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Tuesday, May 17, 2022

GRICE E CAPIZZI: DA VELIA CON AMORE

 Eliadi, Meleagridi, Pandionidi. Osservazioni sulla metafora mitica in Parmenide Author(s): Antonio Capizzi Source: Quaderni Urbinati di Cultura Classica, New Series, Vol. 3 (1979), pp. 149-160 Published by: Fabrizio Serra Editore Stable URL: http://www.jstor.org/stable/20538610 Accessed: 22-06-2016 10:52 UTC Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at http://about.jstor.org/terms JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact support@jstor.org.    Accademia Editoriale, Fabrizio Serra Editore are collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Quaderni Urbinati di Cultura Classica This content downloaded from 128.143.23.241 on Wed, 22 Jun 2016 10:52:17 UTC All use subject to http://about.jstor.org/terms   Eliadi, Meleagridi, Pandionidi. Osservazioni sulla met?fora mitica in Parmenide Antonio Capizzi 1. Non posso fare a meno di ringraziare Fritz Fajen per la dura critica1 che ha rivolto alia mia interpretazione dei frammenti 1 e 6-7 di Parmenide2. Devo ringraziarlo perch? (a differenza di altri critici non meno duri) prima di giudicare il mio libro lo ha letto da cima a fondo e lo ha compreso assai bene, dato che i punti da lui attaccati sono in effetti gli argomenti portanti della mia dimostrazione; ma soprattutto devo essergli grato perch?, attaccando quei punti, mi ha costretto ad approfondirli, e conseguentemente a scoprire nuovi e pi? validi argomenti in loro favore. A questo punto, pero, i ringraziamenti finiscono: gli argomenti di Fajen colpiscono i bersagli giusti, ma li colpiscono assai debolmente. Vediamoli in breve uno per uno. a) lo ritengo che la mia intera interpretazione del frammento 1, e cio? la lettura real?stica e topogr?fica del viaggio di Parmenide sulla "via del nume", poggi sui solido pilastro dei tempi verbali del proe mio; sui fatto cio? che, nei due punti in cui il viaggio si localizza, in quanto vengono nominate prima la via e poi la porta, la narra zione passa dai tempi storici ai tempi principali. Fajen ? invece del par?re che, "in qualunque modo la narrazione venga considerata, sia come preparatoria ad una specie di rivelazione o simili, sia come espo sizione di un viaggio storico, i tempi sono comunque privi di un qual siasi peso". Premetto che il proemio, formalmente parlando, ? in ogni caso "preparatorio ad una specie di rivelazione": il contenuto del poema Sulla natura viene presentato come il discorso di una dea (Dike) all'autore, cosi come il contenuto della Teogonia ? una rivela zione che altre dee (le Muse) hanno fatto ad Esiodo; e la divergenza tra le vari? interpretazioni verte sulla localizzazione delPincontro tra la divinit? e il poeta, localizzazione inesistente nelle letture mistiche e 1 In Gymnasium 84, 1977, H. 1, pp. 39-41. 2 Contenuta nel volume La porta di Parmenide, Roma 1975. This content downloaded from 128.143.23.241 on Wed, 22 Jun 2016 10:52:17 UTC All use subject to http://about.jstor.org/terms   150 A. Capizzi allegoriche, esistente nel mondo celeste nelle esegesi astronomiche, e infine esistente in una citt? reale di questo mondo {certamente Velia) nella mia interpretazione. Ora, Fajen pu? pensare ci? che meglio crede sui significato dei tempi verbali nei vari tipi di narrazione; ma tanto il suo par?re quanto il mio resta?o inverificabili se non si basano su esempi concreti. Concretamente parlando, gli scrittori precedenti Parmenide, o a lui contemporanei, non ci forniscono esempi di nar razioni allegoriche in prima persona, e, per quanto concerne viaggi nel Pal di l? (celeste, infero o mistico che sia questo al di l?), non ci danno che la Nekyia omerica: ma anche la sola Nekyia, analizzata strutturalmente, ? assai significativa per il nostro problema. Essa si compone di tre parti: il passaggio di Odisseo e dei suoi compagni per Pultimo agglomerato umano, abitato da esseri viventi e definibile come un 8?po<; e come una toXic 3, e cio? per il paese dei Cimmerii {k 1-19); il loro inoltrarsi nei luoghi indicati da Circe4, e cio? nel bosco di Persefone, dove viene scavata una fossa alla quale le ombre dei morti giungono uscendo fuori dalPErebo 5 (k 20-565); infine la penetrazione di Odisseo (preannunciata da un intermezzo in cui Al cinoo assicura il suo ospite che ci? che dira verra creduto 6 anche se narrera "avvenimenti straordinari"7) nella casa stessa di Ade8, dove pu? vedere anche personaggi (Minosse, T?ntalo, Sisifo) impos sibilitati ad uscire dalPErebo (k 583 sgg.). La seconda parte, la pi? lunga, si svolge tutta presso la fossa, in mezzo ad una nebbia che a mala pena lascia vedere i contorni delle persone, ed ? quindi priva di localizzazioni; la prima e la terza, invece, contengono localizzazioni e descrizioni rispettivamente di cose del nostro mondo (appunto la citt? e la terra dei Cimmerii) e del mondo dei morti (il lago e Palbero di T?ntalo, il monte e il macigno di Sisifo). Ora, parlando dei Cim merii il poeta interrompe la serie degli aoristi e degli imperfetti, che punteggiano il viaggio della nave, con un presente (xccTaS?pxETai, v. 16) e con un perfetto equiparabile ad un presente (Texaxai, v. 19); mentre ci? non avviene per i luoghi delPErebo, e cio? per il lago (Xlexvtq-Tzpoff?Tzko?^z, v. 583; uSwp anokzcrxzio, v. 586), per la 3 Evfra 8? KiujXEptcov ?vSpcov 5?p?<; te tc?Xic te (0?. XI 14). 4 ocpp' e<; x&pov a^xou-eft' ov cppacTE K?pxiQ (ibidem, 22). 5 ai 5' ?y?povTo ipuxai ?rc?? 'Epa?eix; (ibidem, 36-37). 6 J??, 363-366. 7 dicrxzka spy a (ibidem, 374). 8 xoct' E?puTCuX?? "A?5w? 565 (ibidem, 571). This content downloaded from 128.143.23.241 on Wed, 22 Jun 2016 10:52:17 UTC All use subject to http://about.jstor.org/terms   Eliadi, Meleagridi, Pandionidi 151 terra lasciata scoperta dal ritirarsi del lago {ycda piXaiva cp?vECXE, v. 587), per gli alberi (S?vSpea .. . x&, v. 588), per il macigno (tot' ?-Koo-zpityaaxz xpotTout;, v. 597), e soprattutto per la cintura di Era cle, la cui descrizione ? an?loga a quella parmenidea della porta (fr. 1, vv. 11-13), ma ne differisce appunto perch? alP dai iniziale si sosti tuisce un Tjv (v. 610). II processo, per cui i tempi storici di una nar razione si interrompono e lasciano il posto ai tempi principali ogni volta che il narratore vuole localizzare con precisione il racconto rea l?stico, non ? limitato all'inizio della Nekyia: molti dei numerosi rac conti contenuti nelPultima parte dtWOdissea vi fanno ricorso9; ed ? presente anche nei tragici, come nella narrazione della sconfitta di Salamina fatta in Eschilo dal messaggero persiano 10, allorch? questi vuole localizzare un'isola n e un fiume 12, o l? dove il "pedagogo" di Euripide, riferendo di av?re udito la gente parlare di un decreto di Creonte 13, allude a una fontana ben nota (come la porta e la via di Parmenide) ai suoi ascoltatori. b) Pi? centrata ? Posservazione di Fajen a proposito del termine aorxu: per me la oS?? TO^?cpirpoc Sai[jiovo<; r\ xax?c tc&vt' ?cron, cp?psi elS?toc cpwTa ? la via principale della citt?, che congiunge tutti i quar tieri cittadini; Fajen mi osserva che acnu non significa "quartiere cit tadino", ma la citt?, o una sua parte composta di pi? quartieri. Fin qui il critico ha probabilmente ragione: "quartiere" implica un cen tro compatto, magari diviso in quattro parti come nelle citt? nate da accampamenti; e xgct<x tuocvt' ?o*TT] significa "attraverso tutte le cit 9 Tra i molti racconti che punteggiano la storia di Odisseo approdato ad Itaca ve ne sono due, quello di Eumeo a Odisseo (XV 390-486) e l'altro di Odisseo a Penelope che ancora non lo ha riconosciuto (XIX 165-202), che sem brano ricalcati su uno stesso clich?: entrambi infatti contengono un'introdu zione, nella quale l'oratore acconsente a parlare e spiega le ragioni del suo as senso (XV 390-402; XIX 165-171); una localizzazione, in cui vengono descritte rispettivamente le isole di Siria e di Creta (XV 403-412; XI 172-178); e la narra zione vera e propria, legata alia localizzazione in entrambi i casi dal ricordo di un re che regnava nelle terre descritte (XV 413-486; XIX 178-202). La localiz zazione ? sempre caratterizzata da tempi principali, la narrazione da tempi sto rici; e ci? avviene anche in altri racconti deH'ultima parte d?iVOdissea (cfr. ad es. XXIV 331-344). 10 Pers. 272 sgg. 11 Ibidem, 447-449. 12 Ibidem, 487. 13 Med. 68-69. This content downloaded from 128.143.23.241 on Wed, 22 Jun 2016 10:52:17 UTC All use subject to http://about.jstor.org/terms   152 A. Capizzi ta" (in quanto forse la Via del Nume non aveva solo un tratto citta dino, ma congiungeva Velia a Posidonia e alle altre citt? costiere) o "attraverso tutti i nuclei abitati" (nel senso che la strada univa i due porti, Pacropoli e magari la fortezza di Moio della Civitella, avam posto velino verso il retroterra 14. Ma, anche concedendo la corre zione, non ci ritroviamo sempre in una lettura topogr?fica, e cio? pro prio in quella lettura che Fajen ritiene inammissibile? Dato che Fajen non propone interpretazioni alternative, devo supporre che egli opti per le interpretazioni non topografiche ten?ate fino ad oggi. Ora, se si accetta la lettura che fa del proemio un'allegoria speculativa simbo leggiante il viaggio delPintelletto verso la conoscenza (Fr?nkel, Bowra, Deichgr?ber), gli occttt) sono le province del sapere; se si propende per Piniziazione religiosa o mist?rica (Diels, Mondolfo, Zafiropulo, Jaeger, Verdenius, Untersteiner, Mansfeld, ecc), dobbiamo intendere per ?o-rr] i gradi delPilluminazione; se infine si sceglie Pesplorazione c?smica, e cio? la corsa sui carro del sole lungo le orbite celes ti (Gil bert, Kranz, Capelle), i "centri abitati" simboleggiano i segni dello zodiaco o qualcosa di simile. Fajen, cosi scrupoloso nel consultare gli autori antichi in cerca delPesatto significato di acrru, ha trovato in qualche scrittore traslati di questo genere? Se si, sar? lieto di saperlo. c) Diels ritiene che il izk?-zTovai = -rcXoco-crovTai di Parm. 6,5 non sia una forma regolare di rcXacrcrG), ma una forma an?mala di izka?u, e puntella la sua ipotesi con esempi tratti dal tarantino; Fajen mi concede il diritto di rifiutare gli esempi, "non essendo plausibile un dorismo in quel contesto", ma non di invalidare Pipotesi, essendo Pipotesi stessa {Tzkavvovzai per TcXa?ovTcci) fondata su "un'intera se rie di verbi in -o"o*co invece del -?w che ci si aspetterebbe" citata nella grammatica greca di Schwyzer 15. Non credo che sia necessario rileg gere le grammatiche per sapere ehe in greco le reg?le sulla formazione del presente dal tema verbale sono alquanto precarie: ma icX?Cco ha un presente regolare attestato da numerosi scrittori, e Diels non lo ha certo negato. Diels ipotizza un hapax, e cio? una forma irrego lare che sarebbe attestata dal solo Parmenide, e solo in quel passo; e non devo essere io a ricordare al collega che un'ipotesi di hapax (cosi corne anche un emendamento) viene a cadere appena si dimostri che 14 Si veda in proposito E. Greco, 'Il (ppo?piov di Moio della Civite?V, Riv. studi salern. 1969, pp. 389-396. 15 E. Schwyzer, Griechische Grammatik I, M?nchen 1939, p. 715. This content downloaded from 128.143.23.241 on Wed, 22 Jun 2016 10:52:17 UTC All use subject to http://about.jstor.org/terms   Eliadi, Meleagridi, Pandionidi 153 il passo ha senso compiuto senza di essa. Anche se Fajen trovasse non una serie di presenti irregolari o di doppi present? (come quelli elen cati da Schwyzer), ma addirittura una serie di hapax analoghi a quello presunto da Diels, Poner? della prova resterebbe sempre a lui. Alla fine della sua breve ma densa recensione Fajen mi accusa "di non essere al servizio della scienza", e non posso dargli torto: se scienza ? quella che traspare dalle sue argomentazioni, essa consiste nelPaccettare il vecchio perch? vecchio e nel rifiutare il nuovo perch? nuovo; e scienziato ? chi (come Cesare Cremonini) rifiuta di guardare nel cannocchiale se il cannocchiale non mostra Puniverso descritto da Aristotele. II servizio di questo tipo di scienza lo lascio volentieri al mio c?rtese obiettore. 2. Ho tralasciato volutamente il primo argomento di Fajen, quello riguardante la mia interpretazione delle "fanciulle Eliadi", citate in Parm. 1,9, come pioppi fiancheggianti la strada, dato che in tutte le fonti, tranne che in Omero, le 'HXi?S?<; compaiono trasformate in pioppi o in altri alberi: Fajen obietta che in questi autori vi ? sempre (tramite il nome di Fetonte o Paccenno al pianto delle fanciulle) al lusione al mito metamorfico, allusione che in Parmenide viene a man care. Se accettiamo il criterio qui proposto, ci troviamo al di fuori di ogni possibilit? interpretativa: le Eliadi non possono essere a?YSi?poi come in Eschilo perch? Parmenide non si riferisce al mito di Fetonte, ma neanche possono essere v?^cpai come in Omero perch? Parmenide non accenna al mito di Odisseo. Se poi cerchiamo di completarlo con altri criteri, Pallusione al mito di Fetonte ? preferibile non solo per la quantit? delle fonti, e per la contemporaneit? tra Parmenide ed Eschilo che ? la pi? antica di esse, ma anche e soprattutto perch? Pespressione 'HXi?SEc (a volte accompagnata da xo?pai e a volte no) ci risulta esclusivamente nelle narrazioni del mito metamorfico. Ma anche ammettendo che la mia lettura incontri qualche difficolt?, Pin terrogativo ? lo stesso che ci siamo posti a proposito di rcavi' ?crn}: quai ? Palternativa, e che cosa ? stato proposto fino ad oggi? Ancora una volta: se optiamo per la lettura speculativa, le Eliadi sono forze intellettuali; se riprendiamo Pipotesi mistica, sono potenze divine; se ripieghiamo sull'interpretazione astron?mica, sono ?nergie cosmi che. In quale mito troviamo le Eliadi come equivalenti di cose del genere? E quali riferimenti di Parmenide ci riportano a miti consimili? Ci? che Fajen sembra trascurare ? il fatto che fino ad oggi nes suno ha letto il proemio di Parmenide come una narrazione mitica (non This content downloaded from 128.143.23.241 on Wed, 22 Jun 2016 10:52:17 UTC All use subject to http://about.jstor.org/terms   154 A. Capizzi ? mai esistito un mito di cui fosse protagonista lo scrittore che lo nar rava) : i moderni fautori delle tre interpretazioni menzionate pi? sopra hanno visto tutti nelle Eliadi una met?fora; quanto agli antichi (il cui giudizio Fajen mi rimprovera di trascurare), Sesto Emp?rico, P?nico che abbia tentato un'interpretazione del proemio, riduce anch'egli a met?fora le figlie del sole (che simboleggerebbero le sensazioni)I6, mentre Proclo 17 attesta il continuo uso di metafore (xp^oflai [XETacpo pa??) da parte di Parmenide, e il retore Menandro 18 precisa che fece uso di quelle particolari metafore mitiche consistenti nel dire "Apol lo" per sole, "Era" per aria, "Zeus" per calore, ecc. Si tratta di metafore comunissime in tutta la letteratura antica, da Omero in poi, e costruite proprio nel modo che io propongo per le Eliadi parme nidee e che Fajen ritiene inammissibile: il personaggio m?tico viene nominato al posto delPoggetto cui ? associato, senza alcun riferimento al mito che giustifica Passociazione. Queste considerazioni sarebbero sufficienti per rispondere alie contestazioni di Fajen; ma, come ho detto, la mia inveterata abitudine di rimettere in questione le mi? tesi mi ha spinto a fare ulteriori ri cerche sulle strutture della met?fora mitica. Ho osservato, ad esempio, che questo tipo di met?fora, pur essendo forse il pi? fr?quente nel Pantichit?, compare assai di rado nel lungo elenco di metafore poe tiche e retoriche fornitoci da Aristotele 19, e il fatto non mi ? sembrato casuale: Panomalia dipende, a mio avviso, "dal carattere sincr?nico e non diacronico delPindagine aristot?lica, alia quale ? estraneo il pro blema della genesi e delPevoluzione della lingua e dei suoi modi"20. Aristotele scrive in un'epoca nella quale i poeti cominciavano gi? a comporre pensando ad altri poeti, i retori in pol?mica con altri re tori, cosicch? le metafore erano soprattutto preziosismi stilistici (?cTTEia): tutta Pindagine aristot?lica valuta le metafore a seconda del loro valore est?tico, e non c'? una volta che il filosofo di Stagira si ponga il problema del rapporto tra efficacia e comprensibilit?. Per Aristotele la met?fora ? letteraria, non popolare; ed ? per questo che lo interessano assai poco le metafore mitiche, che sono allusioni dei 16 Sext. Adv. Math. VII 112. 17 Parm. I 665,17. 18 Rhet. I 5,2. 19 Poet. 21-22; Rhet. Ill 2-4; 10-11. 20 G. Morpurgo Tagliabue, Ling?istica e stilistica di Aristotele, Roma 1967, p. 242. This content downloaded from 128.143.23.241 on Wed, 22 Jun 2016 10:52:17 UTC All use subject to http://about.jstor.org/terms   Eliadi, Meleagridi, Pandionidi 155 poeti e degli oratori a modi di dire gi? esistenti e diffusi tra la gente del pop?lo che (in ?poca di viva tradizione orale) li ascolta diretta mente. Aristotele, insomma, non pensava mai che gli aedi omerici dovevano farsi capire dalla gente delle citt? che visitavano; e che i poeti e gli oratori del sesto e del quinto sec?lo avevano un ben pre ciso uditorio 21, nel quale le loro met afore dovevano suscitare reazioni immediate. Nessun cantore o parlatore avrebbe detto "Ares" per indicare la guerra se non av?sse saputo che i suoi ascoltatori usavano gi? la stessa met?fora; e le metafore mitiche erano popolari prima di essere letterarie. La popolarit? delle metafore cui pi? sopra ho accennato era senza dubbio estesa all'intero mondo di lingua greca, e la ragione ? f?cil mente intuibile: si tratta di metafore o gi? presenti nei poemi ome rici, o da essi der?vate. Ma esistevano metafore mitiche popolari di origine postomerica o extraomeriea: Empedocle, che subi fortemente la suggestione stilistica di Parmenide, e che gi? il retore Menandro accomunava a Parmenide proprio per Puso di metafore mitiche22, usa per i suoi elementi tre nomi di divinit? omeriche, Zeus, Era e Edoneo (= Ade), ma per il quarto elemento, Pacqua, si serve di Nesti23, una divinit? siciliana24; e abbiamo qui un chiaro esempio di met?fora po? tica che riproduce una met?fora mitica popolare locale, e cio? di poesia adattata ad un uditorio limitato, come era anche quella di Parmenide. Le Eliadi pero, pur non essendo un mito omerico, non sono neanche un mito locale campano, o pi? in gen?rale italiota: sono, nel momento in cui Parmenide compone il suo poema, un mito tr?gico. I miti metamorfiei e i miti dionisiaci sono i due pi? importanti gruppi di miti non omerici, ed hanno entrambi la stessa origine: i sa tiri e i sileni della mitografia dionisiaca, le donne-uccello e le donne albero della mitografia metamorfica, derivano tutti certamente dai riti di caccia, raccolta e agricoltura in cui i danzatori o le danzatrici si camuffano con pelli di animali o con fronde vegetali per mimare 21 Rinvio, per lo sviluppo di questa prospettiva storica, a B. Gentili, 'Aspetti del rapporto poeta committente uditorio nella lirica c?rale greca', Stud. urb. 39, 1965, pp. 70-88: per Parmenide si vedano le pp. 87-88. 22 Menand. loc. cit. 23 Emp. fr. 6, v. 3; fr. 96, v. 2. Un altro personaggio facente parte di un mito siceliota, Baub?, la nutrice di Persefone, viene nominato da Empedocle (fr. 153) metaf?ricamente per indicare il ventre. 24 Lo attestano Eustazio {ad II. p. 1180,14) e Fozio (s.v. N^ctttic). This content downloaded from 128.143.23.241 on Wed, 22 Jun 2016 10:52:17 UTC All use subject to http://about.jstor.org/terms   156 A. Capizzi appunto le operazioni di sostentamento collettivo e propiziarne la buona riuscita. Tali miti hanno dunque, fin dalle origini, uno stretto l?game con la tragedia ^ ?(che ricorda nel suo stesso nome il travesti mento con pelli di capra): non c'? dunque da meravigliarsi se fu la tragedia a renderli popolari in tutta la Grecia, man mano che le com pagnie girovaghe li rappresentavano. Le metafore popolari nate da questi miti sono chiaramente di origine tr?gica. I miti metamorfici hanno scarse metafore, ed ? facile capire il perch?: nella maggioranza di essi (Aracne, Dafne, Cieno, Atlante, Aretusa, ecc.) il personaggio che si trasforma ha gi? il nome della cosa nella quale si trasformer?, essendo costruito solo in funzione della metamorfosi. Ma spesso si tratta in vece di personaggi gi? no ti fuori del mito metamorfico, o comunque dotati di nomi propri, e allora la met?fora ? possibile: ? questo appunto il caso delle Eliadi, gi? pre sent? in Omero in una narrazione non metamorfica, e che rientrano nella tipolog?a delle "sorelle trasformate mentre piangono la morte di un congiunto". Una variante del mito delle Eliadi ? la storia delle Meleagridi, anch'esse "sorelle piangenti", che differiscono dalle Elia di per il nome del fratello morto (Meleagro anziehe Fetonte) e per il tipo di metamorfosi (uccelli anziehe pioppi), ma ad esse strettamente si l?gano per il fatto che dopo la metamorfosi piangono lacrime d'am bra: in effetti Plinio il vecchio cita entrambe le favole nella sua lunga elencazione delle opinioni sulPorigine dell'ambra, e ne mette anche in evidenza la comune origine tr?gica, attestando come la storia delle Eliadi derivi dalPomonimo dramma di Eschilo 26 e quella delle Me leagridi dal Meleagro di Sofocle27. Ma la leggenda delle Meleagridi presenta analogie anche con quella delle Pandionidi, figlie di un m? tico re di Atene, che probabilmente nella versione originaria erano 25 Questo l?game ? ancora rintracciabile, ad esempio, nel Prometeo inca tenato, dove lo, fanciulla trasformata in vacca cui continuamente si allude anche nelle Supplici, viene d?fini ta ?ouxepcoc irapdevoc (v. 588): ? chiaro che ancora in Eschilo il personaggio trasformato in animale compariva sulla scena con una maschera atta a ricordare l'animale stesso. ? probabile che anche negli Uccelli di Aristofane Procne entrasse in scena con qualche attributo legato alla sua me tamorfosi in uccello: alla maschera animalesca alludono chiaramente i due per sonaggi che commentano la sua comparsa (vv. 672-674). 26 ?piufumi po?tae dixere, primique, ut arbitror, Aeschylus, etc." {N.H. XXXVII 2, 11,31). 27 "Super omnis est Sophocles po?ta tragicus [...] Hic ultra Indiam fieri dixit e lacrimis meleagridum avium Meleagrum deflentium" [ibidem, 41). This content downloaded from 128.143.23.241 on Wed, 22 Jun 2016 10:52:17 UTC All use subject to http://about.jstor.org/terms   Eliadi, Meleagridi, Pandionidi 157 state trasformate in rondini mentre piangevano anch'esse un parente morto (e ce lo suggerisce il fatto che tanto Esiodo28 quanto Saffo29, due poeti vissuti assai lontani Puno dalPaltra nel tempo e nello spa zio, chiamino IIav8iovi<; la rondine): divenute uccelli corne le Melea gridi, esse esprimono il loro dolore non con lacrime, ma con strid?i. Nei tragici, prima in forma allusiva nel primo coro delle Supplici di Eschilo, poi per esteso nel Tereo di Sofocle, troviamo questo mito gi? contaminate (probabilmente per la somiglianza tra i patronimici Ilav Siovi? e navSapTQi?) con quello di Aedone, figlia di Pandareo, che uc cide per errore il proprio figlio Itilo e si trasforma in usignolo M, oltre che con la truce storia (variante tessala del mito di Medea) della vendetta di Procne su Tereo: ne vien fuori un complesso mito meta morfico, dove le Pandionidi si sono prec?sate nelle due sorelle Procne e Filomela, mutate Puna in usignolo e Pa?tra in rondine, mentre Tereo si trasforma in upupa; tuttavia anche in questo caso il mito diventa popolare (e ce lo attesta perfino Aristofane)31 quando si rappresenta pubblicamente la tragedia sofoclea che narra la metamorfosi. Tutti e tre questi miti diedero luogo a metafore popolari, e Ate ne, proverbialmente ricca di uccelli, appunto la sua attenzione sui due miti sofoclei, ritrovando le Pandionidi e le Meleagridi nelle colonie avicole locali: la rondine dovette essere chiamata abitualmente Filo mela, se tutti compresero a vol? quando Gorgia ne apostrofo una con questo nome (una met?fora famosissima, evidentemente, se perfino Aristotele32, che abbiamo visto cos? restio a citare metafore mitiche, la ritenne degna di menzione); e Meleagridi furono chiamati, pi? in gen?rale, gli uccelli che nidificavano numerosi nelPAcropoli e che ri chiamavano con immediatezza agli Ateniesi le immagini e i cori del Meleagro 33. A Velia, ricca di pioppi **, suscito invece maggiore im 28 Op. 568. Probabile reminiscenza esiodea in Mnesalc. Anth. Palat. IX 70. 29 Fr. 88 Bergk. 30 Od. XIX 518-523; Apollod. III 5,6. 31 Toia?Ta uivToi Eo<poxX??}? )apa?v?Tai ?v to?? TpaY^Siaiciv ?ui t?v Trjp?a (4i;. 100-101). 32 Rhet. III 3, 1406 b 16-19. 33 Hesych.: MeXeocyp?Se? opv?i?, ai ?v?u-ovco ?v t^ ?xpoitoXei. 5W.: M? X?aYP?8?c * opv?a, ?citep ?v?p,ovTO ?v xfi ?xporcoXei X?Youca 8? o? uiv tgc? ?SfiXcp?? toO M?X?aYPOu [xz-zct?aXzl^ ?i? tgc? u-?X?aYp?8a<; apvida? xtX. Phot. s.v. = Sud. 34 Cfr. L# porta di Parmenide cit. pp. 33-34. This content downloaded from 128.143.23.241 on Wed, 22 Jun 2016 10:52:17 UTC All use subject to http://about.jstor.org/terms   158 A. Capizzi pressione la metamorfosi delle Eliadi messa in scena da Eschilo: gli abitanti del centro campano cominciarono a chiamare "fanciulle Elia di" gli alberi che fiancheggiavano la Via del Nume, tanto che Par menide utilizz? Pimmagine mitizzata degli alberi per caratterizzare la "famosa via". Ma il fatto significativo ? che chiunque alludesse alle metafore popolari locali non mancava di riferirsi anche, pi? o meno apertamente, alle trag?die cui il suo uditorio riallacciava le metafore. Gorgia lo fece da oratore, dato che si rivolse alla rondine-Filomela "col pi? elevato tono dei tragici"35; Parmenide invece si comporto anche in questo da poeta, illuminando la met?fora popolare di origine eschilea con altre metafore tratte dai testi stessi di Eschilo, come Tuso di "xaX?-rcTpi?]" per "?ocpo?" e di "x??P" per "o?o?" e l'?vidente gioco sui doppio significato di "x?pa" ("testa" e "cima"36 che ritroviamo nella splendida immagine del verso 10: "xaX?-rcTpa" per "velo di t?n?bre" ? in effetti accertato come espressione eschilea37, mentre le immagini della trasformazione delle braccia in rami e della testa in cima frondosa sono anche nei versi dedicati aile Eliadi da Ovi dio 38, versi che nella parte finale (allorch? le sorelle si lamentano tutte insieme con un andamento che richiama i cori tragici)39 sembrano fortemente influenzati dalle Eliadi di Eschilo, dove le figlie del Sole costituivano appunto il coro. ? anche significativo come queste metafore popolari abbiano dato, in epoca pi? tarda, esiti assai simili: mentre i mitografi conti nuavano a narrare la metamorfosi senza discostarsi molto dalla versione tr?gica, gli scienziati attingevano ai nomi mitici per denominare ani mali o piante poco conosciuti. Il nome di Filomela, che i latini usa 35 aplata twv TpaYixwv (Arist. loe. cit.). Aristotele aveva coito bene l'al lusione perch? conosceva il testo del Tereo (cfr. Poet. 16, 1454 b 37). 36 Per x?pa significante "cima d'albero" cfr. Soph. fr. 23 Nauck. 37 Cfr. Choeph. &14. Ma va chiarito che i versi di Parmenide risentono con tinuamente di quelli di Eschilo: si cfr. per es. Eum. 516 con Parm. 1,25; Eum. 538-542 con Parm. 1,14; Prom. 210 con Parm. 8,53-54; Prom. 447 con Parm. 7,5; ecc. 38 Tertia cum crines manibus laniare pararet, avellit frondes. Haec stipite crura teneri, ilia dolet fieri longos sua brachia ramos (Met. II 350-352). 39 Parce, precor, mater, quaecumque est saucia clam?t, parce precor: nostrum laniatum in arbore corpus (ibidem, 361-362). This content downloaded from 128.143.23.241 on Wed, 22 Jun 2016 10:52:17 UTC All use subject to http://about.jstor.org/terms   Eliadi, Meleagridi, Pandionidi 159 vano come sin?nimo di "uccello"40 o pi? specificamente di "ron dine"41, venne dato dai naturalisti greci prima ad una specie di cuculo (la "filomela maggiore")42, poi per estensione al pesce-cuculo (trigla cuculus)43, cosi detto perch? si diceva emettesse un suono simile al canto delPuccello omonimo; e Pequivalenza tra "rondine" e "Pan dionide" fece si che la celidonia (la comune "erba da porri"), detta dai Greci per la sua forma "x^S?viov pi?Ya" {= "rondinella mag giore") venisse detta a volte anche "tcocvSlo? pt?oc"44, certamente, come ben vide Wellmann, corruzione di un originario "IlavSiovic; pi?a". "Uccello meleagride" fu, a cominciare da Aristotele45, e so prattutto dal suo discepolo Clito da Mileto, che ne fece una minuziosa descrizione46, il nome dato dagli ornitologi47 alla gallina faraona, e cio? a quello, tra gli uccelli comuni nelPAcropoli, che si riteneva ori ginario dall'Etolia48, sede del mito di Meleagro. Non ce dunque da stupirsi se, con un processo del tutto id?ntico, i botanici chiamarono "pioppo eliade"49 una certa variet? di quella pianta. L'unica differenza tra i miti di questo gruppo sta dunque nel fatto che i glossari e i trattati di retorica ci hanno trasmesso le meta fore popolari zoologiche di Atene e non quelle botaniche di Velia; e la ragione ? quella che deduciamo da Diogene Laerzio ^: la maggior notoriet? e anche la maggior presunzione (\xzyaka\)yi*v<) della metr?poli attica rispetto alia piccola e poco nota polis italiota, "capace solo di allevare uomini di valore". Ci? non ci impedisce pero di ritrovare 40 Qualis populea moerens philomela sub umbra amissos queritur fetus, quos durus ara tor observans nido implumes detraxit (Verg. Georg. IV 511-513). 41 "Mortalium penatibus fiducialis nidos philomela suspendit, et inter commanentium turbas pullos nutrit intr?pida" (Cassiod. Var. VIII 31). 42 Mey<xXtq (piXou//)Xa (Ptochoprodr. Ms. c. Hegumen.). 43 Aristot. Hist. anim. IV 9; Lexicon Ms. Cyrill. s.v.; Gloss, ad Oppian. Hal. s.v. K?xxuyEc. 44 [Diosc] De mat. med. II 180. 45 Hist. anim. VI 2, 559 a 25. 46 Riportata testualmente da Athen. XIV 655 B-E. 47 Diod. Ill 39,2; Paus. X 9,16; Pollux, V 90; Plin. N.H. X 26,74. 48 Menodot. Sam. ap. Athen. XIV 655 A. 4* ttqv T?pa?5a ai'YEipov (Philostr. V. Apoll. T. V 5,87). 50 IX 28. This content downloaded from 128.143.23.241 on Wed, 22 Jun 2016 10:52:17 UTC All use subject to http://about.jstor.org/terms   160 A. Capizzi quelle metafore nei versi del pi? illustre figlio di Velia, n? di rico noscerle come tali anche se in quei versi essa compare disgiunta dalla nota narrazione cui fa evidente riferimento.

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