' un  felice  parto,  lesse  alla  gentildonna  alcuni  canti  del  poema  già  scritti.  Nel  maggio di  quello  stesso  anno  accompagnò  a  Milano  il  cardinale  Ippolito,  titolare  dell' arcidiocesi Ambrosiana, che  andava  ad  ossequiare  Luigi  XII  re  di  Francia  ridivenuto  padrone  del Milanese. Nel  carnevale  del  1508  faceva  rappresentare  al  teatro  di  corte  la  sua  Cassandra  e nel  carnevale  seguente  /  Suppositi,  Nello  stesso  anno  1509  il  duca Alfonso  associandosi alla  lega  di  Cambrai,  aiutato  da'  Francesi,  riprese  ai  Veneziani  il  Polesine  di  Rovigo.  Ma  i Veneziani,  al  cadere  dell' autunno,  mandato  un  esercito  alla  riscossa,  questi  giunse  a  breve distanza  da  Ferrara.  L'Ariosto  mandato  a  Roma,  con  Teodosio  Brusa,  a  chiedere  aiuto  al papa,  partì  da  Ferrara  il  16  dicembre. Tornò  a  Roma  nel  maggio  del  1510  precedendo il  cardinale  Ippolito,  accusato  d'essersi  intruso  nell' abbazia  di  Nonantola  dopo  morto  il cardinale Cesarini e  di  aver  forzato  i  monaci  ad  eleggerlo  abate  commendatario.  Giulio  II, sdegnato  contro  il  cardinale  e  contro  gli  Estensi,  ligii  al  re  di  Francia  contro  il  quale preparava  la  famosa  lega,  fece  cattiva  accoglienza  all' Ariosto.  Pure  questi  giunse  a  pla carne l'ira.  Tornato  a  Ferrara  nel  giugno, era  di  bel  nuovo  a  Roma  nell'agosto,  e  Giulio  II minacciava  di  far  buttare  in  Tevere  lui  o  qualunque  altro  oratore  gli  si  presentasse  a nome  del  cardinale  d'Este.  Furono  quei  giorni  ben  tristi  per  la  famiglia  Estense,  le  cui truppe  erano  vinte  dai  Veneziani  sul  Po,  mentre  i  soldati  del  papa  minacciavano  la  città, di  Ferrara.  Alcuni  biografi  dell' Ariosto  affermano  eh'  egli  combattesse  a  Polesella  nel  dicembre del  1509,  ma  tale  opinione  sembra  da  lui  stesso  contradetta  nel  canto  XL  del suo  poema.  Certo  da  ambasciatore  diventò  in  queir  occasione  soldato  ed  egli  stesso  dico d'aver  combattuto  a  Padova. Dopo  la  battaglia  di  Ravenna  (11 aprile  1512),  gli  Estensi,  che  avevano  contribuito alla  vittoria  con  le  loro  artiglierie,  desiderarono  la  pace.  Il  duca  Alfonso,  ottenuto  dal papa  un  salvacondotto,  per  mezzo  di  Fabrizio  Colonna  suo  prigioniero,  andò  a  Roma  a rabbonire  Giulio  II.  L'Ariosto  lo  seguì  nelle  pericolose  avventure  delle  quali  il  principe fu  vittima.  Non  ostante  il  salvacondotto,  Alfonso  potè  scampare  a  stento  all'ira  del  pontefice, rimanendo  nascosto  per  tre  mesi  nel  castello  dei  Colonna  a  Marino,  e  poi  salvandosi travestito  ora  da  frate,  ora  da  cacciatore,  a  traverso  la  Toscana:  e  1'Ariosto  fu  sempre fedele  compagno  del  suo  signore  in  quei  travestimenti  ed  in  quella  fuga. Nel  febbraio  del  1513  giunse  a  Ferrara  la  nuova  della  morte  di  Giulio  II;  e  venti giorni  dopo,  la  nuova  deirelezione  del  cardinale  Giovanni  de'  Medici,  che  prese  il  nome di  Leone  X.  Quando  il  nuovo  papa  era  stato  legato  di  Bologna,  l'Ariosto  lo  avea  pregato di  dispensarlo  dagli  ordini  sacri  permettendogli  di  conseguire  un  benefizio che  gli veniva ceduto  da  un  consanguineo.  Gli  Estensi  mandarono  il  loro  poeta  ad  ossequiare  il  papa, ma  questi  non  fece  all'Ariosto  alcuna  offerta  né  tampoco  gliene  fecero i  di  lui  amici tt  divenuti  grandi".  Di  ritomo  a  Ferrara,  fermatosi  a  Firenze  per  le  feste  di  San  Giovanni, s' innamorò  di  Alessandra  Benucci  vedova  di  Tito  Strozzi,  ed  a  quell'affetto  dedicò per  il  rimanente  della  vita  V  animo  suo,  già  nelle  passioni  amorose  tanto  mutevole.  Per non  perdere  egli  il  godimento  de'  beneficii  ecclesiastici,  essa  la  tutela  dei  figli  del  primo marito,  tennero  nascosta  la  loro  unione  e  vissero  per  le  stesse  ragioni  separati  di  casa. Con l'Ariosto  viveva Virginio,  figlio  suo  diletto,  avuto da  un  Orsolina  Sasso  Marino  nel  1509. Il cardinale  Ippolito  aveva  in  quel  tempo  preso  stanza  a  Roma  dove  avrebbe  voluto che  l'Ariosto  lo  raggiungesse,  sollecitandolo  a  farsi  prete.  A  tale  invito  l'Ariosto  rispondeva, come  egli  stesso  ha  detto  nella  Satira  I: Io  né  pianeta  mai  né  tonicella Né  chierca  vo'  che  in  capo  mi  si  pona. Pare  che  il  cardinale  non  si  curasse  neppure  di  far  pagare  all'Ariosto  i  suoi  emolumenti. Pensava  bensì  liberalmente  alla  spesa  di  stampa  dell' Orlando  Furioso,  che  il poeta  cominciò  nel  1515  a  consegnare  allo  stampatore  maestro  Giovanni  Mazzocco  da Bondeno,  che  teneva  bottega  in  Ferrara.  Il  21  aprile  1516  la  prima  edizione  dell'Orlandò  vide  la  bice  e  l'Ariosto  sperava  di  riceverne  dal  cardinale  lauto  compenso  per avergliela  dedicata.  Pochi  mesi  dopo  invece  il  cardinale  pretendeva  che  l'Ariosto  andasse seco  lui  in  Ungheria;  ed  essendo  visi  questi  rifiutato  "  per  molte  ragioni  e  tutte  vere  " r  eminentissimo  andò  sulle  furie,  non  volle  ascoltarne  le  scuse,  gli  intimò  di  non  comparirgli più  innanzi,  e  gli  fece  togliere  le  rendite  di  due  beneficii  ecclesiastici.  L'Ariosto tornò  di  bel  nuovo  a  Roma  per  ottenere  che  non  gli  fossero  tolti  "  certi  bajocchi  "  ch'egli prendeva  a  Milano  "  ancorché  non  sian  molti  "  e  trovò  Leone  X  assai  meglio  disposto  a di  lui  favore.  Poco  dopo  il  duca  Alfonso  lo  comprendeva  nel  numero  dei  suoi  stipendiati in  qualità  di  famigliare,  e  con  Y  assegno  mensile  di  sette  scudi  d' oro   cinquantadue lire  italiane,   più  il  vitto  per  tre  servitori  e  due  cavalli. Un  caso  inaspettato  avrebbe  migliorate  molto  le  non  liete  condizioni  economiche  dell'Ariosto  se  non  vi  si  fosse  opposta  la  prepotenza.  Rinaldo  Ariosto,  cugino  del  poeta,  essendo morto  ab  intestato,  la  ricca  tenuta  detta  delle  Ariosto,  a  Bagnolo,  passava  nelle mani  di  Lodovico  e  de'  suoi  fratelli;  Ma  ne  furono  spogliati  da  Alfonso  Trotti,  amministratore del  duca,  che  dichiarò  quei  beni  di  proprietà  camerale,  e  non  ottenne  alcun  risultato la  lite  promossa  dagli  eredi  naturali,  per  ricuperarli.  Anche  Leone  X  s'intromise,ma  invano,  in  quella  faccenda  dell' eredità.  Dopo  V  ultimo  viaggio  dell' Ariosto  a   Roma0  la  pubblicazione  deir  OHando,  il  papa  s'  era  degnato  di  rammentarsi  T  antica  benevo lenza verso  il  poeta,  e  nel  1519  fece  rappresentare  in  Vaticano  i  Supponiti y  con  grande apparato.  L'anno  seguente  l'Ariosto,  avendo  terminato  il  Negromante,  lo  spedì  al  papa sperando  ma  non  ottenendo  eguale  fortuna. Pochi  mesi  dopo,  il  cardinale  Ippolito  tornato  dall'Ungheria  moriva  a  Ferrara  d''  una indigestione  di  gamberi  e  di  vernaccia.  Sebbene  molto  male  ricompensato  dal  cardinale, r  Ariosto,  anche  dopo  la  di  lui  morte,  non  tolse  dall' Orlando  alcuna  delle  troppe  lodi che  gli  aveva  tributate,  e  continuò  ad  intitolare  al  di  lui  nome  il  poema. Il  7  febbraio  del  1522  fu  nominato  commissario  ducale  nella  Garfagnana  ed  il  20  partì, con  pochi  soldati  di  Ferrara  per  Cstelnuovo,  dove  andava  ad  occupare  un  ufficio,  onorevole e  molto  più  lucroso  di  quello  dì  famigliare  di  cort".  Prima  di  partire  fece  testamento  a rogito  di  Andrea  Succi. Giunse  a  Castelnuovo  il  2G.  Nell'Elegia  III  ha  descritto  il  disastroso  viaggio  fatto  a traverso  l'Appennino,  in  tempo  d'inverno;  e  nella  Satira  F,  nella  quale  parla  lungamente del  suo  governo,  lasciò  scritto  che La  novità  del  loco  è  stati  tanta C'ho  fatto  come  augel  che  muta  gabbia Che  molti  giorni  resta  che  non  canta. '  Paragonava  il  paese  da  lui  governato  a  " una  fossa  "  dolente  di  trovarsi  sempre  in mezzo  ad Accuse  e  liti Furti,  omicidii,  odii,  vendette  ed  ire. Gli  parve  da  prima  impresa  superiore  allo  proprie  forze  il  pacificare  quella  provincia che  in  meno  d' un  secolo  aveva  cambiato  cinque  o  sci  volte  padrone: ma,  messo  amoro al  proprio  ufficio,  dette  prova  di  molta  energia.  Se  non  che  dal  Governo  ducale  aveva scarso  appoggio  e  spesso  anche  contrarietà,  dello  quali  si  lamentava  scrivendo  direttamente al  duca  (30  gennaio  1524)  ed  invitandolo  a  mandare  altri  al  suo  posto  se  non  voleva aiutarlo  "  a  difendere  Toner  dell'ufficio  "  ma,  dovendo  rimanere  od  andarsene,  egli  aggiungeva:  "  sempre  desidererei  che  la  giustizia  avesse  luogo. " Del  governo  dell'Ariosto  nella  Garfagnana  ha  scritto  una  bella  ed  erudita  monografia il  marchese  Campori,  secondo  il  quale  la  storia  di  quel  governo  "  ci  mostra  come  il  più a  fantastico  de'  poeti  possa  annoverarsi  fra  gli  statisti  più  positivi,  n Alla  metà  di  giugno  del  1525  lasciò,  dopo  tre  anni  e  quattro  mesi  " l'asprezza  di quei  sassi  e  quella  gente  inculta  "  e  se  ne  tornò  a  Ferrara.  Era  morto  nel  1523  Leone  X e  gli  era  succeduto  un  altro  Medici  col  nome  di  Clemente  VII.  Il  duca  Alfonso,  desiderando di  avere  in  Roma  un  oratore  autorevole  e  stimato,  aveva  fatto  scrivere  all'Ariosto offrendogli  quel  posto.  Ma  X  Ariosto  se  ne  schermì,  non  sperando  più  nulla  dai  Medici nò  dai  papi. Ritornato  dunque  nel  1825  a  Ferrara,  acquistò  alcune  fabbriche  e  ritagli  di  terreno in  via  Mirasele  e  vi  formò  un  giardino,  delizia  ed  amore  dei  suoi  ultimi  anni.  Si  occupava della  correzione   Orlando  e  di  ridurre  a  spalliera  a  siepe  una  boscaglia  che  aduggiava il  suo  orto.  Cottvivova  col  padre  il  figlio  Virginio,  dio  delle  abitudini  paterne  di  questi ultimi  anni  ha  lasciato  molte  memorie. Dalla  corte  ducale  ora  sempre,  in  ogni  occasione,  onorato  come  poeta  e  tenuto  in  conto di  abile  politico.  Nel  1528,  per  festeggiare  l'arrivo  degli  sposi  Ercole  Estense  e  Renata  di Francia,  fu  rappresentata  la  sua  commedia  hLena;  nel  1529  fu  nuovamente  rappresentata  la Cassarla,  prima  d' una  lautissima  cena  offerta  da  Ercole  d' Este  al  marchese  ed  alla marchesa  di  Mantova.  Nella  contesa  fra  Carlo  V  e  Francesco  I,  il  duca  Alfonso  cercava di  barcamenarsi  a  proprio  vantaggio,  ed  ottenne  dall' imperatore  Y  investitura  di  Modena e  Reggio.  Essendo  a  Mantova  Don  Alfonso  d'Avalos,  marchese  del  Vasto,  comandante  delle truppe  imperiaU,  il  duca  gli  mandò  Lodovico  Ariosto  per  pregarlo  a  concedergli  aiuto  sufficiente a  mantenere  sotto  il  proprio  dominio  la  contea  di  Carpi  che  Clemente  VII  gli  contrastava. L'Ariosto  raggiunse  il  marchese  del  Vasto  a  Correggio,  in  casa  di  Veronica  Gambara,  ed il  marchese,  concesso  Taiuto  al  duca,  fece  dono  al  poeta  di  cento  scudi  annui  d'entrata,  per lui  ed  i  suoi  eredi,  di  un  lapislazzolo  bellissimo  legato  in  oro  e  di  una  collana  d' oro. Nel  1532  pubblicò  a  Ferrara,  con  i  tipi  di  Francesco  Rosso  da  Valenza,  una  nuova edizione  del  suo  poema  con  V  aggiunta  di  nuovi  canti.  Questa  edizione  fu  cronologicamente la  diciottesima,  essendone  state  stampate  dopo  la  prima  del  1515,  un'  altra  a  Ferrara nel  1521,  tre  a  Milano   nel  1523,  nel  1526  e  nel  1529,   una  a  Firenze  nel  1528, e  undici  a  Venezia  dal  1524  al  1531.  Di  questa  nuova  edizione  in  XLVI  canti  presentò, il  7  novembre,  un  esemplare  a  Carlo  V  che  trovavasi  in  Mantova,  reduce  dalla  guerra  d'Ungheria contro  i  Turchi  e  diretto  a  Bologna.  L'imperatore  mostrò  il  desiderio  di  ricompensare l'Ariosto  incoronandolo  col  lauro  "  onor  d'imperatori  e  di  poeti  " .  Ma  l'incoronazione solenne  non  potè  effettuarsi  per  la  sollecita  partenza  di  Carlo  V  che  lasciò  bensì  all'Ariosto il  diploma  di  poema  laureato. Aveva  allora  cinquantotto  anni,  e  dai  quaranta  s'era  cominciata  a  guastarglisi  la  salute, G  lo  travagliavano  il  catarro  e  la  debolezza  di  stomaco.  I  suoi  medici  gli  avevano  proibito Fuso  del  vino  e  ogni  cibo  troppo  condito  di  aromi:  gli  era  molto  nocivo.il  calore  della stufa.  Verso  la  fine  del  dicembre  1532  ammalò  di  ostruzione  alla  vescica  alla  quale  sopravvenne una  febbre  di  consunzione.  Dopo  lunghi  patimenti  spirò  il  6  giugno  1533  alle  5 pomeridiane,  assistito  dalla  moglie  Alessandra,  dal  figlio  Virginio  e  dal  parroco  ed  amico suo  Alberto  Castellari. Dopo  il  primo  testamento,  fatto  partendo  per  la  Garfagnana,  ne  dettò  un  secondo  nel  1532, istituendo  erede  universale  il  figlio  Virginio,  che  conservò  per  tutta  la  vita  la  casa  e r  orto  paterno  e  lo  fece  abbellire  con  statue  ed  ornamenti  di  marmo. Lodovico  Ariosto  fu  alto  di  statura  ed  ebbe  capelli  neri  e  ricciuti,  spaziosa  la  fronte ed  alte  le  ciglia,  gli  occhi  neri  e  vivaci,  il  naso  grande  e  aquilino,  i  denti  bianchi  ed eguali,  il  colorito  olivastro,  le,  guance  scarne,  rada  la  barba. I  suoi  contemporanei  lo  dicono  riguardoso,  prudente,  gioviale  cogli  amici,  ma  d' indx>le facilmente  inchinevole  alla  mestizia.  Fu  d'animo  buono  e  retto:  costretto  dalla  necessità a  lodare  mecenati  poco  meritevoli  d' encomio,  adattandosi  all' uso  de'  tempi  del  quale  sa rebbe errore  giudicare  con  le  idee  moderne  d'indipendenza  e  di  dignità,  sopportò  sempre a  malincuore  il  giogo  dei  potenti.  Piuttosto  che  il  desiderio  d' arricchire  sentì  quello  dì vivere  in  quiete  con  i  suoi  libri,  dichiarando  di  non  volere  "  il  più  bel  cappel  eh'  in Roma  sia  "  con  scapito  della  libertà. Modesto  in  ogni  desiderio  fu  altresì  temperato  ne'  cibi  e  nelle  bevande;  schietto  e  sincero con  tutti,  e  per  quanto  consapevole  del  proprio  valore,  non  vanitoso  né  avido  d'onori. in  vero  onore  è  ch'nom  da  ben  ti  tenga Ciascuno,  e  che  tu  sia. Provò,  come  allora  era  possibile,  e  seppe  esprimere  un  sentimento  di  dolore  vedendo r  Italia  divenuta  "  ancella  di  quelle  genti  stesse  che  le  furon  serve  "  e  s' augurò  di vederla  risorgere  all' antica  grandezza,  aggiungendo  che  ciò  si  sarebbe  ottenuto  soltanto a  quando  sarem  migliori.  " Intorno  allo  scopo  dell' Orlando  molto  si  è  scritto  e  non  concordemente  da  tutti.  Certo non  erra  il  Carducci  quando  dice  che  la  finalità  del  poema  romanzesco  è  in  sé  stesso  e  nel raccontar  piacevole  a  ricreazione  delle  persone  d'animo  gentile;  ed  aiunge  che  l'Ariosto fu  più  che  altri  di  per  sé  lontano  dall'intenzione  di  una  finale  ironia  contro  l'ideale  caval leresco. In  questa  ipotesi  dell' ironia  insiste  invece  particolarmente  il  Gioberti.  Egli  crede che  l'Ariosto,  frammischiando  continuamente  l'elemento  giocoso  al  serio,  abbia  voluto  mettere in  luce  "  il  vizio  principale  degli  ordini  cavallereschi,  cioè  la  sproporzione  fra  la  pompa e  il  rumore  degli  apparecchi,  e  la  pochezza  o  vanità  dei  risultamenti,  e  quindi  mo strando la  nullità  finale  di  tale  istituzione  "....  Il  Furioso  è  dunque  ad  un  tempo,  se condo r  autore  del  Primato,  la  a  poesia  e  la  satira  del  medio  evo  e  tiene  un  luogo mezzano  fra  il  romanzo  del  Cervantes  e  T  epopea  del  Tasso,  "  della  quale  però  V  Or lando è  assai  più  moderno  benché  T  abbia  preceduto  d'una  generazione. L'Ariosto  infatti  presente  più  d'una  volta  le  idee  de'  tempi  moderni,  mentre  subisce le  influenze  pagane  dell' antica  letteratura  che  da  poco  tempo  era,  in  Italia  prima  che altrove,  rimessa  in  onore  quando  egli  intraprendeva  i  suoi  studii.  A  tali  influenze  pagane si  deve  dar  colpa  se  la  sbrigliata  fantasia  del  poet  abbellisce  di  vivi  colori  le  non  rare pitture  erotiche.  Ma  anche  di  tale  licenza  bisogna  in  gran  parte  ricercare  la  causa  nel l'indole de'  costumi  e  del  tempo,  nella  quale,  a  detta  di  Bernardo  Tasso,  non  era  fanciullo, a  né  fanciulla,  né  vecchio,  né  dottore,  né  artigiano  "  che  si  contentasse  d'aver  letto  l'Or lando più  d'una  volta. Il  Voltaire  ha  detto,  e  lo  ha  confermato  il  Carducci,  che  V Orlando  é  poema  politico e  religioso  con  Carlomagno  ed  Orlando,  e  privato  e  famigliare  con  Ruggiero  e  Bradamante. Vito  Fornari  vede  rappresentata  nella  follia  d'Orlando,  l'indole  della  società  cristiana  nel tempo  descritto  dall' Ariosto,  indole  che  fu  d'universale  follia.  Il  De  Sanctis  dice  non essere  "  nulla  uscito  dalla  fantasia  moderna  che  sia  comparabile  a  questo  limpido  mondo omerico,  n  Al  Settembrini  parve  che,  mentre  il  poema  di  Dante,  più  che  all'Italia  appar tiene a  tutto  il  mondo,  1'  epopea  dell' Ariosto  appartenga  all' Italia  ed  egli  sia  il  primo poeta  italiano. Fra  i  classici  é  senza  dubbio  il  più  naturalista  e  nessuno  ha  saputo  meglio  di  lui ottenere  ai  suoi  tempi  la  rappresentazione  oggettiva  del  mondo  esteriore. Da  quasi  tre  secoli  il  poema  romanzesco  dell' Ariosto  è  uno  de'  libri  più  ricercati  e più  letti.  Ulisse  Guidi  ne  novera  quattrocentotrentuna  edizioni  italiane  fatte  dal  1516  a  tutto il  1858,  oltre  le  numerose  versioni.  A  quest'orale  edizioni  italiane  hanno  probabilmente passato  il  mezzo  migliaio. Nessun  altro  poeta  ha  saputo  ispirare  quanto  l'Ariosto  la  fantasia  de'  pittori: nessun altro  offre  occasione  di  far  mostra  di  vario  ingegno  pittorico,  mettendo  nel  suo  poema  rOriento a  tenzone  con  rOccidente,  il  Cristianesimo  con  rislamismo;  intrecciando  gli  elementi  della mitologia  greca  con  quelli  delle  favole  asiatiche;  descrivendo,  con  V  aiuto  della  storia,  la valle  del  Po,  Parigi,  il  Cairo,  Damasco,  Alessandretta;  e  con  l'aiuto  della  fantasia  il  sog giorno delizioso  di  Alcina  e  di  Logicilla,  la  vasta  Sericana,  il  Catajo  ed  altri  paesi  ignoti od  appena  sospettati  al  principio  del  XVI  secolo. Mai  fantasia  d'artista,  matita  di  disegnatore,  non  seppero  indovinare  il  pensiero  e  l'ar ditezza altamente  poetiche  dell' Ariosto  come  il  Dorè  che  ne  illustrò  l'intiero  poema. I  disegni  di  Gustavo  Dorè  non  solo  riproducono  le  imagìni  del  poeta,  l'ispirazione  vertigi nosa, il  carattere  fantastico  MVOrlando,  ma  sono  il  più  completo  commento  di  quel  mondo meraviglioso. ORLANDO  FURIOSO. I ARGOMENTO. Angelica,  fnsffiirlo  (liti  piìi tritono  cU[  (luca  di  Bnvìera, s  incuritrn  in  RiimliLo  ch  va  in  tvartia  k|  [H'oprio invailo  levita  a  Umù  putcnt  1  tuli  osti  aTnH.Jite,c  trova rollila  riva  dun  fiume  il  jinuo  Fiirran,  (uivi  Ri iiJiMo.  itr  oagiaiu'  d'A u galliti,  viene  alle  mani  eoi Saeìno;  ma  eome  i  cine  rivali  ai  accorguno  cht  la iluuKlIa  è  hjiJiriU,  cessano  rial  eumbattere.  Fenaù intanto  si  studia  di  iTen[H:rara  l>lmo  cadut(i|>li  nel llame:  Angtliia  s  imbatte  in  Sauripante,  il  i]uale coglie  ropportunità  dipigliaitii  il  cavallo  di  Rinaldo; e  qnt'sti  so  fragili  une?  minaccioso. 1      Le  doiiiie,  i  eavalier,  l'iimie,  gii  amori, Le  ciiriesie,  T audaci  inipree  io  canto, Che  furo  al  tempo  the  passa ri>  i  AI  ori D'Africa  il  lìjare,  e  in  Francia  iiocquer  tanto, Seguendo  l'ire  e  i  ipoveni!  furori DVAgromante  lor  re,  die  si  die  Tanto Di  vendicar  la  morte  di  Troiano Sopra  re  Carlo  impera tor  romano. 2  Dito  d  Orlando  in  un  medesmo  tratto Cosa  non  detta  in  prosa  mai,  né  in  rima; Che  per  amor  venne  in  furore  e  matto, Duom  che  si  saggio  era  stimato  prima: Se  da  colei  che  tal  quasi  m'ha  fatto, CheU  poco  ingegno  ad  or  ad  or  mi  lima, Me  ne  sarà  però  tanto  concesso, Che  mi  basti  a  finir  quanto  ho  promesso. 3  Piacciavi,  generosa  Erculea  prole, Ornamento  e  splendor  del  secol  nostro, Ippolito,  aggradir  questo  che  vuole E  darvi  sol  può  Fumil  servo  vostro. Quel  ch'io  vi  debbo,  posso  di  parole Pagare  in  parte,  e  d'opera  d'inchiostro: Né  che  poco  io  vi  dia  da  imputar  sono Che  quanto  io  posso  dar,  tutto  vi  dono. 4  Voi  sentirete  fra  i  più  degni  eroi,    Che  nominar  con  laude  m'apparecchio. Ricordar  quel  Ruggier,  che  fu  di  voi E  de' vostri  avi  illustri  il  ceppo  vecchio. L'alto  valore  e'  chiari  gesti  suoi Vi  farò  udir,  se  voi  mi  date  orecchio, E  vostri  alti  pensier  cedano  un  poco. Si  che  tra  lor  miei  versi  abbiano  loco. 5  Orlando,  che  gran  tempo  innamorato Fu  della  bella  Angelica,  e  per  lei In  India,  in  Media,  in  Tartaria  lasciato Avei  infiniti  ed  immortai  trofei, In  Ponente  con  essa  era  tornato. Dove  sotto  i  gran  monti  Pirenei Con  la  gente  di  Francia  e  di  Lamagna Re  Carlo  era  attendato  alla  campagna, 6  Per  far  al  re  Marsilio  e  al  re  Agramante Battersi  ancor  del  folle  ardir  la  guancia, D'aver  condotto,  l'un,  d'Aitìca  quante Oenti  erano  atte  a  portar  spada  e  lancia; L'altro,  d'aver  spinta  la  Spagna  innante A  destmzion  del  bel  regno  di  Francia. E  così  Orlando  arrivò  quivi  a  punto:Ma  tosto  si  pentì  d'esservi  giunto:7  Che  vi  fu  tolta  la  sua  donna  poi: (Ecco  il  giudicio  uman  come  spesso  erra!) Quella  che  dagli  esperii  ai  liti  eoi Avea  difesa  con  sì  lunga  guerra, Or  tolta  gli  è  fra  tanti  amici  suoi. Senza  spada  adoprar,  nella  sua  terra. Il  savio  Imperator,  ch'estinguer  volse Un  grave  incendio,  fu  che  gli  la  tolse. 8  Nata  pochi  dì  innanzi  era  una  gara Tra  il  conte  Orlando  e  il  suo  cugin  Rinaldo; Che  ambi  avean  per  la  bellezza  rara D'amoroso  disio  l'animo  caldo. Carlo,  che  non  ave  tal  lite  cara, Che  gli  rendea  l'aiuto  lor  men  saldo, Questa  donzella,  che  la  causa  n'era, Tolse,  e  die  in  mano  ai  duca  di  Baviera; 9  In  premio  promettendola  a  quel  d'essi. Ch'in  quel  conflitto,  in  quella  gran  giojpata. Degli  Infeieli  più  copia  uccidessi, E  di  sua  man  prestasse  opra  più  grata. Contrari  ai  voti  poi  furo  i  successi; Ch'in  foga  andò  la  gente  battezzata, E  con  molti  altri  fu'l  Duca  prigione, E  restò  abbandonato  il  padiglione. 10  Dove  poiché  rimase  la  donzella Ch'esser  dovea  del  vincitor  mercede, Innanzi  al  caso  era  salita  in  sella, E  quando  bisognò  le  spalle  diede. Presaga  che  quel  giorno  esser  rubella Dovea  Fortuna  alla  cristiana  Fede: Entrò  in  un  bosco,  e  nella  stretta  via Rincontrò  un  cavalier  eh' a  pie  venia. 11  Indosso  la  corazza,  l'elmo  in  testa. La  spada  al  fianco,  e  in  braccio  avea  lo  scudo: E  più  leggier  correa  per  la  foresta, Ch'ai  palio  rosso  il  villan  mezzo  ignudo. Timida  pastorella  mai  sì  presta Non  volse  piede  innanzi  a  serpe  crudo. Come  Angelica  tosto  il  freno  torse, Che  del  guerrier,  eh' a  pie  venia,  s'accòrse. 12  Era  costui  quel  paladin  gagliardo, Figliuol  d'Amon,  signor  di  Montalbano, A  cui  pur  dianzi  il  suo  destrìer  Baiardo Per  strano  caso  uscito  era  di  mano. Come  alla  donna  egli  drizzò  lo  sguardo, Riconobbe,  quantunque  di  lontano, L'angelico  sembiante  e  quel  bel  volto Ch'ali' amorose  reti  il  tenea  involto. 13  La  donna  il  palafreno  addietro  volta, E  per.  la  selva  a  tutta  briglia  il  caccia; Né  per  la  rara  più  che  per  la  folta, La  più  sicura  e  miglior  via  procaccia: Ma  pallida,  tremando,  e  di  sé  tolta,Lascia  cura  al  destrìer  che  la  via  faccia. Di  su,  di  giù  nell'alta  selva  fiera Tanto  girò,  che  venne  a  una  riviera. 14    Su  la  riviera  Ferraù  rovoese Di  sudor  pieno,  e  tutto  polveroso. Dalla  battaglia  dianzi  io  rimosse Un  gran  disio  di  bere  e  di  riposo: E  poi,  mal  grado  suo,  quivi  fermosse:Perchè,  delP  acqua  ingordo  e  frettoloso, L  elmo  nel  fiume  si  lasciò  cadere, Nò  Tavea  potuto  anco  riavere. 16    Quanto  potea  più  forte,  ne  veniva Gridando  la  donzella  {spaventata. A  quella  voce  saita  in  su  la  riva II  Saracino,  e  nei  viso  la  guata; E  la  conosce  subito  eh'  arriva, Benché  di  timor  pallida  e  turbata, E  sien  più  di  che  non  n'udì  novella, Che  senza  dubbio  eli'  è  Angelica  bella.stanza  17 . 16  E  perchè  era  cortese,  e  n'  avea  forse Non  men  dei  due  cugini  il  petto  caldo, L'aiuto  che  potea  tutto  le  porse, Pur  come  avesse  l'elmo,  ardito  e  baldo:Trasse  la  spada,  e  minacciando  corse Dove  poco  di  Ini  temea  Rinaldo. Più  volte  s' eran  già  non  pur  veduti, a  al  paragon  dell' arme  conosciuti. 17  Cominciar  quivi  una  crudel  battaglia, Come  a  pie  si  trovar,  coi  brandi  ignudi:Non  che  le  piastre  e  la  minuta  maglia, Ma  ai  colpi  lor  non  reggerian  gì'  incudi. Or,  mentre  l'un  con  l'altro  si  travaglia, Bisogna  al  palafren  che  '1  passo  studi; Che,  quanto  pud  menar  delle  calcagna, Colei  lo  caccia  al  bosco  e  alla  campagna. 18  Poi  che  s'aff&ticàr  gran  pezzo  invano I  due  guerrier  per  por  l'un  l'altro  sotto: Quando  non  meno  era  con  l'arme  in  mano Questo  di  quel,  né  quel  di  questo  dotto; Fu  primiero  il  signor  di  Montalbano, Ch'ai  cavalier  di  Spagna  fece  motto. Si  come  quel  e' ha  nel  cuor  tanto  foco. Che  tutto  n'arde  e  non  ritrova  loco. 19  Disse  al  pagan: Me  sol  creduto  avrai, E  pur  avrai  te  meco  ancora  oifeso: Se  questo  avvien  perchè  i  fulgenti  rai Del  nuovo  Sol  t' abbiano  il  petto  acceso, Di  farmi  qui  tardar  che  guadagno  hai? Che  quando  ancor  tu  m' abbi  morto  o  preso, Non  però  tua  la  bella  douna  fia; Che,  mentre  noi  tardiam,  se  ne  va  via. SO    Quanto  fia  meglio,  amandola  tu  ancora, Che  ta  le  venga  a  traversar  la  strada, A  ritenerla     farle  far  dimora. Prima  che  più  lontana  se  ne  vada! Come  r  avremo  in  potestate,  allora Di  chi  esser  de'  si  provi  con  la  spada. Non  so  altrimente,  dopo  un  lungo  affeinno, Che  possa  riuscirci. altro  che  danno. 21    Al  pagan  la  proposta  non  dispiacque: Cosi  fu  differita  la  tenzone; E  tal  tregua  tra  lor  subito  nacque, Sì  r  odio  e  r  ira  va  in  oblivione, Che  '1  pagano  al  partir  dalle  fresche  acque Non  lasciò  a  piedi  il  buon  figlinol  d'Amone; Con  preghi  invita,  e  alfin  lo  toglie  in  groppa. E  per  Torme  d'Angelica  galoppa. 22 .  Oh  gran  bontà  de'  cavalieri  antiqui ! Eran  rivali,  era  n  di  fé  diversi, E  si  sentian  degli  aspri  colpi  iniqui Per  tutta  la  persona  anco  dolersi; Eppur  per  selve  oscure  e  calli  obliqui Insieme  van,  senza  sospetto  aversi. Da  quattro  sproni  il  destrier  punto,  arriva Dove  una  strada  in  due  si  dipartiva. 23 E  come  quei  che  non  sapean  se  Tuna 0  V  altra  via  facesse  la  donzella, (Perocché  senza  differenzia  alcuna Apparia  in  amendue  l'orma  novella), Si  messero  ad  arbitrio  di  fortuna, Rinaldo  a  questa,  il  Saracino  a  quella. Pel  bosco  Ferraù  molto  s  avvolse E  ritrovossi  alfine  onde  si  tolse. 24  Pur  si  ritrova  ancor  su  la  riviera, Là  dove  l'elmo  gli  cascò  neli'  onde. Poiché  la  donna  ritrovar  non  spera, Per  aver  l'elmo  che  '1  fiume  gli  asconde, In  quella  parte,  onde  caduto  gli  era, Discende  nell' estreme  umide  sponde:Ma  quello  era  si  fitto  nella  sabbia. Che  molto  avrà  da  far  prima  che  V  abbia. 25  Con  un  gran  ramo  d'albero  rimondo, Di  che  avea  fatto  una  pertica  lunga, Tenta  il  fiume  e  ricerca  sino  al  fondo, Né  loco  lascia  ove  non  batta  e  punga. Mentre  con  la  maggior  stizza  del  mondo Tanto  l'indugio  suo  quivi  prolunga, Vede  di  mezzo  il  fiume  un  cavalìero lusino  al  petto  uscir,  d'aspetto  fiero. 2f)    Era,  fuorché  la  testa,  tatto  armato, Ed  avea  un  elmo  nella  destra  mano; Avea  il  medesimo  elmo  che  cercato Da  Ferraù  fu  lungamente  invano. A  Ferraù  parlò  come  adirato, E  disse: Ah  mancator  di  fé,  marrano ! Perchè  di  lasciar  V  elmo  anche  t' aggrevi Che  render  già  gran  tempo  mi  dovevi? 27  Ricordati,  pagan,  quando  uccidesti  D'Angelica  il  fratel,  che  son  queir  io:Dietro  ali  altre  arme  tu  mi  promettesti Fra  pochi  di  gittar  Telmo  nel  rio. Or  se  Fortuna  (quel  che  non  volesti Far  tu)  pone  ad  effetto  il  voler  mio, Non  ti  turhar;  e  se  turbar  ti  dèi, Turbati  che  di  fé  mancato  sei. 28  Ma  se  desir  pur  hai  d'un  elmo  fino, Trovane  un  altro,  ed  abbil  con  più  onore; Un  tal  ne  porta  Orlando  paladino, Un  tal  Rinaldo,  e  forse  anco  migliore:L'un  fti  d'Almonte,  e  V  altro  di  Mambrino:Acquista  un  di  quei  dui  col  tuo  valore; E  questo,  e'  hai  già  di  lasciarmi  detto, Farai  bene  a  lasciarmelo  in  effetto. 32  Non  molto  va  Rinaldo,  che  si  vede Saltare  innanzi  il  suo  destrier  feroce:Ferma,  Baiardo  mio,  deh  ferma  il  piede ! Che  Tesser  senza  te  troppo  mi  nuoce. Per  questo  il  destrier  sordo  a  lui  non  riede, Anzi  più  se  ne  va  sempre  veloce. Segue  Rinaldo,  e  dMra  si  distrugge:Ma  seguitiamo  Angelica  che  fogge. 33  Fugge  tra  selve  spaventose  e  scure, Per  lochi  inabitati,  ermi  e  selvaggi. Il  mover  delle  frondi  e  di  verzure, Che  di  Cerri  sentia,  d'olmi  e  di  faggi, Fatto  le  avea  con  subite  paure Trovar  di  qua  e  di  là  strani  viaggi; Ch'  ad  ogni  ombra  veduta  o  in  monte  o  in  valle, Temea  Rinaldo  aver  sempre  alle  spalle. 34  Qnal  pargoletta  damma  o  capriola, Che  tra  le  fronde  del  natio  boschetto Alla  madre  veduta  abbia  la  gola Stringer  dal  pardo,  e  aprirle  1  fianco  o  '1  petto, Di  selva  in  selva  dal  crudel  s  invola, E  di  paura  trema  e  di  sospetto; Ad  ogni  sterpo  che  passando  tocca. Esser  si  crede  all  empia  fera  in  bocca. 29  All'apparir  che  fece  all'improvviso Dell' acqua  l'ombra,  ogni  pelo  arricciosse, E  scolorosse  al  Saracino  il  viso: La  voce,  eh'  era  per  uscir,  fermosse Udendo  poi  dall' Argalia,  eh'  ucciso Quivi  avea  già  (che  l'Argalia  nomosse), La  rotta  fede  cosd  improverarse, Di  scorno  e  dira  dentro  e  di  fuor  arse. 30  Né  tempo  avendo  a  pensar  altra  scusa, E  conoscendo  ben  che  '1  ver  gli  disse, Restò  senza  risposta  a  bocca  chia; Ma  ]a  vergogna  il  cor  si  gli  trafisse, Che  giurò  per  la  vita  di  Lanfdsa Non  voler  mai  ch'altro  elmo  lo  coprisse, Se  non  quel  buono  che  già  in  Aspramente Trasse  del  capo  Orlando  al  fiero  Almonte. 31  E  servò  meglio  questo  gi\iTamento, Che  non  avea  quell'altro  fatto  prima. Quindi  si  parte  tanto  mal  contento, Che  molti  giorni  poi  si  rode  e  lima. Sol  di  cercare  è  il  Paladino  intento Di  qua  di  là,  dove  trovarlo  stima. Altra  ventura  al  buon  Rinaldo  accade, Che  da  costui  tenea  diverse  strade. 35  Quel  dì  e  la  notte  e  mezzo  l'altro  giorno S'andò  aggirando,  e  non  sapeva  dove: Trovossi  alfin  in  un  boschetto  adomo  . Che  lievemente  la  fresca  aura  move; Dui  chiari  rivi  mormorando  intorno, Sempre  l'erbe  vi  &n  tenere  e  nove; E  rendea  ad  ascoltar  dolce  concento, Rotto  tra  picciol  sassi,  il  correr  lento. 36  Quivi  parendo  a  lei  d'esser  sicura, E  lontana  a  Rinaldo  mille  miglia, Dalla  vìa  stanca  e  dall' estiva  arsura,Di  riposare  alquanto  si  consiglia; Tra'  fiori  smonta,  e  lascia  alla  pastura Andare  il  palafìren  senza  la  briglia; E  quel  va  errando  intomo  alle  chiare  onde, Che  di  fresca  erba  avean  piene  le  sponde.37  Ecco  non  lungi  un  bel  cespuglio  vede Di  spin  fioriti  e  di  vermiglie  rose. Che  delle  liquide  onde  al  specchio  siede, Chiuso  dal  Sol  fra  P  alte  quercie  ombrose; Co  vóto  nel  mezzo,  che  concede Fresca  stanza  fra  l'ombre  più  nascose; E  la  foglia  coi  rami  in  modo  è  mista. Che  '1  Sol  non  v'entra,  non  che  minor  vista. £8    Dentro  letto  vi  fan  tenere  erbette, Ch'  invitano  a  posar  chi  s' appresenta. La  bella  donna  in  mezzo  a  quel  si  mette; Ivi  si  corca,  ed  ivi  s'addormenta.Ma  non  per  lungo  spazio  cosi  stette, Che  un  calpestio  le  par  che  venir  senta. Cheta  si  lieva  e  appresso  alla  ri  vera Vede  ch'armato  un  cavalier  giunt'era. 39  S' egli  è  amico  o  nemico  non  comprende; Tema  e  speranza  il  dubbio  cor  le  scuote; E  di  quella  avventura  il  fine  attende, Né  pur  d'un  sol  sospir  l'aria  percuote. Il  cavaliero  in  riva  al  fiume  scende Sopra  l'un  braccio  a  riposar  le  gote; Ed  in  un  gran  pensier  tanto  penetra, Che  par  cangiato  in  insensibil  pietra. 40  Pensoso  più  d'un'  ora  a  capo  basso Stette,  Signore,  il  cavalier  dolente; Poi  cominciò  con  suono  afflìtto  e  lasso, A  lamentarsi  si  soavemente, Ch'avrebbe  di  pietà  spezzato  un  sasso. Una  tigre  crudel  fatta  clemente:Sospirando  piangea  tal  eh' un  ruscello Parean  le  guancie,  e  'i  petto  un  Mòugibello. 41  Pensier,  dicea,  che'l  cor  m'agghiacci  ed  ardi, E  causi '1  duol  che  sempre  il  rode  e  lima, Che  debbo  far  poich'  io  son  giunto  tardi, E  ch'altri  a  córre  il  frutto  è  andato  prima? Appena  avuto  io  n'ho  parole  e  sguardi. Ed  altri  n'ha  tutta  la  spoglia  opima. Se  non  ne  tocca  a  me  frutto  né  fiore. Perchè  affligger  per  lei  mi  vo'più  il  core? 42  La  verginella  é  simile  alla  rosa Ch'in  bel  giardin  su  la  nativa  spina. Mentre  sola  e  sicura  si  riposa. Né  gregge  né  pastor  se  le  avvicina; L'aura soave  e  l'alba  rugiadosa, L'acqua,  la  terra  al  suo  favor  s' inchina  :Gioveni  vaghi  e  donne  innamorate Amanu  averne  e  seni  e  tempie  ornate. 43  Ma  non  si  tosto  dal  materno  stelo Rimossa  viene  e  dal  suo  ceppo  verde. Che  quanto  avea  dagli  uomini  e  dal  cielo Favor,  grazia  e  bellezza,  tutto  perde. La  vergine  che  '1  fior,  di  che  più  zelo Che  de' begli  occhi  e  della  vita  aver  de'. Lascia  altnd  corre,  il  pregio  eh' avea  innanti, Perde  nel  cor  di  tutti  gli  altri  amanti.44  Sii  vile  agli  altri,  e  da  quel  solo  amata,A  cui  di  sé  fece  si  larga  copia. Ah  Fortuna  crudel.  Fortuna  ingrata! Trionfan  gli  altri,  e  ne  moro  io  d'inopia. Dunque  esser. può  che  non  mi  sia  più  grata? Dunque  io  posso  lasciar  mia  vita  propìa? Ah  piuttosto  oggi  manchino  i  di  miei, Ch'  io  viva  più,  s' amar  non  debbo  lei ! 45  Se  mi  dimanda  alcun  chi  costui  sia, Che  versa  sopra  il  rio  lacrime  tante, Io  dirò  ch'egli  é  il  re  di  Circassia, Quel  d'amor  travagliato  Sacripante:Io  dirò  ancor,  che  di  sua  pena  ria Sia  prima  e  sola  causa  essere  amante, E  pur  un  degli  amanti  di  costei: E  ben  riconosciuto  fa  da  lei. 46  Appresso  ove  il  Sol  cade,  per  suo  amore Venuto  era  dal  capo  d'Oriente; Cile  seppe  in  India  con  suo  gran  dolore, Come  ella  Orlando  seguitò  in  Ponente: Poi  seppe  in  Francia,  che  l'Imperatore Sequestrata  l'avea  dall'altra  geiite, E  promessa  in  mercede  a  chi  di  Icfro Più  quel  giorno  aiutasse  i  Gigli  d'oro. 47  Stato  era  in  campo,  avea  veduta  quella, Quella  rotta  che  dianzi  ebbe  re  Carlo. Cercò  vestigio  d'Angelica  bella, Né  potuto  avea  ancora  ritrovarlo. Questa  è  dunque  la  trista  e  ria  novella Che  d'amorosa  doglia  fa  penarlo, Affligger,  lamentare,  e  dir  parole Che  di  pietà  potrian  fermare  il  Sole. 48  Mentre  costui  cosi  s' affligge  e  duole, E  fa  degli  occhi  suoi  tepida  fonte, E  dice  queste  e  molte  altre  parole,Che  non  mi  par  bisogno  esser  racconte; L'avventurosa  sua  fortuna  vuole Ch'alle  orecchie  d'Angelica  sian  conte: E  cosi  quel  ne  viene  a  un'ora,  a  un  punto, Ch'in  mille  anni  o  mai  più  non  è  raggiunto. 49  Con  molta  attenzion  la  bella  donna Al  pianto,  alle  parole,  al  modo  attende Di  colui  eh'  in  amarla  non  assonna; Né  questo  é  il  primo  di  eh'  ella  l'intende:Ma,  dura  e  fredda  più  d'una  colonna, Ad  averne  pietà  non  però  scende: Come  colei  e' ha  tutto  il  mondo  a  sdegno '  non  le  par  eh'  alcun  sia  di  lei  degno. 50  Par  tra  quei  boschi  il  ritrovarsi  sola Le  f&  pensar  di  tor  costui  per  guida Che  chi  nell'acqua  sta  fin  alla  gola, Ben  è  ostinato  se  mercè  non  grida. Se  questa  occasione  or  se  V  invola, Non  troverà  mai  più  scorta  si  fida; Ch'a  lunga  prova  conosciuto  innante S'avea  quel  re  fedel  sopra  ogni  amante. 51  Ma  non  però  disegna  dell  afinno, Che  lo  distrugge,  alleggerir  chi  Fama, £  ristorar  d'ogni  passato  danno Con  quel  piacer  eh'  ogni  amator  più  brama:Ma  alcuna  fizì'one,  alcuno  inganno Di  tenerlo  in  speranza  ordisce  e  trama; Tanto  ch'ai  suo  bisogno  se  ne  serva, Poi  tomi  all' uso  suo  dura  e  proterva. 52  E  fuor  di  quel  cespuglio  oscuro  e  cieco Fa  di  sé  bella  ed  improvvisa  mostra, Come  di  selva  o  fuor  d'ombroso  speco Diana  in  scena,  o  Citerea  si  mostra; E  dice  all' apparir: Pace  sia  teco; Teco  difenda  Dio  la  fama  nostra, E  non  comporti,  contro  ogni  ragione, Ch'abbi  di  me  si  falsa  opinione. 53  Non  mai  con  tanto  gaudio  o  stupor  tanto Levò  gli  occhi  al  figliuolo  alcuna  madre, Ch'  avea  per  morto  sospirato  e  pianto, Poi  che  senza  esso  udì  tornar  le  squadre; Con  quanto  gaudio  il  Saracin,  con  quanto Stupor  r  alta  presenza,  e  le  leggiadre Maniere,  e  vero  angelico  sembiante. Improvviso  apparir  si  vide  innante. 54  Pieno  di  dolce  e  d'amoroso  affetto, Alla  sua  donna,  alla  sua  Diva  corse, Che  con  le  braccia  al  collo  il  tenne  stretto, Quel  eh'  al  Catai  non  avria  fatto  forse. Al  patrio  regno,  al  suo  natio  ricetto, Seco  avendo  costai,  l'animo  torse: Subito  in  lei  s'avviva  la  speranza Di  tosto  riveder  sua  ricca  stanza. 5.5    Ella  gli  rende  conto  pienamente Dal  giorno  che  mandato  fii  da  lei A  domandar  soccorso  in  Oriente Al  Re  de'Sericani  Nabatei; E  come  Orlando  la  guardò  sovente Da  morte,  da  diraor,  da  casi  rei; E  che  1  fior  virginal  cosi  avea  salvo, Come  se  lo  portò  del  materno  alvo. 66     Forse  era  ver,  ma  non  però  credibile A  chi  del  senso  suo  fosse  signore; Ma  parve  facilmente  a  lui  possibile, Ch'era  perduto  in  via  più  grave  errore. Quel  che  l'uom  vede,  Amor  gli  fa  invisibile, E  l'invisibil  fo  veder  Amore. Questo  creduto  fii;  che'l  miser  suole Dar  facile  credenza  a  quel  che  vuole. 57  Se  mal  si  seppe  il  Cavalier  d'Anglante Pigliar  per  sua  sciocchezza  il  tempo  buono, Il  danno  se  ne  avrà;  che  da  qui  innante Noi  chiamerà  Fortuna  a  si  gran  dono; (Tra  sé  tacito  parla  Sacripante) Ma  io  per  imitarlo  già  non  sono, Che  lasci  tanto  ben  che  m'è  concesso, E  eh' a  doler  poi  m'abbia  di  me  stesso. 58  Corrò  la  fresca  e  mattutina  rosa, Che,  tardando,  stagion  perder  potria. So  ben  eh' a  donna  non  si  può  far  cosa Che  più  soave  e  più  piacevol  sia, Ancorché  se  ne  mostri  disdegnosa, E  talor  mesta  e  flebìl  se  ne  stia:Non  starò  per  repulsa  o  finto  sdegno, Ch'io  non  adombri  e  incarni  il  mio  disegno. 59  Cosi  dice  egli;  e  mentre  s'apparecchia Al  dolce  assalto,  un  gran  ramor  che  suona Dal  vicin  bosco,  gì'  introna  l'orecchia Sì,  che  mal  grado  l'impresa  abbandona, E  si  pon  l'elmo;  eh'  avea  usanza  vecchia Di  portar  sempre  armata  la  persona. Viene  al  destriero,  e  gli  ripon  la  briglia:Rimonta  in  sella,  e  la  sua  lancia piglia. 60  Ecco  pel  bosco  un  cavalier  venire, Il  cui  sembiante  è  d'uom  gagliardo  e  fiero:Candido  come  neve  è  il  suo  vestire. Un  bianco  pennoncello  ha  per  cimiero. Re  Sacripanter,  che  non  può  patire Che  quel  con  l'importuno  suo  sentiero Gli  abbia  interrotto  il  gran  piacer  eh'  avea, Con  vista  il  guarda  disdegnosa  e  rea. 61  Come  è  più  appresso,  io  sfida  a  battaglia; Che  crede  ben  fargli  votar  l'arcione. Quel,  che  di  lui  non  stimo  già  che  vaglia Un  grano  meno,  e  ne  fa  paragone, L'orgogliose  minacce  a  mezzo  taglia, Sprona  a  un  tempo,  e  la  lancia  in  resta  pone. Sacripante  ritorna  con  tempesta, E  corronsi  a  ferir  testa  per  testa. 62    Non  8i  vanno  i  leoni  o  i  tori  in  salto A  dar  di  petto,  ad  accozzar  si  erodi, Come  li  dni  gnerrìerì  al  fiero  assalto, Che  parimente  si  pass&r  li  scndi. Fe  lo  scontro  tremar  dal  basso  all' alto L'erbose  valli  insino  ai  poggi  ignndi; E  ben  giovò  che  far  bnoni  e  perfetti Gli  usberghi  si,  che  lor  salvare  i  petti. stanza  68. 63  Già  non  fero  i  cavalli  un  correr  torto, Anzi  cozzaro  a  guisa  di  montoni. Quel  del  guerrier  pagan  morì  di  corto, Ch'  era  vivendo  in  numero  de'  buoni:Queir  altro  cadde  ancor;  mafii  risorto Tosto  ch'ai  fianco  si  sentì  li  sproni. Quel  del  Re  saracin  restò  disteso Addosso  al  suo  signor  con  tutto  il  peso. 64  V  incognito  campion  che  restò  ritto, E  vide  l'altro  col  cavallo  in  terra. Stimando  avere  assai  di  quel  conflitto, Non  si  curò  di  rinnovar  la  guerra; Ma  dove  per  la  selva  è  il  cammin  dritto, Correndo  a  tutta  briglia,  si  disserra; E,  prima  che  di  briga  esca  il  Pagano, Un  miglio  0  poco  meno  è  già  lontano 65  Qual  istordito  e  stupido  aratore, Poi  eh' è  passato  il  fdhnine,  si  lieva Di  là  dove  l'altissimo  firagore Presso  alli  morti  buoi  steso  l'aveva; Che  mira  senza  fronde  e  senza  onore   n  pin  che  di  loutan  veder  soleva:Tal  si  levò  il  Pagano  a  pie  rimase, Angelica  presente  al  duro  caso. 66  Sospira  e  geme,  non  perchè  1'  annoi Che  piede  o  braccio  s' abbia  rotto  o  mosso, Ma  per  vergogna  sola,  onde  a'  di  suoi Né  pria  né  dopo  il  viso  ebbe  si  rosso; E  più,  ch'oltra  il  cader,  sua  donna  poi Fu  che  gli  tolse  il  gran  peso  d'addosso. Muto  restava,  mi  cred' io,  se  quella Non  gli  rendea  la  voce  e  la  favella. 67  Deh !  disse  ella,  signor,  non  vi  rincresca; Che  del  cader  non  è  la  colpa  vostra, Ma  del  cavallo  a  cui  riposo  ed  esca Meglio  si  convenia,  che  nuova  giostra. Né  perciò  quel  guerrier  sua  gloria  accresca; Che  d'esser  stato  il  perditor  dimostra. Così,  per  quel  eh'  io  me  ne  sappia,  stimo, Quando  a  lasciar  il  campo  è  stato  il  primo. 6B    Mentre  costei  conforta  il  Saracino, Ecco,  col  corno  e  con  la  tasca  al  fianco. Galoppando  venir  sopra  un  ronzino Un  messaggier  che  parca  afflitto  e  stanco; Che  come  a  Sacripante  fu  vicino. Gli  domandò  se  con  lo  scudo  bianco, E  con  un  bianco  pennoncello  in  testa Vide  un  guerrier  passar  per  la  foresta. 69  Rispose  Sacripante: Come  vedi, M'ha  qui  abbattuto,  e  se  ne  parte  or  ora; E  perch'  io  sappia  chi  m' ha  messo  a  piedi, Fa  che  per  nome  io  lo  conosca  ancora. Ed  egli  a  lui:  Di  quel  che  tu  mi  chiedi, 10  ti  satisfarò  senza  dimora: Tu  dèi  saper  che  ti  levò  di  sella L'alto  valor  d'una  gentil  donzella. 70  Ella  é  gagliarda,  ed  é  più  bella  molto; Né  il  suo  famoso  nome  anco  t'ascondo: Fu  Bradamante  quella  che  t' ha  tolto Quanto  onor  mai  tu  guadagnasti  al  mondo. Poich'  ebbe  così  detto  a  freno  sciolto 11  Saracin  lasciò  poco  giocondo. Che  non  sa  che  si  dica  o  che  si  faccia, Tutto  avvampato  di  vergogna  in  faccia. 71    Poi  che  gran  pezzo  al  caso  intervenuto Ebbe  pensato  invano,  e  finalmente Si  trovò  da  una  femmina  abbattuto, Che  pensandovi  più,  più  dolor  sente; Montò  r  altro  destrier  tacito  e  muto:E  senza  far  parola,  chetamente Tolse  Angelica  in  groppa,  e  differilla A  più  lieto  uso,  a  stanza  più  tranquilla. 72    Non  foro  iti  duo  miglia,  che  sonare Odon  la  selva,  che  li  cinge  intx)mo, Con  tal  rumor  e  strepito,  che  pare Che  tremi  la  foresta  d'ogn'  intomo; E  poco  dopo  un  gran  destrier  n'  appare, D'oro  guemito  e  riccamente  adomo, Che  salta  macchie  e  rivi,  ed  a  fracasso Arbori  mena  e  ciò  che  vieta  il  passo. Stanza  74. 73    Se  r  intricati  rami  e  V  aer  fosco, Disse  la  donna,  agli  occhi  non  contende, Baiardo  è  quel  destrier  che  in  mezzo  al  bosco Con  tal  ramor  la  chiusa  via  si  fende. Questo  è  certo  Baiardo: io  '1  riconosco:Deh  come  ben  nostro  bisogno  intende ! Ch'  un  sol  ronzin  per  dui  saria  mal  atto; E  ne  vien  egli  a  satisfarci  ratto. 74    Smonta  il  Circasso,  ed  al  destrier  saccosta E  si  pensava  dar  di  mano  al  freno. Colle  groppe  il  destrier  gli  fa  risposta, Che  fu  presto  al  girar  come  un  baleno; Ma  non  arriva  dove  i  calci  apposta; Misero  il  cavalier  se  giungea  appieno ! Che  ne  calci  tal  possa  avea  il  cavallo, Ch  avria  spezzato  un  monte  di  metallo. 75    Indi  Ta  mansueto  alla  donzella, Con  umile  sembiante  e  gesto  umano, Come  intorno  al  padrone  il  can  salteUa, Che  sia  due  giorni  o  tre  stato  lontano. Baiardo  ancora  avea  memoria  d'ella, Ch'  in  Albracca  il  servia  già  di  sua  mano Nel  tempo  che  da  lei  tanto  era  amato Rinaldo,  allor  crudele,  allora  ingrato. 78    E  questo  hanno  causato  due  fontane Che  di  diverso  effetto  hanno  liquore, Ambe  in  Ardenna,  e  non  sono  lontane:D'amoroso  disio  Tuna  empie  il  core; Chi  bee  de  V  altra  senza  amor  rimane, E  volge  tutto  in  ghiaccio  il  primo  ardore. Rinaldo  gustò  d'una,  e  amor  lo  struse; Angelica  de  V  altra: l'odia  e  fugge. 76    Con  la  sinistra  man  prende  la  briglia, Con  r  altra  tocca  e  palpa  il  collo  e  il  petto. Quel  destrier,  eh'  avea  ingegno  a  maraviglia, A  lei,  come  un  agnel,  si  fa  suggetto. Intanto  Sacripante  il  tempo  piglia: Monta  Baiardo,  e  l'urta  e  lo  tien  stretto. Del  ronzin  disgravato  la  donzella Lascia  la  groppa,  e  si  ripone  in  sella. 79  Quel  liquor  di  secreto  venen  misto, Che  muta  in  odio  l'amorosa  cura, Fa  che  la  donna  che  Rinaldo  ha  visto, Nei  sereni  occhi  subito  s'oscura; E  con  voce  tremante  e  viso  tristo Supplica  Sacripante  e  lo  scongiura Che  quel  guerrier  più  appresso  non  attenda . Ma  eh'  insieme  con  lei  la  fuga  prenda. 77    Poi  rivolgendo  a  caso  gli  occhi,  mira, Venir  sonando  d'arme  un  gran  pedone. Tutta  s'avvampa  di  dispetto  e  d'ira; Che  conosce  il  figliuol  del  duca  Amone. Più  che  sua  vita  l'ama  egli  e  desira; L' odia  e  fugge  ella  più  che  gru  falcone. Già  fd  eh'  esso  odiò  lei  più  che  la  morte; Ella  amò  lui:  or  han  cangiato  sorte. 80    Son  dunque,  disse  il  Saracino,  sono Dunque  in  si  poco  credito  con  voi, Che  mi  stimiate  inutile,  e  non  buono Da  potervi  difender  da  costui! Le  battaglie  d' Albracca  già  vi  sono Di  mente  uscite,  e  la  notte  eh'  io  fui Per  la  saluta  vostra,  solo  e  nudo, Contro  Agricane  e  tutto  il  campo,  scudo?81    Non  rispond' ella,  e  non  sa  che  si  faccia, Perchè  Rinaldo  ormai  1'  è  troppo  appresso, Che  da  lontano  ai  Saradn.  minaccia, Come  vide  il  cavallo  e  conobb'  esso, E  riconobbe  l'angelica  faccia Che  l'amoroso  incendio  in  cor  gli  ha  messo. Quel  che  segui  tra  questi  due  superbi Vo'che  per  l'altro  Canto  si  riserbi. NOTE. St.  1.   L'Ariosto  si  propone  di  narrare  la  gaerra Ara  Carlo  Magno  e  Agramante  re  d  AfHca,  argomeuto di  antiche  leggende  e  di  romanzi  cavaUeresohi.  Ascri vere ai  tempi  di  Carlo  Magno  le  geste  e  le  avventure di  cavalleria  eh'  egli  vuol  raccontare,  proprie  solo ai  secoli  dopo  il  100,  ò  un  anacronismo;  ma  a  poeti come  l'Ariosto  è  lecito.   v.4.  L'Ariosto  immagina  che i  Mori  invadessero  la  Francia  ai  tempi  di  Carlo  Magno. Anche  questa  ò  favola.   v.6.  Agramante,  re  dei  Mori, che .  secondo  la  leggenda,  cinse  d' assedio  Parigi.  V.7.  Trojano,  padre  d'Agramante.  Egli  era  stato  ucciso dal  paladino  Orlando.   v.8.  Re  Carlo,  Carlo  Magno. St.  2.  V.1.   Orlando  o  Rolando,  era  prefetto  delle frontiere  di  Bretagna:  fu  ucciso  in  Roncisvalle;  sup ponesi  figlio  di  Milone  conte  di  Anglante. St.  3.   Qui  si  contiene  la  dedica  del  Poema  al  car dinale Ippolito  d'Este,  figlio  di  Ercole  I,  secondo  duca di  Ferrara;  nella  corte  del  quale  porporato  visse  il Poeta. St.  5.   Suir  innamoramento  di  Orlando  e  sulle  imprese di  lui  in  varie  parti  dell' Asia  ò  da  vedersi  il poema  del  Boiardo.  Qui  basti  il  dire  che  Angelica  e suo  fratello  Argalia,  figli  di  Galafrone  re  del  Cataio (paese  ora  riconosciuto  nelle  sette  provinole  settentrio nali  dell  impero  chinese),  fìurono  mandati  dal  padre  in Francia,  afflnohò,  per  forza  o  per  inganno,  gli  conduces sero presi  i  paladini  di  Carlo.  Angelica  era  fornita  di somma  bellezza  e  di  arti  astate  a  dovizia;  il  fratello aveva  Tarmatora  fatata,  una  lancia  d'oro  ohe  atterrava chiunque  ne  fosse  toccato;  il  cavallo  Babicano  più  veloce del  vento  e  cibantesl  d'aria;  finalmente  un  anello che  tenuto  in  bocca,  rendeva  invisibile  la  persona,  e  por tato in  dito  disfaceva  ogni  altro  incantesimo.  Queste cose  favoleggiate  dal  Boiardo  si  notano  qui,  per  non avere  a  ripeterle  altrove. St.  6.  y.  12.   Marsilio,  rappresentato  nel  Poema come  re  di  Gastiglia,  è  personaggio  finto  dai  romanzieri,  òhe  cosi  nominarono  un  governatore  dato  a  Saragozza dal  re  0  califo  di  Cordova,  Abderamo  Emir el  Monmen]rm,  voce  convertita  dagli  Italiani  in  Hira molino. St.  a  y.  1d.   Binaldo,  uno  dei  paladini  di  Carlo,  ò detto  cugino  di  Orlando,  perchè,  secondo  la  genealogia degli  eroi  romantici,  nacque  da  Aymon  o  Amone  di Darbena  e  da  Beatrice  figlia  di  Namo  duca  di  Baviera. Amone  poi,  nato  da  un  Bernardo  di  Chiaramonte  della stirpe  dei  Beali  di  Francia,  era  fratello  di  Milone  d'An glante. St.  12.  y.  14.   Rinaldo  cioè,  la  cui  famiglia  aveva in  signoria  il  castello  di  Hontalbano  (Montauban)  in Linguadoca,  e  vi  faceva  ordinaria  residenza. St.  13.  y.  16.   n  motivo  del  precipitoso  fuggire  di Angelica  da  Rinaldo  era  una  insuperabile  avversione per  lui,  di  che  si  conoscerà  il  motivo  nella  St  78. St.  14.  y.  18.   Ferraù  o  Ferraguto  denotarono  i  ro manzieri come  figliuolo  di  Marsilio.  Era  costui  fortis simo pagano,  spagnolo. St.  19.  y.  34.   Lafirase  fulgenti  rai  del  nuovo  Sol allude  alla  somma  bellezza  dAngelica. St.  26.  y.  6.   Marrano  o  Marano,  voce  ingiuriosa che  sapponesi  di  origine  araboispana,  e  vuol  dire: aleale o  maneator  di  parola.  Secondo  alcuni,  voleva  dire,  in ispagnolo:  porco  d'un  anno. St.  28.  y.  5.   In  un  poema  intitolato  Aspromonte e  pubblicato  la  prima  volta  in  Firenze  nel  1504,  si  trova che  Orlando,  per  vendicare  la  morte  di  suo  padre  uc ciso da  Almonte,  spense  costui  in  duello  e  gli  tolse l'elmo  con  l'armatura  incantata,  il  cavallo  Brigliadoro e  la  spada  Durindana,  Un  altro  romanzo,  che  ha  per titolo  Innamoramento  di  RinaldOj  parla  di  un  pagano Mambrino,  venuto  con  un  esercito  contro  Carlo,  e  uc ciso in  battaglia  da  Rinaldo  che  si  appropriò  Telmo  di  lui St.  80.  v.5.   Lanfbsa,  madre  di  Ferrati   v.7.  Aspra mente, castello  antico  de  Pirenei. St.  88.  y.  &   Nella  St.  45  svelasi  essere  costui  Sa cripante re  dei  Circassi,  amante  di  Angelica. St.  55.  y.  4.   è  probabile  che  qui  si  accennino  i Seri  (Seres)  degli  antichi,  oggi  conosciuti  sotto  il  nome di  Tartari  Bodgesi.  Nabatei,  eran  detti  propriamente gli  abitanti  dell'Arabia  intomo  al  Mar  Rosso;  ma  dai poeti  si  prendono  talora  per  i  popoli  tutti  dell'Oriente, come  qui  nell'Ariosto. St.  57.  y.  1.   Sacripante  allude  a  Orlando. St.  81.  y.  27.   Far  vuotar  Varetone  significa  toglier di  sella,  scavalcare.  • Dicesi  resta  un  ferro  attaccato al  petto  dell' armadura  del  cavaliere .  ove  si  accomoda il  calce  della  lancia  per  colpire. St.  70.  y.  3.   Bradamante,  sorella  di  Rinaldo,  figlia naturale  del  duca. St.  78.  y.  13.   Fontane  d'Ardenna;  selva  ch'era  la scena  favorita  delle  avventure  romantiche. St.  80.   Le  battaglie  d'Albracea,  Àlbraeca,  terra forte,  dove  s' era  rinchiusa  Angelica  per  non  venire  in mano  del  re  Agricane,  che  n'era  mirabilmente  invaghito. Agricane  vi  si  pone  a  campo.  Sacripante  difende  Ange lica. Malconcio  dalle  ferite  è  costretto  a  ritirarsi  nella rocca.  Continuando  gli  assalti,  Agricane  nell'impeto  del rinseguire  il  nemico,  rimane  chiuso  nella  terra  con  tre cento cavalieri: mena  tutto  a  fracasso.  Sacripante  ch'ò in  letto,  chiesta  e  saputa  la  cagione  del  rumore  levato nella  terra,  si  alza  sebbene  infermo  e  uccide  1  trecento cavalieri  nemici,  e  costringe  Agricane  a  ritrarsi. stanza  3. II. ARGOMENTO. Mentre  Rinald  3  e  Sacripante  combattono  fra  di  loro  per  Baiardo,  Angelica  sempre  fugante  trova  nella  selva  un romito,  il  (juale  con  arte  mafca  fa  che  cessi  la  pugna  dei  due  guerrieri.  Rinaldo  monta  Baiardo  •  va  in  Parigi,  Ji dove  Carlo  lo  manda  in  Inghilterra.  Bradamante,  andando  in  cerca  di  Ruggero,  si  avviene  in  Pinabello  di Maganza,  che,  con  racconto  in  parte  mentito,  e  con  animo  di  darle  morte,  la  fa  precipitare  in  nna  caverna. l      Ingiustissimo  Amor,  perchè  si  raro Corrispondenti  fai  nostri  disiri? Onde,  perfido,  avvien  che  t'è  si  caro Il  discorde  voler  ch'in  dui  cor  miri? Ir  non  mi  lasci  al  facil  guado  e  chiaro, E  nel  più  cieco  e  maggior  fondo  tiri:Da  chi  disia  il  mio  amor  tu  mi  richiami, E  chi  m'ha  in  odio  vuoi  ch'adori  ed  ami. Rinaldo  al  Saracin  con  molto  orgoglio Gridò: Scendi,  ladron,  del  mio  cavallo:Che  mi  sia  tolto  il  mio,  patir  non  soglio; Ma  ben  fo,  a  chi  lo  vuol,  caro  costallo:E  levar  questa  donna  anco  ti  voglio; Che  sarebbe  a  lasciartela  gran  ftJlo. Sì  perfetto  destrier,  donna  sì  degna A  un  ladron  non  mi  par  che  si  convegna. 2      Fai  ch'a  Rinaldo  Angelica  par  bella. Quando  esso  a  lei  brutto  e  spiacevol  pare. Quando  le  parea  bello  e  l'amava  ella, Egli  odiò  lei  quanto  si  può  più  odiare. Ora  s'affligge  indarno  e  si  flagella: Cosi  renduto  ben  gli  è  pare  a  pare. Ella  l'ha  in  odio:  e  l'odio  è  di  tal  sorte, Che  piuttosto  che  lui  vorria  la  morte. Tu  te  ne  menti  che  ladrone  io  sia, Rispose  il  Saracin  non  meno  altiero: Chi  dicesse  a  te  ladro,  lo  diria (Quanto  io  n'  odo  per  fama)  più  con  vero. La  pruova  or  si  vedrà,  chi  di  noi  sia Più  degno  de  la  donna  e  del  destriero; Benché,  quanto  a  lei,  teco  io  mi  convegna Che  non  è  cosa  al  mondo  altra  sì  degna. stanza  2ó. Come  soglion  talor  dui  can  mordenti, O  per  invidia  o  per  altro  odio  mossi, Avvicinarsi  digrignando  i  denti, Con  occhi  bieci  e  più  che  bracia  rossi; Indi  ammorsi  venir,  di  rabbia  ardenti. Con  aspri  ringhi  e  rabbuffati  dossi: Cosi  alle  spade  e  dai  gridi  e  dall'onte Venne  il  Circasso  e  quel  di  Chiaramonte. 6      A  piedi  è  Pan,  P altro  a  cavallo:  or  quale Credete  ch'abbia  il  Saracin  vantaggio?Né  ve  n'  ha  però  alcun;  che  così  vale Forse  ancor  men  eh'  uno  inesperto  paggio:Che  '1  destrier,  per  istinto  naturale, Non  volea  far  al  suo  signor  oltraggio:Né  con  man  né  con  spron  .potea  il  Circasso Farlo  a  volontà  sua  mover  mai  passo. 7  Quando  crede  cacciarlo,  egli  s arresta; E  se  tener  lo  vuole,  o  corre  o  trotta: Poi  sotto  il  petto  si  caccia  la  testa, Giucca  di  schiene,  e  mena  calci  in  frotta. Vedendo  il  Saradn  eh' a  domar  questa Bestia  superha  era  mal  tempo  allotta, Ferma  le  man  sul  primo  arcione  e  s'alza, E  dal  sinistro  fianco  in  piede  shalza. 8  Sciolto  che  fu  il  Pagan  con  leggier  salto Dair ostinata  furia  di  Baiardo, Si  vide  cominciar  hen  degno  assalto D'un  par  di  cavalier  tanto  gagliardo. Suona  l'un  hrando  e  l'altro,  or  hasso,  or  alto:Il  martel  di  Vulcano  era  più  tardo Nella  spelonca  affumicata,  dove Battea  all'incude  i  folgori  di  Giove. 9  Fanno  or  con  lunghi,  ora  con  finti  e  scarsi Colpi  veder  che  mastri  son  del  giuoco: Or  li  vedi  ire  altieri,  or  rannicchiarsi; Ora  coprirsi,  ora  mostrarsi  un  poco; Ora  crescer  innanzi,  ora  ritrarsi; Ribatter  colpi,  e  spesso  lor  dar  loco; Girarsi  intomo;  e  donde  l'uno  cede, L  altro  aver  posto  immantinente  il  piede. 10  Ecco  Rinaldo  con  la  spada  addosso A  Sacripante  tutto  s'ablMindona; E  quel  porge  lo  scudo  ch'era  d'osso. Con  la  piastra  d'acciar  temprata  e  buona. Tagliai  Fusberta,  ancorché  molto  grosso:Ne  geme  la  foresta  e  ne  risuona. L'osso  e  Tacciar  ne  va  che  par  di  ghiaccio, E  lascia  al  Saracin  stordito  il  braccio. 13    Dagli  anni  e  dal  digiuno  attenuato. Sopra  un  lento  asinel  se  ne  veniva; E  parca,  più  ch'alcun  fosse  mai  stato, Di  consci'enza  scrupolosa  e  schiva. Come  egli  vide  il  viso  delicato Della  donzella  che  sopra  gli  arriva, Debil  quantunque  e  mal  gagliarda  fosse, Tutta  per  carità  se  gli  commosse. 11  Come  vide  la  timida  donzella Dal  fiero  colpo  uscir  tanta  mina. Per  gran  timor  cangiò  la  faccia  bella, Qual  il  reo  ch'ai  supplicio  s'avvicina:    ' Né  le  par  che  vi  sia  da  tardar,  s'ella Non  vuol  di  quel  Rinaldo  esser  rapina. Di  quel  Rinaldo  ch'ella  tanto  odiava. Quanto  esso  lei  m'seramente  amava. 12  Volta  il  cavallo,  e  nella  selva  folta Lo  caccia  per  un  aspro  e  stretto  calle; E  spesso  il  viso  smorto  addietro  volta. Che  le  par  che  Rinaldo  abbia  alle  spalle. Fuggendo  non  avea  fatto  via  molta. Che  scontrò  un  Eremita  in  una  valle, Ch'avea  lunga  la  barba,  a  mezzo  il  petto, Devoto  e  venerabile  d'aspetto. 14  La  donna  al  faticel  chiede  la  via Che  la  conduca  ad  un  porto  di  mare, Perché  levar  di  Francia  si  vorria, Per  non  udir  Rinaldo  nominare. Il  frate,  che  sapea  negromanzia, Non  cessa  la  donzella  confortare, Che  presto  la  trarrà  d'ogni  periglio; Et  ad  una  sua  tasca  die  di  piglio. 15  Trassene  un  libro,  e  mostrò  grande  effetto; Che  legger  non  fini  la  prima  faccia, Ch'uscir  fa  un  spirto  in  forma  di  valletto, E  gli  comanda  quanto  vuol  che  faccia. Quel  se  ne  va,  da  la  scrittura  astretto. Dove  i  dui  cavalieri  a  faccia  a  faccia Eran  nel  bosco,  e  non  stavano  al  rezzo; Fra'  quali  entrò  con  grande  audacia  in  mezzo. lt>     Per  cortesia,  disse,  un  di  yoi  mi  mostre, Quando  anco  uccida  l'altro,  che  gli  vaglia: Che  merto  avrete  alle  fatiche  vostre, Finita  che  tra  voi  sia  la  battaglia, Se  '1  conte  Orlando  senza  liti  o  giostre, S  senza  pur  aver  rotta  una  maglia, Verso  Parigi  mena  la  donzella Che  v'ha  condotti  a  questa  pugna  fella? 17  Vicino  un  miglio  ho  ritrovato  Orlando Che  ne  va  con  Angelica  a  Parigi, Di  voi  ridendo  insieme,  e  motteggiando Che  senza  frutto  alcun  siate  in  litigi. Il  meglio  forse  vi  sarebbe,  or  quando Non  son  più  lungi,  a  seguir  lor  vestigi; Che  s'in  Parigi  Orlando  la  può  avere, Non  ve  la  lascia  mai  più  rivedere. 18  Veduto  avreste  i  cavalier  turbarsi A  quell'annunzio;  e  mesti  e  sbigottiti. Senza  occhi  e  senza  mente  nominarsi. Che  gli  avesse  il  rivai  cosi  scherniti; Ma  il  buon  Rinaldo  al  suo  cavallo  trarsi Con  sospir  che  parean  del  faoco  usciti, E  giurar  per  isdegno  e  per  farore, Se  giungea  Orlando,  di  cavargli  il  core. 19     E  dove  aspetta  il  suo  Baiardo,  passa, E  sopra  vi  si  lancia,  e  via  galoppa; Né  al  cavalier,  ch'a  pie  nel  bosco  lassa. Pur  dice  addio,  non  che  lo  'nviti  in  groppa. L'animoso  cavallo  urta  e  fracassa. Punto  dal  suo  signor,  ciò  ch'egli  'ntoppa: Non  ponno  fosse  o  fiumi  o  sassi  o  spine Far  che  dal  corso  il  corridor  decline. 22  Bramoso  di  ritrarlo  ove  fosse  ella, Per  la  gran  selva  innanzi  se  gli  messe; Né  lo  volea  lasciar  montare  in  sella, Perchè  ad  altro  cammin  non  lo  volgesse. Per  lui  trovò  Rinaldo  la  donzella Una. e  due  volte,  e  mai  non  gli  successe, Che  fu  da  Perraù  prima  impedito. Poi  dal  Circasso,  come  avete  udito. 23  Ora  al  demonio  che  mostrò  a  Rinaldo Della  donzella  li  falsi  vestigi. Credette  Baiardo  anco,  e  stette  saldo E  mansueto  ai  soliti  servigi. Rinaldo  il  caccia,  d'ira  e  d'amor  caldo, A  tutta  briglia,  e  sempre  invér  Parigi; E  vola  tanto  col  disfo,  che  lento. Non  eh' un  destrier,  ma  gli  parrebbe  il  vento 24  La  notte  a  pena  di  seguir  rimane Per  affrontarsi  col  signor  d'Anglante; Tanto  ha  creduto  alle  parole  vane Del  messaggier  del  cauto  Negromante. Non  cessa  cavalcar  sera  e  dimane. Che  si  vede  apparir  la  terra  avante. Dove  re  Carlo,  rotto  e  mal  condutto. Con  le  reliquie  sue  s'era  ridutto: 25  E  perchè  dd  re  d'Africa  battaglia Ed  assedio  v'aspetta,  usa  gran  cura A  raccor  buona  gente  e  vettovaglia. Far  cavamenti  e  riparar  le  mura. Ciò  eh' a  difesa  spera  che  gli  vaglia. Senza  gran  differir,  tutto  procura: Pensa  mandare  in  Inghilterra,  e  trame Gente,  onde  possa  un  novo  campo  fìEtme: 20  Signor,  non  voglio  che  vi  paia  strano. Se  Rinaldo  or  si  tosto  il  destrier  piglia, Che  già  più  giorni  ha  seguitato  invano. Né  gli  ha  potuto  mai  toccar  la  briglia. Fece  il  destrier,  ch'avea  intelletto  umano. Non  per  vizio  seguirsi  tante  miglia. Ma  per  guidar,  dove  la  donna  giva, n  suo  signor,  da  chi  bramar  l'udiva. 21  Quando  ella  si  friggi  dal  padiglione. La  vide  ed  appostolla  il  buon  destriero. Che  si  trovava  aver  vóto  l'arcione. Perocché  n'era  sceso  il  cavaliere Per  combatter  di  par  con  un  Barone Che  men  di  lui  non  era  in  arme  fiero; Poi  ne  seguitò  l'orme  di  lontano. Bramoso  porla  al  suo  signore  in  mano. 26  Che  vuole  uscir  di  nuovo  alla  campagna, E  ritentar  la  sorte  de  la  guerra. Spaccia  Rinaldo  subito  in  Bretagna, Bretagna  che  fu  poi  detta  Inghilterra. Ben  dell'andata  il  Paladin  si  lagna: Non  ch'abbia  cosi  in  odio  quella  terra; Ma  perché  Carlo  il  manda  allora  allora. Né  pur  lo  lascia  un  giorno  far  dimora. 27  Rinaldo  mai  di  dò  non  fece  meno Volentier  cosa;  poi  che  fri  distolto Di  gir  cercando  il  bel  viso  sereno, Che  gli  avea  il  cor  di  mezzo  il  petto  tolto:Ma,  per  ubbidir  Carlo,  nondimeno A  quella  via  si  fri  subito  vólto. Ed  a  Calesse  in  poche  ore  trovossi; E  giunto,  il  di  medesimo  imbarcossi. 28    Contra  la  volontà  d'ogni  nocchiero, Pel  gran  desir  che  dì  tornare  avea, Entrò  nel  mar  ch'era  tnrbato  e  fiero, E  gran  procella  minacciar  parea. Il  Vento  si  sdegnò,  che  dall'altiero Sprezzar  si  vide: e  con  tempesta  rea Sollevò  il  mar  in  tomo,  e  con  tal  rabbia, Che  gli  mandò  a  ba'nar  sino  alla  gabbia. Stanza  38. 29  Calano  tosto  i  marinari  accorti Le  maggior  vele,  e  pensano  dar  volta, £  ritornar  nelli  medesmi  porti. Donde  in  mal  punto  avean  la  nave  sciolta. Non  convien,  dice  il  Vento,  ch'io  comporti Tanta  licenzia  che  v'avete  tolta; E  soffia  e  grida,  e  naufragio  minaccia S' altrove  van,  che  dove  egli  li  caccia. 30  Or  a  poppa,  or  all'orza  hann'il  crudele, Che  mai  non  cessa,  e  vien  più  ognor  crescendo: Essi  di  qua,  di  là  con  umil  vele Vansi  aggirando,  e  l'alto  mar  scorrendo. Ma  perchè  varie  fila  a  varie  tele Uopo  mi  Bon,  che  tutte  ordire  intendo, Lascio  Rinaldo  e  l'agitata  prua, E  tomo  a  dir  di  Bradamante  sua. 31  Io  parlo  di  quella  inclita  donzella, Per  cui  re  Sacripante  in  terra  giacque, Che  di  questo  Signor  degna  sorella, Del  duca  Amone  e  di  Beatrice  nacque. La  gran  possanza  e  il  molto  ardir  di  quella Non  meno  a  Carlo  e  tutta  Francia  piacque, (Che  più  d'un  paragon  ne  vide  saldo) Che  '1  lodato  valor  del  buon  Rinaldo. 32  La  donna  amata  fd  da  un  cavaliere Che  d'Africa  passò  col  re  Agramante, Che  partorì  del  seme  di  Ruggiero La  disperata  figlia  d'Agolante:E  costei,  che  ne  d'orso  né  di  fiero Leone  usci,  non  sdegnò  tal  amante; Ben  che  concesso,  fuor  che  vedersi  una Volta  e  parlarsi,  non  ha  lor  Fortuna.  • 33  Quindi  cercando  Bradamante  già L'amante  suo  ch'avea  nome  dal  padre. Cosi  sicura  senza  compagnia, Come  avesse  in  sua  guardia  mille  squadre: E  fatto  ch'ebbe  al  re  di  Circassia Battere  il  voltx)  dell'antiqua  madre, Traversò  un  bosco,  e  dopo  il  bosco  un  mont"; Tanto  che  giunse  ad  una  bella  fonte. 34  La  fonte  discorrea  per  mezzo  un  prato, D'arbori  antiqui  e  di  bell'ombre  adomo. Ch'i  viandanti  col  mormorio  grato A  ber  invita,  e  a  far  seco  soggiomo: Un  culto  monticel  dal  manco  lato Le  difende  il  calor  del  mezzogiorno. Quivi,  come  i  begli  occhi  prima  torse, D'un  cavalier  la  giovane  s'accorse; 35  D'un  cavalier  eh' all'ombra  d'im  boschetto Nel  margin  verde  e  bianco  e  rosso  e  giaUo Sedea  pensoso,  tacito  e  soletto Sopra  quel  chiaro  e  liquido  cristallo. Lo  scudo  non  lontan  pende  e  l'elmetto Dal  faggio,  ove  legato  era  il  cavallo; Ed  avea  gli  occhi  molli  e  '1  viso  basso, E  si  mostrava  addolorato  e 36    Questo  disir,  eh' a  tutti  sta  nel  core, De' fatti  altrui  sempre  cercar  novella. Fece  a  quel  cavalier  del  suo  dolore La  cagion  domandar  da  la  donzella. Egli  l'aperse  e  tutta  mostrò  fuore. Dal  cortese  parlar  mosso  di  quella, E  dal  sembiante  altier,  ch'ai  primo  sguardo Gli  sembrò  di  guerrier  molto  gagliardo, stanza  2& 37      G  cominciò:  Signor,  io  condncea Pedoni  e  cavalieri,  e  venia  in  campo X  dove  Carlo  Marsilio  attendea, Perch'  al  scender  del  monte  avesse  inciampo; K  nna  giovane  bella  meco  avea. Del  cui  fervido  amor  nel  petto  avvampo:B   ritrovai  presso  a  Rodonna  armato Un  che  frenava un  gran  destriero  alato. 38     Tosto  che  U  ladro,  o  sia  mortale,  o  sia Una  deir infernali  anime  orrende, T'ede  la  bella  e  cara  donna  mia; Come  falcon  che  per  ferir  discende, Cala  e  poggia  in  un  attimo,  e  tra  via Getta  le  mani,  e  lei  smarrita  prende. Ancor  non  mera  accorto  dell'assalto, Che  della  donna  io  sentii  grido  in  alto. 39     Cosi  il  rapace  nibbio  flirar  suole Il  misero  pulcin  presso  alla  chioccia. Che  di  sua inavvertenza  poi  si  duole, £  invan  gli  grida,  e  invan  dietro  gli  croccia. Io  non  posso  seguir  un  uom  che  vole. Chiuso  tra  monti,  appio  d'unerta  roccia. Stanco  ho  il  destrier,  che  muta  a  pena  i  passi Nell'aspre  vie  de'faticosi  sassi. 40  Ma,  come  quel  che  men  curato  avrei Vedermi  trar  di  mezzo  il  petto  il  core, Lasciai  lor  via  seguir  quegli  altri  miei Senza  mia  guida  e  senza  alcun  rettore:Per  li  scoscesi  poggi  e  manco  rei Presi  la  via  che  mi  mostrava  Amore, E  dove  mi  parca  che  quel  rapace Portasse  il  mio  conforto  e  la  mia  pace. 41  Sei  giorni  me  n'andai  mattina  e  sera Per  balze  e  per  pendici  orride  e  strane, Dove  non  via,  dove  sentier  non  era, Dove  nò  segno  di  vestigio  umane: Poi  giunsi  in  una  valle  inculta  e  fiera. Di  ripe  cinta  e  spaventose  tane. Che  nel  mezzo  s'un  sasso  avea  un  castello Forte  e  ben  posto,  a  maraviglia  bello. 42  Da  lungi  par  che  come  fiamma  lustri, Né  sia  di  terra  cotta,  né  di  marmi. Come  più  m'avvicino  ai  muri  illustri. L'opra  più  bella  e  più  mirabil  parmi. E  seppi  poi,  come  i  demoni  industri, Da  suffimigì  tratti  e  sacri  carmi. Tutto  d'acciaio  avean  cinto  il  bel  loco, Temprato  all'onda  ed  allo  stigio  foco. 4    Di  si  forbito  acciar  luce  ogni  torre. Che  non  vi  pud  né  ruggine  né  macchia. Tutto  il  paese  giorno  e  notte  scorre, E  p"  là  dentro  il  rio  ladron  s'immacchia. Cosa  non  ha  ripar  che  voglia  tórre:Sol  dietro  invan  se  gli  bestemmia  e  gracchia. Quivi  la  donna,  anzi  il  mio  cor  mi  tiene, Che  dì  mai  ricovrar  lascio  ogni  spene. 44  Ah  lasso!  che  poss'io  più,  che  mirare La  rocca  lungi,  ove  il  mio  ben  m'è  chiuso? Come  la  volpe,  che  '1  figlio  gridare Nel  nido  oda  dell' aquila  di  giuso, S' aggira  intomo,  e  non  sa  che  si  fare, Poiché  l'ali  non  ha  da  gir  lassuso. Erto  è  quel  sasso  sì,  tale  é  il  castello, Che  non  vi  può  salir  chi  non  é  augello. 45  Mentre  io  tardava  quivi,  ecco  venire Duo  cavalier  eh' avean  per  guida  un  Nano, Che la  speranza  aggiunsero  al  desire; Ma  ben  fu  la  speranza  e  il  desir  vano. Ambì  erano  guerrier  di  sommo  ardire:Era  Gradasso  l'un,  re  sericano: Era  l'altro  Ruggier,  giovene  forte. Pregiato  assai  nell'africana  corte. 46  Vengon,  mi  disse  il  Nano,  per  far  pruova Di  lor  virtù  col  sir  di  quel  castello, Che  per  via  strana,  inusitata  e  nuova Cavalca  armato  il  quadrupede  augello. Deh,  signor,  diss'io  lor,  pietà  vi  mova Del  duro  caso  mio  spietato  e  fello ! Quando,  come  ho  speranza,  voi  vinciate, Vi  prego  la  mia  donna  mi  rendiate. 47  E  come  mi  Ai  tolta  lor  narrai. Con  lagrime  afifermando  il  dolor  mio. Quei,  lor  mercé,  mi  profferirò  assai, E  giù  calare  il  poggio  alpestre  e  rio. Dì  lontan  la  battaglia  io  riguardai, Pregando  per  la  lor  vittoria  Dio. Era  sotto  il  Castel  tanto  di  piano, Quanto  in  due  volte  si  può  trar  con  mano. 48  Poi  che  fur  giunti  appiè  dell' alta  rocca. L'un  e  l'altro  volea  combatter  prima; Pur  a  Gradasso,  o  fosse  sorte,  tocca, Oppur  che  non  ne  fé' Ruggier  più  stima. Quel  Serican  si  pone  il  corno  a  bocca:Rimbomba  il  sasso,  e  la  fortezza  in  cima. Ecco  apparire  il  cavaliere  armato Fuor  della  porta,  e  sul  cavallo  alato. 94 stanza  41. 49    Ck)mmcìò  a  poco  a  poco  indi  a  levarse, Come  suol  far  la  peregrina  gme. Che  corre  prima,  e  poi  vediamo  alzarse Alla  terra  vicina  un  braccio  o  due; £  quando  tutte  sono  all'aria  sparse, Velocissime  mostra  Tale  sue. Si  ad  alto  il  Negromante  batte  Tale, Cha  tanta  altezza  appena  aquila  sale. 50    Quando  gli  parve  poi,  volse  il  destriero. Che  chiuse  i  vanni  e  venne  a  terra  a  piombo. Come  casca  dal  ciel  falcon  maniero '  Che  levar  veggia  l'anitra  o  il  colombo. Con  la  lancia  arrestata  U  cavaliere L'aria  fendendo  vien  d'orribil  rombo. Gradasso  appena  del  calar  s'avvede. Che  se  lo  sente  addosso  e  che  lo  fiede. 51  Sopra  Gradasso  il  Mago  Pasta  roppe; Ferì  Gradasso  il  vento  e  Paria  vana; Per  questo  il  volator  non  interroppe U  batter  Pale;  e  quindi  s'allontana. H  grave  scontro  fa  chinar  le  groppe Sul  verde  prato  alla  gagliarda  Alfana. Gradasso  avea  una  Alfana  la  più  bella IB  la  miglior  che  mai  portasse  sella. 52  Sin  alle  stelle  il  volator  trascorse; ludi  girossi  e  tornò  in  fretta  al  basso, E  percosse  Ruggier  che  non  s'accorse, Rnggier  che  tutto  intento  era  a  Gradasso. Bnggier  del  grave  colpo  si  distorse, E  '1  suo  destrier  più  rinculò  d'un  passo; E  quando  si  voltò  per  lui  ferire. Da  sé  lontano  il  vide  al  ciel  salire. 53  Or  su  Gradasso,  or  su  Ruggier  percote Nella  fronte,  nel  petto  e  nella  schiena; E  le  botte  iì  quei  lascia  ognor  vote, Perch'  è  si  presto,  che  si  vede  appena. Girando  va  con  spaz]fose  rote; E  quando  all'uno  accenna,  alP altro  mena: AlPuno  e  all'altro  si  gli  occhi  abbarhaglia, Che  non  ponno  veder  donde  gli  assaglia. 54  Fra  duo  guerrieri  in  terra  ed  uno  in  cielo La  battaglia  durò  sino  a  quella  ora, Che  spiegando  pel  mondo  oscuro  velo. Tutte  le  belle  cose  discolora. Fu  quel  ch'io  dico,  e  non  v'aggiungo  un  pelo; Io  '1  vidi,  io  '1  so;  uè  m' assicuro  ancora In  dirlo  altrui;  che  questa  maraviglia Al  falso  più  ch'ai  ver  si  rassomigUa. 55  D'un  bel  drappo  di  seta  avea  coperto Lo  scudo  in  braccio  il  cavalier  celeste. Come  avesse,  non  so,  tanto  sofferto Di  tenerlo  nascosto  in  quella  veste; Ch'immantinente  che  lo  mostra  aperto, For74k  è,  chi  '1  mira,  abbarbagliato  reste, E  cada  come  corpo  morto  cade, E  venga  al  Negromante  in  potestade. 56  Splende  lo  scudo  a  guisa  di  piropo, E  luce  altra  non  è  tanto  lucente. Cadere  in  terra  allo  splendor  fd  d'uopo, Con  gli  occhi  abbacinati  e  senza  mente. Perdei  da  lungi  anch'io  li  sensi,  e  dopo Gran  spazio  mi  riebbi  finalmente; Né  più  i  guerrier  né  più  vidi  quel  Nano, Ha  voto  il  campo,  e  scuro  il  monte  e  il  piano. 67    Pensai  per  questo  che  l'incantatore Avesse  ambedui  còlti  a  un  tratto  insieme. E  tolto  per  virtù  dello  splendore, La  libertade  a  loro .  e  a  me  la  speme. Cosi  a  quel  loco,  che  chiudea  il  mio  core. Dissi,  partendo,  le  parole  estreme. Or  giudicate  s'  altra  pena  ria, Che  causi  Amor,  può  pareggiar  la  mia. 58  Ritornò  il  cavalier  nel  primo  duolo, Fatta  che  n'ebbe  la  cagion  palese. Questo  era  il  conte  Pinabel,  figliuolo D' Anselmo  d'Altaripa,  maganzese; Che  tra  sua  gente  scellerata,  solo Leale  esser  non  volse  né  cortese, Ma  ne  li  vizi  abbominandi  e  brutti, Non  pur  gli  altri  adeguò,  ma  passò  tutti. 59  La  bella  donna  con  diverso  aspetto Stette  ascoltando  il  Maganzese  cheta:Che  come  prima  di  Ruggier  fu  detto, Nel  viso  si  mostrò  più  che  mai  lieta; Ma  quando  senti  poi  eh'  era  in  distretto, Turbossi  tutta  d'amorosa  pietà. Né  per  una  o  due  volte  contentosse Che  ritornato  a  replicar  le  fosse. 60  E  poi  eh'  alfiu  le  parve  esseme  chiara, Gli  disse:  Cavalier,  datti  riposo; Che  ben  può  la  mia  giunta  esserti  cara, Parerti  questo  giorno  avventuroso. Andiam  pur  tosto  a  quella  stanza  avara, Che  si  ricco  tesor  ci  tiene  ascoso; Né  spesa  sarà  invan  questa  fatica. Se  Fortuna  non  m'é  troppo  nemica. 61  Rispose  il  cavalier;  Tu  vuoi  eh  io  passi Di  nuovo  i  monti,  e  mostriti  la  via?A  me  molto  non  é  perdere  i  passi. Perduta  avendo  ogni  altra  cosa  mia; Ma  tu  per  balze  e  ruinosi  sassi Cerchi  entrare  in  pregione:  e  cosi  sia. Non  hai  di  che  dolerti  di  me  poi; Ch'  io  tei  predico,  e  tu  pur  gir  vi  vuoi. 62  Cosi  dice  egli;  e  toma  al  suo  destriero E  di  quell'animosa  si  fa  guida. Che  si  mette  a  periglio  per  Ruggiero, Che  la  pigli  quel  Mago  o  che  la  ancida. In  questo  ecco  alle  spalle  il  messaggiero. Che,  Aspetta  aspetta,  a  tutta  voce  grida; Il  messaggier  da  chi  il  Circasso  intese Che  costei  fu  ch'alPerba  lo  distese. 3    A  Bradamante  il  messaggier  novella Di  Mompelieri  e  di  Narbona  porta, Ch'alzato  gli  stendardi  di  Castella Ayean,  con  tutto  il  lito  d'Acquamorta; E  che  Marsiglia,  non  v'essendo  quella Che  la  dovea  guardar,  mal  si  conforta, E  consìglio  e  soccorso  le  domanda Per  questo  messo,  e  se  le  raccomanda. stanza  65. 64    Questa  cittade,  e  intomo  a  molte  miglia Ciò  che  fra  Varo  e  Rodano  al  mar  siede, Avea  rimperator  dato  alla  figlia Del  duca  Amon,  in  eh'  avea  speme  e  fede; Perocché  '1  suo  valor  con  meraviglia Riguardar  suol,  quando  armeggiar  la  vede. Or,  com'io  dico,  a  domandar  aiuto Quel  messo  da  Marsiglia  era  venuto. 65  Tra  si  e  no  la  giovine  suspesa. Di  voler  ritornar  dubita  un  poco; Quinci  l'onore  e  il  debito  le  pesa, Quindi  l'incalza  l'amoroso  foco. Fermasi  alfin  di  seguitar  l'impresa, E  trar  Ruggier  dell' incantato  loco; E  quando  sua  virtù  non  possa  tanto, Almen  restargli  prigioniera  accanto. 66  E  fece  iscusa  tal,  che  quel  messaggio Parve  contento  rimanere  e  cheto. Indi  girò  la  briglia  al  suo  viaggio, Con  Pinabel  che  non  ne  parve  lieto Che  seppe  esser  costei  di  quel  lignaggio Che  tanto  ha  in  odio  in  pubblico  e  in  secretu:E  già  s' avvisa  le  future  angosce, Se  lui  per  Maganzese  ella  conosce. 67  Tra  casa  di  Maganza  e  di  Chiarmonte Era  odio  antico  e  inimicizia  intensa; E  più  volte  s'avean  rotta  la  fronte, E  sparso  di  lor  sangue  copia  immensa; E  però  nel  suo  cor  l'iniquo  Conte Tradir  l'incauta  giovane  si  pensa; 0,  come  prima  comodo  gli  accada, Lasciarla  sola,  e  trovar  altra  strada. 68  E  tanto  gli  occupò  la  fantasia Il  nativo  odio,  il  dubbio  e  la  paura, Che  inavvedutamente  uscì  di  via, E  ritrovossi  in  una  selva  oscura, Che  nel  mezzzo  avea  un  monte  che  finia La  nuda  cima  in  una  pietra  dura:E  la  figlia  del  Duca  di  Dordona Gli  è  sempre  dietro,  e  mai  non  l'abbandona. 69  Come  si  vide  il  Maganzese  al  bosco, Pensò  torsi  la  donna  dalle  spalle. Disse: Prima  che  '1  ciel  tomi  più  fosco, Verso  im  albergo  è  meglio  farsi  il  calle. Oltre  quel  monte,  s' io  lo  riconosco, Siede  un  ricco  castel  giù  nella  valle. Tu  qui  m'aspetta;  che  dal  nudo  scoglio Certificar  con  gli  occhi  me  ne  voglio. 70  Così  dicendo  alla  cima  superna Del  solitario  monte  il  destrier  caccia. Mirando  pur  s' alcuna  via  discema, Come  lei  possa  tor  dalla  sua  traccia. Ecco  nel  sasso  trova  una  cavema, Che  si  profonda  più  di  trenta  braccia. Tagliato  a  picchi  ed  a  scarpelli  il  sasso Scende  giù  al  dritto,  ed  ha  una  porta  al  basso. 71  Nel  fondo  avea  ima  porta  ampia  e  capace, Ch'  in  maggior  stanza  largo  adito  daya; E  fdor  n  uscia  splendor,  come  di  face Ch'ardesse  in  mezzo  alla  montana  cava. Mentre  quivi  il  fellon  sospeso  tace, La  donna,  che  da  Inngi  il  seguitava, (Perchè  perderne  Torme  si  temea) Alla  spelonca  gli  sopraggìungea. 72  Poiché  si  vide  il  traditore  uscire, Quel  eh'  avea  prima  disegnato,  invano, O  da  sé  torla,  o  di  farla  morire, Nuovo  argomento  immaginossi  e  strano. Le  si  fé'  incontra,  e  su  la  fé'  salire Là  dove  il  monte  era  forato  e  vano; £  le  disse  eh' avea  visto  nel  fondo Una  donzella  di  viso  giocondo, 73  Ch'a'bei  sembianti  ed  alla  ricca  vesta Esser  parea  di  non  ignobil  grado; Ma  quanto  più  potea  turbata  e  mesta, Mostrava  esservi  cliiusa  suo  mal  grado; E  per  saper  la  condizion  di  questa, Ch'  avea  già  cominciato  a  entrar  nel  guado; E  ch'era  uscito  dell'interna  grotta Un  che  dentro  a  furor  l'avea  ridotta. 74  Bradamante,  che  come  era animosa, Cusi  mal  cauta,  a  Pinabel  die'  fede; E  d'aiutar  la  donna,  disìosa, Si  pensa  come  por  colà  giù  il  piede. Ecco  d' un  olmo  alla  cima  frondosa Volgendo  gli  occhi,  un  lungo  ramo  vede, E  con  la  spada  quel  subito  tronca, E  lo  declina  giù  nella  spelonca. stanza  76. 75    Dove  é  tagliato  in  man  lo  raccomanda A  Pinabello,  e  poscia  a  quel  s' apprende; Prima  giù  i  piedi  nella  tana  manda, E  su  le  braccia  tutta  si  suspende. Sorride  Pinabello,  e  le  domanda Come  ella  salti: e  le  man  apre  e  stende, Dicendole: Qui  fosser  teco  insieme Tutti  li  tuoi,  ch'io  ne  spegnessi  il  seme. 76    Non  come  volse  Pinabello  avvenne Dell'innocente  giovane  la  sorte: Perchè  giù  diroccando  a  ferir  venne Prima  nel  fondo  il  ramo  saldo  e  forte. Ben  si  spezzò,  ma  tanto  la  sostenne, Che  '1  suo  favor  la  liberò  da  morte. Giacque  stordita  la  donzella  alquanto, Come  io  vi  seguirò  ne  l'altro  canto. NOTE. St.  5.  V.8.   Quel  di  Chiaramonte,  Rinaldo.  Chia ramontey  castello  non  molto  lontano  da  Nantes. St.  10.  V.5.   Fusbei'fa,  nome  della  spada  di  Rinaldo. St.  21.  V.5.   Ruggiero  cioè,  come  si  ha  dal  Boiardo. St.  26.  V.4.   I  Britanni  inquietati  dagli  Scozzesi  si rivolsero  per  aiuto  a  quelli  fra  i  Sassoni,  che  in  antico chiamavansi  Angli.  Questi,  domati  eh  ebbero  gli  Scoz zesi, s'impadronirono  della  Bretagna,  e  la  nominarono Englishland,  ossia  terra  degli  Angli.  I  nativi  allora, varcato  il  mare,  andarono  a  dimorare  in  quella  parte di  Calila  che  f  quindi  detta  Bretagna  minore,  per  di stinguerla dall'altra  maggiore  Bretagna,  a  cui  rimasero pure  i  nomi  di  GranBretagna,  Angliaterra  e  Inghilterra. St.  27.  V.7.   Calesse: Calais. St.  32.  V.18.  Galaciella  (di  cui  più  distesamente  ra gionerà il  Poeta  nel  Canto  XXXTI)  ebbe  a  padre  Agolante  o  Aigolando.  Costei  da  un  Ruggiero  di  Risa  ebbe il  Ruggiero  di  cui  ora  si  tratta;  ed  é  questi  11  cavaliere amante  riamato  di  Bradamante. St.  37.  V.1.   La  storia  del  negromante  che  qui comincia,  e  seguita  per  tutta  la  St.  57,  è  introdotta  dal maganzese  Pinabello  con  Tintendimento  di  fare  a  Bra damante il  mal  giuoco  che  si  vedrà  verso  la  fine  del Canto.  Quell'incantatore  poi  era  Atlante,  già  educatore di  Ruggiero;  e  con  arti  magiche  sforzavasi  d'impedire al  suo  allievo  di  staccarsi  dal  partito  moresco,  per  la ragione  che  si  dirà  nella  Stanza  64  del  Canto  XXXYI. St.  37.  V.7.   Rodonna  o  Roduniia  città  posta  <fa Tolomeo  presso  il  Rodano. St.  45.  V.6.   Re  Sericano:  re  di  Sericana.  Serìcaca 0  Serica,  o  paese  de'  Seri,  chiamossi  dagli  antichi  nca regione  dell'Asia  al  nord  dell'India  cisgangetica.St  50.  V.3.   Con  la  voce  maniero,  distingmevaa i  falconi  ohe  tornavano  sul  pugno  del  padrone,  sena bisogno  di  richiamarli. St.  51.  V.67.   Gradasso  cavalcava  una  giomecu (Alfana). St.  58.  V.5.   La  casa  di  Haganza  è  nei  romasTi infame  per  tradimenti  e  perfidie. St.  59.   V.5.  In  distretto,  cioè  imprigioìiato. St.  63.  V.24.   Montpellier  Narbona  e  Acquamoru nella  Linguadoca,  ribellatesi  a  Carlo,  si  erano  date  a Marsilio  re  di  Castiglia  e  alleato  di  Agramante. St.  64.  V.2.   È  la  Provenza. St.  67.  V.12.   L'odio  fra  la  casa  di  Maganza  ". quella  di  Chiaramonte  nacque  dall'essere  decaduto  dalla grazia  imperiale  Gano  o  Ganellone  capo  dell'una,  e  sit entrativi  gl'individui  della  casa  di  Chiaramonte,  a  ci. apparteneva  Bradamante. St.  68.  V.7.   Doì'dona,  castello  edificato  da  Caria Magno  nella  Guienna  sul  fiume  Dordogna.  Oggi  vìes detto  Fronsac. St.  73.  V.6.   Ch'area  già  cominciato: intendasi  Pinabello  stesso. La  caverna  dove  Bradamaiìt  r  livIuUi  fomunira  con  una  grotta cìie  con  titano  il  MepoUro  doli  j  in  [uiratore  Merlino.  Ivi  U  maga MélìsiL  iÌV"l.L  A !tr.i.l.iMi:iiir"  .Ijn  da  lei  e  da  Ruggiero  uscirà la  pnsii'i'  3v<t  'ijs',  ili  i  ni  li  moatra  la  immagini  "  prtìdircn done  Ifl  glorio  future.  Nel randarstma  poi  dalla  grotta  Brada Riante  ode  fla  Melissa  che  Ruggiero  è  ritflnuto  nel  pulaKzo (ncauUto  di  Atlante,  e  viene  iatmiU  sul  modo  di  libaranmlo 1      Chi  mi  darà  la  voce  e  le  parole Convelli  enti  a  si  nolil  "oggetto? Chi  l'ale  al  verso  presterà,  che  vole Tanto,  eh arrivi  ali' alto  mìo  coiietto?Molto  maggior  di  quel  furor  che  suole, Ben  or  convien  the  mi  tìficahìi  iì  petto; Che  questa  parte  al  mio  Signor  si  dehbe, Ohe  canta  gli  avi  onde  V  origìu  ebbe. Di  cui  fra  tutti  li  Signori  illustri, Dal  Ciel  sortiti  a  governar  la  terra, Non  vedi,  o  Febo,  cbe  l  gran  mondo  lustri Più  gloriosa  stirpe  o  in  pace  o  in  pruerra; Né  che  sua  nohiltade  abbia  più  lustri Sensata,  e  serverà  (s  in  me  non  erra Quel  profetico  lume  che  m' in'piri) Finché  d'intorno  al  polo  il  ciel  s'aggiri. 3  E  volendone  appien  diceif  gli  onori, Bisogna  non  la  mia,  ma  quella  cetra Con  che  tn  dopo  i  gigante!  furori Rendesti  grazia  al  Regnator  dell' etra. S  ìnstmmenti  avrò  mai  da  te  migliori, Atti  a  sculpire  in  cosi  degna  pietra, In  queste  belle  immagini  disegno Porre  ogni  mia  fatica,  ogni  mio  ingegno. 4  Levando  intanto  queste  prime  rudi Scaglie  n'  andrò  collo  scarpello  inetto:Forse  eh  ancor  con  più  solerti  studi Poi  ridurrò  questo  lavor  perfetto. Ma  ritorniamo  a  quello,  a  cui  né  scudi Potran  né  usberghi  assicurare  il  petto: Parlo  di  Pinabello  di  Maganza, Che  d  uccider  la  donna  ebbe  speranza. 5  H  traditor  pensò  che  la  donzella Fosse  nell'alto  precipizio  morta; E  con  pallida  faccia  lasciò  quella Trista  e  per  lui  contaminata  porta. E  tornò  presto  a  rimontar  in  sella:E,  come  quel  eh'  avea  V  anima  torta, Per  giunger  colpa  a  colpa  e  fallo  a  fallo, Di  Bradamante  ne  menò  il  cavallo. 6  Lasciam  costui,  che  mentre  all'altrui  vita Ordisce  inganno,  il  suo  morir  procura; "É  torniamo  alla  donna  che,  tradita, Quasi  ebbe  a  un  tempo  e  morte  e  sepoltura. Poi  ch'ella  si  levò  tutta  stordita, Ch'avea  percosso  in  su  la  pietra  dura, Dentro  la  porta  andò,  ch'adito  dava Nella  seconda  assai  più  larga  cava. 7  La  stanza,  quadra  e  spaziosa,  pare Una  devota  e  venerabil  chiesa. Che  su  colonne  alabastrine  e  rare Con  bella  architettura  era  sospesa. Surgea  nel  mezzo  un  ben  locato  altare, Ch'avea  dinanzi  una  lampada  accesa; E  quella  di  splendente  e  chiaro  foco Rendea  gran  lume  all' uno  e  all' altro  loco. 8  Di  devota  umiltà  la  donna  tocca, Come  si  vide  in  loco  sacro  e  pio, Incominciò  col  core  e  con  la  bocca, Inginocchiata,  a  mandar  prieghi  a  Dio. Un  picciol  uscio  intanto  stride  e  crocea, Ch'  era  all' incontro,  onde  una  donna  uscio Discinta  e  scalza,  e  sciolte  avea  le  chiome, Che  la  donzella  salutò  per  nome; 9  E  disse: 0  generosa  Bradamante, Non  giunta  qui  senza  voler  divino, Di  te  più  giorni  m' ha  predetto  innante n  profetico  spirto  di  Merlino. Che  visitar  le  sue  reliquie  sante Dovevi  per  insolito  cammino:E  qui  son  stata  itcciò  ch'io  ti  riveli Quel  eh'  han  di  te  già  statuito  i  cieli. 10  Questa  é  l'antiqua  e  memorabil  grotta Ch'  edificò  Merlino,  il  savio  mago Che  forse  ricordare,  odi  talotta, Dove  ingannollo  la  Donna  del  Lago. Il  sepolcro  è  qui  giù,  dove  corrotta Giace  la  carne  sua;  dov'egli,  vago Di  sodisfare  a  lei  che  gli  1  suase, Vivo  corcossi,  e  morto  ci  rimase. 11  Col  corpo  morto  il  vivo  spirto  alberiga. Sin  eh'  oda  il  suon  dell' angelica  tromba, Che  dal  ciel  lo  bandisca,  o  che  ve  l'erga, Secondoché  sarà  corvo  o  colomba. Vive  la  voce;  e  come  chiara  emerga Udir  potrai  dalla  marmorea  tomba; Che  le  passate  e  le  future  cose, A  chi  gli  domandò,  sempre  rispose. 12  Più  giorni  son  eh'  in  questo  cimiterio Venni  di  remotissimo  paese, Perchè  circa  il  mio  studio  alto  misterìo Mi  facesse  Merlin  meglio  palese:E  perché  ebbi  vederti  desiderio. Poi  ci  son  stata  oltre  il  disegno  un  mese; Che  Merlin,  che'l  ver  sempre  mi  predisse, Termine  al  venir  tuo  questo  dì  fisse. 13  Stassi  d'Amen  la  sbigottita  figlia Tacita  e  fissa  al  ragionar  di  questa; Ed  ha  si  pieno  il  cor  di  maraviglia, Che  non  sa  s'ella  dorme,  o  s'ella  è  desta; E  con  rimesse  e  vergognose  ciglia, Come  quella  che  tutta  era  modesta, Rispose:  Di  che  merito  son  io, Ch'antiveggian  profeti  il  venir  mio? 14  E  lieta  dell'insolita  avventura Dietro  alla  Maga  subito  fa  mossa, Che  la  condusse  a  quella  sepoltura Che  chiudea  di  Merlin  l'anima  e  l'ossa. Era  queir  arca  d' una  pietra  dura, Lucida,  e  tersa,  e  come  fiamma  rossa; Tal  eh'  alla  stanza,  benché  di  Sol  priva  y Dava  splendore  il  lume  che  n'usciva. III. Stanza  8. 15    0  che  natnra  sia  d  alcun  marmi, Che  mnovin  V  ombre  a  guisa  di  facelle; 0  forza  pur  di  sufifumigi  e  carmi E  Fegni  impressi  air  osservate  stelle, Come  più  questo  verisimil  parmi, Disroprìa  Io  splendor  più  cose  belle E  di  scultnra  e  di  color,  ch  intomo Il  venerabil  luogo  aveano  adorno. Ariosto. 16    Appena  ha  Bradamante  dalla  soglia Levato  il  pie  nella  secreta  cella, CheU  vivo  spirto  dalla  morta  spoglia Con  chiarissima  voce  le  favella:Favorisca  Fortuna  ogni  tua  voglia, 0  casta  e  nobilissima  donzella', Del  cui  ventre  uscirà  '1  seme  fecondo, Che  onorar  deve  Italia  e  tutto  il  mondo. 84 17  L antiquo  sangue  che  venne  da  Troia, Per  li  duo  miglior  rivi  in  te  commisto, Produrrà  V  ornamento,  il  fior,  la  gioia Dogni lignaggio  ch  abbia  il  Sol  mai  visto Tra  rindo  e'I  Tago  eU  Nilo  e  la  Danoia, Tra  quanto  è  n  mezzo  Antartico  e  Calisto. Nella  progenie  tua  con  sommi  onori Saran  Marchesi,  Duci  e  Imperatori. 18  I  capitani  e  i  cavalier  robusti Quindi  usciran,  che  col  ferro  e  col  senno Ricuperar  tutti  gli  onor  vetusti Deir  arme  invitte  alla  sua  Italia  denno. Quindi  terran  lo  scettro  i  Signor  giusti, Che,  come  il  savio  Augusto  e  Numa  fénno, Sotto  il  benigno  e  buon  governo  loro Ritomeran  la  prima  età  delP  oro. 19  Acciò  dunque  il  voler  del  elei  si  metta In  effetto  per  te,  che  di  Ruggiero T' ha  per  moglier  fin  da  principio  eletta, Segui  animosamente  il  tuo  sentiero; Che  cosa  non  sarà  che  s' intrometta Da  poterti  turbar  questo  pensiero, Si  che  non  mandi  al  primo  assalto  in  terra Quel  rio  ladron  ch'ogni  tuo  ben  ti  serra.  ' 23  Se  i  nomi  e  i  gesti  di  ciascun  vo' dirti (Dicea  rincantatrice  a  Bradamante) Di  questi  eh'  or  per  gV  incantati  spirti, Prima  che  nati  sien,  ci  sono  avante, Non  so  veder  quando  abbia  da  espedirti  :" Che  non  basta  una  notte  a  cose  tant": Si  ch'io  te  ne  verrò  scegliendo  alcuno. Secondo  il  tempo,  e  che  sarà  opportuno. 24  Vedi  quel  primo,  che  ti  lassimìglia Ne' bei  sembianti  e  nel  giocondo  aspetto: Capo  in  Italia  fia  di  tua  famiglia, Del  seme  di  Ruggiero  in  te  concetto Veder  del  sangue  di  Pontier  vermiglia Per  mano  di  costui  la  terra,  aspetto;E  vendicato  il  tradimento  e  il  torto Contra  quei  che  gli  avranno  il  padre 25  Per  opra  di  costui  sarà  deserto Il  re  de' Longobardi  Desiderio D'Este  e  di  Calaon  dar  questo  metto        • Il  bel  domino  avrà  dal  sommo  Imperio. Quel  che  gli  è  dietro,  è  il  tuo  nipote  UImIi, Onor  dell' arme  e  del  paese  esperio . Per  costui  contra  Barbari  difesa Più  d'una  volta  fia  la  santa  Chiesa. 20  Tacque  Merh'no,  avendo  così  detto, Ed  agio  all'opre  della  Maga  diede, Ch'a  Bradamante  dimostrar  l'aspetto Si  preparava  di  ciascun  suo  erede. Avea  di  spirti  un  gran  numero  eletto, Non  fo  se  dall'Inferno  o  da  qual  sede, E  tutti  quelli  in  un  luogo  raccolti Sotto  abiti  diversi  e  vari  volti. 21  Poi  la  donzella  a  sé  richiama  in  chiesa Là  dove  prima  avea  tirato  un  cerchio Che  la  potea  capir  tutta  distesa. Ed  avea  un  palmo  ancora  di  superchio:E  perchè  dalli  spirti  non  sia  offesa, Lo  fa  d' un  gran  pentacolo  coperchio; E  le  dice  che  taccia  e  stia  a  mirarla:Poi  scioglie  il  libro,  e  coi  demoni  parla. 22  Eccovi  fuor  della  prima  spelonca, Che  gente  intomo  al  sacro  cerchio  ingrossa: Ma,  come  vuole  entrar,  la  via  l'è  tronca, Come  lo  cinga  intomo  muro  e  fossa. In  quella  stanza,  ove  la  bella  conca In  sé  chiudea  del  gran  profeta  l'ossa, Entravan  l'ombre  poi  ch'avean  tre  volte Fatto  d'intorno  lor  debite  volte. 26  Vedi  qui  Alberto,  invitto  capitano, Ch'  ornerà  di  trofei  tanti  delubri:Ugo  il  figlio  è  con  lui,  che  di  Milano Farà  l'acquisto,  e  spiegherà  i  co'ubri. Azzo  è  quell' altro,  a  cui  resterà  in  mano Dopo  il  fratello  il  regno  dell' Insubri. Ecco  Albertazzo,  il  cui  savio  consiglio Terrà  d'Italia  Beringaiio  e  il  figlio; 27  E  sarà  degno  a  cui  Cesare  O.'one Alda  sua  figlia  in  matrimonio  aggiunga. Vedi  un  altro  Ugo: oh  bella  successione Che  dal  patrio  valor  non  si  dislunga! (Costui  sarà  che  per  giusta  cagione Ai  superbi  Roman  1'  orgoglio  emunga, Clie'l  terzo  Otone  e  il  Pontefice  tolga Delle  man  loro,  e  '1  grave  assedio  sciolga. 28  Vedi  Folco,  che  par  eh'  al  suo  germano, Ciò  che  in  Italia  avea,  tutto  abbi  dato; E  vada  a  possedere  ìndi  lontano In  mezzo  agli  Alamanni  un  gran  ducato; E  dia  alla  casa  di  Sansogna  mano. Che  caduta  sarà  tutta  da  un  lato; E  per  la  linea  della  madre,  erede, Con  la  progenie  sua  la  terrà  in  piede.29    Questo  eh or  a  noi  viene,  è  il  secondo  Àzzo, Di  cortesìa  più  che  di  guerre  amico, Tra  dui  figli,  Bertoldo  ed  Albertazzo. Vinto  dair  un  sarà  il  secondo  Enrico; E  del  sangue  tedesco  orribil  guazzo Parma  vedrà  per  tutto  il  campo  aprico:Dell'altro  la  Contessa  gloriosa, Saggia  e  casta  Matilde,  sarà  sposa. 30    Virtù  il  farà  di  tal  connubio  degno; Ch'a quella  età  non  poca  laude  estimo Quasi  di  mezza  Italia  in  dote  il  regno, E  la  nipote  aver  d'Enrico  primo. Ecco  di  quel  Bertoldo  il  caro  pegno, Rinaldo  tuo,  ch'avrà  V  onor  opimo D'aver  la  Chiesa  dalle  man  riscossa Dell'empio  Federico  Barljarpssa. Stanza  14 31     Ecco  un  altro  Azzo,  ed  è  quel  che  Verona ÀTrà  in  poter  col  suo  bel  'tenitorio; E  sarà  detto  marchese  d'Ancona Dal  quarto  Otone  e  dal  secondo  Onorio. Lungo  sarà,  s'io  mostro  ogni  persona Del  sangue  tuo,  eh'  avrà  del  Consisterlo Il  confalone,  e  s'io  narro  ogni  impresa Vinta  da  lor  per  la  romana  Chiesa. 32    Obizzovedi  e  Folco,  altri  Azzi,  altri  Ughi, Ambi  gli  Enrichi,  il  figlio  al  padre  accanto:Duo  Guelfi,  di  quai  l'uno  Umbria  soggiughi E  vesta  di  Spoleti  il  ducal  manto. Ecco  ehi'l  sangue  e  le  gran  piaghe  asciughi D'Italia  afflitta,  e  volga  in  riso  il  pianto: Di  costui  parlo  (e  mostrolle  Azzo  quinto), Onde  Ezellin  fia  rotto,  preso,  estinto. 33  Ezellino,  immanissimo  tiranno, Che  fia  creduto  figlio  del  Demonio, Farà,  troncando  i  sudditi,  tal  danno, E  distruggendo  il  bel  paese  ausonio, Che  pietosi  appo  lui  stati  saranno Mario,  Siila,  Neron,  Caio  ed  Antonio. E  Federico  imperator  secondo Fia,  per  questo  Azzo,  rotto  e  messo  al  fondo. stanza  29. 34    Terrà  costui  con  più  felice  scettro La  bella  terra  che  siede  sul  fiume, Dove  chiamò  con  laimoso  plettro Febo  il  figliuol  eh'  avea  mal  retto  il  lume, Quando  fu  pianto  il  fabuloso  elettro, E  Cigno  si  vestì  di  bianche  piume; E  questa  di  mille  obblighi  mercede Gli  donerà  li  apostolica  Sede. 35  Dove  lascio  il  fratel  Aldobrandino? Che  per  dar  al  Pontefice  soccorso Centra  Oton  quarto  e  il  campo  ghibellino, Che  sarà  presso  al  Campidoglio  corso, Ed  avrà  preso  ogni  luogo  vicino, E  posto  agli  Umbri  e  alli  Piceni  il  mono. Né  potendo  prestargli  aiuto  senza Molto  tesor,  ne  chiederà  a  Fiorenza; 36  E  non  avendo  gioia  o  miglior  pei, Per  sicurtà  daralle  il  frate  in  mano. Spiegherà  i  suoi  vittoriosi  segni, E  romperà  V  esercito  germano:In  seggio  riporrà  la  Chiesa  e  degni Darà  supplicj  ai  conti  di  Celano; Ed  al  servizio  del  summo  Pastore Finirà  gli  anni  suoi  nel  più  bel  fiore; Stanza  37. 37  Ed  Azzo,  il  suo  fratel,  lascerà  erede Del  dominio  d'Ancona  e  di  Pisauro, D'ogni  città  che  da  Troento  siede Tra  il  mare  e  l'Apennin  fin  all'Isauro, E  di  grandezza  d'animo  e  di  fede E  di  virtù,  miglior  che  gemme  ed  auro:Che  dona  e  tolle  ogn' altro  ben  Fortuna; Sol  in  virtù  non  ha  possanza  alcona. 38  Vedi  Rinaldo,  in  cui  non  minor  raggio Splenderà  di  valor,  purché  non  sia A  tanta  esaltazion  del  bel  lignaggio Morte  0  Fortuna  invidiosa  e  ria. Udirne  il  duol  fin  qui  da  Napoli  aggio, Dove  del  padre  allor  statico  fia. Or  Obizzo  ne  vien,  che  giovinetto Dopo  l'avo  sarà  Principe  eletto. 39  Al  bel  dominio  accrescerà  costui Reggio  giocondo,  e  Modona  feroce. Tal  sarà  il  suo  valor,  che  signor  lui Domanderanno  i  popoli  a  una  voce. Vedi  Azzo  sesto,  un  de  figliuoli  sui, Confalonier  della  cristiana  croce:Avrà  il  Ducato  d' Andria  con  la  figlia Del  secondo  re  Carlo  di  Siciglia. 40  Vedi  in  un  bello  ed  amichevol  groppo Delli  principi  illustri  V  eccellenza, Obizzo,  Aldobrandin,  Niccolò  Zoppo, Alberto  d'amor  pieno  e  di  clemenza. 10  tacerò,  per  non  tenerti  troppo, Come  al  bel  regno  aggiungeran  Favenza, E  con  maggior  fermezza  Adria,  che  valse Da  sé  nomar  V  indomite  acque  salse; 41  Come  la  terra  il  cui  produr  di  rose Le  die  piacevol  nome  in  greche  voci, E  la  città  chMn  mezzo  alle  piscose Paludi,  del  Po  teme  ambe  le  foci Dove  abitan  le  genti  disìose Chel  mar  si  turbi  e  sieno  i  venti  atroci. Taccio  d'Argenta,  di  Lugo  e  di  mille Altre  castella  e  popolose  ville. 42  Ve' Niccolò,  che  tenero  fanciullo 11  popol  crea  Signor  della  sua  terra; E  di  Tideo  fa  il  pensier  vano  e  nullo, Che  contra  lui  le  civil  arme  afferra. Sarà  di  questo  il  pueril  trastullo Sudar  nel  ferro  e  travagliarsi  in  guerra; E  dallo  studio  del  tempo  primiero Il  fior  riuscirà  d'ogni  guerriero. 43  Farà  de' suoi  ribelli  uscire  a  vóto Ogni  disegno,  e  lor  tornare  in  danno; Ed  ogni  stratagemma  avrà  sì  noto, Che  sarà  duro  il  poter  fargli  inganno. Tardi  di  questo  s' avvedrà  il  terzo  Oto, E  di  Reggio  e  di  Parma  aspro  tiranno; Che  da  costui  spogliato  a  un  tempo  fia E  del  dominio  e  della  vita  ria. 45    Vedi  Leonello,  e  vedi  il  primo  duce, Fama  della  sua  età,  l'inclito  Borso, Che  siede  in  pace,  e  più  trionfo  adduce Di  quanti  in  altrui  terre  abbino  corso. Chiuderà  Marte  ove  non  veggia  luce, E  stringerà  al  Furor  le  mani  al  dorso. Di  questo  Signor  splendido  ogni  intento che  '1  popol  suo  viva  contento, Stanza  38. 44    Avrà  il  bel  regno  poi  sempre  augumento, Senza  torcer  mai  pie  dal  cammin  dritto; Né  ad  alcuno  farà  mai  nocumento, Da  cui  prima  non  sia  d'ingiutia  afflitto:Ei  è  per  questo  il  gran  Motor  contento Che  non  gli  sia  alcun  termine  prescritto; Ma  duri  prosperando  in  meglio  sempre, Finché  si  volga  il  ciel  nelle  sue  tempre. 46    Ercole  or  vien,  eh'  al  suo  vicin  rinfaccia Col  pie  mezzo  arso  e  con  quei  debol  passi, Come  a  Budrio  col  petto  e  con  la  faccia 11  campo  vólto  in  fuga  gli  fermassi; Non  perché  in  premio  poi  guerra  gli  faccia, Né,  per  cacciarlo,  fin  dal  Barco  passi. Questo  è  il  Signor,  di  cui  non  so  e.splicarme Se  fia  maggior  la  gloria  o  in  pace  o  in  arme. 47  Terran  Pugliesi,  Calabrì  e  Lucani De' gesti  di  costui  lunga  memoria, Là  dove  avrà  dal  Re  de'  Catalani Di  pugna  singular  la  prima  gloria; E  nome  tra  gP  invitti  capitani S'acquisterà  con  più  d'una  vittoria: Avrà  per  sua  virtù  la  signoria, Più  di  trenta  anni  a  lui  debita  pria. 48  E  quanto  più  aver  obbligo  si  possa A  principe,  sua  terra  avrà  a  costui; Non  perchè  fia  delle  paludi  mossa Tra  campi  fertilissimi  da  lui; Non  perchè  la  farà  con  muro  e  fossa Meglio  capace  a'  cittadini  sui, E  l'ornerà  di  templi  e  di  palagi, Di  piazze,  di  teatri  e  di  mille  agi; 49  Non  perchè  dagli  artigli  dell'audace Aligero  Leon  terrà  difesa; Non  perchè,  quando  la  gallica  face Per  tutto  avrà  la  bella  Italia  accesa, Si  starà  sola  col  suo  stato  in  pace, E  dal  timore  e  dai  tributi  illesa: Non  si  per  questi  ed  altri  benefici Saran  sue  genti  ad  Ercol  debitrici; 50  Quanto  che  darà  lor  l'inclita  prole, Il  giusto  Alfonso,  e  Ippolito  benigno, Che  saran  quai  l'antiqua  fama  suole Narrar  de'  figli  del  Tindareo  cigno, Ch'  alternamente  si  privan  del  Sole Per  trar  l'un  l'altro  dell' aer  maligno. Sarà  ciascuno  d'essi  e  pronto  e  forte L'altro  salvar  con  sua  perpetua  morte. 61    U  grande  amor  di  questa  bella  coppia Renderà  il  popol  suo  via  più  sicuro, Che  se,  per  opra  di  Yulcan,  di  doppia Cinta  di  ferro  avesse  intomo  il  muro. Alfonso  è  quel  che  col  saper  accoppia Si  la  bontà,  ch'ai  secolo  futuro La  gente  crederà  che  sia  dal  cielo Tornata  Astrea  dove  può  il  caldo  e  il  gieio. 52    A  grande  uopo  gli  fia  l'esser  prudente, E  di  valore  assimigliarsi  al  padre; Che  si  ritroverà,  con  poca  gente. Da  un  lato  aver  le  veneziane  squadre, Colei  dall' altro,  che  più  giustamente Non  so  se  dovrà  dir  matrigna  o  madre; Ma  se  pur  madre,  a  lui  poco  più  pia, Che  Medea  ai  figli  o  Progne  stata  sia. 53  '  E  quante  volte  uscirà  giorno  o  notte Col  suo  popol  fedel  fuor  della  terra, Tante  sconfitte  e  memorabil  rotte Darà  a' nemici  o  per  acqua  o  per  terra. Le  genti  di  Romagna  mal  condotte Contra  i  vicini  e  lor  già  amid,  in  guerra Se  n'  avvedranno,  insanguinando  il  suolo Che  serra  il  Po,  Santerno  e  Zaaniolo. 54  Nei  medesmi  confini  anco  saprallo Del  gran  pastore  il  mercenario  Ispano, Che  gli  avrà  dopo  con  poco  intervallo La  Bastia  tolti,  e  morto  il  Castellano, Quando  l'avrà  già  preso;  e  per  tal  fìallo Non  fia,  dal  minor  f&nte  al  capitano, Chi  del  racquisto  e  del  presidio  ucciso A  Roma  riportar  possa  l'avviso. 55  Costui  sarà,  col  senno  e  con  la  lancia. Ch'avrà  l'onor,  nei  campi  di  Romagna, D'aver  dato  all'esercito  di  Francia La  gran  vittoria  contro  Giulio  e  Spagna. Nuoteranno  i  destrier  fin  alla  pancia Nel  sangue  uman  per  tutta  la  campagna; Ch'a  seppellire  il  popol  verrà  manco Tedesco,  Ispano,  Greco,  Italo  e  Franco. 56  Quel  ch'in  pontificale  abito  imprime Del  purpureo  cappel  la  sjtcra  chioma, É  il  liberal,  magnanimo,  sublime, Gran  Cardinal  della  Chiesa  di  Ronui, Ippolito,  eh'  a  prose,  a  versi,  a  rime Darà  materia  eterna  in  ogni  idioma; La  cui  fiorita  età  vuol  il  Ciel  giusto Ch'abbia  un  Maron,  come  im  altro  ebbe  Angusto. 57  Adomerà  la  sua  progenie  bella. Come  orna  il  Sol  la  macchina  del  mondo Molto  più  della  Lima  e  d'ogni  stella; Ch'ogn' altro  lume  a  lui  sempre  è  secondo. Costui  con  pochi  a  piedi  e  meno  in  sella Veggio  uscir  mesto,  e  poi  tornar  giocondo; Che  quindici  galèe  mena  captive, Oltra  mill' altri  legni,  alle  sue  rive. 58  Vedi  poi  l'uno  e  l'altro  Sigismondo: Vedi  d' Alfonso  i  cinque  figli  cari, Alla  cui  fama  ostar,  che  di  sé  il  mondo Non  empia,  i  monti  non  potran  nò  i  mari. Gener  del  Re  di  Francia,  Ercol  secondo È  r  un;  quest'  altro  (acciò  tutti  gì'  impari) Ippolito  è,  che  non  con  minor  raggio, Che  '1  zio,  risplenderà  nel  suo  lignaggio; stanza  47. 59    Francesco,  il  terzo;  Alfoosi  gli  altri  dui Ambi  son  detti.  Or,  come  io  dissi  prima, S  ho  da  mostrarti  ogni  tuo  ramo  "  il  cai Valor  la  stirpe  sna  tanto  sublima, Bisognerà  che  si  rischiari  e  abbui Più  volte  prima  il  del,  ch'io  te  li  esprima: E  sarà  tempo  ormai,  quando  ti  piaccia, Ch'io  dia  licenzia  all'ombre,  e  ch'io  mi  taccia. 60    Cosi  con  volontà  della  donzella La  dotta  incantatrice  il  libro  chiuse. Tutti  gli  spirti  allora  nella  cella Sparirò  in  fretta,  ove  eran  l'ossa  chiuse. Qui  Bradamante,  poiché  la  favella Le  fu  concesso  usar,  la  bocca  schiuse, E  domandò: Chi  son  li  dna  si  tristi, Che  tra  Ippolito  e  Alfonso  abbiamo  visti  i 40 61     Venìano  sospirando,  e  gli  occhi  bassi Parean  tener,  d'ogni  baldanza  privi; E  gir  lontan  da  loro  io  vedea  i  passi Dei  frati  sì,  che  ne  pareano  schivi. Parve  eh' a  tal  domanda  si  cangiassi La  maga  in  viso,  e  fé'  degli  occhi  rivi, E  gridò: Ah  sfortunati,  a  quanta  pena Lungo  instigar  d'uomini  rei  vi  mena! Stanza  72. 64  Quivi  r  audace  giovane  rimase Tutta  la  notte,  e  gran  pezzo  ne  spese A  parlar  con  Merlin,  che  le  suase Rendersi  tosto  al  suo  Ru?gier  cortese. Lasciò  di  poi  le  sotterranee  case, Ohe  di  nuovo  splendor  l'aria  s'accese. Per  un  cammin  gran  spazio  oscuro  e  cieco, Avendo  la  spirtal  femmina  seco. 65  E  riuscirò  in  un  burrone  ascoso Tra  monti  inaccessibili  aUe  genti; E  tutto  '1  dì,  senza  pigliar  riposo, Saliron  balze,  e  traversar  torrenti. E  perchè  men  1'  andar  fosse  noioso, Di  piacevoli  e  bei  ragionamenti, Di  quel  che  fu  più  conferir  soave, L'aspro  cammin  facean  parer  men  grave: 66  Dei  quali  era  però  la  maggior  parte, Oh'  a  Bradamante  vien  la  dotta  Maga Mostrando  con  che  astuzia  e  con  qaal  arte Proceder  dee,  se  di  Ruggiero  è  vaga. Se  tu  fossi,  dicea,  Pallade  o  Marte, E  conducessi  gente  alla  tua  paga Pii\  che  non  ha  il  re  Carlo  e  il  re  Agramant . Non  dureresti  contra  il  Negromante; 67  Ohe,  oltre  che  d'acciar  murata  sia La  rocca  inespugnabile,  e  tant'  alta, Oltre  che  '1  suo  destrier  si  faccia  via Per  mezzo  l'aria,  ove  galoppa  e  salta; Ha  lo  scu'lo  mortai  che,  come  pria Si  scopre,  il  suo  splendor  si  gli  occhi  assalta. La  vista  toUe,  e  tanto  occupa  i  sensi Ohe  come  morto  rimaner  conviensi: 62  0  buona  prole,  o  degna  d'Ercol  buom, Non  vinca  il  lor  fallir  vostra  boutade:Di  vostro  sangue  i  miseri  pur  sono:Qui  ceda  la  giustizia  alla  pietade. Indi  soggiunse  con  più  basso  suono: Di  ciò  dirti  più  innanzi  non  accade. Statti  coi  dolce  in  bocca,  e  non  ti  doglia Oh' amareggiar  alfin  non  te  la  voglia. 63  Tosto  che  spunti  in  ciel  la  prima  luce, Piglierai  meco  la  più  dritta  via Oh'  al  lucente  Castel  d' acciar  conduce, Dove  Ruggier  vive  in  altrui  balia. Io  tanto  ti  sarò  compagna  e  duce, Ohe  tu  sia  fuor  dell' aspra  selva  ria:T' insegnerò,  poi  che  sarem  sul  mare, Si  ben  la  via,  che  non  potresti  errare. 68  E  se  forse  ti  pensi  che  ti  vaglia Combattendo  tener  serrati  gli  occhi, Oome  potrai  saper  nella  battaglia Quando  ti  schivi,  o  l'avversario  tocchi? Ma  per  fuggire  il  lume  eh'  abbarbaglia, E  gli  altri  incanti  di  colui  far  sciocchi, Ti  mosterò  un  rimedio,  una  via  presta; Né  altra  in  tutto  '1  mondo  è  se  non  questa. 69  II  re  Agramante  d'Africa  uno  anello, Ohe  fu  rubato  in  India  a  una  regina. Ha  dato  a  un  suo  baron  detto  Brunello Ohe  poche  miglia  innanzi  ne  cammina; Di  tal  virtù,  che  chi  nel  dito  ha  quello, Oontra  il  mal  degl'incanti  ha  medicina. Sa  di  furti  e  d'inganni  Brunel,  quanto Colui,  che  tien  Ruggier,  sappia  d'incanto. 70  Questo  Brnnel  sì  pratico  e  sì  astuto, Come  io  ti  dico,  è  da]  suo  Re  mandato, Acciò  che  col  suo  ingegno  e  con  1  aiuto Di  questo  anello,  in  tal  cose  provato, Di  quella  rocca,  dove  è  ritenuto, Traggia  Ruggier: che  così  s' è  vantato, Ed  ha  così  promesso  al  suo  Signore, A  cui  Ruggiero  è  più  dogni  altro  a  core. 71  Ma  perchè  il  tuo  Ruggiero  a  te  sol  ahbia, E  non  al  re  Agramante,  ad  obbligarsi Che  tratto  sia  delPincantata  gabbia, T' insegnerò  il  rimedio  che  de'  usarsi. Tu  te  n'andrai  tre  dì  lungo  la  sabbia Del  mar,  eh' è  oramai  presso  a  dimostrarsi: n  terzo  giorno  in  un  albergo  teco Arriverà  costui  e' ha  Panel  seco. 74  Tu  gli  va  dietro: e  come  t' avvicini A  quella  rocca  si  eh'  ella  si  scopra, Dagli  la  morte;  nò  pietà  t'inchini Che  tu  non  metta  il  mio  consiglio  in  opra. Nò  far  eh'  egli  il  pensier  tuo  s' indovini, E  ch'abbia  tempo  che  Panel  lo  copra; Perchè  ti  sparirìa  dagli  occhi,  tosto Ch'  in  bocca  il  sacro  anel  s'  avesse  porto. 75  Così  parlando,  giunsero  sul  mare. Dove  presso  a  Bordea  mette  Garonna. Quivi,  non  senza  alquanto  lagrimare, Si  dipartì  l'una  dall'altra  donna. La  figliuola  d'Amon,  che  per  slegare Di  prigione  il  suo  amante  non  assonna, Camminò  tanto,  che  venne  una  sera Ad  un  albergo,  ove  Brunel  prim'era. 72  La  suaetatura,  acciò  tu  lo  conosca. Non  è  sei  palmi,  ed  ha  il  capo  ricciuto; Le  chiome  ha  nere,  ed  ha  la  pelle  fosca; Pallido  il  viso,  oltre  il  dover  barbuto; Oli  occhi  gonfiati,  e  guardatura  losca; Schiacciato  il  naso,  e  nelle  ciglia  irsuto:L'abito,  acciò  eh'  io  lo  dipinga  intero, È  stretto  e  corto,  e  sembra  di  corriero. 73  Con  esso  lui  t'accaderà  soggetto Di  ragionar  di  quegP  incanti  strani. Mostra  d'aver,  come  tu  avrà'  in  effetto, Disio  che  'l  Mago  sia  teco  alle  mani; Ma  non  mostrar  che  ti  sia  stato  detto Di  quel  suo  anel  che  fa  gl'incanti  vani. Egli  t' offerii  à  mostrar  la  via Fin  alla  rocca,  e  farti  compagnia. 76  Conosce  ella  Brunel  come  lo  vede, Di  cui  la  forma  avea  sculpita  in  mente. Onde  ne  viene,  ove  ne  .va  gli  chiede:Quel  le  risponde,  e  d' ogni  cosa  mente. La  donna,  già  provvista,  non  gli  cede In  dir  menzogne,  e  simula  ugualmente E  patria  e  stirpe  e  setta  e  nome  e  sesso; E  gli  volta  alle  man  pur  gli  occhi  spesso. 77  Gli  va  gli  occhi  alle  man  spesso  voltando, In  dubbio  sempre  esser  da  lui  rubata; Né  lo  lascia  venir  troppo  accostando, Di  sua  condizion  bene  informata. Stavan  insieme  in  questa  guisa,  quando L' orecchia  da  un  lumor  lor  fu  intronata. Poi  vi  dirò,  signor,  che  ne  fu  causa, Ch'avrò  fatto  al  cantar  debita  pausa. NOTE. St.  3.  v.3.   I  gigantei  furori  alludono  alla  favo losa guerra  dei  Giganti  contro  Giove. St.  4.  V.7.   Pindbello  di  Magaìxta  spia  di  Carlomagno. St.  8.  V.6.   Una  donna,  Melissa. St.  1011.   Finsero  i  romanzieri  di  cavalleria,  che Merlino  mago  inglese  s'invaghisse  della  Donna  del Lago.  Avendosi  preparato  un  sepolcro  per  s6  e  per  lei, le  insegnò  alcune  parole,  che,  pronunziate  sull'avello chiuso,  rendevano  impossibile  aprirlo.  La  donna,  odiando copertamente  Merlino,  indottolo  a  porsi  neiravello  per esperimentame  la  capacità,  ne  abbassò  il  coperchio  e disse  le  fatali  parole.  Quindi,  morto  Merlino,  lo  spirito di  lui  ivi  rimasto  rispondeva  di  colà  dentro  alle  altrui domande. St.  12.  V.1.   CimiterìOj  nella  proprietà  del  voca bolo, denota  luogo  di  dormizione;'  eà.  è  voce  che  può convenire  anche  al  sepolcro  di  un  solo.  L'Ariosto  la  usò sempre  in  quosto  senso. St.  17.  V.1.   Lantiquo  sangue,  ecc.  Favoleggia  col Bojardo  che  gli  Estensi  uscissero  di  sangue  trojano. Ivi.  V.56.   I  quattro  fiumi  nominati  nel  quinto verso  (fra  i  quali  la  Danoia  è  il  Danubio)  indicano  per la  loro  posizione  i  quattro  punti  cardinali  del  globo; e  la  Tooe  Calisto  in  fine  del  sesto  Terso,  relativa  alla ninfa  omonima,  trasmutata,  secondo  i  mitologi,  in orsa  e  collocata  in  cielo,  significa  il  2olo  boreale. St.  17.  V.78.   D'imperatori,  notansi  Otone  IV  del ramo  EstenseGaelfo  derivante  per  linea  retta  da  Alberto Azzo  H,  Federigo  II  e  Lotario,  dei  quali  più  avanti. St.  21.  V.6.   Chiama  pentacolo,  ossia  pentagono, una  figura  di  cinque  lati  fatta  di  qualsiasi  materia, impressa  di  segui  o  caratteri  maci,  e  creduta  difen dere le  persone  dai  cattivi  effetti  degF  incantesimi St.  22.  t.  7.   Tre  voWe,  numero  solenne  negl'incan tesimi St.  24.  V.1.   Il  personaggio  cui  si  allude  ò  Rngge retto,  supposto  futuro  figlio  di  Bradamante.  Y.  5.  Del sangue  di  Pontier  ecc.  dei  Maganzesi,  castello  di  Pon tieri (Ponthieu)  in  Piccardia.   v.78.  Si  finge  che  i Maganzesi  abbiano  ucciso  il  padre  di  Ruggeretto  a  tra dimento, nel  castello  di  Pontieri St.  25.  V.14.   Si  fa  predire  alla  maga  la  paite che  le  vecchie  tradizioni  attribuivano  al  figlio  di  Bra damante, nell' impresa  di  Carlo  Magno  contro  il  lon gobardo re  Desiderio;  onde  la  rimunerazione  data  a quel  guerriero  con  la  signoria  dei  due  castelli  sul  Pa dovano nominati  nel  terzo  verso.  Le  notizie  genealogiche sugli  Estensi,  inserite  in  quasi  tutto  questo  Canto,  de rivano per  lo  più  dalle  opinioni  che  correvano  in  quei tempi  di  caligine  storica. St.  26.  V.12.  Gli  espositori  intendono  qui  un  Al berto Visconti,  che  dicono  aver  liberata  Milano  dal l'assedio postovi  da  Berengario  I.  Ma  la  storia  non parla  di  questo  assedio. Ivi.  V.34.   La  ftrase  spiegherà  i  colubri  denota Facquisto  della  signoria  di  Milano  attribuito  ad  Ugo figUuol  dAlberto;  giacché  lo  stemma  dei  Visconti  rap presentava un  serpe  tortuoso. Ivi.  V.78.   Il  Poeta  dà  merito  al  consiglio  di  Al bert azzo  dEste,  per  la  discesa  di  Otone  in  Italia  contro i  Berengarii,  e  in  ricompensa  lo  dice  divenuto  genero di  queir  imperatore. St.  27.  y.  3.  Albertazzo  ebbe  anche  veramente  un terzo  figlio,  chiamato  Ugo,  natogli  da  Garsenda  dei principi  del  Maine;  ma  non  si  sa,  per  testimonianze autentiche,  se  operasse  le  imprese  qui  attribuitegli. St.  28.  V.16.  Non  Folco,  come  fu  detto,  ma  Guelfo suo  fratello  passò  in  Germania  e  vi  continuò  la  casa  dei Guelfi  bavaresi.  Il  poeta  dice  che  continuò  invece  la casa  di  Sansogna  (Setssonia)  ma  è  erroneo.   y.  78.  Al lude alla  fumosa  contessa  Matilde.  Questa  fa  sposa  bensi di  un  Estense,  ma  non  già  di  questo  supposto  Alber tazzo;  sposo  suo  fu  Guelfo  V  duca  di  Baviera. St.  29.  y.  48.   La  battaglia  accennata  nei  verai 4,  5,  6  intendesi  essere  la  combattuta  sul  Parmigiano contro  Enrico,  qui  detto  II,  da  altri  in,  avverso  ai  papi per  motivo  delle  investiture  ecclesiastiche. St.  30.  Y.  34.   Intende  iperbolicamente  per  mezza Italia  i  vasti  posse<iÌmenti  della  contessa  Matilde,  fìra i  quali  il  cosi  detto  Patrimonio  di  S.  Pietro. Ivi.  Y.  58.   Si  allude  agli  avvenimenti  segniti  re gnando r  imperatore  Federico  I,  avverso  alla  Chiesa romana,  sconfitto  poi  dalla  Lega  Lom>arda;  e  si  attri buisce l'onore  di  quella  vittoria  al  Rinaldo  indicato nel  sesto  verso.  Il  primo  Estense,  di  nome  Rinaldo, nasceva  da  Azo  Novello,  ohe  lo  dava  ancor  giovinetto in  ostaggio  all'imperatore  nel  1239,  poi  lo  perdeva  pri gioniero in  Puglia  nel  1251;  e  il  Barbarossa  era  già morto  nel  1190. St.  31.  Y.  14.   L'Estense,  che  nel  1207  ebbe  dal partito  guelfo  la  podesteria  di  Verona,  fu  Azzo  VI.  il quale  non  senza  molto  sangue  ghibellino  la  moto  in signoria.  Nel  1203  egli  ebbe  da  Innocenzo  III,  per  sé  e discendenti,  il  marchesato  della  Marca  Anconitana. St.  32.  Y.  14.   I  fatti  dei  personaggi  qui  ricordati son  poco  noti,  nò  mette  conto  fame  speciale  menzione. Ivi.  y.  58.   L'Azzo  qui  detto  V  è  veramente  il  VIL Si  chiamò  Azzo  Novello,  e  fu  uno  dei  capi  dell' eser cito che  disfece  Ezzelino  da  Romano  e  l'imperatore Federigo  IL St.  34.  Y.  24.   Con  tale  perifrasi  vuoisi  denotare Ferrara  sul  Po,  alludendo  alla  favola  di  Fetonte,  pre cipitato in  quel  fiume. Ivi.  y.  56.   Le  lagrime  delle  sorelle  di  Fetonte  Ivi accorse,  divennero,  secondo  la  favola,  elettro  (resinai che  stilla  dai  pioppi,  in  cui  esse  furono  convertite,  n sesto  verso  riguarda  il  re  ligure  Cigno,  che  lamentando egli  pure  Fetonte,  fu  tramutato  udì' uccello  omonimo. St.  35.  y.  1.   Quello  che  l'Ariosto  in  questa  e  nella seguente  ottava  dice  d'Aldobrandino,  fratello  di  Azzo VII,  è  pienamente  conforme  alla  storia,  n  volere  in pegno  persone  per  il  danaro  che  si  dava  a  prestito  fa cosa  non  infrequente  per  gli  usurai  di  quel  tempo. St.  37.  Y.  24. Pisaxtro  è  Pesaro;  Troento  è  il Tronto  che  ha  foce  nell'Adriatico,  dove  sbocca  anche l'Isauro,  fiume  deir Umbria.  E  per  il  tratto  di  paese circoscritto  nel  terzo  e  nel  quarto  verso,  s' intende  il maìchesato  di  Ancona. St.  38.  Y.  16. Rinaldo,  figlio  di  Azzo  Novello: mori  di  veleno. St.  39.  Y.  14.   Obizzo,  figlio  naturale  di  Rinaldo, ma  legittimato,  successe  all'avo  nel  dominio  di  Ferrara l'anno  1264.  Nel  1288  acquistò  Modena,  nell'anno  se guente Reggio;  e  allora  fu  il  colmo  della  potenza  della casa  d'Este.  Mori  in  Ferrara  nel  1293. Ivi.  v.58.   Quest'Azze  è  l'VlII,  non  il  VI;  e  ere desi  aver  comandato  la  crociata  bandita  dall'angioino Carlo  II. St.  40.  Y.  18.   A  meglio  dichiarare  il  gruppo  dei principi  Estensi  accennato  in  questa  Stanza,  è  d'uopo avvertire  che,  oltre  Azzo  Vili,  nacque  da  Obizzo  an Aldowandino,  pretendente  alla  signoria  di  Ferrara,  il quale  vendè  per  denaro  i  suoi  diritti  al  papa  nel  1319, e  mori  in  Bologna  nel  1326. St.  41.  v.1  2.   Dalla  voce  greca  Rhodon  (rosa)  si fa  derivare  il  latino  Rhodigintn  (Rovigo)  per  l'abbon danza di  rose  che  ne'  suoi  dintorni  dicesi  si  trovasse. Ivi.  Y.  36.   S'intende  qui  Comacchio,  città  posta in  mezzo  a  paludi  fra  due  rami  del  Po;  ed  è  abitata da  pescatori,  a  cui  giova  il  mare  turbato  per  l'esercizio dell'arte  loro. St.  42.  Y.  14.   È  questi  Niccolò  III,  flgl'o  e  sncces sore  di  Alberto,  al  quale  Tideo  conte  di  Conio  tentò usurpare  lo  Stato,  ma  senza  riuscita.  Fu  anche  podestà di  Milano,  dove  mori  nel  1441. St.  43.  Y.  58.   Otone  dei  Terzi,  uno  dei  tirannelli lombardi,  procacciò  esso  pure  di  togliere  la  signoria  a Niccolò,  e  restò  ucciso  piesso  Rubiera. St.  45.  Y.  12.   Leonello  e  Borse,  naturali.  Ercole  e Sigismondo,  legittimi,  vennero  di  Niccolò  III,  che  volle suo  successore  il  primo,  e  dopo  lui  Berso. St.  46.  Y.  16.   Ercole,  primo  di  nome,  e  secondo duca  di  Ferrara,  nacque  nel  1431.  Sostenne  guerra mossagli  dai  limitrofi  Veneziani,  ai  quali,  negli  anni della  preceduta  amicizia,  fu  difensore  p6rsonalment", sebbene  impedito  di  un piede,  contro  il  re  di  Germania che  gli  avea  vinti  e  ftigati  a  Bndrio,  castello  situato nel  Bolognese;  e  in  questa  gneria,  ch'eglino  fecero  ad Ercole,  lo  strinsero  fin  sotto  le  mura  di  Ferrara  in luogo  detto  il  Barco, St.  47.  y.  16.   Ercole  nella  sua  giovinezza  militò con  gloria  per  Alfonso  d'Aragona  re  di  Napoli. Ivi.  V.78.   Ercole,  come  maggior  nato  e  legittimo, avrebbe  dovuto  succedere  direttamente  al  padre:  ma  il regno  novenne  di  Leonello,  coi  21  anno  e  più  del  regno di  Borsigli  ritardarono  la  successione  per  oltre  30  anni. St.  4849.   Parlasi  dei  benefizj  fatti  da  Ercole ai  Ferraresi,  con  asciugare  paludi,  convertendole  in fertili  campagne,  ampliare  la  città,  fortificarla,  ador narla, ecc.  Ercole  seppe  anche  difendere  Ferrara  contro i  Veneziani,  e  la  mantenne  pacifica  ed  illesa  nella gnerra  portata  in  Italia  da  Carlo  Vili  re  di  Francia nel  1494. St.  50.  V.12.   Alfonso  I,  figlio  di  Ercole,  nato  nel 1476,  sali  al  principato  nel  1505,  e  lo  tenne  fino  al  15< anno  della  sua  morte.  Ippolito,  di  cui  nella  St.  3  del Canto  I,  nacque  nel  1479,  fti  cardinale  nel  1483,  ma neggiò le  armi  nella  lega  di  Cambrai,  e  mori  in  Fer rara nel  1529. Ivi.  V.38.   Paragona  Taffezione  reciproca  fra  Er cole e  Alfonso  a  quella  eh'  ebbero  V  uno  per  V  altro Castore  e  Polluce,  figli  mitologici  di  Leda,  nata  da Tindaro  e  da  Giove,  convertitosi  per  essa  in  Cigno; affezione  non  mai  disciolta,  giacché  ottennero  da  Giove di  restare  a  vicenda  privi  del  sole  (di  vita),  per  trarsi anche  a  vicenda  dall'aere  maligno  (da  morte). St.  51.  V.78.  Astreay  figlia  di  Giove,  è  la  Giustizia ritiratasi  in  cielo  per  la  malvagità  degli  nomini;  e  questa per  la  bontà  di  Alfonso  si  crederà  ritornata  in  terra. St.  52.  V.38.   Alfonso,  entrato  nella  lega  di  Cam brai promossa  da  Giulio  II,  vinse  i  Veneti  nel  1509  alla Polesella.  Quando  Giulio  nell'anno  appresso  si  distaccò dalla  lega,  voleva  che  Alfonso  combattesse  pei  Veneti; al  che  rifiutatosi  il  duca,  Giulio  gli  venne  addosso  con le  armi  spirituali  e  le  temporali;  e  cosi  Alfonso  si  trovò alle  prese  da  un  lato  coi  Veneti,  e  dall' altro  col  capo della  Chiesa  romana. St.  53.  V.5&   Per  eilétto  di  questa  gnerra,  i  Bomagnuoli  insorsero  contro  Alfonso,  unendosi  alle  genti del  papa;  e  fUrono  sconfitti  tra  il  Po  e  il  Santemo, fiume  d'Imola,  presso  il  canale  .Zanniolo. St.  54.  V.18.   Poco  dopo  quella  rotta,  gli  Spa gnuoll  assoldati  dal  papa  presero  ad  Alfonso  un  forti lizio detto  Bastia,  che  guardava  il  passo  del  Primaro; e  dopo  fatto  prigioniero  il  castellano,  lo  uccisero.  Per tal  violazione  delle  leggi  di  guerra,  i  Ferraresi  riacqui stando poi  la  Bastia,  ne  passarono  a  filo  di  spada  tutto il  presidio. St.  55.  Y.  18.   Accenna  la  giornata  di  Bavenna, combattuta  nella  Pasqua  del  1512,  ove  insieme  coi  Te deschi, Spagnuoli,  Italiani  e  Francesi,  erano  anche  Al banesi nelle  schiere  dei  VenetL St.  56.  V.18.  Diffondesl  il  Poeta  in  elogi  al  car dinale Ippolito  seniore,  che  tenne  le  sedi  arcivescovili di  Strigonia  e  di  Agria  in  Ungheria,  di  Milano,  di Capua,  la  vescovile  di  Ferrara,  e  quella  di  Modena  a titolo  di  commenda. St.  57.  V.58.   Allude  alla  sconfitta  che  il  cardi nale Ippolito,  con  soli  300  cavalieri  e  poco  più  di  fanti, diede  presso  Volano  ai  Veneti.  Mesto  usciva  Ippolito  a quella  impresa,  per  la  tenuità  di  sue  forze;  e  ne  tornò giocondo  della  non  sperata  vittoria. St.  58.  V.1.  ~  Di  questi  due  Siglsmondi  uno  era  fra tello, l'altro  figliuolo  del  duca  Ercole;  e  il  primo  di questi  fu  stipite  di  marchesi  di  San  Martino.   v.2. Alfonso  ebbe  tre  figli  maschi  da  Lucrezia  Borgia;  Er cole che  gli  successe  nel  ducato,  e  sposò  Renata  di Francia:  Ippolito  II  cardinale,  noto  sotto  il  nome  di cardinal  di  Ferrara,  e  Francesco:  due  ne  ebbe  da  Laura Dianti  sua  favorita.  Alfonso  e  Alfonsino. St.  60.  V.78. I  due  qui  mentovati  sono  Qivlio  e FerdinandOy  fratelli  di  Alfonso  I,  cospiratori  contro  di esso  per  altrui  istigazione,  e  condannati  a  morte.  La pena  fU  poi  commutata  in  carcere  perpetuo,  ove  Fer dinando mori  nel  1540;  e  Giulio,  graziato  della  libertà da  Alfonso  II,  cessò  di  vivere  nel  1561. St.  71.  V.3. Gabbia  incantata,  cioè  il  palazzo  o castello  fabbricato  da  Atlante  per  incantamento. St.  75.  V.2.   Bordea,  oggi  Bordeaux. rir  iVP?" Stanza  4. IV. ARGOMENTO. Bradamante  con  Fanello  misterioso  vince  il  prestigio  di  Atlante  e  libera  Ruggiero  dal  castello  incantato. Questi  lascia  a  lei  il  suo  cavallo,  e  monta  1  Ippogrifo  che  seco  lo  porta  in  aria.  Rinaldo  approda  nella Scozia,  dove  gli  è  detto  che  Ginevra  figlia  di  quel  re  trovasi  in  pericolo  di  essere  messa  a  morte  per  una calunnia:  incamminatosi  per  libemrla,  s'avviene  in  una  giovane  a  cui  domanda  contezza  del  fatto. 1      Quantunque  il  simular  sia  le  più  volte Bipreso,  e  dia  di  mala  mente  indici, Si  trova  pur  in  molte  cose  e  molte Aver  fatti  evidenti  benefici, E  danni  e  biasmi  e  morti  aver  già  toIt"; Che  non  conversiam  sempre  con  gli  amici In  questa  assai  più  oscura  che  serena Vita  mortai,  tutta  dnvidia  piena. Se,  dopo  lunga  prova,  a  gran  fatica Trovar  si  può  chi  ti  sia  amico  vero, Ed  a  chi  senza  alcun  sospetto  dica E  discoperto  mostri  il  tuo  pensiero, Che  de'  far  di  Ruggier  la  bella  amica Con  quel  Brunel  non  puro  e  non  sincero, Ma  tutto  simulato,  e  tutto  finto, Come  la  Maga  le  l'avea  dipinto? 3  Simula  anchella;  e  cosi  far  conYiene Con  esso  lai,  di  finzioni  padre: E,  come  io  dissi,  spesso  ella  gli  tiene Gli  occhi  alle  man,  cheran  rapaci  e  ladre. Ecco  airorecchie  un  gran  rumor  lor  viene. Disse  la  donna:  0  gloriosa  Madre, 0  He  del  ciel,  che  cosa  sarà  questa? E  dove  era  il  rumor  si  trovò  presta. 4  E  vede  Toste  e  tutta  la  famiglia, E  chi  a  finestre  e  chi  fiior  nella  via, Tener  levati  al  ciel  gli  occhi  e  le  ciglia, Come  l'eclisse  o  la  cometa  sia. Vede  la  donna  un'alta  maraviglia. Che  di  leggier  creduta  non  saria: Vede  passar  un  gran  destriero  alato, Che  porta  in  aria  un  cavaliero  armato. 5  Grandi  eran  Tale  e  di  color  diverso, E  vi  sedea  nel  mezzo  un  cavaliero. Di  ferro  armato  luminoso  e  terso: E  ver  Ponente  avea  dritto  il  sentiero. Calessi,  e  fu  tra  le  montagne  immerso:E,  come  dicea  Toste  (e  dicea  il  vero), QuelTera  un  Negromante,  e  facea  spesso Quel  varco,  or  più  da  lungi,  or  più  da  presso. 6  Volando,  talor  s'alza  nelle  stelle, E  poi  quasi  talor  la  terra  rade; E  ne  porta  con  lui  tutte  le  belle Donne  che  trova  per  quelle  contrade: Talmente  che  le  misere  donzelle Ch'abbino  o  aver  si  credano  beltade (Come  affatto  costui  tutte  le  invole), Non  escon  fuor  sì  che  le  veggia  il  Sole. 7  Egli  sul  Pireneo  tiene  un  castello, Narrava  Toste,  fatto  per  incanto, Tutto  d'acciaio,  e  sì  lucente  e  bello, Ch'altro  al  mondo  non  è  mirabil  tanto. Già  molti  cavalier  sono  iti  a  quello, E  nessun  del  ritorno  si  dà  vanto: Si  ch'io  penso,  signore,  e  temo  forte, 0  che  siao  presi,  o  sian  condotti  a  morte. 8  La  donna  il  tutto  ascolta,  e  le  ne  giova, Credendo  far,  come  farà  per  certo. Con  l'anello  mirabile  tal  prova, Che  ne  fia  il  Mago  e  il  suo  Castel  deserto. E  dice  all'oste: Or  un  de'  tuoi  mi  trova, Che  più  di  me  sia  del  viaggio  esperto; Ch'io  non  posso  durar:  tanto  ho  il  cor  vago Di  far  battaglia  contro  a  questo  Mago. Stanza  14 46 9  Non  ti  mancherà  guida,  le  rispose Bninello  allora;  e  ne  verrò  teco  io. Meco  ho  la  strada  in  scritto,  ed  altre  cose Che  ti  faran  piacer  il  yenir  mio. Volse  dir  delPanelj  ma  non  l'espose, Né  chiari  più,  per  non  pagarne  il  fio. Grato  mi  fia,  disse  ella,  il  venir  tuo: Volendo  dir,  ch'indi  l'anel  fia  suo. 10  Quel  ch'era  utile  a  dir,  disse;  e  quel  tacque, Che  nuocer  le  potea  col  Saracino. Avea  Foste  un  destrier  ch'a  costei  piacque, Ch'era  huon  da  battaglia  e  da  cammino: Comperollo  e  partissi  come  nacque Del  bel  giorno  Bruente  il  mattutino. Prese  la  via  per  una  stretta  valle. Con  Brunello  ora  innanzi,  ora  alle  spalle. 11  Di  monte  in  monte  e  d'uno  in  altro  bosco Giunsero  ove  l'altezza  di  Pirene Può  dimostrar,  se  non  è  l'Ser  fosco, E  Francia  e  Spagna,  e  due  diverse  arene: Come  Apennin  scopre  il  mar  Schiavo  e  il  Tosco Del  giogo  onde  a  Camaldoli  si  viene. Quindi  per  aspro  e  faticoso  calle 8i  discendea  nella  profonda  valle. 15  Né  per  lacrime,  gemiti  o  lamenti Che  facesse  Brunel,  lo  volse  sciorre. Smontò  della  montagna  a  passi  lenti, Tanto  che  fu  nel  pian  sotto  la  torre. E  perché  alla  battaglia  s'appresenti Il  negromante,  al  corno  suo  ricorre: E,  dopo  il  suon,  con  minacciose  grida Lo  chiama  al  campo,  ed  alla  pugna  U  sfida. 16  Non  stette  molto  a  uscir  fuor  della  porta L'incantator,  ch'udi  '1  suono  e  la  voce. L'alato  corridor  per  l'aria  il  porta Centra  costei,  che  sembra  uomo  feroce. La  donna  da  principio  si  conforta; Che  vede  che  colui  poco  le  nuoce: Non  porta  lancia  né  spada  né  mazza, Ch'a  forar  l'abbia  o  romper  la  corazza. 17  Dalla  sinistra  sol  lo  scudo  avea. Tutto  coperto  di  seta  vermiglia; Nella  man  destra  un  libro,  onde  facea Nascer,  leggendo,  l'alta  maranglia: Che  la  lancia  talor  correr  parca, E  fatto  avea  a  più  d'un  batter  le  ciglia; Talor  parca  ferir  con  mazza  o  stocco, E  lontano  era,  e  non  avea  alcun  tocco. 12  Vi  sorge  in  mezzo  un  sasso,  che  la  cima D'un  bel  muro  d'acciar  tuttA  si  fascia, E  quella  tanto  inverso  il  ciel  sublima. Che  quanto  ha  intomo  inferi'or  si  lascia. Non  faccia,  chi  non  vola,  andarvi  stima; Che  spesa  indamo  vi  saria  ogni  ambascia. Brand  disse:  Ecco  dove  prigionieri Il  Mago  tìen  le  donne  e  i  cavalieri. 13  Da  quattro  canti  era  tagliato,  e  tale Che  parca  dritto  a  fil  della  sinopia: Da  nessun  lato  né  sentier  né  scale V'eran,  che  di  salir  facesser  copia: E  ben  appar  che  d'animai  ch'abbia  ale Sia  quella  stanza  nido  e  tana  propia. Quivi  la  donna  esser  conosce  l'ora Di  tor  l'anello,  e  far  che  Brunel  mora. 18  Non  è  finto  il  destrier,  ma  naturale, Ch'una  giumenta  generò  d'un  Grifo: Simile  al  padre  avea  la  piuma  e  Tale, Li  piedi  anteriori,  il  capo  e  '1  grifo; In  tutte  l'altre  membra  parca  quale Era  la  madre,  e  chiamasi  Ippogrifo; Che  nei  monti  Rifei  vengon,  ma  rari, Molto  di  là  dagli  agghiacciati  mari. 19  Quivi  per  forza  lo  tirò  d'incanto, E  poiché  l'ebbe,  ad  altro  non  attese, E  con  studio  e  fatica  operò  tanto, Ch'a  sella  e  briglia  il  cavalcò  in  un  mese; Cosi  ch'in  terra  e  in  aria  e  in  ogni  canto Lo  &cea  volteggiar  senza  contese. Non  finzì'on  d'incanto,  come  il  resto, Ma  vero  e  naturai  si  vedea  questo. 14    Ma  le  par  atto  vile  a  insanguinarsi D'un  uom  senza  arme  e  di  si  ignobil  sorte; Che  ben  potrà  posseditrice  farsi Del  ricco  anello,  e  lui  non  porre  a  morte. Brunel  non  avea  mente  a  riguardarsi; Si  ch'ella  il  prese,  e  lo  legò  ben  forte Ad  uno  abete  ch'alta  avea  la  cima: Ma  di  dito  l'anel  gli  trasse  prima. 20    Del  Mago  ogn'altra  cosa  era  figmento, Che  comparir  facea  pel  rosso  il  giallo: 3Ia  con  la  donna  non  fu  di  momento; Che  per  l'anel  non  può  vedere  in  fallo. Più  colpi  tuttavia  disserra  al  vento, E  quinci  e  quindi  spinge  il  suo  cavallo; E  si  dibatte  e  si  travaglia  tutta, Com'era,  innanzi  che  venisse,  instrutta. 21  E,  poi  che  esercitata  si  fu  alquanto Sopra  il  (lestrier,  smontar  volse  anco  a  piede, Per  poter  meglio  al  fin  venir  di  quanto La  cauta  Maga  instruzì'on  le  diede. Il  Mago  vien  per  far  Testremo  incanto; Che  del  fatto  ripar  né  sa  né  crede: Scuopre  lo  scudo,  e  certo  si  prosume Farla  cader  con  Tincantato  lume. 22  Potea  cosi  scoprirlo  al  primo  tratto. Senza  tenere  i  cavalieri  a  bada; Ma  gli  piaceva  veder  qualche  bel  tratto Di  correr  Tasta,  o  di  girar  la  spada: Come  si  vede  ch'all'astuto  gatto Scherzar  col  topo  alcuna  volta  aggrada:E  poi  che  quel  piac?r  gli  viene  a  noia. Dargli  di  morso,  e  alfìn  voler  che  muoia. 23  Dico  che  U  Mago  al  gatto,  e  gli  altri  al  topo S'assimigliàr  nelle  battaglie  dianzi; Ala  non  sassimigliiir  già  cosi  dopo Che  con  Tanel  si  fé  la  donna  innanzi. Attenta  e  fissa  stava  "a  quel  ch'era  uopo. Acciò  che  nulla  seco  il  Mago  avanzi; E  come  vide  che  lo  scudo  aperse, Chiuse  gli  occhi,  e  lasciò  quivi  caderse. 24  Non  che  il  fulgor  del  lucido  metallo, Come  soleva  agli  altri,  a  lei  noceste; Ma  cosi  fec3  acciò  che  dal  cavallo Contro  sé  il  vano  incantator  scen lesse; Ne  parte  andò  del  suo  disegno  in  fallo; Che  tosto  ch'ella  il  capo  in  terra  m3ss?, Accelerando  il  volator  le  penne, Con  larghe  mote  in  terra  a  por  si  venne. Stanza  '/7. 25  Lascia  alParcion  lo  scudo  che  già  posto Avea  nella  coperta,  e  a  pie  discende Verso  la  donna  che.  come  reposto Lupo  alla  macchia  il  ciprioto,  attende. Senza  più  indico  ella  si  leva  tosto Che  l'ha  vicino,  e  ben  stretto  lo  prende. Avea  lasciato  quel  misero  in  terra Il  libro  che  facea  tutta  la  guerra:26  E  con  una  catena  ne  correa, Che  solea  portar  cinta  a  simil  uso; Perchè  non  men  legar  colei  credea. Che  per  addietro  altri  legare  era  uso. La  donna  in  terra  posto  già  l'avea:Se  quel  non  si  difese  io  ben  Tescuso; Che  troppo  era  la  cosa  differente Tra  u'J  dcbol  vecchio,  e  M  tanto  p''SS?nte. 27  Disegnando  levargli  ella  la  testa, Alza  la  man  vittoriosa  in  fretta; Ma  poi  che  '1  viso  mira,  il  colpo  arresta, Quasi  sdegnando  si  bassa  vendetta. Un  venerabil  vecchio  in  faccia  mesta Vede  esser  quel  ch'ella  ha  giunto  alla  stretta, Che  mostra  al  viso  crespo  e  al  pelo  bianco Età  di  settanta  anni,  o  poco  manco. 28  Tommi  la  vita,  giovene,  per  Dio, Dicea  il  vecchio  pien  d'ira  e  di  dispetto; Ma  quella  a  torla  avea  si  il  cor  restio, Come  quel  di  lasciarla  avria  diletto. La  donna  di  sapere  ebbe  disio Chi  fosse  il  negromante,  ed  a  che  effetto Edificasse  in  quel  luogo  selvaggio La  rocca,  e  faccia  a  tutto  il  mondo  oltraggio. 29    Né  per  maligna  intenzione,  ahi  lasso ! (Disse  piangendo  il  vecchio  incantatore) Feci  la  hella  rocca  in  cima  al  sasso, Né  per  avidità  son  rubatore; Ma  per  ritrar  sol  dall'estremo  passo Un  cavalier  gentil,  mi  mosse  amore, Che.  come  il  ciel  mi  mostra,  in  tempo  breve Morir  cristiano  a  tradimento  deve. 30    Non  vede  il  Sol  tra  questo  e  il  polo  anstrìso Uji  giovene  si  bello  e  sì  prestante:Ruggero  ha  nome,  il  qual  da  piccolino Da  me  nutrito  fu,  chMo  sono  Atlante. Disio  d'onore  e  suo  fiero  destino L'han  tratto  in  Francia  dietro  al  re  Agrainaiit": Ed  io,  che  ramai  sempre  più  che  figlio, Lo  cerco  tjrar  di  Francia  e  di  periglio. Stanza  44. .SI    La  bella  rocca  solo  edificai, Per  tenervi  Ruggier  sicuramente. Che  preso  fu  da  me,  come  sperai Che  fossi  oggi  tu  preso  similmente; E  donne  e  cavalier,  che  tu  vedrai, Poi  ci  ho  ridotti,  ed  altra  nobil  gente, Acciò  che,  quando  a  voglia  sua  non  esca, Avendo  compagnia,  men  gli  rincresca. 32    Pur  ch'uscir  di  lassù  non  si  domande, D'ogn'altro  gaudio  lor  cura  mi  tocca; Che  quanto  averne  da  tutte  le  bande Si  può  del  mondo,  è  tutto  in  quella  rocca: Suoni,  cinti,  vestir,  giuoclii,  vivande, Quanto  può  cor  pensar,  può  chieder  bocca. Ben  seminato  avea,  ben  cogliea  il  frutto: Ma  tu  sei  giunto  a  disturbarmi  il  tutto. 33  Deh,  86  non  hai  del  tìso  il  cor  men  bello, Non  impedir  il  mio  consiglio  onesto! Piglia  lo  scudo  (ch'io  tei  dono),  e  quello Destrier  che  va  per  l'aria  così  presto, E  non  t'impacciar  oltra  nel  castello, 0  tranne  uno  o  duo  amici,  e  lascia  il  resto; 0  tranne  tutti  gli  altri,  e  più  non  chero, Se  non  che  tu  mi  lasci  il  mio  Ruggiero. 34  E  se  disposto  sei  volermel  tórre, Deh,  prima  almen  che  tu  '1  rimeni  in  Francia, Piacciati  questa  afilitta  anima  sciorre Della  sua  scorza  ormai  putrida  e  rancia! Rispose  la  donzella: Lui  vo'  porre In  libertà:  tu,  se  sai,  gracchia  e  ciancia. Né  mi  oflferir  di  dar  lo  scudo  in  dono, 0  quel  destrier,  che  miei,  non  più  tuoi  sono. 35  Nò  s'anco  stesse  a  te  di  tórre  e  darli, Mi  parrebe  che  '1  cambio  convenisse. Tu  di'  che  Ruggier  tieni  per  vietarli Il  malo  influsso  di  sue  stelle  fisse. O  che  non  puoi  saperlo,  e  non  schivarli, Sappiendol,  ciò  che  '1  Ciel  di  lui  prescrisse:Ma  se  '1  mal  tuo,  e'  hai  si  vicin,  non  vedi, Peggio  l'altrui,  c'ha  da  venir,  prevedi. 36  Non  pregar  ch'io  t'uccida;  ch'i  tuoi  preghi Sariano  indamo: e  se  pur  vuoi  la  morte, Ancorché  tutto  il  mondo  dar  la  nieghi, Da  sé  la  può  aver  sempre  animo  forte. Ma  pria  che  l'alma  dalla  carne  sleghi, A  tutti  i  tuoi  prigioni  apri  le  porte. Cosi  dice  la  donna;  e  tuttavia II  Mago  preso  incontra  al  sasso  invia. 37  Legato  della  sua  propria  catena N'andava  Atlante,  e  la  donzella  appresso, Che  cosi  ancor  se  ne  fidava  appena, Benché  in  vista  parca  tutto  rimesso. Non  molti  passi  dietro  se  lo  mena. Ch'appiè  del  monte  han  ritrovato  il  fesso, E  li  scaglioni  onde  si  monta  in  giro, Fin  ch'alia  porta  del  Castel  salirò. 38  Di  su  la  soglia  Atlante  un  sasso  tolle, Di  caratteri  e  strani  segni  insculto. Sotto  vasi  vi  son,  che  chiamano  olle, Che  fuman  sempre,  e  dentro  han  foco  occulto. L'incantator  le  spezza;  e  a  un  tratto  il  colle Riman  deserto,  inospite  ed  inculto; Né  muro  appar  né  torre  in  alcun  lato, Come  se  mai  Castel  non  vi  sia  stato. 39  Sbrìgossi  dalla  donna  il  Mago  allora, Come  fa  spesso  il  tordo  dalla  ragna; E  con  lui  sparve  il  suo  castello  a  un'  ora, E  lasciò  in  libertà  quella  compagna: Le  donne  e  i  cavalier  si  trovar  fuora Delle  superbe  stanze  alla  campagna E  furon  di  lor  molte  a  chi  ne  dolse; Che  tal  franchezza  un  gran  piacer  lor  tolse. 40  Quivi  é  Gradasso,  quivi  è  Sacripante, Quivi  è  Prasildo,  il  nobil  cavaliere, Che  con  Rinaldo  venne  di  Levante, E  seco  Iroldo,  il  par  d'amici  vero. Alfin  trovò  la  bella  Bradamante Quivi  il  desiderato  suo  Ruggiero, Che,  poi  che  n'  ebbe  certa  conoscenza, Le  fé  buona  e  gratissima  accoglienza; 41  Come  a  colei  che  più  che  gli  occhi  sui, Più  che'l  suo  cor,  più  che  la  propria  vita Ruggiero  amò  dal  dì  eh'  essa  per  lui Si  trasse  l'elmo,  onde  ne  fu  ferita. Lungo  sarebbe  a  dir  come,  e  da  cui, E  quanto  nella  selva  aspra  e  romita Si  cercar  poi  la  notte  e  il  giorno  chiaro; Né,  se  non  qui,  mai  più  si  ritrovare. 42  Or  che  quivi  la  vede,  e  sa  ben  eh'  ella È  stata  sola  la  sua  redentrice, Di  tanto  gaudio  ha  pieno  il  cor,  che  appella Sé  fortunato  ed  unico  felice. Scesero  il  monte,  e  dismontaro  in  quella Valle,  ove  fu  la  donna  vincitrice, E  dove  l'Ippogrifo  trovare  anco Ch'  avea  lo  scudo,  ma  coperto,  al  fianco. 43  La  donna  va  per  prenderlo  nel  freno: E  quel  l' aspetta  finché  se  gli  accosta; Poi  spiega  l' ale  per  l'aer  sereno, E  si  ripon  non  lungi  a  mezza  costa. Ella  lo  segue;  e  quel  né  più  né  meno Si  leva  in  aria,  o  non  troppo  si  scosta:Come  fa  la  cornacchia  in  secca  arena. Che  dietro  il  cane  or  qua  or  là  si  mena. 44  Ruggier,  Gradasso,  Sacripante,  e  tutti Quei  cavalier  che  scesi  erano  insieme, Chi  di  su,  chi  di  giù,  si  son  ridutti Dove  che  torni  il  volatore  han  speme. Quel,  poi  che  gli  altri  invano  ebbe  condutti Più  volte  e  sopra  le  cime  supreme E  negli  umidi  fondi  tra  quei  sassi, Presso  a  Ruggiero  alfin  ritenne  i  passi. Stanzi  4S 45  E  questa  ojìera  fu  del  vecchio  Atlante, Di  cui  non  cessa  la  pietosa  voglia Di  trar  Ruggier  del  gran  periglio  instante: Di  ciò  sol  pensa,  e  di  ciò  solo  ha  doglii. Però  gli  manda  or  V  Ippogrifo  avante, Perchè  d'Europa  con  questa  arte  il  toglia. Ruggier  lo  piglia,  e  seco  pensa  trarlo; Ma  quel  s  arretra  e  non  vuol  seguitarlo. 46  Or  di  Frontin  queir  animoso  smonta (Ffoutiuo  era  nomato  il  suo  destriero), E  sopra  quel  che  va  per  Parìa  monta, E  con  li  spron  gli  adizza  il  core  altiero. Quel  corre  alquanto  et  indi  i  piedi  ponta, E  sale  inverso  il  ciel,  via  più  leggiero Che  '1  girfalco,  a  cui  lieva  il  cappello Il  mastro  a  tempo,  e  fa  veder  T augello. 47  La  bella  donna,  che  si  in  alto  vede E  con  tauto  perìglio  il  suo  Ruggiero, Resta  attoniti  in  modo,  che  non  rìede Per  lungo  spazio  al  sentimento  vero. Ciò  che  già  inteso  avea  di  Ganimede, Olì'  al  ciel  fu  assunto  dal  paterno  impero Dubita  assai  che  non  acca  la  a  quello, Non  men  gentil  di  Ganimede  e  bello. 48 Con  gli  occhi  fissi  al  ciel  lo  segue  quinto Basta  il  veder;  ma  poiché  si  dilegua Si,  che  la  vista  non  può  correr  tanto, Lascia  che  sempre  T  animo  lo  segua. Tuttavia  con  sospir,  gemito  e  pianto Non  ha,  né  vuol  aver  pace  né  triegu  u Poi  che  Ruggier  di  vista  se  le  tolse, Al  buon  destrier  Frontin  gli  occhi  rivolse; 49  E  si  deliberò  di  non  lasciarlo Che  fosse  in  preda  a  chi  venisse  prima; Ma  di  condurlo  seco,  e  di  poi  darlo Al  suo  signor,  ch  anco  veder  pur  stim  i. Pogg'a  r  augel,  né  può  Ruggier  frenarlo:Di  sotto  rimaner  vede  ogni  cima Ed  abb issarsi  in  guisa,  che  non  sco'ge Dove  è  piaio  il  trren,  né  dove  sorge. 50  Poi  che  si  ad  alto  vien,  eh' un  picciol  punto Lo  può  stimar  chi  dalla  terra  il  mira, Prende  la  via  verio  ove  cade  appunto Il  Sol  quanlo  col  Granchio  si  raggira'; E  per  r  aria  ne  va  come  legno  unto, A  cui  nel  mar  propizio  vento  spira. Lasciamlo  andar,  che  farà  buon  cammino; E  torniamo  a  Rinaldo  paladino. 51     Binaldo  l'altro  e  T altro  giorno  scorse, Spinto  dal  vento,  un  gran  spazio  di  mare, Quando  a  Ponente  e  nando  contra  POrse, Che  notte  e  dì  non  cessi  mai  soffiare. Sopra  la  Scozia  ultimamente  sorse, Dove  la  selva  Calidonia  appare, Che  spesso  fra  gli  antiqui  ombrosi  cerri S  ode  sonar  di  bellicosi  ferri. 57    E  se  del  tuo  valor  cerchi  far  prova, T'  è  preparata  la  più  degna  impresa Che  nell'antiqua  etade  o  nella  nova Giammai  da  cavalier  sia  stata  presa. La  figlia  del  Re  nostro  or  si  ritrova Bisognosa  d'aiuto  e  di  difesa Contra  un  baron  che  Lurcanio  si  chiama. Che  tor  le  cerca  e  la  vita  e  la  fama. 52  Vanno  per  quella  i  cavalieri  erranti, Incliti  in  arme,  di  tutta  Bretagna, E  de'  prossimi  luoghi  e  de'  distanti Di  Francia,  di  Norvegia  e  di  Lamagna. Chi  non  ha  gran  valor  non  vada  innanti; Che  dove  cerca  onor,  morte  guadagna. Gran  cose  in  essa  già  fece  Tristano, Landlotto,  Galasso,  Artù  e  Galvano. 53  Ed  altri  cavalieri  e  della  nova E  della  vecchia  Tavola  famosi:Restano  ancor  di  più  d'una  lor  prova Li  monumenti  e  li  trofei  pomposi. L'arme  Binaldo  e  il  suo  Baiardo  trova, E  tosto  si  fa  por  nei  liti  ombrosi, E  al  nocchier  comanda  ohe  si  spicche, E  lo  vada  aspettar  a  Beroicche. 54  Senza  scudiero  e  senza  compagnia Va  il  cavalier  per  quella  selva  immensa, Facendo  or  una  ed  or  un'altra  via, Dove  più  aver  strane  avventure  pensa. Capitò  il  primo  giorno  a  una  badia Che  buona  parte  del  suo  aver  dispensa In  onorar  nel  suo  cenobio  adomo Le  donne  e  i  cavalier  che  vanno  attorno. 58  Questo  Lurcanio  al  padre  l'ba  accusata (Forse  per  odio  più  che  per  ragione) Averla  a  mezza  notte  ritrovata Trarr' un  suo  amante  a  sé  sopra  un  verone. Per  le  leggi  del  regno  condannata Al  foco  fia,  se  non  trova  campione Che  fra  un  mese,  oggimai  presso  a  finire, L'iniquo  accusator  &ccia  mentire. 59  L' aspra  legge  di  Scozia,  empia  e  severa, Vuol  eh'  ogni  donna,  e  di  ciascuna  sorte . Ch'  ad  uom  si  giunga  e  non  gli  sia  mogliera, S' accusata  ne  viene,  abbia  la  morte. Né  riparar  si  può  ch'ella  non  pera, Quando  per  lei  non  venga  un  guerrier  forte Che  tolga  la  difesa,  e  che  sostegna Che  sia  innocente  e  di  morire  indegna. 60  II  re,  dolente  per  Ginevra  bella (Che  così  nominata  è  la  sua  figlia), Ha  pubblicato  per  città  e  castella, Che  s' alcun  la  difesa  di  lei  piglia, E  che  l'estingua  la  calunnia  fella (Purché  sia  nato  di  nobil  famiglia), L' avrà  per  moglie,  ed  uno  stato,  quale Fia  convenevol  dote  a  donna  tale. 55  Bella  accoglienza  i  monachi  e  l'Abbate Fero  a  Rinaldo,  il  qual  domandò  loro (Non  prima  già  che  con  vivande  grate Avesse  avuto  il  ventre  ampio  ristoro) Come  dai  cavalier  sien  ritrovate       Spesso  avventure  per  quel  tenitoro, Dove  si  possa  in  qualche  fatto  egregio L'uom  dimostrar,  se  merta  biasmo  o  pregio. 56  Risposongli,  eh'  errando  in  quelli  boschi, Trovar  potria  strane  avventure  e  molte: Ma  come  i  luoghi,  i  fati  ancor  son  foschi; Che  non  se  n'ha  notizia  le  più  volte. Cerca,  diceano,  andar  dove  conoschi Che  Topre  tue  non  restino  sepolte, Acciò  dietro  al  periglio  e  alla  fatica Segua  la  fama,  e  il  debito  ne  dica. 61  Ma  se,  fra  un  mese,  alcun  per  lei  non  viene, 0  venendo  non  vince,  sarà  uccisa. Simile  impresa  meglio  ti  conviene, Ch'  andar  pei  boschi  errando  a  questa  guisa, Oltre  eh' onor  e  fama  te  n'avviene, Ch'  in  eterno  da  te  non  fia  divisa, Guadagni  il  fior  di  quante  belle  donne Dall'Indo  sono  all' atlantée  colonne; 62  E  una  ricchezza  appresso,  ed  uno  stato Che  sempre  far  ti  può  viver  contento  j E  la  grazia  del  Re,  se  suscitato Per  te  gli  fia  il  suo  onor,  che  è  quasi  spento. Poi  per  cavalleria  tu  se'  ubbligato A  vendicar  di  tanto  tradimento Costei  che,  per  comune  opinione, Di  vera  pudicizia  è  un  paragone. Stanza  51, 63    Pensò  Rinaldo  alquanto,  e  poi  riipose:Una  donzella  dunque  de  morire Perchè  lasciò  sfogar  neir  amorose Sue  braccia  al  suo  amator  tanto  desire? Sia  maladetto  chi  tal  legge  pose, £  maladetto  chi  la  può  patire Debitamente  muore  una  crudele, Non  chi  dà  vita  al  suo  amator  fedele. "4    Sia  vero  o  falso  che  Ginevra  tolto S'abbia  il  suo  amaute,  io  non  riguardo  a  questo: D'averlo  fatto  la  loderei  molto, Quando  non  fosse  stato  manifesto. Ho  in  sua  difesa  oni  pensier  rivolto: Datemi  pur  un  che  ujì  guidi  presto, E  dove  pia  Paccusator  mi  mene; Ch'  io  ppero  in  Dio,  G nevra  trar  di  pene. IV. 57 65     Non  vo'già  dir  chella  non  l'abbia  fatto; Che,  noi  sappiendo,  il  falso  dir  potrei:Dirò  ben,  che  non  de' per  simil  atto Panizì'on  cadere  alcuna  in  lei; E  dirò,  che  fu  ingiusto  o  che  fu  matto Chi  fece  prima  gli  statuti  rei; E  come  iniqui  rivocar  si  denno, E  nuova  legge  far  con  miglior  senno. 70    Ma  lagrimosa  e  addolorata  quanto Donna  o  donzella,  o  mai  persona  fosse. Le  sono  dui  col  ferro  nudo  accanto, Per  farle  far  l'erbe  di  sangue  rosse. Ella  con  preghi  differendo  alquanto GìvÀ  il  morir,  sinché  pietà  si  mosse. Venne  Rinaldo,  e,  come  se  u'  accorse, Con  alti  gridi  e  gran  minacce  accorse. 66  Se  un  medesimo  ardor,  s'un  disir  pare Inchina  e  sforza  V  uno  e  V  altro  sesso A  quel  soave  fin  d'amor,  che  pare All' ignorante  vulgo  un  grave  eccesso; Perchè  si  de'  punir  donna  o  biasmare, Che  con  uno  o  più  d'uno  abbia  commesso Quel  che  l'uom  fa  con  quante  n'ha  appetito, E  lodato  ne  va,  non  che  impunito? 67  Son  fatti  in  questa  legge  disuguale Veramente  alle  donne  espressi  torti; E  spero  in  Dio  mostrar  ch'egli  è  gran  male Che  tanto  lungamente  si  comporti. Rinaldo  ebbe  il  consenso  universale, Che  fur  gli  antiqui  ingiusti  e  male  accorti, Che  consentirò  a  così  iniqua  legge; E  mal  fa  il  Re,  che  può,  né  la  corregge. 68  Poi  che  la  luce  candida  e  vermiglia Dell' altro  giorno  aperse  l'emispero, Rinaldo  l'arme  e  il  suo  Boiardo  piglia, E  di  quella  badia  tolle  un  scudiero, Che  con  lui  viene  a  molte  leghe  e  miglia, Sempre  nel  bosco  orribilmente  fiero, Verfo  la  terra  ove  la  lite  nuova. Della  donzella  de' venir  in  pruova. 69  Avean,  cercando  abbreviar  cammino, •  Lasciato  pel  sentier  la  maggior  via; Quando  un  gran  pianto  udir  sonar  vicino. Che  la  foresta  d'ogn' intorno  empia. Baiardo  spinse  l'un,  l'altro  il  ronzino Verso  una  valle,  onde  quel  grido  uscia; E  fra  dui  mascalzoni  una  donzella Vider,  che  di  lontan  parea  assai  bella; Stmza  71. 71     Voltaro  i  malandrin  tosto  le  spalle, Che  '1  soccorso  lontan  vider  venire, E  si  appiattar  nella  profonda  valle. Il  Paladin  non  li  curò  seguire: Venne  alla  donna,  e,  qnal  gran  colpa  dàlieTanta  punizion  cerca  d'udire; £,  per  tempo  avanzar,  fa  allo  scudiero Levarla  in  groppa,  e  torn%  al  suo  sentiero. 72    E  cavalcando  poi  meglio  la  guata Molto  esser  bella  e  di  maniere  accorte, Ancorché  fosse  tutta  spaventata Per  la  paura  ch'ebbe  della  morte. Poi  ch'ella  fu  di  nuovo  domandata Chi  r  avea  tratta  a  si  infelice  sorte, Incominciò  con  umil  voce  a  dire Quel  ch'io  vo' all'altro  canto  differire. N  ot: St.  11.  V.2.   Pirene,  i  Pirenfli. v.5.  n  Mar  Schiavo, rAdiiatico;  e  il  mar  Tosco,  il  Tirreno. St.  13.  V.2,   È  la  sinopia  una  terra  rossa,  così detta  dall'essere  stata  trovata  in  Sinope,  città  dell'Asia Uinore;  e  tuttavìa  l'usano  i  legnaiaoli  tingendone  un filo  per  segnare  dirittamente  le  loro  linee. St.  18.  V.7.   Monti  Rifei,  oggi  diconsi  Monti  UralL St.  40.  V.14.   I  qui  nominati  furono  cavalieri  cri stiani fatti  prigionieri  di  Ifonodante  insieme  a  Rinaldo ed  altri  in  un  castello  dell'Oriente. St.  46.  V.12.   Frontino  era  cavallo  di  Sacripante, rubatogli  da  Brunello  che  lo  diede  poi  a  Ruggiero. St.  47.  V.56.   Ganimede,  figlio  di  Troio  re  d'Ilio, fb  portato  in  cielo  da  Giove  trasformatosi  in  aquila. St.  50.  V.34.   Intende  la  vìa  verso  le  Indie  Orie" tali,  perpendioolai'e  alle  quali  sembra  il  sole  quando   nel  segno  del  granchio  o  cancro,  cioè  nel  solstizio estivo,  a  chi  lo  guarda  da  ponente. St.  5L  V.6.   Sélva  Calidonia.  Questa  selva  occu pava anticamente  una  vastissima  parte  deOa  Scozia settentrionale. St.  53.  V.8.   Beroicche  (ossia  Bertnek)  capital? di  una  contea  meridionale  della  Scozia. St.  61.  V.8.   Le  colonne  atlantee,  dette  altresì  co lonne d'Ercole,  sono  i  due  promontoij  che  formano  Io stretto  di  Gibilterra;  e  la  locuzione  intiera  significa  da levante  a  ponente. Stanza  57. V. ARGOMENTO. l>:iUHÌa  jvalesa  a  Rinato  b  trama  oidiJa  dal  ano  binante  PolineiiSo a  daiirtu  Ai  Oìnevra,  lOiidantifttA  a  morire,  ip  ncni  sì  offri'  chi la  dìretida contro  Lurraiiio  che!  ImafPOmtadi  disonestà  rrìnaldo in  ri  rii  avi  tRipo  chiuso,  quauiio  ajtiiEinlo  Liucanio  ave  co  miniLiitt"  li  t'<imbfUter&  con  un  tiavalire  scoìioac  tu  lo,  presentatosi  a diftnileela  princìpesaa;  fa  aoa  pender:  h  pngna,  manifesta  V  ingannatore, e  gli  fa  donfesaaic  il  lIcIìciOh Tutti  gli  altri  aDÌmai  €he  ìjoiio  in  terra t)  che  vÌYOu  quieti  e  stanno  in  pRce   O  se  Tengono  a  rissa  e  sì  fan  giierrsiT Alla  fé mn lina  il  tnaseUio  ufn  la  face L'irsa  rrjii  Torso  al  bosco  sicura  erra: La  leonessa  appresso  il  leon  giace; Col  lupo  vive  la  lupa  sicura, Nò  la  giuveuca  ha  del  torci  paura. 2  Che  abbominevol  peste,  che  Megera É  venuta  a  turbar  gli  umani  petti?Che  si  sente  il  marito  e  la  mogliera Sempre  garrir  d'ingiuriosi  detti, Stracciar  la  faccia  e  far  livida  e  nera, Bagnar  di  pianto  i  geniali  letti; E  non  di  pianto  sol,  ma  alcuna  volta Di  sangue  gli  hi  bagnati  Pira  ."tolta. stanza  9. Farmi  non  sol  gran  mal,  ma  che  Tuom  faccia Centra  natura  e  sìa  di  Dio  ribello, Che  s' induce  a  percuotere  la  faccia Di  belhi  donna,  o  romperle  uu  capello; Ma  chi  le  dà  veneno,  o  chi  le  caccia L'alma  del  corpo  con  laccio  o  coltello, Ch'  uomo  sia  quel  non  crederò  in  eterno, Ma  in  vista  umana  un  spirto  dell' inferno. Co  tali  esser  doveano  1  duo  ladroni Che  Rinaldo  cacciò  dalla  donzella, Da  lor  condotta  in  quei  scuri  valloni, Perchè  non  se  n'udisse  più  novella. Io  lasciai  ch'ella  render  le  cagioni S'apparecchiava  di  sua  sorte  fella Al  paladin  che  le  fu  buono  amico: Or,  seguendo  l'istoria    cosi  dico. 5      La  donna  incominciò:  Tu  intenderai La  maggior  crudeltade  e  la  più  espressa, Ch'in  Tebe  e  in  Argo,  o  ch'in  lIicene  mai, 0  in  loco  più  crudel  fosse  commessa. E  se,  rotando  il  Sole  i  chiari  rai, Qui  men  eh'  all' altre  regi'on  s' appressa, Credo  eh' a  noi  mal  volentieri  arrivi, Perchè  veder  si  crudel  gente  schivi'. ti      Ch'  agli  nemici  gli  nomini  sien  crudi, In  ogni  età  se  n'è  veduto  esempio; Ma  dar  la  morte  a  chi  procuri  e  studi Il  tuo  ben  sempre,  è  troppo  ingiusto  ed  empio. E  acciò  che  meglio  il  vero  io  ti  denudi, Perchè  costor  volessero  far  scempio Drgli  anni  verdi  miei  centra  ragione, Ti  dirò  da  principio  ogni  cagione. 7  Voglio  che  sappi,  signor  mio,  eh'  essendo Tenera  ancora,  alli  servigi  venni Della  figlia  del  re,  con  cui  crescendo, Buon  luogo  in  corte  ed  onorato  tenni. Crudele  Amore  al  mio  stato  invidendo, Fé'  che  seguace,  ahi  lassa !  gli  divenni:Fé'  d'ogni  cavalier,  d'ogni  donzello Parermi  il  duca  d'Albania  più  bello. 8  Perchè  egli  mostrò  amarmi  più  che  multo, Io  ad  amar  lui  con  tutto  il  cor  mi  mossi. Ben  s'ode  il  ragionar,  si  vede  il  volto; Ma  dentro  il  petto  mal  giudicar  puossi. Credendo,  amando,  non  cessai  che  tolto L'ebbi  nel  letto;  e  non  gnardai  ch'io  fossi Di  tutte  le  real  camere  in  quella Che  più  secreta  avea  Ginevra  bella; 9  Dove  tenea  le  sue  cose  più  care, E  dove  le  più  volte  ella  dormia. Si  può  di  quella  in  s' un  verone  entrare, Che  fuor  del  muro  al  discoperto  uscia. Io  iacea  il  mio  amator  quivi  montare: E  la  scala  di  corde  onde  salia 10  stessa  dal  veron  giù  gli  mandai, Qual  volta  meco  aver  lo  desiai: 10  Che  tante  volte  ve  lo  fei  venire. Quante  Ginevra  me  ne  diede  l'agio. Che  solca  mutar  letto,  or  per  fuggire 11  tempo  ardente,  or  il  brumai  malvagio. Non  fu  veduto  d'alcun  mai  salire; Però  che  quella  parte  del  palagio Risponde  verso  alcune  case  rotte, Dove  nessun  mai  passa  o  giorno  o  notte. li     Continaò  per  molti  giorni  e  mesi Tra  noi  secreto  V  amoroso  gioco:Sempre  crebbe  l'amore;  e  si  m'accesi, Che  tutta  dentro  io  mi  sentia  di  foco:E  cieca  ne  fai  si,  eh'  io  non  compresi Oh'  egli  fingeva  molto,  e  amaya  poco; Ancor  che  li  suo'  inganni  discoperti Esser  doveanmi  a  mille  segni  certi. 12  Dopo  alcnn  di  si  mostrò  nuovo  amante Della  bella  Ginevra.  Io  non  so  appunto S'  allora  cominciasse,  oppur  innante Dell'amor  mio  n'avesse  il  cor  già  punto. Vedi  s' in  me  venuto  era  arrogante, S' imperio  nel  mio  cor  s' aveva  assunto; Che  mi  scoperse  e  non  ebbe  rossore Chiedermi  aiuto  in  questo  nuovo  amore. 1 3  Ben  mi  dicea  eh'  uguale  al  mio  non  era, Né  vero  amor  quel  eh'  egli  avea  a  costei; Ma  simulando  esserne  acceso,  spera Celebrarne  i  legittimi  imenei. Dal  re  ottenerla  fia  cosa  leggiera, Qualor  vi  sia  la  volontà  di  lei; Che  di  sangue  e  di  stato  in  tutto  il  regno Non  era,  dopo  il  re,  di  lui'l  più  degno. 14  Hi  persuade,  se  per  opra  mia Potesse  al  suo  signor  genero  farsi (Chò  veder  posso  che  se  n'alzeria A  quanto  presso  al  re  possa  uomo  alzarsi), Che  me  n'  avria  buon  merto,  e  non  sana Mai  tanto  beneficio  per  scordarsi; E  ch'alia  moglie  e  eh' ad  ogni  altro  innante Mi  porrebbe  egli  in  sempre  essermi  amante. 15  Io,  ch'era  tutta  a  satis&rgli  intenta. Né  seppi  0  volsi  contraddirgli  mai, £  sol  quei  giorni  io  mi  vidi  contenta, Ch'averlo  compiaciuto  mi  trovai; Piglio  l'occasion  che  s'  appresenta Di  parlar  d'esso  e  di  lodarlo  assai; Ed  ogni  industria  adopro,  ogni  fatica, Per  far  del  mio  amator  Gine  amica. 16  Feci  col  core  e  con  l'effetto  tutto Quel  che  far  si  poteva,  e  sallo  Iddio; Né  con  Ginevra  mai  potei  far  frutto, Ch'  io  le  ponessi  in  grazia  il  duca  mio:E  questo,  che  ad  amar  ella  avea  indulto Tutto  il  pensiero  e  tutto  il  suo  disio Un  gentil  cavalier,  bello  e  cortese, Venuto  in  Scozia  di  lontan  paese; 17    Che  con  un  suo  fratel  ben  giovinetto Venne  d'Italia  a  stare  in  questa  corte: Si  fé' nell'arme  poi  tanto  perfetto, Che  la  Bretagna  non  avea  il  più  forte. Il  re  l'amava,  e  ne  mostrò  l'effetto; Che  gli  donò  di  non  picciola  sorte Castella  e  ville  e  inrisdizì'oni, E  lo  fé' grande  al  par  dei  gran  baroni. Stanza  23. 18  Grato  era  al  re,  più  grato  era  alla  figlia Quel  cavalier,  chiamato  Arredante, Per  esser  valoroso  a  maraviglia; Ma  più,  eh'  ella  sapea  che  l'era  amante. Né  Vesuvio,  né  il  monte  di  Siciglia, Né  Troia  avvampò  mai  di  fiamme  tante, Quante  ella  conoscea  che  per  suo  amore Arìodante  ardea  per  tutto  il  core. 19  L'amar  che  dunque  ella  facea  colui Con  cor  sincero  e  con  perfetta  fede, Fé'  che  pel  duca  male  udita  fui; Né  mai  risposta  da  sperar  mi  diede. Anzi  quanto  io  pregava  più  per  lui, E  gli  studiava  d'impetrar  mercede, Ella,  biasmandol  sempre  e  dispregiando, Se  11  venia  più  sempre  inimicando. 20  Io  confortai  l'amator  mìo  sovente, Che  volesse  lasciar  la  vana  impresa; Né  si  sperasse  mai  volger  la  mente Di  costei,  troppo  ad  altro  amore  intesa: E  gli  feci  conoscer  chiaramente, Come  era  sì  d'Arìodante  accesa, Che  qunnt' acqua  è  nel  mar,  pìccola  dramma Non  spegneria  della  sua  immensa  fiamma. 21  Questo  da  me  più  volte  Polinesso (Che  cosi  nome  ha  il  duca)  avendo  udito, E  ben  compreso  e  visto  per  sé  stesso Che  molto  male  era  il  suo  amor  gradito; Non  pur  di  tanto  amor  sì  fu  rimesso, Ma  di  veers  un  altro  preferito, Come  superbo,  così  mal  sofferse, Che  tutto  in  ira  e  in  odio  si  converse. 26  Così  diss'eglL  Io,  che  divisa  e  scevra E  lungi  era  da  me,  non  posi  mente Che  questo,  in  che  pregando  egli  persevr4 . Era  una  frauda  pur  troppo  evidente; E  dal  veron,  coi  panni  di  Ginevra, Mandai  la  scala  onde  salì  sovente; E  non  m' accorsi  prima  dell' inganno, Che  n'era  già  tutto  accaduto  il  danno. 27  Fatto  in  quel  tempo  con  ArTodante Il  duca  avea  queste  parole  o  tali (Che  grandi  amici  erano  stati  innante Che  per  Ginevra  si  fesson  rivali):Mi  maraviglio,  incominciò  il  mio  amante, Ch'avendoti  io  fra  tutti  li  mie' ugnali Sempre  avuto  in  rispetto  e  sempre  amato, Ch'io  sia  da  te  si  mal  rimunerato. 22  E  tra  Ginevra  e  P  amator  suo  pensa Tanta  discordia  e  tanta  lite  porre, E  farvi  inimicizia  cosi  intensa, Che  mai  più  non  si  possino  comporre; E  por  Ginevra  in  ignominia  immensa, Donde  non  s' abbia  o  viva  o  morta  a  tórre:Né  dell'iniquo  suo  disegno  meco Volse  0  con  altri  ragionar,  che  seco. 23  Fatto  il  pensieri  Dalinda  mia,  mi  dice (Che  così  son  nomata),  saper  dèi Che,  come  suol  tornar  dalla  radice Arbor  che  tronchi  e  quattro  volte  e  sei; Cosi  la  pertinacia  mia  infelice, Benché  sia  tronca  dai  successi  rei, Di  germogliar  non  resta;  che  venire Pur  vorria  a  fin  di  questo  suo  desire. 24  E  non  lo  bramo  tanto  per  diletto, Quanto  perchè  vorrei  vincer  la  prova; E  non  possendo  farlo  con  effetto, S' io  Io  fo  immaginando,  anco  mi  giova. Voglio,  qual  volta  tu  mi  dai  ricetto, Quando  allora  Ginevra  si  ritrova Nuda  nel  letto,  che  pigli  ogni  vesta Ch'ella  posta  abbia,  e  tutta  te  ne  vesta. 25  Com'ella  s'orna  e  come  il  crin  dispone Studia  imitarla,  e  cerca,  il  più  che  sai. Di  parer  dessa;  e  poi  sopra  il  verone A  mandar  giù  la  scala  ne  verrai. Io  verrò  a  te  con  immaginazione Che  quella  sii  di  cui  tu  i  panni  avrai:E  così  spero,  me  stesso  ingannando, Venir  in  breve  il  mio  desir  scemando. 28  Io  son  ben  certo  che  comprendi  e  sdi Di  Ginevra  e  di  me  1'  antiquo  amore; E  per  sposa  legittima  oggimai Per  impetrarla  son  dal  mio  signore. Perchè  mi  turbi  tu?  perchè  pur  vai Senza  frutto  in  costei  ponendo  il  core? Io  ben  a  te  rispetto  avrei,  per  Dio, S' io  nel  tuo  grado  fossi,  e  tu  nel  mio. 29  Ed  io,  rispose  Ariodante  a  lui, Di  te  mi  maraviglio  maggiormente; Che  dì  lei  prima  innamorato  fui, Che  tu  l'avessi  vista  solamente: E  so  che  sai  quanto  è  l'amor  tra  nui, Ch'esser  non  può  di  quel  che  sia,  più  ardente: E  sol  d'essermi  moglie  intende  e  brama:E  so  che  certo  sai  ch'ella  non  t'ama. 30  Perchè  non  hai  tu  dunque  a  me  il  rispetto Per  l'amicizia  nostra,  che  domande Ch'a  te  aver  debba,  e  ch'io  t'avre'in  efifettu, Se  tu  fossi  con  lei  di  me  più  grande? Né  men  di  te  per  moglie  averla  aspetto, Sebben  tu  sei  più  ricco  in  queste  bande:Io  non  son  meno  al  re,  che  tu  sia,  grato; Ma  più  di  tedalla  sua  figlia  amato. 31  Oh,  disse  il  duca  a  lui,  grande  è  cotesto Errore,  a  che  t'ha  il  folle  amor  condutto! Tu  credi  esser  più  amato;  io  credo  questo Medesmo: ma  si  può  vedere  al  frutto. Tu  fammi  ciò  e'  hai  seco  manifesto, El  io  il  secreto  mio  t'aprirò  tutto; E  quel  di  noi  che  manco  aver  si  veggia, Ceda  a  chi  vince,  e  d'altro  si  provvegia. 32  E  sarò  pronto,  se  tu  vuoi  ch'io  giuri, Di  non  dir  cosa  mai  che  mi  riveli:Così  voglio  eh' ancor  tu  m'assicuri Che  quel  ch'io  ti  dirò,  sempre  mi  ceb. Venner  dunque  d'accordo  agli  scongiuri, E  posero  le  man  sugli  Evacui; E,  poiché  di  tacer  fede  si  diero, Arifodante  incominciò  primiero; 33  E  disse  per  lo  giusto  e  per  lo  dritto, Come  tra  sé  e  Ginevra  era  la  cosa: Ch  "Ila  gli  avea  giurato  e  a  bocca  e  in  scritto, Che  mai  non  saria  ad  altri,  eh'  a  lui,  sposa; E  se  dal  re  le  venia  contradditto, Gli  promettea  di  sempre  esser  ritrosa Da  tutti  gli  altri  maritaggi  poi, E  viver  sola  in  tutti  i  giorni  suoi:34  E  ch'esso  era  in  speranza,  pel  valore Ch'  avea  mostrato  in  arme  a  più  d'un  segno, Ed  era  per  mostrare  a  laude,  a  onore, A  beneficio  del  re  e  del  suo  regno, Di  crescer  tanto  in  grazia  al  suo  signore, Che  sarebbe  da  lui  stimato  degno Che  la  figliuola  sua  per  moglie  avesse, Poi  che  piacer  a  lei  cosi  intendesse. 38  Non  passa  mese,  che  tre,  quattro  e  sei, E  talor  dìece  notti  io  non  mi  trovi Nudo  abbracciato  in  quel  piacer  con  lei, Ch' all'amoroso  arder  par  che  si  giovi: Si  che  tu  puoi  veder  s' a' piacer  miei Son  d'agguagliar  le  ciance  che  tu  provi. Cedimi  dunque,  e  d'altro  ti  provvedi, Poiché  sì  inferìor  di  me  ti  vedi. 39  Non  ti  vo' creder  questo,  gli  rispose Anodante,  e  certo  so  che  menti; E  composto  fra  te  t' hai  queste  cose, Acciò  che  dall' impresa  io  mi  spaventi:Ma  perchè  a  lei  son  troppo  iDgiurìose, Questo  ch'hai  detto  sostener  convienti; Che  non  bugiardo  sol,  ma  voglio  ancora Che  tu  sei  traditor  mostrarti  or  ora. 40  Soggiunse  il  duca:  Non  sarebbe  onesto Che  noi  volessim  la  battaglia  tórre Di  quel  che  t' offerisco  manifesto, Quando  ti  piaccia,  innanzi  agli  occhi  porre. Resta  smarrito  Anodante  a  questo, E  per  l'ossa  un  tremor  freddo  gli  scorre:E  se  creduto  ben  gli  avesse  appieno, Venia  sua  vita  allora  allora  meno. 35  Poi  disse:  A  questo  termine  son  io, Né  credo  già  eh'  alcun  mi  venga  appresso; Né  cerco  più  di  questo,  né  desio Dell' amor  d'essa  aver  segno  più  espresso; Né  più  vorrei,  se  non  quanto  da  Dio Per  connubio  legittimo  è  concesso; E  saria  invano  il  dimandar  più  innanzi; Che  di  bontà  so  come  ogni  altra  avanzi. 36  Poi  ch'ebbe  il  vero  Ariodante  esposto Della  mercè  eh'  aspetta  a  sua  fatica, Polinesso,  che  già  s' avea  proposto Di  far  Ginevra  al  suo  amator  nemica, Cominciò: Sei  da  me  molto  discosto, E  vo'  che  di  tua  bocca  anco  tu  '1  dica; E  del  mìo  ben  veduta  la  radice, Che  confessi  me  solo  esser  felice.' 41  Con  cor  trafitto  e  eoa  pallida  faccia, E  con  voce  tremante  e  bocca  amara, Rispose: Quando  sia  che  tu  mi  faccia Veder  quest'avventura  tua  si  rara, Prometto  di  costei  lasciar  la  traccia, A  te  si  liberale,  a  me  sì  avara:Ma  eh'  io  tei  voglia  creder  non  far  stima, S'io  non  lo  veggio  con  questi  occhi  prima. 42  Quando  ne  sarà  il  tempo,  awiserotti, Soggiunse  Polinesso;  e  dipartisse. Non  credo  che  passar  più  di  due  notti, Ch'ordine  fu  che'l  duca  a  me  venisse. Per  scoccar  dunque  i  lacci  che  condotti Avea  si  cheti,  andò  al  rivale,  e  disse Che  s'ascondesse  la  notte  seguente Tra  quelle  case,  ove  non  sta  mai  gente. 37    Finge  ella  teco,  né  t' ama  né  prezza; Che  ti  pasce  di  speme  e  di  parole:Oltra  questo,  il  tuo  amor  sempre  a  sciocchezza, Quando  meco  ragiona,  imputar  suole. Io  ben  d'esserle  caro  altra  certezza Veduta  n'  ho,  che  di  promesse  e  fole; E  tei  dirò  sotto  la  fé  in  secreto, Benché  farei  più  il  debito  a  star  cheto. 43    E  dimostrògli  un  luogo  a  dirimpetto Di  quel  verone  ove  solca  salire. Ariodante  avea  preso  sospetto Che  lo  cercasse  far  quivi  venire. Come  in  un  luogo  dove  avesse  eletto Di  por  gli  agguati,  e  farvelo  morire Sotto  questa  finzion,  che  vuol  mostrargli Quel  di  Ginevra,  eh' impossibil  pargli. 44  Di  voletvi  venir  prese  partito, Ma  in  guisa  che  di  lai  non  sia  men  forte; Perchè  accadendo  che  fosse  assalito, Si  trovi  si  che  non  tema  di  morte. Un  suo  fratello  avea  saggio  ed  ardito, n  più  famoso  in  arme  della  corte, Detto  Lurcanio;  e  avea  più  cor  con  esso, Che  se  dieci  altri  avesse  avuto  appresso. 45  Seco  chiaraoUo,  e  volse  che  prendesse L'arme;  e  là  notte  lo  menò  con  lui:Non  che  1  secreto  suo  già  gli  dicesse; Né  r  avria  detto  ad  esso,  né  ad  altrui. Da  sé  lontano  un  trar  di  pietra  il  messe; Se  mi  senti  chiamar,  vien,  disse,  a  nui; Ma  se  non  senti,  prima  ch'io  ti  chiami, Non  ti  partir  di  qui,  frate,  se  m' ami. 46  Va  pur  non  duhitar,  disse  il  fratello:E  cosi  venne  Ariodante  cheto; E  si  celò  nel  solitario  ostello Ch'  era  d'incontro  al  mio  veron  secreto. Vien  d'altra  parte  il  fraudolente  e  fello; Che  d'infamar  Ginevra  era  si  lieto; E  fa  il  segno,  tra  noi  solito  innante, A  me  che  dell'inganno  era  ignorante. 47  Ed  io  con  veste  candida,  e  fregiata Per  mezzo  a  liste  d'oro  e  d'ognintorno, E  con  rete  pur  d'ór,  tutta  adombrata Di  bei  fiocchi  vermigli,  al  capo  intorno (Foggia  che  sol  fu  dà  Ginevra  usata, Non  d'alcun'  altra);  udito  il  segno,  tomo Sopra  il  veron,  eh'  in  modo  era  locato, Che  mi  scopria  dinanzi  e  d'ogni  lato. 48  Lurcanio  in  questo  mezzo  dubitando Che  '1  fratello  a  pericolo  non  vada, 0,  come  è  pur  comun  disio,  cercando Di  spiar  sempre  ciò  che  ad  altri  accada; L'era  pian  pian  venuto  seguitando, Tenendo  l'ombre  e  la  più  oscura  strada: E  a  men  di  dieci  passi  a  lui  discosto, Nel  medesimo  ostel  s'era  riposto. 50    E  tanto  più,  ch'era  gran  spazio  in Fra  dove  io  venni  e  quelle  inculte  case. Ai  due  fratelli,  che  stavano  al  rezzo, Il  duca  agevolmente  persuase Quel  ch'era  falso.  Or  pensa  in  che  ribreaczìG Ariodante,  in  che  dolor  rimase. Vien  Polinesso,  e  alla  scala  s' appoga, Che  giù  manda' gli;  e  monta  in  su  la  loggia. 61    A  prima  giunta  io  gli  getto  le  braccia Al  collo;  eh'  io  non  penso  esser  veduta:Lo  bacio  in  bocca  e  per  tutta  la  faccia  • Come  far  soglio  ad  ogni  sua  venata. Egli  più  dell'usato  si  procaccia D' accarezzarmi,  e  la  sua  f rande  aiuta, Quell' altro  al  rio  spettacolo  condutto, Misero  sta  lontano,  e  vede  il  tutto. 52    Cade  in  tanto  dolor,  che  si  dispone Allora  allora  di  voler  morire; E  il  pome  della  spada  in  terra  pone, Che  su  la  punta  si  volea  ferire. Lurcanio,  che  con  grande  ammirazione Avea  veduto  il  duca  a  me  salire, Ma  non  già  conosciuto  chi  si  fosse, Scorgendo  l'atto  del  fratel,  si  mosse; 63  E  gli  vietò  che  con  la  propria  mano Non  si  passasse  in  quel  furore  il  petto. S' era  più  tardo,  o  poco  più  lontano, Non  giugnea  a  tempo,  e  non  fòceva  effetto. Ah  m'sero  fratel,  fratello  insano, Gridò,  perch'  hai  perduto  l'intelletto, Ch'una  femmina  a  morte  trar  ti  debbia? Ch'ir  possan  tutte  come  al  vento  nebbia. 64  Cerca  far  morir  lei,  che  morir  merta; E  serva  a  più  tuo  onor  tu  la  tua  morte. Fu  d'amar  lei,  quando  non  t' era  aperta La  fraude  sua: or  è  da  odiar  ben  forte; Poiché  con  gli  occhi  tuoi  tu  vedi  certa, Quanto  sia  meretrice,  e  di  che  sorte. Serba  quest'  arme,  che  volti  in  te  stesso, A  far  dinanzi  al  re  tal  fallo  espresso. 49    Non  sappiendo  io  di  questo  cosa  alcuna, Venni  al  veron  nell' abito  e'  ho  detto; Si  come  già  venuta  era  più  d'una E  più  di  due  fiate  a  buono  effetto. Le  vesti  si  vedean  chiare  alla  luna; Né  dissimile  essendo  anch'  io  d'aspetto Né  di  persona  da  Ginevra  molto. Fece  parere  un  per  un  altro  il  volto:55    Quando  si  vede  Ariodante  giunto Sopra  il  fratel,  la  dura  impresa  lascia; Ma  la  sua  intenzì'on  da  quel  ch'assunto Avea  già  di  morir,  poco  s'accascia. Quindi  si  lieva,  e  porta  non  che  punto, Ma  trapassato  il  cor  d'estrema  ambascia: Pur  finge  col  fratel,  che  quel  furore Non  abbia  più,  che  dianzi  avea,  nel  core. 66     n  seguente  mattin,  senza  far  motto Al  sao  fratello  o  ad  altri,  in  via  si  messe, Dalla  mortai  disperazion  condotto: Né  di  lui  per  più  di  fd  chi  sapesse. Fuorché  '1  duca  e  il  fratello,  ogni  altro  indotto Era  chi  mosso  al  dipartir  P  avesse. Nella  casa  del  re  di  lui  diversi Ragionamenti,  e  in  tutta  Scozia  férsi. 57  In  capo  d'otto  o  di  più  giorni  in  corte Venne  innanzi  a  Ginevra  nn  viandante, E  novelle  arrecò  di  mala  sorte: Che  s' era  in  mar  sommerso  Arì'odante Di  volontaria  sua  lihera  morte, Non  per  colpa  di  Borea  o  di  Levante. Dmi  sasso  che  sul  mar  sporgea'molt  alto Avea  col  capo  in  giù  preso  nn  gran  salto. 58  Colui  dicea: Pria  che 'venisse  a  questo, A  me,  che  a  caso  riscontrò  per  via, Disse:  Yien  meco,  acciò  che  manifesto Per  te  a  Ginevra  il  mio  successo  sia; E  dille  poi,  che  la  cagion  del  resto Che  tu  vedrai  di  me  di'  or  ora  fia, È  stato  sol  perch'ho  troppo  veduto: Felice,  se  senza  occhi  io  fussi  suto ! 59  Eramo  a  caso  sopra  Capohasso, Che  varso  Irlanda  alquanto  sporge  in  mare. Cosi  dicendo,  di  cima  d'un  sasso Lo  vidi  a  capo  in  giù  sott'acqua  andare. Io  lo  lasciai  nel  mare,  ed  a  gran  passo Ti  8on  venuto  la  nuova  a  portare. Ginevra,  shigottita  e  in  viso  smorta, Rimase  a  quell' annunzio  mezza  morta. 60  Oh  Dio,  che  disse  e  fece  poi  che  sola Si  ritrovò  nel  suo  fidato  letto ! Percosse  il  seno,  e  si  stracciò  la  stola, E  fece  all' aureo  crin  danno  e  dispetto; Ripetendo  sovente  la  parola Ch'Ariodante  avea  in  estremo  detto: Che  la  cagion  del  suo  caso  empio  e  tristo Tutta  venia  per  aver  troppo  visto. 61  n  rumor  scorse  di  costui  per  tutto. Che  per  dolor  s'avea  dato  la  morte. Di  questo  il  re  non  tenne  il  viso  asciutto. Né  cavalier  né  donna  della  corte. Di  tatti  il  suo  fratel  mostrò  più  lutto; £  si  sommerse  nel  dolor  si  forte, Ch'  ad  esempio  di  lui,  centra  sé  stesso Voltò  quasi  la  man,  per  irgli  appresso:Stanca  51. 2    E  molte  volte  ripetendo  seco, Che  fu  Ginevra  che  il  fratel  gli  estinse, E  che  non  fu  se  non  quell'atto  bieco Che  di  lei  vide,  eh' a  morir  lo  spinse; Di  voler  vendicarsene  si  cieco Venne,  e  sì  l'ira  e  si  '1  dolor  lo  vinse . Che  di  perder  la  grazia  vilipese, Ed  aver  l'odio  del  re  e  del  paese: 63  E  innanzi  al  re,  quando  era  più  di  gente La  sala  piena,  se  ne  venne,  e  disse:Sappi,  signor,  che  di  levar  la  mente Al  mio  fratel,  si  ch  a  morir  ne  gisse, Stata  è  la  figlia  tua  sola  nocente; Cha  lui  tanto  dolor  Palma  trafisse D  aver  veduta  lei  poco  pudica, Che  più  che  vita  ebbe  la  morte  amica. 64  Erane  amante;  e  perchè  le  sue  voglie Disoneste  non  fur,  noi  vo  coprire. Per  virtù  meritarla  aver  per  moglie Pa  te  sperava,  e  per  fedel  servire; Ma,  mentre  il  lasso  ad  odorar  le  foglie Stava  lontano,  altrui  vide  salire, Salir  su  r  arbor  riserbato,  e  tutto Essergli  tolto  il  desiato  frutto. 65  E  seguitò,  come  egli  avea  veduto Venir  Ginevra  sul  verone,  e  come Mandò  la  scala,  onde  era  a  lei  venuto Un  drudo  suo,  di  chi  egli  non  sa  il  nome: Che  savea,  per  non  esser  conosciuto, Cambiati  i  panni  e  nascose  le  chiome. Soggiunse,  che  con  Tarme  egli  volea Provar,  tutto  esser  ver  ciò  che  dicea. 66  Tu  puoi  pensar  se  U  padre  addolorato Riman,  quando  accusar  sente  la  figlia; Sì  perchè  ode  di  lei  quel  che  pensato Mai  non  avrebbe,  e  n'ha  gran  maraviglia; Si  perchè  sa  che  fia  necessitato (Se  la  difesa  alcun  guerrier  non  piglia, n  qual  Lurcanio  possa  far  mentire) Di  condannarla  e  di  farla  morire. 67  Io  non  credo,  signor,  che  ti  sia  nova La  legge  nostra,  che  condanna  a  morte Ogni  donna  e  donzella  che  si  prova Di  sé  far  copia  altrui,  ch'ai  suo  consorte. Morta  ne  vien,  s'in  un  mese  non  trova In  sua  difesa  un  cavalier  si  forte. Che  contra  il  falso  accusator  sostegna Che  sia  innocente,  e  di  morire  indegna. 68  Ha  fatto  il  re  bandir  per  liberarla (Che  pur  gli  par  ch'a  torto  sia  accusata), Che  vuol  per  moglie,  e  con  gran  dote,  darla A  chi  tona  l'infamia  che  l'è  data. Che  per  lei  comparisca  non  si  parla Guerriero  ancora,  anzi  l'un  l'altro  guata; Che  quel  Lurcanio  in  arme  è  cosi  fiero, Che  par  che  di  lui  tema  ogni  guerriero. 69  Atteso  ha  Tempia  sorte,  che  Zerbino, Fratel  di  lei,  nel  regno  non  si  trove; Che  va  già.  molti  mesi  peregrino, Mostrando  dì  sé  in  arme  inclite  prove: Che  quando  si  trovasse  più  vicino Quel  cavalier  gagliardo,  o  in  luogo  dove Potesse  avere  a  tempo  la  novella. Non  mancheria  d'aiuto  alla  sorella. 70  II  re,  ch'intanto  cerca  di  sapere Per  altra  prova,  che  per  arme,  ancora. Se  sono  queste  accuse  o  false  o  vere. Se  dritto  0  torto  è  che  sua  figlia  mora, Ha  fEttto  prender  certe  cameriere Che  lo  dovrìan  saper,  se  vero  f3ra; Ond'io  previdi  che  se  presa  era  io, Troppo  parìglie  era  del  duca  e  mio. 71  E  la  notte  medesima  mi  trassi Fuor  della  corte,  e  al  duca  mi  condussi; E  gli  feci  veder  quanto  importassi Al  capo  d'amendua,  se  presa  io  fussL Lodommi,  e  disse  ch'io  non  dubitassi:A'  suoi  conforti  poi  venir  m'indussi Ad  una  sua  fortezza  ch'è  qui  presso, In  compagnia  di  dui  che  mi  diede  esso. 72  Hai  sentito,  signor,  con  quanti  eifetti Dell'amor  mio  fei  Polinesso  certo; E  s'era  debitor  per  tai  rispetti D'avermi  cara  o  no,  tu  '1  vedi  aperto. Or  senti  il  guiderdon  ch'io  ricevetti: Vedi  la  gran  mercè  del  mio  gran  merto:Vedi  se  deve,  per  amare  assai. Donna  sperar  d'essere  amata  mai; 73  Che  questo  ingrato,  perfido  e  crudele, Della  mia  fede  ha  preso  dubbio  alfine: Venuto  è  in  sospizion  ch'io  non  rivele Al  lungo  andar  le  fraudi  sue  volpine. Ha  finto,  aedo  che  m'allontano  e  cele Finché  Tira  e  il  furor  del  re  decline. Voler  mandarmi  ad  un  suo  luogo  forte; E  mi  volea  mandar  dritto  alla  morte:74  Che  di  secreto  ha  commesso  alla  guida. Che  come  m' abbia  in  queste  selve  tratta, Per  degno  premio  di  mia  fé  m'uccida. Così  Tintenzion  gli  venia  fatta, Se  tu  non  eri  appresso  alle  mia  grida.Ve'  come  Amor  ben  chi  lui  segue,  tratta ! Così  narrò  Dalinda  al  paladino. Seguendo  tuttavolta  il  lor  cammino; 75     A  cui  fa  sopra  ogni  avventura  grata Questa,  daver  trovata  la  donzella C  he  gi  avea  tatta  l'istoria  narrata Dcir  iiinocenada  di  Ginevra  bella. £  86  sperato  avea,  qnando  accusata Ancor  fosse  a  ragion,  d'aiutar  quella, Con  via  maggior  baldanza  or  viene  in  prova, Poi  che  evidente  la  calunnia  trova. 76    E  verso  la  città  di  Santo  Andrea, Dove  era  il  re  con  tutta  la  famiglia, E  la  battaglia  singular  dovea Esser  della  querela  della  figlia, Andò  Rinaldo  quanto  andar  potea, Finché  vicino  giunse  a  poche  miglia; Alla  città  vicino  giunse,  dove Trovò  un  scudier  eh'  avea  più  fresche  nuove:Stanza  74. 77    Oh' un  cavalier  istrano  era  venato, Ch'  a  difender  Ginevra  s' avea  tolto, Con  non  usate  insegne  e  sconosciuto, Perocché  sempre  ascoso  andava  molto; E  che,  dopo  che  v'era,  ancor  veduto Non  gli  avea  alcuno  al  discoperto  il  volto; E  che  '1  proprio  scudier  che  gli  servia Dicea  giurando: Io  non  so  dir  chi  sia. 78    Non  cavalcaro  molto,  eh'  alle  mura Si  trovar  della  terra,  e  in  su  la  porta. Dalinda  andar  più  innanzi  avea  paura; Pur  va,  poiché  Rinaldo  la  conforta. La  porta  é  chiusa;  ed  a  chi  n'avea  curi Rinaldo  domandò:  Questo  ch'importa? E  fugli  detto,  Perché '1  popol  tutto A  veder  la  battaglia  era  riduttOj 79    Che  tra  Larcanio  e  un  cavalìer  istrano Si  £%  nell  altro  capo  della  terra, Ov'  era  un  prato  spazioso  e  piano; E  che  già  cominciata  hanno  la  gaerra. Aperto  fa  al  signor  di  Montalhano; E  tosto  il  portinar  dietro  gli  serra. Per  la  vota  città  Rinaldo  passa; Ma  la  donzella  al  primo  albergo  lassa: stanza  82. 82  Rinaldo  se  ne  va  tra  gente  e  gente:Fassi  far  largo  il  buon  destrier  Baiardo:Chi  la  tempesta  del  suo  venir  sente, A  dargli  via  non  par  zoppo  né  tardo. Rinaldo  vi  compar  sopra  eminente, E  ben  rassembra  il  fior  d  ogni  gagliardo; Poi  si  ferma  all'incontro  oye  il  re  siede; Ognun  s'accosta  per  adir  che  chiede. 83  Rinaldo  disse  al  re: Magno  signore, Non  lasciar  la  battaglia  più  segnire:Perchè  di  questi  dua  qualunque  more, Sappi  eh' a  torto  tu'l  lasci  morire. L'un  crede  aver  ragione  ed  è  in  errore, E  dice  il  falso  e  non  sa  di  mentire; Ma  quel  medesmo  error  che'l  suo  germano A  morir  trasse,  a  lui  pon  l'anne  in  mano:84  L'altro  non  sa  se  s' abbia  dritto  o  torto; Ma  sol  per  gentilezza  e  per  boutade In  pericol  si  è  posto  d'esser  morto, Per  non  lasciar  morir  tanta  beltade. Io  la  salute  all' innocenzia  porto, Porto  il  contrario  a  chi  usa  falsitade. Ma,  per  Dio,  questa  pugna  prima  parti; Poi  mi  dà  udienza  a  quel  eh'  io  to'  narrartL 85  Fu  dall' autorità  d'un  uom  si  degno, Come  Rinaldo  gli  parca  al  sembiante, Si  mosso  il  re,  che  disse  e  fece  segno Che  non  andasse  più  la  pugna  innante; Al  quale  insieme  ed  ai  baron  del  regno, E  ai  cavalieri  e  all'altre  turbe  tante Rinaldo  fé' l'inganno  tutto  espresso, Ch'avea  ordito  a  Ginevra  Polinesso. 80    E  dice  che  sicura  ivi  si  stia Finché  ritomi  a  lei,  che  sarà  tosto; E  verso  il  campo  poi  ratto  s'invia, Dove  li  dui  guerrier  dato  e  risposto Molto  s'aveano,  e  davan  tuttavia. Stava  Lurcanio  di  mal  cor  disposto Contra  Ginevra;  e  l'altro  in  sua  difesa Ben  sostenea  la  favorita  impresa. 86    Indi  s'offerse  di  voler  provare Coli'  arme,  eh'  era  ver  quel  eh'  avea  detto. Chiamasi  Polinesso;  ed  ei  compare, Ma  tutto  conturbato  nell'aspetto: Pur  con  audacia  cominciò  a  negare. Disse  Rinaldo:  Or  noi  vedrem  l'effetto. L'uno  e  l'altro  era  armato,  il  campo  fatto; Si  che  senza  indugiar  vengono  al  fatto. 81    Sei  cavalier  con  lor  nello  steccato Erano  a  piedi  armati  di  corazza, Col  duca  d'Albania,  ch'era  montato S'un  possente  corsier  di  buona  razza. Come  a  gran contestabile,  a  lui  dato La  guardia  fu  del  campo  e  della  piazza: E  di  veder  Ginevra  in  gran  periglio Avea  il  cor  lieto,  ed  orgoglioso  il  ciglio. 87    Oh  quanto  ha  il  re,  quanto  ha  il  suo  popol,  caro Che  Ginevra  a  provar  s' abbi  innocente ! Tutti  han  speranza  che  Dio  mostri  chiaro Ch'impudica  era  detta  ingiustamente. Crudel,  superbo  e  riputato  avaro Fu  Polinesso,  iniquo  e  fraudolente; Si  che  ad  alcun  miracolo  non  fia Che  l'inganno  da  lui  tramato  sia. 88  Sta  PolinesBo  con  Ia  feusda  mesta, Ck)l  oor  tremante  e  con  illida  guancia; E  al  terzo  snon  mette  la  lancia  in  resta. Cosi  Rinaldo  inverso  Ini  si  lancia, Che,  disioso  di  finir  la  festa, Mira  a  passargli  il  petto  con  la  lancia:Né  discorde  al  disir  segui  l'effetto; Che  mezza  l'asta  gii  cacciò  nel  petto. 89  Fisso  nel  tronco  lo  trasporta  in  terra Lontan  dal  suo  destrier  più  di  sei  braccia. Rinaldo  smonta  sabito,  e  gli  afferra L'elmo,  pria  che  si  lievi,  e  gli  lo  slaccia:Ma  qnel,  che  non  può  far  più  troppa  guerra Gli  domanda  mercè  con  nmil  faccia, E  gli  confessa,  udendo  il  re  e  la  corte, La  frande  sua  che  Tha  condutto  a  morte. 9Ò    Non  fini  il  tutto,  e  in  mezzo  la  parola E  la  voce  e  la  vita  T  abbandona, n  re,  che  liberata  la  figlinola Vede  da  morte  e  da  fama  non  buona, Più  s'allegra,  gioisce  e  racconsola, Che,  s' avendo  pèrduta  la  corona, Ripor  se  la  vedesse  allora  allora; Si  che  Rinaldo  unicimente  onora: 91    E  poi  eh'  al  trar  dell' elmo  conosciuto L'ebbe,  perch'  altre  volte  l'avea  visto, Levò  le  mani  a  Dio,  che  d'un  aiuto Come  era  quel,  gli  avea  si  ben  provvisto. Queir  altro  cavalier  che,  sconosciuto, Soccorso  avea  Ginevra  al  caso  tristo, Ed  armato  per  lei  s' era  condotto, Stato  da  parte  era  a  vedere  il  tutto. Stanza  91. 92    Dal  re  pregato  fu  di  dire  il  nome, 0  di  lasciarsi  almen  veder  scoperto, Acciò  da  lui  fosse  premiato,  come Di  sua  buona  intenzion  chiedeva  il  merto. Quel,  dopo  lunghi  preghi,  dalle  chiome Si  levò  r  elmo,  e  fé'  palese  e  certo Quel  che  nell' altro  Canto  ho  da  seguire, Se  grato  vi  sar&  l'istoria  udire. NO  TB. St.  2.  V.1   Megera  ò  una  delle  tre  Farìe  della  Mi tologia: etimologicameiite,  importa  odio,  invidia. St.  5.  V.a   Tebe  Argo,  Micene,  città  greche,  in iàmi  per  varie  nebndezze  commessevi,  come  il  reciproco fratricidio  di  Eteode  e  Polinice,  la  scellerata  cena  di Atreo  e  Tieste,  i  parricicU  di  Penteo  e  di  Atamante. l'assaasinio  di  Agamennone,  e  la  strage  dei  loro  mariti fktta  daUe  DanaidL St.  7.  V.8.   Albania.  Qoi  per  una  regione  della Scozia  (Albany)  con  titolo  di  Contea. St.  9.  V.34.  "  Verone,  nn  andito  scoperto  per  passare da  stanza  a  stanza. St.  18.  V.5. Monte  di  Sieiglia,  ò  l'Etna. St.  50.  V.25.   Case  inadie,  significa  cose  disabitate. BesMOt  nel  terzo  verso,  equivale  a  buio  di  notte. St.  60.  V.3.   La  stola  era  propria  delle  matrone romane,  ma  in  qnesto  verso  intendesi  generalmente  per veste  donnesca. St.  73  V.3.   Sospisione,  cioè  sospetto. St.  76.  y.  1.   Sant'Andrea,  St.  Andrews,  città  già capitale  della  Scozia,  nella  Ck>ntea  di  Fife.  nito  di  Ginevra,  Il  io  ilila  dà  in  moglie  e  icrdonft  a  D" linda  compiirjj  della  calunnia.  Ruggiero  è  portato  dnirip l'itffiifu  jifU  isola  di  Cicilia,  ovo  Astolfo,  ctigiiio  di  Bro4" mftiite,  convprtìto  in  mirto,  io  ioiisjglia  r  non  psoire  pi oltre.  Rug|s:ifiro  vuole  alloidauarsi  dJlisola:  diversi  moAtii gli  si  oppaiiicnio  indarno;  mt%  pt>i  ale  a  ne  donzelle  lo  di tolf  ono  dal  Atio  i)ropojtimento. Misr  clii  mal  oprando  m  confida rii'[ji,nor  star  debbia  il  maleficio  occulto; Che,  quando  ogni  altro  taccia  i  intorno  grida L'aria  e  la  terra  i.tessa  ia  eli'  è  sepulto:E  Dio  fa  speio  chel  peccato  guida Il  peccator,  poi  eli  alcun  di  gli  ha  indulto, Cile  sé  medesimo    ena  altrui  richiesta., Inavvedutamente  manifesta. A?ea  creduto  it  niiser  Polìnesso Totalmente  il  delitto  suo  coprire  j Dal  inda  consapevole  d'appresso Levanti  0  fi  ì,  che  sola  pò  tea  dire:E  aceìungeudo  il  secondo  al  primo  eccesso, Affrettò  il  mal  che  potea  differire, E  potea  differire  e  schivar  forse Ma  sé  stesso  spronando,  a  morir  corse VI. 3  E  perde  amici  a  un  tempo,  e  vita,  e  state, E  onor,  che  fa  molto  più  grave  danno. Dissi  di  sopra,  che  fa  assai  presto Il  cavalier  che  ancor  chi  sia  non  sanno. Alfin  si  trasse  V  elmo,  e  1  yìso  amato Scoperse,  che  più  volte  vedato  hanno; E  dimostrò  com  era  Ariodante, Per  tatta  Scozia  lacrimato  innante; 4  Arì'odante,  che  Ginevra  pianto Avea  per  morto,  e  '1  fratel  pianto  avea, Il  re,  la  corte,  il  popol  tutto  quanto: Di  tal  hontà,  di  tal  valor  splendea. Adnnqae  il  peregria  mentir  di  quaato Dianzi  di  lui  narrò,  qaivi  apparea; E  fa  pnr  ver  che  dal  sasso  marino Gittarsi  in  mar  lo  vide  a  capo  chino. 5  Ma  (come  avviene  a  nn  disperato  spesso, Che  da  lontan  brama  e  disia  la  morte, E  r  odia  poi  che  se  la  vede  appresso, Tanto  gli  pare  il  passo  acerbo  e  forte) Arìodante,  poi  ch  in  mar  fu  messo, Si  penti  di  morire: e  come  forte E  come  destro  e  pii\  d'ogni  altro  ardito, Si  messe  a  nuoto,  e  ritomossi  al  lito; 6  E  dispregiando  e  nominanslo  folle Il  desir  eh'  ebbe  dì  lasciar  la  vita, Si  messe  a  camminar  bagnato  e  molle, E  capitò  air  ostel  d'nn  eremita. Quivi  secretamente  indugiar  volle Tanto,  che  la  novella  avesse  udita, Se  del  ca£o  Ginevra  s  allegrasse, Oppur  mesta  e  pietosa  ne  restasse. 7  Intese  prima,  che  per  gran  dolore Elhi  era  stata  a  rischio  di  morire (La  fama  andò  di  questo  in  modo  faore, Che  ne  fu  in  tutta  V  isola  che  dire):Contrario  effetto  a  quel  che  per  errore Credea  aver  visto  con  suo  gran  martire. Intese  poi  come  Lurcanio  avea Fatta  Ginevra  appresso  il  padre  rea. 8  Centra  il  fratel  d'ira  minor  non  arse, Che  per  Ginevra  già  d  amore  ardesse; Che  troppo  empio  e  crudele  atto  gli  parse, Ancora  che  per  lui  fatto  T  avesse. Sentendo  poi,  che  per  lei  non  comparse Cavalier  che  difeadfer  la  volesse (Che  Lurcanio  sì  forte  era  e  gagliardo, Ch  ognun  d  andargli  centra  avea  riguardo; 9      E  chi  n'  avea  notizia,  il  riputava Tanto  discreto,  e  si  saggio  ed  accorto, Che  se  non  fosse  ver  quel  che  narrava, Non  si  porrebbe  a  rischio  di  esser  morto; Per  questo  la  più  parte  dubitava Di  non  pigliar  questa  difesa  a  torto); Arìodante,  dopo  gran  discorsi, Pensò  all'accusa  del  fratello  opporsi. stanza  6. 10  Ah  lasso !  io  non  potrei,  seco  dicea, Sentir  per  mia  cagion  perir  cortei:Troppo  mia  morte  fora  acerba  e  rea, Se  innanzi  a  me  morir  vedessi  lei. Ella  è  pur  la  mia  donna  e  la  mia  Dea; Questa  è  la  luce  pur  degli  occhi  miei: Convien  eh'  a  dritto  o  a  torto,  per  suo  scampo Pigli  r  impresa,  e  resti  morto  in  campo. 11  So  ch'io  m'appiglio  al  torto;  e  al  torto  sia: E  ne  morrò;  né  questo  mi  sconforta, Se  non  ch'io  so  che  per  la  morte  mia Si  bella  donna  ha  da  restar  poi  morta. Un  sol  conforto  nel  morir  mi  fia, Che,  se  '1  suo  Polinesso  amor  le  porta, Chiaramente  veder  avrà  potuto Che  non  s'è  mosso  ancor  per  darle  aiuto; 12    E  me,  die  tanto  eepressamente  ha Vedrà,  per  lei  salyare,  a  morir  giunto. Di  mio  fratello  insieme,  il  quale  acceso Tanto  foco  ha,  vendicherommi  a  un  punto; Ch  io  lo  farò  doler  poi  che compreso n  fine  avrà  del  suo  crudele  assunto:Creduto  vendicar  avrà  il  germano, E  gli  avrà  dato  morte  di  sua  mano. 18    Concluso  ch  ebbe  questo  nel  pensiero, Nuove  arme  ritrovò,  nuovo  cavallo; E  sopravveste  nere  e  scudo  nero Portò,  fregiato  a  color  verdegiallo. Per  avventura  si  trovò  un  scudiero Ignoto  in  quel  paese,  e  menato  hallo:E  sconosciuto,  come  ho  già  narrato, S'appresentò  contra  il  fratello  armato. '>.è f  >'stanza  23. 14  Narrato  v'  ho  come  il  eitto  successe, Come  fu  conosciuto  Arì'odante. Non  minor  gaudio  nebbe  il  re,  ch avesse Della  figliuola  liberata  innante. Seco  pensò  che  mai  non  si  potesse Trovar  un  più  fedele  e  vero  amante; Che,  dopo  tanta  ingiuria,  la  difesa Di  lei  contra  il  fratel  proprio  avea  presa. 15  E  per  sua  inclinazion  (eh'  assai  Pamava), E  per  li  preghi  di  tutta  la  corte, E  di  Rinaldo  che  più  d'altri  instava, Della  bella  figliuola  il  fa  consorte. La  duchea  d'Albania,  ch'ai  re  tornava Dopo  che  Polinesso  ebbe  la  morte, In  miglior  tempo  discader  non  pnote, Poiché  la  dona  alla  sua  figlia  in  dote. 16  Rhialdo  per  Dalinda  impetrò  grana  " Che  se  n'  andò  di  tanto  errore  esente; La  qual  per  voto,  e  perchè  molto  sazia Era  del  mondo,  a  Dio  volse  la  mente. Monaca  s' andò  a  render  fin  in  Dazia, E  si  levò  di  Scozia  immantinente. Ma  tempo  è  omai  di  ritrovar  Ruggiero, Che  scorre  il  ciel  su  l'animai  leggiero. 17  Benché  Rnggier  sia  d'animo  costante   Né  cangiato  abbia  il  solito  colore, Io  non  gli  voglio  creder  che  tremante Non  abbia  dentro  più  che  foglia  il  core. Lasciato  avea  il  gran  spazio  distante Tutta  l'Europa,  ed  era  uscito  faore Per  molto  spazio  il  segno  che  prescritto Avea  già  a' naviganti  Ercole  invitto 18  Quello  Ippogrifo,  grande  e  strano  aiigdlo . Lo  porta  via  con  tal  prestezza  d'ale, Che  lascieria  di  lungo  tratto  quello Celer  ministro  del  fulmineo  strale. Non  va  per  l'aria  altro  animai  (à  snello. Che  di  velocità  gli  fosse  uguale:Credo  ch'appena  il  tuono  e  la  saetta Venga  in  terra  dal  ciel  con  maggior  fretta. 19  Poi  che  l'augel  trascorso  ebbe  gran  spazio Per  linea  dritta  e  senza  mai  piegarsi, Con  larghe  ruote,  omai  dell' aria  sazio, Cominciò  sopra  una  isola  a  calarsi, Pare  a  quella  ove,  dopo  lango  strazio Far  del  suo  amante  e  lungo  a  lui  celarsi, La  vergine  Aretusa  passò  invano Di  sotto  il  mar  per  cammin  cieeo  e  strano. 20  Non  vide  né  più  bel  né  '1  più  giocondo Da  tutta  r  aria  ove  le  penne  stese; Né,  se  tutto  cercato  avesse  il  mondo, Vedria  di  questo  il  più  gentil  paese; Ove,  dopo  un  girarsi  di  gran  tondo, Con  Ruggier  seco  il  grande  augel  discese. Culto  pianure  e  delicati  colli, Chiare  acque,  ombrose  ripe  e  prati  molli. 21  Vaghi  boschetti  di  soavi  allori, Di  palme  e  d'amenissime  mortelle. Cedri  ed  aranci  eh'  avean  frutti  e  fiorì Contesti  in  varie  forme  e  tutte  belle, Facean  riparo  ai  fervidi  calori De'  giorni  estivi  con  lo'r  spesse  ombrelle; E  tra  quei  rami  con  sicuri  voli Cantando  se  ne  giano  i  rosignuoli. 22    Tra  le  purpuree  rose  e  i  bianchi  gigli, Che  tepida  aura  freschi  ognora  serba, Siciiri  si  vedean  lepri  e  conigli, E  cervi  con  la  fronte  alta e  superba, Senza  temer  ch'alcun  gli  uccida  o  pigli, Pascano  o  stiansi  ruminando  Terba: Saltano  i  daini  e  i  capri  isnelli  e  destri, Glie  sono  in  copia  in  quei  lochi  campestri. 28    Come  si  presso  è  Plppogrifoi  terra, Ch'  esser  ne  può  men  periglioso  il  salto, Buggier  con  fretta  dell' arcion  si  sferra, E  si  ritrova  in  su  Ferboso  smalto. Tuttavia  in  man  le  redine  si  serra, Che  non  vuol  che'l  destrier  più  vada  in  altoj: Poi  lo  lega  nel  margine  marino A  un  verde  mirto  in  mezzo  un  lauro  e  un  pino. Stanza  42. 24    E  quivi  appresso,  ove  surgea  una  fonte Cinta  di  cedri  e  di  feconde  palme, Pose  lo  scudo,  e  Telmo  dalla  fronte Si  trasse,  e  disarmossi  ambe  le  palme; Ed  ora  alla  marina  ed  ora  al  monte Volgea  la  faccia  air  aure  fresche  ed  alme, Che  Talte  cime  con  mormorii  lieti Fan  tremolar  dei  fÌEiggi  e  degli  abeti. 25    Bagna  talor  nella  chiara  onda  e  fresca L'asciutte  labbra,  e  con  la  man  diguazza, Acciò  che  delle  vene  il  calor  esca Che  gli  ha  acceso  il  portar  della  corazza. Né  maraviglia  è  già  eh'  ella  gV  incresca, Che  non  è  stato  un  far  vedersi  in  piazza; Ma  senza  mai  posar,  d'arme  guemito, Tremila  miglia  ognor  correndo  era  ito. 26  Qqìtì  stando,  il  destrier  eh'  ayea  lasciato Tra  le  imù  dense  frasche  alla  fresca  ombra, Per  fùj  si  rivolta,  spaventato Di  non  so  che,  che  dentro  al  bosco  adombra; E  tà  crollar  si  il  mirto  ove  è  legato, Che  delle  frondi  intorno  il  piò  gV  ingombra:Crollar  fa  il  mirto,  e  fa  cader  la  foglia; Né  succede  però  che  se  ne  scioglia. 27  Come  ceppo  talor,  che  le  medoUe Rare  e  vote  abbia,  e  posto  al foco  sia, Poi  che  per  gran  calor  qnell'aria  molle Resta  consanta  eh'  in  mezzo  V  empia, Dentro  risuona,  e  con  strepito  bolle Tanto  che  quel  foror  trovi  la  via; Cosi  mannara  e  stride  e  si  corraccia Quel  mirto  offeso,  e  alfin  apre  la  bnccia. 28  Onde  con  mesta  e  flebil  voce  uscio Espedita  e  chiarissima'  fisivella, E  disse: Se  tu  sei  cortese  e  pio, Come  dimostri  alla  presenza  bella, Lieva  questo  animai  dall' arbor  mio:Basti  che  '1  mio  mal  proprio  mi  flagella, Senza  altra  pena,  senza  altro  dolore Ch'a  tormentarmi  ancor  venga  di  fùore. 29  Al  primo  suon  di  quella  voce  torse Ruggiero  il  viso,  e  subito  levosse; E,  poi  eh'  uscir  dall' arbore  s' accòrse, Stupefatto  restò  più  che  mai  fosse. A  levarne  il  destrier  subito  corse; E  con  le  guancie  di  vergogna  rosse:Qual  che  tu  sii,  perdonami,  dicea, 0  spirto  umano,  o  boschereccia  Dea. 30  n  non  aver  saputo  che  s'asconda Sotto  ruvida  scorza  umano  spirto, M'  ha  lasciato  turbar  la  bella  fronda, E  far  ingiuria  al  tuo  vivace  mirto: Ma  non  restar  però,  che  non  risponda Chi  tu  ti  sia,  ch'in  corpo  orrido  ed  irto. Con  voce  e  razionale  anima  vivi; Se  da  grandine  il  del  sempre  ti  schivi. 31  E  sora  o  mai  potrò  questo  dispetto Con  alcun  beneficio  compensarte, Per  quella  bella  donna  ti  prometto. Quella  che  di  me  tien  lamiglior  parte, Ch'  io  farò  con  parole  e  con  effetto, Ch'avrai  giusta  cagion  di  me  lodarte. Come  Ruggiero  al  suo  parlar  fin  diede, Tremò  quel  mirto  dalla  cima  al  piede. 32  Poi  ai  vide  sudar  su  per  ì\  soorza, Come  legno  dal  bosco  allora  tratto, Che  del  foco  venir  sente  la  forza, Poscia  eh'  invano  ogni  ripar  gli  ha  fatto; E  cominciò:  Tua  cortesia  mi  sforza A  discoprirti  in  un  meiesmo  tratto Ch'  io  fossi  prima,  e  chi  converso  m'  agg:ia In  questo  mirto  in  su  l'amena  spiaggia. 33  n  nome  mio  fu  Astolfo;  e  paladino Era  di  Francia,  assai  temuto  in  guerra; D'Orlanio  e  di  Rinaldo  era  cugino, La  cui  fama  alcun  tonnine  non  serra; E  si  spettava  a  me  tutto  il  donano, Dopo  il  mio  padre  Oton,  dell'Inlterra:Leggiadro  e  bel  fui  si,  che  di  me  accesi Più  d'ona  donna;  e  alfin  me  solo  offesi. 34  Ritornando  io  da  quelle  isole  estreme Che  da  levante  il  mar  Lidico  lava, Dove  Rinaldo  ed  alcun' altri  insieme Meco  fnr  chiusi  in  parte  oscura  e  cava, Ed  onde  liberati  le  supreme Forze  n'  avean  del  cavalier  di  Brava; Vèr  ponente  io  venia  lungo  la  sabbia Che  del  settentrion  sente  la  rabbia. 35  E  come  la  via  nostra,  e  il  dura  e  fello Destin  ci  trasse,  uscimmo  una  mattina Sopra  la  bella  spiaga,  ove  un  castello Siede  sol  mar  della  possente  Alcina. Trovammo  lei  eh' uscita  era  di  quello, E  stava  sola  in  ripa  alla  marina; E  senza  rete  e  senza  amo  traea Tutti  li  pesci  al  lito,  che  volea. 36  Veloci  vi  correvano  i  delfini, Vi  venia  a  bocca  aperta  il  grosso  tonno; I  capidogli  coi  vecchi  marini Vengon  turbati  dal  lor  pigro  sonno; Muli,  salpe,  salmoni  e  coracini Nuotano  a  schiere  in  più  fretta  che  ponno; Pistrici,  fisiteri,  orche  e  balene Escon  dal  mar  con  mostruose  schiene. 37  Veggiamo  una  balena,  la  maggiore Che  mai  per  tatto  il  mar  veduta  fosse; Undeci  passi  e  più  dimostra  fùore Dell'onde  salse  le  spajlaece  grosse. Caschiamo  tutti  insieme  in  uno  errore: Perch'  era  ferma  e  che  mai  non  si  scosse . Ch'ella  sia  una  isoletta  ci  credemo; Cosi  distante  ha  l'un  dall' altro  estremo. 38  Alcina  i  pesci  ascir  facea  deir  acque Con  semplici  parole  e  pori  incanti. Con  la  fetta  Morgana  Alcina  nacqne, Io  non  so  dir  s'a  un  parto,  o  dopo  o  innantì Gnardommi  Alcina;  e  subito  le  piacque L'aspetto  mio,  come  mostrò  ai  sembianti; £  pensò  con  astuzia  e  con  ingegno Tonni  ai  compagni;  e  riusci  il  disegno. 39  Ci  venne  incontra  con  allegra  faccia, Con  modi  granosi  e  riverenti; E  disse: Cavalier,  quando  vi  piaccia Far  oggi  meco  i  vostri  alloggiamenti, Io  vi  fSeurò  veder,  nella  mia  caccia, Di  tutti  i  pesci  sorti  differenti: Chi  scaglioso,  chi  molle,  e  chi  col  pelo; E  saran  più  che  non  ha  stelle  il  cielo. 40  E  volendo  vedere  una  Sirena Che  col  suo  dolce  canto  accheta  il  mare. Passiam  di  qui  fin  su  quell altra  arena, Dove  a  quest'ora  suol  sempre  tornare: E  ci  mostrò  quella  maggior  balena Che,  come  io  dissi,  una  isoletta  pare. Io,  che  sempre  fui  troppo  (e  me  n'  incresce) Volonteroso,  andai  sopra  quel  pesce. 41  Rinaldo  m'accennava,  e  similmente Dndon,  eh'  io  non  v  andassi;  e  poco  valse. La  fata  Alcina  con  faccia  ridente, Lasciando  gli  altri  dna,  dietro  mi  salse. La  balena,  all'ufficio  diligente, Nuotando  se  n'  andò  per  l'onde  salse. Di  mia  sciocchezza  tosto  fui  pentito; Ma  troppo  mi  trovai  lungi  dal  lito. 42  Rinaldo  si  cacciò  nell'acqua  a  nuoto Per  aiutarmi,  e  quasi  si  sommerse, Perchè  levossi  un  furioso  Noto Che  d'ombra  il  cielo  e  '1  pelago  coperse. Qael  che  di  lui  segui  poi,  non  m' è  noto. Alcina  a  confortarmi  si  converse; E  quel  di  tutto  e  la  notte  che  venne, Sopra  quel  mostro  in  mezzo  il  mar  mi  tenne: 43  Finché  venimmo  a  questa  isola  bella. Di  cui  gran  parte  Alcina  ne  possiede, E  r  ha  usurpata  ad  una  sua  sorella Che'l  padre  già  lasciò  del  tutto  erede, Perchè  sola  legittima  avea  quella; E  (come  alcun  notizia  me  ne  diede, Che  pienamente  instrutto  era  di  questo)Sono  quest'altre  due  nate  d'incesto: 44  E  come  sono  inique  e  scellerate,E  piene  d'ogni  vizio  infame  e  brutto; Cosi  quella,  vivendo  in  castitate, Posto  ha  nelle  virtuti  il  suo  cor  tutto. Centra  lei  queste  due  son  congiurate; E  già  più  d'uno  esercito  hanno  instrutto Per  cacciarla  dell'isola,  e  in  più  volte Più  di  cento  castella  l'hanno  tolte: 45  Né  ci  terrebbe  ormai  spanna  di  terra, Colei,  che  Logistilla  è  nominata, Se  non  che  quinci  un  golfo  il  passo  serra, E  quindi  una  montagna  inabitata; Si  come  tien  la  Scozia  e  l'Inghilterra n  monte  e  la  riviera,  separata: Né  però  Alcina  uè  Morgana  resta, Che  non  le  voglia  tor  ciò  che  le  resta. 46  Perchè  di  vizii  è  questa  coppia  rea, Odia  colei  perch'  è  pudica  e  santa. Ma  per  tornare  a  quel  ch'io  ti  dicea, E  seguir  poi  com'  io  divenni  pianta, Alcina  in  gran  delizie  mi  tenea, E  del  mio  amore  ardeva  tutta  quanta; Né  minor  fiamma  nel  mio  core  accese H  veder  lei  d  bella  e  si  cortese. 47  Io  mi  godea  le  delicate  membra: Pareami  aver  qui  tutto  il  ben  raccolto, Che  fra' mortali  in  più  parti  si  smembra, A  chi  più  ed  a  chi  meno,  e  a  nessun  molto; Né  di  Francia  né  d'altTo  mi  rimembra; Stavami  sempre  a  contemplar  quel  volto: Ogni  pensiero,  ogni  mio  bel  disegno In  lei  finia,  né  passava  oltre  il  segno.. 48  Io  da  lei  altrettanto  era  o  più  amato:Alcina  più  non  si  curava  d'altri:Ella  ogni  altro  suo  amante  avea  lasciato; Ch'  innanzi  a  me  ben  ce  ne  fur  degli  altri. Me  consiglier,  me  avea  di  e  notte  a  lato; E  me  fé' quel  che  comandava  agli  altri: A  me  credeva,  a  me  si  riportava; Né  notte  o  di  con  altri  mai  parlava. 49  Deh !  perchè  vo  le  mie  piaghe  toccando, Senza  speranza  poi  di  medicina? Perchè  l'avuto  ben  vo  rimembrando, Quand'io  patisco  estrema  disciplina? Quando  credea  d'esser  felice,  e  quando Credea  ch'amar  più  mi  dovesse  Alcina, Il  cor  che  m'avea  dato  si  ritolse, E  ad  altro  nuovo  amor  tutta  si  volse. 76 50    Ck)nobbi  tardi  il  suo  mobil  ingegno, Usato  amare  e  disamare  a  nn  ponto. Non  era  stato  oltre  a  duo  mesi  in  regno, Ch'un  nuoTO  amante  al  loco  mio  fii  assunto. Da  sé  cacciommi  la  fata  con  sdegno, E  dalla  grazia  sna  m  ebbe  disgiunto:E  seppi  poi,  che  tratti  a  simil  porto Ayea  milP altri  amanti,  e  tutti  a  torto.61    E  perchè  essi  non  vadano  pel  mondo Di  lei  narrando  la  vita  lasciva, Chi  qua  chi  là  per  lo  terren  fecondo Li  muta,  altri  in  abete,  altri  in  oliva, Altri  in  palma,  altri  in  cedro,  altri  secondo Che  vedi  me,  sa  questa  verde  riva; Altri  in  liquido  fonte,  alcuni  in  fera, Come  più  aggrada  a  quella  fìtta  altiera. stanza  61. 52  Or  tu  che  sei  per  non  usata  via, Signor,  venuto  all' isola  fatale, Acciò  ch'alcuno  amante  per  te  sia Converso  in  pietra  o  in  onda,  o  fatto  tale; Avrai  d'Alcina  scettro  e  signoria, E  sarai  lieto  sopra  ogni  mortale: Ma  certo  sii  di  giunger  tosto  al  passo D'entrar  o  in  fera  o  in  fonte  o  in  legno  o  in  sasso. 53  Io  te  n'ho  dato  volentieri  avvisa: Non  eh'  io  mi  creda  che  debbia  giovarte; Pur  meglio  fia  che  non  vadi  improvviso, E  de' costumi  suoi  tu  sappia  parte; Che  forse,  come  è  differente  il  viso, É  differente  ancor  l'ingegno  e  l'arte. Tu  saprai  forse  riparar  al  danno; Quel  che  saputo  mill'altri  non  hanno. 54  Buggier,  che  conosciuto  avea  per  fama Ch'  Astolfo  alla  sua  donna  cugin  era, Si  dolse  assai  che  in  steril  pianta  e  grama Mutato  avesse  la  sembianza  vera: E  per  amor  di  quella  che  tanto  ama, (Purché  saputo  avesse  in  che  maniera) Gli  avria  fatto  servizio;  ma  aiutarlo Li  altro  non  potea,  eh'  in  confortarlo. 55  Lo  fé'  al  meglio  che  seppe;  e  domandoli! Poi  se  via  e'  era,  eh'  al  regno  guidassi Di  Logistilla,  0  per  piano  o  per  colli, Si  che  per  quel  d'Alcina  non  andassi. Che  ben  ve  n'  era  un'  altra,  ritomolli L'arbore  a  dir,  ma  piena  d'aspri  sassi, S' andando  un  poco  innanzi  alla  man  destra, Salisse  il  poggio  invér  la  cima  alpestra:stanza  7& 56  Ma  che  non  pensi  già  che  segair  possa n  suo  cammin  per  quella  strada  troppo: Incontro  avrà  di  gente  ardita,  grossa E  fiera  compagnia,  con  doro  intoppo, Alcina  Te  li  tien  per  mura  e  fossa A  chi  volesse  uscir  fuor  del  suo  groppo. Ruggier  quel  mirto  ringraziò  del  tutto, Poi  da  lui  si  parti  dotto  ed  instrutto. 57  Venne  al  cavallo,  e  lo  disciolse  e  prese Per  le  redine,  e  dietro  se  lo  trasse; Né,  come  fece  prima,  più  F ascese, Perchè  mal  grado  suo  non  lo  portasse. Seco  pensava  come  nel  paese Di  Logistilla  a  salvamento  andasse. Era  disposto  e  fermo  usar  ogni  opra, Che  non  gli  avesse  imperio  Alcina  sopra. 58  Pensò  di  rimontar sul  suo  cavallo, E  per  r  aria  spronarlo  a  nuovo  corso:Ma  duhitò  di  far  poi  maggior  fallo; Che  troppo  mal  quel  gli  ubbidiva  al  morso. Io  passerò  per  forza,  s' io  non  fallo, Dicea  tra  sé;  ma  vano  era  il  discorso. Non  fti  duo  miglia  lungi  alla  marina, Che  la  bella  città  vide  d'Alcina. 59  Lontan  si  vide  una  muraglia  lunga, Che  gira  intomo,  e  gran  paese  serra; E  par  che  la  sua  altezza  al  elei  s  aggiunga. E  d'oro  sia  dall' alta  cima  a  terra. Alcun  dal  mio  parer  qui  si  dilunga, E  dice  eh'  eli'  é  alchimia;  e  forse  eh'  erra, Ed  anco  forse  meglio  di  me  intende:A  me  par  oro,  poi  che  si  risplendé. 60  Come  fu  presso  alle  si  ricche  mura, Che'l  mondo  altre  non  ha  della  lor  sorte, Lasciò  la  strada  che,  per  la  pianura, Ampia  e  diritta  andava  alle  gran  porte; Ed  a  man  destra,  a  quella  più  sicura, Ch'  al  monte  già,  piegossi  il  gnerrier  forte:Ma  tosto  ritrovò  l'iniqua  frotta, Dal  cui  fdror  gli  fu  turbata  e  rotta. 61  Non  fu  veduta  mai  più  strana  torma, Più  mostruosi  volti  e  peggio  fatti; Alcun  dal  collo  in  giù  d'uomini  han  forma, Col  viso  altri  di  scinde,  altri  di  gatti; Stampano  alcun  con  pie  caprigni  V  orma; Alcuni  son  centauri  agili  ed  atti; Son  giovani  impudenti  e  vecchi  stolti. Chi  nudi,  e  chi  di  strane  pelli  involti:62  Chi  senza  freno  in  a' un  destrìer  galoppa, Chi  lento  va  con  l'asino  o  col  bue; Altri  salisce  ad  un  centauro  in  groppa; Struzzoli  molti  han  sotto,  aquile  e  grue:Ponsi  altri  a  bocca  il  corno,  altri  la  coppa: Chi  femmina  e  chi  maschio,  e  "chi  amendue, Chi  porta  uncino  e  chi  scala  di  corda, Chi  pai  di  ferro  e  chi  una  lima  sorda. 63  Di  questi  il  capitano  si  vedea Aver  gonfiato  il  ventre,  e'I  viso  grasso; n  qual  su  una  testuggine  sedea. Che  con  gran  tardità  mutava  il  passo, Avea  di  qua  e  di  là  chi  lo  reggea. Perché  egli  era  ebbro  e  tenea  il  ciglio  basso:Altri  la  fronte  gli  asciugava  e  il  mento. Altri  i  panni  scuotea  per  fargli  vento. stanza  63. 64  Un  eh' avea  umana  forma  i  piedi  e'I  ventre, E  collo  avea  di  cane,  orecchie  e  testa. Centra  Ruggiero  abbaia,  acciò  ch'egli  entre Nella  bella  città  ch'addietro  resta. Rispose  il  cavalier: Noi  farò,  mentre Avrà  forza  la  man  di  regger  questi. (E  gli  mostra  la  spada,  di  cui  volta Avea  r  aguzza  punta  alla  sua  volta). 65  Quel  mostro  lui  ferir  vuol  d'una  lancia; Ma  Ruggier  presto  se  gli  avventa  addosso:Una  stoccata  gli  trasse  alla  pancia, E  la  fé' un  palmo  riuscir  pel  dosso. Lo  scudo  imbraccia,  e  qua  e  là  si  lancia; Ma  l'inimico  stuolo  é  troppo  grosso. L'un  quinci  il  punge,  e  l'altro  quindi  afferra: Egli  s'arrosta  e  fa  lor  aspra  guerra. 66    L  un  sin  a  clenti,  e  V  altro  sin  al  petto Partendo  ya  dì  quella  iniqua  razza; Ch'alia  sua  spada  non  s'oppone  elmetto, Nò  scudo .  né  panzìera,  né  corazza:Ma  da  tutte  le  parti  é  cosi  astretto, Che  bisogno  sarìa,  per  trovar  piazza E  tener  da  sé  largo  il  popol  reo, D'aver  più  braccia  e  man  che  Briareo. 9    L'una  e  l'altra  sedea  s' un  liocorno. Candido  più  che  candido  annellino; L'una  e  l'altra  era  bella,  e  di  si  adonio Abito,  e  modo  tanto  pellegrino, Che  all'nom,  guardando  e  contemplando  intormo. Bisognerebbe  aver  occhio  divino Per  far  di  lor  giudizio;  e  tal  sarìa Beltà  (s' avesse  corpo),  e  Leggiadria. stanza  64. 67    Se  di  scoprire  avesse  avuto  avviso Lo  scudo  che  già  fu  del  necromante; Io  dico  quel  eh'  abbarbagliava  il  viso, Quel  eh' all'arcione  avea  lasciato  Atlante; Subito  avria  quei  brutto  stuol  conquiso, E  fattosel  cader  cieco  davante: E  forse  ben  che  disprezzò  quel  modo. Perché  virtude  usar  volse,  e  non  frodo. 70  L'una  e  l'altra  n'andò  dove  nel  prato Ruggiero  é  oppresso  dallo  stuol  villano. Tutta  la  turba  si  levò  da  lato; E  quelle  al  cavalier  porser  la  mano, Che  tìnto  in  viso  di  color  rosato, Le  donne  ringraziò  dell'atto  umano; E  fii  contento,  compiacendo  loro, Di  ritornarsi  a  quella  porta  d'oro. 71  L' adornamento  che  s'aggira  sopra La  bella  porta,  e  sporge  un  poco  avante, Parte  non  ha  che  tutta  non  si  copra Delle  più  rare  gemme  di  Levante. Da  quattro  parti  si  riposa  sopra Grosse  colonne  d'integro  diamante. 0  vero  0  falso  eh'  all' occhio  risponda, Non  é  cosa  più'bella  o  più  gioconda. Stansa06. 68    Sìa  quel  che  può,  piuttosto  vuol  morire, Che  rendersi  prigione  a  si  vii  gente. Eccoti  intanto  dalla  porta  uscire Del  muro,  ch'io  dicea  d'oro  lucente. Due  giovani  ch'ai  gesti  ed  al  vestire Non  èran  da  stimar  nate  umilmente, Né  da  pastor  nutrite  con  disagi, Ma  Ara  delizie  di  real  palagi. 72    Su  per  la  soglia  e  fuor  per  le  colonne Corron  scherzando  lascive  donzelle, Che,  se  i  rispetti  debiti  alle  donne Servasser  più,  sarian  forse  più  belle. Tutte  vestite  eran  di  verdi  gonne, E  coronate  di  frondi  novelle. Queste,  con  molte  offerte  e  con  buon  viso, Ruggier  fecero  entrar  nel  paradiso: Td    Che  si  pnò  ben  cosi  nomar  quel  loco, Ove  mi  credo  che  nascesse  Amore. Non  yi  si  sta  se  non  in  danza  e  in  giuoco, £  tutte  in  festa  vi  si  spendon  V  ore:Pensier  canuto  uè  molto  né  poco Si  può  quivi  albergare  in  alcun  core: Non  enthi  quivi  disagio  né  inopia, Ila  vi  sta  ognor  col  corno  pien  la  Copia. 74    Qui,  dove  con  serena  e  lieta  fronte Par  cb'  ognor  rida  il  grazioso  aprile, Qioveni  e  donne  son: qual  presso  a  fonte Canta  con  dolce  e  dilettoso  stile; Qual  d'un  arbore  alPombra,  e  qual  d'un  monte, 0  giuoca,  0  danza  o  &  cosa  non  vile; E  qual,  lungi  dagli  altri,  a  un  suo  fedele DÌ!"cuopre  l'amorose  sue  querele. btanza  74. 75    Per  le  cime  dei  pini  e  dogli  allori, Degli  alti  faggi  e  dcgl' irsuti  abeti, Yolan scherzando  i  pargoletti  A  morì; Di  ior  vittorie  altri  godendo  lieti, Altri  pigliando  a  saettare  i  cori La  mira  quindi,  altri  tendendo  reti:Chi  tempra  dardi  ad  un  ruscei  più  basso, £  chi  gli  aguzza  ad  un  volubìl  scisso. AaiosTO. 76    Quivi  a  Ruggier  un  gran  corsìer  iù  dato, Forte,  gagliurdo,  e  tutto  di  pel  sauro, Ch'avea  il  bel  guemimento  ricamato Di  preziose  gemme  e  di  fin  auro; E  fu  lasciato  in  guardia  quello  alato. Quel  che  solca  ubbidire  al  vecchio  Mauro, A  un  giovene  che  dietro  lo  menassi Al  buon  Ruggier  con  meu  fr  e  itosi  passi. 77    Quelle  due  belle  giovani  amorose Ch'  avean  Ruggier  dall' empio  stuol  difeso, Dair  empio  stuol  che  dianzi  se  gli  oppose Su  quel  cammin  ch'avea  a  man  destra  preso, Gli  dissero:  Signor,  le  virtuose Opere  vostre  che  già  abbiamo  inteso, Ne  fon  sì  ardite,  che  l'aiuto  vostro Vi chiederemo  a  beneficio  nostro. 79    Oltre  che  sempre  ci  turbi  il  cammino, Che  libero  saria  se  non  foss'ella, Spesso  correndo  per  tutto  il  giardino, Va  disturbando  or  questa  cosa  or  quella. Sappiate  che  del  popolo  assassino Che  vi  assali  fuor  della  porta  bella, Molti  suoi  figli  Bon,  tutti  segnaci, Empii,  com'  ella,  inospiti  e  lapad. 78    Noi  troverem  tra  via  tosto  una  lama, Che  fa  due  parti  di  questa  pianura. Una  crudel,  che  ErifiUa  si  chiama, Difende  il  ponte,  e  sforza  e  inganna  e  fura Chiunque  andar  nell' altra  ripa  brama; Ed  ella  è  gigantcssa  di  statura; Li  denti  ha  lunghi  e  velenoso  il  morso, Acute  Pugne  e  graffia  come  un  orso. 80    Ruggier  rispose:  Non  ch'una  battalia. Ma  per  voi  sarò  pronto  a  fame  cento. Di  mia  persona,  in  tutto  quel  che  vaglia, Fatene  voi  secondo  il  vostro  intento:Che  la  cagion  eh'  io  vesto  piastra  e  maglia, Non  è  per  guadagnar  terre  né  argento, Ma  sol  per  fame  beneficio  altrui; Tanto  più  a  belle  donne  come  vui. 81    Le  donne  molte  grazie  riferirò Degne  d'un  cavalier  come  quell'era: E  così  ragionando,  ne  veniro Dove  videro  il  ponte  e  la  riviera; E  di  smeraldo  ornata  e  di  zaffiro Sull'arme  d'or,  vider  la  donna  altiera. Ma  dir  nell'altro  Canto  differisco, Come  Ruggier  con  lei  si  pose  a  risco. NOTE. St.  1.  V.(\.   Indulto  vale  a  dire  conceduto. St.  13,  V.4.   Il  colore  verdegiallo  rassomiglia  quello della  foglia  appassita;  e  lo  adottavano  i  cavalieri  d'al lora, a  dimostrare  l'animo  afflitto  da  gagliarda  pertar h:izione. St.  13.  V.5.   La  Dazia  o  Dacia  comprendeva  an ticamente la  Transilvania,  la  Moldavia,  la  Valacchia, H  Servia  e  parte  deW  Ungheria. St.  17.  V.68.   Aveva  Ruggiero  oltrepassato  di  molto lo  stretto  di  Gibilterra,  su  cui  (secondo  la  favola)  in dicò Ercole  per  limite  alla  navigazione  due  promontorj. St.  19.  V.38.   L'isola  paragonata  con  quella  a  cui alludono  gli  altri  versi,  è  l'isoletta  Ortigia,  una  delle cinque  parti  onde  componevasi  Siracusa,  e  la  sola  in oggi  a  cui  quella  città  si  ristringe.  La  mitologica  ninfa Aretusa,  perseguitata  dal  fiume  Alfeo,  fu  convertita  in fonte;  e  condottasi  pervie  sottomarine  in  Ortigia,  sem pre inseguita  dair indiscreto  amatore,  fu  colà  da  questi raggiunta. St.  33.  V.10   Il  conto  che  Astolfo  dà  di  sé  stesso ò  relativo  alla  genealogia  degli  eroi  romanzeschi  ripor tata dal  Ferrariq,  ove  dicesi  che  Bernardo  di  Chiara  valle ebbe  per  figli  Amone  padre  di  Rinaldo,  Bnovo  d'Agre monte  padre  di  A  Miglerò,  diMalagigi  e  di  Viviano,  per sonaggi di  eli  più  oltre,  e  Ottone  re  d'inghiltenna,  onde nacque  Astolfo. St.  34.  V.12   L'isole  del  mare  Indiano,  che  il  Bo jardo  chiama  "  Isole  Lontane  r>  signoreggiate  da  Mono dante. Ivi.  V.6.   Cavallier  di  Brava,  è  Orlando. St.  36.  V.37.   Enormi  cetacei  sono  i  capidogli,  le orche  e  i  fìsiteri,  così  detti  questi  ultimi,  a  motivo  di uno  sfiatatoio  che  hanno  in  cima  al  muso,  d'onde  sca gliano in  aria  le  onde;  i  vecchi  marini  corrispondono alle  foche  o  vitelli  di  mare;  ì  muli  o  muli',  sono  le triglie,  fra  le  quali  se  ne  incontrono  di  grossissime;  le salpe  o  spari,  rassomigliano  alle  orate;  i  coraeini,  al trimenti condoli,  hanno  tal  nome  dall'esser  neri  a  guisa di  cor\  i;  e  i  pistrici  o  pisteri,  hanno  la  testa  armata di  una  lunga  sega  ossea. St.  44.  v.6.   Hanno  instrutto,  cioi,  hanno  ordinato. St.  45.  V.2.    Alcina  (secondo  il  Bojardo)  simbolo della  vita  voluttuosa.   Morgana,  fata,  sorella  del  re Arturo  e  della  Donna  del  Lago;       simbolo  (per  il  Bo Jardo)  della  potenza  e  della  ricchezza.  L'Aiiosto,  per compiere  l'allegoria,  aggiunse  Logistilla,  che,  anche  col nome  fatto  evidentemente  dal  greco  logoSj  mostra  esser simbolo  della  ragione  e  della  virtù.  Fa  sorelle  Alciiia, Morgana  e  Logistilla,  perchè  cosi  le  passioni  come  le ragioni  provengono  dalla  umana  natura. Ivi.  V.56.   I  monti  Cheviot  dividono  la  Scozia  dal l'Inghilterra, diramandosi  nella  parte  settentrionale  del l'una e  nella  meridionale  dell'altra.  E  il  fiume  Tweed, che  appaitiene  alla  Scozia,  nella  parte  inferiore  del  suo corso,  continua  la  divisione,  ed  entra  nel  mare  del  Nord. St.  51.  y.  1.   è  la  nota  storia  della  ammaliante  Circe omerica.  Senonchè,  Circo  cangia  la  forma  umana  in  forma bestiale;  Alcina  toglie  anche  lanimalità,  e  fa  scendere Ano  all'ultimo  grado  della  scala  degli  esseri. St.  6j.  V.8.   Arrostarsi,  vale  volgersi  inforno. St.  63.  V.8.   Secondo  i  mitologi,  il  gigante  Briareo aveva  cento  braccia. St.  69.  v.12.   Il  liocorno  è  animale  favoloso  che  si figura  come  un  cavallo  con  un  corno  in  fronte: è  preso come  emblema  della  purità. St.  75.  V.8.   VolnbiC  sasso,  ossia  ruota. St.  76.  V.6.   Il  ticchio  Mauro,  cioè  il  mago  At lante. St.  78.  V.13.   Lama,  vale  a  dire  fossa  palustre. Il  nome  Erifilla  o  Eri/ile  spiega  da  sé  l'animo  avaro e  turbolento  della  gigantessa,  e  rammenta  la  moglie  di Anflarao,  che  per  una  collana  d'oro  tradi  il  marito. St.  81.  V.1.   Riferir  grazie,  lo  stesso  che  ringra ziare. Stanza  1. diiì  dì  Un  uMLti.'  arriva  al  piltv/u  dì  A]i;!ÌiLii|  se  ile  ìn IK'i'tlutuinfiitéi  "  rituiuiH  ne  ir  isola.  Biidamante,  noQ  aTrD!> ikotLiff  di  lui,  i:eìT.ì.  di  MtdiNii.  la  iiicuntra  e  Le  dà  rttfl  ' mat;ii:o  i  he  devi'  aervite  a  iini>i>dr"  gì  ÌJHnulesiroì  dell  sedei triee  AUiiia.  Cipn  utieiLti  Mirliiiiia  fti  poi  tu  neiriAol&,  tiVrgLak Ta'iijitJi  nigiuiitì  di  lUggieio,  il  qualii  si  aecijig(c)  a  1 il  pcrjeioluo  moggio  ni  o. (hi  va  luiirati  lUilla  sua  patria,  vede Cuse  da  quel  che  già  eredea,  loutane; t'hc  uAiraiulyle  |kìÌ    non  se  gli  eresìe, E  stimato  hugi arilo  ne  rimne: Che  '1  fciuco  Yuìgo  uou  gli  vuol  dar  fede, Se  Tìon  iti  veile  e  toci!a  chiare  e  ilane, I\r  questo  io  so  che  IMnefperienxa Farà  al  mìo  cfluto  dar  poca  credenza. loca  0  mi 'Ita  i.h'io  if  abbia    non  bisogna Chio  ponga  mente  al  valgo  sciocco  e  ignaro. A  voi  so  ben  che  non  parrà  menzogna, Che  '1  lume  del  discorso  Avete  chiaro; £d  a  voi  soli  ogni  mio  intento  agogna Che'i  fratto  sia  di  mie  fatiche  caro. Io  vi  lasciai  cheU  ponte  e  la  riviera Vider,  che  'n  guardia  avea  Erifilla  altiera. VII. 3  Quell'era  armaU  del  più  fin  metallo Ch  avean  di  più  color  gemme  distinto:Rnbin  vermiglio,  crisolito  giallo, Verde  smeraldo,  con  flavo  iacinto. Era  montata,  ma  non  a  cavallo; Invece  avea  di  qaello  un  lapo  spinto: Spinto  avea  un  lupo  ove  si  passa  il  finme, Con  ricca  sella  fuor  d  ogni  costume. 4  Non  credo  eh' un  si  grande  Apulia  n'abbia: Egli  era  grosso  ed  alto  più  d'un  bue. Con  fren  spumar  non  gli  facea  le  labbia; Né  so  come  lo  regga  a  voglie  sue. La  sopravesta  di  color  di  sabbia Su  l'arme  avea  la  maledetta  lue: Era,  fuorché '1  color,  di  quella  sorte Ch'i  vescovi  e  i  prelati  usano  in  corte. 5  Ed  avea  nello  scudo  e  sul  cimiero Una  gonfiata  e  velenosa  botta. Le  donne  la  mostraro  al  cavaliere, Di  qua  dal  ponte  per  giostrar  ridotta, E  fargli  scorno,  e  rompergli '1  sentiero. Come  ad  alcuni  usata  era  talotta. Ella  a  Ruggier,  che  tomi  addietro,  grida: Quel  piglia  un'asta,  e  la  minaccia  e  sfida. 6  Non  men  la  gigantessa  ardita  e  presta Sprona  il  gran  lupo,  e  nell' arcion  si  serra:E  pon  la  lancia  a  mezzo  il  corso  in  resta, E  fa  tremar  nel  suo  venir  la  terra. Ma  pur  sul  prato  al  fiero  incontro  resta; Che  sotto  l'elmo  il  buon  Ruggier  l'afferra, E  dell'arcion  con  tal  furor  la  caccia. Che  la  riporta  indietro  oltra  sei  braccia. 7  E  già,  tratta  la  spada  eh'  avea  cinta, Venia  a  levarne  la  testa  superba; E  ben  lo  potea  fiir;  che  come  estinta Erifilla  giacca  tra'  fiori  e  l'erba. Ma  le  donne  gridar:  Basti  sia  vinta. Senza  pigliarne  altra  vendetta  acerba. Ripon,  cortese  cavalier,  la  spada; Passiamo  il  ponte,  e  suitiam  la  strada. 8      Alquanto  malagevole  ed  aspretta Per  mezzo  un  bosco  presero  la  via; Che,  oltra  che  sassosa  fosse  e  stretta. Quasi  su  dritta  alla  collina  già. Ma  poi  che  furo  ascesi  in  su  la  vetta, Uscirò  in  spaziosa  prateria, Dove  il  più  bel  palazzo  e  1  più  giocondo Vider,  che  mai  fosse  veduto  al  mondo. 9  La  bella  Aldna  venne  un  pezzo  innante Verso  Ruggier  fuor  delle  prime  porte, E  lo  raccolse  in  signoril  sembiante, In  mezzo  bella  ed  onorata  corte. Da  tutti  gli  altri  tanto  onore  e  tante Riverenzie  fur  fatte  al  guerrier  forte, Che  non  ne  potrian  far  più,  se  tra  loro Fosse  Dio  sceso  dal  superno  coro. Stanza  4. 10    Non  tanto  il  bel  palazzo  era  eccellente, Perché  vincesse  ogni  altro  di  ricchezza. Quanto  eh' avea  la  più  piacevol  gent" Che  fosse  al  mondo,  e  di  più  gentilezza. Poco  era  l'un  dall' altro  differente E  di  fiorita  etade  e  di  bellezza. Sola  di  tutti  Aldna  era  più  bella, Si  com'  é  bello  il  Sol  più  d'ogni  stella. 11  Di  persona  era  tanto  ben  formata, Qoanto  me finger  ean  pittori  industri, Con  bionda  cbioma  lunga  ed  annodata; Oro  non  è  cbe  più  risplenda  e  lustri. Spargeasi  per  la  guancia  delicata Misto  color  di  rose  e  di  ligustri: Di  terso  avorio  era  la  fronte  lieta, Che  lo  spazio  finia  con  giusta  meta. 12  Sotto  duo  negri  e  sottilissimi  archi Son  duo  negri  occhi,  anzi  duo  chiari  Soli, Pietosi  a  riguardare,  a  mover  parchi; Intorno  cui  par  eh'  Amor  scherzi  e  voli, E  ch'indi  tutta  la  faretra  scarchi, E  che  visibilmente  i  cori  involi: Quindi  il  naso  per  mezzo  il  viso  scende, Che  non  trova  V  invidia  ove  V  emende. 13  Sotto  quel  sta,  quasi  fra  due  vallette, La  bocca  sparsa  di  natio  cinabro:Quivi  due  filze  son  di  perle  elette, Che  chiude  ed  apre  un  bello  e  dolce  labro; Quindi  escon  le  cortesi  parolette Da  render  molle  ogni  cor  rozzo  e  scabro; Quivi  si  forma  quel  suave  riso, Ch'apre  a  sua  posta  in  terra  il  paradiso. 14  Bianca  neve  è  il  bel  collo,  el  petto  latte: Il  collo  è  tondo,  il  petto  colmo  e  largo. Due  pome  acerbe,  e  pur  d' avorio  fette, Vengono  e  van,  com'  onda  al  primo  margo, Quando  piacevole  aura  il  mar  combatte: Non  potria  l'altre  parti  veder  Argo:Ben  si  può  giudicar  che  corrisponde A  quel  chiappar  di  fuor  quel  che  s'asconde. 15  Mostran  le  braccia  sua  misura  giusta; E  la  candida  man  spesso  si  vede Lunghetta  alquanto  e  di  larghezza  angusta, Dove  uè  nodo  appar,  né  vena  eccede. Si  vede  alfin  della  persona  augusta Il  breve,  asciutto  e  ritondetto  piede. Gli  angelici  sembianti  nati  in  cielo Non  si  ponno  celar  sotto  alcun  velo. 16  Avea  in  ogni  sua  parte  un  laccio  teso, 0  parli  0  rida  o  canti  o  passo  mova: Né  maraviglia  è  se  Ruggier  n'é  preso, Poiché  tanto  benigna  se  la  trova. Quel  che  di  lei  già  avea  dal  mirto  inteso, Com'è  perfida  e  ria,  poco  gli  giova; Ch'inganno  o  tradimento  non  gli  è  avvi.so Che  possa  star  con  si  soave  riso.17  Anzi  pur  creder  vuol,  che  da  costei Fosse  converso  Astolfo  in  su  l'arena Per  li  suoi  portamenti  ingrati  e  rei, E  sia  degno  di  questa  e  di  più  pena:E  tutto  quel  eh'  udito  avea  di  lei, Stima  esser  falso;  e  che  vendetta  mena, E  mena  astio  ed  invidia  quel  dolente A  lei  biasmare,  e  che  del  tutto  mente. 18  La  bella  donna  che  cotanto  amava, Novellamente  gli  è  dal  cor  partita; Che  per  incanto  Alcina  gli  lo  lava D' ogni  antica  amorosa  sua  ferita; E  di  sé  sola  e  del  suo  amor  lo  grava, E  in  quello  essa  riman  sola  sculpita: S  che  scusar  il  buon  Ruggier  si  deve, Se  si  mostrò  quivi  incostante  e  lieve. 19  A  quella  mensa  citare,  arpe  e  lire, E  diversi  altri  dilettevol  snoni Faceano  intomo  l'aria  tintinnire D'armonia  dolce  e  di  concenti  buoni. Non  vi  mancava  chi,  cantando,  dire D'amor  sapesse  gaudii  e  passioni, 0  con  invenzioni  e  poesie Rappresentasse  grate  fantasie. 20  Qual  mensa  trionfante  e  suntuosa Di  qualsivoglia  successor  dì  Nino, 0  qual  mai  tanto  celebre  e  famosa Di  Cleopatra  al  vincitor  latino, Potria  a  questa  esser  par,  che  l'amorosa Fata  avea  posta  innanzi  al  paladino?Tal  non  cred' io  che  s' apparecchi  dove Ministra  Ganimede  al  sommo  Giove. 21  Tolte  che  fur  le  mense  e  le  vivande, Facean,  sedendo  in  cerchio,  un  giuoco  lieto, Che  nell' orecchio  l'un  l'altro  domande, Come  più  piace  lor,  qualche  secreto; Il  che  agli  amanti  fu  comodo  grande Di  scoprir  l'amor  lor  senza  divieto; E  furon  lor  conclusioni  estreme Di  ritrovarsi  quella  notte  insieme. 22  Finir  quel  giuoco  tosto,  e  molto  innanzi Che  non  solea  là  dentro  esser  costume. Con  torchi  allora  i  paggi  entrati  innanzi, Le  tenebre  cacciar  con  molto  lume. Tra  bella  compagnia  dietro  e  dinanzi Andò  Ruggiero  a  ritrovar  le  piume In  un'  adorna  e  fresca  cameretta, Per  la  miglior  di  tutte  l'altre  eletta. 23  E  poi  che  di  confetti  e  di  buon  vini Di  Buovo  fatti  far  debiti  inviti, E  partir  gli  altri  riverenti  e  chini, Ed  alle  stanze  lor  tatti  son  iti; Ruggiero  enttò  ne' profumati  lini Che  pareano  di  man  d'Aracne  usciti, Tenendo  tuttavia  V  orecchie  attente S' ancor  venir  la  bella  donna  sente. 24  Ad  ogni  piccol  moto  eh  egli  udiva, Sperando  che  fosse  ella,  il  capo  alzava; Sentir  creJeasi,  e  spesso  non  sentiva; Poi  del  suo  errore  accorto  sospirava. Talvolta  nscia  dal  letto,  e  V  uscio  apriva:Guatava  fuori,  e  nulla  vi  trovava:E  maledi  ben  mille  volte  Fora Che  £Eicea  al  trapassar  tanta  dimora. 25  Tra  sé  dicea  sovente:  Or  si  parte  ella; E  cominciava  a  noverare  i  passi Ch'  esser  potean  dalla  sua  stanza  a  quella, Donde  aspettando  sta  che  Alcina  passi. E  questi  ed  altri,  prima  che  la  bella Donna  vi  sia,  vani  disegni  fassi. Teme  di  qualche  impedimento  spesso, Che  tra  il  frutto  e  la  man  non  gli  sia  messo. 26  Alcina,  poi  eh' a preziosi  odori Dopo  gran  spazio  pose  alcuna  meta, Venuto  il  tempo  che  più  non  dimori, Ormai  eh'  in  casa  era  ogni  cosa  cheta, Della  camera  sua  sola  usci  fuori; B  tacita  n'andò  per  via  secreta Dove  a  Ruggiero  avean  timore  e  speme Gran  pezzo  intomo  al  cor  pugnato  insieme. 27  Come  si  vide  il  successor  d'Astolfo Sopra  apparir  quelle  ridenti  stelle, Come  abbia  nelle  vene  acceso  zolfo, Non  par  che  capir  possa  nella  pelle. Or  s'no  agli cechi  ben  nuota  nel  golfo Delle  delizie  e  delle  cose  belle: Salta  del' letto,  e  in  braccio  la  raccoglie, Né  può  tanto  aspettar  ch'ella  si  spoglie; 28  Benché  né  gonna  nò  faldiglia  avesse; Che  venne  avvolta  in  un  leggier  zendado Che  sopra  una  camicia  ella  si  messe, Bianca  e  suttil  nel  più  eccellente  grado. Come  Ruggiero  abbracciò  lei,  gli  cesse Il  manto;  e  restò  il  vel  snttile  e  rado, Che  non  copria  dinanzi  né  di  dietro, Più  che  le  rose  o  i  gigli  un  chiaro  vetro. 29  Non  cosi  strettamente  edera  prema Pianta  ove  intorno  abbarbicata  s'abbia, Come  si  stringon  li  du' amanti  insieme, Cogliendo  dello  spirto  in  su  le  labbia Suave  fior,  qual  non  produce  seme Indo  0  sabeo  nell' odorata  sabbia. Del  gran  piacer  eh'  avein,  lor  dicer  tocca, Che  spesso  avean  più  d'una  lingua  in  bocca. 30  Queste  cose  là  dentro  eran  secrete; 0  Be  pur  non  secrete,  almen  taciute; Che  raro  fu  tener  le  labbra  chete Biasmo  ad  alcun,  ma  ben  spessD  virtute. Tutte  profferte  ei  accoglienze  liete Fanno  a  Ruggier  quelle  persone  astute: Ognun  lo  reverisce  e  se  gli  inchina; Che  cosi  vuol  l'innamorata  Alcina. 31  Non  é  diletto  alcun  che  di  fuor  reste; Che  tutti  son  nell'amorosa  stanza: E  due  e  tre  volte  il  di  mutano  veste, Fatte  or  ad  una  or  ad  un'altra  usanza. Spesso  in  conviti,  e  sempre  stanno  in  fé  ite, In  giostre,  in  lotte,  in  scene,  in  bagno,  in  danza; Or  presso  ai  fonti,  all' ombre  de'  poggetti, Leggon  d'antiqui  gli  amorosi  detti. 32  Or  per  l'ombrose  valli  e  lieti  colli Vanno  cacciando  le  paurose  lepri; Or  con  sagaci  cani  i  fagian  folli Con  strepito  uscir  fen  di  stoppie  e  vepri; Or  a'  tordi  lacciuoli,  or  veschi  molli Tendon  tra  gli  odoriferi  ginepri; Or  con  ami  inescati  ed  or  con  reti Turbano  a' pesci  i  grati  lor  secreti. 33  Stava  Ruggiero  in  tanta  gioia  e  festa. Mentre  Carlo  in  travaglio  ed  Agramante, Di  cui  l'istoria  io  non  vorrei  per  questa Porre  in  obblio,  né  lasciar  Bradamante, Che  con  travaglio  e  con  pena  molesta Pianse  più  giorni  il  disiato  amante, Ch'avea  per  strade  disusate  e  nuove Veduto  portar  via,  né  sapea  dove. 34  Di  costei  prima  che  degli  altri  dico, Che  molti  giorni  andò  cercando  invano Pei  boschi  ombrosi  e  per  lo  campo  aprico. Per  ville,  per  città,  per  monte  e  piano; Né  mii  potè  saper  del  caro  amico, Che  di  tanto  intervallo  era  lontano. Nell'oste  saracin  spesso  venia. Né  mai  del  suo  Ruggier  ritrovò  spia. SUnza  19. 35    Ogni  di  ne  demanda  a  più  di  cento, Né  alcun  le  ne  sa  mai  render  ragioni. D'alloggiamento  va  in  alloggiamento, Cercandone  e  trabacche  e  padiglioni: £  lo  pnò  far;  che  senza  impedimento Passa  tra  cavalieri  e  tra  pedoni, Mercè  all'anel  che  fuor  d'ogni  uman  uso La  fa  si)arìr  quando  V  è  in  bocca  chiusD. 36    Né  pnò  né  creder  vuol  che  morto  sia; Perchè  di  si  grande  uom  Talti  mina Daironde  idaspe  udita  si  saria Fin  dove  il  Sole  a  riposar  declina. Non  sa  né  dir  uè  immaginar  che  via Far  possa  o  in  cielo  o  in  terra;  e  pur  mesc'iina Lo  va  cercando,  e  per  compagni  mena Sospiri  e  pianti  ed  ogni  ac3rba  peni. stanza  IL 87 Pensò  alfin  di  tornare  alla  spelonca, Dove  eran  V  ossa  di  MerHn  profeta, E  gridar  tanto  intorno  a  quella  conca, Che  il  freddo  marmo  si  movesse  a  pietà; Che  se  vivea  Ruggiero,  o  gli  avea  tronca Lealtà  necessità  la  vita  lieta. Si sapria  quindi;  e  poi  s  appiglierebbe A  quel  miglior  consiglio  che  n'avrebbe. 38  Con  questa  intenzion  prese  il  cammino Verso  le  selve  prossime  a  Pontiero, Dove  la  vocal  tomba  di  Merlino Era  nascosa  in  loco  alpestro  e  fiero. Ma  qneUa  maga  che  sempre  vicino Tenuto  a  Bradamante  avea  il  pensiero, Quella,  dico  io,  che  nella  bella  grotta L'avea  della  sua  stirpe  instrutta  e  dotta; 39  Quella  benigna  e  saggia  incantatrice, La  quale  ha  sempre  cura  di  costei, Sappiendo  ch'esser  de' progenitrice D'uomini  invitti,  anzi  di  semidei, Ciascun  di  vuol  saper  che  fa,  che  dice; E  getta  ciascun  di  sorte  per  lei. Di  Ruggier  liberato  e  poi  perduto, E  dove  in  India  andò,  tutto  ha  saputo. 40  Ben  veduto  l'avea  su  quel  cavallo Che  regger  non  potea,  eh'  era  sfrenato, Scostarsi  di  lunghissimo  intervallo Per  sentier  periglioso  e  non  usato; E  ben  sjpea  che  stava  in  giuoco  e  in  ballo, E  in  cibo  e  in  ozio  molle  e  delicato, Né  più  memoria  avea  del  suo  signore. Né  della  donna  sua,  né  del  suo  onore. 41  E  cosi  il  fior  delli  begli  anni  suoi In  lunga  inerzia  aver  potria  consunto Si  gentil  cavalier,  per  dover  poi Perdere  il  corpo  e  V  anima  in  uà  punto; E  queir  odor  che  sol  riman  di  noi, Poscia  che'l  resto  fragile  è  defunto, Che  tra'l'uom  del  sepolcro  e  in  vita  il, serba, Gli  saria  stato  o  tronco  o  svelto  in  erba. 43  Ella  non  gli  ora  facile,  e  talmente  ' Fattane  cieca  di  superchio  amore, Che,  come  facea  Atlante,  solamente A  dargli  vita  avesse  posto  il  care. Quel  piuttosto  volea  che  lungamente Vivesse  e  senza  fama  e  senza  onore. Che  con  tutta  la  laude  che  sia  al  mondo, Mancasse  un  anno  al  suo  viver  giocondo. 44  L'avea  mandato  all' isola  d' Alcina, Perchè  obbli'asse  l'arme  in  quella  corte: E  com3  mago  di  somma  dottrina, Ch'  usar  sapea  gì'  incanti  d'ogni  sorte, Avea  il  cor  stretto  di  quella  regina Neil' amor  d'esso  d'un  laccio  sì  forte, Che  non  se  n'  era  mai  per  poter  sciorre, S'invecchiasse  Ruier  più  di  Nestorre. 45  Or  tornando  a  colei  eh'  era  presaga Di  quanto  de' avvenir,  dico  che  tenne La  dritta  via  dove  V  errante  e  vaga Figlia  d'Amon  seco  a  incontrar  si  venne. Bradamante  vedendo  la  sua  maga, Muta  la  pena  che  prima  sostenne, Tutta  in  speranza;  e  quella  l'apre  il  vero, Ch'ad  Alcina  è  condotto  il  suo  Ruggiero. 46  La  giovane  riman  presso  che  morta. Quando  ode  che'l  suo  amante  è  cosi  lunge, E  più,  che  nel  suo  amor  periglio  porta, Se  gran  rimedio  e  subito  non  giunge:Ma  la  benigna  maga  la  conforta, E  presto  pon  l'impiastro  ove  il  duol  punge; E  le  promette  e  giura,  in  pochi  giorni Far  che  Ruggiero  a  riveder  lei  tomi. 47  Dacché,  donna,  (dicea)  l'aneUo  hai  teco, Che  vai  contra  ogni  magica  fattura. Io  non  ho  dubbio  alcun  che,  s' io  l'arreco Là  dove  Alcina  ogni  tuo  ben  ti  fura. Ch'io  non  le  rompa  il  suo  disegno,  e  meco Non  ti  rimeni  la  tua  dolce  cura. Me  n'andrò  questa  sera  alla  prim'ora, E  sarò  in  India  al  nascer  dell' aurora. 42    Ma  quella  gentil  maga,  che  più  cura N'avea,  ch'egli  medesmo  di  sé  stesso, Pensò  di  trarlo  per  via  alpestre  e  dura Alla  vera  virtù,  mal  grado  d'esso:Come  eccellente  medico,  che  cura Con  ferro  e  fuoco,  e  con  veneno  spesso; Che  sebben  molto  da  principio  offende, Poi  giova  affine,  e  grazia  se  gli  rende. 48    E  seguitando,  del  modo  narrolle Che  disegnato  avea  d'adoperarlo. Per  trar  del  regno  effemm'nato  e  molle Il  caro  amante,  e  in  Francia  rimenarlo. Bradamante  l'anel  del  dito  toUe: Né  solamente  avria  voluto  darlo; Ma  dato  il  core,  e  dato  avria  la  vita, Purché  n' avesse  il  suo  Ruggiero  aita. Stanza  30. 49  Le  dà  Panello,  e  se  le  raccomanda; E  più  le  raccomanda  il  suo  Rugsfiero, A  cni  per  lei  mille  salati  manda; Poi  prese  ver  Provenza  altro  sentiero. Andò  r incantatrice  a  nn altra  banda; E  per  porre  in  effetto  il  sno  pensiero, Un  palafren  fece  apparir  la  sera 50    Credo  fusse  un  Alchino  o  un  Farfarello Che  dell  inferno  in  quella  forma  trasse:E  scinta  e  scalza  montò  sopra  a  quello, A  chiome  sciolte  e  orribilmente  passe:Ma  ben  di  dito  si  levò  Panello, Perchè  giuncanti  suoi  non  le  vietasse. Poi  con  tal  fretta  andò,  che  la  mattina Ch'avea  un  pie  rosso,  e  ogni  altra  parte  nera.       Si  ritrovò  nelP  isola  d' Alcini. .Vtr.nza  18. 51  Quivi  mirabìlmeute  trasmatosse S'accrebbe  più  d'un  palmo  di  statura, E  fé' le  membra  a  proporzion  più  grosse, E  restò  appunto  di  quella  misura che si  pensò  che  '1  necromante  fosse, Quel  che  nutrì  Ruggier  con  sì  gran  cura:Vestì  di  lunga  barba  le  mascelle, E  fé' crespa  la  fronte  e  T  altra  pelle. 52  Di  faccia,  di  parole  e  di  sembiante Sì  lo  seppe  imitar,  che  totalmente Potea  parer  l'incantatore  Atlante. Poi  si  nascose;  e  tanto  pose  mente, Che  da  Ruggiero  allontanar  1'  amante Alcina  vide  un  giorno  finalmente: E  fu  gran  sorte;  che  di  stare  o  d'ire Senza  esso  un'  ora  potea  mal  patire. 57  Dì  medolle  già  d'orsi  e  di  leoni Ti  porsi  io  dunque  li  primi  alimenti; T'ho  per  caverne  ed  orridi  burroni Fanciullo  avvezzo  a  strangolar  serpenti, Pantere  e  tigri  disarmar  d'unghioni, Ed  a  vivi  cinghal  trar  spesso  i  denti. Acciò  che  dopo  tanta  disciplina Tu  sii  l'Adone  o  l'Atide  d'Alcina? 58  É  questo  quel  che  l'osservate  stelle, Le  sacre  fibre  e  gli  accoppiati  punti, Responsi,  augurj,  sogni,  e  tutte  quelle Sorti  ove  ho  troppo  i  miei  studj  consunti, Di  te  promesso  sin  dalle  mammelle M' avean,  come  quest'  anni  fosser  giunti, Ch'in  arme  l'opre  tue  così  preclare Esser  dovean,  che  sarian  senza  pare? 53  Soletto  lo  trovò,  come  lo  volle, Che  si  godea  il  mattin  fresco  e  sereno, Lungo  un  bel  rio  che  discorrea  d'un  colle Verso  un  laghetto  limpido  ed  ameno. Il  suo  vestir  delizioso  e  molle Tutto  era  d'ozio  e  di  lascivia  pieno  y Che  di  sua  man  gli  avea  di  seta  e  d'oro Tessuto  Alcina  con  sottil  lavoro. 54  Di  ricche  gemme  un  splendido  monile Gli  discendea  dal  collo  in  mezzo  il  petto; E  nell'uno  e  nell'altro  già  virile Braccio  girava  un  lucido  cerchietto; Gli  avea  forato  un  fil  d'oro  sottile Ambe  l'orecchie,  in  forma  d'anelletto; E  due  gran  perle  pendevano  quindi, Qual  mai  non  ebbon  gli  Arabi  né  gì'  Indi. 55  Umide  avea  l'inanellate  chiome De'  più  soavi  odor  che  sieno  in  prezzo:Tutto  ne' gesti  era  amoroso,  come Fosse  in  Valenza  a  servir  donne  avvezzo:Non  era  in  lui  di  sano  altro  che  '1  nome; Corrotto  tutto  il  resto,  e  più  che  mézzo. Cosi  Ruggìer  fu  ritrovato,  tanto Dall'esser  suo  mutato  per  incanto. 56  Nella  forma  d'Atlante  se  gli  affaccia Colei  che  la  sembianza  ne  tenea, Con  quella  grave  e  venerabil  faccia Che  Ruggìer  sempre  riverir  S3lea, Con  quell' occhio  pien  d'ira  e  di  minaccia, Che  sì  temuto  già  fanciullo  avea; Dicendo: É  questo  dunque  il  frutto,  eh'  io Lungamente  atteso  ho  del  sudor  nuo? 59  Questo  è  ben  veramente  alto  principio! Onde  si  può  sperar  che  tu  sia  presto A  farti  uu  Alessandro,  un  Giulio,  un  Scipio. Chi  potea,  ohimè !  di  te  mai  creler  questo, Che  ti  facessi  d'Alcina  mancipio? E  perchè  ognun  lo  veggia  manifesto, Al  collo  ed  alle  braccia  hai  la  catena Con  che  ella  a  voglia  sua  preso  ti  mena. 60  Se  non  ti  muovon  le  tue  proprie  laudi, E  l'opre  eccelse  a  che  t'ha  il  Cielo  eletto, La  tua  successì'on  perchè  defraudi Del  ben  che  mille  volte  io  t'ho  predetto? Deh !  perchè  il  ventre  eternamente  daudi, Dove  il  Ciel  vuol  che  sia  per  te  concetto La  gloriosa  e  soprumana  prole, Ch'esser  de' al  mondo  più  chiara  che'l  Sole? 61  Deh !  non  vietar  che  le  più  nobil  alme Che  sian  formate  nell'eterne  idee. Di  tempo  in  tempo  abbian  corporee  salme Dal  ceppo  che  radice  in  te  aver  dee. Deh !  non  vietar  mille  trionfi  e  palme, Con  che,  dopo  aspri  danni  e  piaghe  ree, Tuoi  figli,  tuoi  nipoti  e  successori Italia  tomeran  nei  primi  onori! 62  Non  eh'  a  piegarti  a  questo  tante  e  tante Anime  belle  aver  dovesson  pondo, Che  chiare,  illustri,  inclite,  invitte  e  sante Son  per  fiorir  dall'ajbor  tuo  fecondo; Ma  ti  dovria  una  coppia  esser  bastante, Ippolito  e  il  fratel;  che  pochi  il  mondo Ha  tali  avuti  ancor  fino  al  di  d'oggi, Per  tutti  i  gradi  onde  a  virtù  si  poggi. Stanza  56. 63    Io  solea  più  di  questi  dui  narrarti Ch  io  non  facea  di  tutti  gli  altri  insieme; Si  perchè  essi  terran  le  maggior  parti, Che  gli  altri  tuoi,  nelle  virtù  supreme; Si  perchè  al  dir  di  lor  mi  vedea  darti Più  attenzi'on,  che  d'altri  del  tuo  seme; Vedea  goderti  che  si  chiari  eri Esser  dovessen  dei  nipoti  tuoi. H4    Cho  ha  cortei  che  t' hai  fatto  regina, Che  non  abbian  milP  altre  meretrici? Costei  che  di  tant'  altri  è  concubina Ch  alfin  sai  ben  s' ella  suol  far  felici. Ma  perchè  tu  conosca  chi  sia  Alcina, Levatone  le  fraudi  egli  artifici, Tien  questo  anello  in  dito,  e  toma  ad  ella, Ch'avvedor  ti  potrai  come  sia  bella. 65    Huggier  A  stava  vergognoso  e  muto Mirando  in  terra,  e  mal  sapea  che  dire; À  cui  la  maga  nel  dito  minuto Pose  r  anello,  e  lo  fé'  risentire. Come  Ruggiero  in  sé  fu' rivenuto, DI  tanto  scorno  si  vide  assalire, Ch'  esser  vorria  sotterra  mille  braccia, Ch'alcun  veder  non  lo  potesse  in  faccia. 66  Nella  sua  prima  forma  in  uno  istante Cosi  parlando,  la  maga  rivenne; Né  bisognava  più  quella  d'Atlante, Seguitone  l'effetto  per  che  venne. Per  dirvi  quel  eh'  io  non  vi  dissi  innante, Costei  Melissa  nominata  venne, Ch'or  die  a  Ruggier  di  sé  notizia  vera, E  dissegli  a  che  effetto  venuta  era; 67  Mandata  da  colei,  che  d'amor  piena Sempre  il  disia,  né  più  può  stame  senza, Per  liberarlo  da  quella  catena, Di  che  lo  cinse  magica  violenza: E  preso  avea  d'Atlante  di  Carena La  forma,  per  trovar  meglio  credenza; Ma  poi  eh' a  sanità  l'ha  omai  ridutto. Gli  vuole  aprire  e  far  che  veggia  il  tutto. 68  Quella  donna  gentil  che  t' ama  tanto, Quella  che  del  tuo  amor  degna  sarebbe, A  cui,  se  no  a  ti  scorda,  tu  sai  quanto Tua  libertà,  da  lei  servata,  debbe; Questo  anel,  che  ripara  ad  ogni  incanto, Ti  manda:  e  cosi  il  cor  mandato  avrebbe, S'avesse  avuto  il  cor  così  virtute. Come  r  anello,  atta  alla  tua  salute. 69  E seguitò  narrandogli  l'amore che  Bradamante  gli  ha  portato  e  porta: Di  quella  insieme  commendò  il  valore, In  quanto  il  vero  e  l'affezion  comporta: Ed  usò  modo  e  termine  migliore Che  si  convenga  a  messaggera  accorta; E4l  in  quell'odio  Alcina  a  Rugger  pose In  che  soglionsi  aver  l'orribil  cose. 70  In  odio  gli  la  pose,  ancorché  tanto L'amasse  dianzi;  e  non  vi  paa  strano, Qnando  il  sno  amor  per  forza  era  d'incanto, Ch'  essendovi  V  anel,  rimase  vano. Fece  Fanel  palese  ancor,  che  quanto Di  beltà  Alcina  avea,  tutto  era  estrano; Estrano  avea,  e  non  sno,  dal  pie  alla  treccia: n  bel  ne  sparve,  e  le  restò  la  feccia. 71  Come  fanciullo  che  maturo  fratto Hipone,  e  poi  si  scorda  ove  è  riposto, E  dopo  molti  giorni  è  rìcondutto Là  dove  truova  a  caso  il  suo  deposto:Si  maraviglia  di  vederlo  tutto Putrido  e  guasto,  e  non  come  fa  posto; E  dove  amarlo  e  caro  aver  solia, L'odia,  sprezza,  n'ha  schivo,  e  getta  via: 72  Cori  Ruggier,  poiché  Melissa  fece Ch'a  riveder  se  ne  tornò  la  Fata Con  quell'anello,  innanzi  a  cui  non  lece. Quando  s'ha  in  dito,  usare  opa  incantata Ritruova,  contra  ogni  saa  stima,  invece Della  bella  che  dianzi  avea  lasciata. Donna  sì  laida  che  la  terra  tutta Né  la  più  vecchia  avea,  né  la  più  brutta. 73  Pallido,  crespo  e  macilente  avea Alcina  il  viso,  il  crin  raro  e  canuto: Sua  statura  a  sei  palmi  non  gtnngea: .  Ogni  dente  di  bocca  era  caduto; Che  più  d'Ecaba  e  più  della  Cumea, El  avea  più  d'ogni  altra  mai  vivato. ra  si  r  arti  usa  al  nostro  tempo  ignote, Che  bella  e  giovanetta  parer  puote. 74  Giovane  e  bella  ella  si  fa  con  arte, Si  che  molti  ingannò  come  Ruggiero; Ma  l'anel  venne  a  interpretar  le  carte Che  già  molti  anni  avean  celato  il  vero. Miracol  non  é  dunque  se  si  parte Dell' animo  a  Ruggier  ogni  pensiero Ch'avea  d'amare  Alcina,  or  che  la  trova In  guisa  che  sua  fraudo  non  le  giova. 75  Ma,  come  l'avvisò  Melissa,  stette Senza  mutare  il  solito  sembiante, Finché  dell'arme  sue,  più  di  neglette. Sì  fu  vestito  dal  capo  alle  piante. E  per  non  farle  ad  Alcina  suspette, Finse  provar  s'in  esse  era  aiutante: Finse  provar  se  gli  era  fatto  groo Dopo  alcun  di  che  non  l'ha  avute  indosso. 76    E  Balisarda  poi  si  messe  al  fianco (Che  cosi  nome  la  sua  spada  avea): E  lo  scudo  miiabile  tolse  anco, Che  non  pur  gli  occhi  abbarbagliar  sole", Ma  l'anima  facea  si  venir  manco. Che  dal  corpo  esalata  esser  parca: Lo  tolse;  e  col  zendado  in  che  trovoUo, Che  tutto  lo  copria,  sei  messe  al  collo. Stanza  73. 77  Venne  alla  stalla,  e  fece  briglia  e  sella Porre  a  un  destrier  più  che  la  pece  nero:Cosi  Melissa  l'avea  instrutto;  ch'ella Sapea  quanto  nel  corso  era  leggiero. Chi  lo  conosce,  Rabican  l'appella; Ed  é  quel  proprio  che  col  cavaliere, Del  quale  i  venti  or  presso  al  mar  fan  gioco, Portò  già  la  balena  in  questo  loco. 78  Potea  aver  l'Ippogrifo  similmente. Che  prasso  a  Rabicano  era  legato; ìIa  gli  avea  detto  la  maga:  Abbi  mente Ch'  egli  è,  come  tu  sai,  troppo  sfrenato. E  gli  diedi  intenzion  che  '1  di  seguente Gli  lo  trarrebbe  fuor  di  quello  stato, Là  dove  ad  agio  poi  sarebbe  instrutto Come  frenarlo,  e  farlo  gir  per  tutto. 79  Né  sospetto  darà,  se  non  lo  tolle, Della  tacita  fuga  ch'apparecchia. Pece  Ruggier  come  Melissa  volle, eh'  invisibile  ognor  gli  era  all' orecchia. Così,  fingendo,  del  lascivo  e  molle Palazzo  nsd  della  puttana  vecchia; E  si  venne  accostando  ad  una  porta, D' onde  è  la  via  eh'  a  Logistilla  il  porta. 80  Assaltò  li  guardiani  all' improvviso, E  si  cacciò  tra  lor  col  ferro  in  mano; E  qual  lasciò  ferito,  e  quale  ucciso, E  corse  fuor  del  ponte  a  mano  a  mano:E  prima  che  n'avesse  Alcina  avviso, Di  molto  spazio  fti  Ruggier  lontano. Dirò  nell'altro  Canto  che  via  tenne; Poi  come  a  Logistilla  se  ne  venne. NOTE. St.  3.  V.4.   F:avo  iacinto  ossia  inondo  giacinto; 8X)ecie  di  pietra  preziosa  di  colore  giallo  rossiccio. St.  4.  V.11   La  Puglia  abbondava  di  lupi  gran dissimi. St.  5.  V.26.   Botta,  rospo. St.  14  V.6.   Argo  si  sa  dalle  favole  che  aveva cent'oochL St.  20.  V.24.   È  noto  che  i  successori  di  Nino  fino a  jSardanapalo  si  scialarono  per  il  lusso  dei  loro  ban chetti. Nel  vincitor  Utino  si  ravvisa  Cesare  vincitore di  Pompeo St.  23.  V.6.   Aracne  fu  tessitrice  della  Lidia  che vinse  alla  prova  la  stessa  Minerva  e  da  lei  fu  cangiata in  ragno. St.  2a  V.1.   Faldiglia,  è  quella  che  fu  detta  poi ciinolina. St.  29.  V.6.   I  Sabei  erano  popoli  dell' Arabia  Félice  fertile  di  piante  aromatiche. St.  34.  V.8.   Spia: qui  indicatore. St.  36.  V.34.   Questa  locuzione  significa  da  levante a  ponente  I  poeti  rammentano  Tldaspe,  fiume  dell'India, con  che  spesse  volte  hanno  designato  tutto  l'Oriente. St.  38.  V.2.   Questo  Pontieri  è  Pontrieu  dove  i pastori  della  Brettagna  additano  anche  adesso  la  sup posta tomba  di  Merlino;  la  qual  tomba  ò  detta  qui  vo cale perchè  n'usciva  la  voce  del  sepolto  incantatore. St.  39.  V.0   Gettar  la  aorte  o  le  sorti,  cercare  di conoscer  le  cose  per  mezzo  di  pratiche  superstiziose. St.  44.  V.8.   Nestore  re  di  Pilo  nel  Peloponneso. visse,  secondo  Omero,  fino  a  300  anni  Sul  luo  del l'antica Pilo  0  Pylos  ò  ora  un  castello  che  dicesi  Zonchio. St.  50  V.14   A/c/i/w,  accorciamento  di  AZ"r  no, e  Farfarello,  nomi  di  diavoli  inventati  da  Dante  Passe  del  quarto  verso  significa  sparte,  disordinate. St.  55  V.4.   Valenza,  città  della  Spagna,  era  fa mosa per  effeminata  grazia  e  mollezza,  specialmente  nei paggi  che  servivano  le  signore. Ivi.  V.6.   Mezto,  qui  deve  pronunciarsi  con  l'È  chiosa, e  vuol  dire  vizzo,  prossimo  a  piUrefarsi. St.  57.  V.78.   Adone  fu  l'innamorato  di  Venere,  e Atide  0  Ati  di  Gibele. St.  60.  V.4  5.   Il  bene  mentovato  nel  quarto  verso riguarda  le  future  glorie  della  progenie  estense,  che  devo nascere  da  Ruggiero  e  da  Bradamante;  al  che  alludono il  quinto  e  gli  altri  versi.   Claudi,  chiudi. St.  67.  V.5.   Atlante  di  Carena.  Di  due  città  cosi nominate,  Tuna  in  Siria,  l'altra  in  Media,  non  si  saprebbe qual  dare  per  patria  ad  Atlante;  se  non  che  il  Poeta, avendolo  nom'inato  vecchio  Mauro  nella  St.  76  del  Can to YI,  fa  credere  non  aver  egli  avnto  mente  a  veruna delle  due St.  73  V.5.   Ecuba,  vedova  del  re  Priamo,  e  la  Si billa Cumana  (cosi  denominata  dal  luogo  ove  nacque) vissero  fino  ad  estrema  vecchiezza. St.  77.  V.25.   Era  il  cavallo  d'Astolfo,  e  fii  già  del FArgalia.  Lo  ebbe  dipoi  Rinaldo:  dopo  di  lui,  Astolfo. Superali  diversi  nsJacoli,  R%'f;i"?i"o  fuKt  da  Alcina.  Hrlisn  rende ]a  phinifi  forma  ad  Astolfo,  dr  recupera  Ttirmi  e  va  'rcmjlui al  1(1  dimora  di  JjOìstilla,  dove  arriva,  poi  anche  Ruggiiire,  Ri naldo pa.'>sa  dalla  Seo?.ia  ia  Inhiltirra,  e  ottiene  soccorri  |i6r Carlo  assft'Jiatn  in  Pari(d.  Angelica  è  trasportata  nell' jfjola  dL EV>uda  pfr  esservi  divorata  da  Qn  mostro  marino.  Orlando   il uso  da  un  sogno   eace  travestito  di  Parigi  e  TE  in  traccia  di  lei. Oli  qnaiìte  sono  ìncantatriei,  oh  quaUTl IncantatoT  tra  nui    che  non  si  sauno, Che  con  lor  arti  uomini  e  donne  amanti Di  sé,  cangiando  i  yisi  lor    fatto  hanno ! Nnn  con  spirti  costretti  tali  incanti, Né  enti  osèen'aziun  ili  stelle  fknno; Ma  con  simnlazion,  menzogne  e  frodi Legano  i  cor  d'iuilisaolnhil  nodi Chi  l'anello  d Angelica,  o  piuttosto Chi  avesse  quel  della  ragion,  pò  tri  a Veder  a  tutti  il  viso,  che  nascosto Da  ti  dì:  ione  e  d'arta  non  saria, Tal  ci  par  hello  e  buono,  che,  deposto Il  liccio,  brutto  e  rio  forse  jiarrià. Fa  gran  ventura  qneUa  di  Bnggìero, Ch'ebbe  l'anel  che  gli  scoperse  il  vero. Ruggier,  com'io  dicea,  dìssimolando, Sa  Rabican  venne  alla  porta  armato:Trovò  le  guardie  sprovvedute;  e  quando Giunse  tra  lor,  non  tenne  il  brando  a  lato. Chi  morto  e  chi  a  mal  termine  lasciando, Esce  del  ponte,  e  il  rastrello  ha  spezzato:Prende  al  bosco  la  via,  ma  poco  corre, Ch'ad  un  de' servi  della  Fata  occorre. stanza  4. 4  II  servo  in  pngno  avea  un  augel  grifagno Che  volar  con  piacer  facea  ogni  giorno, Ora  a  campagna,  ora  a  un  vicino  stagno, Dove  era  sempre  da  far  preda  intomo:Avea  da  lato  il  can  fido  compagno; Cavalcava  un  ronzin  non  troppo  adcmo. Ben  pensò  che  Ruggier  dovea  fuggire, Quando  lo  vide  in  tal  fretta  venire. Spinge  r  augello: e  quel  batte  sì  V  ale, Che  non  l'avanza  Rabican  di  corso. Del  palafreno  il  cacciator  giù  sale, £  tutto  a  un  tempo  gli  ha  levato  il  mcrao. Quel  par  dall'arco  uno  avventato  strale, Di  calci  formidabile  e  di  morso; E  '1  servo  dietro  si  velcce  viene, Che  par  ch'il  vento,  anzi  che'l  fuoco  il  mene Non  vuol  parere  il  can  d'eser  più  laido; Ma  segue  Rabican  con  quella  fretta, Con  che  le  lepri  suol  seguiie  il  pario. Vergogna  a  Ruggier  par,  se  non  aspttta: Voltasi  a  quel  che  vien  si  a  pie  gagliardo. Né  gli  vede  arme,  fuor  eh'  una  bacchetta Quella  con  che  ubbidire  al  cane  iuscgua. Ruggier  di  trar  la  spada  sì  disdegna. Stanza  11 Se  gli  fé' incontra,  e  con  sembiante  altiero Gli  domandò  perchè  in  tal  fretta  gisse. Risponder  non  gli  volse  il  buon  Ruggiero:Perciò  colui,  più  certo  che  fuggisse, Di  volerlo  arrestar  fece  pensiero; E  distendendo  il  braccio  manco,  disse: Che  dirai  tu,  se  subito  ti  fermo?Se  centra  questo  augel  non  avrai  schermo?8      Quel  se  gli  appressa,  e  forte  lo  percuote: Lo  morde  a  un  tempo  il  can  nel  piede  manco Lo  sfrenato  destrier  la  groppa  scuote Tre  volte  e  più,  né  falla  il  destro  fianco. Gira  r  augello,  e  gli  fa  mille  ruote, E  con  l'ugna  sovente  il  ferisce  anco:Si  il  destrier  collo  strido  ìmpaurisoe, Ch'alia  mano  e  allo  spron  poco  ubbidisce. VIII. Buggìero,  alfin  costretto,  il  ferro  cacc'a:E  perchè  tal  molestia  se  ne  vada, Or  gli  animali,  or  quel  villan  minaccia Col  taglio  e  con  la  punta  della  spada. Qnella  importuna  turba  più  1  impaccia:Presa  ha  chi  qua  chi  là  tutta  la  strada. Vede  Ruggiero  il  disonore  e  il  danno Che  gli  avveri  à,  se  più  tardar  lo  fanno. 10    Sa  ch'ogni  poco  più  ch'ivi  rimane, Alcina  avrà  col  popolo  alle  spalle. Di  trombe,  di  tamburi  e  di  campane Già s'ode  alto  rumore  in  ogni  valle: Centra  un  servo  senz'  arme,  e  contro  un  cane Gli  par  eh' a  usar  la  spada  troppo  falle; Meglio  e  più  breve  è  dunque  che  gli  scopra Lo  scudo  che  d'Atlante  era  stato  opra. Stanza  19. Il    Levò  il  drappo  vermiglio,  in  che  coperto Già  molti  giorni  lo  scudo  si  t"nne. Fece  l'effetto  mille  volte  esperto Il  lume,  ove  a  ferir  negli  occhi  venne. Resta  dai  sensi  il  caociator  deserto; Cade  il  cane  e  il  ronzin,  cadon  le  penne Ch' in  aria  sostener  l'augel  non  ponno; Lieto  Ruggier  li  lascia  in  preda  al  sonno. 12    Alcina,  ch'avea  intanto  avuto  avviso Di  Ruggier,  che  sforzato  avea  la  porta, E  della  guardia  buon  numero  ucciso, Fu  y  vinta  dal  dolor,  per  restar  morta. SquarcTossi  i  panni  e  si  percosse  il  viso, E  sciocca  nominossi  e  mal  accorta; E  fece  dar  all' arme  immantinente, E  intorno  a  sé  raccor  tutta  sua  gente.13  E  poi  ne  fa  due  parti,  e  manda  Tona Per  quella  strada  ove  Rnggier  cammina; Al  porto  l'altra  subito  raguna In  barca,  ed  uscir  fa  nella  marina: Sotto  le  vele  aperte  il  mar  s'imbruna. Con  questi  va  la  disperata  Alcina, Che  '1  desiderio  di  Ruggier  sì  rode, Che  lascia  sua  città  senza  custode. 14  Non  lascia  alcuno  a  guardia  del  palagio; Il  che  a  Melissa,  che  stava  alla  posta Per  liberar  di  quel  regno  malvagio La  gente  eh'  in  miseria  v'  era  posta, Diede  comodità,  diede  grande  agio Di  gir  cercando  ogni  cosa  a  sua  posta, Immagini  abbruciar,  suggelli  tórre, E  nodi  e  rombi  e  turbini  disciorre. 19  Tra  duri  sassi  e  folte  sp'ne  già Ruggiero  intanto  invér  la  Fata  saggia, Dì  balzo  in  balzo,  e  d'una  in  altra  via Aspra,  soliiiga,  inospita  e  selvaggia, Tanto  eh'  a  gran  fatica  riuscia Su  la  fervida  nona  in  una  spiaggia Tra  '1  mare  e  '1  monte,  al  Mezzodì  scoperta . Arsiccia,  nuda,  sterile  e  deserta. 20  Percuote  il  Sole  ardente  il  vicin  colle; E  del  calor  che  si  riflette  addietro, In  modo  l'aria  e  F arena  ne  bolle, Che  saria  troppo  a  far  liquido  il  vetro. Stassi  cheto  ogni  augello  all' ombra  molle; Sol  la  cicala  col  noioso  metro Fra  i  densi  rami  del  fronzuto  stelo Le  valli  e  i  monti  assorda,  e  il  mare  e  il  cielo. 15  Indi  pei  campi  accelerando  i  passi, Gli  antiqui  amanti,  eh'  erano  in  gran  torma, Conversi  in  fonti,  in  fere,  in  legni,  in  sassi, Pe' ritornar  nella  lor  prima  forma. E  quei,  poi  eh'  allargati  furo  i  passi, Tutti  del  buon  Ruggier  seguiron  l'orma: A  Logistilla  si  salvaro;  ed  indi Tornare  a  Sciti,  a  Persi,  a  Greci,  ad  Indi. 16  Li  rimandò  Melissa  in  lor  paesi, Con  obbligo  di  mai  non  esser  sciolto. Fu  innanzi  agli  altri  il  duca  degl'Inglesi Ad  esser  ritornato  in  uman  volto; Chè'l  parentado  in  questo,  e  li  cortesi Prieghi  del  buon  Ruggier  gli  giovar  molto: Oltre  i  prieghi,  Ruggier  le  die  l'anello, Acciò  meglio  potesse  aiutar  quello. 17  A' prieghi  dunque  di  Ruggier,  rifatto Fu  '1  paladin  nella  sua  prima  faccia. Nulla  pare  a  Melissa  d'aver  fatto. Quando  ricovrar  l'arme  non  gli  faccia, E  quella  lancia  d'ór,  eh'  al  primo  tratto Quanti  ne  tocca  della  sella  caccia; Dell' Argalia,  poi  fu  d'Astolfo  lancia; E  molto  onor  fé' all'uno  e  all'altro  in  Francia. 18  Trovò  Melissa  q"e8ta  lancia  d'oro, Ch' Alcina  avea  reposta  nel  palagio; E  tutte  l'arme  che  del  duca  fóro, E  gli  fnr  tolte  nell'ostel  malvagio. Montò  il  destrier  del  Negromante  moro, E  fé' montar  Astolfo  in  groppa  ad  agio; E  quindi  a  Logistilla  si  condusse D'un'  ora  prima  che  Ruggier  vi  fùsse. 21  Quivi  il  caldo,  la  sete  e  la  fatica Ch'era  di  gir  per  quella  via  arenosa, Facean,  lungo  la  spiaggia  erma  ed  aprica, A  Ruggier  compagnia  grave  e  noiosa. Ma  perchè  non  convìen  che  sempre  io  dica, Né  eh'  io  vi  occupi  sempre  in  una  cosa, 10  lascerò  Ruggiero  in  questo  caldo, E  girò  in  Scozia  a  ritrovar  Rinaldo. 22  Era  Rinaldo  molto  ben  veduto Dal  re,  dalla  figliuola  e  dal  paese. Poi  la  cagion  che  quivi  era  venuto . Più  ad  agio  il  Paladin  fece  palese:Ch'in  nome  del  suo  re  chiedeva  aiuto E  dal  regno  di  Scozia  e  dall'luglese; Ed  ai  prieghi  soggiunse  anco  di  Carlo Giusfissime  cagion  di  dover  farlo. 23  Dal  re  senza  indugiar  gli  fu  risposto. Che  di  quanto  sua  forza  s' estendea, Per  utile  ed  onor  sempre  disposto Di  Carlo  e  dell'Imperi  j  esser  volea: E  che  fra  pochi  di  gli  avrebbe  posto Più  cavalieri  in  punto  che  potea; E,  se  non  ch'esso  era  oggimai  pur  vecchio. Capitano  verna  del  suo  apparecchio:24  Nò  tal  rispetto  ancor  gli  parria  degno Di  farlo  rimaner,  se  non  avesse 11  figlio,  che  di  forza,  e  più  d'ingegno, Degnissimo  era  a  chi'l  governo  dese, Benché  non  si  trovasse  allor  nel  regno; Ma  che  sperava  che  venir  dovesse Mentre  eh'  insieme  aduneria  lo  stuolo; E  eh'  adunato  il  troveria  il  figliuolo. 25  Cosi  mandò  per  tutta  la  sua  terra Suoi  tesorieri  a  far  cayalli  e  gente:Navi  apparecchia  e  munizion  da  guerra, Vettovaglia  e  danar  maturamente. Venne  intanto  Rinaldo  in  Inghilterra, E1  re  nel  suo  partir  cortesemente Insino  a  Beroìcche  accompagno! lo; E  visto  pianger  fti  quando  lasciollo. 26  Spirando  il  vento  prospero  alla  poppa, Monta  Einaldo,  et  addio  dice  a  tutti:La  fune  indi  al  viaggio  il  nocchier  sgroppa; Tanto  che  giunge  ove  nei  salsi  flutti Il  bel  Tamigi  amareggiando  intoppa. Col  gran  flusso  del  mar  quindi  condutti I  naviganti  per  cammin  sicuro, A  vela  e  remi  insino  a  Londra  furo. 27  Rinaldo  avea  da  Carlo  e  dal  re  Otone, Che  con  Carlo  in  Parigi  era  assediato, Al  principe  di  Vallia  commissione Per  contrassegni  e  lettere  portato, Che  ciò  che  potea  far  la  regione Di  fanti  e  di  cavalli  in  ogai  lato, Tutto  debba  a  Calesio  traghi ttarlo, Si  che  aiutar  si  possa  Francia  e  Carlo. 28  II  principe  eh  io  dico  .  eh'  era,  invece D'Oton,  rimase  nel  seggio  reale, A  Rinaldo  d'Amon  tanto  onor  fece, Che  non  T avrebbe  al  suo  re  fatto  uguale: ludi  alle  sue  domande  satisfece; Perchè  a  tutta  la  gente  marziale E  di  Bretagna  e  deir  isole  intorno Di  ritrovarsi  al  mar  prefisse  il  giorno. 29  Signor,  far  mi  convien  come  fa  il  buono Sonator  sopra  il  suo  istrumento  arguto, Che  spesso  muta  corda  e  varia  suono, Ricercando  ora  il  grave,  ora  T acuto. Mentre  a  dir  di  Rinaldo  attento  sono, D'Angelica  gentil  m' è  sovvenuto, Di  che  lasciai  ch'era  da  lui  fuggita, E  eh'  avea  riscontrato  un  Eremita. 30  Alquanto  la  sua  istoria  io  vo' seguire. Dissi  che  domandava  con  gran  cura, Come  potesse  alla  marina  gire; Che  di  Rinaldo  avea  tanta  paura. Che,  non  passando  il  mar,  ciedea  morire, Né  in  tutta  Europa  si  tenea  sicura; Ma  l'Eremita  a  bada  la  tenea, Perchè  di  star  con  lei  piacere  avea. 81    Quella  rara  bellezza  il  cor  gli  accese, E  gli  scaldò  le  frigide  modelle:Ma  poi  che  vide  che  poco  gli  attese, E  ch'oltra  soggiornar  seco  non  volle, Di  cento  punte  l'asinelio  offese; Né  di  sua  tardità  però  lo  tolle:E  poco  va  di  passo,  e  men  di  trotto; Né  stender  gli  si  vuol  la  bestia  sotto. Stanza  31. 32  E  perchè  molto  dilungata  s' era, E  poco  più,  n'avria  perduta  l'orma. Ricorse  il  frate  alla  spelonca  nera, E  di  demonj  uscir  fece  una  torma: E  ne  sceglie  uno  di  tutta  la  schiera, E  del  bisogno  suo  prima  F informa; Poi  lo  fa  entrare  addosso  al  corridore, Che  via  gli  porta  con  la  donna  il  core. 83  E  qual  sagace  can  nel  monte  usato A  volpi  0  lepri  dar  spesso  la  caccia, Che  se  la  fera  andar  vede  da  un  lato, Ne  va  da  un  altro,  e  par  sprezzi  la  traccia; Al  varco  poi  lo  sentono  arrivato, Che  l'ha  già  in  bocca,  e  l'apre  il  fianco  e  straccia: Tal  l'Eremita  per  diversa  strada Aggiugnerà  la  donna  ovunque  vada. 34  Che  8  il  disegno  suo,  ben  io  eomprendo; £  dirollo  anco  a  voi,  ma  in  altro  loco. Angelica  di  ciò  nulla  temendo, Cavalcava  a  giornate,  or  molto  or  poco. Nel  cavallo  il  demon  si  già  coprendo, Come  si  cnopre  alcnna  volta  il  foco, Che  con  si  grave  incendio  poscia  avvampa, Che non si  estingue,  e  a  pena  se  ne  scampa. 35  Poichò  la  donna  preso  ebbe  il  sentiero Dietro  il  gran  mar  che  li  Guasconi  lava, Tenendo  appresso  all' onde  il  suo  destriero, Dove  V  umor  la  via  più  ferma  dava; Quel  le  fa  tratto  dal  demonio  fiero Nell'acqua  si,  che  dentro  vi  nuatava. Non  sa  che  far  la  timida  donzella, Se  non  tenersi  ferma  in  su  la  sella. B    Quando  si  vide  sola  in  quel  deserto, Ch'a  riguardarlo  sol  mettea  paura, Nell'ora  che  nel  mar  Febo  coperto L'aria  e  la  terra  avea  lasciata  oscura; Fermossi  in  atto  ch'avria  fatto  incerto Chiunque  avesse  vista  sua  figura, S'ella  era  donna  sensitiva  e  vera, 0  sasso  colorito  in  tal  maniera. ''im:M stanza  36. 36  Per  tirar  briglia,  non  gli  può  dir  volta: Più  e  più  sempre  quel  si  caccia  in  alto. Ella  tenea  la  vesta  in  su  raccolta Per  non  bagnarla,  e  traea  i  piedi  in  alto. Per  le  spalle  la  chioma  iva  disciolta, E  l'aura  le  iacea  lascivo  assalto. Stavano  cheti  tutti  i  maggior  venti, Forse  a  tanta  beltà  col  mare  intenti. 37  Ella  volgea  1  begli  occhi  a  terra  invano, X)he  bagnavan  di  pianto  il  viso  e  '1  seno; E  vedea  il  lito  andar  sempre  lontano, E  decrescer  più  sempre  e  venir  meno. Il  destrier  che  nuotava  a  destra  mano, Dopo  un  gran  giro  la  portò  al  terreno Tra  scuri  sassi  e  spaventose  grotte, Giàcominciando  ad  oscurar  la  notte. stanza  39. 39    Stupida  e  fissa  nella  incerta  sabbia, Coi  capelli  disciolti  e  rabbuffati, Con  le  man  giunte,  e  con  l'immote  labbia I  languidi  occhi  al  ciel  tenea  levati; Come  accusando  il  gran  Motor,  che.  l'abbia Tutti  inclinati  nel  suo  danno  i  fati. Immota  e  come  attonita  stè  alquanto; Poi  sciolse  al  duol  la  lingua,  e  gli  occhi  al  pianto. 40  Dìcea: Fortuna,  che  più  a  far  ti  resta, Acciò  di  me  ti  sazii  e  ti  disfami? Che  dar  ti  posso  ornai  più,  se  non  questa Misera  yita?  ma  tu  non  la  brami; Ch'ora  a  trarla  del  mar  sei  stata  presta, Quando  potea  finir  snoi  giorni  grami: Perchè  ti  parve  di  voler  più  ancora Vedermi  tormentar  prima  chMo  muora. 41  Ma  che  mi  possa  nuocere  non  veggio, Più  di  quel  che  sin  qui  nociuto  m'hai. Per  te  cacciata  son  del  r6al  seggio, Dove  più  ritornar  non  spero  mai: Ho  perduto  V  onor,  eh'  è  stato  peggio Che  sebben  con  effetto  io  non  peccai, Io  do  però  materia  eh'  ognun  dica, Ch'  essendo  vagabonda,  io  sia  impudica 44    Se  l'affogarmi  in  mar  morte  non  era A  tuo  senno  crudel,  purch'io  ti  sazii, Non  recuso  che  mandi  alcuna  fera Che  mi  divori,  e  non  mi  tenga  in  strazii. D'ogni  martir  che  sia,  pur  eh'  io  ne  pera, Esser  non  può  ch'assai  non  ti  ringrazii. Cosi  dicea  la  donna  con  gran  pianto, Quando  le  apparve  l'Eremita  accanto. Stana  40. Stanza  4j. 45    Avea  mirato  dall' estrema  cima D'un  rilevato  sasso  l'Eremita Angelica,  che  giunta  alla  parte  ima È  dello  scoglio,  afflitta  e  sbigottita. Era  sei  giorni  egli venuto  prima: Ch' undemonio  il  portò  per  via  non  trita:E  venne  a  lei  fingendo  divozione Quanta  avesse  mai  Paulo  o  Ilarione. 42  Che  aver  può  donna  al  mondo  più  di  buono A  cui  la  castità  levata  sia? Mi  nuoce,  ahimè!  ch'io  son  giovane,  e  sono Tenuta  bella,  o  sia  vero  o  bugia. Già  non  ringrazio  il  Ciel  di  questo  dono; Che  di  qui  nasce  ogni  mina  mia. Morto  per  questo  fu  Argalia  mio  fìrate; Che  poco  gli  giov&r  l'arme  incantate:43  Per  questo  il  re  di  Tartaria  Agricane Disfece  il  genitor  mio  Galagone, Ch'  in  India,  del  Cataio  era  Gran  Cane; Onde  io  son  giunta  a  tal  condizione, Che  muto  albergo  da  sera  a  dimane. Se  r  aver,  se  l'onor,  se  le  persone M'hai  tolto,  e  fatto  il  mal  che  far  mi  puoi, A  che  più  doglia  anco  serbar  mi  vuoi? stanza  45 46  Come  la  donna  il  cominciò  a  vedere, Prese,  non  conoscendolo,  conforto; E  cessò  a  poco  a  poco  il  suo  temere, Bench'ella  avesse  ancora  il  viso  smorto. Come  fu  presso  disse: Miserere, Padre,  di  me,  ch'i'son  giunta  a  mal  porto: E  con  voce  interrotta  dal  singulto, Gli  disse  quel  eh' a  lui  non  era  occulto. 47  Comincia  l'Eremita  a  confortarla Con  alquante  ragion  belle  e  divote; E  pon  r  audaci  man,  mentre  che  parla, Or  per  lo  seno,  or  per  V  umide  gote:Poi  più  sicuro  va  per  abbracciarla: Ed  ella  sdegnosetta  lo  percuote Con  una  man  nel  petto,  e  lo  respinge, E  d'onesto  rossor  tutta  si  tinge. 50  Tutte  le  vie,  tutti  li  modi  tenta; Ma  quel  pigro  rozzon  non  però  salta: Indarno  il  fren  gli  scuote  e  lo  tormenta; E  non  può  far  che  tenga  la  testa  alta. Alfin  presso  alla  donna  s' addormenta; E  nuova  altra  sciagura  anco  l'assalta. Non  comincia  Fortuna  mai  per  poco, Quando  un  mortai  si  piglia  a  scherno  e  a  gioco. 51  Bisogna,  prima  eh'  io  vi  narri  il  caso, Ch'  un  poco  dal  sentier  dritto  mi  torca. Nel  mir  di  Tramontana  invèr  1'  Occaso Oltre  l'Irlanda  una  isola  si  corca. Ebuda  nominata;  ove  è  rimise Il  popol  raro,  poi  che  la  brutta  orca, E  l'altro  marin  gregge  la  distrusse, Ch'in  sua  vendetta  Proteo  vi  condusse.stanza  49.52  Narran  l'antique  istorie,  o  vere  o  false, Che  tenne  già  quel  luogo  un  re  possente. Ch'ebbe  una  figlia,  in  cui  bellezza  valse E  grazia  si,  che  potè  facilmente, Poi  che  mostrossi  in  su  1'  arene  salse, Proteo  lasciare  in  mezzo  a  1'  acque  ardente:E  quello,  un  di  che  sola  ritrovolla, Compresse,  e  di  sé  gravida  lasciolla. 53  La  cosa  fu  gravissima  e  molesta Al  padre  più  d'ogni  altro  empio  e  severo:Né  per  iscusa  o  per  pietà  la  testa Le  perdonò;  sì  può  lo  sdegno  fiero:Né,  per  vederla  gravida,  si  resta Di  subito  eseguire  il  crudo  impero: E  il  nipotin,  che  non  avea  peccato, Prima  fece  morir  che  fosse  nato. 48  Egli  eh' a  Iato  avea  una  tasca,  aprilla, E  trassene  una  ampolla  di  liquore; E  negli  occhi  possenti,  onde  sfavilla La  più  cocente  face  ch'abbia  Amore, Spruzzò  di  quel  leggiermente  una  stilla, Che  di  farla  dormire  ebbe  valore: Già  resupina  nell'arena  giace A  tutte  voglie  del  vecchio  rapace. 49  Egli  l'abbraccia,  ed  a  piacer  la  tocca; Ed  ella  dorme,  e  non  può  fare  ischermo. Or  le  baci\  il  bel  petto,  ora  la  bocca; Non  è  chi'l  veggia  in  quel  loco  aspro  ed  ermo. Ma  nell'incontro  il  suo  destrier  trabocca; Ch'  al  disio  non  risporide  il  corpo  infermo:Era  mal  atto,  perchè  avea  troppi  anni, E  potrà  peggio,  quanto  più  l'affanni. 54  Proteo  marin,  che  pasce  il  fiero  armento Di  Nettuno  che  l'onda  tutta  regge, Sente  della  sua  donna  aspro  tormento, E  per  grand' ira  rompe  ordine  e  legge; Sì  che  a  mandare  in  terra  non  è  lento L'orche  e  le  foche,  e  tutto  il  marin  grregge, Che  distruggon  non  sol  pecore  e  buoi. Ma  ville  e  borghi,  e  li  cultori  suoi:55  E  spesso  vanno  alle  città  murate, E  d'ogn'intomo  lor  mettono  assedio. Notte  e  di  stanno  le  persone  armate Con  gran  timore  e  dispiacevo!  tedio: Tutte  hanno  le  campagne  abbandonate; E  per  trovarvi  alfin  qualche  rimedio, Andarsi  a  consigliar  di queste  cose All' Oracol,  che  lor  così  rispose:56    Che  trovar  bisognava  una  donzella Che  fosse  air  altra  di  bellezza  pare, Ed  a  Proteo  sdegnato  offerir  quella, In  cambio  della  morta,  in  lito  al  mare. Sa  sua  satisfazion  gli  parrà  bella, Se  la  terrà,  né  li  verrà  a  sturbare:Se  per  questo  non  sta,  se  gli  appresenti Una  ed  un'  altra,  finché  si  contenti. 57    E  cosi  cominciò  la  dura  sorte Tra  quelle  che  più  grate  eran  di  faccia, Ch'a  Proteo  ciascun  giorno  una  si  porte. Finché  trovino  donna  che  gli  piaccia. La  prima  e  tutte  1  altre  ebbero  morte; Che  tutte  giù  pel  ventre  se  le  caccia Un'  orca  che  restò  presso  alla  foce, Poi  che  il  resto  parti  del  greggie  atroce. stanza  52. 58    0  vera  o  falsa  che  fosse  la  cosa Di  Proteo,  eh'  io  non  so  che  me  ne  dica, Servosse  in  quella  terra .  con  tal  chiosa, Contra  le  donne  un'  empia  legge  antica; Che  di  lor  carne  V  orca  monstrucsa, Che  viene  ogni  dì  al  lito,  si  nutrica. Bench'  esser  donna  sia  in  tutte  le  bande Danno  e  sciagura,  quivi  era  pur  grande. 59    Oh  misere  donzelle  che  trasporte Fortuna  ingiuriosa  al  lito  infausto ! Dove  le  genti  stan  sul  mare  accorte Per  far  delle  straniere  empio  olocausto:Che,  come  più  di  fuor  ne  sono  morte, Il  numer  delle  loro  é  meno  esausto; Ma  perché  il  vento  ognor  preda  non  mena, Kicercaudo  ne  van  per  ogni  arena. 60    Van  discorrendo  tutta  la  marina Con  foste  e  grippi,  ed  altri  legni  loro; E  da  lontana  parte  e  da  yicina Portan  sollevamento  al  lor  martoro. Molte  donne  han  per  forza  e  per  rapina, Alcune  per  lusinghe,  altre  per  oro, E  sempre  da  diverse  regioni N'hanno  piene  le  torri  e  le  prigioni. stanza  57. 62    Oh  troppo  cara,  oh  troppo  eccelsa  preda Per  si  barhare  genti  e  si  villane ! Oh  Fortuna  crudel,  chi  fia  eh'  il  creda, Che  tanta  forza  hai  nelle  cose  umane, Che  per  cibo  d'un  mostro  tu  conceda La  gran  beltà,  ch'in  India  il  re  Agricane Fece  venir  dalle  caucasee  porte Con  mezza  Scizia  a  guadagnar  la  morte? 03    La  gran  beltà  che  fu  da  Sacripante Posta  innanzi  al  suo  onore  e  al  suo  bel  regno La  gran  beltà  ch'ai  gran  signor  d'Anglante Macchiò  la  chiara  fama  e  l'alto  ingegno; La  gran  beltà  che  fé'  tutto  Levante Sottosopra  voltarsi,  e  stare  al  segno, Ora  non  ha  (cosi  è  rimasa  sola) Chi  le  dia  aiuto  pur  d'una  parola. 64  La  bella  donna,  di  gran  sonno  oppressa   Incatenata  fu  prima  che  desta. Portaro  il  frate  incantator  con  essa Nel  legno  pien  di  turba  afflitta  e  mesta. La  vela,  in  cima  air  arbore  rimessa, Rendè  la  nave  all'isola  funesta, Dove  chiuser  la  donna  in  rócca  forte, Fin  a  quel  di  eh' a  lei.  toccò  la  sorte. 65  Ma  potè  si,  per  esser  tanto  bella, La  fiera  gente  muovere  a  pietade, Che  molti  di  le  differiron  quella Morte,  e  serbarla  a  gran  necessitade; E  fin  ch'ebber  di  fuore  altra  donzella, Perdonaro  all'angelica  beltade. Al  mostro  fu  condotta  finalmente, Piangendo  dietro  a  lei  tutta  la  gente. 66  Chi  narrerà  1'  angoscie,  i  pianti,  i  gridi, L'alta  querela  che  nel  ciel  penetra? Maraviglia  ho  che  non  s'aprirò  i  lidi Quando  fu  posta  in  su  la  fredda  pietra, Dove  in  catena,  priva  di  sussidi, Morte  aspettava  abbominosa  e  tetra. Io  noi  dirò;  che  si  il  dolor  mi  muove, Che  mi  sforza  voltar  le  rime  altrove, 61    Passando  una  lor  fusta  a  terra  a  terra Innanzi  a  quella  solitaria  riva, Dove  fra  sterpi  in  su  l'erbosa  terra Là  sfortunata  Angelica  dormiva, Smontaro  alquanti  galeotti  in  terra Per  riportarne  e  legna  ed  acqua  viva; E  di  quante  mai  fur  belle  e  leggiadre, Trovaro  il  fiore  in  braccio  al  sauto  padre. 67    E  trovar  versi  non  tanto  lugubri, Finché '1  mio  spirto  stanco  si  riabbia; Che  non  potrian  gli  squallidi  colubri, Né  l'orba  tigre  accesa  in  maggior  rabbia, Né  ciò  che  dall'Atlante  ai  liti  rubri Venenoso  erra  per  la  calda  sabbia. Né  veder  né  pensar  senza  cordoglio, Angelica  legata  al  nudo  scoglio. 68    Oh  se  r  avesse  il  suo  Orlando  saputo, Ch'  era  per  ritrovarla  ito  a  Parigi, 0  li  dui  ch'infiannò  quel  vecchio  astuto Col  messo  che  venia  dai  luoghi  stigi ! Fra  mille  morti,  per  donarle  aiuto, Cercato  avrian  gli  angelici  vestigi. Ma  che  fariano,  avendone  anco  spia, Poiché  distanti  son  di  tanta  via? 69   Parigi  intanto  avea  T  assedio  intorno Dal  famoso  figliuol  del  re  Troiano: E  venne  a  tanta  estremitade  un  giorno, Che  n'andò  quasi  al  suo  nimico  in  mano; E,  se  non  che  li  voti  il  Ciel  placomó, Che  dilagò  di  pioggia  oscura  il  piano, Cadea  quel  di  per  l'africana  lancia Il  santo  Imperio  e'I  gran  nome  di  Francia. Stanza  70. 70    II  sommo  Creator  gli  occhi  rivolse Al  giusto  lamentar  del  vecchio  Carlo; E  con  subita  pioggia  il  foco  tolse: Né  forse  uman  saper  potea  smorzarlo. Savio  chiunque  a  Dio  sempre  si  volse; Ch'altri  non  potè  mai  meglio  aiutarlo. Ben  dal  devoto  Be  fu  conosciuto, Che  si  salvò  per  lo  divino  aiuto. 71    La  notte  Orlando  alle  noiose  piume Del  veloce  pensier  fa  parte  assai, Or  quinci  or  quindi  il  volta,  or  lo  rassume Tutto  in  un  loco,  e  non  V  afferma  mai:Qual  d'acqua  chiara  il  tremolante  lume, Dal  Sol  percossa  o  da  notturni  rai, Per  gli  ampli  tetti  va  con  lungo  salto A  dèstra  ed  a  sinistra,  e  basso  ed  alto. 72    La  donna  sua  che  gli  ritorna  a  mente, Anzi  che  mai  non  era  indi  partita, Gli  accende  nel  core  e  fa  più  ardente La  fiamma  che  nel  di  parea  sopita. Costei  venuta  seco  era  in  Ponente Fin  dal  Cataio:  e  qui  l'avea  smarrita, Né  ritrovato  poi  vestigio  d'ella, Che  Carlo  rotto  fu  presso  a  Bordella. 73    Di  questo,  Orlando  avea  gran  doglia;  e  seco Indarno  a  sua  sciocchezza  ripensava. Cor  mio,  dicea,  come  vilmente  teco Mi  son  portato !  ohimè,  quanto  mi  grava Che  potendoti  aver  notte  e  di  meco, Quando  la  tua  bontà  non  mei  negava, T'  abbia  lasciato  in  man  di  Namo  porre, Per  non  sapermi  a  tanta  ingiuria  opporre ! Stanza  71 74    Non  aveva  ragione  io  di  scusarme? E  Carlo  non  m'avria  forse  disdetto: Se  pur  disdetto,  e  chi  potea  sforzarme Chi  ti  mi  volea  tórre  a  mio  dispetto? Non  poteva  io  venir  piuttosto  all'arme? Lasciar  piuttosto  trarmi  il  cor  del  petto?Ma  né  Carlo,  né  tutta  la  sua  gente Di  tormiti  per  forza  era  possente. 75    Almen  l'avesse  posta  in  guardia  buona Dentro  a  Parigi  o  in  qualche  rocca  forre. Che  l'abbia  data  a  Namo  mi  consona. Sol  perché  a  perder  V  abbia  a  questa  sorte. Chi  la  dovea  guardar  meglio  persona Di  me?  ch'io  dovea  farlo  fino  a  morte; Guardarla  più  che'l  cor,  che  gli  occhi  miei: E  dovea  e  potea  farlo,  e  pur  noi  fei. 76  Deb!  dove  senza  me,  dolce  mia  vita. Rimasa  sei  sì  giovane  e  si  bella? Come,  poi  cbe  la  luce  è  dipartita, Riman  tra  boscbi  la  smarrita  agnella, Che  dal  pastor  sperando  essere  udita. Si  va  lagnando  in  questa  parte  e  in  quella, Tanto  cbe'l  lupo  Tode  da  lontano, E  U  misero  pastor  ne  piagne  invano. 77  Dove,  speranza  mia,  dove  ora  sei? Vai  tu  soletta  forse  ancora  errando? Oppur  t'hanno  trovata  i  lupi  rei Senza  la  guardia  del  tuo  fido  Orlando?E  il  fior  eh'  in  ciel  potea  pormi  fra  i  Dei, 11  fior  eh'  intatto  io  mi  venia  serbando Per  non  turbarti,  ohimè !  V  animo  casto, Ohimè !  per  forza  avranno  colto  e  guasto. 78  Oh  infelice !  oh  misero !  che  vogìio Se  non  morir,  se'l  mio  bel  fior  coito  hanno? 0  sommo  Dio,  fammi  sentir  cordoglio Prima  d'ogni  altro,  che  di  questo  danno. Se  questo  è  ver,  con  le  mie  man  mi  toglio La  vita,  e  Talma  disperata  danno. Cosi  piangendo  forte  e  sospirando, S3C0  d'cea  l'addolorato  Orlando. 70    Già  in  ogni  parte  gli  animanti  lassi D.ivan  riposo  ai  travagliati  spirti, Chi  su  le  piume,  e  chi  su  i  duri  sassi, E  chi  su  r  erbe,  e  chi  su  faggi  o  mirti:Tu  le  palpebre,  Orlando,  appena  abbassi, Punto  da' tuoi  pensieri  acuti  ed  irti; Né  quel  sì  breve  e  fuggitivo  sonno Godere  in  pace  anco  lasciar  ti  ponno. 80  Parca  ad  Orlando,  s' una  verde  riva D'odoriferi  fior  tutta  dipinta, Mirare  il  bello  avorio,  e  la  nativa Porpora  eh'  avea  Amor  di  sua  man  tinta, E  le  due  chiare  stelle,  onde  nutriva Nelle  reti  d'Amor  V  anima  avvinta:Io  parlo  de'  begli  occhi  e  del  bel  volto, Che  gli  hanno  il  cor  di  mezzo  il  petto  tolto. 81  Sentia  il  maggior  piacer,  la  maggior  festa Che  sentir  possa  alcun  felice  amante: Ma  ecco  intanto  uscire  una  tempesta Che  struggea  i  fiori  ed  abbattea  le  piante. Non  se  ne  suol  veder  simile  a  questa, Quando  giostra  Aquilone,  Austro  e  Levante. Parea  che,  per  trovar  qualche  coperto, Andasse  errando  invan  per  un  deserto. 82    Intanto  l'infelice  (e  non  sa  come) Perde  la  donna  sua  per  l'aer  fosco; Onde,  di  qua  e  di  là,  del  suo  bel  nome Fa  risonare  ogni  campagna  e  bosco. E  mentre  dice  indarno: Misero  me ! Chi  ha  cangiata  mia  dolcezza  in  tosco?Ode  la  donna  sua  che  gli  domanda, Piangendo,  aiuto,  e  se  gli  raccomanda. Stanza  91 83  Onde  par  eh'  esca  il  grido,  va  veloce; E  quinci  e  quindi  s'affatica  assai. Oh  quanto  è  il  suo  dolore  aspro  ed  atroce, Che  non  può  rivedere  i  dolci  rai ! Ecco  eh'  altronde  ode  da  un'  altra  voce:Non  sperar  più  gioirne  in  terra  mai. A  questo  orribil  grido  risvegliossi, E  tutto  pien  di  lacrime  trovossi. 84  Senza  pensar  che  sian  V  immagin  false, Quando  per  tema  o  per  disio  si  sogna, Della  donzella  per  modo  gli  calse, Che  stimò  giunta  a  danno  od  a  vergogna, Che  fulminando  fuor  del  letto  salse. Di  piastra  e  maglia,  quanto  gli  bisogna, Tutto  guarnissi,  e  Brigliadoro  tolse; Né  di  scudiero  alcun  servigio  volse. 85    E  per  poter  entrar  ogni  sentiero, Che  la  sua  dignità  macchia  non  pigli, Non  V  onorata  insegna  del  quartiero, Distinta  di  color  bianchi  e  vermigli, Ma  portar  volse, un  ornamento  nero,  • E  forse  acciò  ch'ai  suo  dolor  somigli: E  quello  avea  già  tolto  a  un  Amostante, Ch'uccise  di  sua  man  pochi  anni  innante. 88    Brandimarte,  eh'  Orlando  amava  a  pare Di  sé  medesmo,  non  fece  soggiorno; 0  che  sperasse  farlo  ritornare, 0  sdegno  avesse  udirne  biasmo  e  seomo: E  volse  appena  tanto  dimorare, Ch'uscisse  fuor  nell'oscurar  del  giorno. A  Fiordiligi  sua  nulla  ne  disse, Perchè  1  disegno  suo  non  gì'  impedisse. 86  Da  mezza  notte  tacito  si  parte, E  non  saluta,  e  non  fa  motto  al  zio; Né  al  fido  suo  compagno  Brandimarte, Che  tanto  amar  solea,  pur  dice  addio. Ma  poi  che'l  Sol  con  l'auree  chiome  sparte Del  ricco  albergo  di  Titone  uscio, E  fé'  l'ombra  fuggire  umida  e  nera, S' avvide  il  re  che  '1  paladin  non  v'  era. 87  Con  suo  gran  dispiacer  s'avvede  Carlo Che  partito  la  notte  è  il  suo  nipote. Quando  esser  dovea  seco,  e  pii\  aiutarlo: E  ritener  la  collera  non  puote, Ch'  a  lamentarsi  d'esso,  ed  a  gravarlo Non  incominci  di  biasimevol  note; E  minacciar  se  non  ritoma,  e  dire Che  lo  farla  di  tanto  error  pentire. 89  Era  questa  una  donna  che  fu  molto Da  lui  diletta,  e  ne  fu  raro  senza; Di  costumi,  di  grazia  e  di  bel  volto Dotata,  e  d'accortezza  e  di  prudenza:E  se  licenzia  or  non  n'  aveva  tolto, Fu  che  sperò  tornarle  alla  presenza J\  di  medesmo;  ma  gli  accadde  poi, Che  lo  tardò  più  dei  disegni  suoi. 90  E  poi  eh'  ella  aspettato  quasi  un  mese Indarno  l'ebbe,  e  che  tornar  noi  vide. Di  desiderio  sì  di  lui  s'accese, Che  si  partì  senza  compagni  o  guide; E  cercandone  andò  molto  paese, Come  l'istoria  al  luogo  suo  decide. Di  questi  dua  non  vi  dico  or  pia  innante; Che  più  m' importa  il  cavalier  d'Anglante. 91    n  qual,  poi  che  mutato  ebbe  d'Almonte Le  gloriose  insegne,  andò  alla  porta, E  disse  nell'orecchio:  Io  sono  il  Conte, A  un  capitan  che  vi  facea  la  scorta; E  fattosi  abbassar  subito  il  ponte. Per  quella  strada  che  più  breve  porta Agi'  inimici,  se  n'  andò  diritto. Quel  che  segui,  nell'altro  Canto  è  scritto. N  OTB. St.  3.  V.3.   Sprovvedute  vale  disattente,  nonpronte ad  opporsi. St.  6.  V.3.   Qiù  sale  vuol  dite  smonta. St.  14.  v.78.   Imma  Tini  f  suggelli,  nodi,  rombi, turlrinif  tatti  oggetti  relativi  alle  magiche  supersti zioni. St.  19.  V.6.   La  fervida  nona,  secondo  l'antica  nu merazione dell'ore,  denota  sul  metzogiorno. St.  27.  V.37.   ValUa,  nome  dato  dai  Latini  alla contrada  che  gì  Inglesi  chiamano  Wales,  e  che  noi  di ciamo principato  di  Galles.   Calesio  é  Calais  di  Fran cia, detto  anche  Calesse  nella  St.  27  del  Canto  II. St.  32.  V.3.   Per  la  spelonca  nera  intende  Vinfemc, St.  35.  V.2.   Quel  mare  ò  V  Oceano,  che  ivi  bagna le  spiaggie  della  Guascogna. St.  S6.  V.2.   Si  eaccia  in  alto,  ossia  si  addentra neWacqta. St.  43.  V.12.   Agricane  re  di  Tartaria,  mosse  guerra a  Oalafrone  padre d'Angelica,  perché  essa  rifiutava  es sergli sposa. Ivi.  V.3.   Cataio  o  Calai,  nome  che  si  dette  alle Provincie  settentrionali  della  Cina.   Cane,  si  chiama anche  oggi  il  capo  o  re  dei  Tartari.  Kan,  vale  appnnto, nel  linguaggio  arabo,  re.  imperatore. as:46fc  4.FaAlo  fu  eremita  nella Tebaide.  Ila rione  fu  eremita  nells  nrfìMlÉak. St.  51.  Y.  58.   Bbnday  detta  dai  Latini  Ebudarum, oggi  Muli,  6  nna  dell'Ebridi,  che  giacciono  lungo  le  co ste occidentali  della  Oran  Bretagna,  flanclieggiando  la Scozia.   Proteo  favolosa  deità  marina. St.  60.  V.2.   Le  fitste  e  i  grippi  sono  navigli  sot tili adattati  al  corseggiare. St.  62.  V.78.   Caucasee  porte: cosi  chiana  una gola  del  Caucaso,  onde  dal  paese  detto  una  volra  Sarmazia,  si  passa  nelU  Georgia.   Sciiia  chiamarono  gli antichi  la  vasta  regione  che  ora  dicesi  Tartaria. St.  67.  V.56.   La  calda  sabbia  daW Atlante  ai  liti rttbrif  è  l'afdcana  costa  di  Berberia,  che  si  distende  dai monti  Atlantici  fino  al  golfo  Arabico,  o  mar  Rosso. St.  68.  V.3.   Rinaldo  e  Ferraù  amanti  anch'essi  d'An gelica. Vedi  al  II  Canto. St.  69.  V.8.   L'impero  d'Occidente  ristabilito  in  Carlo Magno  d&LMnelII  papa  f  il  deUo  Santa  Romano  Impero. St.  72i  V.8.   Bordella:  la  città  di  Bordeaux,  che  il Poeta  ha  detta  anche  Bordea  nella  St.  75.  del  Canto  111. St.  84.  V.57.   Salsz  qui  vale  lalzò.   BrigliadorOj nome  del  cavallo  d'Otlando. St.  85.  V.3  4.   La  divisa  d'Orlando  era  distinta  in quattro  parti  alternate  di  colore  bianco  e  rosso.  L'aveva tolta  ad  Almonte,  cai  egli,  ancor  giovinetto,  aveva ucciso. Ivi.  V.7.   Anxoatante  è  nome  di  dignità  fra  i  Sa laceni St.  86.  y.  2.   Zio,  Orlando  era  ilglio  di  Berta  sorella di  Carlomagno. Ivi.  V.6.   Albei'go  di  Titone  è  lOriente.   Titone, secondo  la  mitologia,  fu  rapito  in  cielo  e  sposato  dal l'Aurora. Il    "UtT.,    IX.    Stanza 70. ARGOMENTO. Uihunln,  avellilo  udita  ]el  ra  e  rat  il  man  za  i>]trodottA  Ja  Et"  dv" HLiHii4:Ua  esrc  \\i  Ai>j?<'Ura  ili  rìcliio  f?  si  jroponei  dlmndftnrli ma  rrirnsL  .nrrurn'  Onmpin,  curi t asm  "IL  Olanda,  moiglie  del duri  Hìri  nu,  e  jiKtrsomUiitji  iljil  rn  Ci  mosco.  ViiUMt  eointiìiitft ipieutt'  qiitJ  Lts  1  riduiDL  ad  Ulì?tii)ia  gli  st&ti  f:  lo  "poso. Cile  noli  pnù  far  iFuii  cor  eh' abbia  suggetro IJuesto  inididi'  e  iradilur'i  Amore  Toìrbiid  nriaudu  \\\\ò  luvar  del  petto La  tanta  fé"  cla  debbe  ai  Miu  Signore? Già,savio  e  iticia  fn  d'ogiii  rispetto, E  iltdbi  Santa  Chiuia  difensore: i  ir  ]H  r  nu  vaiio  amur,  poco  del  zio   E  di  fili  ]ìi)co,  e  nti'ii  triira  di  Dio, Ma  l'tstuso  io  jaif  trtiiijMi,  e  mi  ralìegro Nel  m'ut  difetto  aver  coraiiiigno  tuie; rii'wiidrio  soli  al  miw  ben  languido  ed  egn>, Saiiu  e  gagliardo  a  seguitare  il  male. Quel  se  ne  va  tutto  vestito  a  negro; Né  tanti  amici  abbandonar  gli  cale; E  passa  dove  d'Africa  e  di  Spagna La  gente  era  attendata  alla  campagna; Anzi  uou  attendata,  perchè  sotto Alberi  e  tetti  l'ha  sparsa  la  pioggia A  dieci,  a  venti,  a  quattro,  a  sette,  ad  otto; Chi  più  distante,  e  chi  più  presso  alloggia. Ognuno  dorme  travagliato  e  rotto. Chi  steso  in  terra,  e  chi  alla  man  s  appoggia. Dormono;  e  il  conte  uccider  né  può  assai:Né  però  stringe  Durindana  mai. Di  tanto  core  è  il  geneioso  Orlaudo, Che  non  degna  ferir  gente  che  dorma. Or  questo  e  quando  quel  luogo  cercando Va,  per  trovar  della  sua  donna  l'orma. Se  troVa  alcun  che  veggi,  sospirando Gli  ne  dipinge  V  abito  e  la  forma; E  poi  lo  priega  che  per  cortesia GP  insegni  andar  in  parte  ov'ella  sia. stanza  3. E,  poi  che  venne  il  di  chiaro  e  lucente, Tutto  cercò  V  esercito  moresco; E  ben  lo  potea  far  sicuramente, Avendo  indosso  T  abito  arabesco. Ed  aiutollo  in  questo  parimente, Che  sapeva  altro  idioma  che  francesco; E  l'africano  tanto  avea  espedito. Che  parea  nato  a  Tripoli  e  nutrito. Quivi  il  tutto  cercò,  dove  dimora Fece  tre  giorni,  e  non  per  altro  effetto:Poi  dentro  alle  cittadi.  e  a' borghi  fiiora Non  spiò  sol  per  Francia  e  suo  distretto; Ma  per  Uvemia  e  per  Guascogna  ancora Rivide  sin  all'ultimo  borghetto: E  cercò  da  Provenza  alla  Bretagna, E  dai  Piccardi  ai  termini  di  Spagna. 7  Tra  il  fin  d'ottobre  e  il  capo  di  novembre, Nella  stagion  che  la  frondosa  vesta Vede  levarsi,  a  discoprir  le  membre Trepida  pianta,  finché  nuda  resta, E  van  gli  augelli  a  strette  schiere  insembre, Orlando  entrò  nell'amorosa  inchiesta: Né  tutto  il  verno  appresso  lasciò  quella. Né  la  lasciò  nella  stagion  novella. 8  Passando  un  giorno,  come  avea  costume, D'un  paese  in  un  altro,  arrivò  dove Parte  i  Normandi  dai  Britoni  un  fiume, E  verso  il  vicìn  mar  cheto  si  muove; Ch'allora  gonfio  e  bianco  già  di  spume Per  neve  sciolta  e  per  montane  piove; E  l'impeto  dell'acqua  avea  disciolto E  tratto  seco  il  ponte,  e  il  passo  tolto. Con  gli  occhi  cerca  or  questo  lato  or  quello, Lungo  le  ripe  il  Pdladia,  se  Tede (Quando  né  pesce  egli  non  è,  né  augello) Come  abbia  a  por  nell'altra  ripa  il  piede; Ed  ecco  a  sé  venir  vede  un  battello/ Nella  cui  poppa  una  donzella  siede, Che  di  volere  a  lui  venir  fa  segno; Né  lafc'a  poi  ch'arrivi  in  terra  il  gno. stanza  10. 19    Voi  dovete  saper  ch'oltre  l'Irlanda, Fra  molte  che  vi  son,  l'isola  giace Nomata  Ebu'la,  che  per  legge  manda Rubando  intorno  il  suo  popol  rapace; E  quante  donne  può  pigliar,  vivanda Tutte  destina  a  un  au'mal  vorace, Ohe  viene  ogni  di  al  lito,  e  sempre  nova Donna  o  donzelli,  onde  si  pasca,  trova; 13  Che  mercanti  e  corsar  che  vanno  attorno, Ve  ne  fan  copia,  e  più  delle  più  belle. Ben  potete  contare,  una  per  giorno. Quante  morte  vi  sian  donne  e  donzelle. Ma  se  pietade  in  voi  trova  soggiorno., Se  non  sete  d'Amor  tutto  ribelle, Siate  contento  esser  tra  questi  eletto. Che  van  per  far  sì  fruttuoso  effetto. 14  Orlando  volse  appena  udire  il  tutto. Che  giurò  d'esser  primo  a  quella  impresa, Come  quel  eh'  alcun  atto  iniquo  e  bratto Non  può  sentire,  e  d'ascoi tiir  gli  pesa: E  fu  a  pensare,  indi  a  temere  indntto, Che  quella  gente  Angelica  abbia  presa; Poiché  cercata  l'ha  per  tanta  via. Né  potutone  ancor  ritrovar  spia. 15  Questa  immaginazion  si  gli  confuse E  sì  gli  tolse  ogni  prìmier  disegno. Che,  quanto  in  fretta  più  potea,  conchiuse Di  navigare  a  quell'iniquo  regno. Né  prima  l'altro  SdI  nel  mar  si  chiuse, Che  presso  a  San  Malo  ritrovò  un  legno, Nel  qual  si  pose;  e  fatto  alzar  le  vele, Passò  la  notte  il  monte  San  Michele. 10  Prora  in  terra  non  pon;  che  d'esser  carca Contra  sua  volontà  forse  sospetta. Orhindo  priega  lei,  clie  nella  barca Seco  lo  tolga,  ed  oltre  il  fiume  il  metta. Ed  ella  a  lui:  Qui  cavalier  non  varca, Il  qual  su  la  sua  fé'  non  mi  prometta Di  fare  uni  batCìglia  a  mia  richiesta, La  più  giusta  del  mondo  e  la  più  onesta. 11  Si  che  s'avete,  cavalier,  desire Di  por  per  me  nell' altra  ripa  i  passi, Promettetemi,  prima  che  finire Quest'  altro  mese  prossimo  si  lassi, Ch'ai  re  d'Ibernia  v'anderete  a  unire, Appresso  al  qual  la  bella  armata  fassi Per  distrugger  quell' isola  di  Ebnda, Che,  di  quante  il  mar  cinge,  è  la  più  cruda. 16  Breaco  e  Landriglier  lascia  a  man  manca. E  va  radendo  il  gran  lito  britone; E  poi  si  drizza  invér  l'arena  bianca, Onde  Inghilterra  si  nomò  Albione:Ma  il  vento,  ch'era  da  merigge,  manca, E  soffia  tra  il  ponente  e  l'aquilone Con  tanta  forza,  che  fa  al  basso  porre Tutte  le  vele,  e  sé  per  poppa  tórre. 17  Quanto  il  navilio  innanzi  era  venuto In  quattro  giorni,  in  un  ritornò  indietro, Nell'alto  mar  dal  buon  nocchier  tenuto, Che  non  dia  in  terra,  e  sembri  un  fragil  vetw Il  vento,  poi  che  furioso  suto Fu  quattro  giorni,  il  quinto  cangiò  metro Lasciò  senza  contrasto  il  legno  entrare Dove  il  fiume  d'Anversa  ha  foce  in  mare. 18    Tosto  che  nella  foce  entrò  lo  stanco Nocchier  col  legno  afflitto,  e  jl  lito  prese, Fuor  d'una  terra  che  sul  destro  fianco Di  quel  fiume  sedeva,  un  vecchio  scese, Di  molta  età,  per  quanto  il  crine  bianco Ne  dava  indizio: il  qual  tutto  cortese, Dopo  i  saluti,  al  Conte  rivoltosse, Che  capo  giudicò  che  di  lor  fosse:Stanza  15. 19  E  da  parte  il  pregò  d'una  donzella, Ch'  a  lei  venir  non  gli  paresse  grave; La  qual  ritroverebbe,  oltre  che  bella. Più  eh'  altra  al  mondo  affabile  e  soave:Ower  fosse  contento  aspettar  ch'ella Verrebbe  a  trovar  lui  fiji  alla  nave: Né  più  restio  volesse  esser  di  quanti Quivi  eran  giunti  cavalieri  erranti; 20  Che  nessun  altro  cavalier  ch'arriva 0  per  terra  o  per  mare  a  questa  foce, Dì  ragionar  con  la  donzella  schiva, Per  consigliarla  in  un  suo  caso  atroce. Udito  questo,  Orlando  in  su  la  riva, Senza  punto  indugiarsi,  usci  veloce; £,  come  umano  e  pien  di  cortesia, Dove  il  vecchio  il  menò,  prese  la  via. 21  Fu  nella  terra  il  Paladin  condutto Dentro  un  palazzo,  ove  al  salir  le  scale Una  donna  trovò  piena  di  lutto, Per  quanto  il  viso  ne  facea  segnale, E  i  negri  panni  che  coprian  per  tutto E  le  loggie  e  le  camere  e  le  sale: La  qual,  dopo  accoglienza  grata  e  onesta Fattoi  seder,  gli  disse  in  voce  mesta:22  Io  voglio  che  sappiate  che  figliuola Fui  del  conte  di  Olanda,  a  lui  si  grata (Quantunque  prole  io  non  gli  fossi  sola; Ch'era  da  dui  fratelli  accompagnata). Oh  a  quanto  io  gli  chiedea,  da  lui  parola Contraria  non  mi  fu  mai  replicata. Standomi  lieta  in  questo  stato,  avvenne Che  nella  nostra  terra  un  duca  venne. Stanza  8. 3    Duca  era  di  Selandia,  e  se  ne  giva Verso  Biscaglia  a  guerreggiar  coi  Mori. La  bellezza  e  l'età  ch'in  lui  fioriva, E'  li  non  più  da  me  sentiti  amori, Con  poca  guerra  me  gli  fer  capti  va; Tanto  p!ù  che,  per  quel  eh'  apparea  fuori, Io  credea  e  credo,  e  creder  credo  il  vero, Ch'amasse  ed  ami  me  con  cor  incero. 24    Quei  giorni  che  con  noi  contrario  vento, Contrario  agli  altri,  a  me  propizio,  il  tenne (Olitagli  altri  far  quaranta,  a  me  un  momento; Cosi  al  fuggire  ebbon  veloci  penne), Fummo  più  volte  insieme  a  parlamento, Dove,  cbe'l  matrimonio  con  solenne Rito  al  ritorno  suo  sari.i  tra  nui Mi  promise  egli,  ed  io  I  promisi  a  lui. ifl>  ip  ff  tif ;iHìiii!ii||;:i"h;'" Stanza  21. 26  Io  eh' air  amante  mio  di  quella  fede Mancar  non  posso,  che  gli  aveva  data; E  anco  chMo  possa,  Amor  non  mi  concede Che  poter  voglia,  e  eh'  io  sia  tanto  ingrata. Per  minar  la  pratica  ch'in  piede Era  gagliarda,  e  presso  al  fin  guidata, Dico  a  mio  padre,  che  prima  eh'  iia  Priàa Mi  dia  niarito,  io  voglio  essere  uccisa. 27  II  mio  buon  padre,  al  qnal  sol  piacea  quanti A  me  piacea,  né  mai  turbar  mi  volse, Per  consolarmi  e  far  cessare  il  pianto Ch'  io  ne  facea,  la  pratica  disciolsc:Di  che  il  superbo  re  di  Frisa  tanto Isdegno  prese,  e  a  tanto  odio  si  volse, Ch'entrò  in  Olanda  e  cominciò  la  guerra Che  tutto  il  sangue  mio  cacciò  sotterra. Stanza  23. 26    Bireno  appena  era  da  roi  partito (Che,  cosi  ha  nome  il  mio  fedele  amante), Che'l  re  di  Frisa  (la  qual,  quanto  il  lito Del  mar  divide  il  fiume,  è  a  noi  distante) Disegnando  i  figliuol  farmi  marito, Ch'  unico  al  mondo  avea,  nomato  Arbante, Per  li  più  degni  del  suo  stato  manda A  domandarmi  al  mio  padre  in  Olanda. B    Oltre  che  sia  robusto  e  si  possente. Che  pochi  pari  a  nostra  età  ritrova: E  si  astuto  in  mal  far,  eh'  altrui  niente La  possanza,  l'ardir,  l'ingegno  giova; Porta  alcun' arme  che  l'antica  gente Non  vide  mai,  né,  fuor  eh'  a  lui,  la  nova:Un  ferro  bugio,  lungo  da  due  braccia, Dentro  a  cui  polve  ci  una  palla  caccia. Stanza  41 29    Col  fuoco  dietro  ove  la  canna  è  chiusa, Tocca  un  spiraglio  che  si  vede  appena; A  gaisa  che  toccare  il  medico  usa Dove  è  bisogno  d  allacciar  la  Tena:Onde  Yien  con  tal  suon  la  palla  esclusa, Che  si  può  dir  che  tuona  e  che  balena; Né  men  che  soglia  il  fulmine  ove  passa, Ciò  che  tocca,  arde,  abbatte,  apre  e  fracassa. 30    Pose  due  volte  il  nostro  camjo  iu  rotta:Con  questo  inganno,  e  i  miei  fratelli  uccise: Nel  primo  assalto  il  primo,  che  la  botta, Rotto  r usbergo,  in  mezzo  il  cor  gli  mise Neir  altra  zu£Eei  alP  altro,  il  quale  in  frotta Fuggìa,  dal  corpo  T anima  divise; E  lo  feri  lontan  dietro  la  spalla, £  fuor  del  petto  uscir  fec"  la  palla. 31  Difendendosi  poi  mio  padre  nu  giorno Dentro  un  castel  che  sol  gli  era  rimaso, Che  tutto  il  resto  avea  perduto  intorno, Lo  fé' con  simil  colpo  ire  all'occaso; Che  mentre  andava  e  che  facea  ri  tomo, Provvedendo  or  a  questo  or  a  quel  caso,  ' Dal  traditor  fu  in  mezzo  gli  occhi  còlto, Che  l'avea  di  lontan  di  mira  tolto. 32  Morti  i  fratelli  e  il  padre,  e  rimasa  io Dell'isola  d'Olanda  unica  erede, Il  re  di  Frisa,  perchè  avea  disio Di  ben  fermare  in  quello  stato  il  piede, Mi  fa  sapere,  e  così  al  popol  mio, Che  pace  e  che  riposo  mi  concede, Quand'io  voglia  or,  quel  che  non  volsi  innante, Tor  per  marito  il  suo  figliuolo  Arbante. 33  Io  per  l'odio  non  si,  che  grave  porto A  lui  e  a  tutta  la  sua  iniqua  schiatta, Il  qual  m' ha  dui  fratelli  e  '1  padre  morto, Saccheggiata  la  patria,  arsa  e  disfatta; Come  perchè  a  colui  non  vo'far  torto, A  cui  già  la  promessa  aveva  fatta, Ch'altr'uomo  non  saria  che  mi  sposasse. Finché  di  Spagna  a  me  non  ritornasse. 34  Per  un  mal  ch'io  patisco,  ne  vo' cento Patir,  rispondo,  e  far  di  tutto  il  resto; Esser  morta,  arsa  viva,  e  che  sia  al  vento La  cener  sparsa,  innanzi  che  far  questo. Studia  la  gente  mia  di  questo  intento Tormi: chi  priega,  e  chi  mi  fa  protesto Di  dargli  in  mano  me  e  la  terra,  prima Che  la  mia  ostinazion  tutti  ci  opprima. 35  Così,  poiché  i  protesti  e  i  prleghi  invano Vider  gittarsi,  e  che  pur  stava  dura, Presero  accordo  col  Frisone,  e  in  mano (Come  avean  detto)  gli  diér  me  e  le  mura. Quel,  senza  farmi  alcuno  atto  villano, Della  vita  e  del  regno  m'assicura, Purch'io  indolcisca  l'indurate  voglie, E  che  d'Arbante  suo  mi  faccÌA  moglie. 36  Io  che  sforsar  così  mi  veggio,  voglio, Per  uscirgli  di  man,  perder  la  vita; Ma  se  pria  non. mi  vendico,  mi  doglio Più  che  di  quanta  ingiuria  abbia  patita. Fo  pensier  molti;  e  veggio  al  mio  cordoglio Che  solo  il  simular  può  dare  aita: Fingo  ch'io  brami,  non  che  non  mi  piaccia, Che  mi  perdoni  e  sua  nuora  mi  faccia. 37  Fra  molti  ch'ai  servizio  erano  stati Già  di  mio  padre,  io  scelgo  dui  fratelli Di  grande  ingegno  e  di  gran  cor  dotati, Ma  più  di  vera  fede,  come  quelli Che  cresciutici  in  corte,  ed  allevati Si  son  con  noi  da  teneri  zitelli; K  tanto  miei,  che  poco  lor  pania La  vita  por  per  la  salute  mia. 38  Comunico  con  loro  il  mio  disegno; Essi  prometton  d'essermi  in  aiuto. L'un  viene  in  Fiandra,  e  v'apparecchia  un legna: L'altro  meco  in  Olanda  ho  ritenuto. Or  mentre  i  forestieri  e  quei  del  regno S'invitano  alle  nozze,  fu  saputo Che  Bireno  in  Biscaglia  avea  un'armata, Per  venire  in  Olanda,  apparecchiata: 89    Perocché,  fatta  la  prima  battaglia, Dove  fu  rotto  un  mio  fratello  e  ucciso, Spacciar  tosto un  corrier  feci  in  Biicaglia, Che  portasse  a  Bireno  il  tristo  avviso; Il  qual  mentre  che  s'arma  e  si  travaglia, Dal  re  di  Frisa  il  resto  fu  conquiso. Bireno,  che  di  ciò  nulla  sapea, Per  darci  aiuto  i  legni  sciolti  avea. 40  Di  questo  avuto  avviso  il  re  frisone, Delle  nozze  al  figliuol  la  cura  lassa; E  con  l'armata  sua  nel  mar  si  pone:Trova  il  duca,  lo  rompe,  arde  e  fracassa; E,  come  vuol  fortuna,  il  fa  prigione. Ma  di  ciò  ancor  la  nuova  a  noi  non  passa. Mi  sposa  intanto  il  giovene,  e  si  vuole Meco  corcar,  come  si  corchi  il  sole. 41  Io  dietro  le  cortine  avea  nascoso Quel  mio  fedele,  il  qual  nulla  si  mosse Prima  che  a  me  venir  vide  lo  sposo; E  non  l'attese  che  corcato  fossa., Ch'ahsò  un'accetta,  e  con  si  valoroso Braccio  dietro  nel  capo  lo  percosse, Che  gli  levò  la  vita  e  la  parola: Io  saltai  presta,  e  gli  segai  la  gola. 42  Come  cadere  il  bue  suole  al  macello" Cade  il  malnato  giovene,  in  dispetto Del  re  Cimosco,  il  più  d'ogni  altro  fello; (Che  l'empio  re  di  Frisa  è  cosi  detto). Che  morto  l'uno  e  l'altro  mio  fratello M'avea  col  padre;  e  per  meglio  suggetto Farsi  il  mio  stato,  mi  volea  per  nuora: E  forse  un  giorno  uccisa  avria  me  ancora. 43  Prima  ch'altro  disturbo  vi  si  metta, Tolto  quel  che  più  vale  e  meno  pesa, Il  mio  compagno  al  mar  mi  cala  in  fretta Dalla  finestra,  a  un  canape  sospesa, Là  dove  attento  il  suo  fratello  aspetta Sopra  la  barca  ch'avea  in  Fiandra  presa. Demmo  le  vele  ai  venti  e  i  remi  alP  acque; E  tutti  ci  salviam,  come  a  Dìo  piacque. 44  Non  so  sei  re  di  Frisa  più  dolente Del  figliuol  morto,  o  se  più  d'ira  acceso Fosse  contra  di  me,  che  1  di  seguente Giunse  là  dove  si  trovò  si  offeso. Superbo  ritornava  egli  e  sua  gente Della  vittoria  e  di  Bireno  preso; E  credendo  venire  a  nozze  e  a  festa, Ogni  cosa  trovò  scura  e  funesta. 4.5    La  pietà  del  figliuol.  Podio  ch'aveva A  me,  uè  di  uè  notte  il  lascia  mai. Ma  perchè  il  pianger  morti  non  rileva, E  la  vendetta  sfoga  Podio  assai; La  parte  del  pensier,  ch'esser  doveva Della  pietade  in  sospirare  e  in  guai, Vuol  che  con  V  odio  a  investigar  s'  unisca, Come  egli  m'abbia  in  mano  e  mi  punisca. 46  Quei  tutti  che  sapeva  e  gli  era  detto Che  mi  fossino  amici,  o  di  que'miei Che  m' aveano  aiutata  a  far  V  effetto, Uccise,  0  lor  beni  arse,  o  li  fé'  rei. Volse  uccider  Bireno  in  mio  dispetto; Che  d'altro  si  doler  non  mi  potrei:Gli  parve  poi,  se  vivo  lo  tenesse. Che  per  pigliarmi  in  man  la  rete  avesse. 47  Ma  gli  propone  una  crudele  e  dura Condizion:  gli  fa  termine  un  anno. Al  fin  del  qual  gli  darà  morte  oscura, Se  prima  egli  per  forza  o  per  inganno, Con  amici  e parenti  non  procura, Con  tutto  ciò  che  ponno  e  ciò  che  sanno. Di  dannigli  in  prìgion:  sì  che  la  via Di  lui  salvare  è  sol  la  morte  mia. stanza  43. 48     Ciò  che  si  possa  far  per  sua  salute, Fuorché  perder  me  stessa,  il  tutto  ho  fatto. Sei  castella  ebbi  in  Fiandra,  e  l'ho  vendute:E  '1  poco  0  '1  molto  prezzo  eh'  io  n'  ho  tratto, Parte,  tentando  per  persone  astute I  guardiani  corrompere,  ho  distratto; E  parte,  per  far  muovere  alli  danni Di  quell'empio  or  gllnglesi,  or  gli  Alamanni. 49    I  mezzi,  o  che  non  abbiano  potuto, 0  che  non  abbian  fatto  il  dover  loro, M' haiino  dato  parole,  e  non  aiuto; E  sprezzano  or  che  n'han  cavato  l'oro: E  presso  al  fine  il  termine  è  venuto, Dopo  il  qual  uè  la  forza  né  '1  tesoro Potrà  giunger  più  a  tempo,  si  che  morte E  strazio  schivi  al  mio  caro  consorte.50    Mo  padre  e'  miei  fratelli  mi  son  stati Morti  per  Ini;  per  lui  toltomi  il  regno; Per  lui  quei  pochi  beni  che  restati Meran,  del  viver  mio  soli  sostegno, Per  trarlo  di  prigione  ho  dissipati:Né  mi  resta  ora  in  che  più  fax  disegno, Se  non  d'andarmi  io  stessa  in  mano  a  porre Pi  sì  cmdeJ  nimico  e  Ini  disciorre. 52  Io  dubito  che,  poi  che  m'avrà  in  gabbia, E  fatto  avrà  di  me  tutti  gli  strazi!, Né  Bireno  per  questo  a  lasciare  abbia,   eh'  esser  per  me  sciolto  mi  ringrazi!; Come  periuro,  e  pien  di  tanta  rabbia; Che di  me  sola  uccider  non  si  sazii:E  quel  ch'avrà  di  me,  né  più  né  meno Faccia  di  poi  del  misero  Bireno. Stanza  60. 53    Or  la  cagion  che  conferir  con  voi Mi  fa  i  miei  casi,  e  ch'io  li  dico  a  qaand Signori  e  cavalier  vengono  a  noi, É  solo  acciò,  parlandone  con  tanti, M'insegni  alcun  d'assicurar  che  poi Ch'  a  quel  crudel  mi  sia condotta  avanti, Non  abbia  a  ritener  Bireno  ancora; Né  voglia,  morta  me,  ch'esso  poi  mora. (.4    Pregato  ho  alcun  guerrier,  che  meco  sia Quand' io  mi  darò  in  mano  al  re  di  Frisa; Ma  mi  prometta,  e  la  sua  fé' mi  dia, Che  questo  cambio  sarà  fatto  in  guisa, Ch'a  un  tempo  io  data,  e  liberato  fii Bireno: si  che  quando  io  sarò  uccisa, Morrò  contenta,  poiché  la  mia  morte Avrà  dato  la  vita  al  mio  consorte. 55  Né  fino  a  questo  dì  trovo  chi  teglia Sopra  la  fede  sui  d'assicurarmi. Che  quando  io  sia  condotta,  e  che  mi  voglii Aver  quel  re,  senza  Bireno  darmi, Egli  non  lascerà  centra  mia  voglia Che  presa  io  sia:  si  teme  ognun  quell'armi; Teme  quell'armi,  a  cui  par  che  non  possi Star  piastra  incontra,  e  sia  quanto  vuol  grossa. 56  Or,  s'in  voi  la  virtù  non  è  difforme Dal  fier  sembiante  e  dall' erculeo  aspetto, E  credete  poter  dar  megli,  e  torme Anco  da  lui,  quando  non  vada  retto: Siate  contento  d' esser  meco  a  porrne Nelle  man  sue:  ch'io  non  avrò  sospetto, Quando  voi  siate  meco,  sebben  io Poi  ne  morrò,  che  mora  il  signor  mio. 51     Se  dunque  da  far  altro  non  mi  resta, Né  si  trova  al  suo  scampo  altro  riparo, Che  per  lui  por  questa  mia  vita;  questa Mia  vita  per  lui  por  mi  sarà  caro. Ma  sola  una  paura  mi  molesta. Che  non  saprò  far  patto  cosi  chiaro, Che  m'assicuri  che  non  sia  il  tiranno, Poi  ch'avuta  m'avrà,  per  fare  inganno. 57    Qui  la  donzella  il  suo  parlar  conchiuse, Che  con  pianto  e  sospir  spesso  interroppe. Orlando,  poi  eh'  ella  la  bocca  chiuse, Le  cui  voglie  al  ben  far  mai  non  fur  zoppe, In  parole  con  lei  non  si  difluse; Che  di  natura  non  usava  troppe: Ma  le  promise,  e  la  sua  fé'  le  diede, Che  faria  più  di  quel  eh'  ella  gli  chiede. 58  Non  è  sua  intenzion  ch'ella  in  man  vada Del  suo  nimico  per  salyar  Bireno: Ben  salverà  amendni,  se  la  sua  spada £  rosato  valor  non  gli  vien  meno. U  medesimo  di  piglian  la  strada, Poi  eli' hanno  il  vento  prospero  e  sereno. Il  Paladin  s'affretta;  che  di  gire All'isola  del  mostro  avea  desire. 59  Or  volta  all'una,  or  volta  all'altra  banda Per  gli  alti  stagni  il  buon  nocchier  la  vela:Scnopre  un'isola  e  un'altra  di  Zilanda; Scnopre  una  innanzi,  e  un'altra  addietro  cela. Orlando  smonta  il  terzo  di  in  Olanda; Ma  non  smonta  colei  che  si  querela Del  re  di  Frisa:  Orlando  vuol  che  intenda La  morte  di  quel  rio,  prima  che  scenda. 60  Nel  lito  armato  il  Paladino  varca Sopra  un  corsier  di  pel  tra  bigio  e  nero, Nutrito  in  Fiandra  e  nato  in  Danismafca, Grande  e  possente  assai  più  che  leggiero; Però  eh' avea,  quando  si  messe  in  barca. Tu  Bretagna  lasciato  il  suo  destriero, Quel  Brìgliador  si  bello  e  si  gagliardo, Che  non  ha  paragon,  fuorché  Baiardo. 61  Giunge  Orlando  a  Dordreeche,  e  quivi  truova Di  molta  gente  armata  in  su  la  porta; Si  perchè  sempre,  ma  più  quando  è  nuova. Seco  ogni  signoria  sospetto  porta; Si  perchè  dianzi  giunta  era  una  nuova. Che. di  Selandia,  con  armata  scorta Di  navilii  e  di  gente,  un  cugin  viene Di  quel  signor  che  qui  prigion  si  tiene. Stanza  6t. 62  Orlando  prega  uuo  di  lor,  che  vada E  dira  al  re,  eh' un  cavaliero  errante Disia  con  lui  provarsi  a  lancia  e  a  spada: Ma  che  vuol  che  tra  lor  sia  patto  innante. Che  se'l  re  fa  che,  chi  lo  jtfida,  cada, La  donna  abbia  d'aver,  ch'uccise  Arbante; Chè'l  cavalier  l'ha  in  loco  non  lontano Da  poter  sempre  mai  darglila  in  mano: 63  Ed  all' incontro  vuol  che  '1 re  prometta, Ch'  ove  egli  vinto  nella  pugna  sia, Bireno  in  libertà  subito  metta, E  che  lo  lasci  andare  alla  sua  via. Il  fante  al  re  fa  l'imbasciata  in  fìretta:Ma  quel,  che  né  virtù  né  cortesia Conobbe  mai,  drizzò  tutto  il  suo  intento Alla fraude, all'inganno,  al  tradimento. 64  Gli  par  ch'avendo  in  mano  il  cavaliero, Avrà  la  donna  ancor,  che  si  l'ha  offeso, S' in  possanza  di  lui  la  donna  è  vero Che  si  ritrovi,  e  il  fante  ha  ben  inteso. Trenta  uomini  pigliar  fece  sentiero Diverso  dalla  porta  ov'  era  atteso, Che  dopo  occulto  ed  assai  lango  giro, Dietro  alle  spalle  al  Paladino  uscirò. 65  II  traditore  intanto  dar  parole Fatto  gli  avea,  sinché  i  cavalli  e  i  fanti Vede  esser  giunti  al  loco  ove  gli  vuole: Dalla  porta  esce  poi  con  altrettanti. Come  le  fere  e  il  bosco  cinger  suole Perito  cacciator  da  tutti  i  canti; Come  presso  a  Volana  i  pesci  e  l'onda Con  lunga  rete  il  pescator  circonda: €6    Cosi  per  ogDÌ  via  dal  re  di  Frisa, Che  quel  guerrier  non  fugga,  si  provvede. Vivo  lo  vuole,  e  non  in  altra  guisa:E  questo  far  si  fucilmeute  crede, Che  '1  fulmine  terrestre,  con  che  uccisa Ha  tanta  e  tanta  gente,  ora  non  chiede; Che  quivi  non  gli  par  che  si  convegna. Dove  pigliar,  non  far  morir  disegna. 67 Qual  cauto  uccellator  che  serba  vivi, Intento  a  maggior  preda,  i  primi  augelli, Acciò  in  più  quautitade  altri  captivi Faccia  col  giuoco  e  col  zimbel  di  quelli; Tal  esser  volse  il  re  Cimosco  quivi:Ma  già  non  volse  Orlando  esser  di  quelli Che  si  lascian  pigliare  al  primo  tratto; E  tosto  ruppe  il  cerchio  ch'avean  fatto Stanza  68. 68  II  cavalier  d'Anglante,  ove  più  spésse Vide  le  genti  e  Tarme,  abbassò  Tasta; Ed  uno  in  quella  e  poscia  un  altro  messe, E  un  altro  e  un  altro,  che  sembrar  di  pasta: E  fin  a  sei  ve  n'infilzò;  e  li  resse Tutti  una  lancia:  e  perch'ella  non  basta A  più  capir,  lasciò  il  settimo  fuore Ferito  si,  che  di  quel  colpo  muore. 69  Non  altrimente  nelT  estrema  arena Veggiam  le  rane  di  canali  e  fosse Dal  cauto  arcier  nei  fianchi  e  nella  schiena, L'una  vicina  alT altra,  esser  percosse; Né  dalla  freccia,  finché  tutta  piena Non  sia  da  un  capo  alT altro,  esser  rimosse. La  grave  lancia  Orlando  da  sé  scaglia, K  con  la  spada  entrò  nella  battaglia. 70  Rotta  la  lancia,  quella  spada  strinse. Quella  che  mai  non  fu  menata  in  fallo; E  ad  ogni  colpo,  o  taglio  o  punta,  estiose Quand'uomo  a  piedi,  e  quand'nomo  a  cavallo: Dove  toccò,  sempre  in  vermiglio  tinse L'azzurro,  il  verde,  il  bianco,  il  nero,  il  giallo. Duolsi  Cimosco,  che  la  canna  e  il  foco Seco  or  non  ha,  quando  v'avrian  più  loco 71  E  con  gran  voce  e  con  minacce  chiede Che  portati  gli  sian: ma  poco  é  udito; Che  chi  ha  ritratto  a  salvamento  il  piede Nella  città,  non  è  d'uscir  più  ardito. H  re  frison,  che  fuggir  gli  altri  vede, D'esser  salvo  egli  ancor  piglia  partito:Corre  alla  porta,  e  vuole  alzare  il  pont"; Ma  troppo  è  presto  ad  arrivare  il  conte:72    n  re  volta  le  spalle,  e  signor  lassa Del  ponte  Orlando,  e  d'amendue  le  porte; E  fugge,  e  innanzi  a  tutti  gli  altri  passa, Mercè  che  U  suo  destrier  corre  più  forte. Non  mira  Orlando  a  quella  plebe  bassa; Vuole  il  fellon,  non  gli  altri,  porre  a  morte: Ma  il  suo  destrier  si  al  corso  poco  Yale, Che  restio  sembra,  e  chi  fugge,  abbia  V  ale. 75    Dietro  lampeggia  a  guisa  di  baleno; Dinanzi  scoppia,  e  manda  in  aria  il  tuono. Treman  le  mura,  e  sotto  i  pie  il  terreno; Il  ciel  rimbomba  al  payentoso  suono. L'ardente  strai,  che  spezza  e  venir  meno Fa  ciò  ch'incontra,  e  dà  a  nessun  perdono, Sibila  e  stride;  ma,  come  è  il  desire Di  quel  brutto  assassin,  non  va  a  ferire.Stanza  70. 73  D'una  in  un'  altra  via  si  leva  ratto Di  vista  al  Paladin;  ma  indugia  poco, Che  toma  con  nuove  armi;  che  s'ha  fatto Portare  in  tanto  il  cavo  ferro  e  il  foco; E  dietro  un  canto  postosi,  di  piatto L'attende;  come  il  cacciatore  al  loco, Coi  cani  armati  e  con  lo  spiedo,  attende Il  fier  cinghiai  che  pruinoso  scende, 74  Che  spezza  i  rami,  e  fa  cadere  i  sassi; E  ovunque  drizzi  l'orgogliosa  fironte, Sembra  a  tanto  rumor  che  si  fracassi La  selva  intomo,  e  che  si  svella  il  monV. Sta  Cimosco  alla  posta,  acciò  non  jassi Senza  pagargli  il  fio  l'audace  conte. Tosto  eh'  appare,  allo  spiraglio  tocca Col  fuoco  il  ferro;  e  quel  subito  scocca. 76  0  sia  la  fretta,  o  sia  la  troppa  voglia D'uccider  quel  Baron,  ch'errar  lo  faccia; 0  sia  che  il  cor,  tremando  come  foglia, Faccia  insieme  tremar  e  mani  e  braccia; 0  la  bontà  divina,  che  non  voglia Che  '1  suo  fedel  campion  si  tosto  giaccia; Quel  colpo  al  ventre  del  destrier  si  torse: Lo  cacciò  in  terra,  onde  mai  più  non  sorse. 77  Cade  a  terra  il  cavallo  e  il  cavaliero:La  preme  l'un,  la  tocca  l'altro  appena, Che  si  leva  sì  destro  e  sì  leggiero, Come  cresciuto  gli  sia  possa  e  lena. Quale  il  libico  Anteo  sempre  più  fiero Surger  solea  dalla  percossa  arena; Tal  surger  parve,  e  che  la  forza,  quando Toccò  il  terren,  si  raddoppiasse  a  Orlando. Stanza  74. 78    Chi  vide  mai  dal  ciel  cadere  il  foco Che  con  sì  orrendo  suon  Giove  disserra, E  penetrare  ove  un  rinchiuso  loco Carbon  con  solfo  e  con  salnitro  serra; Ch'  appena  arriva,  appena  tocca  un  poco, Che  par  ch'avvampi  il  ciel,  non  che  la  terra; Spezza  le  mura,  e  i  gravi  marmi  svelle, E  fa  i  sassi  volar  sin  alle  stelle  :79    S'immagini  che  tal,  poi  che  cadenda, Toccò  la  terra,  il  Paladino  fosse; Con  si  fiero  sembiante  aspro  ed  orrendo, Da  far  tremar  nel  ciel  Marte,  si  mosse. Di  che  smarrito  il  re  frison,  torcendo La  briglia  indietro,  per  fuggir  voltosse:3Ia  gli  fu  dietro  Orlando  con  più  fretta, Che  non  esce  dall'arco  una  saetta: Stanza  79. 80  £  quel  che  non  ayea  potuto  prima Fare  a  cavallo,  or  farà  essendo  a  piede. Lo  seguita  si  ratto,  ch'ogni  stima Di  chi  noi  vide,  ogni  credenza  eccede. Lo  giunse  in  poca  strada:  ed  alla  cima Dell'elmo  alza  la  spada,  e  si  lo  fiede, Che  gli  parte  la  testa  fino  al  collo, E  in  terra  il  manda  a  dar  l'ultimo  crollo. 81  Ecco  levar  nella  città  si  sente Nuovo  rumor,  nuovo  menar  di  spade; Che  '1  cugin  di  Bireno  con  la  gente Ch'avea  condutta  dalle  sue  contrade, Poiché  la  porta  ritrovò  patente, Era  venuto  dentro  alla  cittade Dal  Paladino  in  tal  timor  ridutta, Che  senza  intoppo  la  può  scorrer  tutti. 82  Fugge  il  popolo  in  rotta;  che  non  scorge Chi  questa  gente  sia,  uè  che  domandi:Ma  poi  ch'uno  ed  un  altro  pur  s'accorge Air  abito  e  al  parlar  che  son  Selandi, Chiede  lor  pace,  e  il  foglio  bianco  porge; E  dice  al  capitan  che  gli  comandi, E  dar  gli  vuol  contra  i  Frisoni  aiuto, Che'l  suo  duca  in  prigion  gli  han  ritenuto. 83  Quel  popol  sempre  stato  era  nimico Del  re  di  Frisa  e  d'ogni  suo  seguace. Perchè  morto  gli  avea  il  signore  antico. Ma  più  perch'era  ingiusto,  empio  e  rapace. Orlando  s'interpose  come  amico D'ambe  le  parti,  e  fece  lor  far  pace; Le  quali  unite,  non  lasciar  Frisone Che  non  morisse  o  non  fosse  prigione. 84  Le  porte  delle  carceri  gittate A  terra  sono,  e  non  si  cerca  chiave. Bireno  al  Conte  con  parole  grate Giostra  conoscer  l'obbligo  che  gli  ave. Indi  insieme  e  con  molte  altre  brigate Se  ne  vanno  ove  attende  Olimpia  in  nave: Cosi la  donna,  a  cui  di  ragion  spetta Il  dominio  dell'isola,  era  detta; 85  Quella  che  quivi  Orlando  avea  condutto Non  con  pensier  che  far  dovesse  tanto; Che  le  parca  bastar  che,  posta  in  lutto Sol  lei,  lo  sposo  avesse  a  trar  di  pianto. Lei  riverisce  e  onora  il  popol  tutto. Lungo  sarebbe  a  racontarvi  quanto Lei  Bireno  accarezzi,  ed  ella  lui; Quai  grazie  al  conte  rendano  ambidui. 86  II  popol  la donzella  nel  paterno Seggio  rimette,  e  fedeltà  le  giura. Ella  a  Bireno,  a  cui  con  nodo  etemo La  legò  Amor  d'una  catena  dura, Dello stato  e  di  sé  dona  il  governo. Ed  egli  tratto  poi  da  un'altra  cura, Delle  fortezze  e  di  tutto  il  domino Dell'isola  guardi an  lascia  il  cugino; 87  Che  tornare  in  Selandia  avea  disegno, E  menar  seco  la  fedel  consorte: E  dicea  voler  fare  indi  nel  regno Di  Frisa  espepenzia  di  sua  sorte; Perchè  di  ciò  l'assicurava  un pegno Ch'  egli  avea  in  mano,  e  lo  stimava  forte:La  figliuola  del  re,  che  fra  i  captivi, Che  vi  fur  molti,  avea  trovata  quivi. 88  E  dice  ch  egli  vuol  ch  aa  suo  germano, Ch'era  minor  d'età,  l'abbia  per  moglie. Quindi  si  parte  il  senator  romano Il  di  medesmo  che  Bireno  scioglie. Non  volse  porre  ad  altra  cosa  mano, Fra  tante  e  tante  guadagnate  spoglie, Se  non  a  quel  tormento  ch'abbiam  detto Ch'ai  fulmine  assimiglia  in  ogni  effetto.  89  L'intenzion  non  già,  perchè  lo  tolle, Fu  per  voglia  d'usarlo  in  sua  difesa; Che  sempre  atto  stimò  d'animo  molle Gir  con  vantaggio  in  qualsivoglia  impresa: Ma  per  gittarlo  in  parte,  onde  non  volle Che  mai  potesse  ad  uom  più  fare  offesa: E  la  polve  e  le  palle  e  tutto  il  resto Seco  portò  ch'apparteneva  a  questo. 90  E  cosi,  poi  che  fuor  della  marea Nel  più  profondo  mar  si  vide  uscito Si,  che  seguo  lontan  non  si  vedea Del  destro  più  né  del  sinistro  lito, Lo  tolse,  e  disse:  Acciò  più  non  istea Mai  cavalier  per  te  d'essere  ardito, Né  quanto  il  buono  vai,  mai  più  si  vanti Il  rio  per  te  valer,  qui  giù  rimanti. 91  0  maledetto,  o  abbomìnoso  ordigno. Che  fabbricato  nel  tartareo  fondo Fosti  per  man  di  Belzebù  maligno. Che  ruinar  per  te  disegnò  il  mondo. All' Inferno,  onde  uscisti,  ti  rassigno. Cosi  dicendo,  lo  gittò  in  profondo. Il  vento  intanto'  le  gonfiate  vele Spinge  alla  via  dell'isola  crudele. 93    Né  scala  in  Inghilterra  né  in  Irlanda Mai  lasciò  far.  né  sul  contrario  lito. Ma  lasciamolo  andar  dove  lo  manda Il  nudo  Arder  che  l'ha  nel  cor  ferito. Prima  che  più  io  ne  parli,  io  vo'  in Olanda Tornare,  e  voi  meco  a  tornarvi  invito:Che,  come  a  me,  so  spiacerebbe  a  voi, Che  quelle  nozze  fosson  senza  noi. stanza  8U. 92    Tanto  desire  il  Paladino  preme Di  saper  se  la  donna  ivi  si  trova, Ch'ama  assai  più  che  tutto  il  mondo  insieme, Né  un'ora  senza  lei  viver  gli  giova; Che  s' in  Ibernia  mette  il  piede,  teme Di  non  dar  tempo  a  qualche  cosa  nuova, Si  eh'  abbia  poi  da  dir  invano: Ahi  lasso ! Ch'ai  venir  mio  non  affrettai  più  il  passo. 94    Le  nozze  belle  e  sontuose  f.muo; Ma  non  sì  sontuose  né  sì  bello, Come  in  Selaildia  dicon  che  faranno. Pur  non  disegno  che  vegnate  a  quelle; Perché  nuovi  accidenti  a  nascere  hanno Per  disturbarle;  de'quai  le  novelle All' altro  Canto  vi  farò  sentire, S'ali' altro  Canto  mi  verrete  a  udire. NOTE. St.  4.  V.5.   Veggi,  vegU. St.  5.  V.8.   Tripoli,  città  della  Berberla. St.  6.  y.  45.   Francia.  Qal  non  sta  per  tutto  qael paese  che  intendiamo  ora,  ma  per  quel  territorio  dove è  Parigi,  ed  ò  bagnato  dai  fiumi  Senna,  Marna,  Oise  e Yonne: perchè  ivi  si  posero  da  principio  i  Franchi.  Uveinia,  dal  francese  Auvergne.  Da  noi  dicesi  Alvernia; ed  ò  una  deUe  Provincie  centrali  della  Francia. St.  7.  V.5.   Insembre,  lo  stesso  che  insieme. St.  8.  y.  34.   Questo  è  un  finmicello  che  scorre  vi cino a  PontOrsoo,  e  si scarica  presso  Beauvais  nel  golfo che  si  dirà  fra  poco. St.  11.  y.  5.   Ibernia,  è  il  nome  che  davano  i  La tini all'Irlanda. St.  15.  y.  d8.  ~  S.  Malày  città  marittima  di  Francia nella  Bretagna.  In  un  golfo  tra  questa  provincia  e  la Normandia,  mette  foce  il  fiumicello  di  cui  sopra,  e  sorge il  moTtte  S,  Michele. St.  16.  y.  16.   Breaco,  che  i  Latini  dissero  Bria ctinif  e  i  Francesi  chiamano  S.  Brieux,  è  città  di  Nor , presso  il  fondo  di  un  golfo  che  ha  a  levante  il capo  Frehel  e  a  ponente  V  isoletta  di  Brehat.  Zandri glier  è  il  Trecos'vm  degli  antichi,  corrispondente  a  Lan Irìguier,  ma  ora  segnato  sulle  mappe  Tréguier.  Albiofie denominarono  i  Latini  la  Gran  Bretagna,  probabilmente dal  colore  biancastro  delle  sue  rupi  marittime.  Il  vento accennato  nel  sesto  verso  dicesi  in  marineria  ponente maestra St.  17.  y.  8.   La  Schelda  o  VJEs'aut,  come  i  Fran cesi  lo  chiamano,  è  il  fiume  che  bagna  Anversa,  forman dovi un  vasto  porto. St.  23.  y.  12.   Selandia  o  Zelandia  (Seeland),  è  una delle  Provincie  settentrionali  olandesi,  e  componesi  delle isole  Beveland,  Walcheren,  Tholen.  Schouwen,  con  al cune altre  formate  da  vai  rami  della  Schelda  e  della Uosa,  e  dal  mare  del  Nord.  La  BiseagUa  è  ptovlaam della  Spagna  settentrionale.  Nella  Biacaelias e  nei  monti  delle  Asturie,  si  tennero  sempre  forti  €  ise spugnabili  gli  Spagnuoli  contro  gli  Arabi  e  f  Morì,  fis che palmo  a  palmo  riconquistarono  tutto  il  paese. St.  25.  y.  8.   Frisa  o  Frisia,  paese  anticamente abitato  dai  FriaJ,  Germani  d'origine,  e  conquistati  da Druso.  Una  parte  di  esso  costituisce  in  oggi  la  Frisia propriamente  detta,  altra  delle  Provincie  settentrionali olandesi. St.  28.  v.7.   Ferro  lugio,  Tarchibugio.  Il  poeta  lo suppone  inventato  da  questo  re  frisone,  molti  secoli  prima che  non  fosse. St.  34.  y.  2.   Far  di  tutto  il  resto;  vale  esponi alle  ultime  calamità. St.  36.  y.  78.   Intendi:  non  dimostro  che  non  xnt piaccia,  ed  ami  fingo  bramare  che  mi  perdoni,  ecc. St.  37.  v.6.   Citelli,  giovinetti. St.  42.  y.  2.   Malnato,  nato  cioè  per  sua  svmtara. St.  52.  y.  5.   Periuro,  spergiuro, St.  6(".  v.6.   Accenna  la  minore  Bretagna,  provin cia settentrionale  della  Francia. St.  61.  y.  1.   Dordrecch,  ossia  Dordrecht,  città  del l'Olanda merìdionale,  in  un'isola  della  Ma<"a. St.  65.  y.  7.   Volana,  cioè  Volano,  ramo  del  Po. St  77.  y.  5.   Anteo,  gigante  mitologico,  era  figlio della  Terra,  sulla  quale  se  fosse  caduto,  ne  rìsorgevs  p'à robusto. St.  85.  y.  7.  ~  Tormentum  chiamavano  i  Latini  k macchine  di  guerra  da  scagliare  pietre,  giavellotti  ed  al triproiettili:talvoce  italianizzata  si  applica  qal  al Tarchibugio . St.  90.  y.  5.   Stea  per  te,  abbia  cagione  da  te. St.  93.  y.  12.   Fare  scala,  espressione  marinaresca. sbarcare. stanza  5 CANTO   DECIMO. ARGOMBNTO. Bireno,  ioTaghitosi  di  altra  donna,  abbandona  Olimpia.  Ruggiero  riceve  l'Jppogrifo  da  Logistilla  che  lo  ammae stra a  gaidarlo.  e  su  qaello  discende  in  Inghilterra,  dove  osserva  la  rassegna  delle  truppe  destinate  in  aiuto di  Carlo.  Nel  passare  in  Irlanda,  scorge  neirisola  di  Ebuda  Angelica  legata  ad  ano  scoglio  per  essere  divorata dall'orca:  abbatte  il  mostro,  toglie  la  giovane  in  groppa,  e  discende  con  lei  sul  lido  della  minore  Bretagna. 1      Fra  quanti  amor,  fra  quante  fedi  al  mondo Mai  sì  trovar,  fra  quanti  cor  constanti, Fra  quante,  o  per  dolente  o  per  giocondo Stato,  fér  prove  mai  famosi  amanti; Piuttosto  il  primo  loco,  chMl  secondo Darò  ad  Olimpia:  e  se  pur  non  va  innanti, Ben  voglio  dir  che  fra  gli  antiqui  e  novi Maggior  dell'amor  suo  non  si  ritrovi; 2     E  che  con  tante  e  con  si  chiare  note questo  ha  fatto  il  suo  Bireno  certo. Che  donna  più  far  certo  uomo  non  puote, Quando  anco  il  petto  e'I  cor  mostrasse  aperto: E  s  anime  si  fide  e  si  devote D'un  reciproco  amor  deuno  aver  merto, Dico  ch'Olimpia  è  degna  che  non  meno, Anzi  più  che  sé  ancor,  Pami  Bireno; 3      E  che  non  pur  non  T  abbandoni  mai Per  altra  donna,  se  ben  fose  quella Ch'  Europa  ed  Asia  messe  in  tanti  guai, s' altra  ha  maggior  titMo  di  bella: Ma,  piuttosto  che  lei,  la"ci  coi  rai Del  Sol  l'udita  e  il  gusto  e  la  favella E  la  vita  e  la  fama,  e  s' altra  cosi Dire  0  pensar  si  può  più  preziosa. 4  Se  Bireno  amò  lei,  come  ella  amato Bireno  avea;  se  fu  si  a  lei  fedele Come  ella  a  lui;  se  mai  non  ha  voltato Ad  altra  via,  che  a  seguir  lei,  le  vele:Oppur  s' a  tanta  servitù  fu  ingrato, A  tanta  fede  e  a  tanto  amor  crudele. Io  vi  vo'dire,  e  far  di  maraviglia Stringer  le  labbra,  ed  inarcar  le  ciglia. 5  E  poi  che  nota  T  impietà  vi  fia, Che  di  tanta  bontà  fu  a  lei  mercede, Donne,  alcuna  di  voi  mai  più  non  sia, Ch'  a  parole  d'amante  abbia  a  dar  fede. L'amante,  per  aver  quel  che  desia. Senza  guardar  che  Dio  tutto  ode  e  vede, Avviluppa  promesse  e  giuramenti, Che  tutti  spargon  poi  per  l'aria  i  venti. 6  I  giuramenti  e  le  promesse  vanno Dai  venti  in  aria  dissipate  e  sparse, Tosto  che  tratta  questi  amanti  s' hanno L'avida  sete  che  gli  accese  ed  arse. Siate  a'prieghi  ed  a' pianti  che  vi  fanno, questo  esempio,  a  credere  più  scarse. Bene  è  felice  quel,  donne  mie  care. Ch'esser  accorto  all'altrui  spese  impare. ORLANDO    P  Peloso. 7  GnardateTÌ  da  questi  òhe  sai  fiore De'lor  begli  anni  il  yiso  han  sì  polito: Che  presto  nasce  in  loro  e  presto  muore, Quasi  un  foco  di  paglia,  ogni  appetito. Come  segue  la  lepre  il  cacciatore Al  freddo,  al  caldo,  alla  montagna,  al  lìto. Né  più  r  estima  poi  che  presa  vede; E  sol  dietro  a  chi  fogge,  affretta  il  piede:8  Cosi  fan  questi  gioveni,  che,  tanto ChYi  mostrate  lor  dure  e  proterve, V'amano  e  riveriscono  con  quanto de'  far  chi  fedelmente  serve:Ma  non  si  tosto  si  potran  dar  vanto Della  vittoria,  che  di  donne,  serve Vi  dorrete  esser  fette;  e  da  voi  tolto Vedrete  il  falso  amore,  e  altrove  volto. 9  Non  vi  vieto  per  questo  (ch'avrei  torto) Che  vi  lasciate  amar;  che  senza  amante Sareste  come  inculta  vite  in  orto, Che  non  ha  palo  ove  s'apponi  o  piante. Sol  la  prima  lanugine  vi  esorto Tutta  a  foggir,  volubile  e  incostante; E  córre  i  frutti  non  acerbi  e  duri. Ma  che  non  sien  però  troppo  maturi. 10  Di  sopra  io  vi  dicea  eh'  una  figliuola Del  re  di  Frisa  quivi  hanno  trovata. Che  fia,  per  quanto  n'han  mosso  parola. Da  Bireno  al  fratel  per  moglie  data. Ma,  a  dire  il  vero,  esso  v'avea  la  gola;     Che  vivanda  era  troppo  delicata: E  riputato  avria  cortesia  sciocca. Per  darla  altrui,  levarsela  di  bocca. stanza  Itt. 11  La  damigella  non  passava  ancora Quattordici  anni,  ed  era  bella  e  fresca, Come  rosa  che  spunti  allora  allora Fuor  della  buccia,  e  col  Sol  nuovo  cresca. Non  pur  di  lei  Bireno  s'innamora. Ma  fuoco  mai  cosi  non  accese  esca. Né  se  lo  pongan  l'invide  e  nimiche Mani  talor  nelle  mature  spiche; 12  Come  egli  se  n'  acoese  immantinente, Come  egli  n'arse  fin  nelle  medoUe, Che  sopra  il  padre  morto  lei  dolente Vide  di  pianto  il  bel  viso  far  moUe. E  come  suol,  se  l'acqua  fredda  sente, Quella  restar  che  prima  al  fhoco  bolle; Cosi  l'arder  ch'accese  Olimpia,  vinto Dal  nuovo  successore,  in  lui  fu  estinto. 18    Non  pur  sazio  di  lei,  ma  fastidito N'é  già  cosi,  che  può  vederla  appena; E  si  dell'altra  acceso  ha  l'appetito. Che  ne  morrà  se  troppo  in  lungo  il  mena; Pur,  finché  giunga  il  dì  e' ha  statuito A  dar  fine  al  disio,  tanto  raffrena. Che  par  eh'  adori  Olimpia,  non  che  l'ami; E  quel  che  piace  a  lei,  sol  voglia  e  brami. 14    E  se  accarezza  l'altra  (che  non  puote Far  che  non  l'accarezzi  più  del  dritto), Non  è  chi  questo  in  mala  parte  note; Anzi  a  pietade,  anzi  a  bontà  gli  é  ascritto; Che  rilevare  un  che  Fortuna  ruote Talora  al  fondo,  e  consolar  l'afflitto, Mai  non  fu  biasmo,  ma  gloria  sovente; Tanto  più  una  fanciulla,  una  innocente. Stanza  34. 15    0  sonuno  Dio,  come  i  giudìcj  umani Spesso  offuscati  son  da  un  nembo  oscuro ! I  modi  di  Bireno,  empj  e  profani, Pietosi  e  santi  riputati  furo. I  marinari,  già  messo  le  mani Ai  remi,  e  sciolti  dal  lìto  sicuro, Portayan  lieti  pei  salati  stagni Verso  Selandia  il  duca  e  i  suoi  compagni. 16    Già  dietro  rimasi  erano  e  perduti Tutti  di  vista  i  termini  d'Olanda; Che,  per  non  toccar  Frisa,  più  tenuti S'eran  vèr  Scozia  alla  sinistra  banda: Quando  da  un  vento  fur  sopravvenuti, Ch'errando  in  alto  mar  tre  di  li  manda. Sursero  il  terzo,  già  presso  alla  sera, Dove  inculta  e  deserta  un'isola  era. 17  Tratti  che  si  far  dentro  un  picciol  seno, Olimpia  venne  in  terra;  e  con  diletto In  compagnia  deli'infedel  Bireno Cenò  contenta,  e  faor  dogni  sospetto: Indi  con  lui,  là  dove  in  loco  ameno Teso  era  un  padiglione,  entrò  nel  letto. Tutti  gli  altri  compagni  ritornaro, E  sopra  i  legni  lor  si  riposaro. 18  II  travaglio  del  mare  e  la  paura, Che  tenuta  alcun  di  V  aveano  desta; Il  ritrovarsi  al  lito  ora  sicura, Lontana  da  rumor  nella  foresta, E  che  nessun  pensier,  nessuna  cura, Poiché  1  suo  Amante  ha  seco,  la  molesta; Fa  cagion  eh'  ebhe  Olimpia  si  gran  sonno, Che  gli  orsi  e  i  ghiri  aver  maggior  noi  ponno. 19  n  falso  amante,  che  i  pensati  inganni Veggiar  facean,  come  dormir  lei  sente, Pian  piano  e9ce  del  letto;  e  de' suoi  panni Fatto  un  faste!,  non  sì  veste  altrimente; E  lascia  il  padiglione;  e,  come  i  vanni Nati  gli  sian,  rivola  alla  sua  gente, E  li  risveglia;  e  senza  udirsi  un  grido, ¦    Fa  entrar  nell' alto,  e  abbandonare  il  lido. 23  Quivi  surgea  nel  lito  estremo  un  sasso, Ch'  aveano  l'onde,  col  picchiar  frequente, Cavo  e  ridutto  a  guisa  d'arco  al  basso, E  stava  sopra  il  mar  curvo  e  pendente. Olimpia  in  cima  vi  sali  a  gran  passo (Cosi  la  facea  l'animo  possente); E  di  lontano  le  gonfiate  vele Vide  fuggir  del  suo  signor  crudele: 24 Vide  lontano,  o  le  parve  vedere; Che  l'aria  chiara  ancor  non  era  molto. Tutta  tremante  si  lasciò  cadere, Più  bianca  e  più  che  neve  fredda  in  volto. Ma  poi  che  di  levarsi  ebbe  potere, Al  cammin  delle  navi  il  grido  volto, Chiamò,  quanto  potea  chiamar  più  forte, Più  volte  il  nome  del  crudel  consorte: 25  E  dove  non  potea  la  debil  voce, Suppliva  il  pianto  e  'l  batter  palma  a  pahoA. Dove  foggi,  crudel,  cosi  veloce? Non  ha  il  tuo  legno  la  debita  salma. Fa  che  levi  me  ancor:  poco  gli  nuoce Che  porti  il  corpo,  poidiè  porta  l'alma. E  con  le  braccia  e  con  le  vesti  segno Fa  tuttavia,  perchè  ritomi  il  legno. 20  Rimase  addietro  il  lido  e  la  meschina Olimpia,  che  dormi  senza  destarse, Finché  l'Aurora  la  gelata  brina Dalle  dorate  ruote  in  terra  sparse, E  s'udir  le  alcione  alla  marina Dell'antico  infortunio  lamentarse. Né  desta  né  dormendo,  ella  la  mano Per  Bireno  abbracciar  tese,  ma  invano.21  Nessuno  trova:  a  sé  la  man  ritira: Di  nuovo  tenta,  e  pur  nessuno  trova. Di  qua  l'un  braccio,  e  di  là  l'altro  gira; Or  l'una  or  l'altra  gamba;  e  nulla  giova. Caccia  il  sonno  il  timor:  gli  occhi  apre,  e  mira:  Non  vede  alcuno.  Or  già  non  scalda  e  cova Più  le  vedove  piume;  ma  si  getta Del  letto  e  fuor  del  padiglione  in  fretta: 22  E  corre  al  mar,  graffiandosi  le  gote, Presaga  e  certa  ormai  di  sua  fortuna. Si  straccia  i  crini,  e  il  petto  si  percuote: E  va  guardando  (che  splendea  la  luna) Se  veder  cosa,  fuor  che  '1  lito,  puote; Né,  fuor  che'l  lito,  vede  cosa  alcuna. Bireno  chiama;  e  al  nome  di  Bireno Rispondean  gli  antri,  che  pietà  n'  avieno. 26  Ma  i  venti  che  portavano  le  vele Per  r  alto  mar  di  quel  giovene  infido, Portavano  anco  i  priegbi  e  le  querele Dell'infelice  Olimpia,  e '1  pianto  e1  grido; La  qual  tre  volte,  a  sé  stessa  crudele, Per  affogarsi  si  spiccò  dal  lido; Pur  alfin  si  levò  da  mirar  l'acque, E  ritornò  dove  la  notte  giacque; 27  E  con  la  faccia  in  giù,  stesa  sul  letto, Bagnandolo  di  pianto,  dicea  lui:lersera  desti  insieme  a  dui  ricetto:Perché  insieme  al  levar  non  siamo  dui? Oh  perfido  Bireno !  o  maladetto Giorno  eh'  al  mondo  generata  fui ! Che  debbo  far?  che  pbss'io  far  qui  sola? Ohi  mi  dà  aiuto?  ohimè!  chi  mi  consola? 28  Uomo  non  veggio  qui,  non  ci  veggio  opra Donde  io  possa  stimar  ch'uomo  qui  sia:Nave  non  veggio,  a  cui  salendo  sopra, Speri  allo  scampo  mio  ritrovar  via. Di  disagio  morrò;  né  chi  mi  cuopra Gli  occhi  sarà,  né  chi  sepolcro  dia. Se  forse  in  ventre  lor  non  me  lo  danno I  lupi,  ohimè !  eh'  in  queste  selve  stanno. 29     Io  sto  in  sospetto,  e  già  di  veler  panni Dì  questi  boschi  orsi  o  leoDÌ  uscire, O  tigri  0  fiere  tal,  che  natura  armi D'aguzzi  denti  e  d'ugne  da  ferire. quai  fere  cmdel  potriano  farmi, Fera  crudel,  peggio  di  te  morire?Darmi  una  morte,  so,  lor  parrà  assai; E  tu  di  mille,  ohimè !  morir  mi  fai. 30  Ma  presuppongo  ancor  ch'or  ora  arrivi Nocchier  che  per  pietà  di  qui  mi  porti; £  cosi  lupi,  orsi,  leoni  schivi, Strazii,  disagi,  ed  altre  orribil  morti:Mi  porterà  forse  in  Olanda,  s' ivi Per  te  si  guardan  le  fortezze  e  i  porti? Mi  porterà  alla  terra  ove  son  nata, Se  tu  con  fìraude  già  me  Phai  levata? 31  Tu  m'hai  lo  stato  mio,  sotto  pretesto Di  parentado  e  d'amicizia,  tolto. Ben  fosti  a  porvi  le  tue  genti  presto, Per  avere  il  dominio  a  te  rivolto. Tornerò  in  Fiandra,  ove  ho  venduto  il  resto Di  che  io  vivea,  benché  non  fosse  molto, Per  sovvenirti  e  di  prigione  trarte? Meschina!  dove  andrò?  non  so  in  qual  parte. 32  Debbo  forse  ire  in  Frisa,  ov'  io  potei, E  per  te  non  vi  volsi,  esser  regina? U  che  del  padre  e  dei  fratelli  miei, E  d'ogni  altro  mio  ben  fu  la  ruina. Quel  e'  ho  fatto  per  te,  non  ti  vorrei, Ingrato,  improverar,  né  disciplina Dartene;  che  non  men  di  me  lo  sai: Or  ecco  il  guiderdon  che  me  ne  dai. 33  Deh,  purché  da  color  che  vanno  in  corso Io  non  sia  presa,  e  poi  venduta  schiava! Prima  che  questo,  il  lupo,  il  leon,  l'orso Venga,  e  la  tigre,  e  ogni  altra  fera  brava, Di  cui  l'ugna  ini  stracci,  e  franga  il  morso; E  morta  mi  strascini  alla  sua  cava. Cosi  dicendo,  le  mani  si  caccia Ne'capei  d'oro,  e  a  chiocca  a  chiocca  straccia. 34  Corre  di  nuovo  in  su  l'estrema  sabbia, E  ruota  il  capo,  e  sparge  all'aria  il  crine, E  sembra  forsennata,  e  ch'addosso  abbia Non  un  demonio  sol,  ma  le  decine; 0,  qual  Ecuba,  sia  conversa  in  rabbia, Vistosi  morto  Polidoro  alfine. Or  si  ferma  s'un  sasso,  e  guarda  il  mare; Né  men  d'un  vero  sasso,  un  sasso  pare. 35  3Ia  lasciamla  doler  finch'io  ritorno, Per  voler  di  Kuggier  dirvi  pur  anco. Che  nel  più  intenso  ardor  del  mezzo  giorno Cavalca  il  lito,  affaticato  e  stanco. Percuote  il  Sol  nel  colle,  e  fa  ritomo; Di  sotto  bolle  il  sabbion  trito  e  bianco. Mancava  all' arme  eh'  avea  indosso,  poco Ad  esser,  come  già,  tutta  di  fuoco. 36  Mentre  la  sete,  e  dell' andar  fatica Per  l'alta  sabbia  e  la  solinga  via Gli  facean,  lungo  quella  spiaggia  aprica, Noiosa  e  dispiacevol  compagnia; Trovò  eh' all'ombra  d'una  torre  antica. Che  fuor  dell'onde  appresso  il  lito  uscia. Della  corte  d'Alcina  eran  tre  donne. Che  le  conobbe  ai  gesti  ed  alle  gonne. 37  Corcate  su  tappeti  alessandrini, Qodeansi  il  fresco  rezzo  in  gran  diletto. Fra  molti  vasi  di diversi  vini   E  d'ogni  buona  sorta  di  confetto. Presso  alla  spiaggia,  coi  flutti  marini Scherzando,  le  aspettava  un  lor  legnetfo Finché  la  vela  empiesse  agevol  óra; Che  un  fiato  pur  non  ne  spirava  allora. 38  Queste,  eh'  andar  per  la  non  ferma  sabbia Vider  Buggier  al  suo  viaggio  dritto, Che  sculta  avea  la  sete  in  su  le  labbia. Tutto  pien  di  sudore  il  viso  afflitto. Gli  cominciare  a  dir  che  si  non  abbia Il  cor  volonteroso  al  cammin fitto, Ch'  alla  fresca  e  dolce  ombra  non  si  pieghi, E  ristorar  lo  stanco  corpo  nieghi. 39  E  di  lor  una  s'accostò  al  cavallo Per  la  staffa  tener,  che  ne  scendesse; L'altra  con  una  coppa  di  cristallo. Dì  vin  spumante,  più  sete  gli  messe:Ma  Ruggiero  a  quel  suon  non  entrò  in  ballo Perchè  d'ogni  tardar  che  fatto  avesse. Tempo  di  giunger  dato  avrìa  ad  Alcina, Che  venia  dietro,  ed  era  omai  vicina. 40  Non  cosi  fin  salnitro  e  zolfo  puro, Tocco  dal  fuoco,  subito  s'avvampa; Né  così  freme  il  mar,  quando  l'oscuro Turbo  discende,  e  in  mezzo  se  gli  accampa Come,  vedendo  che  Ruggier  sicuro Al  suo  dritto  cammin  l'arena  stampa, E  che  le  sprezza  (e  pur  si  tenean  belle), D'ira  arse  e  di  furor  la  terza  d'elle. OBLANDO   FUKIOSO. 41    Ta  non  sei  né  gentil  né  cayaliero, (Dice  gridando  quanto  può  piìt  forte) Tu'  hai  rubate  V arme;  e  quel  destriero Non  saria  tuo  per  veruu'altra  sorte; E  così;  come  ben  m'appongo  al  vero, Ti  vedessi  punir  di  degna  morte; Che' fossi  fatto  in  quarti,  arso  o  impiccato, Brutto  ladron,  villa";  superbo,  ingrato. 42    Oltr  a  queste  e  molt' altre  ingiuriose    . Parole  che  gli  usò  la  donna  altièra, Ancorché  '  mai  ttuggier  non  le  rispose, Che  di.  si  vii  tenzon  poco  onor  spera; Con  le  sorelle  tosto  eUa  sipose  " Sul  legno  in  mar,  che  al  lor  servigio  v'  età:Ed  affrettando  i  remi,  lo  seguiva, Vedendol  tuttavia  dietro  allariva. 43  Minaccia  sempre,  maledice  e  incarca; Che  Tonte  sa  trovar  per  ogni. ponto. Intanto  à  quello: stretto,  onde  •  si  "varta Alla  fata  più  Bella,  è  Riiggier  ghiÀtoi Dove  un  vecchio' ncKMihiero  una  mia  bare": Scioglier  dall' altra  ripa  verte,  appanta Come,  avvisato  e  già  provvisto,  i|irivì"   Si  stia  aspettando  che  Riitiro  arritL  •     . 44  Scioglie  il  nocchier,  cume  venir  lo  vcdt   Di  trasportarlo  a  miglior  ripu  lieto;   Che,  se  la  faccia  può  del  vot  ilfir  fede   Tutto  benigno  e  tutto  era  dì  scroto. Pose  Ruggier  sopra:  il  eìhìIìo  il  piede,   Dio  ringraziando;  e  per  In  mar  quieto Ragionando  venia  col lenito. Saggiò  e  di  lunga  esperìejiza  ilutto, 45  Quel  lodava  Ruggier,  che  sì  s  avesse  ' Saputo  a  tempo  tor  da  Alclna,.é  innanlij Chel  calice  incantato  ella  gli  desse,  • Ch'avea  alfin  dato  a  tutti  gli  altri  amasti  | E  poi,  che  a  Logistilla  si  traesse. Dove  veder  pòtria costumi  santi, Bellezza  etema,  ed  iiifinita  .grazia,  .  ' Che  '1  cor  nutrisce .  e  pasce,  e  jnài  non 46  Costei,  dicea,  stupore  e  riverenza  ."  T Induce  UPàlma,  ove  si  scuopre  prima;.   Contempla  meglio  poi  V  alta  presenza  j  • Ogni  altro'  ben  ti  par  di  poca  stima. Il  suo  amore  ha  dagli  altri  differenza 4 Speme  0  timor  negli  altri  il  cor  ti  lima; . In  questo  il  desiderio  più  non  chiede,, E  contento  riman  come  la  veile. 47.  Ella  t'insegnerà  stiidj  più  gmti,  . Che  suoni,  danze,  odori  j  bagni  e  cibi; Ma  com§  i  pensier  tuoi  meglio  fonnati Poggin  piti  ad  alto,  che .  per  V  aria  i  nibi E  come  della  g;loria  de' beati Nel  mortai  corpo  parte  si  delibi. Cosi  parlando  il  marinar  veniva, .  Lontano ancoraalla  sicura  riva; 48    Quando  vide  scoprire  alla  marìnia Molti. nàvilj,  e!  tutti  alla  sua  volta. Con  quei  ne  vien  T  ingiuriata  Alcina,      E  molta  di  sua  gente  bave  raccolta,  . Per  por  lo  sUtto  e  sé  stessa  .in  ruinft, 0  riacquistar  la  cara  cosa  tolta. E  bene  è  Amor  di  ciò  cagion  non  lieve, Ma  r  ingiuria  non  men  che  ne  riceve. 49  Ella  non  ebbe  sdegno,  da  che  nacque, Dì  questo  il  maggior  mai,  eh'  ora  la  rode:Onde  fa  i  remi  si affrettar  per  l'acque, Che  la  spuma  ne  sparge  ambe  le  prode. Al  gran  romor  né  mar  né  ripa  tacque; Ed  Eco  risonar  per  tutto  s'ode. Scnopri,  Ruggier,  lo  scudo,  che  bisogna; Se  non,  sei  morto,  o  preso  con  vergogna. 50  Cosi  disse  il  nocchier  di  Logistilla; Ed  oltre  il  detto,  egli  medesmo  prese La  tasca,  e  dallo  scudo  dipartilla, E  fé' il  lume  di  quel  chiaro  e  palese. L'incantato  splendor  che  ne  sfavilla, Gli  occhi  degli  avversar)  così  offese, Che  li  fé' restar  ciechi  allora  allora, E  cader  chi  da  poppa  e  chi  da  prora. 51  Un  eh'  era  alla  veletta  in  su  la  ròcca, Dell'armata  d'Alcina  si  fu  accorto; E  la  campana  martellando  tocca, Onde  il  soccorso  vien  subito  al  portx). L'artiglieria,  come  tempesta,  fiocca Centra  chi  vuole  al  buon  Ruggier  far  torto:Si  che  gli  venne  d'ogni  parte  aita Tal,  che  salvò  la  libertà  e  la  vita. 52  Giunte  son  quattro  donne  in  su  la  spiaggia. Che  subito  ha  mandate  Legisti  Ila: La  valorosa  Andronica,  e  la  saggia Frenesia,  e  l'onestissima  Dicilla, E  Soirosina  casta,  che,  come  aggia Quivi  a  far  più  che  l'altre,  arde  e  sfavilla. L'esercito  eh'  al  mondo  è  senza  pare, Del  castello  esce,  e  si  distende  al  mare. 53  Sotto  il  Castel  nella  tranquilla  foce Di  molti  e  grossi  legni  era  una  armata. Ad  un  botto  di  squilla,  ad  una  voce Giorno  e  notte  abattagliaapparecchiata. E  cosi  fu  la  pugna  aspra  ed  atroce, E  per  acqua  e  per  terra  incominciata; Per  cui  fu  il  regno  sottosopra  volto, Ch'avea  già  Alcina  alla  sorella  tolto. 54  Oh  di  quante  battaglie  il  fin  successe Diverso  a  quel  che  si  credette  innante ! Non  sol  eh' Alcina  allor  non  riavesse, Come  stimossi,  il  fuggitivo  amante; Ma  delle  navi  che  pur  dianzi  spesse Fur  sì,  eh'  appena  il  mar  ne  capia  tante, Fuor  della  fiamma  che  tutt' altre  avvampa, Con  un  legnetto  sol  misera  scampa. 55  Fuggesi  Alcina;  e  sua  misera  gente Arsa  e  presa  riman,  rotta  e  sommersa. D'aver  Ruggier  perduto  ella  si  sente Via  più  doler,  che  d' altra  cosa  avversa. Notte  e  dì  per  lui  geme  amaramente, E  lacrime  per  lui  dagli  occhi  versa E  per  dar  fine  a  tanto  aspro  martire Spesso  si  duol  di  non  poter  morire. 56  Morir  non  puote  alcuna  fata  mai. Fin  che  '1  Sol  gira,  o  il  ciel  non  muta  stilo. Se  ciò  non  fosse,  era  il  dolore  assai Per  muover  Cleto  ad  inasparle  il  filo; 0,  qual  DidoD,  finia  col  ferro  i  guai; 0  la  regina  splendida  del  Nilo Avria  imitata  con  mortifer  sonno:Ma  le  fate  morir  sempre  non  penne. 57  Temiamo  a  quel  di  eterna  gloria  degno Ruggiero;  e  Alcina  stia  nella  sua  pena. Dico  di  lui,  che  poi  che  fuor  del  legno Si  fu  condutto  in  più  sicura  arena, Dio  ringraziando  che  tutto  il  disegno Gli  era  successo,  al  mar  voltò  la  schiena: Ed  affrettando  per l'asciutto  il  piede, Alla  rócca  ne  va  che  quivi  siede. 58  Né  la  più  forte  ancor,  né  la  più  bella Mai  vide  occhio  mortai  prima  né  dopo. Son  di  più  prezzo  le  mura  di  quella, Che  se  diamante  fossino  e  piropo. Di  tai  gemme  quaggiù  non  si  favella: Ed  a  chi  vuol  notizia  averne,  é  d'uopo Che  vada  quivi;  che  non  credo  altrove, Se  non  forse  su  in  ciel,  se  ne  ritrove. 59  Quel  che  più  fa  che  lor  s'inchina  e  cede Ogni  altra  gemma,  é  che,  mirando  in  esse, L'uom  sin  in  mezzo  all'anima  si  vede, Vede  suoi  vizj  e  sue  virtudi  espresse Sì,  che  a  lusinghe  poi  di  sé  non  crede. Né  a  chi  dar  biasmo  a  torto  gli  volesse:Fassi,  mirando  allo  specchio  lucente Sé  stesse,  conoscendosi,  prudente. 60  II  chiaro  lume  lor,  ch'imita  il  Sole, Manda  splendore  in  tanta  copia  interne. Che  chi  l'ha,  ovunque  sia,  sempre  che  vuole, Febo,  malgrado  tuo,  si  può  far  giorno. Né  mirabil  vi  son  le  pietre  sole; Ma  la  materia  e  l'artificio  adorno Contendon  sì,  che  mal  giudicar  puossi Qual  delle  due  eccellenze  maggior  fossi. ORLANDO    FUEIOSO. 61     Sopra  gli  altissimi  archi,  che  pnntelii Parean  che  del  ciel  fossino  a  vederli, Eran  grdin  si  spaziosi  e  belli, Che  saria  al  piano  ancofatica  averli. Verdeggiar  gli  odoriferi  arbuscelli Si  pnon  veder  fra  i  laminosi  merli; Ch'adorni  son Testate  e'I  verno  tatti Di  vaghi  fiori  e  di  matari  fratti. stanza  I 62  Dì.  cosi  nobili  àrbori  non  suole Prodarsi. fttor  di  questi  bei  giardini; Né  di  tai  rose  0  di  simili  viole, Di  gigli,  di  amaranti  e  di  gesmini. Altrove  appar  come  a  an.  medesmo  Sole £  nasca  e  viva,  e  morto  il  cio  inchini, E  come  lasci  vedovo  il  suo  stelo Il  fior  saggetto  al  variar  del  cielo; 63  Ma  qaivi  era  perpetua  la  verdara, Perpetua  la  beltà  de  fiorì  eterni. Non  che  benignità  della  Natura Si  temperatamente  li  governi; Ma  Logistilla  con  suo  stadio  e  cara, Senza  bisogno  de'  moti  sapemi (Quel  che  agli  altri  impossibile  parea), Soa  primavera  ognor  ferma  tenea. 64  Logistilla  mostrò  molto  aver  grato Ch'  a  lei  venisse  un  si  gentil  signore; E  comandò  che  fosse  accarezzato, E  che  studiasse  ognun  di  fargli  onore. Gran  pezzo  innanzi  Astolfo  era  arrivato. Che  visto  da  Ruggier  fu  di  buon  core. Fra  pochi  giorni  venn  gli  altri  tatti, Ch'  air  esser  lor  Melissa  avea  ridutti. 65  Poi  che  si  fur  posati  un  giorno  e  dui, Venne  Ruggiero  alla  fata  prudente Col  duca  Astolfo,  che,  non  men  di  lui, Avea  desir  di  riveder  Ponente. Melissa  le  parlò  per  amendni; E  supplica  la  fata  umilemente. Chegli consigli,  £Eivorìsca  e  aiuti Si,  che  ritomin  d'onde  eran  venuti. 66  Disse  la  fata: Io  ci  porrò  il  pensiero, E  fra  dui  di  te  li  darò  espediti. Discorre  poi  tra  sé  come  Ruggiero, E,  dopo  lui,  come  quel  duca  aiti: Conchiude  infin,  che'l  volator  destriero Ritomi  il  primo  agli  aquitani  liti; Ma  prima  vuol  che  se  gli  faccia  un  morso Con  che  lo  volga  e  gli  raffreni  il  corso. 67  Gli  mostra  com'  egli  abbia  a  far,  se  vuole Che  poggi  in  alto;  e  come  a  far  che  cali; E  come  se  vorrà  che  in  giro  vole, 0  vada  ratto,  o  che  si  stia  su  l'ali:E  quali  effetti  il  cavalier  far  suole Di  buon  destriero  in  piana  terra,  tali Facea  Ruggier,  che  mastro  ne  divenne, Per  l'aria,  del  destrier  eh' avea  le  penne. 68  Poi  che  Ruggier  fu  d'ogni  cosa  in  punto, Dalla  fata  gentil  commiato  prese, Alla  qual  restò  poi  sempre  congiunto Dì  grande  amore:  e  usci  di  quel  paese. Prima  di  lui  che  se  n'  andò  in  buon  ponto, E  poi  dirò  come  il  guerriero  inglese Tornasse  con  più  tempo  e  più  fatica Al  magno  Carlo  ed  alla  corte  amica. 63    Quindi  parti  Ruggier,  ma  non  rivenne Per  quella  via  che  fé' già  suo  mal  grado, AUor  che  sempre  l'Ippogrifo  il  tenne Sopra  il  mare,  e  terren  vide  di  rado:Ma  potendogli  or  far  batter  le  penne Di  qua  di  là,  dove  più  gli  era  a  grado. Volse  al  ritomo  farnuovosentiero, Come,  schivando  Erode,  i  Magi  fero. 70     AI  yenìr  quivi,  era   lasciando  Spafiaa, Venuto  India  a  trovar  per  dritti  riga, Là  dove  il  mare  orientai  la  bagna. Dove  una  fata  avea  con  P  altra  briga. t  Or  veder  si  dispose  altra  campagna. Che  quella  dove  i  venti  Eolo  instiga, £  finir  tatto  il  cominciato  tondo, Per  avor   come  il  Sol,  girato  il  mondo. 71    Quinci  il  Cataio,  e  quindi  Mangiana, Sopra  il  gran  Quinsai  vide  passando: Volò  sopra  l'Imavo,  e  Sericana Lasciò  a  man  destra;  e  sempre  declinando Dagl'iperborei  Sciti  all' onda  Ircana, Giunse  alle  parti  di  Sarmazia: e  quando Fu  dove  Asia  da  Europa  si  divide, Russi  e  Prutenie  la  Pomeria  vide. Stanza  d7. 72    Benché  di  Ruggier  fosse  Ogni  desire Di  ritornare  a  Bradamant  presto; Por,  gustato  il  piacer  eh' avea  di  gire Cercando  il  mondo,  non  restò  per  questo, Ch'alli  Polacchi,  agli  Ungari  venire Non  volesse  anco,  alli  Germani,  e  al  resto Di  quella  boreale  orrida  terra; E  venne  alfin  nell'ultima  Inghilterra. 73    Non  crediate,  signor,  che  però  stia Per  si  lungo  cammin  sempre  su  l'ale:Ogni  sera  all'albergo  se  ne  già, Schivando  a  suo  poter  d'alloggiar  male. E  spese  giorni  e  mesi  in  questa  via; Si  di  veder  la  terra  e  il  mar  gli  cale. Or  presso  a  Londra  giunto  una  mattina, Sopra  Tamigiil  volator  declinaGELANDO   PUBIOSO. 74  Dove  ne'  prati  alla  città  vicini Vide  adunati  uomini  d'arme  e  fanti, Ch'a  8uon  di  trombe  e  a  suòn  di  tamburini Venian,  partiti  a  belle  schiere,  avanti II  buon  Rinaldo,  onor  de' paladini; Del  qual,  se  vi  ricorda,  io  dissi  innanti, Che,  mandato  da  Carlo,  era  venuto In  queste  parti  a  ricercare  aiuto. 75  Giunse  appunto  Buggier,  che  si  facea La  bella  mostra  ftior  di  quella  terra:E  per  sapere  il  tutto,  ne  chiedea Un  cavalier;  ma  scese  prima  in  terra: E  quel,  ch'affikbil  era,  gli  dicea Che  di  Scozia  e  d'Irlanda  e  d'Inghilterra E  dell'isole  intorno  eran  le  schiere Che  quivi  alzate  avean  tante  bandiere: 76  E  finita  la  mostra  che  faceano, Alla  marina  si  distenderanno, Dove  aspettati  per  solcar  l'Oceano Sou  dai  navilj  che  nel  porto  stanno. I  Franceschi  assediati  si  ricreano, Sperando  in  questi  che  a  salvar  li  vanno. Ma  acciò  tu  te  n'  informi  pienamente, 10  ti  distinguerò  tutta  la  gente. 77  Tu  vedi  ben  quella  bandiera  grande, Ch'insieme  pon  la  fiordaligi  e  i  pardi: Quella  il  gran  capitano  all' aria  spande, E  quella  han  da  seguir  gli  altri  stendardi. II  suo  nome,  famoso  in  queste  bande, É  Leonetto,  il  fior  delli  gagliardi, Di  consiglio  e  d'ardire  in  guerra  mastro, Del  re  nipote,  e  duca  di  Lincastro. 78  La  prima, appressoil  gonfalon  reale, Che'l  vento  tremolar  fa  verso  il  monte, E  tien  nel  campo  verde  tre  bianche  ale, Porta  Ricardo,  di  Varvecia  conte. Del  duca  di  Glocestra  è  quel  segnale Ch'ha  duo  coma  di  cervio  e  mezza  fronte. Del  duca  di  Chiarenza  è  quella  face:Quell'arbore  è  del  duca  d'Eborace. 79  Vedi  in  tre  pezzi  una  spezzata  lancia: Gli  è  '1  gonfelon  del  duca  di  Nortfozia. La  fnlgure  è  del  buon  conte  di  Cancia. 11  grifone  è  del  conte  di  Pembrozia Il  duca  di  Snfolcia  ha  la  bilancia. Vedi  quel  giogo  che  due  serpi  assozia: É  del  conte  d'Essenia;  e  la  ghirlanda In  campo  azzurro  ha  quel  di  Norbelanda. 80  II  conte  d'Arinddia  è  quel  e'  ha  messo In  mar  quella  barchetta  che  s'affonda. Vedi  il  marchese  di  Barclei;  e  apprnso Di  Mardiia  il  conte,  e  il  conte  di  Bitmonda: 11  primo  porta  in  bianco  un  monte  fesso, L'altro  k  palma,  il  terzo  un  pin  nell'onda. Quel  di  Dorsezia  è  conte,  e  quel  d  Antona, Che  Puno  ha  il  canso,  e  l'altro  la  coronai 81  II  falcon  chesul  nido  i  vanni  infatua" Porta  Raimondo,  il  conte  di  Devonia. Il  giallo  e  negro  ha  quel  di  Vigorùia; n  can  quel  d'Erbia:  un  orso  quel  d'Ondala La  croce  che  là  vedi  cristallina, É  del  ricco  prelato  di  Battonia. Vedi  nel  bigio  una  spezzata  sedia? É  del  duca  Ariman  di  Sormosedia. 82  Gli  uomini  d'arme  e  gli  arcieri  a  oamSo Di  quarantadue  mila  numer  fanno. Sono  duo  tanti,  o  di  cento  non  fallo  " Quelli  eh' a  pie  nella  battaglia  vanno. Mira  quei  segni,  un  bigio,  un  verde,  nn  gìlllo E  di  nero  e  dazzur  listato  un  panno: Goffredo,  Enrico,  Ermante  ed  Odoardo Guidan  pedoni,  ognun  col  suo  stendardo" 8B    Duca  di  Bocchingamia  è  quel  dinante:Enrico  ha  la  contea  di  Sarisberia. Signoreggia  Bnrgenia  il  vecchio  Ermante: Quello  Odoardo  è  conte  di  Croisberia. Questi  alloggiati  più  verso  levante, Sono  gl'Inglesi.  Or  volgiti  all'Esperia, Dove  si  veggion  trenta  mila  Scotti, Da  Zerbin,  figlio  del  lor  re,  condotti. 84  Vedi  tra  duo  unicormi  il  gran  leone, Che  la  spada  d'argento  ha  nella  zampa:Quel!' è  del  re  di  Scozia  il  gonfalone; Il  suo  figliuol  Zerbino  ivi  s  accampa. Non  è  un  si  bello  in  tante  ajtre  persone; Natura  il  fece,  e  poi  ruppe  la  stampa. Non  è  in  cui  tal  virtù,  tal  grazia  luca, 0  tal  possanza:  ed  è  di  Roscia  duca. 85  Porta  in  azzurro  una  dorata  sbarra Il  conte  d'Ottonici  nello  stendardo. L altra  bandiera  è  del  duca  di  Marra, Che  nel  travaglio  porta  il  leopardo. Di  più  colori  e  di  più  augei  bizzarra Mira  l'insegna  d'Alcabrun  gagliardo. Che  non  è  duca,  conte,  né  marchese . Ma  primo  nel  salvatico  paese. Stanza  75 

B6     Del  duca  di  Trasfordia  è  qaella  insegna, Dove  è  Taugel  chal  Sol  tien  gli  occhi  franchi. Lurcanio  conte,  chMn  Angoscia  regna, Porta  quel  tauro  e' ha  duo  veltri  ai  fianchi. Vedi  là  il  dnca  dAlhania,  che  segna Il  campo  di  colori  azzurri  e  Manchi. Qnell  avoltor  eh  un  drago  verde  lania È  r  insegna  del  conte  di  Boccania. 87    Signoreggia  Forbesse  il  forte  Armano, Che  di  bianco  e  di  nero  ha  la  bandiera: Ed  ha  il  conte  d'Erelia  a  destra  mano, Che  porta  in  campo  verde  una  lumierOr  guarda  gV  Ibernesi  appresso  il  piano:Sono  duo  squadre;  e  il  conte  di  Childera Mena  la  prima,  e  il  conte  di  Desmonda Da  fieri  monti  ha  tratta  la  seconda. GELANDO    FUfilOSO. 88    Nello  stendardo  il  primo  ha  un  pino  ardente; L'altro  nel  bianco  una  vermiglia  banda. Non  dà  soccorso  a  Carlo  solamente La  terra  inglese  y  e  la  Scozia  e  V  Irlanda; Ma  vien  di  Svezia  e  di  Norvegia  gente, Da  Tile,  e  fin  dalla  remota  Islanda; Da  ogni  terra,  in  somma,  che  là  giace, Nimica  naturalmente  di  pace. 89    Sedici  mila  sono,  o  poco  maiioo, Delle  spelonche  usciti  e  delle  selve: Hanno  piloso  il  viso,  il  petto,  il  fianco, E  dossi  e  braccia  e  gambe,  come  belve. Intorno  allo  stendardo  tutto  bianco Par  che  quel  pian  di  lor  lande  s'inaelve: Così  Moratto  il  porta,  il  capo  loro, Per  dipingerlo  poi  di  sangue  moro. 8taiiBad5. 90    Mentre  Ruggier  di  quella  gente  bella, Che  per  soccorrer  Francia  si  prepara, Mira  le  varie  insegne,  e  uè  favèlla, £  dei  signor  britanni  i  nomi  impara; Uno  ed  un  altro  a  lui,  per  mirar  quella Bestia  sopra  cui  siede,  unica  o  rara, Maraviglioso  corre  e  stupefatto; E  tosto  il  cerchio  intorno  gli  fa  taUo. 91    Sì  che  per  dare  ancor  più  maraviglia, £  per  pigliarne  il  buon  Ruggier  più  gioco, Al  volante  corsier  scuote  la  briglia, E  con  gli  sproni  ai  fianchi  il  tocca  un  poco. Quel  verso  il  ciel  per  V  aria  il  cammin  piglia, E  lascia  ognuno  attonito  in  quel  loco. Quindi  Ruggier,  poiché  di  iMsda  in  banda Viée  gl'Inglesi,  andò  verso  T Irlanda. 99     £  vide  Ibernia  fabulosa,  dove n  santo  Tecchiarel  fece  la  cava, In  che  tanta  mercè  par  che  si  trove, Che  Tuom  vi  porga  ogni  sua  colpa  prava. Quindi  poi  sopra  il  mare  il  destrier  move Là  dove  la  minor  Bretagna  lava; £  nel  passar  vide,  mirando  abbasso, Angelica  legata  al  nado  sasso; 93    Al  nado  "asso,  ali  isola  del  pianto:Cbè  l'isola  del  pianto  era  nomata Quella  che  da  crudele  e  fiera  tanto Ed  inumana  gente  era  abitata, Che  (come  io  vi  dicea  sopra  nel  Canto) Per  varj  liti  sparsa  iva  in  armata Tutte  le  belle  donne  depredando, Per  fame  a  un  mostro  poi  cibo  nefando. stanza  100. 94    Vi  fn  Iellata  pur  quella  mattina, Dove  venia  |"er  trangugiarla  viva Quel  smisurato  mostro,  orca  marina, Che  di  abborrevol  esca  si  nutriva. Dissi  di  sopra,  come  fu  rapina Di  quei  che  la  trovare  in  su  la  riva Dormire  al  vecchio  incantatore  accanto, Oh'  ivi  r  avea  tirata  per  incanto. 95    La  fiera  gente  inospitale  e  cruda Alla  bestia  crudel  nel  lito  espose La  bellissima  donna  cosi  ignuda, Come  Natura  prima  la  compose. Un  velo  non  ha  pure,  in  che  rinchiuda I  bianchi  gigli  e  le  vermiglie  rose, Da  non  cader  per  luglio  o  per  dicembre . Di  che  son  sparse  le  polite  roembre. 96  Creduto  ayria  che  fosse  statua  fiuta 0  d alabastro  o  d'altri  marmi  illustri Ruggiero,  e  su  lo  scoglio  così  avvinta Per  artificio  di  scultori  industri; Se  non  vedea  la  lacrima  distinta Tra  fresche  rose  e  candidi  ligustri Far  rugiadose  le  crudette  pome, E  l'aura  sventolar  l'aurate  chiome. 97  E  come  ne'  begli  occhi  gli  occhi  affisse, Della  sua  Era  damante  gli  sovvenne. Pietade  e  amore  a  un  tempo  lo  trafisse, E  di  piangere  appena  si  ritenne; E  dolcemente  alla  donzella  disse, Poi  che  del  suo  destrier  frenò  le  penne: 0  donna,  degna  sol  della  catena Con  che  i  suoi  servi  Amor  legati  mena, 98  E  ben  di  questo  e  d'ogni  male  indegna, 

Chi  è  quel  crudel  che  con  voler  perverso D'importuno  livor  stringendo  segna Di  queste  belle  man  l'avorio  terso? Forza  è  eh'  a  quel  parlare  ella  divegna Quale  è  di  grana  un  bianco  avorio  asperso, Di  sé  vedendo  quelle  parti  ignudo, Ch' ancorché  belle  sian,  vergogna  chiude. 99  E  coperto  con  man  s' avrebbe  il  volto, Se  non  eran  legate  al  duro  sasso; Ma  del  pianto,  eh'  almen  non  l'era  tolto, Lo  sparse,  e  si  sforzò  di  tener  basso. E  dopo  alcun' singhiozzi  il  parlar  sciolto, Licominciò  con  fioco  suono  e  lassò: Ma  non  seguì;  che  dentro  il  fé' restare Il  gran  rumor  che  si  senti  nel  mare. 100  Ecco  apparir  lo  smisurato  mostro Mezzo  ascoso  nell' onda,  e  mezzo  sorto. Come  sospinto  suol  da  Borea  o  d'Ostro Venir  lungo  navilio  a  pigliar  porto, Cosi  ne  viene  al  cibo  che  l'è  mostro La  bestia  orrenda;  e  l'intervallo  é  corto. La  donna  è  mezza  morta  di  paura, Né  per  conforto  altrui  si  rassicura. 101  Tenea  Ruggier  la  lancia  non  in  resta, Ma  sopra  mano;  e  percoteva  l'orca. Altro  non  so  che  s' assomigli  a  questa, Ch'una  gran  massa  che  s'aggiri  e  torca: Né  forma  ha  d'animai,  se  non  la  testa, C  ha  gli  occhi  e  i  denti  fuor  come  di  porca. Ruggier  in  fronte  la  feria  tra  gli  occhi; Ma  par  che  un  ferro  o  un  duro  sasso  tocchi. 102  Poiché  la  prima  betta  poco  vale. Ritoma  per  far  meglio  la  seconda. L'orca,  che  vede  sotto  le  grandi  ale L'ombra  di  qua  e  di  là  correr  su  l'onda, Lascia  la  preda  certa  litorale, E  quella  vana  segue  furibonda; Dietro  quella  si  volve  e  si  raggira. Ruggier  giù  cala,  e  spessi  colpi  tira 103  Come  d'alto  venendo  aquila  suole, Ch'  errar  fra  l'erbe  visto  abbia  la  biada, 0  che  stia  sopra  un  nudo  sasso  al  Sole, Dove  le  spoglie  d'oro  abbella  e  liscia; Non  assalir  da  quel  lato  la  vuqle, Onde  la  velenosa    soffia  e  strìscia; Ma  da  tergo  l'adugna,  e  batte  i  vanni, Acciò  non  se  le  volga  e  non  l'azzanni: 104  Così  Ruggier  con  l'asta  e  con  la  spada Non  dove  era  de' denti  armato  il  muso, Ma  vuol  che  il  colpo  tra  l'orecchie  cada, Or  su  le  schiene,  or  nella  coda  giuso. Se  la  fera  si  volta,  ei  muta  strada Ed  a  tempo  giù  cala,  e  p<ia  in  suso Ma,  come  sempre  giunga  in  un  diaspro, Non  può  tagliar  lo  scoglio  duro  ed  aspro. 105  Simil  battaglia  fa  la  mosca  audace Contro  il  mastin  nel  polveroso  agosto, 0  nel  mese  dinanzi  o  nel  seguace. L'uno  di  spiche  e  l'altro  pien  di  mosto: Negli  occhi  fi  punge  e  nel  grifo  mordace; Volagli  intomo,  e  gli  sta  sempre  accosto, E  quel  suonar  fa  spesso  il  dente  asciutto; Ma  un  tratto  che  gli  arrivi,  appaga  il  tutto. 106  Si  forte  ella  nel  mar  batte  la  coda, Che  fa  vicino  al  del  l'acqua  innalzare; Talché  non  sa  se  l'ale  in  aria  snoda, Oppnr  se  '1  suo  destrier  nuota  nel  mare. Gli  é  spesso  che  disia  trovarsi  a  proda; Che  se  lo  sprazzo  in  tal  modo  ha  a  durare, Teme  sì  l'ale  innaffi  all'Ippogrifo, Che  brami  invano  avere  o  zucca  o  schifo. 107  Prese  nuovo  consiglio,  e  fu  il  migliore, Di  vincer  con  altre  arme  il  mostro  crado. Abbarbagliar  lo  vuol  con  lo  splendore Ch'era  incantato  nel  coperto  scudo. Vola  nel  lito;  e  per  non  fare  errore, Alla  donna  legata  al  sasso  nudo Lascia  nel  minor  dito  della  mano L'anel,  che  potea  far  V  incanto  vano:103     Dico  Panel  che  Bradamante  avea, Per  liberar  Ruggier  tolto  a  Brunello; Poi  per  trarlo  di  man  d'Alcina  rea, Mandato  in  India  per  Melissa  a  qnello. Melissa,  come  dianzi  io  vi  dicea, In  ben  di  molti  adoperò  V  anello; Indi  r  a  ea  a  Euggier  restituito, Da  qual  poi  sempre  fu  portato  in  dito. 109  Lo  dà  ad  Angelica  ora,  perchè  teme Che  del  suo  scudo  il  fulgurar  non  viete, E  perchè  a  lei  ne  sien  difesi  insieme Gli  occhi  che  già  Tavean  preso  alla  rete. Or  viene  al  lito  e  sotto  il  ventre  preme Ben  mezzo  il  mar  la  smisurata  Cete. Sta  Ruggiero  alla  posta,  e  leva  il  velo; £  par  eh  aggiunga  un  altro  Sole  al  cielo. 110  Ferì  negli  occhi  l'incantato  lume Di  quella  fera,  e  fece  al  modo  usato. Quale  0  trota  o  scaglion  va  giù  pel  fiume C  ha  con  calcina  il  montanar  turbato; Tal  si  vedea  nelle  marine  schiume Il  mostro  orribilmente  riversato. Di  qua  di  là  Ruggier  percuote  assai; Ma  di  ferirlo  via  non  trova  mai. Ili    La  bella  donna  tuttavolta  prega Ch'  invan  la  dura  squama  oltre  non  pesti Toma,  per  Dio,  signor;  prima  mi  slega, Dicea  piangendo,  che  V  orca  si  desti:Portami  teco,  e  in  mezzo  il  mar  mi  annega; Non  far  eh  in  ventre  al  bruto  pesce  io  resti. Ruggier,  commosso  dunque  al  giusto  grido, Slegò  la  donna,  e  la  levò  dal  lido. 112    II  destrier  punto,  ponta  i  pie  all'arena, E  sbalza  in  aria,  e  per  lo  ciel  galoppa; E  porta  il  cavaliere  in  su  la  schiena, E  la  donzella  dietro  in  su  la  groppa. Cosi  privò  la  fera  della  cena Per  lei  soave  e  delicata  troppa. Ruggier  si  va  volgendo,  e  mille  baci Figge  nel  petto  e  negli  occhi  vivaci. 113    Non  più  tenne  la  via,  come  propose Prima,  di  circondar  tutta  la  Spagna, Ma  nel  propinquo  lito  il  destrier  pose, Dove  entra  in  mar  più  la  minor  Bretagna. Sul  lito  un  bosco  era  di  querce  ombrose, Dove  ognor  par  che  Filomena  piagna; Ch'in  mezzo  avea  un  pratel  con  una  fonte, E  quinci  e  quindi  un  solitario  monte. Stanza  111. 114    Quivi  il  bramoso  cavalier  ritenne L'audace  corso,  e  nel  pratel  discese; E  fé'  raccorre  al  suo  destrier  le  penne, Ma  non  a  tal  che  più  le  avea  distese. Del  destrier  sceso,  appena  si  ritenne Di  salir  altri;  ma  tennel  l'arnese: L'arnese  11  tenne,  che  bisognò  trarre; E  contra  il  suo  disir  messe  le  sbarre. 115    Frettoloso,  or  da  questo  or  da  quel  canto Confusamente  l'arme  si  levava. Non  gli  parve  altra  volta  mai  star  tanto; Che  s'un  laccio  sciogliea,  dui  n'annodava. Ma  troppo  è  lungo  ormai,  signor,  il  Canto; E  forse  eh' anco  l'ascoltar  vi  grava: Si  ch'io  differirò  l'istoria  mia In  altro  tempo,  che  più  grata  sia.NOTE. St.  3.  V.23.   Intende  della  famosa  Elena  ohe  diede occasione  alla  guerra  di  Troia. St.  11.  V.4.   Buccia  qui  vale  calice  della  rosa  non per  anche  aperta. St.  20.  y.  56.   Alcione  è  uccello  acquatico  il  cui nome  è  preso  da  quello  della  moglie  di  Geice,  re  di  Tra cia, che  i  poeti  favoleggiarono  tramutata  insieme  col marito  in  tal  volatile,  dopo  essersi  gettata  in  mare  pel dolore  di  esserle  morto  il  consorte  in  un  viaggio  ma rittimo. St.  34.  Y.  56.   Ecuba,  vedova  dì  Priamo  e  schiava di  Ulisse,  perseguitata  dai  Traci  per  aver  tratti  gli  oc chi a  Polinestore,  uccisore  deirultimo  figlio  rimastole, venne  in  tanta  ira,  clie  fu  convertita,  secondo  i  mito logi, in  cagna  rabbiosa. St.  51.  y.  5.  Non  s' intenda  qui  per  artiglieria  la moderna,  che  non  era  conosciuta  ai  tempi  di  cui  parla il  Poeta;  ma  in  generale  le  macchine  di  guerra  da  lan ciare proiettili. St.  52.  y.  25.   I  nomi  delle  fate  accennano  alle  loro qualità  morali.  Quello  di  Alcina,  se  il  Poeta  non  ha voluto  grecizzare  anche  in  esso,  può  esser  tratto  da  Aloe, che  in  Aulo  Gellio  leggesi  essere  stata  una  meretrice.  Lo giatillaf  vale  ragionevole.  Andronica,  donna  di  animo virile,  Fronesia,  saggia,  come  nel  testo.  DiciUa,  giusta. Sofrosina,  temperata  o  modesta. St.  56.  y.  48.   dolo  è  una  delle  tre  Parche  favo leggiate dai  Poeti  Didone,  notissima  regina  di  Carta gine, che  si  uccise  per  disperato  amore  di  Enea.  La  re gina del  Nilo  è  Cleopatra,  che  si  tolse  la  vita  con  un aspide,  per  non  essere  tratta  dietro  al  trionfatore  ro mano. St.  66.  y.  6.   Oli  aquitatU  UH,  sono  le  Provincie francesi  Guienna  e  Guascogna,  altre  volte  Aquitania, St.  70.  y  6.   Quella  campagna  è  il  mare,  dove  i venti  sono  più  liberi  e  più  violenti. St.  71.  y.  18.   Quinsai,  città  della  Cina,  detta  Chan say  da  Marco  Polo,  che  la  situa  fra  il  Cataio  e  Man giana  o  Mangin,  ed  ò  la  odierna  Nankin.  Imavo,  monte altissimo  della  Scizia  o  Tartaria.  Onda  ircana,  il  mar Caspio.  SarmoMia,  vasto  paese  settentrionale,  parte  in Asia,  parte  in  Europa.  Pruteni,  Prussiani.  Fumeria, Pomerania,  provincia  di  Germania  nell'alta  Sassonia. St.  72.  y.  8   Ultima  Inghilterra.  Cosi  chiamavano i  Romani  la  Gran  Bretagna,  per  la  sua  giacitura  verso Testremità  dell'Europa. ST.  77.  y.  2.   ia  fiordaligi,  6  il  nome  del  flore  che noi  chiamiamo  giglio,  detto  dai  Francesi  fleurdelis. Ivr.  y.  8.   LincastrOf  ò  Laucaster,  una  delle  contee dell'Inghilterra. St.  78.  V.48.   Varvecia,  Warwick;  Oloceatra,  Glou cester;  Chiarenta,  Clarence,  titolo  di  ducato;  Eborace, York:  tutte  contee  dlnghilterra,  del  pari  ohe  le  nomi nate nelle  Stanze  seguenti. St.  79.  y.  18.   Nortfotia,  Norfolk;  Cancia,  Kent; Pembrozia,  Pembroke,  nel  principato  di  Galles.  Sufol da,  Suffolk;  Essenia,  Essex;  Norbelanda,  Northum berland. St.  80.  y.  18.  ~  Ar indelia,  Arnndel  nella  contea  di Sussf  X;  Barclfi,  Bertkley,  paese  che  dà  ora  il  nome  "i uno  dei  canali  componenti  il  sistema  idiaalieo  dì  L<a dra;  Moì'ehia,  March,  una  fra  le  contee  ceDtralt  di  Sco zia ;  Bitmojida,  Richmond,  castello  neir  Inglifltezn; DoreeHa,  Dorset;  Antona,  Southampton. St.  81.  y.  28.   Devonia,  Devan,  da  cai  prende  fl nome  la  contea  di  Devonshir;  Vigorina,  Winchester; Erbia,  Derby;  Oasonia,  Oxford;  Battow'a,  Batli  nella contea  di  Summerset,  detta  qui Sormosedia" St.  82.  y.  3.   Dìm  tanti,  due  volte  tanti,  dne  yotte  piò. St.  83.  y.  16.   Bocchingamia,  Buokingam;  Sari sberia,  Salisbury;  Borenta,  Abergavenny;  Croisberia, Shrewsbury;  Esperia,  antico  nome  della  Scozia. St.  84.  y.  8.   Bosda,  Ross,  una  delle  contee  set tentrionali di  Scozia. St.  85.  y.  24.   Ottonici,  Athol;  Marra,  Mar.  U voce  travaglio,  nel  quarto  verso,  è  voce  di  mmscalda, derivata  dal  latino  barbaro  travallus;  e  denota  nn  or digno ove  si  costringono  le  bestie  fastidiose  e  intratta bili per  medicarle  o  ferrarle. St.  86.  y.  18.   Trasfordia,  Stafford;  Angoscia,  An gus; Albania,  o  Braid  Albain,  è  il  nome  comoneaente dato  a  un  piccolo  paese  della  contea  di  Perth,  e  ba  ti tolo di  ducato.  Boccania,  contea  di  Scozia,  ivi  detta Bnchan. St.  87.  y.  17.   Forbease,  Forse  deve  qui  intendeni Ferdon,  detto  dai  Latini  Fordunum,  o  Forres,  borgo nella  Scozia,  cosi  denominato  anche  oggi   ErtHa, Errol;  Childera,  Kildare,  contea  nella  provincia  di  Leis ster;  Deinnonda,  Desmond,  contrada  dipendente  dalla contea  di  Cork,  nella  provincia  di  Mnnster. St.  88.  y.  26.   Banda,  osala  fascia.   Tile  (o  Tuie) la  più  remota  delle  isole  settentrionali  d'Eoropa,  eàe fosse  conosciuta  dai  Romani.  I  Geografi  non  sono  eoo cordi  nel  determinarla;  alcuni  (non  V  Ariosto)  V  hanno creduta  llslanda,  altri  la  Scandinavia,  tenuta  antica mente per  isola;  il  Cellario  la  crede  la  Scbetlandia,  o alcuna  delle  isole  del  Fero  o  del  Faro,  dette  dal  Balbi Fceroe,  situate  quasi  nella  •medesima  latitudine  St.  92.  y.  14.  ~  Dice  fabulosa  V  Irlanda,  per  le  fkvok che  ne  correvano,  fra  le  quali  la  relativa  al  pozso   vuoisi  fatto  da  San  Patrizio.  In  quello  solevano  entrare i  peccatori,  con  la  speranza  di  uscirne  puigati  di  colpa e  usciti  raccontavano  le  cose  strane  che  loro  pareva  avers colà  dentro  vedute  o  sentite. St.  98.  v.56.   Diconsi  grana  i  corpi  di  oerti  ia setti  simili  alle  bacche  dell  edera,  coi  quali  si  tingono i  panni  in  rosso  e  violetto.  11  senso  quindi  dei  dne  veni predetti  è  che  Angelica,  bianchissima  di  carnagione,  ar rossa alle  parole  di  Ruggiero. St.  101.  y.  2.   Sopra  mano,  oioò  con  mano  alzata sopra  la  spalla. St.  104.  v.&   Per  to  scogUo  intendasi  fl  dorioifflo osso  del  mostro. St.  113.  y.  46.   A  ponente  maestro,  cioè  snl  lido  che guarda  risola  di  Ouessant. St.  113.  V.6.   Filomena,  il  rosignolo,  nel  qnale, secondo  la  favola  fu  cangiata  Filomena,  figlia  di  Pan dione  re  d'Atene. SUiiia4& CANTO   DECIMOPRIMO. AROOMBNTO. Angelica  s'invola  a  Ruggiero  mediante  Tanello  incantato,  e  si  ricovera  neU  abitazione  di un  pastore.  Ruggiero, nell'andarla  cercando,  vede  un  gigante  rapire  una  donna,  che  sembragli  firadamante.  Olimpia  abbandonata da  Bireno,  e  presa  dai  corsari,  viene  esposta  in  Ebada  al  mostro  marino,  da  cui  Orlando  la  libera.  Sopraggiunge il  re  d'Irlanda  Oberto,  che,  invaghito  di  Olimpia,  la  fa  sua  moglie,  dopo  aver  tolto  a  Bireno  gli  stati  e  la  vita. Quantunque  debil  freno  a  mezzo  il  corso Animoso  destrìer  spesso  raccolga, Raro  è  però  che  di  ragione  il  morso Libidinosa  furia  addietro  volga" Quando  il  piacer  ha  in  pronto;  a  guisa  d'orso, Che  dal  mei  non  ri  tosto  si  distolga, Poi  che  gli  n'è  venuto  odore  al  naso, 0  qualche  stilla  ne  gustò  sul  vaso. Qual  ragion  fia  che  '1  buon  Buggier  raffrene, Si  che  non  voglia  ora  pigliar  diletto D  Angelica  gentil,  che  nuda  tiene Nel  solitario  e  comodo  boschetto? Di  Bradamante  più  non  gli  sovviene, Che  tanto  aver  solea  fissa  nel  petto: E  se  gli  ne  sovvien  pur  come  prima, Pazzo  è  se  questa  ancor  non  prezza  e  stima; 3  Con  la  qual  non  saria  stato  quel  crudo Zenocrate  di  lui  più  continente. Gittato  avea  Ruggier  l'asta  e  lo  scudo, E  si  trìBiea  T altre  arme  impaziente; Quando  abbassando  pel  bel  corpo  ignudo La  donna  gli  occhi  vergognosamente, Si  vide  in  dito  il  prezioso  anello 

Che  già  le  tolse  ad  Albracca  Brunello. 4  Questo  è  Panel  ch'ella  portò  già  in  Francia La  prima  volta  che  fé' quel  cammino Col  f ratei  suo,  che  v'arrecò  la  lancia, La  qual  fu  poi  d'Astolfo  paladino. Con  questo  fé' gì' incanti  uscire  in  ciancia Di  Malagìgi  al  petron  di  Merlino; Con  questo  Orlando  ed  altri  una  mattina Tolse  di  servitù  di  Dragontina; 5  Con  questo  usci  invisibil  dalla  torre, Dove  Pavea  richiusa  un  veccliio  rio. A  che  Togrio  tutte  sue  prove  accórre, Se  le  sapete  voi  cosi  com'io? Brunel  sin  nel  giron  lei  venne  a  tórre; Ch  Agramante  d  averlo  ebbe  disio. Da  indi  in  qua  sempre  fortuna  a  sdegno Ebbe  costei,  finché  le  tolse  il  regno. 6  Or  che  sei  vede,  come  ho  detto,  in  mano, Si  di  stupore  e  d'allegrezza  è  piena, Che,  quasi  dubbia  di  sognarsi  invano, Agli  occhi,  alla  man  sua  dà  fede  appena. Del  dito  se  lo  leva,  e  a  mano  a  mano Se  '1  chiude  in  bocca;  e  in  men  che  non  balena. Così  dagli  occhi  di  Ruggier  si  cea. Come  fa  il  Sol  quando  la  nube  il  vela. 7  Ruggier  pur  d'ogn'  intomo  riguardava, E  s'aggirava  a  cerco  come  un  matto; Ma  poi  che  dell'anel  si  ricordava. Scornato  vi  rimase  e  stupefatto; E  la  sua  inavvertenza  bestemmiava, E  la  donna  accusava  di  quell'atto Ingrato  e  discortese,  che  renduto In  ricompensa  gli  era  del suo  aiuto. 11  E  circa  il  vespro,  poi  che  rinfrescossi, E  le  fu  avviso  esser  posata  assai. In  certi  drappi  rozzi  awiluppossi, Dissimil  troppo  ai  portamenti  gai" Che  verdi,  gialli,  persi,  azzurri  e  rossi Ebbe,  e  di  quante  fogge  furon  mai. Non  le  può  tor  però  tanto  umil  gonna Che  bella  non  rassembrì  e  nobii  donna. 12  Taccia  chi  loda  Fillide,  o  Neera, 0  AmariUi,  o  (}alatea  fugace; Che  d'esse  alcuna  si  bella  non  era, Titiro  e  Melibeo,  con  vostra  pace. La  bella  donna  trae  fuor  delk  schiera Delle  giumente  una  che  più  le  piace. Allora  allora  se  le  fece  innante Un  pensier  di  tornarsene  in  Levante. 13    Ruggiero  intanto,  poi  ch'ebbe  gran Indarno  atteso  s'ella  si  scopriva, E  che  s' avvide  del  suo  error  da  sezzo, Che  non  era  vicina  e  non  l'udiva; Dove  lasciato  avea  il  cavallo,  avvezzo In  cielo  e  in  terra,  a  rimontar  veniva:E  ritrovò  che  s' avea  tratto  il  morso, E  salia  in  aria  a  più  libero  corso. 8  Ingrata  damigella,  è  questo  quello Guiderdone,  dicea,  che  tu  mi  rendi. Che  piuttosto  involar  vegli  l'anello, Ch'averlo  in  don?  Perchè  da  me  noi  prendi? Non  pur  quel,  ma  lo  scudo  e  il  destrier  snello E  me  ti  dono;  e  come  vuoi  mi  spendi; Sol  che'l  bel  viso  tuo  non  mi  nascondi. Io  so,  crudel,  che  m' odi,  e  non  rispondi. 9  Cosi  dicendo,  intomo  alla fontanaBrancolando  n'andava,  come  cieco. Oh  quante  volte  abbracciò  l'aria  vana, Sperando  la  donzella  abbracciar  seco ! Quella,  che  s'era  già  fatta  lontana, Mai  non  cessò  d'andar,  che  giunse  a  un  speco Che  sotto  un  monte  era  capace  e  grande, Dove  al  bisogno  suo  trovò  vivande. 10  Quivi  un  vecchio  pastor,  che  di  cavalle Un  grande  armento  avea,  facea  soggiorno. Le  giumente  pascean  giù  per  la  valle Le  tenere  erbe  ai  freschi  rivi  intorno. Di  qua  di  là  dall'antro  erano  stalle, Dove  fuggiano  il  Sol  del  mezzo  giorno. Angelica  quel  di  lunga  dimora Là  dentro  fece,  e  non  fu  vista  ancora. 14  Fu  grave  e  male  aggiunta  all'altro  danno Vedersi  anco  restar  senza  l'augello. Questo,  non  men  che  '1  femminile  inganno, Gli  preme  al  cor:  ma  più  che  questo  e  quello Gli  preme  e  fa  sentir  noioso  affanno L'aver  perduto  il  prezioso  anello; Per  le  virtù  non  tanto  eh'  in  lui  sono, Quanto  che  fu  della  sua  donna  dono. 15  Oltremodo  dolente  si  ripose Indosso  l'arme,  e  lo  scudo  alle  spalle; Dal  mar  slungossi,  e  per  le  piaggie  erbose Prese  il  cammin  verso  una  larga  valle, Dove  per  mezzo  all'alte  selve  ombrose Vide  il  più  largo  e  '1  più  segnato  calle. Non  molto  va,  eh' a  destra,  ove  più  folta É  queUa  selva,  un  gran  strepito  ascolta. 16  Strepito  ascolta  e spaventevol  suono D'arme  percosse  insieme;  onde  s'affretta Tra  pianta  e  pianta,  e  trova  dui  che  sono A  gran  battaglia  in  poca  piazza  e  stretta. Non  s' hanno  alcun  riguardo  né  perdono, Per  far,  non  so  di  che,  dura  vendetta. L'uno  è  gigante,  alla  sembianza  fiero; Ardito  l'altro  e  franco  cavaliere. 17    E  questo  con  lo  scado  e  con  la  spada, Di  qua  dì  là  saltando,  si  difende, Perchè  la  mazza  sopra  non  gli  cada, Con  che  il  gigante  a  dae  man  sempre  offende. Giace  morto  il  cavallo  in  sa  la  strada. Roggìer  si  ferma,  e  alla  battaglia  attende; E  tosto  inchina  l'animo,  e  disia Che  vincitore  il  cavalier  ne  sia. Stanza  I& 0    E  se  r arreca  in  spalla,  e  via  la  porta Come  lupo  talor  piccolo  agnello, 0  l'aquila  portar  nelPugna  torta Suole  0  colombo  o  simile  altro  augello. Vede  Ruggier  quanto  il  suo  aiuto  importa, E  vien  correndo  a  più  poter;  ma  quello Con  tanta  fretta  i  lunghi  passi  mena, Che  con  gli  occhi  Ruggier  lo  segue  appena. 21  Cosi  correndo  Tono  e  seguitando L'altro,  per  un  sentiero  ombroso  e  fosco, Che  sempre  si  venia  più  dilatando, In  un  gran  prato  uscir  fuor  di  quel  bosco. Non  più  di  questo;  eh'  io  ritorno  a  Orlando, Che  '1  fulgur  che  portò  già  il  re  Cimosco, Avea  gittato  in  itar  nel  maggior  fondo, Acciò  mai  più  non  si  trovasse  al  mondo. 22  Ma  poco  ci  giovò;  che  1  nimico  empio Deir  umana  natura,  il  qual  del  telo Fu  rinventor,  ch'ebbe  da  quel  F esempio, Ch'apre  le  nubi  e  in  terra  vien  dal  cielo; Con  quasi  non  minor  di  quello  scempio Che  ci  die  quando  Eva  ingannò  col  melo. Lo  fece  ritrovar  da  un  necromante Al  tempo  de' nostri  avi,  o  poco  innante. 23  La  macchina  infemal,  di  più  di  cento Passi  d'acqua  ove  stè  ascosa  moli  anni, Al  sommo  tratta  per  incantamento, Piima  portata  fu  tra  gli  Alamanni; Li  quali  uno  ed  un  altro  esperimento Facendone,  e  il  demonio  a' nostri  danni Assottigliando  lor  via  più  la  mente, Ne  ritrovare  l'uso  finalmente. 18  Non  che  per  questo  gli  dia  alcuno  aiuto; Ma  si  tira  da  parte,  e  sta  a  vedere. Ecco  col  baston  grave  il  più  membruto Sopra  l'elmo  a  due  man  del  minor  fere. Della  percossa  è  il  cavalier  caduto:L'altro  che  '1  vide  attonito  giacere, Per  dargli  morte  l'elmo  gli  dislaccia; E  fa  sì  che  Ruggier  lo  vede  in  faccia. 19  Vede  Ruggier  della  sua  dolce  e  bella E  carissima  donna  Bradamante Scoperto  il  viso,  e  lei  vede  esser  quella A  cui  dar  morte  vuol  l'empio  gigante; Si  che  a  battaglia  subito  l'appella, E  con  la  spada  nuda  si  fa  innante; Ma  quel,  che  nuova  pugna  non  attende, La  donna  tramortita  in  braccio  prende:24  Italia  e Francia,  e  tutte  l'altre  bande Del  mondo  han  poi  la  crudele  arte  appresa. Alcuno  il  bronzo  in  cave  forme  spande, Che  liquefatto  ha  la  fornace  accesa; Bugia  altri  il  ferro;  e  chi  picciol,  chi  grande Il  vaso  forma,  che  più  e  meno  pesa; E  qual  bombarda,  e  qual  nomina  scoppio, Qual  semplice  cannon,  qual  cannon  doppio: 25  Qual  sagra,  qual  falcon,  qual  colubrina Sento  nom  tr,  come  al  suo  autor  più  aggrada Che'l  ferro  spezza,  e  i  marmi  apre  e  ruina, E  ovunque  passa  si  fa  dar  la  strada. Rendi,  miser  soldato,  alla  fucina Pur  tutte  r  arme  e'  hai,  fino  alla  spada; E  in  spaPa  un  scoppio  o  un  archibugio  prendi; Cile  senza,  io  so,  non  toglierai  stipendi.Stanza  28. 26    Come  trovasti,  o  scellerata  e  bratta Invenzion,  mai  loco  in  aman  core? Per  te  la  militar  gloria  è  distratta; Per  te  il  mestier  dell'arme  è  senza  onore; Per  te  è  il  valore  e  la  virtù  ridatta, Che  spesso  par  del  bnono  il  rio  migliore:Non  più  la  gagliardia,  non  più  V  ardire Per  te  pad  in  campo  al  paragon  venire. 27  Per  te  wm  giti  ed  andenn  aotterra Tanti  signori  e  cavalieri  tanti, Prima  che  sia  finita  questa  gaerra, Chel  mondo,  ma  più  Italia,  ha  messo  in  pianti; Che  s'io  v'ho  detto,  il  detto  mio  non  erra, Che  ben  fa  il  più  cradele,  e  il  più  di  qnaDti Mai  foro  al  mondo  ingegni  empi  e  maligni. Ch'immaginò  si  abbominosi  ordignL 28  E  crederò  che  Dio,  perchè  vendetta Ne  sia  in  etemo,  nel  profondo  chiuda Del  cieco  abisso  qnella  maledetta Anima,  appresso  al  maledetto  Giada. Ma  segaitiamo  il  cavalier  ch'in  fretta Brama  trovarsi  all'isola  d'Ebada, Dove  le  belle  donne  e  delicate Son  per  vivanda  a  un  marìn  mostro  date. 29  Ma  quanto  avea  più  fretta  il  paladino, Tanto  parca  che  men  l'avesse  il  vento. Spiri  dal  lato  destro  o  dal  mancino, 0  neUa  poppa,  sempre  è  cosi  lento, Che  si  può  far  con  lui  poco  cammino; E  rìmanea  talvolta  in  tutto  spento: Soffia  talor  si  avverso,  che  gli  è  forza 0  di  tornare,  o  d'ir  girando  all' orza. 30  Fu  volontà  di  Dio,  che  non  venisse Prima  che  '1  re  d'Ibemia  in  quella  parte, Acciò  con  più  facilità  seguisse Quel  ch'udir  vi  farò  fra  poche  carte. Sopra  Pisola  sorti,  Orlando  disse Al  suo  nocchiero: or  qui  potrai  fermarte, E  '1  battei  darmi;  che  portar  mi  voglio Senz' altra  compagnia  sopra  lo  scoglio. 31  E  voglio  la  maggior  gomena  meco, E  l'ancora  maggior  ch'abbi  sul  legno: Io  ti  farò  veder  perchè  l'arreco, Se  con  quel  mostro  ad  affrontar  mi  vegno. Gittar  fé'  in  mare  il  palischermo  seco, Con  tutto  quel  ch'era  atto  al  suo  disegno. Tutte  l'arme  lasciò,  fuorché  la  spada; E  ver  lo  scoglio,  sol,  prese  la  strada. 32  Si  tira  i  remi  al  petto,  e  tien  le  spalle Volte  alla  parte  ove  discender  vnole: A  guisa  che  del  mare  o  della  valle Uscendo  al  lito  il  salso  granchio  suole. Era  nell' ora  che  le  chiome  gialle La  bella  Aurora  avea  spiegate  al  Sole, Mezzo  scoperto  ancora  e  mezzo  ascoso, Non  senza  sdegno  di  Titon  geloso. 88    Fattori  appresso  al  nudo  seogo,  qiianto Potria  gagliarda  man  gittare  nn  sasso, Gli  pare  udire  e  non  udire  nn  pianto; £tt  all' oreeohio  gli  vien  debole  e  lasso. Tatto  si  volta  sul  sinistro  canto; E  posto  gli  occhi  appresso  all'onde  al  basso. Vede  nna  donna,  nuda  come  nacque, Legata  a  un  tronco;  e  i  piò  le  bagnan  Tacque. 84  Perchè  gli  è  ancor  lontana,'  e  perchè  china La  faccia  tien,  non  ben  chi  sia  disceme. Tira  in  fretta  ambi  i  remi,  e  s' aTricina Con  gran  disio  di  più  notizie  averne. Ma  mugghiar  sente  in  questo  la  marina, E  rimbombar  le  selve  e  le  caverne: Goniiansi  V  onde;  ed  ecco  il  mostro  appare, Che  sotto  il  petto  ha  quasi  ascoso  il  mare. 85  Come  d  oscura  valle  umida  ascende Nube  di  pioggia  e  di  tempesta  pregna, y  Che  più  che  cieca  notte  si  distende Per  tutto '1  moulo,  e  par  cheU  giorno  spegna; Così  nuota  la  fera,  e  del  mar  prende Tanto,  che  si  può  dir  che  tutto  il  tegna: Fremono  Fonde.  Orlando,  in  sé  raccolto, La  mira  altier,  nò  cangia  cor  né  volto. 36    E  come  quel  ch'avea  il  pensier  ben  fermo Di  quanto  volea  far,  si  mosse  ratto; £  perchè  alla  donzella  essere  schermo, E  la  fera  assalir  potesse  a  un  tratto, Entrò  fra  Torca  e  lei  col  palischermo, Nel  fodero  lasciando  il  brando  piatto:L'Ancora  con  la  gomona  in  man  prese; Poi  con  gran  cor  1  orrlbil  mostro  attese. 87  Tosto  che  Torca  s'accostò,  e  scoperse Nel  schifo  Orlando  con  poca  intervallo, Per  inghiottirlo  tanta  bocca  aperse. Ch'entrato  un  uomo  vi  saria  a  cavallo. Si  spinse  Orlando  innanzi,  e  se  gì'  immerse Con  queir  àncora  in  gola,  e,  s'io  non  fallo, Col  battello  anco;  e  l'àncora  attaccolle E  nel  palato  e  nella  lingua  molle:88  Si  che  nò  più  si  puon  calar  di  sopra. Nò  alzar  di  sotto  le  mascelle  orrende. Cosi  dii  nelle  mine  il  ferro  adopra. La  terra,  ovunque  si  fa  via,  suspende, Che  subita  mina  non  lo  cuopra, Mentre  mal  cauto  al  suo  lavoro  intende. Da  un  amo  all' altro  l'àncora  è  tanto  alta, Che  non  v'  arriva  Orlando,  se  non  salta. Aaiosio. 89    Messo  il  puntello,  e  fattosi  sicuro Che'l  mostro  j  serrar  non  può  la  bocca; Stringe  la  spada,  e  per  quell'antro  oscuro Di  qua  e  di  là  oon  tagli  e  punte  tocca. Come  si  può,  poi  che  son  dentro  al  muro Giunti  i  nemici,  ben  difender  rócca;Cosi  difender  l'orca  si  potea Dal  paladin  che  nella  gola  avea. 40  Dal  dolor  vinta,  or  sopra  il  mar  si' lancia, E  mostra  i  fianchi  e  le  scagliose  schiene; Or  dentro  vi  s'attnffa,  e  con  la  pancia Muove  dal  fondo  e  fa  ealir  l'arene. Sentendo  l'acqua  il  cavalier  di  Francia, Che  troppo  abbonda,   a  nuoto  fuor  ne  viene:Lascia  l'ancora  fitta,  e  in  mano  prende La  fune  che  dall'ancora  depende. 41  E  con  quella  ne  vien  nuotando  in  fretta Verso  lo  scoglio;  ove  fermato  il  piede, Tira  l'àncora  a  sé,  che  'n  bocca  stretta Con  le  due  punte  il  brutto  mostro  fiede. L'orca  a  seguire  il  canape  è  costretta Da  quella  forza  ch'ogni  forza  eccede; Da  quella  forza  che  più  in  una  scossa Tira,  eh'  in  dieci  un  argano  far  possa. 42  Come  toro  salvatico  clv'al  corno Gittar  si  senta  un  improvviso  laccio, Salta  di  qua  di  là, 's'agirà  intorno, Si.colca  e  lieva,  e  non  può  uscir  d impaccio; Cosi  fuor  del  suo  antico  almo  soggiorno L'orca  tratta  per  forza  di  quel  braccio, Con  mille  guizzi  e  mille  strane  ruote Segue  la  fune,  e  scior  non  se  ne  puote. 48    Di  bocca  il  sangue  in  tanta  òopia  fonde. Che  questo  oggi  il  Mar  Rosso  si  può  dire. Dove  in  tal  guisa  ella  percuote  Tonde, Ch'insino  al  fondo  le  vedreste  aprire: Ed  or  ne  bagna  il  cielo,  e  il  lume  asconde Del  chiaro  Sol;  tanto  le  fo  salire. Rimbombano  al  rumor,  ch'intorno  s'ode. Le  selve,  i  monti  e  le  lontane  prode. 44    Fuor  della  grotta  il  vecchio  Proteo,  quando Ode  tanto  rumor,  sopra  il  mar  esce; E  visto  entrare  e  uscir  dell' orca  Orlando, E  al  lito  trar  A  smisurato  pesce. Fugge  per  T  alto  Oceano,  obliando Lo  sparso  gregge:  e  si  il  tumulto  cresce, Che  fatto  al  carro  i  suoi  delfini  porre, Quel  di  Nettuno  in  Etiopia  corre. 45  Con  Melìcerta  in  collo  Ino  piangendo, E  le  Nereidi  coi  capelli  sparsi, Glanci  e  Tritoni,  e  gli  altri,  non  sappiendo Dove,  chi  qua  cbi  là  van  per  salvarsi. Orlando  al  lito  trasse  il  pesce  orrendo, Col  qual  non  bisognò  più  affaticarsi:Che  pel  travaglio  e  per  l'avuta  pena, Prima  mori,  che  fosse  in  su  T arena. 46  Dell'isola  non  pochi  erano  corsi A  riguardar  quella  battaglia  strana; I  quai  da. vana  religion  rimorsi, Csì  sant'  opra  riputar  profana:E  dicean  che  sarebbe  un  nuovo  torsi Proteo  nimico,  e  attizzar  l'ira  insana, Da  fargli  porre  il  marin  gregge  in  terra, E  tutta  rinnovar  l'antica  guerra; 47  E  che  meglio  sarà  di  chieder  pace Prima  all'offeso  Dio,  che  peggio  accada; E  questo  si  farà  quando  l'audace Gittato  in  mare  a  placar  Proteo  vada. Come  dà  fuoco  l'una  all' altra  face, E  tosto  alluma  tutta  una  contrada; Cosi  d'un  cor  nell'altro  si  diffonde 

L'ira  ch'Orlando  vuol  gittar  nell'onde. 48  Chi  d'una  fromba  e  chi  d'un  arco  armato. Chi  d'asta,  chi  di  spada  al  lito  scende; E  dinanzi  e  di  dietro  e  d'ogni  lato, Lontano  e  appresso,  a  più  poter  l'offende. Di  sì  bestiale  insulto  e  troppo  ingrato Gran  meraviglia  il  paladin  si  prende:Pel  mostro  ucciso  ingiuria  far  si  vede, Dove  aver  ne  sperò  gloria  e  mercede. 49  Ma  come  l'orso  suol,  che  per  le  fiere Menato  sia  da  Rnsci  o  da  Lituani, Passando  per  la  via,  poco  temere L'importuno  abbaiar  di  picciol  cani. Che  pur  non  se  li  degna  di  vedere; Così  poco  temea  di  quei  villani TI  paladin,  che  con  un  soffio  solo Ne  potrà  fracassar  tutto  lo  stuolo. 50  E  ben  si  fece  far  subito  piazza Che  lor  si  volse,  e  Durindana  prese. S' avea  creduto  quella  gente  pazza Che  le  dovesse  far  poche  contese, Quando  né  indosso  gli  vedea  corazza, Né  scudo  in  braccio,  né  alcun  altro  arnese; Ma  non  sapea  che  dal  capo  alle  piante Dura  la  pelle  avea  più  che  diamante. 51  Quel  che  d'Orlando  agli  altri  tàx  non  lece, Di  far  degli  altri  a  lui  già  non  è  tolto. Trenta  n'uccise,  e  furo  in  tutto  diece Botte,  0  se  più,  non  le  passò  di  molto. Tosto  intomo  sgombrar  l'arena  fece; E  per  slegar  la  donna  era  già  volto, Quando  nuovo  tumulto  e  nuovo  grido Fé' risuonar  da  un'altra  parte  il  lido. 52  Mentre  avea  il  paladin  da  questa  banda Cosi  tenuto  i  barbari  impediti, Eran  senza  contrasto  quei  d'Irlanda Da  più  parti  nell'isola  saliti; E  spenta  ogni  pietà,  strage  nefanda Di  quel  popol  facean  per  tutti  i  liti:Fosse  giustizia,  o  fosse  cmdeltade, Né  sesso  riguardavano  né  etade. 53  Nessun  ripar  fan  gl'isolani,  o  poco: Parte,  ch'accolti  son  troppo  improvviso; Parte,  che  poca  gente  ha  il  picciol  loco, E  quella  poca  é  di  nessuno  avviso. L'aver  fu  messo  a  sacco;  messo  foco Fu  nelle  case;  il  popolo  fu  ucciso; Le  mura  fur  tutte  adeguate  al  suolo; Non  fu  lasciato  vivo  uu  capo  solo. 54  Orlando,  come  gli  appartenga  nulla L'alto  rumor,  le  strida  e  la  mina, Viene  a  colei  che  sulla  pietra  brulla Avea  da  divorar  l'orca  marina. Guarda,  e  gli  par  conoscer  la  fEinciuIla; E  più  gli  pare,  più  che  s' avvicina:Gli  pare  Olimpia;  ed  era  Olimpia  certo, Che  di  sua  fede  ebbe  si  iniquo  merto. 55  Misera  Olimpia!  a  cui  dopo  lo  scorno Che  le  fé'  amore;  anco  fortuna  cmda Mandò  i  corsari  (e  fu  il  medesmo  giorno), Che  la  portare  all' isola  d'Ebuda. Riconosce  ella  Orlando  nel  ritomo Che  fa  allo  scoglio;  ma,  perch'ella  é  nuda, Tien  basso  il  capo;  e  non  che  non  gli  parli, Ma  gli  occhi  non  ardisce  al  viso  alzarli. 56  Orlando  domandò  che  iniqua  sorte L'avesse fatta  all' isola  venire Di  là  dove  lasciata  col  consorte Lieta  l'avea,  quanto  si  può  più  dire. Non  so,  diss'  ella,  s' io  v'  ho,  che  la  morte Voi  mi  schivaste,  grazie  a  riferire, 0  da  dolermi  che  per  voi  non  sia Oggi  finita  la  miseria  mia. 57  Io  V  ho  da  ringraziar  che  una  maniera Di  morir  mi  schivaste  troppo  enorme; Che  troppo  saria  enorme,  se  la  fera Nel  hmtto  ventre  avesse  avuto  a  porme. Ma  già  non  vi  ringrazio  eh  io  non  pera; Che  morte  sol  pad  di  miseria  torme: Ben  vi  ringrazierò,  se  da  voi  darmi Quella  vedrò,  che  dogni  daol  pnò  tmrmi. 58  Poi  con  gran  pianto  segxdtò,  dicendo Come  Io  sposo  suo  Tavea  tradita; Che  la  lasciò  sn  V  ìsola  dormendo, Donde  ella  poi  fa  dai  corsar  rapita. E  mentre  ella  parlava,  rivolgendo Sbandava  in  qaella  gaisa  che  scolpita 0  dipinta  è  Diana  nella  fonte, Che  getta  Pacqaa  ad  Atteone  in  fronte; 59  Che,  quanto  paò,  nasconde  il  petto  e  '1  ventre, Più  liberal  dei  fianchi  e  delle  rene. Brama  Orlando  ch'in  porto  il  sao  legno  entro; Che  lei,  che  sciolta  avea  dalle  catene, Vorria  coprir  d'alcuna  veste.  Or  mentre Ch'a  questo  è  intento,  Oberto  sopravviene, Oherto  il  re  d'Ibemia,  eh' avea  inteso Chel  marjn  mostro  era  sol  lito  steso; 60  E  che  nuotando  un  cavab'er  era  ito 

A  porgli  in  gola  un'  àncora  assai  grave; E  che  l'avea  cosi  tirato  al  lito, Come  si  suol  tirar  contr'  acqua  nave. Oberto,  per  veder  se  riferito Colui,  da  chi  l'ha  inteso,  il  vero  gli  bave. Se  ne  vien  quivi;  e  la  sua  gente  intanto Arde  e  distrugge  Ebuda  in  ogni  canto. 61  H  re  d'Ibemia,  ancorché  fosse  Orlando Di  sangue  tinto  e  d'acqua  molle  e  brutto, Brutto  del  sangue  che  si  trasse  quando Usci  dell' orca,  in  eh'  era  entrato  tutto; Pel  conte  l'andò  pur  raffigurando, Tanto  più  che  nell'animo  avea  indutto, Tosto  che  del  valor  senti  la  nuova, Ch'  altri  eh'  Orlando  non  faria  tal  pruova. 62  Lo  conoscea,  perch'era  stato  In&nte D'onore  in  Francia,  e  se  n'  era  partito Per  pigliar  la  corona,  l'anno  innante, Del  padre  suo  eh'  era  di  vita  uscito. Tante  volte  veduto,  e  tante  e  tante Gli  avea  parlato,  eh'  era  in  infinito. Lo  corse  ad  abbracciare  e  a  fargli  festa, Trattasi  la  celata  eh' avea  in  testa. 63  Non  meno  Orlando  di  veder  contento Si  mostrò  il  re,  che'l  re  di  veder  lui. Poi  che  furo  a  iterar  l'abbracciamento Una  0  due  volte  tornati  amendui, Narrò  ad  Oberto  Orlando  il  tradimento Che  fu  fatto  alla  giovane,  e  da  cui Fatto  le  fu,  dal  perfido  Bireno, Che  via  d'ogni  altro  lo  dovea  far  meno. 64  Le  prove  gli  narrò,  che  tante  volte Ella  d'amarlo  dimostrato  avea: 

Come  i  parenti  e  le  sustanzie  tolte Le  furo,  e  alfin  per  lui  morir  volea; E  eh'  esso  testimonio  era  di  molte, E  renderne  buon  conto  ne  potea. Mentre  parlava,  i  begli  occhi  sereni Della  donna  di  lagrime  eran  pieni. 65  Era  il  bel  viso  suo,  quale  esser  suole Da  primavera  alcuna  volta  il  cielo. Quando  la  pioggia. cade,  e  a  un  tempo  il  Sole Si  sgombra  intomo  il  nubiloso  velo. E  come  il  rosignuol  dolci  carole Mena  nei  rami  allor  del  verde  stelo; Così  alle  belle  lagrime  le  piume bagna  Amore,  e  gode  al  chiaro  lume; 66  E  nella  face  de' begli  occhi  accende L'aurato  strale,  e  nel  ruscello  ammorza, Che  tra  vermigli  e  bianchi  fiori  scende: E  temprato  che  l'ha,  tira  di  forza Centra  il  garzon,  che  né  scudo  difende. Nò  maglia  doppia,  né  ferrigna  scorza; Che,  mentre  sta  a  mirar  gli  occhi  e  le  chiome, Si  sente  il  cor  ferito,  e  non  sa  come. 67  Le  bellezze  d'Olimpia  eran  di  quelle Che  son  più  rare: e  non  la  fronte  sola, Gli  occhi  e  le  guance  e  le  chiome  avea  belle, La  bocca,  il  naso,  gli  omeri  e  la  gola; Ma  discendendo  giù  dalle  mammelle, Le  parti  che  solca  coprir  la  stola. Far  dì  tanta  eccellenzia,  ch'anteporse A  quante  n'avea  il  mondo  potean  forse. 68  Vinceano  dì  candor  le  nevi  intatte, Ed  eran  più  eh'  avorio  a  toccar  molli:Le  poppe  ritondette  parean  latte Che  faor  dei  giunchi  allora  allora  tolli. Spazio  fra  lor  tal  discendea,  qual  &tte Esser  veggiam  fra  piccolinì  colli L'ombrose  valli,  in  sua  stagione  amene, Che  '1  verno  abbia  di  neve  allora  piene. 69    J  rilevati  fianchi  e  le  belle  anche, E  netto  più  che  specchio  il  ventre  piano, Pareano  fatti,  e  quelle. coscie  bianche, Da  Fidia  a  tomo,  o  da  più  dotta  mano. Di  quelle  parti  debbovi  dir  anche, Che  pur  celare  ella  bramava  invano? Diiò  insomma,  eh'  in  lei  dal  capo  al  piede, Quant' esser  può  beltà    tutta  si  vede. 70    Se  fosse  stata  nelle  valli  Idee Vista  dal  pastor  frigio,  io  non  ao  quanto Vener,  sebben  vincea  quelle  altre  Dee, Portato  avesse  di  bellezza  il  vanto: Nò  forse  ito  saria  nelle  amiclee Contrade  esso  a  violar  T ospizio  santo; Ma  detto  avria:  Con  Menelao  ti  resta, Elena,  pur;  ch'altra  io  non  Tocche  questa. stanza  83. 71    E  se  fosse  costei  stata  a  Crotone, Quando  Zeusi  .l'immagine  far  volse, Che  por  dovea  nel  tempio  di  Giunone, E  tante  belle  nude  insieme  accolse; È  che  per  una  fame  in  perfezione, Da  chi  una  parte  e  da  chi  un'altra  tolse; Non  avea  da  tórre  altra  che  costei, Che  tutte  le  bellezze  erano  in  lei. 72    Io  non  credo  che  mai  Bireno,  nndo Vedesse  quel  bel  corpo;  ch'io  son  certo Che  stato  non  saria  mai  così  erodo,Che  l'avesse  lasciata  in  quel  deserto. Ch'  Oberto  se  n'  acceude,  io  vi  concludo, Tanto,  che'l  fuoco  non  pud  star  coperto. Si  studia  consolarla,  e  darle  speme Ch'  uscirà  iu  bene  il  mal  eh'  ora  la  preme; 73  £  le  promette  andar  seco  in  Olanda; Né  fin  che  nello  stato  la  rimetta, S  eh  abbia  fatto  giusta  e  memoranda Di  quel  periuro  e  traditor  vendetta, Non  cesserà  con  ciò  che  possa  Irlanda, E  lo  farà  quanto  potrà  più  in  fretta. Cercare  iutanto  iu  quelle  case  e  in  queste Facea  di  gonne  e  di  femminee  veste. 74  Bisogno  non  sarà  per  trovar  goune, Ch'  a  cercar  fuor  dell'isola  si  mande, Ch'  ogni  dì  se  n  avea  da  quelle  donne Che  dell'avido  mostro  eran  vivande. Non  fé' molto  cercar,  che  ritrovonne Di  varie  fogge  Oberto  copia  grande; E  fé vestir  Olimpia;  e  beu  gì increbbe Non  la  poter  vestir  come  vorrebbe. 75  Ma  né  si  bella  seta  o  si  fin  oro Mai  Fiorentini  industri  tesser  fenno; Né  chi  ricama,  fece  mai  lavoro, Postovi  tempo,  diligenzia  e  senno, Che  potesse  a  costui  parer  decoro, Se  lo  fesse  Minerva  o  il  dio  di  Lenno, E  degno  di  coprir  si  belle  membro, Che  forza  è  ad  or  ad  or  se  ne  rimembre. 78  Appena  un  giorni  si  fermò  in  Irlanda:Non  valser  preghi  a  far  che  più  vi  stesse. Amor,  che  dietro  alla  sua  donna  il  manda, Di  fermarvisi  più  non  gli  concesse. Quindi  si  parte;  e  prima  raccomanda Olimpia  al  re,  che  servi  le  promesse, Benché  non  bisognasse;  che  gli  attenne Molto  più  che  di  far  non  si  convenne. 79  Cosi  fra  pochi  dì  gente  raccolse; E  fatto  lega  col  re  d'Inghilterra E  con  r  altro  di  Scozia,  gli  ritolse 01anl\,  e  in  Frisa  non  gli  lasciò  terra; Ed  a  ribellione  anco  gli  volse La  sua  Selandia: e  non  fini  la  guerra, Che  gli  die  morte;  uè  però  fu  tale La  pena,  chal  delitto  anlosse  eguale. 80  Olimpia  Oberto  si  pigliò  per  moglie, E  di  contessa  la  fé  gran  regina. Ma  ritoruivimo  al  paladin  che  scioglie Nel  mar  le  vele,  e  notte  e  di  cammina; Poi  nel  medesmo  porto  le  raccoglie, Djude  pria  le  spiegò  nella  marina:E  sul  suo  Brigliadoro  armato  salse, E  lasciò  dietro  i  venti  e  V  onde  salse. 76  Per  più  rispetti  il  paladino  molto Si  dimostrò  di  questo  amor  contento:Ch'oltre  che'l  re  non  lascerebbe  asciolto Bireno  andar  di  tanto  tradimento, Sarebbe  anch'esso  per  tal  mezzo  tolto Di  grave  e  di  noioso  impedimento, Quivi  non  per  Olimpia,  ma  venuto Per  dar,  se  v'  era,  alla  sua  donna  aiuto. 77  Ch'  ella  non  v'  era  si  chiari  di  corto:Ma  già  non  si  chiari  se  v'  era  stata; Perchè  ogni  uomo  nell' isola  era  morto, Né  un  sol  rimase  di  sì  gran  brigata. H  di  seguente  si  partir  del  porto, E  tutti  insieme  andare  in  un'armata. Con  loro  andò  in  Irlanda  il  paladino; Ohe  fn  per  gire  in  Francia  il  suo  cammino. 81  Credo  che  '1  resto  di  quel  verno  cose Facesse  degne  di  tenerne  conto; Ma  fur  sin  a  quel  tempo  si  nascose, Che  non  é  colpa  mia  s'or  non  le  conto; Perchè  Orlando  a  far  l'opre  virtuose. Più  che  a  narrarle  poi.  sempre  era  pronto: Né  mai  fu  alcun  delli  suoi  fatti  espresso, Se  non  quando  ebbe  i  testimoni  appresso. 82  Passò  il  resto  del  verno  cosi  cheto, Che  di  lui  non  si  seppe  cosa  vera: Ma  poi  che  '1  Sol  nell' animai  discreto, Che  portò  Frisse,  illuminò  la  sfera, E  Zefiro  tornò  soave  e  lieto A  rìmenar  la  dolce  primavera; D'Orlando  usciron  le  mirabil  prove Coi  vaghi  fiori  e  con  l'erbette  nuove. 83    Di  piano  in  monte,  e  di  campagna  in  lido Pien  di  travaglio  e  di  dolor  ne  già; Quando,  all'entrar  d'un  hosco,  un  lungo  grido, Un  alto  duol  l'orecchie  gli  feria. Spinge  il  cavallo,  e  piglia  il  brando  fido; E  donde  viene  il  suon,  ratto  s' invia:Ma  diflerisco  un'altra  volta  a  dire Quel  che  segui,  se  mi  vorrete  udire.NOTE. St.  3.  V.2.   Zenocrccti,  o  Senocrate,  famoso  per  Ifb ftua  continenza  messa  invano  alla  prova  da  Fri  e  e  la bellissima  delle  etère  greche. St.  4.  V.6.   McUagigi,  iìgliaolo  di  Buovo  d'Agre monte,  veniva  ad  esser  IVatelcugino  di  Bradamante,  ed esercitava  mag:ia.   11  petron  di  Merlino  è  la  grotta del  mago  Merlino.  Dragontincu  si  finge  una  maga  che avea  allacciato  Orlando,  come  Alcina  Ruggiero. St.  7.  V.2.   A  cerco  vale  in  cerchio,  in  giro. Sr.  12.  V.14   Nomi  di  pastorelle  e  di  pastori  vir giliani. Sr.  13.  V.3.   Da  sezzo,  da  ultimo. St.  14.  V.8.   Ruggero,  che,  a  malgrado  le  lezioni di  Melissa  e  di  Logistilla  ricade  subito  nell'incontinenza, è  punito  con  la  perdita  del  prezioso  anello  e  dell  Ip pogrifo. St.  22.  y.  28.   La  voce  telo,  latinismo  che  denota arma  da  lanciare,  corrisponde  al  fulgtir  o  fulgore  ri cor  lato  nel  sesto  verso  della  Stanza  precedente;  e  con Tuno  e  con  l'altro  nome  ò  designato  Tarchibugio.   Nel melo  del  sesto  verso  di  questa  Stanza,  si  deve  intendere il  vietato  frutto  del  paradiso  terrestre.  Gol  supposto rinvenimento  deirarch'bugio  nel  fondo  del  mare,  il  Poeta vuol  conciliare  la  sua  finzione  relativa  a  Clmosca,  con repoca  molto  posteriore  in  cui  furono  inventate  le  armi da  fuoco. St.  23.  V.18.   I  cannoni  fhrono  inventati  nella  prima metà  del  trecento: un  alchimista  tedesco,  Bertoldo Schwartz,  cominciò  a  fonderli  tutti  d'un  pezzo,  mentre prima  erano  di  più  pezzi  con  cerchi: egli  comunicd  la sua  invenzione  ai  Veneziani,  i quali  ne  fecero  uso  la prioLa  volta  nel  1.38)  contro  i  Genovesi,  nella  guerra  di Chioggia. St.  29.  v.a   Orza,  la  banda  sinistra  della  nave; Poggia,  la  dera  per  chi  è  rivolto  alla  prora: onde,  ir girando  allorza  vale  navigare  prendendo  il  vento  dalla parte  sinistra. St.  8S  v.7.   Da  un  amo  aXValtro,  ecc.  S'intendono 1  due  ramponi  uncinati  deiràncora,  fletti  qui  ami  per  la loro  forma,  e  per  Tuso  che  ne  fa  Orlando. St.  44.  v.8.   In  Etiopia  corre,  siccome  altra  volta, allorché  spaventato  da  Tifeo .  il  Dio  del  mare  corse  a salvamento  presso  gli  Etiopi.  Co;"i  Omero  e  Ovidio.  L'Etiopia  è  regione  dell'Africa  di  qua  e  di  là  dall'Equa tore ;  a  occidente  si  estende  fino  al  monte  Atlante;  da oriente  sino  ai  confini  dell'Egitto;  a  mezzoionM  si chiude  dall'Oceano;  a  settentrione  dal  Nilo. St.  45.  V.13.   Ino,  madre  di  Melieerti,  per  sot trarsi al  furore  di  Atamant  suo  mirito,  ni  geCtft  ia mare  con  il  figlio  In  collo;  e  amendne  furono  convertili in  divinità  marine.  Lo  stesso  avvenne  di  Olaaoo  peaea tore.  Qui,  all'Ariosto  è  piaciuto  fiime  di  nno  che  era.  piò  Tritoni,  deiiÀ  marine  pur  essi.   Nertidi  cbiama ronsl  dai  mitologi  le  ninfe  del  mare,  perchè  figlie  di Nereo. St,  49.  V.2.   Rnsci,  Russi. St  50.  V.78.   Finge  il  Poeta  che  Orlando  fo"n  ifi vulnerabile  per  fatagione: era  invulnerabile  tutto,  trwm" sotto  le  piante. St.  53.  V.4.   Di  nessuno  avviso,  cioè  accorgimént". St.  58.  V.78.   Diana,  sorpresa  da  Atteone  mentre si  lavava  in  una  fontana,  é  argomento  d'nna  delle  fà vole mitologiche  narrate  da  Ovidio. St.  62.  V.12.   Infante  d'onore.  Il  titolo  d'Influite si  dà  in  Ispagna  e  in  Portogallo  ai  prìncipi  reali,  e  di cevansi  promiscuamente  Infanti  anche  i  figli  dei  magnati, prima  che  fossero  andati  al  possoiso  dei  loro  fendi;  ma Oberto  avea  la  qualità  d'Infanta  nella  propria  corte: onde  intendasi  piuttosto  scudiere,  o  paggio  nella  corte di  Carlo. St.  70.  V.18.   Nelle  valli  Idee,  ecc.  Nelle  valli  doé del  monte  Ida  nella  Troade,  dove  i  poeti  immainanuu seguito  il  giudizio  di  Paride  (il  pasfor  Frigio)  che  poi rapi  Elena  consorte  di  "Menelao.  Contrade  amiciee: eoa questa  voce  s'intende  una  città  nella  Laconia,  detta  dai Latini  Amyclce,  ove  fu  la  reggia  di  Tindaro,  padre  di Blena. Sr.  71.  v.1.   Crotone,  ora  Cotrone,  città  maritliwi della  Calabria. St.  75.  v.6.   IZ  dio  di  Lenno,  'Vulcano.  Quest'isola dell'Arcipelago,  detta  dai  Latini  Lemnos,  ora  chiamasi Statimene. St.  76.  v.3.   Asdolto,  per  assolto,  imptunttK St.  82.  V.3.   La  locuzione  di  questi  due  versò  vale: p  ichè  il  sole  fu  entrati  nel  segno  dell'Ariete.  È  rac 

conto mitologico  che  Frisse    per  {sfuggire  le  perseen zioni  dlno  sua  matrigna,  andò  in  Coleo,  traversando  il mare  sopra  un  ariete,  il  quale  venne  poi  collocato  fta i  segni  zodiacali;  e  qui  si  dice  discreto,  per  lamitesa della  stagione  che  segue  l'ingresso  del  sole  in  qnel  t stanza  2. CANTO  DECIMOSECONDO. AR&OMUNTO. fJrlnriflf),  snprp  in  cerca  il'Anfffìlicn,  vedp  T  appiìrenza  di  lei  In brariilo  ad  Atlante,  chf,  triifùrmiitOiSt  in  cavaliirp,  semhra  por tiirl.  Hi>vo  Inftfiendalo,  f;iutif;e  nà  un  palazzo  mcAiitato,  dove aiTiva  nticho  Riigiitrn  cht  cfirrt")  appresso  al  d"  lu{  cfvditto rapitore  di  Bittdaniatitp.  Anf  lica  vì  ca|iita  anch'ella.  e  vi  trovtt Orlando  Rnq;iern,  i??aenpnnte.  Ferrali  Gradasso  oon  altri  gupr fiori,  A  motivci  di  lei,  afCadfì  fra  akuni  di  tìssi  una  ruffa,  per ofoisicmpì  della  qualp  F<?rraii  ai.  appropria  l'elmo  d'OrlaniIo.  An guliwi,  a'iiiraTiiniiiia  vì'tso  Ltvanttì,  e  trova  in  un  boaoo  un  gio vane inortalmrmt"'.  ferito"  Orlando  si  avanza  vctho  Parigi  e  slm raplia  due  achifvR  di  Mori,  Fili  oltre  aeopre  mi  nascondìglio  di malEioilrinì  Qhn  tengono  prigioniera  Jsabtìlla. 1       Perere,  poi  die  binila  tnmlre  Idea Tikniaiìdo  in  fretta  alla  soliujyfa  valle Là  <luvfi  calca  \\\  iii">Titnia  ntnca Al  fulminato  Eiiucladu  le  spalle, La  figlia  non  trovò  dove  l'avea Lasciata  faor  d'ogni  segnato  calle, Fatto  chebbe  alle  guancie,  al  petto,  ai  crini E  agli  occhi  danno,  alfin  svelse  dae  pini; 2      E  nel  fuoco  gli  accese  di  Vulcano, E  dio  lor  non  poter  esser  mai  spenti:E  portandosi  questi  uno  per  mano Sol  carro  che  tiravan  dui  serpenti; Cercò  le  selve,  i  campi,  il  monte,  il  piano. Le  valli,  i  fiumi,  li  stagni,  i  torrenti, La  terra  e'I  mare;  e  poi  che  tutto  il  mondo Cercò  di  sopra,  andò  al  tartareo  fondo. 8      S'in  poter  fosse  stato  Orlando  pare All'eleusina  Dea,  come  in  disio, Non  avria,  per  Angelica  cerare. Lasciato  o  selva  o  campo  o  stagno  o  rio 0  valle  0  monte  o  piano  o  terra  o  mare, n  cielo  e'I  fondo  dell'etemo  ohblìo; Ma  poi  che'l  carro  e  i  draghi  non  avea, La  già  cercando  al  meglio  che  potea. 4  L'ha  cercata. per  Francia:  or  s'apparecchia Per  Italia  cercarla  e  per  Lamagna. Per  la  nuova  Castiglia  e  per  la  vecchia, E  poi  passare  in  Libia  il  mar  di  Spagna. Mentre  pensa  cosi,  sente  all'orecchia Una  voce  venir,  che  par  che  piagna: Si  spinge  innanzi;  e  sopra  un  gran  destriero Trottar  si  vede  innanzi  un  cavaliere, 5  Che  porta  in  braccio  e  su  l'arcion  davante Per  forza  una  mestissima  donzella. Piange  ella,  e  si  dibatte,  e  fa  sembiante Di  gran  dolore;  ed  in  soccorso  appella Il  valoroso  Prìncipe  d'Anglante, Che  come  mira  alla  giovane  bella. Gli  par  colei  per  cui  la  notte  e  il  giorno Cercato  Francia  avea  dentro  e  d'intorno. 6  Non  dico  ch'ella  fosse,  ma  parea Angelica  gentil,  eh'  egli  tant'  ama. Egli,  che  la  sua  donna  e  la  sua  Dea Vede  portar  si  addolorata  e  grama. Spinto  dall' ira  e  dalla  furia  rea, Con  voce  orrenda  il  cavalier  richiama; Richiama  il  cavaUero,  e  gli  minaccia, E  Brigliadoro  a  tutta  brìglia  caccia. 7  Non  resta  quel  fellon,  né  gli  risponde, AU'  alta  preda,  al  gran  guadagno  intento; E  si  ratto  ne  va  per  quelle  fronde, Che  saria  tardo  a  seguitarlo  il  vento. L'un  fugge,  e  l'altro  caccia;  e  le  profonde Selve  s'odon  sonar  d'alto  lamento. Correndo,  uscirò  in  un  gran  prato;  e  quello Avea  nel  mezzo  un  grande  e  ricco  ostello. 8  Di  vari  marmi  con  suttìl  lavoro Edificato  era  il  palazzo  altiero. Corse  dentro  alla  porta  messa  d'oro Con  la  donzella  in  braccio  il  cavaliero. Dopo  non  molto  giunse  Brigliadoro, Che  porta  Orlando  disdegnoso  e  fiero. Orlando,  come  è  dentro,  gli  occhi  ira; Né  più  il  guerrìer  né  la  donzella  mira. 9  Subito  smonta,  e  fulminando  passa Dove  più  dentro  il  bel  tetto  s'alloggia. Corre  di  qua,  corre  di  là,  né  lassa Che  non  vegga  ogni  camera,  ogni  loggia. Poi  che  i  segreti  d'ogni  stanza  bassa Ha  cerco  invan,  su  per le  scale  poggia; E  non  men  perde  anco  a  cercar  di  sopra. Che  perdesse  di  sotto,  il  tempo  e  V  opra. 10  D'oro  e  di  seta  i  letti  ornati  vede:Nulla  di  muri  appar,  né  di  pareti; Che  quelle,  e  il  suolo  ove  si  mette  il  piede, Son  da  cortine  ascose  e  da  tappeti. Di  su  di  giù  va  il  conte  Orlando,  e  rìede; Né  per  questo  può  far  gli  occhi  mai  lieti, Che  rìveggiano  Angelica,  o  quel  ladro Che  n'ha  portato  il  bel  visb  leggiadro. 11  E  mentre  or  quinci  or  quindi  invano  il  passo Movea,  pien  di  travaglio  e  di  pensieri   Ferraù,  Brandimarte  e  il  re  Gradasso, Re  Sacripante,  ed  altri  cavalieri Vi  ritrovò,  eh'  andavano  alto  e  basso, Né  men  facean  di  lui  vani  sentieri; E  si  rammarìcavan  del  malvagio Invisibil  signor  di  quel  palagio. 12  Tutti  cercando  il  van,  tutti  gli  danno Colpa  di  fìurto  alcun  che  lor  £att' abbia. Del  destrier  che  gli  ha  tolto,  altri  é  in  affanno; Ch'abbia  perduta  altri  la  donna,  arrabbia; Altri  d'altro  l'accusa:  e  cosi  stanno, Che  non  si  san  partir  di  quella  gabbia; E  vi  son  molti,  a  questo  inganno  presi, Stati  le  settimane  intiere  e  i  mesL 13  Orlando,  poi  che  quattro  volte  e  sei Tutto  cercato  ebbe  il  palazzo  strano, Disse  fra  sé:  Qui  dimorar  potrei, Gittare  il  tempo  e  la  fatica  invano; E  potria  il  ladro  aver  tratta  costei Da  un'altra  uscita,  e  molto esser  lontano. Con  tal  pensiero  uscì  nel  verde  piato, Dal  qual  tutto  il  palazzo  era  aggirato. Stanza  7. 14    Mentre  circonda  la  casa  silvestra, Tenendo  pnr  a  terra  il  yiso  chino, Per  yeder  sforma  appare,  o  da  man  destra 0  da  sinistra,  di  nuovo  cammino; Si  sente  richiamar  da  nna  finestra: E  leva  gli  occhi;  e  quel  parlar  divino Gli  pare  udire,  e  par  che  miri  il  viso Che  rha  da  quel  che  Ai,  tanto  diviso. 15    Fargli  Angelica  udir,  che  supplicando E  piangendo  gli  dica:  Aita,  aita; La  mia  virginità  ti  raccomando Più  che  r anima  mia,  più  che  la  vita. Dunque  in  presenzia  del  mio  caro  Orlando Da  questo  ladro  mi  sarà  rapita? Piuttosto  di  tua  man  dammi  la  morte, Che  venir  lasci  a  sì  infelice  sorte. 16  Queste  parole  una  ed  un'altra  volta Fanno  Orlando  tornar  per  ogui  stanza, Con  passione  e  con  fatica  molta, Ma  temperata  pur  d'alta  speranza. Talor  si  ferma,  ed  una  voce  ascolta, Che  di  quella  d'Angelica  ha  sembianza, (E  s'egli  è  da  una  parte,  suona  altronde) Che  chieggia  aiuto,  e  non  sa  fovar  donde. 17  Ma  tornando  a  Ruggier,  ch'io  lasciai  quando Dissi  che  per  sentiero  ombroso  e  fosco li  gigante  e  la  donna  seguitando, In  un  gran  prato  uscito  era  del  bòsco; Io  dico  ch'arrivò  qui  dove  Orlando Dianzi  arrivò,  se'l  loco  riconosco. Dentro  la  porta  il  gran  gigante  passa: Ruggier  gli  è  appresso,  e  di  seguir  non  lassa. 18  Tosto  che  pon  dentro  alla  soglia  il  piede, Per  la  gran  corte  e  per  le  loggie  mira  j Né  più  il  gigante  uè  la  donna  vede, E  gli  occhi  indarno  or  quinci  or  quindi  aggira: Di  su  di  giù  va  molte  volte  e  riede, Né  gli  succede  mai  quel  che  desira: Né  si  sa  immaginar  dove  si  tosto Con  la  donna  il  fellon  si  sia  nascosto. 19  Poi  che  revisto  ha  quattro  volte  e  cinque Di  su  di  giù  camere  e  loggie  e  sale, Pur  di  nuovo  ritorna,  e  non  relinque Che  non  ne  cerchi  fin  sotto  le  scale. Con  speme  alfin  che  sian  nelle  propinque Selve,  si  parte;  ma  una  voce,  quale Richiamò  Orlando,  lui  chiamò  non  manco, E  nel  palazzo  il  fé' ritornar  anco. 20  Una  voce  medesma,  una  persona Che  paruta  era  Angelica  ad  Orlando, Parve  a  Ruggier  la  donna  di  Dordona, Che  lo  tenea  di  sé  medesmo  in  bando. Se  con  Gradasso  o  con  alcun  ragiona Di  quei  ch'andavan  nel  palazzo  errando, A  tutti  par  che  quella  cosa  sia, Che  più  ciascun  per  sé  brama  e  desia. 21  Questo  era  un  nuovo  e  disusato  incanto Ch'avea  composto  Atlante  di  Carena, Perché  Ruggier  fosse  occupato  tanto In  quel  travaglio,  in  quella  dolce  pena, Che  '1  mal' influsso  n'  andasse  da  canto, L'influsso  eh' a  morir  giovene  il  mena. Dopo  il  Castel  d'acciar  che  nulla. giova, E  dopo  Alcinai  Atlante  ancor  fa  prova. 22  Non  pur  costui,  ma  tutti  gli  altri  a&con  . Che  di  valore  in  Francia  bau  mag;gior  fama, Acciò  che  di  lor  man  Ruggier  non  mora. Condurre  Atlante  in  questo  incauto  trama. E  mentre  fa  lor  far  quivi  dimora, Perché  di  cibo  non  pattscan  brama, Si  ben  fornito  avea  tutto  il  palagio, Che  donne  e  cavalier  vi  stanno  ad  agio. 23  Ma  torniamo  ad  Angelica,  che  seco Avendo  quell'anel  mirabil  tanto, Ch'in  bocca  a  veder  lei  fa  l'occhio  cdeco, Nel  dito  l'assicura  dall'incanto; E  ritrovato  nel  montano  speco Cibo  avendo  e  cavalla  e  veste  e  quanto Le  fu  bisogno,  avea  fatto  disegno Di  ritornare  in  India  al  suo  bel  regno. 24  Orlando  volentieri  o  Sacripante Voluto  avrebbe  in  compagnia:  non  ch'ella Più  caro  avesse  V  un  che  l'altro  amante; Anzi  di  par  fu  a'  lor  disii  ribella:Ma  dovendo,  per  girsene  in  Levante, Passar  tante  città,  tante  castella, Di  compagnia  bisogno  avea  e  di  guida, Né  potea  aver  con  altri  la  più  fida. 25  Or  l'uno  or  l'altro  andò  molto  cercando, Prima  ch'indizio  ne  trovasse  o  spia, Quando  in  cittade,  e  quando  in  ville,  e  quando In  alti  boschi,  e  quando  in  altra  via. Fortuna  alfin  là  dove  il  conte  Orlando, Ferraù  e  Sacripante  era,  la  invia, Con  Ruggier,  con Gradasso,  ed  altri  molti Che  v'avea  Atlante  in  stiano  intrico  avvolti. 26  Quivi  entra,  che  veder  non  la  può  il  Mago; E  cerca  il  tutto,  ascosa  dal  suo  anello:E  trova  Orlando  e  Sacripante  vago Di  lei  cercare  invan  per  quello  ostello. Vede  come,  fingendo  la  sua  immago, Atlante  usa  gran  fraude  a  questo  e  a  quello. Chi  tor  debba  di  lor,  molto  rivolve Nel  suo  pensier,  né  ben  se  ne  risolve. 27  Non  sa  stimar  chi  sia  per  lei  migliore. Il  conte  Orlando  o  il  He  dei  fier  Circassi. Orlando  la  potrà  con  più  valore Meglio  salvar  nei  perigliosi  passi:   .  . Ma  se  dua  guida  il  fa,  se  '1  fa  signore; Ch'  ella  non  vede  come  poi  l'abbassi,   . Qualunque  volta,  di  lui  sazia,  farlo Voglia  minore,  o  in  Francia  rimandarlo. btanza  U. 28  Ma  il  Circasso  depor,  quando  le  piaccia, Potrà,  sebben  l'avesse  posto  in  cielo. Questa  sola  cagion  vuoi  ch  ella  il  faccia Sua  scorta,  e  mostri  avergli  fede  e  zelo. L  anel  trasse  di  bocca,  e  di  sua  faccia Levò  dagli  occhi  a  Sacripante  il  velo. Credette  a  lui  sol  dimostrarsi,  e  avvenne Ch'  Orlando  e  Ferraù  le  sopravvenne. 29  Le  sopravvenne  Ferraù  ed  Orlando; Ohe  Pnno  e  T  altro  parimente  giva Di  su  di  giù  "  dentro  e  di  fuor  cercando Bel  gran  palazzo  lei,  eh  era  lor  Diva. Corser  di  par  tatti  alla  donna,  quando Nessono  incantamento  gì' impediva: Perchè  Panel  ch'ella  si  pose  in  mano Fece  d'Atlante  ogni  disegno  vano. 80  L'usbergo  indosso  aveano  e  l'elmo  in  testa. Dui  di  questi  guerrier,  dei  quali  io  canto; Nò  notte  0  di,  dopo  ch'entrare  in  questa Stanza,  l'aveano  mai  messi  da  canto; Che  facile  a  portar  come  la  vesta. Era  lor,  perchè  in  uso  l'avean  tanto. Ferraù  il  terzo  era  anco  armato,  eccetto Che  non  avea  né  volea  avere  elmetto 81  Finché  quel  non  avea,  che  '1  paladino Tolse  Orlando  al  fìratel  del  re  Troiano; Ch'allora  lo  giurò,  che  l'elmo  fino Cercò  dell'Argalia  nel  fiume  invano; £  sebben  quivi  Orlando  ebbe  vicino, Né  però  Ferraù  pose  in  lui  mano, Avvenne  che  conoscersi  tra  loro Non  si  poter,  mentre  là  dentro  f5ro. 82  Era  cosi  incantato  quello  albergo, Ch'insieme  riconoscer  non  poteansi. Né  notte  mai  né  di,  spada  né  usbergo Né  scudo  pur  dal  braccio  rimoveansi. I  lor  cavalli  con  la  sella  al  tergo, Pendendo  i  morsi  dall' arcion,  pasceansi In  una  stanza  che,  presso  all'uscita, D'orzo  e  di  paglia  sempre  era  fornita. 83  Atlante  riparar  non  sa  né  puote Oh'  in  sella  non  rimontino  i  guerrieri, Per  correr  dietro  alle  vermiglie  gote, All'auree  chiome  ed  a' begli  occhi  neri Della  donzella,  ch'in  fuga  percuote La  sua  giumenta;  perchè  volentieri Non  vede  li  treamanti  in  compagnia, Che  forse  tolti  un  dopo  l'altro  avrìa. 84    E  poi  che  dilungati  dal  palagio Gli  ebbe  si,  che  temer  più  non  dovea Che  centra  lor  l'incantator  malvagio Potesse  oprar  la  sua  fallacia  rea; L'anel  che  le  schivò  più  d'un  disagio, Tra  le  rosate  labbra  si  chiudea; Donde  lor  sparve  subito  dagli  occhi, E  li  lasdò  come  insensati  e  sciocchi. 35  Come  che  fosse  il  suo  primier  diseguo Di  voler  seco  Orlando  o  Sacripante, Oh a  ritornar  l'avessero  nel  regno Di  Qalafron  nell'ultimo  Levante, Le  vennero  amendua  subito  a  sdegno, E  si  mutò  di  voglia  in  uno  istante; E,  senza  più  obbligarsi  o  a  questo  o  a  quello, Pensò  bastar  per  amendua  il  suo  anello. 36  Volgon  pel  bosco  or  quinci  or  quindi  in  fìretla Quelli  scherniti  la  stupida  faccia; Come  il  cane  talor,  se  gli  è  intercetta 0  lepre  o  volpe,  a  cui  dava  la  caccia. Che  d'improvviso  in  qualche  tana  stretta 0  in  folta  macchia  o  in  un  fosso  si  caccia. Di  lor  si  ride  Angelica  proterva. Che  non  è  vista,  e  i  lor  progressi  osserva. 37  Per  mezzo  il  bosco  appar  sol  una  strada:Credono  i  cavalier  che  la  donzella Innanzi  a  lor  per  quella  se  ne  vada; Che  non  se  ne  può  andar  se  non  per  quella. Orlando  corre,  e  Ferraù  non  bada, Né  Sacripante  men  sprona  e  puntella. Angelica  la  briglia  più  ritiene, E  dietro  lor  con  minor  ftta  viene. 38  Giunti  che  far,  correndo,  ove  i  sentieri A  perder  si  venian  nella  foresta; E  cominciar  per  l'erba  i  cavalieri A  riguardar  se  vi  trovavan  pesta: Ferraù  che  potea,  fra  quanti  altieri Mai  fosser,  gir  con  la  corona  in  testa, Si  volse  con  mal  viso  agli  altri  dui, E  gridò  lor:  Dove  venite  vui? 39  Tornate  addietro,  o  pigliate  altra  via, Se  non  volete  rimaner  qui  morti; Né  in  amar  né  in  seguir  la  donna  mia Si  creda  alcun,  che  compagnia  comporti. Disse  Orlando  al  Circasso: Che  potrìa Più  dir  costui,  s'ambi  ci  avesse  scorti Per  le  più  vili  e  timide  puttane Che  da  conocchie  mai  traesser  lane? 40    Poi,  vèltro  a  Ferraù,  disse:  Uoto  bestiale, S'io  non  guardassi  che  senz'elmo  sei, Di  quel  e' liLii  detto,  3' hai  ben  eletto  0  male, Senz'aUm  indugia  accorer  ti  farei. Disse  11  8pju,Mniol  '¦  Di  quoI  eh  a  rae  non  cale, Perdio  piolùinio  tu  tnira  ti  dei? Io  srd  l'ontra  junbidiiì  fier  far  mn  buono Quei  (.'he  detto  Iiu,  senaelinQ  cume  souf". 41    beh,  disse  Orlando  ài  re  di  Cìrcassia:In  mio  servigio  a  costai  l'elmo  presta, Tsinto  eh'  io  gli  abbia  tratta  hi  p;ia;zia; Cb' altra  non  yìiH  mai  dmìle  &  questa Ki .spose  il  Re:  Vìn  più  p,iZ20  sana? il  [a  se  ti  par  imr  la  domanda  onesta, Pres tallii  il  tuo'  chMo  non  sarò  men  affo Cbc  tu  sia forse,  a  castigare  un  matto. 42    Htkgtjiunse  Fnrrai'i: Seiocclii  ui,  qnasi Che  Hc  mi  fisime  il  porhir  elmo  a  ma  fin  . Voi  'inzA  noli  TU  tbfe;L!'ià  rimasi:Che  tylti  i  votri  avrei,  vtHtru  mal  irrtìdu. Ma  prr  iiiivrarvj  in  parte  li  uiir  i  mm, Per  voto  così  senza  me  ne  vado, Ed  anderò,  finch'io  non  ho  quel  fino Che  porta  in  capo  Orlando  paladino. V.ì     I  Hnii|tii%  rispose  sorridendo  il  Coti  te, Ti  pellai  a  s'apo  un  ilo  esser  bastante Far  fili  Orltui.ìo  quel  che  ìu  Aspramonte Kili  l?ià  fece  al  figlio  d'Aifoknief Xw/A  cnd'iu,  se  tei  vedessi  a  fronte, Ne  tremeresti  dal  capo  alle  piante; Non  che  volessi  V  elmo,  ma  daresti L'altre  arme  a  lui  di  patto,  che  ta  vesti. 44  II  vantator  Spagnnol  disse:  Già  molte Fifate  e  molte  ho  cosi  Orlando  astretto, Che  feudlmente  T  arme  gli  ayrei  tolte, Quante  indosso  navea,  nonché  T  elmetto. £  sMo  noi  feci,  occorrono  alle  volte Pensier  che  prima  non  saveano  in  petto: Non  n'ebbi,  già  fa,  voglia;.  or  Paggio,  e  <5pero Che  mi  potrà  succeder  di  leggiero. 45  Non  potè  aver  più  pazienzia  Orlando, £  gridò: Mentitor,  brutto  marrano, In  che  paese  ti  trovasti,  e  quando, A  poter  più  di  me  con  Tarme  in  mano? Quel  Paladin,  di  che  ti  vai  vantando, Son  io,  che  ti  pensavi  esser  lontano. Or  vedi  se  tu  puoi  V  elmo  levarme, O  s'io  son  buon  per  tórre  a  te  l'altre  arme. 50  S'incrudelisce  e  inaspra  la  battaglia. D'orrore  in  vista  e  di  spavento  piena. Ferraù  quando  punge  e  quando  taglia, Né  mena  botta  che  non  vada  piena: Ogni  colpo  d'Orlando  o  piastra  o  maglia E  schioda  e  rompe  ed  apre  e  a  straccio  mena. Angelica  invisibil  lor  pon  mente, Sola  a  tanto  spettacolo  presente. 51  Intanto  il  re  di  Circassia,  stimando Che  poco  innanzi  Angelica  corresse, Poi  ch'attaccati  Ferraù  ed  Orlando Vide  restar,  per  quella  via  si  messe, Che  si  credea  che  la  donzella,  quando Da  lor  disparve,  seguitata  avesse; Si  che  a  quella  battaglia  la  figliuola Di  Galafron  fu  testimonia  sola. 46    Né  da  te  voglio  un  minimo  vantaggio. Cosi  dicendo,  F  elmo  si  disciolse, E  lo  Ruspese  a  un  ramuscel  di  faggio; E  quasi  a  un  tempo  Durindana  tolse. Ferraù  non  perde  di  ciò  il  coraggio; Trasse  la  spada,  e  in  atto  si  raccolse Onde  con  essa  e  col  levato  scudo Potesse  ricoprirsi  il  capo  nudo. 52    Poi  che,  orribil  com'era  e  spaventosa, L'[ebbe  da  parte  ella  mirata  alquanto, E  che  le  parve  assai  pericolosa Cosi  dall'un  come  dall'altro  canto; Di  veder  novità  volunterosa. Disegnò  l'elmo  tor,  per  mirar  quanto Fariano  i  duo  guerrier,  vistosel  tolto; Ben  con  pensier  di  non  tenerlo  molto. 47     Così  li  duo  guerrieri  incomindaro, Lor  cavalli  aggirando,  a  volteggiarsi; E  dove  r  arme  si  giungeano,  e  raro Era  più  il  ferro,  col  ferro  a  tentarsi. Non  era  in  tutto  'l  mondo  un  altro  paro Che  più  di  questo  avesse  ad  accoppiarsi: Pari  eran  di  vigor,  pkri  d'ardire; Né  l'un  né  l'altro  si  potea  ferire. 53    Ha  ben  di  darlo  al  Conte  intenzione; Ma  se  ne  vuole  in  prima  pigliar  gioco. L'elmo  dispicca,  e  in  grembo  se  lo  pone.; E  sta  a  mirare  i  cavalieri  un  poco. Di  poi  si  parte,  e  non  fa  lor  sermone E  lontana  era  un  pezzo  da  quel  loco, Prima  ch'alcun  di  lor  v'avesse  mente; Si  l'uno  e  l'altro  era  nell'ira  ardente. 48  Ch'abbiate, Signor  mio,  già  inteso  estimo Che  Ferraù  per  tutto  era  fatato, Fuorché  là  dove  l'alimento  primo Piglia  il  bambin,  nel  ventre  ancor  serrato: E  finché  del  sepolcro  il  tetro  limo La  faccia  gli  coperse,  il  luogo  armato Usò  portar,  dove  era  il  dubbio,  sempre. Di  sette  piastre  fette  a  buone  tempre. 49  Era  ugualmente  il  Principe  d'Anglante Tutto  fatato,  fuorché  in  una  parte:Ferito  esser  potea  sotto  le  piante; Ma  le  guardò  con  ogni  studio  ed  arte. Duro  era  il  resto  lor  più  che  diamante, Se  la  fama  dal  ver  non  si  diparte; E  l'uno  e  l'altro  andò  più  per  ornato, Che  per  bisogno,  alle  sue  imprese  armato. 54  Ma  Ferraù,  che  prima  v'  ebbe  gli  occhi, Sidispiccò  da  Orlando,  e  disse  a  lui:Deh  come  n'ha  da  male  accorti  e  sciocchi Trattati  il  cavalier  ch'era  con  nui! Che  premio  fia  ch'ai  vincitor  più  tocchi, Se  'l  beli'  elmo  involato  n'  ha  costui? Ritrassi  Orlando,  e  gli  occhi  al  ramo  gira Non  vede  l'elmo,  e  tutto  avvampa  d'ira. 55  E  nel  parer  di  Ferraù  concorse. Che  '1  cavalier  che  dianzi  era  con  loro, Se  lo  portasse;  onde  la  briglia  torse, E  fé' sentir  gli  sproni  a  Brìgliadoro. Ferraù,  che  del  campo  il  vide  torse, Gli  venne  dietro;  e  poi  che  giunti  fóro Dove  neir  erba  appar  l'orma  novella Ch'  avea  fatto  il  Circasso  e  la  donzella, 56    Prese  la  strada  alla  sinistra  il  Conte Verso  una  valle,  ove  il  Circasso  era  ito; Si  tenne  Ferraù  più  presto  al  monte,   . Dove  il  sentiero  Angelica  avea  trito. Angelica  in  quel  mezzo  ad  una  fonte Giunta  era,  ombrosa  e  di  giocondo  sito, Ch'ognan  che  passa,  alle  fresche  ombre  invita, Né,  senza  ber,  mai  lascia  far  partita. Stanza  57. 57  Angelica  si  ferma  alle  chiare  onde, Non  pensando  ch'alcun  le  sopravvegna; £  per  lo  sacro  anel  che  la  nasconde, Non  può  temer  che  caso  rio  le  avvegna. A  prima  giunta  in  su  T  erbose  sponde Del  rivo  Telmo  a  un  ramuscel  consegna; Poi  cerca,  ove  nel  bosco  è  miglior  frasca. La  giumenta  legar,  perchè  si  pasca. 58  II  Cavalier  di  Spagna,  che  venuto Era  per  Torme,  alla  fontana  giunge. Non  T  ha  si  tosto  Angelica  veduto, Che  gli  dispare,  e  la  cavalla  punge. L'elmo,  che  sopra  T  erba  era  caduto, Ritor  non  può;  che  troppo  resta  lunge. Come  il  Pagan  d' Angelica  s' accórse, Tosto  vèr  lei  pien  di  letizia  corse. 59  Gli  sparve,  cme  io  dico,  ella  davante, Come  fantasma  al  dipartir  del  sonno. Cercando  egli  la  va  per  quelle  piante, Né  ì  miseri  occhi  più  veder  la  ponno. Bestemmiando  Macone  e  Trivigante. E  di  sua  legge  ogni  maestro  e  donno, Ritornò  Ferraù  verso  la  fonte, U' nell'erba  giacer  Telmo  del  Conte. 60  Lo  riconobbe,  tosto  che  mirollo, Per  lettere  eh'  avea  scritte  nelT  orlo; Che  dicean  dove  Orlando  gaadagnolio, E  come  e  quando,  ed  a  chi  fé'  deporlo. Armossene  il  Pagano  il  capo  e  il  collo: Che  non  lasciò,  pel  duol  eh' avea,  di  torlo; Pel  duol  eh'  avea  di  quella  che  gli  sparve, Come  sparir  soglian  notturne  larve. 61  Poi  ch'allacciato  s'ha  il  buon  elmo  in  testa. Avviso  gli  é  che,  a  contentarsi  appieno, Sol  ritrovare  Angelica  gli  resta, Che  gli  appar  e  dispar  come  baleno. Per  lei  tutta  cercò  T  alta  foresta; E  poi  ch'ogni  speranza  venne  meno Di  più  poterne  ritrovar  vestigi, Tornò  al  campo  spagnuol  verso  Parigi; 62  Temperando  il  dolor  che  gli  ardea  il  petto, Di  non  aver  sì  gran  disir  sfogato, Col  refrigerio  di  portar  T  elmetto Che  fu  d'Orhindo,  come  avea  giurato. Dal  Conte,  poi  che  '1  certo  gli  fu  detto, Fu  lungamente  Ferraù  cercato; Né  fin  quel  dì  dal  capo  gli  lo  sciolse, Che  fra  duo  ponti  la  vita  gli  tolse. 63  Angelica  invisibile  e  soletta Via  se  ne  va,  ma  con  turbata  fronte, Che  delT  elmo  le  duol,  che  troppa  fretta Le  avea  fatto  lasciar  presso  alla  fonte. Per  voler  far  quel  eh' a  me  far  non  spetta, (Tra  sé  dicea)  levato  ho  Telmo  al  Conte: Questo,  pel  primo  merito,  è  assai  buono Di  quanto  a  lui  pur  obbligata  sono. 64  Con  buona  intenzione  (e  sallo  Iddio), Benché  diverso  e  tristo  effetto  segua, Io  levai  Telmo:  e  solo  il  peusier  mio Fu  di  ridur  quella  battaglia  a  triegua; E  non  che  per  mio  mezzo  il  suo  disio Questo  brutto  Spagnuol  oggi  consegua. Cosi  di  sé  s'andava  lamentando D'aver  dell'elmo  suo  privato  Orlando. 65  Sdeiati  e  malcontent'i,  la  via  prese, Che  le  parea  miglior,  verso  Oriente. Più  volte  ascosa  andò,  talor  palese, Secondo  era  opportuno,  infra  la  gente. Dopo  molto  veder  molto  paese, Giunse  in  un  bosco,  dove  iniquamente Fra  ('Uo  compagni  morti  un  giovinetto Trovò,  ch'era  ferito  in  mezzo  il  petto. 66  Ma  non  dirò  d'Angelica  or  più  innante; Che  molte  cose  ho  da  narrarvi  prima: Né  sono aFerraù  né  a  Sacripante, Sin  a  gran  pezzo,  per  donar  più  rima. Da  lor  mi  leva  il  Principe  d'AngUnte, Che  di  sé  vuol  che  ìnninzi  agli  altri  esprima Le  fatiche  e  gli  affanni  che  sostenne Nel  gran  disio,  di  che  a  fin  mai  non  venne. 67  Alla  prima  città  ch'egli  ritrova. Perché  d'andare  occulto  avea  gran  cura, Si  pone  in  capo  una  barbuta  nova. Senza  mirar  s'ha  debil  tempra  o  dura. Sia  qual  si  vuol,  poco  gli  nuoce  o  giova:Si  nella  fatagion  si  rassicura. Cosi  coperto,  seguita  V  inchiesta; Né  notte  o  giorno,  o  pioggia  o  sii  l'arresta. C8    Era  nell' ora  che  traea  i  cavalli Febo  del  mar,  con  rugiadoso  pelo, E  r  Aurora  di  fior  vermigli  e  gialli Venia  spargendo  d'ogn'  intorno  il  cielo; E  lasciato  le  stelle  aveano  ì  balli, E  per  partirsi  postosi  già  il  velo; Quando  appresso  a  Parigi  un  di  passando, Giostrò  di  sua  virtù  gran  segno  Orlando. 69  In  dna  squadre  incontrossi;  e  Manilardo Ne  reggea  l'una,  il  S.vracin  canuto. Re  di  Norizia,  già  fiero  e  gagliardo, Or  miglior  di  consiglio,  che  d'aiuto; Guidava  l'altra  sotto  il  suo  stendardo 11  Re  di  Tremiseu,  ch'era  tenuto Tra  gli  Africani  cavalier  perfetto: Alzirdo  fu,  da  chi '1  conobbe,  detto. 70  Queti  con  V  altro  esercito  pagano Quella  invernata  avean  fatto  soggiorno, Chi  presso  alla  città,  chi  più  lontano, Tutti  alle  ville  o  alle  castella  intorno:Ch'avendo  speso  il  re  Agramante  invano, Per  espugnar  Parigi,  più  d'un  giorno, Volse  tentar  l'assedio  finalmente; Poiché  pigliar  non  lo  potea  altrimente. 71    E  per  for  questo  avea  gente  infinita: Che  oltre  a  quella  che  con  lui  giunt'  era, E  quella  che  di  Spagna  avea  seguiti Del  re  Marsiglio  la  real  bandiera, MoltA  di  Francia  n'avea  al  soldo  unita; Che  da  Parigi  insino  alla  riviera D'Arli,  con  parte  di  Guascogna  (eccetto Alcune  ròcche),  avea  tutto  suggetto. stanza  61 72    Or  cominciando  i  trepidi  ruelli A  sciorre  il  freddo  ghiaccio  in  tiepid' onde, E  i  prati  di  nuov'  erbe,  e  gli  arbuscelli A  rivestirsi  di  tenera  fronde; Ragunò  il  re  Agramante  tutti  quallf Che  seguian  le  fortune  sue  seconde, Per  farsi  rassegnar  l'armata  termi; Indi  alle  cose  sue  dar  miglior  formi. 78    A  questo  effetto  il  re  di  Tremisénne Con  quel  della  Norizia  ne  venia, Per  là  giungere  a  tempo,  ove  si  tenne Poi  conto  d'ogni  squadra  o  buona  o  ria. Orlando  a  caso  ad  incontrar  si  venne. Come  io  v'  ho  detto,  in  questa  compagnia, Cercando  pur  colei,  come'  egli  era  uso, Che  nel  career  d'Amor  lo  tenea  chiuso, 74    Come  Alzirdo  appres&ar  vide  quel  Conte Che  di  Talor  nou  avea  pari  al  mondo, In  tal  sembiante,  in  si  superba  fronte, Che'l  Dio  dell'arme  a  lui  parea  secondo; Restò  stupito  alle  fattezze  conte, Al  fiero  sguardo,  al  viso  furibondo:£  lo  stimò  guerrier  d'alta  prodezza; Ma  ebbe  del  provar  troppa  vaghezza. stanza  75. 77  Con  qnal  rumor  la  setolosa  frotta Correr  da  monti  suole  o  da  campagne, Se'l  lupo  uscito  di  nascosa  grotta, 0  Torso  sceso  alle  minor  montagne. Un  tener  porco  preso  abbia  talotta. Che  con  grugnito  e  gran  stridor  si  lagene; Con  tal  lo  stnol  barbarico  era  mosso Verso  il  Conte,  gridando:  Addosso,  addosso. 78  Lance,  saette  e  spade  ebbe  V  usbergo A  un  tempo  mille,  e  lo  scudo  altrettante:Chi  gli  percuote  con  la  mazza  il  tergo, Chi  minaccia  da  lato,  e  chi  davante. Ma  quel,  ch'ai  timor  mai  non  diede  albergo, Estima  la  vii  turba  e  Parme  tante Quel  che  dentro  alla  mandra,  all'aer  cupo, Il  numer  dell'agnelle  estimi  il  lupo. 79  Nuda  avea  in  man  quella  fulminea  spada . Che  posti  ha  tanti  Saracini  a  morte:Dunque  chi  vuol  di  quanta  turba  cada Tenere  il  conto,  ha  impresa  dura  e  forte. Rossa  di  sangue  già  correa  la  stradi, Capace  appena  a  tante  genti  morte; Perchè  né  targa  né  cappel  difende La  fatai  Durindana  ove  discende, 80  Né  vesta  piena  di  cotone,  o  tele Che  circondino  il  capo  in  mille  vólti. Non  pur  per  l'aria  gemiti  e  querele, Ma  volan  braccia  e  spalle  e  capi  sciolti Pel  campo  errando  va  Morte  crudele In  molti,  varj,  e  tutti  orribil  volti; E  tra  sé  dice:  In  man  d'Orlando  vaici Durindana  per  cento  di  mie  falci. 75  Era  giovane  Alzirdo  ed  arrogante, Per  molta  forza  e  per  gran  cor  pregiato. Per  giostrar  spinse  il  suo  cavallo  innante:Meglio  per  lui  se  fosse  in  schiera  stato:Che  nello  scontro  il  Principe  d'Anglante Lo  fé' cader,  per  mezzo  il  cor  passato. Giva  in  fuga  il  destrier,  di  timor  pieno; Che  su  non  v'era  chi  reggesse  il  freno. 76  Levasi  un  grido  subito  ed  orrendo, Che  d'ogn'  intomo  n'  ha  l'aria  ripiena, Come  si  vede  il  giovane,  cadendo, Spicciar  il  sangue  di  si  larga  vena. La  turba  verso  il  Conte  vien  fremendo Disordinata,  e  tagli  e  punte  mena; f  Ma  quella  épiù,  che  con  pennuti  dardi Tempesta  il  fior  dei  cavalier  gagliardi. 81  Una  percossa  appena  l'altra  aspetta:Ben  tosto  cominciar  tutti  a  fuggire; E  quando  prima  ne  ventano  in  fretta, Perch'era  sol,  credeanselo  inghiottire. Non  é  chi  per  levarsi  della  stretta L'amico  aspetti,  e  cerchi  insieme  gire:Chi  fogge  a  piedi  in  qua,  chi  colà  sprona; Nessun  domanda  se  la  strada  è  buona. 82  Virtnde  andava  intomo  con  lo  speglio Che  fa  veder  nell' anima  ogni  ruga:Nessun  vi  si  mirò,  se  don  un  veglio A  cui  il  sangue  l'età,  non  l'ardir,  scinga. 

Vide  costui  quanto  il  morir  sia  meglio, Che  con  suo  disonor  mettersi  in  fuga; Dico  il  Re  di  Norizia:  onde  la  landaArrestò  contra  il  Paladin  di  Francia, 83    E  la  ruppe  alla  penna  dello  scado Del  fiero  Conte,  che  nolla  si  mosse. Egli,  eh  ayea  alla  posta  il  brando  nudo, Ite  Hanilardo  al  trapassar  percosse. Fortuna  T aiutò;  che  ì  ferro  crudo In  man  d  Orlando  al  venir  giù  voltosse. Tirare  i  colpi  a  filo  ognor  non  lece; Ma  pur  di  sella  stramaszar  lo  fece. 86    II  suo  cammin,  di  lei  chiedendo  spesso, Or  per  ìì  campi  or  per  le  selve  tenne:E  siccome  era  uscito  di  sé  stesso, Usd  di  strada,  e  appiè  d  un  monte  venne, Dove  la  notte  fuor  d'un  sasso  fesso Lontan  vide  un  splendor  batter  le  penne. Orlando  al  sasso  per  veder  s' accosta, Se  quivi  fosse  Angelica  reposta. Stanza  89. 84    Stordito  deirarcion  quel  Re  stramazza: Non  si  rivolge  Orlando  a  rivederlo; Che  gli  altri  taglia,  tronca,  fende,  ammazza A  tutti  pare  in  su  le  spalle  averlo. Come  per  Varia,  ove  bau  si  larga  piazza, Fnggon  li  stomi  dall' audace  smerlo; Cosi  di  quella  squadra  ormai  disfatta Altri  cade,  altri  fugge,  altri  s' appiatta. 8.5    Non  cessò  pria  la  sanguinosa  spada, Che  fVi  di  viva  gente  il  campo  vóto. Orlando  è  in  dubbio  a  ripigliar  la  strada, Benché  gli  sia  tutto  il  paese  noto. 0  da  man  destra  o  da  sinistra  vada, Il  pensier  dall' andar  sempre  è  remoto:D'Angelica  cercar,  faor  eh'  ove  pia, Sempre  è  in  timore,  e  far  contraria  via. 87    Come  nel  bosco  dell'umil  ginepre, 0  nella  stoppia  alla  campagna  aperta, Quando  si  cerca  la  paurosa  lepre Per  traversati  solchi  e  per  via  incerta, Si  va  ad  ogni  cespuglio,  ad  ogni  vepre, Se  per  ventura  vi  fosse  coperta; Così  cercava  Orlanlo  con  gran  peni La  donni  sua,  dove  speranza  il  mena. Stanza  9l. 88    Verso  quel  raggio  andando  in  fretta  il  Conte, Giunse  ove  nella  selva  si  diffonde Dall'angusto  spiraglio  di  quel  monte, Ch'  una  capace  grotta  in  sé  nasconde:E  trova  innanzi  nella  prima  fronte Spine  e  virgulti,  come  mura  e  sponde, Per  celar  quei  che  nella  grotta  stanno, Da  chi  far  lor  cercasse  oltraggio  e  danno. 81)    Di  giorno  ritrovata  non  sarebbe; Ma  la  facea  di  notte  il  lume  aperta Orlando  pensa  ben  quel  ch'esser  debbo; Pur  vuol  saper  la  cosa  anco  più  certa. Poi  che  legato  fuor  Brigliidoro  ebbe, Tacito  viene  alla  grotta  coperta; fra  li  spessi  rami  nella  buca Entra,  senza  chiamar  chi  V  introduca. 90  Scende  la  tomba  molti  gradi  al  basso, Dove  Ja  viva  gente  sta  sepolta. Era  non  poco  spazioso  il  sasso Tagliato  a  punte  di  scarpelli  in  volta; Né  di  luce  diurna  in  lutto  casso, 

Benché  l'entrata  non  ne  dava  molta; Ma  ne  venia  assai  da  una  finestra Che  sporgea  in  un  pertugio  da  man  destra. 91  In  mezzo  la  spelonca,  appresso  a  un  fuco, Era  una  donna  di  giocondo  viso. Quindici  anni  passar  dovea  di  poco, Quanto  fu  al  Conte,  al  primo  sguardo,  avviso. Ed  era  bella  si,  che  facea  il  loco Salvatico  parere  un  paradiso; Bench'  avea  gli  occld  di  lacrime  pregni, Del  cor  dolente  i  nnifesti  segni. 92  V'era  una  vecchia;  e  faiiean  gvioi  eontese Come  uso  femminil  spesso  esser  saole; Ma  come  il  Conte  nella  grotta  scese, Finiron  1  dispute  e  le  parole. Orlando  a  Falutaile  tu  cortese, Come  con  donne  sempre  esser  si  vuole; Ed  elle  ""i  levaro  immantinente, E  lui  risalutar  beuignamcnie. 93  Gli  é  ver  che  si  smarrirò  in  faccia  alquanto  " Come  improvviso  udiron  quella  voce, E  insieme  entrare  armato  tutto  quanto Vider  là  dentro  un  uom  tanto  feroce. Orlando  domandò  qual  fosse  tanto Scortese,  ingiusto,  barbaro  ed  atroce. Che  nella  grotta  tenesse  sepolto Un  si  gentile  ed  amoroso  volto. 94  La  vergine  a  fatica  gli  rispose, Interrotta  dai  fervidi  signozzi, Che  dai  coralli  e  dalle  preziose Perle  uscir  fanno  i  dolci  accenti  jnozzi. Le  lacrime  scendean  tra  gigli  e  rose, Là  dove  avvien  ch'alcuna  se  n'ingfaiozzi. Piacciavi  udir  nell'altro  Canto  il  resto. Signor,  che  tempo  è  ornai  di  finir  questo. N  O  T] St.  1.  v.15.   Cerere f  dea  favolosa,  era  figlia  di Cibele,  qui  detta  madre  Idea  per  il  culto  speciale  che le  si  rendeva  in  Frigia  sul  monte  Ida.   Et,crlado, nno  dei  giganti  fulminati  da  Giove,  giace,  secondo i  mitologi,  sotto  r  Etna  in  Sicilia.   Proserpina,  fl ffl  a  di  Cerere,  lasciata  dalla  madre  in  una  valle  del l'Etna,  si  finge  dai  poeti  essere  stata  ivi  rapita  da natone. St.  3  V  27   Cerere,  rappresentata  mitologicamente sopra  nn  carro  tirato  da  draghi,  fu  detta  ehuMna,  pei misteri  che  se  ne  celebravano  in  Eleiisi,  antica  citt& dell'Attica,  ora  villaggio  detto  Lepsina. St  4.  V.4.   Libia  denominarono  gli  antichi  quella l"arte  d'AfHca  settentrionale  ch'è  bagnata  dal  Mediter laneo,  e  giace  fra  l'Etiopia  e  il  mare  Atlanlico. St.  8.  V.3.   Messa  d'oro;  messa,  per  adorna.  Ora direbbesi:  adoma  d'ero. 3t.  11.  V.3.   OiadassOf  re  di  Seiicana. St.  19.  V.35.   Relinquet  per  lascia, St.  31.  V.2.   Fratel  del  re  Troiano  ta  Almonte. St.  47  V.34.   Dove  Varnif,  ecc.  Intendasi  che  i  due i;aerrieri  cominciarono  a  provocarsi  con  la  spada  nelle commettiture  dell usbergo,  perchè  ivi  le  pani  dell'ar madura  combaciano  meno  Ara  loro. St.  57.  v.3.   Chiama  sacro  ranelle  d Angelica,  per chè consacrato  con  segni  magici. St.  59.  v.5.   Macone  (o  Maometto,  che  lo  stesa" e  Trivi  gante  y  due  soggetti  di  venerazione  reliotaper quei  pagani  saracini. St.  €9.  v.3  6.   Norirìa,  Ninna  traccia  si  ha  di  qaesto paese,  necessariamente  africano,  e  che  non  può  quindi essere  il  Noricum  dei  Latini. St.  71.  V.e7.   Per  la  Wtiera  d'ArH  s'inti'iile  il Rodano,  che  bagna  Arles  città  della  Provenza. St.  73.  v.1.   Tremisenne  o  Tre mecn,  nome  di  un antico  regno  d'Africa  neMa  Berberia,  formante  ora  tutta 0  parte  della  provincia  di  Orano  nello  stato  d  Algm; di  cui  la  città  pia  importante  chiamasi  in  oggi  Telemsea. St.  t3.  V.1.   ¦  Penna  chiamavasi  il  vertice  o  som mità dello  scudo. St.  84.  v.9.   Smerhf  uccello  di  rapina:  è  detto  co munemente smeriglio. Sr.  94.  V.24.   Sigìiiono  singhiojsao.   Yooe  an tiquata. stanza  37. laabffllEL  ra[:cot]ta  ad  Orhtncìo  le  propirie  clÌ3mv?KtibuT".  Sopra vven guno  1  mii'amli'iiii  abìhUQi'i  della  caveiia:  QTlando  fli  uccide tDtri,  poi  ELbbiviidoiiEL  il  luogo.  cutiditCtiiido  seco  Umbella.  Bi'a dà romite  ode  da  Melisaa  che  Ruggiero  è  veìmto  in  rodere  del vrctihio  prcsiigiaroie:  va  pur  liberamelo,  e  rimane  piaia  dalUi Btesso  in  cali  tea  Ini  ti.  L>igr"sj(ioue  encomiastica  di  Melisma  auLLe donne  appartcnt!!!]  ì  alla  casa  d  ELo. Ben  furo  avventarosi  i  cavalieri C'Iterano  a  quella  et  A,  che  nei  valloni  " Nelle  scure  speloutihe  e  boschi  fieri, Tane  di  serpi,  tV  orsi  e  ili  leoni, Trtjvavan  qnel  che  nei  pahizzi  altieri A  pena  or  trovar  puoii  giudici  buoni; Donne,  ihe  neìK  lor  più  fresca  etade Sien  degne  d'afer  litol  di  beltà  de. Di  sopra  vi  narrai  che  nella  grotta Avea  trovato  Orlando  una  donzella, E  che  le  dimandò  ch'ivi  condotta L'avesse: or  seguitando,  dico  eh'  ella, Poi  che  più  d'on  signozzo  l'ha  interrotta, Con  dolce  e  snavissima  favella Al  Conte  fa  le  sue  sciagure  note, Con  quella  brevità  che  meglio  puote. 8      Benché  io  sia  certa,  dice,  o  cayaliero, Ch'  io  porterò  del  mio  parlar  supplizio, Perchè  a  colui  che  qui  m' ha  chiusa,  spero Che  costei  ne  darà  subito  indizio; Pur  son  disposta  non  celarti  il  vero, E  yada  la  mia  vita  in  precipizio. E  eh'  aspettar  poss'  io  da  lui  più  gioia, Chel  si  disponga  un  di  voler  ch'io  muoia? 4  Isabella  son  io,  che  figlia  fdi Del  Re  mal  fortunato  di  Gallizia: Ben  dissi  fui;  eh'  or  non  son  più  di  lui, Ma  di  dolor,  d'affanno  e  di  mestizia: Colpa  d'Amor;  ch'io  non  saprei  di  cui Dolermi  più,  che  della  sua  nequizia: Che  dolcemente  nei  principj  applaude, E  tesse  di  nascosto  inganno  e  fraude. 5  Già  mi  vivea  di  mia  sorte  felice, 'Gentil,  giovane,  ricca,  onesta  e  bella: 

Vile  e  povera  or  sono,  or  infelice; E  s' altra  è  peggior  sorte,  io  sono  in  quella. Ma  voglio  sappi  la  prima  radice Che  produsse  quel  mal  che  mi  flagella; E  bench'aiuto  poi  da  te  non  esca. Poco  non  mi  parrà  che  te  n' incresca. 6  Mio  padre  fé' in  Baiona  alcune  giostre: Esser  denno  oggimai  dodici  mesi. Trasse  la  fama  nelle  terre  nostre Cavalieri  a  giostrar  di  più  paesi. Fra  gli  altri  (o  sia  eh'  Amor  cosi  mi  mostre, 0  che  virtù  pur  sé  stessa  palesi) Mi  parve  da  lodar  Zerbino  solo, Che  del  Gran  Re  di  Scozia  era  figliuolo.7  H  qual  poiché  far  prove  in  campo  vidi Miracolose  di  cavalleria, Fui  presa  del  suo  amore;  e  non  m' avvidi, Ch'  io  mi  conobbi  più  non  esser  mia. E  pur,  benché '1  suo  amor  cosi  mi  guidi, Mi  giova  sempre  avere  in  fantasia Ch'io  non  misi  il  mio  core  in  luogo  immondo. Ma  nel  più  degno  e  bel  ch'oggi  sia  al  mondo. 8  Zerbino  di  bellezza  e  di  valore Sopra  tutti  i  signori  era  eminente. Mostrommi,  e  credo  mi  portasse  amore, £  che  di  me  non  fosse  meno  ardente. Non  ci  mancò  chi  del  comune  ardore Interprete  fra  noi  fosse  sovente, Poiché  di  vista  ancor  fummo  disgiunti; Che  gli  animi  restar  sempre  congiunti:9  Perocché  dato  fine  alla  gran  festa. Il  mio  Zerbino  in  Scozia  fé  ritomo. Se  sai  che  cosa  é  amor,  ben  sai  che metta Restai,  di  lui  pensando  notte  e  giorno; Ed  era  certa  che  non  men  molesta Fiamma  intorno  al  suo  cor  facea  soggìorao. Egli  non  fece  al  suo  disio  più  schenni. Se  non  che  cercò  via  di  seco  avenm. 10  E  perché  vieta  la  diversa  fede (Essendo  egli  Cristiano,  io  Saradna) Ch'ai  mio  padre  per  moglie  non  mi  diìede, Per  furto  indi  levarmi  si  destina. Fuor  della  ricca  mia  patria,  che  siede verdi  campi  a  lato  alla  marina, Aveva  un  bel  giardin  sopra  una  riva Che  colli  intomo  e  tutto  il  mar  scopriva. Gli  parve  il  luogo  a  fornir  ciò  disposto, Che  la  diversa  religion  ci  vieta; E  mi  fa  saper  l'ordine  che  posto Avea  di  far  la  nostra  vita  lieta. Appresso  a  Santa  Marta  avea  nascosto Con  gente  armata  una  galea  secreta, In  guardia  d'Odorico  di  Biscaglia, In  mare  e  in  terra  mastro  di  battaglia. 12  Né  potendo  in  persona  far  l'effetto, Perch'egU  allora  era  dal  padre  antico A  dar  soccorso  al  Re  di  Francia  astretto, Manderia  in  vece  sua  questo  Odorico, Che  fra  tutti  i  fedeli  amici  eletto S' avea  pel  più  fedele  e  pel  più  amico; E  bene  esser  dovea,  se  i  benefici Sempre  hanno  forza  d'acquistar  gli  amicL 13  Yerria  costui  sopra  un  navilio  armato, Al  terminato  tempo  indi  a  levarmi. E  cosi  venne  il  giorno  disiato Che  dentro  il  mio  giardin  lasciai trovarmi.Odorico  la  notte,  accompagnato Di  gente  valorosa  all'acqua  e  all'armi Smontò  ad  un  fiume  alla  città  vicino E  venne  chetamente  al  mio  giardino. 14  Quindi  fui  tratta  alla  galea  spalmata Prima  che  la  città  n'avesse  avvisi Della  famiglia  ignuda  e  disarmata Altri  fuggirò,  altri  restaro  uccisi, Parte  captiva  meco  fu  menata. Cosi  dalla  mia  terra  io  mi  divisi. Con  quanto  gaudio  non  ti  potrei  dire, Sperando  in  breve  il  mio  Zerbin  fruire. CANTO  DECIMOTERZO. Toltati  sopra  Mongìa  eràmo  appena Quando  ci  assalse  alla  sinistra  sponda Un  vento  che  turbò  V  aria  serena, £  turbò  il  mare,  e  al  del  gli  levò  Tonda. Salta  un  Maestro  cb  a  traverso  mena, £  cresce  ad  ora  ad  ora,  e  soprabbonda; £  cresce  e  soprabbonda  con  tal  forza, Che  vai  poco  alternar  poggia  con  orza. 16  Non  giova  calar  vele,  e  Tarbor  sopra Corsia  legar,  né  minar  castella; Che  ci  veggiam  mal  grado  portar  sopra Acuti  scogli,  appresso  alla  Boccila. Se  non  ci  aiuta  quel  che  sta  disopra, Ci  spinge  in  terra  la  crudel  procella. Il  vento  rio  ne  caccia  in  maggior  fretta, Che  darco  mai  non  si  avventò  saetta. 21  0  che  m avesse  in  mar  bramata  ancora, Né  fosse  stato  a  dimostrarlo  ardito; 0  cominciasse  il  desiderio  allora, Che  Pagio  v'ebbe  dal  solingo  lito; Disegnò  quivi  senza  più  dimora Condurre  a  fin  l'ingordo  suo  appetito; Ma  prima  da  sé  tórre  un  delli  dui Che  nel  battei  campati  eran  con  nui. 22  Quell'era  uomo  di  Scozia,  Almonio  detto, Che  mostrava  a  Zerbin  portar  gran  fede; E  commendato  per  guerrier  perfetto Da  lui  fti,  quando  ad  Odorico  il  diede. Disse  a  costui,  che  biasmo  era  e  difetto Se  mi  traeano  alla  Boccila  a  piede; E  lo  pregò  ch'innanti  volesse  ire A  farmi  incontra  alcun  ronzin  venire. 17  Vide  il  periglio  il  Biscagline,  e  a  quello Usò  un  rimedio  che  fallir  suol  spesso:Ebbe  ricorso  subito  al  battello; Calessi,  e  me  calar  fece  con  esso. Sceser  dui  altri,  e  ne  scendea  un  drappello, Se  i  primi  scesi  V  avesser  concesso; Ma  con  le  spade  li  tennér  discosto, Tagliar  la  fune,  e  ci  allargammo  tosto. 18  Fummo  gittati  a  salvamento  al  lito Noi  che  nel  palischermo  eramo  scesi; Periron  gli  altri  col  legno  sdrucito:In  preda  al  mare  andar  tutti  gli  arnesi. All' eterna  Boutade,  all' infinito Amor,  rendendo  grazie,  le  man  stesi, Che  non  m'avesse  dal  furor  marino Lasciato  tor  di  riveder  Zerbino. 19  Comech'io  avessi  sopra  il  legno  e  vesti Lasciato  e  gioie  e  l'altre  cose  care. Purché  la  speme  di  Zerbin  mi  resti. Contenta  son  che  s' abbi  i  resto  il  mare. Non  sono,  ove  scendemmo,  i  liti  pesti D'alcun  sentier,  né  intomo  albergo  appare; Ma  solo  il  monte,  al  qual  mai  sempre  fiede L' ombroso  capo  il  vento,  e'i  mare  il  piede. 20  Quivi  il  cmdo  tiranno  Amor,  che  sempre D'ogni  promessa  sua  fu  disleale, E  sempre  guarda  come  inveiva  e  stempre Ogni  nostro  disegno  razionale, Mutò  con  triste  e  disoneste  tempre Mio  conforto  in  dolor,  mio  bene  in  male; Che  quell'amico,  in  chi  Zerbin  si  crede,     Di  desir  arse,  ed  agghiacciò  di  fede. 23  Almonio,  che  di  ciò  nulla  temea, Immantinente  innanzi  il  cammin  pigba Alla  città  che  '1  bosco  ci  ascondea, E  non  era  lontana  oltre  sei  miglia. Odorico  scoprir  sua  voglia  rea All'altro  finalmente  si  consiglia; Si  perchè  tor  non  se  lo  sa  d'appresso Si  perché  avea  gran  confidenzia  in  esso. 24  Era  Corebo  di  Bilbao  nomato Quel  di  eh'  io  parlo  che  con  noi  rimase; Che  da  fanciullo  picciolo  allevato S'era  con  lui  nelle  medesme  case. Poter  con  lui  comunicar  l'ingrato Pensiero  il  traditor  si  persuase, Sperando  eh' ad  amar  saria  più  presto Il  piacer  dell' amico,  che  l'onesto. 25  Corebo,  che  gentile  era  e  cortese, Non  lo  potè  ascoltar  senza  gran  sdegno Lo  chiamò  traditore,  e  gli  contese Con  parole  e  con  fatti  il  rio  disegno. Grand'ira  all'uno  e  all'altro  il  core  accese, E  con  le  spade  nude  ne  fer  segno. Al  trar  de'  ferri  io  fui  dalla pauraVolta  a  fuggir  per  l'alta  selva  oscura. 26  Odorico,  che  mastro  era  di  guerra, In  pochi  colpi  a  tal  vantaggio  venne, Che  per  morto  lasciò  Corebo  in  terra, E  per  le  mie  vestigio  il  cammin  tenne. Prestògli  Amor  (sei  mio  creder  non  erra), Acciò  potesse  giungermi,  le  penne; E  gì'  insegnò  molte  lusinghe  e  prieghi, Con  che  ad  amarlo  e  compiacer  mi  pieghi. ORLANDO  PURIOSa Stanza  17. 27    Ma  tutto  è  indarno;  che  fermata  e  certa Piuttosto  era  a  morir,  eh' a  satisfarli. Poi  ch'ogni  priego,  ogni  lusinga  esperta Ebbe  e  minacce,  e  non  poteau  giovarli, Si  ridusse  alla  forza  a  faccia  aperta. Nulla  mi  vai  che  supplicando  parli Della  fe'ch'avea  in  lui  Zerbino  avuta, £  ch'io  nelle  sue  min  m'era  creduta. \S    Poiché  gittar  mi  vidi  i  prieghi  invano, Né  mi  sperare  altronde  altro  soccorso, E  che  più  sempre  cupido  e  villano A  me  venia,  come  famelic' orso; Io  mi  difesi  con  piedi  e  con  mano, Et  adopraivi  sin  all' ugne  e  il  morso; Pelaigli  il  mento,  e  gli  graffiai  la  pelle, Con  stridi  che  n'andavano  alle  stelle. 29  Non  80  se  fosse  Gaso,  o  li  miei  gridi Che  si  doveano  udir  lungi  una  lega; Oppur  ch  usati  sian  correre  ai  lidi, Quando  navilio  alcun  si  rompe  o  anniega:Sopra  il  monte  una  turba  apparir  vidi:E  questa  al  mare  e  verso  noi  si  piega. Come  la  vede  il  Biscaglin  venire, Lascia  V  impresa,  e  voltasi  a  fuggire. 30  Contra  quel  disleal  mi  fu  adiutrice Questa  turba,  signor;  ma  a  quella  imago Che  sovente  in  proverbio  il  volgo  dice: Cader  della  padella  nelle  brage. Gli  è  ver  ch  io  non  son  stata  sì  infelice, Né  le  lor  menti  ancor  tanto  malvage, Ch'abbino  violata  mia  persona: Non  che  sia  in  lor  virtù,  nò  cosa  buona; Stanza  2ò. Stanca  2S 33    II  primo  d  essi,  uom  di  spietato  viso, Ha  solo  un  occhio,  e  sguardo  scuro  e  bieco; L'altro  d'un  colpo  che  gli  avea  reciso Il  naso  e  la  mascella,  è  fatto  cieco. Costui  vedendo  il  cavaliero  assiso Con  la  vergine  bella  entro  allo  speco, Vólto  accompagni,  dime:  Ecco  augel  novo, A  cui  non  tesi,  e  nella  rete  il  trovo. 3t     Ma  perchè  se  mi  serban,  com'io  sono. Vergine,  speran  vendermi  più  molto. Finito  è  il  mesa  ottavo,  e  viene  il  nono, Che  fu  il  mio  vivo  corpo  qui  sepolto. Del  mio  Zerbino  ogni  speme  abbandou); Che  già,  per  quanto  ho  da'  lor  detti  accolto, M'han  promessa  e  venduta  a  un  mercadante Che  portare  al  soldau  mi  de' in  Levante. 32    Cosi  parlava  la  gentil  donzella:E  spesso  con  singhiozzi  e  con  sospiri Interrompea  l'angelica  favella. Da  muovere  a  pietade  aspidi  e  tiri. Mentre  sua  doglia  cosi  rinnovella, 0  forse  disacerba  i  suoi  martiri, 

Da  venti  uomini  entrar  nella  spelonca, Armati  chi  di  spiedo  e  chi  di  ronca. fiitauza  'ab. 34    Poi  disse  al  Conte:  Uomo  noa  yidi Più  comodo  di  te,  né  più  opportuno. Non  so  se  ti  se' apposto,  o  se  lo  sai Perchè  te  V  abbia  forse  detto  alcuno, Che  si  beli  arme  io  desiava  assai, E  questo  tuo  leggiadro  abito  bruno. Venuto  a  tempo  yeramente  sei. Per  riparare  filli  bisogni  miei. mai        35    Sorrise  amaramente,  in  piò  salito, Orlando,  e  fé'  risposta  al  mascalzone:Io  ti  venderò  Parme  ad  un  partko Che  non  ha  mercadante  in  sua  ragione. Del  fuoco,  eh'  avea  appresso,  indi  rapito Pien  di  fuoco  e  di  fumo  uno  stizzone, Trasse  e  percosse  il  malandrino  a  caso Dove  confina  con  le  ciglia  il  naso. 36  Lo  stizEone  ambe  le  palpebre  colse, Ma  maggior  danno  fé' nella  sinistra; Che  qneUa  parte  misera  gli  tolse. Che  della  luce  sola  era  ministra. Né  d'acciecarlo  contentar  si  volse Il  colpo  fier,  s' ancor  non  lo  registra Tra  quegli  spirti  che  con  suoi  compagni Fa  star  Chiron  dentro  ai  bollenti  stagni. 37  Nella  spelonca  una  gran  mensa  siede, Grossa  duo  palmi  e  spaziosa  in  quadro, Che  sopra  un  mal  pulito  e  grosso  piede Cape  con  tutta  la  famiglia  il  ladro. Con  quell'agevolezza  che  si  vede Gittar  la  canna  lo  Spagnuol  leggiadro Orlando  il  grave  desco  da séscaglia Dove  ristretta  insieme  è  la  canaglia. 40    Quei  che  la  mensa  o  nullo  o  poco  offese. (E  Turpin  scrìve  appunto  che  fur  sette) Ai  piedi  raccomandan  sue  difese; Ma  neir  uscita  il  paladin  si  mette:E  poi  che  presi  gli  ha  senza  contese, Le  man  lor  lega  con  la  fune  istrette, Con  una  fune  al  suo  bisogno  destra, Che  ritrovò  nella  casa  silvestra. MH: >A.' stanza  36. 38  A  chil  petto,  a  cbi'l  ventre,  a  chi  la  tesu, A  chi  rompe  le  gambe,  a  chi  le  braccia; Di  ch'altri  muore,  altri  storpiato  resta: Chi  meno  è  offeso,  di  fuggir  procaccia. Cosi  talvolta  un  grave  sasso  pesta E  fianchi  e  lombi,  e  spezza  capi  e  schiaccia, Gittato  sopra  un  gran  drappel  di  bisce, Che  dopo  il  verno  al  sol  si  goda  e  lisce. 39  Nascono  casi,  e  non  saprei  dir  quanti:Una  muore,  una  parte  senza  coda, Un'altra  non  si  può  muover  davanti, E'I  deretano  indamo  aggira  e  snoda; Un'altra,  ch'ebbe  più  propizj  i  santi. Striscia  fra  l'erbe,  e  va  serpendo  a  proda. Il  colpo  orribil  fu,  ma  non  mirando, Poiché  lo  fece  il  valoroso  Orlando. stanza  41. 41    Poi  li  strascina  fuor  della  spelonca. Dove  facea  grand'ombra  un  vecchio  sorbo. Orlando  con  la  spada  i  rami  tronca, E  quelli  attacca  per  vivanda  al  corbe. Non  bisognò  catena  in  capo  adonca; Che  per  purgare  il  mondo  di  quel morbo;L'arbor  medesmo  gli  uncini  prestolli, Con  che  pel  mento  Orlando  ivi  attaccolli. 42    La  donna  yecchia,  amica  a  malandrini, Poiché  restar  tutti  li  YÌde  estinti, "ggì  piangendo,  e  con  le  mani  ai  crini, Per  Eelye  e  boscherecci  labirinti. Dopo  aspri  e  malagevoli  cammini, A  gravi  passi  e  dal  timor  sospinti, In  ripa  un  fiume  in  un  gnerrier  scontrosse; Bf  a  differisco  a  ricontar  chi  fosse:43  E  tomo  all'altra  che  si  raccomanda Al  paladin,  che  non  la  lasci  sola; E  dice  di  seguirlo  in  ogni  banda. Cortesemente  Orlando  la  consola; E  quindi,  poi  ch'usci  con  la  ghirlanda Di  rose  adorna  e  di  purpurea  stola La  bianca  Aurora  al  solito  cammino, Parti  con  Isabella  il  paladino. 44  Senza  trovar  cosa  che  degna  sD'istoria,  molti  giorni  insieme  andaro; E  finalmente  un  cavalier  per  via. Che  prigione  era  tratto,  riscontraro. Chi  fosse,  dirò  poi;  ch'or  me  ne  svia Tal,  di  chi  udir  non  vi  sarà  men  caro: La  figliuola  d'Amon,  la  qual  lasciai Languida  dianzi  in  amorosi  guaL 45    La  bella  donna,  disiando  in  vano Ch'  a  lei  facesse  il  suo  Ruggier  ritorno, Stava  a  Marsiglia,  ove  allo  stuol  pagano Dava  da  travagliar  quasi  ogni  giorno; Il  qual  scorrea,  mband  )  in  monte  e  in  piano. Per  Linguadoca  e  per  Provenza  intorno; Ed  ella  ben  facea  l'ufficio  vero 

Di  savio  duca  e  d'ottimo  guerriero,. 4H    Standosi  quivi,  e  di  gran  spazio  essendo Pa"isato  il  tempo  che  tornare  a  lei Il  suo  Ruggier  dovea,  né  lo  vedendo, Vivea  in  timor  di  mille  casi  rei. Un  di  Ara  gli  altri,  che  di  ciò  piangendo Stava  solinga,  le  arrivò  colei Che  portò  nell'anel  la  medicina Che  sanò  il  cor  ch'avea  ferito  Akina. 47  Come  a  sé  ritornar  senza  il  suo  amante. Dopo  si  lungo  termine',  la  vede. Resta  pallida  e  smorta,  e  si  tremante, Che  non  ha  forza  di  teneisi  in  piede: Ma  la  maga  gentil  le  va  davante Ridendo,  poi  che  del  timor  s'avvede; E  con  viso  giocondo  la  conforta, Qual  aver  suol  chi  buone  nove  apporta. 48  Non  temer,  disse,  di  Ruggier,  donzeUa; Oh'  è  vivo  e  sano,  e,  come  suol,  t' adora:Ma  non  é  già  in  sua  libertà;  che  quella Pur  gli  ha  levata  il  tuo  nemico  ancorf:Ed  é  bisogno  che  tu  monti  in  sella. Se  brami  averlo,  e  che  mi  segni  or  ora; Che  se  mi  segui,  io  t' aprirò  la  via, D'onde  per  te  Ruggier  libero  fia. 49  E  seguitò,  narrandole  di  quello Magico  error  che  gli  avea  ordito  Atlante: Che  simulando  d'essa  il  viso  bello. Che  captiva  parea  del  rio  gigante, Tratto  l'avea  nell'incantato  ostello, Dove  sparito  poi  gli  era  d'avante; E  come  tarda  con  simile  inganno Le  donne  e  i  cavalier  che  di  là  vanno. 50  A  tutti  par, l'incantator  mirando, Mirar  quel  che  per  sé  brama  ciascuno, Donna,  scudier,  compagno,  amico;  quando Il  desiderio  nman  non  é  tutt'uno. Quindi  il  palagio  van  tutti  cercando Con  lungo  affanno,  e  senza  frutto  alcuno; E  tanta  è  la  speranza  e  il  gran  disire Del  ritrovar,  che  non  ne  san  partire. Stanza  47. 51    Come  tu  giungi,  disse,  in  quella  parte Che  giace  pressa  ali  incantata  stanza, Verrà  V  incantatore  a  ritroyarte, Che  terrà  di  Ruggiero  ogni  sembianza; E  ti  farà  parer  con  sua  maPurte, Ch'ÌTÌ  lo  Tinca  alcun  di  più  possanza. Acciò  che  tu  per  aiutarlo  vada Dove  con  gli  altri  poi  ti  tenga  a  bada. 52    Acciò  gl'inganni,  in  che  son  tanti  e  tanti Caduti,  non  ti  colgan,  sie  avvertita Che  sebben  di  Ruggier  visa  e  sembianti Ti  parrà  di  veder,  che  chieggia  aita, Non  gli  dar  fede  tu;  ma,  come  avanti Ti  vien,  fàgìi  lasciar  V  indegna  vita:Né  dubitar  per  ciò  che  Ruggier  muoia, Ma  ben  colui  che  ti  dà  tantA  noia. 53  Ti  parrà  dnro  assai,  ben  Io  conosco, Uccìder  un  che  sembri  il  tuo  Ruggiero: Por  non  dar  fede  ali occhio  tao,  che  losco Farà  V  incanto,  e  celeràgli  il  vero. Fermati,  pria  ch'io  ti  conduca  al  bosco, Si,  che  poi  non  si  cangi  il  tuo  pensiero; Che  sempre  di  Ruggier  rimarrai  priva, Se  lasci  per  viltà  chel  mago  viva. 54  La  valorosa  giovane,  con  questa Intenzion  che'l  frandolente  uccida, A  pigliar  Parme  .ed  a  seguire  è  presta Melissa;  che  sa  ben  quanto  Tè  fida. Quella,  or  per  terren  culto,  or  per  foresta, A  gran  giornate  e  ip  gran  fretta  la  guiMn . Cercando  alleviarle  tuttavia Con  parlar  grato  la  noiosa  via. 55  E  più  di  tutti  i  bei  ragionamenti, Spesso  le  ripetea  ch'uscir  di  lei E  di  Ruggier  doveano  gli  eccellenti Principi  e  gloriosi  semidei. Come  a  Melissa  f ossine  presenti Tutti  i  secreti  degli  etemi  Dei, Tutte  le  cose  ella  sapea  predire, Ch'avean  per  molti  secoli  a  venire. 56  Deh !  come,  o  prudentissima  mia  Fcorta, (Dicea  alla  maga  T inclita  donzella) Molti  anni  prima  tu  m'hai  fatto  accorta Di  tanta  mia  viril  pr( genie  bella; Cosi  d'alcuna  donna  mi  conforta. Che  di  mia  stirpe  sia,  s' alcuna  in  quella Metter  si  può  tra  belle  e  virtuose. E  la  cortese  maga  le  rispose: 57  Da  te  uscir  veggio  le  pudiche  donne; Madri  d'imperatori  e  di  gran  regi, Reparatrici  e  solide  colonne Di  case  illustri  e  di  dominj  egregi; Che  men  degne  non  son  nelle  lor  gonne, Ch'  in  arme  i  cavalier,  di  sommi  pregi, Di  pietà,  di  gran  cor,  di  gran  prudenza, Di  somma  e  incomparabil  continenza. 58  E  s'io  avrò  da  narrarti  di  ciascuna Che  nella  stirpe  tua  sia  d'onor  degna, Troppo  sarà;  ch'io  non  ne  veggio  alcuna 

Che  passar  con  silenzio  mi  convegna. Ma  ti  farò  tra  mille  scelta  d'una 0  di  due  coppie,  acciò  eh' a  fin  ne  vegna Nella  spelonca  perchè  noi  diòesti? Che  l'immagini  ancor  vedute  avresti. 69    Della  tua  Chiara  stirpe  uscirà  quella D'opere  illustri  e  di  bei  studj  amica. Ch'io  non  so  ben  se  più  leggiadra  e  bella Mi  debba  dire,  o  più  saggia  e  pudica, Liberale  e  magnanima  Isabella, Che  del  bel  lume  suo  di  e  notte  aprica Farà  la  terra  che  sul  Menzo  siede, A  cui  la  madre  d'Ocno  il  nome  diede; 60  Dove  onorato  e  splendido  certame Avrà  col  suo  dignissimo  consorte. Chi  di  lor  più  le  virtù  prezzi  ed  ame, E  chi  meglio  apra  a  cortesia  le  porte. S' un  narrerà  eh'  al  Taro  e  nel  reame Fu  a  liberar  da' Galli  Italia  forte; L'altra  dirà: Sol  perchè  casta  visse, Penelope  non  fu  minor  d'Ulisse. 61  Gran  cose  e  molte  in  brevi  detti  accolgo Di  questa  donna,  e  più  dietro  ne  lasso, Che  in  quelli  di  ch'io  mi  levai  dal  volgo, Mi  fé' chiare  Merlin  dal  cavo  sasso. E  s'in  questo  gran  mar  la  vela  sciolgo. Di  lunga  Tifi  in  navigar  trapasso. Conchiudo  in  somma,  ch'ella  avrà,  per  dono Della  virtù  e  del  ciel,  ciò  eh'  è  di  buono. 62  Seco  avrà  la  sorella  Beatrice, A  cui  si  converrà  tal  nome  appunto: Ch'essa  non  sol  del  ben  che  quaggiù  lice, Per  quel  che  viverà  toccherà  il  punto; Ma  avrà  forza  di  far  seco  felice Fra  tutti  i  ricchi  duci  il  suo  congiunto, H  qual,  come  ella  poi  lascerà  il  mondo, Cosi  degl'infelici  andrà  nel  fondo. 63  E  Moro  e  Sforza  e  viscontei  colubri, Lei  viva,  formidabili  saranno Dall'iperboree  nevi  ai  lidi  rubri, Dall'Indo  ai  monti  ch'ai  tuo  mar  via  danno Lei  morta,  andran  col  regno  degl'Insubri, E  con  grave  di  tutta  Italia  danno, In  servitute;  e'fia  stimata,  senza Costei,  ventura  la  somma  prudenza. 64  Vi  saranno  altre  ancor,  ch'avranno  il  nome Medesmo,  e  nasceran  molt'  anni  prima:Di  ch'una  s'ornerà  le  sacre  chiome Della  corona  di  Pannonia  opima; Un'altra,  poi  che  le  terrene  some Lasciate  avrà,  fia  nell'ausonio  clima Collocata  nel  numer  delle  Dive, Ed  avrà  incensi  e  immagini  votive. Merlino. 66    Dell' altre  tacerò;  che,  come  ho  detto, Lungo  sarehhe  a  ragionar  di  tante: Benché  per  sé  ciascuna  abbia  suggetto Degno  ch'eroica  e  chiara  tuba  caute. Le  Bianche,  le  Lucrezie  io  terrò  in  petto, E  le  Costanze  e  T altre,  che  di  quante Splendide  case  Italia  reggeranno, Beparatrici  e  madri  ad  esser  hanno. 66    Più  eh'  altre  fosser  mai,  le  tue  famiglie Saran  nelle  lor  donne  avventurose; Non  dico  in  quella  più  delle  lor  figlie, Che  neir  alta  onestà  delle  lor  spose. E  acciò  da  te  notizia  anco  si  pigile 

Di  questa  parte  che  Merlin  mi  espose, Porse  perch'  io  '1  dovessi  a  te  ridire, Ho  di  parlarne  non  poco  desire.   188 GELANDO   FDBIOSO. 67    E  dirò  prima  dì  Eicdarda,  degno Esempio  di  fortezza  e  d  onestade:Vedova  rìmArrà,  giovane,  a  sdegno Di  Fortuna;  il  che  spesso  ai  buoni  accade. I  figli  privi  del  paterno  regno, Esuli  andar  vedrà  in  strane  contrade, Fanciulli  in  man  degli  awersarj  loro; Ma  in  fine  avrà  il  suo  male  ampio  ristoro. Stanza  i5. 70  Qual  lo  stagno  all'argento,  il  rame  all'oro. Il  campestre  papavero  alla  rosa, Pallido  salce  al  sempre  verde  alloro, Dipinto  vetro  a  gemma  preziosa; Tal  a  costei,  eh'  ancor  non  nata  onoro, Sarà  ciascuna  insino  a  qui  famosa Di  singular  beltà,  di  gran  prudenzia, E  d'ogni  altra  lodevole  eccellenzia. 71  E  sopra  tutti  gli  altri  incliti  pregi Che  le  saranno  e  a  viva  e  a  morta  dati, Si  loderà  che  di  costumi  regi Ercole  e  gli  altri  figli  avrà  dotati, E  dato  gran  principio  ai  ricchi  fregi Di  che  poi  s'orneranno  in  toga  e  armati; Perchè  l'odor  non  se  ne  va  si  in  fretta, Ch'  in  nuovo  vaso,  o  buono  o  rio,  si  metta. 72  Non  voglio  eh'  in  silenzio  anco  Renata Di  Francia,  nuora  di  costei,  rimagna, Di  Luigi  duodecimo  re  nata, E  dell' etema  gloria  di  Bretagna. Ogni  virtù  ch'in  donna  mai  sia  stata, Di  poi  che'l  fuoco  scalda  e  l'acqua  bagna, E  gira  intorno  il  cielo,  insieme  tutta Per  Renata  adornar  veggio  ridutta. 73  Lungo  sarà  che  d'Alda  di  Sansogna Narri,  o  della  contessa  di  Celano, G  di  Bianca  Maria  di  Catalogna, 0  della  figlia  del  re  sicigliano, 0  della  bella  Lippa  da  Bologna, E  d'altre;  che  s'io  vo'di  mano  in  manu Venirtene  dicendo  le  gran  lode. Entro  in  un  alto  mar  che  non  ha  prode. 68    Dell'alta  stirpe  d'Aragona  antica Non  tacerò  la  splendida  regina. Di  cui  né  saggia  si,  né  si  pudica Veggio  istoria  lodar  greca  o  latina, Né  a  cui  fortuna  più  si  mostri  amica; Poiché  sarà  dalla  Bontà  divina Eletta  madre  a  partnrir  la  bella Progenie,  Alfonso,  Ippolito  e  Isabella. 74    Poi  che  le  raccontò  la  maggior  parte Della  futura  stirpe  a  suo  grand' agio, Più  volte  e  più  le  replicò  dell'arte Ch'aver  tratto  Ruggier  dentro  al  palagio. Melissa  si  fermò,  poiché  fu  in  parte Vicina  al  luogo  del  vecchio  malvagio; E  non  le  parve  di  venir  più  innante, Aedo  veduta  non  fosse  da  Atlante: 9    Costei  sarà  la  saggia  Leonora, Che  nel  tuo  felice  arbore  s'innesta Che  ti  dirò  della  seconda  nuora, Sneceditrice  prossima  di  questa? Lucrezia  Borgia,  di  cui  d'ora  in  ora La  beltà,  la  virtù,  la  fama  onesta, E  la  fortuna  crescerà  non  meno Che  giovin  pianta  in  morbido  terreno. 

75    E  la  donzella  di  nuovo  consiglia Di  quel  che  mille  volte  ormai  l'ha  detto. La  lascia  sola;  e  quella  oltre  a  dua  miglia Non  cavalcò  per  un  sentiero  istretto, Che  vide  quel  eh'  al  suo  Ruggier  simiglia:E  dui  giganti  di  crudele  aspetto Intorno  avea,  che  lo  stringean  si  forte, Ch'  era  vicino  esser  condotto  a  morte. 76     Come  la  donna  in  tal  perìglio  vede Colui  che  di  Ruggiero  ha  tutti  i  segni, Subito  cangia  in  sospizion  la  fede, Subito  obblia  tutti  i  suoi  bei  disegni. Che  sia  in  odio  a  Melissa  Ruggier  crede, Per  nuova  ingiuria  e  non  intesi  sdegni, E  cerchi  far  con  disusata  trama Che  sia  morto  da  lei  che  cosi  Tama. 78    Mentre  che  cosi  pensa,  ode  Ja  voce, Che  le  par  di  Ruggier,  chieder  soccorso; E  vede  quello  a  un  tempo,  che  veloce Sprona  il  cavallo  e  gli  rallenta  il  morso, E  r  un  nemico  e  l'altro  suo  feroce, Che  lo  segue  e  lo  caccia  a  tutto  corso. Di  lor  seguir  la  donna  non  rimase, Che  si  condusse  air  incantate  case. 79    Delle  quai  non  più  tosto  entrò  le  porte, Che  fu  sommersa  nel  comune  errore. Lo  cercò  tutto  per  vie  dritte  e  torte In  van  di  su  e  di  giù,  dentro  e  di  fuore:Né  cessa  notte  o  di;  tanto  era  forte LMncanto:  e  fatto  avea  T  incantatore, Che  Ruggier  vede  sempre  e  gli  favella, Né  Ruggier  lei,  né  lui  riconosce  ella. 

stanza  78. Stanza  79. 77    Seco  dicea: Non  è  Ruggier  costui, Che  col  cor  sempre,  ed  or  con  gli  occhi  veggio? E  8!or  non  veggio  e  non  conosco  lui, Che  mai  veder  o  mai  conoscer  deggio? Perchè  vogPio  della  credenza  altrui Che  la  veduta  mia  giudichi  peggio?Che  senza  gli  occhi  ancor,  sol  per  sé  stesso Può  il  cor  sentir  se  gli  è  lontano  o  appresso. 80    Ma  lasdam  Bradamante,  e  non  v' incresca Udir  che  cosi  resti  in  quello  incanto; Che  quando  sarà  il  tempo  eh'  ella  n'  esca, La  farò  uscire,  e  Ruggiero  altrettanto. Come  raccende  il  gusto  il  mutar  esca, Cosi  mi  par  che  la  mia  istoria,  quanto Or  qua  or  là  più  variata  sia, Meno  a  chi  r  udirà  noiosa  fia. 81    Di  molte  fila  esser  bisogno  parme A  condor  la  gran  tela  ch'io  lavoro; E  però  non  vi  spiaccia  d  ascoltarme, Come  ihor  delle  stanze  il  popol  moro Davanti  al  re  Agramante  ha  preso  1  ame, Che,  molto  minacciando  ai  Gigli  d  oro, Lo  fa  assembrare  ad  una  mostra  nova. Per  saper  quanta  gente  si  ritrova: 82    Perch  oltre  i  cavalieri,  olire  i  pedoni Ch'  al  numero  sottratti  erano  in  copia, Mancavan  capitani,  e  pur  de buoni, E  di  Spagna  e  di  Libia  e  d'Etiopia:E  le  diverse  squadre  e  le  nazioni Givano  errando  senza  guida  propia. Per  dare  e  capo  ed  ordine  a  ciascuna. Tutto  il  campo  allamostra  si  raguna. 88    Li  supplimento  delle  turbe  uccise Nelle  battaglie  e  ne'  fieri  conflitti, L'un  signore  in  Ispagna,  e  V  altro  mise In  Africa,  ove  molti  n'eran  scritti; E  tutti  alli  lor  ordini  divise, E  sotto  i  daci  ]or  gli  ebbe  diritti. Differirò,  Signor,  con  grazia  vostra, Nell'altro  Canto  l'ordine  e  la  mostra. N  OTB. St.  4.  V.12.   n  padre  d'Isabella,  Maricoldo,  re  aa racino  della  Gallizia,  acciso  nella  gran  battaglia  della quale  si  tocca  al  principio  del  poema.    Isabella  è  nome di  origine  semitica;  quindi,  è  conveniente  a  donna  sa racina. St.  10.  V.56.   Fuor  della  ricca  mia  patria,  ecc. Probabilmente  la  Carogna,  capitcde  della  Galizia. St.  11.  V.5.   Santa  Marta:  borgo  in  Galizia,  sulla riva  orientale  della  piccola  baia  omonima,  a  sirocco  del capo  Ortegal. St.  15.  V.1.   Mangia:  borgo  in  Galizia,  a  ponente della  Corogna,  sul  lato  meridionale  di  un  seno  di  mare, fra  il  capo  Belem  e  il  capo  Coriana.  Le  indicazioni  che si  danno  di  questo  borgo  e  di  Santa  Marta  risultano dalle  mappe  che  verosimilmente  erano  in  uso  ai  tempi del  Poeta. Ivi.  V.5.   Maestro,  vento  che  soffia  tra  ponente e  settentrione. St.  16.  V.2.   Corsia  è  uno  spazio  vuoto  nella  nave, per  camminare  liberamente  da  poppa  a  prora.  CastéLlOy e  pia  comunemente  cassero,  chiamasi  un  rialto  nella parte  superiore  della  nave  a  poppa,  ove  sogliono  col locarsi le  artiglierie:  alcuni  navigli  lo  hanno  a  prora. Ivi.  V.4.   Boccila,  città  marittima  della  Francia neirAunis,  sulla  costa  occidentale  del  Begno,  di  contro ausisela  di  Rhé. St.  24.  V.1.   Bilbao,  capitale  della  Biscaglia: ò  a breve  distanza  dall'Oceano,  sul  fiume  Ansa,  che  con  la sua  foce  vi  forma  il  porto. St.  32.  V.4.   Tiri:  specie  di  serpi  somiglianti  aUe vipere: Dal  tiro  prese  nome  la  Mriaca. St.  36.   V.68.   Sbancar  non  lo  registra,  ecc.  In tendasi, se  ancor  non  lo  manda  alVinfemo  tra  i  vio lenti. Finge  Dante,  nel  Xll  dell'Jnino,  che  una  torma di  centauri,  dei  quali  Chirone  é  il  capo,  costringa  i  vio lenti a  stare  immersi,  fino  ad  una  certa  misura,  in  una fossa  di  sangue  bollente. St.  37.  v.56.   Con  qiteW agevolata,  ecc.  Accennai una  specie  di  giostra  introdotta  dai  Morì  in  Ispagna,  e dagli  Spagnuoli  in  Italia: richiedeva  molta  agilità,  e  vi era  in  gran  pregio  la  leggiadrìa  dei  ginocatorì. St.  46.  V.68.   Colei,  ecc.  Con  questa  periùmsi  viene indicata  Melissa. St.  59.  V.5a   Isabella,  ecc.  Isabella  d'Este  nacqna dal  duca  Ercole  I  e  da  Eleonora  di  Aragona  nel  mag gio 1474;  fu  maritata  nel  febbraio  del  1490  a  FraacttCQ. 0  Gianfrancesco  II  marchese  di  Mantova,  condotto  poee 

prima  dalla  Repubblica  dì  Venezia  per  suo  capitan  ge nerale. Per  coltura  di  spirito  e  alto  senno,  to.  repstau fht  le  donne  pia  illustri  del  suo  secolo.  Mori  nel  feb braio del  1539.   Ménta  è  il  Mincio,  fiume  di  Mantova, il  nome  della  quale  i  poeti  trassero  da  Manto,  figlia dell'indovino  Tiresia,  e  madre  di  Ocno. St.  60.  V.56.   Si  accenna  la  battaglia  segni  ta  nel 6  luglio  1495,  sotto  il  comando  del  marchese  di  Man tova sul  Taro,  presso  Fomovo,  fra  le  truppe  di  Carlo  TLH re  di  Francia,  e  Tesercito  dei  prìncipi  italiani  collegati contro  quel  re,  il  quale  aprendosi  il  passo  fra  i  nemici . si  ritrasse  quindi  in  Piemonte.  Il  marchese  assistè  anche alla  battaglia  di  Atella,  combattuta  nel  1496;  ultimo  fìatto. onde  il  regno  di  Napoli  restò  libero  dall  occopazioDe francese. St.  61.  V.56.   Il  nome  di  Tifi,  nocchiero  della  fr volosa  nave  degli  Argonauti,  è  qui  preso  a  significato, di  eccellente  piloto. St.  62.  V.18.   Beatrice,  di  cui  qui  si  parla,  nata dal  duca  Ercole  1  nel  1475,  si  maritò  nel  gennaio  11 a  Lodovico  Sforza,  detto  il  Moro,  duca  di  Milano;  e  mori nel  2  gennaio  1497  con  sospetto  di  essere  stata  avve lenata. St.  6.S.  V.18.   La  potenza  di  Lodovico  si  mantenne fino  a  che  egli,  dopo  aver  chiamato  in  Italia  Massimi liano re  de'  Romani  nel1496,  dovè  fuggire  di  Milano tre  anni  appresso;  e  allora  tutta  la  Lombardia  venne  in potere  dei  Francesi.  Vi  tornò  il  Moro  nel  1500;  ma  tra dito dagli  Svizzeri,  che  aveva  assoldati,  cadde  in  mano ai  Francesi,  che  lo  condussero  prigione  in  Francia,  in sieme col  cardinale  Ascanio  suo  fratello.   La  frase  del terzo  verso  significa  dalle  parti  più  settentrionali  d'Eu •opa  fino  al  mar  Rosso,  eh'  è  nelle  più  meridionali;  e qaella  del  quarto  verso  vale  da  levante  a  ponente,  de notandosi per  VJndo  Toriente,  e  pei  monti  ivi  accennati, i  due  promontorii  che  formano  lo  stretto  di  Oibilterra. St.  64.  V.34.   Questa  Beatrice  nasceva  dal  mar chese Aldobrandino  vissuto  nel  duecento;  fu  sposa  di Andrea  II  re  d'Ungheria,  detta  anticamente  Pannonia. IvT.  y.  5  8.   Due  Beatrici  d'Este  si  pongono  dal  Mu ratori tnk  le  beate.  Una,  figlia  di  Azzo  VI,  fondò  sul monte  Qemola  il  monastero  di  San  Giovanni  Battista, dove  compi  i  suoi  giorni  nel  1226.  L'altra,  nipote  dello stesso  Azzo,  perchè  nata  di  Azzo  Novello,  prese  il  velo in  Ferrara  nel  monastero  di  Sant'Antonio,  ed  ivi  mori nel  1270. St.  65.  V.18.   Di  queste  donne,  che  il  Poeta  ha  voluto tenersi  in  petto,  basti  indicare  le  seguenti: Bianca,  fi glia di  Niccolò  III,  celebrata  per  i  pregi  deUa  mente  e del  cuore,  consorte  di  Galeotto  Pico .  signore  della  Mi randola; rimastane  vedova  nel  1489,  si  ritirò  in  quel monastero  di  San  Lodovico,  e  vi  mori  nel  1506.   Co stanza,  figlia  di  Azzo  Novello,  maritata  a  Ugo  degli Aldobrandini,  conte  di  Maremma,  e  in  seconde  nozze  a Qaglielmo  Pelavicino,  marchese  di  Scipione.  Vedova  an che di  questo,  si  ritirò  nel  monastero  di  Gemola,  dove chiuse  i  suoi  giorni.   Lucrezia,  figlia  di  Sigismondo, fratello  di  Alfonso  I,  maritata  ad  Alberigo  Malaspina, marchese  di  Massa. ST.  67.  V.18.   Intendesi  qui  probabilmente  Rie eiarda,  figlia  di  Guecello  IX  da  Camino,  e  moglie  di un  Azzo,  nato  nel  1344  da  Francesco  d'Este,  secondo  di qaesto  nome.  Azzo,  che  viveva  in  Toscana  nel  1393,  éu scitò  una  guerra  civile  nel  1394,  in  occasione  della morte  di  Alberto  d'Este,  a  cui  pretendeva  succedere  in pregiadizio  di  Niccolò  III,  allora  fanciullo;  ma  fEitto prigione  nel  1395,  fu  relegato  in  Candia.  Richiamatone dopo  alcun  tempo,  ottenne  dalla  casa  alcune  rendite  nel Padovano.  Mori  in  Este,  nel  1415;  ed  ò  verosimile  che  i suoi  figli  si  stabilissero  poscia  in  Rovigo. St.  69.  y.  12.   Eleonora,  lodata  nella  stanza  pre cedente, e  nominata  nel  principio  di  questa,  nacque  da Ferdinando  I  d'Aragona,  re  di  Napoli;  e  il  contratto  di 

nozze  fra  lei  e  il  duca  Ercole  I  fu  stabilito  neiragosto del  1472.  Essa  mori  nel  1493. Ivr.  y.  38.   Alfonso  I  d'Este  fti  il  quarto  marito  di Lucrezia  Borgia,  figlia  sparia  di  Alessandro  VI.  Il primo  fu  un  privato  gentiluomo,  ohe  l'ebbe  dal  papa,  a cui  dipoi  la  cedo  per  denaro.  Il  secondo  era  Giovanni Sforza,  signore  di  Pesaro,  che  la  sposò  nel  1493:  il  papa che  la  desiderava  per  sé,  sciolse  quel  matrimonio,  sotto pretesto  di  frigidezza  nel  marito.  Appresso,  Lucrezia  fa data  ad  Alfonso  d'Aragona,  figlio  spurio  di  Alfonso  II re  di  Napoli,  e  marchese  o  principe  di  Discaglia;  il  duca Valentino,  fratello  di  Lucrezia,  volle  averla,  e  fsce  stran golare il  marito  nel  1500.  Per  ultimo,  il  papa  Alessandro oiferse  Lucrezia  al  duca  Ercole  in  moglie  del  di  lui  figlio; e  la  proposizione,  male  accolta  da  Alfonso,  fu  sanzio nata dal  padre,  pia  ad  insinuazione  del  re  di  Francia  e per  ragioni  di  Stato,  che  per  altro  motivo.  La  cerimonia nuziale,  ebbe  luogo  in  Roma,  con  splendidissimo  appa rato, nel  dicembre  del  1501;  e  nel    giugno  1519,  Lu crezia moriva  in  Ferrara  di  aborto. St.  72.  y.  18.   Renata,  nata  di  Luigi  XII  re  di Francia,  e  d'Anna  figlia  del  duca  di  Borgogna,  fti  sposa del  duca  Ercole.  II,  e  compensò  la  deformità  della  per sona col  molto  ingegno.Accolse  assai  bene  Giovanni Calvino  recatosi  in  Ferrara  sotto  mentito  nome;  perciò fu  chiusa  per  comando  del  duca  in  un  monastero.  Ri masta vedova  nel  1559,  si  ritirò  neiranno  seguente  nel suo  castello  di  Montargis  in  Francia,  e  quivi  mori  nel  1575. St.  73.  y.  15.   Alda  di  Sassonia,  sposata  a  un  mar chese Albertazzo.   Beatrice,  figlia  di  Carlo  II  d'Angiò, re  di  Napoli  e  di  Sicilia,  era.staia  data  in  moglie  ad Azzo  Vni  nel  1305,  e  Bianca  sorella  di  lei  divenne  mo glie di  Iacopo  n  re  d'Aragona.  Maria,  pilmogenita  del l'aragonese Alfonso  I,  re  di  Napoli,  maritata  nel  1443  a Lionello  d'Este,  era  morta  nel  1449,  quando  Antonio  To deschini  Piccolomini,  duca  d'Amalfi  e  conte  di  Celano, ebbe  in  consorte  da  Ferdinando  I,  figliuolo  d'Alfonso, nel  1458,  la  di  lui  figlia  naturale  Maria,  che  due  anni dopo  mori.  Da  questi  fatti,  ohe  mostrano  la  famiglia Estense  unita  di  affinità  con  un  re  di  Cicilia,  col  conti di  Celano,  e  con  la  casa  d'Aragona  che  dominava  anche la  Catalogna,  il  Poeta  prende  occasione  di  lodare  quelle tre  donne.  Di  Lippa  da  Bologna,  nominata  nel  quinto verso,  egli  avea  motivo  di  non  tacete,  perchè  sorella  di Bonifazio  Ariosti,  il  quale  piantò  in  Ferrara  la  famiglia da  cui  derivò  il  Poeta  medesimo.  Lippa,  famosa per  Tav venenza,  fti  favorita  di  Obizzo  III,  che  la  fece  sua  mo glie poco  innanzi  la  di  lei  morte,  accaduta  nel  27  no> vembre  del  1347;  e  legittimò  con  quell'atto  i  figliuoli avuti  da  lei. St.  81.  y.  6.   Ai  Gigli  doro:  alla  Francia. St.  83.  y.  3.   Mise  qui  vale  manda. stanza  37. CANTO   DECIMOQDARTO. ARGOMENTO. Nella  rassegna  generale  dell'esercito  pagano,  si  vedono  mancare  le  dae  schiere  distratte  da  Orlando.  Mandrlearlo. correndo  in  traccia  del  Paladino,  s'imbatte  in  Doralioe,  figlia  del  re  di  Granata,  che  va  sposa  a  Rodomoirte. re  di  Sansa;  ne  nccide  il  corteggio,  la  conduce  seco  e  la  fa  sua  moglie.  I  Mori  danno  Tassalto  a  Parigi. 1  Nei  molti  assalti  e  nei  crudel  conflitti, Ch'avuti  avea  con  Francia,  Africa  e  Spagna, Morti  eran  infiniti,  e  derelitti Al  Inpo,  al  corvo,  all' aquila  grifagna:E  benché  i  Franchi  fossero  più  afflitti, Che  tutta  avean  perduta,  la  campagna. Più  si  doleano  i  Saracin,  per  molti Principi  e  gran  baron  eh' eran  lor  tolti. 2  Ebbon  vittorie  cosi  sanguinose, Che  lor  poco  avanzò  di  che  allegrarsi. E  se  alle  antique  le  moderne  cose. Invitto  Alfonso,  denno  assimigliarsi ; La  gran  vittoria,  onde  alle  virtuose Opere  vostre  può  la  gloria  darsi, Di  che  aver  sempre  lacrimose  ciglia Ravenna  debbe,  a  queste  s' assimiglia. 

3  Quando  cedendo  Merini  e  Piccardi, L'esercito  normando  e  l'aquitano, Voi  nel  mezzo  assaliste  gli  stendardi Del  quasi  vincitor  nimico  ispano; Seguendo  voi  quei  gioveni  gagliardi, Che  meritar  con  valorosa  mano Quel  ài  da  voi,  per  onorati  doni, L'else  indorate  e  gl'indorati  sproni. Con  si  animosi  petti  che  vi  fòro Vicini  0  poco  lungi  al  gran  periglio, Crollaste  sì  le  ricche  Giande  d'oro, Si  rompeste  il  Baston  giallo  e  vermiglio, '  Ch'  a  voi  si  deve  il  trionfale  aUoro, Che  non  fu  guasto  né  sfiorato  il  Giglio. D'un'  altra  fronde  v'  orna  anco  la  chioma L'aver  serbato  il  suo  Fabrizio  a  Roma. 5  La  gran  Colonna  del  nome  romano, Che  voi  prendeste  e  che  servaste  intera, Vi  dà  più  onor  che  se  di  vostra  mano Fosse  caduta  la  milizia  fiera, Quanta  n'ingrassa  il  campo  ravegnano, E  quanta  se  n'andò  senza  bandiera D'Aragon,  di  Castiglia  e  di  Navarra, Veduto  non  giovar  spiedi  né  carra. 6  Quella  vittoria  fu  più  di  confurto, Che  d'allegrezza;  perché  troppo  pesa Centra  la  gioia  nostra  il  veder  morto Il  capitan  di  Francia  e  dell'impresa; E  seco  avere  una  procella  assorto Tanti  principi  illustri,  eh' a  difesa Dei  regni  lor,  dei  lor  confederati, Di  qua  dalle  fredd'Alpi  eran  passati. Stftnzft; Nostra  salute,  nostra  vita  In  questa Vittoria  suscitata  si  conosce, Che  difende  che  '1  verno  e  la  tempesta Di  Giove  irato  sopra  noi  non  croscè:Ma  né  goder  possiam,  né  fame  festa, Sentendo  i  gran  rammarichi  e  P  angosce ChMn  veste  bruna  e  lacrimosa  guancia Le  vedovelle  fan  per  tutta  Francia. 6      Bisogna  che  provveggia  il  re  Luigi Di  novi  capitani  alle  sue  squadre, Che  per  onor  dell'aurea  Fiordaligi Castighino  le  man  rapaci  e  ladre. Che  suore,  e  frati  e  bianchi  e  neri  e  bigi Violato  hanno  e  sposa  e  figlia  e  madre; Gittate  in  terra  Cristo  in  sacramento, Per  torgli  un  tabernacolo  d'argento.9  0  misera  Ravenna,  t' era  meglio Ch'ai  vincitor  non  fèssi  resistenza; Far  eh'  a  te  fosse  innanzi  Brescia  speglio, Che  tu  lo  fossi  a  Arimino  e  a  Faenza. Manda,  Luigi,  il  buon  Trivulzio  veglio, Ch'insegni  a  questi  tuoi  più  continenza, £  conti  lor  quanti  per  simil  torti Stati  ne  sian  per  tutta  Italia  morti. 10  Come  di  capitani  bisogna  ora Che'l  re  di  Francia  al  campo  suo  proweggia, Così  Marsilio  ed  Agramante  allora, Per  dar  buon  reggimento  alla  sua  greggia, Dai  lochi  dove  il  verno  fé' dimora, Vuol  che  in  campagna  all' ordine  si  veggia; Perchè  vedendo  ove  bisogno  sia, Guida  e  governo  ad  ogni  schiera  dia. 11  Marsilio  prima,  e  poi  fece  Agramante Passar  la  gente  sua,  schiera  per  schiera. I  Catalani  a  tutti  gli  altri  innante Di  Dorifebo  van  con  la  bandiera. Dopo  vien,  senza  il  suo  re  Folvirante, Che  per  man  di  Rinaldo  già  morto  era. La  gente  di  Navai  ra;  e  lo  re  ispano Halle  dato  Isolier  per  capitano. 15  Di  quei  di  Saragosa  e  della  corte Del  re  Marsilio  ha  Ferraù  il  governo:Tutta  la  gente  è  ben  armata  e  forte. In  questi  è  Malgarino,  Balinverno, Malzarise  e  Morgante,  ch'una  sorte Avea  fatto  abitar  paese  estemo; Che,  poi  che  i  regni  lor  lor  furon  tolti, Gli  avea  Marsilio  in  corte  sua  raccolti. 16  In  questa  è  di  Marsilio  il  gran  bastardo, Follicon  d'Almeria,  con  Doriconte, Bavarte  e  Largalifa  ed  Analardo, Ed  Archidante  il  sagonUno  conte, E  Lamirante  e  Langhiran  gagliardo, E  Malagur  eh' avea  l'astuzie  pronte; Ed  altri  ed  altri,  de'  quai  penso,  dove Tempo  sarà,  di  far  veder  le  prove. 17  Poi  che  passò  l'esercito  di  Spagna Con  bella  mostra  innanzi  al  re  Agramante, Con  la  sua  squadra  apparve  alia  campagna Il  re  d' Oran,  che  quasi  era  gigante. L'altra  che  vien,  per  Martasiu  si  lagna, il  qual  morto  le  fu  da  Bradamante; E  si  duol  ch'una  femmina  si  vanti D'aver  ucciso  il  re  de' Garamanti. 12  Balugante  del  popol  di  Leone, Grandonio  cura  degli  Algarbi  piglia. Il  fratel  di  Marsiglio,  Falsirone, Ha  seco  armata  la  minor  Castiglia. àegnon  di  Madarasso  il gonfaloneQuei  che  lasciato  han  Malaga  e  Siviglia, Dal  mar  di  Gade  a  Cordova  feconda Le  verdi  ripe  ovunque  il  Beti  innonda. 13  Stordilano  e  Tesira  e  Baricondo, L'nn  dopo  l'altro,  mostra  la  sua  gente: Granata  al  primo,  L'iisbona  al  secondo, E  Maiorica  al  terzo  è  ubbidiente. Fu  d'Ulisbona  re  (tolto  dal  mondo Larbin)  Tessira,  di  Larbin  parente. Poi  vien  Galizia,  che  sua  guida,  in  vece Di  Maricoldo,  Serpentino  fece. 14  Quei  di  Toledo  e  quei  di  Calatrava, Di  ch'ebbe  Sìnagon  già  la  bandiera, Con  tutta  quella  gente  che  si  lava In  Guadiana  e  bee  della  riviera, L' audace  Matalista  governava:Bianzardin  quei  d'Asturga  in  una  schiera Con  quei  di  Salamanca  e  di  Piagenza, D'Avila,  di  Zamora  e  di  Palenza. 18  Segue  la  terza  schiera  di  Marmonda, Ch'Argosto  morto  abbandonò  in  Guascogna: A  questa  un  capo,  come  alla  seconda, E  come  anco  alla  quarta,  dar  bisogna. Quantunque  il  re  Agramante  non  abbonda Dì  capitani,  pur  ne  finge  e  sogna: Dunque  Buraldo,  Ormida,  Arganio  elesse, E  dove  uopo  ne  fu,  guida  li  messe. 19  Diede  ad  Arganio  quei  di  Libicana, Che  piangean  morto  il  negro  Dudrinasso. Guida  Brunello  i  suoi  di  Tingitana, Con  viso  nubiloso  e  ciglio  basso; Che,  poi  che  nella  selva  non  lontana Dal  Castel  ch'ebbe  Atlante  in  cima  al  sasso, Gli  fu  tolto  l'anel  da  Bradamante, Caduto  era  in  disgrazia  al  re  Agramante:20  E  se  '1  fratel  di  Ferraà,  Isoliero, Ch'air  arbore  legato  ritrovollo. Non  facea  fede  innanzi  al  re  del  vero, Avrebbe  dato  in  su  le  forche  un  crollo. Mutò  a  prieghi  di  molti  il  re  pensiero, Già  avendo  fatto  porgli  il  laccio  al  collo: Gli  lo  fece  levar,  ma  riserbarlo Pel  primo  error;  che  poi  giurò  impiccarlo: 21  Si  chavea  cansa  di  venir  Brunello Col  viso  mesto  e  con  la  testa  china. Segoia  poi  Fanirante,  e  dietro  a  quello Eran  cavalli  e  fanti  di  Maurina. Venia  Libanio  appresso,  il  re  novello:La  gente  era  con  lui  di  Costantina; Perocché  la  corona  e  il  baston  d'oro Gli  ha  dato  il  re,  che  fu  di  Pinadoro. 22  Con  la  gente  d'Esperia  Soridano, E  Dorilon  ne  vien  con  quei  di  Setta; Ne  vien  coi  Nasamoni  Puli'ano. Quelli  d'Amonia  il  re  Agricalte  affretta; Malabuferso  quelli  di  Fizano. Da  Finadurro  è  l'altra  squadra  retta, Che  di  Canaria  viene  e  di  Marocco:Balastro  ha  quei  che  fur  del  re  Tardocco. 23  Due  squadre,  una  di  Mulga,  una  d'Arzilla, Seguono;  e  questa  ha  U  suo  signore  antico, Quella  n'  è  priva;  e  però  il  re  sortilla, E  diella  a  Corineo  suo  fido  amico. E  cosi  della  gente  d'Almansilla, Oh'  ebbe  Tanfirion,  fé'  re  Calco:Die  quella  di  Getulia  a  Rimedonte. Poi vien  con  quei  di  Cosca  Baìinfronte. 24  Quell'altra  schiera  è  la  gente  di  Bolga: Suo  re  è  Clariiido,  e  già  fu  Mirabaldo. Vien  Baliverzo,  il  qual  vo'che  tu  tolga Di  tutto  il  gregge  pel  maggior  ribaldo. Non  credo  in  tutto  il  campo  si  disciolga Bandiera  ch'abbia  esercito  più  saldo Dell'altra,  con  che  segue  il  re  Sobrino. Né  più  di  lui  prudente  S"iracino. 25  Quei  di  Bellamarina,  che  Gualciotto Solca  guidare,  or  guida  il  re  d'Algieri Rodomonte  di  Sarza,  che  condotto Di  nuovo  avea  pedoni  e  cavalieri; Che,  mentre  il  Sol  fu  nubiloso  sotto Il  gran  Centauro,  e  i  comi  orridi  e  fieri, Fu  in  Africa  mandato  da  Agramante, Onde  venuto  era  tre  giorni  innante. 26  Non  avea  il  campo  d'Africa  più  forte Né  Saracin  più  audace  di  costui; E  più  temean  le  parigine  porte, Ed  avean  più  cagion  di  temer  lui, Che  Marsilio,  Agramante,  e  la  gran  corte Ch'avea  seguito  iu  Francia  questi  dui: E  più  d'ogpi  altro  che  facesse  mostra. Era  nimico  della  Fede  nostra. 27  Vien  Prusìone,  il  re  dell' Alvaracchie; Poi  quel  della  Znmara,  Dardinello. Non  so  s'abbiano  o  nottole  o  cornacchie, 0  altro  manco  ed  importuno  augello. Il  qual  dai  tetti  e  dalle  fronde  gracchie Futuro  mal,  predetto  a  questo  e  a  quello, Che  fissa  in  ciel  nel  di  seguente  é  l'ora Che  l'uno  e  l'altro  in  quella  pugna  muora. 28  In  campo  non  aveano  altri  a  venire, Che  quei  di  Tremisenne  e  dì  Norìzia; Né  si  vedea  alla  mostra  comparire Il  segno  lor,  né  dar  di  sé  notizia. Non  sapendo  Agramante  che  si  dire, Né  che  pensar  di  questa  lor  pigrizia; Uno  scudiero  alfin  gli  fu  condutto Del  re  di  Tremisen,  che  narrò  il  tutto. 29  E  gli  narrò  ch'Alzirdo  e  Manilardo Con  molti  altri  de'  suoi  giaceano  al  campo:Signor,  diss'  egli,  il  cavalier  gagliardo Ch'ucciso  ha  i  nostri,  ucciso  avria  il  tuo  campo, Se  fosse  stato  a  tòrsi  via  più  tardo Di  me,  eh' a  pena  ancor  cosi  ne  scampo. Fa  quel  de'  cavalieri  e  de'  pedoni, ('he  '1  lupo  fa  di  capre  e  di  montoni. 30  Era  venuto  pochi  giorni  avante Nel  campo  del  re  d'Africa  un  signore; Né  in  Ponente  era,  né  in  tutto  Levante, Dì  più  forza  di  lui,  né  di  più  core. Gli  facea  grande  onore  il  re  Agramante, Per  esser  costui  figlio  e  successore In  Tartaria  del  re  Agrican  gagliardo:Suo  nome  era  il  feroce  Mandricardo. 31  Per  molti  chiari  gesti  era  famoso, E  di  sua  fama  tutto  il  mondo  empia; Ma  lo  facea  più  d'altro  glorioso, Ch'  al  Castel  della  fata  di  Sona L'usbergo  avea  acquistato  luminoso Ch'Ettor  troian  portò  mille  anni  pria. Per  strana  e  formidabile  avventura, Che'l  ragionarne  pur  mette  paura. 32  Trovandosi  (ostui  dunque  presente A  quel  parlar,  alzò  l'ardita  faccia; É  si  dispose  andare  immantinente, Per  trovar  quel  guerrier,  dietro  alla  traccia. Ritenne  occulto  il  suo  pensiero  in  mente, 0  sia  perché  d'alcun  stima  non  faccia, 0  perchè  tema,  se  '1  pensier  palesa, Ch'uu  altro  innanzi  a  lui  pigli  l'impresa. 33    Allo  scudier  fé' dimandar  com'era La  soprawesta  di  qnel  cavaliero. Colni  rispose: Quella  è  tutta  nera, Lo  scudo  nero,  e  non  ha  alcun  cimiero. E  fu,  signor,  la  sua  risposta  vera, Perchè  lasciato  Orlando  avea  il  quartiere; Che,  come  dentro  V  animo  era  in  doglia, Così  imbrunir  di  fuor  volse  la  spoglia. 34    Marsilio  a  Mandricardo  avea  donato Un  destrier  baio  a  scorza  di  castagna, Con  gambe  e  chiòme  nere;  ed  era  nato Di  frisa  madre,  e  d'on  viilan  di  Spagna. Sopra  vi  salta  Mandricardo  armato £  galoppando  va  per  la  campagna; E  giura  non  tornare  a  quelle  schiere, Se  non  "trova  il  campion  dall'arme  nere. Stanza  42. 86    Molta  incontrò  della  paurosa  gente Che  dalle  man  d'Orlando  era  fuggita, Chi  del  figliuol,  chi  del  fratel  dolente, Ch'innanzi  gli  occhi  suoi  perde  la  vita. Ancora  la  codarda  e  trista  mente Nella  pallida  faccia  era  sculpita; Ancor  per  la  paura  che  avuta  hanno, Pallidi,  muti  ed  insensati  vanno. 86    Non  fé' lungo  cammin,  che  venne  dove 

Crudel  spettacolo  ebbe  ed  inumano, Ma  testimonio  alle  mirabil  prove Che  fur  racconte  innanzi  al  re  africano. Or  mira  questi,  or  quelli  morti,  e  muove, E  vuol  le  piaghe  misurar  con  mano, Mosso  da  strana  invidia  ch'egli  porta Al  cavalier  eh' avea  la  {ente  mort. 37  Come  lupo  o  mastin  eh'  ultimo  giugne Al  bue  lasciato  morto  da'  villani, Che  trova  sol  le  coma,  T  ossa  e  l'ugne, Del  resto  son  sfamati  augelli  e  cani; Riguarda  invano  il  teschio  che  non  ugne: Cosi  fa  il  cnidel  barbaro  in  que' piani: Per  duol  bestemmia,  e  mostra  invidia  immensa. Che  venne  tardi  a  cosi  ricca  mensa. 38  Quel  giorno  e  mezzo  l'altro  segue  incerto Il  cavalier  dal  negro,  e  ne  domanda. Ecco  vede  un  pratel  d'ombre  coperto, Che  si  d'un  alto  fiume  si  ghirlanda, Che  lascia  appena  un  breve  spazio  aperto. Dove  l'acqua  si  torce  ad  altra  banda. Un  simil  luogo  con  girévol  onda 5otto  Ocriooli  il  Tevere  circonda. 89     Dove  entaur  si  potea,  con  Panne  indosso Stavano  molti  cavalieri  armati. Chiede  il  pagan,  chi  gli  avea  in  stnol  si  grosso £d  a  che  effetto  insieme  ivi  adnnati Gli  fé' risposta  il  capitano,  mosso Dal  signoril  sembiante,  e  da  fregiati D'oro  e  di  gemme  arnesi  e  di  gran  pregio, Che  lo  mostravan  cavaliero  egregio. 40    Dal  nostro  re  siam,  disse  di Granata,Chiamati  in  compagnia  della  figliuola, La  quale  al  re  di  Sansa  ha  maritata, Benché  di  ciò  la  fama  ancor  non  vola. Come  appresso  la  sera  racchetata La  cicaletta  sia,  eh'  or  s' ode  sola, Avanti  al  padre  fra  T  Ispane  torme La  condurremo:  intanto  ella  si  dorme. Stanisa  4.?. 41     Ck"lui  die  tutto  il  mondo  vi  li  perni  e, Diaegua  di  veder  tosto  la  prò  va, Se  quetla  geliti  o  bene  o  mal  difende La  donna,  alla  cui  guardia  sì  ritrova. Di3": Costei  f  per  quauto  m  u' Intende, É  bella,  e  di  saperlo  ora  mi  giova A  lei  mi  mena,  o  falla  qui  veuke; ChaltroTe  mi  couvieu  subito  gire. 4i    Ktìser  iier  certo  dèi  pazzo  solenue, iiiapose  il  Grnaiin    uè  più  gli  disse. Ha  il  Tartaro  a  ferir  tosto  lo  venne Con  l'asta  bassa,  e  il  petto  gli  trafisse: Che  la  corazza  il  colpo  non  sostenne, E  forza  fu  che  mort  in  terra  giìse. L'asta  ripovra  il  figlio  dVAgricane, Perchè  altro  da  ferir  non  jfli  rìtuAne. GELANDO   FUEIOSO.43  Non  poita  spada  né  baston;  che  quando L' arme  acquistò,  che  far  d'Ettor  troiano, Perchè  trovò  che  lor  mancava  il  brando, Gii  convenne  giurar  (né  giurò  invano) Che  finché  non  togliea  quella  d'Orlando, Mai  non  porrebbe  ad  altra  spada  mano: Durindana  ch'Almonte  ebbe  in  gran  stima, E  Orlando  or  porta,  Ettor  portava  prima. 44  Grande  é  V  ardir  del  Tartaro,  che  vada Con  disvantaggio  tal  centra  coloro, Gridando:  Chi  mi  vuol  vietar  la  strada? E  con  la  lancia  si  cacciò  tra  loro. Chi  r  asta  abbassa,  e  chi  tra  fuor  la  spada; E  d'ognintorno  subito  gJi  fóro. Egli  ne  fece  morire  una  frotta, Prima  che  quella  lancia  fosse  rotta. 45  Botta  che  se  la  vede,  il  gran  troncone, Che  resta  intero,  ad  ambe  mani  afferra; E  fa  morir  con  quel  tante  persone. Che  non  fu  vista  mai  più  crudel  guerra. Come  tra' Filistei  l'ebreo  Sansone Con  la  mascella  che  levò  di  terra, Scudi  spezza,  elmi  sdiiaccia;  e  un  colpo  spesso Spegne  i  cavalli  ai  cavalieri  appresso. 46  Corrono  a  morte  que miseri  a  gara: Né  perchè  cada  Tun  l'altro  andar  cessa; Che  la  maniera  del  morire  amara Lor  par  più  assai,  che  non  è  morte  istessa. Patir  non  ponno  che  la  vira  cara Tolta  lor  sia  da  un  pezzo  d'asta  fessa, E  sieno  sotto  alle  picchiate  strane A  morir  giunti  come  bisce  o  rane. 47  Ma  poi  eh' a  spese  lor  si  furo  accorti Che  male  in  ogni  guisa  era  morire, Sendo  già  presso  alli  due  terzi  morti, Tutto  l'avanzo  cominciò  a  fuggire. Come  del  proprio  aver  via  se  gli  porti, n  Saracin  crudel  non  può  patire Ch'alcun  di  quella  turba  sbigottita Da  lui  partir  si  debba  con  la  vita. 49  Poscia  ch'egli  restar  vede  l'entrata, Che  mal  guirdata  fu,  senza  custode; Per  la  via  che  di  nuovo  era  segnata Neil' erba,  e  al  suono  dei  rammarchi  eh'  ode, Viene  a  veder  la  donna  di  Granata, Se  di  bellezze  è  pari  alle  sue  lode:Passa  tra  i  corpi  della gente  morta, Dove  gli  dà,  torcendo,  il  fiume  porta. 50  E  Doralice  in  mezzo  il  prato  vede, (Che  così  nome  li  donzella  avea) La  qual,  suffolta  dall'antico  piede D'un  frassino  silvestre,  si  dolca. Il  pianto,  come  un  rivo  che  succede Di  viva  vena,  nel  bel  sen  cadea; E  nel  bel  viso  si  vedea  che  insieme Dell'altrui  mal  si  duole,  e  del  suo  teme. 51  Crebbe  il  timor,  come  venir  lo  vide Dì  sangue  brutto,  e  con  faccia  empia  e  oscura, E  '1  grido  sin  al  ciel  V  aria  divide, Dì  sé  e  della  sua  gente  per  paura; Che,  oltre  i  cavalìer,  v'erano  guide Che  della  bella  infante  aveano  cura, Maturi  vecchi,  e  assai  donne  e  donzelle Del  regno  di  Granata,  e  le  più  belle. 52  Come  il  Tartaro  vede  quel  bel  viso Che  non  ha  paragone  in  tutta  Spagna, E  e' ha  nel  pianto  (or  ch'esser  de' nel  riso?) Tesa  d'amor  l'inestricabil  ragna, Non  sa  se  vive  o  in  terra  o  in  paradiso: Né  della  sua  vittoria  altro  guadagna, Se  non  che  in  man  della  sua  prigioniera Si  dà  prigione,  e  non  sa  in  qual  maniera. 53  A  lei  però  non  si  concede  tanto. Che  del  travaglio  suo  le  doni  il  frutto; 

Benché  piangendo  ella  dimostri,  quanto Possa  donna  mostrar,  dolore  e  lutto. Egli,  sperando  volgerle  quei  pianto In  sommo  gaudio,  era  disposto  al  tutto Menarla  seco;  e  sopra  un  bianco  ubino Montar  la  fece,  e  tornò  al  suo  cammino. 48    Come  in  palude  asciutta  dura  poco Stridula  canna,  o  in  campo  arida  stoppia Centra  il  soffio  di  Borea  e  centra  il  fuoco Che'l  cauto  agricultore  insieme  accoppia, Quando  la  vaga  fiamma  occupa  il  loco, E  scorre  per  li  solchi,  e  stride  e  scoppia; Così  costar  contra  la  furia  accesa Di  Mandrìcardo  fan  poca  difesa. 54    Donne  e  donzelle  e  vecchi  ed  altra  gente, Ch'eran  con  lei  venuti  di  Granata, Tutti  licenziò  benignamente Dicendo:  assai  da  me  fia  accompagnata; Io  mastro,  io  balia,  io  le  sarò  sergente In  tutti  ì  suoi  bisogni: addio  brigata. Cosi  non  gli  possendo  far  riparo, Piangendo  e  sospirando  se  n'  andare; 55  Tra  lor  dicendo:  quanto  doloroso Ne  sarà  il  padre,  come  il  caso  intenda ! QnantMra,  quanto  duol  ne  avrà  il  suo  sposo! Oh  come  ne  farà  vendetta  orrenda ! Deh,  perchè  a  tempo  tanto  bisognoso Non  è  qui  presso  a  far  che  costui  renda Il  sangue  illustre  del  re  Stordilano, Prima  che  se  lo  porti  più  lontano? 56  Della  gran  preda  il  Tartaro  contento, Che  fortuna  e  valor  gli  ha  posta  innanzi, 

Di  trovar  quel  dal  negro  vestimento Non  par  ch  abbia  la  fretta  ch  avea  dianzi. Correva  dianzi;  or  viene  adagio  e  lento; £  pensa  tuttavia  dove  si  stanzi, Dove  ritrovi  alcun  comodo  loco, Per  esalar  tanto  amoroso  foco. 57  Tuttavolta  conforta  Doralice, Oh'  avea  di  pianto  e  gli  occhi  e'  1  viso  molle:Compone  e  finge  molte  cose,  e  dice Che  per  fama  gran  tempo  ben  le  volle; E  che  la  patria  e  il  suo  regno  felice, Che  4  nome  di  grandezza  agli  altri  tolle, Lasciò,  non  per  vedere  o  Spagna  o  Francia, Ma  sol  per  contemplar  sua  bella  giancia. 58  Se  per  amar,  Tuom  debb' essere  amato, Merito  il  vostro  amor;  che  v'ho  amatMo: Se  per  stirpe,  di  me  chi  è  meglio  nato? Chè'l  possente  Agrican  fu  il  padre  mio: Se  per  ricchezza,  chi  ha  di  me  più  stato? Che  di  dominio  io  cedo  solo  a  Dio: Se  per  valor,  credo  oggi  aver  esperto Ch'  esser  amato  per  valore  io  merto. 59  Queste  parole  ed  altre  assai  ch'Amore A  Mandricardo  di  sua  bocca  ditta, Van  dolcemente  a  consolare  il  core Della  donzella  di  paura  afflitta. Il  timor  cessa,  e  poi  cessa  il  dolore Che  le  avea  quasi  T  anima  trafitta. Ella  comincia  con  più  pazienza A  dar  più  grata  al  nuovo  amante  ulìenza; 60  Poi  con  risposte  più  benigne  molto A  mostrarsegli  affabile  e  cortese, E  non  negargli  di  fermar nel  volto Talor  le  luci  di  pietade  accese; Onde  il  pagan,  che  dallo  strai  fu  colto Altre  volte  damor,  certezza  prese, Nonché  speranza,  che  la  donna  bella Non  saria  a  suoi  desir  sempre  ribella. 61    Con  questa  compagnia  lieto  e  gioioso, Che  si  gli  satisfa,  si  gli  diletta, Essendo  presso  all'ora  eh' a  riposo La  fredda  notte  ogni  animale  alletta, Vedendo  il  Sol  già  basso  e  mezzo  ascoso Cominciò  a  cavalcar  con  maggior  fretta; Tanto  eh'  udì  sonar  zufoli  e  canne, E  vide  poi  fumar  ville  e  capanne. Stanza  57. 67    Erano  pastorali  alloggiamenti, Miglior  stanza  e  più  comoda,  che  belhi. Quivi  il  guardian  cortese  degli  armenti Onorò  il  ca vallerò  e  la  donzella Tanto,  che  si  chiamar  di  lui  contenti:Che  non  pur  per  cittadi  e  per  castella Ma  per  tugurj  ancora  e  per  fenili Spesso  si  trovan  gli  uomini  gentili. 63    Quel  che  fosse  di  poi  fatto  all' oscuro Tra  Doralice  e  il  figlio  d'Agricane, A  punto  raccontar  non  m' assicuro; Si  ch'ai  giudizio  di  ciascun  rimane. Creder  sì  può  che  beu  d'accordo  furo; Che  si  levar  più  allegri  la  dimane:E  Doralice  rìograziò  il  pastore. Che  nel  suo  albergo  le  avea  fatto  onore. 64  Indi  d'uno  in  nn  altro  luogo  errando, Si  ritroTaro  alfin  sopra  nn  bel  finme Che  con  silenzio  al  mar  va  declinando, E  se  vada  o  se  stia,  mal  si  presume; Limpido  e  chiaro  si,  chMn  Ini  mirando, Senza  contesa  al  fondo  porta  il  Inme. In  ripa  a  quello,  a  una  fresca  ombra  e  bella, Trovar  dui  cavalieri  e  una  donzella. 65  Or  l'alta  fantasia,  eh' un  sentier  solo Non  vuol  ch'i' segua  ognor,  quindi  mi  guida, E  mi  ritoma  ove  il  moresco  stuolo Assorda  di  rnmor  Francia  e  di  grida. D'intorno  il  padiglion  ove  il  figliuolo Del  re  Troiano  il  santo  Imperio  sfida; E  Rodomonte  audace  se  gli  vanta Arder  Parigi,  e  spianar  Roma  santa. 66  Venuto  ad  Agramante  era  all'orecchio. Che  già  gì'  Inglesi  avean  passato  il  mare:Però  Marsilio  e  il  re  del  Garbo  vecchio, E  gli  altri  capitan  fece  chiamare. Consiglian  tutti  a  far  grande  apparecchio, Sì  che  Parigi  possino  espugnare. Ponno  esser  certi  che  più  non  s' espugna, Se  noi  fan  prima  che  l'aiuto  gingna. 67  Già  scale  innumerabili  per  questo Da' luoghi  intomo  avean  fatto  raccorre, Ed  asse  e  travi,  e  vimine  contesto, Che  le  poteano  a  diversi  usi  porre; E  navi  e  ponti: e  più  facea,  che  '1  resto, II  primo  e'I  secondo  ordine  disporre A  dar  l'assalto;  ed  egli  vuol  venire Tra  quei  che  la  città  denno  assalire. 68  L'imperatore,  il  dì  che  '1  dì  precesse Della  battaglia,  fé'  dentro  a  Parigi Per  tutto  celebrare  ufficj  e  messe A  preti,  a  frati  bianchi,  neri  e  bigi; E  le  genti  che  dianzi  eran  confesse, E  di  man  tolte  agl'inimici  stigi, Tutte  comunicar,  non  altramente Ch'avessino  a  morire  il  di  seguente. 69  Ed  egli  tra  baroni  e  paladini, Principi  ed  oratori,  al  maggior  tempio Con  molta  religione  a  quei  divini Atti  intervenne,  e  ne  die  agli  altri  esempio, Con  le  man  giunte,  e  gli  occhi  al  ciel  supini. Disse:  Signor,  bench'io  sia  iniquo  ed  empio, Non  voglia  tua  bontà,  pel  mio  fallire. Che  '1  tuo  popol  fedele  abbia  a  patire. 70  E  se  gli  è  tuo  voler  eh'  egli  patisca, E  eh'  abbia  il  nostro  error  degni  supplici, Almen  la  pnnizion  si  differisca Si,  che  per  man  non  sia  de'  tuoi  nemici:Che  quando  lor  d'uccider  noi  sortisca. Che  nome  avemo  pur  d'esser  tuo'  amici, I  pagani  diran  che  nulla  puoi, Che  perir  lasci  i  partigiani  tuoi. 71  E  per  un  che  ti  sia  fatto  ribelle. Cento  ti  si  femin  per  tutto  il  mondo; Talché  la  legge  falsa  di  Babelle Caccerà  la  tua  fede  e  porrà  al  fondo. Difendi  queste  genti,  che  son  quelle Che'l  tuo  sepulcro  hanno  purgato  e  mondo Da  bratti  cani,  e  la  tua  Santa  Chiesa Con  li  vicari  suoi  spesso  difesa. 72  So  che  i  meriti  nostri  atti  non  sono A  satisfare  al  debito  d'un' oncia; Né  devemo  sperar  da  te  perdono. Se  riguardiamo  a  nostra  vita  sconcia:Ma  se  vi  aggiugni  di  tua  grazia  il  dono, Nostra  ragion  fia ragguagliata  e  concia; Né  del  tuo  aiuto  disperar  possiamo, Qualor  di  tua  pietà  ci  ricordiamo. 73  Così  dicea  l'imperator  devoto, Con  umiltade  e  contrizion  di  core. Giunse  altri  prieghi,  e  convenevol  voto Al  gran  bisogno  e  all'alto  suo  splendore. Non  fu  il  caldo  pregar  d'effetto  vdto; Perocché  '1  Genio  suo,  Y  Angel  migliore, I  prieghi  tolse,  e  spiegò  al  ciel  le  penne, Ed  a  narrare  al  Salvator  li  venne. 74  E  furo  altri  infiniti  in  quello  istante Da  tali  messaggier  portati  a  Dio; Che  come  gli  ascoltar  l'anime  sante, Dipinte  di  pietade  il  viso  pio, Tutte  mirare  il  sempiterno  Amante, E  gli  mostrare  il  comun  lor  disio, Che  la  giusta  orazion  fosse  esaudita Del  popolo  Cristian  che  chiedea  aita. 75  E  la  Bontà  ineffabile,  eh'  invano Non  fu  pregata  mai  da  cor  fedele. Leva  gli  occhi  pietosi,  e  fa  con  mano Cenno  che  venga  a  sé  l'angel  Michele. Va,  gli  disse,  air  esercito  cristiano Che  dianzi  in  Piccardia  calò  le  vele, E  al  muro  di  Parigi  l'appresenta Sì,  che  '1  campo  nimico  non  lo  senta. 76  Trova  prima  il  Silenzio .  e  da  mia  parte Gli  di'  che  teco  a  questa  impresa  venga; Ch'egli  ben  provveder  con  ottima  arte Saprà  di  quanto  provveder  convenga. Fornito  questo,  subito  va  in  parte Dove  il  suo  seggio  la  Discordia  tenga: Dille  che  l'esca  e  il  fucil secoprendii, E  nel  campo  de' Mori  il  fuoco  accenda; 77  E  tra  quei  che  vi  son  detti  più  forti, Sparga  tante  zizzanie  e  tante  liti, Che  combattano  insieme,  ed  altri  morti, Altri  ne  siano  presi,  altri  feriti, E  fuor  del  campo  altri  lo  sdegno  porti, Si  che  il  lor  re  poco  di  lor  spaiti. Non  replica  a  tal  detto  altra  parola Il  benedetto  augel,  ma  dal  del  vola. 82  Quella  che  gli  avea  detto  il  Padre  Etemo, Dopo  il  Silenzio,  che  trovar  dovesse. Pensato  avea  di  far  la  via  d'Averno, Che  si  credea  che  tra' dannati  stesse; E  ritrovolla  in  questo  nuovo  inferno (Chi  '1  crederla  ?)  tra  santi  uflBicj  e  messe. Par  di  strano  a  Michel  ch'ella  vi  sia, Che  per  trovar  credea  di  far  gran  via. 83  La  conobbe  al  vestir  di  color  cento Fatto  a  liste  ineguali  ed  infinite, Chor  la  coprono,  or  no;  che  i  passi  e'I  vento Le  gian  aprendo,  ch'erano  sdrucite. I  crini  avea  qual  d'oro  e  qual  d'argento, E  neri  e  b'gi;  e  aver  pareano  lite: Altri  in  treccia,  altri  in  nastro  eran  raccolti, Molti  alle  spalle,  alcuni  al  petto  sciolti. 78  Dovunque  drizza  Michel  angel  l'ale, Fuggon  le  nubi,  e  toma  il  ciel  sereno:Gli  gira  intomo  un  aureo  cerchio,  quale Veggiam  di  notte  lampeggiar  baleno. Seco  pensa  tra  via,  dove  si  cale Il  celeste  corrier  per  fallir  meno A  trovar  quel  nimico  di  parole, A  cui  la  prima  commission  far  vuole. 79  Vien  scorrendo  ov'  egli  abiti,  ov'  egli  usi; E  si  accordaro  infin  tutti  i  pensieri. Che  di  frati  e  di  monachi  rinchiusi Lo  può  trovare  in  chiese  e  in  monasteri, Dove  sono  i  parlari  in  modo  esclusi. Che  '1  Silenzio  ove  cantano  i  salteri, Ove  dormono,  ov'  hanno  la  pietanza, E  finalmente  è  scritto  in  ogni  stanza. 80  Credendo  quivi  ritrovarlo,  mosse Con  maggior  fretta  le  dorate  penne; E  di  veder  eh' ancor  pace  vi  fosse, Quiete  e  Carità  sicuro  tenne. Ma  dalla  opinion  sua  ritrovosse Tosto  ingannato,  che  nel  chiostro  venne: Non  è  Silenzio  quivi;  e  gli  fu  ditto Che  non  v'  abita  più,  fuorché  in  iscritto. stanza  84. 81     Né  Pietà,  né  Quiete,  né  Umiltade, Né  quivi  Amor,  né  quivi  Pace  mira. Ben  vi  fur  già,  ma  nell'antiqua  etade; Che  le  cacciar  Gola,  Avarizia  ed  Ira, Superbia,  Invidia,  Inerzia  e  Crudeltade. Di  tanta  novità  l'Angel  si  ammira:Andò  guardando  quella  brutta  schiera, E  vide  eh'  anco  la  Discordia  v'  era: 84    Di  citatorie  piene  e  di  libelli, D'esamine  e  di  carte  di  procure Avea  le  mani  e  il  seno,  e  gran  ostelli Di  chiose,  di  consigli  e  di  letture; Per  cui  le  facultà  de' poverelli Non  sonò  mai  nelle  città  sicure. Avea  dietro  e  dinanzi,  e  d'ambo  i  lati, Notaj,  procuratori  ed  avvocati.85  La  cMama  a  sé  Michele,  e  le  comanda Che  tra  i  più  forti  Saradni  scenda, E  cagion  trovi,  che  (•A>n  memoranda Rnina  in"ieme  a  guerreggiar  gli  accenda. Poi  del  Silenzio  nuova  le  domanda: Facilmente  esser  può  chessa  nMntenda, Siccone  quella  ch  accendendo  fochi Di  qua  e  di  là  va  per  diversi  lochi. 86  Rispose  la  Discordia:  Io  non  ho  a  mente In  alcun  loco  averlo  mai  veduto:Udito  l'ho  ben  nominar  sovente, £  molto  commendarlo  per  astuto. Ma  la  Fraude,  una  qui  di  nostra  gente, Che  compagnia  talvolta  gli  ha  tenuto, Penso  che  dir  te  ne  saprà  novella; E  verso  nna  alzò  il  dito,  e  disse:  É  quella. 87  Avea  piacevol  viso,  abito  onesto, Un  umil  volger  d'occhi,  un  andar  grave. Un  parlar  si  benigno  e  si  modesto, Che  parea  Gabriel  che  dicesse:  Ave. Ehi  brutta  e  deforme  in  tutto  il  resto; Ma  nascondea  queste  fattezze  prave Con  lungo  abito  e  largo;  e  sotto  quello, Attossicato  avea  sempre  il  coltello. 88  Domanda  a  costei  V  Angelo,  che  via Debba  tener,  si  che  '1  Silenzio  trove. Disse  la  Fraude:  Già  costui  solia Fra  virtudi  abitare,  e  non  altrove Con  Benedetto,  e  con  quelli  d'Elia Nelle  badie,  quando  erano  ancor  nuove; Fé' nelle  scuole  assai  della  sua  vita Al  tempo  di  Pitagora  e  d'Archita. 89  Mancati  quei  filosofi  e  quei  santi Che  lo  solean  tener  pel  cammin ritto,Daglionesti  costumi  eh'  avea  innanti, Fece  alle  scelleraggini  tragitto. Cominciò  andar  la  notte  con  gli  amanti, Indi  coi  ladri,  e  fare  ogni  delitto. Molto  col  Tradimento  egli  dimora: Veduto  l'ho  con  l'Omicidio  ancora. 90  Con  quei  die  fals<)n  le  monete  ha  usanza Di  ripararsi  in  qualche  buca  scura. Cosi  spesso  compagni  muta  e  stanza, Che'l  ritrovarlo  ti  saria  ventura. Ma  pur  ho  d'insegnartelo  speranza, Se  d'arrivare  a  mezza  notte  h&i  cura Alla  casa  del  Sonno:  senza  fallo Potrai  (che  qui  dorme)  ritrovallo. 91  Benché  soglia  la  Fraude  esser  bugiarda, Pur  è  tanto  il  suo  dir  simile  al  vero. Che  l'Angelo  le  crede;  indi  non  tarda A  volarsene  fuor  del  monastero. Tempra  il  batter  dell'ale,  e  studia  e  iroanla Giungere  in  tempo  al  fin  del  suo  sentiero. Ch'alia. casa  del  Sonno,  che  ben  dove Era  sapea,  questo  Silenzio  trove. 92  Giace  in  Arabia  una  valletta  amena, Lontana  da  cittadi  e  da  villaggi. Ch'ali' ombra  di  duo  monti  è  tutta  piena D'antiqui  abeti  e  di  robusti  faggi. Il  Sole  indarno  il  chiaro  di  vi  mena; Che  non  vi  può  mai  penetrar  coi  nggì. Si  gli  è  la  via  da  folti  rami  tronca: E  quivi  entra  sotterra  una  spelonca. 93  Sotto  la  negra  selva  una  capace E  sparì'osa  grotta  entra  nel  sasso, Di  cui  la  fronte  l'edera  seguace Tutta  aggirando  va  con  storto passo. In  questo  albergo  il  grave  Sonno  giace; L'Ozio  da  un  canto  corpulento  e  grasso, Dall'altro  la  Pigrizia  in  terra  siede, Che  non  può  andare,  e  mal  reggesi  m  piede. 94  Lo  smemorato  Oblio  sta  su  la  porta; Non  lascia  entrar  né  riconosce  alcuno; Non  ascolta  imbasciata,  né  riporta; E  parimente  tien  cacciato  ognuno. Il  Silenzio  va  intomo,  e  fa  la  scorta Ha  le  scarpe  di  feltro  e  '1  mantel  brano; Ed  a  quanti  n'  incontra,  di  lontano, Che  non  debban  venir,  cenna  con  mano. 95  Se  gli  accosta  all'orecchio,  e  pianamente L'Angel  gli  dice:  Dio  vuol  che  tu  gnidi A  Parigi  Rinaldo  con  la  gente Che  per  dar,  mena,  al  suo  signor  sassidi; Ma  che  lo  facci  tanto  chetamente, Ch'  alcun  de'  Saracin  non  oda  i  gridi; Si  che  più  tosto  che  ritrovi  il  calle La  Fama  d'avvisar,  gli  abbia  alle  spalle. 96  Altrìmente  il  Silenzio  non  rispose Che  col  capo  accennando  che  fria; E  dietro  ubbidiente  se  gli  pose, E  furo  al  primo  volo  in  Piccardia. Michel  mosse  le  squadre  coraggiose, E  fé'  lor  breve  un  gran  tratto  di  via; Si  che  in  un  dì  a  Parigi  le  condusse, Né  alcun  s'avvide  che  miracol. fosse. 97  Disconreva  il  SMeniìo;  e  tatto  volto, E  dinansi  alle  squadre  e  d'ogn intorno, Facea  girare  nnalto  nebbia  in  volto, Ed  avea  chiaro  ogni  altra  parte  il  giorno: E  non  lasciava questo  nebbia  folto, Che  s  udisse  di  fnor  tromba  nò  corno:Poi  nandò  tra' pagani,  e  menò  seco Un  non  so  che,  eh' ognun  fé' sordo  e  cieco. 98  Mentre  Rinaldo  in  tol  fretto  venia, Che  ben  parea  dall' Angelo  condotto, E  con  silenzio  tol  che  non  s'udia Nel  campo  saracin  farsene  motto; Il  re  Agramante  avea  la  fanteria Messo  ne'  borghi  di  Parigi,  e  sotto Le  minacciate  mura  in  su  la  fossa, Per  far  quel  di  l'estremo  di  sua  possa. 99  Chi  può  contar  l'esercito  che  mosso Questo  di  con  tra  Carlo  ha  '1  re  Agramante, Conterà  ancora  in  su  l'ombroso  dosso Del  silvoso  Appennin  tutte  le  piante: Dirà  quante  onde,  quando  è  il  mar  più  grosso, Bagnano  i  piedi  al  manritono  Atlante; E  per  quanti  occhi  il  ciel  le  furtive  opre Degli  amatori  a  mezza  notte  scuopre. 100  Le  campane  si  sentono  a  martello Di  spessi  colpi  e  spaventosi  tocche; Si  vede  molto,  in  questo  tempio  e  in  quello, Alzar  di  mano  e  dimenar  di  bocche. Se'l  tesoro  paresse  a  Dio  si  bello, Come  alle  nostre  opinioni  sciocche, Questo  era  il  di  che'l  santo  consistoro Fatto  avria  in  terra  ogni  sua  stetua  d'oro. 101  S'odon  rammaricare  i  vecchi  giusti, Che  s'erano  serbati  in  quegli  affanni, E  nominar  felici  i  sacri  busti Composti  in  terra  già  molti  e  molt'  anni. Ma  gli  animosi  giovani  rob:i"ti, 

Che  miran  poco  i  lor  propinqui  danni, Sprezzando  le  ragion  de' più  maturi, Di  qua  di  là  vanno  correndo  a'  muri 102  Quivi  erano  baroni  e  paladini, Re,  duci,  cavalier,  marchesi  e  conti, Soldati  forestieri  e  cittadini, Per  Cristo  e  pel  suo  onore  a  morir  pronti, Che,  per  uscire  addosso  ai  Saracini, Pregan  l'imperator  ch'abbassi  i  ponti. Gode  egli  di  veder  l'animo  audace; Ma  di  lasciarli  uscir  non  li  compiace. 103    E  li  dispone  in  opportuni  lochi. Per  impedire  ai  barbari  la  via. Là  si  contenta  che  ne  vadan  pochi; Qua  non  basto  una  grossa  compagnia. Alcuni  han  cura  maneggiare  i  fuochi, Le  macchine  altri,  ove  bisogno  sia. Carlo  di  qua  di  là  non  sta  mai  fermo; Va  soccorrendo,  e  fa  per  tutto  schermo. Staii7.a  i02. 104  Siede  Parigi  in  una  gran  pianura, Nell'ombilico  a  Francia,  anzi  nel  core; Gli  passa  la  riviera  entro  le  mura, E  corre,  ed  esce  in  altra  parte  fuore; Ma  fa  un'isola  prima,  e  v'assicura Della  città  una  parte,  e  la  migliore:L'altre  due  (ch'in  tre  parti  è  la  gran  terra) Di  fuor  la  fossa,  e  dentro  il  fiume  serra. 105  Alla  città,  che  molte  miglia  gira. Da  molte  parti  si  può  dar  battoglia: Ma  perchè  sol  da  un  canto  assalir  mira, Né  volentier  l'esercito  sbaraglia, Oltre  il  fiume  Agramante  si  ritira Verso  Ponente,  acciò  che  quindi  assaglia; Perocché  né  cittade  né  campagna Ha  dietro,  se  non  sua,  fin  alla  Spagna.106    Dovuniìae  intorno  il  gran  muro  circonda. Gran  munizioni  avea  già  Carlo  fatte, Fortificando  d'argine  ogni  sponda, Con  scannafossi  dentro  e  casematte: Ond' entra  nella  terra,  ond' esce  V  onda, Grossissime  catene  aveva  tratte; Ma  fece,  più  ch'altrove,  provvedere Là  dove  avea  più  causa  di  temere. btanza  116. 107  Con  occhi  dArgo  il  figlio  di  Pipino Previde  ove  assalir  dovea  Agraraante; E  non  fece  disegno  il  Saracino, A  cui  non  fosse  riparato  innante. Con  Ferraù,  Isoliero,  Serpentino, Grandonio,  Falsirone  e  Balugante, E  con  ciò  che  di  Spagna  avea  menato. Restò  Marsilio  alla  campagna  armato. 108  Sobrìn  gli  era  a  man  manca  in  ripa  a  Senna, Con  Pulian,  con  Dardinel  d'Almonte, Col  re  d'Oran,  ch'esser  gigante  accenna, Lungo  sei  braccia  dai  piedi  alla  fronte. Deh  perchè  a  muover  men  son  io  la  penna, Che  quelle  genti  a  muover  l'arme  pronte? Chè'l  re  di  Sarza,  pien  d'ira  e  di  sdegno, Grida  e  bestemmia,  e  non  può  star  più  a  seo. 109  Come  assalire  a  vasi  pastorali, 0  le  dolci  reliquie  de' convivi, Soglion  con  rauco  suon  di  stridule  ali Le  impronte  mosche  a'  caldi  giorni  estivi; Come  gli  stomi  a' rosseggianti  pali Vanno  di  mature  uve;  così  quivi, 

Empiendo  il  ciel  di  grida  e  di  rumori, Veniano  a  dare  il  fiero  assalto  i  Mori. 1 10  L'esercito  Cristian  sopra  le  mura Con  lance,  spade  e  scuri  e  pietre  e  fuoco Difende  la  città  senza  paura, E  il  barbarico  orgoglio  estima  poco; £  dove  morte  uno  ed  un  altro  fura, Non  è  chi  per  viltà  ricusi  il  loco. Tornano  i  Saracin  giù  nelle  fosse A  furia  di  ferite  e  di  percosse. Ili    Non  ferro  solamente  vi  s'adopra. Ma  grossi  massi,  e  merli  integri  e  saldi, E  muri  dispiccati  con  molt'opra, Tetti  di  torri,  e  gran  pezzi  di  spaldi. L'acque  bollenti  che  vengon  di  sopra. Portano  a' Morì  insopportabil  caldi; E  male  a  questa  pioggia  si  resiste, Ch'entra  per  gli  elmi,  e  fa  acciecar  le  viste. 112    E  questa  più  nocea  che'l  ferro  quasi: Or  che  de' far  la  nebbia  di  calcine? Or  che  doveano  far  li  ardenti  vasi Con  olio  e  zolfi  e  peci  e  trementine? 1  cerchj  in  munizion  non  son  rimasi, Che  d'ogn' intomo  hanno  di  fiamma  il  crine: Questi,  scagliati  per  diverse  bande, Mettono  a'  Saracini  aspre  ghirlande. 118    Intanto  il  re  di  Sarza  avea  cacciato Sotto  le  mura  la  schiera  seconda, Da  Buraldo,  da  Onuida  accompagnato, Quel  Garamante,  e  questo  di  Marmonda Clarindo  e  Soridan  gli  sono  a  lato:Né  par  che  '1  re  di  Setta  si  nasconda:Segue  il  re  di  Marocco  e  quel  di  Cosca, 

Ciascun  perchè  il  valor  suo  si  conosca. 114    Nella  bandiera,  eh'  è  tutta  vermiglia, Rodomonte  di  Sarza  il  leon  spiega. Che  la  feroce  bocca  ad  una  briglia Che  gli  pon  la  sua  donna,  aprir  non  niega. Al  leon  sé  medesimo  assimiglia; E  per  la  donna  che  lo  frena  e  lega, La  bella  Doralice  ha  figurata, Figlia  di  Stordilan  re  di  Granata: 115    Quella  che  tolto  avea,  compio  narrava, Be  Mandricardo;  e  dissi  dove  e  a  coi. Era  costei  che  Rodomonte  amava Più  che  U  suo  regno  e  più  che  gli  occhi  sui; E  cortesia  e  valor  per  lei  mostrava, Non  già  sapendo  eh'  era  in  forza  altrui:Se  saputo  T avesse,  allora  allora Fatto  avria  quel  che  fé  quel  giorno  ancora. IIG    Sono  appoggiate  a  un  tempo  mille  scale, Che  non  han  men  di  dua  per  ogni  grado. Spìnge  il  secondo  quel  ch'innanzi  sale: Che  il  terzo  lui  montar  fa  suo  mal  grado. Chi  per  virtù,  chi  per  paura  vale:Convien  eh'  ognun  per  forza  entri  nel  guado; Che  qualunque  s'adagia,  il  re  d'Algiere, Rodomonte  crudele,  uccide  o  fere. 117  Ognun  dunque  si  sforza  di  salire Tra  il  fuoco  e  le  mine  in  su  le  mura. Ha  tutti  gli  altri  guardano  se  aprire Veggiano  passo  ove  sia  poca  cura:Sol  Rodomonte  sprezza  di  venire Se  non  dove  la  via  meno  è  sicura. Dove  nel  caso  disperato  e  rio Gli  altri  fan  voti, eglibestemmia  Dio. 1 1 8  Armato  era  d'un  forte  e  duro  usbergo, Che  fu  di  drago  una  scagliosa  pelle. Di  questa  già  si  cinse  il  petto  e  '1  tergo Quello  avol  suo  ch'edificò  Babelle. E  si  pensò  cacciar  dell' aureo  albergo, E  tórre  a  Dio  il  governo  delle  stelle:L'elmo  e  lo  scudo  fece  far  perfetto, E  il  brando  insieme;  e  solo  a  questo  effetto. 119  Rodomonte,  non  già  men  di  Nembrotte Indomito,  superbo  e  furibondo. Che  d'ire  al  ciel  non  tarderebbe  a  notte. Quando  la  strada  si  trovasse  al  mondo, Quivi  non  sta  a  mirar  s' intere  o  rotte Sieno  le  mura,  o  s' abbia  V  acqua  fondo:Passa  la  fossa,  anzi  la  corre,  e  vola. Nell'acqua  e  nel  pantan  fino  alla  gola. 120  Di  feingo  brutto  e  molle  d'acqua,  vanne Tra  il  foco  e  i  sassi  e  gli  archi  e  le  balestre, Come  andar  suol  tra  le  palustri  canne Della  nostra  Mallea  porco  silvestre. Che  col  petto,  col  grifo  e  con  le  zanne Fa,  dovunque  si  volge,  ampie  finestre. Con  lo  scudo  alto  il  Saracin  sicuro Ne  vien  sprezzando  il  ciel,  non  che  quel  muro. 121  Nju  si  tosto  all'asciutto  è  Rodomonte. Che  giunto  si  sentì  su  le  bertesche, Che  dentro  alla  muraglia  facean  ponte Capace  e  largo  alle  squadre  fìrancesche. Or  si  vede  spezzar  più  d'una  fronte, Far  chieriche  maggior  delle  fratesche. Braccia  e  capi  volare,  e  nella fossaCader  da' muri  una  fiumana  rossa. 122  Getta  il  pagan  lo  scudo,  e  a  duo  man  prende La  crudel  spada,  e  giunge  il  duca  Arnolfo. Costui  venia  di  là  dove  discende L'acqua  del  Reno  nel  salato  golfo. Quel  miser  contra  lui  non  si  difende Meglio  che  faccia  contro  il  fuoco  il  zolfo. E  cade  in  terra,  e  dà  l'ultimo  crollo, Dal  capo  fesso  un  palmo  sotto  il  collo. 123  Uccise  di  rovescio  in  una  volta Anselmo,  Oldrado,  Spineloccio  e  Prando:Il  luogo  stretto  e  la  gran  turba  folta Fece  girar  si  pienamente  il  brando. Fu  la  prima  metade  a  Fiandra  tolta, L'altra  scemata  al  popolo  normando. Divise  appresso  dalla  fronte  al  petto, Et  indi  al  ventre,  il  maganzese  Orghetto. 124  Getta  da'  merli  Andropono  e  Moschino Giù  nella  fossa;  il  primo  è  sacerdote; Non  adora  il  secondo  altro  che'l  vino, E  le  bigonce  a  un  sorso  n'  ha  già  vuote. Come  veueno  e  sangue  viperino L'acqua  fuggia  quanto  fuggir  si  puote: Or  quivi  muore;  e  quel  che  più  l'annoia, É  '1  sentir  che  nell' acqua  se  ne  muoia. 126    Tagliò  in  due  parti  il  provenzal  Luigi, E  passò  il  petto  al  tolosano  Arnaldo. Di  Torse  Oberto,  Claudio,  Ugo  e  Dionigi Mandar  lo  spirto  fuor  col  sangue  caldo; E  presso  a  questi  quattro  da  Parigi. Gualtiero,  Satallone,  Odo  et  Ambaldo, Ed  altri  molti:  ed  io nonsaprei  come Di  tutti  nominar  la  patria  e  il  nome. 126    La  turba  dietro  a  Rodomonte  presta Le  scale  appoggia,  e  monta  in  più  d'un  loco. Quivi  non  fanno  i  parigin  più  testa; Che  la  prima  difesa  lor  vai  poco. San  ben  eh'  agli  nemici  assai  più  resta Dentro  da  fare,  e  non  l'avran  da  gioco; Perchè  tra  il  muro  e  l'argine  secondo Discende  il  fosso  orribile  e  profondo. 127  Oltra  che  i  nostri  facciano  difesa Dal  basso  air  alto,  e  mostrino  valore; Naova  gente  succede  alla  contesa Sopra  Perta  pendice  interiore, Che  fa  con  lance  e  con  saette  offesa Alla  gran  moltitudine  di  fùore, Che  credo  ben  che  saria  stata  meno, Se  non  vera  il  figliaci  del  re  Ulieno. 128  Egli  questi  conforta,  e  qnei  riprende, E  lor  mal  grado  innanzi  se  gli  caccia: Ad  altri  il  petto,  ad  altri  il  capo  fende, Che  per  ftiggir  veggia  voltar  la  faccia. Molti  ne  spinge  ed  urta;  alcuni  prende Pei  capelli,  pel  collo  e  per  le  braccia: E  sozzopra  laggiù  tanti  ne  getta, Che  quella  fossa  a  capir  tutti  è  stretta. 129  Mentre  lo  stuol  de barbari  si  cala. Anzi  trabocca  al  periglioso  fondo, Et  indi  cerca  per  diversa  scala Di  salir  sopra  l'argine  secondo; n  re  di  Sarza  (come  avesse  un'ala Per  dascun  de' suoi  membri)  levò  il  pondo Di  si  gran  corpo  e  con  tant'  arme  indosso, E  netto  si  lanciò  di  là  dal fosso. 131  In  questo  tempo  i  nostri,  da  chi  teae L'insidie  son  nella  cava  profonda, Che  v'han  scope  e  fascine  in  copia  stese, Intorno  a'  quai  di  molta  pece  abbonda, Né  però  alcuna  si  vede  palese, Benché  n'ò  piena  l'una  e  l'altra  sponda Dal  fondo  cupo  insino  all'orlo  quasi; E  senza  fin  v'  hanno  appiattati  vasi, 132  Qual  con  salnitro,  qual  con  olio,  qaale Con  zolfo,  qual  con  altra  simil  esca: I  nostri  in  questo  tempo,  perchè  male Ai  Saracini  il  folle  ardir  riesca, Ch'eran  nel  fosso,  e  per  diverse  scale Credean  montar  su  l'ultima  bertesca; Udito  il  segno  da  opportuni  lochi, Di  qua  e  di  là  fenno  avvampare  i  fochi. 133  Tornò  la  fiamma  sparsa  tutta  in  una, Che  tra  una  ripa  e  l'altra  ha'l  tutto  pieno; E  tanto  ascende  in  alto,  eh'  alla  luna Può  d'appresso  asciugar  l'umido  seno. Sopra  si  volve  escura  nebbia  e  bruna, Che  '1  sole  adombra,  e  spegne  ogni  sereno. Sentesi  un  scoppio  in  un  perpetuo  suono. Simile  a  un  grande  e  spaventoso  tuono. 130    Poco  era  men  di  trenta  piedi,  o  tanto; Ed  egli  il  passò  destro  come  un  veltro, E  fece  nel  cader  strepito,  quanto Avesse  avuto  sotto  i  piedi  il  feltro: Ed  a  questo  ed  a  quello  affrappa  il  manto, Come  sien  l'arme  di  tenero  peltro, E  non  di  ferro,  anzi  pur  sien  di  scorza:Tal  la  sua  spada,  e  tanta  è  la suaforza. 134    Aspro  concento,  orribil  armonia D'alte  querele,  d'ululi  e  di  strida Della  misera  gente  che  perla Nel  fondo  per  cagion  della  sua  guida, Istranamente  concordar  s'udia Col  fiero  suon  della  fiamma  omicida. Non  più,  signor,  non  più  di  questo  Canto; Ch'io  son  già  rauco,  e  vo' posarmi  alquanto. NOTE. St.  3.  v.1.   Marini:  con  questo  nome  erano  cono sciuti alcuni  popoli  della  Gallla  Belgica,  ai  quali  ap paitenevano  i  porti  di  Calais  e  Boulogne,  detti  allor" Jciua  portus  e  Oessoriacum  In  questa  e  nelle  Stanze che  seguono,  fino  alla  nona,  parlasi  della  battaglia  di Ravenna  accennata  nel  Canto  III,  e  seguita  tra  V  eser cito francese  e  le  collegate  truppe  pontificie  e  spagnuole. St.  4.  V.38.   Le  ricche  Giande  (ghiande)  d'oro.  Al lude il  Poeta  al  potere  di  Giulio  II  di  casa  della  Rovere, che  aveva  nello  stemma  gentilizio  una  quercia.   Il Baaton  ffiallo  e  vermiglio  indica  le  forze  di  Spagna, nella  cui  bandiera  campeggiano  ancora  quei  due  colori.  Nel  Giglio  è  denotata  la  Francia.   Il  suo  Fabrizio a  Roma.  Fabrizio  Colonna,  condottiero  degli  Spagnuoli, cadde  allora  prigioniero  dei  soldati  di  Alfonso,  il  quale, rifiutatosi  di  consegnarlo  ai  Francesi  che  lo  volevano, lo  rimandò  libero  al  papa. St.  5.  v.8   Non  giovar  spiedi  né  carra.  Instile riuscìagli  Spagnuoli,  in  quel  fatto,  Tnso  dì  certi  cani guarniti  di  lance,  che  si  adoperavano  neirantica  milizia per  rompere  le  file  del  nemico.St.  6.  V.4.   Il  capitan  di  Francia  morto  in  quel 1  impi'esa,  era  Gastone  di  Foix. ST.  7.  V.4.   Non  croscè,  non  si  scarìohL  St.  8.  V.3.   Laurea  IHordaligif  ò  il  giglio,  stemma di  Francia  in  quel  tempo. St.  9.  V.14.   0  misera  Ravenna,  eec.  Prima  che seguisse  quella  battaglia,  Brescia,  ohe  aveva  resistito  ai Francesi,  ebbe  da  loro  il  saccheggio;  ma  Faenza  e  Ri mini ne  furono  esenti,  ricevendoli  senza  opporsi, Ivi.  V.&.   Il  Poeta  esorta  il  re  Luigi  a  mandare il  suo  maresciallo  Giangiacomo  Trivalzio  a  frenare  Un continenza  dei  Francesi,  stata  ad  essi  cagione  di  rovina in  più  circostanze. St  11.  V.7.   Navarra:  antico  rejno  delle  Spagne verso  i  Pirenei. St.  12.  V.18.   Leone:  altro  regno  antico  delle  Spa gne.  Algarìn,  o  Algarvia:  provincia  già  della  Spa gna, ora  del  Portogallo,  che  comprende  le  comarche  di Faro.  Tavira  e  Lagos.    Malaga: città  marittima  di Granata.   Siviglia:  città  neir Andalusia  sulla  sinistra del  Guadalquivir.   Gode,  o  Cadice: città  marittima e  forte  della  stetsa  provincia,  nella  piccola  isola  di  Leon. Cordova: egualmente  neir  Andalusia,  alle  falde  della Sierra  Morena,  sulla  destra  del GuadcJquivir.  Questo fiume,  chiamato  Bcetis  dai  Latini,  ha  origine  nei  monti limitrofi  alle  intendenze  di  Granata,  di  Mnrcia  e  di  Jaen, e  traversa  tutta  l'Andalusia. •  St.  13.  v.38.   Granata: già  capitaneria  di  Spagna, con  tìtolo  di  Regno.   Vlisbona,  o  Lisbona.   Maio rica: la  maggiore  delle  Baleari.   Maricoldo,  re  di  Ga lizia, era  il  padre  d'Isabella,  ucciso  da  Orlando. St.  14.  v.18.   Toledo  e  Calatrava,  nella  Nuova Castiglia.   Guadiana: fiume  che  ha  origine  nella  Man cia, traversa  TEstremadura,  ed  entra  nel  Portogallo,  lam bendo la  frontiera  orientale  dell'Algarvla.   Asturga:oggi  le  Asturie.   Avita:  nella  Vecchia  Castiglia. St.  15.  V.1.   Saragosa:  Saragozza  (Aragona). St.  16.  V.4.   Sagontino  conte.  Sagunto,  antica  città di  Spagna,  distrutta  ed  arsa  dagli  abitanti  per  non  ce dere ai  Romani,  è  Todiema  Morviedro  (Valenza). St.  17.  V.48.   Orano: città  d'Algeri,  sul  Mediter raneo.   Garamanti: popoli  dell'Africa  interiore,  quelli probabilmente  che  diconsi  ora  Tìbbous. St.  18.  V.1.   Marmonda:  corrisponde  forse  a  Mah mon,  città  marittima,  a  levante  di  Fez. St.  19.  V.13.   Ad  evitare  la  prolissità  in  cui  si  ca drebbe nello  spiegare  ad  uno  ad  uno  i  molti  nomi  dei luoghi  africani  che  s' incontrano  fino  alla  St  28,  si  ri mette il  lettore  ai  lessici  dell'antica  Geografia;e  solo si  notano  quei  nomi  che  sembrano  più  importanti.  Tin gitana  del  quarto  verso,  nome  antico  che  corrisponde al  moderno  impero  di  Marocco. St.  21.  v.6.   Costantina:  l'antica  Oirta,  patria  di Massinissa  e  diGiugurta.  Oggi  ò  capoluogo  della  provin cia omonima  nello  Stato  d'Algeri,  dalla  parte  orientale. St.  22.  V.25.   Setta,  ora  Ceuta,  sullo  stretto  di  Gi bilterra a  levante,  e  a  non  molta  distanza  da  Tanger.  Fizano,  verosimilmente  il  Fezzan,  provincia  dello Stato  di  Tripoli,  formata  da  varie  oasi  del  deserto  di Barca. St.  23.  v.7.   Getulia: nome  dato  dagli  antichi  ad una  regione  africana  che  giace  a  mezzodì  della  Mauri tania e  a  settentrione  del  fiume  Niger. St.  25.  V.38   Sarza:  potrebb'essere  Sargel,  pro vincia marittima  del  Regno  d'Algeri,  notata  con  questo nome  dagli  antichi  geografi;  se  pure  non  dovesse  inten dersi la  città  che  i  Latini  dissero  Saldce;  ed  allora corrisponderebbe  a  Bugia,  luogo  forte  sul  Mediterraneo tra  Algeri  e  Costantina.  Nei  due  ultimi  versi  si  vogliono denotare  i  mesi  di  novembre  e  dicembre,  nei  quali sole,  passando  per  i  segni  del  sagittario  e  del  capricorno, apporta  l'inverno. St.  34.  v.4.   Villano: è  il  nome  che  si  dà  ad  una razzi  particolare  di  cavalli  in  Ispagna St.  38.  v.78.   Ocricoli  o  Otricoli,terricciuola  che s'incontra  sulla  via  di  Roma. St.  53.  V.7.   Ubino,  specie  di  cavallo  mansueto. St.  66.  y,  d.   Ré  del  Garbo: re  d' Algarvia,  detta più  sopra  Algarbi. St.  68.  V.6.   AgVinimici  stigi:  ai  diavoli. St.  7:.  v.58.   Difendi,  ecc.  I  crociati  fecero  l'im presa di  Palestina  posteriormente  ai  tempi  di  Carlo Magno: tale  anacronismo  è  scusabile  in  un  poema  10 manzesco  come  V Orlando  Furioso. St.  77.  v.8.   72  benedetto  augel:  l'angelo. St.  8.  V.58.   Con  Benedetto,  ecc.  San  Benedetto fondò  il  suo  ordine  monastico  in  Monte  Cassino,  e  al profeta  Elia  si  attribuisce  Tistituzione  dei  Carmelitani.  Pitagora  e  Archita  imponevano  ai  loro  discepoli  un silenzio  di  cinque  anni. St.  101.  v.3.   J  saeri  busti.  I  Latini  chiamarono bustum  il  luogo  ove  si  ardevano  i  cadaveri: qui  vuoisi significare  i  cadaveri,  che  si  dicono  sacri,  cioè  invio labili. St.  101  V.3.   La  riviera: la  Senna  che  divide  Parigi. St.  106.  V.4.   Scannafossi  e  casematte  sono  lavori sotterranei  di  difesa  alle  mura  delle  città  e  piazze  forti. St.  Ili,  V.4.   Spaldi:  ballatoi  praticabili  in  cima di  mura  e  torri. St.  118.  V.4.   Finge  il  Poeta  che  Rodomonte  di scenda da  Nembrot. St.  120.  V.4.   Mallea: luogo  palustre  sulla  sinistra del  Po  di  Volano,  vicino  al  mare,  e  copioso  di  cignali. St.  121.  v.2.   Bertesche,  specie  di  riparo  da  guerra, che  si  faceva  sulle  toiri  0  alle  porte  delle  città. St.  122.  V.34.   IH  là  dove  discende,  ecc.  Quivi vuoisi  indicare  l'Olanda. St.  123.  V.5.   Apparisce  da  questo  verso  che  i  primi due  erano  Fiamminghi. St.  125.  V.3.   Torse: Tours  nella  Turrena. St.  133.  V.34.   E  tanto  ascende,  ecc.: espressione iperbolica,  per  denotare  la  grande  altezza  delia  fiamma, e  l'umidità  attribuita  dagli  antichi  alla  luna. CANTO  DECIMOQUINTO. stansasa. AKGOIOINTO. iltiitrt!  ferve  ropiniguastiuoe  dì  Parigi,  Itodomoiiti;  pJielr" dentro lo  mura  fi  ella  città.  Astolfo  che  ha  ricevjito  dev  Lf>ip"ti]la  aii ti!  irò  mi  sturi  00  ti  uà  corno  dotata  di  siiigolure  \irtti.  si  pirte dei  lui  4  il  1  prò  ti  a  nel  golfo  di  Peiia.  Passa  in  Eiuoe  vi  f prigione  Iti  spietLto  Caligarante: va  poscia  a  D&tnijLtiL,    i\  i uccide  Urrìhj,  ladio&tì  tu  maOj  che  trova  allei  prese  cuu  Aqai lai] le  i'.  Grinfie.  Hlt"!ìì  coti  questi  a  Uernflakmmp, nata  da  SanaoiieLto  a  nome  di  Carlo,  GrifonQ  ha  "piacer oli notìzii  di  Urriiilleaua  dotina,  e  va  nasco sUmeij te  a  iJOvarU. 1  Fu  il  vincer  jsempre  iiiùi  laudabi!  cosa" Vinca bÌ  a  per  fortuna  o  per  ingegno  j Gli  è  ver  che  la  vittoria  sanguinosa Spesilo  far  ìiìi>le  il  capitan  meli  degno; E  Q  nel  la  eternamente  è  gloriosa, K  deidivini  onori  arriva  al  seno  r Quando,  iservandù  ì  èuuì  senza  alcun  danno. Si  fa  die  gl'inimici  in  rotta  vanno, 2  La  viistra,  signtjr  mio,  fn  degna  loda  " i /nandù  al  Leone,  in  mar  tanto  feroce, Cli'avea  occupìitiì  l'iina  e  l'altra  prwla Ilei  Po,  da  Frane  olia  £Ìn  alla  foce  " Faceste  si,  eh'  aDcorchè  ruggir  T  oda, S' io  vedrò  voi,  non  tremerò  alla  voce. Come  vincer  si  de' ne  dimostraste; Ch'  uccideste  i  nemici,  e  noi  salvaste. Questo  il  pagan,  troppo  in  suo  danno  audace, Non  seppe  far;  che  i  suoi  nel  fosso  spinse, Dove  la  fiamma  subita  e  vorace Non  perdonò  ad  alcun,  ma  tutti  estinse. A  tanti  non  saria  stato  capace Tutto  il  gran  fosso;  ma  il  foco  restrinse. Restrinse  i  corpi,  e  in  poUe  li  ridusse, Acciò  ch'abile  a  tutti  il  luogo  fnsse. Undici  mila  ed  otto  sopra  venti Si  ritrovar  nell'affocata  buca. Che  V erano  discesi  mal  contenti; Ma  cosi  volle  il  poco  saggio  duca. Quivi  fra  tanto  lume  or  sono  spenti, E  la  vorace  fiamma  li  manaca: E  Rodomonte,  causa  del  mal  loro, Se  ne  va  esente  da  tanto  martore; 9  Gente  infinita  poi  di  minor  conto De' Franchi,  de' Tedeschi  e  de' Lombardi, Presente  al  suo  signor,  cia.scuno  pronto A  farsi  riputar  fìra  i  più  gagliardi. Di  questo  altrove  io  vo'  rendervi  conto; Ch'ad  un  gran  duca  è  forza  ch'io  riainli, Il  qnal mi  grìA\  e  di  lontano  accenna, E  priega  ch'io  noi  lasci  nella  penna. 10  Gli  è  tempo  ch'io  ritomi  ove  lasciai L'avventuroso  Astolfo  d'Inghilterra, Che  '1  lungo  esilio  avendo  in  odio  ormai, Di  desiderio  ardea  della  sua  terra:Come  gli  n'avea  data  pur  assai Speme  colei  eh'  Alcina  vinse  in  guerra. Ella  di  rimandarvelo  avea  cura Per  la  via  più  spedita  e  più  sicura. 5  Che  tra' nemici  alla  ripa  più  intema Era  passato  d'un  mirabil  salto. Se  con  gli  altri  scendea  nella  cavema, Questo  era  ben  il  fin  d'ogni  suo  assalto. Rivolge  gli  occhi  a  quella  valle  infema; E  quando  vede  il  fuoco  andar  tant'  alto, E  di  sua  gente  il  pianto  ode  e  lo  strido. Bestemmia  il  Ciel  con  spaventoso  grido. 6  Intanto  il  re  Agramante  mosso  av&% Impetuoso  assalto  ad  una  porta; Che,  mentre  la  cradel  battaglia  ardea Quivi,  ove  è  tanta  gente  afflitta  e  morta, Quella  sprovvista  forse  esser  credea Di  guardia  che  bastasse  alla  sua  scorta. Seco  era  il  re  d'Arzilla  Bambirago, E  Baliverzo,  d'ogni  vizio  vago; 7  E  Corineo  di  Mulga,  e  Prusì'one, Il  ricco  re  dell'Isole  beate; Malabuferso,  che  la  regione Tien  di  Fizan  sotto  continua  estate: Altri  signori,  ed  altre  assai  persone Esperte  nella  guerra  e  bene  armate; E  molti  ancor  senza  valore  e  nudi, Che'l  cor  non  s'armerian  con  mille  scudi. 8 Trovò  tutto  il  contrario  al  suo  pensiero In  questa  parte  il  re  de'Saracini: Perchè  in  persona  il  capo  dell'impero V'  era,  re  Carlo,  e  de'  suoi  paladini, Re  Salamene  ed  il  danese  Uggiero, Ed  ambo  i  Guidi  ed  ambo  gli  Angelini, E  '1  duca  di  Baviera  e  Ganelone, E  Berlinger  e  Avolio  e  Avino  e  Otone. 11  E  cosi  una  galea  fu  apparecchiata, Di  che  miglior  mai  non  solcò  marina:E  perchè  ha  dubbio  pur  tutta  fiata, Che  non  gli  turbi  il  suo  viaggio  Alcina, Vuol  Logistilla  che  con  forte  armata Andronica  ne  vada  e  Sofrosina, Tanto  che  nel  mar  d'Arabi,  o  nel  golfo De' Persi  giunga  a  salvamento  Astolfo. 12  Piuttosto  vuol  che  volteggiando  rada Gli  Sciti  e  gì'  Indi  e  i  regni  nabatei, E  tomi  poi  per  cosi  lunga  strada A  ritrovare  i  Persi  e  gli  Eritrei; Che  per  quel  boreal  pelago  vada, Che  turbau  sempre  iniqui  venti  e  rei, E  si  qualche  stagion  pover  di  sole, Che  stame  senza  alcuni  mesi  suole. 13  La  Fata,  poi  che  vide  acconcio  il  tutto, Diede  licenzia  al  duca  di  partire, Avendol  prima  ammaestrato  e  instmtto Di  cose  assai,  che  fora  lungo  a  dire; E  per  schivar  che  non  sia  più  ridutto Per  arte  maga,  onde  non  possa  uscire, Un  bello  ed  util  libro  gli  avea  dato, Che  per  suo  amore  avesse  ognora  a  lato. 14  Come  l'uom  riparar  debba  agi'  incanti Mostra  il  libretto  che  costei  gli  diede:Dove  ne  tratta  o  più  dietro  o  più  innanti, Per  rubrica  e  per  indice  si  vede. Un  altro  don  gli  fece  ancor,  che  quanti Doni  fur  mai,  di  gran  vantaggio  eccede; E  questo  fu  d'orribil  suono  un  corno, Ohe  fa  fuggire  ognun  che  l'ode  intorno. 15  Pico  che'l  comò  é  di  si  orribil  snono, Ch ovunque  s'oda,  fa  faggir  la  gente. Non  può  trovarsi  al  mondo  un  cor  sì  buono Che  possa  non  fuggir  come  lo  sente. Rumor  di  vento  (;  di  tremuoto,  e  '1  tuono, A  par  del  suon  di  questo,  era  niente. Con  molto  riferir  di  grazie,  prese Dalla  Fata  licenzia  il  buono  Inglese. 16  Lasciando  il  porto  e  l'onde  più  tranquille, Con  felice  r"ura  ch'alia  poppa  spira, Sopra  le  ricche  e  populose  ville Dell' odorifera  India  il  duca  gira, Scoprendo  a  destra  ed  a  sinistra  mille Isole  sparse: e  tanto  va,  che  mira La  terra  di  Tommaso,  onde  il  nocchiero Più  a  tramontana  poi  volge  il  sentiero. 21  Ma,  volgendosi  gli  anni,  io  veggio  nsrire Dall'estreme  contrade  di  Ponente Nuovi  Argonauti  e  nuovi  Tifi,  e  aprire La  strada  ignota  infin  al  dì  presente: Altri  volteggiar  l'Africa,  e  seguire Tanto  la  costa  della  negra  gente. Che  passino  quel  segno  onde  ritomo Fa  il  sole  a  noi,  lasciando  il  capricorno; 22  E  ritrovar  del  lungo  tratto  il  fine. Che  questo  fa  parer  dui  mar  diversi: E  scorrer  tutti  i  liti  e  le  vicine Isole  d'Indi,  d'Arabi  e  di  Persi:Altri  lasciar  le  destre  e  le  mancine Rive,  che  due  per  opra  erculea  lèrsi:E  del  sole  imitando  il  cammin  tondo, Ritrovar  nuove  terre  e  nuovo  mondo. 17     Quasi  radendo  l'aurea  Chersonesso, La  bella  armata  il  gran  pelago  frange:E  costeggiando  i  ricchi  liti,  spesso Vede  come  nel  mar  biancheggi  il  Gange; E  Taprobane  vede,  e  Cori  appresso: E  vede  il  mar  che  fra  i  duo  liti  s'ange. Dopo  gran  via  furo  a  Cechino,  e  quindi Uscirò  fuor  dei  termini  degl'Indi. 23    Veggio  la  santa  Croce,  e  veggio  i  segni Imperiai  nel  verde  lito  eretti:Veggio  altri  a  guardia  dei  battuti  legni, Altri  all' acquisto  del  paese  eletti; Veggio  da  dieci  cacciar  mille,  e  i  regni Dì  là  dall' India  ad  Aragon  suggetti:E  veggio  i  capitan  di  Carlo  Quinto, Dovunque  vanno,  aver  per  tutto  vinto. 18  Scorrendo  il  duca  il  mar  con  sì  fedele E  sì  sicura  scorta,  intender  vuole . E  ne  domanda  Andronica,  se  de  le Parti  e'  han  nome  dal  cader  del  sole, 3Iai  legno  alcun,  che  vada  a  remi  e  a  vele, Nel  mare  orientale  apparir  suole; E  s'andar  può  senza  toccar  mai  terra. Ohi  d'India  scìoglia,  in  Francia  o  in  Inghilterra. 19  Tu  dei  sapere,  Andronica  risponde, Che  d'ogn'  intorno  il  mar  la  terra  abbraccia; E  van  r  una  nell' altratutte  1'  onde, Sia  dove  bolle  o  dove  il  mar  s'aggiaccia. Ma  perchè  qui  da  van  te  si  diffonde, E  sotto  il  mezzodì  molto  si  caccia La  terra  d'Etiopia,  alcuno  ha  detto Ch'a  Nettuno  ir  più  innanzi  ivi  è  interdetto. 24  Dio  vuol  ch'ascosa  antiquamente  questa Strada  sia  stata,  e  ancor  gran  tempo  stia:Né  che  prima  si  sappia,  che  la  sesta E  la  settima  età  passata  sia:E  serba  a  farla  al  tempo  manifesta. Che  vorrà  porre  il  mondo  a  monarchia Sotto  il  più  saggio  imperatore  e  giusto. Che  sia  stato  o  sarà  mai  dopo  Augusto. 25  Del  sangue  d'Austria  e  d'Aragon  io  veggit" Nascer  sul  Reno  alla  sinistra  riva Un  Principe,  al  valor  del  qual  pareggio. Nessun  valor,  di  cui  si  parli  o  scriva. Astrea  veggio  per  lui  riposta  in  seggio, Anzi  di  morta  ritornata  viva; E  le  virtù  che  cacciò  il  mondo,  quando Lei  cacciò  ancora,  uscir  per  lui  di  bando. 20    Per  questo  dal  nostro  inlieo  levante Nave  non  è  che  per  Europa  scioglia; Né  si  muove  d'Europa  navigante Ch'in  queste  nostre  parti  arrivar  voglia. Il  ritrovarsi  questa  terra  avante, E  questi  e  quelli  a  ritornare  invoglia; Che  credono,  veggendola  si  lunga, Che  con  l'altro  emisperio  si  congiunga. 26    Per  questi  merti  la  Bontà  suprema Non  solamente  di  quel  grande  impero Ha  disegnato  eh'  abbia  diadema, Ch'  ebbe  Augusto,  Traian,  Marco  e  Severo; Ma  d'ogni  terra  e  quinci  e  quindi  estrema. Che  mai  né  al  sol  né  all'anno  apre  il  seutieru; E  vuol  che  sotto  a  questo  imperatore Solo  un  ovile  sia,  solo  un  pastore. 27     E  perch'abbiair  più  facile  successo Gli  ordini  in  cielo  eternamente  scritti, Gli  pon  la  somma  Prowidenzia  appresso In  mare  e  in  terra  capitani  invitti. Veggio  Emando  Cortese,  il  quale  ha  messo Nuove  città  sotto  i  cesarei  editti, E  regni  in  Oriente  sì  remoti, Ch'a  noi  che  siamo  in  India  non  son  noti. 28    Veggio  Prosper  Colonna,  e  di  Pescara Veggio  un  marchese,  e  veggio  dopo  loro Un  giovene  del  Vasto,  che  fan  cara Parer  la  bella  Italia  ai  Gigli  d  oro:Veggio  ch'entrare  innanzi  si  prepara Quel  terzo  agli  altri  a  guadagnar  V  alloro; Come  buon  corridor  ch'ultimo  lassa Le  mosse,  e  giunge,  einnanzi  a  tutti  passa. Stanza  88. 29    Veggio  tanto  il  valor,  veggio  la  fede Tanta  d'Alfonso  (chè'l  suo  nome  è  questo), Ch'in  così  acerba  età,  che  non  eccede Dopo  il  vigesimo  anno  ancor  il  sesto, L'imperator  l'esercito  gli  crede. Il  qual  salvando,  salvar  non  che  'l  resto, Ma  farsi  tutto  il  mondo  ubbidiente Con  questo  capitan  sarà  possente. 30    Come  con  questi,  ovunque  andar  per  terra Si  possa,  accrescerà  l'imperio  antico; Così  per  tutto  il  mar  ch'in mezzo  serra Di  là  1'  Europa,  e  di  qua  l'Afro  aprico, Sarà  vittorioso  in  ogni  guerra. Poi  ch'Andrea  Doria  s'avrà  fatto  amico. Questo  è  quel  Doria  che  fa  dai  pirati Sicuro  il  vostro  mar  per  tutti  i  lati. 81    Non  fu  Pompeio  a  par  dì  costui  degno, Sebben  Tinse  e  cacciò  tutti  i  corsari; Perocché  quelli  al  più  possente  regno Che  fosse  mai,  non  poteano  esser  pari: Ma  questo  Dona  sol  col  proprio  ingegno E  proprie  forze  purgherà  quei  mari; Si  che  d  Calpe  al  Nilo,  ovunque  s  oda Il  nome  suo,  tremar  veggio  ogni  proda. 32  Sotto  la  fede  entrar,  sotto  la  scorta Di  questo  capitan  di  ch'io  ti  parlo, Veggio  in  Italia,  ove  da  lui  la  porta Gli  sarà  aperta,  alla  corona  Carlo. Veggio  che  '1  premio  che  di  ciò  riporta, Non  tien  per  sé,  ma  fo  alla  patria  darlo:Con  prieghi  ottien  ch'in  libertà  la  metta, Dove  altri  a  sé  Pavria  forse  suggetta. 33  Questa  pietà,  ch'egli  alla  patria  mostra, É  degna  di  più  onor  d'ogni  battaglia Ch'in  Francia  o  in  Spagna  o  nella  terra  vostra Vincesse  Giulio,  o  in  Africa  o  in  Tessaglia. Né  il  gran  Ottavio,  né  chi  seco  giostra Di  par,  Antonio,  in  più  T)noranza  saglia Pei  gesti  suoi;  eh'  ogni  lor  laude  ammorza L'avere  usato  alla  lor  patria  forza. 34  Questi  ed  ogn' altro  che  la  patria  tenta Di  libera  far  serva,  si  arrossisca; 

Né  dove  il  nome  d'Andrea  Doria  senta. Di  levar  gli  occhi  in  viso  d'uomo  ardisca. Veggio  Carlo  che  '1  premio  gli  augumenta; Ch'oltre  quel  ch'in  comun  vuol  che  fruisca, Gli  dà  la  ricca  terra  ch'ai  Normandi Sarà  principio  a  farli  in  Puglia  grandi. 35  A  questo  capitan  non  pur  cortese Il  magnanimo  Carlo  ha  da  tnostrarsi. Ma  a  quanti  avrà  nelle  cesaree  imprese Del  sangue  lor  non  ritrovati  scarsi. D'aver  città,  d'aver  tutto  un  paese Donato  a  un  suo  fedel,  più  rallegrarsi Lo  veggio,  e  a  tutti  quei  che  ne  son  degni. Che  d'acquistar  nuov'  altri  imperj  e  regni. 36  Cosi  delle  vittorie,  le  quai,  poi Ch'  un  gran  numero  d'anni  sarà  corso, Daranno  a  Carlo  i  capitani  suoi, Facea  col  duca  Andronica  discorso. E  la  compagna  intanto  ai  venti  eoi Viene  allentando  e  raccogliendo  il  morso; E  fa  eh'  or  questo  or  quel  propizio  l'esce; E,  come  vuol,  li  minuisce  e  cresce. 37  Veduto  aveano  intanto  il  mar  de' Persi Come  in  si  largo  spazio  si  dilaghi; Onde  vicini  in  pochi  giorni  fèrsi Al  golfo  che  nomar  gli  antiqui  maghi. Quivi  pigliare  il  porto,  e  ftur  conversi Con  la  poppa  alla  ripa  i  legni  vaghi; Quindi  sicur  d'Alcina  e  di  sua  guerra Astolfo  il  suo  cammin  prese  per  terra. 38  Passò  per  più  d'un  campo  e  più  d'un  bosco, Per  più  d'un  monte  e  per  più  d'una  valle; Ove  ebbe  spesso,  all' aer  chiaro  e  al  fosco, I  ladroni  or  innanzi  or  alle  spalle. Vide  leoni  e  draghi  pien  di  tosco. Ed  altre  fere  attraversargli  il  calle; Ma  non  si  tosto  avea  la  bocca  al  corno, Che  spaventati  gli  fnggian  d'intorno. 39  Vien  per  l'Arabia  eh'  è  detta  Felice, Ricca  di  mirra  e  d'odorato  incenso, Che  per  suo  albergo  l'unica  fenice, Eletto  s'ha  di  tutto  il  mondo  immenso; Finché  l'onda  trovò  vendicatrice Già  d'Israel,  che  per  divin  consenso Faraone  sommerse  e  tutti  i  suoi: E  poi  venne  alla  terra  degli  Eroi. 40  Lungo  il  fiume  Traiano  egli  cavalca Su  quel  destrier  eh'  al  mondo  é  senza  pare, Che  tanto  leggiermente  e  corre  e  valca, Che  nell'arena  l'orma  non  n'appare: L'erba  non  pur,  non  pur  la  neve  calca; Coi  piedi  asciutti  andar  potria  sul  mare:E  si  si  stende  al  corso  e  si  s'affretta, Che  passa  e  vento  e  folgore  e  saetta. 41  Questo  é  il  destrier  che  fu  dell'Argalia, Che  di  fiamma  e  di  vento  era  concetto; E  senza  fieno  e  biada  si  nutria Dell'aria  pura,  e  Rabican  fu  detto. Venne,  seguendo  il  duca  la  sua  via, Dove  dà  il  Nilo  a  quel  fiume  ricetto; E  prima  che  giugnesse  in  su  la  foce, Vide  un  legno  venire  a  sé  veloce. 42  Naviga  in  su  la  poppa  uno  eremita Con  bianca  barba,  a  mezzo  il  petto  lunga, Che  sopra  il  legno  il  paladino  invita; E: Fìgliuol  mio  (gli  grida  dalla  lunga). Se  non  t' é  in  odio  la  tua  propria  vita, Se  non  brami  che  morte  oggi  ti  giunga, Venir  ti  piaccia  su  quest'altra  arena; Ch'  a  morir  quella  via  dritto  ti  mena. 43     Tu  non  andrai  più  che  sei  miglia  innante, Che  troverai  la  sanguinosa  stanza, Dove  s'alberga  un  orribil  gigante Che  d'otto  piedi  ogni  statura  avanza. Non  abbia  cavaller  né  viandante Di  partirsi  da  lui,  vivo,  speranza:Ch'altri  il  crudel  ne  scanna,  altri  ne  scuoia; Molti  ne  squarta,  e  vivo  alcun  ne  'ngoia. 47  Fuggendo,  posso  con  disnor  salvarmi:Ma  tal  salute  ho  più  che  morte  a  schivo, S' io  vi  vo,  al  peggio  che  potrà  incontrarmi Fra  molti  resterò  di  vita  privo; Ma  quando  Dio  cosi  mi  drizzi  V  armi, Che  colui  morto,  ed  io  rimanga  vivo, Sicura  a  mille  renderò  la  via; Si  che  V  util  maggior  che  '1  danno  fia. 48  Metto  all'incontro  la  morte  d'un  solo Alla  salute  di  gente  infinita. Vattene  in  pace,  rispose,  figliuolo; Dio  mandi  in  difension  della  tua  vita L'arcangelo  Michel  dal  sommo  polo: E  benedillo  il  semplice  eremita. Astolfo  lungo  il  Nil  tenne  la  strada. Sperando  più  nel  suon,  che  nella  spada. Stanza  44. 44  Piacer  fra  tanta  crudeltà  si  prende D'una  rete  eh'  egli  ha  molto  ben  fatta:Poco  lontana  al  tetto  suo  la  tende, E  nella  trita  polve  in  modo  appiatta Che  chi  prima  noi  sa,  non  la  comprende; Tanto  è  sottil,  tanto  egli  ben  l'adatta:E  con  tai  gridi  i  peregrin  minaccia, Che  spaventati  dentro  ve  li  caccia. 45  E  con  gran  risa,  avviluppati  in  quella Se  li  strascina  sotto  il  suo  coperto; Né  cavalier  riguarda,  né  donzella, O  sia  di  grande  o  sia  di  picciol  merto: E  mangiata  la  carne,  e  le  cervella Succhiate  e  '1  sangue,  dà  l'ossa  al  deserto; E  dell'umane  pelli  intomo  intomo Fa  il  suo  palazzo  orribilmente  adomo. 46  Prendi  quest'  altra  via,  prendila,  figlio, Che  fin  al  mar  ti  fia  tutta  sicura. Io  ti  ringrazio,  padre,  del  consiglio, Eispose  il  cavalier  senza  paura; Ma  non  istimo  per  l'onor  periglio, Di  ch'assai  più  che  della  vita  ho  cura. Per  far  eh'  io  passi,  invan  tu  parli  meco; Anzi  vo  al  dritto  a  ritrovar  J[p  speco. stanza  45. 49    Giace  tra  Paltò  fiume  e  la  palude Picciol  sentìer  nell'arenosa  riva: La  solitaria  casa  lo  richiude, D'umanitade  e  di  commercio  priva. Son  fisse  intorno  teste  e  membra  nude Dell' infelice  gente  che  v'  arriva. Non  v'è  finestra,  non  v'è  merlo  alcuno, Onde  penderne  almen  non  si  veggia  uno. 50  Qoal  nelle  alpine  ville  o  ne' castelli Suol  cacciator  che  gran  perìgli  ha  scorsi. Su  le  porte  attaccar  V  irsute  pelli, L'orride  zampe  e  i  grossi  capi  d' orsi; Tal  dimostrava  il  fier  gigante  quelli Che  di  maggior  virtù  gli  erano  occorsi. D'altri  infiniti  sparse  appaion  l'ossa; Ed  è  di  sangue  uman  piena  ogni  fossa; 51  Stassi  Caligorante  in  su  la  porta; Che  così  ha  nome  il  dispietato  mostro Ch'orna  la  sua  magion  di  gente  morta, Come  alcun  suol  di  panni  d'oro  o  d'ostro. Costui  per  gaudio  a  pena  si  comporta, Come  il  duca  lontan  se  gli  è  dimostro; Ch'  eran  duo  mesi  e  il  terzo  ne  venia, Che  non  fu  cavalier  per  quella  via. Stanza  55. 52  Vèr  la  palude  oh'  era  scura  e  folta Di  verdi  canne,  in  gran  fretta  ne  viene, Che  disegnato  avea  correre  in  volta, E  uscire  al  paladin  dietro  alle  schiene; Che  nella  rete,  che  tenea  sepolta Sotto  la  polve,  di  cacciarlo  ha  spene  . Come  avea  fatto  gli  altri  peregrini Che  quivi  tratto  avean  lor  rei  destini. 53  Come  venire  il  paladin  lo  vede, Ferma  il  destrier  non  senza  gran  sospetto Che  vada  in  quelli  lacci  a  dar  del  piede, Di  che  il  buon  vecchierel  gli  avea  predetto. Quivi  il  soccorso  del  suo  corno  chiede; E  quel,  sonando,  fa  V  usato  effetto:Nel  cor  fere  il  gigante,  che  l'ascolta, Di  tal  timor,  eh'  addietro  i  passi  volta. 54    Astolfo  suona,  e  tuttavolta  bada; Che  gli  par  sempre  che  la  rete  scocchi. Fugge  il  fellon,  né  vede  ove  si  vada; Che,  come  il  core,  avea  perduti  gli  occhi. Tanta  è  la  tema,che  non  sa  far  strada. Che  ne' suoi  propri  agguati  non  trabocchi: Va  nella  rete: e  quella  si  disserra, Tutto  r  annoda,  e  lo  distende  in  terra. 56    Astolfo,  ch'andar  giù  vede  il  gran  peso, Già  sicuro  per  sé,  v'  accorre  in  fretta; E  con  la  spada  in  man .  d'arcion  disceso, Va  per  far  di  mill' anime  vendetta. Poi  gli  par  che,  s'uccide  un  che  sia  preso, Viltà,  più  che  virtù,  ne  sarà  detta; Che  legate  le  braccia,  i  piedi  e  il  collo Gli  vede  sì,  che  non  può  dare  un  crollo. 56  Avea  la  rete  già  fatta  Vulcano Di  sottil  fil  d'acciar;  ma  con  tal  arte, Che  saria  stata  ogni  fatica  invano Per  ismagliame  la  più  debil  parte: Ed  era  quella  che  già  piedi  e  mano Avea  legate  a  Venere  ed  a  Marte. La  fé'  il  geloso,  e  non  ad  altro  effetto, Che  per  pigliarli  insieme  ambi  nel  letto. 57  Mercurio  al  fabbro  poi  la  rete  invola, Che  Cloride  pigliar  con  essa  vuole, Cloride  bella  che  per  l'aria  vola Dietro  all' Aurora  all' apparir  del  Sole, E  dal  raccolto  lembo  della  stola Gigli  spargendo  va,  rose  e  viole. Mercurio  tanto  questa  Ninfa  attese. Che  con  la  rete  in  aria  un  di  la  prese. 58  Dov'entra  in  mare  il  gran  fiume  Etiope, Par  che  la  Dea  presa  volando  fosse:Poi  nel  tempio  d'Anubide  a  Canopo La  rete  molti  secoli  serbosse. Caligorante  tre  mila  anni  dopo, Di  là,  dove  era sacra,  la  rimosse; Se  ne  portò  la  rete  il  ladron  empio, Ed  arse  la  cittade,  e  rubò  il  tempio. 59  Quivi  adattolla  in  modo  in  su  l'arena, Che  tutti  quei  eh' avean  da  lui  la  caccia. Vi  davan  dentro;  ed  era  tocca  appena, Che  lor  legava  e  collo  e  piedi  e  braccia. Di  questa  levò  Astolfo  una  catena, E  le  man  dietro  a  quel  fellon  n'allaccia: Le  braccia  e'I  petto  in  guisa  gli  ne  fascia. Che  non  può  sciorsi: indi  levar  lo  lascia, 60  Dagli  altri  nodi  avendol  sciolto  prima; Ghiera  tornato  uman  più  che  donzella. Di  trarlo  seco,  e  di  mostrarlo  stima Per  ville,  e  per  cittadi  e  per  castella. Vnol  la  rete  anco  aver,  di  che  né  lima Né  martel  fece  mai  cosa  più  bella; Ne  fa  somier  colui,  eh alla  catena Con  pompa  trionfai  dietro  si  mena. 61  L'elmo  e  lo  scudo  anco  a  portar  gli  diede, Come  a  valletto,  e  seguitò  il  cammino, Di  gaudio  empiendo,  ovunque  metta  il  piede, Ch'ir  possa  ormai  sicuro  il  peregrino. Astolfo  se  ne  va  tanto,  che  vede Ch'ai  sepolcri  di  Memfi  é  già  vicino, Memfi  per  le  piramidi  famoso:Vede  all'incontro  il  Cairo  populoso. 62  Tutto  il  popol  correndo  si  traea Per  vedere  il  gigante  smisurato. Come  é  possibil,  l'un  l'altro  dicea, Che  quel  piccolo  il  grande  abbia  legato? Astolfo  appena  innanzi  andar  potea, Tanto  la  calca  il  preme  da  ogni  lato: 

E  come  cavalier  d'alto  valore Ognun  r  ammira,  e  gli  fa  grande  onore. 63  Non  era  grande  il  Cairo  così  allora, Come  se  ne  ragiona  a  nostra  etade:Che  '1  popolo  capir,  che  vi  dimora, Non  puon  diciotto  mila  gpran  contrade; £  che  le  case  hanno  tre  palchi,  e  ancora Ne  dormono  infiniti  in  su  le  strade; E  che  '1  Soldano  v'  abita  un  castello Blirabil  di  grandezza,  e  ricco  e  bello; Stanza  71. 64  E  che  quindici  mila  suoi  vassalli, Che  son  cristiani  rinnegati  tutti, Con  mogli,  con  famiglie  e  con  cavalli Ha  sotto  un  tetto  sol  quivi  ridutti. Astolfo  veder  vuole  ove  s'avvalli, E  quanto  il  Nilo  entri  nei  salsi  flutti A  Damiata;  ch'avea  quivi  inteso. Qualunque  passa  restar  morto  o  preso. 65  Però  ch'in  ripa  al  Nilo  in  su  la  foce Si  ripara  un  ladron  dentro  una  torre, Ch' a' paesani  e  a' peregrini  nuoce, E  fin  al  Cairo,  ognun  rubando,  scorre. Non  gli  può  alcun  resistere;  ed  ha  voce, Che  l'uom  gli  cerca  invan  la  vita  trre. Cento  mila  ferite  egli  ha  già  avuto; Né  ucciderlo  però  mai  s' è  potuto. 66  Per  veder  se  può  far  rompere  il  filo Alla  Parca  di  lui,  si  che  non  viva, Astolfo  viene  a  ritrovare  Orrilo (Così  avea  nome),  e  a  Damiata  arriva; Et  indi  passa  ov'  entra  in  mare  il  Nilo, E  vede  la  gran  torre  in  su  la  riva. Dove  s'alberga  l'anima  incantata. Che  d'un folletto  nacque  e  d'una  fata. 67  Quivi  ritrova  che  crudel  battaglia Era  tra  Orrilo  e  dui  guerrieri  accesa. Orrilo  è  solo;  e  sì  que'dui  travaglia, Ch'a  gran  fatica  gli  puon  far  difesa: E  quanto  in  arme  l'uno  e  l'altro  vaglia, A  tutto  il  mondo  la  fama  palesa. Questi  erano  i  dui  figli  d'Oliviero, Grifone  il  bianco,  ed  Auilante  il  nero, B8    Gli  è  ver  che'l  uecromanle  venuto  era Alla  battaglia  con  vantaggio  grande; Che  seco  tratto  in  campo  avea  una  fera, La  qual  si  trova  solo  in  quelle  bande:Vive  sul  lito,  e  dentro  alla  riviera; E  i  corpi  umani  son  le  sue  vivande, Delle  persone  misere  ed  incaute Di  vì'andauii  e  d'infelici  naute. Stanza  71. 69  La  bestia  nell'arena  appresso  al  porto Per  man  dei  duo  fratei  morta  giacca; E  per  questo  ad  Orril  non  si  fa  torto, S'a  un  tempo  l'uno  e  l'altro  gli  nocca. Più  volte  l'han  smembrato,  e  non  mai  morto; Né,  per  smembrarlo,  uccider  si  potea:Che  se  tagliato  o  mano  o  gamba  gli  era, La  rappiccava,  che  parca  di  cera. 70  Or  fin  a'  denti  il  capo  gli  divide Grifone,  or  Aquilante  fin  al  petto:Egli  dei  colpi  lor  sempre  si  ride; S'adiran  essi,  che  non  hanno  effetto. Chi  mai  d'alto  cader  l'argento  vide, Che  gli  alchimisti  hanno  mercurio  detto, E  spargere  e  raccor  tutti  i  suoi  membri, Sentendo  di  costui,  se  ne  rimembri. 

71  Se  gli  spiccano  il  capo,  Orrilo  scende. Né  cessa  brancolar  finché  lo  trovi; Ed  or  pel  crine  ed  or  pel  naso  il  prende, Lo  salda  al  collo,  e  non  so  con  che  chiovi:Pigliai  talor  Grifone,  e  '1  braccio  stende . Nel  fiume  il  getta,  e  non  par  eh' anco  giovi: Che  nuota  Orrilo  al  fondo  come  un  pesce. E  col  suo  capo  salvo  alla  ripa  esce. 72  Due  belle  donne  onestamente  ornate, vestita  a  bianco  e  l'altra  a  nero, Che  della  pugna  causa  erano  state, Stavano  a  riguardar  l'assalto  fiero. Queste  eran  quelle  due  benigne  fate Ch'  avean  nutriti  i  figli  d'Oliviero, Poi  che  li  trasson  teneri  zitelli Dai  curvi  artigli  di  duo  grandi  augelli; 73  Che  rapiti  gli  avevano  a  Gisraonda, E  portati  lontan  dal  suo  paese. Ma  non  bisogna  in  ciò  ch  io  mi  diffonda  . Ch'a  tutto  il  mondo  è  l'istoria  palese, Benché  V  autor  nel  padre  si  confonda, Ch'un  per  un  altro  (io  non  so  come)  prese. Or  la  battaglia  i  duo  gioveni  fanno. Che  le  due  donne  ambi  pregati  n  hanno. 74  Era  in  quel  clima  già  sparito  il  giorno, All'isole  ancor  alto  di  For:una: L'ombre  avean  tolto  ogni  vedere  attorno otto  l'incerta  e  mal  compresa  luna; Quando  alla  rócca  Orril  ftce  ritorno. Poi  ch'alia  bianca  e  alla  sorella  bruna Piacque  di  diff'erir  l'aspra  battaglia Finché'!  sol  novo  air  orizzonte  saglia. 75  Astolfo,  cheGrifone  ed  Aquilante Ed  all' insegne  e  più  al  ferir  gagliardo, Riconosciuto  avea  gran  pezzo  innante, Lor  non  fu  altero  a  salutar  né  tardo. Essi  vedendo  che  quel  che  '1  gigante Traea  legato  era  il  baron  dal  Pardo, (Che  cosi  in  corte  era  quel  duca  detto) Raccolser  lui  con  non  minore  affetto. 76  Le  donne  a  riposare  i  cavalieri Menare  a  un  lor  palagio  indi  vicino. Donzelle  incontra  vennero  e  scudieri Con  torchi  accesi,  a  mezzo  del  cammino. Diero  a  chi  n'  ebbe  cura  i  lor  destrieri; Trassonsi  l'arme;  e  dentro  un  bel  giardino Trovar  ch'apparecchiata  era  la  cena Ad  una  fonte  limpida  ed  amena. stanza  61. 77    Fan  legare  il  gigante  alla  verdura Con  un  altra  catena  molto  grossa Ad  una  quercia  di  moltanni  dura, Che  non  si  romperà  per  una  scossa; E  da  dieci  sergenti  averne  cura, Che  la  notte  discior  non  se  ne  possa, Ed  assalirli  e  forse  far  lor  danno, Mentre  sicuri  e  senza  guardia  stanno. 83    Alfin  di  mille  colpi  un  gli  ne  colse Sopra  le  spalle  ai  termini  del  mento: La  testa  e  V  elmo  dal  capo  gli  tolse, Né  fu  d'Orrilo  a  dismontar  più  lento. La  sanguinosa  chioma  in  man  s' avvolse; E  risalse  a  cavallo  in  un  momento; E  la  portò  correndo  incontraci  Nilo, Che  riaver  non  la  potesse  Orrìlo. 78  All'abbondante  e  sontuosa  mensa, Dove  il  manco piacer  fur  le  vivande, Del  ragionar  gran  parte  si  dispensa Sopra  d'Orrilo  e  del  miracol  grande. Che  quasi  par  un  sogno  a  chi  vi  pensa, Ch'or  capo  or  braccio  a  terra  se  gli  maude. Ed  egli  lo  raccolga  e  lo  raggiugna, E  più  feroce  ognor  tomi  alla  pugna. 79  Astolfo  nel  suo  libro  avea  già  letto, Quel  eh' agP incanti  riparare  insegna, Ch'  ad  Orril  non  trarrà  l'alma  del  petto Fin  eh' un  crine  fatai  nel  capo  tegna; Ma  se  lo  svelle  o  tronca,  fia  costretto Che,  suo  mal  grado,  fuor  l'alma  ne  vegna. Questo  ne  dice  il  libro:  ma  non  come Conosca  il  crine  in  così  folte  chiome. 80  Non  men  della  vittoria  si  godea. Che  se  n'  avesse  Astolfo  già  la  palma; Come  chi  speme  in  pochi  colpi  avea Svellere  il  crine  al  necromante  e  l'alma. Però  di  quella  impresa  promettea Tor  su  gli  omeri  suoi  tutta  la  salma:Orril  farà  morir",  quando  non  spiaccia Ai  duo  fiatei  ch'egli  la  pugna  faccia. 81  Ma  quei  gli  danno  volentier  l'impresa, Certi  che  debbia  affaticarsi  invano. Era  già  l'altra  aurora  in  cielo  ascesa. Quando  calò  dai  muri  Orrilo  al  piano. Tra  il  duca  e  lui  fu  la  battaglia  accesa; La  mazza  l'un,  l'altro  ha  la  spada  in  mano. Di  mille  attende  Astolfo  un  colpo  trame, Che  lo  spirto  gli  sciolga  dalla  carne. 82  Or  cader  gli  fa  il  pugno  con  la  mazza. Or  l'imo  or  l'altro  braccio  con  la  mano; Quando  taglia  a  traverso  la  corazza, E  quando  il  va  troncando  a  brano  a  brano: Ma  rìcogliendo  sempre  della  piazza Va  le  sue  membra  Orrìlo,  e  si  fa  sano. S'in  cento  pezzi  ben  l'avesse  fatto, Bedintegrarsi  il  vedea  Astolfo  a  un  tratto. 84    Quel  sciocco,  che  del  fatto  non  s'accorse, Per  la  polve  cercando  iva  la  testa; Ma  come  intese  il  corridor  via  torse. Portare  il  capo  suo  per  la  foresta, Immantinente  al  suo  destrier  ricorse, Sopra  vi  sale  e  di  seguir  non  resta. Volea  gridare: Aspetta,  volta,  volta:Ma  gli  avea  il  duca  già  la  bocca  tolta. stanza  83. 85  Pur,  che  non  gli  ha  tolto  anco  le  calcagna. Si  riconforta,  e  segue  a  tutta  briglia. Dietro  il  lascia  gran  spazio  di  campagaa Quel  Rabican  che  corre  a  maraviglia. Astolfo  intanto  per  la  cuticagna Va  dalla  nuca  fin  sopra  le  ciglia Cercando  in  fretta,  se  '1  crine  fatale Conoscer  può,  eh' Orril  tiene  immortale. 86  Fra  tanti  e  inuumerabili  capelli, Un  più  dell' altro  non  si  stende  o  torce:Qual  dunque  Astolfo  sceglierà  di  quelli, Che  per  dar  morte  al  rio  ladron  raccorce? Meglio  è,  disse,  che  tutti  io  tagli  o  svelli:Né  si  trovando  aver  rasoi  né  force, Ricorse  immantinente  alla  sua  spada. Che  taglia  sì,  che  si  può  dir  che  rada. 87  E  tenendo  quel  capo  per  lo  naso, Dietro  e  dinanzi  lo  dischioma  tutto. Trovò  fra  gli  altri  quel  fatale  a  caso:Si  fece  il  viso  allor  pallido  e  brutto, Travolse  gli  occhi,  e  dimostrò  all'occaso Per  manifesti  segni  esser  condutto; E  U  busto  che  seguia  troncato  al  collo . Di  sella  cadde,  e  die  T ultimo  crollo. 88  Astolfo,  ove  le  donne  e  i  cavalieri Lasciato  avea,  tornò  col  capo  in  mano, Che  tutti  ave?i  di  morte  i  segni  veri, E  mostrò  il  tronco  ove  giacca  lontano. Non  so  ben  se  lo  vider  volentieri, Ancorché  gli  mostrasser  viso  umano; Cile  la  intercetta  lor  vittoria  forse D'invidia  ai  duo  germani  il  petto  morse. 91  II  duca,  come  al  fin  trasse  P impresa. Confortò  molto  i  nobili  garzoni, Benché  da  sé  vavean  la  voglia  intesa. Né  bisognavan  stimoli  né  sproni, Che  per  difender  della  santa  Chiesa E  del  romano  imperio  le  ragioni, Lasciasser  le  battaglie  d  Oriente, E  cercassino  onor  nella  lor  gente. 92  Co.""ì  Grifone  ed  Aquilante  tolse Ciascuno  dalla  sua  donna  licenzia; Le  quali,  ancorché  lor  n  increbbe  e  dolae, Non  vi  seppon  però  far  resistenzia. Con.  essi  Astolfo  a  man  destra  si  volse; Che  si  deliberar  far  riverenzia Ai  santi  luoghi  ove  Dio  in  carne  visse, Prima  che  verso  Francia  si  venisse. Stanza  87. 89  Né  che  tal  fin  quella  battaglia  avesse, Credo  più  fosse  alle  due  donne  grato. Queste,  perchè  più inlungo  si  traesse De' duo  fratelli  il  doloroso  fato. Ch'in  Francia  par  ch'in  breve  esser  dovesse, Con  loro  Orrilo  avean  quivi  azzuffato, Con  speme  di  tenerli  tanto  a  bada. Che  la  trista  influenzia  se  ne  vada. 90  Tosto  che  '1  castellan  di  Dami'ata Certificossi  ch'era  morto  Orrilo, La  colomba  lasciò,  eh'  avea  legata Sotto  l'ala  la  lettera  col  filo. Quella  andò  al  Cairo;  et  indi  fu  lasciata In'  altra  altrove,  come  quivi  è  stilo: Si  che  in  pochissim' ore  andò  l'avviso Per  tutto  Egitto,  eh'  era  Orrilo  ucciso. 93  Potuto  avrian  pigliar  la  via  mancina, Ch'  era  più  dilettevole  e  più  piana, E  mai  non  si  scostar  dalla  marina; Ma  per  la  destra  andaro  orrida  e  strana, Perchè  l'alta  città  di  Palestina Per  questa  sei  giornate  è  meu  lontana Acqua  si  trova  ed  erba  in  questa  via: Di  tutti  gli  altri  ben  v'  è  carestia. 94  Sì  che  prima  eh'  entrassero  in  viaggio, Ciò  che  lor  bisognò  fecion  raccorre; E  carcar  sul  gigante  il  carriaggio, Ch'avria  portato  in  collo  anco  una  torre. Al  finir  del  cammino  aspro  e  selvaggio, Dall'alto  monte  alla  lor  vista  occorre La  santa  terra,  ove  il  superno  Amore Lavò  col  proprio  sangue  il  nostro  errore. 95  Trovano  in  sul!' entrar  della  cittade Un  giovene  gentil,  lor  conoscente, Sansonetto  da  Mecca,  oltre  l'etade (Ch'era  nel  primo  fior)  molto  prudente; D'aita  cavalleria,  d'alta  boutade Famoso,  e  riverito  fra  la  gente. Orlando  lo  converse  a  nostra  fede, E  di  sua  man  battesmo  anco  gli  diede. 9H    Quivi  lo  trovan  che  disegna  a  fnte Del  calife  d'Egitto  una  fortezza; E  circondar  vuole  il  Calvario  monte Di  muro  di  duo  miglia  di  lunghezza. Da  lui  raccolti  fur  con  quella  fronte Che  può  d'interno  amor  dar  più  chiareiza, E  dentro  accompagnati,  e  con  grand' agio Fatti  alloggiar  nei  suo  real  palagio. 97     Avea  in  governo  egli  la  terra,  e  in  vece Di  Carlo  vi  reggea  T  imperio  giusto, li  duca  Astolfo  a  costui  dono  fece Di  quel  sì  grande  e  smisurato  busto, Ch'  a  portar  pesi  gli  varrà  per  diece Bestie  da  soma: tanto  era  robusto. Diegli  Astolfo  il  gigante,  e  diegli  appresso La  rete  chMn  sua  forza  Tavea  messo. 98    Sansonetto  air  incontro  al  duca  diede Per  la  spada  una  cìnta  ricca  e  bella; E  diede  spron  per  V  uno  e  V  altro  piede, Che  d'oro  avean  la  fibbia  e  la  girella, Ch'esser  del  cavalier  stati  si  crede, Che  liberò  dal  drago  la  donzella: Al  Zaffo  avuti  con  molt' altro  arnese Sansonetto  gli  avea,  quando  lo  prese. Stanza  94. 99  Purgati  di  lor  colpe  a  un  monasterio Che  dava  di  sé  odor  di  buoni  esempj, Della  passion  di  Cristo  ogni  misterio Contemplando  n'andar  per  tutti  i  tempj, Ch'  or  con  eterno  obbrobrio  e  vituperio Agli  Cristiani  usurpano  i  Mori  erapj. L'Europa  è  in  arme,  e  di  far  guerra  agogna In  ogni  parte,  fuor  ch'ove  bisogna. 100  Mentre  avean  quivi  l'animo  divoto, A  perdonanze  e  a  cerimonie  intenti, Un  peregrin  di  Grecia,  a  Grifon  noto. Novelle  gli  arrecò  gravi  e  pungenti. Dal  suo  primo  disegno  e  lungo  voto Troppo  diverse  e  troppo  differenti; E  quelle  il  petto  gì'  infiamroaron  tanto, Che  gli  scacciar  iorazìon  da  cauto. 101  Amava  il  cavalier,  per  sua  sciagura, Una  donna  eh' avea  nome  Orrigille. Di  più  bel  volto  e  di  miglior  statura Non  se  ne  sceglierebbe  una  fra  mille: Ma  disleale  e  di  sì  rea  natura, Che  potresti  cercar  cittadi  e  ville, La  terra  ferma  e  l'isole  del  mare, Né  credo  ch'una  le  trovassi  pare. 102  Nella  città  di  Constantin  lasciata Grave  l'avea  di  febbre  acuta  e  fiera. Or  quando  rivederla  alla  tornata Più  che  mai  bella,  e  di  goderla  spera, Ode  il  meschin,  eh'  in  Antiochia  andata Dietro  un  suo  nuovo  amante  ella  se  n'era, Non  le  parendo  ormai  di  più  patire Ch'abbia  in  si  fresca  età  sola  a  dormire. 103    Da  ìndi  in  qua  ch'ebbe  la  trista  naova, Sospirava  Grifon  notte  e  di  sempre. Ogni  piacer  ch'agli  altri  aggrada  e  giova, Par  eh'  a  costui  più  l'animo  distempre:Pensilo  ognun,  nelli  cui  danni  prova Amor,  se  li  suoi  strali  hanbuone  tempre. Ed  era  grave  sopra  ogni  martire, Che  '1  mal  eh'  avea,  si  vergognava  a  dire. 104    Questo,  perchè  mille  fiate  innante Già  ripreso  l'avea  di  quello  amore, Di  lui  più  saggio,  il  fratello  Aquilaute, E  cercato  colei  trargli  del  core; Colei  ch'ai  suo  giudizio  era  di  quante Femmine  rie  si  trovin,  la  peggiore. Grifon  r  escusa,  se  '1  fratel  la  danna; E  le  più  volte  il  parer  proprio  inganna. 105    Però  fece  pensier,  senza  parlarne Con  Aquilante,  girsene  soletto Sin  dentro  d'Antiochia,  e  quindi  trame Colei  che  tratto  il  cor  gli  avea  del  petto; Trovar  colui  che  gli  l'ha  tolta,  e  fame Vendetta  tal,  che  ne  sia  sempre  detto. Dirò,  come  ad  effetto  il  pensier  messe, Neil' altro  Canto,  e  ciò  che  ne  successe. NOTB. St.  2.  V.14   Ritoma  il  Poeta  sulle  sconfitte  date dagli  Estensi  ai  Veneti,  al  che  fece  allusione  nel  Canto Terzo.   Il  Leone,  stemma  della  Repubblica  di  Venezia.   Francolino:  luogo  sul  Po,  lontano  da  Ferrara  circa 40  miglia. St.  7.  V.2.   I$ole  beate,  e  anche  di  Fortuna;  si dissero  dagli  antichi  le  Canarie,  situate  a  ponente  del l'Africa;  appartengono  tuttavia  alla  Spagna,  e  furono già  abitate  dai  Guanchi,  crudelmente  distrutti  dagVin vasori  spagnuolL St.  8.  V.5.   Jl  danese  Vggiero,  era  così  detto  ne gli antichi  romanzi,  perchè  conquistò  la  Danimarca.  Egli era  figlio  di  Gualdefriano  re  di  Getulia,  e  marito  di  Er mellina,  figlia  di  Namo  duca  di  Baviera.  Un  figlio  di loro  fu  chiamato  Dudone. ST.  12.  V.4.   Oli  Eritrei:  gli  abitanti  nelle  vici nanze del  mar  Rosso. St.  16.  V.58.   MUU  iole  sparse,  ecc.: fin  queste si  può  notare  l'arcipelago  delle  Lakedive,  e  quello  delle Maldive.   La  terra  di  Tommaso: Calamina,  altre  volte Heliapur,  nell' Iniia,  .verso  la  costa  di  Coromandel  sul golfo  di  Bengala,  circa  200  miglia  a  settentrione  del l'isola di  Ceylan.  Ivi  dicesl  quell'apostolo  aver  predicato il  cristianesimo,  e  soffèrto  il  martirio. St.  17.  V.17.   L'aurea  Chersonesso: così  denomi narono gli  antichi,  a  motivo  della  sua  fertilità  e  ric chezza, la  penisola  di  Malacca  nelllndia  tranagangetica; comprendendo  però  in  tal  denominazione  anche  la  parte meridionale  dell'annesso  Regno  di  Siam   Taprobane, oggi  isola  di  Ceylan.   Corij  o  Cory:  il  capo  Comorin, che  termina  a  ponente  il  golfo  di  Bengala,  ed  ha  a  si rocco,  in  distanza  di  circa  50  miglia,  l'estremità  meri dionale di  Ceylan.   Il  mar  che  fra  i  duo  liti  s'ange, è  la  parte  più  angusta  del  golfo  di  Manaar  fra  l'isola di  Ceylan  e  la  costa  di  Coromandel,  ove  si  forma  Io stretto  di  Pali.   Cochino,  città  marittima  nel  Mala bar,  già  capitale  dell' antico regno  omonimo. St.  21.  V.18.   Vuole  alludere  il  Poeta  ai  due  celebri navigatori  che  trovarono  parti  del  globo  sconosciute  agli antichi.  E  qui  rammenta  Vasco  di  Gama,  che  nel  14 scoperse  il  capo  di  Buona  Speranza,  situato  sotto  il  tropico del  Capricorno,  dal  quale,  dopo  il  solstizio  d'inverno, il  sole  sembra  retrocedere  verso  l'opposto  del  Cancro. St.  22.  V.14.   S' indica  particolarmente  nei  primi due  versi  il  capo  anzidetto,  che  avanzandosi  nel  grande Oceano,  ne  separa  due  porzioni,  vale  a  dire  l'Oceano Atlantico  e  il  mare  dell'Indie;  negli  altri  versi  si  ac cennano i  diversi  viaggi  di  quel  navigatore. Ivi.  V.58.   Parlasi  ora  di  Cristoforo  Colombo,  che nel  1492  fece  il  primo  suo  viaggio  verso  il  nuovo  mondo; e  di  Amerigo  Vespucci,  che  nel  1497  partito  da  Cadice e  passato  lo  stretto  di  Gibilterra,  approdò  al  continente americano. St.  24.  V.34.   Im  sesta  e  la  settima  età.  Erano appunto  compiti  sette  secoli,  e  decorreva  l'ottavo,  dai tempi  di  Carlo  Magno  a  quelli  di  Carlo  V. St.  25.  V.13.    Del  sangue  d Austria,  ecc.  Nacque Carlo  V  di  padre  austriaco  e  di  madre  spagnuola,  il  24 febbraio  1500,  in  Gand,  città  situata  al  confluente  della Lys  con  la  Schelda.  É  vero  che  Gand  sta  alla  sinistra del  Reno,  ma  in  distanza  di  circa 30leghefirancesi; onde  si  deve  intendere  in  un  modo  assai  largo  l'espres sione del  secondo  verso. St.  26.  V.5.   Che  mai  né  al  sol,  ecc.:  Cosi  vasti erano  i  dominj  di  Carlo  V  nei  due  emisferì,  che  11  sole non  vi  tramontava  mai,  né  vi  si  mutavano  le  stagioni iT.  27.  v.5  8.   Kniando  Ctrlese,  ecc,: Ferdinando Cortez,  che  conquistò  alla  Spagna  la  maggior  parte  dei possedimenti  oltremarini,  aggiunti  a  qnel  regno  dopo la  scoperta  del  nuovo  mondo. St.  28.  V.18.   Prospero  Colonna,  cugino  di  Fabri zio, nominato  nel  Canto  precedente: Fernando  d'Avalos marchese  di  Pescara,  e  Alfonso  d'Avalos  marchese  del Vasto,  accennato  nel  sesto  veiso,  gareggiarono  di  va lore e  di  zelo  nel  ben  condurre  le  imprese  militari  ad essi  affidate  dairimperatore. St.  30.  V.34.   H  mar  ch'in  mezzo  serra,  ece.: il Mediterraneo,  che  sta  di  mezzo  all'Europa  e  all'Africa. St.  32.  V.58.   Andrea  Doria,  valentissimo  capitano di  mare,  al  servìgio  di  Carlo  V,  poich'  ebbe  avuta  per capitolazione  Genova  sua  patria,  tenuta  pei  Francesi  da Teodoro  Trivulzio,  riformò  T ordine  politico  dello  Stato, ed  ebbe  tanta  grandezza  d'animo  da  ricusare  la  signo ria della  città  ofifertagli  dall'imperatore,  e  l'autorità  di Doge  perpetuo  a  cui  lo  chiamavano  i  cittadini;  e  volle anzi  che  si  rinnovassero  in  ogni  biennio  il  Doge  e  il Sindaco  di  quella  repubblica. St.  33.  v.4.   Giulio  Cesare,  Ottaviano  e  Antonio, emuli  nell'asservire  la  loro  patria. St.  34.  v.58.   In  benemerenza  dei  servigi  rendu tìgli  da  Andrea  Doria,  Carlo  Y  gli  donò  la  signoria  di Melfi,  città  vescovile  di  Basilicata  nella  Puglia,  ove  il normanno  Roberto  Guiscardo  pose  le  fondamenta  del potere,  che  più  tardi  fece  quella  stirpe  padrona  nel  re gno di  Napoli, St.  37.  V.4.   Al  golfo,  ecc.  Il  golfo  Persico  viene cosi  denominato  (secondo  alcuni,  e  lo  ripete  TAriosto), perchè,  in  tempi  molto  lontani,  una.  setta  di  filosofi, detti  Mcgif  tenne  il  dominio  di  tutta  la  Persia;  la  quale perciò  fu  detta  in  antico  Sophorum  regnum. St.  39.  V.5a   Finché  l'onda  ecc.:  il  Mar  Rosso. Per  terra  degli  eroi  credono  alcuni  doversi  intendere la  terra  di  lesse,  che  i  libri  sacri  pongono  nella  Palestina. St.  40.  V.1.   J7  fiume  Traiano.  Dicono  gli  esposi tori essere  questo  un  canale  che  quelP  imperatore  fece aprire  dal  Nilo  al  golfo  arabico.  Una  mappa  olandese del  1629  segna  di  tal  nome  un  influente  nel  Nilo,  con le  scaturigini  di  verso  il  golfo;  e  come  tale  sembra averlo  riguardato  il  Poeta  nel  sesto  verso  della  Stanza seguente. St.  48.  V.8.   Nel  suon:  intendi  del  corno  incantato. St.  57.  V.28.   Che  doridepigliar,  ecc.: doride,  la ¦tessa  che  i  Romani  dissero  Flora,  fu  amata  da  Mer curio, secondo  i  mitologi.  Bra  la  dea  dei  fiori. St.  58.  V.13.   M  gran  fiume  etiopo:  il  Nilo,  le  cui sorgenti  si  congetturano  essere  nei  monti  della  Luna, in  Etiopia  o  Nigrizia.   Canopo: oggi  Abukir,  notò agli  antichi  per  l'ivi  esistito  tempio  di  Anubi"  e  ai  mo derni per  la  fiotta  francese  colà  distrutta  dagl  Inglesi nel  1798. St  61.  V.6.   Menfi,  antica  città  dell' Egitto  non molto  lontana  dal  Cairo. St.  64.  V.12.   I  Mammalucchi,  che  come  i  Gianni zeri  erano  per  lo  pid  giovini  criàtiaui  divenuti  mao mettani. St.  66.  V.4.   Damiaia:  non  è  da  confondersi  que sta con  l'antica  Damiata  dei  tempi  delle  crociate,  ch'era sul  Mediterraneo,  e  fu  distrutta  dagli  Egiziani  nel  1250. La  città  di  cui  si  parla  è  circa  60  miglia  distante  da Alessandria. St.  68.  v.8.   Naute:  nocchieri  o  marinai. St.  73.  y.  36.   Discostasi  qui  il  testo  diila  genea logia degli  eroi  de' romanci,  riportata  dal  Ferrario;  se condo la  quale  Aquilante  e  Grifone  nacquero  di  Gismouda e  di  Ricciardetto,  fratello  di  Rinaldo.  Il  poeta  ha  cre duto Gismonda  consorte  d'Oliviero  di  Vienna  che  figura in  quell'albero,  come  fratello  di  Alda  o  Belanda,  moglie d'Orlando. St.  89.  y.  18.   Come  Atlante,  avendo  prevista  la trista  fine  di  Ruggiero,  si  studiava  allontanamelo  con arti  magiche;  cosi  operavano  quelle  due  fate,  alle  quali era  noto  il  destino  che  attendeva  in  Francia  1  figli d'Oliviero. St.  90.  v.34.   La  colomba  lasciò,  ecc.  Col  mezzo di  colombe  a  questo  fine  educate  solevasi,  a  que'  tempi (come  in  Francia  durante  la  guerra  del  1870)  mandare le  notizie  da  luogo  a  luogo. St.  93.  v.5.   Volta  città  di  Palestina:  Gerusa lemme. St.  95.  y.  38.   Sansontto  è  personaggio  che  pare sia  stato  inventato  dal  poeta  Nicola  da  Padova.  É  detto da  Mecca,  perchè  fingevasi  di  questa  città  tanto  cele bre per  la  tomba  di  Maometto. St.  98.  v.58.   Il  cavalier,  ecc.  San  Giorgio,  di  cui si  narra  che  liberasse  la  figlia  del  re  di  Libia  destinata ad  essere  divorata  da  un  drago.   Zaffo: V  odierna Jaffa  f  detta  altre  volte  Joppe,  città  marittima  della Siria,  circa  cinquanta  miglia  a  ponente  maestro  di  Ge rusalemme. Stanza  26, CANTO  DECIMOSESTO. ARGOMENTO. Hiifonr  inraiitin  presso  Damasco  Onìiii Ile  col  ntiovo  rìì  IH  aniftiitt', p  i'VAi  al!  e  turo  hiiuiariifì  parole.  KìurHo  arri  vti  sotto  Pari  pi i  ol  sfìcrorno  liritaTinictì;  nMt  accndoiifj  provs  di  ffian  valon iliiirunn  pnirln  '  rigirali  ia.  hirtiHlj  e  iitragì  hanno  hioso  dentino Ia  cittji.  pct  fattn  ili  Roil  union  te;  &  Callo  vi  acne  con vmQ srfllhi  <lni|'nc?lln. Gravi  pene  in  amor  si  jiroTun  molte   DI  (.he  patitd  io  n'ho  In  maggìtir  parte, E  (iuelle  in  iliinuo  mio  bì  ben  raccolte i Ch'io  ne  posso  parlar  come  per  arte, Vera  s' io  dìro  e  s'  ho  def  to  altre  volte, E  tiuandtj  in  voce  e  qua  mio  in  vive  carte, Ch' un  inni  sia  lieve  un  altro  acerbo  e  fiero, Date  creiìenzA  al  mio  giudick  vero, lu  dico  e  àlsì,  e  diri"  finchMo  vita, rhe  f'hi  n  truva  in  deio  laccio  preso, Bcbhen  di  sé  verte  sna  duiina  schiva   Se  in  tutto  uvver?'a  al  sno  "ìesìre  Acceso; iSehbene  Amor  (rgoi  merce  le  il  priva   Pojìcm  e  he  '1  tempu  e  la  fatica  ba  spe.o; Pur  ch'altamente  abbia  locato  il  core, Flange  r  non  de',  se  ben  languisce  e  muore, 1       Pianger  de  quel  che  gU  sìa  fatto  servo IH  ilnr"  vafbi  nerbi  e  d'nna  bella  trefcia, Sotto  cui  si  nasconda  uo  cor  protervo, Che  poco  puro  abbia  con  molta  feccia. Vorria  il  miser  fuggire;  e  come  cervo Ferito,  ovunque  va,  porta  la  freccia:Ha  di  sé  stesso  e  del  suo  amor  vergogna, Né  Tosa  dire,  e  invan  sfumarsi  agogna. 4      In  questo  caso  è  il  giovene  Grifone, Che  non  si  può  emendare,  e  il  suo  error  vede:Vede  quanto  vilmente  il  suo  cor  pone In  Orrìgille  iniqua  e  senza  fede:Pur  dal  mal  uso  è  vinta  la  ragione, E  pur  r  arbitrio  ali  appetito  cede:Perfida  sìa quantunque,  ingrata  e  ria, Sforzato  è  di  cercar  dovella  sia. 10    Dopo,  accordando  affettuosi  gesti Alla  suavità  delle  parole, Dicea  piangendo: Signor  mio,  son  questi Debiti  premj  a  chi  t adora  e  cole? Che  sola  senza  te  già  un  anno  resti, E  va  per  V  altro,  e  ancor  non  te  ne  duole?E  s'io  stava  aspettare  il  tuo  ritomo, Non  80  se  mai  veduto  avrei  quel  giorno. 5  Dico,  la  bella  istoria  ripigliando, Ch'uscì  della  città  secretaraente ; Né  parlarne  s  ardì  col  f ratei,  quando Ripreso  invan  da  lui  ne  fu  sovente. Verso  Rama,  a  sinistra  declinando, Prese  la  via  più  piana  e  più  corrente. Fu  in  sei  giorni  a  Damasco  dì  Scria; Indi  verso  Antiochia  se  ne  già. 6  Scontrò  presso  a  Damasco  il  cavaliere A  cui  donato  avea  Orrìgille  il  core: E  convenian  di  rei  costumi  in  vero, Come  ben  si  convien  l'erba  col  fiore; Che  r  uno  e  V  altro  era  di  cor  leggiero, Perfido  V  uno  e  l'altro,  e  traditore; E  copria  l'uno  e  l'altro  il  suo  difetto. Con  danno  altrui,  sotto  cortese  aspetto. 7  Come  io  vi  dico,  il  cavalier  venia S'un  gran  destrier  con  molta  pompa  armato: La  peilìda  Orrìgille  in  compagnia, In  un  vestire  azzur  d'oro  fregiato, E  duo  valletti,  donde  si  servia A  portar  elmo  e  scudo,  aveva  a  lato; Come  quel  che  volea  con  bella  mostra Comparire  in  Damasco adunaMostra.8  Una  splendida  festa,  che  bandire Fece  il  re  dì  Damasco  in  quelli  giorni. Era  cagion  di  far  quivi  venire I  cavalier  quanto  potean  più  adomi. Tosto  che  la  puttana  comparire Vede  Grifon,  ne  teme  oltraggi  e  scorni:Sa  che  l'amante  suo  non  è  si  forte, Che  centra  lui  l'abbia  a  campar  da  morte. stanza  20. 9      Ma  siccome  audacissima  e  scaltrita, Ancorché  tutta  dì  paura  trema, S'acconcia  il  viso,  e  sì  la  voce  aita, Che  non  appar  in  lei  segno  di  teina. Col  drado  avendo  già  l'astuzia  ordita. Corre,  e  fingendo  una  letizia  estrema, Verso  Grifon  l'aperte  braccia  tende, Lo  stringe  al  collo,  e  gran  pezzo  ne  pende. 1 1     Quando  aspettava  che  di  Nicosia, Dove  tu  te  n'  andasti  alla  gran  corte, Tornassi  a  me,  che  con  la  febbre  ria Lasciata  avevi  in  dubbio  della  morte. Intesi  che  passato  eri  in  Scria:Il  che  a  patir  mi  fu  sì  duro  e  forte, Che  non  sapendo  come  io  ti  seguiQuasi  il  cor  di  man  propria  mi  trafissi. 12    3Ia  fortuna  di  me  con  doppio  dono Mostra  d'aver,  quel  che  non  liai  tu,  cura:Mandommi  il  fratel  mio,  col  quale  io  sono Sin  qui  venuta  del  mio  onor  sicura; Ed  or  mi  manda  questo  incontro  buono Di  te,  eh'  io  stimo  sopra  ogni  avventura:E  bene  a  tempo  il  fa;  che  più  tardando, Morta  sarei,. te,  signor  mio,  bramando. 18    Innanzi  a  Carlo, innanzi  al  re  Agranuuite L'un  stuoh)  e  T altro  si  vuol  far  vedere, Ove  gran  loda,  ove  mercè  abbondante Si  può  acquistar,  facendo  il  suo  dovere. I  Mori  non  però  fer  prove  tante, Che  par  ristoro  al  danno  abbiano  avere; Perchè  ve  ne  restar  morti  parecchi, Cii'agli  altri  fur  di  folle  audacia  specchi. 13    E  seguitò  la  donna  fraudolente, Di  cui  r  opere  fur  più  che  di  volpe, La  sua  querela  cosi  astutamente, Che  riversò  in  Grifon  tutte  le  colpe. Gli  fa  stimar  colui,  non  che  parente, Ma  che  d'im  padre  seco  abbia  ossa  e  polpe; E  con  tal  modo  sa  tesser  gì'  inganni, Che  men  verace  par  Luca  e  Giovanni. 19    Grandine  sembran  le  spesse  saette Dal  muro  sopra  gl'inimici  sparte. Il  grido  insino  al  ciel  paura  mette, Che  fa  la  nostra  e  la  contraria  parte. Ma  Carlo  un  poco  ed  Àgramante  aspette; Ch'io  vo' cantar  delF africano  Marte, Rodomonte  terribile  ed  orrendo. Che  va  per  mezzo  la  città  correndo. 14    Non  pur  di  sua  perfidia  non  riprende Grifon  la  donna  iniqua,  più  che  bella; Non  pur  vendetta  di  colui  non  prende, Che  fatto  s'era  adultero  di  quella: Ma  gli  par  far  assai,  se  si  difende Che  tutto  il  biasmo  in  lui  non  riversi  ella; E  come  fosse  suo  cognato  vero, D'accarezzar  non  cessa  il  cavaliero. 20    Non  so,  signor,  se  più  vi  ricordiate Di  questo Saracin  tanto  sicuro, Che  morte  le  sue  genti  avea  lasciate Tra  il  secondo  riparo  e  '1  primo  muro, Dalla  rapace  fiamma  divorate, Che  non  fu  mai  spettacolo  più  oscuro. Dissi  ch'entrò  d'un  salto  nella  terra Sopra  la  fossa  che  la  cinge  e  serra. 16    E  con  lui  se  ne  vien  verso  le  porte Di  Damasco,  e  da  lui  sente  tra  via. Che  là  dentro  dovea  splendida  corte Tenere  il  ricco  re  della  Scria; E  eh' ognun  quivi,  di  qualunque  sorte, 0  sia  cristiano,  o  d'altra  legge  sia, Dentro  e  di  fuori  ha  la  città  sicura Per  tutto  il  tempo  che  la  festa  dura. 21    Quando  fu  noto  il  Saracino  atroce All'arme  istrane,  alla  scagliosa  pelle. Là  dove  i  vecchi  e '1  popol  men  feroce Tendean  l'orecchie  a  tutte  le  novelle, Levossi  un  pianto,  un  grido,  un'alta  voce, Con  un  batter  di  man  ch'andò  alle  stelle; E  chi  potè  fuggir  non  vi  rimase. Per  serrarsi  ne' templi  e  nelle  case. 16    Non  però  son  di  seguitar  sì  intento L'istoria  deUa  perfida  Orrigille, Ch'a  giorni  suoi  non  pur  un  tradimento Fatto  agli  amanti  avea,  ma  mille  e  mille; Ch'io  non  ritomi  a  riveder  dugento Mila  persone,  o  più  delle  scintille Del  foco  stuzzicato,  ove  alle  mura Di  Parigi  facean  danno  e  paura. !2    Ma  questo  a  pochi  il  brando  rio  concede, Ch'intorno  ruota  il  Saracin  robusto. Qui  fa  restar  con  mezza  gamba unpiede. Là  fa  un  capo  sbalzar  lungi  dal  busto:L'un  tagliare  a  traverso  se  gli  vede. Dal  capo  all'anche  un  altro  fender  giusto; E  di  tanti  eh'  uccide,  fere  e  caccia, Non  se  gli  vede  alcun  segnare  in  faccia. 17    Io  vi  lasciai,  come  assaltato  avea Àgramante  una  porta  della  terra. Che  trovar  senza  guardia  si  credea: Né  più  riparo  altrove  il  passo  serra, Perchè  in  persona  Carlo  la  tenea. Ed  avea  seco  i  mastri  della  guerra. Duo  Guidi,  duo  Angelini,  uno  Angeliero, Avino,  Avolio,  Otone  e  Berlingiero. 23    Quel  che  la  tigre  dell'armento  imbelle Ne' campi  ircani  o  là  vicino  al  Gange, 0  '1  lupo  delle  capre  e  dell' agnelle Nel  monte  che  Tifeo  sotto  si  frange; Quivi  il  crudel  pagan  facea  di  quelle Non  dirò  squadre,  non  dirò  falange, Ma  vulgo  e  popolazzo  voglio  dire, Degno,  prima  che  nasca,  di  morire. 24  Ncn  ne  trova  un  che  veder  possa  in  fronte, Fra  tanti  che  ne  taglia,  fora  e  svena. Per  quella  strada  che  vien  dritto  al  ponte Di  San  Michel,  sì  popolata  e  piena, Corre  il  fiero  e  terribil  Rodomonte, E  la  sanguigna  spada  a  cerco  mena: Non  riguarda  né  al  servo  né  al  signore, Né  al  giusto  ha  pi\\  pietà,  che  al  peccatore. 25  Religi'on  non  giova  al  sacerdote, Né  la  innocenzia  al  pargoletto  giova:Per  sereni  occhi  o  per  vermiglie  gote 3Iercè  né  donna  nédonzella  trova: La  vecchiezza  si  caccia  e  si  percuote; Né  quivi  il  Saracin  fa  maggior  prova Di  gran  valor,  che  di  gran  crudeltade: Che  non  discerne  sesso,  ordine,  etade. 26  Non  pur  nel  sangue  uman  l'ira  si  stende Deir  empio  re,  capo  e  signor  degli  empi; Ma  centra  i  tetti  ancor  si,  che  n'  incende Le  belle  case  e  i  profanati  tempi. Le  case  eran,  per  quel  che  se  n'intende, Quasi  tutte  di  legno  in  quelli  tempi; E  ben  creder  si  può;  eh'  in  Parigi  ora Delle  dieci  le  sei  son  cosi  ancora. 27  Non  par,  quantunque  il  foco  ogni  cosa  arda, Che  si  grande  odio  ancor  saziar  si  possa. Dove  s'aggrappi  con  le  mani,  guarda, Sì  che  ruini  un  tetto  ad  ogni  scossa. Signor,  avete  a  creder  che  bombarda 3£ai  non  vedeste  a  Padova  sì  grossa, Che  tanto  muro  possa  far  cadere, Quanto  fa  in  una  scossa  il  re  d'Algiere. 28  Mentre  quivi  col  ferro  il  maledetto E  con  le  fiamme  facea  tanta  guerra. Se  di  fuor  Agramante  avesse  astretto, Perduta  era  quel  dì  tutta  la  terra: Ma  non  v'  ebb'  agio: che  gli  fu  interdetto Dal  paladin  che  venia  d'Inghilterra Col  popolo  alle  spalle  inglese  e  scotto, Dal  Silenzio  e  dall'Angelo  condotto. 29  Dio  volse  che  all'entrar  che  Rodomonte Pennella  terra,  e  tanto  foco  accese. Che  presso  ai  muri  il  fior  di  Chiaramente, Rinaldo,  giunse,  e  seco  il  campo  inglese. Tre  leghe  sopra  avea  gittate  il  ponte, E  torte  vie  da  man  sinistra  prese; Che,  disegnando  i  barbari  assalire, Il  fiume  non  l'avesse  ad  impedire. 80    Mandato  avea  sei  mila  fanti  arcieri Sotto  l'altiera  insegna  d'Odoardo, E  duo  mila  cavalli,  e  più,  leggieri Dietro  alla  guida  d'Ari  man  gagliardo; E  mandati  gli  avea  per  li  sentieri Che  vanno  e  vengon  dritto  al  mar  Picardo, Ch'  a  porta  San  Martino  e  San  Dionigi Entrassero  a  soccorso  di  Parigi. 31  I  carriagigi  e  gli  altri  impedimenti Con  lor  fece  drizzar  per  quella  strada. Egli  con  tutto  il  resto  delle  genti Più  sopra  andò  girando  la  contrada. Seco  avean  navi  e  ponti  ed  argumenti Da  passar  Senna,  che  non  ben  si  guada. Passato  ognuno,  e  dietro  i  ponti  rotti, Nelle  lor  schiere  ordinò  Inglesi  e  Scotti. 32  Ma  prima  quei  baroni  e  capitani Rinaldo  intorno  avendosi  ridutti, Sopra  la  riva  ch'alta  era  dai  piani Sì,  che  poteano  udirlo  e  veder  tutti, Disse: Signor,  ben  a  levar  le  mani Avete  a  Dio,  che  qui  v'  abbia  condutti, Acciò,  dopo  un  brevissimo  sudore, Sopra  ogni  nazi'on  vi  doni  onore. 33  Per  voi  saran  due  principi  salvati, Se  levate  l'assedio  a  quelle  porte: Il  vostro  re,  che  voi  siete  ubbligati Da  servitù  difendere  e  da  morte; Ed  uno  imperator  de'  più  lodati, Che  mai  tenuto  al  mondo  abbiano  corte; E  con  loro  altri  re,  duci  e  marchesi, Signori  e  cavalier  di  più  paesi. 34  Si  che  salvando  una  città,  non  soli Parigin  ubbligati  vi  saranno, Che  molto  più  che  per  li  proprj  duoli, Timidi,  afflitti  e  sbigottiti  stanno Per  le  lor  mogli  e  per  li  lor  figliuoli, Ch'  a  un  medesmo  pericolo  seco  hanno, E  per  le  sante  vergini  richiuse. Ch'oggi  non  sien  dei  voti  lor  deluse: 35  Dico,  salvando  voi  questa  cittade, V'ubbligate  non  solo  i  Parigini, Ma  d'ogn'  intomo  tutte  le  contrade. Non  parlo  sol  dei  popoli  vicini; Ma  non  è  terra  per  cristianitade, Che  non  abbia  qua  dentro  cittadini Si  che,  vìncendo,  avete  da  tenere Che  più  che  Francia  v'abbia  obbligo  avere. 36  Se  donaTan  gii  antiqui  una  corona A  chi  salvasse  a  un  dttadin  la  vita, Or  che  degna  mercede  a  voi  si  dona, Salvando  multìtudine  infinita? Ma  se  da  invidia,  o  da  viltà,  si  buona E  si  santa  opra  rimarrà  impedita, Credetemi  che,  prese  quelle  mura. Né  Italia  né  Lamagna  anco  é  sicura; 37  Né  qualunque  altra  parte,  ove. s'adori Quel  che  volse  per  noi  pender  sul  legno. Né  voi  crediate  aver  lontani  i  Mori, Né  che  pel  mar  sia  forte  il  vostro  regno: Che  scaltre  volte  quelli,  uscendo  fuori Di  Ziheltaro  e  dell' Erculeo  segno, Riportar  prede  dall' isole  vostre, Che  faranno  or,  s'avran  le  terre  nostre? 38  Ma  quando  ancor  nessuno  onor,  nessuno Util  v'inanimasse  a  questa  impresa, Comun  debito  é  ben  soccorrer  l'uno L'altro,  che  militiam  sotto  una  Chiesa. Ch'io  non  vi  dia  rotti  i  nemici,  alcuno Non  sia  che  tema,  e  con  poca  contesa; Che  gente  male  esperta  tutta  parmi. Senza  possanza,  senza  cor,  senz'armi. 39  Potè  con  queste  e  con  miglior  ragioni, Con  parlare  espedito  e  chiara  voce Eccitar  quei  magnanimi  baroni Rinaldo,  e  quello  esercito  feroce; E  fu,  com'è  in  proverbio,  aggiunger  sproni Al  buon  corsier  che  già  ne  va  veloce. Finito  il  ragionar,  fece  le  schiere Muover  pian  pian  sotto  le  lor  bandiere. 40  Senza  strepito  alcun,  senza  rumore Fa  il  tripartito  esercito  venire. Lungo  il  fiume  a  Zerbin  dona  T  onore Di  dover  prima  i  barbari  assalire; E  fa  quelli  d'Irlanda  con  maggiore Volger  di  via  più  tra  campagna  gire; E  i  cavalieri  e  i  fanti  d'Inghilterra Col  duca  di  Lincastro  in  mezzo  serra. 41  Drizzati  che  gli  ha  tutti  al  lor  cammino, Cavalca  il  paladin  lungo  la  riva, E  passa  innanzi  al  buon  duca  Zerbino, E  a  tutto  il  campo  che  con  lui  veniva; Tanto  ch'ai  re  d'Orano  e  al  re  Sobrino E  agli  altri  lor  compagni  soprarriva, Che  mezzo  miglio  appresso  a  quei  di  Spagna Guardavan  da  quel  canto  la  campagna. 42  L' esercito  Cristian,  che  con  si  fida E  si  sicura  scorta  era  venuto, Ch'ebbe  il  Silenzio  e  l'Angelo  per  guida. Non  potè  ormai  patir  più  di  star  muto Sentiti  gli  inimici,  alzò  le  grida, E  delle  trombe  udir  fé' il  suono  arguto; E  con  l'alto  rumor  ch'arrivò  al  cielo. Mandò  nell'ossa  a'Saracini  il  gelo. 43  Rinaldo  innanzi  agli  altri  il  destrier  pange . E  con  la  lancia  per  cacciarla  in  re.sta: Lascia  gli  Scotti  un  tratto  d' arco  lunge; Ch'ogni  indugio  a  ferir  si  lo  molesta. Come  groppo  di  vento  talor  giunge. Che  si  tra' dietro  un'orrida  tempesta; Tal  fuor  di  squadra  il  cavalier  gagliardo Venia  spronando  il  corridor  Baiardo. 44  Al  comparir  del  paladin  di  Francia Dan  segno  i  Mori  alle  future  angosce: Tremare  a  tutti  in  man  vedi  la  lancia, I  piedi  in  staffa,  e  neh'arcìon  le  cosce. Re  Pulì'ano  sol  non  muta  guancia. Che  questo  essei  Rinaldo  non  conosce; Né  pensando  trovar  si  duro  intoppo, Gli  muove  il  destrier  contro  di  galoppo:45  E  su  la  lancia  nel  partir  si  stringe, E  tutta  in  sé  raccoglie  la  persona; Poi  con  ambo  gli  sproni  il  destrier  spinge, E  le  redini  innanzi  gli  abbandona. Dall'altra  parte  il  suo  valor  non  finge, E  mostra  in  fatti  quel  ch'in  nome  suona, Quanto  abbia  nel  giostrare  e  grazia  ed  arte, II  figliuolo  d'Amone,  anzi  di  Marte. 46  Furo  al  segnar  degli  aspri  colpi,pari;Che  si  posero  i  ferri  ambi  alla  testa: Ma  furo  in  arme  ed  in  virtù  dispari; Che  r  un  via  passa,  e  l'altro  morto  resta. Bisognan  di  valor  segni  più  chiari, Che  por  con  leggiadria  la  lancia  in  resta: Ma  fortuna  anco  più  bisogna  assai; Che  senza,  vai  virtù  raro  o  non  mai. 47  La  buona  lancia  il  paladin  racquista, E  verso  il  re  d'Oran  ratto  si  spicca. Che  la  persona  aveva  povera  e  trista Di  cor,  ma  d'ossa  e  di  gran  polpe  ricca. Questo  por  tra  bei  colpi  si  può  in  lista, Bench'in  fondo  allo  scudo  gli  l'appicca: E  chi  non  vuol  lodarlo,  abbialo  escuso, Perdìè  non  si  potea  giunger  più  insuso. stanza  27. 48     Non  lo  ritien  lo  scudo,  che  non  entre, Benché  fuor  sia  d'acciar,  dentro  di  palma; E  che  da  quel  gn  corpo  uscir  pel  ventre Non  faccia  l'ineguale  e  piccola  alma. Il  destrier  che  portar  si  credea,  mentre Durasse  il  lungo  di,  si  grave  salma, Riferì  in  mente  sua  grazie  a  Rinaldo, Ch'a  quello  incontro  gli  schivò  un  gran  caldo. 49     Rotta  Pasta,  Rinaldo  il  destrier  volta Tanto  leggier,  che  fa  sembrar  ch'abbia  ale; E  dove  la  più  stretta  e  maggior  folta Stiparsi  vede,  impetuoso  assale. Mena  Fusberta  sanguinosa  in  volta. Che  fa  Tarme  parer  di  vetro  frale. Tempra  di  ferro  il  suo  tagliar  non  schiva, Che  non  vada  a  trovar  lacarneviva.54D'Africav'era  la  raen  trista  gente; Benché  né  questa  ancor  gran  prezzo  vaglia. Dardinel  la  sua  mosse  incontinente, E  male  armata,  e  peggio  usa  in  battaglia; Bench'egli  in  capo  avea  l'elmo  lucente, E  tutto  era  coperto  a  piastra  e  a  maglia.. Io  credo  che  la  quarta  miglior  fia, Con  la  qual  Isolier  dietro  venia. 55  Trasone  intanto,  il  buon  duca  di  Marra, Che  ritrovarsi  all'alta  impresa  gode, Ai  cavalieri  suoi  leva  la  sbarra, E  seco  invita  alle  famose  lode; Poich' Isolier  con  quelli  di  Navarra Entrar  nella  battaglia  vede  et  ode. Poi  mosse  Ari'odante  la  sua  schiera, Che  nuovo  duca  d'Albania  fatt'era. 50  Ritrovar  poche  tempre  e  pochi  ferri Può  la  tagliente  spada,  ove  s' incappi; Ma  targhe,  altre  di  cuoio,  altre  di  cerri,? Giuppe  trapunte,  e  attorcigliati  drappi. Giusto  è  ben  dunque  che  Rinaldo  atterri Qualunque  assale,  e  fori  e  squarci  e  aifrappi; Che  non  più  si  difende  da  sua  spada, Ch'  erba  da  falce,  o  da  tempesta  biada. 51  La  prima  schiera  era  già  messa  in  rotta, Quando  Zerbin  con  l'antiguardia  arriva. Il  cavalier  innanzi  alla  gran  frotta Con  la  lancia  arrestata  ne  veniva. La  gente  sotto  il  suo  pennon  condotta, Con  non  minor  fierezza  lo  seguiva:Tanti  lupi  parean,  tanti  leoni Ch'andassero  assalir  capre  e  montoni. 52  Spinse  a  un tempociascuno  il  suo  cavallo, Poi  che  fur  presso;  e  sparì  immantinente Quel  breve  spazio,  quel  poco  intervallo Che  si  vedea  fra  l'una  e  l'altra  gente. Non  fu  sentito  mai  più  strano  ballo; Che  ferian  gli  Scozzesi  solamenteSolamente  i  pagani  eran  distrutti, Come  sol  per  morir  fosser  condutti. 53  Parve  più  freddo  ogni  pagan  che  ghiaccio; Parve  ogni  Scotto  più  che  fiamma  caldo: I  Mori  si  credean  ch'avere  il  braccio Dovesse  ogni  Cristian,  eh'  ebbe  Rinaldo. Mosse  Sobrino  i  suoi  schierati  avaccio, Senza  aspettar  che  lo'nvitasse  araldo. Dell'altra  squadra  questa  era  migliore Di  capitano,  d'arme  e  di  valore. 56  L'alto  rumor  delle  sonore  trombe, De'  timpani  e  de'  barbari  stromenti, Giunti  al  continuo  suon  d'archi,  di  frombe, Di  macchine,  di  ruote  e  di  tormenti; E  quel  di  che  più  par  che'l  ciel  rimborabe. Gridi,  tumulti,  gemiti  e  lamenti; Rendono  un  alto  suon  eh' a  quel  s'accorda, Con  che  i  vicin,  cadendo,  il  Nilo  assorda. 57  Grande  ombra  d'ogn'intomo  il  cielo  involve, Nata  dal  saettar  delli  duo  campi: L'alito,  il  fumo  del  sudor,  la  polve Par  che  nell'aria  oscura  nebbia  stampi. Or  .qua  l'un  campo,  or  l'altro  là  si  volve: Vedresti,  or  come  un  segua,  or  come  scampi; Ed  ivi  alcuno,  o  non  troppo  diviso, Rimaner  morto  ove  ha  il  nimico  ucciso. 58  Dove  una  squadra  per  stanchezza  è  mossa. Fu' altra  si  fa  tosto  andare  innanti. Di  qua,  di  là  la  gente  d'arme  ingrossa; Là  cavalieri,  e  qua  si  metton  fanti. La  terra  che  sostien  l'assalto,  è  rossa; Mutato  ha  il  verde  ne' sanguigni  manti; E  dov'  erano  i  fiori  azzurri  e  gialli, Giaceano  uccisi  or  gli  uomini  e  i  cavalli. 59  Zerbin  facea  le  più  mirabil  prove Che  mai  facesse  di  sua  età  garzone: L'esercito  pagan  che'ntomo  piove', Taglia  jcd  uccide,  e  mena  a  destruzione. Ari'odante  alle  sue  genti  nuove Mostra  di  sua  virtù  gran  paragone; E  dà  di  sé  timore  e  meraviglia A  quelli  di  Navarra  e  di  Castiglia. 60    Chelindo  e  Mosco,  i  duo  flgH  bastardi Del  morto  Calabrun  re  d'Aragona, Ed  un  che  reputato  fra' gagliardi Era,  Calamidor  da  Barcellona, S' avean  lasciato  addietro  gli  stendardi; E  credendo  acquistar  gloria  e  corona Per  uccider  Zerbin,  gli  furo  addosso; E  ne' fianchi  il  destrier  gli  hanno  percosso. HI    Passato  da  tre  lance  il  destrier  morto Cade;  ma  il  buon  Zerbin  subito  è  in  piede; Ch'a  quei  ch'ai  suo  cavallo  han  fatto  torto, Per  vendicarlo  va  dove  li  vede: E  prima  a  Mosco,  al  giovene  inaccorto, Che  gli  sta  sopra,  e  di  pigliar  se  '1  crede, Mena  di  punta,  e  lo  passa  nel  fianco, E  fìior  di  sella  il  caccia  freddo  e  bianco. 62    Poi  che  si  vide  tor, come  di  furto, Chelindo  il  fratel  suo,  di  furor  pieno Venne  a  Zerbino,  e  pensò  dargli  d'urto; Ma  gli  prese  egli  il  corridor  pel  freno; Tiasselo  in  teria,  onde  non  è  mai  surto . E  non  mangiò  mai  più  biada  né  fieno; Zerbin  sì  gran  forza  a  un  colpo  mise, Che  lui  col  suo  signor  d'un  taglio  uccise. "8    Come  Calamidor  quel  colpo  mira, Volta  la  briglia  per  levarsi  in  fretta. Ma  Zerbin  dietro  un  gran  fendente  tira, Dicendo: Traditore,  aspetta,  aspetta. Non  va  la  botta  ove  n'andò  la  mira, Non  che  però  lontana  vi  si  metta: Lui  non  potè  arrivar,  ma  il  destrier  prese Sopra  la  groppa,  e  in  trra  lo  distese. 64    Colui  lascia  il  cavallo,  e  via  carpone Va  per  campar,  ma  poco  gli  successe; Che  venne  ca"o  che  '1  duca  Trasone Gli  passò  sopra,  e  col  peso  l'oppresse, Arì'odante  e  Lurcanio  si  pone Dove  Zerbino  è  fra  le  genti  spesse:E  seco  hanno  altri  e  cavalieri  e  conti, Che  fauno  ogni  opra  che  Zerbin  rimonti. 66    Menava  Arì'odante  il  brando  in  giro; E  ben  lo  seppe  Artalico  e  Slargano:Ma  molto  più  Etearco  e  Casimiro La  possanza  sentir  di  quella  mano. I  primi  duo  feriti  se  ne  giro:Bimaser  gli  altri  duo  morti  sul  piano. Lurcanio  fa  veder  quanto  sia  forte; Che  fere,  urta,  riversa,  e  mtte  a  morte. 66  Non  cre'liate,  signor,  che  fra  campagna Pugna  minor  che  presso  al  fiume  sia Né  eh'  addietro  l'esercito  rimagna, Che  di  Lincastro  il  buon  duca  segaia. Le  ban'liere  assali  questo  di  Spagna, E  molto  ben  di  par  la  cosa  già; Che  fanti,  cavalieri  e  capitani Di  qua  e  di  là  sapcan  menar  le  m.iti. 67  Dinanzi  vien  Oldrado  e  Fieramente, l'n  duca  di  Glocestra,  un  d'Eborace: Con  lor  Riccardo  di  Varvecia  conte. E  di  Chiarenza  il  duca,  Enrigo  audace. Han  fatalista  e  Follicoue  a  fronte, E  Baricondo  ed  ogni  lor  seguace. Tiene  il  primo  Almeria,  tiene  il  secondo Granata,  tien  Maiorca  Baricondo. 68  La  fiera  pugna  un  pezzo  andò  di  pare. Che  vi  si  discernea  poco  vantaggio. Vedeasi  or  l'uno  or  l'altro  ire  e  tornare, Come  le  biade  al  ventolin  di  maggio, 0  come  sopra '1  lito  tm  mobil  mare Or  viene  or  va,  né  mai  tiene  un  viaggio. Poi  che  Fortuna  ebbe  scherzato  un  pezzo, Dannosa  ai  Mori  ritornò  da  sezzo. 69  Tutto  in  un  tempo  il  duca  di  Glocestra A  Matalista  fa  votar  1'  arcione: Ferito  a  un  tempo  nella  spalla  destra Fieramente  riversa  Follicoue; E  r  un  pagano  e  V  altro  si  sequestra, E  tra  gì'  Inglesi  se  ne  va  prigione. E  Baricondo  a  un  tempo  riman  senza Vita  per  man  dtrl  duca  di  Chiarenza. 70  Indi  i  pagani  tanto  a  spaventarsi, Indi  i  fedeli  a  pigliar  tanto  ardire; Che  quei  non  facean  altro  che  ritrarsi, E  partirsi  dall'ordine  e  fuggire; E  questi  andar  innanzi,  ed  avanzarsi Sempre  terreno,  e  spingere  e  seguire:E  se  non  vi  giungea  chi  lor  die  aiuto, Il  campo  da  quel  lato  era  perduto. 71  Ma  Ferraù,  che  sin  qUi  mai  non  s'era Dal  re  Marsilio  suo  troppo  disgitmto, Quando  vide  fuggir  quella  bandiera, E  l'esercito  suo  mezzo  consunto, Spronò  il  cavallo,  e  dove  ardea  più  fiera La  battaglia,  lo  spinse;  e  arrivò  a  punto .    Che  vide  dal  destrier  cadere  in  terra, Col  capo  fespo,  Olimpio  dalla  Serra; 72     Un  giovinetto  che  col  dolce  canto, roncarle  al  suou  della  cornuta  cetra, D'intenerire  un  cor  si  dava  vanto, Ancorché  fosse  più  duro  che  pietra. Felice  lui,  se  contentar  di  tanto Onor  sapeasi,  e  scudo,  arco  e  faretra Aver  in  odio,  e  scimitarra  e  lancia, Che  lo  fecer  morir  giovine  in  Francia. 73    Quando  lo  vide  Ferraù  cadere, Cile  solca  amarlo  e  avere  in  mo't.v  estima, Si  sente  di  lui  sol  via  più  dolere, Che  di  miir  altri  che  perìron  prima; E  sopra  chi  l'uccise  in  modo  fere, Che  gli  divide  l'elmo  dalla  cima Per  la  fronte,  per  gli  occhi  e  per  la  faccia, Per  mezzo  il  petto,  e  morto  a  terra  il  cacci i. Stanza  56. 74    Né  qui  s'indugia;  e  il  brando  intorno  ruota, Ch'ogni  elmo  rompe,  ogni  lorica  smaglia: A  chi  segna  la  fronte,  a  chi  la  gota, 

Ad  altri  il  capo,  ad  altri  il  bracci  ì  figlia:Or  questo  or  quel  di  sangue  e  d'alma  vota; E  ferma  da  quel  canto  la  battaglia. Onde  la  spaventata  ignobil  frotta Senz'ordine  fuggia  spezzata  e  rotta. 75    Entrò  nella  battaglia  il  re  Agramante, D'uccider  gente  e  di  far  prove  vago; E  seco  ha  Baliverzo,  Farurante, Prusion,  Soridano  e  Bambirago. Poi  son  le  genti  senza  nome  tante, Che  del  lor  sangue  oggi  faranno  un  lago, Che  meglio  conterei  ciascuna  foglia, Quando  l'autunno  gli  arbori  ne  spoglia. 76  Agramante  dal  muro  una  gran  banda Di  fanti  avendo  e  di  cavalli  tolta, Col  re  di  Peza  subito  li  manda,Che  dietro  ai  padiglion  piglin  la  volta, E  vadano  ad  opporsi  a  quei  d'Irlanda, Le  cui  squadre  vedea  con  fretta  molta, Dopo  gran  giri  e  larghi  avvolgimenti, Venir  per  occupar  gli  alloggiamenti. 77  Fu  1  re  di  Feza  ad  eseguir  ben  presto; Ch'ogni  tardar  troppo  nociuto  avria. Raguna  intanto  il  re  Agramante  il  resto:Parte  le  squadre,  e  alla  battaglia  invia. Egli  va  al  fiume;  che  gli  par  ch'in  questo Luogo  del  suo  venir  bisogno  sia: E  da  quel  canto  un  messo  era  venuto Del  re  Sobrino  a  domandare  aiuto. stanza  82. 80  Dove  gli  Scotti  ritornar  fuggendo Vede,  s'appara,  e  grida:  Or  dove  andate? Perchè  tanta  viltade  in  voi  comprenio, Che  a  sì  vii  gente ilcampo  abbandonate?Ecco  le  spoglie,  delle  quali  intendo Ch'esser  dovean  le  vostre  chiese  ornate. Oh  che  laude,  oh  che  gloria,  che'l  figliaolo Del  vostro  re  si  lasci  a  piedi  e  solo ! 81  D'un  suo  scudier  una  grossa  asta  afTerra. E  vede  Prusion  poco  lontano, Be  d'Alvaracchie,  e  addosso  se  gli  serra. E  dell'arcion  lo  porta  morto  al  piano. Morto  Agricalte  e  Bambirago  atterra; Dopo  fere  aspramente  Sondano; E  come  gli  altri  l'avria  messo  a  morte, Se  nel  ferir  la  lancia  era  più  fort". 82  Stringe  Fusberta,  poiché  l'asta  è  rotta, E  tocca  Serpentin,  quel  dalla  Stella. Fatate  l'arme  avea;  ma  quella  botta Pur  tramortito  il  manda  fuor  di  sella E  cosi  al  duca  della  gente  scotta Fa  piazza  intomo  spaziosa  e  bella; Sì  che  senza  contesa  un  destrier  pnote Salir  di  quei  che  vanno  a  selle  vote. 83  E  ben  si  ritrovò  salito  a  tempo, Che  forse  noi  facea,  se  più  tardava; Perchè  Agramante  e  Dardinello  a  un  tempii, Sobrin  col  re  Balastro  v'arrivava. Ma  egli,  che  montato  era  per  tempo, Di  qua  e  di  là  col  brando  s' aggirava, Mandando  or  questo  or  quel  giù  nell'inferno dar  notizia  del  viver  moderno. 78  Menava  in  una  squadra  più  di  mezzo Il  campo  dietro;  e  sol  del  gran  rumore Tremar  gli  Scotti,  e  tanto  fu  il  ribrezzo, Ch' abbandonavan  l'ordine  e  l'onore. Zerbin, Lurcanio  e  Ar lodante  in  mezzo Vi  restar  soli  incontra  a  quel  furore; E  Zerbin,  ch'era  a  pie,  vi  perla  forse; Ma  '1  buon  Rinaldo  a  tempo  se  n'  accorse. 79  Altrove  intanto  il  paladin  s'avea Fatto  innanzi  fuggir  cento  bandiere. Or  che  l'orecchie  la  novella  rea Del  gran  periglio  di  Zerbin  gli  fere, Ch'a  piedi  fra  la  gente  cirenea Lasciato  solo  aveano  le  sue  schiere, Volta  il  cavallo  t  e  dove  il  campo  scotto Vede  fuggir,  prende  la  via  di  botto. 84  II  buon  Rinaldo,  il  quale  a  porre  in  terra I  più  dannosi  avea  sempre  riguardo, La  spada  contro  il  re  Agramante  afferra, Che  troppo  gli  parca  fiero  e  gagliardo (Facea  egli  sol  più  che  mille  altri  guerra); E  se  gli  spinse  addosso  con  Baiardo: Lo  fere  a  un  tempo  ed  urta  di  traverso Sì,  che  lui  col  destrier  manda  riverso. 85  Mentre  di  fuor  con  sì  crudel  battaglia. Odio,  rabbia,  furor  l'un  l'altro  offende, Rodomonte  in  Parigi  il  popol  taglia, Le  belle  case  e  i  sacri  templi  accende. Carlo,  ch'in  altra  parte  si  travaglia, Questo  non  vede,  e  nulla  ancor  ne  'ntende:Odoardo  raccoglie  ed  Arimanno Nella  città,  col  lor  popol  britanno. 86    A  lui  venne  un  scudier  pallido  in  volto, Che  i>otea  appena  trar  del  petto  il  fiato. Ahimè !  signor,  ahimè !  replica  molto, Prima  ch'abbia  a  dir  altro  incominciato: Oggi  il  romanoimperio,  oggi  è  sepolto; Oggi  ha  il  suo  popol  Cristo  abbandonato:Il  Demonio  dal  cielo  è  piovuto  oggi, Perchè  in  questa  città  più  non  s'alloggi. 87    Satanasso  (perch' altri  esser  non  puote) Strugge  e  mina  la  città  infelice. Volgiti  e  mira  le  fumose  ruote Della  rovente  fiamma  predatrice; Ascolta  il  pianto  che  nel  ciel  percuote; E  faccian  fede  a  quel  che  '1  servo  dice. Un  solo  è  quel  eh' a  ferro  e  a  fuoco  strugge La  bella  terra,  e  innanzi  ognun  gli  fugge. stanza  ( 88    Qual  è  colui  che  prima  oda  il  tumulto, E  delle  sacre  squille  il  batter  spesso. Che  vegga  il  fuoco  a  nessun  altro  occulto, Ch'a  sé,  che  più  gli  tocca,  e  gli  è  più  presso; Tale  è  il  re  Carlo,  udendo  il  nuovo  insulto, E  conoscendo!  poi  con  V  occhio  istesso:Onde  lo  sforzo  di  sua  miglior  gente Al  grido  drizza  e  al  gran  rumor  che  sente. 89    Dei  paladini  e  dei  guerrier  più  degni Carlo  si  chiama  dietro  una  gran  parte, E  ver. la  piazza  fa  drizzare  i  segni; Che  '1  pagan  s' era  tratto  in  quella  pirte. Ode  il  rumor,  vede  gli  orribil  segui Di  crudeltà,  l'umane  membra  sparte. Ora  non  più:  ritomi  un'altra  volta Chi  volontier  la  bella  istoria  ascalta. NOTE. St.  5.  v.58.   Bama: oggi  Bamlat  piccola  città  di Siria,  stazione  dei  pellegrini  che  andavano  a  Gerusa lemme.  Antiochia f oraAntakiech: la  famosa  Antio cbìa  Magna,  salla  sinistra  deirOronte,  a  settentrione  di Damasco. St.  11.  V  1.   Nicoaia,  città  principale  dell'isola  di Cipro. St.  23.  V.24.   Campi  ircani.  Gli  antichi  chiama rono Ircania  una  regione  della  Persia,  in  vicinanza  al mar  Caspio,  la  qoale  ora  comprende  lo  Schirvan,  il  Ohi lan  e  il  Tabarìstan.  Nel  monte  che  Tffeo  sotto  9i  frange, si  può  ravvisare  col  Petrarca  la  montagna  d'Ischia,  isola presso  il  capo  Miseno  all'entrata  del  golfo  di  Napoli. St.  27.  V.56.   Signor,  avete  a  creder,  ecc.  All'as sedio di  Padova,  fatto  dagli  Austrìaci  nel  1509,  si  trovò il  cardinale  Ippolito  d'Este. St.  31.  V.15.   Impedimenti:  bagagli  dell'esercito. St.  33.  V.3.   Il  vostro  re,  ecc.: il  padre  d'Astolfo, Otone  d'Inghilterra,  che  insieme  con  Carlo  era  assediato in  Parigi. St.  36.  V.12.    Una  corona,  ecc.:  era  di  quercia: i  Romani  la  dissero  civica;  e  la  davano  a  chi  salvava la  vita  a  qualche  cittadino. St.  37.  V.6.   Zibeltaro,  ecc.:  Gibilterra,  e  Io  stretto omonimo,  ricordato  più  volte. St.  47.  V.7.   Escuso,  scusato. St.  50.  V.34.   Targhe,  speaie  di  scudi.   Oiuppe trapunte,  sorta  di  sottovesti  usate  allora  a  difesa  del corpo. St.  53.  V.5.   Avaccio: prestamente. St.  56.  V.78.   Un  alto  suon,  ecc.:  accennasi  il fragore  prodotto  dalle  cateratte  delNilo.St.72.  V.2.   Cornuta.  Chiama  cornuta  la  cetra, perchè  ha  due  capi  ricurvi  a  modo  di  corni St  76.  V.3.    Feza: Fez,  provincia  che  ha  titolo  di regno,  nell'impero  di  Marocco. St.  79.  V.b.   La  gente  cirenea.  Cirenaica  chiamossi in  antico  il  paese  di  Barca,  limitrofo  alla  gran  Sirte,  nello Stato  di  Tripoli;  ma  qui  può  intendersi  geneialmente la  milizia  libica  ed  anche  africana. St.  82.  V.2.   Stella,  Estella,  città  di  Spagna,  dalla quale  prendeva  il  nome  Serpentino. stanza  93. CANTO  DECIMOSETTIMO. AROOMENTO. Carlo  esorta  i  suoi  paladini,  ed  insieme  con  essi  investe  i  nemici.  Grifone,  Orrigìlle  e  Hartano  vanno  in  Dama sco alla  festa  bandita  da  Noiandino.  Grifone  vince  nella  giostm:  Mai'tano  vi  mostra  somma  codardia,  na gli  usurpa  l'onore  della  vittoria,  onde  Grifone  riceve  onte  ed  oltraggi. 1      II  giusto  Dio,  quando  i  peccati  nostri Hanno  di  remissìon  passato  il  seguo, Acciò  che  la  giustizia  sua  dimostri Uguale  alla  pietà,  spesso  dà  regno A  tiranni  atrocissimi  ed  a  mostri, E  dà  lor  forza,  e  di  mal  fare  ingegno. Per  questo  Mario  e  Siila  pose  al  mondo, E  duo  Neroni  e  Caio  furibondo, Che  d'Attila  dir?  che  dell'iniquo Ezzelin  da  Roman?  che  d'altri  cento, Che  dopo  un  lungo  andar  sempre  in  obliquo, Ne  manda  Dio  per  pena  eper tormento?Di  questo  abbiam  non  pur  al  tempo  antiquo, Ma  ancora  al  nostro,  chiaro  esperimento, Quando  a  noi,  greggi  inutili  e  malnati, Ha  dato  per  guardian  lupi  arrabbiati:Domiziano  e  1'  ultimo  Antonino; E  tolse  dalla  immonda  e  bassa  plebe. Ed  esaltò  all'imperio  Massimino; E  nascer  prima  fé'  Creonte  a  Tebe; E  die  Mezenzio  al  popolo  Agilino, Che  fé' di  sangue  umau  grasse  le  glebe; E  diede  Italia  a  tempi  men  rimoti In  preJa  agli  Unni,  ai  Longobardi,  ai  (ioti. A  cui  non  par  eh' abbi' a  bastar  lor  fame, Ch'  abbi'  il  lor  ventre  a  capir  tanta  carne; E  chiaman  lupi  di  più  ingorde  brame Da  boschi  oltramontani  a  divorarne. Di  Trasimeno  l'insepulto  ossame, E  i  Canne  e  di  Trebbia,  poco  pame Verso  quel  che  le  ripe  e  i  campi  ingrassa, Dov'Adda  e  Mei  la  e  Ronco  e  Taro  passa. Or  Dio  consente  che  noi  siam  \m\ìhì Da  popoli  di  noi  forse  peggiori, Per  li  multiplicati  ed  infiniti Nostri  nefandi,  obbrobriosi  errori. Tempo  verrà,  eh' a  depredar  lor  liti Andremo  noi,  se  mai  sarem  migliori, E  che  i  peccati  lor  giungano  al  segno, Che  V  etema  Bontà  muovano  a  sdegno. 11    Sta  su  la  porta  il  re  d'AIgier,  lucente Di  chiaro  acciar  che'l  capo  gli  armaeU  busto. Come  uscito  di  tenebre  serpente, Poi  cha  lasciato  ogni  squallor  vetusto, Del  nuovo  scoglio altiero,  e  che  si  sente Ringiovenito  e  pii\  che  mai  robusto:Tre  lingue  vibra,  ed  ha  negli  occhi  foco; Dovunque  passa,  ogn  animai  dà  loco. 3       Doveano  allora  aver  gli  eccessi  loro Di  Dio  turbata  la  serena  fronte, Che  scorse  ogni  lor  luogo  il  Turco  e'I  loro Con  stupri,  uccision,  rapine  ed  onte; Ma  più  di  tutti  gli  altri  danni,  fóro Gravati  dal  furor  di  Rodomonte. Dissi  ch'ebbe  di  lui  la  nuova  Carlo, E  che  'n  piazza  venia  per  ritrovarlo. 7  Vede  tra  via  la  gente  sua  troncata, Arsi  i  palazzi,  e  ruinati  i  templi, Oran  parte  della  terra  desolata:Mai  non  si  vider  si  crudeli  esempli. Dove  fuggite,  turba  spaventata? Non  è  tra  voi  chi  '1  danno  suo  contempli?Che  città,  che  rifugio  più  vi  resta, Qiwndo  si  perda  sì  vilmente  questa? 8  Dunque  un  uom  solo  in  vostra  terrà  preso. Cinto  di  mura  onde  non  può  fuggire, Si  partirà  che  non  V  avrete  offeso, Quando  tutti  v'avrà  fatto  morire? Con  Carlo  dicea,  che  d'ira  acceso Tanta  vergogna  non  potea  patire; E  giunse  dove  innanti  alla  gran  corte Vide  il  pagan  por  la  sua  gente  a  morte. 9  Quivi  gran  parte  era  del  popolazzo, Sperandovi  trovare  aiuto,  ascesa; Perchè  forte  di  mura  era  il  palazzo, Con  manizion  da  far  lunga  difesa. Rodomonte,  d'orgoglio  e  d'ira  pazzo, Solo  s'avea  tutta  la  piazza  presa; 

E  l'una  man,  che  prezza  il  mondo  poco, Ruota  la  spada,  e  l'altra  getta  il  fuoco. 10  E  della  regal  casa,  alta  e  sublime, Percuote  e  risuonar  fa  le  gran  porte. Gettan  le  turbe  dall'eccelse  cime E  merli  e  torri,  e  si  metton  per  morte. Guastare  i  tetti  non  è  alcun  che  stime; E  legne  e  pietre  vanno  ad  una  sorte, Lastre  e  colonne  e  le  dorate  travi, Che  furo  in  prezzo  agli  lor  pa<lri  e  agli  avi. 'i  (C.y t;>, stanza  7. 12  Non  sasso,  merlo,  trave,  arco  o  balestra, Né  ciò  che  sopra  il  Siracin  percuote, Ponno  allentar  la  sanguinosa  destra, Che  la  gran  porta  taglia,  spezza  e  scuote: E  dentro  fatto  v'ha  tanta  finestra, Che  ben  vedere  e  veduto  esser  puote Dai  visi  impressi  di  color  di  morte, Che  tutta  piena  quivi  hanno  la  corte. 13  Suonar  per  gli  alti  e  spaziosi  tetti S' odono  gridi  e  femminil  lamenti: L'afflitte  donne,  perco tendo  i  petti, Corron  per  casa  pallide  e  dolenti; E  abbraccian  gli  usci  e  i  geniali  letti. Che  tosto  hanno  a  lasciare  a  strane  genti. Tratta  la  cosa  era  in  periglio  tanto. Quando  il  re  giunse,  e  suoi  baroni  accanto. SUnza  12. 15  Perchè  debbo  vedere  in  voi  fortezza Ora  miuor,  ch'io  la  vedessi  aUora? Mostrate  a  questo  can  vostra  prodezza, A  questo  can  che  gli  uomini  devora. Un  magnanimo  cor  morte  non  prezza, Presta  o  tarda  che  sia,  purché ben  muoitL Ma  dubitar  non  posso  ove  voi  sete, Che  fatto  sempre  vincitor  m'avete. 16  Al  fin  delle  parole  urta  il  destriero, Con  Pasta  bassa,  al  Saracino  addosso. Mossesi  a  un  tratto  il  paladino  Uggiero, A  un  tempo  Namo  ed  Olivier  si  è  mosso, A  vino,  Avoìio,  Otone  e  Berlingiero, Ch'un  senza  l'altro  mai  veder  non  posso: E  ferir  tutti  sopra  a  Rodomonte E  nel  petto  e  nei  fianchi  e  nella  fronte. 17  Ma  lasciamo,  per  Dio,  signore,  ormai Di  parlar  d'ira,  e  di  cantar  di  morte; E  sia  per  questa  volta  detto  assai Del  Saracin  non  men  crudel  che  forte:Che  tempo  è  ritornar  dov'io  lasciai Grifon,  giunto  a  Damasco  in  su  le  porte Con  Orrigille  perfida,  e  con  quello Ch'  adulter'  era,  e  non  di  lei  fratello. Delle  più  ricche  terre  di  Levante, Delle  più  populose  e  meglio  ornate Si  dice  esser  Damasco,  che  distante Siede  a  Gerusalem  sette  giornate, In  un  piano  fruttifero  e  abbondante, Non  men  giocondo  il  verno,  che  l'estate. A  questa  terra  il  primo  raggio  tolle Della  nascente  nurora  un  vicin  colle. 19  Per  la  città  duo  fiumi  cristallini Vanno  innaffiando  per  diversi  rivi Un  numero  infinito  di  giardini, mai  di  fior,  non  mai  di  fronde  privi. Dicesi  ancor,  che  macinar  molini Potrian  far  P  acque  lanfe  che  son  quivi; E  chi  va  per  le  vie,  vi  sente  fuore 

Di  tutte  quelle  case  uscire  odore. 14    Carlo  si  volse  a  quelle  man  robuste. Ch'ebbe  altre  volte  a  gran  bisogni  pronte. Non  sete  quelli  voi,  che  meco  fuste Contra  Agolante,  disse,  in  Aspramonte? Sono  le  forze  vostre  ora  si  fruste, Che,  s'uccideste  lui,  Troiano  e  Almonte Con  cento  mila,  or  ne  temete  un  solo Pur  di  quel  sangue,  e  pur  di  quello  stuolo? 20    Tutta  coperu  è  la  strada  maestra Di  panni  di  diversi  color  lieti, E  d'odorifera  erba,  e  di  silvestra Fronda  la  terra  e  tutte  le  pareti. Adorna  era  ogni  porti,  ogni  finestra Di  finissimi  drappi  e  di  tappeti; Ma  più  dì  belle  e  bene  ornate  donne Di  ricche  gemme  e  di  superbe  gonne. 2 1       Vedeasi  celebrar  dentr'  alle  porte, Ili  molti  lochi,  soUazzevol  balli: Il  popol,  per  le  vie,  di  miglior  sorte Maneggiar  beu  guarniti  e  bei  cavalli. Facea  più  ben  veder  la  ricca  corte De' signor,  de' baroni,  e  deWassalli, Con  ciò  che  d'India  e  d'eritree  maremme Di  perle  aver  si  può,  d'oro  e  di  gemme. 22    Venia  Grifone  e  la  sua  <jompagiiia Mirando  e  quinci  e  quiudi  il  tutto  ad  agio; Quando  fermolli  un  ca vallerò  in  via, E  li  fece  smontare  a  un  suo  palagio:E  per  l'usanzi  e  per  sua  cortesia, Di  nulla  lasciò  lor  patir  disagio. Li  fé'  nel  bagno  entrar;  poi  con  serena Fronte  gli  accolse  a  sontuosa  ceua. Z' stanza  14.23    E  narrò  lor,  come  il  re  Norandino, Re  di  Damasco  e  di  tutta  Soria, Fatto  avea  il  paesano  e'I  peregrino. Ch'ordine  avesse  di  cavalleria, Alla  giostra  invitar,  eh'  al  mattutino Del  di  seguente  in  piazza  si  farla; E  che,  s'aveon  valor  pari  al  sembiante, '    Potrian  mostrarlo  senza  andar  più  innante. 24    Ancorché  quivi  non  venne  Grifone A  questo  effetto,  pur  lo  'nvito  tenne; Che  qual  volta  se  n'  abbia  occasione, Mostrar  virtude  mai  non  disconvenne. Interrogollo  poi  della  cagione Di  quella  festa,  e  s'ella  era  solenne Usata  ogn'  anno,  oppure  impresa  nuova Del  re,  ch'i  suoi  veder  volesse  in  pruova. 25    Rispose  il  cavalier:  La  bella  festa S'ha  da  far  sempre  ad  ogni  quarta  luna. Deir altre  che  verran,  la  prima  è  questa: Ancora  non  se  n  è  fatta  più  alcuna. Sarà  in  memoria  che  salvò  la  testa Il  re  in  tal  giorno  da  una  gran  fortuna, Dopo  che  quattro  mesi  in  doglie  e  n  pianti Sempre  era  statp,  e  con  la  morte  iumnti. 27    Ma  poi  che  fummo  tratti  a  piene  Tele Lungi  dal  porto  nel  Carpazio  iniquo, La  tempesta  saltò  tanto  crudele, Che  sbigotti  sin  al  padrone  antiqua Tre  di  e  tre  notti  andammo  errando  ne  le Minacciose  onde  per  cammino  obbliquo. Uscimmo  alfin  nel  lito  stanchi  e  molli. Tra  freschi  rivi,  ombrosi  e  verdi  collL Stanza  32. 26    Ma  perdirvi  la  cosa  pienamente, Il  nostro  re,  che  Norandin  s' appella, Molti  e  molt'anui  ha  avuto  il  core  ardente .Della  leggiadra  e  sopra  ogni  altra  bella Figlia  del  re  di  Cipro: e  finalmente Avutala  per  moglie,  iva  con  quella, Con  cavalieri  e  donne  in  compagnia; £  dritto  avea  il  cammin  verso  Soria. 28  Piantare  i  padiglioni,  e  le  cortine Fra  gli  arbori  tirar  facemmo  lieti. S'apparecchiano  i  fuochi  e  le  cucine; Le  mense  d'altra  parte  in  su  tappeti. Intanto  il  re  cercando  alle  vicine Valli  era  andato  e  a'  boschi  più  secreti, Se  ritrovasse  capre  o  daini  o  cervi; E  l'arco  gli  portar  dietro  duo  servi. 29  Mentre  aspettiamo,  in  gran  piacer  sedendo, Che  da  cacciar  ritorni  il  signor  nostro. Vedemmo  l'Orco  a  noi  venir  correndo Lungo  il  lito  del  mar,  terribil  mostro. Dio  vi  guardi,  signor,  che'l  viso  orrendo Dell' Orco  agli  occhi  mai  vi  sia  dimostro:Meglio  è  per  fama  aver  notizia  d'esso, Ch'andargli  sì,  che  lo  veggiate,  appresso. 80    Non  gli  può  comparir  quanto  sia  lungo, Si  smisuratamente  è  tutto  grosso. In  luogo  d'occhi,  di  color  di  fungo Sotto  la  fronte  ha  duo  coccole  d'osso. Verso  noi  vien,  come  vi  dico,  lungo Il  lito,  e  par  eh' un  monticel  sia  mosso. Mostra  le  zanne  fuor,  come  fa  il  iwrco; Ha  lungo  il  naso,  il  sen  bavoso  e  sporco. 31  Correndo  vien,  e'I  muso  a  guisa  porta Che'l  bracco  suol,  quindo  entra  in  su  la  traccia. Tutti,  che  lo  veggiam,  con  faccia  smorta In  fuga  andiamo  ove  il  timor  ne  caccia. Poco  il  veder  lui  cieco  ne  conforta. Quando,  fiutando  sol,  par  che  più  faccia, Ch'altri  non  fa,  ch'abbia  odorato  e  lume: E  bisogno  al  fuggire  eran  le  piume. 32  Corron  chi  qua,  chi  là;  ma  poco  lece Da  lui  fuggir,  veloce  più  che  '1  Noto. Di  quaranta  persone,  appena  diece Sopra  il  navilio  si  salvaro  a  nuoto. Sotto  il  braccio  un  fastel  d' alcuni  fece; Né  il  grembo  si  lasciò  né  il  seno  voto. Un  suo  capace  zaino  empissene  anco, Che  gli  pendea,  come  a  pastor,  dal  fianco.      33     Portocci  alla  sua  tana  il  mostro  cieco, Cavata  in  lito  al  mar  dentrnno  scoglio. Di  marmo  cosi  bianco  è  quello  speco, Come  esser  soglia  ancor  non  scritto  foglio. Quiyi  abitava  una  matrona  seco, Di  dolor  piena  in  vista  e  di  cordoglio; Ed  avea  in  compagnia  donne  e  donzelle D'ogni  età,  d'ogni  sorte,  e  brutte  e  belle. B4    Era  presso  alla  grotta  in  ch'egli  stava, Quasi  alla  cima  del  giogo  superno, Un'altra  non  ininor  di  quella  cava, Dove  del  gregge  suo  focea  governo. Tanto  n'avea,  che  non  si  numerava; E  n'era  egli  il  pastor  l'estate  el  verno. Ai  tempi  suoi  gli  apriva  e  tenea  chiuso, Per  spasso  che  n'  avea,  più  che  per  uso. 3.5    L'umana  carne  meglio  gli  sapeva; E  prima  il  fa  veder,  ch'ali'  antro  arrivi; Che  tre  de' nostri  giovini  ch'aveva, Tutti  li  mangia,  anzi  trangugia  vivi. Viene  alla  stalla,  e  un  gran  sasso  ne  leva: Ne  caccia  il  gregge,  e  noi  riserra  quivi. Con  quel  sen  va  dove  il  suol  far  satollo, Sonando  una  zampogna  eh' avea  in  collo. 36  II  signor  nostro  intanto,  ritornato Alla  marina,  il  suo  danno  comprende; Che  trova  gran  silenzio  in  ogni  lato, Voti  frascati,  padiglioni  e  tende. Né  sa  pensar  chi  si  l'abbia  rubato; E  pien  di  gran  timore  al  lito  scende, Onde  i  nocchieri  suoi  vede  in  disparte Sarpar  lor  ferri,  e  in  opra  por  le  sarte. 37  Tosto  ch'essi  lui  veggiono  sul  lito n  palischermo  mandano  a  levarlo: Ma  non  sì  tosto  ha  Norandino  udito Dell' Orco  che  venuto  era  a  rubarlo, Che,  senza  più  pensar,  piglia  partito, Dovunque  andato  sia,  di  seguitarlo. Vedersi  tor  Lucina  si  gli  duole, Ch'o  racquistarla,  o  non  più  viver  vuole. 38  Dove  vede  apparir  lungo  la  sabbia La  fresca  orma,  ne  va  con  quella  fletta Con  che  lo  spinge  l'amorosa  rabbia, Finché  giunge  alla  tana  ch'io  v'ho  detta. Ove  con  tema,  la  maggior  che  s'abbia A  patir  mai,  l'Orco  da  noi  s' aspetta. Ad  ogni  suono  di  sentirlo  parci, Ch'aifamato  ritomi  a  divorarci. 39  Quivi  fortuna  il  re  da  tempo  guida, Che  senza  V  Orco  in  casa  era  la  moglie. Come  ella'l  vede:  Fuggine,  gli  grida: Misero  te,  se  l'Orco  ti  ci  coglie ! Coglia,  disse,  o  non  coglia,  o  salvi  o  uccida, ,  Che  miserrimo  i'  sia  non  mi  si  toglie. Disir.mi  mena,  e  non  error  di  via, C  ho  di  morir  presso  alla  moglie  mia. 40  Poi  segui,  dimandandole  novella Di  quei  che  prese  l'Orco  in  su  la  riva; Prima  degli  altri,  di  Lucina  bella, Se  l'avea  morta,  o  la  tenea  captiva. La  donna  umanamente  gli  favella, E  lo  conforta,  che  Lucina  é  viva, E  che  non  é  alcun  dubbio  ch'ella  muora; Che  mai  femmina  l'Orco  non  divora. 41  Esser  di  ciò  argumento  ti  poss'io, E  tutte  queste  donne  che  son  meco: Né  a  me  né  a  lor  mai  1'  Orco  é  stato  rio, Purché  non  ci  scostiam  da  questo  speco. A  chi  cerca  fuggir,  pon  grave  fio; Né  pace  mai  puon  ritrovar  più  seco: 0  le  sotterra  vive,  o  l'incatena, 0  fa  star  nude  al  sol  sopra  l'arena. 42  Quand'oggi  egli  portò  qui  la  tua  gente, Le  femmine  dai  maschi  non  divise; Ma,  si  come  gli  avea,  confusamente Dentro  a  quella  spelonca  tutti  mise. Sentirà  a  naso  il  sesso  differente:Le  donne  non  temer  che  sieno  uccise: Gli  uomini,  òiene  certo;  ed  empieranne Di  quattro,  il  giorno,  o  sei,  l'avide  canne. 48    Di  levar  lei  di  qui  non  ho  consiglio Che  dar  ti  possa; econtentar ti  puoi Che  nella  vita  sua  non  é  periglio:Starà  qui  al  ben  e  al  mal  ch'avremo  noi. Ma  vattene,  per  Dio,  vattene,  figlio, Che  l'Orco  non  ti  senta  e  non  t'ingoi. che  giunge  d'ogn' intorno  annasa, E  sente  sin  a  un  topo  che  sia  in  casa. 44    Rispose  il  re,  non  si  voler  partire, Se  non  vedea  la  sua  Lucina  prima; E  che  piuttosto  appresso  a  lei  morire, Che  viverne  loutan.  faceva  stima. Quando  vede  ella  non  potergli  dire Cosa  che  '1  muova  dalla  voglia  prima, Per  aiutarlo  fa  nuovo  disegno, E  ponvi  ogni  sua  industria,  ogni  suo  ingegno. 45    Morte  avea  in  casa,  e  (Vogni  tempo  appese, Con  lor  mariti,  assai  capre  ed  agnelle, Onde  a  sé  ed  alle  sue  facea  le  spese; E  dal  tetto  pendea  più  d'una  pelle. La  donna  fe  che  '1  re  del  grasso  prese, Ch'avea  un  gran  becco  intorno  alle  ludelle, E  che  se  n'unse  dal  capo  alle  piante, Finché  r  e  dor  cacciò  eh'  egli  ebbe  innante. 48    Pensate  voi  .se  gli  tremava  il  core . Quando  l'Orco  senti  che  ritornava. E  che  '1  viso  crndel  pieno  d'orrore Vide  appressare  all' uscio  della  cava:Ma  potè  la  pietà  più  che'l  timore. S'ardea,  vedete,  o  .se  fingendo  amav.i. Vien  l'Orco  innanzi,  e  leva  il  sasso,  ed  apre Norandino  entra  fra  pecore  e  capre. Stanza  ò'o. 46  E  poi  che'l  tristo  puzzo  aver  le  parve. Di  che  il  fetido  becco  ognora  sape, Piglia  l'irsuta  pelle,  e  tutto  entrarve Lo  fé';  ch'ella  è  si  grande,  che  lo  cape Coperto  sotto  a  cosi  strane  larve, Faccndol  gir  carpon,  seco  lo  rape Là  dove  chiuso  era  d'un  sasso  grave l>ella  sua  donna  il  bel  viso  soave. 47  Norandino  ubbidisce,  ed  alla  buca Della  spelonca  ad  aspettar  si  mette, Acciò  col  gregge  dentro  si  conduca; E  fin  a  sera  disiando  stette. Olle  la  sera  il  suon  della  sambuca, Con  che  'nvita  a  lassar  l'umide  erbette, E  ritornar  le  pecore  all'albergo Il  fier  pastor,  che  lor  venia  da  tergo. 49    Entrato  il  gregge,  l'Orco  a  noi  discende: Ma  prima  sopra  sé  l'uscio  .si  chiude. Tutti  ne  va  fiutando:  alfin  duo  prende; Che  vuol  cenar  delle  lor  carni  crude. Al  rimembrar  di  quelle  zanne  orrende Non  posso  far  eh' ancor  non  tremi  e  snde. Partito  rOrco,  il  re  getta  la  gonna Oh 'avea  di  becco,  e  abbraccia  la  sua  donna. .50    Dove  averne  piacer  deve  e  conforto, Vedendol  quivi,  ella  n'ha  affanno  e  noia: Lo  vede  giunto  ov'ha  da  restar  morto; E  non  può  far  però,  eh'  essa  non  muoia. Con  tutto  '1  mal,  diesagli,  eh'  io  supporto, Signor,  sentìa  non  mediocre  gioia, Che  ritrovato  non  t'eri  con  nni Quando  dall' Orco  oggi  qui  tratta  fui. 51  Che  sebben  il  trovarmi  ora  in  procinto D'uscir  di  vita,  m'era  acerbo  e  forte; Pur  mi  sarei,  com'  è  comune  istinto, Dogliuta  sol  della  mia  trista  sorte:3[a  ora,  o  prima  o  poi  che  tu  sia  estinto. Più  mi  dorrà  la  tua,  che  la  mia  morte. E  seguitò,  mostrando  assai  più  affanno Di  quel  di  Norandin,  che  del  suo  danno. 52  La  speme,  disse  il  re,  mi  fa  venire, C'ho  di  salvarti,  e  tutti  questi  teco: E  s'io  noi  posso  far,  meglio  è  morire. Che  senza  te,  mio  Sol,  viver  poi  cieco. Come  io  ci  venni,  mi  potrò  partire; E  voi  tutt'  altri  ne  verrete  meco, Se  non  avrete,  come  io  non  ho  avuto, Schivo  a  pigliare  odor  d'animai  bruto. 53  La  fraude  in.segnò  a  noi,  che  centra  il  nao Dell'Orco  insegnò  a  lui  la  moglie  d'esso; Di  vestirci  le  pelli,  in  ogni  caso Ch'egli  ne  palpi  nell'uscir  del  fesso. Poiché  di  questo  ognun  fu  persuaso, Quanti  dell' un,  quanti  dell' altro  sesso Ci  ritroviamo,  uccidiam  tanti  becchi. Quelli  che  più  fetean,  eh'  eran  più  vecchi. 54  Ci  uugemo  i  corjn  di  quel  grasso  opimo Che  ritroviamo  all'intestina  intorno, E  dell'orride  pelli  ci  vestimo. Intanto  usci  dall'aureo  albergo  il  giorno; Alla  spelonca,  come  apparve  il  primo Raggio  del  sol,  fece  il  pastor  ritorno; E  dando  spirto  alle  sonore  canne, Chiamò  il  suo  gregge  fuor  delle  capanne. 55  Tenea  la  roano  al  buco  della  tana, Acciò  col  gregge  non  uscissim  noi:Ci  prendea  al  varco;  e  quando  pelo  o  luna 

Sentia  sul  dosso,  ne  lasciava  poi. Uomini  e  donne  uscimmo  per  si  strana Strada,  coperti  dagl'irsuti  cuoi: E  r  Orco  alcun  di  noi  mai  non  ritenne; Finché  con  gran  timor  Lucina  venne. 56  Lucina,  o  fosse  perch'ella  non  volle Ungersi  come  noi,  che  schivo  n'  ebbe; 0  eh'  avesse  l'andar  più  lento  e  molle, Che  V  imitata  bestia  non  avrebbe; 0  quando  l'Orco  la  groppa  toccolle, Gridasse  per  la  tema  che  le  accrebbe; 0  che  se  le  sc'ogliessero  le  chiome; Sentita  fu,  né  ben  so  dirvi  come. 57  Tutti  eravam  sì  intenti  al  caso  nostro, Che  non  avemmo  gli  occhi  agli  altrui  fatti. Io  mi  rivolsi  al  grido;  e  vidi  il  mostro Che  già  gì'  irsuti  spogli  le  avea  tratti, E  fattola  tornar  nel  cavo  chiostro. Noi  altri  dentro  a  nostre  gonne  piatti Col  gregge  andiamo  ove  '1  pastor  ci  mena, Tra  verdi  colli  in  una  piaggia  amena. 58  Quivi  attendiamo  infin  che  steso  all'ombra D'un  bosco  opaco  il  nasuto  Orco  dorma. Chi  lungo  il  mar,  chi  verso  il  monte  sgombra: Sol  Norandin  non  vuol  seguir  nostr'orma. L'amor  della  sua  donna  sì  lo  'ngorabra, Ch'alia  grotta  tornar  vuol  fra  la  torma, Né  partirsene  mai  sin  alla  morte, Se  non  imequista  la  fedel  consorte:59  Che  quando  dianzi  avea  all'uscir  del  chiuso Vedutala  restar  captiva  sola. Fu  per  gittarsi,  dal  dolor  confuso, Spontaneamente  al  vorace  Orco  in  gola; E  si  mosse,  e  gli  corse  in  fino  al  muso, Né  fu  lontano  a  gir  sotto  la  mola; Ma  pur  lo  tenne  in  mandra  la  speranza Ch'avea  di  trarla  ancor  di  quella  stanza. Abiosto. 60    La  sera,  quando  alla  spelonca  mena Il  gregge  l'Orco,  e  noi  fuggiti  sente, E  e' ha  da  rimaner  privo  di  cena, Chiama  Lucina  d'ogni  mal  nocente, E  la  condanna  a  star  sempre  in  catena Allo  scoperto  in  sul  sasso  eminente. Vedela  il  re  per  sua  cagion  patire; E  si  distrugge,  e  sol  non  può  morire. Stanza  60. 61  Mattina  e  sera  l'infelice  amante La  può  veder  come  s' affligga  e  piagna; Che  le  va  misto  fra  le  capre  avante, Tomi  alla  stalla,  o  torni  alla  campagna. Ella  con  viso  mesto  e  supplicante Gli  accenna  che  per  Dio  non  vi  ri  magna Perchè  vi  sta  a  gran  rischio  della  vita, Né  però  a  lei  può  dare  alcuna  aita. 62  Così  la  moglie  ancor  dell'Orco  priega Il  re,  che  se  ne  vada:  ma  non  giova; Che  d'andar  mai  senza  Lucina  niega, E  sempre  più  costante  si  ritrova. In  questa  servi  tilde,  in  che  lo  lega Pietate  e  amor,  stette  con  lunga  prova Tanto,  eh'  a  capitar  venne  a  quel  sasso Il  figlio  d'Agricaue  e'I  re  Gradasso.63    Dove  con  loro  audacia  tanto  fènno, Che  liberaron  la  bella  Lucina; Benché  7i  fu  avventura  più  che  senno:E  la  portar  correndo  alla  marina; E  al  padre  suo,  che  quivi  era,  la  dénno; E  questo  fu  nell'ora  mattutina, Che  Norandin  con  l'altro  gregge  stava A  ruminar  nella  montana  cava. 64  Ma  poi  che  1  giorno  aperta  fu  la  sbarra, E  seppe  il  re  la  donna  esser  partita (Che  la  moglie  dell' Orco  gli  lo  narra), E  come  appunto  era  la  cosa  gita; Grazie  a  Dio  rende,  e  con  voto  n' inarra, Ch'essendo  fuor  di  tal  miseria  uscita, Faccia  che  giunga  onde  per  arme  possa Per  prieghi  o  per  tesoro  esser  riscossa. 65  Pien  di  letizia  va  con  l'altra  schiera Del  Simo  gregge,  e  viene  ai  verdi  paschi; E  quivi  aspetta  fin  eh' all'ombra  nera U  mostro  per  dormir  nell'erba  caschi. Poi  ne  vien  tutto  il  giorno  e  tutta  sera; E  alfin  sicur  che  l'Orco  non  lo  'ntaschi, Sopra  un  navilio  monta  in  Satalia; E  son  tre  mesi  ch'arrivò  in  Scria. 66  In  Rodi,  in  Cipro,  e  per  città  e  castella E  d'Africa  e  d'Egitto  e  di  Turchia, Il  re  cercar  fé'  di  Lucina  bella; Né  fin  l'altr'ier  aver  ne  potè  spia. L'altr'ieri  n'ebbe  dal  suocero  novella. Che  seco  l'avea  salva  in  Nicosia, Dopo  che  molti  di  vento  crudele Era  stato  contrario  alle  sue  vele. 67  Per  allegrezza  della  buona  nuova Prepara  il  nostro  re  la  ricca  festa; E  vuol  eh' ad  ogni  quarta  luna  nova, Una  se  n'  abbia  a  far  simile  a  questa:Che  la  memoria  rinfrescar  gli  giova Dei  quattro  mesi  che  'n  irsuta  vesta Fu  tra  il  gregge  de  l'Orco;  e  un  giorno,  quale Sarà  dimane,  usci  di  tanto  male. Questo  ch'io  v'ho  narrato,  in  parte  vidi, In  parte  udì'  da  chi  trovossi  al  tutto:Dal  re,  vi  dico,  che  calende  et  idi Vi  stette,  finché  volse  in  riso  il  lutto: E  se  n'udite  mai  far  altri  gridi, Direte  a  chi  gli  fa,  che  mal  n'è  istrutto. Il  gentiluomo  in  tal  modo  a  Grifone Della  festa  narrò  l'alta  cagione. 69  Un  gran  pezzo  di  notte  si  dispensa Dai  cavalieri  in  tal  ragionamento; E  conchiudon,  eh'  amore  e  pietà  immensa Mostrò  quel  re  con  grand'esperimento. Andaron,  poi  che  si  levar  da  mensa, Ove  ebbon  grato  e  buono  alloggiamento. Nel  seguente  mattin  sereno  e  diiaro Al  suon  dell'allegrezze  si  destaro. 70  Vanno  scorrendo  timpani  e  trombette, E  ragunando  in  piazza  la  cittade. Or,  poiché  di  cavalli  e  di  carrette E  rimbombar  di  gridi  odon  le  strade, Grifon  le  lucide  armi  si  rimette, Che  son  di  quelle  che  si  trovan  rade; Che  l'avea  impenetrabili  e  incantate La  fata  bianca  di  sua  man  temprate. 71  Quel  d'Antiochia,  più  d'ogn' altro  vile, Armossi  seco,  e  compagnia  gli  tenne. Preparate  avea  lor  1'  oste  gentile Nerbose  lance,  e  salde  e  grosse  antenne, E  del  suo  parentado  non  umile Compagnia  tolta;  e  seco  in  piazza  venne; E  scudieri  a  cavallo,  e  alcuni  a  piede, A  tai  servigi  attissimi  lor  diede. 72  Giunsero  in  piazza,  e  trassonsi  in  disparte. Né  pel  campo  curar  far  di  sé  mostra. Per  veder  meglio  il  bel  popol  di  Marte, Ch'ad  uno,  o  a  dua,  o  a  tre  veniano  in  giostra. Chi  con  colori  accompagnati  ad  arte, Letizia  o  doglia  alla  sua  donna  mostra: Chi  nel  cimier,  chi  nel  dipinto  scudo Disegna  Amor,  se  l'ha  benigno  o  crudo. 73  I  Soriani  in  quel  tempo  aveano  usanza D'armarsi  a  questa  guisa  di  Ponente. Forse  ve  gli  inducea  la  vicinanza Che  de' Franceschi  avean  continuamente. Che  quivi  allor  reargean  la  sacra  stanza. Dove  in  carne  abitò  Dio  onnipotente; Ch'ora  i  superbi  e  miseri  Cristiani, Con  biasmo  lor,  lasciano  in  man  de'canL 74  Dove  abbassar  dovrebbono  la  lancia In  augumento  della  santa  Fede, Tra  lor  si  dan  nel  petto  e  nella  pancia, A  destruzion  del  poco  che  si  crede. Voi,  gente  Ispana',  e  voi,  gent  di  Francia, Volgete  altrove,  e  voi.  Svizzeri,  il  piede, E  voi,  Tedeschi,  a  far  più  degno  acquisto; Che  quanto  qui  cercate  è  già  di  Cristo. 75  Se  Cristianissimi  esser  yoì  volete, E  voi  altri  Cattolici  nomati, Perchè  dì  Cristo  gli  nomini  uccidete? Perchè  debenì  lor  son  dispogliati? Perchè  Gerusalem  non  riavete, Che  tolto  è  stato  a  voi  da' rinnegati?Perchè  Constantinopoli,  e  del  mondo La  miglior  parte,  occupali  Turco  immondo? 76  Non  hai  tu,  Spagna,  l'Africa  vicina, Che  t'ha  via  più  di  questa  Italia  offesa? Eppur,  per  dar  travaglio  alla  meschina. Lasci  la  prima  tua  si  bella  impresa. O  d'ogni  vizio  fetida  sentina, Dormi,  Italia  imbriaca,  e  non  ti  pesa Ch'  ora  di  questa  gente,  ora  di  quella, Che  già  serva  ti  fu,  sei  fiotta  ancella? 77  Se  '1  dubbio  di  morir  nelle  tue  tane, Svizzer,  di  fame,  in  Lombardia  ti  guida, E  tra  noi  cerchi  o  chi  ti  dia  del  pane, 0,  per  uscir  d'inopia,  chi  t'uccida; Le  ricchezze  del  Turco  hai  non  lontane: Cacciai  d'Europa,  o  almen  di  Grecia  snida. Cosi  potrai  o  del  digiuno  trarti, 0  cader  con  più  merto  in  quelle  parti. 78  Quel  eh' a  te  dico,  io  dico  al  tuo  vicino l'edesco  ancor:  là  le  ricchezze  sono. Che  vi  portò  da  Roma  Constanti  no; Portonne  il  meglio,  e  fé'  del  resto  dono. Pattalo  ed  Ermo,  onde  si  trae  l'ór  fino, Migdonia  e  Lidia,  e  quel  paese  buono Per  tante  laudi  in  tante  istorie  noto, Non  è,  s' andar  vi  vuoi,  troppo  remoto. 79  Tu,  gran  Leone,  a  cui  premon  le  terga Delle  chiavi  del  ciel  le  gravi  some, Non  lasciar  che  nel  sonno  si  sommerga Italia,  se  la  man  l'hai  nelle  chiome. Tu  sei  Pastore;  e  Dio  t'ha  quella  verga Data  a  portare,  e  scelto  il  fiero  nome, Perchè  tu  ruggi,  e  che  le  braccia  stenda Si,  che  dai  lupi  il  gregge  tuo  difenda. 80  Ma  d'un  parlar  nell' altro,  ove  sono  ito Sì  lungi  dal  cammin  ch'io  faceva  ora? Non  lo  credo  però  sì  aver  smarrito, Ch'io  non  lo  sappia  ritrovare  ancora. Io  dicea  ch'in  Sona  si  tenea  il  rito D'armarsi,  che  i  Franceschi  aveano  allora: Si  che  bella  in  Damasco  era  la  piazza Di  gente  armata  d'elmo  e  di  corazza. 81    Le  vaghe  donne  gettano  dai  palchi Sopra  i  giostranti  fior  vermigli  e  gialli. Mentre  essi  fanno,  a  suon  degli  oricalchi, Levare  assalti  ed  aggirar  cavalli. Ciascuno,  o  bene  o  mal  eh'  egli  cavalchi, Vuol  far  quivi  vedersi;  e  sprona  e  dalli:Di  ch'altri  ne  riporta  pregio  e  lode; Muove  altri  a  riso,  e  gridar  dietro  s' ode. 83    Della  giostra  era  il  prezzo  un'armatura Che  fu  donata  al  re  pochi  di  innante, Che  su  la  strada  ritrovò  a  ventura, Ritornando  d'Armenia,  un  mercatante. Il  re  di  nobilissima  testura La  sopravveste  all'arme  aggiunse,  e  tante Perle  vi  pose  intomo  e  gemme  ed  oro, la  fece  valer  molto  tesoro. 83  Se  conosciute  il  re  quell' arme  avesse, Care  avute  l'avria  sopra  ogni  arnese:Né  in  premio  della  giostra  l'avria  messe, Comechè  liberal  fosse  e  cortese. Lungo  saria  chi  raccontar  volesse Chi  l'avea  sì  sprezzate  e  vilipese. Che  'n  mezzo  della  strada  le  lasciasse, Preda  a  chiunqueo  innanzi  o  indietro  andasse. 84  Di  questo  ho  da  contarvi  più  di  sotto: Or  dirò  di  Grifon,  ch'alia  sua  giunta Un  paio  e  più  di  lance  trovò  rotto, Menato  più  d'un  taglio  e  d'una  punta. Dei  più  cari  e  più  fidi  al  re  fur  otto Che  quivi  insieme  avean  lega  congiunta:Gioveni,  in  arme  pratichi  ed  industri, Tutti  0  signori  o  di  famiglie  illustri. 85  Quei  rispondean  nella  sbarrata  piazza Per  un  di,  ad  uno  ad  uno,  a  tutto  '1  mondo. Prima  con  lancia,  e  poi  con  spada  o  mazza, Fin  ch'ai  re  di  guardarli  era  giocondo; E  si  foravan  spesso  la  corazza; Per  gioco  in  somma  qui  facean,  secondo Fan  li  nimici  capitali;  eccetto Che  potea  il  re  partirli  a  suo  diletto. 86  Quel  d'Antiochia,  un  UDm  senza  ragione, Che  Martano  il  codardo  nominosse. Come  se  della  forza  di  Grifone, Poich'  era  seco,  partecipe  fosse, Audace  entrò  nel  marziale  agone: E  poi  da  canto  ad  aspettar  fermosse. Sinché  finisse  una  battaglia  fiera Che  tra  duo  cavalier  cominciata  era. 87    II  Signor  di  Seleucia,  di  quelli  uno, Ch'a  sostener  P impresa  aveano  tolto, Combattendo  in  quel  tempo  con  Ombrano, Lo  ferì  d'una  punta  in  mezzo  1  volto. Sì  che  r uccise;  e  pietà  n'ebbe  ognuno. Perchè  buon  cavalier  lo  tenean  molto; Ed  oltra  la  boutade,  il  più  cortese Non  era  stato  in tuttoquelpaese. 88    Veduto  ciò,  Martano  ebbe  paura Che  parimente  a  sé  non  avvenisse; E  ritoraando  nella  sua  natura, A  pensar  cominciò  come  fuggisse. Grifon,  che  gli  era  appresso  e  navea  cura, Lo  spinse  pur,  poi  ch'assai  fece  e  disse, Contra  un  gentil  guerrier  che  s'era  mosso, Come  si  spinge  il  cane  al  lupo  addosso; 89    Che  dieci  passi  gli  va  dietro  o  venti E  poi  si  ferma,  ed  abbaiando  guarda Come  digrigni  i  minacciosi  denti, Come  negli  occhi  orribil  fuoco  gli  arda. Quivi  ov'  erano  i  principi  presenti, E  tanta  gente  nobile  e  gagliarda, Fuggì  lo'ncontro  il  timido  Martano, E  torse  U  freno  e  1  capo  a  destra  mano. 90    Pur  la  colpa  potea  dar  al  cavallo. Chi  di  scusarlo  avesse  tolto  il  peso; Ma  con  la  spada  poi  fé'  sì  gran  fallo, Che  non  l'avrìa  Demostene  difeso. Dì  carta  armato  par,  non  di  metallo:Si  teme  da  ogni  colpo  essere  offeso. Fuggesi  alfine,  e  gli  ordini  disturba, Ridendo  intorno  a  lui  tutta  la  turba. 91      II  batter  delle  mani,  il  gdo  intorno Se  gli  levò  del  popolazzo  tutto. Come  lupo  cacciato,  fé'  ritomo Martano  in  molta  fretta  al  suo  ridatto. Resta  Grifone;  e  gli  par  dello  scorno Del  suo  compagno  esser  macchiato  e  brutto. Esser  vorrebbe  stato  in  mezzo  il  fuoco, Piuttosto  che  trovarsi  in  questo  loco. 92    Arde  nel  core,  e  fuor  nel  viso  avvampa. Come  sia  tutta  sua  quella  vergogna; Perchè  l'opere  sue  di  quella  stampa Vedere  aspetta  il  popolo  ed  agogna: Si  che  rifulga  chiara  più  che  lampa virtù,  questa  volta  gli  bisogna; Ch' un' oncia,  un  dito  sol  d'error  che  faccia, Per  la  mala  impressì'on  parrà  sei  braccia. stanza  104. 93    Già  la  lancia  avea  tolta  su  la  coscia Grifon,  eh'  errare  in  arme  era  poco  uso; Spinse  il  cavallo  a  tutta  briglia;  e  poscia Oh'  alquanto  andato  fu,  la  messe  suso, E  portò  nel  ferire  estrema  angoscia Al  baron  di  Sidonia,  ch'andò  giuso. Ognun  maravigliando  in  pie  si  leva: Chè'l  contrario  di  ciò  tutto  attendeva. 94    Tornò  Grifon  con  la  medesma  antenna, Che'ntiera  e  fermi  ricjvrata  avea; Ed  in  tre  pezzi  la  roppe  alla  penna Dello  scudo  al  signor  di  Lodicea. Quel  per  cader  tre  volte  e  quattro  accenna, Che  tutto  steso  alla  groppa  giacca: Pur  rilevato  alfin  la  spada  strinse, Voltò  il  cavallo,  e  ver  Grifon  si  spinse. 95  Grifon,  che  '1  vede  in  sella,  e  che  non  basta Si  fiero  incontro  perchè  a  terra  vada, Dice  fra  sé: Qnel  che  non  potè  V  asta, In  cinque  colpi  o  'n  sei  farà  la  spada:E  su  la  tempia  subito  Pattasta D'un  dritto  tal,  che  par  che  dal  ciel  cada; E  un  altro  gli  accompagna  e  un  altro  appresso, Tanto  che  V  ha  stordito,  e  in  terra  messo. 96  Quivi  erano  d'Apamia  duo  germani, Soliti  in  giostra  rimaner  di  sopra, Tirse  e  Corimbo;  ed  ambo  per  le  mani Del  figlio  d'Olivier  cadder  sozzopra. gli  arcion  lascia  allo  scontro  vani; Con  l'altro  messa  fu  la  spada  in  opra. Già  per  comun  giudicio  si  tien  certo Che  di  costui  fia  della  giostra  il  merto. 10 1  Gittaro  i  tronchi,  e  si  tomaio  addosso Pieni  di  molto  ardir  coi  brandi  nadL Fu  il  pagan  prima  da  Grìfon  percosso D'un  colpo  che  spezzato  avria  gl'ìncadi. Con  quel  fender  si  vide  e  ferro  ed  osso D'un  eh'  eletto  s' avea  tra  mille  scudi; E  se  non  era  doppio  e  fin  l'arnese, Feria  la  coscia  ove  cadendo  scese. 102  Feri  quel  di  Seleucia  alla  visiera Grifone  a  un  tempo;  e  fu  quel  colpo  tanto, Che  l'avria  aperta  e  rotta,  se  non  eraFatta,  come  l'altr'arme,  per  incanto. Gli  è  un  perder  tempo,  che'l  pagan  più  fer Cosi  son  l'arme  dure  in  ogni  canto:E  'n  più  parti  Grifon  già  fessa  e  rotta Ha  l'armatura  a  lui,  né  perde  botta. 97    Nella  lizza  era  entrato  Salinterno, Gran  di'odarro  e  maliscalco  regio, E  che  di  tutto  '1  regno  avea  il  governo, E  di  sua  mano  era  guerriero  egregio. Costui,  sdegnoso  eh' un  guerriero  esterno Debba  portar  di  quella  giostra  il  pregio, Piglia  una  lancia,  e  verso  Grifon  grida, E  molto  minacciandolo  lo  sfida. 103    Ognun  pò  tea  veder quanto  di  sotto Il  signor  di  Seleucia  era  a  Grifone:E  se  partir  non  li  fa  il  re  di  botto, Quel  che  sta  peggio,  la  vita  vi  pone. Fe'Norandino  alla  sua  guardia  motto Ch'  entrasse  a  distaccar  1'  aspra  tenzone. Quindi  fu  l'uno  e  quindi  V  altro  tratto; E  fu  lodato  il  re  di  si  buon  atto. 98  Ma  quel  con  un  lancion  gli  fa  risposta, avea  per  lo  miglior  fra  dieci  eletto; E  per  non  far  error,  lo  scudo  apposta, E  via  lo  passa  e  la  corazza  e  '1  petto. Passa  il  ferro  crudel  tra  costa  e  costa, E  fuor  pel  tergo  un  palmo  esce  di  netto. n  colpo,  eccetto  al  re,  fu  a  tutti  caro; Ch'ognuno  odiava  Salinterno  avaro. 99  Grifone,  appresso  a  questi,  in  terra  getta Duo  di  Damasco,  Ermofilo  e  Carmondo:La  milizia  del  re  dal  primo  è  retta; Del  mar  grande  almiraglio  è  quel  secondo. Liscia  allo  scontro  l'un  la  sella  in  fretta; Addosso  all'altro  si  riversa  il  pondo Del  rio  destrier,  che  sostener  non  puote L'alto  valor  con  che  Grifon  percuote. 100  II  signor  di  Seleucia  ancor  restava, Miglior  guerrier  di  tutti  gli  altri  sette; E  ben  la  sua  possanza  accompagnava Con  destrier  buono  e  con  arme  perfette. Dove  dell' elmo  la  vista  si  chiava, L'asta  allo  scontro  l'uno  e  l'altro  mette:Pur  Grifon  maggior  colpo  al  pagan  diede. Che  lo  fé' staffeggiar  dal  manco  piede. 104  Gli  otto  che  dianzi  avean  col  mondo  impresa, E  non  potuto  durar  poi  contra  uno, Avendo  mal  la  parte  lor  difesa, Usciti  eran  del  campo  ad  uno  ad  uno. Gli  altri  eh'  eran  venuti  a  lor  contesa, Quivi  restar  senza  contrasto  alcuno, Avendo  lor  Grifon,  solo,  interrotto Quel  che  tutti  essi  avean  da  far  contra  otto. 105  E  durò  quella  festa  cosi  poco, Ch'in  men  d'.un'ora  il  tutto  fatto  s'era: Ma  Norandin,  per  far  pia  lungo  il  giuoco E  per  continuarlo  infino  a  sera, Dal  palco  scese,  e  fé' sgombrare  il  loco. E  poi  divise  in  due  la  grossa  schìefa; Indi,  secondo  il  sangue  e  la  lor  prova, Gli  andò  accoppiando,  e  fé' una  giostra  nova. 106  Grifone  intanto  avea  fatto  ritomo Alla  sua  stanza,  pien  d'ira  e  di  rabbia:E  più  gli  preme  di  Martan  lo  scorno, Che  non  giova  l'onor  ch'esso  vinto  abbia. Quivi  per  tor  l'obbrobrio  eh' avea  intorno, Martano  adopra  le  mendaci  labbia: E  r  astuta  e  bugiarda  meretrice, Come  meglio  sape,  gli  era  adiutrice. 107  0  8i  0  no  che  '1  gioYin  gli  credesse, Par  la  scusa  accettò,  come  discreto; E  pel  suo  meglio  allora  allora  elesse Quindi  levarsi  tacito  e  secreto, Per  tema  che,  se  '1  popolo  vedesse Martano  comparir,  non  stesse  cheto. Cosi  per  una  via  nascosa  e  corta Uscirò  al  cammin  lor  fuor  della  porta. 108  Grifone,  o  ch'egli  o  che'l cavallofoss:Stanco,  0  gravasse  il  sonno  pur  le  ciglia, Al  primo  albergo  che  trovar,  fermosse. Che  non  erano  andati  oltre  a  lua  miglia. Si  trasse  Telmo,  e  tutto  dir  mosse, E  trar  fece  a  cavalli  e  seli    e  briglia; E  poi  serrossi  in  camera  soleUo, E  nudo  per  dormire  entrò  nel  letto. 109  Non  ebbe  cosi  tosto  il  capo  basso, Che  chiuse  gli  occhi,  e  fa  dal  sonno  oppresso Così  profondamente,  che  mai  tasso Né  ghiro  mai  s'addormentò  quant'esso. Martano  intanto  ed  Orrigille  a  spasso Eutraro  in  un  giardin  oh'  era  li  appresso; Ed  un  inganno  ordir,  che  fa  il  più  strano Che  mai  cadesse  in  sentimento  umano. 110  Martano  disegnò  tórre  il  destriero, I  panni  e  Parme  che  Grifon  s'ha  tratte; E  andare  innanzi  al  re  pel  cavaliere Che  tante  prove  avea  giostrando  fatte. L'effetto  ne  seguì,  fatto  il  pensiero:Tolle  il  destrier  più  candido  che  latte, Scudo  e  cimiero  ed  arme  e  sopravveste, E  tutte  di  Grifon  l'insegne  veste. Ili    Con  gli  scudieri  e  con  la  donna,  dove Era  il  popolo  ancora,  in  piazza  venne; E  giunse  a  tempo  che  finian  le  prove Di  girar  spade,  e  d'arrestar  antenne. Comanda  il  re  che  '1  cavalier  si  trove, Che  per  cimier  avea  le  bianche  penne, Bianche  le  vesti,  e  bianco  il  corridore; Che  '1  nome  non  sapea  del  vincitore. 112    Colui  ch'indosso  il  non  suo  cuoio  aveva, Come  l'asino  già  quel  del  leone, Chiamato  se  n'  andò,  come  attendeva, Norandino,  in  loco  di  Grifone. Quel  re  cortese  incontro  se  gli  leva. L'abbraccia  e  bacia,  e  allato  se  lo  pone; Né  gli  basta  onorarlo  e  dargli  loda. vuol  che'l  suo  valor  per  tutto  s'oda. 113  E  fa  gridarlo  al  suon  degli  oricalchi Vincitor  della  giostra  di  quel  giorno. L'alta  voce  ne  va  per  tutti  i  palchi, Che  '1  nome  indegno  udir  fa  d'ogn'  intorno. Seco  il  re  vuol  eh'  a  par  a  par  cavalchi, Quando  al  palazzo  suo  poi  fa  ritorno; E  di  sua  grazia  tanto  gli  comparte, Che  basteria,  se  fosse  Ercole  o  Marte. 114  Bello  ed  ornato  alloggiamento  dielli In  corte,  ed  onorar  fece  con  lui Orrigille  anco;  e  nobili  donzelli Mandò  con  essa,  e  cavalieri  sui. Ma  tempo  è  eh'  anco  di  Grifon  favelli, Il  qua!,  né  dal  compagno  né  d'altrui Temendo  inganno,  addormentato  s'era, Né  mai  si  risvegliò  fin  alla  sera. 116    Poi  che  fu  desto,  e  che  dell'ora  tarda S' accòrse,  uscì  di  camera  con  fretta, il  falso  cognato  e  la  bugiarda Orrigille  lasciò  con  l'altra  setta: E  quando  non  li  trova,  e  che  riguarda Non  v'  esser  l'arme  né  i  panni,  sospetta; Ma  il  veder  poi  più  sospettoso  il  fece L'insegne  del  compagno  in  quella  vece. 116  Sopravvien  l'oste,  e  di  colui  l'informa Che,  già  gran  pezzo,  di bianch'arme  adorno Con  la  donna  e  col  resto  della  torma Avea  nella  città  fatto  ritomp. Trova  Grifone  a  poco  a  poco  l'orma Ch'ascosa  gli  avea  Amor  fin  a  quel  giorno; E  con  suo  gran  dolor  vede  esser  quello Adulter  d'Orrigille,  e  non  fratello. 117  Di  sua  sciocchezza  indamo  ora  si  duole. Ch'avendo  il  ver  dal  peregrino  udito. Lasciato  mutar  s'abbia  alle  parole Di  chi  l'avea  più  volt"  già  tradito. Vendicar  si  potea,  né  seppe:  or  vuole L'inimico  punir,  che  gli  é  fuggito; Ed  è  constretto  con  troppo  gran  fallo, A  tor  di  quel  vii  uom  l'arme  e  '1  cavallo. 118  Eragli  meglio  andar  senz'arme  e  nudo. Che  porsi  indosso  la  corazza  indegna, 0  ch'imbracciar  l'abbominato  scudo. 0  por  su  l'elmo  la  beffata  insegna:Ma,  per  seguir  la  meretrice  e  '1  drudo, Bagione  in  lui  pari  al  desio  non  regna. A  tempo  venne  alla  città,  ch'ancora Il  giorno  avea  quasi  di  vivo  un'ora. 119  Presso  alla  porta  ove  Grifon  venia, Siede  a  sinistra  un  splendido  castello, Che,  più  che  forte  e  eh' a  guerra  atto  sia, Di  ricche  stanze  è  accomodato  e  hello. I  re,  i  signori,  i  primi  di  Sorìa Con  alte  donne  in  nn  gentil  drappello Celehravtno  quivi  in  loggia  amena, La  real,  sontuosa  e  lieta  cena. 120  La  hella  loggia  sopra '1  muro  usciva Con  Talta  rocca  fuor  della  cittade; 

E  lungo  tratto  di  lontan  scopriva I  larghi  campi  e  le  diverse  strade. Or  che  Grifon  verso  la  porta  arriva Con  quell'arme  d'ohhrohrio  e  di  viltade, con  non  troppa  avventurosa  sorte Dal  re  veduto  e  da  tutta  la  corte: 121  E  riputato  quel  di  ch'avea  insegna, Mosse  le  donne  e  i  cavalieri  a  riso. II  vii  Martano,  come  quel  che  regna In  gran  favor,  dopo '1  re  èl  primo  assiso, E  presso  a  lui  la  donna  di  sé  degna. Dai  quali  Norandin  con  lieto  viso Volse  saper  chi  fosse  quel  codardo, Che  cosi  avea  al  suo  onor  poco  riguardo; 122  Che  dopo  una  sì  trista  e  hrutta  prova. Con  tanta  fronte  or  gli  tornava  innante. Dicea;  Questa  mi  par  cosa  assai  nova, Ch'  essendo  voi  guerrier  degno  e  prestante, Costui  compagno  ahhiate,  che  non  trova. Di  viltà  pari  in  terra  di  Levante. Il  fate  forse  per  mostrar  maggiore, Per  tal  contrario,  il  vostro  alto  valore. 123  Ma  hen  vi  giuro  per  gli  eterni  Dei, Che  se  non  fosse  eh'  io  riguardo  a  vui, La  puhhlica  ignominia  gli  farei, Ch'io  soglio  fare  agli  altri  pari  a  lui. Perpetua  ricordanza  gli  darei. Come  ognor  di  viltà  nimico  fui. Ma  sappia,  s' impunito  se  ne  parte, Grado  a  voi  che'l  menaste  in  questa  parte. 124  Colui  che  fu  di  tutti  i  vizj  il  vaso, Rispose:  Alto  signor,  dir  non  sapria Chi  sia  costui;  ch'io  l'ho  trovato  a  caso.Venendo  d'Aniiochia,  in  su  la  via. Il  suo  sembiante  m'avea  persuaso Che  fosse  degno  di  mia  compagnia; Ch'intesa  non  n'avea  prova  né  vista, Se  non  quella  che  fece  oggi  assai  trista: 125  La  qual  mi  spiacque  si,  che  restò  poco Che,  per  punir  l'estrema  sua  viltade, Non  gli  facessi  allora  allora  nn  gioco, Che  non  toccasse  più  lance  né  spade. Ma  ebbi,  più  eh' a  lui,  rispetto  al  loco, E  riverenzia  a  vostra  maestade. Né  per  me  voglio  che  gli  sia  guadagno L'essermi  stato  uu  giorno  o  dua  compagno: Di  che  contaminato  anco  esser  panne; E  sopra  il  cor  mi  sarà  etemo  peso, Se,  con  vergogna  del  mestier  dell'arme. Io  lo  vedrò  da  noi  partire  illeso: E  meglio  che  lasciarlo,  satisfanne Potrete,  se  sarà  da  im  merlo  impeso; E  fia  lodevol  opra  e  signorile. Perch'ei  sia  esempio  e  specchio  ad  ogni  rile. 127  Al  detto  suo  Martano  Orrigille  ave, Senza  accennar,  confermatrice  presta. Non  son,  rispose  il  re,  l'opre  sì  prave, Ch'ai  mio  parer  v'abbia  d'andar  la  testa. Voglio,  per  pena  del  peccato  grave, Che  sol  rinnovi  al  popolo  la  festa:E  tosto  a  un  suo  baron,  che  fé' venire, Impose  quanto  avesse  ad  eseguire. 1 28  Quel  baron  molti  armati  seco  tolse, Ed  alla  porta  della  terra  scese; E  quivi  con  silenzio  li  raccolse,E  la  venuta  di  Grifone  attese: E  nell' entrar  sì  d'improvviso  il  colse, Che  fra  i  duo  ponti  a  salvamento  il  prese; E  lo  ritenne  con  beffe  e  con  scorno In  una  oscura  stanza  insino  al  giorno. 129  II  Sole  appena  avea  il  dorato  crine Tolto  di  grembo  alla  nutrice  antica, E  cominciava  dalle  piagge  alpine A  cacciar  l'ombre,  e  far  la  cima  aprica; Quando  temendo  il  vii  Martan,  ch'alfine Grifone  ardito  la  sua  causa  dica, E  ritorni  la  colpa  ond'era  uscita, Tolse  licenzia,  e  fece  indi  partita, 130  Trovando  idonea  scusa  al  priego  regio, Che  non  stia  allo  spettacolo  ordinato. Altri  doni  gli  avea  fatto,  col  pregio Della  non  sua  vittoria,  il  signor  grato; E  sopra  tutto  un  ampio  privilegio, Dov'era  d'alti  onori  al  sommo  ornato. Lasciaralo  andar;  ch'io  vi  prometto  certo, Che  la  mercede  avrà  secondo  il  merto. 131  Fu  Qrifon  tratto  a  gran  vergogna  in  piazza, Quando  più  sì  trovò  piena  di  gente. Gli  ayean  levato  Telmo  e  la  corazza, £  lasciato  in  farsetto  assai  vilmente; £  come  il  conducessero  alla  mazza, Posto  r  avean  sopra  un  carro  eminente,Che  lento  lento  tiravan  due  vacche Dalunga  fame  attenuate  e  fiacche. 132  Venìan  d'intorno  alla  ignobil  quadriga Vecchie  sfacciate  e  disoneste  putte, Di  che n'era  una  ed  or  un'altra  auriga, E  con  gran  biasmo  Io  mordeano  tutte. Lo  iK)neano  i  fanciulli  in  maggior  briga, Che,  oltre  le  parole infami  e  brutte, L' avrian  coi  sassi  insino  a  morte  offeso, Se  dai  più  saggi  non  era  difeso.138    L'arme  che  del  suo  male  erano  state Cagì'on,  che  di  lui  fér  non  vero  indicio, Dalla  coda  del  carro  strascinate, Patian  nel  fango  debito  supplicio. Le  ruote  innanzi  a  untribunal  fermate, Gli  fero  udir  dell'altrui maleficio La  sua  ignominia,  che  'n  sugli  occhi  detta Gli  fu,  gridando  un  pubblico  trombetta. 134    Lo levar  quindi,  e  lo  mostrar  per  tutto Dinanzi  a  templi,  ad  officine  e  a  case, Dove  alcun  nome  scellerato  e  brutto, Che  non  gli  fosse  detto,  non  rimase. Fuor della  terra  all'ultimo  condutto Fu  dalla  turba,  che  si  persuase Bandirlo  e  cacciare  indi  a  suon  di  busse, Non  conoscendo  ben  clii  egli  si  fusse. 185    Si  tosto  appena  gli  sferraro  i  piedi, £  liberargli  V  una  e  l'altra  mano, Che  tor  lo  scudo,  ed  impugnar  gli  vedi La  spada  che  rigò  gran  pezzo  il  piano. Non  ebbe  contra  sé  lance  né  spiedi; Che  senz'arme  venia  '1  popolo  insano. Neil' altro  Canto  differisco  il  resto; Che  tempo  é  omai,  signor,  di  finir  questo. N  o TB. St.  1.  V.78.   Mario  e  Siila: troppo  noti,  perchè qui  s'abbia  a  parlare  delle  guerre  civili,  delle  stragi  e delleproscrizioni,  onde  travagliarono  Roma.  E  duo Neroni:  uno  fu  Tiberio,  infame  per  Tuccisione  dei  ni poti, per  Tassassinio  dei  più  specchiati  cittadini,  e  per ogni  maniera  di  crudeltà.  L'altro  era  Domizio,  della gente  Claudia,  il  qualespense  barbaramente  la  madre, il  precettore,  la  moglie;  e  si  bruttò  di  nequizie  che  fanno orrore  a  ridirle.   Caio  furilondo: Caligola,  cioè,  di cui  non  si  sa  qual  fosse  maggiore,  se  la  crudeltà  o  la stoltezza;  basti  accennare  che  divinizzò  il  suo  cavallo, e  bramava  che  il  popolo  romano  avesse  una  sola  testa,per  poterlo  decapitare. St.  2.  V.18.   Domiziano: crudelissimo  e  vanitoso fino  alla  puerilità;  perseguitò acerbamente  i  cristiani, e  tolse  la  T  ita  a non  pochi  senatori  per  motivi  i  più frivoli.   V  ultimo  Antonino: Marco  Antonino,  figlio spurio  di  Caracalla,  più  conosciuto  sotto  il  nome  di  Elio gabalo. Stupido  di  mente,  creava  un  senato  di  femmine:bestiale  nella  superstizione,  faceva  scannare  fanciulli per  conoscere  l'avvenire  dalle  loro  viscere  fumanti.  Massimino: figlio  d'un  pastore  di  Tracia,  fu  prode  nel  ' A&IOSTO.Tarmi,  ma  coi  sudditi  inumano.   Creonte:  fratello  di Giocasta,  usurpò  il  trono  di  Tebe  dovuto  ai  suoi  nipoti Eteocle  e  Polinice,  incitandoli  a  tanta  discordia,  che Tun  Taltro  si  uccisero.   Mezemio: uno  dei  Lucumoni etruschi;  teneva  il  seggio  in  Cere,  detta  dai  Latini  Al sium  dai  Greci  Agylla.  Spietato  cosi  che  toglieva  agli nomini  la  vita,  facendoli legare  strettamente  a'cada veri,  e  lasciandoli  morire  nella  putredine.   Àgli  Unni, ai  Longobardi,  ai  Goti.  Circa  il  420  dell' Era  volgare, gli  Unni  discesero  in  Italia,  desolando  intiere  Provincie, con  rapine,  con  ferro,  con  ftioco.  Nel  488, Teodorico,  re degli  Ostrogoti,  invase  la  penisola  con gagliardo  eser cito, e  vi  stabili  il  regno  de'  Goti  che  durò  64  anni,  di sastrosissimi per  le  guerre  accese  dall'ambizione  degl'im peratori di  Costantinopoli.  All'oppressione  gotica,  tenne dietro,  nel  568,  quella  dei  Longobardi,  guidati  dal  fei'oce Alboino;  e  nei  circa  due  secoli  di  quel  regno,  la  maggiorparte  d'Italia  soggiacque  alla  tirannide  dei  molti duchi  ai  quali  era  partitamente  infeudata. St.  3.  V.12.   Attila  fu  il  conduttore  degli  Unni, e  cosi  funesto  all'Italia,  che  si  meritò  d'esser  detto  Fla gello di  Dio.   Ezzelin  da  Romano  tribolava,  nel  se colo  XIII,  le  Provincie  di  Verona, diVicenza  e  di  Pa dova  eon  ferrea  dominazione.St.  4.  V.14.   A  CM"  non  par,  ecc.  Parlasi  deiram bizioso Giulio  II  ohe,  dopo  perJata  la  giornata  di  Ra  venna, chiamò  gli  Svizzeri,  onde  si  rinnovarono  i  disa stridellagaerra  e  lo  spargimento  del  sangue  italiano. Ivi.  V.58.   Di  Trasinheno,  eee.  Vuol  dire  che  la piena  sconfitta  data  da  Annibale  alle  legioni  romane sulla  Trebbia  non  lungi  da  Piacenza,  ripetuta  sul  lago Trasimeno  vicinoa  Perugia,  e  la  rotta  ch'ebbero  ancora i  Romani  a  Canne  presso  Barletta  in  Terra  di  Bari,  fu rono cosa  lieve  a  confronto  della  strage  prodotta  dai fatti  d'arme,  avvenutinel  secolo  XVI  fra  Italiani  e  stra nieri,  in  Lombardia  e  in  Romagna,  presso  i  fiumi  no minati nel  testo. St.  U.  V.5.   Scoglio  o  ScoIta: la  pelle  che  le  serpi mutano  alla  nuova  stagione. St.  19.  V.6.   Acque  lanfe,  o  nanfe: acque  odorose. St.  27.  v.2.   Nel  Carpano  iniquo.  Mare  Carpazio dissero  gli  antichi  quel  pericoloso  tratto  eh'  è  nelle  vi cinanze di  Scarpanto,  isola dell'arcipelago  chiamata  dai Greci  CarpathoSf  e  situata  fra  Candia  e  Rodi. .T.  29.  V.3.   Orco:  chimera  o  mostro  immaginario, come  Befana,  Biliorsa,  di  che  sono  piene  le  fole  delle donnicciuole  e  del volgo  in  molte  parti  d'Italia.  Il  poeta contrappose  questa favolosa  invenzione  al  Polifemo  di Omero  e  di  Virgilio,  e,  se  non  vinse  la  gara,  certamente non  ne  rimase  secondo. St.  36.  V.8.   Sarpar  lor  ferri:  scioglier  l'ancore, salparle.   Sarte,  sartie,  sarchio,  si  dicono  1  cordami con  che  si  assicurano  gli  alberi  della  nave St.  59.  V.6.    Mola,  macina:  qui significa  i  denti dell'Orco  che  stritolavano  come  una  macina St.  64.  V.5.  Inarra:viene  da  arra  o  caparra,  e vale  8'ohUiga  per  voto. St.  65.  V.27.   Simo: che  ha  il  naso  schiacciato; voce  latina.   Satalia:  città  della  Caramania  sul  golfo omonimo. S T.  68.  v.3.  Calende  et  Idi: modo  proverbiale  di esprimere  la  duratadi  varii  mesi.  Calende,  presso  gli antichi,  si  chiamavano  i  primi  giorni  di  ciascan  mese: Idi,  i  terzodecimi  di  alcuni  mesi.e  di  altri  i  qniotodeeittL St.  78.  v.46.   E  fé'  del  resto  dono.  Aoceniuisi  U donazione  che  dicesi  fatta  di  Costantino  a  papa  Silre stro.   Fattolo  ed  Ermo,  ecc.  lì  Fattolo,  influente  d" l'Ermo  che  mette  foce  nell'Ai'Cipelago,  scorre  tuttora fra  le  rovine  dell'antica  Sardi,  famosa  cittài  della  Lidia, capitale  del  regno  di  Creso,  rinomato  per  le  sae  riechesze. Quei  due  fiumi,  le  cui  arene  si  credette  altre  volte  por tare dell'oro,  hanno  oggi  il  nome  di  SUirjtbat;  e  la splendida  Sardi  non  è  pid  che  un  miserabile  villaggio. detto  dai  Turchi  Satt.   Migdonia: tre  Provincie  di questo  nome  additansi  dai  geografi  in  diversi  laogki: U Poeta,  che  la  nomina  insieme  con  la  Lidia,  ha  verosi milmente inteso  la  Migdonia  che  Solino  pone  in  Frìg:ìa dell'Asia  Minore. St.  79.   Allude  a  Leone  X  (Gio.  de'  Medici). St.  87.  V.1.   SeUucia: cittài  di  Scria,  presso  la  foce dell' Oronte;  e  fu  detta  Seleucia  Pieria  per  distinguerla da  altre  quattro  che  avevano  lo  stesso  nome. St.  93.  V.6.   Sidonia:  la  Sidone  dei  Fenicj,  oggi Saida, St.  94.  V.4.   Lodicea:  quella  che  gli  antichi  dissero Laodieea  ad  mare;  ora  chiamasi  Latakia,  e  ai  yeàr col  nome  di  Lizza  nella  St.  74,  v.7  del  Canto  sedente. St.  96.  V.1.   Apamia:  Apamea,  situata  fra  Antio chia ed  Epifania,  la  quale  ultima  i  Turchi  chiamano Hamah. St.  97.  V.2.   Gran  diodarro: voce  araba  equiva lente a  ministro. St.  112.  V.2.   Si  allude  all'apologo  di  Luciano  sol ciuco,  che  vestitosi  della  pelle  di  un  leone,  spaventò  gli altri  animali,  finché  riconosciuto  alle  orecchie,  fu  bea punito  della  sua  stolta  temerità. St.  115.  V.4.   Setta:  compagnia,  seguito. St.  129.  V.2   Quasi  tatti  intendono  per  questa  nu trice la  terra;  ma  veramente  è  il  mare,  immeiimato dai  poeti  antichi  con  Tetide  la  moglie  dell  Oceano.  Si credeva  che  dall' acqua  avessero  orìgine  e  nutrimeato tutte  le  cose,  persino  le  stelle,  il  sole. DECIMOTTAVO. Stanza  23. Giifijfifl  recni>.ni  l'onore  tiliojrii,]a  iraHatio.  i'  fo.riii  \hu  pu nito  da  Nuraiidiiio.  Saiisftiierto  "d  Antolfu  s'imbattono  in  Mar fin,,  e  tiitii  tre  vaniio  a  Diuiisra  per  asintere  ad  ima  pioatra I?.v3i(hta  per  onorare  Grifone  Colà  Marfla  riconost!tì  per  sua 1  arttiatnra  destinata  fi  premio  i3ol vincitore,e  la  vi) ole.  Tur iKisi  (juindi  la  ftì'ta.  ma  poi  si  iricompone  a  calma: larmatura è  data  pacìficamente  a  Mìirfl?ia,  e  i  tie  puerritri  pai  tono  per KraiKia.  J?i>ilonioiite,  avvisato  ch<? Doralict  plì  patata  tolta  dà Mandrikartio,  esce  di  Pari  fri  jier  vciidit'arui  del  rapitole.  I  Mtri ctHlouo  al  valore  ili  Rinaldo  che  lillfl  fine  yctide  Dardindlo. Cloridano  e  Mecloio  trasportano  il  cadavere  del  kno  sipioie lajsrnaulmo  Siernore,  bgnì  vostro  atto Hu  sempre  con  ragion  Kuidatù  e  laudo; BpiieLè  e  li  ruzzo  sril  ilnro  e  mal  atto Gran  \\a.i\e  della  gUrià  io  \ì  defraudo. Ma  più  dtdr altre  una  virtù  nrUa  t rutto, A  cui  coi  core  e  con  la  liiiyfuii  a)ij>laudo; Che  s' ognun  trova  In  voi  ben  Errata  udìeiiia Ncm  vi  truva  pere  fadl  tTeilena. Spesso  in  diffcjia  del  biasniato  absrnte Intliir  vi  sento  mm  ed  mi'  altra  snisa, 0  riserbargli  almen,  finché  presente Sna  causa  dica,  T altra  orecchia  chiusa: E  sempre,  prima  che  dannar  la  gente, Vederla  in  faccia,  e  udir  la  ragion  eh'  usa:Difterir  anco  a  giorni  e  mesi  ed  anni, Prima  che  giudicar  negli  altrui  danni. Se  Norandino  il  simil  fatto  avesse, Patto  a  Grifon  non  avria  quel  che  fece A  voi  ntile  e  onor  sempre  successe: Denigrò  sua  fama  egli  più  che  pece. Per  lui  sue  genti  a  morte  furon  messe; Che  fé'  Grifone  in  dieci  tagli  eindiece Punte,  che  trasse  pien   d'ira  e  hizzarro, Che  trenta  ne  cascaro  appresso  al  carro. Van  gli  altri  in  rotta  ove  il  timor  li  caocù. Chi  qna,  chi  là  pei  campi  e  per  le  strade; E  chi  d'entrar  nella  città  procaccia. E  r  un  su  r  altro  nella  porta  cade. Grifon  non  fa  parole  e  non  minaccia; Ma  j  lasciando  lontana  ogni  pietade, Mena  tra  il  vulgo  inerte  il  ferro  intorno, E  gran  vendetta  fa  d'ogni  suo  scorno. stanza  4. Di  quei  che  primi  giunsero  alla  porta, Che  le  piante  a  levarsi  ebbeno  pronte. Parte,  al  bisogno  suo  molto  più  accorta Che  degli  amici,  alzò  subito  il  ponte:Piangendo  parte,  o  con  la  faccia  smorta, Fuggendo  andò  senza  mai  volger  fronte; E  nella  terra  per  tutte  le  bande Levò  grido  e  tumulto  e  rumor  grande. Grifon  gagliardo  duo  ne  piglia  in  quella Che'l  ponte  si  levò  per  lor  sciagura. Sparge  dell'uno  al  campo  le  cervella; Che  lo  percuote  ad  una  cote  dura:Prende  l'altro  nel  petto,  e  l'arrandeila In  mezzo  alla  città  sopra  le  mura. Scorse  per  l'ossa  ai  terrazzani  il  gelo, Quando  vider  colui  venir  dal  cielo. 7  Pur  molti  che  temer  che  '1  fier  Grifone Sopra  le  mura  avesse  preso  un  salto. Non  vi  sarebbe  più  confusione, S' a  Damasco  il  Soldan  desse  V  assalto. Un  muover  d'arme,  un  correr  di  persone, E  di  talacimanni  un  gridar  d'alto,Editamburi  un  suon  misto  e  di  trombe Il  mondo  assorda,  eU  ciel  par  ne  rimhombe. 8  Ma  voglio  a  un'altra  volta  differire A  ricontar  ciò  che  di  questo  avvenne. Del  buon  re  Carlo  mi  convien  seguire, Che  contra  Rodomonte  in  fretta  venne, Il  qual  le  genti  gli  facea  morire. 10  vi  dissi  ch'ai  re  compagnia  tenne 11  gran  Danese  e  Namo  ed  Oliviero E  A  vino  e  Avolio  e  Otone  e  Berlingiero. 9  Otto  scontri  di  lance,  che  da  forza Di  tali  otto  guerrier  cacciati  fóro. Sostenne  a  un  tempo  la  scagliosa  scorza Di  eh'  avca  armato  il  petto  il  crudo  moro. Come  legno  si  drizza,  poiché  l'orza Lenta  il  nocchier  che  crescer  sente  il  Coro; Così  presto  rizzossi  Rodomonte Dai  colpi  che  gittar  doveano  un  monte. 10  Guido,  Ranier,  RicarJo,  Salamone, Ganellon  traditor,  Turpin  fedele, Angioliero,  Angiolino,  Ughetto,  Ivone, Marco  e  Matteo  dal  pian  di  Sin  Michele, E  gli  otto  di  che  dianzi  fei  menzione, Son  tutti  intorno  al  S.iracin  crudele, Arimanno  e  Odoardo  d'Inghilterra, Ch'  entrati  eran  pur  dianzi  nella  terra. 11  Non  così  freme  in  su  lo  scoglio  alpino Di  ben  fondata  ròcca  alta  parete, Quando  il  furor  di  Borea  o  di  Garbino Svelle  dai  monti  il  frassino  e  l'abete; Come  freme  d'orgoglio  il  Saracino, Di  sdegno  acceso  e  di  sanguigna  sete:

E  com'  a  un  tempo  è  il  tuono  e  la  saetta, Cosi  l'ira  dell' empio  e  la  vendetta. 12  Mena  alla  testa  a  quel  che  gli  è  più  presso, Che  gli  è  il  misero  Ughetto  di  Dordona: Lo  pone  in  terra  ins'no  ai  denti  fesso, Comechè  l'elmo  era  di  tempra  buona. Percosso  fu  tutto  in  un  tempo  anch'esso Da  molti  colpi  in  tutta  la  persona:Ma  non  gli  fan  più  eh'  all' incude  l'ago, Si  duro  intorno  ha  lo  scaglioso  drago. 13    Furo  tutti  i  ripar,  fu  la  cittade D'intorno  intorno  abbandonata  tutta; Che  la  gente  alla  piazza,  dove  accade Maggior  bisogno,  Carlo  avea  ridutta. Corre  alla  piazza  da  tutte  le  strade La  turba,  a  chi  il  fugijir  si  poco  frutta. La  persona  del  re  sì  i  cori  accende, Ch' ognun  prend'arme,  ognuno  animo  prende. stanza  6. 14  Come  se  dentro  a  ben  rinchiusa  gabbia D'antiqua  leonessa  usata  in  guerra, Perch' averne  piacere  il  popol  abbia. Talvolta  il  tauro  indomito  si  serra; I  leonciu  che  vegjion  per  la  sabbia Come  altiero  e  mugliando  animoso  erra, E  veder  si  gran  corna  non  son  usi, Stanno  da  parte  timidi  e  confusi: 15  Ma  se  la  fiera  madre  a  quel  si  lancia, E  nell' orecchio  attacca  il  crudel  dente, Vogliono  anchessi  insanguinar  la  guancia, E  vengono  in  soccorso  arditamente; Chi  morde  al  tauro  il  dosso,  e  chi  la  pancia: Cosi  contra  il  pagan  fa  quella gente: Da  tetti  e  da  finestre  e  più  d'appresso Sopra  gli  piove  un  nembo  d'arme  e  spesso. 16  Dei  cavalieri  e  della  fanteria Tanta  è  la  calca,  eh'  appena  vi  cape. La  turba  che  vi  vien  per  ogni  via, V'abbonda  ad  or  ad  or  spesso  com'ape; Che  quando,  disarmata  e  nuda,  sia Più  facile  a  tagliar  che  torsi  o  rape, Non  la  potria,  legata  a  monte  a  monte, In  venti  giorni  spenger  Rodomonte. 17  Al  pagan,  che  non  sa  come  ne  possa Venir  a  capo,  ornai  quel  giuoco  incresce. Poco,  per  far  di  mille  o  di  più  rossa La  terra  intomo,  il  popolo  discresce. Il  fiato  tuttavia  più  se  gì' ingrossa; Sì  che  comprende  alfin  che,  se  non  ece Or  e' ha  vigore  e  in  tutto  il  corpo  è  sano. Vorrà  da  tempo  uscir,  che  sarà  invano. 18  Rivolge  gli  occhi  orribili,  e  pon  mente Che  d'ogn' intomo  sta  chiusa  l'uscita: Ma  con  mina  d'infinita  gente L'aprirà  tosto,  e  la  farà  spedita. Ecco,  vibrando  la  spada  tagliente, Che  vien  quell'empio,  ove  il  furor  lo'nviti. Ad  assalire  il  nuovo  stuol  britanno, Che  vi  trasse  Odoardo  ed  Arimanno. Stanza  18. 19    Clii  ha  visto  in  piazza  a  rompere  steccato, A  cui  la  folta  turba  ondeggi  intomo, Immansueto  tauro  accaneggiato, Stimulato  e  percosso  tutto  il  giorno, Che  '1  popol  se  ne  fugge  spaventato, Ed  egli  or  questo  or  quel  leva  sul  corno; 

Pensi  che  tale  o  più  terribil  fosse Il  crudele  African  quando  si  mosse. 21    Della  piazza  si  vede  in  guisa  tórre, Che  non  si  può  notar  ch'abbia  paura; Ma  tuttavolta  col  pensier  discorre Dove  sia  per  uscir  via  più  sicura. Capita  alfiu  dove  la  Senna  corre Sotto  all'isola,  e  va  fuor  delle  mura. La  gente  d'arme  e  il  popol  fatto  audace Lo  stringe  e  incalza,  e  gir  noi  lascia  in  pace. 20    Quindici  o  venti  ne  tagliò  a  traverso, Altri  tanti  lasciò  del  capo  tronchi, Ciascun  d'un  colpo  sol  dritto  o  riverso; Che  viti  0  salci  par  che  poti  e  tronchi:Tutto  di  sangue  il  fier  pagano  asperso, Lasciando  capi  fessi  e  bracci  monchi, E  spalle  e  gambe  ed  altre  membra  sparte, Ovimque  il  passo  volga,  alfin  si  parte. 22    Qual  per  le  selve  nomade  o  massile Cacciata  va  la  generosa  belva, Ch' ancor  fuggendo  mostra  il  cor  gentile, E  minacciosa  e  lenta  si  riusciva; Tal  Rodomonte,  in  nessun  atto  vile, Da  strana  circondato  e  fiera  selva D'aste  e  di  spade  e  di  volanti  dardi, Si  tira  al  fiume  a  passi  lunghi  e  tardi. 23    E  sì  tre  volte  e  più  V  ira  il  sospinse, Ch'  essendone  già  fuor,  vi  tornò  in  mezzo, Ove  di  sangue  la  spada  ritinse, E  più  di  cento  ne  levò  di  mezzo. Ma  la  ragion  alfin  la  rabbia  vinse Di  non  far  si  eh' a  Dio  n'andasse  il  lezzo; E  dalla  ripa,permigliorconsiglio,Si  gittò  all'acqua,  e  usci  di  gran  periglio. 21:    Con  tutte  l'arme  andò  per  mezzo  l'acque, Come  s'  intorno  avesse  tante  galle. Africa,  in  te  pare  a  costui  non  nacque, Benché  d' Anteo  ti  vanti  e  d'Anniballe. Poi  che  fìi  giunto  a  proda,  gli  dispiacque, Che  si  vide  restar  dopo  le  spalle Quella  città  ch'avea  trascorsa  tutta, E  non  l'avea  tutt'arsa,  né  distrutta. .25    E  si  lo  rode  la  superbia  e  l'ira, Che,  per  tornarvi  un'altra  volta,  guarda, E  di  profondo  cor  geme  e  sospira, Né  vuoine  uscir,  che  non  la  spiani  ed  arda. Ma  lungo  il  fiume,  in  questa  furia,  mira Venir  chi  l'odio  estingue,  e  l'ira  tarda. Chi  fosse  io  vi  farò  ben  tosto  udire; Ma  prima  un'altra  cosa  v'ho  da  dire. 26  Io  v'ho  da  dir  della  Discordia  altiera, A  cui  l'angel  Michele  avea  commesso Ch'  a  battaglia  accendesse  e  a  lite  fiera Quei  che  più  forti  avea  Agramante  appresso Usci  de'  frati  la  medesma  sera, Avendo  altrui  l'ufficio  suo  commesso:Lasciò  la  Fraude  a  guerreggiare  il  loco, Finché  tornasse,  e  a  mantenervi  il  foco. 27  E  le  parve  ch'andria  con  più  possanza. Se  la  Superbia  ancor  seco  menasse: E  perché  stavan  tutte  in  una  stanza, Non  fu  bisogno  eh' a  cercar  l'andasse. La  Superbia  v'andò,  ma  non  che  sanza La  sua  vicaria  il  monaster  lasciasse:Per  pochi  dìchecredea  stame  absente, Lasciò  l'Ipocrisia  locotenente. 28  L'implacabil  Discordia  in  compagnia Della  Superbia  si  messe  in  cammino, E  ritrovò  che  la  medesma  via Facea,  per  gire  al  campo  Saracino, L'afflitta  e  sconsolata  Gelosia; £  venia  seco  un  nano  piccolino, n  qual  mandava  Doralice  bella Al  re  di  Sarza  a  dar  di  sé  novella, 29    Quando  ella  venne  a  Maudricardo  in  mano (Ch'io  v'ho  già  raccontato  e  come  e  dove), Tacitamente  avea  commesso  al  nano, Che  ne  portasse  a  questo  re  le  nuove. Ella  sperò  che  noi  saprebbe  invano, Ma  che  far  si  vedria  mirabil  prove, Per  riaverla  con  crudel  vendetta Da  quel  ladron  che  gli  l'avea  intercetta. Scanza  22. 30  La  Gelosia  quel  nano  avea  trovato; E  la  cagion  del  suo  venir  compresa, A  camminar  se  gli  era  messa  a  lato. Parendo  d'aver  luogo  a  questa  impresa. Alla  Discordia  ritrovar  fu  grato La  Gelosia;  ma  più  quando  ebbe  intesa La  cagion  del  venir,  che  le  potea Molto  valere  in  quel  che  far  volea. 31  D'inimicar  con  Rodomonte  il  figlio Del  re  Agrican  le  pare  aver  suggetto; Troverà  a  sdegnar  gli  altri  altro  consiglio; •  A  sdegnar  questi  duo  questo  è  perfetto. Col  nano  se  ne  vien  dove  l'artiglio Del  fier  pagano  avea  Parigi  astretto; E  capitare  appunto  in  su  la  riva, Quando  il  crudel  del  fiume  a  nuoto  usciva. ORLANDOtfURIOSO. 32    Tosto  che  Hconobbe  Rodomonte, Costui  della  sua  donna  esser  messaggio, Estinse  ogn'ira,  e  serenò  la  frónte, E  si  senti  brillar  deatro  il  coraggio. Ogn altra  cosa  aspetta  che  gli  conte, Prima  eh'  alcuno  abbia  a  lei  fatto  oltraggio. Va  contra  il  nano,  e  lieto  li  domanda: Ch'è  della  donna  nostra?  ove  ti  manda? Stanza  34. 35  Come  la  tigre,  poich'  invan  discende Nel  vóto  albergo,  e  per  tutto  s' aggira, E  i  cari  figli  air  ultimo  comprende Essergli  tolti,  avvampa  di  tant'  ira, A  tanta  rabbia,  a  tal  furor  s'estende, Che  né  a  monte,  né  a  rio,  né  a  notte  mir Né  lunga  via  né  grandine  raffrena L'odio  che  dietro  al  predator  la  mena:36  Così  furendo  il  Saracin  bizzarro, Si  volge  al  nano,  e  dice: Or  là  t' invia; E  non  aspetta  né  destrier  né  carro, E  non  fa  motto  alla  sua  compagaia. Va  con  più  fretta  che  non  va  il  ramarro, Quando  il  ciel  arde,  a  traversar  la  via. Destrier  non  ha;  ma  il  primo  tor  disegna. Sia  di  chi  vuol,  eh'  ad  incontrar  lo  vegna. Il    La  Discordia,  ch'udì  questo  pensiero. Guardò,  ridendo,  la  Superbia,  e  disse Che  volea  gire  a  trovare  un  destriero Che  gli  apportasse  altre  contese  e  risse; E  far  volea  sgombrar  tutto  il  sentiero, Ch'altro  che  quello  in  man  non  gli  venisse; E  già  pensato  avea  dovetrovarlo. Ma  costei  lascio,  e  tomo  a  dir  di  Carlo. 38    Poich'ai  partir  dei  Saiacin  si  eatinse Carlo  d'intorno  il  periglioso  fuoco. Tutte  le  genti  all'ordine  ristrinse. Lascionne  parte  in  qualche  debol  loco:il  resto  ai  Saracini  spinse, Per  dar  lor  scacco,  e  guadagnarsi  il  giuoco: E  li  mandò  per  ogni  porta  fuore, Da  San  Germano  iufin  a  San  Vittore. 33  Rispose  il  nano:  Né  più  tua  né  mia Donna  dirò  quella  ch'é  serva  altrui. Ieri  scontrammo  un  cavalier  per  via, Che  ne  la  tolse,  e  la  menò  con  lui. A  quello  annunzio  entrò  la  Gelosia, Fredda  com'aspe,  ed  abbracciò  costui. Seguita  il  nano,  e  narragli  in  che  guisa Un  sol  l' ha  presa,  e  la  sua  gente  uccisa. 34  L'acciaio  allora  la  Discordia  prese, E  la  pietra  focaia,  e  picchiò  un  poco, E  l'esca  sotto  la  Superbia  stese, E  fu  attaccato  in  un  momento  il  foco; E  si  di  questo  l'anima  s'accese Del  Saracin,  che  non  trovava  loco; Sospira  e  freme  con  si  orribil  faccia, Che  gli  elementi  e  tutto  il  ciel  minaccia. 39  E  comandò  eh'  a  porta  San  Marcello, Dov'era  gran  spianata  di  campagna, Aspettasse  l'un  l'altro,  e  in  un  drappello Si  ragunasse  tutta  la  compagna: Quindi  animando  ognuno  a  far  macello Tal,  che  sempre  ricordo  ne  rimagna, Ai  lor  ordini  andar  fé'  le  bandiere, E  di  battaglia  dar  segno  alle  schiere.40II  re  Agramante  in  questo  mezzo  in  sella. Malgrado  dei  Cristian,  rimesso  s'era; E  con  l'innamorato  d'Isabella Facea  battaglia  perigliosa  e  fiera:Col  re  Sobrin  Lurcanio  si  martella: Rinaldo  incontra  avea  tutta  una  schiera, E  con  virtude  e  con  fortuna  molta L'urta,  l'apre,  ruina  e  mette  in  volta. Stanza  SS. 41     Essendo  la  battaglia  in  qnesto  stato, L'imperatore  assalse  il  retrogiiardo Dal  canto  ove  Marsilio  avea  fermato Il  fior  di  Spagna  intomo  al  suo  stendardo. Con  fanti  in  mezzo  e  cavalieri  a  lato, Re  Carlo  spinse  il  suo  popol  gagliardo Con  tal  rumor  di  timpani  e  di  trombe. Ohe  tutto  '1  mondo  par  che  ne  rimbomhe. 4S    Oominciavan  le  schiere  a  ritirarse De'Saracini,  e  si  sarebbon  vòlte Tutte  a  fuggir,  spezzate,  rotte  e  sparse, Per  mai  più  non  potere  esser  raccolte; Ma  '1  re  Grandonio  e  Falsiron  comparse, Che  stati  in  maggior  briga  eran  più  volte. E  Balugante  e  Serpentin  feroce, E  Ferraù  che  lor  dicea  a  gran  voce:4."J    Ah,  dicea,  valentuomini,  ah  compagni, Ah  fratelli;  tenete  il  luogo  vostro: I  nimici  faranno  opra  di  ragni, Se  non  manchiamo  noi  del  dover  nostro. Guardate  l'alto  onor,  gli  ampli  guadagni Che  fortuna,  vincendo,  oggi  ci  ha  mostro; Guardate  la  vergogna  e  il  danno  estremo Che,  essendo  vinti,  a  patir  sempre  avremo. 44     Tolto  in  quel  tempo  una  gran  lancia  avea, E  centra  Berlinghìer  venne  di  botto, Che  sopra  TArgaliffa  combattea, E  l'elmo  nella  fronte  gli  avea  rotto: GittoUo  in  terra,  e  con  la  spada  rea Appresso  a  lui  ne  fé'  cader  forse  otto, Per  ogni  botta  almanco,  che  disserra, Cader  fa  sempre  un  cavaliero  in  terra. 47  Del  re  della  Zumara  non  si  scorda Il  nobil  Dardinel  figlio  d'Almonte, Che  con  Li  lancia  Uberto  da  Mirforda, Claudio  dal  Bosco,  Elio  e  Dulfin  dal  Monte. E  con  la  spada  Anselmo  da  Stanforda, E  da  Londra  Raimondo  e  Pinamonte Getta  per  terra  (ed  erano  pur  forti), Dui  storditi,  un  piagato,  e  quattro  morti. 48  Ma  con  tutto  '1  valor  che  di  sé  mostra, Non. può  tener  sì  ferma  la  sua  gente. Si  ferma,  ch'aspettar  voglia  la  nostra Di  numero  minor,  ma  più  valente. Ha  più  ragion  di  spada  e  più  di  giostra . E  d'ogni  cosa  a  guerra  appartenente. Fugge  la  gente  Maura,  di  Zumara, Di  Setta,  di  Marocco  e  di  Canara.Stanza  44, 45  In  altra  parte  ucciso  avea  Rinaldo Tanti  pagan,  eli' io  non  potrei  contarli. Dinanzi  a  lui  uni  stava  ordine  saldo:Vedreste  piazza  in  tutto  '1  campo  darli. Non  men  Zerbin,  non  men  Lurcanio  è  caldo; Per  modo  fan,  eh'  ognun  sempre  ne  parli:Questo  di  punta  avea  Balastro  ucciso, E  quello  a  Finadurl'elmodiviso. 46  L'esercito  d'Alzerbe  avea  il  primiero, Che  poco  innanzi  aver  solca  Tardocco; L'altro  tenea  sopra  le  squadre  impero Di  Zamor  e  di  Saffi  e  di  Marocco. Non  è  trji  gli  Africani  un  cavaliero Che  di  lancia  ferir  sappia  o  di  stocco? Mi  si  potrebbe  dir:  ma  passo  passo Nessun  di  gloria  degno  addietro  lasso. 49  Ma  più  degli  altri  fiiggon  quei  d'AlzerU" A  cui  s'oppose  il  nobil  giovinetto; Ed  or  con  prieghi,  or  con  parole  acerbo lor  cerca  l'animo  nel  petto. S' Almonte  meritò  eh'  in  voi  sì  serbe Di  lui  memoria,  or  ne  vedrò  l'effetto: 10  vedrò  (dicea  lor)  se  me,  suo  figlio, Lasciar  vorrete  in  cosi  gran  periglio. 50  State,  vi  priego.  per  mia  verde  etade, In  cui  solete  aver  si  larga  speme:Deh  non  vogliate  andar  per  fi]  di  spade, Ch'in  Africa  non  tomi  di  noi  .seme. Per  tutto  ne  saran  chiuse  le  strade, Se  non  andiam  raccolti  e  stretti  insieme: Troppo  alto  muro  e  troppo  larga  fossa È  il  monte  e  il  mar,  pria  che  tornar  si  pos. 51     Molto  è  meglio  morir  qui,  ch'ai  supplici Darsi  e  alla  discrezion  di  questi  cani. State  saldi,  per  Dio,  fedeli  amici; Che  tutti  son  gli  altri  rimedi  vani. Non  han  di  noi  più  vita  gl'inimici: Più  d'un'afma  non  bau,  più  di  due  mani. dicendo,  il  giovinetto  forte Al  conte  d'Otonlei  diede  la  morte. 52   IIrimembrare  Almonte  così  accese L'esercito  african  che  fuggia  prima, Che  le  braccia  e  le  mni  in  sue  difese lIeglio,  che  rivoltar  le  spalle,  estima. Guglielmo  da  Burnich,  era  uno  inglese Maggior  di  tutti,  e  Dardinello  il  cima, E  lo  pareggia  agli  altri,  e  appresso  taglia 11  capo  ad  Aramon  di  Comovaglia. b'à     Morto  cadea  questo  Aramene,  a  valle; E  v'  accorse  il  fratel  per  dargli  aiuto:3Ia  Dardinel  l'aperse  per  le  spalle Fin  giù  dove  lo  stomaco  è  forcato. Poi  forò  il  ventre  a  Bogio  da  Vergalle, E  lo  mandò  del  debito  assoluto: Avea  promesso  alla  moglier  fra  sei Mesi,  vivendo,  di  tornare  a  lei. 54     Vide  non  lungi  Dardinel  gagliardo Venir  Lurcanio,  eh' avea  in  terra  messo Dorchin,  passato  nella  la,  e  Gardo Per  mezzo  il  capo  e  insino  ai  denti  fesso; E  ch'Alteo  fuggir  volse,  ma  fu  tardo, Alteo  eh'  amò  quanto  il  suo  core  istesso:Olì  è  dietro  alla  collottola  gli  mise 11  fìer  Lurcanio  un  colpo  che  l'uccise. stanza  52. 56    Non  è  da  domandarmi  se  dolere Se  ne  dovesse  Arì'odante  il  frate; Se  desiasse  di  sua  man  potere Por  Dardinel  fra  l'anime  dannate:Ma  noi  lascian  le  genti  adito  avere, Non  men  delle 'nfedel  le  battezzate. Vorria  pur  vendicarsi,  e  con  la  spada Di  qua  di  là  spianando  va  la  strada. Stanza  55. 57  Urta,  apre,  caccia,  atterra,  taglia  e  fendeQualunque  lo'mpedisce  o  gli  contrasta. E  Dardinel,  che  quel  disire  intende, A  volerlo  saziar  già  non  sovrasta:Ma  la  gran  moltitudine  contende Con  questo  ancora,  e  i  suoi  disegni  guasta. Se  i  Mori  uccide  l'un,  l'altro  non  manco Gli  Scotti  uccide,  e'I  campo  inglese  e  '1  franco. 58  Fortuna  sempre  mai  la  via  lor  tolse, Che  per  tutto  quel  di  non  s'accozzaro. A  più  famosa  man  serbar  l'un  volse; Che  l'nomo  il  suo  destin  fugge  di  raro. Ecco  Rinaldo  a  questa  strada  volse, Perch'  alla  vita  d'un  non  sia  riparo:Ecco  Rinaldo  vien:  Fortuna  il  guida Per  dargli  onor,  che  Dardinello  uccida. 55    Piglia  una  lancia,  e  va  per  far  vendetta, Dicendo  al  suo  Macon  (s' udir  lo  puote), Che  se  morto  Lurcanio  in  terra  getta, Nella  moschea  ne  porrà  l'arme  vote. Poi  traversando  la  campagna  in  fretta, Con  tanta  forza  il  fianco  gli  percuote, Che  tutto  il  passa  sin  all'altra  banda; Ed  ai  suoi,  che  lo  spoglino,  comanda. 59    Ma  sia  per  questa  volta  detto  assai Dei  gloriosi  fatti  di  Ponente. Tempo  è  ch'io  tomi  ove  Grifon  lasciai, Che  tuttj  d'ira  e  di  disdegno  ardente Facea,  con  più  timor  eh'  avesse  mai, la  sbigottita  gente. Re  Norandino  a  quel  rumor  corso  era in  più  di  mille  armati  in  una  schiera. 60    Re  Noraudiu  con  la  sua  corte  armata, Vedendo  tutto  il  popolo  fuggire, Venne  alla  porta  in  battaglia  ordinata, E  quella  fece  alla  sua  giunta  aprire. Grifone  iutauM),  avendo  già  cacciata Da  sé  la  turba  sciocca  e  senza  ardire, La  sprezzata  armatura  in  sua  difesa (Qual  la  si  fosse)  avea  di  nuovo  presa; 61     E  presso  a  un  tempio  ben  murato  e  forte. Che  circondato  era  d un'alta  fossa. In  capo  un  pouticel  si  fece  forte, Perchè  chiuderlo  in  mezzo  alcun  uou  possi. Ecco,  gridando  e  minacciando  forte. Fuor  della  porta  esce  una  squadra  grossa. L'animoso  Gijfou  non  muta  loco, E  fa  sembiante  che  ne  tema  poco. Stanza  €6. 62  E  poich' avvicinar  questo  drappello i5i  vide,  andò  a  trovarlo  in  su  la  strada; E  molta  strage  fiittane  o  macello (Che  menava  a  due  man  sempre  la  spada), Ricorso  avea  allo  stretto  ponticello, E  quindi  li  teuea  non  troppo  a  bada:Di  nuovo  usciva,  e  di  nuovo  tornava; E  sempre  orribii  segno  vi  lasciava. 63  Quando  di  dritto  e  quando  di  riverso Getta  or  pedoni  or  cavalieri  in  terra. Il  popol  centra  lui  tutto  converso, Più  e  più  sempre  iuaspera  la  guerra. Teme  Grifone  alfin  restar  somrtierso, Si  cresce  il  mar  che  d'ogn'  intorno  il  serra:E  nella  spalla  e  nella  coscia  manca È  già  ferito,  e  pur  la  lena  manca. 64    Ma  la  Virtù,  ch'ai  suoi  spesso  soccorre, Gli  fa  appo  Norandin  trovar  perdono. 11  re,mentre  al  tumulto  in  dubbio  corre, Vede  che  morti  già  tanti  ne  sono; Vede  le  piaghe  che  di  man  d' Et  torre Pareano  uscite: un  testimonio  buono, Che  dianzi  cssu  avea  fatto  indegnamente Vergogna  a  un  cavai  ier  molto  eccellente. (;5    Poi,  come  gli  è  più  presso,  e  vede  in  fronte Quel  che  la  ge.ite  a  morte  gli  ha  condotta, E  fattosene  avanti  orribii  monte, E  di  quei  sangue  il  fosso  e  l'acqua  bratta; Gli  è  avviso  di  veder  proprio  sul  ponte Orazio  sol  contra  Toscana  tutta: E  per  suo  onore,  e  perchè  gli  ne'ncrebbe, Ritrasse  i  uoi,  né  gran  fatica  vebbe: stanza  63. B6      £d  alzando  la  man  nnda  e  senz'arme, Antico  segno  di  tregua  o  di  pace. DUse  a  Grifon: Non  so  se  non  chiaraarme D' aver  il  torto,  e  dir  che  mi  dispiace; Ma  il  mio  poco  giudicio,  e  lo  istiganne Altrui,  caiere  in  tanto  error  mi  face. Quel  che  di  fare  io  mi  credea  al  più  vile Guerrier  del  mondo,  ho  fatto  al  più  gentile. H7      E  sebbene  alla  ingiuria  ei  a  quell'onta Ch'  oggi  fatta  ti  fu  per  ignoranza, L' onor  che  ti  fai  qui,  s  adegua  e  sconta, O  (per  più  vero  dir)  supera  e  avanza; La  satisfazìon  ci  sarà  pronta A  tutto  mio  sapere  e  mia  poisauza, Qnando  io  conosca  di  poter  far  quella Per  oro  o  per  cittadi  o  per  castella. ?58     Chiedimi  la  metà  di  questo  regno, 

Ch'io  son  per  fartene  oggi  possessore; Che  Talta  tua  virtù  non  ti  fa  degno Di  questo  sol,  ma  chMo  ti  doni  il  core: E  la  tu\  mano,  in  questo  mezzo,  pegno Di  fé' mi  dona  e  di  perpetuo  amore. Così  dicendo  da  cavallo  scese, E  vèr  Grifon  la  destra  mano  stese. 69     Grifon,  vedendo  il  re  fatto  benigno Venirgli  per  gittar  le  braccia  al  collo. Lasciò  la  spada  e  T animo  maligno, E  sotto  Tanche  ed  umile  abbracciollo. Lo  vide  il  re  di  due  piaghe  sanguigno, E  tosto  feWenir  chi  medicoUo; Indi  portar  nella  cittade  adagio, E  riposar  nel  suo  real  palagio. 72  Dimaudògli  Aquilante,  se  di  questo Così  notizia  avea  data  a  Grifone: E  come  raffermò,  s'avvisò  il  resto, Perchè  fosse  partito,  e  la  cagione. Oh'  Orrigille  ha  seguito  è  manifesto In  Antiodìia,  con  intenzione Di  levarla  di  man  del  suo  rivale Con  gran  vendetta  e  memorabil  male. 73  Non  tollerò  Aquilante  che  '1  fratello Solo  e  senz'  esso  a  queir  impresa  andasse; E  prese  Tarme,  e  venne  dietro  a  quello: Ma  prima  pregò  il  duca  che  tardasse L'andata  in  Francia  ed  al  paterno  ostello, Fin  ch'esso  d'Antiochia  ritornasse. Scende  al  Zaffo,  e  s' imbarca;  che  gii  pare E  più  breve  e  miglior  la  via  del  mare. 74  Ebbe  un  Ostrosilocco  allor  possente Tanto  nei  mare,  e  si  per  lui  disposto. Che  la  terra  del  Surro  il  di  seguente Vide,  e  Saffetto,  un  dopo  l'altro  tosto. Passa  Barutti  e  il  Zibeletto: e  sente Che  da  man  manca  gli  è  Cipro  discosto. A  Tortosa  da  Tripoli,  e  alla  Lizza, E  al  golfo  di  Laiazzo  il  cammin  drizza. 75  Quindi  a  levante  fé  il  nocchier  la  fronte Del  navilio  voltar  snello  e  veloce; Ed  a  sorger  n'  andò  sopra  P  Oronte, E  colse  il  tempo,  e  ne  pigliò  la  foce. Gittar  fece  Aquilaute  ia  terra  il  ponte E  n'uscì  armato  sul  destrier  feroce; E  con  tra  il  fiume  il  cammin  dritto  tenne Tanto,  ch  in  Antiochia  se  ne  venne. 70  Dove,  ferito,  alquanti  giorni,  innante Che  si  potesse  armar,  fece  soggiorno. Ma  lascio  lui,  eh'  al  suo  frate  Aquilante Et  ad  Astolfo  in  Palestina  tomo, Che  di  Grifon,  poi  che  lasciò  le  siante Mura,  cercare  han  fatto  più  d'un  giorno In  tutti  i  lochi  in  Solima  devoti, E  in  molti  ancor  dalla  città  remoti. 71  Or  né  l'uno  né  T altro  é  si  indovino, Che  di  Grifon  possa  saper  che  sia:Ma  venne  lor  quel  Greco  peregrino, Nel  ragionare,  a  caso  a  dame  spia. Dicendo  eh' Orrigille  avéa  il  cammino Verso  Antiochia  preso  di  Scria, D'un  nuovo  drado,  eh'  era  di  quel  loco, Pi  subito  arsa  e  d'improvviso  foco. 76  Dì  quel  Martano  ivi  ebbe  ad  informar.'ie:Et  udì  eh' a  Damasco  se  n'era  ito Con  Orrigille,  ove  una  giostra  farse Dovea  solenne  per  reale  invito. Tanto  d'andargli  dietro  il  desir  T  arse, Certo  che  '1  suo  german  T  abbia  seguito, Che  d'Antiochia  anco  quel  di  si  tolle; Ma  già  per  mar  più  ritornar  non  volle. 77  Verso  Lidia  e  Larissa  il  cammin  piega:Resta  più  sopra  Aleppe  ricca  e  piena. Dio  per  mostrar  eh' ancor  di  qua  non  niega Mercede  al  bene,  ed  al  contrario  pena, Martano  appresso  a  Mamuga  una  lega Ad  incontrarsi  in  Aquilante  mena. Martano  si  facea  con  bella  mostra Portare  innanzi  il  pregio  della  giostra. 78  Pensò  Aquilante,  al  primo  comparire, Che'l  vii  Martino  il  suo  fratello  fosse; Che  r iiiganiiaroii  Parme,  e  quel  vestire Candido  più  che  nevi  ancor  non  mosse:E  con  queir  oli,  che  d'allegrezza  dire Si  snoie,  incominciò;  ma  poi  cangiosse Tosto  di  faccia  e  di  parlar,  eh appresso S'avvide  meglio  che  non  era  desso. 79  Dubitò  che  per  fraude  di  colei Ch'era  con  Ini,  Grifon  gli  avesse  ucciso; E,  dimmi,  gli  gridò,  tu  ch'esser  dèi Fu  ladro  e  un  traditor,  come  n'  hai  viso, Onde  hai  quest'arme  avute?  onde  ti  sei >'nl  buon  destrier  del  mio  fratello  assiso? Dimmi  se '1  mio  fratello  è  morto  o  viro: Come  dell'erme  e  del  destrier  l'hai  privo. 80  Quando  Orrigille  udì  l'irata  voce. Addietro  il  palafrcn  per  fuggir  volse; ila  di  lei  fu  Aquilante  più  veloce, E  feccia  fermar, volse  o  non  volse, jlartano  al  minacciar  tanto  feroce Del  cavalier,  che  sì  improvviso  il  colse, Pallido  trema  come  al  vento  fronda, Né  sa  quel  che  si  faccia  o  che  risponda. 81  Grida  Aquilante,  e  fulminar  non  resta, E  la  spada  gli  pon  dritto  alla  strozza: E  giurando  minaccia  che  la  testa Ad  Orrigille  e  a  lui  rimarrà  mozza, Se  tutto  il  fatto  non  gli  manifesta. 11  mal  giunto  Martano  alquanto  ingozza, E  tra  sé  volve  se  può  sminuire Sua  grave  colpa,  e  poi  comincia  a  dire: 82  Siippi,  signor,  che  mia  sorella  è  questa, Nata  di  buona  e  virtuosa  gente. Benché  tenuta  in  vita  disonesta L'abbia  Grifone  obbrobriosamente:E  tale  infamia  essendomi  molesta. Né  per  forza  sentendomi  possente Di  torla  a  si  grand' noni,  feci  diseguo D' averla  per  astuzia  e  per  ingegno. 83  Tenni  modo  con  lei,  eh'  avea  desire Di  ritornare  a  più  lodata  vita, Ch'  essendosi  Grifon  messo  a  dormire, Chetamente  da  lui  fèsse  partita. Cosi  fece  ella;  e  perchè  egli  a  seguire Non  n'abbia,  ed  a  turbar  la  tela  ordita, Noi  lo  lasciammo  disarmato  e  a  piedi: E  qua  venuti  siam,  come  tu  vedi. 84  Poteasi  dar  di  somma  astuzia  raiito, Che  colui  facilmente  gli  credea; E,  fuor  che'n  torgli  arme  e  destrier  e  qsaii' Tenesse  di  Grifon,  non  gli  uocea; Se  non  volea  pulir  sua  scusa  tanto, Che  lafacesse  di  menzogna  rea. Buona  era  ogni  altra  parte,  se  non  qnelU Che  la  femmina  a  lui  fosse  sorella. 85  Avea  Aquilante  in  Antiochia  inteso Essergli  concubina,  da  più  genti; Onde  gridando,  di  furore  acceso: Falsissimo  ladron,  tu  te  ne  menti:Vìi  pugno  gli  tirò  di  tanto  peso, Che  nella  gola  gli  cacciò  duo  denti; E,  senza  più  contesa,  ambe  le  braccia Gli  volge  dietro,  e  d'uia  fune  allaccia. 86  E  parimente  fece  ad  Orrigille, Benché  in  sua  scusa  ella  dicesse  a.isai. Quindi  li  trasse  per  casali  e  ville. Né  li  lasciò  fin  a  Damasco  mai; E  delle  miglia  mille  volte  mille Tratti  gli  avrebbe  con  pene  e  con  grnal, Fin  ch'avesse  trovato  il  suo  fratello, Per  farne  poi  come  piacesse  a  quello. 87  Fece  Aquilante  lor  scudieri  e  .some Seco  tornare,  ed  in  Damasco  venne; E  trovò  di  Grifon  celebre  il  nome Per  tutta  la  città  batter  le  penne. Piccoli  e  grandi,  ognun  sapea  già,  come Kg\ì  era,  che  sì  ben  corse  V  aritenne; Ed  a  cui  tolto  fu  con  falsa  mostra Dal  compagno  la  gloria  della  giostra. 88  II  popol  tutto  al  vii  Martano  infesto, L'uno  all'altro  additandolo,  lo  scopre. Che  si  fa  laude  con  P altrui  buone  opre? E  la  virtù  di  chi  non  è  ben  desto. Con  la  sua  infamia  e  col  suo  obbrobrio  copre? Non  è  r  ingrata  femmina  costei, La  qual  tradisce  i  buoni,  e  aiuta  i  rei? 89  Altri  dicean:  Come  stan  bene  insieme. Segnati  ambi  d'un  marchio  e  d'una  razza! Chi  li  bestemmia,  chi  lor  dietro  freme . Chi  grida:  Impicca,  abbrucia,  squarta,  ammazza La  turba  per  veder  s' urta,  si  preme  . E  corre  innanzi  alle  strade,  alU  piazz.i. Venne  la  nuova  al  re,  che  mo.strò  seguo D'averla  cara  più  eh' un  altro  regno. BD     Seiiza  molti  scudier  dietro  o  davante, Come  si  ritrovò,  si  mosse  in  fretta, E  venne  ad  incontrar?!  in  Aquilante, Oh'avea  del  suo  Grifon  fitto  vendetta: E  quello  onora  con  gentil  sembiante, S3C0  lo'  nvita,  e  seco  lo  ricetta; Di  suo  cuisenso  avenlo  fatto  porre I  dno  priirioni  in  fon  lo  d'una  toriT. &.|; Andaro  insieme  (ve  del  letto  mosso non  s'era  poi  che  fu  ferito, Che,  vedendo  il  fratel,  divenne  roso:Che  ben  stimò  ch'avea  il  suo  caso  uditi. K  poi  che  motteggiando  un  poco  addosso (ili  andò  Aquilante,  messero  a  partito dare  a  quelli  duo  giusto  mar  toro, Venuti  in  min  degli  avver"arj  loro. 92    Vuole  Aquilante,  vuole  il  re  che  mille Strazj  ne  sieno  fatti;  ma  Grifone (Perchè  non  osa  dir  sol  d' Orrigille) e  all'altro  vuol  che  si  perdone. Disse  assai  cose,  e  molto  bene  ordille. risposto:  Or  per  conclusione lart.mo  è  disegnito  in  mano  al  boia, Cir  abbia  a  scapirlo,    o  non  però  che  moia. 93  Legar  lo  fanno,  e  nontra' fiori  e  l'erba, E  per  tutto  scopar  l'altra  mattina. Orrigille  captiva  si  riserba Finché  ritomi  la  bella  Lucina, Al  cui  saggio  parere,  o  lieve  o  acerba, Rimtton  quei  signor  la  disciplini. Quivi  stette  Aquilante  a  ricrearsi Finché  1  fratel  fu  sano,  e  potè  armarsi. Re  Norandin,  che  temperato  e  saggio Divenuto  era  dopo  un  tanto  errore. Non  potea  non  aver  sempre  il  coragjio Di  penitenzìa  pieno  e  di  dolore, D'aver  fatto  a  colui  danno  ed  oltraggio, i  l:c  degno  di  merce  le  era  e  d' onore:Sì  che  dì  e  notte  avea  il  pensiero  intento Per  farlo  rimaner  di  ."è  contnito. ai.iii/.ii  ve". 9.'S     E  stituì  nel  pubblico  conspetto Della  città,  di  tanta  ingiuri i  rei. Con  quella  maggior  gloria  eh' a  perfetto Cavalier  per  un  re  dar  si  potea, Con  tanto  inganno  il  traditor  gli  avea:E  perciò  fe'bindir  per  quel  paese, farla  un'altra  giostra  indi  ad  un  mes.'96  Di  che  apparecchio  fa  tanto  solenne, Qaanto  a  pompa  real  possibil  sia: Onde  la  fama  con  veloci  penne Portò  la  nuova  per  tutta  Soria; Ed  in  Fenicia  e  in  Palestina  venne, tanto,  eh  ad  Astolfo  ne  die  spia. Il  qual  col  viceré  deliberosse Che  quella  giostra  senza  lor  non  fosse. 97  Per  guerrier  valoroso  e  di  gran  nome La  vera  istoria  Sansonetto  vanta. Gli  die  battesrao  Orlando,  e  Carlo  (come V'ho  detto)  a  governar  la  Terra  Santa. Astolfo  con  costui  levò  Je  some,. Per  ritrovarsi  ove  la  fama  canta Sì,  che  d'intorno  n'ha  piena  ogni  orecchia, Damasco  la  giostra  s'apparecchia. 102  Tra  lor  si  domandaron  di  lor  via: E  poi  eh'  Astolfo,  che  prima  rispose, Narrò  come  a  Damasco  se  ne  già, Avea  invitato  il  re  della  Soria A  dimostrar  lor  opre  virtuose; Marfisa,  sempre  a  far  gran  prove  acceca. CFser  con  voi,  disse,  a  questa  impr 103  Sommamente  ebbe  Astolfo  grata  quesii d'arpe,  e  così  Sansonetto. Furo  a  Damasco  il  dì  innanzi  la  festa . E  di  fuora  nel  borgo  ebbon  ricetto:sin  all'ora  che  dal  sonno  desta L'Aurora  il  vecchiarel  già  suo  diletto  . Quivi  si  riposar  con  maggior  agio, Che  se  smontati  fossero  al  palagio. 98  Or  cavalcando  per  quelle  contrade Con  non  lunghi  viaggi,  agiati  e  lenti, Per  ritrovarsi  freschi  alla  cittade Poi  di  Damasco  il  dì  de' torniamenti, Scontrare  in  una  croce  di  due  strade eh'  al  vestire  e  a' movimenti Avea  sembianza  d'uomo,  e  femmin'  era, Nelle  battaglie  a  meraviglia  fiera. 99  La  vergine  Marfisa  si  nomava, Di  tal  valor,  che  con  la  spada  in  mano Fece  più  volte  al  gran  signor  di  Brava la  fronte,  e  a  quel  di  Montalbano; di  e  la  notte  armata  sempre  andava Di  qua  di  là,  cercando  in  monte  e  in  piano Con  cavalieri  erranti  riscontrarsi, 

Ed  immortale  e  gloriosa  farsi. 100  Com'  ella  vide  Astolfo  e  Sansonetto, Ch'  appresso  le  venian  con  l'arme  indosso, Prodi  guerrier  le  parvero  all' aspetto; Ch'erano  ambedue  grandi  e  di  buon  osso: E  perchè  di  provarsi  avria  dilettò,. isfidarli  avea  il  destrier  già  mosso; Quando,  affissando  l'occhio  più  vicino, Conosciuto  ebbe  il  duca  paladino. 101  Della  piacevolezza  le  sovvenne Del  cavalier,  quando  al  Catai  seco  era: E  lo  chiamò  per  nome,  e  non  si  tenne La  man  nel  guanto,  e  alzossi  la  visiera; E  con  gran  festa  ad  abbracciarlo  venne, Comechè  sopra  ogn' altra  fosse  altiera. Non  men  dall'altra  parte  riverente il  paladino  alla  donna  eccellente. E  poi  che  '1  nuovo  sol  lucido  e  chiaro Per  tutto  sparsi  ebbe  i  fulgenti  raggi, La  bella  donna  e  i  duo  guerrier  s'  armare . avendo  alla  città  messaggi ,  come  tempo  fu,  lor  rapportar(c) per  veder  spezzar  frassini  e  faggi Re  Norandino  era  venuto  al  loco Ch'avea  constituito  al  fiero  gioco. 106    Senza  più  indugio  alla  città  ne  vanno, E  per  la  via  maestra  alla  gran  piazza, Dove  aspettando  il  real  segno  stanno e  quindi  i  guerrier  di  buona  rascza. I  premj  che  quel  giorno  si  daranno A  chi  vince,  è  uno  stocco  ed  una  mazza riccamente,  e  un  destrier  quale con  vene  voi  dono  a  un  signor  tale. 106 AvendoNorandin  fermo  nel  core Che,  come  il  primo  pregio,  il  secondo  anco, E  d'ambedue  le  giostre  il  sommo  onore Si  debba  guadagnar  Grifone  il  bianco; Per  dargli  tutto  quel  ch'uom  di  valore Dovrebbe  aver,  né  debbe  far  con  manco . Posto  con  l'arme  in  questo  ultimo  pregio Ha  stocco  e  mazza  e  destrier  molto  egregio. 107  L'arme  che  nella  giostra  fatta  dianzi Si  doveano  a  Grifon  che  '1  tutto  vinse, E  che  usurpate  avea  con  tristi  avanzi Martano  che  Grifon  esser  si  finse; Quivi  si  fece  il  re  pendere  innanzi, il  ben  guemito  stocco  a  quelle  cinse, E  la  mazza  all' arcion  del  destrier  messe . Perchè  Grifon  l'un  pregio  e  l'altro  avesse. lOB     Ma  che  sua  intenzì'ou  avesse  effetto Vietò  quella  magnanima  guerriera Ohe  con  Astolfo  e  col  buon  Sansonetto In  piazza  nuovamente  venuta  era. Costei,  vedendo  V  arme  cb'  io  v'  ho  detto, Subito  n'  ebbe  conoscenza  vera:Perocché  già  sue  furo,  e  V  ebbe  care Quanto  si  suol  le  cose  ottime  e  rare; 109     Benché  Tavea  lasciate  in  su  la  strada A  quella  volta  che  le  fur  d'impaccio, per  riaver  sua  buona  spada Correa  dietro  a  Brunel  degno  di  laccio. Questa  istoria  non  credo  che  m'accada Altrimenti  narrar;  però  la  taccio. Da  me  vi  basti  intendere  a  che  guisa Quivi  trovasse  Tarme  sue  Marfisa. 110     Intenderete  ancor  che, come  Tebbe Kieonosciute  a  manifeste  note, Per  altro  che  sia  al  mondo,  non  le  avrebbe Lasciate  un  dì  di  sua  persona  vote. Se  più  tenere  un  modo  o  un  altro  debbe racquistarle,  ella  pensar  non  puote; Ma  se  gli  accosta  a  un  tratto,  e  la  man  stende, senz'  altro  rispetto  se  le  prende:IH     E  per  la  fretta  ch'ella  n'ebbe,  avvenne altre  ne  prese,  altre  mandonne  in  terra. 11  re,  che  troppo  offeso  se  ne  tenne. Con  uno  sguardo  sol  le  mosse  guerra; Che  '1  popol,  che  V  ingiuria  non  sostenne, Per  vendicarlo  e  lance  e  spade  afferra, Non  rammentando  ciò  ch'i  giorni  innanti Nocqoe  il  dar  noia  ai  cavalieri  erranti. Né  fra  vermisli  fior,  azzurri  e  gialli Vago  fanciullo  alla  stagion  novella, Né  mai  si  ritrovò  fra  suoni  e  balli Più  volentieri  ornata  donna  e  bella; Che  fra  strepito  d'arme  e  di  cavalli, E  fra  punte  di  lance  e  di  quadrella, Dove  si  sparga  sangue  e  si  dia  morte. Costei  si  trovi,  oltre  ogni  creder  forte. 113  Spinge  il  cavallo,  e  nella  turba  sciocca Con  l'asta  bassa  impetuosa  fere; E  chi  nel  collo  e  chi  nel  petto  imbrocca, E  fa  con  V  urto  or  questo  or  quel  cadere:Poi  con  la  spada  uno  ed  un  altro  tocca, E  £a  qual  senza  capo  rimanere, E  qual  con  rotto,  e  qual  passato  al  fiauco, E  qual  del  braccio  privo,  o  destro  o  manco. 114  L'ardito  Astolfo  e  il  forte  Sansonetto, Ch'avean  con  lei  vestita  e  piastra  e  maglia, Benché  non  venner  già  per  tale  effetto, Pur,  vedendo  attaccata  la  battaglia, Abbsssan  la  visiera  dell'elmetto, E  poi  la  lancia  per  quella  canaglia; Ed  indi  van  con  la  tagliente  spada Di  qua  di  là  facendosi  far  strada. 115  I  cavalieri  di  nazion  diverse, Ch'  erano  per  giostrar  quivi  ridutti, Vedendo  l'arme  in  tal  furor  converse, E  gli  aspettati  giuochi  in  gravi  lutti (Che  la  cagion  ch'avesse  di  dolerse La  plebe  irata  non  sapeano  tutti; Né  eh'  al  re  tanta  ingiuria  fosse  fatta), Stavan  con  dubbia  mente  e  stupefatta. 116  Di  ch'altri  a  favorir  la  turba  venne. Che  tardi  poi  non  se  ne  fu  a  pentire; Altri,  a  cui  la  città  più  non  attenne Che  gli  stranieri,  accorse  a  dipartire; Altri,  più  saggio,  in  man  la  briglia  tenne, Mirando  dove  questo  avesse  a  uscire. Di  quelli  fu  Grifone  ed  Aquilaute, Che  per  vendicar  l'arme  andare  innante. 117  Essi  vedendo  il  re  che  dì  veneno Avea  le  luci  inebriate  e  rosse, Ed  essendo  da  molti  instrutti  appieno Della  cagion  che  la  discordia  mosse, E  parendo  a  Grifon  che  sua,  non  meno Che  del  re  Norandin,  l'ingiuria  fosse; S' avean  le  lance  fatte  dar  con  fretta, E  venian  ftilminando  alla  vendetta. 118  Astolfo  d'altra  parte  Rabicano Venia  spronando  a  tutti  gli  altri  innante,Conl'incantata  lancia  d  oro  in  mano, Ch'ai  fiero  scontro  abbatte  ogni  giostrante. Ferì  con  essa  e  lasciò  steso  al  piano Prima  Grifone,  e  poi  trovò  Aquilaute; E  dello  scudo  toccò  l'orlo  appena, Che  lo  gittò  riverso  in  su  l'arena. 119  I  cavalier  di  pregio  e  di  gran  prova Vòtan  le  selle  innanzi  a  Sansonetto. L'uscita  della  piazza  il  popol  trova; H  re  n  arrabbia  d'ira  e  di  dispetto. la  prima  corazza  e  con  la  nuova Marfisa  intanto,  e  l'uno  e  l'altro  elmetto, Poi  che  si  vide  a  tutti  dare  il  tergo, .    Vincitrice  venia  verso  l'albergo. 120.  Astolfo  e  Sansouetto  non  fur  lenti A  seguitarla,  e  seco  a  ritornarsi Verso  la  porta  (che  tutte  le  genti Gli  dayan  loco),  ed  al  rastrel  fermarsi. Aqnilante  e  Grifon,  troppo  dolenti Di  vedersi  a  uno  incontro  riversarsi, Tenean  per  gran  vergogna  il  capo  chino, Né  ardian  venire  innanzi  a  Norandino. 126    Come  re  Norandino  ode  quel  uome Così  temuto  per  tutto  levante, Che  facea  a  molti  anco  arricciar  le  chiome. Benché  spesso  da  lor  fosse  distante, È  certo  che  ne  debhia  venir  come Dice  quel  suo,  se  non  provvede  innante; Però  gli  suoi,  che  già  mutata  V  ira Hanno  in  timore,  a  sé  richiama  e  tira. 121  Presi  e. montati  ch'hanno  i  lor  cavalli, Spronano  dietro  agP  inimici  in  fretta. Li  segue  il  re  con  molti  suoivassalli, Tutti  pronti  o  alla  morte  o  alla  vendetta. La  sciocca  turba  grida: Dalli,  dalli; E  sta  lontana,  e  le  novelle  aspetta. Grifone  arriva  ove  volgean  la  fronte I  tre  compagni,  ed  avean  preso  il  ponte. 122  A  prima  giunta  Astolfo  raffigura, C\ì  avea  quelle  medesime  divise, Avea  il  cavallo,  avea  queir  armatura Ch'ebbe  dal  dì  ch'Orril  fatale  uccise. Né  miratol,  né  posto  gli  avea  cura Quando  in  piazza  a  giostrar  seco  si  mise:Quivi  il  conobbe,  e  salutoUo;  e  poi (jli  domandò  delli  compagni  suoi, 123  E  perchè  tratto  avean  quell'arme  a  terra, Portando  al  re  si  poca  riverenza. Di  suoi  compagni  il  duca  d'Inghilterra Diede  a  Grifon  non  falsa  conoscenza:Dell' arme  eh'  attaccato  avean  la  guerra, Disse  che  non  n'avea  troppa  scienza; Ma  perchè  con  Marfisa  era  venuto, Dar  le  volea  con  Sansonetto  aiuto. 127  Dall'altra  part"  i  figli  d'Oliviero Con  Sansonetto  e  col  figliuol  d' Otoue, Supplicando  a  ]Iarfisa,  tanto  fero, Che  si  die  fiae  alla  crudel  tenzone. Bfarfisa,  giunta  al  re,  con  viso  altiero Disse: Io  non  so,  signore,  con  che  ragìoae Vogli  quest'  arme  dar,  che  tue  non  sono, Al  vincitor  delle  tue  giostre  in  dono. 128  Mie  sono  l'arme;  e'n  mezzo  della  via Che  vien  d'Armenia,  un  giorno  le  lasciai . Perchè  seguire  a  pie  mi  conveuia Un  rubator  che m'avea  offesa  assai; E  la  mia  insegna  tesdmon  ne  fia, Che  qui  si  vede,  se  notizia  n'hai; E  la  mostrò  nella  corazza  impressa, Ch'era  in  tre  parti  una  corona  fessa. 129  Gli  è  ver,  rispose  il  re,  che  mi  fur  date, Son  pochi  dì,  da  un  mercadante  armeno; E  se  voi  me  l'aveste  domandate. L'avreste  avute,  o  vostre  o  no  che  sieno; Ch'avvenga  eh' a  Grifon  già  l'ho  donate, Ho  tanta  fede  in  lui,  che  nondimeno, Acciò  a  voi  darle  avessi  anche  potuto, Volentieri  il  mio  don  m'avria  renduto. 124    Quivi  con  Grifon  stando  il  paladino Viene  Aquilante,  e  lo  conosce  tosto Che  parlar  col  fratel  l'ole  vicino, E  il  voler  cangia,  eh'  era  mil  disposto. Giungeau  molti  di  quei  di  Norandino, 3Ia  troppo  non  ardian  venire  accosto; E  tanto  più,  vedendo  i  parlamenti, Stavano  cheti,  e  per  udire  intenti. 12.5    Alcun  ch'intende  quivi  esser  3Iarftj, Che  tiene  al  mondo  il  vanto  in  es<er  forte, Volta  il  cavallo,  e  Norandino  avvisi, Che  s' oggi  non  vuol  perder  la  sua  corte, Provveggia,  prima  che  sia  tutta  uccisa, Di  man  trarla  a  Tesifone  e  alla  morte: Perchè  Marfisa  veramente  è  stata, Che  l'arraatum  in  piazza  gli  ha  levata. 130  Non  bisogna  allegar,  per  farmi  fede Che  vostre  sien,  che  tengan  vostra  inseguì: Basti  il  dirmelo  voi;  che  vi  si  crede Più  eh' a  qual  altro  testimonio  vegna. 

Che  vostre  sian  vostr'arme  si  concede Alla  virtù  di  maggior  premio  degna. Or  ve  r  abbiate,  e  più  non  si  contenda; E  Grifon  maggior  premio  da  me  prend"L 131  Grifon,  che  poco  a  care  ave.i  quell'arma ]Ma  gran  disio  che  '1  re  si  satisfaccia, Gli  disse: Assai  potete  compensarine Se  mi  fate  saper  ch'io  vi  compiaccia. Tra  sé  disse  Marfisa:  Esser  qui  parme L'onor  mio  in  tutto: e  con  benigna  faccia Volle  a  Grifon  dell'arme  eser  cortese; E  finalmente  iu  don  da  lui  le  prese.   stanza  104. 182     Nella  città  con  pace  e  con  amore Tornaro .  ove  le  feste  raddoppiarsi. Poi  la  giostra  si  fé',  di  che  1  onore E'I  pregio  Sansonetto  fece  darsi; e  i  duo  fratelli  e  la  migliore Di  lor,  Marfisa,  non  volson  provarsi, Cercando,  come  amici  e  buon  compagni. Che  Sansonetto  il  pregio  ne  guadagni. 138    Stati  che  sono  in  gran  piacere  e  in  festa Con  Norandino  otto  giornate  o  diece, Perchè  l'amor  di  Francia  gli  molesta, Che  lasciar  senza  lor  tanto  non  lece, Tolgon  licenzia;  e  Marfisa,  che  questa Via  disiava,  compagnia  lor  fece. Marfisa  avuto  avea  lungo  disire Al  paragon  dei  paladin  venire, 134  E  far  esperìenzia  se  l'effetto Si  pareggiava  a  tanta  nominanza. Lascia  un  altro  in  suo  loco  Sansonetto, di  Grerusalem  regga  la  stanza. Or  questi  cinque  in  un  drappello  eletto, Che  pochi  pari  al  mondo  han  di  possanza, Licenziati  dal  re  Norandino, Vanno  a  Tripoli,  e  al  mar  che  v'  è  vicino. 135  E  quivi  una  caracca  ritrovaro, Che  per  ponente  mercanzie  raguna. Per  loro  e  pei  cavalli  s'accordaro Con  un  vecchio  padron  ch'era  da  Luna. Mostrava  d'ogn'  intomo  il  tempo  chiaro, Ch'avrian  per  molti  di  buona  fortuna. Sciolser  dal  lito,  avendo  aria  serena, E  di  buon  vento  ogni  lor  vela  piena. 136  L'isola  sacra  all'amorosa  Dea Diede  lor  sotto  un'aria  il  pruno  porto. Che  non  eh'  a  offender  gli  uomini  sia  rea, Ma  stempra  il  ferro,  e  quivi  è'I  viver  corto. Cagion  n'  è  un  stagno: e  certo  non  dovea Natura  a  Famagosta  far  quel  torto D'appressarvi  Costanza  acre  e  maligna, Quando  al  resto  di  Cipro  è  sì  benigna. 137  II  grave  odor  che  la  palude  esala, Non  lascia  al  legno  far  troppo  soggiorno. Quindi  a  un  Grecolevante  spiegò  ogni  ala, Volando  da  man  destra  a  Cipro  intorno, E  surse  a  Pafo,  e  pose  in  terra  scala; E  i  naviganti  uscir  nel  lito  adomo, Chi  per  merce  levar,  chi  per  vedere La  terra  d'amor  piena  e  di  piacere. 188    Dal  mar  sei  miglia  o  sette,  a  poco  a  poco Si  va  salendo  inverso  il  colle  ameno. Mirti  e  cedri  e  naranci  e  lauri  il  loco, E  mille  altri  soavi  arbori  han  pieno. Serpillo  e  persa  e  rose  e  gigli  e  croco Spargon  dall'odorifero  terreno Tanta  suavità,  ch'in  mar  sentire La  fa  ogni  vento  che  da  terra  spire. 139  Da  limpida  fontana  tutta  quella Piaggia  rigando  va  un  ruscel  fecouflo. Ben  si  può  dir  che  sia  di  Vener  bella Il  luogo  dilettevole  e  giocondo; Che  v'  è  ogni  donna  affatto,  ogni  donzella Piacevol  più  ch'altrove  sia  nel  mondo: E  fa  la  Dea  che  tutte  ardon  d'amore. Giovani  e  vecchie,  infino  all'ul tira' ore. 140  Quivi  odono  il  medesimo  ch'udito Di  Lucina  e  dell'Orco  hanno  in  Soria, E  come  di  tornare  ella  a  marito Facea  nuovo  Apparecchio  in  Nicosia. Quindi  il  padrone  (essendosi  espedito, E  spirando  buon  vento  alla  sua  via) L'ancore  sarpa,  e  fa  girar  la  proda Verso  ponente,  ed  ogni  vela  snoda. 141  Al  vento  di  maestro  alzò  la  nave Le  vele  all' orza,  ed  allargossi  in  alto. Un  ponentelibecchio,  che  soave Parve  a  principio  e  fin  che  '1  sol  stette  alto, E  poi  si  fé'  verso  la  sera  grave, Le  leva  incontra  il  mar  con  fiero  assalto, Con  tanti  tuoni  e  tanto  arder  di  lampi. Che  par  che  '1  ciel  si  spezzi  e  tutto  avvampi. 142  Stendon  le  nubi  un  tenebroso  velo, Che  né  sole  apparir  lascia  né  stella:Di  sotto  il  mar,  disopra  mugge  il  cielo, Il  vento  d'ogn'  intorno,  e  la  procella Che  di  pioggia  oscurissima  e  di  gelo I  naviganti  miseri  flagella:E  la notte  più  sempre  si  diffonde Sopra  l'irate  e  formidabil  onde. 143  I  naviganti  a  dimostrare  effetto Vanno  dell'arte  in  che  lodati  sono: Chi  discorre  fischiando  col  fraschette, E  quanto  han  gli  altri  a  far,  mostra  col  suono:Chi  l'ancore  apparecchia  da  rispetto, E  chi  al  mainare  e  chi  alla  scotta  è  buono; Ohi'l  timone,  chi  l'arbore  assicura, Chi  la  coperta  di  sgombrare  ha  cura.144  Crebbe  il  tempo  crudel  tutta  la  notte, Caliginosa  e  più  scura  eh'  inferno. Tien  per  l'alto  il  padrone,  ove  men  rotte Crede  l'onde  trovar,  dritto  il  governo; E  volta  ad  or  ad  or  con  tra  le  botte Del  mar  la  proda,  e  dell' orribil  verno, Noi  senza  speme  mai  che,  come  aggiorni, Cessi  Fortuna,  o  più  placabil  torni. 145  Non  cesm  e  non  si  placa,  e  più  furore Giostra  nel  giorno,  se  pur  giorno  è  questo, Che  si  conosce  al  numerar  dell' ore, Non  che  per  lume  già  sia  manifesto. Or  con  minor  speranza  e  più  timore dà  in  poter  del  vento  il  padron  mesto:Volta  la  poppa  all'onde,  e  il  mar  cnidele Scorrendo  se  ne  va  con  umil  vele. 14fi     Mentre  Fortuna  in  mar  questi  travaglia. NoA  lascia  anco  posar  quegli  altri  in  terra. Che  sono  in  Francia,  ove  s'uccide  e  taglia Coi  Saraci  ni  il  popol  d'Inghilterra. Quivi  Rinaldo  assale,  apre  e  sbaraglia Le  sqjiiere  avverse,  e  le  bandiere  atterra. Dissi  di  lui,  che  'l  suo  destrier  Baiardo Mosso  avea  centra  a  Dardinel  gagliardo. 147  Vide  Rinaldo  il  segno  del  quartiero Di  che  superbo  era  il  figliuol  d'Almonte; E  lo  stimò  gagliardo  e  buon  guerriero, Che  concorrer  d'insegna  ardia  col  conte. Venne  più  appresso,  e  gli  parea  più  vero:Ch'  avea  d'intorno  uomini  uccisi  a  monte. Meglio  è,  gridò,  che  prima  io  svella,  spenga Questo  mal  germe,  che  maggior  divenga. 148  Dovunque  il  viso  drizzi  il  paladino. Levasi  ognuno,  e  gli  dà  larga  strada:Né  men  sgombra  il  Fé  lei,  che  'l  Saracino:Sì  riverita  è  la  famosa  spada. Rinaldo,  fuorché  Dardinel  meschino, Non  vede  alcuno,  e  lui  seguir  non  bada; Grida: Fanciullo,  gran  briga  ti  diede Chi  ti  lasciò  di  questo  scudo  erede. 149  Vengo  a  i<i  per  provar,  se  tu  m'attendi Come  ben  guardi  il  quartier  rosso  e  bianco; Che  s' ora  contra  me  non  lo  difendi, Difender  contra  Orlando  il  potrai  manco. Rispose  Dardinello:  Or  chiaro  apprendi Che  s'io  lo  porto,  il  so  difender  anco; E  guadagnar  più  onor,  che  briga,  posso Del  paterno  quartier  candido  e  rosso. 150  Perchè  fanciullo  io  sia,  non  creiler  fAnse Però  fuggire,  o  che  '1  quartier  ti  dia . La  vita  mi  torrai,  se  mi  tei  Parme; Ma  spero  in  Dio  eh'  anzi  il  contrario  fia. Sia  quel  che  vuol,  non  potrà alcanbi&smarrar Che  mai  traligni  alla  progenie  mìa. Cosi  dicendo,  con  la  spada  in  mano Assalse  il  cwalier  da  Montalbano. 151  Un  timor  freddo  tutto '1  sangue  oppresse. Che  gli  Africani  aveano  intomo  al  core, Come  vider  Rinaldo  che  si  messe Con  tanta  rabbia  incontro  a  quel  signore. Con  quanti  andria  un  leon  ch'ai  prato  ave Visto  un  torel  eh' ancor  non  senta  amore. Il  primo  che  ferì,  fu  '1  Saracino; Ma  picchiò  invau  su  l'elmo  di  Mambrìno. 1.52    Rise  Rinaldo,  e  disse:  Io  vo'tu  senta S'io  so  meglio  di  te  trovar  la  vena. Sprona,  e  a  un  tempo  al  destrier  la  briglia  allenti E  d'una  punta  con  tal  forza  mena, D'una  punta  ch'ai  petto  gli  ap presenta. Che  gli  la  fa  apparir  dietro  alla  schena. Quella  trasse,  al  tornar.  Palma  col  sangue: Di  sella  il  corpo  uscì  freddo  ed  esaogne. 158    Come  purpureo  fior  languendo  mnore. Che  '1  vomere  al  passar  tagliato  lassa:0  come  carco  di  superchio  umore Il  papaver  nell' orto  il  capo  abbassa:Così,  giù  della  faccia  ogni  colore Cadendo,  Dardinel  di  vita  passa; Passa  di  vita,  e  fa  passar  con  lui L'ardire  e  la  virtù  di  tutti  i  sui. 1.54    Qual  sogliou  l'acque  per  umano  ingegno Stare  ingorgate  alcuna  volta  e  chiase, Che  quando  lor  vien  poi  rotto  il  sostano. Cascano,  e  van  con  gran  rumor  diffuse; Tal  gli  African,  eh'  avean quilche  ritegno  . Mentre  virtù  lor  Dardinello  infuse, Ne  vanno  or  sparti  in  questa  parte  e  in  qnelU Che  l'han  veduto  uscir  morto  in  sella. 155    Chi  vuol  fuggir,  Rinaldo  fuggir  lassa, Ed  attende  a  cacciar  chi  vuol  star  saldo. Si  cade  ovunque  Arìodante  passa. Che  molto  va  quel  di  presso  a  Rinaldo. Altri  Lionetto,  altri  Zerbin  fracassa, A  gara  ognuno  a  far  gran  prove  caldo. fa  il  suo  dover,  lo  fa  Oliviero. Turpino  e  Guido  e  Salomone  e  Pggiero. 156    I  Morì  far  quel  giorno  in  gran  perìglio Che  'n  Pagania  non  ne  tornasse  testa; Mal  saggio  re  di  Spagna  dà  di  piglio, E  se  ne  va  con  quel  che  in  man  gli  resta. Restar  in  danno  tien  miglior  consiglio, Che  tatti  i  donar  perdere  e  la  vesta: Meglio  ò  rìtrarsi  e  salvar  qualche  schiera Che,  stando,  esser  cagion  che  '1  tutto  pera. 157    Verso  gli  alloggiamenti  i  segni  invia, Ch'eran  serrati  d'argine  e  di  fossa, Con  Stordilan,  col  re  d'Andologia, Portughese  in  una  sqnadra  grossa. Manda  a  pregar  il  re  di  Barbarla, Che  si  cerchi  rìtrar  meglio  che  possa; £  se  qael  giorno  la  persona  e  U  loco Potrà  salvar,  non  avrà  fatto  poco. 158  Quel  re  che  si  tenea  spacciato  al  tutto, Né  mai  credea  più  rìveder  Biserta, Che  con  viso  si  orribile  e  si  brutto Unquanco  non  aveva  Fortuna  esperta; S' allegrò  che  Marsilio  aveariduttoParte  del  campo  in  sicurezza  certa:Ed  a  rìtrarsi  cominciò,  e  a  dar  volta Alle  bandiere;  e  fé'  sonar  raccolta. 159  Ma  la  più  parte  della  gente  rotta Né  tromba  né  tambur  né  segno  ascolta: Tanta  fu  la  viltà,  tanta  la  dotta, Ch'in  Senna  se  ne  vide  affogar  molta. Il  re  Agramante  vuol  ridur  la  frotta: Seco  ha  Sobrìno,  e  van  scorrendo  in  volta; E  con  lor  s'affatica  ogni  buon  duca, Che  nei  ripari  il  campo  si  riduca. stanza  162. 160  Ma  né  il  re,  né  Sobrio,  né  duca  alcuno Con  prieghi,  con  minacele,  con  affanno Ritrar  può  il  terzo,  non  ch'io  dica  ognuno, Dove  l'insegne  mal  seguite  vanno. Morti  0  fuggiti  ne  son  dua,  per  uno Che  ne  rimane,  e  quel  non  senza  danno: Ferito  é  chi  di  dietro  e  chi  davanti; Ma  travagliati  e  lassi  tutti  quanti. 161  E  con  gran  tema  fin  dentro  alle  porte Dei  forti  alloggiamenti  ebbon  la  caccia: Ed  era  lor  quel  luogo  anco  mal  forte, Con  ogni  provveder  che  vi  si  faccia (Che  ben  pigliar  nel  crin  la  buona  sorte Carlo  .sapea,  quando  volgea  la  faccia). Se  non  venia  la  notte  tenebrosa, Che  staccò  il  £Bitto,  ed  acquetò  ogni  cosa. 162  Dal  Creator  accelerata  forse, Che  della  sua  fattura  ebbe  pietade. Ondeggiò  il  sangue  per  campagna,  e  corse Come  un  gran  fiume,  e  dilagò  le  strade. Ottanta  mila  corpi  numerorse. 

Che  fur  quel  dì  messi  per  fil  di  spade. Villani  e  lupi  uscir  poi  delle  grotte A  dispogliarli  e  a  devorar,  la  notte. 163  Carlo  non  toma  più  dentro  alla  terra, Ma  centra  gì'  inimici  fuor  s' accampa, Ed  in  assedio  le  lor  tende  serra, Ed  alti  e  spessi  fuochi  intorno  avvampa. Il  pagan  si  provvede,  e  cava  terra, Fossi  e  ripari  e  bastioni  stampa: Va  rivedendo,  e  tien  le  guardie  deste, Né  tutta  notte  mai  l'arme  si  sveste. 164    Tutta  la  notte  per  gli  alloggiamenti Dei  mal  sicuri  Saracini  oppressi Si  Tersan  pianti,  gemiti  e  lamenti, Ma  quanto  più  si  può,  cheti  e  soppressi. Altri  perchè  gli  amici  hanno  e  i  parenti Lasciati  morti;  ed  altri  per  sé  stessi, Che  son  feriti,  e  con  disagio  stanno: Ma  più  è  la  tema  del  futuro  danno. 168    Vòlto  al  compagno,  disse: 0  Clorìdano . Io  non  ti  posso  dir  quanto  m  incresca Del  mìo  signor,  che  sia  rimaso  al  piano, Per  lupi  e  corhi,  oimè!  troppo  degaa  eaca. Pensando  come  sempre  mi  fu  umano, Mi  par  che,  quando  ancor  questa  anima  &u In  onor  di  sua  fama,  io  non  compenai Né  sciolga  verso  lui  gli  obblighi  immensL 165    Duo  Mori  ivi  fra  gli  altri  si  trovaro, D'oscura  stirpe  nati  in  Tolomitta; De'quai  P istoria,  per  esempio  raro Di  vero  amore,  è  degna  esser  descritta. Cloridano  e  Medor  si  nominaro, Ch'  alla  fortuna prospera  e  all' afflitta Aveano  sempre  amato  Dardinello, Ed  or  passato  in  Francia  e  il  mar  con  quello. 169    Io  voglio  andar,  perchè  non  stia  insepaltv In  mezzo  alla  campagna,  a  ritrovarlo:E  forse  Dio  vorrà  ch'io  vada  occulto dove  tace  il  campo  del  re  Carlo. Tu  rimarrai;  che  quando  in  ciel  sia  .scolto Ch'  io  vi  debba  morir,  potrai  narrarlo:Che  se  fortuna  vieta  sì  beli'  opra, Per  fÌEuna  almeno  il  mio  buon  cuor  si  scopra. stanza  175. 166  Cloridan,  cacciator  tutta  sua  vita, Di  robusta  persona  era  ed  isnella:Medoro  avea  la  guancia  colorita, E  bianca  e  grata  nell' età  novella; E  fra  la  gente  a  quella  impresa  uscita, Non  era  faccia  più  gioconda  e  bella: Occhi  avea  neri,  e  chioma  crespa  d'oro:Angol  parea  di  quei  del  sommo  coro. 167  Erano  questi  duo  sopra  i  ripari Con  molti  altri  a  guardar  gli  alloggiamenti, Quando  la  notte  fra  distanzie  pari Mirava  il  ciel  con  gli  occhi  sonnolenti. Me  loro  quivi  in  tutti  i  suoi  parlari Non  può  far  che  '1  signor  suo  non  rammenti, Dardinello  d'Almonte,  e  che  non  piagna Che  resti  senza  onor  nella  campagna. 170  Stupisce  Cloridan,  che  tanto  core, Tanto  amor,  tanta  fede  abbia  un  fanciullu: E  cerca  assai,  perchè  gli  porta  amore, Di  fargli  quel  pensiero  irrito  e  nullo; Ma  non  gli  vai,  perch'un  sì  gran  dolore Non  riceve  conforto  né  trastullo. Medoro  era  disposto  o  di  morire, 0  nella  tomba  il  suo  signor  coprire. 171  Veduto  che  noi  piega  e  che  noi  muove, Cloridan  gli  risponde: E  verrò  anch'  io, Anch'  io  vo'  pormi  a  sì  lodevol  pruove, Anch'io  famosa  morte  amo  e  disio. Qual  cosa  sarà  mai  che  più  mi  giove, S'io  resto  senza  te,  Medoro  mio? Morir  teco  con  l'arme  é  meglio  molto, Che  poi  di  duol,  s'awien  che  mi  sii  tolto. 172  Così  disposti,  messero  in  quel  loco Le  successive  guardie,  e  se  ne  vanno. Lascian  fosse  e  steccati,  e  dopo  poco Tra'  nostri  son,  che  senza  cura  stanno. Il  campo  dorme,  e  tutto  è  spento  il  fuoco, Perchè  dei  Saracin  poca  tema  hanno. Tra  l'arme  e' cariaggi  stan  roversi, Nel  vin,  nel  sonno  in  sino  agli  occhi  immersi 173  Fermossi  alquanto  Cloridano,  e  disse: Non  son  mai  da  lasciar  l'occasioni. Di  questo  stuol  che  '1  mio  signor  trafisse, Non  debbo  far,  Medoro,  occisToni? Tu,  perchè  sopra  alcun  non  ci  venisse, Gli  occhi  e  gli  orecchi  in  ogni  parte  poni; Ch'io  m'offerisco  farti  con  la  spada Tra  gli  nimici  spaziosa  strada. 1 74    Cosi  diss'  egli,  e  tosto  li  parlar  tenne, Ed  entrò  dove  il  dotto  Alfeo  dormia, Che  Panno  innanzi  in  corte  a  Carlo  venne, Medico  e  mago  e  pien  d'astrologia: Ma  poco  a  questa  volta  gli  sovvenne; Anzi  gli  disse  in  tutto  la  bugia. Predetto  egli  s'avea,  che  d'anni  pieno Dovea  morire  alla  sua  moglie  in  seno: 175    Ed  or  gli  ha  messo  il  canto  Saracino La  punta  della  spada  nella  gola. Quattro  altri  uccide  appresso  all'indovino non  han  tempo  a  dire  una  parola:Menzion  dei  nomi  lor  non  fa  Turpino, E'I  lungo  andar  le  lor  notizie  invola: Dopo  essi  Palidon  da  Moncalieri, Che  sicuro  dormia  fra  duo  destrieri. stanza  179. 176  Poi  se  ne  vien  dove  col  capo  giace Appoggiato  al  barile  il  miser  Grillo: Avealo  vóto,  e  avea  creduto  in  pace Godersi  un  sonno  placido  e  tranquillo. Troncògl'il  capo  il  Saracino  audace: Esce  col  sangue  il  vin  per  uno  spillo, Di  che  n'  ha  in  corpo  più  d'una  bigoncia:E  di  ber  sogna,  e  Cloridan  lo  sconcia. 177  E  presso  a  Grillo  un  greco  ed  un  tedesco, Spegne  in  dui  colpi,  Andropono  e  Conrado, Che  della  notte  avean  goduto  al  fresco Gran  parte,  or  con  la  tazza,  ora  col  dado:Felici  se  vegghiar  sapeano  a  desco Finché  nell'Indo  il  sol  passasse  il  guado. Ma  non  potria  negli  uomini  il  destino, Se  del  futuro  ognun  fosse  indovino. 178  Come  impasto  leone  in  stalla  piena, Che  lunga  fame  abbia  smacrato  e  asciutto, Uccide,  scanna,  mangia,  a  strazio  mena L'infermo  gregge  in  sua  balia  condutto; Così  il  crudelpagannelsonnosvenaLanostra  gente,  e  fa  macel  per  tutto. La  spada  di  Medoro  anco  non  ebe; Ma  si  sdegna  ferir  l'ignobil  plebe. 179  Venuto  era  ove  il  duca  di  Labretto Con  una  dama  sua  dormia  abbracciato: r  un  con  l'altro  si  tenea  si  stretto, Che  non  saria  tra  lor  l'aere  entrato. Medoro  ad  ambi  taglia  il  capo  netto. 0  felice  morire !  oh  dolce  fato ! Che  come  erano  i  corpi,  ho  così  fede Ch'andar  l'alme  abbracciate  alla  lor  sede. 180    Malindo  nccise  e  Ardalico  il  fratello, Che  del  conte  di  Fiandra  erano  figli; E  l'uno  e  1 altro  cavalier  novello Fatto  avea  Carlo,  e  aggiunto  all'arme  i  gigli, Perchè  il  giorno  amendui  d'ostil  macello Con  gli  stocchi  tornar  vide  vermigli:E  terre  in  Frisa  avea  promesso  loro, E  date  avriaj  ma  lo  vietò  Medoro. 181    Gl'insidiosi  ferri  eran  vìcìdì Ai  padiglioni  che  tiraro  in  volta Al  padiglion  di  Carlo  i  paladini, Facendo  ognun  la  guardia  la  sua  volta; Quando  dall'empia  strage  i  Saracini Trasson  le  spade,  e  dièro  a  tempo  Tolta; Ch'impossibil  lor  par,  tra  si  gran  torma, Che  non  s' abbia  a  trovar  un  che  non  dorai. Stanza  190. 182    E  benché  possan  gir  di  preda  carchi,pur  sé,  che  fanno  assai  guadagno. Ove  più  crede  aver  sicuri  i  varchi Va  Cloridano,  e  dietro  ha  il  suo  compagno. Vengon  nel  campo,  ove  fra spadeed  archi E  scudi  e  lance,  in  un  vermiglio  stagno Giaccion  poveri  e  ricchi,  e  re  e  vassalli, E  sozzopra  con  gli  uomini  i  cavalli. 183    Quivi  dei  corpi  l'orrida  mistura. Che  piena  aveva  la  gran  campagna  intomo, Potea  far  vaneggiar  la  fedel  cura Dei  duo  compagni  insino  al  far  del  giorno, Se  non  traea  fuor  d'una  nube  oscura, A'prieghi  di  Medor,  la  luna  il  corno. Medoro  in  ciel  divotamente  fisse Verso  la  luna  gli  occhi,  e  cosi  disse:184  0  santa  Dea,  che  dagli  antiqxd  nostri Debitamente  sei  detta  triforme; Chin  cielo,  in  terra  e  nellMnfemo  mostri L'alta  bellezza  tna  sotto  più  forme, E  nelle  selve,  di  fere  e  di  mostri Vai  cacciatrice  seguitando  V  orme; Mostrami  ove  '1  mio  re  giaccia  fra  tanti, Che  vivendo  imitò  tnoi  stndi  santi. 185  La  lana,  a  qnel  pregar,  la  nnbe  aperse, O  fosse  caso,  oppor  la  tanta  fede; Bella  come  fd  allor  ch'ella  s'offerse, E  nuda  in  braccio  a  Endimìon  si  diede. Con  Parigi  a  quel  lame  si  scoperse L'an  campo  e  l'altro: e'I  monte  e'I  pian  si  vede: Si  videro  i  duo  colli  di  lontano, Martire  a  destra,  e  Leri  all'altra  mano. 186  Rifalse  lo  splendor  molto  pii\  chiaro Ove  d'Almonte  giacea  morto  il  figlio. Medoro  andò,  piangendo,  al  signor  caro; Che  conobbe  il  qnartier  bianco  e  vermiglio:E  tutto  '1  viso  gli  bagnò d'amaroPianto  (che  n'avea  an  rio  sotto  ogni  ciglio), In  si  dolci  atti,  in  si  dolci  lamenti, Che  potea  ad  ascoltar  fermare  i  venti; 187  Ma  con  sommessa  voce  e  appena  udita: Non  che  riguardi  a  non  si  far  sentire, Perch'  abbia  alcun  pensier  della  sua  vita (Piuttosto  l'odia,  e  ne  vorrebbe  uscire); Ma  per  timor  che  non  gli  sia  impedita L'opera  pia  che  quivi  il  fé'  venire. Fa  il  morto  re  sa  gli  omeri  sospeso Di  tramendui,  tra  lor  partendo  il  peso. 188  Vanno  affrettando  i  passi  quanto  ponno, Sotto  l'amata  soma  che  gl'ingombra: E  già  venia  chi  della  luce  è  donno Le  stelle  a  tor  del  ciel,  di  terra  l'ombra; Quando  Zerbino,  a  cui  del  petto  il  sonno L'alta  virtude,  ove  è  bisogno,  sgombra. Cacciato  avendo  tutta  notte  i  Morì, Al  campo  si  traea  nei  primi  albori. 189  E  seco  alquanti  cavalieri  avea, Che  videro  da  lungo  i  dui  compagni. Ciaseano  a  quella  parte  si  traea, Sperandovi  trovar  prede  e  guadagni. Frate,  bisogna  (Cloridan  dicea) Gittar  la  soma,  e  dare  opra  ai  calcagni; Che  sarebbe  pensier  non  troppo  accorto, Perder  duo  vivi  per  salvare  un  morto. 190  E  gittò  il  circo,  perchè  si  pensava Che'l  suo  Medoro  il  simil  far  dovesse: Ma  quel  meschin,  che'l  suo  signor  più  amava, Sopra  le  spalle  sue  tutto  lo  resse. L'altro  con  molta  fretta  se  n'  andava, Come  r  amico  a  paro  o  dietro  avesse:Se  sapea  di  lasciarlo  a  quella  sorte, Mille  aspettate  avria,  non  ch'una  morte. 191  Quei  cavalier,  con  animo  disposto Che  questi  a  render  s' abbino  o  a  morire, Chi  qua,  chi  là  si  spargono,  ed  han  tosto Preso  ogni  passo  onde  si  possa  uscire. Da  loro  il  capitan  poco  discosto. Più  degli  altri  è  sollecito  a  seguire; Ch'in  tal  guisa  vedendoli  temere. Certo  è  che  sian  delle  nimiche  schiere. 192    Era  a  quel  tempo  ivi  una  selva  antica, D'ombrose  piante  spessa  e  di  virgulti, Che,  come  labirinto,  entro  s' intrica Di  stretti  calli,  e  sol  da  bestie  culti. Speran  d'averla  i  duo  pagan  si  amica, Ch'abbi' a  tenerli  entro  a' suoi  rami  occulti. Ma  chi  del  canto  mio  piglia  diletto, Un'  altra  volta  ad  ascoltarlo  aspetto. N  OT; St.  1.   Parla  al  cardinale  Ippolito. St.  6.  V.5.   AìTOndelia,  scaglia,  come  si  farebbe d'an  randello. St.  7.  V.6.   Talaciinanni: coloro  che,  dall'alto  dei minareti  (cosi  chiamansi  le  torricelle  annesse  alle  mo schee di  Turchia)  con  alte  grida  invitano  il  popolo  alle pubbliche  preghiere. St.  9.  V.56.   Poiché  l'orza,  ecc.  Devesi  qui  inten dere per  orza  la  fune  che  si  lega  all'antenna  a  sinistra del  naviglio,  la  quale  i  marinai  allentano  per  abbassare o  restringer  la  vela,  allorché  ingagliardisce  il  Coro,  cioè 

il  ponentemaestro. St.  10.  V.12.   Guido.  I  Gnidi  erano  due;  il  più  ce lebre fu  quello  di  Borgogna.   Salomone,  re  di  Bret tagna.  Oanellone  o  Oano  il  peggiore  fira  i  traditori della  Casa  diMaganza:  a  costui,  ri  cordato  nella  nota  alla St.67  del  Canto  II,  attribuirono  i  romanzieri  il  tradimento, onde  provenne  la  rotta  sofferta  da  Carlo  a  Roncisvalle. St.  11.  V.3.   Garbino,  ed  anche  Libeccio: vento  che spira  fra  mezzogiorno  e  ponente. St.  17.  V.8.   Da  tempo: in  tempo. St.  19.  y.  3.   Accaneggiato: che  ha  i  cani  addosso. St.  22.  V.12.   Nomade  o  massile:  di  Numidia  o di  Libia.   La  generosa  belva,  ecc.: il  leone. St.  24.  V.24.   Galle  o  gallozzole: prodotti  di  al beri ghiandiferì;  e  per  estensione  quegli  argomenti,  come vesciche  o  sugheri,  di  che  si  servono  quelli  che  imparano a  nuotare,  per  tenersi  a  galla  sull'acqua.   Anteo:  gi gante favoloso,  che  i  mitologi  narrano  aver  fabbricato alcune  cittA  nell'Africa. St  28.  y.  6.   I  nani  o  le  donzelle,  negli  antichi  ro manzi di  cavalleria,  son  quelli  che  fanno  per  lo  più  da messaggi. ST.  38.  v.8.   Da  San  Germano  infin  a  San  Vit tore :  il  primo  è  oggi  uno  de'  più  ragguardevoli  quar tieri di  Parigi;  l'altro  n'  ò  pure  un  quartiere;  ambidue stanno  alla  sinistra  della  Senna. ST.  46.  y.  1.   Alierbe,  iioletta  dell'Africa.   y.4.Za mora,  città  sulla  costa  di  Barberìa.   Saffi,  Sapia, città  della  Barberia  nell'impero  di  Marocco. St.  47.  V.3.   Mirforda,  città  d'Inghilterra;  cosi Stanforda  per  Strafford. St.  65.  y.  6.   Orazio  sol,  eoe,:  il  Coclite  che,  solo, sul  ponte  Sublicio,  si  narra  aver  fatto  fironte  all' eser cito etrusco,  guidato  da  Porsenna  contro  Roma. St.  74.  y.  18.   Ostro  silocco: vento  che  soffia  tra mezzogiorno  e  sirocco.   Terra  del  Surro:  l'antica Tiro,  oggi  detta  Sur  o  Tsur.   SaffHto,  forse  Sar fand.   Barutti:  Bayruth,  dove  anticamente  fiori  una scuola  di  giurisprudenza.   Tripoli,  denominata  di Soria,  per  distinguerla  dall'altra  omonima  in  Barberia.  ZibellettOt  alcuni  suppongono  essere  Diébaih   Tor iosa:  luogo  marittimo,  circa  trenta  miglia  a  settentrione di  Tripoli.   Lizza  o  Latakia:g[&  Zao(2Ìc'/>a,  nominata nella  St.  94  del  Canto  precedente.   Golfo  di  Laiazzo: in  antico  fu  detto  sinus  Issieus,  ed  ora  più  comune mente chiamasi  golfo  di  Alessandretta. St.  77.  v.15.   Lidia  e  Larissa:  città  sull'Oronte, intermedie  ad  Antiochia  e  a  Damasco.   Aleppe  o Aleppo:  la  Hierapolis  o  Berrhaea  degli  antidu," Eoik;  è  tuttavia  emporìo  di  commercio devole.   Mamuga,  pure  sull'Oronte,  città  i da  Tolomeo. St.  99.  V.1.   Marfisa:  guerriera  illustre,  cfee  k scoprirà  in  appresso  sorella  diRuggiero. St.  108.  y.  6.   iZ  vecchiarel  già  suo  diletto:  'Hioie, figlio  di  Laomedonte,  amato,  secondo  i  mitologi,  in  sa gioventù,  dall'Aurora,  che,  fatto  vecchio,  lo  tramato  ia cicala. St.  106  y.  2.   Pregio:  premio. St.  125.  v.6.   Tesifone: una  delle  tre  Furie  ìnAnuIi St.  135.  y.  14.   Caracca: sorta  di  grosso  navigì" mercantile.   Padron: chi  ha  il  comando  del  navìis  Luna  0  Luni,  città  marittima  etnisca,  di  cui  rertaK alcune  rovine  presso  Sarzana,  d'onde  ebbe  nome  la  Li nigiana. St.  136.  y.  17.   L  isola  sacra,  ecc: Cipro,  dote onora  vasi  Venere  con  culto  particolare.  Fùmagosta: città  di  quell' isola,  a  levante,  vicina  al  mare  e  aOo stagno  di  Costanza,  che  ivi  rende  l'aria  malsana. St.  143.  y.  38.   Fraschetto:  piccolo  strumento  da fiato  che  rende  acutissimo  fischio,  e  di  cui  fa  uso  il  capo dell'equipaggio  per  dar  gli  ordini  alla  ciurma.   An core da  rispetto:  àncore  che  si  tengono  in  sertw  pei gravi  pericoli  della  nave.   Scotta: fané  prineipsk attaccata  alla  vela,  con  cui,  tirandola  o  allentalidola,s I  regola  il  naviglio  secondo  il  bisogno. !     St.  144.  y.  4,   Il  governo:  il  timone  del  naviglio. Ivi.  y.  6.   Verno,  tempesta. St.  143.  y.  S,   No"  bada:  non  indugia. St.  160.  y.  3.   Toi:  togli. St.  156.  y.  2.   Pagania,  Le  regioni  abitate  dai  Pa gani ossia  dai Maomettani,  che  nei  tempi  d'ignoranza, si  confusero  con  gl'idolatri. ST.  157.  y.  3.   Andologia,  Andalusia. St  158.  y.  24.   Biserta:  città  nel  regno  di  Tnnil sopra  un  canale  che  unisce  il  mare  ad  una  lagima;  e credesi  occupare  il  luogo  dell'antica  litica.   Esperta: sperimentata. St.  159.  y.  3.   Dotta:  paura. St.  163  y.  6.   Stampa:  forma  sollecitamente. St.  165.  y.  2.   Tolomiita  o  Tolometta:  città  marit tima dello  Stato  di  Tripoli  nel  paese  di  Barca,  oggi detta  Tolmyàtah. St.  178.  y.  17.   Impasto:  non  pasciuto,  famelioo.  Non  ebe:  dal  latino  hébere:  non  è  ottusa,  né  si  sta inoperosa. St.  183.  y.  3.   Far  vaneggiar:  render  vana. St.  184.  V.4.   Sotto  più  forme:  di  luna  in  cielo,  di Diana  nelle  selve,  di  Proserpina  nellinfémo: cosi  i  mi tologi.  I  Cristiani,  vedendo  nelle  bandiere  dei  Sara ceni la  mezzaluna,  credettero  che  adorassero  fra  gli  altri Dei  anche  Diana,  confusa  con  la  Luna  Nessuna  i viglia  adunque  che  il  poeta  metta  in  bocca  al  i Medoro  questa  preghiera  alla  Dea  triforme,  alla  Luna. St.  185.  y.  8.   Martire,  Montmartre. Leri,  Most lery:  due  colline  che  sorgono  lateralmente  a  Parigi. St.  192   V.4.   Culti: frequentati. CANTO  DECIMOXONO. Ctoridano  e  Medoro,  8ùrpri>ai  dai  nemici  Bel  pietoso  tif tìcìD,  restano,  Fnno  L'Stintfi,  Taltm  ferita)  a  motte.  So pm viene  Angelica,  prende  cura  di  Medoro,  lo  guft' riseo  e  ae  ne  iimamora.  Marflsa  e  i  suoi  comijagui approdano  nel  golfo  di  Lai&zo,  ad  uim  oittà  gover nata dafetnmìne;  ed  Ivi  iateadono  una  titrana  costa manza  ddlie  r€ggitricl  MarHa  uccide  novo  del  loro guernri,  e  combatte  duo  alla  aera  col  decimo. Alcun  non  può  saper  da  diì  sia  amato, Quando  felice  in  su  la  nwU  siede; Perù  e' ha  i  ren  e  i  tìnti  amici  a  lato, rive  mostran  tutti  nim  medesma  fede. Se  poi  si  cangia  In  tristo  il  lieto  atoto, Volta  la  turila  adnlatrke  il  piede; E  quel  die  ili  cor  ama,  ri  man  forte, Ed  ama  il  suo  Bignor  dopo  la  morte. 2      Se,  come  il  tìso,  si  mostrasse  il  core. Tal  nella  corte  è  grande  e  gli  altri  preme, E  U\\  ò  in  poca  grazia  al  suo  signore   Che  la  lor  sorte  muteriano  i insieme. Quelito  iimil   (livt'iTÌa  ti>!=h>  il   ni;ujuiiir  ¦ Starla  quel  grande  infra  le  turbe  estreme. Ma  torniamo  a  Medor  fedele  e  grato, Che  'n  vita  e  in  morte  ha  il  suo  siore  amato. Cercando  già  nel  più  intricato  calle Il  giovine  infelice  di  salvarsi; Ma  il  grave  peso  ch'avea  su  le  spalle, Gii  facea  uscir  tutti  i  partiti  scarsi. Non  conosce  il  paese,  e  la  via  falle; E  torna  fra  le  spine  a  invilupparsi. Lungi  da  lui  tratto  al  sicuro  s'era L'altro,  ch'avea  la  spalla  più  leggiera. 

Cloridan  s'è  ridutto  ove  non  sente Di  chi  segue  lo  strepito  e  il  rumore:Ma  quando  da  Medor  si  vede  absente, Gli  pare  aver  lasciato  addietro  il  core. Deh  come  fui,  dicea,  si  negligente, Deh  come  fui  si  di  me  stesso  fuore, Che  senza  te,  Medor,  qui  mi  ritrassi, Né  sa])pia  quando  o  dove  io  ti  lasciassi ! stanza  9. Cosi  dicendo,  nella  tòrta  via Dell'intricata  selva  si  ricaccia; Ed  onde  era  venuto  si  ravvia, E  toma  di  sua  morte  in  su  la  traccia Ode  i  cavalli  e  i  gridi  tuttavia, E  la  nimica  voce  che  minaccia: All' ultimo  ode  il  suo  Medoro,  e  vede Che  tra  molti  a  cavallo  è  solo  a  piede. Cento  a  cavallo,  e  gli  son  tutti  intomo: Zerbin  comanda  e  grida  che  sia  preso. L'infelice  s'aggira  com'un  tomo, E  quanto  può  si  tien  da  lor  difeso, Or  dietro  quercia,  or  olmo,  or  faggio,  or  omo; Né  si  discosta  mai  dal  caro  peso:L'ha  riposato  alfin  su  l'erba,  quando Jtegger  noi  puote,  e  gli  va  intorno  errando: 7  Come  orsa  che  l'alpestre  cacciatore Nella  pietrosa  tana  assalita  abbia Sta  sopra  i  figli  con  incerto  core, E  freme  in  suono  di  pietà  e  di  rabbia: Ira  la  'nvita  e  naturai  furore A  spiegar  l'ugne  e  a  insanguinar  le  labbia Amor  la'ntenerisce,  e  la  ritira A  riguardare  ai  figli  in  mezzo  alPira. 8  Cloridan,  che  non  sa  come  1'  aiuti, E  eh'  esser  vuole  a  morir  seco  ancora, Ma  non  ch'in  morte  prima  il  viver  muti, Che  via  non  trovi  ove  più  d'un  ne  mora; Mette  su  l'arco  un  de'  suoi  strali  acuti, E  nascoso  con  quel  si  ben  lavora. Che  fora  ad  uno  Scotto  le  cervella, E  senza  vita  il  fa  cader  di  sella. 9  •    Volgonsi  tutti  gli  altri  a  quella  banda, Ond' era  uscito  il  calamo  omicida. Intanto  un  altro  il  Saracin  ne  manda, '1  secondo  a  lato  al  primo  uccida; Che  mentre  in  fretta  a  questo  e  a  quel  domaodi Chi  tirato  abbia  l'arco,  e  forte  grida, Lo  strale  arriva,  e  gli  passa  la  gola, E  gli  taglia  pel  mezzo  la  parola. 10  Or  Zerbin,  ch'era  il  capitano  loro, Non  potè  a  questo  aver  più  pazienza. Con  ira  e  con  furor  venne  a  Medoro, : Ne  farai  tu  penitenza. Stese  la  mano  in  quella  chioma  d'oro, E  strascinollo  a  sé  con  violenza: Ma  come  gli  occhi  a  quel  bel  volto  mise, Gli  ne  venne  pietade,  e  non  l'uccise. 11  II  giovinetto  si  rivolse  a'prieghi, E  disse:  Cavalier,  per  lo  tuo  Dio, Non  esser  sì  cmdel,  che  tu  mi  nieghi Ch'  io  seppellisca  il  corpo  del  re  mio. Non  vo'  eh'  altra  pietà  per  me  ti  pieghi, pensi  che  dì  vita  abbia  disio: Ho  tanta  di  mia  vita,  e  non  più,  cura, Quanta  ch'ai  mio  signor  dia  sepultura. 12  E  se  pur  pascer  vuoi  fiere  ed  augelli, Chè'n  te  il  furor  sia  del  teban  Creonte, Fa  lor  convito  dì  miei  membri,  equelli Seppellir  lascia  del  figliuol  d'Almonte. Così  dicea  Medor  con  modi  belli, E  con  parole  atte  a  voltare  un  monte; sì  commosso  già  Zerbino  avea. Che  d'amor  tutto  e  di  pietade  ardea. e  A  NTO  DECIMONONO. 13     In  questo  mezzo  un  cavalier  villano, Arendo  al  sno  signor  poco  rispetto, Ferì  con  una  lancia  sopra  mano Al  supplicante  il  delicato  petto. Spiacque  a  Zerbin  Patto  crudele  e  strano j più,  che  del  colpo  il  giovinetto cader  si  sbigottito  e  smorto, Che'n  tutto  giudicò  che  fosse  morto. 16    Seguon  gli  Scotti  ove  la  guida  loro Per  Talta  selva  alto  disdegno  mena, Poiché  lasciato  ha  l'uno  e  l'altro  Moro, Lun  morto  in  tutto,  e  l'altro  vivo  appena. Giacque  gran  pezzo  il  giovine  Medoro, Spicciando  il  sangue  da  si  larga  vena, Che  di  sua  vita  al  fin  saria  venuto, Se  non  sopravvenia  chi  gli  die  aiuto. 14     E  se  ne  sdegnò  in  guisa  e  se  ne  dolse, disse:  Invendicato  già  non  fia; E  pien  di  mal  talento  si  rivolse Al  cavalier  che  fé'  l'impresa  ria:Ma  quel  prese  vantaggio,  e  se  gli  tolse Dinanzi  in  un  momento,  e  faggi  via. Clorldan,  che  Medor  vede  per  terra, Salta  del  bosco  a  discoperta  guerra: stanza  16. Stanza  17. 17    Gli  sopravvenne  a  caso  una  donzella, Avvolta  in  pastorale  ed  umil  veste, Ma  di  real  presenzia,  e  in  viso  bella, 

D'alte  maniere  e  accortamente  oneste. Tanto  è  ch'io  non  ne  dissi  più  novella, Ch'appena  riconoscer  la  dovreste: Questa,  se  non  sapete,  Angelica  era, gran  Can  del  Catai  la  figlia  altiera. 15    E  getta  l'arco,  e  tutto  pien  di  rabbia Tra  gli  nimici  il  ferro  intomo  gira, Più  per  morir,  che  per  pensier  ch'egli  abbia Di  far  vendetta  che  pareggi  l'ira. proprio  sangue  rosseggiar  la  sabbia Fra  tante  spade,  e  al  fin  venir  si  mira; E  tolto  che  si  sente  ogni  potere, Si  lascia  accanto  al  suo  Medor  cadere.8    Poiché '1  suo  anello  Angelica  riebbe, Di  che  Brunel  l'avea  tenuta  priva, In  tanto  fasto    in  tanto  orgoglio  crebbe, Ch'esser  parea  di  tutto '1  mondo  schiva. Se  ne  va  sola,  e  non  si  degnerebbe Compagno  aver  qual  più  famoso  viva: Si  sdegna  a  rimembrar  che  già  suo  amante Abbi"  Orlando  nomato  o  Sacripante. 19  E  sopra  ogn'  altro  error  via  più  pentita Era  del  ben  che  già  a  Rinaldo  volse Troppo  parendole  essersi  avvilita, Oh' a  riguardar  si  basso  gli  occhi  volse. Tant' arroganzia  avendo  Amor  sentita, Più  lungamente  comportar  non  volse. Dove  giacea  Medor  si  pose  al  varco, E  r  aspettò,  posto  lo  strale  all' arco. 20  Quando  Angelica  vide  il  giovinetto Languir  ferito,  assai  vicino  a  morte. Che  del  suo  re  che  giacea  senza  tetto, 

che  del  proprio  mal,  si  dolca  forte; Insolita  pietade  in  mezzo  al  petto Si  sentì  entrar  per  disusate  porte, Che  le  fé' il  duro  cor  tenero  e  molle, E  più  quando  il  suo  caso  egli  narrolle. Stanza  dlv E  rivocando  alla  menàoria  l'arte Ch'in  India  imparò  già  di  chirurgia, (Che  par  che  questo  studio  in  quella  parte Nobile  e  degno  e  di  gran  laude  sia; E  senza  molto  rivoltar  di  carte, Che  '1  patre  ai  figli  ereditario  il  dia), Si  dispose  operar  con  succo  d'erbe, Ch'a  più  matura  vita  lo  riserbe. 22  E  ricordossi  che,  passando,  avea Veduta  un'erba  in  una  piaggia  amena; Fosse  dittamo,  o  fosse  panacea, 0  non  so  qual  di  tal  effetto  piena, Che  s  igna  il  sangue,  e  della  piaga  rea Leva  ugni  spasmo  e  perigliosa  pena. La  trovò  non  lontana;  e  quella  còlta. Dove  lasciato  avea  Medor,  die  volta. 23  Nel  ritornar  s'incontra  in  un  pastore cavallo  pel  bosco  ne  veniva Cercando  una  giuvenca  che  già  fuore Duo  di  di  mandra  e  senza  guardia  givi. Seco  lo  trasse  ove  perdea  il  vigore Medor  col  sangue  che  del  petto  usciva: E  già  n'avea  di  tanto  il  terren  tinto, Ch'era  omai  presso  a  rimanere  estinto. 24  Del  palafreno  Angelica  giù  scese, E  scendere  il  pastor  seco  fece  anche. Pestò  con  sassi  l'erba,  indi  la  prese, E  succo  ne  cavò  fra  le  man  biandie; Nella  piaga  n'infuse,  e  ne  distese E  pel  petto  e  pel  ventre  e  fin  all'anche. E  fu  di  tal  virtù  questo  liquore, Che  stagnò  il  sangue,  e  gii  tornò  il  vigore; 25  E  gli  die  forza.,  che  potè  salire Sopra  il  cavallo  che  '1  pastor  condusse. Non  però  volse  indi  Medor  partire, Prima  ch'in  terra  il  suo  signor  non  fusite. E  Cloridan  col  re  fé'  seppellire; E  poi  dove  a  lei  piacque  si  ridusse: Ed  ella  per  pietà  neU'umil  case Del  cortese  pastor  seco  rimase. Né  fin  che  noi  tornasse  in  sanitade, Volea  partir: cosi  di  lui  fé'  stima; Tanto  s'intenerì  della  pietade Che  n'ebbe,  come  in  terra  il  vide  prima. Poi,  vistone  i  costumi  e  la  beltade, Roder  si  senti  il  cor  d'ascosa  lima; Roder  si  senti  il  core,  e  a  poco  a  poco Tutto  infiammato  d'amoroso  fuoco. 27  Stava  il  pastore  in  assai  buona  e  bella Stanza,  nel  bosco  infra  duo  monti  piatta, Con  la  moglie  e  coi  figli;  ed  avea  quella Tutta  di  nuovo  e  poco  innanzi  fatta. a  Medoro  fu  per  la  donzella La  piaga  in  breve  a  sanità  ritratta; Ma  in  minor  tempo  si  senti  maggiore Piaga  di  questa  aver  ella  nel  core. 28  Assai  più  larga  piaga  e  più  profonda Nel  cor  senti  da  non  veduto  strale, Che  da' begli  occhi  e  dalla  testa  bionda Di  Medoro  avventò  l'arcier  c'ha  l'ale. Arder  si  sente,  e  sempre  il  fuoco  abbonda E  più  cura  l'altrui  che  '1  proprio  male. 

Di  so  non  cura;  e  non  è  ad  altro  intenta. Ch'a  risanar  chi  lei  fere  e  tormenta. 29     La  sua  piaga  più  s'apre  e  più  incrudisce, Quanto  più  l'altra  si  ristringe  e  salda. Il  giovine  si  sana;  ella  languisce Di  nuova  febbre,  or  agghiacciata  or  calda. Di  giorno  in  giorno  in  lui  beltà  fiorisce; La  misera  si  strugge,  come  falda Strugger  di  neve  intempestiva  suole, Ch'  in  loco  aprico  abbia  scoperta  il  sole. 30    Se  di  disio  non  vuol  morir,  bisogna Che  senza  indugio  ella  sé  stessa  aiti: E  ben  le  par  che  di  quel  eh'  essa  agogna, Non  sia  tempo  aspettar  eh'  altri  la  'nviti. Dunque,  rotto  ogni  freno  di  vergogna, La  lingua  ebbe  non  men  che  gli  occhi  arditi; E  di  quel  colpo  domandò  mercede, Che,  forse  non  sapendo,  esso  le  diede. Stanza  33. 31    0  conte  Orlando,  o  re  di  Circassia, Vostra  inclita  virtù,  dite,  che  giova? Vostro  alto  onor,  dite,  in  che  prezzo  sia? 0  che  mercè  vostro  servir  ritrova? Mostratemi  uaa  sola  cortesia Che  mai  costei  v'usasse,  o  vecchia  o  nuova, Per  ricompensa  e  guiderdone  e  merto Di  quanto  avete  già  per  lei  sofferto. d2    Oh  se  potessi  ritornar  mai  vivo, Quanto  ti  parria  duro,  o  re  Agricane! Che  già  mostrò  costei  si  averti  a  schivo Con  repulse  crudeli  ed  inumane. 0  Ferraù,  o  mille  altri  ch'io  non  scrivo. Ch'avete  fatto  mille  prove vane Per  questa  ingrata,  quanto  aspro  vi  fora S' a  costu'  in  braccio  voi  la  vedeste  ora ! 33    Angelica  a  Medor  la  prima  rosa Coglier  lasciò,  non  ancor  tocca  innante: Né  persona  fu  mai  sì  avventurosa, ChMn  quel  giardin  potesse  por  le  piante. Per  adombrar,  pel  onestar  la  cosa. Si  celebrò  con  cerimonie  sante Il  matrimonio,  ch'auspice  ebbe  Amore, E  pronuba  la  moglie  del  pastore. Férsi  le  nozze  sotto  air  umil  tetto Le  più  solenni  che  vi  potean  farsi; E  più  d'un  mese  poi  stero  a  diletto I  duo  tranquilli  amanti  a  ricrearsi. Più  lunge  non  vedea  del  giovinetto La  donna,  né  di  lui  potea  saziarsi; Né,  per  mai  sempre  pendergli  dal  collo, II  suo  desir  sentia  di  lui  satollo. Stanza  35. 35    Se  stava  all'ombra,  o  se  del  tetto  usciva, Avea  di  e  notte  il  bel' giovine  a  lato; Mattino  e  sera  or  questa  or  quella  riva Cercando  andava,  o  qualche  verde  prato: Nel  mezzo  giorno  un  antro  li  copriva, Forse  non  men  di  quel  comodo  e  grato, ebber,  fuggendo  V  acque,  Enea  e  Dido, DeMor  secreti  testimonio  fido.37    Poiché  le  parve  aver  fatto  soggiorno Quivi  più  ch'abbastanza,  fé' disegno Di  fare  in  India  del  Catai  ritomo, E  Medor  coronar  del  suo  bel  regno. Portava  al  braccio  un  cerchio  d' oro,  adorno Di  ricche  gemme,  in  testimonio  e  segno 

Del  ben  che  '1  conte  Orlando  le  volea; E  portato  gran  tempo  ve  l'avea. 36    Fra  piacer  tanti,  ovunque  un  arbor  dritto Vedesse  ombrare  o  fonte  o  rivo  puro, V'avea  spillo  o  coltel  subito  fitto: Cosi  se  v'era  alcun  sasso  men  duro. Ed  era  fuori  in  mille  luoghi  scritto, E  cosi  in  casa  in  altri  tanti  il  muro, Angelica  e  Medoro,  in  vari  modi Legati  insieme  di  diversi  nodi. 8    Quel  donò  già  Morgana  a  Ziliante Nel  tempo  che  nel  lago  ascoso  il  tenne; Ed  esso,  poi  ch'ai  padre  Monodante Per  opra  e  per  virtù  d'Orlando  venne. Lo  diede  a  Orlando:  Orlando  ch'era  amante. Di  porsi  al  braccio  il  cerchio  d'or  sostenne. Avendo  disegnato  di  donarlo Alla  regina  sua,  di  ch'io  vi  parlo. B9     Non  per  amor  del  paladino,  quanto ricco  e  d'artifìcio  egregio, Caro  avuto  l'avea  la  donna  tanto, Che  più  non  si  può  aver  cosa  di  pregio. Se  lo  serbò  nelP isola  del  pianto, Non  80  già  dirvi  con  che  privilegio, X.à  dove  esposta  al  marin  mostro  nuda Fu  dalla  gente  inospitale  e  cruda. 40    Quivi  non  si  trovando  altra  mercede Oh'  al  buon  pastore  ed  alla  moglie  dessi, Che  serviti  gli  avea  con  si  gran  fede Dal  di  che  nel  suo  albergo  si  fur  messi; Levò  dal  braccio  il  cerchio,  e  gli  lo  diede, E  volse  per  suo  amor  che  lo  tenessi: Indi  saliron  verso  la  montagna 

Che  divide  la  Francia  dalla  Spagna. Stanza  35. 41     Dentro  a  Valenza  o  dentro  a  Barcellona Per  qualche  giorno  avean  pensato  porsi, accadesse  alcuna  nave  buona, Che  per  Levante  apparecchiasse  a  sciorsi. Videro  il  mar  scoprir  sotto  a  Girona Nel  calar  giù  delli  montani  dorsi; E  costeggiando  a  man  sinistra  il  lito, A  Barcellona  Pndàr  pel  cammin  trito. 42    Ma  non  vi  giunser,  prima  ch'un  uom  pazzo Giacer  trovare  in  su  l'estreme  arene Che,  come  porco,  di  loto  e  di  guazzo Tutto  era  brutto,  e  volto  e  petto  e  schene. Costui  si  scagliò  lor,  come  cagnazzo Ch'assalir  forestier  subito  viene; die  lor  noia,  e  fu  per  far  lor  scorno. Ma  di  Marfisa  a  ricontar  vi  torno. 43  Di  Marfisa,  d Astolfo,  d'Aquilante, Di  Grifone  e  degli  altri  io  vi  vo'dire, Che  travagliati,  e  con  la  morte  innante, Mal  si  potean  incontra  il  mar  schermire:Che  sempre  più  superba  e  più  arrogante Crescea  fortuna  le  minacce  e  P  ire; E  già  durato  era  tre  di  lo  sdegno, Né  di  placarsi  ancor  mostrava  segno. 44  Castello  e  ballador  spezza  e  fracassa L'onda  nimica  e  '1  vento  ognor  più  fiero:Se  parte  ritta  il  verno  pur  ne  lassa, La  taglia,  e  dona  ni  mar  tutta  il  nocchiero. Chi  sta  col  capo  chino  in  una  cassa Su  la  carta  appuntando  il  suo  sentiero A  lume  di  lanterna  piccolina, 

E  chi  col  torchio  giù  nella  sentina. 45  Un  sotto  poppe,  un  altro  sotto  prora Si  tiene  innanzi  V  oriuol  da  polve; E  toma  a  rivedere  ogni  mezz'ora Quanto  è  già  corso,  ed  a  che  via  si  voi  ve. Indi  ciascun  con  la  sua  carta  fuora A  mezza  nave  il  suo  parer  risolve, Là  dove  a  un  tempo  i  marinari  tutti Sono  a  consiglio  del  padron  ridutti. Chi  dice:  Sopra  Limissò  venuti Siamo,  per  quel  eh'  io  trovo,  alle  seccagne; :  Di  Tripoli  appresso  i  sassi  acuti, Dove  il  mar  le  più  volte  i  legni  fragne. Chi  dice: Siamo  in  Satalia  perduti, Per  cui  più  d'un  nocchier  sospira  e  piagne. Ciascun  secondo  il  parer  suo  argomenta; Ma  tutti  ugual  timor  preme  e  sgomenta. 47  II  terzo  giorno  con  maggior  dispetto Gli  assale  il  vento,  e  il  mar  più  irato  fìreme; E  r un  ne  spezza  e  portane  51  trinchetto, E  '1  timon  r  altro,  e  chi  lo  volge  insieme. Ben  è  di  forte  e  di  marmoreo  petto, E  più  duro  ch'acciar,  chi  ora  non  teme. Marfisa,  che  già  fu  tanto  sicura, Non  negò  che  quel  giorno  .ebbe  paura. Al  monte  Sinai  fu  peregrino, A  Galizia  promesso,  a  Cipro,  a  Roma, Al  Sepolcro,  alla  Vergine  d'Ettino, E  se  celebre  luogo  altro  si  noma. Sul  mare  intanto,  e  spesso  al  ciel  vicino, e  conquassato  legno  toma, Di  cui  per  men  travaglio  avea  il  padrone Fatto  l'arbor  tagliar  dell'artimone. 49    E  colli  e  casse  e  ciò  che  v'  è  di  grave Gitta  da  prora  e  da  poppa  e  da  sponde; E  fa  tutte  sgombrar  camere  e  gìave, E  dar  le  ricche  merci  all'avide  onde. Altri  attende  alle  trombe,  e  a  tor  di  naire L'acque  importune,  e  il  mir  nel  mar  rifonde: Soccorre  altri  in  sentina,  ovanqae  appare Legno  da  legno  aver  sdrucito  il  mare. 60    Stero  in  questo  travaglio,  in  qaasta  peu Ben  quattro  giorni,  e  non  avean  piò  sdienK": E  n'avrìa  avuto  il  mar  vittoria  piena, più  che  '1  furor  tenesse  ferma:Ma  diede  speme  lor  d'aria  serena La  disiata  luce  di  Santo  Ermo, Ch'in  prua  s'una  cocchina  a  por  si  venne; Che  più  non  v'erano  arbori  né  antenne. 51  Veduto  fiammeggiar  la  bella  £ELce, S' inginocchiare  tutti  i  naviganti; E  domandare  il  mar  tranquillo  e  pace umidi  occhi  e  con  voci  tremanti. Li  tempesta  crudel,  che  pertinace Fu  sin  allora,  non  andò  più  innanti:Maestro  o  traversia  più  non  molesta, E  tiranno  del  mar  libeccio  resta. 52  Questo  resta  sul  mar  tanto  possente E  dalla  negra  bocca  in  modo  esala, Ed  è  con  lui  si  rapido  il  torrente Dell'agitato  mar  ch'in  fretta  cala, Che  porta  il  legno  più  velocemente, Che  pellegrin  falcon  mai  facesse  ala, Con  timor  del  nocchier,  ch'ai  fin  del  mondo Non  lo  trasporti,  o  rompa,  o  cacci  al  fondo. 

53  Rimedio  a  questo  il  buon  nocchier  ritrova Che  comanda  gittar  per  poppa  spere; E  caluma  la  gomena,  e  fi"  prova Di  duo  terzi  del  corso  ritenere. consiglio,  e  più  l'augurio  giova Di  chi  avea  acceso  in  proda  le  lumiere:Questo  il  legno  salvò,  che  perla  forse, E  fé' eh' in  alto  mar  sicuro  corse. 54  Nel  golfo  di  Laiazzo  invér  Sona Sopra  una  gran  città  si  trovò  sorto, E  si  vicino  al  lite,  che  scoprìa L'uno  e  l'altro  Castel  che  serra  il  porto. Come  il  padron  s'accorse  della  via Che  fatto  avea,  ritornò  in  viso  smorto; Che  né  porto  pigliar  quivi  volea, Né  stare  in  alto,  né  fuggir  potea. 55     Né  potea  stare  in  alto,  né  foggile:Che  gii  arbori  e  P  antenne  avea  perdute. Eran  tavole  e  travi  pel  ferire Del  mar  sdrucite,  macere  e  sbattute. E'I  pigliar  porto  era  un  voler  morire, O  perpetuo  legarsi  in  servitute; Che  riman  serva  ogni  persona,  o  morta, Che  quivi  errore  o  ria  fortuna  porta. 56    E '1  stare  in  dubbio  era  con  gran  periglioChe  non  salisscr  genti  della  terraCon  legni  armati,  e  al  suo  desson  di  piglio, Mal  atto  a  star  sul  mar,  non  ch'a  far  guerra. Mentre  il  padron  non  sa  pigliar  consiglio, Fu  domandato  da  quel  d  Inghilterra, Che  gli  tenea  si  l'animo  sospeso, E  perchè  già  non  avea  il  porto  preso. Stanza  65. 57    II  padron  narrò  lui  che  quella  riva Tutta  tenean  le  femmine  omicide. Di  cui  V  antiqua  legge,  ognun  cb'  arriva, In  perpetuo  tien  servo,  o  che  V  uccide:E  questa  sorte  solamente  schiva Chi  nel  campo  dieci  uomini  conquide, poi  la  notte  può  assaggiar  nel  letto Diece  donzelle  con  carnai  diletto. 58    E  se  la  prima  pruova  gli  vien  fatta, £  non  fornisca  la  seconda  poi, Egli  vien  morto;  e  chi  è  con  lui  si  tratta Da  zappatore,  o  da  guardian  di  buoi. Se  di  far  Tuno  e  l'altro  è  persona  atta, libertade  a  tutti  i  suoi; A  sé  non  già,  e'  ha  da  restar  marito Di  diece  donne,  elette  a  suo  appetito. 59  Non  potè  udire  Astolfo  senza  risa vicina  terra  il  rito  strano.Sopravvien  Sansonetto,  e  poi  Marfisa,Indi  Aquilante,  e  seco  il  suo  germano. Il  padron  parimente  lor  divisa La  causa  che  dal  porto  il  tien  Jontano:Voglio,>dicea  che  innanzi  il  mar  m'affoghi Ch  io  senta  mai  di  servitute  i  gioghi. 60  Del  parer  del  padrone  i  marinari E  tutti  gli  altri  naviganti  furo:Che  cento  mila  spade,  era  lor  duro. Parca  lor  questo  e  ciascun  altro  loco, Dov'arme  usar  potean,  da  temer  poco. 804 ORLANDO  PUBIOSO. 61    Bramavano  i  guerrier  venire  a  proda; Ma  con  maggior  baldanza  il  duca  inglese, Che  sa,  come  del  corno  il  rumor  s  oda, Sgombrar  dintorno  si  farà  il  paese. Pigliare  il  porto  Tuna  parte  loda, Eraltra  il  biasma,  e  sono  alle  contese;. Ma  la  più  forte  in  guisa  il  padron  stringe, Oh  al  porto,  suo  mal  grado,  il  legno  spinge. stanza  66. 62    Già,  quando  prima  s'erano  alla  vista Della  città  crudel  sul  mar  scoperti, Veduto  aveano  una  galea  provvista Di  molta  ciurma  e  di  nocchieri  esperti Venire  al  dritto  a  ritrovar  la  trista Nave,  confusa  di  consigli  incerti; Che,  Talta  prora  alle  sue  poppe  basse Legando,  fuor  dell' empio  mar  la  trasse. 63    Entrar  nel  porto  remorchìando,  e  a  fona Di  remi  più  che  per  favor  di  vele;Perocché  T  alternar  di  poggia  e  d' oizaAvea  levato  il  vento  lor  crudele. Intanto  ripigliar  la  dura  scorza I  cavalieri,  e  il  brando  lór  fedele; Ed  al  padrone  ed  a  ciascun  che  teme, Non  cessan  dar  con  lor  conforti  siieme. 64  Fatto  è'I  porto  a  sembianza  dana  luaa, E  gira  più  di  quattro  nuglia  intomo:Seicento  passi  è  in  bocca,  ed  in  cìascanaParte  una  ròcca  ha  nel  finir  del  corno.Non  teme  alcuno  assalto  di  fortuna, Se  non  quando  gli  vien  dal  mezzogiorno. A  guisa  di  teatro  se  gli  stende La  città  a  cerco,  e  verso  il  poggio  ascende. 65  Non  fu  quivi  si  tosto  il  legno  sorto (Già  l'avviso  era  per  tutta  la  terra). Che  fur  sei  mila  femmine  sul  porto, Con  gli  archi  in  mano  in  abito  di  guerra: E  per  tdr  della  fuga  ogni  conforto, 

Tra  l'una  rócca  e  l'altra  il  mar  si  serra: Da  navi  e  da  catene  fu  rinchiuso, Che  tenean  sempre  instrutte  a  cotal  uso. 66  Una  che  d'anni  alla  Cumea  d'Apollo Potè  uguagliarsi  e  alla  madre  d' Ettorre Fé' chiamare  il  padrone,  e  domandollo Se  si  volean  lasciar  la  vita  tórre, 0  se  voleano  pur  al  giogo  il  collo, Secondo  la  costuma,  sottoporre. Degli  due  l'uno  aveano  a  tórre:  o  qoivi Tutti  morire,  o  rimaner  captivi. 67  Gli  è  ver,  dicea,  che  s'uom  si  ritrovasse Tra  voi  cosi  animoso  e  cosi  forte, Che  centra  dieci  nostri  uomini  osasse Prender  battaglia,  e  desse  lor  Li  morte, E  far  con  diece  femmine  bastasse Per  una  notte  ufficio  di  consorte; Egli  si  rimarria  principe  nostro, E  gir  voi  ne  potreste  al  cammin  vostro. 68  E  sarà  in  vostro  arbitrio  il  restar  anco, Vogliate  0  tutti  o  parte;  ma  con  patto Che  chi  vorrà  restare,  e  restar  franco, Marito  sia  per  diece  femmine  atto. Ma  quando  il  guerrier  vostro  possa  manco Dei  dieci  che  gli  fian  nemici  a  un  tratto, 0  la  seconda  prova  non  fornisca, Vogliam  voi  siate  schiavi,  egli  perisca. 69     Dove  la  vecchia  ritrovar  timore Credea  nei  cavalier,  trovò  baldanza; Che  ciascun  si  tenea  tal  feritore, Che  fornir  Tono  e  l'altro  avoa  speranza; Ed  a  Marfisa  non  mancava  il  core, Benché  mal  atta  alla  seconda  danza; Ma  dove non  V  aitasse  la  natura, Con  la  spada  supplir  stava  sicura. 75    Non  vomai  più  che  forestier  si  lagni Di  questa  terra,  finché 1  mondo  dura Cosi  disse;  e  non  poterò  i  compagni Torle  quel  che  le  dava  sua  avventura. Dunque  o  eh'  in  tutto  perda,  o  lor  guadagni La  libertà,  le  lasciano  la  cura. Ella  di  piastre  già  guemita  e  maglia, S' appresentò  nel  campo  alla  battaglia. 70    Al  padron  fu  commessa  la  risposta, Prima  conchiusa  per  comun  consiglio: Ch'avean  chi  lor  potrìa  di  sé  a  lor  posta Nella  piazza  e  nel  letto  far  periglio. Levan  V  offese,  ed  il  nocchier  s  accosta, Getta  la  fune,  e  le  fa  dar  di  piglio:E  fa  acconciare  il  ponte,  onde  i  guerrieri Escono  armati  e  tranne  i  lor  destrieri. 76    Gira  una  piazza  al  sommo  della  terra, Di  gradi  a  seder  atti  intomo  chiusa; Che  solamente  a  giostre,  a  simil  guerra, A  caccie,  a  lotte,  e  non  ad  altro  susa: Quattro  porte  ha  di  bronzo,  onde  si  serra. Quivi  la  moltitudine  confusa Deir armigere  femmine  si  trasse; E  poi  fu  detto  a  Marfisa  ch'entrasse. 71     E  quindi  van  per  mezzo  la  cittade, E  vi  ritrovan  le  donzelle  altiere, Succinte  cavalcar  per  le  contrade, Ed  in  piazza  armeggiar  come  guerriere. Né  calzar  quivi  spron,  né  cinger  spade, Né  cosa  d'arme  pdn  gli  uomini  avere, Se  non  dieci  alla  volta, perrif>petto Dell'antiqua  costuma  ch'io  v'ho  detto. 77  •  Entrò  Marfisa  s' un  destrier  leardo, Tutto  sparso  di  macchie  e  di  rotelle, Di  picciol  capo  e  d'animoso  sguardo, D'andar  superbo  e  di  fattezze  belle. Pel  maggior  e  più  vago  e  più  gagliardo, Di  mille  che  n'avea  con  briglie  e  selle. Scelse  in  Damasco,  e  realmente  ornollo, Ed  a  Marfisa  Norandin  donollo. 72    Tutti  gli  altri  alla  spola,  all'ago,  al  fuso, Al  pettine  ed  all' aspo  sono  intenti, Con  vesti  femminil  che  vanno  giuso Insin  al  pie,  che  gli  fa  molli  e  lenti. Si  tengono  in  catena  alcuni  ad  uso D'arar  la  terra,  o  di  guardar  gli  armenti. Son  pochi  i  maschi,  e  non  son  ben,  per  mille Femmine,  cento,  fra  cittadi  e  ville. 78    Da  mezzogiorno  e  dalla  porta  d'Austro Entrò  Marfisa;  e  non  vi  stette  guari, Ch'appropinquare  e  risonar  pel  ckiustro Udì  di  trombe  acuti  suoni  e  chiari: E  vide  poi  di  verso  il  freddo  plaustro Entrar  nel  cimpo  i  dieci  suoi  contrari. Il  primo  cavalier  ch'apparve  innante, Di  valer  tutto  il  resto  avea  sembiante. 73    Volendo  tórre  i  cavalieri  a  sorte Chi  di  lor  debba  per  comune  scampo L'una  decina  in  piazza  porre  a  morte, E  poi  l'altra  ferir  nell'altro  campo: Non  disegnavan  di  Marfisa  forte, Stimando  che  trovar  dovesse  inciampo Nella  seconda  giostra  della  sera; Ch'ad  averne  vittoria  abil  non  era: 79    Quel  venne  in  piazza  sopra  un  gran  destriero Che,  fuor  chMn  fronte  e  nel  pie  dietro  manco, Era,  più  che  mai  corvo,  oscuro  e  nero:Nel  pie  e  nel  capo  avea  alcun  pelo  bianco. Del  color  del  cavallo  il  cavaliero Vestito,  volea  dir  che,  come  manco Dell'oscuro  era'l  chiaro,  era  altrettanto 11  riso  in  lui,  verso  l'oscuro  pianto. 74    Ma  con  gli  altri  esser  volse  ella  sortita. Or  sopra  lei  la  sorte  in  somma  cade. Ella  dicea:  Prima  v'ho  a  por  la  vita. v'abbiate  a  por  voi  la  libertade. Ma  questa  spada  (e  lor  la  spada  addita Che  cinta  avea)  vi  do  per  securtade Ch'io  vi  sciorrò  tutti  gì' intrichi,  al  modo Che  fé' Alessandro  il  gordiano  nodo. 80    Dato  che  fu  della  battaglia  il  segno, Nove  guerrier  l'aste  chinaro  a  un  tratto: Ma  quel  dal  nero  ebbe  il  vantaggio  a  sdegno. Si  ritirò,  né  di  giostrar  fece  atto. Vuol  eh'  alle  leggi  innanzi  di  quel  regno, Ch'alia  sua  cortesia,  sia  contraffatto. Si  tra'  da  parte,  e  sta  a  veder  le  prove Ch'una  sola  asta  farà  centra  a  nove. stanza  76. 81     II  destrier,  ch'avea  andar  trito  e  soave, Portò  air  incontro  la  donzella  in  fretta, Che  nel  corso  arrestò  lancia  sì  grave, Ohe  quattro  uomini  avriano  a  pena  retta. Lavea  pur  dianzi  al  dismontar  di  nave Per  la  più  salda  in  molte  ant€nne  eletta. Il  fier  sembiante,  con  eh'  ella  si  mosse, Mille  faccie  imbiancò,  mille  cor  scosse. 82    Aperse,  al  primo  che  trovò,  sì  il  petto  Che  fora  assai  se  fosse  stato  nudo:Gli  passò  la  corazza  e  il  soprappetto . Ma  prima  un  ben  ferrato  e  grosso  scudo. Dietro  le  spalle  un  braccio  il  ferro  netto Si  vide  uscir;  tanto  fu  il  colpo  crudo. Quel  fìtto  nella  lancia  addietro  lassi, E  sopra  gli  altri  a  tutta  briglia  passa: stanza  57 83  E  diede  l'orto  a  ohi  Tenia  seooudo, Ed  a  chi  terzo  si  terribil  botta, Che  rotto  nella  schena  nscir  del  mondo Fa' r uno  e  T altro,  e  delia  sella  a  annotta Si  duro  fu  rincontro  e  di  tal  pondo, Si  stretta  insieme  ne  venia  la  frotta. Ho  veduto  bombarde  a  qnella  gnisa Le  squadre  aprir,  che  fé'  lo  stuol  Marfisa. 84  Sopra  di  lei  più  lance  rotte  furo; Ma  tanto  a  quelli  colpi  ella  si  mosse, Quanto  nel  ginoco  delle  cacce  nn  muro Si  muova  a  colpi  delle  palle  grosse. L'usbergo  suo  di  tempra  era  sì  duro, Che  non  gli  potean  contra  le  percosse; E  per  incanto  al  foco  dell'inferno Cotto,  e  temprato  all' acque  fu  d'Avemo. 85  Al  fin  del  campo  il  destrier  tenne,  e  volse, E  fermò  alquanto,  e  in  fretta  poi  lo  spine Incontra  gli  altri,  e  sbaragliolli  e  sciolse, E  di  lor  sangue  insin  all'elsa  tinse. All'uno  il  capo,  all'altro  il  braccio  tolse; E  un  altro  in  guisa  con  la  spada  cinse, Che'l  petto interra andò  col  capo  ed  ambe Le  braccia,  e  in  sella  il  ventre  era  e  le  gambe. 86  Lo  parti,  dico,  per  dritta  misura, Delle  coste  e  dell'anche  alle  confine, E  lo  fé' rimaner  mezza  figura, Qual  dinanzi  all' immagini  divine, Poste  d'argento,  e  più  di  cera  pura Son  da  genti  lontane  e  da  vicine, ringraziarle,  e  sciorre  il  voto  vanno Delle  domande  pie  ch'ottenute  hanno. 87  Ad  uno  che  fuggia  dietro  si  mise, Né  fu  a  mezzo  la  piazza,  che  lo  giunse; E  '1  capo  e  '1  collo  in  modo  gli  divise, Che  medico  mai  più  non  lo  raggiunse. ìm  ggmmn  tutti,  un  dopo  l'altro,  uccise, 0  ferì  sì,  eh'  ogni  vigor  rf  enreme  i E  fu  sicura  che  levar  di  terra Mai  più  non  si  potrìan  per  farle  guerra. 88  Stato  era  il  cavalier  sempre  in  un  canto, Che  la  decina  in  piazza  avea  condutta; Perocché  contra  un  solo  andar  con  tanto Vantaggio,  opra  gli  parve  iniqua  e  brutta. Or  che  per  una  man  torsi  da  canto Vide  sì  tosto  la  compagnia  tutta, Per  dimostrar  che  la  tardanza  fosse Cortesia  stata,  e  non  timor,  si  mosse. 89  Con  man  fé'  cenno  di  volere,  innanti Che  facesse  altro,  alcuna  cosa  dire; E  non  pensando  in  si  vlril  sembianti Che  s' avesse  una  vergine  a  coprire, Le  disse:  Cavaliero,  ornai  di  tanti Esser  dèi  stanco,  e'  hai  fatto  morire; s' io  volessi,  più  di  quel  che  sei, 

Stancarti  ancor,  discortesia  farei. 90  Che  ti  riposi  insino  al  giorno  nuovo, E  doman  tomi  in  campo,  ti  concedo. Non  mi  fia  onor  se  teco  oggi  mi  pruovo; Che  travagliato  e  lasso  esser  ti  credo. Il  travagliare  in  arme  non  m  é  nuòvo, Né  per  sì  poco  alla  fatica  cedo (Disse  Marfisa);  e  spero  ch'a  tuo  costo Io  ti  farò  di  questo  avveder  tosto. 91  Della  cortese  offerta  ti  ringrazio, Ma  riposare  ancor  non  mi  bisogna, E  ci  avanza  del  giorno  tanto  spazio, Ch'a  porlo  tutto  in  ozio  è  pur  vergogna. Rispose  il  cavalier:  Fuss'io  sì  sazio D'ogn' altra  cosa  che'l  mio  core  agogna, Come  t'ho  in  questo  da  saziar;  ma  vedi Che  non  ti  manchi  il  dì  più  che  non  credi. 92  Così  diss'  egli,  e  fé'  portare  in  fretta Due  grosse  lance,  anzi  due  gravi  antenne; Ed  a  Marfisa  dar  ne  fé'  1  eletta:Tolse  l'altra  per  sé,  eh'  indietro  venne. sono  in  punto,  ed  altro  non  s'aspetta Ch'un  alto  suon  che  lor  la  giostra  accenne Ecco  la  terra  e  l'aria  e  il  mar  rimbomba Nel  muover  loro  al  primo  suon  di  tromba. 93  Trar  fiato,  bocci  aprir,  o  battere  occli Non  si  vedea  de' riguardanti  alcuno; Tanto  a  mirare  a  chi  la  palma  tocchi Dei  duo  campioni,  intdsnto  era  ciascuno. Marfisa,  acciò  che  dell' arcioa  trabocchi 8i,  die  mai  non  si  levi  il  guerrier  bruno, Drizza  la  lancia;  e  il  guerrier  brunoforte Studia  non  men  di  por  Marfisa  a  morte. 94  Le  lance  ambe  di  secco  e  suttil  salce. di  Cerro  sembrar  grosso  ed  acerbo, Cosi  n'  andaro  in  tronchi  fin  al  calce; E  l'incontro  ai  destrier  fu  sì  superbo, Che  parimente  parve  da  una  falce Delle  gambe  esser  lor  tronco  ogni  nerbo. Cadèro  ambi  ugualmente:  ma  i  campioni Fur  presti  a  disbrigarsi  dagli  arcioni. 95  A  mille  cavalieri,  alla  sua  vita, prìmo  incontro  area  la  sella  tolta Marfisa,  ed  ella  mai  non  n  era  uscita; E  n'uscì,  come  udite,  a  questa  volta. Del  caso  strano  non  pur  sbigottita, Ma  quasi  fu  per  rimanerne  stolta. Parve  anco  strano  al  cavalier  dal  nero, Che  non  solca  cader  già  di  leggiero. 96  Tocca  avean  nel  cader  la  terra  appena, Che  furo  in  piedi,  e  rinnovar  l'assalto. Tiigli  e  punte  a  furor  quivi  si  mena: Quivi  ripara  or  scudo,  or  lama,  or  salto. Vada  la  botta  vota,  o  vada  piena, L'aria  ne  stride,  e  ne  risuona  in  alto. elmi,  quelli  usberghi,  quelli  scudi Mostrar  ch'erano  saldi  più  ch'incudi. 97  Se  dell'aspra  donzella  il  braccio  è  grave, Né  quel  del  cavalier  nimico  è  lieve. Ben  la  misura  ugual  l'un  dall'altro  ave: Quanto  appunto  l'un  dà,  tanto  riceve. Chi  vuol  due  fiere  audaci  anime  brave, Cercar  più  là  di  queste  due  non  deve, Né  cercar  più  destrezza  né  più  possa; Che  n'hau  tra  lor  quanto  più  aver  si  possa. 101  La  battaglia  durò  fin  alla  sera, Né  chi  avesse  anco.il  meglio  era  palese: Ne  l'un  né  l'altro  più  senza  lamiera Saputo  avria  come  schivar  V  offese. Giunta  la  notte,  all'inclita  guerriera Fu  il  primo  a  dir  il  cavalier  cortese: Che  farem,  poi  che  con  ugual  fortuna N'ha  sopraggiunti  la  notte  importuna? 102  Meglio  mi  par  che'l  viver  tno  prolungLi Almeno  insino  a  tanto  che  s'aggiorni Io  non  posso  concederti  che  aggiunghi Fuorché  una  notte  piccola  a' tuoi  giorni E  di  ciò  che  non  gli  abbi  aver  più  Inoglti, La  colpa  sopra  a  me  non  vo'che  tomi: Tomi  pur  sopra  alla  spietata  legge sesso  femminil  che'l  loco  regge. 103  Se  di  te  ducimi  e  di  quest'altri  tuoi, Lo  sa  Colui  che  nulla  cosa  ha  oscura. Con  tuoi  compagni  star  meco  tu  puoi: Con  altri  non  avrai  stanza  sicura; Perché  la  turba,  a  cu'i  mariti  suoi Oggi  uccisi  hai,  già  centra  te  congiura. Ciascun  di  questi,  a  cui  dato  hai  la  morte, Era  di  diece  femmine  consorte. 98  Le  donne  che  gran  pezzo  mirato  hanno Continuar  tante  percosse  orrende, E  che  nei  cavalier  segno  d'alTanno E  di  stanchezza  ancor  non  si  comprende. Dei  duo  miglior  guerrier  lode  lor  danno, Che  sien  tra  quanto  il  mar  sua  braccia  estende. Par  lor  che,  se  non  fosser  più  che  forti, Esser  dovrian  sol  del travaglio  morti. 99  Ragionando  tra  sé,  dicea  Marfisa: Buon  fu  per  me,  che  costui  non  si  mosse; Ch'andava  a  risco  di  restame  uccisa, Se  dianzi  stato  coi  compagni  fosse. Quando  io  mi  trovo  appena  a  questa  guisa Di  potergli  star  centra  alle  percosse. Cosi  dice  Maifisa;  e  tuttavolta Non  resta  di  menar  la  spada  in  volta. 100  Buon  fu  per  me,  dicea  quell'altro  ancora. Che  riposar  costui  non  ho  lasciato: Difender  me  ne  posso  a  fatica  ora Che  della  prima  pugna  é  travagliato. Se  fin  al  nuovo  di  facea  dimora A  ripigliar  vigor,  che  saria  stato?Ventura  ebbi  io,  quanto  più  possa  aversi, Ohe  non  voliesse  tor  quel  ch'io  gli  offersi 104  Del  danno  ch'han  da  te  ricevut'oggi, Disian  novanta  femmine  vendetta; Sì  che,  se  meco  ad  albergar  non  poggi, Questa  notte  assalito  esser  t'aspetta. Disse  Marfisa: Accetto  che  m'alloggi, Con  sicurtà  che  non  sia  men  perfetta In  te  la  fede  e  la  bontà  del  core, Che  sia  l'ardire  e  il  corporal  valore; 105  Ma  che  t' incresca  che  m'abbi  ad  uecidere. Ben  ti  può  increscere  anco  del  contrario. Fin  qui  non  credo  che  l'abbi  da  ridere, Perch'io  sia  men  di  te  duro  avversario. 0  la  pugna  seguir  vogli  o  dividere, 0  farla  all'uno  o  all'altro  luminano. Ad  ogni  cenno  pronta  tu  m'avrai, E  come  ed  ogni  volta  che  vorrai 106  Cosi fudifferita  la  tenzone Finché  di  Gange  uscisse  il  nuovo  albore; E  si  restò  senza  conclusione Chi  d'essi  duo  guerrier  fosse  il  migliore. Ad  Aquilante  venne  ed  a  Grifone, E  così  agli  altri  il  liberal  signore; E  li  pregò  che  fino  al  nuovo  giorno Piacesse  lor  di  far  seco  soggiorno 107     Tenner  loHvito  senza  alcun  sospetto; Indi,  a  splendor  di  bianchi  torchi  ardenti, Tutti  salirò  overa  an  real  tetto, Distinto  in  molti  adorni  alloggiamenti. Stupefatti  al  levarsi  delP elmetto, Mirandosi,  restaro  i  combattenti, Chè'l  cavalier,  per  quanto  apparea  faora, Non  eccedeva  i  dìciotto  anni  ancora. 108    Si  maraviglia  la  donzella,  come In  arme  tanto  un  giovinetto  vaglia; Si  maraviglia  T  altro  challe  chiome S  avvede  con  chi  avea  fatto  battaglia:E  si  domandan  Tun  con  1  altro  il  nome; E  tal  debito  tosto  si  ragguaglia. Ma  come  si  nomasse  il  giovinetto,     NelU altro  Canto  ad  asciltar  v'aspetto. N  OTIL St.  a.  V.5.   Falle,  sbaglia. St.  9.  V.2.   Calamo,  canna:  qai  freccia. St.  12.  v.2.   Del  teban  Creonte.  Costui,  dopo  la morte  dei  suoi  nipoti,  vietò  che  loro  fosse  data  sepol tura ;  e  dannò  a  morte  Antigone  che,  mossa  da  fiatemo amore  per  Polinice,  rappe  il  divieto. St.  22.  V.3.   Panacea;  pianta  odorosa,  dalla  cui radice  e  gambo  intagliati  stilla  Toppoponaco;  figurata 

mente prendesi  per  farmaco  universale. St.  <3.  V.78.  ~  Auspice  era  presso  1  Latini  colui che  conciliava  il  matrimonio;  e  assisteva  ali  nomo  in tutte  le  cerimonie  che  si  usavano  nel  celebrarlo.  Lo stesso  ufficio  faceva  per  parte  della  donna  la  pro nuba. St.  37.  V.3.   India  del  Catai.  Col  nome  d'India  si designarono  tutti  i  paesi  dell'estremo  oriente,  compre savi anche  la  Cina;  della  quale  il  Catai  era  propria mente la  parte  settentrionale. St.  44.  V.13.   Castello  e  ballador,  ecc.   Si  é  spie gato più  addietro  che  sia  il  castello  di  nave: balladore dicesi  nn  luogo  praticabile,  che  sporge  airinfkiori  in  una o  in  ambedue  Testremità  del  navìglio.   Verno:  qui  la procella. St.  46.  V.15.   LinUssò: luogo  dell' isola  di  Cipro, in  fondo  di  una  piccola  baia  tra  Larnaca  e  Capogatto; ed  è  VAmathus  degli  antichi.   Seceagne:  secche,  bassi fondi St.  47.  V.3.   Trinchetto: vela  triangoligre  che  spie gasi esteriormente  al  naviglio,  e  si  raccomanda  al  bom presso, cioè  all'albero  sporgente  fuori  della  prora. St.  48.  V  18.   Fu  peregrino  promesso: fu  fatto voto  di  pellegrinaggio  al  binai,  ecc.   Alla  Vergine dEtHno.  Il  Pomari  accenna  questo  santuario,  sotto  il nome  di  Utino,  nel  Friuli  dov  era  Aquileia,  e  cita  due versi  del  Sabellico;  altri  lo  ha  creduto  in  Candia;  ma sembra  che,  anche  non  molto  dopo  la  morte  deirAutore, non  se  ne  avesse  sicura  notizia.   Toma: da  tomare, cadere  col  capo  all'ingiù;  qui  significa  l'alterno  abbas sarsi e  sollevarsi  dall'un  de'  capi,  che  fa  un  naviglio  in burrasca.   Albero  deW  artimone,  altrimenti  albero di  mezzana: quello  che  sostiene  la  maggior  vela  della nave. St.  49.  V.17.   Colli:  fardelli  di  merci.   Giare: parti  del  naviglio  ove  si  custodiscono  gli  attrezzi. St.  50.  V.67.   Luce  di  "Sant'enfio;  meteora  lumi nosa, che  suol  farsi  vedere  sulle  cime  degli  alberi,  o sulle  antenne,  allorché  la  tempesta  ò  vicina  a  cedere.  Cocchina: attrezzo  marinaresco,  piccola  antenna  sulla prora,  a  cui  talvolta  si  lega  il  trinchetto  in  tempo  di burrasca. St.  51.  V.7.    Traversia: forte  agitazione  del  mare che  continua,  anche  dopo  rallentata  la  furia  della  tem pesta. St.  53.  V.26.   Spere:  fiistelli  di  legno  legati  in sieme ohe  si  gettavano  in  mare,  attaccati  alla  nave,  per diminuirne  il  corso.   Caluma  la  gomona: sospende nell'acqua  l'Ancora  attaccata  alla  gomena;  e  ciò  per accrescere  la  resistenza  all'impeto  della  nave.    Lelit miere: la  meteora  luminosa,  di  cui  sopra  si  è  detto. St.  54.  V.1.   Golfo  di  Laiaszo,  L'antico  Sinus  Is sicus.  Isso  città  célèbre  per  la  battaglia  vinta  da  Ales sandro contro  Dario;  ò  detta  ora  Aiazzo  e  Laiazzo.  Il golfo  dicesi  ora  Aleasandretta. St.  56.  V.2.   Salissero.  Salire,  qui  usato  alla  spa gnola per  uscire, St.  57.  V.8.   Oli  antichi  lasciarono  memoria  d  un regno  delle  Amazzoni,  in  riva  al  fiume  Termodonte. St.  70.  V.46.   Far  periglio:  far  prova. St.  74.  V.8.  ~  H  gordiano  nodo: nodo  fatto  da  Gordio, agricoltore  che  divenne  poi  re  di  Frigia.  Dipendendo l'acquisto  dell'impero  d'Asia  dallo  sciogliere  quel  nodo intricatissimo,  Alessandro  Magno,  per  desbrigarsene,  lo con  la  spada. St.  78.  y.  b.   Il  freddo  plaustro: la  costellazione dell'Orsa,  detta  altresì  carro  di  Boote,  che  si  volge  in tomo al  polo  boreale. St.  83.  V.4.   A  un otta:  ann'ora,  nello  stesso  tempo. St.  85.  V.6.   Cinse: qui  tagliò  di  netto. St.  87.  V.6.   Emunse:  fiaccò. St.  105.  V.6.   AW  uno  o  airaltro  luminario: al lume  del  sole  e  della  luna: di  giorno  o  di  notte. St.  106.  V.2.   Il  Gange,  fiume  dell'India,  essendo  a Oriente  può  dirai,  poeticamente,  che  il  sole  esce  da  quello. Lo  disse  anche  Dante  (Air.,  0.  11). CANTO  VENTESIMO. Jl  LÌtejìnu  gLifmera,  con  coi  MarBm  ba  t ombatlato  ÌB" li  uottfit  Jc  iii  maìiifea  per  Qnjdoti  Selvaggio, t'amiilia.  "U  C]  liui'aiii  otite,  &  1  uà  ira  l 'origlile  del  ài  n" ici?)tumiiiLZLi,  m ijiteiiuU  lììlA  citta.  MarAc"  e  i   ji:ìj;iii  si  aii  iuKono  a  |ifti1iiiie  pr  form  d'arme,  Asloil& liù  iÌEilu  tiì  l'orno,  e  tutti  fciggtjuo  F{Mixi?ttt&ti.  Mtr&a HIT  iva,  in  Francia,  "4  incontra  hi  vtcrhia  Cjibntii  eia uLishi.Ie  LFisuldlik;  "  ai' compagna  coìl  ]"i,  ed  abbatte l'iniLljE.']lo;  ti'u\a  ijuiótli  Zerbino,  lo  gvtla  dairviìmc, i  gli  Jh  iij  gujirJia  0 abrina. Lt  iloiiLi  antique  ÌJauuu  niirabil  cose Flltio  lieti"  arme  e  nelle  sacre  moBe; K  (li  lur  upre  be]le  e  glorioae liniii  luiiju  in  tutto  il  munda  si  difltise. Arpa  li  ire  v   L':iHiilla  si,u    fumose  j Perchè  in  battaglia  erano  esperte  ed  use; Saffo  e  Corinna,  perchè  furon  dotte, Splendono  illustri,  e  mai  Loii  veggou  notte. 2  Le  donne  son  venute  in  eccellenza Di  ciascun'  arte,  ove  hanno  posto  cura; E  qualunque  all'istorie  abbia  avvertenza, Ne  sente  ancor  la  ìmùa  non  oscura. Se  'I  mondo  n'  è  gran  tempo  stato  senza, Non  però  sempre  il  mal' influsso  dura; E  forse  ascosi  bau  lor  debiti  onori L'invidia,  o  il  non  saper  degli  scrittori. 3  Ben  mi  par  di  veder  di'  al  secol  nostro Tanta  virtù  fra  belle  donne  emerga, Che  può  dare  opra  a  carte  et  ad  inchiostro, Perchè  nei  futuri  anni  si  disperga, E  perchè,  odiose  lingue,  il  mal  dir  vostro vostra  eterna  infamia  si  sommerga; E  le  lor  lode  appariranno  in  guisa, Che  di  gran  lunga  avanzeran  Marfisa. 4  Or  pur  tornando  a  lei,  questa  donzella 

Al  cavalier  che  le  usò  cortesia, Dell'esser  suo  non  niega  dar  novella, Quando  esso  a  lei,  voglia  contar  chi  sia. Sbrìgossi  tosto  del  suo  debito  ella, Tanto  il  nome  di  lui  saper  disia. Io  son,  disse,  Marfisa: e  fu  assai  questo; Che  si  sapea  per  tutto  'l  mondo  il  resto. 5  L altro  comincia,  poiché  tocca  a  lui. Con  più  proemio  a  darle  di  sé  conto, Dicendo: Io  credo  che  ciascun  di  vui Abbia  della  mia  stirpe  il  nome  in  pronto; Che  non  pur  Francia  e  Spagna  e  1  vicin  sui, Ma  l'Lidia,  l'Etiopia  e  il  freddo  Ponto Han  chiara  cognizion  di  Chiaramente, Onde  uscì  il  cavalier  ch'uccise  Almonte, 6  E  quel  eh' a  Chiarì'ello  e  al  re  Mambrino Diede  la  morte,  e  il  regno  lor  disfece. Di  questo  sangue,  dove  nell'Eusino L'Istro  ne  vien  con  otto  corna  o  diece, Al  duca  Amone,  il  qual  già  peregrino Vi  capitò,  la  madre  mia  mi  fece:E  l'anno  è  ormai  eh'  io  la  lasciai  dolente, Per  gire  in  Francia  a  ritrovar  mia  gente. 7  Ma  non  potei  finire  il  mio  viaggio; Che  qua  mi  spinse  un  tempestoso  Noto. Son  dieci  mesi,  o  più,  che  stanza  v'  aggio; Che  tutti  i  giorni  e  tutte  l'ore  noto. Nominato  son  io  Guidon  Selvaggio, Di  poca  prova  ancora  e  poco  noto. Uccisi  qui  Argilon  da  Melibea, Con  dieci  cavalier  che  seco  avea. 8  Feci  la  prova  ancor  delle  donzelle:Cosi  n'  ho  diece  a'  miei  piaceri  allato; Ed  alla  scelta  mia  son  le  più  belle, E  son  le  più  gentil  di  questo  stato E  queste  reggo  e  tutte  l'altre;  eh'  elle Di  sé  m' hanno  governo  e  scettro  dato:Cosi  daranno  a  qualunque  altro  arrida Fortuna  si,  che  la  decina  ancida. 9  I  cavalier  domandano  a  Guidone, Com'  ha  si  pochi  maschi  il  teuitoro; E  s'alle  mogli  hanno  suggezì'one. Come  esse  l'han  negli  altri  lochi  a  loro. Disse  Guidon:  Più  volte  la  cagione Udita  n'  ho  da  poi  che  qui  dimoro; E  vi  sarà,  secondo  ch'io  l'ho  udita. Da  me,  poiché  v'aggrada,  riferita. 10  Al  tempo  che  tornar  dopo  anni  venti Da  Troia  i  Greci  (che  durò  l'assedio Dieci,  e  dieci  altri  da  contrari  venti Furo  agitati  in  mar  con  troppo  tedio). Trovar  che  le  lor  donne  agli  tormenti Di  tanta  absenzia  avean  preso  rimedio; Tutte  s' avean  gioveni  amanti  eletti. Per  non  si  raffreddar  sole  nei  letti. 11  Le  case  lor  trovare  i  Greci  piene Degli  altrui  figli;  e  per  parer  comune Perdonano  alle  mogli,  che  san  bene Che  tanto  non  potean  viver  digiune. Ma  ai  figli  degli  adulteri  conviene Altrove  procacciarsi  altre  fortune; Che  tollerar  non  vogliono  i  mariti Che  più  alle  spese  lor  sieno  notriti. 12  Sono  altri  esposti,  altri  tenuti  occulti Dalle  lor  madri,  e  sostenuti  in  vita, lu  varie  squadre  quei  ch'erano  adulti 

Feron,  chi  qua  chi  là,  tutti  partita. Per  altri  l'arme  son,  per  altri  culti Gli  studj  e  l'arti:  altri  la  terra  trita; Serve  altri  in  corte;  altri  è  guardian  di  gregge, Come  piace  a  colei  che  quaggiù  regge. Parti  fra  gli  altri  un  giovinetto,  figlio Di  Clitemnestra,  la  crudel  regina, Di  diciotto  anni,  fresco  cone  un  giglio, 0  rosa  còlta  allor  di  su  la  spina. Questi,  armato  un  suo  legno,  a  dar  di  piglio Si  pose  e  a  depredar  per  la  marina In  compagnia  di  cento  giovinetti Del  tempo  suo,  per  tutta  Grecia  eletti. 14  I  Cretesi,  in  quel  tempo  che  cacciato Il  crudo  Idomeneo  del  regno  aveano, E,  per  assicurarsi  il  nuovo  stato, Denomini  e  darme  adnnazion  faceano, Fero  con  bnon  stipendio  lor  soldato Falanto  (cosi  al  giovine  diceano), E  lui  con  tutti  quei  che  seco  avea, Poser  per  guardia  al'a  città  Dictea. 15  Fra  cento  alme  città  ch'erano  in  Creta, Dictea  più  ricca  e  più  piacevol  era, Di  belle  donne  ed  amorose  lieta, Lieta  di  giochi  da  mattino  a  sera: E  com'era  ogni  tèmpo  consueta D'accarezzar  la  gente  forestiera, Fé  a  costor  sì,  che  molto  non  rimase A  fargli  anco  signor  delle  lor  case. 16  Fran  gioveni  tuiti  e  belli  affatto; Che  '1  fior  di  Grecia  avea  Falanto  eletto:Si  ch'alle  belle  donne,  al  primo  tratto Che  v'apparir,  trassero  i  cor  del  petto. '    Poiché  non  men chebelli,  ancora  in  fitto Si  dimostrar  buoni  e  gagliardi  al  letto, Si  fero  ad  esse  in  pochi  di  si  grati. Che  sopra  ogn' altro  ben  n'erano  amati. 17  Finita  che  d'accordo  é  poi  la  guerra Per  cui  stato  Falanto  era  condutto, E  lo  stipendio  militar  si  Ferra, Sì  che  non  v'hanno  i  gioteni  più  frutto, E  per  questo  lasciar  voglion  la  terra; Fan  le  donne  di  Creta  maggior  lutto, E  per  ciò  versan  più  dirotti  pianti, Che  se  i  lor  padri  avesson  morti  avanti. 18  Dalle  lor  donne  i  gioveni  assai  furo, Ciascun  per  sé,  di  rimaner  pregati:Né  volendo  restare,  e"se  con  loro K'  andar,  lasciando  e  padri  e  figli  e  frati, Di  ricche  gemme  e  di  gran  somma  d'oro Avendo  i  lor  dimestici  spogliati; Che  la  pratica  fu  taLto  secreta, Che  non  sentì  la  fuga  uomo  di  Creta. 19  Si  fu  propizio  il  vento,  sì  tn  l'ora Comoda  che  Falanto  a  fuggir  colse. Che  molte  miglia  erano  usciti  fnora. Quando  del  danno  suo  Creta  si  dolse. Poi  questa  spiaggia,  inabitata  allora, Trascorsi  per  fortuna  li  raccolse. Qui  si  posare,  e  qui  sicuri  tutti Meglio  del  furto  lor  videro  i  frutti. 20  Questa  lor  fu  per  died  giorni  stanzi Di  piaceri  amorosi  tutta  piena. Ma  come  spesso  avvien  che  l'abbondanza Seco  in  cor  giovenil  fastidio  mena, Tutti  d'accordo  fnr  di  restar  senza Femmine,  e  liberarsi  di  tal  pena; 

Che  non  è  soma  da  portar  si  grave. Come  aver  donna,  quindo  a  noia  save. 21  Essi  che  di  guadagno  e  di  rapine bramosi,  e  di  dispendio  parchi, Vider  eh'  a  pascer  tante  concubine, D'altro  che  d'aste  avean  bisogno  e  d'archi: Si  che  sole  lasciar  qui  le  meschine, E  se  n'  andar  di  lor  ricchezze  carchi Là  dove  in  Puglia  in  ripa  al  mar  poi  sento Ch'edificar  la  terra  di  Tarento. 22  Le  donne,  che  si  videro  tradite Dai  loro  amanti,  in  che  più  fede  aveano, Restar  per  alcun  di  si  sbigottite, statue  immote  in  lito  al  mar  pareano. Visto  poi  che  da  gridi  e  da  infinite Lacrime  alcun  profitto  non  tracano, A  pensar  cominciaro  e  ad  aver  cura Come  aiutarsi  in  tanta  lor  sciagura. 23  E  proponendo  in  mezzo  i  lor  pareri. Altre  diceano:  In  Creta  é  da  tornarsi, E  piuttosto  all'arbitrio  de' severi Padri  e  d'offesi  lor  mariti  dari, Che  nei  deserti  liti  e  boschi  fieri Di  disagio  e  di  fame  consumarsi. Altre  dicean  che  lor  sana  più  onesto Affogarsi  nel  mar,  che  mai  far  questo; 24  E  che  manco  mal  era  meretrici Andar  pel  mondo,  andar  mendiche  o  schiave. sé  stesse  offerire  alli  supplici Di  eh' eran  degne  l'opere  lor  prave. e  simil  partiti  le  infelici Si  proponean,  ciascim  più  duro  e  grave. Tra  loro  alfine  una  Orontea  levosse, Ch'orìgine  traea  dal  re  Minosse; 25  La  piùgioven dell' altre  e  la  più  bella E  la  più  accorta,  e  eh'  avea  meno  errato:Amato  avea  Falanto,  e  a  lui  pulzella Datasi    e  per  lui  il  padre  avea  lasciato. ,  mostrando  in  viso  ed  in  favellaIl  magnanimo  cor  d'ira  infiammato, Redarguendo  di  tutte  altre  il  detto, Suo  parer  disse,  e  fé' seguirne  effetto. 26     Di  questa  terra  a  lei  non  parve  tórsi, conobbe  feconda  e  d'aria  sana, Di  selve  opaca .  e  la  più  parte  piana; Con  porti  e  foci,  ove  dal  mar  ricorsi Per  ria  fortuna  avea  la  geate  estrana, Ch'or  d'Africa  portava,  ora  d'Egitto, Cose  diverse  e  necessarie  al  vitto. Qui  parve  a  lei  fermarsi,  e  far  vendetta Del  viril  sesso  che  le  avea  si  offese: Vuol  ch'ogni  nave  che  da' venti  astretta A  pigliar  venga  porto  in  suo  paese, sacco,  a  sangue,  a  fuoco  alfin  si  metta; Né  della  vita  a  un  sol  si  sia  cortese.Cosi  fu  detto,  e  così  fu  concluso, E  fu  fatta  la  logge,  e  messa  in  uso. Stanza  86. 28  Come  turbar  V  nria  sentiano,  armate Le  femmine  correan  su  la  marina, Dall' implacabile  Orontea  guitlate, Che  die  lor  legge,  e  si  fé'  lor  regina; E  delle  navi  ai  liti  lor  cacciate, Faceano  incendj  orribili  e  rapina, Uom  non  lasciando  vivo,  che  novella Dar  ne  potesse  o  in  questa  parte  o  in  quella. 29  Cosi  solinghe  vissero  qualch'anno, Aspre  nimiche  del  sesso  virile. 

Ma  conobbero  poi  che  '1  proprio  danno Procaccerian,  se  non  mutavan  stile: Cbè,  se  di  lor  propagine  non  fanno, Sarà  lor  legge  in  breve  irrita  e  vile . £  mancherà  con  l'infecondo  regno, Dove  di  farla  etema  era  il  disegno. 30  Si  che,  temprando  il  suo  rigore  un  poco, Scelsero,  in  spazio  di  quattro  anni  interi. Di  quanti  capitaro  in  questo  loco Dieci  belli  e  gagliardi  cavalieri, Che  per  durar  nell'amoroso  gioco Contr'esse  cento  fosser  buon  guerrieri. Esse  in  tutto  eran  cento;  e  statuito Ad  ogni  lor  decina  fu  un  marito. 31  Prima  ne  fur  decapitati  molti Che  riuscirò  al  paragon  mal  forti. Or  questi  dieci  a  buona  prova  tolti, Del  letto  e  del  governo  ebbon  consorti; Facendo  lor  giurar  che,  se  più  cólti Altri  uomini  verriano  in  questi  porti, Essi  sarian  che,  spenta  ogni  pietade, Li  porriano  ugualmente  a  fil  di  spade. 32  Ad  ingrossare,  ed  a  fiarliar  appresso Le  donne,  indi  a  temere  incomìnciaro, Che  tanti  nascerian  del  viril  sesso, Che  con  tra  lor  non  avrian  poi  riparo, E  alfin  in  man  degli  uomini  rimesso il  governo  eh  elle  avean  si  caro:Sì  ch'ordinar,  mentre  eran  gli  anni  imbelli, Far  si,  che  mai  non  fosson  lor  ribelli. 33  Acciò  il  sesso  viril  non  le  soggioghi, Uno  ogni  madre  vuol  la  legge  orrenda, Che  tenga  seco;  gli  altri,  o  li  suffoghi, 

0  fuor  del  regno  li  permuti  o  venda. Ne  mandano  per  questo  in  vari  luoghi:E  a  chi  gli  porta  dicono  che  prenda Femmine,  se  a  baratto  aver  ne  puote; Se  non,  non  tomi  almen  con  le  man  vote. 34  Né  nno  ancora  alleverian,  se  senza Potesson  fare,  e  mantenere  il  gregge. Questa  è  quanta  pietà,  quanta  clemenza Più  ai  suoi  ch'agli  altri  usa  l'iniqua  legge: Gli  altri  condannan  con  UTual  sentenza; E  solamente  in  questo  si  correg:ge. Che  non  vuol  che,  secondo  il  primiero  uso, Le  femmine  gli  uccidano  in  confuso. 35  Se  dieci  o  venti  o  più  persone  a  un  tratto Vi  fosser  giunte,  in  carcere  erau  messe:E  d'una  al  giorno,  e  non  di  più,  era  tratto Il  capo  a  sorte,  che  perir  dovesse Nel  tempio  orrendo  ch'Orontea  avea  fatto, Dove  un  altare  alla  Vendetta  eresse:E  dato  all'un  de' dieci  il  crudo  ufficio Per  sorte  era  di  fame  sacrificio. 38  Orontea  vivea  ancora;  e  già  mancate Tutt'  eran  l'altre  eh'  abitar  qui  prima:E  diece  tante  e  più  n'  erano  nate, E  in  forza  eran  cresciute  e  in  miggior  stimi Né  tra  diece  fucine  che  serrate Stavan  pur  spesso,  avean  più  dnna  limi; E  dieci  cavalieri  anco  avean  cura Di  dare  a  chi  venia  fiera  avventura. 39  Alessandra,  bramosa  di  vedere Il  giovinetto  eh' avea  tante  lode.Dalla  sua  matre  in  singular  piacere Impetra  sì,  eh'  Elbanio  vede  et  ode:E  quando  vuol  partirne,  rimanere Si  sente  il  core  ove  è  chi  '1  punge  e  rode Legar  si  sente,  e  non  sa  far  contesa, E  alfin  dal  suo  prigion  si  trova  presa. 40  Elbanio  disse  a  lei: Se  di  pietade S' avesse,  donna,  qui  notizia  ancora, Come  se  n'ha  per  tutt' altre  contrade. Dovunque  il  vago  sol  luce  e  colora; Io  vi  oser:i,  per  votr'alma  beltade . Ch'ogn' animo  gentil  di  sé  innamora. Chiedervi  in  don  la  vita  mia,  che  poi Sarìa  ognor  presto  a  spenderla  per  voi. 41  Or  quando  fuor  d'ogni  ragion  qui  sono Privi  d'umanitade  i  cori  umani, Non  vi  domanderò  la  vita  in  dono; Che  i  prirghi  miei  so  ben  che  sarian  vani:Ma  che  da  ca vallerò,  o  tristo  o  buono Ch'io  sia,  possi  morir  con  l'arme  in  miai . E  non  come  dannato  per  giudicio, 0  come  animai  bmto  in  sacrificio. 6    Dopo  molt'anni  alle  ripe  omicide A  dar  venne  di  capo  un  giovinetto, La  cui  stirpe  scendea  dal  buono  Alcide, Di  gran  valor  nell' arme,  Elbanio  detto. Qui  preso  fu,  eh'  appena  se  n'  avvide, Come  quel  che  venia  senza  sospetto; E  con  gran  guardia  in  stretta  parte  chiuso, Con  gli  altri  era  serbato  al  era  lei  uso. 4'2    Alessandra  gentil,  ch'umidi  avea. Per  la  pietà  del  giovinetto,  i  rai, Rispose: Ancorché  più  crudele  e  re.\, Sia  questa  terra,  eh'  altra  fosse  mai, Non concedoperò  che  qui  Medea Ogni  femmina  sia,  come  tu  fai; E  quando  ogni  altra  cosi  fosse  ancora, Me  sola  di  tant' altre  io  vo'trar  fuora. 37    Di  viso  era  costui  bello  e  giocondo, E  di  maniere  e  di  costumi  ornato, E  di  parlar  sì  dolce  e  sì  facondo, Ch'un  aspe  volentier  l'avria  ascoltato: Si  che,  come  di  cosa  rara  al  mondo, Dell'esser  suo  fu  tosto  rapportato Ad  Alessandra  figlia  d'Orontea, Che  di  molt'anni  grave  anco  vivea. 43    E  sebben  per  addietro  io  fossi  stata Empia  e  cmdel,  come  qui  sono  tante, Dir  posso  che  suggetto  ove  mostrata Per  me  fosse  pietà,  non  ebbi  avante. Ma  ben  sarei  di  tigre  più  arrabbiata, E  più  duro  avre'il  cor  che  di  diamante. Se  non  m'avesse  tolto  ogni  durezza Tua  beltà,  tuo  valor,  tua  gentilezza. 44:     Cosi  non  fosse  la  legge  più  forte, Che  centra  i  peregrini  è  statuita, Come  io  non  schiverei  con  la  mia  morte Di  ricomprar  la  tua  più  degna  vita. Ma  non  è  grado  qui  di  sì  gran  sorte, Che  ti  potesse  dar  libera  aita; quel  che  chiedi  ancor,  benché  sia  poco, Difficile  ottener  fia  in  questo  loco. 45     Pur  io  vedrò  di  far  che  tu  P ottenga, Ch'  abbi  innanzi  al  morir  questo  contento; Ma  mi  dubito  ben  che  te  n'avvenga, Tenendo  il  morir  lungo,  più  tormento. Soggiunse  Elbanio: Quando  incontra  io  venga 

A  dieci  armato,  di  tal  cor  mi  sento, Ohe  la  vita  ho  speranza  di  salvarme, E  uccider  lor,  se  tutti  fosser  arme. 50  La  principal  cagion  eh' a  far  disegno Sul  commercio  degli  uomini  ci  mosse, Non  fu  perch'a  difender  questo  regno Del  loro  aiuto  alcun  bisogno  fosse; Che  per  far  questo  abbiamo  ardire  e  ingegno Da  noi  medesme,  e  a  sufficienzia  posse:senza  sapessimo  far  anco, Che  non  venisse  il  propagarci  a  manco. 51  Ma  poiché  senza  lor  questo  non  lece, Tolti  abbiam,  ma  non  tanti,  in  compagnia, Che  mai  ne  sia  più  d'uno  incontra  diece, Si  ch'aver  di  noi  possa  signoria. Per  concepir  di  lor  questo  si  fece, che  di  lor  difesa  uopo  ci  sia.    ' La  lor  prodezza  sol  ne  vaglia  in  questo, E  sieno  ignavi  e  inutili  nel  resto. 46     Alessandra  a  quel  detto  non  rispose Se  non  un  gran  sospiro,  e  dipartisse; portò  nel  partir  mille  amorose Punte  nel  cor,  mai  non  sanabil,  fisse. Venne  alla  madre,  e  volontà  le  pose Dì  non  lasciar  che  '1  cavalier  morisse, si  dimostrasse  così  forte, Che,  solo,  avesse  posto  i  dieci  a  morte. La  regina  Orontea  fece  raccorrò n  suo  consiglio,  e  disse: A  noi  conviene Sempre  il  miglior  che  ritroviamo,  porre guardar  nostri  porti  e  nostre  arene; E  per  saper  chi  ben  lasciar,  chi  tórre, Prova  è  sempre  da  far,  quando  gli  avviene; 

Per  non  patir  con  nostro  danno  a  torto, Che  regni  il  vile,  e  chi  ha  valor  sia  morto. 48  A  me  par,  se  a  voi  par,  che  statuito Sia  ch'ogni  cavalier  per  lo  avvenire, Che  fortuna  abbia  tratto  al  nostro  lito, Prima  ch'ai  tempio  si  faccia  morire, Possa  egli  sol,  se  gli  piace  il  partito, i  dieci  alla  battaglia  uscire; £  se  di  tutti  vincerli  è  possente, Guardi  egli  il  porto,  e  seco  abbia  altra  gente. 49  Parlo  cosi,  perchè  abbiam  qui  un  prigione Che  par  che  vincer  dieci  s' ofFerisca. Quando,  sol,  vaglia  tante  altre  persone, Dignissimo  è,  per  Dio,  che  s'esaudisca. Così  in  contrario  avrà  punizione, Quando  vaneggi  e  temerario  ardisca. Orontea  fine  al  suo  parlar  qui  pose, A  cui  delle  più  antique  una  rispose:52  Tra  noi  tenere  un  uom  che  sia  si  forte, Contrario  è  in  tutto  al  principal  disegno. Se  può  un  solo  a  dieci  uomini  dar  morte, Quante  donne  farà  stare  egli  al  segno? Se  i  dieci  nostri  fosser  di  tal  sorte, Il  primo  di  n'avrebbon  tolto  il  regno. Non  è  la  via  di  dominar,  se  vuoi Por  l'arme  in  mano  a  chi  può  più  di  noi. 53  Pon  mente  ancor,  che  quando  così  aiti questo  tuo,  che  i  dieci  uccida, Di  cento  donne  che  de' lor  mariti BJmarran  prive,  sentirai  le  grida. Se  vuol  campar,  proponga  altri  partiti, Ch'esser  di  dieci  gioveni  omicida. Pur,  se  per  far  con  cento  donne  è  buono Quel  che  dieci  fariano,  abbi' perdono. 54  Fu  d'Artemia  crudel  questo  il  parere (Così  avea  nome);  e  non  mancò  per  lei Di  far  nel  tempio  Elbanio  rimanere Scannato  innanzi  agli  spietati  Dei. Ma  la  madre  Orontea,  che  compiacere Volse  alla  figlia,  replicò  a  colei Altre  ed  altre  ragioni,  e  modo  tenne Che  nel  senato  il  suo  parer  s' ottenne. 55  L'aver  Elbanio  di  bellezza  il  vanto Sopra  ogni  cavalier  che  fosse  al  mondo, Fu  nei  cor  delle  giovani  di  tanto. Ch'erano  in  quel  consiglio,  e  di  tal  pondo, Che  '1  parer  delle  vecchie  andò  da  canto, Che  con  Artemia  volean  far  secondo L'ordine  antiquo;  né  lontan  fu  molto Ad  esser  per  favore  Elbanio  assolto. 56    Di  perdonargli  in  somma  fa  concluso, Ma  poi  che  I4  decina  avesse  spento, E  che  neir  altro  assalto  fosse  ad  uso Di  diece  donne  baono,  e  non  di  cento. career  V  altro  giorno  fu  dischiuso; E  avuto  arme  e  cavallo  a  suo  talento, Contra  dieci  guerrier,  solo"  si  mise, E  l'uno  appresso  all'altro  in  piazza  uccise. 57    Fu  la  notte  seguente  a  prova Contra  diece  donzelle  ignudo  e  mìo, Dov'  ebbe  all' ardir  suo  si  buon  successo, Che  fece  il  saggio  di  tutto  lo  stuolo. E  questo  gli  acquistò  tal  grazia  appresso Ad  Oroutea,  che  Tebbe  per  figlinolo gli  diede  Alessandra  e  l'altre  nove Con  ch'avea  fatto  le  notturne  prove. stanza  91. 58  E  lo  lasciò  con  Alessandra  bella, poi  die  nome  a  questa  terra,  erede, Con  patto  eh'  a  servare  egli  abbia  quella Legge,  ed  ogni  altro  che  da  lui  succede:Che  ciascun  che  giammai  sua  fiera  stella Farà  qui  por  lo  sventurato  piede, Elegger  possa,  0  in  sacrificio  darsi, 0  con  dieci  guerrier,  solo,  provarsi. 59  E  se  gli  avvien  che'l  di  gli  uomini  uccida, L%  notte  con  le  femmine  si  provi; E  quando  in  questo  ancor  tanto  gli  arrida La  sorte  sua,  che  vincitor  si  trovi, Sia  del  femmineo  stuol  priucipe  e  guida, E  la  decina  a  scelta  sua  rinnovi, Con  la  qual  regni,  fin  eh' un  altro  arrivi, Che  sia  più  forte,  e  lui  di  vita  privi. 60  Appresso  a  dua  mila  auni  il  costume  empio Si  è  mantenuto,  e  si  mantiene  ancora; E  sono  pochi  giorni  che  nel  tempio Uno  infelice  peregrin  non  mora. Se  contra  dieci  alcun  chiede,  ad  esempio D'Elbanio,  armarsi  (che  ve  n'è  talora), Spesso  la  vita  al  primo  assalto  lassa; di  mille  uno  all'altra  prova  passa. 61  Pur  ci  passano  alcuni;  ma  si  rari, Che  su  le  dita  annoverar  si  ponno. Uno  di  questi  fu  Argilon;  ma  guari Con  la  decina  sua  non  fu  qui  donno; Che  cacciandomi  qui  venti  contrari, Gli  occhi  gli  chiusi  in  sempiterno  sonno. Cosi  fossi  io  con  lui  morto  quel  giorno, 

Prima  che  viver  servo  in  tanto  scorno. 62  Che  piaceri  amorosi  e  riso  e  gioco, Che  suole  amar  ciascun  della  mia  etade, Le  purpore  e  le  gemme,  e  l'aver  loco agli  altri  nella  sna  cittade, Potuto  hanno,  per  Dio,  mai  giovar  poco All'uom  che  privo  sia  di  libertade: E  U  non  poter  mai  più  di  qui  levarmi, Servitù  grave  e  intollerabil  parmi. 63  II  vedermi  lograr  dei  miglior  anni Il  più  bel  fiore  in  si  vile  opra  e  molle, Tienuni  il  cor  sempre  in  stimulo  e  in  affanni. Ed  ogni  gusto  di  piacer  mi  tolle. fama  del  mio  sangue  spiega  i  vanni Per  tutto  '1  mondo,  e  fin  al  ciel  s' estolle:Che  forse  buona  parte  anch'io  n'avrei, S' esser  potessi  coi  fratelli  miei. 64  Parmi  ch'ingiuria  il  mio  destin  mi  faccia. Avendomi  a  sì  vii  servigio  eletto; Còme  chi  nell'armento  il  destrier  caccia. Il  qual  d'occhi  o  di  piedi  abbia  difetto, O  per  altro  accidente  che  dispiaccia, Sia  fatto  all' arme  e  a  miglior  uso  inetto:Né  sperando  io,  se  non  per  morte,  uscire Di  sì  vii  servitù,  bramo  morire. 65  Ouidon  qui  fine  alle  parole  pose, E  maledì  quel  giorno  per  isdegno, qual  dei  cavalieri  e  delle  spose Gli  die  vittoria  in  acquistar  quel  regno. Astolfo  stette  a  udire,  e  si  nascose Tanto,  che  si  fé'  certo  a  più  d'un  segno, Che,  come  detto  avea,  questo  Guidone figliuol  del  suo  parente  Amone. 

66  Poi  gli  rispose:  Io  sono  il  duca  inglese. Il  tuo  cugino  Astolfo;  ed  abbracciollo, con  atto  amorevole  e  cortese, Non  senza  sparger  lagrime,  baciollo. parente  mio,  non  più  palese madre  ti  potea  por  segno  al  collo; Ch'  a  farne  fede  che  tu  sei  de'  nostri, Basta  il  valor  che  con  la  spada  mostri. 67  Guidon,  ch'altrove  avria  fatto  gran  festa D'aver  trovato  un  sì  stretto  parente, Quivi  l'accolse  con  la  faccia  mesta, Perchè  fu  di  vedervilo  dolente. Se  vive,  sa  ch'Astolfo  schiavo  resta, Né  il  termine  è  più  là  chel  dì  seguente; Se  fia  libero  Astolfo,  ne  more  esso: Si  che'l  ben  d'uno  é  il  iQal  dell'altro  espresso. Gli  duol  che  gli  altri  cavalieri  ancora Abbia,  vincendo,  a  far  sempre  captivi. Né  più,  quando  esso  in  quel  contrasto  mora. Potrà  giovar  che  servitù  lor  schivi; Che  se  d'un  fango  ben  li  porta  fiiora, E  poi  s' inciampi  come  all' altro  arrivi, Avrà  lui  senza  prò  vinto  Marfisa; Ch'  essi  pur  ne  fien  schiavi,  ed  ella  uccisa. 69  Dall'altro  canto  avea  l'acerba  etade, La  cortesia  e  il  valor  del  giovinetto D'amore  intenerito  e  di  pietade a  Marfisa  ed  ai  compagni  il  petto, Che,  con  morte  di  lui  lor  libertade Esser  dovendo,  avean  quasi  a  dispetto: E  se  Marfisa  non  può  far  con  manco, Ch'  uccider  lui,  vuol  essa  morir  anco. 70  Ella  disse  a  Guidon:  Yientene  insieme Con  noi,  eh' a  vìva  forza  uscirem  quinci. Deh,  rispose  Guidon,  lascia  ogni  speme mai  più  uscirne,  o  perdi  meco  o  vinci. Ella  soggiunse: Il  mio  cor  mai  non  teme Di  non  dar  fine  a  cosa  che  cominci; Né  trovar  so  la  più  sicura  strada Di  quella  ove  mi  sia  guida  la  spada. 71  Tal  nella  piazza  ho  il  tuo  valor  provato, Che,  s' io  son  teco,  ardisco  ad  ogn'  impresa. Quando  la  turba  intomo  allo  steccato Sarà  domani  in  sul  teatro  ascesa, Io  vo'che  l'uccidiam  per  ogni  lato, 0  vada  in  fuga  o  cerchi  far  difesa, E  ch'indi  ai  lupi  e  agli  avoltoi  del  loco LasciamoM  corpi,  e  la  cittade  al  foco. 72  Soggiunse  a  lei  Guidon:  Tu  m'avrai  pronto A  seguitarti,  ed  a  morirti  accanto. Ma  vivi  rimaner  non  facciam  conto; Bastar  ne  può  di  vendicarci  alquanto:Che  spesso  dieci  mila  in  piazza  conto Del  popol  femminile;  ed  altrettanto Resta  a  guardare  e  porto  e  ròcca  e  mura, Né  alcuna  via  d'uscir  trovo  sicura. 73  Disse  Marfisa:  E  molto  più  sieuo  elle uomini  che  Serse  ebbe  già  intomo, E  sieno  più  dell'anime  ribelle Ch'uscir  del  ciel  con  lor  perpetuo  scorno; Se  tu  sei  meco,  o  almen  non  sie  con  quelle, Tutte  le  voglio  uccidere  in  un  giorno. Guidon  soggiunse:  Io  non  ci  so  via  alcuna Oh' a  valer  n'abbia,  se  non  vai  quest'una. 74  Né  può  sola  salvar,  se  ne  succede, Qaestuna  chMo  dirò,  ch'or  mi  sovviene. Fuor  eh' alle  donne,  uscir  non  si  concede, Né  metter  piede  in  su  le  salse  arene:per  questo  commettermi  alla  fede D'una  delle  mie  donne  mi  conviene. Del  cui  perfetto  amor  fatta  ho  sovente Più  prova  ancor,  ch'io  non  farò  al  presente. 75  Non  men  di  me  tormi  costei  disia Di  servitù,  purché  ne  venga  meco: Che  cosi  spera,  senza  compagnia Delle  rivali  sue,  ch'io  viva  seco. Ella  nel  porto  o  fusta  o  saettia Farà  ordinar,  mentre  è  ancor  l'aer  cieco, Ohe  i  marinari  vostri  troverannoAcconcia  a  navigar,  come  vi  vanno. 76  Dietro  a  me  tutti  in  un  drappel  ristretti. Cavalieri,  mercanti  e  galeotti, Ch'ad  albergarvi  sotto  a  questi  tetti. Meco,  vostra  mercè,  sete  ridotti, Avrete  a  farvi  ampio  sentier  coi  petti, Sedei  nostro  cammin  siamo  interrotti: Cosi  spero,  aiutandoci  le  spade, Ch'io  vi  trarrò  della  crudel  cittade. 77  Tu  fa  come  ti  par,  disse  Marfisa, Ch'io  son  per  me  d'uscir  di  qui  sicura. Più  facil  fia  che  di  mia  mano  uccisa La  gente  sia,  eh' è  dentro  a  queste  mura. Che  mi  veggi' fuggire,  o  in  altra  guisa Alcun  possa  notar  eh' abbi' paura. Vo' uscir  di  giorno,  e  sol  per  forza  d'arme; Che  per  ogni  altro  modo  obbrobrio  parme. 78  S'io  ci  fossi  per  donna  conosciuta, So  eh'  avrei  dalle  donne  onore  e pregio;E volentieri  io  ci  sarei  tenuta, E  tra  le  prime  forse  del  collegio: Ma  con  costoro  essendoci  venuta, Non  ci  vo' d'essi  aver  più  privilegio. Troppo  error  fora  ch'io  mi  stessi  o  andassi ,  e  gli  altri  in  servitù  lasciassi. 79  Queste  parole  ed  altre  seguitando. Mostrò  Marfisa  che  '1  rispetto  solo Ch'avea  al  periglio  de' compagni  (quando Potria  loro  il  suo  ardir  tornare  in  duolo) La  tenea  che  con  alto  e  memorando Segno  d'ardir  non  assalia  lo  stuolo: E  per  questo  a  Guidon  lascia  la  cura D'usar  la  via  che  più  gli  par  sicura. 80  Guidon  la  notte  con  Aleria  parla (Così  avea  nome  la  più  fida  moglie) Né  bisogno  gli  fu  molto  pregarla; Che  la  trovò  disposta  alle  sue  voglie. Ella  tolse  una  nave  e  fece  armarla, E  v'  arrecò  le  sue  più  ricche  spoglie, Fingendo  di  volere  al  nuovo  albore Con  le  compagne  uscire  in  corso  fuore. 81  Ella  avea  fatto  nel  palazzo  innanti Spade  e  lance  arrecar,  corazze  e  scudi, Onde  armar  si  potessero  i  mercanti E  i  galeotti  ch'eran  mezzo  nudi. Altri  dormirò,  ed  altri  stér  vehiantì Compartendo  tra  lor  gli  ozi  e  gli  studi; Spesso  guardando,  e  pur  con  l'arme  indo&yj Se  l'oriente  ancor  si  facea  rosso. 82  Dal  duro  volto  della  terra  il  sole    • Non  tollea  ancora  il  velo  oscuro  ed  atro Appena  avea  la  Licaonia  prole Per  li  solchi  del  ciel volto l'aratro; Quando  il  femmineo  stuol,  che  veder  vu')!c Il  fin  della  battaglia,  empi  il  teatro. Come  ape  del  suo  claustro  empie  la  soglia, mutar  regno  al  nuovo  tempo  voglia. 83  Di  trombe,  di  tambur,  di  suon  di  corni Il  popol  risonar  fa  cielo  e  terra. Cosi  citando  il  suo  signor,  che  tomi A  terminar  la  incominciata  guerra. Aquìlante  e  Grifon  stavano  adorni Delle  lor  arme,  e  il  duca  d'Inghilterra, Guidon,  Marfisa,  Sansonetto  e  tutti Gli  altri,  chi  a  piedi  e  chi  a  cavallo  instrutti. 84  Per  scender  dal  palazzo  al  mare  e  al  port  > La  piazza  traversar  si  convenia; Né  v'  era  altro  cammin  lungo  né  corto:Cosi  Guidon  disse  alla  compagnia. poi  che  di  ben  far  molto  conforto Lor  diede,  entrò  senza  rumore  in  vìa; E  nella  piazza  dove  il  popol  era, S'appresentò  con  più  di  cento  in  schiera. 85  Molto  affrettando  i  suoi  compagni,  andava Guidone  all'altra  porta  per  uscire: Ma  la  gran  moltitudine  che  stava Intorno  armata,  e  sempre  atta  a  ferire, Pensò,  come  lo  vide  che  menava Seco  quegli  altri,  che  volea  fuggire; E  tutta  a  un  tratto  agli  archi  suoi  ricorse, E  parte,  onde  s' uscia,  venne  ad  opporse. 86      Guidone  e  gli  altri  cavalier  gagliardi, E  sopra  tutti  lor  Marfisa  forte. Al  menar  delle  man  non  fnron  tardi, E  molto  fér  per  isforzar  le  porte: lIa  tanta  e  tanta  copia  era  dei  dardi Cbe,  con  ferite  dei  compagni  e  morte, Pioveano  lor  di  sopra  e  d  ogn'  intorno, Ch'  alfin  temean  d'averne  danno  e  scorno. 2    Ma  che  direte  del  già  tanto  fiero Cor  dì  Marfisa  e  di  Gnidon  Selvaggio? Dei  dna  giovini  figli  d  Oliviero, Che  già  tanto  onoraro  il  lor  lignaggio? Già  cento  mila  avean  stimato  un  zero; E  in  fuga  or  se  ne  van  senza  coraggio, l'ome  conigli  o  timidi  colombi, A  cui  vicino  alto  rumor  rimbombi. 87      D'ogui  guerrìer  T usbergo  era  perfetto; Che  se  non  era,  avean  più  da  temere. Fu  morto  il  destrier  sotto  a  Sinsontto; Quel  di  Marfisa  v  ebbe  a  rimanere. Astolfo  tra  sé  disse:  Ora,  ch aspetto Che  mai  mi  possi  il  corno  più  valere? Io  vo'  veder,  poiché  non  giova  spada, io  so  col  corno  assicurar  la  strada. 88  Come  aiutar  nelle  fortune  estreme si  suol,  si  pone  il  corno  a  bocca. che  la  terra  e  tutto  '1  mondo  trieme, Quando  Porribil  suon  neiraria  scocca. Sì  nel  cor  della  gente  il  timor  preme, per  disio  di  fuga  si  trabocca Giù  del  teatro  sbigottita  e  smorta, Non  che  lasci  la  guardia  della  porta. Come  talor  si  getta  e  si  periglia E  da  finestra  e  da  sublime  locoL esterrefatta  subito  famiglia. Che  vede  appresso  e  d'ogn intomo  il  fuoco, Che,  mentre  le  tenea  gravi  le  ciglia Il  pigro  sonno,  crebbe  a  poco  a poco;Così,  messa  la  vita  in  abbandono, Ognun  f uggia  lo  spaventoso  suono. 90  Di  qua  di  là,  di  su  di  giù  smarrita Surge  la  turba,  e  di  fuir  procaccia:Son  più  dì  mille  a  un  tempo  ad  ogni  uscita; Cascano  a  monti,  e  Puna  l'altra  impaccia. In  tanta  calca  perde  altra  la  vita:palchi  e  da  finestre  altra  si  schiaccia:Più  d'un  braccio  si  rompe  e  d'una  testa. Di  eh'  altra  morta,  altra  storpiata  resta. stanza  109. 91     II  pianto  e '1  grido  insino  al  ciel  saliva, D'alta  mina  misto  e  di  fracasso. ,  ovunque  il  suon  del  corno  arriva, La  turba  spaventata  in  fuga  il  passo. udite  dir  che  d'ardimento  priva La  vii  plebe  si  mostri  e  di  cor  basso, Non  vi  maravigliate;  che  natura È  della  lepre  aver  sempre  paura. 93    Cosi  noceva  ai  suoi,  come  agli  strani  La  forza  che  nel  comò  era  incantata. ,  Guidone  e  i  duo  germani Fuggon  dietro  a  Marfisa  spaventata; fuggendo  ponno  ir  tanto  lontani. Che  lor  non.  sia  l'orecchia  anco  intronata. Scorre  Astolfo  la  terra  in  ogni  lato, Dando  via  sempre  al  corno  maggior  fiato. 94    Chi  scese  al  mare,  e  chi  poggilo  su  al  monte, E  chi  tra  i  boschi  ad  occultar  si  venne: Alcuna,  senza  mai  volger  la  fronte, Fuggir  per  dieci  di  non  si  ritenne:Usci  in  tal  punto  alcuna  fuor  del  ponte . ChMn  vita  sua  mai  più  non  vi  rivenne: Sgombraro  inmodoe  piazze  e  templi  e  case, Che  quasi  vota  la  città  rimase. 06    Marfisa  e'I  buon  Guidone  e  i  duo  fratelli E  Sansonetto,  pallidi  e  tremanti, Fuggiano  inverso  il  mare,  e  dietro  a  quelli Fuggiano  i  marinari  e  i  mercatanti; Ove  Aleria  trovar,  che  fra  i  castelli Loro  avea  un  legno  apparecchiato  innanti. Quindi,  poi  eh  in  gran  fretta  gli  raccolse, Die  i  remi  air  acqua,  ed  ogni  vela  sciolse. 96  Dentro  e  dintorno  il  duca  la  cittade Avea  scorsa  dai  colli  insino  alPonde; Fatto  avea  vote  rimaner  le  strade; Ognun  lo  fugge,  ognun  se  gli  nasconde. trovate  fur,  che  per  viltade S' eran  gittate  in  parti  oscure  e  immonde; E  molte,  non  sappiendo  ove  s'andare, Messesi  a  nuoto  ed  affogate  in  mare. 97  Per  trovare  i  compagni  il  duca  viene, si  credea  di  riveder  sul  molo. Si  volge  intorno,  e  le  deserte  arene Guarda  per  tutto,  e  non  v'appare  un  solo. Leva  più  gli  occhi,  e  in  alto  a  vele  piene Da  sé  lontani  andar  li  vede  a  volo:Si  che  gli  convien  fare  altro  disegno Al  suo  cammin,  poiché  partito  é  il  legno. 98  Lasciamolo  andar  pur:  né  vi  rincresca Che  tanta  strada  far  debba  soletto Per  terra  d'infedeli  e  barbaresca. Dove  mai  non  si  va  senza  sospetto: Non  é  periglio  alcuno,  onde  non  esca Con  quel  suo  corno,  e  n'ha  mostrato  effetto: E  dei  compagni  suoi  pigliamo  cura. Ch'ai  mar  fuggian  tremando  di  paura. 99  A  piena  vela  si  cacciaron  Innge crudele  e  sanguinosa  spiaggia; E,  poi  che  di  gran  lunga  non  li  giunge L'orribil  suon  ch'a  spaventar  più  gli  aggia, Insolita  vergogna  si  li  punge, Che,  com'un  fuoco,  a  tutti  il  viso  raggia: L'un  non  ardisce  a  mirar  l'altro,  e  stassi Tristo,  senza  parl,  eoa  gli  occhi  bassi. 100  Passa  il  nocchiero,  al  suo  viaggio  intenta. E  Cipro  e  Rodi,  e  giù  per  l'onda  Egea Da  sé  vede  fuggire  isole  cento Col  periglioso  capo  di  Malea; E  con  propizio  ed  immutabil  vento Asconder  vede  la  greca  Morea: Volta  Sicilia,  e  per  lo  mar  tirreno Costeggia  dell' Italia  il  lite  ameno:101  E  sopra  Luna  ultimamente  sorse, Dove  lasciato  avea  la  sua  fEuniglia; Dìo  ringraziando,  che  '1  pelago  corse Quindi  un  nocchier  trovar  per  Francia  sdorse. Il  qual  di  venir  seco  li  consiglia: E  nel  suo  legno  ancor  quel  dì  montare, Ed  a  Marsilia  in  breve  si  trovare. 102  Quivi  non  era  Bradamante  allora, Che  se  vi  fosse,  a  far  seco  dimora avria  sforzati  con  parlar  cortese. Sceser  nel  lito,  e  la  medesima  ora Dai  quattro  cavalier  congedo  prese Marfisa,  e  dalla  donna  del  Selvaggio; E  pigliò  alla  ventura  il  suo  viaggio, Dicendo  che  lodevole  non  era andasser  tanti  cavalieri  insieme:Che  gli  storni  e  i colombivanno  in  schiera. I  daini  e  i  cervi  e  ogni  animai  che  teme; Ma  l'audace  falcon,  l'aquila  altiera, Che  nell'aiuto  altrui  non  metton  speme, Orsi,  tigri,  leon,  soli  ne  vanno, Che  di  più  forza  alcun  timor  non  hanno. Nessun  degli  altri  fu  di  quel  pensiero: ch'a  lei  sola  toccò  a  far  partita. Per  mezzo  i  boschi  e  per  strano  sentiero Dunque  ella  se  n'andò  sola  e  romita. Grifone  il  bianco  ed  Aquilante  il  nero con  gli  altri  duo  la  via  più  trita, E  giunsero  a  un  castello  il  di  seguente, Dove  albergati  fur  cortesemente. 105  Cortesemente  io  dico  in  apparenza, Ma  tosto  vi  sentir  contrario  effetto; Che  '1  signor  del  castel,  benevolenza Fingendo  e  cortesia,  lor  die  ricette; E  poi  la  notte,  che  sicuri  senza Timor  dormian,  li  fé'  pigliar  nel  letto; Né  prima  li  lasciò,  che  d'osservare Una  costuma  ria  li  fé'  giurare, 106  Ma  Yo'segair  la  bellicosa  donna. Prima,  signor,  che  di  costor  più  dica. Passò  Druenza,  il  Rodano  e  la  Sonna, venne  appiè  d'una  montagna  aprica. Quivi  lungo  nn  torrente  in  negra  gonna Vide  venire  nna  femmina  antica, Che  stanca  e  lassa  era  di  lunga  via, Ma  via  più  afflitta  di  malenconia. 107  Questa  è  la  vecchia  che  solea  servire Ai  malandrin  nel  cavernoso  monte, dove  alta  giustizia  fé  venire E  dar  lor  morte  il  paladino  conte. La vecchia,che  timore  ha  di  morire Per  le  cagion  che  poi  vi  saran  conte, Già  molti  di  va  per  via  oscura  e  fosca, 112  Ma  poi  che  fu  levato  di  sul  colle L'incantato  Castel  del  vecchio  Atlante, E  che  potè  ciascuno  ire  ove  volle. opra  e  per  virtù  di  Bradamante; Costei,  ch'alli  disii  facile  e  molle Di  Pinabel  sempre  era  stata  innante, Si  tornò  a  lui,  ed  in  sua  compagnia Non  si  potè  tenere  a  bocca  chiusa Di  non  la  motteggiar  con  beffe  e  risa. Marfisa  altiera,  appresso  a  cui  non  s'usa Sentirsi  oltraggio  in  qualsivoglia  guisa. Rispose  d'ira  accesa  alla  donzella. Che  di  lei  quella  vecchia  era  più  bella; 108     Quivi  d'estrano  cavalier  sembianza L'ebbe  Marfisa  all'abito  e  all'arnese; E  perciò  non  fuggì,  com'avea  usanza dagli  altri  eh'  eran  del  paese; Anzi  con  sicurezza  e  con  baldanza Si  fermò  al  guado,  e  di  lontan  l'attese:La  vecchia  le  usci  incontra,  e  salutolla. 114    E  ch'ai  suo  cavalier  volea  provallo. Con  patto  di  poi  tórre  a  lei  la  gonna Gittava  il  cavalier  di  ch'era  donna. Pinabel  che  faria,  tacendo,  fallo. Di  risponder  con  l'arme  non  assonna:Poi  vien  Marfisa  a  ritrovar  con  ira. 109    Poi  la  pregò  che  seco  oltr'  a  quell' acque Nell'altra  ripa  in  groppa  la  portasse.Marfisa,  che  gentil  fu  da  che  nacque, Di  là  dal  fiumicel  seco  la  trasse; E  portarla  anch' un  pezzo  non  le  spiacque. Fin  eh'  a  miglior  cammin  la  ritornasse, Fuor  d'un  gran  fango;  e  al  fin  di  quel  sentiero Si  videro  all'incontro  un  cavaliere. 11.5    Marfisa  incontra  una  gran  lancia  afferra, E  nella  vista  a  Pinabel  l'arresta, E  sì  stordito  lo  riversa  in  terra, Che  tarda  un'ora  a  rilevar  la  testa. Marfisa,  vincitrice  della  guerra. Fé'  trarre  a  quella  giovane  la  vesta, ogn'  altro  ornamento  le  fé'  porre, E  ne  fé'  il  tutto  alla  sua  vecchia  tórre:II  cavalier  su  ben  guernita  sella, Di  lucide  arme  e  di  bei  panni  ornatj, Verso  il  fiume  venia,  da  una  donzella E  da  un  solo  scudiero  accompagnato. donna  ch'avea  seco,  era  assai  bella, Ma  d'altiero  sembiante  e  poco  grato, Tutta  d'orgoglio  e  di  fastidio  piena, Del  cavalier  ben  degna,  che  la  mena. 116    E  di  quel  giovenile  abito  volse Che  si  vestisse  e  se  n'ornasse  tutta; E  fé'  che  '1  palafreno  anco  si  tolse, Che  la  giovane  avea  quivi  condutta. Indi  al  preso  cammin  con  lei  si  volse, Che  quant'era  più  ornata,  era  più  brutta. Tre  giorni  se  n'  andar  per  lunga  strada, Senza  far  cosa  onde  a  parlar  m'accada. IH    Pinabello,  un  de' conti  maganzesi, Era  quel  cavalier  eh'  ella  avea  seco; Quel  medesmo  che  dianzi  a  pochi  mesi Bradamante  gittò  nel  cavo  speco. Quei  sospir,  quei  singulti  cosi  accesi, Quel  pianto  che  lo  fé'  già  quasicieco, Tutto  fu  per  costei  eh'  or  seco  avea, Che  '1  negromante  allor  gli  ritenea. 117    U  quarto  giorno  un  cavalier  trovare. venia  in  fretta  galoppando  solo. Se  di  saper  chi  sia  forse  v'  è  caro, eh' è  Zerbin,  di  re  figliuolo, Di  virtù  esempio  e  di  bellezza  raro. Che  sé  stesso  rodea  d'ira  e  di  duolo Di  non  aver  potuto  far  vendetta D'un  che  gli  avea  gran  cortesia  interdetta. 118    Zerbino  indarno  per  la  selva  corse Dietro  a  quel  suo  che  gli  avea  fatto  oltraggio; Ma  si  a  tempo  colui  seppe  via  torse, Si  seppe  nel  fuggir  prender  vantaggio, Si  il  bosco  e  si  una  nebbia  lo  soccorse, Ch'  avea  offuscato  il  mattutino  raggio, di  man  di  Zerbin  si  levò  netto, Finché  Tira  e  il  furor  gli  uscì  del  petto. 119  Non  potè,  ancor  che  Zerbin  fosse  iratx), Tener,  vedendo  quella  vecchia,  il  riso; Che  gli  parca  dal  giovenile  ornato Troppo  diverso  il  brutto  antiquo  viso; Ed  a  Marfisa,  che  le  venia  a  lato, Che  damigella  di  tal  sorte  guidi. non  temi  trovar  chi  te  la  invidi. 120  Avea  la  donna  (se  la  crespa  buccia PuA  dame  indicio)  più  della  Sibilla, E  parca,  cosi  ornata,  una  bertnccia, Ed  or  più  brutta  par,  che  si  corruccia, E  che  dagli  occhi  Tira  le  sfavilla; Ch'a  donna  non  si  fa  maggior  dispetto, Che  quando  o  vecchia  o  brutta  le  vieu  detto 121  Mostrò  torbarse  V  inclita  donzella, Per  prenderne  piacer,  come  si  prese:E  rispose  a  Zerbin:  Mia  donna  è  bella. Per  Dio,  via  più  che  tu  non  sei  cortese: Comech'io  creda  che  la  tua  favella quel  che  sente  V  animo  non  scese:fingi  non  conoscer  sua  beltade, Per  escusar  la  tua  somma  viltade. E  chi  saria  quel  cavalier  che  questa Si  giovane  e  sì  bella  ritrovasse Senza  più  compagnia  nella  foresta, che  di  farla  sua  non  si  provasse?Sì  ben,  disse  Zerbin,  teco  s'assesta, saria  mal  eh'  alcun  te  la  levasse:Ed  io  per  me  non  son  così  indiscreto, Che  te  ne  privi  mai:  stanne  pur  lieto. 123  S'in  altro  conto  aver  vuoi  a  far  meco. quel  ch'io  vaglio  son  per  farti  mostra: per  costei  non  mi  tener  sì  cieco,Che  solamente  far  voglia  una  giostra. 0  brutta  o  bella  sia,  restisi  teco: vò' partir  tanta  amicizia  vostra. Com'  ella  è  bella,  tu  gagliardo  sei. 124  Soggiunse  a  lui  Marfisa:  Al  tuo  dispetti". Di  levarmi  costei  provar  convienti.Non  vo' patir  ch'un  sì  leggiadro  aspetto Abbi  veduto,  e  guadagnar  noi  tenti Rispose  a  lei  Zerbin:  Non  so  a  ch'effetto L'uom  si  metta  a  periglio  e  si  tormenti Per  riportarne  una  vittoria  poi, Che  giovi  al  vinto,  e  al  vincitore  annoi. Se  non  ti  par  questo  partito  buono, ne  do  un  altro,  e  ricusar  noi  dèi (Disse  a  Zerbin  Marfisa):  che  s'io  sono 

Vinto  da  te,  m' abbia  a  restar  costei; Ma  s' io  te  vinco,  a  forza  te  la  dono. Dunque  proviam  chi  de' star  senza  lei. Se  perdi,  converrà  che  tu  le  faccia Compagnia  sempre,  ovunque  andar  le  piaccia. 126  E  cosi  sia,  Zerbin  rispose;  e  volse pigliar  campo  subito  il  cavallo. Si  levò  su  le  staffe,  e  si  raccolse Fermo  in  arcione;  e  per  non  dare  in  fallo. Lo  scudo  in  me7zo  alla  donzella  colse; Mar  parve  urtasse  un  monte  di  metallo: Ed  ella  in  guisa  a  lui  toccò  l'elmetto. Che  stordito  il  mandò  di  sella  netto. 127    Troppo  spiacque  a  Zerbiu  Tesser  caduto, altro  scontro  mai  più  non  gli  avvenne, E  n'avea  mille  e  mille  egli  abbattuto; Ed  a  perpetuo  scorno  se  lo  tenne. Stette  per  lungo  spazio  in  terra  muto; E  più  gli  dolse  poi  che  gli  sovvenne Ch'avea  promesso  e  che  gli  convenia Aver  la  bratta  vecchia  in  compagnia. Tornando  a  lui  la  vincitrice  in  sella, Disse  ridendo: Questa  t' appresento; E  quanto  più  la  veggio  e  grata  e  bella, Tanto,  eh ella  sia  tua,  più  mi  contento. Or  tu  in  mio  loco  sei  campion  di  quella; Ma  la  tua  fé  non  se  ne  porti  il  vento, Che  per  sua  guida  e  scorta  tu  non  vada, Come  hai  promesso,  ovunque  andar  l'aggrada. 129  Senza  aspettar  risposta  urta  il  destriero Per  la  foresta,  e  subito  s' imbosca. Zerbin,  che  la  stimava  un  cavaliero, 

Dice  alla  veccbia: Fa  eh'  io  lo  conosca. Ed  ella  non  gli  tiene  ascoso  il  vero, Onde  sa  che  lo'ncende  e  che  l'attosca: Il  colpo  fu  di  man  d'una  donzella, Che  t' ha  fatto  votar,  disse,  la  sella. 130  Pel  suo  valor  costei  debitamente E  venuta  è  pur  dianzi  d'oriente di  questo  tal  vergogna  sente, Cbe  non  pur  tinge  di  rossor  la  guancia, Ma  restò  poco  di  non  farsi  rosso Seco  ogni  pezzo  d'arme  ch'avea  indosso. 131  Monta  a  cavallo,  e  sé  stesso  rampogna. Che  non  seppe  tener  strette  le  cosce. sé  la  vecchia  ne  sorride,  e  agogna Di  stimularlo  e  di  più  dargli  angosce. Gli  ricorda  eh'  andar  seco  bisogna:E  Zerbitì,  cb'  obbligato  si  conosce, L'orecchie  abbassa,  come  vinto  e  stanco Destrier  c'ha  in  bocca  il  fren,  gli  sproni  al  fianco. 132  E  sospirando:  Oimé,  fortuna  fella, Dìcea,  cbe  cambio  é  questo  che  tu  fai? Colei  che  fu  sopra  le  belle  bella. meco  dovea,  levata  m'hai. Ti  par  ch'in  luogo  ed  in  ristor  di  quella debba  por  costei  eh'  ora  mi  dai?in  danno  del  tutto  era  men  male, Che  fare  un  cambio  tanto  diseguale. 133    Colei  che  di  bellezze  e  di  virtuti Unqua  non  ebbe  e  non  avrà  mai  pare, e  rotta  tra  gli  scogli  acuti Hai  data  ai  pesci  ed  agli  augei  del  mare; E  costei,  che  dovria  già  aver  pasciuti Sotterra  i  vermi,  hai  tolta  a  preservare Dieci  0  venti  anni  più  che  non  dovevi, Per  dar  più  peso  agli  mie' affanni  grevi. stanza  116. 134    Zerbin  cosi  parlava;  né  men  tristo In  parole  e  in  sembianti  esser  parea Di  questo  nuovo  suo  sì  odioso  acquisto, die  della  donna  che  perduta  avea. La  vecchia,  ancorché  non  avesse  visto Mai  più  Zerbin,  per  quel  eh'  ora  dicea, S'avvide  esser  colui  di  che  notizia Le  diede  già  Isabella  di  Galizia. 135    Se  1  vi  ricorda  quel  ch'avete  udito, Costei  dalla  spelonca  ne  veniva, Dove  Isabella,  che  d'amor  ferito Zerbino  avea,  fu  molti  di  captiva. Più  volte  ella  le  avea  già  riferito Come  lasciasse  la  patema  riva, E  come  rotta  in  mar  dalla  procella, Si  salvasse  alla  spiaggia  di  Rocella. Stanza  144. 186    E  si  spesso  dipinto  di  Zerbino Le  avea  il  bel  viso  e  le  fattezze  conte, Ch'ora  udendol  parlare,  e  più  vicino Oli  occhi  alzandogli  meglio  nella  fronte, Vide  esser  qnel  per  cui  sempre  meschino Fu  d'Isabella  il  cor  nel  cavo  monte; Che  di  non  veder  lui  più  si  lagnava, Che  d'esser  fatta  ai  malandrini  schiava. 137    La  vecchia,  dando  alle  parole  ndieozi, Che  con  sdegno  e  con  duol  2ierbino  versa. S'avvede  ben  ch'egli  ha  falsa  credenza Che  sia  Isabella  in  mar  rotta  e  sommersa: E,  bench'  ella  del  certo  abbia  scienza, Per  non  lo  rallegrar,  pur  la  perversa Quel  che  far  lieto  lo  potria  gli  tace, E  sol  gli  dice  quel  che  gli  dispiace. 188  Odi  tu,  gli  diss'ella,  tu  che  sei Cotanto  altier,  che  si  mi  schemi  e  sprezzi: Se  sapessi  che  nuova  ho  di  costei morta  piangi,  mi  faresti  vezzi; Ma,  piuttosto  che  dirtelo,  torrei Che  mi  strozzassi,  o  fèssi  in  mille  pezzi, Dove,  s' eri  ver  me  più  mansueto, Forse  aperto  t'avrei  questo  secreto. 189  Come  il  mastin  che  con  furor  s'avventa Addosso  al  ladro,  ad  acchetarsi  è  presto, quello  o  pane  o  cacio  gli  ap presenta, 0  che  fa  incanto  appropriato  a  questo; Cosi  tosto  Zerbino  umil  diventa, E  vien  bramoso  di  sapere  il  resto, Che  la  vecchia  gli  accenna  che  di  quella, Che  morta  piange,  gli  sa  dir  novella. 140  E,  vólto  a  lei  con  più  piacevol  faccia. La  supplica,  la  prega,  la  scongiura Per  gli  uomini,  per  Dio,  che  non  gli  taccia Quanto  ne  sappia,  o  buona  o  ria  ventura. Cosa  non  udirai  che  prò  ti  faccia, Disse  la  vecchia  pertinace  e  dura: Non  è  Isabella,  come  credi,  morta; Ma  viva  si,  eh'  a'  morti  invidia  porta. 141  É  capitata  in  questi  pochi  giorni, Che  non  n'udisti,  in  man  di  più  di  venti: Si  che,  qualora  anco  in  man  tua  ritorni, Ve' se  sperar  di  córre  il  fior  convieutL Ah  vecchia  maladetta,  come  adomi La  tua  menzogna !  e  tu  sai  pur  se  menti Sebben  in  man  di  venti  eli' era  stata. Non  l'avea  alcun  però  mai  violata. 142  Dove  l'avea  veduta  domandolle Zerbino,  e  quando;  ma  nulla  n'invola. Che  la  vecchia  ostinata  più  non  volle, quel  eh'  ha  detto,  aggiungere  parola. Prima  Zerbin  le  fece  un  parlar  molle; Poi  minacciolle  di  tagliar  la  gola: Ma  tutto  è  invan  ciò  che  minaccia  e  prega; Che  non  può  far  parlar  la  bratta  strega. Lasciò  la  lina  all'ultimo  in  riposo Zerbin,  poiché  1  parlar  gli  giovò  poco; Per  quel  ch'udito  avea  tanto  geloso, Che  non  trovava  il  cor  nel  petto  loco; D'Isabella  trovar  si  disioso, Che  saria  per  vederla  ito  nel  foco:Ma  non  poteva  andar  più  che  volesse Colei,  poich'a  Marfisa  lo  promesse. 144    E  quindi  per  solingo  e  strano  calle, Dove  a  lei  piacque,  fu  Zerbin  condotto; Né  per  o  poggiar  monte,  o  scender  valle, Mai  si  guardaro  in  faccia,  o  si  fèr  motto. Ma  poi  ch'ai  mezzodì  volse  le  spalle Il  vago  sol,  fu  il  lor  silenzio  rotto Da  un  cavalier  che  nel  cammin  scontrare. Quel  che  seguì,  nell'altro  Canto  è  chiaro. NOTBL St.  1.  V.57.   Arpalice,  figlia  del  re  di  Tracia,  di fese valoroHamente  il  regrio  del  padre  contro  Neottole mo,  figlio  d'Achille.  Camilla  è  V  amabile  eroina  ùéì Eneide:  figlia  di  Metabo  re  de  Volsci,  diede  assistenza a  Tomo  re  de'Butali  nella  guerra  contro  il  troiano Enea.   Saffò  e  Corinna,  famose  poetesse  di  Grecia:della  prima  vivono  alcuni  frammenti  poetici,  e  il  metro saffico: di  Corinna,  se  il  Poeta  ha  inteso  la  tebana, questa  dicesi  avere  più  d  una  volta  superato  Pindaro nel  verseggiare. St.  5.  V.68.   Il  freddo  Ponto: regione  settentrio dell'Asia  minore,  ove  regnò  Mitridate.   Nel  medio evo  vi  fu  fondato  l'impero  di  Trebisonda;  e  fingono  i romanzi  che  ivi  Rinaldo  e  altri  paladini  facessero  gran prove  di  valore.   Jl  cavalier  ch'uccise  Almonte:  Or . St.  6.  v.16.   E  quel  ch'a  Chiarello,  ecc.: Rinaldo. Eusino: il  mar  Nero,  detto  dai  Latini  Eiixinua,  In esso  si  scarica  il  Danubio  (Istro)  per  varj  rami  (coma), che  formano  un  delta,  chiamato  Bogaao.   Al  duca ecc.  Anche  qui  il  Poeta  si  discosta  dalla  genea logia degli  eroi  romantici,  nella  quale  Ouidon  Selvaggio posto  come  figlio  di  Rinalio,  e  quindi  nipote  del  duca A  mone. St.  7.  V.27.   Noto:  vento  meridionale,  altrimenti Ostro,   Melibea:  città  della  Tessaglia,  ricordata  da Virgilio. St.  9.  V.2.   Tenitoro:  luogo  soggetto  a  domina zione altrui;  oggi  territorio,  distretto. St.  12.  V.8.   Come  piace  a  colei,  ecc.: alla  Fortuna. St.  13.  V.2.   Clitemnestra: meritamente  è  detta ,  perchè  tolse  la  vita  al  proprio  marito  Agamen none per  compiacere  ad  Egisto  suo  amante.  Essa  poi 

fu  uccisa  involontariamente  dal  figliuolo  Oreste;  di  che egli  divenne  ftirioso. St.  14.  V.2.   Chiama  crudo  Idomeneo,  perchè  tor nato da  Troia  sacrificò  lo  stesso  suo  figlinolo  per  voto che  aveva  fatto  d  immolare  il  primo  che  incontrasse tornando  in  patria. Ivi.  V.6.   Falanto  parti  veramente  di  Grecia  con molti  giovani  compagni,  e  fondò,  secondo  credesi,  iu Italia  Tarento,  ossia  Taranto.  Egli  però  non  era  nito, come  dice  l'Ariosto,  da  Clitemnestra,  né  durante  la  guerra di  Troia;  ma  come  tutti  gli  altri  costretti  ad  esular  con lui,  nasceva  dagU  amori  illegittimi  deUe  donne  spar tane nelle  lunghe  assenze  dei  mariti,  per  le  guerre  messe niche. Ivi.  V.8.   Dictea,  città  di  Creta  appiè  del  monte Ditte,  dove  i  favoleggiatori  pongono  il  famoso  Laberino fabbricato  da  Dedalo. St.  26.  V.3.   Discorsi:  discorrimenti,  correnti. St.  42.  V.56.   Non  concedo  però  che  qui  Medea,  ecc.:nome  espresso  a  significare  crudelissima  donna.  Medea, figlia  del  re  di  Coleo,  fuggita  con  Giasone  dalla  casa patema,  uccise  Assirto  piccolo  suo  fratello,  fece  morire tra  le  fiamme  Creusa,  figlia  di  Creonte  re  di  Corinto,  e tutta  quella  famiglia;  alla  fine  tmcidò  i  due  figlioletti che  aveva  avuti  da  Giasone. St.  8.  v.2.   La  città  di  queste  nuove  Amazzoni  è nominata  ancora  Alessandretta. St.  71.  V.2.   Ardisco  ad  ogni  impresa.  V'è  sott'in teso  mettermi,  o  espormi. St.  73.  V.2.   JJegli  uomini,  ecc.: del  numerosissimo esercito  con  cui  Serse  tentò  di  sottomettere  la  Grecia. St.  75.  V.5.   Saettia: piccol  naviglio,  velocissimo al  corso. St.  82.  V.31   ia  Licaonia  prole.  Intende  Calisto, di  Licaone,  altra  volta  ricordata,  e  Arcade  nato da  essa  e  da  Giove,  che  converti  amendue  neUe  due costellazioni  boreali  denominate  Orsa  maggiore  e  Orsa .  L' una  e  V  altra  hanno  apparenza  di  aratro  o carro,  e  sono  visibili  fino  allo  spuntar  delPalba;  quindi la  locuzione  di  questi  versi  importa:  appena  cominciava a  farsi  giorno. St.  100.  V.34.   Son  le  isole  deU'  Arcipelago  greco Capo  di  Malea: promontorio  meridionale  della  Laconia, dai  Latini  Malcea,  ora  Capo  Mailo  o  Capo  Sant'An gelo, pericoloso  per  gli  scogli  ond'è  attorniato. St.  106.  V.3.   Druensa: la  Durenza.   Sonna: la Saona,  due  influenti  nel  Rodano. St.  U3.  V.1.   Vezzosa:  qui  leziosa,  sazievole. St.  144.  V.6.   JZ  vago  sol:  errante,  che  gira. ESIMOPRIMO. Zarbiiio  per  dLfeDcliìr  Gabrlon,  vifliic  ft  cDtete  eon  ErsoBÌde e  lo  feriate  dì  colpo  mot  tale.  Il  wìnto  raccanta  >  Z"rlnii" le  tfceUeiiisgiiii  (luUa  vecchia;  ma  non  potando  veDliroe  aJl" pei  racerbirii  della  pbga,  si  fa tra3|iortarc  &liit>ve.  Z bino  e  la  vecchia,  nel    co  seguire  il  cammino,  (ono  frago tli  battaglia,  o  vcr.o  Quello  sì  avviano. Né  fune  iuiortu  crederò  eli  e  strin Soma  iiiiì  uè  aam  lgno  chiudo, Cttmù  la  fé  eli'  tiTia  l>eli'  alma  cin Del  siui  teuacé  imlissolubil  nodo, è  chi  gli  autiqnì  par  che  ai  dipinga La  anta  Fé  vestitna  in  altro  modu" Che  dMm  vel  bianco  che  la  cuupra  tutta; Chìin  sol  punto,  un  sol  neo  la  può  far  brutta: La  fede  uncina  non  debbe  efl"er  correità, 0  data  a  uu  solo,  u  data  infìeme  a  mille } E  coi  in  una  t?tlvft,  in  una  grotta   Lontan  dalle  cittadi  e  dalle  ville, Come  diuami  a'  i  ri  bua  ali,  iu  frotta Di  fentimon,  di  scritti  e  di  postilie 6enzii  giurare,  u  segno  altro  più  espresso, Basti  mia  volta  che  scabbia  promesso. CANTO   VENTESIMOPRIMO. 3  Quella  serrò,  come  serrar  si  debba In  ogni  impresa,  il  cavalier  Zerbino:£  quivi  dimostrò  che  conto  n'ebbe, Quando  si  tolse  dal  proprio  cammino, Per  andar  con  costei,  la  qual  gV  increbbe, Come  s'avesse  il  morbo  sì  vicino, Oppur  la  morte  istessa;  ma  potea, Più  che'l  disio,  quel  che  promesso  avea. 4  Dissi  di  lui,  che  di  vederla  sotto La  sua  condotta  tanto  al  cor  gli  preme, Che  n'  arrabbia  di  duol,  né  le  fa  motto:E  vanno  muti  e  taciturni  insieme: Dissi  che  poi  fu  quel  silenziorotto,Ch'ai  mondo  il  sol  mostrò  le  ruote  estreme, Da  un  cavaliero  avventuroso  errante, Ch'in  mezzo  del  cammin  lor  si  fé  innante. 5  La  vecchia  che  conobbe  il  cavaliero, Ch'era  nomato  Ermonide  d'Olanda, Che  per  insegna  ha  nello  scudo  nero Attraversata  una  vermiglia  banda. Posto  l'orgoglio  e  quel  sembiante  altiero, Umilmente  a  Zerbin  si  raccomanda, E  gli  ricorda  quel  ch'esso  promise Alla  guerriera  ch'in  sua  man  la  mise; 6  Perchè  di  lei  nimico  e  di  sua  gente Era  il  guerrier  che  centra  lor  venia:Ucciso  ad  essa  avea  il  padre  innocente, E  un  fratello  che  solo  al  mondo  avia; E  tuttavolta  far  del  rimanente. Come  degli  altri,  il  traditor  disia. Fin  eh'  alla  guardia  tua,  donna,  mi  sentì, Dicea  Zerbin,  non  vo'che  tu  paventi. 7  Come  più  presso  il  cavalier  si  specchia lu  quella  faccia  che  si  in  odio  gli  era: 0  di  combatter  meco  t'apparecchia. Gridò  con  voce  minacciosa  e  fiera, 0  lascia  la  difesa  della  vecchia. Che  di  mia  man  secondo  il  meito  pera. Se  combatti  per  lei,  rimarrai  morto; Che  così  avviene  a  chi  s'appiglia  al  torto. 8  Zerbin  cortesemente  a  lui  risponde, Che  gli  è  desir  di  bassa  e  mala  sorte, Ed  a  cavalleria  non  corrisponde. Che  cerchi  dare  ad  una  donna  morte:Se  pur  combatter  vuol,  non  si  nasconde: Ma  che  prima  consideri  eh'  importe Ch'un  cavalier,  com'era  egli,  gentile, Voglia  por  man  nel  sangue  femminile. Queste  gli  disse  e  più  parole  invano; E  fu  bisogno  alfin  venire  a'  fatti. Poi  che  preso  abbastanza  ebbon  del  piano, Tornarsi  incontra  a  tutta  briglia  ratti. Non  van  sì  presti  i  razzi  fuor  di  mano, Ch'  al  tempo  son  delle  allegrezze  tratti, Come  andaron  veloci  i  duo  destrieri Ad  incontrare  insieme  i  cavalieri. stanza  4. 10  Ermonide  d' Olanda  segnò  basso . Che  per  passare  il  destro  fianco  attese:Ma  la  sua  debol  lancia  andò  in  fracasso, E  poco  il  cavalier  di  Scozia  offese. Non  fu  già  l'altro  colpo  vano  e  casso: Ruppe  lo  scudo,  e  sì  la  spalla  prese. Che  la  forò  dall' uno  all' altro  lato, E  riversar  fé  Ermonide  sul  prato. 11  Zerbin,  che  si  pensò  d'averlo  ucciso, Di  pietà  vinto,  scese  in  terra  presto, E  levò  l'elmo  dallo  smorto  viso; E  quel  guerrier,  come  dal  sonno  desto, Senza  parlar  guardò  Zerbino  fiso; E  poi  gli  disse:  Non  m'è  già  molesto Ch'  io  sia  da  te  abbattuto,  eh'  ai  sembianti Mostri  esser  fior  de' cavalieri  erranti; 12  Ma  ben  mi  duol  che  questo  per  cagione    ' Dona  femmina  perfida  m avviene, A  cui  non  so  come  tu  sia  campione, Che  troppo  al  tuo  valor  si  disconviene. E  quando  tu  sapessi  la  cagione CVa  vendicarmi  di  costei  mi  mene, Avresti,  ognorche  rimembrassi,  affanno D' aver,  per  campar  lei,  fatto  a  me  danno. 13  E  se  spirto  abbastanza  avrò  nel  petto, Oh'  io  il  possa  dir  (ma  del  contrario  temo), Io  ti  farò  veder  chMu  ogni  effetto Scellerata  è  costei  più  ch'in  estremo. 10  ebbi  già  un  fratel  che  giovinetto D'Olanda  si  parti,  d'onde  noi  semo; E  si  fece  d'Eraclio  cavaliere, Ch'  allor  tenea  de' Greci  il  sommo  impero. 14  Quivi  divenne  intrinseco  e  fratello D'un  cortese  baron  di  quella  corte, Che  nei  confin  di  Servia  avea  un  castello Di  sito  ameno,  e  di  muraglia  forte. Nomossi  Argéo  colui  di  ch'io  favello. Di  questa  iniqua  femmina  consorte, La  quale  egli  amò  si,  che  passò  il  segno Ch'à  un  uom  si  convenìa,  come  lui,  degno. 15  Ma  costei,  più  volubile  che  foglia Quando  l'autunno  è  più  priva  d'umore, Che'l  freddo  vento  gli  arbori  ne  spoglia, E  le  soffia  dinanzi  al  suo  furore; Verso  il  marito  cangiò  tosto  voglia, Che  fisso  qualche  tempo  ebbe  nel  core; £  volse  ogni  pensiero,  ogni  disio D'acquistar  per  amante  il  fratel  mio. 16  Ma  né  si  saldo  all'impeto  marino L'Acrocerauno  d'infamato  nome, Né  sta  si  duro  incontra  Borea  il  pino Che  rinnovato  ha  più  di  cento  chiome. Che  quanto  appar  fuor  dello  scoglio  alpino, Tanto  sotterra  ha  le  radici;  come 11  mio  fratello  a'  prieghi  di costei, Nido  di  tutti  i  vizj  infandi  e  rei. 17  Or,  come  avviene  a  un  cavalier  ardito, Che  cerca  briga  e  la  ritrova  spesso, Fu  in  una  impresa  il  mio  fratel  ferito, Molto  al  Castel  del  "uè  compagno  appresso, Dove  venir  senza  aspettare  invito Solea,  fosse  o  non  fosse  Argéo  con  esso:E  dentro  a  quel  per  riposar  fermosse Tanto,  che  del  suo  mal  libero  fosse. 18  Mentre  egli  quivi  si  giaoea,  convenne Ch'in  certa  sua  bisogna  andasse  Argéa Tosto  questa  sfacciatar  a  tentar  venne n  mio. fratello,  ed  a  sua  usanza  feo; Ma  quel  fedel  non  oltre  più  sostenne Avere  ai  fianchi  un  stimolo  si  reo:Elesse,  per  servar  sua  fede  appieno, Di  molti  mal  quel  che  gli  parve  meno. 19  Tra  molti  mal  gli  parve  elegger  questo: Lasciar  d'Argéo  l'intrinsichezza  antiqua; Lungi  andar  si,  che  non  sia  manifesto Mai  più  il  suo  nome  alla  femmina  iniqua. Benché  duro  gli  fosse,  era  più  onesto, Che  satisfare  a  quella  voglia  obbliqua, 0  ch'accusar  la  moglie  al  suo  signore, Da  cui  fu  amata  a  par  del  proprio  core. 20  E  delle  sue  ferite  ancora  infermo, L'arme  si  veste,  e  del  caste!  si  parte; E  con  animo  va  costante  e  fermo Di  non  mai  più  tornare  in  quella  parte. Ma  che  gli  vai?  ch'ogni  difesa  e  schermo Gli  dissipa  fortuna  con  nuova  arte:Ecco  il  marito  che  ritorna  intanto, E  trova  la  moglier  che  fa  gran  pianto, 21  E  scapigliata,  e  con  la  faccia  rossa; E  le  domanda  di  che  sia  turbata. Prima  ch'ella  a  rispondere  sia  mossa Pregar  si  lascia  più  d'una  fiata, Pensando  tuttavia  come  si  possa Vendicar  di  colui  che  l'ha  lasciata: E  ben  convenne  al  suo  mobile  ingegno Cangiar  l'amore  in  subitaneo  sdegno. 22  Deh,  disse  alfine,  a  che  l'error  nascondo C'ho  commesso,  signor,  nella  tua  assenza? Che  quando  ancora  io'i  celi  a  tutto '1  moni), Celar  noi  posso  alla  mia  coscienza. L'alma  che  sente  il  suo  peccato  immondo. Paté  dentro  da  sé  tal  penitenza, Ch'avanza  ogni  altro  corporal  martire Che  dar  mi  possa  alcun  del  mio  fallire; 23  Quando  fallir  sia  quel  che  si  fa  a  forza. Ma  sia  quel  che  si  vuol,  tu  sappiranco: Poi  con  la  spada  dalla  immonda  scorza Sciogli  lo  spirto  immaculato  e  bianco, E  le  mie  luci  eternamente  ammorza; Che,  dopo  tanto  vituperio,  almanco Tenerle  basse  ognor  non  mi  bisogni, E  di  ciascun  ch'io  vegga,  io  mi  vergogni. CANTO   VENTESIMOPRIM24     IJ  tuo  compagno  ha  Tonor  mio  distratto; Questo  corpo  per  forza  ha  violato:E  perchè  teme  eh  io  ti  narri  il  tutto, Or  si  parte  il  yillan  senza  commiato. In  odio  con  quel  dir  gli  ebhe  ridatto Colui  che  più  d'ogni  altro  gli  fa  grato. Argéo  lo  crede,  ed  altro  non  aspetta; Ma  piglia  r  arme,  e  corre  a  far  vendetta. 25    E  come  quel  eh'  avea  il  paese  noto, Lo  giunse  che  non  fu  troppo  lontano; Chè'l  mio  fratello,  debole  ed  egroto, Senza  sospetto  se  ne  già  pian  piano:E  brevemente,  in  un  loco  remoto Pose,  per  vendicarsene,  in  lui  mino. Non  trova  il  fratel  mio  scusa  che  vaglia; Ch'  in  somma  Argéo  con  lui  vuol  la  battaglia stanza  12 26    Era  Vxm  sano,  e  pien  di  nuovo  sdegno; Infermo  V  altro,  ed  all' usanza  amico:Sì  ch'ebbe  il  fratel  mio  poco  ritegno Contro  il  compagno  fattogli  nimico. Dunque  Filandro  di  tal  sorte  indegno (Dell'infelice  giovene  ti  dico: Cosi  avea  nome),  non  soffirendo  il  peso Di  si  fiera  battaglia,  restò  preso. 27    Non  piaccia  a  Dio  che  mi  conduca  a  tale Il  mio  giusto  furore  e  il  tuo  demerto, Gli  disse  Argéo,  che  mai  sia  micidiale Di  te  ch'amava;  e  me  tu  amavi  certo. Benché  nel  fin  me  l'hai  mostrato  male: Pur  voglio  a  tutto  il  mondo  fare  aperto Che,  come  fui  nel  tempo  dell'amore Cosi  nell'odio  son  di  te  migliore. 28  Per  altro  modo  pnnirò  il  tao  fallo, Che  le  mie  man  più  nel  tuo  sangue  porre. Cosi  dicendo,  fece  sul  cavallo Di  verdi  rami  una  bara  comporre, E  quasi  morto  in  quella  riportallo Dentro  al  castello  in  una  chiusa  torre, Dove  in  perpetuo  perpunizioneCondannò  T  innocente  a  star  prigione. 29  Non  però  ch'altra  cosa  avesse  manco, Che  la  libertà  prima  del  partire; Perchè  nel  resto,  come  sciolto  e  franco Vi  comandava,  o  si  iacea  ubbidire. Ma  non  essendo  ancor  T  animo  stanco Di  questa  ria  del  suo  pensier  fornire, Quasi  ogni  giorno  alla  prigion  veniva; Ch'  avea  le  chiavi,  e  a  suo  piacer  V  apriva:30  E  movea'  sempre  al  mio  fratello  assalti, E  con  maggior  audacia  che  di  prima. Questa  tua  fedeltà,  dicea,  che  vaiti, Poiché  perfidia  per  tutto  si  stima? Oh  che  trionfi  gloriosi  ed  alti! Oh  che  superbe  spoglie  e  preda  opima! Oh  che  merito  alfin  te  ne  risulta, Se,  come  a  traditore,  ognun  t'insulta! 31  Quanto  utilmente,  quanto  con  tuo  onore M'avresti  dato  quel  che  da  te  volli ! Di  questo  si  ostinato  tuo  rigore La  gran  mercè  che  tu  guadagni,  or  tolli. In  prigion  sei,  né  crederne  uscir  fuore, Se  la  durezza  tua  prima  non  molli. Ma  quando  mi  compiacci,  io  farò  trama Di  riacquistarti  e  libertade  e  fama. 32  No,  no,  disse  Filandro,  aver  mai  speiie Che  non  sia,  come  suol,  mia  vera  fede, Sebben  centra  ogni  debito  mi  avviene Ch'  io  ne  riporti  si  dura  mercede, E  di  me  creda  il  mondo  men  che  bene: Basta  che  innanti  a  quel  che  'l  tutto  ve  le, E  mi  può  ristorar  di  grazia  eterna, Chiara  la  mia  innocenzia  sidiscerna. 33  Se  non  basta  eh'  Argéo  mi  tenga  pres  ì, Tolgami  ancor  questa  noiosa  vita. Forse  non  mi  fia  il  premio  in  ciel  conferò Della  buona  opra,  qui  poco  gradita. Fora'  egli,  che  da  me  si  chiama  offeso, Quando  sarà  quest'  anima  partita, S' avvedrà  poi  d'avermi  fatto  torto, E  piangerà  il  fedel  compagno  morto. 34  Così  più  volte  la  sfacciata  donna Tenta  Filandro,  e  toma  senza  fratto. Ma  il  cieco  suo  desir,  che  non  assonna Del  scellerato  amor  traer  constmtto, Cercando  va  più  dentro  eh'  alla  gonna Suoi  vizj  antiqui,  e  ne  discorre  il  tatto. Mille  pensier  fa  d'uno  in  altro  modo, Prima  che  fermi  in  alcun  d'essi  il  chiolo. 35  Stette  sei  mesi  che  non  messe  piede, Come  prima  facea,  nella  prigione; Di  che  il  miser  Filandro  e  spera  e  crei 3 Che  costei  più  non  gli  abbia  affezione. Ecco  fortuna,  al  mal  propizia,  diede A  questa  scellerata  occasione Di  metter  fin  con  memorabil  male Al  suo  cieco  appetito  irrazionale. 36  Antiqua  nimicizia  avea  il  marito Con  un  barou  detto  Morando  il  bello, Che,  non  v'essendo  Argéo,  spesso  era  ardita Di  correr  solo,  e  sin  dentro  al  castello; Ma,  s' Argéo  v'  era,  non  tenea  lo  'nvito, Né  s'accostava  a  dieci  miglia  a  quello. Or,  per  poterlo  indur  che  ci  venisse, D'ire  in  Qerusalem  per  voto  disse. 37  Disse  d'andare;  e  partesi  ch'osfuuno Lo  vede,  e  fa  di  ciò  sparger  le  grida:Né  il  suo  pensier,  fuorché  la  moglie,  alena) Puote  saper;  che  sol  di  lei  si  fida. Torna  poi  nel  castello  all' aer  bruno; Né  mai,  se  non  la  notte,  ivi  s' annida:E  con  mutate  insegne  al  nuovo  albóre. Senza  vederlo  alcun    sempre  esce  fuore. 38  Se  ne  va  in  questa  e  in  quella  parte  err.uil". E  volteggiando  al  suo  castello  intomo  . Pur  per  veder  se  credulo  Morando Volesse  far,  come  solca,  ritomo. Stava  il  di  tutto  alla  foresta;  e  quanlo Nella  marina  vedea  ascoso  il  giorno, Venia  al  castello,  e  per  nascose  porte Lo  togliea  dentro  l'infedel  consorte. 39  Crede  ciascun  fuorché  l'iniqua  moglie, Che  molte  miglia  Argéo  lontan  si  trove. Dunque  il  tempo  opportuno  ella  si  toglie: Al  fratel  mio  va  con  malizie  nuove. Ha  di  lagrime,  a  tutte  le  sue  voglie. Un  nembo  che  dagli  occhi  al  sen  le  piove. Dove  potrò,  dicea,  trovare  aiuto, Che  in  tutto  l'onor  mio  non  sia  perduto? 40     E  col  mio  quel  del  mio  marito  insieme? II  qual  se  fosse  qui,  non  temerei. Tu  conosci  Morando,  e  sai  se  teme, Quando  Argéo  non  ci  sente,  uomini  e  Dei. Questi  or  pregando,  or  minacciando,  estreme Prove  fa  tuttavia,  né  alcun  demlei Lascia  che  non  contamini,  per  trarmi A'  suoi  disii;  né  so  s' io  potrò  aitarmi. 41    Or  e' ha  inteso  il  partir  del  mio  consorte, E  ch  al  ritorno  non  sarà  si  presto, Ha  avuto  ardir  d'entrar  nella  mia  corte, Senza  altra  scusa  e  senz'altro  pretesto: Che  se  ci  fosse  il  mio  signor  per  sorte, Non  sol  non  avria  audacia  di  far  questo, Ma  non  si  terria  ancor,  per  Dio,  sicuro D'appressarsi  a  tre  miglia  a  questo  muro. Stanza  30. 42    E  quel  che  già  per  messi  ha  ricercato, Oggi  me  r  ha  richiesto  a  fronte  a  fronte; E  con  tai  modi,  che  gran  duhbio  é  stato Dello  avvenirmi  disonore  ed  onte: E  se  non  che  parlar  dolce  gli  ho  usato E  finto  le  mie  voglie  alle  sue  pronte. Saria,  a  forza,  di  quel  suto  rapace. Che  spera  aver  per  mie  parole  in  pace. 48    Promesso  gli  ho,  non  già  per  osservargli (Che  fatto  per  timor,  nullo  è  il  contratto); Ma  la  nrìa  intenz'ion  fu  per  vietargli Quel  che  per  forza  avrebbe  allora  fatto. Il  caso  è  qui: tu  sol  puoi  rimediargli; Del  mio  onor  altrimenti  sarà  tratto, E  di  quel  del  mio  Argéo,  che  già  m'hai  detto Aver  0  tanto,  o  più  che  '1  proprio,  a  petto. 44  E  se  questo  mi  nieghi,  io  dirò  dunque Ch'in  te  non  sia  la  fé  di  che  ti  vanti; Ma  che  fu  sol  per  crudeltà,  qualunque Volta  hai  sprezzati  i  miei  supplici  pianti; Non  per  rispetto  alcun  d'Argéo,  quantunque M'hai  questo  scudo  ognora  opposto  innanti. Saria  stata  tra  noi  la  cosa  occulta; Ma  di  qui  aperta  infamia  mi  risulta. 45  Non  si  convien,  disse  Filandro,  tale Prologo  a  me,  per  Argéo  mio  disposto. Narrami  pur  quel  che  tu  vuoi;  che  quale Sempre  fui,  di  sempre  essere  ho  proposto:E  bench'a  torto  io  ne  riporti  male, A  lui  non  ho  questo  peccato  imposto. Per  lui  son  pronto  andare  anco  alla  morte, E  siami  con  tra  il  mondo  e  la  mia  sorte. 46  Rispose  V  empia: Io  voglio  che  tn  spenga Colui  chel  nostro  disonor  procura. Non  temer  ch'alcun  mal  di  ciò  t'avvenga; Ch'io  te  ne  mostrerò  la  via  sicura. Dehb'egli  a  me  tornar  come  rivenga Su  l'ora  terza  la  notte  più  scura; E  fatto  un  segno  di  eh'  io  l'ho  avvertito, 10  l'ho  a  tor  dentro,  che  non  sia  sentito. 47  A  te  non  graverà  prima  aspettarme Nella  camera  mia,  dove  non  luca, Tanto  che  dispogliar  gli  faccia  l'arme, E  quasi  nudo  in  man  te  lo  conduca. Cosi  la  moglie  conducesse  parme 11  suo  marito  alla  tremenda  buca; Se  per  dritto  costei  moglie  s'appella, Più  che  furia  infernal  crudele  e  fella. Stanza  52. 48  Poi  che  la  notte  scellerata  venne, Fuor  trasse  il  mio  fratel  con  l'arme  in  mano; E  nell'oscura  camera  lo  tenne, Finché  tornasse  il  miser  castellano. Come  ordine  era  dato,  il  tutto  avvenne; Che  '1  consiglio  del  mal  va  raro  invano. Così  Filandro  il  buon  Argéo  percosse, Che  si  pensò  che  quel  Morando  fosse. 49  Con  esso  un  colpo  il  capo  fésse  e  il  collo; elmo  non  v'  era,  e  non  vi  fa  riparo. Pervenne  Argéo,  senza  pur  dar  un  crollo. Della  misera  vita  al  fine  amaro:E  tal  l'uccise,  che  mai  noi  pensollo. Né  mai  l'avria  creduto:  oh  caso  raro! Che  cercando  giovar,  fece  all'amico Quel  di  che  peggio  non  si  fa  al  nimico. 50  Poscia  eh' Argéo  non  conosciuto  giacque. Rende  a  Gabrina  il  mio  fratel  la  spada. Gabrina  è  il  nome  di  costei,  che  nacqoe Sol  per  tradire  ognun  che  in  man  le  cada. Ella,  che  '1  ver  fino  a  quell' ora  tacque, Vuol  che  Filandro  a  riveder  ne  vada Col  lume  in  mano  il  morto,  ond'egli  è  reo; E  gli  dimostra  il  suo  compagno  Argéo. 51  E  gli  minaccia  poi .  se  non  consente All'amoroso  suo  lungo  desire. Di  palesare  a  tutta  quella  gente Quel  ch'egli  ha  fatto,  e  noi  può  contraddire: E  lo  farà  vituperosamente. Come  assassino  e  traditor,  morire; E  gli  ricorda  che  sprezzar  la  fama Non  de',  sebben  la  vita  si  poco  ama. 52  Pien  di  paura  e  di  dolor  rimase Filandro,  poi  che  del  suo  error  s'accorse. Quasi  il  primo  furor  gli  persuase D'uccider  questa,  e  stette  un  pezzo  in  forse: E  se  non  che  nelle  ni  miche  case Si  ritrovò  (che  la  ragion  soccorse), Non  si  trovando  avere  altr'  arme  in  mano, 

Coi  denti  la  stracciava  a  brano  a  brano. 53  Come  nell' alto  mar  legno  talora, Che  da  due  venti  sia  percosso  e  vinto. Ch'or  uno  innanzi  l'ha  mandato,  ed  ora Un  altro  al  primo  termine  respinto, E  r  han  girato  da  poppa  e  da  prora; Dal  più  possente  alfin  resta  sospinto; Cosi  Filandro,  tra  molte  contese De' duo  pensieri,  al  manco  rio  s'apprese. 54  Ragion  gli  dimostrò  il  pericol  grande, Oltra  il  morir,  del  fine  infame  e  sozzo, Se  l'omicidio  nel  castel  si  spande; E  del  pensare  il  termine  gli  è  mozzo. Voglia  0  non  voglia,  alfin  convien  che  mande L'amarissimo  calice  nel  gozzo. Pur  finalmente  nell'afflitto  core Più  dell' ostinazion  potè  il  timore. 55  II  timor  del  supplicio  infame  e  brutto Prometter  fece  con  mille  scongiuri, Che  faria  di  Gabrina  il  voler  tutto, Se  di  quel  luogo  si  partlan  sicuri. Così  per  forza  colse  l'empia  il  frutto Del  suo  desire,  e  poi  lasciar  quei  muri. Così  Filandro  a  noi  fece  ritomo. Di  sé  lasciando  in  Grecia  infamia  e  scorno. 56  E  portò  nel  cor  fisso  il  suo  compagno, Che  cosi  scioccamente  ucciso  avea, Per  far  con  sua  gran  noia  empio  guadagno D' una  Progne  crudel,  d'una  Medea. E  se  la  fede  e  il  giuramento,  magno £  duro  freno,  non  Io  ritenea, Come  al  sicuro  fu,  morta  l'avrebbe; Ma,  quanto  più  si  puote,  in  odiol'ebbe.57Non  fu  da  indi  in  qua  rider  mai  visto; Tutte  le  sue  parole  erano  meste; Sempre  sospir  gli  uscian  dal  petto  tristo: Ed  era  divenuto  un  nuovo  Oreste, Poi  che  la  madre  uccise  e  il  sacro  Egisto, E  che  r nitrici  Furie  ebbe  moleste: E,  senza  mai  cessar,  tanto  V  afflisse Questo  dolor,  eh'  infermo  al  letto  il  fisse. 58  Or  questa  meretrice,  che  si  pensa Quanto  a  quest'altro  suo  poco  sia  grata. Muta  la  fiamma  già  d'amore  intensa odio,  in  ira  ardente  ed  arrabbiata; Né  meno  è  centra  al  mio  fratello  accensa. Che  fosse  centra  Argéo  la  scellerata; E  dispone  tra  sé  levar  dal  mondo, Come  il  primo  marito,  anco  il  secondo. .59    Un  medico  trovò  d'inganni  pieno. ed  atto  a  simil  uopo. sapea  meglio  uccider  di  veneno, Che  risanar  gì'  infermi  di  silopo; E  gli  promesse  innanzi  più,  che  meno Ch'avesse  con  mortifero  liquore 62    Come  pensi,  signor,  che  rimanesse Il  miser  vecchio  conturbato  allora? Che  pensar  non  potè  che  meglio  fora: ,  per  non  dar  maggior  sospetto,  elesse U  calice  gustar  senza  dimora; E  l'infermo,  seguendo  una  tal  fede, Tutto  il  resto  pigliò,  che  si  gli  diede. stanza  00. Già  in  mia  presenza  e  d'altre  più  persone Dicendo  ch'era  buona  pozione Da  ritornare  il  mio  fratel  robusto. Ma  Gabrina  con  nuova  intenzione, Pria  che l'infermone  turbasse  il  gusto, Per  torsi  il  consapevole  d'appresso, 0  per  non  dargli  quel  ch'avea  promesso, 61  La  man  gli  prese,  quando  appunto  dava La  tazza  dove  il  tòsco  era  celato, Dicendo: Ingiustamente  é,  se  ti  grava, Ch'io  tema  per  costui  e' ho  tanto  amato. Voglio  esser  certa  che  bevanda  prava Tu  non  gli  dia,  né  succo  avvelenato: E  per  questo  mi  par  che  il  beveraggio Non  gli  abbi  a  dar,  se  non  ne  fai  tu  il  saggio. 63  Come  sparvier  che  nel  piede  grifagno Tenga  la  starna,  e  sia  per  trarne  pasto, Dal  can  che  si  tenea  fido  compagno, é  sopraggiunto  e  guasto; Cosi  il  medico  intento  al  rio  guadagno, Donde  sperava  aiuto,  ebbe  contrasto. di  somma  audacia  esempio  raro ! 64  Fornito  questo,  il  vecchio  s' era  messo, Per  ritornare  alla  sua  stanza,  in  via, Ed  usar  qualche  medicina  appresso, Che  lo  salvasse  dalla  peste  ria; da  Gabrina  non  gli  fu  concesso, Dicendo  non  voler  ch'andasse  pria suo  valor  facesse  manifesto, 66    Pregar  non  vai,  né  far  di  premio  offerta, Che  lo  voglia  lasciar  quindi  partire. disperato,  poiché  vede  certa circostanti  fa  la  cosa  aperta; Né  la  seppe  costei  troppo  coprire. E  cosi  quel  che  fece  agli  altri  spesso, Quel  buon  medico  alfin  fece  a  sé  stesso; 66    E  seguitò  con  V  alma  quella  eh'  era Già  del  mio  frate camminatainnanzi. Noi  circostanti,  che  la  cosa  vera Del  vecchio  udimmo,  che  fé' pochi  avanzi, Pigliammo  questa  abbominevol  fera. Più  crudel  di  qualunque  in  selva  stanzi; E  la  serrammo  in  tenebroso  loco. Per  condannarla  al  meritato  fuoco. 69  E  s' in  altro  potea  gratificai]!, Prontissimo  offeriasi  alla  sua  voglia. Rispose  il  cavalier,  che  ricordargli Sol  vuol,  che  da  Gabrina  si  discioglia Prima  ch'ella  abbia  cosa  a  macchioargrli, Di  ch'esso  indamo  poi  si  penta  e  doglia. tenne  sempre  gli  occhi  bassi; Perchè  non  ben  risposta  al  vero  dassL 70  Con  la  vecchia  Zerbin  quindi  partisse Al  già  promesso  debito  viaggio; E  tra  sé  tutto  il  di  la  maledisse, far  gli  fece  a  quel  barone  oltraggio. or  che  pel  gran  mal  che  gli  ne  disse Chi  lo  sapea,  di  lei  fu  istrutto  e  saggio, Se  prima  l'avea  a  noia  e  a  dispiacere, Or  V  odia  si,  che  non  la  può  vedere. Questo  Ermonide  disse,  e  più  voleva Seguir,  com'  ella  di  prigion  levossi; il  dolor  della  piaga  sì  l'aggreva, pallido  nell'erba  riversossi. Intanto  duo  scudier,  che  seco  aveva, Fatto  una  bara  avean  di  rami  grossi; Ermonide  si  fece  in  quella  porre; Ch'indi  altrimente  non  si  potea  torre. Ella  che  di  Zerbin  sa  l'odio  appieno, Né  in  mala  volontà  vuol  esser  vinta, Un'  oncia  a  lui  non  ne  riporta  meno:La  tien  di  quarta,  e  la  rifa  di  quinta. Nel  cor  era  gonfiata  di  veneno, E  nel  viso  altrimente  era  dipinta. Dunque,  nella  concordia  ch'io  vi  dico, Tenean  lor  via  per  mezzo  il  bosco  antico. 68    Zerbin  col  cavalier  fece  sua  scusa, Che  gl'increscea  d'avergli  fatto  offesa: Ma,  come  pur  tra  cavalieri  s' usa, Colei  che  venia  seco,  avea  difesa:Ch' altrimente  sua  fé  saria  confusa; Perchè,  quando  in  sua  guardia  l'avea  presa. Promesse  a  sua  possanza  di  salvarla Contra  a  ognun  che  venisse  a  disturbarla. 72    Ecco,  volgendo  il  sol  verso  la  sera, Udiron  gridi  e  strepiti  e  percosse, Che  facean  segno  di  l)attaglia  fiera Che,  quanto  era  il  rumor,  vicina  fosse. Zerbino,  per  veder  la  cosa  ch'era, Verso  il  rumor  in  gran  fretta  si  mosse:Né  fu  Gabrina  lenta  a  seguitarlo. Di  quel  ch'avvenne,  all'altro  Canto  io  parlo. . Si.  3.  V.6.   MorhOf  peste. St.  10.  v.5.   Ctisso,  senza  effetto. St.  13  V.78.   Eraclio  imperatore  di  Costantino poli regnò  più  di  un  secolo  prima  di  Garlomagno. St.  14.  V.3.   Serviaf  più  comunemente  Serbia. St.  16.  V.2.   L  Acrocerauno  d' infamato  nome: promontorio  in  Epiro,  che  sovrasta  al  mare  Ionio,  ed è  noto  pei  naufragi  che  sogliono  quivi  accadere.  Ora chiamasi  capo  della  Chimera. St.  25.  V.3.   Egroto:  ammalato. St.  3|.  V.f>    Sfolli,  aramQllisci, ST.  43.  V.a   Sarà  tratto:sarà  deciso. St.  56.  V.4.  Progne  e  Medea  per  furore  geloso  scan narono i  figli;  notisiime  nella  Mitologia. St.  57.  V.45.   Un  nuovo  Oreste.  Vedi  la  noUalU St.  i3  del  Canto  XX.   Sacro  qui  dicesi  Egìsto,  come esecrabile  adultero  e  regicida. St.  59.  V.4.   Silopo: siloppo  o  siroppo. St.  66.  V.12.   Era....  eaminata:  Aveva  camminato. St.  70.  V.6   Saggio,  informato. St.  71.  y.  4.   La  tien  di  quarta,  ecc.  Rice /e  quattro (in  odio)  e  rende  cinque;  os9i",  rende  pin  per  focaccia. Canto  XXII. CANTO  VENTESIMOSECONDO. ARGOMENTO, Astiilfo  dì  struggi;  il  imlazo  <M  Atlaiitt",  ripiglia  l'Ippopifo,  e in  |i"Misìi;ro  per  Habiuano.  Bta'lamiiEtu  r  Rujcrfiioro  rico lu'wiutisi,  e  andàiirìo  per  liberare  tiii  (giovane  comlannato al  fuiK'O]  rrivniiu  a  il  un  raitello  Elei  canti  da  Pontievo,  ove quAtlro  iueiTit'i'i  liaiitio  il  carico  lii  spc;!  in  re  ogni  cavaliere cbe  passi.  Mentre  HupRÌtìro  viene  alle  iirt?t"  con  quelli,  Bra (lamante  rkonosci?  Pinal>ello  e  lo  instgue"  Sijnarrl&aì  nel r  azione  il  Velo  ite  euopre  lo  scudo  di  Roggi  ito,  i'.  ì  40  altro cailono  tramortiti.  Rnfjgiero.  per  vergogna,  fretta  lo  scudo  in alt  puKiÈio,  e  HiTidamante,  che  frattanto  ha  ra;:giimto  ed  uccido iliaerfitlo   Magai]es€  .  perule  la  traccia  di  Riiggioro, 1       Curtesi  doline,  e  (?Tate  al  vostro  amante  > Voi  che  (V  un  .5olo  amor  scie  coutente, Comecliè  certo  sia,  fra  tante  e  tante, CLc  rarissime  siate  in  questa  mente: Non  vi  dispiaccia  quel  ch'io  dissi  innante. Quando  contra  Gabrina  fui  si  ardente, E   s  ancor  son  per  spendervi  alcun  verso, Di  lei  biasmando  l'animo  peiveiso. 2  Ella  era  tale;  e,  come  imposto  fammi chi  può  in  me,  non  preterisco  il  vero. Per  questo  io  non  oscuro  gli  cuor  summi DI  una  e  d'un' altra  ch'abbia  il  cor  sincero. Quel  che'l  Maestro  suo  per  trenta  nummi a' Giudei,  non  nocque  a  Gianni  o  a  Piero; Nèd'Ipermestra  è  la  fama  men  bella, Sebben  di  tante  inique  era  sorella. 3  Per  una  che  biasmar  cantando  ardisco (Che  r  ordinata  istoria  così  vuole), Lodarne  cento  incontra  m'offerisco, E  far  lor  virtù  chiara  più  che'l  sole. Ma  tornando  al  lavor  che  vario  ordisco, Ch'  a  molti,  lor  mercè,  grato  esser  suole, Del  cavalier  di  Scozia  io  vi  dicea, Ch'un  alto  grido  appresso  udito  avea. Fra  due  montagne  entrò  in  un  stretto  calle, Onde  uscia  il  grido;  e  non  fu  molto  innante, Che  giunse  dove  in  una  chiasa  valle Si  vide  un  cavalier  morto  davante. Chi  sia  dirò;  ma  prima  dar  le  spalle A  Francia  voglio  e  girmene  in  levante, Tanto  eh'  io  trovi  Astolfo  paladino, Che  per  ponente  avea  preso  il  cammino. 5  Io  lo  lasciai  nellacittà  crudele, Onde  col  suon  del  formidabil  corno Avea  cacciato  il  popolo  infedele, E  gran  periglio  toltosi  d'intorno; Ed  a'  compagni'  fatto  alzar  le  vele, E  dal  lito  fuggir  con  grave  scorno. Or  seguendo  di  lui,  dico  che  prese La  via  d'Armenia,  e  uscì  di  quel  paese. 6  E  dopo  alquanti  giorni  in  Natòlia Trovossi,  e  inverso  Bursia  il  cammin  tenne: Onde,  continuando  la  sua  via Di  qua  dal  mare,  in  Tracia  se  ne  venne. Lungo  il  Danubio  andò  per  l'Ungaria; E,  come  avesse  il  suo  destrier  le  penne, I  Moravi  e  i  Boemi  passò  in  meno Di  venti  giorni,  e  la  Franconia  e  il  Reno. 7  Per  la  selva  d'Ardenna  in  Aquisgrana Giunse  e  in  Brabante,  e  in  Fiandra  alfin  s'imbarca. L'aura  che  soffia  verso  tramontana, La  vela  in  guisa  in  su  la  prora  carca, Ch'a  mezzo  giorno  Astolfo  non  lontana Vede  Inghilterra,  ove  nel  lito  varca. Salta  a  cavallo,  e  in  tal  modo  lo  punge, Ch'a  Londra  quella  sera  ancora  giunge. 8  Quivi  sentendo  poi  chel  vecchio  Otone Già  molti  mesi  innanzi  era  in  Parigi  " E  che  di  nuovo  quasi  ogni  barone Avea  imitato  i  suoi  degni  vestigi; D'andar  subito  in  Francia  si  dispone, E  cosi  torna  al  porto  di  Tamigi; Onde  con  le  vele  alte  uscendo  fuora, Verso  Calessio  fé'  drizzar  la  prora. 9  Un  ventolin  che,  leggermente  all' orza Ferendo, avea  adescato  il  legno  all'onda, A  poco  a  poco  cresce  e  si  rinforza; Poi  vien  si,  ch'ai  nocchier  ne  soprabbonda Che  gli  volti  la  poppa  alfine  è  forza; Se  non,  gli  caccerà  sotto  la  sponda. Per  la  schena  del  mar  tien  dritto  il  legno, E  fa  cammin  diverso  al  suo  disegno. 10  Or  corre  a  destra,  or  a  sinistra  mano, Di  qua  di  là,  dove  fortuna  spinge; E  piglia  terra  alfin  presso  a  Roano; E  come  prima  il  dolce  lito  attinge, Fa  rimetter  la  sella  a  Rabicano, E  tutto  s'arma,  e  la  spada  si  cinge; Prende  il  cammino,  ed  ha  seco  quel  corno Che  gli  vai  più  che  mille  uomini  intorno. 11  E  giunse,  traversando  una  foresta, Appiè  d'un  colle  ad  una  chiara  fonte, Neil' ora  che  '1  monton  di  pascer  resta, Chiuso  in  capanna,  o  sotto  un  cavo  monte; E  dal  gran  caldo  e  dalla  sete  infesta Vinto,  si  trasse  1'  elmo  dalla  fronte; Legò  il  destrier  tra  le  più  spesse  fronde, E  poi  venne  per  bere  alle  fresche  onde. 12  Non  avea  messo  ancor  le  labbra  in  molle, Ch'un  villanel  che  v'era  ascoso  appresso, Sbuca  fuor  d'una  macchia,  e  il  destrier  toUe, Sopra  vi  sale,  e  se  ne  va  con  esso. Astolfo  il  rumor  sente,  e  '1  capo  estolle; E  poi  che  'i  danno  suo  vede  si  espresso, Lascia  la  fonte,  e  sazio  senza  bere. Gli  va  dietro  correndo  a  più  potere. 13  Quel  ladro  non  si  stende  a  tutto  corso; Che  dileguato  si  saria  di  botto:Ma  or  lentando  or  raccogliendo  il  morso, Se  ne  va  di  galoppo  e  di  buon  trotto. Escon  del  bosco  dopo  un  gran  discorso; E  l'uno  e  l'altro  alfin  si  fu  ridotto Là  dove  tanti  nobili  baroni Eran  senza  prìgion  più  che  prigioni. 14     Dentro  il  palagio  il  villanel  si  caccia Con  quel  destrier  che  i  venti  al  corso  adegua. Forza  è  ch  Astolfo,  il  qual  lo  scado  impaccia, L  elmo  e  V  altre  arme,  di  lontan  lo  segua. Pur  giunge  anch' egli;  e  tutta  quella  traccia Che  fin  qui  avea  seguita,  si  dilegua; Che  più  né  Rahican  nè'l  ladro  vede, E  gira  gli  occhi,  e  indamo  affretta  il  piede: 20    Ruggier,  Gradasso,  Iroldo,  firadamante, Brandimarte,  Prasildo,  altri  guerrieri In  questo  nuovo  error  si  fero  innante, Per  distruggere  il  duca  accesi  e  fieri. Ma  ricrdossi  il  corno  in  quello  istante, Che  fé  loro  ahhassar  gli  animi  altieri. Se  non  si  soccorrea  col  grave  suono, Morto  era  il  paladin  senza  perdono. 15  Aff'retta  il  piede,  e  va  cercando  invano E  le  logse  e  le  camere  e  le  sale; Ma  per  trovare  il  perfido  villano. Di  sua  fatica  nulla  si  prevale. Non  sa  dove  ahhia  ascoso  Rabicano, Quel  suo  veloce  sopra  ogni  animale; E  senza  frutto  alcun  tutto  quel  giorno Cercò  di  su,  di  giù,  dentro  e  d'intorno. 16  Confuso  e  lasso  d'aggirarsi  tanto, S' avvide  che  quel  loco  era  incantato; E  del  libretto  eh' avea  sempre  accanto, Che  Logi stilla  in  India  gli  avea  dato, Acciò  che,  ricadendo  in  nuovo  incanto, Potesse  aitarsi,  si  fu  ricordato:All' indice  ricorse,  e  vide  tosto A  quante  carte  era  il  rimedio  posto. 17  Del  palazzo  incantato  era  diffuso Scritto  nel  libro;  e  v'eran  scritti  i  modi Di  fare  il  mago  rimaner  confuso, E  a  tutti  quei  prigion  disciorre  i  nodi. Sotto  la  soglia  era  uno  spirto  chiuso, Che  facea  quest'  inganni  e  queste  frodi:E  levata  la  pietra  ov'è  sepolto. Per  lui  sarà  il  palazzo  in  fumo  sciolto. 18  Desideroso  di  condurre  a  fine Il  paladin  sì  gloriosa  impresa, Non  tarda  più  chei  braccio  non  inchine A  provar  quanto  il  grave  marmo  pesa. Come  Atlante  le  man  vede  vicine Per  far  che  l'arte  sua  sia  vilipesa. Sospettoso  di  quel  che  può  avvenire, Lo  va  con  nuovi  incanti  ad  assalire. 19  Lo  fa  con  diaboliche  sne  larve Parer  da  quel  diverso,  che  solca. Gigante  ad  altri,  ad  altri  un  villan  parve, Ad  altri  un  cavalier  di  faccia  rea. Dgnuno  in  quella  forma  in  che  gli  apparve bosco  il  mago,  il  paladin  vedea: Si  che  per  riaver  quel  che  gli  tolse Il  mago,  ognuno  al  paladin  si  volse. Stanza  4. 21    Ma  tosto  che  si  pon  quel  corno  a  bocca, E  fa  sentire  intomo  il  suono  orrendo, A  guisa  dei  colombi,  quando  scocca Lo  scoppio,  vanno  i  cavalier  fuggendo. Non  meno  al  negromante  fuggir  tocca. Non  men  fuor  della  tana  esce  temendo Pallido  e  sbigottito,  e  se  ne  slunga Tanto,  che  'l  suono  orribil  non  lo  giunga. ORLANDO  fumoso. 12    Pug  il  gaardian  co  'suoi  prigioni;  e  dopo Delle  stalle  fuggir  molti  cavalli, Ch'altro  che  fune  a  ritenerli  era  uopo, E  seguirò  i  patron  per  vari  calli. In  casa  non  restò  gatta  né  topo Al  suon  che  par  che  dica:  Dalli,  dàlb. Sarebbe  ito  con  gli  altri  Rabicano; Se  non  eh' all'uscir  venne  al  duca  in  mano. stanza  24. 25  Non  so  se  vi  ricorda  che  la  briglia Lasciò  attaccata  all'arbore  quel  giorno; Che  nuda  da  Ruggier  spari  la  figlia Di  Galafrone,  e  gli  fé' l'alto  scorno. Fé  il  volante  destrier,  con  maraviglia Di  chi  lo  vide,  al  mastro  suo  ritorno; E  con  lui  stette  infin  al  giorno  sempre, Che  dell'incanto  fur  rotte  le  tempre. 26  Non  potrebbe  esser  stato  più  giocondo D'altra  avventura  Astolfo,  che  di  questa; Ch'  è  per  cercar  la  terra  e  il  mar,  secondo Ch'  avea  desir,  quel  ch  a  cercar  gli  resta, E  girar  tuttx)  in  pochi  giorni  il  mondo, Troppo  venia  questo  Ippogrifo  a  sesta. Sapea  egli  ben  quanto  a  portarlo  era  atto: Che  l'avei  altrove  assai  provato  in  fatto. 27  Quel  giorno  in  India  lo  provò,  che  tolto Dalla  savia  Melissafudi  mano A  quella  scellerata,  che  travolto Gli  avea  in  mirto  silvestre  il  viso  umano; E  ben  vide  e  notò  come  raccolto Gli  fu  sotto  la  brìglia  il  capo  vano Da  Logistilla,  e  vide  come  instmtto Fosse  Ruggier  di  farlo  andar  per  tatto. 28  Fatto  disegno  l'Ippogrifo  torsi, La  sella  sua,  ch'appresso  avea,  gli  messe; E  gli  fece,  levando  da  più  morsi Una  cosa  ed  un'  altra,  un  che  lo  resse; Che  dei  destrier  eh'  in  fuga  erano  corsi, Quivi  attaccate  eran  le  briglie  spesse. Ora  un  pensier  di  Rabicano  solo Lo  fa  tardar  che  non  si  leva  a  volo. 23  Astolfo,  poi  ch'ebbe  cacciato  il  mago. Levò  di  su  la  soglia  il  grave  sasso, E  vi  ritrovò  sotto  alcuna  immago, Ed  altre  cose  che  di  scriver  lasso: E  di  distrugger  quello  incanto  vago, Di  ciò  che  vi  trovò,  fece  fracasso, Come  gli  mostra  il  libro  che  far  debbia; E  si  sciolse  il  palazzo  in  fumo  e  in  nebbia. 24  Quivi  trovò  che  di  catena  d'oro Di  Ruggiero  il  cavallo  era  legato:Parlo  di  quel  che'l  negromante  moro Per  mandarlo  ad  Alcina  gli  avea  dato: A  cui  poi  Logistilla  fé  il  lavoro Del  freno,  ond'era  in  Francia  ritornato, E  girato  dall'India  all'Inghilterra Tutto  avea  il  lato  destro  della  terra. 29  D'amar  quel  Rabicano  avea  ragione; Che  non  v'era  un  miglior  per  correr  lancia, E  l'avea  dall' estrema  regione 

Dell'India  cavalcato  insin  in  Francia. Pensa  egli  molto;  e  in  somma  si  dispone Dame  piuttosto  ad  un  suo  amico  mancia, Che,  lasciandolo  quivi  in  su  la  strada. Se  l'abbia  il  primo  eh' a  passarvi  accada. 30  Stava  mirando  se  vedea  venire Pel  bosco  0  cacciatore  o  alcun  villano, Da  cui  far  si  potesse  indi  seguire A  qualche  terra,  e  trarvi  Rabicano. Tutto  quel  giorno,  e  sin  all' apparire Dell'altro,  stette  riguardando  invano. L'altro  mattin,  eh'  era  ancor  l'aer  fosco, Veder  gli  parve  un  cavalier  pel  bosco. Stanza  12. 31    Ma  mi  bisogna,  so  vo' dirvi  il  resto, ChMo  trovi  Roggier  prima  e  Bradamante. Poi  che  si  tacque  il  corno  e  che  da  questo Loco  la  bella  coppia  fu  distante, Guardò  Ruggiero,  e  fu  a  conoscer  presto Quel  che  fin  qui  gli  avea  nascoso  Atlante:Fatto  avea  Atlante  che  fin  a  quell'ora Tra  lor  non  s'eran  conosciuti  ancora. 32    Ruggier  riguarda  Bradamante,  ed  ella Riguarda  lui  con  alta  maraviglia, Che  tanti  dì  l'abbia  offuscato  quella Illusì'on  sì  l'animo  e  le  ciglia. Ruggiero  abbraccia  la  sua  donna  bella, Che  più  che  rosa  ne  divien  vermiglia; E  poi  di  su  la  bocca  i  primi  fiori Cogliendo  vien  dei  suoi  beati  amori.  33  Tornano  ad  iterar  gli  abbracciamenti Mille  fiate,  ed  a  tenersi  stretti I  duo  felici  amanti,  e  si  contenti, Ch'appena  i  gandj  lor  capìano  i  petti Molto  lor  dnol  che  per  incantamenti, Mentre  che  far  negli  errabondi  tetti, Tra  lor  non  s' eran  mai  riconosciuti, E  tanti  lieti  giorni  eran  perduti. 34  Bradamante,  disposta  di  far  tutti I  piaceri  che  far  vergine  saggia Debbia  ad  un  suo  amator,  sì  che  di  lutti, Senza  il  suo  onore  offendere,  il  sottraggia; Dice  a  Ruggier,  se  a  dar  gli  ultimi  frutti Lei  non  vuol  sempre  aver  dura  e  selvaggia, La  faccia  domandar  per  buoni  mezzi Al  padre  Amon;  ma  prima  si  battezzi. 35  Kuggier,  che  tolto  avria  non  solamente Viver  cristiano  per  amor  di  questa. Compera  stato  il  padre,  e  antiquamente L'avolo  e  tutta  la  sua  stirpe  onesta; Ma,  per  farle  piacere,  immantinente Data  le  avria  la  vita  che  gli  resta: Nonché  neir  acqua,  disse,  ma  nel  fuoco Per  tuo  amor  porre  il  capo  mi  fia  poco. 39  Amando  una  gentil  giovane  e  bella, Ohe  di  Marsilio  re  di  Spagna  è  figlia, Sotto  un  vel  bianco  e  in  femminil  gonnelk, Finta  la  voce  e  il  volger  delle  ciglia. Egli  ogni  notte  si  giicea  con  quella, Senza  dame  sospetto  alla  famiglia: Ma  sì  secreto  alcuno  esser  non  paote, Ch'ai  lungo  andar  non  sia  chi'l  YeggA  e  note. 40  Se  n'accorse  uno,  e  ne  parlò  con  dui; Li  dui  con  altri,  insin  ch'ai  re  fu  detto. Venne  un  fedel  del  re  l'altr'  ieri  a  nai, Che  questi  amanti  fé  pigliar  nel  letto; E  nella  rocca  gli  ha  fatto  ambedoi Divisamente  chiudere  in  distretto:Né  credo  per  tutto  oggi  ch'abbia  spazio Il  gioven,  che  non  mora  in  pena  e  in  strazio. 41  Fuggita  me  ne  son  per  non  vedere Tal  crudeltà;  che  vivo  l'arderanno:Né  cosa  mi  potrebbe  più  dolere, '  Che  &ccia  di  sì  bel  giovine  il  danno. Né  potrò  aver  giammai  tanto  piacere, Che  non  si  volga  subito  in  affanno, Che  della  crudel  fiamma  mi  rimembri, Ch'abbia  arsi  i  belli  e  delicati  membri. 36    Per  battezzarsi  dunque,  indi  per  sposa La  donna  aver,  Ruggier  si  messe  in  via, Guidando  Bradamante  a  Vallombrosa (Cosi  fu  nominata  una  badia Ricca  e  bella,  né  men  religiosa, E  cortese  a  chiunque  vi  venia); E  trovaro  all'uscir  della  foresta Donna  che  molto  era  nel  viso  mesta. 42    Bradamante  ode,  e  par  ch'assai  le  premi Questa  novella,  e  molto  il  cor  l'annoi; Né  par  che  men  per  quel  dannato  tema, Che  se  fosse  uno  dei  fratelli  suoi. Né  certo  la  paura  in  tutto  scema Era  di  causa,  come  io  dirò  poi. Si  volse  ella  a  Ruggiero,  e  disse:  Parme Ch'in  favor  di  costui  sien  le  nostr'arme. 37  Ruggier,  che  sempre  uman,  sempre  cortese Era  a  ciascun,  ma  più  alle  donne  molto, Come  le  belle  lacrime  comprese Cader  rigando  il  delicato  volto, N'ebbe  pietade,  e  di  disir s'accese Di  saper  il  suo  affanno;  ed  a  lei  vólto, Dopo  onesto  saluto,  domandolle Perch'avea  sì  di  pianto  il  viso  molle. 38  Ed  ella,  alzando  i  begli  umidi  rai, Umanissimamente  gli  rispose; E  la  cagion  de' suoi  penosi  guai. Poiché  le  domandò,  tutta  gli  espose. Gentil  signor,  dissocila,  intenderai Che  queste  guance  son  si  lacrimose Per  la  pietà  eh'  a  un  giovinetto  porto, Ch'in  un  caste!  qui  presso  oggi  fia  morto. 43  E  disse  a  quella  mesta: Io  ti  conforto Che  tu  vegga  di  porci  entro  alle  mura: Che  se  '1  giovine  ancor  non  avran  morto, Più  non  l'uccideran;  stanne  sicura. Ruggiero,  avendo  il  cor  benigno  scorto Della  sua  donna  e  la  pietosa  cura. Sentì  tutto  infiammarsi  di  desire Di  non  lasciar  il  giovine  morire. 44  Ed  alla  donna,  a  cui  dagli  occhi  cade Un  rio  di  pianto,  dice:  Or  che  s'aspetta? Soccorrer  qui,  non  lacrimare  accade:Fa  eh'  ove  é  questo  tuo,  pur  tu  ci  metta. Di  mille  lance  trar,  di  mille  spade Tel  promettiam,  purché  ci  meni  in  fretta: Ma  studia  il  passo  più  che  puoi,  che  tarda Non  sìa  l'aita,  e  intanto  il  fuoco  l'arda. 45     L' alto  parlare  e  la  fiera  sembiauza Di  quella  coppia  a  maravigli  v  ardita, Ebbon  di  tornar  forza  la  speranza Colà  dond'era  già  tetta  fuggita. Ma  perch' ancor,  piìt  che  la  lontananza, Temeva  il  ritrovar  la  via  impedita, E  che  saria  per  questo  indarno  presa, Stava  la  donna  in  sé  tutta  sospesa. 46  Poi  disse  lor:  Facendo  noi  la  via Che  dritta  e  piana  va  fin  a  quel  loco, Credo  eh a  tempo  vi  si  giungerla, Che  non  sarebbe  ancora  acceso  il  fooco. Ma  gir  convien  per  cosi  tòrta  e  ria, Che  U  termine  di  un  giorno  saria  poco A  riuscirne;  e  quando  vi  saremo. Che  troviam  morto  il  giovine  mi  temo. 47  £  perchè  non  andiam,  disse  Ruggiero, Per  la  più  corta?  E  la  donna  rispose:Perchè  un  Castel  de  conti  da  Pontiero Tra  via  si  trova,  ove  un  costume  pose, Non  son  tre  giorni  ancora,  iniquo  e  fiero A  cavalieri  e  a  donne  avventurose, Pinabello,  il  peggior  uomo  che  viva, Figliuol  del  conte  Anselmo  d'Altariva. 48  Quindi  uè  cavalier  uè  donna  passa, Che  se  ne  vada  senza  ingiuria  e  danni. L'uno  e  T altro  a  pie  resta;  ma  vi  lassji Il  guerrier  Tarme,  e  la  donzella  i  panni. Miglior  cavalier  lancia  non  abbassa, E  non  abbassò  in  Francia  già  molt  anni, Di  quattro  che  giurato  hanno  al  castello La  legge  mantener  di  Pinabello. 49  Come  l'usanza,  che  non  è  pii\  antiqua Di  tre  dì,  cominciò,  vi  vo'  narrare; E  sentirete  se  fu  dritta  o  obliqua Cagion  che  i  cavalier  fece  giurare. Pinabello  ha  una  donna  così  iniqua. Così  bestiai,  eh'  al  mondo  è  senza  pare; Che  con  lui,  non  so  dove,  andando  un  giorno, Ritrovò  un  cavalier  che  le  fé'  scorno. 50    11  cavalier,  perchè  da  lei  beffato Fu  d'una  vecchia  che  portava  in  groppa, Giostrò  con  Pinabel,  eh'  era  dotato Di  poca  forza,  e  di  superbia  troppa:Ed  abbattello,  e  lei  smontar  nel  prato .  Fece,  e  provò  s' andava  dritta  o  zoppa:Lasciolla  a  piede,  e  fé'  della  gonnella Di  lei  vestir  l'antiqua  damigella. 51  Quella  eh' a  pie  rimase,  dispettosa, E  di  vendetta  ingorda  e  sitibonda, Congiunta  a  Pinabel,  che  d'ogni  cosa, Dove  sia  da  mal  far,  ben  la  seconda, Né  giorno  mai,  né  notte  mai  riposa; E  dice  che  non  fia  mai  più  gioconda Se  mille  cavalieri  e  mille  donne Non  mette  a  piedi,  e  lor  tolle  arme  e  gonne. 52  Giunsero  il  di  medesmo,  come  accade, Quattro  gran  cavalieri  ad  un  suo  loco. Li  quai  di  rimotissime  contrade Venuti  a  queste  parti  eran  di  poco; Di  tal  valor,  che  non  ha  nostra  etade Tant' altri  buoni  al  bellicoso  gioco: Aquilante,  Grifone  e  Sansonetto, Ed  un  Guidon  Selvaggio  giovinetto. 53  Pinabel  con  sembiante  assai  cortese Al  Castel  ch'io  v'ho  detto  li  raccolse. La  notte  poi  tutti  nel  letto  prese, E  presi  tenne;  e  prima  non  gli  sciolse. Che  li  fece  giurar  eh' un  anno  e  un  mese (Questo  fu  appunto  il  termine  che  tolse) Stanano  quivi,  e  spoglieiebbon  quanti Vicapitasson  cavalieri  erranti; 54  E  le  donzelle  ch'avesson  con  loro, Porriano  a  piedi,  e  torrian  lor  le  vesti. Così  giurar,  cosi  constretti  foro Ad  osservar,  benché  turbati  e  mesti. Non  par  che  fin  a  qui  centra  costoro Alcun  possa  giostrar,  eh'  a  pie  non  resti:E  capitati  vi  sono  infiniti, Ch'a  pie  e  senz'arme  se  ne  son  partiti. 55  É  ordine  tra  lor,  che  chi  per  sorte Esce  fuor  prima,  vada  a  correr  solo; Ma  se  trova  il  nemico  così  forte, Che  resti  in  seUa,  e  getti  lui  nel  suolo. Sono  obbligati  gli  altri  infino  a  morte Pigliar  l'impresa  tutti  in  uno  stuolo. Vedi  or,  se  ciascun  d'essi  é  cosi  buono Quel  eh'  esser  de',  se  tutti  insieme  sono. 56  Poi  non  conviene  all'importanzia  nostra, Che  ne  vieta  ogni  indugio,  ogni  dimora, Che  punto  vi  fermiate  a  quella  giostra:E  presuppongo  che  vinciate  ancora. Che  vostr'alta  presenzia  io  dimostra; Ma  non  é  cosa  da  fare  in  un'ora: Ed  é  gran  dubbio  che'l  giovine  s'arda. Se  tutt'oggi  a  soccorrerlo  si  tarda. 67    Disse  Ruggier:  Non  riguardiamo  a  questo; Facciam  nui  quel  che  si  può  far  per  uni; Abbia  chi  regge  il  ciel  cura  del  resto, 0  la  fortuna,  se  non  tocsa  a  lui. Ti  fi  per  questa  giostra  manifesto Se  buoni  siamo  d  aiutar  colui Che  per  cagion  si  debole  e  sì  lieve, Come  n'hai  detto,  oggi  bruciar  si  deve. 58 Senzarisponder  altro,  la  donzella Si  messe  per  la  via  ch'era  più  corta. Più  di  tre  miglia  non  andar  per  quella, Che  si  trovar(c)  al  ponte  ed  alla  porta si  perdon  V  arme  e  la  gonnella, E  della  vita  gran  dubbio  si  porta. Al  primo  apparir  lor,  di  su  la  rocca, É  chi  duo  botti  la  campana  tocca. 59  Ed  ecco  della  porta  con  gran  fretta, Trottando  s' un  ronzino,  un  vecchio  uscio; E  quel  venia  gridando: Aspetta,  aspetta; Restate  olà,  che  qui  si  paga  il  fio; E  se  V  usanza  non  v'  è  stata  detta, Che  qui  si  tiene,  or  ve  la  vo'  dir  io:E  contar  loro  incominciò  di  quello Costume  che  servar  fa  Pinabello. 60  Poi  seguitò,  volendo  dar  consigli, Com'era  usato  agli  altri  cavalieri: Fate  spogliar  la  donna,  dicea,  fiorii, E  voi  l'arme  lasciateci  e  i  destrieri; E  non  vogliate  mettervi  a  perigli D'andare  incontra  a  tai  quattro  guerrieri. Per  tutto  vesti,  arme  e  cavalli  s' hanno: La  vita  sol  mai  non  ripara  il  danno. 61  Non  più,  disse  Ruggier,  non  più;  ch'io  sono Del  tutto  informatisimo: e  qui  venni Per  far  prova  di  me,  se  cosi  buono In  fatti  son,  come  nel  cor  mi  tenni. Arme,  vesti  e  cavallo  altrui  non  dono; S'altro  non  sento  che  minacce  e  cenni, E  son  ben  certo  ancor,  che  per  parole Il  mio  compagno  le  sue  dar  non  vuole. 62  Ma,  per  Dio,  fa  ch'io  vegga  tosto  in  fronte Quei  che  ne  voglion  tórre  arme  e  cavallo; Ch'abbiamo  da  passar  anco  quel  monte, E  qui  non  si  può  far  troppo  intervallo. Rispose  il  vecchio:  Eccoti  fuor  del  ponte Chi  vien  per  farlo:  e  non  lo  disse  in  fallo; Ch'un  cavalier  n'uscì,  che  sopravveste Vermiglie  avea,  di  bianchi  fior  conteste. 63  Bradamante  pregò  molto  Ruggiero, Che  le  lasciasse  in  cortesia  l'assunto Di  gittar  della  sella  il  cavaliero, Ch'avea  di  fiori  il  bel  vestir  trapunto; Ma  non  potè  impetrarlo,  e  fu  mestiero A  lei  far  ciò  che  Ruggier  volse  a  punto. volse  l'impresa  tutta  avere, E  Bradamante  si  stesse  a  vedere. 64  Ruggiero  al  vecchio  domandò  chi  fosse Questo  primo  ch'uscia  fuor  della  porta. È  Sansonetto,  disse;  che  le  rosse Veste  conosco,  e  i  bianchi  fior  che  porti L'uno  di  qua,  l'altro  di  là  si  mosse parlarsi,  e  fu  l'indugia  corta; Che  s' andare  a  trovar  coi  ferri  bassi, Molto  affrettando  i  lor  destrieri  i  passi. 65  In  questo  mezzo  della  rocca  usciti Eran  con  Pinabel  molti  pedoni, Presti  per  levar  l'arme  ed  espediti Ai  cavalier  ch'uscian  fuor  degli  arcioni. incontra  i  cavalieri  ardici, Fermando  in  su  le  reste  i  gran  landooi. Grossi  duo  palmi,  di  nativo  cerro, Che  quasi  erano  uguali  insino  al  ferro. 66  Di  tali  n'avea  più  d'una  decina Fatto  tagliar  di  su  lor  ceppi  vivi Sansonetto  a  una  selva  indi  vicina, E  portatone  duo  per  giostrar  quivi. Aver  scudo  e  corazza  adamantina Bisogna  ben,  che  le  percosse  schivi. L'uno  a  Ruggier,  l'altro  per  sé  ritenne. 67  Con  questi,  che  passar  dovean  gì'  ineadi (Sì  ben  ferrate  avean  le  punte  estreme), Di  qua  e  di  là  fermandoli  agli  scudi, Quel  di  Ruggiero,  che  i  demonj  ignudi Fece  sudar,  poco  del  colpo  teme: Dello  scudo  vo'dir  che  fece  Atlante, Delle  cui  forze  io  v'ho  già  detto  innante. L'incantato  splendor  negli  occhi  fere, Ch'ai  discoprirsi  ogni  veduta  ammorza, E  tramortito  l'uom  fa  rimanere: Perciò,  s'un  gran  bisogno  non  lo  sfona, D'un  vel  coperto  lo  solea  tenere. Si  crede  eh' anco  impenetrabil  fosse, Poich'a  questo  incontrar  nulla  si  mosse. Il  gravissimo  colpo  non  sofferse. loco  al  ferro,  e  pel  mezzo  s'aperse; Die  loco  al  ferro,  e  quel  trovò  di  sotto braccio  ch'assai  mal  si  ricoperse; Si  che  ne  fu  ferito  Sansonetto, della  sella  tratto  al  suo  dispetto. 70    E  q,uesto  il  primo  fu  di  quei  compagni Che  quivi  mantenean  l'usanza  fella, Convien  chi  ride,  anco  talor  si  lagni, La  giustizia  di  Dio,  per  dargli  quanto Che  seco  cadde,  anzi  il  suo  buon  destino; E  trassene,  credendo  nello  speco fosse  sepolta,  il  destrier  seco. Bradamante  conosce  il  suo  cavallo, E  conosce  per  lui  l'iniquo  conte; E  poi  eh'  ode  la  voce,  e  vicino  hallo Con  maggior  attenzion  mirato  in  fronte: Che  procacciò  di  farmi  oltraggio  ed  onte; Ecco  il  peccato  suo,  che  l'ha  condutto Ove  avrà  de' suoi  merti  il  premio  tutto. II  minacciare  e  il  por  mano  alla  spada tutto  a  un  tempo,  e  lo  avventarsi  a  quello; Ma  innanzi  tratto  gli  levò  la  strada. non  potè  fuggir  verso  il  castello. è  la  speme  eh' a  salvar  si  vada. Come  volpe  alla  tana,  Pinabello. gridando,  e  senza  mai  far  testa, Fuggendo  si  cacciò  nella  foresta. Pallido  e  sbigottito  il  miser  sprona, Cbè posto  ha  nel  fuggir  P  ultima  speme. L'animosa  donzella  di  Dordona Gli  ha  il  ferro  ai  fianchi,  e  lo  percuote  e  preme: Yien  con  lui  sempre,  e  mai  non  Tabbandona. Grande  è  il  mmore,  e  il  bosco  intorno  geme. Nulla  al  Castel  di  questo  ancor  s'intende, Però  ch'ognuno  a  Ruggier  solo  attende. 76  Gli  altri  tre  cavalier  della  fortezza Intanto  eran  usciti  in  su  la  yia; Ed  aveàu  seco  quella  mala  avvezza, Che  v'avea  posta  la  costuma  ria. ciascun  di  lor  tre,  che  '1  morir  prezza Più  eh'  aver  vita  che  con  biasmo  sia, Di  vergogna  arde  il  viso,  e  il  cor  di  duolo, Che  tanti  ad  assalir  vadano  un  solo. 77  La  crudel  meretrice  ch'avea  fatto Por  quella  iniqua  usanza,  ed  osservarla, Il  giuramento  lor  ricorda  e  il  patto Ch'  essi  fatti  l'avean,  di  vendicarla. Se  sol  con  questa  lancia  te  gli  abbatto, mi  vuoi  con  altre  accompagnarla? Cosi  dicea  Grifon,  cosi  Aquilante: Giostrar  da  sol  a  sol  volea  ciascuno, La  donna  dicea  loro:  A  che  far  tante Parole  qui  senza  profitto  alcuno? tórre  a  colui  l'arme  io  v'ho  qui  tratti, per  far  nuove  leggi  e  nuovi  patti. escuse,  e  non  ora,  che  son  tarde:Voi  dovete  il  preso  ordine  servarme, vostre  lingue  far  vane  e  bugiarde. Ruggier  gridava  lor: Eccovi  l'arme, panni  della  donna  eccovi  ancora:,  eh'  a  forza  si  spiccaro  insieme, Dinanzi  apparve  V  uno  e  l'altro  seme Del  marchese  onorato  di  Borgogna; a  lor  dietro  con  poco  intervallo. 81  Con  la  medesim' asta,  con  che  avea Atlante  aver  sui  monti  di  Pirene: 82  Benché  sol  tre  fiate  bisognolli, deir  Orca  alle  marine  spume, fu  a  chi  la  campò  poi  cosi  cruda. 83  Fuorché  queste  tre  volte,  tutto  1  resto tenea  sotto  un  velo  in  modo  ascoso, a  discoprirlo  esser  potea  ben  presto, Che  del  suo  aiuto  fosse  bisognoso. Quivi  alla  giostra  ne  venia  con  questo, Come  io  v'  ho  detto  ancora,  si  animoso, Ruggier  scontra  Grifone  ove  la  penna Dello  scudo  alla  vista  si  congiunge. Quel  di  cader  da  ciascun  lato  accenna. Ed  alfin  cade,  e  resta  al  destrier  lunge. Mette  allo  scudo  a  lui  Grifon  l'antenna; Ma  pel  traverso  e  non  pel  dritto  giunge: 

E  perchè  lo  trovò  forbito  e  netto, .    L'andò  strisciando,  e  fé'  contrario  effetto, 85  Ruppe  il  velo  e  squarciò,  che  gli  copria Lo  spaventoso  ed  incantato  lampo. Al  cui  splendor  cader  si  convenia Con  gli  occhi  ciechi,  e  non  vi  s'ha  alcun  scampo. Aquilante,  eh' a  par  seco  venia,     , Stracciò  l'avanzo,  e  fé lo  scudo  vampo. Lo  splendor  feri  gli  occhi  ai  duo  fratelli, Ed  a  Guidon  che  correa  dopo  quelli. 86  Chi  di  qua,  chi  di  là  cade  per  terra:Lo  scudo  non  pur  lor  gli  occhi  abbarbaglia, Ma  fa  che  ogn' altro  senso  attonito  erra. Ruggier,  che  non  sa  il  fin  della  battaglia, il  cavallo;  e  nel  voltare  afferra La  spada  sua,  che  si  ben  punge  e  taglia: E  nessun  vede  che  gli  sia  all'incontro; Che  tutti  eran  caduti  a  quello  scontro. 87  I  cavalieri,  e  insieme  quei  eh a  piede Erano  asciti,  e  cosi  le  donne  anco, E  non  meno  i  destrieri  in  guisa  vede, Che  par  che  per  morir  battano  il  fianco. Prima  si  maraviglia,  e  poi  s avvede Che  U  velo  ne  pendea  dal  lato  manco:Dico  il  velo  di  seta,  in  che  solca Chiuder  la  luce  di  quel  caso  rea. 88  Presto  si  volge;  e  nel  voltar,  cercando    ' gli  occhi  va  T amata  sna  guerriera; vien  là  dove  era  rimasa  quando La  prima  giostra  cominciata  s'era. Pensa  ch'andata  sia,  non  la  trovando, vietar  che  quel  giovine  non  pera, dubbio  ch'ella  ha  forse  che  non  s'arda In  questo  mezzo  eh'  a  giostrar  si  tarda. 89  Fra  gli  altri  che  giacean  vede  la  donna, La  donna  che  l'avea  quivi  guidato. Dinanzi  se  la  pon,  sì  come  assonna, manto  eh'  essa  avea  sopr&  la  gonna, Poi  ricoperse  lo  scudo  incantato; E  i  sensi  riaver  le  fece  tosto Che'l  nocivo  splendore  ebbe  nascosto. 90  Via  se  ne  va  Ruggier  con  faccia  rossa, Che,  per  vergogna,  di  levar  non  osa:Gli  par  ch'ognuno  improverar  gli  possa Quella  vittoria  poco  gloriosa. Ch'  emenda  poss'  io  fare,  onde  rimossa Mi  sia  una  colpa  tanto  obbrobriosa? Che  ciò  eh'  io  vinsi  mai,  fu  per  favore, Diran,  d'incauti,  e  non  per  mio  valore. btanza  86 l     Mentre  cosi  pensando  seco  giva. Venne  in  quel  che  cercava  a  dar  di  cozzo; Ghè'n  mezzo  della  strada  soprarriva Dove  profondo  era  cavato  un  pozzo. Quivi  l'armento  alla  caldi  ora  estiva Si  ritraea,  poi  eh' avea  pieno  il  gozzo. Disse  Ruggiero;  Or  provveder  bisogna, Che  non  mi  facci,  o  scudo,  più  vergogni. 92    Più  non  starai  tu  meco;  e  questo  sia L'ultimo  biasmo  e' ho  d'averne  al  monio. Così  dicendo,  smonta  nella  via:Piglia  una  grossa  pietra  e  di  gran  pondo, E  la  lega  allo  scudo,  ed  ambi  invia l'alto  pozzo  a  ritrovarne  il  fondo: E  dice: Costà  giù  statti  sepulto, E  teco  stia  sempre  il  mio  obbrobrio occulto. 93  II  pozzo  è  civo,  e  pieno  al  sommo  d'acque: Grieve  è  lo  scudo,  e  quella  pietra  grieve. Non  si  fermò  finché  nel  fondo  giacque: Sopra  si  chiuse  il  liquor  molle  e  lieve. Il  nobil  atto  e  di  splendor  non  tacque E  di  rumor  n'  empì,  sonando  il  corno, E  Francia  e  Spagna,  e  le  provincie  intorno. 94  Poi  che  di  voce  in  voce  si  fé  questa Strana  avventura  in  tutto  il  mondo  nota, Molti  guerrier  si  misero  all'inchiesta E  di  parte  vicina  e  di  remota: Ma  non  sapean  qual  fosse  la  foresta. Dove  nel  pozzo  il  sacro  scudo  nuota; Che  la  donna  che  fé'  l'atto  palese, Dir  mai  non  volse  il  pozzo  né  il  paese. Al  partir  che  Ruggier  fé'  dal  castello, Dove  avea  vinto  con  poca  battaglia; Che  i  quattro  gran  campion  di  Pinabelio Fece  restar  com'r omini  di  paglia; Tolto  lo  scudo,  avea  levato  quello Lume  che  gli  occhi  e  gli  animi  abbarbaglia: E  quei  che  giaciuti  eran  come  morti   Pieni  di  meraviglia  eran  risorti. Altro  fra  lor,  che  dello  strano  caso; E  come  fu  che  ciascun  d'essi  a  quella Orribil  luce  vinto  era  rimaso. Mentre  parlan  di  questo,  la  novella Vien  lor  di  Pinabel  giunto  all' occaso:Che  Pinabelio  è  morto  hanno  l'avviso; Ma  non  sanno  però  chi  l'abbia  ucciso. 97    L'ardita  Bradamante  in  questo  meso Giunto  avea  Pinabelio  a  un  passo  stretto: E cento volte  gli  avea  fin  a  mezzo Messo  il  brando  pei  fianchi  e  per  lo  petto. Tolto  ch'ebbe  dal  mondo  il  pozzo  el  ]ez7o Che  tutto  intomo  avea  il  paese  infetto, Le  spille  al  bosco  testimonio  volse Con  quel  destrier  che  già  il  fellon  le  tolse. 9Ì    Volse  tornar  dove  lasciato  avea Rnggier;  né  seppe  mai  trovar  la  strada. Or  per  vaHe  or  per  monte  s'avrolgea: Tutta  quasi  cercò  quella  contrada. Non  volse  mai  la  sua  fortuna  rea, Che  via  trovasse  onde  a  Ruggier  si  vada. Quest'altro  Canto  ad  ascoltare  aspetto Chi  dell'istoria  mia  prende  diletto. NOTE. ST.  2.  V.56.   Nummi j  Danari  (lat.). St.  2.  V.7.   Ipermestra: la  sola  delle  cinquanta Danaidi,  sorelle,  che  non  svenasse  il  marito  nella  prima notte  delle  nozze. St.  6.  V.18.   Natòlia: V  Asia  Minore,  detta  oggi Anatolia.   Bursia,  denominata  altresì  Bursa  o  Brusa, e  in  antico  Prusa,  città  situata  alle  falde  deirOlimpo: fu  in  tempo  sede  dei  re  di  Bitinia,  ed  avanti  la  presa di  Costantinopoli  era  la  capitale  dell'impero  ottomano.  Franconia  fu  detto  già  un  i"aese  della  Germania,  che ora  fa  parte  del  Baden  e  del  Viirtemberg.  Prese  il  nome dai  Franchi. St.  7.  V.1.   Per  la  selva  d  Ardenna.  Tale  era  il nome  di  una  selva,  altre  volte  estesissima,  ma  ora  con siderevolmente diminuita,  in  una  parte  della  Gallia  Bel 

gica, tra  la  Sciampagna  e  la  Fiandra.   Agtiisgrana, Aix  la  Chapelle. St.  8.  V.8.   Caìessio,  Calais.  Altrove  l'Ariosto  lo chiama  Calesse. St.  9.  V.67.   Caererà  sotto  la  sponda: caccerà sott'acqua  V  estremità,  ossia  la  prjra  del  naviglio.  Per  la  schena  del  mar,  ecc.  Percorre  col  navislio  b lunghezza  del  canale  marittimo,  perchè  noi  pud  attra versare. St.  10.  v.34.   Roano: Rouen,  città  di  Normanfia St.  13.  V.5.   Discorso:  qui  corso,  corsa. St.  23.  V.6.   a  sesta: opportanamente. St.  27.  V.6   VanOt  qni  Vaneggiamento,  Sfrenatou St.  33.  V.6.   Errabondi,  qui  fcUlaeL St.  72.  V.3.   SeH  vi  raccorda: Se  ve  lo  ricordate. St.  79.  V.6.   Barde,  bardature. St.  82.  V.3.   Dai  regni  molli:  regni  dell'effemi natezza e  della  lascivia St.  85.  V.6.   Fé  lo  scudo  vampo:  lo  scudo  rìfdse d'improvviso  splendore. St.  94.  y.  6.   Sacro  Il  poeta  chiama  sacro  lo  scado d'Atlante,  come  altrove  Tanello  d'AngeUca"  perché  tatti e  due  incantati. OANTO  VENTESIMOTERZO.   6. nratlmmante  s'inponna  in  Ashilfo,  i !m  fJnpf>  ivevle  nfH dalo  HiLù'nno,  part'  i\W  IppOivif'V  Bniiìciinanti  va ii;  Moi]t:ill"ahO,  ii  rrntìemìci  Riifrjuro  in  Vnllomlu'osa ffli  maiiila.  ppi  mia  stisdamìs  Ha  Pi''Hitìii!t  rictameiite ,  Nf'l  fammìiirì  ]a  ilnmigt'na  trova  Rodomrute vUi:  Ui  Uì'\w  il  l'avallo.  >;eiliiiia  e  (Jabrinfv  iijiiioiio ad  Al  lai!  va,  rlstpllo  dtìì  ionli  da  Poh  ti  ero,  dove  la uialirm  veci' Ina  aiiiusa  Zei  Inno  "Idia  uccisione  di  Pi iviljelk];  e  linnorciJtc  Cftvaluricj  li  condotto  a  moiire. Arriva  quivi  ndixndo  con  Isabelhi .  lileia  Zibino  e ;;li  restittiisi'u  ramante.  Soiirafjgiunffe  SfaiidrÌL'ai'rlo r'iin  Lìiivalìce:  il  paladino  combsittf  col  prifaiiOT  '  Ja pirpiii  t>  intsfiTorta  da  nn  acc  niente.  Ha  ni]  ritardo  tS trajiottarn  aititi  ve  dal  proprio  cavallo:  Orlando  ca piU  al  luogo  che  fu  dimom  d  Anjflita  e  di  Medoix), tid  ivi  L;rni]i[U'la  a  iH'rdci'f  il  Menno. Stuiiii  uijiinii  iiovfire  Itmi;  cliè  raiìe Volte  il  ben  far  senfi  il  jìuo  pifniin  fi:i; H  se  ]mr  Etu?  almen  nou  te  ne  ai:caU{.' Morte,  né  danno,  né  ignominia  ria. Ohi  nuoce  altrui,  tardi  0  per  tempo  cade Il  debito  a  scontar,  che  non  s'obblia. Dice  il  proverbio,  eh'  a  trovar  si  vanno Gli  uomini  spesso,  e  i  moLti  fermi  stanno. 2  Or  vedi  quel  eh' a  Pinabello  avviene Per  essersi  portato  iniquamente: È  giunto  in  somma  alle  dovute  pene, Dovute  e  giuste  alla  sua  ingiusta  mente. Veder  patire  a  torto  uno  innocenteSalvò  la  donna;  e  salverà  ciascuno Che  d'ogni  fellonia  viva  digiuno. 3  Credette  Pinabel  questa  donzella Già  d'aver  morta,  e  colà  giù  sepulta; Né  la  pensava  mai  veder,  non  ch'ella Gli  avesse  a  tor  degli  error  suoi  la  multa. Né  il  ritrovarsi  in  mezzo  le  castella Del  padre,  in  alcun  util  gli  risulta. Quivi  Altaripa  era  tra  monti  fieri Vicina  al  tenitorio  di  Pontieri. 4  Tenea  quell'Altaripa  il  vecchio  conte Anselmo,  di  eh'  uscì  questo  malvagio, Che,  per  fuggir  la  man  di  Chiaramonte, D'amici  e  di  soccorso  ebbe  disagio. La  donna  al  traditore  appiè  d'un  monte Tolse  l'indegna  vita  a  suo  grand'agio;Che  d'altro  aiuto  quel  non  si  provvede, <ie  d'alti  gridi  e  di  chiamar  mercede. 5  Morto  ch'ella  ebbe  il  falso  cavaliero, Che  lei  voluto  avea  già  porre  a  morte, Volse  tornare  ove  lasciò  Ruggiero; Ma  non  lo  consentì  sua  dura  sorte, Che  la  fé  traviar  per  un  sentiero Che  la  portò  dov'  era  spesso  e  forte, Dove  più  strano  e  più  solingo  il  bosco, Lasciando  il  sol  già  il  mondo  all'aer  fosco. 6  Né  sappiendo  ella  ove  potersi  altrove La  notte  riparar,  si  fermò  quivi Sotto  le  frasche  in  su  l'erbette  nuove, Parte  dormendo,  finché '1  giorno  arrivi, Parte  mirando  ora  Saturno  or  Giove,  Venere  e  Marte,  e  gli  altri  erranti  Divi; Ma  sempre,  o  vegli  o  dorma,  con  la  mente Contemplando  Ruggier  come  presente. 7  Spesso  di  cor  profondo  ella  sospira, Di  pentimento  e  di  dolor  compunta, Ch'abbia  in  lei,  più  ch'amor,  potuto  l'ira. L'ira,  dicea,  m'ha  dal  mio  amor  disgiunta: Almen ci  avessi  io  posta  alcuna  mira, Poich'avea  pur  la  mala  impresa  assunta. Di  saper  ritornar  dond'io  veniva; Che  ben  fui  d'occhi  e  di  memoria  priva. 8  Queste  ed  altre  parole  ella  non  tacque, E  molto  più  ne  ragionò  col  core. Il  vento  intanto  di  sospiri,  e  l'acque Di  pianto  facean  pioggia  di  dolore. Dopo  una  lunga  aspettazion  por  nacque In  oriente  il  disiato  albore: Ed  ella  prese  il  suo  destrier,  ch'intorno Giva  pascendo,  ed  andò  centra  il  giorno. 9  Né  molto  andò,  che  si  trovò  all'uscita Del  bosco,  ove  pur  dianzi  era  il  palagio. Là  dove  molti  di  l'avea  schernita Con  tanto  error  l'incantator  malvagio. Ritrovò  quivi  Astolfo,  che  fornita La  briglia  all' Ippogrifo  avea  a  grande  agit E  stava  in  gran  pensier  di  Rabicano, Per  non  sapere  a  chi  lasciarlo  in  mano. 10  A  caso  si  trovò  che  fuor  dì  testa L'elmo  allor  s' avea  tratto  il  paladino; Sì  che  tosto  ch'uscì  della  foresta, Bradamante  conobbe  il  suo  cugino. Di  lontan  salutollo,  e  con  gran  festa Gli  corse,  e  l'abbracciò  poi  più  vicino; E  nominossi,  ed  alzò  la  visiera E  chiaramente  fé'  veder  chi  eli'  era. 11  Non  potea  Astolfo  ritrovar  persona A  chi  il  suo  Rabican  meglio  lasciasse.Perché  dovesse  averne  guardia  buona E  renderglielo  poi  come  tornasse, Della  figlia  del  duca  di  Dordona; E  parvegli  che  Dio glilamandasse. Vederla  volentier  sempre  solca, Ma  pel  bisogno  or  più  ch'egli  n'avea. 12  Da  poi  che  due  e  tre  volte  ritornati Fraternamente  ad  abbracciar  si  f5ro, E  si  fur  l'uno  all'altro  domandati Con  molta  alFezion  dell'esser  loro, Astolfo  disse:  Ormai,  se  dei  pennati Vo'il  paese cercar,  troppo  dimoro: Ed  aprendo  alla  donna  il  suo  pensiero. Veder  le  fece  il  volator  destriero. 13  A  lei  non  fu  di  molta  maraviglia Veder  spiegar  a  quel  destrier  le  penne; Ch'altra  volta,  reggendogli  la  briglia Atlante  incantator,  centra  le  venne, E  le  fece  doler  gli  occhi  e  le  ciglia; Sì  fisse  dietro  a  quel  volar  le  tenne Quel  giorno,  che  da  lei  Ruggier  lontano Portato  fu  per  cimmin  lungo  e  strano. CANTO    VENTESIMOTERZO. 14  Astolfo  disse  a  lei,  che  le  volea Dar  Kabican  che  sì  nel  corso  affretta, Che  se,  scoccando  V  arco,  si  movea, Si  solea  lasciar  dietro  la  saetta; E  tutte  V  arme  ancor,  quante  n'  avea:Che  vuol  eh a  Moutalban  gli  le  rimetta, .E  gli  le  serbi  fin  al  suo  ri  tomo; Che  non  gli  fanno  or  di  bisogno  intorno. 15  Volendosene  andar  per  l'aria  a volo, Aveasi  a  far  quanto  potea  più  lieve. Tiensi  la  spada  e  '1  corno,  ancorché  solo Bastargli  il  corno  ad  ogni  risco  deve. Bradamante  la  lancia  che'l  figlinolo Portò  di  Galafrone,  anco  riceve; La  lancia  che,  di  quanti  ne  percote, Fa  le  selle  restar  subito  vuote. 16  Salito  Astolfo  sul  destrier  volante. Lo  fa  mover  per  Paria  lento  lento; ludi  lo  caccia  sì,  che  Bradamante Ogni  vista  ne  perde  in  un  momento. Cosi  si  parte  col  pilota  innante 11  nocchier  che  gli  scogli  teme  e  1  vento; E  poi  che'l  porto  e  i  liti  addietro  lassa, Spiega  ogni  vela,  e  innanzi  ai  venti  passa. 17  La  donna,  poi  che  fu  partito  il  duca. Rimass  in  gran  travaglio  della  mente: Che  non  sa  come  a  Montalbau  conduca L'armatura  e  il  destrier  del  suo  parente; Perocché  '1  cuor  le  cuoce  e  le  manuca LMngorda  voglia  e  il  desiderio  ardenteDi  riveder  Ruggier,  che,  se  non  prima, A  Vallombrosa  ritrovar  lo  stima. 18  Stando  quivi  sospe>a,  per  ventura Si  vide  innanzi  giungere  un  villano, Dal  qual  fa  rassettar  quella  armatura Come  si  puote,  e  por  su  Rabicano:Poi  di  menarsi  dietro  gli  die  cura I  duo  cavalli,  un  carco  e  l'altro  a  mano: Elia  n'  avea  duo  prima,  eh'  avea  quello, Sopra  il  qual  levò  l'altro  a  Pinabello. 19  Di  Vallombrosa  pensò  far  la  strada, Che  trovar  quivi  il  suoRuggier  ha  speme: Ma  qual  più  breve  o  qual  miglior  vi  vada, Poro  discerne,  e  d'ire  errando  teme. II  villan  non  avea  della  contrada Pratica  molta;  ed  erreranno  insieme. Pur  andare  a  ventura  ella  si  messe. Dove  pensò  che'i  loco  esser  dovesse. 20  Di  qua  di  là  si  volse,  né  persona Incontrò  mai  da  domandar  la  via. Si  trovò  uscir  del  bosco  in  su  la  nona.Dove  un  Castel  poco  lontan  scopria, Il  qual  la  cima  a  un  monticel  corona. Lo  mira,  e  Montai  bau  le  par  che  sia:Ed  era  certo  Montalbano;  e  in  quello Avea  la  madre  ed  alcun  suo  fratello. 21  Come  la  donna  conosciuto  ha  il  loco, Nel  cor  s' attrista,  e  più  eh'  i'  non  so  dire. Sarà  scoperta,  se  si  ferma  un  poco; Né  più  le  sarà  lecito  a  partire. Se  non  si  parte,  l'amoroso  foco L'arderà  sì,  che  la  farà  morire: Non  vedrà  più  Ruggier,  né  farà  cosa Di  quel  ch'era  ordinato  a  Vallombrosa. 22  Stette  alquanto  a  pensar;  poi  si  risolse Di  voler  dare  a  Montalbau  le  spalle:E  verso  la  badia  pur  si  rivolse; Che  quindi  ben  sapea  qual  era  il  calle. Ma  sua  fortuna,  o  buona  o  trista,  volse Che,  prima  ch'ella  uscisse  della  valle, Scontrasse  Alardo,  un  de'  fratelli  sui; Né  tempo  di  celarsi  ebbe  da  lui. 23  Veniva  da  partir  gli  alloggiamenti Per  quel  contado  a  cavalieri  e  a  fanti; Ch'ad  instanzia  di  Carlo  nuove  genti Fdtto  avea  delle  terre  circonstanti. I  saluti  e  i  fraterni  abbracciamenti Con  le  grate  accoglienze  andare  innanti; E  poi,  di  molte  cose  a  paro  a  paro Tra  lor  parlando  in  Moatalban  tornaro. 24  Entrò  la  bella  donna  in  Montalbano, Dove  l'avea  con  lacrimosa  guancia Beatrice  molto  desiata  invano, E  fattone  cercar  per  tutta  Francia. Or  quivi  i  baci  e  il  giunger  mano  a  mano Di  madre  e  di  fratelli  estimo  ciancia, Verso  gli  avuti  con  Ruggier  complessi, Ch'avrà  nell'alma  eternamente  impressi. 25  Non  potendo  ella  andar,  fece  pensiero Ch'a  Vallombrosa  altri  in  suo  nome  andasse Immantinente  ad  avvisar  Ruggiero Della  cagion  eh'  andar  lei  non  lasciasse:E  lui  pregar  (s'era  pregar  mestiero) Che  quivi  per  suo  amor  si  battezzasse, E  poi  venisse  a  far  quanto  era  detto, Sì  che  si  desse  al  matrimonio  effetto. 26  Pel  medesimo  messo  fé' disegno Di  mandar  a  Ruggiero  il  suo  cavallo, Che  gli  solea  tanto  esser  caro:  e  degno D'essergli  caro  era  ben  senza  fallo; Che  non  s'avria  trovato  in  tutto 'l  regno Dei  saracin,  né  sotto  il  signor  gallo, Più  bel  destrier  di  questo  o  più  gagliardo. Eccetti  Brigliador,  soli,  e  Baiardo. 27  Ruggier,  quel  dì  che  troppo  audace  ascese Su  rippogrifo,  e  verso  il  ciel  levosse, Lasciò  Frontino,  e  Bradamante  il  prese (Frontino,  che  '1  destrier  cosi  nomosse):MandoUo  a  Montalbano,  e  a  buone  spese Tener  lo  fece,  e  mai  non  cavalcosse, Se  non  per  breve  spazio  e  a  picciol  passo  j Sì  ch'era  più  che  mai  lucido  e  grasso. 28  Ogni  sua  donna  tosto, ognidonzella Pon  seco  in  opra,  e  con  suttil  lavoro Fa  sopra  seta  candida  e  morella Tesser  ricamo  di  finissim  oro; E  dì  quel  copre  ed  orna  briglia  e  sella Del  buon  destrier: poi  sceglie  una  di  loro, Figlia  di  Callitrefia  sua  nutrice, D'ogni  secreto  sua  fida  mlitrice. 29  Quanto  Ruggier  l'era  nel  core  impresso, Mille  volte  narrato  avea  a  costei:La  beltà,  la  virtude,  i  modi  d'esso Esaltato  1'  avea  fin  sopra  i  Dei. A  sé  chiamolla,  e  disse:  Miglior  messo A  tal  bisogno  elegger  non  potrei; Che  di  te  né  più  fido  né  più  saggio Imbasciator .  Ippalca  mia,  non  àggio. 30  Ippalca  la  donella  era  nomata. Va,  le  dice  (e  l'insegna  ove  de' gire); E  pienamente  poi  l'ebbe  informata Di  quanto  avesse  al  suo  signore  a  dire. E  far  la  scusa  se  non  era  andata Al  monaster: che  non  fu  per  mentire; Ma  che  fortuna,  che  di  noi  potea Più  che  noi  stessi,  da  imputar  s' avea. 31  Montar  la  fece  s'un  ronzino,  e  in  mano La  ricca  briglia  di  Frontin  le  messe: E  se  si  pazzo  alcuno  o  si  villano Trovasse,  che  levar  le  lo  volesse, Per  fargli  a  una  parola  il  cervel  sano, Di  chi  fosse  il  destrier  sol  gli  dicesse; Che  non  sapea  si  ardito  cavaliero, Che  non  tremasse  al  nome  di  Ruggiero. 32    Di  molte  cose  l'ammonisce  e  molte, Che  trattar  con  Ruggier  abbia  iti  sua  vece 

Le  qual  poi  ch'ebbe  Ippalca  ben  raccolte,Si  pose  in  via,  né  più  dimora  fece. Per  strade  e  campi  e  selve  oscure  e  folte Cavalcò  delle  miglia  più  di  diece; Che  non  fu  a  darle  noia  chi  venisse. Né  a  domandarla  pur  dove  ne  gisse. 83  A  mezzo  il  giorno,  nel  calar  d'un  monte. In  una  stretta  e  malagevol  via Si  venne  ad  incontrar  con  Rodomonte, Ch'armato  un  piccol  n\no  e  a  pie  segm. Poiché  sì  bel  destrier,  sì  bene  ornato. Non  avea  in  man  d'an  cavalier  trovato. 84  Avea  giurato  che  '1  primo  cavallo Torria  per  forza,  che  tra  via  incontrasse. Or  questo  è  stato  il  primo;  e  trovato  hallo Più  bello  e  più  per  lui,  che  mai  trovasse: Ma  torio  a  una  donzella  gli  par  fallo; E  pur  agogna  averlo,  e  in  dubbio  storse. Lo  mira,  lo  contempla,  e  dice  spesso: Deh  perché  il  suo  signor  non  è  con  esso  ' 35  Deh  ci  fosse  egli!  gli  rispose  Ippalci; Che  ti  faria  cangiar  forse  pensiero. Assai  più  di  te  vai  chi  lo  cavalca; Né  lo  pareggia  al  mondo  altro  guerriero. Chi  é,  le  disse  il  lIoro,  che  pì  calca L'onore  altrui?  Rispose  ella:  Ruggiero. E  quel  soggiunse:  Adunque  il  destrier  voiio. Poich'a  Ruggier,  sì  gran  campiou,  Io  tosrli) 36  II  qual,  se  sarà  ver,  come  tu  parli, Che  sia  si  forte,  e  più  d'ogn' altro  vaglia. Nonché  il  destrier,  ma  la  vettura  darli Converrammi,  e  in  suo  arbitrio  fia  la  taglia. Che  Rodomonte  io  sono,  hai  da  narrarli; E  che,  se  pur  vorrà  meco  battaglia, Mi  troverà:  eh' ovunque  io  vada  o  stia, ìli  fa  sempre  apparir  la  luce  mia. 37  Dovunque  io  vo,  si  gran  vestigio  resta, Che  non  lo  lascia  il  fulmine  maggiore Cosi  dicendo,  avea  tornate  in  testa Le  redini  dorate  al  corridore: Sopra  gli  salta;  e  lacrimosa  e  mesta Rimane  Ippalca,  e  spinta  dal  dolore, Minaccia  Rodomonte,  e  gli  dice  onta: Non  l'ascolta  egli,  e  su  pel  poggio  raoati. 38     Per  quella  via  dove  Io  guida  il  nano l'er  trovar  Mandricardo  e  Doralice, Gli  viene  Ippalca  dietro  di  lontano E  lo  bestemmia  sempre  e  maled'ce. Ciò  che  di  questo  avvenne,  altrove  è  piano. Turpin,  che  tutta  questa  istoria  dice, Fa  qui  digrosso,  e  torna  in  quel  paese, Dove  fu  dianzi  morto  il  Maganzese. 39    Dato  avea  appena  a  quel  loco  le  spalle La  figliuola  d' Amon,  ch  in  fretta  già, Che  v'arrivò  Zerbin  per  altro  calle Con  la  fallace  vecchia  in  compagnia:E  giacer  vide  il  corpo  nella  valle Del  cavalle r,  che  non  sa  già  chi  sia; 3Ia,  come  quel  ch'era  cortese  e  pio, Ebbe  pietà  del  caso  acerbo  e  rio. stanza  6U 40    Qiaceva  Pinabello  in  terra  spento. Versando  il  sangue  per  tante  ferite, Ch'esser  dbveano  assai,  se  più  di  cento Spade  in  sua  morte  si  fossero  unite. Il cavalier  di  Scozia  non  fu  lento, Per  r  orme  che  di  fresco  eran  scolpite, A  porsi  in  avventura,  se  potea Saper  chi  l'omicidio  fatto  avea. 42    Se  di  portarne  il  furto  ascosamente Avesse  avuto  modo  o  alcuna  speme, La  soprawesta  fatta  riccamente Gli  avrebbe  tolta,  e  le  bell'arme  insieme. Ma  quel  che  può  celarsi  agevolmente Si  piglia,  e'I  resto  fin  al  cor  le  preme. Fra  l'altre  spoglie  un  bel  cinto  levonne, E  se  ne  legò  i  fianchi  infìra  due  gonne. 41    Ed  a  Gabrina  dice  che  l'aspette; Che  senza  indugio  a  lei  farà  ritomo. Ella  presso  al  cadavere  si  mette, E  fissamente  vi  pon  gli  occhi  intorno:Perchè,. se  cosa  v'ha  che  le  dilette. Non  vuol  eh 'un  morto  invan  più  ne  sia  adorno, colei  che  fa,  tra  l'altre  note. Quanto  avara  esser  più  femmina  puote. 43    Poco  dopo  arrivò  Zerbin.  eh' avea Seguito  invan  di  Bradamante  i  passi,Perchè  trovò  il  sentier  che  si  torcea In  molti  rami  ch'ivano  alti  e  bassi; E  poco  omai  del  giorno  rimanea, Né  volea  al  buio  star  fra  quelli  sassi; E  per  trovare  albergo  die  le  spalle Con  l'empia  vecchia  alla  funesta  valle. 44  Quindi  presso  a  dua  miglia  ritrovaro Un  gran  caste!  che  fa  detto  Altariva, Dove  per  star  la  notte  si  fermare, Che  già  a  gran  volo  inverso  il  ciel  saliva. Non  vi  stér  molto,  eh'  un  lamento  amaro L'orecchie d'ogni  parte  lor  feriva; E  veggon  lacrimar  da  tutti  gli  occhi, la  cosa  a  tutto  il  popol  tocchi. 45  Zerbino  dimandonne;  e  gli  fu  detto Che  venut'  era  al  cont'  Anselmo  avviso, Che  fta  duo  monti  in  un  sentiero  stretto Giacca  il  su)  figlio  Pinabello  ucciso. Zerbin,  per  non  ne  dar  di  sé  sospetto, Di  ciò  si  finge  nuovo,  e  abbassa  il  viso; Ma  pensa  ben,  che  senza  dubbio  sia Quel  ch'egli  trovò  morto  in  su  la  via. 46  Dopo  non  molto  la  bara  funebre Giunse,  a  splendor  di  torchi  e  di  facelle, Là  dove  fece  le  strida  più  crebre Con  un  batter  di  man  gire  alle  stelle, E  con  più  vena  fuor  delle  palpebre Le  laciime  innondar  per  le  mascelle: 3ra  più  dell'altre  nubilose  ed  atre, Era  la  faccia  del  misero  patre. 47  Mentre  apparecchio  si  facea  solenne Di  grandi  esequie  e  di  funebri  pompe, Secondo  il  modo  ed  ordine  che  tenne L'usanza  antiqua,  e  ch'ogni  età  corrompe: Da  parte  del  signor  un  bando  venne, Che  tosto  il  popolar  strepito  rompe, E  promette  gran  premio  a  chi  dia  avviso Chi  stato  sia  che  gli  abbia  il  figlio  ucciso. Di  voce  in  voce,  e  d'una  in  altra  orecchia Il  grido  e  '1  bando  per  la  terra  scorse, Finché  l'udì  la  scellerata  vecchia, Che  di  rabbia  avanzò  le  tigri  e  l'orse; E  quindi  alla  mina  s'apparecchia Di  Zerbino,  o  per  l'odio  che  gli  ha  forse, 

0  per  vantarsi  pur,  che  sola  priva D'tmanitade  in  uman  corpo  viva; 49  0  fosse  pur  per  guadagnarsi  il  premio:A  ritrovar  n'  andò  quel  signor  mesto; E  dopo  un  verisimil  suo  proemio, (irli  disse  che  Zerbin  fatto  avea  questo:E  quel  bel  cinto  si  levò  di  gremio, '  Che '1  miser  padre  a  riconoscer  presto, Appresso  il  testimonio  e  triste  uffizio Dell'empia  vecchia,  ebbe  per  chiaro  indizio. 50  E  lacrimando  al  ciel  leva  le  mani, Che'l  figliuol  non  sarà  senza  vendetta. Fa  circondar  l'albergo  ai  terrasszani; tutto  'l  papol  s' è  levato  in  fretta. Zerbin  che  gii  nimici  aver  lontani Si  crede,  e  questa  ingiuria  non  aspetta, Dal  conte  Anselmo,  che  si  chiama  oifeso Tanto  da  lui,  nel  primo  sonno  è  preo; 51  E  quella  notte  in  tenebrosa  parte Incatenato  e  in  gravi  ceppi  messo. Il  sole  ancor  non  ha  le  luci  sparte, Che  l'ingiusto  supplicio  è  già  commesso: Che  nel  loco  medesimo  si  squarte, Dove  fu  il  mal  e' hanno  imputato  ad  esso. Altra  esamina  in  ciò  non  si  facea; Bastava  che  '1  signor  così  credea. 62    Poi  che  l'altro  mattin  la  bella  aurora L'aer  seren  fé  bianco  e  rosso  e  giallo, Tutto  '1  popol  gridando: Mora,  mora, Vien  per  punir  Zerbin  del  non  suo  fallo. Lo  sciocco  vulgo  l'accompagna  fuora, Senz'ordine,  chi  a  piede  e  chi  a  cavallo; E  'l  cavalier  di Scoziaacapochino Ne  vien  legato  in  s'un  piccol  ronzino. 53  Ma  Dio,  che  spesso  gl'innocenti  aiata. Né  lascia  mai  chi'n  sua  bontà  si  fida, Tal  difesa  gli  avea  già  provveduta. Che  non  v'  è  dubbio  più  eh'  oi  s' uccida. Quivi  Orlando  arrivò,  la  cui  venuta Alla  via  del  suo  scampo  gli  fu  guida. Orlando  giù  nel  pian  vide  la  gente Che  traea  a  morte  il  cavalier  dolente. 54  Era  con  lui  quella  fanciulla,  quella Che  ritrovò  nella  selvaggia  grotta. Del  re  Gklego  la  figlia  Isabella, In  poter  già  de'malandrin  condotta, Poi  che  lasciato  avea  nella  procella Del  truculento  mar  la  nave  rotta: Quella  che  più  vicino  al  core  avea Questo  Zerbin,  che  l'alma  onde  vivea. 55  Orlando  se  l'avea  fatta  compagna, Poi  che  della  caverna  la  riscosse. Quando  costei  li  vide  alla  campagna . Domandò  Orlando,  chi  la  turba  fosse. Non  so,  diss'egli;  e  poi  su  la  montagna Lasciolla,  e  verso  il  pian  ratto  si  mosse: Guardò  Zerbino,  ed  alla  vista  prima Lo  giudicò  baron  di  molta  stim. 56  E  fattosegli  appresso,  domandollo Per  che  cagione  e  dove  il  menin  preso. LeTÒ  il  dolente  cavaliero  il  collo; E  meglio  avendo  il  paladino  inteso, Rispose  il  vero;  e  così  ben  narrollo, Che  meritò  dal  conte  esser  difeso. Bene  avea  il  conte  alle  parole  scorto Ch'era  innocente,  e  che  moriva  a  torto. 57  E  poi  che'ntese  che  commesso  questo Era  dal  conte  Anselmo  d'Altariva, Fu  certo  ch'era  torto  manifesto; Ch'altro  da  quel  fellon  mai  non  deriva. Ed  oltre  a  ciò,  l'uno  era  all'altro  infesto Per  r  antiquissimo  oiio  che  bolliva Tra  il  sangue  di  Maganza  e  di  Chiaramonte; E  tra  lor  eran  morti  e  danni  ed  onte. .58  Slegate  il  cavalier,  gridò,  canaglia, Il  conte  a' masnadieri,  o  ch'io  v'uccido. Chi  è  costui  che  sì  gran  colpi  taglia? Rispose  un  che  parer  volle  il  più  fido: Se  di  cera  noi  fussimo  o  di  paglia, E  di  fuoco  egli,  assai  fora  quel  grido. E  venne  contra  il  paladin  di  Francia: Orlando  contro  lui  chinò  la  lancia. 62    Di  cento  venti  (che  Turpin  sottrasse Il  conto),  ottanta  ne  perirò  almeno. Orlando  finalmente  si  ritrasse Dove  a  Zerbin  tremava  il  cor  nel  seno. S'al  ritornar  d'Orlando  s'allegrasse, Non  si  potria  contare  in  versi  appieno. S3  gli  saria  per  onorar  prostrato; Ma  si  trovò  sopra  il  ronzin  legato. 63  Mentre  eh'  Orlando,  poi  che  lo  disciolse, L'aiutava  a  ripor  l'arme  sue  intorno, Ch'ai  capitan  della  sbirraglia  tolse, Che  per  suo  mal  se  n'  era  fatto  adomo; Zerbino  gli  occhi  ad  Isabella  volse, Che  sopra  il  colle  avea  fatto  soggiorno; E  poi  che  della  pugna  vide  il  fine. Portò  le  sue  bellezze  più  vicine. 64  Quando  apparir  Zerbin  si  vide  appresso La  donna  che  da  lui  fu  amata  tanto, La  bella  donn  che  per  falso  messo Credea  sommersa,  e  n'ha  più  volte  pianto: Com'un  ghiaccio  nel  petto  gli  sia  messo. Sente  dentro  aggelarsi,  e  trema  alquanto:Ma  tosto  il  freddo  manca,  ed  in  quel  loco Tutto  s'avvampa  d'amoroso  fuoco. 59  La  lucente  armatura  il  Maganzese, Che  levata  la  notte  avea  a  Zerbino, E  postasela  indosso,  non  difese Contro  l'aspro  incontrar  del  paladino. Sopra  la  destra  guancia  il  ferro  prese: L'elmo  non  passò  già,  perch'era  fino; Ma  tanto  fu  della  percossa  il  crollo. Che  la  vita  gli  tolse,  e  roppe  il  collo. 60  Tutto  in  un  corso,  senza  tor  di  resta La  lancia,  passò  un  altro  in  mezzo  '1  petto Quivi  lasciolla,  e  la  mano  ebbe  presta A  Durindana;  e  nel  drappel  più  stretto A  chi  fece  due  parti  della  testa, A  chi  levò  dal  busto  il  capo  netto; Forò  la  gola  a  molti;  e  in  un  momento N'uccise  e  messe  in  rotta  più  di  cento. 61  Più  del  terzo  n'ha  morto,  e'I  resto  caccia E  taglia  e  fende  e  fiere  e  fora  e  tronca. Chi  lo  scudo  e  chi  l'elmo  che  lo'mpaccia, E  chi  lascia  lo  spiedo  e  chi  la  ronca; Chi  al  lungo,  chi  al  traverso  il  cammin  spaccia; Altri  s'appiatta  in  bosco,  altri  in  spelonca. Orlando  di  pietà  questo  dì  privo, A  suo  poter  non  vuol  lasciarne  un  vivo. 6.5    Di  non  tosto  abbracciarla  lo  ritiene La  riverenza  del  signor  d'Aiiglante; Perchè  si  pensa,  e  senza  dubbio  tiene, Ch'Orlando  sia  della  donzella  amante. Così  cadendo  va  di  pene  in  pene, E  poco  dura  il  gaudio  ch'ebbe  innante: Il  vederla  d'altrui  peggio  sopporta, Che  non  fé'  quando  udì  eh'  ella  era  morta. 66  E  molto  più  gli  duol  che  sia  in  podestà Del  cavaliero  a  cui  cotanto  debbe; Perchè  volerla  a  lui  levar,  né  onesta Né  forse  impresa  facile  sarebbe; Nessuno  altro  da  sé  lassar  con  questa Preda  partir  senza  romor  vorrebbe; Ma  verso  il  conte  il  suo  debito  chiede Che  se  lo  lasci  por  sul  collo  il  piede. 67  Giunsero  taciturni  ad  una  fonte, Dove  smontare,  e  fèr  qualche  dimora. Trassesi  l'elmo  il  travagliato  conte, Ed  a  Zerbin  lo  fece  trarre  ancora. Vede  la  donna  il  suo  amatore  in  fronte, E  di  subito  gaudio  si  scolora; Poi  toma  come  fiore  umido  suole Dopo  gran  pioggia  all'apparir  del  sole: 8    E  senza  indugio  e  senza  altro  rispetto Corre  al  suo  caro  amante,  e  il  collo  abbraccia:E  non  pnò  trar  parola  fuor  del  petto, Ma  di  lacrime  il  sen  bagna  e  la  faccia. Orlando  attento  air  amoroso  affetto, Senza  che  più  chiarezza  se  gli  faccia, Vide  a  tutti  gl'indizj  manifesto Ch'altri  esser  che  Zerbin  non  potea  questo. Stanza  85. 69  Come  la  voce  aver  potè  Isabella, Non  bene asciuttaancorl'umida  guancia, Sol  della  molta  cortesia  favella Che  Tavea  usata  il  paladin  di  Francia. Zerbino,  che  tenea  questa  donzella Con  la  sua  vita  pari  a  una  bilancia, Si  getta  a' pie  del  conte,  e  quello  adora Come  a  chi  gli  ha  due  vite  date  a  un'ora. 70  Molti  ringraziamenti  e  molte  offerte Erano  per  seguir  tra  i  cavalieri. Se  non  udian  sonar  le  vie  coperte Dagli  arbori  di  frondi  oscuri  e  neri. Presti  alle  teste  lor,  eh'  eran  scoperte, Posero  gli  elmi,  e  presero  i  destrieri:Kd  ecco  un  cavaliere  e  una  donzella Lor  sopravvien,  ch'appena  erano  in  sella. 71  Era  questo  guerrier  quel  Mandrì<"rdo Che  dietro  Orlando  in  fretta  si  conciasse Per  vendicar  Alzirdo  e  Manilardo, Che  '1  paladin  con  gran  valor  percnsse:Quantunque  poi  lo  seguitò  più  tardo, Che  Doralice  in  suo  poter  ridusse. La  quale  avea  con  un  troncon  dì  cerro Tolta  a  cento  guerrier  carchi  di  ferro. 72  Non  sapea  il  saracin  però  che  questo, Ch'egli  seguia,  fosse  il  signor  d'Anlaate; Ben  n'avea  indizio  e  segno  manifesto Ch'esser  dovea  gran  cavaliere  errante. A  lui  mirò  più  eh' a  Zerbino,  e  presto Gli  andò  con  gli  occhi  dal  capo  alle  piante: E  i  dati  contrassegni  ritrovando, Disse:  Tu  se' colui  ch'io  vo  cercando. 73  Sono  omai  dieci  giorni,  gli  soggiunse, Che  di  cercar  non  lascio  i  tuo'  vestigi:Tanto  la  fama  stimolommi  e  punse, Che  di  te  venne  al  campo  di  Parigi, Quando  a  fatica  im  vivo  sol  vi  giunse Di  mille  che  mandasti  ai  regni  stigi, E  la  strage  contò,  che  da  te  venne Sopra  i  Norizj  e  quei  di  Tremisenne. 74  Non  fui,  come  lo  seppi,  a  seguir  lento, E  per  vederti,  e  per  provarti  appresso: E  perchè  m'informai  del  guemimento C  hai  sopra  l'arme,  io  so  che  tu  sei  (ìesfr E  se  non  l'avessi  anco .  e  che  fra  cento Per  celarti  da  me  ti  fossi  messo, Il  tuo  fiero  sembiante  mi  farìa Chiaramente  veder  che  tu  quel  sia. 75  Non  si  può,  gli  rispose  Orlando,  diro Che  cavalier  non  sii  d'alto  valore; Perocché  si  magnanimo  desire Non  mi  credo  albergasse  in  umil  cor"\ Se'l  volermi  veder  ti  fa  venire, Vo'che  mi  veggi  dentro,  come  fuore: Mi  leverò  quest'elmo  dalle  tempie. Acciò  eh' a  punto  il  tuo  desire  adempie. 76  Ma  poi  che  ben  m'avrai  veduto  in  faccia. All'altro  desiderio  ancora  attendi: Resta  ch'alia  cagion  tu  satisfaccia, Che  fa  che  dietro  questa  via  mi  preu'li; Che  veggi  se  '1  valor  mio  si  confaccia A  quel  sembiante  fier  che  si  commendi. Orsù,  disse  il  pagano,  al  riraanenie: Chal  primo  ho  satisfatto  interamente. 77  II  conte  tuttavia  dal  capo  al  piede Va  cercando  il  pagan  tutto  con  gli  occhi: Mira  ambi  i  fianchi,  indi  Parcion;né  vede Pen'ler  né  qua  né  1&  mazze  né  stocchi. Gli  domanda  di  eh' ai  me  si  provvede, S'avvien  che  pon  la  lancia  in  fallo  tocf;hi. Rispose  quel: Non  ne  pigliar  tu  cura:Così  a  molt' altri  ho  ancor  fatto  paura. 78  Ho  sacramento  di  non  cinger  spada, Finch' io  non  tolgo  Durindana  al  conte; E  cercando  lo  vo  per  ogni  strada, Acciò  più  d'una  posta  meco  sconte. Lo  giurai  (se  d'intenderlo  t' aggrada) Quando  mi  posi  quest'elmo  alla  fronte, Il  qual  con  tutte  l'altr'arme  ch'io  porto, Era  d'Ettór,  che  già  mill' anni  é  morto. 79  La  spada  sola  manca  alle  buone  arme; Come  rubata  fu,  non  ti  so  dire. Or,  che  la  porti  il  paladino,  parme; E  di  qui  vien  eh'  egli  ha  si  grande  ardire. Ben  penso,  se  con  lui  posso  accozzarme, Fargli  il  mal  tolto  ormai  restituire. Cercolo  ancor,  che  vendicar  disio Il  famoso  Agrican,  gcnitor  mio. 80  Orlando  a  tradimento  gli  die  morte:Ben  so  che  non  potea  farlo  altrimente. Il  conte  più  non  tacque,  e  gridò  forte:E  tu,  e  qualunque  il  dice,  se  ne  mente. Ma  quel  che  cerchi,  t' è  venuto  in  sorte:Io  sono  Orlando,  e  uccisil  giustamente; E  questa  è  quella  spada  che  tu  cerchi, Che  tua  sarà,  se  con  virtù  la  merchi. 81  Quantunque  sia  debitamente  mia, Tra  noi  per  gentilezza  si  contenda: Né  voglio  in  questa  pugna  ch'ella  sia Più  tua  che  mia;  ma  a  un  arbore  s'appenda. Levala  tu  liberamente  via, S'avvien  che  tu  m'uccida  o  che  mi  prenda. Cosi  dicendo,  Durindana  prese, E'n  mezzo  il  campo  a  un  arboscel  l'appese. 82  Già  l'un  dall' altro  é  dipartito  lunge, Quanto  sarebbe  un  mezzo  tratto  d'arco; Già  l'uno  centra  l'altro  il  destrier  punge, Né  delle  lente  redini  gli  é  parco; Già  l'uno  e  l'altro  di  gran  colpo  aggiunge Dove  per  l'elmo  la  veduta  ha  varco. Parvero  l'aste,  al  rompersi,  di  gelo, E  in  mille  schede  andar  volando  al  cielo Ariusto. 83  L'una  e  l'altr'asta  è  forza  che  si  spezzi; Che  non  voglion  piegarsi  i  cavalieri I  cavalier  che  tornano  coi  pezzi Che  son  restati  appresso  i  calci  interi. Quelli  che  sempre  fur  nel  ferro  avvezzi, Or,  come  duo  villan  per  sdegno  fieri Nel  partir  acque  o  termini  di  prati, Fan  crudel  zuffa  di  duo  pali  armati. 84  Non  stanno  l'aste  a  quattro  colpi  salde, E  mnncan  uel  furor  di  quella  pugna. Di  qua  e  di  là  si  fan  l'ire  più  calde; Né  da  ferir  lor  resta  altro  che  pugna. Schiodano  piastre,  e  straccian  maglie  e  falde, Purché  la  man,  dove  s' aggraffi,  giugna. Non  desideri  alcun,  perché  più  vaglia, Martel  più  grave  o  più  dura  tanaglia%M Stanza  87. 85  Come  può  il  saracin  ritrovar  sesto Di  finir  con  suo  onore  il  fiero  invito? Pazzia  sarebbe  il  perder  tempo  in  questo:Che  nuoce  al  feritor  più  eh'  al  ferito. Andò  alle  strette  l'uno  e  l'altro,  e  presto Il  re  pagano  Orlando  ebbe  ghermito: Lo  stringe  al  petto;  e  crede  far  le  prove Che  sopra  Anteo  fé  già  il  figliuol  di  Giove. 86  Lo  piglia  con  molto  impeto  a  traverso:Quando  lo  spinge,  e  quando  a  sé  lo  tira; Ed  é  nella  gran  collera  si  immerso, Ch'  ove  resti  la  briglia  poco  mira. Sta  in  sé  raccolto  Orlando,  e  ne  va  verso Jì  suo  vantaggio,  e  alla  vittoria  aspira:Gli  pon  la  cauta  man  sopra  le  ciglia Del  cavallo,  e  cader  ne  fa  la  briiIia. 87  II  Saracino  ogni  poter  vi  mette Che  lo  soffoghi,  o  dell  arcion  lo  avella.      Negli  urti  il  conte  ha  le  ginocchia  strette; Né  in  questa  parte  vuol  piegar,  né  in  quella. Per  quel  tirar  che  fa  il  pagan,  constrette Le  cinghie  son  d  abbandonar  la  sella. Orlando  è  in  terra,  e  appena  se'l  conosce; ChH  piedi  ha  in  staffa,  e  stringe  ancor  le  cosce. 88  Con  quel  rumor  eh un  sacco  darme  cade, Risuona  il  conte,  come  il  campo  tocca. Il  destrier  e' ha  la  testa  in  libertade, Quello  a  chi  tolto  il  freno  era  di  bocca, Non  più  mirando  i  boschi  che  le  strade, Con  ruinoso  corso  si  trabocca, Spinto  di  qua  e  di  là  dal  timor  cieco; E  Mandricardo  se  ne  porta  seco. 89  Doralice  che  Tede  la  sua  guida Uscir  del  campo,  e  torlesi  d'appresso, E  mal  restarne  senza  si  confida. Dietro,  correndo,  il  suo  ronzin  gli  ha  messo. Il  pagan  per  orgoglio  al  destrier  grida, E  con  mani  e  con  piedi  il  batte  spesso; E,  come  non  sia  bestia,  lo  minaccia Perchè  si  fermi,  e  tuttavia  più  il  caccia. 90  La  bestia  ch'era  spaventosa  e  poltra, Senza  guardarsi  ai  pie.  corre  a  traverso. Già  corso  avea  tre  miglia,  e  seguiva  oltra, S'un  fosso  a  quel  desir  non  era  avverso; Che,  senza  aver  nel  fondo  o  letto  o  coltra, Ricevè  l'un  e  l'altro  in  sé  riverso. Die  Mandricardo  in  terra  aspra  percossa; Né  però  si  fiaccò  né  si  roppe  ossa. 91  Quivi  si  ferma  il  corridore  alfine; Ma  non  si  può  guidar;  che  non  ha  freno. Il  Tartaro  lo  tien  preso  nel  crine, E  tutto  é  di  furore  e  d'ira  pieno. Pensa,  e  non  sa  quel  che  di  far  destine. Pongli  la  briglia  del  mio  palafreno, La  donna  gli  dicea;  che  non  è  molto Il  mio  feroce,  o  sia  col  freno  o  sciolto. 92  Al  Saracin  parca  discortesia La  profferta  accettar  di  Doralice; Ma  fren  gli  farà  aver  per  altra  via Fortuna  a'  suoi  disii  molto  fautrice. Quivi  (Sbrina  scellerata  invia, Che,  poi  che  di  Zerbin  fu  traditrice, Fuggìa,  come  la  lupa  che  lontani Oda  venire  i  cacciatori  e  i  cani. 93  Ella  avea  ancora  indosso  la  gonnella, E  quei  medesmi  giovenili  ornati Che  furo  alla  vezzosa  damigella Di Pinabel,  per  lei  vestir,  levati:Ed  avea  il  palafreno  anco  di  quella  . Dei  buon  del  mondo  e  degli  avvantaggiatL La  vecchia  sopra  il  Tartaro  trovosse, Ch' ancor  non  s'era  accorta  che  vi  fosse. 94  L'abito  giovenil  mosse  la  figlia Di  Stordilano  e  Mandricardo  a  riso, Vedendolo  a  colei  che  rassimiglia A  un  babbuino,  a  un  bertuccione  in  rìso. Disegna  il  Saracin  torlo  la  briglia Pel  suo  destriero,  e  riuscì  l'avviso. Toltogli  il  morso,  il  palafren  minaccia; Gli  grida,  lo  spaventa,  e  in  fuga  il  caccia. 95  Quel  fugge  per  la  selva,  e  seco  porta La  quasi  morta  vecchia  di  paura Per  valli  e  monti,  e  per  via  dritta  e  tórta. Per  fossi  e  per  pendici  alla  ventura. Ma  il  parlar  di  costei  si  non  m'importa, Ch'io  non  debba  d'Orlando  aver  più  cura, Ch'alia  sua  sella  ciò  ch'era  di  guasto, Tutto  ben  racconciò  senza  contrasto. 96  Rimontò  sul  destriero,  e  stè  gran  pezzj A  riguardar  che  '1  Saracin  tornasse. Noi  vedendo  apparir,  volse  da  sezzo Egli  esser  quel  eh' a  ritrovarlo  andasse; Ma,  come  costumato  e  bene  awezsso, Non  prima  il  pai  .din  quindi  si  trasse, Che  con  dolce  parlar  grato  e  cortese Buona  licenzia  dagli  amanti  prese. 97  Zerbin  di  quel  partir  molto  si  dolse: Di  tenerezza  ne  piangea  Isabella: Voleano  ir  seco: ma  il  conte  non  volse Lor  compagnia,  bench'era ebuona  e  bella; E  con  questa  ragion  se  ne  disciolse: Ch'a  guerrier  non  è  infamia  sopra  quella, Che,  quando  cerchi  un  suo  nemico,  prenda Compagno  che  l'aiuti  e  che  '1  difenda. 98  Li  pregò  poi  che,  quando  il  Saracino, Prima  eh'  in  lui,  si  riscontrasse  in  loro, Gli  dicesser  ch'Orlando  avria  vicino Ancor  tre  giorni  per  quel  tenitore: Ma  dopo  che  sarebbe  il  suo  cammino Verso  le'nsegne  dei  bei  gigli  d'oro. Per  esser  con  l'esercito  di  Carlo, Acciò,  volendol .  sappia  onde  chiamarlo. 99     Quelli  promiser  farlo  volentieri, E  questa  e  ogn  altra  cosa  al  sno  comando. Fero  camniin  diverso  i  cavalieri, Di  qua  Zerbino,  e  di  là  il  conte  Orlando. Prima  che  pigli  il  conte  altri  sentieri, All' arbor  tolse,  e  a  sé  ripose  il  brando; E  dove  meglio  col  pagan  pensosse Di  potersi  incontrare,  il  destrier  mosse. 106    Ma  sempre  più  raccende  e  più  rinnova, Quanto  spegner  più  cerca,  il  rio  sospetto: Come  l'incauto  augel,  che  si  ritrova In  ragna  o  in  visco  aver  dato  di  petto, Quanto  più  batte  l'ale  e  più  si  prova Di  disbrigar,  più  vi  si  lega  stretto. Orlando  viene  ove  s'incurva  il  monte A  guisa  d'arco  in  su  la  chiara  fonte. 100     Lo  strano  corso  che  tenne  il  cavallo Del  Saraci n  pel  bosco  senza  via, eh'  Orlando  andò  due  giorni  in  fallo, Né  lo  trovò,  né  potè  averne  spia. Giunse  ad  un  rivo  che  parca  cristallo, Nelle  cui  sponde  un  bel  pratel  fioria, Di  nativo  color  vago  e  dipinto, E  di  molti  e  belli  arbori  distinto. 101  II  merigge  facea  grato  l'orezzo Al  duro  armento  ed  al  pastore  ignudo; Sì  che  né  Orlando  sentia  alcun  ribrezzo, Che  la  corazza  avea,  l'elmo  e  lo  scudo. Quivi  egli  entrò .  per  riposarvi,  in  mezzo; E  v'ebbe  travaglioso  albergo  e  crulo, E  più  che  dir  si  possa  empio  soggiorno. Quell'infelice  e  sfortunato  giorno. 102  Volgendosi  ivi  intorno,  vide  scritti Molti  arbuscelli  in  su  l'ombrosa  riva. Tosto  che  fermi  v'ebbe  gli  occhi  e  fitti. Fu  certo  esser  di  man  della  sua  diva. Questo  era  un  di  quei  lochi  già  descritti, Ove  sovente  con  Medor  veniva Da  casa  del  pastor  indi  vicina La  bella  donna  del  Catai  regina. 103  Angelica  e  Medor  con  cento  nodi Legati  insieme,  e  in  cento  lochi  vede. Quante  lettere  son,  tanti  son  chiodi Coi  quali  amore  il  cor  gli  punge  e  fiede. Va  col  pensier  cercando  in  mille  modi Non  creder  quel  ch'ai  suo  dispetto  crede: Ch'altra  Angelica  sia  creder  si  sforza, Ch'abbia  scritto  il  suo  nome  in  quella  scorza Stanza  90. 104    Poi  dice: Conosco  io  pur  queste  note:Di  tal'io  n'ho  tante  vedute  e  lette. Finger  questo  Medoro  ella  si  può  te:Forse  eh' a  me  questo  cognome  mette. Con  taliopinion  dal  ver  remote, Usando  frande  a  sé  medesmo,  stette Nella  speranza  il  mal  contento  Orlando, Che  si  seppe  a  sé  stesso  ir  procacciando. 106    Aveano  in  su  l'entrata  il  luogo  adorno Coi  piedi  storti  edere  e  viti  erranti:Quivi  solcano  al  più  cocente  giorno Stare  abbracciati  i  duo  felici  amanti. V aveano  i  nomi  lor  dentro  e  d'intorno, Più  che  in  altro  dei  luoghi  cireoustanti, Scritti,  qual  con  carbone  e  qual  con  gesso, £  qual  con  punte  di  coltelli  impresso.107  II  mesto  conte  a  pie  quivi  discese; E  vide  in  su  l'entrata  della  grotta Parole  assai,  che  di  sua  man  distese Medoro  ayea,  che  parean  scritte  allotta. Del  gran  piacer  che  nella  grotta  prese, Questa  sentenzia  in  versi  avea  ridotta. Che  fosse  eulta  in  suo  lioguaggio  io  penso; Ed  era  nella  nostra  tale  il  senso:108  Liete  piante,  verdi  erbe,  limpide  acque, Spelonca  opaca,  e  di  fredde  ombre  grata, Dove  la  bella  Angelica,  che  nacque Di  Galafron,  da  molti  invano  amata, Spesso  nelle  mie  braccia  nuda  giacque; Della  comodità  che  qui  m'è  data. Io  povero  Medor  ricompensarvi D altro  non  posso,  che  d'ognor  lodarvi; 113  LMmpetuosa  doglia  entro  rimase. Che  volea  tutta  uscir  con  troppa  fretta. Cosi  veggiam  restar  T  acqua  nel  vase, Ch  largo  il  ventre  e  la  bocca  abbia  stretta: Che  nel voltarche  si  fa  in  su  la  base, Lumor  che  vorria  uscir,  tanto  saffiretta, E  nell'angusta  via  tanto  s'intrica, Ch'a  goccia  a  goccii  i\iore  esce  a  fatiea. 114  Poi  ritoma  in  sé  alquanto,  e  pensa  eomt Possa  esser  che  non  sia  la  cosa  vera:Che  voglia  alcun  cosi  infamare  il  nome Della  sua  donna  e  crede  e  brama  e  spera, 0  gravar  lui  d'insopportabil  some Tanto  di  gelosia,  che  se  ne  pera; Ed  abbia  quel,  sia  chi  si  voglia  stato, Molto  la  man  di  lei  bene  imitato. 109  E  di  pregare  ogni  signore  amante, E  cavalieri  e  damigelle,  e  ognuna Persona  o  paesana  o  viandante, Che  qui  sua  volontà  meni  o  fortuna, Ch'alPerbe,  all'ombra,  all'antro,  al  rio,  alle  piante Dica:  Benigno  abbiate  e  sole  e  luna, E  delle  ninfe  il  coro,  che  provveggia Che  non  conduca  a  voi  pastor  mai  greggia. 110  Era  scritto  in  arabico,  che'l  conte Intendea  così  ben,  come  latino. Fra  molte  lingue  e  molte  eh' avea  pronte. Prontissima  avea  quella  il  paladino, E  gli  schivò  pia  volte  e  danni  ed  onte, Che  si  trovò  tra  il  popol  Saracino. Ma  non  si  vanti,  se  già  n'  ebbe  frutto; Ch'un  danno  or  n'ha,  che  può  scontargli  il  tutto. Ili    Tre  volte  e  quattro  e  sei  lesse  lo  scritto Quello  infelice,  e  pur  cercando  invano Che  non  vi  fosse  quel  che  v'era  scritto; E  sempre  lo  vedea  più  chiaro  e  piano: Ed  ogni  volta  in  mezzo  il  petto  afflitto Stringersi  il  cor  sentia  con  fredda  mano. Rimase  alfin  con  gli  occhi  e  con  la  mente Fissi  nel  sasso,  al  sasso  indifferente. 112    Fu  allora  per  uscir  del  sentimento; Si  tutto  in  preda  del  dolor  si  lassa. Credete  a  chi  n'  ha  fatto  esperimento, Che  questo  è  'I  duol  che  tutti  gli  altri  passa. Caduto  gli  era  sopra  il  petto  il  mento, La  fronte  priva  di  baldanza,  e  bassa; Né  potè  aver  (che  '1  duol  l'occupò,  tanto) Alle  querele  voce,  o  umore  al  pianto. 115  In  cosi  poca,  in  cosi  debol  speme Sveglia  gli  spirti,  e  gli  rinfranca  nn  poco; Indi  al  suo  Brigliadoro  il  dosso  preme; Dando  già  il  sole  alla  sorella  loco. Non  molto  va,  che  dalle  vie  supreme Dei  tetti  uscir  vede  il  vapor  del  fuoco, Sente  cani  abbaiar,  mudare  armento: Viene  alla  villa,  e  piglia  alloggiamento. 116  Languido  smonta,  e  lascia  Brigliadoro A  un  discreto  garzon  che  n'abbia  cura. Altri  il  disarma,  altri  gli  sproni  d'oro Oli  leva,  altri  a  forbir  va  1'  armatura. Era  questa  la  casa  ove  Medoro Giacque  ferito,  e  v'ebbe  alta  avventura. Corcarsi  Orlando  e  non  cenar  domanda, dolor  sazio,  e  non  d'altra  vivanda. 117  Quanto  più  cerca  ritrovar  quiete, Tanto  ritrova  più  travaglio  e  pena; dell'odiato  scritto  ogni  parete. Ogni  uscio,  ogni  finestra  vede  piena. Chieder  ne  vuol: poi  tien  le  labbra  chete; Che  teme  non  si  far  troppo  serena, Troppo  chiara  la  cosa  che  di  nebbia ofiFnscar,  perchè  men  nuocer  debbia. 118  Poco  gli  giova  usar  fraudo  a  sé  stesso; Che,  senza  domandarne,  è  chi  ne  parla n  pastor,  che  lo  vede  così  oppresso Da  sua  tristizia,  e  che  vorria  levarla, L'istoria  nota  a  sé,  che  dicea  spesso Di  quei  duo  amanti  a  chi  volea  ascoltarla . Ch'a  molti  dilettevole  fu  a  udire, or  incominciò  senza  rispetto  a  dire: SUnza  100. 119    Commesso  a'prieghi  d'Angelica  bella PorUto  avea  Medoro  alla  sua  villa; Ch'  era  ferito  gravemente,  e  eh'  ella Curò  la  piaga,  e  in  pochi  di  guarilla:Ma  che  nel  cor  d'una  maggior  di  quella Lei  feri  amor;  e  di  poca  scintilla L'accese  tanto  e  sì  cocente  foco,    . Che  n'ardei  tutta,  e  non  trovava  loco. 120    E  senza  aver  rispetto  ch'ella  fusse Figlia  del  maggior  re  6h' abbia  il  Levante, Da  troppo  amir  constretta  si  condusse A  farsi  moglie  d'un  povero  fante. All'ultimo  l'istoria  si  ridusse, Che  '1  pastor  fé  portar  la  gemma  innante, Ch'alia  sua  dipartenza,  per  mercede Del  buon  albergo,  Angelica  gli  diede. 121  Questa  conclusion  fd  la  secare Che'l  capo  a  un  colpo  gli  levò  dal  collo, che  d  innumerabil  battiture Si  vide  il  manigoldo  Amor  satollo. Celar  si  studia  Orlando  il  duolo: e  pure Quel  gli  fa  forza,  e  male  asconder  puoUo: Per  lacrime  e  sospir  da  bocca  e  d'occhi Convien,  voglia  o  non  voglia,  alfin  che  scocchi. 122  Poi  ch'allargare  il  freno  al  dolor  puote (Che  resta  solo,  e  senza  altrui  rispetto) Giù  dagli  occhi  rigando  per  le  gote un  fiume  di  lacrime  sul  petto:e  geme,  e  va  con  spesse  ruote Di  (iafl.di  là  tutto  cercando  il  letto; E  più  duro  eh' un  sasso,  e  più  pungente Che  se  fosse  d'urtica,  se  lo  sente. 125  Di  pianger  mai,  mal  di  grìdsLT  non  resu: Né  la  notte  né  '1  dì  si  dà  mai  pace:Fugge  cittadi  e  borghi,  e  aUa  foresta Sul  terren  duro  al  discoperto  giace. Di  sé  si  maraviglia,  ch'abbia  in  testa Una  fontana  d'acqua  sì  vivace, E  come  sospirar  possa  mai  tanto; E  spesso  dice  a  sé  così  nel  pianto: 126  Queste  non  son  più  lacrime,  che  faore Stillo  dagli  occhi  con  sì  larga  vena: Non  suppliron  le  lacrime  al  dolore; Finir,  eh' a  mezzo  era  il  dolore  appena. Dal  fuoco  spinto  ora  il  vitale  umore, Fugge  per  quella  via  ch'agli  occhi  mena; Ed  è  quel  che  si  versa,  e  trarrà  insieme dolore  e  la  vita  all'ore  estreme. Stanza  123. 123  In  tanto  aspro  travaglio  gli  soccorre Che  nel  medesmo  letto,  in  che  giaceva, L'ingrata  donna  venutasi  a  porre Col  suo  drudo  più  volte  esser  doveva. Non  altrimenti  or  quella  piuma  abborre. Né  con  minor  prestezza  se  ne  leva, Che  dell'erba  il  villan  che  s'era  messo Per  chiuder  gli  occhi,  e  veorga  il  serpe  appresso. 124  Quel  letto,  quella  casa,  quel  pastore Immantinente  in  tant'odio  gli  casca. Che,  senza  aspettar  luna,  o  che  l'albore Che  va  dinanzi  al  nuovo  giorno  nasca, Piglia  l'arme  e  il  destriero,  ed  esce  fuore Per  mezzo  il  bosco  alla  più  oscura  frasca; E  quando  poi  gli  è  avviso  d'esser  solo. Con  gridi  ed  urli  apre  le  porte  al  duolo. 127  Questi,  ch'indizio  fan  del  mio  tormento, Sospir  non  sono;  né  i  sospir  son  tali. Quelli  han  triegua  talora;  io  mai  non  sento Che'l  petto  mio  men  la  sua  pena  esali. Amor,  che  m'arde  il  cor,  fa  questo  vento. Mentre  dibatte  intorno  al  fuoco  Pali. Amor,  con  che  miracolo  lo  fai, Che'n  fuoco  il  tenghi,  e  noi  consumi  mai? 1 28  Non  son,  non  sono  io  quel  che  paio  in  rìso:Quel  ch'era  Orlando,  è  morto,  ed  è  sotterra; La  sua  donna  in2n:titis8ima  l'ha  ucciso: Sì,  mancando  di  fé,  gli  ha  fatto  guerra. Io  son  lo  spirto  suo  da  lui  diviso. Ch'in  questo  inferno  tormentandosi  erra. Acciò  con  l'ombra  sia,  che  sola  avanza, Esempio  a  chi  in  amor  pone  speranza. 129  Pel  bosco  errò  tutta  la  notte  il  conte; E  allo  spuntar  della  diurna  fiamma Lo  tornò  il  suo  destin  sopra  la  fonte. Dove  Medoro  isculse  l'epigramma. Veder l'ingiuria  sua  scritta  nel  monte L'accese  si,  ch'in  lui  non  restò  dramma Che  non  fosse  odio,  rabbia,  ira  e  furore; Né  più  indugiò,  che  trasse  il  brando  fuore. 130  Tagliò  lo  scritto  e'I  sasso,  e  sino  al  cielo A  volo  alzar  fé  le  minute  schegge. Infelice  qiielP antro,  ed  ogni  stelo In  cui  Medoro  e  Angelica  si  legge! Così  restar  quel  dì,  ch'ombra  né  gelo A  pastor  mai  non  daran  più,  né  a  gregge:quella  fonte,  già  sì  chiara  e  pura. cotanta  ira  fu  poco  sicura; |31     Che  rami  e  ceppi  e  tronchi  e  sassi  e  zolle Non  cessò  di  gittar  nelle  beli'  onde, Finché  da  sommo  ad  imo  si  turbolle, Che  non  furo  mai  più  chiare  né  monde: E  stanco  alfin,  e  alfin  di  sudor  molle, sdegno,  al  grave  odio,  all'ardente  ira, Cade,  sul  prato,  e  verso  il  ciel  sospira. 132    Afflitto  e  stanco  alfin  cade  nell'erba, ficca  gli  occhi  al  cielo,  e  non  fa  motto. Senza  cibo  e  donnir  cosi  si  serba. Che  '1  sole  esce  tre  volte,  e  toma  sotto. Che  fuor  del  senno  alfin  l'ebbe  condotto. Il  quarto  dì,  da  gran  furor  commosso, E  maglie  e  piastre  si  stracciò  di  dosso. 135. 133    Qui  riman  l'elmo,  e  là  riman  lo  scudo; Lontan  gli  arnesi,  e  più  lontan  l'usbergo: L'arme  sue  tutte,  insomma  vi  concludo, Avean  pel  bosco  differente  albergo. E  poi  si  squarciò  i  panni  e  mostrò  ignudo ventre,  e  tutto  '1  petto  e  '1  tergo; E  cominciò  la  gran  follia,  si  orrenda, Che  della  più  non  sar<à  mai  chi'ntenda. 134    In  tanta  rabbia,  in  tanto  furor  venne, Che  rimase  offuscato  in  ogni  senso. Di  tor  la  spada  in  man  non  gli  sovvenne; Che  fatte  avria  mirabil  cose,  penso. Ma  né  quella,  né  scure,  né  bipenne Era  bisogno  al  suo  vigore  immenso. Quivi  fé'  ben  delle  sue  prove  eccelse:(  h'  un  alto  pino  al  primo  crollo  svelse:135    E  svelse  dopo  il  primo  altri  parecchi, Come  fosser  finocclii,  rbuli  o  aneti; E  fé' il  simil  di  qnercie  e  dolmi  vecchi; Di  fdgii  e  d'orni  e  d'ilici  e  d  abeti. Quel  eh' un  uccellator,  che  s'apparecchi Il  campo  mondo,  fa,  per  por  le  reti, Dei  giunchi  e  delle  stoppie  e  dell'artiche, Facea  de'  cerri  e  d'altre  piante  antiche. 136    I  pastor  che  sentito  hanno  il  fracasso,    > Lasciando  il  gregge  sparso  alla  foresta, Chi  di  qua,  chi  di  là,  tntti  a  gran  passo, Vi  vengono  a  veder  che  cosa  è  questa. Ma  son  giunto  a  quel  segno,  il  qnal  s'io  paso, Vi  pctria  la  mia  istoria  esser  molesta; Ed  io  la  vo' piuttosto  differire. Che  v'  abbia  per  lunghezza  a  fastidire. ìn  o  TU. St.  a  V.4.   Tórre  la  multa: far  pagare  il  fio. St.  4.  V.3.   Chiarumontef  Bradamante  ohe  era  della casa  di  Chiaramonte. St.  6.  V.6.   Oli  altri  erranti  Divi:  gli  altri  pia neti, distinti  coi  nomi  degli  Dei  del  Gentilesimo. St.  8.  V.8.   Alido  cantra  il  giorno:  verso  levante. St.  12.  V.56.   Dei  pennati  il  paese:  l'aria,  regione dei  volatili. ST.  16.  V.56.   Cosi  si  parte  col  pilota  innante  il nocchier,  ecc.  Pilota  o  piloto  è  colui  che  il  nocchiero cioè  il  capitano  del  naviglio,  stipendia  air  uopo,  acciò Io  conduca  salvo  in  Inoghi  difficili  per  seccagne,  o  sco gli coperti,  0  correnti  pericolose.  Il  piloto  sta  sulla  pr  ra della  nave,  o  la  precede  In  un  battello;  e,  terminato  il suo  ufficio,  torna  a  caia  sua.  I  piloti  di  questo  genere diionsi  piloti  pratici  per  distinguerli  dai  piloti  d al tura,  che  stanno  fissi  al  bordo,  e  dirigono  il  viaggio in  alto  mare,  tenendo  registro  giornaliero  di  tutte  le particolarità,  che,  secondo  Tarte  nautica,  occorre  notare. St.  23.  V.7.   Cai  itresia.  Nome  greco,  che  significa buona  nutrice. S  r.  33.  V.7.   Digresso: Digressione. St.  41.  V.7.   Tra  l'altre  note: tra  gli  altri  vizi. Sr.  46.  V.3.   Cretfre:  frequenti. St.  53.  V.4.   DubbiOf  qui:  tema,  apprensione. St.  54.  V.3.   Qalengo,  Di  Galizia,  Galiziaiia Ivr.  V.6.   Del  truculento  mar:  mare  borraflooso. St  66.  V.1.   Podestà: potestà,  potere. St.  80.  V.8.   La  merchi,  qui  per  racqaisU. St.  82.  V.5.   Aggiunge.  Giunge,  colpisce. St.  tA  V.56.   Falde:  lamine  che  fanno  parte  delPai matura.   S'aggraffi,: afferri asomiglianzadi  gralSo St.  85.  V.18.    Sesto:  ordine,  misura;  qui  modo,  via.  Andò  alle  strette:  venne  alle  prese,  si  azzidlt  Crede  far  le  prove,  ecc.  Antes,  gigante,  lottando  co  ¦ Ercole,  fu  da  questi  sollevato  in  alto,  e  stretto  si  f jr temente,  che  ne  scoppiò. St.  101.  v.14.   Orezzo:  venticello  che  spira  al  rezso:od  anche  rezzo  di  alberi,  rinfrescato  da   legger  venu  Ribrezzo: tremito  delle  meaabra,  cagionato  dal  treAÌ  \ brivido. St.  107.  V.7.   Culla:  espressa  pulitamente. St.  115.  v.4   Alla  sorella:  alla  lana. St.  129.  V.2.   Della  diurna  fiamma: del  sole. Ivi   V.4   Epigramma.  Qui:  iscrizione. st.  130  V.5.   Gelo:  intendasi  frescura. St.  135.  V.24.   EbìUi: pianticelle  d'ingrato  odore, che  fanno  i  fiori  come  il  sambuco.  É  detta  comuDemente: sambuchella.   Aneto,  specie  di  finocchio.   Ilid,  Elei, Lecci;  latinismo. CANTO  VENTESIMOQUARTO. Canto  XXiV.AHGOBCENTO, Piovfi  furinafì  (iOvlaiiiln.  ZtÌiìiiì>  iiìponim  piipinniero  Hrlorìco  tm ditoiP  rrisaìtrlla;  sì  renlojitt  la  viU  "  ma  in  pena  sH  fallo pli  lìà  m  f  a  ardi  a  Uabriiiik  Va  [|  il  indi  iti  J  veloci  a,  d'firlando,  e 110.  varcoglk'  Ir  (irmi  disperse  sul  suolo.  So]kraVT,'iciie,  insieme con  DoTalieOt  Bfrandvicardo  clic,  per  la  apda  del  paladino  vienn liattafilìa  con  Zeri  uno;  riaasti  muore  per  lo  riportate  ferì to,oImbellasi  ricoTora  prjsao  un  romito.  Capita  poi  Rodonionie,  chfl sì  at  tacea  non  Man  d  ri  Canio;  ma  la  piinia  è  sospesa  da  nn  raasag fero  dì  AgTamaiUe,  dit  ridiiama  i  due  icmei  i  s<jlto  Parigi, Chi  mette  il  pie  m  T amorosa  pania, rerehi  rìtrarlo,  e  non  v  inverdii  Tnle; rhò  non  è  in  nomina  amor  se  non  irimaia, A  Emulili  do  de' savi  universale: E  std>ljen  (nme  Orlando  ognnn  non  smania. Suo  fnror  moitra  a  (lualcli' altro  setoiJi E  quale  è  di  pazzia  seguo  piti  e.presso, Glie,  "eT  ah  ri  voler,  perder  sé  stesso? 9      Vari  irli  effetti  son  ma  la  pazzia È  tilt t' una  però,  che  li  fa  uscire. Gli  è  come  una  gran  selva,  ove  la  via Conviene  a  forza,  a  chi  vi  va,  fallire:Chi  sn  chi  giù,  chi  qua  chi  là  travia. Per  concludere,  in  somma,  io  vi  vo'dire: A  chi  in  amor  s'invecchia,  oltr'ogni  pena, Si  convengono  i  ceppi  e  la  catena. 3      Ben  mi  sì  potria  dir:  Frate,  tu  vai L'altrui  mostrando,  e  non  vedi  il  tuo  fallo. Io  vi  rispondo  che  comprendo  assai, Or  che  di  mente  ho  lucido  intervallo; Ed  ho  gran  cura  (e  spero  farlo  ormai) Di  riposarmi,  e  d'uscir  fuor  di  ballo:Ma  tosto  far,  come  vorrei,  noi  posso; Che  U  male  è  penetrato  infin  all'osso. 4      Signor,  nell altro  Canto  io  vi  dicea Che  '1  forsennato  e  furioso  Orlando Trattesi  V  arme  e  sparse  al  campo  avea. Squarciati  i  panni,  via  gittato  il  brando. Svelte  le  piante,  e  risuonar  facea I  cavi  sassi  e  l'alte  selve;  quando Alcun' pastori  al  snon  trasse  in  quel  lato stella,  o  qualche  lor  grave  peccato. 5       Viste  del  pazzo  Pincredibil  prove Poi  più  d  appresso y  e  la  possanza  estrema, Si  voltan  per  fuggir;  ma  non  sanno  ove, Si  come  avviene  in  sobitana  tema. Il  pazzo  dietro  lor  ratto  si  rnnov:Uno  ne  piglia,  e  del  capo  lo  scema Con  la  facilità  che  torria  alcuno Dall' albor  pome,  o  vago  fior  dal  pruno. 8  Già  potreste  sentir  come  rimbombe Lalto  rumor  nelle  propinque  ville D'urli  e  di  corni,  rusticane  trombe, E  più  spesso,  che  daltro,  il  snon  di  squille:E  con  spuntoni  ed  archi  e  spiedi  e  frombo Veder  dai  monti  sdrucciolarne  mille; Ed  altri  tanti  andar  da  basso  ad  alto, Per  fare  al  pazzo  un  villanesco  assalto. 9  Qual  venir  suol  nel  salso  lito  V  onda Mossa  dair  Austro  eh'  a  principio  scherza, Che  maggior  della  prima  è  la  seconda, E  con  più  forza  poi  segue  la  terza; Ed  ogni  volta  più  Tumore  abbonda, E  neir  arena  più  stende  la  sferza:contra  Orlando  V  empia  turba  cresce, Che  giù  da  balze  scende,  e  di  valli  esce. stanza  5. 6  Per  una  gamba  il  grave  tronco  prese, E  quello  usò  per  mazza  addosso  al  resto. In  terra  un  pajo  addormentato  stese, Ch'  al  novissimo  di  forse  fia  desto:Gli  altri  sgombraro  subito  il  paese, Oh'ebbonó  il  piede  e  il  buon  avviso  presto. Non  saria  stato  il  pazzo  al  seguir  lento, non  ch'era  già  volto  al  loro  armento. 7  Gli  agricoltori,  accorti  agli  altru' esempli, Lascian  nei  campi  aratri  e  marre  e  falci: Chi  monta  su  le  case,  e  chi  sui  templi Poiché  non  son  sicuri  olmi  né  salci), Onde  r orrenda  fùria  si  contempli, Ch'a  pugni,  ad  urti,  a  morsi,  a  graffi,  a  calci, Cavalli  e  buoi  rompe,  fracassa  e  strugge; E  ben  è  corridor  chi  da  lui  fugge. Stanza  6. 10    Fece  morir  diece  persone  e  diece, Che  senza  ordine  alcun  gli  andaro  in  mano: E  questo  chiaro  esperimento  fece, Ch'era  assai  più  sicur  starne  lontano. Trar  sangue  da  quel  corpo  a  nessun  lece, ('he  lo  fere  e  percuote  il  ferro  invano. Al  conte  il  re  del  ciel  tal  grazia  diede, Per  porlo  a  guardia  di  sua  santa  Fede. ORLANDO    FUlirO:SO. 11     Era  a  periglio  di  morire  Orlando, Se  fosse  di  morir  stato  capace. Potea  imparar  eh' era  a  gittare  il  brando, E  poi  voler  senx'  arme  essere  audace. La  turba  già  s andava  ritirando, Vedendo  ogni  suo  colpo  uscir  fallace. Orlaxido,  ppi  che  più  nessun  T attende, Verso  un  borgo  di  case  il  cammiu  prende. Stanza  13. 14  Di  qua  di  là,  di  su  di  gì"  discorre Per  tutta  Francia:  e  uu  gio.uo  a  lai  pouie  jinrn Sotto  cui  largo  e  pieno  d'acqua  corre Un  fiume  d'alta  e  di  scoscesa  riva. Edificato  otfctnto  avea  una  torre Che.  d'ooMutorno  e  di  loutan  scopriva. Quel  che  fé' quivi,  avete  altrove  a  udire; Che  di  Zerbiu  mi  convien  prima  dire. 15  Zerbin,  da  poi  ch'Orlando  fu  partito. Dimorò  alquanto,  e  poi  prese  il  sentiero Che  'i  paladino  innanzi  gli  avea  trito, E  mosse  a  passa  lento  il  suo  destriero. Non  credo  che  duo  miglia  auc3  fosse  ito, Che  trar  vide  legato  un  cavai iero Sopra  un  picciol  ronzino,  e  d'ogni  lato La  guardia  aver  d'un  cavaliero  armato. 16  Zerbin  questo  prigiou  conobbe  tosto Che  gli  fu  appresso,  e  così  fé'  Isabella. Era  Odorico  il  Biscaglin,  che  pofeto Fu  come  lupo  a  guardia  dell'agnella. L'avea  a  tutti  gli  amici  suoi  preposto Zerbino  in  confidargli  la  donzella, Sperando  che  la  fede  che  nel  resto Sempre  avea  avuta,  avesse  ancora  in  questa 17  Come  era  a  punto  quella  cosa  stata Venia  Isabella  raccontando  allotta:Come  nel  palischermo  fu  salvata, Prima  ch'avesse  il  mar  la  nave  rotta: La  forza  che  V  avea  Odorico  usata:E  come  tratta  poi  fosse  alla  grotta. Né  giimt'  era  anco  al  fin  di  quel  sermone, Che  trarre  il  malfattor  vider  prigione. 12  Dentro  non  vi  trovò  piccol  né  grande, Che  '1  borgo  ognun  per  tema  avea  lasciato. 

V'erano  in  copia  povere  vivande. Convenienti  a  un  pastorale  stato. Senza  il  pane  discerner  dalle  ghiande, Dal  digiuno  e  dalP  impeto  cacciato, Le  mani  e  il  dente  lasciò  andar  di  botto In  quel  che  trovò  prima,  o  crudo  o  cotto. Dava  la  caccia  e  agli  uomini  e  alle  fere; E  scorrendo  pei  boschi,  ta'.or  prese capri  snelli,  e  le  damme  leggiere; Spesso  con  orsi  e  con  ciui;hiai  coniese, E  con  man  nude  li  pose  a  giacere; E  di  lor  canie  con  tutUi  la  spoglia Più  volte  il  ventre  empi  con  fiera  voglia. 18  I  duo  ch'in  mezzo  avean  preso  Odorico, D'Isabella  notizia  ebbono  vera; E  s'avvisare  esser  di  lei  l'amico, E'I  signor  lor,  colui  ch'appresso  l'era; Ma  più,  che  nello  scudo  il  segno  antico Vider  dipinto  di  sua  stirpe  altiera: E  trovar,  poi  che  guardar  meglio  al  viso, Che  s'era  al  vero  apposto  il  loro  avviso. 19  Saltaro  a  piedi,  e  con  aperte  braccia Correndo  se  n'  andar  verso  Zerbino, E  l'abbracciare  ove  il  maggior  slabbracela. Col  capo  nudo,  e  col  ginocchio  chino. Zerbin,  guardando  l'uno  e  l'altro  in  faccia Vide  esser  l'un  Corebo  il  Biscaglino, Almonio  l'altro,  ch'egli  avea  mandati Con  Odorico  in  sul  uavilio  armati. stanza  13. 20  Almonio  disse:  Poiché  piace  a  Dio (La  sna  mercè)  che  sia  Isabella  teco. Io  posso  ben  comprender,  signor  mio, Che  nulla  cosa  nuova  ora  t'arreco: S'io  vodir  la  cagion  che  questo  rio Fa  che  cosi  legato  tedi  meco; Che  da  costei,  che  più  sentì  l'oifesa, A  punto  avrai  tutta  T  istoria  intesa. 21  Come  dal  traditore  io  fui  schernito Quando  da  sé  levommi.  saper  dèi; E  come  poi  Corebo  fu  ferito, Ch'a  difender  s'avea  tolto  costei. Ma  quanto  al  mio  ri  tomo  sia  seguito. Né  veduto  né  inteso  fu  da  lei. Che  te  l'abbia  potuto  riferire: Di  questa  parte  dunque  io  ti  vo'dire. 22  Della  cittade  al  mar  ratto  io  veniva Con  cavalli  eh'  in  fretta  avea  trovati, Sempre  con  gli  occhi  intenti  s' io  scopriva Costor  che  molto  addietro  eran  restati. Io  vengo  innanzi,  io  vengo  in  su  la  riva Del  mare,  al  luogo  ove  io  gli  avea  lasciati: Io  guardo,  né  di  loro  altro  ritrovo. Che  nell'arena  alcun  vestigio  nuovo. 23  La  pesta  seguitai,  che  mi  condusse Nel  bosco  fier;  né  molto  addentro  fui, Che,  dove  il  suon  l'orecchie  mi  percusse. Giacere  in  terra  ritrovai  costui. Gli  domandai  che  della  donna  fusse. Che  d'Odorico,  e  chi  avea  offeso  lui. 10  me  n'  andai,  poi  che  la  cosa  seppi, 11  traditor  cercando  per  quei  greppi. 26    La  giustizia  del  re,  che  il  loco  franco Della  pugna  mi  diede,  e  la  ragione; Ed  oltre  alla  ragion,  la  fortuna  anco, Che  spesso  la  vittoria  "  ove  vuol,  pone; 31  i  giovar  si,  che  di  me potèmancoIl  traditore:  onde  fu  mio  prigione. Il  re,  udito  il  gran  fallo,  mi  concesse Di  poter  fame  quanto  mi  piacesse. Stanza  'Z4. 24  Molto  aggirando  vommi,  e  per  quel  giorno Altro  vestigio  ritrovar  non  posso. Dove  giacca  Corebo  alfin  ritomo. Che  fatto  appresso  avea  il  terren  sì  rosso, poco  più  che  vi  facea  soggiorno. Gli  saria  stato  di  bisogno  il  fosso, E  i  preti  e  i  frati  più  per  sotterrarlo, Ch'i  medici  e  che'l  letto  per  sanarlo. 25  Dal  bosco  alla  città  feci  portallo, E  posi  in  casa  d'uno  ostier  mio  amico, Che  fatto  sano  in  poco  termine  hallo Per  cura  ed  arte  d'un  chirurgo  antico. Poi  d'arme  provveduti  e  di  cavallo, Corebo  ed  io  cercammo  d'Odorico, Ch'in  corte  del  re  Alfonso  di  Biscaglia Trovammo;  e  quivi  fili  seco  a  battaglia. 27  Non  r  ho  voluto  uccider  né  lasciarlo, Ma,  come  vedi,  trarloti  in  catena Perchè  vo'ch'a  te  stia  di  giudicarlo, Se  morire  o  tener  si  deve  in  pena. L'avere  inteso  ch'eri  appresso  a  Carlo, E  '1  desir  di  trovarti  qui  mi  mena. Ringrazio  Dio  che  mi  fa  in  questa  parte, Dove  lo  sperai  meno,  ora  trovarte. 28  Ringraziolo  anco,  che  la  tua  Isabella Io  veggo  (e  non  so  come)  che  teco  hai; Di  cui,  per  opra  del  fellon,  novella Pensai  che  non  avessi  ad  udir  mai. Zerbino  ascolta  Almonio,  e  non  favella, Fermando  gli  occhi  inOdorico  assai; Non  si  per  odio,  come  che  gì'  incresce Ch'a  si  mal  fin  tanta  amicizia  gli  esce. 29  Finito  chebbe  Almonìo  il  suo  sermone, Zerbin  riman  gran  pezzo  sbigottito, Che  chi  d  ogni  altro  men  n'  avea  cagione, Si  espressamente  il  possa  aver  tradito. Ma  poi  che  d'una  lunga  ammirazione Fu,  sospirando  >  finalmente  uscito, Al  prigion  domandò  se  fosse  vero Quel  eh  avea  di  lui  detto  il  cavaliero. 30  II  disleal  con  le  ginocchia  in  terra Lasciò  cadérsi,  e  disse:  signor  mio, Ognun  che  vive  al  mondo,  pecca  ed  erra: Né  differisce  in  altro  il  buon  dal  rio, Se  non  che  Puno  è  vinto  ad  ogni  guerra Che  gli  yien  mossa  da  un  piccol  disio: L  altro  ricorre  all'arme  e  si  difende; Ma  se'l  nemico  è  forte,  anco  ei  si  rende. 31  Se  tu  m'avessi  posto  alla  difesa D'una  tua  rocca,  e  ch'ai  primiero  assalto Alzate  avessi,  senza  far  contesa, Degr  inimici  le  bandiere  in  alto; Di  viltà,  0  tradimento,  che  più  pesa, Su  gli  occhi  por  mi  si  potria  uno  smalto: Ma  s'io  cedessi  a  forza,  son  ben  certo Che  biasmo  non  avrei,  ma  gloria  e  merto. 82    Sempre  che  Tinimico  è  più  possente, Più  chi  perde  accettabile  ha  la  scusa. Mia  fé  guardar  dovea  non  altrimente Chuna  fortezza  d'ognintorno  chiusa. Cosi,  con  quanto  senno  e  quanta  mente Dalla  Somma  Prudenzia  m'era  infusa, 10  mi  sforzai  guardarla;  ma  alfin  vinto Da  in  tollerando  assalto,  ne  fui  spinto. 33  Così,  disse  Odorico,  e  poi  soggiunse (Che  saria  Inngo  a  ricordarvi  il  tutto), Mostrando  che  gran  stimolo  lo  punse, E  non  per  lieve  sferza  s'era  indutto. Se  mai  per  prieghi  ira  di  cor  si  emunse, S' umiltà  di  parlar  fece  mai  flutto, Quivi  far  lo  dovea:  che  ciò  che  muova Di  cor  durezza,  ora  Odorico  trova. 34  Pigliar  di  tanta  ingiuria  alta  vendetta, Tra  il  sì  Zerbino  e  il  no  resta  confuso. 11  vedere  il  demerito  lo  alletta A  far  che  sia  il  fellon  di  vita  escluso: n  ricordarsi  l'amicizia  stretta Ch'era  stata  tra  lor  per  sì  lungo  uso, C<m  l'acqua  di  pietà  l'accesa  rabbia Nel  cor  gli  spegne,  e  vuol  che  mercè  n'abbia. 85    Mentre  stava  cosi  Zerbino  in  forse Di  liberare,  o  di  menar  captivo, Oppure  il  disleal  dagli  occhi  torse Per  morte,  oppur  tenerlo  in  pena  vivo; Quivi  rìgnando  il  palafreno  corse, Che  Mandricardo  avea  di  brigrlia  privo; E  vi  portò  la  vecchia  che  vicino A  morte  dianzi  avea  tratto  2bino. 36  n  palaU;  ch'udito  di  lontano Avea  quest'altri,  era  tra  lor  venuto; E  la  vecchia  portatavi,  ch'invano Venia  piangendo  e  domandando  alita Come  Zerbin  lei  vide,  ahò  la  mano Al  ciel,  che  sì  benigno  gli  era  snto, Che  datogli  in  arbitrio  avea  quedoi Che  soli  odiati  esser  dovean  da  Ini. 37  Zerbin  fa  ritener  la  mala  vecchia, Tanto  che  pensi  quel  che  debba  fame. Tagliarle  il  naso  e  l'una  e  l'altra  orecchia Pensa,  ed  esempio  a' malfattori  dame: Poi  gli  par  assai  meglio,  s' apparecchia Un  pasto  agli  avoltoi  di  quella  carne. Punizì'on  diversa  tra  sé  voi  ve; E  così  finalmente  si  risolve. 38  Si  rivolta  ai  compagni,  e  dice: Io  sono Di  lasciar  vivo  il  disleal  contento; Che  s' in  tutto  non  merita  perdono, Non  merita  anco  sì  crudel  tormento. Che  viva  e  che  slegato  sia  gli  dono, Però  ch'esser  d'amor  la  colpa  sento; E  facilmente  ogni  scusa  s'ammette, Quando  ip  amor  la  colpa  si  riflette. 89    Amore  ha  vòlto  sottosopra  spesso Senno  più  saldo  che  non  ha  costui; Id  ha  condotto  a  via  maggiore  eccesso Di  questo,  ch'oltraggiato  ha  tutti  nm. Ad  Odorico  debbe  esser  rimesso: Punito  esser  debbo  io,  che  cieco  fui; Cieco  a  dargline  impresa,  e  non  por  sente Che'l  foco  arde  la  paglia  &cihnente. 40    Poi  mirando  Odorico:  Io  vo'che  sia, Gli  disse,  del  tuo  error  la  penitènza, Che  la  vecchia  abbi  un  anno  in  compagnitf Né  di  lasciarla  mai  ti  sia  licenza; Ma  notte  e  giorno,  ove  tu  vada  o  stia, Un'ora  mai  non  te  ne  trovi  senza; E  fin  a  morte  sia  da  te  difem Centra  ciascun  che  voglia  farle  offesa. 41  yo\  se  da  lei  ti  sarà comandato, Che  pigli  contra  ognun  contesa  e  guerra: Vo'in  questo  tempo  che  tu  sia  ubbligato Tutta  Francia  cercar  di  terra  in  terra. Così  dicea  Zerbiu;  che  pel  peccato Meritando  Òdorico  andar  sotterra, Questo  era  porgli  innanzi  un alta  fossa, Che  fia  gran  sorte  che  schivar  la  possa. 42  Tante  donne,  tanti  uomini  traditi Avea  la  vecchia,  e  tanti  offesi  e  tanti. Che  chi  sarà  con  lei,  non  senza' liti Potrà  passar  de' cavalieri  erranti. Così  di  par  saranno  ambi  puniti:Ella  de'  suoi  commessi  errori  innauti; Fgli  di  tome  la  difesa  a  torto, Né  molto  potrà  andar  che  non  sia  morto. 43  Di  dover  servar  questo,  Zerbin  diede Ad  Odorico  un  giuramento  forte, Con  patto  che  se  mai  rompe  la  fede, E  ch'iiiKauzi  gli  capiti  per  sorte, Senz;i  udir  prieghi  e  averne  più  mercede Lo  debba  far  morir  di  cruda  morte. Ad  Almouio  e  a  Corebo  poi  rivolto, Fece  Zerbin  che  fu  Odorico  sciolto. 44  Corebo,  consentendo  Almon'o,  sciolse Il  traditore  alfin,  mi  non  in  fretta; Ch'air  uno  e  all'altro  esser  turbato  dilse Da  si  desiderata  sua  vendetta. Quindi  partissi  il  disleale,  e  tolse In  compagaia  la  vecchia  maledetta. Non  si  legge  iu  Turpin  che  n'avvenisse; Ma  vidi  già  un  autor  che  più  ne  scrisse. 45  Scrive  l'autore,  il  cui  nome  mi  taccio, Che  non  furo  lontani  una  giornata. Cheper  torsi  Odorico  quello  impaccio, Contra  ogni  patto  ed  ogni  fede  data. Al  collo  di  Gabrina  gittò  un  laccio, E  che  ad  un  olmo  la  lasciò  impiccata: E  ch'indi  a  un  anno  (ma  non  dice  il  loco) Almonio  a  lui  fece  il  medesmo  gioco. 46  Zerbin,  che  dietro  era  venuto  all'orma Del  paladin,  né  perder  la  vorrebbe, Manda  a  dar  di  sé  nuove  alla  sua  torm", Che  star  senza  gran  dubbio  non  ne  debba: Almonio  manda,  e  di  più  cose  informa, Che  lungo  il  tutto  a  ricontar  sarebbe; Almonio  manda,  e  a  lui  Corebo  appresso; Né  tien,  ftiorchè  Isabella,  altari  con  esso. 47    Tant'era  l'amor  grande  che  Zerbino, E  non  minor  del  suo  quel  che  Isabella Portava  al  virtuoso  paladino:Tanto  il  desir  d'intender  la  novella, Ch'  egli  avesse  trovato  il  Saracino Che  del  destrier  lo  trasse  con  la  sella; Che  non  faràr  all' esercito  ritorno, Se  non  finito  che  sia  il  terzo  giorno; stanza  45. 48    II  termine  eh'  Orlando  aspettar  disse Il  cavdlier  eh' ancor  non  porta  spada. Non  é  alcun  luogo  dove  il  conte  gisse, Che  Zerbin  pel  me'desimo  non  vada. Giunse  alfin  tra  quegli  arbori  che  scrisse L'ingrata  donna,  un  poco  fuor  di  strada; E  con  la  fonte  e  col  vicino  sasso Tutti  li  ritrovò  messi  in  fracassi". 4.9    Vede  lontan  non  sa  che  luminoso, E  trova  la  corazza  esserdelconte;EtroyaV  elmo  poi,  non  quel  famoso Ch  armò  già  il  capo  air  africano  Almonte; Il  destrier  nella  seka  più  nascoso Sente  a  nitrire,  e  leva  al  suon  la  fronte; vede  Brigliador  pascer  per  Terba, Che  dall'arcion  pendente  il  freno  serba. 50    Durindana  cercò  per  la  foresta, fuor  la  vide  del  fodero  starse. Trovò,  ma  in  pezzi,  ancor  la  sopravvesta Ch'in  cento  lochi  il  miser  conte  sparse. Isabella  e  Zerbin  con  faccia  mesta Stanno  mirando,  e  non  san  che  pensarse:Pensar  potrian  tutte  le  cose,  eccetto Che  fosse  Orlando  fuor  dell'intelletto. 55  Se  fosse  stata  a  quell'oste!  d'Atlante, Veduto  con  Ghradasso  andare  errando L'avrebbe,  con  Ruggier,  con  Bradamante, E  con  Ferraù  prima,  e  con  Orlando. Ma  poi  che  cacciò  Astolfo  il  negromante Col  suon  del  corno  orribile  e  mirando, Brandimarte  tornò  verso  Parigi; Ma  non  sapea  già  questo  Fiordiligi 56  Come  io  vi  dico,  sopraggiunta  a  caso A  quei  duo  amanti  Fiordiligi  bella, Conobbe  l'arme,  e  Brigliador  rimaso Senza  il  patrone,  e  col  freno  alla  selk. Vide  con  gli  occhi  il  miserabii  caso, £  n'  ebbe  per  udita  anco  novella; Che  similmente  il  pastorel  narrolle Aver  veduto  Orlando  correr  folle. 51  Se  di  sangue  vedessino  una  goccia, Creder  potrian  che  fosse  stato  morto. Intanto  lungo  la  corrente  doccia Vider  venire  un  pastorello  smorto. Costui  pur  dianzi  avea  di  su  la  roccia L'alto  furor  dell'inf elire  scorto, Come  l'arme  gittò,  squarciossi  i  panni, Pastori  uccise,  e  fé'  mill' altri  danni. 52  Costui,  richiesto  da  Zerbin,  gli  diede Vera  informazì'on  di  tutto  questo. Zerbin  si  maraviglia,  e  a  pena  il  crede; E  tuttavia  n'ha  indizio  manifesto. Sia  come  vuole;  egli  discende  a  piede, Pien  di  pietade,  lacrimoso  e  mesto, E  ricogliendo  da  diversa  parte Le  reliquie  ne  va,  eh'  erano  sparte. 53  Del  palafren  discende  anco  Isabella, va  quell'arme  riducendo  insieme. Ecco  lor  sopravviene  una  donzella Dolente  in  vista,  e  di  cor  spesso  geme. mi  domanda  alcun  chi  sia,  perch'ella s' affligge,  e  che  dolor  la  preme; Io  gli  risponderò  eh' è  Fiordiligi, Che  dell'amante  suo  cerca  i  vestigi. 57  Quivi  Zerbin  tutte  raguna  V  arme E  ne  £Ek  come  un  bel  trofeo  s'un  pino; E  volendo  vietar  che  non  se  n'arme Cavalier  paèsan  né  peregrino, Scrive  nel  verde  ceppo  in  breve  carme: Armatura  d' Orlando  Paladino; Come  volesse  dir: Nessun  la  mova, Che  star  non  possa  con  Orlando  a  prova. 58  Finito  ch'ebbe  la  lodevol  opra, Tornava  a  rimontar  sul  suo  destriero; Ed  ecco  Mandricardo  arrivar  sopra, Che  visto  il  più  di  quelle  spoglie  altiero, Lo  priega  che  la  cosa  gli  discopra: E  quel  gli  narra,  come  hainteso,  il  vero. Allora  il  re  pagan  lieto  non  bada, Che  viene  al  pino,  e  ne  leva  la  spada. 59  Dicendo: Alcun  non  me  ne  può  riprendere. Non  è  pur  oggi  ch'io  l'ho  fatta  mia; Ed  il  possesso  giustamente  prendere Ne  posso  in  ogni  parte,  ovunque  sia. Orlando,  che  temea  quella  difendere, S' ha  finto  pazzo,  e  1'  ha  gittata  via; Ma  quando  sua  viltà  pur  così  scusi, Non  debbe  far  eh'  io  mia  ragion  non  usi 54    Da  Brandimarte  senza  farle  motto Lasciata  fu  nella  città  di  Carlo, Dov'  ella  l'aspettò  sei  mesi  ed  otto:E  quando  alfin  non  vide  ritornarlo, Da  un  mare  all'altro  si  mise,  fin  sotto Pirene  e  l'Alpe,  e  per  tutto  a  cercarlo:L'andò  cercando  in  ogni  parte,  fuore Ch'ai  palazzo  d'Atlante  incantatore. 60    Zerbino  a  lui  gridava:  non  la  tórre, 0  pensa  non  l'aver  senza  questione. Se  togliesti  così  l'arme  d'Ettorre, Tu  l'hai  di  furto,  più  che  di  ragione. Senz'altro  dir  l'un  sopra  l'altro  corre, D'animo  e  di  virtù  gran  paragone. Di  cento  colpi  già  rimbomba  il  suono; Né  bene  ancor  nella  battaglia  sono. 61  Di  prestezza  Zerbin  pare  una  fiamma A  torsi,  ovunque  Durindana  cada:Di  qua  di  là  saltar  come  una  damma Fa  'J  suo  destrier,  dove  è  miglior  la  strada. E  ben  convien  cbe  non  ne  perda  dramma: Ch'andrà,  s'un  tratto  il  coglie  quella  spada, Aritrovargl'innamorati  spirti, Ch'  empion  la  selva  degli  ombrosi  mirti. 62  Come  il  veloce  can  che'l  porco  assalta, Cbe  fuor  del  gregge  errar  vegga  nei  campi, Lo  va  aggirando,  e  quinci  e  quindi  salta; Ma  quello  attende  ch'una  volta  inciampi; Cosi,  se  vien  la  spada  o  bassa  od  alta, Sta  mirando  Zerbin  come  ne  scampi; Come  la  vita  e  l'onor  salvi  a  un  tempo, Tien  sempre  l'occhio,  e  fiere  e  fugge  a  tempo. 63  Dall'altra  parte,  ovunque  il  Saracino La  fiera  spada  vibra  o  piena  o  vota. Sembra  fra  due  montagne  un  vento  alpino Ch'una  frondosa  selva  il  marzo  scuota; Ch'ora  la  caccia  a  terra  a  capo  chino, Or  gli  spezzati  rami  in  aria  ruota. Benché  Zerbin  più  colpi  e  fugga  e  schivi, Non  può  schivare  alfin  eh' un  non  gli  arrivi. 64  Non  può  schivare  alfin  un  gran  fendente, Che  tra'l  brando  e  lo  scudo  entra  sul  petto. Grosso  l'usbergo  e  grossa  parimente Era  la  piastra,  e  '1  panziron  perfetto:Pur  non  gli  steron  contra,  ed  ugualmente Alla  spada  crudel  dieron  ricetto. Quella  calò  tagliando  ciò  che  prese. La  corazza  e  l'arcion  fin  sull'arnese: 65  E  se  non  fu  scarso  il  colpo  alquanto, Per  mezzo  lo  fendea  come  una  canna; Ma  penetra  nel  vivo  appena  tanto, Che  poco  più  che  la  pelle  gli  danna. La  non  profonda  piaga  è  lunga  quanto Non  si  misureriacon  una  spanna. Le  lucid'arme  il  caldo  sangue  irriga, Per  sino  al  pie,  di  rubiconda  riga. 66  Cosi  talora  un  bel  purpureo  nastro Ho  veduto  partir  tela  d'argento Da  quella  bianca  man  più  ch'alabastro. Da  cui  partire  il  cor  spesso  mi  sento. Quivi  poco  a  Zerbin  vale  esser  mastro Di  guerra,  ed  aver  forza  e  più  ardimento; Che  di  finezza  d'arme  e  di  possanza 11  re  di  Tartaria  troppo  l'avanza. 67  Fu  questo  colpo  del  pagan  maggiore In  apparenza,  che  fosse  in  effetto; Tal  eh'  Isabella  se  ne  sente  il  core Fendere  in  mezzo  all'agghiacciato  petto. Zerbin,  pien  d'ardimento  e  di  valore, Tutto  s' infiamma  d'ira  e  di  dispetto:E  quanto  più  ferire  a  due  man  puote, In  mezzo  l'elmo  il  tartaro  percuote. 68  Quasi  sul  collo  del  destrier  piegosse Per  l'aspra  botta  il  Saracin  superbo; E  quando  l'elmo  senza  incanto  fosse, Partito  il  capo  gli  avria  il  colpo  acerbo. Con  poco  differir  ben  veudicosse; Né  disse: A  un'  altra  volta  io  te  la  serbo:E  la  spada  gli  alzò  verso  l'elmetto. Sperandosi  tagliarlo  infin  al  petto.(JJ)    Zerbin,  che  tenea  rocchio  ove  la  mente, Presto  il  cavallo  alla  man  destra  volse; Non  si  presto  però,  che  la  tagliente Spada  fuggisse,  cbe  lo  scudo  colse. Da  sommo  ad  imo  ella  il  partì  ugualmente, E  di  sotto  il  braccial  roppe  e  disciolse, E  lui  ferìnel  braccio;  e  poi  l'arnese Spezzògli,  e  nella  coscia  anco  gli  scese. 70  Zerbin  di  qua  di  là  cerca  ogni  via, Né  mai  di  quel  che  vuol,  cosa  gli  viene; Che  l'armatura,  sopra  cui  feria, Cu  piccol  segno  pur  non  he  ritiene. Dall'altra  parte  il  re  di  Tartaria Sopra  Zerbino  a  tal  vantaggio  viene, Che  l'ha  ferito  in  sette  parti  o  in  otto, Tolto  lo  scudo,  e  mezzo  l'elmo  rotto. 71  Quel  tuttavia  più  va  perdendo  il  sangue; Manca  la  forza,  e  ancor  par  che  noi  senta. Il  vigoroso  cor,  che  nulla  langue, Val  si,  che  '1  debol  corpo  ne  sostenta. La  donna  su%,  per  timor  fatta  esangue, Intanto  a  Doralice  s' appresenta, E  la  priega  e  la  supplica  per  Dio, Che  partir  voglia  il  fiero  assalto  e  rio. 72  Cortese,  come  bella,  Doralice, Né  ben  sicura  come  il  fatto  segua, Fa  volontier  quel  ch'Isabella  dice, E  dispone  il  suo  amante  a  pace  e  a  triegua. Così  a'prieghi  dell'altra  l'ira  ultrice Di  cor  fugge  a  Zerbino  e  si  dilegua; Ed  egli,  ove  a  lei  par,  piglia  la  strada. Senza  finir  l'impresa  della  spada. 73    Fiordiligi  che  mal  vede  difesa La  buona  spada  del  misero  conte, Tacita  duolsì;  e  tanto  le  ne  pesa, Che  d'ira  piange,  e  battesi  la  fronte. Vorria  aver  Brandimarte  a  quella  impresa; E  se  mai  lo  ritrova  e  gli  lo  conte, Non  crede  poi  che  Mandricardo  vada Lunga  stagione  altier  di  quella  spada. 74    Fiordiligi  cercando  pure  invano Va  Brandimarte  suo  mattina  e  sera; E  fa  cammin  da  lui  molto  lontano. Da  lui  che  già  tornato  a  Parigi  era. Tanto  ella  se  n'andò  per  monte  e  piano, Che  giunse  ove,  al  passar  d'una  rÌTiera, Vide  e  conobbe  il  miser  paladino; Ma  diciam  quel  che  avvenne  di  Zerbino "3    ii"    X<ii: Stanza  88. 75    Che  U  lasciar  Durindana  si  gran  fallo Gli  par,  che  più  d' ogn'(altro  mal  gP incresce; Quantunque  appena  star  possa  a  cavallo. Pel  molto  sangue  che  gli  è  uscito  ed  esce. Or,  poiché  dopo  non  troppo  intervallo Cssa  con  IMra  il  caldo,  il  dolor  cresce:Cresce  il  dolor  sì  impettiosamente, Che  mancarsi  la  vita  se  ne  sente. 76    Per  debolezza  più  non  potea  gire; Sì  che  fermossi  appresso  una  fontana. Non  sa  che  far,  né  che  si  debba  dire, Per  aiutarlo,  la  donzella  umana. Sol  di  disagio  lo  vede  morire; Che  quindi  è  troppo  ogni  città  lontana, Dove  in  quel  punto  al  medico  ricorra, Che  per  pietade  o  premio  gli  soccorra. 77     Ella  non  sa,  se  non  invàn  dolersi, Chiamar  fortuna  e  il  cielo  empio  e  crudele. Perchè,  ahi  lassa !  dicea,  non  mi  sommersi Quando  levai  neirOce&n  le  vele? Zerbin,  che  i  languidi  occhi  ha  in  lei  conversi, Sente  più  doglia  eh  ella  si  querele, Che  della  passion  tenace  e  forte Che  rhacondotto  ornai  vicino  a  morte. 78    Cosi,  cor  mio,  vogliate  (le  diceva), Dopo  chMo  sarò  morto,  amarmi  ancora, Come  solo  il  lasciarvi  è  che  m'aggreva Qui  senza  guida,  e  non  già  perch'io  mora: Che  se  in  sicura  parte  m'accadeva Finir  della  mia  vita  l'ultima  ora, Lieto  e  contento  e  fortunato  appieno Morto  sarei,  poich'io  vi  moro  in  seno. 8tAnE&9C). 7u    Ma  poiché  1  mio  destino  iniquo  e  duro Vuol  ch'io  vi  lasci,  e  non  so  in  man  di  cnij Per  questa  bocca  e  per  questi  occhi  giuro. Per  queste  chiome  onde  allacciato  fui, Clic  disperato  nel  profondo  oscuro Yo  dello  'nfemo,  ove  il  pensar  lìi  vili, Cb'  abbia  così  laeciata  assai  piii  ria Sani  doj' altra  pena  ebe  vi  sia. 80    A  questo  la  mestissima  Isabella, la  faccia  lagrimosa, E  congiungendo  la  sua  bocca  a  quella non  còlta  in  sua  stagion,  bì  ch'ella Impallidisca  in  m  la  siepe  ombrosa; Disse  '.  Non  vi  pensate  gift,  mia  vita  t Fnr  aensca  me  (inent  ultima  partite SjyDi  dò,  cor  mio,  nessun  timor  vi  tocchi; Ch'  io  vo'  seguirvi  o  in  cielo  o  nello  'nferno. Convien  che  V  uno  e  1'  altro  spirto  scocchi, Insieme  vada,  insieme  stia  in  eterno. Non  sì  tosto  vedrò  chiudervi  gli  occhi, 7/      XI  che  m'ucciderà  il  dolore  interno, /  0,  se  quel  non  può  tanto,  io  vi  prometto l      Con  questa  spada  oggi  passarmi  il  petto. 82    De' corpi  nostri  ho  ancor  non  poca  speme, Che  me' morti,  che  vivi,  ahbian  ventura. Qui  forse  alcun  capiterà,  eh'  insieme, Mosso  a  pietà,  darà  lor  sepoltura. Così  dicendo,  le  reliquie  estreme Dello  spirto  vital  che  morte  fura, Va  ricogliendo  con  le  labbra  meste. Fin  ch'una  mìnima  aura  ve  ne  reste. 87  In  tanta  rabbia,  in  tal  furor  sommersa L'avea  la  doglia  sua,  che  facilmente Avria  la  spada  in  sé  stessa  conversa, Poco  al  suo  amante  in  questo  ubbidiente: S'uno  eremita,  ch'alia  fresca  e  tersa Fonte  avea  usanza  di  tornar  sovente Dalla  sua  quindi  non  lontana  cella, Non  s'opponea,  venendo,  al  voler  d'elk. 88  n  venerabil  uom,  eh'  alta  boutade Avea  congiunta  a  naturai  pmdeiuria, Ed  era  tutto  pien  di  caritade, Di  buoni  esempi  ornato  e  d'eloquenzia, Alla  giovan  dolente  persuade Con  ragioni  efficaci  pazìenzia; Ed  innanzi  le  pon,  come  uno  specchio . Donne  del  testamento  e  nuovo  e  vecchio. 83  Zerbin,  la  debol  voce  rinforzando, Disse:  Io  vi  priego  e  supplico,  mia  diva. Per  quello  amor  che  mi  mostraste,  quando Per  me  lasciaste  la  patema  riva; E  se  comandar  posso,  io  ve  '1  comando, Che,  finché  piaccia  a  Dio,  restiate  viva; Né  mai  per  caso  pogniate  in  obblio, Che,  quanto  amar  si  può,  v'abbia  amato  io. 84  Dio  vi  provvederà  d'aiuto  forse, Per  liberarvi  d'ogni  atto  villano, Come  fé' quando  alla  spelonca  torse, Per  indi  trarvi,  il  senator  romano. Così  (la  sua  mercé)  già  vi  soccorse Nel  mare,  e  contra  il  Biscaglin  profano; E  se  pure  avverrà  che  poi  si  deggia Morire,  allora  il  minor  mal  s' eleggia. 89  Poi  le  fece  veder,  come  non  fosse Alcun,  se  non  in  Dio,  vero  contento; E  ch'eran  l'altre  transitorie  e  flusse Speranze  umane,  e  di  poco  momento: E  tanto  seppe  dir,  che  la  ridusse Da  quel  crudele  ed  ostinato  intento, Che  la  vita  seguente  ebbe  disio Tutta  al  servigio  dedicar  di  Dio. 90  Non  che  lasciar  del  suo  signor  voglia  nnqne Né  '1  grande  amor,  né  le  reliquie  morte: Convien  che  l'abbia  ovunque  stia,  ed  ovunque Vada,  e  che  seco  e  notte  e  dì  le  porte. Quindi  aiutando  l'eremita  dunque, Ch'  era  della  sua  età  valido  e  forte, Sul  mesto  suo  destrìer  Zerbin  posaro, E  molti  di  per  quelle  selve  andaro. 85  Non  credo  che  quest'ultime  parole Potesse  esprimer  sì,  che  fosse  inteso; E  fini  come  il  debol  lume  suole, Cui  cera  manchi,  od  altro  in  che  sia  acceso. Chi  potrà  dire  appien  come  si  duole. Poiché  si  vede  pallido  e  disteso, La  giovanetta,  e  freddo  come  ghiaccio Il  suo  caro  Zerbin  restar  in  braccio? 86  Sopra  il  sanguigno  corpo  s'abbandona, E  di  copiose  lacrime  lo  bagna; Estride  sì,  ch'intorno  ne  rìsuona A  molte  miglia  il  bosco  e  la  campagna. Né  alle  guance  né  al  petto  si  perdona, Che  l'uno  e  l'altro  non  percuota  e  fragna; E  straccia  a  tx)rto  l'auree  crespe  chiome, Chiamando  sempre  invan  l'amato  nome. 91  Non  volse  il  cauto  vecchio  ridur  seco, Sola  con  solo,  la  giovane  bella Là  dove  ascosa  in  un  selvaggio  speco Non  lungi  avea  la  solitaria  cella; Fra  sé  dicendo:  Con  periglio  arreco In  una  man  la  paglia  e  la  facella. Né  si  fida  in  sua  età  né  in  sua  prudenzia, Che  di  sé  faccia  tanta  esperienzia. 92  Di  condurla  in  Provenza  ebbe  pensiero, Non  lontano  a  Marsiglia  in  un  castello, Dove  di  sante  donne  un  monastero Ricchissimo  era,  e  di  edificio  bello:E  per  portarne  il  morto  cavaliere, Composto  in  una  cassa  aveano  quello, Che  in  un  castel,  eh'  era  tra  via,  si  fece Lunga  e  capace,  e  ben  chiusa  di  pece. 93     Più  e  più  giorni  gran  spazio  di  terra Cercaro,  e  sempre  per  lochi  più  inculti, Che  pieno  essendo  ogni  cosa  di  guerra, Voleauo  gir  più  che  poteano  occulti. Alfine  un  cavalier  la  via  lor  serra, Che  lor  fé' oltraggi  e  disonesti  insulti; Di  cui  dirò  quando  il  suo  loco  fia: Ma  ritomo  ora  al  re  di  Tartaria. 99    Ecco  sono  agli  oltraggi,  al  grido,  all'ire, Al  trar  de'  brandi,  al  crudel  suon  dei  ferri; Come  Tento  che prima  appena  spire, Poi  cominci  a  crollar  frassini  e  cerri; Et  indi  oscura  polve  in  cielo  aggire, Indi  gli  arbori  svella,  e  case  atterri, Sommerga  in  mare,  e  porti  ria  tempesta Che  '1  gregge  sparso  uccida  alla  foresta. 94  Avuto  ch'ebbe  la  battaglia  il  fine Che  già  v'  ho  detto,  il  giovin  si  raccolse Alle  fresche  ombre  e  all'onde  cristalline, Ed  al  destrier  la  sella  e  '1  freno  tolse, E  lo  lasciò  per  l'erbe  teneriue Del  prato  andar  pascendo  ov'  egli  volse:Ma  non  stè  molto,  che  vide  lontano Calar  dal  monte  un  cavaliere  al  piano. 95  Conobbel,  come  prima  alzò  la  fronte, Doralice,  e  mostrollo  a  Mandricardo, Dicendo: Ecco  il  superbo  Rodomonte, Se  non  m'inganna  di  lontan  lo  sguardo. Per  far  teco  battaglia  cala  il  monte: Or  ti  potrà  giovar  l'esser  gagliardo. Perduta  avermi  a  grande  ingiuria  tiene. Oh'  era  sua  sposa,  e  a  vendicar  si  viene. 96  Qual  buono  astor  che  l'anitra  o  l'acceggia. Starna  o  colombo  o  simil  altro  augello Venirsi  incontra  di  lontano  veggia, Leva  la  testa,  e  si  fa  lieto  e  bello; Tal  Mandricardo,  come  certo  deggia Di  Rodomonte  ìslt  strage  e  macello, Con  letizia  e  baldanza  il  destrier  piglia, Le  staffe  ai  piedi,  e  dà  alla  man  la  briglia. Stanza  100. 97    Quando  vicini  fur  sì,  ch'udir  chiare Tra  lor  poteansi  le  parole  altiere. Con  le  mani  e  col c minacciare Incominciò  gridando  il  re  d'Algiere, Ch'a  penitenza  gli  faria  tornare, Che  per  un  temerario  suo  piacere Non  avesse  rispetto  a  provocarsi Lui  ch'altamente  era  per  vendicarsi. 100    De'  duo  pagani,  senza  pari  in  terra, Gli  audacissimi  cor,  le  forze  estreme Partoriscono  colpi  ed  una  guerra Conveniente  a  si  feroce  seme. Del  grande  e  orribil  suon  trema  la  terra. Quando  le  spade  son  percosse  insieme: Gettano  l'arme  insin  al  ciel  scintille. Anzi  lampadi  accese  a  mille  a  mille. 98    Rispose  Mandricardo:  Indarno  tenta Chi  mi  vuol  impaurir  per  minaociarme. Cosi  fanciulli  o  femmine  spaventa, 0  altri  che  non  sappia  che  sieno  arme; Me  non,  cui  la  battaglia  più  talenta D'ogni  riposo;  e  son  per  adoprarme A  pie,  a  cavallo,  armato,  e  disarmato, Sia  alla  campagna,  o  sia  nello  steccato. 101    Senza  mai  riposarsi  o  pigliar  fiato Dura  fra  quei  duo  re  l'aspra  battaglia, Tentando  ora  da  questo,  or  da  quel  lato Aprir  le  piastre,  e  penetrar  la  maglia. Né  perde  l'un,  né  l'altro  acquista  il  prato; Ma  come  intorno  siau  fosse  o  muraglia, 0  troppo  costi  ogn'  oncia  di  quel  loco, Non  si  parton  d'un  cerchio  angusto  e  poco. 102    Fra  mille  colpi  il  tartaro  una  volta Colse  a  duo  roani  in  fronte  il  re  d'Algiere, Che  gli  fece  reder  girare  in  volta Quante  mai  fiiron  fiaccole  e  lumiere. Come  ogni  forza  all' African  sia  tolta, Le  groppe  del  destrier  col  capo  fere; Perde  la  staffa,  ed  è,  presente  quella Che  cotant'ama,  per  uscir  di  sella. Stanza  10& 105  II  cavallo  del  Tartaro,  cii'abborre La  spada  che  fischiando  cala  d'alto. Al  suo  signor,  con  suo  gran  mal, Perchè  b'  arretra,  per  fuggir,  d'irn Il  brando  in  mezzo  il  capo  gli  traaconey Ch'  al  signor,  non  a  lui,  movea  V Il  miser  non  avea  V  elmo  di  Troia, Come  il  patrone;  onde  convien  che  mi 106  Quel  cade,  e  Mandricardo  in  piedi   Non  più  stordito,  e  Durindana  aggiia. Veder  morto  il  cavallo  entro  gli  adixa, E  fuor  divampa  un  grave  incendio  d'iia. L  African,  per  urtarlo,  il  destrier  driaa: Ma  non  più  Mandricardo  si  ritira. Che  scoglio  far  soglia  dall'onde:  e  aTTCBBe Che  '1  destrier  cadde,  ed  egli  in  pie  si  te&at 107  L'African,  che  mancarsi  il  destrier  settL Lascia  le  staffe,  e  su  gli  arcion  si  ponta, E  resta  in  piedi  e  sciolto  agevolmente: Cosi  r  un  V  altro  poi  di  pari  affronta. La  pugna  più  che  mai  ribolle  ardente; E  l'odio  e  r  ira  e  la  superbia  monta; Ed  era  per  seguir;  ma  quivi  giunse In  fretta  un  messaggier  che  li  disgiunse. 108  Vi  giunse  un  messaggier  del  popol  mori Di  molli  che  per  Francia  eran  mand&U A  ricliiamare  agU  stendardi  loro Icapitani  e  i  cavalier  privati; Perchè  Timperator  dai  gìgli  d'oro Gli  avea  gli  alloggiamenti  già  assediati; E  se  non  è  il  soccorso  a  venir  presto, L'eccidio  suo  conosce  manifesto. 103  Ma  come  ben  composto  e  valido  arco Di  fino  acciaio,  in  buona  somma  greve, Quanto  si  china  più,  quanto  è  più  carco E  più  lo  sforzan  martinelli  e  leve, Con  tanto  più  furor,  quando  è  poi  scarco. Ritorna,  e  fa  più  mal  che  non  riceve; Cosi  quello  Afìrican  tosto  risorge, E  doppio  il  colpo  air  inimico  porge. 104  Rodomonte  a  quel  segno  ove  fu  colto. Colse  appunto  il  figliuol  del  re  Agricane. Per  questo  non  potè  nuocergli  al  volto, Chin  difesa  trovò  Parme  troiane; Ma  stordi  in  modo  il  Tartaro,  che  molto Non  sapea  s'era  vespero  o  dimane. L'irato  Rodomonte  non  s' arresta, Che  mena  V  altro,  e  pur  segua  alla  teista. 109  Riconobbe  il  messaggio  i  cavalieri, Oltre  air  insegne,  oltre  alle  sopravveste, Al  girar  delle  spade,  e  ai  colpi  fieri Ch'altre  man  non  farebbouo  che  queste. Tra  lor  però  non  osa  entrar,  che  speri Che  fra  tant'  ira  sicurtà  gli  preste L'esser  messo  del  re;  né  si  conforta Per  dir,  eh' imbasciator  pena  non  porta; 110  Ma  viene  a  Doralice,  ed  a  lei  narra Ch' Agramante,  Marsilio,  e  Stordihino, Con  pochi  dentro  a  mal  sicura  sbarra Sono  asseliati  dal  popol cristiano. Narrato  il  caso,  con  prieghi  ne  inirra Che  faccia  il  tutto  ai  duo  guerrieri  piano. E  che  gli  accordi  insieme,  e  per  Io  scampo Del  popol  saraoin  li  meni  in  campo. Stanza  9j. ABI08T0. 111  Tra  i  cavalier  la  donna  di  gran  core Si  mette,  e  dice  loro: Io  vi  comando, Per  quanto  so  che  mi  portate  amore, Che  riserbiate  a  migàor  uso  il  brando: E  ne  vegnate  subito  in  favore Del  nostro  campo  Saracino,  quando Si  trova  ora  assediato  nelle  tende, E  presto  aiuto  o  gran  mina  attende. 112  Indi  il  messo  soggiunse  il  gran  periglio Dei  Sara  Cini,  e  narrò  il  fatto  appieno; E  diede  insieme  lettere  del  figlio Del  re  Troiano  al  figlio  d' Ulicuo. Sì  piglia  finalmente  per  consiglio, Che  i  duo  guerrier,  deposto  ogni  veneno, .   Facciano  insieme  triegua  infino  al  giorno Che  sia  tolto  T assedio  ai  Mori  intorno; 113  E  senza  più  dimora,  come  pria Libera  d'assedio  abbiau  lor  gente, Non  s'intendano  aver  più  compagnia. Ma  crudel  guerra  e  inimicizia  ardente, Finché  con  l'arme  diffiaito  sia Chi  la  donna  aver  de' meritamente. Quella,  nelle  cui  man  giurato  fue, Fece  la  sicurtà  per  ambedue. 114  Quivi  era  la  Discordia  impaziente, Inimica  di  pace  e  d'ogni  tregua; E  la  Superbia  v'è,  che  non  consente Né  vuol  patir  che  tale  accordo  segua. Ma  più  dilorpuòAmorquivipresente, Di  cui  l'alto  valor  nessuno  adegua; E  fé  ch'indietro,  a  colpi  di  saette, E  la  Discordia  e  la  Superbia  stette. 115    Fu  conclusa  la  tregua  fra  costoro, Si  come  piacque  a  chi  di  lor  potè  a. Vi  mancava  uno  dei  cavalli  loro; Che  morto  quel  del  Tartaro  giacea; Però  vi  venne  a  tempo  Brigliadoro, Che  le  fresche  erbe  luiigo  il  rio  pascea. Ma  al  fin  del  Canto  io  mi  trovo  essr  giunto; Si  ch'io  farò,  con  vostra  grazia,  punto. NOTE. St.  35.  V.5.   Rignando,  da  rigìiare  o  ringhiare: di.esi  propriamente  de  cani;  ma  è  stato  anche  appro priato a'  cavalli,  invece  di  nitrire.  Si  dice  aiicoiu  in molti  luoghi  della  Toscana. St.  38.  V.8.   Si  re  flette:  si  fa  ricadere. St.  47.  V,  56.   H  Saracino   ecc.: Mandricardo. ST.  49.  V.34.   E  trova  V elmo  poi,  non  quel  fa moso,  ecc.;  perchè  di  quel  famoso  se  n'era  g:à  impa dronito Ferraù.  Vedi  CanJo  XII,  St.  60. St.  51.  V.3.   Boccia:  qui  flumicello. St.  61.  V.8.   La  selva  degli  ombrosi  mirti:  favo leggiata da  Virgilio  nel  VI  dell'Eneide,  per  sede  dell'a nime degli  uccisi  per  cagion  d'amore.  11  mirto  eia  sim bolo dell'amore. St.  €4.  V.48.   Piastra: armatura  di  dosso.   Pan ziron:  aimatura  della  pancia.   Corazza:  arraatuia del  busto,  altrimenti  corsaletto.   Arcione:  parte  della sella,  fatta  a  guisa d'arco,dovesedevano icavalieri.Arnese  nome  generico  che  può  adattarsi  a  il  ogni  parte dell'ai  mituia. Sr.  65.  V.4.   Gli  danna:  gli  dannoggia. St.  t6.  V.14.   Cosi  talora,  ere.  Comparazione  che il  Poeta  ha  tratta  da  un  nastro,  il  quale  attorniando  il polso  della  sua  donna  (Alessandra  Benncci)  rendeva  di Etinta  la  di  lei  mano  dalla  manica  di  drappo  d'argento che  vestivale  il  braccio. St.  69.  V.6.   Braceial:  parte  dell'armatura  che  di fende il  braccio. St.  84.  V.6.   Profano:  qui  lascivo,  disonesto. St.  89.  V.3.   Flusse:  passaggere,  dal  latino /ifttcre. St.  90.  V.34.   Scrivendo  questo  l'Ariosto  pensava forse  della  sua  contemporanea,  V  infelice  Giovanna  la pazza,  di  Spagna,  la  quale,  anche  viaggiando,  voleva sempre  con  sé  il  feretro  del  marito  morto,  Filippo d'Austria. St.  86.  V.1.   Acceggia:  beccaccia. St.  101.  V.8.   Poco:  di  poca  estensione. St.  113.  V.4.   Martinelli:  ordigni  usati  per  cari care le  grosse  balestre  o  gli  archi. St.  106.  V.3.   Adizza:  attizza. 8t.  110.  V.5.   Inarra:  qui  impegna. St.  IH.  V.6.   Quando:  mentre. St.  115.  V.?.   A  chi  di  lor  potei,:  a  chi  era  signora di  loro. Canto  XXV nh  \xx,\\\  eoniriutii  In  irsivenil  pensiero, Ii.;ìr  ili  laiiik' .  ed  im[rt'tLJ  d'aniore Nl,  lIiì  ]iÈii  v.iirlia,  \w.\tx  A  tiuvii  il  veri; ULé  rutila  or  queatu  ur  quel  isuperiore" Neir  uno  ebbe  e  ueir  altro  cavaliero Quivi  gran  forza  il  debito  e  T  onore:Che  l'amorosa  lite  s'intermesse, Finché  soccorso  il  campo  lor  s'avesse. CANTO  VENTESIMOQUINTO.        Ma  più  ve  l'ebbe  Amor:  che  se  non  era Che  così  comandò  la  donni  loro, Non  si  sciogliea  quella  battaglia  fiera, Che  Tun  n'avrebbe  il  trionfale  alloro; Ed  Agramante  invan  con  la  sua  schiera L'aiuto  avria  aspettato  di  costoro. Dunque  Amor  sempre  rio  non  si  ritrova: Se  spesso  nuoce,  anco  talvolta  giova. 3       Or  r  uno  e  l'altro  cavalier  pagano, Che  tutti  ha  differiti  i  suoi  litigi, Va,  per  salvar  l'esercito  africano, Con  la  donna  gentil  verso  Parigi; E  va  con  essi  ancora  il  piccol  nano, Che  seguitò  del  Tartaro  i  vestigi, Finché  con  lui  condutto  a  fronte  a  fronte Avea  quivi  il  geloso  Rodomonte. 4  Capitare  in  un  prato,  ove  a  diletto Erano  avalier  sopra  un  ruscello, Duo  disarmati,  e  duo  ch'avean  l'elmetti, E  una  donna  con  lor  di  viso  bello. Chi  fosser  quelli,  altrove  vi  fia  detto:Or  no,  che  di  Ruggier  prima  fìivello; Del  buon  Rugcier,  di  cui  vi  fu  narrato Che  lo  scudo  nel  pozzo  avei  gittato. 5  Non  è  dal  pozzo  ancor  lontano  un  miglio, Che  venire  un  corrier  vede  in  gran  fretta, Di  quei  che  manda  di  Troiano  il  figlio Ai  cavalieri  onde  soccorso  aspetta: Dal  qual  ode cheCarlo  in  tal  periglio La  gente  saracina  tieu  ristretta. Che  se  non  è  chi  tosto  le  dia  aita, Tosto  l'onor  vi  lascierà  o  la  vita. 8  Perch'  era  conosciuta  dalla  gente Quella  donzella  eh' avea  in  compagnia, Fu  lasciato  passar  liberamente, Né  domandato  pure  onde  venia. Giunse  alla  piazza,  e  di  fuoco  lucente. E  piena  la  trovò  di  gente  ria; E  vide  in  mezzo  star  con  viso  smorto Il  giovine  dannato  ad  esser  morto. 9  Ruggier,  come  gli  alzò  gli  occhi  nel  viso. Che  chino  a  terra  e  lacrimoso  stava, Di  veder  Bradamante  gli  fu  avviso: Tanto  il  giovine  a  lei  rassomigliava. Più  dessa  gli  parca,  quanto  più  fiso Al  volto  e  aUa  persona  il  riguar"iava; E  fra  sé  disse: 0  questa  é  Bradamante, 0  ch'io  non  son  Ruggier,  com'era  innante. 10  Per  troppo  ardir  si  sarà  forse  mes?a Del  garzon  condennato  alia  difesa; E  poiché  mal  la  cosa  l' é  successa, Ne  sarà  stata,  come  io  veggo,  presa. Deh  perchè  tanta  fretta,  che  con  essa Io  non  potei  trovarmi  a  questa  impresa? Ma  Dio  ringrazio  che  ci  son  venuto, Ch'a  tempo  ancora  io  potrò  darle  aiut. 1 1  E  senza  più  indugiar,  la  spada  stringe (Ch'avea  all'altro  caste!  rotta  la  lancia), E  addosso  il  vulgo  inerme  il  destrier  spinge Per  lo  petto,  pei  fianchi  e  per  la  pancia. Mena  la  spada  a  cerco;  ed  a  chi  cinge La  fronte,  a  chi lagola,  a  chi  la  guancia. Fugge  il  popol  gridando;  e  la  gran  frotta Resta  0  sciancata,  o  con  la  testa  rotta. 6  Fu  da  molti  pensier  ridutto  in  forse Ruggier,  che  tutti  l'assalirò  a  un  tratto; Ma  qual  per  lo  miglior  dovesse  torse. Né  luogo  avea  né  tempo  a  pensar  atto. Lasciò  andare  il  messaggio,  e'I  freno  torse Là  dove  fu  da  quella  donna  tratto, Ch'ad  or  ad  or  in  modo  egli  affrettava, Che  nessun  tempo  d'indugiar  le  dava. 7  Quindi  seguendo  il  cammin  preso,  venne (Già  declinando  il  sole)  ad  una  terra Che  '1  re  Marsilio  in  mezzo  Francia  tenne, Tolta  di  min  di  Carlo  in  quella  guerra. Né  al  ponte  né  alla  porta  si  ritenne. Che  non  gli  niega  alcuno  il  passo  o  serra, Bench'intorno  al  rastrello  e  in  su  le  fosse Gran  quantità  d'uomini  e  d'arme  fosse. 12  Come  stormo  d'augei,  ch'in  ripa  a  un  stagno Vola  sicuro,  e  a  sua  pastura  attende,S'improvviso  dal  ciel  falcon  grifagno Gli  dà  nel  mezzo,  ed  un  ne  batte  o  prende, Si  sparge  in  fuga,  ognun  lascia  il  compagno, E  dello  scampo  suo  cura  si  prende; Così  veduto  avreste  far  costoro. Tosto  che'l  buon  Ruggier  diede  fra  loro. 13  A  quattro  o  sei  dai  colli  i  capi  netti Levò  Ruggier,  eh'  indi  a  fuggir  fnr  lenti:Ne  divise  altrettanti  inim  ai  petti. Fin  agli  occhi  infiniti  e  fin  ai  denti. Concederò  che  non  trovasse  elmetti, Ma  ben  di  ferro  assai  cuffie  lucenti:E  s' elmi  fini  anco  vi  fosser  stati, Così  gli  avrebbe,  o  pcco  men,  tagliaf. 14    La  forza  di  Riiggìer  non  era  qnale Or  8Ì  ritrovi  in  cavalier  moderno, Né  in  orso  né  in  leon  né  in  animale Altro  più  fiero  o  nostrale  od  esterno. Forse  il  tremuoto  le  sarebbe  uguale, Forse  il  gran  diavol;  non  quel  dello  'nferno, Ma  quel  del  mio  signor,  che  va  col  fuoco, di' a  cielo  e  a  terra  e  a  mar  si  fa  dar  loco. stanza  24. 1 .5    D'Ogni  suo  colpo  mai  non  cadea  manco D'un  uom  in  terra,  e  le  più  volttì  un  paio; E  quattro  a  un  colpo,  e  cinque  n'uccise  auco; Sì  che  si  venne  tosto  al  centinaio. Tagliava  il  brando  che  trasse  dal  fianco, Come  un  tenero  latte,  il  duro  acciaio. Falerina,  per  dar  morte  ad  Orlando, Fé' nel  giardin  d'Orgagna  il  crudel  brando. 16    Averlo  fatto  poi  ben  le  rincrebbe. Che  '1  suo  giardin  disfar  vide  con  esso. Che  strazio  dunque,  che  ruina  debbe Far  or,  eh'  in  man  di  tal  guerriero  è  messo?Se  mai  Ruggier  furor,  S3  mii  forza  ebbe. Se  mai  fu  l'alto  suo  valor  espresso. Qui  r  ebbe,  il  pose  qui,  qui  fu  veduto, Sperando  dare  alla  sua  donna  aiuto. 17  Qual  fa  la  lepre  contra  i  cani  sciolti, Facea  la  turba  contra  lui  riiaro. Quei  che  restaro  uccisi,  furon  molti; Furo  infiniti queich'infugaandaro.Avea  la  donna  intanto  i  lacci  tolti, Ch'  ambe  le  mani  al  giovine  legaro; E,  come  potè  maglio,  presto  armollo. Gli  die  una  spaia  in  mano,  e  un  scado  al  eoD, 18  Egli  che  molto  è  offeso,  più  che  pnote Si  cerca  vendicar  di  quella  gente:E  quivi  son  si  le  sue  forze  note, Che  riputar  si  fa  prode  e  valente. Già  avea  attulTato  le  dorate  raote Il  sol  nella  marina  d'occidente, Quando  Ruggier  vittorioso  e  quello Giovine  seco  uscir  fuor  del  castello. 19  Quando  il  garzon  sicuro  della   vita Con  Ruggier  si  trovò  fuor  delle  porte. rendè  molta  grazia  ed  infinita Con  gentil  modi  e  con  parole  accorte, Che,  non  lo  conoscendo,  a  dargli  aita  . Si  fosse  messo  a  rischio  della  morte:E  pregò  che  '1  suo  nome  gli  dicesse. Per  sapfr  a  chi  tanto  obbligo  avesse.'O    Veggo,  dicea  Ruggier,  la  faccia  belLi, le  belle  fattezze  e '1  bel  sembiante.; Ma  la  suavità  della  favella Non  odo  già  della  mia  Bradamante; Né  la  relazion  di  grazie  è  quella Ch'ella  usar  debba  al  suo  fedele  amante. Ma  se  pur  questa  è  Bradamante,  or  come Ha  sì  tosto  in  obblio  messo  il  mio  nome? 21  Per  ben  saperne  il  certo,  accortamente Ruggier  le  disse:  Io  v'ho  veduto  altrove; Ed  ho  pensato  e  penso,  e  finalmente Non  so  né  posso  ricordarmi  dove. Ditemei  voi,  se  vi  ritornaamente; E  fate  che  '1  nome  anco  udir  mi  giove, Acciò  che  saper  possa  a  cui  mia  aita Dal  fuoco  abbia  salvata  ogi  la  vita. 22  Che  voi  m' abbiate  visto  esser  potria, Rispose  quel,  che  non  so  dove  o  quando. Ben  vo  pel  mondo  anch'io  la  parte  mia, Strane  avventure  or  qua  or  là  cercando. Forse  una  mia  sorella  stata  fia, Che  veste  l'm'me,  e  porti  al  lato  il  brando; Che  nacque  meco,  e  tanto  mi  sonuglia, Che  non  ne  può  discerner  la  famiglia. 3     Né  primo  né  secondo  né  ben  quarto Sete  di  quei  ch'errore  in  ciò  preso  hanno: Né  U  padre  né  i  fratelli  né  chi  a  un  parto Ci  produsse  ambi,  scernere  ci  sanno. Gli  è  ver  che  questo  criu  raccorcio  e  sparto Ch'io  porto,  come  gli  altri  uomini  fanno, Ed  il  suo  lungo  e  in  treccia  al  capo  avvolta, Ci  solea  far  già  differenzia  molta: 4     Ma  poi  eh' un  giorno  ella  ferita  fu Nel  capo  (lungo  saria  a  dirvi  come), E  per  sanarla  un  servo  di  Gesù A  mezza  orecchia  le  tagliò  le  chiome; Alcun  segno  tra  noi  non  restò  più Di  differenzia,  fuorché  '1  sesso  e  '1  nome Ricciardetto  son  io,  Bradamante  ella; Io  fratel  di  Rinaldo,  essa  sorella. 25  E  se  non  v' increscesse  l'ascoltarmi, Cosa  direi  che  vi  farla  stupire, La  qual  m'occorse  per  assimigliarmi A  lei,  gioia  al  principio,  e  al  fin  martire. Ruggiero,  il  qual  piùgraziosi carmiChe  dove  alcun  ricordo  intervenisse Della  sua  donna,  il  pregò  si,  che  disse: 26  Accadde  a  questi  di,  che  pei  vicini Boschi  passando  la  sorella  mia, Ferita  da  uno  stuol  di  Saracini Che  senza  l'elmo  la  trovar  per  via. Fu  di  scorciarsi  astretta  i  lunghi  crini, Se  sanar  volse  d'una  piaga  ria Ch'avea  con  gran  periglio  nella  testa; E  cosi  scorcia  errò  per  la  foresta. ii7     Errando  giunse  ad  un'  ombrosa  fonte; E  perchè  afflitta  e  stanca  ritrovosse, Dal  destrier  scese,  e  disarmò  la  fronte, E  su  le  tenere  erbe  addormentosse. Io  non  credo  che  favola  si  conte, Che  più  di  questa  istoria  bella  fosse. Fiordispina  di  Spagna  soprarriva, Che  per  cacciar  nel  bosco  ne  veniva. 28    E  quando  ritrovò  la  mia  sirocchia Tutta  coperta  d'arme,  eccetto  il  viso, Ch'avea  la  spada  in  luogo  di  conocchia; Le  fu  vedere  un  cavaliero  avviso. La  faccia  e  le  viril  fattezze  adocchia Tanto,  che  se  ne  sente  il  cor  conquiso. La  invita  a  ciccia,  e  tra  l'ombrose  fronde Luuge  dagli  altri  aliìu  seco  s'asconde. 29  Poi  che  l'ha  seco  in  solitario  loco. Dove  non  teme  d'esser  sopraggiunta. Con  atti  e  con  parole  a  poco  a  poco Le  scopre  il  fisso  cor  di  grave  punta. Con  gli  occhi  ardenti  e  coi  sospir  di  fuoco Le  mostra  l'alma  di  disio  consunta. Or  si  scolora  in  viso,  or siraccende:Tanto  s'arrischia,  eh' un  bacio  ne  prende. 30  La  mia  sorella  avea  ben  conosciuto Che  questa  donna  in  cambio  l'avea  tolta: Né  dar  poteale  a  quel  bisogno  aiuto, E  si  trovava  in  grande  impaccio  avvolta. Gli  è  meglio,  dicea  seco,  s'io  rifiuto '  Questa  avuta  di  me  credenza  stolta, E  s' io  mi  mostro  femmina  gentile, Che  lasciar  riputarmi  un  uomo  vile. :  1    E  dicea  il  ver,  eh'  era  viltade  espressa, Conveniente  a  un  uom  fatto  di  stucco, Con  cui  sì  bella  donna  fosse  messa. Piena  di  dolce  e  di  nettareo  succo, E  tuttavia  stesse  a  parlar  con  essa. Tenendo  basse  l'ale  come  il  cucco. Con  modo  accorto  ella  il  parlar  ridusse. Che  venne  a  dir  come  donzella  fusse. 32  Che  gloria,  qual  già  Ippolita  e  Camilla, Cerca  nell' arme;  e  in  Africa  era  nata In  lito  al  mar,  nelhi  città  d'Arzilla, A  scudo  e  a  lancia  da  fanciulla  usata. Per  questo  non  si  smorza  una  scintilla Del  fuoco  della  donna  innamorata. Questo  rimedio  all'alta  piaga  è  tardo: Tant'  avea  amor  cacciato  innanzi  il  dardo. 33  Per  questo  non  le  par  men  bello  il  viso, Men  bel  lo  sguardo,  e  men  belli  i  costumi; Per  ciò  non  toma  il  cor  che,  già  diviso Da  lei,  godea  dentro  gli  amati  lumi. Vedendola  in  quell'abito,  l'è  avviso Che  può  far  che  1  desir  non  la  consumi; E  quando  ch'ella  è  pur  femmina  pensa, Sospira  e  piange,  e  mostra  doglia  immensa. 34  Chi  avesse  il  suo  rammarico  e  '1  suo  pianto Quel  giorno  udito,  avria  pianto  con  lei. Quai  tormenti,  dicea,  furon  mai  tanto Crudel,  che  più  non  sian  crudeli  i  miei?D'ogn' altro  amore,  o  scellerato  o  santo. Il  desiato  fin  sperar  potrei; Saprei  partir  la  rosa  dalle  spine:Solo  il  mio  desiderio  é  senza  fine. 35  Se  pur  volevi,  Amor,  darmi  tormento, Che  t' increscesse  il  mio  felice  stato, D'alcun  martir  dovevi  star  contento, Che  fosse  ancor  negli  altri  amanti  usato. Né  tra  gli  uomini  mai  né  tra  V  armento, Che  femmina  ami  femmina  ho  trovato; Non  par  la  donna  air  altre  donne  hella, Né  a  cervie  cervia,  né  all'agnello  agnella. 36  In  terra,  in  aria,  in  mar  sola  son  io Che  patisco  da  te  sì  duro  scempio; E  questo  hai  fatto  acciò  che  Perror  mio Sia  nell'imperio  tuo  l'ultimo  esempio. La  moglie  del  re  Nino  ebhe  disio, Il  figlio  amando,  scellerato  ed  empio, E  Mirra  il  padre,  e  la  Cretense  il  toro; Ma  gli  é  più  folle  il  mio,  eh'  alcun  dei  loro. 37  La  femmina  nel  maschio  fé'  disegno, Speronne  il  fine,  ed  ebbelo,  come  odo:Pasife  nella  vacca  entrò  di  legno; Altre  per  altri  mezzi,  e  vario  modo. Ma  se  volasse  a  me  con  ogni  ingegnò Dedalo,  non  potria  scioglier  quel  nodo, Che  fece  il  mastro  troppo  diligente. Natura  d'ogni  cosa  più  possente. 38  Cosi  si  duole,  e  si  consuma  ed  auge La  bella  donna,  e  non  s'accheta  in  fretta. Talor  si  batte  il  viso,  e  il  capei  frange, E  di  sé  centra  sé  cerca  vendetta. La  mia  sorella  per  pietà  ne  piange, Ed  è  a  sentir  di  quel  dolor  costretta. Del  foUe  e  van  disio  si  studia  trarla; Ma  non  fa  alcun  profitto,  e  invano  parla. 39  Ella,  eh'  aiuto  cerca  e  non  conforto, Sempre  più  si  lamenta  e  più  si  duole. Era  del  giorno  il  termine  ormai  corto, Che  rosseggiava  in  occidente  il  sole, Ora  opportuna  da  ritrarsi  in  porto, A  chi  la  notte  al  bosco  star  non  vuole, Quando  la  donna  invitò  Bradamante A  questa  terra  sua  poco  distante. 40  Non  le  seppe  negar  la  mia  sorella:E  così  insieme  ne  vennero  al  loco, Dove  la  turba  scellerata  e  fella Posto  m'avria,  se  tu  non  v'eri,  al  fuoco. Fece  là  dentro  Fiordispina  bella La  mia  sirocchia  accarezzar  non  poco; E  rivestita  di  femminil  gonna, Conoscer  fé' a  ciascun  ch'ella  era  donna. •al    Perocché  conoscendo  che  nessuno Util  traea  da  quel  virile  aspetto, Non  le  parve  anco  di  voler  ch'aleono Biasmo  di  sé  per  questo  fosse  detto:Fèllo  anco,  acciò  chfe'l  mal  ch'avea  dairiis Virile  abito,  errando,  già  conce ttx>, Ora  con  l'altro,  discoprendo  il  vero, Provasse  di  cacciar  fuor  del  pensiero. 42  Comune  il  letto  ebbon  la  notte  inssieme, Ma  molto  differente  ebbon  riposo:Che  runa  dorme,  e  l'altra  piange  e  gem. Che  S3mpre  il  suo  disir  sia  più  focosa. E  se  'l  sonno  talor  gli  occhi  le  preme, Quel  breve  sonno  è  tutto  immanoso: Le  par  veder  che'l  ciel  l'abbia  concedo Bradamante  cangiata  in  miglior  sesso. 43  Come  l'infermo  acceso  di  gran  sete, S'in  quella  ingorda  voglia  s'addormenta, Neil'interrotta  e  turbida  quiete, D'ogni  acqua  che  mai  vide  si  rammenta; Cosi  a  costei  di  far  sue  voglie  liete L'immagine  del  sonno  rappresenta. Si  desta;  e  nel  destar  mette  la  mano, E  ritrova  pur  sempre  il  sogno  vano. 44  Quanti  prieghi  la  notte,  quanti  voti Offerse  al  suo  Macone  e  a  tutti  i  Dei, Che  con  miracoli  apparenti  e  noti Mutassero  in  miglior  sesso  costei! Ma  tutti  vede  andar  d'effetto  vóti; E  forse  ancora  il  ciel  ridea  di  lei. Passa  la  notte;  e  Febo  il  capo  biondo Traea  del  mare,  e  dava  luce  al  mondo. 45  Poi  che'l  dì  venne,  e  che  lasciaro  il  letto. A  Fiordispina  s'augumenta  doglia; Che  Bradamante  ha  del  partir  già  detto, Ch'  uscir  di  questo  impaccio  avea  gran  voglii. La  gentil  donna  un  ottimo  ginetto In  don  da  lei  vuol  che  partendo  teglia, Guernito  d'oro,  ed  una  sopravvesta Che  riccamente  ha  di  sua  man  contesta. 46 Accompagnolla  un  pezzo  Fiordispina; Poi  fé',  piangendo,  al  suo  Castel  ri  tomo. La  mia  sorella  sì  ratto  cammina, Che  venne  a  Montai bano  anco  quel  giorno. Noi  suoi  fratelli  e  la  madre  meschina Tutti  le  siamo  festeggiando  intorno; Che  di  lei  non  sentendo,  avuto  forte Dubbio  e  tema  avevam  della  sua  morte. Stanza  45 47     Mirammo  (al  trar  dell'elmo)  al  mozzo  crine,Ch'  intorno  al  capo  prima  s'  avvolgea; Cosi  le  sopravveste  peregriue Né  fèr  meravigliar,  ch'indosso  avca Ed  ella  il  tutto  dal  principio  al  fine Narroune,  come  dianzi  io  vi  dicea: Come  ferita  fosse  al  bosco,  e  come Lasciasse,  per  guarir,  le  belle  chiome; 48    E  come  poi  dormendo  in  ripa  all'acque, La  bella  cacciatrice  sopraggìunse, A  cui  la  falsa  sua  sembianza  piacque; E  come  dalla  schiera  la  disgiunse. Del  lamento  di  lei  poi  nulla  tacque, Che  di  pieUide  V  anima  ci  punse:E  come  alloggiò  seco,  e  tutto  quello Che  fece,  finché  ritornò  al  castello. 49  Dì  Fiordispiua  gran  notizia  ebb  io, Ch'in  Saragozza  e  già  la  vidi  in  Francia; £  piacquer  molto  all'appetito  mio I  suoi  begli  occhi  e  la  polita  guancia: Ma  non  lasciai  fermarvisi  il  disio;Che  l'amar  senza  speme  è  sogno  e  ciancia, Or,  quando  in  tal  ampiezza  mi  si  porge, L'antiqua  fiamma  subito  risorge. 50  Di  questa  spemeAmore  ordisce  1  nodi; Che  d'altre  fila  ordir  non  li  potea: Onde  mi  piglia,  e  mostra  insieme  i  modi. Che  dalla  donna  avrei  quel  ch'io  chiedea. A  succeder  saran  facil  le  frodi; Che,  come  spesso  altri  ingannato  area La  simiglianza  e' ho  di  mia  sorella, Forse  anco  ingannerà  questa  donzella. 51  Faccio,  0  noi  faccio?  Alfin  mi  par  che  buono Sempre  cercar  quel  che  diletti,  sia. Del  mio  pensier  con  altri  non  ragiono, Né  vo'ch'in  ciò  consiglio  altri  mi  dia. Io  vo  hi  notte  ove  quell'arme  sono, Che  s'avea  tratte  la  sorella  mia: ,  e  col  destrier  suo  via  cammino; Né  sto  aspettar  che  luca  il  mattutino. 52  Io  me  ne  vo  la  notte  (Amore  è  duce) A  ritrovar  la  bella  Fiordispina; E  v'  arrivai  che  non  era  la  luce Del  sole  ascosa  ancor  nella  marina. Beato  é  chi  correndo  si  conduce Prima  degli  altri  a  dirlo  alla  regina, Da  lei  sperando,  per  l'annunzio  buono, Acquistar  grazia,  e  riportarne  dono. 53  Tutti  m'aveano  tolto  così  in  fallo, Com'hai  tu  fatto  ancor,  per  Bradamante; Tanto  più  che  le  vesti  ebbi  e  '1  cavallo, Con  che  partita  era  ella  il  giorno  innante. Vien  Fiordispina  di  poco  intervallo Con  feste  incontra  e  con  carezze  tante, E  con  si  allegro  viso  e  sì  giocondo. Che  più  gioja  mostrar  non  potria  al  mondo. 54  Le  belle  braccia  al  collo  indi  mi  getta, E  dolcemente  stringe  e  bacia  in  bocca. Tu  puoi  pensar  s'  allora  la  saetta Dirizzi  Amor,  s'in  mezzo  al  cor  mi  tocca. Per  man  mi  piglia,  e  in  camera  con  fretta 311  mena: e  non  ad  altri,  eh'  a  lei,  tocca Che  dall'elmo  allo  spron  l'amie  mi  slacci; E  nessun  altro  vuol  che  se  n  impacci. 55  Poi  fattasi  arrecare  una  sua  veste Adoma  e  ricca,  di  sua  man  la  spiega: E,  come  io  fossi  femmina,  mi  veste, E  in  reticella  d'or  il  cria  mi  lega. Io  muovo  gli  occhi  con  maniere  oneste; Né  ch'io  sia  donna,  alcun  mio  gesto  nicgx La  voce  ch'accusar  mi  potea  forse. Sì  ben  usai,  eh'  alcun  non  se  n'  accorse. 56  Uscimmo  poi  là  dove  erano  molte Persone  in  sala,  e  cavalieri  e  donne. Dai  quali  fummo  con  l'onor  raccolte, Ch'alle  regine  fassi  e  gran  madonne. Quivi  d'alcuni  mi  risi  io  più  volte  " Che,  non  sappiendo  ciò  che  sotto  gonne Si  nascondesse  valido  e  gagliardo, Mi  vagheggiavan  con  lascivo  sguardo. 57  Poi  che  si  fece  la  notte  più  grande. E  già  un  pezzo  la  mensa  era  levata, La  mensa  che  fu  d'ottime  vivande, Secondo  la  stagione,  apparecchiata; Non  aspetta  la  donna  ch'io  domande Quel  che  m'era  cagion  del  venir  stata; Ella  m' invita,  per  sua  cortesia, Che  quella  notte  a  giacer  seco  io  stia. 58  Poi  che  donne  e  donzelle  ormai  levate Si  furo,  e  paggi  e  camerieri  in  tomo; Essendo  ambe  nel  letto  dispogliate. Coi  torchi  accesi,  che  parca  di  giorno, Io  cominciai: Non  vi  maravigliate, Madonna,  se  sì  tosto  a  voi  ritomo; Che  forse  v'andavate  immaginando Di  non  mi  riveder  fin  Dio  sa  quando. 69    Dirò  prima  la  causa  del  partire, Poi  del  ritorno  l'udirete  ancora. Se'l  vostro  ardor,  madonna,  intiepidire Potuto  avessi  col  nùo  far  dimora, Vivere  in  vostro  servizio  e  morire Voluto  avrei,  né  starne  senza  un'ora; Ma  visto  quanto  il  mio  star  vi  nocessi, Per  non  poter  far  meglio,  andare  elessi. 60    Fortuna  mi  tirò  fuor  del  cammino In  mezzo  un  bosco  d'intricati  rami, Dove  odo  un  grido  risonar  vicino, Come  di  donna  che  soccorso  chiami. V  accorro,  e  sopra  \m  lago  cristallino Ritrovo  un  Fauno  ch'avea  preso  agli  ami In  mezzo  all' acqua  una  donzella  nuda, E  ulangiari  il  crudel  la  volea  cruda. :>l     Colà  mi  trassi,  e  con  la  spada  in  mano (Perch'  aiutar  non  la  potea  altrimente) Tolsi  (li  vita  il  pescator  villano:Ella  saltò  nell'acqua  immantinente. Non  m'  avrai,  disse,  dato  aiuto  invano:Ben  ne  sarai  premiato,  e  riccamente, Quanto  chieder  saprai;  perchè  son  Ninfa Che  vivo  dentro  a  questa  chiara  linfa; 62     Ed  ho  possanza  far  cose  stupende, E  sforzar  gli  elementi  e  la  natura. Chiedi  tu  quanto  il  mio  valor  s'estende,Poilascia  a  me  di  satisfarti  cura. Dal  ciel  la  luna  al  mio  cantar  discende, S' agghiaccia  il  fuoco,  e  V  aria  si  fa  dura; Ed  ho  talor  con  semplici  parole Mossa  la  terra,  ed  ho  fermato  il  sole. H.3     Non  le  domando  a  questa  offerta  unire Tesor,  né  dominar  popoli  e  terre:Né  in  più  virtù,  ne  in  più  vigor  salire, Né  vincer  con  onor  tutte  le  guerre; Ma  sol  che  qualche  via,  donde  il  desire Vostro  s'adempia,  mi  schiuda  e  disserre: Né  più  le  domando  un,  eh'  un  altro  effetto, Ma  tutta  al  suo  giudicio  mi  rimetto. 64  Ebbile  appena  mia  domanda  esposta, Ch' un' altra  volta  la  vidi  attuffata; Né  fece  al  mio  parlare  altra  risposta, Che  di  spruzzar  ver  me  l'acqua  incantata. La  qnal  non  prima  al  viso  mi  s'accosta, Ch'  io,  non  so  come,  son  tutta  mutata, lo'l  veggo,  io'l  sento;  e  appena  vero  panni: Sento  in  maschio,  di  femmina,  mutarmi. 65  E  se  non  fosse  che  senza  dimora Vi  potete  chiarir,  noi  credereste: E,  qual  nell'altro  sesso,  in  questo  ancora Ho  le  mie  voglie  ad  ubbidirvi  preste. Comandate  lor  pur;  che'  fieno  or  ora, E  sempre  mai  per  voi  vigili  e  deste. Così  le  dissi;  e  feci  eh'  ella  istessa Trovò  con  man  la  veritade  espressa. 66  Come  interviene  a  chi  già  fuor  di  speme Di  cosa  sia  che  nel  pensier  molt' abbia, Che,  mentre  più  d'esserne  privo  geme. Più  se  n'affligge  e  se  ne  strugge  e  arrabbia; Sebben  la  trova  poi,  tanto  gli  preme L'aver  gran  tempo  seminato  in  sabbia, E  la  disperazion  l'ha  si  male  uso, Che  non  crede  a  sé  stesso,  e  sta  confuso:67    Cosi  la  donna,  poiché  tocca  e  vede Quel  di  ch'avtlto  avea  tanto  desire, Agli  occhi,  al  tatto,  a  sé  stessa  non  crede, E  sta  dubbiosa  ancor  di  non  dormire: E  buona  prova  bisognò  a  far  fede   Che  sentia  quel  che  le  parea  sentire. Fa,  Dio  (diss'ella),  se  son  sogni  questi. Ch'io  dorma  sempre,  e  mai  più  non  mi  desti. stanza  eo. 68  Non  rumor  di  tamburi  o  suon  di  trombe Furon  principio  all'amoroso  assalto; Ma  baci  eh'  imitavan  le  colombe, Davan  segno  or  di  gire,  or  di  fare  alto. Usammo  altr'arme,  che  saette  o  frombe; Io  senza  scale  in  su  la  rocca  salto, E  lo  stendardo  piantovi  di  botto, E  la  nimica  mia  mi  caccio  sotto. 69  Se  fu  quel  letto  la  notte  dinanti Pien  di  sospiri  e  di  querele  gravi. Non  stette  l'altra  poi  senz' altrettanti Risi,  feste,  gioir,  giochi  soavi. Non  con  più  nodi  i  flessuosi  acanti Le  colonne  circondano  e  le  travi. Di  quelli  con  che  noi  legammo  stretti E  colli  e  fianchi  e  braccia  e  gambe  e  petti. 70  La  cosa  stava  tacita  fra  noi, Si  che  durò  il  piacer  per  alcun  mese: Par  si  trovò  chi  se  n'accorse  poi, Tanto  che  con  mio danno  il  re  lo  'ntese. •  Voi  che  mi  liberaste  da  quei  suoi Che  nella  piazza  avean  le  fiamme  accese, Comprendere  oggimai  potete  il  resto  i Ma  Dio  sa  ben  con  che  dolor  ne  resto. 71  Così  a  Rnggier  narrava  Ricciardetto, E  la  notturna  via  facea  men  grave, Salendo  tuttavia  verso  un  poggetto Cinto  di  ripe  e  di  pendici  cave. Un  erto  calle,  e  pien  di  sassi  e  stretto Apria  il  cammin  con  faticosa  chiave. Sedea  al  sommo  un  caste!  detto  Agrismonte, Ch'  avea  in  guardia  Aldìgier  di  Chiaramonte. 72  Di  Buovo  era  costui  figliuol  bastando, Fratel  di  Malagigi  e  di  Viviano: Chi  legittimo  dice  di  Gherardo, È  testimonio  temerario  e  vano. Fosse  come  si  voglia,  era  gagliardo, Prudente,  liberal,  cortese,  umano; E  facea  quivi  le  fraterne  mura La  notte  e  il  dì  guardar  con  buona  cura. 73  Raccolse  il  cavalier  cortesemente. Come  dovea,  il  cugin  suo  Ricciardetto, Ch'amò  come  fratello;  e  parimente Fu  ben  visto  Ruggier  per  suo  rispetto. Ma  non  gli  uscì  già  incontra  allegramente. Come  era  usato,  anzi  con  tristo  aspetto, Perch'  uno  avviso  il  giorno  avuto  avea, Che  nel  viso  e  nel  cor  mesto  il  facea. 76  Rinaldo  nostro  n'ho  awito  or  ora. Ed  ho  cacciato  il  messo  di  galoppo:Ma  non  mi  par  ch'arrivar  possa  ad  ora Che  non  sia  tarda;  chè'l  cammiao  è  tr. Io  non ho  meco  gente  da  uscir  faora: L'animo  è  pronto,  ma  il  potere  è  zoppa. Se  gli  ha  quel  traditor,  li  fia  morire; Si  che  non  so  che  far,  non  so  che  dire. 77  La  dura  nuova  a  Ricciardetto  spiace; .  E  perchè  spiace  a  lui,  spiace  a  Roggiso. Che  poiché  questo  e  quel  vede  che  tace. Né  tra' profitto  alcun  del  suo  penderò, Disse  con  grande  ardir: Datevi  pace: Sopra  me  quest'impresa  tutta  chero; E  questa  mia  varrà  per  mille  spade A  riporvi  i.  fratelli  in  libertade. 78  Io  non  voglio  altra  gente,  altri  snasdi; Ch'io  credo  bastar  solo  a  questo  fatto. Io  vi  domando  solo  un  che  mi  gfiddi Al  luogo  ove  si  dee  fare  il  baratta Io  vi  farò  sin  qui  sentire  i  gridi Di  chi  sarà  presente  al  rio  contratto. Così  dicea:  né  dicea  cosa  nuova All'un  de' dui,  che  n'avea  visto  pniova. 79  L'altro  non  l'ascoltava,  se  non  qaaato S'ascolti  un  ch'assai  parli,  e  sappia  poco: Ma  Ricciardetto  gli  narrò  da  canto, Come  fu  per  costui  tratto  del  foco, E  eh'  era  certo  che  maggior  del  vanto Farla  veder  l'effetto  a  tempo  e  a  loco. Gli  diede  allor  udienza  più  che  prima, E  riverillo,  e  fé'  di  lui  gran  stima. 74    A  Ricciardetto,  in  cambio  di  saluto, Disse: Fratello,  abbiam  nuova  non  buona. Per  certissimo  messo  oggi  ho  saputo Che  Bertolagi  iniquo  di  Eaiona Con  Lanfusa  crudel  s' è  convenuto. Che  iirezVose  spoglie  esso  a  lei  dona. Ed  essa  a  lui  pon  nostri  frati  in  mano, Il  tuo  buon  lilalfigigi  e  il  tuo  Viviano. 7.5    Ella  dal  dì  che  Ferraù  li  prese. Gli  ha  ognor  tenuti  in  loco  oscuro  e  fello, Finché '1  brutto  contratto  e  discortese N'  ha  fatto  con  costui  di  eh'  io  favello. Gli  de' mandar  domane  al  Maganzese Nei  confin  tra  Baiona  e  un  suo  castello. Verrà  in  persona  egli  a  pagar  la  mancia Che  compra  il  miglior  sangue  che  sia  in  Francia. 80  Ed  alla  mensa,  ove  la  Copia  fase Il  corno,  l'onorò  come  suo  donno. Quivi  senz'altro  aiuto  si  concluse .  Che  liberare  i  duo  fratelli  ponno. Intanto  sopravvenne  e  gli  occhi  chiuse Ai  signori  e  ai  sergenti  il  pigro  sonno, Fuor  eh' a  Ruggier;  che,  per  tenerlo  desto, Gli  punge  il  cor  sempre  un  pensier  molesto. 81  L'assedio  d'Agramante,  eh' avea  il  giorno Udito  dal  corner,  gli  sta  nel  core. Ben  vede  ch'ogni  minimo  soomo. Che  faccia  d'aiutarlo,  è  suo  disnore. Quanta  gli  sarà  infamia,  quanto  scorno, Se  coi  nemici  va  del  suo  signore! Oh  come  a  gran  viltade,  a  gran  delitto, Battezzandosi  allor,  gli  sarà  ascritto ! Siaiun71. 82    Potria  in  ogn' altro  tempo  esser  creduto Che  vera  religion  V  avesse  mosso:Ma  ora  che  bisogna  col  suo  aiuto Agramante  d'assedio  esser  riscosso, Piuttosto  da  ciascun  sarà tenutoChetimore  e  viltà  l'abbia  percosso, Ch'alcuna  opinion  di  miglior  fede. Questo  il  cor  di 'Ruggiero  stimola  e  fiede. 83    Che  s'abbia  da  partire  anco  lo  punge Senza  licenzia  della  sua  regina. Quando  questo  pensier,  quando  quel  giunge, Che'I  dubbio  cor  diversamente  inchina. Gli  era  l'avviso  riuscito  lunge Di  trovarla  al  Castel  di  Fiordispina, Dove  insieme  dovean,  come  ho  già  detto, In  soccorso  venir  di  Ricciardetto. 84  Poi  gli  sowien  ch'egli  le  avea  promesso Di  seco  a  Vallombrosa  ritrovarsi. Pensa  eh'  andar  v'  abbi'  ella,  e  quivi  d'esso, Che  non  vi  trovi  poi,  maravigliarsi. Potesse  almen  mandar  lettera  o  messo, Si  ch'ella  non  avesse  a  lamentarsi Che,  oltre  eh'  egli  mal  le  avea  ubbidito, Senza  far  motto  ancor  fosse  partito. 85  Poi  che  più  cose  immaginate  s' ebbe, Pensa  scriverle  alfin  quanto  gli  accada; E  bench'egli  non  sappia  come  debbe La  lettera  inviar,  si  che  ben  vada, Non  però  vuol  restar;  che  ben  potrebbe Alcun  messo  fedel  trovar  per  strada. Più  non  s' indugia,  e  salta  delle  piume:Si  fa  dar  carta,  inchiostro,  penna  e  lume. 86  I  camerieri  discreti  ed  avveduti Arrecano  a  Euggier  ciò  che  comanda. Egli  comincia  a  scrivere,  e  i  saluti. Come  si  suol,  nei  primi  versi  manda: Poi  narra  degli  avvisi  che  venuti Son  dal  suo  re,  eh'  aiutoglidomanda; E  se  l'andata  sua  non  è  ben  presta, 0  morto  0  in  man  degl'inimici  resta. 87  Poi  seguita,  eh'  essendo  a  tal  partito, E  eh' a  lui  per  aiuto  si  volgea. Vedesse  ella,  che  'I  biasmo  era  infinito S'a  quel  punto  negar  gli  lo  volea: E  ch'esso,  a  lei  dovendo  esser  marito, Guardarsi  da  ogni  macchia  si  dovea; Che  non  si  convenia  con  lei,  che  tutta Era  sincera,  alcuna  cosa  brutta. 88  E  se  mai  per  addietro  un  nome  chiaro, Ben  oprando,  cercò  di  guadagnarsi; E  guadagnato  poi,  se  avuto  caro. Se  cercato  l'avea  di  conservarsi; Or  lo  cercava,  e  n'era  fatto  avaro, Poiché  dovea  con  lei  parteciparsi, La  qual  sua  moglie,  e  totalmente  in  dui Corpi  esser  dovea  un'anima  con  lui. 89  E  sì  come  già  a  bocca  le  avea  detto, Le  ridicea  per  questa  carta  ancora:Finito  il  tempo  in  che  per  fede  astretto Era  al  suo  re,  quando  non  prima  muora. Che  si  farà  Cristian  cosi  d'effetto, Come  di  buon  voler  stato  era  ogni  ora; E  ch'ai  padre  e  a  Rinaldo  e  agli  altri  suoi Per  moglie  domandar  la  farà  poi. 90  Voglio,  le  soggiungea,  quando  yri  pUeéi L'assedio  al  mio  signor  levar  d  intorni, Acc;ò  che  l'ignorante  vulgo  taccia, Il  qual  direbbe,  a  mia  vergogna  e  scotoq. Euggier,  mentre  Agramante  ebbe  bonaceu. Mai  non  l'abbandonò  notte  né  g:iomo; Or  che  fortxma  per  Carlo  si  piega, Egli  col  vincitor  l'insegna  spiega. 91  Voglio  quindici  di  termine,  o  Tenti, Tanto  che  comparir  possa  una  volta, Si  che  degli  africani  alloggiamenti La  grave  ossedìon  per  me  sia  tolta. Intanto  cercherò  convenienti Cagioni,  e  che  sian  giuste,  di  dar  volta. Io  vi  domando  per  mio  cuor  sol  questo:Tutto  poi  vostro  è  di  mia  vita  il  resto. 92  In  simili  parole  si  diffuse Ruggier,  che  tutte  non  so  dirvi  appieno; E  segui  con  molt'  altre,  e  non  concluse, Finche  non  vide  tutto  il  foglio  pieno:poi  piegò  la  lettera  e  la  chiuse, E  suggellata  se  la  pose  in  so, Con  speme  che  gli  occorra  il  di  seguente Chi  alla  donna  la  dia  secretamente. 93  Chiusa  ch'ebbe  la  lettera,  chiose  anco Gli  occhi  sul  letto,  e  ritrovò  quiete; Che  'l  sonno  venne,  e  sparse  il  corpo  staDec Col  ramo  intinto  nel  liquor  di  Lete: E  posò  fin  eh' un  nembo  rosso  e  bianco Di  fiori  sparse  le  contrade  liete Del  lucido  oriente  d'ogn'  intomo, Ed  indi  usci  dell'aureo  albergo  il  giorno. 94  E  poi  eh' a  salutar  la  nova  luce Pei  verdi  rami  incominciar  gli  augelli, Aldigier  che  voleva  esser  il  duce Di  Ruggiero  e  dell'altro,  e  guidar  quelli Ove  faccin  che  dati  in  mano  al  truce Bertolagi  non  siano  i  duo  fratelli, Fu'l  primo  in  piede;  e  quando  sentir  Ini, Del  letto  uscirò  anco  quegli  altri  dui. 

95  Poi  che  vestiti  furo  e  bene  armati, Coi  duo  cugin  Ruggier  si  mette  in  via, Già  molto  indamo  avendoli  pregati Che  questa  impresa  a  lui  tutta  si  dia. Ma  essi,  pel  desir  e'  han  de'  lor  frati, E  perchè  lor  parca  discortesia, Steron  negando  più  duri  che  sassi, Né  consentiron  mai  che  solo  andassi. 96    Giunsero  al  loco  il  di  che  si  doyea Malagigi  mutar  nei  carriaggi. Era  un'ampia  campagna  che  giacea Tutta  scoperta  agli  apollinei  raggi. Quivi  né  allór  né  mirto  si  vedea, Né  cipressi  nò  frassini  nò  faggi: Ma  nuda  ghiara,  e  qualche  umil  virgulto. Non  mai  da  marra  o  mai  da  vomer  culto. 97    I  tre  guerrieri  arditi  si  fermaro Dove  un  sentier  Fendea  quella  pianura; E  giunger  quivi  un  cavalier  miraro, Ch  avea  d'oro  fregiata  1  armatura, E  per  insegna  in  campo  verde  il  raro E  hello  augel  che  più  d'un  secol  dura. Signor,  non  più;  che  giunto  al  fin  mi  veggio Di  questo  Canto,  e  riposarmi  chieggio. NOTE. St  13.  V.6.   Cuffie.  La  cuffia  d'acciaio  era  un'ar 1 matura  della  testa  che  si  portava  sotto  Telmo.  | St.  14.  V.68.   Jl  gran  diavol,  ecc.:  nome  dato  ad un  cannone  di  straordinario  calibro,  appartenente  al duca  Alfonso. St.  2  .  V.7.   Fiordispina  di  Spagna:  è  la  giovine figlia  del  re  Ifarsilio  di  cui  fé'  cenno  alla  St.  39  del Canto  XXII.   T.  28.  V.1.   SiroccMa: soreUa. St.  29.  V.4.   Fisso:  trafitto.   Funta:  puntura amorosa. St.  32.  V.13.Ippolita:  famosa  amazzone  che  com battè con  Ercole  e  con  Teseo.   Argilla:  la  Zilia  di Plinio,  notata  sulle  odierne  mappe  col  nome  di  Arxilia, nel  regno  di  Fez. St.  36.  V.57.   La  moglie  di  Nino:  Semiramide.Mirra:  figlia  di  Ciniro.   La  Cretenae:  Pasifae,  mo glie di  Minos  re  di  Greta St.  37.  V.6.   Dedalo:  ingegnosissimo  artefice  ate niese, a  cui  si  attribuiscono  dai  poeti  diverse  invenzioni, fra  le  quali  il  labirinto  di  Creta,  d'onde  usci  volando, con  Icaro  suo  figlio. St.  42.  V.6.   Imaginoso:  pieno  di  visioni. St.  45.  V.5.   Oinetto: cavallo  di  razza  spagnaola. St.  60.  V.6.   Un  Fauno:  nome  di  una  famiglia  di divinità  boscherecce. St.  62.  V.18.   Gli  antichi  non  attribuirono  mai tanta  potenza  alle  Ninfe.  Ma  le  Ninfe  nel  medio  evo diventarono  fate. St.  74.  V.45.   Bertolagi:  era  uno  della  casa  di  Ma ganza.   Lanfusa: la  madre  di  FerraU. St  75.  V.6.   Baiona:  città  di  Francia  non  lungi dal  golfo  di  Guascogna,  nel  dipartimento  dei  Bassi  Pi renei. ST.  81.  V.3.   Soggiorno:  qui  indugio. St.  83.  V.56.   Gli  era  V  avviso,  ecc.:  erasi  ingan nato nell'opinione  di  ritrovarla,  ecc. St.  91.  V.4.   Ossedion:  assedio. St.  93.  V.4.   Col  ramo,  ecc.  Rammenta  il  ramo  con cui  Virgilio  fingeche  il;  onno  bagnò  le  tempie  a  Fa linuro  per  farlo  dormire.   Lete:  fiume delllnfemo,  le acque  del  quale  toglievano  la  memoria  del  passato. St.  97.  V.56.   Il  raro  e  hello  augel,  ecc.: la  fe nica, insegna  di  Marfisa. CANTO  VENTESIMOSESTO Canto  XXVI. ARGrOMENTO, LirAia  é  il  cavaliere  giunto  ove  ì  due  di  Olilibr4m5ELt"  doTSTU essr  vnluLi  ai  loro  nomici.  I  Maanztìtì,  uiiìtl  t  QninenTii ?<  chi  Era  di  Morì,  sono  disfatti,  e  i  due  pHffioni  restuio  lib"ii. M%lLìi;i;ri  diLìhiEira  il  signìAcatc)  delle  tìura  scolpito  nlli fonCnii  di  M<rUno.  Air  ivi  Ippalca  aeii/.iL  Frontino  "  Rif gicro  va  con  lei  pot  reitiperailo.  Handricardo  giiuis"  iUi rontaaiL.  Cam  batti  mento  tra  lui  e  Uarflja,  iai"irrotto  daBo doizi>>nte,  cho  diapqna  Marfl"a  a  recarci  al  c&tii|iQ  di  ign nuoto.  RrLfiero  viìx?.  alU  fjEi!iini,  al  ivi,  per  dì  farM  gi gioni, afìiadtj  mia  ztilfa  fra  i  guerrieri  pagani.  Malafigj  li 'livido,  fcaudo  C(3n  ìncaatesiiiLi  aIli::)iitanarDomUc"  dij  loof I  quattro  guorrìeri  mtioTono  v&im  PulgL Cortesi  rìoiiuc  ebbe  IVaiitiqua  etade, Che  le  virtù,  non  le  riedieze,  amaro. Al  tempo  no=5tro  si  ritrovali  radè A  cai  I  pili  del  gaEvdigao,  altre"  sìa  c.uo. Ma  quelle  che  per  lor  vera  boutade Non  seguou  delle  più  lo  stile  avaro, Viveoilù    rhgne  soii  d'eàier  con  leu  te; Gloriosa  e  immorcal  poi  che  fiaa  spente. Degna  d' eterea  laude  è  Bradamaute, Che  non  amè  tesar,  non  amò  impero  " Ma  la  virtù,  ma  T animo  prestante  Ma  Falta  gentilezza  di  Buggiero; E  meritò  che  ben  le  fosse  amante Un  cosi  valoroso  cavaliero; £  per  piacere  a  lei  &cesse  cose Nei  secoli  a  venir  miracolose.  Rnggier,  come  di  sopra  tì  fa  detto, Coi  duo  di  Chiaramonte  era  venuto; Dico  con  Aldigier,  con  Ricciardetto, Per  dare  ai  duo  fratei  prigioni  aiuto. Vi  dissi  ancor,  che  di  superbo  aspetto Venire  un  cavaliere  avean  veduto, Che  portava  laugei  che  si  rinnova, E  sempre  unico  al  mondo  si  ritrova. [      Come  di  questi  il  cavalier  s  accorse, Che  stavan  per  ferir  quivi  su  V  ale, In  prova  disegnò  di  voler  porse. Sballa  sembianza  avean  viirtude  uguale. É  di  voi,  disse  loro,  alcuno  forse Che  provar  voglia  chi  di  noi  più  vale. A  colpi  0  della  lancia  o  della  spada, Finché  Pun  resti  in  sella,  e  l'altro  cada? 5  Sarei,  disse  Aldigier,  teco,  o  volessi Menar  la  spada  a  cerco,  o  correr  Tasta; Ma  un  altra  impresa  che,  se  qui  tu  stessi Veder  potresti,  questa  in  modo  guasta, Ch'  a  parlar  teco,  non  che  ci  traessi A  correr  giostra,  appena  tempo  basta; Seicento  uomini  al  varco,  o  più,  attendiamo . Coi  qua' d'oggi  provarci  obbligo  abbiamo. 6  Per  tor  lor  duo  de' nostri  che  prigioni Quinci  trarran,  pietade  e  amor  n'ha  mosso. E  seguitò  narrando  le  cagioni Che  li  fece  venir  con  l'arme  indosso. Si  giusta  è  questa  escusa  che  m' opponi, Disse  il  guerrìer,  che  contraddir  non  posso; E  fo  certo  giudici  o  che  voi  siate Tre  cavalier  che  pochi  pari  abbiate. 7  Io  chiedea  un  colpo  o  dui  con  voi  scontrarme, Per  veder  quanto  fosse  il  valor  vostro; Ma  quando  all' altrui  spese  dimostrarme Lo  vogliate,  mi  basta,  e  più  non  giostro. Vi  priego  ben,  che  por  con  le  vostr'arme Quest'elmo  io  possa  e  questo  scudo  nostro; E  spero  dimostrar,  se  con  voi  vegno, Che  di  tal  compagnia  non  sono  indegno. )      Parmi  veder  ch'alcun  saper  desia Il  nome  di  costui,  che  quivi  giunto A  Ruggiero  e  a'  compagni  si  offeria Compagno  d'arme  al  periglioso  punto. Costei  (non  più  costui  detto  vi  sia) Era  Marfisa,  che  diede  l'assunto Al  misero  Zerbin  della  ribalda Vecchia  Gabrìna  ad  ogni  mal  si  calda. 9      I  duo  di  Chiaramonte  e  il  buon  Ruggiero L'accett&r  voleutier  nella  lor  schiera, Ch'  esser  credeano  certo  un  cavaliere  j E  non  donzella,  e  non  quella  eh'  eli'  era. Non  molto  dopo  scoperse  Aldigiero, E  veder  fé  ai  compagni  una  bandiera Che  facea  l'aura  tremolare  in  volta, E  molta  gente  intomo  avea  raccolta. Stanza  7. 10  E  poi che  più  lor  fiir  fatti  vicini, E  che  meglio  notar  l'abito  moro. Conobbero  che  gli  eran  Saracini, E  videro  i  prigioni  in  mezzo  a  loro Legati,  e  tratti  su  piccol  ronzini A'Maganzesi,  per  cambiarli  in  oro. Disse  Marfisa  agli  altri: Ora  che  resta, Poiché  son  qui,  di  cominciar  la  festa? 11  Ruggier  rispose:  Gli  invitati  ancora Non  ci  son  tutti,  e  manca  una  gran  parte. Gran  ballo  s'apparecchia  di  fare  ora, E  perchè  sia  solenne,  usiamo  ogn'arte:Ma  far  non  ponno  omai  lunga  dimora. Cosi  dicendo,  veggono  in  disparte Venire  i  traditori  di  Maganza: Si  eh' eran  presso  a  cominciar  la  danza. 12    Gitmgean  dalPuna  parte  i  Maganzesi, E  conducean  con  loro  i  muli  carchi D'oro  e  di  vesti  e  d'altri  ricchi  arnesi; Da  l'altra,  in  mezzo  a  lance,  spade  ed  archi, Venian  dolenti  i  duo  germani  presi, Che  si  vedeano  essere  attesi  ai  varchi; E  Bertolagi,  empio  inimico  loro, Udian  parlar  col  capitano  Moro. 15    Di  qui  naque  un  error  tra  gli  assaliti, Che  lor  causò  lor  ultima  ruina. Da  un  lato  i  Maganzesi  esser  traditi Credeansi  dalla  squadra  saracina; Dall'altro,  i  Mori  in  tal  modo  feriti L'altra  schiera  chiamavano  assassina:E  tra  lor  cominciar  con  fiera  clade A  tirare  archi,  e  a  menar  lance  e  spade. stanza  la 18    Né  di  fiuovo  il  figliuol,  né  quel  d'Amone, Veduto  il Maganzese,  indugiar  puote: La  lancia  in  resta  Tuno  e  T altro  pone, E  r  uno  e  V  altro  il  traditor  percuote. L'nn  gli  passa  la  pancia  e'I  primo  arcione, E  r  altro  il  viso  per  mezzo  le  gote. Cosi  n'  andasser  pur  tutti  i  malvagi, Come  a  quei  colpi  n'andò  Bertolagi. 14    Marfisa  con  Ruggiero  a  questo  segno Si  muove  e  non  aspetta  altra  trombetta; Né  prima  rompe  l'arrestato  legno. Che  tre,  l'un  dopo  l'altro  in  terra  gtitta. Dell'asta  di  Huggier  fu  il  Pagan  degno,Che  guidò  gli  altri,  e  usci  di  vita  in  fretta; E  per  quella  medesima  con  lui Uno  ed  un  altro  andò  nei  regni  bui. 16  Salta  or  in  questa  squadra  ed  ora  in  quelli Ruggiero,  e  via  ne  toglie  or  dieci  or  venti Altri  tanti  per  man  della  donzella Di  qua  e  di  là  ne  son  scemati  e  spentL Tanti  si  veggon  gir  morti  di  sella . Quanti  ne  toccan  le  spade  taglienti, A  cui  dan  gli  elmi  e  le  corazze  loco, Come  nel  bosco  i  secchi  legni  al  fuoco. 17  Se  mai  d'aver  veduto  vi  raccorda, 0  rapportato  v'  ha  fama  all' orecchie, Come,  allorché  '1  collegio  ai  discorda, E  vansi  in  aria  a  far  guerra  le  pecchie. Entri  fra  lor  la  rondinella  ingorda, E  mangi  e  uccida  e  guastine  parecchie; Dovete  immaginar  che  similmente Ruggier  fosse  e  Marfisa  in  quella  gente. 18  Non  così  Ricciardetto  e  il  suo  cugino Fra  le  due  genti  varìavan  danza, Perché,  lasciando  il  campo  Saracino, Sol  tenean  l'occhio  all'altro  di  Maganza. lì  fratel  di  Rinaldo  paladino Con  molto  animo  avea  molta  possanza, E  quivi  raddoppiar  glie  la  facea L'odio  che  centra  ai  Maganzesi  avea. 19  Facea  parer  questa  medesma  causa Un  leon  fiero  il  bastardo  di  Buovo, Che  con  la  spada  senza  indugio  e  pausa Fende  ogn'elmo,  o  lo  schiaccia  come  un  ovt.. E  qnal  persona  non  saria  stata  ausa, Non  saria  comparita  un  Ettor  nuovo, Marfisa  avendo  in  compagnia  e  Ruggiero, Ch'  eran  la  scelta  e  '1  fior  d'ogni  guerriero?20  Marfisa  tuttavolta  combattendo, Spesso  ai  compagni  gli  occhi  rivoltava; E  di  lor  forza  paragon  vedendo, Con  maraviglia  tutti  li  lodava: Ma  di  Ruggier  pur  il  valor  stupendo E  senza  pari  al  mondo  le  sembrava; E  talor  si  credea  che  fosse  Marte Sceso  dal  quinto  cielo  in  quella  parte. SI     Mirava  quelle  orrìbili  percosse, Miravale  non  mai  calare  in  fallo: Parea  che  contra  Balisarda  fosse Il  ferro  carta,  e  non  doro  metallo. Gli  elmi  tagllaya  e  le  corazze  grosse, E  gli  uomini  fendea  fin  sul  cavallo, E  li  mandava  in  parti  uguali  al  prato, Tanto  da  Pun  quanto  da  T  altro  lato. 22  Continuando  la  medesma  botta, XJecidea  col  signore  il  cavallo  anche. I  capi  dalle  spalle  alzava  in  frotta, E  spesso i busti  dipartia  dalP  anche. Cinque  e  più  a  un  colpo  ne  tagliò  talotta; E  se  non  che  pur  dubito  che  manche Credenza  al  ver,  e  ha  faccia  di  menzogna. Di  più  direi;  ma  di  men  dir  bisogna. 23  H  buon  Turpin,  che  sa  che  dice  il  vero, E  lascia  creder  poi  quel  ch'all'uom  piace,Narra  mirabil  cose  di  Ruggiero, Ch'udendolo,  il  direste  voi  mendace. Cosi  parea  di  ghiaccio  ogni  guerriero Contra  Marfisa,  ed  ella  ardente  face: E  non  men  di  Ruggier  gli  occhi  a  sé  trasse, Ch  ella  di  lui  l'alto  valor  mirasse. 27  Oltre  una  buona  qjuautità  d'argento Che  in  diverse  vasella  era  formato, Ed  alcun  muliebre  vestimento. Di  lavoro  bellissimo  fregiato, E  per  stanze  reali  un  paramento D'oro  e  di  seta  in  Fiandra  lavorato, Ed  altre  cose  ricche  in  copia  grande; Fiaschi  di  vin  trovar,  pane  e  vivanda. 28  Al  trar  degli  elmi,  tutti  vider  come Avea  lor  dato  aiuto  una  donzella. Fu  conosciuta  all'auree  crespe  chiome. Ed  alla  faccia  delicata  e  beila. L'onoran  molto,  e  pregano  che'l  nome Di  gloria  degno  non  asconda;  ed  ella. Che  sempre  tra  gli  amici  era  cortese, A  dar  di  sé  notizia  non  contese. 29  Non  si  ponno  saziar  di  riguardarla; Che  tal  vista  Pavean  nella  battaglia. Sol  mira  ella  Ruggier,  sol  con  lui  parla; Altri  non  prezza;  altri  non  par  che  vagli.! Vengono  i  servi intanto  ad  invitarla Coi  compagni  a  goder  la  vettovaglia, Ch'apparecchiata  avean  sopra  una  fonte Che  difendea  dal  raggio  estivo  un  monte. 24  E  s' ella  luì  Marte  stimato  avea, Stimato  egli  avria  lei  forse  Bellona, Se  per  donna  così  la  conoscea. Come  parea  il  contrario  alla  persona. E  forse  emulazion  tra  lor  nascea Per  quella  gente  misera,  non  buona. Nella  cui  carne  e  sangue  e  nervi  ed  ossa Fan  prova  chi  di  lor  abbia  più  possa. 25  Bastò  di  quattro  l'animo  e  il  valore A  far  eh' un  campo  e  l'altro  andasse  rotto. Non  restava  arme,  a  chi  fuggia,  migliore Che  quella  che  si  porta  più  di  sotto. Beato  chi  il  cavallo  ha  corridore; Ch'in  prezzo  non  ò  quivi  ambio  né  trotto: E  chi  non  ha  destrier,  quivi  s' avvede Quanto  il  mestier  dell'armi  é  tristo  a  piede. 2(5    Biman  la  preda  e'I  campo  ai  vincitori. Che  non  é  fante  o  mulattier  che  restì. Là  Maganzesi,  e  qua  fuggono  i  Mori; Quei  lasciano  i  prigion,  le  some  questi. Furon,  con  lieti  visi  e  più  coi  cori, Malagigi  e  Viviano  a  scioglier  presti:Non  fur  men  diligenti  a  sciorre  i  paggi, E  por  le  some  in  terra  e  i  carriaggi. 30  Era  una  delle  fonti  di  Merlino, De  le  quattro  di  Francia  da  lui  fatte. D'intorno  cinta  di  bel  marmo  fino Lucido  e  terso,  e  branco  più  che  latte. Quivi  d'intaglio  con  lavor  divino Avea  Merlino  immagini  ritratte: Direste  che  spiravano;  e,  se  prive Non  fossero  di  voce,  ch'eran  vive. 31  Quivi  una  bestia  uscir  della  foresta Parea,  di  crudel  vista,  odiosa  e  brutta, Ch'  avea  P  orecchie  d'asino,  e  la  testa Di  lupo  e  i  denti,  e  per  gran  fame  asciutta: Branche  avea  di  leon;  P  altro  che  resta, Tutto  era  volpe;  e  parea  scorrer  tutta E  Francia  e  Italia  e  Spagna  ed  Inghilterra, L'Europa  e  l'Asia,  e  alfin  tutta  la  terra. 32  Per  tutto  avea  genti  ferite  e  morte. La  bassa  plebe  e  i  più  superbi  capi: Anzi  nuocer  parea  molto  più  forte A  re,  a  signori,  a  principi,  a  satrapi. Peggip  facea  nella  romana  corte, Che  v'  avea  uccisi  cardinali  e  papi:Contaminato  avea  la  bella  sede Di  Pietro,  e  messo  scandol  nella  Fede. 33    Par  che  dinanzi  a  questa  bestia  orrenda Cada  ogni  muro,  ogni  ripar  che  tocca. Non  si  vede  città  che  si  difenda: Se  l'apre  incontra  ogni  castello  e  rocca. Par  che  agli  onor  divini  anco  s'estenda, E  sia  adorata  dalla  gente  sciocca, E  che  le  chiavi  s' arroghi  d'avere Del  ciel  e  dell'abisso  in  suo  potere. 34    Poi  si  vedea  d'imperiale  alloro Cinto  le  chiome  un  cavalier  venire Con  tre  giovani  a  par,  che  i  gigli  d'oro Tessuti  avean  nel  lor  real  vestire; E,  con  insegna  simile,  con  loro Parca  un  leon  centra  quel  mostro  uficire. Avean lornomichi  sopra  la  testa . E  chi  rei  lembo  scritto  della  vesto. Stanza  25. 35  L'un  eh'  avea  fin  air  elsa  nella  pancia La  spada  immersa  alla  maligna  fera, Francesco  primo,  avea  scritto,  di  Francia:Massimiliano  d'Austria  a  par  seco  era; E  Carlo  quinto,  imperator,  di  lancia Avea  passata  il  mostro  alla  gorgiera; E  l'altro  che  di  strai  gli  figge  il  petto. L'ottavo  Enrigo  d'Inghilterra  è  detto. 36  Decimo  ha  quel  leon  scritto  sul  dosso, Ch'ai  brutto  mostro  i  denti  ha  negli  orecchi; E  tanto  l'ha  già  travagliato  e  scosso. Che  vi  sono  arrivati  altri  parecchi. Parca  del  mondo  ogni  timor  rimosso; Ed  in  emenda  degli  errori  vecchi Nobil  gente  accorrea,  non  però  molta. Onde  alla  belva  era  la  vita  tolta. 37  I  cavalieri  stavano  e  Marfisa Con  desiderio  di  conoscer  questi, Per  le  cui  maui  era  la  bestia  uccida Che  fatti  avea  tanti  luoghi  atri  e  mesti Awengachè  la  pietra  fosse  incisa Dei  nomi  lor,  non  eran  manifesti. Si  pregavan  tra  lor,  che,  se  sapesse L'istoria  alcuno,  agli  altri  la  dicesse. 38  Voltò  Viviano  a  Malagigi  gli  occhi, Che  stava  a  udire,  e  non  £Etcea  lor  motto:A  te,  disse,  narrar  l'istoria  tocchi, Ch'esser  ne  dèi,  per  quel  ch'io  vegga,  dotto. Chi  son  costor  che  con  saette  e  stocchi E  lancie  e  morte  han  l'animai  condotto? Rispose  Malagigi:  Non  è  istoria 

Di  ch'abbia  autor  fin  qui  fatto  memoria. 39  Sappiate  che  costor  che  qui  scrìtto  hanno Nel  marmo  i  nomi,  al  mondo  mai  non  faro; Ma  fra  settecento  anni  vi  saranno, Con  grande  onor  del  secolo  futuro. Merlino,  il  savio  incantator  britanno, Fé' far  la  fonte  al  tempo  dei  re  Arturo; E  di  cose  eh'  al  mondo  hanno  a  venire, La  fe'da  buoni  artefici  scolpire. 40  Questa  bestia  crudele  usci  del  fondo Dello  'nfemo  a  quel  tempo  che  far  fatti Alle  campagne  i  termini,  e  fa  il  pondo Trovato  e  la  misura,  e  scritti  i  patti. Ma  non  andò  a  principio  in  tutto  '1  mon  lu:Di  sé  lasciò  molti  paesi  intatti. Al  tempo  nostro  in  molti  lochi  sturba; Ma  i  popolari  offende  e  la  vii  turba. 41  Dal  suo  principio  infin  al  secol  nostro Sempre  è  cresciuto,  e  sempre  andrà  crescen  l;:Sempre  crescendo,  al  lungo  andar  fia  il  mostro 11  maggior  che  mai  fosse  e  Io  più  orrendo. Quel  Piton,  che  per  carte  e  per  inchiostro S' ode  che  fu  sì  orribile  e  stupendo, Alla  metà  di  questo  non  fu  tutto. Né  tanto  abbominevol  né  si  brutto. 42  Farà  strage  crudel,  né  sarà  loco Ohe  non  guasti,  contamini  ed  infetti:E  quanto  mostra  la  scultura,  é  poco De' suoi  nefandi  e  abbominosi  effetti. Al  mondo,  di  gridar  mercé  già  roco, Questi,  dei  quali  i  nomi  abbiamo  letti, Che  chiari  splenderan  più  che  pircpo, Verranno  a  dare  aiuto  al  maggior  aopo. 45    E  quindi  scenderà  nel  ricco  piano Di  Lombardia,  col  fior  di  Francia  intomo; E  si  r  Elvezio  spezzerà,  eh'  invano Farà  mai  più  pensier  d'alzare  il  corno. Con  grande  e  della  Chiesa,  e  dellMspano Campo  e  del  fiorentin  vergogna  e  scorno, Espugnerà  il  Castel  che  prima  stato Sarà  non  espugnabile  stimato. ""'    '   "N  ¦ 43    Alla  fera  crudele  il  più  molesto Non  sarà  di  Francesco  il  re  de'  Franchi:E  ben  convien  che  molti  ecceda  in  questo, E  nessun  prima  e  pochi  n'abbia  a' fianchi; Quando  in  splendor  real,  quando  nel  resto Di  virtù  farà  molti  parer  manchi, Che  già  parver  compiuti;  come  cede Tosto  ogn' altro  splendor,  che'l  sol  si  vede. 46    Sopra  ogn' altr' arme  ad  espugnarlo,  molto Più  gli  varrà  quella  onorata  spada, Con  la  qual  prima  avrà  di  vita  tolto Il  mostro  corruttor  d'ogni  contrada. Convien  eh'  innanzi  a  quella  sia  rivolto In  fuga  ogni  stendardo,  o  a  terra  vada; Né  fossa  né  ripar  né  grosse  mura Possan  da  lei  tener  città  sicura. 44     L'anno  primier  del  fortunato  regno. Non  ferma  ancor  ben  la  corona  in  fronte, Passerà  l'Alpe,  e  romperà  il  diseguo Di  chi  all'incontro  avrà  occupato  il  monte; Da  giusto  spinto  e  generoso  sdegno. Che  vendicate  ancor  non  siano  l'onte Che  dal  furor  da  paschi  e  mandre  uscito L'esercito  di  Francia  avrà  patito. 47    Questo  Principe  avrà  quanta  eccellenza Aver  felice  imperator  mai  debbia: L'animo  del  gran  Cesar,  la  prudenza Di  chi  mostrolla  a  Trasimeno  e  a  Trebbia Con  la  fortuna  d'Alessandro,  senza Cui  saria  famo  ogni  disegno,  e  nebbia. Sarà  sì  liberal,  ch'io  lo  contemplo Qui  non  aver  né  paragon  né  esemplo. 48    Cosi  diceva  Malagigi,  e  messe Desire  a'cavalier  d'aver  contezza Del  nome  d'alcun  altro  ch'uccidesse L'infemal  bestia,  uccider  gli  altri  avvezza. Quivi  un  Bernardo  tra' primi  si  lesse, Che  Merlin  molto  ne' suoi  scritti  apprezza. Pia  nota  per  costui,  dicea,  Bibiena, Quanto  Fiorenza  sua  vicina  e  Siena. stanza  41. 49    Non  mette  piede  innanzi  ivi  persona A  Sismondo,  a  Giovanni,  a  Ludovico:Un  Gonzaga,  un  Salviati,  un  d'Aragona, Ciascuno  al  brutto  mostro  aspro  nimico. V  è  Francesco  Gonzaga,  né  abbandoni Le  sue  vestigie  il  figlio  Federico; Ed  ha  il  cognato  e  il  geaero  vicino, Quel  di  Ferrara,  e  quel  duca  d'Urbino. 51  Duo  Ercoli,  duo  Ippoliti  da  Este, Un  altro  Ercole,  un  altro  Ippolito  anco Da  Gonzaga,  de' Medici,  le  peste Seguon  del  mostro,  e  l'han,  cacciando,  stas Né  Giuliano  al  figliuol,  né  par  che  reste Ferrante  al  fratel  dietro;  né  che  manoo Andrea  Doria  sia  pronto;  néche lassi Francesco  Sforza,  ch'ivi  uomo  Io  passi. 52  Del  generoso,  illustre  e  chiaro  sangue D'Avalo  vi  son  dui  c'han  per  insia Lo  scoglio,  che  dal  capo  ai  piedi  d'angie Par  che  l'empio  Tifeo  sotto  si  teerna Non  é  di  questi  duo,  per  fare  essngue L'orribil  mostro,  chi  più  innanzi  vegna: L'uno  Francesco  di  Pescara  invitto, L'altro  Alfonso  del  Vasto  ai  piedi  ha  scritte 53  Ma  Consalvo  Ferrante  ove  ho  lasciato, L'Ispano  onor,  ch'in  tanto  pregio  v'eri. Che  fu  da  Malagigi  si  lodato, Che  pochi  il  pareggiar  di  quella  schiera? Guglielmo  si  vedea  di  Monferrato Fra  quei  che  morto  avean  la  bratta  fera: Ed  eran  pochi,  verso  gl'infiniti Ch'ella  v'avea  chi  morti  e  chi  feriti. 54  In  giuochi  onesti  e  parlamenti  lieti, Dopo  mangiar,  spesero  il  caldo  giorno. Corcati  su  finissimi  tappeti Tra  gli  arbuscelli  oad'era  il  rivo  aiomo. Malagigi  e  Vivian,  perché  quieti Più  fosser  gli  altri,  tenean  l'arme  intomo; Quando  una  donna  senza  compagnia Vider,  che  verso  lor  ratto  venia. 55  Questa  era  quella  Ippalca,  a  cui  fa  tolto Frontino,  il  buon  destrier,  da  Rodomonte. L'avea  il  di  innanzi  ella  seguito  molto, Pregandolo  ora,  ora  dicendogli  onte; Ma  non  giovando,  avea  il  cammin  rivolto Per  ritrovar  Ruggiero  in  Agrismonte Tra  via  le  fu,  non  so  fifià  come,  detto Che  quivi  il  troveria  con  Ricciardetto. 50    Dell'un  di  questi  il  figlio  Guidobildo Non  vuol  che'l  padre  o  ch'altri  aidietro  il  mtta. Con  Ottobon  del  Eliseo,  Sinibaldo Caccia  la  fera,  e  van  di  pari  in  fretta. Luigi  à%  Gazalo  il  ferro  caldo Fatto  nel  collo  le  ha  d'una  saetta Che  con  l'arco  gli  die  Febo,  quando  anco Marte  la  spada  sua  gli  messe  al  fianco. 56    E  perché  il  luogo  ben  sapea  (che  v'er Stata  altre  volte),  se  ne  venne  al  dritto Alla  fontana;  ed  in  quella  maniera Ve  lo  trovò,  ch'io  v'ho  di  sopra  scritto. Ma  come  buona  e  cauta  messaggiera. Che  sa  meglio  eseguir  che  non  l'é  ditto, Quando  vide  il  fratel  di  Bradamante, Non  conoscer  Rugier  fece  sembiante 57  A, Ricciardetto  tatta  rÌTol tosse, Si  come  drittamente  a  lui  yenisse:E  quelf  che  la  conobbe,  se  le  mosse Incontra,  e  dimandò  dove  ne  gisse. Elia,  disancora  avea  le  luci  rosse Del  pianger  lungo,  sospirando  disse: Ma  disse  forte,  acciò  che  fosse  espresso A  Ruggero  il  suo  dir,  che  gli  era  presso. 58  Mi  traea  dietro,  disse,  per  la  briglia. Come  imposto  m'avea  la  tua  sorella. Un  bel  cavallo  e  buono  a  meraviglia, Ch'ella  molto  ama,  e  che  Frontino  appella; E  l'avea  tratto  più  di  trenta  miglia Verso  Marsiglia,  ove  venir  debb'ella Fra  pochi  giorni,  e  dove  ella  mi  disse ChMo  l'aspettassi  finché  vi venisse. 59  Era  si  baldanzoso  il  creder  mio, Ch'io  non  stimava  alcun  di  cor  si  saldo, Che  me  l'avesse  a  tor,  dicendogli  io, Ch'era  della  sorella  di  Rinaldo. Ha  vano  il  mio  disegno  ier  m' uscio, Che  me  lo  tolse  un  Saracin  ribaldo; Né  per  udir  di  chi  Frontino  fusse, A  volermelo  rendere  s'indusse. 60  Tutto  ieri  e  oggi  l'ho  pregato;  e  quando Ho  visto  uscir  prieghi  e  minacele  invano, Maledicendol  molto  e  bestemmiando, L'ho  lasciato  di  qui  poco  lontano, Dove  il  cavallo  e  sé  molto  affannando. S'aiuta,  quanto  può,  con  l'arme  in  mano Contra  un  guerrier  eh'  in  tal  travaglio  il  mette, Che  spero  ch'abbia  a  far  le  mie  vendette. 61  Ruggiero  a  quel  parlar  salito  in  piedi, Ch'avea  potuto  appena  il  tutto  udire, Si  volta  a  Ricciardetto,  e  per  mercede E  premio  e  guiderdon  del  ben  servire (Prieghi  aggiungendo  senza  fin)  gli  chiede Che  con  la  donna  solo  il  lasci  gire Tanto,  che  '1  Saracin  gli  sia  mostrato, Ch'a  lei  di  mano  ha  il  buon  destrier  levato. 62  A  Ricciardetto,  ancorché  discortese 11  conceder  altrui  troppo  paresse Di  terminar  le  a  sé  debite  imprese. Al  voler  di  Ruggier  pur  si  rimesse:E  quel  licenzia  dai  compagni  prese, E  con  Ippalca  a  ritornar  si  messe. Lasciando  a  quei  che  rimanean  stupore. Non  maraviglia  pur  del  suo  valore. B    Poi  che  dagli  altri  allontanato  alquanto Ippalca  l'ebbe,  gli  narrò  eh'  ad  esso Era  mandata  da  colei  che  tanto Avea  nel  core  il  suo  valore  impresso:E,  senza  finger  più,  seguitò  quanto La  sua  donna  al  partir  le  avea  commesso:E  che  se  dianzi  avea  altrimente  detto. Per  la  presenzia  fu  di  Ricciardetto. stanza  57. 64    Disse,  che  chi  le  avea  tolto  il  destriero, Ancor  detto  l'avea  con  molto  orgoglio:Perchè  so  che  '1  cavallo  é  di  Ruggiero, Più  volentier  per  questo  te  lo  toglio. S'egli  di  racquistarlo  avrà  pensiero. Fagli  saper  (eh'  asconder  non  gli  voglio) Ch'  io  son  quel  Rodomonte,  il  cui  valore Mostra  per  tutto  '1  mondo  il  suo  splendore. 65    Ascoltando,  Raggier  mostra  nel  volto Di  quanto  sdegno  acceso  il  cor  gli  sia; Si  perchè  caro  avria  Frontino  molto, Si  perchè  venia  il  dono  onde  venia, Sì  perchè  in  suo  dispregio  gli  par  tolto. Vede  che  hiasmo  e  disonor  gli  fia, Se  torlo  a  Rodomonte  non  s affretta, E  sopra  lui  non  fa  degna  vendetta. stanza  63. 6()    La  donna  Ruggier  guida,  e  non  soggiorna; Che  por  lo  brama  col  Pagano  a  fronte: E  giunge  ove  la  strada  fa  duo  corna; Lun  va  giù  al  piano,  e  l'altro  va  su  al  monte:E  questo  e  quel  nella  vallea  ritorna, Dov'ella  avea  lasciato  Rodomonte. Aspra,  ma  breve  era  la  via  del  colle; L'altra  più  lunga  assai, ma piana  e  molle. 67  II  desiderio  che  conduce  Ippalca, D'aver  Frontino  e  vendicar  V  oltraggio, Fa  che  '1  sentier  della  montagna  calca, Onde  molto  più  corto  era  il  viaggio. Per  r  altra  intanto  il  re  d'Algier  cavalca Col  Tartaro  e  cogli  altri  che  detto  aggelo; E  giù  nel  pian  la  via  più  facil  tiene, Né  con  Ruggier  ad  incontrar  si  viene. 68  Già  son  le  lor  querele  differita Finché  soccorso  ad  Agramante  sia (Questo  sapete);  ed  han  d'ogni  lor  lite La  cagion,  Dorallce,  in  compagnia. Ora  il  successo  dell'istoria  udite. Alla  fontana  è  la  lor  dritta  via, Ove  Aldigier,  Marfisa,  Ricciardetto, Malagigi  e  Vivian  stanno  a  diletto. b9    Marfisa  a'prieghi  de' compagni  area Veste  da  donna  ed  ornamenti  presi. Di  quelli  eh' a  Lanfusa  si  credea Mandare  il  traditor  de'  Maganzesi:E  benché  veder  raro  si  solca Senza  V  usbergo  e  gli  altri  buoni  arnesi, Pur  quel  dì  se  li  trasse;  e  come  donna, A'prieghi  lor  lasciò  vedersi  in  gonna. 70  Tosto  che  vede  il  Tartaro  Marfisa, Per  la  credenza  e  ha  di  guadagnarla, In  ricompensa  e  in  cambio  ugual  s'avvisa Di  Doralice,  a  Rodomonte  darla; Si  come  amor  si  regga  a  questa  guisa. Che  vender  la  sua  donna  o  permutarla Possa  l'amante,  né  a  ragion  s'attrista, Se  quando  una  ne  perde,  una  n'  acquista. 71  Per  dunque  provvedergli  di  donzella, Acciò  per  sé  quest'  altra  si  ritegna, Marfisa  che  gli  par  leggiadra  e  bella, E  d'ogni  cavalier  femmina  degna, Come  abbia  ad  aver  questa,  come  quella Subito  cara,  a  lui  donar  disegna; E  tutti  i  cavalier  che  con  lei  vede, A  giostra  seco  ed  a  battaglia  chiede. 72  Malagigi  e  Vivian,  che  l'arme  aveano Come  per  guardia  e  sicurtà  del  resto, Si  mossero  dal  luogo  ove  sedeano, L'un  come  l'altro  alla  battaglia  presto, Perchè  giostrar  con  amenduo  credeano; Ma  r  African,  che  non  venia  per  questo, Non  ne  fé'  segno  o  movimento  alcuno:Si  che  la  giostra  restò  lor  contra  uno. 73  Vìnano  è  il  primo,  e  con  gran  cor  si  muove, E  nel  venire  abbassa  an  asta  grossa; E'I  Re  pagan  dalle  famose  prove, DalP  altra  parte  vien  con  maggior  possa. Dirizza  V  uno  e  V  altro,  e  senza  dove Crede  meglio  fermar  l'aspra  percossa. Viviano  indamo  all'elmo  il  Pagan  fere; Che  non  lo  fa  piegar,  nonché  cadere. 74  II  Re  pagan,  eh'  avea  più  l'asta  dura, Fé'  0  scudo  a  Vivian  parer  di  ghiaccio £  fuor  di  sella  in  mezzo  alla  verdura. Air  erbe  e  ai  fiori  il  fé'  cadere  in  braccio. Vien  Malagigi,  e  ponsi  in  avventura Di  vendicare  il  suo  fratello  avaccio; Ma  poi  d'andargli  appresso  ebbe  tal  fretta, Che  gli  fé'  compagnia  più  che  vendetta. 75  L'altro  fratel  fu  prima  del cugino Coli'  arme  indosso,  e  sul  destrier  salito; E  disfidato,  centra  il  Saracino Venne  a  scontrarlo  a  tutta  briglia  ardito. Risonò  il  colpo  in  mezzo  all'elmo  fino Di  quel  Pagan  sotto  la  vista  un  dito:Volò  al  ciel  l'asta  in  quattro  tronchi  rotta; Ma  non  mosse  il  Pagan  per  quella  botta. 76  II  Pagan  feri  lui  dal  Iato  manco; E  perchè  il  colpo  fu  con  troppa  forza. Poco  lo  scudo  e  la  corazza  manco Gli  valse,  che  s'  aprir  come  una  scorza. Passò  il  ferro  crudel  l'omero  bianco: Piegò  Aldighier  ferito  a  poggia  e  ad  orza; Tra  fiori  ed  erbe  alfin  si  vide  avvolto, Rosso  su  l'arme,  e  pallido  nel  volto. 77  Con  molto  ardir  vien  Ricciardetto  appresso:E  nel  venire  arresta  si  gran  lancia, Che  mostra  ben,  come  ha  mostrato  spesso, Che  degnamente  è  paladin  di  Francia: Ed  al  Pagan  ne  facea  segno  espresso, Se  fosse  stato  pari  alla  bilancia; Ma  sozzopra  n'andò,  perchè  il  cavallo Gli  cadde  addosso,  e  non  già  per  suo  fallo. 78  Poich'auro  cavalier  non  si  dimostra. Ch'ai  Pagan  per  giostrar  volti  la  fronte. Pensa  aver  guadagnato  della  giostra La  donna,  e  venne  a  lei  presso  alla  fonte, E  disse:  Damigella,  sete  nostra. S'altri  non  è  per  voi  ch'in  sella  monte. Noi  potete  negar,  uè  fame  iscusa; Che  di  ragion  di  guerra  cosi  s'usa. 79    Marfisa,  alzaudo  con  un  viso  altiero 

La  faccia,  disse: Il  tuo  parer  molto  erra. Io  ti  concedo  che  diresti  il  vero, Ch'  io  sarei  tua  per  la  ragion  di  guerra, Quando  mio  signor  fosse  o  cavaliero Alcun  di  questi  ch'hai  gittato  in  tena. Io  sua  non  son:  né  d'altri  son,  che  mia; '  Dunque  me  tolga  a  me  chi  mi  desia. stanza  76. 80  So  scudo  e  lancia  adoperare  anch'io, E  più  d'un  cavaliero  in  terra  ho  posto. Datemi  l'arme,  disse,  e  il  destrier  mio Agli  scudier  che  l'ubbidirò  tosto. Trasse  la  gonna,  ed  in  farsetto  uscio; E  le  belle  fattezze  e  il  ben  disposto Corpo  mostrò,  eh'  in  ciascuna  sua  parte, Fuorché  nel  viso,  assimigliava  a  Marte. 81  Poi  che  fu  armata,  la  spada  si  cinse, E  sul  destrier  montò  d'un  leggier  salto; E  qua  e  là  tre  volte  e  più  lo  spinse, E  quinci  e  quindi  fé' girare  in  alto; E  poi,  sfidando  il  Saracino,  strinse La  grossa  lancia,  e  cominciò  l'assalto. Tal  nel  campo  troian  Pentesilea Contra  il  tessalo  Achille  esser  dovea.82    Le  lancie  ìnfin  al  calce  si  fiaccare, A  quel  superbo  scontro,  come  vetro; Né  però  chi  le  corsero,  piegaro, Che  si  notasse,  un  dito  solo  addietro. Marfisa,  che  volea  conoscer  chiaro S'a  più  stretta  battaglia  simil  metro Le  servirebbe  contra  il  fier  Pagano, Se  gli  rivolse  con  la  spada  in  mano. 88    Raniero  in  questo  mezzo  avea  seguito Indarno  Ippalca  per  la  via del  monte; E  trovò,  giunto  al  loco,  che  partito Per  altra  via  se  n'  era  Rodomonte:E  pensando  che  lungi  non  era  ito, E  che  1  sentier  tenea  dritto  alla  fonte, Trottando  in  fretta  dietro  gli  venia Per  Torme  cheran  fresche  in  sa  I&  via. 83  Bestemmiò  il  cielo  e  gli  elementi  il  crudo Pagan,  poiché  restar  la  vide  in  sella; Ella,  che  gli  pensò  romper  lo  scudo. Non  men  sdegnosa  contra  il  ciel  favella. Già  l'uno  e  l'altro  ha  in  mano  il  ferro  nudo, E  su  le  fatai  arme  si  martella: L'arme  fatali  han  parimente  intomo, Che  mai  non  bisognar  più  di  quel  giorno. 84  Si  buona  ò  quella  piastra  e  quella  maglia, Che  spada  o  lancia  non  le  taglia  o  fora: Sì  che  potea  seguir  l'aspra  battaglia Tutto  quel  giorno,  e  l'altro  appresso  ancora. Ma  Rodomonte  in  mezzo  lor  si  scaglia, E  riprende  il  rivai  della  dimora. Dicendo: Se  battaglia  pur  far  vuoi, Finiam'la  cominciata  oggi  fra  noi. 85  Facemmo,  come  sai,  triegua  con  patto Di  dar  soccorso  alla  milizia  nostra. Non  dobbiam,  prima  che  sia  questo  fatto, Incominciare  altra  battaglia  o  giostra. Indi  a  Marfisa,  riverente  in  atto, Si  volta,  e  quel  messaggio  le  dimostra; E  le  racconta  come  era  venuto A  chieder  lor  per  Agramante  aiuto. sa    La  priega  poi,  che  le  piaccia  non  solo Lasciar  quella  battaglia  o  differire, Ma  che  voglia  in  aiuto  del  figliuolo Del  re  Troian  con  essi  lor  venire; Onde  la  fama  sua  con  maggior  volo Potrà  far  meglio  infin  al  ciel  salire, Che  per  querela  di  poco  momento Dando  a  tanto  disegno  impedimento. 87    Marfisa,  che  fu  sempre  disiosa Di  provar  quei  di  Carlo  a  spada  e  a  lancia; Né  l'avea  indotta  a  venire  altra  cosa Di  si  lontana  regione  in  Francia, Se  non  per  esser  certa  se  famosa Lor  nominanza  era  per  vero  o  ciancia; Tosto  d'andar  con  lor  partito  prese, Che  d'Armante  il  gran  bisogno  intese. 89  Volse  che  Ippalca  a  Montalban  pigliasse La  via,  ch'una  giornata  era  vicino; Perché  s'alia  fontana  ritornasse. Si  torna  troppo  dal  dritto  cammino. E  disse  a  lei,  che  già  non  dubitasse Che  non  s' avesse  a  ricovrar  Frontino:Ben  le  farebbe  a  Montalbano,  o  dove Ella  si  trovi,  udir  tosto  le  nuove. 90  E  le  diede  la  lettera  che  scrisse In  Agrismonte,  e  che  si  portò  in  seno; E  molte  cose  a  bocca  anco  le  disse, E  la  pregò  che  T  escusasse  appieno. Nella  memoria  Ippalca  il  tutto  fisse; Prese  licenzia,  e  voltò  il  palafreno; E  non  cessò  la  buona  messaggiera, Ch'in  Montalban  si  ritrovò  la  sera. 91  Seguia  Ruggiero  in  fretta  il  Saracino Per  l'orme  ch'apparian  nella  via  piana; Ma  non  lo  giunse  prima  che  vicino Con  Mandricardo  il  vide  alla fontana.Già  promesso  s'avean  che  per  cammino L'un  non  farebbe  all' altro  cosa  strana, Né  fin  eh'  al  campo  si  fosse  soccorso, A  cui  Carlo  era  appresso  a  porre  il  morso. 92  Quivi  giunto  Ruggier,  Frontin  conobbe, E  conobbe  per  lui  chi  addosso  gli  era; E  su  la  lancia  fé' le  spalle  gobbe, E  sfidò  l'African  con  voce  altiera. Rodomonte  quel  dì  fé' più  che  Giobbe, Poiché  domò  la  sua  superbia  fiera, E  ricusò  la  pugna,  eh' avea  usanza Di  sempre  egli  cercar  con  ogni  instanza. 93  II  primo  giorno  e  l'ultimo,  che  pugna Mai  ricusasse  il  Re  d'Algier,  fa  questo; Ma  tanto  il  desiderio  che  si  giugna In  soccorso  al  suo  Re  gii  pare  onesto, Che  se  credesse  aver  Ruggier  nell'ugna Più  che  mai  lepre  il  pardo  isnello  e  presto. Non  si  vorria  fermar  tanto  con  lui, Che  fèsse  un  colpo  della  spada  o  dai. 4     Agglangi  che  sapea  cVera  Raggiero, Che  seco,  per  Frontin  facea  hittaglia, Tanto  famoso,  ch'altro  cavaliero Non  è  eh' a  par  di  lai  di  gloria  saglia; L'nom  che  hramato  ha  di  saper,  per  vero Esperimento,  quanto  in  arme  vaglia: Eppur  non  vuol  seco  accettar  l'impresa; Tanto  l'assedio  del  suo  Re  gli  pesa. 95  Trecento  miglia  sarehhe  ito  e  mille, Se  ciò  non  fosse,  a  comperar  tal  lite; Ma  se  l'avesse  oggi  sfidato  Achille, Più  fatto  non  avria  di  quelch'udite:Tanto  a  quel  punto  sotto  le  faville Le  fiamme  avea  del  suo  furor  sopite. Narra  a  Ruggier  perchè  pugna  rifiuti:Ed  anco  il  priega  che  l'impresa  aiuti; 96  Che,  facendol,  farà  quel  che  far  deve Al  suo  Signore  un  cavalier  fedele. Sempre  che  questo  assedio  poi  si  leve, Avran  hen  tempo  da  finir  querele. Rujer  rispose  a  lui: Mi  sarà  lieve Differir  questa  pugna  finchò  de  le Porze  di  Carlo  si  treggia  Agramantej Purché  mi  rendi  il  mio  Frontino  innante. 97  Se  di  provarti  e' hai  fatto  gran  fallo, E  fatto  hai  cosa  indegna  ad  un  uom  forte, D'aver  tolto  a  una  donna  il  mio  cavallo,  • Vuoi  eh'  io  prolunghi  finché  siamo  'n  corte, Lascia  Frontino,  e  nel  mio  arhitrio  dallo. Non  pensare  altrimente,  ch'io  sopporte Che  la  battaglia  qui  tra  noi  non  segua, 0  ch'io  ti  fEiccia  sol  d'un' ora  triegua. 98  Mentre  Ruggiero  all'African  domanda 0  Frontino,  o  battaglia  allora  allora; E  quello  in  lungo  e  l'uno  e  l'altro  manda, Né  vuol  dare  il  destrier,  né  far  dimora; Mandricardo  ne  vien  da  un'  altra  banda, E  mette  in  campo  un'altra  lite  ancora. Poiché  vede  Ruggier  che  per  insegna Porta  l'augel  che  sopra  gli  altri  regna. 99  Nel  campo  azzur  l'aquila  bianca  avea. Che  de'  Troiani  fu  l'insegna  bella:Perchè  Ruggier  l'origine  traea Dal  fortissimo  Ettór,  portavaquella.MaquestoMandricardo  non  sapea, Né  vuol  patire,  e  grande  ingiuria  appella, Che  nello  scudo  un  altro  debba  porre L'aquila  bianca  del  famoso  Ettorre. 100  Portava  Mandricardo  similmente L' augel  che  rapi  in  Ida  Ganimede. Come  l'ebbe  quel  di,  che  fu  vincente Al  Castel  periglioso,  per  mercede. Credo  vi  sia  con  l'altre  istorie  a  mente; E  come  quella  Fata  gli  lo  diede Con  tutte  le  bell'arme  che  Vulcano Avea  già  date  al  cavalier  troiano. 101  Altra  volta  a  battaglia  erano  stati Mandricardo  e  Ruggier  solo  per  questo:E  per  che  ciso  fosser  distornati, Io  noi  dirò;  che  già  v'  è  manifesto. Dopo  non  s'eran  mai  più  raccozzati. Se  non  quivi  ora;  e  Mandricardo  presto, Visto  lo  scudo,  alzò  il  superbo  grido Minacciando,  e  a  Ruggier  disse: Io  ti  sfid. 102  Tu  la  mia  insegna,  temerario,  porti; Né  questo  è  il  primo  dì  ch'io  te  l'ho  detto. E  credi,  pazzo,  ancor  ch'io  tei  comporti, Per  una  volta  ch'io  t'ebbi  rispetto? Ma  poiché  né  minacce  né  conforti Ti  pdn  questi  follia  levar  del  petto, Ti  mostrerò  quanto  miglior  partito T'era  d'avermi  subito  ubbidito. 103  Come  ben  riscaldato  arido  legno A  picciol  soffio  subito  s' accende; Cosi  s'avvampa  di  Ruggier  lo  sdegno Al  primo  motto  che  di  questo  intende. Ti  pensi,  disse,  farmi  stare  al  segno, Perchèquest'altro  ancor  meco  contende? Ma  mostrerotti  ch'io  son  buon  per  torre Frontino  a  lui,  lo  scudo  a  te  d'Ettorre. 104  Un'altra  volta  pur  per  questo  venni Teco  a  battaglia,  e  non  è  gran  tempo  anco; Ma  d'ucciderti  allora  mi  contenni, Perchè  tu  non  avevi  spada  al  fianco. Questi  fatti  saran,  quelli  fur  cenni; E  mal  sarà  per  te  queir  augel  bianco, Ch'antiqua  insegna  è  stata  di  mia  gente: Tu  te  l'usurpi;  io'l  porto  giustamente. 105  Anzi  t'usurpi  tu  l'insegna  mia, Rispose  Mandricardo;  e  trasse  il  brando. Quello  che  poco  innanzi  per  follia Avea  gittate  alla  foresta  Orlando. Il  buon  Ruggier,  che  di  sua  cortesia Non  può  non  sempre  ricordarsi,  quando Vide  il  Pagan  eh' avea  tratto  la  spada. Lasciò  cader  la  lancia  nella  strada. 106    E  tutto  a  un  tempo  Balisarda  strìnge, La  baona  spala,  e  meMo  scudo  imbraccia: Ma  l'Africano  in  mezzo  il  destrìer  spinge, E  Marfisa  con  lui  presto  si  caccia; E  r  uno  questo,  e  V  altro  quel  respinge, E  priegano  amendui  che  non  si  faccia. Rodomonte  si  duol  che  rotto  il  patto Due  volte  ha  MandricarJo,  che  fu  fatto. 107    Prima,  credendo  d'acquistar  Marfisa. Fermato  s' era  a  far  più  d  una  giostra Or,  per  privar  Ruggier  d  una  divisa, Di  curar  poco  il  re  Agramante  mostra. Se  pur,  dicea,  dèi  fare aquestagnisa,Finiamprima  tra  noi  la  lite  nostra, Conveniente  e  più  debita  assai, Ch'alcuna  di  quest'altre  che  prese  ha Stanza  116. 108  Con  tal  condizìon  fu  scabilita La  triegua  e  quisto  accordo  eh' è  fra  nui. Come  la  pugna  teco  avrò  finita, Poi  del  destrìer  risponderò  a  costui. Tu  del  tuo  scudo,  rimanendo  in  vita, La  lite  avrai  da  terminar  con  lui; Ma  ti  darò  da  far  tanto,  mi  spero, Che  non  n'avanzerà  troppo  a  Ruggiero. 109  La  parte  che  ti  pensi,  non  n'avrai (Rispose  Mandricardo  a  Rodomonte):Io  te  ne  darò  più  che  non  vorrai, E  ti  farò  sudar  dal  pie  alla  fronte:E  me  ne  rimarrà  per  darne  assai (Come  non  manca  mai  l'acqua  del  fonte) Ed  a  Ruggiero,  ed  a  mill'altri  seco, E  a  tutto  il  mondo  che  la  voglia  meco. 110    Moltiplica van  l'ire  e  le  parole Quando  da  questo  e  quando  da  quel  lato. Con  Rodomonte  e  con  Ruggier  la  vuole Tutto  in  un  tempo  Mandricardo  irato. Ruggier,  eh'  oltraggio  sopportar  non  suole, Non  vuol  più  accordo,  anzi  litigio  e  piato. Marfisa  or  va  da  questo  or  da  quel  canto Per  riparar,  ma  non  può  sola  tanto. Ili    Come  il  villan,  se  fuor  per  l'alte  sponde Trapela  il  fiume,  e  cerca  nuova  strada, Frettoloso  a  vietar  ohe  non  affonde I  verdi  paschi  e  la  sperata  biada, Chiude  una  via  ed  un'altra,  e  si  confonde; Che  se ripara quinci  che  non  cada, Quindi  vede  lassar  gli  argini  molli, E  fuor  l'acqua  spicciar  con  più  rampolli: 112    Cosi,  mentre  Ruggiero  e  Mandricardo E  Rodomonte  son  tutti  sozzopra, Ch  ognun  vuol  dimostrarsi  più  gagliardo, Ed  ai  compagni  rimaner  di  sopra; Marfisa  ad  acchetarli  ave  riguardo, E  s affatica,  e  perde  il  tempo  e  Topra: Che,  come  ne  spicca  uno  e  io  ritira, Gli  altri  duo  risalir  vede  con  ira. 113    Marfisa,  che  volea  porgli  d'accordo, Dicea: Signori,  udite  il  mio  consiglio: Differire  ogni  lite  è  buon  ricordo, Fin  chAgramante  sia  fuor  di  periglio. S' ognun  vuole  al  suo  fatto  essere  ingordo, AnchMo  con  Mandricardo  mi  ripiglio; E  voWedere  alfin  se  guadagnarme. Com'egli  ha  detto,  è  buon  per  forza  d'arme. Stanza  121. 114  Ma  se  si  de' soccorrere  Agramante, Soccorrasi,  e  tra  noi  non  si  contenda. Per  me  non  si  starà  d'andare  innante, Disse  Ruggier,  purché  '1  destrier  si  renda. O  che  mi  dia  il  cavallo  (a  far  di  tante Una  parola),  o  che  da  me  il  difenda: O  che  qui  morto  ho  da  restare,  o  ch'io In  campo  ho  da  tornar  sul  destrier  mio. 115  Rispose  Rodomonte:  Ottener  questo Nun  fia  cosi,  come  quell'altro,  lieve. E  seguitò  dicendo: Io  ti  protesto Che,  s' alcun  dinno  il  nostro  Re  riceve, Fia  per  tua  colpa;  eh'  io  per  me  non  resto Di  fare atempo  quel  che  far  si  deve. Ruggiero  a  quel  pretesto  poco  bada; Ma,  stretto  dal  furor,  stringe  la  spada. 116  Al  Re  d'AIgier  come  cinghiai  n  scaglia E  l'urta  con  lo  scudo  e  con  la  spalla; E  in  modo  lo  disordina  e  sbaraglia, Che  fa  che  d'una  staffa  il  pie  gli  falla. Mandricardo  gli  grida:  0  la  battaglia Differisci,  Ruggfiero,  o  meco  falla: E  crudele  e  felloa  più  che  mai  fosse, Ruggier  sull'elmo  in  questo  dir  percosse. 117  Fin  sul  collo  al  destrier  Ruggier  s'inchina, Né,  quando  vuoisi,  rilevar  si  puote; Perché  gli  sopraggiunge  la  mina Del  figlio  d'Ulien,  che  lo  percuote. Se  non  era  di  tempra  adamantina, Fesso  l'elmo  gli  avria  fin  tra  le  gote. Apre  Ruggier  le  mani  per  V  ambascia; E  l'una  il  fìren,  l'altra  la  spada  lascia. 118  Se  lo  porta  il  destrier  per  la  campagna; Dietro  gli  resta  in  terra  Balisarda. Marfisa,  che  quel  di  fatta  compagna Se  gli  era  darme,  par  ch avvampi  ed  arda, Che  solo  fra  queMuo  cosi  rimagna: E  come  era  magnanima  e  gagliarda, Si  drizza  a  Mandricardo,  e  col  potere Chavea  maggior,  sopra  la  testa  il  fere. 119  Rodomonte  a  Rnggier  dietro  si  spinge: Vinto  è  Frontin,  s' un' altra  gli  n'appicca; Ma  Ricciardetto  con  Yivian  si  stringe, E  tra  Ruggiero  e1  Saracin  si  ficca. L'uno  urta  Rodomonte,  e  lo  respinge, E  da  Rnggier perforzalo  dispicca; L'altro  la  spada  sua,  che  fu  Viviano, Pone  a  Rnggier,  già  risentito,  in  mano. 120  Tosto  che'l  buon  Rnggiero  in  so  ritoma, E  che  Vivian  la  spada  gli  appresenta, A  vendicar  T ingiuria  non  soggiorna, E  verso  il  Re  d'Algier  ratto  s'avventa; Come  il  leon  che  tolto  sn  le  coma Dal  bue  sia  stato,  e  che  '1  dolor  non  senta:Si  sdegno  ed  ira  ed  impeto  l'affretta, Stimola  e  sferza  a  far  la  sua  vendetta. 124  Avea  Marfisa  a  Mandricardo  intanto Fatto  sudar  la  fronte,  il  viso  e  il  petto; Ed  egli  avea  a  lei  fatto  altrettanto: Ma  si  l'usbergo  d'ambi  era  perfetto, Che  mai  poter  &lsarlo  in  nessun  canto. E  stati  eran  sin  qui  pari  in  effetto; Ma  in  un  voltar  che  fece  il  sno  destriero  " Bisogno  ebbe  Marfisa  di  Ruggiero. 125  II  destrier  di  Marfisa  in  un  voltarsi Che  fece  stretto,  ov'  era  molle  il  prato, Sdrucciolò  in  guisa,  che  non  potè  aitarà Di  non  tutto  cader  sul  destro  lato; E  nel  volere  in  fretta  rilevarsi, Da  Brigliador  fu  pel  traverso  urtato. Con  che  il  Pagan  poco  cortese  venne; Si  che  cader  di  nuovo  gli  convenne. 126  Rnggier,  che  la  donzella  a  mal  partito Vide  giacer,  non  differì  il  soccorso. Or  che  l'agio  n'  avea,  poiché  stordito Da  sé  lontan  qnell' altro  era  trascorso. Feri  sn  l'elmo  il  Tartaro;  e  partito Quel  colpo  gli  avria  il  capo  comeun  torso, Se  Ruggier  Balisarda  avesse  avuta, 0  Mandricardo  in  capo  altra  barbuta. 121  Ruggier  sul  capo  al  Saracin  tempesta: E  se  la  spada  sua  si  ritrovasse. Che,  come  ho  detto,  al  cominciar  di  questa Pugna,  di  man  gran  fellonia  gli  trasse Mi  credo  eh' a  difendere  la  testa Di  Rodomonte  l'elmo  non  bastasse, L'elmo  che  fece  il  Re  far  dì  Babelle, Quando  muover  pensò  guerra  alle  stelle. 122  La  Discordia,  credendo  non  potere Altro  esser  quivi  che  contese  e  risse, Né  vi  dovesse  mai  più  luogo  avere 0  pace  0  triegua,  alla  sorella  disse Ch'  omai  sicuramente  a  rivedere 1  monachetti  suoi  seco  venisse Lasciamle  andare,  e  stiam  noi  dove  in  fronte Ruggiero  avea  ferito  Rodomonte. 123  Fu  il  colpo  di  Ruggier  di  sì  gran  forza. Che  fece  in  su  la  groppa  di  Frontino Percuoter  l'elmo  e  quella  dura  scorza Di  eh' avea  armato  il  dosso  il  Saracino, E  lui  tre  volte  e  quattro  a  poggia  e  ad  orza Piegar  per  gire  in  terra  a  capo  chino; E  la  spada  egli  ancora  avria  perduta. Se  legata  alla  man  non  fosse  suta. 127  II  Re  d'Algier,  che  si  risente  in  questo, Si  volge  intomo,  e  Ricciardetto  vede; E  si  ricorda  che  gli  fa  molesto Dianzi,  quando  soccorso  a  Ruggier  diede. A  lui  si  drizza;  e  saria  stato  presto A  dargli  del  ben  fare  aspra  mercede, Se  con  grande  arte  e  nuovo  incanto  tosto Non  se  gli  fosse  Malagigi  opposto. 128  Malagigi,  che  sa  d'ogni  malia Quel  che  ne  sappia  alcun  mago  eccellente, Ancorché  '1  libro  suo  seco  non  sia, Con  che  fermare  il  sole  era  possente. Pur  la  scongiurazione,  onde  solia Comandare  ai  demonii,  aveva  a  mente: Tosto  in  corpo  al  ronzino  un  ne  constringe Di  Doralice,  ed  in  furor  lo  spinge. 129  Nel  mansueto  ubino,  che  sul  dosso Avea  la  figlia  del  re  Stordilano, Fece  entrar  un  degli  angel  di  Minosse Sol  con  parole  il  frate  di  Viviano:E  quel  che  dianzi  mai  non  s' era  mosso, Se  non  quanto  ubbidito  avea  alla  mano, Or  d'improvviso  spiccò  in  aria  un  salto Che  trenta  pie  fu  lungo,  e  sedid  alto. 130    Fu  grande  il  salto,  non  però  di  sorte, Che  ne  dovesse  alcun  perder  la  sella. si  vide  in  alto,  gridò  forte (Che  si  tenne  per  morta)  la  donzella. Quel  ronzin,  come  il  Diavol  se  lo  porte, Dopo  un  gran  salto  se  ne  va  con  quella, pur  grida  soccorso,  in  tanta  fretta, Che  non  T  avrebbe  giunto  una  saetta. 181    Dalia  battaglia  il  figlio  d'Ulieno Si  levò  al  primo  suon  di  quella  voce; E  dove  furiava  il  palafreno, Per  la  donna  aiutar,  n'andò  veloce. Mandrìcardo  di  lei  non  fece  meno:Ma,  senza  chieder  loro  o  paci  o  tregue, E  Rodomonte  e  Doraiice  segue. 132  Marfisa  intanto silevò  di  terra; E  tntta  ardendo  di  disdegno  e  d'ira, Credesi  far  la  sua  vendetta,  ed  erra; Ruggier,  ch'aver  tal  fin  vede  la  guerra, Rugge  come  un  leon,  nonché  sospira. Ben  sanno  che  Frontino  e  Brìgb'adoro Giunger  non  ponno  coi  cavalli  loro. 133  Ruggier  non  vuol  cessar  finché  decisa Col  Re  d'Algier  non  l'abbia  del  cavallo:Non  vuol  quietar  il  Tartaro  Marfisa; Che  provato  a  suo  senno  ancor  non  hallo. la  sua  querela  a  questa  guisa Parrebbe  all'uno  e  all'altro  troppo  fallo. Di  comune  parer  disegno  fassi Di  chi  offesi  gli  avea  seguire  i  passi. 134  Nel  campo  saracin  li  troveranno. Quando  non  possa  ritrovarli  prima; Che  per  levar  l'assedio  iti  saranno, Prima  che  '1  Re  di  Francia  il  tutto  opprima. drittamente  se  ne  vanno Già  non  andò  Ruggier  co  di  botto, Che  non  facesse  ai  suoi  compagni  motto. E  se  gli  prefiferisce  in  ogni  parte Amico,  per  fortuna  e  buona  e  fella:ludi  lo  priega  (e  lo  fa  con  héìV  arte) Che  saluti  in  suo  nome  la  sorella; E  questo  cosi  ben  gli  venne  detto, né  a  lui  die  né  agli  altri  alcun  sospetto. 136  E  da  lui,  da  Vivian,  da  Malagigi, Dal  ferito  Aldigier  tolse  commiato. lui,  debitor sempre  in  ogni  lato. Marfisa  avea  si  il  cor  d'ire  a  Parigi, Che  '1  salutar  gli  amici  avea  scordato; Malagigi  andò  tanto  e  Viviano, pur lasalutaron  n  cavaliere,  i  tre  giovani  e  il  leone  di  que sta ottava,  8on  quelli  stessi  designati  a  nome  nelle  due ORLANDO  FUBIOSO. segnenti,  cioè  Francesco  I  di  Francia,  Massimiliano d'Austria,  Carlo  V,  Arrigo  Ylil  dlnghilterra,  e  Leone  X papa.  "  Rimane  nn  dabbio  (scrive  Giaointo  Casella)  per chè dia  a  tntti  questi  il  vestimento  tessuto  a  gigli  d'oro; il  òhe  a  prima  vista  gli  farebbe  creder  tutti  della  real casa  di  Francia.  Per  Leone  X  codesta  insegna  del  giglio facilmente,  perché  fiorentino  e  Medici;  ma  per gli  altri  tre?  Forse  qui  il  giglio  d'oro  è  quello  impresso fiorino,  preo  a  simbolo  di  liberalità.  Il  cavaliere coronato  d'alloro  credo  che  sia  non  Francesco  di  Fmncia come  intendono  i  più,  ma  Timperatore  Massimiliano; altrimenti  esìì  dovrebbe  essere  uno  dei  tre  giovani,  e quando  l'Ariosto  scriveva  questo,  aveva  più  di  cin quant'anni.  " St.  35.  V.6.   Gorgiera  t  qui  gola. .  V.7.   Fige,  trafigge.St  41.  V.5   Qwil  Pitont  ecc.: nome  di  uno  smi surato serpente  che  i  mitologi  dissero  generalo  dalla Terra  dopo  il  diluvio,  e  ucciso  da  Apollo. St.  44.  V.78.   Dal  furor,  ecc.: allude  agli  Sviizeri, ,  sebbene  allora  pastori  e  bifolchi,  eransi  armati  con tro le  forze  di  Francia. St.  45.  V.78.   Nella  battaglia  di  Mariemano,  che  il Trivulzio  chiamò  battaglia  digiganti.Espugnerà  il castello  ecc,  quello  di  Milano. St.  47.  V.45.   Di  chi  mostrolla,  ecc.:  intende  di Annibale,  che  sconfisse  i  Romani  nei  luoghi  indicati.  Con  la  fortuna  ecc.: parlasi  forse  della  fortuna  che  ar rideva al  re  Francesco  nel  1515,  quando  sali  in  trono,  e l'Autore  scrìveva  questi  versi. St.  48.  V.57.   Quivi  un  Bernardo y  ecc.:  il  cardi nale Bernardo  Divìzio  da  Bibbiena,  che  scrisse  la  celebre commedia  Calandra. St.  49.  V.23.   A  Siamondo  ecc.:  tre  cardinali,  Si gismondo Oomaga,  Giovanni  Salviati,  Lodovico  d'Ara gona. St.  50.  V.1.   Quidobaldo  H  figlio  di  Francesco  Maria. FIASCO  scrive  latin,  l'Ar.)  erano  fratellL  Dm  ""wM nacque  quel  Gian  Luigi  che  peri  nella  coBrn%  coiei i  Doria.   v.58.  Luigi  Gonzaga,  amante  delle  arai  i della  poesia.  Mori  a  33  anni  d'nn  arehibiuriaCa. St.  51.  V.1.   Ercole  I  ed  Ercole  II,  daehi  di  FeiraL due  Ippoliti  sono  il  cardinale  a  cai  V  Ariosto  éùb il  poema  e  l'altro  pur  cardinale  figlio  d' AUbofte  "  t Lucrezia  Borgia.   v.23.  Ercole  Oonzmi.,  aack' .  L'altro  Ippolito  ò  fratello  di  Leone  X;;r" tesse  i  letterati,  coltivò  le  lettere. St.  52.  V.34.   Lo  scoglio,  ecc.:  risola  dIhia   I piedi  d angue:  I  poeti  finsero  che  i  eigaati  avenss i  piedi  d'angue,  ossia  terminassero  in  ayvolmenti  ar pontini,  onde  li disseroangttipedi. St.  53.  V.14.   Lo  spagnuolo  Consalvo  detto  Ofm Capitano.   v.5.  Guglielmo,  marchese  di  Howaaau, della  famiglia  dei  Paleologhi. St.  74.  V.6   Avaceio,  subito. St.  81.  V.78.   Tal  nel  campo  troianPieniesUeaett. questa  regina  delle  Amazzoni  fu  adia<3ice  éé'TwtIm contro  i  Greci,  e  più  volte  combattè  con  Addile. St.  91.  V.8.   Appresso  a  porre  il  mrso:  rUtas  i dare  l'estrema  sconfitta. St.  93.  y.  5.   Faville: qui  s  intende  quella  tmmt sottile  ohe  ricuopre  la  brace;  e  raetaforicameate  It  iv gioni  che  impedivano  Rodomonte  di  accettare  la  tur" desiderata  battaglia  con  Ruggiero. St.  100.  V.2.   L'augel,  ee.:  l'aquila. Ivi.  Y.  34.   n  castello  della  fata  di  5ria;  oomb  ììh l'Ariosto  al  canto  XIV,  Se.  31. St.  111.  V.7.   Lassare;  qui,  per  sctofflitrsL St.  124.  y.  5.   Falsarlo: qui  guastarlo. St.  128.  y.  14.   Malagigi  avea  stadiato  magia  t Toledo,  e  la  professava. St.  129.  y.  3.   Un  degli  angel  di  Hiinosso:  BBdto volo  di  quelli  che  ministrano  a  Minos,  costituito  da  Gìoh giudice  nell'inferno. Canto  XXVII. CAJsTO  VENTESIMOSETllMO. ARGOMENTO. Mandri&aplOf  Rufrgiero,Rojlomoiité  e  MarÉlsap  iiissguendo Doralice  (giungono  sotto  Parigi,  ft.salgono  T  esercito cristiaiio.e  resp intono  Carlo  dentro  le  mura.  Ciò  fatto, tonsano  alle  p rare d finti pare.  11  re  africano  rittiettfl itelFarbitrio  di  T>oraUce  lo  scegliere  fra  Slanddianlo e  Rodoraoirte;  iii.sti  d  H fintato,  onde  si  parte  indi spettito, con  disenfilo  di  tornarsene  in  Afrìpa;  bi3  al loggia una  sera  presso  un  albergatore  sulla  Saona. Molti  concigli  delle  donne  .sono Mejlio  improTYi.so,  eh' a  pensarvi,  usciti; ('Ile  questo  è  fpeziale  e  proprio  dono Fra  tanti  e  tanti  lor  dal  ciel  largiti: Ma  pnò  mal  quel  degli  uouiini  esser  buono; Che  maturo  discorso  non  aiti, Ove  non  s'abbia  a  ruminarvi  sopra Speso  alcun  tempo  e  molto  studio  ed  opra. Parve,  e  non  fa  però  buono  il  consiglio Di  Malagigi,  ancorché  (come  ho  detto) Per  questo  di  grandissimo  periglio Liberasse  il  cogin  sno  Ricciardetto. levare  indi  Rodomonte  e  il  figlio Del  re  Agrican,  lo  spirto  avea  constretto, Non  avvertendo  che  sarebbon  tratti Dove  i  Cristian  ne  rimarrian  disfatti. Ma  se  spazio  a  pensarvi  avesse  ATOto, Creder  si  può  che  dato  similmente Al  sno  cugino  avria  debito  aiuto, Né  fatto  danno  alla  cristiana  gente. Comandare  allo  spirto  avria  potuto, Ch  alla  via  di  levante  o  di  ponente Si  dilungata  avesse  la  donzella, Che  non  n  udisse  Francia  più  novelia. Stanza  6. Cosi  gli  amanti  suoi  Pavrìan  seguita, Come  a  Parigi,  anco  in  ogn  altro  loco; Ma  fu  quest'avvertenza  inavvertita DaMalagigi,  per  pensarvi  poco:E  la  Malignità  dal  ciel  bandita, Che  sempre  vorria  sangue  e  strage  e  fuoco, Prese  la  via  donde  più  Carlo  afflisse, Poiché  nessuna  il  mastro  gli  prescrìsse. palafren,  eh' avea  il  demonio  al  bs> Portò  la  spaventata  Doralice, Che  non  potè  arrestarla  fiume,  e  manco Fossa,  bosco,  palude,  erta  o  pendice, Finché  per  mezzo  il  campo  inglese  e  frtfco, £  r  altra  moltitudine  fautrice Deir  insegne  di  Cristo,  rassegnata Non  r  ebbe  al  padre  suo  re  di  Granata Bodomonte  col  figlio  dAgricane La  segnitaro  il  primo  giorno  un  pezzo, Che  le  yedean  le  spalle,  ma  lontane. Di  yista  poi  perderonla  da  sezzo, E  venner  per  la  traccia,  come  il  cane La  lepre  o  il  caprì'ol  trovare  avvezzo; Né  si  fermar,  che  foro  in  parte  dove Di  lei,  eh'  era  col  padre,  ebbono  nuove. Guardati,  Carlo;  che  ti  vien  addosso Tanto  furor,  eh'  io  non  ti  veggo  scampo:Né  questi  pur;  ma  1  re  Gradasso  è  mosso Con  Sacripante  a  danno  del  tuo  campo. Fortuna,  per  toccarti  fin  air  osso, Ti  tolle  a  un  tempo  Tuno  e  l'altro  lampo Di  forza  e  di  saper,  che  vivea  teco; E  tu  rimase  in  tenebre  sei  cieco. W0 stanza  10,Io  ti  dico  d'Orlando  e  di  Rinaldo; Che  l'uno  al  tutto  furioso  e  folle. Al  sereno,  alla  pioggia,  al  freddo,  al  caldo, Nudo  va  discorrendo  il  piano  e'I  colle:L'altro  con  senno,  non  troppo  più  saldo, D'appresso  al  gran  bisogno  ti  si  tolle; Che,  non  trovando  Angelica  in  Parigi, Si  parte,  e  va  cercandone  vestigi. Un  fudolente  vecchio  incantatore Gli  fé' (come  a  principio  vi  si  disse) Creder  per  un  fantastico  suo  errore, Che  con  Orlando  Angelica  venisse: Onde  di  gelosia  tocco  nel  core. Della  maggior  eh'  amante  mai  sentisse, Venne  a  Parigi;  e  come  apparve  in  corte, D'ire  in  Bretagna  gli  toccò  per  sorte. 10  Or,  fatta  la  battaglia  onde  portonne Egli  l'onor  d'aver  chiuso  Agramante, Tornò  a  Parigi,  e  monister  di  donne; E  case  e  rocche  cercò  tutte  quante. Se  murata  non  é  tra  le  colonne, L'avria  trovata  il  curioso  amante. Vedendo  alfin  ch'ella  non  v'é  né  Orlando, Amenduo  va  con  gran  disio  cercando. 11  Pensò  che  dentro  Anglante  o  dentro  a  Brava Se  la  godesse  Orlando  in  festa  e  in  giuoco; E  qua  e  là  per  ritrovarla  andava, Né  in  quel  la  ritrovò  né  in  questo  loco. A  Parigi  di  nuovo  ritornava, Pensando  che  tardar  dovesse  poco Di  capitare  il  Paladino  al  varco; Ché'l  suo  star  fuor  non  era  senza  incarco. 12    Un  giorno  o  duo  nella  città  soggiorna Rinaldo;  e  poich'  Orlando  non  arriva, Or  verso  Anglante,  or  verso  Brava  torna, Cercando  se  di  lui  novella  udiva. Cavalca  e  quando  annotta  equandoaggiorna, Alla  fresca  alba  e  ali  ardente  ora  estiva; E  fk  al  lume  del  sole  e  della  luna Dugento  volte  questa  via,  non  ch'una. Stanza  15. 13  Ma  l'antiquo  avversario,  il  qual  fece  Eva All'interdetto  pome  alzar  la  mano A  Carlo  un  giorno  i  lividi  occhi  leva, Che'l  buon  Rinaldo  era  da  lui  lontano; E  vedendo  la  rotta  che  poteva Darsi  in  quel  punto  al  popolo  cristiano, Quanta  eccellenzia  d'arme  al  mondo  fusse Fra  tutti  i  Saracini,  ivi  condusse. 14  Al  re  Gradasso  e  al  buon  re  Sacripante, Ch'eran  fatti  compagni  all'uscir  fuore Della  piena  d' error  casa  d' Atlante, Di  venire  in  soccorso  messe  in  core Alle  genti  assediate  d'Agramante, E  a  distruzion  di  Carlo  imperatore: Ed  egli  per  T  incognite  contrade FeMor  )a  scorta,  e  agevolò  le  strade. 15  Et  ad  un  altro  suo  diede  negozio D'affrettar  Rodomonte  e  Mandrìcardo Per  le  vestigie  donde  l'altro  sozio A  condur  Doralice  non  è  tardo. Ne  manda  ancor  un  altro,  perchè  in  ozio Non  stia  Marfisa  né  Ruggier  gagUardo: Ma  chi  guidò  l'ultima  coppia,  tenne La  briglia  più;  nò  quando  gli  altri,  venne. 16  La  coppia  di  Marfisa  e  di  Roggiero Di  mezza  ora  più  tarda  si  condusse; Però  ch'astutamente  l'angel  nero. Volendo  agli  Cristian  dar  delle  busse, Provvide  che  la  lite  del  destriero 

Per  impedire  il  suo  desir  non  fusse; Che  rinnovata  si  saria,  se  giunto Fosse  Ruggiero  e  Rodomonte  a  on  ponto. 17  I  quattro  primi  si  trovaro  insieme Onde  potean  veder  gli  alloggiamenti Dell'esercito  oppresso  e  di  chi'l  preme, E  le  bandiere  in  che  feriano  i  venti:Si  consigliare  alquanto;  e  fur  l'estreme Conclusì'on  dei  lor  ragionamenti, Di  dare  aiuto,  mal  grado  di  Carlo  . Al  re  Agramante,  e  dall'assedio  trarlo. 18  Stringcnsi  insieme,  e  prendono  la  via Per  mezzo  ove  s'alloggiano  i  Cristiani, Gridando,  Africa  e  Spagna  tuttavia; E  si  scoprirò  in  tutto  esser  Pagani. Pel  campo,  arme,  arme  risonar  s'udia; Ma  menar  si  sentir  prima  le  mani:E  della  retroguardia  una  gran  frotta, Non  ch'assalita  sia,  ma  fugge  in  rotta. 19  L'esercito  Cristian,  mosso  a  tumulto, Sozzopra  va  senza  sapere  il  h.tu>. Estima  alcun  che  sia  un  usato  insulto Che  Svizzeri  o  Guasconi  abbino  fatto. Ma  perch'alia  più  parte  è  il  caso  occulto, S'aduna  insieme  ogni  nazion  di  fatto. Altri  a  suon  di  tamburo,  altri  di  tromba:Grande  è  '1  rumore,  e  fin  al  ciel  rimbomba 20  II  magno  Imperator,  fuorché  la  testa, É  tutto  armato,  e  i  Paladini  ha  presso; E  domandando  vien  che  cosa  è  questa, Che  le  squadre  in  disordine  gli  ha  messo; E  minacciando,  or  questi  or  quelli  arresta; E  vede  a  molti  il  viso  o  il  petto  fesso, \i\  altri  insanguinare  o  il  capo  o  il  gozzo. Alcuu  toruar  cou  mano  o  braccio  mozzo. 1  Giunge  più  iunauzi,  e  ne  ritrova  molti Giacere  in  terra,  anzi  in  vermiglio  lago Nel  proprio  sangue  orribilmente  involti, Né  giovar  lor  pnò  medico  né  mago; E  vede  dagli  busti  i  capi  sciolti, E  braccia  e  gambe  con  crudele  imago; E  ritrova,  dai  primi  alloggiamenti Agli  ultimi,  per  tutto  uomini  spenti. 2  Dove  passato  era  il  piccol  drappello, Di  chiara  fama  eternamente  degno, Per  lunga  riga  era  rimaso  quello Al  mondo  sempre  memorabil  segno. Carlo  mirando  va  il  crudel  macello, Maraviglioso,  e  pien  d'ira  e  di  sdegno:Come  alcuno  in  cui  danno  il  fùlgur  venne, Cerca  per  casa  ogni  sentier  che  tenne. 23  Non  era  agli  ripari  anco  arrivato Del  re  african  questo  primiero  aiuto, Che  con  Marfisa  fu  da  un  altro  lato L  animoso  Ruggier  sopravvenuto. Poi  ch'una  volta  o  due  l'occhio  aggirato Ebbe  la  degna  coppia,  e  ben  veduto Qual  via  più  breve  per  soccorrer  fosse L'assediato  signor,  ratto  si  mosse. 24  Come  quando  si  dà  fuoco  alla  mina, Pel  lungo  solco  della  negra  polve Licenziosa  fiamma  arde  e  cammina Si,  ch'occhio  addietro  a  pena  se  le  voi  ve; E  qual  si  sente  poi  l'alta  ruìna Che'l  duro  sasso  a%ì  grosso  muro  solve 

Cosi  Ruggiero  è  lléirfisa  veniro, E  tai  nella  battaglia  si  sentirò. .S.i stanza  1& i6    Per  lungo  e  per  traverso  a  fender  teste Tncominciaro,  e  tagliar  braccia  e  spalle Delle  turbe  che  mal  erano  preste Ad  'espedire  e  sgombrar  loro  il  calle. Chi  ha  notato  il  passar  delle  tempeste, Ch'una  parte  d'un  monte  o  d'una  valle Offerde,  e  l'altra  lascia;  s'appresenti La  via  di  questi  duo  fra  quelle  genti. 26    Molti  che  dal  furor  di  Rodomonte E  di  quegli  altri  primi  eran  fuggiti. Dio  ringraziavan,  ch'avea  lor  si  pronte Gambe  concesse,  e  piedi  si  espediti; E  poi  dando  del  petto  e  della  fronte In  Marfisa  e  in  Ruggier,  vedean,  scherniti, Come  l'uom  né  per  star  né  per  fuggire, Al  suo  fisso  destin  può  contraddire. 27  Chi  fugge  l'un  pericolo,  rimane Nell'altro,  e  paga  il  fio  d'ossa  e  di  polpe. Così  cader  coi  figli  in  bocca  al  cane Suol,  sperando  fuggir,  timida  volpe, Poiché  la  caccia  dell'antique  tane Il  suo  vicin  che  le  dà  mille  colpe, E  cautamente  con  fumo  e  con  fuoco Turbata  l'ha  da  non  temuto  loco. 28  Negli  ripari  entrò  de'  Saracini Marfisa  con  Ruggiero  a  salvamento. Quivi  tutti  con  gli  occhi  al  ciel  supini Dio  ringraziar  del  buono  avvenimento. Or  non  v'  è  più  timor  de'  Paladini; Il  più  tristo  pagan  ne  sfida  cento; Ed  é  concluso  che  senza  riposo Si  tomi  a far  il  campo  sanguinoso. 29    Corni,  bussoni,  timpani  moreschi Empiéno  il  ciel  di  formidabil  suoni:Nell'aria  tremolare  ai  Tenti  freschi Si  veggon  le  bandiere  e  i  gonfaloni. Dall'altra  parte  i  capitan  Carleschi Stringon  con  Alamanni  e  con  Britoni Quei  di  Francia,  d'Italia  e  d  Inghilterra; E  si  mesce  aspra  e  sanguinosa  guerra. 30    La  forza  del  terrìbil  Rodomonte, Quella  di  Mandricardo  furibondo. Quella  del  buon  Ruggier,  di  virtù  fonte. Del  re  Gradasso  si  famoso  al  mondo, E  di  Marfisa  T intrepida  fronte. Col  re  Circasso  a  nessun  mai  secondo, Feron  chiamar  San  Gianni  e  San  Dionigi Al  re  di  Francia,  e  ritrovar  ParìgL stanza  22. 31    Di  questi  cavalieri  e  di  Marfisa 'L'ardire  invitto  e  la  mirabil  possa Non  fu  f  signor,  di  sorte,  non  fu  in  guisa Ch'immaginar  non  che  descriver  possa. Quindi  si  può  stimar  che  gente  uccisa Fosse  quel  giorno,  e  che  crudel  percossa Avesse  Carlo.  Arroge  poi  con  loro Con  Ferraù  più  dun  famoso  Moro. 2    Molti  per  fìretta  s'aifogaro  in  Senna (Che  '1  ponte  non  pò  tea  supplire  a  tanti), E  desVàr,  come  Icaro .  la  penna, Perchè  la  morte  avean  dietro  e  davanti. Eccetto  Uggieri  e  il  marchese  di  Vienna, I  Paladin  fur  presi  tutti  quanti Olivier  ritornò  ferito  sotto La  spalla  destra,  Uggier  col  capo  rotto. 33  E  se, comeRinaldo  e  come  Orlando, Lasciato  Brandimarte  avesse  il  giuoco, Carlo  n'  andava  di  Parigi  in  bando, Se  potea  vivo  uscir  di  si  gran  fuoco. Ciò  che  potè,  fé' Brandimarte;  e  quando Non  potè  più,  diede  alla  furia  loco. Cosi  Fortuna  ad  Agramante  arrise, Ch' un' altra  volta  a  Carlo  assedio  mise. 34  Di  vedovelle  i  gridi  e  le  querele, E  d'orfani  fanciulli,  e  di  vecchi  orbi, Nell'eterno  seren,  dove  Michele Sedt  a,  salir  fuor  di  questi  aer  torbi; E  gli  fecion  veder  come  il  fedele Popol  preda  deMupi  era  e  de'corbi, Di  Francia,  d'Inghilterra  e  di  Lamagna, Che  tutta  avea  coperta  la  campagna. 35  Nel  viso  s' arrossi  V  Angel  beato, Parendogli  che  mal  fosse  ubbidito Al  Creatore,  e  si  chiamò  ingann&to Dalla  Discordia  perfida,  e  tradito. D'accender  liti  tra  i  Pagani  dato Le  avea  l'assunto,  e  mal  era  eseguito; Anzi  tutto  il  contrario  al  suo  disegno Parea  aver  fatto,  a  chi  guardava  al  segno. 36  Come  servo  fedel,  che  più  d'amore Che  di  memoria  abbondi,  e  che  s'aweggia Aver  messo  in  oblio  cosa  eh' a  core Quanto  la  vita  e  l'anima  aver  deggia; Studia  con  fretta  d'emendar  l'errore. Né  vuol  che  prima  il  suo  signor  lo  veggia: Così  r  Angelo  a  Dio  salir  non  volse, Se  dell'obbligo  prima  non  si  sciolse. stanza  25. 37  Al  monister,  dove  altre  volte  avea LaDiscordia  veduta,  drizzò  l'ali. Trovolla  ch'in  capitolo  sedea A  nuova  elezì'on  degli  ufficiali; E  di  veder  diietto  si  prendea. Volar  pel  capo  a' frati  i  breviali. Le  man  le  pose  l'Angelo  nel  crine, E  pugni  e  calci  le  die  senza  fine. 38  Indi  le  roppe  un  manico  di  croce Per  la  testa,  pel  dosso  e  per  le  braccia. Mercè  grida  la  misera  a  gran  voce, E  le  ginocchia  al  divin  nunzio  abbraccia. Michel  non  l'abbandona,  che  veloce Nel  campo  del  re  d' Africa  la  caccia; E  poi  le  dice: Aspettati  aver  peggio, Se  fuor  di  questo  campo  più  ti  veggio. 39  Comechè  la  Discordia  avesse  rotto Tutto  il  dosso  e  le  braccia,  pur  temendo Un'altra  volta  ritrovarsi  sotto A  quei  gran  colpi,  a  quel  furor  tremendo, Corre  a  pigliare  i  mantici  di  botto, Ed  agli  accesi  fuochi  esca  aggiungendo, Ed  accendendone  altri,  fa  salire Da  molti  cori  un  alto  incendio  d'ire. 40  E  Rodomonte  e  Mandricardo  e  insieme Ruggier  n'  infiamma  sì,  che  innanzi  al  Moro Li  fa  tutti  venire,  or  che  non  preme Carlo  i  Pagani,  anzi  il  vantaggio  è  loro. Le  differenzie  narrano,  ed  il  seme Fanno  saper,  da  cui  produtte  foro:Poi  del  re  si  rimettono  al  parere, Chi  di  lor  prima  il  campo  debba  aGELANDO  PUEIOSO. 41    Marfisa  del  suo  caso  anco  favella, E  dice  che  la  pugna  yaol  finire, Che  cominciò  col  Tartaro;  perchella Provocata  da  lui  vi  fn  a  venire:Né  per  dar  loco  air  altre,  volea  quella Un'  ora,  non  che  un  giorno,  differire; Ma  d'esser  prima  U  l'instanzia  grande, Ch'alia  battaglia  il  Tartaro  domande. 42    Non  men  vuol  Rodomonte  il  ]irìmo  crnspc Da  terminar  col  suo  rivai  l'impresa Che,  per  soccorrer  l'africano  campo, Ha  già  interrotta  e  fin  a  qui  sospesa. Mette  Ruggier  le  sue  jKirole  a  campo. E  dice  che  patir  troppo  gli  pesa, Che  Rodomonte  il  suo  destrier  gli  tena, E  eh' a  pugna  con  luì  prima  non  vengm. stanza  32. 43    Per  più  intricarla  il  Tartaro  vien  anche, E  niega  che  Ruggiero  ad  alcun  patto Debba  l'aquila  aver  dall'ale  bianche;         E  d'ira  e  di  furore  è  cosi  matto, Che  vuol,  quando  dagli  altri  tre  non  manche, Combatter  tutte  le  querele  a  un  tratto. Né  più  dagli  altri  ancor  saria  mancato, Se  '1  consenso  del  re  vi  fosse  stato. 45    Fé  quattro  brevi  porre: un  Mandricardo E  Rodomonte  insieme  scritto  avea, Nell'altro  era  Ruggiero  e  Mandricardo; Rodomonte  e  Ruggier  l'altro  dicea; Dicea  l'altro  Marfisa  e  Mandricardo. Indi  all' arbitrio  dell' instabii  Dea Li  fece  trarre;  e  '1  primo  fu  il  signore Di  Sarza  a  uscir  con  Mandricardo  faore. 44    Con  prieghi  il  re  Agramant  e  buon  ricordi Fa  quanto  può,  perchè  la  pace  segua: E  quando  alfin  tutti  li  vede  sordi Non  volere  assentire  a  pace  o  a  triegua, Va  discorrendo  come  almen  gli  accordi Si,  che  l'un  dopo  l'altro  il  campo  assegna; E  pel  miglior  partito  alfin  gli  occorre, Ch'ognuno  a  sorte  il  campo  s'abbia  a  tórre. 46    Mandricardo  e  Ruifgier  fu  nel  secondo; Nel  terzo  fu  Ruggiero  e  Rodomonte: Restò  Marfisa  e  Mandricardo  in  fondo; Di  che  la  donna  ebbe  turbata  fronte Né  Ruggier  più  di  lei  parve  giocondo: Sa  che  le  forze  dei  duo  primi  pronte Han  tra  lor  da  finir  le  liti  in  guisa, Che  non  ne  fia  per  sé,  né  per  Marfisa. 47    Giacea  non  longi  da  Parigi  un  loco, Che  volgea  nn  miglio  o  poco  meno  intorno: Lo  cingea  tatto  un  argine  non  poco Sublime .  a  guisa  d  un  teatro  adorno. Un  Castel  già  vi  fu  j  ma  a  ferro  e  a  fuoco Le  mura  e  i  tetti  ed  a  ruina  andomo. Un  simil  può  vederne  in  su  la  strada, Qual  volta  a  Borgo  il  Parmigiano  vada. 50  Sedeva  in  tribunale  ampio  e  sublime Il  re  d  Africa,  e  seco  era  V  Ispano; Poi  Stordilano,  e  T  altre  genti  prime Che  riveria  l'esercito  pagano. Beato  a  chi  pdn  dare  argini  e  cime D'arbori  stanza  che  gli  alzi  dal  piano! Grande  è  la  calca,  e  grande  in  ogni  lato Popolo  ondeggia  intomo  al  gran  steccato. 51  Eran  con  la  regina  di  Casdglia Regine  e  principesse  e  nobil  donne 

D'Aragon,  di  Granata  e  di  Siviglia, E  fin  di  presso  all' atlantee  colonne:Tra  qua!  di  Stordi  lan  sedea  la  figlia, Che  di  duo  drappi  avea  le  ricche  gonne; L'un  d'un  rosso  mal  tinto,  e  l'altro  verde; Ma'!  primo  quasi  imbianca,  e  il  color  perde. 48  In  questo  loco  fu  la  lizza  fatta, Di  brevi  legni  d' ogn'  intorno  chiusa, Per  giusto  spazio  quadra,  al  bisogno  atta, Con  due  capaci  porte,  come  s'usa. Giunto  il  di  ch'ai  re  par  che  si  combatta Tra  i  cavalier  che  non  ricercan  scusa, Furo  appresso  alle  sbarre  in  ambi  i  lati Con  tra  i  rastrelli  i  padiglion  tirati. 49  Nel  padiglion  eh' è  più  verso  ponente Sta  il  re  d'Algier,  e' ha  membra  di  gigante Gli  pon  lo  scoglio  indosso  del  serpente L'ardito  Ferraù  con  Sacripante. re  Gradasso  e  Falsiron  possente Sono  in  quell'altro  al  lato  di  levante, E  metton  di  sua  man  l'arme  troiane Indosso  al  successor  del  re  Agricaiie. stanza  l 2    In  abito  succinta  era  Marfisa, Qual  si  convenne  a  donna  ed  a  guerriera. Termodonte  forse  a  quella  guisa Vide  Ippolita  ornarsi  e  la  sua  schiera Già,  con  la  cotta  d'arme  alla  divisa Del  re  Agramante,  in  campo  venut'era L'araldo  a  far  divieto  e  metter  leggi, Che  né  in  fatto  né  in  detto  alcun  parteggi. 53    La  spessa  torba  aspetta  disiando La  pugna,  e  spesso  incolpa  il  yenir  tardo Dei  duo  famosi  cavalieri;  qnando Sode  dal  padiglion  di  Mandricardo Alto  rumor,  che  vien  moltiplicando. Or  sappiate,  signor,  che '1  re  gagliardo Di  Serlcana  e  U  Tartaro  possente Fanno  il  tnmnlto  e  '1  grido  che  si  sente. Stanza  50. 54    Avendo  armato  il  re  di  Sericana Di  sua  man  tutto  il  re  di  Tartaria, Per  porgli  al  fianco  la  spada  soprana, Che  già  d Orlando  fa,  se  ne  venia; Qnando  nel  pome  scritto,  Durindana Vide,  e  U  quartier  eh'  Almonte  aver  solia, Oh' a  quel  meschin  fu  tolto  ad  una  fonte Dal  giovenetto  Orlando  in  Aspramonte. 66    Vedendola,  fa  certo  ch'era  quella Tanto  famosa  del  signor  d'Auglante, Per  cui  con  grande  armata,  e  la  più  bella Che  giammai  si  partisse  di  Levante, Soggiogato  avea  il  regno  di  Castella, £  Francia  vinta  esso  pochi  anni  innante:Ma  non  può  immaginarsi  come  avvenga Ch'or  Mandricardo  in  suo  poter  la  tenga. 66    E  domandogli  se  per  forza  o  patto. L'avesse  tolta  al  Conte,  e  dove  e  qnaoda E  Mandricardo  disse  eh' avea  fatt Gran  battaglia  per  essa  con  Orlando; E  come  finto  quel  s'era  poi  matto, Così  coprire  il  suo  timor  sperando, Ch'  era  d'aver  continua  guerra  meco, Finché  la  buona  spada  avesse  seco. 57  E  dicea  ch'imitato  avea  il  Castore, Il  qual  si  strappa  i  genitali  sni, Vedendosi  alle  spalle  il  cacciatore, 

Che  sa  che  non  ricerca  altro  da  lui Gradasso  non  udì  tutto  il  tenore, Che  disse: Non  vo'  darla  a  te  né  altmL Tant'  oro  .  tanto  affanno  e  tanta  gente Ci  ho  speso,  che  è  ben  mia  debitamente. 58  Cercati  pur  fornir  d' un'altra  spada: Ch'  io  voglio  questa,  e  non  ti  paia  noom Pazzo  0  saggio  eh'  Orlando  se  ne  Tadi, Averla  intendo,  ovunque  io  la  rìtroYO. Tu  senza  testimoni  in  su  la  strada Te  r  usurpasti: io  qui  lite  ne  maoro. La  mia  radon  dirà  mia  scimitarra; E  faremo  il  giudicio  nella  sbarra. 59  Prima,  di  guadagnarla  t'apparecchia, Che  tu  Tadopri  contra  Rodomonte. Di  comprar  prima  l'arme  è  nsania  vecda Ch'alia  battaglia  il  cavalier  s'affrontc. Piò  dolce  suon  non  mi  viene  all'orecchiai Rispose  alzando  il  Tartaro  la  fronte, Che  quando  di  battaglia  alcun  mi  tenta; Ma  fa  che  Rodomonte  lo  consenta. 60  Fa  che  sia  tua  la  prima,  e  che  ffl  tolgi Il  re  di  Sarza  la  tenzon  seconda: E  non  ti  dubitar  ch'io  non  mi  volga, E  eh'  a  te  et  ad  ogni  altro  io  non  rispouà Ruggiet  gridò: Non  vo'  che  si  disciolgi Il  patto,  0  più  la  sorte  si  confonda: 0  Rodomonte  in  campo  prima  saglia, 0  sia  la  sua  dopo  la  mia  battaglia. 61  Se  di  Gradasso  la  ragion  prevale, Prima  acquistar  che  porre  in  opra  l'tfinc: Nò  tu  r  aquila  mia  dalle  bianche  ale Prima  usar  dèi,  che  nonme  ne  disanne: Ma  poich'é  stato  il  mio  voler  già  tale, Di  mia  sentenza  non  voglio  appellanne, Che  sia  seconda  la  battaglia  mia, Quando  del  re  d'Algier  la  prima  sii. Se  turberete  voi  V  ordine  in  parte, "o  totalmente  tnrberoUo  ancora. !o  non  intendo  il  mio  scudo  lasciarte, Se  contra  a  me  non  lo  combatti  or  ora. 5e  l'uno  e  l'altro  di  voi  fosse  Marte, Elispose  Madricardo  irato  allora, on  saria  l'un  né  l'altro  atto  a  vietarme La  buona  spada,  o  quelle  nobili  arme. E,  tratto  dalla  collera,  ayyentosse Col  pugno  chiuso  al  re  di  Sericana; £  la  man  destra  in  modo  gli  percosse, Ch'  abbandonar  gli  fece  Durindana. Gradasso,  non  credendo  ch'egli  fosse Di  così  folle  audacia  e  cosi  insana, Colto  improvviso  fu,  che  stava  a  bada, E  tolta  si  trovò  la  buona  spada. 64    Cosi  scornato,  di  vergogna  e  d'ira Nel  viso  avvampa,  e  par  che  getti  fuoco; E  più  r  affligge  il  caso  e  lo  martira, Poiché  gli  accade  in  si  palese  loco. Bramoso  di  vendetta  si  ritira, A  trar  la  scimitarra,  addietro  un  poco. Mandricardo  in  sé  tanto  si  confida, Che  Ruggiero  anco  alla  battaglia  sfida. 66    Venite  pur  innanzi  amenduo  insieme, E  vengane  pel  terzo  Rodomonte, Africa  e  Spagna  e  tutto. l'uman  seme; Ch'io  son  per  sempre  mai  volger  la  fronte. Cosi  dicendo,  quel  che  nulla  teme. 

Mena  d'intorno  la  spada  d' Almonte; Lo  scudo  imbraccia,  disdegnoso  e  fiero, Contra  Gradasso  e  contra  il  buon  Ruggiero. .  si;Stanza  67. )6    Lascia  la  cura  a  me,  dicea  Gradasso, Ch'io  guarisca  costui  della  pazzia. Per  Dio,  dicea  Ruggier,  non  te  la  lasso; Ch'esser  convien  questa  battaglia  mia. Va  indietro  tu;  vavvi  pur  tu:  né  passo Però  tornando,  gridan  tuttavia; Ed  attaccossi  la  battaglia  in  terzo. Ed  era  per  uscirne  un  strano  scherzo, 67    Se  molti  non  si  fossero  interposti A  quel  furor,  non  con  troppo  consiglio; Ch'a  spese  lor  quasi  imparar  che  costf Voler  altri  Si>lvar  con  suo  periglio. Né  tutto  '1  mondo  mai  gli  avria  composti, Se  non  venia  col  re  d'Ispagna  il  figlio Del  famoso  Troiano,  al  cui  conspetto Tutti  ebbon  riverenzia  e  gran  rispetto. 68  Si  fé'  Agramante  la  cagion  esporre Di  questa  nuova  lite  cosi  ardente: Poi  molto  aifaticossi,  per  disporre Che  per  quella  giornata  solamente A  Mandricardo  la  spada  d'Ettorre Concedesse  Gradasso  umanamente, Tanto  ch'avesse  fin  l'aspra  contesa Ch'avea  già  incontra  a  Rodomonte  presa. 69  Mentre  studia  placarli  il  re  Agramante, Ed  or  con  questo  ed  or  con  quel  ragiona; Dall' altro  padiglion  tra  Sacripante E  Rodomonte  un'altra  lite  suona. Il  re  Circasso,  come  é  detto  innante. Stava  di  Rodomonte  alla  persona; Ed  egli  e  Ferraù  gli  aveano  indotte L'arme  del  suo  progenitor  Nembrotte. 70    Ed  eran  poi  venuti  ove  il  destriero Facea,  mordendo,  il  ricco  fren  spumoso: Io  dico  il  buon  Frontin,  per  cui  Rugfgiero Stava  iracondo  e  più  che  mai  sdegnoso. Sacripante  cli  a  por  tal  cavaliero In  campo  avea,  mirava  curioso, Se  ben  ferrato  e  ben  guernito  e  in  punto Era  il  destrier,  come  doveasi  a  punto. 71    E  venendo  a  guardargli  più  a  minuto 1  segui,  le  fattezze  isnelle  ed  atte. Ebbe,  fuor  d'ogni  dubbio,  conosciuto Che  questo  era  il  destrìer  suo  Frontalaue. Che  tanto  caro  già  s' avea  tenuto, Per  cui  già  avea  mille  querele  fatte; E  poi  che  gli  fu  tolto,  un  tempo  volse Sempre  ire  a  piedi:  in  modo  glie  ne  dolte. Stanza  78. 72  Innanzi  Albracca  gli  V  avea  Brunello Tolto  di  sotto  quel  medesmo  giorno Chad  Angelica  ancor  tolse  l'anello, Al  conte  Orìando  Balisarda  e  '1  corno, E  la  spada  a  Marfisa;  ed  avea  quello. Dopo  che  fece  in  Africa  ritomo, Con  Balisarda  insieme  a  Ruggier  dato. Il  qual  l'avea  Frontin  poi  nominato. 73  Quando  conobbe  non  si  apporre  in  fallo, Disse  il  Circasso  al  re  d'Algier  rivolto: Sappi,  signor,  che  questo  è  mio  cavallo, Ch'ad  Albracca  di  furto  mi  fu  tolto. Bene  avrei  testimoni  da  provallo; Ma  perchè  sou  da  noi  lontani  molto, S' alcun  lo  niega,  io  gli  vo' sostenere Con  Tarme  in  man  le  mie  parole  vere. 74  Ben  son  contento  per  la  compaguia In  questi  pochi  di  stata  fra  noi, Che  prestato  il  cavallo  oggi  ti  sia; Ch'io  veggo  ben  che  senza  far  non  pnoi; Però  con  patto,  se  per  cosa  mia E  prestata  da  me  conoscer  vuoi:Altrimente  d'averlo  non  far  stima, 0  se  non  lo  combatti  meco  prima. 75  Rodomonte,  del  quale  un  più  orgoglioso Non  ebbe  mai  tutto  il  mestier  dell'arme; Al  quale  in  esser  forte  e  coraggioso Alcuno  antico  d'uguagliar  non  parroe; Rispose:  Sacripante,  ogni  altro  ch'oso, Fuorché  tu,  fosse  in  tal  modo  a  parlarme, Con  suo  mal  si  saria  tosto  avveduto Che  meglio  era  per  lui  di  nascer  muto. Ma  per  la  compagnia  che,  come  hai  detto, Novellamente  insieme  abbiamo  presa, Ti  son  contento  aver  tanto  rispetto, Ch'io  t ammonisca  a  tardar  quest'impresa, Finché  della  battaglia  veggi  effetto. Che  fra  il  Tartaro  e  me  tosto  fia accesa; Dove  porti  un  esempio  innanzi  spero, Ch'avrai  di  grazia  a  dirmi:  Abbi  il  destriero. 2    Rodomonte  che  '1  re  suo  signor  mira, Frena  P orgoglio,  e  torna  indietro  il  passo; Né  con  minor  rispetto  si  ritira. Al  venir  d'Agramaute,  il  re  Circasso. Qael  domanda  la  cansa  di  tantMra Con  real  viso,  e  parlar  grave  e  basso; E  cerca,  p<"i  che  n'ha  compreso  il  tutto, Porli  d'accordo;  e  non  vi  fa  alcun  frutto. '     Oli  é  teco  cortesia  Tesser  villano. Disse  il  Circasso  pien  d'ira  e  di  sdegno; Ma  più  chiaro  ti  dico  ora  e  più  piano, Che  tu  non  faccia  in  quel  destrier  disegno: Che  te  lo  difendo  io,  tanto  ch'in  mano Questa  vindice  mia  spada  sostegno; E  metterowi  iasino  l'ugna  e  il  dente, Se  non  potrò  difenderlo  altrimente. ì     Venner  dalle  parole  alle  contese, Ai  gridi,  alle  minacce,  alla  battaglia, Che  per  molt'ira  in  più  fretta  s'accese. Che  s'accendesse  mai  per  fuoco  paglia. Rodomonte  ha  l'usbergo  ed  ogni  arnese; Sacripante  non  ha  piastra  né  maglia; Ma  par  (si  ben  con  lo  schermir  s'adopra) Che  tutto  con  la  spada  si  ricopra. 9     Non  era  la  possanza  e  la  fierezza Di  Rodomonte,  ancorch'  era  infinita, Più  che  la  Provvidenza  e  la  destrezza Con  che  sue  forze  Sacripante  aita. Non  voltò  ruota  mai  con  più  prestezza Il  macigno  sovran  che'l  grano  trita. Che  faccia  Sacripante  or  mano  or  piede Di  qua  di  là,  dove  il  bisogno  vede. 0    Ma  Ferraù,  ma  Serpentino  arditi Trasson  le  spade,  e  si  cacciar  tra  loro. Dal  re  Grandonio,  da  Isolier  seguiti, Da  molt  altri  signor  del  popol  moro. Questi  erano  i  romori,  i  quali  uditi Nell'altro  padiglion  fur  da  costoro, Quivi  per  accordar  venuti  in  vano Col Tartaro  Ruggiero  e  '1  Sericano. Venne  chi  la  novella  al  re  Agramante Riportò  certa,  come  pel  destriero Avea  con  Rodomonte  Sacripante Incominciato  un  aspro  assalto  e  fiero. 11  re,  confuso  di  discordie  tante, Disse  a  Marsilio:  Abbi  tu  qui  pensiero Che  fra  questi  guerrier  non  segua  peg:gio, Mentre  all'altro  disordine  io  provveggio. stanza  89. 83  II  re  Circasso  il  suo  destrier  non  vuole Ch'ai  re  d'Algier  più  lungamente  resti, Se  non  s'umilia  tanto  di  parole, Che  lo  venga  a  pregar  che  glie  lo  presti. Rodomonte,  superbo  come  suole, Gli  risponde: Né  '1  ciel  né  tu  faresti Che  cosa  che  per  forza  aver  potessi, Da  altri,  che  da  me,  mai  conoscessi. 84  II  re  chiede  al  Circasso,  che  ragione Ha  nel  cavallo,  e  come  gli  fu  tolto:E  quel  di  parte  in  parte  il  tutto  espone, Ed  esponendo  s' arrossisce  in  volto, Quando  gli  narra  che'l  sottil  ladrone. Ch'in  un  alto  pensier  l'aveva  cólto. La  sella  su  quattro  aste  gli  suffolse, E  di  sotto  il  destrier  nudo  gli  tolse. 85  Marfisa  che  tra  gli  altri  al  grido  venne, Tosto  che  1  furto  del  cavallo  udì, In  viso  si  turbò;  che  le  sovvenne Che  perde  la  sna  spada  ella  quel  di: E  qnel  destrier  che  parve  aver  le  penne, Da  lei  fuggendo,  riconobbe  qui; Riconobbe  anco  il  buon  re  Sacripante, Che  non  avea  riconosciuto  innante. 86  Gli altri  ch'erano  intorno  e  che  vantarsi Brunel  di  questo  aveano  udito  spesso, Verso  lui  cominciaro  a  rivoltarsi, E  f.ir  palesi  cenni  eh'  era  desso; Marfisa,  sospettando,  ad  informarsi Da  questo  e  da  quell'altro  eh' avea  appresso, Tanto  che  venne  a  ritrovar  che  quello Che  le  tolse  la  spada,  era  Brunello: 89  Gli  diede  a  prima  giunta  ella  di  pigib In  mezzo  il  petto,  e  da  terra  lerollo Come  levar  suol  col  falcato  artiglìo Talvolta  la  rapace  aqnila  il  pollo; E  li  dove  la  lite  innanzi  al  figlio Era  del  re  Troiano,  così  portollo. Brunel,  che  giunto  in  male  man  si  xeée, Pianger  non  cessa  e  domandar  mercede. 90  Sopra  tutti  i  rumor,  strepiti  e  di. Di  che'l  campo  era  pien  quasi  ngualraecte. Brunel,  eh'  ora  pietade,  ora  sndi Domandando  venia,  così  si  sente, Ch'ai  suono  di  rammarichi  e  di  strìdi Si  fa  d'intorno  accor  tutta  la  gente. Giunta  innanzi  al  re  d'Africa  Marfisa . Con  viso  altier  gli  dice  in  questa  guisa: stanza  94. 91  Io  voglio  questo  ladro  tuo  vassallo Con  le  mie  niani  impender  per  la  gola, Perchè  il  giorno  medesmo  che'l  cavallo A  costui  tolle,  a  me  la  spada  invola. Ma  s'egli  è  alcun  che  voglia  dir  ch'io  Mi: Facciasi  innanzi  e  dica  una  parola; Ch'in  tua  presenzia  gli  vo sostenere Che  se  ne  mente,  e  ch'io  fo  il  mio  dovere. 92  Ma  perchè  si  potria forse  impntarme C  ho  atteso  a  farlo  in  mezzo  a  tante  liti, Mentre  che  questi,  più  famosi  in  arme, D'altre  querele  son  tutti  impediti; Tre  giorni  ad  impiccarlo  io  vo' indngiarme. Intanto  o  vieni  o  manda  chi  l'aiti; Che  dopo,  se  non  fia  chi  me  lo  vieti, Farò  di  lui  mille  uccellacci  lieti. 87  E  seppe  che  pel  furto,  ond'era  degno Che  gli  annodasse  il  collo  un  capestro  unto, Dal  re  Agraraaute  al  Tingitano  regno Fu,  con  esempio  inusitato,  assunto. Marfisa,  rinfrescando  il  vecchio  sdegno, Disegnò  vendicarsene  a  quel  punto, E  punir  schemi  e  scorni  che  per  strada Fatti  Tavea  sopra  la  tolta  spada. 88  Dal  suo  scudier  l'elmo  allacciar  si  fece; Che  del  resto  dell'arme  era  guemita. Senza  usbergo  io  non  trovo  che  mai  dìece Volte  fosse  veduta  alla  sua  vita; La  sua  persona,  oltre  ogni  fede  ardita. Con  l'elmo  in  capo  andò  dove  fra  i  primi Brunel  sedea  negli  argini  sublimi. 93  Di  qui  presso  a  tre  leghe  a  qnella  torre siede  innanzi  ad  un  piccol  boschetto, Senza  più  compagnia  mi  vado  a  porre. Che  d'una  mia  donzella  e  d'un  valletto. S' alcuno  ardisce  di  venirmi  a  tórre Questo  ladron,  là  venga,  eh'  io  l'aspetto. Cosi  diss'  ella,  e  dove  disse  prese Tosto  la  via,  né  più  risposta  attese. 94  Sul  collo  innanzi  del  destrier  si  pone Brunel,  che  tuttavia  tien  perlechiome. Piange  il  misero  e  grida,  e  le  persone In  che  sperar  solìa,  chiama  per  nome. Resta  Agramante  in  tal  confusione Di  questi  intrichi,  che  non  vede  come Poterli  sciorre;  e  gli  par  via  più  greve Che  Marfisa  Brunel  cosi  gli  leve. Non  che  l'apprezzi  o  che  gli  porti  amore, A.nzi  più  giorni  son  che  l'odia  molto; E  spesso  ha  d'impiccarlo  avuto  in  core, Dopo  che  gli  era  stato  l'anel  tolto. Ma  questo  atto  gli  par  contra  il  suo  onore; Si  che  n'avvampa  di  vergogna  in  volto. Vuole  in  persona  egli  seguirla  in  fretta, E  a  tutto  suo  poter  farne  vendetta. Ma  il  re  Sohrino,  il  quale  era  presente, Da  questa  impresa  molto  il  dissuade, Dicendogli  che  mal  conveniente Era  all'altezza  di  Sua  Maestade, Sebben  avesse  d'esserne  vincente Ferma  speranza  e  certa  s.curtade: Più  ch'onor,  gli  fia  hiasmo,  che  si  dica Ch'  abbia  vinto  una  femmina  a  fatica. 7  Poco  l'onore,  e  molto  era  il  periglio D' ogni  hattaglia  che  con  lei  pigliasse; E  che  gli  dava  per  miglior  consiglio, Che  Brunello  alle  forche  aver  lasciasse; E  se  credesse  ch'uno  alzar  di  ciglio A  torlo  del  capestro  gli  bastasse, Non  dovea  alzarlo  per  non  contraddire Che  s' abbia  la  giastizia  ad  eseguire. 8  Potrai  mandare  un  che  Marfisa  prieghi, Dicea,  ch'in  questo  giudice  ti  faccia Con  promission ch'ailadroncel  si  leghi Il  laccio  al  collo,  e  a  lei  si  soddisfaccia: E  quando  anco  ostinata  te  lo  nieghi, Se  l'abbia,  e  il  suo  desir  tutto  compiaccia: Porche  da  tua  amicizia  non  si  spicchi, Brunello  e  gli  altri  ladri  tutti  impicchi. )9    II  re  Agramante  volentier  s'attenne Al  parer  di  Sobrin  discreto  e  saggio; E  Marfisa  lasciò,  che  non  le  venne. Né  pati  ch'altri  andasse  a  farle  oltraggio: Né  di  farla  pregare  anco  sostenne; E  tollerò.  Dio  sa  con  che  coraggio, Per  poter  acchetar  liti  maggiori, E  del  suo  campo  tor  tanti  romori. 100    Di  ciò  si  ride  la  Discordia  pazza, Che  pace  o  triegua  omai  più  teme  poco. Scorre  di  qua  di  là  tutta  la  piazza. Né  può  trovar  per  allegrezza  loco. La  Superbia  con  lei  salta  e  gavazza, E  legne  ed  esca  va  aggiungendo  al  fuoco; E  grida  sì,  che  fin  nell' alto  regno Manda  a  Michel  della  vittoria  segno. 101    Tremò  Parigi,  e  turbidossi  Senna All'alta  voce,  a  quell'orrlbil  grido; Rimbombò  il  suon  fin  alla  selva  Ardenna Si,  che  lasciar  tutte  le  fiere  il  nido. Udiron  l'Alpi  e  il  monte  di  Qebenna, Di  Blaia  e  d'Arli  e  di  Roano  il  lido; Rodano  e  Sonna  udì,  Garonna  e  il  Reno:Si  strinsero  le  madri  i  figli  al  seno. Stan7a  100. 102    Son  cinque  cavalier  c'han  fisso  il  chiodo D'essere  i  primi  a  terminar  sua  lite, L'una  nell'altra  avviluppata in  modo. Che  non  l'avrebbe  Apolline  espedite. Comincia  il  re  Agramante  a  sciorre  il  nodo Delle  prime  tenzon  ch'aveva  udite. Che  per  la  figlia  del  re  Stordilano Eran  tra  il  re  di  Scizia  e  il  suo  Africano. 103    II  re  Agramante  andò  per  porre  accordo Di  qua  di  là  più  volte  a  questo  e  a  quello; E  a  questo  e  a  quel  più  volte  die  ricordo Da  signor  giusto  e  da  fedel  fratello: E  quando  parimente  trova  sordo L  un  come  l'altro,  indomito  e  rubello Di  volere  esser  quel  che  resti  senza La  donna,  da  cui  vien  lor  diiferenza, 107    Poi  lor  convenzìon  ratificaro In  man  del  re  quei  duo  prochi  famosi. Ed  indi  alla  donzella  se  n'andajt) Ed  ella  abbassò  gli  occhi  vergognosi, E  disse  che  più  il  Tartaro  avea  caro: Di  che  tutti  restar  meravigliosi:Rodomonte  si  attonito  e  smarrito, Che  di  levar  non  era  il  viso  ardito. 104  S'appiglia  alfin,  come  a  miglior  partito (Di  che  amendui  si  contentar  gli  amanti), Che  della  bella  donna  sia  marito L'uno  de'  duo,  quel  che  vuole  essa  innanti; E  da  quanto  per  lei  sia  stabilito, Più  non  si  possa  andar  dietro  nò  avanti. All'uno  e  all'altro  piace  il  compromesso, Sperando  ch'esser  debbia  a  favor  d'esso. 105  U  re  di  Sarza,  che  gran  tempo  prima Di  Mandricardo  amava  Doralice, Ed  ella  l'avea  posto  in  su  la  cima D'ogni favoreh' a  donna  casta  lice; Che  debba  in  util  suo  venire  estima La  gran  sentenzia  che  '1  può  far  felice:Né  egli  avea  questa  credenza  solo, Ma  con  lui  tutto  il  barbaresco  stuolo.Stanza  115. i:<'.r'?''ii' Stanza  lU. lOH    Ognun  sapea  ciò  ch'egli  avea  già  fatto Per  essa  in  giostre,  in  tomiamenti,  in  guerra; E  che  stia  Mandricardo  a  questo  patto, Dicono  tutti  che  vaneggia  ed  erra. Ma  quel,  che  più  fiate  e  più  di  piatto Con  lei  fu  mentre  il  sol  stava  sotterra, E  sapea  quanto  avea  di  certo  in  mano, Ridea  del  popular  giudicio  vano. .08    Ma  poi  che  l'usata  ira  cacciò  quella Vergogna  che  gli  avea  la  faccia  tinta, Ingiusta  e  falsa  la  sentenzia  appella; E  la  spada  impugnando,  ch'egli  ha  cinu, Dice,  udendo  il  re  e  gli  altri,  che  vuol  eh' di Gli  dia  perduta  questa  causa  o  vinta, E  non  l'arbitrio  di  femmina  lieve, Che  sempre  inchina  a  quel  che  men  far  dere. 109  Di  nuovo  Mandricardo  era  risorto, Dicendo:  Vada  pur  come  ti  pare. Si  che  prima  che  '1  legno  entrasse  in  porto, V'era  a  solcare  un  gran  spazio  di  mare. Se  non  che  '1  re  Agramante  diede  torto A  Rodomonte,  che  non  può  chiamare Più  Mandricardo  per  quella  querela; E  fé'  cadere  a  quel  furor  la  vela. 110  Or  Rodomonte  che  notar  si  vede Dinanzi  a  quei  signor  di  doppio  scorno, Dal  suo  re,  a  cui  per  riverenzia  cede, E  dalla  donna  sua,  tutto  in  un  giorno; Quivi  non  volse  più  fermare  il  piede: E  dalla  molta  turì)a  eh' avea  intomo. Seco  non  tolse  più  che  duo  sergenti, Ed  uscì  dei  moreschi  alloggiamenU. 111     Come,  partendo,  afflìtto  tauro  suole, Cbe  la  gioYBDca  al  vincitor  cesso  abbia, Cercar  le  selve  e  le  rive  più  sole Lungi  dai  paschi,  o  qualche  arida  sabbia; Dove  muggir  non  cessa  air  ombra  e  al  sole Né  però  scema  l'amorosa  rabbia: Così  sen  va  di  gran  dolor  confuso Il  re  d'Algier,  dalla  sua  donna  escluso. 112    Per  riavere  il  buon  destrier  si  mosse Ruggier,  che  già  per  questo  s'era  armato; Ma  poi  di  Mandricardo  ricordosse, A  cui  della  battaglia  era  obbligato: Non  segui  Rodomonte,  e  ritomosse Per  entrar  col  re  Tartaro  in  steccato Prima  ch'entrasse  il  re  di  Sericana, Che  l'altra  lite  avea  di  Durindana. Stanza  117. Ila    Veder  torsi  Frontin  troppo  gli  pesa Dinanzi  agli  occhi,  e  non  poter  vietarlo; Ma  dato  ch'abbia  fine  a  questa  impresa, Ha  ferma  intenzìon  di  ricovrarlo. Ma  Sacripante  che  non  ha  contesa. Come  Ruggier,  che  possa  distornarlo, E  che  noii  ha  da  far  altro  che  questo, Per  l'orme  vien  di  Rodomonte  presto. 114    E  tosto  l'avria  giunto,  se  non  era Un  caso  strano  che  trovò  tra  via. Che  lo  fé' dimorar  fin  alla  sera, E  perder  le  vestigio  che  seguia. Trovò  una  donna  che  nella  riviera Di  Senna  era  caduta,  e  vi  peria S'a  darle  tosto  aiuto  non  veniva: Saltò  nell'acqua  e  la  ritrasse  a  riva. 115    Poi  quanlo  in  sella  volse  risalire, Aspettato  non  fu  dal  sno  destriero, Che  fin  a  sera  si  fece  seguire, E  non  si  lasci(\  prender  di  leggiero. Preselo  alfin:  ma  non  seppe  venire PKi  d'onde  s'era  tolto  dal  sentiero: Ducento  miglia  er;  ò  tra  piano  e  monte, Prima  che  ritrovasse  Rodomonte. 118    Né  lunga  servitù,  né  grand'amore, Che  ti  fu  a  mille  prove  manifesto, Ebbono  forza  di  tenerti  il  core, Che  non  fosse  a  cannarsi  almen  si  presto. Non  perch'a  Mandricardo  inferiore Io  ti  paressi,  di  te  privo  resto; Né  so  trovar  cagione  ai  casi  miei. Se  non  quest'  una,  che  femmina  sei. Stanza  121. 119  Credo  che  t'abbia  la  Natura  e  Dio Produtto,  0  scellerato  sesso,  al  mondo Per  una  soma,  per  un  grave  fio Dell'nom,  che  senza  te  saria  giocondo: Come  ha  produtto  anco  il  serpente  rio, E  il  lupo  e  l'orso;  o  fa  l'aer  fecondo E  di  mosche  e  di  vespe  e  di  ta&ci; E  loglio  e  avena  fa  nascer  tra  i  gnnL 120  Perché  fatto  non  ha  l'alma  Natura, Che  senza  te  potesse  nascer  l'acme, Come  s' innesta  per  umana  cara L'un  fopra  l'altro  il  pero,  il  sorbo  e'I  poDo' Ma  quella  non  può  far  sempre  a misura: 

Anzi,  s'io  vo' guardar  come  io  la  nomo, Veggo  che  non  può  far  cosa  perfetta, Poiché  Natura  femmina  vien  detti. 121  Non  siate  però  tumide  e  fastose, Donne,  per  dir  che  1' uom  sia  vostro  %Iio; Che  delle  spiue  ancor  nascon  le  rose, E  d'una  fetida  erba  nasce  il  giglio:Importune,  superbe,  dispettose. Prive  d'amor,  di  fede  e  di  consiglio. Temerarie,  crudeli,  inique,  ingrate. Per  pestilenzia  eterna  al  mondo  nate. 1 1 6  Dove  trovollo,  e  come  fu  conteso Con  disvantaggio  assai  di  Sacripante; Come  perde  il  cavallo,  e  restò  preso, Or  non  dirò;  e' ho  da  narrarvi  innante Di  quanto  sdegno  e  di  quanta  ira  acceso Contra  la  donna  e  contra  il  re  Agramante Del  campo  Rodomonte  si  partisse, E  ciò  che  contra  all'uno  e  all'altro  disse. 117  Di  cocenti  sospir  l'aria  accendea Dovunque  andava  il  Saracin  dolente. Eco,  per  la  pietà  che  gli  n'avea, Da' cavi  sassi  rispondea  sovente. Oh  femminile  ingegno,  egli  dicea. Come  ti  volgi  e  muti  facilmente ! Contrario  oggetto  proprio  della  fede Oh  infelice,  oh  miser  chi  ti  crede ! 122  Con  queste  ed  altre  ed  infinite  preso Querele  il  re  di  Sarza  se  ne  giva Or  ragionando  in  un  parlar  sommerò, Quando  iu  un  suon  che  di  lontan  s'udift, In  onta  e  in  biasmo  del  femmineo  sesso. E  certo  da  ragion  si  dipartiva; 

Che  per  una  o  per  due  che  trovi  ree, Che  cento  buone  sien  creder  si  dee. 123  Sebben  di  quante  io  n'abbia  fin  qui  """ Non  n'abbia  mai  trovata  nna  fedele; Perfide  tutte  io  non  vo'dir  né  ingrate, Ma  darne  colpa  al  mio  destin  crudele. Molte  or  ne  sono,  e  più  gà  ne  son  state, Che  non  dan  causa  ad  uom  che  si  querele; Ma  mia  fortuna  vuol  che  s'una  Ha Ne  sia  tra  cento,  io  di  lei  preda  sia 124   Pur  vo' tanto  cercar  prima  ch'io  mora, Anzi  prima  che  '1  crin  più  mi  s' imbianchi, Che  forse  dirò  nn  dì,  che  per  me  anccra Alcuna  sia  che  di  sua  fé' non  manchi. Se  questo  avvien  (che  di  speranza  fuora Io  non  ne  son),  non  fia  mai  ch'io  mi  stanchi Di  farla,  a  mia  possanza,  gloriosa C("n  lingua  e  con  inchiostro,  e  in  verso  e  in  prosa. 125    II  Saracin  non  area  manco  sdegno Centra  il  suo  re,  che  contra  la  donzella; E  cosi  di  ragion  passava  il  segno, Biasmando  lui,  come  biasmando  quella. Ha  disio  di  veder  che  fopra  il  regno Gli  cada  tanto  mal.  tanta  procella, Ch'  in  Africa  ogni  casa  si  funesti, Né  pietra  salda  sopra  pietra  resti;126     E  che,  spinto  del  regno,  in  duolo  e  in  lutto Viva  Agramante  misero  e  mendico; E  ch'esso  sia  che  poi  gli  renda  il  tutto, E  lo  riponga  nel  suo  seggio  antico, E  della  fede  sua  produca  il  frutto; E  gli  faccia veder  eh' un  vero  amico A  dritto  e  a  torto  esser  dovea  preposto. Se  tutto  '1  mondo  se  gli  fos.se  opposto. 127    E  così,  quando  al  re,  quando  alla  donna Volgendo  il  cor  turbato,  il  Saracino Cavalca  a  gran  giornate,  e  non  assonna E  poco  riposar  lascia  Frontino. Il  di  seguente  o  l'altro  in  su  la  Senna Si  ritrovò;  ch'avea  dritto  il  cammino Verso  il  mar  di  Provenza,  con  disegno Di  navigare  in  Africa  al  suo  regno. 128    Di  barche  e  di  sotti  1  legni  era  tutto Fra  runa  ripa  e  T altra  il  fiume  pieno: '  Ch'  ad  uso  dell' esercito  condutto Da  molti  lochi  vettovaglie  avieno; Perchè  in  poter  de' Mori  era  ridutto, Venendo  da  Parigi  al  lito  ameno D' Acquamorta,  e  voltando  invér  la  Spagna. Ciò  che  v'è  da  man  destra  di  campagna. 129    Le  vettovaglie  in  carra  ed  in  giomeBri. Tolte  fuor  delle  navi,  erano  carche, E  tratte  con  la  scorta  delle  entj, Ove  venir  non  si  potea  con  barche. Avean  piene  le  ripe  i  grassi  armenti Quivi  condotti  da  diverse  marche; E  i  conduttori  intomo  alla  riviera Per  vari  tetti  alhergo  avean  la  sera. Stanza  131. 130    II  re  d'Algier,  perchè  gli  sopravvenne Quivi  la  notte,  e  V  aer  nero  e  cieco, D'un  ostier  paesan  lo 'nvitj  tenne  Che  lo  pregò  che  rimanesse  seco. Adagiato  il  destrier,  la  mensa  venne Di  vari  cibi,  e  di  viii  corso  e  greco; ChèM  Saracin  nel  resto  alla  moresca, Ma  volse  &r  nel  bere  alla  francesca. 131    L'oste  con  buona  mensa  e  miglior  viso Stadio  di  fare  a  Rodomonte  onore; Che  la  presenzia  gli  die  certo  avviso, Ch'era  uomo  illustre  e  pien  d'alto  valore; Ma  quel  che  da  sé  stesso  era  diviso, Né  quella  sera  avea  ben  seco  il  core, (Che  mal  suo  grado  s'era  ricondotto Alla  donna  già  sua),  non  facea  motto. CANTO  VENTESIMOSETTIMO. 441 132  II  buon  oBtier,  che  fa  dei  diligenti Che  mai  si  sien  per  Francia  ricordati, Quando  tra  le  nimiche  e  strane  genti L'albergo  e beni  suoi  s'avea  salvati; Per  servir  quivi  alcuni  saoi  parenti, A  tal  servigio  pronti,  avea  chiamati; De'  qnai  non  era  alcun  di  parlar  oso, Vedendo  il  Saradn  muto  e  pensoso. 133  Di  pensiero  in  pensiero  andò  vagando Da  sé  stesso  lontano  il  Pagan  molto, Col  viso  a  terra  chino,  uè  levando Si  gli  occhi  mai,  ch'alcun  guardasse  in  volto. Dopo  un  lungo  star  cheto,  sospirando, Si  come  d'un  gran  sonno  allora  sciolto, Tutto  si  scosse,  e  insieme  alzò  le  ciglia, E  voltò  gli  occhi  all' oste  e  alla  famiglia. 134  Indi  ruppe  il  silenzio,  e  con  sembianti Più  dolci  un  poco,  e  viso  men  turbato, Domandò  alV  oste  e  agli  altri  circostanti, Se  d'essi  alcuno  avea  mogliere  a  lato. Che  l'oste  e  che  quegli  altri  tutti  quanti 

L'aveano,  per  risposta  gli  fu  dato. Domanda  lor  quel  che  ciascun  si  crede Della  sua  donna  nel  servargli  fede. 135  Eccetto  V  oste,  fér  tutti  risposta, Che  si  credeano  averle  e  caste  e  buone. Disse  r  oste: Ognun  pur  creda  a  sua  posta; Ch'  io  so  eh'  avete  falsa  opinione. Il  vostro  sciocco  credere  vi  costa Ch'  io  stimi  ognun  di  voi  senza  ragione; E  cosi  far  questo  signor  deve  anco, Se  non  vi  vuol  mostrar  nero  per  bianco. 136  Perchè,  si  come  è  sola  la  fenice, Né  mai  più  d'una  in  tutto  il  mondo  vive; Cosi  uè  mai  più  d'uno  esser  si  dice . Che  della  moglie  i  tradimenti  schive. Ognun  si  crede  d'esser  quel  felice, D'esser  quel  sol  eh'  a  questa  palma  arrive. Come  è  possibil  che  v'  arrivi  ognuno, Se  non  né  può  nel  mondo  esser  più  d'uno? 137  Io  fui  già  nell' error  che  siete  voi, Che  donna  casta  anco  più  d'una  fùsse. Un  gentiluomo  di  Vinegia  poi, Che  qui  mia  buona  sorte  già  condusse. Seppe  far  si  con  veri  esempi  suoi, Che  fnor  dell'ignoranza  mi  ridusse. Gian  Francesco  Valerio  era  nomato: Che  'l  nome  suo  non  mi  s' è  mai  scordato. 138  Le  fraudi  che  le  mogli  e  che  l'amiche Sogliono  usar,  sapea  tutte  per  conto:E  sopra  ciò  moderne  istorie  e  antiche, E  proprie  esperienze  avea  si  in  pronto. Che  mi  mostrò  che  mai  donne  pudiche Non  si trovare,  o  povere  o  di  conto; E  s'una  casta  più  dell'altra  parse, Venia,  perchè  più  accorta  era  a  celarse. 139  E  fra  l'altre  (che  tante  me  ne  disse, Che  non  ne  posso  il  terzo  ricordarmi) Si  nel  capo  un'  istoria  mi  si  scrìsse, Che  non  si  scrìsse  mai  più  saldo  in  marmi; E  ben  parria  a  ciascuno  che  l'udisse,Di  queste  rìe  quel  eh'  a  me  parve  e  parmi. E  se,  signor,  a  voi  non  spiace  udire, A  lor  oonfùsìon  ve  la  vo'  dire. 140    Rispose  il  Saradn:  Che  puoi  tu  farmi. Che  più  al  presente  mi  diletti  e  piaccia, Che  dirmi  storìa  e  qualche  esempio  darmi, Che  con  l'opinion  mia  si  con&ccia? Perch'  io  possa  udir  meglio,  e  tu  narrarmi, Siedimi  incontra,  ch'io  ti  vegga  in  faccia. Ma  nel  Canto  che  segue  io  v'  ho  da  dire Quel  che  fé'  l'oste  a  Rodomonte  udire. N  OTB. St.  4.  V.5.   Xa  Malignità  dal  del  bandita:  il  dia volo cacciato  dal  paradiso. St.  11.  V.8.   SeTua  incarco:  senza  biasimo. St.  15.  V.3.   L'altro  aozio:  l'altro  diavolo. St.  22.  V.6.   MaraviglioBo:  qui  pieno  di  maraviglia. St.  27.  V.2.   Foga  il  fio  d  ossa  e  di  polpe:  paga  il fio,  lasciandovi  la  vita. St.  29.  y.  1.   Bi$soni:  stromenti  da  fiato,  usati dli  antichi;  forse  risponde  alla  ìmcina  dei  latinL St.  32.  V.35.   E  desiar,  cowi"  Icaro,  la  penna. Icaro,  figlio  4i  Dedalo,  osci  con  lui  dal  labirinto,  mercè 

dell'ali  fabbricategli  dal  padre.   Uggieri:  il  danese, mentovato  più  addietro.   JZ  marchese  di  Vietma: Oliviero,  che  il  Poeta  ha  detto  esser  padre  di  Aquilante e  di  Grifone. St.  3.  V.34.    Nell'eterno  seren: nel  cielo. St.  44.  V.6.   Sì,  c/w  V  un  dopo  V  altro  il  campo assegna: ottenga  il  campo. St.  47.  V.78.  • Un  simil,  ecc.:  Castel  Guelfo,  situato fra  Parma  e  Borgo  San  Donnino. St.  61.  V.68.   Che  di  duo  drappi  ecc.  Sono  i  co lori dei  drappi  a  dimostrazione  dell'amore  di  Doralice, intiepidito  per  Rodomonte,  e  vivo  per  Mandricardo. St.  52.  V.35.   Termodonte:  fiume  di  Cappadocia, che  mette  nell  Ensino,  presso  cui  abitavano  le  Amaz odierne  mappe  col  nome  di  Thermeh.   Cotta  d'arme: soprawesta  che  portavano  gli  araldi. St.  54.  V.6.   Quartiere:  divisa,  insegna. St.  57.  V.14.   JZ  Castore,  ecc.: era  questa  V  opi nione comunemente  seguita  ai  tempi  del  Poeta. St.  62.  V,  8.   Arme: anche  qui  insegne. St,  69.  V.7.   Indotte:  indossate. St.  75.  v.5.   Oso:  ardito. &t.  77.  v.5.   Te  lo  difendo:  te  lo  vieto.  Anche  il nel  Filosirato  usa  il  verbo  difendere  in  que sto senso:  Se  non  mi  fosse  per  forza  difeso,  Di  por tarlo farei  il  mio  potere.  E  dopo  T  Ariosto,  il  T" Oer.,  V.8283: E  chi  (riprende  Crucciose  il  gitrm: a  me  il  contende  f  Io  tei  difenderò   colta ritjsu.  Tu per  coloro  che  il  tacciano  di  francesismo. St.  J4.  V.7.   SUfffòlae:  sollevò  in  alto. St.  86.  y.b.   Ad  informarci:  sottinteDdiricMut St.  99.  y.  6.   Coraggio: qui  disposizione  itm. T.  101.  y.56.   Qebenna:  Cérenfi".catei"diM. nella  Francia,  che  si  estendono  dal  éipaitìamitk TAude  nella  Linguadoca,  fino  a  quello  diSiontUa Borgogna.   Blaia:  Blaye,  città  dells  Gsm Con  le  tre  città  ricordate  in  questo  ?erM>  e  con  ri e  i  fiumi  denota  gli  opposti  termini  della  Fiudi St.  102.  v.4a   Apolline:  intendesi  l'oneokèi pollo  nell'isola  di  Delfo,  celebrato  una  volta  pe  kit risposte.   lire  di  Scisia  e  il  suo  AfHcano: be cardo  e  Rodomonte. St.  106.  V.5.   Di  piatto: di  soppiatto. St.  107.  V.2.   Fiochi  o  Proci:  rivali  in  aam. questo  il  nome  di  qne' principi  che  iDasienzadin" 0  ritenendolo  morto,  con tendevansi  la  maso  di  PeMk> luogo  di  Frochi  legon  per  abbaglio  prodi. St.  117.  V.3.   Eco:  ninfa  condannata  aripetoilt ultime  sillabe  delle  parole  altrui. St.  129.  V.6.   Marche.  Marra  i"ignifioa  j>f"twu di  confine,  e  per  estensione,  come  qui,  vale  fni&"Sf St.  137.  V.7.   Gian  Francesco  Valerio:  gaiUm che  lo  finge  vivente  ai  tempi  di  Caxìo  Magno.  Ser parla  con  bella  espréÌBsione  d' amore  al  Canto  E Stanza  15.  Egli  fU  giustiziato  in  Venezia  nel  ló£  p: aver  rivelato  all'ambasciator  di  Francia  le  delifew" del  governo  circa  la  pace  che  si  stava  trattaai"  "i Porta.  Vedi  il  Paruta,  Ist.  Venez.,  lib  X. St.  138.  V.2.   JVr  conto:  ad  una  ad  gm,  ¦  a" dito. Canto  XXVIII. dì  Rodo  monto  rìì  imira  la  novella  ili  Fiamfnntn, in  hiasimo  delle  donne,  HOflomont  si  partn  di  là;  e  miiuto, il  pensiero  d'ani!  are  in  AfritST  ftìrma  statica  \n  una  e  li  ì  esetta atabÈvndtmata,  aìh  quale  pimiie  Isaltella  col  romito,  e  conte Hpoglie  mortali  cìeU"  ucciso  Zerbino.  Il  pascano  vuole  [llato glìere  IftabUa  dalla  piesa  rifiolUT'ioniì  dì  ritirarsi  dal  mondo, e>  ìmpaKieniisce  alle  rimoatraiiKe  del  romito. Donne,  e  toì  che  le  tlonue  avete  in  pregioi Per  Dìo,  non  <late  a  ([ueMB,  i'toria  oreocliin, A  qnesta  clie  l'ontier  dire  in  clispregin E  in  vostra  infamia  e  biasrao  s'appareceliia; Benché  né  macchia  ri  può  dar  né  fregio Lingna  si  vite  ¦  e  sia  V  usanza  veechia  t The  '1  voliefare  it,aifirante  ognun  rijireufla, E  parli  piti  di  quel  clie  nieno  intenda. Lasciate  qneato  Canto;   cbè  senz'  e§so Vnò  star  V  istoria      non  sarà  men  chiara. Mettendolo  Tiirjiirin.  nmh'irh  Thn  messo, Non  per  malivolenzia  né  per  gara. ChMo  Yami,  oltre  mia  lingua  che  Tha  espresso, Che  mai  non  fa  di  celebrarvi  avara, N'ho  fatto  mille  prove;  e  v'ho  dimostro Ch'  io  son,  né  potrei  esser  se  non  vostro. Passi,  chi  vuol,  tre  carte  o  quattro,  senza Leggerne  verso;  e  chi  pur  legger  vuole, Gli  dia  quella  medesima  credenza Che  si  suol  dare  a  finzioni  e  a  fole. Ma,  tornando  al  dir  nostro,  poi  ch'udienza Apparecchiata  vide  a  sue  parole, E  darsi  luogo  incontra  al  cavaliero, Così  ristoria  incominciò  Postiero. Tra  gli  altri  di  sua  corte  avea  an Fausto  Latini,  nn  cavalier  romano, Con  cui  sovente  essendosi' lodato Or  del  bel  viso,  or  della  bella  mano Ed  avendolo  nn  giorno  domandato Se  mai  veduto  avea,  presso  o  lontiM Altro  uom  di  forma  cosi  ben  comp Contra  quel  che  credea,  gli  fu stanza  3. Astolfo,  re  de' Longobardi,  quello A  cui  lasciò  il  fratel  monaco  il  regno, Fu  nella  giovinezza  sua  sì  bello, Che  mai  poch  altri  giunsero  a  quel  segno. N'avria  a  fatica  un  tal  fatto  a  pennello Apelle  0  Zeusi,  o  se  v'è  alcun  più  degno. Beilo  era,  ed  a  ciascun  cosi  parea; Ma  di  molto  egli  ancor  piò  si  tenea. Non  stimava  egli  tanto  per  l'altezza Del  grado  suo,  d'avere  ognun  minore; Né  tanto,  che  di  genti  e  di  ricchezza, Di  tutti  i  re  vicini  era  il  maggiore; Quanto,  che  di  presenzia  e  di  bellezza Avea  per  tutto  '1  mondo  il  primo  onore. Godea,  di  questo  udendosi  dar  loda, Qnanto  di  cosa  volentier  più  s'  oda. 7  Dico  (rispose  Fausto) che,  secondò Ch  io  veggo,  e  che  parlarne  odti  a Nella  bellezza  hai  pochi  pari  al  monda; E  questi  pochi  io  Vt  resfrioo  in  nca. Quest'uno  è  nn  fraiel  iiiì<  detto  tììo Eccetto  hii,  ben  crederò  eh'  ognnm Di  bella  molto  addietro  tu  ti  las?i; Ma  questo  sol  credo  t'  aileg'uì  e 8  Al  re  parve  ìmpossibil  cosa  udiri,.; Che  sua  la  palma  infin  allora  tenne; E  d'aver  conoscenza  alto  delire Di  sì  lodato  gióvene  gli  venne. Fe  sì  coti  Fausto,  che  di  far  venÌTt Quivi  il  fratel  prometter  gli  co  a  reni Bench'a  poterlo  indur  che  ci  veuiMt Saria  fatica,  e  la  cagìon  gli  dìs:       CLeU  suo  fratello  era  uom  cbe  mosmi Mai  non  avea  di  Roma  alla  m&  vita",' Che,  eì  ben  die  fortuna  gli  concede, Tranquilla  e  seu  affanni  avea  nuirit La  ruba  di  eli  e  1  padre  il  lascia  eredi  j Né  mai  creaci  uta  avea  né  minili  tu;E  che  parrebbe  n  Ini  Pavia  lontana Pift  che  non  parria  a  un  altro  ire  ali" 10  E  la  difficnltà  saria  inagJore A  poterlo  spiccar  dalla  moglire, Con  cui  legflto  era  di  tanro  amore, Che  non  volendo  lei,  non  può  volere. Pur"  per  uh  hi  il  ir  hiì  che  gli"  è  Bgnore, DkQ  d'atiilftre,  e  fare  oltre  il  ptere Gjunse  il  re  a'  prìeghì  tali  ofFertfl  e  àm. Che  di  negar  non  gli  lasciò  ragioni. 11  Partisse,  e  in  pochi  giorni  ritroT(vs.<" Dentro  di  Koma  alh  patenie  t'&s Quivi  tantopregù,  che  1  fratel  m Sì,  eh' a  venire  al  re  gli  permiaset E  fece  ancor  (benché  rìifficii  fosse)  p Che  la  cognata  tacita  rimase, Proponendole  il  ben  che  ti  uscì  ria. Oltre  ch'obbligo  sempre  egli  raTria Stiii;ìii  13. CANTO    VENTESIMOTTA  VO. 447 '<i     Fìsse  Giocondo  alla  partita  il  giorno: Trovò  cavalli  e  servitori  intanto; Vesti  fé'  far  per  comparire  adomo, Che  talor  cresce  una  beltà  un  bel  manto. La  notte  a  lato,  e  1  di  la  moglie  intorno, Con  gli  occhi  ad  or  ad  or  pregni  di  pianto, Gli  dice  ohe  non  sa  come  patire Potrà  tal  lontananza,  e  non  morire; 3  Che  pensandovi  sol,  dalla  radice Sveller  si  sente  il  cor  nel  lato  manco. Deh,  vita  mia,  non  piagnere,  le  dice Giocondo;  e  seco  piagne  egli  non  manco. Cosi  mi  sia  questo  cammin  felice. Come  tornar  vo'  fra  dao  mesi  almanco:Né  mi  farla  passar  d  un  giorno  il  segno, Se  mi  donasse  il  re  mezzo  il  suo  regno. 4  Né  la  donna  per  ciò  si  riconforta: Dice  che  troppo  termine  si  piglia; E  s' al  ritorno  non  la  trova  morta, Esser  non  può  se  non  gran  maraviglia. Non  lascia  il  duol  che  giorno  e  notte  porta, Che  gustar  cibo  e  chiuder  possa  ciglia; Talché  per  la  pietà  Giocondo  spesso Si  pente  ch'ai  fratello  abbia  promesso. 5  Dal  collo  un  suo  monile  ella  si  sciolse. Ch'una  crocetta  avea  riccadi gemme, E  di  sante  reliquie  che  raccolse In  molti  luoghi  un  peregrin  boemme; Ed  il  padre  di  lei,  ch'in  casa  il  tolse Tornando  infermo  di  Gemsaleune, Venendo  a  morte  poi  ne  lasciò  erede: Questa  levossi,  ed  al  marito  diede. 16  E  che  la  porti  per  suo  amore  al  collo Lo  prega,  si  che  ognor  gli  ne  sovvenga. Piacque  il  dono  al  marito  ed  accettollo; Non  perchè  dar  ricordo  gli  convenga:Che  né  tempo  né  absenzia  mai  dar  crollo, Né  buona  o  ria  fortuna  che  gli  avvenga, Potrà  a  quella  memoria  salda  e  forte C  ha  di  lei  sempre,  e  avrà  dopo  la  morte. 17  La  notte  ch'andò  innanzi  a  quell'aurora Che  fu  il  termine  estremo  alla  partenza. Al  suo  Giocondo  par  ch'in  braccio  muora La  moglie,  che  n'  ha  tosto  da  star  senza. Mai  non  si  dorme;  e  innanzi  al  giorno  un'ora Viene  il  marito  all'ultima  licenza. Montò  a  cavallo,  e  si  partì  in  effetto; E  la  moglier  si  ricorcò  nel  letto. 18  Giocondo  ancor  duo  miglia  ito  non  era, Che  gli  venne  la  croce  raccordata, Ch'avea  sotto  il  guancial  messo  la  sera, Poi  per  obblivìon  l'avea  lasciata. Lasso !  dicea  tra  sé,  di  che  maniera Troverò  scusa  che  mi  sia  accettata, Che  mia  moglie  non  creda  che  gradito Poco  da  me  sia  l'amor  suo  infinito? 19  Pensa  la  scusa;  e  poi  gli  cade  in  mente. Che  non  sarà  accettabile  uè  buona, Mandi  famigli,  mandivi  altra  geate, S'egli  medesmo  non  vi  va  in  persona. Si  ferma,  e  al  f ratei  dice: Or  pianamente Fin  a  Baccano  al  primo  albergo  sprona, Che  dentro  a  Roma  è  forza  eh'  io  rivada:E  credo  anco  di  giugnerti  per  strada. 20  Non  potria  fare  altri  il  bisogno  mio: Né  dubitar,  eh'  io  sarò  tosto  teco. Voltò  il  ronzin  di  trotto  e  disse: Addio; Né  de' famigli  suoi  volse  alcun  seco. Già  cominciava,  quando  passò  il  rio. Dinanzi  al  sole  a  fuggir  l'aer  cieco. Smonta  in  casa;  va  al  letto;  e  la  consorte Quivi  ritrova  addormentata  forte. 21  La  cortina  levò  senza  far  motto, E  vide  quel  che  men  veder  credea; Che  la  sua  casta  e  fedel  moglie,  sotto La  coltre,  in  braccio  n  un  giovene  giacca. Riconobbe  1'  adultero  di  botto, Per  la  pratica  lunga  che  n'avea; Ch'  era  della  famiglia  sua  un  garzone, Allevato  da  lui,  d'umìl  nazione. 22  S' attonito  restasse  e  mal  contento, Meglio  é  pensarlo  e  fame  fede  altrui, Ch'esserne  mai  per  far  l'esperimento Che  con  suo  gran  dolor  ne  fé'  costui. Dallo  sdegno  assalito,  ebbe  talento Di  trar  la  spada,  e  ucciderli  ambedui; Ma  dall' amor  che  porta,  al  suo  dispetto, Air  ingrata  moglier,  gli  fu  interdetto. 23  Né  lo  lasciò  questo  ribaldo  amore (Vedi  se  si  l'avea  fatto  vassallo) Destarla  pur,  per  non  le  dar dolore.Chefosse  da  lui  colta  in  si  gran  fallo. Quanto  potè  più  tacito  uscì  fuore, Scese  le  scale,  e  rimontò  a  cavallo; E  punto  egli  d'amor,  cosi  lo  punse, Ch'  all' albergo  non  fu,  che  '1  fratel  giunse. 24    Cambiato  a  tutti  parve  esser  nel  volto; Vider  tutti  clieU  cor  non  area  lieto: Ma  non  vè  chi  s apponga  già  di  molto, £  possa  penetrar  nel  suo  secreto. Credeano  che  da  lor  si  fosse  tolto Per  gire  a  Roma,  e  gito  era  a  Corneto. Ch'amor  sia  del  mal  causa  ognun  s'avvisa; Ma  non  è  già  chi  dir  sappia  in  che  guisa. 27    Par  che  gli  occhi  si  ascondan  nella  t"u Cresciuto  il  naso  par  nel  viso  scarno: Della  beltà  si  poca  gli  ne  resta, Che  ne  potrà  far  paragone  indarno. Col  duol  venne  una  febbre  si  molesta, Che  lo  fé' soggiornar  all'Arbia  e  all'Ani/ E  se  di  bello  avea  serbata  cosa, Tosto  restò  come  al  sol  colta  rosa. ''X'yrfrn''''Stanza  21.25  Estimasi  il  fratel  che  dolor  abbia D'aver  la  moglie  sua  sola  lasciata; E  pel  contrario  duolsi  egli  ed  arrabbia Che  rimasa  era  troppo  accompagnata. Con  fronte  crespa  e  con  gonfiate  labbia Sta  r infelice,  e  sol  la  terra  guata. Fausto  eh' a  confortarlo  usa  ogni  prova, Perchè  non  sa  la  causa,  poco  giova. 26  Di  contrario  liquor  la  piaga  gli  unge, E  dove  tor  dovria,  gli  accresce  doglie: Dove  dovria  saldar,  più  l'apre  e  punge: Questo  gli  fa  col  ricordar  la  moglie. Né  poa  di  né  notte:  il  sonno  lunge Fugge  col  gusto,  e  mai  non  si  raccoglie; E  la  faccia,  che  dianzi  era  si  bella, Si  cangia  d,  che  più  non  sembra  quella. 28  Oltre  eh' a  Fausto  incresca  del  fratdlo, Che  veggia  a  simil  termine  condatto, Via  più  gì'  incresce  che  bugiardo  a  quello Principe,  a  chi  lodollo,  parrà  in  tutto. Mostrar  di  tutti  gli  uomini  il  pia  bello avea  promesso,  e  mostrerà  il  più  bnr. 3Ia  put  continuando  la  sua  via, Seco  lo  trasse  alfin  dentro  a  Pavia. non  mostrarsi  di  giudicio  privo: Ma  per  lettere  innanzi  gli  dà  avviso, Che'l  suo  fratel  ne  viene  appena  vivo; E  eh'  era  stato  all' aria  del  bel  viso affanno  di  cor  tanto  nocivo. da  una  febbre  ria, Che  più  non  parca  quel  eh'  esser  solia. Grata  ebbe  la  venuta  di  Giocondo, Che  non  avea  desidei;ato  al  mondo Cosa  altrettanto,  che  di  lui  vedere. Né  gli  spiace  vederselo  secondo, E  di  bellezza  dietro  rimanere; Benché  conosca,  se  non  fosse  il  male, Che  gli  saria  superiore  o  uguale. Giunto,  lo  fa  alloggiar  nel  suo  palagio; Lo  visita  ogni  giorno,  ogni  ora  n'  ode; Fa  gran  provvision  che  stia  con  agio, E  d'onorarlo  assai  si  studia  e  fÀt. Langue  Giocondo;  chè'l  pensier  malvagio C  ha  della  ria  moglier,  sempre  \o  rode: Né  '1  veder  giochi,  né  musici udire, Dramma  del  suo  dolor  può  minuire. 32  Le  stanze  sue,  che  sono  appresso  al  tetto L'ultime,  innanzi  hanno  una  sala  antica. Quivi  solingo  (perché  ogni  diletto, Perch'ogni  compagnia  prova  nimica) Si  ritraea,  sempre  aggiungendo  al  petto Di  più  gravi  pensier  nuova  fatica; E  trovò  quivi  (or  chi  lo  croderia?) Chi  lo  sanò  della  sua  piaga  ria.  CANTO   VBNTESIMOTTAVO. Stanza  38. 33     In  capo  della  sala,  ove  è  più  scuro (Che  non  vi  s'usa  le  finestre  aprire), Vede  cbe   palco  mal  si  giunge  al  muro, E  fa  d'aria  più  chiara  un  raggio  uscire. Pon  r  occhio  quindi,  e  vede  quel  che  duro A  creder  fora  a  chi  T  udisse  dire: Non  l'ode  egli  d'altrui,  ma  se  lo  vede; Ed  anco  agli  occhi  suoi  propri  non  crede. 34    Quindi  scopria  della  rena  tutta La  più  secreta  stanza  e  la  più  hella, Ove  persona  non  verria  introdutta, Se  per  molto  fedel  non  l'avesse  ella. Quindi  mirando  vide  in  strana  lutta, Oh' un  nano  avviticchiato  era  con  quella; Ed  era  quel  piccin  stato  si  dotto, Che  la  regina  avea  messa  di  sotto. 35    Attonito  Giocondo  e  stupefatto, E  credendo  sognarsi,  nn  pezzo  stette; £  quando  vide  par  chegli  era  in  fatto, E  non  in  sogno,  a  sé  stesso  credette. A  uno  sgrignato  mostro  e  contraffatto ,  disse,  costei  si  sottomette, Che'l  maggior  re  del  mondo hapermarito,Più  bello  e  più  cortese?  Oh  che  appetito! 86  E  della  moglie  sna,  che  così  spesso Più  drogai  altra  biasmava,  ricordosse, Perchè  U  ragazzo  savea  tolto  appresso; Ed  or  gli  parve  che  scasabil  fosse. Non  era  colpa  sua  più  che  del  sesso, Che  dnn  solo  aomo  mai  non  contentosse: E  shan  tatto  ana  macchia  dano  inchiostro, Almen  la  sua  non  s'  avea  tolto  un  mostro. 87  n  di  seguente,  alla  medesima  ora, Al  medesimo  loco  fa  ritorno; E  la  regina  e. il  nano  vede  ancora, Che  fanno  al  re  par  il  medesmo  scorno. Trova  P altro  dì  ancor  che  si  lavora, E  V  altro;  e  alfin  non  si  fa.  festa  giornoE  la  regina  (che  gli  par  più  strano) Sempre  si  duol  che  poco  Tami  il  nano. 38  Stette  fra  gli  altri  un  giorno  a  veder,  chella Era  turbata  e  in  gran  malenconia, Che  due  volte  chiamar  per  la  donzella Il  nano  fatto  avea,  né  ancor  venia. Mandò  la  terza  volta;  et  adi  quella. Che:  Madonna,  egli  giucca:  riferia; E  per  non  stare  in  perdita  d'un  soldo, A  voi  niega  venire  il  manigoldo. 39  A  si  strano  spettacolo  Giocondo Rasserena  la  fronte  e  gli  occhi  e  il  viso, E,  quale  in  nome,  diventò  giocondo D'effetto  ancora,  e  tornò  il  pianto  in  riso. Allegro  toma  e  grasso  e  rubicondo. Che  sembra  un  cherubin  del  Paradiso; Che'l  re,  il  fratello  e  tutta  la  famiglia Di  tal  mutazi'on  si  maraviglia. 40  Se  da  Giocondo  il  re  bramava  udire Onde  venisse  il  subito  conforto. Non  men  Giocondo  lo  bramava  dire, E  fare  il  re  di  tanta  ingiuria  accorto. non  vorria  che  più  di  sé,  punire Volesse  il  re  la  moglie  di  quel  torto, Si  che  per  dirlo,  e  non  far  danno  a  lei, n  re  fece  giurar  su  l'agnusdei. 41  Giurar  lo  fé',  che  nò  per  cosa  detta, Né  che  gli  sia  mostrata  che  gli  spiaceu, Ancorch'egli  conosca  che  diretta Mente  a  sua  Maestà  danno  si  faccia, Tardi  o  per  tempo  mai  farà  vendetti: E  di  più,  vuol  ancor  che  se  ne  taccia;   che  né  il  malfattor  giammai  comprerà fatto  0  in  detto,  che'l  re  il  caso  loiaiiL  42  II  re,  eh'  ogni  altra  cosa,  se  non  qoeiu. Creder  potria,  gli  givarò  largamente. Giocondo  la  cagion  gli  manifesta, Ond'era  molti  dì  .stato  dolente: Perché  trovata  avea  la  disonesta Sua  moglie  in  braccio  d'un  suo  vii  sageiu: E  che  tal  pena  alfin  l'avrebbe  morto, Se  tardato  a  venir  fosse  il  conforto. 43  Ma  in  Casa  di  Sua  Altezza  avea  vedot" Cosa  che  molto  gli  scemava  il  duolo; Che  sebbene  in  obbrobrio  era  caduto, Cosi  dicendo,  e  al  bucolin  venuto, Gli  dimostrò  il  bruttissimo  omiccioolo, Che  la  giumenta  altrui  sotto  si  tiene, Tocca  di  sproni,  e  fa  giuocar  di  scheoe.  44  Se  parve  al  re  vituperoso  l'atto, Lo  crederete  ben,  senza  eh'  io  '1  giuri. Ne  fu  per  arrabbiar,  per  venir  matto; Ne  fu  per  dar  del  capo  in  tutti  i  mini: Fu  per  gridar,  fu  per  non  stare  al  patto; Ma  forza  é  che  la  bocca  alfin  ai  tori, E  che  l'ira  trangugi  amara  ed  aera. Poiché  giurato  avea  su  l'ostia  sacra. 45  Che  debbo  far,  che  mi  consigli,  frate, Disse  a  Giocondo,  poiché  tu  mi  tolli Che  con  degna  vendetta  e  crudeltatc Questa  giustissima  ira  io  non  satolli? Lasciam,  disse  Giocondo,  queste  ingrate, E  proviam  se  son  l'altre  cosi  molli: Facciam  delle  lor  femmine  ad  altrui Quel  ch'altri  delle  nostre  han  fatto  a  ""• 46  Ambi  gioveni  siamo,  e  di  bellezia Che  facilmente  non  troviamo  pari. Qual  femmina  sarà  che  n'usi  asprezza? Se  centra  i  brutti  ancor  non  han  ripari  r Se  beltà  non  varrà  né  giovinezza, Varranno  almen  l'aver  con  noi  danari Non  vo'  che  tomi,  che  non  abbi  prima Di  mille  mogli  altrui  la  spoglia  opim CANTO  VBNTBSIMOTTAVO, Stanza 47     La  lunga  absenzia,  il  veder  vari  luoghi, Praticare  altre  femmine  di  fuore. Par  che  sovente  disacerbi  e  sfoghi Dell  amorose  passioni  il  core. Landa  il  parer,  nò  vuol  che  si  proroghi Il  re  r  andata,  e  fra  pochissime  ore Con  dao  scudieri,  oltre  alla  compagnia Del  cavaUer  roman,  si  mette  in  via.  48    Travestiti  cercaro  Italia,  Francia, Le  terre de'Fiamminghi  e  degl'laglesi; E  quante  ne  vedean  di  bella  guancia, Trovavan  tutte  a'  prieghi  lor  cortesi. Davano,  e  data  loro  era  la  mancia; E  spesso  rimetteano  i  danar  spesi. Da  lor  pregate  foro  molte,  e  foro Anch'  altrettante  che'pregaron  Joro. 49    lu  questa  terra  un  mese,  in  quella  dui Soggiornando,  accertarsi  a  vera  prova Che  non  men  nelle  lor .  che  nell' aitimi Femmine,  fede  e  castità  si  trova. Dopo  alcun  tempo  increbbe  ad  ambedui Di  sempre  procacciar  di  cosa  nuova; Che  mal  poteano  entrar  neir  altrui  porte, Senza  mettersi  a  rischio  della  morte.  51     Una  (senza  sforzar  uostro  potere, quando  il  naturai  bisogno  inviti) In  festa  goderemoci  e  in  piacere; Che  mai  contese  non  avrem,  né  liti. Né  credo  che  si  debba  ella  dolere; Che  s'anco  ogni  altra  avesse  duo  mariti. Più  eh' ad  un  solo,  a  duo  sarìa  fedele, Né  forse  s'udirian  tante  querele. Stanza  52. 50    Gli  è  meglio  una  trovarne,  che  di  faccia £  di  costumi  ad  ambi  grata  sia. Che  lor  comunemente  soddisfaccia, E  non  n'abbin  d'aver  mai  gelosia. E  perchè,  dicea  il  re,  vub'  che  mi  spiaccia Aver  più  te  eh' un  altro  in  compagnia? So  ben  eh'  in  tutto  il  gran  femmineo  stuolo Una  non  è  che  stia  contenta  a  un  solo. 52  Di  quel  che  disse  il  re,  molto  conttfuto Rimaner  parve  il giovineromano.Dunque  fermati  iu  tal  proponimento, Cercar  molte  montagne  e  molto  piano. Trovaro  alfin,  secondo  il  loro  intento, Una  figliuola  d'uno  ostiero  ispano, Che  tenea  albergo  al  porto  di  Valenza, Bella  di  modi  e  bella  di  presenza. 53  Era  ancor  sul  fiorir  di  primavera Sua  tenerella  e  quasi  acerba  etade. Di  molti  figli  il  padre  aggravat' era, Si  eh' a  disporlo  fìi  cosa  leggiera, Che  desse  lor  la  figlia  in  potestade; Ch'ove  piacesse  lor  potesson  trarla, Poiché  promesso  avean  di  ben  trattarla. 54  Pigliano  la  fanciulla,  e  piacer  n'haiuo Or  l'uno  or  T altro,  iu  caritode  e  in  pace, Come  a  vicenda  i  mantici  che  danno, Or  l'uno  or  l'altro,  fiaty  alla  fornace. Per  veder  tutta  Spagna  indi  ne  vanno, E  passar  poi  nel  regno  di  Siface: E'I  di  che  da  Valenza  si  partirò, Ad  albergare  a  Zattiva  veniro. 55  I  patroni  a  veder  strade  e  palaza Ne  vanno,  e  lochi  pubblici  e  divini, Ch'usanza  han  di  pigliar  simil  sollaffi; In  ogni  terra  ov'entran  peregrini, E  la  fanciulla  resta  coi  ragazzi Altri  i  letti,  altri  acconciano  i  ronzini,   Altri  hanno  cura  che  sia  alla  tornata Dei  signor  lor  la  cena  apparecchiata.  56  Nell'albergo  un  garzon  stava  per  fante, Ch'  in  casa  della  giovene  già  stette  A'  servigi  del  padre,  e  d'essa  amante Fu  da'  primi  anni,  e  del  suo  amor  godette. Ben  s' adocchiar,  ma  non  ne  fér  semhunte Ch'esser  notato  ognun  di  lor  temette: Ma  tosto  ch'i  patroni  e  la  famiglia Lor  dieron  luogo,  alzar  tra  lor  le  cigli"  CANTO   VENTESIMOTTAVO.  i7    II  fante  domandò  do? ella  gisse, E  qnal  dei  dao  signor  P  avesse  seco. A  ponto  la  Fiammetta  il  fatto  disse (Così  avea  nome,  e  quel  garzone  il  Greco). Quando  sperai  che  1  tempo,  oiraè !  venisse (Il  Greco  le  dicea)  di  viver  teco, Fiammetta,  anima  mìa,  tu  te  ne  vai, E  non  so  più  di  rivederti  mai. 58    Fannosi  i  dolci  miei  disegni  amari, Poiché  sei  d'altri,  e  tanto  mi  ti  scosti. Io  disegnava,  avendo  alcun  danari Con  gran  fatica  e  gran  sudor  riposti, Ch'  avanzato  m' avea  de'  miei  salari E  delle  bene  andate  di  molti  osti. Di  tornare  a  Valenza  e  domandarti Al  padre  tuo  per  moglie,  e  di  sposarti. ((;¦(//'(, 'y.i)' stanca  M. d    La  fanciulla  negli  omeri  si  stringe, E  rispomle  che  fu  tardo  a  venire, riaiige  il  Greco  e  sospira,  e  parte  finale, Vuummi,  dice,  lisciar  così  morire? Con  le  tue  braccia  i  fianchi  almen  mi  cinye; Lanciami  disfogar  tanto  desire: i.V  innanzi  che  tu  parta    ugni  momento riifì  leco  io  iitìai  mi  fa  morir  cunteut. 60    La  pietosa  fanciulla  rispondendo: Credi,  dicea,  che  meri  di  te  noi  bramo  \ Ma  né  luogo  uè  tempo  ci  comprendo Qui,  dove  in  mezzr"  di  tanti  occhi  siamo. Il  Greco  aoggiungea:  Certo  mi  rendo, Che  a'  un  terzo  ami  me  di  quel  eh'  io  t' amo, In  questa  notte  alineu  troverai  loco Che  ei  potrem  godere  insieme  un  poco. 61  Come  potrò,  diceagli  la  fanciulla, Che  sempre  in  mezzo  a  duo  la  notte  giaccio?E  meco  or  l'uno  or  Taltrp  si  trastulla, E  sempre  all'un  dì  lor  mi  trovo  in  braccio? Questo  ti  fia,  soggiunse  il  Greco,  nulla; Che  ben  ti  saprai  tor  di  questo  impaccio, E  uscir  di  mezzo  lor,  purché  tu  voglia: E  dèi  voler,  quando  di  me  ti  doglia. 62  Pensa  ella  alquanto,  e  poi  dice  che  vegna Quando  creder  potrà  eh'  ognuno  dorma; E  pianamente  come  far  convegna, E  dell'andare  e  del  tornar  l'informa. Il  Greco,  si  come  ella  gU  disegna. Quando  sente  dormir  tutta  la  torma. Viene  all'uscio  e  lo  spinge,  e  quel  gli  cede: Entra  pian  piano,  e  va  a  tenton  col  piede. 63  Fa  lunghi  i  passi,  e  sempre  in  quel  di  dietro Tutto  si  ferma,  e  l'altro  par  che  muova A  guisa  che  di  dar  tema  nel  vetro; Non  che'l  terreno  abbia  a  calcar,  ma  l'uova: E  tien  la  mano  innanzi  simil  metro; Va  brancolando  infin  che  '1  letto  trova; E  di  là  dove  gli  altri  avean  le  piante, Tacito  si  cacciò  col  capo  innante. 64  Fra  l'una  e  l'altra  gamba  di  Fiammetta Che  snpiia  giacea,  diritto  venne; E  quando  le  fu  a  par,  l'abbracciò  stretta, E  sopra  lei  sin  presso  al  di  si  tenne. Cavalcò  forte,  e  non  andò  a  staffetta. Che  mai  bestia  mutar  non  gli  convenne: Che  questa  pare  a  lui  che  si  ben  trotte. Che  scender  non  ne  vuol  per  tutta  notte. 65  Avea  Giocondo  ed  avea  il  re  sentito Il  calpestio  che  sempre  il  letto  scosse; E  r  uno  e  l'altro,  d'uno  error  schernito, S'avea  creduto  chel  compagno  fosse. Poi  ch'ebbe  il  Greco  il  suo  cammin  fornito, Si  come  era  venuto,  anco  tornosse. Saettò  il  Sol  dall' orizzonte  i  raggi; Sorse  Fiammetta,  e  fece  entrare  i  paggi. 66  II  re  disse  al  compagno  motteggiando:Frate,  molto  cammin  fòtto  aver  dei; E  tempo  ò  ben  che  ti  riposi,  quando Stato  a  cavallo  tutta  notte  sei. Giocondo  a  lui  rispose  di  rimando, E  disse: Tu  di'  quel  eh'  io  a  dire  avrei, A  te  tocca  posare,  e  prò  ti  faccia; Che  tutta  notte  hai  cavalcato  a  caccia. 67  Anch'  io,  soggiunse  il  re,  senza  alaa  L Lasciato  avria  il  mio  can  correre  un  tn& Se  m' avessi  prestato  un  po'  il  caTallo, Tanto  che  '1  mio  bisogno  avessi  futto. Giocondo  replicò:  Son  tuo  vassallo, E  puoi  far  meco  e  rompere  ogni  tto; Si  che  non  convenia  tal  cenni  usare; Ben  mi  potevi  dir: Lasciala  stare. 68  Tanto  replica  l'no,  tanto  soggiunge L'altro,  che  sono  a  grave  lite  insieme. Vengon  da'  motti  ad  un  parlar  che  pm; Ch'  ad  amenduo  l'esser  beffato  preme. Chiaman  Fiammetta  (che  non  era  Inuge, E  della  fraudo  esser  scoperta  teme). Per  fare  in  viso  l'uno  all' altro  dire Quel  che  negando  ambi  parean  mentile. 69  Dimmi,  le  disse  il  re  con  fiero  sguardo, E  non  temer  di  me  né  di  costui: Chi  tutta  notte  fu  quel  sì  gagliardo, Che  ti  godè  senza  far  parte  altroi? Credendo  Tun  provar  l'altro  bugiardo, La  risposta  aspettavano  ambeduL Fiammetta  a'  piedi  lor  si  gettò  incerta Di  viver  più,  vedendosi  scoperta. 70  Domandò  lor  perdono,  che  d'amore, Ch'a  un  giovinetto  avea  portato,  spinta, E  da  pietà  d'un  tormentato  core, Che  molto  avea  per  lei  patito.  Tinta, Caduta  era  la  notte  in  quello  enore: E  seguitò,  senza  dir  cosa  finta. Come  tra  lor  con  speme  si  condusse, Ch'  ambi  credesson  che  '1  compagno  tm 71  D  re  e  Giocondo  si  guardare  in  tìm, Di  maraviglia  e  di  stupor  confasi: Né  d'aver  anco  udito  lor  fu  avTiso, Ch'  altri  duo  fiisson  mai  così  delusi:Poi  scoppiare  ugualmente  in  tanto  riso. Che,  con  la  bocca  aperta  e  gli  occhi  chlaà, Potendo  a  pena  il  fiato  aver  del  petto. Addietro  si  lavsiàr  cader  sul  letto. 72  Poi  eh'  ebbon  tanto  riso,  che  ' Se  ne  sentiano  il  petto,  e  pianger  gUocdu. Disson  tra  lor:  Come  potremo  avere Guardia,  che  la  moglier  non  ne  raccocdu. Se  non  giova  tra  duo  questa  tenere, E  stretta  sì,  che  l'uno  e  l'altro  tocchi? Se  più  che  crini  avesse  occhi  il  mòto, Non  potria  far  che  non  fosse  tradito. CANTO  VENTESIMOTTAVO. 73  Provate  mille  abbiamo,  e  tutte  belle; Né  di  tante  una  è  ancor  che  ne  contraste. Se  proviam  l'altre,  fian  simil  anch'elle: Ma  per  nltima  prova  costei  baste. Donqne  possiam  creder  che  più  felle Non  sien  le  nostre,  o  men  dell' altre  caste:E  se  son  come  tutte  P altre  sono, Che  torniamo  a  godercile  fia  buono. 74  Conchiuso  ch'ebbon  questo,  chiamar  fero Per  Fiammetta  medesima  il  suo  amante; E  in  presenzia  dì  molti  gli  la  diero Per  moglie  I  e  dote  che  gii  fu  bastante Poi  montare  a  C41T!ìUo>  e  il  lor  sentiero cuberà  a  Poneute  volsero  a  Levante; Ed  alle  mogli  lor  ae  ne  tomaro, Di  eh'  affanno  mai  più  non  ai  pigli  aro. 75  Lostìer  qui  fìae  alla  ua  istoria  pose, Olle  fu  con  molta  attenzione  udita. UdìlU  il  Saracin,  né  gli  rispose  Parolft  mai,  finché  non  fu  finita Pui  disse;  Io  credo  hen  clie  lìeil'ascoae Femmìnil  frode  sia  copia  infinita  i Né  si  potrla  della  millesma  parte Tener  memoria  con  tutte  le  carte. 76  Quivi  era  un  uom  d'età,  eh ave  a  più  retta Opiuion  degli  altri,  e  ingegno  e  ardire; E  non  potendo  ormai    che  b\  uegletta Ogni  femmina  fosse,più  patire; 8i  Tolae  a  quel  ch  avea  V  istoria  detta E  li  diafse:  Assai  cose  udimmo  dire Che  Terìtade  in  sé  non  hanno  alcuna; E  ben  di  queste  è  la  tua  favola  una. 77  A  chi  te  la  narrò  non  dci  credenza, S  eTaogelista  ben  foga  e  nel  resto; Ch'Opinione,  più  di' esperienza  Ch abbia  di  donne,  Io  facea  dir  questo. V  avere  ad  una  o  due  tn ali vo lenza, Fa  ch'odia  e  bìaiìraft  T  altre  oltre  air  onesto; 3Ia  se  gli  passa  rìra,  io  vo'tu  Toda Più  eh  ora  biaarao,  anco  dar  lor  gran  loda, 78  E  ae  Torrà  lodarne,  avrà  maggiore Il  (;ampo  assai,  eh'  a  dirne  mal  non  ebbe; Di  cento  potrà  dir  degne  d onore, Verso  una  trista  che  bìasmar  si  debba Non  biasmar  tutte,  raa  serbarne  fuore La  hontA  d'inlinite  si  dovrebbe; E  se  U  Valerio  tuo  disse  altri  men  te, Disse  per  ira,  e  non  per  quel  che  sente. 79    Ditemi  un  poco:  è  di  Toi  forse  alcuno Ch  abbia  servato  alla  sua  moglie  fede? Che  nieghi  andar,  quando  gli  sia  opportuno. Air  altrui  donna,  e  darle  ancor  mercede? Credete  in  tutto  U  mondo  trovarne  uno?Chi  '1  dice,  mente;  e  folle  è  ben  chi  '1  crede. Trovatene  vo' alcuna  che  vi  cliiami? (Non  parlo  delle  pubbliche  ed  infami). &tajì£a  76. 80    Conoscete  alcun  voi,  che  non  Jasciasse La  moglie  sola,  ancorché  fosse  bella, Per  seguire  altra  donna,  se  sperasse In  breve  e  facilmente  ottener  quella? Che  farebbe  egli,  quando  lo  pregase, 0  dense  premio  a  lui  donna  o  donzella? Credo,  per  compiacere  or  queste  or  quelle, Che  tutti  lasceremmovi  la  pelle. 91    Quelle  che  1  Io?  mariti  hanno  lasciati   Le  più  volte  cagione  avuta  n  hanno Del  suo  di  casa  li  veggon  svogliati, E  e  II  e  fuor  de  IP  altrui  brAmosi  vanno Dovriano  amar,  volendo  essere  amati; E  tor  cou  la  misura  eh' a  lor  danno. Io  farei  (se  a  me  stesse  il  darla  e  tfìnre) Tal  legge,  eh'  uom  non  vi  potrebbe  opporre. 82  Saria  la  legge,  ch'ogni  donna  cólta In  adulterio,  fosse  messa  a  morte, Se  provar  non  potesse  ch'ana  volta Avesse  adulterato  il  suo  consorte; Se  provar  lo  potesse,  andrebbe  asciolta, Né  temeria  il  marito  né  la  corte. Cristo  ha  lasciato  nei  precetti  suoi: Non  far  altrui  quel  che  patir  non  vuoi. 83  La  incontinenza  è  quanto  mal  si  puote Imputar  lor,  non  già  a  tutto  Io  stuolo. Ma  in  questo,  chi  ha  di  noi  più  brutte  note? Che  continente  non  si  trova  un  solo. E  molto  più  n'ha  ad  arrossir  le  gote, Quando  bestemmia,  ladroneccio,  dolo, Usura  ed  omicidio,  e  se  v'è  peggio, Raro,  se  non  dagli  uomini,  far  veggio. 84  Appresso  alle  ragioni  avea  il  sincero E  giusto  vecchio  in  pronto  alcuno  esempio Di  donne  che  né  in  fatto  né  inpensiero Mai  di  lor  castità  patiron  scempio. Ma  il  Saracin,  che  fuggìa  udire  il  vero, Lo  minacciò  con  viso  crudo  ed  empio, Sì  che  lo  fece  per  timor  tacere; Ma  già  non  lo  mutò  di  suo  parere. 85  Posto  ch'ebbe  alle  liti  e  alle  contese Termine  il  re  pagan,  lasciò  la  mensa: Indi  nel  letto,  per  dormir,  si  stese Fin  al  partir  dell'aria  scura  e  densa;      % Ma  della  notte,  a  sospirar  l'offese Più  della  donna,  eh' a  dormir,  dispensa. Quindi  parte  all'uscir  del  nuovo  raggio, E  far  disegna  in  nave  il  suo  viaggio. 86  Però  ch'avendo  tutto  quel  rispetto Ch'a  buon  cavallo  dee  buon  cavaliero, A  quel  suo  bello  e  buono,  ch'a  dispetto Tenea  di  Sacripante  e  di  Ragfifiero; Vedendo  per  duo  giorni  averlo  stretto Più  ci? e  non  si  dovria  si  buon  destriero. Lo  pon,  per  riposarlo,  e  lo  rassetta In  una  barca,  e  per  andar  più  in  fretta, 87  Senza  indugio  al  nocchier  varar  la  barca, E  dar  fa  i  remi  all'acqua  della  sponda. Quella,  non  molto  grande  e  poco  carca, Se  ne  va  per  la  Sonna  giù  a  seconda. Non  fugge  il  suo  pensier,  né  se  ne  scarca Rodomonte  per  terra  né  per  onda: Lo  trova  in  su  la  proda  e  in  su  la  poppa:E  se  cavalca,  il  porta  dietro  in  groppa. 88  Anzi  nel  capo,  o  sia  nel  cor  gli  siede, E  di  fuor  caccia  ogni  conforto  e  sem. Di  ripararsi  il  misero  non  vede, 

Dappoiché  gli  nemici  ha  nella  terra. Non  sa  da  chi  sperar  possa  mercede, Se  gli  fanno  i  domestici  snoi  guerra: La  notte  e  '1  giorno  sempre  è  comhattnu Da  quel  crudel  che  dovria  dargli  aiuto. 89  Naviga  il  giorno  e  la  notte  seguente Rodomonte  col  cor  d'affanni  grave: E  non  si  può  l'ingiuria  tor  di  mente. Che  dalla  donna  e  dal  suo  re  avuto  hAn; E  la  pena  e  il  dolor  medesmo  sente, Che  sentiva  a  cavallo,  ancora  in  nave: Né  spegner  può,  per  star  nell'acqua,  fi  faoa Né  può  stato  mutar,  per  mutar  loco. 90  Come  l'infermo  che,  dirotto  e  stinco Di  febbre  ardente,  va  cfingiando  lato; 0  sia  su  l'uno,  o  sia  su  l'altro  fianco, Spera  aver,  se  si  volge,  miglior  stato; Né  sul  destro  riposa  né  sul  manco, E  per  tutto  ugualmente  é  travagliato: Così  il  Pagano  al  male,  ond'era  inferno, Mal  trova  in  terra  e  male  in  acqut  scherno. 91  Non  puote  in  nave  aver  più  pazienza, E  si  fa  porre  in  terra  Rodomonte. Lion  passa  e  Vienna,  indi  Valenza, E  vede  in  Avignone  il  ricco  ponte; Che  queste  terre  ed  altre  ubbidienza. Che  son  tra  il  fiume  e  '1  celtibero  monte, Rendean  al  re  Agramante  e  al  re  dì  Spag" Dal  di  che  fùr  signor'  della  campagna. 92  Verso  Aoquamorta  a  man  dritta  si  tesse Con  animo  in  Algier  passare  in  fretta: E  sopra  un  fiume  ad  una  vUia  venne E  da  Bacco  e  da  Cerere  diletta, Che  per  le  spesse  ingiurie  che  sostenne Dai  soldati,  a  votarsi  fu  costretta. Quinci  il  gran  mare,  e  quindi  nell'apriche Valli  vede  ondeggiar  le  bionde  spiche. 93  Quivi  ritrova  una  piccola  chiesa Di  nuovo  sopra  un  monticel  murata. Che,  poich'intorno  era  la  guerra  accesa, 1  sacerdoti  vota  avean  lasciata. Per  stanza  fu  da  Rodomonte  presa; Che  pel  sito,  e  perch'era  sequestrata Dai  campi,  onde  avea  in  odio  udir  noteil" Gli  piacque  ri,  che  mutò  Algierì  in  qn"U CANTO  VENTESIMOTTAVO. [    Mutò  d'andare  in  Africa  pensiero: Sì  comodo  gli  parve  il  luogo  e  bello. Famigli  e  carriaggi  e  il  suo  destriero Seco  alloofgiar  fé' nel  medesmo  ostello. Vicino  a  poche  leghe  a  Mompoliero, E  ad  alcun  altro  ricco  e  buon  castello Siede  il  villaggio  a  lato  alla  riviera; Si  che  d'avervi  ogni  agio  il  modo  v'  era. >     Stanilo  vi  un  giofiio  il  Sjiraciii  pen.:>j?o (Come  imr  era  it  più  del  tempo  u3:\to), Vide  venir  per  mezzo  un  prato  erboso Ohe  iV  un  piccol  aentiero  era  seiuto, Una  dimzellii  rlì  vio  amoroso  In  cosiipatrob  d'uà  monaco  barbEtto; E  si  trieaiio  dietro  nu  |?:ran  destriero Sotto  una  soma  coperta  "li  nero. 6  Chi  la  donzclb,  cbiU  monnco  sìa, Chi  portin  Sicm,  vi  debb  esser  chiaro. Conoscere  Isabella  t dovria.Che  '1  corpo  tivea  <!el  suo  inerbino  caro. Lasciai  che  per  Provenza  ne  venia Sotto  la  scorta  del  vecchie  preclaro, Che  le  avea  persuaso  tutto  il  reato Dicaie  a.  Dio  Jel  suo  vivere  onesto. 7  Come  oh  è  Ìii  vi>o  pallida  e  smarrita Sia  la  doniella,  ed  abbia  [  crini  iticootì; E  facciano  i  so?3j)ir  coutimiaudtii Del  petto  acceso,  e  gli  occhi  sìen  duo  fonti; altri  testiraoui  d'una  vita Misera  e  grave  in  lei  si  veggan  pronti; Tanto  i>erò  di  bello  anco  le  avama Che  con  le  Grazie  Amor  vi  pu(>  aver  stanza,  18    Toito  elle  'l  Saracin  vi(ìe  la  bella Donna  apjiarir,  messe  il  pensiero  al  fondo, Ch'area  di  biaamar  sempre  e  d  orlìar  i|UelJa Schiera  gentil  clu  pur  aflorna  il  mondo. E  ben  gli  par  dignissima  Isabella, In  cui  locar  debba  ìl  suo  amor  secondo E  spegner  totalmente  il  primo,  a  modo Che  daUaase  si  trae  chiodo  con  chiodo,  )9    Incontra  se  le  fece,  e  cnl  pìiì  m<dle Parlar  che  seppe,  e  col  mitili  or  sembiante, Di  sua  condizione  domandolle: Ed  ella  oui  pensier  gli  spif?gÒ  innante; Come  era  per  laciare  il  mondo  folle, E  far<3i  amica  a  Dio  con  opre  sante. Ride  il  Paghino  stUicr,  clf  in  Dio  wììì  erede  D'ogni  legge  nimico  e  d' ogni  fede: 100    E  chiama  intenzione  erronea  e  lieve, E  dice  che  per  certo  ella  troppo  erra; Né  men  biasmar  che  P  avaro  si  deve, Che'l  suo  ricco  tesor  metta  sotterra: Alcuno  util  per  sé  non  ne  riceve, E  dalPuso  degli  altri  uomini.il  serra. leon  si  denno,  orsi  e  serpenti,   . E  non  le  cose  belle  ed  innocentistanza  89. 101  II  monaco  chU  questo  avea  P  orecchia, E  per  soccorrer  la  giovane  incauta, Che  ritratta  non  sia  per  la  via  vecchia, Hcilea  al  governo  qua!  pratico  nauta; Quivi  di  ispiri  tal  cibo  apparecchia Tosto  una  menstti  sontuosa  e  lauta. Ma  il  Saracin,  che  con  mal  gusto  nacque Non  pur  la  saporò,  che  gli  dispiacque; 102  E  poi  cbMn vanti  il  monaci  interroppe, H  non  potè  mai  far  si  che  tacesse E  che  di  paiieuza  il  freno  toppe   Le  mani  aldosso  con   furor  gli  mosse. Ma  le  parole  mìe  parervi  troppe Potriauo  omai,  se  più  se  ne  dicesse Sì  che  finirò  il  l'antri  e  mi  fia  specchio Quel  che  per  troppo  dire  accidde  al  vecchi  ". N  o  t: St.  4.  V.12.   Astolfo:  modiflcazione  di  Aistulfo, come  nelle  storie  si  nomina  quel  re  longobardo.   Il fratti  monaco:  Rachi,  che  abdicò  la  corona,  e  abbrac ciò la  vita  monastica.  St.  9.  V.8.   Alla  Tana:  al  Tanaì,  fiume  di  Rassia, oggi  chiamato  Don;  e  dagli  antichi  riguardato  come estremo  accessibìl  confine  deirEnropa  settentrìonale. St.  19.  y.  6.   Baccano  paesello  con  osteria  a  poche miglia  da  Roma. St.  20.  V.5.   IZ  rio,  il  Tevere.  Usa  Rio  per  fiume grosso,  al  modo  degli  Spagnuoli. St.  24.  V.6.   Comeio.  Città  del  già  Stato  Romano. Scherza  con  equivoco  facile  a  capirsi. St.  27.  V.6.   AWArbia  e  all'Arno;  a  Siena  e  a  Fi renze, città  denotate  col  nome  di  quei  due  fiumi St.  40.  V.8.   VAgimBdti: qui  significa  Vostia  sacra. St.  42,  V.6.   In  hrckceio  d'un  9uo  vii  sergente:  dì un  suo  vile  ministro,  o  meglio  di  un  garzone  di  fami glia, come  Fautore  stesso  lo  chiama  alla  St.  21,  v.7. ST.  54.  V.68.   Nel  regno  di  Sifaee:  nella  Numidia, e  per  estensione  in  Africa.   Zattiva:  Xativa,  città  di Spagna,  nel  regno  di  Valenza. St.  ò8.  V.6.   Bene  andate:  mance  che  si  danno  ai garzoni  degli  albergatori.   Osti: ospitL St.  83.  V.3.   Note:  macchie,  colpe. St.  87.  V.18.   Varar  la  barca:  farla  scendere  di terra  in  acqua.  Propriamente  varare  si  dice  de  navigli nuovi  o  rifatti,  che  dai  cantieri  per  mezzo  di  nn  piano inclinato  si  fanno  scivolar  in  mare.  Qai  m intendere  FAdosto,  che  dar  Vabrivo  al  naviglio,  &f' pigliare  il  largo,  poiché  gli  antichi,  se  il  legno  mam  o di  giiLnde  portata,  usavano  tirarlo  alquanta  da  pRi in  terra,  per  assicurarlo  da  colpi  del  flusso  e  rifcr  St.  89.  V.8.   Né  pud  stato  mutar,  ptrnmUsrìùa Son  parole  di  Dante  inverse:  E  muta  Ufffft  paA niuta  lato.  St.  91.  V.36. Vienna:  città  di  Francia  noi  D finato, Tra  il  fiume  e'  l  eeltibero  monte:  tra  il  E dano,  fiume  di  Francia,  e  il  monte  Idabeda,  dette  f" tibero  dal  Poeta,  perchò  sorge  in  quella  reat  deQi Spagna  Tarraconese,  che  i  Romani  denomiBanae  Caf tiberia. St.  96.  V.8.   Dicare:  dedicare. St.  97.  V.28.   Ed  abbia  i  eritii  inconti:  iaecls. rabbuffati,  dal  latino  ineompiL   Che  con  U  Grut Amor,  ecc.  Le  Giazie"  figliuole  di  Giove  e  di  Euiws" 0,  com'  altri  dicono,  di  Bacco  e  di  Venere,  eraad  e Eufrosina,  Talia,  ed  Aglaia.  Omero  ne  dùama  oaa  f% sitea,  e  cosi  Stazio,  nel  n  libro  della  Tifoide. St.  98.  V.8.   Che  dalV  asse  si  trae  chiodo  cm chiodo.  Lo  stesso  concetto  incontreremo  al  Cairto  1L\ St.  29;  e  l'usò  prima  il  Petrarca.  Tr.  d'Am.,  caf.  Bl terz.  22:  Come  d'asse  si  trae  chiodo  con  chiodo. St.  101.  V.8.   Non  pur  la  sapore,  che  gli  diapiaetw appena  l'assaporò,  gli,  ecc.;  non  prima  TassapOTò,  eie gli,  ecc. CAFrO  VENTESIMOOXO. Stanza  47. Triiita  fine  del  romito  esortatore  Iabolla,  per  serbare  in  pe Isolante  sua  castità,  iijJucii  Rodoraoìite  a  decapitarla.  Il pagano  fabbrica  imo  strutto  ponte  sul  fiume  vieitio,  a  Tu  ji ri Rioni  i  cavalieri  che  vi  s  ìnibattoiio,  o  gii  ucfile;o  we  peno lu  armi  a  trofeo  Bai  cimitero  d'Isabella  Capita  ivi  Urlando, 

c1j"ìi  aìuDacoii  Hudomonte  lo  gelta  nel  tì\im%  e  lascia  ùi Vìm:!  segui  di  sua  pazzia. 0  degli  uomini  inferma  e  instabii  niente ! Come  niam  i>restì  a  viir'iax  disegno! Tatti  i  peusier  mutiamo  facilmente, Più  "luel  che  nascua  d'amoroso  sdegno, lo  vidi  diauKi  il  Saracin  sì  ardente Contrii  le  dui] ne   e  ijasair  tanto  il  seguo, Olie  uun  elle  spegner  l'odio  ma  p  e  usai Che  noi  dovesse  intiepidirlo  mai. Donne  gentil,  per  quel  eli'  &  biasmo  vostro rarlò  contra  il  dover,  hi  offeso  sono, Che  sin  clic  col  suo  mal  non  gli  dimostro Quanto  abbia  fatto  error,  non  gli  perdono. Io  farò  si  con  penna  e  con  inchiostro, Gh'  ognun  vedrà  che  gli  era  utile  e  buono Aver  taciuto,  e  mordersi  anco  poi Prima  la  lingua,  che  dir  mal  di  voi. 8      Ma  che  parlò  come  ignorante  e  sciocco, Ve  lo  dimostra  chiara  esperienzia. Incontra  tutte  trasse  fuor  lo  stocco Dell'ira,  senza  fervi  differenzia: Poi  d'Isabella  nn  sguardo  si  l'ha  tocco, Che  sabito  gli  fe  mutar  sentenzia. Già  in  cambio  di  quell'altra  la  disia: L'ha  vista  appena,  e  non  sa  ancor  chi  sia. 4  E  come  il  nuo7o  amor  lo  punge  e  scalda, Muove  alcune  ragion  di  poco  frutto, Per  romper  quella  mente  intera  e  salda Ch'ella  avea  fissa  al  Creator  del  tutto. Ma  l'Eremita,  che  Ve  scudo  e  falda, Perchè  il  casto  pensier  non  siadistrutto, Con  argumenti  più  validi  e  fermi, Quanto  più  può,  le  fa  ripari  e  schermi. 5  Poi  che  l'empio  Pagan  molto  ha  sofferto Con  lunga  noia  quel  monaco  audace, E  che  gli  ha  detto  invan  ch'ai  suo  deserto Senza  lei  può  tornar,  quando  gli  piace; E  che  nuocer  si  vede  a  viso  aperto, E  che  seco  non  vuol  triegua  né  pace; La  mano  al  mento  con  furor  gli  stese, E  tanto  ne  pelò,  quanto  ne  prese: 6  E  sì  crebbe  la  furia,  che  nel  collo Con  man  lo  stringe  a  guisa  di  tanaglia; E  poi  eh  una  e  due  volte  raggirollo, Da  sé  per  l'aria  e  Terso  il  mar  lo  scaglia. Che  n'avvenisse,  né  dico  né  sollo: Varia  fama  è  di  lui,  né  si  ragguaglia. Dice  alcun,  che  sì  rotto  a  un  sasso  resta, Che  '1  pie  non  si  disceme  dalla  testa:7  Ed  altri,  eh' a  cadere  andò  nel  mare, Ch'era  più  dì  tre  miglia  indi  lontano, E  che  mori  per  non  saper  notare, Fatti  assai  prieghie  orazioni  invano: Altri,  eh' un  Santo  lo  venne  aiutare, Lo  trasse  al  lito  con  visibil  mano. Di  queste,  qual  si  vuol,  la  vera  sia: Di  lui  non  parla  più  l'istoria  mia. 9  E  si  mostrò  sì  costumato  allora. Che  non  le  fece  alcun  segno  di  forza li sembiante  gentil  che  l'innamora, L'usato  orgoglio  in  lui  spegne  ed; E  benché  '1  frutto  trar  ne  possa  fiiora, Passar  non  però  vuole  oltre  alla  aeom; Che  non  gli  par  che  potesse  esser  bnoM, Quando  da  lei  non  lo  accettasse  in  dono. 10  E  cosi  di  disporre  a  poco  a  poeo A' suoi  piaceri  Isabella  credea. Ella,  che  in  sì  solingo  e  strano  loco, Qua!  topo  in  piede  al  gatto,  si  vedea, Vorria  trovarsi  innanzi  in  mezzo  il  foooo; E  seco  tuttavolta  rivolgea S' alcun  partito,  alcuna  via  fosse  atta A  trarla  quindi  immaculata  e  intatta 11  Fa  nell'animo  suo  proponimento  Di  darsi  con  sua  man  prima  la  morte, Che  '1  Barbaro  crudel  n'abbia  il  sao  inteatc. E  che  le  sia  cagion  d'errar  sì  forte Centra  quel  cavalier  ch'in  braccio  spenui Le  avea  crudele  e  dispietata  sorte; A  cui  fatto  ave  col  pensier  devoto Della  sua  castità  perpetuo  voto. 12  Crescer  più  sempre  1'  appetito  cieco Vede  del  Re  pagan,  né  sa  che  farsL Ben  sa  che  vuol  venire  all'atto  bieco. Ove  i  contrasti  suoi  tutti  fien  scarsi. Pur  discorrendo  molte  cose  seco, Il  modo  trovò  alfiu  di  ripararsi, E  di  salvar  la  castità  sua,  come Io  vi  dirò,  con  lungo  e  chiaro  nome. 13  Al  brutto  Saracin,  che  le  venia Già  centra  con  parole  e  con  effetti Privi  di  tutta  quella  cortesia Che  mostrata  le  avea  ne' primi  detti: Se  fate  che  con  voi  sicura  io  sia Del  mio  onor,  disse,  e  ch'io  non  ne  soiettl Cosa  all'incontro  vi  darò,  che  molto Più  vi  varrà,  ch'avermi  l'onor  tolto. 8      Rodomonte crudel,poi che  levato S'ebbe  da  canto  il  garrulo  Eremita, Si  ritornò  con  viso  men  turbato Verso  la  donna  mesta  e  sbigottita; E  col  parlar  eh' è  fra  gli  amanti  usato, Dicea  ch'era  il  suo  core  e  la  sua  vita E'I  suo  conforto  e  la  sua  cara  speme, Ed  altri  nomi  tai  che  vanno  insieme.  14    Per  un  piacer  di  si  poco  momento. Di  che  nha  sì  abbondanza  tutto  '1  mondo. Non  disprezzate  un  perpetuo  contento. Un  vero  gaudio  a  nullo  altro  secondo. Potrete  tuttavia  ritrovar  cento E  mille  donne  dì  viso  giocondo; Ma  chi  vi  possa  dar  questo  mio  dono, Nessuno  al  mondo,  o  pochi  altri  ci  sono.  CANTO   VENTESIMONONO. 15    Ho  notizia  d'un'  erba,  e  l'ho  veduta Venendo,  e  so  dove  trovarne  appresso, Che  bollita  con  ellera  e  con  ruta Ad  un  fuoco  di  legna  di  cipresso, £  fra  mani  innocenti  indi' premuta, Manda  un  liquor,  che  chi  si  bagna  d'esso Tre  volte  il  corpo,  in  tal  modo  l'indura, Che  dal  ferro  e  dal  fuoco  l'assicura. 16    Io  dico,  se  tre  volte  se  n'immolla, Un  mese  invulnerabile  si  trova. Oprar  conviensi  ogni  mese  l'ampolla; Che  sua  virtù  più  termine  non  giova. Io  80  far  l'acqua,  ed  oggi  ancor  farolU, Ed  oggi  ancor  voi  ne  vedrete  prova: E  vi  può,  s'io  non  fallo,  esser  più  grata. Che  d'aver  tutta  Europa  oggi  acquistata. Staiiz  6, 7      Da  voi  domando inguide rdon  di  questo, Che  su  la  fetle  vostra  mi  giuriate, Che  né  In  detto  uè  in  opera  molesto Mai  più  sarete  alla  mia  castimte. Cosi    dicendo,  Rodomonte  oiieatti Fé  ¦'  r  i  torna  r,  eh'  1  n  tau  ta  tu  1  o  "  tate Venne  ch'innulabìl  si  facesse, Cile   più  ch  ella  uon  dise,  le  iiromese:18    E  serveralle  finché  vegga  fiitto Della  mirabil  acqua  esperienza; E  sforzerasae  intinto  a  non  fare  atto, A  nuli  far  aegnf)  alcun  di  violenta, Ma  pensa  puì  di  non  tenere  il  patto   Fercliè  non  ha  timor  né  riverenza Dì  Dio  u  di  Santi;  e  nel  mancar  di  fede, Tutta  il  lui  la  h un'iarda  Afrit:a  cede. 19  Ad  Isabella  il  Re  d'Algier  scongiuri Di  non  la  molestar  fé più  di  mille, Purch'essa  lavorar  l'acqua  procuri, Che  far  lo  può  qual  fu  già  Cigno  e  Achille. Ella  per  balze  e  per  valloni  oscuri Dalle  città  lontana  e  dalle  ville Ric(tg1ie  di  molte  erbe;  e  il  Saracino Non  l'abbandona,  e  Tè  sempre  vicino. 20  Poi  ch'in  più  parti,  quant'era  a  bastanza, Colson  dell'erbe  e  con  radici  e  senza. Tardi  si  ritornaro  alla  lor  stanza; Dove  quel  paragon  di  continenza Tutta  la  notte  spende,  che  l'avanza, A  bollir  erbe  con  molt' avvertenza:£  a  tutta  l'opra  e  a  tutti  quei  misteri Si  trova  ognor  presente  il  e  d'Algierij 21  Che  producendo  quella  notte  in  giuoco Con  lineili  pochi  servi  ch'eran  seco, Sentia,  per  lo  calor  del  vicin  fuoco Ch'era  rinchiuso  in  quello  angusto  sfpeco, Tal  sete,  che  bevendo  or  molto  or  poco. Due  barili  votar  pieni  di  greco, Ch'  aveano  tolto  uno  o  duo  giorni  innanti I  suoi  scudieri  a  certi  viandanti. 25  Bagnossi,  come  disse,  e  lieta  porse All'incauto  Pagano  il  collo  ignudo; Incauto,  e  vinto  anco  dal  vino  forse, Incontra  a  cui  non  vale  elmo  né  scodo. Queir uom  bestiai  le  prestò  fede,  e  seofse Si  colla  mano  e  si  col  ferro  erodo, Che  del  bel  capo,  già  d'Amore  albergo. Fé' tronco  rimanere  il  petto  e  il  tergo. 26  Quel  fé'  tre  balzi;  e  fanne  udita  diian Voce,  ch'uscendo  nominò  Zerbino, Per  cui  seguire  ella  trovò  si  rara Via  di  fuggir  di  man  del  Saracino. Alma,  ch'avesti  più  la  fede  cara, E  '1  nome,  quasi  ignoto  e  peregrino Al  tempo  nostro,  della  castitade, Che  la  tua  vita  e  la  tua  verde  etade; 27  Vattene  in  pace,  alma  beata  e  bella, Cosi  i  miei  versi  avesson  forza,  come Ben  m'affaticherei  con  tutta  qoella Arte  che  tanto  il  parlar  orna  e  come, Perchè  mille  e  mill' anni,  e  più  novella, Sentisse  il  mondo  del  tuo  chiaro  nome. Vattene  in  pace  alla  superna  sede, E  lascia  all' altre  esempio  di  tua  fede. 22    Non  era  Rodomonte  usato  al  vino. Perchè  la  legge  sua  lo  vieta  e  danna: E  poi  che  lo  gustò,  liquor  divinoGlipar,  miglior  che  '1  nettare  o  la  manna; E  riprendendo  il  rito  Saracino, Gran  tazze  e  pieni  fiaschi  ne  tracanna. Fece  il  buon  vino,  ch'andò  spesso  intorno, Girare  il  capo  a  tutti  come  un  tomo. 28    All'atto  incomparabile  e  stupendo. Dal  cielo  il  Creator  giù  gli  occhi  volse, E  disse:  Più  di  quella  ti  commendo, La  cui  morte  a  Tarquinio  il  regno  tolse; E  per  questo  una  legge  fare  intendo Tra  quelle  mie  che  mai  tempo  non  sciolge, La  qual  per  le  inviolabil  acque  gioro Che  non  muterà  secolo  futuro.  23    La  donna  in  questo  mezzo  la  caldaia Dal  fuoco  tolse, ove  quell'erbe  cosse; E  disse  a  Rodomonte:  Acciò  che  paia Che  mie  parole  al  vento  non  ho  mosse. Quella  che  '1  ver  dalla  bugia  dispaia, E  che  può  dotte  far  le  genti  grosse. Te  ne  farò  l'esperienzia  ancora. Non  nell'altrui,  ma  nel  mio  corpo  or  ora.  29    Per  l'avvenir  vo'che  ciascuna  ch'aggia Il  nome  tuo,  sia  di  sublime  ingegno, E  sia  bella,  gentil,  cortese  e  saggia, E  di  vera  onestade  arrivi  al  segno: Onde  materia  agli  scrittori  caggia Di  celebrare  il  nome  inclito  e  degno; Talché  Parnassoy  Pindo  ed  Elicone Sempre  Isabella,  Isabella  risuone.  24    Io  voglio  a  far  il  saggio  esser  la  prima Del  felice  liquor  di  virtù  pieno. Acciò  tu  forse  non  facessi  stima Che  ci  fosso  mortifero  veneno. Di  questo  bagnerommi  dalla  cima Del  capo  giù  pel  collo  e  per  lo  seno: Tu  poi  tua  forza  in  me  prova  e  tua  spada Se  questo  abbia  vigor,  se  quella  rada. 30    Dio  cosi  disse,  e  fé' serena  intomo L'aria,  e  tranquillo  il  mar,  più  che  mai  fosse. Pe'  r  alma  casta  al  terzo  del  ritorno, E  in  braccio  al  suo  Zerbin  si  ricondusse. Rimase  in  terra  con  vergogna  e  scorno Quel  fier  senza  pietà  nuovo  Breusse; Che,  poi  che '1  troppo  vino  ebbe  digesto Biasmò  il  suo  errore,  e  ne  restò  funesto. CANTO  VENTESIMONONO. 31  Placare  o  in  parte  satisfar  pensosse All'anima  beata  d'Isabella, Se,  poich'a  morte  il  corpo  le  percosse, Desse  aUnen  vita  alla  memoria  d'ella. TroYò  per  mezzo,  acciò  che  cosi  fosse. Di  convertirle  quella  chiesa,  quella Dove  abitava,  e  dove  ella  fu  uccisa. In  un  sepolcro;  e  vi  dirò  in  che  guisa.  32  Di  tutti  i  lochi  intomo  fa  venire Mastri,  chi  per  am&rc  e  clii  per  tema; E  fatto  beti  seimila  uomini  unire, Be' gravi  Rai??i  i  vicin  monti  scema, E  ne  €i  una  gran  massa  fitabìUre, Che  dalla  cima  era  alla  parte  estrema Novanta  braccia  e  vi  rinehiade  dentro La  cliiesa,  che  i  duo  amanti  ave  nel  centro. 33  IniitA  qua,si  la  superba  mole Che  fé'  Adriano  air  onda  tiberina. Presso  al  sepolcro  una  torre  alt4i  vuole; Ch'abitarvi  alcun tempo  sì  ilestina. Un  ponte  stretto,  e  di  due  braccia  sole. Fece  su  T  acqua  clie  correa  vicina. Lnngo  il  ponte,  ma  largo  era  sì  poco, Che  dava  appena  a  duo  cavalli  loco; 4     A  duo  cavalli  che  venuti  a  paro, O  eh'  insieme  si  fossero  scontrati: E  non  avea  uè  sponda  né  riparo; E  sì  potea  cader  da  tutti  i  lati. n  passar  tiuimli  vuol  che  costi  caro guerrieri  o  pagani  o  battezzati: Che  delle  spoglie  lor  mille  trofei Promette  al  cimitero  di  costei  >     In  dieci  giorni  e  in  manco  fu  perfetta L'opra  (iel  ponticel  che  passa  il  fiume; Ma  non  fu  già  il  sepolcro  così  in  fretta, Né  la  torre  condotta  al  suo  cacume: Pur  fu  levata  si,  ch'alia  veletta Starvi  in  cima  una  guardia  avea  coatnme, Che  dogni  cavalier  che  venia  ai  ponte. Col  corno  facea  segno  a  Rodomonte. 87    Aveasi  immaginato  il  Saracino, Che  per  gir  spesso  a  rischio  di  cadere Dal  ponticel  nel  finme  a  capo  chinoi Dove  gli  converrìa  molt'acqoa  bere, Del  fallo  a  che  Tindnsse  il  troppo  vino, Dovesse  netto  e  mondo  rimanere; Come  l'acqua,  non  men  che  il  vino,  estingua L'error  che  fa  pel  vino  o  mano  o  lingua. StajiTa  2à E  quel  s'armava,  e  se  gli  venia  a  opporre Ora  su  Tuna  ora  su  T altra  riva: Che  sei  guerrier  venia  di  vOr  la  torre, 3u  I'  altra  proda  il  Re  dAlgier  veniva, ri  ponticello  è  il  campo  ove  si  corre; E  se  '1  ilestrier  poco  del  seguo  usciva, Uadea  nel  finme    ch'alto  era  e  profondo  r Jgual  perig:lio  a  quel  non  avea  il  mondo p Sfolti  fra  pochi  di  vi  capi  taro Alcuni  k  via  dritta  vi  condusse; Ch'a  quei  ch  verso  Italia  o  Spoa  andaro, Altra  non  era  che  più  trita  fusse: l'ardire,  e  più  che  vitA  caro L' onore,  a  farvi  di  sé  prova  indusse; E  tutti,  ove  acquistar  credeau  la  palma, Lasciavan  Tarme  e  molti  insieme  Talma. 39    Di  quelli  eh'  abbattea,  s' eran  Pagani, Si  contentava  d'aver  spoglie  ed  armi; E  di  chi  prima  furo  i  nomi  piaini Vi  facea  sopra,  e  sòspeadeiale  ai  marmi: Ma  ritén  in  prigion  tutti  i  Cristiani E  che  in  Aigier  poi  li  mandasse  parmi. Finita  ancor  non  era  Popra  quando stanza  29. 40  A  caso  venne  il  furioso  Conte A  capitar  su  questa  gran  riviera, Dove,  com'io  vi  dico,  Rodomonte Fare  in  fretta  facea,  uè  finita  era La  torre,  né  il  sepolcro,  e  appena  il  ponte; E  di  tutt'arme,  fuorché  di  visiera, A  quell'ora  il  Pagan  si  trovò  in  punto, Gh'  Orlando  al  fiume  e  al  ponte  è  sopraggiunto. 41  Orlando  (come  il  suo  furor  lo  caccia) Salta  la  sbarra,  é  sopra  il  ponte  corre, Ma  Rodomonte  con  turbata  faccia, A  pie,  com'era  innanzi  alla  gran  torre, Gli  grida  di  lontano  e  gli  minaccia, Né  se  gli  degna  con  laspadaopporre:Indiscreto  villan,  ferma  le  piante, Temerario,  importuno  ed  arrogante. 42  Sol  per  signori  e  cavalieri  é  fitto Il  ponte,  non  per  te,  bestia  balorda. Orlando,  ch'era  in  gran  pensier  distratto, Vien  pur  innanzi,  e  fa  l'orecchia  sorda. Bisosrna  ch'io  castighi  questo  matto, Disse  il  Pagano;  e  con  la  voglia  ingorda Venia  per  traboccarlo  giù  nell'onda. Non  pensando  trovar  chi  gli  risponda. 43  In  questo  tempo  una  gentil  donzella. Per  passar  sovra  il  ponte,  al  fiume  arriva. Leggiadramente  ornata,  e  in  viso  bella, E  nei  sembianti  accortamente  schiva. Era  (se  vi  ricorda,  Signor)  quella Che  per  ogni  altra  via  cercando  giva Di  Brandimarte,  il  suo  amator,  vestigi. Fuorché,  dov'era,  dentro  di  Parigi. 44  Nell'arrivar  di  Fiordiligi  al  ponte (Che  cosi  la  donzella  nomata  era), Orlando  s'attaccò  con  Rodomonte, Che  lo  voleagittar, nella  riviera. La  donna,  eh' anrea  pratica  del  Conte, Subito  n'  ebbe  conoscenza  vera; E  restò  d'alta  maraviglia  piena. Della  follìa  ohe  cosi  nudo  il  mena. 45  Fermasi  a  riguardar  che  fine  avere Debba  il  furor  dei  duo  tanto  possenti. Per  far  del  ponte  l'un l'altro  cadere A  por  tutta  lor  forza  sono  intenti. Come  é  eh' un  pazzo  debba  sì  valere? Seco  il  fiero  Pagan  dice  tra' denti; E  qua  e  là  si  volge  e  si  raggira. Pieno  di sdegnoedisuperbia  é  d'ira. 46  Con  l'una  e  l'altra  man  va  ricercando Far  nova  presa,  ove  il  suo  meglio  vede: Or  tra  le  gambe  or  fuor  gli  pone,  quamlo arte  il  destro,  e  quando  il  manco  piede. Simiglia  Rodomonte  intorno  a  Orlando Lo  stolido  orso,  che  sveller  si  crede Quello  ogni  colpa,  odio  gli  porta  e  rabbia. 47  Orlando,  che  l'ingegno  avea  sonimerso Io  non  so  dove,  e  sol  la  forza  usava. L'estrema  forza,  a  cui  per  l'universo Nessuno  o  raro  paragon  si  dava; Cader  del  ponte  si  lasciò  riverso Col  Pagano,  abbracciato  come  stava. Cadon  nel  fiume,  e  vanno  al  fondo  insieme Ne  salta  in  aria  l'onda,  e  il  lito  geme. CANTO  VENTESIMONONO. 48  L'acqua  li  fece  distaccare  in  fretta. Orlando  è  nudo,  e  nuota  com'un  pesce: Di  qua  le  braccia,  e  di  là  i  piedi  getta, E  viene  a  proda;  e  come  di  fuor  esce, Correndo  va,  né  per  mirare  aspetta, Se  in  biasmo  o  in  loda  questo  gli  riesce. Ma  il  Pagau,  che  dalfarme  era  impedito, Tornò  più  tardo  e  con  più  affimno  ai  lito. 49  Sicuramente  Fiordiligi  intanto Avea  passato  il  ponte  e  la  riviera, E  guardato  il  sepolcro  in  ogni  canto Se  del  suo  Brandimarte  insegna  v'era. Poiché  né  Tarme  sue  vede  né  il  manto, Di  ritrovarlo  in  altra  parte  spera. Ma  ritorniamo  a  ragionar  del  Conte, Che  lascia  addietro  e torreefiume  e  ponte. 50  Pazzia  sarà,  se  le  pazzie  d'Orlando Prometto  raccontarvi  ad  una  ad  una; Che  tante  e  tante  fnr,  ch'io  non  so  quando Solenne  ed  attarda  narrar  cantando, E  eh' air  istoria  mi  parrà  opportuna; Né  quella  tacerò  miracolosa. fu  ne' Pirenei  sopra  Tolosa. 51  Trascorso  avea  molto  paese  il  Conte, Come  dal  grave  suo  furor  fu  spinto; Ed  alfin  capitò  sopra  quel  monte, Per  cui  dal  Franco  é  il  Tarracon  distinto; Tenendo  tuttavia  vòlta  la  fronte Verso  là  dove  il  Sol  ne  viene  estinto:E  quivi  giunse  in  un  angusto  calle. Che  pendea  sopra  una  profonda  valle. 52  Si  vennero  a  incontrar  con  esso  al  varco Duo  boscherecci  gioveni  eh' innante Avean  di  legna  un  lor  asino  carco: E  perchè  ben  s' accorsero  al  sembiante Ch'avea  di  cervel  sano  il  capo  scarco. Gli  gridano  con  voce  minacciante, 0  ch'addietro  o  da  pirte  se  ne  vada, 0  che  si  levi  di  mezzo  la  strada. 53  Orlando  non  risponde  altro  a  quel  detto, Se  non  che  con  furor  tira  d'un  piede, E  giunge  a  punto  l'asino  nel  petto Con  quella  forza  che  tutte  altre  eccede; Ed  alto  il  leva  si,  ch'uno  augelletto Che  voli  in  aria  sembra  a  chi  lo  vede Quel  va  a  cadere  alla  cima  d'un  colle Ch'  un  mìglio  oltre  la  valle  il  giogo  estolle. 54    ludi  verso  i  duo  gioveni  s'avventa, Dei  quali  un,  più chesenno,  ebbe  avventura: Che  dalla  balza  che  due  volte  trenta Braccia  cadea,  si  gittò  per  paura. A  mezzo  il  tratto  trovò  molle  e  lenta Una  macchia  di  rubi  e  di  verzura, cui  bastò  graffiargli  un  poco  il  volto; Del  resto,  lo  mandò  libero  e  sciolto. Stanza  S5. 55  L'altro  s'attacca  ad  un  scheggion  ch'usciva Fuor  della  roccia,  per  salirvi  sopra; Perché  si  spera,  s'alia  cima  arriva. Di  trovar  via  che  dal  pazzo  lo  copra. Ma  quel  nei  piedi  (che  non  vuol  che  viva) Lo  piglia,  mentre  di  salir  s'adopra; E  quanto  più  sbarrar  puote  le  braccia. Le  sbarra  si,  ch'in  duo  pezzi  lo  straccia; 56  A  quella  guisa  che  veggiam  talora Farsi  d'un  aèron,  farsi  d'un  pollo. Quando  si  vuol  delle  calde  interiora Che  falcone  o  ch'astor  resti  satollo. Quanto  é  bene  accaduto  che  non  muora Quel  che  fu  a  risco  di  fiaccarsi  il  collo! Ch'ad  altri  poi  questo  miracol  disse, Sì  che  l'udì  Turpino,  e  a  noi  lo  scrisse. 57  E  queste  ed  altre  assai  cose  stupende Fece  nel  traversar  della  montagna. Dopo  molto  cercare,  alfin  discende Verso  merigge  alla  terra  di  Spagna; E  lungo  la  marina  il  cammin  prende Oh'  intomo  a  Tarracona  il  lito  bagna: E  come  vuol  la  furia  che  lo  mena, Pensa  farsi  uno  albergo  in  quell'arena, Dove  dal  Sole  alquanto  si  ricopra; E  nel  sabbion  si  caccia  arido  e  trito. 

Stando  così,  gli  venne  a  caso  sopra Angelica  la  bella  e  il  suo  marito, Ch'eran  (siccome  io  vi  narrai  di  sopra) Scesi  dai  monti  in  su  T  Ispano  lito. A  men  d'un  braccio  ella  gli  giunse  appresso. Perchè  non  s'era  accorta  ancora  d'esso. 63    Come  Orlando  sentì  battersi  dietro, Girossi,  e  nel  girare  il  pugno  strinse, E  con  la  forza  che  passa  ogni  metro, Ferì  il  destrier  che  '1  Saracino  spinse. Ferii  sul  capo;  e  come  fosse  vetro, Lo  spezzò  si,  che  quel  civallo  estinse, E  rivoltosse  in  un  medesmo  istante Dietro  a  colei  che  gli  fiijgia  innante. 64  Caccia  Angelica E  con  sferza  e  con Che  le  parrebbe  a Sebben  volasse  più Dell' anel  e'  ha  nel Che  può  salvarla, E  Panel,  che  nuu La  fa  sparir  come in  fretta  la  giumenta, spron  tocca  e  ritocca: quel  bisogno  lenta, che  strai  da  cocca dito  si  rammenta, e  se  lo  getta  in  bocca: perde  il  suo  costume, ad  un  soffio  il  lume. 59  Che  fosse  Orlandj),  nulla  le  sovviene; Troppo  è  diverso  da  quel  eh'  esser  suole. Da  indi  in  qua  che  quel  furor  lo  tiene, È  sempre  andato  nudo  all'ombra  e  al  Sole. Se  fosse  nato  all'aprica  Siene, 0  dove  Ammone  il  Garamante  cole, 0  presso  ai  monti  onde  il  gran  Nilo  spiccia. Non  dovrebbe  la  carne  aver  più  arsiccia. 60  Quasi  ascosi  avea  gli  occhi  nella  testa. La  faccia  macra,  e  come  un  osso  asciutta, La  chioma  rabbuffata,  orrida  e  mesta, La  barba  folta,  spaventosa  e  brutta. Non  più  a  vederlo  Angelica  fu  presta, Che  fosse  a  ritornar,  tremando  tutta: Tutta  tremando,  e  empiendo  il  ciel  di  grida, Si  volse  per  aiuto  alla  sua  guida. 61  Come  di  lei  s'accorse  Orlando  stolta, Per  ritenerla  si  levò  di  botto: Così  gli  piacque  il  delicato  volto. Così  ne  venne  immantinente  ghiotto. D'averla  amata  e  riverita  molto Ogni  ricordo  era  in  lui  guasto  e  rotto. Le  corre  dietro,  e  tien  quella  maniera Che  terria  il  cane  a  seguitar  la  fera. II  giovine,  che  '1  pazzo  seguir  vede La  donna  sua,  gli  urta  il  cavallo  addosso, E  tutto  a  un  tempo  lo  percuote  e  fiede, Come  lo  trova  che  gli  volta  il  dosso. Spiccar  dal  busto  il  capo  se  gli  crede: Ma  la  pelle  trovò  dura  come  osso, Anzi  via  più  ch'acciar;  ch'Orlando  nato Impenetrabile  era  ed  affatato. 65  0  fosse  la  paura,  o  che  pigliasse Tanto  disconcio  nel  mutar  l'anello, Oppur  che  la  giumenta  traboccasse, Che  ncn  posso  affermar  questo  né  quello; Nel  medesmo  momento  che  si  trasse L'anello  in  bocca,  e  celò  il  viso  bello, Levò  le  gambe,  e  usci  dell'arcione, E  si  trovò  riversa  in  sul  sabbione, 66  Più  corto  che  quel  salto  era  due  dita Avviluppata  rimanea  col  matto. Che  con  l'urto  le  avria  tolta  la  vita. Ma granventura  l'aiutò  a  quel  tratto. Cerchi  pur  eh'  altro  furto  le  dia  aita D'un' altra  bestia,  come  prima  ha  fatto; Che  più  non  è  per  riaver  mai  questa, Ch'innanzi  al  Paladin  l'arena  pesta. 67  Non  dubitate  già  eh'  ella  non  s' abbia A  provvedere;  e  seguitiamo  Orlando, In  cui  non  cessa  l'impeto  e  la  rabbia, Perchè  si  vada  Angelica  celando. Segue  la  bestia  per  la  nuda  sabbia, E  se  le  vien  più  sempre  approssimando: Già  già  la  tocca,  ed  ecco  l'ha  nel  crine, Indi  nel  freno,  e  la  ritiene  alfine. 68  Con  quella  festa  il  Paladin  la  piglia, Ch'un  altro  avrebbe  fatto  una  donzella: Le  rassetta  le  redine  e  la  brìglia, E  spicca  un  salto,  ed  entra  nella  sella; E  correndo  la  caccia  molte  miglia, Senza  riposo,  in  questa  parte  e  in  quella:Mai  non  le  leva  né  sella  né  freno, Né  le  lascia  gustare  erba  né  fieno. CANTO  VENTESIMONONO. 69  Volendosi  cacciare  oltre  una  fossa, se  ne  va  con  la  cavalla. Non  nocque  a  lui,  né  senti  la  percossa; Ma  nel  fondo  la  misera  si  spalla. Non  vede  Orlando  come  trar  la  possa, E  finalmente  se  l'arreca  in  spalla, E  su  ritorna,  e  va  con  tutto  il  carco, Quanto  in  tre  volte  non  trarrebbe  un  arco. 70  Sentendo  poi  cbe  gli  gravava  troppo, La  pose  in  terra,  e  volea  trarla  a  mano: Ella  il  seguia  con  passo  lento  e  zoppo. Dicea Orlando:Cammina;  e  dicea  invano. Se  l'avesse  seguito  di  galoppo. Assai  non  era  al  desiderio  insano. Alfin  dal  capo  le  levò  il  capestro, 71  E  cosi  la  trascina,  e  la  conforta Che  lo  potrà  seguir  con  maggior  agio. Qual  leva  il  pelo,  e  quale  il  cuoio  porta, Dei  sassi  ch'eran  nel  cammin  malvagio. La  mal  condotta  bestia  restò  morta Finalmente  di  strazio  e  di  disagio. Orlando  non  le  pensa  e  non  la  guarda; via  correndo,  il  suo  cammin  non  tarda. 72  Di  trarla,  anco  che  morta,  non  rimase. Continuando  il  corso  ad  occidente:E  tuttavia  saccheggia  ville  e  case, Se  bisogno  di  cibo  aver  si  sente; E  frutte  e  carne  e  pan,  pur  eh'  egli  invase, Rapisce,  ed  usa  forza  ad  ogni  gente: Qual  lascia  morto,  e  qual  storpiato  lassa; Poco  si  ferma,  e  sempre  innanzi  passa. 73  Avrebbe  così  fatto,  o  poco  manco, Alla  sua  donna,  se  non  s'ascondea; non  discemea  il  nero  dal  bianco, E  di  giovar,  nocendo,  si  credea. Deh  maledetto  sia  Panello,  ed  anco Il  cavalier  che  dato  le  Tavea! Che  se  non  era,  avrebbe  Orlando  fatto Di  sé  vendetta  e  di  mill'altri  a  un  tratto. Né  questa  sola,  ma  fosser  pur  state In  man  d'Orlando  quante  oggi  ne  sono: Ch'ad  ogni  modo  tutte  sono  ingrate, Né  si  trova  tra  lor  oncia  di  buono. Ma  prima  che  le  corde  rallentate Al  Canto  disugual  rendano  il  suono, Fia  meglio  diiferirlo  a  un'altra  volta, Aoiò  men  sia  noioso  a  chi  l'ascolta. NOTE. .  4.  V.5.   Falda:  qui  per  difesa  deUa  persona, come  lorica  ecc. St.  6.  V.6.   Né  si  ragguaglia: non  è  concorde. St.  17.  V.7.   Inviolabil:  invulnerabile. St.  19.  V.4.   Cigno: personaggio  mitologico,  diverso dal  re  ligure  nominato  nella  Stanza  34  del  Canto  III. I  poeti  lo  finsero  figliuol  di  Nettuno,  e  invulnerabile come  Achille. St.  23.  V.5.   Dispaia: separa,  disceme. St.  27.  V.4.   Come: fa  bello;  voce  latina. St.  28.  Y.  4  7.   La  cui  morte  ecc.  Parla  di  Lucrezia moglie  di  GoUatino,  violata  da  Sesto  Tarquinio;  onde  la cacciata  di  quella  famiglia  da  Roma.   Per  le  inviolabil acque:  per  la  palude  Stigia;  fìrase  adoperata  dai  poeti, ond'esprìmere  il  giuramento  inviolabile  degli  Dei. St  30.  V  3  8.   Al  terzo  del: al  cielo  di  Venere,  sede delle  anime  innamorate.   Breusse: personaggio  cru dele di  cui  parlano  i  romanci  della  Tavola  Rotonda, ivi  pure  soprannominato  senza  pietà.   Funesto: fu nestato, afflitto. St.  33.  V.12.   La  superba  mole,  ecc.: il  sepolcro di  Adriano  sul  Tevere,  ora  Castel  Sant'Angelo. T.  35.  V.45.   Cacume:  cima. St.  51.  V.4.   Tarraeon,  V  abitante  della  Spagna Tarragonese,  ossia  dell'Aragona. St.  54.  V.56.   Lenta:  qui  cedevol\   Rubi:  rovi. St.  56.  V.2. Aeron: aironei  grande  uccello  acqua tico. St.  59.  V.57.   Ali aprica  Siene:  città  d' Egitto, detta  dai  Latini  Sence,  ai  confini  deirEtiopia,  sotto  la zona  torrida.   0  dove  Ammone  il  Garamante  cole. Oaramanti  chiamaronsi  alcuni  popoli  della  Libii,  ora forse  i  TibbouSf  come  altrove  si  è  detto;  Ivi  fu  il  tempio e  roracolo  di  Giove  Ammone.   0  presso  ai  monti,  ecc. Ai  monti  della  Luna  in  Etiopia. St.  64  V.4.   Cocca: la  tacca  della  fieccia,  dov'  entra la  corda  dell'arco;  e  qui,  per  estensione,  l'arco  stesso 0  il  luogo  della  corda  dove  si  posa  la  freccia. St.  72.  V.5.   Purch'egli  invase:  purché  invasi,  metta nel  vaso,  ossia  nel  ventre;  mangi. CANTO  TRENTESIMO. Altre  <'.raiie  pazìA  di  Orlando.  MilnirJosfdo  "  Rdgifi"ro Orlando.  Euggiero  vi  rfsta  ferito,  e  Mandrti?fttdo  vi muore.  Bradamanti  riceve  di  Ippalualaktefiradi  Rmg. jErOf  1  Hi  duote  di  |ui.Hina)<lo  vienfi  a  MontalbaoUp e  cotiduee  ssco  i  fratelli  e  i  cugini  in  "ìitto  di  Carlo' Quaulo  vincer  dall'impeto  e  dall'im Si  hm  k  ragion    né  si  difende, E  che  '1  cieco  farar  sì  iananzi  tira 0  TU  Lino  0  Jiuia  s  clic  gli  amici  offende; 'ebbeii  di  poi  si  piange  g  sì  sospira, ìsùa  è  per  questo  che  l'errot  a' emende. Jjasso!  io  mi  doglio  e  affliggo  invan  di  quanto Pisi  per  ira  al  Jin  dell altro  Canto. Ma  simile  son  fatto  ad  uno  infenno, CLCt  dopo  molta  pazi'enzia  e  molta. Quando  contraU  dolor  non  ha  pia  schermo Cede  alla  nebbia,  e  a  besttìmiuiar  sì  volta. Manca  il  dolor,  uè  l'impeto  ata  fermo, Che  la  lingaa  al  dir  mal  facea  si  sciolta: £  si  ravvede  e  peate,  e  u'ha  dispetto; CANTO   TRENTESIMO. Stanza  8. 3      Ben  spero,  donne,  in  vostra  cortesia Aver  da  voi  perdon,  poich'  io  ve  '1  chieggio. Voi  scuserete,  che  per  frenesia, Vinto  dall' aspra  passì'on,  vaneggio. Date  la  colpa  alla  nimica  mia. Che  mi  £&  star,  chMo  non  potrei  star  peggio; E  mi  fa  dir  quel  di  eh  io  son  poi  gramo:Sallo  Iddio,  s'ella  ha  il  torto;  essa,  sMo  Pamo. Non  men  Fon  fuor  di  me,  che  fosse  Orlando; E  non  son  men  di  lui  di  scusa  degno. Ch'or  per  li  monti,  or  per  le  piaggie  errando. Scorse  in  gran  parte  di  Marsilio  il  regno, di  la  cavalla  strascinando Morta,  com'  era,  senza  alcun  ritegno; Ma  giunto  ove  un  gran  fiume  entra  nel  mare, Gli  fu  forza  il  cadavere  lasciare. 5  E  perchè  sa  nuotar  come  una  lontra, Entra  nel  fiume,  e  surge  air  altra  riva. Ecco  un  pastor  sopra  un  cavallo  incontra, Che  per  abbeverarlo  al  fiume  arriva. Colui,  benché  gli  vada  Orlando  incontra, Perchè  egli  è  solo  e  nudo,  non  lo  schiva. Vorrei  del  tuo  ronzin,  gli  disse  il  matto, Con  la  giumenta  mia  far  un  baratto. 6  Io  te  la  mostrerò  di  qui  se  vuoi; Che  morta  là  su  V  altra  ripa  giace:La  potrai  far  tu  medicar  di  poi:Altro  difetto  in  lei  non  mi  dispiace. qualch  aggiunta  il  ronzi  n  darmi  puoi:Smontane  in  cortesia,  perchè  mi  piace. Il  pastor  ride,  e  senz' altra  risposta Va  verso  il  guado,  e  dal  pazzo  si  scosta. 7  Io  voglio  il  tuo  cavallo:  olà,  non  odi? Soggiunse  Orlando,  e  con  furor  si  mosse. Avea  un  baston  con  nodi  spessi  e  sodi Quel  pastor  seco,  e  il  Paladin  percosse. La  rabbia  e  l'ira  passò  tutti  i  modi Del  Conte,  e  parve  fier  più  che  mai  fosse. Sul  capo  del  pastore  un  pugno  serra, Che  spezza  Fosso,  e  morto  il  caccia  in  terra. 8  Salta  a  cavallo,  e  per  diversa  strada Va  discorrendo,  e  molti  pone  a  sacco. Non  gusta  il  ronzin  mai  fieno  né  biada; Tanto  chMn  pochi  di  ne  riman  fiacco: Ma  non  però  ch'Orlando  a  piedi  vada, Che  di  vetture  vuol  vivere  a  macco; E  quante  ne  trovò,  tante  ne  mise In  uso,  poi  che  i  lor  patroni  uccise. 9  Capitò  alfin  a  Malega,  e  più  danno Vi  fece,  ch'egli  avesse  altrove  fatto; Che,  oltre  che  ponesse  a  saccomanno il  popol  sì,  che  ne  restò  disfatto. Né  si  potè  rifar  quel  né  Paltr'anno, Tanti  n'uccise  il  periglioso  matto, Vi  spianò  tante  case,  e  tante  accese, disfè  più  che  '1  terzo  del  paese. 10 Quindipartilo,venne  ad  una  terra, Zizera  detta,  che  siede  allo  stretto Di  Zibeltarro,  o  vuoi  di  Zibelterra, Che  l'uno  e  l'altro  nome  le  vien  detto; una  barca  che  sciogliea  da  terra, Vide  piena  di  gente  da  diletto. Che  sollazzando  all'aura  mattutina Già  per  la  tranquillissima  marina. 1 1  Cominciò  il  pazzo  a  gridar  forte: Ajspetti:Che  gli  venne  disio  d'andare  in  barca. Ma  bene  invano  e  i  gridi  e  gli  urli  getta; Che  volentier  tal  merce  non  si  carca. Per  l'acqua  il  legno  va  con  quella  fretta. Che  va  per  l'aria  irondine  che  varca. Orlando  urta  il  cavallo  e  batte  e  stringhe, E  con  un  mazzafrusto  all'acqua  spinge. 12  Forza  è  ch'alfin  nell'acqua  il  cavaro  entic, Ch'invan  contrasta,  e  spende  invano  ogni  opra: Bagna  i  ginocchi  e  poi  la  groppa  e  '1  ventre, Indi  la  testa,  e  appena  appar  di  sopra. Tornare  addietro  non  si  speri,  mentre La  verga  tra  l'orecchie  se  gli  adopra. Misero !  o  si  convlen  tra  via  affogare, 0  nel  lito  african  passare  il  mare. 13  Non  vede  Orlando  più  poppe  né  sponde. Che  tratto  in  mar  l'avean  dal  lito  asdutto; Che  son  troppo  lontane,  e  le  nasconde Agli  occhi  bassi  1'  alto  e  mobil  flutto:tuttavia  il  destrier  caccia  tra  Tonde; Ch'  f  ndar  di  là  dal  mar  dispone  in  tutttì. Il  destrier,  d'acqua  pieno  e  d'alma  vóto, Finalmente  finì  la  vita  e  il  nuoto. 

14  Andò  nel  fondo,  e  vi  traea  la  salma . Se  non  si  tenea  Orlando  in  su  le  braccia. Mena  le  gambe,  e  l'una  e  l'altra  palma, E  soffia,  e  l'onda  spinge  daUa  faccia. Era  Paria  soave,  e  il  mare  in  calma: E  ben  vi  bisognò  più  che  bonaccia; Ch'  ogni  poco  che  U  mar  fosse  più  sorto, Restava  il  Paladin  nell'acqua  morto. 15  Ma  la  Fortuna,  che  dei  pazzi  ha  cura. Del  mar  lo  trasse  nel  lito  di  Setta, In  una  spiaggia,  lungi  dalle  mura, Quanto  sarian  duo  tratti  di  saetta. Lungo  il  mar  molti  giorni  alla  ventura Verso  Levante  andò  correndo  in  fretta. Finché  trovò,  dove  tendea  sul  lito, Di  nera  gente  esercito  infinito. 16  Lasciamo  il  Paladin  ch'errando  vada; Ben  di  parlar  di  lui  tornerà  tempo. Quanto,  Signor,  ad  Angelica  accada Dopo  ch'usci  di  man  del  pazzo  a  tempo, E  come  a  ritornare  in  sua  (  ijtrada Trovasse  e  buon  navilio  e  miglior  tempo, E  dell' India  a  Medor  desse  lo  scettro, Forse  altri  canterà  con  miglior  plettro. CANTO  TRENTESIMO. 17  Io  sono  a  dir  tante  altre  cose  intento, Che  di  seguir  più  questa  non  mi  cale. Volger  convierarai  il  bel  ragionamento Al  Tartaro  che,  spinto  il  suo  rivale, Quella  bellezza  si  godea  contento, A  cui  non  resta  in  tutta  Europa  eguale, Poscia  che  se  n'è  Angelica  partita, E  la  casta  Isabella  al  ciel  salita. 18 Della  sentenzia  Maniricardo  altiero, Ch'  in  suo  favor  la  bella  donna  diede, Non  può  fruir  tutto  il  diletto  intero; Che  contra  lui  son  altre  liti  in  piede. gli  muove  il  giovene  Ruggiero, Perchè  P aquila  bianca  non  gli  cede; L'altra  il  famoso  re  di  Sericana, Che  da  lui  vuol  la  spada  Durindana. 19  S  affatica  Agramante,  uè  disciorre, Né  Mnrsilio  con  lui,  sa  questo  intrico:Né  solamente  non  li  può  disporre Che  voTlia  Pun  dell'altro  esser  amico; Ma  che  Ruggiero  a  Mandricardo  torre Lasci  lo  scudo  del  Troiano  antico, 0  Gradasso  la  spada  non  gli  vieti, Tanto  che  questa  o  quella  lite  accheti. 20  Ruggler  non  vuol  ch'in  altra  pugna  vada Con  lo  suo  scudo;  né  Gradasso  vuole Che',  fuor  che  contra  sé,  porti  la  spada Che  '1  glorioso  Orlando  portar  suole.  • Alfin  veggìamo  in  cui  la  sorte  cada, Disse  Agramante,  e  non  sian  più  parole: Veggiam  quel  che  Fortuna  ne  disponga, E  sia  preposto  quel  ch'ella  preponga. Stanza  12. E  se  compiacer  meglio  mi  volete, Onde  d'aver  ve  n'abbia  obbligo  ognora, Chi  de' di  voi  combatter  sortirete; Ma  con  patto,  ch'ai  primo  che  esca  fuora, le  querele  in  man  porrete; Sì  che,  per  sé  vincendo,  vinca  ancora Pel  compagno;  e  perdendo  l'un  di  vui, Così  per  luto  abbia  per  ambidui. 22  Tra  Gradasso  e  Ruggier  credo  che  siaDi  valor  nulla  o  poca  differenza E  di  lor  qual  si  vuol  venga  fuor  pria, So  eh'  in  arme  farà  per  eccellenza; Poi  la  vittoria  da  quel  canto  stia, Che  vorrà  la  divina  Provvidenza. 11  cavalier  non  avrà  colpa  alcuna, Ma  il  tutto  imputerassi  alla  Fortuna. 23  Steron  taciti  al  detto  d';Agramante E  Ruggiero  e  Gradasso;  ed  accordarsi Che  qualunque  di  loro  uscirà  innante, E  l'una  briga  e  V  altra  abbia  a  pigliarsi. Così  in  duo  brevi  ch'avean  simigliante Ed  egual  forma,  i  nomi  lor  notarsi; E  dentro  un'  urna  quelli  hanno  rinchiusi, Versati  molto,  e  sozzopra  confusi. 24  Un  semplice  fanciul  nell' urna  messe mano,  e  prese  un  breve;  e  venne  a  caso questo  il  nome  di  Ruggier  si  lesse. Essendo  quel  del  Serican  rimaso. Non  si  può  dir  quanta  allegrezza  avesse Quando  Ruggier  si  senti  trar  del  vaso, d'altra  parte  il  Sericano  doglia; Ma  quel  che  manda  il  ciel,  forza  è  che  toglia. 25    Ogni  suo  stadio  il  Sericaoo,  ogni  opra A  favorire,  ad  aintar  converte, Perchè  Ruggiero  abbia  a  restar  di  sopra; E  le  cose  in  suo  prò,  eh'  avea  già  esperte, Come  or  di  spada,  or  di  scudo  si  copra, Qual  sien  botte  fallaci,  e  qual  sien  certe, Quando  tentar,  quando  schivar  fortuna Si  dee,  gli  torna  a  mente  ad  una  ad  una. stanza  37. 26  II  resto  di  quel  di  che  dair  accordo E  dal  trar dellesorti  sopravanza, É  speso  dagli  amici  in  dar  ricordo, Chi  all'un  guerrier,  chi  all'altro,  com'è  usanza. Il  popol,  di  veder  la  pugna  ingordo, S'affretta  a  gara  d'occupar  la  stanza: Né  basta  a  molti  innanzi  giorno  andarvi, Che  voglion  tutta  notte  anco  veggiarvi. 27  La  sciocca  turba  disìosa  attende Ch'i  duo  buon  cavalier  vengano  in  prova; Che  non  mira  più  lungi  né  comprende Di  quel  ch'innanzi  agli  occhi  si  ritrova. Ma  Sobrino  e  Marsilio,  e  chi  più  intende, E  vede  ciò  che  nuoce  e  ciò  che  giova, Biasma  questa  battaglia,  ed  Agramante, Che  voglia  comportar  che  vada  innante. 28  Né  cessan  raccordargli  il  grave  danoo Che  n'  ha  d'avere  il  popol  Saracino, Muora  Ruggiero  o  il  Tartaro  tiranno, Quel  che  prefisso  è  dal  suo  fier  destino: D'un  sol  di  lor  via  più  bisogno  avranno Per  contrastare  al  figlio  di  Pipino, Che  di  dieci  altri  mila  che  ci  sono, Tra'quai  fatica  è  ritrovare  un  buono. 29  Conosce  il  re  Agramante  che  gli  è  Tero; Ma  non  può  più  negar  ciò  e' ha  promesso. Ben  prega  Mandricardo  e  il  buon  Raggiero Che  gli  ridonin  quel  c'ha  lor  concesso: E  tanto  più,  che  '1  lor  litigio  è  un  zero, Né  degno  in  prova  d'arme  esser  rimesso:E  s' in  ciò  pur  noi  vogliono  ubbidire, Veglino  almen  la  pugna  differire. 30  Cinque  o  sei  mesi  il  singular  certame, 0  meno  o  più,  si  differisca,  tanto Che  cacciato  abbin  Carlo  dal  reame. Tolto  lo  scettro,  la  corona  e  il  manto. Ma  r  nn  e  l'altro,  ancorché  vogUa  e  brame Il  Re  ubbidir,  pur  sta  duro  da  canto; Che  tale  accordo  obbrobrioso  stima A  chi  '1  consenso  suo  vi  darà  prima. 31  Ma  più  del  Re,  ma  più  d'ognun  ch'invano Spenda  a  placare  il  Tartaro  parole, La  bella  figlia  del  re  Stordilano il  priega,  e  si  lamenta  e  duole:Lo  prega  che  consenta  al  Re  africano, E  voglia  quel  che  tutto  il  campo  vuole; Si  lamenta  e  si  duol  che  per  lui  sia Timida  sempre  e  piena  d'angonia.  32  Lassa!  dicea,  che  ritrovar  poss'io Rimedio  mai,  eh' a  riposar  mi  vaglia, S'or  centra  questo,  or  quel,  nuovo  disio Vi  trarrà  sempre  a  vestir  piastra  e  maglia? C'ha  potuto  giovare  al  petto  mio  Il  gaudio  che  sia  spenta  la  battaglia Per  me  da  voi  centra  quell'altro  presa, Se  un'altra  non  minor  se  n'è  già  acoesa? 83    Oimè!  ch'invano  i'me  n'andava  altiera Ch'  un  Re  sì  deguo,  un  cavalier  si  forte Per  me  volesse  in  perigliosa  e  fiera Battaglia  porsi  al  risco  della  morte; Ch'or  veggo  per  cagion  tanto  leggiera Non  meno  esporvi  alla  medesma  sorte. Fu  naturai  ferocità  di  core, quella  v'instigò,  più  che'l  mio  amore. CANTO    TRENTESIMO. 34    3ra  se  gli  è  ver  cheU vostroamorsiaquello Che  vi  sforzate  di  mostrarmi  ognora, Per  lui  vi  prego,  e  per  quel  gran  flagello Che  mi  percuote  Palma  e  che  m'accora, non  vi  caglia  se'l  candido  augello Ha  nello  scudo  quel  Ruggiero  ancora. Utile  0  danno  a  voi  non  so  eh'  importi, Che  lasci  quella  insegna,  o  che  la  porti. 35    Poco  guadagno,  e  perdita  uscir  molta Della  hattaglia  può,  che  per  far  sete. Quando  ahhiate  a  Ruggier  l'aquila  tolta, Poca  mercè  d'un  gran  travaglio  avrete; Ma  se  Fortuna  le  spalle  vi  volta (Che  non  però  nel  crin  presa  tenete). Causate  un  danno,  eh'  a  pensarvi  solo Mi  sento  il  petto  già  sparar  di  duolo. Stanza  46. 36    Quando  la  vita  a  voi  per  voi  non  sia Cara,  e  più  amate  un'aquila  dipinta, Vi  sia  almen  cara  per  la  vita  mia:Non  sarà  l'una  senza  l'altra  estinta. Non  già  morir  con  voi  grave  mi  fia:Son  di  seguirvi  ii  vita  e  in  morte  accinta; Ma  non  vorrei  morir  si  mal  contenta, Come  io  morrò,  se  dopo  voi  son  spenta. 38    Deh,  vita  mia,  non  vi  mettete  affanno. non,  per  Dio,  di  cosi  lieve  cosa, Che  se  Carlo  e'I  re  d'Africa,  e  ciò  ch'hanno Qui  di  gente  moresca  e  di  franciosa, Spicgasson  le  handiere  in  mio  sol  danno, Voi  pur  non  ne  dovreste  esser  pensosa. Ben  mi  mostrate  in  poco  conto  avere Se  per  me  un  Ruogier  sol  vi  fa  temere. 37   Con  tai  parole  e  simili  altre  assai, Che  lacrime  accompagnano  e  sospiri. Pregar  non  cessa  tutta  notte  mai, Perch'  alla  pace  il  suo  amator  ritiri. E  quel,  suggendo  dagli  umidi  rai Quel  dolce  pianto,  e  quei  dolci  martiri Dalle  vermiglie  labhra  più  che  rsi, Lacrimando  egli  ancor,  così  rispose: 39    E  vi  dovria  pur  rammentar  che,  solo (E  spada  io  non  avea  né  scimitarra), Con  un  troncon  di  lancia  a  un  grosso  stuolo D'armati  cavalier  tolsi  la  sbarra. Gradasso,  ancor  che  con  vergogna  e  duolo Lo  dica,  pure,  a  chi  '1  domanda,  narra Che  fa  in  Boria  a  un  Castel  mio  prigioniero; Ed  è  pur  d'altra  fama,  che  Ruggiero. 40  Non  niega  similmente  il  re  Gradasso, E  sallo  Isolier  vostro  e  Sacripante, Io  dico  Sacripante  il  re  Circasso. El  famoio  Grifone  ed  Aquilante. Cent' altri  e  più.  che  pure  a  questo  passo Stati  eran  presi  alcuni  giorni  innante, Macomettani  e  gente  di  battesmo, Che  tutti  liberai  quel  di  medesmo. 41  Non  cessa  ancor  la  meraviglia  loro Della  gran  prova  eh'  io  feci  quel  giorno, Maggior  che  se  l'esercito  del  Moro E  del  Franco  inimici  avessi  in  tomo. Ed  or  potrà  Ruggier,  giovine  soro, Farmi  da  solo  a  solo  o  danno  o  scorno? Ed  or  e' ho  Durindana  e  l'armatura D'Ettor,  vi  de'  Ruggier  metter  paura?42  Deh  perchè  dianzi  in  prova  non venn'io,Sefar di  voi  con  Tarme  io  potea  acquisto? So  che  v'avrei  si  aperto  il  valor  mio, Ch'avreste  il  fin  già  di  Ruggier  previsto. Asciugate  le  lacrime,  e  per  Dio Non  mi  fate  uno  augurio  così  tristo; E  siate  certa  che  'l  mio  onor  m' ha  spinto:Non  nello  scudo  il  bianco  augel  dipinto. 43  Cosi  disse  egli;  e  molto  ben  risposto Gli  fu  dalla  mestissima  sua  donna. Che  non  pur  lui  mutato  di  proposto, Ma  di  luogo  avria  mossa  una  colonna. Ella  era  per  dover  vincer  lui  tosto, Ancor  eh'  armato,  e  eh'  ella  fosse  in  gonna; E  l'avea  indotto  a  dir,  se'l  Re  gli  parla D'accordo  più,  che  volea  contentarla. 44  E  lo  facea: se  non  tosto  eh'  al  Sole La  vaga  Aurora  fé  l'usata  scorta, L'animoso  Ruggier,  che  mostrar  vuole Clie  con  ragion  la  bella  aquila  porta, Per  non  udir  più  d'atti  e  di  parole Dilazi'on,  ma  far  la  lite  corta. Dove  circonda  il  popol  lo  steccato, Sonando  il  corno,  s'appresenta  armato. 45  Tosto  che  sente  il  Tartaro  superbo Ch'alia  battaglia  il  suono  altier  lo  sfida. Non  vuol  più  dell'accordo  intender  verbo, 31  a  si  lancia  del  letto,  ed  arme  grida; E  si  dimostra  sì  nel  viso  acerbo. Che  Doralice  i  stessa  non  si  fida I>i  dirgli  più  di  pace  né  di  triegua: E  forza  è  infin  che  la  battaglia  segua. 46  Subito  s'arma,  ed  a  fatica  aspetta Da' suoi  scudieri  i  debiti servigi: 

Poi  monta  sopra  il  buon  cavallo  in  fretta. Che  del  gran  difensor  fu  di  Parigri; E  vien  correndo  inver  la  piazza  eletta A  terminar  con  l'arme  i  gran  liti. Vi  giunse  il  Re  e  1"  Corte  allora  allora: Sì  eh'  all' assalto  fu  poca  dimora. 47  Posti  lor  furo  ed  allacciati  in  testa I  lucidi  elmi,  e  date  lor  le  latce. Segue  la  tromba  a  dare  il  segno  presta. Che  fece  a  mille  impallidir  le  guance. Posero  l'aste  i  cavalieri  in  resta, E  i  corridori  punsero  alle  pance: E  venner  con  tale  impeto  a  ferirsi, Che  parve  il  ciel  cader,  la  terra  aprirsi. 48  Quinci  e  quindi  venir  si  vede  il  branco Augel  che  Giove  per  l'aria  sostenne; Come  nella  Tessalia  si  vide  anco Venir  più  volte,  ma  con  altre  penne. Quanto  sia  l'uno  e  l'altro  ardito  e  franco. Mostra  il  portar  delle  massicce  antenne; E  molto  più,  eh' a  quello  incontro  duro Quai  torri  ai  venti,  o  scogli  air  onde  furo. 49  I  tronchi  fin  al  ciel  ne  sono  ascesi, Scrive  Turpin,  verace  in  questo  loco, Che  dui  0  tre  giù  ne  tornare  acctsi, Ch'eran  saliti  alla  sfera  del  fuoco. I  cavalieri  i  brandi  aveano  presi:E  come  quei  che  si  temeano  poco. Si  ritomaro  incontra;  e  a  prima  giunta Ambi  alla  vista  si  ferir  di  punta. 50  Ferirsi  alla  visiera  al  primo  tratto; E  non  miraron,  per  mettersi  in  terra, Dare  ai  cavalli  morte,  eh' è  mal'atto, Perch' essi  non  han  colpa  della  guerra. Chi  pensa  che  tra  lor  fosse  tal  patto, Non  sa  l'usanza  antiqua    e  di  molto  erra:Senz'  altro  patto,  era  vergogna  e  fello E  biasmo  eterno  a  chi  feria  il  cavaUo. 51  Feiìrsi  alla  visiera,  ch'era  doppia, Ed  appena  anco  a  tanta  furia  resse. L'un  colpo  appresso  all'altro  si  raddoppia: Le  botte,  più  che  grandine,  son  spesse, Che  spezza  fronde  e  rami  e  grano  e  stoppia, E  uscir  invan  fa  la  sperata  messe. Se  Durindana  e  Balisarda  taglia Sapete,  e  qaanto  in  queste  mani  vaglia. TRENTESIMO. Ma  degno  dì  sé  colpo  ancor  non  fanno, Si  r  uno  e  r  altro  ben  sta  su  l'avviso. Uscì  da  Maudricardo  il  primo  danno, Per  cui  fu  quasi  il  buon  Ruggiero  ucciso. D'uno  di  quei  gran  colpi  che  far  sanno, Gli  fa  lo  scudo  pel  mezzo  diviso, E  la  corazza  apertagli  di  sotto; E  fin  sul  vivo  il  crudel  brando  ha  rotto. 03    L'aspra  percossa  agghiacciò  il  cor  nel  petto, Per  dubbio  di  Ruggiero,  ai  circonstmti, Nel  cui  favor  si  conoscea  lo  affetto Dei  più  inchinar,  se  non  di  tutti  quanti. E  se  Fortuna  ponesse  ad  effetto Quel  che  la  maggior  parte  vorria  innanti, Già  Mandricardo  sana  morto  o  preso: che  M  suo  colpo  ha  tutto  il  campo  offeso. 54  Io  credo  che  qualche  agnol  sMnterpose Per  salvar  da  quel  colpo  il  cavaliere. Ma  ben  senza  più  indugio  gli  rispose, Terribil  più  che  mai  fosse,  Ruggiero. La  spada  in  capo  a  Mandrìcardo  pose; Ma  sì  lo  sdegno  fu  subito  e  fiero, E  tal  fretta  gli  fe\  ch'io  men  T incolpo Se  non  mandò  a  ferir  di  taglio  il  colpo. 55  Se  Balisarda  lo  giungea  pel  dritto. L'elmo  d'Ettorre  era  incantato  invano. Fu  sì  del  colpo  Mandricardo  afflitto, Che  si  lasciò  la  briglia  uscir  di  mano. D'andar  tre  volte  accenna  a  capo  fìtto, Mentre  scorrendo  va  d'intorno  il  piano Brigliador  che  conoscete  al  nome, Dolente  ancor  delle  mutate  some. 58    E  Balisarda  al  suo  ritorno  trasse Di  fuori  il  sangue  tiepido  e  vermiglio, vietò  a  Durindana  che  calasse Impetuosa  con  tanto  periglio: Benché  fin  su  la  groppa  si  piegasse Ruggiero,  e  per  dolor  strignesse  il  ciglio:E  s'elmo  in  capo  avea  di  peggior  tempre, Gli  era  quel  colpo  memorabil  sempre. Stanza  49. 56  Calcata  serpe  mai  tanto  non  ebbe. Né  ferito  leon,  sdegno  e  furore, Quanto  il  Tartaro,  poi  che  si  riebbe Dal  colpo  che  di  sé  lo  trasse  fuore:quanto  l'ira  e  la  superbia  crebbe. Tanto  e  più  crebbe  in  lui  forza  e  valore. Fece  spiccare  a  Brigliadoro  un  salto Verso  Ruggiero,  e  alzò  la  spada  in  alto. 57  Levossi  in  su  le  staffe,  ed  all'elmetto S2gnògli,  e  si  credette  veramente a  quella  volta  fin  al  petto:Ma  fui  lui Ruggierpiùdiligente;Chepria  che'l  braccio  scenda  al  duro  effeito, Gli  caccia  sotto  la  spada  pungente, E  gli  fa  nella  magb'a  ampia  finestra, Che  sotto  difendea  l'ascella  destra. 59  Ruggier  non  cessa,  e  spinge  il  suo  cavallo E  Mandricardo  al  destro  fianco  trova. Quivi  scelta  finezza  di  metallo, E  ben  condutta  tempra  poco  giova Centra  la  spada  che  non  scende  in  fallo, Che  fu  incantata  non  per  altra  prova . Che  per  far  eh' a' suoi  colpi  nulla  vaglia Piastra  incantata  ed  incantata  maglia 60  Taglionne  quanto  ella  ne  prese,  e  insieme Lasciò  ferito  il  Tartaro  nel  fianco, Che  '1  ciel  bestemmia,  e  di  tant'  ira  freme, Che'l  tempestoso  mare  è  orribil  manco. Or  s'apparecchia  a  por  le  forze  estreme: Lo  scudo  ove  in  azzurro  è  l'augel  bianco, Vinto  da  sdegno,  si  gittò  lontano E  messe  al  brando  e  l'una  e  l'altra  mano. 61    Ah,  disse  a  lui  Ruggier,  senza  più  basti A  mostrar  che  non  mertì  quella  insegna, Ch'  or  tu  la  getti,  e  dianzi  la  tagliasti:Né  potrai  dir  mai  più  che  ti  convegna. Cosi  dicendo,  forza  è  ch'egli  attasti Con  quanta  furia  Durindana  vegna; Che  sì  gli  grava  e  si  gli  pesa  in  fronte, Che  più  leggier  potea  cadervi  un  monte:stanza  67. 62  E  per  mezzo  gli  fende  la  visiera; Buon  per  lui,  che  dal  viso  si  discosta: Poi  calò  su  Tarcion  che ferratoera,Nélo  difese  averne  doppia  crosta: Giunse  alfin  su  T  arnese,  e  come  cera L'aperse  con  la  falda  soprapposta; E  feri  gravemente  nella  coscia Ruggier,  si  ch'assai  stette  a  guarir  poscia. 63  Dell'un,  come  dell'altro,  fatte  rosse n  sangue  l'arme  avea  con  doppia  riga; Talché  diverso  era  il  parer,  chi  fosse Di  lor,  ch'avesse  il  meglio  in  quella  briga. Ma  quel  dubbio  Ruggier  tosto  rimosse la  spada  che  tanti  ne  castiga: Mena  di  punta,  e  drizza  il  colpo  crudo Onde  gittato  avea  colui  lo  scudo. 64  Fora  della  corazza  il  lato  manco, E  di  venire  al  cor  trova  la  strada; Che  gli  entra  più  d'un  palmo  sopra  il  fiasca Sì  che  convien  che  Mandricardo  cada D'ogni  ragion  che  può  nell'augel  bianco, 0  che  può  aver  nella  famosa  spada; E  della  cara  vita  cada  insieme, Che,  più  che  spada  e  scudo,  assai  gli  preme. 65  Non  mori  quel  meschin  senza  vendetta: Ch'  a  quel  medesmo  tempo  che  fu  edito, La  spada,  poco  sua,  menò  di  fretta; Fd  a  Ruggier  avria  partito  il  volto, Se  già  Ruggier  non  gli  avesse  intercetta Prima  la  forza,  e  assai  del  vigor  tolto. Di  forza  e  di  vigor  troppo  gli  tolse Dianzi,  che  sotto  il  destro  braccio  il  colse. <)6    Da  Mandricardo  fu  Ruggier  percosso Nel  punto  ch'egli  a  lui  tolse  la  vita; Tal  eh'  un  cerchio  di  ferro,  anco  che  grosso  .Euna  cuffia  d'acciar  ne  fu  partita. Durindana  tagliò  cotenna  ed  osso, E  nel  capo  a  Ruggiero  entrò  due  dita. Ruggier  stordito  in  terra  si  riversa . E  di  sangue  nn  ruscel  dal  capo  versa. 67  n  primo  fa  Ruggier  ch'andò  per  terra . E  di  poi  stette  l'altro  a  cader  tanto, Che  quasi  crede  ognun  che  della  guerra Mandricardo  il  pregio  e  il  vanto: E  Doralice  sua,  che  con  gli  altri  erra, E  che  quel  dì  più  volte  ha  riso  e  pianto. Dio  ringraziò  con  mani  al  ciel  supine, Ch'avesse  avuta  la  pugna  tal  fine. 68  Ma  poi  ch'appare  a  manifesti  segni Vivo  chi  vive,  e  senza  vita  il  morto Nei  petti  de'fautor  mutano  i  regni; Di  là  mestizia,  e  di  qua  vien  conforto. 1  Re,  i  Signori,  i  cavalier  più  degni, Con  Ruggier  eh'  a  fatica  era  risorto, A  rallegrarsi  ed  abbracciarsi  vanno, E  gloria  senza  fine  e  onor  gli  danno. 69  Ognun  s' allegra  con  Ruggiero,  e  sente Il  medesmo  nel  cor,  e' ha  nella  bocca. Sol  Gradasso  il  pensiero  ha  differente Tutto  da  quel  che  fuor  la  lingua  sSòcca. Mostra  gaudio  nel  viso,  e  occultamente Del  glorioso  acquisto  invidia  il  tocca; E  maledice  o  sia  destino  o  caso, II  qual  trasse  Ruggier  prima  del  vaso. CANTO   TRENTESIMO. 70    Che  dirò  del  favor,  che  delle  tante Carezze  e  tante,  affettuose  e  vere, Che  fece  a  quel  Ruggiero  il  re  Agramante, 

Senza  il  qual  dare  al  vento  le  handìere, Né  volse  muover  d'Africa  le  piante, Né  senza  lui  si  fidò  in  tante  schiere? Or  che  del  re  Agricane  ha  spento  il  seme, Prezza  più  lui,  che  tutto  il  mondo  insieme. Né  di  tal  volontà  gli  uomini  soli Eran  verso  Ruggier,  ma  le  donne  anco, Che  d'Africa  e  di  Spagna  fra  gli  stuoli Eran  venute  al  tenitorio  franco. E  Doralice  istessa,  che  con  duoli Piangea  ramante  suo  pallido  e  bianco, Forse  con  P altre  ita  sarebbe  in  schiera. Se  di  vergogna  un  duro  firen  non  era. Stanza  93. 72    Io  dico  forse,  non  ch'io  ve  raccerti, Ma  potrebbe  esser  stato  di  leggiero; Tal  la  bellezza,  e  tali  erano  i  merti, I  costumi  e  i  sembianti  di  Ruggiero. Ella,  per  quel  che  già  ne  siamo  esperti. Sì  facile  era  a  variar  pensiero, Che  per  non  si  veder  priva  d'amore, Avria  potuto  in  Riiggier  porre  il  core. 73    Per  lei  buono  era  vivo  Mandricardo:Ma  che  ne  volea  far  dopo  la  morte? le  convien  d'un  che  gagliardo Sia  notte  e  di  ne'  suoi  bisogni,  e  forte. Non  era  stato  intanto  a  venir  tardo Il  pii\  perito  medico  di  corte, Che  di  Ruggier  veduta  ogni  ferita, Già  l'avea  assicurato  della  vita. 74  Con  molta  diligenzia  il  Re  Agramante Pece  colcar  Ruggier  nelle  sue  tende; Che  notte  e  di  yeder  sei  vuole  innante:Sì  r ama,  sì  di  lui  cura  si  prende. Lo scudo  al  letto  e  V  arme  tutte  quante Che  fur  di  Mandricardo,  il  Re  gli  appende; Tutte  le  appende,  eccetto  Durindana, Che  fii  lasciata  al  re  di  Sericana. 75  Con  Tarme  T altre  spoglie  a  Ruggier  sono Date  di  Mandricardo,  e  insieme  dato Gli  è  Brigliador, quel  destrier  bello  e  buono, Che  per  furore  Orlando  avea  lasciato. Poi  quello  al  Re  diede  Ruggiero  in  dono: Che  s'avvide  ch'assai  gli  saria  grato. Non  più  di  questo;  che  tornar  bisogna A  chi  Ruggiero  invan  sospira  e  agogna. 76  Gli  amorosi  tormenti  che  sostenne Bradamante,  aspettando,  io  v'ho  da  dire. A  Montalbano  Ippalca  a  lei  rivenne, E  nuova  le  arrecò  del  suo  desire. Prima,  di  quanto  di  Frontin  le  avvenne Con  Rodomonte,  l'ebbe  a  riferire; Poi  di  Ruggier,  che  ritrovò  alla  fonte Con  Ricciardetto  e' frati  d'Agrismonte; 77  E  che  con  esso  lei  s'era  partito Con  speme  di  trovare  il  Saracino, E  punirlo  di  quanto  avea  fallito D'aver  tolto  a  una  donna  il  suo  Frontino; E  che  '1  disegno  poi  non  gli  era  uscito, Perchè  diverso  avea  fatto  il  cammino:La  cagione  anco,  perchè  non  venisse A  Montalban  Ruggier,  tutta  le  disse; 78  E  rìferille  le  parole  appieno, Ch'in  sua  scusa  Ruggier  le  avea  commesse. Poi  si  trasse  la  lettera  di  seno, Ch'  egli  le  die,  perch'  ella  a  lei  la  desse. 

Con  viso  più  turbato,  che  sereno. Prese  la  carta  Bradamante,  e  lesse; Che,  se  non  fosse  la  credenza  stata Già  di  veder  Ruggier,  fora  più  grata. 79  L'aver  Ruggiero  ella  aspettato,  e,  invece Di  lui,  vedersi  ora  appagar  d'un  scritto, Del  bel  viso  turbar  l'aria  le  fece Di  timor,  di  cordoglio  e  di  despitto. Baciò  la  carta  diece  volte  e  diece. Avendo  a  chi  la  scrisse  il  cor  diritto. Le  lagrime  vietar,  che  su  vi  sparse, Che  con  sospiri  ardenti  ella  non  l'arse. 80  Lesse  la  carta  quattro  volte  e  sei, E  volse  eh'  altrettante  l'imbasciata Replicata  le  fosse  da  colei Che  l'una  e  V  altra  avea  quivi  arrecata, Pur  tutta  via  piangendo: e  crederei Che  mai  non  si  Siria  pili  racchetata, Se  non  avesse  avuto  pur  conforto Di  rivedere  il  suo  Ruggier  di  corto. 81  Termine  a  ritornar  quindici  o  venti Giorni  avea  Ruggier  tolto,  ed  affermato L'avea  ad  Ippalca  poi  con  giuramenti Da  non  temer  che  mai  fosse  mancato. Chi  m'assicura,  oimè!  degli  accidenti, Ella  dicea,  c'han  forza  in  ogni  lato, Ma  nelle  guerre  più,  che  non  distomi Alcun  tanto  Ruggier,  che  più  non  tomi? 82  Oimè !  Ruggiero,  oimè !  chi  avria  creduto Ch'avendoti  amato  io  più  di  me  stessa, ,  più  di  me,  non  eh'  altri,  ma  potato Abbi  amar  gente  tua  inimica  espressa? A  chi  opprimer  dovresti,  doni  aiuto; Chi tudovresti  aitare,  è  da  te  oppressi. Non  so  se  biasmo  o  laude  esser  ti  credi. Ch'ai  premiar  e  al  punir  sì  poco  vedi. 83  Fu  morto  da  Troian  (non  so  se  il  sai) n  padre  tuo;  ma  fin  ai  sassi  il  sanno:E  tu  del  figlio  di  Troian  cura  hai Che  non  riceva  alcun  disnor  né  danno. É  questa  la  vendetta  che  ne  fai, Ruggiero? e  a  quei  che  vendicato  l'hanno, Rendi  tal  premio,  che  del  sangfue  loro Me  fai  morir  di  strazio,  e  di  martore?84  Dicea  la  donna  al  suo  Ruggiero  absente Queste  parole  ed  altre,  lacrimando, Non  una  sola  volta,  ma  sovente. la  venia  pur  confortando Ruggier  serverebbe  interameute Sua  fede,  e  eh'  ella  l'aspettasse,  quando Altro  far  non  potea,  fino  a  quel  giorno Ch'avea  Ruggier  prescritto  al  suo  ritorno. 85  I  conforti  d'Ippalca,  e  la  speranza Che  degli  amanti  suole  esser  compagna, Alla  tema  e  al  dolor  tolgon  possanza Dì  far  che  Bradamante  ognora  piagna. Montalban,  senza  mutar  mai  stanza, Voglion  che  fin  al  termine  rimagna; Fin  al  promesso  termine  e  giurato. Che  poi  fu  da  Ruggier  male  osservato. CANTO   TRENTESIMO. 86  Ma  chegli  alla  promessa  sua  mancasse, Non  però  debbe  aver  la  colpa  affatto; Chiana  causa  ed  un'altra  sì  lo  trasse, gli  fu  forza  preterire  il  patto. Convenne  che  nel  letto  sì  colcasse, E  più  d'un  mese sìstesse  di  piatto In  dubbio  di  morir:  si  il  dolor  crebbe Dopo  la  pugna  che  col  Tartaro  ebbe. 87  L'innamorata  giovane  l'attese Tutto  quel  giorno,  e  deslollo  invano, Né  mai  ne  seppe,  fuor  quanto  nentese Ora  da  Ippalca,  poi  dal  suo  germano, Questa  novella,  ancor  ch'avesse  grata, Pur  di  qualche  amarezza  era  turbata:88  Che  di  Marfisa  in  quel  discorso  udito L'alto  valore  e  le  bellezze  avea: Udì  come  Ruggier  s'era  partito Con  esso  lei,  e  che  d'andar  dicea Là  dove  con  disagio  in  debol  sito Mal  sicuro  Agramante  si  tenea. Si  degna  compagnia  la  donna  lauda, Ma  non  che  se  n'  allegri,  o  che  l'applauda. 89  Né  picciolo  è  il  sospetto  che  la  preme; Che  se  Marfisa  é  bella,  come  ha  fama, E  che  fin  a  quel  di  sien  giti  insieme, È  maraviglia  se  Ruggier  non  Tama. Pur  non  vuol  creder  anco,  e  spera  e  teme; E  '1  giorno  che  la  può  far  lieta  e  grama, Misera  aspetta;  e  sospirando  stassi, Da  Montalban  mai  non  movendo  ì  passi. 90  Stando  ella  quivi,  il  Principe,  il  Signore bel  castello,  il  primo  de' suoi  frati (Io  non  dico  d'etade,  ma  d'onore; Che  di  lui  prima  duo  n'erano  nati), Rinaldo,  che  di  gloria  e  di  splendore Gli  ha,  come  il  Sol  le  stelle,  illuminati, Giunse  al  castello  un  giorno  in  su  la  nona; Né,  fuor  eh'  un  paggio,  era  con  lui  persona. 91  Cagion  del  suo  venir  fu,  che  da  Brava Ritornandosi  un  dì  verso  Parigi, Come  v'ho  detto  che  sovente  andava Per  ritrovar  d'Angelica  vestigi, Avea  sentita  la  novella  prava Del  suo  Viviano  e  del  suo  Malagigi, Ch'eran  p"  esser  dati  al  Maganzese; E  perciò  ad  Agrismonte  la  via  prese:92  Dove  intendendo  poi  eh'  eran  salvati, E  gli  avversari  lor  morti  e  distrutti, E  Marfisa  e  Ruggiero  erano  stati, Che  gli  aveano  a  quei  termini  ridutti; E' suoi  fratelli  e' suoi  cugin  tornati A  Montalbano  insieme  erano  tutti; Gli  parve  un'ora  un  anno  di  trovarsi Con  esso  lor  là  dentro  ad  abbracciarsi. 93  Venne  Rinaldo  a  Montalbano,  e  quivi Madre,  moglie  abbracciò,  figli  e  fratelli, E  i  cugini  che  dianzi  eran  captivi; E  parve,  quando  egli  arrivò  tra  quelli, Dopo  gran  fame  irondine  ch'arrivi Col  cibo  in  bocca  ai  pargoletti  augelli: E  poi  eh'  un  giorno  vi  fu  stato  o  dui, Partissi,  e  fé'  partire  altri  con  lui. 94  Ricciardo,  Alardo,  Ricciardetto,  e  d'essi d' Amone,  il  più  vecchio  Guicciardo, Malagigi  e  Vivian,  si  furon  messi In  arme  dietro  a  Paladin  gagliardo. Bradamante  aspettando  che  s'appressi Il  tempo  ch'ai  disio  suo  ne  vien  tardo. Inferma,  disse  alli  fratelli,  eh'  era:E  non  volse  con  lor  venire  in  schiera. 96    E  ben  lor  disse  il  ver,  ch'ella  era  inferma. Ma  non  per  febbre  o  eorporal  dolore: Era  il  disio  che  l'alma  dentro  inferma, E  le  fa  alterazion  patir  d'amore. Rinaldo  in  Monlbano  più  non  si  ferma, E  seco  mena  di  sua  gente  il  fiore. a  Parigi  appropinquosse,  e  quanto Carlo  aiutò,  vi  dirà  l'altro  Cauto. NOTE. Sr.  8.  V.6   Che  di  vetture  vxiol  vivere  a  macco: cioè  gratis. St.  9.  V.3.   Ponesse  a  saccomanno: a  sacco. St.  10.  V.2,   Zizera.  L'antica  Igilgilis.  Ora  Algesi rcks,  0  Gibilterra  vecchia  neir  Andalusia,  porto  sulla  co sta meridionale  della  baia  di  Gibilterra,  di  cui  è  lon tana tre  leghe  soltanto. St.  11.  V.8.   Il  Mazzafrusto  è  propriamente  una frusta  fatta  con  cordicella  o  fili  di  metallo  che  hanno in  cima  palle  di  piombo,  e  son  legati  a  un  manico  di legno  0  di  ferro.  Qui  pare  usato  per  grosso  bastone. St.  15.  V.7.   Tendea.  Qui  tendere  è  usato  alla  la per  stare  attendato. St.  16.  V.8.   Forse  altri  canterd  con  miglior  plet tro, n  Brnsantini  ne  ha  cantato,  ma  assai  male,  nel V Angelica  Innamorata. St.  17.  V.4   Spinto:  qui  allontaìiato . St.  21.  V.3.   Sortirete: trairete  a  sorte. St.  23.  V.8.   Versati:  agitati. St.  41.  V.5.   Saro:  inesperto. St.  46.  V.4.   Del  gran  dìfensor,  ecc.:  d'Orlando. St.  48.  V.14.   Il  Manco  augel:  T aquila,  che  il Poeta  dice  bianca  y  perchè  di  quel  colore  ve  lesi  nella stemma  di  Casa  d'Este,  di  cui Ruggiero  è  rautico  ceppa.  Come  nella  T<ssaHa,  ecc.  Allude  alle  battaglie  eoi battute  in  quei  luoghi  dalle  legioni  romane,  di  cai  lii '  segna  era  Taquila. St.  61.  V.5.   Aitasti: provi. St.  62.  V.6.   Falda:  diconsi  falde  quelle  sthsee metalliche  che  attorniano  la  cintura  delFusbergo,  e  sc"b dono  a  riparare  i  fianchi  e  le  cosce  del  gieniero. St.  68.  V.34.   MiUano  regni,  ecc.: mataoo  seli dov'era  mestizia  subentra  conforto,  e  viceversa. St.  76.  V.4.   Del  suo  desire: del  suo  desiderato amante. St.  86.  V.6.   Di  piatto:  ritirato. St.  90.  V.56.   Secondo  le  credenze  deirantica  astro nomia, il  sole  dava  luce  a  tutte  le  stelle. St.  93.  V.2.   Madre,  moglie.  Beatrice,  figlia  di  Nino duca  di  Baviera,  fu  madre  di  Rinaldo,  e  la  moglie  di  lai era  Clarice,  sorella  di  Ugone  di  Bordò.  Si  ha  del  Tasso un  poema  sugli  amori  di  Rinaldo  e  Clarice,  iutitokio Rinaldo. Canto  XXXf.IVró  dr  turili  ftlo  a  muro  ch"  "ì  pone Tra  questa  suaviÉiima  doleezsMi . É  na  nuiitiienti",  uita  iHTfivJoDcs Ed  è  un  condurre  amore  a  più  finezza. L'ncque  parer  fa  saporite  e  buone La  sete,  e  il  cibo  pel  digiun  s  apprezza:Non  conosce  la  pace  e  non  l'estima provato  non  ha  la  guerra  prima. Canto  XXXI. 3  Se  ben  non  veggon  gii  occhi  ciò  che  vede Ognora  il  core,  in  pace  si  sopporta. Lo  starlontano,  poi  qnando  si  riede  y Quanto  più  lungo  fu,  più  riconforta. Lo  stare  in  servitù  senza  mercede, Purché  non  resti  la  speranza  morta, Patir  si  può;  che  premio  al  ben  servire 4  Gli  sdegni,  le  repulse,  e  finalmente Tutti  i  martìr  d'Amor,  tutte  le  pene Fsa,  per  lor  rimembranza,  che  si  sente Sfa  se  l'infernal  peste  una  egra  mente Awien  eh  infetti,  ammorbi  ed  awelene; Sebben  segue  poi  festa  ed  allegrezza. Non  la  cura  ramante  e  non  P apprezza. 5  Questa  è  la  cruda  e  avvelenata  piaga, A  cui  non  vai  liquor,  non  vai  impiastro. Né  murmurc,  né  immagine  di  saga. Né  vai  lungo  osservar  di  benigno  astro. Né  quanta  esperìenzia  d'arte  maga Fece  mai  V  inventor.  suo  Zoroastro; Piaga  crudel  che  sopra  ogni  dolore Conduce  Tuom  che  disperato  muore. 6  Oh  incurabil  piaga  che  nel  petto D'un  amator  sì  facile  s'imprime Non  men  per  falso  che  per  ver  sospetto ! Piaga  che  Puom  si  crudelmente  opprime. Che  la  ragion  gli  offusca  e  l'intelletto E  lo  trae  fuor  delle  sembianze  prime! Oh  iniqua  gelosia,  che  così  a  torto Levasti  a  Bradamante  ogni  conforto ! 7  Non  di  questo  eh'  Ippalca  e  che  '1  fratello Le  avea  nel  core  amaramente  impresso, Ma  dico  d'uno  annunzio  crudo  e  fello, Che  le  fu  dato  pochi  giorni  appresso. Questo  era  nulla  a  paragon  di  quello Ch'io  vi  dirò,  ma  dopo  alcun  digresso. Di  Rinaldo  ho  da  dir  primieramente, Che  ver  Parigi  vien  con  la  sua  gente. 8  Scontrare  il  di  seguente  invér  la  sera Un  cavalier  eh' avea  una  donna  al  fianco, Con  scudo  e  sopravvesta  tutta  nera; Se  non  che  per  traverso  ha  un  fregio  bianco. Sfidò  alla  giostra  Ricciardetto,  ch'era Dinanzi,  e  vista  avea  di  guerrier  franco:E  quel  che  mai  nessun  ricusar  volse, Girò  la  briglia,  e  spazio  a  correr  tolse. 9  Senza  dir  altro,  o  più  notizia  dard Dell'esser  lor,  si  vengono  all'incontro. Rinaldo  e  gli  altri  cavalier  fermarsi, Per  veder  come  seguirla  lo  scontro. Tosto  costui  per  terra  ha  da  versarsi, Se  in  luogo  fermo  a  mìo  modo  lo  incontro (Dicea  fra  sé  medesmo  Ricciardetto); Ma  contrario  al  pensier  segui  l'effetto: 10  Perocché  lui  sotto  la  vista  offese Di  tanto  colpo  il  cavalier  istrano, Che  lo  levò  di  sella,  e  lo  distese Più  di  due  lande  al  suo  destrier  lontano. Di  vendicarlo  incontinente  prese L'assunto  Alardo,  e  ritrovossi  al  piano Stordito  e  male  acconcio: si  fu  crudo Lo  scontro  fier,  che  gli  spezzò  lo  scado. 11  Guicciardo  pone  incontinente  in  resta L'asta,  che  vede  i  duo  germani  in  terra. Benché  Rinaldo  gridi:  Resta,  resta; Che  mia  convien  che  sia  la  terza  guerra: Ma  l'elmo  ancor  non  ha  allacciato  in  testa; 

Si  che  Guicciardo  al  corso  si  disserra; Né  più  degli  altri  si  seppe  tenere, E  ritrovossi  subito  a  giacere. 12  Vuol  Ricciardo,  Viviano  e  Malagigi, E  l'un  prima  dell'altro  essere  in  giostra: Rinaldo  pon  fine  ai  lor  litigi:Ch'innanzi  a  tutti  armato  si  dimostra, loro:  È  tempo  ire  a  Parigi; E  saria  troppo  la  tardanza  nostra, S'io  volessi  aspettar  finché  ciascuno Di  voi  fosse  abbattuto  ad  uno  ad  uno. 13  Dissel  tra  sé,  ma  non  che  fosse  inteso; saria  stato  agli  altri  ingiuria  e  scorno. e  l'altro  del  campo  avea  già  preso, E  si  faceano  incontra  aspro  ritomo. Non  fu  Rinaldo  per  terra  disteso; Che  valea  tutti  gli  altri  eh' avea  intomo. Le  lance  si  fiaccar,  come  di  vetro; Né  i  cavalier  si  piegar  oncia  addietro. L'uno  e  l'altro  cavallo  in  guisa  urtosse, Che  gli  fu  forza  in  terra  a  por  le  groppe. Baiardo  immantinente  ridrizzosse, Tanto  ch'appena  il  correre  interroppe. Sinistramente  si  l'altro  percosse. la  spalla  e  hi  schiena  insieme  roppe. Il  cavalier  che  '1  destrier  morto  vede, Lascia  le  staffe,  ed  é  subito  in  piede. CANTO  TRENTESIMOPRIMO. Ed  al  figlio  d' Amon,  che  già  rivolto Tornava  a  lui  con  la  man  vota,  disse: Signore,  il  buon  destrier  che  tu  mhai  tolto, Perchè  caro  mi  fu  mentre  che  visse, Mi  faria  uscir  del  mio  debito  molto. Se  così  invendicato  si  morisse: 

Sì  che  vientene,  e  fa  ciò  che  tu  puoi; Perchè  battaglia  esser  convien  tra  noi. 16  Disse  Rinaldo  a  lui:  Se  U  destrier  morto, E  non  altro  ci  depporre  a  battaglia, Un  de'  miei  ti  darò,  piglia  conforto, men  del  tuo  non  crederò  che  vaglia. Colui  soggiunse:  Tu  sei  mal  accorto, Se  creder  vuoi  che  d'un  destrier  mi  caglia. Ma  poiché  non  comprendi  ciò  che  io  voglio, Ti  spiegherò  più  chiaramente  il  foglio. 17  Vo'dir  che  mi  parria  commetter  fallo, Se  con  la  spaa  non  ti  provassi  anco, E  non  sapessi  s' in  quest'  altro  ballo Come  ti  piace,  o  scendi,  o  sta  a  cavallo: Purché  le  man  tu  non  ti  tenga  al  fianco, Io  son  contento  ogni  vantaggio  darti; alla  spada  bramo  di  provarti. E  disse:  La  battaglia  ti  prometto; E  perchè  tu  sia  ardito,  e  non  ti  punga Di  questi,  e' ho  d'intorno,  alcun  sospetto, Andranno  innanzi  finch'io  gli  raggiunga; Né  meco  resterà  fuor  eh' un  valletto Che  mi  tenga  il  cavallo:  e  così 'disse Alla  sua  compagnia  che  se  ne  gisse. stanza  13. 19  La  cortesia  del  paladin  gagliardo Commendò  molto  il  cavaliere  estrauo. Smontò  Rinaldo,  e  del  destrier  Baiardo Diede  al  valletto  le  redine  in  mano: E  poi  che  più  non  vede  il  suo  stendardo, Il  qual  di  lungo  spazio  è  gfià  lontano, Lo  scudo  imbraccia  e  stringe  il  brando  fiero, E  sfida  alla  battaglia  il  cavaliere. 20  E  quivi  s'incomincia  una  battaglia, Di  ch'altra  mai  non  fu  più  fiera  in  vista. crede  l'un  che  tanto  l'altro  vaglia, Che  troppo  lungamente  gli  resista. Ma  poiché '1  paragon  ben  li  ragguaglia, Né  l'un  dell'altro  più  s'allegra  o  attrista, Pongon  r  orgoglio  ed  il  furor  da  parte, Ed  al  vantaggio  loro  usano  ogn'arte. 21  S' odon  lor  colpi  dispietati  e  crudi Intorno  rimbombar  con  suono  orrendo, Ora  i  canti  levando  a' grossi  scudi, Schiodando  or  piastre,  e  quando  maglie  aprendo. Né  qui  bisogna  tanto  che  si  studi A  ben  ferir,  quanto  a  parar,  volendo Star  l'uno  all'altro  par;  ch'eterno  danno Lor  può  causar  il  primo  error  che  fanno. 22  Durò  l'assalto  un'ora,  e  più  che'l  mezzo D'un' altra:  ed  era  il  Sol  già  sotto  l'onde, Ed  era  sparso  il  tenebroso  rezzo Dell'orizzou  fin  all'estreme  sponde; Né  riposato,  o  fatto  altro  intermezzo Aveano  alle  percosse  furibonde Questi  guerrier,  che  non  ira  o  rancore, Ma  tratto  all'arme  avea  disio  d'onore. 23  Rivolve  tuttavia  tra  sé  Rinaldo Chi  sia  r  estrano  cavalìer  si  forte, Che  non  por  gli  sta  contra  ardito  e  saldo, Ma  spesso  il  mena  a  risco  della  morte; E  già  tanto  travaglio  e  tanto  caldo Oli  ha  posto,  che  del  fin  dubita  forte; E  volentier,  se  con  suo  onor  potesse, Vorria  che  quella  pugna  rimanesse. 24  Dair altra  parte ilcavalier  estrano, Che  similmente  non  avea  notizia Che  quel  fosse  il  signor  di  Montalbano, Quel  si  famoso  in  tutta  la  milizia, Che  gli  avea  incontra  con  la  spada  in  mano Condotto  cosi  poca  nimicizia, Era  certo  che  d'uom  di  più  eccellenzi Non  potesson  dar  Tarme  esperienza. 26    Vorrebbe  dell'impresa  esser  digiuno, Ch'avea  di  vendicare  il  suo  cavallo; E  se  potesse  senza  biasmo  alcuno, Si  trarrla  fuor  del  periglioso  ballo, n  mondo  era  già  tant.o  oscuro  e  bruno, Che  tutti  i  colpi  quasi  ivano  in  fallo. Poco  ferire,  e  men  parar  sapeano; Ch  appena  in  man  le  spade  si  vedeano. 26  Fu  quel  da  Montalbano  il  primo  a  dire Ma  quella  indugiar  tanto  e  differire Ch'avesse  dato  volta  il  pigro  Arturo; che  può  intanto  al  padiglion  venire, Ove  di  sé  non  sarà  men  sicuro. Ma  servito,  onorato  o  ben  veduto, Quanto  in  loco  ove  mai  fosse  venuto. 27  Non  bisognò  a  Rinaldo  pregar  molto; Che  1  cortese  Baron  tenne  lo  nvito. Ne  vanno  insieme  ove  il  drappel  raccolto Di  Montalbano  era  in  sicuro  sito. Rinaldo  al  suo  scudiero  avea  già  tolto Un  bel  cavallo,  e  molto  ben  guernito, A  spada  e  a  lancia  e  ad  ogni  prova  buono, Ed  a  quel  cavalier  fattone  dono. 28  II  guerrier  peregri n  conobbe  quello Esser  Rinaldo,  che  venia  con  esso; Che  prima  che giungessero  air  ostello, Venuto  a  caso  era  a  nomar  sé  stesso: E  perché  l'un  dell'altro  era  fratello. Si  sentì  dentro  di  dolcezza  oppresso, E  di  pietoso  affetto  tocco  il  core; E  lacrimò  per  gaudio  e  per  amore. 29  Questo  guerriero  era  Guidon  Selvaggio, Che  dianzi  con  Marfisa  e  Sansonetto E'  figli  d' Olivier  molto  viaggio fatto  per  mar,  come  v'ho  detto. Di  non  veder  più  tosto  il  suo  lignaggio Il  fellon  Pinabel  gli  avea  interdetto, Avendol  preso,  e  a  bada  poi  tenuto Alla  difesa  del  suo  rio  statuto. 30  Guidon,  che  questo  esser  Rinaldo  adìo, Famoso  sopra  ogni  famoso  duce. Ch'avuto  avea  più  di  veder  disio. Che  non  ha  il  cieco  la  perduta  luce, Con  molto  gaudio  disse: 0  signor  mio, Qual  fortuna  a  combatter  mi  conduce Con  voi  che  lungamente  ho  amato  ed  amo, E  sopra  tutto  il  mondo  onorar  bramo?31  Mi  partorì  Costanza  nell'estreme Ripe  del  mar  Eusino: io  son  Guidone, Concetto  dello  illustre  inclito  seme, Come  ancor  voi,  del  generoso  Amone. Di  voi  vedere  e  gli  altri  nostri  insieme Il  desiderio  é  del  venir  cagione; E  dove  mia  intenzion  fa  d'onorarvi. Mi  veggo  esser  venuto  a  ingiuriarvi. 32  Ma  scusimi  appo  voi  d' un  error  tanto, Oh'  io  non  ho  voi  né  gli  altri  conosciuto; E  s' emendar  si  può,  ditemi  quanto Far  debbo,  ch'in  ciò  far  nullarifiuto. Poi  che  si  fu  da  questo  e  da  quel  canto De'  complessi  iterati  al  fin  venuto, Rispose  a  lui  Rinaldo: Non  vi  caglia Meco  scusarvi  più  della  battaglia; 33  Che  per  certificarne  che  voi  sete Di  nostra  antiqua  stirpe  un  vero  ramo. Dar  miglior  testimonio  non  potete. Che  '1  gran  valor  ch'in  voi  chiaro  proviamo. Se  più  pacifiche  erano  e  quiete Vostre  maniere,  mal  vi  credevamo; Che  la  damma  non  genera  il  leone, Né  le  colombe  l'aquila  o  il  falcone. 34  Non,  per  andar,  di  ragionar  lasciando. Non  di  seguir,  per  ragionar,  lor  via, Vennero  ai  padiglioni:  ove  narrando Il  buon  Rinaldo  alla  sua  compagnia Che  questo  era  Guidon,  che  disiando Veder,  tanto  aspettato  aveano  pria, Molto  gaudio  apportò  nelle  sue  squadre E  parve  a  tutti  assimigliarsi  al  padre. CANTO   TBENTESIMOPRIMO.35  Non  dirò  l'accoglienze  che  gli  fero Alardo,  Ricciardetto  e  gli  altri  dui; Che  gli  fece  Viviano  ed  Aldigiero, E  Malagigi,  frati  e  cugin  sui; Ch'  ogni  signor  gli  fece  e  cavaliere; Ciò  ch  egli  disse  a  loro,  ed  essi  a  lui:Ma  vi  concluderò,  che  finalmente Fa  ben  veduto  da  tutta  la  gente. 36  Caro  Guidone  a' suoi  fratelli  stato Credo  sarebbe  in  ogni  tempo  assai; Ma  lor  fu  al  gran  bisogno  ora  più  grato, Ch  esser  potesse  in  altro  tempo  mai. Poscia  che'l  nuovo  Sole  incoronato Del  mare  osci  di  luminosi  rai, Guidon  coi  frati  e  coi  parenti  in  schiera Se  ne  tornò  sotto  la  lor  bandiera. 37  Tanto  un  giorno  ed  un  altro  se  n' andare, Che  di  Parigi  alle  assediate  porte A  men  di  dieci  miglia  s'accostaro In  ripa  a  Senna:  ove  per  buona  sorte Grifone  ed  Aquilante  ritrovare, I  duo  guerrier  delP  armatura  forte:Grifone  il  bianco,  ed  Aquilante  il  nero, Che  partorì  Gismonda  d'Oliviero. 38  Con  essi  ragionava  una  donzella, Non  già  di  vii  condizione  in  vista. Che  di  sciamilo  bianco  la  gonnella Fregiata  intomo  avea  d'aurata  lista; Molto  leggiadra  in  apparenza  e  bella, Fosse  quantunque  lacrimosa  e  trista: E  mostrava  ne' gesti  e  nel  sembiante Di  cosa  ragionar  molto  importante. stanza  36. 89    Conobbe  i  cavalier,  com'  essi  lui, Guidon,  che  fii  con  lor  pochi  di  innanzi; Ed  a  Rinaldo  disse:  Eccovi  dui A  cui  van  pochi  di  valore  innanzi; E  se  per  Carlo  ne  verrau  con  nui, Non  ne  staranno  i  Saracini  innanzi. Rinaldo  di  Guidon  conferma  il  detto, Che  l'uno  e  l'altro  era  guerrier  perfetto. 40    Gli  avea  riconosciuti  egli  non  manco; Perocché  quelli  sempre  erano  usati, L'un  tutto  nero,  e  l'altro  tutto  bianco Vestir  su  l'arme,  e  molto  andare  ornati. Dall'altra  parte  essi  conobber  anco E  salutar  Guidon,  Rinaldo  e  i  frati; E  abbracciar  Rinaldo  come  amico . Messo  da  parte  ogni  lor  odio  antico. 41  S' ebbero  un  tempo  in  urta  e  in  gran  dispetto Per  Truffaldin,  che  fora  lungo  a  dire; Ma  quivi  insieme  con  fraterno  affetto S'accarezzar,  tutte  obbliando  l'ire. Rinaldo  poi  si  volse  a  Sansonetto, Ch'era  tardato  un  poco  più  a  venire, E  lo  raccolse  col  debito  onore. Appieno  instrutto  del  suo  gran  valore. 42  l'osto  che  la  donzella  più  vicino Vide  Rinaldo,  e  conosciuto  l'ebbe (Ch'avea  notizia  d'ogni  paladino), Gli  disse  una  novella  che  gl'iucrebbe; E  cominciò: Sigrore,  il  tuo  cugino, A  cui  la  Chiesa  e  l'alto  Imperio  debbe, Quel  già  s)  saggio  ed  onorato  Orlando, È  fatto  stolto,  e  va  pel  mondo  errando. 43  Onde  causato  co  strano  e  rio Accidente  gli  sia,  non  so  narrarte. La  sua  spada  e  V  altr  arme  ho  vedute  io, Che  per  li  campi  avea  gittate  e  sparte; E  vidi  un  cavalier  cortese  e  pio Che  le  andò  raccogliendo  da  ogni  parte; E  poi  di  tutte  quelle  un  arbuscello Fé,  a  guisa  di  trofeo,  pomposo  e  bello. 44  Ma  la  spada  ne  fu  tosto  levata Dal  figliuol  d'Agricane  il  dì  medesmo. Tu  puoi  considerar  quanto  sia  stata Gran  perdita  alla  gente  del  battesmo L'esser  un'altra  volta  ritornata Durindana  in  poter  del  Paganesmo. Né  Brigliadoro  men,  eh  errava  sciolto Intorno  all'arme,  fu  dal  Pagan  tolto. 45Son  pochi  di  ch'Orlando  correr  vidi, Senza  vergogna  e  senza  senno,  ignudo, Con  urli  spaventevoli  e  con  gridi:     . Ch'é  ffttto  pazzo  insomma  ti  conchiudo; E  non  avrei,  fuor  eh'  a  questi  occhi  fidi, Creduto  mai  si  acerbo  caso  e  crudo. Poi  narrò  che  lo  vide  giù  dal  ponte Abbracciato  cader  con  Rodomonte. 49  Ma  già  lo  stuolo  avendo  fatto  unire, Sia  volontà  del  Cielo,  o  sia  avventura, Vuol  fare  i  Saracin  prima  fuggire, E  liberar  le  parigine  mura. consiglia  l'assalto  differire (Che  vi  par  gran  vantaggio)  a  notte  senra . Nelk  terza  vigilia  o  nella  quarta, Ch'  avrà  V  acqua  di  Lete  il  Sonno  sparta. 50  Tutta  la  gente  alloggiar  fece  al  boseo, E  quivi  la  posò  per  tutto  '1  giorno:Ma  poi  che  '1  sol,  lasciando  il  mondo  fosco  . Alla  nutrice  antiqua  fé'  ritomo, Ed  orsi  e  capre,  e  serpi  senza  tosco, E  l'altre  fere  ebbono  il  cielo  adorno, Che  state  erano  ascose  al  maior  lampo, Mosse  Rinaldo  il  taciturno  campo: 61    E  venne  con  Grifon,  con  Aquilante, Con  Vivian,  con  Alardo  e  con  Guidone, Con  Sansonetto,  agli  altri  un  miglio  innante, A  cheti  passi  e  senza  alcun  sermone. Trovò  dormir  l'ascolta  d'Agramante: Tutta  l'uccise,  e  non  ne  fé' un  prigione. Indi  arrivò  tra  l'altra  gente  mora, Che  non  fu  visto  né  sentito  ancora. 46  A  qualunque  io  non  credaessernimico D'Orlando,  soggiungea,  di  ciò  favello; Acciò  eh'  alcun  di  tanti  a  eh'  io  lo  dico, Mosso  a  pietà  del  caso  strano  e  fello, Cerchi  o  a  Parigi  o  in  altro  luogo  amico Ridurlo,  fin  che  si  purghi  il  cervulo. Ben  so,  se  Brandimarte  n'  avrà  nuova, Sarà  per  fame  ogni  possibil  prova. 47  Era  costei  la  bella  Fiordiligi, Più  cara  a  Brandimarte  che  sé  stesso: La  qual,  per  lui  trovar,  venia  a  Parigi:E  della  spada  ella  soggiunse  appresso, Che  discordia  e  contese  e  gran  litigai Tra  il  Sericano  e'I  Tartaro  avea  messo; E  ch'avuta  l'avea,  poiché  fii  casso Di  vita  Mandricardo,  alfin  Gradasso. 48  Di  cosi  strano  e  misero  accidente Rinaldo  senza  fin  si  lagna  e  duole; Né  il  core  intenerir  men  se  ne  sente, Che  soglia  intenerirsi  il  ghiaccio  al  sole: E  con  disposta  ed  iramutabil  mente, Ovunque  Orlando  sia,  cercar  lo  vuole, Con  speme,  poi  che  ritrovato  l'abbia, Di  farlo  risanar  di  quella  rabbia. 52    Del  campo  d'Infedeli  a  prima  giunti La  ritrovata  guardia  all'improvviso Lasciò  Rinaldo  si  rotta  e  consanta, Ch'  un  sol  non  ne  restò,  se  non  ucciso. Spezzata  che  lor  fu  la  prima  punta, I  Saracin  non  l'avean  più  da  riso:Che  sonnolenti,  timidi  ed  inermi, Poteano  a  tai  guerrier  far  pochi  schermi. 63  Fece  Rinaldo  per  maggior  spavento Dei  Saracini,  al  muover  dell' assalto, A  trombe  e  a  corni  dar  subito  vento, E,  gridando,  il  suo  nome  alzar  in  alto. Spinse  Baiardo,  e  quel  non  parve  lento; Che  dentro  ali  alte  sbarre  entrò  d'un  salto . E  versò  cavalier,  pestò  pedoni,Ed  atterrò  trabacche  e  padiglioni. 64  Non  fu  si  ardito  tra  il  popol  pagano, A  cui  non  s'arricciassero  le  chiome, Quando  senti  Rinaldo  e  Montalbano Sonar  per  l'aria,  il  formidato  nome. Fugge  col  campo  d'Africa  l'Ispano, Né  perde  tempo  a  caricar  le  some; Ch'aspettar  quella  furia  più  non  vuole, Ch'  aver  provata  anco  si  piagne  e  duole. CANTO  TRENTESIMOPRIMO.55  Guidon  lo  see,  e  non  fa  men  di  lui; Né  men  fanno  i  dao  figli  d'Oliviero, Alardo  e  Ricciardetto  e  gli  altri  dui: Col  brando  Sansonetto  apre  il  sentiero; Aldigiero  e  Vivian  provar  altrui Fan  quanto  in  arme  Puno  e  l'altro  è  fiero. Cosi  fa  ognun  che  segue  Io  stendardo Di  Chiaramonte,  da  gaerrier  gagliardo. 56  Settecento  con  lui  tenea  Rinaldo In  Montalbano  e  intorno  a  quelle  ville, Usati  a  portar  l'arme  al  freddo  e  al  caldo, Non  già  più  rei  dei  Mirmidon  d'Achille. Ciascun  d'essi  al  bisogno  era  si  saldo, Che  cento  insieme  non  fuggian  per  mille; E  se  ne  potean  molti  sceglier  fuori, Che  d'alcun  dei  famosi  eran  migliori. 57  E  se  Rinaldo  ben  non  era  molto Ricco  né  dicittàné  di  tesoro, Facea  sì  con  parole  e  con  buon  volto, E  ciò  ch'avea  partendo  ognor  con  loro, Ch'un  di  quel  numer  mai  non  gli  fu  tolto Per  offerire  altrui  più  somma  d'oro. Questi  da  Montalban  mai  non  rimove, Se  non  lo  stringe  un  gran  bisogno  altrove. 58  Ed  or,  perch'abbia  il  Magno  Carlo  aiuto. Lasciò  con  poca  guardia  il  suo  castello. Tra  gli  African  questo  drappel  venuto. Questo  drappel  del  cui  valor  favello, Ne  fece  quel  che  del  gregge  lanuto Sul  falanteo  Galeso  il  lupo  fello, 0  quel  che  soglia  del  barbato,  appresso barbaro  Cinifio,  il  leon  spesso. 59  Carlo,  eh'  avviso  da  Rinaldo  avuto Avea,  che  presso  era  a  Parigi  giunto, E  che  la  notte  il  campo  sprovveduto Volea  assalir,  stato  era  in  arme  e  in  punto: E,  quando  bisognò,  venne  in  aiuto Coi  Paladini;  e  ai  Paladini  aggiunto Avea  il  figliuol  del  ricco  Monodante, Di  Fiordiligi  il  fido  e  saggio  amante; 60  Ch'  ella  più  giorni  per  si  lunga  via Cercato  avea  per  tutta  Francia  invano. Quivi,  all' insegne  che  portar  solia, Fu  da  lei  conosciuto  di  lontano. Come  lei  Brandimarte  vide  pria. Lasciò  la  guerra,  e  tornò  tutto  umano, corse  ad  abbracciarla:  e  d'amor  pieno, Mille  volte  baciolla,  o  poco  meno. 61  Delle  lor  donne  e  delle  lor  donzelle Si  fidar  molto  a  quella  antica  etade. Senz' altra  scorta  andar  lasciano  quelle Per  piani  e  monti,  e  per  strane  contrade; Ed  aJ  ritomo  l'han  per  buone  e  belle. Né  mai  tra  lor  suspiz'ione  accade. Fiordiligi  narrò  quivi  al  suo  amante, Che  fatto  stolto  era  il  Signor  d'Anglante. Brandimarte  si  strana  e  ria  novella Credere  ad  altri  a  pena  avria  potuto; Ma  lo  credette  a  Fiordiligi  bella, A  cui  già  maggior  cose  avea  creduto. Non  pur  d'averlo  udito  gli  dice  ella, Ma  che  con  gli  occhi  propri  l'ha  veduto; C  ha  conoscenza  e  pratica  d'Orlando, Quanto  alcun  altro;  e  dice  dove  e  quando: 63  E  gli  narra  del  ponte  periglioso. Che  Rodomonte  ai  cavalier  difende, Ove  un  sepolcro  adoma  e  fa  pomposo Di  sopravveste  e  d'arme  di  chi  prende. Narra  e' ha  visto  Orlando  furioso Far  cose  quivi  orribili  e  stupende; Che  nel  fiume  il  Pagan  mandò  riverso, Con  gran  periglio  di  restar  sommerso. 64  Brandimarte,  che'l  Conte  amava  quanto Si  può  compagno  amar,  fratello  o  figlio, di  cercarlo,  e  di  far  tanto, Non  ricusando  affanno  né  periglio, Che  per  opra  di  medico  o  d'incanto Si  ponga  a  quel  furor  qualche  consiglio, Cosi  come  trovossi  armato  in  sella. Si  mise  in  vìa  con  la  sua  donna  bella. .65    Verso  la  parte  ove  la  donna  il  Conte Avea  veduto,  il  lor  cammin  drizzare. Di  giornata  in  giornata,  fin  eh'  al  ponte, Che guarda  il  re  d'Algier  si  ritrovare. La  guardia  ne  fé'  segno  a  Rodomonte, E  gli  scudieri  a  un  tempo  gli  arrecare L'arme  e'I  cavalloj  e  quel  si  trovò  in  punto" Quando  fu  Brandimarte  al  passo  giunto. 66    Con  voce  qual  conviene  al  suo  furore, Il  Saracino  a  Brandimarte  grida: Qualunque  tu  ti  sia,  che,  per  errore Di  via  0  di  mente,  qui  tua  sorte  guida, Scendi  e  spogliati  l'arme,  e  fanne  onore Al  gran  sepolcro,  innanzi  eh'  io  t' uccida, E  che  vittima  all'ombre  tu  sia  offerto; Ch'io'l  farò  poi,  né  te  n'avrò  alcun  morto. 67  Non  volse  Brandimarte  a  quell'altiero Altra  risposta  dar,  che  della  lancia. Sprona  Batoldo,  il  suo  gentil  destriero, E  inverso  quel  con  tanto  ardir  si  lancia, Che  mostra  che  può  star  d'animo  fiero Con  qnal  si  voglia  al  mondo  alla  bilancia: E  Rodomonte,  con  la  lancia  in  resta, stretto  ponte  a  tutta  briglia  pesta. 68  II  suo  destrier,  ch'avea  continuo  uso D'andarvi  sopra,  e  far  di  quel  sovente Quando  uno  e  quando  un  altro  cader  giuso, Alla  giostra  correa  sicuramente. L'altro,  del  corso  insolito  confuso, Venia  dubbioso,  timido  e  tremente. Trema  anco  il  ponte,  e  par  cader  nell'onda. Oltre  che  stretto  e  che  sia  senza  sponda. I  cavalier,  dì  giostra  ambi  maestri. Che  le  lance  avean  grosse  come  travi, qual  fur  nei  lor  ceppi  silvestri. Sidieron  colpi  non  troppo  soavi. Ai  lor  cavalli  esser  possenti  e  destri Non  giovò  molto  agli  aspri  colpi  e  gravi; Che  si  versar  di  pari  ambi  sul  ponte, E  seco  i  signor  lor  tutti  in  un  monte. 73  L'onda  si  leva,  e  li  fa  andar  sozsopra E  dove  è  più  profonda  lì  trasporta: Va  Brandimarte  sotto,  e  '1  destrier  sopri. Fiordiligi  dal  ponte  afflitta  e  smorta E  le  lacrime  e  i  voti  e  i  prìeghi  adopra:Ah  Rodomonte,  per  colei  che  morta Tu  riverisci,  non  esser  si  fiero, Ch'  affogar  lasci  un  tanto  cavaliero ! 74  Deh,  cortese  Signor,  s' unqua  tu  amasti, Di  me,  eh'  amo  costui,  pietà  ti  vegna. Di  farlo  tuo  prigion,  per  Dio,  ti  basti; Che  s'orni  il  sasso  tuo  di  quella  insegna Di  quante  spoglie  mai  tu  gli  arrecasti. Questa  fia  la  più  bella  e  la  più  degna. E  seppe  si  ben  dir,  eh' ancorché  fosse Si  crudo  il  re  Pagan,  pur  lo  commosse; 75  E  fé'  che  '1  suo  amator  ratto  soccorse, Che  sotto  acqua  il  destrier  tenea  sepolto, E  della  vita  era  venuto  in  forse, senza  sete  avea  bevuto  molto. Ma  aiuto  non  però  prima  gli  porse. Che  gli  ebbe  il  brando  e  di  poi  l'elmo  tolto. Dell'acqua  mezzo  morto  il  trasse,  e  porre Con  molti  altri  lo  fé'  nella  sua  torre. 70  Nel  volersi  levar  con  quella  fretta Che  lo  spronar  de' fianchi  insta  e  richiede, L'asse  del  ponticel  lor  fii  si  stretta, Che  non trovare  ove  fermare  il  piede; Si  che  una  sorte  ugnale  ambi  li  getta Nell'acqua;  e  gran  rimbombo  al  cìel  ne  riede, Simile  a  quel  ch'uscì  del  nostro  fiume. Quando  ci  cadde  il  mal  rettor  del  lume. 71  I  duo  cavalli  andar  con  tutto  '1  pondo Dei  cavalier,  che  steron  fermi  in  sella, A  cercar  la  riviera  insin  al  fondo, Se  v'era  ascx)sa  alcuna  Ninfa  bella. Non  è  già  il  primo  salto  né  '1  secondo, Che  giù  del  ponte  abbia  il  Pagano  in  quella Onda  spiccato  col  destriero  audace; Però  sa  ben  come  quel  fondo  giace:72  Sa  dove  è  saldo,  e  sa  dove  é  più  molle  Sa  dove  è  l'acqua  bassa,  e  dove  è  alta. Dal  fiume  il  capo  e  il  petto  e  i  fianchi  estolle, E  Brandimarte  a  gran  vantaggio  assalta. Brandimarte  il  corrente  in  giro  tolle: Nella  sabbia  il  destrier,  che'l  fondo  smalta Tutto  si  ficca,  e  non  può  riaversi, Cn  rischio  di  restarvi  ambi  sommersi. 76  Fu  nella  donna  ogni  allegrezza  spenta, prigion  vide  il  suo  amante  gire Ma  di  questo  pur  meglio  si  contenta, Che  di  vederlo  nel  fiume  perire. Di  sé  stessa,  e  non  d'altri,  si  lamenta, Che  fu  cagion  di  farlo  qui  venire, Per  avergli  narrato  eh'  avea  il  Conte Riconosciuto  al  periglioso  ponte. 77  Quindi  si  parte,  avendo  già  concetto menarvi  Rinaldo  paladino, 0  il  Selvaggio  Guidone,  o  Sansonetto, 0  altri  della  corte  di  Pipino, In  acqua  e  in  terra  cavalier  perfetto Da  poter  contrastar  col  Saracino; Se  non  più  forte,  almen  più  fortunato Che  Brandimarte  suo  non  era  stato. 78  Va  molti  giorni,  prima  che  s'abbatta In  alcun  cavalier  ch'abbia  sembiante D'esser  come  lo  vuol,  perchè  combatta Col  Saracino,  e  liberi  il  suo  amante. Dopo  molto  cercar  di  persona  atta Al  suo  bisogno,  un  le  vien  pur  avante, Che  soprawesta  avea  ricca  ed  ornata, A  tronchi  di  cipressi  ricamata. Stanza  70. CANTO   TRENTESIMOPRIMO.79  Chi  costui  fosse,  altrove  ho  da  narrarvi; Che  prima  ritornar  voglio  a  Parigi, E  del'a  gran  sconfitta  seguitarvi, Ch'  a  Mori  die  Rinaldo  e  Malagigi. Quei  che  fuggirò,  io  non  saprei  contarvi, Né  quei  che  fur  cacciati  ai  fiumi  stigi. Levò  a  Turpino  il  conto  Paria  oscura, Che  di  contarli  s'avea  preso  cura. 80  Nel  primo  sonno  dentro  al  padiglione Dormia  Àgramante;  e  un  cavalier  lo  desta, Dicendogìi  che  fia  fatto  prigione, Se  la  foga  non  è  via  pili  che  presta. Guarda  il  Re  intomo,  e  la  confusione Vede  de' suoi,  che  van  senza  far  testa Chi  qua  chi  ]à  fuggendo  inermi  e  nudi, Che  non  han  tempo  di  pur  tor  gli  scudi. 81  Tutto  confuso  e  privo  di  consiglio Si  facea  porre  indosso  la  corazza, Quando  con  Falsiron  vi  giunse  il  figlio Grandonio,  e  Balugante,  e quella  razza; £  al  re  Àgramante  mostrano  il  periglio Di  restar  morto  o  preso  in  quella  piazza; E  che  può  dir,  se  salva  la  perna, Che  Fortuna  gli  sia  propizia  e  buona. 82  Cosi  Marsilio  e  cosi  il  buon  Sobrino, E  cosi  dicon  gli  altri  ad  una  voce, Ch'  a  sua  distruzion  tanto  è  vicino, Quanto  a  Rinaldo  il  qual  ne  vien  veloce; Che  s'aspetta  che  giunga  il  Paladino Con  tanta  gente,  e  un  uom  tanto  feroce. Render  certo  si  può  ch'egli  e  i  suo' amici Rimarran  morti,  o  in  man  degli  nimicL Ma  ridur  si  può  in  Arli  o  sia  in  Narbona Con  quella  poca  gente  e'  ha  d'intorno; Che  runa  e  l'altra  terra  è  forte  e  buona Da  mantener  la  guerra  più  d'un  giorno: E  quando  salva  sia  la  sua  persona, Si  potrà  vendicar  di  questo  scorno. Rifacendo  l'esercito  in  un  tratto. Onde  alfin  Carlo  ne  sarà  disfatto. 84    II  re  Àgramante  al  parer  lor  s'attenne. Benché  il  partito  fosse  acerbo  e  duro. Andò  verso  Arli,  e  parve  aver  le  penne, Per  quel  cammin  che  più  trovò  sicuro. alle  guide,  in  gran  favor  gli  venne, Ventimila  tra  d'Africa  e  di  Spagna Fur,  eh' a  Rinaldo  uscir  fuor  della  ragna. 85  Quei  ch'egli  uccise,  e  quei  che  i  suoi  fratelli, Quei  che  i  duo  figli  del  signor  di  Vienna, Quei  che  provaro  empj  nimici  e  felli I  settecento  a  cui  Rinaldo  accenna, E  quei  che  spense  Sansonetto,  e  quelli Che  nella  fuga  s' affogaro  in  Senna, Chi  potesse  contar,  conteria  ancora Ciò  che  sparge  d'aprii  Favonio  e  Flora. Istima  alcun  che  Malagigi  parte Nella  vittoria  avesse  della  notte; Non  che  di  sangue  le  campagne  sparte Fosser  per  lui,  né  per  lui  teste  rotte; Ma  che  gì'  infernali  angeli  per  arte Facesse  uscir  dalle  tartaree  grotte, E  con  tante  bandiere  e  tante  lance, Ch'insieme  più  non  ne  porrian  due  Franco:87  E  che  facesse  udir  tanti  metalli. tamburi,  e  tanti  vari  suoni. Tanti  annitriri  in  voce  di  cavalli. Tanti  gridi  e  tumulti  di  pedoni, Che  risonare  e  piani  e  monti  e  valli Dovean  delle  longinque  regioni; Ed  ai  Mori  con  questo  un  timor  diede, Che  li  fece  voltare  in  fuga  il  piede. 88  Non  si  scordò  il  re  d'Africa  Ruggiero, Ch'  era  ferito  e  stava  ancora  grave. Quanto  potè  più  acconcio  s'un  destriero Lo  fece  por,  ch'avea  l'andar  soave; E  poi  che  l'ebbe  tratto  ove  il  sentiero più  sicuro,  il  fé'  posare  in  nave, verso  Arli  portar  comodamente, Dove  s'avea  a  raccòr  tutta  la  gente, 89  Quei  eh' a  Rinaldo  e  a  Carlo  dièr  le  spalle (Fur,  credo,  cento  mila  o  poco  manco), Per  campagne,  per  boschi  e  monte  e  valle Cercare  uscir  di  man  del  popol  franco; Ma  la  più  parte  trovò  chiuso  il  calle, E  fece  rosso  ov'era  verde  e  bianco. 

Cosi  non  fece  il  re  di  Serìcana, Ch'avea  da  lor  la  tenda  più  lontana: 90  Anzi,  come  egli  sente  che  '1  Signore Di  3[ontalbano  é  questo  che  gli  assalta. Gioisce  di  tal  giubilo  nel  core, Che  qua  e  là  per  allegrezza  salta. Loda  e  ringrazia  il  suo  sommo  Fattore, Che  quella  notte  gli  occorra  tant'alta E  sì  rara  avventura,  d'acquistare Baiardo,  quel  destrier  che  non  ha  pare. 91  Ayea  quel  Re  gran  tempo  desiato (Credo  ch'altrove  voi  l'abbiate  letto)   aver  la  buona  Durindana  a  lato, E  cavalcar  quel  corridor  perfetto. E  già  con  più  di  centomila  armato Era  venuto  in  Francia  a  questo  effetto; E  con  Rinaldo  già  sfidato  s' era Per  quel  cavallo  alla  battaglia  fiera:92  E  sul  lite  del  mir  s'era  condutto Ove  dovea  la  pugna  diffiuire; Ma  Malagigi  a  turbar  venne  il  tutto, Che  fé' il  cugin,  mal  grado  suo,  partire, Avendol  sopra  un  legno  in  mar  ridutto. Lungo  saria  tutta  l'istoria  dire. Da  indi  in  qua  stimò  timido  e  vile Sempre  Gradasso  il  Paladin  gentile. 93  Or  che  Gradasso  esser  Rinaldo  intende Costai  ch'assale  il  campo,  se  n'allegra. Si  veste  l'arme,  e  la  sua  Alfana  prende, E  cercando  lo  va  per  l'aria  negra: E  quanti  ne  riscontra,  a  terra  stende; Ed  in  confuso  lascia  afflitta  ed  egra La  gente  o  sia  di  Libia  o  sia  di  Francia: Tutti  li  mena  a  un  par  la  buona  lancia. 94  Lo  va  di  qua,  di  là  tanto  cercando, Chiamando  spesilo  e  quanto  può  più  forte, E  sempre  a  quella  parte  declinando. Ove  più  folte  son  le  genti  morte, Ch'alfin  s'incontra  in  lui  brando  per  brando; le  lance  loro  ad  una  sorte Eran  salite  in  mille  scheggio  rotte Sin  al  carro  stellato  della  Nott 95  Quando  Gradasso  il  Paladin  gagliardo ,  e  non  perchè  ne  vegga  insegna, Ma  per  gli  orrendi  colpi,  e  per  Baiardo Che  par  che  sol  tutto  quel  campo  tegna; Non  è,  gridando,  a  improverargli  tardo La  prova  che  di  sé  fece  non  degna:Ch'ai  dato  campo  il  giorno  non  comparse, Che  tra  lor  la  battaglia  dovea  farse. 96  Soggiunse  poi:  Tu  forse  avevi  speme, Se  potevi  nasconderti  quel  punto, Che  non  mai  più  per  raccozzarci  insieme Fossimo  al  mondo:  or  vedi  ch'io  t'ho  giunto. Sie  certo,  se  tu  andassi  nell'estreme Fosse  di  Stige,  o  fossi  in  cielo  assùnto, Ti  seguirò,  quando  abbi  il  destrier  teco. Nell'alta  luce,  e  giù  nel  mondo  cie"e. Se  d'aver  meco  a  far  non  ti  dà  il  core. E  vedi  già  che  non  puoi  starmi  a  paro, E  più  stimi  la  vita  che  l'onore, Senza  periglio  ci  puoi  far  riparo, Quando  mi  lasci  in  pace  il  corridore; viver  puoi,  se  sì  t' è  il  viver  caro:Ma  vivi  a  pie,  che  non  merti  cavallo, S'alia  cavalleria  fai  sì  gran  fallo. 98  A  quel  parlar  si  ConRicciardetto  il  cavalier  Selvaggio; E  le  spade  ambi  trasser  egualmente . Per  far  parere  il  Serican  mal  saggio. Ma  Rinaldo  s' oppose  immantinente, E  non  pati  che  se  gli  fèsse  oltraggio, Dicendo:  Senza  voi  dunque  non  sono A  chi  m' oltraggia  per  risponder  buono?99  Poi  se  ne  ritornò  verso  il  Pagano, E  disse:  Odi,  Gradasso;  io  voglio  farte. Se  tu  m'ascolti,  manifesto  e  piano Ch'io  venni  alla  marina  a  ritrovarte; poi  ti  sosterrò  con  l'arme  in  mano, t' avrò  detto  il  vero  in  ogni  parte; E  sempre  che  tu  dica,  mentirai, Ch'aUa  cavalleria  mancass'io  mai. 100  Ma  ben  ti  priego  che  prima  che  sia Pugna  tra  noi,  che  pianamente  intenia La  giustissima  e  vera  scusa  mia, Acciò  eh'  a  torto  più  non  mi  riprenda; E  poi  Baiardo  al  termine  di  pria noi  vorrò  eh'  a  piedi  si  contenda Da  solo  a  solo  in  solitario  lato. Si  come  appunto  fu  da  te  ordinato. 101  Era  cortese  il  re  di  Sericana, Come  ogni  cor  magnanimo  esser  suole; Ed  è  contento  udir  la  cosa  piana, E  come  il  Paladin  scusar  si  vuole. Con  lui  ne  viene  in  ripa  alla  fiumana, Ove  Rinaldo  in  semplici  parole sua  vera  istoria  trasse  il  velo, E  chiamò  in  testimonio  tutto  'l  cielo:102  E  poi  chiamar  fece  il  figliuol  di  Buovo, che  di  questo  era  informato  appieno; Ch'a  parte  a  parte  replicò  di  nuovo L'incanto,  uè  disse  più  né  meno. Soggiunse  poi  Rinaldo:  Ciò  ch'io  provo Col  testimonio,  io  vo'che  l'arme  sieno, Che  ora,  ed  in  ogni  tempo  che  ti  piace. Te  n'abbiano  a  far  prova  più  verace. CANTO    TRENT  ESIMOPRIMO. 3     11  re  Gradasso,  che  lasciar  non  volle Per  la  seconda  la  querela  prima, Le  scuse  di  Rinaldo  in  pace  tolle; Ma  se  son  vere  o  false,  in  dubbio  stima. Non  tolgon  campo  più  sul  lito  molle Di  Barcellona,  ove  lo  tolser  prima; Ma  s'accordaro  per  T  altra  mattina Trovarsi  a  una  fontana  indi  vicina: 108    E  più  degli  altri  il  frate  di  Viviano Stava  di  questa  pugna  in  dubbio  e  iu  tema; Ed  anco  volentier  vi  porrla  mano, Per  farla  rimaner  d'effetto  scema:Ma  non  vorria  che  quel  da  Montai bano Seco  venisse  a  inimicizia  estrema; Ch  anco  avea  di  qnell' altra  seco  sdegno, Che  gli  turbò,  quando  il  levò  sul  legao. 104     Ove  Rinaldo  seco  abbia  il  cavallo, posto  sia  comunemente  in  mezzo. Se'l  Re  uccide  Rinaldo,  o  il  fa  vassallo. Se  ne  pigli  il  destrier  senz'  altro  mezzo:Ma  se  Gradasso  è  quel  che  faccia  fallo, Che  sìa  condotto  alP ultimo  ribrezzo, O,  per  più  non  poter,  che  gli  si  renda, Da  lui  Rinaldo  Durindana  prenda. 105  Con  maraviglia  molta,  e  più  dolore. Cerne  v'ho  detto,  avea  Rinaldo  udito Da  Fiordiligi  bella,  ch'era  fuore Deir  intelletto  il  suo  cugino  uscito. Avea  dell'arme  inteso  anche  il  tenore, E  del  litigio  che  n'era  seguito; E  ch'insomma  Gradasso  avea  quel  brando Ch'ornò  di  mille  e  mille  palme  Orlando. 106  Poi  che  furon  d'accordo,  ritomosse Il  re  Gradasso  ai  servitori  sui; Benché  dal  Paladin  pregato  fosse Che  ne  venisse  al  alloggiar  con  lui. Come  fu  giorno,  il  re  pagano  armosse:Così  Rinaldo: e  giunsero  ambedui Ove  dovea  non  lungi  alia  fontana 110. Delia  battaglia  che  Rinaldo  avere Gradasso  dovea  da  solo  a  solo, Parean  gli  amici  suoi  tutti  temere; E  innanzi  il  caso  ne  faceano  duolo. Molto  ardir,  molta  forza,  alto  sapere Gradasso;  ed  or  che  del  figliuolo gran  Milone  avea  la  spada  al  fianco, Di  timor  per  Rinaldo  era  ognun  bianca. 109    Mastianogli  altriin  dubbio,  in  tema,  in  doglia; se  ne  va  lieto  e  sicuro. Sperando  eh'  ora  il  biasmo  se  gli  toglia, Si  che  quei  da  Pontieri  e  d'Altafoglia Faccia  cheti  restar,  come  inai  furo. Va  con  baldanza  e  sicurtà  di  core Di  riportarne  il  trionfale  onore. Poi  che  l'un  quinci  e  l'altro  quindi  giunto Fu  quasi  a  un  tempo  in  su  la  chiara  fonte, S' accarezzare;  e  fero  a  punto  a  punto Cosi  serena  ed  amichevol  fronte. Come  di  sangue  e  d'amistà  congiunto Fosse  Gradasso  a  quel  di  Chiaramente. Ma  come pois'andasseroaferire,.Vivoglio  a  un'altra  volta  differire. N  O  TB. St.  5.  V.36.   Murmure:  parole  mormorate  nel  far grincantesimi.   Immagine: Agore  magiche,  adoperate per  lo  stesso  efifetto.   Saga:  voce  latina,  vai  quanto presaga"  che  conosce  o  predice  il  futaro,  maga,  indo vina, incantatrice.   Zoroastro:  re  de'Battrìani: creduto inventore  dell'arte  magica. St.  12.  V.1.   Ricciardo.  Qui  e  nella  stanza  94  del canto  antecedente,  TAriosto  distingue  Ricciardo  da  Ric ciardetto. St.  22.  y.  3.   Rezzo,  Fombra  della  notte. St.  26.  V.4.   Il  pigro  Arturo: una  delle  stelle  vi cine al  Polo  artico;  e  Tepiteto  che  le  dà  il  Poeta  è  re lativo alla  maggior  prestezza,  con  che  le  altre  stelle  più discoste  dal  Polo  terminano  l'apparente  loro  rivolgersi iotomo  alla  Terra. St.  34.  V.12.   Non,  per  andar,  di  ragionar  la sciando, Non,  ecc.  Il  poeta  imitò  Dante,  Inf.,  IV,  64: Non  laaciavam  rondar,  perch'ei  dicessi;  e,  meglio, Purg.,  XXIV,  12:  Né  il  dir  l'andar,  né  l'andar  lu più  lento  Facea,  ma  ragionando  amdavam  forte. St.  38.  V.3.   Sciamilo: sorta  di  drappo. St.  41.  V.12.   In  urta:  in  odio.   Per  Truffaldin: uomo  di  mal  aflkre,  per  cui  Grifone,  Aquìlante  e  Rinaldo vennero  un  tempo  a  contesa. St.  49.  V.7.   Vigilia:  cosPchiamavasi  dai  Romani ognuna  delle  quattro  parti  incuidivìdevanola  notte; e  tal  denominazione  traevano  dal  vigilare  o  vegliare delle  sentinelle,  dette  similmente  vigiles.  La  terza  vi gilia sarebbe  dalla  mezzanotte  alle  tre. St.  50.  V.47.   Alla  nutrice  antiqua:  alla  terra.  Ed  orsi  e  capre,  ecc.  indica  diverse  costellazioni,  alle quali  i  poeti  e  gli  astronomi  diedei'o  i  nomi  di  vari  ani t  mali;  come  le  due  Orse,  la  Capra  AmaUea,  e  il  Ser pente,  che  si  accennano  nel  quinto  verso.   Ai  mof gior  lampo:  alla  luce  del  sole,  o  durante  H  giorni St.  51.  V.5.   Ascolta,  o  scolta: sentinella;  ma  qsi è  da  intendersi  un  numero  di  soldati  cbe  stanno  a  gmr dia,  detto  oggi  corpo  di  guardia. St.  53.  V.8.   Trabacche:  casotti  posticci  di  legno  o di  tela,  sostenuti  da  travicelli,  per  alloggiare  i  soldati in  accampamento.   Padiglioni: tende,  sotto  cui  allog giavano i  capi  deiresercito  accampato. St.  54.  V.4.   Formidato: paventato. St.  56.  V.4.   Non  già  più  rei  dei  Mirmidon  d'Achille. non  inferiori  in  valore  ai  Mirmidoni,  condotti  da  Adiill all'assedio  di  Troia. St.  58.  V.5a   Sul  falanteo  Galeso: finme  noo  tos tano da  Taranto  che  credesi  edificata  da  Falanto;  e  qn si  prende  per  tutta  la  regione  Tarentina,  le  coi  pecore (il  gregge  lanuto)  producono  lana  di  molto  pregio.  Del  barbato: del  gregge  caprino.   Il  barbaro  dnifiù: il  fiumeMagra  in  Africa,  detto  dai  Latini  Ofn  o CyniphuSf  lungo  il  quale  pascevano  capre,  fi  detto barbaro  perchè  d'Africa. St.  6a  V.2.   Difende: vieta,  impedisce.  Vedi  al Canto  XIV,  St.  7,  e  al  Canto  XXVII,  St.  77. ST.  70.  y.  7S.   Del  nostro  fiume: del  Po   Zi  mal rettor  del  lume:  Fetonfe  precipitato  nel  Po. St.  87.  y.  3.   Annitriri: nitriti St.  102.  v.1.   2/  figliuol  di  Buovo: Malagtgi St.  104.  v.6.   All'ultimo  ribrezzo:  al  freddo  della morte. St.  109.  v.5.   Pontieri  e  Alta  foglia.  Due  castelli dei  Maganzesi. Canto  XXXII. CANTO  TKENTESIMOSECODO. ARGOMENTO, Cure  di  Afframante  iirr  l'inforzai  e  l'esercito  Bradamaitt", ingelosita  di  Rupjiero  per  caiùn  di  Mai  fisa    partu  dal auo  cartello,  e  capita  alla  locta  di  Tri  stana  Ivi  é  obbli gsita  a  combattere  con  tr  ]>i  incJpi;  e  dopo  averli  tolti di  sella,  ode  l'origine  ài  qull usanza. Sovvienimi  eli  e  cantare  io  vi  doTca (Già  lo  prò  miai  j  e  poi  ra'  uscì  di  mente) D'una  sospìion  che  fatto  avea La  bella  dùima  (ìi  Ruggier  dolente. Dell'altra  più  spiacevole  e  più  rea, E  di  più  acuto  e  Tetieiioso  dente   Che,  per  quel  di' ella  udì  da  Ricciardetto, A  de  varare  il  cor  T  entrò  nel  petto. 2  Dovea  cantarne,  ed  altro  incominciai, Pere  li  è  Rinaldo  in  meiszo  sopravvenne E  poi  (niidon  ìlì  die  che  fare  assai, i he  tra  cannnìiio  a  bada  un  pezo  il  tenne, D  una  cosa  in  un'altra  in  modo  entrai, Che  mal  di  Bradamante  mi  sovvenne. Sovvìenmene  ora,  e  vo narrarne  innanti Che  di  Rinaldo  e  di  Gradasso  io  canti. 3      Ma  bisogna  anco,  prima  ch'io  ne  parli, Che  d'Àgramante  io  vi  ragioni  nn  poco, Oh'  avea  ridotte  le  relìquie  in  Arli, Che  gli  restar  del  gran  notturno  fuoco; Quando  a  raccor  lo  sparso  campo,  e  a  darli Soccorso  e  vettovaglie  era  atto  il  loco: L'Africa  incontra,  e  la  Spagna  ha  vicina . Ed  è  in  sul  fiume  assiso  alla  marina. stanza  9. Per  tutto 'l  regno  fa  scriver  Marsilio Gente  a  piedi  e  a  cavallo,  e  trista  e  buona. Per  forza  e  per  amore  ogni  navilio Atto  a  battaglia  s'arma  in  Barcellona. Agramante  ogni  dì  chiama  a  concilio; Né  a  spesa  né  a  fatica  si  perdona. Intanto  gravi  esazioni  e  spesse Tutte  hanno  le  città  d'Africa  oppresse. Egli  ha  fatto  offerire  a  Rodomonte, Perché  ritorni  (ed  impetrar  noi  pnote). Una  cugina  sua,  figUa  d'Almonte, E'I  bel  regno  d'Oran  dargli  per  dote. Non  si  volse  V  altier  muover  dal  ponte, Ove  tantarme  e  tante  selle  vote Di  quei  che  son  già  capitati  al  passo. Ha  ragunate,  che  ne  copre  il  sasso. Già  non  volse  Marfisa  imitar  Tatto Di  Rodomonte: anzi  com'  ella  intese Ch' Agramante  da  Carlo  era  dis&tto, Sue gentimorte,saccheggiate  e  prese, E  che  con  pochi  in  Arli  era  ritratto, Senza  aspettare  invito,  il  cammin  prese, Venne  in  aiuto  della  sua  corona, E  r  aver  gli  profferse  e  la  persona:7      E  gli  menò  Brunello,  e  gli  ne  fece Libero  dono,  il  qual  non  avea  oflfeso. L'avea  tenuto  dieci  giorni  e  diece Notti  sempre  in  timor  d'essere  appeso:E  poiché  né  con  forza  né  con  prece Da  nessun  vide  il  patrocinio  preso. si  sprezzato  sangue  non  si  volse Bruttar  l'altiere  mani,  e  lo  disciolse. Tutte  r  antique  ingiurie  gli  rimesse, E  seco  in  Arli  ad  Agramante  il  trasse. Ben  dovete  pensar  che  gaudio  avesse Il  Re  di  lei  eh' ad  aiutarlo  andasse:E  del  gran  conto  eh'  egli  ne  facesse, Volse  che  Brunel  prova  le  mostrasse; Che  quel,  di  eh'  ella  gli  avea  fatto  cenno, Di  volerlo  impiccar,  fé' da  buon  senno. Il  manigoldo,  in  loco  occulto  ed  ermo. Pasto  di  corvi  e  d'avoltoi  lasciollo. Ruggier,  eh'  un'  altra  volta  gli  fu  schermo, E  che'l  laccio  gli  avria  tolto  dal  collo, La  giustizia  di  Dio  fa  eh'  ora  infermo S'ò  ritrovato,  ed  aiutar  non  puoUo: E  quando  il  seppe  era  già  il  fatto  occorso; Si  che  restò  Brunel  senza  soccorso. 10    Intanto  Bradamante  iva  accusando Che  cosi  lunghi  sian  quei  venti  giorni, Li  quai  finiti,  il  termine  era,  quando A  lei  Ruggiero  ed  alla  Fedetomi.Achiaspetta  di  carcere  o  di  bando Uscir,  non  par  che  '1  tempo  più  soggiorni A  dargli  libertade,  o  dell' amata Patria  vista  gioconda  e  desiata. CANTO  TRENTESIMOSECONDO. 499 11  In  quel  duro  aspettare  ella  talvolta Pensa  ch'£to  e  Piróo  sia  fatto  zoppo, 0  sia  la  mota  guasta;  eh' a  dar  volta Le  par  che  tardi,  oltr'  air  usato  troppo. Più  lungo  di  quel  giorno  a  cui,  per  molta Fede,  nel  cielo  il  giusto  Ebreo  fé'  intoppo; Più  della  notte  ch'Ercole  produsse, Parea  lei  ch'ogni  notte,  ogni  di  fusse. 12  0  quante  volte  da  invidiar  le  diero E  gli  orsi  e  i  ghiri  e  i  sonnacchiosi  tassi ! Che  quel  tempo  voluto  avrebbe  intero Tutto  dormir,  che  mai  non  si  destassi; Né  potere  altro  udir,  finché  Ruggiero Dal  pigro  sonno  lei  non  richiamassi. Ma  non  pur  questo  non  può  fsa,  ma  ancora Non  può  dormir  di  tutta  notte  un'  ora. 13  Di  qua  di  là  va  le  noiose  piume Tutte  premendo,  e  mai  non  si  riposa. Spesso  aprir  la  finestra  ha  per  costume, Per  veder  s'anco  di  Titon  la  sposa Sparge  dinanzi  al  mattutino  lume Il  bianco  giglio  e  la  vermiglia  rosa: Non  meno  ancor,  poi  che  nasciuto  é'I  giorno, Brama  vedere  il  ciel  di  stelle  adomo. 14  Poi  che  fu  quattro  o  cinque  giorni  appresso 11  termine  a  finir,  piena  di  spene Stava  aspettando  d'ora  in  ora  ilmessoChe  le  apportasse:  Ecco  Ruggier  che  viene. Montava  sopra  un'alta  torre  spesso, Ch'i  folti  boschi  e  le  campagne  amene Scoprìa  d'intorno,  e  parte  della  via Onde  di  Francia  a  Montalban  si  ga. 15  Se  di  lontano  o  splendor  d'arme  vede, 0  cosa  tal  eh' a  cavalier  simiglia, Che  sia  il  suo  disiato  Ruggier  crede, rasserena  i  begli  occhi  e  le  ciglia: Se  disarmato  o  viandante  a  piede. Che  sia  messo  di  lui  speranza  piglia; E  sebben  poi  fallace  la  ritrova. Pigliar  non  cessa  una  ed  un'altra  nuova. 16  Credendolo  incontrar,  talora  armossi, Scese  dal  monte,  e  giù  calò  nel  piano:Né  lo  trovando,  si  sperò  che  fossi Per  altra  strada  giunto  a  Montalbano; E  col  disir  con  ch'avea  i  piedi  mossi Fuor  del  Castel,  ritornò  dentro  invano: Né  qua  né  là  trovollo;  e  passò  intanto Il  termine  aspettato  da  lei  tanto. 17    II  termine  passò  d'uno,  di  dui, Di  tre  giorni,  di  sei,  d'otto  e  di  venti; Né  vedendo  il  suo  sposo,  né  di  lui Sentendo  nuova,  incominciò  lamenti Ch'avrian  mosso  a  pietà  nei  regni  bui Quelle  Furie  crinite  di  serpenti; E  fece  oltraggio  a' begli  occhi  divini, Al  bianco  petto,  agli  aurei  crespi  crini. stanza  14. 18    Dunque  fia  ver,  dicea,  che  mi  convegna Cercare  un  che  mi  fugge  e  mi  s'asconde? Dunque  debbo  prezzare  un  che  mi  sdegna? Debbo pregarchimai  non  mi  risponde? Patirò  che  chi  m'odia,  il  cor  mi  tegna? Un  che  si  stima  sue  virtù  profonde, Che  bisogno  sarà  che  dal  ciel  scenda Immortai  Dea  che'l  cor  d'amor  gli  accenda? 19  Sa  questo  altìer  chìo  Taino  e  ch'io  Padoro; Né  mi  vuol  per  amante,  né  per  serva. n  cnidel  sa  che  per  lai  spasmo  e  moro; E  dopo  morte  a  darmi  aiuto  serva. E  perchè  io  non  gli  narri  il  mio  mart6ro, Atto  a  piegar  la  sua  voglia  proterva, Da  me  s'asconde,  come  aspide  suole, Che,  per  star  empio,  il  canto  udir  non  vuole. 20  Deh  ferma,  Amor,  costui  che  cod  sciolto Dinanzi  al  lento  mio  correr  s' affretta; 0  tornami  nel  grado  onde  m'hai  tolto. Quando  né  a  te  né  ad  altri  era  suggetta! Deh  come  é  il  mio  sperar  fallace  e  stolto, Ch'in  te  con  prìeghi  mai  pietà  si  metta; Che  ti  diletti,  anzi  ti  pasci  e  vivi Di  trar  dagli  occhi  lagriraosi  rivi! 21  Ma  di  che  devo  lamentarmi,  ahi  lassa ! Fuorché  del  mio  desire  irrazionale? Ch'alto  mi  leva,  e  si  nell'aria  passa. Ch'arriva  in  parte  ove  s'ahhrucia  l'ale; Poi,  non  potendo  sostener,  mi  lassa Dal  ciel  cader:  né  qui  finisce  il  male; Che  le  rimette,  e  di  nuovo  arde:  ond'io Non  ho  mai  fine  al  precipizio  mio. 22  Anzi,  via  più  che  del  disir,  mi  deggio Di  me  doler,  che  si  gli  apersi  il  seno; Onde  cacciata  ha  la  ragion  di  seggio, 

Ed  ogni  mio  poter  può  di  lui  meno. Quel  mi  trasporta  ognor  di  male  in  peggio. Né  lo  posso  frenar,  che  non  ha  freno:E  mi  fa  certa  che  mi  mena  a  morte, Perch'  aspettando  il  mal  noccia  più  forte. 23  Deh  perchè  voglio  anco  di  me  dolermi? Ch'error,  se  non  d'amarti,  unqua  commessi?Che  maraviglia,  se  fragili  e  infermi Femminil  sensi  far  subito  oppressi? Perchè  dove v' io  usar  ripari  e  schermi. Che  la  somma  beltà  non  mi  piacessi, alti  sembianti,  e  le  saggie  parole? Misero  è  ben  chi  veder  schiva  il  Sole ! 24  Ed  oltre  al  mio  destino,  io  ci  fui  spinta Dalle  parole  altrui  degne  di  fede. Somma  felicità  mi  fu  dipinta. Ch'esser  dovea  di  questo  amor  mercede. Se  la  persuasione,  oimè !  fii  finta. Se  fu  inganno  il  consiglio  che  mi  diede Merlin,  posso  di  lui  ben  lamentarmi; 3Ia  non  d'amar  Rngier  posso  ritrarmi. 25  Di  Merlin  pos5o  e  di  Melissa  insieme Dolermi,  e  mi  dorrò  d'essi  in  etemo; Che  dimostrare  i  frutti  del  mio  seme Mi  féro  dagli  spirti  dello  'nferno, Per  pormi  sol  con  questa  falsa  speme In  servitù: né  la  cagion  disoemo, Se  non  ch'erano  forse  invidiosi De' miei  dolci,  sicuri,  almi  riposi 26  3  l'occupa  il  dolor,  che  non  avanza Loco,  ove  in  lei  conforto  abbia  rioetto: Ma,  malgrado  di  quel,  vien  la  speranza, E  vi  vuole  alloggiare  inmezzo  il  petto. Rinfrescandole  pur  la  rimembranza Di  quel  ch'ai  suo  partir  l'ha  Roggier  detto, E  vuol,  centra  il  parer  degli  altri  affetti, Che  d'ora  in  ora  il  suo  ritomo  aspetti. Questa  speranza  dunque  la  sostauie, Finiti  i  venti  giorni,  un  mese  appresso; Sì  che  il  dolor  sì  forte  non  le  tenne, Come  tenuto  avria,  l'animo  oppresso. Un  di  che  per  la  strada  se  ne  venne, Che  per  trovar  Ruggier  solea  fer  speoso. Novella  udi  la  misera,  ch'insieme Fé'  dietro  all' altro  ben  fuggir  la  speme. 28  Venne  a  incontrare  un  cavalier  guascone Che  dal  campo  african  venia  diritti. Ove  era  stato  da  quel  di  prigione. Che  fu  innanzi  a  Parigi  il  gran  conflitto. Da  lei  fu  molto  posto  per  ragione, Finché  si  venne  al  termine  prescritto. Domandò  di  Ruggiero,  e  in  lui  fermosje; Né  fuor  di  questo  segno  più  si  mose. 29  n  cavalier  buon  conto  ne  rendette; Che  ben  conoscea  tutta  quella  corte: E  narrò  di  Ruggier,  che  contrastette Da  solo  a  solo  a  Mandricardo  forte; E  come  egli  1 uccise,  e  poi  ne  stette Ferito  più  d'un  mese  presso  a  morte: E  s'era  la  sua  istoria  qui  conclusa, Fatto  avria  di  Ruggier  la  vera  esco". 30  Ma  come  poi  sounse,  una  donzella Esser  nel  campo,  nomata  Marfisa, Che  men  non  era,  che  gagliarda,  bella, Né  meno  esperta  d'arme  in  ogni  guisa, Che  leiRuggiero  amava,  e  Ruggiero  ella; Ch'  egli  da  lei,  eh'  ella  da  lui  divisa Si  vedea  raro;  e  ch'ivi  ognuno  crede Che  s!  abbiano  tra  lor  data  la  fède; stanza  4. CANTO  TRENTESIMOSECONDO. 31    E  che,  come  Ruggier  si  faccia  sano, Il  matrimonio  pubblicar  si  deve; E  ch'ogni  Re,  ogni  Principe  pagano Gran  piacere  e  letizia  ne  riceve:Che  dell' uno  e  delP  altro  sopranmano Conoscendo  il  valor,  sperano  in  breve Far  una  razza  d'uomini  da  guerra, La  pia  gagliardi  che  mai  fosse  in  terra. 82    Credea  il  Guascon  quel  che  dicea,  non  senzi Cagion;  che  neir  esercito  de' Mori Opinione  e  universal  credenza, E  pubblico  parlar  n'era  di  fuori. I  molti  seg  di  benivolenza Stati  tra  lor  facean  questi  romori; Che  tosto,  0  baona  o  ria  che  la  fama  esce Fuor  d'una  bocca,  in  infinito  cresce. 33  L'esser  venuta  a'  Mori  ella  in  aita Con  lui,  uè  senza  lai  comparir  mai, Avea  questa  credenza  stabilita; Ma  poi  l'avea  accresciuta  pur  assai, essendosi  del  campo  già  partita, Portandone  Brunel,  come  h  contai, Senza  esservi  d'alcuno  richiamata, Sol  par  vedir  Rogier  v'era  tornata. 34  Sol  per  lui  visitar,  che  gravemente Languia  ferito,  in  campo  venuta  era Non  una  sola  volta,  ma  sovente: Vi  stava  il  giorno,  e  si  parda  la  sera:E  molto  più  da  dir  dava  alla  gente; Ch' essendoconosciuta cosi  altiera, Che  tutto '1  mondo  a  so  le  parca  vile. Solo  a  Ruggier  fosse  benigna  e  umile. 35  Come  il  Guascon  questo  affermò  per  vero, Fu  Bradamante  da  cotanta  pena, Da  cordoglio  assalita  cosi  fiero, Che  di  quivi  cader  si  tenne  a  pena. Voltò,  senza  far  motto,  il  suo  destriero, Di  gelosia,  d'ira  e  di  rabbia  piena; E,  da  sé  discacciata  ogni  speranza. Ritornò  furibonda  alla  sua  stanza:36  E  senza  disarmarsi,  sopra  il  letto, Col  viso  volta  in  giù,  tutta  si  stese, Ove  per  non  gridar,  si  che  sospetto Di  sé  facesse,  i  panni  in  bocca  prese, E  ripetendo  quel  che  l'avea  detto II  cavaliere,  in  tal  dolor  discese. Che  più  non  lo  potendo  sofferire, Fu  forza  a  disfogarlo,  e  cosi  a  dire:37  Misera!  a  chi  mai  più  creder  debb'io? Vo'dir  ch'ognuno  é  perfido  e  crudele, Se  perfido  e  orudel  sei,  Ruggier  mio, Che  si  pietoso  tenni  e  si  fedele. Qual  crudeltà,  qual  tradimento  rio Unqua  s'uli  per  triache  querele, Che  non  trovi  minor,  se  pensar  mai Al  mio  merto  e  al  tuo  debito  vorrai?38  Perché,  Ruggier,  come  di  te  non  vive Cavalier  di  più  ardir,  di  più  bellezza, Né  che  a  gran  pezzo  al  tuo  valore  arrive, Né  a'  tuoi  costumi,  né  a  tua  gentilezza; Perché  non  fai  che,  fra  tue  illustri  e  dive Virtù,  si  dica  ancor  ch'abbi  fermezza? Si  dica  eh'  abbi  invì'olabil  fede, A  chi  ogni altra  virtù  s'inchina  e  cede? 39  Non  sai  che  non  compar,  se  non  v'é  quella, Alcun  valore,  alcun  nobil  costume? Come  né  cosa  (e  sia  quinto  vuol  bella) Si  può  vedere  ove  non  splenda  lume. Facil  ti  fu  ingannare  una  donzella. Di  cui  tu  sigQor  eri,  idolo  e  nume; A  cui  potevi  far  con  tue  parole Creder  che  fosse  oscuro  e  fre  Ido  il  Sole. 40  Crudel,  di  che  peccato  a  doler  t'hai. Se  d'uccider  chi  t'ama  non  ti  penti? Se  '1  mancar  di  tua  fé  si  leggier  fai, Di  ch'altro  peso  il  cor  gravar  ti  senti? Come  tratti  il  nimico,  se  tu  d&i A  me,  che  t' amo  si,  questi  tormenti?Ben  dirò  che  giustizia  in  oiel  non  sia, S'a  veder  tardo  la  vendetta  mia. 41  Se  d'ogn'  altro  peccato  assai  più  quello Dell'empia  ingratitudine  l'nom  grava, E  per  questo  dal  ciel  l'Angel  più  bello Fu  relegato  in  parte  oscura  e  cava; E  se  gran  fallo  aspetta  gran  flagello, Quando  debita  emenda  il  cor  non  lava; Guarda  eh'  aspro  flagello  in  te  non  scenda, Che  mi  se' ingrato,  e  non  vuoi  farne  emenda. 42  Di  furto  ancora,  oltre  ogni  vizio  rio, Di  te"  crudele,  ho  da  dolermi  molto. Che  tu  mi  tenga  il  cor,  non  ti  dico  io; Di  questo  io  vo'  che  tu  ne  vada  assolto:Dico  di  te  che  t'eri  fatto  mio, E  poi  centra  ragion  mi  ti  sei  tolto. Renditi,  iniquo,  a  me;  che  tu  sai  bene Che  non  si  può salvarchil'altrui  tiene. 48    Tu  m'hai,  Rnggier,  lasciaU:  io  te  non  voglio, Né  lasciarti  volendo  anco  potrei: Ma,  per  uscir  d'affanno  e  di  cordoglio, Posso  e  voglio  finire  i  giorni  miei. Di  non  morirti  in  grazia  sol  mi  doglio; Che  se  concesso  m'avessero  i  Dei Ch'io  fossi  morta  quando  t'era  grata, Morte  non  fu  giammai  tanto  beata. 44    Cosi  dicendo,  di  morir  disposta, Salta  del  letto,  e  di  rabbia  infiammata pon  la  spada  alla  sinistra  costa; Ma  si  ravvede  poi  che  tutta  è  armata. Il  miglior  spirto  in  questo  le  s'accosta, £  nel  cor  le  ragiona:  0  donna  nata Di  tant'alto  lignaggio,  adunque  vuoi Finir  con  si  gran  biasmo  i  giorni  tuoi? 49  Senza  scudiero  e  senta  compagnia Scese  dal  monte,  e  si  pose  in  cammiBo Verso  Parigi  alla  più  dritta  via, Ove  era  dianzi  il  campo  Saracino; la  novella  ancora  non  s'udia Che  l'avesse  Rinaldo  paladino. Aiutandolo  Carlo  e  Malagigi, Fatto  tor  dall'assedio  di  Parigi. 50  Lasciati  avea  i  Cadorci  e  la  cittade Di  Caorse  alle  spalle,  e  tatto  1  monte Ove  nasce  Dordona,  e  le  contrade Scopria  di  Monferrante  e  di  Clarmonte; Quando  venir  per  le  medesme  strade Vide  una  donna  di  benigna  fronte, Ch'uno  scudo  all'arcione  avea  attaccato; £  le  venian  tre  cavalieri  a  lato. 5    Non  è  meglio  ch'ai  campo  tu  ne  vada, Ove  morir  si  può con  laude  ogn'ora? Quivi  s'avvien  ch'innanzi  a  Ruggier  cada. Del  morir  tuo  si  dorrà  forse  ancora; Ma  s' a  morir  t' avvien  per  la  sua  spada, Chi  sarà  mai  che  più  contenta  mora? è  l>en  che  di  vita  ti  privi, Poich'  è  cagion  eh'  in  tanta  pena  vivi. 46  Verrà  forse  anco  che,  prima  che  muori, Farai  vendetta  di  quella  Marfisa Che  t'ha  con  fraudi  e  disonesti  amori, Da  te  Ruggiero  alienando,  uccisa. Qaesti  pensieri  parvero  migliori Alla  donzella;  e  tosto  una  divisa Si  fé' su  l'arme,  che  volea  inferire Disperazione,  e  voglia  di  morire. 47  £ra  la  sopravveste  del  colore In  che  rìman  la  foglia  che  s'imbianca Quando  del  ramo  è  tolta,  o  che  l'umore Che  facea  vivo  l'arbore,  le  manca. Ricamata  a  tronconi  era,  di  fùore, Di  cipresso  che  mai  non  si  rinfranca, Poich' ha  sentita  la  dura  bipenne: L'abito  al  suo  dolor  molto  convenne. 48  Tolse  il  destrier  ch'Astolfo  aver  solea, E  quella  lancia  d'òr,  che,  sol  toccando, Cader  di  sella  i  cavalier  facea.   Perchè  la  le  die  Astolfo,  e  dove  e  quando, Non  credo  che  bisogni  ir  replicando. Ella  la  tolse,  non  però  sapendo Che  fosse  del  valor,  ch'era  stupendo. 51  Altre  donne  e  scudier  venivano  anco, Qual  dietro  e  qual  dinanzi,  e  in  lunga  schieri. Domandò  ad  un  che  le  passò  da  fianco. La  figliuola  d'Amen,  chi  la  donna  era; £  quel  le  disse:  Al  re  del  popol  franco Questa  donna,  mandata  messaggiera Fin  di  là  dal  polo  artico,  è  venata Per  lungo  mar  dall'Isola  Perduta. 52  Altri  Perduta,  altri  ha  nomata  Islanda L'isola,  donde  la  Regina  d'essa, Di  beltà  sopra  ogni  beltà  miranda; Dal  del  non  mai,  se  non  a  lei,  concessa. Lo  scudo  che  vedete,  a  Carlo  manda; Ma  ben  con  patto  e  condizione  espressa. Ch'ai  miglior  cavalier  lo  dia,  secondo Il  suo  parer,  eh'  oggi  si  trovi  al  mondo. 58    Ella,  come  si  stima,  e  come  in  vero É  la  più  bella  donna  che  mai  fosse. Cosi  vorria  trovare  un  cavaliero Che  sopra  ogn'  altro  avesse  ardire  e  poste:Perchè  fondato  e  fisso  è  il  "no  pensiero  " Da  non  cader  per  cento  mila  scosse, Che  sol  chi  terrà  in  arme  il  primo  onore. Abbia  d'esser  suo  amante  e  suo  signore. 54    Spera  ch'in  Francia,  alla  famosa  corte Di  0arlo  Magno,  il  cavalier  si  trove, Che  d'esser  più  d'ogni  altro  ardito  e  forte Abbia  fatto  veder  con  mille  prove. I  tre  che  son  con  lei  come  sue  scorte, Re  sono  tutti,  e  dirovvi  anco  dove Uno  in  Svezia,  uno  in  Gozia,  in  Norvegia  uno, Che  pochi  pari  in  armi  hanno  o  nessuno. CANTO   TRENTESIMOSECONDO. 55     Questi  tre,  la  coi  terra  non  vicina, Ma  men  lontana  è  all' Isola  Perduta, Detta  cosi,  perchè  quella  marina 

Da  pochi  naviganti  è  conosciuta, Erano  amanti,  e  son,  della  Regina, E  a  gara  per  moglier  V  hanno  voluta; E,  per  aggradir  lei,  cose  fatt'  hanno, Che,  fin  che  giri  il  ciel,  dette  saranno. 61    Le  preme  il  cor  questo  pensier;  ma  molto Più  le  lo  preme  e  strugge  in  peggior  guisa Quel  ch'ebbe  prima  di  Ruggier,  che  tolto Il  suo  amor  le  abbia,  e  datolo  a  Marfisa. Ogni  suo  senso  in  questo  è  si  sepolto, Che  non  mira  la  strada,  né  divisa Ove  arrivar,  né  se  troverà  innanzi Comodo  albergo,  ove  la  notte  stanzi. 56    Ma  né  questi  ella,  né  alcun  altro  vuole, Ch'ai  mondo  in  arme  esser  non  creda  il  primo. Ch'  abbiate  fatto  prove,  lor  dir  suole, In  questi  luoghi  appresso,  poco  istimo. E  s' un  di  voi,  qual  fra  le  stelle  il  Sole, Fra  gli  altri  duo  sarà,  ben  lo  sublimo; Ma  non  però  che  tenga  il  vanto  parme Del  miglior  cavalier  ch'oggi  port'arme. 57     A  Carlo  Magno,  il  quale  io  stimo  e  onoro Pel  più  savio  signor  ch'ai  mondo  sia, Son  per  mandare  un  ricco  scudo  d'oro, Con  patto  e  condizion  ch'esso  lo  dia Al  cavaliero  il  quale  abbia  fra  loro 11  vanto  e  il  primo  onor  di  gagliardia. Sia  il  cavaliero  o  suo  vassallo  o  d'altri. Il  parer  di  quel  Re  vo'  che  mi  scaltri. r.8    Se,  poi  che  Carlo  avrà  lo  scudo  avuto, E  Tavià  dato  a  quel  si  ardito  e forte,Ched'ogn'altro  migliore  abbia  creduto, Che'n  sua  si  trovi  o  in  alcun' altra  corte, Uno  di  voi  sarà,  che  con  l'aiuto Di  sua  virtù  lo  scudo  mi  riporte; Porrò  in  quello  ogn  amore,  ogni  disio, E  quel  sarà  il  marito  e'I  signor  mio. e 9    Queste  parole  bau  qui  fatto  venire Questi  tre  Re  dal  mar  tanto  discosto; Che  riportarne  lo  scudo,  o  morire Per  man  di  chi  l'avrà,  s' hanno  proposto. Ste'  molto  attenta  Bradamante  a  udire Quanto  le  fu  dallo  scudier  risposto, 11  qual  poi  l'entrò  innanzi,  e  così  pnyse Il  suo  cavallo,  che  i  compagni  giunse. Stanza  65. (JO    Dietro  non  gli  galoppa  né  gli  corre Ella,  eh'  ad  agio  il  suo  cammin  dispensa, E  molte  cose  tuttavia  discorre. Che  son  per  accadere;  e  in  somma  pensa Che  questo  scudo  in  Francia  sia  per  porre Discordia  e  rissa  e  nimicizia  immensa Fra' Paladini  ed  altri,  se  vuol  Carlo Chiarir  chi  sia  il  miglior,  e  a  colui  darlo. 62    Come  nave  che  vento  dalla  riva, 0  qualch' altro  accidente  abbia  disciolta, Va  di  nocchiero  e  di  governo  priva Ove  la  porti  o  meni  il  fiume  in  volta; Cosi  l'amante  giovane  veniva. Tutta  a  pensare  al  suo  Ruggier  rivolta. Ove  vuol  Rabican;  che  molte  miglia Lontano  è  il  cor  che  de' girar  la  briglia. 63  Leva  alfin  gli  occhi,  e  vede  il  Sol  cheU  tergo Avea  mostrato  alle  città  di Rocco;Epoi  s'era  attuffato,  come  il  mergo, In  grembo  alla  natrice  oltr'a  Marocco: E  se  disegna  che  la  frasca  albergo Le  dia  ne campi,  fa  pensier  di  sciocco; Che  soffia  nn  vento  freddo,  e  Paria  grieve Pioggia  la  notte  le  minaccia  o  nieve. 64  Con  maggior  fretta  fa  movere  il  piede Al  suo  cavallo;  e  non  fece  via  molta, Che  lasciar  le  campagne  a  un  pastor  vede. La  donna  lai  con  molta  istanzia  chiede Che  le  'nsegni  ove  possa  esser  raccolta, 0  bene  o  mal;  che  mal  si  non  s'alloggia, Che  non  sia  peggio  star  faori  alla  pioggia. 65  Disse  il  pastore:  Io  non  so  loco  alcano Ch'io  vi  sappia  insegnar,  se  non  lontano Più  di  qnattro  o  di  sei  leghe,  fuor  ch'ano Che  si  chiama  la  rocca  di  Tristano. Ma  d'alloggiarvi  non  succede  a  ognuno; Perchè  bisogna,  con  la  lancia  in  mano, Che  se  l'acquisti  e  che  se  la  difenda Il  cavalier  che  d'alloggiarvi  intenda, 66  Se,  quando  arriva  un  cavalier,  si  trova Vota  la  stanza,  il  castellan  l'accetta; Ma  vnol,  se  soprawien  poi  gente  nuova, Ch'uscir  fuori  alla  giostra  gli  prometta. Se  non  vien,  non  accade  che  si  mova; Se  vien,  forza  è  che  l'arme  si  rimetta, E  con  lui  giostri: e  chi  di  lor  vai  meno, Ceda  l'albergo  ed  esca  al  ciel  sereno. 67  Se  duo,  tre,  quattro  o  più  guerrieri  a  un  tratto Vi  giungon  prima,  in  pace  albergo  hanno; E  chi  di  poi  vien  solo,  ha  peggior  patto, Perchè  seco  giostrar  quei  più  lo  fanno. Cosi,  se  prima  un  sol  si  sarà  fatto Quivi  alloggiar,  con  lui  giostrar  vorranno Sì  che,  s' avrà  valor,  gli  fia  a  grande  uopo. 68  Non  men  se  donna  capita  o  donzella, Accompagnata  o  sola  a  questa  rocca, poi  v'arrivi  un'altra,  alla  più  bella L'albergo,  ed  alla  men  star  dì  fuor  tocca. Domanda  Rradamante  ove  sia  quella; E  il  buon  pastor  non  pur  dice  con  bocca. Ma  le  dimostra  il  loco  anco  con  mano, Da  cinque  o  da  sei  miglia  indi  lontano. 69  La  donna,  ancorché  Rabican  ben  trotte. Sollecitar  però  non  lo  sa  tanto Per  quelle  vie  tutte  fangose  e  rotte Dalla  stagion  ch'era  piovosa  alquanto. Che  prima  arrivi,  che  la  cieca  notte Fatt' abbia  oscuro  il  mondo  in  ogni  canto. Trovò  chiusa  la  porta;  e  a  chi  n'avea La  guardia  disse  ch'alloggiar  volea. 70  Rispose  quel,  ch'era  occupato  il  loco Da  donne  e  da  guerrier  che  venner  dianzi, E  stavano  aspettando  intomo  al  faoco, Che  posta  fosse  lor  la  cena  innanzi Per  lor  non  credo  l'avrà  fatta  il  cuoco, S'ella  v'è  ancor,  uè  l'han  mangiata  innanzi Disse  la  donna: or  va,  che  qui  gli  attendo; Che  so  l'usanza,  e  di  servarla  intendo. 71  Parte  la  guardia,  e  porta  l'imbasciata Là  dove  i  cavalier  stanno  a  grand'agfio. Laqualnonpotèlortroppo  esser  grata, Ch'all'aer  li  fa  uscir  freddo  e  malvagio; Ed  era  una  gran  pioggia  incominciata. Si  levan  pure,  e  pigUan  l'arme  ad  agio; Restano  gli  altri;  e  quei  non  troppo  in  fretti Escono  insieme  ove  la  donna  aspetta. 72  Eran  tre  cavalier  che  valean  tanto, pochi  al  mondo  valean  più  di  loro; Ed  eran  quei  che'l  di  medesmo  accanto Veduti  a  quella  messaggiera  fòro; Quei  ch'in  Islanda  s'avean  dato  vanto Dì  Francia  riportar  lo  scudo  d'oro: E  perchè  avean  meglio  i  cavalli  punti, Prima  di  Rradamante  erano  giunti. 78  Di  loro  in  arme  pochi  eran  migliori; Ma  di  quei  pochi  ella  sarà  ben  l'una:Ch'a  nessun  patto  rimaner  di  fuori Quella  notte  intendea  molle  e  digiuna. Quei  dentro  alle  finestre  e  ai  corridori Miran  la  giostra  al  lume  della  Luna, Che  malgrado  de' nugoli  lo  spande, E  (a  veder,  benché  la  pioggia  è  gnuide. 74    Come  s'allegra  un  bene  acceso  amante Ch'ai  dolci  furti  per  entrar  si  trova, Quando  alfin  senta,  dopo  indugie  tante, Che'l  taciturno  chiavìstel  si  muova; Cosi,  volonterosa  Rradamante Di  far  di  sé  coi  cavalieri  prova, S'allegrò  quando  udì  le  porte  aprire, Calare  il  ponte,  e  fuor  li  vide  uscire.  CANTO   TRENTESIMOSEOONDO. 75  Tosto  che  fuor  del  ponte  i  gnerrier  vede Uscire  insieme  o  con  poco  intervallo, Si  volge  a  pigliar  campo,  e  di  poi  riede Cacciando  a  tutta  briglia  il  buon  cavallo, E  la  lancia  arrestando,  che  le  diede Il  suo  cugin,  che  non  si  corre  in  fallo, Che  fuor  di  sella  è  forza  che  trabocchi, Se  fosse  Marte,  ogni  guerrier  che  tocchi. 76  H  re  di  Svezia,  che  primier  si  mosse, Fu  il  primier  anco  a  riversarsi  al  piano; Con  tanta  forza  V  elmo  gli  percosse L'asta  che  mai  non  fu  abbassata  invano. corse  il  re  di  Gozia,  e  ritrovosse Coi  piedi  in  aria  al  suo  destrier  lontano. Rimase  il  terzo  sottosopra  vólto, Neir  acqua  e  nel  pantan  mezzo  sepolto. 77  Tosto  eh'  ella  ai  tre  colpi  tutti  gli  ebbe Fatto  andar  coi  piedi  alti  e  i  capi  bassi,Alla  rocca  ne  va,  dove  aver  debbe notte  albergo;  ma  prima  che  passi, V  è  chi  la  fa  giurar  che  n'  uscirebbe, Sempre  eh' a  giostrar  fuori  altri  chiamassi Il  Signor  di  là  dentro,  che'l  valore Ben  n'  ha  veduto,  le  fa  grande  onore. 78  Così  le  fa  la  donna  che  venuta Era  con  quelli  tre  quivi  la  sera, Come  io  dicea,  dall'Isola  Perduta, Mandata  al  re  di  Francia  messaggiera. Cortesemente  a  lei  che  la  saluta, Siccome  graziosa  e  affabil  era, Si  leva  incontra,  e  con  faccia  serena Piglia  per  mano,  e  seco  al  fuoco  mena. La  donna,  cominciando  a  disarmarsi, S'avea  lo  scudo  e  di  poi  l'elmo  tratto; Quando  una  cuffia  d'oro,  in  che  celarsi Soleano  i  capei  lunghi  e  star  di  piatto, Usci  con  l'elmo;  onde  caderon  sparsi Giù  per  le  spalle,  e  la  scoprirò  a  un  tratto, E  la  feron  conoscer  per  donzella. Non  men  che  fiera  in  arme,  in  viso  bella. 80  Quale  al  cader  delle  cortine  suole Parer  fra  mille  lampade  la  scena, D'archi,  e  di  più  d'una  superba  mole, D' oro  e  di  statue  e  di  pitture  piena; 0  come  suol  fuor  della  nube  il  Sole Scoprir  la  faccia  limpida  e  serena: Cosi,  l'elmo  levandosi  dal  viso, Mostrò  la  donna  aprisse  il  paradiso. 81    Già  son  cresciute,  e  fatte  lunghe  in  modo Le  belle  chiome  che  taglioUe  il  Frate, Che  dietro  al  capo  ne  può  fare  un  nodo, Benché  non  sian  come  son  prima  state. Che  Bradamante  sia,  tien  fermo  e  sodo (Che  ben  l'avea  veduta  altre  fiate) II  Signor  della  rocca;  e  più  che  prima Or  l'accarezza,  e  mostra  farne  stima. Stanza  76. 82  Siedono  al  fuoco,  e  con  giocondo  e  onesto Ragionamento  dan  cibo  all'orecchia, Mentre,  per  ricreare  ancora  il  resto Del  corpo,  altra  vivanda  s'apparecchia. La  donna  all'oste  domandò  se  questo Modo  d'albergo  è  nuova  usanza  o  vecchia, E  quando  ebbe  principio,  e  chi  la  pose; E  '1  cavaliere  a  lei  cosi  rispose:83  Nel  tempo  che  regnava  Fieramente, Clodi'one,  il  figliuolo,  ebbe  una  amica Leggiadra  e  bella,  e  di  maniere  conte, Quant' altra  fosse  a  quella  etade  antica; La  quale  amava  tanto,  che  la  fronte Non  rivolgea  da  lei  più  che  si  dica Che  facesse  da  Jone  il  suo  pastore, Perch'  avea  ugual  la  gelosia  all' amore. 84    Qui  la  tenea;  chè'l  laogo  avuto  in  dono Avea  dal  padre,  e  raro  egli  n ascia; dei  miglior  di  Francia  tuttavia. Qui  stando,  venne  a  capitarci  il  buono ,  ed  una  donna  in  compagnia, Liberata  da  lui  poch'ore  innante, Che  traea  presa  a  forza  un  fier  gigante. Tristano  ci  arrivò  cheU  Sol  già  vòlto Avea  le  spalle  ai  liti  di  Siviglia; E  domandò  qui  dentro  esser  raccolto Perchè  non  cè  altra  stanza  a  dieci  mlgHi.Ma  Clodì'on,  che  molto  amava  e  molto Era  geloso,  in  somma  si  conaigUa Che  forestier,  sia  chi  si  voglia,  mentre stia  la  bella  donna,  qui  non  entre. suiiza80. 96    Poi  che  con  lunghe  ed  iterate  preci Non  potè  aver  qui  albergo  il  cavaliero; quel  che  far  con  prieghi  io  non  ti  feciChe  1  facci,  disse,  tuo  malgrado,  spero. E  sfidò  Clodì'on  con  tutti  i  dieci Che  tenea  appresso;  e  con  un  grido  altiero Se  gli  offerse  con  lancia  e  spada  in  mano Provar  che  discortese  era  e  villano; 87    Con  patto,  che  se  fa  che  con  lo  stuolo Suo  cada  in  terra,  ed  ei  stia  in  sella  forte, Nella  rocca  alloggiar  vuole  egli  solo, E  vuol  gli  altri  serrar  fuor  delle porte. Per  non  patir  quest'onta,  va  il  figliuolo Del  re  di  Francia  a  rìschio  della  morte; aspramente  percosso  cade  in  terra, E  cadon  gli  altri,  e  Trìstan  fuor  li  serra. Stanza  91. CANTO  TRENTESIMOSECONDO. Ss    Entrato  nella  rocca,  trova  quella, qoal  Vho  detto,  a  Olodìon  si  cara, E  ch'avea,  a  par  d'ogn' altra,  fatto  bella Natura,  a  dar  bellezze  cosi  avara. Con  lei  ragiona: intanto  arde  e  martella Di  fuor  l'amante  aspra  passione  amara; Il  qual  non  differisce  a  mandar  prìeghi cavalier,  che  dar  non  gli  la  nieghi. 89    Tristano,  ancorché  lei  molto  non  prezze,Né  prezzar,  fuor  eh'  Isotta,  altra  potrebbe:né  ch'ami  vaol  né  che  accarezze Pur,  perchè  vendicarsi  dell'asprezze Di  far  gran  torto  mi  pania,  gli  disse, Che  tal  bellezza  del  suo  albergo  uscisse. 94  Ohe'l  cavalier  ch'abbia  maggior  possanza, E  la  donna  beltà,  sempre  ci  alloggi; chi  vinto  riman  vóti  la  stanza, Dorma  sul  prato,  o  altrove  scenda  e  poggi. E  finalmente  ci  fé'  por  l'usanza Che  vedete  durar  fin  al  di  d'oggi. scalco  por  la  mensa  fatto  avea. 95  Fatto  l'avea  nella  gran  sala  porre. che  non  era  al  mondo  la  più  bella; con  torchi  accesi  venne  a  tórre Le  belle  donne,  e  le  condusse  in  quella. ,  all'entrar,  con  gli  occhi  scorre, E  similmente  fa  l'altra  donzella; '  tutte  piene  le  superbemuraVeggondinobilissima  pittura. 90    E  quando  a  Clodion  dormire  incresca Solo  alla  frasca,  e  compagnia  domandi. Una  ovane  ho  meco  bella  e  fresca, Non  però  di  bellezze  cosi  grandi Questa  sarò  contento  che  fuor  esca, E  ch'ubbidisca  a  tutti  i  suoi  comandi; Ma  la  più  bella  mi  par  dritto  e  giusto Che  stia  con  quel  di  noi  eh' è  più  robusto. 96    Di  si  belle  figure  é  adorno  il  loco, Che  per  mirarle  obblian  la  cena  quasi: Ancorché  ai  corpi  non  bisogni  poco, Pel  travaglio  del  di  lassi  rimasi: E  lo  scalco  di  doglia  e  doglia  il  cuoco. Che  i  cibi  lascin  raffreddar  nei  vasi. Pur  fu  chi  disse:  Meglio  fia  che  voi Pasciate  prima  il  ventre,  gli  occhi  poi. 91    Escluso  Clodì'one  e  mal  contento. Andò  sbuffando  tutta  notte  in  volta. Come  s'a  quei  che  nell'alloggiamento Dormiano  ad  agio,  fésse  egli  l'ascolta; E  molto  più  che  del  fireddo  e  del  vento, Si  dolca  della  donna  che  gli  é  tolta. La  mattina  Tristano,  a  cui  ne'  ncrebbe, Gli  la  rendè;  donde  il  dolor  fin  ebbe: 97    S'erano  assisi,  e  porre  alle  vivande Voleano  man,  quando  il  Signor  s' avvide Che  l'alloggiar  due  donne  è  un  error  grande; L'una  ha  da  star,  l'altra  convien  che  snido. la  più  bella,  e  la  men  fuor  si  mando Dove  la  pioggia  bagna  e  'l  vento  stride. Perche  non  vi  son  giunte  amendue  a  un'ora, L'una  ha  a  partir  e  l'altra  a  far  dimora. 92    Perchè  gli  disse,  e  lo  fé' chiaro  e  certo, Che  qual  trovolla,  tal  gli  la  rendea:E  benché  degno  era  d'ogni  onta,  in  morto Della  discortesia  ch'usata  avea; Pur  contentar  d'averlo  allo  scoperto Fatto  star  tutta  notte  si  volea: r escusa  accettò,  che  fosse  Amore cagion  di  co  grave  errore; 98    Chiama  duo  vecchi,  chiama  alcune  sue Donne  di  casa,  a  tal  giudizio  buone: E  le  donzelle  mira,  e  di  lor  due Chi  la  più  bella  sia,  fa,  paragone. Finalmente  parer  di  tutti  fue, Ch'"ra  più  bella  la  figlia  d'Amene; E  non  men  di  beltà  l'altra  vincea, Che  di  valore  i  guerrier  vinti  avea. 93    Ch'  Amor  de'  far  gentile  un  cor  villano, E  non  far  d'un  gentil  contrario  effetto. Partito  che  si  fu  di  qui  Tristano, Clodion  non  sté  molto  a  mutar  tetto; Ma  prima  consegnò  la  rocca  in  mano A  un  cavalier  che  molto  gli  era  accetto. Con  patto  ch'egli  e  chi  da  lui  venisse, Quest'  uso  in  albergar  sempre  seguisse:99    Alla  donna  d'Islanda,  che  non  senza Molta  sospizi'on  stava  di  questo, Il  Signor  disse:  Che  serviam  l'usanza, v'ha,  donna,  a  parer  se  non  onesto. A  voi  convien  procacciar  d'altra  stanza, Quando  a  noi  tutti  è  chiaro  e  manifesto Che  costei  di  bellezze  e  di  sembianti, Ancor  eh'  inculta  sia,  vi  passa  innanti. 100  Come in  uu  momento  oscura Nube  salir  d  umida  valle  al  cielo, Che  la  feuxda  che  prima  era  si  pura, Copre  del  Sol  con  tenebroso  velo; Cosi  la  donna  alla  sentenzia  dura, fuor  la  caccia  ove  è  la  pioggia  e  '1  gelo, si  vide,  e  non  parer  più  quella Che  fu  pur  dianzi  si  gioconda  e  bella. 101  S'impallidisce,  e  tutta  cangia  in  viso; Che  tal  sentenza  udir  poco  le  aggrada. Ha  Bradamajite  con  un  saggio  avviso, Che  per  pietà  non  vuoi  òhe  se  ne  vada, Rispose:  A  me  non  par  che  ben  deciso Né  che  ben  giusto  alcun  giudicio  cada, Ove  prima  non  s'oda  quanto  nieghi La  parte  o  affermi,  e  sue  ragioni  alleghi. 103    Io  cVa  difender  questa  causa  toglie, :  0  più  bella  o  men  ch'io  sia  di  lei. Non  venni  come  donna  qui,  né  voglio Che  sian  di  donna  ora  i  progressi  miei. Ma  chi  dirà,  se  tutta  non  mi  spoglio, S' io  sono  0  s' io  non  son  quel  eh'  è  costei?E  quel  che  non  si  sa,  non  si  de'  dire; È  tanto  men,  quando  altri  n'ha  a  patire. 103  Ben  son  degli  altri  ancor,  ch'hanno  le  chiome Lunghe,  com'io;  né  donne  son  per  questo.  " Se  come  cavalier  la  stanza,  o  come Donna  acquistata  m'abbia,  è  manifesto. Perchè  dunque  volete  darmi  nome Di  donna,  se  di  maschio  è  ogni  mio  gesto  V La  legge  vostra  vuol  che  ne  sian  spinte Donne  da  donne,  e  non  da  guerrier vinte. 104  Poniamo  ancor  che,  come  a  voi  pur  pare, Io  donna  sìa  (che  non  però  il  concedo). Ma  che  la  mia  beltà  non  fosse  pare A  quella  di  costei;  non  però  credo Che  mi  vorreste  la  mercè  levare mia  virtù,  sebbeu  di  viso  io  cedo. Perder  per  men  beltà  giusto  non  parmi Quel  eh'  ho  acquistato  per  virtù  con  l'armi. 105  E  quando  ancor  fosse  l'usanza  tale. Che  chi  perde  in  beltà,  ne  dovesse  ire. 10  d  vorrei  restare,  o  bene  o  male Che  la  mia  ostinazion  dovesse  uscire. Per  questo,  die  contesa  disegnale É  tra  me  e  questa  donna,  vo' inferire Che,  contendendo  di  beltà,  può  assai Perdere,  e  meco  guadagnar  non  mai. 106  E  se  guadagni  e  perdite  non  sono In  tutto  pari,  ingiusto  è  ogni  partito; Si  eh'  a  lei  per  ragion,  si  ancor  per  dono Speziai,  non  sia  i'  albeigo  proibito. E  s' alcuno  di  dir  che  non  sia  buono E  dritto  il  mio  giudizio  sarà  ardito. Sarò  per  sostenergli  a  suo  piacere, '1  mio  sia  vero,  9  falso  il  suo  parere. 107  La  figliuola  d'Amen,  mossa  a  pietade Che  questa  gentil  donna  debba  a  torto Ove  né  tetto,  ove  neppure  è  un  spcnrto, Al  signor  dell' albergo  persuade Con  ragion  molte  e  con  parlare  accorto. Ma  molto  più  con  quel  eh'  alfin  concluse. Che  resti  cheto,  e  accetti  le  sue  scuse. 108  Qual  sotto  il  più  cocente  ardore  estivo. 

Quando  di  ber  più  desiosa  è  l'erba, 11  fior  eh'  era  vidno  a  restor  privo Di  tutto  queir  umor  che  in  vita  il  serba, Sente  l'amata  pioggia,  e  si  fa  vivo, Cosi,  poiché  difesa  si  superba Si  vide  apparecchiar  la  messaggiera. Lieta  e  bella  tornò  come  prim'era. 109  La  cena,  stata  lor  buon  pezzo  avante, Né  ancor  pur  tocca,  alfin  godersi  in  festa, Senza  che  più  di  cavaliere  errante Nuova  venuta  fosse  lor  molesta. La  goder  gli  altri,  ma  non  Bradamante, Pure,  all'usanza,  addolorata  e  mesta; Che  quel  timor,  che  quel  sospetto  ingiusto, Che  sempre  at  nel  cor,  le  toUea  il  gusto. HO    Finita  ch'ella  fu  (che  saria  forse Stata  più  lunga  se  '1  desìr  non  era Di  cibar  gli  occhi),  Bradamante  sorse, E  sorse  appresso  a  lei  la  messaggiera. Accennò  quel  Signore  ad  un  che  corse, E  prestamente  allumò  molta  cera, Che  splender  fé'  la  sala  in  ogni  canto. Quel  che  seguì  dirò  nell' altro  Canto. CANTO   TRENTESIMOSECONDO. NOTE. St.  3.  V.4.   Fuoco: incendio  81  guerra. St.  4. v.1.   Fa  scriver:  fa  aimolare. St.  11.  V.28.   Eto  e  Piroo:  due  dei  quattro  cavalli attaccati  al  carro  del  Sole.   Piti  lungo  di  quel  gior no, ecc.  Allude  a  quando  Giosuè  fermò  il  sole,  cioè  "ol suo  comando  allungò  di  molte  ore  il  corso  della  gior nata, affinchè  grisraeliti  riportassero  intiera  la vittoria sui  re  della  Palestina.   Più  della  notte,  ecc.  Finsero ì  mitologi  che  la  notte  in  cui  Ercole  tu  concepito,  e quella  in  cui  nacque,  venissero  dagli  Dei  protratte  alla durata  di  più  nolti. Sr.  13.  V.7.   Nasciuto:  nato. St.  18.  V.6.   Sì....  profonde:  tanto  sublimi. St.  19.  V.47.   Serva: serba,  aspetta.   Coinè  aspide suole,  ecc,: credevasi  in  que'  tempi  che  l'aspide,  per  non udire  l'incantesimo  che  lo  attraeva,  posasse  un  orecchio in  terra,  e  chiudesse  l'altro  con  l'estremità  della  co  la. St.  28.  V,  5.   Fu  molto  posto  per  ragione: gli  fu chiesto  minuto  conto. St.  29.  V.3.   Contrastette:  contrastò. St.  32.  V.1.   Il  Giiascone.  Non  a  caso  fa  guascone questi  cavaliere.  I  Guasconi  sono  tenuti  per  ciarlieri  e spavaldi;  è  quindi  naturale  che  costui  dicesse  di  Rug gero e  di  Marflsa  molto  più  del  vero. St.  37.  V.6.   Per  tragiche  querele:  per  tragici poemi. St.  50.  V.14.   I  Cadurci:  con  tal  nome  si  chia mavano in  antico  gli  abitanti  di  quella  parte  della  Gallia AquitanicaNarbonese  che  corrisponde  a  una  regione  della Guienna,  detta  poi  Le  Qnercy.   Eia  cittade  di  Gaorae: Cahors,  città  della  Guienna,  già  terra  principale  dei Oadurci.   Tutto  7  monte  ove  vnace  Dordona:  il  Monte d'Oro  nelI'Alveniia;  ivi  scaturisce  la  Dordogne,  che  tra versa il  Limosino  e  la  Guienna.    E  le  contrade  Sco jìria  di  Monferrante  e  di  Clarmonte.  Questi  due  luo ghi dell'Alveiiiia  erano,  nei  tempi  addietro,  due  comuni separati  e  brevìdistanti  fra  loro;  ma  nel  1633,  sotto Luigi  XIII,  furono  uniti;  ed  ora  formano  la  città   di ClermontFerrand,  attuale  cap)Iuogo  del  dipartimento di  PuydeDóme. St.  14.  V.7.   Gozia.  lì  Gotland,  ora  provincia  della Svezia,  che  bi  vuole  prendesse  il  nome  dai  Goti  loro antichissima  abitazione. St.  57.  V.8.   Ifi  scaltri:  mi  scaltrisca,  mi  faccia accorta. St.  63.  V.24.   Alle  città  di  Bacco: alla  Mauritania occidentale,  signoreggiata  anticamente  da  Socco.  Marocco:  città  capitale  dell'impero  omonimo. St.  83.  V.17.   Fieramonte  0  Faramndo:  primo re  dei  Franchi.  Questi  popoli  erano  dapprima  Sicambri, detti  poi  Franchi,  per  una  temporanea  franchigia  da tributi  che  ebbero  dairimpeiatore  Valentiniano.  Costoro, non  volendo  più  sottomettersi  dopo  spirato  il  termine della  concessa  franchigia,  furono  battuti  diversa  volte; e  i  pochi  superstiti  peivennero  nella  Tnringia,  guidati da  Marcomiro  loro  capo.  Egli,  insieme  con  i  suoi,  pose la  sede  in  una  regione  denominata  quindi  Franconia,  e posta  a  settentrione  fra  la  Bavieia  e  la  Sassonia.  Da lui  nacque  Faramondo,  del  quale  qui  si  parla.   Di  ma niere conte:  di  maniere  gentili. Che  facesse  da  Jone il  suo  pastore.  Alludesi  qui  alla  favola  d'Ione  od  Io, amata  da  Giove,  e  da  lui  trasformata  in  vacca  per  prevenire i  sospetti  di  Giunone;  la  quale  nondimeno  la  faceva  cu stodire da  un  pastore  di  nome  Argo,  che  avea  cent'occhi. St.  89.  V.4.   La  posion,  che  già  incantati  bebbe. Leggesi  nel  Tristano,  romanzo  cavalleresco,  che  la  ma dre d'Isotta  aveva  prepaiata  una  bevanda  incantata,  per fare  che  sua  figlia  fosse  amata  da  Marco  re  di  Corno vaglia,  a  cui  l'avea  destinata  in  moglie.  Mentre  Isotta era  condotta  allo  sposo  da  Tristano,  questi  inavveduta mente bevette  insieme  con  la  giovine  la  pozione  ama toria, onde  s'invaghirono  perdutamente  l'uno  dell'altra. St.  10  5.  V.7.   Spinte: cacciate  fuori. St.  107.  v.4.   Sporto: parte  dell' edifizio  che  prò tendesi  all'infuori  del  muro  principale,  e  sotto  cui  si  può stare  al  coperto. OAiNTO  TRKNTESIMOTKRZO. 1  Canto  XXXIJI. Iei  urift  [lala  della  ioc<;a  ili  TrisEaiio  ?  Bradamunte  eJe  diptni le  tur  uve  fjuene  dei  Francesi  in  Ualìit  Poi,  sfidila  iliHff i.']k  aveva  [li  ià  alilAEtutì,  IL  oai'cla  iiqovametite  di  ftllt Itinldo  e  GmdaitHO  vciifjoiio  alle  mani  p&r  BaÌArdo,  iJqBiìf. spnveutato  dn  un  mostruoio  uccella,  fuggv  in  ntia  i"ki;  t cu  al  la  [11]  glia  e  sa.<rivujaH  Astolfo  sdK  Ipporìfo  va  i"  Eti<f"iiu ed  ivi  ool  suono  del  stio  comò  caccj a "n eli' inferno  li  ¦ e  Ile  insozzavano  le  mense  del  re  Seuapo. Timai;orat  ParrasiOj  Poliguoto, Protofrene.  Tiinantet  Apollodoru, Apell(%  \n\\  di  tutti  questi  noto, E  Zeui,  e  gli  altri  dia  quei  tempi  fort"; Di'Njuai  In  fama   malgrado  di  CJoto, Che  speose  ì  corpi,  e  tlì  poi  Topre  loro) Sempre  nurà  Muebè  ai  legga  e  scriva, Mercè  degli  scrii torì|  al  mondo  Tim: E  quei  che  foro  a'  nostri  dì,  o  sono  on, Leouartlo,  Andrea  Man  legna,  Gian  Bellino, Duo  DosMt  e  quel  eh' a  pur  sculpe  e  coltura  . Mi[liel,  ]niì  che  mortale,  Angel  divino; Bari(uvnu,  lìafail.  Tìz'au  eh'onorA Non  men  Cador,  che  quei  Venezia  e  Urbino  j E  gli  altri  di  cui  tal  Topra  si  vede, Qual  delia  prisca  età  si  legge  e  crede: CANTO   TRÉNTESIMOTERZO. 3  Questi  che  noi  vegiam  pittori,  e  quelli Che  già  mille  e  miil'anui  in  prego  foro, Le  cose  che  son  state,  coi  pennelli Fatt'  hanno,  altri  suir  ase,  altri  sul  muro. Non  però  udiste  antiqui,  né  novelli Vedeste  mai  dipingere  il  futuro: Eppur  si  sono  istorie  anco  trovate, Che  son  dipinte  innanzi  che  sian  state. 4  Ma  di  saperlo  far  non  si  dia  vanto Pittore  antico,  né  pittor  moderno; E  ceda  pur  quest'arte  al  solo  incanto, Del  qual  trieman  gli  spirti  dello' nferno. La  sala  eh'  io  dicea  nel!'  altro Canto,Merlin  col  lihro,  o  fosse  al  lago  Averne, 0  fosse  sacro  alle  Nursine  grotte, Fece  far  dai  demonj  in  una  notte. 5  Quest'arte,  con  che  i  nostri  antiqui  fenno Mirande  prove,  a  nostra  etade  è  estinta. Ma  ritornando  ove  aspettar  mi  denno Quei  che  la  sala  hanno  a  veder  dipinta. Dico  eh' a  uno  scudier  fu  fatto  cenno. Ch'accese  i  torchi:  onde  la  notte,  vinta Dal  gran  splendor,  si  dileguò  d'intomo; Né  più  non  si  vedria,  se  fosse  giorno. 6  Quel  Signor  disse  lor:  Vo'  che  sappiate Che  delle  guerre  che  son  qui  ritratte. Fin  al  di  d'oggi  poche  ne  son  state; E  son  prima  dipinte,  che  sian  fatte. Chi  l'ha  dipinte,  ancor  l'ha  indovinate; Quando  vittoria  avran,  quando  disfatte In  Italia  saran  le  genti  nostre, Potrete  qui  veder  come  si  mostre. 7  Le  guerre  ch'i  Franceschi  da  far  hanno Di  là  dall' Alpe,  o  hene  o  mal  successe, Dal  tempo  suo  fin  al  millesim'anno, Merlin  profeta  in  questa  sala  messe; n  qual  mandato  fu  dal  Re  hritanno Al  franco  Re  eh' a  Marcomir  successe: E  perché  lo  mandassi,  e  perché  fatto Da  Merlin  fa  il  lavor,  vi  dirò  a  un  tratto. 8  Re  Fieramente,  che  passò  primiero Con  l'esercito  franco  in  Gallia  il  Reno, Poi  che  quella  occupò,  facea  pensiero Di  porre  alla  superba  Italia  il  freno. Faceal  per  ciò,  che  più'l romano  Impero Vedea  di  giorno  in  giorno  venir  meno; E  per  tal  causa  col britanno  Arturo Volse  far  lega;  ch'ambi  a  un  tempo  furo. 9  Artur,  ch'impresa  ancor  senza  cousijjlio Del  profeta  Merlin  non  fece  mai: Di  Merlin,  dico,  del  Demonio  figlio, Che  del  futuro  antivedeva  assai; Per  lui  seppe,  e  saper  fece  il  periglio A  Fieramente,  a  che  di  molti  guai Porrà  sua  gente,  s'entra  nella  terra Ch'Apennin  parte,  e  il  mare  e  l'Alpe  serra. 10  Merlin  gli  fé'  veder  che  quasi  tutti Gli  altri  che  poi  di  Francia  scettro  avranno, 0  di  ferro  gli  eserciti  distrutti, 0  di  fame  o  di  peste  si  vedranno; E  che  brevi  allegrezze  e  lunghi  lutti. Poco  guidago  ed  infinito  danno Riporteran  d'Italia;  che  non  lice Che  '1  Giglio  in  quel  terreno  abbia  radice. 11  Re  Fieramente  gli  prestò  tal  fede, Ch'altrove  disegnò  volger  l'armata; E  Merlin,  che  cosi  la  cosa  vede Ch'abbia  a  venir,  come  se  già  sia  stata, Avere  a'prieghi  di  quel  Ri  si  crede La  sala  per  incinto  istoriata, Ove  dei  Franchi  ogni  futuro  gesto. Come  già  stato  sia,  fa  manifesto. 12  Acciò  chi  poi  succederà  comprenda Che,  come  ha  da  acquistar  vittoria  e  onore, Qualor  d'Italia  la  difesa  prenda Incontra  ogn' altro  barbaro  furore; Così,  s'awien  eh' a  danneggiarla  scenda   Per  porle  il  giogo  e  farsene  signore. Comprenda,  dico,  e  rendasi  ben  certo Ch'  oltre  a  quei  monti  avrà  il  sepolcro  aperto. 13  Cosi  disse;  e  menò le  donne  dove Incomincian  l'istorie:  e  Singiberto Fa  lor  veder,  che  per  tesor  si  muove. Che  gli  ha  Maurizio  imperatore  offerto. Ecco  che  scende  dal  monte  di  Giove Nel  pian  dal  Lambro  e  dal  Ticino  aperto. Vedete  Eutar,  che  non  pur  l'ha  respinto. Ma  volto  in  fuga  e  fracassato  e  vinto. 14  Vedete  Clodoveo,  eh' a  più  di  cento Mila  persone  fa  passare  il  monte. Vedete  il  duca  là  di  Benevento. Che  con  numer  dispar  vien  loro  a  fronte. Ecco  finge  lasciar  l'alloggiamento, E  pon  gli  agguati:  ecco,  con  morti  ed  onte, Al  vin  lombardo  la  gente  francesca Corre;  e  riman  come  la  lasca  all'esca. Stanza  9. 15    Ecco  in  Italia  Childìberto  quanta Gente  di  Francia  e  capitani  invia: Xè  più  che  Clodoveo,  si  gloria  e  vanta Ch abbia  spogliata  o  vinta  Lombardia; Che  la  spada  del  del  scende  con  tanta Strage  de' suoi,  che  n'è  piena  ogni  via, Morti  di  caldo  e  di  profluvio  d'alvo; Sì  che  di  dieci  non  ne  torna  un  salvo. 16    Mostra  Pipino,  e  mostra  Cario  appresso, Come  in  Italia  un  dopo  T altro  scenda, £  v'abbia  questo  e  quel  lieto  successo: Che  venuto  non  v'  è  perchè  V  offenda; Ma  l'uno,  acciò  il  Pastor  Stefano  oppresso, L'altro  Adriano,  e  poi  Leon  difenda. L'un doma  Aistulfo;  e  l'altro  vince  e  prende II  successore,  e  al  Papa  il  suo  onor  rende.  CANTO   TRENTESIMOTBRZO. 17    Lor  mostra  appresso  nù  gioveoe  Pipino, Che  con  sua  gente  par  che  tutto  copra Dalle  Fornaci  al  lito  Palestine; E  faccia  con  gran  spesa  e  con  lungopra Il  ponte  a  Malamocco;  e  che  vicino Giunga  a  Rialto,  e  vi  combatta  sopra. Poi  fuggir  sembra  e  che  i  suoi  lasci  sotto L'acque;  che  M  ponte  il  vento  e '1  mar  gli  han  rotto. 18    Ecco  Luigi  Borgognon,  che  scende Là  dove  par  che  resti  vinto  e  preso, E  che  giurar  gli  faccia  chi  lo  prende, Che  più  dalParme  sue  non  sarà  offeso. Ecco  che  U  giuramento  vilipende; Ecco  di  nuovo  cade  al  laccio  teso; Ecco  vi  lascia  gli  occhi,  e  come  talpe   Lo  rif orfano  i  suoi  di  qua  dall'Alpe. 19    Vedete  un  Ugo  d'Arli  far  gran  fatti. E  che  d'Italia  caccia  i  Berengari; E  due  0  tre  volte  gli  ha  rotti  e  disfatti. Or  dagli  Unni  rimessi,  or  dai  Bavàri. Poi  da  più  forza  è  stretto  di  far  patti Con  Tiiiimico,  e  non  sta  in  vita  guari; Né  guari  dopo  lui  vi  sta  T erede, E  '1  regno  intero  a  Berengario  cede. 20    Vedete  un  altro  Carlo,  che  a' conforti Del  buon  Pastor  fuoco  in  Italia  ha  messo; E  in  due  fiere  battaglie  ha  duo  Re  morti, Manfredi  prima,  e  Corradino  appresso. Poi  la  sua  gente,  che  con  mille  torti Sembra  tenere  il  nuovo  regno  oppresso, Di  qua  e  di  là  per  le  città  divisa. Vedete  a  un  suon  di  vespro  tutta  uccisa.Si    Lor  mostra  poi  (ma  vi  parea  intervallo Di  molti  e  molti,  non  channi,  ma  Instri) Scender  dal  monti  nn  capitano  Gallo, E  romper  guerra  ai  gran  Visconti  illustri; £  con  gente  francesca  a  pie  e  a  cavallo Par  eh'  Alessandria  intomo  cinga  e  lustri; E  chel  Duca  il  presidio  dentro  posto, E  fuor  abbia  V  agguato  un  po'  discosto;  Stanza  20. if2    E  la  gente  di  Francia  mal  accorta, Tratta  con  arte  ove  la  rete  è  tesa, Col  conte  Armeni'aco,  la  cui  scorta L'avea  condotta  all'infelice  impresa, Giaccia  per  tutta  la  campagna  morta. Parte  sìa  tratta  in  Alessandria  presa; E  di  sangue  non  men  che  d'acqua  grosso, 11  Tauaro  si  vede  il  Po  far  rosso. 23    Un,  detto  della  Marca,  e  tre  Angioini Mostra  l'un  dopo  l'altro,  e dice:  Questi A  Bruci,  a  Dauni,  a  Marsi,  a  Salentini Vedete  come  son  spesso  molesti. Ma  né  de'  Franchi  vai  né  de'  Latini Aiuto  sì,  ch'alcun  di  lor  vi  resti: Ecco  li  caccia  fuor  del  regno,  quante Volte  vi  vanno,  Alfonso,  e  poi  Ferrante. 24  Vedete  Carlo  ottavo,  che  discende Dall'Alpe,  e  seco  ha  il  fior  di  tutta  Fnad Che  passa  il  Liri,  e  tutto  '1  reo  prenik Senza  mai  stringer  spada  o  abbassar  hi" Fuorché  lo  scoglio ch'a  Tifeo  si  stende Su  le  braccia,  sul  petto  e  sa  la  pancia; Che  del  buon  sangue  d'Avalo  al  contrasta La  virtù  trova  d'Inico  del  Vasto. 25  11  Signor  della  rocca,  che  venia Quest'istoria  additando  a  Bradamante, Giostrato  che  l'ebbe  Ischia,  disse:  Pria Ch'a  vedere  altro  più  vi  meni  avante, 10  vi  dirò  quel  ch'a  me  dir  solìa 11  bisavolo  mio,  quand'io  era  infante: E  quel  che  similmente  mi  dicea Che  da  suo  padre  udito  anch'esso  avea: 26  E'I  padre  suo  da  un  altro,  o  padre  o  fu Avolo,  e  l'un  dall'altro,  s'n  a  quello Ch'a  udirlo  da  quel  proprio  ritrovosse. Che  l'immagini  fé'  senza  pennello, Che  qui  vedete  bianche,  azzurre  e rosàe: Udì  che  quando  al  Re  mostrò  il  castello. Ch'or  mostro  a  voi  su  quest'altiero  scoglio. Gli  disse  quel  ch'a  voi  riferir  voglio. 27  Udì  che  gli  dicea  ch'in  questo  loco Di  quel  buon  cavalier  che  lo  difende Con  tanto  ardir,  che  par  disprezzi  il  fuoco Che  d'ogn' intorno  e  sino  al  Faro  incende. Nascer  debbe  in  quei  tempi,  o  dopo  poco (E  ben  gli  disse  e  l'anno  e  le  calende). Un  cavaliere,  a  cui  sarà  secondo Ogu' altro  che  sin  qui  sia  stato  al  mondo. 28  Non  fu  Nireo  si  bel,  non  si  eccellente Di  forze  Achille,  e  non  si  ardito  Ulisse, Non  si  veloce  Lada,  non  prudente Nestor,  che  tanto  seppe  e  tanto  visse. Non  tanto  liberal,  tanto  clemente L'antica  fama  Cesare  descrisse; Che  verso  l'uom  ch'in  Ischia  nascer  deve, Non  abbia  ogni  lor  vanto  a  restar  lieve. 29  E  se  si  gì  Oliò  l'antiqua  Creta, Quando  il  nipote  in  lei  nacque  di  Celo. Se Tebe  fece  Ercole  e  Bacco  lieta. Se  si  vantò  dei  duo  gemelli  Delo; Né  questa  isola  avrà  da  starsi  cheta, Che  non  s'esalti  e  non  si  levi  in  cielo, Quando  nascerà  in  lei  quel  gran  Marchese Ch'avrà  si  d'ogni  grazia  il  Ciel  cortese. CANTO  TRENTESIMOTERZO. 30     Merlin  gli  disse,  e  replicogli  spesso, Ch'era  serbato  a  nascere  all'etade Che  più  il  romano  Imperio  saria  oppresso, Acciò  per  lui  tornasse  in  libertade. Ma  perchè  alcuoo  de' suoi  gesti  appresso Vi  mostrerò,  predirli  non  accade. Cosi  disse;  e  tornò  air  istoria,  dove Di  Carlo  si  vedean  V  inclite  prove. 36    Cosi  dicendo,  sé  stesso  riprende Che  quel  ch'avea  a  dir  prima,  abbia  lasciato: E  torna  addietro,  e  mostra  uno  che  vende 11  Castel  che'l  Signor  suo  gli  avea  dato;. Mostra  il  perfido  Svizzero,  che  prende Colui  eh'  a  sua  difesa  V  ha  assoldato:Le  quai  due  cose,  senza  abbassar  lancia, Han  dato  la  vittoria  al  Re  di  Francia. 31  Ecco,  dicea,  si  pente  Ludovico D'aver  fatto  in  Italia  venir  Carlo; Che  sol  per  travagliar  l'emulo  antico Chiamato  ve  l'avea,  non  jer  cacciarlo; E  se  gli  Scopre  al  ritornar  nimico Co'  Veneziani  in  lega,  e  vuol  pigliarlo. Ecco  la  lancia  il  Re  animoso  abbassa, Apre  la  strada,  e,  lor  malgrado,  passa. 32  Ma  la  sua  gente,  eh' a  difesa  resta Del  nuovo  regno,  ha  ben  contraria  sorte; Che  Ferrante,  con  l'opra  che  gli  presta Il  Signor  mantuan,  toma  si  forte, ChMn  pochi  mesi  non  ne  lascia  testa O  in  terra  o  in  mar,  che  non  sia  messa  a  morte:Poi  per  un  uom  che  gli  è  con  frdude  estinto, Kon  par  che  senta  il  gaudio  d'aver  vinto. 33  Cosi  dicendo,  mostragli  il  marchese Alfonso  di  Pescara,  e  dice:  Dopo Che  costui  comparito  in  mille  imprese Sarà  più  risplendente  che  piropo. Ecco  qui  nell'insidie  che  gli  ha  tese Con  un  trattato  doppio  il  rio  Etiopo, Come  scannato  di  saetta  cade Il  miglior  cavalier  di  quella  etade. 34  Poi  mostra  ove  il  duodecimo  Luigi Passa  con  scorta  italiana  i  monti; E,  svelto  il  Moro,  pon  la  Fiordaligi Nel  fecondo  terren  gi&  de' Visconti: Indi  manda  sua  gente  pei  vestigi Di  Carlo,  a  far  sul  Garigliano  i  ponti; La  quale  appresso  andar  rotta  e  dispersa Si  vede,  e  morta,  e  nel  fiume  sommersa. 35  Vedete  in  Puglia  non  minor  macello Dell'esercito  franco,  in  fuga  volto; E  Consalvo  Ferrante  ispano  è  quello Che  due  volte  alla  trappola  1'  ha  colto. E  come  qui  turbato,  cosi  bello Mostra  Fortuna  al  re  Luigi  il  volto Nel  ricco  pian  che,  fin  dove  Adria  stride, Tra  l'Apennino  e  l'Alpe  il  Po  divide. hi    Poi  mostra  Cesar  Borgia  col  favore Di  questo  Re  farsi  in  Italia  grande; Ch'ogni  Baron  di Roma, ogni  Signore Suggetto  a  lei  par  che  in  esilio  mande. Poi  mostra  il  Re  che  di  Bologna  fuore Leva  la  Sega,  e  vi  fa  entrar  le  Giande; Poi  come  volge  i  Genovesi  in  fuga Fatti  ribelli,  e  la  città  soggiuga. 38    Vedete,  dice  poi,  di  gente  morta Coperta  in  Giaradadda  la  campagna. Par  ch'apra  ogni  cittade  al  Re  la  porta, E  che  Venezia  appena  vi  riraagna. Vedete  come  al  Papa  non  comporta Che,  passati  i  confini  di  Romagna, Modena  al  Duca  di  Ferrara  toglia;Né  qui  si  fermi,  e  '1  resto  tor  gli  voglia: 39    E  fa,  air  incontro,  a  lai  Bologna  tórre; Che  Y  entra  la  Bentivola  famiglia. Vedete  il  campo  de'  Francesi  porre A  sacco  Brescia,  poi  che  la  ripiglia: E  quasi  a  un  tempo  Felsina  soccorre, EU  campo  ecclesiastico  scompiglia; E  Tuno  e  P  altro  poi  nei  luoghi  bassi Par  si  riduca  del  lito  de' Chiassi. 40    Di  qua  la  Francia,  e  di  là  il  campo  iiigrMB La  gente  Ispana;  e  la  battaglia  è  grande. Cader  si  vede,  e  far  la  terra  rossa La  gente  d'arme  in  amendua  le  bande. Piena  di  sangue  uman  pare  ogni  fossa:Marte  sta  in  dubbio  u'ia  vittoria  mande. Per  virtù  d'un  Alfonso  alfin  si  vede Che  resta  il  Franco,  e  che  T  Ispano  cede.stanza  40. 41    E  che  Ravenna  saccheggiata  resta. Si  morde  il  Papa  per  dolor  le  labbia, E  fA  da' monti,  a  guisa  di  tempesta. Scendere  in  fretta  una  tedesca  rabbia, Ch'ogni  Frare     senza  mai  far  testa, Di  qua  dall  par  che  cacciat' abbia, E  che  posto  u       .inpollo  abbia  del  Moro Nel  giardino  oi       svelse  i  gigli  d'oro. 43    E  con  migliore  auspizio  ecco  ritorna. Vedete  il  re  Francesco  innanzi  a  tutti, Che  cosi  rompe  a' Svizzeri  le  corna, Che  poco  resta  a  non  gli  aver  distratti. Si  che  'i  titolo  mai  più  non  gli  adoma, Ch'usurpato  s'avran  quei  vilkn  brutti: Che  domator  de' Principi,  e  difesa Si  nomeran  della  cristiana  Chiesa. 42    Ecco  torna  il  Francese:  eccolo  rotto Dall'infedele  Elvezio,  ch'in  suo  aiuto Con  troppo  rischio  ha  il  giovine  condotto, Del  quale  il  padre  avea  preso  e  venduto. Vedete  poi  l'esercito  che  sotto La  ruota  di  Fortuna  era  caduto, Creato  il  nuqyo  Re,  che  si  preparaDell'onta  vendicar  ch'ebbe  a  Novara: 44    Ecco,  malgrado  della  Lega,  prende Milano,  e  accorda  il  giovene  Sforzesco. Ecco  Borbon  che  la  città  difende Pel  Re  di  Francia  dal  furor  tedesco. Eccovi  poi,  che  mentre  altrove  attende Ad  altre  magne  imprese  il  re  Francesco, Né  sa  quanta  superbia  e  crudeltade Usino  i  suoi,  gli  è  tolta  la  cittade.  CANTO  TRENTESIMOTERZO. stanza  41. 45    Ecco  un  altro  Francesco,  eh  assimìglia Di  virtit  all'avo,  e  non  di  nome  solo; Che,  fatto  uscirne  i  Galli,  si  ripiglia Col  favor  della  Chiesa  il  patrio  suolo. Francia anco  torna,  ma  ritien  la  briglia, Né  scorre  Italia,  come  suole,  a  volo; Che  U  buon  Duca  di  Mantua  sul  Ticino Le  chiude  il  passo,  e  le  taglia  il  cammino. 46    Federico,  eh' ancor  non  ha  la  guancia De' primi  fiori  sparsa,  si  fa  degno Di  gloria  etema,  ch'abbia  con  la  lancia. Ma  più  con  diligenzia  e  con  ingegno, Pavia  difesa  dal  furor  di  Francia, E  del  Leon  del  mar  rotto  il  disegno. Vedete  duo  Marchesi,  ambi  t.rrore Di  nostre  genti,  ambi  d'Italia  onore; 47  Ambi  dun  sangue,  ambi  iu  un  nido  nsti. Di  quel  marchese  Alfonso  il  primo  è  figlio, Il  qual,  tratto  dal  Negro  negli  agguati, Vedeste  il  terren  far  di  sé  vermiglio. Vedete  quante  volte  son  cacciati D'Italia  i  Franchi  pel  costui  consiglio. L'altre,  di  si  benigno  e  lieto  aspetto, Il  Vasto  signoreggia,  e  Alfonso  è  detto. 48  Questo  è  il  buon  Cavalier  di  cui  dicea, Quando  l'isola  d Ischia  vi  mostrai, Che  gi&  profetizzando  detto  avea Merlino  e  Fieramonte  cose  assai: Che  differire  a  nascere  dovea Nel  tempo  che  d'aiuto  più  che  mai L'afflitta  Italia,  la  Chiesa  e  l'Impero Contra  ai  barbari  insulti  avria  mestiero. Stanza  49. 49  Costui  dietro  al  cugin  suo  di  Pescara Con  l'auspicio  di  Prosper  Colonnese, Vedete  come  la  Bicocca  cara Fa  parere  airElvezio,  e  più  al  Francese. Ecco  di  nuovo  Francia  si  prepara Di  ristaurar  le  mal  successe  imprese. Scende  il  Re  con  un  campo  in  Lombardia; Un  altro  per  pigliar  Napoli  invia. 50  Ma  quella  che  di  noi  fa  come  il  vento D'arida  polve,  che  l'aggira  in  volta, La  leva  fin  al  cielo,  e  in  un  momento A  terra  la  ricaccia,  onde  l'ha  tolta; Fa  ch'intorno  a  Pavia  crede  di  cento Mila  persone  aver  fatto  raccolta 11  Re,  che  mira  a  quel  che  di  man  gli  esce, Nou  se  la  gente  sua  si  scema  o  cresce. 51  Così  per  colpa  de' ministri  avari, £  per  bontà  del  Re  che  se  ne  fida. Sotto  r  insegne  si  raccoglion  rari. Quando  la  notte  il  campo  all'arme  grida; Che  si  vede  assalir  dentro  ai  ripari Dal  sagace  Spagnuol,  che  con  la  uida Di  duo  del  sangue  d'Avalo  ardirla Farsi  nel  cielo  e  nello  'nfemo  via. 52  Vedete  il  meglio  della  nobiltade Di  tutta  Francia  alla  campagna  estinto: Vedete  quante  lance  e  quante  spade Han  d'ogni  intorno  il  Re  animoso  cìnto: Vedete  che  '1  destrier  sotto  gli  cade:Né  per  questo  si  rende,  o  chiama  vinto; Bench'a  lui  solo  attenda,  a  lui  sol  corra Lo  stuol  nimico,  e  non  è  chi'l  soccorra. 53  II  Re  gagliardo  si  difende  a  piede, £  tutto  dell' ostil  sangue  si  bagna; Ma  virtù  alfine  a  troppa  forza  cede. £cco  il  Re  preso,  ed  eccolo  in  Ispagna:£d  a  quel  di  Pescara  dar  si  vede, Ed  a  chi  mai  da  lui  non  si  scompagna, A  quel  del  Vasto,  le  prime  corone Del  campo  rotto  e  del  gran  Re  prigione. 54  Rotto  a  Pavia  l'un  campo,  l'altro  ch'era, Per  dar  travaglio  a  Napoli,  in  cammino   Restar  si  vede  come,  se  la  cera Oli  manca  o  l'olio,  resta  il  lumicino. Ecco  che  '1  Re  nella  prigione  ibera Lascia  i  figliuoli,  e  torna  al  suo  domino:Ecco  fa  a  un  tempo  egli  iu  Italia  guerra, Ecco  altri  la  fa  a  lui  nella  sua  terra. 55  Vedete  gli  omicidi  e  le  rapine In  ogni  parte  far  Roma  dolente E  con  incendj  e  stupri  le  divine E  le  profane  cose  ire  ugualmente. 11  campo  della  Lega  le  ruine Mira  d'appresso,  e'I  pianto  e'I  grido  sente; E  dove  ir  dovria  innanzi .  torna  indietro, E  prender  lascia  il  successor  di  Pietro. 56  Manda  Lotrecco  il  Re  con  nuove  squadre, Non  più  per  fare  in  Lombardia  l'impresa, Ma  per  levar  delle  mani  empie  e  ladre Il  Capo  e  l'altre  membra  della  Chiesa; Che  tarda  sì,  che  trova  al  Santo  Padre Non  esser  più  la  libertà  contesa. Assedia  la  cittade  ove  sepolta É  la  Sirena,  e  tutto  il  regno  volta. CANTO   TRENTESIMOTERZO. 57    Ecco  l'armata  imperiai  si  scioglie Per  dar  soccorso  alla  città  assediata; Ed  ecco  il  Doria  che  la  via  le  toglie, E  rha  nel  mar  sommersa,  arsa  e  spezzata. Ecco  Fortuna  come  cangia  voglie, Sin  qui  a' Francesi  si  propizia  stata; Che  di febbre  gli  uccide,  e  non  di  lancia, Si  che  di  mille  un  non  ne  toma  in  Francia. 63    II  dolce  sonno  mi  promise  pace; Ma  l'amaro  vegghiar  mi  torna  in  guerra: Il  dolce  sonno  è  ben  stato  fallace; Ma  r  amaro  vegghiare,  oimè !  non  erra. Ss'l  vero  annoia,  e  il  falso  si  mi  piace, Non  oda  o  vegga  mai  più  vero  in  terra: Se  '1  dormir  mi  dà  gaudio,  e  il  vegghiar  guai Possa  io  dormir  senza  destarmi  mai. 58  La  sala  queste  ed  altre  istorie  molte, Che  tutte  saria  lungo  riferire. In  vari  e  bei  colori  avea  raccolte; Ch'  era  ben  tal,  che  le  potea  capire. Tornano  a  rivederle  due  e  tre  volte. Né  par  che  se  ne  sappiano  partire; E  rileggon  più  volte  quel  eh'  in  oro Si  vedea  scritto  sotto  il  bel  lavoro. 59  Le  belle  donne,  e  gli  altri  quivi  stati, Mirando  e  ragionando  insieme  un  pezzo, Fur  dal  Signore  a  riposar  menati; Ch'onorar  gli  osti  suoi  molt'era  avvezzo. Già  sendo  tutti  gli  altri  addormentati, Bradamante  a  corcar  si  va  da  sezzo; E  si  volta  or  su  questo  or  su  quel  fianco, Né  può  dormir  sul  destro  né  sul  manco. 60  Pur  chiude  alquanto  appresso  all'alba  i  lumi, E  di  veder  le  pare  il  suo  Ruggiero, Il  qual  le  dica: Perchè  ti  consumi, Dando  credenza  a  quel  che  non  è  vero? Tu  vedrai  prima  all' erta  andare  i  fiumi, Ch'ad  altri  mai,  eh' a  te,  volga  il  pensiero. S'io  non  amassi  te,  né  il  cor  potrei Né  le  pupille  amar  degli  occhi  miei. 61  E  par  che  le  soggiunga:  Io  son  venuto Per  battezzarmi,  e  far  quanto  ho  promesso; E  s' io  son  stato  tardi,  m' ha  tenuto Altra  ferita,  che  d'amore,  oppresso. Fuggesi  in  questo  il  sonno,  né  veduto È  più  Ruggier,  che  se  ne  va  con  esso. Rinnova  allora  i  pianti  la  donzella, E  nella  mente  sua  cosi  favella: 62  Fu.  quel  che  piacque,  un  falso  sogno:  e  que4o Che  mi  tormenta,  ahilassa!  è  un  vegghiar  vero. Il  ben  fu  sogno  a  dileguarsi  presto; Ma  non  è  sogno  il  martire  aspro  e  fiero. Perch'or  non  ode  e  vede  il  snso  desto Quel  ch'udire  e  veder  parve  al  pensiero? A  che  condizione,  occhi  miei,  sete, Che  chiusi  il  ben,  e  aperti  il  mal  vedete? 64    Oh  felici  animai  eh'  un  sonno  forte Sei  mesi  tien  senza  mai  gli  occhi  aprire! Che  s'assimigli  tal  sonno  alla  morte. Tal  vegghiare  alla  vita,  io  non  vo'dire; Ch'a  tutt' altre  contraria  la  mìa  sorte Sente  morte  a  vegghiar,  vita  a  dormire: Ma  s'a  tal  sonno  morte  s' assimiglia, Deh,  Morte,  or  ora  chiudimi  le  ciglia  ' Stanza  52. 65  Dell' orizzonte  il  Sol  fatte  avea  rosse L'estreme  parti,  e  dileguate  intorno S' eran  le  nubi,  e  non  parca  che  fosse Simile  all'altro  il  cominciato  giorno; Quando  svegliati  Bradamante  armosse, Per  fare  a  tempo  al  suo  cammin  ritorno, Reudute  avendo grazie  a  quel  Signore Del  buon  albergo  e  dell'avuto  onore. 66  E  trovò  che  la  donna  messaggiera. Con  damigelle  sue,  con  suoi  scudieri Uscita  della  rócca,  venut'era Là  dove  l'atteudeau  quei  tre  guerrieri; Quei  che  con  l'asta  d'oro  essa  la  sera Fatto  avea  riversar  giù  dei  destrieri, E  che  patito  aveau  con  gran  disagio La  notte  l'acqua  e  il  vento  e  il  elei  malvagio. 67    Arroge  a  tanto  mal,  eh a  corpo  vóto Ed  essi  e  i  lor  cavalli  eran  rimasi, Battendo  i  denti  e  calpestando  il  loto; Ma  quasi  lor  più  incresce,  e  senza  quasi Incresce  e  preme  più,  che  farà  noto La  messaggìera,  appresso  agli  altri  casi, Alla  sua  Donna,  che  la  prima  lancia Gli  abbia  abbattuti,  c'han  trovata  in  Fr.iiic.a. Stanza  55 68    E  presti  o  di  morire,  o  di  vendetta Subito  far  del  ricevuto  oltraggio, Acciò  la  messaggiera,  che  fu  detta Dilania,  che  nomata  più  non  aggio, La  mala  opinion  ch'avea  concetta Forse  di  lor,  si  tolga  del  coraggio, La  figliuola  d  Amon  sfidano  a  giostra Tosto  che  fuor  del  Spente  ella  si  mostra:69  Non  pensando  però  che  sia  donzella; Che  nessun  gesto  di  donzella  avea. Bradamante  ricusa,  come  quella Ch'in  fretta  già,  né  soggiornar  volea. Pur  tanto  e  tanto  fur  molesti,  eh'  ella, Che  negar  senza  biasmo  non  potea, Abbassò  V  asta,  ed  a  tre  colpi  in  terra Li  mandò  tutti;  e  qui  fini  la  guerra; 70  Che  senza  più  voltarsi  mostrò  loro Lontan  le  spalle,  e  dileguossi  tosto. Quei  che,  per  guadagnar  lo  scudo  d' oro, Di  paese  venian  tanto  discosto, Poi  che  senza  parlar  ritti  si  foro, Che  ben  V  avean  con  ogni  ardir  deposto, Stupefatti  parean  di  maraviglia, Né  verso  Ullania  ardìan  d'alzar  le  ciglia; 71  Che  con  lei  molte  volte  percammino Dato  s' avean  troppo  orgogliosi  vanti:Che  non  é  cavalier  né  paladina Ch'ai  minor  di  lor  tre  durasse  avanti. La  donna,  perchè  ancor  più  a  capo  chiuo Vadano,  e  più  non  sian  cosi  arroganti, Fa  lor  saper  che  fu  femmina  quella, Non  paladin,  che  li  levò  di  sella. 72  Or  che  dovete,  diceva  ella,  quando Cosi  v'  abbia  una  femmina  abbattuti, Pensar  che  sia  Rinaldo  o  che  sia  Orlando, Non  senza  causa  in  tant'onoie  avuti? S'un  d'es8Ì  avrà  lo  scudo,  io  vi  domando Se  migliori  di  quel  che  siate  suti Coutra  una  donna,  contra  lor  sarete? Non  credo  io  già,  né  voi  forse  il  credete. 73  Questo  vi  può  bastar;  né  vi  bisogna Del  valor  vostro  aver  più  chiara  prova:E  quei  di  voi,  che  temerario  agogna Far  di  sé  in  Francia  esperienzia  nuova, Cerca  giungere  il  danno  alla  vergogna In  che  ieri  ed  oggi  s' è  trovato  e  trova; Se  forse  egli  non  stima  utile  e  onore  " Qualor  per  man  di  tai  guerrier  si  muore. 74  Poi  che  ben  certi  i  cavalieri  fece Ullania,  che  quell'era  una  donzella. La  qual  fatto  avea  nera  più  che  pece La  fama  lor,  ch'esser  solea  si  bella; E  dove  una  bastava,  più  di  diece Persone  il  detto  conferm&r  di  quella; Essi  fur  per  voltar  l'arme  in  sé  stessi, Da  tal  dolor,  da  tanta  rabbia  oppressi. CANTO   TRENTESIMOTERZO. 75    E  dallo  sdegno  e  dalla  furia  spinti, L  arme  si  spoglian,  quante  n'hanno  indosso; Né  si  lascian  la  spada  onde  erau  cinti, E  del  Castel  la  gittano  nel  fosso; E  giuran,  poiché  gli  ha  una  donna  vinti, E  fatto  sul  terren  hattere  il  dosso, Che,  per  purgar  sì  grave  error,  staranno Senza  inni  vestir  Tarme  intero  un  anno; 76     E  che  n'  andranno  a  pie  pur  tuttavia, 0  sia  la  strada  piana,  o  scenda  o  saglia; Né,  poi  che  Tanno  anco  finito  sia, Saran  per  cavalcare  o  vestir  maglia, S'altr'arme,  altro  destrier  da  lor  non  fia Guadagnato  per  forza  di  battaglia. Cosi  senz'arme,  per  punir  lor  fallo, Essi  a  pie  83  n'andar,  gli  altri  a  cavallo. 77    Bradamante  la  sera  ad  an  castello Ch'  alla  via  di  Parigi  si  ritrova, Di  Carlo  e  di  Rinaldo  suo  fratello, Ch'avean  rotto  Agramante,  udì  la  nuova. Quivi  ebbe  buona  mensa  e  buono  ostello:Ma  questo  ed  ogn' altro  agio  poco  giova; Che  poco  mangia,  e  poco  dorme  e  poco, Non  che  posar,  ma  ritrovar  può  loco. 79    SeuzA  che  tromb"i  o  segno  altro  accennasse Quando  a  muover  s'avean,  senza  maestro Che  lo  schermo  e  'I  ferir  lor  ricordasse, E  lor  pungesse  il  cor  d'animoso  estro, L'uno  e  1'  altro  d'accordo  il  ferro  trasse, E  si  venne  a  trovare  agile  e  destro. I  spessi  e  gravi  colpi  a  farsi  udire Incominciaro,  ed  a  scaldarsi  l'ire. 78    Non  però  di  costei  voglio  dir  tanto, Ch'io  non  ritomi  a  quei  duo  cavalieri Che  d'accordo  legato  aveano  accanto La  solitaria  fonte  i  duo  destrieri. La  pugna  lor,  di  che  vo'  dirvi  alquanto, Non  è  per  acquistar  terre  né  imperi; Ma  perché  Durindana  il  più  gagliardo Abbia  ad  avere,  e  a  cavalcar  Baiardo. 80    Due  spade  altre  non  so,  per  prova  elette Ad  esser  ferme  e  solide  e  ben  dure, Ch'  a  tre  colpi  di  quei  si  fosser  rette, Cir  erano  fuor  di  tutte  le  misure:3Ia  quelle  fur  di  tempre  sì  perfette, Per  tante  esperienzie  sì  sicure,' Che  ben  poteano  insieme  riscontrarsi Con  mille  colpi  e  più,  senza  spezzarsi. 81    Or  qua  Binaldo  or  là  mutando  il  passo Con  gran  destrezza,  e  molta  industria  ed  arte, Fuggia  di  Durindana  il  gran  fracassò; Che  sa  ben  come  spezza  il  ferro  e  parte. Feria  maggior  percosse  il  re  Gradasso; Ma  quasi  tutte  al  vento  erano  sparte:Se  coglieva  talor,  coglieva  in  loco Ove  potea  gravare  e  nuocer  poco. stanza  84. 82  L altro  con  più  ragion  sua  spada  inchina, £  fa  spesso  al  Pagan  stordir  le  braccia; £  quando  ai  fianchi  e  quando  ove  confina La  corazza  con  V  elmo,  gli  la  caccia:Ma  trova  V  armatura  adamantina:Sì  ch'una  maglia  non  ne  rompe  o  straccia. Se  dura  e  forte  la  ritrova  tanto, Avvien  perch'ella  è  fatta  per  incanto. 83  Senza  prender  riposo  erano  stati Gran  pezzo  tanto  alla  battaglia  fisi. Che  vólti  gli  occhi  in  nessun  mai  de'  Iati Aveano,  fuor  che  nei  turbati  visi; Quando  da  un'altra  zuffa  distornati, £  da  tanto  furor  furon  divisi. Ambi  voltaro  a  un  gran  strepito  il  ciglio, £  videro  Baiardo  in  gran  periglio. 84  Vider  Baiardo  a  zuffa  con  nn  mostro Ch'era  più  di  lui  grande,  ed  era  augnello: Avea  più  lungo  di  tre  braccia  il  rostro; L'altre  fattezze  avea  di  vipistrello; Avea  la  piuma  negra  come  inchiostro, Avea  l'artiglio  grande,  acuto  e  fello; Occhi  di  fuoco,  e  sguardo  avea  crudele:L'ale  avea  grandi,  che  parean  due  vele. 85  Forse  era  vero  augel;  ma  non  so  dove 0  quando  un  altro  ne  sia  stato  tale. Non  ho  veduto  mai,  né  Ietto  altrove, Fuor  ch'in  Turpin,  d'un  sì  fatto  animale. Questo  rispetto  a  credere  mi  muove,  • Che  r  augel  fosse  un  diavolo  infernale Che  Malagìgi  in  quella  forma  trasse, Acciò  che  la  battaglia  disturbasse. 86  Rinaldo  il  credette  anco,  e  gran  parole £  sconce  poi  con  Malagìgi  n'ebbe. £gli  già  confessar  non  glie  lo  vuole; £  perchè  tor  di  colpa  si  vorrebbe, Giura  pel  Inme  che  dà  lume  al  Sole, Che  di  questo  imputato  esser  non  debbe. Fosse  augello  o  demonio,  il  mostro  scese Sopra  Baiardo,  e  con  l'artiglio  il  prese. 87  Le  redini  il  destrier,  eh'  era  possente, Subito  rompe,  e  con  sdegno  e  con  ira Contra  l'augello  i  calci  adopra  e'I  dente; Ma  quel  veloce  in  aria  si  ritira:Indi  ritoma,  e  con  l'ugna  pungente Lo  va  battendo,  e  d'ogn'  iutomo  gira. Baiardo  offeso,  e  che  non  ha  ragione Di  schermo  alcun,  ratto  a  fuggir  si  pone. 88  Fugge  Baiardo  alla  vicina  selva, £  va  cercando  le  più  spesse  fronde: Segue  di  sopra  la  pennuta  belva Con  gli  occhi  fisi  ove  la  via  seconde: Ma  pure  il  buon  destrier  tanto  s'inselva, Ch'alfin  sotto  una  grotta  si  nasconde. Poi  che  r  alato  ne  perde  la  traccia, Ritoma  in  cielo,  e  cerca  nuova  caccia. 89  Rinaldo  e  '1  re  Gradasso,  che  partire Veggono  la  cagion  della  lor  pugna, Restan  d'accordo  quella  differire Finché  Baiardo  salvino  dall'ugna Che  per  la  scura  selva  il  fa  fuggire; Con  patto,  che  qual  d'essi  lo  raggiogna, A  quella  fonte  lo  restituisca, Ove  la  lite  lor  poi  si  finisca. CANTO    TRENTESIMOTERZO.90  Seguendo,  si  partir  dalla  fontana, L'erbe  novellamente  in  terra  peste. Molto  da  lor  Baiardo  s' allontana, Ch'ebbon  le  piante  in  seguir  lui  mal  preste. Gradasso,  che  non  lungi  ayea  V  Alfana, Sopra  vi  salse,  e  per  quelle  foreste Molto  lontano  il  Paladin  lasciosse, Tristo  e  peggio  contento  che  mai  fosse. I  Einaldo  perde  V  orme  in  pochi  passi Del  suo  destrier,  chefa  strano  Viaggio; Ch'  andò  rivi  cercando,  arbori  e  sassi, II  più  spinoso  luogo,  il  più  selvaggio. Acciò  che  da  quella  ugna  si  celassi, Che  cadendo  dal  ciel  gli  facea  oltraggio. Einaldo,  dopo  la  fatica  vana, Ritornò  ad  aspettarlo  alla  fontana; Se  da  Gradasso  tI  fosse  condutto, 3ì  come  tra  lor  dianzi  si  convenne. Ma  poi  che  far  si  vide  poco  frutto, Dolente  e  a  piedi  in  campo  se  ne  venne. )r  torniamo  a  quell'altro,  al  quale  in  tutto )iverso  da  Rinaldo  il  caso  avvenne. on  per  ragion,  ma  per  suo  gran  destino enti  annitrire  il  buon  destrier  vicino; 96  Voglio  Astolfo  seguir,  ch'a  sella  e  a  morso A  uso  fàcea  andar  di  palafreno L'Ippogrifo  per  V  aria  a  si  gran  corso, Che  l'aquila  e  il  falcon  vola  assai  meno. Poi  che  de' Galli  ebbe  il  paese  scorso Da  un  mare  all'altro,  e  da  Pirene  al  Reno, Tornò  verso  Ponente  alla  montagna Che  separa  la  Francia  dalla  Spagna. 97  Passò  in  Navarra.  et  indi  in  Aragona, Lasciando  a  chi  '1  vedea  gran  maraviglia. Restò  lungi  a  sinistra  Tarracona, Biscaglia  a  destra,  ed  arrivò  in  Castiglia. Vide  Galizia  e'I  regno  d'Ulisbona; Poi  volse  il  corso  a  Cordova  e  Siviglia: Né  lasciò  presso  il  mar  né  fra  campagna Città,  che  non  vedesse  tutta  Spagna. 98  Vide  le  Gade,  e  la  meta  che  pose Ai  primi  naviganti  Ercole  invitto. Per  l'Africa  vagar  poi  si  dispose Dal  mar  d'Atlante  ai  termini  d'Egitto. Vide  le  Baleariche  famose, E  vide  Eviza  appresso  al  cammiu  dritto. Poi  volse  il  freno  e  tornò  verso  Arzilla Sovra  '1  mar  che  da  Spagna  dipartilla. E  lo  trovò  nella  spelonca  cava, •eir  avuta  paura  anco  sì  oppresso, h' uscire  allo  scoperto  non  osava: erciò  l'ha  in  suo  potere  il  Pagan  messo, sn  della  convenzion  si  raccordava, i'  alla  fonte  tornar  dovea  con  esso; a  non  è  più  disposto  d'osservarla, cosi  in  mente  sua  tacito  parla:Abbial  chi  aver  lo  vuol  con  lite  e  guerra; d'averlo  con  pace  più  disio, li'  uno  all' altro  capo  della  terra i  venni,  e  sol  per  far  Baiardo  mio. ch'io  l'ho  in  mano,  ben  vaneggia  ed  erra i  crede  che  depor  lo  voless'io. Rinaldo  lo  vuol,  non  disconviene, ne  io  già  in  Francia,  or  s'egli  in  India  viene. on  men  sicura  a  lui  fia  Sericana, :  già,  dne  yolte  Francia  a  me  sia  stata. ì  dicendo,  per  la  via  più  piana venne  in  Arli,  e  vi  trovò  l'armata; uindi  con  Baiardo  e  Durindana "arti  sopra  una  galea  spalmata. questo  a  un'altra  volta;  ch'or  Gradasso, lido   e  tutta  Francia  addietro  lasso. 99  Vide  Marocco,  Feza,  Orano,  Ippona, Algier,  Buzea,  tutte  città  superbe, C hanno  d'altre  città  tutte  corona. Corona  d'oro,  e  non  di  fronde  o  d'erbe. Verso  Biserta  e  Tunigi  poi  sprona; Vide  Capisse  e  l'isola  d'Alzerbe, E Tripoli  e  Bemicche  e  Tolomitta, Sin  dove  il  Nilo  in  Asia  si  tragitta. 100  Tra  la  marina  e  la  silvosa  schena Del  fiero  Atlante  vide  ogni  contrada. Poi  die  le  spalle  ai  monti  di  Carena, E  sopra  i  Cirenei  prese  la  strada; E  traversando  i  campi  dell'arena. Venne  a'confin  di  Nubia  in  Albaiada. Rimase  dietro  il  cimiter  di  Batto, E'I  gran  tempio  d'Amon,  ch'oggi  è  disfatto. 101  Indi  giunse  ad  un'altra  Tremisenne, Che  di  Maumetto  pur  segue  lo  stilo. Poi  volse  agli  altri  Etìopi  le  penne. Che  con  tra  questi  son  di  là  dal  Nilo. Alla  città  di  Nubia  il  cammin  tenne Tra  Dobada  e  Coalle  in  aria  a  filo. Questi  Cristiani  son,  quei  Saracini; E  stan  con  l'arme  in  man  sempre  a' confini. 102    Senàpo  ìmperator  della  Etiopia, di' in  loco  tìen  di  scettro  in  man  la  croce, Di  gente,  di  cittadi  e  d'oro  ha  copia Quindi  fin  là  dove  il  mar  Rosso  ha  foce; E  serva  quasi  nostra  Fede  propia, Che  può  salvarlo  dall'esilio  atroce. Gli  è,  s'io  non  piglio  errore,  in  questo  loco Ove  al  battesmo  loro  usano  il  fuoco. 103    Dismontò  il  duca  Astolfo  alla  gran  come Dentro  di  Nubia,  e  visitò  il  Senàpo. Il  castello  è  più  ricco  assai  che  forte. Ove  dimora  d'Etiopia  il  capo. Le  catene  dei  ponti  e  delle  porte. Gangheri  e  chiavistei  da  piedi  a  capo, E  finalmente  tutto  quel  lavoro Che  noi  di  ferro  usiamo,  ivi  usan  d  ore. stanza  99 tJ  '  '  '/  /.}  .  ?f  ::104    Ancorché  del  finissimo  metallo Vi  sia  tale  abbondanza,  è  pur  in  pregio. Colonnate  di  limpido  cristallo Son  le  gran  logge  del  palazzo  regio. Fan  rosso,  bianco,  verde,  azzurro  e  giallo Sotto  i  bei  palchi  un  relucente  fregio, Divisi  tra  proporzionati  spazj, Ruin .  smeraldi,  zaffiri  e  topazj. 105    In  mura,  in  tetti,  in  pavimenti  sparte Eran  le  perle,  eran  le  ricche  gemme. Quivi  il  balsamo  nasce: e  poc.i  parte N'ebbe  appo  questi  mai  Gerusalemme. Il  muschio  eh' a  noi  vi.u,  quindi  si  parte; Quindi  vien  l'ambra,  e  cerca  altre  maremme; Vengon  le  cose  in  somma  da  quel  canto. Che  rei  paesi  nostri  vagliou  tanto. CANTO   TEENTESIMOTEEZO.m  Si  dice  che'l  Soldan,  Re  dell'Egitto, A  qnel  Re  dà  tributo,  e  sta  soggetto, Perebbe  in  poter  dì  lui  dal  cammin  dritto Levare  il  Nilo,  e  dargli  altro  ricetto, E  per  questo  lasciar  subito  afflitto Di  fame  il  Cairo  e  tutto  quel  distretto. Senàpo  detto  è  dai  sudditi  suoi:Gli  diciam  Presto  o  Preteianni  noi. 107    Di  quanti  Re  mai  d' Etiopia  foro, n  più  ricco  fu  questi  e  il  più  possente; Ma  con  tutta  sua  possa  e  suo  tesoro, Gli  occhi  perduti  avea  miseramente. E  questo  era  il  minor  d'ogni  martore:Molto  era  più  noioso  e  più  spiacente, Che,  quantunque  ricchissimo  si  chiame, Cruciato  era  da  perpetua  fame. stanza  126 Se  per  mangiare  o  ber  quello  infelice iiia  cacciato  dal  bisogno  grande, sto  apparia  rinfemal  schiera  ultrice, monstmose  Arpie  brutte  e  nefande, i  col  grrifo  e  con  V  ugna  predatrice rg:eano  i  vasi,  e  rapian  le  vivande [liei  che  non  capia  lor  ventre  infiordo:rimanea  contaminato  e  lordo. 109    E  questo,  perch essendo  d'anni  acerbo, E  vistosi  levato  in  tanto  onore, Che,  oltre  alle  ricchezze,  di  più  nerbo Era  di  tutti  gli  altri,  e  di  più  core; Divenne,  come  Lucifer,  superbo, E  pensò  muover  guerra  al  suo  Fattore. Con  la  sua  gente  la  via  prese  al  dritto Al  monte  ond' esce  il  gran  fiume  d'Egitto. 110    Inteso  ayea  che  su  quel  monte  alpestre, Ch'oltre  alle  nuhi  e  presso  al  del  si  leva, Era  quel  Paradiso  che  terrestre Si  dice,  ove  ahitò  già  Adamo  ed  Eva. CJon  caramelli,  elefanti,  e  con  pedestre Esercito,  orgoglioso  si  moveva Con  gran  desir,  se  v'abitava  gente, Di  farla  alle  sue  legi  ubbidiente. Ili    Dio  gli  represse  il  temerario  ardire, E  mandò  V  Angel  suo  tra  quelle  frotte, Che  centomila  ne  fece  morire, E  condannò  lui  di  perpetua  notte. Alla  sua  mensa  poi  fece  venire L'orrendo  mostro  dall' infernal  grotte. Che  gli  rapisce  e  contamina  i  cibi. Né  lascia  che  ne  gusti  o  ne  delibi. 112    Ed  in  desperazion  continua  il  mésse Uno  che  già  gli  avea  profetizzato Che  le  sue  mense  non  sarieno  oppresse Dalla  rapina  e  dall'odore  ingrato, Quando  venir  per  l'aria  si  vedesse Un  cavalier  sopra  un  cavallo  alato. Petckè  dunque  impossibil  parea  questo, Privo  d'ogni  speranza  vivea  mesto. 116  E  di  marmore  un  tempio  ti  prometto Edificar  nell'alta  reggia  mia, Che  tutte  d'oro  abbia  le  porte  e  '1  tetto, E  dentro  e  fuor  di  gemme  ornato  aia; E  dal  tuo  santo  nome  sarà  detto, E  del  miracol  tuo  scolpito  fia. Cosi  dicea  quel  Re  che  nulla  vede. Cercando  invan  baciar  al  Duca  il  piede. 117  Rispose  Astolfo:  Né  l'Angel  di  Dio, Né  son  Messia  novel,  né  dal  ciel  vegno; Ma  son  mortale  e  peccatore  anch'io. Di  tanta  grazia  a  me  concessa  indegno. Io  farò  ogn'opra,  acciò  chel  mostro  rio, Per  morte  o  fuga,  io  ti  levi  del  regno. S' io  il  fo,  me  ncn,  ma  Dio  ne  loda  solo, Che  per  tuo  aiuto  qui  mi  drizzò  il  volo. 118  Fa  questi  voti  a  Dio,  debiti  a  Ini: A  lui  le  chiese  edifica  e  gli  altari Cosi  parlando,  andavano  ambidui Verso  il  castello  fra  i  Baron  preclari, n  Re  comanda  ai  servitori  sui, Che  subito  il  convito  si  prepari, Sperando  che  non  debba  essergli  tolta La  vivanda  di  mano  a  questa  volta. 113    Or  che  con  gran  stupor  vede  la  gente Sopra  ogni  muro  e  sopra  ogni  alta  torreEntrare  il  cavaliere,  immantinente É  chi  a  narrarlo  al  Re  di  Nubia  corre, A  cui  la  profezia  ri  toma  a  mente; Ed  obbli'ando  per  letizia  torre La  fedel  verga,  con  le  mani  innante Vien  brancolando  al  cavalier  volante. 119    Dentro  una  ricca  sala  immantinente Apparecchiossi  il  convito  solenne. Col  Senape  s' assise  solamente Il  duca  Astolfo,  e  la  vivanda  venne. Ecco  per  l'aria  lo  strider  si  sente, Percossa  intome  dall'erribil  penne; Ecco  venir  l'Arpie  bratta  e  ne&nde, Tratte  dal  ciel  a  odor  delle  vivande. 114  Astolfo  nella  piazza  del  castello Con  spaziose  mote  in  terra  scese. Poi  che  fu  il  Re  condotto  innanzi  a  quello, Inginocchiossi,  e  le  man  giunte  stese, E  disse:  Angel  di  Die,  Messia  novello, S'io  non  merto  perdono  a  tante  offese. Mira  che  proprio  é  a  noi  peccar  sovente, A  voi  perdonar  sempre  a  chi  si  pente. 115  Del  mio  error  consapevole,  non  chieggie Né  chiederti  ardirei  gli  antiqui  lumi. Che  tu  lo  possa  far,  ben  creder  deggio; Che  si  de' cari  a  Die  beati  numi. Ti  b.3ti  il  gran  martir  ch'io  non  ci  veggio, Senza  ch'ognor  la  fame  mi  consumi. Almen  discaccia  le  fetide  Arpie, Che  non  rapiscan  le  vivande  mie: 120  Erano  sette  in  una  schiera,  e  tutte Volto  di  donne  avean,  pallide  e  smorte. Per  lunga  &me  attenuate  e  asciutte, Orribili  a veder  più  che  la  morte. L'alacde  grandi  avean,  deformi  e  brutte; Le  man  rapaci,  e  Pugne  incurve  e  torte; Grande  e  fetide  il  ventre,  e  lunga  coda. Come  di  serpe  che  s'aggira  e  snoda. 121  Si  sentono  venir  per  l'aria,  e  quasi Si  veggon  tutte  a  un  tempo  in  sulla Rapire  i  cibi,  e  riversare  i  vasi: E  molta  feccia  il  ventre  lor  dispensa. Talché  gli  é  forza  d'atturare  i  nasi; Che  non  si  può  patir  la  puzza  immensa. Astolfo,  come  l'ira  lo  sospinge. Centra  gl'ingordi  augelli  il  ferro  strìnge.CANTO   TRENTESIMOTERZO.132   Uno  sol  collo,  un  altro  su  la  groppa Percuote,  e  chi  nel  petto,  e  chi  nelPala; Ma  come  fera  in  snn  sacco  di  stoppa, Poi  langae  il  colpo,  e  senza  effetto  cala; E  quei  non  vi  lasciar  piatto  né  coppa Che  fosse  intatta;  né  sgombrar  la  sala Prima  che  le  rapine  e  il  fiero  pasto Contaminato  il  tutto  avesse  e  guasto. 125    E  così  in  una  loggia  s'apparecchia Con  altra  mensa  altra  vivanda  nuova. Ecco  l'Arpie  che  fan  l'usanza  vecchia: Astolfo  il  corno  subito  ritrova. Gli  augelli,  che  non  han  chiusa  l'orecchia, Udito  il  suon,  non  puon  stare  alla  prova; Ma  vanno  in  fuga  pieni  di  paura,       " Né  di  cibo  né  d'altro  hanno  più  cura. 123    Avuto  avea  quel  Ee  ferma  speranza Nel  Duca,  che  l'Arpie  gli  discacciassi; £d  or  che  nulla  ove  sperar  gli  avanza, Sospira  e  geme,  e  disperato  stassi. Viene  al  Duca  del  corno  rimembranza. Che  suole  aitarlo  ai  perigliosi  passi; E  conchiude  tra  sé,  che  questa  via Per  discacciar  i  mostri  ottima  sia. 126    Subito  il  Paladin  dietro  lor  sprona: Volando  esce  il  destrier  fuor  della  loggia, E  col  Castel  la  gran  città  abbandona, E  per  l'aria  cacciando  i  mostri,  poggia. Astolfo  il  corno  tnttavolta  suona: Fuggon  l'Arpie  verso  la  zona  roggia, Tanto  che  sono  all'altissimo  monte, Ove  il  Nilo  ha,  se  in  alcun  luogo  ha,  fonte. 24    E  prima  fa  che  '1  Re,  con  suoi  Baroni, Di  calda  cera  l'orecchia  si  serra. Acciò  che  tutti,  come  il  corno  suoni. Non  abbiano  a  fuggir  fuor  della  terra: Prende  la  briglia,  e  salta  su  gli  arcioni Dell' Ippogrlfo,  ed  il  bel  corno  afferra; E  con  cenni  allo  scalco  poi  comanda Che  riponga  la  mensa  e  la  vivanda. 127    Quasi  della  montagna  alla  radice Entra  sotterra  una  profonda  grotta, Che  certissima  porta  esser  si  dice Di  eh'  allo  'nferno  vuol  scender  talotta. Quivi  s'è  quella  turba  predatrice. Come  in  sicuro  albergo,  ricondotta, E  giù  sin  di  Oocito  in  sulla  proda Scesa,  e  più  là,  dove  quel  suon  non  oda. 128    All'infemal  caliginosa  buca Ch'apre  la  strada  a  chi  abbandona  il  lume, Finì  l'orribil  suon  l'inclito  Duca, E  fe'raccorre  al  suo  destrier  le  piume. Ma  prima  che  più  innanzi  io  lo  conduca, Per  non  mi  dipartir  del miocostume,Poiché  da  tutti  i  lati  ho  pieno  il  foglio. Finire  il  Canto  e  riposar  mi  voglio. V  OTB. T.  1.  V.14.   Timaffora  di  Oalcide  gareggiò  con  Fidia. Parrasio,  nato  in  Efeso,  emalo  di  ZeusL   Polignoto Taso,  isola  dell'Arcipelago,  fa  de' primi  ad  usare  i  co .   Protogene  nato  a  Canno,  città  di  Caria  dipendente Rodi.   Timante  credesi  nato  a  CIdna,  una  delle  Ci li,  rivaleggiò  con  Parrasio.   Apollodoro  ateniese, in  gran  fama  circa  il  428.   Apelle,  nativo  di  Coo,  e adino  di  Efeso,  oscurò  gli  artisti  che  lo  avevano  pre ito;  visse  ai  tempi  di  Alessandro  il  Macedone.  ,8i  ebbe  i  natali  in  Eraclea,  e  contese  la  palma  a rasio  e  ad  Apolloioro  suoi  contemporanei. 'I.  V.5.   doto: una  delle  tre  Parche, r.  2.  V.15.   JB  quei  che  fwro  ai  nostri  dì,  ecc. nardo f  detto  da  Vinci,  dal  luogo  ove  nacque  nel  1452, )n  nel  1445,  come  leggesi  in  alcune  vite,  fu  pittor", ulioo  ed  architetto  militare:  mori  in  Francia  nel  1519. Andrea  Mantegna,  nato  in  Padova  nel  1430,  lavorò molto  in  Mantova:  morto  nel  1505.   Gian  Bellino  nacque in  Venezia  nel  1426,  e  di  79  anni  dipingeva  uno  de'  suoi capi  d'opera  che  adomano  il  Louvre.   Duo  Dossi.  Erano fratelli  e  ferraresi,  uno  di  nome  Dosso,  Taltro  Giambat tista. Dosso  nacque  nel  1474,  fa  grande  amico  del  Poeta, a  cui  fece  il  ritiatto.  Giambattista  era  paesista,  e  lavorò assai  pel  duca  Alfonso.   Michel,  più  che  mortale,  Angel divino:  il  Buonarroti,  ch'ebbe  i  natali  in  Caprese  del  ter ritorio Aretino,  nell'anno  1474;  fu  gigante  nelle  tre  arti sorelle: mori  nel  1564.   Bastiano:  più  conosciuto  sotto il  nome  di  Sebastiano  del  Piombo,  benché  Luciano  fosse il  vero  suo  nome.  Nacque  a  Venezia  nel  1485,  e  morì  in Roma  nel  1547.   Rafael:  Rafaello  Sanzio,  nato  in  Ur bino nel  1483;  mori  nel  1520   Tizian:  Tiziano  Vecel lio,  nato  nel  1477  a  Pieve  di  Cadore,  U  più  iUustre pennello  della  scuola  veneta:  il  contagio  Io  tolse  di  vita nel  1576. St.  4.  V.67.   AI  lago  Avemo:  lago  che  tuttora esiste  nei  dintoini  di  Pozzuoli.  Ivi  posero  i  mitologi  Fin grosso  all'inferno.   Alle  Nursine  grotte.  Indica  qui  il Poeta  nel  numero  del  più  una  grotta  detta  della  Sibilla, che  apresi  sul  monte  San  Vittore,  presso  ad  un  lago,  nel territoi;io  di Norcia,  e  dove  credevasi  che  si  adunassero le  streghe  per  feu'e  i  loro  incantesimi St.  8.  V.8.   Ch  ambi  a  un  tempo  furo.  È  questa una  finzione  del  Poeta;  perchè  Fieramente  o  Faiamondo visse  un  secolo  prima  del  re  Arturo. St.  9.  V.58.   Ter  lui:  da  Merlino.   Saper  fece  il periglio  a  Fieramonte,  a  che  di  molti  guai,  ecc.:  co struisci :  fece  sapere  a  Fieramonte  il  periglio  di  molti guaita  che  porrà  6fM  gente.   S'entranella  terra,  ecc., cioè  in  Italia,  quasi  colle  stesse  parole  del  Petrarca:Vedrollo  il  bel  paese  Ch  Appennin  parte  il  mar  cir conda e  VAlpe. St.  13.  V.28.   Singiberto  Fa  lor  veder,  ecc.  Vuol dire  che  Maurizio,  imperatore  di  Costantinopoli,  adescò con  denaro  il  re  di  Francia  Singiberto  a  scendere  in Italia  per  cacciarne  i  Longobardi   Dal  monte  di Giove:  il  grande  San  Gottardo.  Nel  pian  dal  Lambro e  dal  Ticino  aperto: cioè  la  pianura  lombarda:  il  Lam bro è  fiume  che  scorre  vicino  a  Monza;  il  Ticino  procede dal  lago  Maggiore,  e  toccando  Pavia,  mette  foce  nel TAdriatico.   Vedete  Eutar,  ecc.  Eutari  o  Autari,  re longobardo,  fu  quello  che  batto  e  disfece  Singiberto. Si.  14.  V.18.  Vedete  Clodoveo,  ecc.  Rammenta  un altro  re  di  Francia  che  condusse  per  V  Alpi  numeroso esercito  alla  conquista  d'Italia;  ma  restò  sconfitto  da Orimoaldo,  duca  di  Benevento,  che,  con  finta  ritirata  e  con lasciare  negli  alloggiamenti  molti  viveri  e  vino  assai,  ade scò i  soldati fiancesiad  inebbriarsi;  e  cosi  gli  distrusse. St.  15.  V.18.   Ecco  in  Italia  Childìberto,  ecc.  Que sti fu  zio  di  Clodoveo;  ed  a  vendicare  la  morte  del  ni pote fece  scendere  in  Lombardia  tre  corpi  d'esercito;  i quali  perirono  quasi  intieramente  per  la  spada  del  del; cioè  di  caldo  e  di  dissenteria. ST.  16.  V.18.   Mostra  Pipino,  e  nostra  Carlo  ap presso f  ecc.  Pipino  e  il  figlino!  suo  Carlo  Magno  ven nero successivamente  in  Italia  a  sostenere  i  papi  qui nominati  contro  i  re  Longobardi.  Aistulfo  fu  vinto  da Pipino;  e  Carlo  Magno  soggiogò  e  fece  prigione  il  re Desiderio,  dando  cosi  fine  a  quel  regno. St.  17.  V.18.   Lor  mastra  appresso  un  giovene Pipino,  ecc.  Ora  il  Poeta  introduce  Pipino,  Aglio  di Carlo  Magno,  il  quale  movendo  contro  i  Veneziani,  oc cupò un  tratto  di  paee,  dalle  Fornaci,  cioè  dalla  foce del  Po  detta  Bocca  di  Fossone,  air  isola  stretta  e  bis lunga che  chiamasi  Lido  di  Pelestrina.  Dopo  ch'egli  si fki  impadronito  delle  isolette  circostanti  a  Venezia,  fece gettare  a  Malamocco  un  ponte  di  legno  per  cui  giunse presso  Rialto,  dove combattè;  e  ritirandosi,  trovò  il ponte  disfatto  dalla  burrasca,  onde  i  suoi  ebbero  gra vissima perdita. St.  18.  V.18.   Ecco  Luigi  Borgognon,  ecc.  Venne anche  costui  in  Italia  per  farsela  sua;  ma  vinto  e  preso da  Berengario  I,  riebbe  la  libertà  sotto  promessa  di  non più  muovere  a  danno  della  Penisola;  ed  avendo  rotta la  data  fede,  fu  preso  di  nuovo  dal  secondo  Berengario; e  privato  degli  occhi,  fu  rimandato  in  Borgogna.  Talpe  per  talpa.  Si  credeva  in  que'  tempi  che  a  cosi fatti  animali  fosse  impedito  da  una  pellicola  V  organo della  vista. St.  19.  V.18.   Vedete  un  Ugo  d'Arti,  ecc gario  II,  detronizzato  da  Rodolfo  re  di  Borgogna,  s.ty volse  agli  Unni  o  Ungheri,  perdio  lo  aosteneesero  eo"n quel  re;  dai  quali  egli  mal  difendendosi  per  la  snméKt pocaggine,  gì'  Italiani  ricorsero  ad  Ugo  conte  di  Ari . che,  riuscito  nell'impresa,  regnò  per  dieci  attaL  Ma  te nuto anch' egli  nell'odio  de' sudditi,  dovè  pattuire  cu Berengario  III,  il  quale  dopo  la  morte  di  Ugo  e  dd  ii lui  figlio  Lottarlo,  riebbe  il  dominio  d  Italia. St.  20.  v.18.   Vedete  un  altro  Carlo,  ecc.  Fa  q" sti  Carlo  d'Angìò,  fratello  di  Luigi  IX  re  dì  Fraasa, che  invitato  da  Clemente  IV  discese  in  Italia;  ed  aveaé combattuto  e  vinto  Manfredi  a  Benevento,  poi  CoixadiM a  Tagliacozzo,  usurpò  il  regno  di  Napoli  e  la  Sicilia. dove  per  le  oppressioni  dei  Francesi  scoppiò  il  Fefpro Siciliano.   Del  buon  pastor:  ò  detto  per  ironia,  poi ché a  Clemente  IV  dovette  l'Italia  una  terribOe  seiic  di gueiTe.   E  Corradtno.  Coi  radino  di  Svevia  non  fa veramente  morto  in  battaglia,  ma  preso  mentre  iogp vasene  in  rotta,  e  dopo  alcuni  mesi  di  prione"  a  mci tamen  o  del  buon  pastore,  decapitato  sulla  piazza  del l'Annunziata in  Napoli. St.  21.  V.38.   Scender  dai  monti  un  eapHmm Gallo,  ecc  Giovanni  III,  conte  d'Armagnac,  detto  ncik Stanza  seguente  Armeniaco.  Venuto  in  Italia  codk  al leato dei  Fiorentini  contro  Galeazzo  Visconti  duca  Ai Milano,  fu  preso  in  mezzo  sotto  Alessandria,  ed  ivi battuto  e  rimasto  prigioniero,  mori  poco  appresso,  per le  riportate  ferite. St.  23.  V.18.   Un,  detto  della  Marca:  Iacopo  diBorbone,  conte  della  Marca.  Fu  marito  della  regiat Giovanna,  che  poi  lo  scacciò  dal  regno,  e  adottò  AlfoBS" d'Aragona,  il  quale  sconfisse  successivamente  Lsigi  e Rinieri  d'Angiò,  pretendenti  al  regno  di  Napoli  Mone Alfonso,  il  figlio  di  lui,  Ferrante  d'Aragona,  che  gli  sncee dette,  vinse  Giovanni  d'Angiò  che  contrastavali  il  trono. St.  24.  V.18. Vedete  Carlo  ottavo,  ecc.  Parlasi  della discesa  di  Carlo  Vili  in  Italia (1494),  U  quale  dopo  aver passato  il  Liri,  cioè  il  Garigliano,  occupò  senza  eoa trasto  il  reame  di  Napoli,  meno  l'isola  d'Ischia  (qaì  a nella  St.  52  del  Canto  XXVI  detta  scoglio,  e  montt nella  St.  23  del  Canto  XVI),  difesa  da  Inico  del  Tasto del  sangue  degli  Avalos. St.  27.  V.78.   Un  cavaliero,  ecc.  Accenna  il  mar chese Don  Alfonso  del  Vasto. St.  28.  y.  18.   Paragona  le  qualità  del  marchese del  Vasto  a  queUe  che  Omero  attribuisce  a  Nireo,  ad Achille,  ad  Ulisse  e  a  Nestore,  e  che  la  storia  dà  a  Ce sare.  Lada:  velocissimo  cursore  di  Alessandro  il Macedone. St.  29.  V.24.   Quando  il  nipote,  ecc.  Giove  figUooIo di  Saturno,  ch'era  figlio  di  Gelo  e  di  Opi,  ebbe  i  natali in  Creta,  secondo  i  mitologi.   Dei  duo  gemelli  Delo: Apollo  e  Diana,  nati  ad  un  parto  in  queir  isola  da  Iia tona,  ohe  trovò  ivi  refùgìo  dall'ira  di  Giunone. St.  31.  V.18.   Ecco,  dicea  si  pente  Ludovico,  ho dovico  Sforza,  emulo  di  Alfonso  d'Aragona,  eccitò  Gir lo Vni  a  venire  in  Italia. St.  32.  V.ìS.   Mala  sua  gente,  ecc.  Ferrante,  figlio di  Alfonso,  con  V  aiuto  de'  Veneziani  e  del  mar<Aese  di Mantova,  cacciò  intieramente  dal  regno  i  Francesi; e  l'ultimo  fatto  d'armi  fu  la  battaglia  d'Atella. St.  33.  V.68.   Con  un  trattato  doppio,  ecc.  11  mar chese di  Pescara  avea  guadagnato  con  denaro  un  negro schiavo  nell'esercito  Aancese,  che  gli  promise  d intro durre gli  Aragonesi  nel  Castel  Nuovo  di  Napoli;  ma  il CANTO    TEENTESIMOTERZO. negro,  doppiamente  traditore,  scoperse  il  tatto  ai  Fran cesi, e  prezzolalo,  accise  insidiosamente  il  Pescara. St.  34.  V.18.   Fui  mostra  il  duodecimo  Luigi,  eco. Luigi  XU  re  di  Francia,  scése  in  Italia  il  1499,  cacciò Lodovico  Sforza  dal  dacato  di  Milano,  e  quindi  si  volse  ad occupare  il  regno  di  Nnpoli;  ma  le  sue  genti  furono  rotte e  disperse  dagli  Aragonesi  al  passaggio  del  (origliano. St.  35.  V.18.   Vedete  in  Puglia,  ecc.  Si  allude  alla battaglia  della  Cirignola  vinta  dagli  Aragonesi  nel  1503 Balle  truppe  di  K rancia.   Nel  ricco  pian,  ecc.:  nella pianura  lombarda.   Adria:  TAdriatico. St.  36.  V.36.   Uno  che  vende,  ecc.  Bernardino  da lOTte,  a  cui  lo  Sforza  aveva  affidata  la  custodia  del castello  di  Milano,  lo  cedo  per  danaro  ai  Francesi.   U lerfido  Svinerò.  Lo  Sforza  fu  tradito  dagli  Svizzeri. St.  37.  V.18.   Cesar  Borgia,  ecc.  Questo  famoso igliuolo  di  papa  Alessandro  VI,  sposata  eh'  ebbe  una arente  del  re  di  Navarra,  e  divenuto  signore  di  Ro iagna,pose  in  opera  ferro  e  veleno  contro  i  Colonnesi, Gaetanì,  gli  Orsini:  spense  i  Varano  da  Camerino,  e )lse  Io  Stato  a  molti  baroni,  fra  i  quali  i  Malatesta  di imini,  i  Manfredi  di  Faenza,  Giovanni  Sforma  di  Pesaro Ouidobaldo  di  Montefeltro.   Poi  mostra  il  re,  ecc. aria  ancora  di  Luigi  XII,  che  dopo  avere  espulsi  di  So gna i  Bentivoglio,  lo  stemma  de'  quali  presentava  una iffa,  fece  rientrare  quella  città  sotto  il  dominio  di  papa iulio  II,  indicato  con  l'emblema  delle  Giande, St.  38.  V.14.   Vedete,  dice poiy  di  gente  morta,  ecc, geenna  alla  giomata  di  Ghiaradadda,  combattuta  nel maggio  1509,  nella  quale  i  Veneziani furono  sconfitti, sendovi  rimasto  prigione  il  comandante  del  loro  eser o,  Bartolommeo  d'Alviano.   v.58.  Vedete  come  al pa,  ecc.  Lo  stesso  Luigi  XU  si  oppose  a  papa  Giulio, e,  dichiarata  la  guerra  al  duca  Alfonso,  gli  avea  tolta •dona;  ed  anzi  fece  riavere  ai  Bentivoglio  la  signoria Bologna,  spogliandone  il  papa. >T.  39.  V.38.   Vedete  il  campo  de'  Franceschi: jcheggio  di  Brescia,  nel  1512.   Del  lito  de  Chiassi: 8se,  luogo  presso  Ravenna,  antico  porto  de  Romani, .  pienamente  interrito. T.  40.  V.18.   Di  qua  la  Francia,  ecc.  Rammenta nuovo  la  battaglia  di  Ravenna. T.  41.  V.78.   E  che  posto  un  rampollo,  ecc.  Mas illano,  figlio  di  Lodovico  Sforza,  che  riebbe  il  ducato Milano  perduto  dal  padre. r.  42.  V.14   Ecco  toma  il  Francese,  ecc.  Accen i  qui  la  battaglia  della  Riotta  presso  Novara,  com ;uta  e  vinta  da  Massimiliano  (6  giugno  1513)  col  mezzo e  truppe  svizzere,  che  il  Poeta  dice  infedeli,  pel  tra ento  anteriore,  a  danno  di  Lodovico.  Per  tale  vitto Leon  X,  che  aveva  fornito  il  soldo  agli  Svizzeri,  diede il  titolo  di  difensori  della  Chiesa. :  43,  V.18.  -E  con  miglior  auspicio,  ecc.  Fran 0  I,  succeduto  a  Luigi XII,  disfece  gli  Sviz  eri  nella aglia  di  Marignano,  e  quindi  s'impadroni  di  Milano. .44.  V.38.   Ecco  Borbon,  ecc.  Carlo  di  Borbone ideva  per Francesco  1  Milano  contro  gì'  Imperiali, poi  gliela  tolsero. .  45.  V.18   Intende  di  Francesco  Sforza,  nipote )monimo,  che,  aiutato  dal  papa,  riacquistò  il  Mila e  continuando  nella  guerra  i  Francesi,  questi  f trattennti  da  Federigo  Gonzaga,  duca  di  Mantova oro  impedi  d'entrar  in  Pavia. 46.  V.68.   E  del  Leon  del  mar:  de'  Veneziani. uo  fnarehesi,  ecc.: di  Pescara  e  del  Vasto. St.  49.  V.3 La  Bicocca:  castello  vicino  a  Pavia, sotto  il  quale  Svizzeri  e  Francesi  perderono  molta  gente. St.  50.  V.17.   Ma  quella,  ecc.: la  Fortuna.   A quel  che  diman  gli  esce:  alle  grandi  somme  di  denaro da  lui  disposte  per  raccogliere  un  esercito  numeroso. St.  52.  V.18.   Accennasi  alla  battaglia  di  Pavia (25  febbraio  1525)  perduta  da  Francesco  I,  che  vi  restò prigioniero. St.  54.  V.58.   Ecco  che  l  re  nella  prigione  ibe ra,  ecc.:  Francesco  ricuperò  la  libertà,  lasciando  a  Car lo V  due  figliuoli  in  ostaggio;  poi  mandò  un  altro  eser cito in  Italia,  mentr'egli  stesso  era  assalito  in  Francia dalle  forze  britanniche. St.  55.  V.18.   Vedete  gli  omicidj  e  le  rapine,  ecc. Accenna  al  saccheggio  di  Roma  e  la  prigionia  del  pon tefice insieme  coi  cardinali.   Il  campo  della  Lega,  ecc. Per  discordie  fra  il  marchese  di  Saluzzo,  Federigo  da Bozzolo,  e  i  duchi  di  Milano  e  di  Urbino  che  comanda vano Fesercito  detto  della  Lega,  Roma  non  fu  soccorsa, ed  ebbero  luogo  gFindicati  disastri. St.  56.  V.78.   La  cittade  ove  sepolta,  ecc.  Napoli, che  fu  detta  Partenope  dal  nome  della  Sirena  che  si favoleggia  ivi  morta. St.  57.  V.18.   Carlo  V  spedi  per  mare  un'armata  a soccorso  di  Napoli;  ma  la  fiotta  genovese  al  servigio  di Francia,  comandata  da  Filippino  Dona,  distrusse  gl'Im periali presso  la  costa  di  Amalfi.  Le  malattie  però  tra vagliarono gli  assedianti  francesi  per  modo,  che  dovet tero levare  il  campo  e  lasciar  libero  il  regno  di  Napoli. St.  68.  V.6.   Si  tolga  del  coraggio: si  levi  dalla mente,  dall'animo. St.  la  V.17.   Le  Qade:  Cadice;  gli  antichi  geo grafi conobbero  in  quel luogo  due  isole,  una  delle  quali, detta  da  Strabene  Erithia,  è  scomparsa. Ev/a;  Ivica, una  delle  Baleari.   Arzilla:  nel  regno  di  Fez. St.  99.  V.17.   Feza: Fez.   Ippona: Bona;  Btizea: Bugia;  ambedue  città  dell' Algeria,  come  pure  Orano.  Biserta:  nel  regno  di  Tunisi.  Capisse:  Cabes,  città marittima  dello  Stato  di  Tunisi,  sul  golfo  omonimo. Alzerbe:  Gerbi,  piccola  isola  sullo  stesso  golfo.  Bemic che: V  antica  Berenice,  a levante  di  Cirene,  sul  golfo della  gran  Sirte.  Tolomitta: anticamente  Ptolema'S, nello  Stato  di  Tripoli. St.  100.  V.38.   Monti  di  Carena:  diramazione  del monte  Atlante.   Cirenei:  abitanti  del  paese  di Baroi.  U  cimiter  di  Batto: la  Cyrene  degli  antichi,  oggi Coirvan,  fabbricata  da  Batto  che  vi  mori.   Il  gran tempio  dAmon:  Giove  Ammone  ebbe  un  tempio  nella Libia  cirenaica,  oggi  deserto  di  Barca. St.  101.  V.14   Un'altra  Tremisenne.  il  Poeta  ha voluto  indicare  la  Tremessus  della  Pisidia?  S'ignora.  Agli  altri  Etiopi:  agli  Abissini,  la  regione  de'  quali riguardavasi  come  una  seconda  Etiopia. St.  102.  V.6.   Dall'esilio  atroce:  dall'inferno. St.  106.  v:  a   Presto  o  Preteiannù  Cosi  dai  nostri antichi  fu  chiamato  il  sovrano  dell'Abissinia;  vedi viaggi  di  Marco  Polo. St.  109.  V.2 a  -Al  monte,  ecc.  1  monti  della  Luna, donde  credesi derivare  il  Nilo. St.  112.  V.6.   Un  cavalier,  ecc.  Fineo,  raccontano Apollonio  e  Fiacco,  sarebbe  stato  liberato  dalle  Arpie, alla  venuta,  nella  sua  corte,  di  Calai  e  Zete,  che  faceano il  viaggio  a  Colchide  cogli  Argonauti. St.  126.  y.6.   La  jro/iarofa:  la  zona  torrida.  Dante chiamò  pure  città  roggia  (rossa)  la  città  di  Dite. Canto  XXXIV. OATO  TKENTESIMOQUARTO. JjQ|4u  lina  I? luq Utente  invtìt ti v&  contro L'iin]mii"&Tldì£à,ilP<>u li  arni.  tU"  Atolfd,  entrato  nella  grotta  dove  iJ  t"  mài  t fetno.  ode  Jn  un'anima  U  peni  impoKla  ai  diio(Ma¦:  u la  ni  uro  alU  liI  Sate  quindi  ni  par&diso  ieiTO&">  "  di  li al  ]"iajigu  Lunare,  ove  gli  è  dato  il  meSEO  di  i senno  n  j  Orbìido.  Deacrizione  del  p&lizsa  deD"  Ftrt iìh  fameliche  inique  e  Bere  Arpie, rif  all\icc€i:ata  Italia  e  derror  piena, Ter  imiiir  fora  e  antique  colpe  rie lu  ogni  mensa  aìtu  giudi  citi  ineEa! Iiiiii't'unti  fanciulli  e  madri  pie Cascali  di  fame,  e  veggon  ch'uiia  cena Di  (juesti  mostri  rei  tutto  divora Ciò  che  del  viver  lor  aostcguo  fura, Tropiio  fallò  chi  le  spelonche  apenie; Che  ìk  uìclt'anui  erano  state  chiuse; Oudtì  il  fetore  e  T  ingordigia  emerse, rh\d  ammurhare  Italia  si  dìlfuic. Il  bel  vivere  allora  si summerse; £  la  quiete  iu  tal  modo  s  escluse. Ch'in  guerre,  in  povertÀ  sempre  e  in  aflkoni È  dopo  stata,  ed  è  per  star  molt'  aonì; CANTO   TRENTESIMOQUARTO.Finch' e)la  nn  giorno  ai  neghittosi  figli Scuota  la  chioma,  e  cacci  fuor  di  Lete, Gridando  lor:  Non  fia  chi  rassimigli Alla  virtù  di  Calai  e  di  Zete? Che  le  mense  dal  puzzo  e  dagli  artigli Liberi,  e  tomi  a  lor  mondizia  liete? Come  essi  già  quelle  di  Fineo,  e  dopo Fé' il  Paladin  quelle  del  Re  eti'ópd. Ali  or  senti  parlar  con  voce  mesta; Deh,  senza  fare  altrui  danno,  giù  cala. Pur  troppo  il  negro  fumo  mi  molesta. Che  dal  fuoco  infernal  qui  tutto  esala. Il  Duca  stupefatto  allor  s'arresta, E  dice  all'omhra:  Se  Dio  tronchi  ogni  ala Al  fumo  si,  eh' a  te  più  non  ascenda, Non  ti  dispiaccia  che'l  tuo  stato  intenda. Il  Paladin  col  suono  orribil  Tenne Le  brutte  Arpie  cacciando  in  fuga  e  in  rotta, Tanto  ch'appiè  d'un  monte  si  ritenne Ov'esse  erano  entrate  in  una  grotta. L'orecchie  attente  allo  spiraglio  tenne, E  l'aria  ne  senti  percossa  e  rotta Da  pianti  e  d'urli,  e  da  lamento  eterno; Segno  evidente  quivi  esser  lo  'nfemo. Astolfo  si  pensò  d'entrarvi  dentro, E  veder  quei  e'  hanno  perduto  il  giorno, E  penetrar  la  terra  fin  al  centro, E  le  bolge  infernal  cercare  intorno. Di  che  debbo  temer,  dicea,  s'io  v'entro? Ohe  mi  posso  aiutar  sempre  col  corno. Parò  fuggir  Plutone  e  Satanasso, E  '1  Oan  trif&uce  leverò  dal  passo. Dell'alato  destrier  presto  discese, B  lo  lasciò  legato  a  un  arbuscello: oi  si  calò  nell'antro,  e  prima  prese '1  corno,  avendo  ogni  sua  spems  in  quello. Ton  andò  molto  innanzi,  che  gli  offese 1  naso  e  gli  occhi  un  fumo  oscuro  e  fello ù  che  di  pece  grave  e  che  di  zolfo, on  sta  d'andar  per  questo  innanzi  Astolfo. Ma  quanto  va  più  innanzi,  più  s'ingrossa l  fumo  6  la  caligine;  e  gli  pare h' andare  innanzi  più  troppo  non  possa, he  sarà  forza  addietro  ritornare, eco,  non  sa  che  sia,  vede  far  mossa alla  volta  di  sopra,  come  fare cadavero  appeso  al  vento  suole, ile  molti  di  sia  stato  all'acqua  e  al  Sole. Si  poco,  e  quasi  nulla  era  di  luce 1  quella  affumicata  e  nera  strada, le  non  comprende  e  non  disceme  il  Duce ii  questo  sia,  che  sì  per  l'aria  vada; per  notizia  averne  si  conduce dargli  uno  o  due  colpi  della  spada, ima  poi  ch'uno  spirto  esser  quel  debbia; lè  gli  par  di  ferir  sopra  la  nebbia. Stanza  9. 10    E  se  vaoi  che  di  te  porti  novella Nel  mondo  su,  per  satisfarti  sono. L'ombra  rispose:  Alla  luce  alma  e  bella Tornar  per  fama  ancor  si  mi  par  buono. Che  le  parole  è  forza  che  mi  svella Il  gran  desir  e' ho  d'aver  poi  tal  dono; E  che  '1  mio  nome  e  l'esser  mio ti  dica. Benché  '1  parlar  mi  sia  noia  e  fatica. 11  E  cominciò:  Signor,  Lidia  son  io, Dal  Re  di  Lidia  in  grande  altezza  nata, Qni  dal  gindicio  altissimo  di  Dio Al  famo  eternamente  condannata, Per  esser  stata  al  fido  amante  mio, Mentre  io  vissi,  spiacevole  ed  ingrata. Dalore  infinite  è  questa  grotta  piena, Poste  per  simil  fallo  in  simil  pena. 12  Sta  la  cmda  Anassarete  più  al  basso, Ove  è  maggiore  il  fumo  e  più  martire. Restò  converso  al  mondo  il  corpo  in  sasso, E  Fanima  quaggiù  venne  a  patire; Poiché  veder  per  lei  l'afllitto  e  lasso Suo  amante  appeso  potè  soiferire. Qui  presso  è  Dafne,  ch'or  s'avvede  quanto Errasse  a  fare  Apollo  correr  tanto. 18    Lungo  saria  se  gP  infelici  spirti Delle  femmine  ingrate,  che  qui  stanno, Volessi  ad  uno  ad  ano  riferirti: Che  tanti  son,  eh'  in  infinito  vanno. Più  lungo  ancor  saria  gli  uomini  dirti, A'  quai  l'esser  ingrato  ha  fatto  danno, E  che  puniti. sono  in  peggior  loco, Ove  il  fumo  gli  acceca,  e  cuoce  il  fuoco. 14    Perchè  le  donne  più  facili  e  prone A  creder  son,  di  più  supplicio  è  degno Chi  lor  fa  inganno.  Il  sa  Teseo  e  Giasone, E  chi  turbò  a  Latin  l'antiquo  regno: Sallo  ch'incontra  sé  il  frate  Absalone Per  Tamar  trasse  a  sanguinoso  sdegno; Ed  altri  ed  altre,  che  sono  infiniti. Che  lasciato  bau  chi  moglie  e  chi  mariti. lo    Ma  per  narrar  di  me  più  che  d'altrui, E  palesar  l'error  che  qui  mi  trasse. Bella,  ma  altiera  più,  si  in  vita  fui,    . Che  non  so  s' altra  mai  mi  s'agguagliasse:Né  ti  saprei  ben  dir,  di  questi  dui, S'in  me  l'orgoglio  o  la  beltà  avanzasse: Quantunque  il  fasto  e  l'alterezza  nacque Dalla  beltà  eh' a  tutti  gli  occhi  piacque. 16    Era  in  quel  tempo  in  Tracia  un  cavaliere Estimato  il  miglior  del  mondo  in  arme, Il  qual  da  più  d'un  testimonio  vero Di  siogolar  beltà  senti  lodarme; Talché  spontaneamente  fé' pensiero Di  voler  il  suo  amor  tutto  donarme. Stimando  meritar  per  suo  valore, Che  caro  aver  di  lui  dovessi  il  co>'e. 17  In  Lidia  venne;  e  d'un  laccio  più  forte Vinto  rastò,  poi  che  veduta  m'ebbe. Con  gli  altri  cavalier  si  messe  in  corte Del  padre  mio,  dove  in  gran  fama  crebbe L'alto  valore,  e  le  più  d'una  sorte Prodezze  che  mostrò,  lungo  sarebbe A  raccontarti,  e  il  suo  merto  infinito, Quando  egli  avesse  a  più  grato  uom  servita. 18  Pamfilia  e  Caria,  e  il  regno  de'  Olici Per  opra  di  costui  mio  padre  vinse; Che  r  esercito  mai  centra  i  nimici, Se  non  quanto  volea  costui,  non  spinse. Costui,  poi  che  gli  parve  i  benefici Suoi  meritarlo,  un  di  col  Re  si  strinse A  domandargli,  in  premio  delle  spoglie Tante  arrecate,  ch'io  fossi  sua  moglie. 19  Fu  repulso  dal  Re,  ch'in  grande  stato Maritar  disegnava  la  figliuola; Non  a  costui  che,  cavalier  privato. Altro  non  tien  che  la  virtude  sola: E  '1  padre  mio,  troppo  al  guadagno  dato, E  all'avarizia,  d'ogni  vizio  scuola, Tanto  apprezza  costumi,  o  virtù  ammira Quanto  l'asino  fa  il  suon  della  lira. 20  Alceste,  il  cavalier  di  eh'  io  ti  parlo (Che  così  nome  avea),  poi  che  si  vede Repulso  da  chi  più  gratificarlo Era  più  debitor,  commiato  chiede; E  lo  minaccia,  nel  partir,  di  farlo Pentir,  che  la  figliuola  non  gli  diede. Se  n'andò  al  Re  d'Armenia,  emulo  antico Del  Re  di  Lidia,  e  capital  nimico; 21  E  tanto  stimulò,  che  lo  dispose A  pigliar  l'arme,  e  far  guerra  a  mio  padre Esso,  per  l'opre  sue  chiare  e  famose. Fu  fatto  capitan  di  quelle  squadre. Pel  Re  d'Armenia  tutte  l'altre  cose Disse  eh' acquisteria: sol  le  leggiadre E  belle  membra  mie  volea  per  frutto Dell'opra  sua,  vinto  ch'avesse  il  tutto. 22  Io  non  ti  potrei  esprimere  il  gran  duino Ch'  Alceste  al  padre  mio  fa  in  quella  guerra. Quattro  eserciti  rompe,  e  in  men  d'un  anno Lo  mena  a  tal,  che  non  gli  lascia  terra, Fuor  ch'un  castel  eh'  alte  pendici  fanno Fortissimo;  e  là  dentro  il  Re  si  serra Con  la  famiglia  che  più  gli  era  accetta, E  col  tesor  che  trar  vi  puote  in  fratta. 537 Quivi  assedionne  Alceste;  ed  in  non  molto Perniine  a  tal  disperazion  ne  trasse, 'he  per  bnon  patto  avria  mio  padre  tolto 'he  mogrlie  e  serra  ancor  me  gli  lasciasse )on  la  metà  del  regno,  s' indi  assolto testar  d'ogni  altro  danno  si  sperasse, ledersi  in  breve  dell'avanzo  privo Ira  ben  certo,  e  poi  morir  captivo. Tentar,  prima  ch'accada,  si  dispone gni  rimedio  che  possibil  sia; me,  che  d'ogni  male  era  cagione, aor  della  rocca,  ov'era  Alceste,  invia. "  To  ad  Alceste con  intenzione i  dargli  in  preda  la  persona  mia, pregar  che  la  parte  che  vnol,  tolga b1  regno  nostro,  e  l'ira  in  pace  volgn. Come  ode  Alceste  eh'  io  vo  a  ritrovarlo, 1  viene  incontra  pallido  e  tremante, vinto  e  di  prigione,  a  rignardarlo, h  che  di  vincitore,  ave  sembiante, che  conosco  ch'arde,  non  gli  parlo, come  avea  già  disegnato  innante: ita  l'occasìon,  fo  peusier  nuovo nvenìente  al  grado  in  ch'io  lo  trovo. l  maledir  comincio  l'amor  d'esso, li  sua  crudeltà  troppo  a  dolermi, iniquamente  abbia  mio  padre  oppresso, :he  per  forza  abbia  cercato  avermi; !  con  più  grazia  gli  saria  successo i  a  non  molti  dì,  se  tener  fermi uto  avesse  i  mudi  cominciati, al  Re  e  a  tutti  noi  si  furon  grati. I  sebben  da  principio  il  padre  mio avea  negata  la  domanda  onesta 'occhè  di  natura  è  un  poco  rio, mai  si  piega  alla  prima  richiesta), jì  per  ciò  di  ben  servir  restio doveva  egli,  e  aver  l'ira  sì  presta: .,  ognor  meglio  oprando,  tener  certo re  in  breve  al  desiato  merto. 29    E  sebben  era  a  lui  venuta,  mossa Dalla  pietà  ch'ai  mio  palre  portava, Sia  certo  che  non  molto  fruir  pos Il  piacer  ch'ai  dispetto  mio  gli  dava: Ch'era  per  far  di  me  la  terra  rossa. Tosto  ch'io  avessi  alla  sua  voglia  prava Con  questa  mia  persona  satisfatto Di  quel  che  tutto  a  forza  saria  fatto. stanza  38. 30    Queste  parole  e  simili  altre  usai, Poiché  potere  in  lui  mi  vidi  tante: E'I  più  pentito  lo  rendei,  che  mai Si  trovasse  nell'eremo  alcun  santo. Mi  cadde  a' piedi,  e  supplicommi  assai, Che  col  coltel  che  si  levò  da  cinto (E  volea  in  ogni  modo  eh'  io  '1  pigliassi) Di  tanto  fallo  suo  mi  vendicassi. quando  anco  mio  padre  a  lui  ritroso >  fosse,  io  l'avrei  tanto  pregato, rrìa  l'amante  mio  fatto  mio  sposo. se  veduto  io  l'avessi  ostinato, i  fatto  tal  opra  di  nascoso, di  me  Alceste  si  saria  lodato. )oich'  a  lui  tentar  parve  altro  modo, mai  non  l'amar  fisso  avea  il  chiodo. 31     Poich'io  lo  trovo  tale,  io  fo  disegno La  gran  vittoria  insin  al  fin  seofuire. Gli  do  speranza  di  farlo  anco  degno Che  la  persona  mia  potrà  fruire, S'emendando  il  suo  error,  l'antiquo regno Al  padre  mio  farà  restituire; E  nel  tempo  avvenir  vorrà  acquistarme Servendo,  amando,  e  non  mai  più  per  arme. 82    Cosi  far  mi  promesse,  e  nella  rocca Intatta  mi  mandò,  come  a  lui  Tenni. Né  di  badarmi  pur  s' ardi  la  bocca:Vedi  s'al  collo  il  giogo  ben  gli  tenni; Vedi  se  bene  Amor  per  me  lo  tocca, Se  convien  che  per  lui  più  strali  impenni. Al  Be  d'Armenia  andò,  di  cui  doTca Esser  per  patto  ciò  che  si  prendea:33  E  con  quel  miglior  modo  ch'usar  puote, Lo  priega  ch'ai  mio padre  il  regno  lassi, Del  qual  le  terre  ha  depredate  e  vote, Ed  a  goder  l'antiqua  Armenia  passi. Quel  Re,  d'ira  infiammando  ambe  le  gote, Disse  ad  Alceste  che  non  vi  pensassi; Che  non  si  volea  tor  da  quella  guerra, Finché  mio  padre  avea  palmo  di  terra. 34  E  s' Alceste  è  mutato  alle  parole D'una  vii  femminella,  abbiasi  il  danno. Già  a'prieghi  esso  di  lui  perder  non  vuole Quel  eh'  a  fatica  ha  preso  in  tutto  un  anno. Di  nuovo  Alceste  il  priega,  e  poi  si  duole Che  seco  effetto  i  prieghi  suoi  non  fanno. All'ultimo  s'adira,  e  lo  minaccia. Che  vuol,  per  forza  o  per  amor,  lo  faccia. 35  L'ira  multiplicò  si,  che  li  spinse Dalle  male  parole  ai  peggior  fatti. Alceste  contra  il  Re  la  spada  strìnse Fra  mille  ch'in  suo  aiuto  s'eran  tratti; E,  malgrado  lor  tutti,  ivi  l'estinse:E  quel  di  ancor  gli  Armeni ebbe  disfatti Con  l'aiuto  de' Cilici  e  de' Traci Che  pagava  egli,  e  d'altri  suoi  seguaci. 36  Seguitò  la  vittoria,  ed  a  sue  spese, Senza  dispendio  alcun  del  padre  mio, Ne  rendè  tutto  il  regno  in  men  d'un  mese. Poi  per  ricompensarne  il  danno  rio, Oltr'alle  spoglie  che  ne  diede,  prese In  parte,  e  gravò  in  parte  di  gran  fio Armenia  e  Cappadocia  che  confina, E  scorse  Ircania  fin  su  la  marina. 38  E  quando  sol,  quando  con poca  gioite. Lo  mando  a  strane  imprese  e  perigliose. Da  fEUne  morir  mille  agevolmente:Ma  a  lui  successer  ben  tutte  le  cose; Che  tornò  con  vittoria,  e  fu  sovente Con  orribil  persone  e  monstmose. Con  giganti  a  battaglia  e  Lestrigoni, Ch'  erano  infesti  a  nostre  regioni Non  fu  da  Euristeo  mai,  non  fii  mai  untD Dalla  matrigna  esercitato  Alcide In  Lema,  in  Nemea,  in  Tracia,  inErìmante. Alle  valli  d'Etolia,  alle  Numide, Sul  Tebro,  su  l'Ibero,  e  altrove;  quanto Con  prieghi  finti  e  con  voglie  omicide Esercitato  fii  da  me  il  mio  amante, Cercando  io  pur  di  torlomi  davante. 40  Né  potendo  venire  al  primo  intento, Vengone  ad  un  di  non  minore  effetto:Gli  fo  quei  tutti  ingiuri  ir,  ch'io  sento Che  per  lui  sono,  e  a  tutti  in  odio  il  metto.Egli,  che  non  sentia  maggior  contento Che  d'ubbidirmi,  senza  alcun  rispetto Le  mani  ai  cenni  miei  sempre  avea  pronte, Senza  guardare  un  più  d'un  altro  in  fironte. 41  Poi  che  mi  fu,  per  questo  mezzo,  avviso Spento  aver  del  mio  padre  ogni  nimico, E  per  lui  stesso  Alceste  aver  conquiso, Che  non  si  avea,  per  noi,  lasciato  amico; Quel  ch'io  gli  avea  con  simulato  viso Celato  fin  allor,  chiaro  gli  esplico:Che  grave  e  capitale  odio  gli  porto, E  pur  tuttavia  cerco  che  sia  morto. 42  Considerando  poi,  s' io  lo  facessi, Ch'in  pubblica  ignominia  ne  verrei (Sapeasi  troppo  quanto  io  gli  dovessi, E  (HTudel  detta  sempre  ne  sarei), Mi  parve  &re  assai,  eh'  io  gli  togliesm Di  mai  venir  pii\  innanzi  agli  occhi  mieL Né  veder  né  parlar  mai  più  gli  volsi, Né  messo  udì',  nò  lettera  ne  tolsi 37    In  luogo  di  trionfo,  al  suo  ritomo, Facemmo  noi  pensier  dargli  la  morte. Restammo  poi,  per  non  ricever  scorno; Che  lo  veggiam  troppo  d'amici forte. Fingo  d'amarlo,  e  più  di  giorno  in  giorno Gli  do  speranza  d'essergli  consorte; prima  contra  altri  nimici  nostri Dico  voler  che  sua  virtù  dimostri" 43    Questa  mia  ingratitudine  gli  diede Tanto  martir,  eh'  alfin  dal  dolor  vinto, E  dopo  un  lungo  domandar  mercede, Infermo  cadde,  e  ne  rimase  estinto. Per  pena  ch'ai  fallir  mio  si  richiede, Or  gli  occhi  ho  lacrimosi,  e  il  viso  tinto Del  negro  fumo:  e  cosi  avrò  in  etemo; Che  nulla  redenzione  é  nell' Infemo. i  Poiché  non  parla  più  Lidia  infelice, Va  il  Dnca  per  saper  s' altri  vi  stanzi:Ma  la  caligine  alta,  eh'  era  ultrice Dell'opre  ingrate,  si  glMngrossa  innanzi, Ch'andar  nn  palmo  sol  più  non  gli  lice: Anzi  a  forza  tornar  gli  conviene;  anzi, Perchè  la  vita  non  gli  sia  intercetta Dal  filmo,  i  passi  accelerar  con  fretta. Il  mutar  spesso  delle  piante  ha  vista Di  corso,  e  non  di  chi  passeggia  o  trotta. Tanto,  salendo  inverso  V  erta,  acquista, ]!he  vede  dove  aperta  era  la  grotta; i)  r  aria,  già  caliginosa  e  trista, )al  lume  cominciava  ad  esser  rotta. Jfin  con  molto  affanno  e  grave  ambascia Isce  dall'antro  y  e  dietro  il  fumo  lascia. E  perchè  del  tornar  la  via  sia  tronca, quelle  bestie,  e'  han  si  ingorde  1'  epe, aguna  sassi,  e  molti  arbori  tronca, tie  v'eran  qoal  d'amomo  e  qnal  di  pepe; come  può,  dinanzi  alla  spelonca ibbrica  di  sua  man  quasi  una  siepe, gli  succede  cosi  ben  quell'opra le  più  l'Arpie  non  torneran  di  sopra. n  negro  fumo  della  scura  pece, intre  egli  fu  nella  caverna  tetra, n  macchiò  sol  quel 'eh' apparia,  ed  infece: sotto  ipanni  ancor  entra  e  penetra:che  per  trovar  acqua  andar  lo  fece cando  un  pezzo;  e  alfin  fuor  d'una  pietra e  una  fonte  uscir  nella  foresta, la  qual  si  lavò  dal  pie  alla  testa. 60    Cantan  fra  i  rami  gli  augelletti  vaghi Azzurri  e  bianchi  e  verdi  e  rossi  e  gialli. Murmuranti  ruscelli  e  cheti  laghi Di  limpidezza  vincono  i  cristalli. Una  dolce  aura  che  ti  par  che  vaghi A  nn  modo  sempre,  e  dal  suo  stil  non  falli Facea  si  l'aria  tremolar  d'intomo, Che  non  potea  noiar  caler  del  giorno: stanza  47. oi  monta  il  volatore,  e  in  aria  s'alza, g:i anger  di  quel  monte  in  su  la  cima, non  lontan  con  la  superna  balza cerchio  della  Luna  esser  si  stima. to  è  il  desir  che  di  veder  lo  'ncalza, li  cielo  aspira,  e  la  terra  non  stima. '  aria  più  e  più  sempre  guadagna:0  ch'ai  giogo  va  della  montagna. ffir,  rubini,  oro,  topazj  e  perle 3.nianti  e  crisoliti  e  jacinti ano  i  fiori  assimigliar,  che  per  le 1  piaggio  v'avea  l'aura  dipinti; rdi  V  erbe,  che  possendo  averle gin,  ne  foran  gli  smeraldi  vinti; len  belle  degli  arbori  le  frondi, frutti  e  di  fior  sempre  fecondi. 51  E  quella  ai fiori,  ai  pomi  e  alla  verzura Gli  odor  diversi  depredando  giva; E  di  tutti  facea  una  mistura Che  di  soavità  l'alma  notriva. Surgea  un  palazzo  in  mezzo  alla  pianura Ch'  acceso  esser  parea  di  fiamma  viva:Tanto  splendore  intorno  e  tanto  Inme Raggiava,  fuor  d'ogni  mortai  costume. 52  Astolfo  il  suo  destrier  verso  il  palagio. Che  più  dì  trenta  miglia  intomo  aggira, A  passo  lento  fa  muovere  adagio, E  quinci  e  quindi  il  bel  paese  ammira; E  giudica,  appo  quel,  brutto  e  malvagio, £  che  sia  al  cielo  ed  a  natura  in  ira Questo  ch'abitiam  noi  fetido  mondo: Tanto  è  soave  quel,  chiaro  e  giocondo. 53    Come  egli  è  presso  al  laminoso  tetto, Attonito  riman  di  maraviglia; Che  tatto  dUma  gemma  è  1  muro  schietto, Più  che  carbonchio  lucida  e  yermìglia. Oh  stupenda  opra,  oh  dedalo  architetto! Qual  fabbrica  tra  noi  le  rassimiglia? Taccia  qualunque  le  mirabil  sette Moli  del  mondo  in  tanta  gloria  mette. 56    Per  imparar  come  soccorrer  del Carlo,  e  la  santa  Fé  tor  di  perìglio, Venuto  meco  a  consigliar  ti  sei Per  cosi  lunga  via  senza  consiglio. Né  a  tuo  saper  né  a  tua  virtù  vorrei Ch'esser  qui  giunto  attribuissi,  o  figlio; Che  né  il  tuo  corno  né  il  cavallo  alato Ti  valea,  se  da  Dio  non  t'era  dato. Stanza  54. 54    Nel  lucente  vestibulo  di  quella Felice  casa  un  vecchio  al  Duca  occorre. Che  '1  manto  ha  rosso,  bianca  la  gonnella, Che  Tun  può  al  latte,  l'altro  al  minio  opporre. I  crini  ha  bianchi  e  bianca  la  mascella Di  folta  barba  ch'ai  petto  discorre; Ed  é  si  venerabile  nel  viso, Ch'un  degli  eletti  par  del  Paradiso. 57    Eagionerem  più  ad  agio  insieme  poi, E  ti  dirò  come  a  procedere  hai: Ma  prima  vienti  a  ricrear  con  noi; Che  '1  digiun  lungo  de'  noiartì  ormai. Continuando  il  vecchio  i  detti  suoi, Fece  maravigliare  il  Duca  a.S8aì, Quando,  scoprendo  il  nome  suo,  gli  disse Esser  colui  che  l'Evangelio  serìcee; Stanza  50. 55    Costui  con  lieta  feiccia  al  Paladino, Che  riverente  era  d'arcion  disceso, Disse:  0  Baron,  che  per  voler  divino Sei  nel  terrestre  Paradiso  asceso; Comeché  né  la  causa  del  cammino, Né  il  fin  del  tuo  desir  da  te  sia  inteso; Pur  credi  che  non  senza  alto  misterio Venuto  sei  dall'artico  emisperio. 58    Quel  tanto  al  Redentor  caro  Giovanni, Per  cui  il  sermone  tra  i  fhitelli  uscio, Che  non  dovea  per  morte  finir  gli  anni; Si  che  f\i  causa  che  '1  Figliuol  di  Dio A  Pietro  disse:  Perché  pur  t'afianni, S' io  vo'  che  così  aspetti  il  venir  mio?Benché  non  disse:  Egli  non  de' morire; Si  vede  pur  che  cosi  volse  dire. Staiusa  51. i9   Quivi  fa  assunto,  e  troTò  compagnia, Che  prima  Enoch,  il  patriarca,  v'era, Erayi  insieme  il  gran  profeta  Elia, Che  non  han  rista  ancor  V  ultima  sera; E  fuor  dell'aria  pestilente  e  ria Si  goderan  l'etema  primavera. Finché  dian  segno  T  angeliche  tuhe Che  tomi  Cristo  in  su  la  bianca  nube. 60    Con  accoglienza  grata  il  cavaliero Fu  dai  Santi  alloggiato  in  una  stanza: Fu  provvisto  in  un'altra  al  suo  destriero Di  buona  biada,  che  gli  fii  abbastanza De' frutti  a  lui  del  Paradiso  diéro, Di  tal  sapor,  eh' a  suo  giudicio,  sanza Scusa  non  sono  i  duo  primi  parenti, Se  per  quei  fur  sì  poco  ubbidienti. stanza  00. Poi  eh' a  natura  il  Duca  avventuroso tisfece  di  quel  che  se  le  debbo, me  col  cibo,  così  col  riposo, è  tutti  e  tutti  i  comodi  quivi  ebbe; sciando  gi&  l'Aurora  il  vecchio  sposo, '  ancor  per  lunga  età  mai  non  l'increbbe, vide  incontra  nell'uscir  del  letto discepol  da  Dio  tanto  diletto; Jhe  lo  prese  per  mano,  e  seco  scorse molte  cose  di  silenzio  degne; 3oi  disse:  Figliuol,  tu  non  sai  forse i  iB  Francia  accada,  ancorché  tunevegne. pi  che  1  vostro  Orlando,  perchè  torse cammin  dritto  le  commesse  insegne, •unito  da  Dio,  che  più  s'accende tra  chi  egli  ama  più,  quando  s'offende, 63  II  vostro  Orlando,  a  cui  nascendo  diede Somma  possanza  Dio  con  sommo  ardire, E  fuor  dell'uman  uso  gli  concede Che  ferro  alcun  non  Io  può  mai  ferire; Perchè  a  difesa  di  sua  santa  Fede Cosi  voluto  l'ha  constituire. Come  Sansone  incontra  a' Filistei Constituì  a  difesa  degli  Ebrei: 64  Renduto  ha  il  vostro  Orlando  al  suo  Signore, Di  tanti  beneficj  iniquo  morto: Che  quanto  aver  più  lo  dovea  in  favore, N'è  stato  il  fedel  popol  più  deserto. Sì  accecato  Tavea  l'incesto  amore D'una  Pagana,  ch'avea  già  sofferto Due  volte  e  più  venire  empio  e  crudele. Per  dar  la  morte  al  suo  cugin  fedele. Stanca  79. 65    E  Dio  per  questo  fa  eh'  egli  va  folle, E  mostra  nndo  il  yentre  il  petto  e  il  fianco; E  l'intelletto  si  gli  offasca  e  tolle, Che  non  può  altrui  conoscere,  e  sé  manco. A  questa  guisa  si  legge  che  volle Nabuccodonosòr  Dio  punir  anco, Che  sette  anni  il  mandò  di  furor  pieno Sì  che,  qual  bue,  pasceva  Terba  e  il  fieno. 66    Ma  perch'assai  minor  del  Paladino, Che  di  Nabucco,  è  stato  pur  P  eccesso, Sol  di  tre  mesi  dal  voler  divino A  purgar  questo  error  termine  è  messo. Né  ad  altro  effetto  per  tanto  cammino Salir  quassù  t'ha  il  Redentor  concesso. Se  non  perchè  da  noi  modo  tu  apprendi, Come  ad  Orlando  il  suo  senno  si  renda. Sfcanza  89. i)7  Gli  è  yer  che  ti  bisogna  altro  viaggio Far  meco,  e  tutta  abbandonar  la  terra. Nel  cerchio  della  Luna  a  menar  t  aggio, Che  dei  pianeti  a  noi  più  prossima  erra; Perchè  la  medicina  che  può  saggio Rendere  Orlando,  1&  dentro  si  serra. Come  la  Lana  questa  notte  sia Sopra  noi  giunta,  ci  porremo  in  via. ?  Di  questo  e  d'altre  cose  fu  diffuso Il  parlar  dell'Apostolo  quel  giorno. Ma  poi  che'l  Sol  s'ebbe  nel  mar  rinchiuso, E  sopra  lor  levò  la  Luna  il  corno. Un  carro  apparecchiossi,  ch'era  ad  uso D'andar  scorrendo  per  quei  cieli  intomo: Quel  già  nelle  montagne  di  Giudea Da'  mortali  occhi  Elia  levato  avea. Quattro  destrier  via  più  che  fiamma  rossi Ài  giogo  il  santo  Evangelista  aggiunse; 5  poi  che  con  Astolfo  rassettossi, 3  prese  il  freno,  inverso  il  ciel  li  punse, botando  il  carro,  per  l'aria  levossi, S  tosto  in  mezzo  il  fuoco  etemo  giunse; )he'l  vecchio  fé' miracolosamente, !he,  mentre  lo  pass&r,  non  era  ardente. Tutta  la  sfera  varcano  del  fuoco t  indi  vanno  al  regno  della  Luna, eggon  per  la  più  parte  esser  quel  loco )me  un  acciar  che  non  ha  macchia  alcuna; Io  trovano  uguale,  0  minor  poco, [  ciò  ch'in  questo  globo  si  raguna, questo  ultimo  globo  della  terra, attendo  il  mar  che  la  drcondcT  e  serra. Quivi  ebbe  Astolfo  doppia  maraviglia; e  quel  paese  appresso  era  si  grande, quale  a  un  picdol  tondo  rassimiglia noi  che  lo  miriam  da  queste  bande; ch'aguzzar  conviengli  ambe  le  ciglia, adi  la  terra  e  '1  mar,  eh'  intomo  spande, cerner  vuol;  che  non  avendo  luce, magin  lor  poco  alta  si  conduce. Jtri  fiumi,  altri  laghi,  altre  campagne )  lassù,  che  non  son  qui  tra  noi; i  piani,  altre  valli,  altre  montagne, ban  le  cittadi,  hanno  i  castelli  suoi, case  delle  quai  mai  le  più  magne vide  il  Paladin  prima  né  poi: sono  ampie  e  solitarie  selve, le  Ninfe  ognor  cacciano  belve. 73  Non  stette  il  Duca  a  ricercare  il  tutto; Che  là  non  era  asceso  a  quello  effetto. Dall'Apostolo  santo  fu  condutto In  un  vallon  fra  duo  montagne  istretto. Ove  mirabilmente  era  ridutto Ciò  che  si  perde  o  per  nostro  difetto, 0  per  colpa  di  tempo  o  di  Fortuna: Ciò  che  si  perde  qui,  là  si  raguna. 74  Non  pur  di  regni  o  di ricchezze  parlo, In  che  la  ruota  instabile  lavora; Ma  di  quel  ch'in  poter  di  tor,  di  darlo Non  ha  Fortuna,  intender  voglio  ancora. Molta  fama  è  lassù,  che,  come  tarlo. Il  tempo  al  hmgo  andar  quaggiù  divora: Lassù  infiniti  prieghi  e  voti  stanno, Che  da  noi  peccatori  a  Dio  si  fanno. 75  Le  lacrime  e  i  sospiri  degli  amanti, L'inutil  tempo  che  si  perde  a  giuoco, E  l'ozio  lungo  d'uomini  ignoranti. Vani  disegni  che  non  bau  mai  loco; 1  vani  desideri  sono  tanti. Che  la  più  parte  ingombran  di  quel  loco: Ciò  che  in  somma  quaggiù  perdesti  mai. Lassù  salendo  ritrovar  potrai. 76  Passando  il  Paladin  per  quelle  biche, Or  di  questo  or  di  quel  chiede  alla  guida. Vide  un  monte  di  tumide  vessiche. Che  dentro  parea  aver  tumulti  e  grida; E  seppe  ch'eran  le  corone  antiche E  degli  Assiij  e  della  terra  Lida, E  de'  Persi  e  de'  Greci  che  già  furo Incliti,  ed  or  n'è  quasi  il  nome  oscuro. 77  Ami  d'oro  e  d'argento  appresso  vede In  una  massa,  ch'erano  quei  doni Che  si  fan  con  speranza  di  mercede Ai  Re,  agli  avari  principi,  ai  patroni. Vede  in  ghirlande  ascosi  lacci;  e  chiede, Et  ode  che  son  tutte  adulazioni. Di  cicale  scoppiate  imagine  hanno Versi  ch'in  laude  dei  signor  si  fanno. 78  Di  nodi  d'oro  e  di  gemmati  ceppi Vede  c'han  forma  i  mal  seguiti  amori.V'eran  d'acquile  artìgli;  e  che  fur,  seppi. L'autorità  ch'ai  suoi  danno  i  Signori. I  mantici  ch'intorno  bau  pieni  i  greppi. Sono  i  fumi  dei  Principi,  e  i  favori Che  danno  un  tempo  ai  Ganimedi  suoi, Che  se  ne  van  col  fior  degli  anni  poi. 548 GELANDO  PUEIOSO. 79  Buine  di  dttadi  e  di  castella Stavan  con  gran  tesor  quivi  sozzopra. Domanda,  e  sa  che  son  trattati,  e  quella Congiura  che  si  mal  par  che  si  copra. Vide  serpi  con  &ccia  di  donzella, Di  monetieri  e  di  ladroni  V  opra: Poi  vide  bocce  rotte  di  più  sorti, Oh'era  il  serrò  delle  misere  corti. 80  Di  versate  minestre  una  gran  massa Vede,  e  domanda  al  suo  Dottor,  ch'importo. L'elemosina  è,  dice,  che  si  lassa Alcun,  che  fatta  sia  dopo  la  morte. Di  vari  fiori  ad  nn  gran  monte  passa, Ch'ebbe  già  buono  odore,  or  putia  forte. Questo  era  il  dono  (se  però  dir  lece) Che  Costantino  al  buon  Silvestro  fece. 81  Vide  gran  copia  di  panie  con  visco, Ch'erano,  o  donne,  le  bellezze  vostre. Ltmgo  sarà,  se  tutte  in  verso  ordisco Le  cose  che  gli  ftir  quivi  dimostre; Che  dopo  mille  e  mille  io  non  finisco, E  vi  son  tutte  l'occorrenzie  nostre:Sol  la  pazzia  non  v'  è  poca  né  assai; Che  sta  quaggiù,  né  se  ne  parte  mai. 82  Qaivi  ad  alcuni  giorni  e  &tti  sui, Ch'egli  già  avea  perduti,  si  converse: Che  se  non  era  interprete  con  lui. Non  discemea  le  forme  lor  diverse. Poi  giunse  a  quel  che  par  si  averlo  a  nui. Che  mai  per  esso  a  Dio  voti  non  fèrse; 10  dico  il  senno: e  n'  era  quivi  un  monte. Solo  assai  più,  che  l'altre  cose  conte. 83  Era  come  un  liquor  suttile  e  molle. Atto  a  esalar,  se  non  si  tien  ben  chiuso; E  si  vedea  raccolto  in  varie  ampolle, Qaal  più,  qual  men  capace,  atte  a  quell'uso. Quella  è  maggior  di  tutte,  in  che  del  folle Signor  d'Anglante  era  il  gran  senno  infuso; E  fu  dall'altre  conosciuta,  quando Avea  scritto  di  fuor:  Senno  d'Orlando. 84  E  cori  tutte  l'altre  avean  scritto  anco 11  nome  di  color  di  chi  fu  il  senno. Del  suo  gran  parte  vide  il  Duca  franco; Ma  molto  più  meravigliar  lo  fènno Molti  ch'egli  credea  che  dramma  manco Non  dovessero  averne,  e  quivi  dònno Chiara  notàsia  che  ne  tenean  poco; Che  molu  quantità  n'era  in  quel  lece. 85  Altri  in  amar  lo  perde,  altri  in  onori. Altri  in  cercar,  scorrendo  il  mar,  rìcèbecze: Altri  nelle  speranze  de'  Signori Altri  dietro  alle  magiche  sciocchezze: Altri  in  gemme,  altri  in  opre  di  pittori, Ed  altri  in  altro  che  più  d'altro  apprezze. Di  sofisti  e  d'astrologhi  raccolto, E  di  poeti  ancor  ve  n'era  molto. 86  Astolfo  tolse  il  suo;  che  gliel  concesse Lo  scrìttor  dell'oscura  Apocalisse. L'ampolla  in  ch'era,  al  naso  sol  si  messe, E  par  che  quello  al  luogo  suo  ne  gisse; E  che  Turpin  da  indi  in  qua  confesse Ch'Astolfo  lungo  tempo  saggio  visse; Ma  ch'uno  error  che  fece  poi,  fu  quello Ch' un' altra  volta  gli  levò  il  cervello. 87  La  più  capace  e  piena  ampolla,  ov'  era n  senno  che  solea  fyn  savio  il  Conte, Astolfo  toUe:  e  non  è  sì  leggiera, Come  stimò,  con  l'altre  essendo  a  monte. Prima  che  '1  Paladin  da  quella  sfera Piena  di  luce  alle  più  basse  smonte. Menato  fu  dall'Apostolo  santo In  un  palagio,  o v'era  un  fiume  accanto; 88  Ch'ogni  sua  stanza  avea  piena  di  velli Di  lin,  di  seta,  di  coton,  di  lana. Tinti  in  vari  colori  e  brutti  e  belli. Nel  primo  chiostro  una  femmina  oana Fila  a  un  aspo  traea  da  tutti  quelli; Come  veggiam  l'estate  la  villana Traer  dai  bachi  le  bagnate  sposrlie, Quando  la  tfuova  seta  si  raccoglie. 89  Ve  chi,  finito  un  vello,  rimettendo Ne  viene  un  altro,  e  chi  ne  porta  altronde: Un'altra  delle  filze  va  scegliendo Il  bel  dal  brutto  che  quella  confonde. Che  lavor  si  fa  qui,  eh'  io  non  l'intendo?Dice  a  Giovanni  Astolfo:  e  quel  risponde: Le  vecchie  son  le  Parche,  che  con  tali Stami  filano  vite  a  voi  mortali 90  Quanto  dura  un  de' velli,  tanto  dura L'umana  vita,  e  non  di  più  un  momento. Qui  tien  l'oochio  e  la  Morte  e  la  Natura, Per  saper  l'ora  ch'un  debba  esser  spento. Sceglier  le  belle  fiU  ha  l'altra  cura. Perchè  si  tesson  poi  per  ornamento Del  Paradiso;  e  dei  più  brutti  stami Si  fan  per  li  dannati  aspri  legami 91  Dì  tatti  i  yelli  eh'  erano  già  messi In  aspo,  e  scelti  a  Gume  altro  lavoro, Erano  in  brevi  piastre  i  nomi  impressi: Altri  di  ferro,  altri  d'argento  o  d'oro; E  poi  fitti  n'avean  cumuli  spessi, De' quali,  senza  mai  farvi  ristoro. Portarne  via  non  si  vedea  mai  stanco Un  yecchio,  e  ritornar  sempre  per  anco. 92    Era  quel  vecchio  si  espedito  e  snello. Che  per  correr  parea  ohe  fosse  nato: E  da  quel  monte  il  lemho  del  mantello Portava  pien  del  nome  altrui  segnato. Ove  n'  andava,  e  perchè  facea  quello, Nell'altro  Canto  vi  sarà  narrato, Se  d'averne  piacer  segno  fìtrete Con  quella  grata  udienza  che  solete. N  o  T  B. St.  1.  V.1.   Arpie  sono  qui  i  barbari  soeei  in  Italia i  loro  desolata. 8t.  2.  V.14.   Troppo  falld,  $ec.  Allude  a  Giulio  n, e,  dopo  la  giornata  di  Ravenna,  riaccese  la  guerra  in Jia,  chiamandovi  gli  Svizzeri  per  discaociame  i  Fran ii,   y.  5.  iZ  bel  vivere  è  la  bella  vita  che  in  Italia menava  prima  della  discesa  di  Oarlo  YIII. IT.  3.  V.27.   Cacci  fiAor  di  Lete:  fàccia  dimenti e;  e  ciò  riguarda  la  misera  condizione  deglltaliani. !a  virtù  di  Calai  e  di  Zete,  ecc.: due  figli  di  Borea li  Oritia,  i  quali  cacciarono  sino  alle  Strofadi  le  Arpie brattavano  le  mense  di  Fineo  re  di  Tracia. T.  5.  V.8.   JZ  can  trifauce,  è  Cerbero  da  tre  teste. T.  7.  V.5.   Far  mossa,  dondolare. T.  12.  V.17.   Anassarete:  donzella  di  Cipro,  la insensibilità  all'amore  dlfl,  principe  cipriotto,  cen so il  giovine  ad  appiccarsi;  ed  ella  Ai  convertita  in IO.   Dafne: ninfa,  che  fuggendo  da  Apollo,  da  cui amata,  venne  cangiata  in  lauro. r.  14.  V.3e.   JZ  "a  Teseo  e  Giasone,  ecc.  Rammenta 'oeta  quattro  ingannatori  di  donne:  Teseo  cioè  e ione,  che  delusero,  Tuno  Arianna,  Paltro  Medea;  Enea, [uistatore  del  Lazio,  che  abbandonò  Didone,  e  Am ,  figlio  di  David,  che  mutò  in  odio  il  suo  amore  per ar;  di  che  nacque  odio  mortale  fta  lui  e  Absalon. .  18.  V.1.  ~  La  Panfilia,  la  Caria,  la  Cilicia,  come e  la  Lidia,  erano  regni  dell'Asia  minore,  oggi Ana 32.  V.6.   Più  strali  impenni:  guarnisca  di ),  prepari  altri  strali  per  innamorarlo. 36.  y.  6.   Tributo  pagato  per  vassallaggio.  Ircania,  provincia  dell'antica  Persia,  sul  mar  Ca famosa  per  le  sue  tigri  (tigri  ireane)  che  non  vi iù. 38.  V.7.   Lestrigoni:  rozzi  popoli  del  Lazio, asentati  neHOdissea  come  antropofSaigi. 30.  V.15.   Non  fu  da  EuHsteo  mai,  ecc.  Vedi i  mitologi  le  molte  prove  a  cui  Alcide  (Brcole)  fu osto,  per  l'odio  ohe  gli  portava  Giunone.  In  Lema, l'Idra;  in  Nomea,  il  Leone;  in  Tracia,  Diomede;  in ato  accise  on  cinghiale  ferocissimo;  in  Nnmidia, •nte  Anteo;  sul  Tevere,  Caco;  solllbero,  Gerione. 17.  V.3.   Infeee:  deturpò. iO.  V.5.   Vaghi:  scorra  intomo. St.  53.  V.5.   Dedalo:  qui  ifieoso,  a  modo  di epiteto.   Le  mirahil  sette  moli:  le  sette,  chiamate dagli  antichi,  maraviglie  del  mondo;  vale  a  dire, le  Piramidi  egiziane,  il  sepolcro  di  Mausolo,  il  tempio di  Diana  in  Efeso,  il  colosso  di  Rodi,  il  palazzo  di  Ciro re  dei  Medi,  la  statua  di  Giove  Olimpico,  e  le  mura  di Babilonia. St.  58.  V.18   Giovanni  l'evangelista,  figlinol  di Zebedeo. St.  69.  v.28.   Enoch,  U  patriarca,  ecc.  In  letà  d'anni 365  fu  rapito  sopra  un  carro  di  fuoco,  e  portato  vivo nel  paradiso  terrestre,  dove  si  dice  che  debba  stare  fino alla  consumazione  dei  secoli.   Il  gran profeta  Elia. Presso  al  fiume  Giordano,  e  sugli  occhi  del  profeta  Eli seo, suo  discepolo,  anche  Elia  scomparve  sopra  un  carro di  fuoco.   Tube,  trombe,  voce  latina  usata  da  Dante. St.  61.  v.5.   Il  vecchio  sposo: Titone. St.  62.  V.1.  ~  Scorse:  discorse,  ragionò. St.  69.  V.16.  Quattro  destrier,  via  più  che  /lammu rossi;  ed  il  Petrarca,  Trionfo  d'Amore,  I:  Quattro  de strier via  più  che  neve  bianchi.   E  tosto  in  messo  U fuoco  etemo  giunse.  Intendi  nella  sfera  del  fuoco,  che, secondo  le  teorie  di  Tolomeo,  credevasi  intermedia  fm la  terra  e  il  cielo  della  luna. St.  75.  V.4.   Non  han  mai  loco: non  sono  mai eseguiti. St.  76.  v.1.   Biche: qui  cumuli,  mucchi. St.  78.  V.Ò,   Jcppi;  le  pelli  de' mantici,  che  di latandosi e  restringendosi  a  vicenda,  accolgono  l'aria  e la  respingono  fuori.    Ganimedi: qui  sta  per  i  favoriti de'principi.  Ganimede,  figliuolo  di  Troe,  era  si  beUo  e ben  formato,  che  Giove  lo  rapi  per  farsene  un  coppiere in  cielo. St.  80.  V.8.   Che  Costantino,  ecc.  Costantino  im peratore, di  cui  senza  fondamento  storico  si  dice,  che passando  ad  abitare  a  Costantinopoli  donasse  Roma  a S.  Silvestro. St.  84,  V.3.   Il  dtéca  franco: Astolfo,  che,  sebbene inglese,  era  paladino  di  Francia. St.  88.  V.4.   Oana:  canuta. St.  91.  V.8.   £  ritornar  sempre  per  anco: sottin tendi a  levarne. St.  92.  V.1.   Era  quel  vecchio,  ecc.  Descrive  alle goricamente  la  velocità  del  tempo. CANTO  TRENTESIMOQUINTO. Canto  XXXV. dell  amore  auo;  poi,  tOjLìeiido  occ&slone  d&ì  lavoro  d6lJ"  Pattdit, fa  uno  Bi>Ii.''ULlidij  elogio  al  cjìidinal  d' Kto  Hostra  qiuQcli  tOMÈÈ il  tem|iu  Hpi,'iiga  i  nomi  deIi  nomini  ofìiurì,  e  come  salg  a  i immortùlr.  (lUi'l  f!iri  prcdaii.  E  ripiiliandu  U  filo  dui  Foi:im&"  ri ferisce alcuni  fatti  lj;ì  Brad  cimante,  elle,  punta  tuttora  dì, pei'  Ruggiero,  Io  sfida  a  Uattaglia, Chi  salirà  per  moi  Madonna    in  cielo A  riportarne  il  miu  p  erti  ut  a  ingegno   Che  poi  cli'n:ìcì  debeì  Toatri  occM  il  telo Cile  1  cor  mi  fisee,  ognor  perdendo  Tegno?Ké  di  tauU  iattura  mi  querelo, rurchè  non  cresca,  ma  sda  a  quesito  segno; Cy  ii>  dubito,  SG  più  si  Ta  scemando, Dì  venir  tal,  qual  lio  descritto  Orlando. Per  riaTer  l'ingeierno  mio  mè  aTTiso Cile  non  bisogna  che  per  Tana  io  poggi Nel  cercliio  della  Luna  o  in  Paradisa; Chè'ì  mio  non  credo  che  tanto  alto  alloggi. Nc  bei  vostri  occld  e  nel  sereno  viso   Nel  sen  davoris>  e  alabagtrìm  poggi Se  ne  va  errando;  ed  io  con  queste  labbia Lo  còrrò y  se  vi  par  ch'io  lo  riabbia. Per  gli  ampli  tetti  andava  il  Paladino \itte  mirando  le  fatare  vite, 'oi  ch'ebbe  visto  sul  fatai  molino olgerd  quelle  <ih' erano  già  ordite:scòrse  nn  vello  che  più  che  d'dr  fino )Iender  parea;  né  sarian gemme  trite, in  filo  si  tirassero  con  arte, a  comparargli  alla  millesma  parte. Mirabilmente  il  bel  vello  gli  piacque, le  tra  infiniti  paragon  non  ebbe; di  sapere  alto  disio  gli  nacque, landò  sarà  tal  vita,  e  a  chi  si  debbe. Evangelista  nulla  glie  ne  tacque:e  venti  anni  principio  prima  avrebbe, le  coll'M  e  col  D  fosse  notato anno  corrente  dal  Verbo  incarnato. 9  Quegli  ornamenti  che  divisi  in  molti, A  molti  basterìan  per  tutti  ornarli, In  suo  ornamento  avrà  tutti  raccolti Costui,  di  ch'ai  volato  ch'io  ti  parli. Le  virtudi  per  lui,  per  lui  suffolti Saran  gli  studi;  e  s'io  vorrò  narrar  li Alti  suoi  merti,  al  fin  son  si  lontano, Ch'Orlando  il  senno  aspetterebbe  invano. 10  Cosi  venia  V  imitator  di  Cristo Ragionando  col  Duca: e  poi  che  tutte Le  stanze  del  gran  luogo  ebbono  visto, Onde  l'umane  vite  eran  condutte. Sul  fiume  uscirò,  che  d'arena  misto Con  l'onde  discorrea  turbide  e  brutto; E  vi  trovar  quel  vecchio  in  su  la  riva, Che  con  gì'  impressi  nomi  vi  veniva. E  come  di  splendore  e  di  beltade el  vello  non  avea  simile  o  pare; sì  saria  la  fortunata  etade, e  dovea  uscirne  al  mondo,  singulare; rchè  tutte  le  grazie  inclite  e  rade, alma  Natura,  o  proprio  studio  dare, )enigna  Fortuna  ad  uomo  puote, rà  in  perpetua  ed  infallibil  dote. )el  Be  de' fiumi  tra  l'altiere  coma siede  umil,  diceagli,  e  piccol  borgo; anzi  il  Po,  di  dietro  gli  soggiorna Jta  palude  un  nebuloso  gorgo; ,  volgendosi  gli  anni,  la  più  adoma tutte  le  città  d'Italia  scorgo, pur  di  mura  e  d'ampli  tetti  regi, di  bei  studi  e  di  costumi  egregi anta  esaltatone  e  cosi  presta, fortuita  0  d'avventura  casca; V  ha  ordinata  il  Ciel  perchè  sia  questa uà  in  che  l'uom,  di  ch'io  ti  parlo,  nasca: j  doYe  il  fhitto  ha  da  venir,  s' innesta •n  studio  si  fa  crescer  la  frasca; artefice  l'oro  affinar  suole, he  legar  gemma  di  pregio  vuole. "  si  leggiadra  né  si  bella  veste la  ebbe  altr'alma  in  quel  terrestre  regno; ro  è  sceso  e  scenderà  da  queste superne  un  spirito  si  degno, )  per  fame  Ippolito  da  Este e  V  eterna  Mente  alto  disegno, ito  da  Este  sarà  detto mo  a  ehi  Dio  si  ricco  dono  ha  eletto. 11  Non  so  se  vi  sia  a  mente,  io  dico  quello Ch'  al  fin  dell' altro  Canto  vi  lasciai. Vecchio  di  faccia,  e  si  di  membra  snello. Che  d'ogni  cervio  è  più  veloce  assai. Degli  altrui  nomi  egli  si  empia  il  mantello; Scemava  il  monte,  e  non  finiva  mai; Ed  in  quel  fiume  che  Lete  si  noma, Scarcava,  anzi  perdea  la  ricca  soma. 12  Dico  che,  come  arriva  in  su  la  sponda Del  fiume,  quel  prodigo  vecchio  scuote Il  lembo  pieno,  e  nella  turbida  onda Tutte  lascia  cader  l'impresse  note. Un  numer  senza  fin  se  ne  profonda, Ch'un  minimouso  aver  non  se  ne  puote; E  di  cento  migliaia  che  l'arena Sul  fondo  involve,  un  se  ne  serva  appena. 13  Lungo  e  d'intomo  quel  fiume  volando Gfivano  corvi  ed  avidi  avoltori> Mulacchie  e  vari  augelli,  che  gridando Facean  discordi  strepiti  e  r  omeri; Ed  alla  preda  correan  tutti,  quando Sparger  vedean  gli  amplissimi  tesori: E  chi  nel  becco,  e  chi  nell'ugna  torta Ne  prende;  ma  lontan  poco  gli  porta. 14  Come  vogliono  alzar  per  l'aria  i  voli. Non  han  poi  forza  che  '1  peso  sostegna; 1  che  convien  che  Lete  pur  involi De  ricchi  nomi  la  memoria  degna. Fra  tanti  augelli  son  duo  cigni  soli. Bianchi,  Signor,  come  è  la  vostra  insegna, Che  vengon  lieti  riportando  in  bocca Sicuramente  il  nome  che  lor  tocca. 562 ORLANDO  PUBIOSO. stanza  16. 16    Cosi  contra  i  pensieri  empi  e  maUgm Del  yecchio,  che  donar  gli  yorria  ai  ùmim Alcan  ne  salyan  gli  augelli  benigni Tatto  Tayanzo  obblivìon  oonsnme. Or  se  ne  yan  notando  i  sacri  di, Ed  or  per  l'aria  battendo  le  pinme, Finché  presso  alla  ripa  del  fiiime  empio Troyano  un  colle,  e  sopra  il  colle  un  tempii. 16  All'Immortalitade  il  laogo  è  sacro, Oye  una  bella  Ninfa  giù  del  colle Viene  alla  ripa  del  letéo  layacro, E  di  bocca  dei  cigni  i  nomi  tolle; E  quelli  affigge  intorno  al  simalacro Ch'in  mezzo  il  tempio  una  colonna "tolle.Qoiyi  li  sacra,  e  ne  fa  tal  goyemo. Che  yi  si  puon  yeder  tutti  in  eterno. 17  Chi  sia  quel  yecchio,  e  perchè  tatti  al  rk Senza  alcun  frutto  i  bei  nomi  dispensi, E  degli  augelli,  e  di  quel  luogo  pio Onde  la  bella  Ninfa  al  fiume  yiend, Ayeya  Astolfo  di  saper  desio I  gran  misteri  e  gli  incogniti  sensi; E  domandò  di  tutte  queste  cose L'uomo  di  Dio,  che  cosi  gli  rispose:18  Tu  dèi  saper  che  non  si  muoye  fronda Laggiù,  che  segno  qui  non  se  ne  fiaccLL Ogni  effetto  conyien  che  corrisponda In  terra  e  in  ciel,  ma  con  diyersa  faccia. Quel  yecchio,  la  cui  barba  il  petto  innond&. Veloce  si  che  mai  nulla  V  impaccia, Gli  effetti  pari  e  la  medesima  opra Che  '1  Tempo  fa  laggiù,  fa  qui  di  sopra. 19  Vòlte  che  son  le  fila  in  su  la  ruota, Laggiù  la  yita  umana  arriva  al  fine. La  fama  1&,  qui  ne  riman  la nota; Ch'  immortali  sariano  ambe  e  divine, Se  non  che  qui  quel  dalla  irsuta  gota, E  laggiù  il  Tempo  ognor  ne  fk  rapine Questi  le  getta,  come  yedi,  al  rio:E  quel  l'immerge  nell'eterno  obblio. 20  E  come  quassù  i  corvi  e  gli  avoltori E  le  mulacchie  e  gli  altri  vari  augelli S' affaticano  tutti  per  trar  fuori Dell'acqua  i  nomi  che  veggion  più  beUi; Cosi  laggiù  ruffiani,  adulatori, Buffon,  cinedi,  accusatori,  e  quelli Che  vivono  alle  corti,  e  che  vi  sono Più  grati  assai  che  '1  virtuoso  e  1  buono; stanza  13. 21    E  son  chiamati  cortigian  gentili, Perchè  sanno  imitar  l'asino  e  '1  ciacco; DeMor  Signor  tratto  che  nahhia  i  fili La  giusta  Parca,  anzi  Venere  e  Bacco, Questi  di  ch'io  ti  dico,  inerti  e  vili. Nati  solo. ad  empir  di  cibo  il  sacco. Portano  in  bocca  qualche  giorno  il  nome; Poi  nelPobblio  lascian  cader  le  some. 7    Omero  Agamennon  vittorioso, E  fé  i  Troian  parer  xili  ed  inerti; E  che  Penelopea,  fida  al  suo  sposo, Dai  prochi  mille  oltraggi  avea  sofferti. E  se  tu  vuoi  cheU  ver  non  ti  sia  ascoso, Tutta  al  contrario  V  istoria  converti:Che  i  Greci  rotti,  e  che  Troia  vittrice E  che  Penelopea  fu  meretrice. ?2    Ma  come  i  cigni,  che  cantando  lieti Rendono  salve  le  medaglie  al  tempio; Cosi  gii  uomini  degni  da  poeti Son  tolti  dalPobblio,  più  che  morte  empio. 0  beue  accorti  Principi  e  discreti, Che  seguite  di  Cesare  V  esempio, E  gli  scrittor  vi  fate  amici,  donde Non  avete  a  temer  di  Lete  Fonde! 3    Son,  come  i  cigni,  anco  i  poeti  rari, Poeti  che  non  sian  del  nome  indegni. Si  perchè  il  Ciel  degli  uomini  preclari Non  paté  mai  che  troppa  copia  regni, Sì  per  gran  colpa  dei  Signori  avari Che  lascian  mendicare  i  sacri  ingegni; Che  le  virtù  premendo,  ed  esaltando I  vizj,  caccian  le  buone  arti  in  bando. [    Credi  che  Dio  questi  ignoranti  ha  privi Dello  'ntelletto,  e  loro  offusca  i  lumi; Che  della  poesia  gli  ha  fatto  schivi, Acciò  che  morte  il  tutto  ne  consumi. Oltre  che  del  sepolcro  uscirian  vivi, Ancor  chavesser  tutti  i  rei  costumi; Purché  sapesson  farsi  amica  Cirra, Più  grato  odore  avrian,  che  nardo  o  mirra. Non  si  pietoso  Enei,  né  forte  Achille u,  come  è  fama,  né  sì  fiero  Ettorre;   ne  son  stati  e  mille  e  mille  e  mille he  lor  si  puon  con  verità  anteporre; i  donati  palazzi  e  le  gran  ville )ai  discendenti  lor,  gli  ha  fatto  porre Q  questi  senza  fin  sublimi  onori )air  onorate  man  degli  scrittori. Non  fa  si  santo  né  benigno  Auguste, 'ome  la  tuba  di  Virgilio  suona: "'  avere  avuto  in  poesia  buon  gusto, a  proscrizione  iniqua  gli  perdona. essun  sapria  se  Neron  fosse  ingiusto, è  sua  ma  saria  forse  men  buona, vesse  avuto  e  terra  e  ciel  nimid, i  gli  scrittor  sapea  tenersi  amici. stanza  24. 28    Dair  altra  parte  odi  che  fama  lascia Elisa,  ch'ebbe  il  cor  tanto  pudico; Che  riputata  viene  una  bagascia, Solo  perché  Maron  non  le  fu  amico. Non  ti  maravigliar  eh io  n'abbia  ambascia, E  se  di  ciò  diffusamente  io  dico. Gli  scrittori  amo,  e  fo'il  debito  mio; Chal  vostro  mondo  fui  scrittore  anch'io. 21    E  sopra  tutti  gli  altri  io  feci  acquisto Che  non  mi  può  levar  tempo  nò  morte: E  ben  convenne  al  mio  lodato  Cristo Rendermi  guiderdon  di  si  gran  sorte. Ducimi  di  quei  che  sono  al  tempo  tristo. Quando  la  cortesia  chiuso  ha  le  porte; Che  con  pallido  viso  e  macro  e  asciutto La  notte  e  '1  di  vi  picchian  senza  frutto. 80      che,  continuando  il  primo  detto, Sono  i  poeti  e  gli  studiosi  pochi; Che  dove  non  han  pasco  né  ricetto, Insin  le  fere  abbandonano  i  lochi. Cosi  dicendo  il  vecchio  benedetto Gli  occhi  infiammò,  che  parveno  duo  fuochi: Poi  volto  al  Duca  con  un  saggio  riso, Tornò  sereno  il  conturbato  viso. 31    Resti  con  lo  scrittor  dell'Evangelo Astolfo  ormai,  ch'io  voglio  far  un  salto. Quanto  sia  in  terra  a  venir  fin  dal  cìdo: Ch4o  non  posso  più  star  su  l'ali  in  alto. Tomo  alla  donna,  a  cui  con  grave  telo Mosso  avea  gelosia  crudele  assalto. Io  la  lasciai  eh'  avea  con  breve  erra Tre  Re  gittati,  un  dopo  l'altro,  in  terra; Stanza  40. E  che  giunta  la  sera  ad  un  castello Ch'alia  via  di  Parigi  si  ritrova, D'Agramante  che,  rotto  dal  fratello, S'era  ridotto  in  Arli,  ebbe  la  nuova. Certa  che'l  suo  Rnggier  fosse  con  quello; Tosto  ch'apparve  in  ciel  la  luce  nuova. Verso  Provenza,  dove  ancora  intese Ohe  Carlo  lo  seguia,  la  strada  prese. 33    Verso  Provenza  per  la  via  più  dritta Andando,  s'incontrò  in  una  donzella, Ancorché  fosse  lacrimosa  e  afflitta. Bella  di  faccia,  e  di  maniere  bella. Questa  era  quella  si  d'amor  trafitta Per  lo  figliuol  di  Monodante,  quella Donna  gentil  ch'avea  lasciato  al  ponte L'amante  suo  prigion  di  Rodomonte. stanza  31.  84    Ella  venia  cercando  un  cavalìero, Cb'  a  far  battaglia  usato,  come  lontra In  acqua  e  in  terra  fosse,  e  co  fiero, Che  lo  potesse  al  Pagan  porre  incontra. La  sconsolata  amica  di Ruggiero, Come  quest'altra  sconsolata  incontra, Cortesemente  la  saluta,  e  poi Le  chiede  la  cagion  dei  dolor  suoi. 35   Fiordiligi  lei  mira,  e  veder  parie Un  cavalier  eh  al  suo  bisogno  fia; E  comincia  del  ponte  a  ricontarle, Ove  impedisce  il  Re  d  Algier  la  via; E  ch'era  stato  appresso  di  levarle suo:  non  che  più  forte  sia; Ma  sapea  darsi  il  Saracino  astuto Col  ponte  stretto  e  con  quel  fiume  aiuto. (6    Se  sei,  dicea,  si  ardito  e  si  cortese, Come  ben  mostri  1  uno  e  1  altro  in  vista, vendica,  per  Dio,  di  chi  mi  prese Il  mio  signore,  e  mi  fa  gir  si  trista; E  consigliami  akneno  in  che  paese Possa  io  trovare  un  eh' a  colui  resista, E  sappia  tanto  d'arme  e  di  battaglia, Che  '1  fiume  e  '1  ponte  al  Pagan  poco  vaglia. 7    Oltre  che  tu  farai  quel  che  conviensi Ad  uom  cortese  e  a  ca vallerò  errante, In  beneficio  il  tuo  valor  dispensi Del  più  fedel  d'ogni  fedele  amante. Dell'altre  sue  virtù  non  appartiensi A  me  narrar;  che  sono  tante  e  tante, Che  chi  non  n'  ha  notizia,  si  può  dire Che  sia  del  veder  privo  e  dell'udire. B    La  magnanima  donna,  a  cui  fu  girata Sempre  ogni  impresa  che  può  farla  degna D'esser  con  laude  e  gloria  nominata. Subito  al  ponte  di  venir  disegna: Ed  ora  tanto  più,  eh' è  dispei   'a, Vien  volentier,  quando  anco  a  mor,    vegna; Che  credendosi,  misera!  esser  priva Del  suo  Ruggiero,  ha  in  odio  d'esser  viva. )    Per  quel  ch'io  vaglio,  giovane  amorosa. Rispose  Bradamante,  io  m' offerisco Di  far  l'impresa  dura  e  perigliosa. Per  altre  cause  ancor,  ch'io  preterisco; Ma  più,  che  del  tuo  amante  narri  cosa (  he  narrar  di  pochi  uomini  awertisco, Che  sia  in  amor  fedel;  ch'afiè  ti  giuro Ch'in  ciò  pensai  eh' ognun  fosse  pergiuro. 40  Con  un  sospir  quest'ultime  parole Finì,  con  un  sospir  eh'  usci  dal  core; Poi  disse: Andiamo;  e  nel  seguente  sole Giunsero  al  fiume,  al  passo  pien  d'orrore. Scoperte  dalla  guardia  che  vi  suole Fame  segno  col  corno  al  suo  Signore, n  Pagan  s'arma;  e,  quale  è'I  suo  costume. Sul  ponte  s' appresenta  in  ripa  al  fiume:41  E  come  vi  compar  quella  guerriera. Di  porla  a  morte  subito  minaccia, Quando  dell'arme  e  del  destrier,  su  ch'era, Al  gran  sepolcro  oblazi'on  non  faccia. Bradamante  che  sa  l'istoria  vera, Come  per  lui  morta  Isabella  giaccia, Che  Fiordiligi  detto  le  l'avea, Al  Saracin  superbo  rispondea: 42  Perchè  vuoi  tu,  bestiai,  che  gl'innocenti Facciano  penitenzia  del  tuo  fallo? Del  sangue  tuo  placar  costei  convienti. Tu  l'uccidesti;  e  tutto '1  mondo  sallo. Sì  che  di  tutte  l'arme  e  guernimenti Di  tanti  che  gittati  hai  da  cavallo, Oblazione  e  vittima  più  accetta Avrà,  ch'io  te  le  uccida  in  sua  vendetta. 43  E  di  mia  man  le  fia  più  grato  il  dono, Quando,  com'  ella  fu,  son  donna  anch'  io:Né  qui  venuta  ad  altro  effetto  sono, Oh' a  vendicarla;  e  questo  sol  disio. Ma  far  tra  noi  prima  alcun  patto  è  buono, Che'l  tuo  valor  si  compari  col  mio. S'abbattuta  sarò,  di  me  farai Quel  che  degli  altri  tuoi  prigion  fatt'  hai:44  Ma  s' io  t' abbatto,  come  io  credo  e  spero, Guadagnar voglio  il  tuo  cavallo  e  l'armi, E  quelle  offerir  sole  al  cimitero, E  tutte  l'altre  distaccar  da' marmi; E  voglio  che  tu  lasci  ogni  guerriero. Rispose  Bodomonte:  Giusto  parmi Che  sia  come  tu  di';  ma  i  prigion  darti Già  non  potrei,  ch'io  non  gli  ho  in  queste  parti. 45  Io  gli  ho  al  mio  regno  in  Africa  mandati Ma  ti  prometto  e  ti  do  ben  la  fede, Che  se  m'awien  per  casi  inopinati Che  tu  stia  in  sella,  e  ch'io  rimanga  a piede, Farò  che  saran  tutti  liberati In  tanto  tempo,  quanto  si  richiede Di  dare  a  un  messo  che  'n  fretta  si  mandi A  far  quel  che,  s' io  perdo,  mi  comandi. 46    Ma  8  a  te  tocca  star  di  sotto,  come Più  si  conviene,  e  certo  so  che  fia, Non  yoche  lasci  Parme,  né  il  tao  nome, di  vinta,  sottoscritto  sia: Al  tuo  bel  viso,  a begli  occhi,  alle  chiome; Che  spiran  tutti  amore  e  leggiadria. Voglio  donar  la  mia  vittoria;  e  basti Che  ti  disponga  amarmi,  ove  m'odiasti. 49    Nel  trapassar  ritrovò  appena  loco Ove  entrar  col  destrìer  quella  gnenierm; E  fu  a  gran  risco,  e  ben  vi  mancò  poeo. non  traboccò  nella  riviera; Ma  Rabicano,  il  quale  il  vento  e  1  faoeo Concetto  avean,  si  destro  ed  agii  era. Che  nel  margine  estremo  trovò  strada; E  sarebbe  ito  anco  s'un  fil  di  spada. stanza 50  EUa  si  volta,  e  centra  rabbattuto Pagan  ritoma: e  con  leggiadro  mott<":Or  puoi,  disse,  veder  chi  abbia  perduto, E  a  chi  di  noi  tocchi  di  star  di  sotto. Di  maraviglia  il  Pagan  resta  muto, Ch'  una  donna  a  cader  V  abbia  condotto; E  far  risposta  non  potè  o  non  volle, E  fu  come  uom  pien  di  stupore  e  foUe.' 51  Di  terra  si  levò  tacito  e  mesto; E  poi  ch'andato  fu  quattro  o  sei  passi. Lo  scudo  e  Telmo,  e  dell'altre  arme  il  resm Tutto  si  trasse,  e  gittò  contra  i  sassi; E  solo  e  a  pie  fu  a  dileguarsi  presto; Non  che  commissì'on  prima  non  lassi A  un  suo  scudier,  che  vada  a  far  V  eflfeao Dei  prigion  suoi,•  secondo  che  fu  detto. 52  Partissi;  e  nulla  poi  pia  se  n'intese. Se  non  che  stava  in  una  grotta  scura. Intanto  Bradamante  avea  sospese Di  costui  l'arme  all' alta  sepoltura; E  fattone  levar  tutto  l'arnese, D  qual  dei  cavalieri,  alla  scrittura. Conobbe  della  corte  esser  di  Carlo, Non  levò  il  resto,  e  non  lasciò  levarlo. 47    Io  son  di  tal  valor,  son  di  tal  nerbo, Ch'aver  non  dèi  d'andar  di  sotto  a  sdegno. Sorrise  alquanto,  ma  d'un  riso  acerbo, Che  fece  d'ira,  più  che  d'altro,  segno. La  donna: uè  rispose  a  quel  superbo; Ma  tornò  in  capo  al  ponticel  di  legno. Spronò  il  cavallo,  e  con  la  lancia  d'oro Venne  a  trovar  quell'orgoglioso  Moro. 53    Oltr'a  quel  del  figliuol  di  Monodante, V'è  quel  di  Sansonetto  e  d'Oliviero, Che,  per  trovare  il  Principe  d'Anglante, Quivi  condusse  il  più  dritto  sentiero. Quivi  fur  presi,  e  fiiro  il  giorno  innante Mandati  via  dal  Saracino  altiero: Di  questi  T  arme  fé'  la  donna  tórre Dall'alta  mole,  e  chiuder  nella  torre. 4S    Rodomonte  alla  giostra  s' apparecchia:Viene  a  gran  corso;  ed  è  si  grande  il  suono Che  rende  il  ponte,  eh'  intronar  l'orecchia Può  forse  a  molti  che  lontan  ne  sono. La  lancia  d'oro  fé' l'usanza  vecchia: Che  quel  Pagan,  si  dianzi  in  giostra  buono. Levò  di  sella,  e  in  aria  lo  sospese, Indi  sul  ponte  a  capo  ingiù  lo  stese. 54    Tutte  l'altre  lasciò  pender  dai  sa&M. Che  fur  spogliate  ai  cavalier  padani. V  eran  l  arme  d'un  Re,  del  quale  i  pafsi Per  Frontalatte  mal  fur  spesi  e  va  i:Io  dico  l'arme  del  Re  de'  Circassi, Che  dopo  lungo  errar  per  colli  e  piani, Venne  quivi  a  lasciar  V  altro  destriero; E  poi  senz'arme  andossene  leggiero. 5    S'era  partito  disarmato  e  a  piede Quel  Re  pagan  dal  periglioso  ponte, Si  come  gli  altri,  cheran  di  sua  Fede, Partir  da  sé  lasciava  Rodomonte. Ma  di  tornar  più  al  campo  non  gli  diede Il  cor;  chMvi  apparir  non  avria  fronte; Che,  per  qnel  che  vantossi,  troppo  scorno Gli  saria  &ryi  in  tal  gnisa  ritorno. 68    Ove  navilio  e  buona  compagnia Spero  trovar,  da  gir  neir altro  lito. Mai  non  mi  fermerò,  finch'io  non  sia Venuta  al  mio  Signore  e  mio  marito. Voglio  tentar,  perchè  in  prigion  non  stia, Più  modi  e  più:  che,  se  mi  vien  fallito Questo  che  Rodomonte  t' ha  promesso, Ne  voglio  avere  nno  ed  un  altro  appresso. X  _r Stanza  62. Stanza  62. 5     Di  pur  cercar  nuovo  desir  lo  prese Colei  che  sol  avea  fissa  nel  core. Fu  r avventura  sua,  che  tosto  intese (Io  non  vi  saprei  dir  chi  ne  fu  autore) Oh'  ella  tornava  verso  il  suo  paese:Ondesso,  come  il  punge  e  sprona  Amore, Dietro  alla  pesta  subito  si  pone. Ma  tornar  voglio  alla  figlia  d'Amene. '     Poi  che  narrato  ebbe  con  altro  scritto, Come  da  lei  fa  liberato  il  passo; A  Fiordiligi  eh' avea  il  core  afflitto, E  tenea  il  viso  lacrimoso  e  basso, Domandò  umanamente  ov'ella  dritto y olea  che  fosse,  indi  partendo,  il  passo. Rispose  Fiordiligi:  Il  mio  cammino Vo'  che  sia  in  Arli  al  campo  Saracino, AaiosTo. Io  m'offerisco,  disse  Bradamante, D'accompagnarti  un  pezzo  della  strada, Tanto  che  tu  ti  vegga  Arli  davante, Ove  per  amor  mìo  vo'che  tu  vada A  trovar  quel  Ruggier  del  re  Agramante, Che  del  suo  nome  ha  piena  ogni  contrada; E  ohe  gli  rendi  questo  buon  destriero, Onde  abbattuto  ho  il  Saracino  altiero 60  Voglio  eh'  a  punto  tu  gli  dica  questo:Un  cavalier  che  di  provar  si  crede, E  fare  a  tutto  '1  mondo  manifesto Che  contra  lai  sei  mancator  di  fede; Acciò  ti  trovi  apparecchiato  e  presto, Questo  destrier,  perch'io  tei  dia,  mi  diede. Dice  che  trovi  tua  piastra  e  tua  maglia, E  che  l'aspetti  a  &r  te"o  battaglia. 61  Digli  questo,  e  non  altro;  e  se  quel  vuole Saper  da  te  elisio  son,  di' che  noi  sai. Quella  rispose  umana  come  suole:Non  sarò  stanca  in  tuo  servizio  mai Spender  la  vita,  non  che  le  parole; Che  tu  ancora  per  me  cosi  fatto  hai. Grazie  le  rende  Bradamante,  e  piglia Frontino,  e  le  lo  porge  per  la  briglia. 62  Lungo  il  fiume  le  belle  pellegrine Giovani  vanno  a  gran  giornate  insieme, Tanto  che  veggono  Arli,  e  le  vicine Rive  odon  risonar  del  mar  che  freme. Bradamante  si  ferma  alle  confine Quasi  de' borghi  ed  alle  sbarre  estreme, Per  dare  a  Fionliligi  atto  intervallo. Che  condurle  a  Raggier  possa  il  cavallo. 63  Vien  Fiordiligì"  ed entranel  rastrelk. Nel  ponte  e  nella  porta;  e  seco  prende Chi  le  fa  compagnia  fino  all'ostello Ove  abita  Ruggiero,  e  quivi  scende; £,  secondo  il  mandato,  ai  damigello Fa  r  imbasciata,  e  il  buon  Frontin  gii  rak Indi  va,  che  risposta  non  aspetta, Ad  eseguire  il  suo  bisogno  in  fretta. 64  Ru&:gier  ri  man  confuso  e  in  pensìer  gn::ir E  non  sa  ritrovar  capo  né  via Di  saper  chi  lo  sfide,  e  chi  gli  mande A  dire  oltraggio,  e  a  fargli  cortesia. Che  costui  senza  fede  lo  domande, 0  possa  domandar  uomo  che  sia, Non  sa  veder  né  imaginare;  e  prima, Ch'ogu' altro  sia  che  Bradamante,  istinti. '  ''n  jt.._.  _ stanza rL:,   S  7 65    Che  fosse  Rodomonte,  era  più  presto Ad  aver,  che  fosse  altri,  opinione; E  perchè  ancor  da  lui  debba  udir  questo Pensa,  né  iraaginar  può  la  cagione. Fuorché  con  lui,  non  sa  di  tutto  '1  resto Del  mondo  con  chi  lite  abbia  e  tenzone. Tu  tanto  la  donzella  di  Dordona Chiede  battaglia,  e  forte  il  corno  suona. C6    Vien  la  nuova  a  Marsilio  e  ad  Agramante, Cli'un  cavalier  di  fuor  chiede  battaglia. caso  Serpentin  loro  era  avante, Ed  impetrò  di  vestir  piastra  e  maglia, E  promesse  pigliar  questo  arrogante. Il  popol  venne  sopra  la  muraglia; Né  fanciullo  restò,  né  restò  veglio, Che  non  fosse  a  veder  chi  fésse  meglio. 67  Con  ricca  sopravvesta  e  bello  arnese Serpentin  dalla  Stella  in  giostra  venne. Al  primo  scontro  in  terra  si  distese:Il  destrìer  aver  parve  a  fuggir  penne. Dietro  gli  corse  la  donna  cortese, E  per  la  briglia  al  Saracin  lo  tenne, E  disse: Monta,  e  fa  che  '1  tuo  Signore Mi  mandi  un  cavalier  di  te  migliore. 68  II  Re  african,  eh'  era  con  gran  fiinuglìt Sopra  le  mura  alla  giostra  vicino, Del  cortese  atto  assai  si  maraviglia, Ch'usato  ha  la  donzella  a  Serpentino. Di  ragion  può  pigliarlo,  e  non  lo  piglia. Diceva,  udendo  il  popol  Saracino. Serpentin  giunge;  e  com'ella  comanda, Un  miglior  da  sua  parte  al  Re  domanda. 9    Grandonio  di  Yolteraa  furibondo  . Il  più  superbo  cavalier  di  Spagna, Pregando  fece  sì,  che  fd  il  secondo, Ed  usci  con  minacce  alla  campagna: Tua  cortesia  nulla  ti  vaglia  al  mondo; Che,  quando  da  me  vinto tu  rimagna, Al  mio  Signor  menar  preso  ti  voglio: Ma  qui  morrai,  s  io  posso  come  soglio. 0  La  donna  disse  lui:  Tua  villania Non  vo  che  men  cortese  far  mi  possa, ChUo  non  ti  dica  che  tu  torni,  pria Che  sul  duro  terren  ti  doglian  Tossa. Ritorna,  e  di al  tuo  He  da  parte  mia, Che  per  simile  a  te  non  mi  son  mossa; Ma  per  trovar  guerrier  che  '1  pregio  vaglia, Son  qui  venuta  a  domandar  battaglia. 1  li  mordace  parlare  acre  ed  acerbo, Graii  fuoco  al  cor  del  Saracino  attizza; Si  che,  senza  poter  replicar  verbo, Volta  il  destrier  con  collera  e  con  stizza. Volta  la  donna,  e  centra  quel  superbo La  lancia  d'oro  e  Rabicano  drizza. Come  Tasta  fatai  lo  scudo  tocca, Coi  piedi  al  cielo  il  Saracin  trabocca. 2  11  destrier  la  magnanima  guerriera Gli  prese,  e  disse: Pur  tei  prediss'  io, Che  far  la  mia  ambasciata  meglio  t'er/, Che  della  giostra  aver  tanto  disio. Di'  al  Re,  ti  prego,  che  fuor  della  schier.i Elegga  un  cavalier  che  sia  par  mio; Né  voglia  con  voi  altri  aifaticarme, Ch'avete  poca  esperienzia  d'arme. 75    Contra  la  donna  per  giostrar  si  fece Ma  prima  salutolla,  ed  ella  lui. Disse  la  donna:  Se  saper  mi  lece, Ditemi  in  cortesia  chi  siate  vui. Di  questo  Ferraù  le  satisfece: Ch'usò  di  rado  di  celarsi  altrui. Ella  soggiunse: Voi  già  non  rifiuto; Ala uvria  più  volentieri  altri  voluto. stanza  71. 3  Quei  dalle  mura,  che  stimar  non  sanno Chi  sia  il  guerriero  in  su  T  arcion  si  saldo, Quei  più  famosi  nominando  vanno, Che  tremar  li  fan  spesso  al  maggior  caldo. Che  Brandimarte  sia,  molti  detto  hanno: La  più  parte  s' accorda  esser  Rinaldo:Molti  su  Orlando  avrian  fatto  disegno; Ma  il  suo  caso  sapean,  di  pietà  degno. 4  La  terza  giostra  il  figlio  di  Lanfusa Chiedendo,  disse:  Non  che  vincer  speri, Ma  perchè  di  cader  più  degna  scusa Abbian,  cadendo  anch'  io,  questi  guerrieri. E  poi  di  tutto  quel  ch'in  giostra  s'usa, Si  messe  in  punto;  e  di  cento  destrieri Che  tenea  in  stalla,  d'un  tolse  Teletta, Ch'avea  il  correre  acconcio,  e  di  gran  fretta. 76  E  chi? Ferraù  disse.  Ella  rispose:Ruggiero;  e  appena  il  potè  proferire; E  sparse  d'un  color,  come  di  rose. La  bellissima  faccia  in  questo  dire. Soggiunse  al  detto  poi: Le  cui  famose Lode  a  tal  prova  m  han  fatto  venire. Altro  non  bramo,  e  d'altro  non  mi  cale, Che  di  provar  com'  egli  in  giostra  vale. 77  Semplicemente  disse  le  parole Che  forse  alcuno  ha  già  prese  a  malizia. Rispose  Ferraù: Prima  si  vuole Provar  tra  noi  chi  sa  più  di  milizia. Se  (li  me  avvien  quel  che  di  molti  suole, Poi  verrà  ad  emendar  la  mia  tristizia Quel  gentil  cavalier  che  tu  dimostri Aver  tanto  desio  che  teco  giostri.78    Parlando  tattavolta  la  donzella, Teneva  la  visiera  alta  dal  viso. Mirando  Ferraù  la  faccia  bella, Si  sente  rimaner  mezzo  conquiso; E  taciturno  dentro  a  sé  favella: Questo  un  Angel  mi  par  del  Paradiso; E  ancor  che  con  la  lancia  non  mi  tocchi, Abbattuto  'son  già  da  suoi  begli  occhi. 79    Preson  del  campo: e,  come  agli  altri  avvenne, Ferraà  se  n  usci  di  sella  netto. Bradamante  il  destrier  suo  gli  riteane, E  disse:  Torna,  e  serva  quel  ch'hai  detto. Ferraù  vergognoso  se  ne  venne, E  ritrovò  Ruggier  eh  era  al  conspetto Del  re  Agramante;  e  gli  fece  sapere Ch'alia  battaglia  il  cavalier  lo  chere. 80    Ruggier,  non  conoscendo  ancor  chi  fosse Che  a  sfidar  lo  mandava  alla  battaglia, Quasi  certo  di  vincere,  allegrosse; E  le  piastre  arrecar  fece  e  la  maglia:Né  Taver  visto  alle  gravi  percosse Che  gli  altri  sian  caduti,  il  cor  gli  smaglia. Come  s'armxsse,  e  come  uscisse,  e  quanto Poi  ne  seguì,  lo  serbo  all'altro  Canto. N  o  TB, 'T.  3.  V.58.   E  scórse  un  vello,  ecc.  In  quel  vello si  denota  il  corso  vitale  del  cardinale  Ippolito  da  Este, ch'ebbe  TAriosto  in  sna  corte. St.  4.  V.68.   Che  venti  anni  prima,  ecc.  Il  car dinale Ippolito  nacque  nel  1479;  ed  erano  allora  com pinti venti  anni  prima  del  1500. St.  6.  V.12.   Ferrara  aveva  in  antico  il  Po  da due  lati. St,  11.  V.7.   Ed  in  quel  finme  che  Lete  si  noma: fiume  deirobblio,  finto  dal  Poeta  nella  luna,  come  Dante lo  finse  nel  paradiso  terrestre. St.  13.  V.a   Mulacchie.  Uccelli  molto  slmili  ai  corvi. St.  14.  V.6.   Come  è  la  vostra  insegna:  come  è r  aquila  di  casa  d' £st": cioè  Taquila  bianca  in  campo azzurro. St.  le.  V.2.   Questa  bella  ninfa  ò  la  Fama. St.  22.  V.6.   Cesare.  Qui  Cesare  Augusto. St.  24.  V.7.  -Cirra  .città  nella  Focide,  presso  Delfo alle  radici  del  Parnaso.  I  poeti  la  finsero  stanza  delle Muse;  ed  è  qui  nominata  per  indicare  i  poeti. Tt.  28.  V.2.   Elisa:  ossia  Didone,  regina  di  Carta gine, innamorata  di  Enea. St.  33.  V.56.   Questa  era  quella,  ecc.,  Fiordiligi  Lo  figliuol  di  Monodante:  Brandimarte. St.  54.  V.5   Del  re  de  Circassi:  di  .Sacripante, pri  no  posseditore  di Frontalatte,  che,  venuto  in  poter di  Ruggiero,  ta  poi  detto  Frontino. St.  70.  V.68.   Bradamante,  preoccupato  dai  suoi pensieri,  si  cara  poco  che  altri  la  prenda  per  uomo  o per  donna;  tanto  ò  vero  che  teneva  anche  la  visiera  al zata, com'è  detto  alla  Stanza  78. St.  80.  V.6.   Il  cor  gli  smaglia: gli  fiacca,  gli prostra 0  C' stanza  U. CANTO  TRENTESIMOSESTO. ARGOMENTO. Bradamante  nello  sfidare  Ruggiero,  Marfisa,  che  Io  ha  prevenuto,  è  rovesciata  più  volte  dalla  magica allori  si  accende  mischia  tra  i  cavalieri  dell'an  campo  e  dell'altro,  spettatori  della  contesa.  Bradam ante, aelli  ha  riconosciuto  Ruggiero,  si  scaglia  contro  di  lui;  ma  non  soif erendo  di  fargli  oltraggio,  si  getta  sa li  disperde.  Ridottasi  poi  con  Ruggiero  in  luogo  appartato,  in  cui  sorge  un  avello,  ivi  giunge  Marfisa, uale  Bradamante  si  attacca  di  nuovo.  Ruggiero  si  sforza  invano  di  separare  le  due  combattenti;  e 11  pure  è  alle  prese  con  l'ostinata  Marfisa,  una  voc3  uscita  dall'avello  li  manifesta  per  fratello  e  sorella. m  eh ovunque  sia,  sempre  cortese •r  gentil,  ch'esser  non  può  altrimente; natura  e  per  abito  prese I  di  mutar  poi  non  è  possente, eh' ovunque  sia,  sempre  palese rillan  si  mostri  similmente, nchina  al  male;  e  viene  a  farsi poi  difficile  a  mutarsi. rtesia,  di  gentilezza  esempj antiqui  guerrier  si  vider  molti, fra  i  moderni;  ma  degli  empj avvien  ch'assai  ne  vegga  e  ascolti, i  guerra,  Ippolito,  che  i  tempj ornaste  agi'  inimici  tolti, ¦aeste  lor  galee  captive i  carche  alle  paterne  rive, Tutti  gli  atti  crudeli  ed  inumani Ch'  usasse  mai  Tartaro  o  Turco  o  Moro, Non  già  con  volontà  de'  Veneziani, Che  sempre  esempio  di  giustizia  ioro, Usaron  l'empie  e  scellerate  mani Dei  rei  soldati,  mercenari  loro. Io  non  dico  or  di  tanti  accesi  fuochi, Ch'arson  le  ville  e  i  nostri  ameni  lochi: Benché  fu  quella  ancor  brutta  vendetta, Massimamente  contra  voi,  eh'  appresso Cesare  essendo,  mentre  Padua  stretta Era  d'assedio,  ben  sapea  che  spesso Per  voi  più  d'una  fiamma  fu  interdetta, E  spento  il  fuoco  ancor,  poi  che  fu  messo, Da  villaggi  e  da  templi;  come  piacque All'alta  cortesia  che  con  voi  nacque. Io  non  parlo  di  questo,  né  di  tanti Altri  lor  discortesi  e  crudeli  atti; Ma  sol  di  quel  che  trar  dai  sassi  i  pianti Debbe  poter,  qual  volta  se  ne  tratti. Quel  dì,  Signor,  che  la  femiglia  innanti Vostra  mandaste  là  dove  ritratti Dai  legni  lor  con  importuni  auspici S'erano  in  luogo  forte  gP inimici: Stanza  17. 8  Schiavon  crudele,  onde  hai  tu  il  modo  appreso Della  milizia?  In  qual  Scizia  sMntende Ch'uccider  si  debba  un,  poi  ch'egli  è  preso. Che  rende  l'arme,  e  più  non  si  difende? Dunque  uccidesti  lui,  perchè  ha  difeso La  patria? Il  sole  a  torto  oggi  risplende, Crudel  secolo,  poiché  pieno  sei Di  Tiesti,  di  Tantali  e  di  Atrei. 9  Fésti,  Barbar  crudel,  del  capo  scemo Il  più  ardito  garzon  che  di  sua  etade Fosse  da  un  polo  all'altro,  e  dall'estremo Lito  degl'Indi  a  quello  ove  il  sol  cade. Potea  in  Antropofago,  in  Polifemo La  beltà  e  gli  anni  suoi  trovar  pietade; Ma  non  in  te,  più  crudo  e  più  fellone D'ogni  Ciclope  e  d'ogni  Lestrigone. 10  Simile  esempio  non  credo  che  sia Fra  gli  antiqui  guerrier,  de'quai  gli  studi Tutti  fur  gentilezza  e  cortesia; Né  dopo  la  vittoria  erano  crudi. Bradamante  non  sol  non  era  ria A  quei  eh'  avea,  toccando  lor  gli  scudi, Fatto  uscir  della  sella;  ma  tenea Loro  i  cavalli,  e  rimontar  facea. 11  Di  questa  donna  valorosa  e  bella Io  vi  dissi  di  sopra,  che  abbattuto Aveva  Serpentin  quel  dalla  Stella, Grandonio  di  Volterna  e  Ferrauto, E  ciascun  d'essi  poi  rimesso  in  sella; E  dissi  ancor,  che  '1  terzo  era  venuto, Da  lei  mandato  a  disfidar  Ruggiero, Là  dove  era  stimata  un  cavaliero. 6  Qual  Ettorre  ed  Enea  sm  dentro  ai  flutti, Per  abbruciar  le  navi  greche,  andaro; Un  Ercol  vidi  e  un  Alessandro,  indutti Da  tropp(f  ardir,  partirsi  a  paro  a  paro; E  spronando  i  destrier,  passarci  tutti; E  i  nemici  turbar  fin  nel  riparo; E  gir  si  innanzi,  ch'ai  secondo  molto Aspro  fu  il  ritornare,  e  al  primo  tolto. 7  Salvossi  il  Ferruffin,  restò  il  Cantelmo. Che  cor,  Duca  di  Sora,  che  consiglio Fu  allora  il  tuo,  che  trar  vedesti  l'elmo Fra  mille  spade  al  generoso  figlio, E  menar  preso  a  nave,  e  sopra  un  schelmo Troncargli  il  capo?  Ben  mi  maraviglio Che  darti  morte  lo  spettacol  solo Non  potò,  quanto  il  ferro  a  tuo  figliuolo. 12  Ruggier  tenne  lohivito  allegramente, E  l'armatura  sua  fece  venire. Or,  mentre  che  s' armava,  al  Re  presente Tomaron  quei  Signor  di  nuovo  a  dire, Chi  fosse  il  Cavalier  tanto  eccellente. Che  di  lancia  sapea  si  ben  ferire; E  Ferraù,  che  parlato  gli  avea. Fu  domandato  se  lo  conoscea. 13  Rispose  Ferraù:  Tenete  certo Che  non  è  alcun  di  quei  ch'avete  detto. A  me  parea,  eh'  il  vidi  a  viso  aperto, Il  fratel  di  Rinaldo  giovinetto: Ma  poi  ch'io  n'ho  l'alto  valore  esperto, E  so  che  non  può  tanto  Ricciardetto, Penso  che  sia  la  sua  sorella,  molto (Per  quel  ch'io  n'odo)  a  Ini  simil  di  volto. CANTO   TRENTESIMOSESTO. 14  Ella  ha  ben  fama  d'esser  forte  a  pare Del  ano  Rinaldo  e  d'ogni  Paladino; 3ra,  per  quanto  io  ne  veggo  oggi,  mi  pare Che  vai  più  del  fratel,  più  del  cugino. Come  Ruggier  lei  sente  ricordare, Del  vermiglio  color  che  '1  mattutino Sparge  per  Tarla,  si  dipinge  in  faccia, £  nel  cor  criema,  e  non  sa  che  si  faccia. 15  A  questo  annunzio,  stimolato  e  punto Dair  amoroso  strai,  dentro  infiammarse, E  per  l'ossa  senti  tutto  in  un  punto Correr  un  giaccio  che  '1  timor  vi  sparse; Timor  eh' un  novo  sdegno  abbia  consunto Quel  grande  amor  che  già  per  lui  si  l'arse. Di  ciò  confuso,  non  si  risolveva, S'incontra  uscirle,  oppur  restar  doveva. 20  Forza  è  a  Marfisa  eh' a  quel  colpo  vada A  provar  se  '1  terreno  è  duro  o  molle; E  cosa  tanto  insolita  le  accada, Ch'  ella  n'  è  per  venir  di  sdegno  folle. Fu  in  terra  appena,  che  trasse  la  spada, E  vendicar  di  quel  cader  si  volle. La  figliuola  d'Amon  non  meno  altiera Gridò: Che  fai? tu  sei  mia  prigioniera. 21  Sebbene  uso  con  gli  altri  cortesia, Usar  teco,  Marfisa,  non  la  voglio; Come  a  colei  che  d'ogni  villania Odo  che  sei  dotata  e  d'ogni  orgoglio. Marfisa  a  quel  parlar  fremer  s'udia Come  un  vento  marino  in  uno  scoglio. Grida,  ma  sì  per  rabbia  si  confonde, Che  non  può  esprimer  fuor  quel  che  risponde. 16  Or  quivi  ritrovandosi  Marfisa, Che  d'uscire  alla  giostra  avea  gran  voglia. Ed  era  armata,  perchè  in  altra  guisa É  raro,  o  notte  o  di,  che  tu  la  coglia, Sentendo  che  Ruggier  s'arma,  s'avvisa Che  di  quella  vittoria  ella  si  spoglia, Se  lascia  che  Ruggiero  esca  fuor  prima:Pensa  ire  innanz,  e  averne  il  pregio  stima 17  Salta  a  cavallo,  e  vien  spronando  in  fretti Ove  nel  campo  la  figlia  d' Amone Con  palpitante  cor  Ruggiero  aspetta. Desiderosa  farselo  prigione; £  pensa  solo  ove  la  lancia  metta. Perchè  del  colpo  abbia  minor  lesione. Marfisa  se  ne  vien  fuor  della  porta, E  sopra  Telmo  una  fenice  porta: stanza  20. 22    Mena  la  spada,  e  più  ferir  non  mira Lei,  che  '1  destrier,  nel  petto  e  nella  pancia; Ma  Bradamante  al  suo  la  briglia  gira, E  quel  da  parte  subito  si  lancia; E  tutto  a  un  tempo  con  isdegno  ed  ira La  figliuola  d'Amon  spinge  la  lancia, E  con  quella  Marfisa  tocca  appena. Che  la  fa  riversar  sopra  l'arena. 18    0  sia  per  sua  superbia,  dinotando Sé  stessa  unica  al  mondo  in  esser  forte, 0  pur  sua  casta  intenzi'on  lodando, Di  viver  sempre  mai  senza  consorte. La  figliuola  d' Amon  la  mira;  e  quando Le  fattezze  ch'amava  non  ha  scorte. Come  si  nomi  le  domanda;  et  ode Esser  colei  che  del  suo  amor  si  gode; 23    Appena  ella  fu  in  terra,  che  rizzosse.. Cercando  far  con  la  spada  mal'opra. Di  nuovo  l'asta  Bradamante  mosse, E  Marfisa  di  nuovo  andò  sozzopra. Benché  possente  Bradamante  fosse, Non  però  sì  a  Marfisa  era  di  sopra, Che  T  avesse  ogni  colpo  riversata; Ma  tal  virtù  nell'asta  era  incantata. 19  0,  per  dir  megUo,  esser  colei  che  crede Che  goda  del  suo  amor,  colei  che  tanto Ha  in  odio  e  in  ira,  che  morir  si  vede, Se  sopra  lei  non  vendica  il  suo  pianto. Volta  il  cavallo,  e  con  gran  furia  riede. Non  per  desir  di  porla  in  terra,  quanto Di  passarle  con  Tasta  in  mezzo  il  petto, libera  restar  d'ogni  sospetto. 24    Alcuni  cavalieri  in  questo  mezzo. Alcuni,  dico,  della  parte  nostra Se  n'erano  venuti  dove,  in  mezzo L'un  campo  e  l'altro,  si  facea  la  giostra (Che  non  eran  lontani  un  miglio  e  mezzo), Veduta  la  virtù  che'l  suo  dimostra; Il  suo,  che  non  conoscono  altrimente Che  per  un  cavalier  della  lor  gente. 25    Questi  vedendo  il  generoso  figlio Di  Troiano  alle  mnra  approssimarsi, Per  ogni  caso,  per  ogni  periglio Non  volse  sprovveduto  ritrovarsi; E  fé  che  molti  all' arme  diér  di  piglio, E  che  fuor  dei  ripari  appresentArsi. Tra  questi  ta  Ruggiero,  a  cui  la  fretta Dì  Marfisa  la  giostra  avea  intercetta. 23. 26  L'innamorato  giovene  mirando Stava  il  successo,  e  gli  tremava  il  core, Della  sua  cara  moglie  dubitando; Che  di  Marfisa  ben  sapea  il  valore. Dubitò,  dico,  nel  principio,  quando Si  mosse  V  una  e  V  altra  con  furore; 3ra  visto  poi  come  successe  il  fatto. Restò  maraviglioso  e  stupefatto: 27  E  poiché  fin  la  lite  lor  non  ebbe, Com'avean  T altre  avuto,  al  prim' incontro, Nel  cor  profondamente  gli  ne  'ncrebbe, Dubbioso  pur  di  qualche  strano  incontro. Dell'una  egli  e  dell'altra  il  ben  vorrebbe. Ch'ama  amendue;  non  che  da  porre  incontro Sien  questi  amori:  è  l'un  fiamma  e  furore, altra  benivolenza  più  eh'  amore. 29  Di  qua  di  là  gridar  si  sente  all' arme, Come  usati  eran  far  quasi  ogni  giorno. Monti  chi  è  a  pie,  chi  non  è  armato  a' arme, Alla  bandiera  ognun  faccia  ritorno, Dicea  con  chiaro  e  bellicoso  carme Più  d'una  tromba  che  scorrea  d'intorno: E  come  quelle  svegliano  i  cavalli, Svegliano  i  fanti  i  timpani  e  i  taballi. 30  La  scaramuccia  fiera  e  sanguinosa, Quanto  si  possa  imaginar,  si  mesce. La  donna  di  Dordona  valorosa, A  cui  mirabilmente  aggrava  e  incresce Che  quel  di  ch'era  tanto  disìosa, Di  por  Marfisa  a  morte,  non  riesce; Di  qua  di  là  sì  volge  e  si  raggira, Se  Ruggier  può  veder,  per  cui  sospira. 31  Lo  riconosce  all'aquila  d'argento C'ha  nello  scudo  azzurro  il  giovinetto. Ella  con  gli  occhi  e  col  pensiero  intento Si  ferma  a  contemplar  le  spalle  e  '1  petto, Le  leggiadre  fattezze,  e  '1  movimento Pieno  di  grazia;  e  poi  con  gran  dispetto, Imaginando  ch'altra  ne  gioisse. Da  furore  assalita  cosi  disse: Stanza  26. 2    Dunque  baciar  si  belle  e  dolci  labbia Deve  altra,  se  baciar  non  le  posa'  io?Ah  non  sia  vero  già  ch'altra  mai  t'abbia; Che  d'altra  esser  non  dèi,  se  non  sei  mio. Piuttosto  che  morir  sola  di  rabbia, Che  meco  di  mia  man  mori,  disio; Che  sebben  qui  ti  perdo,  almen  F Inferno Poi  mi  ti  renda,  e  stii  meco  in  eterno. 28    Partita  volentier  la  pugna  avria, Se  con  suo  onor  potuto  avesse  farlo. Ma  quei  ch'egli  avea  seco  in  compagnia. Perchè  non  vinca  la  parte  di  Carlo, Che  già  lor  par  che  superior  ne  sia, Saltan  nel  campo,  e  vogliono  turbarlo. Dall'altra  parte  i  cavalier  cristiani Si  fanno  innanzi,  e  son  quivi  alle  mani. 33    Se  tu  m' cecidi,  è  ben  ragion  che  deggi Darmi  de  la  vendetta  anco  conforto; Che  voglion  tutti  gli  ordini  e  le  leggi. Che  chi  dà  morte  altrui,  debba  esser  morto. Né  par  eh' anco  il  tuo  danno  il  mio  pareggi: tu  morì  a  ragione, io  moro  a  torto. Farò  morir  chi  brama,  oimè !  eh'  io  mora; Ma  tu,  crudel,  chi  t'ama  e  chi  t'adora. S4    lerchè  non  dèi  tn,  mano,  essere  ardita D'aprir  col  ferro  ài  mio  nimico  il  core? Che  tante  volte  a  morte  m'ha  ferita Sotto  la  pace  in  sicurtà  d'amore, Ed  or  può  consentir  tormi  la  vita, Né  por  aver  pietà  del  mio  dolore. Contra  quest'empio  ardisci,  animo  forte: Vendica  mille  mie  con  la  sua  morte. 36    Ben  pensa  quel  che  le  parole  denno Volere  inferir  piiì;  ch'ella  l'accusa Che  la  convenzì'on  ch'insieme  fènno, Non  le  osservava: onde,  per  farne  iscusa, Di  volerle  parlar  le  fece  cenno. Ma  qnella  già  con  la  visiera,  chiusa Venia,  dal  dolor  spinta  e  dalla  rabbia, Per  porlo,  e  forse  ove  non  era  sabbia. {     Gli  sprona  contra  in  questo  dir;  ma  prima. Guardati,  grida,  perfido  Ruggiero:Tu  non  andrai,  s' io  posso,  della  opima Spoglia  del  cor  d'una  donzella  altiero. Come  Ruggiero  ode  il  parlare,  estima Che  sia  la  moglie  sua,  com'era  in  vero; La  cui  voce  in  memoria  si  bene  ebbe, Ch'in  mille  riconoscer  la  potrebbe. 37    Quando  Ruggier  la  vede  tanto  accesa. Si  ristringe  nell' arme  e  nella  sella:La  lancia  arresta;  ma  la  tien  sospesa, Piegata  in  parte  ove  non  noccia  a  quella. Li  donna,  eh' a  ferirlo  e  a  fargli  offesa Venia  con  mente  di  pietà  rubella, Non  potè  soiferir,  come  fu  appresso, Di  porlo  in  terra,  e  fargli  oltraggio  espresso. stanza  29. 88    Cosi  lor  lance  van  d'effetto  vuote A  qnello  incontro;  e  basta  ben,  s' Amore Con  l'un  giostra  e  con  l'altro,  e  gli  percuote D'una  amorosa  lancia  in  mezzo  il  core. Poi  che  la  donna  sofferir  non  puote Di  far  onta  a  Ruggier,  volge  il  furore, Che  l'arde  il  petto,  altrove;  e  vi  fa  cose Che  saran,  finché  giri  il  ciel,  famose. e  9     In  poco  spazio  ne  gittò  per  terra Trecento  e  più  con  quella  lancia  d'oro. Ella  sola  quel  di  vinse  la  guerra, Hesse  ella  sola  in  fuga  il  popol  moro. Ruggier  di  qua  di  là  s'aggira  ed  erra Tanto,  che  se  le  accosta  e  dice: Io  moro, non  ti  parlo:  oimè !  che  t'ho  fatt'io. Che  mi  debbi  fuggire?  Odi,  per  Dio. 40  Come  ai  meridional  tiepidi  venti, Che  spirano  dal  mare  il  fiato  caldo Le  nevi  si  disciolgono  e  i  torrenti, E  il  ghiaccio  che  pur  dianzi  era  si  saldo; Cosi  a  quei  prieghi,  a  quei  brevi  lamenti Il  cor  della  sorella  di  Rinaldo Subito  ritornò  pietoso  e  molle, Che  l'ira,  più  che  marmo,  indurar  volle. 41  Non  vuol  dargli,  o  non  puote,  altra  risposta; Ma  da  traverso  sprona  Rabicano, E  quanto  può  dagli  altri  si  discosta, Ed  a  Ruggiero  accenna  con  la  mano. Fuor  della  moltitudine  in  reposta Valle  si  trasse,  ov'  era  un  piccol  piano, Ch'in  mezzo  avea  un  boschetto  dr  cipressi Che  parean  d'una  stampa  tutti  impressi. 72 670 ORLANDO   FURIO 42  In  quel  boftchetto  era  di  bianchi  marmi Fatta  di  nuovo  un'alta  sepoltura. Chi  dentro  giaccia,  era  con  brevi carmi Notato  a  chi  saperlo  avesse  cura. Ma  quivi  giunta  Bradamante,  parmi Che  già  non  pose  mente  alla  scrittura. Euggier  dietro  il  cavallo  affretta  e  punge Tanto,  ch'ai  bosco  e  alla  donzella  giunge. 43  Ma  ritorniamo  a  Maifisa,  che  s' era In  questo  mezzo  in  sul  destrier  rimessa, E  venia  per  trovar  quella  guerriera Che  l'avea  al  primo  scontro  in  terra  messa; E  la  vide  partir  fuor  della  schiera, E  partir  Kuggier  vide,  e  seguir  essa; Né  si  pensò  che  per  amor  seguisse, Ma  per  finir  con  l'arme  ingiurie  e  risse. Stanza  38. 44    Urta  il  cavallo,  e  vien  dietro  alla  pesta Tanto,  eh' a  un  tempo  con  lor  quasi  arriva. Quanto  sua  giunta  ad  ambi  sia  molesta, Chi  vive  amando  il  sa,  senza  ch'io'l  scriva. Ma  Bradamante  offesa  più  ne  resta; Che  colei  vede,  onde  il  suo  mal  deriva. Chi  le  può  tor  che  non  creda  esser  vero Che  l'amor  ve  la  sproni  di  Ruggiero?46    E  perfido  Ruggier  di  novo  chiama. Non  ti  bastava,  perfido,  disse  ella, Che  tua  perfidia  sapessi  per  fama, Se  non  mi  facevi  anco  veder  quella? Di  cacciarmi  da  te  veggo  e' hai  brama: E  per  sbramar  tua  voglia  iniqua  e  fella, Io  vo'motir;  ma  sforzerommi  ancora Che  muora  meco  chi  è  cagion  ch'io  mora. stanza  42. CANTO  TRENTESIM0SB8T0. 46  Sdegnosa  più  che  yipera,  si  spicca Cosi  dicendo,  e  va  contra  Marfisa; Ed  allo  scudo  V  asta  sì  le  appicca, Che  la  fa  addietro  riversare  in  guisa, Che  quasi  mezzo  Telmo  in  terra  ficca: Né  si  può  dir  che  sia  colta  improvvisa; Anzi  fa  incontra  ciò  che  far  si  puote:Eppure  in  terra  del  capo  percuote. 47  La  figliuola  d'Amon,  che  vuol  morire 0  dar  morte  a  Marfisa,  è  in  tanta  rabbia, Che  non  ha  mente  di  nuovo  a  ferire Con  l'asta,  onde  a  gittar  di  nuovo  T abbia; Ma  le  pensa  dal  busto  dipartire capo  mezzo  fitto  nella  sabbia: Getta  da  sé  la  lancia  d  oro,  e  prende La  spada,  e  del  destrier  subito  scende. 48  Ma  tarda  é  la  sua  giunta:  che  si  trova Marfisa  incontra,  e  di  tanta  ira  piena (Poiché  s'ha  vista  alla  seconda  prova Cader  sì  facilmente  su  V  arena), Che  pregar  nulla,  e  nulla  gridar  giova A  Ruggier,  che  di  questo  avea  gran  pena Si  l'odio  e  Tira  le  guerriere  abbaglia, Che  fan  da  disperate  la  battaglia. 49  A  mezza  spada  vengono  di  botto:E  per  la  gran  superbia  che  V  ha  accese, Van  pur  innanzi,  e  si  son  già  sì  sotto. Ch'altro  non  puon  che  venire  alle  prese. Le  spade,  il  cui  bisogno  era  interrotto, Lascian  cadere,  e  cercan  nuove  offese. Priega  Ruggiero  e  supplica  amendue; Ma  poco  frutto  han  le  parole  sue. 50  Quando  pur  vede  che  '1  pregar  non  vale, Di  partirle  per  forza  si  dispone: Leva  di  mano  ad  amendua  il  pugnale, Ed  al  pie  d'un  cipresso  li  ripone. Poiché  ferro  non  han  più  da  far  male, Con  prieghi  e  con  minacce  s' interpone:Ma  tutto  é  iuvan: che  la  battaglia  fanno A  pugni  e  a  calci,  poi  ch'altro  non  hanno, 51  Ruggier  non  cessa;  or  l'una  or  l'altra  prende Per  le  man,  per  le  braccia,  e  la  ritira; E  tanto  fa  che  di  Marfisa  accende Contra  di  sé,  quanto  si  può  più,  l'ira. Quella,  che  tutto  il  mondo  vilipende. All'amicizia  di  Ruggier  non  mira. Poi  che  da  Bradamante  si  distacca. Corre  alla  spada,  e  con  Ruggier  s'attacci. 52    Tu  fai  da  discortese  e  da  villano, Ruggiero,  a  disturbar  la  pugna  altrui; Ma  ti  farò  pentir  con  questa  mano, Che  vo'che  basti  a  vincervi  ambedui. Cerca  Ruggier  con  parlar  molto  umano Marfisa  mitigar;  ma  contra  lui La  trova  in  modo  disdegnosa  e  fiera, Ch'un  perder  tempo  ogni  parlar  seco  era. Stanza  45 58    Ali  ultimo  Ruggier  la  spada  trasse, Poiché  l'ira  anco  lui  fé' rubicondo. Non  credo  che  spettacolo  mirasse, Atene  o  Roma  o  luogo  altro  del  mondo, Che  così  a' riguardanti  dilettasse. Come  dilettò  questo  e  fu  giocondo Alla  gelosa  Bradamante,  quando Questo  le  pose  ogni  sospetto  in  bando. 54    La  sua  spada  avea  tolta  ella  di  terra, E  tratta  s' era  a  riguardar  da  parte; E  le  parca  veder  che  '1  Dio  di  guerra Fosse  Ruggiero  alla  possanza  e  all'arte. Una  Furia  ìnfemal,  quando  si  sferra, Sembra  Marfisa,  se  quel  sembra  Marte. Vero  é  ch'un  pezzo  il  giovene  gagliardo Di  non  far  il  poter  ebbe  riguardo. 572 orlando;furios  . 55  Sapea  ben  la  Tirtù  della  sua  spada; Che  tante  espeiieuze  n'  ha  già  fatto. Ove  giunge,  convien  che  se  ne  vada L'incanto,  o  nulla  giovi,  e  stia  di  piatto; Sì  che  ritien  che  '1  colpo  suo  non  cada Di  taglio  0  punta,  ma  sempre  di  piatto. Ebbe  a  questo  Ruggier  lunga  avvertenza; Ma  perde  pure  un  tratto  la  pazienza, 56  Perchè  Marfisa  una  percossa  orrenda Gli  mena  per  dividergli  la  testa. Leva  lo  scudo,  che  '1  capo  difenda, Ruggiero,  e  1  colpo  in  su  T aquila  pesta. Vieta  lo'ncanto  che  lo  spezzi  o  fenda; Ma  di  stordir  non  però  il  braccio  resta: £  s'avea  altr'arme  che  quelle  d'Ettorre, Gli  potea  il  fiero  Colpo  il  braccio  tórre 57    E  saria  sceso  indi  alla  testa,  dove Disegnò  di  ferir  V  aspra  donzella. Ruggiero  il  braccio  manco  a  pena muove, A  pena  più  sostien  l'aquila  bella. Per  questo  ogni  pietà  da  sé  rimuove; Par  che  negli  occhi  avvampi  una  facella. E  quanto  può  cacciar,  caccia  una  punta. Marfisa,  mal  per  te,  se  n'eri  giunta. 68    Io  non  vi  so  ben  dir  come  si  fosse:La  spada  andò  a  ferire  in  un  cipresso, E  un  palmo  e  più  nell' arbore  cacciosse:In  modo  era  piantato  il  luogo  spesso. In  quel  momento  il  monte  e  il  piano  scosse Un  gran  tremuoto;  e  si  sentì  con  esso Da  quell'avel  ch'in  mezzo  il  bosco  siede, Gran  voce  uscir,  ch'ogni  mortale  eccede. Stanxa  5 59  Grida  la  voce  orribile:  Non  sia Lite  tra  voi:  gli  è  ingiusto  ed  inumano Ch'alia  sorella  il  f ratei  morte  dia, 0  la  sorella  uccida  il  suo  germano. Tu,  mio  Ruggiero,  e  tu,  Marfisa  mia, Credete  al  mìo  parlar  che  non  è  vano: In  un  medesimo  utero  d'un  seme Foste  concetti,  e  usciste  al  mondo  insieme 60  Concetti  foste  da  Ruggier  secondo:Vi  fu  Galacì'ella  genitrice, 1  cui  fratelli  avendole  dal  mondo Cacciato  il  genitor  vostro  infelice, Senza  guardar  eh'  avesse  in  corpo  il  pondo Di  voi,  eh'  usciste  pur  di  lor  radice, La  fèr,  perchè  s'avesse  ad  affogare, S' un  debo    legno  pone  in  mezzo  al  mare. 61  Ma  Fori  una  che  voi,  benché  non  nati. Avea  già  eletti  a  gloriose  imprese, Fece  che'l  legno  ai  liti  inabitati Sopra  le  Sirti  a  salvamento  scese; Ove,  poi  che  nel  mondo  v'ebbe  dati, L'anima  eletta  al  paradiso  ascese, Come  Dio  volse  e  fu  vostro  destino:A  questo  caso  io  mi  trovai  vicino. 62  Diedi  alla  madre  sepoltura  onesta, Qual  potea  darsi  in  sì  deserta  arena; E  voi  teneri,  avvolti  nella  vesta, Meco  portai  sul  monte  di  Carena; E  mansueta  uscir  della  foresta Feci  e  lasciare  i  figli  una  leena, Delle  cui  poppe  dieci  mesi  e  dieci Ambi  nutrir  con  molto  studio  fed. 3    Un  giorno  che  d andar  per  la  contrada, E  dalla  stanza  allontanar  moccorse, Vi  soprayyenne  a  caso  nna  masnada D'Arabi  (e  ricordarvene  de'  forse), Che  te,  Marfisa,  tolser  nella  strada; Ma  non  poter  Ruggier,  che  meglio  corse. Restai  della  tua  perdita  dolente, E  di  Rnggier  guardian  più  diligente. (54     Ruggier,  se  ti  guardò,  mentre  che  visse, 11  tuo  maestro  Atlante,  tu  lo  sai. Di  te  sentii  predir  le  stelle  fisse, Che  tra'  Cristiani  a  tradigion  morrai:E  perchè  il  mal'influsso  non  seguisse, Tenertene  lontan  m'affaticai; Né  ostare  alfin  potendo  alla  tua  voglia. Infermo  caddi,  e  mi  morii  di  doglia. 65     Ma  innanzi  a  morte,  qui  dove  previdi Che  con  Marfisa  aver  pugna  dovevi, Feci  raccor  con  infemal  sussidi A  formar  questa  tomba  i  sassi  grevi; Ed  a  Caron  dissi  con  alti  gridi: Dopo  morte  non  vo'  lo  spirto  levi Di  questo  bosco,  finché  non  ci  giugna Ruggier  con  la  sorella  per  far  pugna. 66  Cosi  lo  spirto  mio  per  le  belle  ombre Ha  molti  di  aspettato  il  venir  vostro:Si  che  mai  gelosia  più  non  t' ingombre, 0  Bradamante,  ch'ami  Ruggier  nostro. Ma  tempo  é  ormai  che  della  luce  io  sgombre, E  mi  conduca  al  tenebroso  chiostro. Qui  si  tacque:  e  a  Marfisa  ed  alla  figlia D'Amon  lasciò  e  a  Ruggier  gran  maraviglia. 67  Riconosce  Marfisa  per  sorella Ruggier  con  molto  gaudio,  ed  ella  lui E  ad  abbracciarsi,  senza  offender  quella Che  per  Ruggiero  ardea,  vanno  ambidui E  rammentando  dell'età  novella Alcune  cose:  Io  feci,  io  dissi,  io  fui; Vengon  trovando  con  più  certo  effetto, Tutto  esser  ver  quel  e' ha  lo  spirto  detto. 68  Ruggiero  alla  sorella  non  ascose Quanto  avea  nel  cor  fissa  Bradamante; E  narrò  con  parole  affettuose Delle  obbligazion  che  le  avea  tante: .E  non  cessò,  eh'  in  grand' amor  compose Le  discordie  ch'insieme  ebbono  avante: E  ffc',  per  segno  di  pacificarsi, Ch'umanamente  andaro  ad  abbracciar:]. Stanza  62. A  domandar  poi  ritornò  Marfisa Chi  stato  fosse,  e  di  che  gente  il  padre, E  chi  l'avesse  morto,  ed  a  che  guisa, S'in  campo  chiuso,  o  fra  l'armate  squadre; E  chi  commesso  avea  che  fosse  uccisa Dal  mar  atroce  la  misera  madre:Che,  se  già  l'avea  udito  da  fanciulla, Or  ne  tenea  poca  memoria  o  nulla. 70    Kuggiero  incominciò:  che  da' Troiani Per  la  linea  d'Ettorre  erano  scesi; Che  poi  che  Astì'anatte  delle  mani Campò  d'Ulisse  e  dalli  agguati  tesi, Avendo  un  de' fanciulli  coetani Per  lui  lasciato,  usci  di  quei  paesi; E  dopo  un  lungo  errar  per  la  marina, Venne  in  Sicilia,  e  dominò  Messina. 72    Fu  Ruggier  primo,  e  Gìanbaron  di  questi, Buovo,  Rambaldo,  alfin  Rnggier  secondo, Che  fe\  come  d'Atlante  udir  potesti, Di  nostra  madre  P  utero  fecondo. Della  progenie  nostra  i  chiari  gesti Per  l'istorie  vedrai  celebri  al  mondo. Segui  poi,  come  venne  il  re  Agolante Con  Almonte  e  col  padre  d'Agramante: stanza  66. 71    I  descendenti  suoi  di  qua  dal  Faro Signoreggiar  della  Calabria  parte; E  dopo  più  successioni  andare Ad  abitar  nella  città  di  Marte. Più  d'uno  Imperatore  e  Re  preclaro Fu  di  quel  sangue  in  Roma  e  in  altra  parte, Cominciando  a  Costante  e  a  Costantino, Sino  a  Re  Carlo,  figlio  di  Pipino. 73  E  come  menò  seco  una  donzella Ch'  era  sua  figlia,  tanto  valorosa, molti  Paladin  gittò  di  sella, E  di  Ruggiero  alfin  venne  amorosa E  per  suo  amor  del  padre  fu  ribella, E  battezzossi,  e  diven tògli  sposa. Narrò  come  Beltramo  traditore Per  la  cognata  arse  d'incesto  amore; 74  E  che  la  patria  e'I  padre  e  duo  fratelli Tradì,  cosi  sperando  acquistar  lei; Aperse  Risa  agl'inimici,  e  quelli Fér  di  lor  tutti  i  portamenti  rei: Come  Agolante  e  i  figli  iniqui  e  felli Poser  Galacì'ella,  che  di  sei Mesi  era  grave,  in  mar  senza  governo, Quando  fu  tempestoso  al  maggior  verno. 7.5    Stava  Marfisa  con  serena  fronte Fisa  al  parlar  che'l suo  german  facea; Ed  esser  scesa  dalla  bella  fonte, Ch'  avea  sì  chiari  rivi,  si  godea. Mongrana,  e  quindi  Chiaramonte, Le  due  progenie  derivar  sapea, Ch'ai  mondo  fur  molti  e  molt'anni  e  lustri Splendide,  e  senza  par,  d'uomini  illustri. 76  Poi  che  '1  fratello  alfin  le  venne  a  dire Che  '1  padre  d'Agramante  e  l'avo  e  '1  zio Ruggiero  a  tradigion  feron  morire, E  posero  la  moglie  a  caso  rio; Non  lo  potè  più  la  sorella udire, Che  lo 'nterroppe,  e  disse:  Fratel  mio (Salva  tua  grazia),  avuto  hai  troppo  torto A  non  ti  vendicar  del  padre  morto. Se  in  Almonte  e  in  Troian  non  ti  potevi Insanguinar,  ch'erano  morti  innante. Dei  figli  vendicar  tu  di  dovevi. Perchè,  vivendo  tu,  vive  Agramante? Questa  è  una  macchia  che  mai  non  ti  levi Dal  viso;  poiché,  dopo  offese  tante, Non  pur  posto  non  hai  questo  Re  a  morte, Ma  vivi  al  soldo  suo nella  sua  corte. 78  Io  fo  ben  voto  a  Dio  (ch'adorar  voglio Cristo  Dio  vero,  ch'adorò  mio  padre), Che  di  questa  armatura  non  mi  spoglio,' Finché  Ruggier  non  vendico  e  mia  madre. £  vo' dolermi,  e  finora  mi  doglio. Di  te,  se  più  ti  veggo  fra  le  squadre Del  re  Agraraante,  o  d'altro  Signor  moro. Se  non  col  ferro  in  man  per  danno  loro. 79  Oh  come  a  quel  parlar  leva  la  faccia La  bella  Bradamante,  e  ne  gioisce ! E conforta  Bnggier,  che  cosi  faccia. Come  Marfisa  sua  ben  V  ammonisce; E  venga  a  Carlo  e  conoscer  si  faccia, Che  tanto  onora,  lauda  e  riverisce Del  suo  padre  Kuggier  la  chiara  fama, Ch'  ancor  guerrier  senza  alcun  par  lo  chiama. 80  Ruggiero  accortamente  le  rispose, Che  da  principio  questo  far  dovea; Ma  per  non  bene  aver  note  le  cose. Come  ebbe  poi,  tardato  troppo  avea. Ora,  essendo  Agramante  che  gli  pose La  spada  al  fianco,  farebbe  opra  rea Dandogli  moite,  e  saria  traditore, Che  già  tolto  Tavea  per  suo  signore. 81  Ben,  come  a  Bradamante  già  promesse Promettea  a  lei  di  tentare  ogni  via. Tanto  ch'occasione,  onde  potesse Levarsi  con  suo  onor,  nascer  faria. E  se  già  fatto  non  l'avea,  non  desse La  colpa  a  lui,  ma  al  Re  di  Tartaria, Dal  qual  nella  battaglia  che  seco  ebbe. Lasciato  fu,  come  saper  si  debbe:82  Ed  ella,  che  ogni  di  gli  venia  al  letto, Buon testimon,  quanto  alcun  altro,  n'  era. Fu  sopra  questo  assai  risposto  e  detto Dall'una  e  dall'altra  inclita  guerriera. L'ultima  conclusìon,  l'ultimo  effetto È,  che  Ruggier  ritomi  alla  bandiera Del  suo  Signor,  finché  cagion  gli  accada Che  giustamente  a  Carlo  se  ne  vada. 83  Lascialo  pur  andar,  dicea  Marfisa A  Bradamante,  e  non  aver  timore:Fra  pochi  giorni  io  fard  bene  in  guisa Che  non  gli  fia  Agramante  più  signore. Così  dice  ella;  né  però  divisa Quanto  di  voler  fare  abbia  nel  core. Tolta  da  lor  licenzia  alfin  Ruggiero, Per  tornar  al  suo  Re,  volgea  il  destriero; 84    Quando  un  pianto  s'udì  dalle  vicine Valli  sonar,  che  li  fé'  tutti  attenti. A  quella  voce  fan  l'orecchie  chine, Che  di  femmina  par  che  si  lamenti. Ma  voglio  questo  Canto  abbia  qui  fine, E  di  quel  che  voglio  io  siate  contenti; Che  miglior  cose  vi  prometto  dire, S' all'altro  Canto  mi  verrete  a  udire. iq  o  T  E. St.  2.  V.4  8.   Jn  quella  giiena  ecc.  Parlasi  della gaeiTa  fra  i  Veneziani  e  gli  Estensi,  accaduta  nel  1509, nella  quale  il  cardinale  Ippolito  riportò  la  vittoria  del 22  decembre,  facendo  poi  sospendere  nella  chiesa  di Fenara  i  rostri  delle  galere  e  le  insegne  tolte  ai  nemici. St.  4.  V.14.   Benché  fu  quella  ancor  brutta  ven ditta,  ecc,  I  Veneziani,  rinfrancatisi  dopo  la  sconfitta di  Ghiaiadadda  ch'ebbero  nel  14  maggio  del  1509,  riac quù"tarono  Padova,  la  quale  fxi  poi  cinta  d'assedio  dal Tinaperatore  Massimiliano.  Il  duca  Alfonso  nel  3 settem spedi  il  cardinale  Ippolito  con  gente  d  armi  a  rin is    dell'imperatore,  il  quale  nondimeno,  dopo  qn  Iche AmosTO. tempo,  dovè  levare  l'assedio.  Allora  i  Veneziani  si  sca gliarono con  poderoso  esercito  sul  Fen  arese  sino  a  Fran colino, vincendo  sempre. St.  5.  V.3  4.   Ma  sol  di  quel,  ecc.  Ecco  in  succinto il  fatto,  che  il  Poeta  accenna  in  questa  e  nelle  due  Stanze seguenti.  L'irruzione  dei  Veneziani  vittoriosi  sopia  enun ciata fu  respinta  poi  da  Ippolito:  i  Veneziani  si  raccol sero allora  alla  Polesella,  ov'  eressero  una  bas  ita  e  vi si  fortificarono.  Nel  30  novembre  1509,  Ippolito  spinse le  sue  genti  ad  attaccare  la  bastita.  Fia  queste  erano Ercole  (lantelmo,  figlio  di  Sigismondo,  già  duca  di  Sora, e  Alessandro  FerrnABno.  Cantelmo  cadde  prigioniero  de ICH  Sohiavoni,  in  serTigio  della  Repubblica  Veneta,  i  | quali  gli  mozzarono  il  capo;  il  Ferrufflno  si  salvò  a stento. St.  7.  V.5.   Sopra  un  schelmo.  Dicesi  aeìelmo  ed anche  scalmo  la  caviglia  a  cui  nelle  galere  si  lega  il  remo. ST.  8.  V.a   2X  TiesH,  di  Tantali  dAtreL  Di  Tie 8te  e  di  Atreo  si  ò  avuta  opportunità  di]}arlare  altrove. Tantalo  ò  anch' egli  noto  per  la  sua  crudeltà,  avendo imbandita  la  mensa  con  le  carni  di  Pelope  suo  figliuolo, per  esperimentare  la  divinità  de'  suoi  ospiti. St.  9.  Y.  5S.  ~  Polifemo:  crudelissimo  fra  i  Ciclopi, noclso  da  Ulisse  con  un  tizzone.  I  Ciclopi  e  i  Lestrigoni erano  antropofaghi. St.  29.  V.8.   TaballL  È  il  tàballo  o  timballo  uno strumento  musicale  moresco,  specie  di  timpano,  con  la cassa  di rame  semisferica. 8T.  36.  v.8.   Per  porlo,  e  forse  ove  non  era  sabbia, non  per  porlo  nella  sabbia,  abbatterlo,  scavalcarlo,  ma forse  per  ucciderlo,  porlo  nel  sepolcro,  dove  non  ò  sab bia, U  quale  suolsi  distendere  sullo  spazzo  de'  tornei  e dogni  agone  militare ST.  &5.  V.46.   Stia  di  piatto: stia  nascosto. St.  60.  y.  2.   Vi  fu  Gal<utiella  genitriee.  Èquesta la  disperata  figlia  d  Agolante,  di  cui  nella  St.  32  del Canto  U.  Venuta  col  padre  in  Europa,  s' innamorò  di Ruggiero  II,  signore  di  Risa,  ossia  di  Reggio  in  Cala bria; e  per  isposarlo  si  separò  dal  padre  e  si  fece  cristiana. Beltramo  di  lei  cognato  se  ne  invaghì,  e,  ftt averla,  tradi  il  fratello,  aprendo  le  porte  di  Risa  id Agolante,  che  entratovi,  uccise  Ruggiero,  e,  fatta  porre la  figlia  incinta  in  una  barca  senza  governo  Tabbu donò  al  mare.  La  barca  pervenne  sulle  Sirtif  cioè  "olle seocagne  della  costa  africana,  dove  (Hlaciella  si  sgnvò ad  un  parto  di  Ruggiero  e  di  Mar  fisa. St.  62.  v.6.   Leena: lionessa. St.  6K.  V.3.   Vi  sopravvenne  a  cao  una  masnada d'Arabi,  eec   Marfisa  rapita  dagli  Arabi  fu  veudiiu al  re  di  Persia.  Al  crescere  negli  anni  ella  non  ebbe pari  in  quel  regno  per  bellezza  e  valore.  Tenta"  di basso  amore  da  quel  monarca,  lo  uccise  e  fa  signora  del reame;  donde  poco  dopo,  vaga  di  imprese  cavallerescbe, si  parti,  cercando  Francia  e  molt'altrì  paesi. 8t.  75.  v.56.   Quinci  Mongrana,  e  quindi  Chia ramontef  eec.  Nomi  delle  due  case  a  cui  appartengono i  personaggi  notati  nella  genealogia  degli  eroi  romantici. St.  77.  v.8.   Ma  vivi  al  soldo  suo  nella  sua  corte. Non  ò  che  Ruggiero  avesse  soldo  da  Agramante;  ss Marfisa  vuol pungerne  Tamor  proprio  con  quella  espi" sione  di  avvilimento,  per  determinarlo  ad  abbandonare le  bandiere  moresche St.  78.  Y.  8.   Marfisa  parla  secondo  lo  spirito  del medio  evo,  quando  V  uccisione  d'un  parente  era  qnaii acro  legato  di  vendetta. Oftnto'XXXVII. CAKTO  TRENTESIMOSETTIMO. ABQOMENTO. A t' cannando  vuri  scrittori  che  adoperarono  le  loro  p"nae Tit?U  encomiale  il  bel  snsfìo,  toglie  il  Poeta  opportunità  di lodare  Vittoria  Colonoa,  e  le  rime  gentili  da  lei  consa crate "]la  meinorìa  i3t;l  snurchese  ài  Pescara  suo  sposo.  In irorluce  quindi  UHaiiia,  la  iae.58JLfjgIerft  della  regina  del rl,sola  Perduta,  a  uartare  a  Rugii.ro,  a  Bradamaute  e  a Mar  lÌJia  Y  ìndirgiìn  usanza  g  tali  Ulta  da  Marganorre  nel proprio  castello  a  vitupÉrD  lìdle  doline: di  che  k  due  gq<fr rkre  i3  Ruggiero  fanxio  subire  a  colui  lamentata  punizioni. Se  come  iti  acquistar  quakli' altro  dono Cbe  senza  itidn  stria  non  può  diir  Natura, Affaticale  notte  e  dì  si  sono Cun  5omma  dilìgenzia  e  hmga  cura Le  valorose  donne,  e  se  con  buono yuccesso  n  è  UcìC  opra  non  oscura  j Cosi  si  fosson  poste  a  quelli  studi Ch'immortal  fanno  le  mortai  virtodi; 2  £  che  per  sé  medesime  potato Avesson  dar  memoria  alle  sae  lode. Non  mendicar  dagli  scrittori  aiuto, Ai  quali  astio  ed  invidia  il  cor  si  rode, Che'l  ben  che  ne  puon  dir,  spesso  è  taciuti, E'I  mal,  quanto  ne  san,  per  tutto  s'ode; Tanto  il  lor  nome  sorgerla,  che  forse     Viril  fama  a  tal  grado  unqua  non  sorse. 3  Non  basta  a  molti  di  prestarsi  Topra In  far  r un  l'altro  glorioso  al  mondo, Ch'anco  studian  di  far  che  si  discopra Ciò  che  le  donne  hanno  fra  lor  d'immondo. Non  le  vorrian  lasciar  venir  di  sopra, E  quanto  puon,  fan  per  cacciarle  al  fondo:Dico  gli  antiqui;  quisi  Tonor  debbia D'esse  il  loro  oscurar,  come  il  Sol  nebbia. 4  Ma  non  ebbe  e  non  ha  mano  né  lingua, Formando  in  voce  o  descrivendo  in  carte (Quantunque il  mal,  quanto  può.  accresce  e  impin E  minuendo  il  ben  va  con  ogni  arte),    [gua, Poter  però,  che  delle  donne  estingua La  gloria  si,  che  non  ne  resti  parte; Ma  non  già  tal,  che  presso  al  segno  giunga, Né  eh' anco  se  gli  accosti  di  gran  lunga: 5  Ch'Arpalice  non  fu,  non  fu  Tomirì, Non  fti  chi  Turno,  non  chi  Ettor  soccorse; Non  chi  seguita  da'Sidonj  e  Tiri Andò  per  lungo  mare  in  Libia  a  porse; Non  Zenobia,  non  quella  che  gli  Assiri, I  Persi  e  gl'Indi  con  vittoria  scorse: Non  fur  queste  e  poch' altre  degne  sole. Di  cui  per  arme  etema  f.ima  vole. 6  E  di  fedeli  e  caste  e  sagge  e  forti State  ne  son,  non  pur  in  Grecia  e  in  Roma, Ma  in  ogni  parte,  ove  fra  gì'  Indi  e  li  orti Delle  Esperide  il  Sol  spiega  la  chioma; Delle  quaì  sono  i  pregi  e  gli  onor  morti. Si  eh' a  pena  di  mille  una  si  noma; E  questo  perché  avuto  hanno  ai  lor  tempi Gli  scrittori  bugiardi,  invidi  ed  empi. 7  Non  restate  però,  donne,  a  cui  giova II  bene  oprar,  di  seguir  vostra  via; Né  da  vostr'alta  impresa  vi  rimuova Tema  che  degno  onor  non  vi  si  dia: Che,  come  cosa  buona  non  si  trova Che  duri  sempre,  cosi  ancor né  ria. Se  le  carte  sin  qui  state  e  gl'inchiostri Per  voi  non  sono,  or  sono  a' tempi  nostri. 8  Dianzi  Marnilo  ed  il  Pontan  per  vai Sono,  e  duo  Strozzi,  il  padre  e'I  figlio,  stati: C'è  il  Bembo,  c'è  il  Capei,  c'è  chi,  qual  Ini Vediamo,  ha  tali  i  cortigian  formati: C'è  un  Luigi  Alaman;  ce  ne  son  dui, Di  par  da  Marte  e  dalle  Muse  amati Ambi  del  sangue  che  regge  la  terra Che'l  Menzo  fende,  e  d'alti  stagni  serra. 9  Di questi  l'uno,  oltre  che  '1  proprio  istinto Ad  onorarvi  e  a  riverirvi  inchina, E  far  Parnaso  risonare  e  Cinto Di  vostra  laude,  e  porla  al  del  vicina; L'amor,  la  fede,  il  saldo  e  non  mai  vinto Per  minacciar  di  strazi  e  di  mina, Animo  ch'Isabella  gli  ha  dimostro, Lo  fa  assai  più,  che  di  sé  stesso,  vostro:10  Si  che  non  è  per  mai  trovjrsi  stanco Di  farvi  onor  nei  suoi  vivaci  carmi E  s' altri  vi  dà  biasmo,  non  è  eh 'anco Sia  più  pronto  di  lui  per  pigliar  V  armi. E  non  ha  il  mondo  cavalier  che  manco La  vita  sua  per  la  virtù  risparmi. Dà  insieme  egli  materia  ond'altri  scriva; E  fa  la  gloria  altrui,  scrivenlo,  viva. 11  Ed  è  ben  degno  che  si  ricca  donna" Ricca  di  tutto  quel  valor  che  possa Esser  fra  quante  a:l  mondo  portin  gonna, Mai  non  si  sia  di  sua  costanza  mossa E  sia  stata  per  lui  veracolonna, Sprezzando  di  Fortuna  ogni  percossa: Di  lei  degno  "gli,  e  degna  ella  di  lui; Né  meglio  s'accoppiare  unque  altri  dui. 12  Nuovi  trofei  pon  su  la  riva  d'Oglio; Ch'in  mezzo  a  ferri,  a  fuochi,  a  navi,  a  mote Ha  sparso  alcun  tanto  ben  scritto  foglio, Che'l  vicin  fiume  invidia  aver  gli  puote. Appresso  a  questo  un  Ercol  Benti voglio Fa  chiaro  il  vostro  onor  con  chiare  note, E  Renato  Trivulcio,  e  '1  mio  Guidetto, E  '1  Molza,  a  dir  di  voi  da  Febo  eletto. 13  C'è']  duca  de'Camuti  Ercol,  figliuolo Del  Duca  mio,  che  spiega  Tali,  come Canoro  cigno,  e  va  cantando  a  volo, E  fin  al  cielo  udir  fa  il  vostro  nome. C'è  il  mio  Signor  del  Vasto,  a  cui  non  solo Di  dare  a  mille  Atene  e  a  mille  Rome Di  sé  materia  basta;  eh' anco  accenna eteme  far  con  la  sua  penna. CANTO  TRENTESIMOSETTIMO. 14  Ed  oltre  a  questi  ed  altri  eh'  oggi  avete, Che  v'hanno  dato  gloria,  e  ve  la  danno, Voi  per  voi  stesse  dar  ve  la  potete: Poiché  molte,  lasciando  l'ago  e  '1  panno, Son  con  le  Muse  a  spegnersi  la  sete Al  fonte  d' Aganippe  andate,  e  vanno; E  ne  ritoman  tai,  che  V  opra  vostra É  più  hisogno  a  noi,  eh'  a  voi  la  nostra. 15  Se  chi  sian  queste,  e  di  ciascana  voglio Render  huon  conto,  e  degno  pregio  darle, Bisognerà  eh'  io  verghi  più  d'un  foglio, E  eh'  oggi  il  Canto  mio  d'altro  non  parie:E  s' a  lodarne  cinque  o  sei  ne  toglie. Io  potrei  l'altre  offendere  e  sdegnarle. Che  farò  dunque?  Ho  da  tacer  d'ognuna, Oppur  fra  tante  sceglierae  sol  una? 16  Sceglieronne  una: e  sceglierò  Ila  tale, Che  superato  avrà  l'invidia  in  modo, Che  nessun'  altra  potrà  avere  a  male, Se  l'altre  taccio,  e  se  lei  sola  lodo. Quest'una  ha  non  pur  sé  fatta  immortale Col  dolce  stll  di  che  il  miglior  non  odo; Ma  pud  qualunque,  di  cui  parli  o  scriva, Trar  del  sepolcro,  e  far  eh'  etemo  viva. 17  Come  Feho  la  candida  sorella Fa  più  di  luce  adoma,  e  più  la  mira. Che  Venere  o  che  Maia,  o  ch'altra  stella     " Che  va  col  cielo,  o  che  da  sé  si  gira:Così  facondia,  più  eh' all'altre,  a  quella Di  eh'  io  vi  parlo,  e  più  dolcezza  spira; E  dà  tal  forza  all' alte  sue  parole, Ch'orna  a' di  nostri  il  ciel  d'un  altro  Sole. 20    S'al  fiero Achille  invidia  della  chiara Meoniatromha  il  Macedonico  ehhe; Quanto,  invitto  Francesco  di  Pescara. Maggiore  a  te,  se  vivesse  or,  l'avrebbe! Che  si  casta  mogliere,  e  a  te  si  cara, Canti  l'eterno  ouor  che  ti  si  debbe; E  che  per  lei  si'l  nome  tuo  rimbombe, Che  da  bramar  non  hai  più  chiare  trombe. Staiiza  10. 18    Vittoria  é'I  nome;  e  ben  conviensi  a  nata Fra  le  vittorie,  ed  a  chi  o  vada,  o  stanzi, Di  trofei  sempre  e  di  trionfi  ornata, La  vittoria  abbia  seco,  o  dietro  o  innanzi. Questa  é  un'altra  Artemisia  che  lodata Fa  di  pietà  verso  il  suo  Mausolo;  anzi Tanto  maggior,  quanto  é  più  assai  bell'opra. Che  por  sotterra  un  uom,  trarlo di  sopra. 21    Se  quanto  dir  se  ne  potrebbe,  o  quanto Io  n'ho  desir,  volessi  porre  in  carte. Ne  direi  lungamente;  ma  non  tanto,   Ch'a  dir  non  ne  restasse  anco  gran  parte: E  di  Marfisa  e  dei  compagni  intanto La  bella  istoria  rimarria  da  parte. La  quale  io  vi  promisi  di  seguire, S' in  questo  Canto  mi  verreste  a  udire. 19     Se  Laodamia,  se  la  moglier  di  Bmto, S'Arria,  s' Argia,  s'Evadne,  e  s' altre  molte Meritar  laude  per  aver  voluto. Morti  i  mariti,  esser  con  lor  sepolte; Quanto  onore  a  Vittoria  é  più  dovuto. Che  di  Lete  e  del  rio  che  nove  volte L' ombre  circonda,  ha  tratto  il  suo  consorte, Malgrado  delle  Parche  e  della  Morte! 22    Ora  essendo  voi  qui  per ascoltarmi, Ed  io  per  non  mancar  della  promessa. Serberò  a  maggior  ozio  di  provarmi Ch'  ogni  laude  di  lei  sia  da  me  espressa; Non  perch'io  creda  bisognar  miei  carmi A  chi  se  ne  fa  copia  da  sé  stessa; Ma  sol  per  satisfare  a  questo  mio, C  ho  d'onorarla  e  di  lodar,  disio. 582 0RLA9Ba  f  URIOSO. 23  Donne,  io  conchiudo  insomma,  ch'ogni  etade Molte  ha  di  voi  degne  di  storia  avute; Ma,  per  invidia  di  scrittori,  state Non  sete  dopo  morte  conosciute: Il  che  non  più  sarà,  poiché  voi  fate Per  voi  stesse  immortai  vostra  virtute. Se  far  le  dae  cognate  sapean  questo, Si  sapria  meglio  ogni  lor  degno  gesto. 24  Di  Bradamante  e  di  Marfisa  dico, Le  cui  vittoriose  inclite  prove Di  ritornare  in  luce  m' affatico; Ma  delle  diece  mancanmi  le  nove. Queste  ch'io  so,  hen  volentieri  esplico; Si  perchè  ogni  heir  opra  si  de',  dove Occulta  sia,  scoprir;  si  perchè  bramo A  voi,  donne,  aggradir,  eh'  onoro  ed  amo. Stava  Ruggier,  com'  io  vi  dissi,  in  atto Di  partirsi,  ed  avea  commiato  preso, E  dall'arbore  il  brando  già  ritratto. Che,  come  dianzi,  non  gli  fu  conteso:Quando  un  gran  pianto,  che  non  lungo  tratto Era  lontan,  lo  fé' restar  sospeso; E  con  le  donne  a  quella  via  si  mosse Per  aiutar,  dove  bisogno  fosse. 26  Spingcnsi  innanzi,  e  via  più  chiaro  il  suon  ne Viene,  e  vìa  più  son  le  parole  intese. Giunti  nella  vallea  trovan  tre  donne Che  fan  quel  duolo,  assai  strane  in  arnese; Che  fin  all'ombilico  ha  lor  le  gonne Scorciate  non  so  chi  poco  cortese; E  per  non  saper  meglio  elle  celarsi, Sedeano  in  terra,  e  non  ardlan  levarsi 27  Come  qnef  HgfkÈ  él  TbIbbì  che  venne Fuor  della  polve  senza  madre  m  wlft" E  Pallade  nutrir  fé' con  solenne Cura  d'Aglauro  al  veder  troppo  ardita. Sedendo,  ascosi  i  brutti  piedi  tenne Su  la  quadriga  da  lui  prima  ordita: Così  quelle  tre  giovani  le  cose Secrete  lor  tenean,  sedendo,  ascose. 28  Lo  spettacolo  enorme  e  disonesto L'una  e  l'altra  magnanima  guerriera Fé'  del  color  che  nei  giardin  di  Pesto Esser  la  rosa  suol  da  primavera. Riguardò  Bradamante,  e  manifesto Tosto  le  fu,  eh'  Dilania  una  d'esse  era, Dilania  che  dall'Isola  Perduta In  Francia  messaggiera  era  venuta: 29  E  riconobbe  non  men  T altre  due; Che  dove  vide  lei,  vide  esse  ancora. Ma  se  n'andaron  le  parole  sue quella  delle  tre,  eh'  ella  più  onora; E  le  domanda  chi  si  iniquo  fue, E  sì  di  legge  e  di  costumi  fuora, Che  quei  secreti  agli  occhi  altrui  riveli, Che,  quanto  può,  par  che  Natura  celi. 30  Dilania  che  conosce  Bradamante, Non  meno  eh'  alle  insegne,  alla  favella, Esser  colei  che  pochi  giorni  innante Avea  gittati  i  tre  guerrier  di  sella; Narra  che  da  un  Castel  poco  distante Dna  ria  gente  e  di  pietà  ribella, Oltre  all' ingiuria  di  scorciarle  i  panni, L'avea  battuta,  e  fattoi' altri  danni 31  Né  le  sa  dir  che  dello  scudo  sia. Né  dei  tre  Re  che  per  tanti  paesi Fatto  le  avean  si  lunga  compagnia; Non  sa  se  morti,  o  sian  restati  presi; E  dice  e' ha  pigliata  questa  vìa. Ancor  eh'  andare  a  pie  molto  le  pesi, Per  richiamarsi  dell'oltraggio  a  Carlo, Sperando  che  non  sia  per  tollerarlo. 82    Alle  guerriere  ed  a  Ruggier,  che  meno Non  bau  pietosi  i  cor,  ch'audaci  e  forti, De'bei  visi  turbò  l'aer  sereno L'udire,  e  più  il  veder,  si  gravi  torti; Ed  obbliando  ogn' altro  affar  che  avieno, E  senza  che  li  prieghi  o  che  gli  esorti La  donna  afflitta  a  far  la  sua  vendetta, Piglian  la  via  verso  quel  luogo  in  fretta. 83    Di  cornane  parer  le  sopravreste, Mosse  da  gran  bontà,  saveano  tratte, Ch'a  ricoprir  le  parti  meno  oneste Di  quelle  sventurate  assai  furo  atte. Bradamante  non  yuol  chUlIania  peste Le  strade  a  pie,  ch'avea  a  piede  anco  fatte, E  se  la  leva  in  groppa  del  destriero: L'altra  Marfisa,  l'altra  il  buon  Ruggiero: 34  Ullania  a  Bradamante  che  la  porta, Mostra  la  vìa  che  va  al  Castel  più  dritta; Bradamante  alP incontro  lei  conforta, Che  la  vendicherà  di  chi  V  ha  afflìtta. Lascian  la  valle,  e  per  via  lunga  e  torta Sagliono  un  colle  or  a  man  manca  or  ritta; E  prima  il  sol  fu  dentro  il  mare  ascoso. Che  volesser  tra  via  prender  riposo. 35  Trovaro  una  villetta  che  la  schena D'un  erto  colle,  aspro  a  salir,  tenea; Ove  ebbon  buono  albergo  e  buona  cena. Quale  avere  in  quel  loco  si  potea. Sì  mirano  d'intorno,  e  quivi  piena Ogni  parte  dì  donne  sì  vedea. Qua!  giovani,  quai  vecchie;  e  in  tanto  stuolo Faccia  non  v'  apparìa  d'un  uomo  solo. 36  Non  più  a  Giason  dì  maraviglia  dénno, Né  agli  Argonauti  che  venian  con  lui, Le  donne  che  i  mariti  morir  fènuo, E  ì  figli  e  i  padri  coi  fratelli  sui,   che  per  tutta  l'isola  di  Lenno Di  vini  faccia  non  si  vìder  dui; Che  Rnggier  quivi,  e  chi  con  Ruggier  era, ALiraviglia  ebbe  all'alloggiar  li  sera. 37  Fero  ad  Ullania  ed  alle  damigelle Che  venivan  con  lei,  le  due  guerriere La  sera  provveder  di  tre  gonnelle. Se  non  cosi  polite,  almeno  intere. A  sé  chiama  Ruggiero,  una  dì  quelle Donne  ch'abìtan  quivi,  e  vuol  sapere Ove  gli  uomini  sian,  eh'  un  non  ne  vede; Ed  ella  a  luì  questa  risposta  diede:38  Questa  che  forse  è  maraviglia  a  voi" Che  tante  donne  senza  uomini  siamo, È  grave  e  ìntollerabil  pena  a  noi, Che  qui  bandite  misere  viviamo. E  perchè  il  duro  esilio  più  ci  annoi,Padri,  figli  e  mariti,  che  si  amiamo, Aspro  e lungo  divorzio  da  noi  fanno, Come  piace  al  crudel  nostro  tiranno. 39  Dalle  sue  terre,  le  quai  son  vìcme A  noi  due  leghe,  e  dove  noi  siam  nate, Qui  ci  ha  mandato  il  barbaro  in  confine, Prima  di  mille  scorni  ingiuriate.; Ed  ha  gli  uomini  nostri  e  noi  meschine Di  morte  e  d'o  strazio  minacciate, quelli  a  noi  verranno,  o  gli  fia  detto Ole  noi  diam  lor,  venendoci,  ricetto. 40  Nimico  è  si  costui  del  nostro  nome. Che  non  ci  vuol  più,  ch'io  vi  dico,  appresso, Né  eh' a  noi  venga  alcun  de' nostri,  come l'ammorbi  del  femmineo  sesso. Già  due  volte  l'onor  delle  lor  chiome S' hanno  spogliato  gli  alberi  e  rimessti. Da  indi  in  qua  che  '1  rio  Signor  vaneggia In  furor  tanto;  e  non  è  chi  '1  correggia:41  Che  '1  popolo  ha  dì  lui  quella  paura Che  maggior  aver  può  l'uom  della  morte; Ch'aggiunto  al  mal  voler  gli  ha  la  natura Una  possanza  fuor  d'umana  sorte. U  corpo  suo,  di  gigantea  statura, É  più,  che  di  cent' altri  insieme,  forte. pur  a  noi  sue  suddite  è  molesto: Ma  fa  alle  strane  ancor  peggio  dì  questo. 42  Se  l'onor  vostro,  e  queste  tre  vi  sono Punto  care,  eh'  avete  in  compagnia, Più  vi  sarà  sicuro,  utile  e  buono Non  gir  più  innanzi,  e  trovar  altra  vìa. Questa  al  Castel  dell'uom  di  ch'io  ragiono, provar  mena  la  costuma  ria Che  v'ha  posta  il  crudel,  con  scorno  e  danno Di  donne  e  dì  gnerrier  che  di  là  vanno. 43  Margauor  il  fellon  (cosi  si  chiama n  Signore,  il  tiran  di  quel  castello). Del  quai  Nerone,  o  s'altri  è  ch'abbia  fama Di  crudeltà,  non  fd  più  iniquo  e  fello, Il  sangue  uman,  ma'l  femminil  più  brama Che  '1  lupo  non  lo  brama  dell' agnello. Fa  con  onta  scacciar  le  donne  tutte Da  lor  ria  sorte  a  quel  Castel  condutte. 44  Perché  quell'empio  in  tal  furor  venisse, Volson  le  donne  intendere  e  Ruggiero: Pregar  colei,  ch'in  cortesia  seguisse. Anzi  che  comincia.sse  il  conto intero. Fu  il  Signor  del  Castel,  la  donna  disse, Sempre  crudel,  sempre  inumano  e  fiero; Ma  tenne  un  tempo  il  cor  maligno  ascosto. Né  si  lasciò  conoscer  cosi  tosto: btanza  43. 45    Che  mentre  duo  suoi  figli  erano  tìtì, Molto  diversi  dai  patemi  stili, Ch'amavan  forestieri,  ed  eran  schivi Di  crudeltade  e  degli  altri  atti  vili, Quivi  le  cortesie  fiorivan,  quivi I  bei  costumi,  e  T opere  gentili: Che  U  padre  mai,  quantunque  avaro  fosse, Da  quel  cl.e  lor  piacea,  non  li  rimosse. 46    Le  donne  e  i  cavalier  che  questa  via Facean  talor,  venian  kì  ben  raccolti, Che  si  partian  delalta  cortesia Del  duo  germani  innamorati  molti. Amendui  questi  di  cavalleria Parimente  i  santi  ordini  avean  tolti diandro  Tun,  l'altro  Tanacro  detto. Gagliardi  e  arditi,  e  di  reale  aspetto. Stanza  42. 47    Ed  eran  veramente,  e  sarìan  stati Sempre  di  laude  degni  e  dogni  onore, SMn  preda  non  si  fossino  si  dati A  quel  disir  che  nominiamo  amore; Per  cui  dal  buon  sentier  fur  traviati Al  labirinto  ed  al  cammin  d'errore; E  ciò  che  mai  di  buono  aveano  fatto, Bestò  contaminato  e  brutto  a  un  tratto. 63    Non  men  di  questa  il  gioveue  Tana  ero ,  cheU  suo  fratel  di  quella  ardesse Che  gli  fé  gustar  fine  acerbo  ed  acro Del  desiderio  ingiusto  ch'in  lei  messe. Non  men  di  lui  di  violar  del  sacro E  santo  ospizio  ogni  ragione  elesse, Piuttosto  che  patir  che'l  duro  e  forte Nuovo  desir  lo  conducesse  a  morte. 48  Capitò  quivi  un  cavalier  di  corte Del  greco  Imperator,  che  seco  avea Una  sua  donna  di  maniere  accorte, Bella  quanto  bramar  più  si  potea. Cilandro  in  lei  s' innamorò  si  forte, Che  morir,  non  V  avendo,  gli  parea:Gli  parea  che  dovesse,  alla  partita Di  lei,  partire  insieme  la  sua  vita. 49  E  perchè  i  prieghi  non  v'avriano  loco. Di  volerla  per  forza  si  dispose. Armossi,  e  dal  Castel  lontano  un  poco, Ove  passar  dovean,  cheto  s' ascose. L'usata  audacia  e  V  amoroso  fuoco Non  gli  lasciò  pensar  troppo  le  cose: Si  che  vedendo  il  cavalier  venire, L'andò  lancia  per  lancia  ad  assalire. 50  Al  primo  incontro  credea  porlo  in  terra, Portar  la  donna  e  la  vittoria  indietro; Ma  '1  cavalier,  che  mastro  era  di  guerra, L'osbergo  gli  spezzò,  come  di  vetro. Venne  la  nuova  al  padre  nella  terra. Che  lo  fé' riportar  sopra  un  feretro; E  ritrovando!  morto,  con  gran  pianto Gli  die  sepulcro  agli  antiqui  avi  accanto. 51  Né  pii\  però  né  manco  si  contese L'albergo  e  l'accoglienza  a  questo  e  a  quellO) Perchè  non  men  Tanacro  era  cortese, Né  meno  era  gentil  di  suo  fratello. L'anno  medesmo  di  lontan  paese Con  la  moglie  un  Baron  venne  al  castello, A  maraviglia  egli  gagliardo,  ed  ella, Quanto  si  possa  dir,  leggiadra  e  bella; 52  Né  men  che  bella,  onesta  e  valorosa, £  degna  veramente  d'ogni  loda; 11  cavalier  di  stirpe  generosa. Di  tanto  ardir,  quanto  più  d'altri  s' oda. E  ben  conviensi  a  tal  valor,  che  cosa Di  tanto  prezzo  e  si  eccellente  goda. Olindro  il  cavalier  da  Lunga  villa; La  donna  nominata  era  Drusilla. 54    Ma  perch'avea  dinanzi  ili  occhi  il  tema Del  suo  fìratel,  che  n'era  stato  morto. Pensa  di  torla  in  guisa,  che  non  tema Ch' Olindro  s'abbia  a  vendicar  del  torto. Tosto  s'estingue  in  lui,  non  pur  si  scema Quella  virtù,  su  che  solea  star  sorto; Che  non  lo  sommergean  dei  vizj  l'acque, Delle  quai  sempre  al  fondo  il  padre  giacque. Stanza  50. 55  Con  gran  silenzio  fece  quella  notte Seco  raccor  da  vent' uomini  armati E  lontan  dal  castel  fra  certe  grotte. Che  si  trovan  tra  via,  messe  gli  agguati. Quivi  ad  Olindro  il  di  le  strade  rotte, E  chiusi  i  passi  fur  da  tutti  i  lati; E  benché  fé'  lunga  difesa  e  molta, Pur  la  moglie  e  la  vita  gli  fti  tolta. 56  Ucciso  Olindro,  ne  menò  captiva La  bella  donna,  addolorata  in  guisaCh'a  patto  alcun  restar  non  volea  viva. E  di  grazia  chiedea  d'essere  uccisa. Per  morir  sì  gittò  giù  d'una  riva Che  vi  trovò  sopra  un  vallone  assisa: E  non  potè  morir:  ma  colla  testa Rotta  rimase,  e  tutta  fiacca  e  pesta.67    Altrìmente  Tannerò  riportarla A  casa  non  potè,  che  suna  bara. Fece  con  diligeuzia  medicarla; Che  perder  non  volea  preda  si  cara. E  mentre  che  s' indugia  a  risanarla Di  celebrar  le  nozze  si  prepara: Chaver  si  bella  donua  e  sì  pudica Debbe  nome  di  moglie,  e  non  d amica. 60  Simula  il  viso  pace;  ma  vendetta Chiama  il  cor  dentro,  e  ad  altro  non  attende. Molte  cose  rivolge,  alcune  accetta, Altre  ne  lascia  ed  altre  in  dubbio  appende. Le  par  che  quando  essa  a  morir  si  metta . Avrà  il  suo  intento;  e  quivi  alfin  s apprende E  dove  meglio  può  morire,  o  quando, Che'l  suo  caro  marito  vendicando? 61  Ella  si  mostra  tutta  lieta,  e  finge Di  queste  nozze  aver  sommo  disio; E  ciò  che  può  indugiarle  addietro  spinge, Non  ch'ella  mostri  averne  il  cor  restio. Più  deir  altre  s' adoma  e  si  dipinge:Olindro  al  tutto  par  messo  in  oblio; Ma  che  sian  fatte  queste  nozze  vuole, Come  nella  sua  patria  far  si  suole. Stanza  55. 58  Non  pensa  altro  Tanacro,  altro  non  brama, D'altro  non  cura,  e  d'altro  mai  non  parla. Si  vede  averla  offesa,  e  se  ne  chiama In  colpa,  e  ciò  che  può,  fa  d'emendarla. Ma  tutto  è  invano: quanto  egli  più  l'ama, Quanto  più  s'affatica  di  placarla, Tant'  ella  odia  più  lui,  tanto  è  più  forte, Tanto  è  più  ferma  in  voler  porlo  a  morte. 59  Ma  non  però  quest'odio  cosi  ammorza La  conoscenza  in  lei,  che  non  comprenda Che,  se  vuol  far  quanto  disegna,  è  forza Che  simuli,  ed  occulte  insidie  tenda; E  che'l  desir  sotto  contraria  scorza (TI quale  è  sol,  come  Tanacro  offenda) Veder  gli  faccia;  e  che  si  mostri  tolta Dal  primo  amore,  e  tutta  a  lui  rivolta. 62    Non  era  però  ver  che  questa  usanza, Che  dir  volea,  nella  sua  patria  fosse; Ma  perchè  in  lei  pensier  mai  non  avanza, Che  spender  possa  altrove;  imaginosse Una  bugia,  la  qual  le  die  speranza Di  far  morir  chi  '1  suo  Signor  percosse:E  disse  di  voler  le  nozze  a  guisa Della  sua  patria;  e'I  modo  gli  divisa. 63     La  vedovella  che  marito  prende, Deve,  prima  (dicea)  eh a  lui  s'appresse, Placar  Talma  del  morto  ch'ella  offende, Facendo  celebrargli  officj  e  messe, In  remissiou  delle  passate  mende, Nel  tempio  ove  di  quel  son  V  ossa  messe; E  dato  fin  eh  al  sacrificio  sia, Alla  sposa  Tanel  lo  sposo  dia: 65    Tanacro,  che  non  mira  quanto  importe Ch'ella  le  nozze  alla  sua  usanza  faccia, Le  dice: Purché  1  termine  sì  scorte D'essere  insieme,  in  questo  si  compiaccia. Né  8  avvede  il  meschin  eh'  essa  la  morte D'Olindro  vendicar  cosi  procaccia; £  si  la  voglia  ha  in  uno  oggetto  intensa, Che  sol  di  quello,  e  mai  d'altro  non  pensa. Stanza  61. 64    Ma  ch'abbia  in  questo  mezzo  il  sacerdote Sul  vino  ivi  portato  a  tale  effetto Appropriate  orazì'on  devote, Sempre  il  liquor  benedicendo,  detto; Indi  che  '1  fiasco  in  una  coppa  vote, E  dia  alli  sposi  il  vino  benedetto:Ma  portare  alla  sposa  il  vino  tocca, Ed  esser  prima  a  porvi  su  la  bocca. Stanza  67. 66  Avea  seco  Drusilla  una  sua  vecchia, Che  seco  presa,  seco  era  rimasa. A  sé chiamolla,  e  le  disse  all' orecchia, Si  che  non  potè  udire  uomo  di  casa:Un  subitano  tosco  m'apparecchia, Qual  so  che  sai  comporre,  e  me  lo  invasa; C'ho  trovato  la  via  di  vita  torre Il  traditor  figliuol  di  Marganorre; 67  E  me so  come,  e  te  salvar  non  meno; Ma  differisco  a  dirtelo  più  ad  agio. Andò  la  vecchia,  e  apparecchiò  il  veneno, Ed  acconciollo,  e  ritornò  al  palagio. Di  vin  dolce  di  Candia  un  fiasco  pieno Trovò  da  por  con  quel  succo  malvagio, E  lo  serbò  pel  giorno  delle  nozze; Ch'  ornai  tutte  l'indugie  erano  mozze. 68'  Lo  statiùto  giorno  al  tempio  venne, Dì  gemme  ornata  e  di  leggiadre  gonne; Ove  d01indro,  come  gli  convenne, Fatto  avea  Parca  alzar  sn  dne  colonne. Qnivi  r  ufficio  bì  cantò  solenne:Trasseno  a  udirlo  tutti,  uomini  e  donne; E  lieto  Marganor  più  dell'usato, Venne  col  figlio  e  con  gli  amici  a  lato. Tosto  chalfin  le  sante  esequie  foro, E  fu  col  tosco  il  vino  benedetto, Il  sacerdote  in  una  coppa  d'oro Lo  versò,  come  avea  Drusilla  detto. Ella  ne  bebbe  quanto  al  suo  decoro Si  conveniva,  e  potea  far  l'effetto: Poi  dio  allo  sposo  con  viso  giocondo Il  nappo;  e  quel  gli  fé' apparire  il  fondo. 70  Penduto  il  nappo  al  sacerdote,  lieto abbracciar  Drusilla  apre  le  braccia. Or  quivi  il  dolce  stile  e  mansueto In  lei  si  cangia,  e  quella  gran  bonaccia. Lo  spinge  addietro,  e  gli  ne  fa  divieto, £)  par  eh'  arda  negli  occhi  e  nella  faccia; E  con  voce  terribile  e  incomposta Gli  grida:  Traditor,  da  me  ti  scosta. 71  Tu  dunque  avrai  da  me  sollazzo  e  gioia, Io  lagrime  da  te,  martiri  e  guai? 10  vo'per  le  mie  man  ch'ora  tu  muoia: Questo  è  stato  venen,  se  tu  noi  sai. Ben  mi  duol  ch'hai  troppo  onorato  boia, Che  troppo  lieve  e  facii  morte  fai; Che  mani e  pene  io  non  so  si  nefande. Che  fosson  pari  al  tuo  peccato  grande. 72  Mi  duol  di  non  veder  in  questa  morte 11  sacrificio  mio  tutto  perfetto: Che  s' io  '1  poteva  far  di  quella  sorte Ch'  era  il  disio,  non  avria  alcun  difetto. Di  ciò  mi  scusi  il  dolce  mio  consorte: Riguardi  al  buon  volere,  e  l'abbia  accetto; Chò  non  potendo  come  avrei  voluto, 10  t'ho  fatto  morir  come  ho  potuto. 73  E  la  punizi'on  che  qui,  secondo 11  desiderio  mio,  non  posso  4rti, Spero  l'anima  tua  nell'altro  mondo Veder  patire;  ed  io  starò  a  mirarti. Poi  disse,  alzando  con  viso  giocondo I  torbidi  occhi  alle  superne  parti: Questa  vittima,  Olìndro,  in  tua  vendetta Col  buon  voler  della  tua  moglie  accetta; 74  Ed  impetra  per  me  dal  Signor  nostro Grazia,  ch'in  paradiso  oggi  io  sia  teco. Se  ti  dirà  che  senza  merto  al  vostro Regno  anima  non  vien,  di'  eh'  io  l'ho  meco:Che  di  questo  empio  e  scellerato  mostro Le  spoglie  opime  al  santo  tempio  arreco. E  che  merti  esser  puon  maggior  di  questi,Spegner  si  brutte  e  abbominose  pesti?75  Fini  il  parlare  insieme  colla  vita; E  morta  anco  parea  lieta  nel  volto D'aver  la  crudeltà  cosi  punita Di  chi  il  caro  marito  le  avea  tolto. Non  so  se  prevenuta  o  se  seguita Fu  dallo  spirto  di  Tanacro  sciolto. Fu  prevenuta,  credo;  ch'effetto  ebbe Prima  il  veneno  in  lui,  perchè  più  bebbe. 76  Marganor  che  cader  vede  il  figliuolo, E  poi  restar  nelle  sue  braccia  estinto. Fu  per  morir  con  lui,  dal  grave  duolo, Ch'alia  sprovvista  lo  trafisse,  vinto. Duo  n'  ebbe  un  tempo;  or  si  ritrova  solo:Duo  femmine  a  quel  termine  l'han  spinto. La  morte  all'un  dall'una  fu  causata; E  l'altra  all'altro  di  sua  man  l'ha  data. 77  Amor,  pietà,  sdegno,  dolore  ed  ira, Disio  di  morte  e  di  vendetta  insieme Quell'infelice  ed  orbo  padre  aggira, Che,  come  il  mar  che  turbi  il  vento,  freme. Per  vendicarsi  va  a  Drusilla,  e  mira Che  di  sua  vita  ha  chiuse  l'ore  estreme: E,  come  il  pnn?e  e  sferza  V  odio  ardente, Cerca  offendere  il  corpo  che  non  sente. 78  Qual  serpe  che  nell' asta  eh'  alla  sabbia La  tenga  fissa,  indarno  i  denti  metta; 0  qual  mastin  ch'ai  ciottolo  che  gli  abbia Gittate  il  viandante,  corra  in  fìretta, E  morda  invano  con  stizza  e  con  rabbia, Né  se  ne  voglia  andar  senza  vendetta: Tal  Marganor,  d'ogni  mastin,  d'ogni  angue Via  più  crudel,  fa  contro  il  corpo  esangue. 79  E  poi  che  per  stracciarlo  e  feume  scempio Non  si  sfoga  il  fellon  nò  disacerba, Vien  fra  le  donne  di  che  è  pieno  il  tempio, Né  più  l'una  dell'altra  ci  riserba; Ma  di  noi  fa  col  brando  crudo  ed  empio Quel  che  fa  con  la  falce  il  villan  d'erba. Non  vi  fu  alcun  ripar,  ch'in  un  momento Trenta  n'uccise,  e  ne  feri  ben  cento. 80  Egli  dalla  sua  gente  è  si  ternato, Ch'  uomo  non  fu  eh'  ardisse  alzar  la  testa. Faggon  le  donne  col  popol  minato Faor  della  chiesa,  e  chi  può  ascir  non  resta. Quel  pazzo  impeto  alfin  fa  ritenuto Dagli  amici  con  prieghi  e  forza  onesta: E  lasciando  ogni  cosa  in  pianto  al  hasso, Fatto  entrar  nella  rocca  in  cima  al  sasso. 81  E  tattavia  la  collera  durando, Di  cacciar  tutte  per  partito  prese: Poiché  gli  amici  e  '1  popolo  pregando, Che  non  ci  uccìse  affatto,  gli  contese; E  quel  medesmo  dì  fé' andare  im  bando, Che  tutte  gli  sgombrassimo  il  paese; E  darci  qui  gli  piacque  le  confine. Misera  chi  al  castel  più  s'avricine! 82  Dalle  mogli  cosi  furo  i  mariti, Dalle  madri  cosi  i  figli  divisi. S' alcuni  sono  a  noi  venire  arditi, Noi  sappia  già  chi  Marganor  n'avvisi: C!he  di  multe  gravissime  puniti N'ha  molti,  e  molti  crudelmente  uccisi. Al  suo  castello  ha  poi  fatto  una  logge. Di  cui  peggior  non  s'ode  né  si  legge. 83  Ogni  donna  che  trovin  nella  valle, La  legge  vuol  (ch'alcuna  pur  vi  cade) Che  percuotan  con  vimini  alle  spalle, £  la  faccian  sgombrar  queste  contrade:Ma  scorciar  prima  i  panni,  e  mostrar  falle Quel  che  natura  asconde  ed  onestade: E  s  alcuna  vi  va,  eh'  armata  scorta di  cavalier,  vi  resta  morta. 84  Quelle e' hanno  per  scorta  cavalieri, Son  da  questo  nimico  di  pietate, Come  vittime,  tratte  ai  cimiteri Dei  morti  figli,  e  di  sua  man  scannate. Leva  con  ignominia  arme  e  destrieri, E  poi  caccia  in  prigion  chi  l'ha  guidate: E  lo  può  far,  che  sempre  notte  e  giorno Si  trova  più  di  mille  uomini  intomo. 85  E  dir  di  più  vi  voglio  ancora,  ch'esso, S' alcun  ne  lascia,  vuol  che  prima  giuri i  a  l'ostia  sacra,  che  '1  femmineo  sesso In  odio  avrà  finché  la  vita  duri. Se  perder  queste  donne,  e  voi  appresso Danque  vi  pare,  ite  a  veder  quei  muri Ove  alberga  il  fellone,  e  fate  prova S' in  lui  più  forza  o  crudeltà  si  trova. 86  Cosi  dicendo,  le  guerriere  mosse  y Prima  a  pietade,  e  poscia  a  tanto  sdegno. Che  se,  com'era  notte,  giorno  iDsee, Sarian  corse  al  castel  senza  ritegno. La  bella  compagnia  quivi  pososse: E  tosto  che  l'aurora  fece  segno Che  dar  dovesse  al  sol  loco  ogni  stella, Ripigliò  l'arme,  e  si  rimesse  in  selli. 87  Già  sendo  in  atto  di  partir,  s'udirò Le  strade  risonar  dietro  le  spalle D'un  lungo  calpestio,  che  gli  occhi  in  giro Fece  a  tutti  voltar  giù  nella  valle E  lungi  quanto  esser  potrebbe  un  tiro Di  mano,  andar  per  uno  istretto  calle Vider  da  forse  venti  armati  in  schiera, Di  che  parte  in  ardon,  parte  a  pied' era:88  E  che  traean  con  lor  sopra  un  cavallo Donna  eh'  al  viso  aver  parca  molt'  anni, A  guisa  che  si  mena  im  che  per  fallo A  fuoco  0  a  ceppo  o  a  laccio  si  condanni:La  qual  fu,  non  ostante  l'intervallo, Tosto  riconosciuta  al  viso  e  ai  panni. La  riconobber  queste  della  villa Esser  la  cameriera  di  Drusilla: 89  La  cameriera  che  con  lei  fa  presa Dal  rapace  Tanacro,  come  ho  detto, Ed  a  chi  fd  di  poi  data  l'impresa Di  quel  venen  che  fe"l  crudele  effetto. Non  era  entrata  ella  con  l'altre  in  chiesa; Che  di  quel  che  segui  stava  in  sospetto:Anzi  in  quel  tempo,  della  villa  uscita, Ov'  esser  sperò  salva,  era  friggita. 90  Avuto  Marganor  poi  di  lei  spia, La  qual  s'era  ridotta  in  Ostericche, Non  ha  cessato  mai  di  cercar  via Come  in  man  l'abbia,  acciò  l'abbruci  o  impicche: E  finalmente  l'Avarizia  ria, Mossa  da  doni  e  da  profferte  ricche, Ha  fatto  eh' un  Baron,  ch'assicurata L'avea  in  sua  terra,  a  Marganor  l'ha  data: 91  E  mandata  glie  l'ha  fin  a  Costanza Sopra  un  somier,  come  la  merce  s'usa, Legata  e  stretta,  e  toltole  possanza Di  far  parole,  e  in  una  cassa  chiusa: Onde  poi  questa  gente  l'ha,  ad  instanza Dell' uom  eh'  ogni  pietade  ha  da  sé  esclusa, Quivi  condotta  con  diseino  ch'abbia L'empio  a  sfogar  sopra  di  lei  sua  rabbia. Stanza  )75. 92     Come  il  gran  fiuma  che  dì  Vésiilo  esce, Quanto  più  innanzi  e  verso  il  mar  discende, E  che  con  lui  Lambro  e  Ticin  si  mesce. Ed  Adda,  e  gli  altri  onde  tributo  prende, Tanto  più  altiero  e  impetuoso  cresce: Così  Ruggier,  quante  più  colpe  intende Di  Marganor,  cosi  le  due  guerriere Se  gli  fan  con  tra  più  sdegnose  e  fiere. 93    Elle  fur  d'odio,  elle  far  d'ira  tanta Contra  il  crudel,  per  tante  colpe,  accese, Che  di  punirlo,  malgrado  di  quanta Gente  egli  avea,  conclusìon  si  prese. Ma  dargli  presta  morte  troppo  santa Pena  ior  parve,  e  indegna  a  tante  offese; Ed  era  meglio  fargliela  sentire, Fra  strazio  prolunganduU  e  martire. 94  Ma  prima  liberar  la  donna  è  onesto, Che  sia  condotta  da  quei  birri  a  morte. Lentar  di  briglia  col  calcagno  presto Fece  appresti  destrier  far  le  vie  corte. Non  ebbon  gli  assaliti  mai  di  questo Uno  incontro  più  acerbo  né  più  forte; Si  che  han  di  grazia  di  lasciar  gli  sondi E  la  donna  e  V  arnese,  e  fuggir  nudi:95  Sì  come  il  lupo  che  dì  preda  vada Carco  alla  tana,  e  quando  più  si  crede D'esser  sicur,  dal  cacciator  la  strada E  da'  suoi  cani  attraversar  si  vede; Getta  la  soma,  e  dove  appar  men  rada La  scura  macchia  innanzi,  affretta  il  pieile:(tià  men  presti  non  fur  quelli  a  fuggire. Che  li  fnsson  quest'altri  ad  assalire. Stanza  94. 96    Non  pur  la  donna  e  V  arme  vi  lasciaro, Ma  de' cavalli  ancor  lasciaron  molti, E  da  rive  e  da  grotte  si  lanciaro, Parendo  lor  cosi  d'esser  più  sciolti. Il  che  alle  donne  ed  a  Ruggier  fu  caro; Che  tre  di  quei  cavalli  ebbono  tolti, Per  portar  quelle  tre  che  '1  giorno  d'ieri Feron  sudar  le  groppe  ai  tre  destrieri. 97    Quindi  espediti  seguono  la  strada Verso  l'infame  e  dispietata  villa. Voglion,  che  seco  quella  vecchia  vada, Per  veder  la  vendetta  di  Drusilla. Ella,  che  teme  che  non  ben  le  accada, Lo  niega  indamo,  e  piange  e  grida  e  strilla; Ma  per  forza  Ruggier  la  leva  in  groppa Del  buon  Frontino,  e  via  con  lei  galoppa. Stanza  97. 98  Giunsero  in  somma  onde  vedeano  al  basso Di  molte  case  un  ricco  borgo  e  grosso, Che  non  serrava  d'alcun  lato  il  passo, Perchè  né  muro  intomo  avea  né  fosso. Avea  nel  mezzo  un  rilevato  sasso, Ch' un' alta  rocca  sostenea  sul  dosso. A  quella  si  drizzar  con  gran  baldanza. Ch'esser  sapean  di  Slarganor  la  stanza. 99  Tosto  che  son  nel  borgo,  alcani  fanti Che  v'  erano  alla  guardia  dell' entrata, Dietro  chiudon  la  sbarra,  e  già  davanti Veggion  che  l'altra  uscita  era  serrata: Ed  ecco  Marganorre,  e  seco  alquanti A  pie  e  a  cavallo,  e  tutta  gente  armata; Che  con  brevi  parole,  ma  orgogliose, La  ria  costuma  di  sua  terra  espose. 100  Marftsa,  la  qual  prima  avea  composta Con  Bradamante  e  con  Ruggier  la  cosa Gli  spronò  incontro  in  cambio  di  risposta: E  com'era  possente  e  valorosa. Senza  ch'abbassi  lancia,  o che  sia  posta In  opra  quella  spada  sì  famosa. Col  pugno  in  guisa  l'elmo  gli  martella, Che  lo  fa  tramortir  sopra  la  sella. 101  Con  Mariisa  la  gioTane  di  Francia Spinge  a  un  tempo  il  destrier;  né  Ruggier  resta, Ma  con  tanto  valor  corre  la  lancia, Che  sei,  senza  levarsela  di  resta, N'uccide,  uno  ferito  nella  pancia, Duo  nel  petto,  un  nel  collo,  un  nella  testa: Nel  sesto,  che  fuggia,  V  asta  si  roppe, C  h'  entrò  alle  scheno,  e  riuscì  alle  poppe. 102  Là  figliuola  d'Amon  quanti  ne  tocca Con  la  sua  lancia  d'ór,  tanti  ne  atterra. Fulmine  par  che  U  cielo  ardendo  scocca, Che  ciò  ch'incontra,  spezza  e  getta  a  terra. Il  popol  sgombra,  chi  verso  la  rocca. Chi  verso  il piano: altri  si  chiude  e  serra, Chi  nelle  chiese,  e  chi  nelle  sue  erse; Né,  fuorché  morti,  in  piazza  uomo  rimase. 105  Perocché  Tun  dell'altro  non  si  fida, E  non  ardisce  Conferir  sua  voglia, Lo  lascian  eh' un  bandisca,  un  altro  nccidi, A  quel  r  avere,  a  questo  V  onor  toglia. Ma  il  cor  che  tnce  qui,  su  nel  ciel  grida. Finché  Dio  e  Santi  alla  vendetta  iuvoglia; La  qual,  sebben  tarda  a  venir,  compensa L'indugio  poi  con  punizione  immensa. 106  Or  quella  turba,  d'ira  e  d'odio  pregna. Con  fatti  e  con  mal  dir  cerca  vendetta. Com'è  in  proverbio  ognun  corre  a  far  legna All' arbore  che  '1  vento  in  terra  getta. Sia  Mnrganorre  esempio  di  chi  regna; Che  cLi  mal  opra,  male  alfine  aspetta. Di  vederlo  punir  de'  suoi  nefandi Peccati,  aveau  piacer  piccioli  e  grandi. Stanza  106. 107  Molti,  a  chi  fur  le  mogli  o  le  sorelle 0  le  figlie  0  le  madri  da  lui morte, Non  più  celando  l'animo  ribelle, Correan  fer  dargli  di  lor  man  la  morte: E  con  fatica  lo  difeser  quelle Magnanime  gueniere  e  Ruggier  forte, Che  disegnato  avean  farlo  morire D'affanno,  di  disagio  e  di  martire. 108  A  quella  vecchia,  che  l'odiava  quanto Femmina  odiare  alcun  nimico  possa. Nudo  in  mano  lo  dier,  legato  tanto. Che  non  si  scioglierà  per  una  scossa; Ed  ella,  per  vendetta  del  suo  pianto, Gli  andò  facendo  Li  persona  rossa Con  un  stimulo  aguzzo  eh' un  villano. Che  quivi  si  trovò,  le  pose  in  mano. 103  Marfisa  Marganorre  avea  legato Int'\uto  con  le  man  dietro  alle  rene, Ed  alla  vecchia  di  Drusilla  dato, Ch'appagata  e  contenta  se  ne  tiene. D'arder  quel  borgo  poi  fu  ragionato, S'a  penitenzia  del  suo  error  non  viene. Levi  la  legge  ria  di  Marganorre, E  questa  accetti,  ch'essa  vi  vuol  porre. 104  Non  fu  già  d'ottener  questo  fiitica; Che  quella  gente,  oltre  al  timor  eh' avea Che  più  faccia  Marfisa  che  non  dica. Ch'uccider  tutti  ed  abbruciar  volea, Di  3Iarganorre  al!i\tto  era  nimica, E  della  legge  sua  crudele  e  rea. Ma  '1  popolo  facea,  come  i  più  fanno, Ch'ubbidiscon  più  a  quei  che  più  in  odio  hanno. 109  La  messaggi  era  e  le  sue  giovani  anco, Che  quell'onta  non  son  mai  per  scordarsi, Non  s' hanno  più  a  tener  le  mani  al  fianco, Né  meno  che  la  vecchia,  a  vendicarsi. Ma  si  è  il  desir  d'offenderlo,  che  manco Viene  il  potere,  e  pur  vorriau  sfogarsi:Chi  con  sassi  il  percuote,  chi  con  l'ugue; Altra  lo  morde,  altra  cogli  aghi  il  pugne. 110  Come  torrente  che  superbo  faccia Lunga  pioggia  talvolta  o  nevi  sciolte. Va  ruinoso,  e  giù  da'  monti  caccia Gli  arbori  e  i  sassi  e  i  campi  e  le  rìculte; Vien  tempo  poi,  che  l'orgogliosa  faccia Gli  cade,  e  sì  le  forze  gli  son  tolte, Ch'  un  fanciullo,  una  femmina  per  tutto Passar  lo  puote,  e  spesso  a  piede  asciutto:111  Cosi  già  fu  che  Marganorre  intorno Fece  tremar,  dovunque  udiasi  il  nome: Or  venuto  è  chi  gii  lia  spezzato  il  corno Di  tanto  orgoglio,  e  si  le  forze  dome, Che  gli  pnon  far  sin  a'  bambini  scorno, Chi  pelargli  la  barba,  e  chi  le  chiome. Quindi  Eiiggiero  e  le  donzelle  il  passo Alla  rocca  voltar,  ch'era  sul  sasso. 114    Perchè  stata  saria,  com'eran  tutte Qnelle  ch'armate  avean  seco  le  scorte. Al  cimitero  misere  condutte Dei  duo  fratelli,  e  in  sacrificio  morte. Gli  è  pur  men  che  morir,  mostrar  le  brutte E  disoneste  parti,  duro  e  forte; E  sempre  questo  e  ogni  altro  obbrobrio  ammorza 11  poter  dir  che  le  sia  fatto  a  forza. 112  La  die  senza  contrasto  in  poter  loro Chi  v'  era  dentro,  e  così  i  ricchi  arnesi, Ch'  in  parte  messi  a  sacco,  in  parte  foro Dati  ad  Ullania  ed  accompagni  offesi. Ricovrato  vi  fu  lo  scudo  d'oro, E  quei  tre  Be  ch'avea  il  tiranno  presi, Li  quai  venendo  quivi,  come  parrai D'avervi  detto,  erano  a  pie  senz'armi; 113  Perchè  dal  di  che  fur  tolU  di  sella Da  Bradamante,  a  pie  sempre  eran  iti Senz'arme,  in  compagnia  della  donzella La  qual  venia  da  si  lontani  liti. Non  so  se  meglio  o  peggio  fti  di  quella, Che  di  lor  armi  non  fusson  guerniti. Era  ben  meglio  esser  da  lor  difesa; Ma  peggio  assai,  se  ne  perdean  l'impresa: Stanza  121. 115    Prima  ch'indi  si  partan  le  guerriere. Fan  venir  gli  abitanti  a  giuramento, Che  daranno  i  mariti  alle  mogliere Della  terra  e  del  tutto  il  reggimento:E  castigato  con  pene  severe Sarà  chi  contrastare  abbia  ardimento. In  somma,  quel  eh  altrove  è  del  marito, Che  sia  qui  della  moglie  è  statuito. 16  Poi  si  fecion  promettere  eh'  a  quanti .  Mai  Yenian  quivi,  non  darian  ricetto, 0  fosson  cavalieri  o  fosson  fanti; Né  'ntrar  gli  lascerian  pur  sotto  un  tetto, Se  per  Dio  non  giurassino  e  per  Santi, 0  s'altro  giuramento  v'è  più  stretto,  • Che  sarian  sempre  delle  donne  amici, E  dei  nimici  lor  sempre  nimici:117  E  s'avranno  in  quel  tempo,  e  ne  saranno. Tardi  o  più  tosto,  mai  per  aver  moglie, Che  sempre  a  quelle  sudditi  saranno, E  ubbidienti  a  tutte  lelor  voglie. Tornar  Marfisa,  prima  eh'  esca  l'anno, Disse,  e  che  perdan  gli  arbori  le  foglie; E  se  la  legge  in  uso  non  trovasse, Fuoco  e  ruina  il  borgo  s'aspettasse. 119  L'animose  guerriere  a  lato  un  teDipio Videno  quivi  una  colonna  in  piazza. Nella  qual  fatt'avea  quel  tiranno  empio Scriver  la  legge  sua  crudele  e  pazza. Elle,  imindo  d'un  trofeo  l'esempio. Lo  scudo  v'attaccaro  e  la  corazza Di  3[arganorre,  e  V  elmo;  e  scriver  fénuo La  legge  appresso,  ch'esse  al  loco  dénno. 120  Quivi  s' indugiar  tanto,  che  Marfisa Fé' por  la legge  sua  nella  colonna. Contraria  a  quella  che  già  v'era  incisa A  morte  ed  ignominia  d'ogni  donna. Da  questa  compagnia  restò  divisa Quella  d  Islanda,  per  rifar  la  gonna; Che  comparire  in  corte  obbrobrio  stima, Se  non  si  veste  ed  orna  come  prima. 118    Né  quindi  si  partir,  che  dell'immondo Luogo  dov'  era,  fér Drusilla  torre, E  col  marito  in  un  avel,  secondo Ch'ivi  potean  più  riccamente,  pone. La  vecchia  facea  intanto  rubicondo Con  lo  stimulo  il  dosso  a  Marganorre: Sol  si  dolea  di  non  aver  tal  lena. Che  potesse  non  dar  triegua  alla  pena. 121    Quivi  rimase  Ullania;  e  Marganorre Di  lei  restò  in  potere: ed  essa  poi, Perché  non  s'abbia  in  qualche  modo  a  sciorre. E  le  donzelle  un'  altra  volta  annoi, Lo  fé'  un  giorno  saltar  giù  d'una  torre, Che  non  fé'  il  maggior  salto  a' giorni suoi. Non  più  di  lei,  né più  dei  suoi  si  parli; Ma  della  compagnia  che  va  verso  Arli. 122    Tutto  quel  giorno,  e  l'altro  fin  appresso L' ora  di  terza  andaro, e poi  che furo Giunti dove  in  due  strade  è  il  cammin fésso(L'una  va  al  campo,  e  l'altra  d'Arli  al  muro). Tornar  gli  amanti  ad  abbracciarsi,  e  spesso A tor commiato e  sempre acerbo e duro. Alfin  le  donne  in  campo,  e  in  Arli  é  gito Kuggiero;  ed  io  il  mio  Canto  ho  qui  finito. NOTE. St.  5.  V.16.   Arpalice:  figlia del re di Tracia,  che difese il regno  paterno  contro  Neottolemo,  ossia  Pirro, figliuolo  d'Achille.   Tomiri,  regina  de'  Massageti,  che riportò  vittoria  sopra  Ciro persiano. Non  fu  ehi Turno,  ecc.  Accenna  Camilla,  figlia  del  re  de'  Volaci, la  quale die  aiuto  a  Turno.   Non  chi  Ettor  soccorse: parla  di  Pentesilea,  regina  delle Amazzoni,  quale  ausi liaria dei  Troiani. Non  chi  seguita,  ecc.  Allude  a Didone,  che,  rimasta  vedova  di  Sicheo,  e  quindi  emi grata da  Tiro,  si  condusse  sulla costa  d'Africa,  dove fondò  Cartagine.   Zenohia,  celebre  regina  di  Palmira, che  dopo  essersi  difesa  con  molto  valore  contro  l'impe ratore Aureliano,  restò  prigioniera di  lui. Non  quella che gli Assiri f  ecc.  Questa  è  Semiramide    qui  mento vata per  le  bellicose  sue  geste. St.  6.  V.34.   Ove  fra  gVJndi  e  gli  orti  Delle Espe ride, ecc.  Prendesi  qui  l'India  per  l'estremo  contineita a  levante;  e  gli  orti  dell' Esperidi  per  l'ultima  tem  a ponente.  Si  finsero  quegli  orti  nella  parte  occidentale dell'Etiopia, e appartenenti alle tre figlie di Espero,  die ivi  tenevano  sotto  la  guardia  di  un  drago  i  pomi  d'oro recati  in  dote  da  Giunone  a  Giove. St. 8., v.18. In questa stanza e in altre che seguono, il poeta nomina  vari  letterati  che  scrinerò  ia lode  delle  donne,  e  dei  quali  si  darà  breve  oenio.  Marnilo: ebbe  nome  Michele,  nato  da  genitori  greei. ma  allevato  in  Italia;  fa  scrittore  di  epigrammi e  d'inni, detti  da  lui  naturali:  mori  sommerso  nel  fiume  Cecina in  Toscana. Ed il Pontan,  ecc.  Giande  e  meritata fama  ebbe  nelle  lettere  Giovanni  o  Gioviano  Fontano, nato  a  Cereto  nello  Spoletino  Tanno  1426.  Ritrasse  le grazie  degli  antichi  poeti;  mori  nel  1503.   E  duo Strozzi f  il  padre  e 7 figlio.  Il  padre  fa  Tito Vespasiano, discendente  dagli  Strozzi  di  Firenze.  Cominciò  ad  essere celebrato  nel  secolo  XV;  e  tutti  gli  scrittori  di  quei tempi  esaltarono  con  somme  lodi  le  rime  di  lui.  Finiva di  vivere  circa  il  U08.  Il  figlio  chiamavasi  Ercole,  e superò  il  padre.  Fu  stimato  ammirabile  nella  poesia latina,  felicissimo  nell'italiana, e  dotto  nella  lingua  greca. ucciso  a  tradimento  nel  6  giugno  1508. Il  Bembo. Pietro  Bembo  nacque in Venezia  nel 1470;  fu  storiografo di  quella  Repubblica,  e cardinale  nel  15:.  Era  amicis simo del  Poeta.   Jl  Capei,  Bernardo  Cappello,  verseg giatore veneziano,  amico  pure  deirAriosto.   Chi,  guai lui  Vediamo,  ha  tali  i cortigian  formati,  intende  di Baldassar  Castiglione,  mantovano,  nato  nel  1468,  eru dito, rimatore  elegante,  e  autore  del  Cortigiano.  Cessò di  vivere  in  Toledo  nel  1529.   Luigi  Alaman.  È  questi r  elegante  poeta  Luigi  Alamanni,  nato  in  Firenze  nel 1495,  autore  della  Coltivasione,  e  di  altri  due  poemi, uno  intitolato  Girone  il  cortese,  e  Taltro,  YAvarchide.  Ce  ne  son  dui  di  par  da  Marte,  ecc.  Accenna  Luigi Gonzaga,  secondo  conte  di  Sabbioneta,  soprannominato Rodomonte,  e  Francesco  Gonzaga,  marito  d'Isabella d'Este.  Il  primo  nacque  nel  1500, e mori in età di 33 anni. L'altro  fu  marchese  di  Mantova dal 1484  al 1519; ed  entrambi  si  dimostrarono  cosi  fervidi  proteggitorì, come  gentili  cultori  delle  buone  lettere,  e  prodi  nel Tarmi. La  terra  Che  H  Menzo  fende,  ecc.: Mantova, situata  in  mezzo  di  un  lago  formato  dal  Mincio. St.  9, v. 38. Cinto: monte dell'isola di Delo, e luogo  natale di Apollo. L'amor, la  fede, ecc. Clemente VII, irritato  perchè  Luigi  Gonzaga  favoriva  i Pallavicino  contro  i  Rangoni,  voleva  impedire  con  mi nacce il  matrimonio  stabilito  tra  esso  Luigi  e  Isabella figlia  di  Vespasiano  Colonna  duca  di  Traetto;  la  quale, a  malgrado  del  papa,  mantenne  al  Gonzaga  la  data  fede e  il  matrimonio  ebbe  luogo  nel  1531. St.  12.  v.58.   Un  Ercol  Bentivoglio.  Questi  nacque in  Bologna  nel  1506i  anno  in  cui  la  sua  famiglia  perde la  signoria  di  quella  città.  Educato  nella  corte  di  Al fonso I  di  cui  era  nipote,  aggiunse  lustro  alla  nobiltà dlla  stirpe  col  suo  valore  nella  volgar  poesia.   E Renato  Trivulcio,  eH  mio  Guidetto,  E'I  Molza,  ecc. Il  piimo  fondò  in  Milano,  o  almeno  restaurò  circa  il  1543 l'Accademia  detta  de  FenicJ,  L'altro  era  Francesco Guidetti,  uno  dei  collaboratori  all'edizione  del  Boccac cio fatta  nel  1527;  e  Ftancesco  Maria  Molza,  nato  in Modena  il  18  giugno  1489,  ed  ivi  morto  nel  28  febbraio 1544,  riusci  felicemente  in  tutti  i  generi  di  poesia  in  cui piacquegli  esercitarsi. St.  13.  V.18.   Ce  7  duca  de'  Carnuti  Ercol  figliuo lo, ecc.  Ercole  II,  figlio  d'Alfonso  I,  ch'ebbe  da  Luigi  XII, insieme  con  altre  signorie,  il  ducato  di  Chartres,  città detta  dai  Latini  Chamutum,  fu  splendido  fautore  e  col tivatore delle  buone  lettere.   C  è  il  mio  signor  del Vasto,  ecc.  Annoverasi  fra  i  mecenati  e  cultori  della letteratura  anche  Alfonso  dAralos,  marchese  del  Va sto, cognato  del  marchese  di  Pescara,  di  cui  più  sotto. St.  44.  V.6.   Al  fonte  d'Aganippe.  Quel  fonte  scen deva dal  monte  Elicona,  era  consacrato  ad  Apollo  e  alle Muse:  e  le  sue  acque  avevano  la  virtù  dUnspirare  i  poeti: St.  17.  V.3.   Maia: una  delle  Pleiadi,  nella  costel lazione del  Toro;  od  anche  il  pianeta  Mercurio,  a  cui si  è  dato  il  nome  di  quel  Dio  ohe  fu  figliuolo  di  Maia. St.  18.  V.16.   Vittoria  è'I  nome.  Parlasi  di  Vit toria Colonna,  nata  in  Marino,  feudo  di  sua  casa,  circa il  1490.  Fu  sposa  a  Ferdinando  Francesco  d'Avalos,  mar chese di  Pescara.  Fornita  di  rare  doti  di  corpo  e  di  spi , restò  vedova  nel  1525,  e  con  egregie  rime,  che  ce lebrarono la  memoria  del  perduto  sposo,  cercò  sfogo  al dolore  della  vedovanza.  Mori  in  Roma  nel  febbraio  del 1547.   Unaltra  Artemisia,  ecc.  Questa  regina  di  Caria, oltreché  fece  costruire  al  marito  un  mausoleo,  che  fu una  delle  sette  maraviglie  del  mondo,  ne  inghiotti  le ceneri,  non  trovando  pel  suo  sposo  un  più  degno  sepolcro. St.  19.  v.17.   Laodamia:  figlia  di  Acasto,  e  mo glie di  Protesilao,  ucciso  da  Ettore,  non  gli  volle  soprav vivere, e  si  gettò  nelle  fiamme.   Lamoglier  di  Bruto: ebbe  nome  Porzia,  e  morto  il  marito,  si  uccise  ingo, iando  carboni  accesi.   Arria: moglie  di  Cecina  Peto implicato  in  una  congiura  contro  l'imperator  Claudio. Non  potendo  salvare  il  marito,  s' immeise  un  pugnale nel  petto.   Argia:  moglie  di  Polinice,  fatta  morire Creonte  tiranno  di  Tebe,  per  aver  data  sepoltura  al l'ucciso marito  a  malgrado  il  divieto  fatto  dal  tiranno.  Evadne: moglie  di  Capaneo  morto  nell'oppugnazione di  Tebe.  Pel  dolore  di  quella  perdita  si  gettò  anch'essa nel  rogo.   Del  rio  che  nove  volte  Vomirà  circonda: del  fiume  Stige,  a  cui  Virgilio  dà  nove  giri. St.  20.  V.23.   Il  Macedonico:  Alessandro,  figliuol di  Filippo,  re  di  Macedonia,  invidiava  ad  Achille  V  es sere stato  celebrato  da  Omero.   Francesco  di  Pescara: sposo  di  Vittoria  Colonna.  Egli  protesse  con  munifi cenza e  coltivò  con  amore  le  buone  lettere;  f  assai valoroso  nell' aimi,  e  morì  di  ferite  riportate  combat tendo per  Carlo  V  nella  famosa  battaglia  di  Pavia, l'anno  1525. St.  27.  V.14.   Come  quel  figlio  di  Vnlcan,  occ. Fu  detto  Eriltonio,  e  nacque  coi  piedi  di  dragone.  Cre sciuto per  le  cure  di  Aglauro,  figlia  di  Eritteo,  re  d'A tene, inventò  il  cocchio  per  coprire,  sedendo  in  esso,  la deformità  de' suoi  piedi.   Al  veder  troppo  ardita. Rammenta  il  Poeta  questa  circostanza,  perchè  Aglauro, portando  invidia  ad  Erse  sua  sorella,  amata  da  Mercurio, pose  ostacoli  agli  amori  del  nume;  e  per  questa  colpa fu  da  lui  convertita  in  sasso. St.  36.  V.16.   Non  più  a  Giason,  ecc.  Racconta Stazio  nel  V  della  Tebaide  che  Giasone,  approdato  con gli  Argonauti  in  Lenno,  trovò  queir  isola  abitata  sol tanto da  femmine,  perchè  tutti  i  maschi  erano  stati messi  a  morte  da  quelle. St.  44.  V.4.   J/  conto:  il  racconto. St.  54.  V.16.   Tema: qui  esempio.   Su  che  solca star  sorto: sulla  quale  solca  star  fermo,  reggersi. St.  90.  V.2.   Osterricche:  Austria. St.  92.  V.14   Jl  gran  fiume:  il  Po.   Vesulo: Monviso,  ano  dei  monti  liguri  che  fanno  parte  delle Alpi  Cozie.   Lambro  e  Ticin....  Et  Adda:  tre  fiumi di  Lombardia. St.  93.  v.56.   Troppo  santa  Pena  lor  parve  e indegna  a  tante  offese:  pena  di  cui  egli  non  era  degno. XXXVIII.  lltiffÉficro,  fefJelo  all'onore  ehe  Ip  chiami  presso  Agri' matite  va  in  kv\L  Sì  prebcntano  alla  Corto  dì  C&rlo, Bnnìamniitt?  e  Marflsa;  e  questa  riceva  il  baitesiiafli. D  altra  p".rte  Astolfo  con  un  esercito  dì  KubJ  mette rAfrtea  a  soqquadvo,  e  minaccia  BirUu  Agr"mftate, di  ciò  ìjitvuito,  ottit>ne  da  Carlo  che  "E  dcdd  la  em fra  loro  cai  combat  ti  incaica  di  due  camici  oni  eletti uno  per  parte. Cortesi  donnea  clic  beuigna  udienza Date  a' miei  versi,  io  vi  vegg'o  al  seminante, Che  quej?t altra  si  subita  partenza Che  fa  Eiiggier  dalla  sua  ftda  amante, Vi  dà  gran  noia  e  avete  displiceuza Puco  minor  cbives.'ie  Brad  amante; E  fate  anco  arfl:omeDt<>,  ch  esser  poco In  hii  doveae  l'amoroso  foco. Per  oiiì  altra  cagiun  ch'allontanato Cuiitia  la  volgila  d'esiga  se  ne  fusae, Ancor  di'  arcisse  più  tesor  spera  tu, Che  Creso  o  Crasso  insieme  non  ri(lnss€; Io  crederla  con  voi,  che  penetrato Non  fosse  al  cor  lo  strai  che  lo  percosse: Ch  un  almo  gaudio,  un  cosi  gran  contento Non  potrebbe  comprare  oro  uè  argento. XXXVIII. 3  Pur,  per  salvar  Tonor,  non  solamente D'escnsa,  ma  di  laude  è  degno  ancora; Per  salvar,  dico,  in  caso  eh  altrimente Tacendo,  biasmo  ed  ignominia  fora:E  se  la  donna  fosse  renitente, Ed  ostinata  in  fargli  far  dimora, Darebbe  di  sé  indizio  e  chiaro  segno O  d'amar  poco,  o  d'aver  poco  ingegno. 4  Che  se  l'amante  dell'amato  deve La  vita  amar  più  della  propria,  o  tanto (Io  parlo  d'uno  amante  a  cui  non  lieve Colpo  d'Amor  passò  più  là  del  manto); Al  piacer  tanto  più,  eh'  esso  riceve, L' onor  di  quello  antepor  deve,  quanto L' onore  è  di  più  pregio  che  la  vita, Ch'a  tutti  altri  piaceri  è  preferita. R      Fece  Ruggiero  il  debito  a  seguire II  suo  Signor;  che  non  se  ne  potea. Se  non  con  ignominia,  dipartire; Che  ragion  di  lasciarlo  non  avea. E  s'Almonte  gli  fé' il  padre  morire, Tal  colpa  in  Agramante  non  cadea; Ch'in  molti  effetti  avea  con  Ruggier  poi Emendato  ogni  error  dei  maggior  suoi. 0      Farà  Ruggiero  il  debito  a  tornare Al  suo  Signore;  ed  ella  ancor  lo  fece, Che  sforzar  non  lo  volse  di  restare, Come  potea,  con  iterata  prece. Ruggier  potrà  alla  donna  satisfare A  un  altro  tempo,  s' or  non  satisfece:Ma  all'onpr,  chi  gli  manca  d'un  momento, Non  può  in  cento  anni  satisfar  uè  in  cento. 7  Toma  Ruggiero  in  Arli,  ove  ha  ritratta Agramante  la  gente  che  gli  avanza. Bradamante  e  Marfisa,  che  contratta Col  parentado  avean  grande  amistanza, Andaro  insieme  ove  re  Carlo  fetta La  maggior  prova  avea  di  sua  possanza, Sperando,  o per  battaglia  o  per  assedio, Levar  di  Francia  cosi  lungo  tedio. 8  Di  Bradamante,  poi  che  conosciuta III  campo  fu,  si  fé' letizia  e  festa. Ognun  la  riverisce  e  la  saluta; Ed  ella  a  questo  e  a  quel  china  la  testa. Rinaldo,  come  udì  la  sua  venuta. Le  venne  incontra;  uè  Ricciardo  resta, Né  Ricciardetto,  od  altri  di  sua  gente, E  la  raccoglion  tutti  allegramente. 9  Come  s'intese  poi  che  la  compagna Era  Marfisa,  in  arme  si  famosa, Che  dal  Cataio  ai  termini  di  Spagna Di  mille  chiare  palme  iva  pomposa; Non  è  povero  o  ricco  che  rimagna Nel  padiglion: la  turba  disiosa "Vien  quinci  e  quindi,  e  s'urta,  storpia  e  preme, Sol  per  veder  sì  bella  coppia  insieme, 10  A  Carlo  riverenti  appresentarsi. Questo  fu  il  primo  dì,  scrive  Turpino, Che  fu  vista  Marfisa  inginocchiarsi; Che  sol  le  parve  il  figlio  di  Pipino Degno,  a  cui  tanto  onor  dovesse  farsi. Tra  quanti  o  mai  nel  popol  Saracino 0  nel  cristiano,  Imperatori  e  Regi Per  virtù  vide  o  per  ricchezza  egregi. 11  Carlo  benignamente  la  raccolse, E  le  uscì  incontra  ftior  dei  padigfa'oni: E  che  sedesse  a  lato  suo  poi  volse Sopra  tutti,  Re,  Principi  e  Baroni. Si  die  licenzia  a  chi  non  se  la  tolse, Sì  che  tosto  restaro  in  pochi  e  buoni. Restaro  i  Paladini  e  i  gran  Signori: La  vilipesa  plebe  andò  di  fuori. 12  Marfisa  cominciò  con  grata  voce: Eccelso,  invitto  e  gloiioso  Augusto, Che  dal  mar  Indo  alla  Tirinzia  foce, Dal  bianco  Scita  all'Etìope  adusto Riverir  fai  la  tua  candida  croce, •  Né  di  te  regna  il  più  saggio  o'I  più  giasto; Tua  fama,  eh'  alcun  termine  non  serra, Qui  tratto  m'ha  fin  dall'estrema  terra. 13  E,  per  narrarti  il  ver,  sola  mi  mosse Invidia,  e  sol  per  farti  guerra  io  venni, Acciò  che  sì  possente  un  Re  non  fosse. Che  non  tenesse  la  lejrge  ch'io  tenni. Per  questo  ho  fatto  le  campagne  rosse Del  Cristian  sangue;  ed  altri  fieri  cenni Era perfarti  da  cru  iel  nimica, Se  non  cadea  chi  mi  t' ha  fatto  amica. 14  Quando  nuocer  pensai  più  alle  tue  squadre. Io  trovo  (e  come  sia  dirò  più  ad  agio) Che'l  buon  Ruggier  di  Risa  fu  mio  padre Tradito  a  torto  dal  f ratei  malvagio. Portommi  in  corpo  mia  misera  madre Di  là  dal  mare,  e  nacqui  in  gran  disagio. Nutrimmi  un  Mago  infin  al  settimo  anno, A  cui  gli  Arabi  poi  rubata  m' hanno; 15  E  mi  venderò  in  Persia  per  ischiava A  un  Re  che  poi  cresciuta,  io  posi  a  morte. Che  mia  virginità  tor  mi  cercava. Uccisi  lui  con  tutta  la  sua  corte:Tutta  cacciai  la  sua  progenie  prava; E  presi  il  regno,  e  tal  fu  la  mìa  sorte, Che  diciotto  anni  d'uno  o  di  duo  mesi Io  non  passai,  che  sette  regni  presi. 16  E  di  tua  fam\  invidiosa,  come 10  t'ho  già  detto,  avea  fermo  nel  core La  grande  altezza  abbatter  del  tuo  nome: Forse  il  faceva,  o  forse  era  in  errore. Ma  ora  avnen  che  questa  voglia  dome, E  faccia  cader  Pale  al  mio  furore. L'aver  inteso,  poi  che  qui  son  giunta, Come  io  ti  son  d'affinità  congiunta. 17  E  come  il  padre  mio  parente  e  servo Ti  fu,  ti  son  parente  e  serva  anch'  io:E  quella  invidia  e  quell' odio  protervo, 11  qual  io  t'ebbi  un  tempo,  or  tutto  obblio; Anzi  centra  Agramante  io  lo  riservo, E  contra  ògn' altro  che  sia  al  padre  o  al  zio Di  lui  stato  parente,  che  fur  rei Di  porre  a  morte  i  genitori  miei. 18  E  seguitò,  voler  cristiana  farsi, E,  dopa  eh'  avrà  estinto  il  re  Agramante, Voler,  piacendo  a  Carlo,  ritornarsi A  battezzare  il  suo  regno  in  Levante, Et  indi  contra  tutto  il  mondo  armarsi, Ove  Macon  s'alori  e  Trivigante; E  con  promissi'on,  eh'  ogni  suo  acquisto Sia  dell' Imperio,  e  della  fé'  di  Cristo. 19  L'Imperator,  che  non  meno  eloquente Era,  che  fose  valoroso esaggio, Molto  esaltando  la  donna  eccellente, E  molto  il  padre  e  molto  il  suo  lignaggio. Rispose  ad  ogni  parte  umanamente, E  mostrò  in  fronte  aperto  il  suo  coraggio; E  conchiuse  nell' ultima  parola, Per  parente  accettarla  e  per  figliuola. 20  E  qui  si  leva,  e  di  nuovo  l'abbraccia, E,  come  figlia,  bacia  nella  fronte. Vengono  tutti  con  allegra  faccia Quei  di  Mongrana  e  quei  di  Chiaramente. Lungo  a  dir  fora  quanto  onor  le  faccia Rinaldo,  che  di  lei  le  prove  conte Vedute  avea  più  volte  al  paragone, Quando  Albracca  assediar  col  suo  girone. 21  Lungo  a  dir  fora  quanto  il  giovinetto Guidon  s'allegri  di  veder  costei, Aquilante  e  Grifone  e  Sansonetto, Ch'  alla  città,  crudel  furon  con  lei  • Malagigi  e  Viviano  e  Ricciardetto, Ch'  all' occision  de'  Maganzesi  rei . E  di  quei  venditori  empj  di  Spagna L'aveano  avuta  sì  fedel  compagna. 22  Apparecchiar  per  lo  seguente  giorno  . Ed  ebbe  cura  Carlo  egli  medesmo, Che  fosse  un  luogo  riccamente  adomo  . Ove  prendesse  Marfisa  battesrao. I  véscovi  e  gran  chierici  d'intorno, Che  le  leggi  sapean  del  Cristianesmo, Fece  raccorre,  aedo  da  loro  in  tutta La  santa  Fé' fosse  Marfisa  in  strutta. 23  Venne  in  pontificale  abito  sacro L'arcivesco  Turpino,  e  battezzolla: Carlo  dal  salutifero  lavacro Con  cerimonie  debite  levolla. Ma  tempo  è  ormai  ch'ai  capo  vóto  e  micri' Di  senno  si  soccorra  con  l'ampolla, Con  che  dal  ciel  più  basso  ne  venia II  duca  Astolfo  sul  carro  d'Elia. 24  Sceso  era  Astolfo  dal  giro  lucente Alla  maggiore  altezza  della  terra, .  Con  la  felice  ampolla  che  la  mente Dovea  sanare  al  gran  mistro  di  gaem. Un'erba  quivi  di  virtù  eccellente Mostra  Giovanni  al  Dum  d'Inghilterr  i:Con  essa  vuol  ch'ai  suo  ritorno  tocchi Al  Re  di  Nubia  e  gli  risani  gli  occhi:25  Acciò  per  questi  e  per  li  primi  merti Gente  gli  dia.  con  che  Bierta  assaglia. E  come  poi  quei  popoli  inesperti Armi  ed  acconci  ad  uso  di  battaglia, E  senza  danno  passi  pei  deserti Ove  l'arena  gli  uomini  abbarbaglia, A  punto  a  punto  l'ordine  che  tegna, Tutto  il  Vecchio  santissimo  gl'insegna. 26  Poi  lo  fé  rimontar  su  quello  alato Che  di  Ruggiero,  e  fu  prima  d'Atlante. Il  Paladin  lasci,  licenziato Da  san  Giovanni,  le  contrade  sante; E  secondando  il  Nilo  a  lato  a  lato, Tosto  i  Nubi  apparir  si  vide  innante; E  nella  terra  che  del  regno  è  capo, Scese  dall'aria,  e  ritrovò  il  Senàpo. Stanza  26. 27    Molto  fu  il  gaudio  e  molta  fu  la  gioia Che  portò  a  quel  Signor  nel  buo  ritorno; Che  hen  si  raccordava  della  noia Che  gli  avea  tolta,  deir Arpie,  d'intorno, Afa  poi  che  la  grossezza  gli  discuoia Di  quello  umor  che  già  gli  tolse  il  giorio, E  che  gli  rende  la  vista  di  prima, I/arlora  e  cole,  e  come  un  Dio  sublima: '2S    Si  che  non  pur  la  gente  che  gli  chiede Per  muover  guerra  al  regno  di  Biserta, Ma  cento  mila  sopra  gli  ne  diede, E  gli  fé' ancor  di  sua  persona  offerta. La  gente  appena,  ch'era  tutta  a  piede, Potea  cajiir  nella  campagna  aperta; Che  di  cavalli  ha  quel  paese  inopia, 3Ta  d'elefanti  e  di  camelli  copia. 29    L<\  notte  innanzi  il  ì\ì  che  a  suo  cammino L'esercito  di  Nubia  dovea  porse, Montò  su  rippogrifo  il  Paladino, E  verso  Mezzodì  con  fretta  corse, Tanto  che  giunse  al  monte  che  TAustrino Vento  produce,  e  spira  contra  T  Orse. Trovò  la  cava,  onde  per  stretta  bocca, Quando  si  desta,  il  furioso  scocca. 80    E,  come  raccordògli  il  suo  maestro, Ayea  seco  arrecato  un  utre  vóto, Il  qual.  mentre  nell'antro  oscuro  alpestre AiliRticato  dorme  il  fiero  Noto, Allo  spiraglio  pon  tacito  e  destro; {)d  è  l'agguato  in  modo  al  vento  ignoto, Ohe, oredendosi  uscir  fuor  la  dimane, Preso  •  legato  in  quello  utre  rimane. 33  Poi  che,  inchinando  le  ginocchia,  fece Al  santo  suo  maestro  orazione, Sicuro  che  sia  udita  la  sua  prece, Copia  di  sassi  a  far  cader  si  pone. Oh  quanto,  a  chi  ben  crede  in  Cristo,  lece! I  sassi,  fuor  di  naturai  ragione Créscendo,  si  vedean  venire  in  giuso, E  formar  ventre  e  gambe  e  collo  e  muso: 34  E  con  chiari  annitrir  giù  per  quei  calli Venian  saltando;  e  giunti  poi  nel  piano, Scotean  le  groppe,  e  fatti  eran  cavalli, Chi  baio  e  chi  leardo  e  chi  rovano. La  turba  ch'aspettando  nelle  valli Stava  alla  posta,  lor  dava  di  mano:Si  che  in  poche  ore  fnr  tutti  montati; Che  con  sella  e  con  freno  erano  nati. Stanza   35  Ottanta  mila  cento  e  dua  in  un  giorno Fe\di  pedoni,  Astolfo  cavalieri. Con  questi  tutta  scorse  Africa  intomo, Facendo  prede,  incendj  e  prigionieri Posto  Agramante  avea,  fin  al  ritomo. Il  Re  di  Fersa  e  '1  Re  degli  Algazeri, Col  re  Branzardo  a  guardia  del  paese:E  questi  si  fèr  contra  al  Duca  inglese; 36  Prima  avendo  spacciato  un  sottil  legno, Ch'a  vele  e  a  remi  andò  battendo Ad  Agramante  avviso,  come  il  r>igno PatJa  dal  Re  de' Nubi  oltraggi  e  mali. Giorno  e  notte  andò  quel  senza  ritegno, Tanto  che  giunse  ai  liti  provenzali:E  trovò  in  Arli  il  suo  Re  mezzo  oppresso:ChèU  campo  avea  di  Carlo  un  miglio  appresso. 81    Di  tanta  preda  il  Paladino  allegro, Ritorna  in  Nubia,  e  la  medesma  luce Si  pone  a  camminar  col  popol  negro, E  vettovaglia  dietro  si  conduce. A  salvamento  con  lo  stuolo  integro Verso  l'Atlante  il  glorioso  Duce Pel  mezzo  vien  della  minuta  sabbia, Senza  temer  che'l  vento  a  nuocer  gli  abbia. 33    B  giunto  poi,  di  qua  dal  giogo,  in  parte Onde  il  pian  si  discopre  e  la  marina, Astolfo  elegge  la  più  nobil  parte Del  campo,  e  la  meglio  atta  a  disciplina; E  qua  e  là  per  ordine  la  parte Appiè  d'un  colle,  ove  nel  pian  confina. Quivi  la  lascia,  e  su  la  cima  ascende In  vista  d'uom  eh' a  gran  pensieri  intende. 37  Sentendo  il  re  Agramante  a  che  periglio, Per  guadagnare  il  regno  di  Pipino, Lasciava  il  suo,  chiamar  fece  a  consiglio Principi  e  Re  del  popol  Saracino. E  poi  ch'una  o  due  volte  girò  il  ciglio Quinci  a  Marsilio  e  quindi  al  re  Sobrino, I  quaì  d'ogni  altro  fur,  che  vi  venisse, I  duo  più  antiqui  e  saggi,  cosi  disse: 38  Quantunque  io  sappia  come  mal  convegna A  un  capitano  dir,  Non  me  '1  pensai, Pur  lo  dirò;  ohe  quando  un  danno  vegna Da  ogni  discorso  uman  lontano  assai, A  quel  fallir  par  che  sia  escusa  degna: E  qui  si  versa  il  caso  mio;  ch'errai A  lasciar  d'arme  1'  Africa  sfornita . Se  dalli  Nubi  esser  dovea  assalita. 39  Ma  chi  pensato  avria,  fuorché  Dio  solo, A  cui  non  è  cosa  fdtura  ignota, Che  dovesse  venir  con  si  gran  stuolo A  farne  danno  gente  si  remota, Tra  i  quali  e  noi  giace  IMnstabil  suolo Di  quell'arena  ognor  da' venti  mota? Pur  è  venuta  ad  assediar  Biserta, Ed  ha  in  gran  parte  l'Africa  deserta. 40  Or  sopra  ciò  vostro  consiglio  chieggio: Se  par; irmi  di  qui  senza  far  frutto, Oppur  seguir  tanto  l'impresa  deggìo, Che  prigion  Carlo  meco  abbi  condutto; 0  come  insieme  io  salvi  il  nostro  seggio, E  questo  imperiai  lasci  distrutto. S' alcun  di  voi  sa  dir,  prego  noi  taccia, Acciò  si  trovi  il  meglio,  e  quel  si  faccia. 41  Cosi  disse  Agramante;  e  volse  gli  occhi Al  Re  di  Spagna,  che  gli  sedea  appresso, Come  mostrando  di  voler  che  tocchi, Di  quel  e' ha  detto,  la  risposta  ad  esso. E  quel,  poi  che  surgendo  ebbe  i  ginorchi Per  riverenzia,  e  così  il  capo  flesso. Nel  suo  onorato  seggio  si  raccolse; ludi  la  lingua  a  tai  parole  sciolse:42  0  bene  o  mal  che  la  Fama  ci  apporti. Signor, di  sempre  accrescer  ha  in  usanza. Perciò  non  sarà  mai  ch'io  mi  sconforti, 0  mai  più  del  dover  pigli  baldanza Per  casi,  o  buoni  o  rei,  che  sieno  sorti; Ma  sempre  avrò  di  par  tema  e  speranza Ch'esser  debban  minori,  e  non  del  modo Ch'a  noi  per  tante  lingue  venir  odo. 45  Yo'  concedergli  ancor,  che  sieno  i  Nubi Per  miracol  dal  ciel  forse  piovuti; 0  forse  ascosi  venner  nelle  nubi. Poiché  non  far  mai  per  cammin  veduti. Temi  tu  che  tal  gente  Africa  rubi, Sebben  di  più  soccorso  non  l'alati? U  tuo  presidio  avria  ben  trista  pelle, Quando  temesse  un  popolo  si  imbelle. 46  Ma  se  tu  mandi  ancor  che  poche  navi, Purché  si  veggan  gli  stendardi  tuoi, Non  scioglieran  di  qua  si  tosto  i  cavi, Che  fuggiranno  nei  confini  suoi Questi,  0  sien  Nubi  o  sieno  Arabi  ignavi Ai  quali  il  ritrovarti  qui  con  noi, Separato  pel  mar  dalla  tua  terni, Ha  dato  ardir  di  romperti  la  £:uerra. Stanza  36. 43  E  tanto  men  prestar  gli  debbo  fede, Quanto  più  al  verisimile  s'oppou'". Or  se  gli  é  verisimile  si  vede. Ch'abbia  con  tanto  numer  di  persone Posto  nella  pugnace  Africa  il  piede Un  Re  di  sì  lontana  regione, Traversando  l'arene  a  cui  Cambile Con  male  augurio  il  popol  suo  commise. 44  Crederò  ben  che  sian  gli  Arabi  scesi Dalle  montagne,  ed  abbian  dato  il  guasto, E  saccheggiato,  e  morti  uomini  e  presi. Ove  trovato  avran  poco  contrasto; E  che  Branzardo,  che  di  queipaesiLuogotenente  e  viceré  é  rimasto, Per  le  decine  scriva  le  migliaia, Acciò  la  scusa  sua  più  degna  paia. 47  Or  piglia  il  tempo  che,  per  esser  senza Il  suo  nipote  Carlo,  hai  di  vendetta. Poich' Orlando  non  c'è,  far  resistenza Non  ti  può  alcun  della nimica  setta. Se  per  non  veder  lasci,  o  negligenza, L'onorata  vittoria  che  t' aspetta, Volterà  il  calvo  ove  ora  il  crin  ne  mostra, Con  molto  danno  e  lunga  infamia  nostra. 48  Con  questo  ed  altri  detti  accortamente L'Ispano  persuader  vuol  nel  concilio, Che  non  esca  di  Francia  questa  gente, Finché  Carlo  non  sia  spinto  in  esilio. Ma  il  re  Sobrin,  che  vide  apertamente Il  cammino  a  che  andava  il  re  Marsilio, Che  più  per  l'util  proprio  queste  cose, Che  pel  comun,  dicea,  cosi  rispose:49  Quando  io  ti  coufortava  a  stare  in  pace, Foss  io  stato,  Sigfnor,  falso  indovino; 0  tu,  s'io  dovea  pure  esser  verace, Creduto  avessi  al  tuo  fedel  Sobrino, £  non  piuttosto  a  Rodomonte  audace, A  Marbalnsto,  a  Alzirdo  e  a  Martasino, Li  quali  ora  vorrei  qui  avere  a  fronte: Ma  vorrei  più  degli  altri  Rodomonte, 50  Per  rinfacciargli  che  volea  di  Francia Far  quel  che  si  faria  d'uu  fragil  vetro, E  in  cielo  e  nello  'uferno  la  tua  lancia Seguire,  anzi  lasciarsela  di  dietro; Poi  nel  bisogno  si  gratta  la  pancia, Neir  ozio  immerso  abbominoso  e  tetro:Ed  io,  che  per  predirti  il  vero,  allora Codardo  detto  fui,  son  teco  ancora: 51  E  sarò  sempre  mai,  finchMo  finisca Questa  vita,  eh ancor  che  d'anni  grave, Porsi  incontra  ogni  dì  per  te  smarrisca A  qualunque  di  Francia  più  nome  bave. Né  sarà alcun,  sìa  chi  si  vuol,  ch'ardisca Di  dir che  l'opre  mie  mai  fosser  prave: E  non  han  più  di  me  fatto  né  tanto Molti  che  si  donar  di  me  più  vanto. 52  Dico  cosi,  per  dimostrar  che  quello Ch'io  dissi  allora,  e  che  ti  voglio  or  dire, Né  da  vìltade  vien  né  da  cor  fello, Ma  d'amor  vero  e  da  fedel  servire. Io  ti  conforto  ch'ai  paterno  ostello, Più  tosto  che  tu  puoi,  vogli  redire; Che  poco  saggio  si  può  dir  colui Che  perde  il  suo  per  acquistar  l'altrui. 53  S'acquisto  c'è,  tu'l  sai.  Trentadui  fummo Re  tuoi  vassalli  a  uscir  teco  del  porto: Or  se  di  nuovo  il  conto  ne  rassuroroo, C'è  appena  il  terzo,  e  tutto  '1  resto  è  morto. Che  non  ne  cadan  più,  piaccia  a  Dio  sommo: Ma  se  tu  vuoi  seguir,  temo  di  corto, Che  n"n  ne  rimarrà  quarto  né  quinto; E'I  miser  popol  tuo  fia  tutto  estinto. 54  Ch'Orlando  non  ci  sia,  ne  aiuta;  ch'ove Siam  pochi,  forse  alcun  non  ci  saria. Ma  per  questo  il  periglio  non  rimuove, Sebben  prolunga  nostra  sorte  ria. Ecci  Rinaldo,  che  per  molte  prove Mostra  che  non  minor  d'Orlando  sia. C  è  il  suo  li  naggio,  e  tutti  i  Paladini, Timore  etemo  a' nostri  Saracini; 55  Ed  hanno  appresso  quel  secondo  Marte .    (Benché  i  nemici  al  mio  dispetto  loio). Io  dico  il  valoroso  Brandimarte, Non  men  d'Orlando  ad  ogni  prova  sodo; Del  qual  provato  ho  la  virtnde  in  parte, Parte  ne  yegs;o  all'altrui  spese  et  odo. Poi  son  più  di  che  non  e'  è  Orlando  stato; E  più  perduto  abbiam,  che  guadagnato. 56  Se  per  addietro  abbiam  perduto,  io  temo Che  da  qui  innanzi  perderem  più  in grosso. Del  nostro  campo  Mandricardo  è  scemo; Gradasso  il  suo  soccorso  n'ha  rimosso: Marfisa  n'ha  lasciati  al  punto  estremo; E  cosi  il  Re  d'Algler,  di  cui  dir  posso Che,  S3  fosse  fedel  come  gagliardo, Poco  uopo  era  Gradasso  o  Mandricardo. 57  Ove  sono  a  noi  tolti  questi  aiuti, E  tante  mila  son  dei  nostri  morti; E  quei  eh' a  venir  han  son  già  venuti, Né  s'aspetta  altro  legno  che  n'apporti: Quattro  son  giunti  a  Carlo,  non  tenuti Manco d'Orlando  o  di  Rinaldo forti; E con ragion, che da  qui sino a Battro Potresti mal  trovar  tali  altri quattro. 58  Non so se sai chi sia Guidon  Selvaggio e Sansonetto e i figli d'Oliviero. Di  questi fu' più stima e più tema aggio che d'ogni altro lor duca e cavaliero che di  Lamagna o d'altro stran linguaggio sia contra noi per aiutar l'impero; bench'importa anco assai la gente nuova ch'a' nostri danni in campo si ritrova. 59  Quante volte  uscirai  alla  campagna, Tante  avrai  la  peggiore,  o  sarai  rotto. Se  spesso  perde il campo Africa e Spagna, quando  sian  stati sedici  per  otto; che sarà  poi ch'Italia e che Lamagna con Francia è unita, e'l popolo anglo  e  scotto, e che  sei  contra dodici saranno? ch'altro si può sperar, che biasmo  e  danno? 60  La  gente qui, là perdi a un tempo il  regrno. S'in  questa  impresa  più  duri ostinato; Ove,  s'al  ritornar  muti  disegno. L'avanzo  di  noi  sèrvi  ccn  lo stato. Lasciar  Marsilio  è  di  te  caso  indegno: Ch' ognun  te  ne  terrebbe  molto ingrato. Ma  c'è  rimedio:  far  con  Carlo  pace; Ch'a  lui  deve  piacer,  se  a  te  pur  piace. stanza  33. 61  Pur  se  ti  par  che  non  ci  sia  il  tuo  onore, Se  tu,  che  prima  offeso  sei,  la  chiedi:E  la  battaglia  più  ti  sta  nel  core, Che,  come  sia  fin  qui  successa,  vedi; Studia  almen  di  restame  vincitore; Il  che  forse  avverrà,  se  tu  mi  credi, Se  d'ogni  tua  querela  a  un  cavaliero Darai  l'assunto;  e  se  quel  fia  Ruggiero. 62  lo'l  so,  e  tu'l  sai,  che  Ruggier  nostro  è  tale, Che  già  da  solo  a  sol  con  l'arme  in  mano, Non  men  d'Orlando  o  di  Rinaldo  vale, Né  d'alcun  altro  cavalier  cristiano. Ma  se  tu  vuoi  far  guerra  universale, Ancorché  '1  valor  suo  sia  soprumano, Egli  però  non  sarà  più  eh'  un  solo, Ed  avrà  di  par  suoi  contra  uno  stuolo. 63    A  me  par,  sa  te  par,  ch'a  dir  si  luandi Al  Re Cristian,  che  per  finir  le  liti, E  perchè  cessi  il  sangue  che  tu  spandi Ognor  de' suoi,  egli  de'tuoi  infiniti, Che  contra  un  tuo  guerrier  tu  gli  domandi Che  metta  in  campo  uno  dei  suoi  più  arditi: E  faccian  questi  duo  tutta  la  guerra. Finché  Tun  vinca,   e  T altro  resti  in  terra; Stanza  65. 64  Con  patto,  che  qual  d'essi  perde,  faccia CheU  suo  Re  all'altro  Re  tributo  dia. Questa  condizi'on  non  credo  spiaccia A  Carlo,  ancorché  sul  vantaggio  sia. Mi  fido  sì  nelle  robuste  braccia Poi  di  Ruggier,  che  vinci tor  ne  fia; E  ragion  tanta  é  dalla  nostra  parte, Che  vincerà,  s'avesse  incontra  Marte. 65  Con  questi  ed  altri  più  efficaci  detti Fece  Sobrin  sì,  che '1  partito  ottenne; E  gì'  interpreti  fur  quel  giorno  eletti, E  quel  dì  a  Carlo  l'imbasciata  venne Carlo,  ch'avea  tanti  guerrier  perfetti, Vinta  per  sé  quella  battaglia  tenne, Di  cui  l'impresa  al  buon  Rinaldo  diede, In  ch'avea,  dopo  Orlando,  maggior  fede. 66  Di  questo  accordo  lieto  parimente L'uno  esercito  e  l'altro  si  godea; Chè'l  travaglio  del  corpo  e  della  mente Tutti  avea  stanchi,  e  a  tutti  rincrescea. Ognun  di  riposare  il  rimanente Della  sua  vita  disegnato  avea: Ognun  maledicea  l'ire  e  i  furori Ch'  a  risse  e  a  gare  avean  lor  desti  i  cori. 67  Rinaldo  che  esaltar  molto  si  vede. Che  Carlo  in  lui  dì  quel  che  tanto  pesa, Via  più  eh'  in  tutti  gli  altri,  ha  avuto  fede . Lieto  si  mette  all'onorata  impresa: Ruggier  non  stima;  e  veramente  crede Che  contra  sé  non  potrà  far  difesa:Che  suo  pari  esser  possa  non  gli  è  avviso, Sebben  in  campo  ha  Mandricardo  ucciso. 68  Ruggier  dall'altra  parte,  ancorché  molto Onor  gli  sia  che  '1  suo  Re  V  abbia  eletto, E  pel  miglior  di  tutti  ì  buoni  tolto, A  cui  commetta  un  sì  importante  effetto: Pur  mostra  affanno  e  gran  mestizia  in  volto: Non  per  paura  che  gli  turbi  il  petto; Che  non  eh' un  sol  Rinaldo,  ma  non  teme Se  fosse  con  Rinaldo  Orlando  insieme: 69  Ma,  perché  vede  esser  di  lui  sorella La  sua  cara  e  fidissima  consorte, Ch'ognor  scrivendo  stimola  e  martella. Come  colei  ch'é  ingiuriata  forte. Or  s'alle  vecchie  oflTese  aggiunge  quella D'entrare  in  campo  a  porle  il  frate  a  morte, Se  la  farà,  d'amante,  così  odiosa, Ch'a  placarla  mai  più  fia  dura  cosa. 70  Se  tacito  Ruggier  s'affligge  ed  auge Della  battaglia  che  mal  grado  prende. La  sua  car"  moglier  lacrima  e  piange. Come  la  nuova  indi  a  poche  ore  intende. Barte  il  bel  petto,  e  l'auree  chiome  frange, E  le  guance  innocenti  irriga  e  offende; E  chiama  con  rammarichi  e  querele Ruggiero  ingrato,  e  il  suo  destin  crudele, 71  D'ogni  fin  che  sortisca  la  contesa, A  lei  non  può  venirne  altro  che  doglia. Ch'abbia  a  morir  Ruggiero  in  questa  impresi Pensar  non  vuol;  che  par  che  '1  cor  le  toglia:Quando  anco,  per  punir  più  d'una  offesa, La  ruina  di  Francia  Cristo  voglia, Oltre  che  sarà  morto  il  suo  fratello, Seguirà  un  danno  a  lei  più  acerbo  e  fello; 72  Ohe  non  potrà,  se  non  con  biasrao  e  scorno E  nimìcizia  dì  tutta  sua  gente, Fare  al  marito  suo  mai  più  ritorno, Si  che  lo  sappia  ogun  pubblicamente, Come  s' avea,  pensando  notte  e  giorno, Più  volte  disegnato  nella  mente: E  tra  lor  era  la  promessa  tale, Ohe  1  ritrarsi  e  il  pentir  più  poco  vale. 73  Ma  quella  usata  nelle  cose  avverse Di  non  mancarle  di  soccorsi  fidi, Dico  Melissa  maga,  non  sofferse Udirne  il  pianto  e  i  dolorosi  gridi:E  venne  a  consolarla,  e  le  profferse, Quando  ne  fosse  il  tempo,  alti  sussidi, E  disturbar  quella  pugna  futura, Di  ch'ella  piange  e  si  pon  tanta  cura. 74  Rinaldo  intanto  e  F  inclito  Ruggiero Apparecchiavan  Tarme  alla  tenzone, Di  cui  dovea  Teletta  al  Oa vallerò Che  del  romano  Imperio  era  campione. E  come  quel  che,  poi  oboi  buon  destriero Perde  Baiardo,  andò  sempre  pedone, Si  elesse  a  pie,  coperto  a  piastra  e  a  maglia, Con  Tazza  e  col  pugnai  far  la  battaglia. 75  0  fosse  caso,  o  fosse  pur  ricordo Di  Malagigi  suo  provvido  e  saggio, Che  sapea  quanto  Balisarda  ingordo Il  taglio  avea  di  fare  alF  arme  oltraggio, Combatter  senza  spada  fur  d'accordo L'uno  e  l'altro  guerrier,  come  detto  aggio. Del  luogo  s'accordar  presso  alle  mura DelT  antiquo  Arli,  in  una  gran  pianura. 76  Appena  avea  la  vigilante  Aurora Dall' ostel  di  Titon  fuor  messo  il  capo, Per  dare  al  giorno  terminato,  e  all'ora Ch'era  prefissa  alla  battaglia,  capo: Quando  di  qua  e  di  là  vennero  fuora I  deputati: e  questi  in  ciascun  capo Degli  steccati  i  padiglion  tiraro, Appresso  ai  quali  ambi  un  aitar  fermaro. 77  Non  molto  dopo,  instrutto  a  schiera  a  schiera, Si  vide  uscir  l'esercito  pagano. In  mezzo  armato  e  sontuoso  v'era Di  barbarica  pompa  il  Re  africano; E  s'un  baio  corsier  di  chioma  nera, Di  fronte  bianca,  e  di  duo  pie  balzano, A  par  a  par  con  lui  venia  Ruggiero, A  cui  servir  non  è  Marsilio  altiero. 78  L'elmo  che  dianzi  con  travi\glio  tanto Trasse  di  testa  al  Re  di  Tarlarla, L' elmo  che  celebrato  in  maggior  Canto Portò  il  troiano  Ettor  milT  anni  pria, Gli  porta  il  re  Marsilio  a  canto  a  canto: Altri  Principi  ed  altra  Baronia S' hanno  partite  Taltrarme  fìra  loro, Ricche  di  gioie  e  ben  fregiate  d'oro 79  Dall'altra  parte  fuor  dei  gran  ripari Re  Carlo  usci  con  la  sna  gente  d'arme, Con  gli  ordini  medesmi  e  modi  pari Che  terria  se  venisse  al  fatto  d'arme. Cingonlo  intorno  i  suoi  famosi  Pari; E  Rinaldo  è  con  lui  con  tutte  Tarme, Fuorché  T  elmo  che  fu  del  re  Mambrino, Che  porta  Uggier  danese,  paladino. 80  E  di  due  azze  ha  il  duca  Namo  l'una, E  l'altra  Salamon  re  di  Bretagua. Carlo  da  un  lato  i  snoi  tutti  raguna; Dall'altro  son  quei  d'Africa  e  di  Spagna. Nel  mezzo  non  appar  persona  alcuna; Voto  riman  gran  spazio  di  campagna: Che  per  bando  comune  a  chi  vi  sale, Eccetto  ai  duo  guerrieri,  è  capitale. 81  Poi  che  dell'arme  la  seconda  eletta Si  die  al  campion  del  popolo  pagano, Duo  sacerdoti,  T  un  dell' una  setta, L'altro  dell' altra,  uscir  coi  libri  in  mano. In  quel  del  mstro  è  la  vita  perfetta Scritta  di  Cristo,  e  T altro  è  l'Alcorano: Con quel dell'Evangelio si fé' innante L'Imperator,  con  l'altro  il  re Agramante. 82  Giunto  Carlo  all'alter  che  statuito I  suoi  gli  aveano,  al  ciel  levò  le  palme, E  disse: 0  Dio,  e'  hai  di  morir  patito Per  redimer  da  morte  le  nostr'alme; 0  Donna,  il  cui  valor  fu  sì  gradito. Che  Dio  prese  da  te l'umane  salme, E  nove  mesi  fu  nel  tuo  santo  alvo. Sempre  serbando  il  fior  virgineo  salvo:83  Siatemi  testimoni,  ch'io  prometto Per  me  e  per  ogni  mia  successione, Al  re  Agramante,  ed  a  chi  dopo  eletto Sarà  al  governo  di  sua  regione, Dar  venti  some  ogni  anno  d'oro  schietto, S' oggi  qui  riman  vinto  il  mio  campione; E  ch'io  prometto  subito  la  trìegua Incominciar    che  poi  perpetua  segua 84    £  se'n  ciò  manco,  subito  sfaccenda La  formidabil  ira  dambidui La  qnal  me  solo  e  i  miei  figliuoli  offenda, Non  alcun  altro  che  sìa  qui  con  nui; Sì  che  in  brevissima  ora  si  comprenda che  sia  il  mancar  della  promessa  a  vui. Così  dicendo,  Carlo  sul  Vangelo Tenea  la  mano,  e  gli  occhi  fissi  al  cielo. 87  Ruggier  promette,  se  della  tenzone Il  suo  Re  Tiene  o  manda  a  disturbarlo, Che  né  suo  guerrier  più,  né  suo  barone £sser  mai  vuol,  ma  darsi  tutto  a  Carlo. Giara  Rinaldo  ancor,  che  se  cagione Sarà  del  suo  Signor  quindi  levarlo. Finché  non  resti  vinto  egli  o  Ruggiero, Si  farà  d'Agramante  cavaliero. 85  Si  levan  quindi,  e  poi  vanno  all'altare Che riccamente  avean  Pagani  adomo; Ove  giurò  Agramante,  eh'  oltre  al  mare, Con  V  esercito  suo  farà  ritomo, Ed  a  Carlo  daria  tributo  pare, Se  restasse  Ruggier  vinto  quel  giorno: E  perpetua  tra  lor  triegua  saria, Coi  patti  ch'avea  Carlo  detti  pria. 86  E  similmente  con  parlar  non  basso, Chiamando  in  testimonio  il  gran  Maumette, Sul  libro  che  in  man  tiene  il  suo  Papasso, Ciò  che  detto  ha,  tutto  osservar  promette Poi  del  campo  si  partono  a  gran  passo, E  tra  i  suoi  l'uno  e  l'altro  si  rimette: Poi  quel  par  di  campioni  a  giurar  venne; E'I  giuramento  lor  questo  contenne. 88  Poi  che  le  cerimonie  finite  hanno, Si  ritoma  ciascun  dalla  sua  parte; Né  v'indugiano  molto,  che  lor  danno Le  chiare  trombe  segno  al  fiero  Marte. Or  gli  animosi  a  ritrovar  si  vanno, Con  senno  i  passi  dispensando  ed  arte. Ecco  si  vede  incominciar  l'assalto Sonar  il  ferro,  or  girar  basso,  or  alto. 89  Or  innanzi  col  calce,  or  col  martello Accennau  quando  al  capo  e  quando  al  piede, Con  tal  destrezza  e  con  modo  si  snello. Cli'ogni  credenza  il  raccontarlo  eccede. Ruggier,  che  combattea  centra  il  fratello Di  chi  la  misera  alma  gli  possiede, A  ferir  lo  venia  con  tal  riguardo, Che  stimato  ne  fu  manco  gagliardo. 90    Eia  a  parar,  più  eh' a  ferire,  intento; E  non  sapea  egli  stesso  il  suo  desire. Spegner  Rinaldo  saria  mal  contento; Né  vorria  volentieri  egli  morire. Ma  ecco  giunto  al  termine  mi  sento, Ove  convien  l'istoria  diflFerire. Nell'altro  Cauto  il  resto  intenderete, S'udir  nell'altro  Canto  mi  verrete. NOTE: St.  2.  v.4.   Creso  o  Crasso:  V  uno  fa  re  di  Lidia, l'altro  patrizio  romiiio,  tutti  e  due  ricchissimi. St.  12.  V.3.   Alla  Tirinzia  foce:  allo  stretto  di Gibilterra,  formato  dalle  colonne  d'Ercole,  soprannomi nato alcune  volte  Tirinzio,  perchè  educato  in  Tirinta, antica  città  del  Peloponneso. St.  20.  V.8.   Albracca  assediar  col  suo  girone:  con tutto  il  grosso  cerchio  delle  più  alte  fortezze  inteme. St.  26.  v.1.   Sm  mcìo  o/afo. iiiteiidesi  l'Ippogiifo. St.  29.  v  56   Anstrino  vento:  vento  che  spira  da mezzogiorno. St  31  .v.2.   Ela  medesma  luce: e  nello  stesso  giorno. St.  35.  V.6.   Il  re  di  Fersa  e  il  re  de  ili  Algazeri. Il  primo  nominavasi  Folvo,  e  l'altro  Bua  far. st.  3.  V.6.   Mota:  mossa,  agitata. St.  41.  V.6.   Flesio:  piegato. St.  4:1  V.78.   L'arene  a  cui  Camhise,  ecc.  Questo re  di  Persia  spedi  uu  esercito  contro  gli  Ammonì,  popoUi della  Libia  ai  confini  della  Cirenaica,  e  i  soldati  restarono sepolti  sotto  l'arena  sollevata  dal  vento. St.  47.  V.7.   Volterà  il  calvo  ove  ora  il  erin  u mostra"  La  Fortuna  rappresentasi  con  un  sol  daffa  di capelli  sul  davanti  del  capo,  e  calva  in  tutto  il  rìmaaeot?. St.  57.  V.7.   Battro:  antica  città,  tr&  il  Caucaso  ed il  mar  Caspio.  É  qui  usato  senz'altro  per  paese  lontano. come  dire  fino  al  più  lontano  oriente. St.  77.  V.18.   Instrutto: qui  disposto. St.  78.  V.3.   In  maggior  Canto:  neW Iliade  di  Onero. St.  79.  V.5.   J  suoi  famosi  Pari:  i  paladini,  ch'e rano dodici,  e  cosi  detti  perchè  tutti  di  egnal  disnirà nella  corte  di  Carlo. St.  80.  V.28.   /;  capitale: è  delitto  da  pnnirsi  con  U morte. St.  86.  V.3.   Papasso: sacerdote. XXXIX Stanza  27 Htilrnsn  f'ol  m'Kf>  iU  un  ìnriiiilosiiiio  Th  vho  jjrmanl  romim  I  palli gì  II  rati  uello  fTaliilire  il  dm'llo;  ijuìjiili  vonono  alle  mani  i  dne PHcrciti,  e  i  >I{ii i  hanno  la  l>'f;io.  Astolfo  fa  proiieze  iit  Afika  e vi  crK'n  iini  llolta.  Egli  d  i  suoi  conipapiù  s'Imbniltoiio  in  Orlando, li  Astfilfii  gli  rfinde  il  siivun  Afìraiìiante,  pojtosl  alla  vela,  con  le Kilt''  tTUppi  iiTC'tintra  Isti  JUdta  crbtiaiia.  da  imi  vk'iio  a>sdalLto. !/aflUnnri  di  Riisiier  ben  veramente K  K(]ira  tsgif  ftlrro  duro,  acerba  e  forte, T"i  cui  tràvas:li;i  il  cur|ìii,  e  pili  la  mente Puìcìiè  di  due  fntir  non  può  una  mnrte; o  dEi  Riimldo,  5=e  di  lui  posseiito Fia  Tiii'iio;  0  P"  tiii  più.  dalla  couìorte: (he  tìel  fratel  le  uccide,  sa  clf incorre Xeir  odio  suo,  che  più  clic  nicirtc  abburre KiniiMo,  die  non  h;x  simìl  jfeniiiery. Tu  ri] tri  i  lujili  alla  virluria  asjiira: Mtna  deirjiKza  dispetroso  e  riero; (nauibi  allt  braccia  e  quando  al  capo  mìr;\. Vultcfiaudo  con  Taita  il  Luou  Riu%nerfi Ribatte  il  colpo,  e  quinci  e  quindi  gira; E  se  percuote  pur,  disegna  loco Ove  possa  a  Rinaldo  nuocer  poco. B      Alla  più  parte  dei  Signor  pagani     Troppo  par  disegnai  esser  la  zuffa: Troppo  è  Ruggier  pigro  a  menar  le  mani; Troppo  Rinaldo  il  giovine  ribuffa. Smarrito  in  faccia  il  Re  degli  Africani Mira  l'assalto,  e  ne  sospira  e  sbuffa; Ed  accusa  Sobrin,  da  cui  procede Tutto  l'error,  cbe'l  mal  consiglio  diede. 4 Melissa  in  questo  tempo,  ch'era  fonte di  quanto  sappia  incantatore  o  mago, Avea  cangiata  la  femminil  fronte, E  del  gran  Re  d' Algier  presa  IMmago. Sembrava  al  viso,  ai  gesti  Rodomonte, E  pnrea  armata  di  pelle  di  drago; E  tal  lo  scudo,  e  tal  la  spada  al  fianco Avea,  quale  usava  egli,  e  nulla  manco. 5  Spinse  il  Demonio  innanzi  al  mesto  fiorilo Del  re  Troiano,  in  forma  di  cavallo; K  con  gran  voce  e  con  turbato  ciglio Disse:  Signor,  questo  è  pur  troppo  fallo. Oh' un  giovene  inesperto  a  far  periglio Contra  un  si  forte  e  si  famoso  Gallo Abbiate  eletto  in  cosa  di  tal  sorte, Che'l  regno  e  Touor  d'Africa  n'importe. 6  Non  sì  lassi  seguir  questa  battaglia, Che  ne  sarebbe  in  troppo  detrimento. Su  Rodomonte  sia;  né  ve  ne  caglia L'avere  il  patto  rotto  e'I  giuramento. Dimostri  ognun,  come  sua  spada  taglia: Poich'io  ci  sono,  ognun  di  voi  vai  cento. Potè  questo  parlar  si  in  Agr.imante, Che,  senza  più  pensar,  si  cacciò  innante. 7  II  creder  d'aver  seco  il  Re  d'Algieri Fece  che  si  curò  poco  del  patto; E  non  avria  di  mille  cavalieri Giunti  in  suo  aiuto  si  gran  stima  fatto. Perciò  lance  abbassar,  spronar  destrieri Di  qua  dì  là  veduto  fu  in  un  tratto. Melissa,  poi  che  con  sue  finte  larve La  battaglia  attaccò,  subito  sparve. 8  I  duo campion,  che  vedono  turbarsi Contra  ogni  accordo,  contra  ogni  promessa. Senza  più  l'un  con  l'altro  travagliarsi, Anzi  ogni  ingiuria  avendosi  rimessa. Fede  si  dan,  né  qua  né  là  impacciarsi, Finché  la  cosa  non  sia  meglio  espressa, Chi  stato  sia  che  i  patti  ha  rotto  innante, O'I  vecchio  Carlo,  o'I  giovene  Agramante. 9  E  replican  con  nuovi  giuramenti D'esser  nimici  a  chi  mancò  di  fede. Sozzopra  se  ne  van  tutte  le  genti:Chi  porta  innanzi,  e  chi  ritorna  il  piede. Chi  sia  fra  i  vili,  e  chi  tra  i  più  valenti, In  un  atto  medesimo  si  vede. Son  tutti  parimente  al  correr  presti; Ma  quei  cirrono  innanzi,  e  indietro  questi. 10  Come  levrier  che  la  fugace  fera Correre  intorno  ed  aggirarsi  mira, Né  può  con  gli  altri  cani  andare  in  schiera. Che'l  cacciator  lo  tien,  si  strugge  d'ira Si  tormenta,  s'affligge  e  si  dispera, Schiattisce  indamo,  e  si  dibatte  e  tira: Cosi  sdegnosa  infin  allora  stata Marfisa  era  quel  di  con  la  cognata. 11  Fin  a  quell'ora  avean  quel  dì  vedute Si  ricche  prede  in  spazioso  piano; E  che  fosser  dal  patto  ritenute Di  non  poter  seguirle  e  porvi  mano . Rammaricate  s' erano  e  dolute, E  n' avean  molto  sospirato  invano. Or  che  i  patti  e  le  triegue  vider  rotte, Liete  saltar  nell'africane  frotte. 12  Marfisa  cacciò  l'asta  per  lo  petto Al  primo  che  scontrò,  due  braccia  dietro: Poi  trasse  il  brando,  e  in  men  che  non  V  ho  dett Spezzò  quattro  elmi  che  sembrar  di  vetro. Bradamante  non  fé' minore  effetto; Ma  l'asta  d'or  tenne  diverso  metro: Tutti  quei  che  toccò,  per  terra  mise; Duo  tanti  fur,  né  però  alcuno  uccise. 13  Questo  si  presso  l'una  all'altra  fero, Che  testimonie  se  ne  flir  tra  loro; Poi  si  scostare,  ed  a  ferir  si  diero, Ove  le  trasse  l'ira,  il  popol  moro. Chi  potrà  conto  aver  d'ogni  guerriero Ch'a  terra  mandi  quella  lancia  d'oro? E  d'ogni  testa  che  tronca  o  divisa Sia  dall'orribil  spada  di  Marfisa? 14  Come  al  soffiar  de' più  benigni  venti. Quando  Apennin  scopre  l'erbose  spalle, Muovonsi  a  par  duo  turbidi  torrenti . Che  nel  cader  fan  poi  diverso  calle; Svellono  i  sassi  e  gli  arbori  eminenti Dall'alte  ripe,  e  portan  nella  valle Le  bia'e  e  i  campi;  e  quasi  a  gara  fanno A  chi  far  può  nel  suo  cammin  più  danno: 611 15  Così  le  due  magnanime  guerriere, Scorrendo  il  campo  per  diversa  strada, Gran  strage  fan  neir africane  schiere, Lnna  con  Tasta,  e  1 altra  con  la  spada. Tiene  Adamante  a  pena  alle  bandiere La  gente  sua,  eh'  in  fuga  non  ne  vada. Invan  domanda,  invan  volge  la  fronte; Né  pnò  saper  che  sìa  di  Rodomonte. 16  A  conforto  di  lui  rotto  avea  il  patto (Cosi  credea)  che  fu  solennemente, I  Dei  chiamando  in  testimonio,  fatto; Poi  s  era  dileguato  sì  repente. Né  Sobria  vede  ancor.  Sobrin  ritratto lu  Arli  s'era,  e  dettosi  innocente; Perchè  di  quel  pergiuro  aspra  vendetta Sopra  Agramante  il  dì  medesmo  aspetta. 17  Marsilio  anco  è  fuggito  nella  terra; Si  la  religi'on  gli  preme  il  core. Perciò  male  Agramante  il  passo  serra A  quei  che  mena  Carlo  imperatore, D  Italia,  di  Lamagna  e  d'Inghilterra, Che  tutte  genti  son  d'alto  valore; Ed  hanno  i  Paladin  sparsi  tra  loro, Come  le  gemme  in  un  ricamo  4  oro:18  E  presso  ai  Paladini  alcun  perfetto, Quanto  esser  possa  al  mondo  cavaliero, Guidon  Selvaggio,  l'intrepido  petto, E  i  duo  famosi  figli  d'Oliviero. Io  non  voglio  ridir,  ch'io  l'ho  già  detto. Di  quel  par  di  donzelle  ardito  e  fiero. Questi  uccidean  di  genti  saraeine Tanto,  che  non  v'è  numero  né  fine. 19  Ma,  differendo  questa  pugna  alquanto. Io  vo' passar  senza  navilio  il  mare. Non  ho  con  quei  di  Francia  da  far  tanto. Ch'io  non  m'abbia  d'Astolfo  a  ricordare. La  grazia  che  gli  die  l'Apostol  santo Io  v'ho  già  detto,  e  detto  aver  mi  pare Che'l  re  Branzardo  e  il  Re  dell'Algazera Per  girgli  incontra  armasse  ogni  sua  schiera. 20  Furon  di  quei  ch'aver  poteano  in  fretta. Le  schiere  di  tu tt' Africa  raccolte. Non  men  d'inferma  età  che  di  perfetta; Quasi  eh' ancor  le  femmine  fur  tolte. Agramante  ostinato  alla  vendetta, Avea  già  vota  l'Africa  due  volte. Poche  genti  rimase  erano,  e  quelle Esercito  facean  timido  e  imbelle. 21  Ben  lo  mostrar;  che  gl'inimici  appena Vider  lontan,  che  se  n'andaron  rotti. Astolfo,  come  pecore  "  li  mena Dinanzi  ai  suoi  di  guerreggiar  più  dotti, E  fa  restarne  la  campagna  piena: Pochi  a  Biserta  se  ne  son  ridotti: Prigion  rimase  Bucifar  gagliardo; Salvossi  nella  terra  il  re  Branzardo. 22  Via  più  dolente  sol  di  Bucifaro, Che  se  tutto  perduto  avesse  il  resto. Biserta  è  grande,  e  farle  gran  riparo Bisogna,  e  senza  lui  mal  pnò  far  questo. Poterlo  riscattar  molto  avria  caro. Mentre  vi  pensa,  e  ne  sta  afflitto  e  masto, Gli  viene  in  mente  come  tieu  prigione Già  molti  mesi  il  paladin  Dudone. 23  Lo  prese  sotto  a  Monaco  in  riviera U  Re  di  Sarza  nel  primo  passaggio. Da  indi  in  qua  prigion  sempre  stato  era Dudon,  che  del  Danese  fu  lignaggio. Mutar  costui  col  Re  dell'Algazera Pensò  Branzardo,  e  ne  mandò  messaggio Al  capitan  de' Nubi  perchè  intese. Per  vera  spia,  eh'  egli  era  Astolfo'  inglese. 24  Essendo  Astolfo  paladin,  comprende Che  dee  aver  caro  un  paladino  sciorre. Il  gentil  Duca,  come  il  caso  intende, Col  re  Branzardo  in  un  voler  concorre. Liberato  Dudon,  grazie  ne  rende Al  Duca,  e  seco  si  mette  a  disporre Le  cose  che  appartengono  alla  guerra, Così  quelle  da  mar,  come  da  terra. 25  Avendo  Astolfo  esercito  infinito Da  non  gli  far  sette  Afriche  difesa; E  rammentando  come  fu  ammonito Dal  santo  Vecchio,  che  gli  die  l'impresa, Di  tor  Provenza  e  d'Acquamorta  il  lito Di  man  de'  Saracin  che  l'avean  presa:D'una  gran  turba  fece  nuova  eletta. Quella  ch'ai  mar  gli  parve  manco  inetta). 26  Ed  avendosi  piene  ambe  le  palme, Quanto  potean  capir,  di  varie  fronde A  lauri,  a  cedri  tolte,  a  olive,  a  palme, Venne  sul  mare,  e  le  gittò  nell' onde, uh  felici  e  dal  Ciel  ben  dilette  alme! Grazia  che  Dio  raro  a' mortali  infonde! Oh  stupendo  miracolo  che nacque Di  quelle  frondi,  come  fur  nell'acque! 27  Crebbero  in  quantità  fuor d'ogni  stima; Si  feron  curve  e  grosse  e  lunghe  e  gravi; Le  vene  cVa  traverso  aveano  prima, Mutaro  in  dure  spranghe  e  in  grosse  travi; E  rimanendo  acute  in  ver  la  cima, Tutto  in  un  tratto  diventaro  navi Di  differenti  qualitadi,  e  tante, Quante  raccolte  fur  di  varie  piante. 28  Miracol  fu  veder  le  fronde  sparte Pro'lur  f uste,  galee,  navi  da  gabbia. Fu  mirabile  ancor,  che  vele  e  sarte E  remi  avean,  quanto  alcun  legno  n'abbia. Non  mancò  al  Duca  poi  chi  avesse  l'arte Di  governarsi  alla  ventosa  rabbia; Che  di  Sardi  e  di  Córsi  non  remoti, Nocchier,  padron,  pennesi  ebbe  e  piloti. 29  Quelli  che  entraro  in  mar,  contati  foro Ventiseimila,  e  gente  d'ogni  sorte. Dudon  andò  per  capitano  loro, Cavalier  saggio,  e  in  terra  e  in  acqua  forte. Stava  Tarmata  ancora  al  lito  moro, Miglior  vento  aspettando  che  la  porte, Quando  un  naviglio  giunse  a  quella  riva, Che  di  presi  guerrier  carco  veniva. 30  Portava  quei  ch'ai  periglioso  ponte, Ove  alle  giostre  il  campo  era  sì  stretto, Pigliato  avea  l'audace  Rodomonte, Come  più  volte  io  v'  ho  di  sopra  detto. Il  cognato  tra  questi  era  del  Conte; E  il  fedel  Brandimarte  e  Sansonetto, Ed  altri  ancor,  che  dir  non  mi  bisogna, D'Alemagna,  d'Italia  e  di  Guascogna. Èl     Quivi  il  nocchier,  eh' ancor  non  s'era  accorto Degl'inimici,  entrò  con  la  galea, Lasciando  molte  mislia  addietro  il  porto D'AIgieri,  ove  calar  prima  volea. Per  un  vento  gagliardo  ch'era  sorto, E  spinto  oltre  il  dover  la  poppa  avea. Venir  tra  i  suoi  credette,  e  in  loco  fido, Come  vien  Progne  al  suo  loquace  nido. 32    Ma  come  poi  l'imperiale  Augello, I  Gigli  d'oro,  e  i  Pardi  vide  appresso, Restò  pallido  in  faccia,  come  quello Che'l  piede  incauto  d'improvviso  ha  messo Sopra  il  serpente  venenoso  e  fello, Dal  pigro  sonno  in  mezzo  l'erbe  oppresso; Che  spaventato  e  smorto  si  ritira, Fuggendo  quel  eh' è  pien  di  tosco  e  d'ira. 33  Già  non  potè  fuggir  quindi  il  nocchiero  t Né  tener  seppe  i  prigion  suoi  di  piatto. Con  Brandimarte  fu,  con  Oliviero, Con  Sansonetto  e  con  molti  altri  tratta Ove  dal  Duca  e  dal  fìgliuol  d' Uggiero Fu  lieto  viso  agli  suo' amici  fatto; E  per  mercede,  lui  che  li  condusse, Volson  che  condannato  al  remo  fusse. 34  Come  io  vi  dico,  dal  figliuol  d' Otone I  cavalier  Cristian  furon  ben  visti, E  di  mensa  onorati  al  paliglione. D'arme  e  di  ciò  che  bisognò  provvisti. Per  amor  d'essi  differì  Dudone L'andata  sua;  che  non  minori  acquisti Di  ragionar  con  tai  baroni  estima, Che  d'esser  gito  uno  o  due  giorni  prima. 35  In  che  stato,  in  che  termine  si  trove E  Francia  e  Carlo,  istruzion  vera  ebbe; E  dove  più  sicuramente,  e  dove, Per  far  miglior  effetto,  calar  debbe. Mentre  da  lor  venia  intendendo  nuove, S'udì  un  rumor  che  tuttavia  più  crebbe; E  un  dar  all'arme  ne  segui  si  fiero. Che  fece  a  tutti  far  più  d'un  pensiero. 36  II  duca  Astolfo  e  la  compagnia  bella. Che  ragionando  insieme  si  trovare. In  un  momento  armati  furo  e  in  sella, E  verso  il  maggior  grido  in  fretta  andaro, Di  qua  di  là  cercando  pur  novella Di  quel  remore;  e  in  loco  capitalo. Ove  videro  un  uom  tanto  feroce. Che  nudo  e  solo  a  tutto '1  campo  nuoce. 37  Menava  un  suo  baston  di  legno  in  volta, Ch'era  si  duro  e  si  grave  e  sì  fermo, Che  declinando quel, facea  ogni  volta Cader  in  terra  un  uom  peggio  ch'infermo. Già a  più  di  cento  avea  la  vita  tolta; Né  più  se  li  facea  riparo  o  schermo. Se  non  tirando  di  lontan  saette:Da  presso  non  é  alcun  già  che  Paspette. 38  Dudone,  Astolfo,  Brandimarte  essendo Corsi  in  fretta  al  remore,  ed  Oliviero, Della  gran  forza  e  del  valor  stupendo Stavan  maravigliosi  di  quel  fiero; Quando  venir  s'un  palafren  correndo Videro  una  donzella  in  vestir  nero. Che  corse  a  Brandimarte  e  salutollo, E  gli  alzò  a  un  tempo  ambe  le  braccia  al  collo. Stanza  15. 39    Questa  era  Fiordilìgi,  che  si  acceso Ayea  d'amor  per  Brandimarte  il  core, Che,  quando  al  ponte  stretto  il  lasciò  preso, Vicina  ad  impazzar  fu  di  dolore. Di  là  dal  mare  era  passata,  inteso Avendo  dal  Pagan  che  ne  fu  autore, Che  mandato  con  molti  cavalieri Era  prigion  nella  città  d  Algieri. 40    Quando  fu  per  passare,  avea  trovato A  Marsilia  una  nave  di  Levante, Ch'  un  vecchio  cavaliere  avea  portato Della  famiglia  del  re  Monodante; Il  qual  molte  provincie  avea  cercato, Quando  per  mar,  quando  per  terra  errante, Per  trovar  Brandimarte;  che  nuova  ebbe Tra  via  di  lui,  eh'  in  Francia  il  troverebbe. 41  Ed  ella  conosciuto  che  Bardino Era  costui,  Bardino  che  rapito Al  padre  Brandimarte  Piccolino, Ed  a  Rocc\  Silvana  avea  no  trito, E  la  cagione  incesa  del  cammino, Seco  fatto  l'avea  scioglier  dal  Jito, Avendogli  narrato  in  che  maniera Brandimarte  passato in Africa  era. 42 Tosto  che  furo  a  terra,  udir  le  nuove, Ch'assediata  da  Astolfo  era  Biserta. Che  seco  Brandimarte  si  ritrove Udito  avean,  ma  non  per  cosa  certa. Or  Fiordiligi  in  tal  fretta  si  muove, Come  lo  vede,  che  ben  mostra  aperta Queir  allegrezza  ch'i  precessi  guai Le  fero  la  maggior  ch'avesse  mai. Stanza  40. 43  II  gentil  Cavalier,  non  men  giocondo Di  veder  la  diletta  e  fida  moglie, Ch'amava  più  che  cosa  altra  del  mondo. L'abbraccia  e  stringe,  e  dolcemente  accoglie: Né  per  saziare  al  primo  né  al  secondo Né  al  terzo  bacio  era  l'accese  voglie; Se  non  ch'alzando  gli  occhi,  ebbe  veduto Bardin  che  con  la  donna  era  venuto. 44  Stese  le  mani,  et  abbracciar  lo  volle, E  insieme  domandar  perchè  venia; Ma  di  poterlo  far  tempo  gli  tolle Il  campo  ch'in  disordine  fuggia Dinanzi  a  quel  boston  che '1  nudo  folle Menava  intorno,  e  gli  facea  dar  via. Fiordiligi  mirò  quel  nudo  in  fronte, E  gridò  a  Brandimarte: Eccovi  il  Conte. 45  Astolfo  tutto  a  un  tempo, ch'era  quivi, Che  questo  Orlando  fosse,  ebbe  palese Per  alcun  segno  che  dai  vecchi  Divi Su  nei  terrestre  Paradiso  intese. Altrimente  resuavan  tutti  privi Di  cognizion  di  quel  Signor  cortese, Che  per  lungo  sprezzarsi,  come  stolto, Avea  di  fera,  più  che  d'uomo,  il  volto. 46  Astolfo,  per  pietà,  che  gli  trafisse Il  petto  e  il  cor,  si  volse  lacrimando:Et  a  Dudon,  che  gli  era  appresso,  disse, Et  indi  ad  Oliviero:  Eccovi  Orlando. Quei  gli  occhi  alquanto  e  le  palpebre  fisse Tenendo  in  lui,  l'andar  raffigurando; E  '1  ritrovarlo  in  tal  calamitade, Gli  empi  di  maraviglia  e  di  pietade. 47  Piangeano  quei  Signor  per  la  più  parte; Si  lor  ne  dolse,  e  lor  ne  'ncrebbe  tanto. Tempo  è,  lor  disse  Astolfo,  trovar  arte Di  risanarlo,  e  non  di  fargli  il  pianto:E  saltò  a  piedi,  e  cosi  Brandimarte, Sansonetto,  Oliviero  e  Dudon  santo; E  s' avventar(c)  al  nipote  di  Carlo Tutti  in  un  tempo;  che  volean  pigliarlo. 48  Orlando  che  si  vide  fare  il  cerchio, Menò  il  baston  da  disperato  e  folle; Et  a  Dudon,  che  si  facea  coperchio Al  capo  dello  scudo,  ed  entrar  volle, Fé'  sentir  ch'era  grave  di  soperchio:E  se  non  che  Olivier  col  brando  tolle Parte  del  colpo,  avria  il  bastone  inginsto Rotto  lo  scudo,  l'elmo,  il  capo  e  il  busto. 49  Lo  scudo  roppe  solo,  e  su  Telmetto Tempestò  sì,  che  Dudon  cadde  in  terra. Menò  la  spada  a  un  tempo  Sansonetto, E  del  baston  più  di  duo  braccia  afferra Con  valor  tal,  che  tutto  il  taglia  netto. Brandimarte,  eh'  addosso  se  gli  serra, Gli  cinge  i  fianchi,  quanto  può,  con  ambe Le  braccia,  e  Astolfo  il  piglia  nelle  gambe. 50  Scuotesi  Orlando,  e  lungi  dieci  passi Da  sé  l'Inglese  fé'  cader  riverso:Non  fa  però  che  Brandimarte  il  lassi. Che  con  più  forza  l'ha  preso  a  traverso. Ad  Olivier,  che  troppo  innanzi  fassi, Menò  un  pugno  sì  duro  e  si  perverso, Che  lo  fé' cader  pallido  ed  esangue, E  dal  naso  e  dagli  occhi  uscirgli  il  sangue. 51    E  se  non  era  l'elmo  più  che  buono Ch'  avea  Olivier,  V  avria  quel  pugno  ucciso:Cadde  però,  come  se  fatto  dono Avesse  dello  spirto  al  Paradiso. Dudone  e  Astolfo  che  levati  sojo, Benché  Dudone  abbia  gonfi "to  il  viso, E  Sansonetto  che'l  bel  colpo  ha  fatto, Addosso  a  Orlando  son  tutti  in  un  tratto. 55     Come  egli  è  iu  terra,  gli  son  tutti  addosso, E  gli  legan  più  forte  e  piedi  e  mani. Assai  di  qua  di  là  sè  Orlando  scosso; Ma  sono  i  suoi  risforzi  tutti  vani. Comanda  Astolfo  che  sia  quindi  mosso, Che  dice  voler  far  che  si  risani. Dudon  eh' è  grande,  il  leva  in  su  le  schene E  porta  al  mar  sopra  T  estreme  arene. "faPrt, Stanza  51. 56  Lo  fa  lavar  Astolfo  sette  volte, E  sette  volte  sotto  acqua  l'attuffa; Si  che  dal  viso  e  dalle membra  stolte Leva  la  brutta  roghine  e  la  muffa: Poi  con  cert'  erbe,  a  questo  effetto  colte La  bocca  chiuder  fi,  che  soffia  e  buffa; Che  non  volea  ch'avesse  altro  meato Onde  spirar,  che  per  lo  naso,  il  fiato. 57  Aveasi  Astolfo  apparecchiato  il  vaso, Tn che il  vsenno  d'Orlando  era  rinchiuso; E  quello  in  moflo  appropinquogli  al  naso. Che  nel  tirar  che  fece  il  fiato  in  suso, Tutto il votò.  Maraviglioso  caso ! Che  ritornò la mente  al  primier  uso; E  ne' suoi  bei  discorsi  l'intelletto Rivenne,  più  che  mai  lucido  e  netto. 02  Dudon  con  rran  vigor  dietro  V  abbraccia . Pur  tentando  col  pie  farlo  cadere: Astolfo  e  gli  altri  gli  han  prese  le  braccia, Xè  Io  puon  tutti  insieme  anco  tenere. Chi  ha  visto  toro  a  cui  si  dia  la  caccia, E  eh' alle  orecchie  abbia  le  zanne  fiere, Correr  mugliando,  e  trarre  ovunque  corre I  cani  seco,  e  non  potersi  sciorre; 53  Immagini  ch'Orlando  fosse  tale, Che  tutti  quei  gnerrier  seco  traea. Tn  quel  tempo  Olivier  di  terra  sale, Là  dove  steso  il  gran  pugno  l'avea; E  visto  che  cosi  si  potea  male Far  di  lui  quel  ch'Astolfo  far  volea. Si  pensò  un  modo,  et  ad  effetto  il  messe, Di  far  cader  Orlando,  e  gli  successe. 54  Si  fé' quivi  arrecar  più  d'una  fune, E  con  nodi  correnti  adattò  presto; Ed  alle  gambe  ed  alle  braccia  alcune Fé' porre  al  Conte,  ed  a  traverso  il  resto. Di  quelle  i  capi  poi  parti  in  comune, E  li  diede  a  tenere  a  quello  e  a  questo. Per  quella  via  che  maniscalco  atterra Cavallo  0  bue,  fu  tratto  Orlando  in  terra. Stanza  54. 58    Come  chi  da  noioso  e  grave  sonno, Ove,  0  veder  abbominevol  forme Di  mostri  che  non  son,  né  eh'  esser  ponno, 0  gli  par  cosa  far  strana  ed  enorme, Ancor  si  maraviglia,  poi  che  donno È  fatto  de' suoi  sensi,  e  che  non  dorme; Così  poi  che  fa  Orlando  d'error  tratto. Restò  maraviglioso  e  stupefatto. 59    E  Brandimarte,  e  il  f ratei  d'Alda  bella, E  qnel  cheU  senno  in  capo  gli  ridusse, Pur  penando  liguarda,  e  iron  favella, Com'egli  quivi,  e  quando  si  condusse. Girava  gli  occhi  in  questa  parte  e  in  quella Né  sapea  imaginar  dove  si  fusse; Si  maraviglia  che  nudo  si  vede, E  tante  funi  ha  dalle  spalle  al  piede. 60    Poi  disse,  come  già  di?se  Sileno A  quei  che  lo  legar  nel  cavo  speco:Solvite  me,  con  viso  si  sereno, Con  guardo  sì  men  dell'usato  bieco, Che  fu  slegato,  e  de' panni  ch'avieno Fatti  arrecar  parteciparon  seco; Consolandolo  tutti  del  dolore. Che  lo  premea,  di  quel  passato  errore. stanza  67. HI     Poi  che  fu  all'esser  primo  ritornato Orlando  più  che  mai  saggio  e  virile, D'amor  si  trovò  insieme  liberato; Si  che  colei  che  sì  bella  e  gentile Gli  parve  dianzi,  e  eh'  avea  tanto  amato, Non  stima  più,  se  non  per  cosa  vile. Ogìii  suo  studio,  ogni  disio  rivolse A  racquistar  quanto  già  Amor  gli  tolse. 62    Narrò  Bardino  intanto  a  Brandimarte, Che  morto  era  il  suo  padre  Monodante; E  che  a  chiamarlo  al  regno  egli  da  parte Veniva  prima  del  fratel  Gigliante, Poi  delle  genti  ch'abitan  le  sparte Isole  in  mare,  e  l'ultime  in  Levante; Di  che  non  era  un  altro  regno  al  mondo Si  ricco,  populoso,  o  si  giocondo. 63  Disse,  tra  più  ragion,  che  dovea  farlo. Che  dolce  cosa  era  la  patria;  e  quando Si  disponesse  di  voler  gustarlo, Avria  poi  sempre  in  odio  andare  errando. Brandimarte  rispose,  voler  Carlo Servir  per  tutta  questa  guerra  e  Orlando; E  se  potea  vederne  il  fin,  che  poi Penseria  meglio  sopra  i  casi  suoi. 64  II  di  seguente  la  sua  armata  spinse Verso  Provenza  il  figlio  del  Danese:Indi  Orlando  col  Duca  si  ristrinse, Ed  in  che  stato  era  la  guerra,  intese: Tutta  Biserta  poi  d'assedio  cinse, Dando  però  l'onore  al  Duca  inglese D'ogni  vittoria;  ma  quel  Duca  il  tutto Facea,  come  dal  Conte  venia  instmtto. V.   V stanza  44. 65    Ch'  ordine  abbian  tra  lor,  come  s' assaglia La  gran  Biserta,  e  da  che  lato  e  quando, Come  fu  presa  alla  prima  battaglia, Chi  neir  onor  parte  ebbe  con  Orlando, S'io  non  vi  seguito  ora,  non  vi  caglia; ChMo  non  me  ne  vo  molto  dilungando. In  questo  mezzo  di  saper  vi  piaccia Come  dai  Franchi  i  Mori  hanno  la  caccia. 66  Fu  quasi  il  re  Agramante  abbandonato Nel  pericol  maggior  di  quella  guerra; Che  con  molti  Pagani  era  tornato Brarsilio  e  1  re  Sobrin  dentro  alla  terra; Poi  su  V  armata  e  questo  e  quel  montato, Che  dubbio  avean  di  non  salvarsi  in  terra; E  duci  e  cavalier  del  popol  moro Molti  seguito  avean  T  esempio  loro. 67  Pure  Agramante  la  pugna  sostiene; E  quando  finalmente  più  non  puote, Volta  le  spalle,  e  la  via  dritta  tiene Alle  porte  non  troppo  indi  remote. Babican  dietro  in  gran  fretta  gli  viene, Che  Bradamante  stimola  e  percuote. D'ucciderlo  era  disiosa  molto; Che  tante  volte  il  suo  Buggier  le  ha  tolto. 68  II  medesmo  desir  Marfìsa  avea, Per  far  del  padre  suo  tarda  vendetta, E  con  gli  sproni,  quanto  più  potea, Facea  il  destrier  sentir  ch'ella  avea  fretta. Ma  né  l'una  né  l'altra  vi  giungea Sì  a  tempo,  che  la  via  fosse  intercetta Al  Be  d'entrar  nella  città  serrata. Et  indi  poi  salvarsi  in  su  l'armata. 71  E  fatto  sopra  il  Bodano  tagliare I  ponti  tutti.  Ah  sfortunata  plebe, Che  dove  del  tiranno  utile  appare, Sempre  è  in  conto  di  pecore  e  di  zebe! Chi  s'affoga  nel  fiume  e  chi  nel  mare, Chi  sanguinose  fa  di  sé  le  glebe. Molti  perir,  pochi  restar  prigioni; Che  pochi  a  farsi  taglia  erano  buoni. 72  Della  gran  moltitudine  ch'uccisa J'u  da  ogni  parte  in  quest'  ultima  guerra (Benché  la  cosa  non  fu  ugual  divisa, Ch'  assai  più  andar  dei  Saracin  sotterra Per  man  di  Bradamante  e  di  Marfisa), Se  ne  vede  ancor  segno  in  quella  terra; Che  presso  ad  Arli,  ove  il  Bodano  stagna Piena  di  sepolture  è  la  campagna. Stanza  71. 69     Come  due  belle  e  generose  par  de Che  fuor  del  lascio  sien  di  pari  uscite, Poscia  eh'  i  cervi  o  le  capre  gagliarde Indarno  aver  si  veggano  seguite. Vergognandosi  quasi,  che  fur  tarde, Sdegnose  se  ne  tornano  e  pentite; Cosi  tornar  le  due  donzelle,  quando Videro  il  Pagan  salvo,  sospirando. 73    Fatto  avea  intanto  il  re  Agramante  sciorre E  ritirar  in  alto  i  legni  gravi, Lasciando  alcuni,  e  i  più  leggieri,  a  torre Quei  che  volean  salvarsi  in  su  le  navi. Vi  sté  duo  di,  per  chi  f uggia  raccorre; E  perchè  i  venti  eran  contrari  e  pravi, Fece  lor  dar  le  vele  il  terzo  giorno; Ch'in  Africa  credea  di  far  ritorno. 70     Non  però  si  fermar;  ma  nella  frotta Degli  altri  cbe  fuggivano  cacciarsi, Di  qua  di  là  facendo  ad  ogni  botta Molti  cader,  senza  mai  più  levarsi. A  mal  partito  era  la  gente  rotta, Che  per  fuggir  non  potea  ancor  salvarsi; Oh'  Agramante  avea  fatto,  per  suo  scampo, Chiuder  la  porta  ch'uscia  verso  il  campo, 74    II  re  Marsilio,  che  sta  in  gran  paura Ch'alia  sua  Spagna  il  fio  pagar  non  tocche, E  la  tempesta  orribilmente  oscura Sopra  i  suoi  campi  all' ultimo  non  scocche; Si  fé' porre  a  Valenza,  e  con  gran  cura Cominciò  a  riparar  castella  e  rocche, E  preparar  la  guerra  che  fu  poi La  sua  mina  e  degli  amici  suoi. 75    Verso  Africa  Agramante  alzò  le  vele De'  legni  male  armati,  e  vóti  quasi; D'uomini  vóti,  e  pieni  di  querele, Perch'in  Frapcia  i  tre  quarti  eran  rimasi. Chi  chiama  il  Re  superbo,  chi  crudele, Chi  stolto;  e,  come  avviene  in  simil  casi, Tutti  gli  voglion  mal  ne'  lor  secreti; Ma  timor  n'hanno,  e  stan  per  forza  cheti. 7  ti     Pur  duo  talora  o  tre  schindon  le  labbia  . Ch'amici  sono,  e  che  tra  lor  s'han  fede, E  sfogano  la  collera  e  la  rabbia; E  '1  mìsero  Agramante  ancor  si  crede Ch'ognun  gli  porti  amore,  e  pietà  gli  abbia: E  questo  gì'  intervien,  perchè  non  vede Mai  visi  se  non  finti,  e  mai  non  ode Se  non  adnlazìon,  menzo2ne  e  frode. stanza  dò. 77  Erasi  consigliato  il  Re  africano Di  non  smontar  nel  porto  di  Biserta; Però  eh'  avea  del  popol  nubiano, Che  quel  lito  tenea,  novella  certa; 3! a  tenersi  disopra  si  lontano, Che  non  fosse  acre  la  discesa  ed  erta; Mettersi  in  terra,  e  ritornare  al  dritto A  dar  soccorso  al  suo  popolo  afflitto. 78  Ma  il  suo  fiero  destin,  che  non  risponde A  quella  iutenzi'on  provida  e  saggia, Vuol  che  l'armata  che  nacque  di  fronde IJracolosamente  nella  spiaggia, E  vien  solcando  inverso  Francia  l'onde, Con  questa  ad  incontrar  di  notte  s' aggia, A  nubiloso  tempo,  oscuro  e  tristo, Perchè  sia  in  più  disordine  sprovvisto. 79 Non  ha  avuto  Agramante  ancora  spia, Ch'  Astolfo  mandi  un'  armata  si  grossa; Né  creduto  anco, a  chi'l'dicesse, avria, Che  cento  navi  un  ramuscel  far  possa: E  vien  senza  temer  ch'intorno  sia Chi  contra  lui  s'ardisca  di  far  mosa; Né  pone  guardie  né  veletta  in  gabbia, Che  di  ciò  che  si  scopre  avvisar  abbia. 80  Si  che  i  navili  che  d'Astolfo  avuti Avea  Dudon,  di  buona  gente  armati, E  che  la  sera  avean  questi  veduti, Ed  alla  volta  lor  s' eran  drizzati, Assalir  gli  nemici  sprovveduti. Gì t taro  i  ferri,  e  sonsi  incatenati, Poich'ai  parlar  certificati  foro Ch'  erano  Mori,  e  gì'  inimici  loro. 6181  Xell'arrivar  cbe  i  gran  navili  fénno (Spirando  il  vento  a  lor  desir  secondo), Nei  Saracin  con  tale  impeto  dènno, Che  molti  legni  ne  cacciaro  al  fondo: Poi  cominciaro  oprar  le  mani  e  il  senno, £  ferro  e  fuoco  e  sassi  di  gran  pondo, 'J  irar  con  tanta  e  si  fiera  tempesta, Che  mai  non  ebbe  il  mar  simile  a  questa. 82  Quei  di  Dndone,  a  cui  possanza  e  ardire Più  del  solito  è  lor  dato  di  sopra (Che  venuto  era  il  tempo  di  puuire I  Saracin  di  più  duna  mal'opra), Sanno  appresso  e  lontau  si  ben  ferire, Che  non  trova  Agramante  ove  si  copra. Gli  cade  sopra  un  nembo  di  saette; Da  Iato  La  spade  e  graffi  e  picche  e  accette. 83  D'alto  cader  sente  gran  sassi  e  gravi, Da  macchine  cacciati  e  da  tormenti; £  prore  e  poppe  fracassar  di  navi, £d  aprire  usci  al  mar  larghi  e  patenti:£'1  maggior  danno  è  degPiucendj  pravi, A  nascer  presti  ad  ammorzarsi  lenti. La  sfortunata  ciurma  si  vuol  tórre Del  gran  periglio,  e  via  più  oguor  vi  corre. 84  Altri,  che'l  ferro  e  T inimico  caccLi, Nel  mar  si  getta,  e  vi  s'affoga  e  resta; Altri,  che  muove  a  tempo  piedi  e  braccia, Va  per  salvarsi  o  in  quella  barca  o  in  questa Ma  quella,  grave  oltre  il  dover,  lo  scaccia. E  la  man,  per  salir  troppo  molesta, Fa  restare  attaccata  nella  spoudi: Ritorna  il  resto  a  far  sanguigna  l'onda. 85  Altri,  che  spera  in  mar  salvar  la  vica, 0  perderlavi  ahnen  con  minor  pena. Poiché  notando  non  ritrova  aita, £  mancar  sente  i'auimo  e  la  lena, Alla  vorace  fiamma  eh'  ha  fugglta, La  tema  di  annegarsi  auco  rimena: S'abbraccia  a  un  legno  ch'arde  e  per  timore Ch'  ha  di  du3  morti,  in  ambe  se  ne  muore. 86  Altri,  per  tema  di  spiedo  o  d'accetta Che  vede  appresso  al  mar  ricorre  invano, Perchè  dietro  gli  vien  pietra  o  saetta Che  non  lo  lascia  andar  troppo  lontano. Ma  saria  forse,  mentre  che  diletta Il  mio  cantar,  consiglio  utile  e  sino Di  finirlo,  piuttosto  che  seguire Tanto,  che  v'aimoiasse  il  troppo  dire. NOTE. St. 3. V.4.   Troppo....  ribuffa: troppo  si  affretta a  menar  colpi. St.  22.  v.8.   n  paladin  Dudone.  Nacque  da  Er mellioa,  figlia  di  Namo  duca  di  Baviera,  e  moglie  di Uggiero  il  Danese.  Fu  preso  da  Bodomonte  a  Montco di  Provenza,  come  si  accenna  nella  Stanza  seguente; quindi  mandato  in  Africa,  e  dato  in  custodia  a  Branzardo. St.  28.  v.28.  Navi da gabbia: navi di maggior portata  che  le  fus'e  e  le  galee,  che  hanno  gli  alberi principali  moniti  di  gabbie.   Inesì:  ufficiali  subal terni nelle  navi,  cura  de'  quali  è  stivare  e  distivare  i diversi  oggetti  che  sono  a  bordo. St.  30.  V.5.   Il  cognato,..,  del  conte:  Oliviero  di Vienna,  fìntello  di  Alda,  moglie  d'Orlando. St.  31.  V.8.   Come  vien  Progne,  ecc.  La  rondine, volatile  in  cui  fu  tramutata  Progne  figlia  dì  Paudione re  di  Atene,  e  moglie  di  Tereo. St.  32.  V.1  i.   LHmperiale  augello,  I gìgli  doro,  e  i pardi:  insegne  di  Carlo  Magno, di  Francia  e  d'InghilteiTa. St.  40.  V.34.   Un  vecchio  eavaliero,  ecc.: Bardiuo del  quale  si  parla  nella  Stanza  seguente.  Egli  era  al servigio  del  re  Monodane,  a  cui,  per  un  dispiacere  ri cevutone, tolse  il  figliuoletto  Brandimarte,  e  lo  vendè al  conte  di  Rocca  Silvana.  11  conte  lo  adottò  per  figlio, e  a  lui  fatto  adulto  lasciò  la  signoria.  Ma  il  giovane, vago  di  avventure 'cavalleresche,  e  andandone  in  ti  ac cia, restò  prigione  della  fata  Morgana,  che  teneva  preso anche  Ziliante,  o  Qigliante,  fratello  di  Brandimiite. Ambidue  però  furono  liberati  da  Orlando. St.  42.  V.7.   Precessi:  preceduti,  passati. St.  47.  V.6.   Diuion  santo:  chiana  cosi  Dudone, perchò  lasciò,  dopo  un  certo  tempo,  la  vita  militale  e si  applicò  alla  devota. St.  55.  V.4.   Risforsi:  reazioni. St.  69.  V.2.   Lascio:  guinzaglio. St.  85.  V.2.  Tormenti:  macchine  da  lanciare  pro iettili, come  altrove  si  ò  detto. XL. ARGOMENTO. Disfattfi  ed  ar?j[i  U  Elotta  di  Agramftiiid,  seifiie  ì  oppa naJunc  di  BLnprta    oh'  è  pr"j&  per  forr  d'urtai,  e abbandonata  al  sacdigrgìo  e  alk  flatnme.  Arm munte con  Solai  11  u  Siì  rkot  era  in  Lara  pedina  r  e  tii>VKto  Gra dasso ili  qiieirisola,  ò  fermato  tm  loro  il  oocuiglio  d'in vitare eulà  Orlatido  &d  altri  doe  caalierì  ft  batUglia. Orluinlo  afo.kglic  dì  buongrado  rinvilo,  e  sì  elegge  a coinpaMiì  Brand iinarte  e  Oliviero  Intanto  Riipero turnato  in  Adi  JìUer",  sette  re  ttfricanU  coudotuvipri pionieri  da  Eiiudon?,  e  pancia  viene  alle  amai  eoft  lai. LuLigo  sarebbe,  ae  i  diversi  casi Volessi  dir  di  quel  uavaJ  conflitto; E  raetiontirlo  a  voi  mi  parrift  quasi, Maguauiuio  tìglìuol  d  Ercole  iuritto, Portar,  come  ai  dice    a  Samo  vasi, Nùttole  a  Atene,  e  crocidili  a  Egitto:Cile  quando  per  udita  io  ve  ne  parlo, Signor  nuraHte,  e  fu;; te  altrui  mirarlo. Ebbe  lungo  spettacolo  il  fetlele Vo?tro  popid  la  notre  e'I  di  che  stette Ci  ime  in  tei\tro,  l'iuimiclie  vele Mirando  iu  Po  tra  ferro  e  fuoco  astrette Che  gridi  udir  si  possano  e  querele, Ch'onde  veder  di  sangue  umano  infette, Per  quanti  modi  in  tal  pugna  si  mora, Vedeste,  e  a  molti  il  dimostraste  allora. Stanza  7. Noi  vidi  io  già,  ch'era  sei  giorni  innanti, Mutando  ogn'ora  altre  vetture,  corso Con  molta  fretta  e  molta  ai  piedi  santi Del  gran  Pastore  a  domandar  soccorso:Poi  né  cavalli  bisognar  né  fanti; Ch'intanto  al  Leon  dór  T artiglio  el  morso Fu  da  voi  rotto  sì,  che  più  molesto Non  1'  ho  sentito  da  quel  giorno  a  questo. Ma  Alfonsin  Trotto,  il  qual  si  trovò  in  fatto, Annibal  e  Pier  Moro  e  Afranio  e  Alberto, E  tre  Ariosti,  e  il  Bagno  e  il  Zerbinatto Tanto  me  ne  contar,  ch'io  ne  fui  certo: Me  ne  chiarir  poi  le  bandiere  affatto, Vistone  al  tempio  il  gran  numero  offerto E  quindici  galee  eh' a  queste  rive Con  mille  legni  star  vidi  captive. Chi  viJe  quelli  incenfìj  e  quei  naufragi, Le  tante uccisioni  e  sì  diverse, Che,  vendicando  i  nostri  arsi  palagi, Finché  fu  preso  ogni  narilio,  fèrsej Potrà  veder  le  morti  anco  e  i  disagi Che  '1  miser  popol  d'Africa  sofferse Col  re  Agramante  in  mezzo  l'onde  salse, La  scura  notte  che  Dudon Stanza  8. 6  £ra la  notte,  6  non si vedea  lume, Quando  sMncominciàr  T aspre  contese: Ma  poi  che  U  zolfo  e  la  pece  e  U  hitume Sparso  in  gran  copia,  ha  prore  e  sponde  acce8\ E  la  vorace  fiamma  arde  e  consume Le  navi  e  le  galee  poco  difese; Sì  chiaramente  ognun  si  vedea  intorno, Che  la  notte  parea  mutata  in  giorno. 7  Onde  Agramante,  che  per  Paer  scuro Non  avea  l'inimico  in  si  gran  stima, Né  aver  contrasto  si  credea  si  duro, Che,  resistendo,  alfin  non  lo  reprima; Poi  che  rimosse  le  tenebre  furo, E  vide  quel  che  non  credeva  in  prima, Che  le  navi  nimiche  eran  duo  tante; Fece  pensier  diverso  a  quel  d'avante. 8  Smonta  con  pochi,  ove  in  piìì  lieve  larra Ha  Brigliadoro  e  l'altre  cose  care. Tra  legno  e  legno  taciturno  varca, Finché  si  trova  in  più  sicuro  mare Da' suoi  lontan,  che  Dudon  preme  e  carca, E  mena  a  condizioni  acri  ed  amare. Gli  arde  il  foco,  il  mar  sorbe,  il  ferro  stmgge; Egli,  che  n'è  cagion,  via  se  ne  fugge. 9  Fugge  Agramante,  ed  ha  con  Ini  Sobrino, Con  cui  si  duol  di  non  gli  aier  crednto, Quando  previde  con  occhio  divino, E'I  mal  gli  annunziò,  ch'or  gli  è  avvenuto. Ma  torniamo  ad  Orlando  paladino. Che,  prima  che  B'serta  abbia  altro  aiuto. Consiglia  Astolfo  che  la  getti  in  terra. Sì  che  a  Francia  mai  più  non  faccia  guerra.' 10  E  cosi  fu  pubblicamente  detto,Che'l  campo  in  arme  al  terzo  dì  sia  instmlto. Molti  navi  li  Astolfo  a  questo  effetto Tenuti  avea,  né  Dndon  n'ebbe  il  tutto: Di  qnai  diede  il  governo  a  Sansonetto, Si  buon  guerrier  al  mar  come  all'asciutto: E  quel  si  pose,  in  su  l'ancore  sorto, Contra  a  Biserta,  un  miglio  appresso  al  poito. 11  Come  veri  cristiani,  Astolfo  e  Orlando. Che  senza  Dio  non  vanno  a  rischio  alcuno, Neil' esercito  fan  pubblico  bando, Che  sieno  orazi'on  fatte  e  digiuno; E  che  si  trovi  il  terzo  giorno,  quando Si  darà  il  segno,  apparecchiato  ognuno Per  espugnar  Biserta,  che  data  hanno. Vinta  che  s'abbia,  a  fuoco  e  a  saccqipanno. 12  E  così,  poi  che  le  astinenzie  e  i  voti Devotamente  celebrati  foro, Parenti,  amici,  e  gli  altri  insieme  noti Si  cominciaro  a  convitar  tra  loro. Dato  restauro  a' corpi  esausti  e  vóti, Abbracciandosi  insieme  lacrimoro; Tra  loro  usando  i  modi  e  le  parole Che  tra  i  più  cari  al  dipartir  si  suole. 13  Dentro  a  Biserta  i  sacerdoti  santi. Supplicando  col  popolo  dolente, Battonsi  il  petto,  e  con  dirotti  pianti Chiamano  il  lor  Macon,  che  nulla  sente Quante  vigilie,  quante  offerte,  quanti Doni  promessi  Fon  privatamente ! Quanti  in  pubblico  templi,  statue,  altari, Memoria  etema  de'  lor  casi  amari ! 14     E  poi  che  dal  Cadi  fu  benedetto, Prese  il  popolo  Tarme,  e  tornò  al  moro. Ancor  giacca  col  suo  Titon  nel  letto La  bella  Aurora,  ed  era  il  cielo  oscuro, Quando  Astolfo  da  un canto,  e  Sansonetto Da  un  altro,  armati  agli  ordini  lor  furo; £  poi  cheU  segno,  che  die  il  Conte,  udirò, Biserta  con  grande  impeto  assalirò. 15  Avea  Biserta  da  duo  canti il mare, Sedea  dagli  altri  duo  nel  lito  asciutto. Con  fabbrica  eccellente  e  singulare Fu  a  iniquamente  il  suo  muro  costrutto. Poco  altro  ha  che  V  aiuti  o  la  ripare:Che  poi  che  '1  re  Branzardo  fu  ridutto Dentro  da  quella,  pochi  mastri  e  poco Potè  aver  tempo  a  riparare  il  loco. 16  Astolfo  dà  l'assunto  al  Re  de' Neri, Che  faccia  a' merli  tanto  nocumento Con  falariche,  fonde,  e  con  arcieri, Che  levi  d'affacciarsi  ogni  ardimento: Si  che  passin  pedoni  e  cavalieri Fin  sotto  la  muraglia  a  salvamento, Che  veugon,  chi  di  pietre  e  chi  di  travi. Chi  d'asse  e  chi  d'altra  materia  gravi. 17  Chi  questa  cosa  e  chi  quell'altra  getta Dentro  alla  fossa,  e  vien  di  mano  in  mano: Di  cui  l'acqua  il  di  innanzi  fu  intercetta Si,  che  in  più  parti  si  scopria  il  pantano. Ella  fu  piena  ed  otturata  in  fretta, E  fatto  uguale  insin  al  muro  il  piano. Astolfo,  Orlando  ed  Olivier  procura Di  far  salire  i  fanti  in  su  le  mura. Ariobto. 18  I  Nubi  d'ogni  indugio  impazienti, Dalla  speranza  del  guadagno  tratti, Non  mirando  a'  pericoli  imminenti, Coperti  da  testuggini  e  da  gatti. Con  arieti  e  loro  altri  instrumenti A  forar  torri,  e  porte  rompere  atti, Tosto  si  fero  alla  città  vicini; Né  trovaro  sprovvisti  i  Saracini: 19  Che  ferro  e  fuoco  e  merli  e  tetti  gravi Cader  facendo  a  guisa  di  tempeste, Per  forza  aprian  le  tavole  e  le  travi Delle  macchine  in  lor  danno  conteste. Nell'aria  oscura  e  nei  principj  pravi Molto  patir  le  battezzate  teste; Ma  poi  che'l  Sole  usci  del  ricco  albergo, Voltò  Fortuna  ai  Saracini  il  tergo. 20    Da  tutti  i  canti  risforzar  l'assalto Fé' il  conte  Orlando  e  da  mare  e  da  terra. Sansonetto,  ch'avea  Tarmata  in  alto, Entrò  nel  porto,  e  s'accostò  alla  terra; E  con  frombe  e  con  arcbi  facea  d'alto, E  con  Tari  tormenti  estrema  guerra; E facea iusieme  espedir  lance  e scale, Ogni  apparecchio  e  miinizion  navale. stanza  13. 23  Vien  Brandimarte,  e  pon  la  scala  a' muri, E  sale,  e  di  salir  altri  conforta:Lo  seguon  molti  intrepidi  e  sicuri; Che  non  può  dubitar  chi  l'ha  in  sua  scorta. Non  è  chi  miri,  o  chi  mirar  si  curi, Se  quella  scala  il  gran  peso  comporta. Sol  Brandimarte  agl'inimici  attende; Pugnando sale,  e  alfine  un  merlo  prende. 24  E  con  mano  e  con  pie  quivi  s' attacca, Salta  sui  merli,  e  mena  il  brando  in  volta. Urta,  riversa  e  fende  e  fora  e  ammacca, E  di  sé  mostra  esperì'enzia  molta. Ma  tutto  a  un  tempo  la  scala  si  fiacca, Cile  troppa  soma  e  di  soperchio  ha tolta: E, fuor che  Brandimarte,  giù  nel  fosso Vanno  sozzopra,  e  l'uno  e  l'altro  addosso. 25  Per  ciò  non  perde  il  Cavai ier  l'ardire. Né  pensa  riportare  addietro  il  piede; Benché  de'  suoi  non  vede  alcun  seguire, Benché  bersaglio  alla  città  sì  vede. Pregavan  molti  (e  non  volse  egli  a  lire) Che  ritornasse;  ma  dentro  si  diede:Dico  che  giù  nella  città  d'un  salto Dal  muro  entrò,  che  trenta  braccia  era  alto. 26  Come  trovato  avesse  o  piume  o  paglia, Presse  il  duro  terren  senza  alcim  danno; E  quei  ch'ha  intorno  affrappa  e  fora  e  taglia. Come  s'afirappa  e  taglia  e  fora  il  panno. Or  contra  questi  or  contra  quei  si  scaglia; E  quelli  e  questi  in  fuga  se  ne  vanno. Pensano  quei  di  fuor,  che  l'han  veduto Dentro  saltar,  che  tardo  fia  ogni  aiuto. 21  Facea  Oliviero,  Orlando  e  Brandimirte, E  quel  che  fu  si  dianzi  in  aria  ardito, Aspra  e  fiera  battaglia  dalla  parte Che  lungi  al  mare  era  più  dentro  al  lito. Ciascun  d'essi  venia  con  una  parte Dell' oste  che  s' avea  quadripartito. Quale  a  mur,  quale  a  porte,  e  quale  altrove, Tutti  davan  di  sé  lucide  prove. 22  II  valor  di  ciascun  meglio  si  puote Veder  cosi,  che  se  fosser  confusi": Chi  sia  degno  di  premio  e  chi  di  note, Appare  innanzi  a  mill'occhi  non  chiusi. Torri  di  legno  trannosi  con  ruote, E  gli  elefanti  altre  ne  portano  usi, Che  su  lor  dossi  così  in  alto  vanno, Che  i  merli  sotto  a  molto  spazio  stanno. 27  Per  tutto  '1  campo  alto  rumor  si  spande Di  voce  in  voce,  e'I  mormorio  e'I  bisbiglio. La  vaga  fama  intorno  si  fa  grande, E  narra,  ed  accrescendo  va  il  periglio. Ove  era  Orlando  (perchè  da  più  bande Si  dava  assalto),  ove  d'Otone  il  figlio, Ove  Olivier,  quella  volando  venne, Senza  posar  mai  le  veloci  penne. 28  Questi  guerrier,  e  più  di  tutti  Orlando, Ch'amano  Brandimarte  e  l'hanno  in  pregio, Udendo  che,  se  van  troppo  indugiando, Perderanno  un  compagno  così  egregio, Pigliau  le  scale,  e  qua  e  là  montando, Mostrano  a  gara  animo  altiero  e  regio. Con  si  audace  sembiante  e  si  gagliardo, Che  i  nemici  tremar  fan  con  lo  sguardo. 29  Come  nel  mar  che  per  tempesta  freme, Assagliou  Tacque  il  temerario  legno, Chor  dalia  prora,  or  dalle  parti  estreme Cercano  entrar  con  rabbia  e  con  isdegno; Il  pallido  nocchier  sospira  e  geme  . Ch'aiutar  dere,  e  non  ha  cor  né  ingegno; Una  onda  viene  alfin  eh  occupa  il  tutto, E  dove  quella  entrò,  segue  ogni  flutto: 30  Così,  di  poi  eh  ebbono  presi  i  muri Questi  tre  primi,  fu  si  largo  il  passo, Che  gli  altri  ormai  seguir  ponno  sicuri, Che  mille  scale  hanno  fermate  al  basso. Aveano  intanto  gli  arieti  duri Rotto  in  più  lochi,  e  con  sì  gran  fracasso, Che  si  poteva  in  più  che  in  una  parte Soccorrer  P  animoso  Brandimarte. 35  Fu  Bueifar  dell'Algazera  morto =Con  esso  un  colpo  da  Olivier  gagliardo. Per  luta  ogni  speranza,  ogni  conforto, S'  uccise  di  sua  mano  il  re  Branzardo. Con  tre  ferite,  onde  morì  di  corto. Fu  preso  Folvo  dal  Etnea  del  Pardo. Questi  eran  tre  ch'ai  suo  partir  lasciato Avea  Agramante  a  guardia  dello  Stato. 36  Agramante,  ch'intinto  avea  deserta L'armata,  e  con  Sobrin  n'  era  fuggito, Pianse  da  lungi  e  sospirò  Biserta, Veduto  sì  gran  fiamma  arder  sul  lito. Poi  più  d'appresso  ebbe  novella  certa Come  della  sua  terra  il  caso  era  ito:E  d'uccider  sé  stesso  in  pensier  venne, E  lo  facea;  ma  il  re  Sobrin  lo  tenne. 31  Con  quel  furor  che '1  Re  de'fiimii  altiero, Quando  rompe  talvolta  argini  e  sponde, E  che  nei  campi  Ocnei  s' apre  il  sentiero, E  i  grassi  solchi  e  le  biade  feconde, E  con  le  sue  capanne  il  gregge  intiero, E  coi  cani  i  pastor  porta  nell'onde; Guizzano  i  pesci  agli  olmi  in  su  la  cima Ove  solean  volar  gli  augelli  in  prima:32  Con  quel  furor  l'impetuosa  geutp, Là  dove  avea  in  più  parti  il  muro  rotto, Entrò  col  ferro  e  con  la  face  ardente A  distruggere  il  popol  mal  condotto. Omicidio,  rapina,  e  man  violente Nel  sangue  e  nell'aver,  trasse  di  botto La  ricca  e  trionfai  città  a  mina, Che  fii  di  tutta  l'Africa  regina. 33  D'uomini  morti  p'eno  era  per  tutto, E  delle  iunumerabili  ferite Fatto  era  un  stagno  più  scuro  e  più  brutto Di  quel  che  cinge  la  città  di  Dite. Di  casa  in  casa  un  lungo  incendio  indutto Ardea  palagi,  portici  e  meschite. Di  pianti  e  d'urli  e  di  battuti  petti Suonano  i  vóti  e  depredati  tetti. 34  I  vincitori  usar  delle  funeste Porte  vedeansi  di  gran  preda  onusti. Chi  con  bei  vasi  e  chi  con  ricche  veste, Chi  con  rapiti  argenti  a' Dei  vetusti: Chi  traea  i  figli,  e  chi  le  madri  meste.  Fur  fatti  stupri  e  mille  altri  atti  ingiusti, Dei  quali  Orlando  una  gran  parte  intese. Né  lo  potè  vietar,  né'l  Duca  ioglese. 37  Dicea  Sobrin:  Che  più  vittoria  lieta, Signor,  potrebbe  il  tuo  nimico  avere. Che  la  tua  morte  udire,  onde  quieta Si  spereria  poi  l'Africa  godere? Questo  contento  il  viver  tuo  gli  vieta: Quindi  avrà  cagion  sempre  di  temere. Sa  ben  che  lungamente  Africa  sua E<?ser  non  può,  se  non  per  morte  tua. 38  Tutti  i  sudditi  tuoi,  morendo,  privi Della  speranza,  un  ben  che  sol  ne  resta. Spero  che  n'abbi  a  liberar,  se  vivi, E  trar  d'affanno  e  ritornarne  in  festa. So  che,  se  muori,  slam  sempre  captivi, Africa  sempre  tributaria  e  mesta. Dunque,  s'in  util  tuo  viver  non  vuoi, Vivi,  Signor,  per  non  far  danno  ai  tuoi. 39  Dal  Soldano  d'Egitto,  tuo  vicino, Certo  esser  puoi  d'aver  danari  e  gente Mal  volentieri  il  figlio  di  Pipino In  Africa  vedrà  tanto  potente. Verrà  con  ogni  sforzo  Norandino Per  ritornarti  in  regno,  il  tuo  parente:Armeni,  Turchi,  Persi,  Arabi  e  Medi, Tutti  in  soccorso  avrai,  se  tu  li  chiedi. 40  Con  tali  e  simil  detti  il  vecchio  accorto Studia  tornare  il  suo  Signore  in  speme Di  racquistarsi  l'Africa  di  corto; Ma  nel  suo  cor  forse  il  contrario  teme. Sa  ben  quanto  é  a  mal  termine  e  a  mal  porto E  come  spesso  invan  sospira  e  geme Chiunque  il  regno  suo  si  lascia  tórre, E  per  soccorso  a' Barbari  ricorre. Stanza  30. 41     Anuibal  e  lugurta  di  ciò  fóro Buon  testimoni,  ed  altri  al  tempo  antico: Al  tempo  nostro  Ludovico  il  Moro, Dato  in  poter  dun  altro  Ludovico. Vostro  fratello  Alfonso  da  costoro Ben  ebbe  esempio  (a  voi,  Signor  mio,  dko)y Che  sempre  ha  riputato  pazzo  espresso Chi  più  si  fida  in  altri,  chMn  sé  stesso. 42    E  però  nella  guerra  che  gli  mosse Del  Pontefice  irato  un  duro  sdegno, Ancorché  nelle  deboli  sue  posse Non  potesse  egli  far  molto  disegno, E  chi  lo  difendei,  d'Italia  fosse Spinto,  e  n avesse  il  suo  nimico  il  regno; Né  per  minacce  mai  né  per  promesse S'indusse  che  lo  stato  altrui  cedesse. 43  11  re  A/amante  air  Oriente  avea Vòlta  la  prora,  e  s'era  spinto  in  alto: Quando  da  terra  una  tempesta  rea Mosse  da  banla  impetuoso  assalto. Il  nocchier  eh'  al  governo  vi  sedea:Io  veggo  (disse  alzando  gli  occhi  ad  alto) Una  procella  apparecchiar  sì  grave, Ohe  contrastar  non  le  potrà  la  nave. Stanza  33. 44  S'attendete,  signori,  al  mio  consiglio, Qui  da  man  manca  ha  un'  isola  vicina, A  cui  mi  par  eh'  abbiamo  a  dar  di  piglio, Finché  passi  il  furor  della  marina. Consenti  il  re  Agramante,  e  di  periglio Usci,  pigliando  la  spiaggia  mancina. Che  per  salute  de' nocchieri  giace Tra  gli  Afri,  e  di  Vulcan  l'alta  fornace. 45  D'abitazioni  è  l'isoletta  vota, Piena  d'urail  mortelle  e  di  ginepri; Gioconda  solitudine  e  remota A  cervi,  a  daini,  a  caprioli,  a  lepri:E,  fuor  eh'  a  pescatori,  è  poco  nota; Ove  sovente  a  rimondati  vepri Sospendon,  per  seccar,  l'umide  reti": Dormono  intanto  i  pesci  in  mar  quieti. 46  Quivi  trovar  che  s'era  un  altro  legno, Cacciato  da  fortuna,  già  ridutto. Il  gran  guerrier  eh'  in  Sericana  ha  regno, Levato  d'Arli,  avea  quivi  condutto. Con  modo  riverente  e  di  sé  degno L'un  Ee  con  l'altro  s'abbracciò  all'asciutto; Ch'erano  amici,  e  poco  innanzi  furo Compagni  darme  al  parigino  muro. 47  Con  molto  dispiacer  Gradasso  intese Del  re  Agramante  le  fortune  avverse: Poi  confortollo,  e,  come  Re  cortese, Con  la  propria  persona  se  gli  offerse; Ma  eh'  egli  andasse  all' infedel  paese D'Egitto,  per  aiuto,  non  sofferse. Che  vi  sia,  disse,  periglioso  gire, Dovria  Pompeio  i  profugi  ammonire. 48  E  perché  detto  m'hai  che  con  l'ainto Degli  Etiopi  sudditi  al  Senàpo, Astolfo  a  tòrti  l'Africa  é  venuto; E  ch'arsa  ha  la  città  che  n'era  capo; E  eh'  Orlando  é  con  lui,  che  dimiuuto Poco  innanzi  di  senno  aveva  il  capo; li  pare  al  tutto  un  ottimo  rimedio Avjr  pensato  a  fani  uscir  di  tedio. stanza  43. 49    Io  piglierò  per  amor  tuo  l'impresa D'entrar  col  Conte  a  sino;olar  certame. Contra  me  so  che  non  avrà  difesa, Se  tutto  fosse  di  ferro  o  di  rame. Morto  lui,  stimo  la  cristiana  Chiesa Quel  che  T ugnelle  il  lupo  ch'abbia  fame. Ho  poi  pensato,  e  mia  cosa  lieve, Di  fare  i  Nubi  uscir  d'Africa  in  breve. 50    Parò  che  gli  altri  Nubi  che  da  loro Il  Nilo  parte  e  la  diversa  legge, E  gli  Arabi  e  i  Macrobi,  questi  d'oro Ricchi  e  di  gente,  e  quei  d'equino  gregge, Persi  e  Caldei  (perchè  tutti  costoro Con  altri  molti  il  mio  scettro  corregge), Farò  eh'  in  Nubia  lor  faran  tal  guerra, Che  non  si  fermeran  nella  tua  terra. Stanza  54. 53  Purch'io  non  resti  fuor,  non  me  ne  lagno. Disse  Agramente,  o  sia  primo  o  secondo Ben  so  ch'in  arme  ritrovar  compagno Di  te  miglior  non  si  può  in  tutto '1  mondo. Ed  io,  disse  Sobrin,  dove  riraaguo? E  se  vecchio  vi  paio,  vi  rispondo Ch'io  debbo  esser  più  esperto;  e  nel  periglio Presso  alla  forza  è  buono  aver  consiglio. 54  D'una  vecchiezza  valida  e  robusta Era  Sobrino,  e  di  famosa  prova; E  dice  eh'  in  vigor  1'  età  vetusta Si  sente  pari  alla  già  verde  e  nuova. Stimata  fu  la  sua  domanda  giusta; E  senza  indugio  un  messo  si  ritrova, Il  qual  si  mandi  agli  africani  lidi, E  da  lor  parte  il  conte  Oliando  sfidi; 55  Che  s'abbia  a  ritrovar  con  numer  pare Di  cavalieri  armati  in  Lipadusa. Una  isoletta  è  questa,  che  dal  mare Medesmo  che  la  cinge  è  circonfusa. Non  cessa  il  messo  a  vela  e  a  remi  andare. Come  quel  che  prestezza  al  bisogno  usa, Che  fu  a  Biserta;  e  trovò  Orlando  quivi, Ch'a'suoi  le  spoglie  di  videa  e  i  captivi. 56  Lo'nvito  di  Gradasso  e  d'Agramante E  di  Sobrino  In  pubblico  fu  espresso, Tanto  giocondo  al  Principe  d'Anglante, Che  d'ampli  doni  onorar  fece  il  messo. Avea  da' suoi  compagni  udito  innante, Che  Durindana  al  fianco  s'avea  messo Il  Te  Gradasso;  ond'egli,  per  desire Di  racquistarla,  in  India  volea  gire. 51  Al  re  Agramante  assai  parve  opportuna Del  re  Gradasso  la  seconda  offerta; E  si  chiamò  obbligato  alla  Fortuna, Che  l'avea  tratto  all' isola  deserta:Ma  non  vur)l  torre  a  condizione  alcuna, Se  racquistar  credesse  indi  Biserta, Che  battaglia  per  lui  Gradasso  prenda; Che  'n  ciò  gli  par  che  l'onor  troppo  offenda. 52  S'a  disfidar  s'ha  Orlando,  son  quell'io. Rispose,  a  cui  la  pugna  più  conviene; E  pronto  vi  sarò: poi  faccia  Dio Di  me  come  gli  pare,  o  male  o  bene. Facciam,  disse  Gradasso,  al  modo  mio, A  un  nuovo  modo  eh'  in  pensier  mi  viene:Questa  battaglia  pigliamo  ambedui Incontra  Orlando,  e  un  altro  sia  con  lui. 57  Stimando  non  aver  Gradasso  altrove, Poi  ch'udì  che  di  Francia  era  partito. Or  più  vicin  gli  è  offerto  luogo,  dove Spera  che  '1  suo  gli  fia  restituito. Il  bel  corno  d'Ai  monte  anco  lo  muove Ad  accettar  si  volentier  lo'nvito, E  Brigliador  non  men;  che  sapea  in  mano Esser  venuti  al  figlio  di  Troiano. 58  Per  compagno  s  elegge  alla  battaglia Il  fedel  Brandimarte  e'I  suo  colato. Provato  ha  quanto  l'uno  e  l'altro  vaglia; Sa  che  da  entrambi  è  sommamente  amato. Buon  destrier,  buona  piastra  e  buona  maglia . E  spade  cerca  e  lance  in  ogni  lato A  sé  e  a' compagni.  Che  sappiate  parme, Che  nessun  d'essi  avea  le  solite  arme. 59  Orlando  (come  io  vho  detto  più  volte) Delle  sue  sparse  per  furor  la  terra:Agli  altri  ha  Rodomonte  le  lor  tolte, Ch'  or  alta  torre  in  ripa  un  fiume  serra. Non  se  ne  può  per  Africa  aver  molte, Sì  perchè  in  Francia  avea  tratto  alla  guerra Il  re  Agramante  ciò  ch'era  di  buono, Sì  perchè  poche  in  Africa  ne  sono. 60  Ciò  che  di  rug;ginoso  e  di  brunito Aver  si  può,  fa  ragunare  Orlando; E  coi  compagni  intanto  va  pel  lito Della  futura  pugna  ragionando. Gli  avvien  ch'essendo  fuor  del  campo  uscito Più  di  tre  miglia,  e  gli  occhi  al  mare  alzando, Vide  calar  con  le  vele  alt"  un  legno Verso  il  lito  African  senza  ritegno. 61  Senza  nocchieri  e  senza  naviganti, Sol  come  il  vento  e  sua  fortuna  il  mena, Venia  con  le  vele  alte  il  legno  avanti Tanto,  che  si  ritenne  in  su  V  arena. Ma  prima  che  di  questo  più  vi  canti, Lamor  eh' a  Ruggier  porto,  mi  rimena Alla  sua  istoria,  e  vuol  ch'io  vi  racconte Di  lui  e  del  guerrier  di  Chiaramonte. 62  Di  questi  duo  guerrier  dissi,  che  tra  ti S' erano  fuor  del  marziale  agone, Viste  convenzi'on  rompere  e  patti, E  turbarsi  ogni  squadra  e  legione. Chi  prima  i  giuramenti  abbia  disfatti, E  stato  sia  di  tanto  mal  cagione, 0  r  imperator  Carlo  o  il  re  Agramante, Studian  saper  da  chi  lor  passa  avante. 63  Un  servitor  intanto  di  Ruggiero, Ch'era  fedele  e  pratico  ed  astuto, Né  pel  conflitto  dei  due  campi  fiero Avea  di  vista  il  patron  mai  perduto, Venne  a  trovarlo,  e  la  spada  e  '1  destriero Gli  diede,  perchè  ansaci  fosse  in  aiuto. Montò  Ruggiero,  e  la  sua  spada  tolse, lfa  nella  zuffa  entrar  non  però  volse. 64  Quindi  si  parte;  ma  prima  rinnova La  convenzion  che  con  Rinaldo  avea: Che  se  pergiuro  il  suo  Agramante  trova, Lo  lascerà  con  la  sua  setta  rea. Per  quel  giorno  Ruggier  fare  altra  prova D'arme  non  volse;  ma  solo  attendea A  fermar  questo  e  quello,  e  a  domandarlo Chi  prima  roppe,  o'I  re  Agramante  o  Carlo. 65  Ode  da  tutto  l  m  >ndo,  che  la  parte Del  re  Agramante  fu  che  roppe  primi. Ruggiero  ama  Agramante;  e  se  si  parte Da  lui  p'r  questo,  error  non  lieve  stima. Fur  le  genti  africane  e  rotte  e  sparte (Questo  ho  già  detto  innanzi),  e  dalla  cim Della  volubil  ruota  tratte  al  fondo, Come  piacque  a  colei  ch'aggira  il  mondo. 66  Tra  sé  volve  Ruggiero,  e  fa  discorso, Se  restar  deve,  o  il  suo  Signor  seguire. Gli  pon  V  amor  della  sua  donna  un  morso, Per  non  lasciarlo  in  Africa  più  gire: Lo  volta  e  gira,  ed  a  contrario  corso Lo  sprona,  e  lo  minaccia  di  punire, Se'l  patto  e'I  giuramento  non  tien  saldo, Che  fatto  avea  col  palalin  Rinaldo. Stanza  ii567  Non  men  dall'altra  parte  sferza  e  sprona La  vigilante  e  stimnlosa  cura, Che  s' Agramante  in  quel  caso  abbandona, A  viltà  gli  sia  ascritto  ed  a  paura. Se  del  restar  la  causa  parrà  buona A  molti,  a  molti  ad  accettar  fia  dura. Molti  diran  che  non  si  de' osservare Quel  eh'  era  ingiusto  e  illicito  a  giurare. 68  Tutto  quel  giorno  e  la  notte  seguente Stette  solingo,  e  così  l'altro  giorno. Pur  travagliando  la  dubbiosa  mente, Se  partir  deve,  o  far  quivi  soggiorno. Pel  Signor  suo  conclude  finalmente Di  fargli  dietro  in  Africa  ritorno. Potea  in  lui  molto  il  coniugale  amore; Ma  vi  potea  più  il  debito  e  1  onore. 69    Torna  verso  Arli;  che  trovar  vi  spera L'armata  ancor,  cb'  in  Africa  il  trasporti:Né  lego  in  mar  né  dentro  alla  rivera, Né  Saracini  vede,  se  non  morti. Seco  al  partire  ogni  legno  che  vera Trasse  Agramaiite,  e'I  resto  arse  nei  porti. Fallitogli  il  pensier,  prese  il  cammino Verso  Marsilia  pei  iito  marino. 73    Venne  in  speranza  di  lontan  Ruggiero, Che  questa  fosse  armata  d'Agramaute; E,  per  saperne  il  vero,  urtò  il  destriero: Ma  riconobbe,  come  fu  più  innante, li  Re  di  Xasamona  prigioniero, Bambirago,  Agricalte  e  Feruraute, Manilardo  e  Balastro  e  Rìmedonte, Che  piangendo  tenean  bassa  la  fronte. Stanza  74. 74  Roggier  che  gli  ama,  sofTerir  non  puote Che  stian  nella  miseria  in  che  li  trova. Quivi  sa  cha  venir  con  le  man  vaote. Senza  usar  forza,  il  pregar  poco  giova. La  lancia  abbassa,  e  chi  li  tien  percuote; E  fa  del  suo  valor  l'usata  prova: Stringe  la  spada,  e  in  un  piccol  momento Ne  fa  cadere  intorno  più  di  cento. 75  Dudone  ode  il  rumor,  la  strage  vede, Che  fa  Ruggier;  ma  chi  sia  non  conosce:Vede  i  suoi  e'  hanno  in  fuga  volto  il  piedCon  gran  timor,  con  pianto  e  con  angosce. Presto  il  destrier,  lo  scudo  e  Telmo  chiede, Che  già  avea  armato  e  petto  e  braccia  e  cosce: Salta  a  cavallo,  e  si  fa  dar  la  lancia, E  non  obblia  eh'  é  Paladin  di  Francia. 70  A  qualche  legno  pensa  dar  di  piglio, Ch'a  prieghi  o  forza  il  porti  all'altra  riva. Già  v'era  giunto  del  Danese  il  figlio Con  l'armata  de'  Barbari  captiva. Non  si  avrebbe  potuto  un  gran  di  miglio Gittar  nell'acqua:  tanto  la  copriva La  spessa  moltitudine  di  navi. Di  vincitori  e  di  prigioni,  gravi. 71  Le  navi  de' Pagani,  ch'avanzaro Dal  fuoco  e  dal  naufragio  quella  notte, Eccetto  poche  ch'in  fuga  n'andaro, Tutte  a  Marsilia  avea  Dudon  condotte. Sette  di  quei  eh'  in  Africa  regnare, Che,  poi  che  le  lor  genti  videf  rotte, Con  sette  legni  lor  s'eran  renduti, Stavan  dolenti,  lacrimosi  e  muti. 72  Era  Dudon  sopra  la  spiaggia  uscito, Ch'a  trovar  Carlo  andar  volea  quel  giorno; E  de' captivi  e  di  lor  spoglie  ordito Con  lunga  pompa  avea  un  trionfo  adorno. Eran  tutti  i  prigion  stesi  nel  Iito, E  i  Nubi  vincitori  allegri  intorno, Che  faceauo  del  nome  di  Dudone Intorno  risonar  la  regione. Stauza  81. 76    Grida  che  si  ritiri  ognun  da  canto. Spinge  il  cavallo,  e  fa  sentir  gli  sproni. Ruggier  cent' altri  n'avea  uccisi  intanto, E  gran  speranza  dato  a  quei  prigioni: E  come  venir  vide  Dudon  santo Solo  a  cavallo,  e  gli  altri  esser  pedoni, Stimò  che  capo  e  che  Signor  lor  fosse; E  centra  lui  con  gran  desir  si  mosse. 77     Già  mosso  prima  era  Dudon,  ma  quando Senza  lancia  Ruggier  vide  venire, Luuge  da  sé  la  sua  gittò,  sdegnando Con  tal  vantaggio  il  cavaìier  ferire. Ruggiero,  al  cortese  atto  riguardando, Die  fra  sé: Costui  non  può  mentire, Ch!  uno  non  sia  di  quei  guerrier  perfetti Che  Paladin  di  Francia  sono  detti. 80    Ma  perchè  in  mente  ognora  avea  di  meno Ofifenler  la  sua  donna,  che  potea; Ed  era  certo,  se  spargea  il  terreno Del  sangue  di  costui,  che  la  offendea (Delle  case  di  Francia  istrutto  appieno, La  madre  di  Dudone  esser  sapea Armellina,  sorella  di  Beatrice, Ch'era  di  Bradamante  genitrice). 78  S'impetrarlo  potrò,  vocheU  suo  nome, Innanzi  che  segua  altro,  mi  palese:E  cosi  domandollo;  e  seppe  come Era  Dudon,  figliuol  d'Uggier  danese. Dudon  gravò  Ruggier  poi  d'ugual  some; E  parimente  lo  trovò  cortese. Poi  che  i  nomi  tra  lor  s'ebbono  detti, Si  disfidare,  e  vennero  agli  effetti. 79  Avea  Dudon  quella  ferrata  mazza. Ch'in  mille  imprese  gli  die  eterno  onore. Con  essa  mostra  ben,  ch'egli  è  di  razza Di  quel  Danese  pien  d'alto  valore. La  spada  ch'apre  ogni  elmo,  ogni  corazza, Di  che  non  era  al  mondo  la  migliore, Trasse  Ruggiero,  e  fece  paragone Di  sua  virtude  al  paladin  Dudone. 81  Per  questo  mai  di  punta  non  gli  rass3 E  di  taglio  rarissimo  feria. Schermiasi,  ovunque  la  mazza  calasse, Or  ribattendo,  or  dandole  la  via. Crede  Turpin  che  per  Ruggier  restasse Che  Dudon  morto  in  pochi  colpi  avria Né  mai,  qualunque  volta  si  scoperse, Ferir,  se  non  di  piatto,  lo  sofferse. 82  Di  piatto  usar  potea,  come  di  taglio, Ruofgier  la  spada  sua,  eh' avea  gran  schena E  quivi  a  strano  gioco  di  sonaglio Sopra  Dudon  con  tanta  forza  mena, Che  spesso  agli  occhi  gli  pon  tal  barbaglio Che  si  ritien  di  non  cadere  a  pena. Ma  per  esser  più  grato  a  chi  m'ascolta, Io  differisco  il  Canto  a  un'  altra  volta. NOTE. St.  3.  V.67.   Al  Leon  d6r  Cartiglio  e  l  morso,  ecc. Ripete  della  Hconfitta  dat"  sul  Po  ai  Veneziani  dal  car dinal d'Este. ST.  9.  V.3.   Divino:  indovino. St.  14.  V.1.   Cadì:  nome  di  magistrato  giudiziario presso  i  Maomettani,  il  qnale  hi  ineienza  anche  nelle cose  del  culto. St.  16.  V.3.   Falariche:  lunghe  picche  da  lanciare, che  avevano  fuochi  lavorati  avvolti  intorno  al  ferro.  Fonde  0  frombe  ed  anche  fionde: strumenti  di  fune  da lanciar  sassi  o  palle  di  piombo,  adoperati  anticamente dalle  milizie  leggiere:  erano  lunghi  circa  due  braccia, ed  aveano  nel  mezzo  una  reticella  dove  si  metteva  il proiettile  che  volevasi  scagliare. St.  18.  V.45.   Coperti  da  testugjini  e  da  gatti, Con,  arieti,  ecc.  La  testuggine  era  macchina  murale  d'offesa, formata  da  una  tettoia  sovrappo&ta  a  quattro  travi, e  coperta  di  cuoio  fresco  per  garantirla  dal  fuoco:  gì java  sulle  mote,  e  potea  volgersi  da  ogni  binda.  Sotto di  essa  slavano  i  soldati  riparati  dalle  offese  del  ne mico, per  far  agire  altre  macchine,  o  per  altre  opera zion  Una  di  queste  testuggini  dicevasi  dai  Komani anetartaf  perchè  sotto  di  essa  pendeva  orizzontalmente Varieté,  ch'era  una  trave  ferrata  in  una  delle  sue  estre mità, e  con  essa  si  battevano  le  mura  nemiche.  Il  gatto era  un'  altra  specie  di  testuggine,  e  consisteva  in  un tetto,  0  tavolata  intessuto  di  vimini,  e  copeito  anch'esso di  pelli  crude,  sotto  il  quale  pendeva  o  l'ariete,  o  nn forte  rampicene  di  ferro  con  cui  si  aggrappavano  i merli  del  muro,  o  le  pietre  già  smosse  dagli  urti  dell'a riete, che  così  era  denominato,  per  una  certa  rassomi glianza alla  t3sta  e  agli  urti  di.  quell'animale. St.  21.  V.2,   E  quel  cw  fu  sì  diami  in  aria  ar dito: Astolfo. St.  25.  V.6.   Dentrtì  si  diede: si  mise,  si  lanciò dentro. St.  26.  V.3.   Affrappa:  taglia  a  pez/.ì. St.  31.  V.13.   //  re  de'  fiumi:  il  Po.   Campi Ocnei:  campi  del  Mantovano,  detti  qui  Ocnei  da  Ocno figlio  di  Manto,  creduto  fondatore  di  Mantova  insieme con  sua  madre..St.  33.  V.4.   Di  quel  che  cinge  la  vittu  di  Dite: della  palude  Stigia. St.  35.  V.6.   Dal  duca  dal  Pardo:  da  Astolfo. St.  41.  V.14.   Annibal  e  Jugurta,  ecc,  Annibal  ri fuggitosi presso  Prusia  re  della  Bitinia,  si  avvelenò  per non  esuer  dal  suo  ospite  consegnato  ai  Romani  Jagurta, o  Giugiirta,  re  di  Numidja,  rimessosi  al]"  fede  di  Bocco, re  di  Mauritania  e  suo  genero.  Ai  da  lui  dato  in  mano a  Sillu,  che  lo  fece  morir  di  fame  nel  carcere  Mamer lino.   L'un  altro  LvdovicQ:  di  Luigi  XII  re  di  Francia; nrlle  cui  mani  Lodoxico  Sforza  cadde  per  tradi mento degli  Svizzeri  che  teneva  al  proprio  rervizio. Si".  42.  V.16.   Allude  alle  circostanze  in  cui  si  trovò il  duca  Alfonso,  quando  Giulio  II  con  l'appoggio  degli Svizzeri  gli  mosse  guerra.  Alloia  i  Francesi,  difensori del  duca,  erano  cacciati  d'Italia,  e  gli  Spagnuoli  suoi nemici  tenevano  il  Regno  di  Napoli. St.  41.  V.68.   la  spiaggia  mancina,  Che  per  sa lute, ecc..  risoletta  di  Lampedusa,  che  giace  tra  la  costa d'Africa  e  la  Sicilia.   J5t  Vtiifau  l'alta  forno  ce  :lEtì\&, nel  cui  interno  finsero  i  poeti  che  fosse  la  principale fucina  di  Vulcano. St.  47.  V.8.   Doxria  Fompeio  i  profvgi  ammo nire.  Pompeo,  disfatto  da  Cesare  nei  campi  della  Tesa glia,  si  ricoveiò  in  Alessandria  d'Egitto  presso  quel  r Tolomeo,  il  quale,  per  gratificarsi  il  vincitore,  fece  al mozzare  il  capo. St.  60  V.2  6.   7/  JSilo  parte  t  la  diversa  Itfjgt.  I Nubj  abitanti  oltre  la  destra  sponda  del  Nilo,  erano  an che allora  maomettani.   Corregge:  regge. St.  55.  V.24.   Lipadusa:  Lampedusa,  nominai  a  più sopra.   Dal  mare  Medamo  che  li  cince,  è  circoh fusa:  è  bagnata  all'intorno  dal  Meditenaneo,  che  ba gna anche  Biserta,  ove  si  trovano  i  cavalieri  di  Carle. St.  57.  V.5.   Il  lei  corno  dAlmonie:  tolto  ad  A" monte  da  Orlando,  e  cui  poscia  lo  tolse  Brunello. St.  58.  V.2.   JS  7  svo  co(,r,ato:  Oliviero. St.  73.  V.58.   L'Arie  ito  si  Fcorda  qui  che  Agri calte,  Puliano  e  Balastro  li  ha  fatti  nccidei e  nella  I  at taglia descritta  nel  Canto  X  I  e  XVIII. St.  82.  V.34.   E  quivi  a  strano  giuoco  di  "oiu glio,  ecc.  Jl  giuoco  del  acuoglio  è  poco  dissìmile  da quello  che  i  fanciulli  chiamano  moscadeca: nelqaal"> si  danno  forti  colpi  ma  non  pericolosi;  e  tali  erano  i colpi  di  Ruggiero  sopra  Dudone. XLI. RiiKiora  e  Timido  ne  ceasano  il  alla  pugna,  con  fiatto  di?  siano fatti  lilutìrt  i  sette  paesani  re  prigionierL  Euggìturo  sMm bari:a  con  fi.T5Ì  per  TAfilca?  e  nel  tragitto  retiLtio  tatti siiminorsi  p;r  fnrtuna  ili  mare,  tranne  HLi;rtero;  il  quale fìlli  (ln(ti  e  pnitaU  a  salvam"nitu  plesso  un  ri>nntf>,  cho gli  pikiliiif  diverse  cnsp.  J,a  nri.vp.  vuota  di  gonte.  capila vicimi  a  Binerta,  eon  a  bitrli  il  Riavallo,  Ifl  apada  e  J'ar matnm  Uì  Htiii>iero.  Odamio  pflhdc  {uìt  s"  la  padu,  dà laiinatura  a  Ulìvlevo,  u  Brandmarto  il  ra  vallo;  e  lutti tre  \  anno  a  Lam]>edusa  rt;r  battersi  coi  tiT  padani.  Sì altiuca  la  zutr,  daianle  lagnale  Boluina  e  Olivier'  iono fcritij  e  liranfìiniaitR  rimane  uccìso. I/odi.r  di' è  siinrstj  in  ben  nullità  e  h.lhi 0  cbioma  cj  bniba  o  delicata  vesta Vi  giovane  Irggiailro  o  dì  rloiizelJn, ih'  iiuior  stive  ti  te  I  luti  man  do  defila; Se  &pira,  e  fa  sxiitìr  dì !ò  novella, E  dopo  molti  giomi  ancora  resta, nostra  con  chiaro  ed  evidente  effetto, Cone  a  piincipio  Iuolo  era  e  ptifeito. L'almo  liquor  che  ai  metitori  suoi Fece  Icaro  gustar  con  sno  gran  dauno, E  che  &i  dice  che  già  Celti  e  Boi Fé' passar  TAlpe,  e  nou  sentir  P affanno; Mostra  che  dolce  era  a  principio,  poi Che  8i  serva  ancor  dolce  al  fin  dell'anno. L'arbor  ch'ai  tempo  rio  foglia  non  perde, Mostra  eh' a  primavera  era  ancor  verde. L'incliU  stirpe  che  per  tanti  lustri Mostrò  di  cortesia  sempre  gran  lume, £  par  eh'  oor  più  ne  risplenda  e  lustri, Fa  che  con  chiaro  indizio  si  presume Che  chi  progenerò  gli  Estensi  illustri Dovea  d'ogni  laudabile  costume, Che  sublimar  al  ciel  gli  uomini  suole, Splender  non  men  che  fra  le  stelle  il  Sole. Stanza  9. Hnggier,  come  in  ciascun  suo  degno  gesto. D'alto  valor,  di  cortesia  solca Dimostrar  chiaro  segno  e  manifesto, E  sempre  più  magnanimo  apparea; Così  verso  Dudon  lo  mostrò  in  questo, Col  qual  (come  di  sopra  io  vi  dicea) Dissimulato  avea  quanto  era  forte, Per  pietà  che  gli  avea  di  porlo  a  morte. Avea  Dadon  ben conosciutocerto ch'ucciderlo Ruggier non l'ha voluto; or  s' ha  ritrovato  allo  scoperto, Or  stanco  sì,  che  più  non  ha  potuto. Poiché  chiaro  comprende,  e  vede  aperto Che  gli  ha  rispetto, e  che  va  ritenuto; Quando  di  forza  e  di  vigor  vai  meno, Di  cortesia  non  vuol  cedergli  almeno. Per  Dio  (dice).  Signor,  pace  facciamo; Ch'  esser  non  può  più  la  vittoria  mia: Esser  non  può  più  mia;  che  già  mi  chiamo Vinto  e  prigion  della  tua  cortesia. Ruggier  rispose:  Ed  io  la  pace  bramo Non  men  di  te;  ma  che  con  patto  sia. Che  questi  sette  Re  e'  hai  qui  legati, Lasci  ch'in  libertà  mi  sieno  dati E  gli  mostrò  quei  sette  Re  ch'io  dissi Che  stavano  legati  a  capo  chino; E  gli  soggiunse,  che  non  gì'  impedissi Pigliar  con  essi  in  Africa  il  cammino. E  così  furo  in  libertà  rimessi Quei  Re;  che  gliel  concesse  il  Palalino:E  gli  concesse  ancor,  eh'  un  legno  tolse. Quel  eh' a  lui  parve,  e  verso  Africa  sciol.". 8  II  legno  sciolse,  e  fé' scioglier  la  vela, E  si  die  al  vento  perfido  in  possanza, Che  da  principio  la  gonfiata  tela Drizzò  a  cammino,  e  die  al  nocchier  baldanza. Il  lito  fugge,  e  in  tal  modo  si  cela, CLe  par  che  ne  sia  il  mar  rimaso  sanza; Keir  oscurar  del  giorno  fece  il  vento Chiara  la  sua  perfidia  eM  tradimento. 9  utossi  dalla  poppa  nelle  sponde, Indi  alla  prora,  e  qni  non  rimase  anco. Ruota  la  nave,  ed  1  nocchier  confonde; Ch'or  di  dietro,  or  dinanzi,  or  loro  è  al  fianco. Sorgono  altiere  e  minacciosa  T  onde:Mugliando  sopra  il  mar va  il  gregge  bianco. Di  tante  morti  in  dubbio  e  in  pena  stanno, Quante  son  Tacque  eh' a  ferir  li  vanno. 10  Or  da  fronte  or  da  tergo  il  vento  spira, E  questo  innanzi,  e  quello  addietro  caccia; Un  altro  da  traverso  il  legno  aggira, E  ciascun  pur  naufragio  gli  minaccia. Quel  che  siede  al  governo,  alto  sospira Pallido  e  sbigottito  nella  faccia; E  grida  invano,  e  invan  con  mano  accenna Or  di  voltare,  or  di  calar  V  antenna. 1 1  Ma  poco  il  cenno,  e  '1  gridar  poco  vale:Tolto  è'I  veder  dalla  piovosa  notte. La  voce,  senza  udirsi,  in  aria  sale, In  aria  che  feria  con  maggior  botte De'  naviganti  il  grido  universale, E'I  fremito  dell'onde  insieme  rotte: E  in  prora  e  in  poppa  e  in  ambedue  le  bande Non  si  può  cosa  udir,  che  si  comande. Ì2 Dalla  rabbia  del  vento  che  si  fende Nelle  ritorte,  escono  orribil  suoni. Di  spessi  lampi  l'aria  si  raccende; Risuoua  '1  ciel  di  spaventosi  tuoni. V  è  chi  corre  al  timon,  chi  remi  prende; Van  per  uso  agli  uflìcj  a  che  son  buoni: Chi  s' affatica  a  sdorre  e  chi  a  legare; Vota  altri  l'acqua,  e  toma  il  mar  nel  marj 13 Ecco  stridendo  l'orribil  procella Che'l  repentin  furor  di  Borea  spinge, La  vela  coutra  l'arbore  flagella: Il  mar  si  leva,  e  quasi  il  cielo  attinge. Frangonsi  i  remi;  e  di  fortuna  fella Tanto  la  rabbia  impetuosa  stringe, Che  la  prora  si  volta,  e  verso  1'  onda fa  rimaner  la  disarmata  sponda. 14    Tutta  sotto  acqua  va  la  destra  banda, E  sta  per  riversar  di  sopra  il  fondo. Ognun,  gridando,  a  Dio  si  raccomanda; Che  più  che  certi  son  gire  al  profondo. D' uno  in  un  altro  mal  Fortuna  manda:Il  primo  scorre,  e  vien  dietro  il  secondo. Il  legno  vinto  in  più  parti  si  lassa, E  dentro  l'inimica  onda  vi  passa. Stanza  15. 15  Muove  crudele  e  spaventoso  assalto Da  tutti  i  lati  il  tempestoso  verno. Veggon  talvolta  il  mar  venir  tan t'aito, Che  par  ch'arrivi  insin  al  ciel  superno. Talor  fan  sopra  l'onde  in  su  tal  salto, Ch'  a  mirar  giù  par  lor  veder  lo  'nferno. 0  nulla  0  poca  speme  è  che  conforte; E  sta  presente  inevitabil  morte.  16  Tutta  la  notte  per  diverso  mare Scorsero  errando  ove  caccioUi  il  vento; Il  fiero  vento  che  dovea  cessare Nascendo  il  giorno,  e  ripigliò  augumcnto. Ecco  dinanzi  un  nudo  scoglio  appare: Voglion  schivarlo,  e  non  v'hanno  argumento. Li  porta,  lor  mal  grado,  a  quella  via Il  crudo  vento  e  la  tempesta  ria. 17    Tre  volte  e  quattro  il  pallido  nocchiero Mette  vigor,  perchè '1  timon  sia  volto, E  trovi  più  sicuro  altro  sentiero; Ma  quel  si  rompe,  e  poi  dal  mar  gli  è  tolto. Ha  si  la  vela  piena  il  vento  fiero, Che  non  si  può  calar  poco  né  molto: Né  tempo  han  di  riparo  o  di  consiglio; Che  troppo  appresso  è  quel  mortai  periglio. 20    Del  mare  al  fondo;  e  seco  trawe  quanti Lasciaro  a  sua  speranza  il  maggior  leaa. Allor  sudi  con  dolorosi  pianti Chiamar  soccorso  dal  celeste  regno:Ma  quelle  voci  andaro  poco  innanti, Che  venne  il  mar  pien  d'ira  e  di  dis legno  . E  subito  occupò  tutta  la  via Onde  il  lamento  e  il  flebil  grido  uscìa. 18    Poiché  senza  rimedio  si  comprende La  irreparabil  rotta  della  nave, Ciascuno  al  suo  privato  utile  attende, Ciascun  salvar  la  vita  sua  cura  Ave. Chi  può  più  presto  al  palischermo  scende; la  quello  è  fatto  subito  sì  grave Per  tanta  gente  che  sopra  v'  abbonda, Che  poco  avanza  a  gir  sotto  la  sponda. 21    Altri  laggiù,  senza  apparir  più,  resta; Altri  risorge,  e  sopra  Tonde  sbalza: Ohi  vien  nuotando,  e  mostra  fuor  la  testa: Chi  mostra  un  braccio,  e  chi  una  gamba  scalza. Ruggier,  che  '1  minacciar  della  tempesta Temer  non  vuol,  dal  fondo  al  sommo  s'alza, E  vede  il  nudo  scoglio  non  lontano, Ch'egli  e  i  compagni  avean  fnggito  invano. 4 Stanza  19. 19    Ruggier  che  vide  il  comite  e'I  padrone E  gli  altri  abbandonar  con  fretta  il  legno, Come  senz'arme  si  trovò  in  giubbone, Campar  su  quel  battei  fece  disegno; Ma  lo  trovò  sì  carco  di  persone, E  tante  venner  poi,  che  Tacque  il  segno Passaro  in  guisa,  che  per  troppo  pondo Con  tutto  il  carco,  andò  il  legnetto  al  fondo; 22    Spera,  per  forza  di  piedi  e  di  braccia Nuotando,  di  salir  sul  lito  asciutto. Soffiando,  viene,  e  lungi  dalla  faccia L'onda  respinge  e  l'importuno  flutto. Il  vento  intanto  e  la  tempesta  caccia Il  legno  vóto,  e  abbandonato  in  tutto Da  quelli  che  per  lor  pessima  sorte Il  disio  di  campar  trasse  alla  morte. 23    Oh  fiillace  degli  uomini  credenza! Campò  la  nave  che  dovea  perire; Quando  il  padrone  e  i  galeotti  senza Governo  alcun  l'avean  lasciata  gire. Parve  che  si  mutasse  di  sentenza Il  vento,  poi  che  ogni  uom  vide  fuggire: Fece  che  '1  legno  a  miglior  via  si  torse, Né  toccò  terra,  e  in  sicura  onda  corse. 29    E  perchè  gli  facean  poco  mestiero L'arme  (ch'era  inviolabile  e  affatato), Contento  fu  che  l'avesse  Oliviero; Il  brando  no,  che  sei  pose  egli  a  lato: A  Braudiraarte  consegnò  il  destriero. Cosi  diviso  ed  ug:ualmente  dato Volse  che  fosse  a  ciaschedun  compagno, Ch'insieme  si  trovar,  di  quel  guadagno. 24  E dove  col  nocchier  tenne  via  incerta, Poi  che  non  l'ebbe,  andò  in  Africa  al  dritto, E  venne  a  capitar  pres?o  a  Biserta Tre  miglia  o  due,  dal  lato  verso  Egitto; E  nell'arena  sterile  e  deserta Kestò,  mancando  il  vento  e  l'acqua,  fitto. Or  quivi  sopravvenne,  a  spasso  andando, Come  di  sopra  io  vi  narrava,  Orlando. 25  E  disioso  di  saper,  se  fiisse La  nave  sola,  e  fusse  o  vota  o  carca. Con  Brandiraarte  a  quella  si  condusse, E  col  cogimto,  in  su  una  lieve  barca. Poi  che  sotto  coverta  s'introdusse, Tutta  la  ritrovò  d'uomini  scarca: Vi  trovò  sol  Frontino  il  buon  destriero. L'armatura  e  la  spada  di  Ruggiero; 26  Di  cui  fu  per  campar  tanta  la  fretta, Ch'a  tor  la  spada  non  ebbe  pur  tempo. Conobbe  quella  il  Paladin,  che  detta Fu  Baliwrda,  e  che  già  sua  fu  un  tempo. So  che  tutta  l'istoria  avete  letta, Cume  la  tolse  a  Fallerina,  al  tempo Che  le  distrusse  anco  il  giardiu  sì  bello, E  come  a  lui  poi  la  rubò  Brunello; 27  E  come  sotto  il  monte  di  Csrena Brunel  ne  fé' a  Rnggier  libero  dono. Di  che  taglio  ella  fosse  e  di  che  schena, N'avea  già  fatto  esperimento  buono; Io  dico  Orlando;  e  peiò  n'ebbe  piena Letizia,  e  ringrazionne  il  sommo  Trono; E  si  credette  (e  spesso  il  disse  dopo) Che  Dio  gliela  mandasse  a  si  grande  uopo: S8    A  si  grande  uopo,  quant'era,  dovendo Condursi  col  Signor  di  Sericana; Ch'oltre  che  di  valor  fosse  tremendo, Sapea  ch'avea  Baiardo  e  Durindana. L'altra  armatura,  non  la  conoscendo, Non  apprezzò  per  cosa  si  soprana, Come  chi  ne  fé' prova;  apprezzò  quella, Per  buona  sì,  ma  per  più  ricca  e  bella. >/stanza  22. 30  Pel  di  della  battaglia  ogni  guerriero Studia  aver  ricco  e  nuovo  abito  indosso. Orlando  ricamar  fa  nel  quartiero L'alto  Babel  dal  fùlmine  percosso. Un  can  d'argento  aver  vuole  Oliviero, che  giaccia,  e  che  la  lassa  abbia  sul  dosso, Con  un  motto  che  dica: Finché  vegna:E  vuol  d'oro  la  veste,  e  di  sé  degna. 31  Fece  disegno  Brandimarte,  il  giorno Della  battaglia,  per  amor  del  padre E  per  suo  onor,  di  non  andare  adomo Se  non  di  sopravveste  oscure  et  adre. Fiordiligi  le  fé' con  fregio  intorno Quanto  più  seppe  far,  belle  e  leggiadre. Di  ricche  gemme  il  fregio  era  contesto: D'un  schietto  drappo,  e  tutto  nero  il  resto. 32    Fece  la  donna  di  sua  man  le  sopra Vesti  a  cui  l'arme  converrian  più  fine, De'quai  Tosbergo  il  cavalier  si  copra, E  la  groppa  al  cavallo  e  U  petto  e  U  criin. Ma  da  quel  dì  che  cominciò  quest'opra, Continuando  a  quel  che  le  die  fine, E  dopo  ancora,  mai  segno  di  riso Far  non  potè,  né  d'allegrezza  in  viso. 83    Sempre  ha  timor  nel  cor,  sempre  tormento, Che  Brandimarte  suo  non  le  sia  tolto. Già  l'ha  veduto  in  cento  lochi  e  cento In  gran  battaglie  e  perigliose  avvolto; Né  mai,  come  ora,  simi'e  spavento Le  agghiacciò  il  sangue  e  impallidille  il  volto. E  questa  novità  d'aver  timore Le  fa'  tremar  di  doppia  tema  il  core. 34    Poi  che  son  d'arme  e  d'ogni  arnese  in  punto. Alzano  al  vento  i  cr.valier  le  vele. Astolfo  e  Sansonetto  con  l'assunto Riman  del  grand'esercito  fedele. Fiordiligi  col  cr  di  timor punto,Empiendo  il  ciel  di  voti  e  di  querele, Quanto  con  vista  seguitar  le  puotc, Segue  le  vele  in  alto  mar  remote. 85    Astolfo  a  gran  fatica  e  Sansonetto   Potè  levarla  da  mirar  nell' onda, E  ritrarla  al palagio,ove  sul  letto La  lasciaro  affannata  e  tremebonda. Portava  intanto  il  bel  numero  eletto Dei  tre  buon  cavalier  l'aura  seconda. Andò  il  legno  a  trovar  l'isola  al  dritto, Ove  far  si  dovea  tanto  conflitto. Stanza  46. 36  Sceso  nel  lito  il  Cavalier  d'Anglante, Il  cognato  Oliviero  e  Brandimarte, Col  padiglione  il  lato  di  Levante Primi  occupar;  né  forse  il  fér  senz'arte. Giunse  quel  dì  medesimo  Agramante E  s' accampò  dalla  contraria  parte; Ma  perchè  molto  era  inchinata  l'ora, Differir  la  battaglia  nell'aurora. 37  Di  qua  e  di  là  sin  alla  nuova  luce Stanno  alla  guardia  i  servitori  armati. La  sera  Brandimarte  si  conduce Là  dove  i  S.\racin  sono  alloggiati, E  parla,  con  licenzia  del  suo  duce, Al  Re  african,  ch'amici  erano  stati; E  Brandimarte  già  cpn  la  bandiera Del  re  Agramante  in  Francia  passato  era. 38  Dopo  i  saluti  e  '1  giunger  mano  a  mino. Molte  ragion,  sì  come  amico,  disse Il  fedel  Cavai iero  al  Re  pagano, Perchè  a  questa  battasflia  non  venisse:E  di  riporgli  ogni  cittade  in  mano, Che  sia  tra  '1  Nilo  e  '1  segno  eh'  Ercol  fise. Con  volontà  d'Orlando  gli  offeria, Se  creder  volea  al  Figlio  di  Maria. 39  Perché  sempre  v'ho  amato  ed  amo  molto, Questo  consiglio,  gli  dicea,  vi  dono; E  quando  già,  Signor,  per  me  V  ho  tolto, Creder  potete  ch'io  l'estimo  buono. Cristo  conobbi  Dio,  Maumette  stolto; E  bramo  voi  por  nella  via  in  eh'  io sono:Nella  via  di  salute,  Signor,  bramo Che  siate  meco,  e  tatti  gli  altri  ch'amo. 40    Qui  consiste  il  ben  vostro;  né  consiglio Altro  potete  prender,  che  vi  vaglia; E  men  di  tutti  gli  altri,  se  col  figlio Di  Milon  vi  mettete  alla  battaglia: Che  il  guadagno  del  vincere  al  perìglio Della  perdita  grande  non  si  agguaglia. Vincendo  voi,  poco  acquistar  potete: Ma  non  perder  già  poco,  se  perdete. 41 Quando  uccidiate  Orlando,  e  noi  venuti Qui  per  morire  o  vincere  con  lui, Io  non  veggo  per  questo  che  i  perduti Dominj  a  racquistar  sabbian  per  vui. Ne  dovete  sperar  che  si  si  muti Lo  stato  delle  cose,  morti  nui, Ch'uomini  a  Carlo  manchino  da  porre Quivi  a  guardar  fin  all'estrema  torre. stanza  40. 42     Così  parlava  Brandimarte,  ed  era Per  soggiungere  ancor  molte  altre  cose; Ma  fu  con  voce  irata  e  faccia  altiera Dal  Pagano  interrotto,  che  rispose: Temerità  per  certo  e  pazzia  vera È  la  tua,  e  di  qualunque  che  si  pose A  consigliar  mai  cosa  o  buona  o  ria. Ove  chiamato  a  consigliar  non  sia. 43     E  che  U  consiglio  che  mi  dai,  proceda Da  ben  che  m'hai  voluto,  e  vuommi  ancora, Io  non  so,  a  dir  il  ver,  come  io  tei  creda Quando  qui  con  Orlando  ti  veggo  ora. Crederò  ben,  tu  che  ti  vedi  in  preda Di  quel  dragon  che  l'anime  divora, Che  brami  teco  nel  dolore  eterno Tutto  '1  mondo  poter  trarre  all' Inferno. 44  Ch'io  vinca  o  perda,  o  debba  nel  mio  regno Tornare  antiquo,  o  sempre  stame  in  bando, In  mente  sua  n'  ha  Dio  fatto  disegno, Il  qual  né  io,  né  tu,  né  vede  Orlando. Sia  quel  che  vuol,  non  potrà  ad  atto  indegno Di  Re  inchinarmi  mai  timor  nefando. S'io  fossi  certo  di  morir,  vo' morto Prima  restar,  ch'ai  sangue  mio  far  torto. 45  Or  ti  puoi  ritornar;  che  se  migliore Non  sei  dimani  in  questo  campo  armato, Che  tu  mi  sia  paruto  oggi  oratore, Mal  troverassi  Orlando  accompagnato; Queste  ultime  parole  usciron  fuore Del  petto  acceso  d'Agramante  irato. Ritornò  Puno  e  T altro,  e  ripososse Finché  del  mar  il  giorno  uscito  fosse. 46  Nel  biancheggiar  della  nuova  alba,  firmati E  in  un  momento  fiir  tutti  a  cavallo. Pochi  sermon  si  son  tra  loro  usati:Non  vi  fu  indugio,  non  vi  fu  intervallo; Che  i  ferri  delle  lance  hanno  abbassati. Ma  mi  parria,  Signor,  far  troppo  fallo, Se,  per  voler  di  costor  dir,  lasciassi Tanto  Ruggier  nel  mar,  che  v'affogassi. 47  II  giovinetto  con  piedi  e  con  braccia Percotendo  venia  Porribil  onde. Il  vento  e  la  tempesta  gli  minaccia: Ma  più  la  coscì'enzia  lo  confonde. Teme  che  Cristo  ora  vendetta  faccia; Che,  poiché  battezzar  nell' acque  monde, Quando  ebbe  tempo.,  sì  poco  gli  calse, Or  si  battezzi  in  queste  amare  e  salse. 48  Gli  ritornano  a  mente  le  promesse Che  tante  volte  alla  sua  donna  fece; Quel  che  giurato  avea  quando  si  messe Centra  Rinaldo  e  nulla  satisfece. A  Dio,  eh'  ivi  punir  non  lo  volesse, Pentito  disse  quattro  volte  e  diece; E  fece  voto  di  core  e  di  fede D'esser  Cristian,  se  ponea  in  terra  il  piede: 49  E  mai  più  non  pigliar  spada  né  lancia Contra  ai  Fedeli  in  aiuto  de' Mori; Ma  che  ritomeria  subito  in  Francia, E  a  Carlo  renderla  debiti  onori; Né  Bradamante  più  terrebbe  a  ciancia, E verria  a  fine  onesto  dei  suo' amori. Miracol  fti,  che  senti  al  fin  del  voto Crescersi  forza,  e  agevolarsi  il  nuoto. 50  Cresce  la  forza  e  l'animo  indefesso:Ruggier  percuote  l'onde  e  le  respinge. L'onde  che  seguon  V  una  all' altra  presso  . Di  che  una  il  leva,  un'altra  lo  sospinge. Cosi  montando  e  discendendo  spesso Con  gran  travaglio,  alfin  l'arena  attinge; E  dalla  parte  onde  s'inchina  il  colle Più  verso  il  mar,  esce  bagnato  e  molle. 51  Fur  tutti  gli  altri,  che  nel  mar  si  di?rii . Vinti  dall'onde  e  alfin  restar  nell'acque. Nel  solitario  scoglio  uscì  Ruggiero, Come  all'alta  Bontà  divina  piacque. Poi  che  fu  sopra  il  monte  inculto  e  fiero Sicur  dal  mar,  nuovo  timor  gli  nacque D'avere  esilio  in  sì  stretto  confine, E  di  morirvi  di  disagio  alfine. 52  Ma  pur  col  core  indomito,  e  costante Di  patir  quanto  é  in  ciel  di  lui  prescrìtto, Pei  duri  sassi  l'intrepide  piante Mosse,  poggiando  inver  la  cima  al  dritto. Non  era  cento  passi  andato  innante, Che  vide  d'anni  e  d'astinenzie  afflitto Uom  eh' avea  d'eremita  abito  e  segno, Di  molta  reverenzia  e  d'onor  degno; 53  Che,  come  gli  fu  presso,  Saulo,  Saulo, Gridò,  perché  perseguì  la  mia  Fede? (Come  allor  il  Signor  disse  a  san  Paulo, Che'l  colpo  salutifero  gli  diede). Passar  credesti  il  mar,  né  pagar  nanlo, E  defraudare  altrui  della  mercede. Vedi  che  Dio,  e'  ha  lunga  man,  ti  giunge, Quando  tu  gli  pensasti  esser  più  Innge. 54  E  seguitò  il  santissimo  Eremita, Il  qual  la  notte  innanzi  avuto  avea In  vision  da  Dio,  che  con  sua  aita Allo  scoglio  Ruggier  giunger  dovea E  di  lui  tutta  la  passata  vita, E  la  futura,  e  ancor  la  morte  rea, Figli  e  nipoti  ed  ogni  discendente Gli  avea  Dio  rivelato  interamente. 55  Seguitò  r  Eremita  riprendendo Prima  Ruggiero: e  alfin  poi  confortollo. Lo  riprendea  ch'era  ito difierendo Sotto  il  soave  giogo  a  porre  il  collo; E  quel  che  dovea  far,  libero  essendo, Mentre  Cristo  pregando  a  sé  chiamollo. Fatto  avea  poi  con  poca  grazia,  quando Venir  con  sferza  il  vide  minacciando. 56 Poi  confurtollo  che  non  niega  il  cielo, Tardi  o  per  tempo,  Cristo  a  chi  gliel  chiede; E  di  quegli  operari  del  Vangelo Narrò,  che  tutti  ebhono  ugual  mercede. Con  caritade  e  con  devoto  zelo Lo  venne  ammaestrando  nella  Fede Verso  la  cella  sua  con  lento  passo, Ch'  era  cavata  a  mezzo  il  duro  sasso. hS    Eran  degli  anni  ormai  presso  a  quaranta, Che  sullo  scoglio  il  fraticel  si  messe; Ch'a  menar  vita  solitaria  e  santa Luogo  opportuno  il  Salvator  gli  elesse. Di  frutte  còlte  or  d'una  or  d'altra  pianta, E  d'acqua  pura  la  sua  vita  resse, Che  valida  e  robusta  e  senz'affanno Era  venuta  all'ottantesimo  anno. Stanza  5a 59    Dentro  la  cella  il  vecchio  accese  il  fuoco, E  la  mensa  ingombrò  di  vari  frutti, Ove  si  ricreò  Ruggiero  un  poco, Poscia  ch'i  panni  e  i  capelli  ebbe  asciutti. Imparò  poi  più  ad  agio  in  questo  loco l'i  nostra  Fede  i  gran  misteri  tutti  j £d  alla  imra  fonte  ebbe  battesmo 11  di  seguente  dal  vecchio  medesmo. Stanza  60. 60    Secondo  il  luogo,  assai  contento  stava Quivi  Ruggier;  chè'l  luon  servo  di  Dio Fra  pochi  giorni  intnzion  gli  dava Di  rimandarlo  ove  più  avea  disio. Di  molte  cose  intanto  Mgionava Con  lui  sovente,  or  al  regno  di  Dio, Or  alli  propri  oasi  appertinenti, Or  del  suo  sangue  alle  future  genti. 57 Di  sopra  siede  alla  devota  cella Una  piccola  chiesa,  che  risponde All'oriente,  assai  comoda  e  bella; Di  sotto  un  bosco  scende  sin  all'onde, Di  lauri  e  di  ginepri  e  di  mortella, E  di  palme  fruttifere  e  feconde, Che  riga  sempre  una  liquida  fonte, Che  mormorando  cade  giù  dal  monte. 61    Avea  il  Signor,  che'l  tutto  intende  e  vede. Rivelato  al  santissimo  Eremita,Che  Ruggier  da  quel  dì  ch'ebbe  la  Fede, Dovea  sette  anni,  e  non  più,  stare  in  vita; Che  per  la  morte  che  sua  donna  diede A  Pinabel,  ch'a  lui  fia  attribuita. Saria,  e  per  quella  ancor  di  Bertolagi, Morto  dai  laganzesi  empi  e  malvagi:62    £  che  quel  tradimento  andrà  sì  occulto, Che  non  se  n'udirà  di  fuor  novella; Perchè  nel  proprio  loco  fia  sepulto, Ove  anco  ucciso  dalla  gente  fella: Per  questo  tardi  vendicato  ed  ulto Fia  dalla  moglie  e  dalla  sua  sorella: £  che  col  ventre  pieu  per  lunga  via Dalla  moglie  fedel  cercato  fia. 65    £  perchè  dirà  Carlo  in  latino:  Este Signori  qui,  quando  foragli  il  dono; Nel  secolo  futur  nominato  Este Sarà  il  hel  luogo  con  augurio  buono; E  così  lascerà  il  nome  d'Ateste Delle  due  prime  note  il  vecchio  suono. Avea  Dio  ancora  al  servo  suo  predetta Di  Ruggier  la  futura  aspra  vendetta: tigWi Stanza  61. 63  Fra  l'Adige  e  la  Brenta  appiè  de colli Ch'ai  troiano  Antenór  piacquero  tanto, Con  le  sulfuree  vene  e  rivi  molli, Con  lieti  solchi  e  prati  ameni  accanto, Che  con  l'alto  Ida  volentier  m atolli, Col  sospirato  Ascanio  e  caro  Xanto, A  partorir  verrà  nelle  foreste Che  son  poco  lontane  al  frigio  Ateste:64  £  ch'in  bellezza  ed  in  valor  cresciuto Il  parto  suo,  che  pur  Ruggier  fia  detto, £  del  sangue  troian  riconosciuto da  quei  Troiani,  in  lor  Signor  fia  eletto; £  poi  da  Carlo,  a  cui  sarà  in  aiuto Incontra  i  Longobardi  giovinetto, Dominio  giusto  avrà  del  bel  paese, £  titolo  onorato  di  Marchese. 66  Ch'in  visione  alla  fedel  consorte Apparirà  dinanzi  al  giorno  un  poco; £  le  dirà  chi  l'avrà  messo  a  morte   • £,  dove  giacerà,  mostrerà  il  loco: Ond'ella  poi  con  la  cognata  forte Distruggerà  Pontieri  a  ferro  e  a  fuoco; Né  farà  a'Maganzesi  minor  danni Il  figlio  suo  Ruggiero,  ov'  abbia  gli  anni. 67  D' Azzi,  d  Alberti,  d'Obici  discorso Fatto  gli  aveva,  e  di  lor  stirpe  bella, Insino  a  Niccolò,  Leonello,  Borso, Ercole,  Alfonso,  Ippolito  e  Isabella. Ma  il  santo  vecchio,  ch'alia  lingua  ha  il  morso. Non  di  quanto  egli  sa  però  favella: Narra  a  Ruggier  quel  che  narrar  convìensi; E  quel  ch'in  sé  de' ritener,  ritiensi. 68  In  questo  tempo  Orlando  e  Brandimarte £  '1  marchese  Olivier  col  ferro  basso Vanno  a  trovare  il  Saracino  Marte (Che  così  nominar  si  può  Gradasso), E  gli  altri  duo  che  da  contraria  parte Han  mosso  il  buon  destrier  più  che  di  passo; Io  dico  il  re  Agramante  e  '1  re  Sobrino:Rimbomba  al  cor?o  il  lito  e'I  mar  vicino. 69  Quando  allo  scontro  vengono  a  trovarsi, E  in  tronchi  vola  al  ciel  rotta  ogni  lancia, Del  gran  rumor  fu  visto  il  mar  gonfiarsi, Del  gran  rumor  che  s'udì  sino  in  Francia. Venne  Orlando  e  Gradasso  a  riscontrarsi; E  potea  stare  ugual  questa  bilancia, Se  non  era  il  vantaggio  di  Baiardo, Che  fé' parer  Gradasso  più  gagliardo. 70  Percosse  egli  il  destrier  di  minor  forza. Ch'Orlando  avea,  d'un  urto  così  strano, Che  lo  fece  piegare  a  poggia  e  ad  orza, E  poi  cader,  quanto  era  lungo,  al  piano. Orlando  di  levarlo  si  risforza Tre  volte  e  quattro,  e  con  sproni  e  con  mau">: E  quando  alfin  noi  può  levar,  ne  scende, Lo  scudo  imbraccia,  e  Balisarda  prende. 71  Scontrossi  col  Re  d'Africa  Oliviero; £  fur  di  quello  incontro  a  paro  a  paro. Brandimarte  restar  senza  destriero Fece  Sobrin,  ma  non  si  seppe  chiaro Se  v'ebbe  il  destrier  colpa,  o  il  cavaliero; Ch'avvezzo  era  cader  Sobrin  di  raro. 0  del  destriero,  o  suo  pur  fosse  il  fallo, Sobrin  si  ritrovò  giù  del  cavallo. 72  Or  Brandimarte,  che  vide  per  terra Il  re  Sobrin,  non  l'assalì  altrimente; Ma  contro  il  re  Gradasso  si  disserra, Ch'avea  abbattuto  Orlando  parimente. Tra  il  Slarchese  e  Agramante  andò  la  guerra Come  fu  cominciata  primamente; Poi  che  si  roppon  l'aste  negli  scudi, S'eran  tornati  incontro  a  stocchi  ignudi. Stanza  74. 73    Orlando,  che  Gradasso  in  atto  vede, Che  par  eh' a  lui tornar  poco  gli  caglia; Né  tornar  Brandimarte  gli  concede, lo stringe  e  tanto  lo  travaglia; Si  volge  intorno,  e  similmente  a  piede Vede  Sobrin  che  sta  senza  battaglia. Vèr  lui  s'avventa;  e  al  muover  delle  piante J?'a  il  ciel  tremar  del  suo  fiero  sembiante. 74    Sobrin,  che  di  tanto  uora  vede  l'assalto, Stretto  nell'arme  s'apparecchia  tutto: Come  nocchiero  a  cui  vegna  a  gran  salto Muggendo  incontra  il  minaccioso  flutto, Drizza  la  prora,  e  quando  il  mar  tant'alto salire,  esser  vorria  all'asciutto. Sobrin  lo  scudo  oppone  alla  mina Che  dalla  spada  vien  di  Fallerina. Sunza  78. 75  Di  tal  finezza  è  quella  Balisarda, Che  l'arme  le  puon  far  poco  riparo: In  man  poi  di  persona  si  gagliarda. In  man  d'Orlando,  unico  al  mondo  o  raro. Taglia  lo  scudo;  e  nulla  la  ritarda Perchè  cerchiato  sia  tutto  d'acciaro: Taglia  lo  scudo,  e  sino  al  fondo  fende, sotto  a  quello  in  su  la  spalla  scende. 76  Scende  alla  spalla;  e  perchè  la  ritrovi Di  doppia  lama  e  di  maglia  coperta, Non  vuol  però  che  molto  ella  le  giovi, Che  di  gran  piaga  non  la  lasci  aperta. Mena  Sobrin;  ma  indarno  è  che  si  provi Ferire  Orlando,  a  cui  per  grazia  certa il  Motor  del  cielo  e  delle  stelle, Che  mai  forar  non  se  gli  può  la  pelle, 77  Raddoppia  il  colpo  il  valoroso  Conte, E  pensa  dalle  spalle  il  capo  torgli. Sobrin  che  sa  il  valor  di  Chiaramonte, E  che  poco  gli  vai  lo  scudo  opporgli, S'arretra;  ma  non  tanto,  che  la  fronte Non  venisse  anco  Balisarda  a  còrgli. Di  piatto  fu,  ma  il  colpo  tanto  fello, Ch'ammaccò  l'elmo,  e  gl'intronò  il  cervello. 78  Cadde  Sobrin  del  fiero  colpo  in  terra, Onde  a  gran  pezzo  poi  non  è  risorto. Crede  finita  aver  con  lui  la  guerra Il  Paladino,  e  che  si  giaccia  morto; E  verso  il  re  Gradasso  si  disserra, Che  Brandimarte  non  meni  a  mal  porto: Chè'l  Pagan  d'arme  e  di  spada  l'avanza, E  di  destriero,  e  forse  di  possanza. V  f''' Stanza  85. 79  L'ardito  Brandimarte  in  su  Frontino, Quel  buon  destrier  che  di  Ruggier  fu  dianzi, Si  porta  cosi  ben  col  Saracino, Che  non  par  già  che  quel  troppo  l'avanzi; E  s'egli  avesse  osbergo  cosi  fino, Come  il  Pagan,  gli  starla  meglio  innanzi; Ma  gli  convien,  che  mal  si  sente  armato, Spesso  dar  luogo  or  d'uno  or  d'altro  lato. 80  Altro  destrier  non  è  che  meglio  intenda Di  quel  Frontino  il  cavillerò  a  cenno: Par  che,  dovunque  Durindana  scenda, Or  quinci  or  quindi  abbia  a  schivarla  senno. Agramante  e  Olivier  battaglia  orrenda Altrove  fanno,  e  giudicar  si  denno Per  duo  guenier  di  pari  in  arme  accorti, E  poco  differenti  in  esser  forti. 81  Avea  lasciato,  come  io  dissi,  Orhindo Sobrino  in  terra;  e  contra  il  re  Gradasso . Soccorrer  Brandimarte  disiando. Come  si  trovò  a  pie,  venia  a  gran  passo. Era  vicin  per  assalirlo,  quando Vide  in  mezzo  del  campo  andare  a  spasso Il  buon  cavallo  onde  Sobrin  fu  spinto; E  per  averlo,  presto  si  fu  accinto. 82  Ebbe  il  destrier,  che  non  trovò  contesa, E  levò  un  salto,  ed  entrò  nella  sella. Nell'una  man  la  spada  tien  sospesa, Mette  l'altra  alla  briglia  ricca  e  bella. Gradasso  vede  Orlando,  e  non  gli  pesa Ch'  a  lui  ne  viene,  e  per  nome  l'appella. Ad  esso  e  a  Brandimarte  e  all'altro  spera Far  parer  notte,  e  che  non  sia  ancor  sera. S'd    Voltasi  al  Conte,  e  Brandimarte  lassa, E  d'una  punta  lo  trova  al  camaglio:Fuorché  la  carne,  ogni  altra  cosa  pasa; Per  forar  quella  è  vano  ogni  travaglio. Orlando  a  un  tempo  Balisarda  abbassa: Non  vale  incanto  ov'ella  mette  il  taglio. L' elmo,  lo  scudo,  1'  osbergo  e  l'arnese . Venne  fendendo  in  giù  ciò  ch'ella  prese; 84  E  nel  volto  e  nel  petto  e  nella  coscia Lasciò  ferito  il  Re  di  Sericana, Di  cui  non  fu  mai  tratto  sangue,  poscia Ch'  ebbe  queir  arme: or  gli  par  cosa  strana Che  quella  spada  (e  n'ha  dispetto  e  angoscia) Le  tagli  or  si;  né  pur  é  Durindana. E  se  più  lungo  il  colpo  era  o  più  appreso, L'avria  dal  capo  insino  al  ventre  fésso 85  Non  bisogna  più  aver  nell' arme  fede, Come  avea  dianzi;  che  la  prova  è  fatta. Con  più  riguardo  e  più  ragion  procede, Che  non  solea;  meglio  al  parar  si  adatta. Brandimarte  ch'Orlando  entrato  vede, Che  gli  ha  di  man  quella  battaglia  tratta. Si  pone  in  mezzo  all'una  e  all'altra  pugna, Perchè  in  aiuto,  ove  è  bisogno,  gingna. 86  Essendo  la  battaglia  in  tale  istato, Sobrin,  eh'  era  giaciuto  in  terra  molto . Si  levò  poi  ch'in  sé  fu  ritornato; E  molto  gli  dolca  la  spalla  e  'l  volto. Alzò  la  vista,  e  mirò  in  ogni  Iato: Poi,  dove  vide  il  suo  Signor,  rivolto, Per  dargli  aiuto  i  lunghi  passi  torse Tacito  sì,  ch'alcun  non  se  u' accorse. 87    Vieu  dietro  "ad  Olivier,  che  tenea  gli  occhi Al  re  Affamante,  e  poco  altro  attendea; E  gli  feri  nei  deretin  ginocchi Il  deatrier  di  percossa  in  modo  rea, Che  senza  indugio  è  forza  che  trabocchi. Cade  Olivier;  nèl  piede  aver  potea, Il  manco  pie  ch'ai  non  pensato  caso Sotto  il  cavallo  in  staffa  era  rimaso. 91    Trovato  ha  Brandimarte  il  re  Agramante, E  cominciato  a  tempestargli  intorno:Or  con  Fronti n  gli  è  al  fianco,  or  gli  è  davante, Con  quel  Frontin  che  gira  come  un  torno. Buon  cavallo  ha  il  figliaol  di  Monodante; Non  l'ha  peggiore  il  re  di  Mezzogiorno:Ha  Brigliador  che  gli  donò  Ruggiero Poi  che  lo  tolse  a  Mandricardo  altiero. <' Stanza  87. 88  Sobrin  raddoppia  il  colpo,  e  di  riverso Gli  mena,  e  se  gli  crede  il  capo  torre; Ma  lo  vieta  V  acciar  lucido  e  terso, Che  temprò  già  Vulcan,  portò  già  Ettorre. Vede  il  periglio  Brandimarte,  e  verso Il  re  Sobrino  a  tutta  briglia  corre; E  lo  fere  in  sul  capo,  e  gli  dà  d'urto: Ma  il  fiero  vecchio  è  tosto  in  pie  risurto; 89  E  toma  ad  Olivier  per  dargli  spaccio, Sì  eh' espedito  all'altra  vita  vada; O  non  lasciare  almen  eh'  esca  d'impaccio, 2Ia  che  si  stia  sotto  il  cavallo  a  bada. Olivier  e'  ha  di  sopra  il  miglior  braccio, Sì  che  si  può  difender  con  la  spada, Di  qua  di  là  tanto  percuote  e  punge, Che,  quanto  è  lunga,  fa  Sobrin  star  lunge. 90  Spera,  s' alquanto  il  tien  da  sé  rispinto, In  poco  spazio  uscir  di  quella  pena. Tutto  di  sangue  il  vede  molle  e  tinto, E  che  ne  versa  tanto  in  su  l'arena, Che  gli  par  eh'  abbia  tosto  a  restar  vinto:Debole  è  si,  che  si  sostiene  a  pena. Fa  per  levarsi  Olivier  molte  prove. Né  da  dosso  il  destrìer  però  si  muove. 92  Vantaggio  ha  beuB  assai  dell' armatura; A  tutta  prova  Pha  buona  e  perfetta. Brandimarte  la  sua  tolse  a  ventura, Qual  potè  avere  a  tal  bisogno  in  fretta: Ma  sua  animosità  si  V  assicura, Ch'  in  miglior  tosto  di  cangiarla  aspetta:Come  che'l  Re  african  d'aspra  percossa La  spalla  destra  gli  avea  fatta  rossa, 93  E  serbi  da  Gradasso  anco  nel  fianco Piaga  da  non  pigliar  però  da  gioco. Tanto  l'attese al  varco  il  guerrier  franco. Che  di  cacciar  la  spada  trovò  loco. Spezzò  lo  scudo,  e  ferì  il  braccio  manco, E  poi  nella  man  destra  il  toccò  un  poco. Ma  questo  un  scherzo  si  può  dire  e  un  spasso Verso  quel  che  fa  Orlando  e  '1  re  Gradasso. stanza  88. 94    Gradasso  ha  mezzo  Orlando  disarmato; L'elmo  gli  ha  in  cima  e  da  dui  lati  rotto; E  fattogli  cader  lo  scudo  al  prato, Osbergo  e maglia  apertagli  di  sotto: Non  l'ha  ferito  già;  ch  era  affatato. Ma  il  Paladino  ha  lui  peggio  condotto: In  faccia,  nella  gola,  in  mezzo  il  petto L'ha  ferito,  oltre  a  quel  che  già  v'ho  detto. 95    Gradasso  disperato,  che  si  vede Del  proprio  sangue  tutto  molle  e  brutto, E  ch'Orlando  del  suo  dal  capo  al  piede Sta  dopo  tanti  colpi  ancora  asciutto; Leva  il  brando  a  due  mani,  e  ben  si  crede Partirgli  il  capo,  il  petto,  il  ventre  e'I  tutto; E  appunto,  come  vuol,  sopra  la  fronte Percuote  a  mezza  spada  il  fiero  Conte. 100    Padre  del  elei,  dà  fra  gli  eletti  tuoi Spiriti  luogo  al  martir  tuo  fedele. Che  giunto  al  fin  de' tempestosi  suoi Viaggi,  in  porto  ormai  lega  le  vele. Ah  Durindana,  dunque  esser  tu  puoi Al  tuo  signore  Orlando  sì  crudele, che  la  più  grata  compagnia  e  più  fida Ch'egli  abbia  al  mondo,  innanzi  tu  gli  ncdda? 96  E  s' era  altro  eh'  Orlando,  l'avria  fatto; L'avria  sparato  fin  sopra  la  sella:Ma,  come  colto  l'avesse  di  piatto, La  spada  ritornò  lucida  e  bella. Della  percossa  Orlando  stupefatto. Vide,  mirando  in  terra,  alcuna  stella. Lasciò  la  briglia,  e 'I  brando  avria  lasciato; Ma  di  catena  al  braccio  era  legato. 97  Del  suon  del  colpo  fu  tanto  smarrito Il  corridor  eh'  Orlando  avea  sul  dorso, Che  discorrendo  il  polveroso  lito, Mostrando  già  quanto  era  buono  al  corso. Della  percossa  il  Conte  tramortito. Non  ha  valor  di  ritenergli  il  morso Segue  Gradasso,  e  l'avria  tosto  giunto, Poco  più  che  Ba lardo  avesse  punto. 98  Ma  nel  .voltar  degli  occhi,  il  re  Agramantc Vide  condotto  all' ultimo  periglio; Che  nell'elmo  il  figliuol  di  Monodante Col  braccio  manco  gli  ha  dato  di  piglio, E  gliel'ha  dislacciato  già  davante, E  tenta  col  pugnai  nuovo  consiglio; Né  gli  può  far  quel  Re  difesa  molta, Perchè  di  man  gli  ha  ancor  la  spada  tolta. f9    Volta  Gradasso,  e  più  non  segue  Orlando; Ma,  dove  vede  il  re  Agramante,  accorre. L'incauto  Brandimarte,  non  pensando Ch'Orlando  costui  lasci  da  sé  tórre. Non  gli  ba  né  gli  occhi  né  '1  pensiero,  instando Il  coltel  nella  gola  al  Pagan  porre. Giunge  Gradasso,  e  a  tutto  suo  potere Con  la  spada  a  due  man  l'elmo  gli  fere. Stanza  97. 101    Di  ferro  un  cerchio  grosso  era  duo  dita Intorno  all'elmo,  e  fu  tagliato  e  rotto Dal  gravissimo  colpo,  e  fu  partita La  culfia  dell'acciar  ch'era  di  sotto. Brandimarte  con  faccia  sbigottita Giù  del  destrier  si  riversò  di  botto; E  fuor  del  capo  fé' con  larga  vena Correr  di  sangue  un  fiume  in  su  l'arena. 102    II  Conte  .si  risente,  e  gli  occhi  gira. Ed  ha  il  suo  Brandimarte  in  terra  scorto; E  sopra  in  atto  il  Serican  gli  mira, Che  ben  conoscer  può  che  glie  T  ha  morto. Non  so  se  in  lui  potè  più  il  duolo  o  l'ira; Ma  da  piangere  il  tempo  avea  sì  corto, Che  restò  il  duolo,  e  Tira  uscì  più  in  fretti". Ma  tempo  è  omai  che  fine  al  Canto  io  metta. NOTE. St.  2.  V.1.   L'almo  liquor,  ecc.  Intendesi  il  vino dato  da  Bacco  ad  Icaro,  e  più  comunemente  Icario,  fi glio di  Ebaio  re  di  Laconia.  Qaesti  ne  fece  bere  ai  suoi mietitori,  i  quali  ne  divennero  ubbrlachi;  e  creden dosi da  lui  avvelenati.  Io  gettarono  in  un  pozzo,'dove morì.   V.6.  Celti  e  Boi:  popoli  delle  Gallie,  che  ade scati dalla  bontà  delle  frutta,  e  segnatamente  del  vino d'Italia,  passarono  le  Alpi  e  posero  sede  nella  Peni sola. St.  9.  V.67.   Mugliando  sopra  il  mar  va  il  gregge bianco.  I  mostri  marini  van  mugliando,  ecc.,  detti  bian chi perchè  classificati  tra  i  pesci,  e  gregge,  psrchè diti  in  guardia, secondo  le  favole,  e  condotti  dal  dio Pioteo. St.  19.  V.1.   IZ  cornile  e  H  padrone.  Nelle  galere dicevasi  comite  o  cornilo  il  basso  uffiziale  che  soprav veglia  alla  ciurma,  e  ordina  le  manovre.  Padrone  cbia mavasi  il  capitano  dei  minori  navigli. St.  26.  V.5.   .Sto  cJì  tutta  l'istoria  avete  letta.  Al Canto  XVII,  lib  I,  dell'Orbando  7/ma morato  del  Boiardo. St.  '28.  V.5.   Laltra  armatura,  ecc.  Ruggiero  aveva conquistata  l'armatura  d'Ettore  Troiano,  figliuolo  di Priamo,  portata  da  Mandricardo.  Vedi  Canto  XXX,  St.  74. St.  36.  V.24.   Brandimarte:  Costei  em  venuta  in Francia  ad  .\rdenna  con  Ruggiero,  Giadasso  e  Mandri cardo per  liberare  Orlando,  ch'era  tenuto  allacciato  da gli incanti  di  Atlante.  Vedi  Semi,  Canto  LXVI,  St.  14, e  Canto  LXVII,  St.  17,  7  e  segj.    liè  forse  il  fèr Sem arte:  perchè  era  gran  vantaggio  che  il  sole,  na scendo dietro  le  loro  spalle,  battes.se  in  faccia  i  nemici St.  .38.  v.'ò.   Il  fedel  cavaliero,  ecc.  Brandimarte era  stato  battezzato  da  Orlando,   trovandosi  amendue prigioni  di  Monodante.  Berni,  Orlando  IiinamoratOf Canto  XLI,  Stanza  11. St.  43.  V.6.   Di  quel  dragon: del  dem(Tnio. St.  53.  V.5.   Naulo  (o  più  comunemente  nolo)  ciò che  si  paga  per  fare  un  viaggio  marittimo.  Qui  il  naulo che  Dio  fa  paga  a  Ruggiero  per  quel  tragitto,  è  il naufragio,  qual  gastigo  del  recalcitrare  di  lui  alle  di vine chiamate. St.  63.  V.13.   Fra  V Adige  e  la  Brenta:  fiumi  che limitano  il  territorio  di  Padova  da  mezzogiorno  a  settentrione.  Al  troiano  Antenòr  piacquero  tanto.  Se guita r  opinione  che  Antenore  fuggitivo  da  Troia  ve nisse in  Italia,  e  vi  fondasse  Padova.   Lealtà  Ida: montagna  di  Frigia,  non  lungi  da  Troia.   Ascanio: nome  di  lago  e  fiume  nell  i  Misia,  soggetta  al  re  Priamo.  Xanto,  0  Scamandro,  fiumicello  vicino  a  Troia.  Al  frigio  Ateste:  nome  antico  del  castello  d'Este  sul padovano;  e  il  Poeta  Io  dicefriglOt  perchè  in  que'  tempi credevasi  fabbricato  dai  Troiani. St.  65.  v.6.   Delle  due  prime  note:  dell'A  e  del  T, che  sono  le  due  prime  lettere  della  parola  Ateste.  Gl'im peratori, quando  a  rimeritare  alcuno  de'  loro  seguaci  o capitani  voleano  costituirlo  signore  di  qualche  luogo, dicevano  in  latino:  Este  hic  domini,  cioè  siate  qui  si onori.  Or  quando  Carlo  Magno  donò  a  Ruggiero  l'antico castello  di  Ateste,  dovette  pure  pronunciare  tali  parole. E  da  questo  costume  e  dal  nome  del  suddetto  castello, l'Ariosto,  puntualmente  seguendo  i  Cronisti  originò  il cognome  dei  duchi  di  Ferrara. St.  83.  y.  2.   E  d'una  punta  lo  trova:  lo  colpisce, lo  percuote.   Camaglio:  parte  dell'armatura  che  di fende il  collo. XLII. Il  combattimento  in  Lampedusa  ttuwec  con  la  morte  di  Qn dasso  e  di  Aframanto,  uccisi  per  mano  d'Orl&tido,  eh(c)  con fliTva  in  vita  Jobnno  Bnidamaiito  ai  accora  pel  rilanJo  di RtiSgicro;  e  Rinaldo,  oll'andare  in  traccia  il'Attglic",  trOT" crii  lo  gtiarice  dairainOLOsa  piscione.  iQC&mmtEiatosì  quindi juH  raggi u(ij;jti re  tarlando,  s' imbatto  in  an  cavallerìe  ehfl  la accoglie  in  un  magni  Itco  palazzo  ornato  di  aiatQe  rapiirefcn tanti  varie  do  a  uè  Kilenii;  ed  Ivi  T  oapite  gli  propoite  om mnàtù  onik  c[:rti  Scarsi  sulla  fedeltà  della  moglie. 1      Qiml  duro  freno,  o  qnal  hnìgno  nodo, Qimi,  s'  e4ser  può,  catena  di  diaìnante Farà  che  V  ira  servi  ordine  e  modo, Che  non  trascorra  oltre  al  prescrìtto  innante, Quando  persona,  che  con  saldo  chiodo T abbia  già  fìssa  Amor  nel  cor  costante, Tu  vegga  o  per  violenzia  o  per  inganno Patire  o  disonor  o  mortai  danno?E  8  a  cradel,  sad  inumano  effetto Quell'impeto  talor  P animo  svia, escusa;  perchè  allor  del  petto Non  ha  ragione  imperio  né  balia. Achille,  poi  che  sotto  il  falso  elmetto Vide  Patroclo  insanguinar  la  via, D'uccider  chi  l'uccise  non  fu  sazio, Se  noi  traea,  se  non  ne  facea  strazio. Invitto  Alfonso,  simile  ira  accese La  vostra  gente  il  di  che  vi  percosse La  fronte  il  grave  sasso,  e  si  v  offese, Ch'  ognun  pensò  che  l'alma  gita  fosse:L'accese  in  tal  furor,  che  non  difese Vostri  inimici  argini  o  mura  o  fosse, Che  non  fessine  insieme  tutti  morti, Senza  lasciar  chi  la  novella  porti. Il  vedervi  cader  causò  il  dolore Che  i  vostri  a  furor  mosse  e  a  crudeltade. S'eravate  in  pie  voi,  forse  minore Licenzia  avrian  ayute  le  lor  spade. Era  vi  assai,  che  la  Bastia  in  manche  ore V'aveste  ritornata  in  potestade, Che  tolta  in  giorni  a  voi  non  era  stata Da  gente  Cordovese  e  di  Granata. Forse  fu  da  Dio  vindice  permesso Che  vi  trovaste  a  quel  caso  impedito, Acciò  che  '1  crudo  e  scellerato  eccesso Che  dianzi  fatto  avean,  fosse  punito; Che,  poi  ch'in  lor  man  vinto  si  fu  messo Il  miser  Vestidel,  lasso  e  ferito, Senz'arme  fa  tra  cento  spade  ucciso Dal  popol  la  più  parte  circonciso. Ma  perch'  io  vo'  concludere,  vi  dico Che  nessun' altra  quell'ira  pareggia. Quando  Signor,  parente,  o  sozio  antico Dinanzi  agli  occhi  ingiuriar  ti  veggia. Dunque  è  ben  dritto,  per  sì  caro  amico, Che  subit'ira  il  cor  d'Orlando  feggia; Che  dell' orribil  colpo  che  gli  diede Il  re  Gradasso,  morto  in  terra  il  vede. Qual  nomade  pastor,  che  vedut'  abbia Fuggir  strisciando  l'orrido  serpente Che  il  figliuol,  che  giocava  nella  sabbia, Ucciso  gli  ha  col  venenoso  dente, Stringe  il  baston  con  collera  e  con  rabbia; Tal  la  spada,  d'ogn' altra  più  tagliente, Stringe  con  ira  il  cavalier  d'Anglante:Il  primo  che  trovò,  fu  il  re  Agramante, 8  Che  sanguinoso,  e  della  spada  privo, Con  mezzo  scudo,  e  con  l'elmo  disciolto, E  ferito  in  più  parti  ch'io  non  scrivo, S' era  di  man  di  Brandimarte  tolto, Come  di  pie  all' astor  sparvier  mal  vivo, A  cui  lasciò  alla  coda,  invido  o  stolto. Orlando  giunse,  e  messe  il  colpo  giusto Ove  il  capo  si  termina  col  busto. 9  Sciolto  era  l'elmo,  e  disarmato  il  collo,   che  lo  tagliò  netto  come  un  giunco. Cadde  e  die  nel  sabbion  l'ultimo  crollo Del  regnator  di  Libia  il  grave  tronco. Corse  lo  spirto  all' acque,  onde  tiroUo Caron  nel  legno  suo  col  graffio  adunco. Orlando  sopra  lui  non  si  ritarda, Ma  trova  il  Serican  con  Balisarda. 10  Come  vide  Gradasso  d'Agramante Cadere  il  busto  dal  capo  diviso; Quel  che  accaduto  mai  non  gli  era  innante, Tremò  nel  core,  e  si  smarrì  nel  viso: E  all' arrivar  del  cavalier  d'Anglante, Presago  del  suo  mal,  parve  conquiso. Per  schermo  suo,  partito  alcun  non  prese, Quando  il  colpo  mortai  sopra  gli  scese. 11  Orlando  lo  ferì  nel  destro  fianco Sotto  r  ultima  costa;  e  il  ferro,  immerso Nel  ventre,  un  palmo  uscì  dal  lato  manco, Di  sangue  sin  all'elsa  tutto  asperso. Mostrò  ben  che  di  man  fu  del  più  franco E  del  miglior  guerrier  dell' universo n  colpo  eh' un  Signor  condujse  a  morte, Di  cui  non  era  in  Paganìa  il  più  forte. 12  Di  tal  vittoria  non  troppo  gioioso, Presto  di  sella  il  Paladin  si  getta; E  col  viso  turbato  e  lagrimoso A  Brandimarte  suo  corre  a  gran  fretta. Gli  vede  intorno  il  campo  sanguinoso:L'elmo,  che  par  ch'aperto  abbia  un'accetta. Se  fosse  stato  firal  più  che  di  scorza, Difeso  non  l'avria  con  minor  forza. 13  Orlando  l'elmo  gli  levò  dal  viso, E  ritrovò  che  '1  capo  sino  al  naso Fra  r  uno  e  l'altro  ciglio  era  diviso:Ma  pur  gli  è  tanto  spirto  anco  rimaso, Che  de' suoi  falli  al  Re  del  Paradiso Può  domandar  perdono  anzi  l'occaso; E  confartar  il  Conte,  che  le  gote Sparge  di  pianto,  a  pazì'enzia  puote; 14  E  dirgli:  Orlando,  fa  che  ti  raccordi Di  me  neirorazion  tue  grate  a  Dio: Né  meu  ti  raccomando  la  mia  Fiordi.... Ma  dir  non  potè  ligi:  e  qui  finio. E  voci  e  Huoni  d'Angeli  concordi Tosto  in  aria  s' udir,  che  l'alma  uscio; La  qual,  disciolta  dal  corporeo  Telo, dolce  melodia  sali  nel  cielo. 15  Orlando,  ancorché  far  dovea  allegrezza Di  sì  devoto  fine,  e  sapea  certo Che  Brandimarte  alla  suprema  altezza Salito  era,  che  U  ciel  gli  vide  aperto; Pur  dair  umana  volontade,  avvezza Coi  fragil  sensimale  era  sofferto Ch'un  tal  più  che  fratel  gli  fosse  tolto, E  non  aver  di  pianto  umido  il  volto. 16    Sobrin  che  molto  sangue  avea  perduto, Che  gli  piovea  sul  fianco  e  sulle  gote, Riverso  già  gran  pezzo  era  cadalo, E  aver  ne  dovea  ormai  le  vene  vote Ancor  giacca  Olivier;  né  riavuto piede  avea,  né  riaver  lo  puote Se  non  ismosso,  e  dallo  star  che  tanto Gli  fece  il  destrier  sopra,  mezzo  infranto: Ì7    E  seU  cognato  non  venia  ad  aitarlo, Siccome  lacrimoso  era  e  dolente, Per  sé  medesmo  non  potea  ritrarlo. E  tanta  doglia  e  tal  martir  ne  sente, Che  ritratto  che  Tehbe,  né  a  mutarlo Né  a  fermarvisi  sopra  era  possente; E  n'ha  insieme  la  gamba  si  stordita, Che  muover  non  si  può,  se  non  si  aita. Stanza  9. 18  Della  vittoria  poco  rallegrosse Orlando;  e  troppo  gli  ea  acerbo  e  duro Veder  che  morto  Brandimarte  fosse. Né  del  cognato  molto  esser  sicuro. Sobrin  che  vivea  ancora,  ritrovosse. Ma  poco  chiaro  avea  con  molto  oscuro: Che  la  sua  vita  per  l'uscito  sangue Era  vicina  a  rimanere  esangue. 19  Lo  fece  tdr,  che  tutto  era  sanguigno. Il  Conte,  e  medicar  discretamente; E  confortollo  conparlar  benigno, Come  se  stato  gli  fosse  parente:Che  dopo  il  fatto  nulla  di  maligno In  sé  tenea,  ma  tutto  era  clemente. Fece  dei  morti  arme  e  cavalli  torre; I)el  resto  a' servi  lor  lasciò  disporre. 20  Qui  della  istoria  mia,  che  non  sia  vera, Federigo  Fulgoso  é  in  dubbio  alquanto; Che  con  Tarmata  avendo  la  riviera Di  Barberia  trascorsa  in  ogni  canto, Capitò  quivi,  e  Pisola  sì  fiera. Montuosa  e  inegual  ritrovò  tanto. Che  non  è,  dice,  in  tutto  il  luogo  strano Ove  un  sol  pie  si  possa  metter  piano: 21  Né  verisimil  tien  che  nell'alpestre Scoglio  sei  cavalieri,  il  fior  del  mondo, Potesson  far  quella  battaglia  equestre. Alla  quale  obiezion  così  rispondo: Ch'a  quel  tempo  una  piazza  delle  destre, Che  sieno  a  questo,  avea  lo  scoglio  al  fondo: Ma  poi,  eh'  un  sasso,  che  'l  tremuoto  aperse Le  cadde  sopra,  e  tutta  la  coperse. 22  Si  che,  0  chiaro  fulgor  della  Fnlgosa Stirpe.  0  serena,  o  sempre  viva  luce, Se  mai  mi  riprendeste  in  questa  cosa, E  forse  innanti  a  quello  invitto  Duce, Per  cui  la  vostra  patria  or  si  riposa, Lascia  ogni  odio,  e  in  amor  tutta  sMnduce; Vi  priego  che  non  siate  a  dirgli  tardo. Ch'esser  può  che  né  in  questo  io  sia  bugiardo. 23  In  questo  tempo,  alzando  gli  occhi  al  mare, Vide  Orlando  venire  a  vela  in  fretta Un  na villo  leggier,  che  di  calare Facea  sembiante  sopra  P  isoletta. Di  chi  si  fosse,  io  non  voglio  or  contare, Peic'  ho  più  d'uno  altrove  che  m' aspetta. Veggiamo  in  Francia,  poi  che  spinto  ne  hanno I  Saracin.  se  mesti  o  lieti  stanno. 24  Veggiam  che  fa  quella  fedele  amante, Che  vede  il  suo  contento  ir  si  lontano; Dico  la  travagliata  Bradamante, Poi  che  ritrova  il  giuramento  vano, Ch'avea  fatto  Ruggier  pochi  di  innante. Udendo  il  nostro  e  T  altro  stuol  pagano. Poi  chMn  questo  ancor  manca,  non  le  avanza In  chella  debba  più  metter  speranza: 25  E  ripetendo  i  pianti  e  le  querele, Che  pur  troppo  domestiche  le  furo. Tornò  a  sua  usanza  a  nominar  crudele Ruggiero,  e  U  suo  destin  spietato  e  duro. Indi  sciogliendo  al  gran  dolor  le  vele, II  Ciel  che  consentia  tanto  pergiuro, Né  fatto  n'avea  ancor  segno  evidente. Ingiusto  chiama,  debole  e  impotente. 26  Ad  accusar  Melissa  si  converse, E  maledir  Toracol  della  grotta; Cha  lor  mendace  suasion  s'immerse Nel  mar  d'Amore,  ov'è  a  morir  condotta. Poi  con  Marfisa  ritornò  a  dolerse Del  suo  fratel,  che  le  ha  la  fede  rotta; Con  lei  grida  e  si  sfoga,  e  le  domanda. Piangendo,  aiuto,  e  se  le  raccomanda. 27  Marfisa  si  ristringe  nelle  spalle, E,  quel  sol  che  può  far,  le  dà  conforto; Né  crede  che  Ruggier  mai  cosi  falle, Ch'  a  lei  non  debba  ritornar  di  corto; E  se  non  toma  pur,  sua  fede  dàlie, Ch'  ella  non  patirà  si  grave  torto; 0  che  battaglia  piglierà  con  esso, 0  gli  farà  osservar  ciò  e'  ha  promesso. 28    Così  fa  ch'ella  un  poco  il  duo!  raffrena; Ch'avendo  ove  sfogarlo,  è  meno  acerbo. Or  ch'abbiam  vista  Bradamante  in  pena. Chiamar  Ruggier  pergiuro,  empio  e  superbo: Veggiamo  ancor  se  miglior  vita  mena 11  fratel  suo  che  non  ha  polso  o  nerbo, Osso  0  medolla  che  non  senta  caldo Delle  fiamme  d'Amor; dico  Rinaldo: Stanza  27. 29  Dico  Rinaldo,  il  qual  (come  sapete) Angelica  la  bella  amava  tanto; Né  l'avea  tratto  all'amorosa  rete Si  la  beltà  di  lei,  come  l'incanto. Aveano  gli  altri  Paladin  quiete. Essendo  ai  Mori  ogni  vigore  affranto: tra  i  vincitori  era  rimase  solo Egli  captivo  in  amoroso  duolo. 30  Cento  messi  a  cercar  che  di  lei  fiisse Avea  mandato,  e  cerconne  egli  stesso. Alfine  a  Malagigi  si  ridusse. Che  nei  bisogni  suoi  V  aiutò  spesso. A  narrare  il  suo  amor  se  gli  condusse Col  viso  rosso  e  col  ciglio  dimesso. Indi  lo  priega  che  gF  insegui  dove La  desiata  Angelica  si  trove. 31    Gran  maraTiglia  di  si  strano  caso Va  rìfolgendo  a  Malagigi  il  petto. Sa  che  sol  per  Rinaldo  era  rimaso D'averla  cento  volte  e  più  nel  letto:Ed  egli  stesso,  acciò  che  persuaso Fosse  di  questo,  avea  assai  fatto  e  detto Con  prieghi  e  con  minacce  per  piegarlo; Né  mai  avuto  avea  poter  di  farlo: stanza  34. 32  E  tanto  più,  challor  Rinaldo  avrebbe Tratto  fuor  Malagigi  di  prigione. Fare  or  spontaneamente  lo  vorrebbe, Che  nulla  giova,  e  nha  minor  cagione: Poi  priega  lui,  che  ricordar  si  debbe Pfir  quanto  ha  offeso  in  questo  oltr' a  ragione; Che  per  negargli  già,  vi  mancò  poco Di  non  farlo  morire  in  scuro  loco. 33  Ma  quanto  a  Malagigi  le  domande Di  Rinaldo  importune  più  pareano; Tanto  che  l'amor  suo  fosse  più  grande, Indizio  manifesto  gli  faceano. I  prieghi  che  con  lui  vani  non  spande, Fan  che  subito  immerge  nell'oceano Ogni  memoria  della  ingiuria  vecchia, E  che  a  dargli  soccorso  s' apparcccliia. 34    Termine  tolse  alla  risposta,  e  spena Gli  die, che  favorevol  gli  saria: E  che  gli  saprà  dir  la  via  che  tiene Angelica,  o  sia  in  Francia,  o  dove  sii. E  quindi  Malagigi  al  luogo  viene, Ove  i  demonj  scongiurar  solia; Oh'  era  fra  monti  inaccessibil  grotta:Apre  il  libro,  e  gli  spirti  chiama  in  frotta. 35  Poi  ne  sceglie  un  che  de' casi  d'Amore Avea  notizia:  e  da  lui  saper  volle, Come  sia  che  Rinaldo,  eh' avea  il  core Dianzi  si  duro,  or  l'abbia  tanto  molle:E  di  quelle  due  fonti  ode  il  tenore, Di  che  l'una  dà  il  foco,  e  l'altra  il  toUe; E  al  mal  che  l'una  fa,  nulla  soccorre, Se  non  V  altr'  acqua  che  contraria  corre. 36  Et  ('de  come  avendo  già  di  quella. Che  l'amor  caccia,  bevuto  Rinaldo, Ai  lunghi  prieghi  d'Angelica  bella Si  dimostrò  cosi  ostinato  e  saldo: E  che  poi  giunto,  per  sua  iniqua  stella, A  ber  nell'altra  l'amoroso  caldo. Tornò  ad  amar,  per  forza  di  quelle  acque, Lei  che  pur  dianzi  oltr'il  dover  gli  spiacqae 87    Da  iniqua  stella  e  fier  destin  fu  giunto A  ber  la  fiamma  in  quel  ghiacciato  rivo; Perchè  Angelica  venne  quasi  a  un  punto A  ber  nell'altro  di  dolcezza  privo, Che  d'ogni  amor  le  lasciò  il  cor  si  emunto, Ch'  indi  ebbe  lui,  più  che  le  serpi,  a  schivo:Egli  amò  lei,  e  l'amor  giunse  al  sego In  ch'era  già  di  lei  l'odio  e  lo  sdegno. 38  Del  caso  strano  di  Rinaldo  a  pieno Fu  Malagigi  dal  demonio  instructo. Che  gli  narrò  d'Angelica  non  meno, Ch'a  un  giovine  african  si  donò  in  tutto; E  come  poi  lasciato  avea  il  terreno Tutto  d'Europa,  e  per  l'instabil  flutto Verso  India  sciolto  avea  dai  liti  ispani Su  l'audaci  galee  de' Catalani 39  Poi  che  venne  il  cugin  per  la  risposta, Molto  gli  dissuase  Malagigi Di  più  Angelica  amar,  che  s' era  posta D'un  vilissimo  Barbaro  ai  servigi; Ed  ora  si  da  Francia  si  discosta, Che  mal  seguir  se  ne  potria  i  vestigi: Ch'era  oggimai  più  là  ch'a  mezza  strada Per  andar  con  Medoro  in  sua  contrada.     . 40  La  partita  d'Angelica  non  molto Sarebbe  grave  air  animoso  amante; Né  pur  gli  avria  turbato  il  sonno,  o  tolto Il  pensier  di  tornarsene  in  Levante: Ma  sentendo  ch'avea  del  suo  amor  colto Un  Saracino  le  primizie  innante, Tal  passione  e  tal  cordoglio  sente, Che  non  fu  in  vita  sua  mai  più  dolente. 41  Non  ha  poter  d'una  risposta  sola; Triema  il  cor  dentro,  e  trieman  fuor  le  labbia; Non  può  la  lingua  disnodar  parola; La  bocca  ha  amara,  e  par  che  tosco  v'abbia. Da  Malagigi  subito  s'invola; E  come  il  caccia  la  gelosa  rabbia. Dopo  gran  pianto  e  gran  rammaricarsi, Verso  Levante  fa  pensier  tornarsi. 42  Chiede  licenzia  al  figlio  di  Pipino; E  trova  scusa,  che'l  destrier  Baiardo, Che  ne  mena  Gradasso  Saracino Contra  il  dover  di  cavalier  gagliardo, Lo  muove  per  suo  onore  a  quel  cammino, Acciò  che  vieti  al  Serican  bugiardo Di  mai  vantarsi  che  con  spada  o  lancia L'abbia  levato  a  un  paladin  di  Francia. 43  Lasciollo  andar  con  sua  licenzia  Carlo, Benché  ne  fu  con  tutta  Francia  mesto; Ma  finalmente  non  seppe  negarlo: Tanto  gli  parve  il  desiderio  onesto. Vuol  Dudon,  vuol  Guidone  alcompagnarlo; Ma  lo  niega  Rinaldo  a  quello  e  a  questo. Lascia  Parigi,  e  se  ne  va  via  solo, Pien  di  sospiri  e  d'amoroso  duolo. Stanza  45. 44  Sempre  ha  in  memoria,  e  mai  non  se  gli  toUe, Ch'averla  mille  volte  avea  potuto, E  mille  volte  avea,  ostinato  e  folle, Di  sì  rara  beltà  fatto  rifiuto; E  di  tanto  piacer,  eh'  aver  non  volle, Sì  bello  e  sì  buon  tempo  era  perduto; Ed  ora  eleggerebbe  un  giorno  corto Averne  solo,  e  rimaner  poi  morto. 45  Ha  sempre  in  mente,  e  mai  non  se  ne  parte. Come  esser  puote  eh' un  povero  fante Abbia  del  cor  di  lei  spinto  da  parte Merito  e  amor  d' ogni  altro  primo  amante. Con  tal  pensier,  che'l  cor  gli  straccia  e  parte, Rinaldo  se  ne  va  verso  Levante: E  dritto  al  Reno  e  a  Basilea  si  tiene, Finché  d'Ardenna  alla  gran  selva  viene. 46  Poi  che  fu  dentro  a  molte  miglia  andato Il  Paladin  pel  bosco avventuroso, Da  ville  e  da  castella  allontanato. Ove  aspro  era  più  il  luogo  e  periglioso. Tutto  in  un  tratto  vide  il  cìel  turbato, Sparito  il  Sol  tra  nuvoli  nascoso. Ed  uscir  fuori  d'una  caverna  oscura Un  strano  mostro  in  femminil  figura. 47  Mill'occhi  in  capo  avea  senza  palpebre; Non  può  serrarli,  e  non  credo  che  dorma: Non  men  che  gli  occLi,  avea  l'orecchie  crebre; Avea,  in  loco  di  crin,  serpi  a  gran  torma. Fuor  delle  diaboliche  tenèbre. Nel  mondo  uscì  la  spaventevol  forma. Un  fiero  e  maggior  serpe  ha  per  la  coda, Che  pel  petto  si  gira,  e  che  l'annoda. 48  Quel  ch  a  Rinaldo  in  mille  e  mille  imprese Più  non  avvenne  mai,  quivi  gli  avviene; Che  come  vede  il  mostro  eh' 11' offese Se  gli. apparecchia,  e  eh' a  trovar  lo  viene, Tanta  paura,  quanta  mai  non  scese In  altri  forse,  gli  entra  nelle  vene; Ma  pur  V  usato  ardir  simula  e  finge, E  con  trepida  man  la  spada  stringe. 49  S'acconcia  il  mostro  in  guisa  al  fiero  assalto, Che  si  può  dir  che  sia  mastro  di  guerra: Vibra  il  serpente  venenoso  in  alto, E  poi  centra  Rinaldo  si  disserra: Di  qna  di  là  li  vien  sopra  a  gran  salto. Rinaldo  centra  lui  vaneggia  ed  erra:Colpi  a  dritto  e  a  riverso  tira  assai:     Ma  non  ne  tira  alcun  che  fera  mai. Stanza  50. 52  Nel  più  tristo  sentier,  nel  peggior  calle Scorrendo  va,  nel  più  intricato  bosco, Ove  ha  più  aspreaza  il  balzo,  ove  la  valle È  più  spinosa,  ov'è  l'aer  più  foàco; Cosi  sperando  torsi  dalle  spalle Quel  brutto,  abbominoso,  orrido  tosco; J]  ne  sarla  mal  capitato  forse. Se  tosto  non  giungea  chi  lo  soccorse. 53  Ma  lo  soccorse  a  tempo  un  cavaliere Di  bello  armato  e  Incido  metallo, Che  porta  un  giogo  rotto  per  cimiero DI  rosse  fiamme  ha  pien  lo  scudo  giallo; Così  trapunto  il  suo  vestire  altiero, Così  la  sopravvesta  del  cavallo: La  lancia  ha  in  pugno,  e  la  spada  al  suo  loco, E  la  mazza  airarcion,  che  getta  foco. 54  Piena  d'un  foco  etemo  è  quella  mazza, Che  senza  consumarsi  ognora  avvampa:Né  per  buon  scudo,  o  tempra  di  corazza, 0  per  grossezza  d'elmo  se  ne  scampa. Dunque  si  debbe  il  cavalier  far  piazza, Giri  ove  vuol  l'inestinibil  lampa; Né  manco  bisognava  al  guerrier  nostro, Per  levarlo  di  man  del  crudel  mostro. 55  E  come  cavalier  d'animo  saldo. Ove  ha  udito  il  rumor,  corre  e  galoppa, Tanto  che  vede  il  mostro  che  Rinaldo Col  brutto  serpe  in  mille  nodi  aggroppa, E  sentir  fagli  a  un  tempo  freddo  e  caldo: Che  non  ha  via  di  torlosi  di  groppa. Va  il  cavaliere,  e  fere  il  mostro  al  fianco, E  lo  fa  traboccar  dal  lato  manco. 50    II  mostro  al  petto  il  serpe  ora  gli  appicca, Che  sotto  l'arme  e  sin  nel  cor  l'agliiaccia : Ora  per  la  visiera  gliele  ficca, E  fa  ch'erra  pel  collo  e  per  la  faccia. Rinaldo  dall'impresa  si  dispicca, E  quanto  può  con  sproni  il  destrier  caccia: Ma  la  Furia  infernal  già  non  par  zoppa, Che  spicca  un  salto,  e  gli  è  subito  in  groppa. 56    Ma  quello  è  appena  in  terra  che  si  rizz.\, E  il  lungo  serpe  intorno  aggira  e  vibra. Quest'  altro  più  con  l'azza  non  V  attizza; Ma  di  farla  col  foco  sì  delibra. La  mazza  impugni,  e  dove  il  serpe  guizza Spessi  come  tempesta  i  colpi  libra; Né  lascia  tempo  a  quel  bratto  animale. Che  possa  farne  un  solo,  o  bene  o  male:51     Vada  attraverso,  al  dritto,  ove  si  voglia, Sempre  ha  con  lui  la  maledetta  peste; Né  sa  modo  trovar  che  se  ne  scioglia. Benché  '1  destrier  di  calcitrar  non  reste. Triema  a  Rinaldo  il  cor  come  una  foglia: Non  ch'altrimenti  il  serpe  lo  moleste; Ma  tanto  orror  ne  sente  e  tanto  schivo, Che  stride  e  geme,  e  ducisi  ch'egli  è  vivo. 57    E  mentre  addietro  il  caccia  o  tiene  a  bada, E  lo  percuote,  e  vendica  mille  onte. Consiglia  il  Paladin  che  se  ne  vada Per  quella  via  che  s'alza  verso  il  monte. Quel  s'appiglia  al  consiglio  ed  alla  strada; E  senza  dietro  mai  volger  la  fronte. Non  cessa  che  di  vista  se  gli  tolle, Benché  molto  aspro  era  a  salir  quel  colle Stanza  53. 58  II  cavalier,  poi  ch'alia  scura  baca Fece  tornare  il  mostro  dall'Inferno, Ore  rode  sé  stesso  e  si  manuca, E  da  mille  occhi  yersa  il  pianto  etemo Per  esFer  di  Einaldo  guida  e  duca, Gli  sali  dietro,  e  sul  giogo  superno Gii  fu  alle  spalle,  e  si  mise  con  lui Per  trarlo  fuor  de' luoghi  oscuri  e  bui 69    Come  Rinaldo  il  vide  ritornato, Gli  disse  che  gli  avea  grazia  infinita, E  ch'era  debitore  in  ogni  lato Di  porre  a  beneficio  suo  la  vita. Poi  lo  domanda  come  sia  nomato. Acciò  dir  sappia  chi  gli  bacato  aita; E  tra  guerrieri  possa,  e  innanzi  a  Carlo, Dell' alta  sua  bontà  sempre  esaltarlo. 60    Rispose  il  cavalier:  Non  ti  rincresca SeJ  nome  mio  scoprir  non  ti  vogliora: Ben  tei  dirò  prima  chnn  passj  cresca L'ombra;  che  ci  sarà  poca  dimora. Trovare,  andando  insieme,  un'acqua  fresca, Che  col  suo  mormorio  facea  talora Pastori  e  viandanti  al  chiaro  rio Venire,  e  berne  T  amoroso  obblio. Stanza  57. 63  L'un  e  l'altro  smontò  del  suo  cavallo, E  pascer  lo  lasciò  per  la  foresta; E  nel  fiorito  verde  a  rosso  e  a giallo Ambi  si  trasson  l'elmo  della  testa. Corse  Rinaldo  al  liquido  cristallo. Spinto  da  caldo  e  da  sete  molesta, E  cacciò,  a  un  sorso  del  freddo  liquore, Dal  petto  ardente  e  la  sete  e  l'amore. 64  Quando  lo  vide  l'altro  ca vallerò La  bocca  sollevar  dell' acqua  molle, E  ritrarne  pentito  ogni  pensiero Di  quel  desir  eh'  ebbe  d'amor  si  folle; levò  ritto  e  con  sembiante  altiero Gli  disse  quel  che  dianzi  dir  non  volle; Sappi,  Rinaldo,  il  nome  mio  è  lo  Sdegno Venuto  sol  per  sciorti  il  giogo  indegno. 65  Cosi  dicendo,  subito  gli  sparve, E  sparve  insieme  il  suo  destrier  con  lui. Questo  a  Rinaldo  un  gran  miracol  parve; S' aggirò  intorno,  e  disse: Ov'  è  costui?Stimar  non  sa  se  sian  magiche  larve; Che  Malagigi  un  de' ministri  sui (Ui  abbia  mandato  a  romper  la  catena Che  lungamente  l'ha  tenuto  in  pena; 66  Oppur  che  Dio  dall'alta  gerarchia Gli  abbia  per  ineffabil  sua  bontade ,  come  già  mandò  a  Tobia, Un  angelo  a  levar  di  cecitade. Ma  buono  o  rio  demonio,  o  quel  che  sia. Che  gli  ha  renduta  la  sua  libertade, Ringrazia  e  loda;  e  da  lui  sol  conosce Che  sano  ha  il  cor  dell' amorose  angosce. 61    Signor,  queste  eran  quelle  gelide  acque. Quelle  che  spenon  l'amoroso  caldo; Di  cui  bevendo  y  ad  Angelica  nacque ch'ebbe  di  poi  sempre  a  Rinaldo. E  s'ella  un  tempo  a  lui  prima  dispiacque. E  se  nell'odio  il  ritrovò  si  saldo, Non  derivò,  Signor,  la  causa  altronde, Se  non  d'aver  bevuto  di  queste  onde. b2    II  cavalier  che  con  Rinaldo  viene. Come  si  vede  innanzi  al  chiaro  rivo, Caldo  per  la  fatica  il  destrier  tiene, E  dice: 11  posar  qui  non  fia  nocivo. Non  fia,  disse  Rinaldo,  se  non  bene; Ch'  oltre  che  prema  il  mezzogiorno  estivo, M' ha  così  il  brutto  mostro  travagliato, Che  '1  riposar  mi  fia  comodo  e  grato. 67  Gli  fu  nel  primier  odio  ritornata Angelica,  e  gli  parve  troppo  indegna D'esser,  non  che  si  lungi  seguitata, Ma  che  per  lei  pur  mezza  lega  vegna. Per  Biiard)  riaver  tutta  fiata Verso  India  in  Sericana  andar  disegna, Si  perchè  l'onor  suo  lo  stringe  a  farlo, Si  per  averne  già  parlato  a  Carlo. 68  Giunse  il  giorno  seguente  a  Basilea, Ove  la  nuova  era  venuta  innante Che  '1  conte  Orlando  aver  pugna  dovea Contra  Gradasso  e  centra  il  re  Agramante. Né  questo  per  avviso  si  sapea Ch'avesse  dato  il  Cavalier  d'Anglante; Ma  di  Sicilia  in  fretta  vennt'era Chi  la  novella  v'apportò  per  vera. 69  Rinaldo  vuol  trovarsi  con  Oliando Alla  battaglia,  e  se  ne  vede  Innge. Di  dieci  in  dieci  m'glia  va  mutando Cavalli  e  guide,  e  corre  e  sferza  e  punge. Passa  il  Beno  a  Costanza,  e  in  su  volando, Traversa  l'Alpe,  ed  in  Italia  giunge. Verona  addietro,  addietro  Mantua  lassa; Sul  Po  si  trova,   e  con  gran  fretta  il 70  Già  sM'nchinava  il  sol  molto  alla  sera. E  già  apparia  nel  del  la  prima  stella, Quando  E  inaldo  in  ripa  alla  riviera Stando  in  pensier  s'avea  da  mutar  sella, O  tanto  soggiornar,  che  Paria  nera Fus'gisse  innanzi  alP altra  aurora  bella, Wnir  si  vede  un  cavaliero  innanti, ( 'urtese  nell'aspetto  e  nei  sembianti. 71  Costui  dopo  il  saluto,  con  bel  modo (j]\  domandò  s'aggiunto  a  moglie  fosse. Disse  Rinaldo;  Io  son  nel  giugal  nodo; lIa  di  tal  domandar  m aravi gliosse. Soggiunse  quel: Che  sia  cosi  ne  godo. Poi,  per  chiarir  perchè  tal  detto  mosse, Disse:  Io  ti  prego  che  tu  sia  contento Ch'io  ti  dia  questa  sera  alloggiamento; 72  Che  ti  farò  veder  cosa  che  debbe Ben  volontier  veder  chi  ha  moglie  a  lato. Rinaldo,  si  perchè  posar  vorrebbe, Ormai  di  correr  tanto  affaticato; Sì  perchè  di  vedere  e  d'udir  ebbe Sempre  avventure  un  desiderio  innato; Accettò  l'offerir  del  cavaliero, E  dietro  gli  pigliò  nuovo  sentiero. 73  Un  tratto  d'arco  fuor  di  strada  uscirò, E  innanzi  un  gran  palazzo  si  trovare, Onde  scudieri  in  gran  frotta  venire Con  torchi  accesi,  e  fero  intorno  chiaro. Entrò  Rinaldo,  e  voltò  gli  occhi  in  giro, E  vide  loco  il  qual  si  vede  raro, 14  gran  fabbrica  e  bella  e  bene  intesa; Né  a  privato  uom  convenia  tanta  spesa. 74  Di  serpentin,  di  porfido  le  dure Pietre  fan  della  porta  il  ricco  vólto. Quel  che  chiude  è  di  bronzo,  con  figure Che  sembrano  spirar,  muovere  il  volto. Sotto  un  arco  poi  s'entra,  ove  misture Di  bel  mosaico  ingannan  l'occhio  molto. Quindi  si  va  in  un  quadro  ch'ogni  faccia Delle  sue  logge  ha  lunga  cento  braccia. 75    La  sua  porta  ha  per  sé  ciascuna  loggia, E  tra  la  porta  e  sé  ciascuna  ha  un  arco: D'ampiezza  pari  son,  ma  varia  foggia, Fé  d'ornamento  il  mastro  lor,  non  parco. Da  ciascun  arco  s'entra,  ove  si  poggia Si  facil,  che  un  somier  vi  può  gir  carco. Un  altro  arco  di  su  trova  ogni  scala; E  s'entra  per  ogni  arco  in  una  sala. stanza  66. 76  Gli  archi  di  sopra  escono  fuor  del  segno Tanto,  che  fan  coperchio  alle  gran  porte; E  ciascun  due  colonne  ha  per  sostegno, Altre  di  bronzo,  altre  di  pietra  forte. Lungo  sarà;  se  tutti  vi  disegno Gli  ornati  alloggiamenti  della  corte; E  oltr'a  quel  ch'appar,  quanti  agi  sotto La  cava  terra  il  mastro  avea  ridotto. 77  L'alte  colonne  e  i  capitelli  d'oro, Da  che  i  gemmati  palchi  eran  suffiilti, I  peregrini  marmi  che  vi  foro Da  dotta  mano  in  varie  forme  soniti, Pitture  e  getti,  e  tant' altro  lavoro (Beuchè  la  notte  agli  occhi  il  più  ne  occulti) Mostran  che  non  bastare  a  tanta  mole Di  duo  Re  insieme  le  ricchezze  sole. 78    Sopra  gli  altri  ornamenti  ricchi  e  belli, Ch  erano  assai  nella  giocondastanza, V  era  nna  fonte  che  per  più  ruscelli Spargea  freschissime  acque  in  abbondanza. Poste  le  mense  a?eau  quivi  i  donzelli; Ch'  era  nel  mezzo  per  egual  distanza:Vedeva,  e  parimente  veduta  era Da  quattro  porte  della  casa  altiera. Stanza  90. 81  Fermava  il  pie  ciascun  di  questi  segni Sopra  due  belle  immagini  più  basse, Che  con  la  bocca  aperta  facean  segni Che  U  canto  e  l'armonia  lor  dilettasse:E  queir  atto  in  che  son,  par  che  disegni Che  V  opra  e  studio  lor  tutto  lodasse Le  belle  donne  che  sugli  omeri  hanno, Se  fosser  quei  di  cui  in  sembianza  stanno. 82  I  simulacri  inferiori  in  mano Avean  lunghe  ed  amplissime  scritture .. Ove  facean  con  molta  laude  piano I  nomi  delle  più' degne  figure; E  mostravano  ancor  poco  lontano I  propri  loro  in  note  non  oscure. Mirò  Rinaldo  a  lume  di  doppieri Le  donne  ad  una  ad  una,  e  i  cavalieri. 83  La  prima  inscrizì'on  ch'agli  occhi  occorre. Con  lungo  onor  Lucrezia  Borgia  noma, La  cui  bellezza  ed  onestà  preporre Debbe  all'antiqua  la  sua  patria  Roma. I  duo  che  voluto  han  sopra  so  tórre Tanto  eccellente  ed  onorata  soma, Noma  lo  scrittoi  Antonio  Tebaldeo, Ercole  Strozza;  un  Lino,  ed  uno  Orfeo. 84  Non  men  gioconda  statua  né  men  bella Si  vede  appresso,  e  la  scrittura  dice: Ecco  la  figlia  d'Ercole,  Isabella . Per  cui  Ferrara  si  terrà  felice Via  più,  perchè  in  lei  nata  sarà  quella, Che  d'altro  ben  che  prospera  e  fautrice E  benigna  Fortuna  dar  le  deve, Volgendo  gli  anni  nel  suo  corso  lieve. 79  Fatta  da  mastro  diligente  e  dotto La  fonte  era  con  molta  e  sottil  opra, Di  loggia  a  guisa,  o  padiglion  ch'in  otto Facce  distinto,  intorno  adombri  e  copra. Un  ciel  d'oro,  che  tutto  era  di  sotto Colorito  di  smalto,  le  sta  sopra; Ed  otto  statue  son  di  marmo  bianco, Che  sostengon  quel  ciel  col  braccio  manco. 80  Nella  man  destra  il  corno  d'Amaltea Sculto  avea  lor  P  ingenì'oso  mastro, Onde  con  grato  murmurc  cadea L'acqua  di  fuore  in  vaso  d'alabastro; Ed  a  sembianza  di  gran  donna  avea Ridutto  con  grande  arte  ogni  pilastro. Son  d'abito  e  di  faccia  differente, Ma  grazia  hanno  e  beltà  tutte  egualmente. 85  I  duo  che  mostran  disiosi  affetti Che  la  gloria  di  lei  sempre  risuone Gian  lacchi  ugualmente  erano  detti, L'uno  Calandra,  1 altro  Bardelone. Nel  terzo  e  quarto  loco,  ove  per  stretti Rivi  r  acqua  esce  fuor  del  padiglione, Due  donne  son,  che  patria,  stirpe,  onore Hanno  di  par,  di  par  beltà  e  valore. 86  Elisabetta  l'nna,  e  Leonora Nominata  era  l'altra,  e  fia,  per  quanto Narrava  il  marmo  sculto,  d'esse  ancora Si  gloriosa  la  terra  di  Manto Che  di  Vergilio,  che  tanto  l'onora. Più  che  di  queste,  non  si  darà  vanto. Avea  la  prima  appiè  del  sacro  lembo Iacopo  Sadoleto  e  Pietro  Bembo. 87  Un  elegante  Castiglione,  e  nn  colto Muzio  Arelio  dell'altra  eran  sostegni. Di  questi  nomi  era  il  bel  marmo  sculto, Ignoti  allora,  or  sì  famosi  e  degni, Veggon  poi  quella  a  cui  dal  Cielo  indulto Tanta  irtù  sarà,  quanta  ne  regni, 0  mai  regnata  in  alcun  tempo  sia, Versata  da  Fortuna  or  buona  or  ria. 88  Lo  scritto  d'oro  esser  costei  dichiara Lucrezia  Bentivoglia;  e  fìra  le  lode Pone  di  lei,  che'l  Duca  di  Ferrara D'esserle  padre  si  rallegra  e  gode. Di  costei  canta  con  soave  e  chiara Voce  un  Camil,  chel  Reno  e  Felsina  ode Con  tanta  attenzTon,  tanto  stupore, Con  quanta  Anfìriso  udì  già  il  suo  pastore:stanza  91. 89    Ed  un  per  cui  la  terra,  ove  l'Isauro Le  sue  dolci  acque  insala  in  maggior  vase, Nominata  sarà  dall' Indo  al  Mauro, £  dalPaustrine  all'iperboree  case. Via  più  che  per  pesare  il  Romano  auro, Di  che  perpetuo  nome  le  rimase; Guido  Postumo,  a  cui  doppia  corona Pallade  quinci,  e  quindi  Febo  dona. 90    L'altra  che  segue  in  ordine,  è  Dna. Non  guardar  (dice  il  marmo  scritto)  ch'ella Sia  altiera  in  vista;  che  nel  core  umana Non  sarà  però  men  ch'in  viso  bella. Il  dotto  Celio  Calcagnin  lontana Farà  la  gloria  e'I  bel  nome  di  quella Nel  regno  di  Monese,  in  quel  di  luba. In  India  e  Spagna  udir  con  chiara  tuba; Stanza  98. 91  Ed  un  Marco  Cavallo,  che  tal  fonte Farà  di  poesia  nascer  d'Ancona, Qiial  fé'  il  cavallo  alato  uscir  del  monte, Non  sose  di  Pamasso  o  d'Elicona. Beatrice  appresso  a  questo  alza  la  fronte, Di  cui  lo  scritto  suo  cosi  ragiona:Beatrice  bea,  vivendo,  il  suo  consorte, E  lo  lascia  infelice  alla  sua  morte; 92  Anzi  tutta  l'Italia,  che  con  lei Fia  tri'onfonte;  e  senza  lei  captiva. Un  signor  di  Correggio  di  costei Con  alto  stil  par  che  cantando  scriva, E  Timoteo,  l'onor  de'  Bendedei:Ambi  faran  tra  1'  una  e  l'altra  riva Fermare  al  suon  d"3'lor  soavi  plettri Il  fiume  ove  sudar  gli  antiqui  elettri. 93    Tra  questo  loco,.  e  quel  deUa  colonna Che  fu sculpìta  in  Borgia,  com  è  detto, Formata  in  alabastro  una  gran  donna Era  di  tanto  e  si  sublime  apetto, Che  sotto  puro  velo,  in  nera  gonna i Senza  oro  e  gemme,  in  un  vestire  schietto, Tra  le  più  adorne  non  parea  men  bella. Che  sia  tra  le  altre  la  Ciprigna  stella. Stanza  101. 94  Non  si  potea,  ben  contemplando  fiso Conoscer  se  più  grazia  o  più  beltade, 0  maggior  maestà  fosse  nel  viso, 0  più  indizio  aMngegno  o  d'onestadc. Chi  vorrà  di  costei  (dicea  IMucìko riarmo)  parlar  quanto  parlar  n accade, Ben  torrà  impresa  più  dogni  altra  degna: Ma  non  però,  eh' a  fin  mai  se  ne  vegna. 95  Dolce  ruantunque  e  pien  di  grazia  tanto Fosse  il  suo  bello  e  ben  formato  segno, V'.r.x  sdegnarsi  che  con  urail  canto Ardisse  lei  lodar  si  rozzo  ingegno, Com'era  quel  che  sol,  senz' altri  accanto (Non  so  perchè),  le  fu  fatto  sostegno. Di  tuttofi  resto  erano  i  nomi  soniti; Sol  questi  duo  l'artefice  avea  occulti. 96  Fanno  le  statue  in  mezzo  un  luogo  tondo. Che  '1  pavimento  asciutto  ha  di  corallo. Di  freddo  soavissimo  giocondo, Che  rendea  il  puro  e  liquido  cristallo, Che  di  fuor  cade  in  un  canal  fecondo, Che  '1  prato  verde,  azzurro,  bianco  e  giallo Rigando,  scorre  per  vari  ruscelli, Grato  alle  morbid'erbe  e  agli  arbuscelli. 97  Col  cortese  oste  ragionando  stava Il  Paladino  a  mensa;  e  spesso  spesso, Senza  più  differir,  gli  ricordava Che  gli  attenesse  quanto  avea  premesso: £  ad  or  ad  or  mirandolo,  osservava Ch'avea  di  grande  affanno  il  cuore  oppresso; Che  non  può  star  momento  che  non  abbia Un  cocente  sospiro  in  su  le  labbia. SUDza  102. 98    Spesso  la  voce  dal  disio  cacciata. Viene  a  Rinaldo  sin  presso  alla  bocca Per  domandarlo;  e  quivi,  raifrenat  i Da  cortese  modestia,  fuor  non  scocca. Ora  essendo  la  cena  terminata. Ecco  un  donzello,  a  chi  l'ufficio  tocca. Pon  su  la  mensa  un  bel  nappo  d'or  fino. Di  fuor  di  gemme,  e  dentro  pien  di  vino. 99  II  signor  della  casa  allora  alquanto Sorridendo,  a  Rinaldo  levò  il  viso; Ma  chi  ben  lo  notava,  più  di  pianto Parea  ch'avesse  voglia,  che  di  riso. Disse: Ora  a  quel  che  mi  ricordi  tanto, Che  tempo  sia  di  soddisfar  m' è  avviso; Mostrarti  un  paragon  eh'  esser  de'  grato Di  vedere  a  ciascun  e' ha  moglie  a  lato. 100  Ciascun  marito,  a  mio  giudizio,  deve Sempre  spiar  se  la  sua  donna  Fama; Saper  s' onore  o  biasmo  ne  riceve; Se  per  lei  bestia  o  se  pur  uom  si  chiama. L'incarco  delle  coma  è  lo  più  lieve Ch'ai  mondo  sia,  sebben  l'uom  tanto  infama: Lo  vede  quasi  tutta  l'altra  gente; E  chi  l'ha  in  capo,  mai  non  se  lo  sente. 101  Se  tu  sai  che  fedel  la  moglie  sia Hai  di  più  amarla  e  d  onorar  ragione, Che  non  ha  quel  che  la  conosce  ria, 0  quel  che  ne  sta  in  dubbio  e  in  passione. Di  molte  n'hanno  a  torto  gelosia 1  lor  mariti,  che  son  caste  e  buone:Molti  di  molte  anco  sicuri  stanno Che  con  le  coma  in  capo  se  ne  vanno. 102    Se  vuoi  saper  se  la  tua  sia  pudica (Come  io  credo  che  credi,  e  creder  dèi:Ch' altrimente  far  credere  è  &tica Se  chiaro  già  p3r  prova  non  ne  sei), Tu  per  te  stesso,  senza  eh'  altri  il  dica, Te  n'avvedrai,  s'in  questo  vaso  bei; Che  per  altra  cigion  non  è  qui  messo, Che  per  mostrarti  quanto  io  t'ho  promesso. 108    Se  bei  con  questo,  vedrai  grande  effetto:Ohe  se  porti  il  cimiér  di  Comovaglia, Il  vin  ti  spargerai  tutto  sul  petto. Né  gocciola  sarà  ch'in  bocca  saglia; Ma  s' hai  moglie  fedel,  tu  berai  netto. Or  di  veder  tua  sorte  ti  travaglia. Cosi  dicendo,  per  mirar  tien  gli  occhi, '  Oh'  in  seno  il  vin  Rinaldo  si  trabocchi. 104    Quasi  Rinaldo  di  cercar  suaso Quel  che  poi  ritrovar  non  vorria  forse 3Ies3a  la  mano  innanzi,  e  preso  il  vaso, Fu  presso  di  volere  in  prova  porse; Poi,  quanto  fosse  periglioso  il  caso A  porvi  i  labbri,  col  pensier  discorse. Ma  lasciate,  Signor,  eh'  io  mi  ripose; Poi  dirò  quel  che  '1  Paladin  rispose. NOTE. St.  2.  V.5a   AchiUCt  poi  che  sotto  il  fUlso  elmet tOy  ecc.  É  noto  per  V Biade  d'Omero,  che  Achille  diede la  propria  armatura  all'amico  Patroclo,  "cciocchò  com battesse con  Ettore.  Patroclo  restò  ucciso  in  quel  com battimento; e  Achille  tanto  se  ne  sdegnò,  che  dopo  aver data  la  morte  ad  Ettore,  ne  trascinò  il  cadàvere,  av vinto al  suo  carro,  intorno  alle  mura  al  Troia. St.  3.  V.2.   Il  dì  che  vi  percosse  La  fronte  il grave  sasso,  ecc.  Rammenta  una  ferita  ohe  neirattacco della  Bastia  sul  Po.  il  duca  Alfonso  riportò  in  fronte  da una  pietra  scagliata  da  una  macc'iina  dagli  Spagauoli. St.  5.  V.38.   Acciò  che  'l  crudo  e  scellerato  ecces so, ecc.  Prim%  di  qaeir  attacco,  il  Vestidello,  governa tore della  Bastia,  fatto  prigioniero  dagli  Spa?nuoli,  era stato  da  essi  ucciso,  nonostante  le  legi  di  guerra;  per cui,  ricuperato  che  fu  quel  fortilizio  dalle  genti  d'Al ,  il  presidio  spaguuol  >,  composto  nella  maggior parte  di  gente  circoncisa,  Mori  cioè,  o  discendenti  da Mori,  fu  passato  a  fil  di  spada. St.  6.  V.6.   Fegga:  ferisca. ST.  22.  V.16.   0  chiaro  fulgor  della  Fulgosa  Stir ]ìe,  ecc.  Dirige  la  parola  a  Federico  Fulgoso  oFregoso, nominato  nella  Stanza  20  (e  lè  con  ambedue  queste  voci Iti  denota  una  sola  illustre  famiglia  di  Genova),  il  quale fu  arcivescovo  di  Salerno,  vescovo  di  Gubbio,  e  poi  cardinale. Andando  egli  qual  condottiere  della  flotta  geno vese contro  il  corsaro  Gorregoli,  vide  Lampedusa;  e  par che  non  convenisse  col  Poeta  sulla  condizione  fisica  di queir  isola.   Quello  invitto  duie,  Per  cui  la  vostra patria:  ò  Ottaviano  Fregoso,  fratello  di  Federico  e  doge di  Genova,  che  pacificò  le  fazioni  onde  quella  repubblica era  turbata. St.  38.  V.8.    I  Caf alani  furono  nel  medio  evo  grandi navigatori. St.  47.  V.3.   Orecchie  crèbre:  spesse,  numerose. St.  65.  V.6.   Un  de  ministri  sui: uno  fra  i  demoni che  ubbidivano  all'incantatore  Malagigi. St.  76.  V.78.   Quanti  agi  sotto  la  cavj  terra,  ecc. Intende  dei  comodi  di  cucine,  che  si  praticano  ne' sot terranei dei  palazzi. St.  80.  V.1.   Il  corno  dAmaltea:  il  corno  dell'ab bondanza. Amaltea  era  il  nome  della  capra,  o  della  ninfa a  cui  apparteneva  la  capra  che  allattò  Giove:  e  chi  pos sedeva quel  corno,  otteneva  tutto  ciò  che  desiderava. St.  81.  V.18.   Ciascun  di  questi  segni:  ciascuna di  queste  statue.   Che  con  la  bocca  aperta  facean segni,  ecc.  Vuol  diie  che  le  statue  inferiori,  con  la  bocca aperta,  come  in  atto  di  cantare,  mostravano  compia cersi di  encomiare  le  donne  rappresentate  dalle  statue s  nperiori  che  su  di  loro  posavano. St.  83.  V.28.   Luereiia  Borgia:  moglie  del  duca Alfonso  I.   Antonio  Tebaldeo:  verseggiatore  nelle  dae lingue,  italiana  e  latina;  mori  in  Roma  in  età  d'anni  80.  Ercole  Strozza:  se  ne  parlò  nella  nota  alla  St.  8  del Canto  XXZVII.   Un  Lino  ed  un  Orfeo:  paragona  il Tebaldeo  a  Lino,  figlio  d'Apollo  e  di  Terpsioore,  riguar dato come  inventore  della  poesia  lirica;  e  lo  Strozza  ad Oifeo,  figlio  di  Giove  e  di  Calliope,  il  quale  con  la  sua musica  si  faceva  seguitare  dalle  rocce  e  dagli  albl.  ' St.  85.  v.34.   Oian  Jacobi  ugualmente  ecc.  Que sti due,  cognominati  l'uno  Calandra  e  Faltro  Bardellone, erano  mantovani;  e  il  Calandra  ò  noto  come  fcrittòre prosastico  di  soggetti  amorosi. St.  86.  V.18.   Elisabetta  V  una  e  Leonora  Nomi nata eia  V altra t  ecc.  Elisabetta  era  sorella  di  France sco Gonzaga,  marchese  di  Mantova,  e  moglie  di  Gaidu baldo  duca  d'Urbino.  Leonora,  figlia  del  predetto  Gon zaga, fa  sposa  di  Francesco  Maria  della  Roverej  creato duca  d'Urbino  da  Giulio  II.   Jacopo  Sadoleto  e  Pietro Bembo.  Il  Sadoleto  nasceva  in  Modena,  fu  vescovo,  ed ebbe  il  cappello  cardinalizio  da  Paolo  III.  Era  letterato insigne,  poeta  e  teologo.  Il  Bembo  era  intrinseco  del Sadoleto,  e  molto  innanzi  nella  buona  grazia  del  duca Guidubaldo. St.  87.  V.18.   Uno  eHegante  Castiglione,  e  xm  culto Muzio  Arelio,  ecc.  Il  Castiglione,  celebre  specialmente per  il  suo Cortigiano,  loda  molto  negli  eleganti  suoi versi  latini  Leonora.  Muzio  Arelio,  altrimenti  detto  Gio vanni Mozzarelle,  tu.  autore  di  molti  componimenti  ita lianj  e  latini,  e  accademico  in  Roma al tempo di Leon  X; mori  di  ferite  dategli  da  alcuni  suoi  malevoli.   Veggon  poi  quella  a  cui  dal  cielo  indulto,  ecc.  Intendesi qui  la  nominata  più  a  basso  Lucrezia  Bentivogli,  figlia naturale  del  duca  di  Ferrara,  e  partecipe  della  fortuna, ora  propizia,  ora  contraria,  ohe  provarono  i  Bentivogli, signori  di  Bologna. St.  88.  y.  24.   Lucrezia,  figlia  d'Ercole  I  e  d'una Condulmiero,  sposò  Annibale  Bentivoglio,  signore  di  Bo logna, e  mutò  spesso  fortuna. Ivi.  y.  bS.   Di  costei  canta  con  soave  e  chiara Voce  un  Camil,  ecc.  È  questi  Camillo  Paleotto,  bolo gnese, e  cortigiano  del  cardinale  di  Bibbiena,  che,  in sieme col  Postumo,  di  cui  tra.  poco,  cantò  le  lodi  della Bentivogli.   Beno:  fiume  di  Bologna.   Fdsina: nome  antico  di  Bologna.   Anfriso:  fiume  di  Tessa glia,  presso  il  quale  Apollo  pascolava  gli  armenti  del re  Admeto. St.  89.  V.18.   iSi  ti"  per  cui  la  terra,  ove  Vlsau ro,  ecc.  Accenna  Pesaro,  patria  di  Guido  Postumo,  no minato nel  settimo  verso.  Questi  ebbe  nome  Guido  Sii vestrif  e  lo  dissero  Postumo,  perchè  nato  dopo  la  morte del  padre;  fu  valente  medico,  soldato  e  poeta,  amicis simo dell'Ariosto,  e  addetto  qual  medico  alla  corte  del cardinale  Ippolito  da  Este.   Isauro,  oggi  denominato Foglia,  è  il  fiume  che  scorre  vicino  a  Pesaro,  ed  ha foce  neir  Adriatico.  Nominata  sjrd....  Via  piA  che per  pesare  il  romano  auro  ecc.  Alcuni,  sairantoriià di  Servio  commentatore  di  Virgilio,  trassero  l'etimolo gia di  Pesaro  iPisaurum\  vera  o  falsa  che  sia,  dall'oro rapito  dai  Galli  ai  Romani  ed  ivi  tolto  ai  rapitori  dal dittatore  CammìUo,  che  colà  li  raggiunse.   A  cui doppia  coróna,  ecc.  Allusione  al  merito  filosofioo  e  let terario del  Postumo,  tenuto  in  reputazione  anche  nella corte  di  Leone  X. St.  90.  V.18.   Valtra  che  segue  in  ordine  iDim na,  ecc.  Questa  è  Diana  d'Este,  nata  di  Siisismondo Estense,  dei  màròheòi  di  S.  Martino.  Fu  domia  di  bel sembiante,  d'animo  altiero.   Il  dotto  Celio  Calcagràn: erudito  scrittore  ferraiese,  che  per  due  anni  e  pia  fu compagno  di  viaggio  al  cardinal  Ippolito,  e  ne  compose l'elogio  funebre.   Nel  regno  di  Monese  e  in  qnti  di luba.  Monese  fa  re  de'  Parti,  Inba  dei  Maoritani;  e  que sti due  regni  sono  qui  indicati  per  significare  il  setten trione ed  il  mezzogiorno.   In  India  e  Spagna: re gioni che  denotano  l'una  il  levante,  e  l'altra  il  ponente. St.  91.  V.1.8.   Ed  un  Marco  Cavallo,  ecc.:  loda tore di  Diana  Estense,  insieme  col  CalcagninL  Era  an conitano, e  buon  rimatore;  onde  il  Poeta  lo  paragona al  cavai  Pegaso  della  Favola,  che  con  nn  calcio  fere scaturire  una  fonte  dal  Parnaso,  secóndo  alcuni,  e  se condo altri,  dall'Elicona,  montagne  ambedue  consacrati ad  Apollo  e  alle  Muse.   Beatrice  appresso,  ecc.,  É questa  la  figlia  del  duca  Ercole  I,  moglie  di  Lodovico Sforza,  encomiata  nelle  Stanze  62  e  63  del  Canto  XIIl, alle  quali  si  rimette  il  lettore,  a  scanso  d'inatili  rii"e tizioni. St.  92.  V.38.   uh  signor  di  Correggio;  ecc.  Niccolò da  Correggio,  che,  oltre  le  composizioni  da  lai  fatte  in lode  di  Beatrice,  scrisse  due  poemi  in  ottava  rima,  in titolati Psiche  V  uno,  e  l'altro  Aurora.   B  Timoteo Vonor  de Bendedei:  letterato  ferrarese  easo  pure,  che adoperò  il  suo  ingegno  poetico  nell'ooorar  Beatrice  Il  fiume  ove  sudar  gli  antiqtii  elettri:  il  Po,  sulle  cai rive  le  sorelle  del  caduto  Fetonte  furono  convertita  in pioppi. St.  98.  y.  18.   Della  colonna  che  fu  9culpita  in Borgia: del  marmo  in  cui  fu  scolpita  la  stàtna  di  La orezia  Borgia;  e  lo  dice  colonna,  perchè  cosi  qaella  e le  altre  statue  sostenevano  col  braccio  manco  il  dorato cielo  della  sala.   Formata  in  alabastro  una  grttn donna,  ecc.  Air ssandra  Benucci,  amica  e  poi  moglie  del Poeta.   In  nera  gonna: còsi  la  rappresenta  O  Poeta, perchè  quand'egli  sinvagfai  di  Alessandra,  essa  era  ve dova da  poco  tempo  di  Tito  Stro. St.  95.  V.5  8.   Com'era  quel  che  sol,  ens altri accanto,  ecc.  Una  sola  statua  d'uomo  era  sostegno  a quella  della  Benucci,  mentre  le  altre  statue  erano  so stenute da  due.  Ed  in  quel  sosterò  il  Poeta  figura  sé stesso. XLIII. Una  foTlB  e  pituita  invettiva contro  L'avarizin    npi'c  questo  Canto, e  infTt'ilft  due  novdle  che  ve n goti  nunriitea  Rìnghio,  Tina  a  vitn pfro  ùvUf!  donne,  ['altra  ilpgli  nomini  che  si  JafcTano  viniiere  da (]iji;lla  bniUa"!paH3ÌonePtfr  limo  cammini  terrestr  e  marittimo fiiiniRf.'  RinaMo  in  LampeJasap  essendo  terminato  il  comliattimento  fra  i  iialadini  e  i  pagani .  Fcenìono  tutti  in  fììinlia"  f'A ivi  Mulla  Npiaia  d'Aigento  rendoìio  li  aitimi  nnod  alli  laor tali  Jij>cpKlì<3';di  Brandimaite.  Di  colà  vanno  al  romitaggio  ove )ìta  Hngiioro,;ià  fatto  cristiano;  e  il  buon  eremita  risana  Oli viero eJ  aneli  a  Sobrino,  cJi&  poi  prende  il  batti.'i'flmo, 0  esecrabile  Avarizia,  o  ingorda Fame  iV  avere,  io  non  mi  maraviglio Chad  alrim  vile  e  ri' altre  macchie  Ionia, 8i  facH mente  dar  poai  di  piglio; Ma  che  meni  legaci  in  una  curda   E  die  tu  impianelli  dd  medeima  artiglio Alcun  elle  per  altezza  era  d'incegno, Se  te  scliivar  potea,  tV  ogni  onor  degno. 2      Alcun  la  terra  e  '1  mare  e  U  del  miaarEi   E  render  sa  tutte  le  cause  appieno IVojni  opra,  d'oijui  effetto  di  Natura, E  poirirìa  iii,  dì\  Dio  ri  stuarda  in  seno; E  non  può  a,ver  più  ferma  e  maggior  cura, Morso  dal  tuo  mortifero  veleno, Ch'unir  tesoro;  e  questo  sol  gli  preme, E  pouyi  ogni  salute,  ogni  sua  speme. 3      Rompe  eserciti  alcun,  e  nelle  porte Si  vede  entrar  di  bellicose  terre, Ed  esser  primo  a  porre  il  petto  forte, Ultimo  a  trarre,  in  perigliose  guerre: E  non  può  riparar  che  sino  a  morte Tu  nel  tuo  cieco  carcere  noi  serre. Altri  d'altre  arti  e  d'altri  studii  industri, Oscuri  fai,  che  sarian  chiari  e  illustri. 9   Cosi  dicendo  il  buon  Rinaldo,  e  intanto Respingendo  da  sé  V  odiato  vase, Vide  abbondare  un  gran  rivo  di  pianto Dagli  occhi  del  signor  di  quelle  case, Che  disse,  poi  che  racchetossi  alquanto: Sia  maledetto  chi  mi  persuase Ch'io  facessi  la  prova,  oimè!  di  sorte, Che  mi  levò  la  dolce  mia  consorte. 4  Che  d'alcune  dirò  belle  e  gran  donne, Ch'a  bellézza,  a  virtù  di  fidi  amanti, A  lunga  servitù,  più  che  colonne Io  veggo  dure,  immobili  e  costanti? Veggo  venir  poi  V  Avarizia,  e  pónne Far  si,  che  par  che  subito  le  incanti: In  un  di,  senza  amor  (chi  fia  che '1  creda?) A  un  vecchio,  a  un  brutto,  a  un  mostro  le  dà [in  preda. 5  Non  è  senza  cagion  s'io  me  ne  doglio: Intendami  chi  può,  che  m'intend'io Né  però  di  proposiro  mi  toglie. Né  la  materia  del  mio  Canto  obblio; Ma  non  più  a  quel  e' ho  detto  adattar  voglio, Ch'  a  quel  eh'  io  v'  ho  da  dire,  il  parlar  mio. Or  torniamo  a  contar  del  Paladino, Ch'ad  assaggiare  il  vaso  fu  vicino. 6  Io  vi  dicea  ch'alquanto  pensar  volle, Prima  ch'ai  labbri  il  vaso  s'appressasse. Pensò,  e  poi  disse: Ben  sarebbe  folle Chi  quel  che  non  vorria  trovar,  cercasse. Mia  donna  é  donna,  ed  ogni  donna  é  molle: Lasciam  star  mia  credenza  come  stasse. Sin  qui  m'ha  il  creder  mio  giovato,  e  giova: Che  poss'io  megliorar,  per  fame  prova? 7  Potria  poco  giovare,  e  nuocer  molto: Ché'l  tentar  qualche  volta  Iddio  disdegna. Non  so  s'in  questo  io  mi  sia  saggio  o  stolto; Ma  non  vo'più  saper  che  mi  convegna. Or  questo  vin  dinanzi  mi  sia  tolto: Sete  non  n'  ho,  né  vo'  che  me  ne  vegna; Che  tal  certezza  ha  Dio  più  proibita. Ch'ai  primo  padre  l'arbor  della  vita. 8  Che  come  Adam,  poi  che  gustò  del  pomo Che  Dio  con  propria  bocca  gì' interdisse, Dalla  letizia  al  pianto  fece  un  tomo, Onde  in  miseria  poi  sempre  s'afflisse; Cosi,  se  della  moglie  sua  vuol  Tuomo Tutto  saper  quanto  ella  fece  e  disse. Cade  dall'allegrezze  in  pianti  e  in  guai. Onde  non  può  più  rilevarsi  mai. 10  Perché  non  ti  conobbi  già  dieci  anni, Si  che  io  mi  fossi  consigliato  teco, Prima  che  cominciassero  gli  affanni, E  '1  lungo  pianto  onde  io  son  quasi  cieco? Ma  vo' levarti  dalla  scena  i  panni, Che'l  mio  mal  vegghi,  e  te  ne  dogli  meco; E  ti  dirò  il  principio  e  l'argumento Del  mio  non  comparabile  tormento. 11  Quassù  lasciasti  una  città  vicina, A  cui  f%  in  tomo  un  chiaro  fiume  laco, Che  poi  si  stende,  e  in  questo  Po  declina, E  l'origine  sua  vien  di  Benaco. Fu  fatta  la  città  quando  a  mina Le  mura  andar  dell'agenoreo  draco. Quivi  nacqui  io  di  stirpe  assai  gentile, Ma  in  pò  ver  tetto,  e  in  fàcnltade  umile. 12  Se  Fortuna  di  me  non  ebbe  cura Si,  che  mi  desse  al  nascer  mio  ricchezza, Al  difetto  di  lèi  supplì  Natura Che  sopra  ogni  mio  ugual  mi  die  bellezza. Donne  e  donzelle  già  di  mia  figura Arder  più  d'una  vidi  in  giovanezza; Ch'io  ci  seppi  accoppiar  cortesi  modi; Benché  stia  mal  che  i'uom  sé  stesso  lodi. 13  Nella  nostra  cittade  era  un  uom  saggio, Di  tutte  l'arti  oltre  ogni  creder  dotto, Che,  quando  chiu  gli  occhi  al  febeo  raggio, Contava  gli  anni  suoi  cento  e  ventotto. Visse  tutta  sua  età  solo  e  selvaio, Se  non  l'estrema;  che,  d'Amor  condotto, Con  ptemio  ottenne  una  matrona  bella, E  n'  ebbe  di  nascosto  una  zittella. 14  E  per  vietar  che  simil  la  figliuola Alla  matre  non  sia,  che  per  mercede Vendè  sua  castità,  che  valca  sola Più  che  quant'oro  al  mondo  si  possiede, Fuor  del  commercio  popular  la  invola; Ed  ove  più  solingo  il  luogo  vede. Questo  ampio  e  bel  palagio  e  ricco  tanto Fece  fare  a  demonii  per  incanto. XLIII. 15  A  vecchie  donne  e  caste  fé' nutrire La  figlia  qui,  eh'  in  gran  heltà  poi  venne; Né  che  potesse  altf  uom  veder,  né  udire Pur  ragionarne  in  quella  età,  sostenne. E  perch'  avesse  esempio  da  seguire, Ogni  pudica  donna  che  mai  tenne Contra  illicito  amor  chiuse  le  sharre, Ci  fé'  d'intaglio  e  di  color  ritrarre:16  Non  quelle  sol  che,  di  virtnde  amiche, Hanno  si  il  mondo  all'età  prisca  adomo; Di  quai  la  &ma  per  l'istorie  antiche Non  é  per  veder  mai  l'ultimo  giorno:Ma  nel  futuro  ancora  altre  pudiche Che  faran  hella  Italia  d'ogn' intorno, Ci  fé' ritrarre  in  lor  fattezze  conte, Come  otto  che  ne  vedi  a  questa  fonte. 17  Poi  che  la  figlia  al  vecchio  par  matura Si,  che  ne  possa  l'uom  cogliere  i  frutti, 0  fosse  mia  disgrazia  o  mia  avventura. Eletto  fai  degno  di  lei  fra  tutti. 1  lati  campi,  oltre  alle  helie  mura, Non  meno  i  pescherecci  che  gli  asciutti, Che  ci  son  d'ogni  intomo  a  venti  miglia. Mi  consegnò  per  dote  della  figlia. 21  Ella  sapea  d'incanti  e  di  malie Quel  che  saper  ne  possa  alcuna maga: Rendea  la  notte  chiara,  oscuro  il  die, Fermava  il  Sol,  facea  la  terra  vaga. Non  potea  trar  però  le  voglie  mie, Che  le  sanassin  l'amorosa  piaga Col  rimedio  che  dar  non  le  potria Senz'aita  ingiuria  della  donna  mia. 22  Non  perchè  fosse  assai  gentile  e  hella, Né  perchè  sapess'io  che  si  me  amassi, Né  per  gran  don,  né  per  promesse  ch'ella Mi  fésse  molte,  e  di  continuo  instassi. Ottener  potò  mai  eh'  una  fiammella, Per  darla  a  lei,  del  primo  amor  levassi; Ch'addietro  ne  traea  tutte  mie  voglie Il  conoscermi  fida  la  mia  moglie. 23  La  speme,  la  credenza,  la  certezza Che  della  fede  di  mia  moglie  avea, M'avria  fatto  sprezzar  quanta  hellezza Avesse  mai  la  giovine  Ledea, 0  quanto  offerto  mai  senno  e  ricchezza Fa  al  gran  pastor  della  montagna  Idea. Ma  le  repulse  mie  non  valean  tanto, Che  potesson  levarmela  da  canto. 18  Ella  era  hella  e  costumata  tanto. Che  più  desiderar  non  si  potea. Di  hei  trapunti  e  di  ricami,  quanto Mai  ne  sapesse  Pallade,  sapea. Vedila  andare,  odine  il  suono  e  1  canto, Celeste  e  non  mortai  cosa  parca; E  in  modo  all'arti  liberali  attese. Che  quanto  il  padre  o  poco  men  n'intese. 19  Con  grande  ingegno  e  non  minor  bellezza, Che  fatta  l'avria  amabil  fin  ai  sassi, Era  giunto  un  amore,  una  dolcezza, Che  par  eh'  a  rimembrarne  il  cor  mi  passi. Non  avea  più  piacer  né  più  vaghezza Che  d'esser  meco  ov'io  mi  stessi  o  andassi. Senza  aver  lite  mai  stenmio  gran  pezzo; L'avemmo  poi,  per  colpa  mia,  da  sezzo. 20  Morto  il  suocero  mio  dopo  cinque  anni Oh'  io  sottoposi  il  collo  al  giugal  nodo, Non  stero  molto  a  cominciar  gii  affanni Ch'io  sento  ancora,  e  ti  dirò  in  che  modo. Mentre  mi  richiudea  tutto  coi  vanni L'amor  di  questa  mia  che  si  ti  lodo, Una  femmina  nobil  del  paese, Quanto  accender  si  può,  di  me  s'accese. 24  Un  di  che  mi  trovò  fuor  del  palagio La  maga,  che  nomata  era  Melissa, E  mi  potè  parlare  a  suo  grande  agio, Modo  trovò  da  por  mia  pace  in  rissa, E  con  lo  spron  di  gelosia  malvagio Cacciar  del  cor  la  fé'  che  v'era  fissa. Comincia  a  commendar  la  intenzion  mia. Ch'io  sia  fedele  a  chi  fedel  mi  sia. 25  Ma  che  ti  sia  fedel  tu  non  puoi  dire, Prima  che  di  sua  fé'  prova  non  vedi. S' ella  non  falle,  e  che  potria  fallire, Che  sia  fedel,  che  sia  pudica  credi. Ma  se  mai  senza  te  non  la  lasci  ire, Se  mai  vedere  altr'  uom  non  le  concedi, Onde  hai  questa  baldanza,  che  tu  dica E  mi  vegli  affermar  che  sia  pudica? 26  Scostati  un  poco,  scostati  da  casa; Fa  che  le  cittadi  odano  e  i  villaggi Clie  tu  sii  andato,  e  ch'ella  sia  rimasa: Agli  amanti  dà  comodo  e  ai  messaggi. S' a  prieghi,  a  doni  non  fia  persuasa Di  fare  al  letto  maritale  oltraggi, E  che,  facendol,  creda  che  si  cele, Allora  dir  potrai  che  sia  fedele. 27  Con  tai  parole  e  simili  non  cessa LMncantatrice,  fin  che  mi  dispone Che  della  donna  mia  la  fede  espressa Veder  voglia  e  provare  a  paragone. Ora  poguiamo,  le  soggiungo,  ch  essa Sia  qnal  non  posso  averne  opinione) Come  potrò  di  lei  poi  farmi  certo Che  sia  di  punizion  degna  o  di  merlo? 28  Disse  Melissa:  Io  ti  darò  un  vasello Fatto  da  ber,  di  virtù  rara  e  strana, Qnal  già,  per  fare  accorto  il  suo  fratello Del  fallo  di  Ginevra,  fé' Morgana. Chi  la  moglie  ha  pudica,  bee  con  quello: Ma  non  vi  può  già  ber  chi  Tha  puttana; Che  1  vin,  quando  lo  crede  in  bocca  porre, Tutto  si  sparge,  e  fuor  nel  petto  scorre. 29  Prima  che  parti  ne  farai  la  prova, E  per  lo  creder  mio  tu  berai  netto:Che  credo  eh' ancor  netta  si  ritrova La  moglie  tua:  pur  ne  vedrai  l'effetto. Ma  s'al  ritomo  esperì'enzia  nuova Poi  ne  farai,  non  t'assicuro  il  petto: Che  se  tu  non  lo  immolli,  e  netto  bei, D'ogni  marito  il  più  felice  sei. 80  L'offerta  accetto.  Il  vaso  ella  mi  dona: Ne  fo  la  prova,  e  mi  succede  a  punto; Che,  com'era  il  desio,  pudica  e  buona La  cara  moglie  mia  trovo  a  quel  punto. Dice  Melissa:  un  poco  l'abbandona; Per  un  mese  o  per  duo  stanne  disgiunto: Poi  toma;  poi  di  nuovo  il  vaso  toUi; Prova  se  bevi,  oppur  se  '1  petto  immolli, 81  A  me  duro  parea  pur  di  partire; Non  perchè  di  sua  fé' mi  dubitassi, Come  eh'  io  non  potea  duo  di  patire, Né  un'ora  pur,  che  senza  me  restassi. Disse  Melissa: Io  ti  farò  venire A  conoscere  il  ver  con  altri  passi. Vo'che  muti  il  parlare  e  i  vestimenti, E  sotto  viso  altmi  te  le  appresenti. 82  Signor,  qui  presso  una  città  difende Il  Po  fra  minacciose  e  fiere  coma; La  cui  giurisilizion  di  qui  si  stende Fin  dove  il  mar  fugge  dal  lito  e  torna. Cede  d'antiquità,  ma  ben  contende Con  le  vicine  in  esser  ricca  e  adorna. Le  reliqnie  troiane  la  fondaro. Che  dal  flagello  d'Attila  camparo. 33  Astringe  e  lenta  a  questa  terra  il  morso Un  cavalier  giovene,  ricco  e  bello, Che  dietro  un  giorno  a  un  suo  falcone  iscorsiOt Essendo  capitato  entro  il  mio  ostello, Vide  la  donna,  e  "i  nel  primo  occorso Gli  piacque,  che  nel  cor  portò  il  suggello; Né  cessò  molte  pratiche  far  poi, Per  inchinarla  ai  desiderii  suoi. 34  Ella  gli  fece  dar  tante  ripulse, Che  più  tentarla  alfin  egli  non  volse; Ma  la  beltà  di  lei,  eh'  Amor  vi  sculse, Di  memoria  però  non  se  gli  tolse Tanto  Melissa  allusingommì  e  mulse, Ch'  a  tor  la  forma  di  colui  mi  volse; E  mi  mutò  (uè  so  ben  dirti  come) Di  faccia,  di  parlar,  d'occhi  e  di  chiome. 85    Già  con  mia  moglie  avendo  simulato D'esser  partito  e  gitone  in  Levante, Nel  giovene  amator  cosi  mutato L'andar,  la  voce,  l'abito  e'I  sembiante, Me  ne  ritorno,  ed  ho  Melissa  a  lato, Che  s'era  trasformata,  e  parea  un  fante; E  le  più  ricche  gemme  avea  con  lei. Che  mai  mandassin  gl'Indi  e  gli  Eritrei. 36  Io  che  r  uso  sapea  del  mio  palagio. Entro  sicuro,  e  vien  Melissa  meco; E  madonna  ritrovo  a  sì  grande  agio, Che  non  ha  né  scudier  né  donna  seco. I  miei  prieghi  le  espongo,  indi  il  malvagio Stimulo  innanzi  del  mal  far  le  arreco: I  mbini,  i  diamanti  e  gli  smeraldi, Che  mosso  avrebbon  tutti  i  cor  più  saldi. 37  E  le  dico  che  poco  è  questo  dono Verso  quel  che  sperar  da  me  dovea. Della  comodità  poi  le  ragiono, Che,  non  v'  essendo  il  suo  marito,  avea:E  le  ricordo  che  gran  tempo  sono Stato  suo  amante,  com'ella  sapea; E  che  l'amar  mio  lei  con  tanta  fede Degno  era  avere  alfin  qualche  mercede. 38  Turbossi  nel  principio  ella  non  poco, Divenne  rossa,  ed  ascoltar  non  volle: Ma  il  veder  fiammeggiar  poi,  come  fuoco, Le  belle  gemme,  il  duro  cor  fé' molle; E  con  parlar  rispose  breve  e  fioco Quel  che  la  vita  a  rimembrar  mi  tolle; Che  mi  compiacerla,  quando  credesse Ch'altra  persona  mai  noi  risapesse. 39  Fu  tal  risposta  un  venenato  telo, Di  che  me  ne  senti'  V  alma  trafissa; Per  r  ossa  andommi  e  per  le  Tene  un  gelo:Nelle  fauci  restò  la  voce  fissa. Levando  allora  del  suo  incanto  il  Telo, Nella  mia  forma  mi  tornò  Melissa. Pensa  di  che  color  dovesse  farsi . Ch'in  tanto  error  da  me  vide  trovarsi. 40  Divenimmo  ambi  di  color  di  morte, Muti  ambi,  ambi  restiam  con  gli  occhi  bassi. Potei  la  lingua  appena  aver  sì  forte, E  tanta  voce  appena,  eh'  io  gridassi:Me  tradiresti  dunque  tu,  consorte, Quando  tu  avessi  chi  '1  mio  onor  comprassi?Altra  risposta  darmi  ella  non  puote, Che  di  rigar  di  lagrime  le  gote. 42    E  la  mattina  s'appresenta  avante Al  cavalier  che  1'  avea  un  tempo  amata, Sotto  il  cui  viso,  sotto  il  cui  sembiante Fu  contro  Ponor  mio  da  me  tentata. A  lui,  che  n'  era  stato  ed  era  amante, Creder  si  può  che  fu  la  giunta  grata. Quindi  ella  mi  fé' dir  ch'io  non  sperassi Che  mai  più  fosse  mia,  né  più  m' amassi. stanza  42 41     Ben  la  vergogna  è  assai,  ma  più  lo  sdegno Ch'  ella  ha,  da  me  veder  farsi  quella  onta, E  multiplica  sì  senza  ritegno, Ch'in  ira  alfine  e  in  crudele  odio  monta. Da  me  fuggirsi  tosto  fa  disegno; E  nell'ora  che'l  sol  del  carro  smonta, Al  fiume  corse,  e  in  una  sua  barchetta Si  fa  calar  tutta  la  notte  in  fretta: 43  Ah  lasso!  da  quel  di  con  lui  dimora In  gran  piacere,  e  di  me  prende  giuoco: Ed  io  del  mal  che  procacciaimi  allora, Ancor  languisco,  e  non  ritrovo  loco. Cresce  il  mal  sempre,  e  giusto  è  ch'io  ne  muora; E  resta  ornai  da  consumarci  poco. Ben  credo  che  '1  primo  anno  sarei  morto, Se  non  mi  dava  aiuto  un  sol  conforto44  II  conforto  ch'io  prendo,  è  che  di  quanti Per  dieci  anni  mai  fur  sotto  al  mio  tetto (Ch  a  tutti  questo  vaso  ho  messo  innanti), Non  ne  trovo  un  che  non  s'immolli  il  petto. Aver  del  caso  mio  compagni  tanti Mi  dà  fra  tanto  mal  qualche  diletto. Tu  tra  infiniti  sol  sei  stato  saggio, Che  far  negasti  il  periglioso  saggio. 46    II  mio  voler  cercare  oltre  alla  meta Che  della  donna  sua  cercar  si  deve, Fa  che  mai  più  trovare  ora  quieta Non  può  la  vita  mia,  siajlunga  o  breve. Di  ciò  Melissa  fu  a  principio  lieta:Ma  cessò  tosto  la  sua  gioia  lieve; Ch'essendo  causa  del  mio  mal  stata  ella. Io  l'odiai  si,  che  non  potea  vedella. 46  Ella  d'essere  odiata  impaziente Da  me,  che  dicea  amar  più  che  sua  vita/ Ove  donna  restarne  immantinente Creduto  avea,  che  T  altra  ne  fosse  ita; Per  non  aver  sua  doglia  si  presente, Non  tardò  molto  a  far  di  qui  partita; E  in  modo  ahhandonò  questo  paese, Che  dopo  mai  per  me  non  se  n'intese. 47  Cosi  narrava  il  mesto  cavaliero:E  quando  fine  alla  sua  istoria  pose, Rinaldo  alquanto  stè  sopra  pensiero, Da  pietà  vinto,  e  poi  cosi  rispose:Mal  consiglio  ti  die  Melissa  in  vero, Che  d'attizzar  le  vespe  ti  propose; E  tu  fosti  a  cercar  poco  avveduto Quel  che  tu  avresti  non  trovar  voluto. 48  Se  d'avarizia  la  tua  donna  viuta A  voler  fede  romperti  fu  indutta, Non  t'ammirar;  né  prima  ella  né  quinta Fu  delle  donne  prese  in  si  gran  latta: E  mente  via  più  salda  ancora  è  spinta Per  minor  prezzo  a  far  cosa  più  brutta. Quanti  uomini  odi  tu.  che  già  per  oro Han  traditi  padroni  e  amici  loro? 49  Non  dovevi  assalir  con  si  fiere  armi, Se  bramavi  veder  farle  difesa. Non  sai  tu,  contra  l'oro,  che  né  i  marmi Nè'l  durissimo  acciar  sta  alla  contesa? Che  più  fallasti  tu  a  tentarla  parmi, Di  lei  che  così  tosto  restò  presa. Se  te  altrettanto  avess'  ella  tentato, Non  so  se  tu  più  saldo  fossi  stato.' stanza  56. 50  Qui  Rinaldo  fé'  fine,  e  dalla  mensa Levossi  a  un  tempo,  e  domandò  dormire; Che  riposare  un  poco,  e  poi  si  pensa Innanzi  al  di  d'un'  ora  o  due  partire. Ha  poco  tempo;  e  '1  poco  e'  ha,  dispensa Con  gran  misura,  e  invan  noi  lascia  gire. Il  signor  di  là  dentro,  a  suo  piacere, Disse,  che  si  pò  tea  porre  a  giacere; 51  Ch'  apparecchiata  era  la  stanza  e  '1  letto:Ma  che  se  volea  far  per  suo  consiglio. Tutta  notte  dormir  potria  a  diletto, E  dormendo  avaiizarsi  qualche  miglio. Acconciar  ti  farò,  disse,  un  legnetto, Con  che  volando,  e  senz' alcun  periglio, Tutta  notte  dormendo  vo'che  vada, E  una  giornata  avanzi  della  strada. 52  La  profferta  a  Rinaldo  accettar  piacque, E  molto  ringraziò  l'oste  cortese: Poi  senza  indugio  là,  dove  neir  acque Da' naviganti  era  aspettato,  scese. Quivi  a  grande  agio  riposato  giacque, Mentre  il  corso  del  fiume  il  legno  prese. Che  da  sei  remi  spinto,  lieve  e  snello Pel  fiume  andò,  come  per  aria  augello. 53  Cosi  tosto  come  ebbe  il  capo  chino, Il  cavalier  di  Francia  addormentosse; Imposto  avendo  già,  come  vicino Giungea  a  Ferrara,  che  svegliato  fosse. Restò  Melara  nel  lito  mancino; Nel  lito  destro  Sermide  restosse: Figarolo  e  Stellata  il  legno  passa, Ove  le  coma  il  Po  iracondo  abbassa. 54  Delle  due  corna  il  noccbier  prese  il  destro, £  lasciò  andar  verso  Vinegia  il  manco:Passò  il  Bonrleno;  e  già  il  color  cìlestro Si  vedea  in  Oriente  venir  manco; Che,  votando  di  fior  tutto  il  canestro, L'Aurora  vi  facea  vermiglio  e  bianco; Quando  I  lontan  scoprendo  di  Tealdo Ambe  le  rocche,  il  capo  alzò  Rinaldo. 55  0  città  bene  avventurosa,  disse, Di  cui  già  Malagìgi,  il  mio  cugino, Contemplando  le  stelle  erranti  e  fisse E  costringendo  alcun  spirto  indovino, Nei  secoli  futuri  mi  predisse (Già  chMo  facea  con  lui  questo  cammino) Ch'  ancor  la  gloria  tua  salirà  tanto, Ch'avrai  di  tutta  Italia  il  pregio  e'I  vanto. 56  Cosi  dicendo,  e  pur  tuttavia  in  fretta Su  quel  battei  che  parca  aver  le  penne, Scorrendo  il  re  de' fiumi,  all'isoletta Ch'  alla  cittade  è  più  propinqua,  venne:E  benché  fosse  allora  erma  e  negletta, Pur  s' allegrò  di  rivederla,  e  fenne Non  poca  festa;  che  sapea  quanto  ella, Volgendo  gli  anni,  saria  ornata  e  bella. 57  Altra  fiata  che  fé' questa  via, Udì  da  Malagigi,  il  qual  seco  era, Che  settecento  volte  che  si  sia Girata  col  monto n  la  quarta  sfera. Questa  la  più  gioconda  isola  fia Di  quante  cinga  il  mar,  stagno  o  riviera; Si  che,  veduta  lei,  non  sarà  eh'  oda Dar  più  alla  patria  di  Nausicaa  loda. 58  Udì  che  di  bei  tetti  posta  innante Sarebbe  a  quella  si  a  Tiberio  cara; Che  cederian  1'  Esperide  alle  piante Ch'  avria  il  bel  loco,  d'ogni  sorte  rara; Che  tante  spezie  d'animali,  quante Vi  fien,  né  in  mandra  Circe  ebbene  in  ara; Che  v' avria con  le  Grazie  e  con  Cupido Venere  stanza,  e  non  più  in  Cipro  o  in  Guido; 59  E  che  sarebbe  tal  per  studio  e  cura Dì  chi  al  sapere  ed  al  potere  unita La  voglia  avendo,  d'argini  e  di  mura Avria  sì  ancor  la  sua  città  munita, Che  centra  tutto  il  mondo  star  sicura Potria,  senza  chiamar  di  fuori  aita; E  che  d'Ercol  figliuol,  d'Ercol  sarebbe Padre  il  signor  che  questo  e  quel  far  debbe. 60  Così  venia  Rinaldo  ricordando Quel  che  già  il  suo  cugin  detto  gli  avea, Delle  future  cose  divinando, Che  spesso  conferir  seco  solca. E  tuttavia  V  nmil  città  mirando:Come  esser  può  eh' ancor,  seco  dicea, Debban  cosi  fiorir  queste  paludi Di  tutti  i  liberali  e  degni  studi? 61  E  crescer  abbia  di  sì  piccol  borgo Ampia  cittade  e  di  si  gran  bellezza? E  ciò  ch'intorno  é  tutto  stagno  e  gorgo, Sien  lieti  e  pieni  i  campi  di  ricchezza? Città,  sinora  a  riverire  assorgo L'amor,  la  cortesia,  la  gentilezza De' tuoi  Signori,  e  gli  onorati  pregi Dei  cavalier,  dei  cittadini  egregi. 62  L'inefifabil  bontà  del  Redentore, De'  tuoi  principi  il  senno  e  la  giustizia, Sempre  con  pace,  sempre  con  amore Ti  tenga  in  abbondanza  ed  in  letizia; E  ti  difenda  centra  ogni  furore De'  tuoi  nimici,  e  scopra  lor  malizia:Del  tuo  contento  ogni  vicino  arrabbi, Piuttosto  che  tu  invidia  ad  alcuno  abbi. 63  Mentre  Rinaldo  cosi  parla,  fende Con  tanta  fretta  il  snttil  legno  l'onde, Che  con  maggiore  a  logoro  non  scende Falcon  ch'ai  grido  del  padron  risponde. Del  destro  corno  il  destro  ramo  prende Quindi  il  nocchiero,  e  mura  e  tetti  asconde: San  Giorgio  addietro,  addietro  s'allontana La  torre  e  della  Fossa  e  di  Gaibana. 64  Rinaldo,  come  accade  eh' un  pensiero Un  altro  dietro  "  e  quello  un  altro  mena. Si  venne  a  ricordar  del  cavaliere, Nel  cui  palagio  fu  la  sera  a  cena; Che  per  questa  cittade,  a  dire  il  vero, Avea  giusta  cagion  di  stare  in  pena: E  ricordossi  del  vaso  da  bere, Che  mostra  altrui  l'error  della  mogliere; 65  E  ricordossi  insieme  della  prova Che  d'aver  fatta  il  cavalier  narrolli:Che  di  quanti  avea  esperti,  uomo  non  trova Che  bea  nel  vaso,  e  '1  petto  non  s' immolli. Or  si  pente,  or  tra  sé  dice: E'  mi  giova Ch'a  tanto  paragon  venir  non  volli. Riuscendo,  accertava  il  creder  mio; Non  riuscendo,  a  che  partito  era  io? 66    Gli  è  questo  creder  mio,  come  io  l'avessi Ben  certo,  e  poco  accrescer  lo  potrei: Si  che,  sal  paragon  mi  succedessi, Poco  il  meglio  saria  chMo  ne  trarrei; Ma  non  già  poco  il  mal,  quando  vedessi Quel  di  Clarice  mia,  ch4o  non  vorrei. Metter  saria  mille  contra  uno  a  giuoco, Che  perder  si  può  molto,  e  acquistar  poco. 69    II  nocchier  soggiuugea: Ben  gli  dicesti . Che  non  dovea  offerirle  si  gran  doni, Che  contrastare  a  questi  assalti  e  a  questi Colpi  non  sono  tutti  i  petti  huoni. Non  so  se  d'una  giovane  intendesti (Ch'  esser  può  che  tra  voi  se  ne  ragioni) . Che  nel  medesmo  error  vide  il  consorte, Di  ch'esso  avea  lei  condannata  a  morte. Stanza  73. 67  Stando  in  questo  pensoso  il  cavaliero Di  Chiaramonte,  e  non  alzando  il  viso, Con  molta  attenzìon  fu  da  un  nocchiero. Che  gli  era  incontra,  riguardato  fi.o:E  perchè  di  veder  tutto  il  pensiero. Che  r  occupava  tanto,  gli  fu  avviso, Come  uom  che  ben  parlava  ed  avea  ardire, A  seco  ragionar  lo  fece  uscire. 68  La  somma  fu  del  lor  ragionamento, Che  colui  mal  accorto  era  ben  stato, Che  nella  moglie  sua  l'esperimento Maggior  che  può  far  donna,  avea  tentato; Che  quella  che  dall'oro  e  dall'argento Difende  il  cor  di  pudicizia  armato, Tra  mille  spade  via  più  facilmente Difenderallo,  e  in  mezzo  al  fuoco  ardente. 70  Dovea  in  memoria  avere  il  signor  mio. Che  l'oro  e'I  premio  ogni  durezza  inchina; Ma,  quando  bisognò,  l'ebbe  in  obblio, Ed  ei  si  procacciò  la  sua  mina. Cosi  sapea  lo  esempio  egli,  com'io, Che  fu  in  questa  città  di  qui  vicina, Sua  patria  e  mia,  che  '1  lago  e  la  palude Del  rifrenato  Menzo  intorno  chiude:71  D'Adonio  voglio  dir,  che'l  ricco  dono Fé' alla  moglie  del  giudice,  d'un  cane. Di  questo,  disse  il  Paladino,  il  suono Non  passa  l'Alpe,  e  qui  tra  voi  rimane; Perchè  uè  in  Francia,  uè  dove  ito  sono, Parlar  n'udi' nelle  contrade  estrane: Si  che  di'  pur,  se  non  t' incresce  il  dire; Che  volentieri  io  mi  t'acconcio  a  udire. 72  n  nocchier  cominciò:  Già  fu  di  questa Terra  un  Anselmo  di  famiglia  degna, Che  la  sua  gioventù  con  lunga  vesta Spese  in  saper  ciò  eh'  Ulpi'ano  insegna; E  di  nobil  progenie,  bella  e  onesta Moglie  cercò,  ch'ai  grado  suo  convegna; E  d'una  terra  quindi  non  lontana N'ebbe  una  di  bellezza  sopraumana; 73  E  di  bei  modi  e  tanto  graziosi. Che  parea  tutto  amore  e  leggiadria; E  di  molto  più  forse,  eh'  ai  riposi, Cballo  stato  di  lui  non  convenia. Tosto  che  l'ebbe,  quanti  mai  gelosi Al  mondo  fur,  passò  di  gelosia:Non  già  ch'altra  cagion  glie  ne  desse  ella, Che  d'esser  troppo  accorta  e  troppo  bella. 74  Nella  città  medesma  un  cavaliero Era  d'antiqua  e  d' onorata  gente, Che  discendea  da  quel  lignaggio  altiero CVusci  d'una  mascella  di  serpente: Onde  già  Manto,  e  chi  con  essa  fero La  patria  mia,  disceser  similmente. Il  cavalier,  ch'Adonio  nominosse. Di  questa  bella  donna  innamorosse: 75  E  per  veiiìre  a  fin  di  questo  amore, A  spender  cominciò  senza  rilego In  vestire,  in  conviti,  in  farsi  onore, Quanto  può  farsi  un  cavalier  più  deguo. II  tesor  di  Uberio  imperatore Non  saria  stato  a  tante  spese  al  segno. Io  credo  ben  che  non  passar  duo  verni, Ch'  egli  usci  fuor  di  tatti  i  ben  patemi. 76  La  casa  eh  era  dianzi  frequentata Mattina  e  sera  tanto  dagli  amici, Sola  restò,  tosto  che  fu  privata Di  stame,  di  fagian,  di  coturnici Egli  che  capo  fu  della  brigata. Rimase  dietro,  e  quasi  fra  mendici:Pensò,  poi  eh'  in  miseria  era  venuto, D'andare  ove  non  fosse  coneeciuto. 77  Con  questa  intenz'ion  una  mattina, Senza  far  motto  altmi,  la  patria  lascia; E  con  sospiri  e  lacrime  cammina Lungo  Io  stagno  che  le  mura  fascia. La  donna  che  del  cor  gli  era  regina, Già  non  obblìa  per  la  seconda  ambascia. Ecco  un'alta  avventura  che  lo  viene Pi  sommo  male  a  porre  in  sommò  bene. 78  Vede  un  villan  che  con  uu  gran  bastone Intorno  alcuni  sterpi  s'affatica. Quivi  Adonio  si  ferma,  e  la  cagione Di  tanto  travagliar  vuol  che  gli  dica. Disse  il  villan,  che  dentro  a  quel  macchione Veduto  avea  una  serpe  molto  antica. Di  che  più  lunga  e  grossa  a'giomi  suoi Non  vide,  né  credea  mai  veder  poi; 79  E  che  non  si  voleva  indi  partire, Che  non  l'avesse  ritrovata  e  morta. Come  Adonio  lo  sente  cosi  dire, Con  poca  paz'ienzia  lo  sopporta.  Sempre  solea  le  serpi  favorire:Che  per  insegna  il  sangue  suo  le  porta, In  memoria  ch'usci  sua  prima  gente De'  denti  seminati  di  serpente. 80  E  disse  e  fece  col  villano  in  guisa Che,  suo  malgrado  abbandonò  l'impresa; Si  che  da  lui  non  fu  la  serpe  uccisa, Né  più  cercata,  né  altrimenti  offesa. Adouio  ne  va  poi  dove  s'avvisa Che  sua  condìzìon  sia  meno  intesa; E  dura  con  disagio  e  con  affanno Fuor  della  patria appresso  al  settimo  anno. 81    Né  mai  per  lontananza,  né  strettezza Del  viver,  che  i  pensier  non  lascia  ir  vaghi Cessa  Amor  che  si  gli  ha  la  mano  avvezza, Ch'ognor  non  gli  arda  il  core,  ognor  impiaghi, É  forza  alfin  che  torni  alla  bellezza Che  son  di  riveder  si  gli  occhi  vaghi. Barbato,  afflitto,  e  assai  male  in  arnese, Là  donde  era  venuto,  il  cammin  prese. Stanza  74. 2    In  questo  tempo  alla  mia  patria  accade Mandare  un  orator  al  Padre  santo. Che  resti  appresso  alla  sua  Santitade Per  alcun  tempo,  e  non  fu  detto  quanto. Gettan  la  sorte,  e  nel  Giudice  cade. Oh  giorno  a  lui  cagion  sempre  di  pianto! Fé'  scuse,  pregò  assai,  diede  e  promesse Per  non  partirsi;  e  alfìn  sforzato  ces'e.83    Non  gli  parea  cradele  e  duro  manco A  dover  sopportar  tonto  dolore: Che  se  veduto  aprir  s'avesse  il  fianco, E  vedutosi  trar  con  mano  il  core. Di  geloso  timor  pallido  e  bianco Per  la  sua  donna,  mentre  starla  fuore, Lei  con  quei  modi  che  giovar  si  crede, Supplice  priega  a  non  mancar  di  fede; Stanza  75. 84  Dicendola  eh' a  donna  né  bellezza, Nò  nobiltà,  né  gran  fortuna  basta, Si  che  di  vero  onor  monti  in  altezza Se  per  nome  e  per  opre  non  è  casta; E  che  quella  virtù  via  più  si  prezza, Che  di  sopra  riman  quando  contrasta; E  ch'or  gran  campo  avria,  per  questa  absenza. Di  far  di  pudicizia  esperienza. 85  Con  tal  le  cerca  ed  altre  assai  parole Persuader  eh'  ella  gli  sia  fedele. Della  dura  partita  ella  si  duole, Con  che  lagrime,  oh  Dio!  con  che  querele! E  giura  che  più  tosto  oscuro  il  Sole Vedrassi,  che  gli  sia  mai  si  crudele, Che  rompa  fede;  e  che  vorria  morire Piuttosto  ch'aver  mai  questo  desire. 86  Ancor  eh' a  sue  promesse  e  a' suoi  scongiuri Desse  credenza  e  si  acchetasse  alquanto, Non  resta  che  più  intender  non  procuri, E  che  materia  non  procacci  al  pianto. Avea  nn  amico  suo,  che  dei  futuri Casi  predir  teneva  il  pregio  e  '1  vanto; E  d'ogni  sortilegio  e  magic'  arte 0  il  tutto,  0  ne  sapea  la  maggior  parte. 87  Di  égli  pregando  di  vedere  assunto, Se  la  sua  moglie,  nominata  Argia, Nel  tempo  che  da  lei  starà  disgiunto, Fedele  e  casta,  o  pel  contrario  fia: Colui,  da  prieghi  vinto,  toUe  il  ponto; 11  ciel  figura  come  par  che  stia. Anselmo  il  lascia  in  opra,  e  l'altro  giorno A  lui  per  la  risposta  fa  ritomo. Stanza  83. 88    là  astrologo  tenea  le  labbra  chiose, Per  non  dire  al  dottor  cosa  che  doglia; E  cerca  di  tacer con  molte  scuse. Quando  pur  del  suo  mal  vede  e'  ha  voglia, Che  gli  romperà  fede,  gli  concluse, Tosto  eh'  egli  abbia  il  pie  fiior  della  soglia, Non  da  bellezza  né  da  prieghi  indotta, Ma  da  guadagno  e  da  prezzo  corrotta. 89    Giunte  al  timore,  al  dubbio  chavea  prima, Queste  minacce  ilei  superni  moti, Come  gli  stesse  il  cor  tu  stesso  stima, Se  damor  gli  accidenti  ti  son  noti. E  sopra  ogni  mestizia  che  T opprima, E  che  l'afflitta  mente  aggiri  e  arruoti, È  '1  saper  come,  vinta  d'avarizia, Per  prezzo  abbia  a  lasciar  sua  pudicizia. 90    Or  per  far,  quanti  polea  far,  ripari Da  non  lasciarla  in  queir  error  cadere (Perchè  il  bisogno  a  dispogliar  gli  altari Trae  V  uom  talvolta,  che  se  4  trova  avere), Ciò  che  tenea  di  gioie  e  di  danari (Che n'avea  somma)  pose in  suo  potere: Rendite  e  frutti  d'ogni  possessione, E  ciò  e' ha  al  mondo,  in  man  tutto  le  pone: stanza  86. 91  Con  facultade,  disse,  che  ne'  tuoi Non  sol  bisogni  te  li  goda  e  spenda, Ma  che  ne  possi  far  ciò  che  ne  vuoi. Li  consumi,  li  getti,  e  doni  e  venda. Altro  conto  saper  non  ne  vo'poi, Purché,  qual  ti  lascio  or,  tu  mi  ti  renda:Purché,  come  or  tu  sei,  mi  sie  rìmasa. Fa  eh'  io  non  trovi  né  poder  né  casa. 92  La  prega  che  non  faccia,  se  non  sente Ch'  egli  ci  sia,  nella  città  dimora; Ma  nella  villa,  ove  più  agiatamente Viver  potrà  d'ogni  commercio  fuora. Questo  dicea,  però  che  l'urail  gente, •   Che  nel  gregge  o  ne' campi  gli  lavora Non  gli  era  avviso  che  le  castevoglieContaminar  potessero  alla  moglie. 93  Tenendo  tuttavia  le  belle  braccia Al  timido  marito  al  collo  Argia, E  di  lacrime  empiendogli  la  faccia. Ch'  un  fiumicel  dagli  occhi  le  n'  uscia, S'attrista  che  colpevole  la  faccia, Come  di  fé'  mancata  già  gli  sia; Che  questa  sua  sospizi'on  procede Perchè  non  ha  nella  sua  fede  fede. 94  Troppo  sarà  s' io  voglio  ir  rimembrando Ciò  ch'ai  partir  da  tramendua  fu  detto. Il  mio  onor,  dice  alfin,  ti  raccomando. Piglia  licenza,  e  partesi  in  effetto; E  ben  si  sente  veramente,  quando Volge  il  cavallo,  uscire  il  cor  del  petto. Ella  lo  segue,  quanto  seguir  puote, Con  gli  occhi  che  le  rigano  le  gote. 95    Adonio  intanto  misero  e  tapino, E,  come  io  dissi,  pallido  e  barbuto, Verso  la  patria,  avea  preso  il cammino, Sperando  di  non  esser  conosciuto. Sul  lago  giunse  alla  città  vicino, L\  dove  avea  dato  alla  biscia  aiuto, Ch'  era  assediata  entro  la  macchia  forte Da  quel  villan  che  por  la  volea  a  morte. Stanza  86. 96  Quivi  arrivando  in  su  V  aprir  del  giorno, Ch'  ancor  splendea  nel  cielo  alcuna  stella, Si  vede  in  peregrino  abito  adorno Venir  pel  lito  incontra  una  donzella In  siguoril  sembiante,  ancor  ch'intorno Non  r  appari8.<"e  né  scudier  né  ancella. Costei  con  grata  vista  lo  raccolse, E  poi  la  lingua  a  tai  parole  sciolse:97  Sebbeu  non  mi  conosci  o  ca vallerò, Son  tua  parente  e  grande  obbligo  t' aggio: Parente  son,,  perchè  da  Cadmo  fiero Scende  d'amenduo  noi  Paltò  lignaggio. Io  son  la  fata  Manto,  che  M  primiero Sasso  messi  a  fondar  questo  villaggio; E  del  mio  nome  icome  ben  forse  hai Contare  udito)  Mantua  la  nomai. 98  Delle  Fate  io  son  una: ed  il  fatale Stato  per  farti  anco  saper  eh importe. Nascemmo  a  un  punto,  che  d'ogn'aliro  male Siaino  capaci,  fuor  che  della  morte. Ma  giunto  é  con  questo  essere  immortale Condizion  non  meu  del  morir  forte; Ch'ogni  settimo  giorno  ognuna  è  certa Che  la  sua  forma  in  biscia  si  converta. 99  II  vedersi  coprir  del  brutto  scoglio, E  gir  serpendo,  è  cosa  tanto  schiva. Che  non  é  pare  al  mondo  altro  cordoglio; Talché  bestemmia  ognuna  d'esser  viva. E  l'obbligo  ch'io  t'ho  (perchè  ti  voglio lusiememente  dire  onde  deriva) Tu  saprai;  che  quel  di,  per  esser  tali, Siamo  a  periglio  d'infiniti  mali. 100  Non  è  sì  odiato  altro  animale  in  terra, Come  la  serpe;  e  noi,  che  n'abbiam  faccia, Patimo  da  ciascun  oltraggio  e  guerra; Che  chi  ne vede, ne  percuote e  caccia. Se non  troviamo  ove  tornar  sotterra. Sentiamo  quanto pesa  altrui le  braccia, Meglio saria  poter morir, che rette E storpiate restar  sotto  le  botte. 101 L'obbligo  ch'io  t'ho  grande,  è  ch'una  volti Che  tu  passavi  per  quest'ombre  amene, Per  te  di  mano  fui  d'un  villan  tolta, Che  gran  travagli  m'avea  diti  e  pene. Se  tu  non  eri,  io  non  andava  asciolta, Ch'io  non  portassi  rotto  e  capo  e  schene, E  che  sciancata  non  restassi  e  storta, Sebbeu  non  vi  potea  rimaner  morta; 102  Perchè  quei  giorni  che  per  terra  il  petto Traemo  avvolte  in  serpentile  scorza. Il  ciel,  eh'  in  altri  tempi  è  a  noi  suggetto, Niega  ubbidirci, e  prive  slam  di  forza. In  altri  tempi  ad  un  sol  nostro  detto 11  sol  si  ferma,  e  la  sua  luce  ammorza; L'immobil  terra  gira,  e  muta  loco:S'infiamma  il  ghiaccio  e  si  congela  il  fuoco. 103  Ora  io  son  qui  per  renderti  mercede Del  beneficio  che  mi  festi  allora. Nessuna  grazia  indamo  or  mi  si  chiede, Ch'io  son  del  manto  viperino  fuora. Tre  volte  più  che  di  tuo  padre  erede Non  rimanesti,  io  ti  fo  rioco  or  ora. Né  vo'che  mai  più  povero  diventi. Ma  quanto  spendi  più,  che  più  augomenti. stanza  96. rH/i. OF 104  £  perchè  so  che  neir antiquo  nodo, In  che  già  Amor  t' avvinse,  anco  ti  trovi; Voglioti  dimostrar  T  ordine  e'I  modo Ch'a  disbramar  tuoi  desiderii  giovi. Io  voglio,  or  che  lontano  il  marito  odo, Che  senza  indugio  il  mio  consiglio  provi; Vadi  a  trovar  la  donna  che  dimora Fuor  alla  villa,  e  sarò  teco  io  ancora. 105  E  seguitò  narrandogli  in  che  guisa Alla  sua  donna  vuol  che  s' appresenti; Dico  come  vestir,  come  precisa Mente  abbia  a  dir,  come  la  prieghi  e  tenti; E  che  forma  essa  vuol  pigliar  divisa; Che,  fuor  cheM  giorno  ch'erra  tra' serpenti, In  tutti  gli  altri  si  può  far,  secondo Che  più  le  pare,  in  quante  forme  ha  il  mondo. 106  Messe  in  abito  lui  di  peregrino, n  qual  per  Dio  di  porta  in  porta  accatti. 3Intossi  ella  in  un  cane,  il  più  piccino Di  quanti  mai  n'abbia  Natura  fatti: Di  pel  lungo,  più  bianco  eh'  armellino, Di  grato  aspetto  e  di  mirabili  atti. Così  trasfigurati  entraro  in  via Verso  la  casa  della  bella  Argia: 107  E  dei  lavoratori  alle  capanne, Prima  ch'altrove,  il  giovene  fermosse, E  cominciò  a  suonar  certe  sue  canne, Al  cui  suono  danzando  il  can  rizzosse. La  voce  e  '1  grido  alla  padrona  vanne, E  fece  si,  che  per  veder  si  mosse. Fece  il  romeo  chiamar  nella  sua  corte, Si  come  del  dottor  traea  la  sorte. 108  E  quivi  Adenio  a  comandare  al  cane Incominciò,  e  il  cane  a  ubbidir  lui; E  far  danze  nostral,  farne  d'estrane, Con  passi  e  continenze  e  modi  sui: E  finalmente  con  maniere  umane Far  ciò  che  comandar  sapea  colui. Con  tanta  attenzion,  che  chi  lo  mira, Non  batte  gli  occhi,  e  appena  il  fiato  spira. 109  Gran  maraviglia,  et  indi  gran  desire Venne  alla  donna  di  quel  can  gentile; £  ne  fa  per  la  balia  profferire Al  cauto  peregrin  prezzo  non  vile. S'avessi  più  tesor,  che  mai  sitire Potesse  cupidigia  femminile, Colui  rispose,  non  saria  mercede Dì  comprar  degna  del  mio  cane  un  piede. 110    E  per  mostrar  che  veri  i  detti  foro. Con  la  balia  in  un  canto  si  ritrasse, E  disse  al  cane,  ch'una  marca  d'oro A  quella  donna  in  cortesia  donasse. Scossesi  il  cane"  e  videsi  il  tesoro. Disse  Adonio  alla  balia  che  pigliasse. Soggiungendo: ti  par  che  prezzo  sìa Per  cui  sì  bello  et  util  cane  io  dia?Stanza  111. 1 1 1  Cosa,  qual  vogli  sia,  non  gli  domando, Di  eh'  io  ne  tomi  mai  con  le  man  vote:.E  quando  perle,  e  quando  anella,  e  quando Leggiadra  veste  e  di  gran  prezzo  scuote, Pur  di' a  madonna,  che  fia  al  suo  comando, Per  oro  no,  eh'  oro  pagar  noi  puote; Ma  se  vuol  ch'una  notte  seco  io  giaccia, Abbiasi  il  cane,  e  '1  suo  voler  ne  faccia.  . 112  Cosi  dice;  e  una  gemma  allora  nata Le  dà,  ch'alia  padrona  l'appresenti. Pare  alla  balia  averne  più  derrata. Che  di  pagar  dieci  ducati  o  venti. Toma  alla  donna,  e  le  fa  l'ambasciata; E  la  conforta  poi  che  si  contenti D'acquistare  il  bel  cane,  ch'acquistarlo Per  prezzo  può,  che  non  si  perde  a  darlo. 113    La  bella  Argia  sta  ritrosetta  in  prima: Parte,  cbe  la  sut  fé  romper  uon  vuole; Parte,  ch'esser  possibile  non  stima Tutto  ciò  che  ne  suonan  le  parole. La  balia  le  riconla.  e  rode  e  lima, Che  tanto  ben  di  rado  avvenir  suole; E  fé  che  V  agio  un  altro  dì  si  tolse, Che'l  can  veder  senza  tanti  occhi  volse. Stanza  114. 114  Quest'altro  comparir  ch'Adonio  fece, Fu  la  ruina  e  del  dottor  la  morte. Facea  nascer  le  doble  a  diece  a  diece, Filze  di  perle,  e  gemme  d'ogni  sorte: Sì  che  '1  superbo  cor  mansuefece, Che  tanto  meno  a  contrastar  fu  forte, Quanto  poi  seppe  che  costui  eh' innante Le  fa  partito,  è  '1  cavalier  suo  amante. 115  Della  puttana  sua  balia  i  conforti, I  prieghi  dell'amante  e  la  presenzia, II  veder  cbe  guadagno  se  l'apporti, Del  misero  dottor  la  lunga  abseuzia, Lo  sperar  eh'  alcun  mai  non  lo  rapporti, Fero  ai  casti  pensier  tal  vi'olenzia. Ch'ella  accettò  il  bel  cane,  e  per  mercede In  braccio  e  in  preda  al  suo  amator  si  diede. 116  Adonio  lungamente  frutto  colse Della  sua  bella  donna,  a  cui  la  fata Grande  amor  pose,  e  tanto  le  ne  volse, Che  sempre  star  con  lei  si  fu  obbligata. Per  tutti  i  segni  il  sol  prima  si  volse. Ch'ai  Giudice  licenzia  fosse  data: Alfìn  tornò,  ma  pien  di  gran  sospetto Per  quel  che  già  l'astrologo  avea  detto. 117  Fa,  giunto  nella  patria,  il  primo  volo A  casa  dell' a9trologo,  e  gli  chiede Se  la  sua  donna  fatto  inganno  e  dolo, Oppur  serbato  gli  abbia  amore  e  fede. Il  sito  figurò  colui  del  polo, Ed  a  tutti  i  pianeti  il  luogo  diede: Poi  rispose,  che  quel  eh' avea  temuto, Come  predetto  fu,  gli  era  avvenuto; 118  Che  da  doni  grandissimi  corrotta. Data  ad  altri  s'avea  la  donna  in  preda. Questa  al  dottor  nel  cor  fu  sì  gran  botta, Che  lancia  e  spiedo  io  vo'cha  ben  le  ceda. Per  esserne  più  certo,  ne  va  allotta (Benché  pur  troppo  allo  indovino  creda) Ov'è  la  balia,  e  la  tira  da  parte, E  per  saperne  il  certo  usa  grand'arte. 119  Con  larghi  giri  circondando  prova Or  qua  or  là  di  ritrovar  la  traccia; E  da  principio  nulla  ne  ritrova, Con  ogni  dìligenzia  che  ne  faccia; Ch'  ella,  che  non  avf'a  tal  cosa  nuova, Stava  negando  con  immobil  faccia; E  come  bene  istrutta,  più  d'un  mese Tra  il  dubbio  e'I  certo  il  suo  padron  aospefle. 120  Quanto  dovea  parergli  il  dubbio  buono Se  pensava  il  dolor  ch'avrìa  del  certo? Poi  ch'indarno  provò  con  priego  e  dono Che  dalla  balia  il  ver  gli  fosse  aperto, Né  toccò  tasto  ove  sentisse  suono Altro  che  falso;  come  uom  bene  esperto, Aspettò  che  discordia  vi  venisse; Ch'ove  femmine  son,  son  liti  e  risse. 121  E  come  egli  aspettò,  così  gli  avvenne; Ch'  al  primo  sdegno  che  tra  loro  nacque, Senza  suo  ricercar    la  balia  venne Il  tutto  a  raccontargli;  e  nulla  tacque. Lungo  a  dir  fora  ciò  che  '1  cor  sostenne, Come  la  mente  costernata  giacque Del  Giudice  meschin,  che  fu  sì  oppresso Che  stette  per  uscir  fuor  di  sé  stesso: 122  E  si  dispose  alfia,  dallMra  vinto, Morir;  ma  prima  uccider  la  saa  moglie, £  che  dambidui  sangui  un  ferro  tinto Levasse  lei  di  biasmo,  e  sé  di  doglie. Nella  città  se  ne  ritoma,  spinto Da  così  furibonde  e  cieche  voglie; Indi  alla  villa  un  suo  fidato  manda, E  quanto  eseguir  debba  gli  comanda. 123  Comanda  al  servo,  ch'alia  moglie  Argia Tomi  alla  villa,  e  in  nome  suo  le  dica Ch'  egli  è  da  febbre  oppresso  cosi  ria, Che  di  trovarlo  vivo  avrà  fatica:Si  che,  senza  aspettar  più  compagnia . Venir  debba  con  lui,  s' ella  gli  è  amica (Verrà:  sa  ben  che  non  farà  parola); che  tra  via  le  seghi  egli  la  gola. 124  A  chiamar  la  patrona  andò  il  famiglio, Per  far  di  lei  quanto  il  signor  commesse. Dato  prima  al  suo  cane  ella  di  piglio, Montò  a  cavallo,  ed  a  cammin  si  messe. L' avea  il  cane  avvisata  del  periglio, Ma  che  d'andar  per  questo  ella  non  stesse: Chavea  ben  disegnato  e  provveduto Onde  nel  gran  bisogno  avrebbe  aiuto. 125  Levato  il  servo  del  cammino  s'era; E  per  diverie  e  solitarie  strade A  studio  capitò  su  una  riviera Che  d'Apennino  in  questo  fiume  cade; 0?'  era  bosco  e  selva  oscura  e  nera, Lungi  da  villa  e  lungi  da  cittade. Gli  parve  loco  tacito  e  disposto Per  l'effetto  cradel  che  gli  fu  imposto. 126  Trasse  la  spada,  e  alla  padrona  disse Quanto  commesso  il  suo  signor  gli  avea; Sì  che  chiedesse,  prima  che  morisse, Perdono  a  Dio  d'ogni  sua  colpa  rea. Non  ti  so  dir  com'ella  si  coprisse: Quando  il  servo  ferirla  si  credea, Più  non  la  vide,  e  molto  d'ogn' intorno L'andò  cercando,  e  alfin  restò  con  scorno. 128    Non  sa  che  far;  che  né  l'oltraggio  grave Vendicato  ha,  uè  le  sue  pene  ha  sceme. Quel  ch'era  una  festuca,  ora  è  una  trave; Tanto  gli  pesa,  tanto  al  cor  gli  preme. L'error  che  sapean  pochi,  or  si  aperto  ave. Che  senza  indugio  si  palesi,  teme. Potea  il  primo  celarsi  j  ma  il  secondo, Pubblico  in  breve  fia  per  tutto  il  mondo. Stanza  117. 129    Conosce  ben  che,  poiché '1  cor  fellone Avea  scoperto  il  misero  centra  essa, Ch'  ella,  per  non  tornargli  in  suggezione, D'alcun  potente  in  man  si  sarà  messa. Il  qual  se  la  terrà  con  irrisione .    Ed  ignominia  del  marito  espressa; E  forse  anco  verrà  d'alcuno  in  mano, Che  ne  fia  insieme  adultero  e  mfiìano. 127     Toma  al  patron  con  gran  vergogna  ed  onta, Tutto  attonito  in  faccia  e  sbigottito;E  V  insolito  caso  gli  racconta, Ch'egli  non  sa  come  si  sia  seguito. Ch'a'suoi  servigi  abbia  la  moglie  pronta La  fata  Manto,  non  sapea  il  marito; Che  la  balia,  onde  il  resto  avea  saputo, Questo,  non  so  perché,  gli  avea  taciuto. 130    Si  che,  per  rimediarvi,  in  fletta  manda Intorno  messi  e  lettere  a  cercame. Chi  'n  quel  loco,  chi  'n  questo  ne  domanda Per  Lombardia,  senza  città  lasciamo. Poi  va  in  persona,  e  non  si  lascia  banda Ove  0  non  vada  o  mandivi  a  spiarne:Né  mai  può  ritrovar  capo  né  via Di  venire  a  notizia  che  ne  sia. Stanza  VJ6. 131     Alfìn  chiamx  quel  servo,  a  chi  fa  imposta L'opra  crudel  che  poi  uou  ebbe  effetto, E  fa  che  lo  conduce  ove  nascosta Se  gli  era  Arga,  sì  come  gli  avea  detto; Che  forse  in  qualche  macchia  il  di  reposta, La  notte  si  ripara  in  alcun  tetto. Lo  guida  il  servo  ove  trovar  si  crede La  folta  selva,  e  un  gran  palagio  vede. 132    Fatto  avea  farsi  alla  i>ua  Fata  intanto La  beila  Argia  con  subito  Idvuro D'alabastri  un  palagio  per  incauto, Dentro  e  di  fuor  tutto  fregiato  d'oro. Ne  lìngua  dir,  né  cor  pensar  può  quanto Avea  beltà  di  fuor,  dentro  tesoro. Quel  che  iersera  si  ti  parve  bello, Del  mio  signor,  saria  un  tugurio  a  quello. 133  E  di  panni  di  razza,  e  di  cortine Tessale  riccamente  e  a  varie  foggie, Ornate  eran  le  stalle  e  le  cantitie, Non  sale  pur,  non  pur  camere  e  loggie; Vasi  d  oro  e  d  argento  senza  fine, Gemme  cavate,  azzurre  e  verdi  e  roggie, E  formate  in  gran  piatti  e  in  coppe  e  in  nappi, E  senza  fin  doro  e  di  seta  drappi. 134  II  Giudice,  siccome  io  vi  dicea. Venne  a  questo  palagio  a  dar  di  petto, Quando  né  una  capanna  si  credea Di  ritrovar,  ma  solo  il  bosco  schietto. Per  l'alta  maraviglia  che  n'avea, Esser  si  credea  uscito  d'intelletto:Non  sapea  se  fosse  ebbro,  o  se  sognasse, Oppur  se  1  cervel  scemo  a  volo  andasse. 135  Vede  innanzi  alla  porta  un  Eti'ópo Con  naso  e  labbri  grossi;  e  ben  gli  è  avvis  " Che  non  vedesse  mai,  prima  né  dopo, Un  cosi  sozzo  e  dispiacevol  viso; Pei  di  fattezze,  qua!  si  pinge  Esopo, D'attristar,  se  vi  fosse,  il  Paradiso; Bisunto  e  sporco,  e  d'abito  mendico:Né  a  mezzo  ancor  di  sua  bruttezza  io  dico. 136  Anselmo,  che  non  vede  altro  da  cui Possa saper  di  chi  la  casa  sia, A  lui  s'accosta,  e  ne  domanda  a  lui; Ed  ei  lisponde:  Questa  casa  è  mia. Il  Giudice  ò  ben  certo  che  colui Lo  beffi,  e  che  gli  dica  la  bugia: Ma  con  scongiuri  il  Negro  ad  affermare Che  sua  è  la  casa,  e  ch'altri  non  v'ha  a  fare; J37    E  gli  offerisce,  se  la  vuol  vedere, Che  dentro  vada,  e  cerchi  come  voglia; E  se  v'ha  cosa  che  gli  sia  in  piacere 0  per  sé  o  per  gli  amici,  se  la  toglia. Diede  il  cavallo  al  servo  suo  a  tenere Anselmo,  e  messe  il  pie  dentro  alla  soglia; E  per  sale  e  per  camere  condutto. Da  basso  e  d'alto  andò  mirando  11  tutto. 139    E  gli  fa  la  medesima  richiesta Ch'avea  già  Adonio  alla  sua  moglie  fatta. Dalla  brutta  domanda  e  disonesta. Persona  lo  stimò  bestiale  e  matta. Per  tre  repulse  e  quattro  egli  non  resta; E  tanti  modi  a  persuaderlo  adatta, Sempie  offerendo  in  merito  il  palagio, Che  fé' inchinarlo  al  suo  voler  malvagio. stanza  135. 188    La  forma,  il  sito,  il  ricco  e  bel  lavoro Va  contemplando,  e  l'ornamento  regio; E  spesso  dice: Non  potria  quant'  oro É  sotto  il  Sol  pagare  il  loco  egregio. A  questo  gli  risponde  il  brutto  Moro, £  dice:  E  questo  ancor  trova  il  suo  pregio: Se  non  d'oro  o  d'argento,  nondimeno Pagar  lo  può  quel  che  vi  costa  meno. 140    La  moglie  Argia,  che  stava  appresso  ascosa, Poi  che  lo  vide  nel  suo  error  caduto. Saltò  fuora  gridando: Ah  degna  cosa Ch'  io  veggo  di  dottor  saggio  tenuto ! Trovato  in  si  mal'opra  e  viziosa, Pensa  se  rosso  far  si  deve  e  muto. 0  terra,  acciò  ti  si  gittasse  dentro, Perché  allor  non  t' apristi  insino  al  centro? stanza  140. 141    La  douna  in  suo  dìscarco,  ed  in   vergogna D'Anselmo,  il  capo  gì'  intronò  di  gridi, Dicendo: Come  te  punir  bisogna Di  quel  che  far  con  si  vii  uom  ti  vidi, Se  per  seguir  quel  che  natura  agogna, Me,  vinta  a'prieghi  del  mio  amante,  uccidi. Ch'era  bello  e  gentile,  e  un  dono  tale Mi  fé',  eh' a  quel  nulla  il  palagio  vale? 142    S'io  ti  parvi  esser  degna  d'ona morte. Conosci  che  ne  sei  degno  di  cento: E  benché  in  questo  loco  io  sia  sì  forte. Ch'io  possa  di  te  fare  il  mio  talento, Pure  io  non  vo' pigliar  di  peggior  sorte Altra  vendetta  del  tuo  fallimento. Di  par  l'avere  e  '1  dar,  marito,  poni; Fa,  com'io  a  te,  che  tu  a  me  aijcor  penloui. 143    £  sia  la  pace  e  sia  raccordo  fatto, Chogni  passato  error  vada  in  obblio; Né  eh  in  parole  io  possa  mai  uè  in  atto Ricordarti  il  tuo  errori  né  a  me  tu  il  mio. Il  marito  ne  parve  aver  buon  patto, Né  dimostrossi  al  perdonar  restio. Cosi  a  pace  e  concordia  ritornaro, E  sempre  poi  fu  Tnno  air  altro  caro. 144    Cosi  disse  il  nocchiero;  e  mosse  a  riso Rinaldo  al  fin  della  sua  istoria  un  poco; E  diventar  gli  fece  a  un  tratto  il  viso, Per  l' onta  del  Dottor,  come  di  fuoco. Rinaldo  Argia  molto  lodò,  ch'avviso Ebbe  d  alzare  a  quello  augello  un  gioco Oh'  alla  medesma  rete  fé'  casca) lo, In  che  cadde  ella,  ma  con  minor  fallo. stanca  149. 14.5     Poi  che  più  in  alto  il  Sole  il  cammin  prese, Fé'  il  Paladino  apparecchiar  la  mensa, Ch'avea  la  notte  il  3rantiian  cortese Provvista  con  larghissima  dispensa. Fugge  a  sinistra  intanto  il  bel  paese, Ed  a  man  destra  la  palude  immensa:Viene  e  fnggesi  Argenta  e  '1  suo  girone, Col  lito  ove  Santerno  il  capo  pone. 146     Allora  la  Bastia  credo  non  v'era, Di  che  non  troppo  si  vantar  Spagnuoli D'avervi  su  tenuta !a  bandiera; Ma  più  da  pianger  n'hanno  i  Rom(ignuo)i. E  quindi  a  Filo  alla  dritta  riviera Cacciano  il  legno,  e  fan  parer  che  voli. Lo  volgon  poi  per  una  fossa  morta. Ch'a  mezzodì  presso  a  Ravenna  il  porta. 147  Benché  Rinaldo  con  pochi  danari Fosse  sovente,  pur  n'avea  si  allora, Che  cortesia  ne  fece  a'  marinari, Prima  che  li  lasciasse  alla  buon'  ora. Quindi  mutando  bestie  e  cavallari, A  Rimino  passò  la  sera  ancora; Né  in  Montefiore  aspetta  il  mattutino, E  quasi  a  par  col  sol  giunge  i  Urbino. 148  Quivi  non  era  Federico  allora, Né  Lisabetta,  nè'l  buon  Guido  v'era, Né  Francesco  Maria,  né  Leonora, Che  con  cortese  forza,  e  non  altiera, Avesse  astretto  a  far  seco  dimora Sì  famoso  guerrier  più  d'una  sera; Come  fèr  già  molti  anni,  ed  oggi  fanno A  donne  e  a  qavalier  che  di  14  vanuo. 149  Perchè  quivi  alla  briglia  alcun  noi  prende, Smonta  Rinaldo  a  Cagli  alla  via  dritta. Pel  monte  che  1  Metanro  o  il  Gauno  fende, Passa  ApenninOf  e  più  non  Tha  a  man  ritta; Passa  gli  Ombri  e  gli  Etmsci,  e  a  Roma  scende; Da  Roma  ad  Ostia;  e  qnindi  si  tragitta Per  mare  alla  cittade  a  cui  commise Il  pietoso  figliaci  V  ossa  d  Anchise. 150  Muta  ìyì  legno,  e  verso  V  isoletta Di  Lipadusa  fa  ratto  levarsi; Quella  che  fu  dai  combattenti  eletta, £d  ove  già  stati  erano  a  trovarsi Insta  Rinaldo,  e  gli  nocchieri  affretta, Cha  vela  e  a  remi  fan  ciò  che  può  farsi; Ma  i  venti  avversi,  e  per  lui  mal  gagliardi, Lo  fecer,  ma  di  poco,  arrivar  tardi. 151  Giunse  ch'appunto  il  Principe  d'Anglante Fatta  avea  l'utile  opra  e  gloriosa:Avea  Gradasso  ucciso  ed  Agramante, Ma  con  dura  vittoria  e  sanguinosa. Morto  n'era  il  figliuol  di  Monodante: E  di  grave percossa  e  perigliosa Stava  Olivier  languendo  in  su  T  arena, E  del  pie  guasto  avea  martire  e  pena. 162    Tener  non  potè  il  Conte  asciutto  il  viso, Quando  abbracciò  Rinaldo,  e  che  narroUi Che  gli  era  stato  Brandimarte  ucciso, Che  tanta  fede  e  tanto  amor  portolli. Né  men  Rinaldo,  quando  si  diviso Vide  il  capo  all' amico,  ebbe  occhi  molli: Poi  quindi  ad  abbracciar  si  fu  condotto Olivier,  che  sedea  col  piede  rotto. 158    La  consolazion  che  seppe,  tutta Die  lor,  benché  per  sé  tòr  non  la  possa; Che  giunto  si  vedea  quivi  alle  frutta. Anzi  poi  che  la  mensa  era  rimossa. Andare  i  servi  alla  città  distrutta, E  di  Gradasso  e  d'Agramante  l'ossa Nelle  mine  ascoser  di  Biserta, E  quivi  divulgar  la  cosa  certa. 154    Della  vittoria  ch'avea  avuto  Orlando, S'allegrò  Astolfo  e  Sansonetto  molto; Non  si  però,  come  avrian  fatto,  quando Non  fosse  a  Brandimarte  il  lume  tolto. Sentir  lui  morto  il  gaudio  va  scemando Sì,  che  non  ponno  asserenare  il  volto. Or  chi  sarà  di  lor,  ch'annunzio  voglia A  Fiordiligi  dar  di  si  gran  doglia? 155  La  notte  che  precesse  a  questo  giorno, Fiordiligi  sognò  che  quella  vesta Che,  per  mandarne  Brandimarte  adomo, Avea  trapunta  e  di  sua  man  contesta, Vedea  per  mezzo  sparsa  e  d'ogn' intomo Di  goccio  rosse,  a  guisa  di  tempesta: Parca  che  di  sua  man  cosi  l'avesse Ricamata  ella,  e  poi  se  ne  dogliesse. 156  E  parca  dir:  Pur  hammi  il  signor  mio Commesso  ch'io  la  faccia  tutta  nera: Or  perché  dunque  ricamata  hoU'io Centra  sua  voglia  in  si  strana  maniera? Di  questo  sogno  fe'giudicio  rio; Poi  la  novella  giunse  quella  sera: Ma  tanto  Astolfo  ascosa  glie  la  tenne, Ch'  a  lei  con  Sansonetto  se  ne  venne. 157  Tosto  ch'entraro,  e  ch'ella  loro  il  viso Vide  di  gaudio  in  tal  vittoria  privo, Senz'  altro  annunzio  sa,  senz'  altro  avviso, Che  Brandimarte  suo  non  é  più  vivo. Di  ciò  le  resta  il  cor  cod  conquiso, E  cosi  gli  occhi  hanno  la  luce  a  schivo, E  cosi  ogn' altro  senso  se  le  serra, Che  come  morta  andar  si  lascia  in  terra. 158  Al  tornar  dello  spirto,  ella  alle  chiome Caccia  le  mani;  ed  alle  belle  gote, Indarno  ripetendo  il  caro  nome, Fa  danno  ed  onta  più  che  far  lor  puote: Straccia  i  capelli  e  sparge;  e  grida  come Donna  talor  che'l  demon  rio  percuote, 0  come  s'ode  che  già  a  suon  di  comò Mènade  corse,  ed  aggìrossi  intomo. 159  Or  questo  or  quel  pregando  va,  che  pòrto Le  sia  un  coltel,  si  che  nel  cor  si  fera: Or  correr  vuol  là  dove  il  legno  in  porto Dei  duo  signor  defunti  arrivato  era, E  dell'uno  e  dell'altro  cosi  morto Far  cmdo  strazio,  e  vendetta  aera  e  fiera: Or  vuol  passare  il  mare,  e  cercar  tanto, Che  possa  al  suo  signor  morire  accanto. 160  Deh  perché, Brandimarte,  ti  lasciai Senza  me  andare  a  tanta  impresa?  (disse) Vedendoti  partir,  non  fVi  più  mai Che  Fiordiligi  tua  non  ti  seguisse. T'avrei  giovato,  s'io  veniva,  assai; Ch'avrei  tenute  in  te  le  luci  fisse: E  se  Gradasso  avessi  dietro  avuto, Con  un  sol  grido  io  t'avrei  dato  aiuto; 161  0  forse  esser  potrei  stata  si  presta, Ch'entrando  in  mezzo,  il  colpo  t avrei  tolto: Fatto  scudo  t'avrei  con  la  mia  testa; Che  morendo  io,  non  era  il  danno  molto. Ogni  modo  io  morrò;  né  fia  di  questa Dolente  morte  alcun  profitto  cólto; Che,  quando  io  fossi  morta  in  tua  difesa, Non  potrei  mlio  aver  la  vita  spesa. 162  Se  pur  ad  aiutarti  i  duri  fati Avessi  avuti  e  tutto  il  cielo  avverso, Gli  ultimi  baci  almeno  io  t'avrei  dati, Almen  t'avrei  di  pianto  il  viso  asperso; E  prima  che  con  gli  angeli  beati Fosse  lo  spirto  al  suo  Fattor  converso, Detto  gli  avrei:  Va  in  pace,  e  là  m'aspetta: Ch' ovunque  sei,  son  per  seguirti  in  fretta. 163  É  questo,  Brandimarte,  è  questo  il  regno, Di  che  pigliar  lo  scettro  ora  dovevi? Or  cosi  teco  a  Dammogire  io  vegno? Cosi  nel  real  seggio  mi  ricevi? Ah  Fortuna  crudel,  quanto  disegno Mi  rompi !  oh  che  speranze  oggi  mi  levi ! Deh,  che  cesso  io,  poic'ho  perduto  questo Tanto  mio  ben,  ch'io  non  perdo  anco  il  resto? 164  Questo  ed  altro  dicendo,  in  lei  risorse n  furor  con  tanto  impeto  e  la  rabbia, Ch'a  stracciare  il  bel  crìu  di  nuovo  corse, Come  il  bel  crin  tutta  la  colpa  n'abbia. Le  mani  insieme  si  percosse  e  morse; Nel  sen  si  cacciò  l'ugne  e  nelle  labbia. Ma  tomo  a  Orlando  ed  a' compagni,  intanto Ch'ella  si  strugge  e  si  consuma  in  pianto. 15    Orlando,  col  cognato  che  non  poco Bisogno  avea  di  medico  e  di  cura; Ed  altrettanto,  perchè  in  degno  loco Avesse  Brandimarte  sepoltura; Verso  il  monte  ne  va,  che  fa  coi  fuoco Chiara  la  notte,  e  il  di  di  fumo  oscura. Hanno  propizio  il  vento,  e  a  destra  mano Non  è  quel  lito  lor  molto  lontano. 1 66    Con  fresco  vento  eh'  in  favor  veniva, Sciolser  la  fune  al  declinar  del  giorno, Mostrando  lor  la  taciturna  Diva La  dritta  via  col  luminoso  corno; E  sorser  l'altro  dì  sopra  la  riva Ch'amena  giace  ad  Agrigento  intomo. Quivi  Orlando  ordinò  per  l'altra  sera Ciò  ch'a  funeral  pompa  bisogno  era. 167  Poi  che  l'ordine  suo  vide  eseguito, Essendo  omai  del  Sole  il  lume  spento, Fra  molta  nobiltà  eh'  era  allo  'nvito De' luoghi  intorno  corsa  iu  Agrigento, D'accesi  torchi  tutto  ardendo '1  lito, E  di  grida  sonando  e  di  lamento, Tomo  Orlando  ove  il  corpo  fu  lasciato. Che  vivo  e  morto  avea  con  fede  amato. 168  Quivi  Bardin,  di  soma  d'anni  grave, Stava  piangendo,  alla  bara  funebre, Che  pel  gran  pianto  eh' avea  fatto  in  nave, Dovria  gli  occhi  aver  pianti  e  le  palpebre. Chiamando  il  ciel  cmdel,  le  stelle  prave, Bnggia  come  un  leon  ch'abbia  la  febre. Le  mani  erano  intanto  empie  e  ribelle Ai  crin  canuti  e  alla  rugosa  pelle. stanza  168. 169  Levossi,  al  ritomar  del  Paladino, Maggiore  il  grido,  e  raddoppiossi  il  pianto. Orlando,  fatto  al  corpo  più  vicino. Senza  parlar  stette  a  mirarlo  alquanto, Pallido  come  còlto  al  mattutino É  da  sera  il  ligustro  o  il  molle  acanto; E  dopo  un  gran  sospir,  tenendo  fisse Sempre  le  luci  in  lui,  cosi  gli  disse: 170  0  forte,  o  caro,  o  mio  fedel  compagno, Che  qui  sei  morto,  e  so  che  vivi  in  cielo, E  d'una  vita  v'  hai  fatto  guadagno, Che  non  ti  può  mai  tòr  caldo  né  gelo. Perdonami,  sebben  vedi  eh'  io  piagno; Perchè  d'esser  rimaso  mi  querelo, E  ch'a  tanta  letizia  io  non  son  teco; Non  già  perchè  quaggiù  tu  non  sìa  meco. ]  7 1     Solo  senza  te  son;  né  cosa  in  terra Senza  te  posso  aver  più  che  mi  piaccia. Se  teco  era  in  tempesta  e  teco  in  guerra, Perchè  non  anco  in  ozio  ed  in  honaccia? Ben  grande  èl  mio  fallir,  poiché  mi  serra Di  questo  fango  uscir  per  la  tua  traccia. Se  negli  affanni  teco  fui,  perch'  ora Non  sono  a  parte  del  guadagno  ancora? 172    Tu  guadagnato,  e  perdita  ho  fatto  io: Sol  tu  air  acquisto,  io  non  son  solo  al  danno. Partecipe  fatto  é  del  dolor  mio L'Italia,  il  regno  franco  e  l'alemanno. Oh  quanto,  quanto  il  mio  Signore  e  zio. Oh  quanto  i  Paladin  da  doler  s'  hanno   Quanto  l'Imperio  e  la  cristiana  Chiesa, Che  perduto  han  la  sua  maggior  difesa! Stanza  181. 173    Oh  quanto  si  torrà,  per  la  tua  morte, Di  terrore  a'  nimici  e  di  spavento ! Oh  quanto  Paganìa  sarà  più  forte! Quanto  animo  n'avrà,  quanto  ardimento! Oh  come  star  ne  dee  la  tua  consorte! Sin  qui  ne  veggo  il  pianto,  e  'i  grido  sento:So  che  m' accusa',  e  forse  odio  mi  porta, Che  per  me  teco  ogni  sua  speme  è  morta. 174    Ma,  Fiordiligi,  almen  resti  un  conforto A  noi  che  siam  di  Brandimarte  privi; Ch'invidiar  lui  con  tanta  gloria  morto Denno  tutti  i  guerrier  ch'oggi  son  vivi. Quei  Decj,  e  quel  nel  roman  Foro  absorto, Quel  si  lodato  Codro  dagli  Argivi, Non  con  più  altrui  profitto  e  più  suo  onore A  morte  si  donar,  del  tuo  signore.175    Queste  parole  ed  altre  dicea  Orlando. Intanto  i  bigi,  i  bianchi,  i  neri  frati, E  tutti  gli  altri  chieici,  seguitando Andavan  con  lungo  ordine  accoppiati, Per  r  alma  del  deftinto  Dio  pregando, Che  gli  donasse  requie  tra' beati. Lumi  innanzi  e  per  mezzo  e  d'ogn' intorno, Mutata  aver  parean  la  notte  in  giorno. 176    Levan  la  bara,  ed  a  portarla  fOro Messi  a  vicenda  Conti  e  cavalierL Purpurea  seta  la  copria,  che  doro E  di  gran  perle  ayea  compassi  altieri:Di  non  men  bello  e  signori!  lavoro Avean  gemmati  e  splendidi  origlieri; E  giacea  quivi  il  cavalier  con  vesta Di  color  pare,  e  d'un  lavor  contesta. SUnza  185. 177    Trecento  agli  altri  eran  passati  ìnnanti, De' più  poveri  tolti  della  terra, Parimente  vestiti  tutti  quanti Di  panni  negri,  e  lunghi  sin  a  terra. Cento  paggi  seguian  sopra  altrettanti Grossi  cavalli,  e  tutti  buoni  a  guerra; E  i  cavalli  coi  paggi  ivano  il  suolo Badendo  col  lor  al)ito  di  duolo. 178    Molte  bandiere  innanzi,  e  molte  dietro. Che  di  diverse  insegne  eran  dipinte, Spiegate  accompagnavano  il  feretro; Le  quai  già  tolte  a  mille  schiere  vinte, E  guadagnate  a  Cesare  ed  a  Pietro Avean  le  forze  ch'or  giaceano  estinte. Scudi  v'erano  molti,  che  di  degni Querrier,  a  chi  fur  tolti,  aveano  i  segui. 179  Veniali  eento  e  cent' altri  a  diversi  usi Deir esequie  ordinati;  ed  avean  questi, Come  anc3  il  resto,  accesi  torchi;  e  chiusi, Più  che  vestiti,  eran  di  nere  vesti. Poi  seguia  Orlando,  e  ad  or  ad  or  soffusi Di  lacrime  avea  gli  occhi,  e  rossi  e  mesti; Né  più  lieto  di  lui  Rinaldo  venne: Il  pie  Olivier,  che  rotto  avea,  ritenne. 180  Lungo  sarà  s'io  vi  vo'dire  in  versi Le  cerimonie,  e  raccontarvi  tutti I  dispensati  manti  oscuri  e  persi, Gli  accesi  torchi  che  vi  furon  strutti. Quindi  alla  chiesa  cattedral  conversi, Dovunque  andar,  non  lasciaro  occhi  asciutti; Si  bel,  sì  buon,  sì  giovene,  a  pietade Mosse  ogni  sesso,  ogni  ordine,  ogni  etade. 183  E  vedendo  le  lacrime  indefesse, Ed  ostinati  a  uscir  sempre  i  sospiri; Né,  per  far  sempre  dire  ufficj  e  messe, Mai  satisfar  potendo  a' suoi  disiri; Di  non  partirsi  quindi  in  cor  si  messe, Finché  del  corpo  V anima  non  spiri:E  nel  sepolcro  fé' fare  una  cella, E  vi  si  chiuse,  e  fé'  sua  vita  in  quella. 184  Oltre  che messi  e  lettere  le  mande. Vi  va  in  persona  Orlando  per  levarla. Se  viene  in  Francia,  con  pensìon  ben  grande Compagna  vuol  di  Gktlerana  farla:Quando  tornare  al  padre  anco  domande, Sin  alla  Lizza  vuole  accompagnarla: Edificar  le  vuole  un  monastero, servire  a  Dio  faccia  pensiero. stanza  190. 181  Fu  posto  in  chiesa;  e  poi  che  dalle  donne Di  lacrime  e  di  pianti  inutil  opra, E  che  dai  sacerdoti  ebbe  eleisonne, E  gli  altri,  santi  detti  avuto  sopra, In  un'  arca  il  serbar  su  due  colonne:E  quella  vuole  Orlando  che  si  copra Di  ricco  drappo  d'ór,  sinché  reposto In  un  sepulcro  sia  di  maggior  costo. 182  Orlando  di  Sicilia  non  si  parte. Che  manda  a  trovar  porfidi  e  alabastri. Fece  fare  il  disegno,  e  di  quell'arte Inarrar  con  gran  premio  i  miglior  mastri. Fé' le  lastre,  venendo  in  questa  parte, Poi  drizzar  Fiordiligi,  e  i  gran  pilastri Che  quivi,  essendo  Orlando  già  partito, Si  fé' portar  dall'africano  lito. 185  Stava  ella  nel  sepulcro;  e  quivi,  attrita Da  penitenzia,  orando  giorno  e  notte, Non  durò  lunga  età,  che  di  sua  vita Dalla  Parca  le  fur  le  fila  rotte. Già  fatto  avean  dall'isola  partita. Ove  i  Ciclopi  avean  l'antique  grotte, I  tre  guerrier  di  Francia,  afflitti  e  mesti Che'l  quarto  lor  compagno  addietro  resti. 186  Non  volean  senza  medico  levarsi, Che  d'Olivier  s'avesse  a  pigliar  cura; La  qual,  perché  a  principio  mal pigliarsiPotè,  fatt'  era  faticosa  e  dura:E  quello  udiano  in  modo  lamentarsi, Che  del  suo  caso  avean  tutti  paura. Tra  lor  di  ciò  parlando,  al  nocchier  nacque Un  pensiero,  e  lo  disse;  e  a  tutti  piacque. 187  Disse  ch'era  di  là  poco  lontano In  un  solingo  scoglio  uno  eremita, A  cui  ricorso  mai  non  s' era  invano, 0  fosse  per  consiglio  o  per  aita; E  facea  alcun  effetto  soprnmano, Dar  lume  a  ciechi,  e  tornar  morti  a  vita. Fermare  il  vento  ad  un  segno  di  croce, E  far  tranquillo  il  mar  quando  è  più  atroce; 188  E  che  non  dnno  dubitare,  andando A  ritrovar  quell' uomo  a  Dio  sì  caro, Che  lor  non  renda  Olivier  sano,  quando Fatto  ha  di  sua  virtù  segno  più  chiaro. Questo  consiglio  si  piacque  ad  Orlando Che  verso  il  santo  loco  si  drizzare; Né  mai  piegando  dal  cammin  la  prora, Vider  lo  scoglio  al  sorger  dell'aurora. 189  Scorgendo  il  legno  uomini  in  acqua  dotti, Sicuramente  s'accostaro  a  quello. Quivi  aiutando  servi  e  galeotti, Declinaro  il  marchese  nel  battello: E  per  le  spumose  onde  far  condotti Nel  duro  scoglio,  et  indi  al  santo  ostello; Al  santo  ostello,  a  quel  vecchio  medesmo, Per  le  cui  mani  ebbe  Kuggier  battesmo. 190  II  servo  del  Signor  del  paradiso Baccolse  Orlando  e  i  compagni  suoi, E  benedilli  con  giocondo  viso, E  de'  lor  casi dimandolli  poi; Benché  di  lor  venuta  avuto  avviso Avesse  prima  dai  celesti  eroi. Orlando  gli  rispose  esser  venuto Per  ritrovare  al  suo  Oliviero  aiuto; 191  Ch'era,  pugnando  per  la  fé  di  Cristo, A  periglioso  termine  ridutto. Levógli  il  Santo  ogni  sospetto  tristo, E  gli  promise  di  sanarlo  in  tutto. Né  d'unguento  trovandosi  provvisto.. Né  d'altra  umana  medicina  instrutto, Andò  alla  chiesa,  ed  orò  al  Salvatore; Et  indi  usci  con gran baldanza  fuore: 193    E  in  nome  delle  eteme  tre  Persone, Padre  e  Figliuolo  e  Spirto  Santo,  diede Ad  Olivier  la  sua  benedizione. Oh  virtù  che  dà  Cristo  a  chi  gli  crede ! Cacciò  dal  cavallero  ogni  passione, £  ritomògli  a  sanitade  il  piede, Più  fermo  e  più  espedito  che  mai  fosse: E  presente  Sobrino  a  ciò  trovosse. 193  Giunto  Sobrin  delle  sue  piaghe  a  tanto, ,Che  star  peggio  ogni  giorno  se  ne  sente, Tosto  che  vede  del  monaco  santo Il  miracolo  grande  ed  evidente, Si  dispon  di  lasciar  Macon  da  canto, E  Cristo  confessar  vivo  e  potente: E  domanda,  con  cor  di  fede  attrito, D'iniziarsi  al  nostro  sacro  rito. 194  Cosi  l'uom  giusto  Io  battezza,  ed  anco Gli  rende,  orando,  ogni  vigor  primiero. Orlando  e  gli  altri  cavalier  non  manco Di  tal  conversion  letizia  fero. Che  di  veiler  che  liberato  e  franco Del  periglioso  mal  fosse  Oliviero. 3[aggior  gaudio  degli  altri  Kuggier  ebbe; E  molto  in  fede  e  in  devozione  accrebbe. 195    Era  Buggier  dal  dì  che  giunse  a  nuoto Su  questo  scoglio,  poi  statovi  ognora. Fra  quei  guerrieri  il  vecchierel  devoto Sta  dolcemente,  e  li  conforta  ed  óra A  voler,  schivi  di  pantano  e  loto. Mondi  passar  per  questa  morta  gora, C'ha  nome  vita,  che  si  piace  a' sciocchi; Ed  alle  vie  del  ciel  sempre  aver  gli  occhi. [Stanza  193. 196  Orlando  un  suo  mandò  sul  legno,  e  trarne Fece  pane  e  buon  vin,  cacio  e  presciutti; E  all'uom  di  Dio,  eh'  ogni  sapor  di  starne Pose  in  obblio  poi  eh' avvezzossi  a' frutti, Per  carità  mangiar  fecero  carne, E  ber  del  vino,  e  far  quel  che  fèr  tutti. Poi  ch'alia  mensa  consolati  f5ro, Di  molte  cose  ragionar  tra  loro. 1197  E  come  accade  nel  parlar  sovente, Ch'  una  cosa  vien  l'altra  dimostrando, Buggier  riconosciuto  finalmente Fu da Rinaldo,  da  Olivier,  da  Orlando, Per  quel  Kuggier  in  arme  sì  eccellente, Il  cui  valor  s' accorda  ognun  lodando:Né  Binaldo  l'avea  niffigurato Per  quel  che  provò  già  nello  steccato. 198    Ben  V  avea  il  re  Sobrio  riconosciuto, Tosto  che  1  vide  col  vecchio  apparire; B[a  volse  innanzi  star  tacito  e  muto, Che  porsi  in  avventura  di  fallire. Poi  eh' a  notizia  agli  altri  fu  venuto Che  questo  era  Ruggier,  di  cui  l'ardire, La  cortesia,  e'I  valore  alto  e  profondo Si  facea  nominar  per  tntto  il  mondo; 199    E  sapendosi  gii  eh'  era  crist'ano, Tutti  con  lieta  e  con  serena  faccia Vengono  a  lai:  chi  gli  tocca  la  mano, Chi  lo  bacia,  e  chi  lo  stringe  e  abbraccia. Sopra  gli  altri  il  signor  di  Montalbano D'accarezzarlo  e  fargli  onor  procaccia. Perch'esso  più  degli  altri,  io '1  serbo  a  dire Nell'altro  Canto,  se'l  vorrete  udire. NOTE. St.  8.  v.3.   Tomo;  caduta. St.  10.  V.5.   Levarti  dalla  scena  i  panni: vale manifestarti  il  mio  interno. St.  11.  V  16.   Una  cittd  vicina,  ecc.:  Mantova, circondata  da  un  laf?o  formato  dal  Mincio,  che  deriva dal  Benaco  (lago  di  Gai'da)  e  si  scarica  in  Po.   Le mura....  de'l  agenoreo  draco:  Tebe  di  Beozia,  fabbri cata da  Cadmo,  figlio  di  Agenore,  re  di  Fenicia.  Andava egli  in  traccia  d'Kuropa,  sua  sorella,  rapita  da  Giove; e  giunto  con  i  suoi  compagni  in  Beozia,  trovò  quella regione  infestata  da  un  drago;  Tnccise ed avendone seminati i  denti,  ne  nacquero  nomini  armati,  che  lo  aiu tarono a  fabbricar  la  città. St.  13.  V.4.   Pallade:  figlia  di  Giove,  dea  della sapienza,  dell'arti  e  della  guerra. St.  23.  V.46.   La  giovane  Ledea:  Elena,  fleliadi Leda  e  di  Tindaro,  e  moglie  di  Menelao,  re  di  Sparta, famosa  per  l'avvenenza.   Al  gran  pastor  deVa  mon tagna Idea:  Paride,  figlio  di  Priamo,  re  di  Troia;  fu allevato  dai  pastori  reali  sul  monte  Ida,  e  giudicò  la contesa  sulla  bellezza  fra  Venere,  Pallade  e  Giunone, ognuni  delle  qui  li,  per  averlo  propirio,  gli  offeriva  i pregi  di  che  poteva  disporre. St.  '28.  V.34.   Qual  già,  per  fare  accorto,  ecc. Leggesi  nei  romanzi  della  Tavola  Rotonda,  che  Mor gana, sorella  di  Marco,  re  di  Gomovaglia,  per  mostrare al  fratello  che  la  consorte  di  lui,  Ginevra,  gli  avea  man cato alla  fede,  fece  per  incanto  un  bicchiere .  che  pro duceva l'effetto  indicato  nei  quattro  ultimi  versi  di questa  Stanza. St.  32.  V.18.   Signor,  qui  presso  una  n'iti  difende Il  Po,  ecc.  Ferrara,  che  giace  dove  il  Po  si  divide  ne' due  rami  di  Volano  e  di  Primaro.   Fin  dove  il  mir fugge  dal  Ufo  e  toma:  fino  alla  spiaggia  dell'Adrìa lico.   Le  reliquie  troiane  la  fondaro,  ere.  Accenna l'opinione,  allora  coirente,  che  fondatoti  di  Fenura  fos se  0  i  Padovani  scampati  dalP  eccidio  che  fece  Atala della  loro  città,  che  credevasi  fabbricata  dal  troiano Antenore. St.  33.  V.5.   Nel  primo  occorso:  nel  primo  incontro. St.  W.  V.5  8.   Melara....  Sermide...  Figarolo  e Stellata,  castelli  sul  Po;  r  ultimo  di  questi  sorge  là dove  quel  fiume  si  divide  in  due  rami,  il  destro  de' quali,  detto  Poatello,  rade  Ferrara,  e l'altro  sbocca nell'Adrìatico  col  nome  di  Po  di  Goro. ST.  54.  V.38,   iZ  Bondeno: altro  castello  sulla confluenza  del  Pan!.ro  nel  Poatello.   Di  TecUdo  Amh le  rocche:  qai  s'intenle  un  castello  fabbricato,  secondo il  Pigna,  da  Te<laUo  dEste  sul  Poatello,  nella  estnmità occidentale  di  Ferrara,  circa  l'anno  970,  epoca  poste riore ai  tempi  di  Carlo  Magno. St.  56.  v.38.   AlV isoletta,  ecc.:  Belvedere,  piccola isola  formata  dal  Po,  la  quale  ai  tempi  del  Poeta  era luogo  di  delizie  del  duca  Alfonso. St.  57.  V.38.   Che  settecento  volte  che  si  sia  Gi rata col  M  nton  la  quarta  sfera: locuzione  che  im porta scorsi  che  sieno  700  anni.  La  quarta  sfera,  se condo il  sistema  di  Tolomeo,  è  quella  del  Sole;  e  l'anno astronomico  comincia  all'entrar  di  quell'astro  nel  segno d'Ariete.   Alla  patria  di  Nausicaa:  l'isola  di  Pea eia,  ora  Corfù,  rinomata  presso  gli  antichi  per  la  bel lezza dei  giardini  d'Alcinoo,  pdre  di  Nausicaa,  che n'era  il  sovrano. St.  58.  v.26.   Quella  si  a  Tiberio  cara: l'isola di  Capri,  ultimo  ritiro  dell' imperator  Tiberio  Nerone.  Né  in  mandra  Circe  ebbe  né  in  hara: Circe,  figlia del  Sole  e  maga  famosa,  convertiva  in  bestie,  e  per  lo pia  in  porci,  gli  uomini  che  approdavano  nella  sua  isola  Hara: porcile. St.  59.  V.78.   E  che  d'Ercol  figliuola  ecc.:  inten desi  il  duca  Alfonso,  figliuolo  d'Ercole  I,  e  padre  d'Er cole II. St.  63.  V.88.   Logoro:  or  .Ugno  di  penne  e  di  cuoio . fatto  a  modo  d'ala,  che  serve  agliuccellatori,  per  ri chiamare il  falcone.   Del  destro  corno  il  destro  ramo prende,  ecc.  Quel  ramo  cioè  del  Poatello, che  piA  avanti chiamasi  Po  di  Primaro,  ed  è  il  destro  anche  rispetto air  altro  ramo,  detto  Po  di  Volano.   San  Giorgio:nome  di  un'isoletta  sul  Po.   La  torre  e  della  Fossa e  di  Galbana:  due  torri  costruite  sul  Po  di  Primaro a  sei  miglia  da  Ferrara,  la  prima  a  destra,  l'altra  (oni più  non  esistente)  a  sinistra  di  quel  ramo  di  fiume. St.  70.  V.C8.   Che  fu  in  qttesta  cittd  di  qui  vi cina, ecc.  Mantova,  circondata  dal  lago  formato  dal Mincio,  come  si  è  notato  poc'anzi. St.  72.  V.4.   Ciò  ch'Vlpiano  insegala.  Fu  Ulpiano un  celebre  giureconsulto,  ai  tempi  dell'imperatore  Ales sandro Sevei'o. St.  74.  V.34.   2>a  quel  Urnaggio  altiero  CKusci da  una  mascella  di  serpente:  dai  compagni  di  Cadmo, nati,  come  s' è  veduto,  dai  denti  del  drago  o  serpeate ucciso  da  quello. St.  75.  V.58.   H  tesar  di  Tiberio  imperatore: non Tiberio  Nerone,  ma  nn  altro  Tiberio  che  saccedette  a Giustino  Ian\ore,  e  che  fa  doviziosissimo  per  gli  eredi tati tesori.  ])er  quelli  ammassati  da  Narsete  spogliando ritalia,  e  per  altri  provenutigli  dalle  vittorie  che  riportò sui  Persiani.   Usci  fuor  di  tutti  i  ben  paterni:  gli scialacquò  tatti. St.  79.   v. 8.   Di'  denti  seminati  di  serpente.  Finge il  Poeta  che  gli  antenati  di  Antonio  discendessero  dai compagni  di  Cadmo. St.  87.  V.5.   Tolle  il  punto:  coglie  il  punto  accon cio per  le  osservazioni  astrologiche. St.  101.  V.56.   Io  non  andava  aseiolta  Ch'io  non portassi  rotto,  ecc.  Io  non  andava  esente  dal  portar rotto,  ecc. St.  107.  V.3.   Certe  sue  canne:  una  zampogna composta  di  canne.   Il  romeo:  nome  che  davasi  a  chi andava  in  pellegrinaggio  a  Roma,  e  che  poi  si  estese anche  agli  altri  pellegrini.   Traea: per  voleva. St.  133.  v.1.   Ratsi  o  Panni  di  tazza  non  sonò altro  che  gli  arasti,  cosi  detti  dalla  città  di  Arras  in Fiandra,  ove  da  principio  si  fabbricarono. St. 135.  V.5.   Esopo:  scrittore  di  favole  e  deforme. St.  145.  V.8.   Col  lito  ove  Santerno  il  capo  pone: la  riva  del  Po  di  Primaro,  in  cui,  sotto  Argenta,  sbocca il  Santerno,  ch'è  il  fiume  dimoia. St  MS.  V.47.   I  RomagnuoH:  vedi  la  Stanza  53 del  Canto  Ili.   E  quindi  a  Filo: nome  di  una  villa sulla  sinistra  del  Po  di  Primaro,  sette  miglia  sotto  Ar genta.  Fossa  morta:  cosi  chiamano  un  ramo  subal terno del  Po  di  Primaro,  che  corre  per  dodici  miglia fino  a  Ravenna. St.  148.  V.13.   Quivi  non  era  Federico  al/ora,  ecc.: Federico  e  Ouidubaldo  da  Montefeltro,  Elisabetta  sua moglie,  e  Francesco  Maria  della  Rovere,  marito  di  Leo nora Gonzaga,  duchi  d  Urbino,  e  splendidamente  ospi tali alle  persone  distinte. St.  149.  V.28.   Cagli:  piccola  città  vescovile  nel l'Urbinate, alle  fetide  degli  ApenninL   Pel  monte  che  7 Metawo  o  il  Gauno  fende:  questo  monte  è  il  Furio, nel  cui  intemo,  per  mezzo  di  un  foro,  passa  un  tratto della  strada  postale.  Il  Metauro  ò  fiume  dell  Urbinate che  si  confonde  col  Gauno,  fiumicello  di  cui  forse  ora si  è  perduto  il  nome.   Oli  Ombri  e  gli  Strusci:  il paese  abitato  una  volta  dagli  Umbri  e  dagli  Etruschi, che  faceva  parte  degli  Stati  del  papa  nello  Spoletino, nel  Perugino,  e  nel  cosi  detto  Patrimonio  di  San  Pietro.  Ostia: alla  foce  del  Tevere;  già  florida  città  qaando era  il  porto  di  Roma,  ora  quasi  totalmente  distrutta  e abbandonata  all'aria  malsana.   Alla  cittade  a  cui commise  ecc.  Trapani  in  Sicilia,  ove  Enea  fece  seppel lire Tossa  di  suo  padre  Anchise. St.  158.  V.8.  -Menade:  nome  comune  alle  Baccanti 0  sacerdotesse  di  Bacco,  che  ne  celebravano  i  notturni misteri  coiTendo  furiose,  e  agitandosi  a  suon  di  comi e  di  altri  istromenti. St.  163.  y.  3.   Dammogire:  città  capitale  del  regno di  Brandimarte. St.  165.  V.5.   Verso  il  monte....  cìie  fa  col  fuoco Chiara  la  notte,  ecc.:  TEtna,  o  Mongibello,  montagna vulcanica  di  Sicilia. St.  174.  V.56.   Quei  DeeJ:  due  Romani,  padre  e figlio,  che  votaronsi  agli  Dei  per  la  salate  del  popolo, esponendosi  alla  morte.   Quel  nel  roman  Foro  ab sorto:  Curzio,  che  per  salvare  la  patria  si  gettò  in  una voragine  apertasi  nel  Foro  di  Roma.   Quel  sì  lodato Codro,  ultimo  r"  di  Atene,  il  quale  per  amore  della  li bertà della  Grecia  sì  fece  volontariamente  uccidere  dai nemici. T.  176.  V.4.   Compassi  altieri:  compartimenti,  o lavori  a  disegno  magnifico. St.  181.  V.13.   Di  lacrime  e  di  ].ianti.  ecc.:  allude al  costume  ani  ico  di  prezzolar  donne  a  piangere  nei  fa nerali.   Eleisonne:  il  salmo  Miserere,  che  comincia in  greco  con  la  parola  eleisonme. S T,  182.  V.4.   Inarrar: impegnare. St.  184.  V.46.   Galerana:  la  moglie  di  Carlo  Ma gno.   Lizza:  anticamen'e  detta  Laodt'cea  ad  mare ora  Latakia. St.  190.  V.6.   Dai  celesti  eroi:  dai  Santi  del  cielo. Canto  XLIV. .Hringonsì  ì  cinque  giiertieri  in  fraterna  aniicizj";  e  Einalila  per  ìa stima  cho  f  dì  Rng|s:>ro,e  pei  confotti  de!  baon  romito,  gli  firc tuetle  BralnniaTite  in  coasorie.  Vanno  <iuitidi  &  ìliraUim,  dove  con tempo l'alien  in  <ii  te  ttrtivii  Astolfo,  che  ìia  Ikenitiati  gik  i  Xtibj,  e ren dilla  In  floita  d  primo  Etsre  di  foglie.  I paUdiut  e  Sobrtiìfi sono  accolti  niEiRniflcanieiite  da.  Carlo  in  Parigi;  ma  quel  gaudio è  turbato  dal  difsenso  del  duca  Amono  e  di  BeaTricoairiinio"fi  dj Kiiggiro  con  Biadamant,  da  loro  fidaiiiata  a  Leone,  figlio  àtl l'iinperator  gì  eco.  Atniasi  Rupgìtro;  o  pieno  d'o<j io  cqatTtt  LeotHf, bi  loca  al  campo  de'  Bulfri,  tbe  li  unno  guerra  co 'Greci,  Bconfig qtitstì  ultimi,  poi  \a  ad  allogiarù  in  nna  terra  da  lui  non  lobo acìuta  per  soggetta  al  greco  impeto;  ed  hi  A  denaniiato  com   autore  del  diaastro  £  offerto  dai  Greci. l      SpDì?Po  iu  pùberi  alberghi  e  in  piceml  tetli. Nelle  calaTDitadl  e  uei  disagi  " lleglio  BVasTìiunjCoii  tV amicìzia  i  petti, Che  fra  ricchezze  invì{liuHe  tì  agi Tel  le  piene  tV  insidie  e  ili  aosipetti Curti  regali  e  splendidi  palagi, Ove  la  cari t ade  è  in  tutto  estinta, Né  si  vede  amici/ia  se  non  finta Quindi  avvjen  che  tra  Principi  e  Signori Patti  e  convennon  sono  sì  frali. Fan  lega  oggi  Re"  Papi  e  Imperatori; T'iniHii  pLìran  nimicì  CLpitali: Perchè,  qual  V  apparenze  esteriori, Non  hanno  i  cor,  non  han  gli  animi  tali; Che,  non  mirando  al  torto  più  chal  dritto, Attendon  solamente  al  lor  profitto.3      Questi,  quantunque  d'amicizia  poco Sieno  capaci,  perchè  non  sta  quella Ove  per  cose  gravi,  ove  per  giuoco Mai  senza  finzì'on  non  si  favella; Pur,  se  talor  gli  ha  tratti  in  umil  loco Insieme  una  fortuna  acerba  e  fella, In  poco  tempo  vengono  a  notizia (Quel  che  in  molto  non  fér)  dell'amicizia. I      Profferte  senza  fine,  onore  e  feata Fece  a  Ruggiero  il  Paladin  cortese. Il  prudente  Eremita,  come  questa Benivolenzia  vide,  adito  prese. Entrò  dicendo: A  fare  altro  non  resta (E  lo  spero  ottener  senza  contese), Che  come  V  amicizia  è  tra  voi  fatta, Tra  voi  sia  ancora  affinità  contratta; 4  n  santo  vecchierel  nella  sua stanza Giunger  gli  ospiti  suoi  con  nodo  forte Ad  amor  vero  meglio  ebbe  possanza, Ch'altri  non  avria  fatto  in  real  corte. Fu  questo  poi  di  tal  perseveranza, •Che  non  si  sciolse  mai  fino  alla  morte. Il  vecchio  li  trovò  tutti  benigni, Candidi  più  nel  cor,  che  di  fuor  cigni. 5  Trovolli  tutti  amabili  e  cortesi, Non  della  iniquità  ch'io  v'ho  dipinta Di  quei  che  mai  non  escono  palesi, Ha  sempre  van  con  apparenza  finta. Di  quanto  s'eran  per  addietro  offesi Ogni  memoria  fu  tra  loro  estinta: E  se  d'un  ventre  fossero  e  d'un  seme, Non  si  potriano  amar  più  tutti  insieme. "      Sopra  gli  altri  il  Signor  di  Blontalbano Accarezzava  e  riveria  Ruggiero; Si  perchè  già  l'avea  con  Tarme  in  mino Provato  quanto  era  animoso  e  fiero; Si  per  trovarlo  affabile  ed  umano Più  che  mai  fosse  al  mondo  cavaliere:Ma  molto  più,  che  da  diverse  bande Si  conoscea  d'avergli  obbligo  grande. 7      Sapea  che  di  gravissimo  periglio Egli  avea  liberato  Ricciardetto, Quando  il  Re  ispano  gli  fé'  dar  di  pìglio, E  con  la  figlia  prendere  nel  letto:E  eh' avea  tratto  l'uno  e  l'altro  figlio Del  duca  Buovo,  com'io  v'ho  già  detto, Di  man  dei  Saracini  e  dei  malvagi Ch'eran  col  maganzese  Bertolagi. Stanza  9. 10    Acciò  che  delle  due  progenie  illustri, Che  non  han  par  di  nobiltade  al  mondo, Nasca  un  lignaggio  che  più  chiaro  lustri Che'l  chiaro  Sol,  per  quanto  gira  a  tondo; E  come  andran  più  innanzi  ed  anni elustrì. Sarà  più  bello,  e  durerà  (secondo Che  Dio  m'inspira,  acciò  eh' a  voi  noi  celi) Finché  terran  l'usato  corso  i  cieli. 8      Questo  debito  a  lui  parca  di  sorte. Oh' ad  amar  lo  stringeano  e  ad  onorarlo; E  gli  ne  dolse  e  gli  ne  'ncrebbe  forte, Che  prima  non  avea  potuto  farlo, Quando  era  l'un  nelP  africana  corte, E  l'altro  ali!  servigi  era  di  Carlo. Or  che  fatto  Cristian  quivi  lo  trova, Quel  che  non  fece  prima,  or  far  gli  giova. 11    E  seguitando  il  suo  parlar  più  innante. Fa  il  santo  vecchio  si,  che  persuade Che  Rinaldo  a  Rugier  dia  Bradamante; Benché  pregar  né  l'un  né  l'altro  accade. Loda  Olivier  col  Principe  d'Anglante, Che  far  si  debba  quest  i  affinitade:Il  che  speran  che  approvi  Amone  e  Carlo, E  debba  tutta  Francia  commendarlo. 12    Cosi  cean;  ma  non  sapean  ch'Amone, Con  Yolnntà  del  figlio  di  Pipino, Navea  dato  in  quei  giorni  intenzione Air imperator  greco  Costantino, Che  glie  le  domandava  per  Leone Suo  figlio,  e  snccesBor  nel  gran  domino. Se  nera,  pel  valor  che  n'avea  inteso, Senza  vederla,  il  giovinetto  acceso. 18    Risposto  gli  avea  Amon,  che  da  sé  solo non  era  per  concludere  altramente. Né  pria  che  ne  parlasse col  figliuolo Rinaldo,  dalla  corte  allora  assente; Il  qual  credea  che  vi  verrebbe  a  volo, E  che  di  grazia  avria  si  gran  parente:Pur,  per  molto  rispetto  che  gli  avea, Risolver  senza  lui  non  si  volea. Svtó:''; stanza  lo. 14    Or  Rinaldo  lontan  dal  padre,  quella Pratica  imperiai  tutta  ignorando. Quivi  a  Ruggier  promette  la  sorella, Di  suo  parere  e  di  parer  d'Orlando, £  degli  altri  eh'  avea  seco  alla  cella, Ma  sopra  tutti  V  Eremita  instando:E  crede  veramente  che  piacere Debba  ad  Amon  quel  parentado  avere. 16    Quel  di  e  la  notte,  e  del  seguente  giorno Steron  grau  parte  col  Monaco  saggio. Quasi  obbliando  al  legno  far  ritorno. Benché  il  vento  spirasse  al  lor  viaggio. Ma  i  lor  nocchieri,  a  cui  tanto  soggiorno Increscea  ornai,  mandar  più  d'un  messaggio, Che  sì  li  stimolar  della  partita, Ch'  a  forza  li  spiccar  dall' Eremita. 16  Ruggier  che  stato  era  in  esilio  tanto, Né  dallo  scoglio  avea  mai  mosso  il  piede, Tolse  licenzia  da  quel  mastro  santo, Ch'insegnata  gli  avea  la  vera  Fede. La  spada  Orlando  gli  rimesse  accanto, L'arme  d'Ettorre,  e  il  buon  Frontin  gli  diede; Si  per  mostrar  del  suo  amor  segno  espresso, Si  per  saper  che  dianzi  erano  d'esso. 17  E  quantunque  miglior  nell'incantata Spada  ragione  avesse  il  Paladino, Che  con  pena  e  travaglio  già  levata L'avea  dal  formidabile  giardino, Che  non  avea  Ruggiero,  a  cui  donata Dal  ladro  fu,  che  gli  die  ancor  Frontino;'  Pur  volentier  gliele  donò  col  resto Dell'armi,  tosto  che  ne  fu  richiesto. 18    Par benedetti  dal  vecchio  devoto E  sol  navìlio  alfin  si  ritornaro, I  remi  air  acqua,  e  diér  le  vele  al  Noto; E  fa  lor  sì  sereno  il  tempo  e  chiaro. Che  non  vi  bisognò  priego  né  voto, Finché  nel  porto  di  Marsiglia  entraro. Ma  quivi  stiano  tanto,  eh'  io  conduca Insieme  Astolfo,  il  glorioso  duca. 19    Poi  che  della  vittoria  Astolfo  intese  " Che  sanguinosa  e  poco  lieta  s'ebbe; Vedendo  che  sicura  dall'offese D'Africa  oggiinai  Francia  esser  potrebbe, Pensò  che  '1  Re  de'  Nubi  in  suo  paese Con  l'esercito  suo  rimanderebbe, Per  la  strada  medesima  che  tenne Quando  centra  Biserta  se  ne  venne. stanza  23. 20    L'armata  che  i  Pagan  roppe  nell' onde, Già  rimandata  ave.i  il  figliuol  d' Uggiero; Di  cui,  nuovo  miracolo,  le  sponde (Tosto  che  ne  fu  uscito  il  popol  nero) E  le  poppe  e  le  prore  mutò  in  fronde, E  ritomolle  al  suo  stato  primiero:Poi  venne  il  vento,  e  come  cosa  lieve LeToUe  in  aria,  e  fé' sparire  in  breve. 22    Negli  utri,  dico,  il  vento  die  lor  chiuso, Ch'uscir  di  mezzodì  suol  con  tal  rabbia, Che  muove  a  guisa  d'onde,  e  leva  in  suso, E  rota  fin  in  ciel  l'arida  sabbia; Acciò  se  lo  portassero  a  lor  uso, Che  per  cammino  a  far  danno  non  abbia; E  che  poi,  giunti  nella  lor  regione, Avessero  a  lassar  fuor  di  prigione. 21     Chi  a  piedi  e  chi  in  arcion,  tutte  partita, D' Africa  fèr  le  Nubiane  schiere. Ma  prima  Astolfo  si  chiamò  infinita Grazia  al  Senape  ed  immortale  avere. Che  gli  venne  in  persona  a  dare  aita Con  ogni  sforzo  edogni  suo  potere. Astolfo  lor  nell'uterino  claustro A  portar  diede  il  fiero  eturbido  Austro. 23    Scrive  Tarpino,  come  furo  ai  passi Dell'alto  Atlante,  che  i  cavalli  loro Tutti  in  uu  tempo  diventaron  sassi; Sì  che,  come  venir,  se  ne  tornerò. Ma  tempo  é  ornai  ch'Astolfo  in  Fran'ia  passi; E  cosi,  poi  che  del  paese  moro Ebbe  provvisto  ai  luoghi  principali, AU'Ippogrifo  suo  fé' spiegar  l'ali. 24  Volò  in  Sardigna  in  nn  batter  di  penne, E  di  Sardigna  andò  nel  llto  corso; E  quindi  sopra  il  mar  la  strada  tenne, Torcendo  alquanto  a  man  sinistra  il  morso. Nelle  maremme  alP  ultimo  ritenne Della  ricca  Provenza  il  leggier  corso, Dov'eseguì  dell'Ippogrifo  quanto G.i  disse  già  V  Evangelista  santo. 25  Hagli  commesso  il  santo  Evangelista, Che  più,  giunto  in  Provenza,  non  lo  sproni; E  eh' all'impeto  fier  più  non  resista Con  sella  e fren,  ma  libertà  gli  doni. Già  avea  il  più  basso  eie),  che  sempre  acquista Del  perder  nostro,  al  corno  tolti  i  suoni; Che  muto  era  restato,  nonché  roco, Tosto  eh'  entrò  '1  guerrier  nel  divin  loco. stanza  29. 28    Per  onorar  costor,  ch'eran  sostegno Del  santo  Imperio  e  la  maggior  colonna, Carlo  mandò  la  nobiltà  del  regno Ad  incontrarli  fin  sopra  la  Sonna. Egli  usci  poi  col  suo  drappel  più  degno Di  Re  e  di  Duci,  e  con  la  propria  donna, Fuor  delle  mura,  in  compagnia  di  belle E  ben  ornate  e  nobili  donzelle. 21    L'Imperator  con  chiara  e  lieta  Aronte. I  Paladini  e  gli  amici  e  i  parenti. La  nobiltà,  la  plebe  fanno  al  Conte Ed  agli  altri  d'amor  segni  evidenti: Gridar  s'ode  Mongrana  e  Chiaramonte. Sì  tosto  non finir  gli  abbracciamenti, Rinaldo  e  Orlando  insieme  ed  Oliviero Al  signor  loro  appresent&r  Ruggiero; 80    E  gli  narrar  che  di  Ruggier  di  Risa Era  figliuol,  di  virtù  uguale  al  padre. Se  sia  animoso  e  forte,  ed  a  che  guisa Sappia  ferir,  san  dir  le  nostre  squadre. Con  Bradamante  in  questo  vien  Marfi::.!, Le.  due  compagne  nobili  e  leggiadre. Ad  abbracciar  Ruggier  vien  la  sorella: Con  più  rispetto  sta  l'altra  donzella. 31    L'imperator  Ruggier  fa  risalire. Ch'era  per  riverenzia  sceso  a  piede, E  Io  fa  a  par  a  far  seco  venire; E  di  ciò  eh' a onorarlo  si  richiede, Un  punto  sol  non  lassa  preterire. Ben  sapea  che  tornato  era  alla  fede; Che  tosto  che  i  guerrier  furo  all' asciutto, Certificato  avean  Carlo  del  tutto. 26    Venne  Astolfo  a  Marsiglia,  e  venne  appunto 11  dì  che  v'era  Orlando  ed  Oliviero, E  quel  da  Montalbano  insieme  giunto Col  buon  Sobrino  e  col  meior  Ruggiero. La  memoria  del  sozio  lor  defunto Vietò  che  i  Paladini  non  poterò Insieme  cosi  a  punto  rallegrarsi, Come  in  tanta  vittoria  dovea  farsi. 2    Con  pompa  trionfai,  con  festa  grande Tomaro  insieme  dentro  alla  cittade, Che  di  frondi  verdeggia  e  di  ghirlande: Coperte  a  panni  son  tutte  le  strade: Nembo  d'erbe  e  di  fior  d'alto  si  spande, E  sopra  e  intomo  ai  vincitori  cade, Che  da  veroni  e da  finestre  amene Donne e  donzelle  gittano  a  man  piene. 27    Carlo  avea  di  Sicilia  avuto  avviso Dei  doo  Re  morti,  e  di  Sobrino  preso, E  ch'era  stato  Brandimarte  ucciso; Poi  di  Ruggiero  avea  non  meno  inteso: E  ne  stava  col  cor  lieto  e  col  viso D'aver  gittate  intollerabil  peso, Che  gli  fu  sopra  gli  omeri  si  greve, Che  starà  un  pezzo  pria  che  si  rìleve. 33    Al  volgersi  dei  canti  in  vari  lochi Trovano  archi  e  trofei  subito  fatti che  di  Biserta  le  mine  e  i  fochi Mostran  dipinti,  ed  altri  degni  fatti: Altrove  palchi  con  diversi  giuochi, E  spettacoli  e  mimi  e  scenici  atti; Ed  è  per  tutti  i  canti  il  titol  vero Scritto:  Ai  liberatori  dell'Impero. 34    Fra  il  suon  d'argute  trombe,  e  di  canore Piffxre,  e  d'ogni  musica  armonia, Fra  riso  e  plauso,  iiubiio  e  favore Del  popolo  eh' a  pena  vi  capa, Smontò  al  palazzo  il  magno  Imperatore, Ove  più  giorni  quella  compagnia Con  toruiamenti,  personaggi  e  farse, Danze  e  conviti  attese  a  dilectarse. 85    Rinaldo  un  giorno  al  padre  fé' sapere Che  la  sorella  a  Rusgier  dar  volea; Ch'in  presenzia  d'Orlando  per  mogliere, E  d' Olivier,  promessa  glie  l'avea; Li  quali  erano  seco  d'un  parere, Che  parentado  far  non  si  potea, Per  nobiltà  di  sangue  e  per  valore, Che  fosse  a  questo  par,  nonché  migliore. stanza  32. 36  Ode  Amone  il  figliuol  con  qualche  sdegno, Che,  senza  conferirlo  seco,  gli  osa La  figlia  maritar,  ch'esso  ha  disegno Che  del  figliuol  di  Costantin  sia  sposa, Non  di  Ruggier,  il  qual  non  eh' abbi' regno 3ra  non  può  al  mondo  dir:  Questa  è  mia  cosa; Né  sa  che  nobiltà  poco  si  prezza, E  men  virtù,  se  non  v'è  ancor  ricchezza. 37  Bla  più  d'Araou  la  moglie  Beatrice Biasma  il  figliuolo,  e  chiamalo  arrogante; E  in  segreto  e  in  palese  contraddiceChe  di  Ruggier  sia  moglie  Bradamante: A  tutta  sua  possanza  Imperatrice Ha  disegnato  farla  di  Levante. Sta  Rinaldo  ostinato,  che  non  vuole Che  manchi  ou  iota  delle  sue  parole. 38    La  madre,  eh'  aver  crede  alle  sue  voglie La  magnanima  figlia,  la  conforta Che  dica,  che  piuttosto  ch'esser  moglie D'un  pover  cavalier,  vuole  esser  morta; Né  mai  più  per  figliuola  la  raccoglie, Se  questa  ingiuria  dal  fratel  sopporta: Nieghi  pur  con  audacia,  e  tenga  saldo; Che  per  sforzirla  non  sarà  Rinallo. SO    Sta  Bradamante  tacita,  né  al  detto Della  madre  s'arrisca  a  contraddire; Che  r  ha  iu  tal  riverenzia  e  in  tal  rispetto, Che  non  potria  pensar  non  l'ubbidire. Dall' altra  parte  terria  gran  difetto, Se  quel  che  non  vuol  far  volesse  dire. Non  vuol,  perchè  non  può;  chè'l  poco  e'I  molto Poter  di  se  disporre  Amor  le  ha  tolto. 40    Né  negar,  né  mostrarsene  contenta S'ardisce;  e  sol  sospira,  e  non  risponde: Poi  quando  é  in  laogo  ch'altri  non  la  senta, Yersan  lacrime  gli  occhi  a  guisa  d'onde; £  parte  del  dolor,  che  la  tormenta, Sentir  fa  al  petto  ed  alle  chiome  bionde: Che  l'un  percuote,  e  l'altre  straccia  e  frange; E  cosi  parla,  e  cosi  seco  piange: Stanza  33. 41  Ahimè!  vorrò  quel  che  non  vuol  chi  deve Poter  del  voler  mio  più  che  poss'io? Il  voler  di  mia  madre  avrò  in  si  lieve Stima,  ch'io  lo  posponga  al  voler  mio? Deh !  qual  peccato  puote  esser  si  grieve A  una  donzella,  qual  biasmo  si  rio, Come  questo  sarà,  se,  non  volendo Chi  sempre  ho  da  ubbidir,  marito  prendo? 42  Avrà,  misera  me!  dunque  possanza La  materna  pietà,  ch'io  t'abbandoni, 0  mio  Ruggiero?  e  eh' a  nuova  speranza, A  desir  nuovo,  a  nuovo  amor  mi  doni? Oppur  la  riverenzia  e  l'osservanza Ch'ai  buoni  padri  denno  1  figli  buoni Porrò  da  parte,  e  solo  avrò  rispetto Al  mio  bene,  al  mio  gaudio,  al  mio  diletto?43  So  quanto,  ahi  lassa !  debbo  tài:  so  quanto Di  buona  figlia  al  debito  conviensi: 10  '1  so;  ma  che  mi  vai,  se  non  può  tanto La  ragion,  che  non  possine  più  i  sensi? S'Amor  la  caccia  e  la  fa  star  da  canto, Né  lassa  ch'io  disponga,  né  ch'io  pensi Di  me  dispor,  se  non  quanto  a  lui  piaccia, E  sol,  quanto  egli  detti,  io  dica  e  faccia? 44  Figlia  d'Amone  e  di  Beatrice  sono, E  son,  misera  me!  serva  d'Amore. Dai  genitori  miei  trovar  perdono Spero  e  pietà,  s'io  cadere  in  errore: Ma  s' io  offenderò  Amor,  chi  sarà  buono A  schivarmi  con  prieghi  il  suo  furore, Che  sol  voglia  Una  di  mie  scuse  udire, E  non  mi  faccia  subito  morire? 45  Cime !  con  lunga  ed  ostinata  prova Ho  cercato  Ruggier  trarre  alla Fede; Ed  bollo  tratto  alfin: ma  che  mi giova, Se'l  mio  ben  fare  in  util  d'altri  cede? Così,  ma  non  per  sé,  l'ape  rinnova 11  mele  ogni  anno,  e  mai  non  lo  possiede. Ma  vo' prima  morir,  che  mai  sia  vero Ch'  io  pigli  altro  marito,  che  Ruggiero. Stanza  95. 46    S  io  non  sarò  al  mio  padre  ubbidiente, Né  alla  mia  madre,  io  sarò  al  mio  fratello, Che  molto  e  molto  è  più  di  lor  prudente, Né  gli  ha  la  troppa  età  tolto  il  cervello. E  a  questo  che  Rinaldo  vuol,  consente Orlando  ancora,  e  per  me  ho  questo  e  quello; Li  quali  duo  più  onora  il  mondo  e  teme, Che  V  altra  nostra  gente  tutta  insieme. 47  Se  qnesti  il  fior,  se  questi  ognuno  stima La  gloria  e  Io  splendor  di  Chiaramente; Se  sopra  gli  altri  ognnn  gli  alza  e  sublima Più  che  non  è  del  piede  alta  la  fronte; Perchè  debbo  voler  che  di  me  prima Amon  disponga,  che  Rinaldo  e  '1  Conte?Voler  noi  debbo;  tanto  meu,  che  messa In  dubbio  al  Greco,  e  a  Bnggier  fui  promessa. 48  Se  la  donna  s'affligge  e  si  tormenta, Né  di  Euggier  la  mente  è  più  quieta; Ch'  ancorché  di  ciò  nuova  non  si  senta Per  la  città,  pur  non  é  a  lui  segreta. Seco  di  sua  fortuna  si  lamenta, La  qual  fruir  tanto  suo  beu  gli  vieta. Poi  che  ricchezze  non  gli  ha  date  e  regni, Di  che  è  stata  si  larga  a  mille  indegni. 50    Ma  ilvolgo,  nel  cui  arbitrio  son  gli  onori, Che,  come  pare  a  lui,  li  leva  e  dona (Né  dal  nome  del  volgo  voglio  fuori, Eccetto  Tuom  prudente,  trar  persona; Che  né  Papi  né  Re  né  Imperatori Non  ne  trae  scettro,  mitra  né  corona; Ma  la  prudenzia,  ma  il  giudizio  buono, Grazie  che  dal  del  date  a  pochi  sono): Stanza  86. 51     Questo  volgo  (per  dir  quel  ch'io  vo'dire), Ch'altro  non  riverisce  che  ricchezza, Né  vede  cosa  al  mondo  che  più  ammire, E  senza,  nulla  cura  e  nulla  apprezza . Sìa  quanto  voglia  la  beltà,  l'ardire. La  possanza  del  corpo,  la  destrezza. La  virtù,  il  senno,  la  bontà:  e  più  in  questo Di  ch'ora  vi  ragiono,  che  nel  resto. 49    Di  tutti  gli  altri  beni,  o  che  concede Natura  al  mondo,  o  proprio  studio  acquista, Aver  tanta  e  tal  parte  egli  si  vede, Qual  e  quanta  altri  aver  mai  s'abbia  vista; Ch'a  sua  bellezza  ogni  bellezza  cede; Ch'a  sua  possanza  é  raro  chi  resista: Di  magnanimità,  di  splendor  regio A  nessun,  più  eh'  a  lui,  si  debbe  il  pregio. 52    Dicea  Ruggier:  Se  pur  é  Amon  disposto Che  la  figliuola  Imperatrice  sia, Con  Leon  non  concluda  cosi  tosto:Almen  termine  un  anno  anco  mi  dia; Ch'io  spero  intanto  che  da  me  deposto Leon  col  padre  dell'imperio  fia: E  poi  che  tolto  avrò  lor  le  corone, Genero  indegno  non  sarò  d'Amene. 53  Ma  86  fa  senza  indugio,  come  hadetto, Suocero  della  figlia  Costantino; S'alia  promessa  non  avrà  rispetto Di  Rinaldo  e  d  Orlando  suo  cugino Fattami  innanzi  al  Tecchio  benedetto, Al  marchese  Oliviero,  al  re  Sobrìno; Che  farò?  vo' patir  si  grave  torto? 0,  prima  che  patirlo,  esser  pur  morto?54  Deh  che  farò?  &rò  dunque  vendetta Contra  il  padre  di  lei  di  quest'oltraggio? Non  miro  ch'io  non  son  per  farlo  in  fretta, 0  s'in  tentarlo  io  mi  sia  stolto  o  saggio: Ma  voglio  presuppor  eh' a  morte  io  metta L'iniquo  vecchio,  e  tutto  il  suo  lignaggio: Questo  non  mi  tara,  però  contento; Anzi  in  tutto  sarà  contra  al  mio  intento. 55  E  fu  sempre  il  mio  intento,  ed  è,  che  m'ami La  bella  donna,  e  non  che  mi  sia  odiosa:lfa,  quando  Amon  le  uccida,  o  faccia  o  tramiCosa  al  fratello  o  agli  altri  suoi  dannosa, Non  le  do  giusta  causa  che  mi  chiami Nimico,  e  più  non  voglia  essermi  sposa? Che  debbo  dunque  far?  debbo l  patire? Ah  non,  per  Dio:  piuttosto  io  vo' morire. 56  Anzi  non  vo' morir;  ma  vo'che  muoia Con  più  ragion  questo  Leone  Augusto, Venuto  a  disturbar  tanta  mia  gioia; 10  vo'  che  muoia  egli  e  '1  suo  padre  ingiusto. Elena  bella  all' amator  di  Troia Non  costò  si,  né  a  tempo  più  vetusto Proserpina  a  Piritoo,  come  voglio Ch'ai  padre  e  al  figlio  costi  il  mio  cordoglio, 57  Può  esser,  vita  mia,  che  non  ti  doglia Lasciare il  tuo  Ruggier  per  questo  Greco? Potrà  tuo  padre  far  che  tu  lo toglia, Aucor  ch'avesse  i  tuoi  fratelli  seco? Ma  sto  iu  timor,  ch'abbi  piuttosto  voglia D'esser  d'accordo  con  Amon,  che  meco; E  che  ti  paia  assai  miglior  partito Cesare  aver,.  eh'  un  privato  uom,  marito. 58  Sarà  possibil  mai  che  nome  regio. Titolo  imperiai,  grandezza  e  pompa, Di  Bradamante  mia  l'auimo  egregio, 11  gran  valor,  l'alta  virtù  corrompa Si,  eh'  abbia  da  tenere  in  minor  pregio La  data  fede,  e  le  promesse  rompa? Né  piuttosto  d'Amon  farsi  nimica. Che  quel  che  detto  m'ha,  sempre  non  dica? 59  Diceva  queste  ed  altre  cose  molte, Ragionando  fra  sé  Ruggiero;  e  spesso Le  dicea  iu  gsa,  ch'erano  raccolte Da  chi  talor  se  gli  trovava  appresso; Si  che  il  tormento  suo  più  di  due  volte Era  a  colei,  per  cui  pativa,  espresso; A  cui  non  doleJi  meno  il  sentir  lui Cosi  doler,  che  i  propri  affanni  sai 60  Ma  più  d'ogni  altro  dnol  che  le  sia  detto Che  tormenti  Ruggier,  di  questo  ha  dogUa, Ch'intende  che  s'affligge  per  sospetto Ch'ella  lui  lasci,  e  che  quel  Greco  voglia Onde,  acciò  si  conforti,  e  che  del  petto Questa  credenza  e  questo  error  si  toglia, Per  una  di  sue  fide  cameriere Gli  fé'  queste  parole  un  di  sapere:61  Ruggier,  qual  sempre  fui,  tal  esser  voglio Fin  alla  morte,  e  più,  se  più  si  puote. 0  siami  Amor  benigno,  o  m' usi  orgoglio, 0meFortuna  in  alto  o  in  basso  mote, Immobil  son  di  vera  fede  scoglio Che  d'ogn' intorno  il  vento  e  il  mar  percuote: Né  giammai  per  bonaccia  né  per  verno Luogo  mutoi,  né  muterò  in  eterno. 62  Scarpello  si  vedrà  di  piombo,  o  l!ma. Formare  in  varie  immagini  diamante. Prima  che  colpo  di  Fortuna,  o  prima Ch'ira  d'Amor  rompa  il  mio  cor  costante; E  si  vedrà  tornar  verso  la  cima Dell' alpe  il  fiume  turbilo  e  sonante, Che  per  novi  accidenti,  o  buoni  o  rei, Faccino  altro  viaggio  i  pensier  miei. 63  A  voi,  Ruggier,  tutto  il  dominio  ho  dato Di  me,  che  forse  é  più  ch'altri  non  criede. So  ben  eh'  a  novo  Prìncipe  giurato Non  fu  di  questa  mai  la  maggior  fede; So  che  né  al  mondo  il  più  sicuro  stato Di  questo,  Re  né  Imperator  possiede: Non  vi  bisogna  far  fossa  né  torre, Per  dubbio  eh altri  a  voi  lo  venga  a  torre; 64  Che,  senza  eh'  assoldiate  altra  persona, Non  verrà  assalto  a  cui  non  si  resista: Non  é  ricchezza  ad  espugnanni  buona, Né  si  vii  prezzo  un  cor  gentile  acquista; Né  nobiltà,  né  altezza  di  corona, Ch'ai  sciocco  volgo  abbagliar  suol  la  vista; Non  beltà,  eh'  in  lieve  animo  può  assai, Vedrò,  che  più  di  voi  mi  piaccia  mai. 65  Non  avete  a  temer  chMn  forma  nuova Intagliare  il  mio  cor  mai  più  sì  possa: Sì  l'immagine  vostra  si  ritrova Scalpita  in  lui,  cìi' esser  non  può  rimossa. Che'l  cor  non  ho  di  cera,  è  fatto  prova; Che  gli  die  cento,  non  eh'  una  percossa, Amor,  prima  che  scaglia  nelevasse, Quando  all'immagin  vostra  lo  ritrasse. 66  Avorio  e  gemnui,  ed  ogni  pietra  dura Che  meglio  dall' intaglio  si  difende, Romper  sì  può;  ma  non  ch'altra  figura Prenda,  che  quella  ch'una  volta  prende. Non  è  il  mìo  cor  diverso  alla  natura Del  marmo  o  d'altro  ch'ai  ferro  contende. Prima  esser  può  che  tutto  Amor  lo  spezze, Che  lo  possa  sculpir  d'altre  hellezze. 67  Soggiunse  a  queste  altre  parole  molte, Piene  d'amor,  dì  fede  e  di  conforto. Da  ritornarlo  in  vita  mille  volte, Se  stato  mille  volte  fosse  morto. Ma  quando  più  della  tempesta  tolte Queste  speranze  esser  credeano  in  porto, Da  un  nuovo  tnrho  impetuoso  e  scuro Rispinte  in  mar,  lungi  dal  lito,  furo: 68  Perocché  Bradamante,  ch'eseguire Vorria  molto  più  ancor  che  non  ha  dett  • . Rivocando  nel  cor  l'usato  ardire, E  lasciando  ir  da  parte  ogni  rispetto, S' appresenta  un  di  a  Carlo,  e  dice: Sire, S'a  vostra  Maestade  alcun  effetto 10  feci  mai,  che  le  paresse  huono, Contenta  sia  di  non  negarmi  un  dono. 69  E  prima  che  più  espresso  io  le  lo  chieggia, ?u  la  real  sua  fede  mi  prometta Farmene  grazia;  e  vorrò  poi  che  veggia Che  sarà  giusta  la  domanda  e  retta. Merta  la  tua  virtù  che  dar  ti  deggia Ciò  che  domandi,  o  giovane  diletta, Rispose  Carlo;  e  giuro,  sebhen  parte Chiedi  del  regno mio,  di contentarte. 70  n  don  ch'io  bramo  dall'Altezza  vostra, È  che  non  lasci  mai  marito  darme. Disse  la  damigella,  se  non  mostra Che  più  (li  me  sia  valoroso  in  arme. Con  qualunque  mi  vuol,  prima  o  con  giostra O  con  la  spada  in  mano  ho  da  provarme 11  primo  che  mi  vinca,  mi  guadagni: Chi  vinto  sia,  con  altra  s'accompagni. 71    Disse  r  Imperator  con  viso  lieto, Che  la  domanda  era  di  lei  ben  degna; E  che  stesse  con  l'animo  quieto. Che  farà  a  punto  quanto  ella  disegna. Non  è  questo  parlar  fatto  in  segreto Si,  eh' a  notizia  altrui  tosto  non  vegna; E  quel  giorno  medesimo  alla  vecchia Beatrice  e  al  vecchio  Amon  corre  all'orecchia. Stanza  C9. 72  Li  quali  parimente  arser  di  grande Sdegno  contra  alla  figlia,  e  di  grand'ira; Che  vider  ben  con  queste  sue  domande, Ch'ella  a  Ruggier  più  eh' a  Leone  aspira: E  presti,  per  vietar  che  non  si  mande Questo  ad  effetto,  a  ch'ella  intende  e  mira. La  levaro  con  fraude  della  corte, E  la  menaron  seco  a  Rocca  Forte. 73  Quest'  era  una  fortezza  eh'  ad  Amone Donato  Carlo  avea  pochi  dì  innante. Tra  Perpignano  assisa  e  Carcassone, In  loco  a  ripa  il  mar  molto  importante. Quivi  la  riteneau  come  in  prigione, Con  pensier  di  mandarla  un  dì  in  Levante: Si  eh'  ogni  modo,  voglia  ella  o  non  voglia,Lasci  Ruggier  da  parte,  e  Leon  toglia.74    La  yalorosa  donna,  che  non  meno Er  modesta,  cV animosa  e  forte; Ancorché  posto  gaardia  non  Tavieno, E  potea  entrare  e  uscir fiior  delle  porte; Pur  stava  ubbidiente  sotto  ilfreno Del  padre: ma  patir  prigione  e  morte, Ogni  martire  e  crudeltà,  piuttosto Che  mai  lasciar  Ruggier,  savea  proposto. 77    L  arme  che  fur  già  del  troiano  Ettorre, E  poi  di  Mandricardo,  si  riveste, E  fa  la  sella  al  buon  Frontino  porre, E  cimier  muta,  scudo  e  sopravveste. A  questa  impresa  non  gli  piacque  tórre L aquila  bianca  nel  color  celeste; Ma  un  candido  liocorno,  come  giglio, Vuol  nello  scudo,  eM  campo  abbia  vermiglio. stanza  86. 78  Sceglie  de'  suoi  scudieri  il  più  fedele, E  quel  vuole,  e  non  altri,  In  compagnia; E  gli  fa  commission  che  non  rivele In  alcun  loco  mai,  che  Ruggier  sia. Passa  la  Mosa  e  '1  Reno,  e  passa  de  le Contrade  d'Ostericche  in  Ungheria; E  lungo  ristro  per  la  destra  riva Tanto  cavalca,  eh' a  Belgrado  arriva. 79  Ove  la  Sava  del  Danubio  scende, E  verso  il  mar  maggior  con  lui  dà  volta, Vede  gran  gente  in  padiglioni  e  lentie Sotto  r insegne  imperiai  raccolta; Che  Costantino  ricovrare  intende Quella  città  che  i  Bulgari  gli  bau  tolta. Costantin  v'è  in  persona,  e'I  figliuol  seco Con  quanto  può  tutt)  l'Imperio  greco. 80  Dentro  a  Belgrado,  e  fuor  per  tutto  il  monte, E  giù  fin  dove  il  fiume  il  pie  gli  lava, L'esercito  dei  Bulgari  gli  è  a  fronte; E  l'uno  e  l'altro  a  ber  viene  alla  Sava, Sul  fiume  il  Greco  per  gittare  il  ponte, Il  Bulgar  per  vietarlo  armato  stava. Quando  Ruggier  vi  giunse;  e  zuffa  grande Attaccata  trovò  fra  le  due  bande. 75  Rinaldo,  che  si  vide  la  sorella Per  astuzia  d'Amon  tolta  di  mano, E  che  dispor  non  potrà  più  di  quella, E  ch'a  Ruggier  l'avrà  promessa  invano; Si  duol  del  padre,  e  centra  a  luì  favella. Posto  il  rispetto  fili'al  lontano. Ma  poco  cura  Amon  di  tai  parole, E  di  sua  figlia  a  modo  suo  far  vuole. 76  Ruggier,  che  questo  sente,  ed  ha  timore Di  rimaner  della  sua  donna  privo, E  che  l'abbia  o  per  forza  o  per  amore Leon,  se  resta  lungamente  vivo; Senza  parlarne  altrui  si  mette  in  core Di  far  che  muoia,  e  sia,  d'Augusto,  Divo; E  tdr,  se  non  l'inganna  la  sua  speme, Al  padre  e  a  lui  la  vita  e'I  regno  insieme. 81  I  Greci  son  quattro  contr'uno,  ed  hanno Navi  coi  ponti  da  glttar  nell'onda; E  di  voler  fiero  sembiante  fanno Passar  per  forza  alla  sinistra  sponda. Leone  intanto,  con  occulto  inganno Dal  fiume  discostandosi,  circonda Molto  paese,  e  poi  vi  torna,  e  getta Nell'altra  ripa  i  ponti,  e  passa  in  fretta. 82  E  con  gran  gente,  chi  in  arcion,  chi  a  piede (Che  non  n'  avea  di  venti  mila  un  manco), Cavalcò  lungo  la  riviera,  e  diede Con  fiero  assalto  agl'inimici  al  fianco. L'Imperator,  tosto  che  '1  figlio  vede Sul  fiume  comparirsi  al  lato  manco, Ponte  aggiungendo  a  ponte,  e  nave  a  nave, Passa  di  là  con  quanto  esercito  ave. 83    II  capo,  il  re  de'  Salgari  Vatrano, Animoso  e  prudenteeprò  gaeniero, Di  qua  e  di  là  s  affaticava  invano Per  riparare  a  un  impeto  si  fiero; Quando,  cingendol  con  robusta  mano Leon,  gli  fé' cader  sotto  il  destriero; £  poiché  dar  prigion  mai  non  si  volse, Con  mille  spade  la  vita  gli  tolse. 84    I  Bulgari  sin  qui  fatto  avean  testa; Ma  quando  il  lor  Signor  si  vider  tolto, E  crescer  d'ogn'  intorno  la  tempesta, Volt&r  le  spalle  ove  avean  prima  il  volto. Rnggier,  che  misto  vien  fra  i  Greci,  e  questa Sconfitta  vede,  senza  pensar  molto, I  Bulgari  soccorrer  si  dispone, Perch'  odia  Costantino,  e  più  Leone. Stanza  95. 85    Sprona  Frontin,  che  sembra  al  corso  un  vento, E  innanzi  a  tutti  i  corridori  passa; E  tra  la  gente  vien,  che  per  spavento Al  monte  fugge,  "  la  pianura  lassa. Molti  ne  ferma,  e  fa  voltare  il  mento Centra  i  nemici,  e  poi  la  lancia  abbassa; E  con  si  fier  sembiante  il  destrier  muove, Che  fin  nel  eiel  Marte  ne  teme  e  Giove.86    Dinanzi  agli  altri  un  cavaliere  adocchia, Che  ricamato  nel  vestir  vermiglio Avea  d'oro  e  di  seta  una  pannocchia Con  tutto  il  gambo,  che  parca  di  miglio; Nipote  a  Costantin  per  la  sirocchia, Ma  che  non  gli  era  men  caro  che  figlio:Gli  spezza  scudo  e  osbergo  come  vetro, E  fa  la  lancia  un  palmo  apparir  dietro. 87  Lascia  quel  morto,  e  Balisarda  strìnge Verso  uno  stuol  che  più  si  vede  appresso; E  contra  a  questo  e  contra  a  quel  si  spinge, Ed  a  chi  tronco  ed  a  chi  il  capo  ha  fésso:A  chi  nel  petto,  a  chi  nel  fianco  tinge Il  brando,  e  a  chi  Tha  nella  góla  messo: Taglia  busti,  anche,  braccia,  mani  e  spalle; E  il  sangue,  come  un no,corre  alla  valle. 88  Non  è,  visti  quei  colpi,  chi  gli  faccia Contrasto  più;  cosi  n'è  ognun  smarrito: Si  che  si  cangia  subito  la faccia Della  battaglia;  che,  tornando  ardito, Il  petto  volge  e  ai  Greci  dà  la  caccia Il  Bulgaro  che  dianzi  era  fuggito:In  un  momento  ogni  ordine  disciolto Si  vede,  e  ogni  stendardo  a  fuggir  volto. 89  Leone  Augusto  s'un  poggio  eminente, Vedendo  i  suoi  fuggir,  s'era  ridutto; E  sbigottito  e  mesto  ponea  mente (Perch'era  in  loco  che  scopriva  il  tutto) Al  cavalier  ch'uccidea  tanta  gente, Che  per  lui  sol  quel  campo  era  distrutto; E,  non  può  far,  sebben  n'è  offeso  tanto, Che  non  lo  lodi  e  gli  dia  in  arme  il  vanto. 90  Ben  comprende  alP  insegne'  e  sopravvesti, All'arme  luminose  e  ricche  d'oro. Che,  quantunque  il  guerrier  dia  aiuto  a  questi Nimici  suoi,  non  sia  però  di  loro. Stupido  mira  i  soprumani  gesti, E  talor  pensa  che  dal  sommo  coro Sia  per  punire  i  Greci  un  angel  sceso, Che  tante  e  tante  volte  hanno  Dio  offeso. 91  E  come  uom  d'alto  e  di  sublime  core, Ove  l'avrian  molt' altri  in  odio  avuto, Egli  s' innamorò  del  suo  valore, Né  veder  fargli  oltraggio  avria  voluto: Gli  sarebbe  per  un  de' suoi  che  muore, Vederne  morir  sei  manco  spiaciuto, E  perder  anco  parte  del  suo  regno, Che  veder  morto  un  cavalier  si  degno. 92  Come  bambin,  sebben  la  cara  madre Iraconda  Io  batte  e  da  sé  caccia, Non  ha  ricorso  alla  florella  o  al  padre, Ma  a  lei  ritorna,  e  con  dolcezza  abbraccia; Cosi  Leon,  sebben  le  prime  squadre Ruggier  gli uccide,  e  l'altre  gli  minaccia, Non  lo può  odiar,  perch' all'amor  più  tira L'alto  valor,  che  quella  ouesa  all'ira. 93  Ma  se  Leon  Ruggiero  ammira  ed  ama Mi  par  che  duro  cambio  ne.  riporte Che  Ruggiero  odia  lui,  né  cosa  brama Più,  che  di  dargli  di  sua  man  la  morte. Molto  con  gli  occhi  il  cerca,  ed  alcun  chiama. Che  glie  lo  mostri;  ma  la  buona  sorte E  la  prudenza  dell'esperto  Greco Non  lasciò  mai  che  s'affrontasse  seco. 94  Leone,  acciò  che  la  sua  gente  affatto Non  fosse  uccisa,  fé' sonar  raccolta Ed  all'Imperatore  un  messo  ratto A  pregarlo  mandò,  che  desse  volta, E  ripassasse  il  fiume,  e  che  buon  patto N'avrebbe,  se  la  via  non  gli  era  tolta: Ed  esso,  con  non  molti  che  raccolse. Al  ponte  ond' era  entrato  i  passi  volse. 95  Molti  in  poter  de' Bulgari  restaro Per  tutto  il  monte,  e  sin  al  fiume  uccisi E  vi  restavan  tutti,  se'l  riparo Non  gli  avesse  del  rio  tosto  divisi. Molti  cadder  dai  ponti,  e  s' affogare; E  molti,  senza  mai  volgere  i  visi, Quindi  lontano  irò  a  trovar  il  guado E  molti  fur  prigion  tratti  in  Belgrado. 96  Finita  la  battaglia  di  quel  giorno, Nella  qual,  poiché  il  lor  signor  fu  estinto, Danno  i  Bulgari  avriano  avuto  e  scorno, Se  per  lor  non  avesse  il  guerrier  vinto, Il  buon  guerrier  che  '1  candido  liocorno Nello  scudo  vermiglio  avea  dipinto; A  lui  si  trasson  tutti,  da  cui  questa Vittoria  conoscean,  con  gioia  e  festa. 97  Uno  il  saluta,  un  altro  se  gì'  inchina, Altri  la  mano,  altri  gli  bacia  il  piede:Ognun,  quanto  più  può,  se  gli  avvicina, E  beato  si  tien  chi  appresso  il  vede, E  più  chi'l  tocca;  che  toccar  divina E  soprannatural  cosa  si  crede. Lo  pregan  tutti,  e  vanno  al  del  le  grida, Che  sia  lor  Re,  lor  capitan,  lor  guida. 98  Ruggier  rispose  lor,  che  capitano E  re  sarà,  quel  che  fia  lor  più  a  grado; Ma  né  a  baston  né  a  scettro  ha  da  por  mano, Né  per  quel  giorno  entrar  vuole  in  Belgrado: Che,  prima  che  si  faccia  più  lontano Leone  Augusto,  e  che  ripassi  il  guado, Lo  vuol  seguir,  né  torsi  dalla  traccia, Finché  noi  giunga,  e  che  morir  noi  faccia: 99  Che  mille  miglia  e  più,  per  questo  solo Era  venuto,  e  non  per  altro   effetto. Cosi  senza  indugiar  lascia  lo  stuolo, E  si  volge  al  cammin  che  gli  vien  detto Che  verso  il  ponte  fa  Leone  a  volo, Forse  per  dubbio  che  gli  sia  intercetto. Gli  va  dietro  per  l'orma  in  tanta  fretta, Che'l  suo  scudier  non  chiama  e  non  aspetta. 100  Leone  ha  nel  fuggir  tanto  vantaggio (Fuggir  si  può  ben  dir,  più  che  ritrarse), Che  trova  aperto  e  libero  il  passaggio: Poi  rompe  il  ponte,  e  lascia  le  navi  arse. Non  v'arriva  Ruggier,  ch'ascoso  il  raggio Era  del  sol,  né  sa  dove  alloggiarse. Cavalca  innanzi,  che  lucea  la  luna, Né  mai  trova  Castel  né  villa  alcuna. 101  Perché  non  sa  dove  si  por,  cammina Tutta  la  notte,  né  d'arcion  mai  scende. Nello  spuntar  del  nuovo  sol  vicina A  man  sinistra  una  città  comprende; Ove  di  star  tutto  quel  dì  destina. Acciò  l'ingiuria  al  suo  Frontino  emende, A  cui,  senza  posarlo  o  trargli  briglia, La  notte  fatto  avea  far  tante  miglia. 102  Ungiardo  era  signor  di  quella  terra, Suddito  e  caro  a  Costantino  molto. Ove  avea,  per  cagion  di  quella  guerra. Da  cavallo  e  da  pie  buon  numer  tolto. Quivi,  ove  altrui  P entrata  non  si  serra. Entra  Ruggiero;  e  v'é  sì  ben  raccolto. Che  non  gli  accade  di  passar  più  avante Per  aver  miglior  loco  e  più  abbondante. 103    Nel  medesimo albergo  in  su  la  sera Un  cavalier  di  Romania  alloggiosse, Che  si  trovò  nella  battaglia  fiera. Quando  Ruggier  pei  Bulgari  si  mosse, Ed  a  pena  di  man  fuggito  gli  era, Ma  spaventato  più  ch'altri  mai  fosse; Sì  eh'  ancor  triema,  e  pargli  ancora  intomo Avere  il  cavalier  dal  liocorno. stanza  103. 104    Conosce,  tosto  che  lo  scudo  vede, Che  U  cavalier  che  quella  insegna  porta È  quel  che  la  sconfitta  ai  Greci  diede, Per  le  cui  mani  è  tanta  gente  morta. Corre  al  palazzo,  ed  udienzia  chiede, Per  dire  a  quel  signor  cosa  ch'importa; E  subito  intromesso,  dice  quanto Io  mi  riserbo  a  dir  nell'altro  Cauto. NOTE. St.  7.  V.5a   L'uno  e  Valtro  figlio  Del  duca  Buovo: Malagigi  e  Viviano,  figlinoli  di  Baovo  d'Agrismonte, liberati  da  Ruggiero. St.  17.  V.4.   Dal  formidabile  giardino:  dal  giar dino di  Fallerina. St.  18.  V.3.   Noto:  vento  di  mezzogiorno. St.  21.  V.78.   NélV  uterino  claustro:  nel  vano dell'otre.   Austro:  vento  meridionale,  lo  stesso  che Noto. St.  25.  V.56.   Jl  più  basso  ciel,  che  sempre  ac quista Del  perder  nostro: il  cielo  della  luna,  ove  si raduna  ciò  che  si  perde  saUa  terra. St.  29.  V.5.   Mongrana  e  Chiaramonte:  nome  delle case  a  cui  appartenevano  Orlando  e  Rinaldo. St.  56.  V.57.   AlV amator  di  Troia:  a  Paride.  A  Piritoo:  figlio  d'Issione;  scese  all'inferno  insieme  con Teseo  per  rapire  Proserpina,  ed  ivi  fu  divorato  da  Cerbero, cane  di  Pluto. St.  61.  V.7.   Verno:  procella. St.  76.  V.6.   S  sia  d'Augusto,  Divo: e  da  Augusto ch'egli  ò  ora,  divenga  Divo.  Ironica  allusione  ai  co stumi ch'ebbero  i  Romani,  sotto  gl'imperatori,  di  divi nizzarli dopo  la  morte. St.  77.  v.78.   Ma  un  candido  liocorno.."  Vuol  nello scudo,  e  'l  campo  abbia  vermiglio.  Il  lioconio  bianco (animale  da  un  corno  solo)  in  campo  rosso,  fu  impresa anticamente  usata  dagli  Estensi;  e  se  ne  vedono  tuttora le  reliquie  in  qualche  luogo  di  Ferrara. St.  78.  V.67.  Ostericche:  Austria.   Istro:  oggi Danubio. stanza  76. XLV. ARGOMENTO. Ruggiero,  preao  nel  sonno  da  Uogiardo,  resta  prigioniero  di  Teodora,  sorella  deirimperator  Costantino.  Cario intanto,  a  richiesta  di  Bradamante,  ha  fatto  bandire  che  chi  la  vuole  in  moglie  deve  battersi  con  lei,  e  via cere  la  pugna.  Leone,  che  ha  concepito  amore  e  stima  per  Ruggiero,  benché  noi  conosca,  lo  trae  di  prigione, e  lo  impegna  ad  assumersi  quel  duello.  Ruggiero,  portando  le  insegne  di  Leone,  combatte  con  la  donzella. Sopraggiunta  la  notte,  <3arlo  fo  cessale  la  pugna,  e  destina  Bradamante  al  creduto  Leone.  Ruggiero  acco rato vuole  uccidersi;  ma  presentasi  a  Qrlo  Marfisa,  e  impedisce  quel  maritaggio. Quanto  più  sn  l'iustabil  mota  vedi Di  fortuna  ire  in  alto  il  miser  uomo; Tanto  più  tosto  hai  da  vedergli  i  piedi Ove  ora  ha  il  capo,  e  far  cadendo  il  tomo. Di  questo  esempio  è  Policrate,  e  il  Re  di Lidia,  e  Dionis;!,  ed  altri ch'io  non  uomo, Che  minati  son  dalla  suprema Gloria  in  un  dì  nella  miseria  estrema. 3      n  re  Luigi,  suocero  del  figlio Del  Duca  mio;  che  rotto  a  Santo  Albino, E)  giunto  al  suo  nimico  neir  artìglio, A  restar  senza  capo  f\i  vicino. Scorse  di  questo  anco  maggior  periglio, Non  molto  innanzi,  il  gran  Mattia  Corrino. Poi  Tun  de Franchi,  passato  quel  ponto. L'altro  al  regno  degli  Ungarì  fu  assunto. Cosi  all'incontro,  quanto  più  depresso, Quanto  è  più  Tuom  di  questa  motA  al  fondo. Tanto  a  quel  punto  più  si  trova  appresso, C'ha  da  salir,  se  de' girarsi  in  tondo. Alcun  sul  ceppo  quasi  il  capo  ha  messo. Che  l'altro  giorno  ha  dato  legge  al  mondo. Servio  e  Mario  e  Ventidio  l'hanno  mostro Al  tempo  antico,  e  il  re  Luigi  al  nostro: Si  vede,  per  gli  esempi  di  che  piene Sono  l'antiche  e  le  moderne  istorie, Che  '1  ben  va  dietro  al  male,  e  1  male  al  bene, £  fin  son  l'un  dell'altro  e  biasmi  è  glorie; E  che  fidarsi  all'nom  non  si  conviene In  suo  tesor,  suo  regno  e  sue  vittorie; Kè  disperarsi  per  Fortuna  avversa, Che  sempre  la  sua  mota  in  giro  Tersa. Ruggier,  per  la  vittoria  ch'avea  avuto Di  Leone  e  del  padre  Imperatore, In  tanta  confidenzia  era  venuto Di  sua  fortuna  e  di  suo  gran  valore, Che  senza  compagnia,  senz'  altro  aiuto, Di  poter  egli  sol  gli  dava  il  core, Fra  cento  a  pie  e  a  cavallo  armate  squadre Uccider  di  sua  mano  il  figlio  e  il  padre. stanza  4. 6  Ma  quella  che  non  vuol  che  si  prometta Alcun  di  lei,  gli  mostrò  in  pochi  giorni Come  tosto  alzi,  e  tosto  al  basso  metta, E  tosto  avversa  e  tosto  amica  torni. Lo  fé' conoscer quivi  da  chi  in  fretta A procacciargli  andò  disagi  e  scorni, Dal  cavalier  che  nella  pugna  fiera Di  man  fuggito  a  gran  fatica  gli  era. 7  Costui  fece  ad  Ungiardo  saper  come Quivi  il  goerrier  ch'avea  le  trenti  rotte Di  Costantino,  e  per  molt'  anni  dome, Stato  era  il  giorno  e  vi  staria la  notte; E  che  Fortuna  presa  per  le  chiome, Senza  che  più  travagli  o  che  più  lotte, Darà  al  suo  Re,  se  fa  costui  prigione; Ch' a' Bulgari,  lui  preso,  il  giogo  pone. 8  Ungiardo  dalla  gente  che,  fuggita Della  battaglia,  a  lui  s'era  ridutta (Ch'a  parte  a  parte  v'arrivò  infinita, Perch'ai  ponte  passar  non  potea  tutta), Sapea  come  la  strage  era  seguita. Che  la  metà  de' Greci  avea  distrutta: E  come  un  cavalier  solo  era  stato, Ch'  un  campo  rotto,  e  l'altro  avea  salvato. 9  E  che  sia  da  sé  stesso  senza  caccia Venuto  a  dar  del  capo  nella  rete, Si  maraviglia,  e  mostra  che  gli  piaccia, Con  viso  e  gesti  e  con  parole  liete. Aspetta  che  Ruggier  dormendo  giaccia; Poi  manda  le  sue  genti  chete  chete, E  fa  il  buon  cavalier,  ch'alcun  sospetto Di  questo  non  avea,  prender  nel  letto. 10  Accusato  Ruggier  dal  proprio  scudo. Nella  città  di  Novengrado  resta Prigion  d'Ungiardo,  il  più  d'ogni  altro  crudo, Che  fa  di  ciò  maravigliosa  festa. E  che  può  far  Ruggier,  poi  ch'egli  è  nudo Ed  è  legato  già  quando  si  desta? Ungiardo  un  suo  corrier  spaccia  a  staffetta A  dar  la  nuova  a  Costantino  in  fretta. 11  Avea  levato  Costantin  la  notte Dalle  ripe  di  Sa  va  ogni  sua  schiera; E  seco  a  Beleticche  avea  ridotte, Che  città  del  cognato  Androfilo  era. Padre  di  quello  a  cui  forate  e  rotte (Come  se  state  fossino  di  cera) Al  primo  incontro  l'arme  avea  il  gagliardo Cavalier,  or  prigion  del  fiero  Ungiardo. 12  Quivi  fortificar  facea  le  mura L'Imperatore,  e  riparar  le  porte; Che  de'Bulgari  ben  non  s'assicura. Che  con  la  guida  d'un  guerrier  sì  forte Non  gli  faccino  peggio  che  paura, El  resto  ponghin  di  sua  gente  a  morte Or  che  l'ode  prigion,  né  quelli  teme, Né  se  con  lor  sia  il  mondo  tutto  insieme. 13  L'Impera tor  nuota  in  un  mar  di  latte, Né  per  letizia  sa  quel  cVe  si  faccia. Ben  son  le  genti  bulgare  disfatte. Dice  con  lieta  e  con  sicura  faccia. Come  della  vittoria,  chi  combatte. Se  troncasse  al  nimico  ambe  le  braccia, Certo  saria;  così  n'é  certo  e  gode L'Imperator,  poiché  '1  guerrier  preso  ode. 14    Non  ha  minor  cagìon  di  rallegrarsi Del  padre  il  figlio;  eh'  oltre  che  si  spera Di  racquistar  Belgrado,  e  soggiogarsi Ogni  contrada  che  de' Bulgari  era, Disegna  anco  il  guerriero  amico  farsi Con  benefici,  e  seco  averlo  in  schiera. Né  Rinaldo  uè  Orlando  a  Carlo  Magno Ha  da  invidiar,  se  gli  è  costui  compagno. 16    Da  questa  voglia  è  ben  diversa  quella Di  Teodora,  a  chi  '1  figliuolo  uccise Ruggier  con  Tasta  che  dalla  mammea Passò  alle  spalle,  e  un  palmo  fuor  si  mise. A  Costantin,  del  quale  era  sorella, Costei  si  gettò  a' piedi,  e  gli  conquise E  iutenerìgli  il  cor  d'alta  pietade Con  largo  pianto,  che  nel  sen  le  cade. 16  Io  non  mi  leverò  da  questi  piedi, Diss'ella,  Signor  mio,  se  del  fellone Ch'uccise  il  mio  figliuol  non mi  concedi Di  vendicare,  or  che  1'  abbiam  prigione. Oltre  che  stato  t'è  nipote,  vedi Quanto  t' amò,  vedi  quant'  opre  buone Ha  per  te  fatto,  e  vedi  s'avrai  torto Di  non  lo  vendicar  di  chi  l'ha  morto. 17  Vedi  che  per  pietà  del  nostro  duolo Ha  Dio  fatto  levar  dalla  campagnaQuesto  crudele,  e,  come  augello,  a  volo A  dar  ce  l'ha  condotto  nella  ragna, Acciò  in  ripa  di  Stige  il  mio  figliuolo Molto  senza  vendetta  non  rimagna. Dammi  costui.  Signore,  e  sii  contento Ch'io  disacerbi  il  mio  col  suo  tormento. 18  Cosi  ben  piange,  e  cosi  ben  si  duole, E  cosi  bene  ed  efficace  parla; Né  dai  piedi  levar  mai  se  gli  vuole (Benché  tre  volte  o  quattro  per  levarla Usasse  Costantino  atti  e  parole), Ch'egli  é  forzato  alfin  di  contentarla: E  cosi  comandò  che  si  facesse Colui  condurre,  e  in  man  di  lei  si  desse. 19  E  per non  far  in  ciò  lunga  dimora, Condotto  hanno  il  guerrier  dal  liocorno, E  dato  in  mano  alla  crudel  Teodora, Che  non  vi  fu  intervallo  più  d'un  giorno. Il  far  che  sia  squartato  vivo,  e  muora Pubblicamente  con  obbrobrio  e  scorno. Poca  pena  le  pare;  e  studia  e  pensa Altra  trovarne  inusitata  e  immensa. ataD7A  18L 20    La  femmina  crudel  lo  fece  porre. Incatenato  e  mani  e  piedi  e  collo, Nel  tenebroso  fondo  d'una  torre, Ove  mai  non  entrò  raggio  d'Apollo. Fuor  eh' un  poco  di  pan  muffato,  tórreGli  fé' ogni  cibo,  e  senza  ancor  lassollo Duo  dì  talora;  e  lo  die  in  guardia  a  tale, Ch'  era  di  lei  più  pronto  a  fargli  male. 29  E  che  fattabbia  ancor  qualche  disegno, Per  più  tosto  levarsela  dal  core, D'andar  cercando  d'uno  in  altro  regno Donna  per  cui  si  scordi  il  primo  amore, Come  si  dice  che  si  suol  d'un  legno Talor  chiodo  con  chiodo  cacciar  fuore. Nuovo  pensier  eh' a  questo  poi  succede, Le  dipinge  Ruggier  pieno  di  fede; 30  E  lei,  che  dato  orecchie  abbia,  riprende, A  tanta  iniqua  suspizione  e  stolta: E  così  r  un  pensier  Ruggier  difende, L altro  l'accusa;  ed  ella  amenduo  ascolta, E  quando  a  questo  e  quando  a  quel  s'apprende, Né  risoluta  a  questo  o  a  quel  si  volta:Pur  all'opinion  piuttosto  corre Che  più  le  giova,  e  la  contraria  abborre. 33    Deh  avesse  Amor  cosi  nei  pensier  miei Il  tuo  pensier,  come  ci  ha  il  viso,  sculto! Io  son  ben  certa  che  lo  troverei Palese  tal,  qual  io  lo  stimo  occulto; E  che  si  fuor  di  gelosia  sarei, Ch'ad  or  ad  or  non  mi  farebbe  insulto; E  dove  a  pena  or  è  da  me  respinta, Rimarria  morta,  non  che  rotta  e  vinta. 31  E  talor  anco,  che  le  toma  a  mente Quel  che  più  volte  il  suo  Ruggier  Ip  ha  detto, Come  di  grave  error,  si  duole  e  pente, Ch'  avuto  n'  abbia  gelosia  e  sospetto; E  come  fosse  al  suo  Ruggier  presente, Chiamasi  in  colpa,  e  se  ne  batte  il  petto. Ho  fatto  error,  dice  ella,  e  me  n'avveggio; Ma  chi  n'  è  caua,  è  causa  ancor  di  peggio. 32 Amor  n'è  causa,  che  nel  cor  m'ha impresso La  forma  tua  cosi  legadra  e  bella; E  posto  ci  ha  l'ardir,  l'ingegno  appresso, E  la  virtù  di  che  ciascun  favella; Ch' impossibil  mi  par,  eh'  ove  concesso Ne  sia  il  veder,  ch'ogni  donna  e  donzella Non  ne  sia  accesa,  e  che  non  usi  ogni  arte Di  sciorti  dal  mio  amore,  e  al  suo  legarte. St&uza  'ài. 34    Son  simile  all'avar,  e' ha  il  cor  sì  intento Al  suo  tesor,  e  sì  ve  l'ha  sepolto, Che  non  ne  può  lontan  viver  contento. Né  non  sempre  temer  che  gli  sia  tolto. Ruggiero,  or  può,  ch'io  non  ti  veggo  e  sento In  me,  più  della  speme,  il  timor  molto; Il  qual,  benché  bugiardo  e  vano  io  creda, Non  posso  far  di  non  mi  dargli  in  preda. XLVI. 36  Ma  non  apparirà  il  lume  sì  tosto Agli  occhi  miei  del  tuo  tìso  giocondo, Contro  ogni  mia  credenza  a  me  nascosto, Non  80  in  qual  parte,  o  Ruggier  mio,  dei  mondo, Come  il  falso  timor  sarà  deposto Dalla  vera  speranza,  e  messo  al  fondo. Deh  toma  a  me,  Ruggier,  toma  e  conforta La  speme  che  '1  timor  quasi  m  ha  morta ! 36  Come  al  partir  del  sol  si  fa  maggiore y ombra,  onde  nasce  poi  vana  paura; E  come  ali  apparir  del  suo  splendore Vien  meno  l'ombra,  e '1  timido  assicura: Cosi  senza  Ruggier  sento  timore; Se  Ruggier  veggo,  in  me  timor  non  dura. Deh  toma  a  me,  Ruggier,  deh  torna  prima Che  '1  timor  la  speranza  in  tutto  opprima ! 37  Come  la  notte  ogni  fiammella  è  viva, E  rìman  spenta  sobito  ch'aggiorna; Così,  quando  il  mio  Sol  di  sé  mi  pi  iva, Mi  leva  incontra  il  rio  timor  le  corna. Ma  non  si  tosto  air  orizzonte  arriva, CheU  timor  fugge,  e  la  speranza  torna. Deh  torna  a  me,  deh  toma,  o  caro  lume, E  scaccia  il  rio  timor  che  mi  consume ! 41  La Contj E  ch< Con  I La  su Del  e E  ch( E  noi 42  II (Non Mosse E  che Molto E  di In  gu 38  Se'l  sol  si  scosta,  e  lascia  i  giorni  brevi. Quanto  di  bello  avea  la  terra  asconde; Fremono  i  venti,  e  portan  ghiacci  e  nevi:Non  canta  augel,  uè  fior  si  vede  o  fronde: Cosi,  qualora  avvien  che  da  me  levi, 0  mio  bel  Sol,  le  tue  luci  gioconde. Mille  timori,  e  tutti  iniqui,  fanno Un  aspro  vemo  in  me  più  volte  Panno. 39  Deh  toma  a  me,  mio  Sol,  toma,  e  rimena  43  Par! La  desiata  dolce  primavera!  Della Sgombra  i  ghiacci  e  le  nevi,  e  rasserena  Vederi La  mente  mia  si  nubilosa  e  nera.  Sentei Qual  Progne  si  lamenta,  o  Filomena,  Giunta Ch'  a  cercar  esca  ai  figliuolini  ita  era,  Audaci E  trova  il  nido  vóto;  o  qual  si  lagna  E  fa  e Turture  e'  ha  perduto  la  compagna: Ch'  egl 40  Tal  Bradamante  si  dolca,  che  tolto  44  II  e Le  fosse  stato  il  suo  Ruggier  teraea,  Seco  a Di  lagrime  bagnando  spesso  il  volto,  Col  co Ma  più  celatamente  che  potea.  Che  si Oh  quanto,  quanto  si  dorria  più  molto,  Giunti S'ella  sapesse  quel  che  non  sapea,  Al  cas Che  con  pena  e  con  strazio  il  suo  consorte  Per  ap Era  in  prigion,  dannato  a  cmdel  morte !  E  subi 45    Apron  la  cataratta,  onde  sospeso Al  canape,  ivi  a  tal  bisogno  posto, Leon  si  cala,  e  in  mano  ha  nn  torchio  acceso, Là  dove  era  Rnggier  dal  sol  nascosto. Tutto  legato,  e  s'una  grata  steso Lo  trova,  al racqna  un  palmo  e  men  discosto, li'avria  in  un  mese,  e  in  termine  più  corto, Per  sé,  senz'altro  aiuto,  il  luogo  morto. 46    Leon  Rnggier  con  gran  pietade  abbraccia, E  dice: Cavai  ier,  la  tua  virtute Indissolubilmente  a  te  m'allaccia Di  voluntaria  etema  servitute, E  vuol  che  più  il  tuo  ben  che  '1  mio  mi  piaccia, Né  curi  per  la  tua  la  mia  salute, E  che  la  tua  amicizia  al  padre;  e  a  quanti Parénti  io  m'abbia  al  mondo,  io  metta  innanti s'  stanza  < 47    Io  son  Leon,  acciò  tu  intenda,  figlio Di  Costantin,  che  vengo  a  darti  aiuto. Come  vedi,  in  persona,  con  periglio (Se  mai  dal  padre  mio  sarà  saputo) D'esser  cacciato,  o  con  turbato  ciglio Perpetuamente  esser  da  lui  veduto; Che,  per  la  gente  la  qual  rotta  e  morta Da  te  gli  fu  a  Belgrado,  odio  ti  porta. 48    E  seguitò,  più  cose  altre  dicendo Da  farlo  ritornar  da  morte  a  vita; E  lo  vien  tuttavolta disciogliendo. Rnggier  gli  dice:  Io  v'ho  grazia  infinita; E  questa  vita,  ch'or  mi  date,  intendo Che  sempre  mai  vi  sia  restituita, Che  la  vogliate  riavere,  ed  ogni Volta  che  per  voi  spenderla  bisogni. ?0   loco  oscaro, lian  rimase; ri  faro. )  case, ro persu'ise; er  gagliardo se  Ungiardo. 55  Ma  due  cose  ha Il  cavalier,  che  qu L'altra,  nel  campo In  modo  che  non  " A  se  lo  chiama,  e E  pregai  poi  con  ( Ch'egli  sia  quel  ci Col  nome  alimi,  s lardìan  strozzato     56    L'eloquenza  del la  prigion. he  Bill  niiKìì ¦un  9'  appone, penstuo ¦une; ma.i  aTulo ATVi  ai  alo. Ma  più  delPeloque L'i>bbligM  granile  f Dft  mai  non  ne  ììù Si  che  quaumnqtie E  non  TJos.H'bil  qun Più  che  COTI  cor  gi Ch'era  per  far  pel U'giero ilia, iero e  miglia, priniieru, a  quel  simiglia, e  veneuo; amor  pieno. giorni"  pensa, avefv  immen"a. orteMa ispensa iA  sia, ì  certe, più  nuu  mrte. la  ymavii "lì  (Il  Francia, bbia  a  far  prova e  con  huii'ia, i  guancia; e  fiirae  ha  noie, ser  non  può  te ì  UiiicUè  ila  tier  d Parala  lia  detta,  iJ Che  giorno  e  notte Sempre  V  affligge  e E  veggii  ì\  sim  tin l'ur  non  è  mai  pej Che  prima  eh' a  L Mille  Volte,  non  e m  supplire jur  sia  manco, n  pari  re sa  il  name  aneo, '  Si  ni  ire glia  Francj:V irajiresa,   e  presa. nS  Bm\  certo  è  di  1 La  diiutia,  ha  da  I 0  che  l'accorerà  i 0  se  'l  duolo  e  la Con  le  irniu  propri Che  eiiiga  ralmi, Ch'ogni  altra  cosa Che  poter  lei  vede 59  Gli  è  di  morir  disposto;  ma  che  sorte Di  morte  voglia  far,  non  sa  dir  anco. Pensa  talor  di  fingersi men  forte, E  porger  nudo  alla  donzella  il  fianco; Che  non  fa  mai  la  più  beata  morte, Che  se  per  man  di  lei  venisse  manco. Poi  vede,  se  per  lui  resta  che  moglie Sia  di  Leon,  che  l'obbligo  non  scioglie; 60  Perchè  ha  promesso  centra  Bradamante Entrare  in  campo  a  singoiar  battaglia. Non  simulare,  e  fame  sol  sembiante, Sì  che  Leon  di  lui  poco  si  vaglia. Dunque  starà  nel  detto  suo  costante:E  benché  or  questo  or  quel  pensier  Tassaglia, Tutti  li  scaccia,  e  solo  a  questo  cede, Il  qual  r  esorta  a  non  mancar  di  fede. 61  Avea  già  fatto  apparecchiar  Leone, Con  licenzia  del  patre  Costantino, Arme  e  cavalli,  e  un  numer  di  persone, Qual  gli  convenne,  e  entrato  era  in  cammino; E  seco  avea  Ruggiero,  a  cui  le  buone Arme  avea  fatto  rendere  e  Frontino:E  tanto  un  giorno  e  un  altro  e  un  altro  andare, Ch'in  Francia  ed  a  Parigi  si  trovare. 62  Non  volse  entrar  Leon  nella  cittate, E  i  padiglioni  alla  campagna  tese: E  feMl  medesmo  di  per  ambasciate, Che  di  sua  giunta  il  Re  di  Francia  intese. L'ebbe  il  Re  caro;  e  gli  fu  più  fiate. Donando  e  visitandolo,  cortese. Della  venuta  sua  la  cagion  disse Leone,  e  lo  pregò  che  P  espedisse; 63  Ch'entrar  facesse  in  campo  la  donzella Che  marito  non  vuol  di  lei  men  forte; Quando  venuto  era  per  fere  o  eh'  ella Moglier  gli  fosse,  o  che  gli  desse  morte.Carlo  tolse  l'assunto,  e  fece  quella Comparir  l'altro  dì  fuor  delle  porte, Nello  steccato  che  la  notte  sotto All' alte  mura  fu  fatto  di  botto. 65  Lancia  non tolse;  non  perchè  temesse Di  quella  d'òr,  che  fu  dell' Argalia E  poi  d'Astolfo  a  cui  costei  successe, Che  far  gli  arcion  votar  sempre  solia; Perchè  nessun,  eh'  ella  tal  forza  avesse, 0  fosse  fatta  per  negromanzia, Avea  saputo,  eccetto  quel  Re  solo Che  far  la  fece,  e  la  donò  al  figliuolo. 66  Anzi  Astolfo  e  la  donna,  che  portata L'aveano  poi,  credean  che  non  l'incanto, Jla  la  propria  possanza  fosse  stata, Che  dato  loro  in  giostra  avesse  il  vanto; E  che  con  ogni  altr'asta  ch'incontrata Fosse  da  lor,  farebbono  altrettanto. La  cagion  sola,  che  Ruggier  non  giostra È  per  non  far  del  suo  Frontino  mostra: 67  Che  Io  potria  la  donna  facilmente Conoscer,  se  da  lei  fosse  veduto; Perocché  cavalcato,  e  lungamente In  Montalban  l'avea  seco  tenuto. Ruggier,  che  solo  studia  e  solo  ha  mente Come  da  lei  non  sia  riconosciuto, Né  vuol  Frontin,  né  vuol  cos' altra  avere. Che  di  far  di  sé  indizio  abbia  potere. 68  A  questa  impresa  un'altra  spada  volle; Che  ben  sapea  che  centra  a  Balisarda Saria  ogn'  osbergo,  come  pasta,  molle; Ch'alcuna  tempra  quel  furor  non  tarda; E  tutto '1  taglio  anco  a  quest'altra  tolle Con  un  martello,  e  la  fa  men  gagliarda. Ck)n  quest'arme  Ruggiero,  al  primo  lampo Ch'apparve  all'orizzonte,  entrò  nel  campo. 69  E  per  parer  Leon,  le  sopravveste Che  dianzi  ebbe  Leon,  s'ha  messe  indosso; E  l'aquila  deU'  òr  con  le  due  teste Porta  dipinta  nello  scudo  rosso. E  facilmente  si  potean  far  queste Finzion,  ch'era  ugualmente  grande  e  grosso L'un  come  l'altro.  Appresen tossi  l'uno; L'altro  non  si  lasciò  veder  d'alcuno. 64    La  notte  ch'andò  innanzi  al  terminato Giorno  della  battaglia, Ruggiero  ebbe Simile  a  quella  che  suole  il  dannato Aver,  che  la  mattina  morir  debbe. Eletto  avea  combatter  tutto  armato, Perch' esser  conosciuto  non  vorrebbe; Né  lancia  né  destriero  adoprar  volse; Né,  fuor  che  '1  brando,  arme  d'offesa  tolse. 70    Era  la  volontà  della  donzella Da  quest'altra  diversa  di  gran  lunga; Che  se  Ruggier  sulla  spada  martella Per  rintuzzarla,  che  non  tagli  o  punga, La  sua  la  donna  aguzza,  e  brama  ch'ella Entri  nel  ferro,  e  sempre  al  vivo  giunga; Anzi  ogni  colpo  si  ben  tagli  e  fere Che  vada  sempre  a  ritrovargli  il  core. 7 1  Qnal  su  le  mosse  il  barbaro  si  vede, Che  '1  cenno  del  partir  focoso  atteude, Né  qua  né  là  poter  fermare  il  piede, Gonfiar  le  nare,  e  che  le  orecchie  tende: Tal  V  animosa  donna,  che  non  crede Che  questo  sia  Ruggier  con  chi  contende, Aspettando  la  tromba,  par  che  fuoco Nelle  vene  abbia,  e  non  ritrovi  loco. 72  Qua]  talor,  dopo  il  tuono,  orrido  vento Subito  segue,  che  sozzopra  volve L'ondoso  mare,  e  leva  in  un  momento Da  terra  fin  al  ciel  1 oscura  polve; Fuggon  le  fiere,  e  col  pastor  T armento, L'aria  in  grandine  e  in  pioggia  si  risolve: Udito  il  segno  la  donzella,  tale Stringe  la  spada,  e  '1  suo  Ruggiero  assale. 73  Ma  non  più  quercia  antica,  o  grosso  muro Di  ben  fondata  torre  a  Borea  cede, Né  più  all'irato  mar  lo  scoglio  duro. Che  d'ogni  intomo  il  di  e  la  notte  il  fiede; Che  sotto  l'arme  il  buon  Ruggier  sicuro. Che  già  al  troiano  Ettór  Vulcano  diede. Ceda  all'odio  e  al  furor  che  lo  tempesta Or  ne' fianchi,  or  nel  petto,  or  nella  testa. 74  Quando  di  taglio  la  donzella,  quando Mena  di  punta;  e  tutta  intenta  mira Ove  cacciar  tra  ferro  e  ferro  il  brando, Sì  che  si  sfoghi  e  disacerbi  l'ira. Or  da  un  lato,  or  da  un  altro  il  va  tentando; Quando  di qua,  quando  di  là  s'aggira; E  si  rode  e  si  duol  che  non  le  avvegna Mai  fatta  alcuna  cosa  che  disegna. 75  Come  chi  assedia  una  città  che  forte Sia  di  buon  fianchi  e  di  muraglia  grossa, Spesso  l'assalta,  or  vuol  batter  le  porte, Or  l'alte  torri,  or  atturar  la  fossa; E  pone  indarno  le  sue  genti  a  mort", Né  via  sa  ritrovar,  eh'  entrar  vi  possa:Così  molto  s' affanna  e  si  travaglia, Né  può  la  donna  aprir  piastra  né  maglia. 76  Quando  allo  scudo  e  quando  al  buono  elmetto, Quando  all'osbergo  fa  gittar  scintille Con  colpi  eh' alle  braccia,  al  capo,  al  petto Mena  dritti  e  riversi,  e  mille  e  mille, E  spessi  più  che  sul  sonante  tetto La  grandine  far  soglia  delle  ville. Ruggier  sta  su  l'avviso,  e  si  difende Con  gran  destrezza,  e  lei  mai  non  offende:77  Or  si  ferma,  or  volte  già,  or  si  ritira, E  con  la  man  spesso  accompagna  il  piede. Porge  or  lo  scudo,  ed  or  la  spada  gira Ove  girar  la  man  nimica  vede. 0  lei  non  fere,  o,  se  la  fere,  mira Ferirla  in  parte  ove  mpn  nuocer  crede. La  donna,  prima  che  quel  di  s' inchine, Brama  di  dare  alla  battaglia  fine. 78  Si  ricordò  del  bando,  e  si  ravvide Del  suo  periglio,  se  non  era  presta; Che  se  in  un  dì  non  prende  e  non  uccide Il  suo  domandator,  presa  ella  resta. Kra  già  presso  ai  termini  d'Alcide Per  attuifar  nel  mar  Febo  la  testa. Quand'olia  cominciò  di  sua  possanza A  diffidarsi,  e  perder  la  speranza. Stanza  74. 79  Quanto  mancò  più  la  speranza, crebbe Tanto  più  l'ira,  e  raddoppiò  le  botte; Che  pur  quell'arme  rompere vorrebbe, Ch'  in  tutto  un  dì  non  avea  ancora  rotte Come  colui  ch'ai  lavorio  che  debbe Sia  stato  lento,  e  già  vegga  esser  notte, S'affretta  indamo,  si  travaglia  e  stanca. Finché  la  forza  a  un  tempo  e  il  dì  gli  manca, 80  0  misera  donzella,  se  costui Tu  conoscessi,  a  cui  dar  morte  brami; Se  lo  sapessi  esser  Ruggier,  da  cui Della  tua  vita  pendono  gli  stami: So  ben  eh'  uccider  te,  prima  che  lui, Vorresti;  ebé  di  te  so  che  più  l'ami: E  quando  lui  Ruggiero  esser  saprai, Di  questi  colpi  ancor,  so,  ti  dorrai. 81  Carlo  e  moli' altri  seco,  che  Leone Esser  costai  credeansi,  e  non  Ragg;iero, Vedoto  come  in  arme,  al  paragone Di  Bradamante,  forte  era  e  leggiero; E,  senza  offender  lei,  con  che  ragione Difender  si  sapea,  mntan  pensiero, E  dicon:  Ben  convengono  amendni; Ch'  egli  è  di  lei  ben  degno,  ella  di  lai. 82 Poi  che  Febo  nel  mar  tatt  è  nascoso, Carlo,  fatta  partir  quella  battaglia. Giudica  che  la  donna  per  suo  sposo Prenda  Leon,  né  ricusarlo  vaglia. Ruggier,  senza  pigliar  quivi  riposo. Senz'elmo  trarsi,  o  alleggerirsi  maglia, Sopra  un  piccìol  ronzin  toma  in  gran  fretta Ai  padiglioni  ove  Leon  P  aspetta. 87  Di  chi  mi  debbo,  oimè!  dicea,  dolere Che  cosi  m'abbia  a  un  punto  ogni  ben  tolto? Deh,  sMo  non  voM' ingiuria  sostenere Tenza  vendetta,  incontro  a  cui  mi  volto? Fuorché  me  stesso,  altri  non  so  vedere Che  m'abbia  offeso,  ed  in  miseria  vòlto. Io  mho  dunque  di  me  centra  me  stesso Da  vendicar,  e' ho  tutto  il  mal  commesso. 88  Pur  quando  io  avessi  fatto  solamente A  me  r  ingiuria,  a  me  forse  potrei Donar  perdon,  sebben  difficilmente; Anzi  vo'  dir  che  far  non  lo  vorrei:Or  quanto,  poi  che  Bradamante  sente Meco  r  ingiuria  uguil,  men  lo  ferei?Quando  bene  a  me  ancora  io  perdonassi, Lei  non  convien  ch'invendicata  lassi. 83  Gittò  Leone  al  cavalier  le  braccia Due  volte  e  più  fraternamente  al  collo; E  poi,  trattogli  Telmo  dalla  faccia. Di  qua  e  di  là  con  grande  amor  baciollo. Vo',  disse,  che  di  me  sempre  tu  faccia Come  ti  par;  che  mai  trovar satollo Non  mi  potrai,  che  me  e  lo  stato  mio Spender  tu  possa  ad  ogni  tuo  disio. 84  Né  veggo  ricompensa  che  mai  questa Obbligazion,  ch'io  t'ho,  possi  disdorre; E  non,  s  ancora  io  mi  levi  di  testa La  mia  corona,  e  a  te  la  venghi  a  porre. Rnggier,  di  cui  la  mente  auge  e  molesta Alto  dolore,  e  che  la  vita  abborre, Poco  risponde;  e  l'insegne  gli  rende. Che  n'avea  avute,  el  suo  liocorno  prende; 85  E  stanco  dimostrandosi  e  svogliato, Più  tosto  che  potè  da  lui  levosse; Ed  al  suo  alloggiamento  ritornato, Poi  che  fu  mezzanotte,  tutto  armosse; E  sellato  il  destrìer,  senza  commiato, E  senza  che  d'alcun  sentito  fosse, Sopra  vi  salse,  e  si  drizzò  al  cammino Che  più  piacer  gli  parve  al  suo  Frontino. 89  Per  vendicar  lei  dunque  debbo  e  voglio Ogni  modo  morir,  né  ciò  mi  pesa: Ch'altra  cosa  non  so  ch'ai  mio  cordoglio, Fuorché  la  morte,  far  possa  difesa. Ma  sol,  ch'allora  io  non  morii,  mi  doglio?Che  fatto  ancora  io  non  le  aveva  offesa. Oh  me  felice,  s' io  moriva  allora Ch'era  prigion  della  crudel  Teodora! 90  Sebben  m'avesse  ucciso,  tormentato Prima  ad  arbitrio  di  sua  crndeltade. Da  Bradamante  almeno  avrei  sperato Di  ritrovare  al  mio  caso  pietade. Ma  quando  ella  saprà  eh'  avrò  più  amato Leon  di  lei,  e  di  mia  volontade Io  me  ne  sia,  perch'egli  l'abbia,  privo, Avrà  ragion  d'odiarmi  e  morto  e  vivo. 91  Questo  dicendo,  e  molte  altre  parole Che  sospiri  accompagnano  e  singulti, Si  trova  all'apparir  del  nuovo  sole Fra  scuri  boschi,  in  luoghi  strani  e  inculti; E  perchè  è  disperato  e  morir  vuole, E,  più  che  può,  che'l  suo  morir  s'occulti, Questo  luogo  gli  par  molto  nascosto. Ed  atto  a  far  quant'ha  di  sé  disposto. 86    Frontino  or  per  via  dritta  or  per  via  torta. Quando  per  selve  e  quando  per  campagna II  suo  signor  tutta  la  notte  porta. Che  non  cessa  un  momento  che  non  piagna: Chiama  la  morte,  e  in  quella  si  conforta. Che  l'ostinata  doglia  sola  fregna; Né  vede,  altro  che  morte,  chi  finire Possa  V  insopportabil  suo  martire. 92    Entra  nel  folto  bosco,  ove  più  spesse L'ombrose  frasche  e  più  intricate  vede; Ma  Frontin  prima  al  tutto  sciolto  messe Da  sé  lontano,  e  libertà  gli  diede. 0  mio  Frontin,  gli  disse,  s'a  me  stesse Di  dare  a'merti  tuoi  degna mercede Avresti  a  quel  destrier  da  invidiar  poco Che  volò  al  cielo,  e  fra  le  stelle  ha  loc. 93    Cillaro,  so,  non  fu,  non  fu  Arìone Di  te  miglior,  né  meritò  più  lode; Né  alena  altro  destrier  di  cui  menzione Fatta  da' Greci  o  da' Latini  a' ode. Se  ti  fiir  par  nell'altre  parti  beone, Di  questa  so  eh'  alcun  di  lor  non  gode, Di  potersi  vantar  ch'avuto  mai 94  Poich'  alla  più Donna  gentile  e Si  caro  stato  sei £  di  sua  man  ti Caro  eri  alla  mi La  dirò  più,  se S'io  l'ho  donata Abbia  il  pregio  e  l'onor  che  tu  avuto  hai;  Di  volger  questa stanza  92. 95    Se  Ruggier  qui  s'affligge  e  si  tormenta, E  le  fere  e  gii  augelli  a  pietà  muove (Ch'  altri  non  è  che  questi  gridi  senta, Né  vegga  il  pianto  che  nel  sen  gli  piove), Non  dovete  pensar  che  più  contenta Bradamante  in  Parigi  si  ritrove, Poiché  scusa  non  ha  che  la  difenda, 0  più  l'indugi,  che  Leon  non  prenda. 96  Ella,  prima  ci Che'l  suo  Ruggii Mancar  del  dette I  parenti  e  gli  a E  quando  altro  i 0  col  veneno  o  ' Che  le  par  megl Che,  vivendo,  n 97    Deh,  Ruggier  mio,  dìcea,  dove  Sci  gito? Puote  esser  che  tn  sia  tanto  discosto, Che  tu  non  abbi  questo  bando  udito, A  nessun  altro,  fuor  che  a  te,  nascosto?Se  tu  '1  sapessi,  io  so  che  comparito Nessun  altro  saria  di  te  più  tosto. Misera  me !  eh'  altro  pensar  mi  deggio, Se  non  quel  che  pensar  si  possa  peggio?stanza  94. 98  Come  è,  Ruggier,  possìbil  che  tu  solo Non  abbi  quel  che  tutto  il  mondo  ha  inteso? Se  inteso  l'hai,  né  sei  venuto  a  volo. Come  esser  può  che  non  sii  morto  o  preso? Ma  chi  sapesse  il  ver,  questo  figliuolo Di  Costantin  t' avrà  alcun  laccio  teso; Il  traditor  t'avrà  chiusa  la  via, Acciò  prima  di  lui  tu  qui  non  sia. 99  Da  Carlo  impetrai  grazia,  eh' a  nessuno Men  di  me  forte  avessi  ad  esser  data, Con  credenza  che  tu  fossi  quell'uno A  cui  star  contra  io  non  potessi  armata. Fuorché  te  solo,  io  non  stimava  alcuno:Ma  dell'audacia  mia  m'ha  Dio  pagata; Poiché  costui,  che  mai  più  non  fé'  impresa D'onore  in  vita  sua,  cosi  m'ha  presa: 100  Se  però  presa  son,  per  non  avere Uccider  lui  né  prenderlo  potuto; Il  che  non  mi  par  giusto;  né  al  parere Mai  son  per  star,  ch'in  questo  ha  Carlo  avuto. So  ch'incostante  io  mi  farò  tenere, Se  da  quel  e' ho  già  detto  ora  mi  muto; Ma  nò  la  prima  son  né  la  sezzaia, La  qual  parata  sia  incostante,  e  paia. 101  Basti  che  nel  servar  fede  al  mio  amante D'ogni  scoglio  più  salda mi  ritrovi, E  passi  in  questo  di  gran  lunga  quante Mai  furo  ai  tempi  antichi,  o  sieno  ai  nuovi. Che  nel  resto  mi  dicano  incostante, Non  curo,  purché  l'incostanzia  giovi: Purch'io  non  sia  di  costui  tórre  astretta, Volubil  più  che  foglia  anco  sia  detta. 102  Queste  parole  ed  altre,  ch'interrotte Da  sospiri  e  da pianti  erano  spesso, Segui  dicendo  tutta quella  notte Ch' air  infelice  giorno  venne  appresso. Ma  poi  che  dentro  alle  cimmerie  grotte   Con  l'ombre  sue  Notturno  fu  rimesso, Il Ciel,  ch'eternamente  avea  voluto Farla  di  Ruggier  moglie,  le  die  aiuto. 1 03  Fé'  la  mattina  la  donzella  altiera Marfisa  innanzi  a  Carlo  comparire, Dicendo  ch'ai  fratel  suo  Ruggier  era Fatto  gran  torto,  e  noi  volea  patire, Che  gli  fosse  levata  la  mogliera, Né  pure  una  parola  glie  ne  dire: E  contra  chi  si  vuol  di  provar  toglie. Che  Bradamante  di  Ruggiero  é  moglie; 104  E  innanzi  agli  altri,  a  lei  provar  lo  vuole, Quando  pur  di  negarlo  fòsse  ardita: Ch'in  sua  presenzia  ella  ha  quelle  parole Dette  a  Buggier,  che  fa  chi  si  marita; E  con  la  cerimonia  che  si  suole. Già  si  tra  lor  la  cosa  é  stabilita, Che  più  di  sé  non  possono  disporre, Nò  r  un  r  altro  lasciar,  per  altri tórre. 105  .Marfisa,  o'I  vero  o  '1  falso  che  dicesse, Pur  lo  dicea,  ben  credo  con  pensiero. Perché  Leon  più  tosto  interrompesse A  dritto  e  a  torto,  che  per  dir  il  vero; E  che  di  volontade  lo  facesse Di  Bradamante.  eh' a  riaver  Ruggiero, Ed  escluder  Leon,  né  la  più  onesta Né  la  più  breve  via  vedea  di  questa. 106    Turbato  il  Re  di  questa  cosa molto, Bradamante  chiamar  fa  immantinente; E  quanto  di  provar  Marfisa  ha  tolto Le  fa  sapere,  ed  ecci  Amon  presente. Tien  Bradamante  chino  a  terra  il  volto, E  confusa  non  niega  né  consente, In  gnisa  che  comprender  di  leggiero Si  può  che  Marfisa  abbia  detto  il  vero. 107  Piace  a  Rinal Tal  cosa  udir,  e Che  '1  parentado Che  già  conchius E  pur  Rnggìer  1 Malgrado  avrà  d E  potran  senza  1 Di  man  per  forz Stanza  95 108    Che  se  tra  lor  queste  parole  stanno. La  cosa  è  ferma,  e  non  andrà  per  terra. Cosi  atterràn  quel  che  promesso  gli  hanno, Più  onestamente  e  senza  nuova  guerra. Questo  è,  diceva  Amon,  questo  è  un  inganno Centra  me  ordito:  ma'l  pensier  vostro  erra: Ch' ancorché  fosse  ver  quanto  voi  finto Tra  voi  v avete,  io  non  son  però  vinto. 109  Che  presuppos Né  vo' credere  an Scioccamente  a  R Come  voi  dite,  e Quando  e  dove  fi Più  chiaro  e  piar Stato  so  che  non Prima  che  Ruggì HO    Ma  s'egli  è  stato  ìananzi  che  cristiano Fosse  Ruggier,  non  vo'  che  me  ne  caglia; Ch'essendo  ella  Fedele,  egli  Pagano, Non  crederò  che'i  matrimonio  vaglia.' Non  3i  debbe  per  questo  essere  invano Posto  al  risco  Leon  della  battaglia; Né  il  nostro  Imperator  credo  vogli'  anco Venir  del  detto  suo  per  questo  manco. Stanza  103. Ili     Quel  ch'or  mi  dite,  era  da  dirmi  quando Era  intera  la  cosa,  né  ancor  fatto A'prieghi  di  costei  Carlo  avea  il  bando Che  qui  Leone  alla  battaglia  ha  tratto. Così  contra  Rinaldo  e  contra  Orlando Amon  dicea,  per  rompere  il  contratto Fra  quei  duo amanti;  e  Carlo  stava  a  udire, Né  per  Fun  né  per  l'altro  volea  dire.112  Come  si  senton,  s' Austro  o  Borea  spira, Per  l'alte  selve  murmurar  le  fronde; 0come  soglion,  s'Eolo  s'adira Contra  Nettuno,  al  lito  fremer  l'onde: Cosi  un  rumor  che  corre  e che  s'airgirat E  che  per  tutta  Francia  si  diffonde, Di  questo  dà  da  dire  e  da  udir  tanto, Ch'ogni  altra  cosa  é  muta  in  ogni  canto. 113  Chi  parla  per  Ruggier,  chi  per  Leone; Ma  la  più  parte  è  con  Ruggiero  in  lega: Son  dieci  e  più  per  un  che  n'abbia  Amone. L'Imperator  né  qua  né  là  si  piega; Ma  la  causa  rimette  alla  ragione, Ed  al  suo  Parlamento  la  deléga. Or  vien  Marfisa,  poich'é  differito Lo  sponsalizio,  e  pon  nuovo  partito; Stanza  113. 114  E  dice:  Con  ciò  sia  ch'esser  non  possaD'altri  costei,  finché '1  fra  tei  mio  vive; Se  Leon  la  vuol  pur,  suo  ardire  e  possa Adopri  sì,  che  lui  di  vita  prive: E  chi  manda  di  lor  1'  altro  alla  fossa, Senza  rivale  al  suo  contento  arrìve. Tosto  Carlo  a  Leon  fa  intender  questo, Come  anco  intender  gli  avea  fatto  il  resto. 115  Leon  che,  quando  seco  il  cavaliero Dal  liocorno  sia,  si  tien  sicuro Di  riportar  vittoria  di  Ruggiero, Né  gli  abbia  alcun  assunto  a  parer  duro; Non  sappiendo  che  l'abbia  il  dolor  fiero Tratto  nel  bosco  solitario  e  oscuro, Ma  che .  per  tornar  tosto,  uno  o  due  miglia Sia  andato  a  spasso,  il  mal  partito  piglia. XLVII. 116    Ben  se  ne  pente  in  breve;  che  colui,  117    Pe Del  qual  più  del  dover  si  promettea,  Dapp Non  comparve  quel  dì,  né  gli  altri  dui  Né  co Che  lo  seguir,  né  nuova  se  n'avea;  Egli  i E  tor  questa  battaglia  senza  lui  Ma  n< Contra  Ruggier,  sicur  non  gli  parea:  Né  V Mandò,  per  schivar  dunque  danno  e  scorno,  Se  no Per  trovar  il  guerrier  del  liocorno.  Mi  se N  o  T  B. St.  1.  V.46.   Far....  il  tomo:  da  tornare,  che  vale cadere  eoi  capo  aWingiù.   Folicrate,  e  il  re  di  Lidia, e  Dionigi.  Il  primo  er  tiranno  di  Samo,  e  celebre  per la  prosperità  onde  tutte  le  sue  imprese  furono  accom pagnate ;  ma  rimase  sconfitto  dair  armata  di  Dario,  e mori  appiccato.   Re  di  Lidia  fu  Creso,  l'uomo  più liceo  de'  suoi  tempi,  felice  ne'  suoi  principj,  ma  vinto da  Ciro.   Dionigi,  tiianno  di  Siracusa,  vide  mutarsi lo  splendore  di  sua  fortuna  nella  oscurità  di  maestro di  scuola,  a  cui  fu  costretto  ridursi  in  Corinto.  St.  2  V.7.   Servio,  Mario,  Ventidio.  Da  figlio  della schiava  Tanaqnilla,  Servio  diventò  re  di  Roma,  succe dendo a  Tarquinio  Prisco.   Mario,  nato  in  Arpino  di basso  lignaggio,  ebbe  sette  volte  il  consolato  di  Roma.  Vèìitidio  era  schiavo  di  Strabone,  e  nondimeno  riportò pel  primo  il  trionfo  sui  Parti,  e  fu  pretore  e  con sole in  Roma. St.  3.  V.18.   Il  re  Luigi,  ecc.  Parla  del  re  di  Fran cia Luigi  XII,  padre  di  Renata  che  fu  consorte  del  duca Alfonso  1.  Sconfitto  e  tenuto  prigione  da  Carlo  VITI,  gli successespetto  di dislao,  1 poco  dop  St.  10. neirUngl  St.  65. l'Argalia  St.  92. Pegaso, Chimera, ST.  93. di  Castoi vallo  di per rendi  St.  la Qui  è  la HllaPaln al  lago  d gine:  qui Canto  XLVI. Mflissa  va  iii  traccia  di  Ruggiero  j  e  qU  salva  la  Tìta  col!"iez?,o  Ji  Lpoiie,  clie,  fatto  inteso  del  motivo  onde  Rtig Riero  ó  flrtli'tto,  gli  ce  (te  Bmdamaiite.  Tutti  va"  no  a  Fa riij  dou!  lìiTBfjterOj  gìh  eletto  re  dei  Bulgari,  è  macife Htstu  pd  ravaliete  clic  ha  combattuto  con  BTolamatite, Si  fminD  If  iio;cz(4  ron  regale  eplendldczz  e  prepiiraBt  it talamo  sotro  J'isl  oriate  padiglione  imperiale,  cJie  Meli" con  raagit:artc  la  fttt to  ti"aportBie  da  Costantinopoli, XtirnUìinp  fioino  ddle  feste  nuziali,  8opraY\ieDe  Bodo TUùntct,  che  stidii  tUigRicro  a  battaglia,  conibat te  con  e e  maoiu:  por  di  lui  mano. Or,  se  mi  mostra  ta  mia  carta  il  vero, Noti  è  lontAiìo  a  discoprirsi  il  porto; Sì  clic  nel  lito  Ì  voti  scioglier  spero A  chi  nel  mar  per  tanta  via  m'hsi  scorto | t)vc .  0  ili  non  tornar  col  legno  i  a  toro, 0  d'errar  sempre,  ebbi  già  il  viso  smorto Ma  mi  par  di  veiler,  ma  veggo  certo, Veggo  la  terra,  e  veggo  il  (ito  aperto 2      Sento  venir  per  allegrezza  un  tnono Che  fremer  l'aria  e  rimbombar  fa  T  onci  e; Odo  di  sqnille,  odo  dì  trombe  xm  suono Che  Talto  popnlnr  grido  confonde. Or  comincio  a  d  lacerne  re  cbi  &ono PncHti  eh'  (in pioti  del  parto  ambe  le  sponde. Par  che  tutti  s'allegrino  ch'io  sia Venuto  a  fin  di  cosi  innga  via.  3      Oh  di  che  belle  e  sagge  donne  veggio,  4 Oh  di  che  cavalieri  il  lito  adorno!  Da Oh  di  che  amici,  a  chi  in  eterno  deggio  Ve Per  la  letizia  e'  han  del  mio  ritorno !  Da Mamma  e  Ginevra  e  l'altre  da  Correggio  Ve Veggo  del  molo  in  su  l'estremo  corno;  Ch Veronica  da  Gamhara  è  con  loro,  Co grata  a  Febo  e  al  santo  aonio  coro.  Bi Stanza  3. Ecco  la  bella,  ma  più  saggia  e  onesta,  6       Barbara  Turca,  e  la  compagna  è  Laura.  Qu Non  vede  il  Sol  di  più  bontà  di  questa  Ce: Coppia  dair  Indo  all' estrema  onda  maara.  Do Ecco  Ginevra  che  la Malatesta  Cr< Casa  col  suo  valor  si  ingemma  e  inaura,  E Che  mai  palagi  imperiali  o  regi  To Non  ebbon  più  onorati  e  degni  fregi.  Né 7  Del  mio  Signor  di  Bozolo  la  moglie, La  madre,  le  sirocchie  e  le  cugine, E  le  Torelle  con  le  Bentivoglie, E  le  Visconte  e  le  Pallavicine; Ecco  chi  a  quante  oggi  ne  sono,  toglie, E  a  quante  o  Greche  o  Barbare  o  Latine Ne  Airon  mai,  di  quai  la  fama  s'oda. Di  grazia  e  di  beltà  la  prima  loda. 8  Giulia  Gonzaga,  che  dovunque  il  piede Volge,  e  dovunque  i  sereni  occhi  gira. Non  pur  ogn' altra  di  beltà  le  cede. Ma,  come  scesa  dal  ciel  Dea,  T ammira. La  cognata  è  con  lei,  che  di  sua  fede Non  mosse  mai,  perchè  T avesse  in  ira Fortuna  che  le  fé'  lungo  contrasto:Ecco  Anna  d' Aragon,  luce  del  Vasto; 9  Anna  bella,  gentil,  cortese  e  saggia, Di  castità,  di  fede  e  d'amor  tempio. La  sorella  è  con  lei,  eh'  ove  ne  irraggia L'alta  beltà,  ne  paté  ogn' altra  scempio. Ecco  chi  tolto  ha  dalla  scura  spiaggia Di  Stige,  e  fa  con  non  più  visto  esempio, Malgrado  delle  Parche  e  della  Morte, Splender  nel  ciel  l'invitto  suo  consorte.  18    Ecco  Alessandro,  il  mio  signor.  Farnese: Oh  dotta  compagnia  che  seco  mena! Fedro,  Capella,  Porzio,  il  bolognese Filippo,  il  Volterrano,  il  Madalena, Blosio,  Piero,  il  Vida  cremonese, D'alta  facondia  inessiccabil  vena, E  Lascari  e  Musuro  e  Navagero, E  Andrea  Marone,  e  '1  monaco  Severo. 14  Ecco  altri  duo  Alessandri  in  quel  drappello. Dagli  Orologi  l'un,  l'altro  il  Guarino. Ecco  Mario  d'Olvito  "  ecco  il  flagello De' Principi,  il  divin  Pietro  Aretino. Duo  Jeronimi  veggo,  l'uno  è  quello Di  Verìtade,  e  l'altro  il  Cittadino. Veggo  il  Mainardo,  veggo  il  Leoniceno, Il  Pannizzato,  e  Celio  e  il  Teocreno. 15  Là  Bernardo  Capei,  là  veggo  Pietro Bembo,  che  '1  puro  e  dolce  idioma  nostro, Levato  fuor  del  volgare  uso  tetro, Qnal  esser  dee,  ci  ha  col  suo  esempio  mostro. Guasparro  Obizzi  è  quel  che  gli  vien  dietro. Ch'ammira  e  osserva  il  si  ben  speso  inchiostro. Io  veggo  il  Fracastorio,  il  Bevazzano, Trifon  Gabriele,  e  il  Tasso  più lontano. 10  Le  Ferraresi  mie  qui  sono,  e  quelle Della  corte  d'Urbino    e  riconosco Quelle  di  Mantua,  e  quante  donne  belle Ha  Lombardia,  quante  il  paese  tosco. n  cavalier  che  tra  lor  viene,  e  ch'elle  ' Onoran  si,  s'io  non  ho  l'occhio  losco, Dalla  luce  ofiFuscato  de' bei  volti, É'I  gran  lume  aretin,  l'Unico  Accolti. 11  Benedetto,  il  nipote,  ecco  là  veggio, C'ha  purpureo  il  cappel,  purpureo  il  manto, Col  Cardinal  di  Mantua,  e  col  Campeggio, Gloria  e  splendor  del  consistono  santo. E  ciascun  d'essi  noto  (o  ch'io  vaneggio) Al  viso  e  ai  gesti  rallegrarsi  tanto Del  mio  ritomo,  che  non  facil  parmi Ch'io  possa  mai  di  tanto  obbligo  trarmi. 12  Con  lor  Lattanzio  e  Claudio  Tolomei, E  Paulo  Pausa,  e'I  Dresino,  e  Latino Giuvenal  parmi,  e  i  Capilupi  miei, E  '1  Sasso  e  1  Molza  e  Florian  Montino; E  quel  che  per  guidarci  ai  rivi  ascrei Mostra  piano  e  più  breve  altro  cammino, Giulio  Camillo;  e  par  eh' anco  io  ci  scema Marco  Antonio  Flaminio,  il  Sanga,  il  Berna. 16  Veggo  Niccolò  Tiepoli,  e  con  esso Niccolò  Amanio  in  me  affissar  le  ciglia; Anton  Falgoso,  eh' a  vedermi  appresso Al  lito  mostra  gaudio  e  maraviglia. n  mio  Valerio  è  quel  che  là  s'è  messo Fuor  delle  donne;  e  forse  si  consiglia Col  Barignan  c'ha  seco,  come  offeso Sempre  da  lor,  non  ne  sia  sempre  acceso. 17  Veggo  sublimi  e  sopmmani  inoegni, Di  sangue  e  d'amor  giunti,  il  Pico  e  il  Pio. Colui  che  con  lor  vien,  e  da' più  degni Ha  tanto  onor,  mai  più  non  conobbi  io; Ma,  se  me  ne  fur  dati  veri  segni, È  l'uom  che  di  veder  tanto  desio, lacobo  Sannazar,  eh' alle  Camene Lasciar  fa  1  monti,  ed  abitar  l'arene. 18  Ecco  il  dotto,  il  fedele,  il  diligente Secretarlo  Pistofllo,  ch'insieme Cogli  Acciaiuoli  e  con  l'Angiar  mio  sente Piacer,  che  più  del  mar  per  me  non  teme. Annibal  Malagnzzo,  il  mio  parente, Veggo  con  l'Adoardo,  che  gran  speme Mi  dà,  eh' ancor  del  mio  nativo  nido Udir  farà  da  Calpe  agi'  Indi  il  grido. XLVIII. 19     Fa  Vittor  Fausto,  fa  il  Tancredi  festa  20    (, Di  riyedermi  e  la  fanno  altri  cento.  V 1 Veggo  le  donne  e  gli  nomini  di  questa  Che Mia  ritornata  ognun  parer  contento.  Nod Dunque  a  finir  la  breve  via  che  resta  E  d Non  sia  più  indugio,  or  cho  propizio  il  vento;  Che E  torniamo  a  Melissa,  e  con  che  aita  Per Salvò,  diciamo,  al  buon  Buggier  la  vita.  Che stanza  12. 21  In  preda  del  dolor tenace  e  forte  23  S< Buggier  tra  le  scure  ombre  vide  posto.  Qua Il  qual  di  non  gustar  d'alcuna  sorte  Se  1 Mai  più  vivanda  fermo  era  e  disposto.  Ben E  col  digiun  si  volea  dar  la  morte: Qua Ma  fu  r aiuto  di  Melissa  tosto;  Al  i Che,  del  suo  albergo  uscita,  la  via  tenne  Che Ove  in  Leone  ad  incontrar  si  venne: Non 22  II  qual  mandato,  Puno  alP altro  appresso,  24  II Sua  gente  avea  per  tutti  i  luoghi  intorno;  E  s( E  poscia  era  in  persona  andato  anch'esso  II  p Per  trovar  il  guerrier  dal  liocorno.  Mai La  saggia  incantatrice,  la  qual  messo  Sol Freno  e  sella  a  uno  spirto  avea  quel  giorno,  Sta E  Pavea  sotto  in  forma  di  ronzino,  Per Trovò  questo  figliuol  di  Costantino.  S'al 25  Neir animo  a  Leon  subito  cade, Che'l  cavalier  di  chi  costei  ragiona, Sia  quel  che  per  trovar  fa  le  contrade Cercare  intomo,  e  cerca  egli  in  persona; Sì  eh'  a  lei  dietro,  che  gli  persuade Si  pietosa  opra,  in  molta  fretta  sprona; La  qual  lo  trasse,  e  non  fèr  gran  cammino, Ove  alla  morte  era  Ruggier  vicino. 26  Lo  ritrovar  che  senza  cibo  stato Era  tre  giorni,  e  in  modo  lasso  e  vinto, ChMu  pie  a  fatica  si  saria  levato, Per  ricader,  sebben  non  fosse  spinto. Giacca  disteso  in  terra  tutto  armato, Con  Telmo  in  testa,  e  della  spada  cinto; E  guandal  dello  scudo  s'avea  fatto, In  che  1  bianco  liocorno  era  ritratto. 27  Quivi  pensando  quanta  ingiuria  egli  abbia Fatto  alla  donna,  e  quanto  ingrato  e  quanto Isconoscente  le  sia  stato,  arrabbia, Non  pur  si  duole;  e  se  n'affligge  tanto, Che  si  morde  le  man,  morde  le  labbia, Sparge  le  guancie  di  continuo  pianto; E  per  la  fantasia  che  v'  ha  si  fissa, Né  Leon  venir  sente,  né  Melissa: 28  Né  per  questo  interrompe il  suo  lamento, Né  cessano  i  sospir,  né  il  pianto  cessa. Leon  si  ferma,  e  sta  ad  udire  intento; Poi  smonta  del  cavallo,  e  se  gli  appressa. Amore  esser  cagion  di  quel  tormento Conosce  ben;  ma  la  persona  espressa Non  gli  è,  per  cui  sostien  tanto  martire; Ch'anco  Ruggier  non  glie  l'ha  fatto  udire. 29  Più  innanzi,  e  poi  più  innanzi  i  passi  muta, Tanto  che  se  gli  accosta  a  faccia  a  faccia; E  con  fraterno  affetto  lo  saluta, E  se  gli  china  a  lato,  e  al  collo  abbraccia. Io  non  so  quanto  ben  questa  venuta Di  Leone  improvvisa  a  Ruggier  piaccia; Che  teme  che  lo  turbi  e  gli  dia  noia, E  se  gli  voglia  oppor,  perché  non  muoia. 30  Leon  con  le  più  dolci  e  più  soavi Parole  che  sa  dir,  con  quel  più  amore Che  può  mostrar,  gli  dice:  Non  ti  gravi D'aprirmi  la  cagion  del  tuo  dolore; Che  pochi  mali  al  mondo  son  si  pravi, Che  Tuomo  trar  non  se  ne  possa  fùore. Se  la  cagion  si  sa;  né  debbe  privo Di  speranza  esse/  mai,  finché  sia  vivo. 31  Ben  mi  duol  che  celar  t'abbi  voluto Da  me,  che  sai  s' io  ti  son  vero  amico, Non  sol  di  poi  ch'io  ti  son  si  tenuto, Che  mai  dal  nodo  tuo  non  mi  districo, Ma  fin  allora  ch'avrei  causa  avuto D'esserti  sempre  capital  nemico; E  dèi  sperar  ch'io  sia  per  darti  aita Con  l'aver,  con  gli  amici  e  con  la  vita. 32  Di  meco  conferir  non  ti  rincresca Il  tuo  dolore;  e  lasciami  far  prova, Se  forza,  se  lusinga,  acciò  tu  n'esca. Se  gran  tesor,  s'arte,  s' astuzia  giova. Poi,  quando  l'opra  mìa  non  ti  riesca, La  morte  sia  ch'alfin  te  ne  rimova: Ma  non  voler  venir  prima  a  quesi'  atto, Che  ciò  che  si  può  far  non  abbi  £atto. 33  E  seguitò  con  si  efficaci  prieghi, E  con  parlar  si  umano  e  si  benigno, Che  non  può  far  Ruggier  che  non  si  pieghi, Che  né  di  ferro  ha  il  cor  né  di  macigno, E  vede,  quando  la  risposta  nieghi, Che  farà  discortese  atto  e  maligno. Risponde;  ma  due  volte  o  tre  s'incocca Prima  il  parlar,  eh'  uscir  voglia  di  bocca. 34  Signor  mio,  disse  alfin,  quando  saprai Colui  ch'io  son,  che  son  per  dirtel  ora, Mi  rendo  certo  che  di  me  sarai Non  men  contento,  e  forse  più,  ch'io  mora. Sappi  ch'io  son  colui  che  si  in  odio  hai: Io  son  Ruggier,  ch'ebbi  te  in  odio  ancora; E  che  con  intenzion  di  porti  a  morte, Già  son  più  giorni,  usci'  di  questa  corte; 35  Acciò  per  te  non  mi  vedessi  tolta Bradamante,  sentendo  esser  d'Amone La  voluntade  a  tuo  favor  rivolta. Ma  perchè  ordina  l'uomo,  e  Dio  dispone. Venne  il  bisogno  ove  mi  fé' la  molta Tua  cortesia  mutar  d'opinione; E  non  pur  l'odio  ch'io  t'avea  deposi, Ma  fé'  eh'  esser  tuo  sempre  io  mi  disposi. 86    Tu  mi  pregasti  non  sapendo  ch'io Fossi  Ruggier,  ch'io  ti  facessi  avere Ia  donna;  ch'altrettanto  sana  il  mio Cor  fuor  del  corpo,  o  l'anima  volere. Se  soddisfar  piuttosto  al  tuo  desio. Ch'ai  mio,  ho  voluto,  t'ho  fatto  vedere. Tua  fatta  é  Bra"lamante;  abbila  in  pace; Molto  più  che  '1  mio  bene,  il  tuo  mi  piace. 41  Che  prima  il  nome  di  Rnggiero  odiassi, ChMo  sapessi  che  tu  fossi  Ruggiero, Non  negherò;  ma  chor  più  innanzi  passi L'odio  ch'io  t'ebhi,  t'esca  del  pensiero. £  se,  quando  di  carcere  io  ti  trassi, N'avessi,  come  or  n'ho,  saputo  il  yero; n  medesimo  avrei  fatto  anco  allora, Oh' a  benefizio  tuo  son  per  far  ora. 42  E  s'allor  volentier  fatto  l'avrei, Ch'io  non  t'era,  come  or  sono,  obbligato; Qnant'or  più  farlo  debbo,  che  sarei. Non  lo  facendo,  il  più  d'ogn' altro  ingrato? Poiché,  negando  il  tuo  voler,  ti  sei Privo  d'ogni  tuo  bene,  e  a  me  l'hai  dato. Ma  te  lo  rendo;  e  più  contento  sono Renderlo  a  te,  ch'aver  io  avuto  il  dono. 43  Molto  più  a  te,  eh' a  me,  costei  conviensi, La  qual,  bench'io  per li  suoi  merit'ami. Non  è  però,  s'altri  l'avrà,  eh io  pensi, Come  tu,  al  viver mìo  romper  li  stami. Non  vo'che  la  tua  morte  mi  dispensi, Che  possa,  sciolto  ch'ella  avrà  i  legami Che  son  del  matrimonio  ora  fra  voi, Per  legittima  moglie  averla  io  poi. 44  Non  che  di  lei,  ma  restar  privo  voglio Di  ciò  e' ho  al  mondo,  e  della  vita  appresso. Prima  che  s'oda  mai  ch'abbia  cordoglio Per  mìa  cagion  tal  cavaliero  oppresso. Della  tua  diiìidenzia  ben  mi  doglio; Che  tu  che  puoi,  non  men  che  di  te  stesso, Di  me  dispor,  piuttosto  abbi  voluto Morir  di  duol,  che  da  me  avere  aiuto. 45  Queste  parole  ed  altre  soggiungendo. Che  tutte  saria  lungo  riferire, £  sempre  le  ragion  redarguendo, Ch'in  contrario  Ruggier  li  potea  dire, Fé' tanto,  ch'alfin  disse:  Io  mi  ti  rendo, E  contento  sarò  di  non  morire. Ma  quando  ti  sciorrò  l'obbligo  mai, Che  due  volte  la  vita  dato  m'hai? 47  II  qual  con  gran  fatica,  ancor  ch'aiutx) Avesse  da  Leon,  sopra  vi  salse:Cosi  quel  vigor  manco  era  venuto, Che  pochi  giorni  innanzi  in  modo  valse, Che  vincer  tutto  un  campo  avea  potuto, E  far  quel  che  fé' poi  con  Tarme  false. Quindi  partiti,  giunser,  che  più  via Non  fèr  di  mezza  lega,  a  una  badia: 48  Ove  posaro  il  resto  di  quel  giorno, E  l'altro  appresso,  e  l'altro  tutto  intero, Tanto  che'l  cavalier  dal  liocorno Tornato  fu  nel  suo  vigor  primiero. Poi  con  Melissa  e  con  Leon  ritomo Alla  città  real  fece  Ruggiero, E  vi  trovò  che  la  passata  sera L'imbascieria"  de' Bulgari  giunt'era: 49  Che  quella  nazìon,  la  qual  s'avea Ruggiero  eletto  Re,  quivi  a  chiamarlo Mandava  questi  suoi,  che  si  credea D'averlo  in  Francia  appresso  al  Magno  Carlo; Perchè  giurargli  fedeltà  volea, E  dar  di  sé  dominio,  e  coronario. Lo  scudier  di  Ruggier,  che  si  ritrova Con  questa  gente,  ha  di  lui  dato  nuova. 50  Della  battaglia  ha  detto,  ch'in  favore De' Bulgari  a  Belgrado  egli  avea  fatta Ove  Leon  col  padre  Imperatore Vinto,  e  sua  gente  avea  morta  e  disfatta:E  per  questo  V  avean  fatto  Signore, Messo  da  parte  ogni  uomo  di  sua  schiatta: •   E  come  a  Novengrado  era  poi  stato Preso  da  IJngiardo,  e  a  Teodora  dato: 51  E  che  venuta  era  la  nuova  certa, Che  '1  suo  guardian  s' era  trovato  ucciso, E  lui  fuggito,  e  la  prigione  aperta: Che  poi  ne  fosse,  non  v'  era  altro  avviso. Entrò  Ruggier  per  via  molto  coperta Nella  città,  né  fu  veduto  in  viso. La  seguente  mattina  egli  e  '1  compagno Leone  appresentossi  a  Carlo  Magno. 46    Cibo  soave  e  prezioso  vino Melissa  ivi  portar  fece  in  un  tratto; E  confortò  Ruggier,  ch'era  vicino. Non  s' aiutando,  a  rimaner  disfatto. Sentito  in  questo  tempo  avea  Frontino Cavalli  quivi,  e  v'  era  accorso  ratto. Leon  pigliar  dalli  scudieri  suoi Lo  fé' e  sellare,  ed  a  Ruggier  dar  poi; 52    S'appresentò  Ruggier  con  l'augel  d'oro, Che  nel  campo  vermiglio  avea  due  teste; E,  come  disegnato  era  fra  loro, Con  le  medesme  insegne  e  sopravveste Che,  come  dianzi  nella  pugna  fòro, Eran  tagliate  ancor,  forate  e  peste; Si  che  tosto  per  quel  fti  conosciuto, Ch'  avea  con  Bradamante  combattuto. XLVI. 53  Con  ricche  yesti  e  regalmente  ornato, Leon  senz'  arme  a  par  con  luì  venia; £  dinanzi  e  di  dietro  e  d'ogni  lato Avea  onorata  e  degna  compagnia. A  Carlo  s  inchinò,  che  già  levato Se  gli  era  incontra;  e  avendo  tuttavia Roggier  per  man,  nel  qnal  intente  e  fisse Ognun  avea  le  luci,  cosi  disse: 54  Qnesto  ò  il  hnon  cavaliere,  il  qnal  difeso S  è  dal  nascer  del  giorno  al  giorno  estinto; E  poiché  Biadamante  o  morto;  o  preso, O  fuor  non  V  ha  dallo  steccato  spinto, Magnanimo  Signor,  se  hene  inteso Ha  il  Yostro  bando,  è  certo  d'aver  vinto, E  d' aver  lei  per  moglie  guadagnata; E  cosi  viene,  acciò  che  gli  sia  data. 55  Oltre  che  di  ragion,  per  lo  tenore Del  bando,  non  vha  altr'uom  da  far  disegno; Se  s' ha  da  meritarla  per  valore, Qnal  cavalier  più  di  costui  nè  degno? S' aver  la  dee  chi  più  le  porta  amore, Non  è  chi  '1  passi  o  ch'arrivi  al  suo  segno: Ed  è  qni  presto  contra  a  chi  s  oppone, Per  difender  con  Parme  sua  ragione. 56  Carlo,  e  tutta  la  corte  stupefatta, Qnesto  udendo,  restò;  ch'avea  creduto Che  Leon  la  battaglia  avesse  fatta. Non  qnesto  cavalier  non  conosciuto. Marfisa,  che  cogli  altri  quivi  tratta S  era  ad  udire,  e  eh'  appena  potuto Avea  tacer,  finché  Leon  finisse n  sno  parlar,  si  fece  innanzi  e  disse:57  Poiché  non  c'è  Ruggier,  che  la  contesa Della  moglier  fra  sé  e  costui  disciogUa, Acciò  per  mancamento  di  difesa Così  senza  rumor  non  se  gli  teglia, Io  che  gli  son  sorella,  questa  impresa Piglio  contra  a  ciascun,  sia  chi  si  voglia, Che  dica  aver  ragione  in  Bradamante, O  di  merto  a  Ruggiero  andare  innante. 58  E  con  tant'ira  e  tanto  sdegno  espresse Questo  parlar,  che  molti  ebber  sospetto, Che  senza  attender  Carlo  che  le  desse Campo,  ella  avesse  a  far  quivi  l'effetto. Or  non  parve  a  Leon  che  più  dovesse Ruggier  celarsi,  e  gli  cavò  l'elmetto; E  rivolto  a  Marfisa:  Ecco  lui  pronto A  rendervi  di  sé,  disse,  buon  conto. 59  Quale  il  canuto  Egèo  rimase,  quando Si  fu  alla  mensa  scellerata  accorto Che  quello  era  il  suo  figlio,  al  quale,  instando L'iniqua  moglie,  avea  il  veneno  pòrto; E  poco  più  che  fosse  ito  indugiando Di  conoscer  la  spada,  l'avria  morto: Tal  fu  Marfisa,  quando  il  cavaliere Ch'odiato  avea,  conobbe  esser  Ruggiero. 60  E  corse  senza  indugio  ad  abbracciarlo, Né  dispiccar  se  gli  sapea  dal  eolio. Rinaldo,  Orlando,  e  di  lor  prim%  Carlo Di  qua  e  di  là  con  grand'amor  baciollo. Né  Dudon  né  Olivier  d'accarezzarlo. Né  'I  re  Sobrin  si  pnò  veder  satollo. Dei  Paladini  e  dei  Baron  nessuno Di  far  festa  a  Ruggier  restò  digiuno. 61  Leone,  il  qual  sapea  molto  ben  dire. Finiti  che  si  fur  gli  abbracciamenti, Conunciò  innanzi  a  Carlo  a  riferire, Udendo  tutti  quei  ch'eran  presenti, Come  la  gagliardia,  come  l'ardire (Ancorché  con  gran  danno  di  sue  genti) Di  Ruggier,  eh' a  Belgrado  avea  veduto, Più  d'ogni  offesa  avea  di  se  potuto; 62  Si  ch'essendo  di  poi  preso  e  condutto A  colei  ch'ogni  strazio  n'avria  fatto. Di  prigion  egli,  malgrado  di  tutto D  parentado  suo,  l'aveva  tratto; E  come  il  buon  Ruggier,  per  render  frutto E  mercede  a  Leon  del  suo  riscatto, Fé'  l'alta  cortesia,  che  sempre  a  quante Ne  furo  o  saran  mai,  passerà  innante. 63  E  seguendo,  narrò  di  punto  in  punto Ciò  che  per  lui  fatto  Ruggiero  avea: E  come  poi  da  gran  dolor  compunto, Che  di  lasciar  la  moglie  gli  premea. S'era  disposto  di  morire;  e  giunto V'era  vicin  se  non  si  soccorrea; E  con  si  dolci  affetti  il  tutto  espresse. Che  quivi  occhio  non  fu  ch'asciutto  stesse. 64  Rivolse  poi  con  si  efficaci  prieghi Le  sue  parole  all'ostinato  Amone, Che  non  sol  che  lo  muova,  che  lo  pieghi. Che  lo  faccia  mutar  d'opinione; Ma  fa  ch'egli  in  persona  andar  non  nieghi A  supplicar  Ruggier  che  gli  perdone, E  per  padre  e  per  suocero  l'accette: E  cosi  Bradamante  gli  promette;65  A  coi  là  dove,  della  vita  in  forPiangea  i  suoi  casi  in  camera  segreta, Con  lieti  gridi  in  molta  fretta  crse Per  più  dnn  nie."8o  la  novella  lieta: Onde  il  sangue  ch'ai  cor,  quando  lo  morse Prima  il  dolor,  fa  tratto  dalla  pietà, A  questo  annunzio  il  lasciò  solo  in  guisa, Che  quasi  il  gaudio  ha  la  donzella  uccisa. 66  Ella  riman  d  ogni  vigor  si  Tòta, Che  di  tenersi  in  pie  non  ha  balia; Benché  di  quella  forza  ch'esser  nota Vi  debbe,  e  di  quel  grande  animo  sia. Non  più  di  lei,  chi  a  ceppo,  a  laccio,  a  mota Sia  condannato,  o  ad  altra  morte  ria, E  chi  già  agli  occhi  abbia  la  benda  negra, Gridar  sentendo  grazia,  si  rallegra. 67  Si  rallegra  Mongrana  e  Chiaramonte, Di  nuovo  nodo  i  dui  raggianti  rami; Altrettanto  si  duol  Cno  col  conte Anselmo,  e  con  Falcon  Gini  e  Ginami: Ma  pur  coprendo  sotto  un'altra  fronte Van  lor  pensieri  invidiosi  e  erami; E  occasione  attendon  di  vendetta, Come  la  volpe  al  varco  il  lepre  aspetta. 71  Ruggiero  accettò  il  regno,  e  non  conteae Ai  preghi  loro,  e  in  Bulgheria  promesse Di  ritrovarsi  dopo  il  terzo  mese, Quando  Fortuna  altro  di  lui  non  fèsse. Leone  Augusto,  che  la  cosa  intese. Disse  a  Rnggier,  ch'alia  sua  fede stesse. Che,  poich'  egli  de'  Bulgari  ha  il  domino, La  pace  è  tra  lor  fatta  e  Costantino: 72  Né  da  partir  di  Francia  s  avrà  in  fretta, Per  esser  capitan  delle  sue  squadre; Che  d'ogni  terra  ch'abbiano  suggetta, Far  la  rinunzia  gli  farà  dal  padre. Non  é  virtù  che  di  Rnggier  sia  detta, Ch'a  muover  sì  l'ambiziosa  madre Di  Bradamante,  e  far  che  '1  genero  ami, Vaglia,  come  ora  udir  che  Re  si  chiami. 73  Fansi  le  nozze  splendide  e  reali. Convenienti  a  chi  cura  ne  piglia: Carlo  ne  piglia  cura,  e  le  &  quali Farebbe  maritando  una  sua  figlia: I  merti  della  donna  erano  tali, Oltre  a  quelli  di  tutta  sua  famiglia, Ch'a  quel  Signor  non  parria  uscir  del  segno. Se  spendesse  per  lei  mezzo  il  suo  regno. 68    Oltre  che  già  Rinaldo  e  Orlando  ucciso Molti  in  più  volte  avéan  di  quei  malvagi; Benché  l'ingiurie  fur  con  saggio  avviso Dal  Re  acchetate,  ed  i  comun  disagi; Avea  di  nuovo  lor  levato  il  riso L'ucciso  Pinabello  e  Bertolagi: Ma  pur  la  fellonia  tenean  coperta, Dissimulando  aver  la  cosa  certa. 74    Libera  corte  fa  bandire  intomo, Ove  sicuro  ognun  possa  venire; E  campo  franco  sin  al  nono  giorno Concede  a  chi  contese  ha  da  partire. Fé' alla  campagna  l'apparato  adomo Di  rami  intesti  e  di  bei  fiori  ordire, D'oro  e  di  seta  poi,  tanto  giocondo, Che'l  più  bel  luogo  mai  non  Ai  nel  mondo. 69  Gli  ambasciatori  bulgari,  che  in  corte Di  Carlo  eran  venuti,  cxyme  ho  detto. Con  speme  di  trovare  il  guerrier  forte Del  liocorno,  al  regno  loro  eletto; Sentendol  quivi,  chiamar  buona  sorte La  lor,  che  dato  avea  alla  speme  effetto; E  riverenti  ai  pie  se  gli  gittaro, E  che  tornasse  in  Bulgheria  il  pregare; 70  Ove  in  Adrianopoli  servato Gli  era  Io  scettro  e  la  real  corona: Ma  venga  egli  a  difendersi  Io  Srato; Cha  danni  lor  di  nuovo  si  ragiona Che  più  numer  di  gente  apparecchiato Ha  Costantino,  e  toma  anco  in  persona: Ed  essi,  se  '1  suo  Re  ponno  aver  seco, Speran  di  tórre  a  lui  V  Imperio  greco. 75  Dentro  a  Parigi  non  sariano  state L'innumerabil  genti  peregrine, Povere  e  ricche  e  d'ogni  quali  tate. Che  v'  eran,  greche,  barbare  e  latine. Tanti  Signori,  e  ambasderie  mandate Di  tutto  '1  mondo,  non  aveano  fine: Erano  in  padiglion,  tende  e  frascati Con  gran  comodità  tutti  alloggiati. 76  Con  eccellente  e  singulare  ornato La  notte  innanzi  avea  Melissa  maga Il  maritale  albergo  apparecchiato, Di  ch'era  stata  già  gran  tempo  vaga. Già  molto  tempo  innanzi  desiato Questa  copula  avea  quella  presaga: Dell'avvenir  presaga,  sapea  quanta Boutade  uscir  dovea  dalla  lor  pianta. 77    Posto  avea  il  genì'al  letto  fecondo In  mezzo  un  padiglione  ampio  e  capace, ]]  più  ricco,  il  più  ornato,  il  più  giocondo Che  giammai  fosse  o  per  guerra  o  per  pace, 0  prima  o  dopo,  teso  in  tutto U  mondo; £  tolto  ella  l'avea  dal  lito  trace:L'ayea  di  sopra  a  Costantin  levato, Ch'a  diporto  sul  mar  s'era  attendato. 83    Elena  nominata  era  colei, Per  cui  lo  padiglione  a  Proteo  diede; Che  poi  successe  in  man  de'Tolomei. Tanto  che  Cleopatra  ne  fa  erede. Dalle  genti  d'Agrippa  tolto  a  lei Nel  mar  Leucadio  fa  con  altre  prede: In  man  d  Augusto  e  di  Tiberio  venne, £  in  Roma  sin  a  Oostantiii  si  tenne; 78  Melissa  di  consenso  di  Leone, 0  piuttosto  per  dargli  maraviglia, E  mostrargli  dell'arie  paragone, Ch'  al  gran  vermo  infernal  mette  la  briglia, E  che  di  lui,  come  a  lei par,  dispone, E  della  a  Dio  nimica  empia famiglia; Fé' da  Costantinopoli  a  Parigi Portare  il  padiglion  dai  messi  stigi. 79  Di  sopra  a  Costantin,  ch'avoi l'Impero Di  Grecia,  lo  levò  da  mezzo  giorno, Con  le  corde  e  col  fusto,  e  con  l'intero '    Guemimento  eh' avea  dentro  e  d'intorno: Lo  fé' portar  per  l'aria,  e  di  Ruggiero Qaivi  lo  fece alloggiamento  adorno: Poi,  finite  le  nozze,  anco  tornoUo Miracnlosamente  onde  levollo. 80  Eran  degli  anni  appresso  che  duo  milia, Che  fa  quel  ricco  padiglion  trapunto. Una  donzella  della  terra  d'Ilia, Ch'avea  il  furor  profetico  congiunto, Con  studio  di  gran  tempo  e  con  vigilia Lo  fece  di  sua  man  di  tutto  puto. Cassandra  fu  nomata,  ed  al  fratello Inclito  Ettor  fece  un  bel  don  di  quello. 81  n  più  cortese  cavalier  che  mai Dovea  del  ceppo  uscir  del  suo  germano (Benché  sapea,  dalla  radice  assai Che  quel  per  molti  rami  era  lontano) Ritratto  avea  nei  bei  ricami  gai D'oro  e  di  varia  seta,  di  sua  mano. L'ebbe,  mentre  che  visse,  Ettorre  in  pregio, Per  chi  lo  fece  e  pel  lavoro  egregio. 82  Ma  poi  eh' a  tradimento  ebbe  la  morte, E  fu  '1  popol  troian  da'  Greci  afflitto:Che  Sinon  falso  aperse  lor  le  porte, E  peggio  seguitò  che  non  è  scritto; Menelao  ebbe  il  padiglione  in  sorte, Col  quale  a  capitar  venne  in  Egitto, Ove  al  re  Proteo  lo  lasciò,  se  volse La  moglie  aver  che  quel  tiran  gli  tolse. Akiosto.Stanza  51. 84    Quel  Costantin,  di  cui  doler  si  debbo La  bella  Italia  finché  giri  il  cielo. Costantin,  poi  che '1 Tevere  gì' increbbe, Portò  in  Bisanzio  il  prezioso  velo. Da  un  altro  Costantin  Melissa l'ebbe. Oro  le  corde,  avorio  era  lo  stelo; Tutto  trapunto  con  figure  belle, Più  che  mai  con  pennel  facesse  Apelle. 85  Quivi  le  Grazie  in  abito  giocondo Una  Regina  aiutavano  ai  parto:Si  bello  iniante  n'apparia,  chel  inondo Non  ebbe  un  tal  dal  secol  primo  al  quarto. Vedeasi  Giove,  e  Mercurio  facondo, Venere  e  Marte,  che  l'aveano  sparto A  man  piene  e  spargean  d'eterei  fiori, Di  dolce  ambrosia  e  di  celesti  odori. 86  Ippolito  diceva  una  scrittura Sopra  le  fasce  in  lettere  mi  onte. In  età  poi  più  ferma  l'Avventura L'avea  per  mano,  e  innanzi  era  Virtute. Mostrava  nuove  genti  la  pittura Con  veste  e  chiome  lunghe,  che  venute A  domandar  da  parte  di Corvino Erano  al  padre  il  tenero  bambino. 87  Da  Ercole  partirsi  riverente Si  vede,  e  dalla  madre  Leonora; E  venir  sul  Danubio,  ove  la  gente Corre  a  vederlo,  e come  un  Dio  l'adora. Vedesi  il  Re  degliUngari  prudente. Che  '1  maturo  sapere  ammira  e  onora In  non  matura  età  tenera  e  molle, E  sopra  tutti  i  suoi  Baron  V  estolle. 88  V'è  chi negl'infantili  e  teneri  anni Lo  scettro  di  Strigonia  in  man  gli  pone: Tempre  il  fanciullo  se  gli  vede  a' panni, Sia  nel  palagio,  sia  nel  padiglione  :0  centra  Turchi  o  centra  gli  Alemanni Quel  Re  possente  faccia  espedizione, Ippolito  gli  è  appresso,  e  fiso  attende A' magnanimi  gesti,  e  virtù  apprende. S9    Quivi  si  vede  come  il  fior  dispensi De' suoi  primi  anni  in  disciplina  ed  arte. Fusco  gli  è  appresso,  che  gli  occulti  sensi Chiari  gli  espone  dell'antiche  carte. Questo  schivar,  questo  seguir  conviensi, Se  immortai  brami  e  glorioso  farte, Par  che  gli  dica:  così  avea  ben  finti 1  gesti  lor  chi  già  gli avea  dipinti. 90    Poi  Cardinale  appar, ma  giovinetto, Sedere  in  Vaticano  a  consisterò, E  con  facondia  aprir  l'alto  intelletto E  far  di  sé  stupir tutto  quel  coro. Qual  fia  dunque  costui  d'età  perfetto?Parean  con  meraviglia  dir  tra  loro. Oh  se  di  Pietro  mai  gli  tocca  il  manto, Che  fortunata  età !  che  secol  santo ! 91  In  altra  parte  i  liberali  spassi Erano  e  i  giuochi  del  giovene  illustre. Or  gli  orsi  affronta  su  gli  alpini  sassi, Ora  i  cingiali  in  valle  ima  e  palustre: Or  s'un  giannette  par  che 'l  vento  passi: Seguendo  o  caprio,  o  cerva  multilustre, Che  giunta,  par  che  bipartita  cada In  parti  uguali  a  un  sol  colpo  di  spada. 92  Di  filosofi  altrove  e  di  poeti Si  vede  in  mezzo  un'onorata  squadro. Quel  gli  dipinge  il  ccrso  de' pianeti, Questi  la  terra,  quello  il  ciel  gli  squadra: Questi  meste  elegie,  quei  versi  lieti, Quel  canta  eroici,  o  qualche  oda  leggiadra. Musici  ascolta,  e  vari  suoni  altrove; Né  senza  somma  grazia  un  passo  move. 93  In  questa  prima  parte  era  dipinta Del  sublime  garzon  la  puerizia. Cassandra  l'altra  avea  tutta  distinta Di  gesti  di  pru'lenzia,  di  giustizia, Di  valor,  di  modestia,  e  della  quinta Che  tien  con  lor  strettissima  amicizia; Dico  della  virtù  che  dona  e  spende; Delle  quai  tutto  illuminato  splende 94  In  questa  parte  il  giovene  si  vede Col  Duca  sfortunato  degl' Insubri, Ch'ora  in  pace  a  consiglio  con  lui  siede, Or  armato  con  lui  spia  i  colubri; E  sempre  par  d'una  medesma  fede, 0  ne'  felici  tempi  o  nei  lugubri:Nella  fuga lo  segue,  lo  conforta Neil' afdiziou,  gli  é  nel  periglio  scorta. 95  Si  vede  altrove  a  gran  pensieri  intento, Per  salute  d'Alfonso  e  di  Ferrara; Che  va  cercando  per  strano  argumento, E  tjova,  e  fa  veder  per  cosa  chiara Al  giustissimo  frate  il  tradimento Che  gli  usa  la  famiglia  sua  più  cara; E  per  questo  si  fa  del  nome  erede, Che  Roma  a  Ciceron  libera  diede. 96  Vedesi  altrove  in  arme  relucente, Ch'ad aiutar  la  Chiesa  in  fìretta  corre; E  con  tumultuaria  e  poca  gente A  un  esercito  instrutto  si  va  opporre; E  solo  il  ritrovarsi  egli  presente Tanto  agli  Ecclesiastici  soccorre, Che'l  fuoco  estingue  pria  ch'arder  comince; bi  che  può  dir,  che  viene  e  vede  e  vince. XLVII. 97  Vedesi  altrove  della  patria  riva  103 Pugnar  incoutra  la  più  forte  armata,  E  < Che  contra  Turchi  o  con  tra  gente  argiva  Pei Da  Veneziani  mai  fosse  mandata: Chi La  rompe  e  vince,  ed  al  fratel  captiva  Ma Con  la  gran  preda  V  ha  tatta  donata;  Ve Né  per  sé  vedi  altro  serbarsi  lui,  Coi Che  Tonor  sol,  che  non  può  dare  altrui.  AH 98  Le  donne  e  i  cavalier  mirano  fisi,  104 Senza  trarne  construtto,  le  figure,  E Perchè  non  hanno  appresso  chi  gli  avvisi  Me Che  tutte  quelle  sien  cose  future.  E Prendon  piacere  a  rigujrdare  i  visi  Ma Belli  e  ben  fatti,  e  legger  le  scritture:  Ch Sol  Bradamante,  da  Melissa  instrutta,  La Gode  tra  sé;  ohe  sa  V  istoria  tutta.  Pe 99  Buggiero,  ancor  cha  par  di  Bradamante  105 Non  ne  sia  dotto,  pur  gli  torna  a  mente  Co Che  fra  i  nipoti  suoi  gli  solea  Atlante  So Commendar  questo  Ippolito  sovente.  Ch Chi  potria  in  versi  appieno  dir  le  tante  E Cortesie  che  fa  Carlo  ad  ogni  gente?  Pi Di  vari  giochi  è  sempre  festa  grande,  E E  la  mensa  ognor  piena  di  vivande.  Fi 100  Vedesi  quivi  chi  è  buon  cavaliero;  106 Che  vi  son  mille  lance  il  giorno  rotte:  P( Fansi  battaglie  a  piedi  ed  a  destriero,  Pi Altre  accoppiate,  altre  confuse  in  frotte.  In Più  degli  altri  valor  mostra  Ruggiero,  E Che  vince  sempre,  e  giostra  il  di  e  la  notte,;  Di E  cosi  in  danza,  in  lotta  ed  in  ogni  opra,  Se Sempre  con  molto  onor  resta  di  sopra.  E 101  L'ultimo  di,  nell'ora  chel  solenne  107 Convito  era  a  gran  festa  incominciato;  E Che  Carlo  a  man  sinistra  Rnggier  tenne,  CI E  Bradamante  avea  dal  destro  lato;  CI Di  verso  la  campagna  in  fretta  venne  CI Contra  le  mense  un  cavaliero  armato,  CI Tutto  coperto  egli  e  '1  destrier  di  nero,  E Di  gran  persona  e  di  sembiante  altiero.  CI 102  Quest'era  il  Re  d'Algier,  che  per  lo  scorno  108 Che  gli  fg'  sopra  il  ponte  la  donzella,  S( Giurato  avea  di  non  porsi  armi  intorno,  E Né  stringer  spada,  né  montare  in  sella,  CI Finché  non  fosse  un  anno,  un  mese  e  un  giorno  Q Stato,  come  eremita,  entro  una  cella.  Q Cosi  a  quel  tempo  solean  per  sé  stessi  D Punirsi  i  cavalier  di  tali  eccessi.  S 109    Mostrando  ch'essendo  eg  nnovo  speso, Non  doTea  conturbar  le  proprie  nozze; Raggkr  rispose  lor: State  in  riposo; Che  per  me  fdran  queste  scase  sozze. Larme  che  tolse  al  Tartaro  famoso Vennero,  e  tur  tutte  le  lunghe  mozze. Gli  sproni  il  conte  Orlando  a  fiuggier  strinse £  Carlo  al  fianco  la  spada  gli  cinse. SUnza  115. HO    Bradamante  e  Marflsa  la  corazza Posta  gli  areano,  e  tutto  V  altro  arceite. Tenne  Astolfo  il  destrier  di  buona  razza, Tenne  la  staffa  il  figlio  del  Danese. Feron  d'intorno  far  sabito  piazza Rinaldo,  Namo  ed  Olivier  marchese: Cacdaro  in  fretta  ognun  dello  steccato, A  tai  bisogni  sempre  apparecchiato.112  Cosi  a  tutta  la  pl,  e  allapià  parte Dei  cara! ieri  e  dei  Baron  parca; Che  di  memoria  ancor  lor  non  si  parte Quel  ch'in  Parigi  il  Pagan  &tto  ayea; Che,  solo,  a  ferro  e  a  fuoco  una  gnn  parte N'avea  distrutta,  e  ancor  vi  rimanea, E  rimarrà  per  molti  giorni  il  segno:Né  maggior  danno  altronde  ebbe  quel  regno. 113  Tremava,  più  eh' a  tutti  gli  altri,  il  core, A  Bradamante;  non  ch'ella  credesse Che  1  Saracin  di  forza,  e  del  valore Che  vien  dal  cor,  pia  di  Ruggier  potesse; Né  che  ragion,  che  spesso  dà  l'onore A  chi  l'ha  seco,  Rodomonte  avesse: Par  stare  ella  non  può  senza  sospetto; Che  di  temere,  amando,  ha  degno  effetto. 114  Oh  quanto  Tolentier  sopra  sé  tolta L'impresa  avria  di  quella  pugna  incerta . Ancorché  rimaner  di  vita  sciolta Per  quella  fosse  stata  più  che  certa ! Avria  eletto  a  morir  più  d'una  volta, Se  può  più  d'una  morte  esser  sofferta, Piuttosto  che  patir  che  1  suo  consorte Si  ponesse  a  pericol  della  morte: 115  Ma  non  sa  ritrovar  priego  che  vaglia. Perché  Ruggiero  a  lei  l'impresa  lassi. A  riguardare  adunque  la  battaglia Con  mesto  viso  e  cor  trepido  stassi. Quinci  Ruggier,  quindi  il  Pagan  si  scaglia, E  vengonsi  a  trovar  coi  ferri  bassi. Le  lande  all' incontrar  parver  di  gielo; I  tronchi,  augelli  a  salir  verso  il  cielo. 116  La  lancia  del  Pagan,  che  venne  a  córre Lo  scudo  a  mezzo,  fé' debole  effetto Tanto  l'acciar  che  pel  famoso  Ettorre Temprato  avea  Vulcano,  era  perfetto. Ruggier  la  lancia  parimente  a  porre Gli  andò  allo  scudo,  e  glie  lo  passò  netto, Tuttoché  fosse  appresso  un  palmo  grosso. Dentro  e  di  fuor  d'acciaro,  e  in  mezzo  d'osso. lU    Donne  e  donzelle  con  pallida  faccia Timide  a  guisa  di  colombe  stanno, Che  da' granosi  paschi  ai  nidi  caccia Rabbia  de' venti  che  fremendo  vanno Con  tuoni  e  lampi,  eU  nero  ar  minaccia Grandine  e  pioggia,  e  a' campi  strage  e  danno: Timide  stanno  per  Ruggier;  che  male A  quel  fiero  Pagan  lor  parea  uguale. 117    E  se  non  che  la  lancia  non  sostenne Il  grave  scontro,  e  mancò  al  primo  assalto, E  rotta  in  schegge  e  in  tronchi  aver  le  penne Parve  per  l'aria,  tanto  volò  in  alto, L' osbergo  apria  (si  furi'osa  venne), Se  fosse  stato  adamantino  smalto, E  finia  la  battaglia;  ma  si  roppe: Posero  in  terra  ambi  i  destrier  le  groppe. XLVI. 118  Con  briglia  e  sproni  i  cavalieri  instando, Bisalir  fèron  subito  i  destrieri; £  d' onde  gittar  V  aste,  preso  il  brando, Si  toraaro  a  ferir  cmdeli  e  fieri. Di  qua  di  là  con  maestria  girando Gli  animosi  cavalli  atti  e  leggieri, Con  le  pungenti  spade  incomlnciaro A  tentar  dove  il  ferro  era  più  raro. 119  Non  si  trovò  lo  scoglio  del  serpente, Che  fu  sì  dnro,  al  petto  Rodomonte, Né  di  Nembrotte  la  spada  tagliente; Ne  1  solito  elmo  ebbe  qnel  di  alla  fronte; Che  r  usate  arme,  quando  fu  perdente Contra  la  donna  di  Dordona  al  ponte, Lasciato  avea  sospese  ai  sacri  marmi. Come  di  sopra  avervi  detto  parmi. 124  Bodomonte  per  questo  non  s'arresta. Ma  s'avventa  a  Rnggier  che  nulla  sente; In  tal  modo  intronata  avea  la  testa. In  tal  modo  offuscata  avea  la  mente. Ma  ben  dal  sonno  il  Saracin  lo  desta: Gli  cinge  il  collo  col  braccio  possente; £  con  tal  nodo  e  tanta  forza  afferra, Che  dall  arcion  lo  svelle,  e  caccia  a  terra. 125  Non  fa  in  terra  si  tosto,  che  risorse. Via  più  che  d'ira,  di  vergogna  pieno; Però  che  a  Bradamante  gli  occhi  torse, E  turbar  vide  il  bel  viso  sereno. Ella  al  cader  di  lui  rimase  in  forse, E  fu  la  vita  sua  per  venir  meno. Ruggiero,  ad  emendar  presto  queir  onta, Stringe  la  spada,  e  col  Pagan  s'affronta. 120  Egli  avea  un'altra  assai  buona  armatura, Non  come  era  la  prima  già  perfetta: Ma  né  questa  né  quella  né  più  dura A  Balisarda  si  sarebbe  retta; A  cui  non  osta  incanto  né  fattura. Nò  finezza  d'acciar  né  tempra  eletta. Ruìer  di  qua  di  là  d  ben  lavora. Ch'ai  Pagan  l'arme  in  più  d'un  loco  fora. 121  Quando  si  vide  in  tante  parti  rosse Il  Pagan  l'arme,  e  non  poter  schivare Che  la  più  parte  di  quelle  percosse Non  gli  andasse  la  carne  a  ritrovare: A  maggior  rabbia,  a  più  furor  si  mosse, Ch'  a  mezzo  il  verno  il  tempestoso  mare Oetta  la  scudo,  e  a  tutto  suo  potere Sa  l'elmo  di  Ruggiero  a  due  man  fere. 122  Con  quella  estrema  forza  che  percuote La  macchina  eh'  in  Po  sta  su  due  navi, E  levata  con  uomini  e  con  mote Cader  si  lascia  sulle  aguzze  travi; Fere  il  Pagan  Ruggier,  quando  più  puote, Con  ambe  man  sopra  ogni  peso  gravi: Giova  l'elmo  incantato;  che  senza  esso, Lui  col  cavallo  avria  in  un  colpo  fesso. 123  Ruggiero  andò  due  volte  a  capo  chino, E  per  cadere  e  braccia  e  gambe  aperse. Raddoppia  il  fiero  colpo  il  Saracino, Che  quel  non  abbia  tempo  a  ria  verse; Poi  vien  col  terzo  ancor:  ma  il  brando  fino Si  lungo  martellar  più  non  sofferse; Che  volò  in  pezzi,  ed  al  crudel  Pagano Disarmata  lasciò  di  sé  la  mano. stanza  135. 1 26  Quel  gli  urta  il  destrier  contra,  ma  Ruggiero Lo  causa  accortamente,  e  si  ritira; E,  nel  passare,  al  fren  piglia  il  destriero Con  la  man  manca,  e  intorno  lo  raggira; E  con  la  destra  intanto  al  cavaliere Ferire  il  fianco  o  il  ventre  o  il  petto  mhra; E  di  due  punte  fé' sentirgli  angoscia, L'una  nel  fianco,  l'altra  nella  coscia. 127  Rodomonte,  ch'in  mano  ancor  tenea Il  pome  e  1'  elsa  della  spada  rotta, Ruggier  su  l'elmo  in  gnisa  percotea. Che  lo potea  stordire  alj' altra  botta. Ma  Ruggier,  eh' a  ragion  vincer  dovea, Gli  prese  il braccio,  e  tirò  tanto  allotta. Aggiungendo  alla  destra  V  altra  mano,  ' Che  fuor  di  sella  alfìn  trasse  il  Pagano. 128    Sua  foriea  o  sua  destrezza  vaol  che  oada Il  Pagan  sì,  eh' a  Rnggier  resti  al  paro; Vo'  dir  che  cadde  in  pie;  che  per  la  spada Ruggiero  averne  il  meglio  giudicaro. Ruggier  cerca  il  Pagan  tenere  a  hada Lungi  da  sé,  né  di  accostarsi  ha  caro:Per  lui  non  fa  lasciar  venirsi  addosso Un  corpo  così  grande  e  così  grosso. Stanza  140. 129    E  insanguinargli  por  tuttavia  il  fianco Vede  e  la  coscia  e  1  altre  sue  ferite. Spera  che  venga  a  poco  a  poco  manco, Si  che  alfin  gli  ahhia  a  dar  vinta  la  lite. L'elsa  eU  pome  avea  in  mano  il  Pagan  anco E con  tutte  le  forze  insieme  unite Da  sé  scaglioni,  e  si Ruggier  percosse. Che  stordito  ne  fu  più  che  mai  fosse. 130  Nella  guancia  dell'elmo  e  nella  spalla Fu  Ruggier  cólto;  e  si  quel  colpo  sente, Che  tutto  ne  vacilla  e  ne  traballa, E  ritto  si  sostien  difficilmente. ]1  Pagan  vuole  entrar;  ma  il  pie  gli  falla Che  per  la  coscia  offesa  era  impotente: E  '1  volersi  affrettar  più  del  potere, Con  un  ginocchio  in  terra  il  fa  cadere. 131  Ruggier  non  perde  il  tempo,  e  di  grand'urto Lo  percuote  nel  petto  e  nella  faccia; E  sopra  gli  martella,  e  den  si  curto, Che  con  la  mano  in  terra  anco  lo  caccia. Ma  tanto  fa  il  Pagan,  ch'egli  è  risurto; Si  stringe  con  Ruggier  sì,  che  l'abbraccia: L'uno  e  l'altro  s'aggira  e  scuote  e  preme. Arte  aggiungendo  alle  sue  forze  estreme. 132  Di  forze  a  Rodomonte  una  gran  parte La  coscia  e  'l  fianco  aperto  aveano  tolto. Ruggiero  avea  destrezza,  avea  grand' arte . Era alla  lotta  esercitato  molto: Sente  il  vantaggio  suo,  né  se  ne  parte; E  d'onde  il  sangue  uscir  vede  più  sciolto, E  dove  più  ferito  il  Pagan  vede, Pon  braccia  e  petto,  e  l'uno  e  l'altro  piede. 133  Rodomonte,  pien  d'ira  e  di  dispetto, Ruggier  nel  collo  e  nelle  spalle  prende: Or  lo  tira,  or  lo  spinge,  or  sopra  il  petto Sollevato  da  terra  lo  sospende; Quinci  e  quindi  lo  ruota,  e  lo  tien  stretto, E  per  farlo  cader  molto  contende. Ruggier  sta  in  sé  raccolto,  e  mette  in  opra Senno  e  valor,  per  rimaner  di  sopra. 134  Tanto  le  prese  andò  mutando  il  franco E  baon  Ruggier,  che  Rodomonte  cinse; Calcògli  il  petto  sul  sinistro  fianco, E  con  tutta  sua  forza  ivi  lo  strìnse. La  gamba  destra  a  un  tempo  innanzi  al  manco Ginocchio  e  all'altro  attraversdgli  e  spinse E  dalla  terra  in  alto  sollevollo, E  con  la  testa  in  giù  steso  tomolio. 135  Del  capo  e  delle  schene  Rodomonte La  terra  impresse,  e  tal  fu  la  percossa, Che  dalle  piaghe  sue,  come  da  fonte, Lungi  andò  il  sangue  a  &r  la  terra  rossa. Ruggier  e' ha  la  Fortuna  per  la  fronte. Perché  levarsi  il  Saracin  non  possa, L'una  man  col  pugnai  gli  ha  sopra  gli  occhi, L'altra  alla  gola,  al  ventre  gli  ha  i  ginocchi. 136     Come  l'i! volta,  ore  si  cava  Poro Là  tra'  Paunonì  o  nelle  mine  ibsre, Se  improvvisa  mina  su  coloro Che  vi  condusse  empia  avarizia,  fere, Ne  restano  si  oppressi,  che  può  il  loro Spirto  appena,  onde  uscire,  adito  avere; Così  fu  il  Saracin  non  meno  oppresso Dal  vincitor,  tosto  ch'in  terra  messo. 188    Come  mastin  sotto  il  feroce  alano, Che  fissi  i  denti  nella  gola  gli  abbia. Molto  s  affanna  e  si  dibatte  invano Con  occhi  ardenti  e  con  spumose  labbia, £  non  può  uscire  al  predator  di  mano. Che  vince  di  vigor,  non  già  di  rabbia; Cosi  falla  al  Pagano  ogni  pensiero D'nacir  di  sotto  al  vincitor  Ruggiero. 187     Alla  vista  dell'elmo  gli  appresenta La  punta  del  pugnai  ch'avea  già  tratto; E  che  si  renda,  minacciando,  tenta, E  di  lasciarlo  vivo  gli  fa  patto. Ma  quel,  che  di  morir  manco  paventa. Che  di  mostrar  viltade  a  un  minimo  atto. Si  torce  e  scuote,  e  per  por  lui  di  sotto Mette  ogni  suo  vigor,  né  gli  fa  motto. 139    Pur  si  torce  e  dibatte  sì,  che  viene Ad  espedirsi  col  braccio  migliore; E  con  la  destra  man  che'l  pugnai  tiene. Che  trasse  anch' egli  in  quel  contrasto  fuore, Tenta  ferir  Ruggier  sotto  le  rene. Ma  il  giovene  s'accorse  dell'errore In  che  potea  cader,  per  differire Di  far  quell'empio  Saracin  morire. 140    E  due  e  tre  volte  nell'orribil  fronte Alzando,  più  eh'  alzar  si  possa,  il  braccio, Il  ferro  del  pugnale  a  Rodomonte Tutto  nascose,  e  si  levò  d'impaccio. Alle  squallide  ripe  d' Acheronte, Sciolta  dal  corpo  più  freddo  che  ghiaccio, Bestemmiando  fuggì  l'alma  sdegnosa, Che  fu  sì  altiera  al  mondo  e  si  orgogliosa. NOTE. St.  1.  V.18.   Or,  se  mi  mostra  la  mia  carta  il verOf  ecc.:  ora,  se  la  carta  della  mia  navigazione  non erra,  non  è  lungi  il  porto,  ecc. St.  3.  V.58.   Mamma  Beatrice,  figlia  di  Nicolò  da Correggio  e  sposa  d'un  Sanvitale.   Ginevra,  figliuola di  Qiberto  e  di  Veronica  Gambara  maritata  Fregoso. Mette  con  le  correggesclie  Veronica  Gambara,  brescian8 la  celebre  rimairìce  imitatrice  del  Bembo,  che  andò sposa  a  Giberto  signore  di  Correggio. St.  4.  V.34.   Emilia  Pia: di  nobilissima  famiglia Carpiiriftna.   E  la  notrita  Damigella  TrivtUzia  al sacro  speco.  Questa  era  figlia  di  Giovanni  Trivulzio, •  milanese;  di  quattordici  anni  si  dedicò  alla  letteratura, evi  fece  progressi  maravigliosi.   Il  sacro  speco  è  la gl'Otta  della  Focide,  presso  Delfo,  famosa  per  le  ispira zioni poetiche. Sr.  5.  V.28.   Barbara  Turca:  allude  forse  il  Poeta alla  figlia  del  duca  di  Brandeburgo,  maritata  a  Lodo vico Gonzaga,  secondo  marchese  di  Mantova,  sopranno minato il  Turco.   Laura:  la  tei'za  moglie  del  duca Alfonso,  nata  in  umile  condizione,  ma  donna  d'alto  in gegno e  di  senno.   Ecco  Ginevra  che,  ecc.:  Ginevra dEste,  sorella  del  duca  Ercole,  maritata  a  Sigismondo Malatesta,  signoro  di  Uimini. St.  7.  V.1.   Del  mio  signor  di  BomoIo:  Federico Gonzaga,  detto  da  Bozolo,  castello  sulla  sinistra  delrOglio,  fu  valente  capitano  e  si  segnalò  nelle  guerre  di Francia. St.  8.  V.18.   Giulia  Gonzaga  ecc.:  moglie  di  Vespasiano Colonna:  era  tanto  famosa  per  T  avvenenza, che  il  corsaro  Barbarossa  mandò  gente  in  Fondi  a  rapirh;  e  l  ella  appena  potè  salvarsi,  fuggendo  in  camicia.  La  cogitata  è  con  lei:  Isabella  Colonna,  moglie  di Luigi  da  Gazolo.   Anna  d'Aragon,  luce  del  Vasto: era  figlia  di  Ferrante  d'Aragona,  e  moglie  di  Alfonso dAvaIos,  marchese  del  Vasto. St.  9.  V.38.   La  sorella  è  con  lei.  Parlasi  di  Gio vanna, sorella  della  maichesa  del  Vasto,  e  moglie  di Ascanio  Colonna.   Ecco  chi  tolto  ha  dalla  scura spiaggia,  ecc.:  Vittoria  Colonna,  la  celebre  poetessa, moglie  di  Ferdinando  Francesco  d'Avalos,  marchese  di Pescara. St.  10.  V.8.   V  uni  co  Accolti:  improvvisatore  senza pari,  unico.  Era  aretino.  Frequentò  la  corte  di  Urbino, e  s'innamorò  della  Duchessa  Elisabetta. St.  U.  V.14.   Benedetto,  il  nipote:  detto  il  car dinale di  Ravenna;  mori  in  Firenze  di  morte  subitanea.  Col  cardinal  di  Mantua  e  col  Campeggio.  Il  primo  Po.  Ercole  Gonzaga,  fratello  di  Francesco  nltlmo  marchese, e  di  Ferdinando  primo  duca  di  Mantova;  T altro fu  Lorenzo  Campeggio,  giureconsulto  bolognese.  Ambi' due  ebbero  il  cappello  cardinalizio  da  Clemente  TIF. St.  12.  V.18.   Lattanzio  e  Claudio  Tolomei:  due lettei'ati  di  Sisna;  Claudio  fu  altresì  distinto  oratore  e poeta.   Paulo  Pausa:  genovese,  che  coltivò  la  poesia latina.   EH  Dresino:  Giorgio  Trissino  di  Vicenza, dotto  nelle  lettere  greche  e  poeta,  autore  dell  Italia liberata  e  della  Sofonisba.   Latino  Giovenal:  lette YKìo  parmigiano,  linomato  ai  tempi  di  Leon  X  e  di papa  Clemente,  nella  corte  dei  quali  si  segnalò.   B i  Capilupi  miei.  Erano  cinque  mantovani  di  questa  fa miglia; ma  il  Poeta  intende  forse  di  Lelio  e  dlppolito, noto  qnest  ultimo  come  scrìttor  di  sonetti  e  di  centoni latini.   EH  Sasso: modenese,  scrittor  di  rime  italiane e  latine.   EH  Molta: Fiancesco  Maria  Molza  di  Mo dena letterato  valente,  rimatore  e  compagnone  amabi lissimo.  Giulio  Camillo:  rimatore  anch'egli,  e  autore del  Teatro  delle  scienze,  opera  scritta  per  facilitare  agli studiosi  le  vie  del  sapere,  adombrate  qui  sotto  il  nome di  Hvi  ascrei.   Marco  Antonio  Flaminio: da  Imola, poeta  latino  e  scrittore  di  cose  sacre  e  filosofiche.   Jl Sanga:  abile  ciferista,  e  per  ciò  gradito  a  Clemente  YIL  Il  Berna:  Francesco  Bemi,  il  celebre  canonico  fio rentino, dagli  scritti  festevoli  di  cai  ha  preso  nome  lo stile  bernesco. St.  13.  V.18.   Ecco  Alessandro,  ecc.:  il  cardinale Alessandro  Farnese,  nomo  di  lettere,  e  amsnte  de  letterati, creato  papa  col  nome  di  Paolo  IIL   Fedro: da  Volteria,  familiare  del  cardinale  Pompeo  Colonna, e  professore  d'eloquenza,  comejlo  fu  Camillo  Porzio, nominato  in  questo  stesso  verso.   Il  bolognese  Filippo, Rammenta  verosimilmente  Filippo  Beroaldo,  molto  accetto a  Leon  X,  e  da  quel  pontefice  preposto  alla  Biblioteca Vaticana.   Il  Volterrano:  Raffaello  da  Volterra, uomo  versato  in  tutte  le  buone  discipline.   Il Madalena:  riguardato  nella  corte  romana  come  leg giadro scrittore.   Blosio: di  nome  Palladio,  eccellente poeta  e  segretario  di  Clemente  VII.   Pierio:  genti luomo di  Cividal  di  Belluno,  verseggiatore.   Il  Vida cremonese:  Girolamo  Vida,  che  trattò  in  versi  latini di  vari  soggetti,  e  scrisse  sui  filugelli  e  sul  giuoco  degli scacchi.   E  Lascari,  e  Musuro  e  Navagero:  Gio \  anni  Lascari  di  Costantinopoli,  Iti  dottissimo  grecista e  caro  a  Lorenzo  il  Magnifico.  Il  Musuro  era  di  Creta; eipose  in  Padova  i  classici  greci,  ebbe  da  Leon  X  la sede  vescovile  di  Ragusi,  e  poco  prima  dì  sua  morte ottenne  il  cappello  cardinalizio.  Il  Navagero  fu  gentiluomo veneziano,  culto  e  castigato  latinista,  e  fu  in pregio  anche  per  le  sue  rime  italiane   Andrea  Marone:  bresciano,  gratissimo  a  Leone  X,  le  cui  cene  rallegrava colle  sue  latine  ed  estemporanee  poesie.   E H  nwnaco  Severo.  Don  Severo  da  Volterra,  monaco  ca maldolese, amico  deirautore  e  poeta. St.  14.  v.18.   Ecco  altri  duo  Alessandri,  ecc.: Alessandro  dall'Orologio,  nobile  padovano,  e  Alessandro Guarino,  letterati.   Mario  d'Olvito: Mario  Equicola da  Olvito  nel  regno  di  Napoli,  fu  lungo  tempo  in  corte di  Federico  marchese  di  Mantova,  e  scrisse  di  cose  d'a more, d'antichità  e  di  storia.   Pietro  Aretino: V  in fame scrittore  troppo  conosciuto  perchè  s' abbia  a  par lame.   Duo  Jeronimi:  il  veronese  Girolamo  Verità, poeta  in  italiano,  e  Girolamo  Cittadini,  verseggiatore latino.   Il  Mainardo:  ferrarese,  dotto  nella  scienza medica,  scrittore  di  medicina.   Il  Leoniceno :  àottìa ! Simo  medico  vicentino,  fu  il  primo  a  tradoire  le  opere di  Galeno;  ed  era  assai  gradito  ad  Ercole  li  e  al  figlio di  lui  Alfonso. St.  15.  V.78.   Il  Fracastorio:  Girolamo  Fraca storo,  medico  veronese,  astronomo,  ed  autore  del  poema sulla  Sifilide.   Jl  Bevazzano: era  veneziano,  e  8ti> mato  nella  corte  di  Leon  X  e  di  papa  Clemente.  Trifpn  Gabriele:  veneziano  anch'esso,  e  uomo  di  gran giudizio,  benché  nulla  abbia  lasciato  di  scritto.   E il  Tasso:  Bernardo  Tasso,  bergamasco,  celebre  poeta, e  padre  di  Torquato.  St.  16.  V.18.   Niccolò  Tiepoli:  senatore  veneto  di grande  autorità,  e  uno  fia  i  primi  riformatori  dello Studio  di  Padova.   Niccolò  Amanio:  v<mU  cremmaco,  Il  mio  Valerio:  il  veneto  Gian  Francesco.   Col Barignan:  Piero  Barignano,  il  dicitore  in  rima"  e  ao cademico  in  Roma  ai  tempi  di  Leon  X. St.  17.  V.28.   H  Pico:  Gian  Francesco  Pico  della Mirandola.   Il  Pio:  Alberto  Pio,  signore  di  Carpi.  Jacobo  Sannaziar,  ecc.:  il  primo  a  comporre  Ecloghe piscatorie, St.  18.  V.27.   Pisto/ilo:  Bonaventura  Pistofilo, segretario  del  duca  di  Ferrara.  Ad  esso  T  Autore  indi rizzò rnltima  delleiue  satire.   Cot  Acciainoli:  fio rentini di  origine;  furono  tre  i  lodati  dal  Giraldi  come valenti  poeti;  Antonio  cioè,  Jacopo  ed  Archelao.  An nibal  Malagnxto:  il  Poeta  lo  dice  sao  parente,  perchè la  madre  sua  appartenne  a  quella  famiglia.   Del  mio Tiativo  nido:  di  Reggio;  ove  nacque  il  Poeta  nel  1474. St.  19.  V.1.   "WWor  Fausto  .greco  di  nazione,  pro fessore di  lettere  gree,  e  soprintendente  all'arsenale di  Venezia. St.  59.  V.16.   Quale  il  canuto  Egeo,  ecc.:  re  di Atene,  che,  ad  istigazione  di  Medea  sua  moglie,  fa  sai punto  di  avvelenare,  non  conoscendolo,  Teseo  nato  da lui  e  da  Etra.  Ma  ravvisando  la  spada  di  Teseo  per quella  eh'  egli  medesimo  aveva  lasciata  ad  Etra,  si astenne  da  quel  misfatto. St.  67  y.  34.   Gano  col  eonte  Anselmo,  ecc.  Gano 0  Ganellone  di  Magonza,  il  conte  Anselmo  d'Alt  ariva, ricordati  altrove,  erano,  insieme  con  gli  altri  tre  no minati nel  quarto  verso,  nemici  delle  due  famiglie  Mon grana  e  Chiaramonte. St.  80.  V.S7.   Della  terra  d'Ilia:  di  Troia,  detta anche  Ilio. Cassandra:  figlia  del  re  Priamo,  e  pro fetessa. St.  82.  V.38.   Sinon  falso:  quel  greco,  che  per suase i  Troiani  ad  accogliere  nella  città  11  cavallo,  entro cui  stavano  nascosti  i  Greci,  che  poi  la  disfecero.  Menelao:  re  di  Sparta,  marito  d'Elena,  che  fu  rapita da  Paride.   Proteo: re  d'Egitto,  di  coi  Erodoto  nana che,  spinto  essendo  dalla  burrasca  Paride  con  la  rapita Elena  a  Canopo,  1  due  amanti  fbrono  mandati  InMenfi a  Proteo,  il  quale  si  tenne  Elena,  e  rimandò  l'amante. Finita  la  guerra  troiana,  Menelao  andò  in  Egitto  e  riebbe la  moglie,  la  quale  dal  Poeta  si  finge  riscattata  col padiglione  che  nella  precedente  Stanza  ò  mentovato. ST.  84.  y.  12.   Di  cui  doler  si  debbe  La  bella  Ita lia, per  la  male  augurata  traslocazione  della  sede  im periale in  Costantinopoli. St.  85.   Questa  e  le  Stanze  seguenti  fino  a  tutta  la 97  ridondano  di  lodi  profuse  al  cardinale  Ippolito  d'E ste,  nato  dal  duca  Ercole  I  e  di  Leonora  d'Aragona. Beatrice  d'Aragona,  sua  zia  materna  e  moglie  di  Mat tia Corvino  re  d  Ungheria,  volle  Ippolito  presso  di  se, essendo  egli  per  anche  fàuolullo.  Tenuto  in  gran  conto dal  re,  ottenne  Tarci vescovato  di  Strigonia.  Poscia  chia mato a  Milano  da  sua  morella,  consorte  di  Lodovico Sforza,  fu  arcivescovo  di  Milano  e  cardinale,  ed  ebbe gran  parte  nel  governo  delloStato.  Giustificò  la  Adncia in  lai  posta  da  Lodovico,  restandogli  fedele  anche  nel lawersa  fortuna.  Divenne  poi  vescovo  d'Agria,  ed  ebbe onoriAche  preminenze  suUalto  clero  di  Roma.  Salvò  lo Stato  da  inteme  perturbazioni,  scoprendo  la  congiura ordita  contro  di  Alfonso  da  Qiulio  e  Ferdinando  d'Este. 8t.  89.  V.3. Fusco:  Tommaso  Fusco,  prima  pre cettoie,  poi  segretario  d'Ippolito. St.  W.  V.2.   Col  duca  sfortunato  degl'Insubri: con  Lodovico  Sforza  duca  di  Milano,  cacciato  da  Luigi  XIL il av p COI l ti i dai nle Ariosto. 

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