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Is Grice the greatest philosopher that ever lived?

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Monday, May 16, 2022

 carbonara La moralità e la virtù, del resto, non suppongono lo sforzo  e la lotta? bisogna, dunque, per attuarle, crearsi perenue-  mente ostacoli e superarli; onde V Io nel primo momento  della propria evoluzione “ pone sè stesso „ (tesi), nel se¬  condo momento u contrappone a sè il non-lo „ (antitesi),  e nel terzo momento “ si riconosce nel non-Io „ (sintesi);  tre aiti, questi, a cui corrispondono i tre modi di esistenza,  i tre oggetti del sapere, che sono l’uomo, il mondo, Dio.  Guai se l’7o desistesse un solo istante dali’esercizio della  propria libera attività! cesserebbe immantinente di esistere;  di qui il carattere “ titanico „ che il Fischer ammira nel-  p Jo fichtiano, destinato per natura sua a continuamente  agire, produrre, volere ('). f    (•) Per approssimarsi in qualche modo al concetto dell lo iich-  tiauo nel quale va ricercato il fondamento di ogni esperienza, giova  fare completamente astrazione da qualsiasi contenuto rappresentalo  della nostra coscienza empirica. Dopo questa immensa sottrazione, si  consideri la rappresentazione più vuota che possa pensarsi, 1 unica  affermazione che non abbisogni di nessuna dimostrazione, il principio  logico d’identità: A è A, col quale uon si afferma nemmeno che zi  esiste, ma soltanto che: se A esiste, A dev’essere A. Orbene, quan¬  tunque con tale affermazione si formuli soltanto una vuota venta e         — XXXV —    Un cosi intenso idealismo non era mai sorto prima.del  Pielite. Esso insegna che il variopinto e multisono mondo  sensibile, che si estende nello spazio e si svolge nel tempo,  non ha esistenza propria e indipendente : 1’ unico ch'e ve¬  ramente esista è l’ lo. E lo stesso Io esiste solo in quanto  agisce. Dal suo operare, dal suo rifrangersi in In e non-lo,  sorge per lui il mondo visibile, percepibile e connesso da    non ■ i ponga nessuna esistenza, si compie, tuttavia, un atto del pen¬  siero, un giudizio, e un giudizio d’incrollabile certezza, il quale porta  direttamente a porre e a riconoscere 1'esistenza reale dell’/o. Infatti,  donde proviene il verbo “ è „, con cui il primo A è messo in rela¬  zione col secondo A, il soggetto col predicato? Il nesso tra i due ter¬  mini del giudizio è beu soltanto nell’/o e per opera dell’/o. Dunque,  nellu precedente proposizioue: A è A, ebe è la più evidente, per  quanto la più vuota di contenuto, che si possa formulare, si nasconde  già l’ lo, si trova già l’attività certa di aè stessa; perché, meutre per  A non si ha il diritto di fare, oltre il giudizio ipotetico: se A esiste,  A è A, nnehe il giudizio categorico: A esiste, in quantiche anatale  affermazione richiederebbe un’ulteriore dimostrazione, per V Io, invece,  anello se non sappiamo assolutamente nulla più di questo: che è A,  possiamo dire non solo: se V Io esiste, l’ Io è l’/o, ma altresì: l’ Io  esiste (ciò elio ricorda l’agostiniano e il cartesiano: Cogito ergo sum).  Ma V Io è, per natura sua, essenzialmente attività, e, prima ancora  di acquistare coscienza dei propri prodotti, dei propri atti, e di sè  stesso, crea, con la sua immagiuazione produttrice, perenne e inesau¬  ribile, le innumerevoli rappresentazioni, che poi lu riHeasioue farà  apparire alla sua intelligenza come oggetti, come non-lo; perchè —  va sempre ricordato questo punto originale della dottrina del Fichte  - il non-lo, ossia il mondo esterno, è posto ilall’/o inconscio, non  già dall' Io cosciente; è un prodotto, quindi, anteriore a quella rela¬  zione di antitesi e sintesi tra soggettivo e oggettivo che è la co¬  scienza, e quando la coscienza nasce, s’impone a essa come già dato.  Così, grazie a questa produzione inconscia dell’ immaginazione dell' lo  — di quell’immaginazione che già per il Descartes era il trait d’u-  nion tra l’anima e il corpo, e per il Kant l’intermediaria tra le in¬  tuizioni pure della sensibilità e le categorie dell’intelletto —, il non-lo  apparisce all’ intelligenza come un limite dal di fuori senza essere  perciò estraneo all’/o, essendo sempre un prodotto dell’/o inconscio.       leggi, il quale perciò non è che il sistema delle nostre rap¬  presentazioni, il rispecchiarsi dell’ lo nell’/o. Ma anche que¬  sto rispecchiamento non ci rivela in modo puro e immediato  ]’ intima essenza del nostro spirito, perchè non uel rappre¬  sentarsi è il nostro più alto operare, non nel rappresentarsi  è tutto il nostro Io. Noi operiamo veramente soltanto nel  libero volere morale; noi attuiamo completamente il nostro  Io soltanto «piando, con attività rinnovata al lume della  coscienza, ci sforziamo di soggiogare il mondo delle rappre¬  sentazioni scaturite dall’inesauribile fonte dell’ lo inconscio   _ il quale mondo non è che “ il materiale sensibilizzato   del nostro dovere (unsre Welt ist das versinnlichte Mute-  rial unsrer Pjlicht) „ — e ci sforziamo di trasformarlo nel  mondo della libertà, nel mondo soprasensibile ed eterna¬  mente in fieri del Bene; poiché, esclama il Fichte, “ es¬  sere liberi è nulla, divenir liberi è il cielo (frei se‘in ist  nichts, frei wenlen ist dei' Ilimmel) ! „   La costruzione filosofica del Fichte può dirsi monolitica,  ed è tale da superare in semplicità persino quella eretta,  da un punto di vista e con centro «li gravita affatto opposti,  dallo Spinoza: — al Jacobi il sistema del filosofo tedesco  appariva il rovescio del sistema del filosofo olaudese —. E  qui sta il vantaggio della concezione fichtiana anche sulla  kantiana ; il Kant non aveva tanto fornito un sistema,  quanto, piuttosto, i germi e i materiali per più sistemi ;  nella lotta contro il dogmatismo e contro lo scetticismo  egli aveva voluto inalzare alla scienza propriamente detta,  più che un tempio, una fortezza; e, per rendere questa  fortezza iuespuguabile da tutti i lati, ne aveva costruito  -i bastioni quasi in tempi diversi, quasi in stile diverso :  onde nella sua filosofia non solo rimane il dualismo incon-          — XXXVII —    ciliabile tra l’essere e il conoscere, tra il conoscere'e il  lai e, ma nell ambito stesso del conoscere manca una rigo¬  rosa unità tra i diversi poteri conoscitivi, tra la sensibilità  con lo sue intuizioni pure, l’intelletto con le sue categorie,  la ragione con le sue idee metafisiche. Il filosofa di Ko-  nigsbei'g da una parte pareva chiudere lo spirito umano  tutto nel giro del proprio mondo interno, nel fenomeno,  dall altra gli lasciava intravedere, al di là di questo mondo  interno, un altro mondo, il noumeno, avvolto sempre da  densa nebbia e sempre refrattario alla conoscenza. Donde  la domanda : questo mondo esistente in sè è quello stesso  che ci si i ivela nella voce della coscienza, ed è possibile  tiadui lo in atto con la pura e buona volontà? La risposta  del Kant, almeno nell’espressione datale dall’autore, se non  nello spirito dell’autore stesso, era stata cosi cauta, che  ognuno poteva trarne le conseguenze a suo proprio rischio.  Iusomma, non si poteva non riportare l’impressione che  nella, dotti ina kantiana la verità fosse svelata soltanto a  mezzo, e che a essa mancasse, dal punto di vista scienti¬  fico, cosi il fondamento come il coronamento. Il Fichte,  invece, da quel pensatore ben più ardito e deciso ch’egli  eia e che si era formato sullo stampo dello Spinoza, s’im¬  possessò dei materiali kantiani, e fece della Critico un si¬  stema unitario: Tutto ciò che è, è per noi; tutto ciò che  è per noi, può essere soltanto per opera nostra; nell’atti¬  vità dell’ lo è racchiuso il conoscere e l’essere, il sensibile  e il soprasensibile, il reale e 1’ ideale ; nell’autocoscienza  (Se/bstbeiousstsein) — lo stesso Kant aveva già insinuato  che la misteriosa incognita nascosta sotto i fenomeni sensibili  poteva benissimo essere quella stessa che portiamo con noi —  è l’unità di tutti i poteri dello spirito, l’unità delle forme             — XXXVIlt —    cosi del fenomeno come della cosa in sè che sta a fonda¬  mento del fenomeno, l’unità del sistema delle nostre rap¬  presentazioni e del sistema dei nostri doveri, l’unità della  nostra essenza teoretica e della nostra essenza pratica :  1’ unità, e con 1’ unità il fondamento e il coronamento di  tutta la dottrina. Se il Reinhold aveva cercato un principio  superiore, come principio unico indispensabile a dare forma  sistematica di scienza alla dottrina della conoscenza, se il  Beck aveva interpretato lo spirito della filosofia kantiana  nel senso idealistico, se il Jacobi aveva reclamato l’elimi¬  nazione della “ cosa in sè „, ecco nella filosofia del Fichte  soddisfatti tutti insieme questi desideri, e in pari tempo  fornita ai risultati della Critica della ragione 1’ evidenza  richiesta dallo Schulze (').    (!) La filosofia del Kant, raccoglie, a dir cosi, in un'unità vivente  tutti i germi e principi motori del pensiero moderno, e il sistema del  Fichte non è che una delle direzioni che poteva prendere il kan¬  tismo. La direzione fichtiana, quindi, scaturisce naturalmente dalle  premesso kantiane, ma non deve considerarsi perciò., come vorrebbe  il Leon, quusi l’unico e necessario completamento del kantismo: altre  direzioni, assai divergenti dalla fichtiana, l'anno capo legittimamente  aneli’ esse al Kaut., dei cui discepoli può ripetersi ciò che Cicerone  dicova dei diversi discepoli di Socrate: alii aliuiì suinpsenuit • il  Fichte è un kantiano all’ incirca nel medesimo senso che Platone fu  un socratico, e sta allo Spinoza come Platone a Parmenide ; col  Kaut afferma l’ideale morale, con lo Spinoza l’unità dei “ due moudi  onde la Bua filosofia, dicemmo già, è un’originale sintesi, forse Unica  nel suo genere ai tempi moderni, di ciò che sembra assolutamente  inconciliabile: il monismo e la libertà, il mondo delle cause o il  inondo dei fini. Anziché ritornare sui singoli problemi della Critica  della ragione, egli s’impadronisce del centro animatore di quella  Critica, e trae fuori dal pensiero fondamentale dell’ auto-attività  dello spirito, in quanto forza reale e fine a sé stesso, un uuovo quadro  del mondo di grandiosa arditezza, entro il quale l’idealismo, che  nella filosofia kautiana era latente sotto 1’ involucro di prudenti re-       — XXXIX —    *•   * *   La filosofia del Fichte, abbiamo detto, è una filosofia  della Libertà, poiché ha per principio una realtà assoluta,  intesa come Io pratico, come Attività pura, come Auto-deter¬  minazione, ed è uno sforzo poderoso per dedurre da questo  principio oltreché le condizioni della vita etica, anche le  funzioni della ragione teorica, celebrando in tal modo quel  primato della ragione pratica che il Kant aveva già pro¬  clamato , e facendo perciò della ragione pura un organo  della moralità. L’attività dell’ Io assoluto alterna i suoi  atti di produzione inconscia con i suoi atti di riflessione  cosciente, la sua direzione centrifuga ed espansiva che si  protende verso l’infinito, con la direzione centripeta e cou-    strizioni, viene chiamato a potente vita, e ciò che di sublime il  grande lilosofo dell’ imperativo categorica aveva insegnato intorno  alla libertà morale di fronte alla necessità naturale, viene tradotto  dal linguaggio di un moderato contegno in quello di un energico en¬  tusiasmo. li mondo può comprendersi soltanto in base allo spirito e  lo spirito soltanto in base alla volontà. La dottrina del Fichte è tutta  nel vivere e nel fare, tanto vero che comincia non con la definizione  di un concetto, ma con la richiesta di un atto (Thathandlung): “ poni  te stesso, fai con coscienza ciò che bui fatto inconsapevolmente ogni  qual volta ti sei chiamato io, analizza questo atto di autocoscienza  e riconosci nei suoi elementi le energie da cui scaturisce ogni realtà  Questa intima vitalità del principio lichtiaiio, che ricorda l'atto puro  aristotelico e il perpetuo divenire eracliteo, e in conseguenza della  quale Dio, anziché una sostanza assoluta già compiuta, sarebbo un  ordino cosmico sempre attenutesi, mai attuato, si ridette anche uel-  l’opera filosòfica dell’autore, il cui spirito, fiero e irrequieto, si svolse  iu continua lotta non solo nella pratica, ma anche nel pensiero. Nelle  sue lezioni, come nei suoi scritti, spesso egli riprende daccapo la  serie delle sue deduzioni e sempre iu modo diverso e quasi conver¬  sando coi suoi uditori e coi suoi lettori, mai trascurando le possibili  obiezioni da parte di questi ; sicché il suo filosofare sembra compiersi        *    — XL —    trattile che arresta la prima e respinge V Io in sè stesso;  pone a sè stessa V urto (Anstoss) della sensazione, il limite  della rappresentazione, l’intoppo del non-Io ; è insomma  teoretica : soltanto al fine di diventare pratica. Tutto  1’ apparato della conoscenza non serve che a darci la pos¬  sibilità di compiere il nostro dovere: quel dovere che è  1’ unica realtà vera, 1’ unico in-sè (An-sich) del mondo fe¬  nomenico, perchè le cose sono in sè ciò che noi dobbiamo  farne ; 1’ io teoretico pone oggetti, affinchè 1’ io pratico  trovi resistenze (il tedesco Gegenstand = oggetto è qui  preso come sinonimo di Widerstund = resistenza) ; 1’ og¬  gettività esiste soltanto per essere la materia indispensa¬  bile all’azione, per ricevere da questa la forma che deve  elaborarla e inalzarla sì da rendere sempre più visibile    alla presenza d’interlocutori, è come un filosofare in comune e per  più rispetti richiama alla mente il dialogo platonico. Del resto al  Fichte sarebbe parsa vana una filosofia avulsa dal suo ambiente na¬  turale, l’umanità, ond'egli si faceva un dovere di agire e influire  energicamente sui suoi contemporanei e su quanti fossero in rela¬  zione con lui , e visse in continuo coutatto col mondo e con la so¬  cietà; al contrario del Kant, tra la vita e la speculazione del quale  non appare certo Io stretto connubio che è nel nostro filosofo ; in¬  fatti, i rapporti sociali e tutto il contegno esteriore del grande soli¬  tario di Konigsberg furono, rispetto alla sua vita interiore e al suo  pensiero, cosi indifferenti come il guscio al gheriglio ma turo ; mentre  il Kant per molti e molti auui aveva portato entro di so,i suoi gravi  pensieri senza che alcuno sospettasse nemmeno che cosa accadesse  nell’ intimo di questo professore che senza differenza dagli altri teneva  i suoi corsi universitari, il Fichte, invece, impaziente di ogni ritardo  nella missione rigeneratrice, a cui con orgogliosa coscienza di sè si  sentiva chiamato, lasciava prorompere la manifestazione delle sue  idee, anche se non definitivamente elaborate, man mano che scaturi¬  vano dal profondo della sua anima agile e trasmutabile e disposta  agli atteggiamenti più diversi secondo i campi a cui si applicava, se¬  condo i problemi ché affrontava, secondo i momenti in cui agiva.       XLI    1’ attività dell lo. In conclusione , noi siamo Intelligenza  Per poter essere Volontà. La Dotti-ina della Scienza ,  quindi , nel sistema del Fichte, è tutta in servigio della  filosofia pratica , la quale , attraverso la Dottrina del Di¬  ritto, va a culminare nella Dottrina morale, e'mira ad  attuare quel regno dei fini che il Kant contrapponeva al  regno delle cause, e che jier il nostro filosofo consiste nel-  1’adempimento completo del Dovere, nel dominio assoluto  dell’ lo, nel trionfo supremo della Libertà. 

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