carbonara La moralità e la virtù, del resto, non suppongono lo sforzo e la lotta? bisogna, dunque, per attuarle, crearsi perenue- mente ostacoli e superarli; onde V Io nel primo momento della propria evoluzione “ pone sè stesso „ (tesi), nel se¬ condo momento u contrappone a sè il non-lo „ (antitesi), e nel terzo momento “ si riconosce nel non-Io „ (sintesi); tre aiti, questi, a cui corrispondono i tre modi di esistenza, i tre oggetti del sapere, che sono l’uomo, il mondo, Dio. Guai se l’7o desistesse un solo istante dali’esercizio della propria libera attività! cesserebbe immantinente di esistere; di qui il carattere “ titanico „ che il Fischer ammira nel- p Jo fichtiano, destinato per natura sua a continuamente agire, produrre, volere ('). f (•) Per approssimarsi in qualche modo al concetto dell lo iich- tiauo nel quale va ricercato il fondamento di ogni esperienza, giova fare completamente astrazione da qualsiasi contenuto rappresentalo della nostra coscienza empirica. Dopo questa immensa sottrazione, si consideri la rappresentazione più vuota che possa pensarsi, 1 unica affermazione che non abbisogni di nessuna dimostrazione, il principio logico d’identità: A è A, col quale uon si afferma nemmeno che zi esiste, ma soltanto che: se A esiste, A dev’essere A. Orbene, quan¬ tunque con tale affermazione si formuli soltanto una vuota venta e — XXXV — Un cosi intenso idealismo non era mai sorto prima.del Pielite. Esso insegna che il variopinto e multisono mondo sensibile, che si estende nello spazio e si svolge nel tempo, non ha esistenza propria e indipendente : 1’ unico ch'e ve¬ ramente esista è l’ lo. E lo stesso Io esiste solo in quanto agisce. Dal suo operare, dal suo rifrangersi in In e non-lo, sorge per lui il mondo visibile, percepibile e connesso da non ■ i ponga nessuna esistenza, si compie, tuttavia, un atto del pen¬ siero, un giudizio, e un giudizio d’incrollabile certezza, il quale porta direttamente a porre e a riconoscere 1'esistenza reale dell’/o. Infatti, donde proviene il verbo “ è „, con cui il primo A è messo in rela¬ zione col secondo A, il soggetto col predicato? Il nesso tra i due ter¬ mini del giudizio è beu soltanto nell’/o e per opera dell’/o. Dunque, nellu precedente proposizioue: A è A, ebe è la più evidente, per quanto la più vuota di contenuto, che si possa formulare, si nasconde già l’ lo, si trova già l’attività certa di aè stessa; perché, meutre per A non si ha il diritto di fare, oltre il giudizio ipotetico: se A esiste, A è A, nnehe il giudizio categorico: A esiste, in quantiche anatale affermazione richiederebbe un’ulteriore dimostrazione, per V Io, invece, anello se non sappiamo assolutamente nulla più di questo: che è A, possiamo dire non solo: se V Io esiste, l’ Io è l’/o, ma altresì: l’ Io esiste (ciò elio ricorda l’agostiniano e il cartesiano: Cogito ergo sum). Ma V Io è, per natura sua, essenzialmente attività, e, prima ancora di acquistare coscienza dei propri prodotti, dei propri atti, e di sè stesso, crea, con la sua immagiuazione produttrice, perenne e inesau¬ ribile, le innumerevoli rappresentazioni, che poi lu riHeasioue farà apparire alla sua intelligenza come oggetti, come non-lo; perchè — va sempre ricordato questo punto originale della dottrina del Fichte - il non-lo, ossia il mondo esterno, è posto ilall’/o inconscio, non già dall' Io cosciente; è un prodotto, quindi, anteriore a quella rela¬ zione di antitesi e sintesi tra soggettivo e oggettivo che è la co¬ scienza, e quando la coscienza nasce, s’impone a essa come già dato. Così, grazie a questa produzione inconscia dell’ immaginazione dell' lo — di quell’immaginazione che già per il Descartes era il trait d’u- nion tra l’anima e il corpo, e per il Kant l’intermediaria tra le in¬ tuizioni pure della sensibilità e le categorie dell’intelletto —, il non-lo apparisce all’ intelligenza come un limite dal di fuori senza essere perciò estraneo all’/o, essendo sempre un prodotto dell’/o inconscio. leggi, il quale perciò non è che il sistema delle nostre rap¬ presentazioni, il rispecchiarsi dell’ lo nell’/o. Ma anche que¬ sto rispecchiamento non ci rivela in modo puro e immediato ]’ intima essenza del nostro spirito, perchè non uel rappre¬ sentarsi è il nostro più alto operare, non nel rappresentarsi è tutto il nostro Io. Noi operiamo veramente soltanto nel libero volere morale; noi attuiamo completamente il nostro Io soltanto «piando, con attività rinnovata al lume della coscienza, ci sforziamo di soggiogare il mondo delle rappre¬ sentazioni scaturite dall’inesauribile fonte dell’ lo inconscio _ il quale mondo non è che “ il materiale sensibilizzato del nostro dovere (unsre Welt ist das versinnlichte Mute- rial unsrer Pjlicht) „ — e ci sforziamo di trasformarlo nel mondo della libertà, nel mondo soprasensibile ed eterna¬ mente in fieri del Bene; poiché, esclama il Fichte, “ es¬ sere liberi è nulla, divenir liberi è il cielo (frei se‘in ist nichts, frei wenlen ist dei' Ilimmel) ! „ La costruzione filosofica del Fichte può dirsi monolitica, ed è tale da superare in semplicità persino quella eretta, da un punto di vista e con centro «li gravita affatto opposti, dallo Spinoza: — al Jacobi il sistema del filosofo tedesco appariva il rovescio del sistema del filosofo olaudese —. E qui sta il vantaggio della concezione fichtiana anche sulla kantiana ; il Kant non aveva tanto fornito un sistema, quanto, piuttosto, i germi e i materiali per più sistemi ; nella lotta contro il dogmatismo e contro lo scetticismo egli aveva voluto inalzare alla scienza propriamente detta, più che un tempio, una fortezza; e, per rendere questa fortezza iuespuguabile da tutti i lati, ne aveva costruito -i bastioni quasi in tempi diversi, quasi in stile diverso : onde nella sua filosofia non solo rimane il dualismo incon- — XXXVII — ciliabile tra l’essere e il conoscere, tra il conoscere'e il lai e, ma nell ambito stesso del conoscere manca una rigo¬ rosa unità tra i diversi poteri conoscitivi, tra la sensibilità con lo sue intuizioni pure, l’intelletto con le sue categorie, la ragione con le sue idee metafisiche. Il filosofa di Ko- nigsbei'g da una parte pareva chiudere lo spirito umano tutto nel giro del proprio mondo interno, nel fenomeno, dall altra gli lasciava intravedere, al di là di questo mondo interno, un altro mondo, il noumeno, avvolto sempre da densa nebbia e sempre refrattario alla conoscenza. Donde la domanda : questo mondo esistente in sè è quello stesso che ci si i ivela nella voce della coscienza, ed è possibile tiadui lo in atto con la pura e buona volontà? La risposta del Kant, almeno nell’espressione datale dall’autore, se non nello spirito dell’autore stesso, era stata cosi cauta, che ognuno poteva trarne le conseguenze a suo proprio rischio. Iusomma, non si poteva non riportare l’impressione che nella, dotti ina kantiana la verità fosse svelata soltanto a mezzo, e che a essa mancasse, dal punto di vista scienti¬ fico, cosi il fondamento come il coronamento. Il Fichte, invece, da quel pensatore ben più ardito e deciso ch’egli eia e che si era formato sullo stampo dello Spinoza, s’im¬ possessò dei materiali kantiani, e fece della Critico un si¬ stema unitario: Tutto ciò che è, è per noi; tutto ciò che è per noi, può essere soltanto per opera nostra; nell’atti¬ vità dell’ lo è racchiuso il conoscere e l’essere, il sensibile e il soprasensibile, il reale e 1’ ideale ; nell’autocoscienza (Se/bstbeiousstsein) — lo stesso Kant aveva già insinuato che la misteriosa incognita nascosta sotto i fenomeni sensibili poteva benissimo essere quella stessa che portiamo con noi — è l’unità di tutti i poteri dello spirito, l’unità delle forme — XXXVIlt — cosi del fenomeno come della cosa in sè che sta a fonda¬ mento del fenomeno, l’unità del sistema delle nostre rap¬ presentazioni e del sistema dei nostri doveri, l’unità della nostra essenza teoretica e della nostra essenza pratica : 1’ unità, e con 1’ unità il fondamento e il coronamento di tutta la dottrina. Se il Reinhold aveva cercato un principio superiore, come principio unico indispensabile a dare forma sistematica di scienza alla dottrina della conoscenza, se il Beck aveva interpretato lo spirito della filosofia kantiana nel senso idealistico, se il Jacobi aveva reclamato l’elimi¬ nazione della “ cosa in sè „, ecco nella filosofia del Fichte soddisfatti tutti insieme questi desideri, e in pari tempo fornita ai risultati della Critica della ragione 1’ evidenza richiesta dallo Schulze ('). (!) La filosofia del Kant, raccoglie, a dir cosi, in un'unità vivente tutti i germi e principi motori del pensiero moderno, e il sistema del Fichte non è che una delle direzioni che poteva prendere il kan¬ tismo. La direzione fichtiana, quindi, scaturisce naturalmente dalle premesso kantiane, ma non deve considerarsi perciò., come vorrebbe il Leon, quusi l’unico e necessario completamento del kantismo: altre direzioni, assai divergenti dalla fichtiana, l'anno capo legittimamente aneli’ esse al Kaut., dei cui discepoli può ripetersi ciò che Cicerone dicova dei diversi discepoli di Socrate: alii aliuiì suinpsenuit • il Fichte è un kantiano all’ incirca nel medesimo senso che Platone fu un socratico, e sta allo Spinoza come Platone a Parmenide ; col Kaut afferma l’ideale morale, con lo Spinoza l’unità dei “ due moudi onde la Bua filosofia, dicemmo già, è un’originale sintesi, forse Unica nel suo genere ai tempi moderni, di ciò che sembra assolutamente inconciliabile: il monismo e la libertà, il mondo delle cause o il inondo dei fini. Anziché ritornare sui singoli problemi della Critica della ragione, egli s’impadronisce del centro animatore di quella Critica, e trae fuori dal pensiero fondamentale dell’ auto-attività dello spirito, in quanto forza reale e fine a sé stesso, un uuovo quadro del mondo di grandiosa arditezza, entro il quale l’idealismo, che nella filosofia kautiana era latente sotto 1’ involucro di prudenti re- — XXXIX — *• * * La filosofia del Fichte, abbiamo detto, è una filosofia della Libertà, poiché ha per principio una realtà assoluta, intesa come Io pratico, come Attività pura, come Auto-deter¬ minazione, ed è uno sforzo poderoso per dedurre da questo principio oltreché le condizioni della vita etica, anche le funzioni della ragione teorica, celebrando in tal modo quel primato della ragione pratica che il Kant aveva già pro¬ clamato , e facendo perciò della ragione pura un organo della moralità. L’attività dell’ Io assoluto alterna i suoi atti di produzione inconscia con i suoi atti di riflessione cosciente, la sua direzione centrifuga ed espansiva che si protende verso l’infinito, con la direzione centripeta e cou- strizioni, viene chiamato a potente vita, e ciò che di sublime il grande lilosofo dell’ imperativo categorica aveva insegnato intorno alla libertà morale di fronte alla necessità naturale, viene tradotto dal linguaggio di un moderato contegno in quello di un energico en¬ tusiasmo. li mondo può comprendersi soltanto in base allo spirito e lo spirito soltanto in base alla volontà. La dottrina del Fichte è tutta nel vivere e nel fare, tanto vero che comincia non con la definizione di un concetto, ma con la richiesta di un atto (Thathandlung): “ poni te stesso, fai con coscienza ciò che bui fatto inconsapevolmente ogni qual volta ti sei chiamato io, analizza questo atto di autocoscienza e riconosci nei suoi elementi le energie da cui scaturisce ogni realtà Questa intima vitalità del principio lichtiaiio, che ricorda l'atto puro aristotelico e il perpetuo divenire eracliteo, e in conseguenza della quale Dio, anziché una sostanza assoluta già compiuta, sarebbo un ordino cosmico sempre attenutesi, mai attuato, si ridette anche uel- l’opera filosòfica dell’autore, il cui spirito, fiero e irrequieto, si svolse iu continua lotta non solo nella pratica, ma anche nel pensiero. Nelle sue lezioni, come nei suoi scritti, spesso egli riprende daccapo la serie delle sue deduzioni e sempre iu modo diverso e quasi conver¬ sando coi suoi uditori e coi suoi lettori, mai trascurando le possibili obiezioni da parte di questi ; sicché il suo filosofare sembra compiersi * — XL — trattile che arresta la prima e respinge V Io in sè stesso; pone a sè stessa V urto (Anstoss) della sensazione, il limite della rappresentazione, l’intoppo del non-Io ; è insomma teoretica : soltanto al fine di diventare pratica. Tutto 1’ apparato della conoscenza non serve che a darci la pos¬ sibilità di compiere il nostro dovere: quel dovere che è 1’ unica realtà vera, 1’ unico in-sè (An-sich) del mondo fe¬ nomenico, perchè le cose sono in sè ciò che noi dobbiamo farne ; 1’ io teoretico pone oggetti, affinchè 1’ io pratico trovi resistenze (il tedesco Gegenstand = oggetto è qui preso come sinonimo di Widerstund = resistenza) ; 1’ og¬ gettività esiste soltanto per essere la materia indispensa¬ bile all’azione, per ricevere da questa la forma che deve elaborarla e inalzarla sì da rendere sempre più visibile alla presenza d’interlocutori, è come un filosofare in comune e per più rispetti richiama alla mente il dialogo platonico. Del resto al Fichte sarebbe parsa vana una filosofia avulsa dal suo ambiente na¬ turale, l’umanità, ond'egli si faceva un dovere di agire e influire energicamente sui suoi contemporanei e su quanti fossero in rela¬ zione con lui , e visse in continuo coutatto col mondo e con la so¬ cietà; al contrario del Kant, tra la vita e la speculazione del quale non appare certo Io stretto connubio che è nel nostro filosofo ; in¬ fatti, i rapporti sociali e tutto il contegno esteriore del grande soli¬ tario di Konigsberg furono, rispetto alla sua vita interiore e al suo pensiero, cosi indifferenti come il guscio al gheriglio ma turo ; mentre il Kant per molti e molti auui aveva portato entro di so,i suoi gravi pensieri senza che alcuno sospettasse nemmeno che cosa accadesse nell’ intimo di questo professore che senza differenza dagli altri teneva i suoi corsi universitari, il Fichte, invece, impaziente di ogni ritardo nella missione rigeneratrice, a cui con orgogliosa coscienza di sè si sentiva chiamato, lasciava prorompere la manifestazione delle sue idee, anche se non definitivamente elaborate, man mano che scaturi¬ vano dal profondo della sua anima agile e trasmutabile e disposta agli atteggiamenti più diversi secondo i campi a cui si applicava, se¬ condo i problemi ché affrontava, secondo i momenti in cui agiva. XLI 1’ attività dell lo. In conclusione , noi siamo Intelligenza Per poter essere Volontà. La Dotti-ina della Scienza , quindi , nel sistema del Fichte, è tutta in servigio della filosofia pratica , la quale , attraverso la Dottrina del Di¬ ritto, va a culminare nella Dottrina morale, e'mira ad attuare quel regno dei fini che il Kant contrapponeva al regno delle cause, e che jier il nostro filosofo consiste nel- 1’adempimento completo del Dovere, nel dominio assoluto dell’ lo, nel trionfo supremo della Libertà.
Monday, May 16, 2022
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