E vostri alti pensier cedano un poco. -------Si che tra lor miei versi abbiano loco. 5 Orlando, che gran tempo innamorato Fu della bella Angelica, e per lei In India, in Media, in Tartaria lasciato Avei^ infiniti ed immortai trofei, In Ponente con essa era tornato. Dove sotto i gran monti Pirenei Con la gente di Francia e di Lamagna Re Carlo era attendato alla campagna, 6 Per far al re Marsilio e al re Agramante Battersi ancor del folle ardir la guancia, D'aver condotto, l'un, d'Aitìca quante Oenti erano atte a portar spada e lancia;
L'altro, d'aver spinta la Spagna innante
A destmzion del bel regno di Francia.
E così Orlando arrivò quivi a punto :
Ma tosto si pentì d' esservi giunto :
7 Che vi fu tolta la sua donna poi:
(Ecco il giudicio uman come spesso erra!)
Quella che dagli esperii ai liti eoi
Avea difesa con sì lunga guerra,
Or tolta gli è fra tanti amici suoi.
Senza spada adoprar, nella sua terra.
Il savio Imperator, ch'estinguer volse
Un grave incendio, fu che gli la tolse.
8 Nata pochi dì innanzi era una gara
Tra il conte Orlando e il suo cugin Rinaldo;
Che ambi avean per la bellezza rara
D'amoroso disio l'animo caldo.
Carlo, che non ave* tal lite cara,
Che gli rendea l'aiuto lor men saldo,
Questa donzella, che la causa n'era,
Tolse, e die in mano ai duca di Baviera;
9 In premio promettendola a quel d'essi.
Ch'in quel conflitto, in quella gran giojpata.
Degli Infeieli più copia uccidessi,
E di sua man prestasse opra più grata.
Contrari ai voti poi furo i successi;
Ch'in foga andò la gente battezzata,
E con molti altri fu'l Duca prigione,
E restò abbandonato il padiglione.
10 Dove poiché rimase la donzella
Ch'esser dovea del vincitor mercede,
Innanzi al caso era salita in sella,
E quando bisognò le spalle diede.
Presaga che quel giorno esser rubella
Dovea Fortuna alla cristiana Fede:
Entrò in un bosco, e nella stretta via
Rincontrò un cavalier eh' a pie venia.
11 Indosso la corazza, l'elmo in testa.
La spada al fianco, e in braccio avea lo scudo:
E più leggier correa per la foresta,
Ch'ai palio rosso il villan mezzo ignudo.
Timida pastorella mai sì presta
Non volse piede innanzi a serpe crudo.
Come Angelica tosto il freno torse,
Che del guerrier, eh' a pie venia, s'accòrse.
12 Era costui quel paladin gagliardo,
Figliuol d'Amon, signor di Montalbano,
A cui pur dianzi il suo destrìer Baiardo
Per strano caso uscito era di mano.
Come alla donna egli drizzò lo sguardo,
Riconobbe, quantunque di lontano,
L'angelico sembiante e quel bel volto
Ch'ali' amorose reti il tenea involto.
13 La donna il palafreno addietro volta ,
E per. la selva a tutta briglia il caccia ;
Né per la rara più che per la folta ,
La più sicura e miglior via procaccia:
Ma pallida , tremando , e di sé tolta ,
Lascia cura al destrìer che la via faccia.
Di su, di giù nell'alta selva fiera
Tanto girò , che venne a una riviera. 14 Su la riviera Ferraù ^rovoese
Di sudor pieno , e tutto polveroso.
Dalla battaglia dianzi io rimosse
Un gran disio di bere e di riposo:
E poi , mal grado suo , quivi fermosse :
Perchè , delP acqua ingordo e frettoloso ,
L* elmo nel fiume si lasciò cadere ,
Nò Tavea potuto anco riavere. 16 Quanto potea più forte , ne veniva
Gridando la donzella {spaventata.
A quella voce saita in su la riva
II Saracino , e nei viso la guata ;
E la conosce subito eh' arriva ,
Benché di timor pallida e turbata ,
E sien più di che non n'udì novella,
Che senza dubbio eli' è Angelica bella.
stanza 17 .
16 E perchè era cortese , e n' avea forse
Non men dei due cugini il petto caldo , L' aiuto che potea tutto le porse ,
Pur come avesse l' elmo , ardito e baldo :
Trasse la spada, e minacciando corse
Dove poco di Ini temea Rinaldo.
Più volte s' eran già non pur veduti ,
Ma al paragon dell' arme conosciuti.
17 Cominciar quivi una crudel battaglia,
Come a pie si trovar , coi brandi ignudi :
Non che le piastre e la minuta maglia,
Ma ai colpi lor non reggerian gì' incudi.
Or , mentre l' un con l' altro si travaglia ,
Bisogna al palafren che '1 passo studi ;
Che , quanto pud menar delle calcagna ,
Colei lo caccia al bosco e alla campagna.
18 Poi che s'aff&ticàr gran pezzo invano
I due guerrier per por l'un l'altro sotto:
Quando non meno era con l'arme in mano
Questo di quel, né quel di questo dotto;
Fu primiero il signor di Montalbano,
Ch'ai cavalier di Spagna fece motto.
Si come quel e' ha nel cuor tanto foco.
Che tutto n'arde e non ritrova loco.
19 Disse al pagan : Me sol creduto avrai ,
E pur avrai te meco ancora oifeso:
Se questo avvien perchè i fulgenti rai
Del nuovo Sol t' abbiano il petto acceso ,
Di farmi qui tardar che guadagno hai?
Che quando ancor tu m' abbi morto o preso ,
Non però tua la bella douna fia;
Che, mentre noi tardiam, se ne va via. SO Quanto fia meglio, amandola tu ancora,
Che ta le venga a traversar la strada,
A ritenerla farle far dimora.
Prima che più lontana se ne vada!
Come r avremo in potestate , allora
Di chi esser de' si provi con la spada.
Non so altrimente , dopo un lungo affeinno ,
Che possa riuscirci. altro che danno. 21 Al pagan la proposta non dispiacque:
Cosi fu differita la tenzone ;
E tal tregua tra lor subito nacque,
Sì r odio e r ira va in oblivione ,
Che '1 pagano al partir dalle fresche acque
Non lasciò a piedi il buon figlinol d'Amone;
Con preghi invita , e alfin lo toglie in groppa.
E per Torme d'Angelica galoppa.
22 . Oh gran bontà de' cavalieri antiqui !
Eran rivali , era n di fé diversi ,
E si sentian degli aspri colpi iniqui
Per tutta la persona anco dolersi;
Eppur per selve oscure e calli obliqui
Insieme van, senza sospetto aversi.
Da quattro sproni il destrier punto, arriva
Dove una strada in due si dipartiva. 23 E come quei che non sapean se Tuna
0 V altra via facesse la donzella ,
(Perocché senza differenzia alcuna
Apparia in amendue l'orma novella),
Si messero ad arbitrio di fortuna ,
Rinaldo a questa, il Saracino a quella.
Pel bosco Ferraù molto s* avvolse
E ritrovossi alfine onde si tolse.
24 Pur si ritrova ancor su la riviera,
Là dove l' elmo gli cascò neli' onde.
Poiché la donna ritrovar non spera ,
Per aver l' elmo che '1 fiume gli asconde ,
In quella parte , onde caduto gli era ,
Discende nell' estreme umide sponde :
Ma quello era si fitto nella sabbia.
Che molto avrà da far prima che V abbia.
25 Con un gran ramo d' albero rimondo ,
Di che avea fatto una pertica lunga ,
Tenta il fiume e ricerca sino al fondo ,
Né loco lascia ove non batta e punga.
Mentre con la maggior stizza del mondo
Tanto l' indugio suo quivi prolunga ,
Vede di mezzo il fiume un cavalìero
lusino al petto uscir, d'aspetto fiero.
2f) Era, fuorché la testa , tatto armato ,
Ed avea un elmo nella destra mano;
Avea il medesimo elmo che cercato
Da Ferraù fu lungamente invano.
A Ferraù parlò come adirato ,
E disse : Ah mancator di fé , marrano !
Perchè di lasciar V elmo anche t' aggrevi
Che render già gran tempo mi dovevi?
27 Ricordati , pagan , quando uccidesti D' Angelica il fratel , che son queir io :
Dietro ali* altre arme tu mi promettesti
Fra pochi -di gittar Telmo nel rio.
Or se Fortuna (quel che non volesti
Far tu) pone ad effetto il voler mio ,
Non ti turhar ; e se turbar ti dèi ,
Turbati che di fé mancato sei.
28 Ma se desir pur hai d'un elmo fino,
Trovane un altro, ed abbil con più onore;
Un tal ne porta Orlando paladino ,
Un tal Rinaldo , e forse anco migliore : L' un fti d' Almonte , e V altro di Mambrino : Acquista un di quei dui col tuo valore ;
E questo , e' hai già di lasciarmi detto ,
Farai bene a lasciarmelo in effetto.
32 Non molto va Rinaldo , che si vede
Saltare innanzi il suo destrier feroce :
Ferma , Baiardo mio , deh ferma il piede !
Che Tesser senza te troppo mi nuoce.
Per questo il destrier sordo a lui non riede,
Anzi più se ne va sempre veloce.
Segue Rinaldo , e dMra si distrugge :
Ma seguitiamo Angelica che fogge.
33 Fugge tra selve spaventose e scure ,
Per lochi inabitati, ermi e selvaggi.
Il mover delle frondi e di verzure ,
Che di Cerri sentia , d' olmi e di faggi ,
Fatto le avea con subite paure
Trovar di qua e di là strani viaggi ;
Ch' ad ogni ombra veduta o in monte o in valle,
Temea Rinaldo aver sempre alle spalle.
34 Qnal pargoletta damma o capriola ,
Che tra le fronde del natio boschetto
Alla madre veduta abbia la gola
Stringer dal pardo, e aprirle *1 fianco o '1 petto,
Di selva in selva dal crudel s* invola ,
E di paura trema e di sospetto ;
Ad ogni sterpo che passando tocca.
Esser si crede all^ empia fera in bocca.
29 All'apparir che fece all'improvviso
Dell' acqua l' ombra , ogni pelo arricciosse ,
E scolorosse al Saracino il viso:
La voce , eh' era per uscir, fermosse
Udendo poi dall' Argalia , eh' ucciso
Quivi avea già (che l' Argalia nomosse),
La rotta fede cosd improverarse ,
Di scorno e d*ira dentro e di fuor arse.
30 Né tempo avendo a pensar altra scusa,
E conoscendo ben che '1 ver gli disse ,
Restò senza risposta a bocca chia^;
Ma ]a vergogna il cor si gli trafisse ,
Che giurò per la vita di Lanfdsa
Non voler mai ch'altro elmo lo coprisse,
Se non quel buono che già in Aspramente
Trasse del capo Orlando al fiero Almonte.
31 E servò meglio questo gi\iTamento ,
Che non avea quell'altro fatto prima.
Quindi si parte tanto mal contento ,
Che molti giorni poi si rode e lima.
Sol di cercare è il Paladino intento
Di qua di là, dove trovarlo stima.
Altra ventura al buon Rinaldo accade ,
Che da costui tenea diverse strade.
35 Quel dì e la notte e mezzo l'altro giorno
S'andò aggirando, e non sapeva dove:
Trovossi alfin in un boschetto adomo .
Che lievemente la fresca aura move ;
Dui chiari rivi mormorando intorno ,
Sempre l' erbe vi &n tenere e nove ;
E rendea ad ascoltar dolce concento ,
Rotto tra picciol sassi, il correr lento.
36 Quivi parendo a lei d'esser sicura,
E lontana a Rinaldo mille miglia ,
Dalla vìa stanca e dall' estiva arsura ,
Di riposare alquanto si consiglia ;
Tra' fiori smonta, e lascia alla pastura
Andare il palafìren senza la briglia;
E quel va errando intomo alle chiare onde,
Che di fresca erba avean piene le sponde.
37 Ecco non lungi un bel cespuglio vede
Di spin fioriti e di vermiglie rose.
Che delle liquide onde al specchio siede ,
Chiuso dal Sol fra P alte quercie ombrose ;
Co^ vóto nel mezzo , che concede
Fresca stanza fra l' ombre più nascose ;
E la foglia coi rami in modo è mista.
Che '1 Sol non v'entra, non che minor vista.
£8 Dentro letto vi fan tenere erbette ,
Ch' invitano a posar chi s' appresenta.
La bella donna in mezzo a quel si mette;
Ivi si corca, ed ivi s'addormenta.
Ma non per lungo spazio cosi stette,
Che un calpestio le par che venir senta.
Cheta si lieva e appresso alla ri vera
Vede ch'armato un cavalier giunt'era.
39 S' egli è amico o nemico non comprende ;
Tema e speranza il dubbio cor le scuote;
E di quella avventura il fine attende,
Né pur d'un sol sospir l'aria percuote.
Il cavaliero in riva al fiume scende
Sopra l' un braccio a riposar le gote ;
Ed in un gran pensier tanto penetra,
Che par cangiato in insensibil pietra.
40 Pensoso più d' un' ora a capo basso
Stette, Signore, il cavalier dolente;
Poi cominciò con suono afflìtto e lasso,
A lamentarsi si soavemente,
Ch'avrebbe di pietà spezzato un sasso.
Una tigre crudel fatta clemente :
Sospirando piangea tal eh' un ruscello
Parean le guancie , e 'i petto un Mòugibello.
41 Pensier, dicea, che'l cor m'agghiacci ed ardi,
E causi '1 duol che sempre il rode e lima,
Che debbo far poich' io son giunto tardi ,
E ch'altri a córre il frutto è andato prima?
Appena avuto io n'ho parole e sguardi.
Ed altri n'ha tutta la spoglia opima.
Se non ne tocca a me frutto né fiore.
Perchè affligger per lei mi vo'più il core?
42 La verginella é simile alla rosa
Ch'in bel giardin su la nativa spina.
Mentre sola e sicura si riposa.
Né gregge né pastor se le avvicina;
L'aura soave e l'alba rugiadosa, L' acqua, la terra al suo favor s' inchina :
Gioveni vaghi e donne innamorate
Amanu averne e seni e tempie ornate.
43 Ma non si tosto dal materno stelo
Rimossa viene e dal suo ceppo verde.
Che quanto avea dagli uomini e dal cielo
Favor, grazia e bellezza, tutto perde.
La vergine che '1 fior, di che più zelo
Che de' begli occhi e della vita aver de'.
Lascia altnd corre, il pregio eh' avea innanti,
Perde nel cor di tutti gli altri amanti.
44 Sii vile agli altri, e da quel solo amata,
A cui di sé fece si larga copia.
Ah Fortuna crudel. Fortuna ingrata!
Trionfan gli altri, e ne moro io d'inopia.
Dunque esser. può che non mi sia più grata?
Dunque io posso lasciar mia vita propìa?
Ah piuttosto oggi manchino i di miei,
Ch' io viva più , s' amar non debbo lei !
45 Se mi dimanda alcun chi costui sia ,
Che versa sopra il rio lacrime tante ,
Io dirò ch'egli é il re di Circassia,
Quel d' amor travagliato Sacripante :
Io dirò ancor, che di sua pena ria
Sia prima e sola causa essere amante,
E pur un degli amanti di costei:
E ben riconosciuto fa da lei.
46 Appresso ove il Sol cade, per suo amore
Venuto era dal capo d' Oriente ;
Cile seppe in India con suo gran dolore,
Come ella Orlando seguitò in Ponente:
Poi seppe in Francia, che l'Imperatore
Sequestrata l'avea dall'altra geiite, E promessa in mercede a chi di Icfro
Più quel giorno aiutasse i Gigli d' oro.
47 Stato era in campo, avea veduta quella,
Quella rotta che dianzi ebbe re Carlo.
Cercò vestigio d' Angelica bella ,
Né potuto avea ancora ritrovarlo.
Questa è dunque la trista e ria novella
Che d' amorosa doglia fa penarlo ,
Affligger , lamentare , e dir parole
Che di pietà potrian fermare il Sole.
48 Mentre costui cosi s' affligge e duole ,
E fa degli occhi suoi tepida fonte,
E dice queste e molte altre parole ,
Che non mi par bisogno esser racconte ;
L'avventurosa sua fortuna vuole
Ch'alle orecchie d'Angelica sian conte:
E cosi quel ne viene a un'ora, a un punto,
Ch'in mille anni o mai più non è raggiunto.
49 Con molta attenzion la bella donna
Al pianto, alle parole, al modo attende
Di colui eh' in amarla non assonna ;
Né questo é il primo di eh' ella l' intende :
Ma, dura e fredda più d'una colonna,
Ad averne pietà non però scende:
Come colei e' ha tutto il mondo a sdegno
^' non le par eh' alcun sia di lei degno.
50 Par tra quei boschi il ritrovarsi sola
Le f& pensar di tor costui per guida
Che chi nell'acqua sta fin alla gola,
Ben è ostinato se mercè non grida.
Se questa occasione or se V invola ,
Non troverà mai più scorta si fida;
Ch'a lunga prova conosciuto innante
S'avea quel re fedel sopra ogni amante.
51 Ma non però disegna dell* afi^nno,
Che lo distrugge, alleggerir chi Fama,
£ ristorar d'ogni passato danno
Con quel piacer eh' ogni amator più brama :
Ma alcuna fizì'one , alcuno inganno
Di tenerlo in speranza ordisce e trama ;
Tanto ch'ai suo bisogno se ne serva,
Poi tomi all' uso suo dura e proterva.
52 E fuor di quel cespuglio oscuro e cieco
Fa di sé bella ed improvvisa mostra ,
Come di selva o fuor d'ombroso speco
Diana in scena , o Citerea si mostra ;
E dice all' apparir : Pace sia teco ;
Teco difenda Dio la fama nostra,
E non comporti , contro ogni ragione ,
Ch'abbi di me si falsa opinione.
53 Non mai con tanto gaudio o stupor tanto
Levò gli occhi al figliuolo alcuna madre ,
Ch' avea per morto sospirato e pianto ,
Poi che senza esso udì tornar le squadre ;
Con quanto gaudio il Saracin, con quanto
Stupor r alta presenza , e le leggiadre
Maniere, e vero angelico sembiante.
Improvviso apparir si vide innante.
54 Pieno di dolce e d' amoroso affetto ,
Alla sua donna , alla sua Diva corse ,
Che con le braccia al collo il tenne stretto ,
Quel eh' al Catai non avria fatto forse.
Al patrio regno , al suo natio ricetto ,
Seco avendo costai, l'animo torse:
Subito in lei s'avviva la speranza
Di tosto riveder sua ricca stanza.
5.5 Ella gli rende conto pienamente
Dal giorno che mandato fii da lei
A domandar soccorso in Oriente
Al Re de'Sericani Nabatei;
E come Orlando la guardò sovente
Da morte, da diraor, da casi rei;
E che 1 fior virginal cosi avea salvo ,
Come se lo portò del materno alvo.
66 Forse era ver, ma non però credibile
A chi del senso suo fosse signore;
Ma parve facilmente a lui possibile ,
Ch'era perduto in via più grave errore.
Quel che l' uom vede , Amor gli fa invisibile ,
E l'invisibil fo veder Amore.
Questo creduto fii; che'l miser suole
Dar facile credenza a quel che vuole.
57 Se mal si seppe il Cavalier d'Anglante
Pigliar per sua sciocchezza il tempo buono ,
Il danno se ne avrà; che da qui innante
Noi chiamerà Fortuna a si gran dono ;
(Tra sé tacito parla Sacripante)
Ma io per imitarlo già non sono ,
Che lasci tanto ben che m'è concesso,
E eh' a doler poi m'abbia di me stesso.
58 Corrò la fresca e mattutina rosa ,
Che , tardando , stagion perder potria.
So ben eh' a donna non si può far cosa
Che più soave e più piacevol sia ,
Ancorché se ne mostri disdegnosa,
E talor mesta e flebìl se ne stia :
Non starò per repulsa o finto sdegno ,
Ch'io non adombri e incarni il mio disegno.
59 Cosi dice egli; e mentre s'apparecchia
Al dolce assalto , un gran ramor che suona
Dal vicin bosco , gì' introna l' orecchia
Sì, che mal grado l' impresa abbandona ,
E si pon l' elmo ; eh' avea usanza vecchia
Di portar sempre armata la persona.
Viene al destriero , e gli ripon la briglia :
Rimonta in sella, e la sua lancia -piglia.
60 Ecco pel bosco un cavalier venire,
Il cui sembiante è d' uom gagliardo e fiero :
Candido come neve è il suo vestire.
Un bianco pennoncello ha per cimiero.
Re Sacripanter, che non può patire
Che quel con l'importuno suo sentiero
Gli abbia interrotto il gran piacer eh' avea ,
Con vista il guarda disdegnosa e rea.
61 Come è più appresso, io sfida a battaglia;
Che crede ben fargli votar l'arcione.
Quel , che di lui non stimo già che vaglia
Un grano meno, e ne fa paragone,
L'orgogliose minacce a mezzo taglia,
Sprona a un tempo , e la lancia in resta pone.
Sacripante ritorna con tempesta,
E corronsi a ferir testa per testa.
62 Non 8i vanno i leoni o i tori in salto
A dar di petto , ad accozzar si erodi,
Come li dni gnerrìerì al fiero assalto,
Che parimente si pass&r li scndi.
Fe^ lo scontro tremar dal basso all' alto
L' erbose valli insino ai poggi ignndi ;
E ben giovò che far bnoni e perfetti
Gli usberghi si , che lor salvare i petti.
stanza 68.
63 Già non fero i cavalli un correr torto,
Anzi cozzaro a guisa di montoni.
Quel del guerrier pagan morì di corto,
Ch' era vivendo in numero de' buoni :
Queir altro cadde ancor; ma^fii risorto
Tosto ch'ai fianco si sentì li sproni.
Quel del Re saracin restò disteso
Addosso al suo signor con tutto il peso.
64 V incognito campion che restò ritto ,
E vide l'altro col cavallo in terra.
Stimando avere assai di quel conflitto,
Non si curò di rinnovar la guerra ;
Ma dove per la selva è il cammin dritto ,
Correndo a tutta briglia , si disserra ;
E , prima che di briga esca il Pagano ,
Un miglio 0 poco meno è già lontano
65 Qual istordito e stupido aratore ,
Poi eh' è passato il fdhnine, si lieva
Di là dove l' altissimo firagore
Presso alli morti buoi steso l' aveva ;
Che mira senza fronde e senza onore ^
n pin che di loutan veder soleva :
Tal si levò il Pagano a pie rimase,
Angelica presente al duro caso.
66 Sospira e geme , non perchè 1' annoi
Che piede o braccio s' abbia rotto o mosso ,
Ma per vergogna sola , onde a' di suoi
Né pria né dopo il viso ebbe si rosso ;
E più , ch'oltra il cader, sua donna poi
Fu che gli tolse il gran peso d'addosso.
Muto restava , mi cred' io , se quella
Non gli rendea la voce e la favella.
67 Deh ! disse ella , signor , non vi rincresca ;
Che del cader non è la colpa vostra ,
Ma del cavallo a cui riposo ed esca
Meglio si convenia , che nuova giostra.
Né perciò quel guerrier sua gloria accresca ;
Che d'esser stato il perditor dimostra.
Così , per quel eh' io me ne sappia , stimo ,
Quando a lasciar il campo è stato il primo.
6B Mentre costei conforta il Saracino,
Ecco , col corno e con la tasca al fianco.
Galoppando venir sopra un ronzino
Un messaggier che parca afflitto e stanco ;
Che come a Sacripante fu vicino.
Gli domandò se con lo scudo bianco,
E con un bianco pennoncello in testa
Vide un guerrier passar per la foresta.
69 Rispose Sacripante : Come vedi ,
*M'ha qui abbattuto , e se ne parte or ora ;
E perch' io sappia chi m' ha messo a piedi ,
Fa che per nome io lo conosca ancora.
Ed egli a lui: Di quel che tu mi chiedi,
10 ti satisfarò senza dimora:
Tu dèi saper che ti levò di sella
L'alto valor d'una gentil donzella.
70 Ella é gagliarda , ed é più bella molto ;
Né il suo famoso nome anco t'ascondo:
Fu Bradamante quella che t' ha tolto
Quanto onor mai tu guadagnasti al mondo.
Poich' ebbe così detto a freno sciolto
11 Saracin lasciò poco giocondo.
Che non sa che si dica o che si faccia,
Tutto avvampato di vergogna in faccia.
71 Poi che gran pezzo al caso intervenuto
Ebbe pensato invano , e finalmente
Si trovò da una femmina abbattuto ,
Che pensandovi più, più dolor sente;
Montò r altro destrier tacito e muto :
E senza far parola , chetamente
Tolse Angelica in groppa, e differilla
A più lieto uso , a stanza più tranquilla.
72 Non foro iti duo miglia, che sonare
Odon la selva, che li cinge intx)mo,
Con tal rumor e strepito , che pare
Che tremi la foresta d' ogn' intomo ;
E poco dopo un gran destrier n' appare ,
D' oro guemito e riccamente adomo ,
Che salta macchie e rivi , ed a fracasso
Arbori mena e ciò che vieta il passo. Stanza 74.
73 Se r intricati rami e V aer fosco ,
Disse la donna , agli occhi non contende ,
Baiardo è quel destrier che in mezzo al bosco
Con tal ramor la chiusa via si fende.
Questo è certo Baiardo : io '1 riconosco :
Deh come ben nostro bisogno intende !
Ch' un sol ronzin per dui saria mal atto ;
E ne vien egli a satisfarci ratto.
74 Smonta il Circasso , ed al destrier s^accosta
E si pensava dar di mano al freno.
Colle groppe il destrier gli fa risposta,
Che fu presto al girar come un baleno;
Ma non arriva dove i calci apposta ;
Misero il cavalier se giungea appieno !
Che ne* calci tal possa avea il cavallo ,
Ch* avria spezzato un monte di metallo.
75 Indi Ta mansueto alla donzella ,
Con umile sembiante e gesto umano ,
Come intorno al padrone il can salteUa ,
Che sia due giorni o tre stato lontano.
Baiardo ancora avea memoria d'ella,
Ch' in Albracca il servia già di sua mano
Nel tempo che da lei tanto era amato
Rinaldo, allor crudele, allora ingrato.
78 E questo hanno causato due fontane
Che di diverso effetto hanno liquore ,
Ambe in Ardenna , e non sono lontane :
D'amoroso disio Tuna empie il core;
Chi bee de V altra senza amor rimane ,
E volge tutto in ghiaccio il primo ardore.
Rinaldo gustò d'una, e amor lo struse;
Angelica de V altra : l' odia e fugge.
76 Con la sinistra man prende la briglia ,
Con r altra tocca e palpa il collo e il petto.
Quel destrier , eh' avea ingegno a maraviglia,
A lei , come un agnel , si fa suggetto.
Intanto Sacripante il tempo piglia:
Monta Baiardo , e l'urta e lo tien stretto.
Del ronzin disgravato la donzella
Lascia la groppa , e si ripone in sella.
79 Quel liquor di secreto venen misto ,
Che muta in odio l' amorosa cura ,
Fa che la donna che Rinaldo ha visto ,
Nei sereni occhi subito s'oscura;
E con voce tremante e viso tristo
Supplica Sacripante e lo scongiura
Che quel guerrier più appresso non attenda .
Ma eh' insieme con lei la fuga prenda.
77 Poi rivolgendo a caso gli occhi , mira ,
Venir sonando d'arme un gran pedone.
Tutta s'avvampa di dispetto e d'ira;
Che conosce il figliuol del duca Amone.
Più che sua vita l' ama egli e desira ;
L' odia e fugge ella più che gru falcone.
Già fd eh' esso odiò lei più che la morte ;
Ella amò lui: or han cangiato sorte.
80 Son dunque , disse il Saracino , sono
Dunque in si poco credito con voi ,
Che mi stimiate inutile , e non buono
Da potervi difender da costui!
Le battaglie d' Albracca già vi sono
Di mente uscite , e la notte eh' io fui
Per la saluta vostra , solo e nudo ,
Contro Agricane e tutto il campo , scudo ?
81 Non rispond' ella , e non sa che si faccia ,
Perchè Rinaldo ormai 1' è troppo appresso ,
Che da lontano ai Saradn. minaccia ,
Come vide il cavallo e conobb' esso ,
E riconobbe l'angelica faccia
Che l'amoroso incendio in cor gli ha messo.
Quel che segui tra questi due superbi
Vo'che per l'altro Canto si riserbi.
NOTE. St. 1. — L'Ariosto si propone di narrare la gaerra Ara Carlo Magno e Agramante re d* AfHca , argomeuto
di antiche leggende e di romanzi cavaUeresohi. Ascri-
vere ai tempi di Carlo Magno le geste e le avventure
di cavalleria eh' egli vuol raccontare , proprie solo
ai secoli dopo il 100, ò un anacronismo; ma a poeti
come l'Ariosto è lecito. — v. 4. L'Ariosto immagina che
i Mori invadessero la Francia ai tempi di Carlo Magno.
Anche questa ò favola. — v. 6. Agramante, re dei Mori,
che . secondo la leggenda , cinse d' assedio Parigi. —
V. 7. Trojano, padre d' Agramante. Egli era stato ucciso
dal paladino Orlando. — v. 8. Re Carlo, Carlo Magno.
St. 2. V. 1. — Orlando o Rolando, era prefetto delle
frontiere di Bretagna: fu ucciso in Roncisvalle; sup-
ponesi figlio di Milone conte di Anglante.
St. 3. — Qui si contiene la dedica del Poema al car-
dinale Ippolito d'Este, figlio di Ercole I, secondo duca
di Ferrara; nella corte del quale porporato visse il
Poeta.
St. 5. — Suir innamoramento di Orlando e sulle im-
prese di lui in varie parti dell' Asia ò da vedersi il
poema del Boiardo. Qui basti il dire che Angelica e
suo fratello Argalia , figli di Galafrone re del Cataio
(paese ora riconosciuto nelle sette provinole settentrio-
nali dell* impero chinese) , fìurono mandati dal padre in
Francia, afflnohò, per forza o per inganno, gli conduces-
sero presi i paladini di Carlo. Angelica era fornita di
somma bellezza e di arti astate a dovizia ; il fratello
aveva Tarmatora fatata, una lancia d'oro ohe atterrava
chiunque ne fosse toccato ; il cavallo Babicano più ve-
loce del vento e cibantesl d' aria ; finalmente un anello
che tenuto in bocca, rendeva invisibile la persona, e por-
tato in dito disfaceva ogni altro incantesimo. Queste
cose favoleggiate dal Boiardo si notano qui , per non
avere a ripeterle altrove.
St. 6. y. 1-2. — Marsilio , rappresentato nel Poema
come re di Gastiglia , è personaggio finto dai roman-
zieri , òhe cosi nominarono un governatore dato a Sa-
ragozza dal re 0 califo di Cordova, Abderamo Emir
el Monmen]rm , voce convertita dagli Italiani in Hira-
molino.
St. a y. 1-d. — Binaldo, uno dei paladini di Carlo, ò
detto cugino di Orlando, perchè, secondo la genealogia
degli eroi romantici , nacque da Aymon o Amone di
Darbena e da Beatrice figlia di Namo duca di Baviera.
Amone poi, nato da un Bernardo di Chiaramonte della
stirpe dei Beali di Francia, era fratello di Milone d'An-
glante.
St. 12. y. 1-4. — Rinaldo cioè, la cui famiglia aveva
in signoria il castello di Hontalbano (Montauban) in
Linguadoca, e vi faceva ordinaria residenza.
St. 13. y. 1-6. — n motivo del precipitoso fuggire di
Angelica da Rinaldo era una insuperabile avversione
per lui, di che si conoscerà il motivo nella St 78.
St. 14. y. 1-8. — Ferraù o Ferraguto denotarono i ro-
manzieri come figliuolo di Marsilio. Era costui fortis-
simo pagano, spagnolo.
St. 19. y. 34. — Lafirase fulgenti rai del nuovo Sol
allude alla somma bellezza d*Angelica.
St. 26. y. 6. — Marrano o Marano , voce ingiuriosa
che sapponesi di origine arabo-ispana, e vuol dire : aleale
o maneator di parola. Secondo alcuni, voleva dire, in
ispagnolo: porco d'un anno.
St. 28. y. 5. — In un poema intitolato Aspromonte
e pubblicato la prima volta in Firenze nel 1504, si trova
che Orlando , per vendicare la morte di suo padre uc-
ciso da Almonte , spense costui in duello e gli tolse
l'elmo con l'armatura incantata, il cavallo Brigliadoro
e la spada Durindana, Un altro romanzo , che ha per
titolo Innamoramento di RinaldOj parla di un pagano
Mambrino , venuto con un esercito contro Carlo , e uc-
ciso in battaglia da Rinaldo che si appropriò Telmo di lui
St. 80. v. 5. — Lanfbsa, madre di Ferrati — v. 7. Aspra-
mente, castello antico de* Pirenei.
St. 88. y. & — Nella St. 45 svelasi essere costui Sa-
cripante re dei Circassi, amante di Angelica.
St. 55. y. 4. — è probabile che qui si accennino i
Seri (Seres) degli antichi, oggi conosciuti sotto il nome
di Tartari Bodgesi. Nabatei , eran detti propriamente
gli abitanti dell'Arabia intomo al Mar Rosso ; ma dai
poeti si prendono talora per i popoli tutti dell'Oriente,
come qui nell'Ariosto.
St. 57. y. 1. — Sacripante allude a Orlando.
St. 81. y. 2-7. — Far vuotar Varetone significa toglier
di sella, scavalcare. •— Dicesi resta un ferro attaccato
al petto dell' armadura del cavaliere . ove si accomoda
il calce della lancia per colpire.
St. 70. y. 3. — Bradamante, sorella di Rinaldo, figlia
naturale del duca.
St. 78. y. 1-3. — Fontane d'Ardenna; selva ch'era la
scena favorita delle avventure romantiche.
St. 80. — Le battaglie d' Albracea, Àlbraeca , terra
forte , dove s' era rinchiusa Angelica per non venire in
mano del re Agricane, che n'era mirabilmente invaghito.
Agricane vi si pone a campo. Sacripante difende Ange-
lica. Malconcio dalle ferite è costretto a ritirarsi nella
rocca. Continuando gli assalti, Agricane nell'impeto del-
rinseguire il nemico, rimane chiuso nella terra con tre-
cento cavalieri : mena tutto a fracasso. Sacripante ch'ò
in letto, chiesta e saputa la cagione del rumore levato
nella terra, si alza sebbene infermo e uccide 1 trecento
cavalieri nemici, e costringe Agricane a ritrarsi.
stanza 3.
CANTO SECONDO.
ABGOMBNTO.
Mentre Rinald 3 e Sacripante combattono fra di loro per Baiardo, Angelica sempre fugante trova nella selva un
romito, il (juale con arte maf^ca fa che cessi la pugna dei due guerrieri. Rinaldo monta Baiardo • va in Parigi, Ji
dove Carlo lo manda in Inghilterra. Bradamante , andando in cerca di Ruggero , si avviene in Pinabello di
Maganza, che, con racconto in part-e mentito, e con animo di darle morte, la fa precipitare in nna caverna.
l Ingiustissimo Amor, perchè si raro
Corrispondenti fai nostri disiri?
Onde, perfido, avvien che t'è si caro
Il discorde voler ch'in dui cor miri?
Ir non mi lasci al facil guado e chiaro,
E nel più cieco e maggior fondo tiri :
Da chi disia il mio amor tu mi richiami,
E chi m'ha in odio vuoi ch'adori ed ami.
Rinaldo al Saracin con molto orgoglio
Gridò : Scendi , ladron , del mio cavallo :
Che mi sia tolto il mio, patir non soglio ;
Ma ben fo , a chi lo vuol , caro costallo :
E levar questa donna anco ti voglio ;
Che sarebbe a lasciartela gran ftJlo.
Sì perfetto destrier, donna sì degna
A un ladron non mi par che si convegna.
2 Fai ch'a Rinaldo Angelica par bella.
Quando esso a lei brutto e spiacevol pare.
Quando le parea bello e l'amava ella,
Egli odiò lei quanto si può più odiare.
Ora s'affligge indarno e si flagella:
Cosi renduto ben gli è pare a pare.
Ella l'ha in odio: e l'odio è di tal sorte,
Che piuttosto che lui vorria la morte.
Tu te ne menti che ladrone io sia,
Rispose il Saracin non meno altiero:
Chi dicesse a te ladro, lo diria
(Quanto io n' odo per fama) più con vero.
La pruova or si vedrà, chi di noi sia
Più degno de la donna e del destriero;
Benché, quanto a lei, teco io mi convegna
Che non è cosa al mondo altra sì degna.
stanza 2ó.
Come soglion talor dui can mordenti,
O per invidia o per altro odio mossi,
Avvicinarsi digrignando i denti,
Con occhi bieci e più che bracia rossi ;
Indi ammorsi venir, di rabbia ardenti.
Con aspri ringhi e rabbuffati dossi:
Cosi alle spade e dai gridi e dall'onte
Venne il Circasso e quel di Chiaramonte.
6 A piedi è Pan, P altro a cavallo: or quale
Credete ch'abbia il Saracin vantaggio ?
Né ve n' ha però alcun ; che così vale
Forse ancor men eh' uno inesperto paggio :
Che '1 destrier , per istinto naturale ,
Non volea far al suo signor oltraggio :
Né con man né con spron .potea il Circasso
Farlo a volontà sua mover mai passo.
7 Quando crede cacciarlo, egli s^ arresta;
E se tener lo vuole, o corre o trotta:
Poi sotto il petto si caccia la testa,
Giucca di schiene, e mena calci in frotta.
Vedendo il Saradn eh' a domar questa
Bestia superha era mal tempo allotta,
Ferma le man sul primo arcione e s'alza,
E dal sinistro fianco in piede shalza.
8 Sciolto che fu il Pagan con leggier salto
Dair ostinata furia di Baiardo,
Si vide cominciar hen degno assalto
D'un par di cavalier tanto gagliardo.
Suona l'un hrando e l'altro, or hasso, or alto :
Il martel di Vulcano era più tardo
Nella spelonca affumicata, dove
Battea all'incude i folgori di Giove.
9 Fanno or con lunghi , ora con finti e scarsi
Colpi veder che mastri son del giuoco:
Or li vedi ire altieri , or rannicchiarsi ;
Ora coprirsi , ora mostrarsi un poco ;
Ora crescer innanzi , ora ritrarsi ;
Ribatter colpi, e spesso lor dar loco;
Girarsi intomo; e donde l'uno cede,
L* altro aver posto immantinente il piede.
10 Ecco Rinaldo con la spada addosso
A Sacripante tutto s'ablMindona;
E quel porge lo scudo ch'era d'osso.
Con la piastra d'acciar temprata e buona.
Tagliai Fusberta, ancorché molto grosso :
Ne geme la foresta e ne risuona.
L'osso e Tacciar ne va che par di ghiaccio,
E lascia al Saracin stordito il braccio.
13 Dagli anni e dal digiuno attenuato.
Sopra un lento asinel se ne veniva ;
E parca, più ch'alcun fosse mai stato,
Di consci'enza scrupolosa e schiva.
Come egli vide il viso delicato
Della donzella che sopra gli arriva,
Debil quantunque e mal gagliarda fosse,
Tutta per carità se gli commosse.
11 Come vide la timida donzella
Dal fiero colpo uscir tanta mina.
Per gran timor cangiò la faccia bella,
Qual il reo ch'ai supplicio s'avvicina: '
Né le par che vi sia da tardar, s'ella
Non vuol di quel Rinaldo esser rapina.
Di quel Rinaldo ch'ella tanto odiava.
Quanto esso lei m'seramente amava.
12 Volta il cavallo, e nella selva folta
Lo caccia per un aspro e stretto calle ;
E spesso il viso smorto addietro volta.
Che le par che Rinaldo abbia alle spalle.
Fuggendo non avea fatto via molta.
Che scontrò un Eremita in una valle,
Ch'avea lunga la barba, a mezzo il petto,
Devoto e venerabile d'aspetto.
14 La donna al f^aticel chiede la via
Che la conduca ad un porto di mare,
Perché levar di Francia si vorria ,
Per non udir Rinaldo nominare.
Il frate, che sapea negromanzia,
Non cessa la donzella confortare,
Che presto la trarrà d'ogni periglio;
Et ad una sua tasca die di piglio.
15 Trassene un libro, e mostrò grande effetto;
Che legger non fini la prima faccia ,
Ch'uscir fa un spirto in forma di valletto,
E gli comanda quanto vuol che faccia.
Quel se ne va, da la scrittura astretto.
Dove i dui cavalieri a faccia a faccia
Eran nel bosco, e non stavano al rezzo;
Fra' quali entrò con grande audacia in mezzo.
lt> Per cortesia, disse, un di yoi mi mostre,
Quando anco uccida l'altro, che gli vaglia:
Che merto avrete alle fatiche vostre,
Finita che tra voi sia la battaglia,
Se '1 conte Orlando senza liti o giostre,
S senza pur aver rotta una maglia,
Verso Parigi mena la donzella
Che v'ha condotti a questa pugna fella?
17 Vicino un miglio ho ritrovato Orlando
Che ne va con Angelica a Parigi,
Di voi ridendo insieme, e motteggiando
Che senza frutto alcun siate in litigi.
Il meglio forse vi sarebbe, or quando
Non son più lungi, a seguir lor vestigi;
Che s'in Parigi Orlando la può avere,
Non ve la lascia mai più rivedere.
18 Veduto avreste i cavalier turbarsi
A quell'annunzio; e mesti e sbigottiti.
Senza occhi e senza mente nominarsi.
Che gli avesse il rivai cosi scherniti;
Ma il buon Rinaldo al suo cavallo trarsi
Con sospir che parean del faoco usciti,
E giurar per isdegno e per farore,
Se giungea Orlando, di cavargli il core.
19 E dove aspetta il suo Baiardo, passa,
E sopra vi si lancia, e via galoppa;
Né al cavalier, ch'a pie nel bosco lassa.
Pur dice addio, non che lo 'nviti in groppa.
L'animoso cavallo urta e fracassa.
Punto dal suo signor, ciò ch'egli 'ntoppa:
Non ponno fosse o fiumi o sassi o spine
Far che dal corso il corridor decline.
22 Bramoso di ritrarlo ove fosse ella,
Per la gran selva innanzi se gli messe;
Né lo volea lasciar montare in sella,
Perchè ad altro cammin non lo volgesse.
Per lui trovò Rinaldo la donzella
Una. e due volte, e mai non gli successe,
Che fu da Perraù prima impedito.
Poi dal Circasso, come avete udito.
23 Ora al demonio che mostrò a Rinaldo
Della donzella li falsi vestigi.
Credette Baiardo anco, e stette saldo
E mansueto ai soliti servigi.
Rinaldo il caccia, d'ira e d'amor caldo,
A tutta briglia, e sempre invér Parigi;
E vola tanto col disfo, che lento.
Non eh' un destrier, ma gli parrebbe il vento
24 La notte a pena di seguir rimane
Per affrontarsi col signor d'Anglante;
Tanto ha creduto alle parole vane
Del messaggier del cauto Negromante.
Non cessa cavalcar sera e dimane.
Che si vede apparir la terra avante.
Dove re Carlo, rotto e mal condutto.
Con le reliquie sue s'era ridutto:
25 E perchè dd re d'Africa battaglia
Ed assedio v'aspetta, usa gran cura
A raccor buona gente e vettovaglia.
Far cavamenti e riparar le mura.
Ciò eh' a difesa spera che gli vaglia.
Senza gran differir, tutto procura:
Pensa mandare in Inghilterra, e trame
Gente, onde possa un novo campo fìEtme:
20 Signor, non voglio che vi paia strano.
Se Rinaldo or si tosto il destrier piglia,
Che già più giorni ha seguitato invano.
Né gli ha potuto mai toccar la briglia.
Fece il destrier, ch'avea intelletto umano.
Non per vizio seguirsi tante miglia.
Ma per guidar, dove la donna giva,
n suo signor, da chi bramar l'udiva.
21 Quando ella si friggi dal padiglione.
La vide ed appostolla il buon destriero.
Che si trovava aver vóto l'arcione.
Perocché n'era sceso il cavaliere
Per combatter di par con un Barone
Che men di lui non era in arme fiero;
Poi ne seguitò l'orme di lontano.
Bramoso porla al suo signore in mano.
26 Che vuole uscir di nuovo alla campagna,
E ritentar la sorte de la guerra.
Spaccia Rinaldo subito in Bretagna,
Bretagna che fu poi detta Inghilterra.
Ben dell'andata il Paladin si lagna:
Non ch'abbia cosi in odio quella terra;
Ma perché Carlo il manda allora allora.
Né pur lo lascia un giorno far dimora.
27 Rinaldo mai di dò non fece meno
Volentier cosa ; poi che fri distolto
Di gir cercando il bel viso sereno,
Che gli avea il cor di mezzo il petto tolto :
Ma, per ubbidir Carlo, nondimeno
A quella via si fri subito vólto.
Ed a Calesse in poche ore trovossi ;
E giunto, il di medesimo imbarcossi.
28 Contra la volontà d'ogni nocchiero,
Pel gran desir che dì tornare avea,
Entrò nel mar ch'era tnrbato e fiero,
E gran procella minacciar parea.
Il Vento si sdegnò, che dall'altiero
Sprezzar si vide : e con tempesta rea
Sollevò il mar in tomo, e con tal rabbia,
Che gli mandò a ba'^nar sino alla gabbia.
Stanza 38.
29 Calano tosto i marinari accorti
Le maggior vele, e pensano dar volta,
£ ritornar nelli medesmi porti.
Donde in mal punto avean la nave sciolta.
Non convien, dice il Vento, ch'io comporti
Tanta licenzia che v'avete tolta;
E soffia e grida, e naufragio minaccia
S' altrove van, che dove egli li caccia.
30 Or a poppa, or all'orza hann'il crudele,
Che mai non cessa, e vien più ognor crescendo:
Essi di qua, di là con umil vele
Vansi aggirando, e l'alto mar scorrendo.
Ma perchè varie fila a varie tele
Uopo mi Bon, che tutte ordire intendo,
Lascio Rinaldo e l'agitata prua,
E tomo a dir di Bradamante sua.
31 Io parlo di quella inclita donzella,
Per cui re Sacripante in terra giacque,
Che di questo Signor degna sorella,
Del duca Amone e di Beatrice nacque.
La gran possanza e il molto ardir di quella
Non meno a Carlo e tutta Francia piacque,
(Che più d'un paragon ne vide saldo)
Che '1 lodato valor del buon Rinaldo.
32 La donna amata fd da un cavaliere
Che d'Africa passò col re Agramante,
Che partorì del seme di Ruggiero
La disperata figlia d' Agolante :
E costei, che ne d'orso né di fiero
Leone usci, non sdegnò tal amante;
Ben che concesso, fuor che vedersi una
Volta e parlarsi, non ha lor Fortuna. •
33 Quindi cercando Bradamante già
L'amante suo ch'avea nome dal padre.
Cosi sicura senza compagnia,
Come avesse in sua guardia mille squadre:
E fatto ch'ebbe al re di Circassia
Battere il voltx) dell'antiqua madre,
Traversò un bosco , e dopo il bosco un mont« ;
Tanto che giunse ad una bella fonte.
34 La fonte discorrea per mezzo un prato,
D'arbori antiqui e di bell'ombre adomo.
Ch'i viandanti col mormorio grato
A ber invita, e a far seco soggiomo:
Un culto monticel dal manco lato
Le difende il calor del mezzogiorno.
Quivi , come i begli occhi prima torse ,
D'un cavalier la giovane s'accorse;
35 D'un cavalier eh' all' ombra d'im boschetto
Nel margin verde e bianco e rosso e giaUo
Sedea pensoso, tacito e soletto
Sopra quel chiaro e liquido cristallo.
Lo scudo non lontan pende e l'elmetto
Dal faggio , ove legato era il cavallo ;
Ed avea gli occhi molli e '1 viso basso ,
E si mostrava addolorato e
36 Questo disir, eh' a tutti sta nel core,
De' fatti altrui sempre cercar novella.
Fece a quel cavalier del suo dolore
La cagion domandar da la donzella.
Egli l'aperse e tutta mostrò fuore.
Dal cortese parlar mosso di quella,
E dal sembiante altier, ch'ai primo sguardo
Gli sembrò di guerrier molto gagliardo,
stanza 2&
37 G cominciò: Signor, io condncea
Pedoni e cavalieri, e venia in campo
X^ dove Carlo Marsilio attendea,
Perch' al scender del monte avesse inciampo ;
K nna giovane bella meco avea.
Del cui fervido amor nel petto avvampo :
B ritrovai presso a Rodonna armato
Un che frenava un gran destriero alato.
38 Tosto che U ladro, o sia mortale, o sia
Una deir infernali anime orrende,
T'ede la bella e cara donna mia;
Come falcon che per ferir discende,
Cala e poggia in un attimo, e tra via
Getta le mani, e lei smarrita prende.
Ancor non m^era accorto dell'assalto,
Che della donna io sentii grido in alto.
39 Cosi il rapace nibbio flirar suole
Il misero pulcin presso alla chioccia.
Che di sua inavvertenza poi si duole,
£ invan gli grida, e invan dietro gli croccia.
Io non posso seguir un uom che vole.
Chiuso tra monti, appio d'un^erta roccia.
Stanco ho il destrier, che muta a pena i passi
Nell'aspre vie de'faticosi sassi.
40 Ma, come quel che men curato avrei
Vedermi trar di mezzo il petto il core,
Lasciai lor via seguir quegli altri miei
Senza mia guida e senza alcun rettore :
Per li scoscesi poggi e manco rei
Presi la via che mi mostrava Amore,
E dove mi parca che quel rapace
Portasse il mio conforto e la mia pace.
41 Sei giorni me n'andai mattina e sera
Per balze e per pendici orride e strane,
Dove non via, dove sentier non era,
Dove nò segno di vestigio umane:
Poi giunsi in una valle inculta e fiera.
Di ripe cinta e spaventose tane.
Che nel mezzo s'un sasso avea un castello
Forte e ben posto, a maraviglia bello.
42 Da lungi par che come fiamma lustri,
Né sia di terra cotta , né di marmi.
Come più m'avvicino ai muri illustri.
L'opra più bella e più mirabil parmi.
E seppi poi, come i demoni industri,
Da suffimigì tratti e sacri carmi.
Tutto d'acciaio avean cinto il bel loco,
Temprato all'onda ed allo stigio foco.
4^ Di si forbito acciar luce ogni torre.
Che non vi pud né ruggine né macchia.
Tutto il paese giorno e notte scorre,
E p« là dentro il rio ladron s'immacchia.
Cosa non ha ripar che voglia tórre :
Sol dietro invan se gli bestemmia e gracchia.
Quivi la donna, anzi il mio cor mi tiene,
Che dì mai ricovrar lascio ogni spene.
44 Ah lasso! che poss'io più, che mirare
La rocca lungi, ove il mio ben m'è chiuso?
Come la volpe , che '1 figlio gridare
Nel nido oda dell' aquila di giuso ,
S' aggira intomo , e non sa che si fare ,
Poiché l' ali non ha da gir lassuso.
Erto è quel sasso sì, tale é il castello ,
Che non vi può salir chi non é augello.
45 Mentre io tardava quivi, ecco venire
Duo cavalier eh' avean per guida un Nano,
Che la speranza aggiunsero al desire ;
Ma ben fu la speranza e il desir vano.
Ambì erano guerrier di sommo ardire :
Era Gradasso l'un, re sericano:
Era l'altro Ruggier, giovene forte.
Pregiato assai nell'africana corte.
46 Vengon, mi disse il Nano, per far pruova
Di lor virtù col sir di quel castello ,
Che per via strana, inusitata e nuova
Cavalca armato il quadrupede augello.
Deh, signor, diss'io lor, pietà vi mova
Del duro caso mio spietato e fello !
Quando, come ho speranza, voi vinciate,
Vi prego la mia donna mi rendiate.
47 E come mi Ai tolta lor narrai.
Con lagrime afifermando il dolor mio.
Quei, lor mercé, mi profferirò assai,
E giù calare il poggio alpestre e rio.
Dì lontan la battaglia io riguardai,
Pregando per la lor vittoria Dio.
Era sotto il Castel tanto di piano,
Quanto in due volte si può trar con mano.
48 Poi che fur giunti appiè dell' alta rocca.
L'un e l'altro volea combatter prima;
Pur a Gradasso, o fosse sorte, tocca,
Oppur che non ne fé' Ruggier più stima.
Quel Serican si pone il corno a bocca :
Rimbomba il sasso, e la fortezza in cima.
Ecco apparire il cavaliere armato
Fuor della porta, e sul cavallo alato.
94
stanza 41.
49 Ck)mmcìò a poco a poco indi a levarse ,
Come suol far la peregrina gme.
Che corre prima, e poi vediamo alzarse
Alla terra vicina un braccio o due ;
£ quando tutte sono all'aria sparse,
Velocissime mostra Tale sue.
Si ad alto il Negromante batte Tale,
Ch*a tanta altezza appena aquila sale.
50 Quando gli parve poi, volse il destriero.
Che chiuse i vanni e venne a terra a piombo.
Come casca dal ciel falcon maniero
' Che levar veggia l'anitra o il colombo.
Con la lancia arrestata U cavaliere
L'aria fendendo vien d'orribil rombo.
Gradasso appena del calar s'avvede.
Che se lo sente addosso e che lo fiede.
51 Sopra Gradasso il Mago Pasta roppe;
Ferì Gradasso il vento e Paria vana;
Per questo il volator non interroppe
U batter Pale; e quindi s'allontana.
H grave scontro fa chinar le groppe
Sul verde prato alla gagliarda Alfana.
Gradasso avea una Alfana la più bella
IB la miglior che mai portasse sella.
52 Sin alle stelle il volator trascorse ;
ludi girossi e tornò in fretta al basso,
E percosse Ruggier che non s'accorse,
Rnggier che tutto intento era a Gradasso.
Bnggier del grave colpo si distorse,
E '1 suo destrier più rinculò d'un passo;
E quando si voltò per lui ferire.
Da sé lontano il vide al ciel salire.
53 Or su Gradasso , or su Ruggier percote
Nella fronte , nel petto e nella schiena ;
E le botte iì quei lascia ognor vote,
Perch' è si presto , che si vede appena.
Girando va con spaz]fose rote ;
E quando all'uno accenna, alP altro mena:
AlPuno e all'altro si gli occhi abbarhaglia,
Che non ponno veder donde gli assaglia.
54 Fra duo guerrieri in terra ed uno in cielo
La battaglia durò sino a quella ora,
Che spiegando pel mondo oscuro velo.
Tutte le belle cose discolora.
Fu quel ch'io dico, e non v'aggiungo un pelo ;
Io '1 vidi , io '1 so ; uè m' assicuro ancora
In dirlo altrui ; che questa maraviglia
Al falso più ch'ai ver si rassomigUa.
55 D'un bel drappo di seta avea coperto
Lo scudo in braccio il cavalier celeste.
Come avesse , non so , tanto sofferto
Di tenerlo nascosto in quella veste;
Ch'immantinente che lo mostra aperto,
For74k è , chi '1 mira , abbarbagliato reste ,
E cada come corpo morto cade ,
E venga al Negromante in potestade.
56 Splende lo scudo a guisa di piropo ,
E luce altra non è tanto lucente.
Cadere in terra allo splendor fd d' uopo ,
Con gli occhi abbacinati e senza mente.
Perdei da lungi anch'io li sensi , e dopo
Gran spazio mi riebbi finalmente;
Né più i guerrier né più vidi quel Nano ,
Ha voto il campo , e scuro il monte e il piano.
67 Pensai per questo che l'incantatore
Avesse ambedui còlti a un tratto insieme.
E tolto per virtù dello splendore ,
La libertade a loro . e a me la speme.
Cosi a quel loco , che chiudea il mio core.
Dissi , partendo , le parole estreme.
Or giudicate s' altra pena ria ,
Che causi Amor , può pareggiar la mia.
58 Ritornò il cavalier nel primo duolo ,
Fatta che n'ebbe la cagion palese.
Questo era il conte Pinabel , figliuolo
D' Anselmo d' Altaripa , maganzese ;
Che tra sua gente scellerata , solo
Leale esser non volse né cortese ,
Ma ne li vizi abbominandi e brutti,
Non pur gli altri adeguò, ma passò tutti.
59 La bella donna con diverso aspetto
Stette ascoltando il Maganzese cheta :
Che come prima di Ruggier fu detto ,
Nel viso si mostrò più che mai lieta;
Ma quando senti poi eh' era in distretto ,
Turbossi tutta d'amorosa pietà.
Né per una o due volte contentosse
Che ritornato a replicar le fosse.
60 E poi eh' alfiu le parve esseme chiara ,
Gli disse: Cavalier, datti riposo;
Che ben può la mia giunta esserti cara,
Parerti questo giorno avventuroso.
Andiam pur tosto a quella stanza avara,
Che si ricco tesor ci tiene ascoso;
Né spesa sarà invan questa fatica.
Se Fortuna non m'é troppo nemica.
61 Rispose il cavalier ; Tu vuoi eh* io passi
Di nuovo i monti , e mostriti la via ?
A me molto non é perdere i passi.
Perduta avendo ogni altra cosa mia;
Ma tu per balze e ruinosi sassi
Cerchi entrare in pregione: e cosi sia.
Non hai di che dolerti di me poi ;
Ch' io tei predico , e tu pur gir vi vuoi.
62 Cosi dice egli; e toma al suo destriero
E di quell'animosa si fa guida.
Che si mette a periglio per Ruggiero ,
Che la pigli quel Mago o che la ancida.
In questo ecco alle spalle il messaggiero.
Che, Aspetta aspetta, a tutta voce grida ;
Il messaggier da chi il Circasso intese
Che costei fu ch'alPerba lo distese.
3 A Bradamante il messaggier novella
Di Mompelieri e di Narbona porta,
Ch'alzato gli stendardi di Castella
Ayean, con tutto il lito d'Acquamorta;
E che Marsiglia, non v'essendo quella
Che la dovea guardar, mal si conforta,
E consìglio e soccorso le domanda
Per questo messo, e se le raccomanda.
stanza 65.
64 Questa cittade, e intomo a molte miglia
Ciò che fra Varo e Rodano al mar siede,
Avea rimperator dato alla figlia
Del duca Amon , in eh' avea speme e fede ;
Perocché '1 suo valor con meraviglia
Riguardar suol, quando armeggiar la vede.
Or, com'io dico, a domandar aiuto
Quel messo da Marsiglia era venuto.
65 Tra si e no la giovine suspesa.
Di voler ritornar dubita un poco ;
Quinci l'onore e il debito le pesa,
Quindi l'incalza l'amoroso foco.
Fermasi alfin di seguitar l' impresa ,
E trar Ruggier dell' incantato loco ;
E quando sua virtù non possa tanto,
Almen restargli prigioniera accanto.
66 E fece iscusa tal, che quel messaggio
Parve contento rimanere e cheto.
Indi girò la briglia al suo viaggio ,
Con Pinabel che non ne parve lieto
Che seppe esser costei di quel lignaggio
Che tanto ha in odio in pubblico e in secretu :
E già s' avvisa le future angosce ,
Se lui per Maganzese ella conosce.
67 Tra casa di Maganza e di Chiarmonte
Era odio antico e inimicizia intensa ;
E più volte s'avean rotta la fronte,
E sparso di lor sangue copia immensa ;
E però nel suo cor l' iniquo Conte
Tradir l' incauta giovane si pensa ;
0 , come prima comodo gli accada ,
Lasciarla sola , e trovar altra strada.
68 E tanto gli occupò la fantasia
Il nativo odio , il dubbio e la paura ,
Che inavvedutamente uscì di via,
E ritrovossi in una selva oscura,
Che nel mezzzo avea un monte che finia
La nuda cima in una pietra dura :
E la figlia del Duca di Dordona
Gli è sempre dietro, e mai non l'abbandona.
69 Come si vide il Maganzese al bosco ,
Pensò torsi la donna dalle spalle.
Disse : Prima che '1 ciel tomi più fosco ,
Verso im albergo è meglio farsi il calle.
Oltre quel monte , s' io lo riconosco ,
Siede un ricco castel giù nella valle.
Tu qui m'aspetta; che dal nudo scoglio
Certificar con gli occhi me ne voglio.
70 Così dicendo alla cima superna
Del solitario monte il destrier caccia.
Mirando pur s' alcuna via discema,
Come lei possa tor dalla sua traccia.
Ecco nel sasso trova una cavema ,
Che si profonda più di trenta braccia.
Tagliato a picchi ed a scarpelli il sasso
Scende giù al dritto, ed ha una porta al basso.
71 Nel fondo avea ima porta ampia e capace,
Ch' in maggior stanza largo adito daya ;
E fdor n^ uscia splendor , come di face
Ch'ardesse in mezzo alla montana cava.
Mentre quivi il fellon sospeso tace ,
La donna , che da Inngi il seguitava ,
(Perchè perderne Torme si temea)
Alla spelonca gli sopraggìungea.
72 Poiché si vide il traditore uscire ,
Quel eh' avea prima disegnato , invano ,
O da sé torla , o di farla morire ,
Nuovo argomento immaginossi e strano.
Le si fé' incontra , e su la fé' salire
Là dove il monte era forato e vano ;
£ le disse eh' avea visto nel fondo
Una donzella di viso giocondo,
73 Ch'a'bei sembianti ed alla ricca vesta
Esser parea di non ignobil grado ;
Ma quanto più potea turbata e mesta,
Mostrava esservi cliiusa suo mal grado ;
E per saper la condizion di questa,
Ch' avea già cominciato a entrar nel guado ;
E ch'era uscito dell'interna grotta
Un che dentro a furor l' avea ridotta.
74 Bradamante, che come era animosa,
Cusi mal cauta , a Pinabel die' fede ;
E d' aiutar la donna , disìosa ,
Si pensa come por colà giù il piede.
Ecco d' un olmo alla cima frondosa
Volgendo gli occhi , un lungo ramo vede ,
E con la spada quel subito tronca ,
E lo declina giù nella spelonca.
stanza 76.
75 Dove é tagliato in man lo raccomanda
A Pinabello , e poscia a quel s' apprende ;
Prima giù i piedi nella tana manda,
E su le braccia tutta si suspende.
Sorride Pinabello, e le domanda
Come ella salti : e le man apre e stende ,
Dicendole : Qui fosser teco insieme
Tutti li tuoi, ch'io ne spegnessi il seme.
76 Non come volse Pinabello avvenne
Dell'innocente giovane la sorte:
Perchè giù diroccando a ferir venne
Prima nel fondo il ramo saldo e forte.
Ben si spezzò , ma tanto la sostenne ,
Che '1 suo favor la liberò da morte.
Giacque stordita la donzella alquanto ,
Come io vi seguirò ne l'altro canto.
NOTE.
St. 5. V. 8. — Quel di Chiaramonte, Rinaldo. Chia-
ramontey castello non molto lontano da Nantes.
St. 10. V. 5. — Fusbei'fa, nome della spada di Rinaldo.
St. 21. V. 5. — Ruggiero cioè, come si ha dal Boiardo.
St. 26. V. 4. — I Britanni inquietati dagli Scozzesi si
rivolsero per aiuto a quelli fra i Sassoni, che in antico
chiamavansi Angli. Questi , domati eh* ebbero gli Scoz-
zesi, s'impadronirono della Bretagna, e la nominarono
English-land , ossia terra degli Angli. I nativi allora,
varcato il mare , andarono a dimorare in quella parte
di Calila che f^ quindi detta Bretagna minore , per di-
stinguerla dall'altra maggiore Bretagna, a cui rimasero
pure i nomi di Gran-Bretagna, Angliaterra e Inghilterra.
St. 27. V. 7. — Calesse : Calais.
St. 32. V. 1-8. Galaciella (di cui più distesamente ra-
gionerà il Poeta nel Canto XXXTI) ebbe a padre Ago-
lante o Aigolando. Costei da un Ruggiero di Risa ebbe
il Ruggiero di cui ora si tratta; ed é questi 11 cavaliere
amante riamato di Bradamante.
St. 37. V. 1. — La storia del negromante che qui co-
mincia , e seguita per tutta la St. 57 , è introdotta dal
maganzese Pinabello con Tintendimento di fare a Bra-
damante il mal giuoco che si vedrà verso la fine del
Canto. Quell'incantatore poi era Atlante, già educatore
di Ruggiero ; e con arti magiche sforzavasi d' impedire
al suo allievo di staccarsi dal partito moresco , per la
ragione che si dirà nella Stanza 64 del Canto XXXYI.
St. 37. V. 7. — Rodonna o Roduniia^ città posta <fa
Tolomeo presso il Rodano.
St. 45. V. 6. — Re Sericano: re di Sericana. Serìcaca
0 Serica, o paese de' Seri , chiamossi dagli antichi nca
regione dell'Asia al nord dell'India cisgangetica.
St 50. V. 3. — Con la voce maniero , distingmevaa^
i falconi ohe tornavano sul pugno del padrone , sena
bisogno di richiamarli.
St. 51. V. 6-7. — Gradasso cavalcava una giomecu
(Alfana).
St. 58. V. 5. — La casa di Haganza è nei romasTi
infame per tradimenti e perfidie.
St. 59. — V. 5. In distretto, cioè imprigioìiato.
St. 63. V. 2-4. — Montpellier Narbona e Acquamoru
nella Linguadoca , ribellatesi a Carlo , si erano date a
Marsilio re di Castiglia e alleato di Agramante.
St. 64. V. 2. — È la Provenza.
St. 67. V. 1-2. — L' odio fra la casa di Maganza ".
quella di Chiaramonte nacque dall'essere decaduto dalla
grazia imperiale Gano o Ganellone capo dell'una, e sit^
entrativi gl'individui della casa di Chiaramonte , a ci.
apparteneva Bradamante.
St. 68. V. 7. — Doì'dona , castello edificato da Caria
Magno nella Guienna sul fiume Dordogna. Oggi vìes
detto Fronsac.
St. 73. V. 6. — Ch'area già cominciato : intendasi Pi
nabello stesso.
La caverna dove Bradamaiìt^ r livIuUi fomunira con una grotta
cìie con titano il MepoUro doli j in [uiratore Merlino. Ivi U maga
Mélìs-^iL iÌV"l.L A !tr.i.l.iMi:iiir" -.-Ijn da lei e da Ruggiero uscirà
la pn^si-i'i^' 3v<t 'ijs^', ili i ni li^ moatra la immagini « prtìdircn-
done Ifl glorio future. Nel randarstma poi dalla grotta^ Brada-
Riante ode fla Melissa che Ruggiero è ritflnuto nel pulaKzo
(ncauUto di Atlante, e viene iatmiU sul modo di libaranmlo
1 Chi mi darà la voce e le parole
Convelli enti a si nolil «oggetto?
Chi l'ale al verso presterà, che vole
Tanto, eh- arrivi ali' alto mìo coiie^tto ?
Molto maggior di quel furor che suole ,
Ben or convien the mi tìficahìi iì petto ;
Che questa parte al mio Signor si dehbe ,
Ohe canta gli avi onde V origìu ebbe.
Di cui fra tutti li Signori illustri,
Dal Ciel sortiti a governar la terra,
Non vedi, o Febo, cbe ^l gran mondo lustri
Più gloriosa stirpe o in pace o in pruerra ;
Né che sua nohiltade abbia più lustri
Sensata , e serverà (s^ in me non erra
Quel profetico lume che m' in-'piri)
Finché d'intorno al polo il ciel s'aggiri.
3 E volendone appien diceif gli onori ,
Bisogna non la mia, ma quella cetra
Con che tn dopo i gigante! furori
Rendesti grazia al Regnator dell' etra.
S* ìnstmmenti avrò mai da te migliori ,
Atti a sculpire in cosi degna pietra,
In queste belle immagini disegno
Porre ogni mia fatica, ogni mio ingegno.
4 Levando intanto queste prime rudi
Scaglie n' andrò collo scarpello inetto :
Forse eh* ancor con più solerti studi
Poi ridurrò questo lavor perfetto.
Ma ritorniamo a quello , a cui né scudi
Potran né usberghi assicurare il petto:
Parlo di Pinabello di Maganza ,
Che d* uccider la donna ebbe speranza.
5 H traditor pensò che la donzella
Fosse nell'alto precipizio morta;
E con pallida faccia lasciò quella
Trista e per lui contaminata porta.
E tornò presto a rimontar in sella :
E , come quel eh' avea V anima torta ,
Per giunger colpa a colpa e fallo a fallo ,
Di Bradamante ne menò il cavallo.
6 Lasciam costui, che mentre all'altrui vita
Ordisce inganno , il suo morir procura ;
"É torniamo alla donna che , tradita ,
Quasi ebbe a un tempo e morte e sepoltura.
Poi ch'ella si levò tutta stordita,
Ch'avea percosso in su la pietra dura,
Dentro la porta andò , ch'adito dava
Nella seconda assai più larga cava.
7 La stanza, quadra e spaziosa, pare
Una devota e venerabil chiesa.
Che su colonne alabastrine e rare
Con bella architettura era sospesa.
Surgea nel mezzo un ben locato altare,
Ch'avea dinanzi una lampada accesa;
E quella di splendente e chiaro foco
Rendea gran lume all' uno e all' altro loco.
8 Di devota umiltà la donna tocca,
Come si vide in loco sacro e pio ,
Incominciò col core e con la bocca ,
Inginocchiata , a mandar prieghi a Dio.
Un picciol uscio intanto stride e crocea ,
Ch' era all' incontro , onde una donna uscio
Discinta e scalza, e sciolte avea le chiome,
Che la donzella salutò per nome ;
9 E disse : 0 generosa Bradamante ,
Non giunta qui senza voler divino ,
Di te più giorni m' ha predetto innante
n profetico spirto di Merlino.
Che visitar le sue reliquie sante
Dovevi per insolito cammino :
E qui son stata itcciò ch'io ti riveli
Quel eh' han di te già statuito i cieli.
10 Questa é l'antiqua e memorabil grotta
Ch' edificò Merlino , il savio mago
Che forse ricordare, odi talotta ,
Dove ingannollo la Donna del Lago.
Il sepolcro è qui giù, dove corrotta
Giace la carne sua; dov'egli, vago
Di sodisfare a lei che gli 1 suase ,
Vivo corcossi, e morto ci rimase.
11 Col corpo morto il vivo spirto alberiga.
Sin eh' oda il suon dell' angelica tromba ,
Che dal ciel lo bandisca, o che ve l'erga,
Secondoché sarà corvo o colomba.
Vive la voce; e come chiara emerga
Udir potrai dalla marmorea tomba;
Che le passate e le future cose,
A chi gli domandò , sempre rispose.
12 Più giorni son eh' in questo cimiterio
Venni di remotissimo paese,
Perchè circa il mio studio alto misterìo
Mi facesse Merlin meglio palese :
E perché ebbi vederti desiderio.
Poi ci son stata oltre il disegno un mese;
Che Merlin, che'l ver sempre mi predisse,
Termine al venir tuo questo dì fisse.
13 Stassi d' Amen la sbigottita figlia
Tacita e fissa al ragionar di questa ;
Ed ha si pieno il cor di maraviglia ,
Che non sa s'ella dorme, o s'ella è desta ;
E con rimesse e vergognose ciglia,
Come quella che tutta era modesta,
Rispose: Di che merito son io,
Ch'antiveggian profeti il venir mio?
14 E lieta dell'insolita avventura
Dietro alla Maga subito fa mossa,
Che la condusse a quella sepoltura
Che chiudea di Merlin l'anima e l'ossa.
Era queir arca d' una pietra dura ,
Lucida , e tersa , e come fiamma rossa ;
Tal eh' alla stanza , benché di Sol priva y
Dava splendore il lume che n'usciva.
CANTO TERZO
Stanza 8.
15 0 che natnra sia d^ alcun marmi ,
Che mnovin V ombre a guisa di facelle ;
0 forza pur di sufifumigi e carmi
E Fegni impressi air osservate stelle ,
Come più questo verisimil parmi,
Disroprìa Io splendor più cose belle
E di scultnra e di color , ch^ intomo
Il venerabil luogo aveano adorno.
Ariosto.
16 Appena ha Bradamante dalla soglia
Levato il pie nella secreta cella ,
CheU vivo spirto dalla morta spoglia
Con chiarissima voce le favella :
Favorisca Fortuna ogni tua voglia ,
0 casta e nobilissima donzella',
Del cui ventre uscirà '1 seme fecondo ,
Che onorar deve Italia e tutto il mondo.
84
ORLANDO FURIOSO
17 L* antiquo sangue che venne da Troia,
Per li duo miglior rivi in te commisto ,
Produrrà V ornamento , il fior , la gioia
D^ogni lignaggio ch^ abbia il Sol mai visto
Tra rindo e'I Tago eU Nilo e la Danoia,
Tra quanto è ^n mezzo Antartico e Calisto.
Nella progenie tua con sommi onori
Saran Marchesi , Duci e Imperatori.
18 I capitani e i cavalier robusti
Quindi usciran , che col ferro e col senno
Ricuperar tutti gli onor vetusti
Deir arme invitte alla sua Italia denno.
Quindi terran lo scettro i Signor giusti ,
Che , come il savio Augusto e Numa fénno ,
Sotto il benigno e buon governo loro
Ritomeran la prima età delP oro.
19 Acciò dunque il voler del elei si metta
In effetto per te , che di Ruggiero
T' ha per moglier fin da principio eletta ,
Segui animosamente il tuo sentiero ;
Che cosa non sarà che s' intrometta
Da poterti turbar questo pensiero ,
Si che non mandi al primo assalto in terra
Quel rio ladron ch'ogni tuo ben ti serra. '
23 Se i nomi e i gesti di ciascun vo' dirti
(Dicea rincantatrice a Bradamante)
Di questi eh' or per gV incantati spirti ,
Prima che nati sien , ci sono avante ,
Non so veder quando abbia da espedirti :"
Che non basta una notte a cose tant«:
Si ch'io te ne verrò scegliendo alcuno.
Secondo il tempo, e che sarà opportuno.
24 Vedi quel primo , che ti lassimìglia
Ne' bei sembianti e nel giocondo aspetto:
Capo in Italia fia di tua famiglia ,
Del seme di Ruggiero in te concetto
Veder del sangue di Pontier vermiglia
Per mano di costui la terra , aspetto ;
E vendicato il tradimento e il torto
Contra quei che gli avranno il padre
25 Per opra di costui sarà deserto
Il re de' Longobardi Desiderio
D'Este e di Calaon dar questo metto •
Il bel domino avrà dal sommo Imperio.
Quel che gli è dietro, è il tuo nipote UImIi,
Onor dell' arme e del paese esperio .
Per costui contra Barbari difesa
Più d'una volta fia la santa Chiesa.
20 Tacque Merh'no , avendo così detto ,
Ed agio all'opre della Maga diede ,
Ch'a Bradamante dimostrar l'aspetto
Si preparava di ciascun suo erede.
Avea di spirti un gran numero eletto ,
Non fo se dall'Inferno o da qual sede,
E tutti quelli in un luogo raccolti
Sotto abiti diversi e vari volti.
21 Poi la donzella a sé richiama in chiesa
Là dove prima avea tirato un cerchio
Che la potea capir tutta distesa.
Ed avea un palmo ancora di superchio :
E perchè dalli spirti non sia offesa,
Lo fa d' un gran pentacolo coperchio ;
E le dice che taccia e stia a mirarla :
Poi scioglie il libro , e coi demoni parla.
22 Eccovi fuor della prima spelonca,
Che gente intomo al sacro cerchio ingrossa:
Ma , come vuole entrar , la via l' è tronca ,
Come lo cinga intomo muro e fossa.
In quella stanza , ove la bella conca
In sé chiudea del gran profeta l'ossa,
Entravan l'ombre poi ch'avean tre volte
Fatto d'intorno lor debite volte.
26 Vedi qui Alberto , invitto capitano,
Ch' ornerà di trofei tanti delubri :
Ugo il figlio è con lui , che di Milano
Farà l'acquisto, e spiegherà i co'ubri.
Azzo è quell' altro , a cui resterà in mano
Dopo il fratello il regno dell' Insubri.
Ecco Albertazzo, il cui savio consiglio
Terrà d' Italia Beringaiio e il figlio ;
27 E sarà degno a cui Cesare O.'one
Alda sua figlia in matrimonio aggiunga.
Vedi un altro Ugo : oh bella successione
Che dal patrio valor non si dislunga!
(Costui sarà che per giusta cagione
Ai superbi Roman 1' orgoglio emunga ,
Clie'l terzo Otone e il Pontefice tolga
Delle man loro , e '1 grave assedio sciolga.
28 Vedi Folco , che par eh' al suo germano ,
Ciò che in Italia avea, tutto abbi dato;
E vada a possedere ìndi lontano
In mezzo agli Alamanni un gran ducato ;
E dia alla casa di Sansogna mano.
Che caduta sarà tutta da un lato;
E per la linea della madre, erede,
Con la progenie sua la terrà in piede.
29 Questo eh* or a noi viene, è il secondo Àzzo,
Di cortesìa più che di guerre amico,
Tra dui figli , Bertoldo ed Albertazzo.
Vinto dair un sarà il secondo Enrico ;
E del sangue tedesco orribil guazzo
Parma vedrà per tutto il campo aprico :
Dell'altro la Contessa gloriosa ,
Saggia e casta Matilde , sarà sposa.
30 Virtù il farà di tal connubio degno ;
Ch'a quella età non poca laude estimo
Quasi di mezza Italia in dote il regno ,
E la nipote aver d'Enrico primo.
Ecco di quel Bertoldo il caro pegno,
Rinaldo tuo, ch'avrà V onor opimo
D'aver la Chiesa dalle man riscossa
Dell'empio Federico Barljarpssa.
Stanza 14
31 Ecco un altro Azzo, ed è quel che Verona
ÀTrà in poter col suo bel 'tenitorio ;
E sarà detto marchese d'Ancona
Dal quarto Otone e dal secondo Onorio.
Lungo sarà, s'io mostro ogni persona
Del sangue tuo , eh' avrà del Consisterlo
Il confalone, e s'io narro ogni impresa
Vinta da lor per la romana Chiesa.
32 Obizzovedi e Folco, altri Azzi, altri Ughi,
Ambi gli Enrichi , il figlio al padre accanto :
Duo Guelfi, di quai l'uno Umbria soggiughi
E vesta di Spoleti il ducal manto.
Ecco ehi'l sangue e le gran piaghe asciughi
D'Italia afflitta, e volga in riso il pianto:
Di costui parlo (e mostrolle Azzo quinto),
Onde Ezellin fia rotto , preso , estinto.
33 Ezellino , immanissimo tiranno ,
Che fia creduto figlio del Demonio,
Farà , troncando i sudditi , tal danno ,
E distruggendo il bel paese ausonio ,
Che pietosi appo lui stati saranno
Mario , Siila , Neron , Caio ed Antonio.
E Federico imperator secondo
Fia, per questo Azzo, rotto e messo al fondo.
stanza 29.
34 Terrà costui con più felice scettro
La bella terra che siede sul fiume ,
Dove chiamò con lai^moso plettro
Febo il figliuol eh' avea mal retto il lume ,
Quando fu pianto il fabuloso elettro ,
E Cigno si vestì di bianche piume;
E questa di mille obblighi mercede
Gli donerà li apostolica Sede.
35 Dove lascio il fratel Aldobrandino?
Che per dar al Pontefice soccorso
Centra Oton quarto e il campo ghibellino ,
Che sarà presso al Campidoglio corso ,
Ed avrà preso ogni luogo vicino,
E posto agli Umbri e alli Piceni il mono.
Né potendo prestargli aiuto senza
Molto tesor, ne chiederà a Fiorenza ;
36 E non avendo gioia o miglior pe^i ,
Per sicurtà daralle il frate in mano.
Spiegherà i suoi vittoriosi segni ,
E romperà V esercito germano :
In seggio riporrà la Chiesa e degni
Darà supplicj ai conti di Celano ;
Ed al servizio del summo Pastore
Finirà gli anni suoi nel più bel fiore ;
Stanza 37.
37 Ed Azzo , il suo fratel , lascerà erede
Del dominio d' Ancona e di Pisauro ,
D'ogni città che da Troento siede
Tra il mare e l'Apennin fin all'Isauro,
E di grandezza d' animo e di fede
E di virtù , miglior che gemme ed auro :
Che dona e tolle ogn' altro ben Fortuna;
Sol in virtù non ha possanza alcona.
38 Vedi Rinaldo , in cui non minor raggio
Splenderà di valor, purché non sia
A tanta esaltazion del bel lignaggio
Morte 0 Fortuna invidiosa e ria.
Udirne il duol fin qui da Napoli aggio ,
Dove del padre allor statico fia.
Or Obizzo ne vien , che giovinetto
Dopo l'avo sarà Principe eletto.
39 Al bel dominio accrescerà costui
Reggio giocondo , e Modona feroce.
Tal sarà il suo valor, che signor lui
Domanderanno i popoli a una voce.
Vedi Azzo sesto , un de* figliuoli sui ,
Confalonier della cristiana croce :
Avrà il Ducato d' Andria con la figlia
Del secondo re Carlo di Siciglia.
40 Vedi in un bello ed amichevol groppo
Delli principi illustri V eccellenza ,
Obizzo , Aldobrandin , Niccolò Zoppo ,
Alberto d'amor pieno e di clemenza.
10 tacerò, per non tenerti troppo,
Come al bel regno aggiungeran Favenza,
E con maggior fermezza Adria , che valse
Da sé nomar V indomite acque salse ;
41 Come la terra il cui produr di rose
Le die piacevol nome in greche voci,
E la città chMn mezzo alle piscose
Paludi, del Po teme ambe le foci
Dove abitan le genti disìose
Che*l mar si turbi e sieno i venti atroci.
Taccio d' Argenta , di Lugo e di mille
Altre castella e popolose ville.
42 Ve' Niccolò, che tenero fanciullo
11 popol crea Signor della sua terra ;
E di Tideo fa il pensier vano e nullo,
Che contra lui le civil arme afferra.
Sarà di questo il pueril trastullo
Sudar nel ferro e travagliarsi in guerra;
E dallo studio del tempo primiero
Il fior riuscirà d' ogni guerriero.
43 Farà de' suoi ribelli uscire a vóto
Ogni disegno, e lor tornare in danno;
Ed ogni stratagemma avrà sì noto ,
Che sarà duro il poter fargli inganno.
Tardi di questo s' avvedrà il terzo Oto ,
E di Reggio e di Parma aspro tiranno ;
Che da costui spogliato a un tempo fia
E del dominio e della vita ria.
45 Vedi Leonello, e vedi il primo duce,
Fama della sua età, l'inclito Borso,
Che siede in pace, e più trionfo adduce
Di quanti in altrui terre abbino corso.
Chiuderà Marte ove non veggia luce,
E stringerà al Furor le mani al dorso.
Di questo Signor splendido ogni intento
che '1 popol suo viva contento,
Stanza 38.
44 Avrà il bel regno poi sempre augumento ,
Senza torcer mai pie dal cammin dritto ;
Né ad alcuno farà mai nocumento ,
Da cui prima non sia d' ingiutia afflitto :
Ei è per questo il gran Motor contento
Che non gli sia alcun termine prescritto;
Ma duri prosperando in meglio sempre ,
Finché si volga il ciel nelle sue tempre.
46 Ercole or vien , eh' al suo vicin rinfaccia
Col pie mezzo arso e con quei debol passi,
Come a Budrio col petto e con la faccia
11 campo vólto in fuga gli fermassi;
Non perché in premio poi guerra gli faccia ,
Né , per cacciarlo , fin dal Barco passi.
Questo è il Signor, di cui non so e.splicarme
Se fia maggior la gloria o in pace o in arme.
47 Terran Pugliesi , Calabrì e Lucani
De' gesti di costui lunga memoria,
Là dove avrà dal Re de' Catalani
Di pugna singular la prima gloria ;
E nome tra gP invitti capitani
S'acquisterà con più d'una vittoria:
Avrà per sua virtù la signoria ,
Più di trenta anni a lui debita pria.
48 E quanto più aver obbligo si possa
A principe , sua terra avrà a costui ;
Non perchè fia delle paludi mossa
Tra campi fertilissimi da lui;
Non perchè la farà con muro e fossa
Meglio capace a' cittadini sui,
E l' ornerà di templi e di palagi ,
Di piazze , di teatri e di mille agi ;
49 Non perchè dagli artigli dell'audace
Aligero Leon terrà difesa ;
Non perchè , quando la gallica face
Per tutto avrà la bella Italia accesa ,
Si starà sola col suo stato in pace ,
E dal timore e dai tributi illesa:
Non si per questi ed altri benefici
Saran sue genti ad Ercol debitrici;
50 Quanto che darà lor l' inclita -prole ,
Il giusto Alfonso , e Ippolito benigno ,
Che saran quai l'antiqua fama suole
Narrar de' figli del Tindareo cigno ,
Ch' alternamente si privan del Sole
Per trar l' un l' altro dell' aer maligno.
Sarà ciascuno d'essi e pronto e forte
L'altro salvar con sua perpetua morte.
61 U grande amor di questa bella coppia
Renderà il popol suo via più sicuro ,
Che se , per opra di Yulcan , di doppia
Cinta di ferro avesse intomo il muro.
Alfonso è quel che col saper accoppia
Si la bontà, ch'ai secolo futuro
La gente crederà che sia dal cielo
Tornata Astrea dove può il caldo e il gieio.
52 A grande uopo gli fia l' esser prudente ,
E di valore assimigliarsi al padre;
Che si ritroverà, con poca gente.
Da un lato aver le veneziane squadre,
Colei dall' altro , che più giustamente
Non so se dovrà dir matrigna o madre ;
Ma se pur madre , a lui poco più pia ,
Che Medea ai figli o Progne stata sia.
53 ' E quante volte uscirà giorno o notte
Col suo popol fedel fuor della terra ,
Tante sconfitte e memorabil rotte
Darà a' nemici o per acqua o per terra.
Le genti di Romagna mal condotte
Contra i vicini e lor già amid, in guerra
Se n' avvedranno , insanguinando il suolo
Che serra il Po , Santerno e Zaaniolo.
54 Nei medesmi confini anco saprallo
Del gran pastore il mercenario Ispano,
Che gli avrà dopo con poco intervallo
La Bastia tolti, e morto il Castellano ,
Quando l' avrà già preso ; e per tal fìallo
Non fia , dal minor f&nte al capitano ,
Chi del racquisto e del presidio ucciso
A Roma riportar possa l'avviso.
55 Costui sarà, col senno e con la lancia.
Ch'avrà l'onor, nei campi di Romagna,
D'aver dato all'esercito di Francia
La gran vittoria contro Giulio e Spagna.
Nuoteranno i destrier fin alla pancia
Nel sangue uman per tutta la campagna ;
Ch'a seppellire il popol verrà manco
Tedesco, Ispano, Greco, Italo e Franco.
56 Quel ch'in pontificale abito imprime
Del purpureo cappel la sjtcra chioma ,
É il liberal , magnanimo , sublime ,
Gran Cardinal della Chiesa di Ronui ,
Ippolito , eh' a prose , a versi , a rime
Darà materia eterna in ogni idioma;
La cui fiorita età vuol il Ciel giusto
Ch'abbia un Maron, come im altro ebbe Angusto.
57 Adomerà la sua progenie bella.
Come orna il Sol la macchina del mondo
Molto più della Lima e d'ogni stella;
Ch'ogn' altro lume a lui sempre è secondo.
Costui con pochi a piedi e meno in sella
Veggio uscir mesto, e poi tornar giocondo ;
Che quindici galèe mena captive ,
Oltra mill' altri legni, alle sue rive.
58 Vedi poi l'uno e l'altro Sigismondo:
Vedi d' Alfonso i cinque figli cari ,
Alla cui fama ostar, che di sé il mondo
Non empia, i monti non potran nò i mari.
Gener del Re di Francia, Ercol secondo
È r un ; quest' altro (acciò tutti gì' impari)
Ippolito è , che non con minor raggio ,
Che '1 zio , risplenderà nel suo lignaggio ;
stanza 47.
59 Francesco , il terzo ; Alfoosi gli altri dui
Ambi son detti. Or, come io dissi prima,
S* ho da mostrarti ogni tuo ramo » il cai
Valor la stirpe sna tanto sublima,
Bisognerà che si rischiari e abbui
Più volte prima il del, ch'io te li esprima:
E sarà tempo ormai, quando ti piaccia,
Ch'io dia licenzia all'ombre , e ch'io mi taccia.
60 Cosi con volontà della donzella
La dotta incantatrice il libro chiuse.
Tutti gli spirti allora nella cella
Sparirò in fretta, ove eran l'ossa chiuse.
Qui Bradamante, poiché la favella
Le fu concesso usar , la bocca schiuse ,
E domandò : Chi son li dna si tristi ,
Che tra Ippolito e Alfonso abbiamo visti i
40
ORLANLO FURTOSO.
61 Venìano sospirando , e gli occhi bassi
Parean tener , d' ogni baldanza privi ;
E gir lontan da loro io vedea i passi
Dei frati sì, che ne pareano schivi.
Parve eh' a tal domanda si cangiassi
La maga in viso , e fé' degli occhi rivi ,
E gridò : Ah sfortunati , a quanta pena
Lungo instigar d'uomini rei vi mena!
Stanza 72.
64 Quivi r audace giovane rimase
Tutta la notte , e gran pezzo ne spese
A parlar con Merlin, che le suase
Rendersi tosto al suo Ru?gier cortese.
Lasciò di poi le sotterranee case ,
Ohe di nuovo splendor l'aria s'accese.
Per un cammin gran spazio oscuro e cieco ,
Avendo la spirtal femmina seco.
65 E riuscirò in un burrone ascoso
Tra monti inaccessibili aUe genti ;
E tutto '1 dì, senza pigliar riposo ,
Saliron balze , e traversar torrenti.
E perchè men 1' andar fosse noioso ,
Di piacevoli e bei ragionamenti ,
Di quel che fu più conferir soave,
L'aspro cammin facean parer men grave:
66 Dei quali era però la maggior parte ,
Oh' a Bradamante vien la dotta Maga
Mostrando con che astuzia e con qaal arte
Proceder dee, se di Ruggiero è vaga.
Se tu fossi , dicea , Pallade o Marte ,
E conducessi gente alla tua paga
Pii\ che non ha il re Carlo e il re Agramant^ .
Non dureresti contra il Negromante;
67 Ohe , oltre che d'acciar murata sia
La rocca inespugnabile , e tant' alta ,
Oltre che '1 suo destrier si faccia via
Per mezzo l' aria , ove galoppa e salta ;
Ha lo scu'lo mortai che , come pria
Si scopre, il suo splendor si gli occhi assalta.
La vista toUe, e tanto occupa i sensi
Ohe come morto rimaner conviensi:
62 0 buona prole , o degna d' Ercol buom ,
Non vinca il lor fallir vostra boutade :
Di vostro sangue i miseri pur sono :
Qui ceda la giustizia alla pietade.
Indi soggiunse con più basso suono:
Di ciò dirti più innanzi non accade.
Statti coi dolce in bocca, e non ti doglia
Oh' amareggiar alfin non te la voglia.
63 Tosto che spunti in ciel la prima luce,
Piglierai meco la più dritta via
Oh' al lucente Castel d' acciar conduce ,
Dove Ruggier vive in altrui balia.
Io tanto ti sarò compagna e duce ,
Ohe tu sia fuor dell' aspra selva ria :
T' insegnerò , poi che sarem sul mare ,
Si ben la via, che non potresti errare.
68 E se forse ti pensi che ti vaglia
Combattendo tener serrati gli occhi ,
Oome potrai saper nella battaglia
Quando ti schivi, o l'avversario tocchi?
Ma per fuggire il lume eh' abbarbaglia ,
E gli altri incanti di colui far sciocchi,
Ti mosterò un rimedio, una via presta;
Né altra in tutto '1 mondo è se non questa.
69 II re Agramante d'Africa uno anello ,
Ohe fu rubato in India a una regina.
Ha dato a un suo baron detto Brunello
Ohe poche miglia innanzi ne cammina;
Di tal virtù , che chi nel dito ha quello ,
Oontra il mal degl'incanti ha medicina.
Sa di furti e d' inganni Brunel , quanto
Colui , che tien Ruggier , sappia d' incanto.
70 Questo Brnnel sì pratico e sì astuto ,
Come io ti dico , è da] suo Re mandato ,
Acciò che col suo ingegno e con 1* aiuto
Di questo anello , in tal cose provato ,
Di quella rocca, dove è ritenuto,
Traggia Ruggier : che così s' è vantato ,
Ed ha così promesso al suo Signore,
A cui Ruggiero è più d^ogni altro a core.
71 Ma perchè il tuo Ruggiero a te sol ahbia,
E non al re Agramante , ad obbligarsi
Che tratto sia delPincantata gabbia,
T' insegnerò il rimedio che de' usarsi.
Tu te n'andrai tre dì lungo la sabbia
Del mar, eh' è oramai presso a dimostrarsi:
n terzo giorno in un albergo teco
Arriverà costui e' ha Panel seco.
74 Tu gli va dietro : e come t' avvicini
A quella rocca si eh' ella si scopra ,
Dagli la morte; nò pietà t'inchini
Che tu non metta il mio consiglio in opra.
Nò far eh' egli il pensier tuo s' indovini ,
E ch'abbia tempo che Panel lo copra;
Perchè ti sparirìa dagli occhi , tosto
Ch' in bocca il sacro anel s' avesse porto.
75 Così parlando, giunsero sul mare.
Dove presso a Bordea mette Garonna.
Quivi , non senza alquanto lagrimare ,
Si dipartì l'una dall'altra donna.
La figliuola d' Amon , che per slegare
Di prigione il suo amante non assonna,
Camminò tanto, che venne una sera
Ad un albergo, ove Brunel prim'era.
72 La sua*etatura, acciò tu lo conosca.
Non è sei palmi , ed ha il capo ricciuto ;
Le chiome ha nere , ed ha la pelle fosca ;
Pallido il viso , oltre il dover barbuto ;
Oli occhi gonfiati, e guardatura losca;
Schiacciato il naso , e nelle ciglia irsuto :
L' abito, acciò eh' io lo dipinga intero ,
È stretto e corto, e sembra di corriero.
73 Con esso lui t'accaderà soggetto
Di ragionar di quegP incanti strani.
Mostra d' aver , come tu avrà' in effetto ,
Disio che 'l Mago sia teco alle mani ;
Ma non mostrar che ti sia stato detto
Di quel suo anel che fa gl'incanti vani.
Egli t' offerii à mostrar la via
Fin alla rocca, e farti compagnia.
76 Conosce ella Brunel come lo vede,
Di cui la forma avea sculpita in mente.
Onde ne viene , ove ne .va gli chiede :
Quel le risponde , e d' ogni cosa mente.
La donna , già provvista , non gli cede
In dir menzogne, e simula ugualmente
E patria e stirpe e setta e nome e sesso;
E gli volta alle man pur gli occhi spesso.
77 Gli va gli occhi alle man spesso voltando ,
In dubbio sempre esser da lui rubata ;
Né lo lascia venir troppo accostando ,
Di sua condizion bene informata.
Stavan insieme in questa guisa, quando
L' orecchia da un lumor lor fu intronata.
Poi vi dirò , signor , che ne fu causa ,
Ch'avrò fatto al cantar debita pausa.
NOTE.
St. 3. v. 3. — I gigantei furori alludono alla favo-
losa guerra dei Giganti contro Giove.
St. 4. V. 7. — Pindbello di Magaìxta^ spia di Carlo-
magno.
St. 8. V. 6. — Una donna, Melissa.
St. 10-11. — Finsero i romanzieri di cavalleria, che
Merlino mago inglese s'invaghisse della Donna del
Lago. Avendosi preparato un sepolcro per s6 e per lei,
le insegnò alcune parole, che, pronunziate sull'avello
chiuso, rendevano impossibile aprirlo. La donna, odiando
copertamente Merlino, indottolo a porsi neiravello per
esperimentame la capacità, ne abbassò il coperchio e
disse le fatali parole. Quindi, morto Merlino, lo spirito
di lui ivi rimasto rispondeva di colà dentro alle altrui
domande.
St. 12. V. 1. — CimiterìOj nella proprietà del voca-
bolo, denota luogo di dormizione ;' eà. è voce che può
convenire anche al sepolcro di un solo. L'Ariosto la usò
sempre in quosto senso.
St. 17. V. 1. — L*antiquo sangue, ecc. Favoleggia col
Bojardo che gli Estensi uscissero di sangue trojano.
Ivi. V. 5-6. — I quattro fiumi nominati nel quinto
verso (fra i quali la Danoia è il Danubio) indicano per
la loro posizione i quattro punti cardinali del globo ;
e la Tooe Calisto in fine del sesto Terso, relativa alla
ninfa omonima , trasmutata , secondo i mitologi , in
orsa e collocata in cielo, significa il 2^olo boreale.
St. 17. V. 7-8. — D'imperatori, notansi Otone IV del
ramo Estense-Gaelfo derivante per linea retta da Alberto
Azzo H, Federigo II e Lotario, dei quali più avanti.
St. 21. V. 6. — Chiama pentacolo, ossia pentagono,
una figura di cinque lati fatta di qualsiasi materia,
impressa di segui o caratteri ma^ci, e creduta difen-
dere le persone dai cattivi effetti degF incantesimi
St. 22. t. 7. — Tre voWe, numero solenne negl'incan-
tesimi
St. 24. V. 1. — Il personaggio cui si allude ò Rngge-
retto, supposto futuro figlio di Bradamante. Y. 5. Del
sangue di Pontier ecc. dei Maganzesi, castello di Pon-
tieri (Ponthieu) in Piccardia. — v. 7-8. Si finge che i
Maganzesi abbiano ucciso il padre di Ruggeretto a tra-
dimento, nel castello di Pontieri
St. 25. V. 1-4. — Si fa predire alla maga la pai-te
che le vecchie tradizioni attribuivano al figlio di Bra-
damante, nell' impresa di Carlo Magno contro il lon-
gobardo re Desiderio ; onde la rimunerazione data a
quel guerriero con la signoria dei due castelli sul Pa-
dovano nominati nel terzo verso. Le notizie genealogiche
sugli Estensi, inserite in quasi tutto questo Canto, de-
rivano per lo più dalle opinioni che correvano in quei
tempi di caligine storica.
St. 26. V. 1-2. — Gli espositori intendono qui un Al-
berto Visconti, che dicono aver liberata Milano dal-
l'assedio postovi da Berengario I. Ma la storia non
parla di questo assedio.
Ivi. V. 3-4. — La ftrase spiegherà i colubri denota
Facquisto della signoria di Milano attribuito ad Ugo
figUuol d*Alberto; giacché lo stemma dei Visconti rap-
presentava un serpe tortuoso.
Ivi. V. 7-8. — Il Poeta dà merito al consiglio di Al-
bert azzo d*Este, per la discesa di Otone in Italia contro
i Berengarii, e in ricompensa lo dice divenuto genero
di queir imperatore.
St. 27. y. 3. — Albertazzo ebbe anche veramente un
terzo figlio, chiamato Ugo, natogli da Garsenda dei
principi del Maine; ma non si sa, per testimonianze
autentiche, se operasse le imprese qui attribuitegli.
St. 28. V. 1-6. — Non Folco, come fu detto, ma Guelfo
suo fratello passò in Germania e vi continuò la casa dei
Guelfi bavaresi. Il poeta dice che continuò invece la
casa di Sansogna (Setssonia) ma è erroneo. — y. 7-8. Al-
lude alla fumosa contessa Matilde. Questa fa sposa bensi
di un Estense , ma non già di questo supposto Alber-
tazzo; — sposo suo fu Guelfo V duca di Baviera.
St. 29. y. 4-8. — La battaglia accennata nei verai
4, 5, 6 intendesi essere la combattuta sul Parmigiano
contro Enrico, qui detto II, da altri in, avverso ai papi
per motivo delle investiture ecclesiastiche.
St. 30. Y. 3-4. — Intende iperbolicamente per mezza
Italia i vasti posse<iÌmenti della contessa Matilde, fìra
i quali il cosi detto Patrimonio di S. Pietro.
Ivi. Y. 5-8. — Si allude agli avvenimenti segniti re-
gnando r imperatore Federico I, avverso alla Chiesa
romana, sconfitto poi dalla Lega Lom*>arda; e si attri-
buisce l'onore di quella vittoria al Rinaldo indicato
nel sesto verso. Il primo Estense, di nome Rinaldo,
nasceva da A^zo Novello, ohe lo dava ancor giovinetto
in ostaggio all'imperatore nel 1239, poi lo perdeva pri-
gioniero in Puglia nel 1251 ; e il Barbarossa era già
morto nel 1190.
St. 31. Y. 1-4. — L'Estense, che nel 1207 ebbe dal
partito guelfo la podesteria di Verona, fu Azzo VI. il
quale non senza molto sangue ghibellino la moto in
signoria. Nel 1203 egli ebbe da Innocenzo III, per sé e
discendenti, il marchesato della Marca Anconitana.
St. 32. Y. 1-4. — I fatti dei personaggi qui ricordati
son poco noti, nò mette conto fame speciale menzione.
Ivi. y. 5-8. — L'Azzo qui detto V è veramente il VIL
Si chiamò Azzo Novello , e fu uno dei capi dell' eser-
cito che disfece Ezzelino da Romano e l'imperatore
Federigo IL
St. 34. Y. 24. — Con tale perifrasi vuoisi denotare
Ferrara sul Po, alludendo alla favola di Fetonte, pre-
cipitato in quel fiume.
Ivi. y. 5-6. — Le lagrime delle sorelle di Fetonte Ivi
accorse, divennero, secondo la favola, elettro (resinai
che stilla dai pioppi, in cui esse furono convertite, n
sesto verso riguarda il re ligure Cigno, che lamentando
egli pure Fetonte, fu tramutato udì' uccello omonimo.
St. 35. y. 1. — Quello che l'Ariosto in questa e nella
seguente ottava dice d'Aldobrandino, fratello di Azzo
VII, è pienamente conforme alla storia, n volere in
pegno persone per il danaro che si dava a prestito fa
cosa non infrequente per gli usurai di quel tempo.
St. 37. Y. 2-4. — Pisaxtro è Pesaro; Troento è il
Tronto che ha foce nell'Adriatico, dove sbocca anche
l'Isauro, fiume deir Umbria. E per il tratto di paese
circoscritto nel terzo e nel quarto verso, s' intende il
maì-chesato di Ancona.
St. 38. Y. 1-6. — Rinaldo, figlio di Azzo Novello:
mori di veleno.
St. 39. Y. 1-4. — Obizzo, figlio naturale di Rinaldo,
ma legittimato, successe all'avo nel dominio di Ferrara
l'anno 1264. Nel 1288 acquistò Modena, nell'anno se-
guente Reggio; e allora fu il colmo della potenza della
casa d'Este. Mori in Ferrara nel 1293.
Ivi. v. 5-8. — Quest'Azze è l'VlII, non il VI; e ere-
desi aver comandato la crociata bandita dall'angioino
Carlo II.
St. 40. Y. 1-8. — A meglio dichiarare il gruppo dei
principi Estensi accennato in questa Stanza, è d'uopo
avvertire che, oltre Azzo Vili, nacque da Obizzo an
Aldowandino, pretendente alla signoria di Ferrara, il
quale vendè per denaro i suoi diritti al papa nel 1319,
e mori in Bologna nel 1326.
St. 41. v. 1 2. — Dalla voce greca Rhodon (rosa) si
fa derivare il latino Rhodigintn (Rovigo) per l'abbon-
danza di rose che ne' suoi dintorni dicesi si trovasse.
Ivi. Y. 3-6. — S'intende qui Comacchio, città posta
in mezzo a paludi fra due rami del Po ; ed è abitata
da pescatori, a cui giova il mare turbato per l'esercizio
dell'arte loro.
St. 42. Y. 1-4. — È questi Niccolò III, flgl'o e sncces-
sore di Alberto, al quale Tideo conte di Conio tentò
usurpare lo Stato, ma senza riuscita. Fu anche podestà
di Milano, dove mori nel 1441.
St. 43. Y. 5-8. — Otone dei Terzi, uno dei tirannelli
lombardi, procacciò esso pure di togliere la signoria a
Niccolò, e restò ucciso pi-esso Rubiera.
St. 45. Y. 1-2. — Leonello e Borse, naturali. Ercole e
Sigismondo, legittimi, vennero di Niccolò III, che volle
suo successore il primo, e dopo lui Berso.
St. 46. Y. 1-6. — Ercole, primo di nome, e secondo
duca di Ferrara, nacque nel 1431. Sostenne guerra
mossagli dai limitrofi Veneziani, ai quali, negli anni
della preceduta amicizia, fu difensore p6rsonalment«,
sebbene impedito di un piede, contro il re di Germania
che gli avea vinti e ftigati a Bndrio, castello situato
nel Bolognese; e in questa gneri-a, ch'eglino fecero ad
Ercole, lo strinsero fin sotto le mura di Ferrara in
luogo detto il Barco,
St. 47. y. 1-6. — Ercole nella sua giovinezza militò
con gloria per Alfonso d'Aragona re di Napoli.
Ivi. V. 7-8. — Ercole, come maggior nato e legittimo,
avrebbe dovuto succedere direttamente al padre: ma il
regno novenne di Leonello, coi 21 anno e più del regno
di Borsigli ritardarono la successione per oltre 30 anni.
St. 48-49. — Parlasi dei benefizj fatti da Ercole
ai Ferraresi, con asciugare paludi, convertendole in
fertili campagne, ampliare la città, fortificarla, ador-
narla, ecc. Ercole seppe anche difendere Ferrara contro
i Veneziani, e la mantenne pacifica ed illesa nella
gnerra portata in Italia da Carlo Vili re di Francia
nel 1494.
St. 50. V. 1-2. — Alfonso I, figlio di Ercole, nato nel
1476, sali al principato nel 1505, e lo tenne fino al 15<^
anno della sua morte. Ippolito, di cui nella St. 3 del
Canto I, nacque nel 1479, fti cardinale nel 1483, ma-
neggiò le armi nella lega di Cambrai, e mori in Fer-
rara nel 1529.
Ivi. V. 3-8. — Paragona Taffezione reciproca fra Er-
cole e Alfonso a quella eh' ebbero V uno per V altro
Castore e Polluce, figli mitologici di Leda, nata da
Tindaro e da Giove, convertitosi per essa in Cigno ;
affezione non mai disciolta, giacché ottennero da Giove
di restare a vicenda privi del sole (di vita), per trarsi
anche a vicenda dall'aere maligno (da morte).
St. 51. V. 7-8. — Astreay figlia di Giove, è la Giustizia
ritiratasi in cielo per la malvagità degli nomini ; e questa
per la bontà di Alfonso si crederà ritornata in terra.
St. 52. V. 3-8. — Alfonso, entrato nella lega di Cam-
brai promossa da Giulio II, vinse i Veneti nel 1509 alla
Polesella. Quando Giulio nell'anno appresso si distaccò
dalla lega, voleva che Alfonso combattesse pei Veneti ;
al che rifiutatosi il duca, Giulio gli venne addosso con
le armi spirituali e le temporali ; e cosi Alfonso si trovò
alle prese da un lato coi Veneti , e dall' altro col capo
della Chiesa romana.
St. 53. V. 5-& — Per eilétto di questa gnerra, i Bo-
magnuoli insorsero contro Alfonso, unendosi alle genti
del papa; e fUrono sconfitti tra il Po e il Santemo,
fiume d' Imola, presso il canale .Zanniolo.
St. 54. V. 1-8. — Poco dopo quella rotta, gli Spa-
gnuoll assoldati dal papa presero ad Alfonso un forti-
lizio detto Bastia, che guardava il passo del Primaro ;
e dopo fatto prigioniero il castellano, lo uccisero. Per
tal violazione delle leggi di guerra, i Ferraresi riacqui-
stando poi la Bastia, ne passarono a filo di spada tutto
il presidio.
St. 55. Y. 1-8. — Accenna la giornata di Bavenna,
combattuta nella Pasqua del 1512, ove insieme coi Te-
deschi, Spagnuoli, Italiani e Francesi, erano anche Al-
banesi nelle schiere dei VenetL
St. 56. V. 1-8. — Diffondesl il Poeta in elogi al car-
dinale Ippolito seniore, che tenne le sedi arcivescovili
di Strigonia e di Agria in Ungheria, di Milano, di
Capua, la vescovile di Ferrara, e quella di Modena a
titolo di commenda.
St. 57. V. 5-8. — Allude alla sconfitta che il cardi-
nale Ippolito, con soli 300 cavalieri e poco più di fanti,
diede presso Volano ai Veneti. Mesto usciva Ippolito a
quella impresa, per la tenuità di sue forze; e ne tornò
giocondo della non sperata vittoria.
St. 58. V. 1. ~ Di questi due Siglsmondi uno era fra-
tello, l'altro figliuolo del duca Ercole; e il primo di
questi fu stipite di marchesi di San Martino. — v. 2.
Alfonso ebbe tre figli maschi da Lucrezia Borgia ; Er-
cole che gli successe nel ducato, e sposò Renata di
Francia: Ippolito II cardinale, noto sotto il nome di
cardinal di Ferrara, e Francesco: due ne ebbe da Laura
Dianti sua favorita. Alfonso e Alfonsino.
St. 60. V. 7-8. — I due qui mentovati sono Qivlio e
FerdinandOy fratelli di Alfonso I, cospiratori contro di
esso per altrui istigazione, e condannati a morte. La
pena fU poi commutata in carcere perpetuo, ove Fer-
dinando mori nel 1540; e Giulio, graziato della libertà
da Alfonso II, cessò di vivere nel 1561.
St. 71. V. 3. — Gabbia incantata, cioè il palazzo o
castello fabbricato da Atlante per incantamento.
St. 75. V. 2. — Bordea, oggi Bordeaux.
r-^^^i^^r^^ -i^-^-VP?»
Stanza 4.
CANTO QUARTO.
ARGtOMBirrO.
Bradamante con Fanello misterioso vince il prestigio di Atlante e libera Ruggiero dal castello incantato.
Questi lascia a lei il suo cavallo, e monta 1* Ippogrifo che seco lo porta in aria. Rinaldo approda nella
Scozia, dove gli è detto che Ginevra figlia di quel re trovasi in pericolo di essere messa a morte per una
calunnia: incamminatosi per libemrla, s'avviene in una giovane a cui domanda contezza del fatto.
1 Quantunque il simular sia le più volte
Bipreso, e dia di mala mente indici,
Si trova pur in molte cose e molte
Aver fatti evidenti benefici ,
E danni e biasmi e morti aver già toIt«;
Che non conversiam sempre con gli amici
In questa assai più oscura che serena
Vita mortai, tutta d^nvidia piena.
Se, dopo lunga prova, a gran fatica
Trovar si può chi ti sia amico vero,
Ed a chi senza alcun sospetto dica
E discoperto mostri il tuo pensiero ,
Che de' far di Ruggier la bella amica
Con quel Brunel non puro e non sincero ,
Ma tutto simulato, e tutto finto,
Come la Maga le l'avea dipinto?
3 Simula anch^ella; e cosi far conYiene
Con esso lai, di finzioni padre:
E, come io dissi, spesso ella gli tiene
Gli occhi alle man, ch^eran rapaci e ladre.
Ecco airorecchie un gran rumor lor viene.
Disse la donna: 0 gloriosa Madre,
0 He del ciel, che cosa sarà questa?
E dove era il rumor si trovò presta.
4 E vede Toste e tutta la famiglia,
E chi a finestre e chi fiior nella via ,
Tener levati al ciel gli occhi e le ciglia,
Come l'eclisse o la cometa sia.
Vede la donna un'alta maraviglia.
Che di leggier creduta non saria:
Vede passar un gran destriero alato,
Che porta in aria un cavaliero armato.
5 Grandi eran Tale e di color diverso ,
E vi sedea nel mezzo un cavaliero.
Di ferro armato luminoso e terso:
E ver Ponente avea dritto il sentiero.
Calessi, e fu tra le montagne immerso :
E, come dicea Toste (e dicea il vero),
QuelTera un Negromante, e facea spesso
Quel varco, or più da lungi, or più da presso.
6 Volando, talor s'alza nelle stelle,
E poi quasi talor la terra rade;
E ne porta con lui tutte le belle
Donne che trova per quelle contrade:
Talmente che le misere donzelle
Ch'abbino o aver si credano beltade
(Come affatto costui tutte le invole),
Non escon fuor sì che le veggia il Sole.
7 Egli sul Pireneo tiene un castello ,
Narrava Toste, fatto per incanto,
Tutto d'acciaio, e sì lucente e bello,
Ch'altro al mondo non è mirabil tanto.
Già molti cavalier sono iti a quello,
E nessun del ritorno si dà vanto:
Si ch'io penso, signore, e temo forte ,
0 che siao presi, o sian condotti a morte.
8 La donna il tutto ascolta, e le ne giova,
Credendo far, come farà per certo.
Con l'anello mirabile tal prova,
Che ne fia il Mago e il suo Castel deserto.
E dice all'oste : Or un de' tuoi mi trova ,
Che più di me sia del viaggio esperto;
Ch'io non posso durar: tanto ho il cor vago
Di far battaglia contro a questo Mago.
Stanza 14
46
OBLANDO PUBIOSO.
9 Non ti mancherà guida, le rispose
Bninello allora; e ne verrò teco io.
Meco ho la strada in scritto, ed altre cose
Che ti faran piacer il yenir mio.
Volse dir delPanelj ma non l'espose ,
Né chiari più, per non pagarne il fio.
Grato mi fia, disse ella, il venir tuo:
Volendo dir, ch'indi l'anel fia suo.
10 Quel ch'era utile a dir, disse ; e quel tacque,
Che nuocer le potea col Saracino.
Avea Foste un destrier ch'a costei piacque,
Ch'era huon da battaglia e da cammino:
Comperollo e partissi come nacque
Del bel giorno Bruente il mattutino.
Prese la via per una stretta valle.
Con Brunello ora innanzi, ora alle spalle.
11 Di monte in monte e d'uno in altro bosco
Giunsero ove l'altezza di Pirene
Può dimostrar, se non è l'Ser fosco,
E Francia e Spagna, e due diverse arene:
Come Apennin scopre il mar Schiavo e il Tosco
Del giogo onde a Camaldoli si viene.
Quindi per aspro e faticoso calle
8i discendea nella profonda valle.
15 Né per lacrime, gemiti o lamenti
Che facesse Brunel, lo volse sciorre.
Smontò della montagna a passi lenti ,
Tanto che fu nel pian sotto la torre.
E perché alla battaglia s'appresenti
Il negromante, al corno suo ricorre:
E, dopo il suon, con minacciose grida
Lo chiama al campo, ed alla pugna U sfida.
16 Non stette molto a uscir fuor della porta
L'incantator, ch'udi '1 suono e la voce.
L'alato corridor per l'aria il porta
Centra costei, che sembra uomo feroce.
La donna da principio si conforta;
Che vede che colui poco le nuoce:
Non porta lancia né spada né mazza,
Ch'a forar l'abbia o romper la corazza.
17 Dalla sinistra sol lo scudo avea.
Tutto coperto di seta vermiglia;
Nella man destra un libro, onde facea
Nascer, leggendo, l'alta mara^nglia:
Che la lancia talor correr parca ,
E fatto avea a più d'un batter le ciglia;
Talor parca ferir con mazza o stocco ,
E lontano era, e non avea alcun tocco.
12 Vi sorge in mezzo un sasso, che la cima
D'un bel muro d'acciar tuttA si fascia,
E quella tanto inverso il ciel sublima.
Che quanto ha intomo inferi'or si lascia.
Non faccia, chi non vola, andarvi stima;
Che spesa indamo vi saria ogni ambascia.
Brand disse: Ecco dove prigionieri
Il Mago tìen le donne e i cavalieri.
13 Da quattro canti era tagliato, e tale
Che parca dritto a fil della sinopia:
Da nessun lato né sentier né scale
V'eran, che di salir facesser copia:
E ben appar che d'animai ch'abbia ale
Sia quella stanza nido e tana propia.
Quivi la donna esser conosce l'ora
Di tor l'anello, e far che Brunel mora.
18 Non è finto il destrier, ma naturale ,
Ch'una giumenta generò d'un Grifo:
Simile al padre avea la piuma e Tale,
Li piedi anteriori, il capo e '1 grifo;
In tutte l'altre membra parca quale
Era la madre, e chiamasi Ippogrifo ;
Che nei monti Rifei vengon, ma rari,
Molto di là dagli agghiacciati mari.
19 Quivi per forza lo tirò d'incanto ,
E poiché l'ebbe, ad altro non attese,
E con studio e fatica operò tanto,
Ch'a sella e briglia il cavalcò in un mese;
Cosi ch'in terra e in aria e in ogni canto
Lo &cea volteggiar senza contese.
Non finzì'on d'incanto, come il resto ,
Ma vero e naturai si vedea questo.
14 Ma le par atto vile a insanguinarsi
D'un uom senza arme e di si ignobil sorte;
Che ben potrà posseditrice farsi
Del ricco anello, e lui non porre a morte.
Brunel non avea mente a riguardarsi ;
Si ch'ella il prese, e lo legò ben forte
Ad uno abete ch'alta avea la cima:
Ma di dito l'anel gli trasse prima.
20 Del Mago ogn'altra cosa era figmento ,
Che comparir facea pel rosso il giallo:
3Ia con la donna non fu di momento;
Che per l'anel non può vedere in fallo.
Più colpi tuttavia disserra al vento,
E quinci e quindi spinge il suo cavallo ;
E si dibatte e si travaglia tutta,
Com'era, innanzi che venisse, instrutta.
21 E, poi che esercitata si fu alquanto
Sopra il (lestrier, smontar volse anco a piede,
Per poter meglio al fin venir di quanto
La cauta Maga instruzì'on le diede.
Il Mago vien per far Testremo incanto ;
Che del fatto ripar né sa né crede:
Scuopre lo scudo, e certo si prosume
Farla cader con Tincantato lume.
22 Potea cosi scoprirlo al primo tratto.
Senza tenere i cavalieri a bada ;
Ma gli piaceva veder qualche bel tratto
Di correr Tasta, o di girar la spada:
Come si vede ch'all'astuto gatto
Scherzar col topo alcuna volta aggrada :
E poi che quel piac?r gli viene a noia.
Dargli di morso, e alfìn voler che muoia.
23 Dico che U Mago al gatto, e gli altri al topo
S'assimigliàr nelle battaglie dianzi;
Ala non s^assimigliiir già cosi dopo
Che con Tanel si fé la donna innanzi.
Attenta e fissa stava «a quel ch'era uopo.
Acciò che nulla seco il Mago avanzi ;
E come vide che lo scudo aperse,
Chiuse gli occhi, e lasciò quivi caderse.
24 Non che il fulgor del lucido metallo ,
Come soleva agli altri, a lei noceste ;
Ma cosi fec3 acciò che dal cavallo
Contro sé il vano incantator scen lesse;
Ne parte andò del suo disegno in fallo ;
Che tosto ch'ella il capo in terra m3ss?,
Accelerando il volator le penne ,
Con larghe mote in terra a por si venne.
Stanza '/7.
25 Lascia alParcion lo scudo che già posto
Avea nella coperta, e a pie discende
Verso la donna che. come reposto
Lupo alla macchia il ciprioto, attende.
Senza più indico ella si leva tosto
Che l'ha vicino, e ben stretto lo prende.
Avea lasciato quel misero in terra
Il libro che facea tutta la guerra :
26 E con una catena ne correa ,
Che solea portar cinta a simil uso ;
Perchè non men legar colei credea.
Che per addietro altri legare era uso.
La donna in terra posto già l'avea :
Se quel non si difese io ben Tescuso ;
Che troppo era la cosa differente
Tra u'J dcbol vecchio, e M tanto p''SS?nte.
27 Disegnando levargli ella la testa,
Alza la man vittoriosa in fretta;
Ma poi che '1 viso mira, il colpo arresta ,
Quasi sdegnando si bassa vendetta.
Un venerabil vecchio in faccia mesta
Vede esser quel ch'ella ha giunto alla stretta,
Che mostra al viso crespo e al pelo bianco
Età di settanta anni, o poco manco.
28 Tommi la vita, giovene, per Dio,
Dicea il vecchio pien d'ira e di dispetto ;
Ma quella a torla avea si il cor restio ,
Come quel di lasciarla avria diletto.
La donna di sapere ebbe disio
Chi fosse il negromante, ed a che effetto
Edificasse in quel luogo selvaggio
La rocca, e faccia a tutto il mondo oltraggio.
29 Né per maligna intenzione, ahi lasso !
(Disse piangendo il vecchio incantatore)
Feci la hella rocca in cima al sasso ,
Né per avidità son rubatore ;
Ma per ritrar sol dall'estremo passo
Un cavalier gentil, mi mosse amore,
Che. come il ciel mi mostra, in tempo breve
Morir cristiano a tradimento deve.
30 Non vede il Sol tra questo e il polo anstrìso
Uji giovene si bello e sì prestante :
Ruggero ha nome, il qual da piccolino
Da me nutrito fu, chMo sono Atlante.
Disio d'onore e suo fiero destino
L'han tratto in Francia dietro al re Agrainaiit«:
Ed io, che ramai sempre più che figlio ,
Lo cerco tjrar di Francia e di periglio.
Stanza 44.
.SI La bella rocca solo edificai,
Per tenervi Ruggier sicuramente.
Che preso fu da me, come sperai
Che fossi oggi tu preso similmente;
E donne e cavalier, che tu vedrai,
Poi ci ho ridotti, ed altra nobil gente,
Acciò che, quando a voglia sua non esca,
Avendo compagnia, men gli rincresca.
32 Pur ch'uscir di lassù non si domande,
D'ogn'altro gaudio lor cura mi tocca;
Che quanto averne da tutte le bande
Si può del mondo, è tutto in quella rocca:
Suoni, cinti, vestir, giuoclii, vivande ,
Quanto può cor pensar, può chieder bocca.
Ben seminato avea, ben cogliea il frutto:
Ma tu sei giunto a disturbarmi il tutto.
33 Deh, 86 non hai del tìso il cor men bello,
Non impedir il mio consiglio onesto!
Piglia lo scudo (ch'io tei dono), e quello
Destrier che va per l'aria così presto,
E non t'impacciar oltra nel castello ,
0 tranne uno o duo amici, e lascia il resto;
0 tranne tutti gli altri , e più non chero ,
Se non che tu mi lasci il mio Ruggiero.
34 E se disposto sei volermel tórre ,
Deh, prima almen che tu '1 rimeni in Francia,
Piacciati questa afilitta anima sciorre
Della sua scorza ormai putrida e rancia!
Rispose la donzella : Lui vo' porre
In libertà: tu, se sai, gracchia e ciancia.
Né mi oflferir di dar lo scudo in dono,
0 quel destrier, che miei, non più tuoi sono.
35 Nò s'anco stesse a te di tórre e darli ,
Mi parrebe che '1 cambio convenisse.
Tu di' che Ruggier tieni per vietarli
Il malo influsso di sue stelle fisse.
O che non puoi saperlo, e non schivarli ,
Sappiendol, ciò che '1 Ciel di lui prescrisse :
Ma se '1 mal tuo, e' hai si vicin, non vedi ,
Peggio l'altrui, c'ha da venir, prevedi.
36 Non pregar ch'io t'uccida; ch'i tuoi preghi
Sariano indamo : e se pur vuoi la morte ,
Ancorché tutto il mondo dar la nieghi ,
Da sé la può aver sempre animo forte.
Ma pria che l'alma dalla carne sleghi ,
A tutti i tuoi prigioni apri le porte.
Cosi dice la donna; e tuttavia
II Mago preso incontra al sasso invia.
37 Legato della sua propria catena
N'andava Atlante, e la donzella appresso ,
Che cosi ancor se ne fidava appena,
Benché in vista parca tutto rimesso.
Non molti passi dietro se lo mena.
Ch'appiè del monte han ritrovato il fesso ,
E li scaglioni onde si monta in giro ,
Fin ch'alia porta del Castel salirò.
38 Di su la soglia Atlante un sasso tolle ,
Di caratteri e strani segni insculto.
Sotto vasi vi son, che chiamano olle ,
Che fuman sempre, e dentro han foco occulto.
L'incantator le spezza ; e a un tratto il colle
Riman deserto, inospite ed inculto ;
Né muro appar né torre in alcun lato ,
Come se mai Castel non vi sia stato.
39 Sbrìgossi dalla donna il Mago allora ,
Come fa spesso il tordo dalla ragna ;
E con lui sparve il suo castello a un' ora ,
E lasciò in libertà quella compagna:
Le donne e i cavalier si trovar fuora
Delle superbe stanze alla campagna
E furon di lor molte a chi ne dolse;
Che tal franchezza un gran piacer lor tolse.
40 Quivi é Gradasso , quivi è Sacripante ,
Quivi è Prasildo , il nobil cavaliere ,
Che con Rinaldo venne di Levante,
E seco Iroldo , il par d' amici vero.
Alfin trovò la bella Bradamante
Quivi il desiderato suo Ruggiero ,
Che , poi che n' ebbe certa conoscenza ,
Le fé buona e gratissima accoglienza;
41 Come a colei che più che gli occhi sui ,
Più che'l suo cor, più che la propria vita
Ruggiero amò dal dì eh' essa per lui
Si trasse l' elmo , onde ne fu ferita.
Lungo sarebbe a dir come , e da cui ,
E quanto nella selva aspra e romita
Si cercar poi la notte e il giorno chiaro;
Né , se non qui , mai più si ritrovare.
42 Or che quivi la vede, e sa ben eh' ella
È stata sola la sua redentrice ,
Di tanto gaudio ha pieno il cor, che appella
Sé fortunato ed unico felice.
Scesero il monte, e dismontaro in quella
Valle , ove fu la donna vincitrice ,
E dove l'Ippogrifo trovare anco^
Ch' avea lo scudo , ma coperto , al fianco.
43 La donna va per prenderlo nel freno:
E quel l' aspetta finché se gli accosta ;
Poi spiega l' ale per l' aer sereno ,
E si ripon non lungi a mezza costa.
Ella lo segue; e quel né più né meno
Si leva in aria , o non troppo si scosta :
Come fa la cornacchia in secca arena.
Che dietro il cane or qua or là si mena.
44 Ruggier , Gradasso , Sacripante, e tutti
Quei cavalier che scesi erano insieme ,
Chi di su, chi di giù, si son ridutti
Dove che torni il volatore han speme.
Quel , poi che gli altri invano ebbe condutti
Più volte e sopra le cime supreme
E negli umidi fondi tra quei sassi ,
Presso a Ruggiero alfin ritenne i passi.
Stanzi 4S
45 E questa ojìera fu del vecchio Atlante ,
Di cui non cessa la pietosa voglia
Di trar Ruggier del gran periglio instante:
Di ciò sol pensa, e di ciò solo ha doglii.
Però gli manda or V Ippogrifo avante ,
Perchè d' Europa con questa arte il toglia.
Ruggier lo piglia, e seco pensa trarlo ;
Ma quel s* arretra e non vuol seguitarlo.
46 Or di Frontin queir animoso smonta
(Ffoutiuo era nomato il suo destriero) ,
E sopra quel che va per Parìa monta,
E con li spron gli adizza il core altiero.
Quel corre alquanto et indi i piedi ponta ,
E sale inverso il ciel, via più leggiero
Che '1 girfalco , a cui lieva il cappello
Il mastro a tempo, e fa veder T augello.
47 La bella donna , che si in alto vede
E con tauto perìglio il suo Ruggiero ,
Resta attoniti in modo , che non rìede
Per lungo spazio al sentimento vero.
Ciò che già inteso avea di Ganimede,
Olì' al ciel fu assunto dal paterno impero
Dubita assai che non acca la a quello,
Non men gentil di Ganimede e bello.
48 ■ Con gli occhi fissi al ciel lo segue quinto
Basta il veder; ma poiché si dilegua
Si, che la vista non può correr tanto ,
Lascia che sempre T animo lo segua.
Tuttavia con sospir, gemito e pianto
Non ha , né vuol aver pace né triegu u
Poi che Ruggier di vista se le tolse,
Al buon destrier Frontin gli occhi rivolse ;
49 E si deliberò di non lasciarlo
Che fosse in preda a chi venisse prima ;
Ma di condurlo seco , e di poi darlo
Al suo signor , ch^ anco veder pur stim i.
Pogg'a r augel , né può Ruggier frenarlo :
Di sotto rimaner vede ogni cima
Ed abb issarsi in guisa, che non sco'^ge
Dove è piaio il t^rren, né dove sorge.
50 Poi che si ad alto vien, eh' un picciol punto
Lo può stimar chi dalla terra il mira ,
Prende la via verio ove cade appunto
Il Sol quanlo col Granchio si raggira';
E per r aria ne va come legno unto ,
A cui nel mar propizio vento spira.
Lasciamlo andar , che farà buon cammino ;
E torniamo a Rinaldo paladino.
51 Binaldo l'altro e T altro giorno scorse,
Spinto dal vento, un gran spazio di mare,
Quando a Ponente e ^nando contra POrse ,
Che notte e dì non cessi mai soffiare.
Sopra la Scozia ultimamente sorse ,
Dove la selva Calidonia appare ,
Che spesso fra gli antiqui ombrosi cerri
S* ode sonar di bellicosi ferri.
57 E se del tuo valor cerchi far prova ,
T' è preparata la più degna impresa
Che nell'antiqua etade o nella nova
Giammai da cavalier sia stata presa.
La figlia del Re nostro or si ritrova
Bisognosa d'aiuto e di difesa
Contra un baron che Lurcanio si chiama.
Che tor le cerca e la vita e la fama.
52 Vanno per quella i cavalieri erranti ,
Incliti in arme, di tutta Bretagna,
E de' prossimi luoghi e de' distanti
Di Francia, di Norvegia e di Lamagna.
Chi non ha gran valor non vada innanti ;
Che dove cerca onor, morte guadagna.
Gran cose in essa già fece Tristano ,
Landlotto, Galasso, Artù e Galvano.
53 Ed altri cavalieri e della nova
E della vecchia Tavola famosi :
Restano ancor di più d'una lor prova
Li monumenti e li trofei pomposi.
L' arme Binaldo e il suo Baiardo trova ,
E tosto si fa por nei liti ombrosi ,
E al nocchier comanda ohe si spicche ,
E lo vada aspettar a Beroicche.
54 Senza scudiero e senza compagnia
Va il cavalier per quella selva immensa ,
Facendo or una ed or un'altra via,
Dove più aver strane avventure pensa.
Capitò il primo giorno a una badia
Che buona parte del suo aver dispensa
In onorar nel suo cenobio adomo
Le donne e i cavalier che vanno attorno.
58 Questo Lurcanio al padre l'ba accusata
(Forse per odio più che per ragione)
Averla a mezza notte ritrovata
Trarr' un suo amante a sé sopra un verone.
Per le leggi del regno condannata
Al foco fia , se non trova campione
Che fra un mese , oggimai presso a finire ,
L'iniquo accusator &ccia mentire.
59 L' aspra legge di Scozia , empia e severa ,
Vuol eh' ogni donna , e di ciascuna sorte .
Ch' ad uom si giunga e non gli sia mogliera,
S' accusata ne viene , abbia la morte.
Né riparar si può ch'ella non pera,
Quando per lei non venga un guerrier forte
Che tolga la difesa , e che sostegna
Che sia innocente e di morire indegna.
60 II re , dolente per Ginevra bella
(Che così nominata è la sua figlia) ,
Ha pubblicato per città e castella ,
Che s' alcun la difesa di lei piglia ,
E che l' estingua la calunnia fella
(Purché sia nato di nobil famiglia) ,
L' avrà per moglie , ed uno stato , quale
Fia convenevol dote a donna tale.
55 Bella accoglienza i monachi e l' Abbate
Fero a Rinaldo , il qual domandò loro
(Non prima già che con vivande grate
Avesse avuto il ventre ampio ristoro)
Come dai cavalier sien ritrovate ^
Spesso avventure per quel tenitoro ,
Dove si possa in qualche fatto egregio
L' uom dimostrar , se merta biasmo o pregio.
56 Risposongli, eh' errando in quelli boschi ,
Trovar potria strane avventure e molte:
Ma come i luoghi, i fati ancor son foschi ;
Che non se n'ha notizia le più volte.
Cerca , diceano , andar dove conoschi
Che Topre tue non restino sepolte,
Acciò dietro al periglio e alla fatica
Segua la fama , e il debito ne dica.
61 Ma se, fra un mese , alcun per lei non viene,
0 venendo non vince , sarà uccisa.
Simile impresa meglio ti conviene,
Ch' andar pei boschi errando a questa guisa ,
Oltre eh' onor e fama te n'avviene,
Ch' in eterno da te non fia divisa ,
Guadagni il fior di quante belle donne
Dall'Indo sono all' atlantée colonne ;
62 E una ricchezza appresso , ed uno stato
Che sempre far ti può viver contento j
E la grazia del Re , se suscitato
Per te gli fia il suo onor, che è quasi spento.
Poi per cavalleria tu se' ubbligato
A vendicar di tanto tradimento
Costei che , per comune opinione ,
Di vera pudicizia è un paragone.
Stanza 51,
63 Pensò Rinaldo alquanto , e poi rii^pose :
Una donzella dunque de* morire
Perchè lasciò sfogar neir amorose
Sue braccia al suo amator tanto desire?
Sia maladetto chi tal legge pose,
£ maladetto chi la può patire
Debitamente muore una crudele,
Non chi dà vita al suo amator fedele.
«4 Sia vero o falso che Ginevra tolto
S'abbia il suo amaute, io non riguardo a questo:
D'averlo fatto la loderei molto,
Quando non fosse stato manifesto.
Ho in sua difesa o^ni pensier rivolto:
Datemi pur un che ujì guidi presto,
E dove pia Paccusator mi mene;
Ch' io ppero in Dio , G -nevra trar di pene.
OANTO QUARTO.
57
65 Non vo'già dir ch^ella non l'abbia fatto;
Che , noi sappiendo , il falso dir potrei :
Dirò ben, che non de' per simil atto
Panizì'on cadere alcuna in lei ;
E dirò , che fu ingiusto o che fu matto
Chi fece prima gli statuti rei;
E come iniqui rivocar si denno,
E nuova legge far con miglior senno.
70 Ma lagrimosa e addolorata quanto
Donna o donzella, o mai persona fosse.
Le sono dui col ferro nudo accanto,
Per farle far l' erbe di sangue rosse.
Ella con preghi differendo alquanto
GìvÀ il morir, sinché pietà si mosse.
Venne Rinaldo , e , come se u' accorse ,
Con alti gridi e gran minacce accorse.
66 Se un medesimo ardor, s'un disir pare
Inchina e sforza V uno e V altro sesso
A quel soave fin d'amor, che pare
All' ignorante vulgo un grave eccesso ;
Perchè si de' punir donna o biasmare ,
Che con uno o più d' uno abbia commesso
Quel che l'uom fa con quante n'ha appetito,
E lodato ne va, non che impunito?
67 Son fatti in questa legge disuguale
Veramente alle donne espressi torti ;
E spero in Dio mostrar ch'egli è gran male
Che tanto lungamente si comporti.
Rinaldo ebbe il consenso universale,
Che fur gli antiqui ingiusti e male accorti,
Che consentirò a così iniqua legge;
E mal fa il Re, che può , né la corregge.
68 Poi che la luce candida e vermiglia
Dell' altro giorno aperse l' emispero ,
Rinaldo l'arme e il suo Boiardo piglia,
E di quella badia tolle un scudiero ,
Che con lui viene a molte leghe e miglia ,
Sempre nel bosco orribilmente fiero,
Verfo la terra ove la lite nuova.
Della donzella de' venir in pruova.
69 Avean, cercando abbreviar cammino,
• Lasciato pel sentier la maggior via;
Quando un gran pianto udir sonar vicino.
Che la foresta d'ogn' intorno empia.
Baiardo spinse l'un, l'altro il ronzino
Verso una valle , onde quel grido uscia ;
E fra dui mascalzoni una donzella
Vider , che di lontan parea assai bella ;
Stmza 71.
71 Voltaro i malandrin tosto le spalle ,
Che '1 soccorso lontan vider venire ,
E si appiattar nella profonda valle.
Il Paladin non li curò seguire:
Venne alla donna , e , qnal gran colpa dàlie
Tanta punizion cerca d'udire ;
£, per tempo avanzar, fa allo scudiero
Levarla in groppa, e torn% al suo sentiero.
72 E cavalcando poi meglio la guata
Molto esser bella e di maniere accorte ,
Ancorché fosse tutta spaventata
Per la paura ch'ebbe della morte.
Poi ch'ella fu di nuovo domandata
Chi r avea tratta a si infelice sorte ,
Incominciò con umil voce a dire
Quel ch'io vo' all' altro canto differire.
N ot:
St. 11. V. 2. — Pirene, i Pirenfli.— v. 5. n Mar Schiavo,
rAdiiatico; e il mar Tosco, il Tirreno.
St. 13. V. 2, — È la sinopia una terra rossa, così
detta dall'essere stata trovata in Sinope, città dell'Asia
Uinore; e tuttavìa l'usano i legnaiaoli tingendone un
filo per segnare dirittamente le loro linee.
St. 18. V. 7. — Monti Rifei, oggi diconsi Monti UralL
St. 40. V. 14. — I qui nominati furono cavalieri cri-
stiani fatti prigionieri di Ifonodante insieme a Rinaldo
ed altri in un castello dell'Oriente.
St. 46. V. 1-2. — Frontino era cavallo di Sacripante,
rubatogli da Brunello che lo diede poi a Ruggiero.
St. 47. V. 5-6. — Ganimede, figlio di Troio re d'Ilio,
fb portato in cielo da Giove trasformatosi in aquila.
St. 50. V. 3-4. — Intende la vìa verso le Indie Orie»-
tali, perpendioolai'e alle quali sembra il sole quando ^
nel segno del granchio o cancro, cioè nel solstizio
estivo, a chi lo guarda da ponente.
St. 5L V. 6. — Sélva Calidonia. Questa selva occu-
pava anticamente una vastissima parte deOa Scozia
settentrionale.
St. 53. V. 8. — Beroicche (ossia Bertnek) capital?
di una contea meridionale della Scozia.
St. 61. V. 8. — Le colonne atlantee, dette altresì co-
lonne d'Ercole, sono i due promontoij che formano Io
stretto di Gibilterra; e la locuzione intiera significa da
levante a ponente.
Stanza 57.
CANTO QUINTO.
ARGOMENTO.
l>:iUHÌa jvalesa a Rinato b trama oidiJa dal ano binante PolineiiSo
a daiirtu Ai Oìnevra, lOiidantifttA a morire, ip ncni sì offri' chi
la dìretida contro Lurraiiio che! ImafPOmtadi disonestà rrìnaldo
in ri -rii avi t^Ripo chiuso, quauiio ajtiiEinlo Liucanio ave* co min-
iLiitt» li t'<imbfUter& con un tiavali^re scoìioac tu lo, presentatosi a
dift-nileela princìpesaa; fa aoa pender*: h pngna, manifesta V in-
gannatore, e gli fa donfesaai-c il lIcIìciOh
Tutti gli altri aDÌmai €he ìjoiio in terra
t) che vÌYOu quieti e stanno in pRce ^
O se Tengono a rissa e sì fan giierrsiT
Alla fé mn lina il tnaseUio uf^n la face-
L'i^rsa rrjii Torso al bosco sicura erra:
La leonessa appresso il leon giace;
Col lupo vive la lupa sicura ,
Nò la giuveuca ha del torci paura.
2 Che abbominevol peste, che Megera
É venuta a turbar gli umani petti ?
Che si sente il marito e la mogliera
Sempre garrir d'ingiuriosi detti,
Stracciar la faccia e far livida e nera,
Bagnar di pianto i geniali letti ;
E non di pianto sol, ma alcuna volta
Di sangue gli hi bagnati Pira .«tolta.
stanza 9.
Farmi non sol gran mal, ma che Tuom faccia
Centra natura e sìa di Dio ribello ,
Che s' induce a percuotere la faccia
Di belhi donna , o romperle uu capello ;
Ma chi le dà veneno , o chi le caccia
L' alma del corpo con laccio o coltello ,
Ch' uomo sia quel non crederò in eterno ,
Ma in vista umana un spirto dell' inferno.
Co tali esser doveano 1 duo ladroni
Che Rinaldo cacciò dalla donzella,
Da lor condotta in quei scuri valloni ,
Perchè non se n'udisse più novella.
Io lasciai ch'ella render le cagioni
S'apparecchiava di sua sorte fella
Al paladin che le fu buono amico:
Or , seguendo l' istoria ^ cosi dico.
5 La donna incominciò: Tu intenderai
La maggior crudeltade e la più espressa,
Ch'in Tebe e in Argo, o ch'in l^Iicene mai,
0 in loco più crudel fosse commessa.
E se , rotando il Sole i chiari rai ,
Qui men eh' all' altre regi'on s' appressa ,
Credo eh' a noi mal volentieri arrivi ,
Perchè veder si crudel gente schivi'.
ti Ch' agli nemici gli nomini sien crudi ,
In ogni età se n'è veduto esempio;
Ma dar la morte a chi procuri e studi
Il tuo ben sempre, è troppo ingiusto ed empio.
E acciò che meglio il vero io ti denudi ,
Perchè costor volessero far scempio
Drgli anni verdi miei centra ragione,
Ti dirò da principio ogni cagione.
7 Voglio che sappi , signor mio , eh' essendo
Tenera ancora, alli servigi venni
Della figlia del re , con cui crescendo ,
Buon luogo in corte ed onorato tenni.
Crudele Amore al mio stato invidendo,
Fé' che seguace , ahi lassa ! gli divenni :
Fé' d' ogni cavalier , d' ogni donzello
Parermi il duca d'Albania più bello.
8 Perchè egli mostrò amarmi più che multo ,
Io ad amar lui con tutto il cor mi mossi.
Ben s'ode il ragionar, si vede il volto;
Ma dentro il petto mal giudicar puossi.
Credendo , amando , non cessai che tolto
L'ebbi nel letto; e non gnardai ch'io fossi
Di tutte le real camere in quella
Che più secreta avea Ginevra bella;
9 Dove tenea le sue cose più care ,
E dove le più volte ella dormia.
Si può di quella in s' un verone entrare ,
Che fuor del muro al discoperto uscia.
Io iacea il mio amator quivi montare:
E la scala di corde onde salia
10 stessa dal veron giù gli mandai,
Qual volta meco aver lo desiai:
10 Che tante volte ve lo fei venire.
Quante Ginevra me ne diede l'agio.
Che solca mutar letto , or per fuggire
11 tempo ardente , or il brumai malvagio.
Non fu veduto d'alcun mai salire;
Però che quella parte del palagio
Risponde verso alcune case rotte,
Dove nessun mai passa o giorno o notte.
li Continaò per molti giorni e mesi
Tra noi secreto V amoroso gioco :
Sempre crebbe l'amore; e si m'accesi,
Che tutta dentro io mi sentia di foco :
E cieca ne fai si , eh' io non compresi
Oh' egli fingeva molto , e amaya poco ;
Ancor che li suo' inganni discoperti
Esser doveanmi a mille segni certi.
12 Dopo alcnn di si mostrò nuovo amante
Della bella Ginevra. Io non so appunto
S' allora cominciasse , oppur innante
Dell'amor mio n'avesse il cor già punto.
Vedi s' in me venuto era arrogante ,
S' imperio nel mio cor s' aveva assunto ;
Che mi scoperse e non ebbe rossore
Chiedermi aiuto in questo nuovo amore.
1 3 Ben mi dicea eh' uguale al mio non era ,
Né vero amor quel eh' egli avea a costei ;
Ma simulando esserne acceso , spera
Celebrarne i legittimi imenei.
Dal re ottenerla fia cosa leggiera ,
Qualor vi sia la volontà di lei ;
Che di sangue e di stato in tutto il regno
Non era, dopo il re, di lui'l più degno.
14 Hi persuade, se per opra mia
Potesse al suo signor genero farsi
(Chò veder posso che se n'alzeria
A quanto presso al re possa uomo alzarsi) ,
Che me n' avria buon merto, e non sana
Mai tanto beneficio per scordarsi ;
E ch'alia moglie e eh' ad ogni altro innante
Mi porrebbe egli in sempre essermi amante.
15 Io , ch'era tutta a satis&rgli intenta.
Né seppi 0 volsi contraddirgli mai,
£ sol quei giorni io mi vidi contenta ,
Ch'averlo compiaciuto mi trovai;
Piglio l' occasion che s' appresenta
Di parlar d'esso e di lodarlo assai;
Ed ogni industria adopro , ogni fatica ,
Per far del mio amator Gine^ amica.
16 Feci col core e con l'effetto tutto
Quel che far si poteva , e sallo Iddio ;
Né con Ginevra mai potei far frutto ,
Ch' io le ponessi in grazia il duca mio :
E questo , che ad amar ella avea indulto
Tutto il pensiero e tutto il suo disio
Un gentil cavalier, bello e cortese,
Venuto in Scozia di lontan paese ;
17 Che con un suo fratel ben giovinetto
Venne d'Italia a stare in questa corte:
Si fé' nell'arme poi tanto perfetto,
Che la Bretagna non avea il più forte.
Il re l'amava, e ne mostrò l'effetto;
Che gli donò di non pi^cciola sorte
Castella e ville e inrisdizì'oni ,
E lo fé' grande al par dei gran baroni.
Stanza 23.
18 Grato era al re, più grato era alla figlia
Quel cavalier, chiamato Arredante,
Per esser valoroso a maraviglia ;
Ma più , eh' ella sapea che l' era amante.
Né Vesuvio, né il monte di Siciglia,
Né Troia avvampò mai di fiamme tante,
Quante ella conoscea che per suo amore
Arìodante ardea per tutto il core.
19 L'amar che dunque ella facea colui
Con cor sincero e con perfetta fede,
Fé' che pel duca male udita fui ;
Né mai risposta da sperar mi diede.
Anzi quanto io pregava più per lui ,
E gli studiava d' impetrar mercede ,
Ella , biasmandol sempre e dispregiando ,
Se ^11 venia più sempre inimicando.
20 Io confortai l' amator mìo sovente ,
Che volesse lasciar la vana impresa;
Né si sperasse mai volger la mente
Di costei, troppo ad altro amore intesa:
E gli feci conoscer chiaramente ,
Come era sì d'Arìodante accesa,
Che qunnt' acqua è nel mar, pìccola dramma
Non spegneria della sua immensa fiamma.
21 Questo da me più volte Polinesso
(Che cosi nome ha il duca) avendo udito,
E ben compreso e visto per sé stesso
Che molto male era il suo amor gradito;
Non pur di tanto amor sì fu rimesso ,
Ma di veers un altro preferito ,
Come superbo , così mal sofferse ,
Che tutto in ira e in odio si converse.
26 Così diss'eglL Io, che divisa e scevra
E lungi era da me , non posi mente
Che questo , in che pregando egli persevr4 .
Era una frauda pur troppo evidente;
E dal veron , coi panni di Ginevra ,
Mandai la scala onde salì sovente;
E non m' accorsi prima dell' inganno ,
Che n'era già tutto accaduto il danno.
27 Fatto in quel tempo con ArTodante
Il duca avea queste parole o tali
(Che grandi amici erano stati innante
Che per Ginevra si fesson rivali) :
Mi maraviglio , incominciò il mio amante ,
Ch'avendoti io fra tutti li mie' ugnali
Sempre avuto in rispetto e sempre amato ,
Ch'io sia da te si mal rimunerato.
22 E tra Ginevra e P amator suo pensa
Tanta discordia e tanta lite porre ,
E farvi inimicizia cosi intensa,
Che mai più non si possino comporre;
E por Ginevra in ignominia immensa,
Donde non s' abbia o viva o morta a tórre :
Né dell'iniquo suo disegno meco
Volse 0 con altri ragionar, che seco.
23 Fatto il pensieri Dalinda mia, mi dice
(Che così son nomata), saper dèi
Che , come suol tornar dalla radice
Arbor che tronchi e quattro volte e sei;
Cosi la pertinacia mia infelice,
Benché sia tronca dai successi rei,
Di germogliar non resta; che venire
Pur vorria a fin di questo suo desire.
24 E non lo bramo tanto per diletto ,
Quanto perchè vorrei vincer la prova ;
E non possendo farlo con effetto ,
S' io Io fo immaginando , anco mi giova.
Voglio , qual volta tu mi dai ricetto ,
Quando allora Ginevra si ritrova
Nuda nel letto, che pigli ogni vesta
Ch'ella posta abbia, e tutta te ne vesta.
25 Com'ella s'orna e come il crin dispone
Studia imitarla , e cerca, il più che sai.
Di parer dessa ; e poi sopra il verone
A mandar giù la scala ne verrai.
Io verrò a te con immaginazione
Che quella ^sii di cui tu i panni avrai :
E così spero, me stesso ingannando,
Venir in breve il mio desir scemando.
28 Io son ben certo che comprendi e sdi
Di Ginevra e di me 1' antiquo amore ;
E per sposa legittima oggimai
Per impetrarla son dal mio signore.
Perchè mi turbi tu? perchè pur vai
Senza frutto in costei ponendo il core?
Io ben a te rispetto avrei , per Dio ,
S' io nel tuo grado fossi , e tu nel mio.
29 Ed io , rispose Ariodante a lui ,
Di te mi maraviglio maggiormente ;
Che dì lei prima innamorato fui ,
Che tu l'avessi vista solamente:
E so che sai quanto è l' amor tra nui ,
Ch'esser non può di quel che sia, più ardente:
E sol d'essermi moglie intende e brama :
E so che certo sai ch'ella non t'ama.
30 Perchè non hai tu dunque a me il rispetto
Per l' amicizia nostra , che domande
Ch'a te aver debba, e ch'io t'avre'in efifettu,
Se tu fossi con lei di me più grande?
Né men di te per moglie averla aspetto,
Sebben tu sei più ricco in queste bande :
Io non son meno al re , che tu sia , grato ;
Ma più di te^dalla sua figlia amato.
31 Oh , disse il duca a lui , grande è cotesto
Errore, a che t'ha il folle amor condutto!
Tu credi esser più amato; io credo questo
Medesmo : ma si può vedere al frutto.
Tu fammi ciò e' hai seco manifesto ,
El io il secreto mio t'aprirò tutto;
E quel di noi che manco aver si veggia ,
Ceda a chi vince, e d'altro si provveg^ia.
32 E sarò pronto, se tu vuoi ch'io giuri,
Di non dir cosa mai che mi riveli :
Così voglio eh' ancor tu m'assicuri
Che quel ch'io ti dirò, sempre mi ceb*.
Venner dunque d' accordo agli scongiuri ,
E posero le man sugli Evacui;
E , poiché di tacer fede si diero ,
Arifodante incominciò primiero;
33 E disse per lo giusto e per lo dritto ,
Come tra sé e Ginevra era la cosa:
Ch^ «Ila gli avea giurato e a bocca e in scritto,
Che mai non saria ad altri , eh' a lui , sposa ;
E se dal re le venia contradditto ,
Gli promettea di sempre esser ritrosa
Da tutti gli altri maritaggi poi ,
E viver sola in tutti i giorni suoi :
34 E ch'esso era in speranza, pel valore
Ch' avea mostrato in arme a più d'un segno ,
Ed era per mostrare a laude , a onore ,
A beneficio del re e del suo regno ,
Di crescer tanto in grazia al suo signore ,
Che sarebbe da lui stimato degno
Che la figliuola sua per moglie avesse,
Poi che piacer a lei cosi intendesse.
38 Non passa mese , che tre , quattro e sei ,
E talor dìece notti io non mi trovi
Nudo abbracciato in quel piacer con lei ,
Ch' all' amoroso arder par che si giovi:
Si che tu puoi veder s' a' piacer miei
Son d'agguagliar le ciance che tu provi.
Cedimi dunque , e d' altro ti provvedi ,
Poiché sì inferìor di me ti vedi.
39 Non ti vo' creder questo, gli rispose
Anodante, e certo so che menti ;
E composto fra te t' hai queste cose ,
Acciò che dall' impresa io mi spaventi :
Ma perchè a lei son troppo iDgiurìose,
Questo ch'hai detto sostener convienti;
Che non bugiardo sol, ma voglio ancora
Che tu sei traditor mostrarti or ora.
40 Soggiunse il duca: Non sarebbe onesto
Che noi volessim la battaglia tórre
Di quel che t' offerisco manifesto ,
Quando ti piaccia , innanzi agli occhi porre.
Resta smarrito Anodante a questo ,
E per l' ossa un tremor freddo gli scorre :
E se creduto ben gli avesse appieno ,
Venia sua vita allora allora meno.
35 Poi disse: A questo termine son io,
Né credo già eh' alcun mi venga appresso ;
Né cerco più di questo, né desio
Dell' amor d' essa aver segno più espresso ;
Né più vorrei, se non quanto da Dio
Per connubio legittimo è concesso;
E saria invano il dimandar più innanzi ;
Che di bontà so come ogni altra avanzi.
36 Poi ch'ebbe il vero Ariodante esposto
Della mercè eh' aspetta a sua fatica ,
Polinesso , che già s' avea proposto
Di far Ginevra al suo amator nemica ,
Cominciò : Sei da me molto discosto ,
E vo' che di tua bocca anco tu '1 dica ;
E del mìo ben veduta la radice ,
Che confessi me solo esser felice.'
41 Con cor trafitto e eoa pallida faccia ,
E con voce tremante e bocca amara ,
Rispose : Quando sia che tu mi faccia
Veder quest'avventura tua si rara,
Prometto di costei lasciar la traccia,
A te si liberale , a me sì avara :
Ma eh' io tei voglia creder non far stima ,
S'io non lo veggio con questi occhi prima.
42 Quando ne sarà il tempo , awiserotti ,
Soggiunse Polinesso ; e dipartisse.
Non credo che passar più di due notti ,
Ch'ordine fu che'l duca a me venisse.
Per scoccar dunque i lacci che condotti
Avea si cheti , andò al rivale , e disse
Che s'ascondesse la notte seguente
Tra quelle case, ove non sta mai gente.
37 Finge ella teco , né t' ama né prezza ;
Che ti pasce di speme e di parole :
Oltra questo, il tuo amor sempre a sciocchezza,
Quando meco ragiona , imputar suole.
Io ben d'esserle caro altra certezza
Veduta n' ho , che di promesse e fole ;
E tei dirò sotto la fé in secreto ,
Benché farei più il debito a star cheto.
43 E dimostrògli un luogo a dirimpetto
Di quel verone ove solca salire.
Ariodante avea preso sospetto
Che lo cercasse far quivi venire.
Come in un luogo dove avesse eletto
Di por gli agguati, e farvelo morire
Sotto questa finzion, che vuol mostrargli
Quel di Ginevra, eh' impossibil pargli.
44 Di voletvi venir prese partito ,
Ma in guisa che di lai non sia men forte ;
Perchè accadendo che fosse assalito ,
Si trovi si che non tema di morte.
Un suo fratello avea saggio ed ardito ,
n più famoso in arme della corte ,
Detto Lurcanio ; e avea più cor con esso ,
Che se dieci altri avesse avuto appresso.
45 Seco chiaraoUo, e volse che prendesse
L' arme ; e là notte lo menò con lui :
Non che *1 secreto suo già gli dicesse ;
Né r avria detto ad esso , né ad altrui.
Da sé lontano un trar di pietra il messe;
Se mi senti chiamar , vien , disse , a nui ;
Ma se non senti, prima ch'io ti chiami,
Non ti partir di qui , frate , se m' ami.
46 Va pur non duhitar , disse il fratello :
E cosi venne Ariodante cheto;
E si celò nel solitario ostello
Ch' era d' incontro al mio veron secreto.
Vien d'altra parte il fraudolente e fello;
Che d'infamar Ginevra era si lieto;
E fa il segno , tra noi solito innante ,
A me che dell'inganno era ignorante.
47 Ed io con veste candida, e fregiata
Per mezzo a liste d' oro e d' ognintorno ,
E con rete pur d' ór , tutta adombrata
Di bei fiocchi vermigli, al capo intorno
(Foggia che sol fu dà Ginevra usata ,
Non d' alcun' altra) ; udito il segno , tomo
Sopra il veron , eh' in modo era locato ,
Che mi scopria dinanzi e d'ogni lato.
48 Lurcanio in questo mezzo dubitando
Che '1 fratello a pericolo non vada ,
0, come è pur comun disio, cercando
Di spiar sempre ciò che ad altri accada;
L' era pian pian venuto seguitando ,
Tenendo l'ombre e la più oscura strada:
E a men di dieci passi a lui discosto ,
Nel medesimo ostel s'era riposto.
50 E tanto più, ch'era gran spazio in
Fra dove io venni e quelle inculte case.
Ai due fratelli , che stavano al rezzo ,
Il duca agevolmente persuase
Quel ch'era falso. Or pensa in che ribreaczìG
Ariodante , in che dolor rimase.
Vien Polinesso , e alla scala s' appog^a ,
Che giù manda' gli; e monta in su la loggia.
61 A prima giunta io gli getto le braccia
Al collo ; eh' io non penso esser veduta :
Lo bacio in bocca e per tutta la faccia •
Come far soglio ad ogni sua venata.
Egli più dell'usato si procaccia
D' accarezzarmi , e la sua f rande aiuta,
Quell' altro al rio spettacolo condutto ,
Misero sta lontano , e vede il tutto.
52 Cade in tanto dolor, che si dispone
Allora allora di voler morire ;
E il pome della spada in terra pone,
Che su la punta si volea ferire.
Lurcanio, che con grande ammirazione
Avea veduto il duca a me salire,
Ma non già conosciuto chi si fosse,
Scorgendo l' atto del fratel , si mosse;
63 E gli vietò che con la propria mano
Non si passasse in quel furore il petto.
S' era più tardo , o poco più lontano ,
Non giugnea a tempo, e non fòceva effetto.
Ah m^'sero fratel, fratello insano,
Gridò , perch' hai perduto l' intelletto ,
Ch'una femmina a morte trar ti debbia?
Ch'ir possan tutte come al vento nebbia.
64 Cerca far morir lei , che morir merta ;
E serva a più tuo onor tu la tua morte.
Fu d' amar lei , quando non t' era aperta
La fraude sua : or è da odiar ben forte ;
Poiché con gli occhi tuoi tu vedi certa ,
Quanto sia meretrice , e di che sorte.
Serba quest' arme , che volti in te stesso ,
A far dinanzi al re tal fallo espresso.
49 Non sappiendo io di questo cosa alcuna,
Venni al veron nell' abito e' ho detto ;
Si come già venuta era più d' una
E più di due fiate a buono effetto.
Le vesti si vedean chiare alla luna;
Né dissimile essendo anch' io d' aspetto
Né di persona da Ginevra molto.
Fece parere un per un altro il volto :
55 Quando si vede Ariodante giunto
Sopra il fratel , la dura impresa lascia ;
Ma la sua intenzì'on da quel ch'assunto
Avea già di morir, poco s'accascia.
Quindi si lieva , e porta non che punto ,
Ma trapassato il cor d'estrema ambascia:
Pur finge col fratel, che quel furore
Non abbia più, che dianzi avea, nel core.
66 n seguente mattin , senza far motto
Al sao fratello o ad altri, in via si messe,
Dalla mortai disperazion condotto:
Né di lui per più di fd chi sapesse.
Fuorché '1 duca e il fratello, ogni altro indotto
Era chi mosso al dipartir P avesse.
Nella casa del re di lui diversi
Ragionamenti , e in tutta Scozia férsi.
57 In capo d'otto o di più giorni in corte
Venne innanzi a Ginevra nn viandante,
E novelle arrecò di mala sorte:
Che s' era in mar sommerso Arì'odante
Di volontaria sua lihera morte ,
Non per colpa di Borea o di Levante.
D*mi sasso che sul mar sporgea'molt* alto
Avea col capo in giù preso nn gran salto.
58 Colui dicea : Pria che 'venisse a questo ,
A me, che a caso riscontrò per via,
Disse: Yien meco, acciò che manifesto
Per te a Ginevra il mio successo sia;
E dille poi , che la cagion del resto
Che tu vedrai di me di' or ora fia ,
È stato sol perch'ho troppo veduto:
Felice , se senza occhi io fussi suto !
59 Eramo a caso sopra Capohasso ,
Che varso Irlanda alquanto sporge in mare.
Cosi dicendo, di cima d'un sasso
Lo vidi a capo in giù sott'acqua andare.
Io lo lasciai nel mare, ed a gran passo
Ti 8on venuto la nuova a portare.
Ginevra , shigottita e in viso smorta ,
Rimase a quell' annunzio mezza morta.
60 Oh Dio, che disse e fece poi che sola
Si ritrovò nel suo fidato letto !
Percosse il seno , e si stracciò la stola ,
E fece all' aureo crin danno e dispetto ;
Ripetendo sovente la parola
Ch'Ariodante avea in estremo detto:
Che la cagion del suo caso empio e tristo
Tutta venia per aver troppo visto.
61 n rumor scorse di costui per tutto.
Che per dolor s'avea dato la morte.
Di questo il re non tenne il viso asciutto.
Né cavalier né donna della corte.
Di tatti il suo fratel mostrò più lutto;
£ si sommerse nel dolor si forte ,
Ch' ad esempio di lui , centra sé stesso
Voltò quasi la man , per irgli appresso :
Stanca 51.
2 E molte volte ripetendo seco ,
Che fu Ginevra che il fratel gli estinse ,
E che non fu se non quell'atto bieco
Che di lei vide, eh' a morir lo spinse;
Di voler vendicarsene si cieco
Venne , e sì l' ira e si '1 dolor lo vinse .
Che di perder la grazia vilipese ,
Ed aver l'odio del re e del paese:
63 E innanzi al re , quando era più di gente
La sala piena , se ne venne , e disse :
Sappi, signor, che di levar la mente
Al mio fratel , si ch^ a morir ne gisse ,
Stata è la figlia tua sola nocente;
Ch^a lui tanto dolor Palma trafisse
D* aver veduta lei poco pudica ,
Che più che vita ebbe la morte amica.
64 Erane amante; e perchè le sue voglie
Disoneste non fur , noi vo* coprire.
Per virtù meritarla aver per moglie
Pa te sperava, e per fedel servire;
Ma, mentre il lasso ad odorar le foglie
Stava lontano , altrui vide salire ,
Salir su r arbor riserbato , e tutto
Essergli tolto il desiato frutto.
65 E seguitò, come egli avea veduto
Venir Ginevra sul verone, e come
Mandò la scala, onde era a lei venuto
Un drudo suo, di chi egli non sa il nome:
Che s*avea, per non esser conosciuto ,
Cambiati i panni e nascose le chiome.
Soggiunse, che con Tarme egli volea
Provar, tutto esser ver ciò che dicea.
66 Tu puoi pensar se U padre addolorato
Riman, quando accusar sente la figlia;
Sì perchè ode di lei quel che pensato
Mai non avrebbe, e n'ha gran maraviglia;
Si perchè sa che fia necessitato
(Se la difesa alcun guerrier non piglia ,
n qual Lurcanio possa far mentire)
Di condannarla e di farla morire.
67 Io non credo, signor, che ti sia nova
La legge nostra, che condanna a morte
Ogni donna e donzella che si prova
Di sé far copia altrui, ch'ai suo consorte.
Morta ne vien, s'in un mese non trova
In sua difesa un cavalier si forte.
Che contra il falso accusator sostegna
Che sia innocente, e di morire indegna.
68 Ha fatto il re bandir per liberarla
(Che pur gli par ch'a torto sia accusata) ,
Che vuol per moglie, e con gran dote, darla
A chi tona l'infamia che l'è data.
Che per lei comparisca non si parla
Guerriero ancora, anzi l'un l'altro guata;
Che quel Lurcanio in arme è cosi fiero,
Che par che di lui tema ogni guerriero.
69 Atteso ha Tempia sorte, che Zerbino ,
Fratel di lei, nel regno non si trove ;
Che va già. molti mesi peregrino,
Mostrando dì sé in arme inclite prove:
Che quando si trovasse più vicino
Quel cavalier gagliardo, o in luogo dove
Potesse avere a tempo la novella.
Non mancheria d'aiuto alla sorella.
70 II re, ch'intanto cerca di sapere
Per altra prova, che per arme, ancora.
Se sono queste accuse o false o vere.
Se dritto 0 torto è che sua figlia mora,
Ha fEttto prender certe cameriere
Che lo dovrìan saper, se vero f3ra;
Ond'io previdi che se presa era io,
Troppo parìglie era del duca e mio.
71 E la notte medesima mi trassi
Fuor della corte, e al duca mi condussi;
E gli feci veder quanto importassi
Al capo d'amendua, se presa io fussL
Lodommi, e disse ch'io non dubitassi :
A' suoi conforti poi venir m'indussi
Ad una sua fortezza ch'è qui presso,
In compagnia di dui che mi diede esso.
72 Hai sentito, signor, con quanti eifetti
Dell'amor mio fei Polinesso certo ;
E s'era debitor per tai rispetti
D'avermi cara o no, tu '1 vedi aperto.
Or senti il guiderdon ch'io ricevetti:
Vedi la gran mercè del mio gran merto :
Vedi se deve, per amare assai.
Donna sperar d'essere amata mai;
73 Che questo ingrato, perfido e crudele,
Della mia fede ha preso dubbio alfine:
Venuto è in sospizion ch'io non rivele
Al lungo andar le fraudi sue volpine.
Ha finto, aedo che m'allontano e cele
Finché Tira e il furor del re decline.
Voler mandarmi ad un suo luogo forte ;
E mi volea mandar dritto alla morte :
74 Che di secreto ha commesso alla guida.
Che come m' abbia in queste selve tratta ,
Per degno premio di mia fé m'uccida.
Così Tintenzion gli venia fatta ,
Se tu non eri appresso alle mia grida.
Ve' come Amor ben chi lui segue, tratta !
Così narrò Dalinda al paladino.
Seguendo tuttavolta il lor cammino;
75 A cui fa sopra ogni avventura grata
Questa, d^aver trovata la donzella
C he g*i avea tatta l'istoria narrata
Dcir iiinocenada di Ginevra bella.
£ 86 sperato avea , qnando accusata
Ancor fosse a ragion, d'aiutar quella,
Con via maggior baldanza or viene in prova ,
Poi che evidente la calunnia trova.
76 E verso la città di Santo Andrea ,
Dove era il re con tutta la famiglia ,
E la battaglia singular dovea
Esser della querela della figlia,
Andò Rinaldo quanto andar potea ,
Finché vicino giunse a poche miglia;
Alla città vicino giunse , dove
Trovò un scudier eh' avea più fresche nuove :
Stanza 74.
77 Oh' un cavalier istrano era venato,
Ch' a difender Ginevra s' avea tolto ,
Con non usate insegne e sconosciuto ,
Perocché sempre ascoso andava molto ;
E che, dopo che v'era, ancor veduto
Non gli avea alcuno al discoperto il volto ;
E che '1 proprio scudier che gli servia
Dicea giurando : Io non so dir chi sia.
78 Non cavalcaro molto , eh' alle mura
Si trovar della terra, e in su la porta.
Dalinda andar più innanzi avea paura;
Pur va , poiché Rinaldo la conforta.
La porta é chiusa; ed a chi n'avea curi
Rinaldo domandò: Questo ch'importa?
E fugli detto, Perché '1 popol tutto
A veder la battaglia era riduttOj
79 Che tra Larcanio e un cavalìer istrano
Si £% nell* altro capo della terra ,
Ov' era un prato spazioso e piano ;
E che già cominciata hanno la gaerra.
Aperto fa al signor di Montalhano ;
E tosto il portinar dietro gli serra.
Per la vota città Rinaldo passa;
Ma la donzella al primo albergo lassa:
stanza 82.
82 Rinaldo se ne va tra gente e gente :
Fassi far largo il buon destrier Baiardo :
Chi la tempesta del suo venir sente,
A dargli via non par zoppo né tardo.
Rinaldo vi compar sopra eminente,
E ben rassembra il fior d* ogni gagliardo ;
Poi si ferma all'incontro oye il re siede;
Ognun s'accosta per adir che chiede.
83 Rinaldo disse al re : Magno signore ,
Non lasciar la battaglia più segnire :
Perchè di questi dua qualunque more ,
Sappi eh' a torto tu'l lasci morire.
L' un crede aver ragione ed è in errore ,
E dice il falso e non sa di mentire;
Ma quel medesmo error che'l suo germano
A morir trasse , a lui pon l' anne in mano :
84 L' altro non sa se s' abbia dritto o torto ;
Ma sol per gentilezza e per boutade
In pericol si è posto d' esser morto ,
Per non lasciar morir tanta beltade.
Io la salute all' innocenzia porto ,
Porto il contrario a chi usa falsitade.
Ma, per Dio , questa pugna prima parti;
Poi mi dà udienza a quel eh' io to' narrartL
85 Fu dall' autorità d' un uom si degno ,
Come Rinaldo gli parca al sembiante,
Si mosso il re, che disse e fece segno
Che non andasse più la pugna innante;
Al quale insieme ed ai baron del regno ,
E ai cavalieri e all'altre turbe tante
Rinaldo fé' l'inganno tutto espresso,
Ch'avea ordito a Ginevra Polinesso.
80 E dice che sicura ivi si stia
Finché ritomi a lei, che sarà tosto;
E verso il campo poi ratto s'invia,
Dove li dui guerrier dato e risposto
Molto s'aveano, e davan tuttavia.
Stava Lurcanio di mal cor disposto
Contra Ginevra ; e l' altro in sua difesa
Ben sostenea la favorita impresa.
86 Indi s'offerse di voler provare
Coli' arme , eh' era ver quel eh' avea detto.
Chiamasi Polinesso; ed ei compare,
Ma tutto conturbato nell'aspetto:
Pur con audacia cominciò a negare.
Disse Rinaldo: Or noi vedrem l'effetto.
L'uno e l'altro era armato, il campo fatto;
Si che senza indugiar vengono al fatto.
81 Sei cavalier con lor nello steccato
Erano a piedi armati di corazza,
Col duca d'Albania, ch'era montato
S'un possente corsier di buona razza.
Come a gran contestabile, a lui dato
La guardia fu del campo e della piazza:
E di veder Ginevra in gran periglio
Avea il cor lieto , ed orgoglioso il ciglio.
87 Oh quanto ha il re, quanto ha il suo popol, caro
Che Ginevra a provar s' abbi innocente !
Tutti han speranza che Dio mostri chiaro
Ch'impudica era detta ingiustamente.
Crudel, superbo e riputato avaro
Fu Polinesso, iniquo e fraudolente;
Si che ad alcun miracolo non fia
Che l'inganno da lui tramato sia.
88 Sta PolinesBo con Ia feusda mesta,
Ck)l oor tremante e con i^llida guancia ;
E al terzo snon mette la lancia in resta.
Cosi Rinaldo inverso Ini si lancia ,
Che , disioso di finir la festa ,
Mira a passargli il petto con la lancia :
Né discorde al disir segui l'effetto;
Che mezza l' asta gii cacciò nel petto.
89 Fisso nel tronco lo trasporta in terra
Lontan dal suo destrier più di sei braccia.
Rinaldo smonta sabito, e gli afferra
L' elmo , pria che si lievi , e gli lo slaccia :
Ma qnel, che non può far più troppa guerra
Gli domanda mercè con nmil faccia,
E gli confessa, udendo il re e la corte,
La frande sua che Tha condutto a morte.
9Ò Non fini il tutto, e in mezzo la parola
E la voce e la vita T abbandona,
n re , che liberata la figlinola
Vede da morte e da fama non buona ,
Più s'allegra, gioisce e racconsola,
Che , s' avendo pèrduta la corona ,
Ripor se la vedesse allora allora;
Si che Rinaldo unicimente onora:
91 E poi eh' al trar dell' elmo conosciuto
L' ebbe , perch' altre volte l' avea visto ,
Levò le mani a Dio, che d'un aiuto
Come era quel , gli avea si ben provvisto.
Queir altro cavalier che , sconosciuto ,
Soccorso avea Ginevra al caso tristo,
Ed armato per lei s' era condotto ,
Stato da parte era a vedere il tutto.
Stanza 91.
92 Dal re pregato fu di dire il nome ,
0 di lasciarsi almen veder scoperto ,
Acciò da lui fosse premiato, come
Di sua buona intenzion chiedeva il merto.
Quel, dopo lunghi preghi, dalle chiome
Si levò r elmo , e fé' palese e certo
Quel che nell' altro Canto ho da seguire ,
Se grato vi sar& l' istoria udire.
NO TB.
St. 2. V. 1 — Megera ò una delle tre Farìe della Mi-
tologia: etimologicameiite, importa odio, invidia.
St. 5. V. a — Tebe^ Argo , Micene , città greche , in-
iàmi per varie nebndezze commessevi, come il reciproco
fratricidio di Eteode e Polinice, la scellerata cena di
Atreo e Tieste , i parricicU di Penteo e di Atamante.
l'assaasinio di Agamennone, e la strage dei loro mariti
fktta daUe DanaidL
St. 7. V. 8. — Albania. Qoi per una regione della
Scozia (Albany) con titolo di Contea.
St. 9. V. 34. » Verone , nn andito scoperto per pas-
sare da stanza a stanza.
St. 18. V. 5. - Monte di Sieiglia, ò l'Etna.
St. 50. V. 2-5. — Case inadie , significa cose disabi-
tate. BesMOt nel terzo verso, equivale a buio di notte.
St. 60. V. 3. — La stola era propria delle matrone
romane, ma in qnesto verso intendesi generalmente per
veste donnesca.
St. 73 V. 3. — Sospisione, cioè sospetto.
St. 76. y. 1. — Sant'Andrea , St. Andrews, città già
capitale della Scozia, nella Ck>ntea di Fife.
nito di Ginevra, Il io i^li^la dà in moglie^ e i^crdonft a D«
linda compiirjj della calunnia. Ruggiero è portato dnirip-
l'itffiifu jifU isola di Cicilia, ovo Astolfo , ctig^iiio di Bro4«
mftiite, convprtìto in mirto, io i^oiisjglia r non p^^soire pi*
oltre. Rug|s:ifiro vuole alloidauarsi d^Jlisola: diversi moAtii
gli si oppaiii^cnio indarno ; mt% pt>i ale a ne donzelle lo di-
tolf ono dal Atio i)ropojtimento.
Mis^r clii mal oprando m confida
rii'[ji,^nor star debbia il maleficio occulto ;
Che , quando ogni altro taccia i intorno grida
L' aria e la terra i.^tes^sa ia eli' è sepulto :
E Dio fa spei^^o chel peccato guida
Il peccator , poi eli* alcun di gli ha indulto ,
Cile sé medesimo ^ ^en^a altrui richiesta. ,
Inavvedutamente manifesta.
A?ea creduto it niiser Polìnesso
Totalmente il delitto suo coprire j
Dal inda consapevole d'appresso
Levanti 0 fi ì , che sola pò tea dire :
E aceìung^eudo il secondo al primo eccesso ,
Affrettò il mal che potea differire ,
E potea differire e schivar forse
Ma sé stesso spronando , a morir corse
CANTO SESTO.
3 E perde amici a un tempo, e vita, e state,
E onor, che fa molto più grave danno.
Dissi di sopra , che fa assai presto
Il cavalier che ancor chi sia non sanno.
Alfin si trasse V elmo , e *1 yìso amato
Scoperse , che più volte vedato hanno ;
E dimostrò com^ era Ariodante ,
Per tatta Scozia lacrimato innante;
4 Arì'odante , che Ginevra pianto
Avea per morto , e '1 fratel pianto avea ,
Il re, la corte, il popol tutto quanto:
Di tal hontà, di tal valor splendea.
Adnnqae il peregria mentir di quaato
Dianzi di lui narrò, qaivi apparea;
E fa pnr ver che dal sasso marino
Gittarsi in mar lo vide a capo chino.
5 Ma (come avviene a nn disperato spesso,
Che da lontan brama e disia la morte,
E r odia poi che se la vede appresso ,
Tanto gli pare il passo acerbo e forte)
Arìodante , poi ch^ in mar fu messo ,
Si penti di morire : e come forte
E come destro e pii\ d' ogni altro ardito ,
Si messe a nuoto , e ritomossi al lito ;
6 E dispregiando e nominanslo folle
Il desir eh' ebbe dì lasciar la vita ,
Si messe a camminar bagnato e molle ,
E capitò air ostel d' nn eremita.
Quivi secretamente indugiar volle
Tanto , che la novella avesse udita ,
Se del ca£o Ginevra s^ allegrasse ,
Oppur mesta e pietosa ne restasse.
7 Intese prima , che per gran dolore
Elhi era stata a rischio di morire
(La fama andò di questo in modo faore ,
Che ne fu in tutta V isola che dire) :
Contrario effetto a quel che per errore
Credea aver visto con suo gran martire.
Intese poi come Lurcanio avea
Fatta Ginevra appresso il padre rea.
8 Centra il fratel d' ira minor non arse ,
Che per Ginevra già d^ amore ardesse ;
Che troppo empio e crudele atto gli parse ,
Ancora che per lui fatto T avesse.
Sentendo poi , che per lei non comparse
Cavalier che difeadfer la volesse
(Che Lurcanio sì forte era e gagliardo,
Ch^ ognun d^ andargli centra avea riguardo ;
9 E chi n' avea notizia , il riputava
Tanto discreto , e si saggio ed accorto ,
Che se non fosse ver quel che narrava ,
Non si porrebbe a rischio di esser morto ;
Per questo la più parte dubitava
Di non pigliar questa difesa a torto) ;
Arìodante , dopo gran discorsi ,
Pensò all'accusa del fratello opporsi.
stanza 6.
10 Ah lasso ! io non potrei , seco dicea ,
Sentir per mia cagion perir cortei :
Troppo mia morte fora acerba e rea,
Se innanzi a me morir vedessi lei.
Ella è pur la mia donna e la mia Dea ;
Questa è la luce pur degli occhi miei:
Convien eh' a dritto o a torto , per suo scampo
Pigli r impresa , e resti morto in campo.
11 So ch'io m'appiglio al torto; e al torto sia:
E ne morrò; né questo mi sconforta,
Se non ch'io so che per la morte mia
Si bella donna ha da restar poi morta.
Un sol conforto nel morir mi fia ,
Che , se '1 suo Polinesso amor le porta ,
Chiaramente veder avrà potuto
Che non s'è mosso ancor per darle aiuto;
12 E me , die tanto eepressamente ha
Vedrà, per lei salyare, a morir giunto.
Di mio fratello insieme, il quale acceso
Tanto foco ha , vendicherommi a un punto ;
Ch^ io lo farò doler poi che compreso
n fine avrà del suo crudele assunto :
Creduto vendicar avrà il germano ,
E gli avrà dato morte di sua mano.
18 Concluso ch^ ebbe questo nel pensiero ,
Nuove arme ritrovò, nuovo cavallo;
E sopravveste nere e scudo nero
Portò , fregiato a color verdegiallo.
Per avventura si trovò un scudiero
Ignoto in quel paese , e menato hallo :
E sconosciuto, come ho già narrato,
S'appresentò contra il fratello armato.
'^>^^^.^è^
f >'>
stanza 23.
14 Narrato v' ho come il ^eitto successe ,
Come fu conosciuto Arì'odante.
Non minor gaudio n^ebbe il re, ch^ avesse
Della figliuola liberata innante.
Seco pensò che mai non si potesse
Trovar un più fedele e vero amante ;
Che, dopo tanta ingiuria, la difesa
Di lei contra il fratel proprio avea presa.
15 E per sua inclinazion (eh' assai Pamava) ,
E per li preghi di tutta la corte ,
E di Rinaldo che più d' altri instava ,
Della bella figliuola il fa consorte.
La duchea d'Albania, ch'ai re tornava
Dopo che Polinesso ebbe la morte ,
In miglior tempo discader non pnote,
Poiché la dona alla sua figlia in dote.
16 Rhialdo per Dalinda impetrò grana «
Che se n' andò di tanto errore esente ;
La qual per voto , e perchè molto sazia
Era del mondo , a Dio volse la mente.
Monaca s' andò a render fin in Dazia ,
E si levò di Scozia immantinente.
Ma tempo è omai di ritrovar Ruggiero ,
Che scorre il ciel su l' animai leggiero.
17 Benché Rnggier sia d' animo costante *
Né cangiato abbia il solito colore,
Io non gli voglio creder che tremante
Non abbia dentro più che foglia il core.
Lasciato avea il gran spazio distante
Tutta l'Europa, ed era uscito faore
Per molto spazio il segno che prescritto
Avea già a' naviganti Ercole invitto*
18 Quello Ippogrifo , grande e strano aiigdlo .
Lo porta via con tal prestezza d' ale ,
Che lascieria di lungo tratto quello
Celer ministro del fulmineo strale.
Non va per l'aria altro animai (à snello.
Che di velocità gli fosse uguale :
Credo ch'appena il tuono e la saetta
Venga in terra dal ciel con maggior fretta.
19 Poi che l'augel trascorso ebbe gran spazio
Per linea dritta e senza mai piegarsi ,
Con larghe ruote , omai dell' aria sazio ,
Cominciò sopra una isola a calarsi ,
Pare a quella ove , dopo lango strazio
Far del suo amante e lungo a lui celarsi ,
La vergine Aretusa passò invano
Di sotto il mar per cammin cieeo e strano.
20 Non vide né più bel né '1 più giocondo
Da tutta r aria ove le penne stese ;
Né , se tutto cercato avesse il mondo ,
Vedria di questo il più gentil paese ;
Ove, dopo un girarsi di gran tondo,
Con Ruggier seco il grande augel discese.
Culto pianure e delicati colli,
Chiare acque , ombrose ripe e prati molli.
21 Vaghi boschetti di soavi allori ,
Di palme e d'amenissime mortelle.
Cedri ed aranci eh' avean frutti e fiorì
Contesti in varie forme e tutte belle ,
Facean riparo ai fervidi calori
De' giorni estivi con lo'r spesse ombrelle ;
E tra quei rami con sicuri voli
Cantando se ne giano i rosignuoli.
22 Tra le purpuree rose e i bianchi gigli ,
Che tepida aura freschi ognora serba,
Siciiri si vedean lepri e conigli,
E cervi con la fronte alta e superba ,
Senza temer ch'alcun gli uccida o pigli,
Pascano o stiansi ruminando Terba:
Saltano i daini e i capri isnelli e destri,
Glie sono in copia in quei lochi campestri.
28 Come si presso è Plppogrifo^i terra,
Ch' esser ne può men periglioso il salto ,
Buggier con fretta dell' arcion si sferra ,
E si ritrova in su Ferboso smalto.
Tuttavia in man le redine si serra,
Che non vuol che'l destrier più vada in altoj:
Poi lo lega nel margine marino
A un verde mirto in mezzo un lauro e un pino.
Stanza 42.
24 E quivi appresso , ove surgea una fonte
Cinta di cedri e di feconde palme ,
Pose lo scudo, e Telmo dalla fronte
Si trasse , e disarmossi ambe le palme ;
Ed ora alla marina ed ora al monte
Volgea la faccia air aure fresche ed alme ,
Che Talte cime con mormorii lieti
Fan tremolar dei fÌEiggi e degli abeti.
25 Bagna talor nella chiara onda e fresca
L' asciutte labbra , e con la man diguazza ,
Acciò che delle vene il calor esca
Che gli ha acceso il portar della corazza.
Né maraviglia è già eh' ella gV incresca ,
Che non è stato un far vedersi in piazza ;
Ma senza mai posar, d'arme guemito,
Tremila miglia ognor correndo era ito.
26 Qqìtì stando , il destrier eh' ayea lasciato
Tra le imù dense frasche alla fresca ombra,
Per fùj^ si rivolta , spaventato
Di non so che, che dentro al bosco adombra;
E tà crollar si il mirto ove è legato ,
Che delle frondi intorno il piò gV ingombra :
Crollar fa il mirto , e fa cader la foglia ;
Né succede però che se ne scioglia.
27 Come ceppo talor, che le medoUe
Rare e vote abbia, e posto al foco sia,
Poi che per gran calor qnell'aria molle
Resta consanta eh' in mezzo V empia ,
Dentro risuona, e con strepito bolle
Tanto che quel foror trovi la via ;
Cosi mannara e stride e si corraccia
Quel mirto offeso , e alfin apre la bnccia.
28 Onde con mesta e flebil voce uscio
Espedita e chiarissima' fisivella ,
E disse : Se tu sei cortese e pio ,
Come dimostri alla presenza bella,
Lieva questo animai dall' arbor mio :
Basti che '1 mio mal proprio mi flagella ,
Senza altra pena, senza altro dolore
Ch'a tormentarmi ancor venga di fùore.
29 Al primo suon di quella voce torse
Ruggiero il viso , e subito levosse ;
E , poi eh' uscir dall' arbore s' accòrse ,
Stupefatto restò più che mai fosse.
A levarne il destrier subito corse ;
E con le guancie di vergogna rosse :
Qual che tu sii, perdonami, dicea,
0 spirto umano , o boschereccia Dea.
30 n non aver saputo che s'asconda
Sotto ruvida scorza umano spirto ,
M' ha lasciato turbar la bella fronda ,
E far ingiuria al tuo vivace mirto:
Ma non restar però, che non risponda
Chi tu ti sia, ch'in corpo orrido ed irto.
Con voce e razionale anima vivi ;
Se da grandine il del sempre ti schivi.
31 E s*ora o mai potrò questo dispetto
Con alcun beneficio compensarte,
Per quella bella donna ti prometto.
Quella che di me tien la miglior parte ,
Ch' io farò con parole e con effetto ,
Ch'avrai giusta cagion di me lodarte.
Come Ruggiero al suo parlar fin diede ,
Tremò quel mirto dalla cima al piede.
32 Poi ai vide sudar su per ì\ soorza,
Come legno dal bosco allora tratto ,
Che del foco venir sente la forza ,
Poscia eh' invano ogni ripar gli ha fatto ;
E cominciò: Tua cortesia mi sforza
A discoprirti in un meiesmo tratto
Ch' io fossi prima , e chi converso m' agg:ia
In questo mirto in su l'amena spiaggia.
33 n nome mio fu Astolfo; e paladino
Era di Francia, assai temuto in guerra;
D' Orlanio e di Rinaldo era cugino ,
La cui fama alcun tonnine non serra ;
E si spettava a me tutto il donano ,
Dopo il mio padre Oton, dell' In^^lterra :
Leggiadro e bel fui si, che di me accesi
Più d' ona donna ; e alfin me solo offesi.
34 Ritornando io da quelle isole estreme
Che da levante il mar Lidico lava ,
Dove Rinaldo ed alcun' altri insieme
Meco fnr chiusi in parte oscura e cava ,
Ed onde liberati le supreme
Forze n' avean del cavalier di Brava ;
Vèr ponente io venia lungo la sabbia
Che del settentrion sente la rabbia.
35 E come la via nostra , e il dura e fello
Destin ci trasse, uscimmo una mattina
Sopra la bella spiag^a, ove un castello
Siede sol mar della possente Alcina.
Trovammo lei eh' uscita era di quello,
E stava sola in ripa alla marina ;
E senza rete e senza amo traea
Tutti li pesci al lito, che volea.
36 Veloci vi correvano i delfini ,
Vi venia a bocca aperta il grosso tonno ;
I capidogli coi vecchi marini
Vengon turbati dal lor pigro sonno ;
Muli, salpe, salmoni e coracini
Nuotano a schiere in più fretta che ponno;
Pistrici, fisiteri, orche e balene
Escon dal mar con mostruose schiene.
37 Veggiamo una balena , la maggiore
Che mai per tatto il mar veduta fosse ;
Undeci passi e più dimostra fùore
Dell'onde salse le spajlaece grosse.
Caschiamo tutti insieme in uno errore:
Perch' era ferma e che mai non si scosse .
Ch'ella sia una isoletta ci credemo;
Cosi distante ha l' un dall' altro estremo.
38 Alcina i pesci ascir facea deir acque
Con semplici parole e pori incanti.
Con la fetta Morgana Alcina nacqne ,
Io non so dir s'a un parto, o dopo o innantì
Gnardommi Alcina; e subito le piacque
L' aspetto mio , come mostrò ai sembianti ;
£ pensò con astuzia e con ingegno
Tonni ai compagni; e riusci il disegno.
39 Ci venne incontra con allegra faccia,
Con modi granosi e riverenti ;
E disse : Cavalier , quando vi piaccia
Far oggi meco i vostri alloggiamenti ,
Io vi fSeurò veder, nella mia caccia,
Di tutti i pesci sorti differenti:
Chi scaglioso , chi molle , e chi col pelo ;
E saran più che non ha stelle il cielo.
40 E volendo vedere una Sirena
Che col suo dolce canto accheta il mare.
Passiam di qui fin su quell^ altra arena,
Dove a quest'ora suol sempre tornare:
E ci mostrò quella maggior balena
Che, come io dissi, una isoletta pare.
Io , che sempre fui troppo (e me n' incresce)
Volonteroso , andai sopra quel pesce.
41 Rinaldo m'accennava, e similmente
Dndon , eh' io non v* andassi ; e poco valse.
La fata Alcina con faccia ridente,
Lasciando gli altri dna, dietro mi salse.
La balena, all'ufficio diligente,
Nuotando se n' andò per l' onde salse.
Di mia sciocchezza tosto fui pentito;
Ma troppo mi trovai lungi dal lito.
42 Rinaldo si cacciò nell'acqua a nuoto
Per aiutarmi, e quasi si sommerse,
Perchè levossi un furioso Noto
Che d' ombra il cielo e '1 pelago coperse.
Qael che di lui segui poi , non m' è noto.
Alcina a confortarmi si converse;
E quel di tutto e la notte che venne ,
Sopra quel mostro in mezzo il mar mi tenne:
43 Finché venimmo a questa isola bella.
Di cui gran parte Alcina ne possiede ,
E r ha usurpata ad una sua sorella
Che'l padre già lasciò del tutto erede,
Perchè sola legittima avea quella ;
E (come alcun notizia me ne diede,
Che pienamente instrutto era di questo)
Sono quest'altre due nate d'incesto:
44 E come sono inique e scellerate,
E piene d' ogni vizio infame e brutto ;
Cosi quella , vivendo in castitate ,
Posto ha nelle virtuti il suo cor tutto.
Centra lei queste due son congiurate;
E già più d' uno esercito hanno instrutto
Per cacciarla dell'isola, e in più volte
Più di cento castella l'hanno tolte:
45 Né ci terrebbe ormai spanna di terra ,
Colei, che Logistilla è nominata,
Se non che quinci un golfo il passo serra ,
E quindi una montagna inabitata;
Si come tien la Scozia e l'Inghilterra
n monte e la riviera, separata:
Né però Alcina uè Morgana resta ,
Che non le voglia tor ciò che le resta.
46 Perchè di vizii è questa coppia rea ,
Odia colei perch' è pudica e santa.
Ma per tornare a quel ch'io ti dicea,
E seguir poi com' io divenni pianta ,
Alcina in gran delizie mi tenea ,
E del mio amore ardeva tutta quanta;
Né minor fiamma nel mio core accese
H veder lei d bella e si cortese.
47 Io mi godea le delicate membra:
Pareami aver qui tutto il ben raccolto ,
Che fra' mortali in più parti si smembra,
A chi più ed a chi meno , e a nessun molto ;
Né di Francia né d'altTo mi rimembra;
Stavami sempre a contemplar quel volto:
Ogni pensiero, ogni mio bel disegno
In lei finia, né passava oltre il segno..
48 Io da lei altrettanto era o più amato :
Alcina più non si curava d' altri :
Ella ogni altro suo amante avea lasciato;
Ch' innanzi a me ben ce ne fur degli altri.
Me consiglier, me avea di e notte a lato ;
E me fé' quel che comandava agli altri:
A me credeva , a me si riportava ;
Né notte o di con altri mai parlava.
49 Deh ! perchè vo le mie piaghe toccando ,
Senza speranza poi di medicina?
Perchè l'avuto ben vo rimembrando,
Quand'io patisco estrema disciplina?
Quando credea d' esser felice , e quando
Credea ch'amar più mi dovesse Alcina,
Il cor che m'avea dato si ritolse,
E ad altro nuovo amor tutta si volse.
76
GELANDO PUEIOSO.
50 Ck)nobbi tardi il suo mobil ingegno ,
Usato amare e disamare a nn ponto.
Non era stato oltre a duo mesi in regno,
Ch'un nuoTO amante al loco mio fii assunto.
Da sé cacciommi la fata con sdegno,
E dalla grazia sna m* ebbe disgiunto :
E seppi poi , che tratti a simil porto
Ayea milP altri amanti, e tutti a torto.
61 E perchè essi non vadano pel mondo
Di lei narrando la vita lasciva,
Chi qua chi là per lo terren fecondo
Li muta , altri in abete , altri in oliva ,
Altri in palma , altri in cedro , altri secondo
Che vedi me , sa questa verde riva ;
Altri in liquido fonte , alcuni in fera ,
Come più aggrada a quella fìtta altiera.
stanza 61.
52 Or tu che sei per non usata via,
Signor , venuto all' isola fatale ,
Acciò ch'alcuno amante per te sia
Converso in pietra o in onda, o fatto tale;
Avrai d' Alcina scettro e signoria ,
E sarai lieto sopra ogni mortale:
Ma certo sii di giunger tosto al passo
D'entrar o in fera o in fonte o in legno o in sasso.
53 Io te n'ho dato volentieri avvisa:
Non eh' io mi creda che debbia giovarte ;
Pur meglio fia che non vadi improvviso ,
E de' costumi suoi tu sappia parte;
Che forse, come è differente il viso ,
É differente ancor l'ingegno e l'arte.
Tu saprai forse riparar al danno ;
Quel che saputo mill' altri non hanno.
54 Buggier, che conosciuto avea per fama
Ch' Astolfo alla sua donna cugin era ,
Si dolse assai che in steril pianta e grama
Mutato avesse la sembianza vera:
E per amor di quella che tanto ama,
(Purché saputo avesse in che maniera)
Gli avria fatto servizio ; ma aiutarlo
Li altro non potea , eh' in confortarlo.
55 Lo fé' al meglio che seppe ; e domandoli!
Poi se via e' era , eh' al regno guidassi
Di Logistilla , 0 per piano o per colli ,
Si che per quel d' Alcina non andassi.
Che ben ve n' era un' altra , ritomolli
L' arbore a dir , ma piena d' aspri sassi ,
S' andando un poco innanzi alla man destra ,
Salisse il poggio invér la cima alpestra :
stanza 7&
56 Ma che non pensi già che segair possa
n suo cammin per quella strada troppo:
Incontro avrà di gente ardita , grossa
E fiera compagnia, con doro intoppo,
Alcina Te li tien per mura e fossa
A chi volesse uscir fuor del suo groppo.
Ruggier quel mirto ringraziò del tutto ,
Poi da lui si parti dotto ed instrutto.
57 Venne al cavallo , e lo disciolse e prese
Per le redine , e dietro se lo trasse ;
Né, come fece prima, più F ascese,
Perchè mal grado suo non lo portasse.
Seco pensava come nel paese
Di Logistilla a salvamento andasse.
Era disposto e fermo usar ogni opra,
Che non gli avesse imperio Alcina sopra.
58 Pensò di rimontar sul suo cavallo ,
E per r aria spronarlo a nuovo corso :
Ma duhitò di far poi maggior fallo;
Che troppo mal quel gli ubbidiva al morso.
Io passerò per forza , s' io non fallo ,
Dicea tra sé; ma vano era il discorso.
Non fti duo miglia lungi alla marina ,
Che la bella città vide d' Alcina.
59 Lontan si vide una muraglia lunga ,
Che gira intomo , e gran paese serra ;
E par che la sua altezza al elei s* aggiunga.
E d' oro sia dall' alta cima a terra.
Alcun dal mio parer qui si dilunga ,
E dice eh' eli' é alchimia; e forse eh' erra ,
Ed anco forse meglio di me intende :
A me par oro , poi che si risplendé.
60 Come fu presso alle si ricche mura ,
Che'l mondo altre non ha della lor sorte,
Lasciò la strada che , per la pianura ,
Ampia e diritta andava alle gran porte ;
Ed a man destra , a quella più sicura ,
Ch' al monte già , piegossi il gnerrier forte :
Ma tosto ritrovò l'iniqua frotta,
Dal cui fdror gli fu turbata e rotta.
61 Non fu veduta mai più strana torma ,
Più mostruosi volti e peggio fatti;
Alcun dal collo in giù d' uomini han forma ,
Col viso altri di scinde , altri di gatti ;
Stampano alcun con pie caprigni V orma ;
Alcuni son centauri agili ed atti;
Son giovani impudenti e vecchi stolti.
Chi nudi , e chi di strane pelli involti :
62 Chi senza freno in a' un destrìer galoppa,
Chi lento va con l' asino o col bue ;
Altri salisce ad un centauro in groppa ;
Struzzoli molti han sotto, aquile e grue :
Ponsi altri a bocca il corno, altri la coppa:
Chi femmina e chi maschio , e «chi amendue ,
Chi porta uncino e chi scala di corda,
Chi pai di ferro e chi una lima sorda.
63 Di questi il capitano si vedea
Aver gonfiato il ventre, e'I viso grasso;
n qual su una testuggine sedea.
Che con gran tardità mutava il passo,
Avea di qua e di là chi lo reggea.
Perché egli era ebbro e tenea il ciglio basso :
Altri la fronte gli asciugava e il mento.
Altri i panni scuotea per fargli vento.
stanza 63.
64 Un eh' avea umana forma i piedi e'I ventre,
E collo avea di cane, orecchie e testa.
Centra Ruggiero abbaia, acciò ch'egli entre
Nella bella città ch'addietro resta.
Rispose il cavalier : Noi farò , mentre
Avrà forza la man di regger questi.
(E gli mostra la spada, di cui volta
Avea r aguzza punta alla sua volta).
65 Quel mostro lui ferir vuol d' una lancia ;
Ma Ruggier presto se gli avventa addosso :
Una stoccata gli trasse alla pancia,
E la fé' un palmo riuscir pel dosso.
Lo scudo imbraccia, e qua e là si lancia;
Ma l' inimico stuolo é troppo grosso.
L'un quinci il punge, e l'altro quindi afferra:
Egli s'arrosta e fa lor aspra guerra.
66 L* un sin a^ clenti , e V altro sin al petto
Partendo ya dì quella iniqua razza ;
Ch'alia sua spada non s'oppone elmetto,
Nò scudo . né panzìera , né corazza :
Ma da tutte le parti é cosi astretto ,
Che bisogno sarìa, per trovar piazza
E tener da sé largo il popol reo,
D'aver più braccia e man che Briareo.
9 L' una e l' altra sedea s' un liocorno.
Candido più che candido annellino ;
L' una e l' altra era bella , e di si adonio
Abito, e modo tanto pellegrino,
Che all'nom, guardando e contemplando intormo.
Bisognerebbe aver occhio divino
Per far di lor giudizio; e tal sarìa
Beltà (s' avesse corpo) , e Leggiadria.
stanza 64.
67 Se di scoprire avesse avuto avviso
Lo scudo che già fu del necromante;
Io dico quel eh' abbarbagliava il viso ,
Quel eh' all' arcione avea lasciato Atlante;
Subito avria quei brutto stuol conquiso ,
E fattosel cader cieco davante:
E forse ben che disprezzò quel modo.
Perché virtude usar volse , e non frodo.
70 L'una e l'altra n'andò dove nel prato
Ruggiero é oppresso dallo stuol villano.
Tutta la turba si levò da lato ;
E quelle al cavalier porser la mano ,
Che tìnto in viso di color rosato,
Le donne ringraziò dell'atto umano;
E fii contento , compiacendo loro ,
Di ritornarsi a quella porta d'oro.
71 L' adornamento che s'aggira sopra
La bella porta , e sporge un poco avante ,
Parte non ha che tutta non si copra
Delle più rare gemme di Levante.
Da quattro parti si riposa sopra
Grosse colonne d'integro diamante.
0 vero 0 falso eh' all' occhio risponda ,
Non é cosa più'^bella o più gioconda.
Stansa06.
68 Sìa quel che può , piuttosto vuol morire ,
Che rendersi prigione a si vii gente.
Eccoti intanto dalla porta uscire
Del muro, ch'io dicea d'oro lucente.
Due giovani ch'ai gesti ed al vestire
Non èran da stimar nate umilmente ,
Né da pastor nutrite con disagi ,
Ma Ara delizie di real palagi.
72 Su per la soglia e fuor per le colonne
Corron scherzando lascive donzelle,
Che, se i rispetti debiti alle donne
Servasser più, sarian forse più belle.
Tutte vestite eran di verdi gonne,
E coronate di frondi novelle.
Queste , con molte offerte e con buon viso ,
Ruggier fecero entrar nel paradiso:
Td Che si pnò ben cosi nomar quel loco,
Ove mi credo che nascesse Amore.
Non yi si sta se non in danza e in giuoco ,
£ tutte in festa vi si spendon V ore :
Pensier canuto uè molto né poco
Si può quivi albergare in alcun core:
Non enthi quivi disagio né inopia,
Ila vi sta ognor col corno pien la Copia.
74 Qui , dove con serena e lieta fronte
Par cb' ognor rida il grazioso aprile ,
Qioveni e donne son : qual presso a fonte
Canta con dolce e dilettoso stile;
Qual d'un arbore alPombra, e qual d'un monte,
0 giuoca, 0 danza o & cosa non vile ;
E qual, lungi dagli altri, a un suo fedele
DÌ!«cuopre l'amorose sue querele.
^btanza 74.
75 Per le cime dei pini e dogli allori ,
Degli alti faggi e dcgl' irsuti abeti ,
Yolan scherzando i pargoletti A morì ;
Di ior vittorie altri godendo lieti,
Altri pigliando a saettare i cori
La mira quindi , altri tendendo reti :
Chi tempra dardi ad un ruscei più basso,
£ chi gli aguzza ad un volubìl scisso.
AaiosTO.
76 Quivi a Ruggier un gran corsìer iù dato,
Forte, gagliurdo, e tutto di pel sauro,
Ch'avea il bel guemimento ricamato
Di preziose gemme e di fin auro;
E fu lasciato in guardia quello alato.
Quel che solca ubbidire al vecchio Mauro,
A un giovene che dietro lo menassi
Al buon Ruggier con meu fr e itosi passi.
77 Quelle due belle giovani amorose
Ch' avean Ruggier dall' empio stuol difeso ,
Dair empio stuol che dianzi se gli oppose
Su quel cammin ch'avea a man destra preso,
Gli dissero: Signor, le virtuose
Opere vostre che già abbiamo inteso ,
Ne fon sì ardite, che l'aiuto vostro
Vi chiederemo a beneficio nostro.
79 Oltre che sempre ci turbi il cammino,
Che libero saria se non foss'ella ,
Spesso correndo per tutto il giardino,
Va disturbando or questa cosa or quella.
Sappiate che del popolo assassino
Che vi assali fuor della porta bella ,
Molti suoi figli Bon , tutti segnaci ,
Empii , com' ella , inospiti e lapad.
78 Noi troverem tra via tosto una lama ,
Che fa due parti di questa pianura.
Una crudel , che ErifiUa si chiama ,
Difende il ponte, e sforza e inganna e fura
Chiunque andar nell' altra ripa brama ;
Ed ella è gigantcssa di statura;
Li denti ha lunghi e velenoso il morso,
Acute Pugne e graffia come un orso.
80 Ruggier rispose: Non ch'una batta^^lia.
Ma per voi sarò pronto a fame cento.
Di mia persona, in tutto quel che vaglia,
Fatene voi secondo il vostro intento :
Che la cagion eh' io vesto piastra e maglia ,
Non è per guadagnar terre né argento ,
Ma sol per fame beneficio altrui;
Tanto più a belle donne come vui.
81 Le donne molte grazie riferirò
Degne d'un cavalier come quell'era:
E così ragionando , ne veniro
Dove videro il ponte e la riviera ;
E di smeraldo ornata e di zaffiro
Sull'arme d'or, vider la donna altiera.
Ma dir nell'altro Canto differisco,
Come Ruggier con lei si pose a risco.
NOTE.
St. 1. V. (\. — Indulto^ vale a dire conceduto.
St. 13, V. 4. — Il colore verdegiallo rassomiglia quello
della foglia appassita; e lo adottavano i cavalieri d'al-
lora, a dimostrare l'animo afflitto da gagliarda pertar-
h:izione.
St. 13. V. 5. — La Dazia o Dacia comprendeva an-
ticamente la Transilvania, la Moldavia, la Valacchia,
H Servia e parte deW Ungheria.
St. 17. V. 6-8. — Aveva Ruggiero oltrepassato di molto
lo stretto di Gibilterra , su cui (secondo la favola) in-
dicò Ercole per limite alla navigazione due promontorj.
St. 19. V. 3-8. — L'isola paragonata con quella a cui
alludono gli altri versi , è l' isoletta Ortigia , una delle
cinque parti onde componevasi Siracusa, e la sola in
oggi a cui quella città si ristringe. La mitologica ninfa
Aretusa, perseguitata dal fiume Alfeo , fu convertita in
fonte; e condottasi pervie sottomarine in Ortigia, sem-
pre inseguita dair indiscreto amatore, fu colà da questi
raggiunta.
St. 33. V. 1-0 — Il conto che Astolfo dà di sé stesso
ò relativo alla genealogia degli eroi romanzeschi ripor-
tata dal Ferrariq, ove dicesi che Bernardo di Chiara valle
ebbe per figli Amone padre di Rinaldo, Bnovo d'Agre*
monte padre di A Miglerò, diMalagigi e di Viviano, per-
sonaggi di eli più oltre, e Ottone re d'inghiltenna, onde
nacque Astolfo.
St. 34. V. 1-2 — L'isole del mare Indiano, che il Bo-
jardo chiama « Isole Lontane r> signoreggiate da Mono-
dante.
Ivi. V. 6. — Cavallier di Brava, è Orlando.
St. 36. V. 3-7. — Enormi cetacei sono i capidogli , le
orche e i fìsiteri , così detti questi ultimi , a motivo di
uno sfiatatoio che hanno in cima al muso, d'onde sca-
gliano in aria le onde; i vecchi marini corrispondono
alle foche o vitelli di mare; ì muli o muli' , sono le
triglie, fra le quali se ne incontrono di grossissime; le
salpe o spari, rassomigliano alle orate; i coraeini, al-
trimenti condoli, hanno tal nome dall'esser neri a guisa
di cor\ i ; e i pistrici o pisteri , hanno la testa armata
di una lunga sega ossea.
St. 44. v. 6. — Hanno instrutto, cioi, hanno ordinato.
St. 45. V. 2. -- Alcina (secondo il Bojardo) simbolo
della vita voluttuosa. — Morgana , fata , sorella del re
Arturo e della Donna del Lago; simbolo (per il Bo-
Jardo) della potenza e della ricchezza. L'Aiiosto, per
compiere l'allegoria, aggiunse Logistilla, che, anche col
nome fatto evidentemente dal greco logoSj mostra esser
simbolo della ragione e della virtù. Fa sorelle Alciiia,
Morgana e Logistilla, perchè cosi le passioni come le
ragioni provengono dalla umana natura.
Ivi. V. 5-6. — I monti Cheviot dividono la Scozia dal-
l'Inghilterra, diramandosi nella parte settentrionale del-
l'una e nella meridionale dell'altra. E il fiume Tweed,
che appaitiene alla Scozia, nella parte inferiore del suo
corso, continua la divisione, ed entra nel mare del Nord.
St. 51. y. 1. — è la nota storia della ammaliante Circe
omerica. Senonchè, Circo cangia la forma umana in forma
bestiale; Alcina toglie anche lanimalità, e fa scendere
Ano all'ultimo grado della scala degli esseri.
St. 6j. V. 8. — Arrostarsi, vale volgersi inforno.
St. 63. V. 8. — Secondo i mitologi, il gigante Briareo
aveva cento braccia.
St. 69. v. 1-2. — Il liocorno è animale favoloso che si
figura come un cavallo con un corno in fronte : è preso
come emblema della purità.
St. 75. V. 8. — VolnbiC sasso, ossia ruota.
St. 76. V. 6. — Il ticchio Mauro , cioè il mago At-
lante.
St. 78. V. 1-3. — Lama, vale a dire fossa palustre.
Il nome Erifilla o Eri/ile spiega da sé l' animo avaro
e turbolento della gigantessa, e rammenta la moglie di
Anflarao, che per una collana d'oro tradi il marito.
St. 81. V. 1. — Riferir grazie, lo stesso che ringra-
ziare.
Stanza 1.
diiì dì Un ^uMLti.'^ arriva al piltv/^u dì A]i;!ÌiLii| se ile ìn^
IK'i'tlutuinfiitéi « rituiuiH ne ir isola. Biidamante, noQ aTrD!>^
ikotL^iff di lui, i:eìT.ì. di Mtdi^^Nii. la iiicuntra e Le dà r^ttf-l '
mat;ii:o i he devi' aervite a i-ini>i>dr« gì ÌJH^nulesiroì dell* sedei
triee AUiiia. Cipn utieiLti Mirliiiiia fti poi tu neiriAol&, ti^VrgLak
Ta^'iij^itJi nigiuiitì di lUggieio, il qualii si aecijig© a 1
il pcrjeiolu^o moggio ni o.
(hi va luiirati lUilla sua patria, vede
Cuse da quel che già eredea , loutane ;
t'hc uAiraiulyle |kìÌ ^ non se gli eresìe,
E stimato hugi arilo ne rim^^ne:
Che '1 f^ciuc^o Yuìgo uou gli vuol dar fede ,
Se Tìon iti veile e toci!a chiare e i^lane,
I\r questo io so che IMnef^perienxa
Farà al mìo cfluto dar poca credenza.
loca 0 mi 'Ita i.h'io if abbia ^ non bisogna
Ch^io ponga mente al valgo sciocco e ignaro.
A voi so ben che non parrà menzogna ,
Che '1 lume del discorso Avete chiaro ;
£d a voi soli ogni mio intento agogna
Che'i fratto sia di mie fatiche caro.
Io vi lasciai cheU ponte e la riviera
Vider , che 'n guardia avea Erifilla altiera.
CANTO SETTIMO.
3 Quell'era armaU del più fin metallo
Ch* avean di più color gemme distinto :
Rnbin vermiglio, crisolito giallo,
Verde smeraldo, con flavo iacinto.
Era montata, ma non a cavallo;
Invece avea di qaello un lapo spinto:
Spinto avea un lupo ove si passa il finme,
Con ricca sella fuor d* ogni costume.
4 Non credo eh' un si grande Apulia n'abbia:
Egli era grosso ed alto più d'un bue.
Con fren spumar non gli facea le labbia;
Né so come lo regga a voglie sue.
La sopravesta di color di sabbia
Su l'arme avea la maledetta lue:
Era, fuorché '1 color, di quella sorte
Ch'i vescovi e i prelati usano in corte.
5 Ed avea nello scudo e sul cimiero
Una gonfiata e velenosa botta.
Le donne la mostraro al cavaliere,
Di qua dal ponte per giostrar ridotta,
E fargli scorno, e rompergli '1 sentiero.
Come ad alcuni usata era talotta.
Ella a Ruggier, che tomi addietro, grida:
Quel piglia un'asta, e la minaccia e sfida.
6 Non men la gigantessa ardita e presta
Sprona il gran lupo , e nell' arcion si serra :
E pon la lancia a mezzo il corso in resta,
E fa tremar nel suo venir la terra.
Ma pur sul prato al fiero incontro resta ;
Che sotto l'elmo il buon Ruggier l'afferra,
E dell' arcion con tal furor la caccia.
Che la riporta indietro oltra sei braccia.
7 E già , tratta la spada eh' avea cinta ,
Venia a levarne la testa superba;
E ben lo potea fiir ; che come estinta
Erifilla giacca tra' fiori e l' erba.
Ma le donne gridar: Basti sia vinta.
Senza pigliarne altra vendetta acerba.
Ripon , cortese cavalier , la spada ;
Passiamo il ponte, e s^uitiam la strada.
8 Alquanto malagevole ed aspretta
Per mezzo un bosco presero la via;
Che, oltra che sassosa fosse e stretta.
Quasi su dritta alla collina già.
Ma poi che furo ascesi in su la vetta,
Uscirò in spaziosa prateria,
Dove il più bel palazzo e 1 più giocondo
Vider , che mai fosse veduto al mondo.
9 La bella Aldna venne un pezzo innante
Verso Ruggier fuor delle prime porte ,
E lo raccolse in signoril sembiante ,
In mezzo bella ed onorata corte.
Da tutti gli altri tanto onore e tante
Riverenzie fur fatte al guerrier forte ,
Che non ne potrian far più, se tra loro
Fosse Dio sceso dal superno coro.
Stanza 4.
10 Non tanto il bel palazzo era eccellente,
Perché vincesse ogni altro di ricchezza.
Quanto eh' avea la più piacevol gent«
Che fosse al mondo , e di più gentilezza.
Poco era l' un dall' altro differente
E di fiorita etade e di bellezza.
Sola di tutti Aldna era più bella ,
Si com' é bello il Sol più d' ogni stella.
11 Di persona era tanto ben formata ,
Qoanto me^ finger ean pittori industri,
Con bionda cbioma lunga ed annodata ;
Oro non è cbe più risplenda e lustri.
Spargeasi per la guancia delicata
Misto color di rose e di ligustri:
Di terso avorio era la fronte lieta ,
Che lo spazio finia con giusta meta.
12 Sotto duo negri e sottilissimi archi
Son duo negri occhi , anzi duo chiari Soli ,
Pietosi a riguardare , a mover parchi ;
Intorno cui par eh' Amor scherzi e voli ,
E ch'indi tutta la faretra scarchi,
E che visibilmente i cori involi:
Quindi il naso per mezzo il viso scende ,
Che non trova V invidia ove V emende.
13 Sotto quel sta, quasi fra due vallette,
La bocca sparsa di natio cinabro :
Quivi due filze son di perle elette ,
Che chiude ed apre un bello e dolce labro ;
Quindi escon le cortesi parolette
Da render molle ogni cor rozzo e scabro ;
Quivi si forma quel suave riso ,
Ch'apre a sua posta in terra il paradiso.
14 Bianca neve è il bel collo, el petto latte:
Il collo è tondo, il petto colmo e largo.
Due pome acerbe , e pur d' avorio fette ,
Vengono e van , com' onda al primo margo ,
Quando piacevole aura il mar combatte:
Non potria l' altre parti veder Argo :
Ben si può giudicar che corrisponde
A quel chiappar di fuor quel che s'asconde.
15 Mostran le braccia sua misura giusta ;
E la candida man spesso si vede
Lunghetta alquanto e di larghezza angusta ,
Dove uè nodo appar, né vena eccede.
Si vede alfin della persona augusta
Il breve, asciutto e ritondetto piede.
Gli angelici sembianti nati in cielo
Non si ponno celar sotto alcun velo.
16 Avea in ogni sua parte un laccio teso ,
0 parli 0 rida o canti o passo mova:
Né maraviglia è se Ruggier n'é preso ,
Poiché tanto benigna se la trova.
Quel che di lei già avea dal mirto inteso ,
Com'è perfida e ria, poco gli giova;
Ch'inganno o tradimento non gli è avvi.so
Che possa star con si soave riso.
17 Anzi pur creder vuol , che da costei
Fosse converso Astolfo in su l'arena
Per li suoi portamenti ingrati e rei ,
E sia degno di questa e di più pena :
E tutto quel eh' udito avea di lei ,
Stima esser falso ; e che vendetta mena ,
E mena astio ed invidia quel dolente
A lei biasmare, e che del tutto mente.
18 La bella donna che cotanto amava,
Novellamente gli è dal cor partita ;
Che per incanto Alcina gli lo lava
D' ogni antica amorosa sua ferita;
E di sé sola e del suo amor lo grava,
E in quello essa riman sola sculpita :
S che scusar il buon Ruggier si deve ,
Se si mostrò quivi incostante e lieve.
19 A quella mensa citare , arpe e lire ,
E diversi altri dilettevol snoni
Faceano intomo l'aria tintinnire
D' armonia dolce e di concenti buoni.
Non vi mancava chi, cantando, dire
D'amor sapesse gaudii e passioni,
0 con invenzioni e poesie
Rappresentasse grate fantasie.
20 Qual mensa trionfante e suntuosa
Di qualsivoglia successor dì Nino ,
0 qual mai tanto celebre e famosa
Di Cleopatra al vincitor latino ,
Potria a questa esser par, che l'amorosa
Fata avea posta innanzi al paladino ?
Tal non cred' io che s' apparecchi dove
Ministra Ganimede al sommo Giove.
21 Tolte che fur le mense e le vivande ,
Facean, sedendo in cerchio, un giuoco lieto,
Che nell' orecchio l' un l' altro domande ,
Come più piace lor , qualche secreto ;
Il che agli amanti fu comodo grande
Di scoprir l'amor lor senza divieto;
E furon lor conclusioni estreme
Di ritrovarsi quella notte insieme.
22 Finir quel giuoco tosto , e molto innanzi
Che non solea là dentro esser costume.
Con torchi allora i paggi entrati innanzi ,
Le tenebre cacciar con molto lume.
Tra bella compagnia dietro e dinanzi
Andò Ruggiero a ritrovar le piume
In un' adorna e fresca cameretta ,
Per la miglior di tutte l'altre eletta.
23 E poi che di confetti e di buon vini
Di Buovo fatti far debiti inviti ,
E partir gli altri riverenti e chini ,
Ed alle stanze lor tatti son iti;
Ruggiero entt-ò ne' profumati lini
Che pareano di man d' Aracne usciti ,
Tenendo tuttavia V orecchie attente
S' ancor venir la bella donna sente.
24 Ad ogni piccol moto eh* egli udiva ,
Sperando che fosse ella , il capo alzava ;
Sentir creJeasi , e spesso non sentiva;
Poi del suo errore accorto sospirava.
Talvolta nscia dal letto , e V uscio apriva :
Guatava fuori , e nulla vi trovava :
E maledi ben mille volte Fora
Che £Eicea al trapassar tanta dimora.
25 Tra sé dicea sovente: Or si parte ella;
E cominciava a noverare i passi
Ch' esser potean dalla sua stanza a quella ,
Donde aspettando sta che Alcina passi.
E questi ed altri , prima che la bella
Donna vi sia , vani disegni fassi.
Teme di qualche impedimento spesso ,
Che tra il frutto e la man non gli sia messo.
26 Alcina, poi eh' a* preziosi odori
Dopo gran spazio pose alcuna meta,
Venuto il tempo che più non dimori,
Ormai eh' in casa era ogni cosa cheta ,
Della camera sua sola usci fuori ;
B tacita n'andò per via secreta
Dove a Ruggiero avean timore e speme
Gran pezzo intomo al cor pugnato insieme.
27 Come si vide il successor d'Astolfo
Sopra apparir quelle ridenti stelle ,
Come abbia nelle vene acceso zolfo ,
Non par che capir possa nella pelle.
Or s'no agli cechi ben nuota nel golfo
Delle delizie e delle cose belle:
Salta del' letto , e in braccio la raccoglie ,
Né può tanto aspettar ch'ella si spoglie;
28 Benché né gonna nò faldiglia avesse;
Che venne avvolta in un leggier zendado
Che sopra una camicia ella si messe,
Bianca e suttil nel più eccellente grado.
Come Ruggiero abbracciò lei , gli cesse
Il manto ; e restò il vel snttile e rado ,
Che non copria dinanzi né di dietro,
Più che le rose o i gigli un chiaro vetro.
29 Non cosi strettamente edera prema
Pianta ove intorno abbarbicata s'abbia,
Come si stringon li du' amanti insieme,
Cogliendo dello spirto in su le labbia
Suave fior, qual non produce seme
Indo 0 sabeo nell' odorata sabbia.
Del gran piacer eh' avein , lor dicer tocca ,
Che spesso avean più d'una lingua in bocca.
30 Queste cose là dentro eran secrete;
0 Be pur non secrete , almen taciute ;
Che raro fu tener le labbra chete
Biasmo ad alcun , ma ben spessD virtute.
Tutte profferte ei accoglienze liete
Fanno a Ruggier quelle persone astute:
Ognun lo reverisce e se gli inchina;
Che cosi vuol l'innamorata Alcina.
31 Non é diletto alcun che di fuor reste;
Che tutti son nell'amorosa stanza:
E due e tre volte il di mutano veste ,
Fatte or ad una or ad un'altra usanza.
Spesso in conviti, e sempre stanno in fé ite,
In giostre, in lotte, in scene, in bagno, in danza ;
Or presso ai fonti , all' ombre de' poggetti ,
Leggon d' antiqui gli amorosi detti.
32 Or per l'ombrose valli e lieti colli
Vanno cacciando le paurose lepri;
Or con sagaci cani i fagian folli
Con strepito uscir fen di stoppie e vepri ;
Or a' tordi lacciuoli , or veschi molli
Tendon tra gli odoriferi ginepri ;
Or con ami inescati ed or con reti
Turbano a' pesci i grati lor secreti.
33 Stava Ruggiero in tanta gioia e festa.
Mentre Carlo in travaglio ed Agramante ,
Di cui l'istoria io non vorrei per questa
Porre in obblio , né lasciar Bradamante ,
Che con travaglio e con pena molesta
Pianse più giorni il disiato amante,
Ch'avea per strade disusate e nuove
Veduto portar via, né sapea dove.
34 Di costei prima che degli altri dico ,
Che molti giorni andò cercando invano
Pei boschi ombrosi e per lo campo aprico.
Per ville , per città , per monte e piano ;
Né mii potè saper del caro amico ,
Che di tanto intervallo era lontano.
Nell'oste saracin spesso venia.
Né mai del suo Ruggier ritrovò spia.
SUnza 19.
35 Ogni di ne demanda a più di cento ,
Né alcun le ne sa mai render ragioni.
D' alloggiamento va in alloggiamento ,
Cercandone e trabacche e padiglioni:
£ lo pnò far; che senza impedimento
Passa tra cavalieri e tra pedoni ,
Mercè all'anel che fuor d'ogni uman uso
La fa si)arìr quando V è in bocca chiusD.
36 Né pnò né creder vuol che morto sia;
Perchè di si grande uom Talti mina
Daironde idaspe udita si saria
Fin dove il Sole a riposar declina.
Non sa né dir uè immaginar che via
Far possa o in cielo o in terra ; e pur mesc'iina
Lo va cercando , e per compagni mena
Sospiri e pianti ed ogni ac3rba peni.
stanza IL
87 Pensò alfin di tornare alla spelonca,
Dove eran V ossa di MerHn profeta ,
E gridar tanto intorno a quella conca,
Che il freddo marmo si movesse a pietà;
Che se vivea Ruggiero, o gli avea tronca
Lealtà necessità la vita lieta.
Si sapria quindi ; e poi s* appiglierebbe
A quel miglior consiglio che n'avrebbe.
38 Con questa intenzion prese il cammino
Verso le selve prossime a Pontiero,
Dove la vocal tomba di Merlino
Era nascosa in loco alpestro e fiero.
Ma qneUa maga che sempre vicino
Tenuto a Bradamante avea il pensiero ,
Quella , dico io , che nella bella grotta
L'avea della sua stirpe instrutta e dotta;
39 Quella benigna e saggia incantatrice ,
La quale ha sempre cura di costei ,
Sappiendo ch'esser de' progenitrice
D' uomini invitti , anzi di semidei ,
Ciascun di vuol saper che fa , che dice ;
E getta ciascun di sorte per lei.
Di Ruggier liberato e poi perduto ,
E dove in India andò , tutto ha saputo.
40 Ben veduto l'avea su quel cavallo
Che regger non potea , eh' era sfrenato ,
Scostarsi di lunghissimo intervallo
Per sentier periglioso e non usato ;
E ben sjpea che stava in giuoco e in ballo,
E in cibo e in ozio molle e delicato,
Né più memoria avea del suo signore.
Né della donna sua , né del suo onore.
41 E cosi il fior delli begli anni suoi
In lunga inerzia aver potria consunto
Si gentil cavalier, per dover poi
Perdere il corpo e V anima in uà punto ;
E queir odor che sol riman di noi ,
Poscia che'l resto fragile è defunto,
Che tra'l'uom del sepolcro e in vita il, serba,
Gli saria stato o tronco o svelto in erba.
43 Ella non gli ora facile , e talmente '
Fattane cieca di superchio amore ,
Che, come facea Atlante, solamente
A dargli vita avesse posto il care.
Quel piuttosto volea che lungamente
Vivesse e senza fama e senza onore.
Che con tutta la laude che sia al mondo ,
Mancasse un anno al suo viver giocondo.
44 L' avea mandato all' isola d' Alcina ,
Perchè obbli'asse l'arme in quella corte:
E com3 mago di somma dottrina ,
Ch' usar sapea gì' incanti d' ogni sorte ,
Avea il cor stretto di quella regina
Neil' amor d' esso d' un laccio sì forte ,
Che non se n' era mai per poter sciorre ,
S'invecchiasse Ru^ier più di Nestorre.
45 Or tornando a colei eh' era presaga
Di quanto de' avvenir, dico che tenne
La dritta via dove V errante e vaga
Figlia d'Amon seco a incontrar si venne.
Bradamante vedendo la sua maga ,
Muta la pena che prima sostenne ,
Tutta in speranza; e quella l'apre il vero,
Ch'ad Alcina è condotto il suo Ruggiero.
46 La giovane riman presso che morta.
Quando ode che'l suo amante è cosi lunge,
E più , che nel suo amor periglio porta ,
Se gran rimedio e subito non giunge :
Ma la benigna maga la conforta ,
E presto pon l' impiastro ove il duol punge ;
E le promette e giura , in pochi giorni
Far che Ruggiero a riveder lei tomi.
47 Dacché , donna , (dicea) l' aneUo hai teco ,
Che vai contra ogni magica fattura.
Io non ho dubbio alcun che , s' io l' arreco
Là dove Alcina ogni tuo ben ti fura.
Ch'io non le rompa il suo disegno, e meco
Non ti rimeni la tua dolce cura.
Me n'andrò questa sera alla prim'ora,
E sarò in India al nascer dell' aurora.
42 Ma quella gentil maga , che più cura
N'avea, ch'egli medesmo di sé stesso,
Pensò di trarlo per via alpestre e dura
Alla vera virtù , mal grado d' esso :
Come eccellente medico, che cura
Con ferro e fuoco, e con veneno spesso;
Che sebben molto da principio offende,
Poi giova affine , e grazia se gli rende.
48 E seguitando , del modo narrolle
Che disegnato avea d'adoperarlo.
Per trar del regno effemm'nato e molle
Il caro amante, e in Francia rimenarlo.
Bradamante l'anel del dito toUe:
Né solamente avria voluto darlo ;
Ma dato il core , e dato avria la vita ,
Purché n' avesse il suo Ruggiero aita.
Stanza 30.
49 Le dà Panello , e se le raccomanda;
E più le raccomanda il suo Rugsfiero ,
A cni per lei mille salati manda ;
Poi prese ver Provenza altro sentiero.
Andò r incantatrice a nn^ altra banda;
E per porre in effetto il sno pensiero ,
Un palafren fece apparir la sera
50 Credo fusse un Alchino o un Farfarello
Che dell^ inferno in quella forma trasse :
E scinta e scalza montò sopra a quello ,
A chiome sciolte e orribilmente passe :
Ma ben di dito si levò Panello,
Perchè giuncanti suoi non le vietasse.
Poi con tal fretta andò , che la mattina
Ch'avea un pie rosso, e ogni altra parte nera. Si ritrovò nelP isola d' Alcini.
.Vtr.nza 18.
51 Quivi mirabìlmeute trasmatosse
S'accrebbe più d'un palmo di statura,
E fé' le membra a proporzion più grosse,
E restò appunto di quella misura
Che si pensò che '1 necromante fosse ,
Quel che nutrì Ruggier con sì gran cura :
Vestì di lunga barba le mascelle ,
E fé' crespa la fronte e T altra pelle.
52 Di faccia , di parole e di sembiante
Sì lo seppe imitar, che totalmente
Potea parer l'incantatore Atlante.
Poi si nascose; e tanto pose mente,
Che da Ruggiero allontanar 1' amante
Alcina vide un giorno finalmente:
E fu gran sorte ; che di stare o d' ire
Senza esso un' ora potea mal patire.
57 Dì medolle già d'orsi e di leoni
Ti porsi io dunque li primi alimenti;
T'ho per caverne ed orridi burroni
Fanciullo avvezzo a strangolar serpenti ,
Pantere e tigri disarmar d' unghioni,
Ed a vivi cinghal trar spesso i denti.
Acciò che dopo tanta disciplina
Tu sii l'Adone o l'Atide d'Alcina?
58 É questo quel che l'osservate stelle,
Le sacre fibre e gli accoppiati punti ,
Responsi , augurj , sogni , e tutte quelle
Sorti ove ho troppo i miei studj consunti ,
Di te promesso sin dalle mammelle
M' avean , come quest' anni fosser giunti ,
Ch'in arme l'opre tue così preclare
Esser dovean, che sarian senza pare?
53 Soletto lo trovò , come lo volle ,
Che si godea il mattin fresco e sereno ,
Lungo un bel rio che discorrea d' un colle
Verso un laghetto limpido ed ameno.
Il suo vestir delizioso e molle
Tutto era d' ozio e di lascivia pieno y
Che di sua man gli avea di seta e d' oro
Tessuto Alcina con sottil lavoro.
54 Di ricche gemme un splendido monile
Gli discendea dal collo in mezzo il petto ;
E nell'uno e nell'altro già virile
Braccio girava un lucido cerchietto ;
Gli avea forato un fil d' oro sottile
Ambe l'orecchie, in forma d'anelletto;
E due gran perle pendevano quindi ,
Qual mai non ebbon gli Arabi né gì' Indi.
55 Umide avea l'inanellate chiome
De' più soavi odor che sieno in prezzo :
Tutto ne' gesti era amoroso, come
Fosse in Valenza a servir donne avvezzo :
Non era in lui di sano altro che '1 nome ;
Corrotto tutto il resto, e più che mézzo.
Cosi Ruggìer fu ritrovato , tanto
Dall'esser suo mutato per incanto.
56 Nella forma d'Atlante se gli affaccia
Colei che la sembianza ne tenea,
Con quella grave e venerabil faccia
Che Ruggìer sempre riverir S3lea,
Con quell' occhio pien d' ira e di minaccia ,
Che sì temuto già fanciullo avea;
Dicendo : É questo dunque il frutto , eh' io
Lungamente atteso ho del sudor nuo?
59 Questo è ben veramente alto principio!
Onde si può sperar che tu sia presto
A farti uu Alessandro, un Giulio, un Scipio.
Chi potea , ohimè ! di te mai creler questo ,
Che ti facessi d'Alcina mancipio?
E perchè ognun lo veggia manifesto ,
Al collo ed alle braccia hai la catena
Con che ella a voglia sua preso ti mena.
60 Se non ti muovon le tue proprie laudi,
E l'opre eccelse a che t'ha il Cielo eletto,
La tua successì'on perchè defraudi
Del ben che mille volte io t'ho predetto?
Deh ! perchè il ventre eternamente daudi ,
Dove il Ciel vuol che sia per te concetto
La gloriosa e soprumana prole,
Ch'esser de' al mondo più chiara che'l Sole?
61 Deh ! non vietar che le più nobil alme
Che sian formate nell'eterne idee.
Di tempo in tempo abbian corporee salme
Dal ceppo che radice in te aver dee.
Deh ! non vietar mille trionfi e palme ,
Con che , dopo aspri danni e piaghe ree ,
Tuoi figli , tuoi nipoti e successori
Italia tomeran nei primi onori!
62 Non eh' a piegarti a questo tante e tante
Anime belle aver dovesson pondo ,
Che chiare , illustri , inclite , invitte e sante
Son per fiorir dall' ajbor tuo fecondo;
Ma ti dovria una coppia esser bastante ,
Ippolito e il fratel; che pochi il mondo
Ha tali avuti ancor fino al di d' oggi ,
Per tutti i gradi onde a virtù si poggi.
93
ORLANDO FUKIOSO.
Stanza 56.
63 Io solea più di questi dui narrarti
Ch^ io non facea di tutti gli altri insieme ;
Si perchè essi terran le maggior parti ,
Che gli altri tuoi , nelle virtù supreme ;
Si perchè al dir di lor mi vedea darti
Più attenzi'on , che d' altri del tuo seme ;
Vedea goderti che si chiari er^i
Esser dovessen dei nipoti tuoi.
H4 Cho ha cortei che t' hai fatto regina ,
Che non abbian milP altre meretrici?
Costei che di tant' altri è concubina
Ch* alfin sai ben s' ella suol far felici.
Ma perchè tu conosca chi sia Alcina ,
Levatone le fraudi egli artifici,
Tien questo anello in dito, e toma ad ella,
Ch'avvedor ti potrai come sia bella.
65 Huggier A stava vergognoso e muto
Mirando in terra , e mal sapea che dire ;
À cui la maga nel dito minuto
Pose r anello , e lo fé' risentire.
Come Ruggiero in sé fu' rivenuto,
DI tanto scorno si vide assalire,
Ch' esser vorria sotterra mille braccia ,
Ch'alcun veder non lo potesse in faccia.
66 Nella sua prima forma in uno istante
Cosi parlando , la maga rivenne ;
Né bisognava più quella d'Atlante,
Seguitone l'effetto per che venne.
Per dirvi quel eh' io non vi dissi innante ,
Costei Melissa nominata venne,
Ch'or die a Ruggier di sé notizia vera,
E dissegli a che effetto venuta era;
67 Mandata da colei, che d'amor piena
Sempre il disia , né più può stame senza ,
Per liberarlo da quella catena,
Di che lo cinse magica violenza:
E preso avea d'Atlante di Carena
La forma, per trovar meglio credenza;
Ma poi eh' a sanità l'ha omai ridutto.
Gli vuole aprire e far che veggia il tutto.
68 Quella donna gentil che t' ama tanto ,
Quella che del tuo amor degna sarebbe,
A cui, se no a ti scorda, tu sai quanto
Tua libertà , da lei servata , debbe ;
Questo anel, che ripara ad ogni incanto,
Ti manda: e cosi il cor mandato avrebbe,
S'avesse avuto il cor così virtute.
Come r anello , atta alla tua salute.
69 E seguitò narrandogli l' amore
Che Bradamante gli ha portato e porta :
Di quella insieme commendò il valore ,
In quanto il vero e l' affezion comporta :
Ed usò modo e termine migliore
Che si convenga a messaggera accorta;
E4l in quell'odio Alcina a Rugger pose
In che soglionsi aver l'orribil cose.
70 In odio gli la pose , ancorché tanto
L' amasse dianzi; e non vi pa*a strano ,
Qnando il sno amor per forza era d'incanto,
Ch' essendovi V anel , rimase vano.
Fece Fanel palese ancor, che quanto
Di beltà Alcina avea, tutto era estrano;
Estrano avea, e non sno, dal pie alla treccia:
n bel ne sparve, e le restò la feccia.
71 Come fanciullo che maturo fratto
Hipone, e poi si scorda ove è riposto,
E dopo molti giorni è rìcondutto
Là dove truova a caso il suo deposto :
Si maraviglia di vederlo tutto
Putrido e guasto, e non come fa posto;
E dove amarlo e caro aver solia ,
L'odia, sprezza, n'ha schivo, e getta via:
72 Cori Ruggier , poiché Melissa fece
Ch'a riveder se ne tornò la Fata
Con quell'anello, innanzi a cui non lece.
Quando s'ha in dito, usare op-a incantata
Ritruova, contra ogni saa stima, invece
Della bella che dianzi avea lasciata.
Donna sì laida che la terra tutta
Né la più vecchia avea , né la più brutta.
73 Pallido, crespo e macilente avea
Alcina il viso, il crin raro e canuto:
Sua statura a sei palmi non gtnngea:
. Ogni dente di bocca era caduto;
Che più d'Ecaba e più della Cumea,
El avea più d'ogni altra mai vivato.
^ra si r arti usa al nostro tempo ignote ,
Che bella e giovanetta parer puote.
74 Giovane e bella ella si fa con arte,
Si che molti ingannò come Ruggiero;
Ma l'anel venne a interpretar le carte
Che già molti anni avean celato il vero.
Miracol non é dunque se si parte
Dell' animo a Ruggier ogni pensiero
Ch'avea d'amare Alcina, or che la trova
In guisa che sua fraudo non le giova.
75 Ma, come l'avvisò Melissa, stette
Senza mutare il solito sembiante ,
Finché dell'arme sue, più di neglette.
Sì fu vestito dal capo alle piante.
E per non farle ad Alcina suspette ,
Finse provar s'in esse era aiutante:
Finse provar se gli era fatto gro^o
Dopo alcun di che non l'ha avute indosso.
AftTOSTO.
76 E Balisarda poi si messe al fianco
(Che cosi nome la sua spada avea):
E lo scudo miiabile tolse anco ,
Che non pur gli occhi abbarbagliar sole»,
Ma l'anima facea si venir manco.
Che dal corpo esalata esser parca:
Lo tolse ; e col zendado in che trovoUo ,
Che tutto lo copria, sei messe al collo.
Stanza 73.
77 Venne alla stalla, e fece briglia e sella
Porre a un destrier più che la pece nero :
Cosi Melissa l'avea instrutto; ch'ella
Sapea quanto nel corso era leggiero.
Chi lo conosce, Rabican l'appella;
Ed é quel proprio che col cavaliere ,
Del quale i venti or presso al mar fan gioco,
Portò già la balena in questo loco.
78 Potea aver l'Ippogrifo similmente.
Che prasso a Rabicano era legato ;
ìIa gli avea detto la maga: Abbi mente
Ch' egli è , come tu sai , troppo sfrenato.
E gli diedi intenzion che '1 di seguente
Gli lo trarrebbe fuor di quello stato ,
Là dove ad agio poi sarebbe instrutto
Come frenarlo , e farlo gir per tutto.
79 Né sospetto darà, se non lo tolle,
Della tacita fuga ch'apparecchia.
Pece Ruggier come Melissa volle,
eh' invisibile ognor gli era all' orecchia.
Così , fingendo , del lascivo e molle
Palazzo nsd della puttana vecchia;
E si venne accostando ad una porta,
D' onde è la via eh' a Logistilla il porta.
80 Assaltò li guardiani all' improvviso ,
E si cacciò tra lor col ferro in mano ;
E qual lasciò ferito , e quale ucciso ,
E corse fuor del ponte a mano a mano :
E prima che n'avesse Alcina avviso,
Di molto spazio fti Ruggier lontano.
Dirò nell'altro Canto che via tenne;
Poi come a Logistilla se ne venne.
NOTE.
St. 3. V. 4. — F:avo iacinto^ ossia inondo giacinto;
8X)ecie di pietra preziosa di colore giallo rossiccio.
St. 4. V. 1-1 — La Puglia abbondava di lupi gran-
dissimi.
St. 5. V. 2-6. — Botta, rospo.
St. 14 V. 6. — Argo si sa dalle favole che aveva
cent'oochL
St. 20. V. 2-4. — È noto che i successori di Nino fino
a jSardanapalo si scialarono per il lusso dei loro ban-
chetti. Nel vincitor Utino si ravvisa Cesare vincitore
di Pompeo
St. 23. V. 6. — Aracne fu tessitrice della Lidia che
vinse alla prova la stessa Minerva e da lei fu cangiata
in ragno.
St. 2a V. 1. — Faldiglia , è quella che fu detta poi
ciinolina.
St. 29. V. 6. — I Sabei erano popoli dell' Arabia Fé-
lice^ fertile di piante aromatiche.
St. 34. V. 8. — Spia : qui indicatore.
St. 36. V. 34. — Questa locuzione significa da levante
a ponente I poeti rammentano Tldaspe, fiume dell'India,
con che spesse volte hanno designato tutto l'Oriente.
St. 38. V. 2. — Questo Pontieri è Pontrieu dove i
pastori della Brettagna additano anche adesso la sup-
posta tomba di Merlino; la qual tomba ò detta qui vo-
cale perchè n'usciva la voce del sepolto incantatore.
St. 39. V. 0 — Gettar la aorte o le sorti, cercare di
conoscer le cose per mezzo di pratiche superstiziose.
St. 44. V. 8. — Nestore re di Pilo nel Peloponneso.
visse , secondo Omero, fino a 300 anni Sul luo^ del-
l'antica Pilo 0 Pylos ò ora un castello che dicesi Zonchio.
St. 50 V. 1-4 — A/c/i/w^, accorciamento di AZ»r^ no,
e Farfarello , nomi di diavoli inventati da Dante —
Passe del quarto verso significa sparte, disordinate.
St. 55 V. 4. — Valenza , città della Spagna , era fa-
mosa per effeminata grazia e mollezza, specialmente nei
paggi che servivano le signore.
Ivi. V. 6. — Mezto, qui deve pronunciarsi con l'È chiosa,
e vuol dire vizzo, prossimo a piUrefarsi.
St. 57. V. 7-8. — Adone fu l'innamorato di Venere, e
Atide 0 Ati di Gibele.
St. 60. V. 4 5. — Il bene mentovato nel quarto verso
riguarda le future glorie della progenie estense, che devo
nascere da Ruggiero e da Bradamante; al che alludono
il quinto e gli altri versi. — Claudi, chiudi.
St. 67. V. 5. — Atlante di Carena. Di due città cosi
nominate, Tuna in Siria, l'altra in Media, non si saprebbe
qual dare per patria ad Atlante; se non che il Poeta,
avendolo nom'inato vecchio Mauro nella St. 76 del Can-
to YI , fa credere non aver egli avnto mente a veruna
delle due
St. 73 V. 5. — Ecuba, vedova del re Priamo, e la Si-
billa Cumana (cosi denominata dal luogo ove nacque)
vissero fino ad estrema vecchiezza.
St. 77. V. 2-5. — Era il cavallo d'Astolfo, e fii già del-
FArgalia. Lo ebbe dipoi Rinaldo: dopo di lui, Astolfo.
Superali diversi nsJ-acoli, R%'^f;i»?i"o fu^Kt* da Alcina. Hrli^^sn rende
]a phinif^i^ forma ad Astolfo, dr recupera Ttirmi e va 'rcmjlui
al 1(1 dimora di JjO^ìstilla, dove arriva, poi anche Ruggiiire, Ri-
naldo pa.'>sa dalla Seo?.ia ia In^hilti^rra , e ottiene soccorri |i6r
Carlo assft'Jiatn in Pari(d. Angelica è trasportata nell' jfjola dL
EV>uda pfr esservi divorata da Qn mostro marino. Orlando ^ il-
uso da un sogno ^ eace travestito di Parigi e TE in traccia di lei.
Oli qnaiìte sono ìncantatriei , oh quaUTl
IncantatoT tra nui ^ che non si sauno,
Che con lor arti uomini e donne amanti
Di sé , cangiando i yisi lor ^ fatto hanno !
Nnn con spirti costretti tali incanti ,
Né enti osèen'aziun ili stelle fknno ;
Ma con simnlazion , menzogne e frodi
Legano i cor d' iuilisaolnhil nodi-
Chi l'anello d^ Angelica, o piuttosto
Chi avesse quel della rag^ion , pò tri a
Veder a tutti il viso , che nascosto
Da ti dì: ione e d'arta non saria,
Tal ci par hello e buono, che, deposto
Il liccio , brutto e rio forse jiarrià.
Fa gran ventura qneUa di Bnggìero ,
Ch'ebbe l'anel che gli scoperse il vero.
Ruggier, com'io dicea, dìssimolando,
Sa Rabican venne alla porta armato :
Trovò le guardie sprovvedute ; e quando
Giunse tra lor, non tenne il brando a lato.
Chi morto e chi a mal termine lasciando ,
Esce del ponte , e il rastrello ha spezzato :
Prende al bosco la via , ma poco corre ,
Ch'ad un de' servi della Fata occorre.
stanza 4.
4 II servo in pngno avea un augel grifagno
Che volar con piacer facea ogni giorno ,
Ora a campagna , ora a un vicino stagno ,
Dove era sempre da far preda intomo :
Avea da lato il can fido compagno ;
Cavalcava un ronzin non troppo adcmo.
Ben pensò che Ruggier dovea fuggire ,
Quando lo vide in tal fretta venire.
Spinge r augello : e quel batte sì V ale ,
Che non l'avanza Rabican di corso.
Del palafreno il cacciator giù sale ,
£ tutto a un tempo gli ha levato il mcrao.
Quel par dall'arco uno avventato strale,
Di calci formidabile e di morso;
E '1 servo dietro si velcce viene ,
Che par ch'il vento, anzi che'l fuoco il mene
Non vuol parere il can d' es^er più laido ;
Ma segue Rabican con quella fretta ,
Con che le lepri suol seguii-e il pario.
Vergogna a Ruggier par, se non aspttta:
Voltasi a quel che vien si a pie gagliardo.
Né gli vede arme , fuor eh' una bacchetta
Quella con che ubbidire al cane iuscgua.
Ruggier di trar la spada sì disdegna.
Stanza 11
Se gli fé' incontra, e con sembiante altiero
Gli domandò perchè in tal fretta gisse.
Risponder non gli volse il buon Ruggiero :
Perciò colui , più certo che fuggisse ,
Di volerlo arrestar fece pensiero;
E distendendo il braccio manco, disse:
Che dirai tu , se subito ti fermo ?
Se centra questo augel non avrai schermo ?
8 Quel se gli appressa, e forte lo percuote:
Lo morde a un tempo il can nel piede manco
Lo sfrenato destrier la groppa scuote
Tre volte e più, né falla il destro fianco.
Gira r augello , e gli fa mille ruote ,
E con l' ugna sovente il ferisce anco :
Si il destrier collo strido ìmpaurisoe ,
Ch'alia mano e allo spron poco ubbidisce.
CANTO OTTAVO.
Buggìero , alfin costretto , il ferro cacc'a :
E perchè tal molestia se ne vada,
Or gli animali , or quel villan minaccia
Col taglio e con la punta della spada.
Qnella importuna turba più 1* impaccia :
Presa ha chi qua chi là tutta la strada.
Vede Ruggiero il disonore e il danno
Che gli avveri à, se più tardar lo fanno.
10 Sa ch'ogni poco più ch'ivi rimane,
Alcina avrà col popolo alle spalle.
Di trombe, di tamburi e di campane
Già s'ode alto rumore in ogni valle:
Centra un servo senz' arme , e contro un cane
Gli par eh' a usar la spada troppo falle;
Meglio e più breve è dunque che gli scopra
Lo scudo che d'Atlante era stato opra.
Stanza 19.
Il Levò il drappo vermiglio , in che coperto
Già molti giorni lo scudo si t«nne.
Fece l'effetto mille volte esperto
Il lume, ove a ferir negli occhi venne.
Resta dai sensi il caociator deserto;
Cade il cane e il ronzin, cadon le penne
Ch' in aria sostener l' augel non ponno ;
Lieto Ruggier li lascia in preda al sonno.
12 Alcina, ch'avea intanto avuto avviso
Di Ruggier, che sforzato avea la porta,
E della guardia buon numero ucciso ,
Fu y vinta dal dolor , per restar morta.
SquarcTossi i panni e si percosse il viso,
E sciocca nominossi e mal accorta ;
E fece dar all' arme immantinente ,
E intorno a sé raccor tutta sua gente.
13 E poi ne fa due parti, e manda Tona
Per quella strada ove Rnggier cammina;
Al porto l'altra subito raguna
In barca, ed uscir fa nella marina:
Sotto le vele aperte il mar s'imbruna.
Con questi va la disperata Alcina ,
Che '1 desiderio di Ruggier sì rode ,
Che lascia sua città senza custode.
14 Non lascia alcuno a guardia del palagio ;
Il che a Melissa, che stava alla posta
Per liberar di quel regno malvagio
La gente eh' in miseria v' era posta ,
Diede comodità, diede grande agio
Di gir cercando ogni cosa a sua posta,
Immagini abbruciar , suggelli tórre ,
E nodi e rombi e turbini disciorre.
19 Tra duri sassi e folte sp'ne già
Ruggiero intanto invér la Fata saggia ,
Dì balzo in balzo, e d'una in altra via
Aspra , soliiiga , inospita e selvaggia ,
Tanto eh' a gran fatica riuscia
Su la fervida nona in una spiaggia
Tra '1 mare e '1 monte , al Mezzodì scoperta .
Arsiccia, nuda, sterile e deserta.
20 Percuote il Sole ardente il vicin colle ;
E del calor che si riflette addietro,
In modo l'aria e F arena ne bolle,
Che saria troppo a far liquido il vetro.
Stassi cheto ogni augello all' ombra molle ;
Sol la cicala col noioso metro
Fra i densi rami del fronzuto stelo
Le valli e i monti assorda, e il mare e il cielo.
15 Indi pei campi accelerando i passi ,
Gli antiqui amanti , eh' erano in gran torma ,
Conversi in fonti, in fere, in legni, in sassi,
Pe' ritornar nella lor prima forma.
E quei , poi eh' allargati furo i passi ,
Tutti del buon Ruggier seguiron l'orma:
A Logistilla si salvaro ; ed indi
Tornare a Sciti, a Persi, a Greci, ad Indi.
16 Li rimandò Melissa in lor paesi ,
Con obbligo di mai non esser sciolto.
Fu innanzi agli altri il duca degl'Inglesi
Ad esser ritornato in uman volto ;
Chè'l parentado in questo, e li cortesi
Prieghi del buon Ruggier gli giovar molto:
Oltre i prieghi , Ruggier le die l' anello ,
Acciò meglio potesse aiutar quello.
17 A' prieghi dunque di Ruggier, rifatto
Fu '1 paladin nella sua prima faccia.
Nulla pare a Melissa d'aver fatto.
Quando ricovrar l'arme non gli faccia,
E quella lancia d' ór , eh' al primo tratto
Quanti ne tocca della sella caccia;
Dell' Argalia , poi fu d'Astolfo lancia ;
E molto onor fé' all'uno e all'altro in Francia.
18 Trovò Melissa q"e8ta lancia d' oro ,
Ch' Alcina avea reposta nel palagio;
E tutte l'arme che del duca fóro,
E gli fnr tolte nell'ostel malvagio.
Montò il destrier del Negromante moro ,
E fé' montar Astolfo in groppa ad agio;
E quindi a Logistilla si condusse
D' un' ora prima che Ruggier vi fùsse.
21 Quivi il caldo , la sete e la fatica
Ch'era di gir per quella via arenosa,
Facean , lungo la spiaggia erma ed aprica ,
A Ruggier compagnia grave e noiosa.
Ma perchè non convìen che sempre io dica ,
Né eh' io vi occupi sempre in una cosa ,
10 lascerò Ruggiero in questo caldo ,
E girò in Scozia a ritrovar Rinaldo.
22 Era Rinaldo molto ben veduto
Dal re, dalla figliuola e dal paese.
Poi la cagion che quivi era venuto .
Più ad agio il Paladin fece palese :
Ch'in nome del suo re chiedeva aiuto
E dal regno di Scozia e dall' luglese;
Ed ai prieghi soggiunse anco di Carlo
Giusf^issime cagion di dover farlo.
23 Dal re senza indugiar gli fu risposto.
Che di quanto sua forza s' estendea ,
Per utile ed onor sempre disposto
Di Carlo e dell' Imperi j esser volea:
E che fra pochi di gli avrebbe posto
Più cavalieri in punto che potea ;
E, se non ch'esso era oggimai pur vecchio.
Capitano verna del suo apparecchio :
24 Nò tal rispetto ancor gli parria degno
Di farlo rimaner , se non avesse
11 figlio , che di forza , e più d' ingegno ,
Degnissimo era a chi'l governo de^se,
Benché non si trovasse allor nel regno;
Ma che sperava che venir dovesse
Mentre eh' insieme aduneria lo stuolo ;
E eh' adunato il troveria il figliuolo.
25 Cosi mandò per tutta la sua terra
Suoi tesorieri a far cayalli e gente :
Navi apparecchia e munizion da guerra ,
Vettovaglia e danar maturamente.
Venne intanto Rinaldo in Inghilterra,
E1 re nel suo partir cortesemente
Insino a Beroìcche accompagno! lo ;
E visto pianger fti quando lasciollo.
26 Spirando il vento prospero alla poppa ,
Monta Einaldo , et addio dice a tutti :
La fune indi al viaggio il nocchier sgroppa;
Tanto che giunge ove nei salsi flutti
Il bel Tamigi amareggiando intoppa.
Col gran flusso del mar quindi condutti
I naviganti per cammin sicuro,
A vela e remi insino a Londra furo.
27 Rinaldo avea da Carlo e dal re Otone ,
Che con Carlo in Parigi era assediato ,
Al principe di Vallia commissione
Per contrassegni e lettere portato,
Che ciò che potea far la regione
Di fanti e di cavalli in ogai lato ,
Tutto debba a Calesio traghi ttarlo ,
Si che aiutar si possa Francia e Carlo.
28 II principe eh* io dico . eh' era , invece
D' Oton , rimase nel seggio reale ,
A Rinaldo d'Amon tanto onor fece,
Che non T avrebbe al suo re fatto uguale:
ludi alle sue domande satisfece;
Perchè a tutta la gente marziale
E di Bretagna e deir isole intorno
Di ritrovarsi al mar prefisse il giorno.
29 Signor, far mi convien come fa il buono
Sonator sopra il suo istrumento arguto ,
Che spesso muta corda e varia suono ,
Ricercando ora il grave, ora T acuto.
Mentre a dir di Rinaldo attento sono,
D' Angelica gentil m' è sovvenuto ,
Di che lasciai ch'era da lui fuggita,
E eh' avea riscontrato un Eremita.
30 Alquanto la sua istoria io vo' seguire.
Dissi che domandava con gran cura,
Come potesse alla marina gire;
Che di Rinaldo avea tanta paura.
Che, non passando il mar, ciedea morire,
Né in tutta Europa si tenea sicura;
Ma l'Eremita a bada la tenea,
Perchè di star con lei piacere avea.
81 Quella rara bellezza il cor gli accese,
E gli scaldò le frigide modelle :
Ma poi che vide che poco gli attese,
E ch'oltra soggiornar seco non volle,
Di cento punte l'asinelio offese;
Né di sua tardità però lo tolle :
E poco va di passo , e men di trotto ;
Né stender gli si vuol la bestia sotto.
Stanza 31.
32 E perchè molto dilungata s' era ,
E poco più, n'avria perduta l'orma.
Ricorse il frate alla spelonca nera,
E di demonj uscir fece una torma:
E ne sceglie uno di tutta la schiera,
E del bisogno suo prima F informa;
Poi lo fa entrare addosso al corridore ,
Che via gli porta con la donna il core.
83 E qual sagace can nel monte usato
A volpi 0 lepri dar spesso la caccia,
Che se la fera andar vede da un lato ,
Ne va da un altro, e par sprezzi la traccia;
Al varco poi lo sentono arrivato ,
Che l'ha già in bocca, e l'apre il fianco e straccia:
Tal l'Eremita per diversa strada
Aggiugnerà la donna ovunque vada.
34 Che 8^ il disegno suo, ben io eomprendo;
£ dirollo anco a voi, ma in altro loco.
Angelica di ciò nulla temendo,
Cavalcava a giornate , or molto or poco.
Nel cavallo il demon si già coprendo,
Come si cnopre alcnna volta il foco ,
Che con si grave incendio poscia avvampa,
Che non si estingue , e a pena se ne scampa.
35 Poichò la donna preso ebbe il sentiero
Dietro il gran mar che li Guasconi lava,
Tenendo appresso all' onde il suo destriero ,
Dove V umor la via più ferma dava ;
Quel le fa tratto dal demonio fiero
Nell'acqua si, che dentro vi nuatava.
Non sa che far la timida donzella,
Se non tenersi ferma in su la sella.
B Quando si vide sola in quel deserto ,
Ch'a riguardarlo sol mettea paura,
Nell'ora che nel mar Febo coperto
L' aria e la terra avea lasciata oscura ;
Fermossi in atto ch'avria fatto incerto
Chiunque avesse vista sua figura ,
S'ella era donna sensitiva e vera,
0 sasso colorito in tal maniera.
''i^m^:M^^^
stanza 36.
36 Per tirar briglia, non gli può dir volta:
Più e più sempre quel si caccia in alto.
Ella tenea la vesta in su raccolta
Per non bagnarla , e traea i piedi in alto.
Per le spalle la chioma iva disciolta,
E l'aura le iacea lascivo assalto.
Stavano cheti tutti i maggior venti ,
Forse a tanta beltà col mare intenti.
37 Ella volgea 1 begli occhi a terra invano ,
X)he bagnavan di pianto il viso e '1 seno ;
E vedea il lito andar sempre lontano ,
E decrescer più sempre e venir meno.
Il destrier che nuotava a destra mano,
Dopo un gran giro la portò al terreno
Tra scuri sassi e spaventose grotte ,
Già cominciando ad oscurar la notte.
stanza 39.
39 Stupida e fissa nella incerta sabbia ,
Coi capelli disciolti e rabbuffati ,
Con le man giunte, e con l'immote labbia
I languidi occhi al ciel tenea levati;
Come accusando il gran Motor , che. l' abbia
Tutti inclinati nel suo danno i fati.
Immota e come attonita stè alquanto ;
Poi sciolse al duol la lingua, e gli occhi al pianto.
40 Dìcea : Fortuna , che più a far ti resta ,
Acciò di me ti sazii e ti disfami?
Che dar ti posso ornai più , se non questa
Misera yita? ma tu non la brami;
Ch'ora a trarla del mar sei stata presta,
Quando potea finir snoi giorni grami:
Perchè ti parve di voler più ancora
Vedermi tormentar prima chMo muora.
41 Ma che mi possa nuocere non veggio ,
Più di quel che sin qui nociuto m'hai.
Per te cacciata son del r6al seggio ,
Dove più ritornar non spero mai:
Ho perduto V onor , eh' è stato peggio
Che sebben con effetto io non peccai,
Io do però materia eh' ognun dica ,
Ch' essendo vagabonda , io sia impudica
n-
44 Se l'affogarmi in mar morte non era
A tuo senno crudel, purch'io ti sazii,
Non recuso che mandi alcuna fera
Che mi divori , e non mi tenga in strazii.
D' ogni martir che sia , pur eh' io ne pera ,
Esser non può ch'assai non ti ringrazii.
Cosi dicea la donna con gran pianto ,
Quando le apparve l'Eremita accanto.
Stan^^a 40.
Stanza 4j.
45 Avea mirato dall' estrema cima
D'un rilevato sasso l'Eremita
Angelica, che giunta alla parte ima
È dello scoglio , afflitta e sbigottita.
Era sei giorni egli venuto prima:
Ch' un demonio il portò per via non trita :
E venne a lei fingendo divozione
Quanta avesse mai Paulo o Ilarione.
42 Che aver può donna al mondo più di buono
A cui la castità levata sia?
Mi nuoce, ahimè! ch'io son giovane, e sono
Tenuta bella, o sia vero o bugia.
Già non ringrazio il Ciel di questo dono;
Che di qui nasce ogni mina mia.
Morto per questo fu Argalia mio fìrate ;
Che poco gli giov&r l' arme incantate :
43 Per questo il re di Tartaria Agricane
Disfece il genitor mio Galagone ,
Ch' in India , del Cataio era Gran Cane ;
Onde io son giunta a tal condizione ,
Che muto albergo da sera a dimane.
Se r aver , se l' onor , se le persone
M'hai tolto, e fatto il mal che far mi puoi ,
A che più doglia anco serbar mi vuoi ?
ABIOflTO.
stanza 45
U
106
ORLANDO FUftlOSO.
46 Come la donna il cominciò a vedere,
Prese, non conoscendolo, conforto;
E cessò a poco a poco il suo temere,
Bench'ella avesse ancora il viso smorto.
Come fu presso disse : Miserere ,
Padre, di me, ch'i'son giunta a mal porto:
E con voce interrotta dal singulto ,
Gli disse quel eh' a lui non era occulto.
47 Comincia l'Eremita a confortarla
Con alquante ragion belle e divote ;
E pon r audaci man , mentre che parla ,
Or per lo seno , or per V umide gote :
Poi più sicuro va per abbracciarla:
Ed ella sdegnosetta lo percuote
Con una man nel petto , e lo respinge ,
E d'onesto rossor tutta si tinge.
50 Tutte le vie , tutti li modi tenta ;
Ma quel pigro rozzon non però salta:
Indarno il fren gli scuote e lo tormenta;
E non può far che tenga la testa alta.
Alfin presso alla donna s' addormenta ;
E nuova altra sciagura anco l'assalta.
Non comincia Fortuna mai per poco,
Quando un mortai si piglia a scherno e a gioco.
51 Bisogna , prima eh' io vi narri il caso ,
Ch' un poco dal sentier dritto mi torca.
Nel mir di Tramontana invèr 1' Occaso
Oltre l'Irlanda una isola si corca.
Ebuda nominata; ove è rimise
Il popol raro , poi che la brutta orca ,
E l'altro marin gregge la distrusse,
Ch'in sua vendetta Proteo vi condusse.
stanza 49.
52 Narran l' antique istorie , o vere o false ,
Che tenne già quel luogo un re possente.
Ch'ebbe una figlia, in cui bellezza valse
E grazia si , che potè facilmente ,
Poi che mostrossi in su 1' arene salse ,
Proteo lasciare in mezzo a 1' acque ardente :
E quello, un di che sola ritrovolla,
Compresse, e di sé gravida lasciolla.
53 La cosa fu gravissima e molesta
Al padre più d' ogni altro empio e severo :
Né per iscusa o per pietà la testa
Le perdonò ; sì può lo sdegno fiero :
Né , per vederla gravida , si resta
Di subito eseguire il crudo impero:
E il nipotin, che non avea peccato ,
Prima fece morir che fosse nato.
48 Egli eh' a Iato avea una tasca, aprilla,
E trassene una ampolla di liquore ;
E negli occhi possenti, onde sfavilla
La più cocente face ch'abbia Amore,
Spruzzò di quel leggiermente una stilla,
Che di farla dormire ebbe valore:
Già resupina nell'arena giace
A tutte voglie del vecchio rapace.
49 Egli l'abbraccia, ed a piacer la tocca;
Ed ella dorme, e non può fare ischermo.
Or le baci\ il bel petto, ora la bocca;
Non è chi'l veggia in quel loco aspro ed ermo.
Ma nell'incontro il suo destrier trabocca;
Ch' al disio non risporide il corpo infermo :
Era mal atto , perchè avea troppi anni ,
E potrà peggio , quanto più l' affanni.
54 Proteo marin, che pasce il fiero armento
Di Nettuno che l' onda tutta regge ,
Sente della sua donna aspro tormento ,
E per grand' ira rompe ordine e legge ;
Sì che a mandare in terra non è lento
L' orche e le foche , e tutto il marin grregge ,
Che distruggon non sol pecore e buoi.
Ma ville e borghi , e li cultori suoi :
55 E spesso vanno alle città murate,
E d'ogn'intomo lor mettono assedio.
Notte e di stanno le persone armate
Con gran timore e dispiacevo! tedio:
Tutte hanno le campagne abbandonate ;
E per trovarvi alfin qualche rimedio ,
Andarsi a consigliar di queste cose
All' Oracol , che lor così rispose :
56 Che trovar bisognava una donzella
Che fosse air altra di bellezza pare ,
Ed a Proteo sdegnato offerir quella,
In cambio della morta, in lito al mare.
S^a sua satisfazion gli parrà bella,
Se la terrà , né li verrà a sturbare :
Se per questo non sta, se gli appresenti
Una ed un' altra , finché si contenti.
57 E cosi cominciò la dura sorte
Tra quelle che più grate eran di faccia ,
Ch'a Proteo ciascun giorno una si porte.
Finché trovino donna che gli piaccia.
La prima e tutte 1* altre ebbero morte ;
Che tutte giù pel ventre se le caccia
Un' orca che restò presso alla foce ,
Poi che il resto parti del greggie atroce.
stanza 52.
58 0 vera o falsa che fosse la cosa
Di Proteo , eh' io non so che me ne dica ,
Servosse in quella terra . con tal chiosa ,
Contra le donne un' empia legge antica ;
Che di lor carne V orca monstrucsa ,
Che viene ogni dì al lito , si nutrica.
Bench' esser donna sia in tutte le bande
Danno e sciagura , quivi era pur grande.
59 Oh misere donzelle che trasporte
Fortuna ingiuriosa al lito infausto !
Dove le genti stan sul mare accorte
Per far delle straniere empio olocausto :
Che, come più di fuor ne sono morte,
Il numer delle loro é meno esausto ;
Ma perché il vento ognor preda non mena,
Kicercaudo ne van per ogni arena.
108
ORLANDO Ftf^loso.
60 Van discorrendo tutta la marina
Con foste e grippi , ed altri legni loro ;
E da lontana parte e da yicina
Portan sollevamento al lor martoro.
Molte donne han per forza e per rapina ,
Alcune per lusinghe , altre per oro ,
E sempre da diverse regioni
N'hanno piene le torri e le prigioni.
stanza 57.
62 Oh troppo cara, oh troppo eccelsa preda
Per si barhare genti e si villane !
Oh Fortuna crudel , chi fia eh' il creda ,
Che tanta forza hai nelle cose umane ,
Che per cibo d'un mostro tu conceda
La gran beltà, ch'in India il re Agricane
Fece venir dalle caucasee porte
Con mezza Scizia a guadagnar la morte?
03 La gran beltà che fu da Sacripante
Posta innanzi al suo onore e al suo bel regno
La gran beltà ch'ai gran signor d'Anglante
Macchiò la chiara fama e l' alto ingegno ;
La gran beltà che fé' tutto Levante
Sottosopra voltarsi , e stare al segno ,
Ora non ha (cosi è rimasa sola)
Chi le dia aiuto pur d'una parola.
64 La bella donna , di gran sonno oppressa ^
Incatenata fu prima che desta.
Portaro il frate incantator con essa
Nel legno pien di turba afflitta e mesta.
La vela, in cima air arbore rimessa,
Rendè la nave all'isola funesta,
Dove chiuser la donna in rócca forte ,
Fin a quel di eh' a lei. toccò la sorte.
65 Ma potè si, per esser tanto bella,
La fiera gente muovere a pietade ,
Che molti di le differiron quella
Morte , e serbarla a gran necessitade ;
E fin ch'ebber di fuore altra donzella,
Perdonaro all'angelica beltade.
Al mostro fu condotta finalmente,
Piangendo dietro a lei tutta la gente.
66 Chi narrerà 1' angoscie , i pianti , i gridi ,
L'alta querela che nel ciel penetra?
Maraviglia ho che non s'aprirò i lidi
Quando fu posta in su la fredda pietra ,
Dove in catena , priva di sussidi ,
Morte aspettava abbominosa e tetra.
Io noi dirò ; che si il dolor mi muove ,
Che mi sforza voltar le rime altrove ,
61 Passando una lor fusta a terra a terra
Innanzi a quella solitaria riva,
Dove fra sterpi in su l'erbosa terra
Là sfortunata Angelica dormiva,
Smontaro alquanti galeotti in terra
Per riportarne e legna ed acqua viva;
E di quante mai fur belle e leggiadre,
Trovaro il fiore in braccio al sauto padre.
67 E trovar versi non tanto lugubri,
Finché '1 mio spirto stanco si riabbia;
Che non potrian gli squallidi colubri ,
Né l'orba tigre accesa in maggior rabbia,
Né ciò che dall'Atlante ai liti rubri
Venenoso erra per la calda sabbia.
Né veder né pensar senza cordoglio ,
Angelica legata al nudo scoglio.
68 Oh se r avesse il suo Orlando saputo ,
Ch' era per ritrovarla ito a Parigi ,
0 li dui ch'infi^annò quel vecchio astuto
Col messo che venia dai luoghi stigi !
Fra mille morti , per donarle aiuto ,
Cercato avrian gli angelici vestigi.
Ma che fariano, avendone anco spia,
Poiché distanti son di tanta via?
69 Parigi intanto avea T assedio intorno
Dal famoso figliuol del re Troiano:
E venne a tanta estremitade un giorno ,
Che n'andò quasi al suo nimico in mano;
E, se non che li voti il Ciel placomó,
Che dilagò di pioggia oscura il piano ,
Cadea quel di per l'africana lancia
Il santo Imperio e'I gran nome di Francia.
Stanza 70.
70 II sommo Creator gli occhi rivolse
Al giusto lamentar del vecchio Carlo;
E con subita pioggia il foco tolse:
Né forse uman saper potea smorzarlo.
Savio chiunque a Dio sempre si volse;
Ch'altri non potè mai meglio aiutarlo.
Ben dal devoto Be fu conosciuto ,
Che si salvò per lo divino aiuto.
71 La notte Orlando alle noiose piume
Del veloce pensier fa parte assai,
Or quinci or quindi il volta , or lo rassume
Tutto in un loco , e non V afferma mai :
Qual d'acqua chiara il tremolante lume,
Dal Sol percossa o da notturni rai,
Per gli ampli tetti va con lungo salto
A dèstra ed a sinistra, e basso ed alto.
72 La donna sua che gli ritorna a mente ,
Anzi che mai non era indi partita,
Gli accende nel core e fa più ardente
La fiamma che nel di parea sopita.
Costei* venuta seco era in Ponente
Fin dal Cataio: e qui l'avea smarrita,
Né ritrovato poi vestigio d'ella,
Che Carlo rotto fu presso a Bordella.
73 Di questo, Orlando avea gran doglia; e seco
Indarno a sua sciocchezza ripensava.
Cor mio , dicea , come vilmente teco
Mi son portato ! ohimè , quanto mi grava
Che potendoti aver notte e di meco,
Quando la tua bontà non mei negava,
T' abbia lasciato in man di Namo porre ,
Per non sapermi a tanta ingiuria opporre !
Stanza 71
74 Non aveva ragione io di scusarme?
E Carlo non m'avria forse disdetto:
Se pur disdetto , e chi potea sforzarme
Chi ti mi volea tórre a mio dispetto?
Non poteva io venir piuttosto all'arme?
Lasciar piuttosto trarmi il cor del petto ?
Ma né Carlo , né tutta la sua gente
Di tormiti per forza era possente.
75 Almen l'avesse posta in guardia buona
Dentro a Parigi o in qualche rocca forre.
Che l'abbia data a Namo mi consona.
Sol perché a perder V abbia a questa sorte.
Chi la dovea guardar meglio persona
Di me? ch'io dovea farlo fino a morte;
Guardarla più che'l cor, che gli occhi miei:
E dovea e potea farlo , e pur noi fei.
76 Deb! dove senza me, dolce mia vita.
Rimasa sei sì giovane e si bella?
Come, poi cbe la luce è dipartita,
Riman tra boscbi la smarrita agnella,
Che dal pastor sperando essere udita.
Si va lagnando in questa parte e in quella,
Tanto cbe'l lupo Tode da lontano,
E U misero pastor ne piagne invano.
77 Dove, speranza mia, dove ora sei?
Vai tu soletta forse ancora errando?
Oppur t'hanno trovata i lupi rei
Senza la guardia del tuo fido Orlando ?
E il fior eh' in ciel potea pormi fra i Dei ,
11 fior eh' intatto io mi venia serbando
Per non turbarti , ohimè ! V animo casto ,
Ohimè ! per forza avranno colto e guasto.
78 Oh infelice ! oh misero ! che vogìio
Se non morir, se'l mio bel fior coito hanno?
0 sommo Dio , fammi sentir cordoglio
Prima d' ogni altro , che di questo danno.
Se questo è ver , con le mie man mi toglio
La vita, e Talma disperata danno.
Cosi piangendo forte e sospirando ,
S3C0 d'cea l'addolorato Orlando.
70 Già in ogni parte gli animanti lassi
D.ivan riposo ai travagliati spirti ,
Chi su le piume , e chi su i duri sassi ,
E chi su r erbe , e chi su faggi o mirti :
Tu le palpebre , Orlando , appena abbassi ,
Punto da' tuoi pensieri acuti ed irti;
Né quel sì breve e fuggitivo sonno
Godere in pace anco lasciar ti ponno.
80 Parca ad Orlando , s' una verde riva
D* odoriferi fior tutta dipinta ,
Mirare il bello avorio, e la nativa
Porpora eh' avea Amor di sua man tinta ,
E le due chiare stelle, onde nutriva
Nelle reti d' Amor V anima avvinta :
Io parlo de' begli occhi e del bel volto ,
Che gli hanno il cor di mezzo il petto tolto.
81 Sentia il maggior piacer, la maggior festa
Che sentir possa alcun felice amante:
Ma ecco intanto uscire una tempesta
Che struggea i fiori ed abbattea le piante.
Non se ne suol veder simile a questa,
Quando giostra Aquilone, Austro e Levante.
Parea che , per trovar qualche coperto ,
Andasse errando invan per un deserto.
82 Intanto l' infelice (e non sa come)
Perde la donna sua per l' aer fosco ;
Onde, di qua e di là, del suo bel nome
Fa risonare ogni campagna e bosco.
E mentre dice indarno : Misero me !
Chi ha cangiata mia dolcezza in tosco ?
Ode la donna sua che gli domanda,
Piangendo , aiuto , e se gli raccomanda.
Stanza 91
83 Onde par eh' esca il grido , va veloce ;
E quinci e quindi s'affatica assai.
Oh quanto è il suo dolore aspro ed atroce ,
Che non può rivedere i dolci rai !
Ecco eh' altronde ode da un' altra voce :
Non sperar più gioirne in terra mai.
A questo orribil grido risvegliossi ,
E tutto pien di lacrime trovossi.
84 Senza pensar che sian V immagin false ,
Quando per tema o per disio si sogna ,
Della donzella per modo gli calse ,
Che stimò giunta a danno od a vergogna,
Che fulminando fuor del letto salse.
Di piastra e maglia , quanto gli bisogna ,
Tutto guarnissi, e Brigliadoro tolse;
Né di scudiero alcun servigio volse.
15
114
ORLANDO PUU-fOsa
85 E per poter entrar ogni sentiero ,
Che la sua dignità macchia non pigli,
Non V onorata insegna del quartiero ,
Distinta di color bianchi e vermigli ,
Ma portar volse, un ornamento nero, •
E forse acciò ch'ai suo dolor somigli:
E quello avea già tolto a un Amostante ,
Ch'uccise di sua man pochi anni innante.
88 Brandimarte , eh' Orlando amava a pare
Di sé medesmo, non fece soggiorno;
0 che sperasse farlo ritornare,
0 sdegno avesse udirne biasmo e seomo:
E volse appena tanto dimorare ,
Ch'uscisse fuor nell' oscurar del giorno.
A Fiordiligi sua nulla ne disse,
Perchè 1 disegno suo non gì' impedisse.
86 Da mezza notte tacito si parte ,
E non saluta , e non fa motto al zio ;
Né al fido suo compagno Brandimarte,
Che tanto amar solea , pur dice addio.
Ma poi che'l Sol con l'auree chiome sparte
Del ricco albergo di Titone uscio,
E fé' l' ombra fuggire umida e nera ,
S' avvide il re che '1 paladin non v' era.
87 Con suo gran dispiacer s'avvede Carlo
Che partito la notte è il suo nipote.
Quando esser dovea seco, e pii\ aiutarlo:
E ritener la collera non puote ,
Ch' a lamentarsi d' esso , ed a gravarlo
Non incominci di biasimevol note;
E minacciar se non ritoma, e dire
Che lo farla di tanto error pentire.
89 Era questa una donna che fu molto
Da lui diletta, e ne fu raro senza;
Di costumi, di grazia e di bel volto
Dotata , e d' accortezza e di prudenza :
E se licenzia or non n' aveva tolto ,
Fu che sperò tornarle alla presenza
J\ di medesmo; ma gli accadde poi,
Che lo tardò più dei disegni suoi.
90 E poi eh' ella aspettato quasi un mese
Indarno l'ebbe, e che tornar noi vide.
Di desiderio sì di lui s'accese,
Che si partì senza compagni o guide ;
E cercandone andò molto paese,
Come l'istoria al luogo suo decide.
Di questi dua non vi dico or pia innante;
Che più m' importa il cavalier d' Anglante.
91 n qual, poi che mutato ebbe d'Almonte
Le gloriose insegne, andò alla porta ,
E disse nell'orecchio: Io sono il Conte,
A un capitan che vi facea la scorta;
E fattosi abbassar subito il ponte.
Per quella strada che più breve porta
Agi' inimici , se n' andò diritto.
Quel che segui, nell'altro Canto è scritto.
N OTB.
St. 3. V. 3. — Sprovvedute vale disattente, nonpronte
ad opporsi.
St. 6. V. 3. — Qiù sale vuol dite smonta.
St. 14. v. 7-8. — Imma Tini f suggelli, nodi, rombi,
turlrinif tatti oggetti relativi alle magiche supersti-
zioni.
St. 19. V. 6. — La fervida nona, secondo l'antica nu-
merazione dell'ore, denota sul ^metzogiorno.
St. 27. V. 3-7. — ValUa , nome dato dai Latini alla
contrada che gì* Inglesi chiamano Wales , e che noi di-
ciamo principato di Galles. — Calesio é Calais di Fran-
cia, detto anche Calesse nella St. 27 del Canto II.
St. 32. V. 3. — Per la spelonca nera intende Vinfemc,
St. 35. V. 2. — Quel mare ò V Oceano , che ivi bagna
le spiaggie della Guascogna.
St. S6. V. 2. — Si eaccia in alto , ossia si addentra
neWacqt*a.
St. 43. V. 1-2. — Agricane re di Tartaria, mosse guerra
a Oalafrone padre d' Angelica, perché essa rifiutava es-
sergli sposa.
Ivi. V. 3. — Cataio o Calai , nome che si dette alle
Provincie settentrionali della Cina. — Cane , si chiama
anche oggi il capo o re dei Tartari. Kan, vale appnnto,
nel linguaggio arabo, re. imperatore.
as:46fc ^4.— FaAlo fu eremita nella -Tebaide. Ila-
rione fu eremita nells nrfìMlÉak.
St. 51. Y. 5-8. — Bbnday detta dai Latini Ebudarum,
oggi Muli, 6 nna dell'Ebridi, che giacciono lungo le co-
ste occidentali della Oran Bretagna, flanclieggiando la
Scozia. — Proteo^ favolosa deità marina.
St. 60. V. 2. — Le fitste e i grippi sono navigli sot-
tili adattati al corseggiare.
St. 62. V. 7-8. — Caucasee porte : cosi chiana una
gola del Caucaso, onde dal paese detto una volra Sar-
mazia, si passa nelU Georgia. — Sciiia chiamarono gli
antichi la vasta regione che ora dicesi Tartaria.
St. 67. V. 5-6. — La calda sabbia daW Atlante ai liti
rttbrif è l'afdcana costa di Berberia, che si distende dai
monti Atlantici fino al golfo Arabico, o mar Rosso.
St. 68. V. 3. — Rinaldo e Ferraù amanti anch'essi d'An-
gelica. Vedi al II Canto.
St. 69. V. 8. — L'impero d'Occidente ristabilito in Carlo-
Magno d&LMnelII papa f il deUo Santa Romano Impero.
St. 72i V. 8. — Bordella: la città di Bordeaux, che il
Poeta ha detta anche Bordea nella St. 75. del Canto 111.
St. 84. V. 5-7. — Salsz qui vale lalzò. — BrigliadorOj
nome del cavallo d'Otlando.
St. 85. V. 3 4. — La di\ isa d' Orlando era distinta in
quattro parti alternate di colore bianco e rosso. L'aveva
tolta ad Almonte , cai egli, ancor giovinetto , aveva
ucciso.
Ivi. V. 7. — Anxoatante^ è nome di dignità fra i Sa-
laceni
St. 86. y. 2. — Zio, Orlando era ilglio di Berta sorella
di Carlomagno.
Ivi. V. 6. — Albei'go di Titone è lOriente. — Titone,
secondo la mitologia , fu rapito in cielo e sposato dal-
l'Aurora.
Il ^^-^"UtT., -
CANTO NOXO.
Stanza 70.
ARGOMBNTO*
Uihunln , avellilo udita ]el r^a e rat il man za i>]trodottA Ja Et» dv«
HLiHii4:Ua es^^rc \\i Ai>j?<'Ura ili rì^^cliio^ f? si j^roponei dlmndftnrli
ma rrirnsL .^nr-rurn' Onmpin, curi t asm «IL Olanda, moiglie del
dur^i Hìri nu, e jiKtrso^mUiitji iljil rn Ci mosco. ViiUMt eointiìiitft^
ipieutt' qiitJ Lts 1^ riduiDL ad Ulì?tii)ia gli st&ti f: lo «poso.
Cile noli pnù far iFuii cor eh' abbia suggetro
IJuesto inididi' e iradilur'i Amore ^
Toìrbiid nriaudu \\\\ò luvar del petto
La tanta fé" cla^ debbe ai Miu Signore?
Già ,savio e iticia* fn d'ogiii rispetto,
E iltdbi Santa Chiu^ia difensore:
i ir ]H r nu vaiio amur , poco del zio ^
E di fili ]ìi)co , e nti'ii triira di Dio,
Ma l'tstuso io jaif trtiiijMi, e mi ralìegro
Nel m'ut difetto aver coraiiiigno tuie;
rii'wiidrio soli al miw ben languido ed egn>,
Saiiu e gagliardo a seguitare il male.
Quel se ne va tutto vestito a negro ;
Né tanti amici abbandonar gli cale;
E passa dove d'Africa e di Spagna
La gente era attendata alla campagna ;
Anzi uou attendata , perchè sotto
Alberi e tetti l'ha sparsa la pioggia
A dieci, a venti, a quattro, a sette, ad otto;
Chi più distante, e chi più presso alloggia.
Ognuno dorme travagliato e rotto.
Chi steso in terra, e chi alla man s^ appoggia.
Dormono ; e il conte uccider né può assai :
Né però stringe Durindana mai.
Di tanto core è il geneioso Orlaudo,
Che non degna ferir gente che dorma.
Or questo e quando quel luogo cercando
Va, per trovar della sua donna l'orma.
Se troVa alcun che veggi, sospirando
Gli ne dipinge V abito e la forma ;
E poi lo priega che per cortesia
GP insegni andar in parte ov'ella sia.
stanza 3.
E , poi che venne il di chiaro e lucente ,
Tutto cercò V esercito moresco ;
E ben lo potea far sicuramente,
Avendo indosso T abito arabesco.
Ed aiutollo in questo parimente,
Che sapeva altro idioma che francesco;
E l'africano tanto avea espedito.
Che parea nato a Tripoli e nutrito.
Quivi il tutto cercò , dove dimora
Fece tre giorni , e non per altro effetto :
Poi dentro alle cittadi. e a' borghi fiiora
Non spiò sol per Francia e suo distretto;
Ma per Uvemia e per Guascogna ancora
Rivide sin all'ultimo borghetto:
E cercò da Provenza alla Bretagna,
E dai Piccardi ai termini di Spagna.
7 Tra il fin d'ottobre e il capo di novembre,
Nella stagion che la frondosa vesta
Vede levarsi , a discoprir le membre
Trepida pianta, finché nuda resta,
E van gli augelli a strette schiere insembre,
Orlando entrò nell'amorosa inchiesta:
Né tutto il verno appresso lasciò quella.
Né la lasciò nella stagion novella.
8 Passando un giorno , come avea costume ,
D'un paese in un altro, arrivò dove
Parte i Normandi dai Britoni un fiume,
E verso il vicìn mar cheto si muove;
Ch'allora gonfio e bianco già di spume
Per neve sciolta e per montane piove ;
E l'impeto dell'acqua avea disciolto
E tratto seco il ponte , e il passo tolto.
Con gli occhi cerca or questo lato or quello,
Lungo le ripe il Pdladia, se Tede
(Quando né pesce egli non è, né augello)
Come abbia a por nell'altra ripa il piede;
Ed ecco a sé venir vede un battello/
Nella cui poppa una donzella siede ,
Che di volere a lui venir fa segno;
Né lafc'a poi ch'arrivi in terra il ^gno.
stanza 10.
19 Voi dovete saper ch'oltre l'Irlanda,
Fra molte che vi son , l' isola giace
Nomata Ebu'la , che per legge manda
Rubando intorno il suo popol rapace;
E quante donne può pigliar, vivanda
Tutte destina a un au'mal vorace,
Ohe viene ogni di al lito , e sempre nova
Donna o donzelli , onde si pasca , trova ;
13 Che mercanti e corsar che vanno attorno,
Ve ne fan copia, e più delle più belle.
Ben potete contare, una per giorno.
Quante morte vi sian donne e donzelle.
Ma se pietade in voi trova soggiorno.,
Se non sete d' Amor tutto ribelle ,
Siate contento esser tra questi eletto.
Che van per far sì fruttuoso effetto.
14 Orlando volse appena udire il tutto.
Che giurò d'esser primo a quella impresa,
Come quel eh' alcun atto iniquo e bratto
Non può sentire, e d' ascoi tiir gli pesa:
E fu a pensare , indi a temere indntto ,
Che quella gente Angelica abbia presa ;
Poiché cercata l'ha per tanta via.
Né potutone ancor ritrovar spia.
15 Questa immaginazion si gli confuse
E sì gli tolse ogni prìmier disegno.
Che , quanto in fretta più potea , conchiuse
Di navigare a quell'iniquo regno.
Né prima l' altro SdI nel mar si chiuse ,
Che presso a San Malo ritrovò un legno,
Nel qual si pose; e fatto alzar le vele,
Passò la notte il monte San Michele.
10 Prora in terra non pon; che d'esser carca
Contra sua volontà forse sospetta.
Orhindo priega lei, clie nella barca
Seco lo tolga, ed oltre il fiume il metta.
Ed ella a lui: Qui cavalier non varca,
Il qual su la sua fé' non mi prometta
Di fare uni batCìglia a mia richiest^a,
La più giusta del mondo e la più onesta.
11 Si che s'avete, cavalier, desire
Di por per me nell' altra ripa i passi ,
Promettetemi, prima che finire
Quest' altro mese prossimo si lassi ,
Ch'ai re d'Ibernia v'anderete a unire,
Appresso al qual la bella armata fassi
Per distrugger quell' isola di Ebnda ,
Che, di quante il mar cinge, è la più cruda.
16 Breaco e Landriglier lascia a man manca.
E va radendo il gran lito britone;
E poi si drizza invér l'arena bianca,
Onde Inghilterra si nomò Albione :
Ma il vento, ch'era da merigge, manca,
E soffia tra il ponente e l'aquilone
Con tanta forza , che fa al basso porre
Tutte le vele, e sé per poppa tórre.
17 Quanto il navilio innanzi era venuto
In quattro giorni , in un ritornò indietro ,
Nell'alto mar dal buon nocchier tenuto,
Che non dia in terra, e sembri un fragil vetw
Il vento, poi che furioso suto
Fu quattro giorni , il quinto cangiò metro
Lasciò senza contrasto il legno entrare
Dove il fiume d' Anversa ha foce in mare.
18 Tosto che nella foce entrò lo stanco
Nocchier col legno afflitto, e jl lito prese,
Fuor d'una terra che sul destro fianco
Di quel fiume sedeva , un vecchio scese ,
Di molta età , per quanto il crine bianco
Ne dava indizio : il qual tutto cortese ,
Dopo i saluti, al Conte rivoltosse,
Che capo giudicò che di lor fosse :
Stanza 15.
19 E da parte il pregò d'una donzella ,
Ch' a lei venir non gli paresse grave ;
La qual ritroverebbe, oltre che bella.
Più eh' altra al mondo affabile e soave :
Ower fosse contento aspettar ch'ella
Verrebbe a trovar lui fiji alla nave:
Né più restio volesse esser di quanti
Quivi eran giunti cavalieri erranti;
20 Che nessun altro cavalier ch'arriva
0 per terra o per mare a questa foce ,
Dì ragionar con la donzella schiva,
Per consigliarla in un suo caso atroce.
Udito questo, Orlando in su la riva,
Senza punto indugiarsi, usci veloce;
£ , come umano e pien di cortesia ,
Dove il vecchio il menò , prese la via.
21 Fu nella terra il Paladin condutto
Dentro un palazzo, ove al salir le scale
Una donna trovò piena di lutto ,
Per quanto il viso ne facea segnale ,
E i negri panni che coprian per tutto
E le loggie e le camere e le sale:
La qual, dopo accoglienza grata e onesta
Fattoi seder , gli disse in voce mesta :
22 Io voglio che sappiate che figliuola
Fui del conte di Olanda, a lui si grata
(Quantunque prole io non gli fossi sola;
Ch'era da dui fratelli accompagnata).
Oh* a quanto io gli chiedea, da lui parola
Contraria non mi fu mai replicata.
Standomi lieta in questo stato, avvenne
Che nella nostra terra un duca venne.
Stanza 18.
3 Duca era di Selandia, e se ne giva
Verso Biscaglia a guerreggiar coi Mori.
La bellezza e l'età ch'in lui fioriva,
E' li non più da me sentiti amori ,
Con poca guerra me gli fer capti va ;
Tanto p!ù che , per quel eh' apparea fuori ,
Io credea e credo , e creder credo il vero ,
Ch'amasse ed ami me con cor incero.
lao
ORLANDO f ARIOSO.
24 Quei giorni che con noi contrario vento ,
Contrario agli altri , a me propizio , il tenne
(Olitagli altri far quaranta, a me un momento;
Cosi al fuggire ebbon veloci penne) ,
Fummo più volte insieme a parlamento ,
Dove, cbe'l matrimonio con solenne
Rito al ritorno suo sari.i tra nui
Mi promise egli , ed io *I promisi a lui.
ifl> ip ff tif
^^^;iHìiii!ii||;:i«h;'»
Stanza 21.
26 Io eh' air amante mio di quella fede
Mancar non posso, che gli aveva data;
E anco chMo possa, Amor non mi concede
Che poter voglia , e eh' io sia tanto ingrata.
Per minar la pratica ch'in piede
Era gagliarda , e presso al fin guidata ,
Dico a mio padre , che prima eh' iia Priàa
Mi dia niarito , io voglio essere uccisa.
27 II mio buon padre, al qnal sol piacea quanti*
A me piacea , né mai turbar mi volse ,
Per consolarmi e far cessare il pianto
Ch' io ne facea , la pratica disciolsc :
Di che il superbo re di Frisa tanto
Isdegno prese, e a tanto odio si volse,
Ch'entrò in Olanda e cominciò la guerra
Che tutto il sangue mio cacciò sotterra.
Stanza 23.
26 Bireno appena era da roi partito
(Che, cosi ha nome il mio fedele amante),
Che'l re di Frisa (la qual, quanto il lito
Del mar divide il fiume , è a noi distante)
Disegnando i^ figliuol farmi marito ,
Ch' unico al mondo avea , nomato Arbante ,
Per li più degni del suo stato manda
A domandarmi al mio padre in Olanda.
B Oltre che sia robusto e si possente.
Che pochi pari a nostra età ritrova:
E si astuto in mal far , eh' altrui niente
La possanza , l' ardir , l' ingegno giova ;
Porta alcun' arme che l'antica gente
Non vide mai , né , fuor eh' a lui , la nova :
Un ferro bugio , lungo da due braccia ,
Dentro a cui polve ci una palla caccia.
Stanza 41
29 Col fuoco dietro ove la canna è chiusa ,
Tocca un spiraglio che si vede appena;
A gaisa che toccare il medico usa
Dove è bisogno d^ allacciar la Tena :
Onde Yien con tal suon la palla esclusa,
Che si può dir che tuona e che balena;
Né men che soglia il fulmine ove passa,
Ciò che tocca, arde, abbatte, apre e fracassa.
30 Pose due volte il nostro cam^jo iu rotta :
Con questo inganno, e i miei fratelli uccise:
Nel primo assalto il primo , che la botta ,
Rotto r usbergo, in mezzo il cor gli mise
Neir altra zu£Eei alP altro , il quale in frotta
Fuggìa, dal corpo T anima divise;
E lo feri lontan dietro la spalla,
£ fuor del petto uscir fec« la palla.
31 Difendendosi poi mio padre nu giorno
Dentro un castel che sol gli era rimaso,
Che tutto il resto avea perduto intorno ,
Lo fé' con simil colpo ire all'occaso;
Che mentre andava e che facea ri tomo,
Provvedendo or a questo or a quel caso, '
Dal traditor fu in mezzo gli occhi còlto ,
Che l' avea di lontan di mira tolto.
32 Morti i fratelli e il padre, e rimasa io
Dell'isola d'Olanda unica erede,
Il re di Frisa, perchè avea disio
Di ben fermare in quello stato il piede,
Mi fa sapere , e così al popol mio ,
Che pace e che riposo mi concede,
Quand'io voglia or, quel che non volsi innante,
Tor per marito il suo figliuolo Arbante.
33 Io per l'odio non si, che grave porto
A lui e a tutta la sua iniqua schiatta ,
Il qual m' ha dui fratelli e '1 padre morto ,
Saccheggiata la patria, arsa e disfatta;
Come perchè a colui non vo'far torto,
A cui già la promessa aveva fatta,
Ch'altr'uomo non saria che mi sposasse.
Finché di Spagna a me non ritornasse.
34 Per un mal ch'io patisco, ne vo' cento
Patir , rispondo , e far di tutto il resto ;
Esser morta, arsa viva, e che sia al vento
La cener sparsa , innanzi che far questo.
Studia la gente mia di questo intento
Tormi : chi priega , e chi mi fa protesto
Di dargli in mano me e la terra , prima
Che la mia ostinazion tutti ci opprima.
35 Così, poiché i protesti e i prleghi invano
Vider gittarsi , e che pur stava dura ,
Presero accordo col Frisone, e in mano
(Come avean detto) gli diér me e le mura.
Quel , senza farmi alcuno atto villano ,
Della vita e del regno m'assicura,
Purch'io indolcisca l'indurate voglie,
E che d' Arbante suo mi faccÌA moglie.
36 Io che sforsar così mi veggio, voglio,
Per uscirgli di man , perder la vita ;
Ma se pria non. mi vendico, mi doglio
Più che di quanta ingiuria abbia patita.
Fo pensier molti; e veggio al mio cordoglio
Che solo il simular può dare aita:
Fingo ch'io brami, non che non mi piaccia,
Che mi perdoni e sua nuora mi faccia.
37 Fra molti ch'ai servizio erano stati
Già di mio padre , io scelgo dui fratelli
Di grande ingegno e di gran cor dotati ,
Ma più di vera fede, come quelli
Che cresciutici in corte, ed allevati
Si son con noi da teneri zitelli;
K tanto miei, che poco lor pania
La vita por per la salute mia.
38 Comunico con loro il mio disegno ;
Essi prometton d'essermi in aiuto.
L'un viene in Fiandra, e v'apparecchia un legna:
L'altro meco in Olanda ho ritenuto.
Or mentre i forestieri e quei del regno
S'invitano alle nozze, fu saputo
Che Bireno in Biscaglia avea un'armata ,
Per venire in Olanda, apparecchiata:
89 Perocché, fatta la prima battaglia,
Dove fu rotto un mio fratello e ucciso ,
Spacciar tosto un corrier feci in Biicaglia ,
Che portasse a Bireno il tristo avviso;
Il qual mentre che s'arma e si travaglia,
Dal re di Frisa il resto fu conquiso.
Bireno, che di ciò nulla sapea,
Per darci aiuto i legni sciolti avea.
40 Di questo avuto avviso il re frisone ,
Delle nozze al figliuol la cura lassa;
E con l' armata sua nel mar si pone :
Trova il duca, lo rompe, arde e fracassa;
E, come vuol fortuna, il fa prigione.
Ma di ciò ancor la nuova a noi non passa.
Mi sposa intanto il giovene, e si vuole
Meco corcar, come si corchi il sole.
41 Io dietro le cortine avea nascoso
Quel mio fedele, il qual nulla si mosse
Prima che a me venir vide lo sposo;
E non l'attese che corcato fossa.,
Ch'ahsò un'accetta, e con si valoroso
Braccio dietro nel capo lo percosse,
Che gli levò la vita e la parola:
Io saltai presta, e gli segai la gola.
42 Come cadere il bue suole al macello»
Cade il malnato giovene, in dispetto
Del re Cimosco , il più d' ogni altro fello ;
(Che l'empio re di Frisa è cosi detto).
Che morto l'uno e l'altro mio fratello
M'avea col padre; e per meglio suggetto
Farsi il mio stato, mi volea per nuora:
E forse un giorno uccisa avria me ancora.
43 Prima ch'altro disturbo vi si metta,
Tolto quel che più vale e meno pesa,
Il mio compagno al mar mi cala in fretta
Dalla finestra , a un canape sospesa ,
Là dove attento il suo fratello aspetta
Sopra la barca ch'avea in Fiandra presa.
Demmo le vele ai venti e i remi alP acque ;
E tutti ci salviam , come a Dìo piacque.
44 Non so sei re di Frisa più dolente
Del figliuol morto, o se più d'ira acceso
Fosse contra di me , che 1 di seguente
Giunse là dove si trovò si offeso.
Superbo ritornava egli e sua gente
Della vittoria e di Bireno preso;
E credendo venire a nozze e a festa ,
Ogni cosa trovò scura e funesta.
4.5 La pietà del figliuol. Podio ch'aveva
A me, uè di uè notte il lascia mai.
Ma perchè il pianger morti non rileva,
E la vendetta sfoga Podio assai;
La parte del pensier, ch'esser doveva
Della pietade in sospirare e in guai ,
Vuol che con V odio a investigar s' unisca ,
Come egli m'abbia in mano e mi punisca.
46 Quei tutti che sapeva e gli era detto
Che mi fossino amici, o di que'miei
Che m' aveano aiutata a far V effetto ,
Uccise , 0 lor beni arse , o li fé' rei.
Volse uccider Bireno in mio dispetto;
Che d' altro si doler non mi potrei :
Gli parve poi, se vivo lo tenesse.
Che per pigliarmi in man la rete avesse.
47 Ma gli propone una crudele e dura
Condizion: gli fa termine un anno.
Al fin del qual gli darà morte oscura ,
Se prima egli per forza o per inganno ,
Con amici e parenti non procura,
Con tutto ciò che ponno e ciò che sanno.
Di dannigli in prìgion: sì che la via
Di lui salvare è sol la morte mia.
stanza 43.
48 Ciò che si possa far per sua salute ,
Fuorché perder me stessa, il tutto ho fatto.
Sei castella ebbi in Fiandra , e l' ho vendute :
E '1 poco 0 '1 molto prezzo eh' io n' ho tratto ,
Parte , tentando per persone astute
I guardiani corrompere , ho distratto ;
E parte, per far muovere alli danni
Di quell'empio or gllnglesi, or gli Alamanni.
49 I mezzi , o che non abbiano potuto ,
0 che non abbian fatto il dover loro,
M' haiino dato parole , e non aiuto ;
E sprezzano or che n'han cavato l'oro:
E presso al fine il termine è venuto,
Dopo il qual uè la forza né '1 tesoro
Potrà giunger più a tempo , si che morte
E strazio schivi al mio caro consorte.
50 Mo padre e' miei fratelli mi son stati
Morti per Ini; per lui toltomi il regno;
Per lui quei pochi beni che restati
M^eran, del viver mio soli sostegno,
Per trarlo di prigione ho dissipati :
Né mi resta ora in che più fax disegno,
Se non d'andarmi io stessa in mano a porre
Pi sì cmdeJ nimico^ e Ini disciorre.
52 Io dubito che, poi che m'avrà in gabbia,
E fatto avrà di me tutti gli strazi! ,
Né Bireno per questo a lasciare abbia ,
^ eh' esser per me sciolto mi ringrazi! ;
Come periuro , e pien di tanta rabbia ;
Che di me sola uccider non si sazii :
E quel ch'avrà di me, né più né meno
Faccia di poi del misero Bireno.
Stanza 60.
53 Or la cagion che conferir con voi
Mi fa i miei casi, e ch'io li dico a qaand
Signori e cavalier vengono a noi,
É solo acciò , parlandone con tanti ,
M'insegni alcun d'assicurar che poi
Ch' a quel crudel mi sia condotta avanti ,
Non abbia a ritener Bireno ancora;
Né voglia, morta me, ch'esso poi mora.
(.4 Pregato ho alcun guerrier, che meco sia
Quand' io mi darò in mano al re di Frisa ;
Ma mi prometta, e la sua fé' mi dia,
Che questo cambio sarà fatto in guisa,
Ch'a un tempo io data, e liberato fii
Bireno : si che quando io sarò uccisa ,
Morrò contenta, poiché la mia morte
Avrà dato la vita al mio consorte.
55 Né fino a questo dì trovo chi teglia
Sopra la fede sui d'assicurarmi.
Che quando io sia condotta, e che mi voglii
Aver quel re, senza Bireno darmi,
Egli non lascerà centra mia voglia
Che presa io sia: si teme ognun quell'armi;
Teme quell'armi, a cui par che non possi
Star piastra incontra, e sia quanto vuol grossa.
56 Or, s'in voi la virtù non è difforme
Dal fier sembiante e dall' erculeo aspetto,
E credete poter dar megli, e torme
Anco da lui, quando non vada retto:
Siate contento d' esser meco a porrne
Nelle man sue: ch'io non avrò sospetto,
Quando voi siate meco , sebben io
Poi ne morrò, che mora il signor mio.
51 Se dunque da far altro non mi resta,
Né si trova al suo scampo altro riparo ,
Che per lui por questa mia vita; questa
Mia vita per lui por mi sarà caro.
Ma sola una paura mi molesta.
Che non saprò far patto cosi chiaro,
Che m'assicuri che non sia il tiranno,
Poi ch'avuta m'avrà, per fare inganno.
57 Qui la donzella il suo parlar conchiuse ,
Che con pianto e sospir spesso interroppe.
Orlando , poi eh' ella la bocca chiuse ,
Le cui voglie al ben far mai non fur zoppe,
In parole con lei non si difluse;
Che di natura non usava troppe:
Ma le promise , e la sua fé' le diede ,
Che faria più di quel eh' ella gli chiede.
58 Non è sua intenzion ch'ella in man vada
Del suo nimico per salyar Bireno:
Ben salverà amendni , se la sua spada
£ rosato valor non gli vien meno.
U medesimo di piglian la strada,
Poi eli' hanno il vento prospero e sereno.
Il Paladin s'affretta; che di gire
All'isola del mostro avea desire.
59 Or volta all'una, or volta all'altra banda
Per gli alti stagni il buon nocchier la vela :
Scnopre un'isola e un'altra di Zilanda;
Scnopre una innanzi, e un'altra addietro cela.
Orlando smonta il terzo di in Olanda;
Ma non smonta colei che si querela
Del re di Frisa: Orlando vuol che intenda
La morte di quel rio, prima che scenda.
60 Nel lito armato il Paladino varca
Sopra un corsier di pel tra bigio e nero,
Nutrito in Fiandra e nato in Danismafca,
Grande e possente assai più che leggiero;
Però eh' avea, quando si messe in barca.
Tu Bretagna lasciato il suo destriero,
Quel Brìgliador si bello e si gagliardo,
Che non ha paragon, fuorché Baiardo.
61 Giunge Orlando a Dordreeche, e quivi truova
Di molta gente armata in su la porta;
Si perchè sempre, ma più quando è nuova.
Seco ogni signoria sospetto porta;
Si perchè dianzi giunta era una nuova.
Che. di Selandia, con armata scorta
Di navilii e di gente , un cugin viene
Di quel signor che qui prigion si tiene.
Stanza 6t.
62 Orlando prega uuo di lor , che vada
E dira al re, eh' un cavaliero errante
Disia con lui provarsi a lancia e a spada:
Ma che vuol che tra lor sia patto innante.
Che se'l re fa che, chi lo jtfida, cada,
La donna abbia d'aver, ch'uccise Arbante;
Chè'l cavalier l'ha in loco non lontano
Da poter sempre mai darglila in mano:
63 Ed all' incontro vuol che '1 re prometta ,
Ch' ove egli vinto nella pugna sia ,
Bireno in libertà subito metta,
E che lo lasci andare alla sua via.
Il fante al re fa l' imbasciata in fìretta :
Ma quel, che né virtù né cortesia
Conobbe mai, drizzò tutto il suo intento
Alla fraude , all' inganno , al tradimento.
64 Gli par ch'avendo in mano il cavaliero,
Avrà la donna ancor , che si l' ha offeso ,
S' in possanza di lui la donna è vero
Che si ritrovi , e il fante ha ben inteso.
Trenta uomini pigliar fece sentiero
Diverso dalla porta ov' era atteso ,
Che dopo occulto ed assai lango giro ,
Dietro alle spalle al Paladino uscirò.
65 II traditore intanto dar parole
Fatto gli avea , sinché i cavalli e i fanti
Vede esser giunti al loco ove gli vuole:
Dalla porta esce poi con altrettanti.
Come le fere e il bosco cinger suole
Perito cacciator da tutti i canti ;
Come presso a Volana i pesci e l'onda
Con lunga rete il pescator circonda:
€6 Cosi per ogDÌ via dal re di Frisa,
Che quel guerrier non fugga, si provvede.
Vivo lo vuole , e non in altra guisa :
E questo far si fucilmeute crede,
Che '1 fulmine terrestre , con che uccisa
Ha tanta e tanta gente, ora non chiede;
Che quivi non gli par che si convegna.
Dove pigliar , non far morir disegna.
67 Qual cauto uccellator che serba vivi ,
Intento a maggior preda , i primi augelli ,
Acciò in più quautitade altri captivi
Faccia col giuoco e col zimbel di quelli ;
Tal esser volse il re Cimosco quivi :
Ma già non volse Orlando esser di quelli
Che si lascian pigliare al primo tratto ;
E tosto ruppe il cerchio ch'avean fatto
Stanza 68.
68 II cavalier d'Anglante, ove più spésse
Vide le genti e Tarme, abbassò Tasta;
Ed uno in quella e poscia un altro messe,
E un altro e un altro, che sembrar di pasta:
E fin a sei ve n'infilzò; e li resse
Tutti una lancia: e perch'ella non basta
A più capir, lasciò il settimo fuore
Ferito si, che di quel colpo muore.
69 Non altrimente nelT estrema arena
Veggiam le rane di canali e fosse
Dal cauto arcier nei fianchi e nella schiena,
L'una vicina alT altra, esser percosse;
Né dalla freccia, finché tutta piena
Non sia da un capo alT altro, esser rimosse.
La grave lancia Orlando da sé scaglia,
K con la spada entrò nella battaglia.
70 Rotta la lancia, quella spada strinse.
Quella che mai non fu menata in fallo;
E ad ogni colpo, o taglio o punta, estiose
Quand'uomo a piedi, e quand'nomo a cavallo:
Dove toccò , sempre in vermiglio tinse
L* azzurro, il verde, il bianco, il nero, il giallo.
Duolsi Cimosco, che la canna e il foco
Seco or non ha, quando v'avrian più loco
71 E con gran voce e con minacce chiede
Che portati gli sian : ma poco é udito ;
Che chi ha ritratto a salvamento il piede
Nella città, non è d'uscir più ardito.
H re frison , che fuggir gli altri vede ,
D' esser salvo egli ancor piglia partito :
Corre alla porta , e vuole alzare il pont« ;
Ma troppo è presto ad arrivare il conte :
72 n re volta le spalle, e signor lassa
Del ponte Orlando , e d' amendue le porte ;
E fugge , e innanzi a tutti gli altri passa ,
Mercè che U suo destrier corre più forte.
Non mira Orlando a quella plebe bassa;
Vuole il fellon, non gli altri, porre a morte:
Ma il suo destrier si al corso poco Yale,
Che restio sembra , e chi fugge , abbia V ale.
75 Dietro lampeggia a guisa di baleno;
Dinanzi scoppia, e manda in aria il tuono.
Treman le mura, e sotto i pie il terreno;
Il ciel rimbomba al payentoso suono.
L'ardente strai, che spezza e venir meno
Fa ciò ch'incontra, e dà a nessun perdono,
Sibila e stride; ma, come è il desire
Di quel brutto assassin, non va a ferire.
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Stanza 70.
73 D' una in un' altra via si leva ratto
Di vista al Paladin ; ma indugia poco ,
Che toma con nuove armi; che s'ha fatto
Portare in tanto il cavo ferro e il foco ;
E dietro un canto postosi , di piatto
L'attende; come il cacciatore al loco,
Coi cani armati e con lo spiedo , attende
Il fier cinghiai che pruinoso scende ,
74 Che spezza i rami , e fa cadere i sassi ;
E ovunque drizzi l'orgogliosa fironte,
Sembra a tanto rumor che si fracassi
La selva intomo, e che si svella il monV.
Sta Cimosco alla posta, acciò non jassi
Senza pagargli il fio l' audace conte.
Tosto eh' appare , allo spiraglio tocca
Col fuoco il ferro ; e quel subito scocca.
76 0 sia la fretta, o sia la troppa voglia
D'uccider quel Baron, ch'errar lo faccia;
0 sia che il cor , tremando come foglia ,
Faccia insieme tremar e mani e braccia;
0 la bontà divina, che non voglia
Che '1 suo fedel campion si tosto giaccia ;
Quel colpo al ventre del destrier si torse:
Lo cacciò in terra, onde mai più non sorse.
77 Cade a terra il cavallo e il cavaliero :
La preme l' un , la tocca l' altro appena ,
Che si leva sì destro e sì leggiero ,
Come cresciuto gli sia possa e lena.
Quale il libico Anteo sempre più fiero
Surger solea dalla percossa arena;
Tal surger parve, e che la forza, quando
Toccò il terren, si raddoppiasse a Orlando.
Stanza 74.
78 Chi vide mai dal ciel cadere il foco
Che con sì orrendo suon Giove disserra,
E penetrare ove un rinchiuso loco
Carbon con solfo e con salnitro serra;
Ch' appena arriva , appena tocca un poco ,
Che par ch'avvampi il ciel, non che la terra;
Spezza le mura, e i gravi marmi svelle,
E fa i sassi volar sin alle stelle :
79 S'immagini che tal, poi che cadenda,
Toccò la terra, il Paladino fosse;
Con si fiero sembiante aspro ed orrendo ,
Da far tremar nel ciel Marte , si mosse.
Di che smarrito il re frison , torcendo
La briglia indietro , per fuggir voltosse :
3Ia gli fu dietro Orlando con più fretta ,
Che non esce dall'arco una saetta:
Stanza 79.
80 £ quel che non ayea potuto prima
Fare a cavallo, or farà essendo a piede.
Lo seguita si ratto, ch'ogni stima
Di chi noi vide, ogni credenza eccede.
Lo giunse in poca strada: ed alla cima
Dell'elmo alza la spada, e si lo fiede,
Che gli parte la testa fino al collo,
E in terra il manda a dar l'ultimo crollo.
81 Ecco levar nella città si sente
Nuovo rumor, nuovo menar di spade;
Che '1 cugin di Bireno con la gente
Ch'avea condutta dalle sue contrade,
Poiché la porta ritrovò patente,
Era venuto dentro alla cittade
Dal Paladino in tal timor ridutta,
Che senza intoppo la può scorrer tutti.
82 Fugge il popolo in rotta ; che non scorge
Chi questa gente sia , uè che domandi :
Ma poi ch'uno ed un altro pur s'accorge
Air abito e al parlar che son Selandi ,
Chiede lor pace , e il foglio bianco porge ;
E dice al capitan che gli comandi ,
E dar gli vuol contra i Frisoni aiuto ,
Che'l suo duca in prigion gli han ritenuto.
83 Quel popol sempre stato era nimico
Del re di Frisa e d'ogni suo seguace.
Perchè morto gli avea il signore antico.
Ma più perch'era ingiusto, empio e rapace.
Orlando s'interpose come amico
D' ambe le parti , e fece lor far pace ;
Le quali unite, non lasciar Frisone
Che non morisse o non fosse prigione.
84 Le porte delle carceri gittate
A terra sono , e non si cerca chiave.
Bireno al Conte con parole grate
Giostra conoscer l' obbligo che gli ave.
Indi insieme e con molte altre brigate
Se ne vanno ove attende Olimpia in nave:
Cosi la donna, a cui di ragion spetta
Il dominio dell'isola, era detta;
85 Quella che quivi Orlando avea condutto
Non con pensier che far dovesse tanto;
Che le parca bastar che, posta in lutto
Sol lei, lo sposo avesse a trar di pianto.
Lei riverisce e onora il popol tutto.
Lungo sarebbe a racontarvi quanto
Lei Bireno accarezzi , ed ella lui ;
Quai grazie al conte rendano ambidui.
86 II popol la donzella nel paterno
Seggio rimette, e fedeltà le giura.
Ella a Bireno, a cui con nodo etemo
La legò Amor d'una catena dura,
Dello stato e di sé dona il governo.
Ed egli tratto poi da un'altra cura,
Delle fortezze e di tutto il domino
Dell'isola guardi an lascia il cugino;
87 Che tornare in Selandia avea disegno ,
E menar seco la fedel consorte:
E dicea voler fare indi nel regno
Di Frisa espepenzia di sua sorte;
Perchè di ciò l'assicurava un pegno
Ch' egli avea in mano , e lo stimava forte :
La figliuola del re , che fra i captivi ,
Che vi fur molti , avea trovata quivi.
88 E dice ch^ egli vuol ch^ aa suo germano ,
Ch'era minor d'età, l'abbia per moglie.
Quindi si parte il senator romano
Il di medesmo che Bireno scioglie.
Non volse porre ad altra cosa mano ,
Fra tante e tante guadagnate spoglie ,
Se non a quel tormento ch'abbiam detto
Ch'ai fulmine assimiglia in ogni effetto.
89 L'intenzion non già, perchè lo tolle,
Fu per voglia d' usarlo in sua difesa;
Che sempre atto stimò d'animo molle
Gir con vantaggio in qualsivoglia impresa:
Ma per gittarlo in parte, onde non volle
Che mai potesse ad uom più fare offesa:
E la polve e le palle e tutto il resto
Seco portò ch'apparteneva a questo.
90 E cosi , poi che fuor della marea
Nel più profondo mar si vide uscito
Si, che seguo lontan non si vedea
Del destro più né del sinistro lito,
Lo tolse, e disse: Acciò più non istea
Mai cavalier per te d' essere ardito ,
Né quanto il buono vai, mai più si vanti
Il rio per te valer, qui giù rimanti.
91 0 maledetto, o abbomìnoso ordigno.
Che fabbricato nel tartareo fondo
Fosti per man di Belzebù maligno.
Che ruinar per te disegnò il mondo.
All' Inferno , onde uscisti , ti rassigno.
Cosi dicendo, lo gittò in profondo.
Il vento intanto' le gonfiate vele
Spinge alla via dell'isola crudele.
93 Né scala in Inghilterra né in Irlanda
Mai lasciò far. né sul contrario lito.
Ma lasciamolo andar dove lo manda
Il nudo Arder che l' ha nel cor ferito.
Prima che più io ne parli , io vo' in Olanda
Tornare , e voi meco a tornarvi invito :
Che , come a me , so spiacerebbe a voi ,
Che quelle nozze fosson senza noi.
stanza 8U.
92 Tanto desire il Paladino preme
Di saper se la donna ivi si trova,
Ch'ama assai più che tutto il mondo insieme,
Né un'ora senza lei viver gli giova;
Che s' in Ibernia mette il piede , teme
Di non dar tempo a qualche cosa nuova,
Si eh' abbia poi da dir invano : Ahi lasso !
Ch'ai venir mio non affrettai più il passo.
94 Le nozze belle e sontuose f.muo ;
Ma non sì sontuose né sì bello ,
Come in Selaildia dicon che faranno.
Pur non disegno che vegnate a quelle;
Perché nuovi accidenti a nascere hanno
Per disturbarle; de'quai le novelle
All' altro Canto vi farò sentire ,
S'ali' altro Canto mi verrete a udire. NOTE.
St. 4. V. 5. — Veggi, vegU.
St. 5. V. 8. — Tripoli, città della Berberla.
St. 6. y. 4-5. — Francia. Qal non sta per tutto qael
paese che intendiamo ora , ma per quel territorio dove
è Parigi, ed ò bagnato dai fiumi Senna, Marna, Oise e
Yonne : perchè ivi si posero da principio i Franchi. —
Uvei-nia, dal francese Auvergne. Da noi dicesi Alvernia;
ed ò una deUe Provincie centrali della Francia.
St. 7. V. 5. — Insembre, lo stesso che insieme.
St. 8. y. 3-4. — Questo è un finmicello che scorre vi-
cino a Pont-Orsoo, e si scarica presso Beauvais nel golfo
che si dirà fra poco.
St. 11. y. 5. — Ibernia , è il nome che davano i La-
tini all'Irlanda.
St. 15. y. d-8. ~ S. Malày città marittima di Francia
nella Bretagna. In un golfo tra questa provincia e la
Normandia, mette foce il fiumicello di cui sopra, e sorge
il moTtte S, Michele.
St. 16. y. 1-6. — Breaco , che i Latini dissero Bria-
ctinif e i Francesi chiamano S. Brieux, è città di Nor-
mandia, presso il fondo di un golfo che ha a levante il
capo Frehel e a ponente V isoletta di Brehat. Zandri-
glier è il Trecos'vm degli antichi, corrispondente a Lan-
Irìguier, ma ora segnato sulle mappe Tréguier. Albiofie
denominarono i Latini la Gran Bretagna, probabilmente
dal colore biancastro delle sue rupi marittime. Il vento
accennato nel sesto verso dicesi in marineria ponente-
maestra
St. 17. y. 8. — La Schelda o VJEs'-aut, come i Fran-
cesi lo chiamano, è il fiume che bagna Anversa, forman-
dovi un vasto porto.
St. 23. y. 1-2. — Selandia o Zelandia (Seeland), è una
delle Provincie settentrionali olandesi, e componesi delle
isole Beveland, Walcheren, Tholen. Schouwen, con al-
cune altre formate da vai^ rami della Schelda e della
Uosa, e dal mare del Nord. La BiseagUa è ptovlaam
marittima della Spagna settentrionale. Nella Biacaelias
e nei monti delle Asturie, si tennero sempre forti € ise-
spugnabili gli Spagnuoli contro gli Arabi e f Morì, fis-
che palmo a palmo riconquistarono tutto il paese.
St. 25. y. 8. — Frisa o Frisia , paese anticamente
abitato dai FriaJ, Germani d'origine, e conquistati da
Druso. Una parte di esso costituisce in oggi la Frisia
propriamente detta , altra delle Provincie settentrionali
olandesi.
St. 28. v. 7. — Ferro lugio, Tarchibugio. Il poeta lo
suppone inventato da questo re frisone, molti secoli prima
che non fosse.
St. 34. y. 2. — Far di tutto il resto; vale esponi
alle ultime calamità.
St. 36. y. 7-8. — Intendi: non dimostro che non xnt
piaccia, ed ami fingo bramare che mi perdoni, ecc.
St. 37. v. 6. — Citelli, giovinetti.
St. 42. y. 2. — Malnato, nato cioè per sua svmtara.
St. 52. y. 5. — Periuro, spergiuro,
St. 6(». v. 6. — Accenna la minore Bretagna, provin-
cia settentrionale della Francia.
St. 61. y. 1. — Dordrecch^, ossia Dordrecht, città del-
l'Olanda merìdionale, in un'isola della Ma<»a.
St. 65. y. 7. — Volana, cioè Volano, ramo del Po.
St 77. y. 5. — Anteo, gigante mitologico, era figlio
della Terra, sulla quale se fosse caduto, ne rìsorgevs p'à
robusto.
St. 85. y. 7. ~ Tormentum chiamavano i Latini k
macchine di guerra da scagliare pietre, giavellotti ed al-
tri proiettili: tal voce italianizzata si applica qal al-
Tarchibugio .
St. 90. y. 5. — Stea per te, abbia cagione da te.
St. 93. y. 1-2. — Fare scala, espressione marinaresca.
sbarcare.
stanza 5
CANTO DECIMO.
ARGOMBNTO.
Bireno, ioTaghitosi di altra donna, abbandona Olimpia. Ruggiero riceve l' Jppogrifo da Logistilla che lo ammae-
stra a gaidarlo. e su qaello discende in Inghilterra, dove osserva la rassegna delle truppe destinate in aiuto
di Carlo. Nel passare in Irlanda, scorge neirisola di Ebuda Angelica legata ad ano scoglio per essere divorata
dall'orca: abbatte il mostro, toglie la giovane in groppa, e discende con lei sul lido della minore Bretagna.
1 Fra quanti amor , fra quante fedi al mondo
Mai sì trovar, fra quanti cor constanti,
Fra quante, o per dolente o per giocondo
Stato, fér prove mai famosi amanti;
Piuttosto il primo loco, chMl secondo
Darò ad Olimpia: e se pur non va innanti,
Ben voglio dir che fra gli antiqui e novi
Maggior dell'amor suo non si ritrovi;
2* E che con tante e con si chiare note
Di questo ha fatto il suo Bireno certo.
Che donna più far certo uomo non puote ,
Quando anco il petto e'I cor mostrasse aperto:
E s* anime si fide e si devote
D' un reciproco amor deuno aver merto ,
Dico ch'Olimpia è degna che non meno,
Anzi più che sé ancor, Pami Bireno;
3 E che non pur non T abbandoni mai
Per altra donna, se ben fos^e quella
Ch' Europa ed Asia messe in tanti guai ,
0 s' altra ha maggior titMo di bella:
Ma , piuttosto che lei , la«ci coi rai
Del Sol l'udita e il gusto e la favella
E la vita e la fama , e s' altra cosi
Dire 0 pensar si può più preziosa.
4 Se Bireno amò lei , come ella amato
Bireno avea; se fu si a lei fedele
Come ella a lui; se mai non ha voltato
Ad altra via , che a seguir lei , le vele :
Oppur s' a tanta servitù fu ingrato ,
A tanta fede e a tanto amor crudele.
Io vi vo'dire, e far di maraviglia
Stringer le labbra, ed inarcar le ciglia.
5 E poi che nota T impietà vi fia,
Che di tanta bontà fu a lei mercede,
Donne, alcuna di voi mai più non sia,
Ch' a parole d' amante abbia a dar fede.
L'amante, per aver quel che desia.
Senza guardar che Dio tutto ode e vede,
Avviluppa promesse e giuramenti ,
Che tutti spargon poi per l'aria i venti.
6 I giuramenti e le promesse vanno
Dai venti in aria dissipate e sparse,
Tosto che tratta questi amanti s' hanno
L'avida sete che gli accese ed arse.
Siate a'prieghi ed a' pianti che vi fanno,
Per questo esempio, a credere più scarse.
Bene è felice quel, donne mie care.
Ch'esser accorto all'altrui spese impare.
im
ORLANDO P Peloso.
7 GnardateTÌ da questi òhe sai fiore
De'lor begli anni il yiso han sì polito:
Che presto nasce in loro e presto muore,
Quasi un foco di paglia, ogni appetito.
Come segue la lepre il cacciatore
Al freddo, al caldo, alla montagna, al lìto.
Né più r estima poi che presa vede ;
E sol dietro a chi fogge , affretta il piede :
8 Cosi fan questi gioveni , che , tanto
Ch^Yi mostrate lor dure e proterve,
V'amano e riveriscono con quanto
Studio de' far chi fedelmente serve :
Ma non si tosto si potran dar vanto
Della vittoria , che di donne , serve
Vi dorrete esser fette; e da voi tolto
Vedrete il falso amore , e altrove volto.
9 Non vi vieto per questo (ch'avrei torto)
Che vi lasciate amar; che senza amante
Sareste come inculta vite in orto ,
Che non ha palo ove s'apponi o piante.
Sol la prima lanugine vi esorto
Tutta a foggir , volubile e incostante ;
E córre i frutti non acerbi e duri.
Ma che non sien però troppo maturi.
10 Di sopra io vi dicea eh' una figliuola
Del re di Frisa quivi hanno trovata.
Che fia, per quanto n'han mosso parola.
Da Bireno al fratel per moglie data.
Ma, a dire il vero, esso v'avea la gola; *
Che vivanda era troppo delicata:
E riputato avria cortesia sciocca.
Per darla altrui , levarsela di bocca.
stanza Itt.
11 La damigella non passava ancora
Quattordici anni , ed era bella e fresca ,
Come rosa che spunti allora allora
Fuor della buccia , e col Sol nuovo cresca.
Non pur di lei Bireno s'innamora.
Ma fuoco mai cosi non accese esca.
Né se lo pongan l' invide e nimiche
Mani talor nelle mature spiche;
12 Come egli se n' acoese immantinente ,
Come egli n'arse fin nelle medoUe,
Che sopra il padre morto lei dolente
Vide di pianto il bel viso far moUe.
E come suol , se l' acqua fredda sente ,
Quella restar che prima al fhoco bolle;
Cosi l' arder ch'accese Olimpia, vinto
Dal nuovo successore , in lui fu estinto.
18 Non pur sazio di lei , ma fastidito
N'é già cosi, che può vederla appena;
E si dell'altra acceso ha l'appetito.
Che ne morrà se troppo in lungo il mena;
Pur, finché giunga il dì e' ha statuito
A dar fine al disio, tanto raffrena.
Che par eh' adori Olimpia , non che l' ami ;
E quel che piace a lei , sol voglia e brami.
14 E se accarezza l' altra (che non puote
Far che non l'accarezzi più del dritto),
Non è chi questo in mala parte note;
Anzi a pietade , anzi a bontà gli é ascritto ;
Che rilevare un che Fortuna ruote
Talora al fondo, e consolar l'afflitto,
Mai non fu biasmo , ma gloria sovente ;
Tanto più una fanciulla , una innocente.
Stanza 34.
15 0 sonuno Dio, come i giudìcj umani
Spesso offuscati son da un nembo oscuro !
I modi di Bireno, empj e profani,
Pietosi e santi riputati furo.
I marinari , già messo le mani
Ai remi , e sciolti dal lìto sicuro ,
Portayan lieti pei salati stagni
Verso Selandia il duca e i suoi compagni.
16 Già dietro rimasi erano e perduti
Tutti di vista i termini d'Olanda;
Che, per non toccar Frisa, più tenuti
S'eran vèr Scozia alla sinistra banda:
Quando da un vento fur sopravvenuti ,
Ch'errando in alto mar tre di li manda.
Sursero il terzo , già presso alla sera ,
Dove inculta e deserta un'isola era.
17 Tratti che si far dentro un picciol seno ,
Olimpia venne in terra; e con diletto
In compagnia deli'infedel Bireno
Cenò contenta, e faor d^ogni sospetto:
Indi con lui, là dove in loco ameno
Teso era un padiglione , entrò nel letto.
Tutti gli altri compagni ritornaro ,
E sopra i legni lor si riposaro.
18 II travaglio del mare e la paura,
Che tenuta alcun di V aveano desta ;
Il ritrovarsi al lito ora sicura,
Lontana da rumor nella foresta,
E che nessun pensier, nessuna cura,
Poiché 1 suo Amante ha seco, la molesta;
Fa cagion eh' ebhe Olimpia si gran sonno ,
Che gli orsi e i ghiri aver maggior noi ponno.
19 n falso amante, che i pensati inganni
Veggiar facean, come dormir lei sente,
Pian piano e9ce del letto; e de' suoi panni
Fatto un faste! , non sì veste altrimente ;
E lascia il padiglione; e, come i vanni
Nati gli sian, rivola alla sua gente,
E li risveglia ; e senza udirsi un grido ,
■ Fa entrar nell' alto , e abbandonare il lido.
23 Quivi surgea nel lito estremo un sasso,
Ch' aveano l' onde , col picchiar frequente ,
Cavo e ridutto a guisa d'arco al basso,
E stava sopra il mar curvo e pendente.
Olimpia in cima vi sali a gran passo
(Cosi la facea l'animo possente);
E di lontano le gonfiate vele
Vide fuggir del suo signor crudele:
24 Vide lontano, o le parve vedere;
Che l'aria chiara ancor non era molto.
Tutta tremante si lasciò cadere,
Più bianca e più che neve fredda in volto.
Ma poi che di levarsi ebbe potere ,
Al cammin delle navi il grido volto ,
Chiamò, quanto potea chiamar più forte,
Più volte il nome del crudel consorte:
25 E dove non potea la debil voce ,
Suppliva il pianto e 'l batter palma a pahoA.
Dove foggi, crudel, cosi veloce?
Non ha il tuo legno la debita salma.
Fa che levi me ancor: poco gli nuoce
Che porti il corpo , poidiè porta l' alma.
E con le braccia e con le vesti segno
Fa tuttavia , perchè ritomi il legno.
20 Rimase addietro il lido e la meschina
Olimpia, che dormi senza destarse,
Finché l'Aurora la gelata brina
Dalle dorate ruote in terra sparse,
E s'udir le alcione alla marina
Dell'antico infortunio lamentarse.
Né desta né dormendo, ella la mano
Per Bireno abbracciar tese, ma invano.
21 Nessuno trova: a sé la man ritira:
Di nuovo tenta, e pur nessuno trova.
Di qua l' un braccio , e di là l' altro gira ;
Or l' una or l' altra gamba ; e nulla giova.
Caccia il sonno il timor: gli occhi apre, e mira:
Non vede alcuno. Or già non scalda e cova
Più le vedove piume ; ma si getta
Del letto e fuor del padiglione in fretta:
22 E corre al mar , graffiandosi le gote ,
Presaga e certa ormai di sua fortuna.
Si straccia i crini, e il petto si percuote:
E va guardando (che splendea la luna)
Se veder cosa , fuor che '1 lito , puote ;
Né, fuor che'l lito, vede cosa alcuna.
Bireno chiama; e al nome di Bireno
Rispondean gli antri , che pietà n' avieno.
26 Ma i venti che portavano le vele
Per r alto mar di quel giovene infido ,
Portavano anco i priegbi e le querele
Dell'infelice Olimpia, e '1 pianto e1 grido;
La qual tre volte , a sé stessa crudele ,
Per affogarsi si spiccò dal lido;
Pur alfin si levò da mirar l'acque,
E ritornò dove la notte giacque ;
27 E con la faccia in giù , stesa sul letto ,
Bagnandolo di pianto , dicea lui :
lersera desti insieme a dui ricetto :
Perché insieme al levar non siamo dui?
Oh perfido Bireno ! o maladetto
Giorno eh' al mondo generata fui !
Che debbo far? che pbss'io far qui sola?
Ohi mi dà aiuto? ohimè! chi mi consola?
28 Uomo non veggio qui, non ci veggio opra
Donde io possa stimar ch'uomo qui sia:
Nave non veggio , a cui salendo sopra ,
Speri allo scampo mio ritrovar via.
Di disagio morrò ; né chi mi cuopra
Gli occhi sarà, né chi sepolcro dia.
Se forse in ventre lor non me lo danno
I lupi , ohimè ! eh' in queste selve stanno.
29 Io sto in sospetto, e già di veler panni
Dì questi boschi orsi o leoDÌ uscire,
O tigri 0 fiere tal, che natura armi
D' aguzzi denti e d' ugne da ferire.
Ma quai fere cmdel potriano farmi,
Fera crudel , peggio di te morire ?
Darmi una morte, so, lor parrà assai;
E tu di mille , ohimè ! morir mi fai.
30 Ma presuppongo ancor ch'or ora arrivi
Nocchier che per pietà di qui mi porti ;
£ cosi lupi , orsi , leoni schivi ,
Strazii , disagi , ed altre orribil morti :
Mi porterà forse in Olanda , s' ivi
Per te si guardan le fortezze e i porti?
Mi porterà alla terra ove son nata ,
Se tu con fìraude già me Phai levata?
31 Tu m'hai lo stato mio, sotto pretesto
Di parentado e d'amicizia, tolto.
Ben fosti a porvi le tue genti presto ,
Per avere il dominio a te rivolto.
Tornerò in Fiandra, ove ho venduto il resto
Di che io vivea , benché non fosse molto ,
Per sovvenirti e di prigione trarte?
Meschina! dove andrò? non so in qual parte.
32 Debbo forse ire in Frisa , ov' io potei ,
E per te non vi volsi, esser regina?
U che del padre e dei fratelli miei ,
E d'ogni altro mio ben fu la ruina.
Quel e' ho fatto per te , non ti vorrei ,
Ingrato, improverar, né disciplina
Dartene; che non men di me lo sai:
Or ecco il guiderdon che me ne dai.
33 Deh , purché da color che vanno in corso
Io non sia presa, e poi venduta schiava!
Prima che questo , il lupo , il leon , l' orso
Venga , e la tigre , e ogni altra fera brava ,
Di cui l'ugna ini stracci, e franga il morso;
E morta mi strascini alla sua cava.
Cosi dicendo , le mani si caccia
Ne'capei d'oro, e a chiocca a chiocca straccia.
34 Corre di nuovo in su l'estrema sabbia,
E ruota il capo, e sparge all'aria il crine,
E sembra forsennata, e ch'addosso abbia
Non un demonio sol, ma le decine;
0 , qual Ecuba , sia conversa in rabbia ,
Vistosi morto Polidoro alfine.
Or si ferma s'un sasso, e guarda il mare;
Né men d'un vero sasso, un sasso pare.
35 3Ia lasciamla doler finch'io ritorno,
Per voler di Kuggier dirvi pur anco.
Che nel più intenso ardor del mezzo giorno
Cavalca il lito , affaticato e stanco.
Percuote il Sol nel colle, e fa ritomo;
Di sotto bolle il sabbion trito e bianco.
Mancava all' arme eh' avea indosso , poco
Ad esser, come già, tutta di fuoco.
36 Mentre la sete , e dell' andar fatica
Per l'alta sabbia e la solinga via
Gli facean, lungo quella spiaggia aprica,
Noiosa e dispiacevol compagnia;
Trovò eh' all' ombra d'una torre antica.
Che fuor dell'onde appresso il lito uscia.
Della corte d'Alcina eran tre donne.
Che le conobbe ai gesti ed alle gonne.
37 Corcate su tappeti alessandrini,
Qodeansi il fresco rezzo in gran diletto.
Fra molti vasi di diversi vini ^
E d'ogni buona sorta di confetto.
Presso alla spiaggia, coi flutti marini
Scherzando , le aspettava un lor legnetfo
Finché la vela empiesse agevol óra;
Che un fiato pur non ne spirava allora.
38 Queste , eh' andar per la non ferma sabbia
Vider Buggier al suo viaggio dritto,
Che sculta avea la sete in su le labbia.
Tutto pien di sudore il viso afflitto.
Gli cominciare a dir che si non abbia
Il cor volonteroso al cammin fitto,
Ch' alla fresca e dolce ombra non si pieghi ,
E ristorar lo stanco corpo nieghi.
39 E di lor una s'accostò al cavallo
Per la staffa tener , che ne scendesse ;
L'altra con una coppa di cristallo.
Dì vin spumante , più sete gli messe :
Ma Ruggiero a quel suon non entrò in ballo
Perchè d'ogni tardar che fatto avesse.
Tempo di giunger dato avrìa ad Alcina,
Che venia dietro, ed era omai vicina.
40 Non cosi fin salnitro e zolfo puro ,
Tocco dal fuoco, subito s'avvampa;
Né così freme il mar, quando l'oscuro
Turbo discende, e in mezzo se gli accampa
Come, vedendo che Ruggier sicuro
Al suo dritto cammin l' arena stampa ,
E che le sprezza (e pur si tenean belle) ,
D'ira arse e di furor la terza d'elle.
ise*
OBLANDO FUKIOSO.
41 Ta non sei né gentil né cayaliero ,
(Dice gridando quanto può piìt forte)
Tu' hai rubate V arme ; e quel destriero
Non saria tuo per veruu'altra sorte;
E così; come ben m'appongo al vero,
Ti vedessi punir di degna morte ;
Che' fossi fatto in quarti, arso o impiccato,
Brutto ladron, villa»; superbo , ingrato.
42 Oltr* a queste e molt' altre ingiuriose .
Parole che gli usò la donna altièra ,
Ancorché ' mai ttuggier non le rispose ,
Che di. si vii tenzon poco onor spera ;
Con le sorelle tosto eUa sipose »
Sul legno in mar , che al lor servigio v' età :
Ed affrettando i remi , lo seguiva ,
Vedendol tuttavia dietro alla riva.
43 Minaccia sempre , maledice e incarca ;
Che Tonte sa trovar per ogni. ponto.
Intanto à quello : stretto , onde • si "varta
Alla fata più Bella , è Riiggier ghiÀtoi
Dove un vecchio' ncKMihiero una mia bare»:
Scioglier dall' altra ripa verte , appanta
Come, avvisato e già provvisto, i|irivì" -
Si stia aspettando che Rii^^^tiro arritL • .
44 Scioglie il nocchier , cume venir lo vcdt *
Di trasportarlo a- miglior ripu lieto ; -
Che, se la faccia può del vot ilfir fede ^
Tutto benigno e tutto era dì scroto.
Pose Ruggier sopra: il eìhìIìo il piede, -
Dio ringraziando ; e per In mar quieto
Ragionando venia col- ^lenito.
Saggiò e di lunga esperìejiza ilutto,
45 Quel lodava Ruggier , che sì s* avesse '
Saputo a tempo tor da Alclna,.é innanlij
Chel calice incantato ella gli desse, •
Ch'avea alfin dato a tutti gli altri amasti |
E poi , che a Logistilla si traesse.
Dove veder pòtria- costumi santi,
Bellezza etema , ed iiifinita .grazia , . '
Che '1 cor nutrisce . e pasce , e jnài non
46 Costei, dicea, stupore e riverenza ." T
Induce UPàlma , ove si scuopre prima;. -
Contempla meglio poi V alta presenza j •
Ogni altro' ben ti par di poca stima.
Il suo amore ha dagli altri differenza 4
Speme 0 timor negli altri il cor ti lima; .
In questo il desiderio più non chiede,- ,-
E contento riman come la veile.
47. Ella t'insegnerà stiidj più gmti -, .
Che suoni , danze , odori j bagni- e cibi ;
Ma com§ i pensier tuoi meglio fonnati
Poggin piti ad alto , che . per V aria i nibi
E come della g;loria de' beati
Nel mortai corpo parte si delibi.
Cosi parlando il marinar veniva ,
. Lontano ancora alla sicura riva;
48 Quando vide scoprire alla marìnia
Molti. nàvilj, e! tutti alla sua volta.
Con quei ne vien T ingiuriata Alcina, -*
E molta di sua gente bave raccolta , .
Per por lo sUtto ^e sé stessa .in ruinft ,
0 riacquistar la cara cosa tolta.
E bene è Amor di ciò cagion non lieve ,
Ma r ingiuria non men che ne riceve.
49 Ella non ebbe sdegno, da che nacque,
Dì questo il maggior mai , eh' ora la rode :
Onde fa i remi si affrettar per l'acque,
Che la spuma ne sparge ambe le prode.
Al gran romor né mar né ripa tacque;
Ed Eco risonar per tutto s'ode.
Scnopri , Ruggier , lo scudo , che bisogna ;
Se non , sei morto , o preso con vergogna.
50 Cosi disse il nocchier di Logistilla;
Ed oltre il detto , egli medesmo prese
La tasca, e dallo scudo dipartilla,
E fé' il lume di quel chiaro e palese.
L'incantato splendor che ne sfavilla,
Gli occhi degli avversar) così offese,
Che li fé' restar ciechi allora allora,
E cader chi da poppa e chi da prora.
51 Un eh' era alla veletta in su la ròcca ,
Dell'armata d'Alcina si fu accorto;
E la campana martellando tocca,
Onde il soccorso vien subito al portx).
L' artiglieria , come tempesta , fiocca
Centra chi vuole al buon Ruggier far torto :
Si che gli venne d'ogni parte aita
Tal , che salvò la libertà e la vita.
52 Giunte son quattro donne in su la spiaggia.
Che subito ha mandate Legisti Ila:
La valorosa Andronica , e la saggia
Frenesia, e l'onestissima Dicilla,
E Soirosina casta , che , come aggia
Quivi a far più che l' altre , arde e sfavilla.
L' esercito eh' al mondo è senza pare ,
Del castello esce, e si distende al mare.
53 Sotto il Castel nella tranquilla foce
Di molti e grossi legni era una armata.
Ad un botto di squilla, ad una voce
Giorno e notte a battaglia apparecchiata.
E cosi fu la pugna aspra ed atroce ,
E per acqua e per terra incominciata;
Per cui fu il regno sottosopra volto ,
Ch'avea già Alcina alla sorella tolto.
54 Oh di quante battaglie il fin successe
Diverso a quel che si credette innante !
Non sol eh' Alcina allor non riavesse,
Come stimossi , il fuggitivo amante ;
Ma delle navi che pur dianzi spesse
Fur sì , eh' appena il mar ne capia tante ,
Fuor della fiamma che tutt' altre avvampa,
Con un legnetto sol misera scampa.
55 Fuggesi Alcina; e sua misera gente
Arsa e presa riman , rotta e sommersa.
D' aver Ruggier perduto ella si sente
Via più doler , che d' altra cosa avversa.
Notte e dì per lui geme amaramente,
E lacrime per lui dagli occhi versa*
E per dar fine a tanto aspro martire
Spesso si duol di non poter morire.
56 Morir non puote alcuna fata mai.
Fin che '1 Sol gira , o il ciel non muta stilo.
Se ciò non fosse , era il dolore assai
Per muover Cleto ad inasparle il filo ;
0 , qual DidoD , finia col ferro i g^uai;
0 la regina splendida del Nilo
Avria imitata con mortifer sonno :
Ma le fate morir sempre non penne.
57 Temiamo a quel di eterna gloria degno
Ruggiero; e Alcina stia nella sua pena.
Dico di lui , che poi che fuor del legno
Si fu condutto in più sicura arena,
Dio ringraziando che tutto il disegno
Gli era successo, al mar voltò la schiena:
Ed affrettando per l'asciutto il piede,
Alla rócca ne va che quivi siede.
58 Né la più forte ancor, né la più bella
Mai vide occhio mortai prima né dopo.
Son di più prezzo le mura di quella,
Che se diamante fossino e piropo.
Di tai gemme quaggiù non si favella:
Ed a chi vuol notizia averne, é d'uopo
Che vada quivi; che non credo altrove,
Se non forse su in ciel, se ne ritrove.
59 Quel che più fa che lor s'inchina e cede
Ogni altra gemma, é che, mirando in esse,
L'uom sin in mezzo all'anima si vede,
Vede suoi vizj e sue virtudi espresse
Sì, che a lusinghe poi di sé non crede.
Né a chi dar biasmo a torto gli volesse :
Fassi, mirando allo specchio lucente
Sé stesse, conoscendosi, prudente.
60 II chiaro lume lor, ch'imita il Sole,
Manda splendore in tanta copia interne.
Che chi l'ha, ovunque sia, sempre che vuole,
Febo, malgrado tuo, si può far giorno.
Né mirabil vi son le pietre sole;
Ma la materia e l'artificio adorno
Contendon sì, che mal giudicar puossi
Qual delle due eccellenze maggior fossi.
140
ORLANDO FUEIOSO.
61 Sopra gli altissimi archi, che pnntelii
Parean che del ciel fossino a vederli,
Eran g^rdin si spaziosi e belli,
Che saria al piano anco fatica averli.
Verdeggiar gli odoriferi arbuscelli
Si pnon veder fra i laminosi merli ;
Ch'adorni son Testate e'I verno tatti
Di vaghi fiori e di matari fratti.
stanza I
62 Dì. cosi nobili àrbori non suole
Prodarsi. fttor di questi bei giardini;
Né di tai rose 0 di simili viole,
Di gigli, di amaranti e di gesmini.
Altrove appar come a an. medesmo Sole
£ nasca e viva, e morto il ci^o inchini,
E come lasci vedovo il suo stelo
Il fior saggetto al variar del cielo ;
63 Ma qaivi era perpetua la verdara,
Perpetua la beltà de* fiorì eterni.
Non che benignità della Natura
Si temperatamente li governi ;
Ma Logistilla con suo stadio e cara,
Senza bisogno de' moti sapemi
(Quel che agli altri impossibile parea),
Soa primavera ognor ferma tenea.
64 Logistilla mostrò molto aver grato
Ch' a lei venisse un si gentil signore ;
E comandò che fosse accarezzato,
E che studiasse ognun di fargli onore.
Gran pezzo innanzi Astolfo era arrivato.
Che visto da Ruggier fu di buon core.
Fra pochi giorni venn^ gli altri tatti,
Ch' air esser lor Melissa avea ridutti.
65 Poi che si fur posati un giorno e dui ,
Venne Ruggiero alla fata prudente
Col duca Astolfo, che, non men di lui,
Avea desir di riveder Ponente.
Melissa le parlò per amendni ;
E supplica la fata umilemente.
Che gli consigli, £Eivorìsca e aiuti
Si, che ritomin d'onde eran venuti.
66 Disse la fata : Io ci porrò il pensiero,
E fra dui di te li darò espediti.
Discorre poi tra sé come Ruggiero,
E, dopo lui, come quel duca aiti:
Conchiude infin, che'l volator destriero
Ritomi il primo agli aquitani liti;
Ma prima vuol che se gli faccia un morso
Con che lo volga e gli raffreni il corso.
67 Gli mostra com' egli abbia a far, se vuole
Che poggi in alto; e come a far che cali;
E come se vorrà che in giro vole,
0 vada ratto, o che si stia su l'ali :
E quali effetti il cavalier far suole
Di buon destriero in piana terra, tali
Facea Ruggier, che mastro ne divenne,
Per l'aria, del destrier eh' avea le penne.
68 Poi che Ruggier fu d'ogni cosa in punto,
Dalla fata gentil commiato prese,
Alla qual restò poi sempre congiunto
Dì grande amore: e usci di quel paese.
Prima di lui che se n' andò in buon ponto ,
E poi dirò come il guerriero inglese
Tornasse con più tempo e più fatica
Al magno Carlo ed alla corte amica.
63 Quindi parti Ruggier, ma non rivenne
Per quella via che fé' già suo mal grado,
AUor che sempre l'Ippogrifo il tenne
Sopra il mare , e terren vide di rado :
Ma potendogli or far batter le penne
Di qua di là, dove più gli era a grado.
Volse al ritomo far nuovo sentiero ,
Come, schivando Erode, i Magi fero.
70 AI yenìr quivi, era lasciando Spafi^aa,
Venuto India a trovar per dritti riga,
Là dove il mare orientai la bagna.
Dove una fata avea con P altra briga.
t Or veder si dispose altra campagna.
Che quella dove i venti Eolo instiga,
£ finir tatto il cominciato tondo,
Per avor come il Sol, girato il mondo.
71 Quinci il Cataio, e quindi Mangiana,
Sopra il gran Quinsai vide passando:
Volò sopra l' Imavo , e Sericana
Lasciò a man destra; e sempre declinando
Dagl'iperborei Sciti all' onda Ircana,
Giunse alle parti di Sarmazia : e quando
Fu dove Asia da Europa si divide,
Russi e Pruteni e la Pomeria vide.
Stanza d7.
72 Benché di Ruggier fosse Ogni desire
Di ritornare a Bradamant^ presto;
Por, gustato il piacer eh' avea di gire
Cercando il mondo, non restò per questo,
Ch'alli Polacchi, agli Ungari venire
Non volesse anco, alli Germani, e al resto
Di quella boreale orrida terra;
E venne alfin nell'ultima Inghilterra.
73 Non crediate, signor, che però stia
Per si lungo cammin sempre su l' ale :
Ogni sera all'albergo se ne già,
Schivando a suo poter d'alloggiar male.
E spese giorni e mesi in questa via;
Si di veder la terra e il mar gli cale.
Or presso a Londra giunto una mattina ,
Sopra Tamigi il volator declina.
142
GELANDO PUBIOSO.
74 Dove ne' prati alla città vicini
Vide adunati uomini d' arme e fanti ,
Ch'a 8uon di trombe e a suòn di tamburini
Venian, partiti a belle schiere, avanti
II buon Rinaldo, onor de' paladini;
Del qual, se vi ricorda, io dissi innanti,
Che , mandato da Carlo , era venuto
In queste parti a ricercare aiuto.
75 Giunse appunto Buggier, che si facea
La bella mostra ftior di quella terra :
E per sapere il tutto , ne chiedea
Un cavalier; ma scese prima in terra:
E quel, ch'affikbil era, gli dicea
Che di Scozia e d' Irlanda e d' Inghilterra
E dell'isole intorno eran le schiere
Che quivi alzate avean tante bandiere:
76 E finita la mostra che faceano ,
Alla marina si distenderanno ,
Dove aspettati per solcar l'Oceano
Sou dai navilj che nel porto stanno.
I Franceschi assediati si ricreano ,
Sperando in questi che a salvar li vanno.
Ma acciò tu te n' informi pienamente ,
10 ti distinguerò tutta la gente.
77 Tu vedi ben quella bandiera grande,
Ch'insieme pon la fiordaligi e i pardi:
Quella il gran capitano all' aria spande ,
E quella han da seguir gli altri stendardi.
II suo nome , famoso in queste bande ,
É Leonetto , il fior delli gagliardi ,
Di consiglio e d'ardire in guerra mastro,
Del re nipote , e duca di Lincastro.
78 La prima , appresso il gonfalon reale ,
Che'l vento tremolar fa verso il monte,
E tien nel campo verde tre bianche ale ,
Porta Ricardo , di Varvecia conte.
Del duca di Glocestra è quel segnale
Ch'ha duo coma di cervio e mezza fronte.
Del duca di Chiarenza è quella face :
Quell'arbore è del duca d' Eborace.
79 Vedi in tre pezzi una spezzata lancia:
Gli è '1 gonfelon del duca di Nortfozia.
La fnlgure è del buon conte di Cancia.
11 grifone è del conte di Pembrozia-
Il duca di Snfolcia ha la bilancia.
Vedi quel giogo che due serpi assozia:
É del conte d' Essenia ; e la ghirlanda
In campo azzurro ha quel di Norbelanda.
80 II conte d' Arinddia è quel e' ha messo
In mar quella barchetta che s'affonda.
Vedi il marchese di Barclei; e appr^nso
Di Mardiia il conte, e il conte di Bitmonda:
11 primo porta in bianco un monte fesso ,
L'altro k palma, il terzo un pin nell'onda.
Quel di Dorsezia è conte, e quel d^ Antona,
Che Puno ha il canso, e l'altro la coronai
81 II falcon che sul nido i vanni infatua»
Porta Raimondo, il conte di Devonia.
Il giallo e negro ha quel di Vigorùia;
n can quel d'Erbia: un orso quel d'Ondala
La croce che là vedi cristallina,
É del ricco prelato di Battonia.
Vedi nel bigio una spezzata sedia?
É del duca Ariman di Sormosedia.
82 Gli uomini d' arme e gli arcieri a oamSo
Di quarantadue mila numer fanno.
Sono duo tanti , o di cento non fallo «
Quelli eh' a pie nella battaglia vanno.
Mira quei segni, un bigio , un verde , nn gìlllo
E di nero e d*azzur listato un panno:
Goffredo , Enrico , Ermante ed Odoardo
Guidan pedoni, ognun col suo stendardo»
8B Duca di Bocchingamia è quel dinante :
Enrico ha la contea di Sarisberia.
Signoreggia Bnrgenia il vecchio Ermante:
Quello Odoardo è conte di Croisberia.
Questi alloggiati più verso levante ,
Sono gl'Inglesi. Or volgiti all'Esperia,
Dove si veggion trenta mila Scotti ,
Da Zerbin , figlio del lor re , condotti.
84 Vedi tra duo unicormi il gran leone ,
Che la spada d' argento ha nella zampa :
Quel!' è del re di Scozia il gonfalone;
Il suo figliuol Zerbino ivi s^ accampa.
Non è un si bello in tante ajtre persone ;
Natura il fece , e poi ruppe la stampa.
Non è in cui tal virtù, tal grazia luca,
0 tal possanza: ed è di Roscia duca.
85 Porta in azzurro una dorata sbarra
Il conte d' Ottonici nello stendardo.
L* altra bandiera è del duca di Marra,
Che nel travaglio porta il leopardo.
Di più colori e di più augei bizzarra
Mira l'insegna d'Alcabrun gagliardo.
Che non è duca , conte , né marchese .
Ma primo nel salvatico paese.
Stanza 75*
B6 Del duca di Trasfordia è qaella insegna,
Dove è Taugel ch*al Sol tien gli occhi franchi.
Lurcanio conte, chMn Angoscia regna,
Porta quel tauro e' ha duo veltri ai fianchi.
Vedi là il dnca d^Alhania, che segna
Il campo di colori azzurri e Manchi.
Qnell* avoltor eh* un drago verde lania
È r insegna del conte di Boccania.
87 Signoreggia Forbesse il forte Armano,
Che di bianco e di nero ha la bandiera:
Ed ha il conte d' Erelia a destra mano ,
Che porta in campo verde una lumiera.
Or guarda gV Ibernesi appresso il piano :
Sono duo squadre; e il conte di Childera
Mena la prima, e il conte di Desmonda
Da fieri monti ha tratta la seconda.
144
GELANDO FUfilOSO.
88 Nello stendardo il primo ha un pino ardente;
L'altro nel bianco una vermiglia banda.
Non dà soccorso a Carlo solamente
La terra inglese y e la Scozia e V Irlanda ;
Ma vien di Svezia e di Norvegia gente ,
Da Tile, e fin dalla remota Islanda;
Da ogni terra, in somma, che là giace,
Nimica naturalmente di pace.
89 Sedici mila sono , o poco maiioo ,
Delle spelonche usciti e delle selve:
Hanno piloso il viso , il petto , il fianco ,
E dossi e braccia e gambe , come belve.
Intorno allo stendardo tutto bianco
Par che quel pian di lor lande s'inaelve:
Così Moratto il porta, il capo loro,
Per dipingerlo poi di sangue moro.
8taiiBad5.
90 Mentre Ruggier di quella gente bella ,
Che per soccorrer Francia si prepara,
Mira le varie insegne, e uè favèlla,
£ dei signor britanni i nomi impara;
Uno ed un altro a lui , per mirar quella
Bestia sopra cui siede , unica o rara ,
Maraviglioso corre e stupefatto;
E tosto il cerchio intorno gli fa taUo.
91 Sì che per dare ancor più maraviglia ,
£ per pigliarne il buon Ruggier più gioco ,
Al volante corsier scuote la briglia ,
E con gli sproni ai fianchi il tocca un poco.
Quel verso il ciel per V aria il cammin piglia,
E lascia ognuno attonito in quel loco.
Quindi Ruggier , poiché di iMsda in banda
Viée gl'Inglesi, andò verso T Irlanda.
99 £ vide Ibernia fabulosa , dove
n santo Tecchiarel fece la cava,
In che tanta mercè par che si trove,
Che Tuom vi porga ogni sua colpa prava.
Quindi poi sopra il mare il destrier move
Là dove la minor Bretagna lava ;
£ nel passar vide, mirando abbasso,
Angelica legata al nado sasso;
93 Al nado «asso , ali* isola del pianto :
Cbè l'isola del pianto era nomata
Quella che da crudele e fiera tanto
Ed inumana gente era abitata ,
Che (come io vi dicea sopra nel Canto)
Per varj liti sparsa iva in armata
Tutte le belle donne depredando ,
Per fame a un mostro poi cibo nefando.
stanza 100.
94 Vi fn Iellata pur quella mattina ,
Dove venia |»er trangugiarla viva
Quel smisurato mostro, orca marina,
Che di abborrevol esca si nutriva.
Dissi di sopra, come fu rapina
Di quei che la trovare in su la riva
Dormire al vecchio incantatore accanto,
Oh' ivi r avea tirata per incanto.
95 La fiera gente inospitale e cruda
Alla bestia crudel nel lito espose
La bellissima donna cosi ignuda,
Come Natura prima la compose.
Un velo non ha pure, in che rinchiuda
I bianchi gigli e le vermiglie rose ,
Da non cader per luglio o per dicembre .
Di che son sparse le polite roembre.
96 Creduto ayria che fosse statua fiuta
0 d^ alabastro o d'altri marmi illustri
Ruggiero, e su lo scoglio così avvinta
Per artificio di scultori industri ;
Se non vedea la lacrima distinta
Tra fresche rose e candidi ligustri
Far rugiadose le crudette pome ,
E l'aura sventolar l'aurate chiome.
97 E come ne' begli occhi gli occhi affisse ,
Della sua Era damante gli sovvenne.
Pietade e amore a un tempo lo trafisse,
E di piangere appena si ritenne;
E dolcemente alla donzella disse ,
Poi che del suo destrier frenò le penne:
0 donna, degna sol della catena
Con che i suoi servi Amor legati mena,
98 E ben di questo e d'ogni male indegna,
Chi è quel crudel che con voler perverso
D'importuno livor stringendo segna
Di queste belle man l'avorio terso?
Forza è eh' a quel parlare ella divegna
Quale è di grana un bianco avorio asperso ,
Di sé vedendo quelle parti ignudo,
Ch' ancorché belle sian, vergogna chiude.
99 E coperto con man s' avrebbe il volto ,
Se non eran legate al duro sasso ;
Ma del pianto , eh' almen non l' era tolto ,
Lo sparse, e si sforzò di tener basso.
E dopo alcun' singhiozzi il parlar sciolto,
Licominciò con fioco suono e lassò:
Ma non seguì; che dentro il fé' restare
Il gran rumor che si senti nel mare.
100 Ecco apparir lo smisurato mostro
Mezzo ascoso nell' onda , e mezzo sorto.
Come sospinto suol da Borea o d'Ostro
Venir lungo navilio a pigliar porto ,
Cosi ne viene al cibo che l'è mostro
La bestia orrenda; e l'intervallo é corto.
La donna è mezza morta di paura ,
Né per conforto altrui si rassicura.
101 Tenea Ruggier la lancia non in resta ,
Ma sopra mano; e percoteva l'orca.
Altro non so che s' assomigli a questa ,
Ch'una gran massa che s'aggiri e torca:
Né forma ha d'animai, se non la testa,
C ha gli occhi e i denti fuor come di porca.
Ruggier in fronte la feria tra gli occhi ;
Ma par che un ferro o un duro sasso tocchi.
102 Poiché la prima betta poco vale.
Ritoma per far meglio la seconda.
L'orca, che vede sotto le grandi ale
L' ombra di qua e di là correr su l' onda ,
Lascia la preda certa litorale,
E quella vana segue furibonda;
Dietro quella si volve e si raggira.
Ruggier giù cala , e spessi colpi tira-
103 Come d' alto venendo aquila suole ,
Ch' errar fra l' erbe visto abbia la biada ,
0 che stia sopra un nudo sasso al Sole,
Dove le spoglie d'oro abbella e liscia;
Non assalir da quel lato la vuqle,
Onde la velenosa ^ soffia e strìscia ;
Ma da tergo l' adugna , e batte i vanni ,
Acciò non se le volga e non l'azzanni:
104 Così Ruggier con l' asta e con la spada
Non dove era de' denti armato il muso,
Ma vuol che il colpo tra l'orecchie cada,
Or su le schiene, or nella coda giuso.
Se la fera si volta , ei muta strada
Ed a tempo giù cala, e p<^ia in suso
Ma , come sempre giunga in un diaspro ,
Non può tagliar lo scoglio duro ed aspro.
105 Simil battaglia fa la mosca audace
Contro il mastin nel polveroso agosto ,
0 nel mese dinanzi o nel seguace.
L'uno di spiche e l'altro pien di mosto:
Negli occhi fi punge e nel grifo mordace ;
Volagli intomo, e gli sta sempre accosto,
E quel suonar fa spesso il dente asciutto;
Ma un tratto che gli arrivi, appaga il tutto.
106 Si forte ella nel mar batte la coda ,
Che fa vicino al del l' acqua innalzare ;
Talché non sa se l' ale in aria snoda ,
Oppnr se '1 suo destrier nuota nel mare.
Gli é spesso che disia trovarsi a proda;
Che se lo sprazzo in tal modo ha a durare,
Teme sì l'ale innaffi all' Ippogrifo ,
Che brami invano avere o zucca o schifo.
107 Prese nuovo consiglio , e fu il migliore ,
Di vincer con altre arme il mostro crado.
Abbarbagliar lo vuol con lo splendore
Ch'era incantato nel coperto scudo.
Vola nel lito; e per non fare errore,
Alla donna legata al sasso nudo
Lascia nel minor dito della mano
L' anel , che potea far V incanto vano :
103 Dico Panel che Bradamante avea,
Per liberar Ruggier tolto a Brunello ;
Poi per trarlo di man d'Alcina rea,
Mandato in India per Melissa a qnello.
Melissa, come dianzi io vi dicea,
In ben di molti adoperò V anello ;
Indi r a ea a Euggier restituito ,
Da qual poi sempre fu portato in dito.
109 Lo dà ad Angelica ora, perchè teme
Che del suo scudo il fulgurar non viete ,
E perchè a lei ne sien difesi insieme
Gli occhi che già Tavean preso alla rete.
Or viene al lito e sotto il ventre preme
Ben mezzo il mar la smisurata Cete.
Sta Ruggiero alla posta, e leva il velo ;
£ par eh* aggiunga un altro Sole al cielo.
110 Ferì negli occhi l'incantato lume
Di quella fera, e fece al modo usato.
Quale 0 trota o scaglion va giù pel fiume
C* ha con calcina il montanar turbato ;
Tal si vedea nelle marine schiume
Il mostro orribilmente riversato.
Di qua di là Ruggier percuote assai ;
Ma di ferirlo via non trova mai.
Ili La bella donna tuttavolta prega
Ch' invan la dura squama oltre non pesti
Toma, per Dio, signor; prima mi slega,
Dicea piangendo , che V orca si desti :
Portami teco , e in mezzo il mar mi annega ;
Non far eh* in ventre al bruto pesce io resti.
Ruggier, commosso dunque al giusto grido,
Slegò la donna, e la levò dal lido.
112 II destrier punto, ponta i pie all'arena,
E sbalza in aria, e per lo ciel galoppa;
E porta il cavaliere in su la schiena,
E la donzella dietro in su la groppa.
Cosi privò la fera della cena
Per lei soave e delicata troppa.
Ruggier si va volgendo , e mille baci
Figge nel petto e negli occhi vivaci.
113 Non più tenne la via, come propose
Prima , di circondar tutta la Spagna ,
Ma nel propinquo lito il destrier pose ,
Dove entra in mar più la minor Bretagna.
Sul lito un bosco era di querce ombrose,
Dove ognor par che Filomena piagna ;
Ch'in mezzo avea un pratel con una fonte,
E quinci e quindi un solitario monte.
Stanza 111.
114 Quivi il bramoso cavalier ritenne
L'audace corso, e nel pratel discese;
E fé' raccorre al suo destrier le penne ,
Ma non a tal che più le avea distese.
Del destrier sceso , appena si ritenne
Di salir altri; ma tennel l'arnese:
L'arnese 11 tenne, che bisognò trarre;
E contra il suo disir messe le sbarre.
115 Frettoloso , or da questo or da quel canto
Confusamente l'arme si levava.
Non gli parve altra volta mai star tanto;
Che s'un laccio sciogliea, dui n'annodava.
Ma troppo è lungo ormai, signor, il Canto;
E forse eh' anco l'ascoltar vi grava:
Si ch'io differirò l'istoria mia
In altro tempo , che più grata sia.
NOTE.
St. 3. V. 2-3. — Intende della famosa Elena ohe diede
occasione alla guerra di Troia.
St. 11. V. 4. — Buccia qui vale calice della rosa non
per anche aperta.
St. 20. y. 5-6. — Alcione è uccello acquatico il cui
nome è preso da quello della moglie di Geice, re di Tra-
cia, che i poeti favoleggiarono tramutata insieme col
marito in tal volatile, dopo essersi gettata in mare pel
dolore di esserle morto il consorte in un viaggio ma-
rittimo.
St. 34. Y. 5-6. — Ecuba, vedova dì Priamo e schiava
di Ulisse, perseguitata dai Traci per aver tratti gli oc-
chi a Polinestore, uccisore deirultimo figlio rimastole,
venne in tanta ira , clie fu convertita , secondo i mito-
logi, in cagna rabbiosa.
St. 51. y. 5. — Non s' intenda qui per artiglieria la
moderna, che non era conosciuta ai tempi di cui parla
il Poeta; ma in generale le macchine di guerra da lan-
ciare proiettili.
St. 52. y. 2-5. — I nomi delle fate accennano alle loro
qualità morali. Quello di Alcina , se il Poeta non ha
voluto grecizzare anche in esso, può esser tratto da Aloe,
che in Aulo Gellio leggesi essere stata una meretrice. Lo-
giatillaf vale ragionevole. Andronica, donna di animo
virile, Fronesia, saggia, come nel testo. DiciUa, giusta.
Sofrosina, temperata o modesta.
St. 56. y. 4-8. — dolo è una delle tre Parche favo-
leggiate dai Poeti Didone, notissima regina di Carta-
gine, che si uccise per disperato amore di Enea. La re-
gina del Nilo è Cleopatra, che si tolse la vita con un
aspide , per non essere tratta dietro al trionfatore ro-
mano.
St. 66. y. 6. — Oli aquitatU UH, sono le Provincie
francesi Guienna e Guascogna, altre volte Aquitania,
St. 70. y 6. — Quella campagna è il mare, dove i
venti sono più liberi e più violenti.
St. 71. y. 1-8. — Quinsai, città della Cina, detta Chan-
say da Marco Polo , che la situa fra il Cataio e Man-
giana o Mangin, ed ò la odierna Nankin. Imavo, monte
altissimo della Scizia o Tartaria. Onda ircana, il mar
Caspio. SarmoMia, vasto paese settentrionale , parte in
Asia , parte in Europa. Pruteni , Prussiani. Fumeria ,
Pomerania, provincia di Germania nell'alta Sassonia.
St. 72. y. 8 — Ultima Inghilterra. Cosi chiamavano
i Romani la Gran Bretagna, per la sua giacitura verso
Testremità dell'Europa.
ST. 77. y. 2. — ia fiordaligi, 6 il nome del flore che
noi chiamiamo giglio, detto dai Francesi fleur-de-lis.
Ivr. y. 8. — LincastrOf ò Laucaster, una delle contee
dell'Inghilterra.
St. 78. V. 4-8. — Varvecia, Warwick; Oloceatra, Glou-
cester; Chiarenta, Clarence, titolo di ducato; Eborace,
York: tutte contee dlnghilterra, del pari ohe le nomi-
nate nelle Stanze seguenti.
St. 79. y. 1-8. — Nortfotia , Norfolk; Cancia, Kent;
Pembrozia, Pembroke, nel principato di Galles. Sufol-
da , Suffolk; Essenia , Essex; Norbelanda , Northum-
berland.
St. 80. y. 1-8. ~ Ar indelia, Arnndel nella contea di
Sussf X ; Barclfi, Bertkley, paese che dà ora il nome »i
uno dei canali componenti il sistema idiaalieo dì L<a-
dra ; Moì'ehia, March, una fra le contee ceDtralt di Sco-
zia ; Bitmojida , Richmond , castello neir Inglifltezn;
DoreeHa, Dorset ; Antona, Southampton.
St. 81. y. 2-8. — Devonia , Devan, da cai prende fl
nome la contea di Devonshir; Vigorina , Winchester;
Erbia, Derby; Oasonia, Oxford; Battow'a, Batli nella
contea di Summerset, detta qui Sormosedia»
St. 82. y. 3. — Dìm tanti, due volte tanti, dne yotte piò.
St. 83. y. 1-6. — Bocchingamia , Buokingam; Sari-
sberia, Salisbury; Bor^enta, Abergavenny; Croisberia,
Shrewsbury; Esperia, antico nome della Scozia.
St. 84. y. 8. — Bosda , Ross , una delle contee set-
tentrionali di Scozia.
St. 85. y. 2-4. — Ottonici, Athol; Marra, Mar. U
voce travaglio, nel quarto verso , è voce di mmscalda,
derivata dal latino barbaro travallus ; e denota nn or-
digno ove si costringono le bestie fastidiose e intratta-
bili per medicarle o ferrarle.
St. 86. y. 1-8. — Trasfordia, Stafford ; Angoscia, An-
gus; Albania, o Braid Albain, è il nome comoneaente
dato a un piccolo paese della contea di Perth, e ba ti-
tolo di ducato. Boccania , contea di Scozia , ivi detta
Bnchan.
St. 87. y. 1-7. — Forbease, Forse deve qui intendeni
Ferdon , detto dai Latini Fordunum , o Forres , borgo
nella Scozia , cosi denominato anche oggi — ErtHa,
Errol; Childera, Kildare, contea nella provincia di Leis-
ster; Deinnonda , Desmond , contrada dipendente dalla
contea di Cork, nella provincia di Mnnster.
St. 88. y. 2-6. — Banda, osala fascia. — Tile (o Tuie)
la più remota delle isole settentrionali d' Eoropa , eàe
fosse conosciuta dai Romani. I Geografi non sono eoo-
cordi nel determinarla ; alcuni (non V Ariosto) V hanno
creduta llslanda, altri la Scandinavia, tenuta antica-
mente per isola; il Cellario la crede la Scbetlandia, o
alcuna delle isole del Fero o del Faro, dette dal Balbi
Fceroe, situate quasi nella •medesima latitudine
St. 92. y. 1-4. ~ Dice fabulosa V Irlanda, per le fkvok
che ne correvano, fra le quali la relativa al pozso ^
vuoisi fatto da San Patrizio. In quello solevano entrare
i peccatori, con la speranza di uscirne puigati di colpa
e usciti raccontavano le cose strane che loro pareva avers
colà dentro vedute o sentite.
St. 98. v. 5-6. — Diconsi grana i corpi di oerti ia-
setti simili alle bacche dell* edera , coi quali si tingono
i panni in rosso e violetto. 11 senso quindi dei dne veni
predetti è che Angelica, bianchissima di carnagione, ar-
rossa alle parole di Ruggiero.
St. 101. y. 2. — Sopra mano , oioò con mano alzata
sopra la spalla.
St. 104. v. & — Per to scogUo intendasi fl dorioifflo
osso del mostro.
St. 113. y. 4-6. — A ponente maestro, cioè snl lido che
guarda risola di Ouessant.
St. 113. V. 6. — Filomena, il rosignolo, nel qnale,
secondo la favola fu cangiata Filomena , figlia di Pan-
dione re d'Atene.
^ r \^^^
SUiiia4&
CANTO DECIMOPRIMO.
AROOMBNTO.
Angelica s'invola a Ruggiero mediante Tanello incantato, e si ricovera neU* abitazione di un pastore. Ruggiero,
nell'andarla cercando, vede un gigante rapire una donna , che sembragli firadamante. Olimpia abbandonata
da Bireno, e presa dai corsari, viene esposta in Ebada al mostro marino, da cui Orlando la libera. Sopraggiunge
il re d'Irlanda Oberto, che, invaghito di Olimpia, la fa sua moglie, dopo aver tolto a Bireno gli stati e la vita.
Quantunque debil freno a mezzo il corso
Animoso destrìer spesso raccolga,
Raro è però che di ragione il morso
Libidinosa furia addietro volga»
Quando il piacer ha in pronto; a guisa d'orso,
Che dal mei non ri tosto si distolga,
Poi che gli n'è venuto odore al naso,
0 qualche stilla ne gustò sul vaso.
Qual ragion fia che '1 buon Buggier raffrene,
Si che non voglia ora pigliar diletto
D* Angelica gentil , che nuda tiene
Nel solitario e comodo boschetto?
Di Bradamante più non gli sovviene ,
Che tanto aver solea fissa nel petto:
E se gli ne sovvien pur come prima ,
Pazzo è se questa ancor non prezza e stima;
3 Con la qual non saria stato quel crudo
Zenocrate di lui più continente.
Gittato avea Ruggier l'asta e lo scudo,
E si trìBiea T altre arme impaziente;
Quando abbassando pel bel corpo ignudo
La donna gli occhi vergognosamente,
Si vide in dito il prezioso anello
Che già le tolse ad Albracca Brunello.
4 Questo è Panel ch'ella portò già in Francia
La prima volta che fé' quel cammino
Col f ratei suo, che v'arrecò la lancia,
La qual fu poi d'Astolfo paladino.
Con questo fé' gì' incanti uscire in ciancia
Di Malagìgi al petron di Merlino;
Con questo Orlando ed altri una mattina
Tolse di servitù di Dragontina;
5 Con questo usci invisibil dalla torre ,
Dove Pavea richiusa un veccliio rio.
A che Togrio tutte sue prove accórre,
Se le sapete voi cosi com'io?
Brunel sin nel giron lei venne a tórre;
Ch* Agramante d* averlo ebbe disio.
Da indi in qua sempre fortuna a sdegno
Ebbe costei, finché le tolse il regno.
6 Or che sei vede , come ho detto , in mano ,
Si di stupore e d'allegrezza è piena,
Che, quasi dubbia di sognarsi invano,
Agli occhi, alla man sua dà fede appena.
Del dito se lo leva, e a mano a mano
Se '1 chiude in bocca; e in men che non balena.
Così dagli occhi di Ruggier si ce^a.
Come fa il Sol quando la nube il vela.
7 Ruggier pur d' ogn' intomo riguardava ,
E s'aggirava a cerco come un matto;
Ma poi che dell' anel si ricordava.
Scornato vi rimase e stupefatto ;
E la sua inavvertenza bestemmiava,
E la donna accusava di quell'atto
Ingrato e discortese, che renduto
In ricompensa gli era del suo aiuto.
11 E circa il vespro, poi che rinfrescossi,
E le fu avviso esser posata assai.
In certi drappi rozzi awiluppossi,
Dissimil troppo ai portamenti gai»
Che verdi, gialli, persi, azzurri e rossi
Ebbe, e di quante fogge furon mai.
Non le può tor però tanto umil gonna
Che bella non rassembrì e nobii donna.
12 Taccia chi loda Fillide, o Neera,
0 AmariUi, o (}alatea fugace;
Che d'esse alcuna si bella non era,
Titiro e Melibeo, con vostra pace.
La bella donna trae fuor delk schiera
Delle giumente una che più le piace.
Allora allora se le fece innante
Un pensier di tornarsene in Levante.
13 Ruggiero intanto, poi ch'ebbe gran
Indarno atteso s'ella si scopriva,
E che s' avvide del suo error da sezzo ,
Che non era vicina e non l'udiva;
Dove lasciato avea il cavallo , avvezzo
In cielo e in terra , a rimontar veniva :
E ritrovò che s' avea tratto il morso ,
E salia in aria a più libero corso.
8 Ingrata damigella, è questo quello
Guiderdone, dicea, che tu mi rendi.
Che piuttosto involar vegli l'anello,
Ch'averlo in don? Perchè da me noi prendi?
Non pur quel, ma lo scudo e il destrier snello
E me ti dono ; e come vuoi mi spendi ;
Sol che'l bel viso tuo non mi nascondi.
Io so , crudel , che m' odi , e non rispondi.
9 Cosi dicendo , intomo alla fontana
Brancolando n'andava, come cieco.
Oh quante volte abbracciò l' aria vana ,
Sperando la donzella abbracciar seco !
Quella, che s'era già fatta lontana,
Mai non cessò d'andar, che giunse a un speco
Che sotto un monte era capace e grande,
Dove al bisogno suo trovò vivande.
10 Quivi un vecchio pastor, che di cavalle
Un grande armento avea, facea soggiorno.
Le giumente pascean giù per la valle
Le tenere erbe ai freschi rivi intorno.
Di qua di là dall'antro erano stalle,
Dove fuggiano il Sol del mezzo giorno.
Angelica quel di lunga dimora
Là dentro fece, e non fu vista ancora.
14 Fu grave e male aggiunta all'altro danno
Vedersi anco restar senza l'augello.
Questo , non men che '1 femminile inganno ,
Gli preme al cor: ma più che questo e quello
Gli preme e fa sentir noioso affanno
L'aver perduto il prezioso anello;
Per le virtù non tanto eh' in lui sono ,
Quanto che fu della sua donna dono.
15 Oltremodo dolente si ripose
Indosso l'arme, e lo scudo alle spalle;
Dal mar slungossi , e per le piaggie erbose
Prese il cammin verso una larga valle ,
Dove per mezzo all'alte selve ombrose
Vide il più largo e '1 più segnato calle.
Non molto va, eh' a destra, ove più folta
É queUa selva, un gran strepito ascolta.
16 Strepito ascolta e spaventevol suono
D'arme percosse insieme; onde s'affretta
Tra pianta e pianta, e trova dui che sono
A gran battaglia in poca piazza e stretta.
Non s' hanno alcun riguardo né perdono,
Per far, non so di che, dura vendetta.
L'uno è gigante, alla sembianza fiero;
Ardito l'altro e franco cavaliere.
17 E questo con lo scado e con la spada,
Di qua dì là saltando, si difende,
Perchè la mazza sopra non gli cada,
Con che il gigante a dae man sempre offende.
Giace morto il cavallo in sa la strada.
Roggìer si ferma, e alla battaglia attende;
E tosto inchina l' animo , e disia
Che vincitore il cavalier ne sia.
Stanza I&
0 E se r arreca in spalla, e via la porta
Come lupo talor piccolo agnello ,
0 l'aquila portar nelPugna torta
Suole 0 colombo o simile altro augello.
Vede Ruggier quanto il suo aiuto importa,
E vien correndo a più poter; ma quello
Con tanta fretta i lunghi passi mena ,
Che con gli occhi Ruggier lo segue appena.
21 Cosi correndo Tono e seguitando
L' altro , per un sentiero ombroso e fosco ,
Che sempre si venia più dilatando ,
In un gran prato uscir fuor di quel bosco.
Non più di questo ; eh' io ritorno a Orlando ,
Che '1 fulgur che portò già il re Cimosco ,
Avea gittato in itar nel maggior fondo,
Acciò mai più non si trovasse al mondo.
22 Ma poco ci giovò ; che 1 nimico empio
Deir umana natura , il qual del telo
Fu rinventor, ch'ebbe da quel F esempio,
Ch'apre le nubi e in terra vien dal cielo;
Con quasi non minor di quello scempio
Che ci die quando Eva ingannò col melo.
Lo fece ritrovar da un necromante
Al tempo de' nostri avi, o poco innante.
23 La macchina infemal , di più di cento
Passi d' acqua ove stè ascosa moli* anni ,
Al sommo tratta per incantamento ,
Piima portata fu tra gli Alamanni ;
Li quali uno ed un altro esperimento
Facendone, e il demonio a' nostri danni
Assottigliando lor via più la mente,
Ne ritrovare l'uso finalmente.
18 Non che per questo gli dia alcuno aiuto;
Ma si tira da parte , e sta a vedere.
Ecco col baston grave il più membruto
Sopra l'elmo a due man del minor fere.
Della percossa è il cavalier caduto :
L' altro che '1 vide attonito giacere ,
Per dargli morte l'elmo gli dislaccia;
E fa sì che Ruggier lo vede in faccia.
19 Vede Ruggier della sua dolce e bella
E carissima donna Bradamante
Scoperto il viso , e lei vede esser quella
A cui dar morte vuol l'empio gigante;
Si che a battaglia subito l'appella,
E con la spada nuda si fa innante;
Ma quel , che nuova pugna non attende ,
La donna tramortita in braccio prende :
24 Italia e Francia , e tutte l' altre bande
Del mondo han poi la crudele arte appresa.
Alcuno il bronzo in cave forme spande ,
Che liquefatto ha la fornace accesa;
Bugia altri il ferro; e chi picciol, chi grande
Il vaso forma, che più e meno pesa;
E qual bombarda, e qual nomina scoppio,
Qual semplice cannon, qual cannon doppio:
25 Qual sagra , qual falcon , qual colubrina
Sento nom tr , come al suo autor più aggrada
Che'l ferro spezza, e i marmi apre e ruina,
E ovunque passa si fa dar la strada.
Rendi, miser soldato, alla fucina
Pur tutte r arme e' hai , fino alla spada ;
E in spaPa un scoppio o un archibugio prendi;
Cile senza , io so , non toglierai stipendi.
Stanza 28.
26 Come trovasti , o scellerata e bratta
Invenzion, mai loco in aman core?
Per te la militar gloria è distratta ;
Per te il mestier dell'arme è senza onore;
Per te è il valore e la virtù ridatta,
Che spesso par del bnono il rio migliore :
Non più la gagliardia , non più V ardire
Per te pad in campo al paragon venire.
27 Per te wm giti ed andenn aotterra
Tanti signori e cavalieri tanti ,
Prima che sia finita questa gaerra,
Chel mondo, ma più Italia, ha messo in pianti;
Che s'io v'ho detto, il detto mio non erra,
Che ben fa il più cradele, e il più di qnaDti
Mai foro al mondo ingegni empi e maligni.
Ch'immaginò si abbominosi ordignL
28 E crederò che Dio, perchè vendetta
Ne sia in etemo , nel profondo chiuda
Del cieco abisso qnella maledetta
Anima, appresso al maledetto Giada.
Ma segaitiamo il cavalier ch'in fretta
Brama trovarsi all'isola d' Ebada,
Dove le belle donne e delicate
Son per vivanda a un marìn mostro date.
29 Ma quanto avea più fretta il paladino,
Tanto parca che men l' avesse il vento.
Spiri dal lato destro o dal mancino ,
0 neUa poppa , sempre è cosi lento ,
Che si può far con lui poco cammino ;
E rìmanea talvolta in tutto spento:
Soffia talor si avverso , che gli è forza
0 di tornare , o d' ir girando all' orza.
30 Fu volontà di Dio, che non venisse
Prima che '1 re d' Ibemia in quella parte,
Acciò con più facilità seguisse
Quel ch'udir vi farò fra poche carte.
Sopra Pisola sorti, Orlando disse
Al suo nocchiero : or qui potrai fermarte ,
E '1 battei darmi ; che portar mi voglio
Senz' altra compagnia sopra lo scoglio.
31 E voglio la maggior gomena meco ,
E l'ancora maggior ch'abbi sul legno:
Io ti farò veder perchè l' arreco ,
Se con quel mostro ad affrontar mi vegno.
Gittar fé' in mare il palischermo seco ,
Con tutto quel ch'era atto al suo disegno.
Tutte l'arme lasciò, fuorché la spada;
E ver lo scoglio , sol , prese la strada.
32 Si tira i remi al petto, e tien le spalle
Volte alla parte ove discender vnole:
A guisa che del mare o della valle
Uscendo al lito il salso granchio suole.
Era nell' ora che le chiome gialle
La bella Aurora avea spiegate al Sole ,
Mezzo scoperto ancora e mezzo ascoso ,
Non senza sdegno di Titon geloso.
88 Fattori appresso al nudo seog^o , qiianto
Potria gagliarda man gittare nn sasso ,
Gli pare udire e non udire nn pianto ;
£tt all' oreeohio gli vien debole e lasso.
Tatto si volta sul sinistro canto;
E posto gli occhi appresso all'onde al basso.
Vede nna donna , nuda come nacque ,
Legata a un tronco; e i piò le bagnan Tacque.
84 Perchè gli è ancor lontana,' e perchè china
La faccia tien, non ben chi sia disceme.
Tira in fretta ambi i remi , e s' aTricina
Con gran disio di più notizie averne.
Ma mugghiar sente in questo la marina ,
E rimbombar le selve e le caverne:
Goniiansi V onde ; ed ecco il mostro appare ,
Che sotto il petto ha quasi ascoso il mare.
85 Come d* oscura valle umida ascende
Nube di pioggia e di tempesta pregna ,
y Che più che cieca notte si distende
Per tutto '1 moulo, e par cheU giorno spegna;
Così nuota la fera, e del mar prende
Tanto, che si può dir che tutto il tegna:
Fremono Fonde. Orlando, in sé raccolto,
La mira altier, nò cangia cor né volto.
36 E come quel ch'avea il pensier ben fermo
Di quanto volea far, si mosse ratto;
£ perchè alla donzella essere schermo,
E la fera assalir potesse a un tratto,
Entrò fra Torca e lei col palischermo,
Nel fodero lasciando il brando piatto :
L'Ancora con la gomona in man prese;
Poi con gran cor 1* orrlbil mostro attese.
87 Tosto che Torca s'accostò, e scoperse
Nel schifo Orlando con poca intervallo,
Per inghiottirlo tanta bocca aperse.
Ch'entrato un uomo vi saria a cavallo.
Si spinse Orlando innanzi , e se gì' immerse
Con queir àncora in gola, e, s'io non fallo,
Col battello anco; e l' àncora attaccolle
E nel palato e nella lingua molle :
88 Si che nò più si puon calar di sopra.
Nò alzar di sotto le mascelle orrende.
Cosi dii nelle mine il ferro adopra.
La terra , ovunque si fa via , suspende ,
Che subita mina non lo cuopra,
Mentre mal cauto al suo lavoro intende.
Da un amo all' altro l' àncora è tanto alta ,
Che non v' arriva Orlando , se non salta.
Aaiosio.
89 Messo il puntello, e fattosi sicuro
Che'l mostro j^ serrar non può la bocca;
Stringe la spada, e per quell'antro oscuro
Di qua e di là oon tagli e punte tocca.
Come si può , poi che son dentro al muro
Giunti i nemici, ben difender rócca;
Cosi difender l'orca si potea
Dal paladin che nella gola avea.
40 Dal dolor vinta, or sopra il mar si' lancia,
E mostra i fianchi e le scagliose schiene;
Or dentro vi s'attnffa, e con la pancia
Muove dal fondo e fa ealir l'arene.
Sentendo l'acqua il cavalier di Francia,
Che troppo abbonda , a nuoto fuor ne viene :
Lascia l'ancora fitta, e in mano prende
La fune che dall'ancora depende.
41 E con quella ne vien nuotando in fretta
Verso lo scoglio ; ove fermato il piede ,
Tira l' àncora a sé , che 'n bocca stretta
Con le due punte il brutto mostro fiede.
L' orca a seguire il canape è costretta
Da quella forza ch'ogni forza eccede;
Da quella forza che più in una scossa
Tira , eh' in dieci un argano far possa.
42 Come toro salvatico clv'al corno
Gittar si senta un improvviso laccio,
Salta di qua di là, 's'agirà intorno,
Si.colca e lieva, e non può uscir d^ impaccio;
Cosi fuor del suo antico almo soggiorno
L'orca tratta per forza di quel braccio,
Con mille guizzi e mille strane ruote
Segue la fune , e scior non se ne puote.
48 Di bocca il sangue in tanta òopia fonde.
Che questo oggi il Mar Rosso si può dire.
Dove in tal guisa ella percuote Tonde,
Ch'insino al fondo le vedreste aprire:
Ed or ne bagna il cielo, e il lume asconde
Del chiaro Sol; tanto le fo salire.
Rimbombano al rumor, ch'intorno s'ode.
Le selve, i monti e le lontane prode.
44 Fuor della grotta il vecchio Proteo, quando
Ode tanto rumor, sopra il mar esce;
E visto entrare e uscir dell' orca Orlando ,
E al lito trar A smisurato pesce.
Fugge per T alto Oceano , obliando
Lo sparso gregge: e si il tumulto cresce,
Che fatto al carro i suoi delfini porre,
Quel di Nettuno in Etiopia corre.
45 Con Melìcerta in collo Ino piangendo,
E le Nereidi coi capelli sparsi ,
Glanci e Tritoni, e gli altri , non sappiendo
Dove, chi qua cbi là van per salvarsi.
Orlando al lito trasse il pesce orrendo,
Col qual non bisognò più affaticarsi :
Che pel travaglio e per l'avuta pena,
Prima mori, che fosse in su T arena.
46 Dell'isola non pochi erano corsi
A riguardar quella battaglia strana;
I quai da. vana religion rimorsi,
C^sì sant' opra riputar profana :
E dicean che sarebbe un nuovo torsi
Proteo nimico , e attizzar l' ira insana ,
Da fargli porre il marin gregge in terra ,
E tutta rinnovar l'antica guerra;
47 E che meglio sarà di chieder pace
Prima all'offeso Dio, che peggio accada;
E questo si farà quando l'audace
Gittato in mare a placar Proteo vada.
Come dà fuoco l' una all' altra face ,
E tosto alluma tutta una contrada;
Cosi d'un cor nell'altro si diffonde
L'ira ch'Orlando vuol gittar nell'onde.
48 Chi d'una fromba e chi d'un arco armato.
Chi d' asta , chi di spada al lito scende ;
E dinanzi e di dietro e d' ogni lato ,
Lontano e appresso , a più poter l' offende.
Di sì bestiale insulto e troppo ingrato
Gran meraviglia il paladin si prende :
Pel mostro ucciso ingiuria far si vede,
Dove aver ne sperò gloria e mercede.
49 Ma come l'orso suol, che per le fiere
Menato sia da Rnsci o da Lituani,
Passando per la via, poco temere
L'importuno abbaiar di picciol cani.
Che pur non se li degna di vedere ;
Così poco temea di quei villani
TI paladin , che con un soffio solo
Ne potrà fracassar tutto lo stuolo.
50 E ben si fece far subito piazza
Che lor si volse, e Durindana prese.
S' avea creduto quella gente pazza
Che le dovesse far poche contese,
Quando né indosso gli vedea corazza,
Né scudo in braccio , né alcun altro arnese ;
Ma non sapea che dal capo alle piante
Dura la pelle avea più che diamante.
51 Quel che d'Orlando agli altri tàx non lece,
Di far degli altri a lui già non è tolto.
Trenta n'uccise, e furo in tutto diece
Botte, 0 se più, non le passò di molto.
Tosto intomo sgombrar l'arena fece;
E per slegar la donna era già volto,
Quando nuovo tumulto e nuovo grido
Fé' risuonar da un'altra parte il lido.
52 Mentre avea il paladin da questa banda
Cosi tenuto i barbari impediti ,
Eran senza contrasto quei d'Irlanda
Da più parti nell'isola saliti;
E spenta ogni pietà , strage nefanda
Di quel popol facean per tutti i liti :
Fosse giustizia, o fosse cmdeltade,
Né sesso riguardavano né etade.
53 Nessun ripar fan gl'isolani, o poco:
Parte, ch'accolti son troppo improvviso;
Parte , che poca gente ha il picciol loco ,
E quella poca é di nessuno avviso.
L'aver fu messo a sacco; messo foco
Fu nelle case; il popolo fu ucciso;
Le mura fur tutte adeguate al suolo;
Non fu lasciato vivo uu capo solo.
54 Orlando , come gli appartenga nulla
L' alto rumor , le strida e la mina ,
Viene a colei che sulla pietra brulla
Avea da divorar l'orca marina.
Guarda , e gli par conoscer la fEinciuIla ;
E più gli pare , più che s' avvicina :
Gli pare Olimpia ; ed era Olimpia certo ,
Che di sua fede ebbe si iniquo merto.
55 Misera Olimpia! a cui dopo lo scorno
Che le fé' amore ; anco fortuna cmda
Mandò i corsari (e fu il medesmo giorno) ,
Che la portare all' isola d' Ebuda.
Riconosce ella Orlando nel ritomo
Che fa allo scoglio; ma, perch'ella é nuda,
Tien basso il capo ; e non che non gli parli ,
Ma gli occhi non ardisce al viso alzarli.
56 Orlando domandò che iniqua sorte
L' avesse fatta all' isola venire
Di là dove lasciata col consorte
Lieta l'avea, quanto si può più dire.
Non so , diss' ella , s' io v' ho, che la morte
Voi mi schivaste , grazie a riferire ,
0 da dolermi che per voi non sia
Oggi finita la miseria mia.
57 Io V* ho da ringraziar che una maniera
Di morir mi schivaste troppo enorme ;
Che troppo saria enorme, se la fera
Nel hmtto ventre avesse avuto a porme.
Ma già non vi ringrazio eh* io non pera ;
Che morte sol pad di miseria torme:
Ben vi ringrazierò, se da voi darmi
Quella vedrò, che d^ogni daol pnò tmrmi.
58 Poi con gran pianto segxdtò , dicendo
Come Io sposo suo Tavea tradita;
Che la lasciò sn V ìsola dormendo ,
Donde ella poi fa dai corsar rapita.
E mentre ella parlava, rivolgendo
Sbandava in qaella gaisa che scolpita
0 dipinta è Diana nella fonte ,
Che getta Pacqaa ad Atteone in fronte;
59 Che, quanto paò, nasconde il petto e '1 ventre,
Più liberal dei fianchi e delle rene.
Brama Orlando ch'in porto il sao legno entro;
Che lei, che sciolta avea dalle catene,
Vorria coprir d'alcuna veste. Or mentre
Ch'a questo è intento, Oberto sopravviene,
Oherto il re d'Ibemia, eh' avea inteso
Chel marjn mostro era sol lito steso;
60 E che nuotando un cavab'er era ito
A porgli in gola un' àncora assai grave ;
E che l' avea cosi tirato al lito ,
Come si suol tirar contr' acqua nave.
Oberto , per veder se riferito
Colui, da chi l'ha inteso, il vero gli bave.
Se ne vien quivi; e la sua gente intanto
Arde e distrugge Ebuda in ogni canto.
61 H re d'Ibemia, ancorché fosse Orlando
Di sangue tinto e d' acqua molle e brutto ,
Brutto del sangue che si trasse quando
Usci dell' orca , in eh' era entrato tutto ;
Pel conte l' andò pur raffigurando ,
Tanto più che nell'animo avea indutto,
Tosto che del valor senti la nuova,
Ch' altri eh' Orlando non faria tal pruova.
62 Lo conoscea, perch'era stato In&nte
D' onore in Francia , e se n' era partito
Per pigliar la corona, l'anno innante,
Del padre suo eh' era di vita uscito.
Tante volte veduto , e tante e tante
Gli avea parlato , eh' era in infinito.
Lo corse ad abbracciare e a fargli festa,
Trattasi la celata eh' avea in testa.
63 Non meno Orlando di veder contento
Si mostrò il re, che'l re di veder lui.
Poi che furo a iterar l' abbracciamento
Una 0 due volte tornati amendui ,
Narrò ad Oberto Orlando il tradimento
Che fu fatto alla giovane , e da cui
Fatto le fu, dal perfido Bireno,
Che via d'ogni altro lo dovea far meno.
64 Le prove gli narrò, che tante volte
Ella d'amarlo dimostrato avea:
Come i parenti e le sustanzie tolte
Le furo , e alfin per lui morir volea ;
E eh' esso testimonio era di molte ,
E renderne buon conto ne potea.
Mentre parlava, i begli occhi sereni
Della donna di lagrime eran pieni.
65 Era il bel viso suo , quale esser suole
Da primavera alcuna volta il cielo.
Quando la pioggia. cade, e a un tempo il Sole
Si sgombra intomo il nubiloso velo.
E come il rosignuol dolci carole
Mena nei rami allor del verde stelo ;
Così alle belle lagrime le piume
Si bagna Amore, e gode al chiaro lume;
66 E nella face de' begli occhi accende
L'aurato strale, e nel ruscello ammorza,
Che tra vermigli e bianchi fiori scende:
E temprato che l'ha, tira di forza
Centra il garzon, che né scudo difende.
Nò maglia doppia, né ferrigna scorza;
Che, mentre sta a mirar gli occhi e le chiome,
Si sente il cor ferito, e non sa come.
67 Le bellezze d'Olimpia eran di quelle
Che son più rare : e non la fronte sola ,
Gli occhi e le guance e le chiome avea belle ,
La bocca , il naso , gli omeri e la gola ;
Ma discendendo giù dalle mammelle ,
Le parti che solca coprir la stola.
Far dì tanta eccellenzia, ch'anteporse
A quante n'avea il mondo potean forse.
68 Vinceano dì candor le nevi intatte ,
Ed eran più eh' avorio a toccar molli :
Le poppe ritondette parean latte
Che faor dei giunchi allora allora tolli.
Spazio fra lor tal discendea, qual &tte
Esser veggiam fra piccolinì colli
L'ombrose valli, in sua stagione amene,
Che '1 verno abbia di neve allora piene.
69 J rilevati fianchi e le belle anche,
E netto più che specchio il ventre piano ,
Pareano fatti, e quelle. coscie bianche,
Da Fidia a tomo, o da più dotta mano.
Di quelle parti debbovi dir anche ,
Che pur celare ella bramava invano?
Diiò insomma , eh' in lei dal capo al piede ,
Quant' esser può beltà tutta si vede.
70 Se fosse stata nelle valli Idee
Vista dal pastor frigio, io non ao quanto
Vener, sebben vincea quelle altre Dee,
Portato avesse di bellezza il vanto:
Nò forse ito saria nelle amiclee
Contrade esso a violar T ospizio santo;
Ma detto avria: Con Menelao ti resta,
Elena, pur; ch'altra io non Tocche questa.
stanza 83.
71 E se fosse costei stata a Crotone,
Quando Zeusi .l'immagine far volse ,
Che por dovea nel tempio di Giunone ,
E tante belle nude insieme accolse ;
È che per una fame in perfezione ,
Da chi una parte e da chi un'altra tolse;
Non avea da tórre altra che costei ,
Che tutte le bellezze erano in lei.
72 Io non credo che mai Bireno , nndo
Vedesse quel bel corpo; ch'io son certo
Che stato non saria mai così erodo ,
Che l'avesse lasciata in quel deserto.
Ch' Oberto se n' acceude , io vi concludo ,
Tanto, che'l fuoco non pud star coperto.
Si studia consolarla, e darle speme
Ch' uscirà iu bene il mal eh' ora la preme ;
73 £ le promette andar seco in Olanda;
Né fin che nello stato la rimetta,
S eh* abbia fatto giusta e memoranda
Di quel periuro e traditor vendetta,
Non cesserà con ciò che possa Irlanda,
E lo farà quanto potrà più in fretta.
Cercare iutanto iu quelle case e in queste
Facea di gonne e di femminee veste.
74 Bisogno non sarà per trovar goune,
Ch' a cercar fuor dell'isola si mande,
Ch' ogni dì se n* avea da quelle donne
Che dell'avido mostro eran vivande.
Non fé' molto cercar, che ritrovonne
Di varie fogge Oberto copia grande;
E fé* vestir Olimpia; e beu gì* increbbe
Non la poter vestir come vorrebbe.
75 Ma né si bella seta o si fin* oro
Mai Fiorentini industri tesser fenno;
Né chi ricama , fece mai lavoro ,
Postovi tempo , diligenzia e senno ,
Che potesse a costui parer decoro ,
Se lo fesse Minerva o il dio di Lenno ,
E degno di coprir si belle membro,
Che forza è ad or ad or se ne rimembre.
78 Appena un giorni si fermò in Irlanda :
Non valser preghi a far che più vi stesse.
Amor , che dietro alla sua donna il manda ,
Di fermarvisi più non gli concesse.
Quindi si parte; e prima raccomanda
Olimpia al re , che servi le promesse ,
Benché non bisognasse ; che gli attenne
Molto più che di far non si convenne.
79 Cosi fra pochi dì gente raccolse;
E fatto lega col re d' Inghilterra
E con r altro di Scozia , gli ritolse
01anl\, e in Frisa non gli lasciò terra;
Ed a ribellione anco gli volse
La sua Selandia : e non fini la guerra ,
Che gli die morte ; uè però fu tale
La pena, ch*al delitto anlosse eguale.
80 Olimpia Oberto si pigliò per moglie ,
E di contessa la fé* gran regina.
Ma ritoruivimo al paladin che scioglie
Nel mar le vele, e notte e di cammina;
Poi nel medesmo porto le raccoglie ,
Djude pria le spiegò nella marina :
E sul suo Brigliadoro armato salse,
E lasciò dietro i venti e V onde salse.
76 Per più rispetti il paladino molto
Si dimostrò di questo amor contento :
Ch'oltre che'l re non lascerebbe asciolto
Bireno andar di tanto tradimento,
Sarebbe anch'esso per tal mezzo tolto
Di grave e di noioso impedimento,
Quivi non per Olimpia , ma venuto
Per dar , se v' era , alla sua donna aiuto.
77 Ch' ella non v' era si chiari di corto :
Ma già non si chiari se v' era stata ;
Perchè ogni uomo nell' isola era morto ,
Né un sol rimase di sì gran brigata.
H di seguente si partir del porto ,
E tutti insieme andare in un'armata.
Con loro andò in Irlanda il paladino ;
Ohe fn per gire in Francia il suo cammino.
81 Credo che '1 resto di quel verno cose
Facesse degne di tenerne conto;
Ma fur sin a quel tempo si nascose,
Che non é colpa mia s'or non le conto;
Perchè Orlando a far l'opre virtuose.
Più che a narrarle poi. sempre era pronto:
Né mai fu alcun delli suoi fatti espresso ,
Se non quando ebbe i testimoni appresso.
82 Passò il resto del verno cosi cheto ,
Che di lui non si seppe cosa vera:
Ma poi che '1 Sol nell' animai discreto ,
Che portò Frisse , illuminò la sfera ,
E Zefiro tornò soave e lieto
A rìmenar la dolce primavera;
D'Orlando usciron le mirabil prove
Coi vaghi fiori e con l'erbette nuove.
83 Di piano in monte, e di campagna in lido
Pien di travaglio e di dolor ne già;
Quando, all'entrar d'un hosco, un lungo grido,
Un alto duol l'orecchie gli feria.
Spinge il cavallo , e piglia il brando fido ;
E donde viene il suon , ratto s' invia :
Ma diflerisco un'altra volta a dire
Quel che segui , se mi vorrete udire.
NOTE. St. 3. V. 2. — Zenocrcct-i, o Senocrate, famoso per Ifb
ftua continenza messa invano alla prova da Fri e e la
bellissima delle etère greche.
St. 4. V. 6. — McUagigi , iìgliaolo di Buovo d' Agre-
monte, veniva ad esser IVatel-cugino di Bradamante, ed
esercitava mag:ia. — 11 petron di Merlino è la grotta
del mago Merlino. Dragontincu si finge una maga che
avea allacciato Orlando, come Alcina Ruggiero.
St. 7. V. 2. — A cerco vale in cerchio, in giro.
Sr. 12. V. 1-4 — Nomi di pastorelle e di pastori vir-
giliani.
Sr. 13. V. 3. — Da sezzo, da ultimo.
St. 14. V. 8. — Ruggero , che , a malgrado le lezioni
di Melissa e di Logistilla ricade subito nell'incontinenza,
è punito con la perdita del prezioso anello e dell* Ip-
pogrifo.
St. 22. y. 2-8. — La voce telo , latinismo che denota
arma da lanciare, corrisponde al fulgtir o fulgore ri-
cor lato nel sesto verso della Stanza precedente ; e con
Tuno e con l'altro nome ò designato Tarchibugio. — Nel
melo del sesto verso di questa Stanza, si deve intendere
il vietato frutto del paradiso terrestre. Gol supposto
rinvenimento deirarch'bugio nel fondo del mare, il Poeta
vuol conciliare la sua finzione relativa a Clmosca, con
repoca molto posteriore in cui furono inventate le armi
da fuoco.
St. 23. V. 1-8. — I cannoni fhrono inventati nella prima
metà del trecento : un alchimista tedesco , Bertoldo
Schwartz, cominciò a fonderli tutti d'un pezzo, mentre
prima erano di più pezzi con cerchi : egli comunicd la
sua invenzione ai Veneziani , i quali ne fecero uso la
prioLa volta nel 1.38) contro i Genovesi, nella guerra di
Chioggia.
St. 29. v. a — Orza, la banda sinistra della nave ;
Poggia, la de^ra per chi è rivolto alla prora : onde, ir
girando all^orza vale navigare prendendo il vento dalla
parte sinistra.
St. 8S v. 7. — Da un amo aXValtro, ecc. S'intendono
1 due ramponi uncinati deiràncora, fletti qui ami per la
loro forma, e per Tuso che ne fa Orlando.
St. 44. v. 8. — In Etiopia corre, siccome altra volta,
allorché spaventato da Tifeo . il Dio del mare corse a
salvamento presso gli Etiopi. Co;»i Omero e Ovidio. —
L'Etiopia è regione dell'Africa di qua e di là dall'Equa-
tore ; a occidente si estende fino al monte Atlante ; da
oriente sino ai confini dell'Egitto; a mezzo^ionM si
chiude dall'Oceano ; a settentrione dal Nilo.
St. 45. V. 1-3. — Ino , madre di Melieerti , per sot-
trarsi al furore di Atamant^ suo m-irito , ni geCtft ia
mare con il figlio In collo; e amendne furono convertili
in divinità marine. Lo stesso avvenne di Olaaoo peaea-
tore. Qui, all'Ariosto è piaciuto fiime di nno che era. piò-
— Tritoni , deiiÀ marine pur essi. — Nertidi cbiama-
ronsl dai mitologi le ninfe del mare , perchè figlie di
Nereo.
St, 49. V. 2. — Rnsci, Russi.
St 50. V. 7-8. — Finge il Poeta che Orlando fo«n ifi-
vulnerabile per fatagione : era invulnerabile tutto, trwm«
sotto le piante.
St. 53. V. 4. — Di nessuno avviso, cioè accorgimént».
St. 58. V. 7-8. — Diana, sorpresa da Atteone mentre
si lavava in una fontana, é argomento d'nna delle fà-
vole mitologiche narrate da Ovidio.
St. 62. V. 1-2. — Infante d'onore. Il titolo d' Influite
si dà in Ispagna e in Portogallo ai prìncipi reali, e di-
cevansi promiscuamente Infanti anche i figli dei magnati,
prima che fossero andati al possoiso dei loro fendi; ma
Oberto avea la qualità d' Infanta nella propria corte:
onde intendasi piuttosto scudiere, o paggio nella corte
di Carlo.
St. 70. V. 1-8. — Nelle valli Idee, ecc. Nelle valli doé
del monte Ida nella Troade, dove i poeti imma^inanuu
seguito il giudizio di Paride (il pasfor Frigio) che poi
rapi Elena consorte di "Menelao. Contrade amiciee : eoa
questa voce s'intende una città nella Laconia, detta dai
Latini Amyclce , ove fu la reggia di Tindaro , padre di
Blena.
Sr. 71. v. 1. — Crotone, ora Cotrone, città maritliwi
della Calabria.
St. 75. v. 6. — IZ dio di Lenno, 'V^ulcano. Quest'isola
dell'Arcipelago, detta dai Latini Lemnos, ora chiamasi
Statimene.
St. 76. v. 3. — Asdolto, per assolto, imptunttK
St. 82. V. 3^. — La locuzione di questi due versò vale:
p ichè il sole fu entrati nel segno dell'Ariete. È rac-
conto mitologico che Frisse ^ per {sfuggire le perseen-
zioni dlno sua matrigna, andò in Coleo, traversando il
mare sopra un ariete, il quale venne poi collocato fta
i segni zodiacali; e qui si dice discreto, per lamitesa
della stagione che segue l'ingresso del sole in qnel t
stanza 2.
CANTO DECIMOSECONDO.
AR&OMUNTO.
fJrlnriflf), s^nprp in cerca il' Anfffìlicn, vedp T appiìrenza di lei In
brariilo ad Atlante, chf , trii^fùrmiitOiSt in cavali^irp, semhra por-
tiirl.^ Hi>vo^ In^f^tf^iendalo, f;iutif;e nà un palazzo mcAiitato, dove
aiTiva nticho Riigi^it^rn cht^ cfirrt") appresso al d» lu{ cfvditto
rapitore di Bittdaniatitp. An^f lica vì ca|iita anch'ella. e vi trovtt
Orlando^ Rn^q;iern, i??aenpnnte. Ferrali^ Gradasso oon altri gupr-
fiori, A motivci di lei, afCadfì fra akuni di tìssi una r^uffa , per
ofoisicmpì della qualp F<?rraii ai. appropria l'elmo d'OrlaniIo. An-
guliwi, a'iiiraTiiniiiia vì'-tso Ltvanttì, e trova in un boaoo un gio-
vane inortalmrmt"'. ferito» Orlando si avanza vctho Parigi e slm-
rap^lia due achif^vR di Mori, Fili oltre aeopre mi nascondìglio di
malEioilrinì Qhn tengono prigioniera Jsabtìlla.
1 Perere , poi die binila tnmlre Idea
Tikniaiìdo in fretta alla soliujyfa valle
Là <luvfi calca \\\ iii«>Titn^ia ntnca
Al fulminato Eiiucladu le spalle,
La figlia non trovò dove l'avea
Lasciata faor d' ogni segnato calle ,
Fatto ch^ebbe alle guancie, al petto, ai crini
E agli occhi danno, alfin svelse dae pini;
2 E nel fuoco gli accese di Vulcano ,
E dio lor non poter esser mai spenti :
E portandosi questi uno per mano
Sol carro che tiravan dui serpenti;
Cercò le selve, i campi, il monte, il piano.
Le valli , i fiumi , li stagni , i torrenti ,
La terra e'I mare; e poi che tutto il mondo
Cercò di sopra , andò al tartareo fondo.
8 S'in poter fosse stato Orlando pare
All'eleusina Dea, come in disio,
Non avria, per Angelica cerare.
Lasciato o selva o campo o stagno o rio
0 valle 0 monte o piano o terra o mare,
n cielo e'I fondo dell' etemo ohblìo;
Ma poi che'l carro e i draghi non avea,
La già cercando al meglio che potea.
4 L'ha cercata. per Francia: or s'apparecchia
Per Italia cercarla e per Lamagna.
Per la nuova Castiglia e per la vecchia,
E poi passare in Libia il mar di Spagna.
Mentre pensa cosi, sente all'orecchia
Una voce venir, che par che piagna:
Si spinge innanzi; e sopra un gran destriero
Trottar si vede innanzi un cavaliere,
5 Che porta in braccio e su l' arcion davante
Per forza una mestissima donzella.
Piange ella , e si dibatte , e fa sembiante
Di gran dolore; ed in soccorso appella
Il valoroso Prìncipe d'Anglante,
Che come mira alla giovane bella.
Gli par colei per cui la notte e il giorno
Cercato Francia avea dentro e d'intorno.
6 Non dico ch'ella fosse, ma parea
Angelica gentil , eh' egli tant' ama.
Egli , che la sua donna e la sua Dea
Vede portar si addolorata e grama.
Spinto dall' ira e dalla furia rea ,
Con voce orrenda il cavalier richiama ;
Richiama il cavaUero , e gli minaccia ,
E Brigliadoro a tutta brìglia caccia.
7 Non resta quel fellon, né gli risponde,
AU' alta preda , al gran guadagno intento ;
E si ratto ne va per quelle fronde ,
Che saria tardo a seguitarlo il vento.
L'un fugge, e l'altro caccia; e le profonde
Selve s'odon sonar d'alto lamento.
Correndo , uscirò in un gran prato ; e quello
Avea nel mezzo un grande e ricco ostello.
8 Di vari marmi con suttìl lavoro
Edificato era il palazzo altiero.
Corse dentro alla porta messa d'oro
Con la donzella in braccio il cavaliero.
Dopo non molto giunse Brigliadoro ,
Che porta Orlando disdegnoso e fiero.
Orlando , come è dentro , gli occhi ^ira ;
Né più il guerrìer né la donzella mira.
9 Subito smonta , e fulminando passa
Dove più dentro il bel tetto s'alloggia.
Corre di qua, corre di là, né lassa
Che non vegga ogni camera, ogni loggia.
Poi che i segreti d'ogni stanza bassa
Ha cerco invan, su per le scale poggia;
E non men perde anco a cercar di sopra.
Che perdesse di sotto , il tempo e V opra.
10 D' oro e di seta i letti ornati vede :
Nulla di muri appar , né di pareti;
Che quelle, e il suolo ove si mette il piede,
Son da cortine ascose e da tappeti.
Di su di giù va il conte Orlando, e rìede;
Né per questo può far gli occhi mai lieti,
Che rìveggiano Angelica, o quel ladro
Che n'ha portato il bel visb leggiadro.
11 E mentre or quinci or quindi invano il passo
Movea, pien di travaglio e di pensieri ^
Ferraù , Brandimarte e il re Gradasso ,
Re Sacripante, ed altri cavalieri
Vi ritrovò , eh' andavano alto e basso ,
Né men facean di lui vani sentieri;
E si rammarìcavan del malvagio
Invisibil signor di quel palagio.
12 Tutti cercando il van, tutti gli danno
Colpa di fìurto alcun che lor £att' abbia.
Del destrier che gli ha tolto, altri é in affanno;
Ch'abbia perduta altri la donna, arrabbia;
Altri d'altro l'accusa: e cosi stanno,
Che non si san partir di quella gabbia;
E vi son molti , a questo inganno presi ,
Stati le settimane intiere e i mesL
13 Orlando , poi che quattro volte e sei
Tutto cercato ebbe il palazzo strano ,
Disse fra sé: Qui dimorar potrei,
Gittare il tempo e la fatica invano ;
E potria il ladro aver tratta costei
Da un'altra uscita, e molto esser lontano.
Con tal pensiero uscì nel verde piato ,
Dal qual tutto il palazzo era aggirato.
Stanza 7.
14 Mentre circonda la casa silvestra,
Tenendo pnr a terra il yiso chino ,
Per yeder sforma appare, o da man destra
0 da sinistra , di nuovo cammino ;
Si sente richiamar da nna finestra:
E leva gli occhi ; e quel parlar divino
Gli pare udire , e par che miri il viso
Che rha da quel che Ai , tanto diviso.
15 Fargli Angelica udir, che supplicando
E piangendo gli dica: Aita, aita;
La mia virginità ti raccomando
Più che r anima mia, più che la vita.
Dunque in presenzia del mio caro Orlando
Da questo ladro mi sarà rapita?
Piuttosto di tua man dammi la morte,
Che venir lasci a sì infelice sorte.
16 Queste parole una ed un'altra volta
Fanno Orlando tornar per ogui stanza ,
Con passione e con fatica molta,
Ma temperata pur d'alta speranza.
Talor si ferma, ed una voce ascolta,
Che di quella d'Angelica ha sembianza,
(E s'egli è da una parte, suona altronde)
Che chieggia aiuto, e non sa f^ovar donde.
17 Ma tornando a Ruggier, ch'io lasciai quando
Dissi che per sentiero ombroso e fosco
li gigante e la donna seguitando ,
In un gran prato uscito era del bòsco;
Io dico ch'arrivò qui dove Orlando
Dianzi arrivò, se'l loco riconosco.
Dentro la porta il gran gigante passa:
Ruggier gli è appresso, e di seguir non lassa.
18 Tosto che pon dentro alla soglia il piede,
Per la gran corte e per le loggie mira j
Né più il gigante uè la donna vede,
E gli occhi indarno or quinci or quindi aggira:
Di su di giù va molte volte e riede ,
Né gli succede mai quel che desira:
Né si sa immaginar dove si tosto
Con la donna il fellon si sia nascosto.
19 Poi che revisto ha quattro volte e cinque
Di su di giù camere e loggie e sale,
Pur di nuovo ritorna, e non relinque
Che non ne cerchi fin sotto le scale.
Con speme alfin che sian nelle propinque
Selve , si parte ; ma una voce , quale
Richiamò Orlando , lui chiamò non manco ,
E nel palazzo il fé' ritornar anco.
20 Una voce medesma, una persona
Che paruta era Angelica ad Orlando,
Parve a Ruggier la donna di Dordona,
Che lo tenea di sé medesmo in bando.
Se con Gradasso o con alcun ragiona
Di quei ch'andavan nel palazzo errando,
A tutti par che quella cosa sia,
Che più ciascun per sé brama e desia.
21 Questo era un nuovo e disusato incanto
Ch'avea composto Atlante di Carena,
Perché Ruggier fosse occupato tanto
In quel travaglio , in quella dolce pena ,
Che '1 mal' influsso n' andasse da canto ,
L'influsso eh' a morir giovene il mena.
Dopo il Castel d'acciar che nulla. giova,
E dopo Alcinai Atlante ancor fa prova.
22 Non pur costui , ma tutti gli altri a&con .
Che di valore in Francia bau mag;gior fama ,
Acciò che di lor man Ruggier non mora.
Condurre Atlante in questo incauto trama.
E mentre fa lor far quivi dimora,
Perché di cibo non pattscan brama ,
Si ben fornito avea tutto il palagio,
Che donne e cavalier vi stanno ad agio.
23 Ma torniamo ad Angelica, che seco
Avendo quell'anel mirabil tanto,
Ch'in bocca a veder lei fa l'occhio cdeco ,
Nel dito l'assicura dall'incanto;
E ritrovato nel montano speco
Cibo avendo e cavalla e veste e quanto
Le fu bisogno, avea fatto disegno
Di ritornare in India al suo bel regno.
24 Orlando volentieri o Sacripante
Voluto avrebbe in compagnia: non ch'ella
Più caro avesse V un che l' altro amante ;
Anzi di par fu a' lor disii ribella :
Ma dovendo, per girsene in Levante,
Passar tante città, tante castella,
Di compagnia bisogno avea e di guida,
Né potea aver con altri la più fida.
25 Or l' uno or l' altro andò molto cercando ,
Prima ch'indizio ne trovasse o spia,
Quando in cittade, e quando in ville, e quando
In alti boschi , e quando in altra via.
Fortuna alfin là dove il conte Orlando ,
Ferraù e Sacripante era , la invia ,
Con Ruggier, con Gradasso, ed altri molti
Che v'avea Atlante in sti-ano intrico avvolti.
26 Quivi entra, che veder non la può il Mago;
E cerca il tutto , ascosa dal suo anello :
E trova Orlando e Sacripante vago
Di lei cercare invan per quello ostello.
Vede come , fingendo la sua immago ,
Atlante usa gran fraude a questo e a quello.
Chi tor debba di lor, molto rivolve
Nel suo pensier, né ben se ne risolve.
27 Non sa stimar chi sia per lei migliore.
Il conte Orlando o il He dei fier Circassi.
Orlando la potrà con più valore
Meglio salvar nei perigliosi passi: . .
Ma se dua guida il fa, se '1 fa signore;
Ch' ella non vede come poi l' abbassi , .
Qualunque volta, di lui sazia, farlo
Voglia minore, o in Francia rimandarlo.
btanza U.
28 Ma il Circasso depor, quando le piaccia,
Potrà, sebben l'avesse posto in cielo.
Questa sola cagion vuoi ch^ ella il faccia
Sua scorta , e mostri avergli fede e zelo.
L^ anel trasse di bocca , e di sua faccia
Levò dagli occhi a Sacripante il velo.
Credette a lui sol dimostrarsi, e avvenne
Ch' Orlando e Ferraù le sopravvenne.
29 Le sopravvenne Ferraù ed Orlando;
Ohe Pnno e T altro parimente giva
Di su di giù » dentro e di fuor cercando
Bel gran palazzo lei, eh* era lor Diva.
Corser di par tatti alla donna , quando
Nessono incantamento gì' impediva:
Perchè Panel ch'ella si pose in mano
Fece d'Atlante ogni disegno vano.
80 L'usbergo indosso aveano e l'elmo in testa.
Dui di questi guerrier, dei quali io canto;
Nò notte 0 di, dopo ch'entrare in questa
Stanza, l' aveano mai messi da canto;
Che facile a portar come la vesta.
Era lor , perchè in uso l' avean tanto.
Ferraù il terzo era anco armato , eccetto
Che non avea né volea avere elmetto
81 Finché quel non avea, che '1 paladino
Tolse Orlando al fìratel del re Troiano ;
Ch'allora lo giurò, che l'elmo fino
Cercò dell' Argalia nel fiume invano;
£ sebben quivi Orlando ebbe vicino,
Né però Ferraù pose in lui mano ,
Avvenne che conoscersi tra loro
Non si poter , mentre là dentro f5ro.
82 Era cosi incantato quello albergo ,
Ch'insieme riconoscer non poteansi.
Né notte mai né di , spada né usbergo
Né scudo pur dal braccio rimoveansi.
I lor cavalli con la sella al tergo ,
Pendendo i morsi dall' arcion , pasceansi
In una stanza che, presso all'uscita,
D' orzo e di paglia sempre era fornita.
83 Atlante riparar non sa né puote
Oh' in sella non rimontino i guerrieri ,
Per correr dietro alle vermiglie gote ,
All'auree chiome ed a' begli occhi neri
Della donzella, ch'in fuga percuote
La sua giumenta ; perchè volentieri
Non vede li tre amanti in compagnia,
Che forse tolti un dopo l' altro avrìa.
84 E poi che dilungati dal palagio
Gli ebbe si, che temer più non dovea
Che centra lor l' incantator malvagio
Potesse oprar la sua fallacia rea;
L'anel che le schivò più d'un disagio,
Tra le rosate labbra si chiudea;
Donde lor sparve subito dagli occhi,
E li lasdò come insensati e sciocchi.
35 Come che fosse il suo primier diseguo
Di voler seco Orlando o Sacripante ,
Oh* a ritornar l'avessero nel regno
Di Qalafron nell'ultimo Levante,
Le vennero amendua subito a sdegno,
E si mutò di voglia in uno istante;
E, senza più obbligarsi o a questo o a quello,
Pensò bastar per amendua il suo anello.
36 Volgon pel bosco or quinci or quindi in fìretla
Quelli scherniti la stupida faccia;
Come il cane talor, se gli è intercetta
0 lepre o volpe, a cui dava la caccia.
Che d'improvviso in qualche tana stretta
0 in folta macchia o in un fosso si caccia.
Di lor si ride Angelica proterva.
Che non è vista , e i lor progressi osserva.
37 Per mezzo il bosco appar sol una strada :
Credono i cavalier che la donzella
Innanzi a lor per quella se ne vada;
Che non se ne può andar se non per quella.
Orlando corre , e Ferraù non bada ,
Né Sacripante men sprona e puntella.
Angelica la briglia più ritiene ,
E dietro lor con minor f^tta viene.
38 Giunti che far , correndo , ove i sentieri
A perder si venian nella foresta ;
E cominciar per l'erba i cavalieri
A riguardar se vi trovavan pesta:
Ferraù che potea , fra quanti altieri
Mai fosser , gir con la corona in testa ,
Si volse con mal viso agli altri dui ,
E gridò lor: Dove venite vui?
39 Tornate addietro , o pigliate altra via ,
Se non volete rimaner qui morti;
Né in amar né in seguir la donna mia
Si creda alcun , che compagnia comporti.
Disse Orlando al Circasso : Che potrìa
Più dir costui, s'ambi ci avesse scorti
Per le più vili e timide puttane
Che da conocchie mai traesser lane?
40 Poi, vèltro a Ferraù, disse: Uoto bestiale,
S'io non guardassi che senz'elmo sei,
Di quel e' liLii detto, 3' hai ben eletto 0 male,
Senz'aUm indugia accor^^er ti farei.
Disse 11 8pju,Mniol '■ Di quoI eh* a rae non cale,
Perdio pio^lùinio tu tnira ti dei?
Io srd l'ontra junbidiiì fier far mn buono
Quei (.'he detto Iiu, sena^-elinQ cume souf».
41 beh, disse Orlando ài re di Cìrcassia :
In mio servigio a costai l'elmo presta,
Tsinto eh' io gli abbia tratta hi p;ia;zia ;
Cb' altra non yìiH mai dmìle & questa*
Ki .spose il Re: Vìn più p,iZ20 sana?
il [a se ti par imr la domanda onesta,
Pres tallii il tuo^' chMo non sarò men affo
Cbc tu sia forse , a castigare un matto.
I
42 Htkg^tjiunse Fnrrai'i : Seiocclii ^ui , qnasi
Che Hc mi fisime il porhir elmo a ma fin .
Voi '^i^nzA noli TU* tb^fe ;L!'ià rimasi :
Che tylti i vo^^tri avrei , vtHtru mal irrtìdu.
Ma prr iiiivrarvj in parte li uiir i mm ,
Per voto così senza me ne vado ,
Ed anderò, finch'io non ho quel fino
Che porta in capo Orlando paladino.
V.ì I Hnii|tii% rispose sorridendo il Coti te ,
Ti pellai a s'apo un ilo esser bastante
Far fili Orltui.ìo quel che ìu Aspramonte
Ki^li l?ià fece al figlio d'Aifoknief
Xw/A cnd'iu, se tei vedessi a fronte,
Ne tremeresti dal capo alle piante ;
Non che volessi V elmo , ma daresti
L' altre arme a lui di patto , che ta vesti.
44 II vantator Spagnnol disse: Già molte
Fifate e molte ho cosi Orlando astretto,
Che feudlmente T arme gli ayrei tolte ,
Quante indosso n^avea, nonché T elmetto.
£ sMo noi feci, occorrono alle volte
Pensier che prima non s^aveano in petto:
Non n'ebbi, già fa, voglia ;. or Paggio, e <5pero
Che mi potrà succeder di leggiero.
45 Non potè aver più pazienzia Orlando,
£ gridò : Mentitor , brutto marrano ,
In che paese ti trovasti, e quando,
A poter più di me con Tarme in mano?
Quel Paladin , di che ti vai vantando ,
Son io, che ti pensavi esser lontano.
Or vedi se tu puoi V elmo levarme ,
O s'io son buon per tórre a te l'altre arme.
50 S'incrudelisce e inaspra la battaglia.
D'orrore in vista e di spavento piena.
Ferraù quando punge e quando taglia,
Né mena botta che non vada piena:
Ogni colpo d'Orlando o piastra o maglia
E schioda e rompe ed apre e a straccio mena.
Angelica invisibil lor pon mente ,
Sola a tanto spettacolo presente.
51 Intanto il re di Circassia, stimando
Che poco innanzi Angelica corresse,
Poi ch'attaccati Ferraù ed Orlando
Vide restar, per quella via si messe,
Che si credea che la donzella, quando
Da lor disparve , seguitata avesse ;
Si che a quella battaglia la figliuola
Di Galafron fu testimonia sola.
46 Né da te voglio un minimo vantaggio.
Cosi dicendo ,* F elmo si disciolse ,
E lo Ruspese a un ramuscel di faggio;
E quasi a un tempo Durindana tolse.
Ferraù non perde di ciò il coraggio ;
Trasse la spada , e in atto si raccolse
Onde con essa e col levato scudo
Potesse ricoprirsi il capo nudo.
52 Poi che, orribil com'era e spaventosa,
L'[ebbe da parte ella mirata alquanto,
E che le parve assai pericolosa
Cosi dall' un come dall'altro canto;
Di veder novità volunterosa.
Disegnò l'elmo tor, per mirar quanto
Fariano i duo guerrier , vistosel tolto ;
Ben con pensier di non tenerlo molto.
47 Così li duo guerrieri incomindaro ,
Lor cavalli aggirando, a volteggiarsi;
E dove r arme si giungeano , e raro
Era più il ferro , col ferro a tentarsi.
Non era in tutto 'l mondo un altro paro
Che più di questo avesse ad accoppiarsi:
Pari eran di vigor, pkri d'ardire;
Né l'un né l'altro si potea ferire.
53 Ha ben di darlo al Conte intenzione;
Ma se ne vuole in prima pigliar gioco.
L' elmo dispicca , e in grembo se lo pone.;
E sta a mirare i cavalieri un poco.
Di poi si parte, e non fa lor sermone
E lontana era un pezzo da quel loco,
Prima ch'alcun di lor v'avesse mente;
Si l'uno e l'altro era nell'ira ardente.
48 Ch'abbiate,* Signor mio, già inteso estimo
Che Ferraù per tutto era fatato ,
Fuorché là dove l' alimento primo
Piglia il bambin, nel ventre ancor serrato:
E finché del sepolcro il tetro limo
La faccia gli coperse , il luogo armato
Usò portar, dove era il dubbio, sempre.
Di sette piastre fette a buone tempre.
49 Era ugualmente il Principe d'Anglante
Tutto fatato , fuorché in una parte :
Ferito esser potea sotto le piante ;
Ma le guardò con ogni studio ed arte.
Duro era il resto lor più che diamante,
Se la fama dal ver non si diparte;
E l'uno e l'altro andò più per ornato,
Che per bisogno , alle sue imprese armato.
54 Ma Ferraù , che prima v' ebbe gli occhi ,
Si dispiccò da Orlando , e disse a lui :
Deh come n'ha da male accorti e sciocchi
Trattati il cavalier ch'era con nui!
Che premio fia ch'ai vincitor più tocchi,
Se 'l beli' elmo involato n' ha costui?
Ritrassi Orlando, e gli occhi al ramo gira
Non vede l' elmo , e tutto avvampa d' ira.
55 E nel parer di Ferraù concorse.
Che '1 cavalier che dianzi era con loro ,
Se lo portasse ; onde la briglia torse ,
E fé' sentir gli sproni a Brìgliadoro.
Ferraù , che del campo il vide torse ,
Gli venne dietro ; e poi che giunti fóro
Dove neir erba appar l' orma novella
Ch' avea fatto il Circasso e la donzella ,
56 Prese la strada alla sinistra il Conte
Verso una valle, ove il Circasso era ito;
Si tenne Ferraù più presto al monte, .
Dove il sentiero Angelica avea trito.
Angelica in quel mezzo ad una fonte
Giunta era, ombrosa e di giocondo sito,
Ch'ognan che passa, alle fresche ombre invita,
Né, senza ber, mai lascia far partita.
Stanza 57.
57 Angelica si ferma alle chiare onde,
Non pensando ch'alcun le sopravvegna;
£ per lo sacro anel che la nasconde,
Non può temer che caso rio le avvegna.
A prima giunta in su T erbose sponde
Del rivo Telmo a un ramuscel consegna;
Poi cerca, ove nel bosco è miglior frasca.
La giumenta legar, perchè si pasca.
58 II Cavalier di Spagna, che venuto
Era per Torme, alla fontana giunge.
Non T ha si tosto Angelica veduto ,
Che gli dispare, e la cavalla punge.
L' elmo , che sopra T erba era caduto ,
Ritor non può; che troppo resta lunge.
Come il Pagan d' Angelica s' accórse ,
Tosto vèr lei pien di letizia corse.
59 Gli sparve , c^me io dico , ella davante ,
Come fantasma al dipartir del sonno.
Cercando egli la va per quelle piante ,
Né ì miseri occhi più veder la ponno.
Bestemmiando Macone e Trivigante.
E di sua legge ogni maestro e donno ,
Ritornò Ferraù verso la fonte,
U' nell'erba giacer Telmo del Conte.
60 Lo riconobbe, tosto che mirollo,
Per lettere eh' avea scritte nelT orlo ;
Che dicean dove Orlando gaadagnolio ,
E come e quando, ed a chi fé' deporlo.
Armossene il Pagano il capo e il collo:
Che non lasciò, pel duol eh' avea, di torlo;
Pel duol eh' avea di quella che gli sparve ,
Come sparir soglian notturne larve.
61 Poi ch'allacciato s'ha il buon elmo in testa.
Avviso gli é che , a contentarsi appieno ,
Sol ritrovare Angelica gli resta,
Che gli appar e dispar come baleno.
Per lei tutta cercò T alta foresta ;
E poi ch'ogni speranza venne meno
Di più poterne ritrovar vestigi,
Tornò al campo spagnuol verso Parigi;
62 Temperando il dolor che gli ardea il petto,
Di non aver sì gran disir sfogato ,
Col refrigerio di portar T elmetto
Che fu d' Orhindo , come avea giurato.
Dal Conte , poi che '1 certo gli fu detto ,
Fu lungamente Ferraù cercato ;
Né fin quel dì dal capo gli lo sciolse,
Che fra duo ponti la vita gli tolse.
63 Angelica invisibile e soletta
Via se ne va , ma con turbata fronte ,
Che delT elmo le duol , che troppa fretta
Le avea fatto lasciar presso alla fonte.
Per voler far quel eh' a me far non spetta ,
(Tra sé dicea) levato ho Telmo al Conte:
Questo, pel primo merito, è assai buono
Di quanto a lui pur obbligata sono.
64 Con buona intenzione (e sallo Iddio) ,
Benché diverso e tristo effetto segua,
Io levai Telmo: e solo il peusier mio
Fu di ridur quella battaglia a triegua;
E non che per mio mezzo il suo disio
Questo brutto Spagnuol oggi consegua.
Cosi di sé s'andava lamentando
D'aver dell'elmo suo privato Orlando.
65 Sdei^ati e malcontent'i , la via prese ,
Che le parea miglior, verso Oriente.
Più volte ascosa andò, talor palese,
Secondo era opportuno, infra la gente.
Dopo molto veder molto paese ,
Giunse in un bosco , dove iniquamente
Fra ('Uo compagni morti un giovinetto
Trovò, ch'era ferito in mezzo il petto.
66 Ma non dirò d' Angelica or più innante ;
Che molte cose ho da narrarvi prima:
Né sono a Ferraù né a Sacripante ,
Sin a gran pezzo , per donar più rima.
Da lor mi leva il Principe d'AngUnte,
Che di sé vuol che ìnninzi agli altri esprima
Le fatiche e gli affanni che sostenne
Nel gran disio, di che a fin mai non venne.
67 Alla prima città ch'egli ritrova.
Perché d' andare occulto avea gran cura ,
Si pone in capo una barbuta nova.
Senza mirar s'ha debil tempra o dura.
Sia qual si vuol , poco gli nuoce o giova :
Si nella fatagion si rassicura.
Cosi coperto , seguita V inchiesta ;
Né notte o giorno, o pioggia o sii l'arresta.
C8 Era nell' ora che traea i cavalli
Febo del mar, con rugiadoso pelo,
E r Aurora di fior vermigli e gialli
Venia spargendo d' ogn' intorno il cielo ;
E lasciato le stelle aveano ì balli,
E per partirsi postosi già il velo;
Quando appresso a Parigi un di passando ,
Giostrò di sua virtù gran segno Orlando.
69 In dna squadre incontrossi; e Manilardo
Ne reggea l'una, il S.vracin canuto.
Re di Norizia , già fiero e gagliardo ,
Or miglior di consiglio, che d'aiuto;
Guidava l'altra sotto il suo stendardo
11 Re di Tremiseu, ch'era tenuto
Tra gli Africani cavalier perfetto:
Alzirdo fu, da chi '1 conobbe , detto.
70 Que-ti con V altro esercito pagano
Quella invernata avean fatto soggiorno ,
Chi presso alla città , chi più lontano ,
Tutti alle ville o alle castella intorno :
Ch'avendo speso il re Agramante invano,
Per espugnar Parigi , più d' un giorno ,
Volse tentar l'assedio finalmente;
Poiché pigliar non lo potea altrimente.
71 E per for questo avea gente infinita:
Che oltre a quella che con lui giunt' era ,
E quella che di Spagna avea seguiti
Del re Marsiglio la real bandiera,
MoltA di Francia n'avea al soldo unita;
Che da Parigi insino alla riviera
D'Arli, con parte di Guascogna (eccetto
Alcune ròcche) , avea tutto suggetto.
stanza 61
72 Or cominciando i trepidi ru^elli
A sciorre il freddo ghiaccio in tiepid' onde ,
E i prati di nuov' erbe , e gli arbuscelli
A rivestirsi di tenera fronde ;
Ragunò il re Agramante tutti quallf
Che seguian le fortune sue seconde ,
Per farsi rassegnar l'armata termi;
Indi alle cose sue dar miglior formi.
78 A questo effetto il re di Tremisénne
Con quel della Norizia ne venia ,
Per là giungere a tempo, ove si tenne
Poi conto d'ogni squadra o buona o ria.
Orlando a caso ad incontrar si venne.
Come io v' ho detto , in questa compagnia,
Cercando pur colei , come' egli era uso ,
Che nel career d'Amor lo tenea chiuso,
74 Come Alzirdo appres&ar vide quel Conte
Che di Talor nou avea pari al mondo ,
In tal sembiante, in si superba fronte,
Che'l Dio dell'arme a lui parea secondo;
Restò stupito alle fattezze conte ,
Al fiero sguardo , al viso furibondo :
£ lo stimò guerrier d'alta prodezza;
Ma ebbe del provar troppa vaghezza.
stanza 75.
77 Con qnal rumor la setolosa frotta
Correr da monti suole o da campagne ,
Se'l lupo uscito di nascosa grotta,
0 Torso sceso alle minor montagne.
Un tener porco preso abbia talotta.
Che con grugnito e gran stridor si lagene ;
Con tal lo stnol barbarico era mosso
Verso il Conte, gridando: Addosso, addosso.
78 Lance , saette e spade ebbe V usbergo
A un tempo mille , e lo scudo altrettante :
Chi gli percuote con la mazza il tergo ,
Chi minaccia da lato, e chi davante.
Ma quel, ch'ai timor mai non diede albergo,
Estima la vii turba e Parme tante
Quel che dentro alla mandra, all'aer cupo,
Il numer dell' agnelle estimi il lupo.
79 Nuda avea in man quella fulminea spada .
Che posti ha tanti Saracini a morte :
Dunque chi vuol di quanta turba cada
Tenere il conto , ha impresa dura e forte.
Rossa di sangue già correa la stradi ,
Capace appena a tante genti morte;
Perchè né targa né cappel difende
La fatai Durindana ove discende,
80 Né vesta piena di cotone , o tele
Che circondino il capo in mille vólti.
Non pur per l'aria gemiti e querele,
Ma volan braccia e spalle e capi sciolti
Pel campo errando va Morte crudele
In molti , varj , e tutti orribil volti ;
E tra sé dice: In man d' Orlando vaici
Durindana per cento di mie falci.
75 Era giovane Alzirdo ed arrogante,
Per molta forza e per gran cor pregiato.
Per giostrar spinse il suo cavallo innante :
Meglio per lui se fosse in schiera stato :
Che nello scontro il Principe d'Anglante
Lo fé' cader, per mezzo il cor passato.
Giva in fuga il destrier, di timor pieno;
Che su non v'era chi reggesse il freno.
76 Levasi un grido subito ed orrendo,
Che d' ogn' intomo n' ha l' aria ripiena ,
Come si vede il giovane , cadendo ,
Spicciar il sangue di si larga vena.
La turba verso il Conte vien fremendo
Disordinata , e tagli e punte mena ;
f Ma quella épiù, che con pennuti dardi
Tempesta il fior dei cavalier gagliardi.
81 Una percossa appena l'altra aspetta :
Ben tosto cominciar tutti a fuggire;
E quando prima ne ventano in fretta,
Perch'era sol, credeanselo inghiottire.
Non é chi per levarsi della stretta
L' amico aspetti , e cerchi insieme gire :
Chi fogge a piedi in qua, chi colà sprona;
Nessun domanda se la strada è buona.
82 Virtnde andava intomo con lo speglio
Che fa veder nell' anima ogni ruga :
Nessun vi si mirò, se don un veglio
A cui il sangue l'età, non l'ardir, scinga.
Vide costui quanto il morir sia meglio,
Che con suo disonor mettersi in fuga;
Dico il Re di Norizia: onde la landa
Arrestò contra il Paladin di Francia ,
83 E la ruppe alla penna dello scado
Del fiero Conte, che nolla si mosse.
Egli , eh* ayea alla posta il brando nudo ,
Ite Hanilardo al trapassar percosse.
Fortuna T aiutò; che ì ferro crudo
In man d* Orlando al venir giù voltosse.
Tirare i colpi a filo ognor non lece ;
Ma pur di sella stramaszar lo fece.
86 II suo cammin , di lei chiedendo spesso ,
Or per ìì campi or per le selve tenne :
E siccome era uscito di sé stesso ,
Usd di strada , e appiè d* un monte venne ,
Dove la notte fuor d'un sasso fesso
Lontan vide un splendor batter le penne.
Orlando al sasso per veder s' accosta ,
Se quivi fosse Angelica reposta.
Stanza 89.
84 Stordito deirarcion quel Re stramazza:
Non si rivolge Orlando a rivederlo ;
Che gli altri taglia, tronca, fende, ammazza*
A tutti pare in su le spalle averlo.
Come per Varia, ove bau si larga piazza,
Fnggon li stomi dall' audace smerlo ;
Cosi di quella squadra ormai disfatta
Altri cade , altri fugge , altri s' appiatta.
8.5 Non cessò pria la sanguinosa spada ,
Che fVi di viva gente il campo vóto.
Orlando è in dubbio a ripigliar la strada ,
Benché gli sia tutto il paese noto.
0 da man destra o da sinistra vada ,
Il pensier dall' andar sempre è remoto :
D' Angelica cercar , faor eh' ove pia ,
Sempre è in timore, e far contraria via.
87 Come nel bosco dell' umil ginepre,
0 nella stoppia alla campagna aperta ,
Quando si cerca la paurosa lepre
Per traversati solchi e per via incerta,
Si va ad ogni cespuglio , ad ogni vepre ,
Se per ventura vi fosse coperta;
Così cercava Orlanlo con gran peni
La donni sua , dove speranza il mena.
Stanza 9l.
88 Verso quel raggio andando in fretta il Conte,
Giunse ove nella selva si diffonde
Dall'angusto spiraglio di quel monte,
Ch' una capace grotta in sé nasconde :
E trova innanzi nella prima fronte
Spine e virgulti , come mura e sponde ,
Per celar quei che nella grotta stanno ,
Da chi far lor cercasse oltraggio e danno.
81) Di giorno ritrovata non sarebbe ;
Ma la facea di notte il lume aperta*
Orlando pensa ben quel ch'esser debbo;
Pur vuol saper la cosa anco più certa.
Poi che legato fuor Brigliidoro ebbe ,
Tacito viene alla grotta coperta;
fra li spessi rami nella buca
Entra , senza chiamar chi V introduca.
90 Scende la tomba molti gradi al basso ,
Dove Ja viva gente sta sepolta.
Era non poco spazioso il sasso
Tagliato a punte di scarpelli in volta;
Né di luce diurna in lutto casso,
Benché l'entrata non ne dava molta;
Ma ne venia assai da una finestra
Che sporgea in un pertugio da man destra.
91 In mezzo la spelonca, appresso a un fuco,
Era una donna di giocondo viso.
Quindici anni passar dovea di poco ,
Quanto fu al Conte, al primo sguardo, avviso.
Ed era bella si, che facea il loco
Salvatico parere un paradiso ;
Bench' avea gli occld di lacrime pregni ,
Del cor dolente -i nnifesti segni.
92 V'era una vecchia; e faiiean gvioi eontese
Come uso femminil spesso esser saole;
Ma come il Conte nella grotta scese,
Finiron 1^ dispute e le parole.
Orlando a Falutaile tu cortese,
Come con donne sempre esser si vuole;
Ed elle ««i levaro immantinente,
E lui risalutar beuignamcnie.
93 Gli é ver che si smarrirò in faccia alquanto «
Come improvviso udiron quella voce,
E insieme entrare armato tutto quanto
Vider là dentro un uom tanto feroce.
Orlando domandò qual fosse tanto
Scortese, ingiusto, barbaro ed atroce.
Che nella grotta tenesse sepolto
Un si gentile ed amoroso volto.
94 La vergine a fatica gli rispose,
Interrotta dai fervidi signozzi,
Che dai coralli e dalle preziose
Perle uscir fanno i dolci accenti jnozzi.
Le lacrime scendean tra gigli e rose ,
Là dove avvien ch'alcuna se n'ingfaiozzi.
Piacciavi udir nell'altro Canto il resto.
Signor, che tempo è ornai di finir questo.
N O T]
St. 1. v. 1-5. — Cerere f dea favolosa, era figlia di
Cibele, qui detta madre Idea^ per il culto speciale che
le si rendeva in Frigia sul monte Ida. — Et,crlado,
nno dei giganti fulminati da Giove, giace, secondo
i mitologi , sotto r Etna in Sicilia. — Proserpina, fl-
ffl a di Cerere , lasciata dalla madre in una valle del-
l'Etna, si finge dai poeti essere stata ivi rapita da
natone.
St. 3- V 2-7 — Cerere, rappresentata mitologicamente
sopra nn carro tirato da draghi, fu detta ehuMna , pei
misteri che se ne celebravano in Eleiisi , antica citt&
dell'Attica, ora villaggio detto Lepsina.
St 4. V. 4. — Libia denominarono gli antichi quella
l»arte d'AfHca settentrionale ch'è bagnata dal Mediter-
laneo, e giace fra l'Etiopia e il mare Atlanlico.
St. 8. V. 3. — Messa d'oro; messa, per adorna. Ora
direbbesi: adoma d'ero.
3t. 11. V. 3. — Oi-adassOf re di Seiicana.
St. 19. V. 3-5. — Relinquet per lascia,
St. 31. V. 2. — Fratel del re Troiano ta Almonte.
St. 47 V. 3-4. — Dove Varnif, ecc. Intendasi che i due
i;aerrieri cominciarono a provocarsi con la spada nelle
commettiture dell* usbergo, perchè ivi le pani dell'ar-
madura combaciano meno Ara loro.
St. 57. v. 3. — Chiama sacro ranelle d* Angelica, per-
chè consacrato con segni magici.
St. 59. v. 5. — Macone (o Maometto, che lo stesa»*
e Trivi gante y due soggetti di venerazione reli^otaper
quei pagani saracini.
St. €9. v. 3 6. — Norirìa, Ninna traccia si ha di qaesto
paese , necessariamente africano , e che non può quindi
essere il Noricum dei Latini.
St. 71. V. e-7. — Per la Wt-iera d' ArH s'inti'iile il
Rodano, che bagna Arles^ città della Provenza.
St. 73. v. 1. — Tremisenne o Tre mec^n, nome di un
antico regno d'Africa neMa Berberia, formante ora tutta
0 parte della provincia di Orano nello stato d* Algm ;
di cui la città pia importante chiamasi in oggi Telemsea.
St. t*3. V. 1. — ■ Penna chiamavasi il vertice o som-
mità dello scudo.
St. 84. v. 9. — Smerh^f uccello di rapina: è detto co-
munemente smeriglio.
Sr. 94. V. 2-4. — Sigìiiono^ singhiojsao. — Yooe an-
tiquata.
stanza 37.
laabffllEL ra[:cot]ta ad Orhtncìo le propirie clÌ3mv?KtibuT«. Sopra vven-
guno 1 mii'amli'iiii abìhUQi'i della cavei^ia: QTlando f^li uccide
tDtri, poi ELbbiviidoiiEL il luogo. cutiditCtiiido seco Umbella. Bi'a-
dà romite ode da Melisaa che Ruggiero è veìmto in rodere del
vr^ctihio prcsiigiaroie: va pur liberamelo, e rimane pi-aia dalUi
Btesso in cali tea Ini ti. L>igr«sj(ioue encomiastica di Melisma auLLe
donne appartcnt!!!] ì alla casa d E^Lo.
Ben furo avventarosi i cavalieri
C'Iterano a quella et A, che nei valloni »
Nelle scure speloutihe e boschi fieri ,
Tane di serpi , tV orsi e ili leoni ,
Trtjvavan qnel che nei pahizzi altieri
A pena or trovar puoii giudici buoni ;
Donne, ihe neìK* lor più fresca etade
Sien degne d'afer litol di beltà de.
Di sopra vi narrai che nella grotta
Avea trovato Orlando una donzella,
E che le dimandò ch'ivi condotta
L' avesse : or seguitando , dico eh' ella ,
Poi che più d'on signozzo l'ha interrotta,
Con dolce e snavissima favella
Al Conte fa le sue sciagure note,
Con quella brevità che meglio puote.
8 Benché io sia certa, dice, o cayaliero,
Ch' io porterò del mio parlar supplizio ,
Perchè a colui che qui m' ha chiusa , spero
Che costei ne darà subito indizio;
Pur son disposta non celarti il vero ,
E yada la mia vita in precipizio.
E eh' aspettar poss' io da lui più gioia ,
Chel si disponga un di voler ch'io muoia?
4 Isabella son io , che^ figlia fdi
Del Re mal fortunato di Gallizia:
Ben dissi fui ; eh' or non son più di lui ,
Ma di dolor, d'affanno e di mestizia:
Colpa d'Amor; ch'io non saprei di cui
Dolermi più, che della sua nequizia:
Che dolcemente nei principj applaude,
E tesse di nascosto inganno e fraude.
5 Già mi vivea di mia sorte felice ,
'Gentil, giovane, ricca, onesta e bella:
Vile e povera or sono , or infelice ;
E s' altra è peggior sorte, io sono in quella.
Ma voglio sappi la prima radice
Che produsse quel mal che mi flagella;
E bench'aiuto poi da te non esca.
Poco non mi parrà che te n' incresca.
6 Mio padre fé' in Baiona alcune giostre:
Esser denno oggimai dodici mesi.
Trasse la fama nelle terre nostre
Cavalieri a giostrar di più paesi.
Fra gli altri (o sia eh' Amor cosi mi mostre,
0 che virtù pur sé stessa palesi)
Mi parve da lodar Zerbino solo,
Che del Gran Re di Scozia era figliuolo.
7 H qual poiché far prove in campo vidi
Miracolose di cavalleria,
Fui presa del suo amore ; e non m' avvidi ,
Ch' io mi conobbi più non esser mia.
E pur, benché '1 suo amor cosi mi guidi,
Mi giova sempre avere in fantasia
Ch'io non misi il mio core in luogo immondo.
Ma nel più degno e bel ch'oggi sia al mondo.
8 Zerbino di bellezza e di valore
Sopra tutti i signori era eminente.
Mostrommi , e credo mi portasse amore ,
£ che di me non fosse meno ardente.
Non ci mancò chi del comune ardore
Interprete fra noi fosse sovente ,
Poiché di vista ancor fummo disgiunti ;
Che gli animi restar sempre congiunti :
9 Perocché dato fine alla gran festa.
Il mio Zerbino in Scozia fé* ritomo.
Se sai che cosa é amor , ben sai che metta
Restai, di lui pensando notte e giorno;
Ed era certa che non men molesta
Fiamma intorno al suo cor facea soggìorao.
Egli non fece al suo disio più schenni.
Se non che cercò via di seco avenm.
10 E perché vieta la diversa fede
(Essendo egli Cristiano , io Saradna)
Ch'ai mio padre per moglie non mi diìede,
Per furto indi levarmi si destina.
Fuor della ricca mia patria , che siede
Tra verdi campi a lato alla marina ,
Aveva un bel giardin sopra una riva
Che colli intomo e tutto il mar scopriva.
11 Gli parve il luogo a fornir ciò disposto,
Che la diversa religion ci vieta;
E mi fa saper l' ordine che posto
Avea di far la nostra vita lieta.
Appresso a Santa Marta avea nascosto
Con gente armata una galea secreta ,
In guardia d' Odorico di Biscaglia ,
In mare e in terra mastro di battaglia.
12 Né potendo in persona far l'effetto,
Perch'egU allora era dal padre antico
A dar soccorso al Re di Francia astretto ,
Manderia in vece sua questo Odorico ,
Che fra tutti i fedeli amici eletto
S' avea pel più fedele e pel più amico ;
E bene esser dovea , se i benefici
Sempre hanno forza d'acquistar gli amicL
13 Yerria costui sopra un navilio armato ,
Al terminato tempo indi a levarmi.
E cosi venne il giorno disiato
Che dentro il mio giardin lasciai trovarmi.
Odorico la notte, accompagnato
Di gente valorosa all'acqua e all'armi
Smontò ad un fiume alla città vicino
E venne chetamente al mio giardino.
14 Quindi fui tratta alla galea spalmata
Prima che la città n'avesse avvisi
Della famiglia ignuda e disarmata
Altri fuggirò, altri restaro uccisi,
Parte captiva meco fu menata.
Cosi dalla mia terra io mi divisi.
Con quanto gaudio non ti potrei dire ,
Sperando in breve il mio Zerbin fruire.
CANTO DECIMOTERZO.
15 Toltati sopra Mongìa eràmo appena
Quando ci assalse alla sinistra sponda
Un vento che turbò V aria serena ,
£ turbò il mare, e al del gli levò Tonda.
Salta un Maestro cb* a traverso mena ,
£ cresce ad ora ad ora , e soprabbonda ;
£ cresce e soprabbonda con tal forza,
Che vai poco alternar poggia con orza.
16 Non giova calar vele, e Tarbor sopra
Corsia legar, né minar castella;
Che ci veggiam mal grado portar sopra
Acuti scogli, appresso alla Boccila.
Se non ci aiuta quel che sta disopra ,
Ci spinge in terra la crudel procella.
Il vento rio ne caccia in maggior fretta ,
Che d^arco mai non si avventò saetta.
21 0 che m* avesse in mar bramata ancora,
Né fosse stato a dimostrarlo ardito;
0 cominciasse il desiderio allora,
Che Pagio v'ebbe dal solingo lito;
Disegnò quivi senza più dimora
Condurre a fin l'ingordo suo appetito;
Ma prima da sé tórre un delli dui
Che nel battei campati eran con nui.
22 Quell'era uomo di Scozia, Almonio detto,
Che mostrava a Zerbin portar gran fede ;
E commendato per guerrier perfetto
Da lui fti, quando ad Odorico il diede.
Disse a costui, che biasmo era e difetto
Se mi traeano alla Boccila a piede;
E lo pregò ch'innanti volesse ire
A farmi incontra alcun ronzin venire.
17 Vide il periglio il Biscagline, e a quello
Usò un rimedio che fallir suol spesso :
Ebbe ricorso subito al battello ;
Calessi , e me calar fece con esso.
Sceser dui altri , e ne scendea un drappello ,
Se i primi scesi V avesser concesso ;
Ma con le spade li tennér discosto ,
Tagliar la fune, e ci allargammo tosto.
18 Fummo gittati a salvamento al lito
Noi che nel palischermo eramo scesi;
Periron gli altri col legno sdrucito :
In preda al mare andar tutti gli arnesi.
All' eterna Boutade , all' infinito
Amor, rendendo grazie, le man stesi,
Che non m'avesse dal furor marino
Lasciato tor di riveder Zerbino.
19 Comech'io avessi sopra il legno e vesti
Lasciato e gioie e l'altre cose care.
Purché la speme di Zerbin mi resti.
Contenta son che s' abbi *i resto il mare.
Non sono, ove scendemmo, i liti pesti
D' alcun sentier , né intomo albergo appare ;
Ma solo il monte , al qual mai sempre fiede
L' ombroso capo il vento, e'i mare il piede.
20 Quivi il cmdo tiranno Amor, che sempre
D' ogni promessa sua fu disleale ,
E sempre guarda come inveiva e stempre
Ogni nostro disegno razionale ,
Mutò con triste e disoneste tempre
Mio conforto in dolor, mio bene in male;
Che quell'amico, in chi Zerbin si crede, -
Di desir arse , ed agghiacciò di fede.
23 Almonio , che di ciò nulla temea ,
Immantinente innanzi il cammin pigba
Alla città che '1 bosco ci ascondea ,
E non era lontana oltre sei miglia.
Odorico scoprir sua voglia rea
All'altro finalmente si consiglia;
Si perchè tor non se lo sa d' appresso
Si perché avea gran confidenzia in esso.
24 Era Corebo di Bilbao nomato
Quel di eh' io parlo che con noi rimase ;
Che da fanciullo picciolo allevato
S'era con lui nelle medesme case.
Poter con lui comunicar l' ingrato
Pensiero il traditor si persuase ,
Sperando eh' ad amar saria più presto
Il piacer dell' amico , che l' onesto.
25 Corebo , che gentile era e cortese ,
Non lo potè ascoltar senza gran sdegno
Lo chiamò traditore, e gli contese
Con parole e con fatti il rio disegno.
Grand' ira all'uno e all'altro il core accese,
E con le spade nude ne fer segno.
Al trar de' ferri io fui dalla paura
Volta a fuggir per l'alta selva oscura.
26 Odorico , che mastro era di guerra ,
In pochi colpi a tal vantaggio venne ,
Che per morto lasciò Corebo in terra ,
E per le mie vestigio il cammin tenne.
Prestògli Amor (sei mio creder non erra),
Acciò potesse giungermi, le penne;
E gì' insegnò molte lusinghe e prieghi ,
Con che ad amarlo e compiacer mi pieghi.
180
ORLANDO PURIOSa
Stanza 17.
27 Ma tutto è indarno ; che fermata e certa
Piuttosto era a morir, eh' a satisfarli.
Poi ch'ogni priego, ogni lusinga esperta
Ebbe e minacce, e non poteau giovarli,
Si ridusse alla forza a faccia aperta.
Nulla mi vai che supplicando parli
Della fe'ch'avea in lui Zerbino avuta,
£ ch'io nelle sue min m'era creduta.
\S Poiché gittar mi vidi i prieghi invano,
Né mi sperare altronde altro soccorso,
E che più sempre cupido e villano
A me venia, come famelic' orso ;
Io mi difesi con piedi e con mano ,
Et adopraivi sin all' ugne e il morso ;
Pelaigli il mento , e gli graffiai la pelle ,
Con stridi che n'andavano alle stelle.
29 Non 80 se fosse Gaso , o li miei gridi
Che si doveano udir lungi una lega ;
Oppur ch^ usati sian correre ai lidi ,
Quando navilio alcun si rompe o anniega :
Sopra il monte una turba apparir vidi :
E questa al mare e verso noi si piega.
Come la vede il Biscaglin venire ,
Lascia V impresa , e voltasi a fuggire.
30 Contra quel disleal mi fu adiutrice
Questa turba, signor; ma a quella imago
Che sovente in proverbio il volgo dice:
Cader della padella nelle brage.
Gli è ver ch^ io non son stata sì infelice ,
Né le lor menti ancor tanto malvage,
Ch'abbino violata mia persona:
Non che sia in lor virtù, nò cosa buona;
J^'
Stanza 2ò.
Stanca 2S
33 II primo d essi , uom di spietato viso ,
Ha solo un occhio , e sguardo scuro e bieco;
L'altro d'un colpo che gli avea reciso
Il naso e la mascella, è fatto cieco.
Costui vedendo il cavaliero assiso
Con la vergine bella entro allo speco ,
Vólto accompagni, dime: Ecco augel novo,
A cui non tesi, e nella rete il trovo.
3t Ma perchè se mi serban , com'io sono.
Vergine, speran vendermi più molto.
Finito è il mesa ottavo , e viene il nono ,
Che fu il mio vivo corpo qui sepolto.
Del mio Zerbino ogni speme abbandou);
Che già , per quanto ho da' lor detti accolto ,
M'han promessa e venduta a un mercadante
Che portare al soldau mi de' in Levante.
32 Cosi parlava la gentil donzella :
E spesso con singhiozzi e con sospiri
Interrompea l'angelica favella.
Da muovere a pietade aspidi e tiri.
Mentre sua doglia cosi rinnovella,
0 forse disacerba i suoi martiri,
Da venti uomini entrar nella spelonca ,
Armati chi di spiedo e chi di ronca.
fiitauza 'ab.
34 Poi disse al Conte: Uomo noa yidi
Più comodo di te, né più opportuno.
Non so se ti se' apposto, o se lo sai
Perchè te V abbia forse detto alcuno ,
Che si beli* arme io desiava assai ,
E questo tuo leggiadro abito bruno.
Venuto a tempo yeramente sei.
Per riparare filli bisogni miei.
mai 35 Sorrise amaramente, in piò salito,
Orlando , e fé' risposta al mascalzone :
Io ti venderò Parme ad un partko
Che non ha mercadante in sua ragione.
Del fuoco , eh' avea appresso, indi rapito
Pien di fuoco e di fumo uno stizzone,
Trasse e percosse il malandrino a caso
Dove confina con le ciglia il naso.
36 Lo stizEone ambe le palpebre colse,
Ma maggior danno fé' nella sinistra;
Che qneUa parte misera gli tolse.
Che della luce sola era ministra.
Né d'acciecarlo contentar si volse
Il colpo fier , s' ancor non lo registra
Tra quegli spirti che con suoi compagni
Fa star Chiron dentro ai bollenti stagni.
37 Nella spelonca una gran mensa siede ,
Grossa duo palmi e spaziosa in quadro,
Che sopra un mal pulito e grosso piede
Cape con tutta la famiglia il ladro.
Con quell'agevolezza che si vede
Gittar la canna lo Spagnuol leggiadro
Orlando il grave desco da sé scaglia
Dove ristretta insieme è la canaglia.
40 Quei che la mensa o nullo o poco offese.
(E Turpin scrìve appunto che fur sette)
Ai piedi raccomandan sue difese ;
Ma neir uscita il paladin si mette :
E poi che presi gli ha senza contese ,
Le man lor lega con la fune istrette ,
Con una fune al suo bisogno destra,
Che ritrovò nella casa silvestra.
MH-:
>A.-'
stanza 36.
38 A chil petto, a cbi'l ventre, a chi la tesu,
A chi rompe le gambe, a chi le braccia;
Di ch'altri muore, altri storpiato resta:
Chi meno è offeso, di fuggir procaccia.
Cosi talvolta un grave sasso pesta
E fianchi e lombi, e spezza capi e schiaccia,
Gittato sopra un gran drappel di bisce ,
Che dopo il verno al sol si goda e lisce.
39 Nascono casi , e non saprei dir quanti :
Una muore, una parte senza coda,
Un'altra non si può muover davanti,
E'I deretano indamo aggira e snoda;
Un'altra, ch'ebbe più propizj i santi.
Striscia fra l' erbe , e va serpendo a proda.
Il colpo orribil fu , ma non mirando ,
Poiché lo fece il valoroso Orlando.
stanza 41.
41 Poi li strascina fuor della spelonca.
Dove facea grand' ombra un vecchio sorbo.
Orlando con la spada i rami tronca,
E quelli attacca per vivanda al corbe.
Non bisognò catena in capo adonca;
Che per purgare il mondo di quel morbo ;
L' arbor medesmo gli uncini prestolli ,
Con che pel mento Orlando ivi attaccolli.
42 La donna yecchia , amica a* malandrini,
Poiché restar tutti li YÌde estinti ,
^"ggì piangendo , e con le mani ai crini ,
Per Eelye e boscherecci labirinti.
Dopo aspri e malagevoli cammini,
A gravi passi e dal timor sospinti,
In ripa un fiume in un gnerrier scontrosse ;
Bf a differisco a ricontar chi fosse :
43 E tomo all'altra che si raccomanda
Al paladin, che non la lasci sola;
E dice di seguirlo in ogni banda.
Cortesemente Orlando la consola;
E quindi, poi ch'usci con la ghirlanda
Di rose adorna e di purpurea stola
La bianca Aurora al solito cammino,
Parti con Isabella il paladino.
44 Senza trovar cosa che degna sia
D'istoria, molti giorni insieme andaro;
E finalmente un cavalier per via.
Che prigione era tratto , riscontraro.
Chi fosse, dirò poi; ch'or me ne svia
Tal, di chi udir non vi sarà men caro:
La figliuola d' Amon , la qual lasciai
Languida dianzi in amorosi guaL
45 La bella donna , disiando in vano
Ch' a lei facesse il suo Ruggier ritorno ,
Stava a Marsiglia, ove allo stuol pagano
Dava da travagliar quasi ogni giorno ;
Il qual scorrea, mband ) in monte e in piano.
Per Linguadoca e per Provenza intorno ;
Ed ella ben facea l'ufficio vero
Di savio duca e d'ottimo guerriero,.
4H Standosi quivi, e di gran spazio essendo
Pa«isato il tempo che tornare a lei
Il suo Ruggier dovea , né lo vedendo ,
Vivea in timor di mille casi rei.
Un di Ara gli altri, che di ciò piangendo
Stava solinga, le arrivò colei
Che portò nell'anel la medicina
Che sanò il cor ch'avea ferito Akina.
47 Come a sé ritornar senza il suo amante.
Dopo si lungo termine', la vede.
Resta pallida e smorta , e si tremante ,
Che non ha forza di teneisi in piede:
Ma la maga gentil le va davante
Ridendo, poi che del timor s'avvede;
E con viso giocondo la conforta,
Qual aver suol chi buone nove apporta.
48 Non temer , disse , di Ruggier , donzeUa ;
Oh' è vivo e sano , e , come suol , t' adora :
Ma non é già in sua libertà; che quella
Pur gli ha levata il tuo nemico ancorf^ :
Ed é bisogno che tu monti in sella.
Se brami averlo , e che mi segni or ora;
Che se mi segui , io t' aprirò la via ,
D'onde per te Ruggier libero fia.
49 E seguitò , narrandole di quello
Magico error che gli avea ordito Atlante:
Che simulando d'essa il viso bello.
Che captiva parea del rio gigante,
Tratto l'avea nell'incantato ostello,
Dove sparito poi gli era d'avante ;
E come tarda con simile inganno
Le donne e i cavalier che di là vanno.
50 A tutti par , l' incantator mirando ,
Mirar quel che per sé brama ciascuno ,
Donna , scudier , compagno , amico ; quando
Il desiderio nman non é tutt'uno.
Quindi il palagio van tutti cercando
Con lungo affanno , e senza frutto alcuno ;
E tanta è la speranza e il gran disire
Del ritrovar, che non ne san partire.
Stanza 47.
51 Come tu giungi , disse , in quella parte
Che giace pressa ali^ incantata stanza ,
Verrà V incantatore a ritroyarte ,
Che terrà di Ruggiero ogni sembianza;
E ti farà parer con sua maPurte,
Ch'ÌTÌ lo Tinca alcun di più possanza.
Acciò che tu per aiutarlo vada
Dove con gli altri poi ti tenga a bada.
52 Acciò gl'inganni, in che son tanti e tanti
Caduti , non ti colgan , sie avvertita
Che sebben di Ruggier visa e sembianti
Ti parrà di veder , che chieggia aita ,
Non gli dar fede tu; ma, come avanti
Ti vien , fàgìi lasciar V indegna vita :
Né dubitar per ciò che Ruggier muoia ,
Ma ben colui che ti dà tantA noia.
53 Ti parrà dnro assai , ben Io conosco ,
Uccìder un che sembri il tuo Ruggiero:
Por non dar fede ali* occhio tao, che losco
Farà V incanto , e celeràgli il vero.
Fermati, pria ch'io ti conduca al bosco,
Si, che poi non si cangi il tuo pensiero;
Che sempre di Ruggier rimarrai priva ,
Se lasci per viltà chel mago viva.
54 La valorosa giovane , con questa
Intenzion che'l frandolente uccida,
A pigliar Parme .ed a seguire è presta
Melissa; che sa ben quanto Tè fida.
Quella, or per terren culto , or per foresta,
A gran giornate e ip gran fretta la guiMn .
Cercando alleviarle tuttavia
Con parlar grato la noiosa via.
55 E più di tutti i bei ragionamenti,
Spesso le ripetea ch'uscir di lei
E di Ruggier doveano gli eccellenti
Principi e gloriosi semidei.
Come a Melissa f ossine presenti
Tutti i secreti degli etemi Dei ,
Tutte le cose ella sapea predire,
Ch'avean per molti secoli a venire.
56 Deh ! come , o prudentissima mia Fcorta ,
(Dicea alla maga T inclita donzella)
Molti anni prima tu m'hai fatto accorta
Di tanta mia viril pr( genie bella;
Cosi d'alcuna donna mi conforta.
Che di mia stirpe sia , s' alcuna in quella
Metter si può tra belle e virtuose.
E la cortese maga le rispose:
57 Da te uscir veggio le pudiche donne ;
Madri d' imperatori e di gran regi ,
Reparatrici e solide colonne
Di case illustri e di dominj egregi ;
Che men degne non son nelle lor gonne ,
Ch' in arme i cavalier , di sommi pregi ,
Di pietà , di gran cor , di gran prudenza ,
Di somma e incomparabil continenza.
58 E s'io avrò da narrarti di ciascuna
Che nella stirpe tua sia d' onor degna,
Troppo sarà; ch'io non ne veggio alcuna
Che passar con silenzio mi convegna.
Ma ti farò tra mille scelta d'una
0 di due coppie, acciò eh' a fin ne vegna
Nella spelonca perchè noi diòesti?
Che l'immagini ancor vedute avresti.
69 Della tua Chiara stirpe uscirà quella
D'opere illustri e di bei studj amica.
Ch'io non so ben se più leggiadra e bella
Mi debba dire , o più saggia e pudica ,
Liberale e magnanima Isabella,
Che del bel lume suo di e notte aprica
Farà la terra che sul Menzo siede,
A cui la madre d'Ocno il nome diede;
60 Dove onorato e splendido certame
Avrà col suo dignissimo consorte.
Chi di lor più le virtù prezzi ed ame ,
E chi meglio apra a cortesia le porte.
S' un narrerà eh' al Taro e nel reame
Fu a liberar da' Galli Italia forte;
L' altra dirà : Sol perchè casta visse ,
Penelope non fu minor d'Ulisse.
61 Gran cose e molte in brevi detti accolgo
Di questa donna, e più dietro ne lasso,
Che in quelli di ch'io mi levai dal volgo,
Mi fé' chiare Merlin dal cavo sasso.
E s'in questo gran mar la vela sciolgo.
Di lunga Tifi in navigar trapasso.
Conchiudo in somma, ch'ella avrà, per dono
Della virtù e del ciel , ciò eh' è di buono.
62 Seco avrà la sorella Beatrice,
A cui si converrà tal nome appunto:
Ch'essa non sol del ben che quaggiù lice,
Per quel che viverà toccherà il punto ;
Ma avrà forza di far seco felice
Fra tutti i ricchi duci il suo congiunto,
H qual , come ella poi lascerà il mondo ,
Cosi degl'infelici andrà nel fondo.
63 E Moro e Sforza e viscontei colubri,
Lei viva, formidabili saranno
Dall'iperboree nevi ai lidi rubri,
Dall'Indo ai monti ch'ai tuo mar via danno
Lei morta, andran col regno degl'Insubri,
E con grave di tutta Italia danno ,
In servitute; e'fia stimata, senza
Costei, ventura la somma prudenza.
64 Vi saranno altre ancor, ch'avranno il nome
Medesmo , e nasceran molt' anni prima :
Di ch'una s'ornerà le sacre chiome
Della corona di Pannonia opima;
Un'altra, poi che le terrene some
Lasciate avrà, fia nell'ausonio clima
Collocata nel numer delle Dive,
Ed avrà incensi e immagini votive.
Merlino.
66 Dell' altre tacerò ; che , come ho detto ,
Lungo sarehhe a ragionar di tante:
Benché per sé ciascuna abbia suggetto
Degno ch'eroica e chiara tuba caute.
Le Bianche, le Lucrezie io terrò in petto,
E le Costanze e T altre, che di quante
Splendide case Italia reggeranno,
Beparatrici e madri ad esser hanno.
66 Più eh' altre fosser mai , le tue famiglie
Saran nelle lor donne avventurose ;
Non dico in quella più delle lor figlie ,
Che neir alta onestà delle lor spose.
E acciò da te notizia anco si pigile
Di questa parte che Merlin mi espose ,
Porse perch' io '1 dovessi a te ridire ,
Ho di parlarne non poco desire.
188
GELANDO FDBIOSO.
67 E dirò prima dì Eicdarda, degno
Esempio di fortezza e d* onestade :
Vedova rìmArrà, giovane, a sdegno
Di Fortuna; il che spesso ai buoni accade.
I figli privi del paterno regno ,
Esuli andar vedrà in strane contrade ,
Fanciulli in man degli awersarj loro ;
Ma in fine avrà il suo male ampio ristoro.
Stanza i5.
70 Qual lo stagno all'argento, il rame all'oro.
Il campestre papavero alla rosa,
Pallido salce al sempre verde alloro ,
Dipinto vetro a gemma preziosa;
Tal a costei , eh' ancor non nata onoro ,
Sarà ciascuna insino a qui famosa
Di singular beltà , di gran prudenzia ,
E d'ogni altra lodevole eccellenzia.
71 E sopra tutti gli altri incliti pregi
Che le saranno e a viva e a morta dati ,
Si loderà che di costumi regi
Ercole e gli altri figli avrà dotati ,
E dato gran principio ai ricchi fregi
Di che poi s'orneranno in toga e armati;
Perchè l' odor non se ne va si in fretta ,
Ch' in nuovo vaso , o buono o rio , si metta.
72 Non voglio eh' in silenzio anco Renata
Di Francia , nuora di costei , rimagna ,
Di Luigi duodecimo re nata,
E dell' etema gloria di Bretagna.
Ogni virtù ch'in donna mai sia stata,
Di poi che'l fuoco scalda e l'acqua bagna,
E gira intorno il cielo , insieme tutta
Per Renata adornar veggio ridutta.
73 Lungo sarà che d' Alda di Sansogna
Narri, o della contessa di Celano,
G di Bianca Maria di Catalogna,
0 della figlia del re sicigliano,
0 della bella Lippa da Bologna,
E d'altre; che s'io vo'di mano in manu
Venirtene dicendo le gran lode.
Entro in un alto mar che non ha prode.
68 Dell'alta stirpe d'Aragona antica
Non tacerò la splendida regina.
Di cui né saggia si, né si pudica
Veggio istoria lodar greca o latina,
Né a cui fortuna più si mostri amica ;
Poiché sarà dalla Bontà divina
Eletta madre a partnrir la bella
Progenie , Alfonso , Ippolito e Isabella.
74 Poi che le raccontò la maggior parte
Della futura stirpe a suo grand' agio ,
Più volte e più le replicò dell'arte
Ch'aver tratto Ruggier dentro al palagio.
Melissa si fermò , poiché fu in parte
Vicina al luogo del vecchio malvagio;
E non le parve di venir più innante,
Aedo veduta non fosse da Atlante:
9 Costei sarà la saggia Leonora,
Che nel tuo felice arbore s'innesta*
Che ti dirò della seconda nuora ,
Sneceditrice prossima di questa?
Lucrezia Borgia, di cui d'ora in ora
La beltà , la virtù , la fama onesta ,
E la fortuna crescerà non meno
Che giovin pianta in morbido terreno.
75 E la donzella di nuovo consiglia
Di quel che mille volte ormai l'ha detto.
La lascia sola; e quella oltre a dua miglia
Non cavalcò per un sentiero istretto,
Che vide quel eh' al suo Ruggier simiglia :
E dui giganti di crudele aspetto
Intorno avea , che lo stringean si forte ,
Ch' era vicino esser condotto a morte.
76 Come la donna in tal perìglio vede
Colui che di Ruggiero ha tutti i segni ,
Subito cangia in sospizion la fede ,
Subito obblia tutti i suoi bei disegni.
Che sia in odio a Melissa Ruggier crede ,
Per nuova ingiuria e non intesi sdegni ,
E cerchi far con disusata trama
Che sia morto da lei che cosi Tama.
78 Mentre che cosi pensa, ode Ja voce,
Che le par di Ruggier, chieder soccorso;
E vede quello a un tempo , che veloce
Sprona il cavallo e gli rallenta il morso ,
E r un nemico e l' altro suo feroce ,
Che lo segue e lo caccia a tutto corso.
Di lor seguir la donna non rimase,
Che si condusse air incantate case.
79 Delle quai non più tosto entrò le porte ,
Che fu sommersa nel comune errore.
Lo cercò tutto per vie dritte e torte
In van di su e di giù , dentro e di fuore :
Né cessa notte o di; tanto era forte
LMncanto: e fatto avea T incantatore ,
Che Ruggier vede sempre e gli favella ,
Né Ruggier lei , né lui riconosce ella.
stanza 78.
Stanza 79.
77 Seco dicea : Non è Ruggier costui ,
Che col cor sempre, ed or con gli occhi veggio?
E 8!or non veggio e non conosco lui,
Che mai veder o mai conoscer deggio?
Perchè vogPio della credenza altrui
Che la veduta mia giudichi peggio ?
Che senza gli occhi ancor, sol per sé stesso
Può il cor sentir se gli è lontano o appresso.
80 Ma lasdam Bradamante, e non v' incresca
Udir che cosi resti in quello incanto ;
Che quando sarà il tempo eh' ella n' esca ,
La farò uscire, e Ruggiero altrettanto.
Come raccende il gusto il mutar esca,
Cosi mi par che la mia istoria, quanto
Or qua or là più variata sia ,
Meno a chi r udirà noiosa fia.
81 Di molte fila esser bisogno parme
A condor la gran tela ch'io lavoro;
E però non vi spiaccia d^ ascoltarme ,
Come ihor delle stanze il popol moro
Davanti al re Agramante ha preso 1* a^me ,
Che , molto minacciando ai Gigli d^ oro ,
Lo fa assembrare ad una mostra nova.
Per saper quanta gente si ritrova:
82 Perch* oltre i cavalieri , olire i pedoni
Ch' al numero sottratti erano in copia ,
Mancavan capitani, e pur de^ buoni,
E di Spagna e di Libia e d' Etiopia :
E le diverse squadre e le nazioni
Givano errando senza guida propia.
Per dare e capo ed ordine a ciascuna.
Tutto il campo alla mostra si raguna.
88 Li supplimento delle turbe uccise
Nelle battaglie e ne' fieri conflitti ,
L' un signore in Ispagna , e V altro mise
In Africa, ove molti n'eran scritti;
E tutti alli lor ordini divise ,
E sotto i daci ]or gli ebbe diritti.
Differirò , Signor , con grazia vostra ,
Nell'altro Canto l'ordine e la mostra.
N OTB.
St. 4. V. 1-2. — n padre d'Isabella, Maricoldo, re aa-
racino della Gallizia , acciso nella gran battaglia della
quale si tocca al principio del poema. ^ Isabella è nome
di origine semitica; quindi , è conveniente a donna sa-
racina.
St. 10. V. 5-6. — Fuor della ricca mia patria , ecc.
Probabilmente la Carogna, capitcde della Galizia.
St. 11. V. 5. — Santa Marta: borgo in Galizia, sulla
riva orientale della piccola baia omonima, a sirocco del
capo Ortegal.
St. 15. V. 1. — Mangia: borgo in Galizia, a ponente
della Corogna, sul lato meridionale di un seno di mare,
fra il capo Belem e il capo Coriana. Le indicazioni che
si danno di questo borgo e di Santa Marta risultano
dalle mappe che verosimilmente erano in uso ai tempi
del Poeta.
Ivi. V. 5^. — Maestro , vento che soffia tra ponente
e settentrione.
St. 16. V. 2. — Corsia è uno spazio vuoto nella nave,
per camminare liberamente da poppa a prora. CastéLlOy
e pia comunemente cassero , chiamasi un rialto nella
parte superiore della nave a poppa, ove sogliono col-
locarsi le artiglierie: alcuni navigli lo hanno a prora.
Ivi. V. 4. — Boccila , città marittima della Francia
neirAunis, sulla costa occidentale del Begno, di contro
ausisela di Rhé.
St. 24. V. 1. — Bilbao , capitale della Biscaglia : ò a
breve distanza dall'Oceano, sul fiume Ansa, che con la
sua foce vi forma il porto.
St. 32. V. 4. — Tiri: specie di serpi somiglianti aUe
vipere : Dal tiro prese nome la Mriaca.
St. 36. — V. 6-8. — Sbancar non lo registra, ecc. In-
tendasi, se ancor non lo manda alVinfemo tra i vio-
lenti. Finge Dante, nel Xll dell' Jn^i-no, che una torma
di centauri, dei quali Chirone é il capo, costringa i vio-
lenti a stare immersi, fino ad una certa misura, in una
fossa di sangue bollente.
St. 37. v. 5-6. — Con qiteW agevolata, ecc. Accennai
una specie di giostra introdotta dai Morì in Ispagna, e
dagli Spagnuoli in Italia : richiedeva molta agilità, e vi
era in gran pregio la leggiadrìa dei ginocatorì.
St. 46. V. 6-8. — Colei, ecc. Con questa periùmsi viene
indicata Melissa.
St. 59. V. 5-a — Isabella, ecc. Isabella d'Este nacqna
dal duca Ercole I e da Eleonora di Aragona nel mag-
gio 1474; fu maritata nel febbraio del 1490 a FraacttCQ.
0 Gianfrancesco II marchese di Mantova, condotto poee
prima dalla Repubblica dì Venezia per suo capitan ge-
nerale. Per coltura di spirito e alto senno, to. repstau
fht le donne pia illustri del suo secolo. Mori nel feb-
braio del 1539. — Ménta è il Mincio, fiume di Mantova,
il nome della quale i poeti trassero da Manto , figlia
dell'indovino Tiresia, e madre di Ocno.
St. 60. V. 5-6. — Si accenna la battaglia segni ta nel
6 luglio 1495, sotto il comando del marchese di Man-
tova sul Taro, presso Fomovo, fra le truppe di Carlo TLH
re di Francia, e Tesercito dei prìncipi italiani collegati
contro quel re, il quale aprendosi il passo fra i nemici .
si ritrasse quindi in Piemonte. Il marchese assistè anche
alla battaglia di Atella, combattuta nel 1496; ultimo fìatto.
onde il regno di Napoli restò libero dall* occopazioDe
francese.
St. 61. V. 5-6. — Il nome di Tifi, nocchiero della fr-
volosa nave degli Argonauti, è qui preso a significato,
di eccellente piloto.
St. 62. V. 1-8. — Beatrice , di cui qui si parla , nata
dal duca Ercole 1 nel 1475 , si maritò nel gennaio 1^1
a Lodovico Sforza, detto il Moro, duca di Milano; e mori
nel 2 gennaio 1497 con sospetto di essere stata avve-
lenata.
St. 6.S. V. 1-8. — La potenza di Lodovico si mantenne
fino a che egli , dopo aver chiamato in Italia Massimi-
liano re de' Romani nel 1496 , dovè fuggire di Milano
tre anni appresso ; e allora tutta la Lombardia venne in
potere dei Francesi. Vi tornò il Moro nel 1500; ma tra-
dito dagli Svizzeri, che aveva assoldati, cadde in mano
ai Francesi, che lo condussero prigione in Francia, in-
sieme col cardinale Ascanio suo fratello. — La frase del
terzo verso significa dalle parti più settentrionali d'Eu-
^•opa fino al mar Rosso, eh' è nelle più meridionali ; e
qaella del quarto verso vale da levante a ponente, de-
notandosi per VJndo Toriente, e pei monti ivi accennati,
i due promontorii che formano lo stretto di Oibilterra.
St. 64. V. 3-4. — Questa Beatrice nasceva dal mar-
chese Aldobrandino vissuto nel duecento; fu sposa di
Andrea II re d'Ungheria, detta anticamente Pannonia.
IvT. y. 5 8. — Due Beatrici d'Este si pongono dal Mu-
ratori tnk le beate. Una , figlia di Azzo VI , fondò sul
monte Qemola il monastero di San Giovanni Battista,
dove compi i suoi giorni nel 1226. L'altra, nipote dello
stesso Azzo, perchè nata di Azzo Novello, prese il velo
in Ferrara nel monastero di Sant'Antonio, ed ivi mori
nel 1270.
St. 65. V. 1-8. — Di queste donne, che il Poeta ha voluto
tenersi in petto, basti indicare le seguenti : Bianca, fi-
glia di Niccolò III, celebrata per i pregi deUa mente e
del cuore, consorte di Galeotto Pico . signore della Mi-
randola; rimastane vedova nel 1489, si ritirò in quel
monastero di San Lodovico, e vi mori nel 1506. — Co-
stanza, figlia di Azzo Novello , maritata a Ugo degli
Aldobrandini, conte di Maremma, e in seconde nozze a
Qaglielmo Pelavicino, marchese di Scipione. Vedova an-
che di questo, si ritirò nel monastero di Gemola , dove
chiuse i suoi giorni. — Lucrezia, figlia di Sigismondo,
fratello di Alfonso I, maritata ad Alberigo Malaspina,
marchese di Massa.
ST. 67. V. 1-8. — Intendesi qui probabilmente Rie-
eiarda, figlia di Guecello IX da Camino, e moglie di
un Azzo, nato nel 1344 da Francesco d'Este, secondo di
qaesto nome. Azzo, che viveva in Toscana nel 1393, éu-
scitò una guerra civile nel 1394 , in occasione della
morte di Alberto d'Este, a cui pretendeva succedere in
pregiadizio di Niccolò III , allora fanciullo ; ma fEitto
prigione nel 1395 , fu relegato in Candia. Richiamatone
dopo alcun tempo, ottenne dalla casa alcune rendite nel
Padovano. Mori in Este, nel 1415; ed ò verosimile che i
suoi figli si stabilissero poscia in Rovigo.
St. 69. y. 1-2. — Eleonora , lodata nella stanza pre-
cedente, e nominata nel principio di questa, nacque da
Ferdinando I d'Aragona, re di Napoli; e il contratto di
nozze fra lei e il duca Ercole I fu stabilito neiragosto
del 1472. Essa mori nel 1493.
Ivr. y. 3-8. — Alfonso I d'Este fti il quarto marito di
Lucrezia Borgia , figlia sparia di Alessandro VI. Il
primo fu un privato gentiluomo, ohe l'ebbe dal papa, a
cui dipoi la cedo per denaro. Il secondo era Giovanni
Sforza, signore di Pesaro, che la sposò nel 1493: il papa
che la desiderava per sé, sciolse quel matrimonio, sotto
pretesto di frigidezza nel marito. Appresso, Lucrezia fa
data ad Alfonso d'Aragona, figlio spurio di Alfonso II
re di Napoli, e marchese o principe di Discaglia ; il duca
Valentino, fratello di Lucrezia, volle averla, e fsce stran-
golare il marito nel 1500. Per ultimo, il papa Alessandro
oiferse Lucrezia al duca Ercole in moglie del di lui figlio ;
e la proposizione , male accolta da Alfonso , fu sanzio-
nata dal padre, pia ad insinuazione del re di Francia e
per ragioni di Stato, che per altro motivo. La cerimonia
nuziale, ebbe luogo in Roma, con splendidissimo appa-
rato, nel dicembre del 1501 ; e nel ^ giugno 1519 , Lu-
crezia moriva in Ferrara di aborto.
St. 72. y. 1-8. — Renata , nata di Luigi XII re di
Francia, e d'Anna figlia del duca di Borgogna, fti sposa
del duca Ercole. II, e compensò la deformità della per-
sona col molto ingegno. Accolse assai bene Giovanni
Calvino recatosi in Ferrara sotto mentito nome; perciò
fu chiusa per comando del duca in un monastero. Ri-
masta vedova nel 1559, si ritirò neiranno seguente nel
suo castello di Montargis in Francia, e quivi mori nel 1575.
St. 73. y. 1-5. — Alda di Sassonia, sposata a un mar-
chese Albertazzo. — Beatrice, figlia di Carlo II d'Angiò,
re di Napoli e di Sicilia, era.staia data in moglie ad
Azzo Vni nel 1305, e Bianca sorella di lei divenne mo-
glie di Iacopo n re d'Aragona. Maria, pilmogenita del-
l'aragonese Alfonso I, re di Napoli, maritata nel 1443 a
Lionello d'Este, era morta nel 1449, quando Antonio To-
deschini Piccolomini , duca d'Amalfi e conte di Celano,
ebbe in consorte da Ferdinando I , figliuolo d'Alfonso,
nel 1458, la di lui figlia naturale Maria, che due anni
dopo mori. Da questi fatti , ohe mostrano la famiglia
Estense unita di affinità con un re di Cicilia , col conti
di Celano, e con la casa d'Aragona che dominava anche
la Catalogna, il Poeta prende occasione di lodare quelle
tre donne. Di Lippa da Bologna, nominata nel quinto
verso, egli avea motivo di non tacete, perchè sorella di
Bonifazio Ariosti, il quale piantò in Ferrara la famiglia
da cui derivò il Poeta medesimo. Lippa, famosa per Tav-
venenza, fti favorita di Obizzo III, che la fece sua mo-
glie poco innanzi la di lei morte, accaduta nel 27 no>
vembre del 1347; e legittimò con quell'atto i figliuoli
avuti da lei.
St. 81. y. 6. — Ai Gigli d*oro: alla Francia.
St. 83. y. 3. — Mise qui vale manda.
stanza 37.
CANTO DECIMOQDARTO.
ARGOMENTO.
Nella rassegna generale dell'esercito pagano, si vedono mancare le dae schiere distratte da Orlando. Mandrlearlo.
correndo in traccia del Paladino, s'imbatte in Doralioe, figlia del re di Granata, che va sposa a Rodomoirte.
re di Sansa; ne nccide il corteggio, la conduce seco e la fa sua moglie. I Mori danno Tassalto a Parigi.
1 Nei molti assalti e nei crudel conflitti,
Ch'avuti avea con Francia, Africa e Spagna,
Morti eran infiniti, e derelitti
Al Inpo , al corvo , all' aquila grifagna :
E benché i Franchi fossero più afflitti,
Che tutta avean perduta, la campagna.
Più si doleano i Saracin , per molti
Principi e gran baron eh' eran lor tolti.
2 Ebbon vittorie cosi sanguinose,
Che lor poco avanzò di che allegrarsi.
E se alle antique le moderne cose.
Invitto Alfonso, denno assimigliarsi ;
La gran vittoria , onde alle virtuose
Opere vostre può la gloria darsi ,
Di che aver sempre lacrimose ciglia
Ravenna debbe, a queste s' assimiglia.
3 Quando cedendo Merini e Piccardi ,
L' esercito normando e l' aquitano ,
Voi nel mezzo assaliste gli stendardi
Del quasi vincitor nimico ispano ;
Seguendo voi quei gioveni gagliardi ,
Che meritar con valorosa mano
Quel ài da voi, per onorati doni,
L'else indorate e gl'indorati sproni.
Con si animosi petti che vi fòro
Vicini 0 poco lungi al gran periglio,
Crollaste sì le ricche Giande d'oro,
Si rompeste il Baston giallo e vermiglio,
' Ch' a voi si deve il trionfale aUoro ,
Che non fu guasto né sfiorato il Giglio.
D' un' altra fronde v' orna anco la chioma
L'aver serbato il suo Fabrizio a Roma.
5 La gran Colonna del nome romano,
Che voi prendeste e che servaste intera ,
Vi dà più onor che se di vostra mano
Fosse caduta la milizia fiera ,
Quanta n'ingrassa il campo ravegnano,
E quanta se n'andò senza bandiera
D' Aragon , di Castiglia e di Navarra ,
Veduto non giovar spiedi né carra.
6 Quella vittoria fu più di confurto ,
Che d'allegrezza; perché troppo pesa
Centra la gioia nostra il veder morto
Il capitan di Francia e dell' impresa ;
E seco avere una procella assorto
Tanti principi illustri, eh' a difesa
Dei regni lor , dei lor confederati ,
Di qua dalle fredd'Alpi eran passati.
Stftnzft ;
Nostra salute, nostra vita In questa
Vittoria suscitata si conosce,
Che difende che '1 verno e la tempesta
Di Giove irato sopra noi non croscè :
Ma né goder possiam , né fame festa ,
Sentendo i gran rammarichi e P angosce
ChMn veste bruna e lacrimosa guancia
Le vedovelle fan per tutta Francia.
6 Bisogna che provveggia il re Luigi
Di novi capitani alle sue squadre,
Che per onor dell'aurea Fiordaligi
Castighino le man rapaci e ladre.
Che suore, e frati e bianchi e neri e bigi
Violato hanno e sposa e figlia e madre;
Gittate in terra Cristo in sacramento,
Per torgli un tabernacolo d'argento.
9 0 misera Ravenna , t' era meglio
Ch'ai vincitor non fèssi resistenza;
Far eh' a te fosse innanzi Brescia speglio ,
Che tu lo fossi a Arimino e a Faenza.
Manda , Luigi , il buon Trivulzio veglio ,
Ch'insegni a questi tuoi più continenza,
£ conti lor quanti per simil torti
Stati ne sian per tutta Italia morti.
10 Come di capitani bisogna ora
Che'l re di Francia al campo suo proweggia,
Così Marsilio ed Agramante allora,
Per dar buon reggimento alla sua greggia ,
Dai lochi dove il verno fé' dimora,
Vuol che in campagna all' ordine si veggia ;
Perchè vedendo ove bisogno sia ,
Guida e governo ad ogni schiera dia.
11 Marsilio prima, e poi fece Agramante
Passar la gente sua, schiera per schiera.
I Catalani a tutti gli altri innante
Di Dorifebo van con la bandiera.
Dopo vien , senza il suo re Folvirante ,
Che per man di Rinaldo già morto era.
La gente di Navai ra ; e lo re ispano
Halle dato Isolier per capitano.
15 Di quei di Saragosa e della corte
Del re Marsilio ha Ferraù il governo :
Tutta la gente è ben armata e forte.
In questi è Malgarino, Balinverno,
Malzarise e Morgante, ch'una sorte
Avea fatto abitar paese estemo;
Che , poi che i regni lor lor furon tolti ,
Gli avea Marsilio in corte sua raccolti.
16 In questa è di Marsilio il gran bastardo ,
Follicon d' Almeria , con Doriconte ,
Bavarte e Largalifa ed Analardo ,
Ed Archidante il sagonUno conte ,
E Lamirante e Langhiran gagliardo ,
E Malagur eh' avea l'astuzie pronte;
Ed altri ed altri , de' quai penso , dove
Tempo sarà, di far veder le prove.
17 Poi che passò l'esercito di Spagna
Con bella mostra innanzi al re Agramante ,
Con la sua squadra apparve alia campagna
Il re d' Oran , che quasi era gigante.
L' altra che vien , per Martasiu si lagna ,
il qual morto le fu da Bradamante;
E si duol ch'una femmina si vanti
D'aver ucciso il re de' Garamanti.
12 Balugante del popol di Leone,
Grandonio cura degli Algarbi piglia.
Il fratel di Marsiglio , Falsirone ,
Ha seco armata la minor Castiglia.
à^egnon di Madarasso il gonfalone
Quei che lasciato han Malaga e Siviglia ,
Dal mar di Gade a Cordova feconda
Le verdi ripe ovunque il Beti innonda.
13 Stordilano e Tesira e Baricondo,
L'nn dopo l'altro, mostra la sua gente:
Granata al primo , L'iisbona al secondo ,
E Maiorica al terzo è ubbidiente.
Fu d'Ulisbona re (tolto dal mondo
Larbin) Tessira, di Larbin parente.
Poi vien Galizia , che sua guida , in vece
Di Maricoldo , Serpentino fece.
14 Quei di Toledo e quei di Calatrava,
Di ch'ebbe Sìnagon già la bandiera,
Con tutta quella gente che si lava
In Guadiana e bee della riviera,
L' audace Matalista governava :
Bianzardin quei d'Asturga in una schiera
Con quei di Salamanca e di Piagenza,
D' Avila, di Zamora e di Palenza.
18 Segue la terza schiera di Marmonda,
Ch'Argosto morto abbandonò in Guascogna:
A questa un capo , come alla seconda ,
E come anco alla quarta, dar bisogna.
Quantunque il re Agramante non abbonda
Dì capitani , pur ne finge e sogna:
Dunque Buraldo , Ormida , Arganio elesse ,
E dove uopo ne fu , guida li messe.
19 Diede ad Arganio quei di Libicana,
Che piangean morto il negro Dudrinasso.
Guida Brunello i suoi di Tingitana,
Con viso nubiloso e ciglio basso ;
Che, poi che nella selva non lontana
Dal Castel ch'ebbe Atlante in cima al sasso,
Gli fu tolto l' anel da Bradamante ,
Caduto era in disgrazia al re Agramante :
20 E se '1 fratel di Ferraà , Isoliero ,
Ch'air arbore legato ritrovollo.
Non facea fede innanzi al re del vero ,
Avrebbe dato in su le forche un crollo.
Mutò a prieghi di molti il re pensiero,
Già avendo fatto porgli il laccio al collo:
Gli lo fece levar, ma riserbarlo
Pel primo error; che poi giurò impiccarlo:
21 Si ch^avea cansa di venir Brunello
Col viso mesto e con la testa china.
Segoia poi Fanirante , e dietro a quello
Eran cavalli e fanti di Maurina.
Venia Libanio appresso , il re novello :
La gente era con lui di Costantina ;
Perocché la corona e il baston d'oro
Gli ha dato il re , che fu di Pinadoro.
22 Con la gente d' Esperia Soridano ,
E Dorilon ne vien con quei di Setta;
Ne vien coi Nasamoni Puli'ano.
Quelli d'Amonia il re Agricalte affretta;
Malabuferso quelli di Fizano.
Da Finadurro è l' altra squadra retta ,
Che di Canaria viene e di Marocco :
Balastro ha quei che fur del re Tardocco.
23 Due squadre, una di Mulga, una d'Arzilla,
Seguono ; e questa ha U suo signore antico ,
Quella n' è priva ; e però il re sortilla ,
E diella a Corineo suo fido amico.
E cosi della gente d' Almansilla ,
Oh' ebbe Tanfirion , fé' re Calco :
Die quella di Getulia a Rimedonte.
Poi vien con quei di Cosca Baìinfronte.
24 Quell'altra schiera è la gente di Bolga:
Suo re è Clariiido , e già fu Mirabaldo.
Vien Baliverzo, il qual vo'che tu tolga
Di tutto il gregge pel maggior ribaldo.
Non credo in tutto il campo si disciolga
Bandiera ch'abbia esercito più saldo
Dell'altra, con che segue il re Sobrino.
Né più di lui prudente S«iracino.
25 Quei di Bellamarina, che Gualciotto
Solca guidare, or guida il re d'Algieri
Rodomonte di Sarza, che condotto
Di nuovo avea pedoni e cavalieri;
Che, mentre il Sol fu nubiloso sotto
Il gran Centauro , e i comi orridi e fieri ,
Fu in Africa mandato da Agramante,
Onde venuto era tre giorni innante.
26 Non avea il campo d'Africa più forte
Né Saracin più audace di costui ;
E più temean le parigine porte ,
Ed avean più cagion di temer lui ,
Che Marsilio , Agramante , e la gran corte
Ch'avea seguito iu Francia questi dui:
E più d'ogpi altro che facesse mostra.
Era nimico della Fede nostra.
27 Vien Prusìone , il re dell' Alvaracchie ;
Poi quel della Znmara, Dardinello.
Non so s'abbiano o nottole o cornacchie,
0 altro manco ed importuno augello.
Il qual dai tetti e dalle fronde gracchie
Futuro mal , predetto a questo e a quello ,
Che fissa in ciel nel di seguente é l' ora
Che l'uno e l'altro in quella pugna muora.
28 In campo non aveano altri a venire,
Che quei di Tremisenne e dì Norìzia;
Né si vedea alla mostra comparire
Il segno lor, né dar di sé notizia.
Non sapendo Agramante che si dire ,
Né che pensar di questa lor pigrizia ;
Uno scudiero alfin gli fu condutto
Del re di Tremisen, che narrò il tutto.
29 E gli narrò ch'Alzirdo e Manilardo
Con molti altri de' suoi giaceano al campo :
Signor , diss' egli , il cavalier gagliardo
Ch'ucciso ha i nostri, ucciso avria il tuo campo,
Se fosse stato a tòrsi via più tardo
Di me, eh' a pena ancor cosi ne scampo.
Fa quel de' cavalieri e de' pedoni ,
('he '1 lupo fa di capre e di montoni.
30 Era venuto pochi giorni avante
Nel campo del re d'Africa un signore;
Né in Ponente era , né in tutto Levante ,
Dì più forza di lui , né di più core.
Gli facea grande onore il re Agramante ,
Per esser costui figlio e successore
In Tartaria del re Agrican gagliardo :
Suo nome era il feroce Mandricardo.
31 Per molti chiari gesti era famoso,
E di sua fama tutto il mondo empia ;
Ma lo facea più d' altro glorioso ,
Ch' al Castel della fata di Sona
L'usbergo avea acquistato luminoso
Ch'Ettor troian portò mille anni pria.
Per strana e formidabile avventura ,
Che'l ragionarne pur mette paura.
32 Trovandosi (ostui dunque presente
A quel parlar, alzò l'ardita faccia;
É si dispose andare immantinente,
Per trovar quel guerrier, dietro alla traccia.
Ritenne occulto il suo pensiero in mente,
0 sia perché d'alcun stima non faccia,
0 perchè tema , se '1 pensier palesa ,
Ch'uu altro innanzi a lui pigli l'impresa.
33 Allo scudier fé' dimandar com'era
La soprawesta di qnel cavaliero.
Colni rispose : Quella è tutta nera ,
Lo scudo nero, e non ha alcun cimiero.
E fu, signor, la sua risposta vera,
Perchè lasciato Orlando avea il quartiere ;
Che , come dentro V animo era in doglia ,
Così imbrunir di fuor volse la spoglia.
34 Marsilio a Mandricardo avea donato
Un destrier baio a scorza di castagna,
Con gambe e chiòme nere ; ed era nato
Di frisa madre, e d' on viilan di Spagna.
Sopra vi salta Mandricardo armato
£ galoppando va per la campagna;
E giura non tornare a quelle schiere ,
Se non "trova il campion dall'arme nere.
Stanza 42.
86 Molta incontrò della paurosa gente
Che dalle man d' Orlando era fuggita ,
Chi del figliuol , chi del fratel dolente ,
Ch'innanzi gli occhi suoi perde la vita.
Ancora la codarda e trista mente
Nella pallida faccia era sculpita;
Ancor per la paura che avuta hanno ,
Pallidi , muti ed insensati vanno.
86 Non fé' lungo cammin, che venne dove
Crudel spettacolo ebbe ed inumano,
Ma testimonio alle mirabil prove
Che fur racconte innanzi al re africano.
Or mira questi , or quelli morti , e muove ,
E vuol le piaghe misurar con mano,
Mosso da strana invidia ch'egli porta
Al cavalier eh' avea la {^ente mort^.
37 Come lupo o mastin eh' ultimo giugne
Al bue lasciato morto da' villani ,
Che trova sol le coma , T ossa e l' ugne ,
Del resto son sfamati augelli e cani;
Riguarda invano il teschio che non ugne:
Cosi fa il cnidel barbaro in que' piani:
Per duol bestemmia, e mostra invidia immensa.
Che venne tardi a cosi ricca mensa.
38 Quel giorno e mezzo l'altro segue incerto
Il cavalier dal negro, e ne domanda.
Ecco vede un pratel d'ombre coperto,
Che si d'un alto fiume si ghirlanda,
Che lascia appena un breve spazio aperto.
Dove l'acqua si torce ad altra banda.
Un simil luogo con girévol onda
5otto Ocriooli il Tevere circonda.
89 Dove entaur si potea, con Panne indosso
Stavano molti cavalieri armati.
Chiede il pagan, chi gli avea in stnol si grosso
£d a che effetto insieme ivi adnnati
Gli fé' risposta il capitano, mosso
Dal signoril sembiante, e da* fregiati
D' oro e di gemme arnesi e di gran pregio ,
Che lo mostravan cavaliero egregio.
40 Dal nostro re siam , disse di Granata ,
Chiamati in compagnia della figliuola,
La quale al re di Sansa ha maritata,
Benché di ciò la fama ancor non vola.
Come appresso la sera racchetata
La cicaletta sia , eh' or s' ode sola ,
Avanti al padre fra T Ispane torme
La condurremo: intanto ella si dorme.
Stanisa 4.?.
41 Ck»lui die tutto il mondo vi li perni e,
Diaegua di veder tosto la prò va,
Se quetla geliti o bene o mal difende
La donna , alla cui guardia sì ritrova.
Di^3« : Costei f per quauto m u' Intende ,
É bella, e di saperlo ora mi giova*
A lei mi mena , o falla qui veuke ;
Ch^altroTe mi couvieu subito gire.
4*i Ktìser iier certo dèi pazzo solenue ,
iiiapose il Gr^naiin ^ uè più gli disse.
Ha il Tartaro a ferir tosto lo venne
Con l'asta bassa, e il petto gli trafisse:
Che la corazza il colpo non sostenne ,
E forza fu che mort* in terra giì^se.
L'asta ripovra il figlio dVAgricane,
Perchè altro da ferir non jfli rìtuAne.
108
GELANDO FUEIOSO.
43 Non poita spada né baston ; che quando
L' arme acquistò , che far d' Ettor troiano ,
Perchè trovò che lor mancava il brando,
Gii convenne giurar (né giurò invano)
Che finché non togliea quella d' Orlando ,
Mai non porrebbe ad altra spada mano:
Durindana ch'Almonte ebbe in gran stima,
E Orlando or porta , Ettor portava prima.
44 Grande é V ardir del Tartaro , che vada
Con disvantaggio tal centra coloro,
Gridando: Chi mi vuol vietar la strada?
E con la lancia si cacciò tra loro.
Chi r asta abbassa , e chi tra* fuor la spada ;
E d' ognintorno subito gJi fóro.
Egli ne fece morire una frotta,
Prima che quella lancia fosse rotta.
45 Botta che se la vede, il gran troncone,
Che resta intero , ad ambe mani afferra ;
E fa morir con quel tante persone.
Che non fu vista mai più crudel guerra.
Come tra' Filistei l'ebreo Sansone
Con la mascella che levò di terra,
Scudi spezza, elmi sdiiaccia ; e un colpo spesso
Spegne i cavalli ai cavalieri appresso.
46 Corrono a morte que* miseri a gara:
Né perchè cada Tun l'altro andar cessa;
Che la maniera del morire amara
Lor par più assai, che non è morte istessa.
Patir non ponno che la vira cara
Tolta lor sia da un pezzo d' asta fessa ,
E sieno sotto alle picchiate strane
A morir giunti come bisce o rane.
47 Ma poi eh' a spese lor si furo accorti
Che male in ogni guisa era morire ,
Sendo già presso alli due terzi morti ,
Tutto l'avanzo cominciò a fuggire.
Come del proprio aver via se gli porti ,
n Saracin crudel non può patire
Ch'alcun di quella turba sbigottita
Da lui partir si debba con la vita.
49 Poscia ch'egli restar vede l'entrata,
Che mal guirdata fu , senza custode ;
Per la via che di nuovo era segnata
Neil' erba , e al suono dei rammarchi eh' ode ,
Viene a veder la donna di Granata ,
Se di bellezze è pari alle sue lode :
Passa tra i corpi della -gente morta,
Dove gli dà , torcendo , il fiume porta.
50 E Doralice in mezzo il prato vede ,
(Che così nome li donzella avea)
La qual, suffolta dall'antico piede
D'un frassino silvestre, si dolca.
Il pianto , come un rivo che succede
Di viva vena, nel bel sen cadea;
E nel bel viso si vedea che insieme
Dell'altrui mal si duole, e del suo teme.
51 Crebbe il timor , come venir lo vide
Dì sangue brutto, e con faccia empia e oscura,
E '1 grido sin al ciel V aria divide ,
Dì sé e della sua gente per paura;
Che, oltre i cavalìer, v'erano guide
Che della bella infante aveano cura ,
Maturi vecchi, e assai donne e donzelle
Del regno di Granata, e le più belle.
52 Come il Tartaro vede quel bel viso
Che non ha paragone in tutta Spagna,
E e' ha nel pianto (or ch'esser de' nel riso?)
Tesa d'amor l' inestricabil ragna,
Non sa se vive o in terra o in paradiso:
Né della sua vittoria altro guadagna,
Se non che in man della sua prigioniera
Si dà prigione, e non sa in qual maniera.
53 A lei però non si concede tanto.
Che del travaglio suo le doni il frutto;
Benché piangendo ella dimostri, quanto
Possa donna mostrar, dolore e lutto.
Egli, sperando volgerle quei pianto
In sommo gaudio , era disposto al tutto
Menarla seco ; e sopra un bianco ubino
Montar la fece , e tornò al suo cammino.
48 Come in palude asciutta dura poco
Stridula canna, o in campo arida stoppia
Centra il soffio di Borea e centra il fuoco
Che'l cauto agricultore insieme accoppia,
Quando la vaga fiamma occupa il loco ,
E scorre per li solchi, e stride e scoppia;
Così costar contra la furia accesa
Di Mandrìcardo fan poca difesa.
54 Donne e donzelle e vecchi ed altra gente ,
Ch'eran con lei venuti di Granata,
Tutti licenziò benignamente
Dicendo: assai da me fia accompagnata;
Io mastro , io balia , io le sarò sergente
In tutti ì suoi bisogni : addio brigata.
Cosi non gli possendo far riparo,
Piangendo e sospirando se n' andare ;
55 Tra lor dicendo: quanto doloroso
Ne sarà il padre , come il caso intenda !
QnantMra, quanto duol ne avrà il suo sposo!
Oh come ne farà vendetta orrenda !
Deh , perchè a tempo tanto bisognoso
Non è qui presso a far che costui renda
Il sangue illustre del re Stordilano ,
Prima che se lo porti più lontano?
56 Della gran preda il Tartaro contento,
Che fortuna e valor gli ha posta innanzi ,
Di trovar quel dal negro vestimento
Non par ch^ abbia la fretta ch^ avea dianzi.
Correva dianzi; or viene adagio e lento;
£ pensa tuttavia dove si stanzi ,
Dove ritrovi alcun comodo loco,
Per esalar tanto amoroso foco.
57 Tuttavolta conforta Doralice,
Oh' avea di pianto e gli occhi e' 1 viso molle :
Compone e finge molte cose , e dice
Che per fama gran tempo ben le volle;
E che la patria e il suo regno felice,
Che 4 nome di grandezza agli altri tolle,
Lasciò, non per vedere o Spagna o Francia,
Ma sol per contemplar sua bella g^iancia.
58 Se per amar, Tuom debb' essere amato,
Merito il vostro amor; che v'ho amatMo:
Se per stirpe, di me chi è meglio nato?
Chè'l possente Agrican fu il padre mio:
Se per ricchezza, chi ha di me più stato?
Che di dominio io cedo solo a Dio:
Se per valor , credo oggi aver esperto
Ch' esser amato per valore io merto.
59 Queste parole ed altre assai ch'Amore
A Mandricardo di sua bocca ditta,
Van dolcemente a consolare il core
Della donzella di paura afflitta.
Il timor cessa, e poi cessa il dolore
Che le avea quasi T anima trafitta.
Ella comincia con più pazienza
A dar più grata al nuovo amante ulìenza;
60 Poi con risposte più benigne molto
A mostrarsegli affabile e cortese ,
E non negargli di fermar nel volto
Talor le luci di pietade accese;
Onde il pagan, che dallo strai fu colto
Altre volte d*amor, certezza prese,
Nonché speranza, che la donna bella
Non saria a* suoi desir sempre ribella.
61 Con questa compagnia lieto e gioioso ,
Che si gli satisfa, si gli diletta,
Essendo presso all'ora eh' a riposo
La fredda notte ogni animale alletta ,
Vedendo il Sol già basso e mezzo ascoso
Cominciò a cavalcar con maggior fretta;
Tanto eh' udì sonar zufoli e canne ,
E vide poi fumar ville e capanne.
Stanza 57.
67 Erano pastorali alloggiamenti ,
Miglior stanza e più comoda, che belhi.
Quivi il guardian cortese degli armenti
Onorò il ca vallerò e la donzella
Tanto , che si chiamar di lui contenti :
Che non pur per cittadi e per castella
Ma per tugurj ancora e per fenili
Spesso si trovan gli uomini gentili.
63 Quel che fosse di poi fatto all' oscuro
Tra Doralice e il figlio d'Agricane,
A punto raccontar non m' assicuro ;
Si ch'ai giudizio di ciascun rimane.
Creder sì può che beu d' accordo furo ;
Che si levar più allegri la dimane :
E Doralice rìograziò il pastore.
Che nel suo albergo le avea fatto onore.
64 Indi d'uno in nn altro luogo errando,
Si ritroTaro alfin sopra nn bel finme
Che con silenzio al mar va declinando,
E se vada o se stia, mal si presume;
Limpido e chiaro si, chMn Ini mirando,
Senza contesa al fondo porta il Inme.
In ripa a quello, a una fresca ombra e bella,
Trovar dui cavalieri e una donzella.
65 Or l'alta fantasia, eh' un sentier solo
Non vuol ch'i' segua ognor, quindi mi guida,
E mi ritoma ove il moresco stuolo
Assorda di rnmor Francia e di grida.
D'intorno il padiglion ove il figliuolo
Del re Troiano il santo Imperio sfida;
E Rodomonte audace se gli vanta
Arder Parigi, e spianar Roma santa.
66 Venuto ad Agramante era all'orecchio.
Che già gì' Inglesi avean passato il mare :
Però Marsilio e il re del Garbo vecchio,
E gli altri capitan fece chiamare.
Consiglian tutti a far grande apparecchio ,
Sì che Parigi possino espugnare.
Ponno esser certi che più non s' espugna ,
Se noi fan prima che l'aiuto gingna.
67 Già scale innumerabili per questo
Da' luoghi intomo avean fatto raccorre,
Ed asse e travi , e vimine contesto ,
Che le poteano a diversi usi porre ;
E navi e ponti : e più facea , che '1 resto ,
II primo e'I secondo ordine disporre
A dar l' assalto ; ed egli vuol venire
Tra quei che la città denno assalire.
68 L' imperatore , il dì che '1 dì precesse
Della battaglia , fé' dentro a Parigi
Per tutto celebrare ufficj e messe
A preti, a frati bianchi, neri e bigi;
E le genti che dianzi eran confesse,
E di man tolte agl'inimici stigi,
Tutte comunicar, non altramente
Ch'avessino a morire il di seguente.
69 Ed egli tra baroni e paladini ,
Principi ed oratori, al maggior tempio
Con molta religione a quei divini
Atti intervenne, e ne die agli altri esempio,
Con le man giunte, e gli occhi al ciel supini.
Disse: Signor, bench'io sia iniquo ed empio,
Non voglia tua bontà, pel mio fallire.
Che '1 tuo popol fedele abbia a patire.
70 E se gli è tuo voler eh' egli patisca ,
E eh' abbia il nostro error degni supplici ,
Almen la pnnizion si differisca
Si , che per man non sia de' tuoi nemici :
Che quando lor d'uccider noi sortisca.
Che nome avemo pur d' esser tuo' amici ,
I pagani diran che nulla puoi,
Che perir lasci i partigiani tuoi.
71 E per un che ti sia fatto ribelle.
Cento ti si femin per tutto il mondo ;
Talché la legge falsa di Babelle
Caccerà la tua fede e porrà al fondo.
Difendi queste genti, che son quelle
Che'l tuo sepulcro hanno purgato e mondo
Da bratti cani , e la tua Santa Chiesa
Con li vicari suoi spesso difesa.
72 So che i meriti nostri atti non sono
A satisfare al debito d'un' oncia;
Né devemo sperar da te perdono.
Se riguardiamo a nostra vita sconcia :
Ma se vi aggiugni di tua grazia il dono ,
Nostra ragion fia ragguagliata e concia;
Né del tuo aiuto disperar possiamo,
Qualor di tua pietà ci ricordiamo.
73 Così dicea l' imperator devoto ,
Con umiltade e contrizion di core.
Giunse altri prieghi, e convenevol voto
Al gran bisogno e all'alto suo splendore.
Non fu il caldo pregar d'effetto vdto;
Perocché '1 Genio suo , Y Angel migliore ,
I prieghi tolse, e spiegò al ciel le penne,
Ed a narrare al Salvator li venne.
74 E furo altri infiniti in quello istante
Da tali messaggier portati a Dio ;
Che come gli ascoltar l'anime sante,
Dipinte di pietade il viso pio ,
Tutte mirare il sempiterno Amante,
E gli mostrare il comun lor disio,
Che la giusta orazion fosse esaudita
Del popolo Cristian che chiedea aita.
75 E la Bontà ineffabile , eh' invano
Non fu pregata mai da cor fedele.
Leva gli occhi pietosi , e fa con mano
Cenno che venga a sé l' angel Michele.
Va, gli disse, air esercito cristiano
Che dianzi in Piccardia calò le vele,
E al muro di Parigi l'appresenta
Sì , che '1 campo nimico non lo senta.
76 Trova prima il Silenzio . e da mia parte
Gli di' che teco a questa impresa venga ;
Ch'egli ben provveder con ottima arte
Saprà di quanto provveder convenga.
Fornito questo, subito va in parte
Dove il suo seggio la Discordia tenga:
Dille che l'esca e il fucil seco prendii,
E nel campo de' Mori il fuoco accenda;
77 E tra quei che vi son detti più forti ,
Sparga tante zizzanie e tante liti,
Che combattano insieme , ed altri morti ,
Altri ne siano presi, altri feriti,
E fuor del campo altri lo sdegno porti,
Si che il lor re poco di lor spaiti.
Non replica a tal detto altra parola
Il benedetto augel, ma dal del vola.
82 Quella che gli avea detto il Padre Etemo,
Dopo il Silenzio, che trovar dovesse.
Pensato avea di far la via d'Averno,
Che si credea che tra' dannati stesse;
E ritrovolla in questo nuovo inferno
(Chi '1 crederla ?) tra santi uflBicj e messe.
Par di strano a Michel ch'ella vi sia,
Che per trovar credea di far gran via.
83 La conobbe al vestir di color cento
Fatto a liste ineguali ed infinite,
Ch*or la coprono, or no; che i passi e'I vento
Le gian aprendo, ch'erano sdrucite.
I crini avea qual d' oro e qual d' argento ,
E neri e b'gi; e aver pareano lite:
Altri in treccia, altri in nastro eran raccolti,
Molti alle spalle, alcuni al petto sciolti.
78 Dovunque drizza Michel angel l'ale,
Fuggon le nubi , e toma il ciel sereno :
Gli gira intomo un aureo cerchio, quale
Veggiam di notte lampeggiar baleno.
Seco pensa tra via, dove si cale
Il celeste corrier per fallir meno
A trovar quel nimico di parole,
A cui la prima commission far vuole.
79 Vien scorrendo ov' egli abiti , ov' egli usi ;
E si accordaro infin tutti i pensieri.
Che di frati e di monachi rinchiusi
Lo può trovare in chiese e in monasteri,
Dove sono i parlari in modo esclusi.
Che '1 Silenzio ove cantano i salteri ,
Ove dormono , ov' hanno la pietanza ,
E finalmente è scritto in ogni stanza.
80 Credendo quivi ritrovarlo , mosse
Con maggior fretta le dorate penne;
E di veder eh' ancor pace vi fosse,
Quiete e Carità sicuro tenne.
Ma dalla opinion sua ritrovosse
Tosto ingannato, che nel chiostro venne:
Non è Silenzio quivi ; e gli fu ditto
Che non v' abita più , fuorché in iscritto.
stanza 84.
81 Né Pietà, né Quiete, né Umiltade,
Né quivi Amor, né quivi Pace mira.
Ben vi fur già, ma nell'antiqua etade;
Che le cacciar Gola , Avarizia ed Ira ,
Superbia, Invidia, Inerzia e Crudeltade.
Di tanta novità l' Angel si ammira :
Andò guardando quella brutta schiera,
E vide eh' anco la Discordia v' era:
84 Di citatorie piene e di libelli ,
D' esamine e di carte di procure
Avea le mani e il seno, e gran ostelli
Di chiose, di consigli e di letture;
Per cui le facultà de' poverelli
Non sonò mai nelle città sicure.
Avea dietro e dinanzi , e d' ambo i lati ,
Notaj , procuratori ed avvocati.
85 La cMama a sé Michele, e le comanda
Che tra i più forti Saradni scenda,
E cagion trovi , che (•A>n memoranda
Rnina in«ieme a guerreggiar gli accenda.
Poi del Silenzio nuova le domanda:
Facilmente esser può ch^essa nMntenda,
Siccon^e quella ch^ accendendo fochi
Di qua e di là va per diversi lochi.
86 Rispose la Discordia: Io non ho a mente
In alcun loco averlo mai veduto :
Udito l'ho ben nominar sovente,
£ molto commendarlo per astuto.
Ma la Fraude , una qui di nostra gente ,
Che compagnia talvolta gli ha tenuto ,
Penso che dir te ne saprà novella ;
E verso nna alzò il dito, e disse: É quella.
87 Avea piacevol viso , abito onesto ,
Un umil volger d'occhi, un andar grave.
Un parlar si benigno e si modesto,
Che parea Gabriel che dicesse: Ave.
Ehi brutta e deforme in tutto il resto ;
Ma nascondea queste fattezze prave
Con lungo abito e largo ; e sotto quello ,
Attossicato avea sempre il coltello.
88 Domanda a costei V Angelo , che via
Debba tener , si che '1 Silenzio trove.
Disse la Fraude: Già costui solia
Fra virtudi abitare, e non altrove
Con Benedetto , e con quelli d' Elia
Nelle badie , quando erano ancor nuove ;
Fé' nelle scuole assai della sua vita
Al tempo di Pitagora e d'Archita.
89 Mancati quei filosofi e quei santi
Che lo solean tener pel cammin ritto,
Dagli onesti costumi eh' avea innanti ,
Fece alle scelleraggini tragitto.
Cominciò andar la notte con gli amanti ,
Indi coi ladri, e fare ogni delitto.
Molto col Tradimento egli dimora:
Veduto l'ho con l'Omicidio ancora.
90 Con quei die fals<)n le monete ha usanza
Di ripararsi in qualche buca scura.
Cosi spesso compagni muta e stanza,
Che'l ritrovarlo ti saria ventura.
Ma pur ho d'insegnartelo speranza,
Se d'arrivare a mezza notte h&i cura
Alla casa del Sonno: senza fallo
Potrai (che qui dorme) ritrovallo.
91 Benché soglia la Fraude esser bugiarda ,
Pur è tanto il suo dir simile al vero.
Che l'Angelo le crede; indi non tarda
A volarsene fuor del monastero.
Tempra il batter dell'ale, e studia e iroanla
Giungere in tempo al fin del suo sentiero.
Ch'alia. casa del Sonno, che ben dove
Era sapea, questo Silenzio trove.
92 Giace in Arabia una valletta amena ,
Lontana da cittadi e da villaggi.
Ch'ali' ombra di duo monti è tutta piena
D'antiqui abeti e di robusti faggi.
Il Sole indarno il chiaro di vi mena;
Che non vi può mai penetrar coi nggì.
Si gli è la via da folti rami tronca:
E quivi entra sotterra una spelonca.
93 Sotto la negra selva una capace
E sparì'osa grotta entra nel sasso ,
Di cui la fronte l'edera seguace
Tutta aggirando va con storto passo.
In questo albergo il grave Sonno giace;
L' Ozio da un canto corpulento e grasso ,
Dall'altro la Pigrizia in terra siede,
Che non può andare, e mal reggesi m piede.
94 Lo smemorato Oblio sta su la porta;
Non lascia entrar né riconosce alcuno;
Non ascolta imbasciata, né riporta;
E parimente tien cacciato ognuno.
Il Silenzio va intomo , e fa la scorta
Ha le scarpe di feltro e '1 mantel brano ;
Ed a quanti n' incontra , di lontano ,
Che non debban venir, cenna con mano.
95 Se gli accosta all'orecchio, e pianamente
L'Angel gli dice: Dio vuol che tu gnidi
A Parigi Rinaldo con la gente
Che per dar, mena, al suo signor sassidi;
Ma che lo facci tanto chetamente ,
Ch' alcun de' Saracin non oda i gridi ;
Si che più tosto che ritrovi il calle
La Fama d' avvisar , gli abbia alle spalle.
96 Altrìmente il Silenzio non rispose
Che col capo accennando che f^ria;
E dietro ubbidiente se gli pose,
E furo al primo volo in Piccardia.
Michel mosse le squadre coraggiose ,
E fé' lor breve un gran tratto di via ;
Si che in un dì a Parigi le condusse ,
Né alcun s'avvide che miracol. fosse.
97 Disconreva il SMeniìo; e tatto volto,
E dinansi alle squadre e d'ogn^ intorno ,
Facea girare nn^alto nebbia in volto,
Ed avea chiaro ogni altra parte il giorno:
E non lasciava questo nebbia folto,
Che s* udisse di fnor tromba nò corno :
Poi n*andò tra' pagani, e menò seco
Un non so che, eh' ognun fé' sordo e cieco.
98 Mentre Rinaldo in tol fretto venia ,
Che ben parea dall' Angelo condotto ,
E con silenzio tol che non s'udia
Nel campo saracin farsene motto ;
Il re Agramante avea la fanteria
Messo ne' borghi di Parigi , e sotto
Le minacciate mura in su la fossa ,
Per far quel di l'estremo di sua possa.
99 Chi può contar l'esercito che mosso
Questo di con tra Carlo ha '1 re Agramante ,
Conterà ancora in su l'ombroso dosso
Del silvoso Appennin tutte le piante:
Dirà quante onde, quando è il mar più grosso,
Bagnano i piedi al manritono Atlante;
E per quanti occhi il ciel le furtive opre
Degli amatori a mezza notte scuopre.
100 Le campane si sentono a martello
Di spessi colpi e spaventosi tocche ;
Si vede molto , in questo tempio e in quello ,
Alzar di mano e dimenar di bocche.
Se'l tesoro paresse a Dio si bello,
Come alle nostre opinioni sciocche ,
Questo era il di che'l santo consistoro
Fatto avria in terra ogni sua stetua d'oro.
101 S'odon rammaricare i vecchi giusti ,
Che s'erano serbati in quegli affanni,
E nominar felici i sacri busti
Composti in terra già molti e molt' anni.
Ma gli animosi giovani rob:i«ti ,
Che miran poco i lor propinqui danni ,
Sprezzando le ragion de' più maturi,
Di qua di là vanno correndo a' muri
102 Quivi erano baroni e paladini ,
Re , duci , cavalier , marchesi e conti ,
Soldati forestieri e cittadini,
Per Cristo e pel suo onore a morir pronti ,
Che , per uscire addosso ai Saracini ,
Pregan l'imperator ch'abbassi i ponti.
Gode egli di veder l' animo audace ;
Ma di lasciarli uscir non li compiace.
103 E li dispone in opportuni lochi.
Per impedire ai barbari la via.
Là si contenta che ne vadan pochi;
Qua non basto una grossa compagnia.
Alcuni han cura maneggiare i fuochi,
Le macchine altri, ove bisogno sia.
Carlo di qua di là non sta mai fermo;
Va soccorrendo, e fa per tutto schermo.
Staii7.a i02.
104 Siede Parigi in una gran pianura ,
Nell'ombilico a Francia, anzi nel core;
Gli passa la riviera entro le mura,
E corre , ed esce in altra parte fuore ;
Ma fa un'isola prima, e v'assicura
Della città una parte , e la migliore :
L'altre due (ch'in tre parti è la gran terra)
Di fuor la fossa, e dentro il fiume serra.
105 Alla città, che molte miglia gira.
Da molte parti si può dar battoglia:
Ma perchè sol da un canto assalir mira ,
Né volentier l'esercito sbaraglia,
Oltre il fiume Agramante si ritira
Verso Ponente , acciò che quindi assaglia ;
Perocché né cittade né campagna
Ha dietro , se non sua , fin alla Spagna.
106 Dovuniìae intorno il gran muro circonda.
Gran munizioni avea già Carlo fatte ,
Fortificando d'argine ogni sponda,
Con scannafossi dentro e casematte:
Ond' entra nella terra , ond' esce V onda ,
Grossissime catene aveva tratte;
Ma fece, più ch'altrove, provvedere
Là dove avea più causa di temere.
btanza 116.
107 Con occhi d*Argo il figlio di Pipino
Previde ove assalir dovea Agraraante;
E non fece disegno il Saracino ,
A cui non fosse riparato innante.
Con Ferraù, Isoliero, Serpentino,
Grandonio , Falsirone e Balugante ,
E con ciò che di Spagna avea menato.
Restò Marsilio alla campagna armato.
108 Sobrìn gli era a man manca in ripa a Senna,
Con Pulian , con Dardinel d' Almonte ,
Col re d'Oran, ch'esser gigante accenna,
Lungo sei braccia dai piedi alla fronte.
Deh perchè a muover men son io la penna,
Che quelle genti a muover l'arme pronte?
Chè'l re di Sarza, pien d'ira e di sdegno,
Grida e bestemmia, e non può star più a se^o.
109 Come assalire a vasi pastorali,
0 le dolci reliquie de' convivi,
Soglion con rauco suon di stridule ali
Le impronte mosche a' caldi giorni estivi ;
Come gli stomi a' rosseggianti pali
Vanno di mature uve ; così quivi ,
Empiendo il ciel di grida e di rumori ,
Veniano a dare il fiero assalto i Mori.
1 10 L' esercito Cristian sopra le mura
Con lance, spade e scuri e pietre e fuoco
Difende la città senza paura,
E il barbarico orgoglio estima poco;
£ dove morte uno ed un altro fura,
Non è chi per viltà ricusi il loco.
Tornano i Saracin giù nelle fosse
A furia di ferite e di percosse.
Ili Non ferro solamente vi s'adopra.
Ma grossi massi, e merli integri e saldi,
E muri dispiccati con molt'opra,
Tetti di torri, e gran pezzi di spaldi.
L'acque bollenti che vengon di sopra.
Portano a' Morì insopportabil caldi;
E male a questa pioggia si resiste,
Ch'entra per gli elmi, e fa acciecar le viste.
112 E questa più nocea che'l ferro quasi:
Or che de' far la nebbia di calcine?
Or che doveano far li ardenti vasi
Con olio e zolfi e peci e trementine?
1 cerchj in munizion non son rimasi ,
Che d'ogn' intomo hanno di fiamma il crine:
Questi, scagliati per diverse bande,
Mettono a' Saracini aspre ghirlande.
118 Intanto il re di Sarza avea cacciato
Sotto le mura la schiera seconda,
Da Buraldo, da Onuida accompagnato,
Quel Garamante, e questo di Marmonda
Clarindo e Soridan gli sono a lato :
Né par che '1 re di Setta si nasconda :
Segue il re di Marocco e quel di Cosca,
Ciascun perchè il valor suo si conosca.
114 Nella bandiera , eh' è tutta vermiglia ,
Rodomonte di Sarza il leon spiega.
Che la feroce bocca ad una briglia
Che gli pon la sua donna , aprir non niega.
Al leon sé medesimo assimiglia;
E per la donna che lo frena e lega ,
La bella Doralice ha figurata,
Figlia di Stordilan re di Granata:
115 Quella che tolto avea, compio narrava,
Be Mandricardo ; e dissi dove e a coi.
Era costei che Rodomonte amava
Più che U suo regno e più che gli occhi sui ;
E cortesia e valor per lei mostrava ,
Non già sapendo eh' era in forza altrui :
Se saputo T avesse, allora allora
Fatto avria quel che fé* quel giorno ancora.
IIG Sono appoggiate a un tempo mille scale,
Che non han men di dua per ogni grado.
Spìnge il secondo quel ch'innanzi sale:
Che il terzo lui montar fa suo mal grado.
Chi per virtù , chi per paura vale :
Convien eh' ognun per forza entri nel guado ;
Che qualunque s'adagia, il re d'Algiere,
Rodomonte crudele, uccide o fere.
117 Ognun dunque si sforza di salire
Tra il fuoco e le mine in su le mura.
Ha tutti gli altri guardano se aprire
Veggiano passo ove sia poca cura :
Sol Rodomonte sprezza di venire
Se non dove la via meno è sicura.
Dove nel caso disperato e rio
Gli altri fan voti, egli bestemmia Dio.
1 1 8 Armato era d' un forte e duro usbergo ,
Che fu di drago una scagliosa pelle.
Di questa già si cinse il petto e '1 tergo
Quello avol suo ch'edificò Babelle.
E si pensò cacciar dell' aureo albergo ,
E tórre a Dio il governo delle stelle :
L'elmo e lo scudo fece far perfetto,
E il brando insieme; e solo a questo effetto.
119 Rodomonte, non già men di Nembrotte
Indomito, superbo e furibondo.
Che d'ire al ciel non tarderebbe a notte.
Quando la strada si trovasse al mondo ,
Quivi non sta a mirar s' intere o rotte
Sieno le mura , o s' abbia V acqua fondo :
Passa la fossa, anzi la corre, e vola.
Nell'acqua e nel pantan fino alla gola.
120 Di feingo brutto e molle d'acqua, vanne
Tra il foco e i sassi e gli archi e le balestre,
Come andar suol tra le palustri canne
Della nostra Mallea porco silvestre.
Che col petto , col grifo e con le zanne
Fa, dovunque si volge, ampie finestre.
Con lo scudo alto il Saracin sicuro
Ne vien sprezzando il ciel, non che quel muro.
121 Nju si tosto all'asciutto è Rodomonte.
Che giunto si sentì su le bertesche,
Che dentro alla muraglia facean ponte
Capace e largo alle squadre fìrancesche.
Or si vede spezzar più d'una fronte,
Far chieriche maggior delle fratesche.
Braccia e capi volare, e nella fossa
Cader da' muri una fiumana rossa.
122 Getta il pagan lo scudo, e a duo man prende
La crudel spada, e giunge il duca Arnolfo.
Costui venia di là dove discende
L'acqua del Reno nel salato golfo.
Quel miser contra lui non si difende
Meglio che faccia contro il fuoco il zolfo.
E cade in terra, e dà l' ultimo crollo ,
Dal capo fesso un palmo sotto il collo.
123 Uccise di rovescio in una volta
Anselmo , Oldrado , Spineloccio e Prando :
Il luogo stretto e la gran turba folta
Fece girar si pienamente il brando.
Fu la prima metade a Fiandra tolta ,
L' altra scemata al popolo normando.
Divise appresso dalla fronte al petto ,
Et indi al ventre, il maganzese Orghetto.
124 Getta da' merli Andropono e Moschino
Giù nella fossa; il primo è sacerdote;
Non adora il secondo altro che'l vino,
E le bigonce a un sorso n' ha già vuote.
Come veueno e sangue viperino
L'acqua fuggia quanto fuggir si puote:
Or quivi muore; e quel che più l'annoia,
É '1 sentir che nell' acqua se ne muoia.
126 Tagliò in due parti il provenzal Luigi,
E passò il petto al tolosano Arnaldo.
Di Torse Oberto , Claudio , Ugo e Dionigi
Mandar lo spirto fuor col sangue caldo ;
E presso a questi quattro da Parigi.
Gualtiero, Satallone, Odo et Ambaldo,
Ed altri molti: ed io non saprei come
Di tutti nominar la patria e il nome.
126 La turba dietro a Rodomonte presta
Le scale appoggia, e monta in più d'un loco.
Quivi non fanno i parigin più testa;
Che la prima difesa lor vai poco.
San ben eh' agli nemici assai più resta
Dentro da fare , e non l' avran da gioco ;
Perchè tra il muro e l' argine secondo
Discende il fosso orribile e profondo.
127 Oltra che i nostri facciano difesa
Dal basso air alto , e mostrino valore ;
Naova gente succede alla contesa
Sopra Perta pendice interiore,
Che fa con lance e con saette offesa
Alla gran moltitudine di fùore ,
Che credo ben che saria stata meno,
Se non v^era il figliaci del re Ulieno.
128 Egli questi conforta , e qnei riprende ,
E lor mal grado innanzi se gli caccia:
Ad altri il petto , ad altri il capo fende ,
Che per ftiggir veggia voltar la faccia.
Molti ne spinge ed urta; alcuni prende
Pei capelli, pel collo e per le braccia:
E sozzopra laggiù tanti ne getta ,
Che quella fossa a capir tutti è stretta.
129 Mentre lo stuol de* barbari si cala.
Anzi trabocca al periglioso fondo,
Et indi cerca per diversa scala
Di salir sopra l'argine secondo;
n re di Sarza (come avesse un'ala
Per dascun de' suoi membri) levò il pondo
Di si gran corpo e con tant' arme indosso ,
E netto si lanciò di là dal fosso.
131 In questo tempo i nostri, da chi teae
L'insidie son nella cava profonda,
Che v'han scope e fascine in copia stese,
Intorno a' quai di molta pece abbonda ,
Né però alcuna si vede palese ,
Benché n'ò piena l'una e l'altra sponda
Dal fondo cupo insino all'orlo quasi;
E senza fin v' hanno appiattati vasi ,
132 Qual con salnitro, qual con olio, qaale
Con zolfo, qual con altra simil esca:
I nostri in questo tempo, perchè male
Ai Saracini il folle ardir riesca,
Ch'eran nel fosso, e per diverse scale
Credean montar su l'ultima bertesca;
Udito il segno da opportuni lochi,
Di qua e di là fenno avvampare i fochi.
133 Tornò la fiamma sparsa tutta in una ,
Che tra una ripa e l'altra ha'l tutto pieno;
E tanto ascende in alto , eh' alla luna
Può d'appresso asciugar l'umido seno.
Sopra si volve escura nebbia e bruna ,
Che '1 sole adombra , e spegne ogni sereno.
Sentesi un scoppio in un perpetuo suono.
Simile a un grande e spaventoso tuono.
130 Poco era men di trenta piedi , o tanto ;
Ed egli il passò destro come un veltro,
E fece nel cader strepito, quanto
Avesse avuto sotto i piedi il feltro:
Ed a questo ed a quello affrappa il manto,
Come sien l' arme di tenero peltro ,
E non di ferro , anzi pur sien di scorza :
Tal la sua spada, e tanta è la sua forza.
134 Aspro concento, orribil armonia
D'alte querele, d'ululi e di strida
Della misera gente che perla
Nel fondo per cagion della sua guida ,
Istranamente concordar s'udia
Col fiero suon della fiamma omicida.
Non più, signor, non più di questo Canto;
Ch'io son già rauco, e vo' posarmi alquanto.
NOTE.
St. 3. v. 1. — Marini: con questo nome erano cono-
sciuti alcuni popoli della Gallla Belgica , ai quali ap-
paitenevano i porti di Calais e Boulogne , detti allor«
Jciua portus e Oessoriacum* In questa e nelle Stanze
che seguono , fino alla nona , parlasi della battaglia di
Ravenna accennata nel Canto III , e seguita tra V eser-
cito francese e le collegate truppe pontificie e spagnuole.
St. 4. V. 3-8. — Le ricche Giande (ghiande) d'oro. Al-
lude il Poeta al potere di Giulio II di casa della Rovere,
che aveva nello stemma gentilizio una quercia. — Il
Baaton ffiallo e vermiglio indica le forze di Spagna,
nella cui bandiera campeggiano ancora quei due colori.
— Nel Giglio è denotata la Francia. — Il suo Fabrizio
a Roma. Fabrizio Colonna, condottiero degli Spagnuoli,
cadde allora prigioniero dei soldati di Alfonso, il quale,
rifiutatosi di consegnarlo ai Francesi che lo volevano,
lo rimandò libero al papa.
St. 5. v. 8 — Non giovar spiedi né carra. Instile
riuscì agli Spagnuoli, in quel fatto, Tnso dì certi cani
guarniti di lance, che si adoperavano neirantica milizia
per rompere le file del nemico.
St. 6. V. 4. — Il capitan di Francia morto in quel-
1 impi'esa, era Gastone di Foix.
ST. 7. V. 4. — Non croscè, non si scarìohL
St. 8. V. 3. — L*aurea IHordaligif ò il giglio, stemma
di Francia in quel tempo.
St. 9. V. 1-4. — 0 misera Ravenna , eec. Prima che
seguisse quella battaglia, Brescia, ohe aveva resistito ai
Francesi, ebbe da loro il saccheggio ; ma Faenza e Ri-
mini ne furono esenti, ricevendoli senza opporsi,
Ivi. V. &^. — Il Poeta esorta il re Luigi a mandare
il suo maresciallo Giangiacomo Trivalzio a frenare Un-
continenza dei Francesi, stata ad essi cagione di rovina
in più circostanze.
St 11. V. 7. — Navarra: antico rejno delle Spagne
verso i Pirenei.
St. 12. V. 1-8. — Leone: altro regno antico delle Spa-
gne. — Algarìn , o Algarvia: provincia già della Spa-
gna, ora del Portogallo, che comprende le comarche di
Faro. Tavira e Lagos. — - Malaga : città marittima di
Granata. — Siviglia: città neir Andalusia sulla sinistra
del Guadalquivir. — Gode , o Cadice : città marittima
e forte della ste-tsa provincia, nella piccola isola di Leon.
Cordova : egualmente neir Andalusia , alle falde della
Sierra Morena , sulla destra del GuadcJquivir. Questo
fiume, chiamato Bcetis dai Latini, ha origine nei monti
limitrofi alle intendenze di Granata, di Mnrcia e di Jaen,
e traversa tutta l'Andalusia.
• St. 13. v. 3-8. — Granata : già capitaneria di Spagna,
con tìtolo di Regno. — Vlisbona , o Lisbona. — Maio-
rica : la maggiore delle Baleari. — Maricoldo, re di Ga-
lizia, era il padre d'Isabella, ucciso da Orlando.
St. 14. v. 1-8. — Toledo e Calatrava , nella Nuova
Castiglia. — Guadiana : fiume che ha origine nella Man-
cia, traversa TEstremadura, ed entra nel Portogallo, lam-
bendo la frontiera orientale dell'Algarvla. — Asturga :
oggi le Asturie. — Avita: nella Vecchia Castiglia.
St. 15. V. 1. — Saragosa: Saragozza (Aragona).
St. 16. V. 4. — Sagontino conte. Sagunto, antica città
di Spagna, distrutta ed arsa dagli abitanti per non ce-
dere ai Romani, è Todiema Morviedro (Valenza).
St. 17. V. 4-8. — Orano : città d'Algeri, sul Mediter-
raneo. — Garamanti : popoli dell'Africa interiore, quelli
probabilmente che diconsi ora Tìbbous.
St. 18. V. 1. — Marmonda: corrisponde forse a Mah-
mon, città marittima, a levante di Fez.
St. 19. V. 1-3. — Ad evitare la prolissità in cui si ca-
drebbe nello spiegare ad uno ad uno i molti nomi dei
luoghi africani che s' incontrano fino alla St 28, si ri-
mette il lettore ai lessici dell'antica Geografia; e solo
si notano quei nomi che sembrano più importanti. Tin-
gitana^ del quarto verso , nome antico che corrisponde
al moderno impero di Marocco.
St. 21. v. 6. — Costantina: l'antica Oirta, patria di
Massinissa e di-Giugurta. Oggi ò capo-luogo della provin-
cia omonima nello Stato d'Algeri, dalla parte orientale.
St. 22. V. 2-5. — Setta, ora Ceuta, sullo stretto di Gi-
bilterra a levante , e a non molta distanza da Tanger.
— Fizano , verosimilmente il Fezzan , provincia dello
Stato di Tripoli , formata da varie oasi del deserto di
Barca.
St. 23. v. 7. — Getulia : nome dato dagli antichi ad
una regione africana che giace a mezzodì della Mauri-
tania e a settentrione del fiume Niger.
St. 25. V. 3-8- — Sarza: potrebb'essere Sargel , pro-
vincia marittima del Regno d'Algeri, notata con questo
nome dagli antichi geografi ; se pure non dovesse inten-
dersi la città che i Latini dissero Saldce; ed allora
corrisponderebbe a Bugia, luogo forte sul Mediterraneo
tra Algeri e Costantina. Nei due ultimi versi si vogliono
denotare i mesi di novembre e dicembre , nei quali
sole, passando per i segni del sagittario e del capricorno,
apporta l'inverno.
St. 34. v. 4. — Villano : è il nome che si dà ad una
razzi particolare di cavalli in Ispagna-
St. 38. v. 7-8. — Ocricoli o Otricoli , terricciuola che
s'incontra sulla via di Roma.
St. 53. V. 7. — Ubino, specie di cavallo mansueto.
St. 66. y, d. — Ré del Garbo : re d' Algarvia , detta
più sopra Algarbi.
St. 68. V. 6. — AgVinimici stigi: ai diavoli.
St. 7:. v. 5-8. — Difendi, ecc. I crociati fecero l'im-
presa di Palestina posteriormente ai tempi di Carlo
Magno : tale anacronismo è scusabile in un poema 1*0-
manzesco come V Orlando Furioso.
St. 77. v. 8. — 72 benedetto augel: l'angelo.
St. 8**. V. 5-8. — Con Benedetto, ecc. San Benedetto
fondò il suo ordine monastico in Monte Cassino , e al
profeta Elia si attribuisce Tistituzione dei Carmelitani.
— Pitagora e Archita imponevano ai loro discepoli un
silenzio di cinque anni.
St. 101. v. 3. — J saeri busti. I Latini chiamarono
bustum il luogo ove si ardevano i cadaveri : qui vuoisi
significare i cadaveri, che si dicono sacri, cioè invio-
labili.
St. 101 V. 3. — La riviera : la Senna che divide Parigi.
St. 106. V. 4. — Scannafossi e casematte sono lavori
sotterranei di difesa alle mura delle città e piazze forti.
St. Ili, V. 4. — Spaldi: ballatoi praticabili in cima
di mura e torri.
St. 118. V. 4. — Finge il Poeta che Rodomonte di-
scenda da Nembrot.
St. 120. V. 4. — Mallea : luogo palustre sulla sinistra
del Po di Volano, vicino al mare, e copioso di cignali.
St. 121. v. 2. — Bertesche, specie di riparo da guerra,
che si faceva sulle toiri 0 alle porte delle città.
St. 122. V. 3-4. — IH là dove discende , ecc. Quivi
vuoisi indicare l'Olanda.
St. 123. V. 5. — Apparisce da questo verso che i primi
due erano Fiamminghi.
St. 125. V. 3. — Torse : Tours nella Turrena.
St. 133. V. 3-4. — E tanto ascende, ecc. : espressione
iperbolica, per denotare la grande altezza delia fiamma,
e l'umidità attribuita dagli antichi alla luna.
CANTO DECIMOQUINTO.
stansasa.
AKGOIOINTO.
iltiitrt! ferve ropiniguastiuoe dì Parigi, Itodomoiiti; p*Jielr» dentro
lo mura fi ella città. Astolfo che ha ricevjito dev Lf>ip«ti]la aii
ti! irò mi sturi 0^0 ti uà corno dotata di siiigolure \irtti. si pirte
dei lui 4^ il 1^ prò ti a nel golfo di Pei^ia. Passa in E^iuo^e vi f^
prigione Iti spiet^Lto Caligarante : va poscia a D&tnijLtiL, ^ i\ i
uccide Urrìhj, ladio&tì tu ma^Oj che trova allei prese cuu Aqai^
lai] le i'. Grinfie. Hlt«!ìì coti questi a Uernflakmmp ,
nata da SanaoiieLto a nome di Carlo, GrifonQ ha «piacer oli
notìzii^ di Urrii^illeaua dotina, e va nasco sUmeij te a iJOvarU.
1 Fu il vincer jsempre iiiùi laudabi! cosa»
Vinca bÌ a per fortuna o per ingegno j
Gli è ver che la vittoria sanguinosa
Spesilo far ì^iìi>le il capitan meli degno;
E Q nel la eternamente è gloriosa,
K dei divini onori arriva al se^no r
Quando, iservandù ì èuuì senza alcun danno.
Si fa die gl'inimici in rotta vanno,
2 La viistra , signtjr mio , fn degna loda »
i /nandù al Leone , in mar tanto feroce ,
Cli'avea occupìitiì l'iina e l'altra prwla
Ilei Po , da Frane olia £Ìn alla foce »
Faceste si , eh' aDcorchè ruggir T oda ,
S' io vedrò voi , non tremerò alla voce.
Come vincer si de' ne dimostraste;
Ch' uccideste i nemici , e noi salvaste.
Questo il pagan, troppo in suo danno audace,
Non seppe far; che i suoi nel fosso spinse,
Dove la fiamma subita e vorace
Non perdonò ad alcun, ma tutti estinse.
A tanti non saria stato capace
Tutto il gran fosso; ma il foco restrinse.
Restrinse i corpi, e in poUe li ridusse,
Acciò ch'abile a tutti il luogo fnsse.
Undici mila ed otto sopra venti
Si ritrovar nell'affocata buca.
Che V* erano discesi mal contenti;
Ma cosi volle il poco saggio duca.
Quivi fra tanto lume or sono spenti,
E la vorace fiamma li manaca:
E Rodomonte, causa del mal loro,
Se ne va esente da tanto martore;
9 Gente infinita poi di minor conto
De' Franchi, de' Tedeschi e de' Lombardi ,
Presente al suo signor, cia.scuno pronto
A farsi riputar fìra i più gagliardi.
Di questo altrove io vo' rendervi conto ;
Ch'ad un gran duca è forza ch'io ri^ainli,
Il qnal mi grìA\ e di lontano accenna,
E priega ch'io noi lasci nella penna.
10 Gli è tempo ch'io ritomi ove lasciai
L'avventuroso Astolfo d'Inghilterra,
Che '1 lungo esilio avendo in odio ormai ,
Di desiderio ardea della sua terra :
Come gli n'avea data pur assai
Speme colei eh' Alcina vinse in guerra.
Ella di rimandarvelo avea cura
Per la via più spedita e più sicura.
5 Che tra' nemici alla ripa più intema
Era passato d'un mirabil salto.
Se con gli altri scendea nella cavema,
Questo era ben il fin d'ogni suo assalto.
Rivolge gli occhi a quella valle infema ;
E quando vede il fuoco andar tant' alto ,
E di sua gente il pianto ode e lo strido.
Bestemmia il Ciel con spaventoso grido.
6 Intanto il re Agramante mosso av&%
Impetuoso assalto ad una porta;
Che , mentre la cradel battaglia ardea
Quivi , ove è tanta gente afflitta e morta ,
Quella sprovvista forse esser credea
Di guardia che bastasse alla sua scorta.
Seco era il re d' Arzilla Bambirago ,
E Baliverzo, d'ogni vizio vago;
7 E Corineo di Mulga, e Prusì'one,
Il ricco re dell'Isole beate;
Malabuferso , che la regione
Tien di Fizan sotto continua estate:
Altri signori, ed altre assai persone
Esperte nella guerra e bene armate;
E molti ancor senza valore e nudi,
Che'l cor non s'armerian con mille scudi.
8 Trovò tutto il contrario al suo pensiero
In questa parte il re de'Saracini:
Perchè in persona il capo dell'impero
V' era , re Carlo , e de' suoi paladini ,
Re Salamene ed il danese Uggiero,
Ed ambo i Guidi ed ambo gli Angelini ,
E '1 duca di Baviera e Ganelone ,
E Berlinger e Avolio e Avino e Otone.
11 E cosi una galea fu apparecchiata ,
Di che miglior mai non solcò marina :
E perchè ha dubbio pur tutta fiata ,
Che non gli turbi il suo viaggio Alcina,
Vuol Logistilla che con forte armata
Andronica ne vada e Sofrosina,
Tanto che nel mar d' Arabi , o nel golfo
De' Persi giunga a salvamento Astolfo.
12 Piuttosto vuol che volteggiando rada
Gli Sciti e gì' Indi e i regni nabatei ,
E tomi poi per cosi lunga strada
A ritrovare i Persi e gli Eritrei ;
Che per quel boreal pelago vada ,
Che turbau sempre iniqui venti e rei ,
E si qualche stagion pover di sole,
Che stame senza alcuni mesi suole.
13 La Fata, poi che vide acconcio il tutto,
Diede licenzia al duca di partire ,
Avendol prima ammaestrato e instmtto
Di cose assai , che fora lungo a dire ;
E per schivar che non sia più ridutto
Per arte maga , onde non possa uscire ,
Un bello ed util libro gli avea dato ,
Che per suo amore avesse ognora a lato.
14 Come l' uom riparar debba agi' incanti
Mostra il libretto che costei gli diede :
Dove ne tratta o più dietro o più innanti ,
Per rubrica e per indice si vede.
Un altro don gli fece ancor, che quanti
Doni fur mai, di gran vantaggio eccede;
E questo fu d' orribil suono un corno ,
Ohe fa fuggire ognun che l'ode intorno.
15 Pico che'l comò é di si orribil snono,
Ch* ovunque s'oda, fa faggir la gente.
Non può trovarsi al mondo un cor sì buono
Che possa non fuggir come lo sente.
Rumor di vento (; di tremuoto , e '1 tuono ,
A par del suon di questo, era niente.
Con molto riferir di grazie, prese
Dalla Fata licenzia il buono Inglese.
16 Lasciando il porto e l'onde più tranquille,
Con felice r»ura ch'alia poppa spira,
Sopra le ricche e populose ville
Dell' odorifera India il duca gira ,
Scoprendo a destra ed a sinistra mille
Isole sparse : e tanto va , che mira
La terra di Tommaso, onde il nocchiero
Più a tramontana poi volge il sentiero.
21 Ma, volgendosi gli anni , io veggio nsrire
Dall'estreme contrade di Ponente
Nuovi Argonauti e nuovi Tifi, e aprire
La strada ignota infin al dì presente:
Altri volteggiar l'Africa, e seguire
Tanto la costa della negra gente.
Che passino quel segno onde ritomo
Fa il sole a noi, lasciando il capricorno;
22 E ritrovar del lungo tratto il fine.
Che questo fa parer dui mar diversi:
E scorrer tutti i liti e le vicine
Isole d' Indi , d' Arabi e di Persi :
Altri lasciar le destre e le mancine
Rive , che due per opra erculea lèrsi :
E del sole imitando il cammin tondo,
Ritrovar nuove terre e nuovo mondo.
17 Quasi radendo l'aurea Chersonesso ,
La bella armata il gran pelago frange :
E costeggiando i ricchi liti , spesso
Vede come nel mar biancheggi il Gange;
E Taprobane vede, e Cori appresso:
E vede il mar che fra i duo liti s'ange.
Dopo gran via furo a Cechino, e quindi
Uscirò fuor dei termini degl'Indi.
23 Veggio la santa Croce , e veggio i segni
Imperiai nel verde lito eretti :
Veggio altri a guardia dei battuti legni ,
Altri all' acquisto del paese eletti ;
Veggio da dieci cacciar mille, e i regni
Dì là dall' India ad Aragon suggetti :
E veggio i capitan di Carlo Quinto ,
Dovunque vanno , aver per tutto vinto.
18 Scorrendo il duca il mar con sì fedele
E sì sicura scorta , intender vuole .
E ne domanda Andronica , se de le
Parti e' han nome dal cader del sole ,
3Iai legno alcun , che vada a remi e a vele ,
Nel mare orientale apparir suole ;
E s'andar può senza toccar mai terra.
Ohi d'India scìoglia, in Francia o in Inghilterra.
19 Tu dei sapere, Andronica risponde,
Che d' ogn' intorno il mar la terra abbraccia ;
E van r una nell' altra tutte 1' onde ,
Sia dove bolle o dove il mar s'aggiaccia.
Ma perchè qui da van te si diffonde ,
E sotto il mezzodì molto si caccia
La terra d'Etiopia, alcuno ha detto
Ch'a Nettuno ir più innanzi ivi è interdetto.
24 Dio vuol ch'ascosa antiquamente questa
Strada sia stata , e ancor gran tempo stia :
Né che prima si sappia , che la sesta
E la settima età passata sia :
E serba a farla al tempo manifesta.
Che vorrà porre il mondo a monarchia
Sotto il più saggio imperatore e giusto.
Che sia stato o sarà mai dopo Augusto.
25 Del sangue d'Austria e d' Aragon io veggit»
Nascer sul Reno alla sinistra riva
Un Principe, al valor del qual pareggio.
Nessun valor, di cui si parli o scriva.
Astrea veggio per lui riposta in seggio,
Anzi di morta ritornata viva ;
E le virtù che cacciò il mondo, quando
Lei cacciò ancora, uscir per lui di bando.
20 Per questo dal nostro inlieo levante
Nave non è che per Europa scioglia;
Né si muove d'Europa navigante
Ch'in queste nostre parti arrivar voglia.
Il ritrovarsi questa terra avante,
E questi e quelli a ritornare invoglia ;
Che credono , veggendola si lunga ,
Che con l'altro emisperio si congiunga.
26 Per questi merti la Bontà suprema
Non solamente di quel grande impero
Ha disegnato eh' abbia diadema ,
Ch' ebbe Augusto , Traian , Marco e Severo ;
Ma d'ogni terra e quinci e quindi estrema.
Che mai né al sol né all'anno apre il seutieru;
E vuol che sotto a questo imperatore
Solo un ovile sia, solo un pastore.
27 E perch'abbiair più facile successo
Gli ordini in cielo eternamente scritti,
Gli pon la somma Prowidenzia appresso
In mare e in terra capitani invitti.
Veggio Emando Cortese, il quale ha messo
Nuove città sotto i cesarei editti,
E regni in Oriente sì remoti ,
Ch'a noi che siamo in India non son noti.
28 Veggio Prosper Colonna, e di Pescara
Veggio un marchese, e veggio dopo loro
Un giovene del Vasto , che fan cara
Parer la bella Italia ai Gigli d* oro :
Veggio ch'entrare innanzi si prepara
Quel terzo agli altri a guadagnar V alloro ;
Come buon corridor ch'ultimo lassa
Le mosse, e giunge , e^innanzi a tutti passa.
Stanza 88.
29 Veggio tanto il valor, veggio la fede
Tanta d'Alfonso (chè'l suo nome è questo),
Ch'in così acerba età, che non eccede
Dopo il vigesimo anno ancor il sesto,
L'imperator l'esercito gli crede.
Il qual salvando , salvar non che 'l resto ,
Ma farsi tutto il mondo ubbidiente
Con questo capitan sarà possente.
30 Come con questi, ovunque andar per terra
Si possa , accrescerà l' imperio antico ;
Così per tutto il mar ch'in mezzo serra
Di là 1' Europa , e di qua l' Afro aprico ,
Sarà vittorioso in ogni guerra.
Poi ch'Andrea Doria s'avrà fatto amico.
Questo è quel Doria che fa dai pirati
Sicuro il vostro mar per tutti i lati.
81 Non fu Pompeio a par dì costui degno ,
Sebben Tinse e cacciò tutti i corsari;
Perocché quelli al più possente regno
Che fosse mai, non poteano esser pari:
Ma questo Dona sol col proprio ingegno
E proprie forze purgherà quei mari;
Si che d^ Calpe al Nilo , ovunque s^ oda
Il nome suo, tremar veggio ogni proda.
32 Sotto la fede entrar, sotto la scorta
Di questo capitan di ch'io ti parlo,
Veggio in Italia, ove da lui la porta
Gli sarà aperta, alla corona Carlo.
Veggio che '1 premio che di ciò riporta ,
Non tien per sé , ma fo alla patria darlo :
Con prieghi ottien ch'in libertà la metta,
Dove altri a sé Pavria forse suggetta.
33 Questa pietà, ch'egli alla patria mostra,
É degna di più onor d' ogni battaglia
Ch'in Francia o in Spagna o nella terra vostra
Vincesse Giulio, o in Africa o in Tessaglia.
Né il gran Ottavio , né chi seco giostra
Di par, Antonio, in più T)noranza saglia
Pei gesti suoi ; eh' ogni lor laude ammorza
L'avere usato alla lor patria forza.
34 Questi ed ogn' altro che la patria tenta
Di libera far serva, si arrossisca;
Né dove il nome d'Andrea Doria senta.
Di levar gli occhi in viso d'uomo ardisca.
Veggio Carlo che '1 premio gli augumenta ;
Ch'oltre quel ch'in comun vuol che fruisca,
Gli dà la ricca terra ch'ai Normandi
Sarà principio a farli in Puglia grandi.
35 A questo capitan non pur cortese
Il magnanimo Carlo ha da tnostrarsi.
Ma a quanti avrà nelle cesaree imprese
Del sangue lor non ritrovati scarsi.
D'aver città, d'aver tutto un paese
Donato a un suo fedel , più rallegrarsi
Lo veggio, e a tutti quei che ne son degni.
Che d' acquistar nuov' altri imperj e regni.
36 Cosi delle vittorie, le quai, poi
Ch' un gran numero d' anni sarà corso ,
Daranno a Carlo i capitani suoi ,
Facea col duca Andronica discorso.
E la compagna intanto ai venti eoi
Viene allentando e raccogliendo il morso;
E fa eh' or questo or quel propizio l' esce ;
E, come vuol, li minuisce e cresce.
37 Veduto aveano intanto il mar de' Persi
Come in si largo spazio si dilaghi ;
Onde vicini in pochi giorni fèrsi
Al golfo che nomar gli antiqui maghi.
Quivi pigliare il porto , e ftur conversi
Con la poppa alla ripa i legni vaghi;
Quindi sicur d'Alcina e di sua guerra
Astolfo il suo cammin prese per terra.
38 Passò per più d'un campo e più d'un bos^co,
Per più d'un monte e per più d'una valle ;
Ove ebbe spesso , all' aer chiaro e al fosco ,
I ladroni or innanzi or alle spalle.
Vide leoni e draghi pien di tosco.
Ed altre fere attraversargli il calle;
Ma non si tosto avea la bocca al corno ,
Che spaventati gli fnggian d'intorno.
39 Vien per l' Arabia eh' è detta Felice ,
Ricca di mirra e d'odorato incenso,
Che per suo albergo l' unica fenice ,
Eletto s'ha di tutto il mondo immenso;
Finché l'onda trovò vendicatrice
Già d'Israel, che per divin consenso
Faraone sommerse e tutti i suoi:
E poi venne alla terra degli Eroi.
40 Lungo il fiume Traiano egli cavalca
Su quel destrier eh' al mondo é senza pare ,
Che tanto leggiermente e corre e valca,
Che nell'arena l'orma non n'appare:
L' erba non pur , non pur la neve calca ;
Coi piedi asciutti andar potria sul mare :
E si si stende al corso e si s'affretta,
Che passa e vento e folgore e saetta.
41 Questo é il destrier che fu dell'Argalia ,
Che di fiamma e di vento era concetto ;
E senza fieno e biada si nutria
Dell'aria pura, e Rabican fu detto.
Venne, seguendo il duca la sua via,
Dove dà il Nilo a quel fiume ricetto ;
E prima che giugnesse in su la foce ,
Vide un legno venire a sé veloce.
42 Naviga in su la poppa uno eremita
Con bianca barba, a mezzo il petto lunga ,
Che sopra il legno il paladino invita;
E : Fìgliuol mio (gli grida dalla lunga).
Se non t' é in odio la tua propria vita ,
Se non brami che morte oggi ti giunga,
Venir ti piaccia su quest'altra arena;
Ch' a morir quella via dritto ti mena.
43 Tu non andrai più che sei miglia innante,
Che troverai la sanguinosa stanza,
Dove s'alberga un orribil gigante
Che d'otto piedi ogni statura avanza.
Non abbia cavaller né viandante
Di partirsi da lui , vivo , speranza :
Ch'altri il crudel ne scanna, altri ne scuoia;
Molti ne squarta , e vivo alcun ne 'ngoia.
47 Fuggendo , posso con disnor salvarmi :
Ma tal salute ho più che morte a schivo,
S' io vi vo , al peggio che potrà incontrarmi
Fra molti resterò di vita privo;
Ma quando Dio cosi mi drizzi V armi ,
Che colui morto , ed io rimanga vivo ,
Sicura a mille renderò la via;
Si che V util maggior che '1 danno fia.
48 Metto all'incontro la morte d'un solo
Alla salute di gente infinita.
Vattene in pace , rispose , figliuolo ;
Dio mandi in difension della tua vita
L'arcangelo Michel dal sommo polo:
E benedillo il semplice eremita.
Astolfo lungo il Nil tenne la strada.
Sperando più nel suon , che nella spada.
Stanza 44.
44 Piacer fra tanta crudeltà si prende
D' una rete eh' egli ha molto ben fatta :
Poco lontana al tetto suo la tende,
E nella trita polve in modo appiatta
Che chi prima noi sa, non la comprende;
Tanto è sottil , tanto egli ben l' adatta :
E con tai gridi i peregrin minaccia ,
Che spaventati dentro ve li caccia.
45 E con gran risa, avviluppati in quella
Se li strascina sotto il suo coperto;
Né cavalier riguarda , né donzella ,
O sia di grande o sia di picciol merto:
E mangiata la carne, e le cervella
Succhiate e '1 sangue , dà l' ossa al deserto ;
E dell'umane pelli intomo intomo
Fa il suo palazzo orribilmente adomo.
46 Prendi quest' altra via , prendila , figlio ,
Che fin al mar ti fia tutta sicura.
Io ti ringrazio , padre , del consiglio ,
Eispose il cavalier senza paura;
Ma non istimo per l'onor periglio ,
Di ch'assai più che della vita ho cura.
Per far eh' io passi , invan tu parli meco ;
Anzi vo al dritto a ritrovar J[p speco.
stanza 45.
49 Giace tra Paltò fiume e la palude
Picciol sentìer nell'arenosa riva:
La solitaria casa lo richiude ,
D'umanitade e di commercio priva.
Son fisse intorno teste e membra nude
Dell' infelice gente che v' arriva.
Non v'è finestra, non v'è merlo alcuno,
Onde penderne almen non si veggia uno.
50 Qoal nelle alpine ville o ne' castelli
Suol cacciator che gran perìgli ha scorsi.
Su le porte attaccar V irsute pelli ,
L' orride zampe e i grossi capi d' orsi ;
Tal dimostrava il fier gigante quelli
Che di maggior virtù gli erano occorsi.
D' altri infiniti sparse appaion l' ossa ;
Ed è di sangue uman piena ogni fossa ;
51 Stassi Caligorante in su la porta;
Che così ha nome il dispietato mostro
Ch'orna la sua magion di gente morta,
Come alcun suol di panni d'oro o d'ostro.
Costui per gaudio a pena si comporta,
Come il duca lontan se gli è dimostro;
Ch' eran duo mesi e il terzo ne venia ,
Che non fu cavalier per quella via.
Stanza 55.
52 Vèr la palude oh' era scura e folta
Di verdi canne , in gran fretta ne viene ,
Che disegnato avea correre in volta,
E uscire al paladin dietro alle schiene ;
Che nella rete, che tenea sepolta
Sotto la polve , di cacciarlo ha spene .
Come avea fatto gli altri peregrini
Che quivi tratto avean lor rei destini.
53 Come venire il paladin lo vede,
Ferma il destrier non senza gran sospetto
Che vada in quelli lacci a dar del piede,
Di che il buon vecchierel gli avea predetto.
Quivi il soccorso del suo corno chiede;
E quel , sonando , fa V usato effetto :
Nel cor fere il gigante , che l' ascolta ,
Di tal timor , eh' addietro i passi volta.
54 Astolfo suona, e tuttavolta bada;
Che gli par sempre che la rete scocchi.
Fugge il fellon, né vede ove si vada;
Che , come il core , avea perduti gli occhi.
Tanta è la tema, che non sa far strada.
Che ne' suoi propri agguati non trabocchi:
Va nella rete : e quella si disserra ,
Tutto r annoda , e lo distende in terra.
56 Astolfo, ch'andar giù vede il gran peso,
Già sicuro per sé , v' accorre in fretta ;
E con la spada in man . d' arcion disceso ,
Va per far di mill' anime vendetta.
Poi gli par che, s'uccide un che sia preso,
Viltà, più che virtù, ne sarà detta;
Che legate le braccia, i piedi e il collo
Gli vede sì, che non può dare un crollo.
56 Avea la rete già fatta Vulcano
Di sottil fil d'acciar; ma con tal arte,
Che saria stata ogni fatica invano
Per ismagliame la più debil parte:
Ed era quella che già piedi e mano
Avea legate a Venere ed a Mart^e.
La fé' il geloso , e non ad altro effetto ,
Che per pigliarli insieme ambi nel letto.
57 Mercurio al fabbro poi la rete invola ,
Che Cloride pigliar con essa vuole ,
Cloride bella che per l'aria vola
Dietro all' Aurora all' apparir del Sole ,
E dal raccolto lembo della stola
Gigli spargendo va, rose e viole.
Mercurio tanto questa Ninfa attese.
Che con la rete in aria un di la prese.
58 Dov'entra in mare il gran fiume Etiope,
Par che la Dea presa volando fosse :
Poi nel tempio d'Anubide a Canopo
La rete molti secoli serbosse.
Caligorante tre mila anni dopo ,
Di là , dove era sacra , la rimosse ;
Se ne portò la rete il ladron empio ,
Ed arse la cittade, e rubò il tempio.
59 Quivi adattolla in modo in su l'arena,
Che tutti quei eh' avean da lui la caccia.
Vi davan dentro; ed era tocca appena,
Che lor legava e collo e piedi e braccia.
Di questa levò Astolfo una catena,
E le man dietro a quel fellon n'allaccia:
Le braccia e'I petto in guisa gli ne fascia.
Che non può sciorsi : indi levar lo lascia ,
60 Dagli altri nodi avendol sciolto prima;
Ghiera tornato uman più che donzella.
Di trarlo seco, e di mostrarlo stima
Per ville, e per cittadi e per castella.
Vnol la rete anco aver, di che né lima
Né martel fece mai cosa più bella;
Ne fa somier colui, eh* alla catena
Con pompa trionfai dietro si mena.
61 L'elmo e lo scudo anco a portar gli diede,
Come a valletto, e seguitò il cammino,
Di gaudio empiendo, ovunque metta il piede,
Ch'ir possa ormai sicuro il peregrino.
Astolfo se ne va tanto, che vede
Ch'ai sepolcri di Memfi é già vicino,
Memfi per le piramidi famoso :
Vede all'incontro il Cairo populoso.
62 Tutto il popol correndo si traea
Per vedere il gigante smisurato.
Come é possibil, l'un l'altro dicea,
Che quel piccolo il grande abbia legato?
Astolfo appena innanzi andar potea ,
Tanto la calca il preme da ogni lato:
E come cavalier d'alto valore
Ognun r ammira , e gli fa grande onore.
63 Non era grande il Cairo così allora,
Come se ne ragiona a nostra etade :
Che '1 popolo capir , che vi dimora ,
Non puon diciotto mila gpran contrade;
£ che le case hanno tre palchi , e ancora
Ne dormono infiniti in su le strade;
E che '1 Soldano v' abita un castello
Blirabil di grandezza, e ricco e bello ;
Stanza 71.
64 E che quindici mila suoi vassalli ,
Che son cristiani rinnegati tutti,
Con mogli , con famiglie e con cavalli
Ha sotto un tetto sol quivi ridutti.
Astolfo veder vuole ove s'avvalli,
E quanto il Nilo entri nei salsi flutti
A Damiata; ch'avea quivi inteso.
Qualunque passa restar morto o preso.
65 Però ch'in ripa al Nilo in su la foce
Si ripara un ladron dentro una torre ,
Ch' a' paesani e a' peregrini nuoce,
E fin al Cairo, ognun rubando, scorre.
Non gli può alcun resistere ; ed ha voce ,
Che l'uom gli cerca invan la vita t^rre.
Cento mila ferite egli ha già avuto ;
Né ucciderlo però mai s' è potuto.
66 Per veder se può far rompere il filo
Alla Parca di lui , si che non viva ,
Astolfo viene a ritrovare Orrilo
(Così avea nome) , e a Damiata arriva ;
Et indi passa ov' entra in mare il Nilo ,
E vede la gran torre in su la riva.
Dove s'alberga l'anima incantata.
Che d'un folletto nacque e d'una fata.
67 Quivi ritrova che crudel battaglia
Era tra Orrilo e dui guerrieri accesa.
Orrilo è solo; e sì que'dui travaglia,
Ch'a gran fatica gli puon far difesa:
E quanto in arme l'uno e l'altro vaglia,
A tutto il mondo la fama palesa.
Questi erano i dui figli d'Oliviero,
Grifone il bianco , ed A^uilante il nero,
B8 Gli è ver che'l uecromanle venuto era
Alla battaglia con vantaggio grande;
Che seco tratto in campo avea una fera,
La qual si trova solo in quelle bande :
Vive sul lito , e dentro alla riviera ;
E i corpi umani son le sue vivande,
Delle persone misere ed incaute
Di vì'andauii e d'infelici naute.
Stanza 71.
69 La bestia nell'arena appresso al porto
Per man dei duo fratei morta giacca;
E per questo ad Orril non si fa torto ,
S'a un tempo l'uno e l'altro gli nocca.
Più volte l'han smembrato, e non mai morto;
Né , per smembrarlo , uccider si potea :
Che se tagliato o mano o gamba gli era,
La rappiccava, che parca di cera.
70 Or fin a' denti il capo gli divide
Grifone , or Aquilante fin al petto :
Egli dei colpi lor sempre si ride ;
S'adiran essi, che non hanno effetto.
Chi mai d' alto cader l' argento vide ,
Che gli alchimisti hanno mercurio detto,
E spargere e raccor tutti i suoi membri ,
Sentendo di costui , se ne rimembri.
71 Se gli spiccano il capo, Orrilo scende.
Né cessa brancolar finché lo trovi;
Ed or pel crine ed or pel naso il prende ,
Lo salda al collo , e non so con che chiovi :
Pigliai talor Grifone , e '1 braccio stende .
Nel fiume il getta, e non par eh' anco giovi:
Che nuota Orrilo al fondo come un pesce.
E col suo capo salvo alla ripa esce.
72 Due belle donne onestamente ornate,
L'una vestita a bianco e l'altra a nero ,
Che della pugna causa erano state ,
Stavano a riguardar l'assalto fiero.
Queste eran quelle due benigne fate
Ch' avean nutriti i figli d' Oliviero ,
Poi che li trasson teneri zitelli
Dai curvi artigli di duo grandi augelli ;
73 Che rapiti gli avevano a Gisraonda,
E portati lontan dal suo paese.
Ma non bisogna in ciò ch^ io mi diffonda .
Ch'a tutto il mondo è l'istoria palese,
Benché V autor nel padre si confonda ,
Ch'un per un altro (io non so come) prese.
Or la battaglia i duo gioveni fanno.
Che le due donne ambi pregati n^ hanno.
74 Era in quel clima già sparito il giorno ,
All'isole ancor alto di For:una:
L'ombre avean tolto ogni vedere attorno
^otto l'incerta e mal compresa luna;
Quando alla rócca Orril ftce ritorno.
Poi ch'alia bianca e alla sorella bruna
Piacque di diff'erir l'aspra battaglia
Finché'! sol novo air orizzonte saglia.
75 Astolfo, che Grifone ed Aquilante
Ed all' insegne e più al ferir gagliardo ,
Riconosciuto avea gran pezzo innante,
Lor non fu altero a salutar né tardo.
Essi vedendo che quel che '1 gigante
Traea legato era il baron dal Pardo,
(Che cosi in corte era quel duca detto)
Raccolser lui con non minore affetto.
76 Le donne a riposare i cavalieri
Menare a un lor palagio indi vicino.
Donzelle incontra vennero e scudieri
Con torchi accesi , a mezzo del cammino.
Diero a chi n' ebbe cura i lor destrieri ;
Trassonsi l'arme; e dentro un bel giardino
Trovar ch'apparecchiata era la cena
Ad una fonte limpida ed amena.
stanza 61.
77 Fan legare il gigante alla verdura
Con un* altra catena molto grossa
Ad una quercia di molt^anni dura,
Che non si romperà per una scossa ;
E da dieci sergenti averne cura ,
Che la notte discior non se ne possa,
Ed assalirli e forse far lor danno ,
Mentre sicuri e senza guardia stanno.
83 Alfin di mille colpi un gli ne colse
Sopra le spalle ai termini del mento:
La testa e V elmo dal capo gli tolse ,
Né fu d'Orrilo a dismontar più lento.
La sanguinosa chioma in man s' avvolse ;
E risalse a cavallo in un momento;
E la portò correndo incontraci Nilo,
Che riaver non la potesse Orrìlo.
78 All'abbondante e sontuosa mensa,
Dove il manco piacer fur le vivande ,
Del ragionar gran parte si dispensa
Sopra d'Orrilo e del miracol grande.
Che quasi par un sogno a chi vi pensa ,
Ch'or capo or braccio a terra se gli maude.
Ed egli lo raccolga e lo raggiugna,
E più feroce ognor tomi alla pugna.
79 Astolfo nel suo libro avea già letto ,
Quel eh' agP incanti riparare insegna,
Ch' ad Orril non trarrà l' alma del petto
Fin eh' un crine fatai nel capo tegna;
Ma se lo svelle o tronca, fia costretto
Che , suo mal grado , fuor l' alma ne vegna.
Questo ne dice il libro: ma non come
Conosca il crine in così folte chiome.
80 Non men della vittoria si godea.
Che se n' avesse Astolfo già la palma ;
Come chi speme in pochi colpi avea
Svellere il crine al necromante e l' alma.
Però di quella impresa promettea
Tor su gli omeri suoi tutta la salma :
Orril farà morir", quando non spiaccia
Ai duo fi-atei ch'egli la pugna faccia.
81 Ma quei gli danno volentier l'impresa,
Certi che debbia affaticarsi invano.
Era già l'altra aurora in cielo ascesa.
Quando calò dai muri Orrilo al piano.
Tra il duca e lui fu la battaglia accesa ;
La mazza l'un, l'altro ha la spada in mano.
Di mille attende Astolfo un colpo trame ,
Che lo spirto gli sciolga dalla carne.
82 Or cader gli fa il pugno con la mazza.
Or l' imo or l' altro braccio con la mano ;
Quando taglia a traverso la corazza ,
E quando il va troncando a brano a brano:
Ma rìcogliendo sempre della piazza
Va le sue membra Orrìlo , e si fa sano.
S'in cento pezzi ben l'avesse fatto,
Bedintegrarsi il vedea Astolfo a un tratto.
84 Quel sciocco, che del fatto non s'accorse,
Per la polve cercando iva la testa;
Ma come intese il corridor via torse.
Portare il capo suo per la foresta,
Immantinente al suo destrier ricorse,
Sopra vi sale e di seguir non resta.
Volea gridare : Aspetta , volta , volta :
Ma gli avea il duca già la bocca tolta.
stanza 83.
85 Pur , che non gli ha tolto anco le calcagna.
Si riconforta, e segue a tutta briglia.
Dietro il lascia gran spazio di campagaa
Quel Rabican che corre a maraviglia.
Astolfo intanto per la cuticagna
Va dalla nuca fin sopra le ciglia
Cercando in fretta, se '1 crine fatale
Conoscer può, eh' Orril tiene immortale.
86 Fra tanti e inuumerabili capelli ,
Un più dell' altro non si stende o torce :
Qual dunque Astolfo sceglierà di quelli ,
Che per dar morte al rio ladron raccorce?
Meglio è, disse , che tutti io tagli o svelli :
Né si trovando aver rasoi né force ,
Ricorse immantinente alla sua spada.
Che taglia sì, che si può dir che rada.
87 E tenendo quel capo per lo naso ,
Dietro e dinanzi lo dischioma tutto.
Trovò fra gli altri quel fatale a caso :
Si fece il viso allor pallido e brutto ,
Travolse gli occhi, e dimostrò all'occaso
Per manifesti segni esser condutto;
E U busto che seguia troncato al collo .
Di sella cadde, e die T ultimo crollo.
88 Astolfo , ove le donne e i cavalieri
Lasciato avea , tornò col capo in mano,
Che tutti ave?i di morte i segni veri ,
E mostrò il tronco ove giacca lontano.
Non so ben se lo vider volentieri,
Ancorché gli mostrasser viso umano ;
Cile la intercetta lor vittoria forse
D'invidia ai duo germani il petto morse.
91 II duca, come al fin trasse P impresa.
Confortò molto i nobili garzoni ,
Benché da sé v^avean la voglia intesa.
Né bisognavan stimoli né sproni,
Che per difender della santa Chiesa
E del romano imperio le ragioni ,
Lasciasser le battaglie d^ Oriente,
E cercassino onor nella lor gente.
92 Co.«»ì Grifone ed Aquilante tolse
Ciascuno dalla sua donna licenzia;
Le quali , ancorché lor n^ increbbe e dolae ,
Non vi seppon però far resistenzia.
Con. essi Astolfo a man destra si volse ;
Che si deliberar far riverenzia
Ai santi luoghi ove Dio in carne visse,
Prima che verso Francia si venisse.
Stanza 87.
89 Né che tal fin quella battaglia avesse ,
Credo più fosse alle due donne grato.
Queste, perchè più in lungo si traesse
De' duo fratelli il doloroso fato.
Ch'in Francia par ch'in breve esser dovesse,
Con loro Orrilo avean quivi azzuffato,
Con speme di tenerli tanto a bada.
Che la trista influenzia se ne vada.
90 Tosto che '1 castellan di Dami'ata
Certificossi ch'era morto Orrilo,
La colomba lasciò , eh' avea legata
Sotto l'ala la lettera col filo.
Quella andò al Cairo ; et indi fu lasciata
In' altra altrove , come quivi è stilo:
Si che in pochissim' ore andò l'avviso
Per tutto Egitto , eh' era Orrilo ucciso.
93 Potuto avrian pigliar la via mancina ,
Ch' era più dilettevole e più piana ,
E mai non si scostar dalla marina;
Ma per la destra andaro orrida e strana,
Perchè l'alta città di Palestina
Per questa sei giornate è meu lontana*
Acqua si trova ed erba in questa via:
Di tutti gli altri ben v' è carestia.
94 Sì che prima eh' entrassero in viaggio ,
Ciò che lor bisognò fecion raccorre;
E carcar sul gigante il carriaggio ,
Ch'avria portato in collo anco una torre.
Al finir del cammino aspro e selvaggio ,
Dall'alto monte alla lor vista occorre
La santa terra, ove il superno Amore
Lavò col proprio sangue il nostro errore.
95 Trovano in sul!' entrar della cittade
Un giovene gentil, lor conoscente,
Sansonetto da Mecca, oltre l'etade
(Ch'era nel primo fior) molto prudente;
D'aita cavalleria, d'alta boutade
Famoso , e riverito fra la gente.
Orlando lo converse a nostra fede ,
E di sua man battesmo anco gli diede.
9H Quivi lo trovan che disegna a f^nte
Del calife d'Egitto una fortezza;
E circondar vuole il Calvario monte
Di muro di duo miglia di lunghezza.
Da lui raccolti fur con quella fronte
Che può d'interno amor dar più chiareiza,
E dentro accompagnati , e con grand' agio
Fatti alloggiar nei suo real palagio.
97 Avea in governo egli la terra , e in vece
Di Carlo vi reggea T imperio giusto,
li duca Astolfo a costui dono fece
Di quel sì grande e smisurato busto,
Ch' a portar pesi gli varrà per diece
Bestie da soma : tanto era robusto.
Diegli Astolfo il gigante , e diegli appresso
La rete chMn sua forza Tavea messo.
98 Sansonetto air incontro al duca diede
Per la spada una cìnta ricca e bella;
E diede spron per V uno e V altro piede ,
Che d'oro avean la fibbia e la girella,
Ch'esser del cavalier stati si crede,
Che liberò dal drago la donzella:
Al Zaffo avuti con molt' altro arnese
Sansonetto gli avea , quando lo prese.
Stanza 94.
99 Purgati di lor colpe a un monasterio
Che dava di sé odor di buoni esempj ,
Della passion di Cristo ogni misterio
Contemplando n'andar per tutti i tempj,
Ch' or con eterno obbrobrio e vituperio
Agli Cristiani usurpano i Mori erapj.
L' Europa è in arme , e di far guerra agogna
In ogni parte , fuor ch'ove bisogna.
100 Mentre avean quivi l' animo divoto ,
A perdonanze e a cerimonie intenti ,
Un peregrin di Grecia, a Grifon noto.
Novelle gli arrecò gravi e pungenti.
Dal suo primo disegno e lungo voto
Troppo diverse e troppo differenti;
E quelle il petto gì' infiamroaron tanto ,
Che gli scacciar i*orazìon da cauto.
101 Amava il cavalier, per sua sciagura,
Una donna eh' avea nome Orrigille.
Di più bel volto e di miglior statura
Non se ne sceglierebbe una fra mille:
Ma disleale e di sì rea natura,
Che potresti cercar cittadi e ville,
La terra ferma e l' isole del mare ,
Né credo ch'una le trovassi pare.
102 Nella città di Constantin lasciata
Grave l'avea di febbre acuta e fiera.
Or quando rivederla alla tornata
Più che mai bella, e di goderla spera,
Ode il meschin , eh' in Antiochia andata
Dietro un suo nuovo amante ella se n'era,
Non le parendo ormai di più patire
Ch'abbia in si fresca età sola a dormire.
103 Da ìndi in qua ch'ebbe la trista naova,
Sospirava Grifon notte e di sempre.
Ogni piacer ch'agli altri aggrada e giova,
Par eh' a costui più l' animo distempre :
Pensilo ognun , nelli cui danni prova
Amor, se li suoi strali han buone tempre.
Ed era grave sopra ogni martire,
Che '1 mal eh' avea , si vergognava a dire.
104 Questo , perchè mille fiate innante
Già ripreso l'avea di quello amore,
Di lui più saggio , il fratello Aquilaute ,
E cercato colei trargli del core;
Colei ch'ai suo giudizio era di quante
Femmine rie si trovin, la peggiore.
Grifon r escusa , se '1 fratel la danna ;
E le più volte il parer proprio inganna.
105 Però fece pensier, senza parlarne
Con Aquilante, girsene soletto
Sin dentro d'Antiochia, e quindi trame
Colei che tratto il cor gli avea del petto ;
Trovar colui che gli l'ha tolta, e fame
Vendetta tal, che ne sia sempre detto.
Dirò , come ad effetto il pensier messe ,
Neil' altro Canto , e ciò che ne successe.
NOTB.
St. 2. V. 1-4 — Ritoma il Poeta sulle sconfitte date
dagli Estensi ai Veneti, al che fece allusione nel Canto
Terzo. — Il Leone, stemma della Repubblica di Venezia.
-^ Francolino: luogo sul Po, lontano da Ferrara circa
40 miglia.
St. 7. V. 2. — I$ole beate , e anche di Fortuna; si
dissero dagli antichi le Canarie, situate a ponente del-
l' Africa ; appartengono tuttavia alla Spagna , e furono
già abitate dai Guanchi , crudelmente distrutti dagVin-
vasori spagnuolL
St. 8. V. 5. — Jl danese Vggiero, era così detto ne-
gli antichi romanzi, perchè conquistò la Danimarca. Egli
era figlio di Gualdefriano re di Getulia, e marito di Er-
mellina, figlia di Namo duca di Baviera. Un figlio di
loro fu chiamato Dudone.
ST. 12. V. 4. — Oli Eritrei: gli abitanti nelle vici-
nanze del mar Rosso.
St. 16. V. 5-8. — MUU i^ole sparse , ecc. : fin queste
si può notare l'arcipelago delle Lakedive, e quello delle
Maldive. — La terra di Tommaso : Calamina, altre volte
Heliapur, nell' Iniia, .verso la costa di Coromandel sul
golfo di Bengala , circa 200 miglia a settentrione del-
l'isola di Ceylan. Ivi dicesl quell'apostolo aver predicato
il cristianesimo, e soffèrto il martirio.
St. 17. V. 1-7. — L'aurea Chersonesso : così denomi-
narono gli antichi , a motivo della sua fertilità e ric-
chezza, la penisola di Malacca nelllndia tranagangetica ;
comprendendo però in tal denominazione anche la parte
meridionale dell'annesso Regno di Siam — Taprobane,
oggi isola di Ceylan. — Corij o Cory: il capo Comorin,
che termina a ponente il golfo di Bengala, ed ha a si-
rocco, in distanza di circa 50 miglia, l'estremità meri-
dionale di Ceylan. — Il mar che fra i duo liti s'ange,
è la parte più angusta del golfo di Manaar^ fra l'isola
di Ceylan e la costa di Coromandel , ove si forma Io
stretto di Pali. — Cochino , città marittima nel Mala-
bar , già capitale dell' antico regno omonimo.
St. 21. V. 1-8. — Vuole alludere il Poeta ai due celebri
navigatori che trovarono parti del globo sconosciute agli
antichi. E qui rammenta Vasco di Gama, che nel 14^
scoperse il capo di Buona Speranza, situato sotto il tropico
del Capricorno , dal quale , dopo il solstizio d'inverno,
il sole sembra retrocedere verso l'opposto del Cancro.
St. 22. V. 1-4. — S' indica particolarmente nei primi
due versi il capo anzidetto, che avanzandosi nel grande
Oceano, ne separa due porzioni , vale a dire l' Oceano
Atlantico e il mare dell'Indie; negli altri versi si ac-
cennano i diversi viaggi di quel navigatore.
Ivi. V. 5-8. — Parlasi ora di Cristoforo Colombo, che
nel 1492 fece il primo suo viaggio verso il nuovo mondo;
e di Amerigo Vespucci, che nel 1497 partito da Cadice
e passato lo stretto di Gibilterra, approdò al continente
americano.
St. 24. V. 3-4. — Im sesta e la settima età. Erano
appunto compiti sette secoli, e decorreva l' ottavo, dai
tempi di Carlo Magno a quelli di Carlo V.
St. 25. V. 1-3. -- Del sangue d* Austria, ecc. Nacque
Carlo V di padre austriaco e di madre spagnuola, il 24
febbraio 1500, in Gand, città situata al confluente della
Lys con la Schelda. É vero che Gand sta alla sinistra
del Reno, ma in distanza di circa 30 leghe firancesi;
onde si deve intendere in un modo assai largo l'espres-
sione del secondo verso.
St. 26. V. 5. — Che mai né al sol , ecc.: Cosi vasti
erano i dominj di Carlo V nei due emisferì, che 11 sole
non vi tramontava mai, né vi si mutavano le stagioni
iT. 27. v. 5 8. — Kniando Ctrlese, ecc, : Ferdinando
Cortez, che conquistò alla Spagna la maggior parte dei
possedimenti oltremarini , aggiunti a qnel regno dopo
la scoperta del nuovo mondo.
St. 28. V. 1-8. — Prospero Colonna , cugino di Fabri-
zio, nominato nel Canto precedente : Fernando d'Avalos
marchese di Pescara, e Alfonso d' Avalos marchese del
Vasto, accennato nel sesto vei-so , gareggiarono di va-
lore e di zelo nel ben condurre le imprese militari ad
essi affidate dairimperatore.
St. 30. V. 3-4. — H mar ch'in mezzo serra , ece. : il
Mediterraneo, che sta di mezzo all'Europa e all'Africa.
St. 32. V. 5-8. — Andrea Doria, valentissimo capitano
di mare , al servìgio di Carlo V , poich' ebbe avuta per
capitolazione Genova sua patria, tenuta pei Francesi da
Teodoro Trivulzio, riformò T ordine politico dello Stato,
ed ebbe tanta grandezza d'animo da ricusare la signo-
ria della città ofifertagli dall'imperatore, e l'autorità di
Doge perpetuo a cui lo chiamavano i cittadini ; e volle
anzi che si rinnovassero in ogni biennio il Doge e il
Sindaco di quella repubblica.
St. 33. v. 4^. — Giulio Cesare, Ottaviano e Antonio,
emuli nell'asservire la loro patria.
St. 34. v. 5-8. — In benemerenza dei servigi rendu-
tìgli da Andrea Doria, Carlo Y gli donò la signoria di
Melfi, città vescovile di Basilicata nella Puglia , ove il
normanno Roberto Guiscardo pose le fondamenta del
potere, che più tardi fece quella stirpe padrona nel re-
gno di Napoli,
St. 37. V. 4. — Al golfo , ecc. Il golfo Persico viene
cosi denominato (secondo alcuni , e lo ripete TAriosto),
perchè , in tempi molto lontani , una. setta di filosofi,
detti Mcgif tenne il dominio di tutta la Persia ; la quale
perciò fu detta in antico Sophorum regnum.
St. 39. V. 5-a — Finché l'onda^ ecc.: il Mar Rosso.
Per terra degli eroi credono alcuni doversi intendere
la terra di lesse, che i libri sacri pongono nella Palestina.
St. 40. V. 1. — J7 fiume Traiano. Dicono gli esposi-
tori essere questo un canale che quelP imperatore fece
aprire dal Nilo al golfo arabico. Una mappa olandese
del 1629 segna di tal nome un influente nel Nilo , con
le scaturigini di verso il golfo ; e come tale sembra
averlo riguardato il Poeta nel sesto verso della Stanza
seguente.
St. 48. V. 8. — Nel suon: intendi del corno incantato.
St. 57. V. 2-8. — Che doride pigliar, ecc. : doride, la
■tessa che i Romani dissero Flora , fu amata da Mer-
curio, secondo i mitologi. Bra la dea dei fiori.
St. 58. V. 1-3. — M gran fiume etiopo: il Nilo, le cui
sorgenti si congetturano essere nei monti della Luna,
in Etiopia o Nigrizia. — Canopo : oggi Abukir , notò
agli antichi per l'ivi esistito tempio di Anubi» e ai mo-
derni per la fiotta francese colà distrutta dagl* Inglesi
nel 1798.
St 61. V. 6. — Menfi , antica città dell' Egitto non
molto lontana dal Cairo.
St. 64. V. 1-2. — I Mammalucchi, che come i Gianni^
zeri erano per lo pid giovini criàtiaui divenuti mao-
mettani.
St. 66. V. 4. — Damiaia: non è da confondersi que-
sta con l'antica Damiata dei tempi delle crociate, ch'era
sul Mediterraneo, e fu distrutta dagli Egiziani nel 1250.
La città di cui si parla è circa 60 miglia distante da
Alessandria.
St. 68. v. 8. — Naute: nocchieri o marinai.
St. 73. y. 3-6. — Discostasi qui il testo dii^la genea-
logia degli eroi de' romanci, riportata dal Ferrario; se-
condo la quale Aquilante e Grifone nacquero di Gismouda
e di Ricciardetto, fratello di Rinaldo. Il poeta ha cre-
duto Gismonda consorte d'Oliviero di Vienna che figura
in quell'albero, come fratello di Alda o Belanda, moglie
d'Orlando.
St. 89. y. 1-8. — Come Atlante , avendo prevista la
trista fine di Ruggiero, si studiava allontanamelo con
arti magiche ; cosi operavano quelle due fate, alle quali
era noto il destino che attendeva in Francia 1 figli
d'Oliviero.
St. 90. v. 3-4. — La colomba lasciò, ecc. Col mezzo
di colombe a questo fine educate solevasi, a que' tempi
(come in Francia durante la guerra del 1870) mandare
le notizie da luogo a luogo.
St. 93. v. 5. — Volta città di Palestina: Gerusa-
lemme.
St. 95. y. 3-8. — Sanson^tto è personaggio che pare
sia stato inventato dal poeta Nicola da Padova. É detto
da Mecca , perchè fingevasi di questa città tanto cele-
bre per la tomba di Maometto.
St. 98. v. 5-8. — Il cavalier, ecc. San Giorgio, di cui
si narra che liberasse la figlia del re di Libia destinata
ad essere divorata da un drago. — Zaffo : V odierna
Jaffa f detta altre volte Joppe , città marittima della
Siria, circa cinquanta miglia a ponente maestro di Ge-
rusalemme.
Stanza 26,
CANTO DECIMOSESTO.
ARGOMENTO.
Hiifonr inraiitin presso Damasco Onìiii Ile col ntiovo rìì IH aniftiitt',
p i'V^Ai^ al! e turo hiiuiariifì parole. KìurHo arri vti sotto Pari pi
i ol sfìcrorno liritaTinictì; nMt accndoiifj provs di ffian valon-
iliiirunn pnirln ^' rigirali i-a. hirt^iHlj e i^itragì hanno hioso dentino
Ia cittji. pct^ fattn ili Roil union te ; & Callo vi ac^ne con vmQ
srfllhi <lni|'nc?lln.
Gravi pene in amor si jiroTun molte ^
DI (.he patitd io n'ho In maggìtir parte,
E (iuelle in iliinuo mio bì ben raccolte i
Ch'io ne posso parlar come per arte,
Vera s' io dìr^o e s' ho def to altre volte ,
E tiuandtj in voce e qua mio in vive carte,
Ch' un inni sia lieve* un altro acerbo e fiero,
Date creiìenzA al mio giudick vero,
lu dico e àls^ì , e diri» finchMo vita,
rhe f'hi n truva in dei^o laccio preso,
Bc-bhen di sé verte sna duiina schiva ^
Se in tutto uvver?'a al sno »ìes*ìre Acceso;
iSehbene Amor (r^g^oi merce le il priva ^
Pojìcm e he '1 tempu e la fatica ba spe.^o ;
Pur ch'altamente abbia locato il core,
Flange r non de', se ben languisce e muore,
1 Pianger de* quel che gU sìa fatto servo
IH ilnr» va^fbi nerbi e d'nna bella trefcia,
Sotto cui si nasconda uo cor protervo,
Che poco puro abbia con molta feccia.
Vorria il miser fuggire; e come cervo
Ferito , ovunque va , porta la freccia :
Ha di sé stesso e del suo amor vergogna ,
Né Tosa dire, e invan sfumarsi agogna.
4 In questo caso è il giovene Grifone ,
Che non si può emendare, e il suo error vede :
Vede quanto vilmente il suo cor pone
In Orrìgille iniqua e senza fede :
Pur dal mal uso è vinta la ragione,
E pur r arbitrio ali* appetito cede :
Perfida sìa quantunque , ingrata e ria ,
Sforzato è di cercar dov*ella sia.
10 Dopo, accordando affettuosi gesti
Alla suavità delle parole ,
Dicea piangendo : Signor mio , son questi
Debiti premj a chi t* adora e cole?
Che sola senza te già un anno resti ,
E va per V altro , e ancor non te ne duole ?
E s'io stava aspettare il tuo ritomo,
Non 80 se mai veduto avrei quel giorno.
5 Dico, la bella istoria ripigliando,
Ch'uscì della città secretaraente ;
Né parlarne s* ardì col f ratei , quando
Ripreso invan da lui ne fu sovente.
Verso Rama , a sinistra declinando ,
Prese la via più piana e più corrente.
Fu in sei giorni a Damasco dì Scria ;
Indi verso Antiochia se ne già.
6 Scontrò presso a Damasco il cavaliere
A cui donato avea Orrìgille il core:
E convenian di rei costumi in vero ,
Come ben si convien l'erba col fiore;
Che r uno e V altro era di cor leggiero ,
Perfido V uno e l' altro , e traditore ;
E copria l'uno e l'altro il suo difetto.
Con danno altrui, sotto cortese aspetto.
7 Come io vi dico, il cavalier venia
S'un gran destrier con molta pompa armato:
La peilìda Orrìgille in compagnia ,
In un vestire azzur d'oro fregiato,
E duo valletti, donde si servia
A portar elmo e scudo, aveva a lato;
Come quel che volea con bella mostra
Comparire in Damasco ad una Mostra.
8 Una splendida festa, che bandire
Fece il re dì Damasco in quelli giorni.
Era cagion di far quivi venire
I cavalier quanto potean più adomi.
Tosto che la puttana comparire
Vede Grifon , ne teme oltraggi e scorni :
Sa che l' amante suo non è si forte ,
Che centra lui l' abbia a campar da morte.
stanza 20.
9 Ma siccome audacissima e scaltrita ,
Ancorché tutta dì paura trema ,
S'acconcia il viso, e sì la voce aita,
Che non appar in lei segno di teina.
Col drado avendo già l'astuzia ordita.
Corre , e fingendo una letizia estrema ,
Verso Grifon l'aperte braccia tende,
Lo stringe al collo , e gran pezzo ne pende.
1 1 Quando aspettava che di Nicosia ,
Dove tu te n' andasti alla gran corte ,
Tornassi a me , che con la febbre ria
Lasciata avevi in dubbio della morte.
Intesi che passato eri in Scria :
Il che a patir mi fu sì duro e forte,
Che non sapendo come io ti seguissi ,
Quasi il cor di man propria mi trafissi.
12 3Ia fortuna di me con doppio dono
Mostra d' aver, quel che non liai tu , cura :
Mandommi il fratel mio, col quale io sono
Sin qui venuta del mio onor sicura;
Ed or mi manda questo incontro buono
Di te , eh' io stimo sopra ogni avventura :
E bene a tempo il fa; che più tardando,
Morta sarei,. te, signor mio, bramando.
18 Innanzi a Carlo, innanzi al re Agranuuite
L'un stuoh) e T altro si vuol far vedere,
Ove gran loda , ove mercè abbondante
Si può acquistar, facendo il suo dovere.
I Mori non però fer prove tante,
Che par ristoro al danno abbiano avere;
Perchè ve ne restar morti parecchi ,
Cii'agli altri fur di folle audacia specchi.
13 E seguitò la donna fraudolente,
Di cui r opere fur più che di volpe ,
La sua querela cosi astutamente ,
Che riversò in Grifon tutte le colpe.
Gli fa stimar colui , non che parente ,
Ma che d'im padre seco abbia ossa e polpe;
E con tal modo sa tesser gì' inganni ,
Che men verace par Luca e Giovanni.
19 Grandine sembran le spesse saette
Dal muro sopra gl'inimici sparte.
Il grido insino al ciel paura mette ,
Che fa la nostra e la contraria parte.
Ma Carlo un poco ed Àgramante aspette;
Ch'io vo' cantar delF africano Marte,
Rodomonte terribile ed orrendo.
Che va per mezzo la città correndo.
14 Non pur di sua perfidia non riprende
Grifon la donna iniqua , più che bella;
Non pur vendetta di colui non prende,
Che fatto s'era adultero di quella:
Ma gli par far assai , se si difende
Che tutto il biasmo in lui non riversi ella;
E come fosse suo cognato vero,
D' accarezzar non cessa il cavaliero.
20 Non so, signor, se più vi ricordiate
Di questo Saracin tanto sicuro,
Che morte le sue genti avea lasciate
Tra il secondo riparo e '1 primo muro,
Dalla rapace fiamma divorate ,
Che non fu mai spettacolo più oscuro.
Dissi ch'entrò d'un salto nella terra
Sopra la fossa che la cinge e serra.
16 E con lui se ne vien verso le porte
Di Damasco, e da lui sente tra via.
Che là dentro dovea splendida corte
Tenere il ricco re della Scria;
E eh' ognun quivi, di qualunque sorte,
0 sia cristiano, o d'altra legge sia,
Dentro e di fuori ha la città sicura
Per tutto il tempo che la festa dura.
21 Quando fu noto il Saracino atroce
All'arme istrane, alla scagliosa pelle.
Là dove i vecchi e '1 popol men feroce
Tendean l'orecchie a tutte le novelle,
Levossi un pianto , un grido , un'alta voce,
Con un batter di man ch'andò alle stelle;
E chi potè fuggir non vi rimase.
Per serrarsi ne' templi e nelle case.
16 Non però son di seguitar sì intento
L'istoria deUa perfida Orrigille,
Ch'a giorni suoi non pur un tradimento
Fatto agli amanti avea , ma mille e mille ;
Ch'io non ritomi a riveder dugento
Mila persone , o più delle scintille
Del foco stuzzicato, ove alle mura
Di Parigi facean danno e paura.
!2 Ma questo a pochi il brando rio concede,
Ch'intorno ruota il Saracin robusto.
Qui fa restar con mezza gamba un piede.
Là fa un capo sbalzar lungi dal busto :
L'un tagliare a traverso se gli vede.
Dal capo all'anche un altro fender giusto;
E di tanti eh' uccide , fere e caccia ,
Non se gli vede alcun segnare in faccia.
17 Io vi lasciai, come assaltato avea
Àgramante una porta della terra.
Che trovar senza guardia si credea:
Né più riparo altrove il passo serra,
Perchè in persona Carlo la tenea.
Ed avea seco i mastri della guerra.
Duo Guidi , duo Angelini , uno Angeliero ,
Avino, Avolio, Otone e Berlingiero.
23 Quel che la tigre dell'armento imbelle
Ne' campi ircani o là vicino al Gange,
0 '1 lupo delle capre e dell' agnelle
Nel monte che Tifeo sotto si frange;
Quivi il crudel pagan facea di quelle
Non dirò squadre, non dirò falange,
Ma vulgo e popolazzo voglio dire ,
Degno , prima che nasca , di morire.
24 Ncn ne trova un che veder possa in fronte,
Fra tanti che ne taglia, fora e svena.
Per quella strada che vien dritto al ponte
Di San Michel , sì popolata e piena ,
Corre il fiero e terribil Rodomonte ,
E la sanguigna spada a cerco mena:
Non riguarda né al servo né al signore ,
Né al giusto ha pi\\ pietà, che al peccatore.
25 Religi'on non giova al sacerdote ,
Né la innocenzia al pargoletto giova :
Per sereni occhi o per vermiglie gote
3Iercè né donna né donzella trova:
La vecchiezza si caccia e si percuote;
Né quivi il Saracin fa maggior prova
Di gran valor, che di gran crudeltade:
Che non discerne sesso , ordine , etade.
26 Non pur nel sangue uman l'ira si stende
Deir empio re, capo e signor degli empi;
Ma centra i tetti ancor si , che n' incende
Le belle case e i profanati tempi.
Le case eran, per quel che se n'intende,
Quasi tutte di legno in quelli tempi;
E ben creder si può ; eh' in Parigi ora
Delle dieci le sei son cosi ancora.
27 Non par, quantunque il foco ogni cosa arda,
Che si grande odio ancor saziar si possa.
Dove s'aggrappi con le mani, guarda,
Sì che ruini un tetto ad ogni scossa.
Signor , avete a creder che bombarda
3£ai non vedeste a Padova sì grossa ,
Che tanto muro possa far cadere,
Quanto fa in una scossa il re d'Algiere.
28 Mentre quivi col ferro il maledetto
E con le fiamme facea tanta guerra.
Se di fuor Agramante avesse astretto ,
Perduta era quel dì tutta la terra:
Ma non v' ebb' agio : che gli fu interdetto
Dal paladin che venia d'Inghilterra
Col popolo alle spalle inglese e scotto ,
Dal Silenzio e dall'Angelo condotto.
29 Dio volse che all'entrar che Rodomonte
Pennella terra, e tanto foco accese.
Che presso ai muri il fior di Chiaramente ,
Rinaldo, giunse, e seco il campo inglese.
Tre leghe sopra avea gittate il ponte ,
E torte vie da man sinistra prese;
Che , disegnando i barbari assalire ,
Il fiume non l'avesse ad impedire.
80 Mandato avea sei mila fanti arcieri
Sotto l' altiera insegna d' Odoardo ,
E duo mila cavalli, e più, leggieri
Dietro alla guida d' Ari man gagliardo ;
E mandati gli avea per li sentieri
Che vanno e vengon dritto al mar Picardo,
Ch' a porta San Martino e San Dionigi
Entrassero a soccorso di Parigi.
31 I carriagigi e gli altri impedimenti
Con lor fece drizzar per quella strada.
Egli con tutto il resto delle genti
Più sopra andò girando la contrada.
Seco avean navi e ponti ed argumenti
Da passar Senna, che non ben si guada.
Passato ognuno, e dietro i ponti rotti,
Nelle lor schiere ordinò Inglesi e Scotti.
32 Ma prima quei baroni e capitani
Rinaldo intorno avendosi ridutti ,
Sopra la riva ch'alta era dai piani
Sì , che poteano udirlo e veder tutti ,
Disse : Signor , ben a levar le mani
Avete a Dio , che qui v' abbia condutti ,
Acciò , dopo un brevissimo sudore ,
Sopra ogni nazi'on vi doni onore.
33 Per voi saran due principi salvati,
Se levate l'assedio a quelle porte:
Il vostro re , che voi siete ubbligati
Da servitù difendere e da morte ;
Ed uno imperator de' più lodati ,
Che mai tenuto al mondo abbiano corte ;
E con loro altri re , duci e marchesi ,
Signori e cavalier di più paesi.
34 Si che salvando una città, non soli
Parigini ubbligati vi saranno ,
Che molto più che per li proprj duoli,
Timidi , afflitti e sbigottiti stanno
Per le lor mogli e per li lor figliuoli ,
Ch' a un medesmo pericolo seco hanno ,
E per le sante vergini richiuse.
Ch'oggi non sien dei voti lor deluse:
35 Dico, salvando voi questa cittade,
V'ubbligate non solo i Parigini,
Ma d' ogn' intomo tutte le contrade.
Non parlo sol dei popoli vicini ;
Ma non è terra per cristianitade ,
Che non abbia qua dentro cittadini
Si che , vìncendo , avete da tenere
Che più che Francia v'abbia obbligo avere.
36 Se donaTan gii antiqui una corona
A chi salvasse a un dttadin la vita ,
Or che degna mercede a voi si dona,
Salvando multìtudine infinita?
Ma se da invidia, o da viltà, si buona
E si santa opra rimarrà impedita,
Credetemi che, prese quelle mura.
Né Italia né Lamagna anco é sicura ;
37 Né qualunque altra parte, ove. s'adori
Quel che volse per noi pender sul legno.
Né voi crediate aver lontani i Mori,
Né che pel mar sia forte il vostro regno:
Che scaltre volte quelli, uscendo fuori
Di Ziheltaro e dell' Erculeo segno ,
Riportar prede dall' isole vostre,
Che faranno or, s'avran le terre nostre?
38 Ma quando ancor nessuno onor , nessuno
Util v'inanimasse a questa impresa,
Comun debito é ben soccorrer l'uno
L' altro , che militiam sotto una Chiesa.
Ch'io non vi dia rotti i nemici, alcuno
Non sia che tema, e con poca contesa;
Che gente male esperta tutta parmi.
Senza possanza, senza cor, senz'armi.
39 Potè con queste e con miglior ragioni ,
Con parlare espedito e chiara voce
Eccitar quei magnanimi baroni
Rinaldo , e quello esercito feroce ;
E fu, com'è in proverbio, aggiunger sproni
Al buon corsier che già ne va veloce.
Finito il ragionar, fece le schiere
Muover pian pian sotto le lor bandiere.
40 Senza strepito alcun , senza rumore
Fa il tripartito esercito venire.
Lungo il fiume a Zerbin dona T onore
Di dover prima i barbari assalire ;
E fa quelli d'Irlanda con maggiore
Volger di via più tra campagna gire;
E i cavalieri e i fanti d'Inghilterra
Col duca di Lincastro in mezzo serra.
41 Drizzati che gli ha tutti al lor cammino ,
Cavalca il paladin lungo la riva ,
E passa innanzi al buon duca Zerbino,
E a tutto il campo che con lui veniva;
Tanto ch'ai re d'Orano e al re Sobrino
E agli altri lor compagni soprarriva,
Che mezzo miglio appresso a quei di Spagna
Guardavan da quel canto la campagna.
42 L' esercito Cristian , che con si fida
E si sicura scorta era venuto ,
Ch'ebbe il Silenzio e l'Angelo per guida.
Non potè ormai patir più di star muto
Sentiti gli inimici, alzò le grida,
E delle trombe udir fé' il suono arguto;
E con l'alto rumor ch'arrivò al cielo.
Mandò nell'ossa a'Saracini il gelo.
43 Rinaldo innanzi agli altri il destrier pange .
E con la lancia per cacciarla in re.sta:
Lascia gli Scotti un tratto d' arco lunge;
Ch'ogni indugio a ferir si lo molesta.
Come groppo di vento talor giunge.
Che si tra' dietro un'orrida tempesta;
Tal fuor di squadra il cavalier gagliardo
Venia spronando il corridor Baiardo.
44 Al comparir del paladin di Francia
Dan segno i Mori alle future angosce:
Tremare a tutti in man vedi la lancia,
I piedi in staffa, e neh'arcìon le cosce.
Re Pulì'ano sol non muta guancia.
Che questo essei* Rinaldo non conosce ;
Né pensando trovar si duro intoppo,
Gli muove il destrier contro di galoppo :
45 E su la lancia nel partir si stringe,
E tutta in sé raccoglie la persona;
Poi con ambo gli sproni il destrier spinge,
E le redini innanzi gli abbandona.
Dall'altra parte il suo valor non finge,
E mostra in fatti quel ch'in nome suona*,
Quanto abbia nel giostrare e grazia ed arte ,
II figliuolo d' Amone, anzi di Marte.
46 Furo al segnar degli aspri colpi, pari;
Che si posero i ferri ambi alla testa:
Ma furo in arme ed in virtù dispari;
Che r un via passa , e l' altro morto resta.
Bisognan di valor segni più chiari,
Che por con leggiadria la lancia in resta:
Ma fortuna anco più bisogna assai;
Che senza, vai virtù raro o non mai.
47 La buona lancia il paladin racquista,
E verso il re d'Oran ratto si spicca.
Che la persona aveva povera e trista
Di cor , ma d' ossa e di gran polpe ricca.
Questo por tra bei colpi si può in lista ,
Bench'in fondo allo scudo gli l'appicca:
E chi non vuol lodarlo, abbialo escuso,
Perdìè non si potea giunger più insuso.
stanza 27.
48 Non lo ritien lo scudo, che non entre,
Benché fuor sia d' acciar , dentro di palma ;
E che da quel g^n corpo uscir pel ventre
Non faccia l' ineguale e piccola alma.
Il destrier che portar si credea, mentre
Durasse il lungo di , si grave salma ,
Riferì in mente sua grazie a Rinaldo,
Ch'a quello incontro gli schivò un gran caldo.
49 Rotta Pasta, Rinaldo il destrier volta
Tanto leggier, che fa sembrar ch'abbia ale;
E dove la più stretta e maggior folta
Stiparsi vede , impetuoso assale.
Mena Fusberta sanguinosa in volta.
Che fa Tarme parer di vetro frale.
Tempra di ferro il suo tagliar non schiva,
Che non vada a trovar la carne viva.
54 D'Africa v'era la raen trista gente;
Benché né questa ancor gran prezzo vaglia.
Dardinel la sua mosse incontinente,
E male armata, e peggio usa in battaglia;
Bench'egli in capo avea l'elmo lucente,
E tutto era coperto a piastra e a maglia..
Io credo che la quarta miglior fia ,
Con la qual Isolier dietro venia.
55 Trasone intanto , il buon duca di Marra,
Che ritrovarsi all'alta impresa gode,
Ai cavalieri suoi leva la sbarra,
E seco invita alle famose lode ;
Poich' Isolier con quelli di Navarra
Entrar nella battaglia vede et ode.
Poi mosse Ari'odante la sua schiera ,
Che nuovo duca d'Albania fatt'era.
50 Ritrovar poche tempre e pochi ferri
Può la tagliente spada , ove s' incappi ;
Ma targhe , altre di cuoio , altre di cerri ,♦
Giuppe trapunte , e attorcigliati drappi.
Giusto è ben dunque che Rinaldo atterri
Qualunque assale, e fori e squarci e aifrappi;
Che non più si difende da sua spada,
Ch' erba da falce , o da tempesta biada.
51 La prima schiera era già messa in rotta ,
Quando Zerbin con l' antiguardia arriva.
Il cavalier innanzi alla gran frotta
Con la lancia arrestata ne veniva.
La gente sotto il suo pennon condotta ,
Con non minor fierezza lo seguiva :
Tanti lupi parean, tanti leoni
Ch'andassero assalir capre e montoni.
52 Spinse a un tempo ciascuno il suo cavallo,
Poi che fur presso ; e sparì immantinente
Quel breve spazio , quel poco intervallo
Che si vedea fra l' una e l' altra gente.
Non fu sentito mai più strano ballo ;
Che ferian gli Scozzesi solamente :
Solamente i pagani eran distrutti ,
Come sol per morir fosser condutti.
53 Parve più freddo ogni pagan che ghiaccio ;
Parve ogni Scotto più che fiamma caldo:
I Mori si credean ch'avere il braccio
Dovesse ogni Cristian , eh' ebbe Rinaldo.
Mosse Sobrino i suoi schierati avaccio ,
Senza aspettar che lo'nvitasse araldo.
Dell'altra squadra questa era migliore
Di capitano, d'arme e di valore.
56 L'alto rumor delle sonore trombe,
De' timpani e de' barbari stromenti ,
Giunti al continuo suon d'archi, di frombe,
Di macchine, di ruote e di tormenti;
E quel di che più par che'l ciel rimborabe.
Gridi , tumulti , gemiti e lamenti ;
Rendono un alto suon eh' a quel s'accorda,
Con che i vicin , cadendo , il Nilo assorda.
57 Grande ombra d'ogn'intomo il cielo involve,
Nata dal saettar delli duo campi:
L'alito, il fumo del sudor, la polve
Par che nell'aria oscura nebbia stampi.
Or .qua l'un campo, or l'altro là si volve:
Vedresti, or come un segua, or come scampi;
Ed ivi alcuno , o non troppo diviso ,
Rimaner morto ove ha il nimico ucciso.
58 Dove una squadra per stanchezza è mossa.
Fu' altra si fa tosto andare innanti.
Di qua , di là la gente d' arme ingrossa ;
Là cavalieri, e qua si metton fanti.
La terra che sostien l' assalto , è rossa ;
Mutato ha il verde ne' sanguigni manti;
E dov' erano i fiori azzurri e gialli ,
Giaceano uccisi or gli uomini e i cavalli.
59 Zerbin facea le più mirabil prove
Che mai facesse di sua età garzone:
L'esercito pagan che'ntomo piove',
Taglia jcd uccide , e mena a destruzione.
Ari'odante alle sue genti nuove
Mostra di sua virtù gran paragone ;
E dà di sé timore e meraviglia
A quelli di Navarra e di Castiglia.
60 Chelindo e Mosco, i duo flgH bastardi
Del morto Calabrun re d'Aragona,
Ed un che reputato fra' gagliardi
Era , Calamidor da Barcellona ,
S' avean lasciato addietro gli stendardi ;
E credendo acquistar gloria e corona
Per uccider Zerbin , gli furo addosso ;
E ne' fianchi il destrier gli hanno percosso.
HI Passato da tre lance il destrier morto
Cade; ma il buon Zerbin subito è in piede;
Ch'a quei ch'ai suo cavallo han fatto torto ,
Per vendicarlo va dove li vede:
E prima a Mosco , al giovene inaccorto ,
Che gli sta sopra , e di pigliar se '1 crede ,
Mena di punta , e lo passa nel fianco ,
E fìior di sella il caccia freddo e bianco.
62 Poi che si vide tor, come di furto,
Chelindo il fratel suo, di furor pieno
Venne a Zerbino, e pensò dargli d'urto;
Ma gli prese egli il corridor pel freno;
Ti-asselo in teria , onde non è mai surto .
E non mangiò mai più biada né fieno ;
Che Zerbin sì gran forza a un colpo mise ,
Che lui col suo signor d'un taglio uccise.
«8 Come Calamidor quel colpo mira ,
Volta la briglia per levarsi in fretta.
Ma Zerbin dietro un gran fendente tira ,
Dicendo : Traditore , aspetta , aspetta.
Non va la botta ove n'andò la mira,
Non che però lontana vi si metta:
Lui non potè arrivar, ma il destrier prese
Sopra la groppa, e in t^rra lo distese.
64 Colui lascia il cavallo , e via carpone
Va per campar , ma poco gli successe ;
Che venne ca«o che '1 duca Trasone
Gli passò sopra, e col peso l'oppresse,
Arì'odante e Lurcanio si pone
Dove Zerbino è fra le genti spesse :
E seco hanno altri e cavalieri e conti,
Che fauno ogni opra che Zerbin rimonti.
66 Menava Arì'odante il brando in giro;
E ben lo seppe Artalico e Slargano :
Ma molto più Etearco e Casimiro
La possanza sentir di quella mano.
I primi duo feriti se ne giro :
Bimaser gli altri duo morti sul piano.
Lurcanio fa veder quanto sia forte;
Che fere , urta , riversa , e m^tte a morte.
66 Non cre'liate, signor, che fra campagna
Pugna minor che presso al fiume sia
Né eh' addietro l' esercito rimagna ,
Che di Lincastro il buon duca segaia.
Le ban'liere assali questo di Spagna ,
E molto ben di par la cosa già;
Che fanti , cavalieri e capitani
Di qua e di là sapcan menar le m.iti.
67 Dinanzi vien Oldrado e Fieramente ,
l'n duca di Glocestra, un d' Eborace:
Con lor Riccardo di Varvecia conte.
E di Chiarenza il duca , Enrigo audace.
Han ^fatalista e Follicoue a fronte,
E Baricondo ed ogni lor seguace.
Tiene il primo Almeria , tiene il secondo
Granata, tien Maiorca Baricondo.
68 La fiera pugna un pezzo andò di pare.
Che vi si discernea poco vantaggio.
Vedeasi or l' uno or l' altro ire e tornare ,
Come le biade al ventolin di maggio,
0 come sopra '1 lito tm mobil mare
Or viene or va, né mai tiene un viaggio.
Poi che Fortuna ebbe scherzato un pezzo ,
Dannosa ai Mori ritornò da sezzo.
69 Tutto in un tempo il duca di Glocestra
A Matalista fa votar 1' arcione:
Ferito a un tempo nella spalla destra
Fieramente riversa Follicoue;
E r un pagano e V altro si sequestra ,
E tra gì' Inglesi se ne va prigione.
E Baricondo a un tempo riman senza
Vita per man dtrl duca di Chiarenza.
70 Indi i pagani tanto a spaventarsi,
Indi i fedeli a pigliar tanto ardire;
Che quei non facean altro che ritrarsi ,
E partirsi dall'ordine e fuggire;
E questi andar innanzi, ed avanzarsi
Sempre terreno , e spingere e seguire :
E se non vi giungea chi lor die aiuto,
Il campo da quel lato era perduto.
71 Ma Ferraù, che sin qUi mai non s'era
Dal re Marsilio suo troppo disgitmto ,
Quando vide fuggir quella bandiera,
E l'esercito suo mezzo consunto,
Spronò il cavallo , e dove ardea più fiera
La battaglia, lo spinse; e arrivò a punto
. Che vide dal destrier cadere in terra ,
Col capo fespo , Olimpio dalla Serra ;
*72 Un giovinetto che col dolce canto,
roncarle al suou della cornuta cetra,
D' intenerire un cor si dava vanto ,
Ancorché fosse più duro che pietra.
Felice lui , se contentar di tanto
Onor sapeasi , e scudo , arco e faretra
Aver in odio, e scimitarra e lancia,
Che lo fecer morir giovine in Francia.
73 Quando lo vide Ferraù cadere,
Cile solca amarlo e avere in mo't.v estima ,
Si sente di lui sol via più dolere ,
Che di miir altri che perìron prima ;
E sopra chi l'uccise in modo fere,
Che gli divide l'elmo dalla cima
Per la fronte, per gli occhi e per la faccia,
Per mezzo il petto, e morto a terra il cacci i.
Stanza 56.
74 Né qui s'indugia ; e il brando intorno ruota,
Ch'ogni elmo rompe, ogni lorica smaglia:
A chi segna la fronte , a chi la gota ,
Ad altri il capo , ad altri il bracci ì figlia :
Or questo or quel di sangue e d'alma vota;
E ferma da quel canto la battaglia.
Onde la spaventata ignobil frotta
Senz'ordine fuggia spezzata e rotta.
75 Entrò nella battaglia il re Agramante,
D'uccider gente e di far prove vago;
E seco ha Baliverzo , Farurante ,
Prusion, Soridano e Bambirago.
Poi son le genti senza nome tante ,
Che del lor sangue oggi faranno un lago,
Che meglio conterei ciascuna foglia,
Quando l'autunno gli arbori ne spoglia.
76 Agramante dal muro una gran banda
Di fanti avendo e di cavalli tolta,
Col re di Peza subito li manda,
Che dietro ai padiglion piglin la volta ,
E vadano ad opporsi a quei d' Irlanda ,
Le cui squadre vedea con fretta molta,
Dopo gran giri e larghi avvolgimenti ,
Venir per occupar gli alloggiamenti.
77 Fu *1 re di Feza ad eseguir ben presto ;
Ch'ogni tardar troppo nociuto avria.
Raguna intanto il re Agramante il resto :
Parte le squadre, e alla battaglia invia.
Egli va al fiume; che gli par ch'in questo
Luogo del suo venir bisogno sia:
E da quel canto un messo era venuto
Del re Sobrino a domandare aiuto.
stanza 82.
80 Dove gli Scotti ritornar fuggendo
Vede, s'appara, e grida: Or dove andate?
Perchè tanta viltade in voi comprenio ,
Che a sì vii gente il campo abbandonate ?
Ecco le spoglie , delle quali intendo
Ch'esser dovean le vostre chiese ornate.
Oh che laude, oh che gloria, che'l fig-liaolo
Del vostro re si lasci a piedi e solo !
81 D'un suo scudier una grossa asta afTerra.
E vede Prusion poco lontano,
Be d'Alvaracchie, e addosso se gli serra.
E dell' arcion lo porta morto al piano.
Morto Agricalte e Bambirago atterra;
Dopo fere aspramente Sondano ;
E come gli altri l' avria messo a morte ,
Se nel ferir la lancia era più fort«.
82 Stringe Fusberta, poiché l'asta è rotta,
E tocca Serpentin, quel dalla Stella.
Fatate l'arme avea; ma quella botta
Pur tramortito il manda fuor di sella
E cosi al duca della gente scotta
Fa piazza intomo spaziosa e bella;
Sì che senza contesa un destrier pnote
Salir di quei che vanno a selle vote.
83 E ben si ritrovò salito a tempo ,
Che forse noi facea, se più tardava;
Perchè Agramante e Dardinello a un tempii ,
Sobrin col re Balastro v'arrivava.
Ma egli , che montato era per tempo ,
Di qua e di là col brando s' aggirava ,
Mandando or questo or quel giù nell'inferno
A dar notizia del viver moderno.
78 Menava in una squadra più di mezzo
Il campo dietro ; e sol del gran rumore
Tremar gli Scotti , e tanto fu il ribrezzo ,
Ch' abbandonavan l'ordine e l'onore.
Zerbin , Lurcanio e Ar lodante in mezzo
Vi restar soli incontra a quel furore;
E Zerbin, ch'era a pie, vi perla forse;
Ma '1 buon Rinaldo a tempo se n' accorse.
79 Altrove intanto il paladin s'avea
Fatto innanzi fuggir cento bandiere.
Or che l'orecchie la novella rea
Del gran periglio di Zerbin gli fere ,
Ch'a piedi fra la gente cirenea
Lasciato solo aveano le sue schiere,
Volta il cavallo t e dove il campo scotto
Vede fuggir, prende la via di botto.
84 II buon Rinaldo, il quale a porre in terra
I più dannosi avea sempre riguardo,
La spada contro il re Agramante afferra,
Che troppo gli parca fiero e gagliardo
(Facea egli sol più che mille altri guerra);
E se gli spinse addosso con Baiardo:
Lo fere a un tempo ed urta di traverso
Sì , che lui col destrier manda riverso.
85 Mentre di fuor con sì crudel battaglia.
Odio, rabbia, furor l'un l'altro offende,
Rodomonte in Parigi il popol taglia,
Le belle case e i sacri templi accende.
Carlo, ch'in altra parte si travaglia,
Questo non vede , e nulla ancor ne 'ntende :
Odoardo raccoglie ed Arimanno
Nella città, col lor popol britanno.
86 A lui venne un scudier pallido in volto,
Che i>otea appena trar del petto il fiato.
Ahimè ! signor , ahimè ! replica molto ,
Prima ch'abbia a dir altro incominciato:
Oggi il romano imperio, oggi è sepolto;
Oggi ha il suo popol Cristo abbandonato :
Il Demonio dal cielo è piovuto oggi,
Perchè in questa città più non s'alloggi.
87 Satanasso (perch' altri esser non puote)
Strugge e mina la città infelice.
Volgiti e mira le fumose ruote
Della rovente fiamma predatrice ;
Ascolta il pianto che nel ciel percuote ;
E faccian fede a quel che '1 servo dice.
Un solo è quel eh' a ferro e a fuoco strugge
La bella terra, e innanzi ognun gli fugge.
stanza (
88 Qual è colui che prima oda il tumulto ,
E delle sacre squille il batter spesso.
Che vegga il fuoco a nessun altro occulto,
Ch'a sé, che più gli tocca, e gli è più presso;
-Tale è il re Carlo, udendo il nuovo insulto,
E conoscendo! poi con V occhio istesso :
Onde lo sforzo di sua miglior gente
Al grido drizza e al gran rumor che sente.
89 Dei paladini e dei guerrier più degni
Carlo si chiama dietro una gran parte ,
E ver. la piazza fa drizzare i segni;
Che '1 pagan s' era tratto in quella pirte.
Ode il rumor, vede gli orribil segui
Di crudeltà, l'umane membra sparte.
Ora non più: ritomi un'altra volta
Chi volontier la bella istoria ascalta.
NOTE.
St. 5. v. 5-8. — Bama : oggi Bamlat piccola città di
Siria , stazione dei pellegrini che andavano a Gerusa-
lemme. — Antiochia f ora Antakiech : la famosa Antio-
cbìa Magna, salla sinistra deirOronte, a settentrione di
Damasco.
St. 11. V 1. — Nicoaia, città principale dell'isola di
Cipro.
St. 23. V. 2-4. — Campi ircani. G-li antichi chiama-
rono Ircania una regione della Persia , in vicinanza al
mar Caspio, la qoale ora comprende lo Schirvan, il Ohi-
lan e il Tabarìstan. Nel monte che Tffeo sotto 9i frange,
si può ravvisare col Petrarca la montagna d'Ischia, isola
presso il capo Miseno all'entrata del golfo di Napoli.
St. 27. V. 5-6. — Signor, avete a creder, ecc. All'as-
sedio di Padova, fatto dagli Austrìaci nel 1509, si trovò
il cardinale Ippolito d'Este.
St. 31. V. 1-5. — Impedimenti: bagagli dell'esercito.
St. 33. V. 3. — Il vostro re, ecc. : il padre d'Astolfo,
Otone d'Inghilterra, che insieme con Carlo era assediato
in Parigi.
St. 36. V. 1-2. — Una corona, ecc.: era di quercia:
i Romani la dissero civica; e la davano a chi salvava
la vita a qualche cittadino.
St. 37. V. 6. — Zibeltaro, ecc.: Gibilterra, e Io stretto
omonimo, ricordato più volte.
St. 47. V. 7. — Escuso, scusato.
St. 50. V. 3-4. — Targhe, speaie di scudi. — Oiuppe
trapunte , sorta di sottovesti usate allora a difesa del
corpo.
St. 53. V. 5. — Avaccio : prestamente.
St. 56. V. 7*8. — Un alto suon, ecc.: accennasi il
fragore prodotto dalle cateratte del Nilo.
St. 72. V. 2. — Cornuta. Chiama cornuta la cetra,
perchè ha due capi ricurvi a modo di corni
St 76. V. 3. -^ Feza : Fez, provincia che ha titolo di
regno, nell'impero di Marocco.
St. 79. V. b. — La gente cirenea. Cirenaica chiamossi
-in antico il paese di Barca, limitrofo alla gran Sirte, nello
Stato di Tripoli ; ma qui può intendersi genei*almente
la milizia libica ed anche africana.
St. 82. V. 2. — Stella, Estella, città di Spagna, dalla
quale prendeva il nome Serpentino.
stanza 93.
CANTO DECIMOSETTIMO.
AROOMENTO.
Carlo esorta i suoi paladini, ed insieme con essi investe i nemici. Grifone, Orrigìlle e Hartano vanno in Dama-
sco alla festa bandita da Noi*andino. Grifone vince nella giostm: Mai'tano vi mostra somma codardia , na
gli usurpa l'onore della vittoria, onde Grifone riceve onte ed oltraggi.
1 II giusto Dio , quando i peccati nostri
Hanno di remissìon passato il seguo ,
Acciò che la giustizia sua dimostri
Uguale alla pietà, spesso dà regno
A tiranni atrocissimi ed a mostri ,
E dà lor forza, e di mal fare ingegno.
Per questo Mario e Siila pose al mondo ,
E duo Neroni e Caio furibondo,
Che d'Attila dir^? che dell'iniquo
Ezzelin da Roman? che d'altri cento,
Che dopo un lungo andar sempre in obliquo,
Ne manda Dio per pena e per tormento?
Di questo abbiam non pur al tempo antiquo,
Ma ancora al nostro , chiaro esperimento ,
Quando a noi, greggi inutili e malnati,
Ha dato per guardian lupi arrabbiati :
Domiziano e 1' ultimo Antonino ;
E tolse dalla immonda e bassa plebe.
Ed esaltò all'imperio Massimino;
E nascer prima fé' Creonte a Tebe ;
E die Mezenzio al popolo Agilino,
Che fé' di sangue umau grasse le glebe;
E diede Italia a tempi men rimoti
In preJa agli Unni, ai Longobardi, ai (ioti.
A cui non par eh' abbi' a bastar lor fame,
Ch' abbi' il lor ventre a capir tanta carne ;
E chiaman lupi di più ingorde brame
Da boschi oltramontani a divorarne.
Di Trasimeno l'insepulto ossame,
E ^i Canne e di Trebbia , poco pame
Verso quel che le ripe e i campi ingrassa,
Dov'Adda e Mei la e Ronco e Taro passa.
Or Dio consente che noi siam \m\ìhì
Da popoli di noi forse peggiori ,
Per li multiplicati ed infiniti
Nostri nefandi , obbrobriosi errori.
Tempo verrà, eh' a depredar lor liti
Andremo noi , se mai sarem migliori ,
E che i peccati lor giungano al segno,
Che V etema Bontà muovano a sdegno.
11 Sta su la porta il re d'AIgier, lucente
Di chiaro acciar che'l capo gli armaeU busto.
Come uscito di tenebre serpente,
Poi c^ha lasciato ogni squallor vetusto,
Del nuovo scoglio altiero , e che si sente
Ringiovenito e pii\ che mai robusto :
Tre lingue vibra, ed ha negli occhi foco;
Dovunque passa, ogn* animai dà loco.
3 Doveano allora aver gli eccessi loro
Di Dio turbata la serena fronte ,
Che scorse ogni lor luogo il Turco e'I ^loro
Con stupri, uccision, rapine ed onte;
Ma più di tutti gli altri danni, fóro
Gravati dal furor di Rodomonte.
Dissi ch'ebbe di lui la nuova Carlo,
E che 'n piazza venia per ritrovarlo.
7 Vede tra via la gente sua troncata ,
Arsi i palazzi , e ruinati i templi ,
Oran parte della terra desolata :
Mai non si vider si crudeli esempli.
Dove fuggite, turba spaventata?
Non è tra voi chi '1 danno suo contempli ?
Che città , che rifugio più vi resta ,
Qiwndo si perda sì vilmente questa?
8 Dunque un uom solo in vostra terrà preso.
Cinto di mura onde non può fuggire,
Si partirà che non V avrete offeso ,
Quando tutti v'avrà fatto morire?
Con Carlo dicea, che d'ira acceso
Tanta vergogna non potea patire;
E giunse dove innanti alla gran corte
Vide il pagan por la sua gente a morte.
9 Quivi gran parte era del popolazzo,
Sperandovi trovare aiuto, ascesa;
Perchè forte di mura era il palazzo,
Con manizion da far lunga difesa.
Rodomonte , d' orgoglio e d' ira pazzo ,
Solo s'avea tutta la piazza presa;
E l'una man, che prezza il mondo poco,
Ruota la spada, e l'altra getta il fuoco.
10 E della regal casa , alta e sublime ,
Percuote e risuonar fa le gran porte.
Gettan le turbe dall'eccelse cime
E merli e torri, e si metton per morte.
Guastare i tetti non è alcun che stime;
E legne e pietre vanno ad una sorte ,
Lastre e colonne e le dorate travi,
Che furo in prezzo agli lor pa<lri e agli avi.
'^^i (^C^.y
t;>^,--
stanza 7.
12 Non sasso, merlo, trave, arco o balestra,
Né ciò che sopra il Siracin percuote,
Ponno allentar la sanguinosa destra,
Che la gran porta taglia, spezza e scuote:
E dentro fatto v'ha tanta finestra,
Che ben vedere e veduto esser puote
Dai visi impressi di color di morte,
Che tutta piena quivi hanno la corte.
13 Suonar per gli alti e spaziosi tetti
S' odono gridi e femminil lamenti:
L'afflitte donne, perco tendo i petti,
Corron per casa pallide e dolenti;
E abbraccian gli usci e i geniali letti.
Che tosto hanno a lasciare a strane genti.
Tratta la cosa era in periglio tanto.
Quando il re giunse, e suoi baroni accanto.
SUnza 12.
15 Perchè debbo vedere in voi fortezza
Ora miuor, ch'io la vedessi aUora?
Mostrate a questo can vostra prodezza ,
A questo can che gli uomini devora.
Un magnanimo cor morte non prezza,
Presta o tarda che sia , purché ben muoitL
Ma dubitar non posso ove voi sete ,
Che fatto sempre vincitor m'avete.
16 Al fin delle parole urta il destriero ,
Con Pasta bassa, al Saracino addosso.
Mossesi a un tratto il paladino Uggiero ,
A un tempo Namo ed Olivier si è mosso,
A vino, Avoìio, Otone e Berlingiero,
Ch'un senza l'altro mai veder non posso:
E ferir tutti sopra a Rodomonte
E nel petto e nei fianchi e nella fronte.
17 Ma lasciamo , per Dio , signore , ormai
Di parlar d'ira, e di cantar di morte;
E sia per questa volta detto assai
Del Saracin non men crudel che forte :
Che tempo è ritornar dov'io lasciai
Grifon, giunto a Damasco in su le porte
Con Orrigille perfida, e con quello
Ch' adulter' era , e non di lei fratello.
18 Delle più ricche terre di Levante,
Delle più populose e meglio ornate
Si dice esser Damasco , che distante
Siede a Gerusalem sette giornate,
In un piano fruttifero e abbondante,
Non men giocondo il verno , che l' estate.
A questa terra il primo raggio tolle
Della nascente nurora un vicin colle.
19 Per la città duo fiumi cristallini
Vanno innaffiando per diversi rivi
Un numero infinito di giardini,
Non mai di fior, non mai di fronde privi.
Dicesi ancor, che macinar molini
Potrian far P acque lanfe che son quivi ;
E chi va per le vie, vi sente fuore
Di tutte quelle case uscire odore.
14 Carlo si volse a quelle man robuste.
Ch'ebbe altre volte a gran bisogni pronte.
Non sete quelli voi , che meco fuste
Contra Agolante, disse, in Aspramonte?
Sono le forze vostre ora si fruste,
Che, s'uccideste lui, Troiano e Almonte
Con cento mila , or ne temete un solo
Pur di quel sangue, e pur di quello stuolo?
20 Tutta coperu è la strada maestra
Di panni di diversi color lieti ,
E d'odorifera erba, e di silvestra
Fronda la terra e tutte le pareti.
Adorna era ogni porti , ogni finestra
Di finissimi drappi e di tappeti;
Ma più dì belle e bene ornate donne
Di ricche gemme e di superbe gonne.
2 1 Vedeasi celebrar dentr' alle porte ,
Ili molti lochi, soUazzevol balli:
Il popol , per le vie , di miglior sorte
Maneggiar beu guarniti e bei cavalli.
Facea più ben veder la ricca corte
De' signor, de' baroni, e deWassalli,
Con ciò che d'India e d'eritree maremme
Di perle aver si può, d'oro e di gemme.
22 Venia Grifone e la sua <jompagiiia
Mirando e quinci e quiudi il tutto ad agio ;
Quando fermolli un ca vallerò in via,
E li fece smontare a un suo palagio :
E per l'usanz^i e per sua cortesia,
Di nulla lasciò lor patir disagio.
Li fé' nel bagno entrar ; poi con serena
Fronte gli accolse a sontuosa ceua.
Z^^'^^^^^^
stanza 14.
23 E narrò lor , come il re Norandino ,
Re di Damasco e di tutta Soria,
Fatto avea il paesano e'I peregrino.
Ch'ordine avesse di cavalleria,
Alla giostra invitar , eh' al mattutino
Del di seguente in piazza si farla;
E che, s'aveon valor pari al sembiante,
' Potrian mostrarlo senza andar più innante.
24 Ancorché quivi non venne Grifone
A questo effetto , pur lo 'nvito tenne ;
Che qual volta se n' abbia occasione ,
Mostrar virtude mai non disconvenne.
Interrogollo poi della cagione
Di quella festa, e s'ella era solenne
Usata ogn' anno , oppure impresa nuova
Del re, ch'i suoi veder volesse in pruova.
25 Rispose il cavalier: La bella festa
S'ha da far sempre ad ogni quarta luna.
Deir altre che verran, la prima è questa:
Ancora non se n^ è fatta più alcuna.
Sarà in memoria che salvò la testa
Il re in tal giorno da una gran fortuna ,
Dopo che quattro mesi in doglie e^ n pianti
Sempre era statp, e con la morte iumnti.
27 Ma poi che fummo tratti a piene Tele
Lungi dal porto nel Carpazio iniquo ,
La tempesta saltò tanto crudele,
Che sbigotti sin al padrone antiqua
Tre di e tre notti andammo errando ne le
Minacciose onde per cammino obbliquo.
Uscimmo alfin nel lito stanchi e molli.
Tra freschi rivi, ombrosi e verdi collL
Stanza 32.
26 Ma per dirvi la cosa pienamente,
Il nostro re, che Norandin s' appella ,
Molti e molt'anui ha avuto il core ardente
.Della leggiadra e sopra ogni altra bella
Figlia del re di Cipro : e finalmente
Avutala per moglie, iva con quella,
Con cavalieri e donne in compagnia;
£ dritto avea il cammin verso Soria.
28 Piantare i padiglioni, e le cortine
Fra gli arbori tirar facemmo lieti.
S'apparecchiano i fuochi e le cucine;
Le mense d'altra parte in su tappeti.
Intanto il re cercando alle vicine
Valli era andato e a' boschi più secreti ,
Se ritrovasse capre o daini o cervi ;
E l'arco gli portar dietro duo servi.
29 Mentre aspettiamo, in gran piacer sedendo,
Che da cacciar ritorni il signor nostro.
Vedemmo l'Orco a noi venir correndo
Lungo il lito del mar, terribil mostro.
Dio vi guardi, signor, che'l viso orrendo
Dell' Orco agli occhi mai vi sia dimostro :
Meglio è per fama aver notizia d'esso ,
Ch'andargli sì, che lo veggiate, appresso.
80 Non gli può comparir quanto sia lungo ,
Si smisuratamente è tutto grosso.
In luogo d' occhi , di color di fungo
Sotto la fronte ha duo coccole d' osso.
Verso noi vien , come vi dico , lungo
Il lito, e par eh' un monticel sia mosso.
Mostra le zanne fuor , come fa il iwrco ;
Ha lungo il naso , il sen bavoso e sporco.
31 Correndo vien, e'I muso a guisa porta
Che'l bracco suol, quindo entra in su la traccia.
Tutti , che lo veggiam , con faccia smorta
In fuga andiamo ove il timor ne caccia.
Poco il veder lui cieco ne conforta.
Quando , fiutando sol , par che più faccia ,
Ch'altri non fa, ch'abbia odorato e lume:
E bisogno al fuggire eran le piume.
32 Corron chi qua , chi là ; ma poco lece
Da lui fuggir , veloce più che '1 Noto.
Di quaranta persone , appena diece
Sopra il navilio si salvaro a nuoto.
Sotto il braccio un fastel d' alcuni fece ;
Né il grembo si lasciò né il seno voto.
Un suo capace zaino empissene anco ,
Che gli pendea , come a pastor , dal fianco. *
33 Portocci alla sua tana il mostro cieco ,
Cavata in lito al mar dentr*nno scoglio.
Di marmo cosi bianco è quello speco,
Come esser soglia ancor non scritto foglio.
Quiyi abitava una matrona seco ,
Di dolor piena in vista e di cordoglio;
Ed avea in compagnia donne e donzelle
D'ogni età, d'ogni sorte, e brutte e belle.
B4 Era presso alla grotta in ch'egli stava,
Quasi alla cima del giogo superno,
Un'altra non ininor di quella cava,
Dove del gregge suo focea governo.
Tanto n'avea, che non si numerava;
E n'era egli il pastor l'estate el verno.
Ai tempi suoi gli apriva e tenea chiuso ,
Per spasso che n' avea , più che per uso.
3.5 L' umana carne meglio gli sapeva ;
E prima il fa veder , ch'ali' antro arrivi ;
Che tre de' nostri giovini ch'aveva,
Tutti li mangia , anzi trangugia vivi.
Viene alla stalla , e un gran sasso ne leva:
Ne caccia il gregge, e noi riserra quivi.
Con quel sen va dove il suol far satollo,
Sonando una zampogna eh' avea in collo.
36 II signor nostro intanto, ritornato
Alla marina , il suo danno comprende ;
Che trova gran silenzio in ogni lato ,
Voti frascati, padiglioni e tende.
Né sa pensar chi si l' abbia rubato ;
E pien di gran timore al lito scende ,
Onde i nocchieri suoi vede in disparte
Sarpar lor ferri, e in opra por le sarte.
37 Tosto ch'essi lui veggiono sul lito
n palischermo mandano a levarlo:
Ma non sì tosto ha Norandino udito
Dell' Orco che venuto era a rubarlo ,
Che, senza più pensar, piglia partito,
Dovunque andato sia , di seguitarlo.
Vedersi tor Lucina si gli duole ,
Ch'o racquistarla , o non più viver vuole.
38 Dove vede apparir lungo la sabbia
La fresca orma, ne va con quella fletta
Con che lo spinge l' amorosa rabbia ,
Finché giunge alla tana ch'io v'ho detta.
Ove con tema, la maggior che s'abbia
A patir mai , l' Orco da noi s' aspetta.
Ad ogni suono di sentirlo parci,
Ch'aifamato ritomi a divorarci.
39 Quivi fortuna il re da tempo guida,
Che senza V Orco in casa era la moglie.
Come ella'l vede: Fuggine, gli grida:
Misero te , se l' Orco ti ci coglie !
Coglia, disse, o non coglia, o salvi o uccida,
, Che miserrimo i' sia non mi si toglie.
Disir.mi mena, e non error di via,
C ho di morir presso alla moglie mia.
40 Poi segui, dimandandole novella
Di quei che prese l'Orco in su la riva;
Prima degli altri, di Lucina bella,
Se l' avea morta , o la tenea captiva.
La donna umanamente gli favella,
E lo conforta, che Lucina é viva,
E che non é alcun dubbio ch'ella muora;
Che mai femmina l'Orco non divora.
41 Esser di ciò argumento ti poss'io,
E tutte queste donne che son meco:
Né a me né a lor mai 1' Orco é stato rio ,
Purché non ci scostiam da questo speco.
A chi cerca fuggir , pon grave fio ;
Né pace mai puon ritrovar più seco:
0 le sotterra vive, o l'incatena,
0 fa star nude al sol sopra l'arena.
42 Quand'oggi egli portò qui la tua gente,
Le femmine dai maschi non divise;
Ma, si come gli avea, confusamente
Dentro a quella spelonca tutti mise.
Sentirà a naso il sesso differente :
Le donne non temer che sieno uccise:
Gli uomini , òiene certo ; ed empieranne
Di quattro , il giorno , o sei , l' avide canne.
48 Di levar lei di qui non ho consiglio
Che dar ti possa ; e contentar ti puoi
Che nella vita sua non é periglio :
Starà qui al ben e al mal ch'avremo noi.
Ma vattene, per Dio, vattene, figlio,
Che l'Orco non ti senta e non t'ingoi.
Tosto che giunge d' ogn' intorno annasa,
E sente sin a un topo che sia in casa.
44 Rispose il re , non si voler partire ,
Se non vedea la sua Lucina prima;
E che piuttosto appresso a lei morire,
Che viverne loutan. faceva stima.
Quando vede ella non potergli dire
Cosa che '1 muova dalla voglia prima ,
Per aiutarlo fa nuovo disegno ,
E ponvi ogni sua industria, ogni suo ingegno.
45 Morte avea in casa, e (Vogni tempo appese,
Con lor mariti , assai capre ed agnelle ,
Onde a sé ed alle sue facea le spese;
E dal tetto pendea più d'una pelle.
La donna fe^ che '1 re del grasso prese ,
Ch'avea un gran becco intorno alle ludelle,
E che se n'unse dal capo alle piante,
Finché r e dor cacciò eh' egli ebbe innante.
48 Pensate voi .se gli tremava il core .
Quando l'Orco senti che ritornava.
E che '1 viso crndel pieno d' orrore
Vide appressare all' uscio della cava :
Ma potè la pietà più che'l timore.
S'ardea, vedete, o .se fingendo amav.i.
Vien l'Orco innanzi, e leva il sasso, ed apre-
Norandino entra fra pecore e capre.
Stanza ò'o.
46 E poi che'l tristo puzzo aver le parve.
Di che il fetido becco ognora sape,
Piglia l'irsuta pelle, e tutto entrarve
Lo fé'; ch'ella è si grande, che lo cape
Coperto sotto a cosi strane larve ,
Faccndol gir carpon , seco lo rape
Là dove chiuso era d'un sasso grave
l>ella sua donna il bel viso soave.
47 Norandino ubbidisce, ed alla buca
Della spelonca ad aspettar si mette,
Acciò col gregge dentro si conduca;
E fin a sera disiando stette.
Olle la sera il suon della sambuca,
Con che 'nvita a lassar l' umide erbette ,
E ritornar le pecore all'albergo
Il fier pastor, che lor venia da tergo.
49 Entrato il gregge, l'Orco a noi discende:
Ma prima sopra sé l'uscio .si chiude.
Tutti ne va fiutando: alfin duo prende;
Che vuol cenar delle lor carni crude.
Al rimembrar di quelle zanne orrende
Non posso far eh' ancor non tremi e snde.
Partito rOrco, il re getta la gonna
Oh 'avea di becco, e abbraccia la sua donna.
.50 Dove averne piacer deve e conforto,
Vedendol quivi, ella n'ha affanno e noia:
Lo vede giunto ov'ha da restar morto;
E non può far però , eh' essa non muoia.
Con tutto '1 mal , diesagli , eh' io supporto ,
Signor, sentìa non mediocre gioia,
Che ritrovato non t'eri con nni
Quando dall' Orco oggi qui tratta fui.
51 Che sebben il trovarmi ora in procinto
D'uscir di vita, m'era acerbo e forte;
Pur mi sarei , com' è comune istinto ,
Dogliuta sol della mia trista sorte :
3[a ora, o prima o poi che tu sia estinto.
Più mi dorrà la tua, che la mia morte.
E seguitò , mostrando assai più affanno
Di quel di Norandin, che del suo danno.
52 La speme, disse il re, mi fa venire,
C'ho di salvarti , e tutti questi teco:
E s'io noi posso far, meglio è morire.
Che senza te , mio Sol , viver poi cieco.
Come io ci venni, mi potrò partire;
E voi tutt' altri ne verrete meco ,
Se non avrete, come io non ho avuto,
Schivo a pigliare odor d'animai bruto.
53 La fraude in.segnò a noi, che centra il na^o
Dell'Orco insegnò a lui la moglie d'esso;
Di vestirci le pelli , in ogni caso
Ch'egli ne palpi nell' uscir del fesso.
Poiché di questo ognun fu persuaso ,
Quanti dell' un , quanti dell' altro sesso
Ci ritroviamo, uccidiam tanti becchi.
Quelli che più fetean , eh' eran più vecchi.
54 Ci uugemo i corjn di quel grasso opimo
Che ritroviamo all'intestina intorno,
E dell'orride pelli ci vestimo.
Intanto usci dall'aureo albergo il giorno;
Alla spelonca , come apparve il primo
Raggio del sol , fece il pastor ritorno ;
E dando spirto alle sonore canne ,
Chiamò il suo gregge fuor delle capanne.
55 Tenea la roano al buco della tana ,
Acciò col gregge non uscissim noi :
Ci prendea al varco ; e quando pelo o luna
Sentia sul dosso, ne lasciava poi.
Uomini e donne uscimmo per si strana
Strada, coperti dagl'irsuti cuoi:
E r Orco alcun di noi mai non ritenne ;
Finché con gran timor Lucina venne.
56 Lucina, o fosse perch'ella non volle
Ungersi come noi , che schivo n' ebbe ;
0 eh' avesse l' andar più lento e molle ,
Che V imitata bestia non avrebbe ;
0 quando l'Orco la groppa toccolle,
Gridasse per la tema che le accrebbe;
0 che se le sc'ogliessero le chiome ;
Sentita fu , né ben so dirvi come.
57 Tutti eravam sì intenti al caso nostro ,
Che non avemmo gli occhi agli altrui fatti.
Io mi rivolsi al grido; e vidi il mostro
Che già gì' irsuti spogli le avea tratti ,
E fattola tornar nel cavo chiostro.
Noi altri dentro a nostre gonne piatti
Col gregge andiamo ove '1 pastor ci mena ,
Tra verdi colli in una piaggia amena.
58 Quivi attendiamo infin che steso all'ombra
D'un bosco opaco il nasuto Orco dorma.
Chi lungo il mar, chi verso il monte sgombra:
Sol Norandin non vuol seguir nostr'orma.
L' amor della sua donna sì lo 'ngorabra ,
Ch'alia grotta tornar vuol fra la torma,
Né partirsene mai sin alla morte,
Se non imequista la fedel consorte :
59 Che quando dianzi avea all'uscir del chiuso
Vedutala restar captiva sola.
Fu per gittarsi , dal dolor confuso ,
Spontaneamente al vorace Orco in gola;
E si mosse , e gli corse in fino al muso ,
Né fu lontano a gir sotto la mola;
Ma pur lo tenne in mandra la speranza
Ch'avea di trarla ancor di quella stanza.
Abiosto.
60 La sera, quando alla spelonca mena
Il gregge l' Orco , e noi fuggiti sente ,
E e' ha da rimaner privo di cena,
Chiama Lucina d' ogni mal nocente ,
E la condanna a star sempre in catena
Allo scoperto in sul sasso eminente.
Vedela il re per sua cagion patire;
E si distrugge, e sol non può morire.
Stanza 60.
61 Mattina e sera l'infelice amante
La può veder come s' affligga e piagna ;
Che le va misto fra le capre avante ,
Tomi alla stalla, o torni alla campagna.
Ella con viso mesto e supplicante
Gli accenna che per Dio non vi ri magna
Perchè vi sta a gran rischio della vita,
Né però a lei può dare alcuna aita.
62 Così la moglie ancor dell'Orco priega
Il re, che se ne vada: ma non giova;
Che d' andar mai senza Lucina niega ,
E sempre più costante si ritrova.
In questa servi tilde , in che lo lega
Pietate e amor, stette con lunga prova
Tanto , eh' a capitar venne a quel sasso
Il figlio d'Agricaue e'I re Gradasso.
63 Dove con loro audacia tanto fènno ,
Che liberaron la bella Lucina ;
Benché 7i fu avventura più che senno :
E la portar correndo alla marina;
E al padre suo, che quivi era, la dénno;
E questo fu nell'ora mattutina,
Che Norandin con l'altro gregge stava
A ruminar nella montana cava.
64 Ma poi che *1 giorno aperta fu la sbarra ,
E seppe il re la donna esser partita
(Che la moglie dell' Orco gli lo narra) ,
E come appunto era la cosa gita;
Grazie a Dio rende, e con voto n' inarra,
Ch'essendo fuor di tal miseria uscita,
Faccia che giunga onde per arme possa
Per prieghi o per tesoro esser riscossa.
65 Pien di letizia va con l'altra schiera
Del Simo gregge, e viene ai verdi paschi;
E quivi aspetta fin eh' all' ombra nera
U mostro per dormir nell'erba caschi.
Poi ne vien tutto il giorno e tutta sera;
E alfin sicur che l' Orco non lo 'ntaschi ,
Sopra un navilio monta in Satalia;
E son tre mesi ch'arrivò in Scria.
66 In Rodi , in Cipro , e per città e castella
E d' Africa e d' Egitto e di Turchia ,
Il re cercar fé' di Lucina bella;
Né fin l'altr'ier aver ne potè spia.
L'altr'ieri n'ebbe dal suocero novella.
Che seco l'avea salva in Nicosia,
Dopo che molti di vento crudele
Era stato contrario alle sue vele.
67 Per allegrezza della buona nuova
Prepara il nostro re la ricca festa;
E vuol eh' ad ogni quarta luna nova,
Una se n' abbia a far simile a questa :
Che la memoria rinfrescar gli giova
Dei quattro mesi che 'n irsuta vesta
Fu tra il gregge de l'Orco; e un giorno, quale
Sarà dimane, usci di tanto male.
68 Questo ch'io v'ho narrato, in parte vidi,
In parte udì' da chi trovossi al tutto :
Dal re , vi dico , che calende et idi
Vi stette, finché volse in riso il lutto:
E se n'udite mai far altri gridi,
Direte a chi gli fa, che mal n'è istrutto.
Il gentiluomo in tal modo a Grifone
Della festa narrò l' alta cagione.
69 Un gran pezzo di notte si dispensa
Dai cavalieri in tal ragionamento;
E conchiudon , eh' amore e pietà immensa
Mostrò quel re con grand' esperimento.
Andaron , poi che si levar da mensa ,
Ove ebbon grato e buono alloggiamento.
Nel seguente mattin sereno e diiaro
Al suon dell'allegrezze si destaro.
70 Vanno scorrendo timpani e trombette,
E ragunando in piazza la cittade.
Or, poiché di cavalli e di carrette
E rimbombar di gridi odon le strade ,
Grifon le lucide armi si rimette,
Che son di quelle che si trovan rade;
Che l'avea impenetrabili e incantate
La fata bianca di sua man temprate.
71 Quel d'Antiochia, più d'ogn' altro vile,
Armossi seco, e compagnia gli tenne.
Preparate avea lor 1' oste gentile
Nerbose lance, e salde e grosse antenne,
E del suo parentado non umile
Compagnia tolta; e seco in piazza venne;
E scudieri a cavallo, e alcuni a piede,
A tai servigi attissimi lor diede.
72 Giunsero in piazza, e trassonsi in disparte.
Né pel campo curar far di sé mostra.
Per veder meglio il bel popol di Marte ,
Ch'ad uno, o a dua, o a tre veniano in giostra.
Chi con colori accompagnati ad arte,
Letizia o doglia alla sua donna mostra:
Chi nel cimier , chi nel dipinto scudo
Disegna Amor, se l'ha benigno o crudo.
73 I Soriani in quel tempo aveano usanza
D'armarsi a questa guisa di Ponente.
Forse ve gli inducea la vicinanza
Che de' Franceschi avean continuamente.
Che quivi allor reargean la sacra stanza.
Dove in carne abitò Dio onnipotente;
Ch'ora i superbi e miseri Cristiani,
Con biasmo lor, lasciano in man de'canL
74 Dove abbassar dovrebbono la lancia
In augumento della santa Fede,
Tra lor si dan nel petto e nella pancia ,
A destruzion del poco che si crede.
Voi, gente Ispana', e voi, gent^ di Francia,
Volgete altrove, e voi. Svizzeri, il piede,
E voi, Tedeschi, a far più degno acquisto;
Che quanto qui cercate è già di Cristo.
75 Se Cristianissimi esser yoì volete,
E voi altri Cattolici nomati,
Perchè dì Cristo gli nomini uccidete?
Perchè de^benì lor son dispogliati?
Perchè Gerusalem non riavete ,
Che tolto è stato a voi da' rinnegati ?
Perchè Constantinopoli , e del mondo
La miglior parte, occupali Turco immondo?
76 Non hai tu, Spagna, l'Africa vicina,
Che t'ha via più di questa Italia offesa?
Eppur, per dar travaglio alla meschina.
Lasci la prima tua si bella impresa.
O d'ogni vizio fetida sentina,
Dormi , Italia imbriaca , e non ti pesa
Ch' ora di questa gente , ora di quella ,
Che già serva ti fu, sei fiotta ancella?
77 Se '1 dubbio di morir nelle tue tane ,
Svizzer , di fame , in Lombardia ti guida ,
E tra noi cerchi o chi ti dia del pane ,
0, per uscir d'inopia, chi t'uccida;
Le ricchezze del Turco hai non lontane:
Cacciai d' Europa , o almen di Grecia snida.
Cosi potrai o del digiuno trarti ,
0 cader con più merto in quelle parti.
78 Quel eh' a te dico, io dico al tuo vicino
l'edesco ancor: là le ricchezze sono.
Che vi portò da Roma Constanti no ;
Portonne il meglio , e fé' del resto dono.
Pattalo ed Ermo , onde si trae l' ór fino ,
Migdonia e Lidia , e quel paese buono
Per tante laudi in tante istorie noto,
Non è , s' andar vi vuoi , troppo remoto.
79 Tu, gran Leone, a cui premon le terga
Delle chiavi del ciel le gravi some ,
Non lasciar che nel sonno si sommerga
Italia, se la man l'hai nelle chiome.
Tu sei Pastore; e Dio t'ha quella verga
Data a portare , e scelto il fiero nome ,
Perchè tu ruggi, e che le braccia stenda
Si, che dai lupi il gregge tuo difenda.
80 Ma d' un parlar nell' altro , ove sono ito
Sì lungi dal cammin ch'io faceva ora?
Non lo credo però sì aver smarrito,
Ch'io non lo sappia ritrovare ancora.
Io dicea ch'in Sona si tenea il rito
D'armarsi, che i Franceschi aveano allora:
Si che bella in Damasco era la piazza
Di gente armata d'elmo e di corazza.
81 Le vaghe donne gettano dai palchi
Sopra i giostranti fior vermigli e gialli.
Mentre essi fanno, a suon degli oricalchi,
Levare assalti ed aggirar cavalli.
Ciascuno , o bene o mal eh' egli cavalchi ,
Vuol far quivi vedersi ; e sprona e dalli :
Di ch'altri ne riporta pregio e lode;
Muove altri a riso , e gridar dietro s' ode.
83 Della giostra era il prezzo un'armatura
Che fu donata al re pochi di innante,
Che su la strada ritrovò a ventura ,
Ritornando d'Armenia, un mercatante.
Il re di nobilissima testura
La sopravveste all'arme aggiunse, e tante
Perle vi pose intomo e gemme ed oro ,
Che la fece valer molto tesoro.
83 Se conosciute il re quell' arme avesse ,
Care avute l' avria sopra ogni arnese :
Né in premio della giostra l' avria messe,
Comechè liberal fosse e cortese.
Lungo saria chi raccontar volesse
Chi l'avea sì sprezzate e vilipese.
Che 'n mezzo della strada le lasciasse ,
Preda a chiunque o innanzi o indietro andasse.
84 Di questo ho da contarvi più di sotto:
Or dirò di Grifon, ch'alia sua giunta
Un paio e più di lance trovò rotto,
Menato più d'un taglio e d'una punta.
Dei più cari e più fidi al re fur otto
Che quivi insieme avean lega congiunta :
Gioveni , in arme pratichi ed industri ,
Tutti 0 signori o di famiglie illustri.
85 Quei rispondean nella sbarrata piazza
Per un di , ad uno ad uno , a tutto '1 mondo.
Prima con lancia , e poi con spada o mazza ,
Fin ch'ai re di guardarli era giocondo;
E si foravan spesso la corazza;
Per gioco in somma qui facean , secondo
Fan li nimici capitali; eccetto
Che potea il re partirli a suo diletto.
86 Quel d'Antiochia, un UDm senza ragione,
Che Martano il codardo nominosse.
Come se della forza di Grifone,
Poich' era seco , partecipe fosse ,
Audace entrò nel marziale agone:
E poi da canto ad aspettar fermosse.
Sinché finisse una battaglia fiera
Che tra duo cavalier cominciata era.
87 II Signor di Seleucia, di quelli uno,
Ch'a sostener P impresa aveano tolto,
Combattendo in quel tempo con Ombrano,
Lo ferì d'una punta in mezzo *1 volto.
Sì che r uccise; e pietà n'ebbe ognuno.
Perchè buon cavalier lo tenean molto ;
Ed oltra la boutade , il più cortese
Non era stato in tutto quel paese.
88 Veduto ciò , Martano ebbe paura
Che parimente a sé non avvenisse;
E ritoraando nella sua natura,
A pensar cominciò come fuggisse.
Grifon, che gli era appresso e n^avea cura,
Lo spinse pur, poi ch'assai fece e disse,
Contra un gentil guerrier che s'era mosso,
Come si spinge il cane al lupo addosso;
89 Che dieci passi gli va dietro o venti
E poi si ferma, ed abbaiando guarda
Come digrigni i minacciosi denti,
Come negli occhi orribil fuoco gli arda.
Quivi ov' erano i principi presenti ,
E tanta gente nobile e gagliarda,
Fuggì lo'ncontro il timido Martano,
E torse U freno e 1 capo a destra mano.
90 Pur la colpa potea dar al cavallo.
Chi di scusarlo avesse tolto il peso;
Ma con la spada poi fé' sì gran fallo ,
Che non l'avrìa Demostene difeso.
Dì carta armato par , non di metallo :
Si teme da ogni colpo essere offeso.
Fuggesi alfine, e gli ordini disturba,
Ridendo intorno a lui tutta la turba.
91 II batter delle mani, il g^do intorno
Se gli levò del popolazzo tutto.
Come lupo cacciato , fé' ritomo
Martano in molta fretta al suo ridatto.
Resta Grifone; e gli par dello scorno
Del suo compagno esser macchiato e brutto.
Esser vorrebbe stato in mezzo il fuoco,
Piuttosto che trovarsi in questo loco.
92 Arde nel core, e fuor nel viso avvampa.
Come sia tutta sua quella vergogna ;
Perchè l'opere sue di quella stampa
Vedere aspetta il popolo ed agogna:
Si che rifulga chiara più che lampa
Sua virtù , questa volta gli bisogna ;
Ch' un' oncia, un dito sol d'error che faccia,
Per la mala impressì'on parrà sei braccia.
stanza 104.
93 Già la lancia avea tolta su la coscia
Grifon , eh' errare in arme era poco uso ;
Spinse il cavallo a tutta briglia; e poscia
Oh' alquanto andato fu , la messe suso ,
E portò nel ferire estrema angoscia
Al baron di Sidonia, ch'andò giuso.
Ognun maravigliando in pie si leva:
Chè'l contrario di ciò tutto attendeva.
94 Tornò Grifon con la medesma antenna,
Che'ntiera e fermi ricjvrata avea;
Ed in tre pezzi la roppe alla penna
Dello scudo al signor di Lodicea.
Quel per cader tre volte e quattro accenna ,
Che tutto steso alla groppa giacca:
Pur rilevato alfin la spada strinse,
Voltò il cavallo, e ver Grifon si spinse.
95 Grifon, che '1 vede in sella, e che non basta
Si fiero incontro perchè a terra vada,
Dice fra sé : Qnel che non potè V asta ,
In cinque colpi o 'n sei farà la spada :
E su la tempia subito Pattasta
D'un dritto tal, che par che dal ciel cada;
E un altro gli accompagna e un altro appresso,
Tanto che V ha stordito , e in terra messo.
96 Quivi erano d' Apamia duo germani ,
Soliti in giostra rimaner di sopra ,
Tirse e Corimbo; ed ambo per le mani
Del figlio d'Olivier cadder sozzopra.
L' uno gli arcion lascia allo scontro vani ;
Con l'altro messa fu la spada in opra.
Già per comun giudicio si tien certo
Che di costui fia della giostra il merto.
10 1 Gittaro i tronchi, e si tomaio addosso
Pieni di molto ardir coi brandi nadL
Fu il pagan prima da Grìfon percosso
D'un colpo che spezzato avria gl'ìncadi.
Con quel fender si vide e ferro ed osso
D' un eh' eletto s' avea tra mille scudi ;
E se non era doppio e fin l' arnese ,
Feria la coscia ove cadendo scese.
102 Feri quel di Seleucia alla visiera
Grifone a un tempo ; e fu quel colpo tanto ,
Che l' avria aperta e rotta , se non era
Fatta, come l'altr'arme, per incanto.
Gli è un perder tempo, che'l pagan più fer^
Cosi son l'arme dure in ogni canto :
E 'n più parti Grifon già fessa e rotta
Ha l'armatura a lui , né perde botta.
97 Nella lizza era entrato Salinterno ,
Gran di'odarro e maliscalco regio ,
E che di tutto '1 regno avea il governo,
E di sua mano era guerriero egregio.
Costui, sdegnoso eh' un guerriero esterno
Debba portar di quella giostra il pregio ,
Piglia una lancia , e verso Grifon grida ,
E molto minacciandolo lo sfida.
103 Ognun pò tea veder quanto di sotto
Il signor di Seleucia era a Grifone :
E se partir non li fa il re di botto,
Quel che sta peggio , la vita vi pone.
Fe'Norandino alla sua guardia motto
Ch' entrasse a distaccar 1' aspra tenzone.
Quindi fu l' uno e quindi V altro tratto ;
E fu lodato il re di si buon atto.
98 Ma quel con un lancion gli fa risposta,
Ch' avea per lo miglior fra dieci eletto ;
E per non far error, lo scudo apposta,
E via lo passa e la corazza e '1 petto.
Passa il ferro crudel tra costa e costa ,
E fuor pel tergo un palmo esce di netto.
n colpo , eccetto al re , fu a tutti caro ;
Ch'ognuno odiava Salinterno avaro.
99 Grifone , appresso a questi , in terra getta
Duo di Damasco , Ermofilo e Carmondo :
La milizia del re dal primo è retta;
Del mar grande almiraglio è quel secondo.
Liscia allo scontro l'un la sella in fretta;
Addosso all'altro si riversa il pondo
Del rio destrier, che sostener non puote
L'alto valor con che Grifon percuote.
100 II signor di Seleucia ancor restava ,
Miglior guerrier di tutti gli altri sette ;
E ben la sua possanza accompagnava
Con destrier buono e con arme perfette.
Dove dell' elmo la vista si chiava ,
L' asta allo scontro l' uno e l' altro mette :
Pur Grifon maggior colpo al pagan diede.
Che lo fé' staffeggiar dal manco piede.
104 Gli otto che dianzi avean col mondo impresa,
E non potuto durar poi contra uno,
Avendo mal la parte lor difesa,
Usciti eran del campo ad uno ad uno.
Gli altri eh' eran venuti a lor contesa ,
Quivi restar senza contrasto alcuno ,
Avendo lor Grifon , solo , interrotto
Quel che tutti essi avean da far contra otto.
105 E durò quella festa cosi poco ,
Ch'in men d'.un'ora il tutto fatto s'era:
Ma Norandin , per far pia lungo il giuoco
E per continuarlo infino a sera,
Dal palco scese, e fé' sgombrare il loco.
E poi divise in due la grossa schìefa;
Indi , secondo il sangue e la lor prova ,
Gli andò accoppiando, e fé' una giostra nova.
106 Grifone intanto avea fatto ritomo
Alla sua stanza , pien d' ira e di rabbia :
E più gli preme di Martan lo scorno,
Che non giova l'onor ch'esso vinto abbia.
Quivi per tor l'obbrobrio eh' avea intorno,
Martano adopra le mendaci labbia:
E r astuta e bugiarda meretrice ,
Come meglio sape^ , gli era adiutrice.
107 0 8i 0 no che '1 gioYin gli credesse ,
Par la scusa accettò, come discreto;
E pel suo meglio allora allora elesse
Quindi levarsi tacito e secreto,
Per tema che, se '1 popolo vedesse
Martano comparir, non stesse cheto.
Cosi per una via nascosa e corta
Uscirò al cammin lor fuor della porta.
108 Grifone, o ch'egli o che'l cavallo foss:
Stanco , 0 gravasse il sonno pur le ciglia ,
Al primo albergo che trovar, fermosse.
Che non erano andati oltre a lua miglia.
Si trasse Telmo, e tutto dir mosse,
E trar fece a* cavalli e seli e briglia;
E poi serrossi in camera soleUo,
E nudo per dormire entrò nel letto.
109 Non ebbe cosi tosto il capo basso,
Che chiuse gli occhi , e fa dal sonno oppresso
Così profondamente , che mai tasso
Né ghiro mai s'addormentò quant'esso.
Martano intanto ed Orrigille a spasso
Eutraro in un giardin oh' era li appresso ;
Ed un inganno ordir , che fa il più strano
Che mai cadesse in sentimento umano.
110 Martano disegnò tórre il destriero ,
I panni e Parme che Grifon s'ha tratte;
E andare innanzi al re pel cavaliere
Che tante prove avea giostrando fatte.
L' effetto ne seguì , fatto il pensiero :
Tolle il destrier più candido che latte ,
Scudo e cimiero ed arme e sopravveste,
E tutte di Grifon l'insegne veste.
Ili Con gli scudieri e con la donna, dove
Era il popolo ancora, in piazza venne;
E giunse a tempo che finian le prove
Di girar spade , e d' arrestar antenne.
Comanda il re che '1 cavalier si trove ,
Che per cimier avea le bianche penne,
Bianche le vesti , e bianco il corridore ;
Che '1 nome non sapea del vincitore.
112 Colui ch'indosso il non suo cuoio aveva,
Come l'asino già quel del leone,
Chiamato se n' andò , come attendeva ,
A Norandino , in loco di Grifone.
Quel re cortese incontro se gli leva.
L'abbraccia e bacia, e allato se lo pone;
Né gli basta onorarlo e dargli loda.
Che vuol che'l suo valor per tutto s'oda.
113 E fa gridarlo al suon degli oricalchi
Vincitor della giostra di quel giorno.
L'alta voce ne va per tutti i palchi,
Che '1 nome indegno udir fa d' ogn' intorno.
Seco il re vuol eh' a par a par cavalchi ,
Quando al palazzo suo poi fa ritorno;
E di sua grazia tanto gli comparte,
Che basteria, se fosse Ercole o Marte.
114 Bello ed ornato alloggiamento dielli
In corte , ed onorar fece con lui
Orrigille anco ; e nobili donzelli
Mandò con essa, e cavalieri sui.
Ma tempo è eh' anco di Grifon favelli ,
Il qua!, né dal compagno né d'altrui
Temendo inganno, addormentato s'era,
Né mai si risvegliò fin alla sera.
116 Poi che fu desto, e che dell'ora tarda
S' accòrse, uscì di camera con fretta ,
Dove il falso cognato e la bugiarda
Orrigille lasciò con l'altra setta:
E quando non li trova , e che riguarda
Non v' esser l' arme né i panni , sospetta ;
Ma il veder poi più sospettoso il fece
L'insegne del compagno in quella vece.
116 Sopravvien l'oste, e di colui l'informa
Che , già gran pezzo , di bianch' arme adorno
Con la donna e col resto della torma
Avea nella città fatto ritomp.
Trova Grifone a poco a poco l'orma
Ch'ascosa gli avea Amor fin a quel giorno;
E con suo gran dolor vede esser quello
Adulter d' Orrigille, e non fratello.
117 Di sua sciocchezza indamo ora si duole.
Ch'avendo il ver dal peregrino udito.
Lasciato mutar s'abbia alle parole
Di chi l'avea più volt« già tradito.
Vendicar si potea, né seppe: or vuole
L'inimico punir, che gli é fuggito;
Ed è constretto con troppo gran fallo ,
A tor di quel vii uom l' arme e '1 cavallo.
118 Eragli meglio andar senz'arme e nudo.
Che porsi indosso la corazza indegna,
0 ch'imbracciar l'abbominato scudo.
0 por su l' elmo la beffata insegna :
Ma , per seguir la meretrice e '1 drudo ,
Bagione in lui pari al desio non regna.
A tempo venne alla città, ch'ancora
Il giorno avea quasi di vivo un'ora.
119 Presso alla porta ove Grifon venia,
Siede a sinistra un splendido castello ,
Che, più che forte e eh' a guerra atto sia,
Di ricche stanze è accomodato e hello.
I re, i signori, i primi di Sorìa
Con alte donne in nn gentil drappello
Celehravtno quivi in loggia amena,
La real , sontuosa e lieta cena.
120 La hella loggia sopra '1 muro usciva
Con Talta rocca fuor della cittade;
E lungo tratto di lontan scopriva
I larghi campi e le diverse strade.
Or che Grifon verso la porta arriva
Con quell'arme d'ohhrohrio e di viltade,
Fu con non troppa avventurosa sorte
Dal re veduto e da tutta la corte:
121 E riputato quel di ch'avea insegna,
Mosse le donne e i cavalieri a riso.
II vii Martano, come quel che regna
In gran favor, dopo '1 re èl primo assiso,
E presso a lui la donna di sé degna.
Dai quali Norandin con lieto viso
Volse saper chi fosse quel codardo ,
Che cosi avea al suo onor poco riguardo;
122 Che dopo una sì trista e hrutta prova.
Con tanta fronte or gli tornava innante.
Dicea; Questa mi par cosa assai nova,
Ch' essendo voi guerrier degno e prestante ,
Costui compagno ahhiate, che non trova.
Di viltà pari in terra di Levante.
Il fate forse per mostrar maggiore ,
Per tal contrario, il vostro alto valore.
123 Ma hen vi giuro per gli eterni Dei ,
Che se non fosse eh' io riguardo a vui ,
La puhhlica ignominia gli farei,
Ch'io soglio fare agli altri pari a lui.
Perpetua ricordanza gli darei.
Come ognor di viltà nimico fui.
Ma sappia, s' impunito se ne parte,
Grado a voi che'l menaste in questa parte.
124 Colui che fu di tutti i vizj il vaso ,
Rispose: Alto signor, dir non sapria
Chi sia costui; ch'io l'ho trovato a caso.
Venendo d'Aniiochia, in su la via.
Il suo sembiante m'avea persuaso
Che fosse degno di mia compagnia ;
Ch'intesa non n'avea prova né vista,
Se non quella che fece oggi assai trista:
125 La qual mi spiacque si , che restò poco
Che, per punir l'estrema sua viltade,
Non gli facessi allora allora nn gioco,
Che non toccasse più lance né spade.
Ma ebbi, più eh' a lui, rispetto al loco,
E riverenzia a vostra maestade.
Né per me voglio che gli sia guadagno
L'essermi stato uu giorno o dua compagno:
126 Di che contaminato anco esser panne;
E sopra il cor mi sarà etemo peso ,
Se, con vergogna del mestier dell'arme.
Io lo vedrò da noi partire illeso:
E meglio che lasciarlo , satisfanne
Potrete, se sarà da im merlo impeso;
E fia lodevol opra e signorile.
Perch'ei sia esempio e specchio ad ogni rile.
127 Al detto suo Martano Orrigille ave,
Senza accennar, confermatrice presta.
Non son, rispose il re, l'opre sì prave,
Ch'ai mio parer v'abbia d'andar la testa.
Voglio, per pena del peccato grave,
Che sol rinnovi al popolo la festa :
E tosto a un suo baron , che fé' venire,
Impose quanto avesse ad eseguire.
1 28 Quel baron molti armati seco tolse ,
Ed alla porta della terra scese;
E quivi con silenzio li raccolse,
E la venuta di Grifone attese:
E nell' entrar sì d' improvviso il colse ,
Che fra i duo ponti a salvamento il prese;
E lo ritenne con beffe e con scorno
In una oscura stanza insino al giorno.
129 II Sole appena avea il dorato crine
Tolto di grembo alla nutrice antica,
E cominciava dalle piagge alpine
A cacciar l'ombre, e far la cima aprica;
Quando temendo il vii Martan, ch'alfine
Grifone ardito la sua causa dica,
E ritorni la colpa ond'era uscita,
Tolse licenzia , e fece indi partita ,
130 Trovando idonea scusa al priego regio,
Che non stia allo spettacolo ordinato.
Altri doni gli avea fatto , col pregio
Della non sua vittoria, il signor grato;
E sopra tutto un ampio privilegio,
Dov'era d'alti onori al sommo ornato.
Lasciaralo andar; ch'io vi prometto certo,
Che la mercede avrà secondo il merto.
131 Fu Qrifon tratto a gran vergogna in piazza,
Quando più sì trovò piena di gente.
Gli ayean levato Telmo e la corazza,
£ lasciato in farsetto assai vilmente;
£ come il conducessero alla mazza,
Posto r avean sopra un carro eminente ,
Che lento lento tiravan due vacche
Da lunga fame attenuate e fiacche.
132 Venìan d'intorno alla ignobil quadriga
Vecchie sfacciate e disoneste putte,
Di che n'era una ed or un'altra auriga,
E con gran biasmo Io mordeano tutte.
Lo iK)neano i fanciulli in maggior briga,
Che , oltre le parole infami e brutte ,
L' avrian coi sassi insino a morte offeso ,
Se dai più saggi non era difeso.
138 L'arme che del suo male erano state
Cagì'on , che di lui fér non vero indicio ,
Dalla coda del carro strascinate,
Patian nel fango debito supplicio.
Le ruote innanzi a un tribunal fermate ,
Gli fero udir dell'altrui maleficio
La sua ignominia , che 'n sugli occhi detta
Gli fu , gridando un pubblico trombetta.
134 Lo levar quindi, e lo mostrar per tutto
Dinanzi a templi , ad officine e a case ,
Dove alcun nome scellerato e brutto ,
Che non gli fosse detto , non rimase.
Fuor della terra all'ultimo condutto
Fu dalla turba, che si persuase
Bandirlo e cacciare indi a suon di busse,
Non conoscendo ben clii egli si fusse.
185 Si tosto appena gli sferraro i piedi ,
£ liberargli V una e l' altra mano,
Che tor lo scudo , ed impugnar gli vedi
La spada che rigò gran pezzo il piano.
Non ebbe contra sé lance né spiedi;
Che senz'arme venia '1 popolo insano.
Neil' altro Canto differisco il resto ;
Che tempo é omai , signor , di finir questo.
N o TB.
St. 1. V. 7-8. — Mario e Siila : troppo noti , perchè
qui s'abbia a parlare delle guerre civili, delle stragi e
delle proscrizioni, onde travagliarono Roma. — E duo
Neroni: uno fu Tiberio, infame per Tuccisione dei ni-
poti, per Tassassinio dei più specchiati cittadini, e per
ogni maniera di crudeltà. L' altro era Domizio , della
gente Claudia, il quale spense barbaramente la madre,
il precettore, la moglie; e si bruttò di nequizie che fanno
orrore a ridirle. — Caio furilondo : Caligola , cioè , di
cui non si sa qual fosse maggiore , se la crudeltà o la
stoltezza; basti accennare che divinizzò il suo cavallo,
e bramava che il popolo romano avesse una sola testa,
per poterlo decapitare.
St. 2. V. 1-8. — Domiziano : crudelissimo e vanitoso
fino alla puerilità; perseguitò acerbamente i cristiani,
e tolse la T ita a non pochi senatori per motivi i più
frivoli. — V ultimo Antonino : Marco Antonino , figlio
spurio di Caracalla, più conosciuto sotto il nome di Elio-
gabalo. Stupido di mente, creava un senato di femmine :
bestiale nella superstizione , faceva scannare fanciulli
per conoscere l'avvenire dalle loro viscere fumanti. —
Massimino : figlio d'un pastore di Tracia, fu prode nel- '
A&IOSTO.
Tarmi, ma coi sudditi inumano. — Creonte: fratello di
Giocasta, usurpò il trono di Tebe dovuto ai suoi nipoti
Eteocle e Polinice, incitandoli a tanta discordia, che
Tun Taltro si uccisero. — Mezemio : uno dei Lucumoni
etruschi ; teneva il seggio in Cere, detta dai Latini Al-
sium^ dai Greci Agylla. Spietato cosi che toglieva agli
nomini la vita, facendoli legare strettamente a'cada-
veri, e lasciandoli morire nella putredine. — Àgli Unni,
ai Longobardi , ai Goti. Circa il 420 dell' Era volgare,
gli Unni discesero in Italia, desolando intiere Provincie,
con rapine, con ferro, con ftioco. Nel 488, Teodorico, re
degli Ostrogoti, invase la penisola con gagliardo eser-
cito, e vi stabili il regno de' Goti che durò 64 anni, di-
sastrosissimi per le guerre accese dall'ambizione degl'im-
peratori di Costantinopoli. All'oppressione gotica, tenne
dietro, nel 568, quella dei Longobardi, guidati dal fei'oce
Alboino ; e nei circa due secoli di quel regno , la mag-
gior parte d'Italia soggiacque alla tirannide dei molti
duchi ai quali era partitamente infeudata.
St. 3. V. 1-2. — Attila fu il conduttore degli Unni,
e cosi funesto all'Italia, che si meritò d'esser detto Fla-
gello di Dio. — Ezzelin da Romano tribolava, nel se-
colo XIII, le Provincie di Verona , di Vicenza e di Pa*
dova eon ferrea dominazione.
St. 4. V. 1-4. — A CM» non par, ecc. Parlasi deiram- bizioso Giulio II ohe , dopo perJata la giornata di Ra-
venna, chiamò gli Svizzeri, onde si rinnovarono i disa-
stri della gaerra e lo spargimento del sangue italiano.
Ivi. V. 5-8. — Di Trasinheno , eee. Vuol dire che la
piena sconfitta data da Annibale alle legioni romane
sulla Trebbia non lungi da Piacenza, ripetuta sul lago
Trasimeno vicino a Perugia, e la rotta ch'ebbero ancora
i Romani a Canne presso Barletta in Terra di Bari, fu-
rono cosa lieve a confronto della strage prodotta dai
fatti d'arme, avvenuti nel secolo XVI fra Italiani e stra-
nieri , in Lombardia e in Romagna , presso i fiumi no-
minati nel testo.
St. U. V. 5. — Scoglio o Sco^Ita : la pelle che le serpi
mutano alla nuova stagione.
St. 19. V. 6. — Acque lanfe, o nanfe : acque odorose.
St. 27. v. 2. — Nel Carpano iniquo. Mare Carpazio
dissero gli antichi quel pericoloso tratto eh' è nelle vi-
cinanze di Scarpanto, isola dell'arcipelago chiamata dai
Greci CarpathoSf e situata fra Candia e Rodi.
.^T. 29. V. 3. — Orco: chimera o mostro immaginario,
come Befana, Biliorsa, di che sono piene le fole delle
donnicciuole e del volgo in molte parti d'Italia. Il poeta
contrappose questa favolosa invenzione al Polifemo di
Omero e di Virgilio, e, se non vinse la gara, certamente
non ne rimase secondo.
St. 36. V. 8. — Sarpar lor ferri: scioglier l' ancore ,
salparle. — Sarte, sartie, sarchio, si dicono 1 cordami
con che si assicurano gli alberi della nave
St. 59. V. 6. — - Mola, macina: qui significa i denti
dell'Orco che stritolavano come una macina-
St. 64. V. 5. — Inarra: viene da arra o caparra, e
vale 8'ohUiga per voto.
St. 65. V. 2-7. — Simo: che ha il naso schiacciato;
voce latina. — Satalia: città della Caramania sul golfo
omonimo.
S T. 68. v. 3. — Calende et Idi : modo proverbiale di
esprimere la durata di varii mesi. Calende, presso gli
antichi, si chiamavano i primi giorni di ciascan mese:
Idi, i terzodecimi di alcuni mesi.e di altri i qniotodeeittL
St. 78. v. 4-6. — E fé' del resto dono. Aoceniuisi U
donazione che dicesi fatta di Costantino a papa Silre-
stro. — Fattolo ed Ermo, ecc. lì Fattolo, influente d«^
l'Ermo che mette foce nell'^Ai'Cipelago , scorre tuttora
fra le rovine dell'antica Sardi, famosa cittài della Lidia,
capitale del regno di Creso, rinomato per le sae riechesze.
Quei due fiumi, le cui arene si credette altre volte por-
tare dell'oro, hanno oggi il nome di SUirjtbat ; e la
splendida Sardi non è pid che un miserabile villaggio.
detto dai Turchi Sat-t. — Migdonia : tre Provincie di
questo nome additansi dai geografi in diversi laogki : U
Poeta, che la nomina insieme con la Lidia , ha verosi-
milmente inteso la Migdonia che Solino pone in Frìg:ìa
dell'Asia Minore.
St. 79. — Allude a Leone X (Gio. de' Medici).
St. 87. V. 1. — SeUucia : cittài di Scria, presso la foce
dell' Oronte ; e fu detta Seleucia Pieria per distinguerla
da altre quattro che avevano lo stesso nome.
St. 93. V. 6. — Sidonia: la Sidone dei Fenicj , oggi
Saida,
St. 94. V. 4. — Lodicea: quella che gli antichi dissero
Laodieea ad mare; ora chiamasi Latakia, e ai yeàr^
col nome di Lizza nella St. 74, v. 7 del Canto sedente.
St. 96. V. 1. — Apamia: Apamea, situata fra Antio-
chia ed Epifania , la quale ultima i Turchi chiamano
Hamah.
St. 97. V. 2. — Gran diodarro : voce araba equiva-
lente a ministro.
St. 112. V. 2. — Si allude all'apologo di Luciano sol
ciuco, che vestitosi della pelle di un leone, spaventò gli
altri animali , finché riconosciuto alle orecchie , fu bea
punito della sua stolta temerità.
St. 115. V. 4. — Setta: compagnia, seguito.
St. 129. V. 2 — Quasi tatti intendono per questa nu-
trice la terra; ma veramente è il mare, immei^imato
dai poeti antichi con Tetide la moglie dell* Oceano. Si
credeva che dall' acqua avessero orìgine e nutrimeato
tutte le cose, persino le stelle, il sole.
CANTO DECIMOTTAVO.
Stanza 23.
Giifijfifl recni>.ni l'onore ti^liojrii ,]a iraHatio. i' fo.riii \hu pu^
nito da N^uraiidiiio. Saiisftiierto «d Antolfu s'imbattono in Mar-
fi*n,, e tiitii tre vaniio a Diuiisra per as^intere ad ima pioatra
I?.v3i(hta per onorare Grifone Colà Marfl^a riconost!tì per sua
1 arttiatnra destinata fi premio i3ol vincitore, e la vi) ole. Tur-
iKisi (juindi la ftì'ta. ma poi si iricompone a calma : larmatura
è data pacìficamente a Mìirfl?ia, e i ti-e puerritri pai tono per
KraiKia. J?i>ilonioiite, avvisato ch<? Doralict plì patata tolta dà
Mandrik^artio, esce di Pari fri jier vciidit'arui del rapitole. I Mtri
ctHlouo al valore ili Rinaldo che lillfl fine yctide Dardindlo.
Cloridano e Mecloio trasportano il cadavere del kno sipioie
^lajsrnaulmo Siernore , bgnì vostro atto
Hu sempre con ragion Kuidatù e laudo;
BpiieLè e li ruzzo sril ilnro e mal atto
Gran \\a.i\e della gUrià io \ì defraudo.
Ma più dtdr altre una virtù nrUa t rutto ,
A cui coi core e con la liiiyfuii a)ij>laudo;
Che s' ognun trova In voi ben Errata udìeiii^a
Ncm vi truva pere fadl tTeilen^a.
Spesso in diffcjia del biasniato absrnte
Intliir vi sento mm ed mi' altra snisa ,
0 riserbargli almen , finché presente
Sna causa dica, T altra orecchia chiusa:
E sempre , prima che dannar la gente ,
Vederla in faccia , e udir la ragion eh' usa :
Difterir anco a giorni e mesi ed anni,
Prima che giudicar negli altrui danni.
Se Norandino il simil fatto avesse,
Patto a Grifon non avria quel che fece
A voi ntile e onor sempre successe:
Denigrò sua fama egli più che pece.
Per lui sue genti a morte furon messe;
Che fé' Grifone in dieci tagli e in diece
Punte , che trasse pien d' ira e hizzarro ,
Che trenta ne cascaro appresso al carro.
Van gli altri in rotta ove il timor li caocù.
Chi qna, chi là pei campi e per le strade;
E chi d'entrar nella città procaccia.
E r un su r altro nella porta cade.
Grifon non fa parole e non minaccia;
Ma j lasciando lontana ogni pietade ,
Mena tra il vulgo inerte il ferro intorno ,
E gran vendetta fa d'ogni suo scorno.
stanza 4.
Di quei che primi giunsero alla porta,
Che le piante a levarsi ebbeno pronte.
Parte , al bisogno suo molto più accorta
Che degli amici , alzò subito il ponte :
Piangendo parte , o con la faccia smorta ,
Fuggendo andò senza mai volger fronte;
E nella terra per tutte le bande
Levò grido e tumulto e rumor grande.
Grifon gagliardo duo ne piglia in quella
Che'l ponte si levò per lor sciagura.
Sparge dell'uno al campo le cervella;
Che lo percuote ad una cote dura :
Prende l'altro nel petto, e l'arrandeila
In mezzo alla città sopra le mura.
Scorse per l' ossa ai terrazzani il gelo ,
Quando vider colui venir dal cielo.
7 Pur molti che temer che '1 fier Grifone
Sopra le mura avesse preso un salto.
Non vi sarebbe più confusione,
S' a Damasco il Soldan desse V assalto.
Un muover d'arme, un correr di persone,
E di talacimanni un gridar d'alto,
E di tamburi un suon misto e di trombe
Il mondo assorda, eU ciel par ne rimhombe.
8 Ma voglio a un'altra volta differire
A ricontar ciò che di questo avvenne.
Del buon re Carlo mi convien seguire ,
Che contra Rodomonte in fretta venne,
Il qual le genti gli facea morire.
10 vi dissi ch'ai re compagnia tenne
11 gran Danese e Namo ed Oliviero
E A vino e Avolio e Otone e Berlingiero.
9 Otto scontri di lance , che da forza
Di tali otto guerrier cacciati fóro.
Sostenne a un tempo la scagliosa scorza
Di eh' avca armato il petto il crudo moro.
Come legno si drizza, poiché l'orza
Lenta il nocchier che crescer sente il Coro ;
Così presto rizzossi Rodomonte
Dai colpi che gittar doveano un monte.
10 Guido, Ranier, RicarJo, Salamone ,
Ganellon traditor, Turpin fedele,
Angioliero , Angiolino , Ughetto , Ivone ,
Marco e Matteo dal pian di Sin Michele,
E gli otto di che dianzi fei menzione ,
Son tutti intorno al S.iracin crudele ,
Arimanno e Odoardo d'Inghilterra,
Ch' entrati eran pur dianzi nella terra.
11 Non così freme in su lo scoglio alpino
Di ben fondata ròcca alta parete ,
Quando il furor di Borea o di Garbino
Svelle dai monti il frassino e l'abete;
Come freme d' orgoglio il Saracino ,
Di sdegno acceso e di sanguigna sete :
E com' a un tempo è il tuono e la saetta ,
Cosi l' ira dell' empio e la vendetta.
12 Mena alla testa a quel che gli è più presso,
Che gli è il misero Ughetto di Dordona:
Lo pone in terra ins'no ai denti fesso,
Comechè l'elmo era di tempra buona.
Percosso fu tutto in un tempo anch'esso
Da molti colpi in tutta la persona :
Ma non gli fan più eh' all' incude l' ago ,
Si duro intorno ha lo scaglioso drago.
13 Furo tutti i ripar, fu la cittade
D'intorno intorno abbandonata tutta;
Che la gente alla piazza, dove accade
Maggior bisogno , Carlo avea ridutta.
Corre alla piazza da tutte le strade
La turba, a chi il fugijir si poco frutta.
La persona del re sì i cori accende ,
Ch' ognun prend'arme, ognuno animo prende.
stanza 6.
14 Come se dentro a ben rinchiusa gabbia
D'antiqua leonessa usata in guerra,
Perch' averne piacere il popol abbia.
Talvolta il tauro indomito si serra ;
I leonciu che vegj^ion per la sabbia
Come altiero e mugliando animoso erra ,
E veder si gran corna non son usi ,
Stanno da parte timidi e confusi:
15 Ma se la fiera madre a quel si lancia,
E nell' orecchio attacca il crudel dente ,
Vogliono anch^essi insanguinar la guancia,
E vengono in soccorso arditamente;
Chi morde al tauro il dosso, e chi la pancia:
Cosi contra il pagan fa quella gente:
Da tetti e da finestre e più d'appresso
Sopra gli piove un nembo d'arme e spesso.
16 Dei cavalieri e della fanteria
Tanta è la calca , eh' appena vi cape.
La turba che vi vien per ogni via,
V'abbonda ad or ad or spesso com'ape;
Che quando , disarmata e nuda , sia
Più facile a tagliar che torsi o rape,
Non la potria , legata a monte a monte ,
In venti giorni spenger Rodomonte.
17 Al pagan, che non sa come ne possa
Venir a capo , ornai quel giuoco incresce.
Poco , per far di mille o di più rossa
La terra intomo , il popolo discresce.
Il fiato tuttavia più se gì' ingrossa;
Sì che comprende alfin che, se non e^ce
Or e' ha vigore e in tutto il corpo è sano.
Vorrà da tempo uscir, che sarà invano.
18 Rivolge gli occhi orribili , e pon mente
Che d'ogn' intomo sta chiusa l'uscita:
Ma con mina d'infinita gente
L'aprirà tosto, e la farà spedita.
Ecco , vibrando la spada tagliente ,
Che vien quell'empio, ove il furor lo'nviti.
Ad assalire il nuovo stuol britanno ,
Che vi trasse Odoardo ed Arimanno.
Stanza 18.
19 Clii ha visto in piazza a rompere steccato,
A cui la folta turba ondeggi intomo ,
Immansueto tauro accaneggiato ,
Stimulato e percosso tutto il giorno ,
Che '1 popol se ne fugge spaventato ,
Ed egli or questo or quel leva sul corno;
Pensi che tale o più terribil fosse
Il crudele African quando si mosse.
21 Della piazza si vede in guisa tórre ,
Che non si può notar ch'abbia paura;
Ma tuttavolta col pensier discorre
Dove sia per uscir via più sicura.
Capita alfiu dove la Senna corre
Sotto all'isola, e va fuor delle mura.
La gente d'arme e il popol fatto audace
Lo stringe e incalza , e gir noi lascia in pace.
20 Quindici o venti ne tagliò a traverso ,
Altri tanti lasciò del capo tronchi,
Ciascun d' un colpo sol dritto o riverso ;
Che viti 0 salci par che poti e tronchi :
Tutto di sangue il fier pagano asperso ,
Lasciando capi fessi e bracci monchi,
E spalle e gambe ed altre membra sparte,
Ovimque il passo volga, alfin si parte.
22 Qual per le selve nomade o massile
Cacciata va la generosa belva,
Ch' ancor fuggendo mostra il cor gentile,
E minacciosa e lenta si riusciva;
Tal Rodomonte , in nessun atto vile ,
Da strana circondato e fiera selva
D' aste e di spade e di volanti dardi ,
Si tira al fiume a passi lunghi e tardi.
23 E sì tre volte e più V ira il sospinse ,
Ch' essendone già fuor , vi tornò in mezzo ,
Ove di sangue la spada ritinse,
E più di cento ne levò di mezzo.
Ma la ragion alfin la rabbia vinse
Di non far si eh' a Dio n'andasse il lezzo;
E dalla ripa , per miglior consiglio ,
Si gittò all'acqua, e usci di gran periglio.
21: Con tutte l'arme andò per mezzo l'acque,
Come s' intorno avesse tante galle.
Africa , in te pare a costui non nacque ,
Benché d' Anteo ti vanti e d' Anniballe.
Poi che fìi giunto a proda , gli dispiacque ,
Che si vide restar dopo le spalle
Quella città ch'avea trascorsa tutta,
E non l'avea tutt'arsa, né distrutta.
.25 E si lo rode la superbia e l'ira,
Che, per tornarvi un'altra volta, guarda,
E di profondo cor geme e sospira,
Né vuoine uscir, che non la spiani ed arda.
Ma lungo il fiume, in questa furia, mira
Venir chi l' odio estingue , e l' ira tarda.
Chi fosse io vi farò ben tosto udire;
Ma prima un'altra cosa v'ho da dire.
26 Io v'ho da dir della Discordia altiera,
A cui l'angel Michele avea commesso
Ch' a battaglia accendesse e a lite fiera
Quei che più forti avea Agramante appresso
Usci de' frati la medesma sera ,
Avendo altrui l' ufficio suo commesso :
Lasciò la Fraude a guerreggiare il loco ,
Finché tornasse, e a mantenervi il foco.
27 E le parve ch'andria con più possanza.
Se la Superbia ancor seco menasse:
E perché stavan tutte in una stanza,
Non fu bisogno eh' a cercar l'andasse.
La Superbia v'andò, ma non che sanza
La sua vicaria il monaster lasciasse :
Per pochi dì che credea stame absente ,
Lasciò l'Ipocrisia locotenente.
28 L'implacabil Discordia in compagnia
Della Superbia si messe in cammino,
E ritrovò che la medesma via
Facea, per gire al campo Saracino,
L'afflitta e sconsolata Gelosia;
£ venia seco un nano piccolino,
n qual mandava Doralice bella
Al re di Sarza a dar di sé novella,
29 Quando ella venne a Maudricardo in mano
(Ch'io v'ho già raccontato e come e dove) ,
Tacitamente avea commesso al nano ,
Che ne portasse a questo re le nuove.
Ella sperò che noi saprebbe invano ,
Ma che far si vedria mirabil prove ,
Per riaverla con crudel vendetta
Da quel ladron che gli l' avea intercetta.
Scanza 22.
30 La Gelosia quel nano avea trovato;
E la cagion del suo venir compresa,
A camminar se gli era messa a lato.
Parendo d' aver luogo a questa impresa.
Alla Discordia ritrovar fu grato
La Gelosia; ma più quando ebbe intesa
La cagion del venir, che le potea
Molto valere in quel che far volea.
31 D'inimicar con Rodomonte il figlio
Del re Agrican le pare aver suggetto ;
Troverà a sdegnar gli altri altro consiglio ;
• A sdegnar questi duo questo è perfetto.
Col nano se ne vien dove l'artiglio
Del fier pagano avea Parigi astretto;
E capitare appunto in su la riva ,
Quando il crudel del fiume a nuoto usciva.
272
ORLANDOtfURIOSO.
32 Tosto che Hconobbe Rodomonte ,
Costui della sua donna esser messaggio,
Estinse ogn'ira , e serenò la frónte ,
E si senti brillar deatro il coraggio.
Ogn* altra cosa aspetta che gli conte,
Prima eh' alcuno abbia a lei fatto oltraggio.
Va contra il nano, e lieto li domanda:
Ch'è della donna nostra? ove ti manda?
Stanza 34.
35 Come la tigre , poich' invan discende
Nel vóto albergo , e per tutto s' aggira ,
E i cari figli air ultimo comprende
Essergli tolti , avvampa di tant' ira ,
A tanta rabbia, a tal furor s'estende,
Che né a monte, né a rio, né a notte mir^
Né lunga via né grandine raffrena
L' odio che dietro al predator la mena :
36 Così furendo il Saracin bizzarro ,
Si volge al nano , e dice : Or là t' invia ;
E non aspetta né destrier né carro ,
E non fa motto alla sua compagaia.
Va con più fretta che non va il ramarro,
Quando il ciel arde , a traversar la via.
Destrier non ha; ma il primo tor disegna.
Sia di chi vuol , eh' ad incontrar lo vegna.
Il La Discordia, ch'udì questo pensiero.
Guardò, ridendo, la Superbia, e disse
Che volea gire a trovare un destriero
Che gli apportasse altre contese e risse;
E far volea sgombrar tutto il sentiero ,
Ch'altro che quello in man non gli venisse;
E già pensato avea dove trovarlo.
Ma costei lascio , e tomo a dir di Carlo.
38 Poich'ai partir dei Sai*acin si eatinse
Carlo d'intorno il periglioso fuoco.
Tutte le genti all'ordine ristrinse.
Lascionne parte in qualche debol loco :
Addosso il resto ai Saracini spinse,
Per dar lor scacco, e guadagnarsi il giuoco:
E li mandò per ogni porta fuore ,
Da San Germano iufin a San Vittore.
33 Rispose il nano: Né più tua né mia
Donna dirò quella ch'é serva altrui.
Ieri scontrammo un cavalier per via,
Che ne la tolse , e la menò con lui.
A quello annunzio entrò la Gelosia,
Fredda com'aspe, ed abbracciò costui.
Seguita il nano, e narragli in che guisa
Un sol l' ha presa , e la sua gente uccisa.
34 L'acciaio allora la Discordia prese,
E la pietra focaia , e picchiò un poco ,
E l'esca sotto la Superbia stese,
E fu attaccato in un momento il foco;
E si di questo l'anima s'accese
Del Saracin, che non trovava loco;
Sospira e freme con si orribil faccia,
Che gli elementi e tutto il ciel minaccia.
39 E comandò eh' a porta San Marcello ,
Dov'era gran spianata di campagna,
Aspettasse l'un l'altro, e in un drappello
Si ragunasse tutta la compagna:
Quindi animando ognuno a far macello
Tal, che sempre ricordo ne rimagna,
Ai lor ordini andar fé' le bandiere ,
E di battaglia dar segno alle schiere.
40 II re Agramante in questo mezzo in sella.
Malgrado dei Cristian, rimesso s'era;
E con l'innamorato d'Isabella
Facea battaglia perigliosa e fiera :
Col re Sobrin Lurcanio si martella:
Rinaldo incontra avea tutta una schiera,
E con virtude e con fortuna molta
L' urta , l' apre , ruina e mette in volta.
Stanza SS.
41 Essendo la battaglia in qnesto stato ,
L'imperatore assalse il retrogiiardo
Dal canto ove Marsilio avea fermato
Il fior di Spagna intomo al suo stendardo.
Con fanti in mezzo e cavalieri a lato ,
Re Carlo spinse il suo popol gagliardo
Con tal rumor di timpani e di trombe.
Ohe tutto '1 mondo par che ne rimbomhe.
4S Oominciavan le schiere a ritirarse
De'Saracini, e si sarebbon vòlte
Tutte a fuggir , spezzate , rotte e sparse ,
Per mai più non potere esser raccolte ;
Ma '1 re Grandonio e Falsiron comparse ,
Che stati in maggior briga eran più volte.
E Balugante e Serpentin feroce,
E Ferraù che lor dicea a gran voce :
4."J Ah , dicea , valentuomini , ah compagni ,
Ah fratelli; tenete il luogo vostro:
I nimici faranno opra di ragni ,
Se non manchiamo noi del dover nostro.
Guardate l'alto onor, gli ampli guadagni
Che fortuna , vincendo , oggi ci ha mostro ;
Guardate la vergogna e il danno estremo
Che, essendo vinti, a patir sempre avremo.
44 Tolto in quel tempo una gran lancia avea,
E centra Berlinghìer venne di botto ,
Che sopra TArgaliffa combattea,
E l'elmo nella fronte gli avea rotto:
GittoUo in terra, e con la spada rea
Appresso a lui ne fé' cader forse otto ,
Per ogni botta almanco, che disserra,
Cader fa sempre un cavaliero in terra.
47 Del re della Zumara non si scorda
Il nobil Dardinel figlio d'Almonte,
Che con Li lancia Uberto da Mirforda ,
Claudio dal Bosco, Elio e Dulfin dal Monte.
E con la spada Anselmo da Stanforda ,
E da Londra Raimondo e Pinamonte
Getta per terra (ed erano pur forti) ,
Dui storditi, un piagato, e quattro morti.
48 Ma con tutto '1 valor che di sé mostra ,
Non. può tener sì ferma la sua gente.
Si ferma, ch'aspettar voglia la nostra
Di numero minor, ma più valente.
Ha più ragion di spada e più di giostra .
E d'ogni cosa a guerra appartenente.
Fugge la gente Maura , di Zumara ,
Di Setta, di Marocco e di Canara.
,c-. é -. .
Stanza 44,
45 In altra parte ucciso avea Rinaldo
Tanti pagan , eli' io non potrei contarli.
Dinanzi a lui uni stava ordine saldo :
Vedreste piazza in tutto '1 campo darli.
Non men Zerbin, non men Lurcanio è caldo;
Per modo fan , eh' ognun sempre ne parli :
Questo di punta avea Balastro ucciso ,
E quello a Finadur l'elmo diviso.
46 L'esercito d'Alzerbe avea il primiero,
Che poco innanzi aver solca Tardocco ;
L'altro tenea sopra le squadre impero
Di Zamor e di Saffi e di Marocco.
Non è trji gli Africani un cavaliero
Che di lancia ferir sappia o di stocco?
Mi si potrebbe dir: ma passo passo
Nessun di gloria degno addietro lasso.
49 Ma più degli altri fiiggon quei d' AlzerU»
A cui s'oppose il nobil giovinetto;
Ed or con prieghi , or con parole acerbo
Ripor lor cerca l'animo nel petto.
S' Almonte meritò eh' in voi sì serbe
Di lui memoria, or ne vedrò l'effetto:
10 vedrò (dicea lor) se me , suo figlio ,
Lasciar vorrete in cosi gran periglio.
50 State , vi priego. per mia verde etade ,
In cui solete aver si larga speme :
Deh non vogliate andar per fi] di spade,
Ch'in Africa non tomi di noi .seme.
Per tutto ne saran chiuse le strade ,
Se non andiam raccolti e stretti insieme:
Troppo alto muro e troppo larga fossa
È il monte e il mar, pria che tornar si pos^.
.51 Molto è meglio morir qui, ch'ai supplici
Darsi e alla discrezion di questi cani.
State saldi, per Dio, fedeli amici;
Che tutti son gli altri rimedi vani.
Non han di noi più vita gl'inimici:
Più d'un'afma non bau, più di due mani.
Cosi dicendo, il giovinetto forte
Al conte d'Otonlei diede la morte.
52 II rimembrare Almonte così accese
L'esercito african che fuggia prima,
Che le braccia e le m^ni in sue difese
l^Ieglio , che rivoltar le spalle , estima.
Guglielmo da Burnich, era uno inglese
Maggior di tutti, e Dardinello il cima,
E lo pareggia agli altri ,* e appresso taglia
11 capo ad Aramon di Comovaglia.
b'à Morto cadea questo Aramene, a valle ;
E v' accorse il fratel per dargli aiuto :
3Ia Dardinel l'aperse per le spalle
Fin giù dove lo stomaco è forcato.
Poi forò il ventre a Bogio da Vergalle,
E lo mandò del debito assoluto:
Avea promesso alla moglier fra sei
Mesi, vivendo, di tornare a lei.
54 Vide non lungi Dardinel gagliardo
Venir Lurcanio, eh' avea in terra messo
Dorchin, passato nella ^la, e Gardo
Per mezzo il capo e insino ai denti fesso;
E ch'Alteo fuggir volse, ma fu tardo,
Alteo eh' amò quanto il suo core istesso :
Olì è dietro alla collottola gli mise
11 fìer Lurcanio un colpo che l'uccise.
stanza 52.
56 Non è da domandarmi se dolere
Se ne dovesse Arì'odante il frate;
Se desiasse di sua man potere
Por Dardinel fra l' anime dannate :
Ma noi lascian le genti adito avere,
Non men delle 'nfedel le battezzate.
Vorria pur vendicarsi, e con la spada
Di qua di là spianando va la strada.
Stanza 55.
57 Urta, apre, caccia, atterra, taglia e fende
Qualunque lo'mpedisce o gli contrasta.
E Dardinel, che quel disire intende,
A volerlo saziar già non sovrasta :
Ma la gran moltitudine contende
Con questo ancora, e i suoi disegni guasta.
Se i Mori uccide l'un, l'altro non manco
Gli Scotti uccide, e'I campo inglese e '1 franco.
58 Fortuna sempre mai la via lor tolse ,
Che per tutto quel di non s'accozzaro.
A più famosa man serbar l'un volse;
Che l'nomo il suo destin fugge di raro.
Ecco Rinaldo a questa strada volse ,
Perch' alla vita d' un non sia riparo :
Ecco Rinaldo vien: Fortuna il guida
Per dargli onor, che Dardinello uccida.
55 Piglia una lancia, e va per far vendetta,
Dicendo al suo Macon (s' udir lo puote) ,
Che se morto Lurcanio in terra getta,
Nella moschea ne porrà l'arme vote.
Poi traversando la campagna in fretta,
Con tanta forza il fianco gli percuote,
Che tutto il passa sin all'altra banda;
Ed ai suoi , che lo spoglino , comanda.
59 Ma sia per questa volta detto assai
Dei gloriosi fatti di Ponente.
Tempo è ch'io tomi ove Grifon lasciai,
Che tuttj^ d'ira e di disdegno ardente
Facea , con più timor eh' avesse mai ,
Tumultuar la sbigottita gente.
Re Norandino a quel rumor corso era
i^n più di mille armati in una schiera.
60 Re Noraudiu con la sua corte armata ,
Vedendo tutto il popolo fuggire,
Venne alla porta in battaglia ordinata ,
E quella fece alla sua giunta aprire.
Grifone iutauM), avendo già cacciata
Da sé la turba sciocca e senza ardire ,
La sprezzata armatura in sua difesa
(Qual la si fosse) avea di nuovo presa ;
61 E presso a un tempio ben murato e forte.
Che circondato era d^ un'alta fossa.
In capo un pouticel si fece forte ,
Perchè chiuderlo in mezzo alcun uou possi.
Ecco, gridando e minacciando forte.
Fuor della porta esce una squadra grossa.
L'animoso Gi^jfou non muta loco,
E fa sembiante che ne tema poco.
Stanza €6.
62 E poich' avvicinar questo drappello
i5i vide , andò a trovarlo in su la strada ;
E molta strage fiittane o macello
(Che menava a due man sempre la spada),
Ricorso avea allo stretto ponticello,
E quindi li teuea non troppo a bada :
Di nuovo usciva, e di nuovo tornava;
E sempre orribii segno vi lasciava.
63 Quando di dritto e quando di riverso
Getta or pedoni or cavalieri in terra.
Il popol centra lui tutto converso ,
Più e più sempre iuaspera la guerra.
Teme Grifone alfin restar somrtierso,
Si cresce il mar che d' ogn' intorno il serra :
E nella spalla e nella coscia manca
È già ferito , e pur la lena manca.
64 Ma la Virtù, ch'ai suoi spesso soccorre,
Gli fa appo Norandin trovar perdono.
11 re , mentre al tumulto in dubbio corre ,
Vede che morti già tanti ne sono;
Vede le piaghe che di man d' Et torre
Pareano uscite : un testimonio buono ,
Che dianzi cssu avea fatto indegnamente
Vergogna a un cavai ier molto eccellente.
(;5 Poi, come gli è più presso, e vede in fronte
Quel che la ge.ite a morte gli ha condotta ,
E fattosene avanti orribii monte,
E di quei sangue il fosso e l'acqua bratta;
Gli è avviso di veder proprio sul ponte
Orazio sol contra Toscana tutta:
E per suo onore , e perchè gli ne'ncrebbe ,
Ritrasse i ^uoi , né gran fatica v^ebbe:
stanza 63.
B6 £d alzando la man nnda e senz'arme,
Antico segno di tregua o di pace*.
DUse a Grifon : Non so se non chiaraarme
D' aver il torto, e dir che mi dispiace;
Ma il mio poco giudicio, e lo istiganne
Altrui , caiere in tanto error mi face.
Quel che di fare io mi credea al più vile
Guerrier del mondo , ho fatto al più gentile.
H7 E sebbene alla ingiuria ei a quell'onta
Ch' oggi fatta ti fu per ignoranza ,
L' onor che ti fai qui , s* adegua e sconta ,
O (per più vero dir) supera e avanza;
La satisfazìon ci sarà pronta
A tutto mio sapere e mia poisauza,
Qnando io conosca di poter far quella
Per oro o per cittadi o per castella.
♦58 Chiedimi la metà di questo regno ,
Ch'io son per fartene oggi possessore;
Che Talta tua virtù non ti fa degno
Di questo sol, ma chMo ti doni il core:
E la tu\ mano , in questo mezzo, pegno
Di fé' mi dona e di perpetuo amore.
Così dicendo da cavallo scese,
E vèr Grifon la destra mano stese.
69 Grifon, vedendo il re fatto benigno
Venirgli per gittar le braccia al collo.
Lasciò la spada e T animo maligno,
E sotto Tanche ed umile abbracciollo.
Lo vide il re di due piaghe sanguigno ,
E tosto feWenir chi medicoUo;
Indi portar nella cittade adagio ,
E riposar nel suo real palagio.
72 Dimaudògli Aquilante , se di questo
Così notizia avea data a Grifone:
E come raffermò, s'avvisò il resto,
Perchè fosse partito, e la cagione.
Oh' Orrigille ha seguito è manifesto
In Antiodìia , con intenzione
Di levarla di man del suo rivale
Con gran vendetta e memorabil male.
73 Non tollerò Aquilante che '1 fratello
Solo e senz' esso a queir impresa andasse ;
E prese Tarme, e venne dietro a quello:
Ma prima pregò il duca che tardasse
L'andata in Francia ed al paterno ostello,
Fin ch'esso d'Antiochia ritornasse.
Scende al Zaffo , e s' imbarca ; che gii pare
E più breve e miglior la via del mare.
74 Ebbe un Ostro-silocco allor possente
Tanto nei mare, e si per lui disposto.
Che la terra del Surro il di seguente
Vide, e Saffetto, un dopo l'altro tosto.
Passa Barutti e il Zibeletto : e sente
Che da man manca gli è Cipro discosto.
A Tortosa da Tripoli , e alla Lizza,
E al golfo di Laiazzo il cammin drizza.
75 Quindi a levante fé* il nocchier la fronte
Del navilio voltar snello e veloce;
Ed a sorger n' andò sopra P Oronte ,
E colse il tempo, e ne pigliò la foce.
Gittar fece Aquilaute ia terra il ponte
E n'uscì armato sul destrier feroce;
E con tra il fiume il cammin dritto tenne
Tanto , ch^ in Antiochia se ne venne.
70 Dove, ferito, alquanti giorni, innante
Che si potesse armar, fece soggiorno.
Ma lascio lui , eh' al suo frate Aquilante
Et ad Astolfo in Palestina tomo ,
Che di Grifon , poi che lasciò le siante
Mura, cercare han fatto più d'un giorno
In tutti i lochi in Solima devoti,
E in molti ancor dalla città remoti.
71 Or né l'uno né T altro é si indovino,
Che di Grifon possa saper che sia :
Ma venne lor quel Greco peregrino ,
Nel ragionare , a caso a dame spia.
Dicendo eh' Orrigille avéa il cammino
Verso Antiochia preso di Scria ,
D' un nuovo drado , eh' era di quel loco ,
Pi subito arsa e d' improvviso foco.
76 Dì quel Martano ivi ebbe ad informar.'ie :
Et udì eh' a Damasco se n'era ito
Con Orrigille, ove una giostra farse
Dovea solenne per reale invito.
Tanto d' andargli dietro il desir T arse ,
Certo che '1 suo german T abbia seguito ,
Che d' Antiochia anco quel di si tolle ;
Ma già per mar più ritornar non volle.
77 Verso Lidia e Larissa il cammin piega :
Resta più sopra Aleppe ricca e piena.
Dio per mostrar eh' ancor di qua non niega
Mercede al bene, ed al contrario pena,
Martano appresso a Mamuga una lega
Ad incontrarsi in Aquilante mena.
Martano si facea con bella mostra
Portare innanzi il pregio della giostra.
78 Pensò Aquilante , al primo comparire ,
Che'l vii Martino il suo fratello fosse;
Che r iiiganiiaroii Parme, e quel vestire
Candido più che nevi ancor non mosse :
E con queir oli , che d' allegrezza dire
Si snoie , incominciò ; ma poi cangiosse
Tosto di faccia e di parlar, eh* appresso
S'avvide meglio che non era desso.
79 Dubitò che per fraude di colei
Ch'era con Ini, Grifon gli avesse ucciso;
E , dimmi , gli gridò , tu ch'esser dèi
Fu ladro e un traditor , come n' hai viso ,
Onde hai quest'arme avute? onde ti sei
>'nl buon destrier del mio fratello assiso?
Dimmi se '1 mio fratello è morto o viro:
Come dell'erme e del destrier l'hai privo.
80 Quando Orrigille udì l'irata voce.
Addietro il palafrcn per fuggir volse;
ila di lei fu Aquilante più veloce ,
E feccia fermar , volse o non volse,
jlartano al minacciar tanto feroce
Del cavalier , che sì improvviso il colse ,
Pallido trema come al vento fronda,
Né sa quel che si faccia o che risponda.
81 Grida Aquilante , e fulminar non resta ,
E la spada gli pon dritto alla strozza:
E giurando minaccia che la testa
Ad Orrigille e a lui rimarrà mozza,
Se tutto il fatto non gli manifesta.
11 mal giunto Martano alquanto ingozza,
E tra sé volve se può sminuire
Sua grave colpa, e poi comincia a dire:
82 Siippi, signor, che mia sorella è questa,
Nata di buona e virtuosa gente.
Benché tenuta in vita disonesta
L' abbia Grifone obbrobriosamente :
E tale infamia essendomi molesta.
Né per forza sentendomi possente
Di torla a si grand' noni , feci diseguo
D' averla per astuzia e per ingegno.
83 Tenni modo con lei , eh' avea desire
Di ritornare a più lodata vita ,
Ch' essendosi Grifon messo a dormire ,
Chetamente da lui fèsse partita.
Cosi fece ella; e perchè egli a seguire
Non n'abbia, ed a turbar la tela ordita,
Noi lo lasciammo disarmato e a piedi:
E qua venuti siam, come tu vedi.
84 Poteasi dar di somma astuzia raiito ,
Che colui facilmente gli credea ;
E, fuor che'n torgli arme e destrier e qsaii'
Tenesse di Grifon, non gli uocea;
Se non volea pulir sua scusa tanto ,
Che la facesse di menzogna rea.
Buona era ogni altra parte, se non qnelU
Che la femmina a lui fosse sorella.
85 Avea Aquilante in Antiochia inteso
Essergli concubina , da più genti ;
Onde gridando, di furore acceso:
Falsissimo ladron, tu te ne menti :
Vìi pugno gli tirò di tanto peso ,
Che nella gola gli cacciò duo denti ;
E, senza più contesa, ambe le braccia
Gli volge dietro, e d'uia fune allaccia.
86 E parimente fece ad Orrigille,
Benché in sua scusa ella dicesse a.isai.
Quindi li trasse per casali e ville.
Né li lasciò fin a Damasco mai;
E delle miglia mille volte mille
Tratti gli avrebbe con pene e con grnal,
Fin ch'avesse trovato il suo fratello,
Per farne poi come piacesse a quello.
87 Fece Aquilante lor scudieri e .some
Seco tornare, ed in Damasco venne;
E trovò di Grifon celebre il nome
Per tutta la città batter le penne.
Piccoli e grandi , ognun sapea già, come
Kg\ì era , che sì ben corse V aritenne ;
Ed a cui tolto fu con falsa mostra
Dal compagno la gloria della giostra.
88 II popol tutto al vii Martano infesto,
L'uno all'altro additandolo, lo scopre.
Non è , dicean , non è il ribaldo questo ,
Che si fa laude con P altrui buone opre?
E la virtù di chi non è ben desto.
Con la sua infamia e col suo obbrobrio copre?
Non è r ingrata femmina costei ,
La qual tradisce i buoni, e aiuta i rei?
89 Altri dicean: Come stan bene insieme.
Segnati ambi d'un marchio e d'una razza!
Chi li bestemmia , chi lor dietro freme .
Chi grida: Impicca, abbrucia, squarta, ammazza
La turba per veder s' urta , si preme .
E corre innanzi alle strade, alU piazz.i.
Venne la nuova al re, che mo.strò seguo
D'averla cara più eh' un altro regno.
BD Seiiza molti scudier dietro o davante ,
Come si ritrovò, si mosse in fretta,
E venne ad incontrar?! in Aquilante ,
Oh'avea del suo Grifon fitto vendetta:
E quello onora con gentil sembiante,
S3C0 lo' nvita , e seco lo ricetta ;
Di suo cuisenso avenlo fatto porre
I dno priirioni in fon lo d'una toriT.
&.|;-
HI Andaro insieme (*ve del letto mosso
Grifon non s'era poi che fu ferito,
Che , vedendo il fratel , divenne ro^so :
Che ben stimò ch'avea il suo caso uditi.
K poi che motteggiando un poco addosso
(ili andò Aquilante, messero a partito
Di dare a quelli duo giusto mar toro ,
Venuti in min degli avver-»arj loro.
92 Vuole Aquilante, vuole il re che mille
Strazj ne sieno fatti ; ma Grifone
(Perchè non osa dir sol d' Orrigille)
All'uno e all'altro vuol che si perdone.
Disse assai cose, e molto bene ordille.
Fugli risposto: Or per conclusione
^lart.mo è disegnito in mano al boia,
Cir abbia a scapirlo , o non però che moia.
93 Legar lo fanno, e non tra' fiori e l'erba,
E per tutto scopar l'altra mattina.
Orrigille captiva si riserba
Finché ritomi la bella Lucina,
Al cui saggio parere, o lieve o acerba,
Rim^tton quei signor la disciplini.
Quivi stette Aquilante a ricrearsi
Finché *1 fratel fu sano , e potè armarsi.
94 Re Norandin, che temperato e saggio
Divenuto era dopo un tanto errore.
Non potea non aver sempre il coragj^io
Di penitenzìa pieno e di dolore,
D'aver fatto a colui danno ed oltraggio,
i l:c degno di merce le era e d' onore :
Sì che dì e notte avea il pensiero intento
Per farlo rimaner di .«^è contnito.
ai.iii/.ii ve».
9.'S E stituì nel pubblico conspetto
Della città, di tanta ingiuri i rei.
Con quella maggior gloria eh' a perfetto
Cavalier per un re dar si potea ,
Di rendergli quel premio eh' intercetto
Con tanto inganno il traditor gli avea :
E perciò fe'bindir per quel paese,
Che farla un'altra giostra indi ad un mes.'
96 Di che apparecchio fa tanto solenne ,
Qaanto a pompa real possibil sia:
Onde la fama con veloci penne
Portò la nuova per tutta Soria;
Ed in Fenicia e in Palestina venne,
E tanto , eh* ad Astolfo ne die spia.
Il qual col viceré deliberosse
Che quella giostra senza lor non fosse.
97 Per guerrier valoroso e di gran nome
La vera istoria Sansonetto vanta.
Gli die battesrao Orlando, e Carlo (come
V'ho detto) a governar la Terra Santa.
Astolfo con costui levò Je some,.
Per ritrovarsi ove la fama canta
Sì, che d'intorno n'ha piena ogni orecchia,
Ch'in Damasco la giostra s'apparecchia.
102 Tra lor si domandaron di lor via:
E poi eh' Astolfo , che prima rispose ,
Narrò come a Damasco se ne già,
Dove le genti in arme valorose
Avea invitato il re della Soria
A dimostrar lor opre virtuose;
Marfisa, sempre a far gran prove acceca.
Voglio CFser con voi, disse, a questa impr*^
103 Sommamente ebbe Astolfo grata quesii
Compagna d'arpe, e così Sansonetto.
Furo a Damasco il dì innanzi la festa .
E di fuora nel borgo ebbon ricetto :
E sin all'ora che dal sonno desta
L' Aurora il vecchiarel già suo diletto .
Quivi si riposar con maggior agio,
Che se smontati fossero al palagio.
98 Or cavalcando per quelle contrade
Con non lunghi viaggi, agiati e lenti,
Per ritrovarsi freschi alla cittade
Poi di Damasco il dì de' torniamenti ,
Scontrare in una croce di due strade
Persona eh' al vestire e a' movimenti
Avea sembianza d' uomo , e femmin' era ,
Nelle battaglie a meraviglia fiera.
99 La vergine Marfisa si nomava ,
Di tal valor, che con la spada in mano
Fece più volte al gran signor di Brava
Sudar la fronte , e a quel di Montalbano ;
E'I di e la notte armata sempre andava
Di qua di là, cercando in monte e in piano
Con cavalieri erranti riscontrarsi ,
Ed immortale e gloriosa farsi.
100 Com' ella vide Astolfo e Sansonetto ,
Ch' appresso le venian con l' arme indosso ,
Prodi guerrier le parvero all' aspetto ;
Ch'erano ambedue grandi e di buon osso:
E perchè di provarsi avria dilettò ,.
Per isfidarli avea il destrier già mosso;
Quando , affissando l' occhio più vicino ,
Conosciuto ebbe il duca paladino.
101 Della piacevolezza le sovvenne
Del cavalier, quando al Catai seco era:
E lo chiamò per nome, e non si tenne
La man nel guanto , e alzossi la visiera ;
E con gran festa ad abbracciarlo venne ,
Comechè sopra ogn' altra fosse altiera.
Non men dall'altra parte riverente
Fu il paladino alla donna eccellente.
104 E poi che '1 nuovo sol lucido e chiaro
Per tutto sparsi ebbe i fulgenti raggi,
La bella donna e i duo guerrier s' armare .
Mandato avendo alla città messaggi
Che , come tempo fu , lor rapportar©
Che per veder spezzar frassini e faggi
Re Norandino era venuto al loco
Ch'avea constituito al fiero gioco.
106 Senza più indugio alla città ne vanno ,
E per la via maestra alla gran piazza,
Dove aspettando il real segno stanno
Quinci e quindi i guerrier di buona rascza.
I premj che quel giorno si daranno
A chi vince, è uno stocco ed una mazza
Guerniti riccamente , e un destrier quale
Sia con vene voi dono a un signor tale.
106 Avendo Norandin fermo nel core
Che, come il primo pregio, il secondo anco,
E d'ambedue le giostre il sommo onore
Si debba guadagnar Grifone il bianco;
Per dargli tutto quel ch'uom di valore
Dovrebbe aver , né debbe far con manco .
Posto con l'arme in questo ultimo pregio
Ha stocco e mazza e destrier molto egregio.
107 L'arme che nella giostra fatta dianzi
Si doveano a Grifon che '1 tutto vinse ,
E che usurpate avea con tristi avanzi
Martano che Grifon esser si finse;
Quivi si fece il re pendere innanzi ,
E il ben guemito stocco a quelle cinse,
E la mazza all' arcion del destrier messe .
Perchè Grifon l'un pregio e l'altro avesse.
lOB Ma che sua intenzì'ou avesse effetto
Vietò quella magnanima guerriera
Ohe con Astolfo e col buon Sansonetto
In piazza nuovamente venuta era.
Costei , vedendo V arme cb' io v' ho detto ,
Subito n' ebbe conoscenza vera :
Perocché già sue furo , e V ebbe care
Quanto si suol le cose ottime e rare;
109 Benché Tavea lasciate in su la strada
A quella volta che le fur d' impaccio ,
Quando per riaver sua buona spada
Correa dietro a Brunel degno di laccio.
Questa istoria non credo che m'accada
Altrimenti narrar; però la taccio.
Da me vi basti intendere a che guisa
Quivi trovasse Tarme sue Marfisa.
110 Intenderete ancor che, come Tebbe
Kieonosciute a manifeste note,
Per altro che sia al mondo , non le avrebbe
Lasciate un dì di sua persona vote.
Se più tenere un modo o un altro debbe
Per racquistarle , ella pensar non puote;
Ma se gli accosta a un tratto, e la man stende,
E senz' altro rispetto se le prende :
IH E per la fretta ch'ella n'ebbe, avvenne
Oh' altre ne prese , altre mandonne in terra.
11 re, che troppo offeso se ne tenne.
Con uno sguardo sol le mosse guerra;
Che '1 popol , che V ingiuria non sostenne ,
Per vendicarlo e lance e spade afferra ,
Non rammentando ciò ch'i giorni innanti
Nocqoe il dar noia ai cavalieri erranti.
112 Né fra vermis^li fior, azzurri e gialli
Vago fanciullo alla stagion novella,
Né mai si ritrovò fra suoni e balli
Più volentieri ornata donna e bella;
Che fra strepito d'arme e di cavalli,
E fra punte di lance e di quadrella,
Dove si sparga sangue e si dia morte.
Costei si trovi , oltre ogni creder forte.
113 Spinge il cavallo, e nella turba sciocca
Con l'asta bassa impetuosa fere;
E chi nel collo e chi nel petto imbrocca,
E fa con V urto or questo or quel cadere :
Poi con la spada uno ed un altro tocca,
E £a qual senza capo rimanere ,
E qual con rotto, e qual passato al fiauco,
E qual del braccio privo, o destro o manco.
114 L'ardito Astolfo e il forte Sansonetto,
Ch'avean con lei vestita e piastra e maglia,
Benché non venner già per tale effetto,
Pur , vedendo attaccata la battaglia ,
Abbsssan la visiera dell'elmetto,
E poi la lancia per quella canaglia;
Ed indi van con la tagliente spada
Di qua di là facendosi far strada.
115 I cavalieri di nazion diverse ,
Ch' erano per giostrar quivi ridutti ,
Vedendo l' arme in tal furor converse ,
E gli aspettati giuochi in gravi lutti
(Che la cagion ch'avesse di dolerse
La plebe irata non sapeano tutti ;
Né eh' al re tanta ingiuria fosse fatta) ,
Stavan con dubbia mente e stupefatta.
116 Di ch'altri a favorir la turba venne.
Che tardi poi non se ne fu a pentire;
Altri, a cui la città più non attenne
Che gli stranieri , accorse a dipartire ;
Altri , più saggio , in man la briglia tenne ,
Mirando dove questo avesse a uscire.
Di quelli fu Grifone ed Aquilaute,
Che per vendicar l'arme andare innante.
117 Essi vedendo il re che dì veneno
Avea le luci inebriate e rosse,
Ed essendo da molti instrutti appieno
Della cagion che la discordia mosse,
E parendo a Grifon che sua, non meno
Che del re Norandin, l'ingiuria fosse;
S' avean le lance fatte dar con fretta ,
E venian ftilminando alla vendetta.
118 Astolfo d'altra parte Rabicano
Venia spronando a tutti gli altri innante ,
Con l' incantata lancia d* oro in mano ,
Ch'ai fiero scontro abbatte ogni giostrante.
Ferì con essa e lasciò steso al piano
Prima Grifone, e poi trovò Aquilaute;
E dello scudo toccò l' orlo appena ,
Che lo gittò riverso in su l'arena.
119 I cavalier di pregio e di gran prova
Vòtan le selle innanzi a Sansonetto.
L' uscita della piazza il popol trova ;
H re n* arrabbia d' ira e di dispetto.
Con la prima corazza e con la nuova
Marfisa intanto , e l' uno e l' altro elmetto ,
Poi che si vide a tutti dare il tergo,
. Vincitrice venia verso l'albergo.
120. Astolfo e Sansouetto non fur lenti
A seguitarla , e seco a ritornarsi
Verso la porta (che tutte le genti
Gli dayan loco), ed al rastrel fermarsi.
Aqnilante e Grifon , troppo dolenti
Di vedersi a uno incontro riversarsi,
Tenean per gran vergogna il capo chino ,
Né ardian venire innanzi a Norandino.
126 Come re Norandino ode quel uome
Così temuto per tutto levante ,
Che facea a molti anco arricciar le chiome.
Benché spesso da lor fosse distante ,
È certo che ne debhia venir come
Dice quel suo, se non provvede innante;
Però gli suoi , che già mutata V ira
Hanno in timore, a sé richiama e tira.
121 Presi e. montati ch'hanno i lor cavalli,
Spronano dietro agP inimici in fretta.
Li segue il re con molti suoi vassalli ,
Tutti pronti o alla morte o alla vendetta.
La sciocca turba grida : Dalli , dalli ;
E sta lontana, e le novelle aspetta.
Grifone arriva ove volgean la fronte
I tre compagni, ed avean preso il ponte.
122 A prima giunta Astolfo raffigura ,
C\ì- avea quelle medesime divise ,
Avea il cavallo , avea queir armatura
Ch'ebbe dal dì ch'Orril fatale uccise.
Né miratol , né posto gli avea cura
Quando in piazza a giostrar seco si mise :
Quivi il conobbe , e salutoUo ; e poi
(jli domandò delli compagni suoi,
123 E perchè tratto avean quell'arme a terra,
Portando al re si poca riverenza.
Di suoi compagni il duca d'Inghilterra
Diede a Grifon non falsa conoscenza :
Dell' arme eh' attaccato avean la guerra ,
Disse che non n'avea troppa scienza;
Ma perchè con Marfisa era venuto ,
Dar le volea con Sansonetto aiuto.
127 Dall'altra part« i figli d'Oliviero
Con Sansonetto e col figliuol d' Otoue ,
Supplicando a ]^Iarfisa , tanto fero ,
Che si die fiae alla crudel tenzone.
Bfarfisa , giunta al re , con viso altiero
Disse : Io non so , signore , con che ragìoae
Vogli quest' arme dar , che tue non sono ,
Al vincitor delle tue giostre in dono.
128 Mie sono l'arme; e'n mezzo della via
Che vien d' Armenia , un giorno le lasciai .
Perchè seguire a pie mi conveuia
Un rubator che m'avea offesa assai;
E la mia insegna tesdmon ne fia ,
Che qui si vede, se notizia n'hai;
E la mostrò nella corazza impressa,
Ch'era in tre parti una corona fessa.
129 Gli è ver, rispose il re, che mi fur date,
Son pochi dì, da un mercadante armeno;
E se voi me l'aveste domandate.
L'avreste avute, o vostre o no che sieno;
Ch'avvenga eh' a Grifon già l'ho donate,
Ho tanta fede in lui , che nondimeno ,
Acciò a voi darle avessi anche potuto,
Volentieri il mio don m'avria renduto.
124 Quivi con Grifon stando il paladino
Viene Aquilante, e lo conosce tosto
Che parlar col fratel l'ole vicino,
E il voler cangia , eh' era mil disposto.
Giungeau molti di quei di Norandino ,
3Ia troppo non ardian venire accosto ;
E tanto più , vedendo i parlamenti ,
Stavano cheti, e per udire intenti.
12.5 Alcun ch'intende quivi esser 3Iarftj^,
Che tiene al mondo il vanto in es<er forte ,
Volta il cavallo, e Norandino avvisi,
Che s' oggi non vuol perder la sua corte ,
Provveggia , prima che sia tutta uccisa,
Di man trarla a Tesifone e alla morte:
Perchè Marfisa veramente è stata,
Che l'arraatum in piazza gli ha levata.
130 Non bisogna allegar, per farmi fede
Che vostre sien, che tengan vostra inseguì:
Basti il dirmelo voi; che vi si crede
Più eh' a qual altro testimonio vegna.
Che vostre sian vostr'arme si concede
Alla virtù di maggior premio degna.
Or ve r abbiate , e più non si contenda ;
E Grifon maggior premio da me prend«L
131 Grifon, che poco a care ave.i quell'arma
]Ma gran disio che '1 re si satisfaccia ,
Gli disse : Assai potete compensarine
Se mi fate saper ch'io vi compiaccia.
Tra sé disse Marfisa: Esser qui parme
L' onor mio in tutto : e con benigna faccia
Volle a Grifon dell'arme es^er cortese;
E finalmente iu don da lui le prese.
stanza 104.
182 Nella città con pace e con amore
Tornaro . ove le feste raddoppiarsi.
Poi la giostra si fé' , di che 1* onore
E'I pregio Sansonetto fece darsi;
Ch'Astolfo e i duo fratelli e la migliore
Di lor , Marfisa , non volson provarsi ,
Cercando, come amici e buon compagni.
Che Sansonetto il pregio ne guadagni.
138 Stati che sono in gran piacere e in festa
Con Norandino otto giornate o diece,
Perchè l'amor di Francia gli molesta,
Che lasciar senza lor tanto non lece ,
Tolgon licenzia; e Marfisa, che questa
Via disiava, compagnia lor fece.
Marfisa avuto avea lungo disire
Al paragon dei paladin venire,
134 E far esperìenzia se l'effetto
Si pareggiava a tanta nominanza.
Lascia un altro in suo loco Sansonetto ,
Che di Grerusalem regga la stanza.
Or questi cinque in un drappello eletto,
Che pochi pari al mondo han di possanza ,
Licenziati dal re Norandino ,
Vanno a Tripoli , e al mar che v' è vicino.
135 E quivi una caracca ritrovaro,
Che per ponente mercanzie raguna.
Per loro e pei cavalli s'accordaro
Con un vecchio padron ch'era da Luna.
Mostrava d' ogn' intomo il tempo chiaro ,
Ch'avrian per molti di buona fortuna.
Sciolser dal lito, avendo aria serena,
E di buon vento ogni lor vela piena.
136 L'isola sacra all'amorosa Dea
Diede lor sotto un'aria il pruno porto.
Che non eh' a offender gli uomini sia rea ,
Ma stempra il ferro, e quivi è'I viver corto.
Cagion n' è un stagno : e certo non dovea
Natura a Famagosta far quel torto
D'appressarvi Costanza acre e maligna,
Quando al resto di Cipro è sì benigna.
137 II grave odor che la palude esala ,
Non lascia al legno far troppo soggiorno.
Quindi a un Greco-levante spiegò ogni ala ,
Volando da man destra a Cipro intorno,
E surse a Pafo , e pose in terra scala ;
E i naviganti uscir nel lito adomo ,
Chi per merce levar, chi per vedere
La terra d'amor piena e di piacere.
188 Dal mar sei miglia o sette, a poco a poco
Si va salendo inverso il colle ameno.
Mirti e cedri e naranci e lauri il loco,
E mille altri soavi arbori han pieno.
Serpillo e persa e rose e gigli e croco
Spargon dall'odorifero terreno
Tanta suavità, ch'in mar sentire
La fa ogni vento che da terra spire.
139 Da limpida fontana tutta quella
Piaggia rigando va un ruscel fecouflo.
Ben si può dir che sia di Vener bella
Il luogo dilettevole e giocondo ;
Che v' è ogni donna affatto , ogni donzella
Piacevol più ch'altrove sia nel mondo:
E fa la Dea che tutte ardon d'amore.
Giovani e vecchie, infino all' ul tira' ore.
140 Quivi odono il medesimo ch'udito
Di Lucina e dell'Orco hanno in Soria,
E come di tornare ella a marito
Facea nuovo Apparecchio in Nicosia.
Quindi il padrone (essendosi espedito ,
E spirando buon vento alla sua via)
L'ancore sarpa, e fa girar la proda*
Verso ponente , ed ogni vela snoda.
141 Al vento di maestro alzò la nave
Le vele all' orza , ed allargossi in alto.
Un ponente-libecchio , che soave
Parve a principio e fin che '1 sol stette alto ,
E poi si fé' verso la sera grave ,
Le leva incontra il mar con fiero assalto ,
Con tanti tuoni e tanto arder di lampi.
Che par che '1 ciel si spezzi e tutto avvampi.
142 Stendon le nubi un tenebroso velo,
Che né sole apparir lascia né stella :
Di sotto il mar , disopra mugge il cielo ,
Il vento d' ogn' intorno , e la procella
Che di pioggia oscurissima e di gelo
I naviganti miseri flagella :
E la notte più sempre si diffonde
Sopra l'irate e formidabil onde.
143 I naviganti a dimostrare effetto
Vanno dell'arte in che lodati sono:
Chi discorre fischiando col fraschette,
E quanto han gli altri a far, mostra col suono :
Chi l'ancore apparecchia da rispetto,
E chi al mainare e chi alla scotta è buono;
Ohi'l timone, chi l'arbore assicura,
Chi la coperta di sgombrare ha cura.
144 Crebbe il tempo crudel tutta la notte,
Caliginosa e più scura eh' inferno.
Tien per l'alto il padrone, ove men rotte
Crede l'onde trovar, dritto il governo;
E volta ad or ad or con tra le botte
Del mar la proda , e dell' orribil verno ,
Noi senza speme mai che , come aggiorni ,
Cessi Fortuna , o più placabil torni.
145 Non cesm e non si placa, e più furore
Giostra nel giorno , se pur giorno è questo ,
Che si conosce al numerar dell' ore ,
Non che per lume già sia manifesto.
Or con minor speranza e più timore
Si dà in poter del vento il padron mesto :
Volta la poppa all'onde, e il mar cnidele
Scorrendo se ne va con umil vele.
14fi Mentre Fortuna in mar questi travaglia.
NoA lascia anco posar quegli altri in terra.
Che sono in Francia, ove s'uccide e taglia
Coi Saraci ni il popol d' Inghilterra.
Quivi Rinaldo assale, apre e sbaraglia
Le sqjiiere avverse , e le bandiere atterra.
Dissi di lui , che 'l suo destrier Baiardo
Mosso avea centra a Dardinel gagliardo.
147 Vide Rinaldo il segno del quartiero
Di che superbo era il figliuol d'Almonte;
E lo stimò gagliardo e buon guerriero ,
Che concorrer d'insegna ardia col conte.
Venne più appresso , e gli parea più vero :
Ch' avea d' intorno uomini uccisi a monte.
Meglio è, gridò, che prima io svella , spenga
Questo mal germe, che maggior divenga.
148 Dovunque il viso drizzi il paladino.
Levasi ognuno , e gli dà larga strada :
Né men sgombra il Fé lei , che 'l Saracino :
Sì riverita è la famosa spada.
Rinaldo , fuorché Dardinel meschino ,
Non vede alcuno , e lui seguir non bada ;
Grida : Fanciullo , gran briga ti diede
Chi ti lasciò di questo scudo erede.
149 Vengo a i<i per provar, se tu m'attendi
Come ben guardi il quartier rosso e bianco;
Che s' ora contra me non lo difendi ,
Difender contra Orlando il potrai manco.
Rispose Dardinello: Or chiaro apprendi
Che s'io lo porto, il so difender anco;
E guadagnar più onor, che briga, posso
Del paterno quartier candido e rosso.
150 Perchè fanciullo io sia, non creiler fAnse
Però fuggire , o che '1 quartier ti dia .
La vita mi torrai, se mi tei Parme;
Ma spero in Dio eh' anzi il contrario fia.
Sia quel che vuol, non potrà alcan bi&smarrar
Che mai traligni alla progenie mìa.
Cosi dicendo, con la spada in mano
Assalse il cwalier da Montalbano.
151 Un timor freddo tutto '1 sangue oppresse.
Che gli Africani aveano intomo al core,
Come vider Rinaldo che si messe
Con tanta rabbia incontro a quel signore.
Con quanti andria un leon ch'ai prato ave^-^
Visto un torel eh' ancor non senta amore.
Il primo che ferì , fu '1 Saracino ;
Ma picchiò invau su l'elmo di Mambrìno.
1.52 Rise Rinaldo, e disse: Io vo'tu senta
S'io so meglio di te trovar la vena.
Sprona, e a un tempo al destrier la briglia allenti
E d'una punta con tal forza mena,
D'una punta ch'ai petto gli ap presenta.
Che gli la fa apparir dietro alla schena.
Quella trasse, al tornar. Palma col sangue:
Di sella il corpo uscì freddo ed esaogne.
158 Come purpureo fior languendo mnore.
Che '1 vomere al passar tagliato lassa :
0 come carco di superchio umore
Il papaver nell' orto il capo abbassa :
Così, giù della faccia ogni colore
Cadendo , Dardinel di vita passa ;
Passa di vita, e fa passar con lui
L'ardire e la virtù di tutti i sui.
1.54 Qual sogliou l'acque per umano ingegno
Stare ingorgate alcuna volta e chiase ,
Che quando lor vien poi rotto il sostano.
Cascano , e van con gran rumor diffuse ;
Tal gli African , eh' avean quilche ritegno .
Mentre virtù lor Dardinello infuse,
Ne vanno or sparti in questa parte e in qnelU
Che l'han veduto uscir morto in sella.
155 Chi vuol fuggir, Rinaldo fuggir lassa,
Ed attende a cacciar chi vuol star saldo.
Si cade ovunque Arìodante passa.
Che molto va quel di presso a Rinaldo.
Altri Lionetto, altri Zerbin fracassa,
A gara ognuno a far gran prove caldo.
Carlo fa il suo dover, lo fa Oliviero.
Turpino e Guido e Salomone e Pggiero.
156 I Morì far quel giorno in gran perìglio
Che 'n Pagania non ne tornasse testa ;
Mal saggio re di Spagna dà di piglio,
E se ne va con quel che in man gli resta.
Restar in danno tien miglior consiglio ,
Che tatti i donar perdere e la vesta:
Meglio ò rìtrarsi e salvar qualche schiera
Che , stando , esser cagion che '1 tutto pera.
157 Verso gli alloggiamenti i segni invia,
Ch'eran serrati d'argine e di fossa,
Con Stordilan , col re d' Andologia ,
Col Portughese in una sqnadra grossa.
Manda a pregar il re di Barbarla,
Che si cerchi rìtrar meglio che possa;
£ se qael giorno la persona e U loco
Potrà salvar, non avrà fatto poco.
158 Quel re che si tenea spacciato al tutto,
Né mai credea più rìveder Biserta ,
Che con viso si orribile e si brutto
Unquanco non aveva Fortuna esperta;
S' allegrò che Marsilio avea ridutto
Parte del campo in sicurezza certa :
Ed a rìtrarsi cominciò, e a dar volta
Alle bandiere ; e fé' sonar raccolta.
159 Ma la più parte della gente rotta
Né tromba né tambur né segno ascolta:
Tanta fu la viltà , tanta la dotta ,
Ch'in Senna se ne vide affogar molta.
Il re Agramante vuol ridur la frotta:
Seco ha Sobrìno, e van scorrendo in volta;
E con lor s'affatica ogni buon duca,
Che nei ripari il campo si riduca.
stanza 162.
160 Ma né il re, né Sobrio , né duca alcuno
Con prieghi , con minacele , con affanno
Ritrar può il terzo, non ch'io dica ognuno,
Dove l'insegne mal seguite vanno.
Morti 0 fuggiti ne son dua, per uno
Che ne rimane, e quel non senza danno:
Ferito é chi di dietro e chi davanti;
Ma travagliati e lassi tutti quanti.
161 E con gran tema fin dentro alle porte
Dei forti alloggiamenti ebbon la caccia:
Ed era lor quel luogo anco mal forte ,
Con ogni provveder che vi si faccia
(Che ben pigliar nel crin la buona sorte
Carlo .sapea, quando volgea la faccia).
Se non venia la notte tenebrosa,
Che staccò il £Bitto , ed acquetò ogni cosa.
162 Dal Creator accelerata forse,
Che della sua fattura ebbe pietade.
Ondeggiò il sangue per campagna, e corse
Come un gran fiume , e dilagò le strade.
Ottanta mila corpi numerorse.
Che fur quel dì messi per fil di spade.
Villani e lupi uscir poi delle grotte
A dispogliarli e a devorar, la notte.
163 Carlo non toma più dentro alla terra,
Ma centra gì' inimici fuor s' accampa ,
Ed in assedio le lor tende serra,
Ed alti e spessi fuochi intorno avvampa.
Il pagan si provvede , e cava terra ,
Fossi e ripari e bastioni stampa:
Va rivedendo , e tien le guardie deste ,
Né tutta notte mai l'arme si sveste.
164 Tutta la notte per gli alloggiamenti
Dei mal sicuri Saracini oppressi
Si Tersan pianti , gemiti e lamenti ,
Ma quanto più si può, cheti e soppressi.
Altri perchè gli amici hanno e i parenti
Lasciati morti ; ed altri per sé stessi ,
Che son feriti, e con disagio stanno:
Ma più è la tema del futuro danno.
168 Vòlto al compagno , disse : 0 Clorìdano .
Io non ti posso dir quanto m* incresca
Del mìo signor , che sia rimaso al piano ,
Per lupi e corhi, oimè! troppo degaa eaca.
Pensando come sempre mi fu umano,
Mi par che, quando ancor questa anima &u
In onor di sua fama, io non compenai
Né sciolga verso lui gli obblighi immensL
165 Duo Mori ivi fra gli altri si trovaro,
D'oscura stirpe nati in Tolomitta;
De'quai P istoria, per esempio raro
Di vero amore , è degna esser descritta.
Cloridano e Medor si nominaro,
Ch' alla fortuna prospera e all' afflitta
Aveano sempre amato Dardinello,
Ed or passato in Francia e il mar con quello.
169 Io voglio andar, perchè non stia insepaltv
In mezzo alla campagna , a ritrovarlo :
E forse Dio vorrà ch'io vada occulto
Là dove tace il campo del re Carlo.
Tu rimarrai; che quando in ciel sia .scolto
Ch' io vi debba morir , potrai narrarlo :
Che se fortuna vieta sì beli' opra ,
Per fÌEuna almeno il mio buon cuor si scopra.
stanza 175.
166 Cloridan , cacciator tutta sua vita,
Di robusta persona era ed isnella :
Medoro avea la guancia colorita ,
E bianca e grata nell' età novella ;
E fra la gente a quella impresa uscita ,
Non era faccia più gioconda e bella:
Occhi avea neri , e chioma crespa d' oro :
Angol parea di quei del sommo coro.
167 Erano questi duo sopra i ripari
Con molti altri a guardar gli alloggiamenti,
Quando la notte fra distanzie pari
Mirava il ciel con gli occhi sonnolenti.
Me loro quivi in tutti i suoi parlari
Non può far che '1 signor suo non rammenti ,
Dardinello d'Almonte, e che non piagna
Che resti senza onor nella campagna.
170 Stupisce Cloridan , che tanto core ,
Tanto amor, tanta fede abbia un fanciullu:
E cerca assai, perchè gli porta amore,
Di fargli quel pensiero irrito e nullo;
Ma non gli vai, perch'un sì gran dolore
Non riceve conforto né trastullo.
Medoro era disposto o di morire ,
0 nella tomba il suo signor coprire.
171 Veduto che noi piega e che noi muove,
Cloridan gli risponde : E verrò anch' io ,
Anch' io vo' pormi a sì lodevol pruove ,
Anch'io famosa morte amo e disio.
Qual cosa sarà mai che più mi giove ,
S'io resto senza te, Medoro mio?
Morir teco con l' arme é meglio molto ,
Che poi di duol, s'awien che mi sii tolto.
172 Così disposti, messero in quel loco
Le successive guardie, e se ne vanno.
Lascian fosse e steccati , e dopo poco
Tra' nostri son , che senza cura stanno.
Il campo dorme , e tutto è spento il fuoco ,
Perchè dei Saracin poca tema hanno.
Tra l'arme e' cariaggi stan roversi,
Nel vin, nel sonno in sino agli occhi immersi
173 Fermossi alquanto Cloridano, e disse:
Non son mai da lasciar l'occasioni.
Di questo stuol che '1 mio signor trafisse ,
Non debbo far, Medoro, occisToni?
Tu , perchè sopra alcun non ci venisse ,
Gli occhi e gli orecchi in ogni parte poni;
Ch'io m'offerisco farti con la spada
Tra gli nimici spaziosa strada.
1 74 Cosi diss' egli , e tosto li parlar tenne ,
Ed entrò dove il dotto Alfeo dormia,
Che Panno innanzi in corte a Carlo venne,
Medico e mago e pien d'astrologia:
Ma poco a questa volta gli sovvenne;
Anzi gli disse in tutto la bugia.
Predetto egli s'avea, che d'anni pieno
Dovea morire alla sua moglie in seno:
175 Ed or gli ha messo il canto Saracino
La punta della spada nella gola.
Quattro altri uccide appresso all'indovino
Che non han tempo a dire una parola :
Menzion dei nomi lor non fa Turpino,
E'I lungo andar le lor notizie invola:
Dopo essi Palidon da Moncalieri,
Che sicuro dormia fra duo destrieri.
stanza 179.
176 Poi se ne vien dove col capo giace
Appoggiato al barile il miser Grillo:
Avealo vóto, e avea creduto in pace
Godersi un sonno placido e tranquillo.
Troncògl'il capo il Saracino audace:
Esce col sangue il vin per uno spillo,
Di che n' ha in corpo più d' una bigoncia :
E di ber sogna, e Cloridan lo sconcia.
177 E presso a Grillo un greco ed un tedesco,
Spegne in dui colpi, Andropono e Conrado,
Che della notte avean goduto al fresco
Gran parte , or con la tazza, ora col dado :
Felici se vegghiar sapeano a desco
Finché nell'Indo il sol passasse il guado.
Ma non potria negli uomini il destino,
Se del futuro ognun fosse indovino.
178 Come impasto leone in stalla piena,
Che lunga fame abbia smacrato e asciutto ,
Uccide, scanna, mangia, a strazio mena
L'infermo gregge in sua balia condutto;
Così il crudel pagan nel sonno svena
La nostra gente, e fa macel per tutto.
La spada di Medoro anco non ebe;
Ma si sdegna ferir l'ignobil plebe.
179 Venuto era ove il duca di Labretto
Con una dama sua dormia abbracciato:
E r un con l' altro si tenea si stretto ,
Che non saria tra lor l'aere entrato.
Medoro ad ambi taglia il capo netto.
0 felice morire ! oh dolce fato !
Che come erano i corpi, ho così fede
Ch'andar l'alme abbracciate alla lor sede.
180 Malindo nccise e Ardalico il fratello,
Che del conte di Fiandra erano figli;
E l'uno e 1* altro cavalier novello
Fatto avea Carlo, e aggiunto all'arme i gigli,
Perchè il giorno amendui d'ostil macello
Con gli stocchi tornar vide vermigli :
E terre in Frisa avea promesso loro,
E date avriaj ma lo vietò Medoro.
181 Gl'insidiosi ferri eran vìcìdì
Ai padiglioni che tiraro in volta
Al padiglion di Carlo i paladini ,
Facendo ognun la guardia la sua volta;
Quando dall'empia strage i Saracini
Trasson le spade, e dièro a tempo Tolta;
Ch'impossibil lor par, tra si gran torma,
Che non s' abbia a trovar un che non dorai.
Stanza 190.
182 E benché possan gir di preda carchi,
Salvin pur sé, che fanno assai guadagno.
Ove più crede aver sicuri i varchi
Va Cloridano, e dietro ha il suo compagno.
Vengon nel campo, ove fra spade ed archi
E scudi e lance , in un vermiglio stagno
Giaccion poveri e ricchi, e re e vassalli,
E sozzopra con gli uomini i cavalli.
183 Quivi dei corpi l'orrida mistura.
Che piena aveva la gran campagna intomo,
Potea far vaneggiar la fedel cura
Dei duo compagni insino al far del giorno,
Se non traea fuor d'una nube oscura,
A'prieghi di Medor, la luna il corno.
Medoro in ciel divotamente fisse
Verso la luna gli occhi , e cosi disse :
184 0 santa Dea, che dagli antiqxd nostri
Debitamente sei detta triforme;
Ch^in cielo, in terra e nellMnfemo mostri
L'alta bellezza tna sotto più forme,
E nelle selve , di fere e di mostri
Vai cacciatrice seguitando V orme ;
Mostrami ove '1 mio re giaccia fra tanti ,
Che vivendo imitò tnoi stndi santi.
185 La lana, a qnel pregar, la nnbe aperse,
O fosse caso, oppor la tanta fede;
Bella come fd allor ch'ella s'offerse,
E nuda in braccio a Endimìon si diede.
Con Parigi a quel lame si scoperse
L'an campo e l'altro : e'I monte e'I pian si vede:
Si videro i duo colli di lontano,
Martire a destra, e Leri all'altra mano.
186 Rifalse lo splendor molto pii\ chiaro
Ove d'Almonte giacea morto il figlio.
Medoro andò, piangendo, al signor caro;
Che conobbe il qnartier bianco e vermiglio :
E tutto '1 viso gli bagnò d' amaro
Pianto (che n'avea an rio sotto ogni ciglio) ,
In si dolci atti, in si dolci lamenti,
Che potea ad ascoltar fermare i venti;
187 Ma con sommessa voce e appena udita:
Non che riguardi a non si far sentire ,
Perch' abbia alcun pensier della sua vita
(Piuttosto l'odia, e ne vorrebbe uscire);
Ma per timor che non gli sia impedita
L' opera pia che quivi il fé' venire.
Fa il morto re sa gli omeri sospeso
Di tramendui , tra lor partendo il peso.
188 Vanno affrettando i passi quanto ponno,
Sotto l'amata soma che gl'ingombra:
E già venia chi della luce è donno
Le stelle a tor del ciel , di terra l' ombra ;
Quando Zerbino, a cui del petto il sonno
L'alta virtude, ove è bisogno, sgombra.
Cacciato avendo tutta notte i Morì ,
Al campo si traea nei primi albori.
189 E seco alquanti cavalieri avea,
Che videro da lungo i dui compagni.
Ciaseano a quella parte si traea,
Sperandovi trovar prede e guadagni.
Frate, bisogna (Cloridan dicea)
Gittar la soma, e dare opra ai calcagni;
Che sarebbe pensier non troppo accorto ,
Perder duo vivi per salvare un morto.
190 E gittò il circo, perchè si pensava
Che'l suo Medoro il simil far dovesse:
Ma quel meschin, che'l suo signor più amava,
Sopra le spalle sue tutto lo resse.
L' altro con molta fretta se n' andava ,
Come r amico a paro o dietro avesse :
Se sapea di lasciarlo a quella sorte ,
Mille aspettate avria, non ch'una morte.
191 Quei cavalier, con animo disposto
Che questi a render s' abbino o a morire ,
Chi qua, chi là si spargono, ed han tosto
Preso ogni passo onde si possa uscire.
Da loro il capitan poco discosto.
Più degli altri è sollecito a seguire;
Ch'in tal guisa vedendoli temere.
Certo è che sian delle nimiche schiere.
192 Era a quel tempo ivi una selva antica,
D'ombrose piante spessa e di virgulti,
Che , come labirinto , entro s' intrica
Di stretti calli , e sol da bestie culti.
Speran d' averla i duo pagan si amica ,
Ch'abbi' a tenerli entro a' suoi rami occulti.
Ma chi del canto mio piglia diletto ,
Un' altra volta ad ascoltarlo aspetto.
N OT;
St. 1. — Parla al cardinale Ippolito.
St. 6. V. 5. — AìTOndelia , scaglia, come si farebbe
d'an randello.
St. 7. V. 6. — Talaciinanni : coloro che, dall'alto dei
minareti (cosi chiamansi le torricelle annesse alle mo-
schee di Turchia) con alte grida invitano il popolo alle
pubbliche preghiere.
St. 9. V. 5-6. — Poiché l'orza, ecc. Devesi qui inten-
dere per orza la fune che si lega all'antenna a sinistra
del naviglio, la quale i marinai allentano per abbassare
o restringer la vela, allorché ingagliardisce il Coro, cioè
il ponente-maestro.
St. 10. V. 1-2. — Guido. I Gnidi erano due; il più ce-
lebre fu quello di Borgogna. — Salomone, re di Bret-
tagna. — Oanellone o Oano^ il peggiore fira i traditori
della Casa diMaganza: a costui, ri cordato nella nota alla
St.67 del Canto II, attribuirono i romanzieri il tradimento,
onde provenne la rotta sofferta da Carlo a Roncisvalle.
St. 11. V. 3. — Garbino, ed anche Libeccio : vento che
spira fra mezzogiorno e ponente.
St. 17. V. 8. — Da tempo : in tempo.
St. 19. y. 3. — Accaneggiato : che ha i cani addosso.
St. 22. V. 1-2. — Nomade o massile: di Numidia o
di Libia. — La generosa belva , ecc. : il leone.
St. 24. V. 2-4. — Galle o gallozzole : prodotti di al-
beri ghiandiferì ; e per estensione quegli argomenti, come
vesciche o sugheri, di che si servono quelli che imparano
a nuotare, per tenersi a galla sull'acqua. — Anteo: gi-
gante favoloso, che i mitologi narrano aver fabbricato
alcune cittA nell'Africa.
St 28. y. 6. — I nani o le donzelle, negli antichi ro-
manzi di cavalleria, son quelli che fanno per lo più da
messaggi.
ST. 38. v. 8. — Da San Germano infin a San Vit-
tore : il primo è oggi uno de' più ragguardevoli quar-
tieri di Parigi ; l'altro n' ò pure un quartiere ; ambidue
stanno alla sinistra della Senna.
ST. 46. y. 1. — Alierbe, iioletta dell'Africa. — y. 4. Za-
mora , città sulla costa di Barberìa. — Saffi , Sapia ,
città della Barberia nell'impero di Marocco.
St. 47. V. 3. — Mirforda, città d' Inghilterra; cosi
Stanforda per Strafford.
St. 65. y. 6. — Orazio sol, eoe,: il Coclite che, solo,
sul ponte Sublicio , si narra aver fatto fironte all' eser-
cito etrusco, guidato da Porsenna contro Roma.
St. 74. y. 1-8. — Ostro silocco : vento che soffia tra
mezzogiorno e sirocco. — Terra del Surro: l'antica
Tiro, oggi detta Sur o Tsur. — SaffHto , forse Sar-
fand. — Barutti: Bayruth, dove anticamente fiori una
scuola di giurisprudenza. — Tripoli , denominata di
Soria, per distinguerla dall'altra omonima in Barberia.
— ZibellettOt alcuni suppongono essere Diébaih — Tor-
iosa: luogo marittimo, circa trenta miglia a settentrione
di Tripoli. — Lizza o Latakia:g[& Zao(2Ìc'/>a, nominata
nella St. 94 del Canto precedente. — Golfo di Laiazzo:
in antico fu detto sinus Issieus , ed ora più comune-
mente chiamasi golfo di Alessandretta.
St. 77. v. 1-5. — Lidia e Larissa: città sull'Oronte,
intermedie ad Antiochia e a Damasco. — Aleppe o
Aleppo: la Hierapolis o Berrhaea degli antidu,»
Eoik; è tuttavia emporìo di commercio
devole. — Mamuga, pure sull'Oronte, città i
da Tolomeo.
St. 99. V. 1. — Marfisa: guerriera illustre, cfee k
scoprirà in appresso sorella di Ruggiero.
St. 108. y. 6. — iZ vecchiarel già suo diletto: 'Hioie,
figlio di Laomedonte, amato, secondo i mitologi, in sa
gioventù, dall'Aurora, che, fatto vecchio, lo tramato ia
cicala.
St. 106 y. 2. — Pregio: premio.
St. 125. v. 6. — Tesifone : una delle tre Furie ìnAnuIi
St. 135. y. 1-4. — Caracca : sorta di grosso navigì»
mercantile. — Padron : chi ha il comando del navì^is^
— Luna 0 Luni, città marittima etnisca, di cui rertaK
alcune rovine presso Sarzana, d'onde ebbe nome la Li-
nigiana.
St. 136. y. 1-7. — L* isola sacra , ecc : Cipro , dote
onora vasi Venere con culto particolare. — Fùmagosta:
città di quell' isola , a levante , vicina al mare e aOo
stagno di Costanza, che ivi rende l'aria malsana.
St. 143. y. 3-8. — Fraschetto: piccolo strumento da
fiato che rende acutissimo fischio, e di cui fa uso il capo
dell'equipaggio per dar gli ordini alla ciurma. — An-
core da rispetto: àncore che si tengono in sertw pei
gravi pericoli della nave. — Scotta : fané prineipsk
attaccata alla vela, con cui, tirandola o allentalidola,s
I regola il naviglio secondo il bisogno.
! St. 144. y. 4, — Il governo: il timone del naviglio.
Ivi. y. 6. — Verno, tempesta.
St. 143. y. S, — No"^ bada: non indugia.
St. 160. y. 3. — Toi: togli.
St. 156. y. 2. — Pagania, Le regioni abitate dai Pa-
gani ossia dai Maomettani, che nei tempi d'ignoranza,
si confusero con gl'idolatri.
ST. 157. y. 3. — Andologia, Andalusia.
St 158. y. 24. — Biserta: città nel regno di Tnnil
sopra un canale che unisce il mare ad una lagima; e
credesi occupare il luogo dell'antica litica. — Esperta:
sperimentata.
St. 159. y. 3. — Dotta: paura.
St. 163 y. 6. — Stampa: forma sollecitamente.
St. 165. y. 2. — Tolomiita o Tolometta: città marit-
tima dello Stato di Tripoli nel paese di Barca , oggi
detta Tolmyàtah.
St. 178. y. 1-7. — Impasto: non pasciuto, famelioo.
— Non ebe: dal latino hébere: non è ottusa, né si sta
inoperosa.
St. 183. y. 3. — Far vaneggiar: render vana.
St. 184. V. 4. — Sotto più forme: di luna in cielo, di
Diana nelle selve, di Proserpina nellinfémo : cosi i mi-
tologi. — I Cristiani, vedendo nelle bandiere dei Sara-
ceni la mezzaluna, credettero che adorassero fra gli altri
Dei anche Diana , confusa con la Luna Nessuna i
viglia adunque che il poeta metta in bocca al i
Medoro questa preghiera alla Dea triforme, alla Luna.
St. 185. y. 8. — Martire, Montmartre.— Leri, Most-
lery: due colline che sorgono lateralmente a Parigi.
St. 192 V. 4. — Culti : frequentati.
CANTO DECIMOXONO.
Ctoridano e Medoro, 8ùrpri>ai dai nemici Bel pietoso tif-
tìcìD, restano, Fnno L'Stintfi, Taltm ferita) a motte. So-
pm^ viene Angelica , prende cura di Medoro , lo guft'
riseo e ae ne iimamora. Marflsa e i suoi comijagui
approdano nel golfo di Lai&z^o , ad uim oittà gover-
nata dafetnmìne; ed Ivi iateadono una titrana costa-
manza ddlie r€ggitricl MarH^a uccide novo del loro
guern^ri, e combatte duo alla aera col decimo.
Alcun non può saper da diì sia amato ,
Quando felice in su la nwU siede;
Perù e' ha i ren e i tìnti amici a lato,
rive mostran tutti nim medesma fede.
Se poi si cangia In tristo il lieto atoto ,
Volta la turila adnlatrke il piede;
E quel die ili cor ama, ri man forte ,
Ed ama il suo Bignor dopo la morte.
2 Se , come il tìso, si mostrasse il core.
Tal nella corte è grande e gli altri preme,
E U\\ ò in poca grazia al suo signore ^
Che la lor sorte muteriano i insieme.
Quelito iimil (livt'iTÌa ti>!=h> il ni;ujuiiir** ■
Starla quel grande infra le turbe estreme.
Ma torniamo a Medor fedele e grato ,
Che 'n vita e in morte ha il suo si^ore amato.
Cercando già nel più intricato calle
Il giovine infelice di salvarsi;
Ma il grave peso ch'avea su le spalle,
Gii facea uscir tutti i partiti scarsi.
Non conosce il paese, e la via falle;
E torna fra le spine a invilupparsi.
Lungi da lui tratto al sicuro s'era
L'altro, ch'avea la spalla più leggiera.
Cloridan s'è ridutto ove non sente
Di chi segue lo strepito e il rumore :
Ma quando da Medor si vede absente,
Gli pare aver lasciato addietro il core.
Deh come fui , dicea , si negligente ,
Deh come fui si di me stesso fuore,
Che senza te , Medor , qui mi ritrassi ,
Né sa])pia quando o dove io ti lasciassi !
stanza 9.
Cosi dicendo , nella tòrta via
Dell'intricata selva si ricaccia;
Ed onde era venuto si ravvia ,
E toma di sua morte in su la traccia
Ode i cavalli e i gridi tuttavia,
E la nimica voce che minaccia:
All' ultimo ode il suo Medoro , e vede
Che tra molti a cavallo è solo a piede.
Cento a cavallo, e gli son tutti intomo:
Zerbin comanda e grida che sia preso.
L'infelice s'aggira com'un tomo,
E quanto può si tien da lor difeso ,
Or dietro quercia, or olmo, or faggio, or omo;
Né si discosta mai dal caro peso :
L'ha riposato alfin su l'erba, quando
Jtegger noi puote, e gli va intorno errando:
7 Come orsa che l'alpestre cacciatore
Nella pietrosa tana assalita abbia
Sta sopra i figli con incerto core,
E freme in suono di pietà e di rabbia:
Ira la 'nvita e naturai furore
A spiegar l'ugne e a insanguinar le labbia
Amor la'ntenerisce, e la ritira
A riguardare ai figli in mezzo alPira.
8 Cloridan , che non sa come 1' aiuti ,
E eh' esser vuole a morir seco ancora ,
Ma non ch'in morte prima il viver muti,
Che via non trovi ove più d'un ne mora;
Mette su l' arco un de' suoi strali acuti ,
E nascoso con quel si ben lavora.
Che fora ad uno Scotto le cervella,
E senza vita il fa cader di sella.
9 • Volgonsi tutti gli altri a quella banda ,
Ond' era uscito il calamo omicida.
Intanto un altro il Saracin ne manda,
Perchè '1 secondo a lato al primo uccida;
Che mentre in fretta a questo e a quel domaodi
Chi tirato abbia l'arco, e forte grida,
Lo strale arriva , e gli passa la gola ,
E gli taglia pel mezzo la parola.
10 Or Zerbin, ch'era il capitano loro,
Non potè a questo aver più pazienza.
Con ira e con furor venne a Medoro ,
Dicendo : Ne farai tu penitenza.
Stese la mano in quella chioma d'oro,
E strascinollo a sé con violenza:
Ma come gli occhi a quel bel volto mise,
Gli ne venne pietade , e non l' uccise.
11 II giovinetto si rivolse a'prieghi,
E disse: Cavalier, per lo tuo Dio,
Non esser sì cmdel, che tu mi nieghi
Ch' io seppellisca il corpo del re mio.
Non vo' eh' altra pietà per me ti pieghi ,
Né pensi che dì vita abbia disio:
Ho tanta di mia vita, e non più , cura,
Quanta ch'ai mio signor dia sepultura.
12 E se pur pascer vuoi fiere ed augelli ,
Chè'n te il furor sia del teban Creonte,
Fa lor convito dì miei membri, e quelli
Seppellir lascia del figliuol d'Almonte.
Così dicea Medor con modi belli,
E con parole atte a voltare un monte;
E sì commosso già Zerbino avea.
Che d' amor tutto e di pietade ardea.
e A NTO DECIMONONO.
297
13 In questo mezzo un cavalier villano,
Arendo al sno signor poco rispetto ,
Ferì con una lancia sopra mano
Al supplicante il delicato petto.
Spiacque a Zerbin Patto crudele e strano j
Tanto più, che del colpo il giovinetto
Vide cader si sbigottito e smorto,
Che'n tutto giudicò che fosse morto.
16 Seguon gli Scotti ove la guida loro
Per Talta selva alto disdegno mena,
Poiché lasciato ha l'uno e l'altro Moro,
L*un morto in tutto, e l'altro vivo appena.
Giacque gran pezzo il giovine Medoro,
Spicciando il sangue da si larga vena,
Che di sua vita al fin saria venuto,
Se non sopravvenia chi gli die aiuto.
14 E se ne sdegnò in guisa e se ne dolse,
Che disse: Invendicato già non fia;
E pien di mal talento si rivolse
Al cavalier che fé' l' impresa ria :
Ma quel prese vantaggio , e se gli tolse
Dinanzi in un momento , e faggi via.
Clorldan, che Medor vede per terra,
Salta del bosco a discoperta guerra:
stanza 16.
Stanza 17.
17 Gli sopravvenne a caso una donzella,
Avvolta in pastorale ed umil veste ,
Ma di real presenzia , e in viso bella ,
D'alte maniere e accortamente oneste.
Tanto è ch'io non ne dissi più novella,
Ch'appena riconoscer la dovreste:
Questa , se non sapete , Angelica era ,
Del gran Can del Catai la figlia altiera.
15 E getta l'arco, e tutto pien di rabbia
Tra gli nimici il ferro intomo gira ,
Più per morir, che per pensier ch'egli abbia
Di far vendetta che pareggi l'ira.
Del proprio sangue rosseggiar la sabbia
Fra tante spade , e al fin venir si mira ;
E tolto che si sente ogni potere ,
Si lascia accanto al suo Medor cadere.
^8 Poiché '1 suo anello Angelica riebbe,
Di che Brunel l' avea tenuta priva ,
In tanto fasto in tanto orgoglio crebbe,
Ch'esser parea di tutto '1 mondo schiva.
Se ne va sola, e non si degnerebbe
Compagno aver qual più famoso viva:
Si sdegna a rimembrar che già suo amante
Abbi» Orlando nomato o Sacripante.
19 E sopra ogn' altro error via più pentita
Era del ben che già a Rinaldo volse
Troppo parendole essersi avvilita,
Oh' a riguardar si basso gli occhi volse.
Tant' arroganzia avendo Amor sentita,
Più lungamente comportar non volse.
Dove giacea Medor si pose al varco ,
E r aspettò , posto lo strale all' arco.
20 Quando Angelica vide il giovinetto
Languir ferito, assai vicino a morte.
Che del suo re che giacea senza tetto,
Più che del proprio mal, si dolca forte;
Insolita pietade in mezzo al petto
Si sentì entrar per disusate porte,
Che le fé' il duro cor tenero e molle,
E più quando il suo caso egli narrolle.
Stanza dlv
21 E rivocando alla menàoria l'arte
Ch'in India imparò già di chirurgia,
(Che par che questo studio in quella parte
Nobile e degno e di gran laude sia;
E senza molto rivoltar di carte ,
Che '1 patre ai figli ereditario il dia) ,
Si dispose operar con succo d' erbe ,
Ch'a più matura vita lo riserbe.
22 E ricordossi che, passando, avea
Veduta un'erba in una piaggia amena;
Fosse dittamo, o fosse panacea,
0 non so qual di tal effetto piena ,
Che s igna il sangue , e della piaga rea
Leva ugni spasmo e perigliosa pena.
La trovò non lontana; e quella còlta.
Dove lasciato avea Medor , die volta.
23 Nel ritornar s'incontra in un pastore
Ch'a cavallo pel bosco ne veniva
Cercando una giuvenca che già fuore
Duo di di mandra e senza guardia givi.
Seco lo trasse ove perdea il vigore
Medor col sangue che del petto usciva:
E già n'avea di tanto il terren tinto,
Ch'era omai presso a rimanere estinto.
24 Del palafreno Angelica giù scese,
E scendere il pastor seco fece anche.
Pestò con sassi l'erba, indi la prese,
E succo ne cavò fra le man biandie;
Nella piaga n'infuse, e ne distese
E pel petto e pel ventre e fin all'anche*.
E fu di tal virtù questo liquore,
Che stagnò il sangue , e gii tornò il vigore;
25 E gli die forza., che potè salire
Sopra il cavallo che '1 pastor condusse.
Non però volse indi Medor partire ,
Prima ch'in terra il suo signor non fusite.
E Cloridan col re fé' seppellire ;
E poi dove a lei piacque si ridusse:
Ed ella per pietà neU'umil case
Del cortese pastor seco rimase.
26 Né fin che noi tornasse in sanitade,
Volea partir : cosi di lui fé' stima ;
Tanto s'intenerì della pietade
Che n'ebbe, come in terra il vide prima.
Poi , vistone i costumi e la beltade ,
Roder si senti il cor d'ascosa lima;
Roder si senti il core, e a poco a poco
Tutto infiammato d'amoroso fuoco.
27 Stava il pastore in assai buona e bella
Stanza, nel bosco infra duo monti piatta,
Con la moglie e coi figli; ed avea quella
Tutta di nuovo e poco innanzi fatta.
Quivi a Medoro fu per la donzella
La piaga in breve a sanità ritratta;
Ma in minor tempo si senti maggiore
Piaga di questa aver ella nel core.
28 Assai più larga piaga e più profonda
Nel cor senti da non veduto strale,
Che da' begli occhi e dalla testa bionda
Di Medoro avventò l'arcier c'ha l'ale.
Arder si sente , e sempre il fuoco abbonda
E più cura l' altrui che '1 proprio male.
Di so non cura; e non è ad altro intenta.
Ch'a risanar chi lei fere e tormenta.
29 La sua piaga più s'apre e più incrudisce,
Quanto più l'altra si ristringe e salda.
Il giovine si sana; ella languisce
Di nuova febbre, or agghiacciata or calda.
Di giorno in giorno in lui beltà fiorisce ;
La misera si strugge, come falda
Strugger di neve intempestiva suole ,
Ch' in loco aprico abbia scoperta il sole.
30 Se di disio non vuol morir, bisogna
Che senza indugio ella sé stessa aiti:
E ben le par che di quel eh' essa agogna ,
Non sia tempo aspettar eh' altri la 'nviti.
Dunque , rotto ogni freno di vergogna ,
La lingua ebbe non men che gli occhi arditi;
E di quel colpo domandò mercede ,
Che , forse non sapendo , esso le diede.
Stanza 33.
31 0 conte Orlando, o re di Circassia,
Vostra inclita virtù, dite, che giova?
Vostro alto onor, dite, in che prezzo sia?
0 che mercè vostro servir ritrova?
Mostratemi uaa sola cortesia
Che mai costei v'usasse, o vecchia o nuova,
Per ricompensa e guiderdone e merto
Di quanto avete già per lei sofferto.
d2 Oh se potessi ritornar mai vivo ,
Quanto ti parria duro, o re Agricane!
Che già mostrò costei si averti a schivo
Con repulse crudeli ed inumane.
0 Ferraù, o mille altri ch'io non scrivo.
Ch'avete fatto mille prove vane
Per questa ingrata, quanto aspro vi fora
S' a costu' in braccio voi la vedeste ora !
33 Angelica a Medor la prima rosa
Coglier lasciò, non ancor tocca innante:
Né persona fu mai sì avventurosa ,
ChMn quel giardin potesse por le piante.
Per adombrar, pel- onestar la cosa.
Si celebrò con cerimonie sante
Il matrimonio, ch'auspice ebbe Amore,
E pronuba la moglie del pastore.
34 Férsi le nozze sotto air umil tetto
Le più solenni che vi potean farsi ;
E più d' un mese poi stero a diletto
I duo tranquilli amanti a ricrearsi.
Più lunge non vedea del giovinetto
La donna , né di lui potea saziarsi ;
Né , per mai sempre pendergli dal collo ,
II suo desir sentia di lui satollo.
1^
^'ri:^^^^^^^
Stanza 35.
35 Se stava all'ombra, o se del tetto usciva,
Avea di e notte il bel' giovine a lato ;
Mattino e sera or questa or quella riva
Cercando andava, o qualche verde prato:
Nel mezzo giorno un antro li copriva,
Forse non men di quel comodo e grato,
Ch' ebber , fuggendo V acque , Enea e Dido ,
DeMor secreti testimonio fido.
37 Poiché le parve aver fatto soggiorno
Quivi più ch'abbastanza, fé' disegno
Di fare in India del Catai ritomo,
E Medor coronar del suo bel regno.
Portava al braccio un cerchio d' oro , adorno
Di ricche gemme , in testimonio e segno
Del ben che '1 conte Orlando le volea ;
E portato gran tempo ve l'avea.
36 Fra piacer tanti, ovunque un arbor dritto
Vedesse ombrare o fonte o rivo puro,
V'avea spillo o coltel subito fitto:
Cosi se v'era alcun sasso men duro.
Ed era fuori in mille luoghi scritto,
E cosi in casa in altri tanti il muro,
Angelica e Medoro , in vari modi
Legati insieme di diversi nodi.
8 Quel donò già Morgana a Ziliante
Nel tempo che nel lago ascoso il tenne;
Ed esso, poi ch'ai padre Monodante
Per opra e per virtù d'Orlando venne.
Lo diede a Orlando: Orlando ch'era amante.
Di porsi al braccio il cerchio d'or sostenne.
Avendo disegnato di donarlo
Alla regina sua, di ch'io vi parlo.
B9 Non per amor del paladino, quanto
Perch^era ricco e d'artifìcio egregio,
Caro avuto l' avea la donna tanto ,
Che più non si può aver cosa di pregio.
Se lo serbò nelP isola del pianto,
Non 80 già dirvi con che privilegio,
X.à dove esposta al marin mostro nuda
Fu dalla gente inospitale e cruda.
40 Quivi non si trovando altra mercede
Oh' al buon pastore ed alla moglie dessi ,
Che serviti gli avea con si gran fede
Dal di che nel suo albergo si fur messi;
Levò dal braccio il cerchio , e gli lo diede ,
E volse per suo amor che lo tenessi:
Indi saliron verso la montagna
Che divide la Francia dalla Spagna.
Stanza 35.
41 Dentro a Valenza o dentro a Barcellona
Per qualche giorno avean pensato porsi,
Finché accadesse alcuna nave buona,
Che per Levante apparecchiasse a sciorsi.
Videro il mar scoprir sotto a Girona
Nel calar giù delli montani dorsi;
E costeggiando a man sinistra il lito ,
A Barcellona Pndàr pel cammin trito.
42 Ma non vi giunser, prima ch'un uom pazzo
Giacer trovare in su l'estreme arene
Che , come porco , di loto e di guazzo
Tutto era brutto , e volto e petto e schene.
Costui si scagliò lor, come cagnazzo
Ch'assalir forestier subito viene;
E die lor noia, e fu per far lor scorno.
Ma di Marfisa a ricontar vi torno.
43 Di Marfisa, d^ Astolfo, d' Aquilante ,
Di Grifone e degli altri io vi vo'dire,
Che travagliati , e con la morte innante ,
Mal si potean incontra il mar schermire :
Che sempre più superba e più arrogante
Crescea fortuna le minacce e P ire ;
E già durato era tre di lo sdegno ,
Né di placarsi ancor mostrava segno.
44 Castello e ballador spezza e fracassa
L' onda nimica e '1 vento ognor più fiero :
Se parte ritta il verno pur ne lassa ,
La taglia, e dona ni mar tutta il nocchiero.
Chi sta col capo chino in una cassa
Su la carta appuntando il suo sentiero
A lume di lanterna piccolina ,
E chi col torchio giù nella sentina.
45 Un sotto poppe, un altro sotto prora
Si tiene innanzi V oriuol da polve ;
E toma a rivedere ogni mezz'ora
Quanto è già corso , ed a che via si voi ve.
Indi ciascun con la sua carta fuora
A mezza nave il suo parer risolve ,
Là dove a un tempo i marinari tutti
Sono a consiglio del padron ridutti.
4^ Chi dice: Sopra Limissò venuti
Siamo , per quel eh' io trovo , alle seccagne ;
Chi: Di Tripoli appresso i sassi acuti,
Dove il mar le più volte i legni fragne.
Chi dice : Siamo in Satalia perduti ,
Per cui più d'un nocchier sospira e piagne.
Ciascun secondo il parer suo argomenta;
Ma tutti ugual timor preme e sgomenta.
47 II terzo giorno con maggior dispetto
Gli assale il vento, e il mar più irato fìreme;
E r un ne spezza e portane 51 trinchetto,
E '1 timon r altro , e chi lo volge insieme.
Ben è di forte e di marmoreo petto,
E più duro ch'acciar, chi ora non teme.
Marfisa, che già fu tanto sicura,
Non negò che quel giorno .ebbe paura.
48 Al monte Sinai fu peregrino ,
A Galizia promesso, a Cipro, a Roma,
Al Sepolcro , alla Vergine d' Ettino ,
E se celebre luogo altro si noma.
Sul mare intanto , e spesso al ciel vicino ,
L' afflitto e conquassato legno toma ,
Di cui per men travaglio avea il padrone
Fatto l'arbor tagliar dell'artimone.
49 E colli e casse e ciò che v' è di grave
Gitta da prora e da poppa e da sponde;
E fa tutte sgombrar camere e gìave ,
E dar le ricche merci all'avide onde.
Altri attende alle trombe , e a tor di naire
L'acque importune, e il mir nel mar rifonde:
Soccorre altri in sentina, ovanqae appare
Legno da legno aver sdrucito il mare.
60 Stero in questo travaglio, in qaasta peu
Ben quattro giorni , e non avean piò sdienK»:
E n'avrìa avuto il mar vittoria piena,
Poco più che '1 furor tenesse ferma :
Ma diede speme lor d' aria serena
La disiata luce di Santo Ermo ,
Ch'in prua s'una cocchina a por si venne;
Che più non v'erano arbori né antenne.
51 Veduto fiammeggiar la bella £ELce,
S' inginocchiare tutti i naviganti ;
E domandare il mar tranquillo e pace
Con umidi occhi e con voci tremanti.
Li tempesta crudel, che pertinace
Fu sin allora , non andò più innanti :
Maestro o traversia più non molesta ,
E tiranno del mar libeccio resta.
52 Questo resta sul mar tanto possente
E dalla negra bocca in modo esala ,
Ed è con lui si rapido il torrente
Dell'agitato mar ch'in fretta cala,
Che porta il legno più velocemente ,
Che pellegrin falcon mai facesse ala ,
Con timor del nocchier, ch'ai fin del mondo
Non lo trasporti, o rompa, o cacci al fondo.
53 Rimedio a questo il buon nocchier ritrova
Che comanda gittar per poppa spere ;
E caluma la gomena , e fi» prova
Di duo terzi del corso ritenere.
Questo consiglio , e più l' augurio giova
Di chi avea acceso in proda le lumiere :
Questo il legno salvò, che perla forse,
E fé' eh' in alto mar sicuro corse.
54 Nel golfo di Laiazzo invér Sona
Sopra una gran città si trovò sorto ,
E si vicino al lite , che scoprìa
L' uno e l' altro Castel che serra il porto.
Come il padron s'accorse della via
Che fatto avea, ritornò in viso smorto;
Che né porto pigliar quivi volea ,
Né stare in alto, né fuggir potea.
55 Né potea stare in alto , né foggile :
Che gii arbori e P antenne avea perdute.
Eran tavole e travi pel ferire
Del mar sdrucite , macere e sbattute.
E'I pigliar porto era un voler morire,
O perpetuo legarsi in servitute;
Che riman serva ogni persona, o morta,
Che quivi errore o ria fortuna porta.
56 E '1 stare in dubbio era con gran periglio
Che non salisscr genti della terra
Con legni armati, e al suo desson di piglio,
Mal atto a star sul mar, non ch'a far guerra.
Mentre il padron non sa pigliar consiglio,
Fu domandato da quel d^ Inghilterra ,
Che gli tenea si l' animo sospeso ,
E perchè già non avea il porto preso.
Stanza 65.
57 II padron narrò lui che quella riva
Tutta tenean le femmine omicide.
Di cui V antiqua legge , ognun cb' arriva ,
In perpetuo tien servo , o che V uccide :
E questa sorte solamente schiva
Chi nel campo dieci uomini conquide ,
E poi la notte può assaggiar nel letto
Diece donzelle con carnai diletto.
58 E se la prima pruova gli vien fatta,
£ non fornisca la seconda poi,
Egli vien morto; e chi è con lui si tratta
Da zappatore, o da guardian di buoi.
Se di far Tuno e l'altro è persona atta,
Impetra libertade a tutti i suoi;
A sé non già , e' ha da restar marito
Di diece donne, elette a suo appetito.
59 Non potè udire Astolfo senza risa
DeUa vicina terra il rito strano.
Sopravvien Sansonetto , e poi Marfisa ,
Indi Aquilante, e seco il suo germano.
Il padron parimente lor divisa
La causa che dal porto il tien Jontano :
Voglio ,^>dicea che innanzi il mar m'affoghi
Ch* io senta mai di servitute i gioghi.
60 Del parer del padrone i marinari
E tutti gli altri naviganti furo :
Ma Marfisa e' compagni eran contrari;
Che , più che l' acque , il lito avean sicuro.
Via più il vedersi intorno irati i mari ,
Che cento mila spade, era lor duro.
Parca lor questo e ciascun altro loco ,
Dov'arme usar potean, da temer poco.
804
ORLANDO PUBIOSO.
61 Bramavano i guerrier venire a proda;
Ma con maggior baldanza il duca inglese ,
Che sa , come del corno il rumor s* oda ,
Sgombrar dintorno si farà il paese.
Pigliare il porto Tuna parte loda,
E r altra il biasma, e sono alle contese;.
Ma la più forte in guisa il padron stringe ,
Oh* al porto , suo mal grado , il legno spinge.
stanza 66.
62 Già, quando prima s'erano alla vista
Della città crudel sul mar scoperti ,
Veduto aveano una galea provvista
Di molta ciurma e di nocchieri esperti
Venire al dritto a ritrovar la trista
Nave, confusa di consigli incerti;
Che, Talta prora alle sue poppe basse
Legando , fuor dell' empio mar la trasse.
63 Entrar nel porto remorchìando , e a fona
Di remi più che per favor di vele;
Perocché T alternar di poggia e d' oiza
Avea levato il vento lor crudele.
Intanto ripigliar la dura scorza
I cavalieri , e il brando lór fedele ;
Ed al padrone ed a ciascun che teme ,
Non cessan dar con lor conforti siieme.
64 Fatto è'I porto a sembianza d^ana luaa,
E gira più di quattro nuglia intomo:
Seicento passi è in bocca , ed in cìascana
Parte una ròcca ha nel finir del corno.
Non teme alcuno assalto di fortuna,
Se non quando gli vien dal mezzogiorno.
A guisa di teatro se gli stende
La città a cerco, e verso il poggio ascende.
65 Non fu quivi si tosto il legno sorto
(Già l'avviso era per tutta la terra).
Che fur sei mila femmine sul porto ,
Con gli archi in mano in abito di guerra:
E per tdr della fuga ogni conforto ,
Tra l'una rócca e l'altra il mar si serra:
Da navi e da catene fu rinchiuso,
Che tenean sempre instrutte a cotal uso.
66 Una che d' anni alla Cumea d' Apollo
Potè uguagliarsi e alla madre d' Ettorre
Fé' chiamare il padrone, e domandollo
Se si volean lasciar la vita tórre ,
0 se voleano pur al giogo il collo ,
Secondo la costuma, sottoporre.
Degli due l'uno aveano a tórre: o qoivi
Tutti morire , o rimaner captivi.
67 Gli è ver, dicea, che s'uom si ritrovasse
Tra voi cosi animoso e cosi forte ,
Che centra dieci nostri uomini osasse
Prender battaglia, e desse lor Li morte ,
E far con diece femmine bastasse
Per una notte ufficio di consorte;
Egli si rimarria principe nostro ,
E gir voi ne potreste al cammin vostro.
68 E sarà in vostro arbitrio il restar anco,
Vogliate 0 tutti o parte; ma con patto
Che chi vorrà restare , e restar franco ,
Marito sia per diece femmine atto.
Ma quando il guerrier vostro possa manco
Dei dieci che gli fian nemici a un tratto,
0 la seconda prova non fornisca,
Vogliam voi siate schiavi, egli perisca.
69 Dove la vecchia ritrovar timore
Credea nei cavalier, trovò baldanza;
Che ciascun si tenea tal feritore,
Che fornir Tono e l'altro avoa speranza;
Ed a Marfisa non mancava il core ,
Benché mal atta alla seconda danza;
Ma dove non V aitasse la natura ,
Con la spada supplir stava sicura.
75 Non vo^mai più che forestier si lagni
Di questa terra, finché ^1 mondo dura
Cosi disse; e non poterò i compagni
Torle quel che le dava sua avventura.
Dunque o eh' in tutto perda , o lor guadagni
La libertà, le lasciano la cura.
Ella di piastre già guemita e maglia ,
S' appresentò nel campo alla battaglia.
70 Al padron fu commessa la risposta,
Prima conchiusa per comun consiglio:
Ch'avean chi lor potrìa di sé a lor posta
Nella piazza e nel letto far periglio.
Levan V offese , ed il nocchier s^ accosta ,
Getta la fune , e le fa dar di piglio :
E fa acconciare il ponte, onde i guerrieri
Escono armati e tranne i lor destrieri.
76 Gira una piazza al sommo della terra,
Di gradi a seder atti intomo chiusa;
Che solamente a giostre , a simil guerra ,
A caccie, a lotte, e non ad altro s^usa:
Quattro porte ha di bronzo, onde si serra.
Quivi la moltitudine confusa
Deir armigere femmine si trasse;
E poi fu detto a Marfisa ch'entrasse.
71 E quindi van per mezzo la cittade,
E vi ritrovan le donzelle altiere ,
Succinte cavalcar per le contrade,
Ed in piazza armeggiar come guerriere.
Né calzar quivi spron, né cinger spade,
Né cosa d'arme pdn gli uomini avere,
Se non dieci alla volta, per rif>petto
Dell'antiqua costuma ch'io v'ho detto.
77 • Entrò Marfisa s' un destrier leardo ,
Tutto sparso di macchie e di rotelle ,
Di picciol capo e d' animoso sguardo ,
D'andar superbo e di fattezze belle.
Pel maggior e più vago e più gagliardo,
Di mille che n'avea con briglie e selle.
Scelse in Damasco , e realmente ornollo ,
Ed a Marfisa Norandin donollo.
72 Tutti gli altri alla spola, all'ago, al fuso,
Al pettine ed all' aspo sono intenti ,
Con vesti femminil che vanno giuso
Insin al pie, che gli fa molli e lenti.
Si tengono in catena alcuni ad uso
D' arar la terra , o di guardar gli armenti.
Son pochi i maschi, e non son ben, per mille
Femmine , cento , fra cittadi e ville.
78 Da mezzogiorno e dalla porta d'Austro
Entrò Marfisa ; e non vi stette guari ,
Ch'appropinquare e risonar pel ckiustro
Udì di trombe acuti suoni e chiari:
E vide poi di verso il freddo plaustro
Entrar nel cimpo i dieci suoi contrari.
Il primo cavalier ch'apparve innante,
Di valer tutto il resto avea sembiante.
73 Volendo tórre i cavalieri a sorte
Chi di lor debba per comune scampo
L'una decina in piazza porre a morte,
E poi l'altra ferir nell'altro campo:
Non disegnavan di Marfisa forte ,
Stimando che trovar dovesse inciampo
Nella seconda giostra della sera;
Ch'ad averne vittoria abil non era:
79 Quel venne in piazza sopra un gran destriero
Che, fuor chMn fronte e nel pie dietro manco,
Era , più che mai corvo , oscuro e nero :
Nel pie e nel capo avea alcun pelo bianco.
Del color del cavallo il cavaliero
Vestito, volea dir che, come manco
Dell'oscuro era'l chiaro, era altrettanto
11 riso in lui , verso l'oscuro pianto.
74 Ma con gli altri esser volse ella sortita.
Or sopra lei la sorte in somma cade.
Ella dicea: Prima v'ho a por la vita.
Che v'abbiate a por voi la libertade.
Ma questa spada (e lor la spada addita
Che cinta avea) vi do per securtade
Ch'io vi sciorrò tutti gì' intrichi, al modo
Che fé' Alessandro il gordiano nodo.
80 Dato che fu della battaglia il segno ,
Nove guerrier l'aste chinaro a un tratto:
Ma quel dal nero ebbe il vantaggio a sdegno.
Si ritirò, né di giostrar fece atto.
Vuol eh' alle leggi innanzi di quel regno ,
Ch'alia sua cortesia, sia contraffatto.
Si tra' da parte , e sta a veder le prove
Ch'una sola asta farà centra a nove.
stanza 76.
81 II destrier, ch'avea andar trito e soave,
Portò air incontro la donzella in fretta,
Che nel corso arrestò lancia sì grave ,
Ohe quattro uomini avriano a pena retta.
L^avea pur dianzi al dismontar di nave
Per la più salda in molte ant€nne eletta.
Il fier sembiante , con eh' ella si mosse ,
Mille faccie imbiancò, mille cor scosse.
82 Aperse, al primo che trovò, sì il petto ^
Che fora assai se fosse stato nudo :
Gli passò la corazza e il soprappetto .
Ma prima un ben ferrato e grosso scudo.
Dietro le spalle un braccio il ferro netto
Si vide uscir; tanto fu il colpo crudo.
Quel fìtto nella lancia addietro lassi,
E sopra gli altri a tutta briglia passa:
stanza 57
83 E diede l' orto a ohi Tenia seooudo ,
Ed a chi terzo si terribil botta,
Che rotto nella schena nscir del mondo
Fa' r uno e T altro, e delia sella a annotta
Si duro fu rincontro e di tal pondo,
Si stretta insieme ne venia la frotta.
Ho veduto bombarde a qnella gnisa
Le squadre aprir , che fé' lo stuol Marfisa.
84 Sopra di lei più lance rotte furo ;
Ma tanto a quelli colpi ella si mosse,
Quanto nel ginoco delle cacce nn muro
Si muova a colpi delle palle grosse.
L'usbergo suo di tempra era sì duro,
Che non gli potean contra le percosse;
E per incanto al foco dell' inferno
Cotto , e temprato all' acque fu d' Avemo.
85 Al fin del campo il destrier tenne, e volse,
E fermò alquanto , e in fretta poi lo spin-^e
Incontra gli altri, e sbaragliolli e sciolse ,
E di lor sangue insin all'elsa tinse.
All'uno il capo, all'altro il braccio tolse;
E un altro in guisa con la spada cinse,
Che'l petto in terra andò col capo ed ambe
Le braccia, e in sella il ventre era e le gambe.
86 Lo parti , dico , per dritta misura ,
Delle coste e dell'anche alle confine,
E lo fé' rimaner mezza figura,
Qual dinanzi all' immagini divine ,
Poste d' argento , e più di cera pura
Son da genti lontane e da vicine,
Ch'a ringraziarle, e sciorre il voto vanno
Delle domande pie ch'ottenute hanno.
87 Ad uno che fuggia dietro si mise,
Né fu a mezzo la piazza , che lo giunse ;
E '1 capo e '1 collo in modo gli divise ,
Che medico mai più non lo raggiunse.
ìm ggmmn tutti , un dopo l' altro , uccise ,
0 ferì sì , eh' ogni vigor rf enreme i
E fu sicura che levar di terra
Mai più non si potrìan per farle guerra.
88 Stato era il cavalier sempre in un canto,
Che la decina in piazza avea condutta;
Perocché contra un solo andar con tanto
Vantaggio , opra gli parve iniqua e brutta.
Or che per una man torsi da canto
Vide sì tosto la compagnia tutta,
Per dimostrar che la tardanza fosse
Cortesia stata , e non timor , si mosse.
89 Con man fé' cenno di volere , innanti
Che facesse altro , alcuna cosa dire ;
E non pensando in si vlril sembianti
Che s' avesse una vergine a coprire ,
Le disse: Cavaliero, ornai di tanti
Esser dèi stanco , e' hai fatto morire ;
E s' io volessi , più di quel che sei ,
Stancarti ancor, discortesia farei.
90 Che ti riposi insino al giorno nuovo,
E doman tomi in campo, ti concedo.
Non mi fia onor se teco oggi mi pruovo ;
Che travagliato e lasso esser ti credo.
Il travagliare in arme non m* é nuòvo ,
Né per sì poco alla fatica cedo
(Disse Marfisa); e spero ch'a tuo costo
Io ti farò di questo avveder tosto.
91 Della cortese offerta ti ringrazio ,
Ma riposare ancor non mi bisogna ,
E ci avanza del giorno tanto spazio ,
Ch'a porlo tutto in ozio è pur vergogna.
Rispose il cavalier: Fuss'io sì sazio
D'ogn' altra cosa che'l mio core agogna,
Come t'ho in questo da saziar; ma vedi
Che non ti manchi il dì più che non credi.
92 Così diss' egli , e fé' portare in fretta
Due grosse lance, anzi due gravi antenne;
Ed a Marfisa dar ne fé' 1* eletta :
Tolse l' altra per sé , eh' indietro venne.
Già sono in punto, ed altro non s'aspetta
Ch'un alto suon che lor la giostra accenne
Ecco la terra e l'aria e il mar rimbomba
Nel muover loro al primo suon di tromba.
93 Trar fiato , bocci aprir , o battere occli
Non si vedea de' riguardanti alcuno;
Tanto a mirare a chi la palma tocchi
Dei duo campioni, intdsnto era ciascuno.
Marfisa , acciò che dell' arcioa trabocchi
8i , die mai non si levi il guerrier bruno ,
Drizza la lancia; e il guerrier bruno forte
Studia non men di por Marfisa a morte.
94 Le lance ambe di secco e suttil salce.
Non di Cerro sembrar grosso ed acerbo,
Cosi n' andaro in tronchi fin al calce ;
E l'incontro ai destrier fu sì superbo,
Che parimente parve da una falce
Delle gambe esser lor tronco ogni nerbo.
Cadèro ambi ugualmente: ma i campioni
Fur presti a disbrigarsi dagli arcioni.
95 A mille cavalieri , alla sua vita ,
Al prìmo incontro area la sella tolta
Marfisa , ed ella mai non n^ era uscita ;
E n'uscì, come udite, a questa volta.
Del caso strano non pur sbigottita,
Ma quasi fu per rimanerne stolta.
Parve anco strano al cavalier dal nero ,
Che non solca cader già di leggiero.
96 Tocca avean nel cader la terra appena,
Che furo in piedi, e rinnovar l'assalto.
Tiigli e punte a furor quivi si mena:
Quivi ripara or scudo , or lama , or salto.
Vada la botta vota, o vada piena,
L' aria ne stride , e ne risuona in alto.
Quelli elmi , quelli usberghi , quelli scudi
Mostrar ch'erano saldi più ch'incudi.
97 Se dell'aspra donzella il braccio è grave,
Né quel del cavalier nimico è lieve.
Ben la misura ugual l'un dall'altro ave:
Quanto appunto l'un dà, tanto riceve.
Chi vuol due fiere audaci anime brave,
Cercar più là di queste due non deve ,
Né cercar più destrezza né più possa;
Che n'hau tra lor quanto più aver si possa.
101 La battaglia durò fin alla sera,
Né chi avesse anco.il meglio era palese:
Ne l'un né l'altro più senza lamiera
Saputo avria come schivar V offese.
Giunta la notte, all'inclita guerriera
Fu il primo a dir il cavalier cortese:
Che farem , poi che con ugual fortuna
N'ha sopraggiunti la notte importuna?
102 Meglio mi par che'l viver tno prolungLi
Almeno insino a tanto che s'aggiorni
Io non posso concederti che aggiunghi
Fuorché una notte piccola a' tuoi giorni
E di ciò che non gli abbi aver più Inoglti,
La colpa sopra a me non vo'che tomi:
Tomi pur sopra alla spietata legge
Del sesso femminil che'l loco regge.
103 Se di te ducimi e di quest'altri tuoi,
Lo sa Colui che nulla cosa ha oscura.
Con tuoi compagni star meco tu puoi:
Con altri non avrai stanza sicura;
Perché la turba, a cu'i mariti suoi
Oggi uccisi hai, già centra te congiura.
Ciascun di questi, a cui dato hai la morte,
Era di diece femmine consorte.
98 Le donne che gran pezzo mirato hanno
Continuar tante percosse orrende ,
E che nei cavalier segno d' alTanno
E di stanchezza ancor non si comprende.
Dei duo miglior guerrier lode lor danno,
Che sien tra quanto il mar sua braccia estende.
Par lor che , se non fosser più che forti,
Esser dovrian sol del travaglio morti.
99 Ragionando tra sé, dicea Marfisa:
Buon fu per me, che costui non si mosse;
Ch'andava a risco di restame uccisa,
Se dianzi stato coi compagni fosse.
Quando io mi trovo appena a questa guisa
Di potergli star centra alle percosse.
Cosi dice Maifisa; e tuttavolta
Non resta di menar la spada in volta.
100 Buon fu per me, dicea quell'altro ancora.
Che riposar costui non ho lasciato:
Difender me ne posso a fatica ora
Che della prima pugna é travagliato.
Se fin al nuovo di facea dimora
A ripigliar vigor , che saria stato ?
Ventura ebbi io, quanto più possa aversi,
Ohe non voliesse tor quel ch'io gli offersi
104 Del danno ch'han da te ricevut'oggi,
Disian novanta femmine vendetta;
Sì che, se meco ad albergar non poggi,
Questa notte assalito esser t'aspetta.
Disse Marfisa : Accetto che m'alloggi ,
Con sicurtà che non sia men perfetta
In te la fede e la bontà del core,
Che sia l'ardire e il corporal valore;
105 Ma che t' incresca che m'abbi ad uecidere.
Ben ti può increscere anco del contrario.
Fin qui non credo che l'abbi da ridere,
Perch'io sia men di te duro avversario.
0 la pugna seguir vogli o dividere,
0 farla all'uno o all'altro luminano.
Ad ogni cenno pronta tu m'avrai,
E come ed ogni volta che vorrai
106 Cosi fu differita la tenzone
Finché di Gange uscisse il nuovo albore;
E si restò senza conclusione
Chi d' essi duo guerrier fosse il migliore.
Ad Aquilante venne ed a Grifone,
E così agli altri il liberal signore;
E li pregò che fino al nuovo giorno
Piacesse lor di far seco soggiorno-
107 Tenner lo*Hvito senza alcun sospetto;
Indi, a splendor di bianchi torchi ardenti,
Tutti salirò ov*era an real tetto,
Distinto in molti adorni alloggiamenti.
Stupefatti al levarsi delP elmetto,
Mirandosi , restaro i combattenti ,
Chè'l cavalier, per quanto apparea faora,
Non eccedeva i dìciotto anni ancora.
108 Si maraviglia la donzella, come
In arme tanto un giovinetto vaglia;
Si maraviglia T altro ch^alle chiome
S* avvede con chi avea fatto battaglia :
E si domandan Tun con 1* altro il nome;
E tal debito tosto si ragguaglia.
Ma come si nomasse il giovinetto ,
* NelU altro Canto ad asciltar v'aspetto.
N OTIL
St. a. V. 5. — Falle, sbaglia.
St. 9. V. 2. — Calamo, canna: qai freccia.
St. 12. v. 2. — Del teban Creonte. Costui , dopo la
morte dei suoi nipoti , vietò che loro fosse data sepol-
tura ; e dannò a morte Antigone che, mossa da fi-atemo
amore per Polinice, rappe il divieto.
St. 22. V. 3. — Panacea ; pianta odorosa , dalla cui
radice e gambo intagliati stilla Toppoponaco ; figurata-
mente prendesi per farmaco universale.
St. <3. V. 7-8. ~ Auspice era presso 1 Latini colui
che conciliava il matrimonio ; e assisteva ali* nomo in
tutte le cerimonie che si usavano nel celebrarlo. Lo
stesso ufficio faceva per parte della donna la pro-
nuba.
St. 37. V. 3. — India del Catai. Col nome d'India si
designarono tutti i paesi dell'estremo oriente, compre-
savi anche la Cina; della quale il Catai era propria-
mente la parte settentrionale.
St. 44. V. 1-3. — Castello e ballador, ecc. — Si é spie-
gato più addietro che sia il castello di nave : balladore
dicesi nn luogo praticabile, che sporge airinfkiori in una
o in ambedue Testremità del navìglio. — Verno: qui la
procella.
St. 46. V. 1-5. — LinUssò : luogo dell' isola di Cipro,
in fondo di una piccola baia tra Larnaca e Capogatto ;
ed è VAmathus degli antichi. — Seceagne: secche, bassi
fondi
St. 47. V. 3. — Trinchetto : vela triangoligre che spie-
gasi esteriormente al naviglio, e si raccomanda al bom-
presso, cioè all'albero sporgente fuori della prora.
St. 48. V 1-8. — Fu peregrino promesso : fu fatto
voto di pellegrinaggio al binai, ecc. — Alla Vergine
d*EtHno. Il Pomari accenna questo santuario, sotto il
nome di Utino, nel Friuli dov* era Aquileia, e cita due
versi del Sabellico; altri lo ha creduto in Candia; ma
sembra che, anche non molto dopo la morte deirAutore,
non se ne avesse sicura notizia. — Toma : da tomare,
cadere col capo all'ingiù; qui significa l'alterno abbas-
sarsi e sollevarsi dall'un de' capi, che fa un naviglio in
burrasca. — Albero deW artimone , altrimenti albero
di mezzana : quello che sostiene la maggior vela della
nave.
St. 49. V. 1-7. — Colli: fardelli di merci. — Giare:
parti del naviglio ove si custodiscono gli attrezzi.
St. 50. V. 6-7. — Luce di «Sant'enfio; meteora lumi-
nosa, che suol farsi vedere sulle cime degli alberi , o
sulle antenne, allorché la tempesta ò vicina a cedere. —
Cocchina : attrezzo marinaresco, piccola antenna sulla
prora, a cui talvolta si lega il trinchetto in tempo di
burrasca.
St. 51. V. 7. -* Traversia : forte agitazione del mare
che continua, anche dopo rallentata la furia della tem-
pesta.
St. 53. V. 2-6. — Spere: fiistelli di legno legati in-
sieme ohe si gettavano in mare, attaccati alla nave, per
diminuirne il corso. — Caluma la gomona : sospende
nell'acqua l' Ancora attaccata alla gomena; e ciò per
accrescere la resistenza all'impeto della nave. -^ Lelit-
miere : la meteora luminosa, di cui sopra si è detto.
St. 54. V. 1. — Golfo di Laiaszo, L'antico Sinus Is-
sicus. Isso città célèbre per la battaglia vinta da Ales-
sandro contro Dario ; ò detta ora Aiazzo e Laiazzo. Il
golfo dicesi ora Aleasandretta.
St. 56. V. 2. — Salissero. Salire, qui usato alla spa-
gnola per uscire,
St. 57. V. 8. — Oli antichi lasciarono memoria d* un
regno delle Amazzoni, in riva al fiume Termodonte.
St. 70. V. 4-6. — Far periglio: far prova.
St. 74. V. 8. ~ H gordiano nodo : nodo fatto da Gordio,
agricoltore che divenne poi re di Frigia. Dipendendo
l'acquisto dell'impero d'Asia dallo sciogliere quel nodo
intricatissimo, Alessandro Magno, per desbrigarsene, lo
tagliò con la spada.
St. 78. y. b. — Il freddo plaustro : la costellazione
dell'Orsa, detta altresì carro di Boote, che si volge in-
tomo al polo boreale.
St. 83. V. 4. — A un* otta: ann'ora, nello stesso tempo.
St. 85. V. 6. — Cinse : qui tagliò di netto.
St. 87. V. 6. — Emunse: fiaccò.
St. 105. V. 6. — AW uno o airaltro luminario : al
lume del sole e della luna : di giorno o di notte.
St. 106. V. 2. — Il Gange, fiume dell'India, essendo a
Oriente può dirai, poeticamente, che il sole esce da quello.
Lo disse anche Dante (Air., 0. 11).
CANTO VENTESIMO.
Jl LÌt-ejìnu gLif^mera, con coi MarBm ba t ombatlato ÌB«
li uottfit Jc iii maìiife^a per Qnjdoti Selvaggio ,
t'amii^lia. «U C] liui'aiii otite, & 1^ uà ira l 'origlile del ài n»
i-ci?)tumiiiLZLi, m ijiteiiuU lì^ìlA citta. MarAc» e i *
ji:ìj;iii si ai^^i iuKono a |ifti1ii-iie p*^r form d'arme, Asloil&
liù iÌEilu tiì l'orno, e tutti fciggtjuo F{Mixi?ttt&ti. Mtr&a
HIT iva, in Francia, «4 incontra hi vt^crhia Cj^ibntii^ eia
uLishi.Ie LFisuldlik; » ai' compagna coìl ]«i, ed abbatte
l'iniLljE.']lo; ti'u\a ijuiótli Zerbino, lo gvtla dairviì^mc,
i- gli Jh iij gujirJia 0 abrina.
Lt^ iloiiLi^ antique ÌJauuu niirabil cose
Flltio lieti" arme e nelle sacre moBe;
K (li lur upre be]le e glorioae
liniii luiiju in tutto il munda si difltise.
Arpa li ire v L':iHiilla si,u fumose j
Perchè in battaglia erano esperte ed use;
Saffo e Corinna, perchè furon dotte,
Splendono illustri, e mai Loii veggou notte.
2 Le donne son venute in eccellenza
Di ciascun' arte , ove hanno posto cura ;
E qualunque all'istorie abbia avvertenza,
Ne sente ancor la ìmùa non oscura.
Se 'I mondo n' è gran tempo stato senza ,
Non però sempre il mal' influsso dura ;
E forse ascosi bau lor debiti onori
L'invidia, o il non saper degli scrittori.
3 Ben mi par di veder di' al secol nostro
Tanta virtù fra belle donne emerga ,
Che può dare opra a carte et ad inchiostro,
Perchè nei futuri anni si disperga ,
E perchè , odiose lingue , il mal dir vostro
Con vostra eterna infamia si sommerga;
E le lor lode appariranno in guisa ,
Che di gran lunga avanzeran Marfisa.
4 Or pur tornando a lei, questa donzella
Al cavalier che le usò cortesia ,
Dell'esser suo non niega dar novella,
Quando esso a lei , voglia contar chi sia.
Sbrìgossi tosto del suo debito ella,
Tanto il nome di lui saper disia.
Io son , disse , Marfisa : e fu assai questo ;
Che si sapea per tutto 'l mondo il resto.
5 L* altro comincia, poiché tocca a lui.
Con più proemio a darle di sé conto,
Dicendo : Io credo che ciascun di vui
Abbia della mia stirpe il nome in pronto ;
Che non pur Francia e Spagna e 1 vicin sui ,
Ma l' Lidia, l'Etiopia e il freddo Ponto
Han chiara cognizion di Chiaramente,
Onde uscì il cavalier ch'uccise Almonte,
6 E quel eh' a Chiarì'ello e al re Mambrino
Diede la morte , e il regno lor disfece.
Di questo sangue, dove nell' Eusino
L'Istro ne vien con otto corna o diece,
Al duca Amone , il qual già peregrino
Vi capitò , la madre mia mi fece :
E l' anno è ormai eh' io la lasciai dolente ,
Per gire in Francia a ritrovar mia gente.
7 Ma non potei finire il mio viaggio;
Che qua mi spinse un tempestoso Noto.
Son dieci mesi , o più , che stanza v' aggio ;
Che tutti i giorni e tutte l' ore noto.
Nominato son io Guidon Selvaggio ,
Di poca prova ancora e poco noto.
Uccisi qui Argilon da Melibea,
Con dieci cavalier che seco avea.
8 Feci la prova ancor delle donzelle :
Cosi n' ho diece a' miei piaceri allato ;
Ed alla scelta mia son le più belle ,
E son le più gentil di questo stato^
E queste reggo e tutte l' altre ; eh' elle
Di sé m' hanno governo e scettro dato :
Cosi daranno a qualunque altro arrida
Fortuna si, che la decina ancida.
9 I cavalier domandano a Guidone ,
Com' ha si pochi maschi il teuitoro ;
E s'alle mogli hanno suggezì'one.
Come esse l' han negli altri lochi a loro.
Disse Guidon: Più volte la cagione
Udita n' ho da poi che qui dimoro ;
E vi sarà, secondo ch'io l'ho udita.
Da me, poiché v'aggrada, riferita.
10 Al tempo che tornar dopo anni venti
Da Troia i Greci (che durò l'assedio
Dieci , e dieci altri da contrari venti
Furo agitati in mar con troppo tedio).
Trovar che le lor donne agli tormenti
Di tanta absenzia avean preso rimedio;
Tutte s' avean gioveni amanti eletti.
Per non si raffreddar sole nei letti.
11 Le case lor trovare i Greci piene
Degli altrui figli; e per parer comune
Perdonano alle mogli, che san bene
Che tanto non potean viver digiune.
Ma ai figli degli adulteri conviene
Altrove procacciarsi altre fortune;
Che tollerar non vogliono i mariti
Che più alle spese lor sieno notriti.
12 Sono altri esposti, altri tenuti occulti
Dalle lor madri, e sostenuti in vita,
lu varie squadre quei ch'erano adulti
Feron , chi qua chi là , tutti partita.
Per altri l'arme son, per altri culti
Gli studj e l'arti: altri la terra trita;
Serve altri in corte; altri è guardian di gregge,
Come piace a colei che quaggiù regge.
13 Parti fra gli altri un giovinetto, figlio
Di Clitemnestra , la crudel regina ,
Di diciotto anni , fresco con^e un giglio ,
0 rosa còlta allor di su la spina.
Questi, armato un suo legno, a dar di piglio
Si pose e a depredar per la marina
In compagnia di cento giovinetti
Del tempo suo, per tutta Grecia eletti.
14 I Cretesi, in quel tempo che cacciato
Il crudo Idomeneo del regno aveano ,
E , per assicurarsi il nuovo stato ,
Denomini e d^arme adnnazion faceano,
Fero con bnon stipendio lor soldato
Falanto (cosi al giovine diceano),
E lui con tutti quei che seco avea,
Poser per guardia al'a città Dictea.
15 Fra cento alme città ch'erano in Creta,
Dictea più ricca e più piacevol era,
Di belle donne ed amorose lieta,
Lieta di giochi da mattino a sera:
E com'era ogni tèmpo consueta
D'accarezzar la gente forestiera,
Fé a costor sì , che molto non rimase
A fargli anco signor delle lor case.
16 Fran gioveni tuiti e belli affatto;
Che '1 fior di Grecia avea Falanto eletto :
Si ch'alle belle donne, al primo tratto
Che v'apparir , trassero i cor del petto.
' Poiché non men che belli , ancora in fitto
Si dimostrar buoni e gagliardi al letto,
Si fero ad esse in pochi di si grati.
Che sopra ogn' altro ben n'erano amati.
17 Finita che d'accordo é poi la guerra
Per cui stato Falanto era condutto,
E lo stipendio militar si Ferra,
Sì che non v'hanno i gioteni più frutto,
E per questo lasciar voglion la terra;
Fan le donne di Creta maggior lutto ,
E per ciò versan più dirotti pianti ,
Che se i lor padri avesson morti avanti.
18 Dalle lor donne i gioveni assai furo,
Ciascun per sé , di rimaner pregati :
Né volendo restare, e«se con loro
K' andar , lasciando e padri e figli e frati ,
Di ricche gemme e di gran somma d'oro
Avendo i lor dimestici spogliati;
Che la pratica fu taLto secreta ,
Che non sentì la fuga uomo di Creta.
19 Si fu propizio il vento, sì tn l'ora
Comoda che Falanto a fuggir colse.
Che molte miglia erano usciti fnora.
Quando del danno suo Creta si dolse.
Poi questa spiaggia, inabitata allora,
Trascorsi per fortuna li raccolse.
Qui si posare, e qui sicuri tutti
Meglio del furto lor videro i frutti.
20 Questa lor fu per died giorni stanzi
Di piaceri amorosi tutta piena.
Ma come spesso avvien che l'abbondanza
Seco in cor giovenil fastidio mena ,
Tutti d'accordo fnr di restar senza
Femmine, e liberarsi di tal pena;
Che non è soma da portar si grave.
Come aver donna, quindo a noia s^ave.
21 Essi che di guadagno e di rapine
Eran bramosi , e di dispendio parchi ,
Vider eh' a pascer tante concubine ,
D'altro che d'aste avean bisogno e d'archi:
Si che sole lasciar qui le meschine ,
E se n' andar di lor ricchezze carchi
Là dove in Puglia in ripa al mar poi sento
Ch'edificar la terra di Tarento.
22 Le donne, che si videro tradite
Dai loro amanti , in che più fede aveano ,
Restar per alcun di si sbigottite,
Che statue immote in lito al mar pareano.
Visto poi che da gridi e da infinite
Lacrime alcun profitto non tracano ,
A pensar cominciaro e ad aver cura
Come aiutarsi in tanta lor sciagura.
23 E proponendo in mezzo i lor pareri.
Altre diceano: In Creta é da tornarsi,
E piuttosto all'arbitrio de' severi
Padri e d' offesi lor mariti dar^i ,
Che nei deserti liti e boschi fieri
Di disagio e di fame consumarsi.
Altre dicean che lor sana più onesto
Affogarsi nel mar, che mai far questo;
24 E che manco mal era meretrici
Andar pel mondo , andar mendiche o schiave.
Che sé stesse offerire alli supplici
Di eh' eran degne l'opere lor prave.
Questi e simil partiti le infelici
Si proponean , ciascim più duro e grave.
Tra loro alfine una Orontea levosse,
Ch'orìgine traea dal re Minosse;
25 La più gioven dell' altre e la più bella
E la più accorta , e eh' avea meno errato :
Amato avea Falanto , e a lui pulzella
Datasi e per lui il padre avea lasciato.
Costei, mostrando in viso ed in favella
Il magnanimo cor d'ira infiammato,
Redarguendo di tutte altre il detto ,
Suo parer disse, e fé' seguirne effetto.
26 Di questa terra a lei non parve tórsi ,
Che conobbe feconda e d'aria sana,
E di limpidi fiumi aver discorsi,
Di selve opaca . e la più parte piana ;
Con porti e foci, ove dal mar ricorsi
Per ria fortuna avea la geate estrana,
Ch'or d'Africa portava, ora d'Egitto,
Cose diverse e necessarie al vitto.
27 Qui parve a lei fermarsi, e far vendetta
Del viril sesso che le avea si offese:
Vuol ch'ogni nave che da' venti astretta
A pigliar venga porto in suo paese,
A sacco , a sangue , a fuoco alfin si metta ;
Né della vita a un sol si sia cortese.
Cosi fu detto , e così fu concluso ,
E fu fatta la log^ge, e messa in uso.
Stanza 86.
28 Come turbar V nria sentiano , armate
Le femmine correan su la marina,
Dall' implacabile Orontea guitlate ,
Che die lor legge , e si fé' lor regina ;
E delle navi ai liti lor cacciate,
Faceano incendj orribili e rapina,
Uom non lasciando vivo , che novella
Dar ne potesse o in questa parte o in quella.
29 Cosi solinghe vissero qualch'anno,
Aspre nimiche del sesso virile.
Ma conobbero poi che '1 proprio danno
Procaccerian , se non mutavan stile:
Cbè, se di lor propagine non fanno,
Sarà lor legge in breve irrita e vile .
£ mancherà con l' infecondo regno ,
Dove di farla etema era il disegno.
30 Si che, temprando il suo rigore un poco,
Scelsero, in spazio di quattro anni interi.
Di quanti capitaro in questo loco
Dieci belli e gagliardi cavalieri,
Che per durar nell'amoroso gioco
Contr'esse cento fosser buon guerrieri.
Esse in tutto eran cento; e statuito
Ad ogni lor decina fu un marito.
31 Prima ne fur decapitati molti
Che riuscirò al paragon mal forti.
Or questi dieci a buona prova tolti ,
Del letto e del governo ebbon consorti ;
Facendo lor giurar che , se più cólti
Altri uomini verriano in questi porti ,
Essi sarian che, spenta ogni pietade,
Li porriano ugualmente a fil di spade.
32 Ad ingrossare, ed a fiarliar appresso
Le donne, indi a temere incomìnciaro ,
Che tanti nascerian del viril sesso ,
Che con tra lor non avrian poi riparo ,
E alfin in man degli uomini rimesso
Saria il governo eh* elle avean si caro :
Sì ch'ordinar, mentre eran gli anni imbelli,
Far si, che mai non fosson lor ribelli.
33 Acciò il sesso viril non le soggioghi ,
Uno ogni madre vuol la legge orrenda,
Che tenga seco; gli altri, o li suffoghi,
0 fuor del regno li permuti o venda.
Ne mandano per questo in vari luoghi :
E a chi gli porta dicono che prenda
Femmine, se a baratto aver ne puote;
Se non, non tomi almen con le man vote.
34 Né nno ancora alleverian , se senza
Potesson fare, e mantenere il gregge.
Questa è quanta pietà, quanta clemenza
Più ai suoi ch'agli altri usa l'iniqua legge:
Gli altri condannan con UTual sentenza;
E solamente in questo si correg:ge.
Che non vuol che, secondo il primiero uso,
Le femmine gli uccidano in confuso.
35 Se dieci o venti o più persone a un tratto
Vi fosser giunte , in carcere erau messe :
E d'una al giorno, e non di più, era tratto
Il capo a sorte, che perir dovesse
Nel tempio orrendo ch'Orontea avea fatto,
Dove un altare alla Vendetta eresse :
E dato all'un de' dieci il crudo ufficio
Per sorte era di fame sacrificio.
38 Orontea vivea ancora; e già mancate
Tutt' eran l' altre eh' abitar qui prima :
E diece tante e più n' erano nate ,
E in forza eran cresciute e in miggior stimi
Né tra diece fucine che serrate
Stavan pur spesso, avean più d^nna limi;
E dieci cavalieri anco avean cura
Di dare a chi venia fiera avventura.
39 Alessandra , bramosa di vedere
Il giovinetto eh' avea tante lode.
Dalla sua matre in singular piacere
Impetra sì , eh' Elbanio vede et ode :
E quando vuol partirne, rimanere
Si sente il core ove è chi '1 punge e rode
Legar si sente , e non sa far contesa ,
E alfin dal suo prigion si trova presa.
40 Elbanio disse a lei : Se di pietade
S' avesse , donna , qui notizia ancora ,
Come se n'ha per tutt' altre contrade.
Dovunque il vago sol luce e colora;
Io vi oser:i, per vo^tr'alma beltade .
Ch'ogn' animo gentil di sé innamora.
Chiedervi in don la vita mia, che poi
Sarìa ognor presto a spenderla per voi.
41 Or quando fuor d'ogni ragion qui sono
Privi d'umanitade i cori umani,
Non vi domanderò la vita in dono;
Che i prirghi miei so ben che sarian vani :
Ma che da ca vallerò, o tristo o buono
Ch'io sia, possi morir con l'arme in miai .
E non come dannato per giudicio ,
0 come animai bmto in sacrificio.
6 Dopo molt'anni alle ripe omicide
A dar venne di capo un giovinetto ,
La cui stirpe scendea dal buono Alcide ,
Di gran valor nell' arme , Elbanio detto.
Qui preso fu , eh' appena se n' avvide ,
Come quel che venia senza sospetto ;
E con gran guardia in stretta parte chiuso,
Con gli altri era serbato al era lei uso.
4'2 Alessandra gentil, ch'umidi avea.
Per la pietà del giovinetto , i rai ,
Rispose : Ancorché più crudele e re.\ ,
Sia questa terra , eh' altra fosse mai ,
Non concedo però che qui Medea
Ogni femmina sia, come tu fai;
E quando ogni altra cosi fosse ancora,
Me sola di tant' altre io vo'trar fuora.
37 Di viso era costui bello e giocondo ,
E di maniere e di costumi ornato ,
E di parlar sì dolce e sì facondo,
Ch'un aspe volentier l'avria ascoltato:
Si che , come di cosa rara al mondo ,
Dell'esser suo fu tosto rapportato
Ad Alessandra figlia d' Orontea,
Che di molt'anni grave anco vivea.
43 E sebben per addietro io fossi stata
Empia e cmdel , come qui sono tante ,
Dir posso che suggetto ove mostrata
Per me fosse pietà, non ebbi avante.
Ma ben sarei di tigre più arrabbiata,
E più duro avre'il cor che di diamante.
Se non m'avesse tolto ogni durezza
Tua beltà, tuo valor, tua gentilezza.
44: Cosi non fosse la legge più forte,
Che centra i peregrini è statuita,
Come io non schiverei con la mia morte
Di ricomprar la tua più degna vita.
Ma non è grado qui di sì gran sorte,
Che ti potesse dar libera aita;
G quel che chiedi ancor , benché sia poco ,
Difficile ottener fia in questo loco.
45 Pur io vedrò di far che tu P ottenga,
Ch' abbi innanzi al morir questo contento ;
Ma mi dubito ben che te n'avvenga,
Tenendo il morir lungo, più tormento.
Soggiunse Elbanio : Quando incontra io venga
A dieci armato , di tal cor mi sento ,
Ohe la vita ho speranza di salvarme,
E uccider lor, se tutti fosser arme.
50 La principal cagion eh' a far disegno
Sul commercio degli uomini ci mosse,
Non fu perch'a difender questo regno
Del loro aiuto alcun bisogno fosse;
Che per far questo abbiamo ardire e ingegno
Da noi medesme , e a sufficienzia posse :
Cosi senza sapessimo far anco,
Che non venisse il propagarci a manco.
51 Ma poiché senza lor questo non lece,
Tolti abbiam, ma non tanti, in compagnia,
Che mai ne sia più d'uno incontra diece,
Si ch'aver di noi possa signoria.
Per concepir di lor questo si fece ,
Non che di lor difesa uopo ci sia. '
La lor prodezza sol ne vaglia in questo,
E sieno ignavi e inutili nel resto.
46 Alessandra a quel detto non rispose
Se non un gran sospiro, e dipartisse;
E portò nel partir mille amorose
Punte nel cor, mai non sanabil, fisse.
Venne alla madre , e volontà le pose
Dì non lasciar che '1 cavalier morisse ,
Quando si dimostrasse così forte ,
Che , solo , avesse posto i dieci a morte.
47 La regina Orontea fece raccorrò
n suo consiglio , e disse : A noi conviene
Sempre il miglior che ritroviamo , porre
A guardar nostri porti- e nostre arene ;
E per saper chi ben lasciar , chi tórre ,
Prova è sempre da far, quando gli avviene;
Per non patir con nostro danno a torto ,
Che regni il vile , e chi ha valor sia morto.
48 A me par , se a voi par , che statuito
Sia ch'ogni cavalier per lo avvenire,
Che fortuna abbia tratto al nostro lito,
Prima ch'ai tempio si faccia morire,
Possa egli sol , se gli piace il partito ,
Incontra i dieci alla battaglia uscire ;
£ se di tutti vincerli è possente,
Guardi egli il porto, e seco abbia altra gente.
49 Parlo cosi, perchè abbiam qui un prigione
Che par che vincer dieci s' ofFerisca.
Quando, sol, vaglia tante altre persone,
Dignissimo è, per Dio, che s'esaudisca.
Così in contrario avrà punizione ,
Quando vaneggi e temerario ardisca.
Orontea fine al suo parlar qui pose,
A cui delle più antique una rispose :
52 Tra noi tenere un uom che sia si forte,
Contrario è in tutto al principal disegno.
Se può un solo a dieci uomini dar morte,
Quante donne farà stare egli al segno?
Se i dieci nostri fosser di tal sorte ,
Il primo di n'avrebbon tolto il regno.
Non è la via di dominar, se vuoi
Por l'arme in mano a chi può più di noi.
53 Pon mente ancor, che quando così aiti
Fortuna questo tuo , che i dieci uccida ,
Di cento donne che de' lor mariti
BJmarran prive, sentirai le grida.
Se vuol campar, proponga altri partiti,
Ch'esser di dieci gioveni omicida.
Pur, se per far con cento donne è buono
Quel che dieci fariano, abbi' perdono.
54 Fu d'Artemia crudel questo il parere
(Così avea nome) ; e non mancò per lei
Di far nel tempio Elbanio rimanere
Scannato innanzi agli spietati Dei.
Ma la madre Orontea, che compiacere
Volse alla figlia, replicò a colei
Altre ed altre ragioni, e modo tenne
Che nel senato il suo parer s' ottenne.
55 L'aver Elbanio di bellezza il vanto
Sopra ogni cavalier che fosse al mondo ,
Fu nei cor delle giovani di tanto.
Ch'erano in quel consiglio, e di tal pondo,
Che '1 parer delle vecchie andò da canto ,
Che con Artemia volean far secondo
L'ordine antiquo; né lontan fu molto
Ad esser per favore Elbanio assolto.
56 Di perdonargli in somma fa concluso,
Ma poi che I4 decina avesse spento,
E che neir altro assalto fosse ad uso
Di diece donne baono, e non di cento.
Di career V altro giorno fu dischiuso ;
E avuto arme e cavallo a suo talento ,
Contra dieci guerrier, solo» si mise,
E l'uno appresso all'altro in piazza uccise.
57 Fu la notte seguente a prova
Contra diece donzelle ignudo e mìo,
Dov' ebbe all' ardir suo si buon successo ,
Che fece il saggio di tutto lo stuolo.
E questo gli acquistò tal grazia appresso
Ad Oroutea, che Tebbe per figlinolo^
E gli diede Alessandra e l'altre nove
Con ch'avea fatto le notturne prove.
stanza 91.
58 E lo lasciò con Alessandra bella ,
Che poi die nome a questa terra , erede,
Con patto eh' a servare egli abbia quella
Legge , ed ogni altro che da lui succede :
Che ciascun che giammai sua fiera stella
Farà qui por lo sventurato piede,
Elegger possa, 0 in sacrificio darsi,
0 con dieci guerrier, solo, provarsi.
59 E se gli avvien che'l di gli uomini uccida,
L% notte con le femmine si provi ;
E quando in questo ancor tanto gli arrida
La sorte sua , che vincitor si trovi ,
Sia del femmineo stuol priucipe e guida ,
E la decina a scelta sua rinnovi ,
Con la qual regni, fin eh' un altro arrivi,
Che sia più forte, e lui di vita privi.
60 Appresso a dua mila auni il costume empio
Si è mantenuto , e si mantiene ancora ;
E sono pochi giorni che nel tempio
Uno infelice peregrin non mora.
Se contra dieci alcun chiede, ad esempio
D'Elbanio, armarsi (che ve n'è talora),
Spesso la vita al primo assalto lassa ;
Nò di mille uno all'altra prova passa.
61 Pur ci passano alcuni ; ma si rari ,
Che su le dita annoverar si ponno.
Uno di questi fu Argilon; ma guari
Con la decina sua non fu qui donno;
Che cacciandomi qui venti contrari ,
Gli occhi gli chiusi in sempiterno sonno.
Cosi fossi io con lui morto quel giorno,
Prima che viver servo in tanto scorno.
62 Che piaceri amorosi e riso e gioco,
Che suole amar ciascun della mia etade,
Le purpore e le gemme, e l'aver loco
Innanzi agli altri nella sna cittade ,
Potuto hanno, per Dio, mai giovar poco
All'uom che privo sia di libertade:
E U non poter mai più di qui levarmi ,
Servitù grave e intollerabil parmi.
63 II vedermi lograr dei miglior anni
Il più bel fiore in si vile opra e molle ,
Tienuni il cor sempre in stimulo e in affanni.
Ed ogni gusto di piacer mi tolle.
La fama del mio sangue spiega i vanni
Per tutto '1 mondo , e fin al ciel s' estolle :
Che forse buona parte anch'io n'avrei,
S' esser potessi coi fratelli miei.
64 Parmi ch'ingiuria il mio destin mi faccia.
Avendomi a sì vii servigio eletto;
Còme chi nell'armento il destrier caccia.
Il qual d'occhi o di piedi abbia difetto,
O per altro accidente che dispiaccia,
Sia fatto all' arme e a miglior uso inetto :
Né sperando io , se non per morte , uscire
Di sì vii servitù, bramo morire.
65 Ouidon qui fine alle parole pose,
E maledì quel giorno per isdegno ,
Il qual dei cavalieri e delle spose
Gli die vittoria in acquistar quel regno.
Astolfo stette a udire , e si nascose
Tanto , che si fé' certo a più d' un segno ,
Che, come detto avea, questo Guidone
Era figliuol del suo parente Amone.
66 Poi gli rispose: Io sono il duca inglese.
Il tuo cugino Astolfo; ed abbracciollo ,
E con atto amorevole e cortese ,
Non senza sparger lagrime, baciollo.
Caro parente mio , non più palese
Tua madre ti potea por segno al collo ;
Ch' a farne fede che tu sei de' nostri ,
Basta il valor che con la spada mostri.
67 Guidon, ch'altrove avria fatto gran festa
D'aver trovato un sì stretto parente,
Quivi l' accolse con la faccia mesta ,
Perchè fu di vedervilo dolente.
Se vive, sa ch'Astolfo schiavo resta,
Né il termine è più là chel dì seguente;
Se fia libero Astolfo, ne more esso:
Si che'l ben d'uno é il iQal dell'altro espresso.
68 Gli duol che gli altri cavalieri ancora
Abbia, vincendo, a far sempre captivi.
Né più, quando esso in quel contrasto mora.
Potrà giovar che servitù lor schivi;
Che se d'un fango ben li porta fiiora,
E poi s' inciampi come all' altro arrivi ,
Avrà lui senza prò vinto Marfisa;
Ch' essi pur ne fien schiavi , ed ella uccisa.
69 Dall'altro canto avea l'acerba etade,
La cortesia e il valor del giovinetto
D'amore intenerito e di pietade
Tanto a Marfisa ed ai compagni il petto ,
Che , con morte di lui lor libertade
Esser dovendo , avean quasi a dispetto:
E se Marfisa non può far con manco ,
Ch' uccider lui , vuol essa morir anco.
70 Ella disse a Guidon: Yientene insieme
Con noi, eh' a vìva forza uscirem quinci.
Deh, rispose Guidon , lascia ogni speme
Di mai più uscirne, o perdi meco o vinci.
Ella soggiunse : Il mio cor mai non teme
Di non dar fine a cosa che cominci;
Né trovar so la più sicura strada
Di quella ove mi sia guida la spada.
71 Tal nella piazza ho il tuo valor provato ,
Che , s' io son teco , ardisco ad ogn' impresa.
Quando la turba intomo allo steccato
Sarà domani in sul teatro ascesa,
Io vo'che l'uccidiam per ogni lato,
0 vada in fuga o cerchi far difesa,
E ch'indi ai lupi e agli avoltoi del loco
LasciamoM corpi , e la cittade al foco.
72 Soggiunse a lei Guidon: Tu m'avrai pronto
A seguitarti, ed a morirti accanto.
Ma vivi rimaner non facciam conto ;
Bastar ne può di vendicarci alquanto :
Che spesso dieci mila in piazza conto
Del popol femminile; ed altrettanto
Resta a guardare e porto e ròcca e mura ,
Né alcuna via d'uscir trovo sicura.
73 Disse Marfisa: E molto più sieuo elle
Degli uomini che Serse ebbe già intomo ,
E sieno più dell'anime ribelle
Ch'uscir del ciel con lor perpetuo scorno;
Se tu sei meco, o almen non sie con quelle,
Tutte le voglio uccidere in un giorno.
Guidon soggiunse: Io non ci so via alcuna
Oh' a valer n'abbia, se non vai quest'una.
74 Né può sola salvar, se ne succede,
Qaest^una chMo dirò, ch'or mi sovviene.
Fuor eh' alle donne, uscir non si concede,
Né metter piede in su le salse arene :
E per questo commettermi alla fede
D'una delle mie donne mi conviene.
Del cui perfetto amor fatta ho sovente
Più prova ancor, ch'io non farò al presente.
75 Non men di me tormi costei disia
Di servitù, purché ne venga meco:
Che cosi spera , senza compagnia
Delle rivali sue, ch'io viva seco.
Ella nel porto o fusta o saettia
Farà ordinar , mentre è ancor l' aer cieco ,
Ohe i marinari vostri troveranno
Acconcia a navigar, come vi vanno.
76 Dietro a me tutti in un drappel ristretti.
Cavalieri, mercanti e galeotti,
Ch'ad albergarvi sotto a questi tetti.
Meco , vostra mercè , sete ridotti ,
Avrete a farvi ampio sentier coi petti,
Sedei nostro cammin siamo interrotti:
Cosi spero, aiutandoci le spade,
Ch'io vi trarrò della crudel cittade.
77 Tu fa come ti par, disse Marfisa,
Ch'io son per me d'uscir di qui sicura.
Più facil fia che di mia mano uccisa
La gente sia, eh' è dentro a queste mura.
Che mi veggi' fuggire , o in altra guisa
Alcun possa notar eh' abbi' paura.
Vo' uscir di giorno, e sol per forza d'arme;
Che per ogni altro modo obbrobrio parme.
78 S'io ci fossi per donna conosciuta,
So eh' avrei dalle donne onore e pregio ;
E volentieri io ci sarei tenuta,
E tra le prime forse del collegio:
Ma con costoro essendoci venuta,
Non ci vo' d'essi aver più privilegio.
Troppo error fora ch'io mi stessi o andassi
Libera, e gli altri in servitù lasciassi.
79 Queste parole ed altre seguitando.
Mostrò Marfisa che '1 rispetto solo
Ch'avea al periglio de' compagni (quando
Potria loro il suo ardir tornare in duolo)
La tenea che con alto e memorando
Segno d'ardir non assalia lo stuolo:
E per questo a Guidon lascia la cura
D'usar la via che più gli par sicura.
80 Guidon la notte con Aleria parla
(Così avea nome la più fida moglie)
Né bisogno gli fu molto pregarla;
Che la trovò disposta alle sue voglie.
Ella tolse una nave e fece armarla ,
E v' arrecò le sue più ricche spoglie ,
Fingendo di volere al nuovo albore
Con le compagne uscire in corso fuore.
81 Ella avea fatto nel palazzo innanti
Spade e lance arrecar , corazze e scudi ,
Onde armar si potessero i mercanti
E i galeotti ch'eran mezzo nudi.
Altri dormirò , ed altri stér ve^hiantì
Compartendo tra lor gli ozi e gli studi ;
Spesso guardando , e pur con l' arme indo&yj
Se l'oriente ancor si facea rosso.
82 Dal duro volto della terra il sole •
Non tollea ancora il velo oscuro ed atro
Appena avea la Licaonia prole
Per li solchi del ciel volto l' aratro ;
Quando il femmineo stuol, che veder vu')!c
Il fin della battaglia, empi il teatro.
Come ape del suo claustro empie la soglia ,
Che mutar regno al nuovo tempo voglia.
83 Di trombe , di tambur , di suon di corni
Il popol risonar fa cielo e terra.
Cosi citando il suo signor, che tomi
A terminar la incominciata guerra.
Aquìlante e Grifon stavano adorni
Delle lor arme, e il duca d'Inghilterra,
Guidon, Marfisa, Sansonetto e tutti
Gli altri, chi a piedi e chi a cavallo instrutti.
84 Per scender dal palazzo al mare e al port >
La piazza traversar si convenia;
Né v' era altro cammin lungo né corto :
Cosi Guidon disse alla compagnia.
E poi che di ben far molto conforto
Lor diede, entrò senza rumore in vìa;
E nella piazza dove il popol era,
S'appresentò con più di cento in schiera.
85 Molto affrettando i suoi compagni , andava
Guidone all'altra porta per uscire:
Ma la gran moltitudine che stava
Intorno armata, e sempre atta a ferire,
Pensò , come lo vide che menava
Seco quegli altri, che volea fuggire;
E tutta a un tratto agli archi suoi ricorse,
E parte , onde s' uscia , venne ad opporse.
86 Guidone e gli altri cavalier gagliardi ,
E sopra tutti lor Marfisa forte.
Al menar delle man non fnron tardi,
E molto fér per isforzar le porte:
l^Ia tanta e tanta copia era dei dardi
Cbe , con ferite dei compagni e morte ,
Pioveano lor di sopra e d* ogn' intorno ,
Ch' alfin temean d' averne danno e scorno.
2 Ma che direte del già tanto fiero
Cor dì Marfisa e di Gnidon Selvaggio?
Dei dna giovini figli d* Oliviero ,
Che già tanto onoraro il lor lignaggio?
Già cento mila avean stimato un zero;
E in fuga or se ne van senza coraggio ,
l'ome conigli o timidi colombi ,
A cui vicino alto rumor rimbombi.
87 D'ogui guerrìer T usbergo era perfetto;
Che se non era, avean più da temere.
Fu morto il destrier sotto a Sinson^tto ;
Quel di Marfisa v^ ebbe a rimanere.
Astolfo tra sé disse: Ora, ch^ aspetto
Che mai mi possi il corno più valere?
Io vo' veder , poiché non giova spada ,
S' io so col corno assicurar la strada.
88 Come aiutar nelle fortune estreme
Sempre si suol , si pone il corno a bocca.
Par che la terra e tutto '1 mondo trieme ,
Quando Porribil suon neiraria scocca.
Sì nel cor della gente il timor preme,
Che per disio di fuga si trabocca
Giù del teatro sbigottita e smorta,
Non che lasci la guardia della porta.
89 Come talor si getta e si periglia
E da finestra e da sublime loco
L^ esterrefatta subito famiglia.
Che vede appresso e d' ogn* intomo il fuoco,
Che, mentre le tenea gravi le ciglia
Il pigro sonno, crebbe a poco a poco;
Così , messa la vita in abbandono ,
Ognun f uggia lo spaventoso suono.
90 Di qua di là, di su di giù smarrita
Surge la turba , e di fu^ir procaccia :
Son più dì mille a un tempo ad ogni uscita;
Cascano a monti, e Puna l'altra impaccia.
In tanta calca perde altra la vita :
Da palchi e da finestre altra si schiaccia :
Più d'un braccio si rompe e d'una testa.
Di eh' altra morta , altra storpiata resta.
stanza 109.
91 II pianto e '1 grido insino al ciel saliva,
D'alta mina misto e di fracasso.
Affretta , ovunque il suon del corno arriva ,
La turba spaventata in fuga il passo.
Se udite dir che d'ardimento priva
La vii plebe si mostri e di cor basso ,
Non vi maravigliate; che natura
È della lepre aver sempre paura.
93 Cosi noceva ai suoi, come agli strani ^
La forza che nel comò era incantata.
Sansonetto , Guidone e i duo germani
Fuggon dietro a Marfisa spaventata;
Né fuggendo ponno ir tanto lontani.
Che lor non. sia l'orecchia anco intronata.
Scorre Astolfo la terra in ogni lato ,
Dando via sempre al corno maggior fiato.
94 Chi scese al mare, e chi poggilo su al monte,
E chi tra i boschi ad occultar si venne:
Alcuna, senza mai volger la fronte,
Fuggir per dieci di non si ritenne :
Usci in tal punto alcuna fuor del ponte .
ChMn vita sua mai più non vi rivenne:
Sgombraro in modo e piazze e templi e case,
Che quasi vota la città rimase.
06 Marfisa e'I buon Guidone e i duo fratelli
E Sansonetto , pallidi e tremanti ,
Fuggiano inverso il mare, e dietro a quelli
Fuggiano i marinari e i mercatanti;
Ove Aleria trovar, che fra i castelli
Loro avea un legno apparecchiato innanti.
Quindi , poi eh* in gran fretta gli raccolse ,
Die i remi air acqua, ed ogni vela sciolse.
96 Dentro e dintorno il duca la cittade
Avea scorsa dai colli insino alPonde;
Fatto avea vote rimaner le strade;
Ognun lo fugge, ognun se gli nasconde.
Molte trovate fur, che per viltade
S' eran gittate in parti oscure e immonde ;
E molte, non sappiendo ove s'andare,
Messesi a nuoto ed affogate in mare.
97 Per trovare i compagni il duca viene,
Che si credea di riveder sul molo.
Si volge intorno, e le deserte arene
Guarda per tutto, e non v'appare un solo.
Leva più gli occhi , e in alto a vele piene
Da sé lontani andar li vede a volo :
Si che gli convien fare altro disegno
Al suo cammin, poiché partito é il legno.
98 Lasciamolo andar pur: né vi rincresca
Che tanta strada far debba soletto
Per terra d'infedeli e barbaresca.
Dove mai non si va senza sospetto:
Non é periglio alcuno , onde non esca
Con quel suo corno, e n'ha mostrato effetto:
E dei compagni suoi pigliamo cura.
Ch'ai mar fuggian tremando di paura.
99 A piena vela si cacciaron Innge
Dalla crudele e sanguinosa spiaggia;
E, poi che di gran lunga non li giunge
L'orribil suon ch'a spaventar più gli aggia,
Insolita vergogna si li punge ,
Che, com'un fuoco, a tutti il viso raggia:
L' un non ardisce a mirar l' altro , e stassi
Tristo, senza parl^, eoa gli occhi bassi.
100 Passa il nocchiero, al suo viaggio intenta.
E Cipro e Rodi, e giù per l'onda E^gea
Da sé vede fuggire isole cento
Col periglioso capo di Malea;
E con propizio ed immutabil vento
Asconder vede la greca Morea:
Volta Sicilia, e per lo mar tirreno
Costeggia dell' Italia il lite ameno :
101 E sopra Luna ultimamente sorse ,
Dove lasciato avea la sua fEuniglia;
Dìo ringraziando , che '1 pelago corse
Senza più danno, il noto lito piglia.
Quindi un nocchier trovar per Francia sdorse.
Il qual di venir seco li consiglia:
E nel suo legno ancor quel dì montare,
Ed a Marsilia in breve si trovare.
102 Quivi non era Bradamante allora ,
Ch' aver solca governo del paese ;
Che se vi fosse , a far seco dimora
Gli avria sforzati con parlar cortese.
Sceser nel lito , e la medesima ora
Dai quattro cavalier congedo prese
Marfisa, e dalla donna del Selvaggio;
E pigliò alla ventura il suo viaggio,
103 Dicendo che lodevole non era
Ch' andasser tanti cavalieri insieme :
Che gli storni e i colombi vanno in schiera.
I daini e i cervi e ogni animai che teme;
Ma l'audace falcon, l'aquila altiera,
Che nell'aiuto altrui non metton speme,
Orsi, tigri, leon, soli ne vanno,
Che di più forza alcun timor non hanno.
104 Nessun degli altri fu di quel pensiero:
Si ch'a lei sola toccò a far partita.
Per mezzo i boschi e per strano sentiero
Dunque ella se n'andò sola e romita.
Grifone il bianco ed Aquilante il nero
Pigliar con gli altri duo la via più trita ,
E giunsero a un castello il di seguente ,
Dove albergati fur cortesemente.
105 Cortesemente io dico in apparenza,
Ma tosto vi sentir contrario effetto;
Che '1 signor del castel , benevolenza
Fingendo e cortesia, lor die ricette;
E poi la notte, che sicuri senza
Timor dormian , li fé' pigliar nel letto ;
Né prima li lasciò , che d' osservare
Una costuma ria li fé' giurare,
106 Ma Yo'segair la bellicosa donna.
Prima , signor , che di costor più dica.
Passò Druenza, il Rodano e la Sonna,
E venne appiè d' una montagna aprica.
Quivi lungo nn torrente in negra gonna
Vide venire nna femmina antica,
Che stanca e lassa era di lunga via,
Ma via più afflitta di malenconia.
107 Questa è la vecchia che solea servire
Ai malandrin nel cavernoso monte,
Là dove alta giustizia fé venire
E dar lor morte il paladino conte.
La vecchia, che timore ha di morire
Per le cagion che poi vi saran conte ,
Già molti di va per via oscura e fosca ,
Fuggendo ritrovar chi la conosca.
112 Ma poi che fu levato di sul colle
L' incantato Castel del vecchio Atlante ,
E che potè ciascuno ire ove volle.
Per opra e per virtù di Bradamante ;
Costei, ch'alli disii facile e molle
Di Pinabel sempre era stata innante,
Si tornò a lui, ed in sua compagnia
Da nn castello ad nn altro or se ne già.
113 ^ E siccome vezzosa era e mal usa ,
Quando vide la vecchia di Marfisa ,
Non si potè tenere a bocca chiusa
Di non la motteggiar con beffe e risa.
Marfisa altiera, appresso a cui non s'usa
Sentirsi oltraggio in qualsivoglia guisa.
Rispose d'ira accesa alla donzella.
Che di lei quella vecchia era più bella ;
108 Quivi d' estrano cavalier sembianza
L'ebbe Marfisa all'abito e all'arnese;
E perciò non fuggì, com'avea usanza
Fuggir dagli altri eh' eran del paese;
Anzi con sicurezza e con baldanza
Si fermò al guado , e di lontan l' attese :
Al guado del torrente, ove trovolla,
La vecchia le usci incontra, e salutolla.
114 E ch'ai suo cavalier volea provallo.
Con patto di poi tórre a lei la gonna
E il palafren ch'avea, se da cavallo
Gittava il cavalier di ch'era donna.
Pinabel che faria, tacendo, fallo.
Di risponder con l' arme non assonna :
Piglia lo scudo e l'asta, e il destrier gira;
Poi vien Marfisa a ritrovar con ira.
109 Poi la pregò che seco oltr' a quell' acque
Nell'altra ripa in groppa la portasse.
Marfisa , che gentil fu da che nacque ,
Di là dal fiumicel seco la trasse;
E portarla anch' un pezzo non le spiacque.
Fin eh' a miglior cammin la ritornasse ,
Fuor d'un gran fango; e al fin di quel sentiero
Si videro all'incontro un cavaliere.
11.5 Marfisa incontra una gran lancia afferra,
E nella vista a Pinabel l'arresta ,
E sì stordito lo riversa in terra ,
Che tarda un'ora a rilevar la testa.
Marfisa, vincitrice della guerra.
Fé' trarre a quella giovane la vesta,
Ed ogn' altro ornamento le fé' porre ,
E ne fé' il tutto alla sua vecchia tórre :
110 II cavalier su ben guernita sella,
Di lucide arme e di bei panni ornatj ,
Verso il fiume venia, da una donzella
E da un solo scudiero accompagnato.
La donna ch'avea seco, era assai bella,
Ma d' altiero sembiante e poco grato ,
Tutta d' orgoglio e di fastidio piena ,
Del cavalier ben degna , che la mena.
116 E di quel giovenile abito volse
Che si vestisse e se n'ornasse tutta;
E fé' che '1 palafreno anco si tolse ,
Che la giovane avea quivi condutta.
Indi al preso cammin con lei si volse,
Che quant'era più ornata, era più brutta.
Tre giorni se n' andar per lunga strada ,
Senza far cosa onde a parlar m'accada.
IH Pinabello, un de' conti maganzesi,
Era quel cavalier eh' ella avea seco ;
Quel medesmo che dianzi a pochi mesi
Bradamante gittò nel cavo speco.
Quei sospir , quei singulti cosi accesi ,
Quel pianto che lo fé' già quasi cieco ,
Tutto fu per costei eh' or seco avea ,
Che '1 negromante allor gli ritenea.
117 U quarto giorno un cavalier trovare.
Che venia in fretta galoppando solo.
Se di saper chi sia forse v' è caro ,
Dicovi eh' è Zerbin, di re figliuolo,
Di virtù esempio e di bellezza raro.
Che sé stesso rodea d'ira e di duolo
Di non aver potuto far vendetta
D'un che gli avea gran cortesia interdetta.
118 Zerbino indarno per la selva corse
Dietro a quel suo che gli avea fatto oltraggio;
Ma si a tempo colui seppe via torse,
Si seppe nel fuggir prender vantaggio ,
Si il bosco e si una nebbia lo soccorse ,
Ch' avea offuscato il mattutino raggio ,
Che di man di Zerbin si levò netto,
Finché Tira e il furor gli uscì del petto.
119 Non potè, ancor che Zerbin fosse iratx),
Tener, vedendo quella vecchia, il riso;
Che gli parca dal giovenile ornato
Troppo diverso il brutto antiquo viso;
Ed a Marfisa, che le venia a lato,
Disse: Guerrier, tu sei pien d'ogni avviso;
Che damigella di tal sorte guidi.
Che non temi trovar chi te la invidi.
120 Avea la donna (se la crespa buccia
PuA dame indicio) più della Sibilla,
E parca, cosi ornata, una bertnccia,
Quando per muover riso alcun vestii la;
Ed or più brutta par, che si corruccia,
E che dagli occhi Tira le sfavilla;
Ch'a donna non si fa maggior dispetto ,
Che quando o vecchia o brutta le vieu detto
121 Mostrò torbarse V inclita donzella ,
Per prenderne piacer , come si prese :
E rispose a Zerbin: Mia donna è bella.
Per Dio, via più che tu non sei cortese:
Comech'io creda che la tua favella
Da quel che sente V animo non scese :
Tu fingi non conoscer sua beltade,
Per escusar la tua somma viltade.
122 E chi saria quel cavalier che questa
Si giovane e sì bella ritrovasse
Senza più compagnia nella foresta,
E che di farla sua non si provasse ?
Sì ben, disse Zerbin, teco s'assesta,
Che saria mal eh' alcun te la levasse :
Ed io per me non son così indiscreto,
Che te ne privi mai: stanne pur lieto.
123 S'in altro conto aver vuoi a far meco.
Di quel ch'io vaglio son per farti mostra:
Ma per costei non mi tener sì cieco ,
Che solamente far voglia una giostra.
0 brutta o bella sia, restisi teco:
Non vò' partir tanta amicizia vostra.
Ben vi sete accoppiati; io giurerei,
Com' ella è bella , tu gagliardo sei.
124 Soggiunse a lui Marfisa: Al tuo dispetti».
Di levarmi costei provar convienti.
Non vo' patir ch'un sì leggiadro aspetto
Abbi veduto, e guadagnar noi tenti
Rispose a lei Zerbin: Non so a ch'effetto
L'uom si metta a periglio e si tormenti
Per riportarne una vittoria poi,
Che giovi al vinto, e al vincitore annoi.
125 Se non ti par questo partito buono ,
Te ne do un altro, e ricusar noi dèi
(Disse a Zerbin Marfisa): che s'io sono
Vinto da te , m' abbia a restar costei ;
Ma s' io te vinco , a forza te la dono.
Dunque proviam chi de' star senza lei.
Se perdi , converrà che tu le faccia
Compagnia sempre, ovunque andar le piaccia.
126 E cosi sia, Zerbin rispose; e volse
A pigliar campo subito il cavallo.
Si levò su le staffe, e si raccolse
Fermo in arcione; e per non dare in fallo.
Lo scudo in me7zo alla donzella colse;
Mar parve urtasse un monte di metallo:
Ed ella in guisa a lui toccò l'elmetto.
Che stordito il mandò di sella netto.
127 Troppo spiacque a Zerbiu Tesser caduto,
Ch'in altro scontro mai più non gli avvenne,
E n'avea mille e mille egli abbattuto;
Ed a perpetuo scorno se lo tenne.
Stette per lungo spazio in terra muto ;
E più gli dolse poi che gli sovvenne
Ch'avea promesso e che gli convenia
Aver la bratta vecchia in compagnia.
128 Tornando a lui la vincitrice in sella ,
Disse ridendo : Questa t' appresento ;
E quanto più la veggio e grata e bella ,
Tanto, eh* ella sia tua, più mi contento.
Or tu in mio loco sei campion di quella;
Ma la tua fé non se ne porti il vento,
Che per sua guida e scorta tu non vada ,
Come hai promesso, ovunque andar l'aggrada.
129 Senza aspettar risposta urta il destriero
Per la foresta , e subito s' imbosca.
Zerbin, che la stimava un cavaliero,
Dice alla veccbia : Fa eh' io lo conosca.
Ed ella non gli tiene ascoso il vero ,
Onde sa che lo'ncende e che l'attosca:
Il colpo fu di man d' una donzella ,
Che t' ha fatto votar , disse , la sella.
130 Pel suo valor costei debitamente
Usurpa a' cavalieri e scudo e lancia;
E venuta è pur dianzi d'oriente
Per assaggiare ì paladin di Francia.
Zerbin di questo tal vergogna sente,
Cbe non pur tinge di rossor la guancia ,
Ma restò poco di non farsi rosso
Seco ogni pezzo d'arme ch'avea indosso.
131 Monta a cavallo, e sé stesso rampogna.
Che non seppe tener strette le cosce.
Tra sé la vecchia ne sorride , e agogna
Di stimularlo e di più dargli angosce.
Gli ricorda eh' andar seco bisogna :
E Zerbitì , cb' obbligato si conosce ,
L'orecchie abbassa, come vinto e stanco
Destrier c'ha in bocca il fren, gli sproni al fianco.
132 E sospirando: Oimé, fortuna fella,
Dìcea, cbe cambio é questo che tu fai?
Colei che fu sopra le belle bella.
Ch'esser meco dovea, levata m'hai.
Ti par ch'in luogo ed in ristor di quella
Si debba por costei eh' ora mi dai ?
Stare in danno del tutto era men male ,
Che fare un cambio tanto diseguale.
133 Colei che di bellezze e di virtuti
Unqua non ebbe e non avrà mai pare,
Sommersa e rotta tra gli scogli acuti
Hai data ai pesci ed agli augei del mare;
E costei , che dovria già aver pasciuti
Sotterra i vermi, hai tolta a preservare
Dieci 0 venti anni più che non dovevi,
Per dar più peso agli mie' affanni grevi.
stanza 116.
134 Zerbin cosi parlava; né men tristo
In parole e in sembianti esser parea
Di questo nuovo suo sì odioso acquisto ,
die della donna che perduta avea.
La vecchia, ancorché non avesse visto
Mai più Zerbin , per quel eh' ora dicea ,
S'avvide esser colui di che notizia
Le diede già Isabella di Galizia.
135 Se 1 vi ricorda quel ch'avete udito ,
Costei dalla spelonca ne veniva,
Dove Isabella, che d'amor ferito
Zerbino avea, fu molti di captiva.
Più volte ella le avea già riferito
Come lasciasse la patema riva ,
E come rotta in mar dalla procella,
Si salvasse alla spiaggia di Rocella.
Stanza 144.
186 E si spesso dipinto di Zerbino
Le avea il bel viso e le fattezze conte,
Ch'ora udendol parlare, e più vicino
Oli occhi alzandogli meglio nella fronte ,
Vide esser qnel per cui sempre meschino
Fu d' Isabella il cor nel cavo monte ;
Che di non veder lui più si lagnava,
Che d' esser fatta ai malandrini schiava.
137 La vecchia, dando alle parole ndieozi,
Che con sdegno e con duol 2ierbino versa.
S'avvede ben ch'egli ha falsa credenza
Che sia Isabella in mar rotta e sommersa:
E , bench' ella del certo abbia scienza ,
Per non lo rallegrar, pur la perversa
Quel che far lieto lo potria gli tace ,
E sol gli dice quel che gli dispiace.
188 Odi tu, gli diss'ella, tu che sei
Cotanto altier, che si mi schemi e sprezzi:
Se sapessi che nuova ho di costei
Che morta piangi , mi faresti vezzi ;
Ma , piuttosto che dirtelo , torrei
Che mi strozzassi, o fèssi in mille pezzi,
Dove , s' eri ver me più mansueto ,
Forse aperto t'avrei questo secreto.
189 Come il mastin che con furor s'avventa
Addosso al ladro , ad acchetarsi è presto ,
Che quello o pane o cacio gli ap presenta ,
0 che fa incanto appropriato a questo;
Cosi tosto Zerbino umil diventa,
E vien bramoso di sapere il resto ,
Che la vecchia gli accenna che di quella,
Che morta piange, gli sa dir novella.
140 E, vólto a lei con più piacevol faccia.
La supplica, la prega, la scongiura
Per gli uomini, per Dio, che non gli taccia
Quanto ne sappia, o buona o ria ventura.
Cosa non udirai che prò ti faccia,
Disse la vecchia pertinace e dura:
Non è Isabella, come credi, morta;
Ma viva si , eh' a' morti invidia porta.
141 É capitata in questi pochi giorni ,
Che non n'udisti, in man di più di venti:
Si che, qualora anco in man tua ritorni ,
Ve' se sperar di córre il fior convieutL
Ah vecchia maladetta, come adomi
La tua menzogna ! e tu sai pur se menti
Sebben in man di venti eli' era stata.
Non l'avea alcun però mai violata.
142 Dove l'avea veduta domandolle
Zerbino, e quando; ma nulla n'invola.
Che la vecchia ostinata più non volle,
A quel eh' ha detto , aggiungere parola.
Prima Zerbin le fece un parlar molle ;
Poi minacciolle di tagliar la gola:
Ma tutto è invan ciò che minaccia e prega;
Che non può far parlar la bratta strega.
143 Lasciò la lin^a all'ultimo in riposo
Zerbin , poiché *1 parlar gli giovò poco ;
Per quel ch'udito avea tanto geloso,
Che non trovava il cor nel petto loco;
D' Isabella trovar si disioso ,
Che saria per vederla ito nel foco :
Ma non poteva andar più che volesse
Colei, poich'a Marfisa lo promesse.
144 E quindi per solingo e strano calle ,
Dove a lei piacque, fu Zerbin condotto;
Né per o poggiar monte , o scender valle ,
Mai si guardaro in faccia, o si fèr motto.
Ma poi ch'ai mezzodì volse le spalle
Il vago sol , fu il lor silenzio rotto
Da un cavalier che nel cammin scontrare.
Quel che seguì, nell'altro Canto è chiaro.
NOTBL
St. 1. V. 5-7. — Arpalice, figlia del re di Tracia, di- fese valoroHamente il regri^o del padre contro Neottole-
mo , figlio d' Achille. Camilla è V amabile eroina ùéì-
Y Eneide: figlia di Metabo re de* Volsci, diede assistenza
a Tomo re de'Butali nella guerra contro il troiano
Enea. — Saffò e Corinna , famose poetesse di Grecia :
della prima vivono alcuni frammenti poetici, e il metro
saffico : di Corinna , se il Poeta ha inteso la tebana,
questa dicesi avere più d* una volta superato Pindaro
nel verseggiare.
St. 5. V. 6-8. — Il freddo Ponto : regione settentrio-
nale dell'Asia minore, ove regnò Mitridate. — Nel medio
evo vi fu fondato l'impero di Trebisonda; e fingono i
romanzi che ivi Rinaldo e altri paladini facessero gran
prove di valore. — Jl cavalier ch'uccise Almonte: Or-
lando.
St. 6. v. 1-6. — E quel ch'a Chiarello, ecc. : Rinaldo.
— Eusino : il mar Nero, detto dai Latini Eiixinua, In
esso si scarica il Danubio (Istro) per varj rami (coma),
che formano un delta , chiamato Bogaao. — Al duca
Amone-t ecc. Anche qui il Poeta si discosta dalla genea-
logia degli eroi romantici, nella quale Ouidon Selvaggio
è posto come figlio di Rinalio, e quindi nipote del duca
A mone.
St. 7. V. 2-7. — Noto: vento meridionale, altrimenti
Ostro, — Melibea: città della Tessaglia, ricordata da
Virgilio.
St. 9. V. 2. — Tenitoro: luogo soggetto a domina-
zione altrui; oggi territorio, distretto.
St. 12. V. 8. — Come piace a colei, ecc. : alla Fortuna.
St. 13. V. 2. — Clitemnestra : meritamente è detta
crudele, perchè tolse la vita al proprio marito Agamen-
none per compiacere ad Egisto suo amante. Essa poi
fu uccisa involontariamente dal figliuolo Oreste; di che
egli divenne ftirioso.
St. 14. V. 2. — Chiama crudo Idomeneo , perchè tor-
nato da Troia sacrificò lo stesso suo figlinolo per voto
che aveva fatto d* immolare il primo che incontrasse
tornando in patria.
Ivi. V. 6. — Falanto parti veramente di Grecia con
molti giovani compagni , e fondò , secondo credesi , iu
Italia Tarento, ossia Taranto. Egli però non era n-ito,
come dice l'Ariosto, da Clitemnestra, né durante la guerra
di Troia ; ma come tutti gli altri costretti ad esular con
lui , nasceva dagU amori illegittimi deUe donne spar-
tane nelle lunghe assenze dei mariti, per le guerre messe-
niche.
Ivi. V. 8. — Dictea , città di Creta appiè del monte
Ditte, dove i favoleggiatori pongono il famoso Laberin*o
fabbricato da Dedalo.
St. 26. V. 3. — Discorsi: discorrimenti, correnti.
St. 42. V. 5-6. — Non concedo però che qui Medea, ecc. :
nome espresso a significare crudelissima donna. Medea,
figlia del re di Coleo , fuggita con Giasone dalla casa
patema, uccise Assirto piccolo suo fratello, fece morire
tra le fiamme Creusa, figlia di Creonte re di Corinto, e
tutta quella famiglia ; alla fine tmcidò i due figlioletti
che aveva avuti da Giasone.
St. ^8. v. 2. — La città di queste nuove Amazzoni è
nominata ancora Alessandretta.
St. 71. V. 2. — Ardisco ad ogni impresa. V'è sott'in-
teso mettermi, o espormi.
St. 73. V. 2. — JJegli uomini, ecc. : del numerosissimo
esercito con cui Serse tentò di sottomettere la Grecia.
St. 75. V. 5. — Saettia : piccol naviglio, velocissimo
al corso.
St. 82. V. 3-1 — ia Licaonia prole. Intende Calisto,
figlia di Licaone , altra volta ricordata , e Arcade nato
da essa e da Giove , che converti amendue neUe due
costellazioni boreali denominate Orsa maggiore e Orsa
minore. L' una e V altra hanno apparenza di aratro o
carro, e sono visibili fino allo spuntar delPalba; quindi
la locuzione di questi versi importa: appena cominciava
a farsi giorno.
St. 100. V. 3-4. — Son le isole deU' Arcipelago greco
Capo di Malea : promontorio meridionale della Laconia,
detto dai Latini Malcea, ora Capo Mailo o Capo Sant'An-
gelo, pericoloso per gli scogli ond'è attorniato.
St. 106. V. 3. — Druensa : la Durenza. — Sonna : la
Saona, due influenti nel Rodano.
St. U3. V. 1. — Vezzosa: qui leziosa, sazievole.
St. 144. V. 6. — JZ vago sol: errante, che gira.
^ESIMOPRIMO.
Zarbiiio^ per dLfeDcliìr Gabrlon, vifliic ft c^Dtete eon ErsoBÌde
e lo feriate dì colpo mot tale. Il wìnto raccanta > Z«rlnii»
le tfceUeiiisgiiii (luUa vecchia; ma non potando veDliroe aJl«
tlne pei- racerbirii della pbga, si fa tra3|iortarc &liit>ve. Z^-
bino e la vecchia, nel ^ co seguire il cammino, (^ono frago^
tli battaglia, o vcr.^o Quello sì avviano.
Né fune iuiortu crederò eli e strin^
Soma iiii^ì^ uè aam l^gno chiudo,
Cttmù la fé eli' tiTia l>eli' alma cin^
Del siui teuacé imlissolubil nodo,
^è chi gli autiqnì par che ai dipinga
La ^anta Fé vestitna in altro modu»
Che dMm vel bianco che la cuupra tutta;
Chìin sol punto, un sol neo la può far brutta:
La fede uncina non debbe efl«er correità ,
0 data a uu solo , u data inf^ìeme a mille }
E co^i in una t?t*lvft, in una grotta ^
Lontan dalle cittadi e dalle ville,
Come diuami a' i ri bua ali, iu frotta
Di fentimon, di scritti e di postilie^
6enzii giurare, u segno altro più espresso,
Basti mia volta che scabbia promesso.
CANTO VENTESIMOPRIMO.
3 Quella serrò, come serrar si debba
In ogni impresa , il cavalier Zerbino :
£ quivi dimostrò che conto n'ebbe,
Quando si tolse dal proprio cammino,
Per andar con costei , la qual gV increbbe ,
Come s'avesse il morbo sì vicino,
Oppur la morte istessa; ma potea,
Più che'l disio, quel che promesso avea.
4 Dissi di lui, che di vederla sotto
La sua condotta tanto al cor gli preme,
Che n' arrabbia di duol , né le fa motto :
E vanno muti e taciturni insieme:
Dissi che poi fu quel silenzio rotto ,
Ch'ai mondo il sol mostrò le ruote estreme,
Da un cavaliero avventuroso errante ,
Ch'in mezzo del cammin lor si fé innante.
5 La vecchia che conobbe il cavaliero ,
Ch'era nomato Ermonide d'Olanda,
Che per insegna ha nello scudo nero
Attraversata una vermiglia banda.
Posto l'orgoglio e quel sembiante altiero,
Umilmente a Zerbin si raccomanda,
E gli ricorda quel ch'esso promise
Alla guerriera ch'in sua man la mise;
6 Perchè di lei nimico e di sua gente
Era il guerrier che centra lor venia :
Ucciso ad essa avea il padre innocente ,
E un fratello che solo al mondo avia;
E tuttavolta far del rimanente.
Come degli altri, il traditor disia.
Fin eh' alla guardia tua , donna , mi sentì ,
Dicea Zerbin, non vo'che tu paventi.
7 Come più presso il cavalier si specchia
lu quella faccia che si in odio gli era:
0 di combatter meco t'apparecchia.
Gridò con voce minacciosa e fiera ,
0 lascia la difesa della vecchia.
Che di mia man secondo il meito pera.
Se combatti per lei , rimarrai morto ;
Che così avviene a chi s'appiglia al torto.
8 Zerbin cortesemente a lui risponde ,
Che gli è desir di bassa e mala sorte,
Ed a cavalleria non corrisponde.
Che cerchi dare ad una donna morte :
Se pur combatter vuol, non si nasconde:
Ma che prima consideri eh' importe
Ch'un cavalier, com'era egli, gentile,
Voglia por man nel sangue femminile.
9
Queste gli disse e più parole invano ;
E fu bisogno alfin venire a' fatti.
Poi che preso abbastanza ebbon del piano ,
Tornarsi incontra a tutta briglia ratti.
Non van sì presti i razzi fuor di mano ,
Ch' al tempo son delle allegrezze tratti ,
Come andaron veloci i duo destrieri
Ad incontrare insieme i cavalieri.
stanza 4.
10 Ermonide d' Olanda segnò basso .
Che per passare il destro fianco attese :
Ma la sua debol lancia andò in fracasso,
E poco il cavalier di Scozia offese.
Non fu già l'altro colpo vano e casso:
Ruppe lo scudo, e sì la spalla prese.
Che la forò dall' uno all' altro lato ,
E riversar fé* Ermonide sul prato.
11 Zerbin , che si pensò d' averlo ucciso,
Di pietà vinto , scese in terra presto ,
E levò l'elmo dallo smorto viso;
E quel guerrier , come dal sonno desto ,
Senza parlar guardò Zerbino fiso;
E poi gli disse: Non m'è già molesto
Ch' io sia da te abbattuto , eh' ai sembianti
Mostri esser fior de' cavalieri erranti;
12 Ma ben mi duol che questo per cagione '
D^ona femmina perfida m^ avviene,
A cui non so come tu sia campione ,
Che troppo al tuo valor si disconviene.
E quando tu sapessi la cagione
CVa vendicarmi di costei mi mene,
Avresti , ognor che rimembrassi , affanno
D' aver , per campar lei , fatto a me danno.
13 E se spirto abbastanza avrò nel petto,
Oh' io il possa dir (ma del contrario temo) ,
Io ti farò veder chMu ogni effetto
Scellerata è costei più ch'in estremo.
10 ebbi già un fratel che giovinetto
D' Olanda si parti , d' onde noi semo ;
E si fece d'Eraclio cavaliere,
Ch' allor tenea de' Greci il sommo impero.
14 Quivi divenne intrinseco e fratello
D' un cortese baron di quella corte ,
Che nei confin di Servia avea un castello
Di sito ameno, e di muraglia forte.
Nomossi Argéo colui di ch'io favello.
Di questa iniqua femmina consorte,
La quale egli amò si, che passò il segno
Ch'à un uom si convenìa , come lui , degno.
15 Ma costei , più volubile che foglia
Quando l'autunno è più priva d'umore,
Che'l freddo vento gli arbori ne spoglia,
E le soffia dinanzi al suo furore;
Verso il marito cangiò tosto voglia,
Che fisso qualche tempo ebbe nel core;
£ volse ogni pensiero, ogni disio
D'acquistar per amante il fratel mio.
16 Ma né si saldo all'impeto marino
L' Acrocerauno d'infamato nome,
Né sta si duro incontra Borea il pino
Che rinnovato ha più di cento chiome.
Che quanto appar fuor dello scoglio alpino ,
Tanto sotterra ha le radici ; come
11 mio fratello a' prieghi di costei ,
Nido di tutti i vizj infandi e rei.
17 Or , come avviene a un cavalier ardito ,
Che cerca briga e la ritrova spesso ,
Fu in una impresa il mio fratel ferito ,
Molto al Castel del «uè compagno appresso ,
Dove venir senza aspettare invito
Solea, fosse o non fosse Argéo con esso :
E dentro a quel per riposar fermosse
Tanto, che del suo mal libero fosse.
18 Mentre egli quivi si giaoea, convenne
Ch'in certa sua bisogna andasse Argéa
Tosto questa sfacciatar a tentar venne
n mio. fratello, ed a sua usanza feo;
Ma quel fedel non oltre più sostenne
Avere ai fianchi un stimolo si reo :
Elesse , per servar sua fede appieno ,
Di molti mal quel che gli parve meno.
19 Tra molti mal gli parve elegger questo:
Lasciar d' Argéo l'intrinsichezza antiqua;
Lungi andar si, che non sia manifesto
Mai più il suo nome alla femmina iniqua.
Benché duro gli fosse , era più onesto ,
Che satisfare a quella voglia obbliqua,
0 ch'accusar la moglie al suo signore,
Da cui fu amata a par del proprio core.
20 E delle sue ferite ancora infermo ,
L'arme si veste, e del caste! si parte;
E con animo va costante e fermo
Di non mai più tornare in quella parte.
Ma che gli vai? ch'ogni difesa e schermo
Gli dissipa fortuna con nuova arte :
Ecco il marito che ritorna intanto ,
E trova la moglier che fa gran pianto,
21 E scapigliata, e con la faccia rossa;
E le domanda di che sia turbata.
Prima ch'ella a rispondere sia mossa
Pregar si lascia più d'una fiata,
Pensando tuttavia come si possa
Vendicar di colui che l'ha lasciata:
E ben convenne al suo mobile ingegno
Cangiar l'amore in subitaneo sdegno.
22 Deh , disse alfine , a che l'error nascondo
C'ho commesso, signor, nella tua assenza?
Che quando ancora io'i celi a tutto '1 moni),
Celar noi posso alla mia coscienza.
L'alma che sente il suo peccato immondo.
Paté dentro da sé tal penitenza ,
Ch'avanza ogni altro corporal martire
Che dar mi possa alcun del mio fallire;
23 Quando fallir sia quel che si fa a forza.
Ma sia quel che si vuol, tu sappiranco:
Poi con la spada dalla immonda scorza
Sciogli lo spirto immaculato e bianco,
E le mie luci eternamente ammorza;
Che, dopo tanto vituperio, almanco
Tenerle basse ognor non mi bisogni ,
E di ciascun ch'io vegga, io mi vergogni.
CANTO VENTESIMOPRIMO
3B5
24 IJ tuo compagno ha Tonor mio distratto;
Questo corpo per forza ha violato :
E perchè teme eh* io ti narri il tutto ,
Or si parte il yillan senza commiato.
In odio con quel dir gli ebhe ridatto
Colui che più d'ogni altro gli fa grato.
Argéo lo crede, ed altro non aspetta;
Ma piglia r arme, e corre a far vendetta.
25 E come quel eh' avea il paese noto ,
Lo giunse che non fu troppo lontano ;
Chè'l mio fratello, debole ed egroto,
Senza sospetto se ne già pian piano :
E brevemente, in un loco remoto
Pose , per vendicarsene , in lui mino.
Non trova il fratel mio scusa che vaglia;
Ch' in somma Argéo con lui vuol la battaglia
stanza 12
26 Era Vxm sano, e pien di nuovo sdegno ;
Infermo V altro , ed all' usanza amico :
Sì ch'ebbe il fratel mio poco ritegno
Contro il compagno fattogli nimico.
Dunque Filandro di tal sorte indegno
(Dell'infelice giovene ti dico:
Cosi avea nome), non soffirendo il peso
Di si fiera battaglia, restò preso.
27 Non piaccia a Dio che mi conduca a tale
Il mio giusto furore e il tuo demerto ,
Gli disse Argéo , che mai sia micidiale
Di te ch'amava; e -me tu amavi certo.
Benché nel fin me l'hai mostrato male:
Pur voglio a tutto il mondo fare aperto
Che, come fui nel tempo dell'amore
Cosi nell'odio son di te migliore.
28 Per altro modo pnnirò il tao fallo,
Che le mie man più nel tuo sangue porre.
Cosi dicendo , fece sul cavallo
Di verdi rami una bara comporre ,
E quasi morto in quella riportallo
Dentro al castello in una chiusa torre ,
Dove in perpetuo per punizione
Condannò T innocente a star prigione.
29 Non però ch'altra cosa avesse manco,
Che la libertà prima del partire;
Perchè nel resto , come sciolto e franco
Vi comandava, o si iacea ubbidire.
Ma non essendo ancor T animo stanco
Di questa ria del suo pensier fornire,
Quasi ogni giorno alla prigion veniva ;
Ch' avea le chiavi , e a suo piacer V apriva :
30 E movea' sempre al mio fratello assalti ,
E con maggior audacia che di prima.
Questa tua fedeltà, dicea, che vaiti,
Poiché perfidia per tutto si stima?
Oh che trionfi gloriosi ed alti!
Oh che superbe spoglie e preda opima!
Oh che merito alfin te ne risulta ,
Se, come a traditore, ognun t'insulta!
31 Quanto utilmente , quanto con tuo onore
M'avresti dato quel che da te volli !
Di questo si ostinato tuo rigore
La gran mercè che tu guadagni, or tolli.
In prigion sei, né crederne uscir fuore,
Se la durezza tua prima non molli.
Ma quando mi compiacci, io farò trama
Di riacquistarti e libertade e fama.
32 No, no, disse Filandro, aver mai speiie
Che non sia , come suol , mia vera fede ,
Sebben centra ogni debito mi avviene
Ch' io ne riporti si dura mercede ,
E di me creda il mondo men che bene:
Basta che innanti a quel che 'l tutto ve le ,
E mi può ristorar di grazia eterna ,
Chiara la mia innocenzia si discerna.
33 Se non basta eh' Argéo mi tenga pres ì ,
Tolgami ancor questa noiosa vita.
Forse non mi fia il premio in ciel conferò
Della buona opra, qui poco gradita.
Fora' egli , che da me si chiama offeso ,
Quando sarà quest' anima partita ,
S' avvedrà poi d' avermi fatto torto ,
E piangerà il fedel compagno morto.
34 Così più volte la sfacciata donna
Tenta Filandro, e toma senza fratto.
Ma il cieco suo desir , che non assonna
Del scellerato amor traer constmtto ,
Cercando va più dentro eh' alla gonna
Suoi vizj antiqui , e ne discorre il tatto.
Mille pensier fa d' uno in altro modo ,
Prima che fermi in alcun d'essi il chiolo.
35 Stette sei mesi che non messe piede ,
Come prima facea , nella prigione ;
Di che il miser Filandro e spera e crei 3
Che costei più non gli abbia affezione.
Ecco fortuna , al mal propizia , diede
A questa scellerata occasione
Di metter fin con memorabil male
Al suo cieco appetito irrazionale.
36 Antiqua nimicizia avea il marito
Con un barou detto Morando il bello ,
Che, non v'essendo Argéo, spesso era ardita
Di correr solo , e sin dentro al castello ;
Ma , s' Argéo v' era , non tenea lo 'nvito ,
Né s'accostava a dieci miglia a quello.
Or, per poterlo indur che ci venisse ,
D'ire in Q-erusalem per voto disse.
37 Disse d'andare; e partesi ch'osfuuno
Lo vede , e fa di ciò sparger le grida :
Né il suo pensier, fuorché la moglie , alena)
Puote saper; che sol di lei si fida.
Torna poi nel castello all' aer bruno ;
Né mai , se non la notte , ivi s' annida :
E con mutate insegne al nuovo albóre.
Senza vederlo alcun ^ sempre esce fuore.
38 Se ne va in questa e in quella parte err.uil».
E volteggiando al suo castello intomo .
Pur per veder se credulo Morando
Volesse far, come solca, ritomo.
Stava il di tutto alla foresta; e quanlo
Nella marina vedea ascoso il giorno ,
Venia al castello , e per nascose porte
Lo togliea dentro l'infedel consorte.
39 Crede ciascun fuorché l'iniqua moglie,
Che molte miglia Argéo lontan si trove.
Dunque il tempo opportuno ella si toglie:
Al fratel mio va con malizie nuove.
Ha di lagrime, a tutte le sue voglie.
Un nembo che dagli occhi al sen le piove.
Dove potrò , dicea , trovare aiuto ,
Che in tutto l'onor mio non sia perduto?
40 E col mio quel del mio marito insieme?
II qual se fosse qui, non temerei.
Tu conosci Morando , e sai se teme ,
Quando Argéo non ci sente , uomini e Dei.
Questi or pregando, or minacciando, estreme
Prove fa tuttavia, né alcun de^mlei
Lascia che non contamini , per trarmi
A' suoi disii ; né so s' io potrò aitarmi.
41 Or e' ha inteso il partir del mio consorte,
E ch^ al ritorno non sarà si presto ,
Ha avuto ardir d' entrar nella mia corte ,
Senza altra scusa e senz'altro pretesto:
Che se ci fosse il mio signor per sorte ,
Non sol non avria audacia di far questo,
Ma non si terria ancor , per Dio , sicuro
D' appressarsi a tre miglia a questo muro.
Stanza 30.
42 E quel che già per messi ha ricercato,
Oggi me r ha richiesto a fronte a fronte ;
E con tai modi, che gran duhbio é stato
Dello avvenirmi disonore ed onte:
E se non che parlar dolce gli ho usato
E finto le mie voglie alle sue pronte.
Saria, a forza, di quel suto rapace.
Che spera aver per mie parole in pace.
48 Promesso gli ho, non già per osservargli
(Che fatto per timor, nullo è il contratto);
Ma la nrìa intenz'ion fu per vietargli
Quel che per forza avrebbe allora fatto.
Il caso è qui : tu sol puoi rimediargli ;
Del mio onor altrimenti sarà tratto,
E di quel del mio Argéo, che già m'hai detto
Aver 0 tanto , o più che '1 proprio , a petto.
44 E se questo mi nieghi, io dirò dunque
Ch'in te non sia la fé di che ti vanti;
Ma che fu sol per crudeltà , qualunque
Volta hai sprezzati i miei supplici pianti;
Non per rispetto alcun d' Argéo, quantunque
M'hai questo scudo ognora opposto innanti.
Saria stata tra noi la cosa occulta;
Ma di qui aperta infamia mi risulta.
45 Non si convien , disse Filandro , tale
Prologo a me , per Argéo mio disposto.
Narrami pur quel che tu vuoi; che quale
Sempre fui , di sempre essere ho proposto :
E bench'a torto io ne riporti male,
A lui non ho questo peccato imposto.
Per lui son pronto andare anco alla morte,
E siami con tra il mondo e la mia sorte.
46 Rispose V empia : Io voglio che tn spenga
Colui che^l nostro disonor procura.
Non temer ch'alcun mal di ciò t'avvenga;
Ch'io te ne mostrerò la via sicura.
Dehb'egli a me tornar come rivenga
Su l'ora terza la notte più scura;
E fatto un segno di eh' io l' ho avvertito ,
10 l'ho a tor dentro, che non sia sentito.
47 A te non graverà prima aspettarme
Nella camera mia, dove non luca,
Tanto che dispogliar gli faccia l' arme ,
E quasi nudo in man te lo conduca.
Cosi la moglie conducesse parme
11 suo marito alla tremenda buca;
Se per dritto costei moglie s'appella,
Più che furia infernal crudele e fella.
Stanza 52.
48 Poi che la notte scellerata venne ,
Fuor trasse il mio fratel con l' arme in mano ;
E nell'oscura camera lo tenne,
Finché tornasse il miser castellano.
Come ordine era dato , il tutto avvenne ;
Che '1 consiglio del mal va raro invano.
Così Filandro il buon Argéo percosse ,
Che si pensò che quel Morando fosse.
49 Con esso un colpo il capo fésse e il collo;
Ch' elmo non v' era , e non vi fa riparo.
Pervenne Argéo, senza pur dar un crollo.
Della misera vita al fine amaro :
E tal l'uccise, che mai noi pensollo.
Né mai l'avria creduto: oh caso raro!
Che cercando giovar, fece all'amico
Quel di che peggio non si fa al nimico.
50 Poscia eh' Argéo non conosciuto giacque.
Rende a Gabrina il mio fratel la spada.
Gabrina è il nome di costei , che nacqoe
Sol per tradire ognun che in man le cada.
Ella , che '1 ver fino a quell' ora tacque ,
Vuol che Filandro a riveder ne vada
Col lume in mano il morto, ond'egli è reo;
E gli dimostra il suo compagno Argéo.
51 E gli minaccia poi . se non consente
All'amoroso suo lungo desire.
Di palesare a tutta quella gente
Quel ch'egli ha fatto, e noi può contraddire:
E lo farà vituperosamente.
Come assassino e traditor , morire ;
E gli ricorda che sprezzar la fama
Non de', sebben la vita si poco ama.
52 Pien di paura e di dolor rimase
Filandro, poi che del suo error s'accorse.
Quasi il primo furor gli persuase
D'uccider questa, e stette un pezzo in forse:
E se non che nelle ni miche case
Si ritrovò (che la ragion soccorse) ,
Non si trovando avere altr' arme in mano ,
Coi denti la stracciava a brano a brano.
53 Come nell' alto mar legno talora ,
Che da due venti sia percosso e vinto.
Ch'or uno innanzi l'ha mandato, ed ora
Un altro al primo termine respinto ,
E r han girato da poppa e da prora ;
Dal più possente alfin resta sospinto ;
Cosi Filandro, tra molte contese
De' duo pensieri, al manco rio s'apprese.
54 Ragion gli dimostrò il pericol grande,
Oltra il morir, del fine infame e sozzo,
Se l' omicidio nel castel si spande ;
E del pensare il termine gli è mozzo.
Voglia 0 non voglia, alfin convien che mande
L'amarissimo calice nel gozzo.
Pur finalmente nell'afflitto core
Più dell' ostinazion potè il timore.
55 II timor del supplicio infame e brutto
Prometter fece con mille scongiuri,
Che faria di Gabrina il voler tutto,
Se di quel luogo si partlan sicuri.
Così per forza colse l'empia il frutto
Del suo desire, e poi lasciar quei muri.
Così Filandro a noi fece ritomo.
Di sé lasciando in Grecia infamia e scorno.
56 E portò nel cor fisso il suo compagno,
Che cosi scioccamente ucciso avea,
Per far con sua gran noia empio guadagno
D' una Progne crudel, d'una Medea.
E se la fede e il giuramento , magno
£ duro freno, non Io ritenea,
Come al sicuro fu, morta l'avrebbe;
Ma, quanto più si puote, in odio l'ebbe.
57 Non fu da indi in qua rider mai visto;
Tutte le sue parole erano meste;
Sempre sospir gli uscian dal petto tristo:
Ed era divenuto un nuovo Oreste,
Poi che la madre uccise e il sacro Egisto ,
E che r nitrici Furie ebbe moleste:
E , senza mai cessar , tanto V afflisse
Questo dolor , eh' infermo al letto il fisse.
58 Or questa meretrice, che si pensa
Quanto a quest'altro suo poco sia grata.
Muta la fiamma già d'amore intensa
In odio, in ira ardente ed arrabbiata;
Né meno è centra al mio fratello accensa.
Che fosse centra Argéo la scellerata;
E dispone tra sé levar dal mondo,
Come il primo marito , anco il secondo.
.59 Un medico trovò d'inganni pieno.
Sufficiente ed atto a simil uopo.
Che sapea meglio uccider di veneno,
Che risanar gì' infermi di silopo ;
E gli promesse innanzi più, che meno
Di quel che domandò , donargli , dopo
Ch'avesse con mortifero liquore
Levatole dagli occhi il suo signore.
62 Come pensi , signor , che rimanesse
Il miser vecchio conturbato allora?
La brevità del tempo si l' oppresse ,
Che pensar non potè che meglio fora:
Pur , per non dar maggior sospetto , elesse
U calice gustar senza dimora ;
E l' infermo , seguendo una tal fede ,
Tutto il resto pigliò, che si gli diede.
stanza 00.
60 Già in mia presenza e d'altre più persone
Venia col tosco in mano il vecchio ingiusto,
Dicendo ch'era buona pozione
Da ritornare il mio fratel robusto.
Ma Gabrina con nuova intenzione,
Pria che l'infermo ne turbasse il gusto,
Per torsi il consapevole d'appresso,
0 per non dargli quel ch'avea promesso,
61 La man gli prese, quando appunto dava
La tazza dove il tòsco era celato ,
Dicendo : Ingiustamente é , se ti grava,
Ch'io tema per costui e' ho tanto amato.
Voglio esser certa che bevanda prava
Tu non gli dia, né succo avvelenato:
E per questo mi par che il beveraggio
Non gli abbi a dar, se non ne fai tu il saggio.
63 Come sparvier che nel piede grifagno
Tenga la starna , e sia per trarne pasto ,
Dal can che si tenea fido compagno,
Ingordamente é sopraggiunto e guasto;
Cosi il medico intento al rio guadagno,
Donde sperava aiuto, ebbe contrasto.
Odi di somma audacia esempio raro !
E cosi avvenga a ciascun altro avaro.
64 Fornito questo , il vecchio s' era messo ,
Per ritornare alla sua stanza , in via ,
Ed usar qualche medicina appresso,
Che lo salvasse dalla peste ria;
Ma da Gabrina non gli fu concesso ,
Dicendo non voler ch'andasse pria
Che'l succo nello stomaco digesto
II suo valor facesse manifesto,
66 Pregar non vai, né far di premio offerta,
Che lo voglia lasciar quindi partire.
Il disperato, poiché vede certa
La morte saa , né la poter fuggire ,
Ai circostanti fa la cosa aperta;
Né la seppe costei troppo coprire.
E cosi quel che fece agli altri spesso ,
Quel buon medico alfin fece a sé stesso;
66 E seguitò con V alma quella eh' era
Già del mio frate camminata innanzi.
Noi circostanti , che la cosa vera
Del vecchio udimmo, che fé' pochi avanzi,
Pigliammo questa abbominevol fera.
Più crudel di qualunque in selva stanzi;
E la serrammo in tenebroso loco.
Per condannarla al meritato fuoco.
69 E s' in altro potea gratificai^]! ,
Prontissimo offeriasi alla sua voglia.
Rispose il cavalier, che ricordargli
Sol vuol, che da Gabrina si discioglia
Prima ch'ella abbia cosa a macchioargrli ,
Di ch'esso indamo poi si penta e doglia.
Gabrina tenne sempre gli occhi bassi;
Perchè non ben risposta al vero dassL
70 Con la vecchia Zerbin quindi partisse
Al già promesso debito viaggio ;
E tra sé tutto il di la maledisse,
Che far gli fece a quel barone oltraggio.
Ed or che pel gran mal che gli ne disse
Chi lo sapea , di lei fu istrutto e saggio ,
Se prima l' avea a noia e a dispiacere ,
Or V odia si , che non la può vedere.
67 Questo Ermonide disse, e più voleva
Seguir , com' ella di prigion levossi ;
3Ia il dolor della piaga sì l'aggreva,
Che pallido nell'erba riversossi.
Intanto duo scudier , che seco aveva ,
Fatto una bara avean di rami grossi ;
Ermonide si fece in quella porre ;
Ch'indi altrimente non si potea torre.
71 Ella che di Zerbin sa l'odio appieno,
Né in mala volontà vuol esser vinta ,
Un' oncia a lui non ne riporta meno :
La tien di quarta, e la rifa di quinta.
Nel cor era gonfiata di veneno,
E nel viso altrimente era dipinta.
Dunque, nella concordia ch'io vi dico ,
Tenean lor via per mezzo il bosco antico.
68 Zerbin col cavalier fece sua scusa ,
Che gl'increscea d'avergli fatto offesa:
Ma , come pur tra cavalieri s' usa ,
Colei che venia seco , avea difesa :
Ch' altrimente sua fé saria confusa;
Perchè, quando in sua guardia l'avea presa.
Promesse a sua possanza di salvarla
Contra a ognun che venisse a disturbarla.
72 Ecco , volgendo il sol verso la sera ,
Udiron gridi e strepiti e percosse,
Che facean segno di l)attaglia fiera
Che , quanto era il rumor , vicina fosse.
Zerbino, per veder la cosa ch'era,
Verso il rumor in gran fretta si mosse :
Né fu Gabrina lenta a seguitarlo.
Di quel ch'avvenne, all'altro Canto io parlo.
NOTE.
Si. 3. V. 6. — MorhOf peste.
St. 10. v. 5. — Ctisso, senza effetto.
St. 13 V. 7-8. — Eraclio^ imperatore di Costantino-
poli regnò più di un secolo prima di Garlomagno.
St. 14. V. 3. — Serviaf più comunemente Serbia.
St. 16. V. 2. — L* Acrocerauno d' infamato nome:
promontorio in Epiro, che sovrasta al mare Ionio , ed
è noto pei naufragi che sogliono quivi accadere. Ora
chiamasi capo della Chimera.
St. 25. V. 3. — Egroto: ammalato.
St. 3|. V. f> — Sfolli, aramQllisci,
ST. 43. V. a — Sarà tratto: sarà deciso.
St. 56. V. 4. Progne e Medea per furore geloso scan-
narono i figli; notisiime nella Mitologia.
St. 57. V. 4-5. — Un nuovo Oreste. Vedi la noUalU
St. i3 del Canto XX. — Sacro qui dicesi Egìsto, come
esecrabile adultero e regicida.
St. 59. V. 4. — Silopo : siloppo o siroppo.
St. 66. V. 1-2. — Era.... eaminata: Aveva camminato.
St. 70. V. 6 — Saggio, informato.
St. 71. y. 4. — La tien di quarta, ecc. Rice /e quattro
(in odio) e rende cinque ; os9i«, rende pin per focaccia.
Canto XXII.
CANTO VENTESIMOSECONDO.
ARGOMENTO,
Astiilfo dì struggi; il imla^zo <M Atlaiitt», ripiglia l'Ippopifo, e
sta in |i«Misìi;ro per Habiuano. Bta'lamiiEtu r Rujcrfiioro rico-
lu'wiutisi , e andàiirìo per liberare tiii (giovane comlannato
al fuiK'O] ^rrivniiu a il un ra^itello Elei canti da Pontievo, ove
quAtlro i^ueiTit'i'i liaiitio il carico lii spc^;! in re ogni cavaliere
cbe passi. Mentre HupRÌtìro viene alle iirt?t« con quelli, Bra-
(lamante rkonosci? Pinal>ello e lo inst-gue» Sijnarrl&aì nel-
r azione il Velo i^te euopre lo scudo di Roggi ito, i'. ì 40 altro
cailono tramortiti. Rnfjgiero. per vergogna, fretta lo scudo in
alt puKiÈio, e HiTidamante, che frattanto ha ra;:giimto ed uccido
iliaerfitlo Magai]^es€ . perule la traccia di Riiggioro,
1 Curtesi doline , e (?Tate al vostro amante >
Voi che (V un .*5olo amor scie coutente ,
Comecliè certo sia, fra tante e tante,
CLc rarissime siate in questa mente:
Non vi dispiaccia quel ch'io dissi innante.
Quando contra Gabrina fui si ardente ,
E s ancor son per spendervi alcun verso ,
Di lei biasmando l'animo peiveiso.
2 Ella era tale; e , come imposto fammi
Da chi può in me, non preterisco il vero.
Per questo io non oscuro gli cuor summi
DI una e d'un' altra ch'abbia il cor sincero.
Quel che'l Maestro suo per trenta nummi
Diede a' Giudei, non nocque a Gianni o a Piero;
Nè-d'Ipermestra è la fama men bella,
Sebben di tante inique era sorella.
3 Per una che biasmar cantando ardisco
(Che r ordinata istoria così vuole) ,
Lodarne cento incontra m'offerisco,
E far lor virtù chiara più che'l sole.
Ma tornando al lavor che vario ordisco ,
Ch' a molti , lor mercè , grato esser suole ,
Del cavalier di Scozia io vi dicea ,
Ch'un alto grido appresso udito avea.
4 Fra due montagne entrò in un stretto calle,
Onde uscia il grido; e non fu molto innante,
Che giunse dove in una chiasa valle
Si vide un cavalier morto davante.
Chi sia dirò ; ma prima dar le spalle
A Francia voglio e girmene in levante,
Tanto eh' io trovi Astolfo paladino ,
Che per ponente avea preso il cammino.
5 Io lo lasciai nella città crudele,
Onde col suon del formidabil corno
Avea cacciato il popolo infedele,
E gran periglio toltosi d'intorno;
Ed a' compagni' fatto alzar le vele ,
E dal lito fuggir con grave scorno.
Or seguendo di lui, dico che prese
La via d' Armenia , e uscì di quel paese.
6 E dopo alquanti giorni in Natòlia
Trovossi, e inverso Bursia il cammin tenne:
Onde, continuando la sua via
Di qua dal mare , in Tracia se ne venne.
Lungo il Danubio andò per l'Ungaria;
E, come avesse il suo destrier le penne,
I Moravi e i Boemi passò in meno
Di venti giorni, e la Franconia e il Reno.
7 Per la selva d' Ardenna in Aquisgrana
Giunse e in Brabante, e in Fiandra alfin s'imbarca.
L'aura che soffia verso tramontana,
La vela in guisa in su la prora carca,
Ch'a mezzo giorno Astolfo non lontana
Vede Inghilterra, ove nel lito varca.
Salta a cavallo , e in tal modo lo punge,
Ch'a Londra quella sera ancora giunge.
8 Quivi sentendo poi chel vecchio Otone
Già molti mesi innanzi era in Parigi »
E che di nuovo quasi ogni barone
Avea imitato i suoi degni vestigi ;
D'andar subito in Francia si dispone,
E cosi torna al porto di Tamigi;
Onde con le vele alte uscendo fuora,
Verso Calessio fé' drizzar la prora.
9 Un ventolin che , leggermente all' orza
Ferendo, avea adescato il legno all'onda,
A poco a poco cresce e si rinforza;
Poi vien si, ch'ai nocchier ne soprabbonda
Che gli volti la poppa alfine è forza ;
Se non , gli caccerà sotto la sponda.
Per la schena del mar tien dritto il legno ,
E fa cammin diverso al suo disegno.
10 Or corre a destra , or a sinistra mano ,
Di qua di là , dove fortuna spinge ;
E piglia terra alfin presso a Roano;
E come prima il dolce lito attinge,
Fa rimetter la sella a Rabicano,
E tutto s'arma, e la spada si cinge;
Prende il cammino , ed ha seco quel corno
Che gli vai più che mille uomini intorno.
11 E giunse, traversando una foresta,
Appiè d'un colle ad una chiara fonte,
Neil' ora che '1 monton di pascer resta ,
Chiuso in capanna , o sotto un cavo monte;
E dal gran caldo e dalla sete infesta
Vinto , si trasse 1' elmo dalla fronte ;
Legò il destrier tra le più spesse fronde,
E poi venne per bere alle fresche onde.
12 Non avea messo ancor le labbra in molle,
Ch'un villanel che v'era ascoso appresso,
Sbuca fuor d'una macchia, e il destrier toUe,
Sopra vi sale, e se ne va con esso.
Astolfo il rumor sente , e '1 capo estolle ;
E poi che 'i danno suo vede si espresso ,
Lascia la fonte, e sazio senza bere.
Gli va dietro correndo a più potere.
13 Quel ladro non si stende a tutto corso;
Che dileguato si saria di botto :
Ma or lentando or raccogliendo il morso,
Se ne va di galoppo e di buon trotto.
Escon del bosco dopo un gran discorso;
E l'uno e l'altro alfin si fu ridotto
Là dove tanti nobili baroni
Eran senza prìgion più che prigioni.
14 Dentro il palagio il villanel si caccia
Con quel destrier che i venti al corso adegua.
Forza è ch^ Astolfo, il qual lo scado impaccia,
L^ elmo e V altre arme , di lontan lo segua.
Pur giunge anch' egli; e tutta quella traccia
Che fin qui avea seguita, si dilegua;
Che più né Rahican nè'l ladro vede,
E gira gli occhi, e indamo affretta il piede:
20 Ruggier, Gradasso, Iroldo, firadamante,
Brandimarte, Prasildo, altri guerrieri
In questo nuovo error si fero innante,
Per distruggere il duca accesi e fieri.
Ma ric^rdossi il corno in quello istante,
Che fé* loro ahhassar gli animi altieri.
Se non si soccorrea col grave suono,
Morto era il paladin senza perdono.
15 Aff'retta il piede, e va cercando invano
E le logs^e e le camere e le sale;
Ma per trovare il perfido villano.
Di sua fatica nulla si prevale.
Non sa dove ahhia ascoso Rabicano ,
Quel suo veloce sopra ogni animale;
E senza frutto alcun tutto quel giorno
Cercò di su, di giù, dentro e d'intorno.
16 Confuso e lasso d'aggirarsi tanto,
S' avvide che quel loco era incantato ;
E del libretto eh' avea sempre accanto,
Che Logi stilla in India gli avea dato ,
Acciò che , ricadendo in nuovo incanto ,
Potesse aitarsi , si fu ricordato :
All' indice ricorse , e vide tosto
A quante carte era il rimedio posto.
17 Del palazzo incantato era diffuso
Scritto nel libro; e v'eran scritti i modi
Di fare il mago rimaner confuso ,
E a tutti quei prigion disciorre i nodi.
Sotto la soglia era uno spirto chiuso ,
Che facea quest' inganni e queste frodi :
E levata la pietra ov'è sepolto.
Per lui sarà il palazzo in fumo sciolto.
18 Desideroso di condurre a fine
Il paladin sì gloriosa impresa,
Non tarda più chei braccio non inchine
A provar quanto il grave marmo pesa.
Come Atlante le man vede vicine
Per far che l'arte sua sia vilipesa.
Sospettoso di quel che può avvenire,
Lo va con nuovi incanti ad assalire.
19 Lo fa con diaboliche sne larve
Parer da quel diverso , che solca.
Gigante ad altri , ad altri un villan parve ,
Ad altri un cavalier di faccia rea.
Dgnuno in quella forma in che gli apparve
Nel bosco il mago, il paladin vedea:
Si che per riaver quel che gli tolse
Il mago , ognuno al paladin si volse.
Stanza 4.
21 Ma tosto che si pon quel corno a bocca,
E fa sentire intomo il suono orrendo,
A guisa dei colombi , quando scocca
Lo scoppio , vanno i cavalier fuggendo.
Non meno al negromante fuggir tocca.
Non men fuor della tana esce temendo
Pallido e sbigottito, e se ne slunga
Tanto , che 'l suono orribil non lo giunga.
344
ORLANDO fumoso.
12 Pug^ il gaardian co 'suoi prigioni ; e dopo
Delle stalle fuggir molti cavalli,
Ch'altro che fune a ritenerli era uopo,
E seguirò i patron per vari calli.
In casa non restò gatta né topo
Al suon che par che dica: Dalli, dàlb*.
Sarebbe ito con gli altri Rabicano ;
Se non eh' all'uscir venne al duca in mano.
stanza 24.
25 Non so se vi ricorda che la briglia
Lasciò attaccata all'arbore quel giorno;
Che nuda da Ruggier spari la fig^lia
Di Galafrone, e gli fé' l'alto scorno.
Fé* il volante destrier , con maraviglia
Di chi lo vide , al mastro suo ritorno ;
E con lui stette infin al giorno sempre ,
Che dell'incanto fur rotte le tempre.
26 Non potrebbe esser stato più giocondo
D'altra avventura Astolfo, che di questa;
Ch' è per cercar la terra e il mar , secondo
Ch' avea desir , quel ch* a cercar gli resta ,
E girar tuttx) in pochi giorni il mondo ,
Troppo venia questo Ippogrifo a sesta.
Sapea egli ben quanto a portarlo era atto:
Che l'avei altrove assai provato in fatto.
27 Quel giorno in India lo provò, che tolto
Dalla savia Melissa fu di mano
A quella scellerata, che travolto
Gli avea in mirto silvestre il viso umano ;
E ben vide e notò come raccolto
Gli fu sotto la brìglia il capo vano
Da Logistilla, e vide come instmtto
Fosse Ruggier di farlo andar per tatto.
28 Fatto disegno l' Ippogrifo torsi,
La sella sua, ch'appresso avea, gli messe ;
E gli fece, levando da più morsi
Una cosa ed un' altra , un che lo resse ;
Che dei destrier eh' in fuga erano corsi ,
Quivi attaccate eran le briglie spesse.
Ora un pensier di Rabicano solo
Lo fa tardar che non si leva a volo.
23 Astolfo, poi ch'ebbe cacciato il mago.
Levò di su la soglia il grave sasso,
E vi ritrovò sotto alcuna immago ,
Ed altre cose che di scriver lasso:
E di distrugger quello incanto vago ,
Di ciò che vi trovò , fece fracasso ,
Come gli mostra il libro che far debbia ;
E si sciolse il palazzo in fumo e in nebbia.
24 Quivi trovò che di catena d'oro
Di Ruggiero il cavallo era legato :
Parlo di quel che'l negromante moro
Per mandarlo ad Alcina gli avea dato:
A cui poi Logistilla fé* il lavoro
Del freno, ond'era in Francia ritornato,
E girato dall'India all'Inghilterra
Tutto avea il lato destro della terra.
29 D'amar quel Rabicano avea ragione;
Che non v'era un miglior per correr lancia,
E l' avea dall' estrema regione
Dell'India cavalcato insin in Francia.
Pensa egli molto; e in somma si dispone
Dame piuttosto ad un suo amico mancia ,
Che, lasciandolo quivi in su la strada.
Se l'abbia il primo eh' a passarvi accada.
30 Stava mirando se vedea venire
Pel bosco 0 cacciatore o alcun villano ,
Da cui far si potesse indi seguire
A qualche terra , e trarvi Rabicano.
Tutto quel giorno , e sin all' apparire
Dell'altro, stette riguardando invano.
L' altro mattin , eh' era ancor l' aer fosco ,
Veder gli parve un cavalier pel bosco.
Stanza 12.
31 Ma mi bisogna, s^o vo' dirvi il resto,
ChMo trovi Roggier prima e Bradamante.
Poi che si tacque il corno e che da questo
Loco la bella coppia fu distante,
Guardò Ruggiero, e fu a conoscer presto
Quel che fin qui gli avea nascoso Atlante :
Fatto avea Atlante che fin a quell'ora
Tra lor non s'eran conosciuti ancora.
32 Ruggier riguarda Bradamante , ed ella
Riguarda lui con alta maraviglia,
Che tanti dì l'abbia offuscato quella
Illusì'on sì l'animo e le ciglia.
Ruggiero abbraccia la sua donna bella ,
Che più che rosa ne divien vermiglia;
E poi di su la bocca i primi fiori
Cogliendo vien dei suoi beati amori.
33 Tornano ad iterar gli abbracciamenti
Mille fiate, ed a tenersi stretti
I duo felici amanti , e si contenti ,
Ch'appena i gandj lor capìano i petti
Molto lor dnol che per incantamenti ,
Mentre che far negli errabondi tetti,
Tra lor non s' eran mai riconosciuti ,
E tanti lieti giorni eran perduti.
34 Bradamante, disposta di far tutti
I piaceri che far vergine saggia
Debbia ad un suo amator, sì che di lutti,
Senza il suo onore offendere, il sottraggia;
Dice a Ruggier, se a dar gli ultimi frutti
Lei non vuol sempre aver dura e selvaggia,
La faccia domandar per buoni mezzi
Al padre Amon; ma prima si battezzi.
35 Kuggier, che tolto avria non solamente
Viver cristiano per amor di questa.
Compera stato il padre, e antiquamente
L'avolo e tutta la sua stirpe onesta;
Ma, per farle piacere, immantinente
Data le avria la vita che gli resta:
Nonché neir acqua , disse , ma nel fuoco
Per tuo amor porre il capo mi fia poco.
39 Amando una gentil giovane e bella ,
Ohe di Marsilio re di Spagna è figlia ,
Sotto un vel bianco e in femminil g^onnelk ,
Finta la voce e il volger delle ciglia.
Egli ogni notte si giicea con quella ,
Senza dame sospetto alla famiglia:
Ma sì secreto alcuno esser non paote ,
Ch'ai lungo andar non sia chi'l YeggA e note.
40 Se n'accorse uno, e ne parlò con dui;
Li dui con altri, insin ch'ai re fu detto.
Venne un fedel del re l' altr' ieri a nai ,
Che questi amanti fé pigliar nel letto;
E nella rocca gli ha fatto ambedoi
Divisamente chiudere in distretto :
Né credo per tutto oggi ch'abbia spazio
Il gioven, che non mora in pena e in strazio.
41 Fuggita me ne son per non vedere
Tal crudeltà ; che vivo l' arderanno :
Né cosa mi potrebbe più dolere ,
' Che &ccia di sì bel giovine il danno.
Né potrò aver giammai tanto piacere ,
Che non si volga subito in affanno ,
Che della crudel fiamma mi rimembri ,
Ch'abbia arsi i belli e delicati membri.
36 Per battezzarsi dunque , indi per sposa
La donna aver , Ruggier si messe in via,
Guidando Bradamante a Vallombrosa
(Cosi fu nominata una badia
Ricca e bella, né men religiosa,
E cortese a chiunque vi venia);
E trovaro all'uscir della foresta
Donna che molto era nel viso mesta.
42 Bradamante ode, e par ch'assai le premi
Questa novella , e molto il cor l' annoi ;
Né par che men per quel dannato tema ,
Che se fosse uno dei fratelli suoi.
Né certo la paura in tutto scema
Era di causa, come io dirò poi.
Si volse ella a Ruggiero, e disse: Parme
Ch'in favor di costui sien le nostr'arme.
37 Ruggier, che sempre uman, sempre cortese
Era a ciascun , ma più alle donne molto ,
Come le belle lacrime comprese
Cader rigando il delicato volto ,
N'ebbe pietade , e di disir s' accese
Di saper il suo affanno; ed a lei vólto,
Dopo onesto saluto, domandolle
Perch'avea sì di pianto il viso molle.
38 Ed ella , alzando i begli umidi rai ,
Umanissimamente gli rispose;
E la cagion de' suoi penosi guai.
Poiché le domandò, tutta gli espose.
Gentil signor, dissocila, intenderai
Che queste guance son si lacrimose
Per la pietà eh' a un giovinetto porto ,
Ch'in un caste! qui presso oggi fia morto.
43 E disse a quella mesta : Io ti conforto
Che tu vegga di porci entro alle mura:
Che se '1 giovine ancor non avran morto ,
Più non l'uccideran; stanne sicura.
Ruggiero , avendo il cor benigno scorto
Della sua donna e la pietosa cura.
Sentì tutto infiammarsi di desire
Di non lasciar il giovine morire.
44 Ed alla donna , a cui dagli occhi cade
Un rio di pianto, dice: Or che s'aspetta?
Soccorrer qui , non lacrimare accade :
Fa eh' ove é questo tuo , pur tu ci metta.
Di mille lance trar, di mille spade
Tel promettiam, purché ci meni in fretta:
Ma studia il passo più che puoi, che tarda
Non sìa l' aita , e intanto il fuoco l' arda.
45 L' alto parlare e la fiera sembiauza
Di quella coppia a maravigli v ardita ,
Ebbon di tornar forza la speranza
Colà dond'era già tetta fuggita.
Ma perch' ancor, piìt che la lontananza,
Temeva il ritrovar la via impedita,
E che saria per questo indarno presa,
Stava la donna in sé tutta sospesa.
46 Poi disse lor: Facendo noi la via
Che dritta e piana va fin a quel loco,
Credo eh* a tempo vi si giungerla,
Che non sarebbe ancora acceso il fooco.
Ma gir convien per cosi tòrta e ria ,
Che U termine di un giorno saria poco
A riuscirne; e quando vi saremo.
Che troviam morto il giovine mi temo.
47 £ perchè non andiam , disse Ruggiero ,
Per la più corta? E la donna rispose :
Perchè un Castel de* conti da Pontiero
Tra via si trova, ove un costume pose,
Non son tre giorni ancora, iniquo e fiero
A cavalieri e a donne avventurose,
Pinabello , il peggior uomo che viva ,
Figliuol del conte Anselmo d'Altariva.
48 Quindi uè cavalier uè donna passa,
Che se ne vada senza ingiuria e danni.
L'uno e T altro a pie resta; ma vi lassji
Il guerrier Tarme, e la donzella i panni.
Miglior cavalier lancia non abbassa ,
E non abbassò in Francia già molt* anni ,
Di quattro che giurato hanno al castello
La legge mantener di Pinabello.
49 Come l'usanza, che non è pii\ antiqua
Di tre dì , cominciò , vi vo' narrare ;
E sentirete se fu dritta o obliqua
Cagion che i cavalier fece giurare.
Pinabello ha una donna così iniqua.
Così bestiai , eh' al mondo è senza pare ;
Che con lui, non so dove, andando un giorno,
Ritrovò un cavalier che le fé' scorno.
50 11 cavalier, perchè da lei beffato
Fu d'una vecchia che portava in groppa,
Giostrò con Pinabel , eh' era dotato
Di poca forza , e di superbia troppa :
Ed abbattello, e lei smontar nel prato
. Fece , e provò s' andava dritta o zoppa :
Lasciolla a piede , e fé' della gonnella
Di lei vestir l'antiqua damigella.
51 Quella eh' a pie rimase, dispettosa,
E di vendetta ingorda e sitibonda ,
Congiunta a Pinabel , che d' ogni cosa ,
Dove sia da mal far, ben la seconda,
Né giorno mai, né notte mai riposa;
E dice che non fia mai più gioconda
Se mille cavalieri e mille donne
Non mette a piedi, e lor tolle arme e gonne.
52 Giunsero il di medesmo, come accade ,
Quattro gran cavalieri ad un suo loco.
Li quai di rimotissime contrade
Venuti a queste parti eran di poco;
Di tal valor , che non ha nostra etade
Tant' altri buoni al bellicoso gioco:
Aquilante, Grifone e Sansonetto,
Ed un Guidon Selvaggio giovinetto.
53 Pinabel con sembiante assai cortese
Al Castel ch'io v'ho detto li raccolse.
La notte poi tutti nel letto prese,
E presi tenne ; e prima non gli sciolse.
Che li fece giurar eh' un anno e un mese
(Questo fu appunto il termine che tolse)
Stanano quivi , e spoglieiebbon quanti
Vi capitasson cavalieri erranti;
54 E le donzelle ch'avesson con loro,
Porriano a piedi, e torrian lor le vesti.
Così giurar, cosi constretti foro
Ad osservar, benché turbati e mesti.
Non par che fin a qui centra costoro
Alcun possa giostrar , eh' a pie non resti :
E capitati vi sono infiniti,
Ch'a pie e senz'arme se ne son partiti.
55 É ordine tra lor, che chi per sorte
Esce fuor prima , vada a correr solo ;
Ma se trova il nemico così forte,
Che resti in seUa, e getti lui nel suolo.
Sono obbligati gli altri infino a morte
Pigliar l' impresa tutti in uno stuolo.
Vedi or , se ciascun d'essi é cosi buono
Quel eh' esser de' , se tutti insieme sono.
56 Poi non conviene all' importanzia nostra,
Che ne vieta ogni indugio , ogni dimora ,
Che punto vi fermiate a quella giostra :
E presuppongo che vinciate ancora.
Che vostr'alta presenzia io dimostra;
Ma non é cosa da fare in un'ora:
Ed é gran dubbio che'l giovine s'arda.
Se tutt'oggi a soccorrerlo si tarda.
67 Disse Ruggier: Non riguardiamo a questo;
Facciam nui quel che si può far per uni ;
Abbia chi regge il ciel cura del resto,
0 la fortuna, se non tocsa a lui.
Ti fi^ per questa giostra manifesto
Se buoni siamo d^ aiutar colui
Che per cagion si debole e sì lieve,
Come n'hai detto, oggi bruciar si deve.
58 Senza risponder altro , la donzella
Si messe per la via ch'era più corta.
Più di tre miglia non andar per quella ,
Che si trovar© al ponte ed alla porta
Dove si perdon V arme e la gonnella ,
E della vita gran dubbio si porta.
Al primo apparir lor , di su la rocca,
É chi duo botti la campana tocca.
59 Ed ecco della porta con gran fretta,
Trottando s' un ronzino , un vecchio uscio ;
E quel venia gridando : Aspetta , aspetta ;
Restate olà, che qui si paga il fio;
E se V usanza non v' è stata detta ,
Che qui si tiene , or ve la vo' dir io :
E contar loro incominciò di quello
Costume che servar fa Pinabello.
60 Poi seguitò, volendo dar consigli,
Com'era usato agli altri cavalieri:
Fate spogliar la donna, dicea, fiorii,
E voi l'arme lasciateci e i destrieri;
E non vogliate mettervi a perigli
D'andare incontra a tai quattro guerrieri.
Per tutto vesti, arme e cavalli s' hanno:
La vita sol mai non ripara il danno.
61 Non più, disse Ruggier, non più; ch'io sono
Del tutto informatis^imo : e qui venni
Per far prova di me, se cosi buono
In fatti son, come nel cor mi tenni.
Arme , vesti e cavallo altrui non dono ;
S'altro non sento che minacce e cenni,
E son ben certo ancor , che per parole
Il mio compagno le sue dar non vuole.
62 Ma, per Dio, fa ch'io vegga tosto in fronte
Quei che ne voglion tórre arme e cavallo ;
Ch'abbiamo da passar anco quel monte,
E qui non si può far troppo intervallo.
Rispose il vecchio: Eccoti fuor del ponte
Chi vien per farlo: e non lo disse in fallo;
Ch'un cavalier n'uscì, che sopravveste
Vermiglie avea, di bianchi fior conteste.
63 Bradamante pregò molto Ruggiero ,
Che le lasciasse in cortesia l'assunto
Di gittar della sella il cavaliero ,
Ch'avea di fiori il bel vestir trapunto;
Ma non potè impetrarlo, e fu mestiero
A lei far ciò che Ruggier volse a punto.
Egli volse l'impresa tutta avere,
E Bradamante si stesse a vedere.
64 Ruggiero al vecchio domandò chi fosse
Questo primo ch'uscia fuor della porta.
È Sansonetto, disse; che le rosse
Veste conosco, e i bianchi fior che porti
L'uno di qua, l'altro di là si mosse
Senza parlarsi , e fu l' indugia corta ;
Che s' andare a trovar coi ferri bassi,
Molto affrettando i lor destrieri i passi.
65 In questo mezzo della rocca usciti
Eran con Pinabel molti pedoni,
Presti per levar l' arme ed espediti
Ai cavalier ch'uscian fuor degli arcioni.
Veniansi incontra i cavalieri ardici ,
Fermando in su le reste i gran landooi.
Grossi duo palmi, di nativo cerro,
Che quasi erano uguali insino al ferro.
66 Di tali n'avea più d'una decina
Fatto tagliar di su lor ceppi vivi
Sansonetto a una selva indi vicina,
E portatone duo per giostrar quivi.
Aver scudo e corazza adamantina
Bisogna ben, che le percosse schivi.
Aveane fatto dar, tosto che venne,
L'uno a Ruggier, l'altro per sé ritenne.
67 Con questi , che passar dovean gì' ineadi
(Sì ben ferrate avean le punte estreme),
Di qua e di là fermandoli agli scudi,
A mezzo il corso si scontraro insieme.
Quel di Ruggiero, che i demonj ignudi
Fece sudar, poco del colpo teme:
Dello scudo vo'dir che fece Atlante,
Delle cui forze io v'ho già detto innante.
68 Io v'ho già detto che con tanta forza
L'incantato splendor negli occhi fere,
Ch'ai discoprirsi ogni veduta ammorza,
E tramortito l'uom fa rimanere:
Perciò, s'un gran bisogno non lo sfona,
D'un vel coperto lo solea tenere.
Si crede eh' anco impenetrabil fosse,
Poich'a questo incontrar nulla si mosse.
69 L' altro , eh' ebbe V artefice men dotto ,
Il gravissimo colpo non sofferse.
Come tocco da fulmine, di botto
Die loco al ferro, e pel mezzo s'aperse;
Die loco al ferro , e quel trovò di sotto
Il braccio ch'assai mal si ricoperse;
Si che ne fu ferito Sansonetto ,
E della sella tratto al suo dispetto.
70 E q,uesto il primo fu di quei compagni
Che quivi mantenean l'usanza fella,
Che delle spoglie altrui non fé* guadagni ,
E eh' alla giostra usci fuor della sella.
Convien chi ride, anco talor si lagni,
E fortuna talor trovi ribella.
Quel dalla rocca , replicando il botto ,
Ne fece agli altri cavalieri motto.
stanza 74.
71 S'era accostato Pinabello intanto
A Bradamaute, per saper ehi fusse
Colui che con prodezza e valor tanto
Il cavalier del suo castel percusse.
La giustizia di Dio, per dargli quanto
Era il merito suo , vi lo condusse
Su quel destrier medesimo eh' innante
Tolto avea per inganno a Bradamante.
72 Fornito appunto era l'ottavo mese
Che , con lei ritrovandosi a cammino ,
(Se '1 vi raccorda) questo Maganzese
La gittò nella tomba di Merlino ,
Quando da morte un ramo la difese ,
Che seco cadde, anzi il suo buon destino;
E trassene , credendo nello speco
Ch'ella fosse sepolta, il destrier seco.
73 Bradamante conosce il suo cavallo,
E conosce per lui l'iniquo conte;
E poi eh' ode la voce , e vicino hallo
Con maggior attenzion mirato in fronte:
Questo è il traditor , disse , senza fallo ,
Che procacciò di farmi oltraggio ed onte;
Ecco il peccato suo , che l' ha condutto
Ove avrà de' suoi merti il premio tutto.
74 II minacciare e il por mano alla spada
Fu tutto a un tempo, e lo avventarsi a quello;
Ma innanzi tratto gli levò la strada.
Che non potè fuggir verso il castello.
Tolta è la speme eh' a salvar si vada.
Come volpe alla tana, Pinabello.
Egli gridando , e senza mai far testa ,
Fuggendo si cacciò nella foresta.
75 Pallido e sbigottito il miser sprona,
Cbè posto ha nel fuggir P ultima speme.
L'animosa donzella di Dordona
Gli ha il ferro ai fianchi, e lo percuote e preme:
Yien con lui sempre , e mai non Tabbandona.
Grande è il mmore, e il bosco intorno geme.
Nulla al Castel di questo ancor s'intende,
Però ch'ognuno a Ruggier solo attende.
76 Gli altri tre cavalier della fortezza
Intanto eran usciti in su la yia;
Ed aveàu seco quella mala avvezza ,
Che v'avea posta la costuma ria.
A ciascun di lor tre , che '1 morir prezza
Più eh' aver vita che con biasmo sia ,
Di vergogna arde il viso, e il cor di duolo,
Che tanti ad assalir vadano un solo.
77 La crudel meretrice ch'avea fatto
Por quella iniqua usanza , ed osservarla ,
Il giuramento lor ricorda e il patto
Ch' essi fatti l' avean , di vendicarla.
Se sol con questa lancia te gli abbatto,
Perchè mi vuoi con altre accompagnarla?
(Dicea Guidon Selvaggio) , e s' io ne mento ,
Levami il capo poi , eh' io son contento.
78 Cosi dicea Grifon, cosi Aquilante:
Giostrar da sol a sol volea ciascuno,
E preso e morto rimanere innante
Ch' incontra un sol volere andar più d' uno.
La donna dicea loro: A che far tante
Parole qui senza profitto alcuno?
Per tórre a colui l'arme io v'ho qui tratti,
Non per far nuove leggi e nuovi patti.
79 Quando io v'avea in prigione, era da farme
Queste escuse , e non ora , che son tarde :
Voi dovete il preso ordine servarme,
Non vostre lingue far vane e bugiarde.
Ruggier gridava lor : Eccovi l' arme ,
Ecco il destrier ch'ha nuova sella e barde;
I panni della donna eccovi ancora :
Se li volete , a che più far dimora ?
80 La donna del Castel da un lato preme ,
Ruggier dall'altro li chiama e rampogna
Tanto , eh' a forza si spiccaro insieme ,
Ma nel viso infiammati di vergogna.
Dinanzi apparve V uno e l' altro seme
Del marchese onorato di Borgogna;
Ma Guidon, che più grave ebbe il cavallo,
Vien a lor dietro con poco intervallo.
81 Con la medesim' asta , con che avea
Sansonetto abbattuto, Ruggier viene.
Coperto dallo scudo che solea
Atlante aver sui monti di Pirene:
Dico quello incantato, che splendea
Tanto , eh' umana vista noi sostiene ;
A cui Ruggier per l'ultimo soccorso
Nei più gravi perigli avea ricorso.
82 Benché sol tre fiate bisognolli ,
E certo in gran perigli, usarne il lame;
Le prime due, quando dai r^^ molli
Si trasse a più lodevole costume;
La terza, quando i denti mal satolli
Lasciò deir Orca alle marine spume ,
Che dovean divorar la bella nuda,
Che fu a chi la campò poi cosi cruda.
83 Fuorché queste tre volte , tutto 1 resto
Lo tenea sotto un velo in modo ascoso ,
Ch' a discoprirlo esser potea ben presto ,
Che del suo aiuto fosse bisognoso.
Quivi alla giostra ne venia con questo,
Come io v' ho detto ancora , si animoso ,
Che quei tre cavalier che vedea innanti ,
Manco temea che pargoletti infanti.
84 Ruggier scontra Grifone ove la penna
Dello scudo alla vista si congiunge.
Quel di cader da ciascun lato accenna.
Ed alfin cade , e resta al destrier lunge.
Mette allo scudo a lui Grifon l'antenna;
Ma pel traverso e non pel dritto giunge:
E perchè lo trovò forbito e netto,
. L' andò strisciando , e fé' contrario effetto,
85 Ruppe il velo e squarciò , che gli copria
Lo spaventoso ed incantato lampo.
Al cui splendor cader si convenia
Con gli occhi ciechi, e non vi s'ha alcun scampo.
Aquilante, eh' a par seco venia, ,
Stracciò l'avanzo, e fé* lo scudo vampo.
Lo splendor feri gli occhi ai duo fratelli ,
Ed a Guidon che correa dopo quelli.
86 Chi di qua , chi di là cade per terra :
Lo scudo non pur lor gli occhi abbarbaglia ,
Ma fa che ogn' altro senso attonito erra.
Ruggier , che non sa il fin della battaglia ,
Volta il cavallo; e nel voltare afferra
La spada sua, che si ben punge e taglia:
E nessun vede che gli sia all'incontro;
Che tutti eran caduti a quello scontro.
87 I cavalieri, e insieme quei eh* a piede
Erano asciti , e cosi le donne anco ,
E non meno i destrieri in guisa vede ,
Che par che per morir battano il fianco.
Prima si maraviglia, e poi s* avvede
Che U velo ne pendea dal lato manco :
Dico il velo di seta, in che solca
Chiuder la luce di quel caso rea.
88 Presto si volge; e nel voltar, cercando '
Con gli occhi va T amata sna guerriera;
E vien là dove era rimasa quando
La prima giostra cominciata s'era.
Pensa ch'andata sia, non la trovando,
A vietar che quel giovine non pera,
Per dubbio ch'ella ha forse che non s'arda
In questo mezzo eh' a giostrar si tarda.
89 Fra gli altri che giacean vede la donna ,
La donna che l'avea quivi guidato.
Dinanzi se la pon, sì come assonna,
E via cavalca tutto conturbato :
D' un manto eh' essa avea sopr& la gonna ,
Poi ricoperse lo scudo incantato;
E i sensi riaver le fece tosto
Che'l nocivo splendore ebbe nascosto.
90 Via se ne va Ruggier con faccia rossa ,
Che , per vergogna , di levar non osa :
Gli par ch'ognuno improverar gli possa
Quella vittoria poco gloriosa.
Ch' emenda poss' io fare , onde rimossa
Mi sia una colpa tanto obbrobriosa?
Che ciò eh' io vinsi mai , fu per favore ,
Diran, d'incauti, e non per mio valore.
btanza 86
^l Mentre cosi pensando seco giva.
Venne in quel che cercava a dar di cozzo;
Ghè'n mezzo della strada soprarriva
Dove profondo era cavato un pozzo.
Quivi l'armento alla caldi ora estiva
Si ritraea, poi eh' avea pieno il gozzo.
Disse Ruggiero; Or provveder bisogna,
Che non mi facci , o scudo , più vergogni.
92 Più non starai tu meco; e questo sia
L'ultimo biasmo e' ho d'averne al monio.
Così dicendo , smonta nella via :
Piglia una grossa pietra e di gran pondo,
E la lega allo scudo , ed ambi invia
Per l'alto pozzo a ritrovarne il fondo:
E dice : Costà giù statti sepulto ,
E teco stia sempre il mio obbrobrio occulto.
93 II pozzo è civo, e pieno al sommo d'acque:
Grieve è lo scudo, e quella pietra grieve.
Non si fermò finché nel fondo giacque:
Sopra si chiuse il liquor molle e lieve.
Il nobil atto e di splendor non tacque
La vaga fama, e divulgollo in breve;
E di rumor n' empì , sonando il corno ,
E Francia e Spagna, e le provincie intorno.
94 Poi che di voce in voce si fé* questa
Strana avventura in tutto il mondo nota,
Molti guerrier si misero all'inchiesta
E di parte vicina e di remota:
Ma non sapean qual fosse la foresta.
Dove nel pozzo il sacro scudo nuota ;
Che la donna che fé' l' atto palese ,
Dir mai non volse il pozzo né il paese.
95 Al partir che Ruggier fé' dal castello ,
Dove avea vinto con poca battaglia;
Che i quattro gran campion di Pinabelio
Fece restar com'r omini di paglia;
Tolto lo scudo , avea levato quello
Lume che gli occhi e gli animi abbarbaglia:
E quei che giaciuti eran come morti ^
Pieni di meraviglia eran risorti.
96 Né per tutto quel giorno si favella
Altro fra lor, che dello strano caso;
E come fu che ciascun d'essi a quella
Orribil luce vinto era rimaso.
Mentre parlan di questo , la novella
Vien lor di Pinabel giunto all' occaso :
Che Pinabelio è morto hanno l'avviso;
Ma non sanno però chi l'abbia ucciso.
97 L' ardita Bradamante in questo meso
Giunto avea Pinabelio a un passo stretto:
E cento volte gli avea fin a mezzo
Messo il brando pei fianchi e per lo petto.
Tolto ch'ebbe dal mondo il pozzo el ]ez7o
Che tutto intomo avea il paese infetto ,
Le spille al bosco testimonio volse
Con quel destrier che già il fellon le tolse.
9Ì Volse tornar dove lasciato avea
Rnggier; né seppe mai trovar la strada.
Or per vaHe or per monte s'avrolgea:
Tutta quasi cercò quella contrada.
Non volse mai la sua fortuna rea,
Che via trovasse onde a Ruggier si vada.
Quest'altro Canto ad ascoltare aspetto
Chi dell'istoria mia prende diletto.
NOTE.
ST. 2. V. 5-6. — Nummi j Danari (lat.).
St. 2. V. 7. — Ipermestra : la sola delle cinquanta
Danaidi, sorelle, che non svenasse il marito nella prima
notte delle nozze.
St. 6. V. 1-8. — Natòlia : V Asia Minore , detta oggi
Anatolia. — Bursia, denominata altresì Bursa o Brusa,
e in antico Prusa, città situata alle falde deirOlimpo:
fu in tempo sede dei re di Bitinia , ed avanti la presa
di Costantinopoli era la capitale dell'impero ottomano.
— Franconia fu detto già un i»aese della Germania, che
ora fa parte del Baden e del Viirtemberg. Prese il nome
dai Franchi.
St. 7. V. 1. — Per la selva d* Ardenna. Tale era il
nome di una selva, altre volte estesissima, ma ora con-
siderevolmente diminuita, in una parte della Gallia Bel-
gica, tra la Sciampagna e la Fiandra. — Agtiisgrana,
Aix la Chapelle.
St. 8. V. 8. — Caìessio , Calais. Altrove l' Ariosto lo
chiama Calesse.
St. 9. V. 6-7. — Caererà sotto la sponda : caccerà
sott'acqua V estremità, ossia la prjra del naviglio. —
Per la schena del mar , ecc. Percorre col navislio b
lunghezza del canale marittimo, perchè noi pud attra-
versare.
St. 10. v. 3-4. — Roano : Rouen, città di Normanfia-
St. 13. V. 5. — Discorso: qui corso, corsa.
St. 23. V. 6. — a sesta : opportanamente.
St. 27. V. 6 — VanOt qni Vaneggiamento, Sfrenatou
St. 33. V. 6. — Errabondi, qui fcUlaeL
St. 72. V. 3. — SeH vi raccorda : Se ve lo ricordate.
St. 79. V. 6. — Barde , bardature.
St. 82. V. 3. — Dai regni molli: regni dell' effemi-
natezza e della lascivia
St. 85. V. 6. — Fé* lo scudo vampo: lo scudo rìfdse
d'improvviso splendore.
St. 94. y. 6. — Sacro* Il poeta chiama sacro lo scado
d'Atlante, come altrove Tanello d'AngeUca» perché tatti
e due incantati.
OANTO VENTESIMOTERZO.
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stanza 6.
ÀBIOSTO.
nratlmmante s'inponna in As^hilfo, i !m^ fJnpf> ivevle nfH-
dalo HiLù'nno, part'^ ^i\W IppOi^vif'V Bniiìciinanti^ va
ii; Moi]t:ill»ahO, ii rrntìemìci Riifr^ju-ro in Vnllomlu'osa^
ffli maiiila. ppi mia sti^s^damìs* Ha Pi''Hitìii!t rict^ameiite
timato, Nf'l fammìiirì ]a ilnmigt'na trova Rodomrute
vUi: Ui Uì'^\w il l'avallo. >;eiliiiia e (Jabrinfv ^iijiii^oiio
ad Al lai! va, rl^stpllo dtìì i-onli da Poh ti ero , dove la
uiali^rm veci' Ina ai^iiusa Zei Inno «Idia uccisione di Pi-
iviljelk]; e linnorciJtc Cftvaluricj li condotto a moiire.
Arriva quivi ndixndo con Isabelhi . lileia Z^ibino e
;;li restittiisi'u ramante. Soiirafjgiunffe SfaiidrÌL'ai'rlo
r'iin Lìiivalìce: il paladino combsittf col prif^aiiOT '^ Ja
pirpiii t> intsfiTorta da nn acc niente. Ha ni] ritardo tS
tra^jiottarn aititi ve dal proprio cavallo: Orlando ca-
piU al luogo che fu dimom d Anj^f^lita e di Medoix),
tid ivi L;rni]i[U'la a iH'rdci'f il Menno.
Stuiii^i uijiinii i^iov-fire ^Itmi; cliè raiìe
Volte il ben far sen^fi il jìuo pif^niin fi:i;
H se ]mr Etu?^^ almen nou te ne ai:caU{.'
Morte , né danno , né ignominia ria.
Ohi nuoce altrui, tardi 0 per tempo cade
Il debito a scontar, che non s'obblia.
Dice il proverbio , eh' a trovar si vanno
Gli uomini spesso , e i moLti fermi stanno.
2 Or vedi quel eh' a Pinabello avviene
Per essersi portato iniquamente:
È giunto in somma alle dovute pene ,
Dovute e giuste alla sua ingiusta mente.
E Dio , che le più volte non sostiene
Veder patire a torto uno innocente,
Salvò la donna; e salverà ciascuno
Che d'ogni fellonia viva digiuno.
3 Credette Pinabel questa donzella
Già d' aver morta , e colà giù sepulta;
Né la pensava mai veder, non ch'ella
Gli avesse a tor degli error suoi la multa.
Né il ritrovarsi in mezzo le castella
Del padre, in alcun util gli risulta.
Quivi Altaripa era tra monti fieri
Vicina al tenitorio di Pontieri.
4 Tenea quell' Altaripa il vecchio conte
Anselmo , di eh' uscì questo malvagio ,
Che, per fuggir la man di Chiaramonte,
D'amici e di soccorso ebbe disagio.
La donna al traditore appiè d'un monte
Tolse l'indegna vita a suo grand' agio;
Che d'altro aiuto quel non si provvede,
<^ie d'alti gridi e di chiamar mercede.
5 Morto ch'ella ebbe il falso cavaliero,
Che lei voluto avea già porre a morte,
Volse tornare ove lasciò Ruggiero;
Ma non lo consentì sua dura sorte ,
Che la fé traviar per un sentiero
Che la portò dov' era spesso e forte ,
Dove più strano e più solingo il bosco,
Lasciando il sol già il mondo all'aer fosco.
6 Né sappiendo ella ove potersi altrove
La notte riparar, si fermò quivi
Sotto le frasche in su l'erbette nuove,
Parte dormendo, finché '1 giorno arrivi,
Parte mirando ora Saturno or Giove,
Venere e Marte, e gli altri erranti Divi;
Ma sempre , o vegli o dorma , con la mente
Contemplando Ruggier come presente.
7 Spesso di cor profondo ella sospira,
Di pentimento e di dolor compunta ,
Ch'abbia in lei, più ch'amor, potuto l'ira.
L'ira, dicea, m'ha dal mio amor disgiunta:
Almen ci avessi io posta alcuna mira,
Poich'avea pur la mala impresa assunta.
Di saper ritornar dond'io veniva;
Che ben fui d' occhi e di memoria priva.
8 Queste ed altre parole ella non tacque ,
E molto più ne ragionò col core.
Il vento intanto di sospiri, e l'acque
Di pianto facean pioggia di dolore.
Dopo una lunga aspettazion por nacque
In oriente il disiato albore:
Ed ella prese il suo destrier, ch'intorno
Giva pascendo, ed andò centra il giorno.
9 Né molto andò, che si trovò all'uscita
Del bosco, ove pur dianzi era il palagio.
Là dove molti di l'avea schernita
Con tanto error l'incantator malvagio.
Ritrovò quivi Astolfo , che fornita
La briglia all' Ippogrifo avea a grande agit-
E stava in gran pensier di Rabicano ,
Per non sapere a chi lasciarlo in mano.
10 A caso si trovò che fuor dì testa
L' elmo allor s' avea tratto il paladino ;
Sì che tosto ch'uscì della foresta,
Bradamante conobbe il suo cugino.
Di lontan salutollo, e con gran festa
Gli corse , e l' abbracciò poi più vicino ;
E nominossi , ed alzò la visiera
E chiaramente fé' veder chi eli' era.
11 Non potea Astolfo ritrovar persona
A chi il suo Rabican meglio lasciasse.
Perché dovesse averne guardia buona
E renderglielo poi come tornasse ,
Della figlia del duca di Dordona;
E parvegli che Dio gli la mandasse.
Vederla volentier sempre solca,
Ma pel bisogno or più ch'egli n'avea.
12 Da poi che due e tre volte ritornati
Fraternamente ad abbracciar si f5ro,
E si fur l'uno all'altro domandati
Con molta alFezion dell'esser loro,
Astolfo disse: Ormai, se dei pennati
Vo'il paese cercar, troppo dimoro:
Ed aprendo alla donna il suo pensiero.
Veder le fece il volator destriero.
13 A lei non fu di molta maraviglia
Veder spiegar a quel destrier le penne;
Ch'altra volta, reggendogli la briglia
Atlante incantator, centra le venne,
E le fece doler gli occhi e le ciglia;
Sì fisse dietro a quel volar le tenne
Quel giorno, che da lei Ruggier lontano
Portato fu per cimmin lungo e strano.
CANTO VENTESIMOTERZO.
14 Astolfo disse a lei , che le volea
Dar Kabican che sì nel corso affretta,
Che se , scoccando V arco , si movea ,
Si solea lasciar dietro la saetta;
E tutte V arme ancor , quante n' avea :
Che vuol eh* a Moutalban gli le rimetta,
.E gli le serbi fin al suo ri tomo;
Che non gli fanno or di bisogno intorno.
15 Volendosene andar per l'aria a volo,
Aveasi a far quanto potea più lieve.
Tiensi la spada e '1 corno , ancorché solo
Bastargli il corno ad ogni risco deve.
Bradamante la lancia che'l figlinolo
Portò di Galafrone, anco riceve;
La lancia che, di quanti ne percote,
Fa le selle restar subito vuote.
16 Salito Astolfo sul destrier volante.
Lo fa mover per Paria lento lento;
ludi lo caccia sì, che Bradamante
Ogni vista ne perde in un momento.
Cosi si parte col pilota innante
11 nocchier che gli scogli teme e ^1 vento ;
E poi che'l porto e i liti addietro lassa,
Spiega ogni vela, e innanzi ai venti passa.
17 La donna, poi che fu partito il duca.
Rimass in gran travaglio della mente:
Che non sa come a Montalbau conduca
L'armatura e il destrier del suo parente;
Perocché '1 cuor le cuoce e le manuca
LMngorda voglia e il desiderio ardente
Di riveder Ruggier , che , se non prima ,
A Vallombrosa ritrovar lo stima.
18 Stando quivi sospe>a, per ventura
Si vide innanzi giungere un villano ,
Dal qual fa rassettar quella armatura
Come si puote , e por su Rabicano :
Poi di menarsi dietro gli die cura
I duo cavalli, un carco e l'altro a mano:
Elia n' avea duo prima , eh' avea quello ,
Sopra il qual levò l'altro a Pinabello.
19 Di Vallombrosa pensò far la strada,
Che trovar quivi il suo Ruggier ha speme:
Ma qual più breve o qual miglior vi vada,
Poro discerne, e d'ire errando teme.
II villan non avea della contrada
Pratica molta; ed erreranno insieme.
Pur andare a ventura ella si messe.
Dove pensò che'i loco esser dovesse.
20 Di qua di là si volse, né persona
Incontrò mai da domandar la via.
Si trovò uscir del bosco in su la nona.
Dove un Castel poco lontan scopria ,
Il qual la cima a un monticel corona.
Lo mira , e Montai bau le par che sia :
Ed era certo Montalbano; e in quello
Avea la madre ed alcun suo fratello.
21 Come la donna conosciuto ha il loco ,
Nel cor s' attrista , e più eh' i' non so dire.
Sarà scoperta , se si ferma un poco ;
Né più le sarà lecito a partire.
Se non si parte , l' amoroso foco
L'arderà sì, che la farà morire:
Non vedrà più Ruggier, né farà cosa
Di quel ch'era ordinato a Vallombrosa.
22 Stette alquanto a pensar; poi si risolse
Di voler dare a Montalbau le spalle :
E verso la badia pur si rivolse ;
Che quindi ben sapea qual era il calle.
Ma sua fortuna, o buona o trista, volse
Che, prima ch'ella uscisse della valle,
Scontrasse Alardo , un de' fratelli sui ;
Né tempo di celarsi ebbe da lui.
23 Veniva da partir gli alloggiamenti
Per quel contado a cavalieri e a fanti;
Ch'ad instanzia di Carlo nuove genti
Fdtto avea delle terre circonstanti.
I saluti e i fraterni abbracciamenti
Con le grate accoglienze andare innanti;
E poi, di molte cose a paro a paro
Tra lor parlando in Moatalban tornaro.
24 Entrò la bella donna in Montalbano ,
Dove l'avea con lacrimosa guancia
Beatrice molto desiata invano,
E fattone cercar per tutta Francia.
Or quivi i baci e il giunger mano a mano
Di madre e di fratelli estimo ciancia ,
Verso gli avuti con Ruggier complessi ,
Ch'avrà nell'alma eternamente impressi.
25 Non potendo ella andar, fece pensiero
Ch'a Vallombrosa altri in suo nome andasse
Immantinente ad avvisar Ruggiero
Della cagion eh' andar lei non lasciasse :
E lui pregar (s'era pregar mestiero)
Che quivi per suo amor si battezzasse ,
E poi venisse a far quanto era detto ,
Sì che si desse al matrimonio effetto.
26 Pel medesimo messo fé' disegno
Di mandar a Ruggiero il suo cavallo,
Che gli solea tanto esser caro: e degno
D'essergli caro era ben senza fallo;
Che non s'avria trovato in tutto 'l regno
Dei saracin, né sotto il signor gallo,
Più bel destrier di questo o più gagliardo.
Eccetti Brigliador, soli, e Baiardo.
27 Ruggier, quel dì che troppo audace ascese
Su rippogrifo, e verso il ciel levosse,
Lasciò Frontino, e Bradamante il prese
(Frontino , che '1 destrier cosi nomosse) :
MandoUo a Montalbano, e a buone spese
Tener lo fece , e mai non cavalcosse ,
Se non per breve spazio e a picciol passo j
Sì ch'era più che mai lucido e grasso.
28 Ogni sua donna tosto , ogni donzella
Pon seco in opra, e con suttil lavoro
Fa sopra seta candida e morella
Tesser ricamo di finissim oro;
E dì quel copre ed orna briglia e sella
Del buon destrier : poi sceglie una di loro ,
Figlia di Callitrefia sua nutrice,
D'ogni secreto sua fida mlitrice.
29 Quanto Ruggier l'era nel core impresso,
Mille volte narrato avea a costei :
La beltà , la virtude , i modi d' esso
Esaltato 1' avea fin sopra i Dei.
A sé chiamolla, e disse: Miglior messo
A tal bisogno elegger non potrei;
Che di te né più fido né più saggio
Imbasciator . Ippalca mia , non àggio.
30 Ippalca la donzella era nomata.
Va, le dice (e l'insegna ove de' gire) ;
E pienamente poi l'ebbe informata
Di quanto avesse al suo signore a dire.
E far la scusa se non era andata
Al monaster : che non fu per mentire;
Ma che fortuna, che di noi potea
Più che noi stessi , da imputar s' avea.
31 Montar la fece s'un ronzino, e in mano
La ricca briglia di Frontin le messe:
E se si pazzo alcuno o si villano
Trovasse , che levar le lo volesse ,
Per fargli a una parola il cervel sano ,
Di chi fosse il destrier sol gli dicesse;
Che non sapea si ardito cavaliero ,
Che non tremasse al nome di Ruggiero.
32 Di molte cose l'ammonisce e molte,
Che trattar con Ruggier abbia iti sua vece
Le qual poi ch'ebbe Ippalca ben raccolte,
Si pose in via , né più dimora fece.
Per strade e campi e selve oscure e folte
Cavalcò delle miglia più di diece ;
Che non fu a darle noia chi venisse.
Né a domandarla pur dove ne gisse.
83 A mezzo il giorno, nel calar d' un monte.
In una stretta e malagevol via
Si venne ad incontrar con Rodomonte,
Ch'armato un piccol n\no e a pie segm.
Il Moro alzò ver lei l'altiera fronte,
E bestemmiò l' etema Jerarchia ,
Poiché sì bel destrier, sì bene ornato.
Non avea in man d'an cavalier trovato.
84 Avea giurato che '1 primo cavallo
Torria per forza, che tra via incontrasse.
Or questo è stato il primo ; e trovato hallo
Più bello e più per lui, che mai trovasse:
Ma torio a una donzella gli par fallo;
E pur agogna averlo , e in dubbio storse.
Lo mira, lo contempla, e dice spesso:
Deh perché il suo signor non è con esso '
35 Deh ci fosse egli! gli rispose Ippalci;
Che ti faria cangiar forse pensiero.
Assai più di te vai chi lo cavalca ;
Né lo pareggia al mondo altro guerriero.
Chi é , le disse il l^Ioro , che pì calca
L'onore altrui? Rispose ella: Ruggiero.
E quel soggiunse: Adunque il destrier voi^io.
Poich'a Ruggier, sì gran campiou, Io tosrli)
36 II qual , se sarà ver , come tu parli ,
Che sia si forte, e più d'ogn' altro vaglia.
Nonché il destrier , ma la vettura darli
Converrammi , e in suo arbitrio fia la taglia.
Che Rodomonte io sono, hai da narrarli;
E che , se pur vorrà meco battaglia ,
Mi troverà: eh' ovunque io vada o stia,
ìli fa sempre apparir la luce mia.
37 Dovunque io vo, si gran vestigio resta,
Che non lo lascia il fulmine maggiore
Cosi dicendo, avea tornate in testa
Le redini dorate al corridore:
Sopra gli salta; e lacrimosa e mesta
Rimane Ippalca , e spinta dal dolore ,
Minaccia Rodomonte, e gli dice onta:
Non l'ascolta egli, e su pel poggio raoati.
38 Per quella via dove Io guida il nano
l'er trovar Mandricardo e Doralice ,
Gli viene Ippalca dietro di lontano
E lo bestemmia sempre e maled'ce.
Ciò che di questo avvenne, altrove è piano.
Turpin , che tutta questa istoria dice ,
Fa qui digrosso, e torna in quel paese,
Dove fu dianzi morto il Maganzese.
39 Dato avea appena a quel loco le spalle
La figliuola d' Amon , ch^ in fretta già ,
Che v'arrivò Zerbin per altro calle
Con la fallace vecchia in compagnia :
E giacer vide il corpo nella valle
Del cavalle r , che non sa già chi sia ;
3Ia, come quel ch'era cortese e pio,
Ebbe pietà del caso acerbo e rio.
stanza 6U
40 Qiaceva Pinabello in terra spento.
Versando il sangue per tante ferite,
Ch'esser dbveano assai, se più di cento
Spade in sua morte si fossero unite.
Il cavalier di Scozia non fu lento,
Per r orme che di fresco eran scolpite ,
A porsi in avventura, se potea
Saper chi l'omicidio fatto avea.
42 Se di portarne il furto ascosamente
Avesse avuto modo o alcuna speme,
La soprawesta fatta riccamente
Gli avrebbe tolta, e le bell'arme insieme.
Ma quel che può celarsi agevolmente
Si piglia, e'I resto fin al cor le preme.
Fra l'altre spoglie un bel cinto levonne,
E se ne legò i fianchi infìra due gonne.
41 Ed a Gabrina dice che l'aspette;
Che senza indugio a lei farà ritomo.
Ella presso al cadavere si mette ,
E fissamente vi pon gli occhi intorno :
Perchè,. se cosa v'ha che le dilette.
Non vuol eh 'un morto invan più ne sia adorno,
Come colei che fa, tra l'altre note.
Quanto avara esser più femmina puote.
43 Poco dopo arrivò Zerbin. eh' avea
Seguito invan di Bradamante i passi,
Perchè trovò il sentier che si torcea
In molti rami ch'ivano alti e bassi;
E poco omai del giorno rimanea,
Né volea al buio star fra quelli sassi;
E per trovare albergo die le spalle
Con l'empia vecchia alla funesta valle.
44 Quindi presso a dua miglia ritrovaro
Un gran caste! che fa detto Altariva ,
Dove per star la notte si fermare ,
Che già a gran volo inverso il ciel saliva.
Non vi stér molto , eh' un lamento amaro
L'orecchie d'ogni parte lor feriva;
E veggon lacrimar da tutti gli occhi ,
Come la cosa a tutto il popol tocchi.
45 Zerbino dimandonne; e gli fu detto
Che venut' era al cont' Anselmo avviso ,
Che ft*a duo monti in un sentiero stretto
Giacca il su) figlio Pinabello ucciso.
Zerbin , per non ne dar di sé sospetto ,
Di ciò si finge nuovo, e abbassa il viso;
Ma pensa ben , che senza dubbio sia
Quel ch'egli trovò morto in su la via.
46 Dopo non molto la bara funebre
Giunse, a splendor di torchi e di facelle,
Là dove fece le strida più crebre
Con un batter di man gire alle stelle,
E con più vena fuor delle palpebre
Le laciime innondar per le mascelle:
3ra più dell'altre nubilose ed atre,
Era la faccia del misero patre.
47 Mentre apparecchio si facea solenne
Di grandi esequie e di funebri pompe,
Secondo il modo ed ordine che tenne
L'usanza antiqua, e ch'ogni età corrompe:
Da parte del signor un bando venne,
Che tosto il popolar strepito rompe,
E promette gran premio a chi dia avviso
Chi stato sia che gli abbia il figlio ucciso.
48 Di voce in voce, e d'una in altra orecchia
Il grido e '1 bando per la terra scorse ,
Finché l'udì la scellerata vecchia,
Che di rabbia avanzò le tigri e l'orse;
E quindi alla mina s'apparecchia
Di Zerbino, o per l'odio che gli ha forse,
0 per vantarsi pur, che sola priva
D' tmanitade in uman corpo viva ;
49 0 fosse pur per guadagnarsi il premio :
A ritrovar n' andò quel signor mesto ;
E dopo un verisimil suo proemio,
(irli disse che Zerbin fatto avea questo :
E quel bel cinto si levò di gremio,
' Che '1 miser padre a riconoscer presto,
Appresso il testimonio e triste uffizio
Dell'empia vecchia, ebbe per chiaro indizio.
50 E lacrimando al ciel leva le mani ,
Che'l figliuol non sarà senza vendetta.
Fa circondar l'albergo ai terrasszani ;
Che tutto 'l papol s' è levato in fretta.
Zerbin che gii nimici aver lontani
Si crede , e questa ingiuria non aspetta ,
Dal conte Anselmo, che si chiama oifeso
Tanto da lui, nel primo sonno è pre^o;
51 E quella notte in tenebrosa parte
Incatenato e in gravi ceppi messo.
Il sole ancor non ha le luci sparte,
Che l'ingiusto supplicio è già commesso:
Che nel loco medesimo si squarte ,
Dove fu il mal e' hanno imputato ad esso.
Altra esamina in ciò non si facea;
Bastava che '1 signor così credea.
62 Poi che l'altro mattin la bella aurora
L' aer seren fé* bianco e rosso e giallo ,
Tutto '1 popol gridando : Mora , mora ,
Vien per punir Zerbin del non suo fallo.
Lo sciocco vulgo l'accompagna fuora,
Senz'ordine, chi a piede e chi a cavallo;
E 'l cavalier di Scozia a capo chino
Ne vien legato in s'un piccol ronzino.
53 Ma Dio, che spesso gl'innocenti aiata.
Né lascia mai chi'n sua bontà si fida,
Tal difesa gli avea già provveduta.
Che non v' è dubbio più eh' o^i s' uccida.
Quivi Orlando arrivò, la cui venuta
Alla via del suo scampo gli fu guida.
Orlando giù nel pian vide la gente
Che traea a morte il cavalier dolente.
54 Era con lui quella fanciulla, quella
Che ritrovò nella selvaggia grotta.
Del re Gklego la figlia Isabella,
In poter già de'malandrin condotta,
Poi che lasciato avea nella procella
Del truculento mar la nave rotta:
Quella che più vicino al core avea
Questo Zerbin, che l'alma onde vivea.
55 Orlando se l' avea fatta compagna ,
Poi che della caverna la riscosse.
Quando costei li vide alla campagna .
Domandò Orlando, chi la turba fosse.
Non so, diss'egli; e poi su la montagna
Lasciolla, e verso il pian ratto si mosse:
Guardò Zerbino, ed alla vista prima
Lo giudicò baron di molta stim^.
56 E fattosegli appresso , domandollo
Per che cagione e dove il menin preso.
LeTÒ il dolente cavaliero il collo;
E meglio avendo il paladino inteso,
Rispose il vero ; e così ben narrollo ,
Che meritò dal conte esser difeso.
Bene avea il conte alle parole scorto
Ch'era innocente, e che moriva a torto.
57 E poi che'ntese che commesso questo
Era dal conte Anselmo d' Altariva,
Fu certo ch'era torto manifesto;
Ch'altro da quel fellon mai non deriva.
Ed oltre a ciò, l'uno era all'altro infesto
Per r antiquissimo oiio che bolliva
Tra il sangue di Maganza e di Chiaramonte;
E tra lor eran morti e danni ed onte.
.58 Slegate il cavalier, gridò, canaglia,
Il conte a' masnadieri , o ch'io v'uccido.
Chi è costui che sì gran colpi taglia?
Rispose un che parer volle il più fido:
Se di cera noi fussimo o di paglia,
E di fuoco egli, assai fora quel grido.
E venne contra il paladin di Francia:
Orlando contro lui chinò la lancia.
62 Di cento venti (che Turpin sottrasse
Il conto) , ottanta ne perirò almeno.
Orlando finalmente si ritrasse
Dove a Zerbin tremava il cor nel seno.
S'al ritornar d'Orlando s'allegrasse,
Non si potria contare in versi appieno.
S3 gli saria per onorar prostrato ;
Ma si trovò sopra il ronzin legato.
63 Mentre eh' Orlando , poi che lo disciolse ,
L'aiutava a ripor l'arme sue intorno,
Ch'ai capitan della sbirraglia tolse,
Che per suo mal se n' era fatto adomo ;
Zerbino gli occhi ad Isabella volse,
Che sopra il colle avea fatto soggiorno ;
E poi che della pugna vide il fine.
Portò le sue bellezze più vicine.
64 Quando apparir Zerbin si vide appresso
La donna che da lui fu amata tanto,
La bella donn^ che per falso messo
Credea sommersa, e n'ha più volte pianto:
Com'un ghiaccio nel petto gli sia messo.
Sente dentro aggelarsi , e trema alquanto :
Ma tosto il freddo manca , ed in quel loco
Tutto s'avvampa d'amoroso fuoco.
59 La lucente armatura il Maganzese,
Che levata la notte avea a Zerbino,
E postasela indosso , non difese
Contro l'aspro incontrar del paladino.
Sopra la destra guancia il ferro prese:
L'elmo non passò già, perch'era fino;
Ma tanto fu della percossa il crollo.
Che la vita gli tolse, e roppe il collo.
60 Tutto in un corso , senza tor di resta
La lancia , passò un altro in mezzo '1 petto^
Quivi lasciolla, e la mano ebbe presta
A Durindana; e nel drappel più stretto
A chi fece due parti della testa ,
A chi levò dal busto il capo netto;
Forò la gola a molti; e in un momento
N'uccise e messe in rotta più di cento.
61 Più del terzo n'ha morto, e'I resto caccia
E taglia e fende e fiere e fora e tronca.
Chi lo scudo e chi l'elmo che lo'mpaccia,
E chi lascia lo spiedo e chi la ronca ;
Chi al lungo, chi al traverso il cammin spaccia;
Altri s'appiatta in bosco, altri in spelonca.
Orlando di pietà questo dì privo,
A suo poter non vuol lasciarne un vivo.
6.5 Di non tosto abbracciarla lo ritiene
La riverenza del signor d'Aiiglante;
Perchè si pensa, e senza dubbio tiene,
Ch'Orlando sia della donzella amante.
Così cadendo va di pene in pene,
E poco dura il gaudio ch'ebbe innante:
Il vederla d'altrui peggio sopporta,
Che non fé' quando udì eh' ella era morta.
66 E molto più gli duol che sia in podestà
Del cavaliero a cui cotanto debbe;
Perchè volerla a lui levar, né onesta
Né forse impresa facile sarebbe;
Nessuno altro da sé lassar con questa
Preda partir senza romor vorrebbe;
Ma verso il conte il suo debito chiede
Che se lo lasci por sul collo il piede.
67 Giunsero taciturni ad una fonte ,
Dove smontare , e fèr qualche dimora.
Trassesi l'elmo il travagliato conte,
Ed a Zerbin lo fece trarre ancora.
Vede la donna il suo amatore in fronte,
E di subito gaudio si scolora;
Poi toma come fiore umido suole
Dopo gran pioggia all'apparir del sole:
8 E senza indugio e senza altro rispetto
Corre al suo caro amante, e il collo abbraccia :
E non pnò trar parola fuor del petto,
Ma di lacrime il sen bagna e la faccia.
Orlando attento air amoroso affetto,
Senza che più chiarezza se gli faccia,
Vide a tutti gl'indizj manifesto
Ch'altri esser che Zerbin non potea questo.
Stanza 85.
69 Come la voce aver potè Isabella,
Non bene asciutta ancor l' umida guancia ,
Sol della molta cortesia favella
Che Tavea usata il paladin di Francia.
Zerbino, che tenea questa donzella
Con la sua vita pari a una bilancia,
Si getta a' pie del conte, e quello adora
Come a chi gli ha due vite date a un'ora.
70 Molti ringraziamenti e molte offerte
Erano per seguir tra i cavalieri.
Se non udian sonar le vie coperte
Dagli arbori di frondi oscuri e neri.
Presti alle teste lor , eh' eran scoperte ,
Posero gli elmi , e presero i destrieri :
Kd ecco un cavaliere e una donzella
Lor sopravvien, ch'appena erano in sella.
71 Era questo guerrier quel Mandrì<»rdo
Che dietro Orlando in fretta si conciasse
Per vendicar Alzirdo e Manilardo ,
Che '1 paladin con gran valor percnsse :
Quantunque poi lo seguitò più tardo ,
Che Doralice in suo poter ridusse.
La quale avea con un troncon dì cerro
Tolta a cento guerrier carchi di ferro.
72 Non sapea il saracin però che questo ,
Ch'egli seguia, fosse il signor d'An^laate;
Ben n'avea indizio e segno manifesto
Ch'esser dovea gran cavaliere errante.
A lui mirò più eh' a Zerbino, e presto
Gli andò con gli occhi dal capo alle piante:
E i dati contrassegni ritrovando ,
Disse: Tu se' colui ch'io vo cercando.
73 Sono omai dieci giorni, gli soggiunse,
Che di cercar non lascio i tuo' vestigi :
Tanto la fama stimolommi e punse,
Che di te venne al campo di Parigi,
Quando a fatica im vivo sol vi giunse
Di mille che mandasti ai regni stigi,
E la strage contò, che da te venne
Sopra i Norizj e quei di Tremisenne.
74 Non fui, come lo seppi, a seguir lento,
E per vederti, e per provarti appresso:
E perchè m'informai del guemimento
C hai sopra l' arme , io so che tu sei (ìesf^r
E se non l' avessi anco . e che fra cento
Per celarti da me ti fossi messo,
Il tuo fiero sembiante mi farìa
Chiaramente veder che tu quel sia.
75 Non si può , gli rispose Orlando , diro
Che cavalier non sii d'alto valore;
Perocché si magnanimo desire
Non mi credo albergasse in umil cor«\
Se'l volermi veder ti fa venire,
Vo'che mi veggi dentro, come fuore:
Mi leverò quest'elmo dalle tempie.
Acciò eh' a punto il tuo desire adempie.
76 Ma poi che ben m'avrai veduto in faccia.
All'altro desiderio ancora attendi:
Resta ch'alia cagion tu satisfaccia,
Che fa che dietro questa via mi preu'li;
Che veggi se '1 valor mio si confaccia
A quel sembiante fier che si commendi.
Orsù, disse il pagano, al riraanenie:
Ch^al primo ho satisfatto interamente.
77 II conte tuttavia dal capo al piede
Va cercando il pagan tutto con gli occhi:
Mira ambi i fianchi , indi Parcion; né vede
Pen'ler né qua né 1& mazze né stocchi.
Gli domanda di eh' ai me si provvede,
S'avvien che pon la lancia in fallo tocf;hi.
Rispose quel : Non ne pigliar tu cura :
Così a molt' altri ho ancor fatto paura.
78 Ho sacramento di non cinger spada,
Finch' io non tolgo Durindana al conte;
E cercando lo vo per ogni strada,
Acciò più d'una posta meco sconte.
Lo giurai (se d' intenderlo t' aggrada)
Quando mi posi quest'elmo alla fronte,
Il qual con tutte l'altr'arme ch'io porto,
Era d' Ettór , che già mill' anni é morto.
79 La spada sola manca alle buone arme;
Come rubata fu, non ti so dire.
Or, che la porti il paladino, parme;
E di qui vien eh' egli ha si grande ardire.
Ben penso, se con lui posso accozzarme,
Fargli il mal tolto ormai restituire.
Cercolo ancor, che vendicar disio
Il famoso Agrican , gcnitor mio.
80 Orlando a tradimento gli die morte :
Ben so che non potea farlo altrimente.
Il conte più non tacque , e gridò forte :
E tu, e qualunque il dice, se ne mente.
Ma quel che cerchi , t' è venuto in sorte :
Io sono Orlando , e uccisil giustamente ;
E questa è quella spada che tu cerchi,
Che tua sarà, se con virtù la merchi.
81 Quantunque sia debitamente mia,
Tra noi per gentilezza si contenda:
Né voglio in questa pugna ch'ella sia
Più tua che mia; ma a un arbore s'appenda.
Levala tu liberamente via,
S'avvien che tu m'uccida o che mi prenda.
Cosi dicendo, Durindana prese,
E'n mezzo il campo a un arboscel l'appese.
82 Già l' un dall' altro é dipartito lunge ,
Quanto sarebbe un mezzo tratto d'arco;
Già l' uno centra l' altro il destrier punge ,
Né delle lente redini gli é parco;
Già l'uno e l'altro di gran colpo aggiunge
Dove per l'elmo la veduta ha varco.
Parvero l' aste , al rompersi , di gelo ,
E in mille schede andar volando al cielo
Ariusto.
83 L'una e l'altr'asta è forza che si spezzi;
Che non voglion piegarsi i cavalieri
I cavalier che tornano coi pezzi
Che son restati appresso i calci interi.
Quelli che sempre fur nel ferro avvezzi ,
Or, come duo villan per sdegno fieri
Nel partir acque o termini di prati ,
Fan crudel zuffa di duo pali armati.
84 Non stanno l'aste a quattro colpi salde,
E mnncan uel furor di quella pugna.
Di qua e di là si fan l'ire più calde;
Né da ferir lor resta altro che pugna.
Schiodano piastre, e straccian maglie e falde,
Purché la man , dove s' aggraffi , giugna.
Non desideri alcun, perché più vaglia,
Martel più grave o più dura tanaglia
[^^J-r
%M^
Stanza 87.
85 Come può il saracin ritrovar sesto
Di finir con suo onore il fiero invito?
Pazzia sarebbe il perder tempo in questo :
Che nuoce al feritor più eh' al ferito.
Andò alle strette l' uno e l' altro , e presto
Il re pagano Orlando ebbe ghermito:
Lo stringe al petto ; e crede far le prove
Che sopra Anteo fé già il figliuol di Giove.
86 Lo piglia con molto impeto a traverso :
Quando lo spinge, e quando a sé lo tira;
Ed é nella gran collera si immerso ,
Ch' ove resti la briglia poco mira.
Sta in sé raccolto Orlando , e ne va verso
Jì suo vantaggio , e alla vittoria aspira :
Gli pon la cauta man sopra le ciglia
Del cavallo , e cader ne fa la brii^Iia.
87 II Saracino ogni poter vi mette
Che lo soffoghi , o dell* arcion lo avella. *
Negli urti il conte ha le ginocchia strette;
Né in questa parte vuol piegar, né in quella.
Per quel tirar che fa il pagan, constrette
Le cinghie son d* abbandonar la sella.
Orlando è in terra, e appena se'l conosce;
ChH piedi ha in staffa, e stringe ancor le cosce.
88 Con quel rumor eh* un sacco d*arme cade,
Risuona il conte, come il campo tocca.
Il destrier e' ha la testa in libertade,
Quello a chi tolto il freno era di bocca,
Non più mirando i boschi che le strade,
Con ruinoso corso si trabocca ,
Spinto di qua e di là dal timor cieco;
E Mandricardo se ne porta seco.
89 Doralice che Tede la sua guida
Uscir del campo, e torlesi d'appresso,
E mal restarne senza si confida.
Dietro, correndo, il suo ronzin gli ha messo.
Il pagan per orgoglio al destrier grida ,
E con mani e con piedi il batte spesso;
E, come non sia bestia, lo minaccia
Perchè si fermi, e tuttavia più il caccia.
90 La bestia ch'era spaventosa e poltra,
Senza guardarsi ai pie. corre a traverso.
Già corso avea tre miglia , e seguiva oltra ,
S'un fosso a quel desir non era avverso;
Che , senza aver nel fondo o letto o coltra ,
Ricevè l'un e l'altro in sé riverso.
Die Mandricardo in terra aspra percossa;
Né però si fiaccò né si roppe ossa.
91 Quivi si ferma il corridore alfine ;
Ma non si può guidar; che non ha freno.
Il Tartaro lo tien preso nel crine,
E tutto é di furore e d'ira pieno.
Pensa, e non sa quel che di far destine.
Pongli la briglia del mio palafreno,
La donna gli dicea; che non è molto
Il mio feroce, o sia col freno o sciolto.
92 Al Saracin parca discortesia
La profferta accettar di Doralice ;
Ma fren gli farà aver per altra via
Fortuna a' suoi disii molto fautrice.
Quivi (Sbrina scellerata invia,
Che, poi che di Zerbin fu traditrice,
Fuggìa, come la lupa che lontani
Oda venire i cacciatori e i cani.
93 Ella avea ancora indosso la gonnella ,
E quei medesmi giovenili ornati
Che furo alla vezzosa damigella
Di Pinabel , per lei vestir , levati :
Ed avea il palafreno anco di quella .
Dei buon del mondo e degli avvantaggiatL
La vecchia sopra il Tartaro trovosse ,
Ch' ancor non s'era accorta che vi fosse.
94 L'abito giovenil mosse la figlia
Di Stordilano e Mandricardo a riso ,
Vedendolo a colei che rassimiglia
A un babbuino , a un bertuccione in rìso.
Disegna il Saracin torlo la briglia
Pel suo destriero, e riuscì l'avviso.
Toltogli il morso , il palafren minaccia ;
Gli grida , lo spaventa , e in fuga il caccia.
95 Quel fugge per la selva, e seco porta
La quasi morta vecchia di paura
Per valli e monti, e per via dritta e tórta.
Per fossi e per pendici alla ventura.
Ma il parlar di costei si non m'importa,
Ch'io non debba d'Orlando aver più cura,
Ch'alia sua sella ciò ch'era di guasto,
Tutto ben racconciò senza contrasto.
96 Rimontò sul destriero , e stè gran pezzj
A riguardar che '1 Saracin tornasse.
Noi vedendo apparir, volse da sezzo
Egli esser quel eh' a ritrovarlo andasse;
Ma, come costumato e bene awezsso,
Non prima il pai .din quindi si trasse,
Che con dolce parlar grato e cortese
Buona licenzia dagli amanti prese.
97 Zerbin di quel partir molto si dolse:
Di tenerezza ne piangea Isabella:
Voleano ir seco : ma il conte non volse
Lor compagnia, bench'era e buona e bella;
E con questa ragion se ne disciolse:
Ch'a guerrier non è infamia sopra quella,
Che , quando cerchi un suo nemico , prenda
Compagno che l' aiuti e che '1 difenda.
98 Li pregò poi che , quando il Saracino ,
Prima eh' in lui , si riscontrasse in loro ,
Gli dicesser ch'Orlando avria vicino
Ancor tre giorni per quel tenitore:
Ma dopo che sarebbe il suo cammino
Verso le'nsegne dei bei gigli d'oro.
Per esser con l'esercito di Carlo,
Acciò , volendol . sappia onde chiamarlo.
99 Quelli promiser farlo volentieri,
E questa e ogn* altra cosa al sno comando.
Fero camniin diverso i cavalieri ,
Di qua Zerbino , e di là il conte Orlando.
Prima che pigli il conte altri sentieri ,
All' arbor tolse , e a sé ripose il brando ;
E dove meglio col pagan pensosse
Di potersi incontrare, il destrier mosse.
106 Ma sempre più raccende e più rinnova ,
Quanto spegner più cerca, il rio sospetto:
Come l'incauto augel, che si ritrova
In ragna o in visco aver dato di petto,
Quanto più batte l'ale e più si prova
Di disbrigar, più vi si lega stretto.
Orlando viene ove s'incurva il monte
A guisa d'arco in su la chiara fonte.
100 Lo strano corso che tenne il cavallo
Del Saraci n pel bosco senza via,
Fece eh' Orlando andò due giorni in fallo ,
Né lo trovò, né potè averne spia.
Giunse ad un rivo che parca cristallo,
Nelle cui sponde un bel pratel fioria ,
Di nativo color vago e dipinto,
E di molti e belli arbori distinto.
101 II merigge facea grato l'orezzo
Al duro armento ed al pastore ignudo ;
Sì che né Orlando sentia alcun ribrezzo,
Che la corazza avea, l'elmo e lo scudo.
Quivi egli entrò . per riposarvi , in mezzo ;
E v'ebbe travaglioso albergo e crulo,
E più che dir si possa empio soggiorno.
Quell'infelice e sfortunato giorno.
102 Volgendosi ivi intorno, vide scritti
Molti arbuscelli in su l'ombrosa riva.
Tosto che fermi v'ebbe gli occhi e fitti.
Fu certo esser di man della sua diva.
Questo era un di quei lochi già descritti ,
Ove sovente con Medor veniva
Da casa del pastor indi vicina
La bella donna del Catai regina.
103 Angelica e Medor con cento nodi
Legati insieme, e in cento lochi vede.
Quante lettere son, tanti son chiodi
Coi quali amore il cor gli punge e fiede.
Va col pensier cercando in mille modi
Non creder quel ch'ai suo dispetto crede:
Ch'altra Angelica sia creder si sforza,
Ch'abbia scritto il suo nome in quella scorza
1
Stanza 90.
104 Poi dice : Conosco io pur queste note :
Di tal' io n'ho tante vedute e lette.
Finger questo Medoro ella si può te :
Forse eh' a me questo cognome mette.
Con tali opinion dal ver remote,
Usando frande a sé medesmo , stette
Nella speranza il mal contento Orlando ,
Che si seppe a sé stesso ir procacciando.
106 Aveano in su l'entrata il luogo adorno
Coi piedi storti edere e viti erranti :
Quivi solcano al più cocente giorno
Stare abbracciati i duo felici amanti.
V aveano i nomi lor dentro e d'intorno,
Più che in altro dei luoghi cireoustanti ,
Scritti , qual con carbone e qual con gesso ,
£ qual con punte di coltelli impresso.
107 II mesto conte a pie quivi discese;
E vide in su l'entrata della grotta
Parole assai, che di sua man distese
Medoro ayea, che parean scritte allotta.
Del gran piacer che nella grotta prese ,
Questa sentenzia in versi avea ridotta.
Che fosse eulta in suo lioguaggio io penso ;
Ed era nella nostra tale il senso :
108 Liete piante, verdi erbe, limpide acque,
Spelonca opaca , e di fredde ombre grata ,
Dove la bella Angelica, che nacque
Di Galafron, da molti invano amata,
Spesso nelle mie braccia nuda giacque;
Della comodità che qui m'è data.
Io povero Medor ricompensarvi
D* altro non posso, che d'ognor lodarvi;
113 LMmpetuosa doglia entro rimase.
Che volea tutta uscir con troppa fretta.
Cosi veggiam restar T acqua nel vase,
Ch^ largo il ventre e la bocca abbia stretta:
Che nel voltar che si fa in su la base,
L^umor che vorria uscir, tanto s^affiretta,
E nell'angusta via tanto s'intrica,
Ch'a goccia a goccii i\iore esce a fatiea.
114 Poi ritoma in sé alquanto, e pensa eomt
Possa esser che non sia la cosa vera :
Che voglia alcun cosi infamare il nome
Della sua donna e crede e brama e spera,
0 gravar lui d'insopportabil some
Tanto di gelosia, che se ne pera;
Ed abbia quel , sia chi si voglia stato ,
Molto la man di lei bene imitato.
109 E di pregare ogni signore amante ,
E cavalieri e damigelle, e ognuna
Persona o paesana o viandante,
Che qui sua volontà meni o fortuna,
Ch'alPerbe, all'ombra, all'antro, al rio, alle piante
Dica: Benigno abbiate e sole e luna,
E delle ninfe il coro , che provveggia
Che non conduca a voi pastor mai greggia.
110 Era scritto in arabico, che'l conte
Intendea così ben, come latino.
Fra molte lingue e molte eh' avea pronte.
Prontissima avea quella il paladino,
E gli schivò pia volte e danni ed onte,
Che si trovò tra il popol Saracino.
Ma non si vanti , se già n' ebbe frutto ;
Ch'un danno or n'ha, che può scontargli il tutto.
Ili Tre volte e quattro e sei lesse lo scritto
Quello infelice , e pur cercando invano
Che non vi fosse quel che v'era scritto;
E sempre lo vedea più chiaro e piano:
Ed ogni volta in mezzo il petto afflitto
Stringersi il cor sentia con fredda mano.
Rimase alfin con gli occhi e con la mente
Fissi nel sasso , al sasso indifferente.
112 Fu allora per uscir del sentimento;
Si tutto in preda del dolor si lassa.
Credete a chi n' ha fatto esperimento ,
Che questo è 'I duol che tutti gli altri passa.
Caduto gli era sopra il petto il mento,
La fronte priva di baldanza, e bassa;
Né potè aver (che '1 duol l' occupò, tanto)
Alle querele voce , o umore al pianto.
115 In cosi poca, in cosi debol speme
Sveglia gli spirti , e gli rinfranca nn poco ;
Indi al suo Brigliadoro il dosso preme;
Dando già il sole alla sorella loco.
Non molto va, che dalle vie supreme
Dei tetti uscir vede il vapor del fuoco,
Sente cani abbaiar, mudare armento:
Viene alla villa , e piglia alloggiamento.
116 Languido smonta, e lascia Brigliadoro
A un discreto garzon che n'abbia cura.
Altri il disarma, altri gli sproni d'oro
Oli leva , altri a forbir va 1' armatura.
Era questa la casa ove Medoro
Giacque ferito, e v'ebbe alta avventura.
Corcarsi Orlando e non cenar domanda,
Di dolor sazio, e non d'altra vivanda.
117 Quanto più cerca ritrovar quiete,
Tanto ritrova più travaglio e pena;
Che dell'odiato scritto ogni parete.
Ogni uscio, ogni finestra vede piena.
Chieder ne vuol: poi tien le labbra chete;
Che teme non si far troppo serena,
Troppo chiara la cosa che di nebbia
Cerca ofiFnscar, perchè men nuocer debbia.
118 Poco gli giova usar fraudo a sé stesso;
Che, senza domandarne, è chi ne parla
n pastor, che lo vede così oppresso
Da sua tristizia, e che vorria levarla,
L'istoria nota a sé, che dicea spesso
Di quei duo amanti a chi volea ascoltarla .
Ch'a molti dilettevole fu a udire,
or incominciò senza rispetto a dire:
SUnza 100.
119 Commesso a'prieghi d'Angelica bella
PorUto avea Medoro alla sua villa;
Ch' era ferito gravemente , e eh' ella
Curò la piaga , e in pochi di guarilla :
Ma che nel cor d' una maggior di quella
Lei feri amor; e di poca scintilla
L' accese tanto e sì cocente foco , .
Che n'ardei tutta, e non trovava loco.
120 E senza aver rispetto ch'ella fusse
Figlia del maggior re 6h' abbia il Levante,
Da troppo amir constretta si condusse
A farsi moglie d'un povero fante.
All'ultimo l'istoria si ridusse,
Che '1 pastor fé* portar la gemma innante ,
Ch'alia sua dipartenza, per mercede
Del buon albergo, Angelica gli diede.
121 Questa conclusion fd la secare
Che'l capo a un colpo gli levò dal collo,
Poi che d* innumerabil battiture
Si vide il manigoldo Amor satollo.
Celar si studia Orlando il duolo : e pure
Quel gli fa forza, e male asconder puoUo:
Per lacrime e sospir da bocca e d' occhi
Convien, voglia o non voglia, alfin che scocchi.
122 Poi ch'allargare il freno al dolor puote
(Che resta solo , e senza altrui rispetto)
Giù dagli occhi rigando per le gote
Sparge un fiume di lacrime sul petto :
Sospira e geme, e va con spesse ruote
Di (iafl.-di là tutto cercando il letto;
E più duro eh' un sasso, e più pungente
Che se fosse d'urtica, se lo sente.
125 Di pianger mai, mal di grìdsLT non resu:
Né la notte né '1 dì si dà mai pace :
Fugge cittadi e borghi , e aUa foresta
Sul terren duro al discoperto giace.
Di sé si maraviglia, ch'abbia in testa
Una fontana d'acqua sì vivace,
E come sospirar possa mai tanto;
E spesso dice a sé così nel pianto:
126 Queste non son più lacrime, che faore
Stillo dagli occhi con sì larga vena:
Non suppliron le lacrime al dolore;
Finir, eh' a mezzo era il dolore appena.
Dal fuoco spinto ora il vitale umore ,
Fugge per quella via ch'agli occhi mena;
Ed è quel che si versa, e trarrà insieme
E'I dolore e la vita all'ore estreme.
Stanza 123.
123 In tanto aspro travaglio gli soccorre
Che nel medesmo letto , in che giaceva ,
L'ingrata donna venutasi a porre
Col suo drudo più volte esser doveva.
Non altrimenti or quella piuma abborre.
Né con minor prestezza se ne leva,
Che dell'erba il villan che s'era messo
Per chiuder gli occhi, e veorga il serpe appresso.
124 Quel letto, quella casa, quel pastore
Immantinente in tant'odio gli casca.
Che, senza aspettar luna, o che l'albore
Che va dinanzi al nuovo giorno nasca ,
Piglia l'arme e il destriero, ed esce fuore
Per mezzo il bosco alla più oscura frasca;
E quando poi gli è avviso d'esser solo.
Con gridi ed urli apre le porte al duolo.
127 Questi, ch'indizio fan del mio tormento,
Sospir non sono; né i sospir son tali.
Quelli han triegua talora; io mai non sento
Che'l petto mio men la sua pena esali.
Amor, che m'arde il cor, fa questo vento.
Mentre dibatte intorno al fuoco Pali.
Amor, con che miracolo lo fai,
Che'n fuoco il tenghi, e noi consumi mai?
1 28 Non son, non sono io quel che paio in rìso :
Quel ch'era Orlando, è morto, ed è sotterra;
La sua donna in2n:titis8ima l'ha ucciso:
Sì , mancando di fé , gli ha fatto guerra.
Io son lo spirto suo da lui diviso.
Ch'in questo inferno tormentandosi erra.
Acciò con l'ombra sia, che sola avanza,
Esempio a chi in amor pone speranza.
129 Pel bosco errò tutta la notte il conte;
E allo spuntar della diurna fiamma
Lo tornò il suo destin sopra la fonte.
Dove Medoro isculse l'epigramma.
Veder l' ingiuria sua scritta nel monte
L'accese si, ch'in lui non restò dramma
Che non fosse odio , rabbia , ira e furore ;
Né più indugiò, che trasse il brando fuore.
130 Tagliò lo scritto e'I sasso, e sino al cielo
A volo alzar fé le minute schegge.
Infelice qiielP antro, ed ogni stelo
In cui Medoro e Angelica si legge!
Così restar quel dì, ch'ombra né gelo
A pastor mai non daran più , né a gregge :
E quella fonte , già sì chiara e pura.
Da cotanta ira fu poco sicura ;
|31 Che rami e ceppi e tronchi e sassi e zolle
Non cessò di gittar nelle beli' onde ,
Finché da sommo ad imo si turbolle,
Che non furo mai più chiare né monde:
E stanco alfin, e alfin di sudor molle,
Poi che la lena vinta non risponde
Allo sdegno, al grave odio, all'ardente ira,
Cade, sul prato , e verso il ciel sospira.
132 Afflitto e stanco alfin cade nell'erba,
E ficca gli occhi al cielo, e non fa motto.
Senza cibo e donnir cosi si serba.
Che '1 sole esce tre volte , e toma sotto.
Di crescer non cessò la pena acerba ,
Che fuor del senno alfin l'ebbe condotto.
Il quarto dì, da gran furor commosso,
E maglie e piastre si stracciò di dosso.
stanza 135.
133 Qui riman l'elmo, e là riman lo scudo;
Lontan gli arnesi, e più lontan l'usbergo:
L' arme sue tutte , insomma vi concludo ,
Avean pel bosco differente albergo.
E poi si squarciò i panni e mostrò ignudo
L' ispido ventre , e tutto '1 petto e '1 tergo ;
E cominciò la gran follia , si orrenda ,
Che della più non sar<à mai chi'ntenda.
134 In tanta rabbia, in tanto furor venne,
Che rimase offuscato in ogni senso.
Di tor la spada in man non gli sovvenne;
Che fatte avria mirabil cose, penso.
Ma né quella, né scure, né bipenne
Era bisogno al suo vigore immenso.
Quivi fé' ben delle sue prove eccelse :
( h' un alto pino al primo crollo svelse :
135 E svelse dopo il primo altri parecchi,
Come fosser finocclii, rbuli o aneti;
E fé' il simil di qnercie e d*olmi vecchi;
Di fdgi^i e d' orni e d' ilici e d* abeti.
Quel eh' un uccellator, che s'apparecchi
Il campo mondo , fa , per por le reti ,
Dei giunchi e delle stoppie e dell'artiche,
Facea de' cerri e d' altre piante antiche.
136 I pastor che sentito hanno il fracasso, >
Lasciando il gregge sparso alla foresta,
Chi di qua , chi di là , tntti a gran passo ,
Vi vengono a veder che cosa è questa.
Ma son giunto a quel segno, il qnal s'io paso,
Vi pctria la mia istoria esser molesta;
Ed io la vo' piuttosto differire.
Che v' abbia per lunghezza a fastidire.
ìn o TU.
St. a V. 4. — Tórre la multa : far pagare il fio.
St. 4. V. 3. — Chiarumontef Bradamante ohe era della
casa di Chiaramonte.
St. 6. V. 6. — Oli altri erranti Divi: gli altri pia-
neti, distinti coi nomi degli Dei del Gentilesimo.
St. 8. V. 8. — Alido cantra il giorno: verso levante.
St. 12. V. 5-6. — Dei pennati il paese: l'aria, regione
dei volatili.
ST. 16. V. 5-6. — Cosi si parte col pilota innante il
nocchier, ecc. Pilota o piloto è colui che il nocchiero^
cioè il capitano del naviglio, stipendia air uopo, acciò
Io conduca salvo in Inoghi difficili per seccagne, o sco-
gli coperti, 0 correnti pericolose. Il piloto sta sulla pr ^ra
della nave, o la precede In un battello ; e, terminato il
suo ufficio, torna a caia sua. I piloti di questo genere
di-ionsi piloti pratici^ per distinguerli dai piloti d^ al-
tura , che stanno fissi al bordo , e dirigono il viaggio
in alto mare, tenendo registro giornaliero di tutte le
particolarità, che, secondo Tarte nautica, occorre notare.
St. 23. V. 7. — Cai itresia. Nome greco, che significa
buona nutrice.
S r. 33. V. 7. — Digresso : Digressione.
St. 41. V. 7. — Tra l'altre note : tra gli altri vizi.
Sr. 46. V. 3. — Cretfre: frequenti.
St. 53. V. 4. — DubbiOf qui: tema, apprensione.
St. 54. V. 3. — Qalengo, Di Galizia, Galiziaiia
Ivr. V. 6. — Del truculento mar: mare borraflooso.
St 66. V. 1. — Podestà : potestà, potere.
St. 80. V. 8. — La merchi, qui per racqaisU.
St. 82. V. 5. — Aggiunge. Giunge, colpisce.
St. tA V. 5-6. — Falde: lamine che fanno parte delPai-
matura. — S'aggraffi, : afferri a somiglianza di gralSo
St. 85. V. 1-8. -- Sesto: ordine, misura; qui modo, via.
— Andò alle strette: venne alle prese, si azzidlt^ —
Crede far le prove , ecc. Antes , gigante , lottando co ■
Ercole, fu da questi sollevato in alto , e stretto si f jr-
temente, che ne scoppiò.
St. 101. v. 1-4. — Orezzo: venticello che spira al rezso :
od anche rezzo di alberi , rinfrescato da legger venu
— Ribrezzo : tremito delle meaabra, cagionato dal treAÌ \
brivido.
St. 107. V. 7. — Culla: espressa pulitamente.
St. 115. v. 4 — Alla sorella: alla lana.
St. 129. V. 2. — Della diurna fiamma : del sole.
Ivi V. 4 — Epigramma. Qui: iscrizione.
st. 130 V. 5. — Gelo: intendasi frescura.
St. 135. V. 24. — EbìUi : pianticelle d'ingrato odore,
che fanno i fiori come il sambuco. É detta comuDemente:
sambuchella. — Aneto, specie di finocchio. — Ilid, Elei,
Lecci; latinismo.
-••O'
CANTO VENTESIMOQUARTO.
Canto XXiV.
AHGOBCENTO,
Piovfi furinafì (i*Ovlaiiiln. Z*tÌiìiiì> iiìponim piipinniero Hrlorìco tm*
ditoiP rrisaìtrlla; s^ì renlojitt la viU » ma in pena sH fallo
pli lìà m f^ a ardi a Uabriiiik Va [| il indi iti J veloci a, d' firlando, e
110. varcoglk' Ir (irmi disperse sul suolo. So]kraVT,'iciie , insieme
con DoTalieOt Bfrandvicardo clic, per la ap^da del paladino^ vienn
a liattafilìa con Zeri uno; riaasti muore per lo riportate ferì to, o
Imbellasi ricoTora pr^jsao un romito. Capita poi Rodonionie, chfl
sì at tac^ea non Man d ri Canio ; ma la pii^nia è sospesa da nn ra^asag*
f^ero dì AgTamaiUe, dit ridiiama i due ^icmei i s<jlto Parigi,
Chi mette il pie m T amorosa pania,
rerehi rìtrarlo, e non v* inverdii Tnle;
rhò non è in nomina amor se non irimaia,
A Emulili do de' savi universale:
E std>ljen (^nme Orlando ognnn non smania.
Suo fnror moi^tra a (lualcli' altro setoiJi^^^
E quale è di pazzia seguo piti e.^presso ,
Glie, "^eT ah ri voler, perder sé stesso?
9 Vari irli effetti son^ ma la pazzia
È tilt t' una però, che li fa uscire.
Gli è come una gran selva , ove la via
Conviene a forza , a chi vi va , fallire :
Chi sn chi giù, chi qua chi là travia.
Per concludere, in somma, io vi vo'dire:
A chi in amor s'invecchia, oltr'ogni pena,
Si convengono i ceppi e la catena.
47
3 Ben mi sì potria dir: Frate, tu vai
L'altrui mostrando, e non vedi il tuo fallo.
Io vi rispondo che comprendo assai,
Or che di mente ho lucido intervallo;
Ed ho gran cura (e spero farlo ormai)
Di riposarmi , e d' uscir fuor di ballo :
Ma tosto far, come vorrei, noi posso;
Che U male è penetrato infin all'osso.
4 Signor, nell^ altro Canto io vi dicea
Che '1 forsennato e furioso Orlando
Trattesi V arme e sparse al campo avea.
Squarciati i panni , via gittato il brando.
Svelte le piante , e risuonar facea
I cavi sassi e l'alte selve; quando
Alcun' pastori al snon trasse in quel lato
Lor stella, o qualche lor grave peccato.
5 Viste del pazzo Pincredibil prove
Poi più d* appresso y e la possanza estrema,
Si voltan per fuggir ; ma non sanno ove ,
Si come avviene in sobitana tema.
Il pazzo dietro lor ratto si rnnov^ :
Uno ne piglia, e del capo lo scema
Con la facilità che torria alcuno
Dall' albor pome , o vago fior dal pruno.
ii . .
8 Già potreste sentir come rimbombe
L*alto rumor nelle propinque ville
D' urli e di corni , rusticane trombe ,
E più spesso, che d^altro, il snon di squille:
E con spuntoni ed archi e spiedi e frombo
Veder dai monti sdrucciolarne mille;
Ed altri tanti andar da basso ad alto ,
Per fare al pazzo un villanesco assalto.
9 Qual venir suol nel salso lito V onda
Mossa dair Austro eh' a principio scherza ,
Che maggior della prima è la seconda,
E con più forza poi segue la terza ;
Ed ogni volta più Tumore abbonda,
E neir arena più stende la sferza :
Tal contra Orlando V empia turba cresce ,
Che giù da balze scende, e di valli esce.
stanza 5.
6 Per una gamba il grave tronco prese ,
E quello usò per mazza addosso al resto.
In terra un pajo addormentato stese ,
Ch' al novissimo di forse fia desto :
Gli altri sgombraro subito il paese ,
Oh'ebbonó il piede e il buon avviso presto.
Non saria stato il pazzo al seguir lento ,
Se non ch'era già volto al loro armento.
7 Gli agricoltori, accorti agli altru' esempli,
Lascian nei campi aratri e marre e falci:
Chi monta su le case, e chi sui templi
(Poiché non son sicuri olmi né salci) ,
Onde r orrenda fùria si contempli,
Ch'a pugni, ad urti, a morsi, a graffi, a calci,
Cavalli e buoi rompe, fracassa e strugge;
E ben è corridor chi da lui fugge.
'•^-
Stanza 6.
10 Fece morir diece persone e diece,
Che senza ordine alcun gli andaro in mano:
E questo chiaro esperimento fece,
Ch'era assai più sicur starne lontano.
Trar sangue da quel corpo a nessun lece,
('he lo fere e percuote il ferro invano.
Al conte il re del ciel tal grazia diede,
Per porlo a guardia di sua santa Fede.
372
ORLANDO FUlirO:SO.
11 Era a periglio di morire Orlando,
Se fosse di morir stato capace.
Potea imparar eh' era a gittare il brando,
E poi voler senx' arme essere audace.
La turba già s^ andava ritirando,
Vedendo ogni suo colpo uscir fallace.
Orlaxido, ppi che più nessun T attende,
Verso un borgo di case il cammiu prende.
Stanza 13.
14 Di qua di là , di su di gì» discorre
Per tutta Francia: e uu gio.uo a lai pouie jinrn
Sotto cui largo e pieno d'acqua corre
Un fiume d'alta e di scoscesa riva.
Edificato otfctnto avea una torre
Che. d' oo^Mutorno e di loutan scopriva.
Quel che fé' quivi, avete altrove a udire;
Che di Zerbiu mi convien prima dire.
15 Zerbin, da poi ch'Orlando fu partito.
Dimorò alquanto, e poi prese il sentiero
Che 'i paladino innanzi gli avea trito ,
E mosse a passa lento il suo destriero.
Non credo che duo miglia auc3 fosse ito ,
Che trar vide legato un cavai iero
Sopra un picciol ronzino, e d'ogni lato
La guardia aver d'un cavaliero armato.
16 Zerbin questo prigiou conobbe tosto
Che gli fu appresso , e così fé' Isabella.
Era Odorico il Biscaglin , che pofeto
Fu come lupo a guardia dell' agnella.
L'avea a tutti gli amici suoi preposto
Zerbino in confidargli la donzella ,
Sperando che la fede che nel resto
Sempre avea avuta, avesse ancora in questa
17 Come era a punto quella cosa stata
Venia Isabella raccontando allotta :
Come nel palischermo fu salvata ,
Prima ch'avesse il mar la nave rotta:
La forza che V avea Odorico usata :
E come tratta poi fosse alla grotta.
Né giimt' era anco al fin di quel sermone ,
Che trarre il malfattor vider prigione.
12 Dentro non vi trovò piccol né grande ,
Che '1 borgo ognun per tema avea lasciato.
V'erano in copia povere vivande.
Convenienti a un pastorale stato.
Senza il pane discerner dalle ghiande ,
Dal digiuno e dalP impeto cacciato ,
Le mani e il dente lasciò andar di botto
In quel che trovò prima, o crudo o cotto.
13 E quindi errando per tutto il paese ,
Dava la caccia e agli uomini e alle fere;
E scorrendo pei boschi, ta'.or prese
I capri snelli , e le damme leggiere ;
Spesso con orsi e con ciui;hiai coniese ,
E con man nude li pose a giacere;
E di lor canie con tutUi la spoglia
Più volte il ventre empi con fiera voglia.
18 I duo ch'in mezzo avean preso Odorico,
D'Isabella notizia ebbono vera;
E s'avvisare esser di lei l'amico,
E'I signor lor, colui ch'appresso l'era;
Ma più, che nello scudo il segno antico
Vider dipinto di sua stirpe altiera:
E trovar , poi che guardar meglio al viso ,
Che s'era al vero apposto il loro avviso.
19 Saltaro a piedi, e con aperte braccia
Correndo se n' andar verso Zerbino ,
E l'abbracciare ove il maggior slabbracela.
Col capo nudo, e col ginocchio chino.
Zerbin, guardando l'uno e l'altro in faccia
Vide esser l'un Corebo il Biscaglino,
Almonio l'altro, ch'egli avea mandati
Con Odorico in sul uavilio armati.
stanza 13.
20 Almonio disse: Poiché piace a Dio
(La sna mercè) che sia Isabella teco.
Io posso ben comprender , signor mio ,
Che nulla cosa nuova ora t'arreco:
S'io vo*dir la cagion che questo rio
Fa che cosi legato tedi meco;
Che da costei, che più sentì l'oifesa,
A punto avrai tutta T istoria intesa.
21 Come dal traditore io fui schernito
Quando da sé levommi. saper dèi;
E come poi Corebo fu ferito,
Ch'a difender s'avea tolto costei.
Ma quanto al mio ri tomo sia seguito.
Né veduto né inteso fu da lei.
Che te l'abbia potuto riferire:
Di questa parte dunque io ti vo'dire.
22 Della cittade al mar ratto io veniva
Con cavalli eh' in fretta avea trovati ,
Sempre con gli occhi intenti s' io scopriva
Costor che molto addietro eran restati.
Io vengo innanzi, io vengo in su la riva
Del mare, al luogo ove io gli avea lasciati:
Io guardo, né di loro altro ritrovo.
Che nell'arena alcun vestigio nuovo.
23 La pesta seguitai, che mi condusse
Nel bosco fier; né molto addentro fui,
Che , dove il suon l' orecchie mi percusse.
Giacere in terra ritrovai costui.
Gli domandai che della donna fusse.
Che d'Odorico, e chi avea offeso lui.
10 me n' andai , poi che la cosa seppi ,
11 traditor cercando per quei greppi.
26 La giustizia del re, che il loco franco
Della pugna mi diede , e la ragione ;
Ed oltre alla ragion , la fortuna anco ,
Che spesso la vittoria » ove vuol, pone;
31 i giovar si, che di me potè manco
Il traditore: onde fu mio prigione.
Il re, udito il gran fallo, mi concesse
Di poter fame quanto mi piacesse.
Stanza 'Z4.
24 Molto aggirando vommi, e per quel giorno
Altro vestigio ritrovar non posso.
Dove giacca Corebo alfin ritomo.
Che fatto appresso avea il terren sì rosso ,
Che poco più che vi facea soggiorno.
Gli saria stato di bisogno il fosso ,
E i preti e i frati più per sotterrarlo ,
Ch'i medici e che'l letto per sanarlo.
25 Dal bosco alla città feci portallo ,
E posi in casa d'uno ostier mio amico,
Che fatto sano in poco termine hallo
Per cura ed arte d'un chirurgo antico.
Poi d'arme provveduti e di cavallo,
Corebo ed io cercammo d' Odorico ,
Ch'in corte del re Alfonso di Biscaglia
Trovammo ; e quivi fili seco a battaglia.
27 Non r ho voluto uccider né lasciarlo ,
Ma , come vedi , trarloti in catena
Perchè vo'ch'a te stia di giudicarlo,
Se morire o tener si deve in pena.
L'avere inteso ch'eri appresso a Carlo,
E '1 desir di trovarti qui mi mena.
Ringrazio Dio che mi fa in questa parte,
Dove lo sperai meno, ora trovarte.
28 Ringraziolo anco , che la tua Isabella
Io veggo (e non so come) che teco hai;
Di cui , per opra del fellon , novella
Pensai che non avessi ad udir mai.
Zerbino ascolta Almonio , e non favella ,
Fermando gli occhi in Odorico assai;
Non si per odio , come che gì' incresce
Ch'a si mal fin tanta amicizia gli esce.
29 Finito ch^ebbe Almonìo il suo sermone,
Zerbin riman gran pezzo sbigottito ,
Che chi d* ogni altro men n' avea cagione ,
Si espressamente il possa aver tradito.
Ma poi che d'una lunga ammirazione
Fu , sospirando > finalmente uscito ,
Al prigion domandò se fosse vero
Quel eh* avea di lui detto il cavaliero.
30 II disleal con le ginocchia in terra
Lasciò cadérsi, e disse: signor mio,
Ognun che vive al mondo, pecca ed erra:
Né differisce in altro il buon dal rio ,
Se non che Puno è vinto ad ogni guerra
Che gli yien mossa da un piccol disio:
L* altro ricorre all'arme e si difende;
Ma se'l nemico è forte, anco ei si rende.
31 Se tu m'avessi posto alla difesa
D'una tua rocca, e ch'ai primiero assalto
Alzate avessi , senza far contesa,
Degr inimici le bandiere in alto ;
Di viltà , 0 tradimento , che più pesa ,
Su gli occhi por mi si potria uno smalto:
Ma s'io cedessi a forza, son ben certo
Che biasmo non avrei, ma gloria e merto.
82 Sempre che Tinimico è più possente,
Più chi perde accettabile ha la scusa.
Mia fé guardar dovea non altrimente
Ch*una fortezza d' ognintorno chiusa.
Cosi, con quanto senno e quanta mente
Dalla Somma Prudenzia m'era infusa,
10 mi sforzai guardarla; ma alfin vinto
Da in tollerando assalto , ne fui spinto.
33 Così, disse Odorico, e poi soggiunse
(Che saria Inngo a ricordarvi il tutto),
Mostrando che gran stimolo lo punse ,
E non per lieve sferza s'era indutto.
Se mai per prieghi ira di cor si emunse,
S' umiltà di parlar fece mai flutto ,
Quivi far lo dovea: che ciò che muova
Di cor durezza, ora Odorico trova.
34 Pigliar di tanta ingiuria alta vendetta,
Tra il sì Zerbino e il no resta confuso.
11 vedere il demerito lo alletta
A far che sia il fellon di vita escluso:
n ricordarsi l'amicizia stretta
Ch'era stata tra lor per sì lungo uso,
C<m l'acqua di pietà l'accesa rabbia
Nel cor gli spegne, e vuol che mercè n'abbia.
85 Mentre stava cosi Zerbino in forse
Di liberare , o di menar captivo ,
Oppure il disleal dagli occhi torse
Per morte , oppur tenerlo in pena vivo;
Quivi rìgnando il palafreno corse,
Che Mandricardo avea di brigrlia privo;
E vi portò la vecchia che vicino
A morte dianzi avea tratto 2^bino.
36 n pala^U; ch'udito di lontano
Avea quest'altri, era tra lor venuto;
E la vecchia portatavi, ch'invano
Venia piangendo e domandando alita
Come Zerbin lei vide, ahò la mano
Al ciel , che sì benigno gli era snto ,
Che datogli in arbitrio avea que^doi
Che soli odiati esser dovean da Ini.
37 Zerbin fa ritener la mala vecchia ,
Tanto che pensi quel che debba fame.
Tagliarle il naso e l'una e l'altra orecchia
Pensa, ed esempio a' malfattori dame:
Poi gli par assai meglio , s' apparecchia
Un pasto agli avoltoi di quella carne.
Punizì'on diversa tra sé voi ve;
E così finalmente si risolve.
38 Si rivolta ai compagni , e dice : Io sono
Di lasciar vivo il disleal contento;
Che s' in tutto non merita perdono ,
Non merita anco sì crudel tormento.
Che viva e che slegato sia gli dono ,
Però ch'esser d'amor la colpa sento;
E facilmente ogni scusa s'ammette,
Quando ip amor la colpa si riflette.
89 Amore ha vòlto sottosopra spesso
Senno più saldo che non ha costui ;
Id ha condotto a via maggiore eccesso
Di questo, ch'oltraggiato ha tutti nm*.
Ad Odorico debbe esser rimesso:
Punito esser debbo io, che cieco fui;
Cieco a dargline impresa, e non por sente
Che'l foco arde la paglia &cihnente.
40 Poi mirando Odorico: Io vo'che sia,
Gli disse , del tuo error la penitènza ,
Che la vecchia abbi un anno in compagnitf
Né di lasciarla mai ti sia licenza;
Ma notte e giorno , ove tu vada o stia ,
Un'ora mai non te ne trovi senza;
E fin a morte sia da te difem
Centra ciascun che voglia farle offesa. 41 yo\ se da lei ti sarà comandato,
Che pigli contra ognun contesa e guerra:
Vo'in questo tempo che tu sia ubbligato
Tutta Francia cercar di terra in terra.
Così dicea Zerbiu; che pel peccato
Meritando Òdorico andar sotterra,
Questo era porgli innanzi un* alta fossa,
Che fia gran sorte che schivar la possa.
42 Tante donne, tanti uomini traditi
Avea la vecchia, e tanti offesi e tanti.
Che chi sarà con lei, non senza' liti
Potrà passar de' cavalieri erranti.
Così di par saranno ambi puniti :
Ella de' suoi commessi errori innauti ;
Fgli di tome la difesa a torto,
Né molto potrà andar che non sia morto.
43 Di dover servar questo , Zerbin diede
Ad Odorico un giuramento forte,
Con patto che se mai rompe la fede,
E ch'iiiKauzi gli capiti per sorte,
Senz;i udir prieghi e averne più mercede
Lo debba far morir di cruda morte.
Ad Almouio e a Corebo poi rivolto ,
Fece Zerbin che fu Odorico sciolto.
44 Corebo, consentendo Almon^'o, sciolse
Il traditore alfin, mi non in fretta;
Ch'air uno e all'altro esser turbato dilse
Da si desiderata sua vendetta.
Quindi partissi il disleale, e tolse
In compagaia la vecchia maledetta.
Non si legge iu Turpin che n'avvenisse;
Ma vidi già un autor che più ne scrisse.
45 Scrive l' autore , il cui nome mi taccio ,
Che non furo lontani una giornata.
Che per torsi Odorico quello impaccio,
Contra ogni patto ed ogni fede data.
Al collo di Gabrina gittò un laccio,
E che ad un olmo la lasciò impiccata:
E ch'indi a un anno (ma non dice il loco)
Almonio a lui fece il medesmo gioco.
46 Zerbin, che dietro era venuto all'orma
Del paladin, né perder la vorrebbe,
Manda a dar di sé nuove alla sua torm»,
Che star senza gran dubbio non ne debba:
Almonio manda, e di più cose informa,
Che lungo il tutto a ricontar sarebbe;
Almonio manda , e a lui Corebo appresso ;
Né tien , ftiorchè Isabella , altari con esso.
47 Tant'era l'amor grande che Zerbino,
E non minor del suo quel che Isabella
Portava al virtuoso paladino :
Tanto il desir d' intender la novella ,
Ch' egli avesse trovato il Saracino
Che del destrier lo trasse con la sella;
Che non faràr all' esercito ritorno ,
Se non finito che sia il terzo giorno;
stanza 45.
48 II termine eh' Orlando aspettar disse
Il cavdlier eh' ancor non porta spada.
Non é alcun luogo dove il conte gisse ,
Che Zerbin pel me'desimo non vada.
Giunse alfin tra quegli arbori che scrisse
L'ingrata donna, un poco fuor di strada;
E con la fonte e col vicino sasso
Tutti li ritrovò messi in fracassi».
4.9 Vede lontan non sa che luminoso,
E trova la corazza esser del conte;
E troya V elmo poi , non quel famoso
Ch* armò già il capo air africano Almonte ;
Il destrier nella seka più nascoso
Sente a nitrire, e leva al suon la fronte;
E vede Brigliador pascer per Terba,
Che dall' arcion pendente il freno serba.
50 Durindana cercò per la foresta,
E fuor la vide del fodero starse.
Trovò, ma in pezzi, ancor la sopravvesta
Ch'in cento lochi il miser conte sparse.
Isabella e Zerbin con faccia mesta
Stanno mirando , e non san che pensarse :
Pensar potrian tutte le cose , eccetto
Che fosse Orlando fuor dell'intelletto.
55 Se fosse stata a quell'oste! d'Atlante,
Veduto con Ghradasso andare errando
L'avrebbe, con Ruggier, con Bradamante,
E con Ferraù prima, e con Orlando.
Ma poi che cacciò Astolfo il negromante
Col suon del corno orribile e mirando,
Brandimarte tornò verso Parigi;
Ma non sapea già questo Fiordiligi
56 Come io vi dico, sopraggiunta a caso
A quei duo amanti Fiordiligi bella,
Conobbe l' arme , e Brigliador rimaso
Senza il patrone, e col freno alla selk.
Vide con gli occhi il miserabii caso,
£ n' ebbe per udita anco novella ;
Che similmente il pastorel narrolle
Aver veduto Orlando correr folle.
51 Se di sangue vedessino una goccia,
Creder potrian che fosse stato morto.
Intanto lungo la corrente doccia
Vider venire un pastorello smorto.
Costui pur dianzi avea di su la roccia
L'alto furor dell' inf elire scorto,
Come l' arme gittò , squarciossi i panni ,
Pastori uccise , e fé' mill' altri danni.
52 Costui , richiesto da Zerbin , gli diede
Vera informazì'on di tutto questo.
Zerbin si maraviglia, e a pena il crede;
E tuttavia n'ha indizio manifesto.
Sia come vuole; egli discende a piede,
Pien di pietade, lacrimoso e mesto,
E ricogliendo da diversa parte
Le reliquie ne va , eh' erano sparte.
53 Del palafren discende anco Isabella ,
E va quell'arme riducendo insieme.
Ecco lor sopravviene una donzella
Dolente in vista, e di cor spesso geme.
Se mi domanda alcun chi sia, perch'ella
Cosi s' affligge , e che dolor la preme ;
Io gli risponderò eh' è Fiordiligi,
Che dell'amante suo cerca i vestigi.
57 Quivi Zerbin tutte raguna V arme
E ne £Ek come un bel trofeo s'un pino;
E volendo vietar che non se n'arme
Cavalier paèsan né peregrino ,
Scrive nel verde ceppo in breve carme:
Armatura d' Orlando Paladino ;
Come volesse dir : Nessun la mova ,
Che star non possa con Orlando a prova.
58 Finito ch'ebbe la lodevol opra,
Tornava a rimontar sul suo destriero ;
Ed ecco Mandricardo arrivar sopra,
Che visto il più di quelle spoglie altiero,
Lo priega che la cosa gli discopra:
E quel gli narra, come ha inteso, il vero.
Allora il re pagan lieto non bada,
Che viene al pino , e ne leva la spada.
59 Dicendo : Alcun non me ne può riprendere.
Non è pur oggi ch'io l'ho fatta mia;
Ed il possesso giustamente prendere
Ne posso in ogni parte, ovunque sia.
Orlando, che temea quella difendere,
S' ha finto pazzo , e 1' ha gittata via;
Ma quando sua viltà pur così scusi,
Non debbe far eh' io mia ragion non usi
54 Da Brandimarte senza farle motto
Lasciata fu nella città di Carlo ,
Dov' ella l' aspettò sei mesi ed otto :
E quando alfin non vide ritornarlo ,
Da un mare all'altro si mise, fin sotto
Pirene e l' Alpe , e per tutto a cercarlo :
L'andò cercando in ogni parte, fuore
Ch'ai palazzo d'Atlante incantatore.
60 Zerbino a lui gridava: non la tórre,
0 pensa non l'aver senza questione.
Se togliesti così l'arme d'Ettorre,
Tu l' hai di furto , più che di ragione.
Senz'altro dir l'un sopra l'altro corre,
D'animo e di virtù gran paragone.
Di cento colpi già rimbomba il suono;
Né bene ancor nella battaglia sono.
61 Di prestezza Zerbin pare una fiamma
A torsi , ovunque Durindana cada :
Di qua di là saltar come una damma
Fa 'J suo destrier , dove è miglior la strada.
E ben convien cbe non ne perda dramma:
Ch'andrà, s'un tratto il coglie quella spada,
A ritrovar gl'innamorati spirti,
Ch' empion la selva degli ombrosi mirti.
62 Come il veloce can che'l porco assalta,
Cbe fuor del gregge errar vegga nei campi,
Lo va aggirando, e quinci e quindi salta;
Ma quello attende ch'una volta inciampi;
Cosi, se vien la spada o bassa od alta,
Sta mirando Zerbin come ne scampi;
Come la vita e l'onor salvi a un tempo,
Tien sempre l'occhio, e fiere e fugge a tempo.
63 Dall'altra parte, ovunque il Saracino
La fiera spada vibra o piena o vota.
Sembra fra due montagne un vento alpino
Ch'una frondosa selva il marzo scuota;
Ch'ora la caccia a terra a capo chino,
Or gli spezzati rami in aria ruota.
Benché Zerbin più colpi e fugga e schivi,
Non può schivare alfin eh' un non gli arrivi.
64 Non può schivare alfin un gran fendente,
Che tra'l brando e lo scudo entra sul petto.
Grosso l'usbergo e grossa parimente
Era la piastra , e '1 panziron perfetto :
Pur non gli steron contra, ed ugualmente
Alla spada crudel dieron ricetto.
Quella calò tagliando ciò che prese.
La corazza e l'arcion fin sull'arnese:
65 E se non fu scarso il colpo alquanto ,
Per mezzo lo fendea come una canna;
Ma penetra nel vivo appena tanto ,
Che poco più che la pelle gli danna.
La non profonda piaga è lunga quanto
Non si misureria con una spanna.
Le lucid'arme il caldo sangue irriga,
Per sino al pie, di rubiconda riga.
66 Cosi talora un bel purpureo nastro
Ho veduto partir tela d'argento
Da quella bianca man più ch'alabastro.
Da cui partire il cor spesso mi sento.
Quivi poco a Zerbin vale esser mastro
Di guerra, ed aver forza e più ardimento;
Che di finezza d'arme e di possanza
11 re di Tartaria troppo l'avanza.
67 Fu questo colpo del pagan maggiore
In apparenza , che fosse in effetto ;
Tal eh' Isabella se ne sente il core
Fendere in mezzo all'agghiacciato petto.
Zerbin, pien d'ardimento e di valore,
Tutto s' infiamma d' ira e di dispetto :
E quanto più ferire a due man puote ,
In mezzo l'elmo il tartaro percuote.
68 Quasi sul collo del destrier piegosse
Per l'aspra botta il Saracin superbo;
E quando l'elmo senza incanto fosse,
Partito il capo gli avria il colpo acerbo.
Con poco differir ben veudicosse;
Né disse : A un' altra volta io te la serbo :
E la spada gli alzò verso l'elmetto.
Sperandosi tagliarlo infin al petto.
(JJ) Zerbin, che tenea rocchio ove la mente,
Presto il cavallo alla man destra volse;
Non si presto però, che la tagliente
Spada fuggisse , cbe lo scudo colse.
Da sommo ad imo ella il partì ugualmente ,
E di sotto il braccial roppe e disciolse,
E lui ferì nel braccio; e poi l'arnese
Spezzògli, e nella coscia anco gli scese.
70 Zerbin di qua di là cerca ogni via,
Né mai di quel che vuol, cosa gli viene;
Che l'armatura, sopra cui feria,
Cu piccol segno pur non he ritiene.
Dall'altra parte il re di Tartaria
Sopra Zerbino a tal vantaggio viene,
Che l'ha ferito in sette parti o in otto,
Tolto lo scudo, e mezzo l'elmo rotto.
71 Quel tuttavia più va perdendo il sangue ;
Manca la forza, e ancor par che noi senta.
Il vigoroso cor, che nulla langue,
Val si , che '1 debol corpo ne sostenta.
La donna su%, per timor fatta esangue,
Intanto a Doralice s' appresenta ,
E la priega e la supplica per Dio ,
Che partir voglia il fiero assalto e rio.
72 Cortese, come bella, Doralice,
Né ben sicura come il fatto segua ,
Fa volontier quel ch'Isabella dice,
E dispone il suo amante a pace e a triegua.
Così a'prieghi dell'altra l'ira ultrice
Di cor fugge a Zerbino e si dilegua;
Ed egli , ove a lei par , piglia la strada.
Senza finir l'impresa della spada.
73 Fiordiligi^ che mal vede difesa
La buona spada del misero conte,
Tacita duolsì; e tanto le ne pesa,
Che d' ira piange , e battesi la fronte.
Vorria aver Brandimarte a quella impresa;
E se mai lo ritrova e gli lo conte,
Non crede poi che Mandricardo vada
Lunga stagione altier di quella spada.
74 Fiordiligi cercando pure invano
Va Brandimarte suo mattina e sera;
E fa cammin da lui molto lontano.
Da lui che già tornato a Parigi era.
Tanto ella se n'andò per monte e piano ,
Che giunse ove, al passar d'una rÌTiera,
Vide e conobbe il miser paladino;
Ma diciam quel che avvenne di Zerbino
"3-^ ^ -^^i^^i^"^^^ X^<ii:
Stanza 88.
75 Che U lasciar Durindana si gran fallo
Gli par, che più d' ogn'(altro mal gP incresce;
Quantunque appena star possa a cavallo.
Pel molto sangue che gli è uscito ed esce.
Or, poiché dopo non troppo intervallo
C^ssa con IMra il caldo, il dolor cresce:
Cresce il dolor sì impettiosamente ,
Che mancarsi la vita se ne sente.
76 Per debolezza più non potea gire;
Sì che fermossi appresso una fontana.
Non sa che far, né che si debba dire,
Per aiutarlo, la donzella umana.
Sol di disagio lo vede morire ;
Che quindi è troppo ogni città lontana,
Dove in quel punto al medico ricorra,
Che per pietade o premio gli soccorra.
77 Ella non sa, se non invàn dolersi,
Chiamar fortuna e il cielo empio e crudele.
Perchè , ahi lassa ! dicea , non mi sommersi
Quando levai neirOce&n le vele?
Zerbin, che i languidi occhi ha in lei conversi,
Sente più doglia eh* ella si querele ,
Che della passion tenace e forte
Che rha condotto ornai vicino a morte.
78 Cosi, cor mio, vogliate (le diceva),
Dopo chMo sarò morto, amarmi ancora,
Come solo il lasciarvi è che m'aggreva
Qui senza guida, e non già perch'io mora:
Che se in sicura parte m'accadeva
Finir della mia vita l'ultima ora,
Lieto e contento e fortunato appieno
Morto sarei, poich'io vi moro in seno.
8tAnE&9C).
7u Ma poiché 1 mio destino iniquo e duro
Vuol ch'io vi lasci, e non so in man di cnij
Per questa bocca e per questi occhi giuro.
Per queste chiome onde allacciato fui ,
Clic disperato nel profondo oscuro
Yo dello 'nfemo , ove il pensar lìi vili,
Cb' abbia così laeciata^ assai piii ria
Sani d*oj^' altra pena ebe vi sia.
80 A questo la mestissima Isabella,
Declinando la faccia lagrimosa,
E congiungendo la sua bocca a quella
Di Zerbin, languide tt a come rosa,
Rosa non còlta in sua stagion, bì ch'ella
Impallidisca in m la siepe ombrosa;
Disse '. Non vi pensate gift , mia vita t
Fnr aensca me (inent^ ultima partite*
Sjy^Di dò, cor mio, nessun timor vi tocchi;
Ch' io vo' seguirvi o in cielo o nello 'nferno.
Convien che V uno e 1' altro spirto scocchi ,
Insieme vada , insieme stia in eterno.
Non sì tosto vedrò chiudervi gli occhi,
7/ XI che m'ucciderà il dolore interno,
/^ 0, se quel non può tanto, io vi prometto
l Con questa spada oggi passarmi il petto.
82 De' corpi nostri ho ancor non poca speme,
Che me' morti, che vivi, ahbian ventura.
Qui forse alcun capiterà , eh' insieme ,
Mosso a pietà, darà lor sepoltura.
Così dicendo, le reliquie estreme
Dello spirto vital che morte fura,
Va ricogliendo con le labbra meste.
Fin ch'una mìnima aura ve ne reste.
87 In tanta rabbia, in tal furor sommersa
L'avea la doglia sua, che facilmente
Avria la spada in sé stessa conversa ,
Poco al suo amante in questo ubbidiente:
S'uno eremita, ch'alia fresca e tersa
Fonte avea usanza di tornar sovente
Dalla sua quindi non lontana cella ,
Non s'opponea, venendo, al voler d'elk.
88 n venerabil uom , eh' alta boutade
Avea congiunta a naturai pmdeiuria ,
Ed era tutto pien di caritade,
Di buoni esempi ornato e d' eloquenzia ,
Alla giovan dolente persuade
Con ragioni efficaci pazìenzia;
Ed innanzi le pon , come uno specchio .
Donne del testamento e nuovo e vecchio.
83 Zerbin, la debol voce rinforzando,
Disse: Io vi priego e supplico, mia diva.
Per quello amor che mi mostraste , quando
Per me lasciaste la patema riva;
E se comandar posso , io ve '1 comando ,
Che, finché piaccia a Dio, restiate viva;
Né mai per caso pogniate in obblio ,
Che, quanto amar si può, v'abbia amato io.
84 Dio vi provvederà d'aiuto forse,
Per liberarvi d' ogni atto villano ,
Come fé' quando alla spelonca torse,
Per indi trarvi, il senator romano.
Così (la sua mercé) già vi soccorse
Nel mare, e contra il Biscaglin profano;
E se pure avverrà che poi si deggia
Morire , allora il minor mal s' eleggia.
89 Poi le fece veder, come non fosse
Alcun, se non in Dio, vero contento;
E ch'eran l'altre transitorie e flusse
Speranze umane, e di poco momento:
E tanto seppe dir, che la ridusse
Da quel crudele ed ostinato intento,
Che la vita seguente ebbe disio
Tutta al servigio dedicar di Dio.
90 Non che lasciar del suo signor voglia nnqne
Né '1 grande amor, né le reliquie morte:
Convien che l'abbia ovunque stia, ed ovunque
Vada , e che seco e notte e dì le porte.
Quindi aiutando l'eremita dunque,
Ch' era della sua età valido e forte ,
Sul mesto suo destrìer Zerbin posaro,
E molti di per quelle selve andaro.
85 Non credo che quest'ultime parole
Potesse esprimer sì, che fosse inteso;
E fini come il debol lume suole ,
Cui cera manchi , od altro in che sia acceso.
Chi potrà dire appien come si duole.
Poiché si vede pallido e disteso,
La giovanetta, e freddo come ghiaccio
Il suo caro Zerbin restar in braccio?
86 Sopra il sanguigno corpo s'abbandona,
E di copiose lacrime lo bagna ;
E stride sì, ch'intorno ne rìsuona
A molte miglia il bosco e la campagna.
Né alle guance né al petto si perdona,
Che l'uno e l'altro non percuota e fragna;
E straccia a tx)rto l' auree crespe chiome ,
Chiamando sempre invan l'amato nome.
91 Non volse il cauto vecchio ridur seco,
Sola con solo, la giovane bella
Là dove ascosa in un selvaggio speco
Non lungi avea la solitaria cella;
Fra sé dicendo: Con periglio arreco
In una man la paglia e la facella.
Né si fida in sua età né in sua prudenzia ,
Che di sé faccia tanta esperienzia.
92 Di condurla in Provenza ebbe pensiero,
Non lontano a Marsiglia in un castello ,
Dove di sante donne un monastero
Ricchissimo era , e di edificio bello :
E per portarne il morto cavaliere ,
Composto in una cassa aveano quello ,
Che in un castel , eh' era tra via, si fece
Lunga e capace, e ben chiusa di pece.
93 Più e più giorni gran spazio di terra
Cercaro , e sempre per lochi più inculti ,
Che pieno essendo ogni cosa di guerra,
Voleauo gir più che poteano occulti.
Alfine un cavalier la via lor serra ,
Che lor fé' oltraggi e disonesti insulti;
Di cui dirò quando il suo loco fia:
Ma ritomo ora al re di Tartaria.
99 Ecco sono agli oltraggi, al grido, all'ire,
Al trar de' brandi , al crudel suon dei ferri ;
Come Tento che prima appena spire,
Poi cominci a crollar frassini e cerri;
Et indi oscura polve in cielo aggire,
Indi gli arbori svella, e case atterri,
Sommerga in mare, e porti ria tempesta
Che '1 gregge sparso uccida alla foresta.
94 Avuto ch'ebbe la battaglia il fine
Che già v' ho detto , il giovin si raccolse
Alle fresche ombre e all'onde cristalline,
Ed al destrier la sella e '1 freno tolse ,
E lo lasciò per l'erbe teneriue
Del prato andar pascendo ov' egli volse :
Ma non stè molto , che vide lontano
Calar dal monte un cavaliere al piano.
95 Conobbel, come prima alzò la fronte,
Doralice , e mostrollo a Mandricardo ,
Dicendo : Ecco il superbo Rodomonte ,
Se non m'inganna di lontan lo sguardo.
Per far teco battaglia cala il monte:
Or ti potrà giovar l'esser gagliardo.
Perduta avermi a grande ingiuria tiene.
Oh' era sua sposa , e a vendicar si viene.
96 Qual buono astor che l'anitra o l'acceggia.
Starna o colombo o simil altro augello
Venirsi incontra di lontano veggia ,
Leva la testa , e si fa lieto e bello ;
Tal Mandricardo, come certo deggia
Di Rodomonte ìslt strage e macello ,
Con letizia e baldanza il destrier piglia ,
Le staffe ai piedi, e dà alla man la briglia.
Stanza 100.
97 Quando vicini fur sì, ch'udir chiare
Tra lor poteansi le parole altiere.
Con le mani e col capo a minacciare
Incominciò gridando il re d'Algiere,
Ch'a penitenza gli faria tornare,
Che per un temerario suo piacere
Non avesse rispetto a provocarsi
Lui ch'altamente era per vendicarsi.
100 De' duo pagani , senza pari in terra,
Gli audacissimi cor, le forze estreme
Partoriscono colpi ed una guerra
Conveniente a si feroce seme.
Del grande e orribil suon trema la terra.
Quando le spade son percosse insieme:
Gettano l'arme insin al ciel scintille.
Anzi lampadi accese a mille a mille.
98 Rispose Mandricardo: Indarno tenta
Chi mi vuol impaurir per minaociarme.
Cosi fanciulli o femmine spaventa,
0 altri che non sappia che sieno arme ;
Me non , cui la battaglia più talenta
D'ogni riposo; e son per adoprarme
A pie , a cavallo , armato , e disarmato ,
Sia alla campagna, o sia nello steccato.
101 Senza mai riposarsi o pigliar fiato
Dura fra quei duo re l' aspra battaglia ,
Tentando ora da questo, or da quel lato
Aprir le piastre, e penetrar la maglia.
Né perde l' un , né l' altro acquista il prato ;
Ma come intorno siau fosse o muraglia,
0 troppo costi ogn' oncia di quel loco ,
Non si parton d'un cerchio angusto e poco.
102 Fra mille colpi il tartaro una volta
Colse a duo roani in fronte il re d'Algiere,
Che gli fece reder girare in volta
Quante mai fiiron fiaccole e lumiere.
Come ogni forza all' African sia tolta ,
Le groppe del destrier col capo fere;
Perde la staffa , ed è , presente quella
Che cotant'ama, per uscir di sella.
Stanza 10&
105 II cavallo del Tartaro, cii'abborre
La spada che fischiando cala d'alto.
Al suo signor , con suo gran mal ,
Perchè b' arretra , per fuggir , d' irn
Il brando in mezzo il capo gli traaconey
Ch' al signor, non a lui , movea V
Il miser non avea V elmo di Troia ,
Come il patrone; onde convien che mi
106 Quel cade, e Mandricardo in piedi ^
Non più stordito , e Durindana aggiia.
Veder morto il cavallo entro gli adixa,
E fuor divampa un grave incendio d'iia.
L^ African , per urtarlo , il destrier driaa:
Ma non più Mandricardo si ritira.
Che scoglio far soglia dall'onde: e aTTCBBe
Che '1 destrier cadde, ed egli in pie si te&at
107 L' African, che mancarsi il destrier settL
Lascia le staffe, e su gli arcion si ponta,
E resta in piedi e sciolto agevolmente:
Cosi r un V altro poi di pari affronta.
La pugna più che mai ribolle ardente;
E l'odio e r ira e la superbia monta;
Ed era per seguir; ma quivi giunse
In fretta un messaggier che li disgiunse.
108 Vi giunse un messaggier del popol mori
Di molli che per Francia eran mand&U
A ricliiamare agU stendardi loro
I capitani e i cavalier privati ;
Perchè Timperator dai gìgli d'oro
Gli avea gli alloggiamenti già assediati;
E se non è il soccorso a venir presto,
L'eccidio suo conosce manifesto.
103 Ma come ben composto e valido arco
Di fino acciaio, in buona somma greve,
Quanto si china più, quanto è più carco
E più lo sforzan martinelli e leve,
Con tanto più furor, quando è poi scarco.
Ritorna, e fa più mal che non riceve;
Cosi quello Afìrican tosto risorge,
E doppio il colpo air inimico porge.
104 Rodomonte a quel segno ove fu colto.
Colse appunto il figliuol del re Agricane.
Per questo non potè nuocergli al volto,
Ch*in difesa trovò Parme troiane;
Ma stordi in modo il Tartaro, che molto
Non sapea s'era vespero o dimane.
L' irato Rodomonte non s' arresta ,
Che mena V altro , e pur segua alla teista.
109 Riconobbe il messaggio i cavalieri,
Oltre air insegne, oltre alle sopravveste,
Al girar delle spade, e ai colpi fieri
Ch'altre man non farebbouo che queste.
Tra lor però non osa entrar, che speri
Che fra tant' ira sicurtà gli preste
L'esser messo del re; né si conforta
Per dir, eh' imbasciator pena non porta;
110 Ma viene a Doralice, ed a lei narra
Ch' Agramante , Marsilio, e Stordihino,
Con pochi dentro a mal sicura sbarra
Sono asseliati dal popol cristiano.
Narrato il caso, con prieghi ne inirra
Che faccia il tutto ai duo guerrieri piano.
E che gli accordi insieme, e per Io scampo
Del popol saraoin li meni in campo.
Stanza 9j.
ABI08T0.
4d
387
111 Tra i cavalier la donna di gran core
Si mette , e dice loro : Io vi comando,
Per quanto so che mi portate amore ,
Che riserbiate a migàor uso il brando:
E ne vegnate subito in favore
Del nostro campo Saracino , quando
Si trova ora assediato nelle tende ,
E presto aiuto o gran mina attende.
112 Indi il messo soggiunse il gran periglio
Dei Sara Cini, e narrò il fatto appieno;
E diede insieme lettere del figlio
Del re Troiano al figlio d' Ulicuo.
Sì piglia finalmente per consiglio,
Che i duo guerrier, deposto ogni veneno,
. Facciano insieme triegua infino al giorno
Che sia tolto T assedio ai Mori intorno;
113 E senza più dimora, come pria
Libera d'assedio abbiau lor gente,
Non s'intendano aver più compagnia.
Ma crudel guerra e inimicizia ardente ,
Finché con l'arme diffiaito sia
Chi la donna aver de' meritamente.
Quella , nelle cui man giurato fue ,
Fece la sicurtà per ambedue.
114 Quivi era la Discordia impaziente ,
Inimica di pace e d' ogni tregua ;
E la Superbia v'è, che non consente
Né vuol patir che tale accordo segua.
Ma più di lor può Amor quivi presente ,
Di cui l'alto valor nessuno adegua;
E fé ch'indietro, a colpi di saette,
E la Discordia e la Superbia stette.
115 Fu conclusa la tregua fra costoro,
Si come piacque a chi di lor potè a.
Vi mancava uno dei cavalli loro ;
Che morto quel del Tartaro giacea;
Però vi venne a tempo Brigliadoro ,
Che le fresche erbe luiigo il rio pascea.
Ma al fin del Canto io mi trovo ess^r giunto ;
Si ch'io farò, con vostra grazia, punto.
NOTE.
St. 35. V. 5. — Rignando , da rigìiare o ringhiare:
di.esi propriamente de* cani; ma è stato anche appro-
priato a' cavalli , invece di nitrire. Si dice aiicoiu in
molti luoghi della Toscana.
St. 38. V. 8. — Si re flette: si fa ricadere.
St. 47. V, 5-6. — H Saracino ^ ecc. : Mandricardo.
ST. 49. V. 34. — E trova V elmo poi, non quel fa-
moso , ecc. ; perchè di quel famoso se n'era g:à impa-
dronito Ferraù. Vedi CanJo XII, St. 60.
St. 51. V. 3. — Boccia: qui flumicello.
St. 61. V. 8. — La selva degli ombrosi mirti: favo-
leggiata da Virgilio nel VI dell'Eneide, per sede dell'a-
nime degli uccisi per cagion d'amore. 11 mirto ei-a sim-
bolo dell'amore.
St. €4. V. 4-8. — Piastra : armatura di dosso. — Pan-
ziron: ai-matura della pancia. — Corazza: arraatui-a
del busto, altrimenti corsaletto. — Arcione: parte della
sella, fatta a guisa d'arco, dove sedevano i cavalieri. —
Arnese- nome generico che può adattarsi a il ogni parte
dell'ai mitui-a.
Sr. 65. V. 4. — Gli danna: gli dannoggia.
St. t6. V. 1-4. — Cosi talora , ere. Comparazione che
il Poeta ha tratta da un nastro, il quale attorniando il
polso della sua donna (Alessandra Benncci) rendeva di-
Etinta la di lei mano dalla manica di drappo d'argento
che vestivale il braccio.
St. 69. V. 6. — Braceial: parte dell'armatura che di-
fende il braccio.
St. 84. V. 6. — Profano: qui lascivo, disonesto.
St. 89. V. 3. — Flusse: passaggere, dal latino /ifttcre.
St. 90. V. 3-4. — Scrivendo questo l' Ariosto pensava
forse della sua contemporanea , V infelice Giovanna la
pazza , di Spagna , la quale , anche viaggiando , voleva
sempre con sé il feretro del marito morto , Filippo
d'Austria.
St. 86. V. 1. — Acceggia: beccaccia.
St. 101. V. 8. — Poco: di poca estensione.
St. 113. V. 4. — Martinelli: ordigni usati per cari-
care le grosse balestre o gli archi.
St. 106. V. 3. — Adizza: attizza.
8t. 110. V. 5. — Inarra: qui impegna.
St. IH. V. 6. — Quando: mentre.
St. 115. V. ?. — A chi di lor potei,: a chi era signora
di loro.
Canto XXV
nh \xx,\\\ eoniriutii In irsi-venil pensiero,
I*i.;^ìr ili laiiik' . ed im[rt'tLJ d'aniore^
Nl-, lIiì ]iÈii v.iirlia, ^\w.\tx A tiuvii il veri*;
ULé rutila or queatu ur quel isuperiore»
Neir uno ebbe e ueir altro cavaliero
Quivi gran forza il debito e T onore :
Che l'amorosa lite s'intermesse,
Finché soccorso il campo lor s'avesse.
CANTO VENTESIMOQUINTO.
^ Ma più ve l'ebbe Amor: che se non era
Che così comandò la donni loro,
Non si sciogliea quella battaglia fiera,
Che Tun n'avrebbe il trionfale alloro;
Ed Agramante invan con la sua schiera
L'aiuto avria aspettato di costoro.
Dunque Amor sempre rio non si ritrova:
Se spesso nuoce, anco talvolta giova.
3 Or r uno e l' altro cavalier pagano ,
Che tutti ha differiti i suoi litigi,
Va , per salvar l' esercito africano ,
Con la donna gentil verso Parigi;
E va con essi ancora il piccol nano ,
Che seguitò del Tartaro i vestigi,
Finché con lui condutto a fronte a fronte
Avea quivi il geloso Rodomonte.
4 Capitare in un prato , ove a diletto
Erano cavalier sopra un ruscello ,
Duo disarmati, e duo ch'avean l' elmetti,
E una donna con lor di viso bello.
Chi fosser quelli , altrove vi fia detto :
Or no , che di Ruggier prima fìivello ;
Del buon Rugc^ier, di cui vi fu narrato
Che lo scudo nel pozzo avei gittato.
5 Non è dal pozzo ancor lontano un miglio,
Che venire un corrier vede in gran fretta,
Di quei che manda di Troiano il figlio
Ai cavalieri onde soccorso aspetta:
Dal qual ode che Carlo in tal periglio
La gente saracina tieu ristretta.
Che se non è chi tosto le dia aita ,
Tosto l'onor vi lascierà o la vita.
8 Perch' era conosciuta dalla gente
Quella donzella eh' avea in compagnia,
Fu lasciato passar liberamente,
Né domandato pure onde venia.
Giunse alla piazza, e di fuoco lucente.
E piena la trovò di gente ria;
E vide in mezzo star con viso smorto
Il giovine dannato ad esser morto.
9 Ruggier, come gli alzò gli occhi nel viso.
Che chino a terra e lacrimoso stava,
Di veder Bradamante gli fu avviso:
Tanto il giovine a lei rassomigliava.
Più dessa gli parca, quanto più fiso
Al volto e aUa persona il riguar«iava;
E fra sé disse : 0 questa é Bradamante ,
0 ch'io non son Ruggier, com'era innante.
10 Per troppo ardir si sarà forse mes?a
Del garzon condennato alia difesa;
E poiché mal la cosa l' é successa ,
Ne sarà stata , come io veggo , presa.
Deh perchè tanta fretta , che con essa
Io non potei trovarmi a questa impresa?
Ma Dio ringrazio che ci son venuto,
Ch'a tempo ancora io potrò darle aiut^.
1 1 E senza più indugiar , la spada stringe
(Ch'avea all'altro caste! rotta la lancia),
E addosso il vulgo inerme il destrier spinge
Per lo petto , pei fianchi e per la pancia.
Mena la spada a cerco; ed a chi cinge
La fronte, a chi la gola, a chi la guancia.
Fugge il popol gridando; e la gran frotta
Resta 0 sciancata , o con la testa rotta.
6 Fu da molti pensier ridutto in forse
Ruggier , che tutti l' assalirò a un tratto ;
Ma qual per lo miglior dovesse torse.
Né luogo avea né tempo a pensar atto.
Lasciò andare il messaggio, e'I freno torse
Là dove fu da quella donna tratto ,
Ch'ad or ad or in modo egli affrettava,
Che nessun tempo d'indugiar le dava.
7 Quindi seguendo il cammin preso, venne
(Già declinando il sole) ad una terra
Che '1 re Marsilio in mezzo Francia tenne ,
Tolta di min di Carlo in quella guerra.
Né al ponte né alla porta si ritenne.
Che non gli niega alcuno il passo o serra,
Bench'intorno al rastrello e in su le fosse
Gran quantità d'uomini e d'arme fosse.
12 Come stormo d'augei, ch'in ripa a un stagno
Vola sicuro , e a sua pastura attende ,
S'improvviso dal ciel falcon grifagno
Gli dà nel mezzo, ed un ne batte o prende,
Si sparge in fuga, ognun lascia il compagno,
E dello scampo suo cura si prende ;
Così veduto avreste far costoro.
Tosto che'l buon Ruggier diede fra loro.
13 A quattro o sei dai colli i capi netti
Levò Ruggier , eh' indi a fuggir fnr lenti :
Ne divise altrettanti inim ai petti.
Fin agli occhi infiniti e fin ai denti.
Concederò che non trovasse elmetti ,
Ma ben di ferro assai cuffie lucenti :
E s' elmi fini anco vi fosser stati ,
Così gli avrebbe, o pcco men , tagliaf*.
14 La forza di Riiggìer non era qnale
Or 8Ì ritrovi in cavalier moderno,
Né in orso né in leon né in animale
Altro più fiero o nostrale od esterno.
Forse il tremuoto le sarebbe uguale,
Forse il gran diavol ; non quel dello 'nferno ,
Ma quel del mio signor, che va col fuoco,
di' a cielo e a terra e a mar si fa dar loco.
là
stanza 24.
1 .5 D' Ogni suo colpo mai non cadea manco
D'un uom in terra, e le più volttì un paio;
E quattro a un colpo, e cinque n'uccise auco;
Sì che si venne tosto al centinaio.
Tagliava il brando che trasse dal fianco,
Come un tenero latte, il duro acciaio.
Falerina, per dar morte ad Orlando,
Fé' nel giardin d'Orgagna il crudel brando.
16 Averlo fatto poi ben le rincrebbe.
Che '1 suo giardin disfar vide con esso.
Che strazio dunque, che ruina debbe
Far or , eh' in man di tal guerriero è messo ?
Se mai Ruggier furor, S3 mii forza ebbe.
Se mai fu l'alto suo valor espresso.
Qui r ebbe , il pose qui , qui fu veduto ,
Sperando dare alla sua donna aiuto.
17 Qual fa la lepre contra i cani sciolti ,
Facea la turba contra lui rii^aro.
Quei che restaro uccisi, furon molti;
Furo infiniti quei ch'in fuga andaro.
Avea la donna intanto i lacci tolti ,
Ch' ambe le mani al giovine legaro ;
E , come potè maglio , presto armollo.
Gli die una spaia in mano, e un scado al eoD^,
18 Egli che molto è offeso, più che pnote
Si cerca vendicar di quella gente:
E quivi son si le sue forze note ,
Che riputar si fa prode e valente.
Già avea attulTato le dorate raote
Il sol nella marina d'occidente ,
Quando Ruggier vittorioso e quello
Giovine seco uscir fuor del castello.
19 Quando il garzon sicuro della vita
Con Ruggier si trovò fuor delle porte.
Gli rendè molta grazia ed infinita
Con gentil modi e con parole accorte ,
Che, non lo conoscendo, a dargli aita .
Si fosse messo a rischio della morte :
E pregò che '1 suo nome gli dicesse.
Per sapfr a chi tanto obbligo avesse.
'^O Veggo, dicea Ruggier, la faccia belLi,
E le belle fattezze e '1 bel sembiante.;
Ma la suavità della favella
Non odo già della mia Bradamante ;
Né la relazion di grazie è quella
Ch'ella usar debba al suo fedele amante.
Ma se pur questa è Bradamante , or come
Ha sì tosto in obblio messo il mio nome?
21 Per ben saperne il certo , accortamente
Ruggier le disse: Io v'ho veduto altrove;
Ed ho pensato e penso, e finalmente
Non so né posso ricordarmi dove.
Ditemei voi, se vi ritorna a mente;
E fate che '1 nome anco udir mi giove ,
Acciò che saper possa a cui mia aita
Dal fuoco abbia salvata og^i la vita.
22 Che voi m' abbiate visto esser potria ,
Rispose quel, che non so dove o quando.
Ben vo pel mondo anch'io la parte mia,
Strane avventure or qua or là cercando.
Forse una mia sorella stata fia,
Che veste l'm'me, e porti al lato il brando;
Che nacque meco , e tanto mi sonuglia ,
Che non ne può discerner la famiglia.
3 Né primo né secondo né ben quarto
Sete di quei ch'errore in ciò preso hanno:
Né U padre né i fratelli né chi a un parto
Ci produsse ambi , scernere ci sanno.
Gli è ver che questo criu raccorcio e sparto
Ch'io porto, come gli altri uomini fanno,
Ed il suo lungo e in treccia al capo avvolta,
Ci solea far già differenzia molta:
^4 Ma poi eh' un giorno ella ferita fu
Nel capo (lungo saria a dirvi come),
E per sanarla un servo di Gesù
A mezza orecchia le tagliò le chiome;
Alcun segno tra noi non restò più
Di differenzia , fuorché '1 sesso e '1 nome
Ricciardetto son io, Bradamante ella;
Io fratel di Rinaldo , essa sorella.
25 E se non v' increscesse l'ascoltarmi,
Cosa direi che vi farla stupire,
La qual m'occorse per assimigliarmi
A lei , gioia al principio , e al fin martire.
Ruggiero , il qual più graziosi carmi ,
Più dolce istoria non potrebbe udire.
Che dove alcun ricordo intervenisse
Della sua donna, il pregò si, che disse:
26 Accadde a questi di, che pei vicini
Boschi passando la sorella mia,
Ferita da uno stuol di Saracini
Che senza l'elmo la trovar per via.
Fu di scorciarsi astretta i lunghi crini,
Se sanar volse d'una piaga ria
Ch'avea con gran periglio nella testa;
E cosi scorcia errò per la foresta.
ii7 Errando giunse ad un' ombrosa fonte ;
E perchè afflitta e stanca ritrovosse ,
Dal destrier scese , e disarmò la fronte ,
E su le tenere erbe addormentosse.
Io non credo che favola si conte ,
Che più di questa istoria bella fosse.
Fiordispina di Spagna soprarriva ,
Che per cacciar nel bosco ne veniva.
28 E quando ritrovò la mia sirocchia
Tutta coperta d'arme, eccetto il viso,
Ch'avea la spada in luogo di conocchia;
Le fu vedere un cavaliero avviso.
La faccia e le viril fattezze adocchia
Tanto, che se ne sente il cor conquiso.
La invita a ciccia , e tra l' ombrose fronde
Luuge dagli altri aliìu seco s'asconde.
29 Poi che l'ha seco in solitario loco.
Dove non teme d'esser sopraggiunta.
Con atti e con parole a poco a poco
Le scopre il fisso cor di grave punta.
Con gli occhi ardenti e coi sospir di fuoco
Le mostra l'alma di disio consunta.
Or si scolora in viso, or si raccende:
Tanto s'arrischia, eh' un bacio ne prende.
30 La mia sorella avea ben conosciuto
Che questa donna in cambio l'avea tolta:
Né dar poteale a quel bisogno aiuto,
E si trovava in grande impaccio avvolta.
Gli è meglio, dicea seco, s'io rifiuto
' Questa avuta di me credenza stolta ,
E s' io mi mostro femmina gentile ,
Che lasciar riputarmi un uomo vile.
: 1 E dicea il ver , eh' era viltade espressa ,
Conveniente a un uom fatto di stucco ,
Con cui sì bella donna fosse messa.
Piena di dolce e di nettareo succo,
E tuttavia stesse a parlar con essa.
Tenendo basse l'ale come il cucco.
Con modo accorto ella il parlar ridusse.
Che venne a dir come donzella fusse.
32 Che gloria, qual già Ippolita e Camilla,
Cerca nell' arme ; e in Africa era nata
In lito al mar, nelhi città d'Arzilla,
A scudo e a lancia da fanciulla usata.
Per questo non si smorza una scintilla
Del fuoco della donna innamorata.
Questo rimedio all'alta piaga è tardo:
Tant' avea amor cacciato innanzi il dardo.
33 Per questo non le par men bello il viso ,
Men bel lo sguardo , e men belli i costumi ;
Per ciò non toma il cor che, già diviso
Da lei, godea dentro gli amati lumi.
Vedendola in quell'abito, l'è avviso
Che può far che *1 desir non la consumi ;
E quando ch'ella è pur femmina pensa,
Sospira e piange, e mostra doglia immensa.
34 Chi avesse il suo rammarico e '1 suo pianto
Quel giorno udito , avria pianto con lei.
Quai tormenti, dicea , furon mai tanto
Crudel , che più non sian crudeli i miei ?
D'ogn' altro amore, o scellerato o santo.
Il desiato fin sperar potrei ;
Saprei partir la rosa dalle spine :
Solo il mio desiderio é senza fine.
35 Se pur volevi, Amor, darmi tormento,
Che t' increscesse il mio felice stato,
D'alcun martir dovevi star contento,
Che fosse ancor negli altri amanti usato.
Né tra gli uomini mai né tra V armento ,
Che femmina ami femmina ho trovato;
Non par la donna air altre donne hella ,
Né a cervie cervia, né all' agnello agnella.
36 In terra, in aria, in mar sola son io
Che patisco da te sì duro scempio;
E questo hai fatto acciò che Perror mio
Sia nell'imperio tuo l'ultimo esempio.
La moglie del re Nino ebhe disio,
Il figlio amando , scellerato ed empio ,
E Mirra il padre, e la Cretense il toro;
Ma gli é più folle il mio , eh' alcun dei loro.
37 La femmina nel maschio fé' disegno ,
Speronne il fine , ed ebbelo , come odo :
Pasife nella vacca entrò di legno ;
Altre per altri mezzi, e vario modo.
Ma se volasse a me con ogni ingegnò
Dedalo , non potria scioglier quel nodo ,
Che fece il mastro troppo diligente.
Natura d' ogni cosa più possente.
38 Cosi si duole , e si consuma ed auge
La bella donna, e non s'accheta in fretta.
Talor si batte il viso, e il capei frange,
E di sé centra sé cerca vendetta.
La mia sorella per pietà ne piange ,
Ed è a sentir di quel dolor costretta.
Del foUe e van disio si studia trarla;
Ma non fa alcun profitto , e invano parla.
39 Ella , eh' aiuto cerca e non conforto ,
Sempre più si lamenta e più si duole.
Era del giorno il termine ormai corto ,
Che rosseggiava in occidente il sole,
Ora opportuna da ritrarsi in porto ,
A chi la notte al bosco star non vuole,
Quando la donna invitò Bradamante
A questa terra sua poco distante.
40 Non le seppe negar la mia sorella :
E così insieme ne vennero al loco ,
Dove la turba scellerata e fella
Posto m'avria, se tu non v'eri, al fuoco.
Fece là dentro Fiordispina bella
La mia sirocchia accarezzar non poco ;
E rivestita di femminil gonna,
Conoscer fé' a ciascun ch'ella era donna.
•al Perocché conoscendo che nessuno
Util traea da quel virile aspetto ,
Non le parve anco di voler ch'aleono
Biasmo di sé per questo fosse detto :
Fèllo anco, acciò chfe'l mal ch'avea dairiis
Virile abito , errando , già conce ttx> ,
Ora con l' altro , discoprendo il vero ,
Provasse di cacciar fuor del pensiero.
42 Comune il letto ebbon la notte inssieme ,
Ma molto differente ebbon riposo :
Che runa dorme, e l'altra piange e gem*.
Che S3mpre il suo disir sia più focosa.
E se 'l sonno talor gli occhi le preme ,
Quel breve sonno è tutto imma^noso:
Le par veder che'l ciel l'abbia concedo
Bradamante cangiata in miglior sesso.
43 Come l'infermo acceso di gran sete,
S'in quella ingorda voglia s'addormenta,
Neil' interrotta e turbida quiete,
D'ogni acqua che mai vide si rammenta;
Cosi a costei di far sue voglie liete
L' immagine del sonno rappresenta.
Si desta ; e nel destar mette la mano ,
E ritrova pur sempre il sogno vano.
44 Quanti prieghi la notte, quanti voti
Offerse al suo Macone e a tutti i Dei,
Che con miracoli apparenti e noti
Mutassero in miglior sesso costei!
Ma tutti vede andar d' effetto vóti ;
E forse ancora il ciel ridea di lei.
Passa la notte; e Febo il capo biondo
Traea del mare, e dava luce al mondo.
45 Poi che'l dì venne, e che lasciaro il letto.
A Fiordispina s'augumenta doglia;
Che Bradamante ha del partir già detto ,
Ch' uscir di questo impaccio avea gran voglii.
La gentil donna un ottimo ginetto
In don da lei vuol che partendo teglia ,
Guernito d'oro, ed una sopravvesta
Che riccamente ha di sua man contesta.
46 Accompagnolla un pezzo Fiordispina ;
Poi fé', piangendo, al suo Castel ri tomo.
La mia sorella sì ratto cammina,
Che venne a Montai bano anco quel giorno.
Noi suoi fratelli e la madre meschina
Tutti le siamo festeggiando intorno;
Che di lei non sentendo , avuto forte
Dubbio e tema avevam della sua morte.
Stanza 45
47 Mirammo (al trar dell'elmo) al mozzo crine,
Ch' intorno al capo prima s' avvolgea ;
Cosi le sopravveste pereg^riue
Né fèr meravigliar, ch'indosso avca
Ed ella il tutto dal principio al fine
Narroune, come dianzi io vi dicea:
Come ferita fosse al bosco , e come
Lasciasse , per guarir , le belle chiome ;
48 E come poi dormendo in ripa all'acque,
La bella cacciatrice sopraggìunse ,
A cui la falsa sua sembianza piacque;
E come dalla schiera la disgiunse.
Del lamento di lei poi nulla tacque,
Che di pieUide V anima ci punse :
E come alloggiò seco , e tutto quello
Che fece, finché ritornò al castello.
49 Dì Fiordispiua gran notizia ebb^ io ,
Ch'in Saragozza e già la vidi in Francia;
£ piacquer molto all'appetito mio
I suoi begli occhi e la polita guancia:
Ma non lasciai fermarvisi il disio;
Che l'amar senza speme è sogno e ciancia,
Or, quando in tal ampiezza mi si porge,
L'antiqua fiamma subito risorge.
50 Di questa speme Amore ordisce 1 nodi;
Che d'altre fila ordir non li potea:
Onde mi piglia, e mostra insieme i modi.
Che dalla donna avrei quel ch'io chiedea.
A succeder saran facil le frodi;
Che, come spesso altri ingannato area
La simiglianza e' ho di mia sorella,
Forse anco ingannerà questa donzella.
51 Faccio, 0 noi faccio? Alfin mi par che buono
Sempre cercar quel che diletti, sia.
Del mio pensier con altri non ragiono ,
Né vo'ch'in ciò consiglio altri mi dia.
Io vo hi notte ove quell'arme sono,
Che s'avea tratte la sorella mia:
Tolgole, e col destrier suo via cammino;
Né sto aspettar che luca il mattutino.
52 Io me ne vo la notte (Amore è duce)
A ritrovar la bella Fiordispina;
E v' arrivai che non era la luce
Del sole ascosa ancor nella marina.
Beato é chi correndo si conduce
Prima degli altri a dirlo alla regina,
Da lei sperando , per l' annunzio buono ,
Acquistar grazia, e riportarne dono.
53 Tutti m'aveano tolto così in fallo,
Com'hai tu fatto ancor, per Bradamante;
Tanto più che le vesti ebbi e '1 cavallo ,
Con che partita era ella il giorno innante.
Vien Fiordispina di poco intervallo
Con feste incontra e con carezze tante ,
E con si allegro viso e sì giocondo.
Che più gioja mostrar non potria al mondo.
54 Le belle braccia al collo indi mi getta ,
E dolcemente stringe e bacia in bocca.
Tu puoi pensar s' allora la saetta
Dirizzi Amor, s'in mezzo al cor mi tocca.
Per man mi piglia, e in camera con fretta
311 mena : e non ad altri , eh' a lei , tocca
Che dall'elmo allo spron l'amie mi slacci;
E nessun altro vuol che se n impacci.
55 Poi fattasi arrecare una sua veste
Adoma e ricca, di sua man la spieg^a:
E, come io fossi femmina, mi veste,
E in reticella d'or il cria mi lega.
Io muovo gli occhi con maniere oneste;
Né ch'io sia donna, alcun mio gesto nicgx
La voce ch'accusar mi potea forse.
Sì ben usai , eh' alcun non se n' accorse.
56 Uscimmo poi là dove erano molte
Persone in sala, e cavalieri e donne.
Dai quali fummo con l'onor raccolte,
Ch'alle regine fassi e gran madonne.
Quivi d'alcuni mi risi io più volte «
Che , non sappiendo ciò che sotto gonne
Si nascondesse valido e gagliardo,
Mi vagheggiavan con lascivo sguardo.
57 Poi che si fece la notte più grande.
E già un pezzo la mensa era levata ,
La mensa che fu d' ottime vivande ,
Secondo la stagione, apparecchiata;
Non aspetta la donna ch'io domande
Quel che m'era cagion del venir stata;
Ella m' invita , per sua cortesia ,
Che quella notte a giacer seco io stia.
58 Poi che donne e donzelle ormai levate
Si furo, e paggi e camerieri in tomo;
Essendo ambe nel letto dispogliate.
Coi torchi accesi , che parca di giorno ,
Io cominciai : Non vi maravigliate,
Madonna , se sì tosto a voi ritomo ;
Che forse v'andavate immaginando
Di non mi riveder fin Dio sa quando.
69 Dirò prima la causa del partire ,
Poi del ritorno l'udirete ancora.
Se'l vostro ardor, madonna, intiepidire
Potuto avessi col nùo far dimora,
Vivere in vostro servizio e morire
Voluto avrei, né starne senza un'ora;
Ma visto quanto il mio star vi nocessi ,
Per non poter far meglio, andare elessi.
60 Fortuna mi tirò fuor del cammino
In mezzo un bosco d' intricati rami ,
Dove odo un grido risonar vicino,
Come di donna che soccorso chiami.
V accorro , e sopra \m lago cristallino
Ritrovo un Fauno ch'avea preso agli ami
In mezzo all' acqua una donzella nuda ,
E ulangiar^i il crudel la volea cruda.
:>l Colà mi trassi, e con la spada in mano
(Perch' aiutar non la potea altrimente)
Tolsi (li vita il pescator villano :
Ella saltò nell'acqua immantinente.
Non m' avrai , disse , dato aiuto invano :
Ben ne sarai premiato, e riccamente,
Quanto chieder saprai ; perchè son Ninfa
Che vivo dentro a questa chiara linfa ;
62 Ed ho possanza far cose stupende ,
E sforzar gli elementi e la natura.
Chiedi tu quanto il mio valor s'estende,
Poi lascia a me di satisfarti cura.
Dal ciel la luna al mio cantar discende,
S' agghiaccia il fuoco , e V aria si fa dura ;
Ed ho talor con semplici parole
Mossa la terra , ed ho fermato il sole.
•
H.3 Non le domando a questa offerta unire
Tesor , né dominar popoli e terre :
Né in più virtù , ne in più vigor salire ,
Né vincer con onor tutte le guerre;
Ma sol che qualche via, donde il desire
Vostro s'adempia, mi schiuda e disserre:
Né più le domando un , eh' un altro effetto ,
Ma tutta al suo giudicio mi rimetto.
64 Ebbile appena mia domanda esposta,
Ch' un' altra volta la vidi attuffata;
Né fece al mio parlare altra risposta,
Che di spruzzar ver me l'acqua incantata.
La qnal non prima al viso mi s'accosta,
Ch' io , non so come , son tutta mutata,
lo'l veggo, io'l sento; e appena vero panni:
Sento in maschio, di femmina, mutarmi.
65 E se non fosse che senza dimora
Vi potete chiarir, noi credereste:
E, qual nell'altro sesso, in questo ancora
Ho le mie voglie ad ubbidirvi preste.
Comandate lor pur ; che' fieno or ora ,
E sempre mai per voi vigili e deste.
Così le dissi ; e feci eh' ella istessa
Trovò con man la veritade espressa.
66 Come interviene a chi già fuor di speme
Di cosa sia che nel pensier molt' abbia,
Che, mentre più d'esserne privo geme.
Più se n'affligge e se ne strugge e arrabbia;
Sebben la trova poi , tanto gli preme
L'aver gran tempo seminato in sabbia,
E la disperazion l' ha si male uso ,
Che non crede a sé stesso , e sta confuso :
67 Cosi la donna, poiché tocca e vede
Quel di ch'avtlto avea tanto desire,
Agli occhi , al tatto , a sé stessa non crede ,
E sta dubbiosa ancor di non dormire:
E buona prova bisognò a far fede *
Che sentia quel che le parea sentire.
Fa, Dio (diss'ella), se son sogni questi.
Ch'io dorma sempre, e mai più non mi desti.
stanza eo.
68 Non rumor di tamburi o suon di trombe
Furon principio all'amoroso assalto;
Ma baci eh' imitavan le colombe ,
Davan segno or di gire, or di fare alto.
Usammo altr'arme, che saette o frombe;
Io senza scale in su la rocca salto,
E lo stendardo piantovi di botto ,
E la nimica mia mi caccio sotto.
69 Se fu quel letto la notte dinanti
Pien di sospiri e di querele gravi.
Non stette l'altra poi senz' altrettanti
Risi, feste, gioir, giochi soavi.
Non con più nodi i flessuosi acanti
Le colonne circondano e le travi.
Di quelli con che noi legammo stretti
E colli e fianchi e braccia e gambe e petti.
70 La cosa stava tacita fra noi ,
Si che durò il piacer per alcun mese:
Par si trovò chi se n'accorse poi,
Tanto che con mio danno il re lo 'ntese.
• Voi che mi liberaste da quei suoi
Che nella piazza avean le fiamme accese,
Comprendere oggimai potete il resto i
Ma Dio sa ben con che dolor ne resto.
71 Così a Rnggier narrava Ricciardetto,
E la notturna via facea men grave ,
Salendo tuttavia verso un poggetto
Cinto di ripe e di pendici cave.
Un erto calle , e pien di sassi e stretto
Apria il cammin con faticosa chiave.
Sedea al sommo un caste! detto Agrismonte,
Ch' avea in guardia Aldìgier di Chiaramonte.
72 Di Buovo era costui figliuol bastando ,
Fratel di Malagigi e di Viviano:
Chi legittimo dice di Gherardo ,
È testimonio temerario e vano.
Fosse come si voglia, era gagliardo,
Prudente , liberal , cortese , umano ;
E facea quivi le fraterne mura
La notte e il dì guardar con buona cura.
73 Raccolse il cavalier cortesemente.
Come dovea , il cugin suo Ricciardetto ,
Ch'amò come fratello; e parimente
Fu ben visto Ruggier per suo rispetto.
Ma non gli uscì già incontra allegramente.
Come era usato, anzi con tristo aspetto,
Perch' uno avviso il giorno avuto avea ,
Che nel viso e nel cor mesto il facea.
76 Rinaldo nostro n'ho awi^-to or ora.
Ed ho cacciato il messo di galoppo :
Ma non mi par ch'arrivar possa ad ora
Che non sia tarda; chè'l cammiao è tr^^.
Io non ho meco gente da uscir faora:
L'animo è pronto, ma il potere è zoppa.
Se gli ha quel traditor, li fia morire;
Si che non so che far, non so che dire.
77 La dura nuova a Ricciardetto spiace;
. E perchè spiace a lui, spiace a Rog^giso.
Che poiché questo e quel vede che tace.
Né tra' profitto alcun del suo penderò ,
Disse con grande ardir : Datevi pace:
Sopra me quest'impresa tutta chero;
E questa mia varrà per mille spade
A riporvi i. fratelli in libertade.
•
78 Io non voglio altra gente , altri snasdi ;
Ch'io credo bastar solo a questo fatto.
Io vi domando solo un che mi gfiddi
Al luogo ove si dee fare il baratta
Io vi farò sin qui sentire i gridi
Di chi sarà presente al rio contratto.
Così dicea: né dicea cosa nuova
All'un de' dui, che n'avea visto pniova.
79 L'altro non l'ascoltava, se non qaaato
S'ascolti un ch'assai parli, e sappia poco:
Ma Ricciardetto gli narrò da canto ,
Come fu per costui tratto del foco,
E eh' era certo che maggior del vanto
Farla veder l'effetto a tempo e a loco.
Gli diede allor udienza più che prima,
E riverillo , e fé' di lui gran stima.
74 A Ricciardetto, in cambio di saluto,
Disse : Fratello , abbiam nuova non buona.
Per certissimo messo oggi ho saputo
Che Bertolagi iniquo di Eaiona
Con Lanfusa crudel s' è convenuto.
Che iirezVose spoglie esso a lei dona.
Ed essa a lui pon nostri frati in mano ,
Il tuo buon lilalfigigi e il tuo Viviano.
7.5 Ella dal dì che Ferraù li prese.
Gli ha ognor tenuti in loco oscuro e fello,
Finché '1 brutto contratto e discortese
N' ha fatto con costui di eh' io favello.
Gli de' mandar domane al Maganzese
Nei confin tra Baiona e un suo castello.
Verrà in persona egli a pagar la mancia
Che compra il miglior sangue che sia in Francia.
80 Ed alla mensa, ove la Copia fase
Il corno , l' onorò come suo donno.
Quivi senz'altro aiuto si concluse
. Che liberare i duo fratelli ponno.
Intanto sopravvenne e gli occhi chiuse
Ai signori e ai sergenti il pigro sonno,
Fuor eh' a Ruggier; che, per tenerlo desto,
Gli punge il cor sempre un pensier molesto.
81 L'assedio d'Agramante, eh' avea il giorno
Udito dal corner, gli sta nel core.
Ben vede ch'ogni minimo so^omo.
Che faccia d'aiutarlo, è suo disnore.
Quanta gli sarà infamia, quanto scorno,
Se coi nemici va del suo signore!
Oh come a gran viltade, a gran delitto,
Battezzandosi allor , gli sarà ascritto !
Siaiun71.
82 Potria in ogn' altro tempo esser creduto
Che vera religion V avesse mosso :
Ma ora che bisogna col suo aiuto
Agramante d'assedio esser riscosso,
Piuttosto da ciascun sarà tenuto
Che timore e viltà l'abbia percosso,
Ch'alcuna opinion di miglior fede.
Questo il cor di 'Ruggiero stimola e fiede.
83 Che s'abbia da partire anco lo punge
Senza licenzia della sua regina.
Quando questo pensier, quando quel giunge,
Che'I dubbio cor diversamente inchina.
Gli era l'avviso riuscito lunge
Di trovarla al Castel di Fiordispina ,
Dove insieme dovean , come ho già detto ,
In soccorso venir di Ricciardetto.
84 Poi gli sowien ch'egli le avea promesso
Di seco a Vallombrosa ritrovarsi.
Pensa eh' andar v' abbi' ella , e quivi d' esso,
Che non vi trovi poi, maravigliarsi.
Potesse almen mandar lettera o messo ,
Si ch'ella non avesse a lamentarsi
Che , oltre eh' egli mal le avea ubbidito ,
Senza far motto ancor fosse partito.
85 Poi che più cose immaginate s' ebbe ,
Pensa scriverle alfin quanto gli accada;
E bench'egli non sappia come debbe
La lettera inviar, si che ben vada,
Non però vuol restar; che ben potrebbe
Alcun messo fedel trovar per strada.
Più non s' indugia , e salta delle piume :
Si fa dar carta, inchiostro, penna e lume.
86 I camerieri discreti ed avveduti
Arrecano a Euggier ciò che comanda.
Egli comincia a scrivere , e i saluti.
Come si suol, nei primi versi manda:
Poi narra degli avvisi che venuti
Son dal suo re , eh' aiuto gli domanda ;
E se l' andata sua non è ben presta ,
0 morto 0 in man degl'inimici resta.
87 Poi seguita , eh' essendo a tal partito ,
E eh' a lui per aiuto si volgea.
Vedesse ella , che 'I biasmo era infinito
S'a quel punto negar gli lo volea:
E ch'esso, a lei dovendo esser marito,
Guardarsi da ogni macchia si dovea;
Che non si convenia con lei, che tutta
Era sincera, alcuna cosa brutta.
88 E se mai per addietro un nome chiaro,
Ben oprando , cercò di guadagnarsi ;
E guadagnato poi, se avuto caro.
Se cercato l'avea di conservarsi;
Or lo cercava, e n'era fatto avaro,
Poiché dovea con lei parteciparsi ,
La qual sua moglie, e totalmente in dui
Corpi esser dovea un'anima con lui.
89 E sì come già a bocca le avea detto ,
Le ridicea per questa carta ancora :
Finito il tempo in che per fede astretto
Era al suo re, quando non prima muora.
Che si farà Cristian cosi d' effetto ,
Come di buon voler stato era ogni ora;
E ch'ai padre e a Rinaldo e agli altri suoi
Per moglie domandar la farà poi.
90 Voglio , le soggiungea , quando yri pUeéi
L' assedio al mio signor levar d* intorni ,
Acc;ò che l' ignorante vulgo taccia ,
Il qual direbbe, a mia vergogna e scotoq.
Euggier, mentre Agramante ebbe bonaceu.
Mai non l'abbandonò notte né g:iomo ;
Or che fortxma per Carlo si piega ,
Egli col vincitor l'insegna spiega.
91 Voglio quindici di termine, o Tenti,
Tanto che comparir possa una volta ,
Si che degli africani alloggiamenti
La grave ossedìon per me sia tolta.
Intanto cercherò convenienti
Cagioni, e che sian giuste, di dar volta.
Io vi domando per mio cuor sol questo :
Tutto poi vostro è di mia vita il resto.
92 In simili parole si diffuse
Ruggier, che tutte non so dirvi appieno;
E segui con molt' altre , e non concluse ,
Finche non vide tutto il foglio pieno :
E poi piegò la lettera e la chiuse ,
E suggellata se la pose in s^o ,
Con speme che gli occorra il di seguente
Chi alla donna la dia secretamente.
93 Chiusa ch'ebbe la lettera, chiose anco
Gli occhi sul letto , e ritrovò quiete;
Che 'l sonno venne , e sparse il corpo staDec
Col ramo intinto nel liquor di Lete:
E posò fin eh' un nembo rosso e bianco
Di fiori sparse le contrade liete
Del lucido oriente d' ogn' intomo ,
Ed indi usci dell'aureo albergo il giorno.
94 E poi eh' a salutar la nova luce
Pei verdi rami incominciar gli augelli ,
Aldigier che voleva esser il duce
Di Ruggiero e dell'altro, e guidar quelli
Ove faccin che dati in mano al truce
Bertolagi non siano i duo fratelli,
Fu'l primo in piede; e quando sentir Ini,
Del letto uscirò anco quegli altri dui.
95 Poi che vestiti furo e bene armati ,
Coi duo cugin Ruggier si mette in via ,
Già molto indamo avendoli pregati
Che questa impresa a lui tutta si dia.
Ma essi , pel desir e' han de' lor frati ,
E perchè lor parca discortesia ,
Steron negando più duri che sassi ,
Né consentiron mai che solo andassi.
96 Giunsero al loco il di che si doyea
Malagigi mutar nei carriaggi.
Era un'ampia campagna che giacea
Tutta scoperta agli apollinei raggi.
Quivi né allór né mirto si vedea,
Né cipressi nò frassini nò faggi:
Ma nuda ghiara, e qualche umil virgulto.
Non mai da marra o mai da vomer culto.
97 I tre guerrieri arditi si fermaro
Dove un sentier Fendea quella pianura;
E giunger quivi un cavalier miraro ,
Ch* avea d' oro fregiata 1* armatura ,
E per insegna in campo verde il raro
E hello augel che più d'un secol dura.
Signor, non più; che giunto al fin mi veggio
Di questo Canto, e riposarmi chieggio.
NOTE.
St 13. V. 6. — Cuffie. La cuffia d'acciaio era un'ar- 1
matura della testa che si portava sotto Telmo. |
St. 14. V. 6-8. — Jl gran diavol, ecc.: nome dato ad
un cannone di straordinario calibro , appartenente al
duca Alfonso.
St. 2 . V. 7. — Fiordispina di Spagna: è la giovine
figlia del re Ifarsilio di cui fé' cenno alla St. 39 del
Canto XXII.
^ T. 28. V. 1. — SiroccMa : soreUa.
St. 29. V. 4. — Fisso: trafitto. — Funta: puntura
amorosa.
St. 32. V. 13.— Ippolita: famosa amazzone che com-
battè con Ercole e con Teseo. — Argilla: la Zilia di
Plinio, notata sulle odierne mappe col nome di Arxilia,
nel regno di Fez.
St. 36. V. 5-7. — La moglie di Nino: Semiramide.—
Mirra: figlia di Ciniro. — La Cretenae: Pasifae, mo-
glie di Minos re di Greta
St. 37. V. 6. — Dedalo: ingegnosissimo artefice ate-
niese, a cui si attribuiscono dai poeti diverse invenzioni,
fra le quali il labirinto di Creta , d' onde usci volando,
con Icaro suo figlio.
St. 42. V. 6. — Imaginoso: pieno di visioni.
St. 45. V. 5. — Oinetto : cavallo di razza spagnaola.
St. 60. V. 6. — Un Fauno: nome di una famiglia di
divinità boscherecce.
St. 62. V. 1-8. — Gli antichi non attribuirono mai
tanta potenza alle Ninfe. Ma le Ninfe nel medio evo
diventarono fate.
St. 74. V. 4-5. — Bertolagi: era uno della casa di Ma-
ganza. — Lanfusa : la madre di FerraU.
St 75. V. 6. — Baiona: città di Francia non lungi
dal golfo di Guascogna, nel dipartimento dei Bassi Pi-
renei.
ST. 81. V. 3. — Soggiorno: qui indugio.
St. 83. V. 5-6. — G^li era V avviso, ecc.: erasi ingan-
nato nell'opinione di ritrovarla, ecc.
St. 91. V. 4. — Ossedion: assedio.
St. 93. V. 4. — Col ramo, ecc. Rammenta il ramo con
cui Virgilio finge che il ; onno bagnò le tempie a Fa-
linuro per farlo dormire. — Lete: fiume delllnfemo, le
acque del quale toglievano la memoria del passato.
St. 97. V. 5-6. — Il raro e hello augel , ecc. : la fe-
nica, insegna di Marfisa.
CANTO VENTESIMOSESTO
Canto XXVI.
ARGrOMENTO,
^LirAi^a é il cavaliere giunto ove ì due di Olilibr4m5ELt« doTSTU^
ess^r v^nluLi ai loro nomici. I Ma^anzt^ìtì, uiiìtl t QninenTii
?< chi Era di Morì, sono disfatti, e i due pHffioni restuio lib«ii.
M%lLìi;i;ri diLìhiEira il signìAcatc) delle tì^ura scolpito nlli
fonCnii^ di M<^rUno. Air ivi Ippalca aeii/.iL Frontino^ « Rif-
gicro va con lei pot rei^tiperai-lo. Handricardo giiuis« iUi
rontaaiL. Cam batti mento tra lui e Uarflja, iai«irrotto daBo-
doizi>>nte, cho diapqna M^arfl«a a recarci al c&tii|iQ di ign*
nuoto. RrL^fiero vi^ìx?. alU fjEi!iini, al ivi, per dì farM gi-
gioni, afìi^adtj mia ztilfa fra i guerrieri pagani. Malafigj li
'livido, f^caudo C(3n ìncaatesiiiLi aIli::)iitanarDomUc« dij loof^
I quattro guorrìeri mtioTono v&im PulgL
Cortesi rìoiiuc ebbe IVaiitiqua etade ,
Che le virtù, non le riediez^e, amaro.
Al tempo no=5tro si ritrovali radè
A cai I pili del g^aEvdigao , altre» sìa c.uo.
Ma quelle che per lor vera boutade
Non seguou delle più lo stile avaro,
Viveoilù ^ rhgne soii d' eàier con leu te ;
Gloriosa e immorcal poi che fiaa spente.
Degna d' eterea laude è Bradamaute ,
Che non amè tesar , non amò impero »
Ma la virtù, ma T animo prestante ^
Ma Falta gentilezza di Buggiero;
E meritò che ben le fosse amante
Un cosi valoroso cavaliero ;
£ per piacere a lei &cesse cose
Nei secoli a venir miracolose.
Rnggier, come di sopra tì fa detto,
Coi duo di Chiaramonte era venuto;
Dico con Aldigier, con Ricciardetto,
Per dare ai duo fratei prigioni aiuto.
Vi dissi ancor, che di superbo aspetto
Venire un cavaliere avean veduto,
Che portava l^augei che si rinnova,
E sempre unico al mondo si ritrova.
[ Come di questi il cavalier s^ accorse ,
Che stavan per ferir quivi su V ale ,
In prova disegnò di voler porse.
Sballa sembianza avean viirtude uguale.
É di voi , disse loro , alcuno forse
Che provar voglia chi di noi più vale.
A colpi 0 della lancia o della spada,
Finché Pun resti in sella, e l'altro cada?
5 Sarei, disse Aldigier, teco, o volessi
Menar la spada a cerco, o correr Tasta;
Ma un* altra impresa che , se qui tu stessi
Veder potresti, questa in modo guasta,
Ch' a parlar teco , non che ci traessi
A correr giostra, appena tempo basta;
Seicento uomini al varco , o più , attendiamo .
Coi qua' d'oggi provarci obbligo abbiamo.
6 Per tor lor duo de' nostri che prigioni
Quinci trarran, pietade e amor n'ha mosso.
E seguitò narrando le cagioni
Che li fece venir con l'arme indosso.
Si giusta è questa escusa che m' opponi ,
Disse il guerrìer, che contraddir non posso;
E fo certo giudici o che voi siate
Tre cavalier che pochi pari abbiate.
7 Io chiedea un colpo o dui con voi scontrarme,
Per veder quanto fosse il valor vostro ;
Ma quando all' altrui spese dimostrarme
Lo vogliate, mi basta, e più non giostro.
Vi priego ben , che por con le vostr'arme
Quest'elmo io possa e questo scudo nostro;
E spero dimostrar , se con voi vegno ,
Che di tal compagnia non sono indegno.
) Parmi veder ch'alcun saper desia
Il nome di costui, che quivi giunto
A Ruggiero e a' compagni si offeria
Compagno d'arme al periglioso punto.
Costei (non più costui detto vi sia)
Era Marfisa , che diede l' assunto
Al misero Zerbin della ribalda
Vecchia Gabrìna ad ogni mal si calda.
9 I duo di Chiaramonte e il buon Ruggiero
L'accett&r voleutier nella lor schiera,
Ch' esser credeano certo un cavaliere j
E non donzella , e non quella eh' eli' era.
Non molto dopo scoperse Aldigiero,
E veder fé ai compagni una bandiera
Che facea l'aura tremolare in volta,
E molta gente intomo avea raccolta.
Stanza 7.
10 E poi che più lor fiir fatti vicini,
E che meglio notar l'abito moro.
Conobbero che gli eran Saracini,
E videro i prigioni in mezzo a loro
Legati , e tratti su piccol ronzini
A'Maganzesi, per cambiarli in oro.
Disse Marfisa agli altri : Ora che resta ,
Poiché son qui, di cominciar la festa?
11 Ruggier rispose: Gli invitati ancora
Non ci son tutti, e manca una gran parte.
Gran ballo s'apparecchia di fare ora,
E perchè sia solenne, usiamo ogn'arte :
Ma far non ponno omai lunga dimora.
Cosi dicendo, veggono in disparte
Venire i traditori di Maganza:
Si eh' eran presso a cominciar la danza.
12 Gitmgean dalPuna parte i Maganzesi,
E conducean con loro i muli carchi
D'oro e di vesti e d'altri ricchi arnesi;
Da l'altra, in mezzo a lance, spade ed archi,
Venian dolenti i duo germani presi,
Che si vedeano essere attesi ai varchi ;
E Bertolagi , empio inimico loro ,
Udian parlar col capitano Moro.
15 Di qui naque un error tra gli assaliti,
Che lor causò lor ultima ruina.
Da un lato i Maganzesi esser traditi
Credeansi dalla squadra saracina;
Dall'altro, i Mori in tal modo feriti
L' altra schiera chiamavano assassina :
E tra lor cominciar con fiera clade
A tirare archi , e a menar lance e spade.
stanza la
18 Né di fiuovo il figliuol , né quel d' Amone,
Veduto il Maganzese, indugiar puote:
La lancia in resta Tuno e T altro pone,
E r uno e V altro il traditor percuote.
L'nn gli passa la pancia e'I primo arcione,
E r altro il viso per mezzo le gote.
Cosi n' andasser pur tutti i malvagi ,
Come a quei colpi n'andò Bertolagi.
14 Marfisa con Ruggiero a questo segno
Si muove e non aspetta altra trombetta;
Né prima rompe l'arrestato legno.
Che tre, l'un dopo l'altro in terra gtitta.
Dell'asta di Huggier fu il Pagan degno,
Che guidò gli altri , e usci di vita in fretta ;
E per quella medesima con lui
Uno ed un altro andò nei regni bui.
16 Salta or in questa squadra ed ora in quelli
Ruggiero , e via ne toglie or dieci or venti
Altri tanti per man della donzella
Di qua e di là ne son scemati e spentL
Tanti si veggon gir morti di sella .
Quanti ne toccan le spade taglienti ,
A cui dan gli elmi e le corazze loco,
Come nel bosco i secchi legni al fuoco.
17 Se mai d'aver veduto vi raccorda,
0 rapportato v' ha fama all' orecchie ,
Come , allorché '1 collegio ai discorda ,
E vansi in aria a far guerra le pecchie.
Entri fra lor la rondinella ingorda,
E mangi e uccida e guastine parecchie;
Dovete immaginar che similmente
Ruggier fosse e Marfisa in quella gente.
18 Non così Ricciardetto e il suo cugino
Fra le due genti varìavan danza,
Perché , lasciando il campo Saracino ,
Sol tenean l'occhio all'altro di Maganza.
lì fratel di Rinaldo paladino
Con molto animo avea molta possanza,
E quivi raddoppiar glie la facea
L'odio che centra ai Maganzesi avea.
19 Facea parer questa medesma causa
Un leon fiero il bastardo di Buovo ,
Che con la spada senza indugio e pausa
Fende ogn'elmo, o lo schiaccia come un ovt..
E qnal persona non saria stata ausa,
Non saria comparita un Ettor nuovo,
Marfisa avendo in compagnia e Ruggiero,
Ch' eran la scelta e '1 fior d' ogni guerriero ?
20 Marfisa tuttavolta combattendo,
Spesso ai compagni gli occhi rivoltava;
E di lor forza paragon vedendo ,
Con maraviglia tutti li lodava:
Ma di Ruggier pur il valor stupendo
E senza pari al mondo le sembrava;
E talor si credea che fosse Marte
Sceso dal quinto cielo in quella parte.
SI Mirava quelle orrìbili percosse,
Miravale non mai calare in fallo:
Parea che contra Balisarda fosse
Il ferro carta, e non doro metallo.
Gli elmi tagllaya e le corazze grosse,
E gli uomini fendea fin sul cavallo ,
E li mandava in parti uguali al prato ,
Tanto da Pun quanto da T altro lato.
22 Continuando la medesma botta ,
XJecidea col signore il cavallo anche.
I capi dalle spalle alzava in frotta,
E spesso i busti dipartia dalP anche.
Cinque e più a un colpo ne tagliò talotta ;
E se non che pur dubito che manche
Credenza al ver, e* ha faccia di menzogna.
Di più direi; ma di men dir bisogna.
23 H buon Turpin, che sa che dice il vero,
E lascia creder poi quel ch'all'uom piace,
Narra mirabil cose di Ruggiero,
Ch'udendolo, il direste voi mendace.
Cosi parea di ghiaccio ogni guerriero
Contra Marfisa, ed ella ardente face:
E non men di Ruggier gli occhi a sé trasse,
Ch* ella di lui l' alto valor mirasse.
27 Oltre una buona qjuautità d'argento
Che in diverse vasella era formato,
Ed alcun muliebre vestimento.
Di lavoro bellissimo fregiato ,
E per stanze reali un paramento
D' oro e di seta in Fiandra lavorato ,
Ed altre cose ricche in copia grande;
Fiaschi di vin trovar, pane e vivanda.
28 Al trar degli elmi, tutti vider come
Avea lor dato aiuto una donzella.
Fu conosciuta all'auree crespe chiome.
Ed alla faccia delicata e beila.
L'onoran molto, e pregano che'l nome
Di gloria degno non asconda; ed ella.
Che sempre tra gli amici era cortese,
A dar di sé notizia non contese.
29 Non si ponno saziar di riguardarla;
Che tal vista Pavean nella battaglia.
Sol mira ella Ruggier , sol con lui parla ;
Altri non prezza; altri non par che vagli.!
Vengono i servi intanto ad invitarla
Coi compagni a goder la vettovaglia,
Ch'apparecchiata avean sopra una fonte
Che difendea dal raggio estivo un monte.
24 E s' ella luì Marte stimato avea ,
Stimato egli avria lei forse Bellona,
Se per donna così la conoscea.
Come parea il contrario alla persona.
E forse emulazion tra lor nascea
Per quella gente misera, non buona.
Nella cui carne e sangue e nervi ed ossa
Fan prova chi di lor abbia più possa.
25 Bastò di quattro l'animo e il valore
A far eh' un campo e l'altro andasse rotto.
Non restava arme , a chi fuggia , migliore
Che quella che si porta più di sotto.
Beato chi il cavallo ha corridore;
Ch'in prezzo non ò quivi ambio né trotto:
E chi non ha destrier , quivi s' avvede
Quanto il mestier dell'armi é tristo a piede.
2(5 Biman la preda e'I campo ai vincitori.
Che non é fante o mulattier che restì.
Là Maganzesi , e qua fuggono i Mori ;
Quei lasciano i prigion, le some questi.
Furon, con lieti visi e più coi cori,
Malagigi e Viviano a scioglier presti :
Non fur men diligenti a sciorre i paggi,
E por le some in terra e i carriaggi.
30 Era una delle fonti di Merlino ,
De le quattro di Francia da lui fatte.
D'intorno cinta di bel marmo fino
Lucido e terso, e branco più che latte.
Quivi d'intaglio con lavor divino
Avea Merlino immagini ritratte:
Direste che spiravano ; e , se prive
Non fossero di voce, ch'eran vive.
31 Quivi una bestia uscir della foresta
Parea , di crudel vista , odiosa e brutta ,
Ch' avea P orecchie d' asino , e la testa
Di lupo e i denti, e per gran fame asciutta:
Branche avea di leon ; P altro che resta ,
Tutto era volpe; e parea scorrer tutta
E Francia e Italia e Spagna ed Inghilterra,
L'Europa e l'Asia, e alfin tutta la terra.
32 Per tutto avea genti ferite e morte.
La bassa plebe e i più superbi capi:
Anzi nuocer parea molto più forte
A re, a signori , a principi , a satrapi.
Peggip facea nella romana corte,
Che v' avea uccisi cardinali e papi :
Contaminato avea la bella sede
Di Pietro, e messo scandol nella Fede.
33 Par che dinanzi a questa bestia orrenda
Cada ogni muro, ogni ripar che tocca.
Non si vede città che si difenda:
Se l'apre incontra ogni castello e rocca.
Par che agli onor divini anco s'estenda,
E sia adorata dalla gente sciocca,
E che le chiavi s' arroghi d'avere
Del ciel e dell'abisso in suo potere.
34 Poi si vedea d'imperiale alloro
Cinto le chiome un cavalier venire
Con tre giovani a par, che i gigli d' oro
Tessuti avean nel lor real vestire ;
E , con insegna simile, con loro
Parca un leon centra quel mostro uficire.
Avean lor nomi chi sopra la testa .
E chi rei lembo scritto della vesto.
Stanza 25.
35 L' un eh' avea fin air elsa nella pancia
La spada immersa alla maligna fera,
Francesco primo , avea scritto , di Francia :
Massimiliano d'Austria a par seco era;
E Carlo quinto, imperator, di lancia
Avea passata il mostro alla gorgiera ;
E l'altro che di strai gli figge il petto.
L'ottavo Enrigo d'Inghilterra è detto.
36 Decimo ha quel leon scritto sul dosso,
Ch'ai brutto mostro i denti ha negli orecchi;
E tanto l'ha già travagliato e scosso.
Che vi sono arrivati altri parecchi.
Parca del mondo ogni timor rimosso ;
Ed in emenda degli errori vecchi
Nobil gente accorrea, non però molta.
Onde alla belva era la vita tolta.
37 I cavalieri stavano e Marfisa
Con desiderio di conoscer questi ,
Per le cui maui era la bestia uccida
Che fatti avea tanti luoghi atri e mesti
Awengachè la pietra fosse incisa
Dei nomi lor, non eran manifesti.
Si pregavan tra lor, che, se sapesse
L' istoria alcuno , agli altri la dicesse.
38 Voltò Viviano a Malagigi gli occhi ,
Che stava a udire , e non £Etcea lor motto :
A te , disse , narrar l' istoria tocchi ,
Ch'esser ne dèi, per quel ch'io vegga, dotto.
Chi son costor che con saette e stocchi
E lancie e morte han l'animai condotto?
Rispose Malagigi: Non è istoria
Di ch'abbia autor fin qui fatto memoria.
39 Sappiate che costor che qui scrìtto hanno
Nel marmo i nomi, al mondo mai non faro;
Ma fra settecento anni vi saranno ,
Con grande onor del secolo futuro.
Merlino , il savio incantator britanno ,
Fé' far la fonte al tempo dei re Arturo;
E di cose eh' al mondo hanno a venire ,
La fe'da buoni artefici scolpire.
40 Questa bestia crudele usci del fondo
Dello 'nfemo a quel tempo che far fatti
Alle campagne i termini, e fa il pondo
Trovato e la misura , e scritti i patti.
Ma non andò a principio in tutto '1 mon lu :
Di sé lasciò molti paesi intatti.
Al tempo nostro in molti lochi sturba;
Ma i popolari offende e la vii turba.
41 Dal suo principio infin al secol nostro
Sempre è cresciuto, e sempre andrà crescen l ; :
Sempre crescendo, al lungo andar fia il mostro
11 maggior che mai fosse e Io più orrendo.
Quel Piton , che per carte e per inchiostro
S' ode che fu sì orribile e stupendo ,
Alla metà di questo non fu tutto.
Né tanto abbominevol né si brutto.
42 Farà strage crudel , né sarà loco
Ohe non guasti , contamini ed infetti :
E quanto mostra la scultura, é poco
De' suoi nefandi e abbominosi effetti.
Al mondo , di gridar mercé già roco ,
Questi, dei quali i nomi abbiamo letti,
Che chiari splenderan più che pircpo,
Verranno a dare aiuto al maggior aopo.
45 E quindi scenderà nel ricco piano
Di Lombardia , col fior di Francia intomo ;
E si r Elvezio spezzerà , eh' invano
Farà mai più pensier d' alzare il corno.
Con grande e della Chiesa, e dellMspano
Campo e del fiorentin vergogna e scorno ,
Espugnerà il Castel che prima stato
Sarà non espugnabile stimato.
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43 Alla fera crudele il più molesto
Non sarà di Francesco il re de' Franchi :
E ben convien che molti ecceda in questo,
E nessun prima e pochi n'abbia a' fianchi;
Quando in splendor real , quando nel resto
Di virtù farà molti parer manchi,
Che già parver compiuti; come cede
Tosto ogn' altro splendor, che'l sol si vede.
46 Sopra ogn' altr' arme ad espugnarlo, molto
Più gli varrà quella onorata spada,
Con la qual prima avrà di vita tolto
Il mostro corruttor d'ogni contrada.
Convien eh' innanzi a quella sia rivolto
In fuga ogni stendardo, o a terra vada;
Né fossa né ripar né grosse mura
Possan da lei tener città sicura.
44 L'anno primier del fortunato regno.
Non ferma ancor ben la corona in fronte ,
Passerà l'Alpe, e romperà il diseguo
Di chi all'incontro avrà occupato il monte;
Da giusto spinto e generoso sdegno.
Che vendicate ancor non siano l' onte
Che dal furor da paschi e mandre uscito
L' esercito di Francia avrà patito.
47 Questo Principe avrà quanta eccellenza
Aver felice imperator mai debbia:
L'animo del gran Cesar, la prudenza
Di chi mostrolla a Trasimeno e a Trebbia
Con la fortuna d' Alessandro , senza
Cui saria famo ogni disegno , e nebbia.
Sarà sì liberal, ch'io lo contemplo
Qui non aver né paragon né esemplo.
48 Cosi diceva Malagigi, e messe
Desire a'cavalier d'aver contezza
Del nome d'alcun altro ch'uccidesse
L'infemal bestia, uccider gli altri avvezza.
Quivi un Bernardo tra' primi si lesse,
Che Merlin molto ne' suoi scritti apprezza.
Pia nota per costui , dicea , Bibiena ,
Quanto Fiorenza sua vicina e Siena.
stanza 41.
49 Non mette piede innanzi ivi persona
A Sismondo , a Giovanni , a Ludovico :
Un Gonzaga , un Salviati , un d' Aragona ,
Ciascuno al brutto mostro aspro nimico.
V è Francesco Gonzaga , né abbandoni
Le sue vestigie il figlio Federico;
Ed ha il cognato e il geaero vicino,
Quel di Ferrara , e quel duca d' Urbino.
51 Duo Ercoli, duo Ippoliti da Este,
Un altro Ercole, un altro Ippolito anco
Da Gonzaga, de' Medici, le peste
Seguon del mostro, e l'han, cacciando, stas
Né Giuliano al figliuol , né par che reste
Ferrante al fratel dietro; né che manoo
Andrea Doria sia pronto; né che lassi
Francesco Sforza, ch'ivi uomo Io passi.
52 Del generoso , illustre e chiaro sangue
D'Avalo vi son dui c'han per ins^^ia
Lo scoglio , che dal capo ai piedi d'angie
Par che l'empio Tifeo sotto si teerna-
Non é di questi duo, per fare essngue
L'orribil mostro, chi più innanzi vegna:
L'uno Francesco di Pescara invitto,
L' altro Alfonso del Vasto ai piedi ha scritte
53 Ma Consalvo Ferrante ove ho lasciato,
L' Ispano onor, ch'in tanto pregio v'eri.
Che fu da Malagigi si lodato ,
Che pochi il pareggiar di quella schiera?
Guglielmo si vedea di Monferrato
Fra quei che morto avean la bratta fera:
Ed eran pochi, verso gl'infiniti
Ch'ella v'avea chi morti e chi feriti.
54 In giuochi onesti e parlamenti lieti ,
Dopo mangiar, spesero il caldo giorno.
Corcati su finissimi tappeti
Tra gli arbuscelli oad'era il rivo aiomo.
Malagigi e Vivian, perché quieti
Più fosser gli altri , tenean l' arme intomo ;
Quando una donna senza compagnia
Vider, che verso lor ratto venia.
55 Questa era quella Ippalca, a cui fa tolto
Frontino , il buon destrier , da Rodomonte.
L'avea il di innanzi ella seguito molto,
Pregandolo ora , ora dicendogli onte ;
Ma non giovando , avea il cammin rivolto
Per ritrovar Ruggiero in Agrismonte-
Tra via le fu, non so fifià come, detto
Che quivi il troveria con Ricciardetto.
50 Dell' un di questi il figlio Guidobildo
Non vuol che'l padre o ch'altri aidietro il m^tta.
Con Ottobon del Eliseo, Sinibaldo
Caccia la fera, e van di pari in fretta.
Luigi à% Gazalo il ferro caldo
Fatto nel collo le ha d'una saetta
Che con l' arco gli die Febo , quando anco
Marte la spada sua gli messe al fianco.
56 E perché il luogo ben sapea (che v'er^
Stata altre volte) , se ne venne al dritto
Alla fontana; ed in quella maniera
Ve lo trovò, ch'io v'ho di sopra scritto.
Ma come buona e cauta messaggiera.
Che sa meglio eseguir che non l' é ditto ,
Quando vide il fratel di Bradamante,
Non conoscer Ru^gier fece sembiante
57 A, Ricciardetto tatta rÌTol tosse ,
Si come drittamente a lui yenisse :
E quelf che la conobbe, se le mosse
Incontra, e dimandò dove ne gisse.
Elia, disancora avea le luci rosse
Del pianger lungo, sospirando disse:
Ma disse forte, acciò che fosse espresso
A Ruggero il suo dir , che gli era presso.
58 Mi traea dietro, disse, per la briglia.
Come imposto m'avea la tua sorella.
Un bel cavallo e buono a meraviglia ,
Ch'ella molto ama, e che Frontino appella;
E l'avea tratto più di trenta miglia
Verso Marsiglia, ove venir debb'ella
Fra pochi giorni, e dove ella mi disse
ChMo l'aspettassi finché vi venisse.
59 Era si baldanzoso il creder mio ,
Ch'io non stimava alcun di cor si saldo,
Che me l'avesse a tor, dicendogli io,
Ch'era della sorella di Rinaldo.
Ha vano il mio disegno ier m' uscio,
Che me lo tolse un Saracin ribaldo ;
Né per udir di chi Frontino fusse,
A volermelo rendere s'indusse.
60 Tutto ieri e oggi l'ho pregato; e quando
Ho visto uscir prieghi e minacele invano,
Maledicendol molto e bestemmiando,
L' ho lasciato di qui poco lontano ,
Dove il cavallo e sé molto affannando.
S'aiuta, quanto può, con l'arme in mano
Contra un guerrier eh' in tal travaglio il mette ,
Che spero ch'abbia a far le mie vendette.
61 Ruggiero a quel parlar salito in piedi,
Ch'avea potuto appena il tutto udire,
Si volta a Ricciardetto , e per mercede
E premio e guiderdon del ben servire
(Prieghi aggiungendo senza fin) gli chiede
Che con la donna solo il lasci gire
Tanto , che '1 Saracin gli sia mostrato ,
Ch'a lei di mano ha il buon destrier levato.
62 A Ricciardetto, ancorché discortese
11 conceder altrui troppo paresse
Di terminar le a sé debite imprese.
Al voler di Ruggier pur si rimesse :
E quel licenzia dai compagni prese,
E con Ippalca a ritornar si messe.
Lasciando a quei che rimanean stupore.
Non maraviglia pur del suo valore.
B Poi che dagli altri allontanato alquanto
Ippalca l' ebbe , gli narrò eh' ad esso
Era mandata da colei che tanto
Avea nel core il suo valore impresso :
E , senza finger più , seguitò quanto
La sua donna al partir le avea commesso :
E che se dianzi avea altrimente detto.
Per la presenzia fu di Ricciardetto.
stanza 57.
64 Disse , che chi le avea tolto il destriero ,
Ancor detto l' avea con molto orgoglio :
Perchè so che '1 cavallo é di Ruggiero ,
Più volentier per questo te lo toglio.
S'egli di racquistarlo avrà pensiero.
Fagli saper (eh' asconder non gli voglio)
Ch' io son quel Rodomonte , il cui valore
Mostra per tutto '1 mondo il suo splendore.
65 Ascoltando , Raggier mostra nel volto
Di quanto sdegno acceso il cor gli sia;
Si perchè caro avria Frontino molto ,
Si perchè venia il dono onde venia ,
Sì perchè in suo dispregio gli par tolto.
Vede che hiasmo e disonor gli fia ,
Se torlo a Rodomonte non s^ affretta,
E sopra lui non fa degna vendetta.
stanza 63.
6() La donna Ruggier guida, e non soggiorna;
Che por lo brama col Pagano a fronte:
E giunge ove la strada fa duo corna ;
L*un va giù al piano, e l'altro va su al monte :
E questo e quel nella vallea ritorna,
Dov'ella avea lasciato Rodomonte.
Aspra , ma breve era la via del colle ;
L'altra più lunga assai, ma piana e molle.
67 II desiderio che conduce Ippalca,
D' aver Frontino e vendicar V oltraggio ,
Fa che '1 sentier della montagna calca ,
Onde molto più corto era il viaggio.
Per r altra intanto il re d' Algier cavalca
Col Tartaro e cogli altri che detto aggelo;
E giù nel pian la via più facil tiene ,
Né con Ruggier ad incontrar si viene.
68 Già son le lor querele differita
Finché soccorso ad Agramante sia
(Questo sapete); ed han d'ogni lor lite
La cagion , Dorallce , in compagnia.
Ora il successo dell'istoria udite.
Alla fontana è la lor dritta via ,
Ove Aldigier, Marfisa, Ricciardetto,
Malagigi e Vivian stanno a diletto.
b9 Marfisa a'prieghi de' compagni area
Veste da donna ed ornamenti presi.
Di quelli eh' a Lanfusa si credea
Mandare il traditor de' Maganzesi :
E benché veder raro si solca
Senza V usbergo e gli altri buoni arnesi ,
Pur quel dì se li trasse ; e come donna ,
A'prieghi lor lasciò vedersi in gonna.
70 Tosto che vede il Tartaro Marfisa,
Per la credenza e* ha di guadagnarla ,
In ricompensa e in cambio ugual s'avvisa
Di Doralice, a Rodomonte darla;
Si come amor si regga a questa guisa.
Che vender la sua donna o permutarla
Possa l'amante, né a ragion s'attrista,
Se quando una ne perde , una n' acquista.
71 Per dunque provvedergli di donzella,
Acciò per sé quest' altra si ritegna ,
Marfisa che gli par leggiadra e bella,
E d'ogni cavalier femmina degna,
Come abbia ad aver questa, come quella
Subito cara, a lui donar disegna;
E tutti i cavalier che con lei vede,
A giostra seco ed a battaglia chiede.
72 Malagigi e Vivian, che l'arme aveano
Come per guardia e sicurtà del resto,
Si mossero dal luogo ove sedeano,
L'un come l'altro alla battaglia presto,
Perchè giostrar con amenduo credeano;
Ma r African , che non venia per questo ,
Non ne fé' segno o movimento alcuno :
Si che la giostra restò lor contra uno.
73 Vìnano è il primo, e con gran cor si muove,
E nel venire abbassa an^ asta grossa ;
E'I Re pagan dalle famose prove,
DalP altra parte vien con maggior possa.
Dirizza V uno e V altro , e senza dove
Crede meglio fermar l'aspra percossa.
Viviano indamo all'elmo il Pagan fere;
Che non lo fa piegar, nonché cadere.
74 II Re pagan , eh' avea più l' asta dura ,
Fé' 0 scudo a Vivian parer di ghiaccio
£ fuor di sella in mezzo alla verdura.
Air erbe e ai fiori il fé' cadere in braccio.
Vien Malagigi , e ponsi in avventura
Di vendicare il suo fratello avaccio;
Ma poi d' andargli appresso ebbe tal fretta ,
Che gli fé' compagnia più che vendetta.
75 L'altro fratel fu prima del cugino
Coli' arme indosso , e sul destrier salito ;
E disfidato, centra il Saracino
Venne a scontrarlo a tutta briglia ardito.
Risonò il colpo in mezzo all'elmo fino
Di quel Pagan sotto la vista un dito :
Volò al ciel l' asta in quattro tronchi rotta ;
Ma non mosse il Pagan per quella botta.
76 II Pagan feri lui dal Iato manco;
E perchè il colpo fu con troppa forza.
Poco lo scudo e la corazza manco
Gli valse , che s' aprir come una scorza.
Passò il ferro crudel l'omero bianco:
Piegò Aldighier ferito a poggia e ad orza;
Tra fiori ed erbe alfin si vide avvolto,
Rosso su l' arme , e pallido nel volto.
77 Con molto ardir vien Ricciardetto appresso :
E nel venire arresta si gran lancia,
Che mostra ben, come ha mostrato spesso,
Che degnamente è paladin di Francia:
Ed al Pagan ne facea segno espresso ,
Se fosse stato pari alla bilancia;
Ma sozzopra n'andò, perchè il cavallo
Gli cadde addosso, e non già per suo fallo.
78 Poich'auro cavalier non si dimostra.
Ch'ai Pagan per giostrar volti la fronte.
Pensa aver guadagnato della giostra
La donna, e venne a lei presso alla fonte,
E disse: Damigella, sete nostra.
S'altri non è per voi ch'in sella monte.
Noi potete negar, uè fame iscusa;
Che di ragion di guerra cosi s'usa.
79 Marfisa, alzaudo con un viso altiero
La faccia , disse : Il tuo parer molto erra.
Io ti concedo che diresti il vero,
Ch' io sarei tua per la ragion di guerra ,
Quando mio signor fosse o cavaliero
Alcun di questi ch'hai gittato in tena.
Io sua non son: né d'altri son, che mia;
' Dunque me tolga a me chi mi desia.
stanza 76.
80 So scudo e lancia adoperare anch'io,
E più d'un cavaliero in terra ho posto.
Datemi l'arme, disse, e il destrier mio
Agli scudier che l'ubbidirò tosto.
Trasse la gonna, ed in farsetto uscio;
E le belle fattezze e il ben disposto
Corpo mostrò , eh' in ciascuna sua parte ,
Fuorché nel viso, assimigliava a Marte.
81 Poi che fu armata, la spada si cinse,
E sul destrier montò d'un leggier salto;
E qua e là tre volte e più lo spinse ,
E quinci e quindi fé' girare in alto;
E poi , sfidando il Saracino, strinse
La grossa lancia, e cominciò l'assalto.
Tal nel campo troian Pentesilea
Contra il tessalo Achille esser dovea.
82 Le lancie ìnfin al calce si fiaccare,
A quel superbo scontro, come vetro;
Né però chi le corsero, piegaro,
Che si notasse, un dito solo addietro.
Marfisa, che volea conoscer chiaro
S'a più stretta battaglia simil metro
Le servirebbe contra il fier Pagano,
Se gli rivolse con la spada in mano.
88 Raniero in questo mezzo avea seguito
Indarno Ippalca per la via del monte ;
E trovò, giunto al loco, che partito
Per altra via se n' era Rodomonte :
E pensando che lungi non era ito ,
E che 1 sentier tenea dritto alla fonte ,
Trottando in fretta dietro gli venia
Per Torme ch^eran fresche in sa I& via.
83 Bestemmiò il cielo e gli elementi il crudo
Pagan, poiché restar la vide in sella;
Ella, che gli pensò romper lo scudo.
Non men sdegnosa contra il ciel favella.
Già l'uno e l'altro ha in mano il ferro nudo,
E su le fatai arme si martella:
L'arme fatali han parimente intomo,
Che mai non bisognar più di quel giorno.
84 Si buona ò quella piastra e quella maglia,
Che spada o lancia non le taglia o fora:
Sì che potea seguir l'aspra battaglia
Tutto quel giorno , e l' altro appresso ancora.
Ma Rodomonte in mezzo lor si scaglia,
E riprende il rivai della dimora.
Dicendo : Se battaglia pur far vuoi ,
Finiam'^la cominciata oggi fra noi.
85 Facemmo , come sai , triegua con patto
Di dar soccorso alla milizia nostra.
Non dobbiam, prima che sia questo fatto,
Incominciare altra battaglia o giostra.
Indi a Marfisa , riverente in atto ,
Si volta , e quel messaggio le dimostra ;
E le racconta come era venuto
A chieder lor per Agramante aiuto.
sa La priega poi, che le piaccia non solo
Lasciar quella battaglia o differire,
Ma che voglia in aiuto del figliuolo
Del re Troian con essi lor venire;
Onde la fama sua con maggior volo
Potrà far meglio infin al ciel salire,
Che per querela di poco momento
Dando a tanto disegno impedimento.
87 Marfisa, che fu sempre disiosa
Di provar quei di Carlo a spada e a lancia;
Né l'avea indotta a venire altra cosa
Di si lontana regione in Francia,
Se non per esser certa se famosa
Lor nominanza era per vero o ciancia;
Tosto d'andar con lor partito prese,
Che d'Armante il gran bisogno intese.
89 Volse che Ippalca a Montalban pigliasse
La via, ch'una giornata era vicino;
Perché s'alia fontana ritornasse.
Si torna troppo dal dritto cammino.
E disse a lei, che già non dubitasse
Che non s' avesse a ricovrar Frontino :
Ben le farebbe a Montalbano, o dove
Ella si trovi , udir tosto le nuove.
90 E le diede la lettera che scrisse
In Agrismonte , e che si portò in seno;
E molte cose a bocca anco le disse,
E la pregò che T escusasse appieno.
Nella memoria Ippalca il tutto fisse;
Prese licenzia , e voltò il palafreno ;
E non cessò la buona messaggiera,
Ch'in Montalban si ritrovò la sera.
91 Seguia Ruggiero in fretta il Saracino
Per l'orme ch'apparian nella via piana;
Ma non lo giunse prima che vicino
Con Mandricardo il vide alla fontana.
Già promesso s'avean che per cammino
L' un non farebbe all' altro cosa strana ,
Né fin eh' al campo si fosse soccorso ,
A cui Carlo era appresso a porre il morso.
92 Quivi giunto Ruggier, Frontin conobbe,
E conobbe per lui chi addosso gli era;
E su la lancia fé' le spalle gobbe,
E sfidò l'African con voce altiera.
Rodomonte quel dì fé' più che Giobbe,
Poiché domò la sua superbia fiera,
E ricusò la pugna, eh' avea usanza
Di sempre egli cercar con ogni instanza.
93 II primo giorno e l'ultimo, che pugna
Mai ricusasse il Re d'Algier, fa questo;
Ma tanto il desiderio che si giugna
In soccorso al suo Re gii pare onesto,
Che se credesse aver Ruggier nell'ugna
Più che mai lepre il pardo isnello e presto.
Non si vorria fermar tanto con lui ,
Che fèsse un colpo della spada o dai.
^4 Agglangi che sapea cVera Raggiero,
Che seco, per Frontin facea hittaglia,
Tanto famoso, ch'altro cavaliero
Non è eh' a par di lai di gloria saglia;
L' nom che hramato ha di saper , per vero
Esperimento, quanto in arme vaglia:
Eppur non vuol seco accettar l' impresa ;
Tanto l'assedio del suo Re gli pesa.
95 Trecento miglia sarehhe ito e mille,
Se ciò non fosse, a comperar tal lite;
Ma se l'avesse oggi sfidato Achille,
Più fatto non avria di quel ch'udite:
Tanto a quel punto sotto le faville
Le fiamme avea del suo furor sopite.
Narra a Ruggier perchè pugna rifiuti :
Ed anco il priega che l'impresa aiuti;
96 Che , facendol , farà quel che far deve
Al suo Signore un cavalier fedele.
Sempre che questo assedio poi si leve,
Avran hen tempo da finir querele.
Ruj^er rispose a lui : Mi sarà lieve
Differir questa pugna finchò de le
Porze di Carlo si treggia Agramantej
Purché mi rendi il mio Frontino innante.
97 Se di provarti e' hai fatto gran fallo,
E fatto hai cosa indegna ad un uom forte,
D' aver tolto a una donna il mio cavallo , •
Vuoi eh' io prolunghi finché siamo 'n corte ,
Lascia Frontino, e nel mio arhitrio dallo.
Non pensare altrimente, ch'io sopporte
Che la battaglia qui tra noi non segua ,
0 ch'io ti fEiccia sol d'un' ora triegua.
98 Mentre Ruggiero all'African domanda
0 Frontino, o battaglia allora allora;
E quello in lungo e l' uno e l' altro manda ,
Né vuol dare il destrier , né far dimora ;
Mandricardo ne vien da un' altra banda ,
E mette in campo un'altra lite ancora.
Poiché vede Ruggier che per insegna
Porta l'augel che sopra gli altri regna.
99 Nel campo azzur l'aquila bianca avea.
Che de' Troiani fu l' insegna bella :
Perchè Ruggier l'origine traea
Dal fortissimo Ettór, portava quella.
Ma questo Mandricardo non sapea ,
Né vuol patire , e grande ingiuria appella ,
Che nello scudo un altro debba porre
L'aquila bianca del famoso Ettorre.
100 Portava Mandricardo similmente
L' augel che rapi in Ida Ganimede.
Come l'ebbe quel di, che fu vincente
Al Castel periglioso, per mercede.
Credo vi sia con l' altre istorie a mente ;
E come quella Fata gli lo diede
Con tutte le bell'arme che Vulcano
Avea già date al cavalier troiano.
101 Altra volta a battaglia erano stati
Mandricardo e Ruggier solo per questo :
E per che ciso fosser distornati ,
Io noi dirò ; che già v' è manifesto.
Dopo non s'eran mai più raccozzati.
Se non quivi ora ; e Mandricardo presto ,
Visto lo scudo, alzò il superbo grido
Minacciando, e a Ruggier disse : Io ti sfid^.
102 Tu la mia insegna , temerario , porti ;
Né questo è il primo dì ch'io te l'ho detto.
E credi, pazzo, ancor ch'io tei comporti ,
Per una volta ch'io t'ebbi rispetto?
Ma poiché né minacce né conforti
Ti pdn questi follia levar del petto ,
Ti mostrerò quanto miglior partito
T'era d'avermi subito ubbidito.
103 Come ben riscaldato arido legno
A picciol soffio subito s' accende ;
Cosi s'avvampa di Ruggier lo sdegno
Al primo motto che di questo intende.
Ti pensi, disse, farmi stare al segno,
Perchè quest'altro ancor meco contende?
Ma mostrerotti ch'io son buon per torre
Frontino a lui , lo scudo a te d' Ettorre.
104 Un'altra volta pur per questo venni
Teco a battaglia, e non è gran tempo anco;
Ma d' ucciderti allora mi contenni ,
Perchè tu non avevi spada al fianco.
Questi fatti saran, quelli fur cenni;
E mal sarà per te queir augel bianco ,
Ch'antiqua insegna è stata di mia gente:
Tu te l'usurpi; io'l porto giustamente.
105 Anzi t'usurpi tu l'insegna mia,
Rispose Mandricardo; e trasse il brando.
Quello che poco innanzi per follia
Avea gittate alla foresta Orlando.
Il buon Ruggier , che di sua cortesia
Non può non sempre ricordarsi , quando
Vide il Pagan eh' avea tratto la spada.
Lasciò cader la lancia nella strada.
106 E tutto a un tempo Balisarda strìnge,
La baona spala, e meMo scudo imbraccia:
Ma l'Africano in mezzo il destrìer spinge,
E Marfisa con lui presto si caccia;
E r uno questo , e V altro quel respinge ,
E priegano amendui che non si faccia.
Rodomonte si duol che rotto il patto
Due volte ha MandricarJo , che fu fatto.
107 Prima, credendo d'acquistar Marfisa.
Fermato s' era a far più d* una g^iostra
Or , per privar Ruggier d* una divisa ,
Di curar poco il re Agramante mostra.
Se pur, dicea, dèi fare a questa g^nisa,
Finiam prima tra noi la lite nostra ,
Conveniente e più debita assai,
Ch'alcuna di quest'altre che prese ha-
#'
Stanza 116.
108 Con tal condizìon fu scabilita
La triegua e qu-isto accordo eh' è fra nui.
Come la pugna teco avrò finita ,
Poi del destrìer risponderò a costui.
Tu del tuo scudo , rimanendo in vita ,
La lite avrai da terminar con lui;
Ma ti darò da far tanto, mi spero,
Che non n'avanzerà troppo a Ruggiero.
109 La parte che ti pensi, non n'avrai
(Rispose Mandricardo a Rodomonte) :
Io te ne darò più che non vorrai,
E ti farò sudar dal pie alla fronte :
E me ne rimarrà per darne assai
(Come non manca mai l'acqua del fonte)
Ed a Ruggiero, ed a mill' altri seco,
E a tutto il mondo che la voglia meco.
110 Moltiplica van l'ire e le parole
Quando da questo e quando da quel lato.
Con Rodomonte e con Ruggier la vuole
Tutto in un tempo Mandricardo irato.
Ruggier , eh' oltraggio sopportar non suole ,
Non vuol più accordo , anzi litigio e piato.
Marfisa or va da questo or da quel canto
Per riparar, ma non può sola tanto.
Ili Come il villan, se fuor per l'alte sponde
Trapela il fiume , e cerca nuova strada ,
Frettoloso a vietar ohe non affonde
I verdi paschi e la sperata biada,
Chiude una via ed un'altra, e si confonde;
Che se ripara quinci che non cada,
Quindi vede lassar gli argini molli ,
E fuor l'acqua spicciar con più rampolli:
112 Cosi, mentre Ruggiero e Mandricardo
E Rodomonte son tutti sozzopra,
Ch* ognun vuol dimostrarsi più gagliardo ,
Ed ai compagni rimaner di sopra;
Marfisa ad acchetarli ave riguardo,
E s^ affatica, e perde il tempo e Topra:
Che , come ne spicca uno e io ritira ,
Gli altri duo risalir vede con ira.
113 Marfisa, che volea porgli d'accordo,
Dicea : Signori , udite il mio consiglio:
Differire ogni lite è buon ricordo,
Fin ch*Agramante sia fuor di periglio.
S' ognun vuole al suo fatto essere ingordo,
AnchMo con Mandricardo mi ripiglio;
E voWedere alfin se guadagnarme.
Com'egli ha detto, è buon per forza d'arme.
Stanza 121.
114 Ma se si de' soccorrere Agramante,
Soccorrasi, e tra noi non si contenda.
Per me non si starà d' andare innante ,
Disse Ruggier , purché '1 destrier si renda.
O che mi dia il cavallo (a far di tante
Una parola), o che da me il difenda:
O che qui morto ho da restare, o ch'io
In campo ho da tornar sul destrier mio.
115 Rispose Rodomonte: Ottener questo
Nun fia cosi, come quell'altro, lieve.
E seguitò dicendo : Io ti protesto
Che, s' alcun dinno il nostro Re riceve,
Fia per tua colpa ; eh' io per me non resto
Di fare a tempo quel che far si deve.
Ruggiero a quel pretesto poco bada;
Ma, stretto dal furor, stringe la spada.
116 Al Re d'AIgier come cinghiai n scaglia
E l'urta con lo scudo e con la spalla;
E in modo lo disordina e sbaraglia,
Che fa che d'una staffa il pie gli falla.
Mandricardo gli grida: 0 la battaglia
Differisci, Ruggfiero, o meco falla:
E crudele e felloa più che mai fosse ,
Ruggier sull'elmo in questo dir percosse.
117 Fin sul collo al destrier Ruggier s'inchina,
Né, quando vuoisi, rilevar si puote;
Perché gli sopraggiunge la mina
Del figlio d'Ulien, che lo percuote.
Se non era di tempra adamantina ,
Fesso l'elmo gli avria fin tra le gote.
Apre Ruggier le mani per V ambascia ;
E l'una il fìren, l'altra la spada lascia.
118 Se lo porta il destrier per la campagna;
Dietro gli resta in terra Balisarda.
Marfisa, che quel di fatta compagna
Se gli era d*arme, par ch^ avvampi ed arda,
Che solo fra queMuo cosi rimagna:
E come era magnanima e gagliarda ,
Si drizza a Mandricardo, e col potere
Ch^avea maggior, sopra la testa il fere.
119 Rodomonte a Rnggier dietro si spinge:
Vinto è Frontin, s' un' altra gli n'appicca;
Ma Ricciardetto con Yivian si stringe,
E tra Ruggiero e1 Saracin si ficca.
L'uno urta Rodomonte, e lo respinge,
E da Rnggier per forza lo dispicca;
L'altro la spada sua, che fu Viviano,
Pone a Rnggier , già risentito , in mano.
120 Tosto che'l buon Rnggiero in so ritoma,
E che Vivian la spada gli appresenta ,
A vendicar T ingiuria non soggiorna,
E verso il Re d'Algier ratto s'avventa;
Come il leon che tolto sn le coma
Dal bue sia stato , e che '1 dolor non senta :
Si sdegno ed ira ed impeto l'affretta,
Stimola e sferza a far la sua vendetta.
124 Avea Marfisa a Mandricardo intanto
Fatto sudar la fronte, il viso e il petto;
Ed egli avea a lei fatto altrettanto:
Ma si l' usbergo d' ambi era perfetto ,
Che mai poter &lsarlo in nessun canto.
E stati eran sin qui pari in effetto;
Ma in un voltar che fece il sno destriero «
Bisogno ebbe Marfisa di Ruggiero.
125 II destrier di Marfisa in un voltarsi
Che fece stretto , ov' era molle il prato ,
Sdrucciolò in guisa , che non potè aitarà
Di non tutto cader sul destro lato ;
E nel volere in fretta rilevarsi,
Da Brigliador fu pel traverso urtato.
Con che il Pagan poco cortese venne ;
Si che cader di nuovo gli convenne.
126 Rnggier , che la donzella a mal partito
Vide giacer, non differì il soccorso.
Or che l' agio n' avea , poiché stordito
Da sé lontan qnell' altro era trascorso.
Feri sn l'elmo il Tartaro; e partito
Quel colpo gli avria il capo come un torso,
Se Ruggier Balisarda avesse avuta,
0 Mandricardo in capo altra barbuta.
121 Ruggier sul capo al Saracin tempesta:
E se la spada sua si ritrovasse.
Che, come ho detto, al cominciar di questa
Pugna, di man gran fellonia gli trasse
Mi credo eh' a difendere la testa
Di Rodomonte l'elmo non bastasse,
L'elmo che fece il Re far dì Babelle,
Quando muover pensò guerra alle stelle.
122 La Discordia, credendo non potere
Altro esser quivi che contese e risse ,
Né vi dovesse mai più luogo avere
0 pace 0 triegua, alla sorella disse
Ch' omai sicuramente a rivedere
1 monachetti suoi seco venisse
Lasciamle andare, e stiam noi dove in fronte
Ruggiero avea ferito Rodomonte.
123 Fu il colpo di Ruggier di sì gran forza.
Che fece in su la groppa di Frontino
Percuoter l' elmo e quella dura scorza
Di eh' avea armato il dosso il Saracino,
E lui tre volte e quattro a poggia e ad orza
Piegar per gire in terra a capo chino;
E la spada egli ancora avria perduta.
Se legata alla man non fosse suta.
127 II Re d'Algier, che si risente in questo,
Si volge intomo, e Ricciardetto vede;
E si ricorda che gli fa molesto
Dianzi , quando soccorso a Ruggier diede.
A lui si drizza; e saria stato presto
A dargli del ben fare aspra mercede ,
Se con grande arte e nuovo incanto tosto
Non se gli fosse Malagigi opposto.
128 Malagigi, che sa d'ogni malia
Quel che ne sappia alcun mago eccellente,
Ancorché '1 libro suo seco non sia,
Con che fermare il sole era possente.
Pur la scongiurazione , onde solia
Comandare ai demonii, aveva a mente:
Tosto in corpo al ronzino un ne constringe
Di Doralice , ed in furor lo spinge.
129 Nel mansueto ubino, che sul dosso
Avea la figlia del re Stordilano,
Fece entrar un degli angel di Minosse
Sol con parole il frate di Viviano :
E quel che dianzi mai non s' era mosso,
Se non quanto ubbidito avea alla mano,
Or d'improvviso spiccò in aria un salto
Che trenta pie fu lungo, e sedid alto.
130 Fu grande il salto , non però di sorte ,
Che ne dovesse alcun perder la sella.
Quando si vide in alto , gridò forte
(Che si tenne per morta) la donzella.
Quel ronzin, come il Diavol se lo porte,
Dopo un gran salto se ne va con quella,
Che pur grida soccorso , in tanta fretta ,
Che non T avrebbe giunto una saetta.
181 Dalia battaglia il figlio d'Ulieno
Si levò al primo suon di quella voce;
E dove furiava il palafreno ,
Per la donna aiutar, n'andò veloce.
Mandrìcardo di lei non fece meno :
Nò più a Ruggier , nò più a Marfisa nuoce ;
Ma , senza chieder loro o paci o tregue ,
E Rodomonte e Doraiice segue.
132 Marfisa intanto si levò di terra;
E tntta ardendo di disdegno e d' ira ,
Credesi far la sua vendetta, ed erra;
Che troppo lungi il suo nemico mira.
Ruggier, ch'aver tal fin vede la guerra,
Rugge come un leon , nonché sospira.
Ben sanno che Frontino e Brìgb'adoro
Giunger non ponno coi cavalli loro.
133 Ruggier non vuol cessar finché decisa
Col Re d' Algier non l' abbia del cavallo :
Non vuol quietar il Tartaro Marfisa;
Che provato a suo senno ancor non hallo.
Lasciar la sua querela a questa guisa
Parrebbe all'uno e all'altro troppo fallo.
Di comune parer disegno fassi
Di chi offesi gli avea seguire i passi.
134 Nel campo saracin li troveranno.
Quando non possa ritrovarli prima;
Che per levar l'assedio iti saranno ,
Prima che '1 Re di Francia il tutto opprima.
Cosi drittamente se ne vanno
Dove averli a man salva fanno stima.
Già non andò Ruggier co^ di botto ,
Che non facesse ai suoi compagni motto.
135 Ruggier se ne ritorna ove in disparte
Era il fratel della sua donna bella,
E se gli prefiferisce in ogni parte
Amico , per fortuna e buona e fella :
ludi lo priega (e lo fa con héìV arte)
Che saluti in suo nome la sorella;
E questo cosi ben gli venne detto,
Che né a lui die né agli altri alcun sospetto.
136 E da lui , da Vivian , da Malagigi ,
Dal ferito Aldigier tolse commiato.
Si profferirò anch'essi alli servigi
Di lui, debitor* sempre in ogni lato.
Marfisa avea si il cor d' ire a Parigi ,
Che '1 salutar gli amici avea scordato ;
Ma Malagigi andò tanto e Viviano ,
Che pur la salutaron di lontano;
137 E cosi Ricciardetto : ma Aldigier o
Giace, e convien che suo malgrado resti.
Verso Parigi avean preso il sentiero
Quelli duo prima , ed or lo piglian questi.
Dirvi, Signor, nell'altro Canto spero
Miracolosi e sovrumani gesti.
Che con danno degli uomini di Carlo
Ambe le coppie fér , di eh' io vi parlo.
N O TB.
St. 4. Y.% — Slu Vale: pronti.
St. 14. V. 3. — L'arrestato lejno: la lancia in resta.
St. 15. V. 7. — Giade : strage.
St. 17. V. 8. — 12 collegio : l'adunanza delle pecchie,
lo sciame, ordinato a modo di Collegio o Repubblica.
St. 19. V. 5-6. — Ausa: ardita, — Un Ettor: Ettore
figlio di Priamo re di Troia.
St. 20. V. 7-8. — Pone la sede di Marte nel qainto cielo,
perchè il qainto pianeta portava il nome di qael nume.
St. 24. V. 2. — Bellona: sorella di Marte, e Dea essa
pnre della guerra.
St. 25. V. 4. — Per arme che si porta più di sotto,
ntende, scherzosamente, il cavallo e i piedi da fuggire.
Ivi. V. 6 — Arnlbio , passo rapido e serrato del ca-
vallo, minore però del trotto.
St. 27. V. 6. — In Fiandra si lavoravano bellissimi
arazzi, che presero il nome da Arras , città un tempo
dei Paesi Bassi.
St. 31, V. 1-8. — Quivi una bestia , ecc. In questa e
nelle due seguenti Stanze adombrasi Tavarìzia.
St. 32. V. 4. — Satrapi: cosi chiama vansi presso i
Persiani i governatori di Provincie o d'eserciti.
St. 33. V. 7-8. — Le chiavi , ecc. : la podestà di scio •
gliere e di legare, data a san Pietro.
St. 34. — n cavaliere, i tre giovani e il leone di que-
sta ottava, 8on quelli stessi designati a nome nelle due
420
ORLANDO FUBIOSO.
segnenti , cioè Francesco I di Francia , Massimiliano
d'Austria, Carlo V, Arrigo Ylil dlnghilterra, e Leone X
papa. « Rimane nn dabbio (scrive G-iaointo Casella) per-
chè dia a tntti questi il vestimento tessuto a gigli d'oro;
il òhe a prima vista gli farebbe creder tutti della real
casa di Francia. Per Leone X codesta insegna del giglio
s'intende facilmente, perché fiorentino e Medici ; ma per
gli altri tre? Forse qui il giglio d'oro è quello impresso
sul fiorino , pre^o a simbolo di liberalità. Il cavaliere
coronato d'alloro credo che sia non Francesco di Fmncia
come intendono i più , ma Timperatore Massimiliano ;
altrimenti es^ìì dovrebbe essere uno dei tre giovani , e
quando l' Ariosto scriveva questo , aveva più di cin-
quant'anni. »
St. 35. V. 6. — Gorgiera t qui gola.
Ivi. V. 7. — Fige, trafigge.
St 41. V. 5 — Qwil Pitont ecc. : nome di uno smi-
surato serpente che i mitologi dissero generalo dalla
Terra dopo il diluvio, e ucciso da Apollo.
St. 44. V. 7-8. — Dal furor, ecc. : allude agli Sviizeri,
che, sebbene allora pastori e bifolchi, eransi armati con-
tro le forze di Francia.
St. 45. V. 7-8. — Nella battaglia di Mariemano, che il
Trivulzio chiamò battaglia di giganti. — Espugnerà il
castello^ ecc, quello di Milano.
St. 47. V. 4-5. — Di chi mostrolla , ecc.: intende di
Annibale, che sconfisse i Romani nei luoghi indicati. —
Con la fortuna^ ecc. : parlasi forse della fortuna che ar-
rideva al re Francesco nel 1515, quando sali in trono, e
quando l'Autore scrìveva questi versi.
St. 48. V. 5-7. — Quivi un Bernardo y ecc.: il cardi-
nale Bernardo Divìzio da Bibbiena, che scrisse la celebre
commedia Calandra.
St. 49. V. 2-3. — A Siamondo^ ecc.: tre cardinali, Si-
gismondo Oomaga, Giovanni Salviati, Lodovico d'Ara-
gona.
St. 50. V. 1. — Quidobaldo H figlio di Francesco Maria.
— y. 3. Ottobuono e Sinibaldo Fiaschi o dal Fiesoo {dal
FIASCO scrive latin, l' Ar.) erano fratellL Dm «»wM*^
nacque quel Gian Luigi che peri nella coB^rn% coiei
i Doria. — v. 5-8. Luigi Gonzaga, amante delle arai i
della poesia. Mori a 33 anni d' nn* arehibiuriaCa.
St. 51. V. 1. — Ercole I ed Ercole II, daehi di FeiraL
I due Ippoliti sono il cardinale a cai V Ariosto éùb^
il poema e l' altro pur cardinale figlio d' AUbofte « t
Lucrezia Borgia. — v. 2-3. Ercole Oonzm^i., aack'^
cardinale. L'altro Ippolito ò fratello di Leone X; ;r»
tesse i letterati, coltivò le lettere.
St. 52. V. 34. — Lo scoglio, ecc.: risola d^I^hia -
I piedi d* angue: I poeti finsero che i eigaati avenss
i piedi d'angue, ossia terminassero in ayvol^menti ar-
pontini, onde li dissero angttipedi.
St. 53. V. 14. — Lo spagnuolo Consalvo detto Ofm
Capitano. — v. 5. Guglielmo , marchese di How^aaau,
della famiglia dei Paleologhi.
St. 74. V. 6 — Avaceio, subito.
St. 81. V. 7-8. — Tal nel campo troianPieniesUea^ett.
questa regina delle Amazzoni fu adia<3ice éé'TwtIm
contro i Greci, e più volte combattè con Addile.
St. 91. V. 8. — Appresso a porre il m^rso: rUtas i
dare l'estrema sconfitta.
St. 93. y. 5. — Faville : qui s* intende quella tmmt
sottile ohe ricuopre la brace; e raetaforicameate It iv
gioni che impedivano Rodomonte di accettare la tur»
desiderata battaglia con Ruggiero.
St. 100. V. 2. — L'augel, e^e.: l'aquila.
Ivi. Y. 3-4. — n castello della fata di 5^ria; oomb ììh
l'Ariosto al canto XIV, Se. 31.
St. 111. V. 7. — Lassare; qui , per sctofflitrsL
St. 124. y. 5. — Falsarlo : qui guastarlo.
St. 128. y. 1-4. — Malagigi avea stadiato magia t
Toledo, e la professava.
St. 129. y. 3. — Un degli angel di Hiinosso: BBdto-
volo di quelli che ministrano a Minos, costituito da Gìoh
giudice nell'inferno.
Canto XXVII.
CAJs^TO VENTESIMOSETllMO.
ARGOMENTO.
Mandri&aplOf Rufrgiero,Rojlomoiité e MarÉlsap iiissguendo
Doralice^ (giungono sotto Parigi, ft.^salg^ono T esercito
cristiaiio.e resp intono Carlo dentro le mura. Ciò fatto,
tonsano alle p rare d finti pare. 11 re africano rittiettfl
itelFarbitrio di T>oraUce lo scegliere fra Slanddianlo
e Rodoraoirte; ^iii.^sti d H fintato, onde si parte indi-
spettito, con disenfilo di tornarsene in Afrìpa ; bi3 al-
loggia una sera presso un albergatore sulla Saona.
Molti concigli delle donne .sono
Mej^lio improTYi.so, eh' a pensarvi, usciti;
('Ile questo è f^peziale e proprio dono
Fra tanti e tanti lor dal ciel largiti:
Ma pnò mal quel degli uouiini esser buono ;
Che maturo discorso non aiti,
Ove non s'abbia a ruminarvi sopra
Speso alcun tempo e molto studio ed opra.
Parve , e non fa però buono il consiglio
Di Malagigi, ancorché (come ho detto)
Per questo di grandissimo periglio
Liberasse il cogin sno Ricciardetto.
A levare indi Rodomonte e il figlio
Del re Agrican , lo spirto avea constretto ,
Non avvertendo che sarebbon tratti
Dove i Cristian ne rimarrian disfatti.
Ma se spazio a pensarvi avesse ATOto,
Creder si può che dato similmente
Al sno cugino avria debito aiuto,
Né fatto danno alla cristiana gente.
Comandare allo spirto avria potuto,
Ch^ alla via di levante o di ponente
Si dilungata avesse la donzella,
Che non n^ udisse Francia più novelia.
Stanza 6.
Cosi gli amanti suoi Pavrìan seguita,
Come a Parigi , anco in ogn* altro loco ;
Ma fu quest'avvertenza inavvertita
Da Malagigi , per pensarvi poco :
E la Malignità dal ciel bandita,
Che sempre vorria sangue e strage e fuoco,
Prese la via donde più Carlo afflisse ,
Poiché nessuna il mastro gli prescrìsse.
Il palafren, eh' avea il demonio al bs^>
Portò la spaventata Doralice,
Che non potè arrestarla fiume , e manco
Fossa, bosco, palude, erta o pendice,
Finché per mezzo il campo inglese e frtfco,
£ r altra moltitudine fautrice
Deir insegne di Cristo, rassegnata
Non r ebbe al padre suo re di Granata
Bodomonte col figlio d^Agricane
La segnitaro il primo giorno un pezzo ,
Che le yedean le spalle , ma lontane.
Di yista poi perderonla da sezzo ,
E venner per la traccia, come il cane
La lepre o il caprì'ol trovare avvezzo;
Né si fermar, che foro in parte dove
Di lei , eh' era col padre , ebbono nuove.
Guardati, Carlo; che ti vien addosso
Tanto furor , eh' io non ti veggo scampo :
Né questi pur ; ma 1 re Gradasso è mosso
Con Sacripante a danno del tuo campo.
Fortuna, per toccarti fin air osso ,
Ti tolle a un tempo Tuno e l'altro lampo
Di forza e di saper, che vivea teco;
E tu rimase in tenebre sei cieco.
W0-
stanza 10,
Io ti dico d' Orlando e di Rinaldo ;
Che l'uno al tutto furioso e folle.
Al sereno , alla pioggia , al freddo , al caldo ,
Nudo va discorrendo il piano e'I colle:
L' altro con senno , non troppo più saldo ,
D'appresso al gran bisogno ti si tolle;
Che, non trovando Angelica in Parigi,
Si parte, e va cercandone vestigi.
Un f^udolente vecchio incantatore
Gli fé' (come a principio vi si disse)
Creder per un fantastico suo errore,
Che con Orlando Angelica venisse:
Onde di gelosia tocco nel core.
Della maggior eh' amante mai sentisse ,
Venne a Parigi ; e come apparve in corte ,
D'ire in Bretagna gli toccò per sorte.
10 Or, fatta la battaglia onde portonne
Egli l'onor d'aver chiuso Agramante,
Tornò a Parigi , e monister di donne ;
E case e rocche cercò tutte quante.
Se murata non é tra le colonne ,
L'avria trovata il curioso amante.
Vedendo alfin ch'ella non v'é né Orlando,
Amenduo va con gran disio cercando.
11 Pensò che dentro Anglante o dentro a Brava
Se la godesse Orlando in festa e in giuoco;
E qua e là per ritrovarla andava ,
Né in quel la ritrovò né in questo loco.
A Parigi di nuovo ritornava,
Pensando che tardar dovesse poco
Di capitare il Paladino al varco;
Ché'l suo star fuor non era senza incarco.
12 Un giorno o duo nella città soggiorna
Rinaldo ; e poich' Orlando non arriva ,
Or verso Anglante , or verso Brava torna ,
Cercando se di lui novella udiva.
Cavalca e quando annotta e quando aggiorna,
Alla fresca alba e ali* ardente ora estiva;
E fk al lume del sole e della luna
Dugento volte questa via, non ch'una.
Stanza 15.
13 Ma l'antiquo avversario, il qual fece Eva
All'interdetto pome alzar la mano^
A Carlo un giorno i lividi occhi leva,
Che'l buon Rinaldo era da lui lontano;
E vedendo la rotta che poteva
Darsi in quel punto al popolo cristiano,
Quanta eccellenzia d' arme al mondo fusse
Fra tutti i Saracini , ivi condusse.
14 Al re Gradasso e al buon re Sacripante,
Ch'eran fatti compagni all'uscir fuore
Della piena d' error casa d' Atlante ,
Di venire in soccorso messe in core
Alle genti assediate d' Agramante ,
E a distruzion di Carlo imperatore:
Ed egli per T incognite contrade
FeMor )a scorta, e agevolò le strade.
15 Et ad un altro suo diede negozio
D'affrettar Rodomonte e Mandrìcardo
Per le vestigie donde l'altro sozio
A condur Doralice non è tardo.
Ne manda ancor un altro , perchè in ozio
Non stia Marfisa né Ruggier g^agUardo:
Ma chi guidò l'ultima coppia, tenne
La briglia più ; nò quando gli altri , venne.
16 La coppia di Marfisa e di Roggiero
Di mezza ora più tarda si condusse;
Però ch'astutamente l'angel nero.
Volendo agli Cristian dar delle busse,
Provvide che la lite del destriero
Per impedire il suo desir non fusse;
Che rinnovata si saria, se giunto
Fosse Ruggiero e Rodomonte a on ponto.
17 I quattro primi si trovaro insieme
Onde potean veder gli alloggiamenti
Dell'esercito oppresso e di chi'l preme,
E le bandiere in che feriano i venti :
Si consigliare alquanto; e fur l'estreme
Conclusì'on dei lor ragionamenti,
Di dare aiuto, mal grado di Carlo .
Al re Agramante, e dall'assedio trarlo.
18 Stringcnsi insieme, e prendono la via
Per mezzo ove s'alloggiano i Cristiani,
Gridando, Africa e Spagna tuttavia;
E si scoprirò in tutto esser Pagani.
Pel campo, arme, arme risonar s'udia;
Ma menar si sentir prima le mani :
E della retroguardia una gran frotta ,
Non ch'assalita sia, ma fugge in rotta.
19 L' esercito Cristian , mosso a tumulto ,
Sozzopra va senza sapere il h.tu>.
Estima alcun che sia un usato insulto
Che Svizzeri o Guasconi abbino fatto.
Ma perch'alia più parte è il caso occulto,
S'aduna insieme ogni nazion di fatto.
Altri a suon di tamburo , altri di tromba :
Grande è '1 rumore, e fin al ciel rimbomba
20 II magno Imperator, fuorché la testa,
É tutto armato, e i Paladini ha presso;
E domandando vien che cosa è questa,
Che le squadre in disordine gli ha messo;
E minacciando , or questi or quelli arresta;
E vede a molti il viso o il petto fesso,
\i\ altri insanguinare o il capo o il gozzo.
Alcuu toruar cou mano o braccio mozzo.
1 Giunge più iunauzi , e ne ritrova molti
Giacere in terra, anzi in vermiglio lago
Nel proprio sangue orribilmente involti ,
Né giovar lor pnò medico né mago;
E vede dagli busti i capi sciolti,
E braccia e gambe con crudele imago;
E ritrova, dai primi alloggiamenti
Agli ultimi , per tutto uomini spenti.
2 Dove passato era il piccol drappello,
Di chiara fama eternamente degno ,
Per lunga riga era rimaso quello
Al mondo sempre memorabil segno.
Carlo mirando va il crudel macello ,
Maraviglioso , e pien d' ira e di sdegno :
Come alcuno in cui danno il fùlgur venne ,
Cerca per casa ogni sentier che tenne.
23 Non era agli ripari anco arrivato
Del re african questo primiero aiuto,
Che con Marfisa fu da un altro lato
L^ animoso Ruggier sopravvenuto.
Poi ch'una volta o due l'occhio aggirato
Ebbe la degna coppia , e ben veduto
Qual via più breve per soccorrer fosse
L'assediato signor, ratto si mosse.
24 Come quando si dà fuoco alla mina,
Pel lungo solco della negra polve
Licenziosa fiamma arde e cammina
Si, ch'occhio addietro a pena se le voi ve;
E qual si sente poi l'alta ruìna
Che'l duro sasso a%ì grosso muro solve
Cosi Ruggiero è^ lléirfisa veniro ,
E tai nella battaglia si sentirò.
.^S-^.i
stanza 1&
i6 Per lungo e per traverso a fender teste
Tncominciaro , e tagliar braccia e spalle
Delle turbe che mal erano preste
Ad 'espedire e sgombrar loro il calle.
Chi ha notato il passar delle tempeste ,
Ch'una parte d'un monte o d'una valle
Offerde, e l'altra lascia; s'appresenti
La via di questi duo fra quelle genti.
26 Molti che dal furor di Rodomonte
E di quegli altri primi eran fuggiti.
Dio ringraziavan , ch'avea lor si pronte
Gambe concesse , e piedi si espediti ;
E poi dando del petto e della fronte
In Marfisa e in Ruggier , vedean , scherniti ,
Come l'uom né per star né per fuggire ,
Al suo fisso destin può contraddire.
27 Chi fugge l'un pericolo, rimane
Nell'altro, e paga il fio d'ossa e di polpe.
Così cader coi figli in bocca al cane
Suol , sperando fuggir , timida volpe ,
Poiché la caccia dell'antique tane
Il suo vicin che le dà mille colpe ,
E cautamente con fumo e con fuoco
Turbata l'ha da non temuto loco.
28 Negli ripari entrò de' Saracini
Marfisa con Ruggiero a salvamento.
Quivi tutti con gli occhi al ciel supini
Dio ringraziar del buono avvenimento.
Or non v' è più timor de' Paladini ;
Il più tristo pagan ne sfida cento;
Ed é concluso che senza riposo
Si tomi a far il campo sanguinoso.
29 Corni , bussoni , timpani moreschi
Empiéno il ciel di formidabil suoni :
Nell'aria tremolare ai Tenti freschi
Si veggon le bandiere e i gonfaloni.
Dall'altra parte i capitan Carleschi
Stringon con Alamanni e con Britoni
Quei di Francia , d' Italia e d^ Inghilterra ;
E si mesce aspra e sanguinosa guerra.
30 La forza del terrìbil Rodomonte ,
Quella di Mandricardo furibondo.
Quella del buon Ruggier, di virtù fonte.
Del re Gradasso si famoso al mondo,
E di Marfisa T intrepida fronte.
Col re Circasso a nessun mai secondo,
Feron chiamar San Gianni e San Dionigi
Al re di Francia, e ritrovar ParìgL
stanza 22.
31 Di questi cavalieri e di Marfisa
'L'ardire invitto e la mirabil possa
Non fu f signor , di sorte , non fu in guisa
Ch'immaginar non che descriver possa.
Quindi si può stimar che gente uccisa
Fosse quel giorno, e che crudel percossa
Avesse Carlo. Arroge poi con loro
Con Ferraù più d*un famoso Moro.
2 Molti per fìretta s'aifogaro in Senna
(Che '1 ponte non pò tea supplire a tanti) ,
E desVàr , come Icaro . la penna ,
Perchè la morte avean dietro e davanti.
Eccetto Uggieri e il marchese di Vienna,
I Paladin fur presi tutti quanti
Olivier ritornò ferito sotto
La spalla destra, Uggier col capo rotto.
33 E se , come Rinaldo e come Orlando ,
Lasciato Brandimarte avesse il giuoco ,
Carlo n' andava di Parigi in bando ,
Se potea vivo uscir di si gran fuoco.
Ciò che potè, fé' Brandimarte; e quando
Non potè più , diede alla furia loco.
Cosi Fortuna ad Agramante arrise,
Ch' un' altra volta a Carlo assedio mise.
34 Di vedovelle i gridi e le querele,
E d' orfani fanciulli , e di vecchi orbi,
Nell'eterno seren, dove Michele
Sedt a , salir fuor di questi aer torbi ;
E gli fecion veder come il fedele
Popol preda deMupi era e de'corbi,
Di Francia , d' Inghilterra e di Lamagna ,
Che tutta avea coperta la campagna.
35 Nel viso s' arrossi V Angel beato ,
Parendogli che mal fosse ubbidito
Al Creatore , e si chiamò ingann&to
Dalla Discordia perfida , e tradito.
D'accender liti tra i Pagani dato
Le avea l' assunto , e mal era eseguito ;
Anzi tutto il contrario al suo disegno
Parea aver fatto , a chi guardava al segno.
36 Come servo fedel , che più d' amore
Che di memoria abbondi, e che s'aweggia
Aver messo in oblio cosa eh' a core
Quanto la vita e l'anima aver deggia;
Studia con fretta d'emendar l'errore.
Né vuol che prima il suo signor lo veggia:
Così r Angelo a Dio salir non volse ,
Se dell'obbligo prima non si sciolse.
stanza 25.
37 Al monister, dove altre volte avea
La Discordia veduta, drizzò l'ali.
Trovolla ch'in capitolo sedea
A nuova elezì'on degli ufficiali ;
E di veder diietto si prendea.
Volar pel capo a' frati i breviali.
Le man le pose l'Angelo nel crine,
E pugni e calci le die senza fine.
38 Indi le roppe un manico di croce
Per la testa, pel dosso e per le braccia.
Mercè grida la misera a gran voce,
E le ginocchia al divin nunzio abbraccia.
Michel non l'abbandona, che veloce
Nel campo del re d' Africa la caccia ;
E poi le dice : Aspettati aver peggio ,
Se fuor di questo campo più ti veggio.
39 Comechè la Discordia avesse rotto
Tutto il dosso e le braccia, pur temendo
Un'altra volta ritrovarsi sotto
A quei gran colpi, a quel furor tremendo,
Corre a pigliare i mantici di botto,
Ed agli accesi fuochi esca aggiungendo,
Ed accendendone altri, fa salire
Da molti cori un alto incendio d'ire.
40 E Rodomonte e Mandricardo e insieme
Ruggier n' infiamma sì , che innanzi al Moro
Li fa tutti venire, or che non preme
Carlo i Pagani, anzi il vantaggio è loro.
Le differenzie narrano, ed il seme
Fanno saper , da cui produtte foro :
Poi del re si rimettono al parere,
Chi di lor prima il campo debba avere.
428
GELANDO PUEIOSO.
41 Marfisa del suo caso anco favella,
E dice che la pugna yaol finire,
Che cominciò col Tartaro; perch*ella
Provocata da lui vi fn a venire :
Né per dar loco air altre, volea quella
Un' ora , non che un giorno , differire ;
Ma d'esser prima U l' instanzia grande,
Ch'alia battaglia il Tartaro domande.
42 Non men vuol Rodomonte il ]irìmo crnspc
Da terminar col suo rivai l'impresa
Che , per soccorrer l' africano campo ,
Ha già interrotta e fin a qui sospesa.
Mette Ruggier le sue jKirole a campo.
E dice che patir troppo gli pesa ,
Che Rodomonte il suo destrier gli ten^a ,
E eh' a pugna con luì prima non vengm.
stanza 32.
43 Per più intricarla il Tartaro vien anche,
E niega che Ruggiero ad alcun patto
Debba l'aquila aver dall'ale bianche; ^
E d'ira e di furore è cosi matto,
Che vuol, quando dagli altri tre non manche,
Combatter tutte le querele a un tratto.
Né più dagli altri ancor saria mancato ,
Se '1 consenso del re vi fosse stato.
45 Fé* quattro brevi porre : un Mandricardo
E Rodomonte insieme scritto avea,
Nell'altro era Ruggiero e Mandricardo;
Rodomonte e Ruggier l'altro dicea;
Dicea l'altro Marfisa e Mandricardo.
Indi all' arbitrio dell' instabii Dea
Li fece trarre ; e '1 primo fu il signore
Di Sarza a uscir con Mandricardo faore.
44 Con prieghi il re Agramant^ e buon ricordi
Fa quanto può, perchè la pace segua:
E quando alfin tutti li vede sordi
Non volere assentire a pace o a triegua,
Va discorrendo come almen gli accordi
Si, che l'un dopo l'altro il campo assegna;
E pel miglior partito alfin gli occorre ,
Ch'ognuno a sorte il campo s'abbia a tórre.
46 Mandricardo e Ruifgier fu nel secondo;
Nel terzo fu Ruggiero e Rodomonte:
Restò Marfisa e Mandricardo in fondo;
Di che la donna ebbe turbata fronte
Né Ruggier più di lei parve giocondo:
Sa che le forze dei duo primi pronte
Han tra lor da finir le liti in guisa ,
Che non ne fia per sé, né per Marfisa.
47 Giacea non longi da Parigi un loco,
Che volgea nn miglio o poco meno intorno:
Lo cingea tatto un argine non poco
Sublime . a guisa d^ un teatro adorno.
Un Castel già vi fu j ma a ferro e a fuoco
Le mura e i tetti ed a ruina andomo.
Un simil può vederne in su la strada,
Qual volta a Borgo il Parmigiano vada.
50 Sedeva in tribunale ampio e sublime
Il re d* Africa , e seco era V Ispano ;
Poi Stordilano, e T altre genti prime
Che riveria l'esercito pagano.
Beato a chi pdn dare argini e cime
D'arbori stanza che gli alzi dal piano!
Grande è la calca, e grande in ogni lato
Popolo ondeggia intomo al gran steccato.
51 Eran con la regina di Casdglia
Regine e principesse e nobil donne
D'Aragon, di Granata e di Siviglia,
E fin di presso all' atlantee colonne :
Tra qua! di Stordi lan sedea la figlia ,
Che di duo drappi avea le ricche gonne;
L'un d'un rosso mal tinto, e l'altro verde;
Ma'! primo quasi imbianca, e il color perde.
48 In questo loco fu la lizza fatta ,
Di brevi legni d' ogn' intorno chiusa ,
Per giusto spazio quadra , al bisogno atta ,
Con due capaci porte, come s'usa.
Giunto il di ch'ai re par che si combatta
Tra i cavalier che non ricercan scusa ,
Furo appresso alle sbarre in ambi i lati
Con tra i rastrelli i padiglion tirati.
49 Nel padiglion eh' è più verso ponente
Sta il re d'Algier, e' ha membra di gigante
Gli pon lo scoglio indosso del serpente
L'ardito Ferraù con Sacripante.
re Gradasso e Falsiron possente
Sono in quell'altro al lato di levante,
E metton di sua man l'arme troiane
Indosso al successor del re Agricaiie.
stanza l
2 In abito succinta era Marfisa,
Qual si convenne a donna ed a guerriera.
Termodonte forse a quella guisa
Vide Ippolita ornarsi e la sua schiera
Già, con la cotta d'arme alla divisa
Del re Agramante, in campo venut'era
L'araldo a far divieto e metter leggi,
Che né in fatto né in detto alcun parteggi.
53 La spessa torba aspetta disiando
La pugna, e spesso incolpa il yenir tardo
Dei duo famosi cavalieri ; qnando
S^ode dal padiglion di Mandricardo
Alto rumor, che vien moltiplicando.
Or sappiate, signor, che '1 re gagliardo
Di Serlcana e U Tartaro possente
Fanno il tnmnlto e '1 grido che si sente.
Stanza 50.
54 Avendo armato il re di Sericana
Di sua man tutto il re di Tartaria,
Per porgli al fianco la spada soprana ,
Che già d^ Orlando fa, se ne venia;
Qnando nel pome scritto, Durindana
Vide , e U quartier eh' Almonte aver solia ,
Oh' a quel meschin fu tolto ad una fonte
Dal giovenetto Orlando in Aspramonte.
66 Vedendola, fa certo ch'era quella
Tanto famosa del signor d'Auglante,
Per cui con grande armata , e la più bella
Che giammai si partisse di Levante,
Soggiogato avea il regno di Castella,
£ Francia vinta esso pochi anni innante :
Ma non può immaginarsi come avvenga
Ch'or Mandricardo in suo poter la tenga.
66 E domandogli se per forza o patto.
L' avesse tolta al Conte , e dove e qnaoda
E Mandricardo disse eh' avea fatt^
Gran battaglia per essa con Orlando;
E come finto quel s'era poi matto,
Così coprire il suo timor sperando,
Ch' era d' aver continua guerra meco ,
Finché la buona spada avesse seco.
57 E dicea ch'imitato avea il Castore,
Il qual si strappa i genitali sni,
Vedendosi alle spalle il cacciatore,
Che sa che non ricerca altro da lui
Gradasso non udì tutto il tenore,
Che disse : Non vo' darla a te né altmL
Tant' oro . tanto affanno e tanta gente
Ci ho speso, che è ben mia debitamente.
58 Cercati pur fornir d' un'altra spada:
Ch' io voglio questa , e non ti paia noom
Pazzo 0 saggio eh' Orlando se ne Tadi,
Averla intendo, ovunque io la rìtroYO.
Tu senza testimoni in su la strada
Te r usurpasti : io qui lite ne maoro.
La mia radon dirà mia scimitarra;
E faremo il giudicio nella sbarra.
59 Prima, di guadagnarla t'apparecchia,
Che tu Tadopri contra Rodomonte.
Di comprar prima l' arme è nsania vecda
Ch'alia battaglia il cavalier s'affrontc.
Piò dolce suon non mi viene all'orecchiai
Rispose alzando il Tartaro la fronte,
Che quando di battaglia alcun mi tenta;
Ma fa che Rodomonte lo consenta.
60 Fa che sia tua la prima , e che ffl tolgi
Il re di Sarza la tenzon seconda:
E non ti dubitar ch'io non mi volga,
E eh' a te et ad ogni altro io non rispouà^
Ruggiet gridò : Non vo' che si disciolgi
Il patto , 0 più la sorte si confonda:
0 Rodomonte in campo prima saglia,
0 sia la sua dopo la mia battaglia.
61 Se di Gradasso la ragion prevale,
Prima acquistar che porre in opra l'tfinc:
Nò tu r aquila mia dalle bianche ale
Prima usar dèi, che non me ne disanne:
Ma poich'é stato il mio voler già tale,
Di mia sentenza non voglio appellanne,
Che sia seconda la battaglia mia,
Quando del re d' Algier la prima sii.
Se turberete voi V ordine in parte ,
"o totalmente tnrberoUo ancora.
!o non intendo il mio scudo lasciarte,
Se contra a me non lo combatti or ora.
5e l'uno e l'altro di voi fosse Marte,
Elispose Madricardo irato allora,
^on saria l'un né l'altro atto a vietarme
La buona spada, o quelle nobili arme.
E, tratto dalla collera, ayyentosse
Col pugno chiuso al re di Sericana ;
£ la man destra in modo gli percosse,
Ch' abbandonar gli fece Durindana.
Gradasso, non credendo ch'egli fosse
Di così folle audacia e cosi insana,
Colto improvviso fu, che stava a bada,
E tolta si trovò la buona spada.
64 Cosi scornato , di vergogna e d' ira
Nel viso avvampa , e par che getti fuoco ;
E più r affligge il caso e lo martira ,
Poiché gli accade in si palese loco.
Bramoso di vendetta si ritira ,
A trar la scimitarra, addietro un poco.
Mandricardo in sé tanto si confida,
Che Ruggiero anco alla battaglia sfida.
66 Venite pur innanzi amenduo insieme,
E vengane pel terzo Rodomonte ,
Africa e Spagna e tutto. l'uman seme;
Ch'io son per sempre mai volger la fronte.
Cosi dicendo, quel che nulla teme.
Mena d' intorno la spada d' Almonte ;
Lo scudo imbraccia, disdegnoso e fiero,
Contra Gradasso e contra il buon Ruggiero.
-. -s-*i;
Stanza 67.
)6 Lascia la cura a me , dicea Gradasso ,
Ch'io guarisca costui della pazzia.
Per Dio , dicea Ruggier , non te la lasso ;
Ch'esser convien questa battaglia mia.
Va indietro tu; vavvi pur tu: né passo
Però tornando, gridan tuttavia;
Ed attaccossi la battaglia in terzo.
Ed era per uscirne un strano scherzo,
67 Se molti non si fossero interposti
A quel furor, non con troppo consiglio;
Ch'a spese lor quasi imparar che costf
Voler altri Si>lvar con suo periglio.
Né tutto '1 mondo mai gli avria composti ,
Se non venia col re d' Ispagna il figlio
Del famoso Troiano , al cui conspetto
Tutti ebbon riverenzia e gran rispetto.
68 Si fé' Agramante la cagion esporre
Di questa nuova lite cosi ardente:
Poi molto aifaticossi, per disporre
Che per quella giornata solamente
A Mandricardo la spada d'Ettorre
Concedesse Gradasso umanamente,
Tanto ch'avesse fin l'aspra contesa
Ch'avea già incontra a Rodomonte presa.
69 Mentre studia placarli il re Agramante,
Ed or con questo ed or con quel ragiona;
Dall' altro padiglion tra Sacripante
E Rodomonte un'altra lite suona.
Il re Circasso, come é detto innante.
Stava di Rodomonte alla persona;
Ed egli e Ferraù gli aveano indotte
L' arme del suo progenitor Nembrotte.
70 Ed eran poi venuti ove il destriero
Facea, mordendo, il ricco fren spumoso:
Io dico il buon Frontin , per cui Rugfgiero
Stava iracondo e più che mai sdegnoso.
Sacripante cli^ a por tal cavaliero
In campo avea, mirava curioso,
Se ben ferrato e ben guernito e in punto
Era il destrier, come doveasi a punto.
71 E venendo a guardargli più a minuto
1 segui, le fattezze isnelle ed atte.
Ebbe, fuor d'ogni dubbio, conosciuto
Che questo era il destrìer suo Frontalaue.
Che tanto caro già s' avea tenuto ,
Per cui già avea mille querele fatte ;
E poi che gli fu tolto, un tempo volse
Sempre ire a piedi: in modo glie ne dolte.
Stanza 78.
72 Innanzi Albracca gli V avea Brunello
Tolto di sotto quel medesmo giorno
Ch*ad Angelica ancor tolse l'anello,
Al conte Orìando Balisarda e '1 corno ,
E la spada a Marfisa; ed avea quello.
Dopo che fece in Africa ritomo ,
Con Balisarda insieme a Ruggier dato.
Il qual l'avea Frontin poi nominato.
73 Quando conobbe non si apporre in fallo,
Disse il Circasso al re d'Algier rivolto:
Sappi, signor, che questo è mio cavallo,
Ch'ad Albracca di furto mi fu tolto.
Bene avrei testimoni da provallo;
Ma perchè sou da noi lontani molto,
S' alcun lo niega, io gli vo' sostenere
Con Tarme in man le mie parole vere.
74 Ben son contento per la compaguia
In questi pochi di stata fra noi,
Che prestato il cavallo oggi ti sia;
Ch'io veggo ben che senza far non pnoi;
Però con patto , se per cosa mia
E prestata da me conoscer vuoi :
Altrimente d'averlo non far stima,
0 se non lo combatti meco prima.
75 Rodomonte, del quale un più orgoglioso
Non ebbe mai tutto il mestier dell'arme;
Al quale in esser forte e coraggioso
Alcuno antico d'uguagliar non parroe;
Rispose: Sacripante, ogni altro ch'oso,
Fuorché tu, fosse in tal modo a parlarme,
Con suo mal si saria tosto avveduto
Che meglio era per lui di nascer muto.
Ma per la compagnia che, come hai detto,
Novellamente insieme abbiamo presa,
Ti son contento aver tanto rispetto ,
Ch'io t^ ammonisca a tardar quest'impresa,
Finché della battaglia veggi effetto.
Che fra il Tartaro e me tosto fia* accesa;
Dove porti un esempio innanzi spero,
Ch'avrai di grazia a dirmi: Abbi il destriero.
2 Rodomonte che '1 re suo signor mira ,
Frena P orgoglio, e torna indietro il passo;
Né con minor rispetto si ritira.
Al venir d' Agramaute , il re Circasso.
Qael domanda la cansa di tantMra
Con real viso, e parlar grave e basso ;
E cerca, p<»i che n'ha compreso il tutto,
Porli d'accordo; e non vi fa alcun frutto.
' Oli é teco cortesia Tesser villano.
Disse il Circasso pien d'ira e di sdegno;
Ma più chiaro ti dico ora e più piano,
Che tu non faccia in quel destrier disegno:
Che te lo difendo io, tanto ch'in mano
Questa vindice mia spada sostegno ;
E metterowi iasino l'ugna e il dente,
Se non potrò difenderlo altrimente.
ì Venner dalle parole alle contese ,
Ai gridi, alle minacce, alla battaglia,
Che per molt'ira in più fretta s'accese.
Che s'accendesse mai per fuoco paglia.
Rodomonte ha l'usbergo ed ogni arnese;
Sacripante non ha piastra né maglia;
Ma par (si ben con lo schermir s'adopra)
Che tutto con la spada si ricopra.
9 Non era la possanza e la fierezza
Di Rodomonte , ancorch' era infinita ,
Più che la Provvidenza e la destrezza
Con che sue forze Sacripante aita.
Non voltò ruota mai con più prestezza
Il macigno sovran che'l grano trita.
Che faccia Sacripante or mano or piede
Di qua di là, dove il bisogno vede.
0 Ma Ferraù , ma Serpentino arditi
Trasson le spade, e si cacciar tra loro.
Dal re Grandonio , da Isolier seguiti ,
Da molt* altri signor del popol moro.
Questi erano i romori, i quali uditi
Nell'altro padiglion fur da costoro,
Quivi per accordar venuti in vano
Col Tartaro Ruggiero e '1 Sericano.
Venne chi la novella al re Agramante
Riportò certa , come pel destriero
Avea con Rodomonte Sacripante
Incominciato un aspro assalto e fiero.
11 re , confuso di discordie tante ,
Disse a Marsilio: Abbi tu qui pensiero
Che fra questi guerrier non segua peg:gio,
Mentre all'altro disordine io provveggio.
stanza 89.
83 II re Circasso il suo destrier non vuole
Ch'ai re d'Algier più lungamente resti,
Se non s'umilia tanto di parole,
Che lo venga a pregar che glie lo presti.
Rodomonte , superbo come suole ,
Gli risponde : Né '1 ciel né tu faresti
Che cosa che per forza aver potessi ,
Da altri, che da me, mai conoscessi.
84 II re chiede al Circasso, che ragione
Ha nel cavallo , e come gli fu tolto :
E quel di parte in parte il tutto espone ,
Ed esponendo s' arrossisce in volto ,
Quando gli narra che'l sottil ladrone.
Ch'in un alto pensier l'aveva cólto.
La sella su quattro aste gli suffolse ,
E di sotto il destrier nudo gli tolse.
85 Marfisa che tra gli altri al grido venne,
Tosto che ^1 furto del cavallo udì ,
In viso si turbò; che le sovvenne
Che perde la sna spada ella quel di:
E qnel destrier che parve aver le penne,
Da lei fuggendo, riconobbe qui;
Riconobbe anco il buon re Sacripante,
Che non avea riconosciuto innante.
86 Gli altri ch'erano intorno e che vantarsi
Brunel di questo aveano udito spesso,
Verso lui cominciaro a rivoltarsi,
E f.ir palesi cenni eh' era desso ;
Marfisa, sospettando, ad informarsi
Da questo e da quell'altro eh' avea appresso ,
Tanto che venne a ritrovar che quello
Che le tolse la spada, era Brunello:
89 Gli diede a prima giunta ella di pigib
In mezzo il petto, e da terra lerollo
Come levar suol col falcato artig-lìo
Talvolta la rapace aqnila il pollo;
E li dove la lite innanzi al figlio
Era del re Troiano , così portollo.
Brunel , che giunto in male man si xeée ,
Pianger non cessa e domandar mercede.
90 Sopra tutti i rumor, strepiti e ^di.
Di che'l campo era pien quasi ngualraecte.
Brunel , eh' ora pietade , ora sn^di
Domandando venia , così si sente ,
Ch'ai suono di rammarichi e di strìdi
Si fa d'intorno accor tutta la gente.
Giunta innanzi al re d' Africa Marfisa .
Con viso altier gli dice in questa guisa:
stanza 94.
91 Io voglio questo ladro tuo vassallo
Con le mie niani impender per la gola,
Perchè il giorno medesmo che'l cavallo
A costui tolle , a me la spada invola.
Ma s'egli è alcun che voglia dir ch'io Mi:
Facciasi innanzi e dica una parola;
Ch'in tua presenzia gli vo^ sostenere
Che se ne mente, e ch'io fo il mio dovere.
92 Ma perchè si potria forse impntarme
C ho atteso a farlo in mezzo a tante liti,
Mentre che questi, più famosi in arme,
D'altre querele son tutti impediti;
Tre giorni ad impiccarlo io vo' indngiarme.
Intanto o vieni o manda chi l' aiti ;
Che dopo , se non fia chi me lo vieti,
Farò di lui mille uccellacci lieti.
87 E seppe che pel furto, ond'era degno
Che gli annodasse il collo un capestro unto,
Dal re Agraraaute al Tingitano regno
Fu , con esempio inusitato , assunto.
Marfisa , rinfrescando il vecchio sdegno ,
Disegnò vendicarsene a quel punto,
E punir schemi e scorni che per strada
Fatti Tavea sopra la tolta spada.
88 Dal suo scudier l'elmo allacciar si fece;
Che del resto dell'arme era guemita.
Senza usbergo io non trovo che mai dìece
Volte fosse veduta alla sua vita;
Dal giorno eh' a portarlo assuefece
La sua persona, oltre ogni fede ardita.
Con l'elmo in capo andò dove fra i primi
Brunel sedea negli argini sublimi.
93 Di qui presso a tre leghe a qnella torre
Che siede innanzi ad un piccol boschetto,
Senza più compagnia mi vado a porre.
Che d'una mia donzella e d'un valletto.
S' alcuno ardisce di venirmi a tórre
Questo ladron , là venga , eh' io l' aspetto.
Cosi diss' ella , e dove disse prese
Tosto la via, né più risposta attese.
94 Sul collo innanzi del destrier si pone
Brunel , che tuttavia tien per le chiome.
Piange il misero e grida, e le persone
In che sperar solìa, chiama per nome.
Resta Agramante in tal confusione
Di questi intrichi, che non vede come
Poterli sciorre ; e gli par via più greve
Che Marfisa Brunel cosi gli leve.
Non che l'apprezzi o che gli porti amore,
A.nzi più giorni son che l'odia molto;
E spesso ha d'impiccarlo avuto in core,
Dopo che gli era stato l' anel tolto.
Ma questo atto gli par contra il suo onore ;
Si che n'avvampa di vergogna in volto.
Vuole in persona egli seguirla in fretta ,
E a tutto suo poter farne vendetta.
Ma il re Sohrino , il quale era presente ,
Da questa impresa molto il dissuade ,
Dicendogli che mal conveniente
Era all'altezza di Sua Maestade,
Sebben avesse d'esserne vincente
Ferma speranza e certa s.curtade:
Più ch'onor, gli fia hiasmo, che si dica
Ch' abbia vinto una femmina a fatica.
7 Poco l' onore , e molto era il periglio
D' ogni hattaglia che con lei pigliasse ;
E che gli dava per miglior consiglio,
Che Brunello alle forche aver lasciasse;
E se credesse ch'uno alzar di ciglio
A torlo del capestro gli bastasse,
Non dovea alzarlo per non contraddire
Che s' abbia la giastizia ad eseguire.
8 Potrai mandare un che Marfisa prieghi,
Dicea, ch'in questo giudice ti faccia
Con promission ch'ai ladroncel si leghi
Il laccio al collo, e a lei si soddisfaccia:
E quando anco ostinata te lo nieghi,
Se l'abbia, e il suo desir tutto compiaccia:
Porche da tua amicizia non si spicchi ,
Brunello e gli altri ladri tutti impicchi.
)9 II re Agramante volentier s'attenne
Al parer di Sobrin discreto e saggio;
E Marfisa lasciò, che non le venne.
Né pati ch'altri andasse a farle oltraggio:
Né di farla pregare anco sostenne;
E tollerò. Dio sa con che coraggio,
Per poter acchetar liti maggiori ,
E del suo campo tor tanti romori.
100 Di ciò si ride la Discordia pazza ,
Che pace o triegua omai più teme poco.
Scorre di qua di là tutta la piazza.
Né può trovar per allegrezza loco.
La Superbia con lei salta e gavazza,
E legne ed esca va aggiungendo al fuoco;
E grida sì , che fin nell' alto regno
Manda a Michel della vittoria segno.
101 Tremò Parigi, e turbidossi Senna
All'alta voce, a quell' orrlbil grido;
Rimbombò il suon fin alla selva Ardenna
Si, che lasciar tutte le fiere il nido.
Udiron l' Alpi e il monte di Qebenna ,
Di Blaia e d'Arli e di Roano il lido;
Rodano e Sonna udì , Garonna e il Reno :
Si strinsero le madri i figli al seno.
Stan7a 100.
102 Son cinque cavalier c'han fisso il chiodo
D' essere i primi a terminar sua lite ,
L'una nell'altra avviluppata in modo.
Che non l'avrebbe Apolline espedite.
Comincia il re Agramante a sciorre il nodo
Delle prime tenzon ch'aveva udite.
Che per la figlia del re Stordilano
Eran tra il re di Scizia e il suo Africano.
103 II re Agramante andò per porre accordo
Di qua di là più volte a questo e a quello ;
E a questo e a quel più volte die ricordo
Da signor giusto e da fedel fratello:
E quando parimente trova sordo
L* un come l' altro , indomito e rubello
Di volere esser quel che resti senza
La donna , da cui vien lor diiferenza ,
107 Poi lor convenzìon ratificaro
In man del re quei duo prochi famosi.
Ed indi alla donzella se n'andajt)
Ed ella abbassò gli occhi vergognosi,
E disse che più il Tartaro avea caro:
Di che tutti restar meravigliosi :
Rodomonte si attonito e smarrito,
Che di levar non era il viso ardito.
104 S'appiglia alfin, come a miglior partito
(Di che amendui si contentar gli amanti),
Che della bella donna sia marito
L' uno de' duo , quel che vuole essa innanti ;
E da quanto per lei sia stabilito ,
Più non si possa andar dietro nò avanti.
All'uno e all'altro piace il compromesso,
Sperando ch'esser debbia a favor d'esso.
105 U re di Sarza, che gran tempo prima
Di Mandricardo amava Doralice ,
Ed ella l'avea posto in su la cima
D'ogni favor eh' a donna casta lice;
Che debba in util suo venire estima
La gran sentenzia che '1 può far felice :
Né egli avea questa credenza solo ,
Ma con lui tutto il barbaresco stuolo.
^,A :
Stanza 115.
i:<^^'.^^^r^'?''^^^ii'-
Stanza lU.
lOH Ognun sapea ciò ch'egli avea già fatto
Per essa in giostre, in tomiamenti, in guerra;
E che stia Mandricardo a questo patto,
Dicono tutti che vaneggia ed erra.
Ma quel, che più fiate e più di piatto
Con lei fu mentre il sol stava sotterra ,
E sapea quanto avea di certo in mano ,
Ridea del popular giudicio vano.
.08 Ma poi che l'usata ira cacciò quella
Vergogna che gli avea la faccia tinta,
Ingiusta e falsa la sentenzia appella ;
E la spada impugnando, ch'egli ha cinu,
Dice, udendo il re e gli altri, che vuol eh' di*
Gli dia perduta questa causa o vinta,
E non l'arbitrio di femmina lieve,
Che sempre inchina a quel che men far dere.
109 Di nuovo Mandricardo era risorto,
Dicendo: Vada pur come ti pare.
Si che prima che '1 legno entrasse in porto,
V'era a solcare un gran spazio di mare.
Se non che '1 re Agramante diede torto
A Rodomonte , che non può chiamare
Più Mandricardo per quella querela;
E fé' cadere a quel furor la vela.
110 Or Rodomonte che notar si vede
Dinanzi a quei signor di doppio scorno,
Dal suo re, a cui per riverenzia cede,
E dalla donna sua, tutto in un giorno;
Quivi non volse più fermare il piede:
E dalla molta turì)a eh' avea intomo.
Seco non tolse più che duo sergenti ,
Ed uscì dei moreschi alloggiamenU.
111 Come, partendo, afflìtto tauro suole,
Cbe la gioYBDca al vincitor cesso abbia,
Cercar le selve e le rive più sole
Lungi dai paschi , o qualche arida sabbia ;
Dove muggir non cessa air ombra e al sole
Né però scema l'amorosa rabbia:
Così sen va di gran dolor confuso
Il re d'Algier, dalla sua donna escluso.
112 Per riavere il buon destrier si mosse
Ruggier, che già per questo s'era armato;
Ma poi di Mandricardo ricordosse,
A cui della battaglia era obbligato:
Non segui Rodomonte, e ritomosse
Per entrar col re Tartaro in steccato
Prima ch'entrasse il re di Sericana,
Che l'altra lite avea di Durindana.
Stanza 117.
Ila Veder torsi Frontin troppo gli pesa
Dinanzi agli occhi, e non poter vietarlo;
Ma dato ch'abbia fine a questa impresa,
Ha ferma intenzìon di ricovrarlo.
Ma Sacripante che non ha contesa.
Come Ruggier, che possa distornarlo,
E che noii ha da far altro che questo,
Per l'orme vien di Rodomonte presto.
114 E tosto l'avria giunto, se non era
Un caso strano che trovò tra via.
Che lo fé' dimorar fin alla sera,
E perder le vestigio che seguia.
Trovò una donna che nella riviera
Di Senna era caduta, e vi peria
S'a darle tosto aiuto non veniva:
Saltò nell'acqua e la ritrasse a riva.
115 Poi quanlo in sella volse risalire,
Aspettato non fu dal sno destriero ,
Che fin a sera si fece seguire,
E non si lasci(\ prender di leggiero.
Preselo alfin: ma non seppe venire
PKi d'onde s'era tolto dal sentiero:
Ducento miglia er; ò tra piano e monte ,
Prima che ritrovasse Rodomonte.
118 Né lunga servitù, né grand' amore,
Che ti fu a mille prove manifesto,
Ebbono forza di tenerti il core,
Che non fosse a cannarsi almen si presto.
Non perch'a Mandricardo inferiore
Io ti paressi, di te privo resto;
Né so trovar cagione ai casi miei.
Se non quest' una , che femmina sei.
Stanza 121.
119 Credo che t'abbia la Natura e Dio
Produtto, 0 scellerato sesso, al mondo
Per una soma, per un g^rave fio
Dell' nom, che senza te saria giocondo:
Come ha produtto anco il serpente rio,
E il lupo e l'orso; o fa l'aer fecondo
E di mosche e di vespe e di ta&ci;
E loglio e avena fa nascer tra i gnnL
120 Perché fatto non ha l'alma Natura,
Che senza te potesse nascer l'acme,
Come s' innesta per umana cara
L'un fopra l'altro il pero, il sorbo e'I poDo'
Ma quella non può far sempre a misura:
Anzi, s'io vo' guardar come io la nomo,
Veggo che non può far cosa perfetta,
Poiché Natura femmina vien detti.
121 Non siate però tumide e fastose,
Donne, per dir che 1' uom sia vostro %Iio;
Che delle spiue ancor nascon le rose,
E d' una fetida erba nasce il giglio :
Importune, superbe, dispettose.
Prive d'amor, di fede e di consiglio.
Temerarie , crudeli , inique , ingrate.
Per pestilenzia eterna al mondo nate.
1 1 6 Dove trovollo , e come fu conteso
Con disvantaggio assai di Sacripante;
Come perde il cavallo , e restò preso ,
Or non dirò; e' ho da narrarvi innante
Di quanto sdegno e di quanta ira acceso
Contra la donna e contra il re Agramante
Del campo Rodomonte si partisse,
E ciò che contra all'uno e all'altro disse.
117 Di cocenti sospir l'aria accendea
Dovunque andava il Saracin dolente.
Eco, per la pietà che gli n'avea,
Da' cavi sassi rispondea sovente.
Oh femminile ingegno, egli dicea.
Come ti volgi e muti facilmente !
Contrario oggetto proprio della fede
Oh infelice , oh miser chi ti crede !
122 Con queste ed altre ed infinite ^preso
Querele il re di Sarza se ne giva
Or ragionando in un parlar sommerò,
Quando iu un suon che di lontan s'udift,
In onta e in biasmo del femmineo sesso.
E certo da ragion si dipartiva;
Che per una o per due che trovi ree,
Che cento buone sien creder si dee.
123 Sebben di quante io n'abbia fin qui «»«^
Non n'abbia mai trovata nna fedele;
Perfide tutte io non vo'dir né ingrate,
Ma darne colpa al mio destin crudele.
Molte or ne sono, e più g^à ne son state,
Che non dan causa ad uom che si querele;
Ma mia fortuna vuol che s'una Ha
Ne sia tra cento , io di lei preda sia*
124 Pur vo' tanto cercar prima ch'io mora,
Anzi prima che '1 crin più mi s' imbianchi ,
Che forse dirò nn dì, che per me anccra
Alcuna sia che di sua fé' non manchi.
Se questo avvien (che di speranza fuora
Io non ne son) , non fia mai ch'io mi stanchi
Di farla , a mia possanza , gloriosa
C(»n lingua e con inchiostro, e in verso e in prosa.
125 II Saracin non area manco sdegno
Centra il suo re, che contra la donzella;
E cosi di ragion passava il segno,
Biasmando lui , come biasmando quella.
Ha disio di veder che fopra il regno
Gli cada tanto mal. tanta procella,
Ch' in Africa ogni casa si funesti ,
Né pietra salda sopra pietra resti;
126 E che, spinto del regno, in duolo e in lutto
Viva Agramante misero e mendico ;
E ch'esso sia che poi gli renda il tutto,
E lo riponga nel suo seggio antico ,
E della fede sua produca il frutto;
E gli faccia veder eh' un vero amico
A dritto e a torto esser dovea preposto.
Se tutto '1 mondo se gli fos.se opposto.
127 E così, quando al re, quando alla donna
Volgendo il cor turbato , il Saracino
Cavalca a gran giornate, e non assonna
E poco riposar lascia Frontino.
Il di seguente o l' altro in su la Senna
Si ritrovò; ch'avea dritto il cammino
Verso il mar di Provenza, con disegno
Di navigare in Africa al suo regno.
128 Di barche e di sotti 1 legni era tutto
Fra runa ripa e T altra il fiume pieno:
' Ch' ad uso dell' esercito condutto
Da molti lochi vettovaglie avieno;
Perchè in poter de' Mori era ridutto,
Venendo da Parigi al lito ameno
D' Acquamorta, e voltando invér la Spagna.
Ciò che v'è da man destra di campagna.
129 Le vettovaglie in carra ed in giomeBri.
Tolte fuor delle navi, erano carche ,
E tratte con la scorta delle ^entj ,
Ove venir non si potea con barche.
Avean piene le ripe i grassi armenti
Quivi condotti da diverse marche ;
E i conduttori intomo alla riviera
Per vari tetti alhergo avean la sera.
"§m^-
Stanza 131.
130 II re d'Algier, perchè gli sopravvenne
Quivi la notte , e V aer nero e cieco ,
D'un ostier paesan lo 'nvitj tenne ^
Che lo pregò che rimanesse seco.
Adagiato il destrier, la mensa venne
Di vari cibi, e di viii corso e greco;
ChèM Saracin nel resto alla moresca,
Ma volse &r nel bere alla francesca.
131 L'oste con buona mensa e miglior viso
Stadio di fare a Rodomonte onore;
Che la presenzia gli die certo avviso ,
Ch'era uomo illustre e pien d'alto valore;
Ma quel che da sé stesso era diviso,
Né quella sera avea ben seco il core,
(Che mal suo grado s'era ricondotto
Alla donna già sua), non facea motto.
CANTO VENTESIMOSETTIMO.
441
132 II buon oBtier, che fa dei diligenti
Che mai si sien per Francia ricordati ,
Quando tra le nimiche e strane genti
L'albergo e* beni suoi s'avea salvati;
Per servir quivi alcuni saoi parenti,
A tal servigio pronti, avea chiamati;
De' qnai non era alcun di parlar oso ,
Vedendo il Saradn muto e pensoso.
133 Di pensiero in pensiero andò vagando
Da sé stesso lontano il Pagan molto,
Col viso a terra chino, uè levando
Si gli occhi mai, ch'alcun guardasse in volto.
Dopo un lungo star cheto , sospirando ,
Si come d'un gran sonno allora sciolto,
Tutto si scosse, e insieme alzò le ciglia,
E voltò gli occhi all' oste e alla famiglia.
134 Indi ruppe il silenzio, e con sembianti
Più dolci un poco , e viso men turbato ,
Domandò alV oste e agli altri circostanti ,
Se d'essi alcuno avea mogliere a lato.
Che l'oste e che quegli altri tutti quanti
L' aveano , per risposta gli fu dato.
Domanda lor quel che ciascun si crede
Della sua donna nel servargli fede.
135 Eccetto V oste , fér tutti risposta ,
Che si credeano averle e caste e buone.
Disse r oste : Ognun pur creda a sua posta ;
Ch' io so eh' avete falsa opinione.
Il vostro sciocco credere vi costa
Ch' io stimi ognun di voi senza ragione ;
E cosi far questo signor deve anco,
Se non vi vuol mostrar nero per bianco.
136 Perchè , si come è sola la fenice ,
Né mai più d'una in tutto il mondo vive;
Cosi uè mai più d' uno esser si dice .
Che della moglie i tradimenti schive.
Ognun si crede d'esser quel felice,
D' esser quel sol eh' a questa palma arrive.
Come è possibil che v' arrivi ognuno ,
Se non né può nel mondo esser più d'uno?
137 Io fui già nell' error che siete voi ,
Che donna casta anco più d'una fùsse.
Un gentiluomo di Vinegia poi ,
Che qui mia buona sorte già condusse.
Seppe far si con veri esempi suoi ,
Che fnor dell'ignoranza mi ridusse.
Gian Francesco Valerio era nomato:
Che 'l nome suo non mi s' è mai scordato.
138 Le fraudi che le mogli e che l'amiche
Sogliono usar , sapea tutte per conto :
E sopra ciò moderne istorie e antiche,
E proprie esperienze avea si in pronto.
Che mi mostrò che mai donne pudiche
Non si trovare , o povere o di conto ;
E s'una casta più dell'altra parse,
Venia, perchè più accorta era a celarse.
139 E fra l'altre (che tante me ne disse,
Che non ne posso il terzo ricordarmi)
Si nel capo un' istoria mi si scrìsse ,
Che non si scrìsse mai più saldo in marmi ;
E ben parria a ciascuno che l'udisse,
Di queste rìe quel eh' a me parve e parmi.
E se , signor , a voi non spiace udire ,
A lor oonfùsìon ve la vo' dire.
140 Rispose il Saradn: Che puoi tu farmi.
Che più al presente mi diletti e piaccia,
Che dirmi storìa e qualche esempio darmi ,
Che con l'opinion mia si con&ccia?
Perch' io possa udir meglio , e tu narrarmi ,
Siedimi incontra, ch'io ti vegga in faccia.
Ma nel Canto che segue io v' ho da dire
Quel che fé' l' oste a Rodomonte udire.
N OTB.
St. 4. V. 5. — Xa Malignità dal del bandita: il dia-
volo cacciato dal paradiso.
St. 11. V. 8. — SeTua incarco: senza biasimo.
St. 15. V. 3. — L'altro aozio: l'altro diavolo.
St. 22. V. 6. — MaraviglioBo: qui pieno di maraviglia.
St. 27. V. 2. — Foga il fio d ossa e di polpe: paga il
fio, lasciandovi la vita.
St. 29. y. 1. — Bi*$soni: stromenti da fiato, usati
d^li antichi; forse risponde alla ìmcina dei latinL
St. 32. V. 3-5. — E desiar , cowi« Icaro , la penna.
Icaro, figlio 4i Dedalo, osci con lui dal labirinto, mercè
dell'ali fabbricategli dal padre. — Uggieri: il danese,
mentovato più addietro. — JZ marchese di Vietma:
Oliviero, che il Poeta ha detto esser padre di Aquilante
e di Grifone.
St. 3*. V. 34. -^ Nell'eterno seren : nel cielo.
St. 44. V. 6. — Sì, c/w V un dopo V altro il campo
assegna : ottenga il campo.
St. 47. V. 7-8. •— Un simil, ecc.: Castel Guelfo, situato
fra Parma e Borgo San Donnino.
St. 61. V. 6-8. — Che di duo drappi^ ecc. Sono i co-
lori dei drappi a dimostrazione dell'amore di Doralice,
intiepidito per Rodomonte, e vivo per Mandricardo.
St. 52. V. 35. — Termodonte: fiume di Cappadocia,
che mette nell* Ensino , presso cui abitavano le Amaz-
zoni; e probabilmente quello che vedesi notato nelle
odierne mappe col nome di Thermeh. — Cotta d'arme:
soprawesta che portavano gli araldi.
St. 54. V. 6. — Quartiere: divisa, insegna.
St. 57. V. 1-4. — JZ Castore , ecc. : era questa V opi-
nione comunemente seguita ai tempi del Poeta.
St. 62. V, 8. — Arme : anche qui insegne.
St, 69. V. 7. — Indotte: indossate.
St. 75. v. 5. — Oso: ardito.
&t. 77. v. 5. — Te lo difendo: te lo vieto. Anche il
Boccaccio nel Filosirato usa il verbo difendere in que-
sto senso: Se non mi fosse per forza difeso, Di por-
tarlo farei il mio potere. E dopo T Ariosto, il T»
Oer., V. 82-83 : E chi (riprende Crucciose il gitrm:^
a me il contende f Io tei difenderò ^ colta ritjsu. Tu
per coloro che il tacciano di francesismo.
St. J4. V. 7. — SUfffòlae: sollevò in alto.
St. 86. y.b. — Ad informarci: sottinteDdiricMut
St. 99. y. 6. — Coraggio : qui disposizione itm.
^T. 101. y.5-6. — Qebenna: Cérenfi».catei»diM.
nella Francia, che si estendono dal éipaitìamitk
TAude nella Linguadoca, fino a quello diSiont^Ua
nella Borgogna. — Blaia: Blaye , città dells Gsm
Con le tre città ricordate in questo ?erM> e con ri^
e i fiumi denota gli opposti termini della Fiudi
St. 102. v. 4-a — Apolline: intendesi l'oneokèi
pollo nell'isola di Delfo, celebrato una volta pe kit
risposte. — lire di Scisia e il suo AfHcano: be^
cardo e Rodomonte.
St. 106. V. 5. — Di piatto : di soppiatto.
St. 107. V. 2. — Fiochi o Proci: rivali in aam.^
questo il nome di qne' principi che iDasienzadin»
0 ritenendolo morto, con tendevansi la maso di PeMk>
fida ed esemplarissima moglie di loL Altre staft z
luogo di Frochi leg^on per abbaglio prodi.
St. 117. V. 3. — Eco: ninfa condannata aripetoilt
ultime sillabe delle parole altrui.
St. 129. V. 6. — Marche. Marra i»ignifioa j>f«twu
di confine, e per estensione, come qui, vale fni&»Sf^-
St. 137. V. 7. — Gian Francesco Valerio: gaiUm
veneziano, gran nemico delle donne, e amico M Pg^
che lo finge vivente ai tempi di Caxìo Magno. Ser
parla con bella espréÌBsione d' amore al Canto E^^
Stanza 15. Egli fU giustiziato in Venezia nel ló£ p:
aver rivelato all'ambasciator di Francia le delifew»
del governo circa la pace che si stava trattaai« «i
Porta. Vedi il Paruta, Ist. Venez., lib- X.
St. 138. V. 2. — JVr conto: ad una ad gm, ■ a»
dito.
Canto XXVIII.
L'al^ffii^patore dì Rodo monto rìì imira la novella ili Fiamfnntn,
in hiasimo delle donne, HOflomont^ si partn di là; e miiuto ,
il pensiero d'ani! are in Afrit^ST ftìrma statica \n una e li ì esetta
atabÈvndtmata, aìh quale pimii^e Isaltella col romito, e conte
Hpoglie mortali cìeU" ucciso Zerbino. Il pascano vuole [llato-
glìere Iftab^^Ua dalla pi-esa rifiolUT'ioniì dì ritirarsi dal mondo,
e> ìmpaKieniisce alle rimoatraiiKe del romito.
Donne, e toì che le tlonue avete in pregioi
Per Dìo, non <late a ([ueMB, i'^toria oreocliin,
A qnesta clie l'ontier dire in clispregin
E in vostra infamia e biasrao s'appareceliia;
Benché né macchia ri può dar né fregio
Ling-na si vite ■ e sia V usanza veechia t
The '1 voliefare it,aifirante ognun rijireufla ,
E parli piti di quel clie nieno intenda.
Lasciate qneato Canto ; cbè senz' e§so
Vnò star V istoria ^ ^ non sarà men chiara.
Mettendolo Tiirjiirin. nm^h'irh Thn messo,
Non per malivolenzia né per gara.
ChMo Y^ami, oltre mia lingua che Tha espresso,
Che mai non fa di celebrarvi avara,
N'ho fatto mille prove; e v'ho dimostro
Ch' io son , né potrei esser se non vostro.
Passi, chi vuol, tre carte o quattro, senza
Leggerne verso; e chi pur legger vuole,
Gli dia quella medesima credenza
Che si suol dare a finzioni e a fole.
Ma, tornando al dir nostro, poi ch'udienza
Apparecchiata vide a sue parole,
E darsi luogo incontra al cavaliero ,
Così ristoria incominciò Postiero.
Tra gli altri di sua corte avea an
Fausto Latini, nn cavalier romano,*
Con cui sovente essendosi' lodato
Or del bel viso , or della bella mano
Ed avendolo nn giorno domandato
Se mai veduto avea , presso o lontiM^^
Altro uom di forma cosi ben comp
Contra quel che credea, gli fu
stanza 3.
Astolfo, re de' Longobardi , quello
A cui lasciò il fratel monaco il regno,
Fu nella giovinezza sua sì bello ,
Che mai poch* altri giunsero a quel segno.
N'avria a fatica un tal fatto a pennello
Apelle 0 Zeusi, o se v'è alcun più degno.
Beilo era, ed a ciascun cosi parea;
Ma di molto egli ancor piò si tenea.
r
Non stimava egli tanto per l'altezza
Del grado suo, d'avere ognun minore;
Né tanto, che di genti e di ricchezza,
Di tutti i re vicini era il maggiore;
Quanto , che di presenzia e di bellezza
Avea per tutto '1 mondo il primo onore.
Godea, di questo udendosi dar loda,
Qnanto di cosa volentier più s' oda.
7 Dico (rispose Fausto) che, secondò
Ch^ io veggo , e che parlarne odti a
Nella bellezza hai pochi pari al monda;
E questi pochi io Vt resfrio^o in nca.
Quest'uno è nn fraiel iiiì<^ detto tììo
Eccetto hii , ben crederò eh' ognnm
Di bella molto addietro tu ti las?i;
Ma questo sol credo t' aileg'uì e
8 Al re parve ìmpossibil cosa udiri,. ;
Che sua la palma infin allora tenne;
E d'aver conoscenza alto delire
Di sì lodato gióvene gli venne.
Fe^ sì coti Fausto , che di far venÌTt
Quivi il fratel prometter gli co a reni
Bench'a poterlo indur che ci veuiMt
Saria fatica, e la cagìon gli dìs^:
^ CLeU suo fratello era uom cbe mosmi
Mai non avea di Roma alla m& vita»,'
Che, ^eì ben die fortuna gli concede,
Tranquilla e seu^^ affanni avea nuirit*^
La ruba di eli e 1 padre il lascia eredi ^j
Né mai creaci uta avea né minili tu;
E che parrebbe n Ini Pavia lontana
Pift che non parria a un altro ire ali»
10 E la difficnltà saria ina^g-Jore
A poterlo spiccar dalla mogli^^re,
Con cui leg^flto era di tanro amore,
Che non volendo lei , non può volere.
Pur» per uh hi il ir hiì che gli" è B^gnore,
Dk^Q d' atiilftre , e fare oltre il p^tere-
Gjunse il re a' prìeghì tali ofFertfl e àm.
Che di neg^ar non gli lasciò ragioni.
11 Partisse, e in pochi giorni ritroT(vs.<«
Dentro di Koma alh patenie t'&s^^
Quivi tanto pregù , che ^1 fratel m^^
Sì, eh' a venire al re gli permiaset
E fece ancor (benché rìifficii fosse) p
Che la cognata tacita rimase ,
Proponendole il ben che ti* uscì ria.
Oltre ch'obbligo sempre egli raTria-
^1
Stiii;ìii 13.
CANTO VENTESIMOTTA VO.
447
'<i Fìsse Giocondo alla partita il giorno:
Trovò cavalli e servitori intanto ;
Vesti fé' far per comparire adomo ,
Che talor cresce una beltà un bel manto.
La notte a lato , e 1 di la moglie intorno ,
Con gli occhi ad or ad or pregni di pianto,
Gli dice ohe non sa come patire
Potrà tal lontananza, e non morire;
3 Che pensandovi sol , dalla radice
Sveller si sente il cor nel lato manco.
Deh, vita mia, non piagnere, le dice
Giocondo; e seco piagne egli non manco.
Cosi mi sia questo cammin felice.
Come tornar vo' fra dao mesi almanco :
Né mi farla passar d* un giorno il segno ,
Se mi donasse il re mezzo il suo regno.
4 Né la donna per ciò si riconforta:
Dice che troppo termine si piglia;
E s' al ritorno non la trova morta ,
Esser non può se non gran maraviglia.
Non lascia il duol che giorno e notte porta,
Che gustar cibo e chiuder possa ciglia;
Talché per la pietà Giocondo spesso
Si pente ch'ai fratello abbia promesso.
5 Dal collo un suo monile ella si sciolse.
Ch'una crocetta avea ricca di gemme,
E di sante reliquie che raccolse
In molti luoghi un peregrin boemme ;
Ed il padre di lei, ch'in casa il tolse
Tornando infermo di Gemsale^une,
Venendo a morte poi ne lasciò erede:
Questa levossi, ed al marito diede.
16 E che la porti per suo amore al collo
Lo prega, si che ognor gli ne sovvenga.
Piacque il dono al marito ed accettollo;
Non perchè dar ricordo gli convenga :
Che né tempo né absenzia mai dar crollo,
Né buona o ria fortuna che gli avvenga,
Potrà a quella memoria salda e forte
C ha di lei sempre , e avrà dopo la morte.
17 La notte ch'andò innanzi a quell'aurora
Che fu il termine estremo alla partenza.
Al suo Giocondo par ch'in braccio muora
La moglie , che n' ha tosto da star senza.
Mai non si dorme ; e innanzi al giorno un'ora
Viene il marito all'ultima licenza.
Montò a cavallo, e si partì in effetto;
E la moglier si ricorcò nel letto.
18 Giocondo ancor duo miglia ito non era,
Che gli venne la croce raccordata,
Ch'avea sotto il guancial messo la sera,
Poi per obblivìon l'avea lasciata.
Lasso ! dicea tra sé , di che maniera
Troverò scusa che mi sia accettata ,
Che mia moglie non creda che gradito
Poco da me sia l'amor suo infinito?
19 Pensa la scusa; e poi gli cade in mente.
Che non sarà accettabile uè buona ,
Mandi famigli, mandivi altra geate,
S'egli medesmo non vi va in persona.
Si ferma , e al f ratei dice : Or pianamente
Fin a Baccano al primo albergo sprona ,
Che dentro a Roma è forza eh' io rivada :
E credo anco di giugnerti per strada.
20 Non potria fare altri il bisogno mio:
Né dubitar , eh' io sarò tosto teco.
Voltò il ronzin di trotto e disse : Addio;
Né de' famigli suoi volse alcun seco.
Già cominciava, quando passò il rio.
Dinanzi al sole a fuggir l'aer cieco.
Smonta in casa ; va al letto ; e la consorte
Quivi ritrova addormentata forte.
21 La cortina levò senza far motto,
E vide quel che men veder credea;
Che la sua casta e fedel moglie, sotto
La coltre, in braccio n un giovene giacca.
Riconobbe 1' adultero di botto,
Per la pratica lunga che n'avea;
Ch' era della famiglia sua un garzone ,
Allevato da lui, d'umìl nazione.
22 S' attonito restasse e mal contento ,
Meglio é pensarlo e fame fede altrui ,
Ch'esserne mai per far l'esperimento
Che con suo gran dolor ne fé' costui.
Dallo sdegno assalito , ebbe talento
Di trar la spada , e ucciderli ambedui ;
Ma dall' amor che porta , al suo dispetto ,
Air ingrata moglier , gli fu interdetto.
23 Né lo lasciò questo ribaldo amore
(Vedi se si l'avea fatto vassallo)
Destarla pur, per non le dar dolore.
Che fosse da lui colta in si gran fallo.
Quanto potè più tacito uscì fuore,
Scese le scale , e rimontò a cavallo ;
E punto egli d' amor , cosi lo punse ,
Ch' all' albergo non fu , che '1 fratel giunse.
24 Cambiato a tutti parve esser nel volto ;
Vider tutti clieU cor non area lieto:
Ma non v^è chi s* apponga già di molto,
£ possa penetrar nel suo secreto.
Credeano che da lor si fosse tolto
Per gire a Roma, e gito era a Corneto.
Ch'amor sia del mal causa ognun s'avvisa;
Ma non è già chi dir sappia in che guisa.
27 Par che gli occhi si ascondan nella t»u
Cresciuto il naso par nel viso scarno:
Della beltà si poca gli ne resta ,
Che ne potrà far paragone indarno.
Col duol venne una febbre si molesta,
Che lo fé' soggiornar all'Arbia e all'Ani/
E se di bello avea serbata cosa ,
Tosto restò come al sol colta rosa.
^'^'^X'^yrfr^n''^''
Stanza 21.
25 Estimasi il fratel che dolor abbia
D' aver la moglie sua sola lasciata ;
E pel contrario duolsi egli ed arrabbia
Che rimasa era troppo accompagnata.
Con fronte crespa e con gonfiate labbia
Sta r infelice, e sol la terra guata.
Fausto eh' a confortarlo usa ogni prova,
Perchè non sa la causa, poco giova.
26 Di contrario liquor la piaga gli unge,
E dove tor dovria, gli accresce doglie:
Dove dovria saldar, più l'apre e punge:
Questo gli fa col ricordar la moglie.
Né po^a di né notte: il sonno lunge
Fugge col gusto , e mai non si raccoglie ;
E la faccia, che dianzi era si bella,
Si cangia d, che più non sembra quella.
28 Oltre eh' a Fausto incresca del fratdlo,
Che veggia a simil termine condatto,
Via più gì' incresce che bugiardo a quello
Principe , a chi lodollo , parrà in tutto.
Mostrar di tutti gli uomini il pia bello
Gli avea promesso, e mostrerà il più bnr.
3Ia put continuando la sua via,
Seco lo trasse alfin dentro a Pavia.
29 Già non vuol che lo vegga il re improTvifc
Per non mostrarsi di giudicio privo:
Ma per lettere innanzi gli dà avviso,
Che'l suo fratel ne viene appena vivo;
E eh' era stato all' aria del bel viso
Un affanno di cor tanto nocivo.
Accompagnato da una febbre ria,
Che più non parca quel eh' esser solia.
30 Grata ebbe la venuta di Giocondo,
Quanto potesse il re d'amico avere;
Che non avea desidei;ato al mondo
Cosa altrettanto, che di lui vedere.
Né gli spiace vederselo secondo,
E di bellezza dietro rimanere;
Benché conosca, se non fosse il male,
Che gli saria superiore o uguale.
31 Giunto , lo fa alloggiar nel suo palagio;
Lo visita ogni giorno , ogni ora n' ode;
Fa gran provvision che stia con agio,
E d' onorarlo assai si studia e ^fÀt.
Langue Giocondo; chè'l pensier malvagio
C ha della ria moglier , sempre \o rode:
Né '1 veder giochi , né musici udire ,
Dramma del suo dolor può minuire.
32 Le stanze sue , che sono appresso al tetto
L'ultime, innanzi hanno una sala antica.
Quivi solingo (perché ogni diletto,
Perch'ogni compagnia prova nimica)
Si ritraea , sempre aggiungendo al petto
Di più gravi pensier nuova fatica;
E trovò quivi (or chi lo croderia?)
Chi lo sanò della sua piaga ria. CANTO VBNTESIMOTTAVO. Stanza 38. 33 In capo della sala , ove è più scuro
(Che non vi s'usa le finestre aprire),
Vede cbe U palco mal si giunge al muro ,
E fa d'aria più chiara un raggio uscire.
Pon r occhio quindi , e vede quel che duro
A creder fora a chi T udisse dire:
Non l'ode egli d'altrui, ma se lo vede;
Ed anco agli occhi suoi propri non crede.
34 Quindi scopria della re^na tutta
La più secreta stanza e la più hella,
Ove persona non verria introdutta,
Se per molto fedel non l'avesse ella.
Quindi mirando vide in strana lutta,
Oh' un nano avviticchiato era con quella;
Ed era quel piccin stato si dotto,
Che la regina avea messa di sotto.
35 Attonito Giocondo e stupefatto ,
E credendo sognarsi, nn pezzo stette;
£ quando vide par ch^egli era in fatto,
E non in sogno, a sé stesso credette.
A uno sgrignato mostro e contraffatto
Danque, disse, costei si sottomette,
Che'l maggior re del mondo ha per marito,
Più bello e più cortese? Oh che appetito!
86 E della moglie sna, che così spesso
Più drogai altra biasmava, ricordosse,
Perchè U ragazzo s^avea tolto appresso;
Ed or gli parve che scasabil fosse.
Non era colpa sua più che del sesso,
Che d^nn solo aomo mai non contentosse:
E s^han tatto ana macchia d*ano inchiostro,
Almen la sua non s' avea tolto un mostro.
87 n di seguente , alla medesima ora ,
Al medesimo loco fa ritorno ;
E la regina e. il nano vede ancora,
Che fanno al re par il medesmo scorno.
Trova P altro dì ancor che si lavora,
E V altro ; e alfin non si fa. festa giorno :
E la regina (che gli par più strano)
Sempre si duol che poco Tami il nano.
38 Stette fra gli altri un giorno a veder, ch^ella
Era turbata e in gran malenconia,
Che due volte chiamar per la donzella
Il nano fatto avea , né ancor venia.
Mandò la terza volta; et adi quella.
Che: Madonna, egli giucca: riferia;
E per non stare in perdita d' un soldo ,
A voi niega venire il manigoldo.
39 A si strano spettacolo Giocondo
Rasserena la fronte e gli occhi e il viso ,
E, quale in nome, diventò giocondo
D'effetto ancora, e tornò il pianto in riso.
Allegro toma e grasso e rubicondo. Che sembra un cherubin del Paradiso ;
Che'l re, il fratello e tutta la famiglia
Di tal mutazi'on si maraviglia. 40 Se da Giocondo il re bramava udire
Onde venisse il subito conforto.
Non men Giocondo lo bramava dire,
E fare il re di tanta ingiuria accorto.
Ma non vorria che più di sé, punire
Volesse il re la moglie di quel torto ,
Si che per dirlo, e non far danno a lei,
n re fece giurar su l'agnusdei.
41 Giurar lo fé', che nò per cosa detta,
Né che gli sia mostrata che gli spiaceu,
Ancorch'egli conosca che diretta-
Mente a sua Maestà danno si faccia,
Tardi o per tempo mai farà vendetti:
E di più, vuol ancor che se ne taccia;
^ che né il malfattor giammai comprerà
In fatto 0 in detto, che'l re il caso loiaiiL 42 II re , eh' ogni altra cosa, se non qoeiu.
Creder potria, gli givarò largamente.
Giocondo la cagion gli manifesta,
Ond'era molti dì .stato dolente:
Perché trovata avea la disonesta
Sua moglie in braccio d'un suo vii sageiu:
E che tal pena alfin l'avrebbe morto,
Se tardato a venir fosse il conforto.
43 Ma in Casa di Sua Altezza avea vedot»
Cosa che molto gli scemava il duolo;
Che sebbene in obbrobrio era caduto,
Era almen certo di non v' esser solo.
Cosi dicendo, e al bucolin venuto,
Gli dimostrò il bruttissimo omiccioolo,
Che la giumenta altrui sotto si tiene,
Tocca di sproni , e fa giuocar di scheoe. 44 Se parve al re vituperoso l'atto,
Lo crederete ben , senza eh' io '1 giuri.
Ne fu per arrabbiar , per venir matto;
Ne fu per dar del capo in tutti i mini:
Fu per gridar , fu per non stare al patto;
Ma forza é che la bocca alfin ai tori,
E che l'ira trangugi amara ed aera.
Poiché giurato avea su l' ostia sacra. 45 Che debbo far , che mi consigli, frate,
Disse a Giocondo , poiché tu mi tolli
Che con degna vendetta e crudeltatc
Questa giustissima ira io non satolli?
Lasciam, disse Giocondo , queste ingrate,
E proviam se son l'altre cosi molli:
Facciam delle lor femmine ad altrui
Quel ch'altri delle nostre han fatto a »«• 46 Ambi gioveni siamo , e di bellezia
Che facilmente non troviamo pari.
Qual femmina sarà che n'usi asprezza?
Se centra i brutti ancor non han ripari r
Se beltà non varrà né giovinezza,
Varranno almen l'aver con noi danari
Non vo' che tomi , che non abbi prima
Di mille mogli altrui la spoglia opim^
CANTO VBNTBSIMOTTAVO, Stanza^ 47 La lunga absenzia, il veder vari luoghi,
Praticare altre femmine di fuore.
Par che sovente disacerbi e sfoghi
Dell^ amorose passioni il core.
Landa il parer , nò vuol che si proroghi
Il re r andata, e fra pochissime ore
Con dao scudieri, oltre alla compagnia
Del cavaUer roman, si mette in via. 48 Travestiti cercaro Italia, Francia,
Le terre de' Fiamminghi e degl' laglesi ;
E quante ne vedean di bella guancia,
Trovavan tutte a' prieghi lor cortesi.
Davano, e data loro era la mancia;
E spesso rimetteano i danar spesi.
Da lor pregate foro molte , e foro
Anch' altrettante che'pregaron Joro.
49 lu questa terra un mese, in quella dui
Soggiornando, accertarsi a vera prova
Che non men nelle lor . che nell' aitimi
Femmine, fede e castità si trova.
Dopo alcun tempo increbbe ad ambedui
Di sempre procacciar di cosa nuova;
Che mal poteano entrar neir altrui porte ,
Senza mettersi a rischio della morte. 51 Una (senza sforzar uostro potere,
Ma quando il naturai bisogno inviti)
In festa goderemoci e in piacere;
Che mai contese non avrem , né liti.
Né credo che si debba ella dolere;
Che s'anco ogni altra avesse duo mariti.
Più eh' ad un solo, a duo sarìa fedele,
Né forse s'udirian tante querele.
Stanza 52. 50 Gli è meglio una trovarne, che di faccia
£ di costumi ad ambi grata sia.
Che lor comunemente soddisfaccia,
E non n'abbin d'aver mai gelosia.
E perchè , dicea il re , vub' che mi spiaccia
Aver più te eh' un altro in compagnia?
So ben eh' in tutto il gran femmineo stuolo
Una non è che stia contenta a un solo. 52 Di quel che disse il re , molto conttfuto
Rimaner parve il giovine romano.
Dunque fermati iu tal proponimento,
Cercar molte montagne e molto piano.
Trovaro alfin, secondo il loro intento,
Una figliuola d'uno ostiero ispano,
Che tenea albergo al porto di Valenza,
Bella di modi e bella di presenza.
53 Era ancor sul fiorir di primavera
Sua tenerella e quasi acerba etade.
Di molti figli il padre aggravat' era ,
E nimico mortai di povertade:
Si eh' a disporlo fìi cosa leggiera,
Che desse lor la figlia in potestade;
Ch'ove piacesse lor potesson trarla,
Poiché promesso avean di ben trattarla.
54 Pigliano la fanciulla, e piacer n'haiuo
Or l'uno or T altro, iu caritode e in pace,
Come a vicenda i mantici che danno,
Or l'uno or l'altro, fiaty alla fornace.
Per veder tutta Spagna indi ne vanno,
E passar poi nel regno di Siface:
E'I di che da Valenza si partirò,
Ad albergare a Zattiva veniro. 55 I patroni a veder strade e palaza
Ne vanno, e lochi pubblici e divini,
Ch'usanza han di pigliar simil sollaffi;
In ogni terra ov'entran peregrini,
E la fanciulla resta coi ragazzi
Altri i letti, altri acconciano i ronzini,
^ Altri hanno cura che sia alla tornata
Dei signor lor la cena apparecchiata. 56 Nell'albergo un garzon stava per fante,
Ch' in casa della giovene già stette A' servigi del padre , e d' essa amante
Fu da' primi anni, e del suo amor godette.
Ben s' adocchiar , ma non ne fér semhunte
Ch'esser notato ognun di lor temette:
Ma tosto ch'i patroni e la famiglia
Lor dieron luogo , alzar tra lor le cigli»- CANTO VENTESIMOTTAVO. i7 II fante domandò do?* ella gisse,
E qnal dei dao signor P avesse seco.
A ponto la Fiammetta il fatto disse
(Così avea nome , e quel garzone il Greco).
Quando sperai che *1 tempo , oiraè ! venisse
(Il Greco le dicea) di viver teco,
Fiammetta, anima mìa, tu te ne vai,
E non so più di rivederti mai. 58 Fannosi i dolci miei disegni amari ,
Poiché sei d'altri, e tanto mi ti scosti.
Io disegnava, avendo alcun danari
Con gran fatica e gran sudor riposti,
Ch' avanzato m' avea de' miei salari
E delle bene andate di molti osti.
Di tornare a Valenza e domandarti
Al padre tuo per moglie, e di sposarti.
((;■(//'(, 'y.i)^'
stanca M. d La fanciulla negli omeri si stringe ,
E rispomle che fu tardo a venire,
riaiige il Greco e sospira, e parte finale,
Vuummi , dice, lisciar così morire?
Con le tue braccia i fianchi almen mi cin^y^e;
Lanciami disfogar tanto desire:
i.V innanzi che tu parta ^ ugni momento
riifì leco io iitìai mi fa morir cunteut^. 60 La pietosa fanciulla rispondendo:
Credi , dicea , che meri di te noi bramo \
Ma né luogo uè tempo ci comprendo
Qui , dove in mezzr» di tanti occhi siamo.
Il Greco aoggiungea: Certo mi rendo,
Che a' un terzo ami me di quel eh' io t' amo ,
In questa notte alineu troverai loco
Che ei potrem godere insieme un poco.
61 Come potrò , diceagli la fanciulla ,
Che sempre in mezzo a duo la notte giaccio ?
E meco or l'uno or Taltrp si trastulla,
E sempre all'un dì lor mi trovo in braccio?
Questo ti fia , soggiunse il Greco , nulla ;
Che ben ti saprai tor di questo impaccio,
E uscir di mezzo lor, purché tu voglia:
E dèi voler, quando di me ti doglia. 62 Pensa ella alquanto, e poi dice che vegna
Quando creder potrà eh' ognuno dorma ; E pianamente come far convegna,
E dell'andare e del tornar l'informa. Il Greco, si come ella gU disegna.
Quando sente dormir tutta la torma. Viene all'uscio e lo spinge, e quel gli cede:
Entra pian piano, e va a tenton col piede.
63 Fa lunghi i passi, e sempre in quel di dietro
Tutto si ferma, e l'altro par che muova
A guisa che di dar tema nel vetro;
Non che'l terreno abbia a calcar, ma l'uova:
E tien la mano innanzi simil metro;
Va brancolando infin che '1 letto trova; E di là dove gli altri avean le piante , Tacito si cacciò col capo innante.
64 Fra l' una e l' altra gamba di Fiammetta
Che snpii^a giacea, diritto venne;
E quando le fu a par, l'abbracciò stretta,
E sopra lei sin presso al di si tenne.
Cavalcò forte, e non andò a staffetta.
Che mai bestia mutar non gli convenne:
Che questa pare a lui che si ben trotte.
Che scender non ne vuol per tutta notte.
65 Avea Giocondo ed avea il re sentito
Il calpestio che sempre il letto scosse;
E r uno e l' altro , d' uno error schernito ,
S'avea creduto che*l compagno fosse.
Poi ch'ebbe il Greco il suo cammin fornito,
Si come era venuto, anco tornosse.
Saettò il Sol dall' orizzonte i raggi ;
Sorse Fiammetta, e fece entrare i paggi. 66 II re disse al compagno motteggiando :
Frate, molto cammin fòtto aver dei;
E tempo ò ben che ti riposi, quando
Stato a cavallo tutta notte sei.
Giocondo a lui rispose di rimando ,
E disse : Tu di' quel eh' io a dire avrei ,
A te tocca posare , e prò ti faccia ;
Che tutta notte hai cavalcato a caccia. 67 Anch' io , soggiunse il re , senza alaa L
Lasciato avria il mio can correre un tn&
Se m' avessi prestato un po' il caTallo,
Tanto che '1 mio bisogno avessi futto.
Giocondo replicò: Son tuo vassallo, E puoi far meco e rompere ogni ^tto;
Si che non convenia tal cenni usare;
Ben mi potevi dir : Lasciala stare.
68 Tanto replica l' no , tanto soggiunge
L' altro , che sono a grave lite insieme.
Vengon da' motti ad un parlar che pm^;
Ch' ad amenduo l' esser beffato preme.
Chiaman Fiammetta (che non era Inuge,
E della fraudo esser scoperta teme).
Per fare in viso l' uno all' altro dire
Quel che negando ambi parean mentile. 69 Dimmi, le disse il re con fiero sguardo, E non temer di me né di costui: Chi tutta notte fu quel sì gagliardo , Che ti godè senza far parte altroi? Credendo Tun provar l'altro bugiardo,
La risposta aspettavano ambeduL
Fiammetta a' piedi lor si gettò incerta
Di viver più, vedendosi scoperta.
70 Domandò lor perdono, che d'amore,
Ch'a un giovinetto avea portato, spinta,
E da pietà d' un tormentato core,
Che molto avea per lei patito. Tinta,
Caduta era la notte in quello enore:
E seguitò, senza dir cosa finta.
Come tra lor con speme si condusse,
Ch' ambi credesson che '1 compagno tm-
71 D re e Giocondo si guardare in tìm,
Di maraviglia e di stupor confasi:
Né d'aver anco udito lor fu avTiso,
Ch' altri duo fiisson mai così delusi :
Poi scoppiare ugualmente in tanto riso.
Che , con la bocca aperta e gli occhi chlaà,
Potendo a pena il fiato aver del petto.
Addietro si lavsiàr cader sul letto. 72 Poi eh' ebbon tanto riso, che ^^'^ Se ne sentiano il petto, e pianger gUocdu.
Disson tra lor: Come potremo avere
Guardia, che la moglier non ne raccocdu.
Se non giova tra duo questa tenere,
E stretta sì, che l'uno e l'altro tocchi?
Se più che crini avesse occhi il m*òto,
Non potria far che non fosse tradito.
CANTO VENTESIMOTTAVO. 73 Provate mille abbiamo , e tutte belle ;
Né di tante una è ancor che ne contraste.
Se proviam l'altre, fian simil anch'elle:
Ma per nltima prova costei baste.
Donqne possiam creder che più felle
Non sien le nostre , o men dell' altre caste :
E se son come tutte P altre sono,
Che torniamo a godercile fia buono. 74 Conchiuso ch'ebbon questo, chiamar fero Per Fiammetta medesima il suo amante;
E in presenzia dì molti gli la diero
Per moglie I e dote che gii fu bastante*
Poi montare a C41T!ìUo> e il lor sentiero^
cuberà a Poneute^ volsero a Levante; Ed alle mogli lor ae ne tomaro ,
Di eh' affanno mai più non ai pigli aro. 75 L^ostìer qui fìae alla ^ua istoria pose,
Olle fu con molta attenzione udita.
UdìlU il Saracin, né gli rispose Parolft mai , finché non fu finita- Pui disse; Io credo hen clie lìeil'ascoae
Femmìnil frode sia copia infinita i
Né si potrla della millesma parte
Tener memoria con tutte le carte.
76 Quivi era un uom d'età, eh- ave a più retta
Opiuion degli altri , e ingegno e ardire; E non potendo ormai ^ che b\ uegletta
Ogni femmina fosse , più patire ;
8i Tolae a quel ch^ avea V istoria dett-a E ^li diafse: Assai cose udimmo dire^ Che Terìtade in sé non hanno alcuna;
E ben di queste è la tua favola una.
77 A chi te la narrò non dci^ credenza,
S^ eTaogelista ben foga e nel resto;
Ch'Opinione, più di' esperienza Ch^ abbia di donne, Io facea dir questo.
V avere ad una o due tn ali vo lenza ,
Fa ch'odia e bìaiìraft T altre oltre air onesto;
3Ia se gli passa rìra, io vo'tu Toda^
Più eh* ora biaarao , anco dar lor gran loda, 78 E ae Torrà lodarne, avrà maggiore
Il (;ampo assai , eh' a dirne mal non ebbe ;
Di cento potrà dir degne d* onore,
Verso una trista che bìasmar si debba*
Non biasmar tutte, raa serbarne fuore
La hontA d' inlinite si dovrebbe ;
E se U Valerio tuo disse altri men te ,
Disse per ira, e non per quel che sente. 79 Ditemi un poco: è di Toi forse alcuno
Ch* abbia servato alla sua moglie fede?
Che nieghi andar, quando gli sia opportuno.
Air altrui donna, e darle ancor mercede?
Credete in tutto U mondo trovarne uno ?
Chi '1 dice , mente ; e folle è ben chi '1 crede.
Trovatene vo' alcuna che vi cliiami?
(Non parlo delle pubbliche ed infami).
&tajì£a 76. 80 Conoscete alcun voi , che non Jasciasse
La moglie sola, ancorché fosse bella , Per seguire altra donna, se sperasse
In breve e facilmente ottener quella?
Che farebbe egli, quando lo preg^ase,
0 dense premio a lui donna o donzella?
Credo , per compiacere or queste or quelle ,
Che tutti lasceremmovi la pelle.
91 Quelle che 1 Io? mariti hanno lasciati ^
Le più volte cagione avuta n^ hanno*
Del suo di casa li veggon svogliati,
E e II e fuor de IP altrui brAmosi vanno*
Dovriano amar, volendo essere amati;
E tor cou la misura eh' a lor danno.
Io farei (se a me stesse il darla e tfìnre)
Tal legge , eh' uom non vi potrebbe opporre.
82 Saria la legge, ch'ogni donna cólta
In adulterio, fosse messa a morte,
Se provar non potesse ch'ana volta
Avesse adulterato il suo consorte;
Se provar lo potesse, andrebbe asciolta,
Né temeria il marito né la corte.
Cristo ha lasciato nei precetti suoi:
Non far altrui quel che patir non vuoi.
83 La incontinenza è quanto mal si puote
Imputar lor, non già a tutto Io stuolo.
Ma in questo, chi ha di noi più brutte note?
Che continente non si trova un solo.
E molto più n'ha ad arrossir le gote,
Quando bestemmia, ladroneccio, dolo,
Usura ed omicidio, e se v'è peggio,
Raro, se non dagli uomini, far veggio.
84 Appresso alle ragioni avea il sincero
E giusto vecchio in pronto alcuno esempio
Di donne che né in fatto né in pensiero
Mai di lor castità patiron scempio.
Ma il Saracin, che fuggìa udire il vero,
Lo minacciò con viso crudo ed empio,
Sì che lo fece per timor tacere;
Ma già non lo mutò di suo parere.
85 Posto ch'ebbe alle liti e alle contese
Termine il re pagan, lasciò la mensa:
Indi nel letto, per dormir, si stese
Fin al partir dell'aria scura e densa; %
Ma della notte, a sospirar l'offese
Più della donna, eh' a dormir, dispensa.
Quindi parte all'uscir del nuovo raggio,
E far disegna in nave il suo viaggio.
86 Però ch'avendo tutto quel rispetto
Ch'a buon cavallo dee buon cavaliero,
A quel suo bello e buono, ch'a dispetto
Tenea di Sacripante e di Ragfifiero;
Vedendo per duo giorni averlo stretto
Più ci? e non si dovria si buon destriero.
Lo pon, per riposarlo, e lo rassetta
In una barca, e per andar più in fretta,
87 Senza indugio al nocchier varar la barca,
E dar fa i remi all'acqua della sponda.
Quella, non molto grande e poco carca,
Se ne va per la Sonna giù a seconda.
Non fugge il suo pensier, né se ne scarca
Rodomonte per terra né per onda:
Lo trova in su la proda e in su la poppa :
E se cavalca, il porta dietro in groppa.
88 Anzi nel capo, o sia nel cor gli siede,
E di fuor caccia ogni conforto e sem.
Di ripararsi il misero non vede,
Dappoiché gli nemici ha nella terra.
Non sa da chi sperar possa mercede,
Se gli fanno i domestici snoi guerra:
La notte e '1 giorno sempre è comhattnu
Da quel crudel che dovria dargli aiuto.
89 Naviga il giorno e la notte seguente
Rodomonte col cor d'affanni grave:
E non si può l'ingiuria tor di mente.
Che dalla donna e dal suo re avuto hAn;
E la pena e il dolor medesmo sente,
Che sentiva a cavallo, ancora in nave:
Né spegner può, per star nell'acqua, fi faoa
Né può stato mutar, per mutar loco.
90 Come l'infermo che, dirotto e stinco
Di febbre ardente, va cfingiando lato;
0 sia su l'uno, o sia su l'altro fianco,
Spera aver, se si volge, miglior stato;
Né sul destro riposa né sul manco,
E per tutto ugualmente é travagliato:
Così il Pagano al male, ond'era inferno,
Mal trova in terra e male in acqut scherno.
91 Non puote in nave aver più pazienza,
E si fa porre in terra Rodomonte.
Lion passa e Vienna, indi Valenza,
E vede in Avignone il ricco ponte;
Che queste terre ed altre ubbidienza.
Che son tra il fiume e '1 celtibero monte,
Rendean al re Agramante e al re dì Spag»
Dal di che fùr signor' della campagna.
92 Verso Aoquamorta a man dritta si tesse
Con animo in Algier passare in fretta:
E sopra un fiume ad una vUia venne
E da Bacco e da Cerere diletta,
Che per le spesse ingiurie che sostenne
Dai soldati, a votarsi fu costretta.
Quinci il gran mare, e quindi nell'apriche
Valli vede ondeggiar le bionde spiche.
93 Quivi ritrova una piccola chiesa
Di nuovo sopra un monticel murata.
Che, poich'intorno era la guerra accesa,
1 sacerdoti vota avean lasciata.
Per stanza fu da Rodomonte presa;
Che pel sito, e perch'era sequestrata
Dai campi, onde avea in odio udir noteil»*
Gli piacque ri, che mutò Algierì in qn«U*-
CANTO VENTESIMOTTAVO. [ Mutò d'andare in Africa pensiero:
Sì comodo gli parve il luogo e bello.
Famigli e carriaggi e il suo destriero
Seco alloofgiar fé' nel medesmo ostello.
Vicino a poche leghe a Mompoliero,
E ad alcun altro ricco e buon castello
Siede il villaggio a lato alla riviera;
Si che d'avervi ogni agio il modo v' era.
> Stanilo vi un giofiio il Sjiraciii pen.^:>j?o
(Come imr era it più del tempo u3:\to),
Vide venir per mezzo un prato erboso^
Ohe iV un piccol aentiero era se^iuto,
Una dimzellii rlì vi-^o amoroso ^
In cosiipatrob d'uà monaco barbEtto;
E si tr^ieaiio dietro nu |?:ran destriero
Sotto una soma coperta «li nero.
6 Chi la donzclb, cbiU monnco sìa,
Chi portin Sicm, vi debb* esser chiaro.
Conoscere Isabella ^t dovria.
Che '1 corpo tivea <!el suo inerbino caro.
Lasciai che per Provenza ne venia
Sotto la scorta del vecchie preclaro,
Che le avea persuaso tutto il reato
Dicaie a. Dio Jel suo vivere onesto.
7 Come oh è Ìii vi>^o pallida e smarrita
Sia la doni^ella, ed abbia [ crini iticootì;
E facciano i so?3j)ir coutimiau^dtii
Del petto acceso, e gli occhi sìen duo fonti;
Ed altri testiraoui d'una vita
Misera e grave in lei si veggan pronti; Tanto i>erò di bello anco le avama^ Che con le Grazie Amor vi pu(^> aver stanza, 18 To^ito elle 'l Saracin vi(ìe la bella
Donna apjiarir, messe il pensiero al fondo,
Ch'area di biaamar sempre e d^ orlìar i|UelJa
Schiera gentil clu^ pur aflorna il mondo.
E ben gli par dignissima Isabella,
In cui locar debba ìl suo amor secondo^
E spegner totalmente il primo, a modo
Che daU^aase si trae chiodo con chiodo, )9 Incontra se le fece, e cnl pìiì m<dle
Parlar che seppe, e col mitili or sembiante,
Di sua condizione domandolle:
Ed ella o-^ui pensier gli spif?gÒ innante;
Come era per la^^ciare il mondo folle,
E far<3i amica a Dio con opre sante.
Ride il Paghino stUicr, clf in Dio wììì erede ^
D' ogni legge nimico e d' ogni fede: 100 E chiama intenzione erronea e lieve,
E dice che per certo ella troppo erra;
Né men biasmar che P avaro si deve,
Che'l suo ricco tesor metta sotterra:
Alcuno util per sé non ne riceve,
E dalPuso degli altri uomini.il serra.
Chiuder leon si denno, orsi e serpenti, .
E non le cose belle ed innocenti
stanza 89. 101 II monaco chU questo avea P orecchia,
E per soccorrer la giovane incauta, Che ritratta non sia per la via vecchia,
Hcilea al governo qua! pratico nauta;
Quivi di ispiri tal cibo apparecchia
Tosto una menstti sontuosa e lauta.
Ma il Saracin, che con mal gusto nacque^
Non pur la saporò, che gli dispiacque; 102 E poi cbMn vanti il monaci interroppe,
H non potè mai far si che tacesse^ E che di pai^ieuza il freno toppe ^
Le mani aldosso con furor g-li mosse.
Ma le parole mìe parervi troppe
Potriauo omai, se più se ne dicesse^
Sì che finirò il l'antri e mi fia specchio
Quel che per troppo dire accidde al vecchi ».
N o t:
St. 4. V. 1-2. — Astolfo: modiflcazione di Aistulfo,
come nelle storie si nomina quel re long^obardo. — Il
fratti monaco: Rachi, che abdicò la corona, e abbrac-
ciò la vita monastica. St. 9. V. 8. — Alla Tana: al Tanaì, fiume di Rassia,
oggi chiamato Don; e dagli antichi riguardato come
estremo accessibìl confine deirEnropa settentrìonale. St. 19. y. 6. — Baccano^ paesello con osteria a poche
miglia da Roma. St. 20. V. 5. — IZ rio, il Tevere. Usa Rio per fiume
grosso, al modo degli Spagnuoli. St. 24. V. 6. — Comeio. Città del già Stato Romano.
Scherza con equivoco facile a capirsi. St. 27. V. 6. — AWArbia e all'Arno ; a Siena e a Fi-
renze, città denotate col nome di quei due fiumi St. 40. V. 8. — VAgimBdti : qui significa Vostia sacra. St. 42, V. 6. — In hrckceio d'un 9uo vii sergente: dì
un suo vile ministro, o meglio di un garzone di fami-
glia, come Fautore stesso lo chiama alla St. 21, v. 7. ST. 54. V. 6-8. — Nel regno di Sifaee: nella Numidia,
e per estensione in Africa. — Zattiva: Xativa, città di
Spagna, nel regno di Valenza. St. ò8. V. 6. — Bene andate: mance che si danno ai
garzoni degli albergatori. — Osti : ospitL St. 83. V. 3. — Note: macchie, colpe. St. 87. V. 1-8. — Varar la barca: farla scendere di
terra in acqua. Propriamente varare si dice de* navigli
nuovi o rifatti, che dai cantieri per mezzo di nn piano inclinato si fanno scivolar in mare. Qai m
intendere FAdosto, che dar Vabrivo al naviglio, &f'
pigliare il largo, poiché gli antichi, se il legno mam o
di giiLnde portata , usavano tirarlo alquanta da pRi
in terra, per assicurarlo da* colpi del flusso e rifcr St. 89. V. 8. — Né pud stato mutar, ptrnmUsrìùa
Son parole di Dante inverse: E muta Ufffft pa-A-
niuta lato. St. 91. V. 36. — Vienna: città di Francia noi D^-
finato,— Tra il fiume e' l eeltibero monte: tra il E-
dano, fiume di Francia, e il monte Idabeda, dette f«^
tibero dal Poeta, perchò sorge in quella re^at deQi
Spagna Tarraconese, che i Romani denomiBanae Caf
tiberia. St. 96. V. 8. — Dicare: dedicare. St. 97. V. 2-8. — Ed abbia i eritii inconti: iaecls.
rabbuffati , dal latino ineompiL — Che con U Grut^
Amor, ecc. Le Gi-azie« figliuole di Giove e di Euiws«
0, com' altri dicono , di Bacco e di Venere , eraad e*
Eufrosina, Talia, ed Aglaia. Omero ne dùama oaa f%
sitea, e cosi Stazio, nel n libro della Tifoide. St. 98. V. 8. — Che dalV asse si trae chiodo cm
chiodo. Lo stesso concetto incontreremo al Cairto 1L\ St. 29; e l'usò prima il Petrarca. Tr. d'Am., caf. Bl
terz. 22: Come d'asse si trae chiodo con chiodo. St. 101. V. 8. — Non pur la sapore, che gli diapiaetw
appena l'assaporò, gli, ecc.; non prima TassapOTò, eie
gli, ecc.
CAFrO VENTESIMO^^OXO.
Stanza 47.
Triiita fine del romito esortatore* I^abolla, per serbare in pe-
Isolante sua castità, iijJucii Rodoraoìite a decapitarla. Il
pagano fabbrica imo strutto ponte sul fiume vieitio, a Tu ji ri-
Rioni i cavalieri che vi s ìnibattoiio, o gii ucfile;o we peno
lu armi a trofeo Bai cimitero d'Isabella Capita ivi Urlando,
c1j«ìi aì^uDacoii Hudomonte^ lo gelta nel tì\im% e lascia ùi-
Vìm:^! segui di sua pazzia.
0 degli uomini inferma e instabii niente !
Come niam i>restì a viir'iax disegno!
Tatti i peusier mutiamo facilmente,
Più «luel che nascua d' amoroso sdegno,
lo vidi diauKi il Saracin sì ardente
Contrii le dui] ne ^ e ijasa^ir tanto il seguo,
Olie^ uun elle spegner l'odio^ ma p e usai
Che noi dovesse intiepidirlo mai.
Donne gentil , per quel eli' & biasmo vostro
rarlò contra il dover, hi offeso sono,
Che sin clic col suo mal non gli dimostro
Quanto abbia fatto error, non gli perdono.
Io farò si con penna e con inchiostro,
Gh' ognun vedrà che gli era utile e buono
Aver taciuto, e mordersi anco poi
Prima la lingua, che dir mal di voi.
8 Ma che parlò come ignorante e sciocco,
Ve lo dimostra chiara esperienzia.
Incontra tutte trasse fuor lo stocco
Dell'ira, senza fervi differenzia:
Poi d'Isabella nn sguardo si l'ha tocco,
Che sabito gli fe mutar sentenzia.
Già in cambio di quell'altra la disia:
L'ha vista appena, e non sa ancor chi sia.
4 E come il nuo7o amor lo punge e scalda,
Muove alcune ragion di poco frutto,
Per romper quella mente intera e salda
Ch'ella avea fissa al Creator del tutto.
Ma l'Eremita, che Ve scudo e falda,
Perchè il casto pensier non sia distrutto,
Con argumenti più validi e fermi,
Quanto più può, le fa ripari e schermi.
5 Poi che l'empio Pagan molto ha sofferto
Con lunga noia quel monaco audace ,
E che gli ha detto invan ch'ai suo deserto
Senza lei può tornar, quando gli piace;
E che nuocer si vede a viso aperto,
E che seco non vuol triegua né pace;
La mano al mento con furor gli stese,
E tanto ne pelò, quanto ne prese: 6 E sì crebbe la furia, che nel collo
Con man lo stringe a guisa di tanaglia;
E poi eh* una e due volte raggirollo, Da sé per l'aria e Terso il mar lo scaglia.
Che n'avvenisse, né dico né sollo:
Varia fama è di lui, né si ragguaglia.
Dice alcun, che sì rotto a un sasso resta,
Che '1 pie non si disceme dalla testa :
7 Ed altri, eh' a cadere andò nel mare,
Ch'era più dì tre miglia indi lontano,
E che mori per non saper notare,
Fatti assai prieghie orazioni invano:
Altri, eh' un Santo lo venne aiutare,
Lo trasse al lito con visibil mano. Di queste, qual si vuol, la vera sia:
Di lui non parla più l'istoria mia. 9 E si mostrò sì costumato allora.
Che non le fece alcun segno di forza-
li sembiante gentil che l'innamora,
L' usato orgoglio in lui spegne ed ;
E benché '1 frutto trar ne possa fiiora,
Passar non però vuole oltre alla aeom;
Che non gli par che potesse esser bnoM,
Quando da lei non lo accettasse in dono.
10 E cosi di disporre a poco a poeo
A' suoi piaceri Isabella credea.
Ella, che in sì solingo e strano loco,
Qua! topo in piede al gatto, si vedea,
Vorria trovarsi innanzi in mezzo il foooo;
E seco tuttavolta rivolgea
S' alcun partito, alcuna via fosse atta
A trarla quindi immaculata e intatta 11 Fa nell'animo suo proponimento Di darsi con sua man prima la morte ,
Che '1 Barbaro crudel n'abbia il sao inteatc.
E che le sia cagion d'errar sì forte
Centra quel cavalier ch'in braccio spenui
Le avea crudele e dispietata sorte;
A cui fatto ave col pensier devoto
Della sua castità perpetuo voto. 12 Crescer più sempre 1' appetito cieco
Vede del Re pagan, né sa che farsL
Ben sa che vuol venire all'atto bieco. Ove i contrasti suoi tutti fien scarsi.
Pur discorrendo molte cose seco, Il modo trovò alfiu di ripararsi,
E di salvar la castità sua, come
Io vi dirò, con lungo e chiaro nome.
13 Al brutto Saracin, che le venia
Già centra con parole e con effetti
Privi di tutta quella cortesia Che mostrata le avea ne' primi detti: Se fate che con voi sicura io sia Del mio onor, disse, e ch'io non ne so^iettl
Cosa all'incontro vi darò, che molto
Più vi varrà, ch'avermi l'onor tolto. 8 Rodomonte crudel, poi che levato
S'ebbe da canto il garrulo Eremita,
Si ritornò con viso men turbato
Verso la donna mesta e sbigottita;
E col parlar eh' è fra gli amanti usato,
Dicea ch'era il suo core e la sua vita
E'I suo conforto e la sua cara speme,
Ed altri nomi tai che vanno insieme. 14 Per un piacer di si poco momento.
Di che n^ha sì abbondanza tutto '1 mondo.
Non disprezzate un perpetuo contento.
Un vero gaudio a nullo altro secondo.
Potrete tuttavia ritrovar cento
E mille donne dì viso giocondo;
Ma chi vi possa dar questo mio dono,
Nessuno al mondo, o pochi altri ci sono. CANTO VENTESIMONONO. 15 Ho notizia d' un' erba , e l' ho veduta
Venendo, e so dove trovarne appresso,
Che bollita con ellera e con ruta
Ad un fuoco di legna di cipresso,
£ fra mani innocenti indi' premuta,
Manda un liquor, che chi si bagna d'esso
Tre volte il corpo, in tal modo l'indura,
Che dal ferro e dal fuoco l'assicura.
16 Io dico, se tre volte se n'immolla,
Un mese invulnerabile si trova.
Oprar conviensi ogni mese l'ampolla;
Che sua virtù più termine non giova.
Io 80 far l'acqua, ed oggi ancor farolU,
Ed oggi ancor voi ne vedrete prova:
E vi può, s'io non fallo, esser più grata.
Che d'aver tutta Europa oggi acquistata.
Staiiz* 6, 7 Da voi domando in guide rdon di questo,
Che su la fetle vostra mi giuriate,
Che né In detto uè in opera molesto
Mai più sarete alla mia castimte.
Cosi dicendo, Rodomonte oiieatti
Fé ■' r i torna r , eh' 1 n tau ta tu 1 o » tate
Venne ch'innulabìl si facesse,
Cile più ch^ ella uon dis^e , le iiromes^e : 18 E serveralle finché vegga fiitto
Della mirabil acqua esperienza;
E sforzerasae intinto a non fare atto,
A nuli far aegnf) alcun di violenta,
Ma pensa puì di non tenere il patto ^
F*ercliè non ha timor né riverenza
Dì Dio u di Santi; e nel mancar di fede,
Tutta il lui la h un'iarda Afrit:a cede.
19 Ad Isabella il Re d'Algier scongiuri
Di non la molestar fé* più di mille,
Purch'essa lavorar l'acqua procuri,
Che far lo può qual fu già Cigno e Achille.
Ella per balze e per valloni oscuri
Dalle città lontana e dalle ville
Ric(tg1ie di molte erbe; e il Saracino
Non l'abbandona, e Tè sempre vicino.
20 Poi ch'in più parti, quant'era a bastanza,
Colson dell'erbe e con radici e senza.
Tardi si ritornaro alla lor stanza;
Dove quel paragon di continenza
Tutta la notte spende, che l'avanza,
A bollir erbe con molt' avvertenza :
£ a tutta l' opra e a tutti quei misteri
Si trova ognor presente il ^e d'Algierij
21 Che producendo quella notte in giuoco
Con lineili pochi servi ch'eran seco,
Sentia, per lo calor del vicin fuoco
Ch'era rinchiuso in quello angusto sfpeco,
Tal sete, che bevendo or molto or poco.
Due barili votar pieni di greco,
Ch' aveano tolto uno o duo giorni innanti
I suoi scudieri a certi viandanti.
25 Bagnossi, come disse, e lieta porse
All'incauto Pagano il collo ignudo;
Incauto, e vinto anco dal vino forse,
Incontra a cui non vale elmo né scodo.
Queir uom bestiai le prestò fede, e seofse
Si colla mano e si col ferro erodo,
Che del bel capo, già d'Amore albergo.
Fé' tronco rimanere il petto e il tergo.
26 Quel fé' tre balzi; e fanne udita diian
Voce, ch'uscendo nominò Zerbino,
Per cui seguire ella trovò si rara
Via di fuggir di man del Saracino.
Alma, ch'avesti più la fede cara,
E '1 nome, quasi ignoto e peregrino
Al tempo nostro, della castitade,
Che la tua vita e la tua verde etade;
27 Vattene in pace, alma beata e bella,
Cosi i miei versi avesson forza, come
Ben m'affaticherei con tutta qoella
Arte che tanto il parlar orna e come,
Perchè mille e mill' anni , e più novella ,
Sentisse il mondo del tuo chiaro nome.
Vattene in pace alla superna sede,
E lascia all' altre esempio di tua fede.
22 Non era Rodomonte usato al vino.
Perchè la legge sua lo vieta e danna:
E poi che lo gustò, liquor divino
Gli par, miglior che '1 nettare o la manna;
E riprendendo il rito Saracino,
Gran tazze e pieni fiaschi ne tracanna.
Fece il buon vino, ch'andò spesso intorno,
Girare il capo a tutti come un tomo.
28 All'atto incomparabile e stupendo.
Dal cielo il Creator giù gli occhi volse,
E disse: Più di quella ti commendo,
La cui morte a Tarquinio il regno tolse;
E per questo una legge fare intendo
Tra quelle mie che mai tempo non sciolge ,
La qual per le inviolabil acque gioro
Che non muterà secolo futuro. 23 La donna in questo mezzo la caldaia
Dal fuoco tolse,* ove quell'erbe cosse;
E disse a Rodomonte: Acciò che paia
Che mie parole al vento non ho mosse.
Quella che '1 ver dalla bugia dispaia ,
E che può dotte far le genti grosse.
Te ne farò l' esperienzia ancora.
Non nell'altrui, ma nel mio corpo or ora. 29 Per l'avvenir vo'che ciascuna ch'aggia
Il nome tuo, sia di sublime ingegno,
E sia bella, gentil, cortese e saggia,
E di vera onestade arrivi al segno:
Onde materia agli scrittori caggia
Di celebrare il nome inclito e degno;
Talché Parnassoy Pindo ed Elicone
Sempre Isabella, Isabella risuone. 24 Io voglio a far il saggio esser la prima
Del felice liquor di virtù pieno.
Acciò tu forse non facessi stima
Che ci fosso mortifero veneno.
Di questo bagnerommi dalla cima
Del capo giù pel collo e per lo seno:
Tu poi tua forza in me prova e tua spada
Se questo abbia vigor, se quella rada.
30 Dio cosi disse, e fé' serena intomo
L'aria, e tranquillo il mar, più che mai fosse.
Pe' r alma casta al terzo del ritorno ,
E in braccio al suo Zerbin si ricondusse.
Rimase in terra con vergogna e scorno
Quel fier senza pietà nuovo Breusse;
Che, poi che '1 troppo vino ebbe digesto
Biasmò il suo errore, e ne restò funesto.
CANTO VENTESIMONONO.
31 Placare o in parte satisfar pensosse
All'anima beata d'Isabella,
Se, poich'a morte il corpo le percosse,
Desse aUnen vita alla memoria d'ella.
TroYò per mezzo, acciò che cosi fosse.
Di convertirle quella chiesa, quella
Dove abitava, e dove ella fu uccisa.
In un sepolcro; e vi dirò in che guisa. 32 Di tutti i lochi intomo fa venire
Mastri, chi per am&rc e clii per tema;
E fatto beti seimila uomini unire,
Be' gravi Rai??i i vicin monti scema,
E ne €i una gran massa fitabìUre,
Che dalla cima era alla parte estrema
Novanta braccia* e vi rinehiade dentro
La cliiesa, che i duo amanti ave nel centro. 33 IniitA qua,si la superba mole
Che fé' Adriano air onda tiberina.
Presso al sepolcro una torre alt4i vuole;
Ch'abitarvi alcun tempo sì ilestina.
Un ponte stretto, e di due braccia sole.
Fece su T acqua clie correa vicina.
Lnngo il ponte, ma largo era sì poco,
Che dava appena a duo cavalli loco; 4 A duo cavalli che venuti a paro,
O eh' insieme si fossero scontrati:
E non avea uè sponda né riparo;
E sì potea cader da tutti i lati.
n passar tiuimli vuol che costi caro
A guerrieri o pagani o battezzati:
Che delle spoglie lor mille trofei
Promette al cimitero di costei > In dieci giorni e in manco fu perfetta
L'opra (iel ponticel^ che passa il fiume;
Ma non fu già il sepolcro così in fretta,
Né la torre condotta al suo cacume:
Pur fu levata si, ch'alia veletta
Starvi in cima una guardia avea coatnme,
Che d*ogni cavalier che venia ai ponte.
Col corno facea segno a Rodomonte. 87 Aveasi immaginato il Saracino,
Che per gir spesso a rischio di cadere
Dal ponticel nel finme a capo chinoi
Dove gli converrìa molt'acqoa bere,
Del fallo a che Tindnsse il troppo vino,
Dovesse netto e mondo rimanere;
Come l'acqua, non men che il vino, estingua
L' error che fa pel vino o mano o lingua.
StajiTa 2à-
E quel s'armava, e se gli venia a opporre
Ora su Tuna^ ora su T altra riva:
Che sei guerrier venia di vOr la torre,
3u I' altra proda il Re d^Algier veniva,
ri ponticello è il campo ove si corre;
E se '1 ilestrier poco del seguo usciva,
Uadea nel finme ^ ch'alt-o era e profondo r
Jgual perig:lio a quel non avea il mondo p
38 Sfolti fra pochi di vi capi taro*
Alcuni k via dritta vi condusse;
Ch'a quei ch-^ verso Italia o Spo^a andaro,
Altra non era che più trita fusse:
Altri l'ardire, e più che vitA caro
L' onore, a farvi di sé prova indusse;
E tutti, ove acquistar credeau la palma,
Lasciavan Tarme^ e molti insieme Talma.
39 Di quelli eh' abbattea , s' eran Pagani ,
Si contentava d'aver spoglie ed armi;
E di chi prima furo^ i nomi piaini
Vi facea sopra, e sòspeadeiale ai marmi:
Ma ritén^ in prigion tutti i Cristiani^
E che in Aigier poi li mandasse parmi.
Finita ancor non era Popra^ quando
Vi venne <a capitare il pazzo Orlando. .
stanza 29.
40 A caso venne il furioso Conte
A capitar su questa gran riviera,
Dove, com'io vi dico, Rodomonte
Fare in fretta facea, uè finita era
La torre, né il sepolcro, e appena il ponte;
E di tutt'arme, fuorché di visiera,
A quell'ora il Pagan si trovò in punto,
Gh' Orlando al fiume e al ponte è sopraggiunto.
41 Orlando (come il suo furor lo caccia)
Salta la sbarra, é sopra il ponte corre,
Ma Rodomonte con turbata faccia,
A pie, com'era innanzi alla gran torre,
Gli grida di lontano e gli minaccia,
Né se gli degna con la spada opporre:
Indiscreto villan, ferma le piante,
Temerario, importuno ed arrogante.
42 Sol per signori e cavalieri é fitto
Il ponte, non per te, bestia balorda.
Orlando, ch'era in gran pensier distratto,
Vien pur innanzi , e fa l' orecchia sorda.
Bisosrna ch'io castighi questo matto,
Disse il Pagano; e con la voglia ingorda
Venia per traboccarlo giù nell'onda.
Non pensando trovar chi gli risponda.
43 In questo tempo una gentil donzella.
Per passar sovra il ponte, al fiume arriva.
Leggiadramente ornata, e in viso bella,
E nei sembianti accortamente schiva.
Era (se vi ricorda, Signor) quella
Che per ogni altra via cercando giva
Di Brandimarte, il suo amator, vestigi.
Fuorché, dov'era, dentro di Parigi.
44 Nell'arrivar di Fiordiligi al ponte
(Che cosi la donzella nomata era),
Orlando s'attaccò con Rodomonte,
Che lo voleagittar, nella riviera.
La donna, eh' anrea pratica del Conte,
Subito n' ebbe conoscenza vera;
E restò d'alta maraviglia piena.
Della follìa ohe cosi nudo il mena.
45 Fermasi a riguardar che fine avere
Debba il furor dei duo tanto possenti.
Per far del ponte l' un- l'altro cadere
A por tutta lor forza sono intenti.
Come é eh' un pazzo debba sì valere?
Seco il fiero Pagan dice tra' denti;
E qua e là si volge e si raggira.
Pieno di sdegno e di superbia é d'ira.
46 Con l'una e l'altra man va ricercando
Far nova presa, ove il suo meglio vede:
Or tra le gambe or fuor gli pone, quamlo
Con arte il destro, e quando il manco piede.
Simiglia Rodomonte intorno a Orlando
Lo stolido orso, che sveller si crede
L'arbor onde é caduto; e come n'abbia
Quello ogni colpa, odio gli porta e rabbia.
47 Orlando, che l'ingegno avea sonimerso
Io non so dove, e sol la forza usava.
L'estrema forza, a cui per l'universo
Nessuno o raro paragon si dava;
Cader del ponte si lasciò riverso
Col Pagano, abbracciato come stava.
Cadon nel fiume, e vanno al fondo insieme
Ne salta in aria l' onda , e il lito geme.
CANTO VENTESIMONONO.
48 L'acqua li fece distaccare in fretta.
Orlando è nudo, e nuota com'un pesce:
Di qua le braccia , e di là i piedi getta ,
E viene a proda; e come di fuor esce,
Correndo va, né per mirare aspetta,
Se in biasmo o in loda questo gli riesce.
Ma il Pagau, che dalfarme era impedito,
Tornò più tardo e con più affimno ai lito.
49 Sicuramente Fiordiligi intanto
Avea passato il ponte e la riviera,
E guardato il sepolcro in ogni canto
Se del suo Brandimarte insegna v'era.
Poiché né Tarme sue vede né il manto,
Di ritrovarlo in altra parte spera.
Ma ritorniamo a ragionar del Conte,
Che lascia addietro e torre e fiume e ponte.
50 Pazzia sarà, se le pazzie d'Orlando
Prometto raccontarvi ad una ad una;
Che tante e tante fnr, ch'io non so quando
Finir : ma ve n' andrò scegliendo alcuna
Solenne ed attarda narrar cantando,
E eh' air istoria mi parrà opportuna;
Né quella tacerò miracolosa.
Che fu ne' Pirenei sopra Tolosa.
51 Trascorso avea molto paese il Conte,
Come dal grave suo furor fu spinto;
Ed alfin capitò sopra quel monte,
Per cui dal Franco é il Tarracon distinto;
Tenendo tuttavia vòlta la fronte
Verso là dove il Sol ne viene estinto :
E quivi giunse in un angusto calle.
Che pendea sopra una profonda valle.
52 Si vennero a incontrar con esso al varco
Duo boscherecci gioveni eh' innante
Avean di legna un lor asino carco:
E perchè ben s' accorsero al sembiante
Ch'avea di cervel sano il capo scarco.
Gli gridano con voce minacciante,
0 ch'addietro o da pirte se ne vada,
0 che si levi di mezzo la strada. 53 Orlando non risponde altro a quel detto,
Se non che con furor tira d'un piede,
E giunge a punto l' asino nel petto
Con quella forza che tutte altre eccede;
Ed alto il leva si, ch'uno augelletto
Che voli in aria sembra a chi lo vede
Quel va a cadere alla cima d'un colle
Ch' un mìglio oltre la valle il giogo estolle.
54 ludi verso i duo gioveni s'avventa,
Dei quali un, più che senno, ebbe avventura:
Che dalla balza che due volte trenta
Braccia cadea, si gittò per paura.
A mezzo il tratto trovò molle e lenta
Una macchia di rubi e di verzura,
A cui bastò graffiargli un poco il volto;
Del resto, lo mandò libero e sciolto.
Stanza S5.
55 L'altro s'attacca ad un scheggion ch'usciva
Fuor della roccia, per salirvi sopra;
Perché si spera, s'alia cima arriva.
Di trovar via che dal pazzo lo copra.
Ma quel nei piedi (che non vuol che viva)
Lo piglia, mentre di salir s'adopra;
E quanto più sbarrar puote le braccia.
Le sbarra si, ch'in duo pezzi lo straccia;
56 A quella guisa che veggiam talora
Farsi d'un aèron, farsi d'un pollo.
Quando si vuol delle calde interiora
Che falcone o ch'astor resti satollo.
Quanto é bene accaduto che non muora
Quel che fu a risco di fiaccarsi il collo!
Ch'ad altri poi questo miracol disse,
Sì che l'udì Turpino, e a noi lo scrisse.
57 E queste ed altre assai cose stupende
Fece nel traversar della montagna.
Dopo molto cercare, alfin discende
Verso merigge alla terra di Spagna;
E lungo la marina il cammin prende
Oh' intomo a Tarracona il lito bagna:
E come vuol la furia che lo mena,
Pensa farsi uno albergo in quell'arena,
58 Dove dal Sole alquanto si ricopra;
E nel sabbion si caccia arido e trito.
Stando così, gli venne a caso sopra
Angelica la bella e il suo marito,
Ch'eran (siccome io vi narrai di sopra)
Scesi dai monti in su T Ispano lito.
A men d'un braccio ella gli giunse appresso.
Perchè non s'era accorta ancora d'esso.
63 Come Orlando sentì battersi dietro,
Girossi, e nel girare il pugno strinse,
E con la forza che passa ogni metro,
Ferì il destrier che '1 Saracino spinse.
Ferii sul capo; e come fosse vetro,
Lo spezzò si, che quel c^ivallo estinse,
E rivoltosse in un medesmo istante
Dietro a colei che gli fiijgia innante.
64 Caccia Angelica
E con sferza e con
Che le parrebbe a
Sebben volasse più
Dell' anel e' ha nel
Che può salvarla,
E Panel, che nuu
La fa sparir come
in fretta la giumenta,
spron tocca e ritocca:
quel bisogno lenta,
che strai da cocca-
dito si rammenta,
e se lo getta in bocca:
perde il suo costume,
ad un soffio il lume.
59 Che fosse Orlandj), nulla le sovviene;
Troppo è diverso da quel eh' esser suole.
Da indi in qua che quel furor lo tiene,
È sempre andato nudo all'ombra e al Sole.
Se fosse nato all'aprica Siene,
0 dove Ammone il Garamante cole,
0 presso ai monti onde il gran Nilo spiccia.
Non dovrebbe la carne aver più arsiccia.
60 Quasi ascosi avea gli occhi nella testa.
La faccia macra, e come un osso asciutta,
La chioma rabbuffata, orrida e mesta,
La barba folta, spaventosa e brutta.
Non più a vederlo Angelica fu presta,
Che fosse a ritornar, tremando tutta:
Tutta tremando, e empiendo il ciel di grida,
Si volse per aiuto alla sua guida.
61 Come di lei s'accorse Orlando stolta,
Per ritenerla si levò di botto:
Così gli piacque il delicato volto.
Così ne venne immantinente ghiotto.
D'averla amata e riverita molto
Ogni ricordo era in lui guasto e rotto.
Le corre dietro, e tien quella maniera
Che terria il cane a seguitar la fera.
62 II giovine, che '1 pazzo seguir vede
La donna sua, gli urta il cavallo addosso,
E tutto a un tempo lo percuote e fiede,
Come lo trova che gli volta il dosso.
Spiccar dal busto il capo se gli crede:
Ma la pelle trovò dura come osso,
Anzi via più ch'acciar; ch'Orlando nato
Impenetrabile era ed affatato.
65 0 fosse la paura, o che pigliasse
Tanto disconcio nel mutar l'anello,
Oppur che la giumenta traboccasse,
Che ncn posso affermar questo né quello;
Nel medesmo momento che si trasse
L'anello in bocca, e celò il viso bello,
Levò le gambe, e usci dell'arcione,
E si trovò riversa in sul sabbione,
66 Più corto che quel salto era due dita
Avviluppata rimanea col matto.
Che con l'urto le avria tolta la vita.
Ma gran ventura l'aiutò a quel tratto.
Cerchi pur eh' altro furto le dia aita
D'un' altra bestia, come prima ha fatto;
Che più non è per riaver mai questa,
Ch'innanzi al Paladin l'arena pesta.
67 Non dubitate già eh' ella non s' abbia
A provvedere; e seguitiamo Orlando,
In cui non cessa l'impeto e la rabbia,
Perchè si vada Angelica celando.
Segue la bestia per la nuda sabbia,
E se le vien più sempre approssimando:
Già già la tocca , ed ecco l' ha nel crine ,
Indi nel freno , e la ritiene alfine.
68 Con quella festa il Paladin la piglia,
Ch'un altro avrebbe fatto una donzella:
Le rassetta le redine e la brìglia,
E spicca un salto, ed entra nella sella;
E correndo la caccia molte miglia,
Senza riposo , in questa parte e in quella :
Mai non le leva né sella né freno ,
Né le lascia gustare erba né fieno.
CANTO VENTESIMONONO.
69 Volendosi cacciare oltre una fossa,
Sozzopra se ne va con la cavalla.
Non nocque a lui, né senti la percossa;
Ma nel fondo la misera si spalla.
Non vede Orlando come trar la possa ,
E finalmente se l'arreca in spalla,
E su ritorna, e va con tutto il carco,
Quanto in tre volte non trarrebbe un arco.
70 Sentendo poi cbe gli gravava troppo ,
La pose in terra, e volea trarla a mano:
Ella il seguia con passo lento e zoppo.
Dicea Orlando: Cammina; e dicea invano.
Se l'avesse seguito di galoppo.
Assai non era al desiderio insano.
Alfin dal capo le levò il capestro ,
E dietro la legò sopra il pie destro:
71 E cosi la trascina, e la conforta
Che lo potrà seguir con maggior agio.
Qual leva il pelo , e quale il cuoio porta ,
Dei sassi ch'eran nel cammin malvagio.
La mal condotta bestia restò morta
Finalmente di strazio e di disagio.
Orlando non le pensa e non la guarda;
E via correndo, il suo cammin non tarda.
72 Di trarla, anco che morta , non rimase.
Continuando il corso ad occidente :
E tuttavia saccheggia ville e case,
Se bisogno di cibo aver si sente;
E frutte e carne e pan , pur eh' egli invase ,
Rapisce, ed usa forza ad ogni gente:
Qual lascia morto , e qual storpiato lassa;
Poco si ferma, e sempre innanzi passa.
73 Avrebbe così fatto , o poco manco ,
Alla sua donna, se non s'ascondea;
Perchè non discemea il nero dal bianco ,
E di giovar , nocendo , si credea.
Deh maledetto sia Panello, ed anco
Il cavalier che dato le Tavea!
Che se non era , avrebbe Orlando fatto
Di sé vendetta e di mill' altri a un tratto.
74 Né questa sola, ma fosser pur state
In man d'Orlando quante oggi ne sono:
Ch'ad ogni modo tutte sono ingrate,
Né si trova tra lor oncia di buono.
Ma prima che le corde rallentate
Al Canto disugual rendano il suono,
Fia meglio diiferirlo a un'altra volta,
Aoiò men sia noioso a chi l'ascolta. NOTE.
^T. 4. V. 5. — Falda: qui per difesa deUa persona,
come lorica^ ecc. St. 6. V. 6. — Né si ragguaglia : non è concorde. St. 17. V. 7. — Inviolabil: invulnerabile. St. 19. V. 4. — Cigno : personaggio mitologico, diverso
dal re ligure nominato nella Stanza 34 del Canto III.
I poeti lo finsero figliuol di Nettuno , e invulnerabile
come Achille. St. 23. V. 5. — Dispaia : separa, disceme. St. 27. V. 4. — Come : fa bello ; voce latina. St. 28. Y. 4 7. — La cui morte^ ecc. Parla di Lucrezia
moglie di GoUatino, violata da Sesto Tarquinio ; onde la
cacciata di quella famiglia da Roma. — Per le inviolabil
acque: per la palude Stigia; fìrase adoperata dai poeti,
ond'esprìmere il giuramento inviolabile degli Dei. St 30. V 3 8. — Al terzo del : al cielo di Venere, sede
delle anime innamorate. — Breusse : personaggio cru-
dele di cui parlano i romanci della Tavola Rotonda,
ivi pure soprannominato senza pietà. — Funesto : fu-
nestato, afflitto. St. 33. V. 1-2. — La superba mole, ecc. : il sepolcro
di Adriano sul Tevere, ora Castel Sant'Angelo. ^T. 35. V. 4-5. — Cacume: cima. St. 51. V. 4. — Tarraeon , V abitante della Spagna
Tarragonese, ossia dell'Aragona. St. 54. V. 5-6. — Lenta: qui cedevol\ — Rubi: rovi. St. 56. V. 2. — Aeron : aironei grande uccello acqua-
tico. St. 59. V. 5-7. — Ali* aprica Siene: città d' Egitto,
detta dai Latini Sence, ai confini deirEtiopia , sotto la
zona torrida. — 0 dove Ammone il Garamante cole.
Oaramanti chiamaronsi alcuni popoli della Libii, ora
forse i TibbouSf come altrove si è detto ; Ivi fu il tempio
e roracolo di Giove Ammone. — 0 presso ai monti, ecc.
Ai monti della Luna in Etiopia. St. 64 V. 4. — Cocca : la tacca della fi-eccia, dov' entra
la corda dell'arco; e qui, per estensione, l'arco stesso
0 il luogo della corda dove si posa la freccia. St. 72. V. 5. — Purch'egli invase: purché invasi, metta
nel vaso, ossia nel ventre; mangi.
CANTO TRENTESIMO.
Altre <^'.raiie pa^zìA di Orlando. MilnirJosfdo « Rdgifi«ro
combattono inslome perlo hcuiIo di Ettore e perla ■pi4i
di Orlando. Euggiero vi rf^sta ferito, e Mandrti?fttdo vi
muore. Bradamanti^ riceve di Ippalualaktefiradi Rmg.
j^E^rOf 1^ Hi duote di |ui.Hina)<lo vienfi a MontalbaoUp
e cotiduee ssco i fratelli e i cugini in «ìitto di Carlo'
Quaulo vincer dall' impeto e dall' im
Si hm^ k ragion ^ né si difende ,
E che '1 cieco farar sì iananzi tira
0 TU Lino 0 Jiu^ia s clic gli amici offende ;
^'ebbeii di poi si piange g sì sospira ,
ìsùa è per q^uesto che l'errot a' emende.
Jjasso! io mi doglio e affliggo invan di quanto
Pi^si per ira al Jin dell* altro Canto.
Ma simile son fatto ad uno infenno ,
CLCt dopo molta pazi'enzia e molta.
Quando contraU dolor non ha pia schermo
Cede alla nebbia, e a besttìmiuiar sì volta.
Manca il dolor , uè l' impeto ata fermo ,
Che la lingaa al dir mal facea si sciolta:
£ si ravvede e peate, e u'ha dispetto;
Ma quel c^ ha detto , non può far non detto.
CANTO TRENTESIMO.
Stanza 8. 3 Ben spero , donne , in vostra cortesia
Aver da voi perdon , poich' io ve '1 chieggio.
Voi scuserete, che per frenesia,
Vinto dall' aspra passì'on , vaneggio.
Date la colpa alla nimica mia.
Che mi £& star, chMo non potrei star peggio;
E mi fa dir quel di eh* io son poi gramo :
Sallo Iddio, s'ella ha il torto; essa, sMo Pamo. Non men Fon fuor di me, che fosse Orlando;
E non son men di lui di scusa degno.
Ch'or per li monti, or per le piaggie errando.
Scorse in gran parte di Marsilio il regno,
Molti di la cavalla strascinando
Morta , com' era , senza alcun ritegno ;
Ma giunto ove un gran fiume entra nel mare,
Gli fu forza il cadavere lasciare.
5 E perchè sa nuotar come una lontra,
Entra nel fiume, e surge air altra riva.
Ecco un pastor sopra un cavallo incontra,
Che per abbeverarlo al fiume arriva.
Colui , benché gli vada Orlando incontra ,
Perchè egli è solo e nudo, non lo schiva.
Vorrei del tuo ronzin, gli disse il matto,
Con la giumenta mia far un baratto.
6 Io te la mostrerò di qui se vuoi;
Che morta là su V altra ripa giace :
La potrai far tu medicar di poi :
Altro difetto in lei non mi dispiace.
Con qualch^ aggiunta il ronzi n darmi puoi :
Smontane in cortesia, perchè mi piace.
Il pastor ride, e senz' altra risposta
Va verso il guado, e dal pazzo si scosta.
7 Io voglio il tuo cavallo: olà, non odi?
Soggiunse Orlando , e con furor si mosse.
Avea un baston con nodi spessi e sodi
Quel pastor seco , e il Paladin percosse.
La rabbia e l'ira passò tutti i modi
Del Conte, e parve fier più che mai fosse.
Sul capo del pastore un pugno serra,
Che spezza Fosso, e morto il caccia in terra.
8 Salta a cavallo, e per diversa strada
Va discorrendo , e molti pone a sacco.
Non gusta il ronzin mai fieno né biada;
Tanto chMn pochi di ne riman fiacco:
Ma non però ch'Orlando a piedi vada,
Che di vetture vuol vivere a macco;
E quante ne trovò, tante ne mise
In uso, poi che i lor patroni uccise.
9 Capitò alfin a Malega , e più danno
Vi fece, ch'egli avesse altrove fatto;
Che , oltre che ponesse a saccomanno
il popol sì, che ne restò disfatto.
Né si potè rifar quel né Paltr'anno,
Tanti n'uccise il periglioso matto,
Vi spianò tante case , e tante accese ,
Che disfè più che '1 terzo del paese.
10 Quindi partilo , venne ad una terra,
Zizera detta, che siede allo stretto
Di Zibeltarro , o vuoi di Zibelterra ,
Che l' uno e l' altro nome le vien detto;
Ove una barca che sciogliea da terra,
Vide piena di gente da diletto.
Che sollazzando all'aura mattutina
Già per la tranquillissima marina.
1 1 Cominciò il pazzo a gridar forte : Ajspetti :
Che gli venne disio d'andare in barca.
Ma bene invano e i gridi e gli urli getta;
Che volentier tal merce non si carca.
Per l'acqua il legno va con quella fretta.
Che va per l'aria irondine che varca.
Orlando urta il cavallo e batte e stringhe,
E con un mazzafrusto all'acqua spinge.
12 Forza è ch'alfin nell'acqua il cavaro entic,
Ch'invan contrasta, e spende invano ogni opra:
Bagna i ginocchi e poi la groppa e '1 ventre ,
Indi la testa, e appena appar di sopra.
Tornare addietro non si speri, mentre
La verga tra l'orecchie se gli adopra.
Misero ! o si convlen tra via affogare ,
0 nel lito african passare il mare.
13 Non vede Orlando più poppe né sponde.
Che tratto in mar l'avean dal lito asdutto;
Che son troppo lontane, e le nasconde
Agli occhi bassi 1' alto e mobil flutto :
E tuttavia il destrier caccia tra Tonde;
Ch' f ndar di là dal mar dispone in tutttì.
Il destrier , d' acqua pieno e d' alma vóto ,
Finalmente finì la vita e il nuoto.
14 Andò nel fondo , e vi traea la salma .
Se non si tenea Orlando in su le braccia.
Mena le gambe , e l' una e l' altra palma ,
E soffia , e l' onda spinge daUa faccia.
Era Paria soave, e il mare in calma:
E ben vi bisognò più che bonaccia;
Ch' ogni poco che U mar fosse più sorto ,
Restava il Paladin nell'acqua morto.
15 Ma la Fortuna, che dei pazzi ha cura.
Del mar lo trasse nel lito di Setta, In una spiaggia , lungi dalle mura ,
Quanto sarian duo tratti di saetta.
Lungo il mar molti giorni alla ventura
Verso Levante andò correndo in fretta.
Finché trovò , dove tendea sul lito ,
Di nera gente esercito infinito. 16 Lasciamo il Paladin ch'errando vada;
Ben di parlar di lui tornerà tempo.
Quanto, Signor, ad Angelica accada
Dopo ch'usci di man del pazzo a tempo,
E come a ritornare in sua ( ijtrada
Trovasse e buon navilio e miglior tempo ,
E dell' India a Medor desse lo scettro ,
Forse altri canterà con miglior plettro.
CANTO TRENTESIMO. 17 Io sono a dir tante altre cose intento,
Che di seguir più questa non mi cale.
Volger convierarai il bel ragionamento
Al Tartaro che , spinto il suo rivale ,
Quella bellezza si godea contento ,
A cui non resta in tutta Europa eguale,
Poscia che se n'è Angelica partita,
E la casta Isabella al ciel salita.
18 Della sentenzia Maniricardo altiero,
Ch' in suo favor la bella donna diede ,
Non può fruir tutto il diletto intero;
Che contra lui son altre liti in piede.
L' una gli muove il giovene Ruggiero ,
Perchè P aquila bianca non gli cede;
L' altra il famoso re di Sericana ,
Che da lui vuol la spada Durindana.
19 S^ affatica Agramante , uè disciorre ,
Né Mnrsilio con lui , sa questo intrico :
Né solamente non li può disporre
Che voT^lia Pun dell'altro esser amico;
Ma che Ruggiero a Mandricardo torre
Lasci lo scudo del Troiano antico,
0 Gradasso la spada non gli vieti,
Tanto che questa o quella lite accheti.
20 Ruggler non vuol ch'in altra pugna vada
Con lo suo scudo; né Gradasso vuole
Che', fuor che contra sé, porti la spada
Che '1 glorioso Orlando portar suole. •
Alfin veggìamo in cui la sorte cada,
Disse Agramante, e non sian più parole:
Veggiam quel che Fortuna ne disponga,
E sia preposto quel ch'ella preponga.
Stanza 12.
21 E se compiacer meglio mi volete,
Onde d'aver ve n'abbia obbligo ognora,
Chi de' di voi combatter sortirete;
Ma con patto, ch'ai primo che esca fuora,
Aniendue le querele in man porrete;
Sì che , per sé vincendo , vinca ancora
Pel compagno ; e perdendo l' un di vui ,
Così per luto abbia per ambidui.
22 Tra Gradasso e Ruggier credo che sia
Di valor nulla o poca differenza
E di lor qual si vuol venga fuor pria,
So eh' in arme farà per eccellenza ;
Poi la vittoria da quel canto stia ,
Che vorrà la divina Provvidenza.
11 cavalier non avrà colpa alcuna,
Ma il tutto imputerassi alla Fortuna.
23 Steron taciti al detto d';Agramante
E Ruggiero e Gradasso; ed accordarsi
Che qualunque di loro uscirà innante,
E l' una briga e V altra abbia a pigliarsi.
Così in duo brevi ch'avean simigliante
Ed egual forma, i nomi lor notarsi;
E dentro un' urna quelli hanno rinchiusi ,
Versati molto , e sozzopra confusi.
24 Un semplice fanciul nell' urna messe
La mano, e prese un breve; e venne a caso
Ch'in questo il nome di Ruggier si lesse.
Essendo quel del Serican rimaso.
Non si può dir quanta allegrezza avesse
Quando Ruggier si senti trar del vaso,
E d'altra parte il Sericano doglia;
Ma quel che manda il ciel, forza è che toglia.
25 Ogni suo stadio il Sericaoo, ogni opra
A favorire , ad aintar converte ,
Perchè Ruggiero abbia a restar di sopra;
E le cose in suo prò , eh' avea già esperte ,
Come or di spada, or di scudo si copra,
Qual sien botte fallaci, e qual sien certe,
Quando tentar , quando schivar fortuna
Si dee, gli torna a mente ad una ad una.
stanza 37.
26 II resto di quel di che dair accordo
E dal trar delle sorti sopravanza,
É speso dagli amici in dar ricordo,
Chi all'un guerrier, chi all'altro, com'è usanza.
Il popol , di veder la pugna ingordo ,
S'affretta a gara d'occupar la stanza:
Né basta a molti innanzi giorno andarvi , Che voglion tutta notte anco veggiarvi.
27 La sciocca turba disìosa attende
Ch'i duo buon cavalier vengano in prova;
Che non mira più lungi né comprende
Di quel ch'innanzi agli occhi si ritrova.
Ma Sobrino e Marsilio, e chi più intende,
E vede ciò che nuoce e ciò che giova,
Biasma questa battaglia , ed Agramante , Che voglia comportar che vada innante.
28 Né cessan raccordargli il grave danoo
Che n' ha d' avere il popol Saracino ,
Muora Ruggiero o il Tartaro tiranno ,
Quel che prefisso è dal suo fier destino:
D'un sol di lor via più bisogno avranno
Per contrastare al figlio di Pipino,
Che di dieci altri mila che ci sono,
Tra'quai fatica è ritrovare un buono.
29 Conosce il re Agramante che gli è Tero;
Ma non può più negar ciò e' ha promesso.
Ben prega Mandricardo e il buon Raggiero
Che gli ridonin quel c'ha lor concesso:
E tanto più , che '1 lor litigio è un zero ,
Né degno in prova d' arme esser rimesso :
E s' in ciò pur noi vogliono ubbidire ,
Veglino almen la pugna differire. 30 Cinque o sei mesi il singular certame,
0 meno o più, si differisca, tanto Che cacciato abbin Carlo dal reame.
Tolto lo scettro , la corona e il manto.
Ma r nn e l' altro , ancorché vogUa e brame
Il Re ubbidir , pur sta duro da canto ;
Che tale accordo obbrobrioso stima
A chi '1 consenso suo vi darà prima.
31 Ma più del Re, ma più d' ognun ch'invano
Spenda a placare il Tartaro parole, La bella figlia del re Stordilano
Supplice il priega , e si lamenta e duole :
Lo prega che consenta al Re africano,
E voglia quel che tutto il campo vuole;
Si lamenta e si duol che per lui sia
Timida sempre e piena d'angonia. 32 Lassa! dicea, che ritrovar poss'io
Rimedio mai, eh' a riposar mi vaglia,
S'or centra questo, or quel, nuovo disio
Vi trarrà sempre a vestir piastra e maglia?
C'ha potuto giovare al petto mio Il gaudio che sia spenta la battaglia
Per me da voi centra quell'altro presa,
Se un'altra non minor se n'è già acoesa? 83 Oimè! ch'invano i'me n'andava altiera
Ch' un Re sì deguo , un cavalier si forte
Per me volesse in perigliosa e fiera
Battaglia porsi al risco della morte;
Ch'or veggo per cagion tanto leggiera
Non meno esporvi alla medesma sorte.
Fu naturai ferocità di core,
Ch'a quella v'instigò, più che'l mio amore. CANTO TRENTESIMO. 34 3ra se gli è ver cheU vostro amor sia quello
Che vi sforzate di mostrarmi ognora,
Per lui vi prego, e per quel gran flagello
Che mi percuote Palma e che m'accora,
Che non vi caglia se'l candido augello
Ha nello scudo quel Ruggiero ancora.
Utile 0 danno a voi non so eh' importi ,
Che lasci quella insegna, o che la porti.
35 Poco guadagno, e perdita uscir molta
Della hattaglia può, che per far sete.
Quando ahhiate a Ruggier l'aquila tolta,
Poca mercè d'un gran travaglio avrete;
Ma se Fortuna le spalle vi volta
(Che non però nel crin presa tenete).
Causate un danno , eh' a pensarvi solo
Mi sento il petto già sparar di duolo.
Stanza 46.
36 Quando la vita a voi per voi non sia
Cara, e più amate un'aquila dipinta,
Vi sia almen cara per la vita mia :
Non sarà l'una senza l'altra estinta.
Non già morir con voi grave mi fia :
Son di seguirvi ii^ vita e in morte accinta ;
Ma non vorrei morir si mal contenta,
Come io morrò , se dopo voi son spenta.
38 Deh, vita mia, non vi mettete affanno.
Deh non, per Dio, di cosi lieve cosa,
Che se Carlo e'I re d'Africa, e ciò ch'hanno
Qui di gente moresca e di franciosa,
Spicgasson le handiere in mio sol danno ,
Voi pur non ne dovreste esser pensosa.
Ben mi mostrate in poco conto avere
Se per me un Ruo^gier sol vi fa temere.
37 Con tai parole e simili altre assai,
Che lacrime accompagnano e sospiri.
Pregar non cessa tutta notte mai,
Perch' alla pace il suo amator ritiri.
E quel, suggendo dagli umidi rai
Quel dolce pianto, e quei dolci martiri
Dalle vermiglie labhra più che r-si,
Lacrimando egli ancor, così rispose:
39 E vi dovria pur rammentar che, solo
(E spada io non avea né scimitarra) ,
Con un troncon di lancia a un grosso stuolo
D'armati cavalier tolsi la sbarra.
Gradasso, ancor che con vergogna e duolo
Lo dica , pure , a chi '1 domanda, narra
Che fa in Boria a un Castel mio prigioniero;
Ed è pur d' altra fama , che Ruggiero.
40 Non niega similmente il re Gradasso,
E sallo Isolier vostro e Sacripante,
Io dico Sacripante il re Circasso.
El famoio Grifone ed Aquilante.
Cent' altri e più. che pure a questo passo
Stati eran presi alcuni giorni innante ,
Macomettani e gente di battesmo,
Che tutti liberai quel di medesmo.
41 Non cessa ancor la meraviglia loro
Della gran prova eh' io feci quel giorno ,
Maggior che se l'esercito del Moro
E del Franco inimici avessi in tomo.
Ed or potrà Ruggier, giovine soro,
Farmi da solo a solo o danno o scorno?
Ed or e' ho Durindana e l'armatura
D' Ettor , vi de' Ruggier metter paura ?
42 Deh perchè dianzi in prova non venn'io,
Se far di voi con Tarme io potea acquisto?
So che v'avrei si aperto il valor mio,
Ch'avreste il fin già di Ruggier previsto.
Asciugate le lacrime, e per Dio
Non mi fate uno augurio così tristo ;
E siate certa che 'l mio onor m' ha spinto :
Non nello scudo il bianco augel dipinto.
43 Cosi disse egli; e molto ben risposto
Gli fu dalla mestissima sua donna.
Che non pur lui mutato di proposto,
Ma di luogo avria mossa una colonna.
Ella era per dover vincer lui tosto,
Ancor eh' armato , e eh' ella fosse in gonna ;
E l'avea indotto a dir, se'l Re gli parla
D'accordo più, che volea contentarla.
44 E lo facea : se non tosto eh' al Sole
La vaga Aurora fé* l' usata scorta ,
L'animoso Ruggier, che mostrar vuole
Clie con ragion la bella aquila porta,
Per non udir più d'atti e di parole
Dilazi'on, ma far la lite cort-a.
Dove circonda il popol lo steccato,
Sonando il corno, s'appresenta armato.
45 Tosto che sente il Tartaro superbo
Ch'alia battaglia il suono altier lo sfida.
Non vuol più dell'accordo intender verbo,
31 a si lancia del letto, ed arme grida;
E si dimostra sì nel viso acerbo.
Che Doralice i stessa non si fida
I>i dirgli più di pace né di triegua:
E forza è infin che la battaglia segua.
46 Subito s'arma, ed a fatica aspetta
Da' suoi scudieri i debiti servigi:
Poi monta sopra il buon cavallo in fretta.
Che del gran difensor fu di Parigri ;
E vien correndo inver la piazza eletta
A terminar con l'arme i gran liti^.
Vi giunse il Re e 1» Corte allora allora:
Sì eh' all' assalto fu poca dimora.
47 Posti lor furo ed allacciati in testa
I lucidi elmi, e date lor le latce.
Segue la tromba a dare il segno presta.
Che fece a mille impallidir le guance.
Posero l'aste i cavalieri in resta,
E i corridori punsero alle pance:
E venner con tale impeto a ferirsi ,
Che parve il ciel cader, la terra aprirsi.
48 Quinci e quindi venir si vede il branco
Augel che Giove per l' aria sostenne ;
Come nella Tessalia si vide anco
Venir più volte, ma con altre penne.
Quanto sia l'uno e l'altro ardito e franco.
Mostra il portar delle massicce antenne;
E molto più, eh' a quello incontro duro
Quai torri ai venti, o scogli air onde furo.
49 I tronchi fin al ciel ne sono ascesi,
Scrive Turpin, verace in questo loco,
Che dui 0 tre giù ne tornare acctsi ,
Ch'eran saliti alla sfera del fuoco.
I cavalieri i brandi aveano presi :
E come quei che si temeano poco.
Si ritomaro incontra; e a prima giunta
Ambi alla vista si ferir di punta.
50 Ferirsi alla visiera al primo tratto;
E non miraron, per mettersi in terra,
Dare ai cavalli morte, eh' è mal' atto,
Perch' essi non han colpa della guerra.
Chi pensa che tra lor fosse tal patto ,
Non sa l' usanza antiqua ^ e di molto erra :
Senz' altro patto , era vergogna e fello
E biasmo eterno a chi feria il cavaUo.
51 Feiìrsi alla visiera, ch'era doppia,
Ed appena anco a tanta furia resse.
L'un colpo appresso all'altro si raddoppia:
Le botte , più che grandine , son spesse ,
Che spezza fronde e rami e grano e stoppia,
E uscir invan fa la sperata messe.
Se Durindana e Balisarda taglia
Sapete, e qaanto in queste mani vaglia.
CANTO TRENTESIMO.
52 Ma degno dì sé colpo ancor non fanno,
Si r uno e r altro ben sta su l' avviso.
Uscì da Maudricardo il primo danno ,
Per cui fu quasi il buon Ruggiero ucciso.
D' uno di quei gran colpi che far sanno ,
Gli fa lo scudo pel mezzo diviso ,
E la corazza apertagli di sotto;
E fin sul vivo il crudel brando ha rotto.
03 L'aspra percossa agghiacciò il cor nel petto,
Per dubbio di Ruggiero, ai circonstmti ,
Nel cui favor si conoscea lo affetto
Dei più inchinar, se non di tutti quanti.
E se Fortuna ponesse ad effetto
Quel che la maggior parte vorria innanti,
Già Mandricardo sana morto o preso:
Si che M suo colpo ha tutto il campo offeso.
54 Io credo che qualche agnol sMnterpose
Per salvar da quel colpo il cavaliere.
Ma ben senza più indugio gli rispose,
Terribil più che mai fosse, Ruggiero.
La spada in capo a Mandrìcardo pose;
Ma sì lo sdegno fu subito e fiero,
E tal fretta gli fe\ ch'io men T incolpo
Se non mandò a ferir di taglio il colpo.
55 Se Balisarda lo giungea pel dritto.
L'elmo d'Ettorre era incantato invano.
Fu sì del colpo Mandricardo afflitto,
Che si lasciò la briglia uscir di mano.
D' andar tre volte accenna a capo fìtto ,
Mentre scorrendo va d'intorno il piano
Quel Brigliador che conoscete al nome,
Dolente ancor delle mutate some.
58 E Balisarda al suo ritorno trasse
Di fuori il sangue tiepido e vermiglio,
E vietò a Durindana che calasse
Impetuosa con tanto periglio:
Benché fin su la groppa si piegasse
Ruggiero , e per dolor strignesse il ciglio :
E s'elmo in capo avea di peggior tempre,
Gli era quel colpo memorabil sempre.
Stanza 49.
56 Calcata serpe mai tanto non ebbe.
Né ferito leon, sdegno e furore,
Quanto il Tartaro , poi che si riebbe
Dal colpo che di sé lo trasse fuore :
E quanto l'ira e la superbia crebbe.
Tanto e più crebbe in lui forza e valore.
Fece spiccare a Brigliadoro un salto
Verso Ruggiero, e alzò la spada in alto.
57 Levossi in su le staffe, ed all'elmetto
S2gnògli, e si credette veramente
Partirlo a quella volta fin al petto :
Ma fu^i lui Ruggier più diligente;
Che pria che'l braccio scenda al duro effeito,
Gli caccia sotto la spada pungente,
E gli fa nella magb'a ampia finestra,
Che sotto difendea l'ascella destra.
59 Ruggier non cessa , e spinge il suo cavallo
E Mandricardo al destro fianco trova.
Quivi scelta finezza di metallo ,
E ben condutta tempra poco giova
Centra la spada che non scende in fallo ,
Che fu incantata non per altra prova .
Che per far eh' a' suoi colpi nulla vaglia
Piastra incantata ed incantata maglia*
60 Taglionne quanto ella ne prese, e insieme
Lasciò ferito il Tartaro nel fianco ,
Che '1 ciel bestemmia , e di tant' ira freme ,
Che'l tempestoso mare è orribil manco.
Or s'apparecchia a por le forze estreme:
Lo scudo ove in azzurro è l'augel bianco,
Vinto da sdegno, si gittò lontano
E messe al brando e l'una e l'altra mano.
61 Ah , disse a lui Ruggier , senza più basti
A mostrar che non mertì quella insegna,
Ch' or tu la getti , e dianzi la tagliasti :
Né potrai dir mai più che ti convegna.
Cosi dicendo, forza è ch'egli attasti
Con quanta furia Durindana vegna;
Che sì gli grava e si gli pesa in fronte,
Che più leggier potea cadervi un monte :
stanza 67.
62 E per mezzo gli fende la visiera;
Buon per lui, che dal viso si discosta:
Poi calò su Tarcion che ferrato era,
Né lo difese averne doppia crosta:
Giunse alfin su T arnese, e come cera
L'aperse con la falda soprapposta;
E feri gravemente nella coscia
Ruggier, si ch'assai stette a guarir poscia.
63 Dell' un, come dell'altro, fatte rosse
n sangue l'arme avea con doppia riga;
Talché diverso era il parer, chi fosse
Di lor, ch'avesse il meglio in quella briga.
Ma quel dubbio Ruggier tosto rimosse
Con la spada che tanti ne castiga:
Mena di punta, e drizza il colpo crudo
Onde gittato avea colui lo scudo.
64 Fora della corazza il lato manco ,
E di venire al cor trova la strada;
Che gli entra più d'un palmo sopra il fiasca
Sì che convien che Mandricardo cada
D'ogni ragion che può nell'augel bianco,
0 che può aver nella famosa spada;
E della cara vita cada insieme,
Che, più che spada e scudo, assai gli preme.
65 Non mori quel meschin senza vendetta:
Ch' a quel medesmo tempo che fu edito ,
La spada , poco sua , menò di fretta ;
Fd a Ruggier avria partito il volto ,
Se già Ruggier non gli avesse intercetta
Prima la forza, e assai del vigor tolto.
Di forza e di vigor troppo gli tolse
Dianzi, che sotto il destro braccio il colse.
<)6 Da Mandricardo fu Ruggier percosso
Nel punto ch'egli a lui tolse la vita;
Tal eh' un cerchio di ferro , anco che grosso .
E una cuffia d'acciar ne fu partita.
Durindana tagliò cotenna ed osso,
E nel capo a Ruggiero entrò due dita.
Ruggier stordito in terra si riversa .
E di sangue nn ruscel dal capo versa.
67 n primo fa Ruggier ch'andò per terra .
E di poi stette l' altro a cader tanto ,
Che quasi crede ognun che della guerra
Riporti Mandricardo il pregio e il vanto:
E Doralice sua , che con gli altri erra ,
E che quel dì più volte ha riso e pianto.
Dio ringraziò con mani al ciel supine,
Ch'avesse avuta la pugna tal fine.
68 Ma poi ch'appare a manifesti segni
Vivo chi vive, e senza vita il morto
Nei petti de'fautor mutano i regni;
Di là mestizia, e di qua vien conforto.
1 Re , i Signori , i cavalier più degni ,
Con Ruggier eh' a fatica era risorto ,
A rallegrarsi ed abbracciarsi vanno,
E gloria senza fine e onor gli danno.
69 Ognun s' allegra con Ruggiero , e sente
Il medesmo nel cor, e' ha nella bocca.
Sol Gradasso il pensiero ha differente
Tutto da quel che fuor la lingua sSòcca.
Mostra gaudio nel viso, e occultamente
Del glorioso acquisto invidia il tocca;
E maledice o sia destino o caso,
II qual trasse Ruggier prima del vaso.
CANTO TRENTESIMO.
70 Che dirò del favor , che delle tante
Carezze e tante, affettuose e vere,
Che fece a quel Ruggiero il re Agramante ,
Senza il qual dare al vento le handìere,
Né volse muover d'Africa le piante,
Né senza lui si fidò in tante schiere?
Or che del re Agricane ha spento il seme,
Prezza più lui, che tutto il mondo insieme.
71 Né di tal volontà gli uomini soli
Eran verso Ruggier, ma le donne anco,
Che d'Africa e di Spagna fra gli stuoli
Eran venute al tenitorio franco.
E Doralice istessa, che con duoli
Piangea ramante suo pallido e bianco,
Forse con P altre ita sarebbe in schiera.
Se di vergogna un duro firen non era.
Stanza 93.
72 Io dico forse, non ch'io ve raccerti,
Ma potrebbe esser stato di leggiero;
Tal la bellezza, e tali erano i merti,
I costumi e i sembianti di Ruggiero.
Ella, per quel che già ne siamo esperti.
Sì facile era a variar pensiero ,
Che per non si veder priva d' amore ,
Avria potuto in Riiggier porre il core.
73 Per lei buono era vivo Mandricardo :
Ma che ne volea far dopo la morte?
Provveder le convien d'un che gagliardo
Sia notte e di ne' suoi bisogni , e forte.
Non era stato intanto a venir tardo
Il pii\ perito medico di corte ,
Che di Ruggier veduta ogni ferita ,
Già l'avea assicurato della vita.
74 Con molta diligenzia il Re Agramante
Pece colcar Ruggier nelle sue tende ;
Che notte e di yeder sei vuole innante :
Sì r ama, sì di lui cura si prende.
Lo scudo al letto e V arme tutte quante
Che fur di Mandricardo , il Re gli appende;
Tutte le appende , eccetto Durindana ,
Che fii lasciata al re di Sericana.
75 Con Tarme T altre spoglie a Ruggier sono
Date di Mandricardo , e insieme dato
Gli è Brigliador , quel destrier bello e buono,
Che per furore Orlando avea lasciato.
Poi quello al Re diede Ruggiero in dono:
Che s'avvide ch'assai gli saria grato.
Non più di questo; che tornar bisogna
A chi Ruggiero invan sospira e agogna.
76 Gli amorosi tormenti che sostenne
Bradamante, aspettando, io v'ho da dire.
A Montalbano Ippalca a lei rivenne,
E nuova le arrecò del suo desire.
Prima, di quanto di Frontin le avvenne
Con Rodomonte , l' ebbe a riferire ;
Poi di Ruggier, che ritrovò alla fonte
Con Ricciardetto e' frati d' Agrismonte ;
77 E che con esso lei s'era partito
Con speme di trovare il Saracino,
E punirlo di quanto avea fallito
D'aver tolto a una donna il suo Frontino;
E che '1 disegno poi non gli era uscito ,
Perchè diverso avea fatto il cammino :
La cagione anco, perchè non venisse
A Montalban Ruggier, tutta le disse;
78 E rìferille le parole appieno ,
Ch'in sua scusa Ruggier le avea commesse.
Poi si trasse la lettera di seno,
Ch' egli le die, perch' ella a lei la desse.
Con viso più turbato, che sereno.
Prese la carta Bradamante, e lesse;
Che, se non fosse la credenza stata
Già di veder Ruggier , fora più grata.
79 L' aver Ruggiero ella aspettato , e , invece
Di lui , vedersi ora appagar d' un scritto ,
Del bel viso turbar l'aria le fece
Di timor , di cordoglio e di despitto.
Baciò la carta diece volte e diece.
Avendo a chi la scrisse il cor diritto.
Le lagrime vietar, che su vi sparse ,
Che con sospiri ardenti ella non l'arse.
80 Lesse la carta quattro volte e sei ,
E volse eh' altrettante l' imbasciata
Replicata le fosse da colei
Che l' una e V altra avea quivi arrecata ,
Pur tutta via piangendo : e crederei
Che mai non si Siria pili racchetata ,
Se non avesse avuto pur conforto
Di rivedere il suo Ruggier di corto.
81 Termine a ritornar quindici o venti
Giorni avea Ruggier tolto, ed affermato
L'avea ad Ippalca poi con giuramenti
Da non temer che mai fosse mancato.
Chi m'assicura, oimè! degli accidenti,
Ella dicea, c'han forza in ogni lato,
Ma nelle guerre più , che non distomi
Alcun tanto Ruggier, che più non tomi?
82 Oimè ! Ruggiero , oimè ! chi avria creduto
Ch'avendoti amato io più di me stessa,
Tu , più di me , non eh' altri , ma potato
Abbi amar gente tua inimica espressa?
A chi opprimer dovresti, doni aiuto;
Chi tu dovresti aitare, è da te oppressi.
Non so se biasmo o laude esser ti credi.
Ch'ai premiar e al punir sì poco vedi.
83 Fu morto da Troian (non so se il sai)
n padre tuo ; ma fin ai sassi il sanno :
E tu del figlio di Troian cura hai
Che non riceva alcun disnor né danno.
É questa la vendetta che ne fai ,
Ruggiero ? e a quei che vendicato l' hanno ,
Rendi tal premio , che del sangfue loro
Me fai morir di strazio , e di martore ?
84 Dicea la donna al suo Ruggiero absente
Queste parole ed altre , lacrimando ,
Non una sola volta , ma sovente.
Ippalca la venia pur confortando
Che Ruggier serverebbe interameute
Sua fede , e eh' ella l' aspettasse , quando
Altro far non potea, fino a quel giorno
Ch'avea Ruggier prescritto al suo ritorno.
85 I conforti d' Ippalca , e la speranza
Che degli amanti suole esser compagna,
Alla tema e al dolor tolgon possanza
Dì far che Bradamante ognora piagna.
In Montalban , senza mutar mai stanza ,
Voglion che fin al termine rimagna;
Fin al promesso termine e giurato.
Che poi fu da Ruggier male osservato.
CANTO TRENTESIMO.
86 Ma ch^egli alla promessa sua mancasse,
Non però debbe aver la colpa affatto ;
Chiana causa ed un'altra sì lo trasse,
Che gli fu forza preterire il patto.
Convenne che nel letto sì colcasse,
E più d'un mese sì stesse di piatto
In dubbio di morir: si il dolor crebbe
Dopo la pugna che col Tartaro ebbe.
87 L'innamorata giovane l'attese
Tutto quel giorno , e deslollo invano ,
Né mai ne seppe, fuor quanto ne*ntese
Ora da Ippalca , poi dal suo germano ,
Che le narrò che Ruggier lui difese,
E Malagigi liberò e Viviano.
Questa novella, ancor ch'avesse grata,
Pur di qualche amarezza era turbata :
88 Che di Marfisa in quel discorso udito
L'alto valore e le bellezze avea:
Udì come Ruggier s'era partito
Con esso lei , e che d' andar dicea
Là dove con disagio in debol sito
Mal sicuro Agramante si tenea.
Si degna compagnia la donna lauda,
Ma non che se n' allegri , o che l' applauda.
89 Né picciolo è il sospetto che la preme;
Che se Marfisa é bella, come ha fama,
E che fin a quel di sien giti insieme ,
È maraviglia se Ruggier non Tama.
Pur non vuol creder anco, e spera e teme;
E '1 giorno che la può far lieta e grama ,
Misera aspetta ; e sospirando stassi ,
Da Montalban mai non movendo ì passi.
90 Stando ella quivi , il Principe , il Signore
Del bel castello, il primo de' suoi frati
(Io non dico d'etade, ma d'onore;
Che di lui prima duo n'erano nati),
Rinaldo, che di gloria e di splendore
Gli ha, come il Sol le stelle, illuminati,
Giunse al castello un giorno in su la nona;
Né , fuor eh' un paggio , era con lui persona.
91 Cagion del suo venir fu, che da Brava
Ritornandosi un dì verso Parigi ,
Come v'ho detto che sovente andava
Per ritrovar d'Angelica vestigi,
Avea sentita la novella prava
Del suo Viviano e del suo Malagigi,
Ch'eran p» esser dati al Maganzese;
E perciò ad Agrismonte la via prese :
92 Dove intendendo poi eh' eran salvati ,
E gli avversari lor morti e distrutti ,
E Marfisa e Ruggiero erano stati,
Che gli aveano a quei termini ridutti;
E' suoi fratelli e' suoi cugin tornati
A Montalbano insieme erano tutti;
Gli parve un'ora un anno di trovarsi
Con esso lor là dentro ad abbracciarsi.
93 Venne Rinaldo a Montalbano, e quivi
Madre , moglie abbracciò , figli e fratelli ,
E i cugini che dianzi eran captivi;
E parve , quando egli arrivò tra quelli ,
Dopo gran fame irondine ch'arrivi
Col cibo in bocca ai pargoletti augelli:
E poi eh' un giorno vi fu stato o dui ,
Partissi , e fé' partire altri con lui.
94 Ricciardo, Alardo, Ricciardetto, e d'essi
Figli d' Amone , il più vecchio Guicciardo ,
Malagigi e Vivian , si furon messi
In arme dietro a Paladin gagliardo.
Bradamante aspettando che s'appressi
Il tempo ch'ai disio suo ne vien tardo.
Inferma , disse alli fratelli , eh' era :
E non volse con lor venire in schiera.
96 E ben lor disse il ver, ch'ella era inferma.
Ma non per febbre o eorporal dolore:
Era il disio che l'alma dentro inferma,
E le fa alterazion patir d'amore.
Rinaldo in Mon^lbano più non si ferma,
E seco mena di sua gente il fiore.
Come a Parigi appropinquosse , e quanto
Carlo aiutò , vi dirà l' altro Cauto.
NOTE. Sr. 8. V. 6 — Che di vetture vxiol vivere a macco: cioè gratis. St. 9. V. 3. — Ponesse a saccomanno : a sacco. St. 10. V. 2, — Zizera. L'antica Igilgilis. Ora Algesi- rcks, 0 Gibilterra vecchia neir Andalusia, porto sulla co- sta meridionale della baia di Gibilterra, di cui è lon- tana tre leghe soltanto. St. 11. V. 8. — Il Mazzafrusto è propriamente una frusta fatta con cordicella o fili di metallo che hanno
in cima palle di piombo, e son legati a un manico di
legno 0 di ferro. Qui pare usato per grosso bastone. St. 15. V. 7. — Tendea. Qui tendere è usato alla la-
tina per stare attendato. St. 16. V. 8. — Forse altri canterd con miglior plet-
tro, n Brnsantini ne ha cantato , ma assai male, nel-
V Angelica Innamorata. St. 17. V. 4 — Spinto: qui allontaìiato . St. 21. V. 3. — Sortirete : trairete a sorte. St. 23. V. 8. — Versati: agitati. St. 41. V. 5. — Saro: inesperto. St. 46. V. 4. — Del gran dìfensor, ecc.: d'Orlando. St. 48. V. 1-4. — Il Manco augel: T aquila, che il
Poeta dice bianca y perchè di quel colore ve lesi nella
stemma di Casa d'Este, di cui Ruggiero è rautico ceppa.
— Come nella T<ssaHa, ecc. Allude alle battaglie eoi-
battute in quei luoghi dalle legioni romane, di cai lii-
' segna era Taquila. St. 61. V. 5. — Aitasti : provi. St. 62. V. 6. — Falda: diconsi falde quelle sthsee
metalliche che attorniano la cintura delFusbergo, e sc«b-
dono a riparare i fianchi e le cosce del gieniero. St. 68. V. 3-4. — MiUano regni , ecc. : mataoo se-li
dov'era mestizia subentra conforto, e viceversa. St. 76. V. 4. — Del suo desire : del suo desiderato
amante. St. 86. V. 6. — Di piatto: ritirato. St. 90. V. 5-6. — Secondo le credenze deirantica astro-
nomia, il sole dava luce a tutte le stelle. St. 93. V. 2. — Madre, moglie. Beatrice, figlia di Nino
duca di Baviera, fu madre di Rinaldo, e la moglie di lai
era Clarice, sorella di Ugone di Bordò. Si ha del Tasso
un poema sugli amori di Rinaldo e Clarice, iutitokio
Il Rinaldo.
Canto XXXf.
IVró dr turili ftl^^o a muro ch« »ì pone
Tra questa suavi^Éiima doleezsMi .
É na nu^iitiienti" , uita iHTfivJoDcs
Ed è un condurre amore a più finezza.
L' ncque parer fa saporite e buone
La sete , e il cibo pel digiun s^ apprezza :
Non conosce la pace e non l'estima
Chi provato non ha la guerra prima.
Canto XXXI.
3 Se ben non veggon gii occhi ciò che vede
Ognora il core, in pace si sopporta.
Lo star lontano , poi qnando si riede y
Quanto più lungo fu , più riconforta.
Lo stare in servitù senza mercede,
Purché non resti la speranza morta,
Patir si può; che premio al ben servire
Pur viene alfin, sebben tarda a venire.
4 Gli sdegni , le repulse , e finalmente
Tutti i martìr d' Amor , tutte le pene
Fsa, per lor rimembranza, che si sente
Con miglior gusto uu piacer quando viene.
Sfa se l'infernal peste una egra mente
Awien eh* infetti , ammorbi ed awelene ;
Sebben segue poi festa ed allegrezza.
Non la cura ramante e non P apprezza.
5 Questa è la cruda e avvelenata piaga,
A cui non vai liquor, non vai impiastro.
Né murmurc, né immagine di saga.
Né vai lungo osservar di benigno astro.
Né quanta esperìenzia d'arte maga
Fece mai V inventor. suo Zoroastro ;
Piaga crudel che sopra ogni dolore
Conduce Tuom che disperato muore.
6 Oh incurabil piaga che nel petto
D'un amator sì facile s'imprime
Non men per falso che per ver sospetto !
Piaga che Puom si crudelmente opprime.
Che la ragion gli offusca e l'intelletto
E lo trae fuor delle sembianze prime!
Oh iniqua gelosia, che così a torto
Levasti a Bradamante ogni conforto !
7 Non di questo eh' Ippalca e che '1 fratello
Le avea nel core amaramente impresso,
Ma dico d'uno annunzio crudo e fello,
Che le fu dato pochi giorni appresso.
Questo era nulla a paragon di quello
Ch'io vi dirò, ma dopo alcun digresso.
Di Rinaldo ho da dir primieramente ,
Che ver Parigi vien con la sua gente.
8 Scontrare il di seguente invér la sera
Un cavalier eh' avea una donna al fianco,
Con scudo e sopravvesta tutta nera;
Se non che per traverso ha un fregio bianco.
Sfidò alla giostra Ricciardetto, ch'era
Dinanzi , e vista avea di guerrier franco :
E quel che mai nessun ricusar volse,
Girò la briglia, e spazio a correr tolse.
9 Senza dir altro, o più notizia dard
Dell'esser lor, si vengono all'incontro.
Rinaldo e gli altri cavalier fermarsi ,
Per veder come seguirla lo scontro.
Tosto costui per terra ha da versarsi ,
Se in luogo fermo a mìo modo lo incontro
(Dicea fra sé medesmo Ricciardetto);
Ma contrario al pensier segui l'effetto:
10 Perocché lui sotto la vista offese
Di tanto colpo il cavalier istrano ,
Che lo levò di sella, e lo distese
Più di due lande al suo destrier lontano.
Di vendicarlo incontinente prese
L' assunto Alardo , e ritrovossi al piano
Stordito e male acconcio : si fu crudo
Lo scontro fier , che gli spezzò lo scado.
11 Guicciardo pone incontinente in resta
L'asta, che vede i duo germani in terra.
Benché Rinaldo gridi: Resta, resta;
Che mia convien che sia la terza guerra:
Ma l'elmo ancor non ha allacciato in testa;
Si che Guicciardo al corso si disserra;
Né più degli altri si seppe tenere,
E ritrovossi subito a giacere.
12 Vuol Ricciardo, Viviano e Malagigi,
E l'un prima dell'altro essere in giostra:
Ma Rinaldo pon fine ai lor litigi :
Ch'innanzi a tutti armato si dimostra,
Dicendo loro: È tempo ire a Parigi;
E saria troppo la tardanza nostra,
S'io volessi aspettar finché ciascuno
Di voi fosse abbattuto ad uno ad uno.
13 Dissel tra sé, ma non che fosse inteso;
Che saria stato agli altri ingiuria e scorno.
L'uno e l'altro del campo avea già preso,
E si faceano incontra aspro ritomo.
Non fu Rinaldo per terra disteso;
Che valea tutti gli altri eh' avea intomo.
Le lance si fiaccar, come di vetro;
Né i cavalier si piegar oncia addietro.
14 L'uno e l'altro cavallo in guisa urtosse,
Che gli fu forza in terra a por le groppe.
Baiardo immantinente ridrizzosse,
Tanto ch'appena il correre interroppe.
Sinistramente si l'altro percosse.
Che la spalla e hi schiena insieme roppe.
Il cavalier che '1 destrier morto vede ,
Lascia le staffe, ed é subito in piede.
CANTO TRENTESIMOPRIMO.
15 Ed al figlio d' Amon , che già rivolto
Tornava a lui con la man vota, disse:
Signore, il buon destrier che tu m*hai tolto,
Perchè caro mi fu mentre che visse ,
Mi faria uscir del mio debito molto.
Se così invendicato si morisse:
Sì che vientene , e fa ciò che tu puoi ;
Perchè battaglia esser convien tra noi.
16 Disse Rinaldo a lui: Se U destrier morto,
E non altro ci depporre a battaglia,
Un de' miei ti darò , piglia conforto ,
Che men del tuo non crederò che vaglia.
Colui soggiunse: Tu sei mal accorto,
Se creder vuoi che d'un destrier mi caglia.
Ma poiché non comprendi ciò che io voglio,
Ti spiegherò più chiaramente il foglio.
17 Vo'dir che mi parria commetter fallo,
Se con la spa^a non ti provassi anco ,
E non sapessi s' in quest' altro ballo
Tu mi sia pari, o se più vali, o manco.
Come ti piace, o scendi, o sta a cavallo:
Purché le man tu non ti tenga al fianco ,
Io son contento ogni vantaggio darti;
Tanto alla spada bramo di provarti.
18 Rinaldo molto non lo tenne in lunga ,
E disse: La battaglia ti prometto;
E perchè tu sia ardito, e non ti punga
Di questi, e' ho d'intorno, alcun sospetto,
Andranno innanzi finch'io gli raggiunga;
Né meco resterà fuor eh' un valletto
Che mi tenga il cavallo: e così 'disse
Alla sua compagnia che se ne gisse.
stanza 13.
19 La cortesia del paladin gagliardo
Commendò molto il cavaliere estrauo.
Smontò Rinaldo, e del destrier Baiardo
Diede al valletto le redine in mano:
E poi che più non vede il suo stendardo ,
Il qual di lungo spazio è gfià lontano,
Lo scudo imbraccia e stringe il brando fiero,
E sfida alla battaglia il cavaliere.
20 E quivi s'incomincia una battaglia,
Di ch'altra mai non fu più fiera in vista.
Non crede l'un che tanto l'altro vaglia,
Che troppo lungamente gli resista.
Ma poiché '1 paragon ben li ragguaglia,
Né l'un dell'altro più s'allegra o attrista,
Pongon r orgoglio ed il furor da parte ,
Ed al vantaggio loro usano ogn'arte.
21 S' odon lor colpi dispietati e crudi
Intorno rimbombar con suono orrendo ,
Ora i canti levando a' grossi scudi,
Schiodando or piastre, e quando maglie aprendo.
Né qui bisogna tanto che si studi
A ben ferir , quanto a parar , volendo
Star l'uno all'altro par; ch'eterno danno
Lor può causar il primo error che fanno.
22 Durò l'assalto un'ora, e più che'l mezzo
D'un' altra: ed era il Sol già sotto l'onde,
Ed era sparso il tenebroso rezzo
Dell' orizzou fin all'estreme sponde;
Né riposato, o fatto altro intermezzo
Aveano alle percosse furibonde
Questi guerrier, che non ira o rancore,
Ma tratto all'arme avea disio d'onore.
23 Rivolve tuttavia tra sé Rinaldo
Chi sia r estrano cavalìer si forte ,
Che non por gli sta contra ardito e saldo ,
Ma spesso il mena a risco della morte;
E già tanto travaglio e tanto caldo
Oli ha posto , che del fin dubita forte ;
E volentier, se con suo onor potesse,
Vorria che quella pugna rimanesse.
24 Dair altra parte il cavalier estrano,
Che similmente non avea notizia
Che quel fosse il signor di Montalbano,
Quel si famoso in tutta la milizia ,
Che gli avea incontra con la spada in mano
Condotto cosi poca nimicizia,
Era certo che d' uom di più eccellenzi
Non potesson dar Tarme esperienza.
26 Vorrebbe dell'impresa esser digiuno,
Ch'avea di vendicare il suo cavallo;
E se potesse senza biasmo alcuno,
Si trarrla fuor del periglioso ballo,
n mondo era già tant.o oscuro e bruno,
Che tutti i colpi quasi ivano in fallo.
Poco ferire, e men parar sapeano;
Ch* appena in man le spade si vedeano.
26 Fu quel da Montalbano il primo a dire
Che far battaglia non denno allo scuro ,
Ma quella indugiar tanto e differire
Ch'avesse dato volta il pigro Arturo;
E che può intanto al padiglion venire,
Ove di sé non sarà men sicuro.
Ma servito , onorato o ben veduto ,
Quanto in loco ove mai fosse venuto.
27 Non bisognò a Rinaldo pregar molto ;
Che *1 cortese Baron tenne lo *nvito.
Ne vanno insieme ove il drappel raccolto
Di Montalbano era in sicuro sito.
Rinaldo al suo scudiero avea già tolto
Un bel cavallo, e molto ben guernito,
A spada e a lancia e ad ogni prova buono ,
Ed a quel cavalier fattone dono.
28 II guerrier peregri n conobbe quello
Esser Rinaldo, che venia con esso;
Che prima che giungessero air ostello,
Venuto a caso era a nomar sé stesso:
E perché l'un dell'altro era fratello.
Si sentì dentro di dolcezza oppresso,
E di pietoso affetto tocco il core ;
E lacrimò per gaudio e per amore.
29 Questo guerriero era Guidon Selvaggio,
Che dianzi con Marfisa e Sansonetto
E' figli d' Olivier molto viaggio
Avea fatto per mar, come v'ho detto.
Di non veder più tosto il suo lignaggio
Il fellon Pinabel gli avea interdetto ,
Avendol preso , e a bada poi tenuto
Alla difesa del suo rio statuto.
30 Guidon , che questo esser Rinaldo adìo ,
Famoso sopra ogni famoso duce.
Ch'avuto avea più di veder disio.
Che non ha il cieco la perduta luce ,
Con molto gaudio disse : 0 signor mio ,
Qual fortuna a combatter mi conduce
Con voi che lungamente ho amato ed amo ,
E sopra tutto il mondo onorar bramo ?
31 Mi partorì Costanza nell'estreme
Ripe del mar Eusino : io son Guidone ,
Concetto dello illustre inclito seme,
Come ancor voi, del generoso Amone.
Di voi vedere e gli altri nostri insieme
Il desiderio é del venir cagione;
E dove mia intenzion fa d'onorarvi.
Mi veggo esser venuto a ingiuriarvi.
32 Ma scusimi appo voi d' un error tanto ,
Oh' io non ho voi né gli altri conosciuto ;
E s' emendar si può , ditemi quanto
Far debbo, ch'in ciò far nulla rifiuto.
Poi che si fu da questo e da quel canto
De' complessi iterati al fin venuto ,
Rispose a lui Rinaldo : Non vi caglia
Meco scusarvi più della battaglia;
33 Che per certificarne che voi sete
Di nostra antiqua stirpe un vero ramo.
Dar miglior testimonio non potete.
Che '1 gran valor ch'in voi chiaro proviamo.
Se più pacifiche erano e quiete
Vostre maniere, mal vi credevamo;
Che la damma non genera il leone,
Né le colombe l' aquila o il falcone.
34 Non, per andar, di ragionar lasciando.
Non di seguir , per ragionar , lor via ,
Vennero ai padiglioni: ove narrando
Il buon Rinaldo alla sua compagnia
Che questo era Guidon, che disiando
Veder , tanto aspettato aveano pria,
Molto gaudio apportò nelle sue squadre
E parve a tutti assimigliarsi al padre.
CANTO TBENTESIMOPRIMO.
35 Non dirò l'accoglienze che gli fero
Alardo , Ricciardetto e gli altri dui ;
Che gli fece Viviano ed Aldigiero,
E Malagigi, frati e cugin sui;
Ch' ogni signor gli fece e cavaliere ;
Ciò ch^ egli disse a loro , ed essi a lui :
Ma vi concluderò , che finalmente
Fa ben veduto da tutta la gente.
36 Caro Guidone a' suoi fratelli stato
Credo sarebbe in ogni tempo assai;
Ma lor fu al gran bisogno ora più grato ,
Ch* esser potesse in altro tempo mai.
Poscia che'l nuovo Sole incoronato
Del mare osci di luminosi rai ,
Guidon coi frati e coi parenti in schiera
Se ne tornò sotto la lor bandiera.
37 Tanto un giorno ed un altro se n' andare,
Che di Parigi alle assediate porte
A men di dieci miglia s'accostaro
In ripa a Senna: ove per buona sorte
Grifone ed Aquilante ritrovare,
I duo guerrier delP armatura forte :
Grifone il bianco, ed Aquilante il nero,
Che partorì Gismonda d'Oliviero.
38 Con essi ragionava una donzella,
Non già di vii condizione in vista.
Che di sciamilo bianco la gonnella
Fregiata intomo avea d'aurata lista;
Molto leggiadra in apparenza e bella,
Fosse quantunque lacrimosa e trista:
E mostrava ne' gesti e nel sembiante
Di cosa ragionar molto importante.
stanza 36.
89 Conobbe i cavalier , com' essi lui ,
Guidon, che fii con lor pochi di innanzi;
Ed a Rinaldo disse: Eccovi dui
A cui van pochi di valore innanzi;
E se per Carlo ne verrau con nui ,
Non ne staranno i Saracini innanzi.
Rinaldo di Guidon conferma il detto ,
Che l'uno e l'altro era guerrier perfetto.
40 Gli avea riconosciuti egli non manco ;
Perocché quelli sempre erano usati ,
L'un tutto nero, e l'altro tutto bianco
Vestir su l'arme, e molto andare ornati.
Dall'altra parte essi conobber anco
E salutar Guidon , Rinaldo e i frati ;
E abbracciar Rinaldo come amico .
Messo da parte ogni lor odio antico.
41 S' ebbero un tempo in urta e in gran dispetto
Per Truffaldin , che fora lungo a dire ;
Ma quivi insieme con fraterno affetto
S'accarezzar, tutte obbliando l'ire.
Rinaldo poi si volse a Sansonetto ,
Ch'era tardato un poco più a venire,
E lo raccolse col debito onore.
Appieno instrutto del suo gran valore.
42 l'osto che la donzella più vicino
Vide Rinaldo , e conosciuto l' ebbe
(Ch'avea notizia d'ogni paladino),
Gli disse una novella che gl'iucrebbe;
E cominciò : Sigrore , il tuo cugino ,
A cui la Chiesa e l'alto Imperio debbe,
Quel già s) saggio ed onorato Orlando ,
È fatto stolto , e va pel mondo errando.
43 Onde causato co^ strano e rio
Accidente gli sia, non so narrarte.
La sua spada e V altr^ arme ho vedute io ,
Che per li campi avea gittate e sparte;
E vidi un cavalier cortese e pio
Che le andò raccogliendo da ogni parte;
E poi di tutte quelle un arbuscello
Fé, a guisa di trofeo, pomposo e bello.
44 Ma la spada ne fu tosto levata
Dal figliuol d' Agricane il dì medesmo.
Tu puoi considerar quanto sia stata
Gran perdita alla gente del battesmo
L'esser un'altra volta ritornata
Durindana in poter del Paganesmo.
Né Brigliadoro men , eh* errava sciolto
Intorno all'arme, fu dal Pagan tolto.
45 Son pochi di ch'Orlando correr vidi,
Senza vergogna e senza senno , ignudo ,
Con urli spaventevoli e con gridi: .
Ch'é ffttto pazzo insomma ti conchiudo;
E non avrei , fuor eh' a questi occhi fidi ,
Creduto mai si acerbo caso e crudo.
Poi narrò che lo vide giù dal ponte
Abbracciato cader con Rodomonte.
49 Ma già lo stuolo avendo fatto unire ,
Sia volontà del Cielo , o sia avventura ,
Vuol fare i Saracin prima fuggire,
E liberar le parigine mura.
Ma consiglia l'assalto differire
(Che vi par gran vantaggio) a notte senra .
Nelk terza vigilia o nella quarta,
Ch' avrà V acqua di Lete il Sonno sparta.
50 Tutta la gente alloggiar fece al boseo ,
E quivi la posò per tutto '1 giorno :
Ma poi che '1 sol , lasciando il mondo fosco .
Alla nutrice antiqua fé' ritomo ,
Ed orsi e capre , e serpi senza tosco ,
E l' altre fere ebbono il cielo adorno ,
Che state erano ascose al ma^ior lampo ,
Mosse Rinaldo il taciturno campo:
61 E venne con Grifon , con Aquilante ,
Con Vivian , con Alardo e con Guidone ,
Con Sansonetto, agli altri un miglio innante,
A cheti passi e senza alcun sermone.
Trovò dormir l'ascolta d'Agramante:
Tutta l'uccise, e non ne fé' un prigione.
Indi arrivò tra l' altra gente mora ,
Che non fu visto né sentito ancora.
46 A qualunque io non creda esser nimico
D' Orlando , soggiungea , di ciò favello ;
Acciò eh' alcun di tanti a eh' io lo dico ,
Mosso a pietà del caso strano e fello,
Cerchi o a Parigi o in altro luogo amico
Ridurlo , fin che si purghi il cervulo.
Ben so , se Brandimarte n' avrà nuova ,
Sarà per fame ogni possibil prova.
47 Era costei la bella Fiordiligi,
Più cara a Brandimarte che sé stesso:
La qual , per lui trovar , venia a Parigi :
E della spada ella soggiunse appresso ,
Che discordia e contese e gran litigai
Tra il Sericano e'I Tartaro avea messo;
E ch'avuta l'avea, poiché fii casso
Di vita Mandricardo, alfin Gradasso.
48 Di cosi strano e misero accidente
Rinaldo senza fin si lagna e duole ;
Né il core intenerir men se ne sente,
Che soglia intenerirsi il ghiaccio al sole:
E con disposta ed iramutabil mente,
Ovunque Orlando sia, cercar lo vuole,
Con speme, poi che ritrovato l'abbia,
Di farlo risanar di quella rabbia.
52 Del campo d'Infedeli a prima giunti
La ritrovata guardia all'improvviso
Lasciò Rinaldo si rotta e consanta ,
Ch' un sol non ne restò , se non ucciso.
Spezzata che lor fu la prima punta,
I Saracin non l' avean più da riso :
Che sonnolenti , timidi ed inermi ,
Poteano a tai guerrier far pochi schermi.
63 Fece Rinaldo per maggior spavento
Dei Saracini , al muover dell' assalto ,
A trombe e a corni dar subito vento ,
E, gridando, il suo nome alzar in alto.
Spinse Baiardo, e quel non parve lento;
Che dentro ali* alte sbarre entrò d' un salto .
E versò cavalier , pestò pedoni ,
Ed atterrò trabacche e padiglioni.
64 Non fu si ardito tra il popol pagano ,
A cui non s'arricciassero le chiome,
Quando senti Rinaldo e Montalbano
Sonar per l'aria, il formidato nome.
Fugge col campo d'Africa l'Ispano,
Né perde tempo a caricar le some;
Ch'aspettar quella furia più non vuole,
Ch' aver provata anco si piagne e duole.
CANTO TRENTESIMOPRIMO.
55 Guidon lo se^e, e non fa men di lui;
Né men fanno i dao figli d'Oliviero,
Alardo e Ricciardetto e gli altri dui:
Col brando Sansonetto apre il sentiero ;
Aldigiero e Vivian provar altrui
Fan quanto in arme Puno e l'altro è fiero.
Cosi fa ognun che segue Io stendardo
Di Chiaramonte , da gaerrier gagliardo.
56 Settecento con lui tenea Rinaldo
In Montalbano e intorno a quelle ville,
Usati a portar l'arme al freddo e al caldo,
Non già più rei dei Mirmidon d'Achille.
Ciascun d'essi al bisogno era si saldo,
Che cento insieme non fuggian per mille;
E se ne potean molti sceglier fuori,
Che d'alcun dei famosi eran migliori.
57 E se Rinaldo ben non era molto
Ricco né di città né di tesoro,
Facea sì con parole e con buon volto ,
E ciò ch'avea partendo ognor con loro,
Ch'un di quel numer mai non gli fu tolto
Per offerire altrui più somma d'oro.
Questi da Montalban mai non rimove ,
Se non lo stringe un gran bisogno altrove.
58 Ed or, perch'abbia il Magno Carlo aiuto.
Lasciò con poca guardia il suo castello.
Tra gli African questo drappel venuto.
Questo drappel del cui valor favello ,
Ne fece quel che del gregge lanuto
Sul falanteo Galeso il lupo fello,
0 quel che soglia del barbato, appresso
Il barbaro Cinifio , il leon spesso.
59 Carlo , eh' avviso da Rinaldo avuto
Avea , che presso era a Parigi giunto ,
E che la notte il campo sprovveduto
Volea assalir, stato era in arme e in punto:
E, quando bisognò, venne in aiuto
Coi Paladini; e ai Paladini aggiunto
Avea il figliuol del ricco Monodante,
Di Fiordiligi il fido e saggio amante;
60 Ch' ella più giorni per si lunga via
Cercato avea per tutta Francia invano.
Quivi , all' insegne che portar solia ,
Fu da lei conosciuto di lontano.
Come lei Brandimarte vide pria.
Lasciò la guerra, e tornò tutto umano,
E corse ad abbracciarla: e d'amor pieno,
Mille volte baciolla, o poco meno.
61 Delle lor donne e delle lor donzelle
Si fidar molto a quella antica etade.
Senz' altra scorta andar lasciano quelle
Per piani e monti, e per strane contrade;
Ed aJ ritomo l'han per buone e belle.
Né mai tra lor suspiz'ione accade.
Fiordiligi narrò quivi al suo amante ,
Che fatto stolto era il Signor d'Anglante.
62 Brandimarte si strana e ria novella
Credere ad altri a pena avria potuto;
Ma lo credette a Fiordiligi bella,
A cui già maggior cose avea creduto.
Non pur d'averlo udito gli dice ella,
Ma che con gli occhi propri l'ha veduto;
C ha conoscenza e pratica d' Orlando ,
Quanto alcun altro; e dice dove e quando:
63 E gli narra del ponte periglioso.
Che Rodomonte ai cavalier difende ,
Ove un sepolcro adoma e fa pomposo
Di sopravveste e d'arme di chi prende.
Narra e' ha visto Orlando furioso
Far cose quivi orribili e stupende;
Che nel fiume il Pagan mandò riverso,
Con gran periglio di restar sommerso.
64 Brandimarte, che'l Conte amava quanto
Si può compagno amar , fratello o figlio ,
Disposto di cercarlo , e di far tanto ,
Non ricusando affanno né periglio ,
Che per opra di medico o d'incanto
Si ponga a quel furor qualche consiglio,
Cosi come trovossi armato in sella.
Si mise in vìa con la sua donna bella.
.65 Verso la parte ove la donna il Conte
Avea veduto, il lor cammin drizzare.
Di giornata in giornata , fin eh' al ponte ,
Che guarda il re d'Algier si ritrovare.
La guardia ne fé' segno a Rodomonte ,
E gli scudieri a un tempo gli arrecare
L'arme e'I cavalloj e quel si trovò in punto»
Quando fu Brandimarte al passo giunto.
66 Con voce qual conviene al suo furore,
Il Saracino a Brandimarte grida:
Qualunque tu ti sia, che, per errore
Di via 0 di mente , qui tua sorte guida ,
Scendi e spogliati l'arme, e fanne onore
Al gran sepolcro , innanzi eh' io t' uccida ,
E che vittima all'ombre tu sia offerto;
Ch'io'l farò poi, né te n'avrò alcun morto.
67 Non volse Brandimarte a quell'altiero
Altra risposta dar, che della lancia.
Sprona Batoldo , il suo gentil destriero ,
E inverso quel con tanto ardir si lancia,
Che mostra che può star d'animo fiero
Con qnal si voglia al mondo alla bilancia:
E Rodomonte, con la lancia in resta,
Lo stretto ponte a tutta briglia pesta.
68 II suo destrier, ch'avea continuo uso
D' andarvi sopra , e far di quel sovente
Quando uno e quando un altro cader giuso,
Alla giostra correa sicuramente.
L'altro, del corso insolito confuso,
Venia dubbioso, timido e tremente.
Trema anco il ponte, e par cader nell'onda.
Oltre che stretto e che sia senza sponda.
69 I cavalier, dì giostra ambi maestri.
Che le lance avean grosse come travi ,
Tali qual fur nei lor ceppi silvestri.
Si dieron colpi non troppo soavi.
Ai lor cavalli esser possenti e destri
Non giovò molto agli aspri colpi e gravi;
Che si versar di pari ambi sul ponte,
E seco i signor lor tutti in un monte.
73 L'onda si leva, e li fa andar sozsopra
E dove è più profonda lì trasporta:
Va Brandimarte sotto , e '1 destrier sopri.
Fiordiligi dal ponte afflitta e smorta
E le lacrime e i voti e i prìeghi adopra :
Ah Rodomonte, per colei che morta
Tu riverisci, non esser si fiero,
Ch' affogar lasci un tanto cavaliero !
74 Deh , cortese Signor, s' unqua tu amasti ,
Di me , eh' amo costui , pietà ti vegna.
Di farlo tuo prigion , per Dio , ti basti ;
Che s'orni il sasso tuo di quella insegna
Di quante spoglie mai tu gli arrecasti.
Questa fia la più bella e la più degna.
E seppe si ben dir, eh' ancorché fosse
Si crudo il re Pagan , pur lo commosse ;
75 E fé' che '1 suo amator ratto soccorse ,
Che sotto acqua il destrier tenea sepolto,
E della vita era venuto in forse,
E senza sete avea bevuto molto.
Ma aiuto non però prima gli porse.
Che gli ebbe il brando e di poi l'elmo tolto.
Dell'acqua mezzo morto il trasse, e porre
Con molti altri lo fé' nella sua torre.
70 Nel volersi levar con quella fretta
Che lo spronar de' fianchi insta e richiede,
L' asse del ponticel lor fii si stretta ,
Che non trovare ove fermare il piede;
Si che una sorte ugnale ambi li getta
Nell'acqua; e gran rimbombo al cìel ne riede,
Simile a quel ch'uscì del nostro fiume.
Quando ci cadde il mal rettor del lume.
71 I duo cavalli andar con tutto '1 pondo
Dei cavalier, che steron fermi in sella,
A cercar la riviera insin al fondo ,
Se v'era ascx)sa alcuna Ninfa bella.
Non è già il primo salto né '1 secondo ,
Che giù del ponte abbia il Pagano in quella
Onda spiccato col destriero audace;
Però sa ben come quel fondo giace :
72 Sa dove è saldo, e sa dove é più molle ^
Sa dove è l' acqua bassa , e dove è alta.
Dal fiume il capo e il petto e i fianchi estolle,
E Brandimarte a gran vantaggio assalta.
Brandimarte il corrente in giro tolle:
Nella sabbia il destrier, che'l fondo smalta
Tutto si ficca, e non può riaversi,
C^n rischio di restarvi ambi sommersi.
76 Fu nella donna ogni allegrezza spenta,
Quando prigion vide il suo amante gire^
Ma di questo pur meglio si contenta ,
Che di vederlo nel fiume perire.
Di sé stessa, e non d'altri, si lamenta,
Che fu cagion di farlo qui venire,
Per avergli narrato eh' avea il Conte
Riconosciuto al periglioso ponte.
77 Quindi si parte, avendo già concetto
Di menarvi Rinaldo paladino ,
0 il Selvaggio Guidone, o Sansonetto,
0 altri della corte di Pipino,
In acqua e in terra cavalier perfetto
Da poter contrastar col Saracino;
Se non più forte , almen più fortunato
Che Brandimarte suo non era stato.
78 Va molti giorni, prima che s'abbatta
In alcun cavalier ch'abbia sembiante
D' esser come lo vuol , perchè combatta
Col Saracino , e liberi il suo amante.
Dopo molto cercar di persona atta
Al suo bisogno , un le vien pur avante ,
Che soprawesta avea ricca ed ornata,
A tronchi di cipressi ricamata.
Stanza 70.
CANTO TRENTESIMOPRIMO.
79 Chi costui fosse, altrove ho da narrarvi;
Che prima ritornar voglio a Parigi ,
E del'a gran sconfitta seguitarvi,
Ch' a^ Mori die Rinaldo e Malagigi.
Quei che fuggirò, io non saprei contarvi,
Né quei che fur cacciati ai fiumi stigi.
Levò a Turpino il conto Paria oscura,
Che di contarli s'avea preso cura.
80 Nel primo sonno dentro al padiglione
Dormia Àgramante; e un cavalier lo desta,
Dicendogìi che fia fatto prigione ,
Se la foga non è via pili che presta.
Guarda il Re intomo , e la confusione
Vede de' suoi, che van senza far testa
Chi qua chi ]à fuggendo inermi e nudi ,
Che non han tempo di pur tor gli scudi.
81 Tutto confuso e privo di consiglio
Si facea porre indosso la corazza,
Quando con Falsiron vi giunse il figlio
Grandonio, e Balugante, e quella razza;
£ al re Àgramante mostrano il periglio
Di restar morto o preso in quella piazza;
E che può dir, se salva la per^na,
Che Fortuna gli sia propizia e buona.
82 Cosi Marsilio e cosi il buon Sobrino,
E cosi dicon gli altri ad una voce,
Ch' a sua distruzion tanto è vicino ,
Quanto a Rinaldo il qual ne vien veloce;
Che s'aspetta che giunga il Paladino
Con tanta gente, e un uom tanto feroce.
Render certo si può ch'egli e i suo' amici
Rimarran morti, o in man degli nimicL
88 Ma ridur si può in Arli o sia in Narbona
Con quella poca gente e' ha d' intorno ;
Che runa e l'altra terra è forte e buona
Da mantener la guerra più d'un giorno:
E quando salva sia la sua persona ,
Si potrà vendicar di questo scorno.
Rifacendo l'esercito in un tratto.
Onde alfin Carlo ne sarà disfatto.
84 II re Àgramante al parer lor s'attenne.
Benché il partito fosse acerbo e duro.
Andò verso Arli, e parve aver le penne,
Per quel cammin che più trovò sicuro.
Oltre alle guide , in gran favor gli venne ,
Che la partita fu per l'aer scuro.
Ventimila tra d'Africa e di Spagna
Fur, eh' a Rinaldo uscir fuor della ragna.
85 Quei ch'egli uccise, e quei che i suoi fratelli,
Quei che i duo figli del signor di Vienna ,
Quei che provaro empj nimici e felli
I settecento a cui Rinaldo accenna,
E quei che spense Sansonetto , e quelli
Che nella fuga s' affogaro in Senna ,
Chi potesse contar, conteria ancora
Ciò che sparge d'aprii Favonio e Flora.
86 Istima alcun che Malagigi parte
Nella vittoria avesse della notte;
Non che di sangue le campagne sparte
Fosser per lui, né per lui teste rotte;
Ma che gì' infernali angeli per arte
Facesse uscir dalle tartaree grotte,
E con tante bandiere e tante lance ,
Ch'insieme più non ne porrian due Franco :
87 E che facesse udir tanti metalli.
Tanti tamburi, e tanti vari suoni.
Tanti annitriri in voce di cavalli.
Tanti gridi e tumulti di pedoni ,
Che risonare e piani e monti e valli
Dovean delle longinque regioni;
Ed ai Mori con questo un timor diede,
Che li fece voltare in fuga il piede.
88 Non si scordò il re d' Africa Ruggiero ,
Ch' era ferito e stava ancora grave.
Quanto potè più acconcio s'un destriero
Lo fece por, ch'avea l'andar soave;
E poi che l' ebbe tratto ove il sentiero
Fu più sicuro , il fé' posare in nave ,
E verso Arli portar comodamente,
Dove s'avea a raccòr tutta la gente,
89 Quei eh' a Rinaldo e a Carlo dièr le spalle
(Fur , credo , cento mila o poco manco) ,
Per campagne, per boschi e monte e valle
Cercare uscir di man del popol franco;
Ma la più parte trovò chiuso il calle,
E fece rosso ov'era verde e bianco.
Cosi non fece il re di Serìcana,
Ch'avea da lor la tenda più lontana:
90 Anzi , come egli sente che '1 Signore
Di 3[ontalbano é questo che gli assalta.
Gioisce di tal giubilo nel core ,
Che qua e là per allegrezza salta.
Loda e ringrazia il suo sommo Fattore,
Che quella notte gli occorra tant'alta
E sì rara avventura, d'acquistare
Baiardo, quel destrier che non ha pare.
91 Ayea quel Re gran tempo desiato
(Credo ch'altrove voi l'abbiate letto)
D* aver la buona Durindana a lato ,
E cavalcar quel corridor perfetto.
E già con più di centomila armato
Era venuto in Francia a questo effetto;
E con Rinaldo già sfidato s' era
Per quel cavallo alla battaglia fiera :
92 E sul lite del m^ir s'era condutto
Ove dovea la pugna diffiuire;
Ma Malagigi a turbar venne il tutto,
Che fé' il cugin, mal grado suo, partire,
Avendol sopra un legno in mar ridutto.
Lungo saria tutta l'istoria dire.
Da indi in qua stimò timido e vile
Sempre Gradasso il Paladin gentile.
93 Or che Gradasso esser Rinaldo intende
Costai ch'assale il campo, se n'allegra.
Si veste l' arme , e la sua Alfana prende ,
E cercando lo va per l'aria negra:
E quanti ne riscontra , a terra stende ;
Ed in confuso lascia afflitta ed egra
La gente o sia di Libia o sia di Francia:
Tutti li mena a un par la buona lancia.
94 Lo va di qua, di là tanto cercando,
Chiamando spesilo e quanto può più forte,
E sempre a quella parte declinando.
Ove più folte son le genti morte,
Ch'alfin s'incontra in lui brando per brando;
Poiché le lance loro ad una sorte
Eran salite in mille scheggio rotte
Sin al carro stellato della Nott^
95 Quando Gradasso il Paladin gagliardo
Conosce , e non perchè ne vegga insegna ,
Ma per gli orrendi colpi, e per Baiardo
Che par che sol tutto quel campo tegna;
Non è, gridando, a improverargli tardo
La prova che di sé fece non degna :
Ch'ai dato campo il giorno non comparse,
Che tra lor la battaglia dovea farse.
96 Soggiunse poi: Tu forse avevi speme,
Se potevi nasconderti quel punto ,
Che non mai più per raccozzarci insieme
Fossimo al mondo: or vedi ch'io t'ho giunto.
Sie certo, se tu andassi nell'estreme
Fosse di Stige, o fossi in cielo assùnto,
Ti seguirò, quando abbi il destrier teco.
Nell'alta luce, e giù nel mondo cie«e.
97 Se d'aver meco a far non ti dà il core.
E vedi già che non puoi starmi a paro ,
E più stimi la vita che l' onore ,
Senza periglio ci puoi far riparo ,
Quando mi lasci in pace il corridore;
E viver puoi , se sì t' è il viver caro :
Ma vivi a pie, che non merti cavallo ,
S'alia cavalleria fai sì gran fallo.
98 A quel parlar si ritrovò presente
Con Ricciardetto il cavalier Selvaggio;
E le spade ambi trasser egualmente .
Per far parere il Serican mal saggio.
Ma Rinaldo s' oppose immantinente ,
E non pati che se gli fèsse oltraggio ,
Dicendo: Senza voi dunque non sono
A chi m' oltraggia per risponder buono ?
99 Poi se ne ritornò verso il Pagano ,
E disse: Odi, Gradasso; io voglio farte.
Se tu m'ascolti, manifesto e piano
Ch'io venni alla marina a ritrovarte;
E poi ti sosterrò con l'arme in mano,
Che t' avrò detto il vero in ogni parte ;
E sempre che tu dica, mentirai,
Ch'aUa cavalleria mancass'io mai.
100 Ma ben ti priego che prima che sia
Pugna tra noi, che pianamente inten^ia
La giustissima e vera scusa mia,
Acciò eh' a torto più non mi riprenda ;
E poi Baiardo al termine di pria
Tra noi vorrò eh' a piedi si contenda
Da solo a solo in solitario lato.
Si come appunto fu da te ordinato.
101 Era cortese il re di Sericana,
Come ogni cor magnanimo esser suole;
Ed è contento udir la cosa piana,
E come il Paladin scusar si vuole.
Con lui ne viene in ripa alla fiumana,
Ove Rinaldo in semplici parole
Alla sua vera istoria trasse il velo,
E chiamò in testimonio tutto 'l cielo :
102 E poi chiamar fece il figliuol di Buovo ,
L'uom che di questo era informato appieno;
Ch'a parte a parte replicò di nuovo
L'incanto suo, uè disse più né meno.
Soggiunse poi Rinaldo: Ciò ch'io provo
Col testimonio, io vo'che l'arme sieno,
Che ora, ed in ogni tempo che ti piace.
Te n'abbiano a far prova più verace.
I
CANTO TRENT ESIMOPRIMO.
495
1' 3 11 re Gradasso, che lasciar non volle
Per la seconda la querela prima ,
Le scuse di Rinaldo in pace tolle;
Ma se son vere o false, in dubbio stima.
Non tolgon campo più sul lito molle
Di Barcellona, ove lo tolser prima;
Ma s'accordaro per T altra mattina
Trovarsi a una fontana indi vicina:
108 E più degli altri il frate di Viviano
Stava di questa pugna in dubbio e iu tema;
Ed anco volentier vi porrla mano ,
Per farla rimaner d' effetto scema :
Ma non vorria che quel da Montai bano
Seco venisse a inimicizia estrema;
Ch^ anco avea di qnell' altra seco sdegno ,
Che gli turbò , quando il levò sul legao.
104 Ove Rinaldo seco abbia il cavallo ,
Che posto sia comunemente in mezzo.
Se'l Re uccide Rinaldo, o il fa vassallo.
Se ne pigli il destrier senz' altro mezzo :
Ma se Gradasso è quel che faccia fallo ,
Che sìa condotto alP ultimo ribrezzo,
O , per più non poter , che gli si renda ,
Da lui Rinaldo Durindana prenda.
105 Con maraviglia molta, e più dolore.
Cerne v'ho detto, avea Rinaldo udito
Da Fiordiligi bella, ch'era fuore
Deir intelletto il suo cugino uscito.
Avea dell'arme inteso anche il tenore,
E del litigio che n'era seguito;
E ch'insomma Gradasso avea quel brando
Ch'ornò di mille e mille palme Orlando.
106 Poi che furon d'accordo, ritomosse
Il re Gradasso ai servitori sui;
Benché dal Paladin pregato fosse
Che ne venisse al alloggiar con lui.
Come fu giorno , il re pagano armosse :
Così Rinaldo : e giunsero ambedui
Ove dovea non lungi alia fontana
Combattersi Baiar do e Durindana.
Stanza 110.
107 Delia battaglia che Rinaldo avere
Con Gradasso dovea da solo a solo ,
Parean gli amici suoi tutti temere;
E innanzi il caso ne faceano duolo.
Molto ardir, molta forza, alto sapere
Avea Gradasso; ed or che del figliuolo
Del gran Milone avea la spada al fianco,
Di timor per Rinaldo era ognun bianca.
109 Mastianogli altriin dubbio, in tema, in doglia;
Rinaldo se ne va lieto e sicuro.
Sperando eh' ora il biasmo se gli toglia ,
Ch'avere a torto gli parca pur duro;
Si che quei da Pontieri e d'Altafoglia
Faccia cheti restar, come inai furo.
Va con baldanza e sicurtà di core
Di riportarne il trionfale onore.
110 Poi che l'un quinci e l'altro quindi giunto
Fu quasi a un tempo in su la chiara fonte,
S' accarezzare ; e fero a punto a punto
Cosi serena ed amichevol fronte.
Come di sangue e d'amistà congiunto
Fosse Gradasso a quel di Chiaramente.
Ma come poi s' andassero a ferire ,.
Vi voglio a un'altra volta differire.
N O TB.
St. 5. V. 3-6. — Murmure: parole mormorate nel far
grincantesimi. — Immagine : Agore magiche, adoperate
per lo stesso efifetto. — Saga: voce latina, vai quanto
presaga» che conosce o predice il futaro , maga , indo-
vina, incantatrice. — Zoroastro: re de'Battrìani : creduto
inventore dell'arte magica.
St. 12. V. 1. — Ricciardo. Qui e nella stanza 94 del
canto antecedente, TAriosto distingue Ricciardo da Ric-
ciardetto.
St. 22. y. 3. — Rezzo, Fombra della notte.
St. 26. V. 4. — Il pigro Arturo : una delle stelle vi-
cine al Polo artico ; e Tepiteto che le dà il Poeta è re-
lativo alla maggior prestezza, con che le altre stelle più
discoste dal Polo terminano l'apparente loro rivolgersi
iotomo alla Terra.
St. 34. V. 1-2. — Non , per andar , di ragionar la-
sciando, Non, ecc. Il poeta imitò Dante, Inf., IV, 64:
Non laaciavam rondar, perch'ei dicessi; e, meglio,
Purg., XXIV, 1-2: Né il dir l'andar, né l'andar lu
più lento Facea, ma ragionando amdavam forte.
St. 38. V. 3. — Sciamilo : sorta di drappo.
St. 41. V. 1-2. — In urta: in odio. — Per Truffaldin:
uomo di mal aflkre, per cui Grifone, Aquìlante e Rinaldo
vennero un tempo a contesa.
St. 49. V. 7. — Vigilia: cosPchiamavasi dai Romani
ognuna delle quattro parti in cui divìdevano la notte;
e tal denominazione traevano dal vigilare o vegliare
delle sentinelle, dette similmente vigiles. La terza vi-
gilia sarebbe dalla mezzanotte alle tre.
St. 50. V. 4-7. — Alla nutrice antiqua: alla terra. —
Ed orsi e capre, ecc. indica diverse costellazioni, alle
quali i poeti e gli astronomi diedei'o i nomi di vari ani-
t mali; come le due Orse, la Capra AmaUea, e il Ser-
pente , che si accennano nel quinto verso. — Ai mof-
gior lampo: alla luce del sole, o durante H giorni
St. 51. V. 5. — Ascolta, o scolta : sentinella; ma qsi
è da intendersi un numero di soldati cbe stanno a gmr-
dia, detto oggi corpo di guardia.
St. 53. V. 8. — Trabacche: casotti posticci di legno o
di tela, sostenuti da travicelli, per allog^giare i soldati
in accampamento. — Padiglioni : tende, sotto cui allog-
giavano i capi deiresercito accampato.
St. 54. V. 4. — Formidato : paventato.
St. 56. V. 4. — Non già più rei dei Mirmidon d'Achille.
non inferiori in valore ai Mirmidoni, condotti da Adiill
all'assedio di Troia.
St. 58. V. 5-a — Sul falanteo Galeso : finme noo tos-
tano da Taranto che credesi edificata da Falanto; e qn
si prende per tutta la regione Tarentina, le coi pecore
(il gregge lanuto) producono lana di molto pregio. —
Del barbato : del gregge caprino. — Il barbaro dnifiù:
il fiume Magra in Africa , detto dai Latini O^fn^ o
CyniphuSf lungo il quale pascevano capre, fi detto
barbaro perchè d'Africa.
St. 6a V. 2. — Difende : vieta , impedisce. Vedi al
Canto XIV, St. 7, e al Canto XXVII, St. 77.
ST. 70. y. 7-S. — Del nostro fiume : del Po — Zi mal
rettor del lume: Fetonfe precipitato nel Po.
St. 87. y. 3. — Annitriri : nitriti
St. 102. v. 1. — 2/ figliuol di Buovo : Malagtgi
St. 104. v. 6. — All'ultimo ribrezzo: al freddo della
morte.
St. 109. v. 5. — Pontieri e Alta foglia. Due castelli
dei Maganzesi.
Canto XXXII.
CANTO TKENTESIMOSECO^^DO.
ARGOMENTO,
Cure di Afframante iirr l'inforzai e l'esercito- Bradamaitt«,
ingelosita di Rupj^iero per ca^iùn di Mai fisa ^ partu dal
auo cartello, e capita alla locta di Tri stana* Ivi é obbli-
gsita a combattere con tr^ ]>i incJpi ; e dopo averli tolti
di sella, ode l'origine ài qu^ll* usanza.
1 Sovvienimi eli e cantare io vi doTca
(Già lo prò miai j e poi ra' uscì di mente)
D'una sospì^ion che fatto avea
La bella dùima (ìi Ruggier dolente.
Dell'altra più spiacevole e più rea,
E di più acuto e Tetieiioso dente ^
Che , per quel di' ella udì da Ricciardetto,
A de varare il cor T entrò nel petto.
2 Dovea cantarne, ed altro incominciai ,
Pere li è Rinaldo in meiszo sopravvenne
E poi (niidon ìlì die che fare assai,
i he tra cannnìiio a bada un pe^^zo il tenne,
D^ una cosa in un'altra in modo entrai,
Che mal di Bradamante mi sovvenne.
Sovvìenmene ora, e vo* narrarne innanti
Che di Rinaldo e di Gradasso io canti.
3 Ma bisogna anco, prima ch'io ne parli,
Che d'Àgramante io vi ragioni nn poco,
Oh' avea ridotte le relìquie in Arli ,
Che gli restar del gran notturno fuoco;
Quando a raccor lo sparso campo , e a darli
Soccorso e vettovaglie era atto il loco:
L' Africa incontra , e la Spagna ha vicina .
Ed è in sul fiume assiso alla marina.
stanza 9.
Per tutto 'l regno fa scriver Marsilio
Gente a piedi e a cavallo, e trista e buona.
Per forza e per amore ogni navilio
Atto a battaglia s'arma in Barcellona.
Agramante ogni dì chiama a concilio;
Né a spesa né a fatica si perdona.
Intanto gravi esazioni e spesse
Tutte hanno le città d' Africa oppresse.
Egli ha fatto offerire a Rodomonte ,
Perché ritorni (ed impetrar noi pnote).
Una cugina sua , figUa d' Almonte ,
E'I bel regno d'Oran dargli per dote.
Non si volse V altier muover dal ponte ,
Ove tant^arme e tante selle vote
Di quei che son già capitati al passo.
Ha ragunate, che ne copre il sasso.
Già non volse Marfisa imitar Tatto
Di Rodomonte : anzi com' ella intese
Ch' Agramante da Carlo era dis&tto ,
Sue genti morte , saccheggiate e prese ,
E che con pochi in Arli era ritratto ,
Senza aspettare invito , il cammin prese ,
Venne in aiuto della sua corona,
E r aver gli profferse e la persona :
7 E gli menò Brunello , e gli ne fece
Libero dono , il qual non avea oflfeso.
L'avea tenuto dieci giorni e diece
Notti sempre in timor d' essere appeso :
E poiché né con forza né con prece
Da nessun vide il patrocinio preso.
In si sprezzato sangue non si volse
Bruttar l'altiere mani, e lo disciolse.
Tutte r antique ingiurie gli rimesse ,
E seco in Arli ad Agramante il trasse.
Ben dovete pensar che gaudio avesse
Il Re di lei eh' ad aiutarlo andasse :
E del gran conto eh' egli ne facesse ,
Volse che Brunel prova le mostrasse;
Che quel , di eh' ella gli avea fatto cenno ,
Di volerlo impiccar, fé' da buon senno.
Il manigoldo, in loco occulto ed ermo.
Pasto di corvi e d'avoltoi lasciollo.
Ruggier , eh' un' altra volta gli fu schermo ,
E che'l laccio gli avria tolto dal collo,
La giustizia di Dio fa eh' ora infermo
S'ò ritrovato, ed aiutar non puoUo:
E quando il seppe era già il fatto occorso;
Si che restò Brunel senza soccorso.
10 Intanto Bradamante iva accusando
Che cosi lunghi sian quei venti giorni,
Li quai finiti , il termine era , quando
A lei Ruggiero ed alla Fede tomi.
A chi aspetta di carcere o di bando
Uscir , non par che '1 tempo più soggiorni
A dargli libertade , o dell' amata
Patria vista gioconda e desiata.
CANTO TRENTESIMOSECONDO.
499
11 In quel duro aspettare ella talvolta
Pensa ch'£to e Piróo sia fatto zoppo,
0 sia la mota guasta; eh' a dar volta
Le par che tardi , oltr' air usato troppo.
Più lungo di quel giorno a cui , per molta
Fede , nel cielo il giusto Ebreo fé' intoppo;
Più della notte ch'Ercole produsse,
Parea lei ch'ogni notte, ogni di fusse.
12 0 quante volte da invidiar le diero
E gli orsi e i ghiri e i sonnacchiosi tassi !
Che quel tempo voluto avrebbe intero
Tutto dormir, che mai non si destassi;
Né potere altro udir, finché Ruggiero
Dal pigro sonno lei non richiamassi.
Ma non pur questo non può fsa , ma ancora
Non può dormir di tutta notte un' ora.
13 Di qua di là va le noiose piume
Tutte premendo , e mai non si riposa.
Spesso aprir la finestra ha per costume ,
Per veder s'anco di Titon la sposa
Sparge dinanzi al mattutino lume
Il bianco giglio e la vermiglia rosa:
Non meno ancor, poi che nasciuto é'I giorno,
Brama vedere il ciel di stelle adomo.
14 Poi che fu quattro o cinque giorni appresso
11 termine a finir , piena di spene
Stava aspettando d'ora in ora il messo
Che le apportasse: Ecco Ruggier che viene.
Montava sopra un'alta torre spesso,
Ch'i folti boschi e le campagne amene
Scoprìa d'intorno, e parte della via
Onde di Francia a Montalban si g^a.
15 Se di lontano o splendor d'arme vede,
0 cosa tal eh' a cavalier simiglia,
Che sia il suo disiato Ruggier crede,
E rasserena i begli occhi e le ciglia:
Se disarmato o viandante a piede.
Che sia messo di lui speranza piglia;
E sebben poi fallace la ritrova.
Pigliar non cessa una ed un'altra nuova.
16 Credendolo incontrar, talora armossi,
Scese dal monte , e giù calò nel piano :
Né lo trovando, si sperò che fossi
Per altra strada giunto a Montalbano;
E col disir con ch'avea i piedi mossi
Fuor del Castel, ritornò dentro invano:
Né qua né là trovollo; e passò intanto
Il termine aspettato da lei tanto.
17 II termine passò d' uno , di dui ,
Di tre giorni , di sei , d' otto e di venti ;
Né vedendo il suo sposo , né di lui
Sentendo nuova, incominciò lamenti
Ch'avrian mosso a pietà nei regni bui
Quelle Furie crinite di serpenti;
E fece oltraggio a' begli occhi divini,
Al bianco petto, agli aurei crespi crini.
stanza 14.
18 Dunque fia ver , dicea , che mi convegna
Cercare un che mi fugge e mi s'asconde?
Dunque debbo prezzare un che mi sdegna?
Debbo pregar chi mai non mi risponde?
Patirò che chi m'odia, il cor mi tegna?
Un che si stima sue virtù profonde,
Che bisogno sarà che dal ciel scenda
Immortai Dea che'l cor d'amor gli accenda?
19 Sa questo altìer ch*ìo Taino e ch'io Padoro;
Né mi vuol per amante, né per serva.
n cnidel sa che per lai spasmo e moro ;
E dopo morte a darmi aiuto serva.
E perchè io non gli narri il mio mart6ro,
Atto a piegar la sua voglia proterva,
Da me s'asconde, come aspide suole,
Che, per star empio, il canto udir non vuole.
20 Deh ferma, Amor, costui che cod sciolto
Dinanzi al lento mio correr s' affretta;
0 tornami nel grado onde m'hai tolto.
Quando né a te né ad altri era suggetta!
Deh come é il mio sperar fallace e stolto,
Ch'in te con prìeghi mai pietà si metta;
Che ti diletti, anzi ti pasci e vivi
Di trar dagli occhi lagriraosi rivi!
21 Ma di che devo lamentarmi , ahi lassa !
Fuorché del mio desire irrazionale?
Ch'alto mi leva, e si nell'aria passa.
Ch'arriva in parte ove s'ahhrucia l'ale;
Poi, non potendo sostener, mi lassa
Dal ciel cader: né qui finisce il male;
Che le rimette, e di nuovo arde: ond'io
Non ho mai fine al precipizio mio.
22 Anzi, via più che del disir, mi deggio
Di me doler , che si gli apersi il seno ;
Onde cacciata ha la ragion di seggio,
Ed ogni mio poter può di lui meno.
Quel mi trasporta ognor di male in peggio.
Né lo posso frenar , che non ha freno :
E mi fa certa che mi mena a morte,
Perch' aspettando il mal noccia più forte.
23 Deh perchè voglio anco di me dolermi?
Ch'error, se non d'amarti, unqua commessi ?
Che maraviglia , se fragili e infermi
Femminil sensi far subito oppressi?
Perchè dove v' io usar ripari e schermi.
Che la somma beltà non mi piacessi ,
Gli alti sembianti, e le saggie parole?
Misero è ben chi veder schiva il Sole !
24 Ed oltre al mio destino , io ci fui spinta
Dalle parole altrui degne di fede.
Somma felicità mi fu dipinta.
Ch'esser dovea di questo amor mercede.
Se la persuasione , oimè ! fii finta.
Se fu inganno il consiglio che mi diede
Merlin, posso di lui ben lamentarmi;
3Ia non d'amar Rng^ier posso ritrarmi.
25 Di Merlin pos5o e di Melissa insieme
Dolermi, e mi dorrò d'essi in etemo;
Che dimostrare i frutti del mio seme
Mi féro dagli spirti dello 'nferno ,
Per pormi sol con questa falsa speme
In servitù : né la cagion disoemo ,
Se non ch'erano forse invidiosi
De' miei dolci, sicuri, almi riposi
26 3 l'occupa il dolor, che non avanza
Loco, ove in lei conforto abbia rioetto:
Ma, malgrado di quel, vien la speranza,
E vi vuole alloggiare in mezzo il petto.
Rinfrescandole pur la rimembranza
Di quel ch'ai suo partir l'ha Roggier detto,
E vuol, centra il parer degli altri affetti,
Che d'ora in ora il suo ritomo aspetti.
27 Questa speranza dunque la sostauie,
Finiti i venti giorni, un mese appresso;
Sì che il dolor sì forte non le tenne,
Come tenuto avria , l' animo oppresso.
Un di che per la strada se ne venne ,
Che per trovar Ruggier solea fer speoso.
Novella udi la misera, ch'insieme
Fé' dietro all' altro ben fuggir la speme.
28 Venne a incontrare un cavalier guascone
Che dal campo african venia diritti.
Ove era stato da quel di prigione.
Che fu innanzi a Parigi il gran conflitto.
Da lei fu molto posto per ragione ,
Finché si venne al termine prescritto.
Domandò di Ruggiero, e in lui fermosje;
Né fuor di questo segno più si mo^se.
29 n cavalier buon conto ne rendette;
Che ben conoscea tutta quella corte:
E narrò di Ruggier, che contrastette
Da solo a solo a Mandricardo forte;
E come egli 1* uccise, e poi ne stette
Ferito più d'un mese presso a morte:
E s'era la sua istoria qui conclusa,
Fatto avria di Ruggier la vera esco».
30 Ma come poi so^unse , una donzella
Esser nel campo, nomata Marfisa,
Che men non era, che gagliarda, bella,
Né meno esperta d' arme in ogni guisa ,
Che lei Ruggiero amava, e Ruggiero ella;
Ch' egli da lei , eh' ella da lui divisa
Si vedea raro; e ch'ivi ognuno crede
Che s! abbiano tra lor data la fède;
stanza 4.
CANTO TRENTESIMOSECONDO.
503
31 E che , come Ruggier si faccia sano ,
Il matrimonio pubblicar si deve;
E ch'ogni Re, ogni Principe pagano
Gran piacere e letizia ne riceve :
Che dell' uno e delP altro sopranmano
Conoscendo il valor, sperano in breve
Far una razza d'uomini da guerra,
La pia gagliardi che mai fosse in terra.
82 Credea il Guascon quel che dicea, non senzi
Cagion; che neir esercito de' Mori
Opinione e universal credenza ,
E pubblico parlar n'era di fuori.
I molti seg^ di benivolenza
Stati tra lor facean questi romori ;
Che tosto, 0 baona o ria che la fama esce
Fuor d' una bocca , in infinito cresce.
33 L' esser venuta a' Mori ella in aita
Con lui, uè senza lai comparir mai,
Avea questa credenza stabilita;
Ma poi l'avea accresciuta pur assai,
Ch' essendosi del campo già partita ,
Portandone Brunel , come h contai ,
Senza esservi d'alcuno richiamata,
Sol par vedir Rog^ier v'era tornata.
34 Sol per lui visitar, che gravemente
Languia ferito , in campo venuta era
Non una sola volta, ma sovente:
Vi stava il giorno , e si parda la sera :
E molto più da dir dava alla gente;
Ch' essendo conosciuta cosi altiera ,
Che tutto '1 mondo a so le parca vile.
Solo a Ruggier fosse benigna e umile.
35 Come il Guascon questo affermò per vero,
Fu Bradamante da cotanta pena,
Da cordoglio assalita cosi fiero,
Che di quivi cader si tenne a pena.
Voltò , senza far motto , il suo destriero ,
Di gelosia, d'ira e di rabbia piena;
E, da sé discacciata ogni speranza.
Ritornò furibonda alla sua stanza :
36 E senza disarmarsi, sopra il letto,
Col viso volta in giù , tutta si stese ,
Ove per non gridar, si che sospetto
Di sé facesse , i panni in bocca prese ,
E ripetendo quel che l'avea detto
II cavaliere, in tal dolor discese.
Che più non lo potendo sofferire ,
Fu forza a disfogarlo , e cosi a dire :
37 Misera! a chi mai più creder debb'io?
Vo'dir ch'ognuno é perfido e crudele ,
Se perfido e orudel sei , Ruggier mio ,
Che si pietoso tenni e si fedele.
Qual crudeltà, qual tradimento rio
Unqua s'uli per triache querele ,
Che non trovi minor, se pensar mai
Al mio merto e al tuo debito vorrai ?
38 Perché, Ruggier, come di te non vive
Cavalier di più ardir, di più bellezza,
Né che a gran pezzo al tuo valore arrive ,
Né a' tuoi costumi , né a tua gentilezza ;
Perché non fai che , fra tue illustri e dive
Virtù, si dica ancor ch'abbi fermezza?
Si dica eh' abbi invì'olabil fede ,
A chi ogni altra virtù s'inchina e cede?
39 Non sai che non compar, se non v'é quella,
Alcun valore, alcun nobil costume?
Come né cosa (e sia quinto vuol bella)
Si può vedere ove non splenda lume.
Facil ti fu ingannare una donzella.
Di cui tu sigQor eri, idolo e nume;
A cui potevi far con tue parole
Creder che fosse oscuro e fre Ido il Sole.
40 Crudel, di che peccato a doler t'hai.
Se d'uccider chi t'ama non ti penti?
Se '1 mancar di tua fé si leggier fai ,
Di ch'altro peso il cor gravar ti senti?
Come tratti il nimico, se tu d&i
A me , che t' amo si , questi tormenti ?
Ben dirò che giustizia in oiel non sia,
S'a veder tardo la vendetta mia.
41 Se d' ogn' altro peccato assai più quello
Dell'empia ingratitudine l'nom grava,
E per questo dal ciel l'Angel più bello
Fu relegato in parte oscura e cava ;
E se gran fallo aspetta gran flagello ,
Quando debita emenda il cor non lava ;
Guarda eh' aspro flagello in te non scenda ,
Che mi se' ingrato, e non vuoi farne emenda.
42 Di furto ancora , oltre ogni vizio rio ,
Di te» crudele, ho da dolermi molto.
Che tu mi tenga il cor , non ti dico io ;
Di questo io vo' che tu ne vada assolto :
Dico di te che t'eri fatto mio,
E poi centra ragion mi ti sei tolto.
Renditi , iniquo , a me ; che tu sai bene
Che non si può salvar chi l'altrui tiene.
48 Tu m'hai, Rnggier, lasciaU: io te non voglio,
Né lasciarti volendo anco potrei:
Ma , per uscir d' affanno e di cordoglio ,
Posso e voglio finire i giorni miei.
Di non morirti in grazia sol mi doglio;
Che se concesso m'avessero i Dei
Ch'io fossi morta quando t'era grata,
Morte non fu giammai tanto beata.
44 Cosi dicendo , di morir disposta ,
Salta del letto , e di rabbia infiammata
Si pon la spada alla sinistra costa;
Ma si ravvede poi che tutta è armata.
Il miglior spirto in questo le s'accosta,
£ nel cor le ragiona: 0 donna nata
Di tant'alto lignaggio, adunque vuoi
Finir con si gran biasmo i giorni tuoi?
49 Senza scudiero e senta compagnia
Scese dal monte, e si pose in cammiBo
Verso Parigi alla più dritta via,
Ove era dianzi il campo Saracino;
Che la novella ancora non s'udia
Che l'avesse Rinaldo paladino.
Aiutandolo Carlo e Malagigi,
Fatto tor dall'assedio di Parigi.
50 Lasciati avea i Cadorci e la cittade
Di Caorse alle spalle , e tatto 1 monte
Ove nasce Dordona, e le contrade
Scopria di Monferrante e di Clarmonte;
Quando venir per le medesme strade
Vide una donna di benigna fronte,
Ch'uno scudo all'arcione avea attaccato;
£ le venian tre cavalieri a lato.
^5 Non è meglio ch'ai campo tu ne vada,
Ove morir si può con laude ogn'ora?
Quivi s'avvien ch'innanzi a Ruggier cada.
Del morir tuo si dorrà forse ancora;
Ma s' a morir t' avvien per la sua spada ,
Chi sarà mai che più contenta mora?
Ragione è l>en che di vita ti privi ,
Poich' è cagion eh' in tanta pena vivi.
46 Verrà forse anco che , prima che muori ,
Farai vendetta di quella Marfisa
Che t'ha con fraudi e disonesti amori,
Da te Ruggiero alienando, uccisa.
Qaesti pensieri parvero migliori
Alla donzella; e tosto una divisa
Si fé' su l'arme, che volea inferire
Disperazione, e voglia di morire.
47 £ra la sopravveste del colore
In che rìman la foglia che s'imbianca
Quando del ramo è tolta, o che l'umore
Che facea vivo l' arbore , le manca.
Ricamata a tronconi era , di fùore ,
Di cipresso che mai non si rinfranca,
Poich' ha sentita la dura bipenne:
L'abito al suo dolor molto convenne.
48 Tolse il destrier ch'Astolfo aver solea,
E quella lancia d' òr , che , sol toccando ,
Cader di sella i cavalier facea. **
Perchè la le die Astolfo , e dove e quando ,
£ da chi prima avuta egli l'avea,
Non credo che bisogni ir replicando.
Ella la tolse , non però sapendo
Che fosse del valor, ch'era stupendo.
51 Altre donne e scudier venivano anco,
Qual dietro e qual dinanzi, e in lunga schieri.
Domandò ad un che le passò da fianco.
La figliuola d' Amen , chi la donna era;
£ quel le disse: Al re del popol franco
Questa donna, mandata messaggiera
Fin di là dal polo artico , è venata
Per lungo mar dall'Isola Perduta.
52 Altri Perduta, altri ha nomata Islanda
L'isola, donde la Regina d'essa,
Di beltà sopra ogni beltà miranda;
Dal del non mai, se non a lei, concessa.
Lo scudo che vedete, a Carlo manda;
Ma ben con patto e condizione espressa.
Ch'ai miglior cavalier lo dia, secondo
Il suo parer , eh' oggi si trovi al mondo.
58 Ella , come si stima , e come in vero
É la più bella donna che mai fosse.
Cosi vorria trovare un cavaliero
Che sopra ogn' altro avesse ardire e poste :
Perchè fondato e fisso è il «no pensiero «
Da non cader per cento mila scosse,
Che sol chi terrà in arme il primo onore.
Abbia d'esser suo amante e suo signore.
54 Spera ch'in Francia, alla famosa corte
Di 0arlo Magno, il cavalier si trove,
Che d' esser più d' ogni altro ardito e forte
Abbia fatto veder con mille prove.
I tre che son con lei come sue scorte,
Re sono tutti , e dirovvi anco dove
Uno in Svezia, uno in Gozia, in Norvegia uno,
Che pochi pari in armi hanno o nessuno.
CANTO TRENTESIMOSECONDO.
505
55 Questi tre , la coi terra non vicina ,
Ma men lontana è all' Isola Perduta ,
Detta cosi, perchè quella marina
Da pochi naviganti è conosciuta,
Erano amanti, e son, della Regina,
E a gara per moglier V hanno voluta ;
E , per aggradir lei , cose fatt' hanno ,
Che , fin che giri il ciel , dette saranno.
61 Le preme il cor questo pensier; ma molto
Più le lo preme e strugge in peggior guisa
Quel ch'ebbe prima di Ruggier, che tolto
Il suo amor le abbia, e datolo a Marfisa.
Ogni suo senso in questo è si sepolto ,
Che non mira la strada , né divisa
Ove arrivar, né se troverà innanzi
Comodo albergo, ove la notte stanzi.
56 Ma né questi ella, né alcun altro vuole ,
Ch'ai mondo in arme esser non creda il primo.
Ch' abbiate fatto prove , lor dir suole ,
In questi luoghi appresso, poco istimo.
E s' un di voi , qual fra le stelle il Sole ,
Fra gli altri duo sarà, ben lo sublimo;
Ma non però che tenga il vanto parme
Del miglior cavalier ch'oggi port'arme.
57 A Carlo Magno, il quale io stimo e onoro
Pel più savio signor ch'ai mondo sia,
Son per mandare un ricco scudo d' oro ,
Con patto e condizion ch'esso lo dia
Al cavaliero il quale abbia fra loro
11 vanto e il primo onor di gagliardia.
Sia il cavaliero o suo vassallo o d'altri.
Il parer di quel Re vo' che mi scaltri.
r.8 Se , poi che Carlo avrà lo scudo avuto ,
E Tavià dato a quel si ardito e forte ,
Che d'ogn' altro migliore abbia creduto,
Che'n sua si trovi o in alcun' altra corte,
Uno di voi sarà, che con l'aiuto
Di sua virtù lo scudo mi riporte;
Porrò in quello ogn^ amore, ogni disio,
E quel sarà il marito e'I signor mio.
e 9 Queste parole bau qui fatto venire
Questi tre Re dal mar tanto discosto;
Che riportarne lo scudo, o morire
Per man di chi l'avrà, s' hanno proposto.
Ste' molto attenta Bradamante a udire
Quanto le fu dallo scudier risposto,
11 qual poi l'entrò innanzi, e così pnyse
Il suo cavallo , che i compagni giunse.
Stanza 65.
(JO Dietro non gli galoppa né gli corre
Ella , eh' ad agio il suo cammin dispensa ,
E molte cose tuttavia discorre.
Che son per accadere; e in somma pensa
Che questo scudo in Francia sia per porre
Discordia e rissa e nimicizia immensa
Fra' Paladini ed altri, se vuol Carlo
Chiarir chi sia il miglior, e a colui darlo.
62 Come nave che vento dalla riva,
0 qualch' altro accidente abbia disciolta,
Va di nocchiero e di governo priva
Ove la porti o meni il fiume in volta;
Cosi l'amante giovane veniva.
Tutta a pensare al suo Ruggier rivolta.
Ove vuol Rabican; che molte miglia
Lontano è il cor che de' girar la briglia.
63 Leva alfin gli occhi, e vede il Sol cheU tergo
Avea mostrato alle città di Rocco ;
E poi s'era attuffato, come il mergo,
In grembo alla natrice oltr'a Marocco:
E se disegna che la frasca albergo
Le dia ne* campi, fa pensier di sciocco;
Che soffia nn vento freddo, e Paria grieve
Pioggia la notte le minaccia o nieve.
64 Con maggior fretta fa movere il piede
Al suo cavallo; e non fece via molta,
Che lasciar le campagne a un pastor vede.
Che s'avea la sua gregge innanzi tolta.
La donna lai con molta istanzia chiede
Che le 'nsegni ove possa esser raccolta ,
0 bene o mal; che mal si non s'alloggia,
Che non sia peggio star faori alla pioggia.
65 Disse il pastore: Io non so loco alcano
Ch'io vi sappia insegnar, se non lontano
Più di qnattro o di sei leghe, fuor ch'ano
Che si chiama la rocca di Tristano.
Ma d'alloggiarvi non succede a ognuno;
Perchè bisogna, con la lancia in mano,
Che se l'acquisti e che se la difenda
Il cavalier che d'alloggiarvi intenda,
66 Se, quando arriva un cavalier, si trova
Vota la stanza, il castellan l'accetta;
Ma vnol , se soprawien poi gente nuova ,
Ch'uscir fuori alla giostra gli prometta.
Se non vien, non accade che si mova;
Se vien, forza è che l'arme si rimetta,
E con lui giostri : e chi di lor vai meno ,
Ceda l'albergo ed esca al ciel sereno.
67 Se duo, tre, quattro o più guerrieri a un tratto
Vi giungon prima, in pace albergo hanno;
E chi di poi vien solo , ha peggior patto ,
Perchè seco giostrar quei più lo fanno.
Cosi, se prima un sol si sarà fatto
Quivi alloggiar, con lui giostrar vorranno
1 duo, tre, quattro, o più, che verran dopo;
Sì che , s' avrà valor , gli fia a grande uopo.
68 Non men se donna capita o donzella,
Accompagnata o sola a questa rocca,
E poi v'arrivi un'altra, alla più bella
L'albergo , ed alla men star dì fuor tocca.
Domanda Rradamante ove sia quella;
E il buon pastor non pur dice con bocca.
Ma le dimostra il loco anco con mano,
Da cinque o da sei miglia indi lontano.
69 La donna , ancorché Rabican ben trotte.
Sollecitar però non lo sa tanto
Per quelle vie tutte fangose e rotte
Dalla stagion ch'era piovosa alquanto.
Che prima arrivi, che la cieca notte
Fatt' abbia oscuro il mondo in ogni canto.
Trovò chiusa la porta; e a chi n'avea
La guardia disse ch'alloggiar volea.
70 Rispose quel, ch'era occupato il loco
Da donne e da guerrier che venner dianzi,
E stavano aspettando intomo al faoco,
Che posta fosse lor la cena innanzi
Per lor non credo l' avrà fatta il cuoco ,
S'ella v'è ancor, uè l'han mangiata innanzi
Disse la donna : or va, che qui gli attendo;
Che so l'usanza, e di servarla intendo.
71 Parte la guardia, e porta l'imbasciata
Là dove i cavalier stanno a grand' agfio.
La qual non potè lor troppo esser grata ,
Ch'all'aer li fa uscir freddo e malvagio;
Ed era una gran pioggia incominciata.
Si levan pure , e pigUan l' arme ad agio ;
Restano gli altri; e quei non troppo in fretti
Escono insieme ove la donna aspetta.
72 Eran tre cavalier che valean tanto,
Che pochi al mondo valean più di loro;
Ed eran quei che'l di medesmo accanto
Veduti a quella messaggiera fòro ;
Quei ch'in Islanda s'avean dato vanto
Dì Francia riportar lo scudo d'oro:
E perchè avean meglio i cavalli punti ,
Prima di Rradamante erano giunti.
78 Di loro in arme pochi eran migliori ;
Ma di quei pochi ella sarà ben l' una :
Ch'a nessun patto rimaner di fuori
Quella notte intendea molle e digiuna.
Quei dentro alle finestre e ai corridori
Miran la giostra al lume della Luna,
Che malgrado de' nugoli lo spande,
E (a veder, benché la pioggia è gnuide.
74 Come s'allegra un bene acceso amante
Ch'ai dolci furti per entrar si trova,
Quando alfin senta , dopo indugie tante ,
Che'l taciturno chiavìstel si muova;
Cosi, volonterosa Rradamante
Di far di sé coi cavalieri prova ,
S'allegrò quando udì le porte aprire,
Calare il ponte, e fuor li vide uscire.
CANTO TRENTESIMOSEOONDO.
607
75 Tosto che fuor del ponte i gnerrier vede
Uscire insieme o con poco intervallo,
Si volge a pigliar campo , e di poi riede
Cacciando a tutta briglia il buon cavallo,
E la lancia arrestando, che le diede
Il suo cugin , che non si corre in fallo ,
Che fuor di sella è forza che trabocchi,
Se fosse Marte , ogni guerrier che tocchi.
76 H re di Svezia, che primier si mosse,
Fu il primier anco a riversarsi al piano;
Con tanta forza V elmo gli percosse
L'asta che mai non fu abbassata invano.
Poi corse il re di Gozia , e ritrovosse
Coi piedi in aria al suo destrier lontano.
Rimase il terzo sottosopra vólto,
Neir acqua e nel pantan mezzo sepolto.
77 Tosto eh' ella ai tre colpi tutti gli ebbe
Fatto andar coi piedi alti e i capi bassi,
Alla rocca ne va, dove aver debbe
La notte albergo ; ma prima che passi ,
V è chi la fa giurar che n' uscirebbe ,
Sempre eh' a giostrar fuori altri chiamassi
Il Signor di là dentro, che'l valore
Ben n' ha veduto , le fa grande onore.
78 Così le fa la donna che venuta
Era con quelli tre quivi la sera ,
Come io dicea, dall'Isola Perduta,
Mandata al re di Francia messaggiera.
Cortesemente a lei che la saluta,
Siccome graziosa e affabil era,
Si leva incontra, e con faccia serena
Piglia per mano , e seco al fuoco mena.
79 La donna, cominciando a disarmarsi,
S'avea lo scudo e di poi l'elmo tratto;
Quando una cuffia d' oro , in che celarsi
Soleano i capei lunghi e star di piatto,
Usci con l'elmo; onde caderon sparsi
Giù per le spalle, e la scoprirò a un tratto,
E la feron conoscer per donzella.
Non men che fiera in arme, in viso bella.
80 Quale al cader delle cortine suole
Parer fra mille lampade la scena ,
D' archi , e di più d' una superba mole ,
D' oro e di statue e di pitture piena ;
0 come suol fuor della nube il Sole
Scoprir la faccia limpida e serena:
Cosi, l'elmo levandosi dal viso,
Mostrò la donna aprisse il paradiso.
81 Già son cresciute , e fatte lunghe in modo
Le belle chiome che taglioUe il Frate,
Che dietro al capo ne può fare un nodo,
Benché non sian come son prima state.
Che Bradamante sia, tien fermo e sodo
(Che ben l'avea veduta altre fiate)
II Signor della rocca; e più che prima
Or l'accarezza, e mostra farne stima.
Stanza 76.
%
82 Siedono al fuoco, e con giocondo e onesto
Ragionamento dan cibo all'orecchia,
Mentre, per ricreare ancora il resto
Del corpo, altra vivanda s'apparecchia.
La donna all'oste domandò se questo
Modo d' albergo è nuova usanza o vecchia ,
E quando ebbe principio, e chi la pose;
E '1 cavaliere a lei cosi rispose :
83 Nel tempo che regnava Fieramente ,
Clodi'one , il figliuolo , ebbe una amica
Leggiadra e bella, e di maniere conte,
Quant' altra fosse a quella etade antica;
La quale amava tanto, che la fronte
Non rivolgea da lei più che si dica
Che facesse da Jone il suo pastore,
Perch' avea ugual la gelosia all' amore.
84 Qui la tenea; chè'l laogo avuto in dono
Avea dal padre, e raro egli n^ ascia;
E con lui dieci cavalier ci sono ,
E dei miglior di Francia tuttavia.
Qui stando , venne a capitarci il buono
Tristano, ed una donna in compagnia,
Liberata da lui poch'ore innante,
Che traea presa a forza un fier gigante.
85 Tristano ci arrivò cheU Sol già vòlto
Avea le spalle ai liti di Siviglia ;
E domandò qui dentro esser raccolto
Perchè non c^è altra stanza a dieci mlg^Hi.
Ma Clodì'on, che molto amava e molto
Era geloso , in somma si conaigUa
Che forestier, sia chi si voglia, mentre
Ci stia la bella donna, qui non entre.
suiiza80.
96 Poi che con lunghe ed iterate preci
Non potè aver qui albergo il cavaliero;
Or quel che far con prieghi io non ti feci ,
Che *1 facci , disse , tuo malgrado , spero.
E sfidò Clodì'on con tutti i dieci
Che tenea appresso; e con un grido altiero
Se gli offerse con lancia e spada in mano
Provar che discortese era e villano ;
87 Con patto, che se fa che con lo stuolo
Suo cada in terra, ed ei stia in sella forte,
Nella rocca alloggiar vuole egli solo ,
E vuol gli altri serrar fuor delle porte.
Per non patir quest'onta, va il figliuolo
Del re di Francia a rìschio della morte;
Ch^ aspramente percosso cade in terra,
E cadon gli altri, e Trìstan fuor li serra.
Stanza 91.
CANTO TRENTESIMOSECONDO.
511
Ss Entrato nella rocca , trova quella,
La qoal Vho detto, a Olodìon si cara,
E ch'avea, a par d'ogn' altra, fatto bella
Natura, a dar bellezze cosi avara.
Con lei ragiona : intanto arde e martella
Di fuor l'amante aspra passione amara;
Il qual non differisce a mandar prìeghi
Al cavalier, che dar non gli la nieghi.
89 Tristano, ancorché lei molto non prezze,
Né prezzar , fuor eh' Isotta , altra potrebbe :
Ch'altra né ch'ami vaol né che accarezze
La pozì'on che già incantata bebbe;
Pur, perchè vendicarsi dell'asprezze
Che Cloilì'on gli ha usate si vorrebbe;
Di far gran torto mi pania , gli disse ,
Che tal bellezza del suo albergo uscisse.
94 Ohe'l cavalier ch'abbia maggior possanza,
E la donna beltà , sempre ci alloggi ;
E chi vinto riman vóti la stanza ,
Dorma sul prato, o altrove scenda e poggi.
E finalmente ci fé' por l' usanza
Che vedete durar fin al di d' oggi.
Or, mentre il cavalier questo dicea,
Lo scalco por la mensa fatto avea.
95 Fatto l'avea nella gran sala porre.
Di che non era al mondo la più bella;
Indi con torchi accesi venne a tórre
Le belle donne, e le condusse in quella.
Bradamante, all'entrar, con gli occhi scorre,
E similmente fa l'altra donzella;
^' tutte piene le superbe mura
Veggon di nobilissima pittura.
90 E quando a Clodion dormire incresca
Solo alla frasca, e compagnia domandi.
Una ^ovane ho meco bella e fresca,
Non però di bellezze cosi grandi
Questa sarò contento che fuor esca,
E ch'ubbidisca a tutti i suoi comandi;
Ma la più bella mi par dritto e giusto
Che stia con quel di noi eh' è più robusto.
96 Di si belle figure é adorno il loco,
Che per mirarle obblian la cena quasi:
Ancorché ai corpi non bisogni poco,
Pel travaglio del di lassi rimasi:
E lo scalco di doglia e doglia il cuoco.
Che i cibi lascin raffreddar nei vasi.
Pur fu chi disse: Meglio fia che voi
Pasciate prima il ventre, gli occhi poi.
91 Escluso Clodì'one e mal contento.
Andò sbuffando tutta notte in volta.
Come s'a quei che nell'alloggiamento
Dormiano ad agio , fésse egli l' ascolta;
E molto più che del fireddo e del vento ,
Si dolca della donna che gli é tolta.
La mattina Tristano , a cui ne' ncrebbe,
Gli la rendè; donde il dolor fin ebbe:
97 S'erano assisi, e porre alle vivande
Voleano man, quando il Signor s' avvide
Che l'alloggiar due donne è un error grande;
L'una ha da star, l'altra convien che snido.
Stia la più bella, e la men fuor si mando
Dove la pioggia bagna e 'l vento stride.
Perche non vi son giunte amendue a un'ora,
L'una ha a partir e l'altra a far dimora.
92 Perchè gli disse, e lo fé' chiaro e certo,
Che qual trovolla , tal gli la rendea :
E benché degno era d' ogni onta , in morto
Della discortesia ch'usata avea;
Pur contentar d'averlo allo scoperto
Fatto star tutta notte si volea:
Né r escusa accettò, che fosse Amore
Stato cagion di co^ grave errore;
98 Chiama duo vecchi, chiama alcune sue
Donne di casa, a tal giudizio buone:
E le donzelle mira, e di lor due
Chi la più bella sia, fa, paragone.
Finalmente parer di tutti fue,
Ch'«ra più bella la figlia d'Amene;
E non men di beltà l'altra vincea,
Che di valore i guerrier vinti avea.
93 Ch' Amor de' far gentile un cor villano ,
E non far d'un gentil contrario effetto.
Partito che si fu di qui Tristano,
Clodion non sté molto a mutar tetto;
Ma prima consegnò la rocca in mano
A un cavalier che molto gli era accetto.
Con patto ch'egli e chi da lui venisse,
Quest' uso in albergar sempre seguisse :
99 Alla donna d'Islanda, che non senza
Molta sospizi'on stava di questo ,
Il Signor disse: Che serviam l'usanza,
Non v'ha, donna, a parer se non onesto.
A voi convien procacciar d'altra stanza,
Quando a noi tutti è chiaro e manifesto
Che costei di bellezze e di sembianti,
Ancor eh' inculta sia, vi passa innanti.
100 Come sì vede in uu momento oscura
Nube salir d* umida valle al cielo,
Che la feuxda che prima era si pura,
Copre del Sol con tenebroso velo;
Cosi la donna alla sentenzia dura,
Che fuor la caccia ove è la pioggia e '1 gelo,
Cangiar si vide, e non parer più quella
Che fu pur dianzi si gioconda e bella.
101 S'impallidisce, e tutta cangia in viso;
Che tal sentenza udir poco le aggrada.
Ha Bradamajite con un saggio avviso,
Che per pietà non vuoi òhe se ne vada,
Rispose: A me non par che ben deciso
Né che ben giusto alcun giudicio cada,
Ove prima non s'oda quanto nieghi
La parte o affermi, e sue ragioni alleghi.
103 Io cVa difender questa causa toglie,
Dico: 0 più bella o men ch'io sia di lei.
Non venni come donna qui, né voglio
Che sian di donna ora i progressi miei.
Ma chi dirà, se tutta non mi spoglio,
S' io sono 0 s' io non son quel eh' è costei ?
E quel che non si sa, non si de' dire;
È tanto men, quando altri n'ha a patire.
103 Ben son degli altri ancor, ch'hanno le chiome
Lunghe, com'io; né donne son per questo. «
Se come cavalier la stanza, o come
Donna acquistata m'abbia, è manifesto.
Perchè dunque volete darmi nome
Di donna , se di maschio è ogni mio gesto V
La legge vostra vuol che ne sian spinte
Donne da donne, e non da guerrier vinte.
104 Poniamo ancor che, come a voi pur pare,
Io donna sìa (che non però il concedo).
Ma che la mia beltà non fosse pare
A quella di costei; non però credo
Che mi vorreste la mercè levare
Di mia virtù, sebbeu di viso io cedo.
Perder per men beltà giusto non parmi
Quel eh' ho acquistato per virtù con l' armi.
105 E quando ancor fosse l' usanza tale.
Che chi perde in beltà, ne dovesse ire.
10 d vorrei restare, o bene o male
Che la mia ostinazion dovesse uscire.
Per questo, die contesa disegnale
É tra me e questa donna, vo' inferire
Che, contendendo di beltà, può assai
Perdere, e meco guadagnar non mai.
106 E se guadagni e perdite non sono
In tutto pari, ingiusto è ogni partito;
Si eh' a lei per ragion , si ancor per dono
Speziai , non sia i' albeigo proibito.
E s' alcuno di dir che non sia buono
E dritto il mio giudizio sarà ardito.
Sarò per sostenergli a suo piacere,
Che '1 mio sia vero, 9 falso il suo parere.
107 La figliuola d' Amen , mossa a pietade
Che questa gentil donna debba a torto
Esser cacdata ove la pioggia cade.
Ove né tetto, ove neppure è un spcnrto,
Al signor dell' albergo persuade
Con ragion molte e con parlare accorto.
Ma molto più con quel eh' alfin concluse.
Che resti cheto, e accetti le sue scuse.
108 Qual sotto il più cocente ardore estivo.
Quando di ber più desiosa -è l' erba,
11 fior eh' era vidno a restor privo
Di tutto queir umor che in vita il serba ,
Sente l'amata pioggia, e si fa vivo,
Cosi, poiché difesa si superba
Si vide apparecchiar la messaggiera.
Lieta e bella tornò come prim'era.
109 La cena, stata lor buon pezzo avante,
Né ancor pur tocca, alfin godersi in festa,
Senza che più di cavaliere errante
Nuova venuta fosse lor molesta.
La goder gli altri, ma non Bradamante,
Pure, all'usanza, addolorata e mesta;
Che quel timor, che quel sospetto ingiusto ,
Che sempre at^ nel cor, le toUea il gusto.
HO Finita ch'ella fu (che saria forse
Stata più lunga^ se '1 desìr non era
Di cibar gli occhi), Bradamante sorse ,
E sorse appresso a lei la messaggiera.
Accennò quel Signore ad un che corse,
E prestamente allumò molta cera,
Che splender fé' la sala in ogni canto.
Quel che seguì dirò nell' altro Canto.
CANTO TRENTESIMOSECONDO.
513
NOTE.
St. 3. V. 4. — Fuoco : incendio 81 guerra.
St. 4. -v. 1. — Fa scriver: fa aimolare.
St. 11. V. 2-8. — Eto e Piroo: due dei quattro cavalli
attaccati al carro del Sole. — Piti lungo di quel gior-
no, ecc. Allude a quando Giosuè fermò il sole, cioè «ol
suo comando allungò di molte ore il corso della gior-
nata, affinchè grisraeliti riportassero intiera la vittoria
sui re della Palestina. — Più della notte, ecc. Finsero
ì mitologi che la notte in cui Ercole tu concepito , e
quella in cui nacque, venissero dagli Dei protratte alla
durata di più nolti.
Sr. 13. V. 7. — Nasciuto: nato.
St. 18. V. 6. — Sì.... profonde: tanto sublimi.
St. 19. V. 4-7. — Serva : serba, aspetta. — Coinè aspide
suole, ecc, : credevasi in que' tempi che l'aspide, per non
udire l'incantesimo che lo attraeva, posasse un orecchio
in terra, e chiudesse l'altro con l'estremità della co la.
St. 28. V, 5. — Fu molto posto per ragione : gli fu
chiesto minuto conto.
St. 29. V. 3. — Contrastette: contrastò.
St. 32. V. 1. — Il Giiascone. Non a caso fa guascone
questi cavaliere. I Guasconi sono tenuti per ciarlieri e
spavaldi; è quindi naturale che costui dicesse di Rug-
gero e di Marflsa molto più del vero.
St. 37. V. 6. — Per tragiche querele: per tragici
poemi.
St. 50. V. 1-4. — I Cadurci: con tal nome si chia-
mavano in antico gli abitanti di quella parte della Gallia
AquitanicaNarbonese che corrisponde a una regione della
Guienna, detta poi Le Qnercy. — Eia cittade di Gaorae:
Cahors, città della Guienna, già terra principale dei
Oadurci. — Tutto 7 monte ove vnace Dordona: il Monte
d'Oro nelI'Alveniia; ivi scaturisce la Dordogne, che tra-
versa il Limosino e la Guienna. ^ E le contrade Sco-
jìria di Monferrante e di Clarmonte. Questi due luo-
ghi dell'Alveiiiia erano, nei tempi addietro, due comuni
separati e brevìdistanti fra loro; ma nel 1633, sotto
Luigi XIII, furono uniti; ed ora formano la città di
ClermontFerrand, attuale cap)Iuogo del dipartimento
di Puy-de-Dóme.
St. 14. V. 7. — Gozia. lì Gotland, ora provincia della
Svezia , che bi vuole prendesse il nome dai Goti loro
antichissima abitazione.
St. 57. V. 8. — Ifi scaltri: mi scaltrisca, mi faccia
accorta.
St. 63. V. 2-4. — Alle città di Bacco : alla Mauritania
occidentale, signoreggiata anticamente da Socco. —
Marocco: città capitale dell'impero omonimo.
St. 83. V. 1-7. — Fieramonte 0 Faram^ndo: primo
re dei Franchi. Questi popoli erano dapprima Sicambri,
detti poi Franchi , per una temporanea franchigia da
tributi che ebbero dairimpei*atore Valentiniano. Costoro,
non volendo più sottomettersi dopo spirato il termine
della concessa franchigia, furono battuti diversa volte ;
e i pochi superstiti pei*vennero nella Tnringia, guidati
da Marcomiro loro capo. Egli, insieme con i suoi, pose
la sede in una regione denominata quindi Franconia, e
posta a settentrione fra la Bavieia e la Sassonia. Da
lui nacque Faramondo, del quale qui si parla. — Di ma-
niere conte: di maniere gentili.— Che facesse da Jone
il suo pastore. Alludesi qui alla favola d' Ione od Io,
amata da Giove, e da lui trasformata in vacca per prevenire
i sospetti di Giunone; la quale nondimeno la faceva cu-
stodire da un pastore di nome Argo, che avea cent'occhi.
St. 89. V. 4. — La posion, che già incantati bebbe.
Leggesi nel Tristano, romanzo cavalleresco, che la ma-
dre d'Isotta aveva prepai*ata una bevanda incantata, per
fare che sua figlia fosse amata da Marco re di Corno-
vaglia, a cui l'avea destinata in moglie. Mentre Isotta
era condotta allo sposo da Tristano, questi inavveduta-
mente bevette insieme con la giovine la pozione ama-
toria, onde s'invaghirono perdutamente l'uno dell'altra.
St. 10 5. V. 7. — Spinte : cacciate fuori.
St. 107. v. 4. — Sporto : parte dell' edifizio che prò-
tendesi all'infuori del muro principale, e sotto cui si può
stare al coperto.
OAiNTO TRKNTESIMOTKRZO.
1 Canto XXXIJI.
Iei urift [lala della ioc<;a ili TrisEaiio ♦ Bradamunte ^eJe diptni^
le tur uve fjuene dei Francesi in Ualìit Poi, sfidila iliHff
i.']k aveva [li ^ià alilAEtutì , IL oai'cla iiqovametite di ftllt^
Itin^ldo e GmdaitHO vciifjoiio alle mani p&r BaÌArdo, iJqBiìf.
spnveutato dn un mostruoi^o uccella , fuggv in ntia i«ki; t
cu al la [11] glia e sa.<rivujaH Astolfo sdK Ippo^rìfo va i» Eti<^f»iiu
ed ivi ool suono del stio comò caccj a "n eli' inferno li ■
e Ile insozzavano le mense del re Seuapo.
Timai;^orat ParrasiOj Poliguoto,
Protofrene. Tiinantet Apollodoru,
Apell(% \n\\ di tutti questi noto,
E Zeu^i, e gli altri di^a quei tempi fort»;
Di'Njuai In fama ^ malgrado di CJoto,
Che speose ì corpi, e tlì poi Topre loro)
Sempre nurà^ Muebè ai legga e scriva,
Mercè degli scrii torì| al mondo Tim:
E quei che foro a' nostri dì, o sono on,
Leouartlo, Andrea Man legna, Gian Bellino,
Duo DosMt e quel eh' a pur sculpe e coltura .
Mi[^liel, ]niì che mortale, Angel divino;
Bari(uvnu, lìafail. Tìz'au eh'onorA
Non men Cador, che quei Venezia e Urbino j
E gli altri di cui tal Topra si vede,
Qual delia prisca età si legge e crede:
CANTO TRÉNTESIMOTERZO.
515
3 Questi che noi veg^iam pittori, e quelli
Che già mille e miil'anui in prego foro,
Le cose che son state, coi pennelli
Fatt' hanno, altri suir a^se , altri sul muro.
Non però udiste antiqui , né novelli
Vedeste mai dipingere il futuro:
Eppur si sono istorie anco trovate ,
Che son dipinte innanzi che sian state.
4 Ma di saperlo far non si dia vanto
Pittore antico, né pittor moderno;
E ceda pur quest'arte al solo incanto,
Del qual trieman gli spirti dello' nferno.
La sala eh' io dicea nel!' altro Canto ,
Merlin col lihro, o fosse al lago Averne,
0 fosse sacro alle Nursine grotte,
Fece far dai demonj in una notte.
5 Quest'arte, con che i nostri antiqui fenno
Mirande prove, a nostra etade è estinta.
Ma ritornando ove aspettar mi denno
Quei che la sala hanno a veder dipinta.
Dico eh' a uno scudier fu fatto cenno.
Ch'accese i torchi: onde la notte, vinta
Dal gran splendor, si dileguò d' intomo ;
Né più non si vedria, se fosse giorno.
6 Quel Signor disse lor: Vo' che sappiate
Che delle guerre che son qui ritratte.
Fin al di d'oggi poche ne son state;
E son prima dipinte, che sian fatte.
Chi l'ha dipinte, ancor l'ha indovinate;
Quando vittoria avran, quando disfatte
In Italia saran le genti nostre,
Potrete qui veder come si mostre.
7 Le guerre ch'i Franceschi da far hanno
Di là dall' Alpe , o hene o mal successe ,
Dal tempo suo fin al millesim'anno,
Merlin profeta in questa sala messe;
n qual mandato fu dal Re hritanno
Al franco Re eh' a Marcomir successe:
E perché lo mandassi, e perché fatto
Da Merlin fa il lavor, vi dirò a un tratto.
8 Re Fieramente, che passò primiero
Con l'esercito franco in Gallia il Reno,
Poi che quella occupò , facea pensiero
Di porre alla superba Italia il freno.
Faceal per ciò, che più'l romano Impero
Vedea di giorno in giorno venir meno;
E per tal causa col britanno Arturo
Volse far lega; ch'ambi a un tempo furo.
9 Artur, ch'impresa ancor senza cousijjlio
Del profeta Merlin non fece mai:
Di Merlin, dico, del Demonio figlio,
Che del futuro antivedeva assai;
Per lui seppe, e saper fece il periglio
A Fieramente, a che di molti guai
Porrà sua gente, s'entra nella terra
Ch'Apennin parte, e il mare e l'Alpe serra.
10 Merlin gli fé' veder che quasi tutti
Gli altri che poi di Francia scettro avranno,
0 di ferro gli eserciti distrutti,
0 di fame o di peste si vedranno;
E che brevi allegrezze e lunghi lutti.
Poco guidag^o ed infinito danno
Riporteran d' Italia; che non lice
Che '1 Giglio in quel terreno abbia radice.
11 Re Fieramente gli prestò tal fede,
Ch'altrove disegnò volger l'armata;
E Merlin, che cosi la cosa vede
Ch'abbia a venir, come se già sia stata,
Avere a'prieghi di quel Ri si crede
La sala per incinto istoriata,
Ove dei Franchi ogni futuro gesto.
Come già stato sia, fa manifesto.
12 Acciò chi poi succederà comprenda
Che, come ha da acquistar vittoria e onore,
Qualor d' Italia la difesa prenda
Incontra ogn' altro barbaro furore;
Così, s'awien eh' a danneggiarla scenda ^
Per porle il giogo e farsene signore.
Comprenda, dico, e rendasi ben certo
Ch' oltre a quei monti avrà il sepolcro aperto.
13 Cosi disse; e menò le donne dove
Incomincian l'istorie: e Singiberto
Fa lor veder, che per tesor si muove.
Che gli ha Maurizio imperatore offerto.
Ecco che scende dal monte di Giove
Nel pian dal Lambro e dal Ticino aperto.
Vedete Eutar, che non pur l'ha respinto.
Ma volto in fuga e fracassato e vinto.
14 Vedete Clodoveo, eh' a più di cento
Mila persone fa passare il monte.
Vedete il duca là di Benevento.
Che con numer dispar vien loro a fronte.
Ecco finge lasciar l'alloggiamento,
E pon gli agguati: ecco, con morti ed onte ,
Al vin lombardo la gente francesca
Corre ; e riman come la lasca all'esca.
Stanza 9.
15 Ecco in Italia Childìberto quanta
Gente di Francia e capitani invia:
Xè più che Clodoveo, si gloria e vanta
Ch^ abbia spogliata o vinta Lombardia;
Che la spada del del scende con tanta
Strage de' suoi, che n'è piena ogni via,
Morti di caldo e di profluvio d'alvo;
Sì che di dieci non ne torna un salvo.
16 Mostra Pipino, e mostra Cario appresso,
Come in Italia un dopo T altro scenda,
£ v'abbia questo e quel lieto successo:
Che venuto non v' è perchè V offenda;
Ma l'uno, acciò il Pastor Stefano oppresso,
L'altro Adriano, e poi Leon difenda.
L'un doma Aistulfo; e l'altro vince e prende
II successore, e al Papa il suo onor rende.
CANTO TRENTESIMOTBRZO.
617
17 Lor mostra appresso nù gioveoe Pipino,
Che con sua gente par che tutto copra
Dalle Fornaci al lito Palestine;
E faccia con gran spesa e con lung^opra
Il ponte a Malamocco; e che vicino
Giunga a Rialto, e vi combatta sopra.
Poi fuggir sembra e che i suoi lasci sotto
L'acque; che M ponte il vento e '1 mar gli han rotto.
18 Ecco Luigi Borgognon, che scende
Là dove par che resti vinto e preso,
E che giurar gli faccia chi lo prende,
Che più dalParme sue non sarà offeso.
Ecco che U giuramento vilipende;
Ecco di nuovo cade al laccio teso;
Ecco vi lascia gli occhi, e come talpe *
Lo rif orfano i suoi di qua dall'Alpe.
. .^^"'W ^J^^^<>::?i^^;^i^'^^
14.
19 Vedete un Ugo d'Arli far gran fatti.
E che d' Italia caccia i Berengari ;
E due 0 tre volte gli ha rotti e disfatti.
Or dagli Unni rimessi, or dai Bavàri.
Poi da più forza è stretto di far patti
Con Tiiiimico, e non sta in vita guari;
Né guari dopo lui vi sta T erede,
E '1 regno intero a Berengario cede.
20 Vedete un altro Carlo, che a' conforti
Del buon Pastor fuoco in Italia ha messo;
E in due fiere battaglie ha duo Re morti,
Manfredi prima, e Corradino appresso.
Poi la sua gente, che con mille torti
Sembra tenere il nuovo regno oppresso,
Di qua e di là per le città divisa.
Vedete a un suon di vespro tutta uccisa.
Si Lor mostra poi (ma vi parea intervallo
Di molti e molti, non ch^anni, ma Instri)
Scender dal monti nn capitano Gallo,
E romper guerra ai gran Visconti illustri;
£ con gente francesca a pie e a cavallo
Par eh' Alessandria intomo cinga e lustri ;
E che*l Duca il presidio dentro posto,
E fuor abbia V agguato un po' discosto ;
Stanza 20.
if2 E la gente di Francia mal accorta,
Tratta con arte ove la rete è tesa,
Col conte Armeni'aco , la cui scorta
L'avea condotta all'infelice impresa,
Giaccia per tutta la campagna morta.
Parte sìa tratta in Alessandria presa;
E di sangue non men che d'acqua grosso,
11 Tauaro si vede il Po far rosso.
23 Un, detto della Marca, e tre Angioini
Mostra l'un dopo l'altro, e dice: Questi
A Bruci, a Dauni, a Marsi, a Salentini
Vedete come son spesso molesti.
Ma né de' Franchi vai né de' Latini
Aiuto sì, ch'alcun di lor vi resti:
Ecco li caccia fuor del regno, quante
Volte vi vanno, Alfonso, e poi Ferrante.
24 Vedete Carlo ottavo, che discende
Dall'Alpe, e seco ha il fior di tutta Fnad
Che pa-ssa il Liri, e tutto '1 re^o prenik
Senza mai stringer spada o abbassar hi»
Fuorché lo scoglio ch'a Tifeo si stende
Su le braccia, sul petto e sa la pancia;
Che del buon sangue d'Avalo al contrasta
La virtù trova d'Inico del Vasto.
25 11 Signor della rocca, che venia
Quest'istoria additando a Bradamante,
Giostrato che l'ebbe Ischia, disse: Pria
Ch'a vedere altro più vi meni avante,
10 vi dirò quel ch'a me dir solìa
11 bisavolo mio, quand'io era infante:
E quel che similmente mi dicea
Che da suo padre udito anch'esso avea:
26 E'I padre suo da un altro, o padre o fu^-*
Avolo, e l'un dall'altro, s'n a quello
Ch'a udirlo da quel proprio ritrovosse.
Che l'immagini fé' senza pennello,
Che qui vedete bianche, azzurre e rosàe:
Udì che quando al Re mostrò il castello.
Ch'or mostro a voi su quest'altiero scoglio.
Gli disse quel ch'a voi riferir voglio.
27 Udì che gli dicea ch'in questo loco
Di quel buon cavalier che lo difende
Con tanto ardir, che par disprezzi il fuoco
Che d' ogn' intorno e sino al Faro incende.
Nascer debbe in quei tempi, o dopo poco
(E ben gli disse e l'anno e le calende).
Un cavaliere, a cui sarà secondo
Ogu' altro che sin qui sia stato al mondo.
28 Non fu Nireo si bel, non si eccellente
Di forze Achille, e non si ardito Ulisse,
Non si veloce Lada, non prudente
Nestor, che tanto seppe e tanto visse.
Non tanto liberal , tanto clemente
L'antica fama Cesare descrisse;
Che verso l'uom ch'in Ischia nascer deve,
Non abbia ogni lor vanto a restar lieve.
29 E se si gì Oliò l'antiqua Creta,
Quando il nipote in lei nacque di Celo.
Se Tebe fece Ercole e Bacco lieta.
Se si vantò dei duo gemelli Delo;
Né questa isola avrà da starsi cheta,
Che non s'esalti e non si levi in cielo,
Quando nascerà in lei quel gran Marchese
Ch'avrà si d'ogni grazia il Ciel cortese.
CANTO TRENTESIMOTERZO.
519
30 Merlin gli disse, e replicogli spesso,
Ch'era serbato a nascere all'etade
Che più il romano Imperio saria oppresso,
Acciò per lui tornasse in libertade.
Ma perchè alcuoo de' suoi gesti appresso
Vi mostrerò, predirli non accade.
Cosi disse; e tornò air istoria, dove
Di Carlo si vedean V inclite prove.
36 Cosi dicendo, sé stesso riprende
Che quel ch'avea a dir prima, abbia lasciato:
E torna addietro, e mostra uno che vende
11 Castel che'l Signor suo gli avea dato;.
Mostra il perfido Svizzero, che prende
Colui eh' a sua difesa V ha assoldato :
Le quai due cose, senza abbassar lancia,
Han dato la vittoria al Re di Francia.
31 Ecco, dicea, si pente Ludovico
D'aver fatto in Italia venir Carlo;
Che sol per travagliar l'emulo antico
Chiamato ve l'avea, non jer cacciarlo;
E se gli Scopre al ritornar nimico
Co' Veneziani in lega, e vuol pigliarlo.
Ecco la lancia il Re animoso abbassa,
Apre la strada, e, lor malgrado, passa.
32 Ma la sua gente, eh' a difesa resta
Del nuovo regno, ha ben contraria sorte;
Che Ferrante, con l'opra che gli presta
Il Signor mantuan, toma si forte,
ChMn pochi mesi non ne lascia testa
O in terra o in mar, che non sia messa a morte :
Poi per un uom che gli è con frdude estinto,
Kon par che senta il gaudio d'aver vinto.
33 Cosi dicendo, mostragli il marchese
Alfonso di Pescara, e dice: Dopo
Che costui comparito in mille imprese
Sarà più risplendente che piropo.
Ecco qui nell'insidie che gli ha tese
Con un trattato doppio il rio Etiopo,
Come scannato di saetta cade
Il miglior cavalier di quella etade.
34 Poi mostra ove il duodecimo Luigi
Passa con scorta italiana i monti;
E, svelto il Moro, pon la Fiordaligi
Nel fecondo terren gi& de' Visconti:
Indi manda sua gente pei vestigi
Di Carlo, a far sul Garigliano i ponti;
La quale appresso andar rotta e dispersa
Si vede, e morta, e nel fiume sommersa.
35 Vedete in Puglia non minor macello
Dell'esercito franco, in fuga volto;
E Consalvo Ferrante ispano è quello
Che due volte alla trappola 1' ha colto.
E come qui turbato, cosi bello
Mostra Fortuna al re Luigi il volto
Nel ricco pian che, fin dove Adria stride,
Tra l'Apennino e l'Alpe il Po divide.
hi Poi mostra Cesar Borgia col favore
Di questo Re farsi in Italia grande;
Ch'ogni Baron di Roma, ogni Signore
Suggetto a lei par che in esilio mande.
Poi mostra il Re che di Bologna fuore
Leva la Sega, e vi fa entrar le Giande;
Poi come volge i Genovesi in fuga
Fatti ribelli, e la città soggiuga.
38 Vedete, dice poi, di gente morta
Coperta in Giaradadda la campagna.
Par ch'apra ogni cittade al Re la porta,
E che Venezia appena vi riraagna.
Vedete come al Papa non comporta
Che, passati i confini di Romagna,
Modena al Duca di Ferrara toglia;
Né qui si fermi, e '1 resto tor gli voglia:
39 E fa, air incontro, a lai Bologna tórre;
Che Y^ entra la Bentivola famiglia.
Vedete il campo de' Francesi porre
A sacco Brescia, poi che la ripiglia:
E quasi a un tempo Felsina soccorre,
EU campo ecclesiastico scompiglia;
E Tuno e P altro poi nei luoghi bassi
Par si riduca del lito de' Chiassi.
40 Di qua la Francia, e di là il campo iiigrMB
La gente Ispana; e la battaglia è grande.
Cader si vede, e far la terra rossa
La gente d'arme in amendua le bande.
Piena di sangue uman pare ogni fossa:
Marte sta in dubbio u'ia vittoria mande.
Per virtù d'un Alfonso alfin si vede
Che resta il Franco , e che T Ispano cede.
é'-
_) .^^
■'3?
stanza 40.
41 E che Ravenna saccheggiata resta.
Si morde il Papa per dolor le labbia,
E fA da' monti, a guisa di tempesta.
Scendere in fretta una tedesca rabbia,
Ch'ogni Fra^^re^ senza mai far testa,
Di qua dall par che cacciat' abbia,
E che posto u .inpollo abbia del Moro
Nel giardino oi svelse i gigli d'oro.
43 E con migliore auspizio ecco ritorna.
Vedete il re Francesco innanzi a tutti,
Che cosi rompe a' Svizzeri le corna,
Che poco resta a non gli aver distratti.
Si che 'i titolo mai più non gli adoma,
Ch'usurpato s'avran quei vilkn brutti:
Che domator de' Principi, e difesa
Si nomeran della cristiana Chiesa.
42 Ecco torna il Francese: eccolo rotto
Dall'infedele Elvezio, ch'in suo aiuto
Con troppo rischio ha il giovine condotto,
Del quale il padre avea preso e venduto.
Vedete poi l'esercito che sotto
La ruota di Fortuna era caduto,
Creato il nuqyo Re, che si prepara
Dell'onta vendicar ch'ebbe a Novara:
44 Ecco, malgrado della Lega, prende
Milano, e accorda il giovene Sforzesco.
Ecco Borbon che la città difende
Pel Re di Francia dal furor tedesco.
Eccovi poi, che mentre altrove attende
Ad altre magne imprese il re Francesco,
Né sa quanta superbia e crudeltade
Usino i suoi, gli è tolta la cittade.
CANTO TRENTESIMOTERZO.
521
stanza 41.
45 Ecco un altro Francesco, eh* assimìglia
Di virtit all'avo, e non di nome solo;
Che, fatto uscirne i Galli, si ripiglia
Col favor della Chiesa il patrio suolo.
Francia anco torna, ma ritien la briglia,
Né scorre Italia, come suole, a volo ;
Che U buon Duca di Mantua sul Ticino
Le chiude il passo, e le taglia il cammino.
46 Federico, eh' ancor non ha la guancia
De' primi fiori sparsa, si fa degno
Di gloria etema, ch'abbia con la lancia.
Ma più con diligenzia e con ingegno,
Pavia difesa dal furor di Francia,
E del Leon del mar rotto il disegno.
Vedete duo Marchesi, ambi t**.rrore
Di nostre genti, ambi d'Italia onore;
47 Ambi d^un sangue, ambi iu un nido ns^ti.
Di quel marchese Alfonso il primo è figlio,
Il qual, tratto dal Negro negli agguati,
Vedeste il terren far di sé vermiglio.
Vedete quante volte son cacciati
D'Italia i Franchi pel costui consiglio.
L'altre, di si benigno e lieto aspetto,
Il Vasto signoreggia, e Alfonso è detto.
48 Questo è il buon Cavalier di cui dicea,
Quando l'isola d^ Ischia vi mostrai,
Che gi& profetizzando detto avea
Merlino e Fieramonte cose assai:
Che differire a nascere dovea
Nel tempo che d'aiuto più che mai
L'afflitta Italia, la Chiesa e l'Impero
Contra ai barbari insulti avria mestiero.
F le
Stanza 49.
49 Costui dietro al cugin suo di Pescara
Con l'auspicio di Prosper Colonnese,
Vedete come la Bicocca cara
Fa parere airElvezio, e più al Francese.
Ecco di nuovo Francia si prepara
Di ristaurar le mal successe imprese.
Scende il Re con un campo in Lombardia;
Un altro per pigliar Napoli invia.
50 Ma quella che di noi fa come il vento
D'arida polve, che l'aggira in volta,
La leva fin al cielo, e in un momento
A terra la ricaccia, onde l'ha tolta;
Fa ch'intorno a Pavia crede di cento
Mila persone aver fatto raccolta
11 Re, che mira a quel che di man gli esce,
Nou se la gente sua si scema o cresce.
51 Così per colpa de' ministri avari,
£ per bontà del Re che se ne fida.
Sotto r insegne si raccoglion rari.
Quando la notte il campo all'arme g^rida;
Che si vede assalir dentro ai ripari
Dal sagace Spagnuol , che con la ^uida
Di duo del sangue d'Avalo ardirla
Farsi nel cielo e nello 'nfemo via.
52 Vedete il meglio della nobiltade
Di tutta Francia alla campagna estinto:
Vedete quante lance e quante spade
Han d'ogni intorno il Re animoso cìnto:
Vedete che '1 destrier sotto gli cade :
Né per questo si rende, o chiama vinto ;
Bench'a lui solo attenda, a lui sol corra
Lo stuol nimico, e non è chi'l soccorra.
53 II Re gagliardo si difende a piede,
£ tutto dell' ostil sangue si bagna ;
Ma virtù alfine a troppa forza cede.
£cco il Re preso , ed eccolo in Ispagna :
£d a quel di Pescara dar si vede,
Ed a chi mai da lui non si scompagna,
A quel del Vasto , le prime corone
Del campo rotto e del gran Re prigione.
54 Rotto a Pavia l'un campo, l'altro ch'era,
Per dar travaglio a Napoli , in cammino *
Restar si vede come, se la cera
Oli manca o l'olio, resta il lumicino.
Ecco che '1 Re nella prigione ibera
Lascia i figliuoli , e torna al suo domino :
Ecco fa a un tempo egli iu Italia guerra,
Ecco altri la fa a lui nella sua terra.
55 Vedete gli omicidi e le rapine
In ogni parte far Roma dolente
E con incendj e stupri le divine
E le profane cose ire ugualmente.
11 campo della Lega le ruine
Mira d'appresso, e'I pianto e'I grido sente;
E dove ir dovria innanzi . torna indietro ,
E prender lascia il successor di Pietro.
56 Manda Lotrecco il Re con nuove squadre,
Non più per fare in Lombardia l'impresa,
Ma per levar delle mani empie e ladre
Il Capo e l'altre membra della Chiesa;
Che tarda sì, che trova al Santo Padre
Non esser più la libertà contesa.
Assedia la cittade ove sepolta
É la Sirena, e tutto il regno volta.
CANTO TRENTESIMOTERZO.
523
57 Ecco l'armata imperiai si scioglie
Per dar soccorso alla città assediata;
Ed ecco il Doria che la via le toglie ,
E rha nel mar sommersa, arsa e spezzata.
Ecco Fortuna come cangia voglie,
Sin qui a' Francesi si propizia stata;
Che di febbre gli uccide, e non di lancia,
Si che di mille un non ne toma in Francia.
63 II dolce sonno mi promise pace;
Ma l'amaro vegghiar mi torna in guerra:
Il dolce sonno è ben stato fallace;
Ma r amaro vegghiare , oimè ! non erra.
Ss'l vero annoia, e il falso si mi piace,
Non oda o vegga mai più vero in terra:
Se '1 dormir mi dà gaudio , e il vegghiar guai
Possa io dormir senza destarmi mai.
58 La sala queste ed altre istorie molte ,
Che tutte saria lungo riferire.
In vari e bei colori avea raccolte;
Ch' era ben tal , che le potea capire.
Tornano a rivederle due e tre volte.
Né par che se ne sappiano partire;
E rileggon più volte quel eh' in oro
Si vedea scritto sotto il bel lavoro.
59 Le belle donne , e gli altri quivi stati ,
Mirando e ragionando insieme un pezzo,
Fur dal Signore a riposar menati;
Ch'onorar gli osti suoi molt'era avvezzo.
Già sendo tutti gli altri addormentati,
Bradamante a corcar si va da sezzo;
E si volta or su questo or su quel fianco,
Né può dormir sul destro né sul manco.
60 Pur chiude alquanto appresso all'alba i lumi,
E di veder le pare il suo Ruggiero,
Il qual le dica : Perchè ti consumi ,
Dando credenza a quel che non è vero?
Tu vedrai prima all' erta andare i fiumi ,
Ch'ad altri mai, eh' a te, volga il pensiero.
S'io non amassi te, né il cor potrei
Né le pupille amar degli occhi miei.
61 E par che le soggiunga: Io son venuto
Per battezzarmi , e far quanto ho promesso;
E s' io son stato tardi , m' ha tenuto
Altra ferita, che d'amore, oppresso.
Fuggesi in questo il sonno, né veduto
È più Ruggier, che se ne va con esso.
Rinnova allora i pianti la donzella ,
E nella mente sua cosi favella:
62 Fu. quel che piacque, un falso sogno: e que4o
Che mi tormenta, ahi lassa! è un vegghiar vero.
Il ben fu sogno a dileguarsi presto;
Ma non è sogno il martire aspro e fiero.
Perch'or non ode e vede il s^^nso desto
Quel ch'udire e veder parve al pensiero?
A che condizione, occhi miei, sete,
Che chiusi il ben, e aperti il mal vedete?
64 Oh felici animai eh' un sonno forte
Sei mesi tien senza mai gli occhi aprire!
Che s'assimigli tal sonno alla morte.
Tal vegghiare alla vita, io non vo'dire;
Ch'a tutt' altre contraria la mìa sorte
Sente morte a vegghiar, vita a dormire:
Ma s'a tal sonno morte s' assimiglia ,
Deh , Morte , or ora chiudimi le ciglia '
Stanza 52.
65 Dell' orizzonte il Sol fatte avea rosse
L' estreme parti , e dileguate intorno
S' eran le nubi , e non parca che fosse
Simile all'altro il cominciato giorno;
Quando svegliati Bradamante armosse,
Per fare a tempo al suo cammin ritorno ,
Reudute avendo grazie a quel Signore
Del buon albergo e dell'avuto onore.
66 E trovò che la donna messaggiera.
Con damigelle sue, con suoi scudieri
Uscita della rócca, venut'era
Là dove l'atteudeau quei tre guerrieri;
Quei che con l'asta d'oro essa la sera
Fatto avea riversar giù dei destrieri,
E che patito aveau con gran disagio
La notte l'acqua e il vento e il elei malvagio.
67 Arroge a tanto mal, eh* a corpo vóto
Ed essi e i lor cavalli eran rimasi,
Battendo i denti e calpestando il loto;
Ma quasi lor più incresce, e senza quasi
Incresce e preme più , che farà noto
La messaggìera , appresso agli altri casi ,
Alla sua Donna, che la prima lancia
Gli abbia abbattuti, c'han trovata in Fr.iiic.a.
Stanza 55
68 E presti o di morire, o di vendetta
Subito far del ricevuto oltraggio,
Acciò la messaggiera, che fu detta
Dilania, che nomata più non aggio,
La mala opinion ch'avea concetta
Forse di lor, si tolga del coraggio,
La figliuola d* Amon sfidano a giostra
Tosto che fuor del Spente ella si mostra :
69 Non pensando però che sia donzella;
Che nessun gesto di donzella avea.
Bradamante ricusa, come quella
Ch'in fretta già, né soggiornar volea.
Pur tanto e tanto fur molesti , eh' ella ,
Che negar senza biasmo non potea ,
Abbassò V asta , ed a tre colpi in terra
Li mandò tutti; e qui fini la guerra;
70 Che senza più voltarsi mostrò loro
Lontan le spalle, e dileguossi tosto.
Quei che , per guadagnar lo scudo d' oro ,
Di paese venian tanto discosto,
Poi che senza parlar ritti si foro,
Che ben V avean con ogni ardir deposto ,
Stupefatti parean di maraviglia,
Né verso Ullania ardìan d'alzar le cig-lia;
71 Che con lei molte volte per cammino
Dato s' avean troppo orgogliosi vanti :
Che non é cavalier né paladina
Ch'ai minor di lor tre durasse avanti.
La donna, perchè ancor più a capo chiuo
Vadano , e più non sian cosi arroganti ,
Fa lor saper che fu femmina quella,
Non paladin, che li levò di sella.
72 Or che dovete, diceva ella, quando
Cosi v' abbia una femmina abbattuti ,
Pensar che sia Rinaldo o che sia Orlando ,
Non senza causa in tant'onoie avuti?
S'un d'es8Ì avrà lo scudo, io vi domando
Se migliori di quel che siate suti
Coutra una donna, contra lor sarete?
Non credo io già, né voi forse il credete.
73 Questo vi può bastar; né vi bisogna
Del valor vostro aver più chiara prova :
E quei di voi, che temerario agogna
Far di sé in Francia esperienzia nuova,
Cerca giungere il danno alla vergogna
In che ieri ed oggi s' è trovato e trova ;
Se forse egli non stima utile e onore «
Qualor per man di tai guerrier si muore.
74 Poi che ben certi i cavalieri fece
Ullania, che quell'era una donzella.
La qual fatto avea nera più che pece
La fama lor, ch'esser solea si bella;
E dove una bastava, più di diece
Persone il detto conferm&r di quella;
Essi fur per voltar l' arme in sé stessi ,
Da tal dolor, da tanta rabbia oppressi.
CANTO TRENTESIMOTERZO.
5'i5
75 E dallo sdegno e dalla furia spinti,
L arme si spoglian, quante n'hanno indosso;
Né si lascian la spada onde erau cinti,
E del Castel la gittano nel fosso;
E giuran , poiché gli ha una donna vinti ,
E fatto sul terren hattere il dosso,
Che, per purgar sì grave error, staranno
Senza inni vestir Tarme intero un anno;
76 E che n' andranno a pie pur tuttavia ,
0 sia la strada piana, o scenda o saglia;
Né, poi che Tanno anco finito sia,
Saran per cavalcare o vestir maglia,
S'altr'arme, altro destrier da lor non fia
Guadagnato per forza di battaglia.
Cosi senz'arme, per punir lor fallo,
Essi a pie 83 n'andar, gli altri a cavallo.
77 Bradamante la sera ad an castello
Ch' alla via di Parigi si ritrova ,
Di Carlo e di Rinaldo suo fratello,
Ch'avean rotto Agramante, udì la nuova.
Quivi ebbe buona mensa e buono ostello :
Ma questo ed ogn' altro agio poco giova;
Che poco mangia , e poco dorme e poco ,
Non che posar, ma ritrovar può loco.
79 SeuzA che tromb»i o segno altro accennasse
Quando a muover s'avean, senza maestro
Che lo schermo e 'I ferir lor ricordasse ,
E lor pungesse il cor d'animoso estro,
L' uno e 1' altro d' accordo il ferro trasse ,
E si venne a trovare agile e destro.
I spessi e gravi colpi a farsi udire
Incominciaro , ed a scaldarsi l'ire.
78 Non però di costei voglio dir tanto ,
Ch'io non ritomi a quei duo cavalieri
Che d'accordo legato aveano accanto
La solitaria fonte i duo destrieri.
La pugna lor , di che vo' dirvi alquanto ,
Non è per acquistar terre né imperi;
Ma perché Durindana il più gagliardo
Abbia ad avere, e a cavalcar Baiardo.
80 Due spade altre non so, per prova elette
Ad esser ferme e solide e ben dure ,
Ch' a tre colpi di quei si fosser rette ,
Cir erano fuor di tutte le misure :
3Ia quelle fur di tempre sì perfette,
Per tante esperienzie sì sicure,'
Che ben poteano insieme riscontrarsi
Con mille colpi e più, senza spezzarsi.
81 Or qua Binaldo or là mutando il passo
Con gran destrezza, e molta industria ed arte,
Fuggia di Durindana il gran fracassò;
Che sa ben come spezza il ferro e parte.
Feria maggior percosse il re Gradasso;
Ma quasi tutte al vento erano sparte :
Se coglieva talor, coglieva in loco
Ove potea gravare e nuocer poco.
stanza 84.
82 L^ altro con più ragion sua spada inchina,
£ fa spesso al Pagan stordir le braccia;
£ quando ai fianchi e quando ove confina
La corazza con V elmo , gli la caccia :
Ma trova V armatura adamantina :
Sì ch'una maglia non ne rompe o straccia.
Se dura e forte la ritrova tanto,
Avvien perch'ella è fatta per incanto.
83 Senza prender riposo erano stati
Gran pezzo tanto alla battaglia fisi.
Che vólti gli occhi in nessun mai de' Iati
Aveano, fuor che nei turbati visi;
Quando da un'altra zuffa distornati ,
£ da tanto furor furon divisi.
Ambi voltaro a un gran strepito il ciglio ,
£ videro Baiardo in gran periglio.
84 Vider Baiardo a zuffa con nn mostro
Ch'era più di lui grande, ed era augnello:
Avea più lungo di tre braccia il rostro;
L' altre fattezze avea di vipistrello ;
Avea la piuma negra come inchiostro,
Avea l'artiglio grande, acuto e fello;
Occhi di fuoco , e sguardo avea crudele :
L' ale avea grandi , che parean due vele.
85 Forse era vero augel; ma non so dove
0 quando un altro ne sia stato tale.
Non ho veduto mai , né Ietto altrove ,
Fuor ch'in Turpin, d'un sì fatto animale.
Questo rispetto a credere mi muove , •
Che r augel fosse un diavolo infernale
Che Malagìgi in quella forma trasse ,
Acciò che la battaglia disturbasse.
86 Rinaldo il credette anco , e gran parole
£ sconce poi con Malagìgi n'ebbe.
£gli già confessar non glie lo vuole;
£ perchè tor di colpa si vorrebbe,
Giura pel Inme che dà lume al Sole,
Che di questo imputato esser non debbe.
Fosse augello o demonio, il mostro scese
Sopra Baiardo , e con l' artiglio il prese.
87 Le redini il destrier , eh' era possente ,
Subito rompe, e con sdegno e con ira
Contra l'augello i calci adopra e'I dente;
Ma quel veloce in aria si ritira :
Indi ritoma, e con l'ugna pungente
Lo va battendo , e d' ogn' iutomo ^gira.
Baiardo offeso, e che non ha ragione
Di schermo alcun, ratto a fuggir si pone.
88 Fugge Baiardo alla vicina selva,
£ va cercando le più spesse fronde:
Segue di sopra la pennuta belva
Con gli occhi fisi ove la via seconde:
Ma pure il buon destrier tanto s'inselva,
Ch'alfin sotto una grotta si nasconde.
Poi che r alato ne perde la traccia ,
Ritoma in cielo, e cerca nuova caccia.
89 Rinaldo e '1 re Gradasso , che partire
Veggono la cagion della lor pugna,
Restan d'accordo quella differire
Finché Baiardo salvino dall' ugna
Che per la scura selva il fa fuggire;
Con patto , che qual d' essi lo raggiogna ,
A quella fonte lo restituisca,
Ove la lite lor poi si finisca.
CANTO TRENTESIMOTERZO.
627
90 Seguendo, si partir dalla fontana,
L'erbe novellamente in terra peste.
Molto da lor Baiardo s' allontana ,
Ch'ebbon le piante in seguir lui mal preste.
Gradasso , che non lungi ayea V Alfana ,
Sopra vi salse , e per quelle foreste
Molto lontano il Paladin lasciosse ,
Tristo e peggio contento che mai fosse.
I Einaldo perde V orme in pochi passi
Del suo destrier , che fa strano Viaggio ;
Ch' andò rivi cercando , arbori e sassi ,
II più spinoso luogo, il più selvaggio.
Acciò che da quella ugna si celassi ,
Che cadendo dal ciel gli facea oltraggio.
Einaldo , dopo la fatica vana ,
Ritornò ad aspettarlo alla fontana ;
Se da Gradasso tI fosse condutto,
3ì come tra lor dianzi si convenne.
Ma poi che far si vide poco frutto ,
Dolente e a piedi in campo se ne venne.
)r torniamo a quell'altro , al quale in tutto
)iverso da Rinaldo il caso avvenne.
^on per ragion , ma per suo gran destino
enti annitrire il buon destrier vicino ;
96 Voglio Astolfo seguir, ch'a sella e a morso
A uso fàcea andar di palafreno
L' Ippogrifo per V aria a si gran corso ,
Che l'aquila e il falcon vola assai meno.
Poi che de' Galli ebbe il paese scorso
Da un mare all'altro, e da Pirene al Reno,
Tornò verso Ponente alla montagna
Che separa la Francia dalla Spagna.
97 Passò in Navarra. et indi in Aragona,
Lasciando a chi '1 vedea gran maraviglia.
Restò lungi a sinistra Tarracona,
Biscaglia a destra, ed arrivò in Castiglia.
Vide Galizia e'I regno d'Ulisbona;
Poi volse il corso a Cordova e Siviglia:
Né lasciò presso il mar né fra campagna
Città, che non vedesse tutta Spagna.
98 Vide le Gade, e la meta che pose
Ai primi naviganti Ercole invitto.
Per l'Africa vagar poi si dispose
Dal mar d'Atlante ai termini d'Egitto.
Vide le Baleariche famose,
E vide Eviza appresso al cammiu dritto.
Poi volse il freno e tornò verso Arzilla
Sovra '1 mar che da Spagna dipartilla.
E lo trovò nella spelonca cava,
•eir avuta paura anco sì oppresso ,
h' uscire allo scoperto non osava:
erciò l'ha in suo potere il Pagan messo,
sn della convenzion si raccordava ,
i' alla fonte tornar dovea con esso ;
a non è più disposto d'osservarla,
cosi in mente sua tacito parla :
Abbial chi aver lo vuol con lite e guerra;
d'averlo con pace più disio,
li' uno all' altro capo della terra
i venni , e sol per far Baiardo mio.
ch'io l'ho in mano, ben vaneggia ed erra
i crede che depor lo voless'io.
Rinaldo lo vuol, non disconviene,
ne io già in Francia, or s'egli in India viene.
^on men sicura a lui fia Sericana ,
: già, dne yolte Francia a me sia stata.
ì dicendo , per la via più piana
venne in Arli, e vi trovò l'armata;
uindi con Baiardo e Durindana
»arti sopra una galea spalmata.
questo a un'altra volta; ch'or Gradasso,
lido e tutta Francia addietro lasso.
99 Vide Marocco , Feza , Orano , Ippona ,
Algier , Buzea , tutte città superbe ,
C hanno d'altre città tutte corona.
Corona d'oro, e non di fronde o d'erbe.
Verso Biserta e Tunigi poi sprona;
Vide Capisse e l'isola d'Alzerbe,
E Tripoli e Bemicche e Tolomitta,
Sin dove il Nilo in Asia si tragitta.
100 Tra la marina e la silvosa schena
Del fiero Atlante vide ogni contrada.
Poi die le spalle ai monti di Carena,
E sopra i Cirenei prese la strada;
E traversando i campi dell'arena.
Venne a'confin di Nubia in Albaiada.
Rimase dietro il cimiter di Batto ,
E'I gran tempio d'Amon, ch'oggi è disfatto.
101 Indi giunse ad un'altra Tremisenne,
Che di Maumetto pur segue lo stilo.
Poi volse agli altri Etìopi le penne.
Che con tra questi son di là dal Nilo.
Alla città di Nubia il cammin tenne
Tra Dobada e Coalle in aria a filo.
Questi Cristiani son , quei Saracini;
E stan con l'arme in man sempre a' confini.
102 Senàpo ìmperator della Etiopia,
di' in loco tìen di scettro in man la croce,
Di gente, di cittadi e d'oro ha copia
Quindi fin là dove il mar Rosso ha foce;
E serva quasi nostra Fede propia,
Che può salvarlo dall'esilio atroce.
Gli è, s'io non piglio errore, in questo loco
Ove al battesmo loro usano il fuoco.
103 Dismontò il duca Astolfo alla gran come
Dentro di Nubia, e visitò il Senàpo.
Il castello è più ricco assai che forte.
Ove dimora d'Etiopia il capo.
Le catene dei ponti e delle porte.
Gangheri e chiavistei da piedi a capo ,
E finalmente tutto quel lavoro
Che noi di ferro usiamo , ivi usan d^ ore.
stanza 99
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104 Ancorché del finissimo metallo
Vi sia tale abbondanza, è pur in pregio.
Colonnate di limpido cristallo
Son le gran logge del palazzo regio.
Fan rosso , bianco , verde , azzurro e giallo
Sotto i bei palchi un relucente fregio ,
Divisi tra proporzionati spazj ,
Ru^in . smeraldi , zaffiri e topazj.
105 In mura, in tetti, in pavimenti sparte
Eran le perle , eran le ricche gemme.
Quivi il balsamo nasce : e poc.i parte
N'ebbe appo questi mai Gerusalemme.
Il muschio eh' a noi vi.u , quindi si parte;
Quindi vien l'ambra, e cerca altre maremme;
Vengon le cose in somma da quel canto.
Che rei paesi nostri vagliou tanto.
CANTO TEENTESIMOTEEZO.
529
m Si dice che'l Soldan, Re dell' Egitto,
A qnel Re dà tributo , e sta soggetto ,
Perebbe in poter dì lui dal cammin dritto
Levare il Nilo , e dargli altro ricetto ,
E per questo lasciar subito afflitto
Di fame il Cairo e tutto quel distretto.
Senàpo detto è dai sudditi suoi :
Gli diciam Presto o Preteianni noi.
107 Di quanti Re mai d' Etiopia foro,
n più ricco fu questi e il più possente;
Ma con tutta sua possa e suo tesoro ,
Gli occhi perduti avea miseramente.
E questo era il minor d' ogni martore :
Molto era più noioso e più spiacente,
Che , quantunque ricchissimo si chiame ,
Cruciato era da perpetua fame.
stanza 126
Se per mangiare o ber quello infelice
iiia cacciato dal bisogno grande ,
sto apparia rinfemal schiera ultrice,
monstmose Arpie brutte e nefande ,
i col grrifo e con V ugna predatrice
rg:eano i vasi, e rapian le vivande^
[liei che non capia lor ventre infi^ordo :
rimanea contaminato e lordo.
109 E questo, perch^ essendo d'anni acerbo,
E vistosi levato in tanto onore,
Che, oltre alle ricchezze, di più nerbo
Era di tutti gli altri, e di più core;
Divenne, come Lucifer, superbo,
E pensò muover guerra al suo Fattore.
Con la sua gente la via prese al dritto
Al monte ond' esce il gran fiume d' Egitto.
110 Inteso ayea che su quel monte alpestre,
Ch'oltre alle nuhi e presso al del si leva,
Era quel Paradiso che terrestre
Si dice, ove ahitò già Adamo ed Eva.
CJon caramelli, elefanti, e con pedestre
Esercito, orgoglioso si moveva
Con gran desir, se v'abitava gente,
Di farla alle sue le^gi ubbidiente.
Ili Dio gli represse il temerario ardire,
E mandò V Angel suo tra quelle frotte,
Che centomila ne fece morire,
E condannò lui di perpetua notte.
Alla sua mensa poi fece venire
L' orrendo mostro dall' infernal grotte.
Che gli rapisce e contamina i cibi.
Né lascia che ne gusti o ne delibi.
112 Ed in desperazion continua il mésse
Uno che già gli avea profetizzato
Che le sue mense non sarieno oppresse
Dalla rapina e dall'odore ingrato,
Quando venir per l'aria si vedesse
Un cavalier sopra un cavallo alato.
Petckè dunque impossibil parea questo ,
Privo d' ogni speranza vivea mesto.
116 E di marmore un tempio ti prometto
Edificar nell'alta reggia mia,
Che tutte d'oro abbia le porte e '1 tetto,
E dentro e fuor di gemme ornato aia;
E dal tuo santo nome sarà detto,
E del miracol tuo scolpito fia.
Cosi dicea quel Re che nulla vede.
Cercando invan baciar al Duca il piede.
117 Rispose Astolfo: Né l'Angel di Dio,
Né son Messia novel, né dal ciel vegno;
Ma son mortale e peccatore anch'io.
Di tanta grazia a me concessa indegno.
Io farò ogn'opra, acciò chel mostro rio,
Per morte o fuga, io ti levi del regno.
S' io il fo, me ncn, ma Dio ne loda solo,
Che per tuo aiuto qui mi drizzò il volo.
118 Fa questi voti a Dio, debiti a Ini:
A lui le chiese edifica e gli altari
Cosi parlando, andavano ambidui
Verso il castello fra i Baron preclari,
n Re comanda ai servitori sui,
Che subito il convito si prepari ,
Sperando che non debba essergli tolta
La vivanda di mano a questa volta.
113 Or che con gran stupor vede la gente
Sopra ogni muro e sopra ogni alta torre
Entrare il cavaliere, immantinente
É chi a narrarlo al Re di Nubia corre,
A cui la profezia ri toma a mente;
Ed obbli'ando per letizia torre
La fedel verga, con le mani innante
Vien brancolando al cavalier volante.
119 Dentro una ricca sala immantinente
Apparecchiossi il convito solenne.
Col Senape s' assise solamente
Il duca Astolfo, e la vivanda venne.
Ecco per l'aria lo strider si sente,
Percossa intome dall' erribil penne;
Ecco venir l'Arpie bratta e ne&nde,
Tratte dal ciel a odor delle vivande.
114 Astolfo nella piazza del castello
Con spaziose mote in terra scese.
Poi che fu il Re condotto innanzi a quello,
Inginocchiossi, e le man giunte stese,
E disse: Angel di Die, Messia novello,
S'io non merto perdono a tante offese.
Mira che proprio é a noi peccar sovente,
A voi perdonar sempre a chi si pente.
115 Del mio error consapevole, non chieggie
Né chiederti ardirei gli antiqui lumi.
Che tu lo possa far, ben creder deggio;
Che s^^i de' cari a Die beati numi.
Ti b.3ti il gran martir ch'io non ci veggio,
Senza ch'ognor la fame mi consumi.
Almen discaccia le fetide Arpie,
Che non rapiscan le vivande mie:
120 Erano sette in una schiera, e tutte
Volto di donne avean, pallide e smorte.
Per lunga &me attenuate e asciutte,
Orribili a veder più che la morte.
L'alacde grandi avean, deformi e brutte;
Le man rapaci, e Pugne incurve e torte;
Grande e fetide il ventre, e lunga coda.
Come di serpe che s'aggira e snoda.
121 Si sentono venir per l'aria, e quasi
Si veggon tutte a un tempo in sulla
Rapire i cibi, e riversare i vasi:
E molta feccia il ventre lor dispensa.
Talché gli é forza d'atturare i nasi;
Che non si può patir la puzza immensa.
Astolfo, come l'ira lo sospinge.
Centra gl'ingordi augelli il ferro strìnge.
CANTO TRENTESIMOTERZO.
581
132 Uno sol collo , un altro su la groppa
Percuote, e chi nel petto, e chi nelPala;
Ma come fera in s^nn sacco di stoppa,
Poi langae il colpo, e senza effetto cala;
E quei non vi lasciar piatto né coppa
Che fosse intatta; né sgombrar la sala
Prima che le rapine e il fiero pasto
Contaminato il tutto avesse e guasto.
125 E così in una loggia s'apparecchia
Con altra mensa altra vivanda nuova.
Ecco l'Arpie che fan l'usanza vecchia:
Astolfo il corno subito ritrova.
Gli augelli , che non han chiusa l' orecchia,
Udito il suon, non puon stare alla prova;
Ma vanno in fuga pieni di paura, »
Né di cibo né d'altro hanno più cura.
123 Avuto avea quel Ee ferma speranza
Nel Duca, che l'Arpie gli discacciassi;
£d or che nulla ove sperar gli avanza,
Sospira e geme, e disperato stassi.
Viene al Duca del corno rimembranza.
Che suole aitarlo ai perigliosi passi;
E conchiude tra sé, che questa via
Per discacciar i mostri ottima sia.
126 Subito il Paladin dietro lor sprona:
Volando esce il destrier fuor della loggia ,
E col Castel la gran città abbandona,
E per l'aria cacciando i mostri, poggia.
Astolfo il corno tnttavolta suona:
Fuggon l'Arpie verso la zona roggia,
Tanto che sono all'altissimo monte,
Ove il Nilo ha, se in alcun luogo ha, fonte.
24 E prima fa che '1 Re, con suoi Baroni,
Di calda cera l'orecchia si serra.
Acciò che tutti, come il corno suoni.
Non abbiano a fuggir fuor della terra:
Prende la briglia, e salta su gli arcioni
Dell' Ippogrlfo, ed il bel corno afferra;
E con cenni allo scalco poi comanda
Che riponga la mensa e la vivanda.
127 Quasi della montagna alla radice
Entra sotterra una profonda grotta ,
Che certissima porta esser si dice
Di eh' allo 'nferno vuol scender talotta.
Quivi s'è quella turba predatrice.
Come in sicuro albergo, ricondotta,
E giù sin di Oocito in sulla proda
Scesa, e più là, dove quel suon non oda.
128 All'infemal caliginosa buca
Ch'apre la strada a chi abbandona il lume,
Finì l'orribil suon l'inclito Duca,
E fe'raccorre al suo destrier le piume.
Ma prima che più innanzi io lo conduca,
Per non mi dipartir del mio costume,
Poiché da tutti i lati ho pieno il foglio.
Finire il Canto e riposar mi voglio.
V OTB.
T. 1. V. 1-4. — Timaffora di Oalcide gareggiò con Fidia.
Parrasio, nato in Efeso, emalo di ZeusL — Polignoto
Taso, isola dell' Arcipelago, fa de' primi ad usare i co-
. — Protogene^ nato a Canno, città di Caria dipendente
Rodi. — Timante credesi nato a CIdna, una delle Ci-
li, rivaleggiò con Parrasio. — Apollodoro^ ateniese,
in gran fama circa il 428. — Apelle, nativo di Coo, e
adino di Efeso, oscurò gli artisti che lo avevano pre-
ito ; visse ai tempi di Alessandro il Macedone. —
,8i ebbe i natali in Eraclea, e contese la palma a
rasio e ad Apolloioro suoi contemporanei.
'I. V. 5. — doto : una delle tre Parche,
r. 2. V. 1-5. — JB quei che fwro ai nostri dì , ecc.
nardo f detto da Vinci, dal luogo ove nacque nel 1452,
)n nel 1445, come leggesi in alcune vite, fu pittor»*,
ulioo ed architetto militare: mori in Francia nel 1519.
— Andrea Mantegna, nato in Padova nel 1430, lavorò
molto in Mantova: morto nel 1505. — Gian Bellino nacque
in Venezia nel 1426, e di 79 anni dipingeva uno de' suoi
capi d'opera che adomano il Louvre. — Duo Dossi. Erano
fratelli e ferraresi, uno di nome Dosso, Taltro Giambat-
tista. Dosso nacque nel 1474, fa grande amico del Poeta,
a cui fece il riti*atto. Giambattista era paesista, e lavorò
assai pel duca Alfonso. — Michel, più che mortale, Angel
divino: il Buonarroti, ch'ebbe i natali in Caprese del ter-
ritorio Aretino, nell'anno 1474; fu gigante nelle tre arti
sorelle : mori nel 1564. — Bastiano: più conosciuto sotto
il nome di Sebastiano del Piombo, benché Luciano fosse
il vero suo nome. Nacque a Venezia nel 1485, e morì in
Roma nel 1547. — Rafael: Rafaello Sanzio, nato in Ur-
bino nel 1483; mori nel 1520 — Tizian: Tiziano Vecel-
lio , nato nel 1477 a Pieve di Cadore, U più iUustre
pennello della scuola veneta: il contagio Io tolse di vita
nel 1576.
St. 4. V. 6-7. — AI lago Avemo: lago che tuttora
esiste nei dintoini di Pozzuoli. Ivi posero i mitologi Fin-
grosso all'inferno. — Alle Nursine grotte. Indica qui il
Poeta nel numero del più una grotta detta della Sibilla,
che apresi sul monte San Vittore, presso ad un lago, nel
territoi;io di Norcia, e dove credevasi che si adunassero
le streghe per feu'e i loro incantesimi
St. 8. V. 8. — Ch* ambi a un tempo furo. È questa
una finzione del Poeta; perchè Fieramente o Fai-amondo
visse un secolo prima del re Arturo.
St. 9. V. 5-8. — Ter lui: da Merlino. — Saper fece il
periglio a Fieramonte, a che di molti guai, ecc.: co-
struisci : fece sapere a Fieramonte il periglio di molti
guaita che porrà 6fM gente. — S'entranella terra, ecc.,
cioè in Italia , quasi colle stesse parole del Petrarca :
Vedrollo il bel paese Ch* Appennin parte il mar cir-
conda e VAlpe.
St. 13. V. 2-8. — Singiberto Fa lor veder, ecc. Vuol
dire che Maurizio, imperatore di Costantinopoli, adescò
con denaro il re di Francia Singiberto a scendere in
Italia per cacciarne i Longobardi — Dal monte di
Giove: il grande San Gottardo. Nel pian dal Lambro
e dal Ticino aperto : cioè la pianura lombarda: il Lam-
bro è fiume che scorre vicino a Monza; il Ticino procede
dal lago Maggiore , e toccando Pavia , mette foce nel-
TAdriatico. — Vedete Eutar, ecc. Eutari o Autari, re
longobardo , fu quello che batto e disfece Singiberto.
Si. 14. V. 1-8. Vedete Clodoveo , ecc. Rammenta un
altro re di Francia che condusse per V Alpi numeroso
esercito alla conquista d'Italia; ma restò sconfitto da
Orimoaldo, duca di Benevento, che, con finta ritirata e con
lasciare negli alloggiamenti molti viveri e vino assai, ade-
scò i soldati fi-ancesi ad inebbriarsi ; e cosi gli distrusse.
St. 15. V. 1-8. — Ecco in Italia Childìberto, ecc. Que-
sti fu zio di Clodoveo ; ed a vendicare la morte del ni-
pote fece scendere in Lombardia tre corpi d'esercito; i
quali perirono quasi intieramente per la spada del del;
cioè di caldo e di dissenteria.
ST. 16. V. 1-8. — Mostra Pipino, e ^nostra Carlo ap-
presso f ecc. Pipino e il figlino! suo Carlo Magno ven-
nero successivamente in Italia a sostenere i papi qui
nominati contro i re Longobardi. Aistulfo fu vinto da
Pipino; e Carlo Magno soggiogò e fece prigione il re
Desiderio, dando cosi fine a quel regno.
St. 17. V. 1-8. — Lor mastra appresso un giovene
Pipino , ecc. Ora il Poeta introduce Pipino , Aglio di
Carlo Magno, il quale movendo contro i Veneziani, oc-
cupò un tratto di pae^e, dalle Fornaci, cioè dalla foce
del Po detta Bocca di Fossone, air isola stretta e bis-
lunga che chiamasi Lido di Pelestrina. Dopo ch'egli si
fki impadronito delle isolette circostanti a Venezia, fece
gettare a Malamocco un ponte di legno per cui giunse
presso Rialto, dove combattè; e ritirandosi, trovò il
ponte disfatto dalla burrasca , onde i suoi ebbero gra-
vissima perdita.
St. 18. V. 1-8. — Ecco Luigi Borgognon, ecc. Venne
anche costui in Italia per farsela sua; ma vinto e preso
da Berengario I, riebbe la libertà sotto promessa di non
più muovere a danno della Penisola; ed avendo rotta
la data fede, fu preso di nuovo dal secondo Berengario;
e privato degli occhi , fu rimandato in Borgogna. —
Talpe per talpa. Si credeva in que' tempi che a cosi
fatti animali fosse impedito da una pellicola V organo
della vista.
St. 19. V. 1-8. — Vedete un Ugo d'Arti, ecc^
gario II, detronizzato da Rodolfo re di Borgogna, s.ty
volse agli Unni o Ungheri, perdio lo aosteneesero eo«n
quel re; dai quali egli mal difendendosi per la snméKt-
pocaggine , gì' Italiani ricorsero ad Ugo conte di Ari .
che, riuscito nell'impresa, regnò per dieci attaL Ma te-
nuto anch' egli nell'odio de' sudditi, dovè pattuire cu
Berengario III, il quale dopo la morte di Ugo e dd ii
lui figlio Lottarlo, riebbe il dominio d Italia.
St. 20. v. 1-8. — Vedete un altro Carlo, ecc. Fa q»-
sti Carlo d' Angìò , fratello di Luigi IX re dì Fraasa,
che invitato da Clemente IV discese in Italia; ed aveaé^
combattuto e vinto Manfredi a Benevento, poi CoixadiM
a Tagliacozzo , usurpò il regno di Napoli e la Sicilia.
dove per le oppressioni dei Francesi scoppiò il Fefpro
Siciliano. — Del buon pastor: ò detto per ironia, poi-
ché a Clemente IV dovette l'Italia una terribOe seiic di
gueiTe. — E Corradtno. Coi radino di Svevia non fa
veramente morto in battaglia, ma preso mentre iogp-
vasene in rotta, e dopo alcuni mesi di pri^one» a mci-
tamen o del buon pastore, decapitato sulla piazza del-
l'Annunziata in Napoli.
St. 21. V. 38. — Scender dai monti un eapHmm
Gallo, ecc Giovanni III, conte d' Armagnac, detto ncik
Stanza seguente Armeniaco. Venuto in Italia codk al-
leato dei Fiorentini contro Galeazzo Visconti duca Ai
Milano , fu preso in mezzo sotto Alessandria , ed ivi
battuto e rimasto prigioniero, mori poco appresso, per
le riportate ferite.
St. 23. V. 1-8. — Un, detto della Marca: Iacopo di
Borbone , conte della Marca. Fu marito della regiat
Giovanna, che poi lo scacciò dal regno, e adottò AlfoBS»
d'Aragona , il quale sconfisse successivamente Lsigi e
Rinieri d'Angiò, pretendenti al regno di Napoli Mone
Alfonso, il figlio di lui, Ferrante d'Aragona, che gli sncee-
dette, vinse Giovanni d'Angiò che contrastava^li il trono.
St. 24. V. 18.— Vedete Carlo ottavo, ecc. Parlasi della
discesa di Carlo Vili in Italia (1494), U quale dopo aver
passato il Liri , cioè il Garigliano , occupò senza eoa-
trasto il reame di Napoli, meno l' isola d' Ischia (qaì a
nella St. 52 del Canto XXVI detta scoglio , e montt
nella St. 23 del Canto XVI) , difesa da Inico del Tasto
del sangue degli Avalos.
St. 27. V. 7-8. — Un cavaliero, ecc. Accenna il mar-
chese Don Alfonso del Vasto.
St. 28. y. 1-8. — Paragona le qualità del marchese
del Vasto a queUe che Omero attribuisce a Nireo , ad
Achille, ad Ulisse e a Nestore, e che la storia dà a Ce-
sare. — Lada: velocissimo cursore di Alessandro il
Macedone.
St. 29. V. 2-4. — Quando il nipote, ecc. Giove figUooIo
di Saturno, ch'era figlio di Gelo e di Opi, ebbe i natali
in Creta, secondo i mitologi. — Dei duo gemelli Delo:
Apollo e Diana, nati ad un parto in queir isola da Iia-
tona, ohe trovò ivi refùgìo dall'ira di Giunone.
St. 31. V. 1-8. — Ecco, dicea^ si pente Ludovico, ho-
dovico Sforza, emulo di Alfonso d'Aragona, eccitò Gir-
lo Vni a venire in Italia.
St. 32. V. ìS. — Mala sua gente, ecc. Ferrante, figlio
di Alfonso, con V aiuto de' Veneziani e del mar<Aese di
Mantova, cacciò intieramente dal regno i Francesi;
e l'ultimo fatto d' armi fu la battaglia d'Atella.
St. 33. V. 6-8. — Con un trattato doppio, ecc. 11 mar-
chese di Pescara avea guadagnato con denaro un negro
schiavo nell'esercito A-ancese, che gli promise d* intro-
durre gli Aragonesi nel Castel Nuovo di Napoli ; ma il
CANTO TEENTESIMOTERZO.
533
negro, doppiamente traditore, scoperse il tatto ai Fran-
cesi, e prezzolalo, accise insidiosamente il Pescara.
St. 34. V. 1-8. — Fui mostra il duodecimo Luigi, eco.
Luigi XU re di Francia, scése in Italia il 1499, cacciò
Lodovico Sforza dal dacato di Milano, e quindi si volse ad
occupare il regno di Nnpoli ; ma le sue genti furono rotte
e disperse dagli Aragonesi al passaggio del (origliano.
St. 35. V. 1-8. — Vedete in Puglia, ecc. Si allude alla
battaglia della Cirignola vinta dagli Aragonesi nel 1503
Balle truppe di K rancia. — Nel ricco pian, ecc.: nella
pianura lombarda. — Adria: TAdriatico.
St. 36. V. 3-6. — Uno che vende, ecc. Bernardino da
lOTte , a cui lo Sforza aveva affidata la custodia del
castello di Milano, lo cedo per danaro ai Francesi. — U
lerfido Svinerò. Lo Sforza fu tradito dagli Svizzeri.
St. 37. V. 1-8. — Cesar Borgia, ecc. Questo famoso
igliuolo di papa Alessandro VI , sposata eh' ebbe una
arente del re di Navarra , e divenuto signore di Ro-
iagna,pose in opera ferro e veleno contro i Colonnesi,
Gaetanì, gli Orsini: spense i Varano da Camerino, e
)lse Io Stato a molti baroni, fra i quali i Malatesta di
imini, i Manfredi di Faenza, Giovanni Sforma di Pesaro
Ouidobaldo di Montefeltro. — Poi mostra il re, ecc.
aria ancora di Luigi XII, che dopo avere espulsi di So-
gna i Bentivoglio, lo stemma de' quali presentava una
iffa, fece rientrare quella città sotto il dominio di papa
iulio II, indicato con l'emblema delle Giande,
St. 38. V. 1-4. — Vedete, dice poiy di gente morta, ecc,
geenna alla giomata di Ghiaradadda, combattuta nel
maggio 1509, nella quale i Veneziani furono sconfitti,
sendovi rimasto prigione il comandante del loro eser-
o, Bartolommeo d'Alviano. — v. 5-8. Vedete come al
pa, ecc. Lo stesso Luigi XU si oppose a papa Giulio,
e, dichiarata la guerra al duca Alfonso, gli avea tolta
•dona ; ed anzi fece riavere ai Bentivoglio la signoria
Bologna, spogliandone il papa.
>T. 39. V. 3-8. — Vedete il campo de' Franceschi:
jcheggio di Brescia, nel 1512. — Del lito de* Chiassi:
^8se, luogo presso Ravenna, antico porto de* Romani,
. pienamente interrito.
T. 40. V. 1-8. — Di qua la Francia, ecc. Rammenta
nuovo la battaglia di Ravenna.
T. 41. V. 7-8. -— E che posto un rampollo, ecc. Mas-
illano, figlio di Lodovico Sforza, che riebbe il ducato
Milano perduto dal padre.
r. 42. V. 1-4 — Ecco toma il Francese, ecc. Accen-
i qui la battaglia della Riotta presso Novara, com-
;uta e vinta da Massimiliano (6 giugno 1513) col mezzo
e truppe svizzere, che il Poeta dice infedeli, pel tra-
ento anteriore, a danno di Lodovico. Per tale vitto-
Leon X, che aveva fornito il soldo agli Svizzeri, diede
il titolo di difensori della Chiesa.
: 43, V. 1-8. —E con miglior auspicio, ecc. Fran-
0 I, succeduto a Luigi XII, disfece gli Sviz eri nella
aglia di Marignano, e quindi s'impadroni di Milano.
.44. V. 3-8. — Ecco Borbon, ecc. Carlo di Borbone
ideva per Francesco 1 Milano contro gì' Imperiali,
poi gliela tolsero.
. 45. V. 1-8 — Intende di Francesco Sforza, nipote
)monimo, che, aiutato dal papa, riacquistò il Mila-
e continuando nella guerra i Francesi, questi f^-
trattennti da Federigo Gonzaga, duca di Mantova
oro impedi d'entrar in Pavia.
46. V. 6-8. — E del Leon del mar: de' Veneziani.
uo fnarehesi, ecc. : di Pescara e del Vasto.
St. 49. V.3— La Bicocca: castello vicino a Pavia,
sotto il quale Svizzeri e Francesi perderono molta gente.
St. 50. V. 1-7. — Ma quella , ecc. : la Fortuna. — A
quel che diman gli esce: alle grandi somme di denaro
da lui disposte per raccogliere un esercito numeroso.
St. 52. V. 1-8. — Accennasi alla battaglia di Pavia
(25 febbraio 1525) perduta da Francesco I, che vi restò
prigioniero.
St. 54. V. 5-8. — Ecco che *l re nella prigione ibe-
ra, ecc.: Francesco ricuperò la libertà, lasciando a Car-
lo V due figliuoli in ostaggio; poi mandò un altro eser-
cito in Italia, mentr'egli stesso era assalito in Francia
dalle forze britanniche.
St. 55. V. 1-8. — Vedete gli omicidj e le rapine, ecc.
Accenna al saccheggio di Roma e la prigionia del pon-
tefice insieme coi cardinali. — Il campo della Lega, ecc.
Per discordie fra il marchese di Saluzzo, Federigo da
Bozzolo, e i duchi di Milano e di Urbino che comanda-
vano Fesercito detto della Lega, Roma non fu soccorsa,
ed ebbero luogo gFindicati disastri.
St. 56. V. 7-8. — La cittade ove sepolta, ecc. Napoli,
che fu detta Partenope dal nome della Sirena che si
favoleggia ivi morta.
St. 57. V. 1-8. — Carlo V spedi per mare un'armata a
soccorso di Napoli; ma la fiotta genovese al servigio di
Francia, comandata da Filippino Dona, distrusse gl'Im-
periali presso la costa di Amalfi. Le malattie però tra-
vagliarono gli assedianti francesi per modo, che dovet-
tero levare il campo e lasciar libero il regno di Napoli.
St. 68. V. 6. — Si tolga del coraggio : si levi dalla
mente, dall'animo.
St. la V. 1-7. — Le Qade: Cadice; gli antichi geo-
grafi conobbero in quel luogo due isole, una delle quali,
detta da Strabene Erithia, è scomparsa.— Ev/^a; Ivica,
una delle Baleari. — Arzilla: nel regno di Fez.
St. 99. V. 1-7. — Feza : Fez. — Ippona : Bona ; Btizea:
Bugia ; ambedue città dell' Algeria , come pure Orano.
— Biserta: nel regno di Tunisi. Capisse: Cabes, città
marittima dello Stato di Tunisi , sul golfo omonimo.
Alzerbe: Gerbi, piccola isola sullo stesso golfo. Bemic-
che : V antica Berenice , a levante di Cirene , sul golfo
della gran Sirte. Tolomitta : anticamente Ptolema'S,
nello Stato di Tripoli.
St. 100. V. 3-8. — Monti di Carena: diramazione del
monte Atlante. — Cirenei: abitanti del paese di Baroi.
— U cimiter di Batto : la Cyrene degli antichi , oggi
Coirvan , fabbricata da Batto che vi mori. — Il gran
tempio d*Amon: Giove Ammone ebbe un tempio nella
Libia cirenaica, oggi deserto di Barca.
St. 101. V. 1-4 — Un'altra Tremisenne. il Poeta ha
voluto indicare la Tremessus della Pisidia? S'ignora.
— Agli altri Etiopi: agli Abissini, la regione de' quali
riguardavasi come una seconda Etiopia.
St. 102. V. 6. — Dall'esilio atroce: dall'inferno.
St. 106. v: a — Presto o Preteiannù Cosi dai nostri
antichi fu chiamato il sovrano dell' Abissinia; vedi
viaggi di Marco Polo.
St. 109. V. 2 -a —Al monte, ecc. 1 monti della Luna,
donde credesi derivare il Nilo.
St. 112. V. 6. — Un cavalier, ecc. Fineo, raccontano
Apollonio e Fiacco , sarebbe stato liberato dalle Arpie,
alla venuta, nella sua corte, di Calai e Zete, che faceano
il viaggio a Colchide cogli Argonauti.
St. 126. y.6. — La jro/iaro^^fa: la zona torrida. Dante
chiamò pure città roggia (rossa) la città di Dite.
Canto XXXIV.
OA^^TO TKENTESIMOQUARTO.
JjQ|4u lina I? luq Utente invtìt ti v& contro L'iin]mii»&Tldì£à,ilP<>u
li arni. tU» A^tolfd, entrato nella grotta dove iJ t» mài t
fetno. ode Jn un'anima U peni impoKla ai diio(Ma■^: u
la ni uro alU liI Sate quindi ni par&diso ieiTO&«> « di li
al ]»iajigu Lunare, ove gli è dato il me^SEO di i
senno n j Orbìido. Deacrizione del p&lizsa deD« Ftrt
iìh fameliche^ inique e Bere Arpie,
rif all\icc€i:ata Italia e d^error piena,
Ter imiiir fora e antique colpe rie^
lu ogni mensa aìtu giudi citi ineEa!
Iiiiii't'unti fanciulli e madri pie
Cascali di fame, e veggon ch'uiia cena
Di (juesti mostri rei tutto divora
Ciò che del viver lor aostcguo fura,
Tropiio fallò chi le spelonche apenie;
Che ^ìk uìclt'anui erano state chiuse;
Oudtì il fetore e T ingordigia emerse,
rh\^d ammurhare Italia si dìlfuic.
Il bel vivere allora si summerse;
£ la quiete iu tal modo s^ escluse.
Ch'in guerre, in povertÀ sempre e in aflkoni
È dopo stata , ed è per star molt' aonì;
CANTO TRENTESIMOQUARTO.
Finch' e)la nn giorno ai neghittosi figli
Scuota la chioma, e cacci fuor di Lete,
Gridando lor: Non fia chi rassimigli
Alla virtù di Calai e di Zete?
Che le mense dal puzzo e dagli artigli
Liberi, e tomi a lor mondizia liete?
Come essi già quelle di Fineo, e dopo
Fé' il Paladin quelle del Re eti'ópd.
Ali or senti parlar con voce mesta;
Deh, senza fare altrui danno, giù cala.
Pur troppo il negro fumo mi molesta.
Che dal fuoco infernal qui tutto esala.
Il Duca stupefatto allor s'arresta,
E dice all'omhra: Se Dio tronchi ogni ala
Al fumo si, eh' a te più non ascenda,
Non ti dispiaccia che'l tuo stato intenda.
Il Paladin col suono orribil Tenne
Le brutte Arpie cacciando in fuga e in rotta,
Tanto ch'appiè d'un monte si ritenne
Ov'esse erano entrate in una grotta.
L'orecchie attente allo spiraglio tenne,
E l'aria ne senti percossa e rotta
Da pianti e d'urli, e da lamento eterno;
Segno evidente quivi esser lo 'nfemo.
Astolfo si pensò d'entrarvi dentro,
E veder quei e' hanno perduto il giorno,
E penetrar la terra fin al centro,
E le bolge infernal cercare intorno.
Di che debbo temer, dicea, s'io v'entro?
Ohe mi posso aiutar sempre col corno.
Parò fuggir Plutone e Satanasso,
E '1 Oan trif&uce leverò dal passo.
Dell'alato destrier presto discese,
B lo lasciò legato a un arbuscello:
^oi si calò nell'antro, e prima prese
'1 corno, avendo ogni sua spems in quello.
Ton andò molto innanzi, che gli offese
1 naso e gli occhi un fumo oscuro e fello
^ù che di pece grave e che di zolfo,
^on sta d'andar per questo innanzi Astolfo.
Ma quanto va più innanzi, più s'ingrossa
l fumo 6 la caligine; e gli pare
h' andare innanzi più troppo non possa,
he sarà forza addietro ritornare,
eco, non sa che sia, vede far mossa
alla volta di sopra, come fare
cadavero appeso al vento suole,
ile molti di sia stato all'acqua e al Sole.
Si poco, e quasi nulla era di luce
1 quella affumicata e nera strada,
le non comprende e non disceme il Duce
ii questo sia, che sì per l'aria vada;
per notizia averne si conduce
dargli uno o due colpi della spada,
ima poi ch'uno spirto esser quel debbia;
lè gli par di ferir sopra la nebbia.
Stanza 9.
10 E se vaoi che di te porti novella
Nel mondo su, per satisfarti sono.
L'ombra rispose: Alla luce alma e bella
Tornar per fama ancor si mi par buono.
Che le parole è forza che mi svella
Il gran desir e' ho d'aver poi tal dono;
E che '1 mio nome e l' esser mio ti dica.
Benché '1 parlar mi sia noia e fatica.
11 E cominciò: Signor, Lidia son io,
Dal Re di Lidia in grande altezza nata,
Qni dal gindicio altissimo di Dio
Al famo eternamente condannata,
Per esser stata al fido amante mio,
Mentre io vissi, spiacevole ed ingrata.
D^alore infinite è questa grotta piena,
Poste per simil fallo in simil pena.
12 Sta la cmda Anassarete più al basso,
Ove è maggiore il fumo e più martire.
Restò converso al mondo il corpo in sasso,
E Fanima quaggiù venne a patire;
Poiché veder per lei l'afllitto e lasso
Suo amante appeso potè soiferire.
Qui presso è Dafne, ch'or s'avvede quanto
Errasse a fare Apollo correr tanto.
18 Lungo saria se gP infelici spirti
Delle femmine ingrate, che qui stanno,
Volessi ad uno ad ano riferirti:
Che tanti son, eh' in infinito vanno.
Più lungo ancor saria gli uomini dirti,
A' quai l'esser ingrato ha fatto danno,
E che puniti. sono in peggior loco,
Ove il fumo gli acceca, e cuoce il fuoco.
14 Perchè le donne più facili e prone
A creder son, di più supplicio è degno
Chi lor fa inganno. Il sa Teseo e Giasone,
E chi turbò a Latin l'antiquo regno:
Sallo ch'incontra sé il frate Absalone
Per Tamar trasse a sanguinoso sdegno;
Ed altri ed altre, che sono infiniti.
Che lasciato bau chi moglie e chi mariti.
lo Ma per narrar di me più che d'altrui,
E palesar l'error che qui mi trasse.
Bella, ma altiera più, si in vita fui, .
Che non so s' altra mai mi s'agguagliasse :
Né ti saprei ben dir, di questi dui,
S'in me l'orgoglio o la beltà avanzasse:
Quantunque il fasto e l'alterezza nacque
Dalla beltà eh' a tutti gli occhi piacque.
16 Era in quel tempo in Tracia un cavaliere
Estimato il miglior del mondo in arme,
Il qual da più d'un testimonio vero
Di siogolar beltà senti lodarme;
Talché spontaneamente fé' pensiero
Di voler il suo amor tutto donarme.
Stimando meritar per suo valore,
Che caro aver di lui dovessi il co>'e.
17 In Lidia venne; e d'un laccio più forte
Vinto rastò, poi che veduta m'ebbe.
Con gli altri cavalier si messe in corte
Del padre mio, dove in gran fama crebbe
L'alto valore, e le più d'una sorte
Prodezze che mostrò, lungo sarebbe
A raccontarti, e il suo merto infinito,
Quando egli avesse a più grato uom servita.
18 Pamfilia e Caria, e il regno de' Olici
Per opra di costui mio padre vinse;
Che r esercito mai centra i nimici,
Se non quanto volea costui, non spinse.
Costui, poi che gli parve i benefici
Suoi meritarlo, un di col Re si strinse
A domandargli, in premio delle spoglie
Tante arrecate, ch'io fossi sua moglie.
19 Fu repulso dal Re, ch'in grande stato
Maritar disegnava la figliuola;
Non a costui che, cavalier privato.
Altro non tien che la virtude sola:
E '1 padre mio, troppo al guadagno dato,
E all'avarizia, d'ogni vizio scuola,
Tanto apprezza costumi, o virtù ammira
Quanto l'asino fa il suon della lira.
20 Alceste, il cavalier di eh' io ti parlo
(Che così nome avea), poi che si vede
Repulso da chi più gratificarlo
Era più debitor, commiato chiede;
E lo minaccia, nel partir, di farlo
Pentir, che la figliuola non gli diede.
Se n'andò al Re d'Armenia, emulo antico
Del Re di Lidia, e capital nimico;
21 E tanto stimulò, che lo dispose
A pigliar l'arme, e far guerra a mio padre
Esso, per l'opre sue chiare e famose.
Fu fatto capitan di quelle squadre.
Pel Re d'Armenia tutte l'altre cose
Disse eh' acquisteria : sol le leggiadre
E belle membra mie volea per frutto
Dell'opra sua, vinto ch'avesse il tutto.
22 Io non ti potrei esprimere il gran duino
Ch' Alceste al padre mio fa in quella guerra.
Quattro eserciti rompe, e in men d'un anno
Lo mena a tal, che non gli lascia terra,
Fuor ch'un castel eh' alte pendici fanno
Fortissimo; e là dentro il Re si serra
Con la famiglia che più gli era accetta,
sembiante,
che conosco ch'arde, non gli parlo,
come avea già disegnato innante:
ita l'occasìon, fo peusier nuovo
nvenìente al grado in ch'io lo trovo.
l maledir comincio l'amor d'esso,
li sua crudeltà troppo a dolermi,
iniquamente abbia mio padre oppresso ,
:he per forza abbia cercato avermi;
! con più grazia gli saria successo
i a non molti dì, se tener fermi
uto avesse i mudi cominciati,
al Re e a tutti noi si furon grati.
I sebben da principio il padre mio
avea negata la domanda onesta
'occhè di natura è un poco rio,
mai si piega alla prima richiesta),
jì per ciò di ben servir restio
doveva egli, e aver l'ira sì presta:
., ognor meglio oprando, tener certo
re in breve al desiato merto.
29 E sebben era a lui venuta, mossa
Dalla pietà ch'ai mio palre portava,
Sia certo che non molto fruir pos^
Il piacer ch'ai dispetto mio gli dava:
Ch'era per far di me la terra rossa.
Tosto ch'io avessi alla sua voglia prava
Con questa mia persona satisfatto
Di quel che tutto a forza saria fatto.
stanza 38.
30 Queste parole e simili altre usai ,
Poiché potere in lui mi vidi tante:
E'I più pentito lo rendei, che mai
Si trovasse nell'eremo alcun santo.
Mi cadde a' piedi, e supplicommi assai,
Che col coltel che si levò da cinto
(E volea in ogni modo eh' io '1 pigliassi)
Di tanto fallo suo mi vendicassi.
quando anco mio padre a lui ritroso
> fosse, io l'avrei tanto pregato,
rrìa l'amante mio fatto mio sposo.
se veduto io l'avessi ostinato,
i fatto tal opra di nascoso,
di me Alceste si saria lodato.
)oich' a lui tentar parve altro modo,
mai non l'amar fisso avea il chiodo.
31 Poich'io lo trovo tale, io fo disegno
La gran vittoria insin al fin seofuire.
Gli do speranza di farlo anco degno
Che la persona mia potrà fruire ,
S'emendando il suo error, l'antiquo regno
Al padre mio farà restituire;
E nel tempo avvenir vorrà acquistarme
Servendo , amando , e non mai più per arme.
82 Cosi far mi promesse, e nella rocca
Intatta mi mandò , come a lui Tenni.
Né di badarmi pur s' ardi la bocca :
Vedi s'al collo il g^iogo ben gli tenni;
Vedi se bene Amor per me lo tocca,
Se convien che per lui più strali impenni.
Al Be d'Armenia andò, di cui doTca
Esser per patto ciò che si prendea :
33 E con quel miglior modo ch'usar puote,
Lo priega ch'ai mio padre il regno lassi,
Del qual le terre ha depredate e vote ,
Ed a goder l'antiqua Armenia passi.
Quel Re, d'ira infiammando ambe le gote,
Disse ad Alceste che non vi pensassi;
Che non si volea tor da quella guerra,
Finché mio padre avea palmo di terra.
34 E s' Alceste è mutato alle parole
D' una vii femminella , abbiasi il danno.
Già a'prieghi esso di lui perder non vuole
Quel eh' a fatica ha preso in tutto un anno.
Di nuovo Alceste il priega , e poi si duole
Che seco effetto i prieghi suoi non fanno.
All'ultimo s'adira, e lo minaccia.
Che vuol , per forza o per amor , lo faccia.
35 L' ira multiplicò si , che li spinse
Dalle male parole ai peggior fatti.
Alceste contra il Re la spada strìnse
Fra mille ch'in suo aiuto s'eran tratti;
E , malgrado lor tutti , ivi l' estinse :
E quel di ancor gli Armeni ebbe disfatti
Con l'aiuto de' Cilici e de' Traci
Che pagava egli, e d'altri suoi seguaci.
36 Seguitò la vittoria , ed a sue spese ,
Senza dispendio alcun del padre mio,
Ne rendè tutto il regno in men d' un mese.
Poi per ricompensarne il danno rio,
Oltr'alle spoglie che ne diede, prese
In parte, e gravò in parte di gran fio
Armenia e Cappadocia che confina,
E scorse Ircania fin su la marina.
38 E quando sol, quando con poca gioite.
Lo mando a strane imprese e perigliose.
Da fEUne morir mille agevolmente :
Ma a lui successer ben tutte le cose;
Che tornò con vittoria, e fu sovente
Con orribil persone e monstmose.
Con giganti a battaglia e Lestrigoni,
Ch' erano infesti a nostre regioni
39 Non fu da Euristeo mai, non fii mai untD
Dalla matrigna esercitato Alcide
In Lema, in Nemea, in Tracia, inErìmante.
Alle valli d'Etolia, alle Numide,
Sul Tebro, su l'Ibero, e altrove; quanto
Con prieghi finti e con voglie omicide
Esercitato fii da me il mio amante ,
Cercando io pur di torlomi davante.
40 Né potendo venire al primo intento,
Vengone ad un di non minore effetto :
Gli fo quei tutti ingiuri ir, ch'io sento
Che per lui sono, e a tutti in odio il metto.
Egli , che non sentia maggior contento
Che d' ubbidirmi , senza alcun rispetto
Le mani ai cenni miei sempre avea pronte,
Senza guardare un più d'un altro in fironte.
41 Poi che mi fu, per questo mezzo, avviso
Spento aver del mio padre ogni nimico,
E per lui stesso Alceste aver conquiso,
Che non si avea, per noi, lasciato amico;
Quel ch'io gli avea con simulato viso
Celato fin allor , chiaro gli esplico :
Che grave e capitale odio gli porto,
E pur tuttavia cerco che sia morto.
42 Considerando poi , s' io lo facessi ,
Ch'in pubblica ignominia ne verrei
(Sapeasi troppo quanto io gli dovessi,
E (HTudel detta sempre ne sarei),
Mi parve &re assai , eh' io gli togliesm
Di mai venir pii\ innanzi agli occhi mieL
Né veder né parlar mai più gli volsi ,
Né messo udì', nò lettera ne tolsi
37 In luogo di trionfo , al suo ritomo ,
Facemmo noi pensier dargli la morte.
Restammo poi , per non ricever scorno ;
Che lo veggiam troppo d' amici forte.
Fingo d'amarlo, e più di giorno in giorno
Gli do speranza d'essergli consorte;
Ma prima contra altri nimici nostri
Dico voler che sua virtù dimostri»
43 Questa mia ingratitudine gli diede
Tanto martir , eh' alfin dal dolor vinto ,
E dopo un lungo domandar mercede,
Infermo cadde, e ne rimase estinto.
Per pena ch'ai fallir mio si richiede,
Or gli occhi ho lacrimosi, e il viso tinto
Del negro fumo: e cosi avrò in etemo;
Che nulla redenzione é nell' Infemo. i Poiché non parla più Lidia infelice ,
Va il Dnca per saper s' altri vi stanzi :
Ma la caligine alta , eh' era ultrice
Dell'opre ingrate, si glMngrossa innanzi,
Ch'andar nn palmo sol più non gli lice:
Anzi a forza tornar gli conviene; anzi,
Perchè la vita non gli sia intercetta
Dal filmo, i passi accelerar con fretta.
Il mutar spesso delle piante ha vista
Di corso , e non di chi passeggia o trotta.
Tanto , salendo inverso V erta , acquista ,
]!he vede dove aperta era la grotta;
i) r aria , già caliginosa e trista,
)al lume cominciava ad esser rotta.
Jfin con molto affanno e grave ambascia
Isce dall' antro y e dietro il fumo lascia.
E perchè del tornar la via sia tronca ,
quelle bestie , e' han si ingorde 1' epe ,
aguna sassi, e molti arbori tronca,
tie v'eran qoal d'amomo e qnal di pepe;
come può, dinanzi alla spelonca
ibbrica di sua man quasi una siepe ,
gli succede cosi ben quell'opra
le più l'Arpie non torneran di sopra.
n negro fumo della scura pece ,
intre egli fu nella caverna tetra,
n macchiò sol quel 'eh' apparia , ed infece:
sotto i panni ancor entra e penetra :
che per trovar acqua andar lo fece
cando un pezzo; e alfin fuor d'una pietra
e una fonte uscir nella foresta,
la qual si lavò dal pie alla testa.
60 Cantan fra i rami gli augelletti vaghi
Azzurri e bianchi e verdi e rossi e gialli.
Murmuranti ruscelli e cheti laghi
Di limpidezza vincono i cristalli.
Una dolce aura che ti par che vaghi
A nn modo sempre, e dal suo stil non falli
Facea si l' aria tremolar d' intomo ,
Che non potea noiar caler del giorno:
stanza 47.
oi monta il volatore, e in aria s'alza,
g:i anger di quel monte in su la cima ,
non lontan con la superna balza
cerchio della Luna esser si stima.
to è il desir che di veder lo 'ncalza ,
li cielo aspira, e la terra non stima.
' aria più e più sempre guadagna :
0 ch'ai giogo va della montagna.
ffir, rubini, oro, topazj e perle
3.nianti e crisoliti e jacinti
ano i fiori assimigliar, che per le
1 piaggio v'avea l'aura dipinti;
rdi V erbe , che possendo averle
gin , ne foran gli smeraldi vinti ;
len belle degli arbori le frondi,
frutti e di fior sempre fecondi.
51 E quella ai fiori, ai pomi e alla verzura
Gli odor diversi depredando giva;
E di tutti facea una mistura
Che di soavità l'alma notriva.
Surgea un palazzo in mezzo alla pianura
Ch' acceso esser parea di fiamma viva :
Tanto splendore intorno e tanto Inme
Raggiava , fuor d' ogni mortai costume.
52 Astolfo il suo destrier verso il palagio.
Che più dì trenta miglia intomo aggira,
A passo lento fa muovere adagio,
E quinci e quindi il bel paese ammira;
E giudica , appo quel , brutto e malvagio,
£ che sia al cielo ed a natura in ira
Questo ch'abitiam noi fetido mondo:
Tanto è soave quel, chiaro e giocondo.
53 Come egli è presso al laminoso tetto,
Attonito riman di maraviglia;
Che tatto dUma gemma è *1 muro schietto,
Più che carbonchio lucida e yermìglia.
Oh stupenda opra, oh dedalo architetto!
Qual fabbrica tra noi le rassimiglia?
Taccia qualunque le mirabil sette
Moli del mondo in tanta gloria mette.
56 Per imparar come soccorrer del
Carlo, e la santa Fé tor di perìglio,
Venuto meco a consigliar ti sei
Per cosi lunga via senza consiglio.
Né a tuo saper né a tua virtù vorrei
Ch'esser qui giunto attribuissi, o figlio;
Che né il tuo corno né il cavallo alato
Ti valea, se da Dio non t'era dato.
Stanza 54.
54 Nel lucente vestibulo di quella
Felice casa un vecchio al Duca occorre.
Che '1 manto ha rosso, bianca la gonnella,
Che Tun può al latte, l'altro al minio opporre.
I crini ha bianchi e bianca la mascella
Di folta barba ch'ai petto discorre;
Ed é si venerabile nel viso,
Ch'un degli eletti par del Paradiso.
57 Eagionerem più ad agio insieme poi ,
E ti dirò come a procedere hai:
Ma prima vienti a ricrear con noi;
Che '1 digiun lungo de' noiartì ormai.
Continuando il vecchio i detti suoi,
Fece maravigliare il Duca a.S8aì,
Quando, scoprendo il nome suo, gli disse
Esser colui che l' Evangelio serìcee;
Stanza 50.
55 Costui con lieta feiccia al Paladino,
Che riverente era d'arcion disceso,
Disse: 0 Baron, che per voler divino
Sei nel terrestre Paradiso asceso;
Comeché né la causa del cammino,
Né il fin del tuo desir da te sia inteso;
Pur credi che non senza alto misterio
Venuto sei dall'artico emisperio.
58 Quel tanto al Redentor caro Giovanni,
Per cui il sermone tra i fhitelli uscio,
Che non dovea per morte finir gli anni ;
Si che f\i causa che '1 Figliuol di Dio
A Pietro disse: Perché pur t'afianni,
S' io vo' che così aspetti il venir mio ?
Benché non disse: Egli non de' morire;
Si vede pur che cosi volse dire.
Staiusa 51. i9 Quivi fa assunto, e troTò compagnia,
Che prima Enoch, il patriarca, v'era,-
Erayi insieme il gran profeta Elia,
Che non han rista ancor V ultima sera ;
E fuor dell'aria pestilente e ria
Si goderan l' etema primavera.
Finché dian segno T angeliche tuhe
Che tomi Cristo in su la bianca nube. 60 Con accoglienza grata il cavaliero
Fu dai Santi alloggiato in una stanza:
Fu provvisto in un'altra al suo destriero
Di buona biada, che gli fii abbastanza
De' frutti a lui del Paradiso diéro,
Di tal sapor, eh' a suo giudicio, sanza
Scusa non sono i duo primi parenti,
Se per quei fur sì poco ubbidienti.
stanza 00.
Poi eh' a natura il Duca avventuroso
tisfece di quel che se le debbo,
me col cibo, così col riposo,
è tutti e tutti i comodi quivi ebbe;
sciando gi& l'Aurora il vecchio sposo,
' ancor per lunga età mai non l' increbbe,
vide incontra nell'uscir del letto
discepol da Dio tanto diletto;
Jhe lo prese per mano, e seco scorse
molte cose di silenzio degne;
3oi disse: Figliuol, tu non sai forse
i iB Francia accada, ancorché tunevegne.
pi che 1 vostro Orlando, perchè torse
cammin dritto le commesse insegne,
•unito da Dio, che più s'accende
tra chi egli ama più, quando s'offende,
63 II vostro Orlando, a cui nascendo diede
Somma possanza Dio con sommo ardire,
E fuor dell'uman uso gli concede
Che ferro alcun non Io può mai ferire;
Perchè a difesa di sua santa Fede
Cosi voluto l'ha constituire.
Come Sansone incontra a' Filistei
Constituì a difesa degli Ebrei:
64 Renduto ha il vostro Orlando al suo Signore,
Di tanti beneficj iniquo morto:
Che quanto aver più lo dovea in favore,
N'è stato il fedel popol più deserto.
Sì accecato Tavea l'incesto amore
D'una Pagana, ch'avea già sofferto
Due volte e più venire empio e crudele.
Per dar la morte al suo cugin fedele.
Stanca 79.
65 E Dio per questo fa eh' egli va folle,
E mostra nndo il yentre^ il petto e il fianco ;
E l'intelletto si gli offasca e tolle,
Che non può altrui conoscere, e sé manco.
A questa guisa si legge che volle
Nabuccodonosòr Dio punir anco,
Che sette anni il mandò di furor pieno
Sì che, qual bue, pasceva Terba e il fieno.
66 Ma perch'assai minor del Paladino,
Che di Nabucco, è stato pur P eccesso,
Sol di tre mesi dal voler divino
A purgar questo error termine è messo.
Né ad altro effetto per tanto cammino
Salir quassù t'ha il Redentor concesso.
Se non perchè da noi modo tu apprendi,
Come ad Orlando il suo senno si renda.
Sfcanza 89.
i)7 Gli è yer che ti bisogna altro viaggio
Far meco, e tutta abbandonar la terra.
Nel cerchio della Luna a menar t^ aggio,
Che dei pianeti a noi più prossima erra;
Perchè la medicina che può saggio
Rendere Orlando, 1& dentro si serra.
Come la Lana questa notte sia
Sopra noi giunta, ci porremo in via.
? Di questo e d'altre cose fu diffuso
Il parlar dell'Apostolo quel giorno.
Ma poi che'l Sol s'ebbe nel mar rinchiuso,
E sopra lor levò la Luna il corno.
Un carro apparecchiossi, ch'era ad uso
D'andar scorrendo per quei cieli intomo:
Quel già nelle montagne di Giudea
Da' mortali occhi Elia levato avea.
Quattro destrier via più che fiamma rossi
Ài giogo il santo Evangelista aggiunse;
5 poi che con Astolfo rassettossi,
3 prese il freno, inverso il ciel li punse,
botando il carro, per l'aria levossi,
S tosto in mezzo il fuoco etemo giunse;
)he'l vecchio fé' miracolosamente,
!he, mentre lo pass&r, non era ardente.
Tutta la sfera varcano del fuoco
t indi vanno al regno della Luna,
eggon per la più parte esser quel loco
)me un acciar che non ha macchia alcuna;
Io trovano uguale, 0 minor poco,
[ ciò ch'in questo globo si raguna,
questo ultimo globo della terra,
attendo il mar che la drcondcT e serra.
Quivi ebbe Astolfo doppia maraviglia;
e quel paese appresso era si grande,
quale a un picdol tondo rassimiglia
noi che lo miriam da queste bande;
ch'aguzzar conviengli ambe le ciglia,
adi la terra e '1 mar, eh' intomo spande,
cerner vuol; che non avendo luce,
magin lor poco alta si conduce.
Jtri fiumi, altri laghi, altre campagne
) lassù, che non son qui tra noi;
i piani, altre valli, altre montagne,
ban le cittadi, hanno i castelli suoi,
case delle quai mai le più magne
vide il Paladin prima né poi:
sono ampie e solitarie selve,
le Ninfe ognor cacciano belve.
73 Non stette il Duca a ricercare il tutto;
Che là non era asceso a quello effetto.
Dall'Apostolo santo fu condutto
In un vallon fra duo montagne istretto.
Ove mirabilmente era ridutto
Ciò che si perde o per nostro difetto,
0 per colpa di tempo o di Fortuna:
Ciò che si perde qui, là si raguna.
74 Non pur di regni o di ricchezze parlo,
In che la ruota instabile lavora;
Ma di quel ch'in poter di tor, di darlo
Non ha Fortuna, intender voglio ancora.
Molta fama è lassù, che, come tarlo.
Il tempo al hmgo andar quaggiù divora:
Lassù infiniti prieghi e voti stanno,
Che da noi peccatori a Dio si fanno.
75 Le lacrime e i sospiri degli amanti,
L'inutil tempo che si perde a giuoco,
E l'ozio lungo d'uomini ignoranti.
Vani disegni che non bau mai loco;
1 vani desideri sono tanti.
Che la più parte ingombran di quel loco:
Ciò che in somma quaggiù perdesti mai.
Lassù salendo ritrovar potrai.
76 Passando il Paladin per quelle biche,
Or di questo or di quel chiede alla guida.
Vide un monte di tumide vessiche.
Che dentro parea aver tumulti e grida;
E seppe ch'eran le corone antiche
E degli Assiij e della terra Lida,
E de' Persi e de' Greci che già furo
Incliti, ed or n'è quasi il nome oscuro.
77 Ami d' oro e d'argento appresso vede
In una massa, ch'erano quei doni
Che si fan con speranza di mercede
Ai Re, agli avari principi, ai patroni.
Vede in ghirlande ascosi lacci; e chiede,
Et ode che son tutte adulazioni.
Di cicale scoppiate imagine hanno
Versi ch'in laude dei signor si fanno.
78 Di nodi d'oro e di gemmati ceppi
Vede c'han forma i mal seguiti amori.
V'eran d'acquile artìgli; e che fur, seppi.
L'autorità ch'ai suoi danno i Signori.
I mantici ch'intorno bau pieni i greppi.
Sono i fumi dei Principi, e i favori
Che danno un tempo ai Ganimedi suoi,
Che se ne van col fior degli anni poi.
548
GELANDO PUEIOSO.
79 Buine di dttadi e di castella
Stavan con gran tesor quivi sozzopra.
Domanda, e sa che son trattati, e quella
Congiura che si mal par che si copra.
Vide serpi con &ccia di donzella,
Di monetieri e di ladroni V opra:
Poi vide bocce rotte di più sorti,
Oh'era il serrò delle misere corti.
80 Di versate minestre una gran massa
Vede, e domanda al suo Dottor, ch'importo.
L'elemosina è, dice, che si lassa
Alcun, che fatta sia dopo la morte.
Di vari fiori ad nn gran monte passa,
Ch'ebbe già buono odore, or putia forte.
Questo era il dono (se però dir lece)
Che Costantino al buon Silvestro fece.
81 Vide gran copia di panie con visco,
Ch'erano, o donne, le bellezze vostre.
Ltmgo sarà, se tutte in verso ordisco
Le cose che gli ftir quivi dimostre;
Che dopo mille e mille io non finisco,
E vi son tutte l' occorrenzie nostre :
Sol la pazzia non v' è poca né assai;
Che sta quaggiù, né se ne parte mai.
82 Qaivi ad alcuni giorni e &tti sui,
Ch'egli già avea perduti, si converse:
Che se non era interprete con lui.
Non discemea le forme lor diverse.
Poi giunse a quel che par si averlo a nui.
Che mai per esso a Dio voti non fèrse;
10 dico il senno : e n' era quivi un monte.
Solo assai più, che l'altre cose conte.
83 Era come un liquor suttile e molle.
Atto a esalar, se non si tien ben chiuso;
E si vedea raccolto in varie ampolle,
Qaal più, qual men capace, atte a quell'uso.
Quella è maggior di tutte, in che del folle
Signor d'Anglante era il gran senno infuso ;
E fu dall'altre conosciuta, quando
Avea scritto di fuor: Senno d'Orlando.
84 E cori tutte l'altre avean scritto anco
11 nome di color di chi fu il senno.
Del suo gran parte vide il Duca franco;
Ma molto più meravigliar lo fènno
Molti ch'egli credea che dramma manco
Non dovessero averne, e quivi dònno
Chiara notàsia che ne tenean poco;
Che molu quantità n'era in quel lece.
85 Altri in amar lo perde, altri in onori.
Altri in cercar, scorrendo il mar, rìcèbecze:
Altri nelle speranze de' Signori^
Altri dietro alle magiche sciocchezze:
Altri in gemme, altri in opre di pittori,
Ed altri in altro che più d'altro apprezze.
Di sofisti e d'astrologhi raccolto,
E di poeti ancor ve n'era molto.
86 Astolfo tolse il suo; che gliel concesse
Lo scrìttor dell'oscura Apocalisse.
L'ampolla in ch'era, al naso sol si messe,
E par che quello al luogo suo ne gisse ;
E che Turpin da indi in qua confesse
Ch'Astolfo lungo tempo saggio visse;
Ma ch'uno error che fece poi, fu quello
Ch' un' altra volta gli levò il cervello.
87 La più capace e piena ampolla, ov' era
n senno che solea fyn savio il Conte,
Astolfo toUe: e non è sì leggiera,
Come stimò, con l'altre essendo a monte.
Prima che '1 Paladin da quella sfera
Piena di luce alle più basse smonte.
Menato fu dall'Apostolo santo
In un palagio, o v'era un fiume accanto;
88 Ch'ogni sua stanza avea piena di velli
Di lin, di seta, di coton, di lana.
Tinti in vari colori e brutti e belli.
Nel primo chiostro una femmina oana
Fila a un aspo traea da tutti quelli;
Come veggiam l'estate la villana
Traer dai bachi le bagnate sposrlie ,
Quando la tfuova seta si raccoglie.
89 Ve chi, finito un vello, rimettendo
Ne viene un altro, e chi ne porta altronde:
Un'altra delle filze va scegliendo
Il bel dal brutto che quella confonde.
Che lavor si fa qui, eh' io non l' intendo ?
Dice a Giovanni Astolfo: e quel risponde:
Le vecchie son le Parche, che con tali
Stami filano vite a voi mortali
90 Quanto dura un de' velli, tanto dura
L'umana vita, e non di più un momento.
Qui tien l'oochio e la Morte e la Natura,
Per saper l' ora ch'un debba esser spento.
Sceglier le belle fiU ha l'altra cura.
Perchè si tesson poi per ornamento
Del Paradiso; e dei più brutti stami
Si fan per li dannati aspri legami 91 Dì tatti i yelli eh' erano già messi
In aspo, e scelti a ^Gume altro lavoro,
Erano in brevi piastre i nomi impressi:
Altri di ferro, altri d'argento o d'oro;
E poi fitti n'avean cumuli spessi,
De' quali, senza mai farvi ristoro.
Portarne via non si vedea mai stanco
Un yecchio, e ritornar sempre per anco. 92 Era quel vecchio si espedito e snello.
Che per correr parea ohe fosse nato:
E da quel monte il lemho del mantello
Portava pien del nome altrui segnato.
Ove n' andava, e perchè facea quello ,
Nell'altro Canto vi sarà narrato,
Se d'averne piacer segno fìtrete
Con quella grata udienza che solete. N o T B.
St. 1. V. 1. — Arpie sono qui i barbari soeei in Italia
i loro desolata.
8t. 2. V. 1-4. — Troppo falld, $ec. Allude a Giulio n,
e, dopo la giornata di Ravenna, riaccese la guerra in
Jia, chiamandovi gli Svizzeri per discaociame i Fran-
ii, — y. 5. iZ bel vivere è la bella vita che in Italia
menava prima della discesa di Oarlo YIII.
IT. 3. V. 2-7. — Cacci fiAor di Lete: fàccia dimenti-
e; e ciò riguarda la misera condizione deglltaliani.
!a virtù di Calai e di Zete, ecc. : due figli di Borea
li Oritia, i quali cacciarono sino alle Strofadi le Arpie
brattavano le mense di Fineo re di Tracia.
T. 5. V. 8. — JZ can trifauce, è Cerbero da tre teste.
T. 7. V. 5. — Far mossa, dondolare.
T. 12. V. 1-7. — Anassarete: donzella di Cipro, la
insensibilità all'amore dlfl, principe cipriotto, cen-
so il giovine ad appiccarsi ; ed ella Ai convertita in
IO. — Dafne : ninfa, che fuggendo da Apollo, da cui
amata, venne cangiata in lauro.
r. 14. V. 3-e. — JZ «a Teseo e Giasone, ecc. Rammenta
'oeta quattro ingannatori di donne: Teseo cioè e
ione, che delusero, Tuno Arianna, Paltro Medea ; Enea,
[uistatore del Lazio , che abbandonò Didone, e Am-
, figlio di David, che mutò in odio il suo amore per
ar; di che nacque odio mortale fta lui e Absalon.
. 18. V. 1. ~ La Panfilia, la Caria, la Cilicia, come
e la Lidia, erano regni dell'Asia minore, oggi Ana-
32. V. 6. — Più strali impenni: guarnisca di
), prepari altri strali per innamorarlo.
36. y. 6. — Tributo pagato per vassallaggio. —
Ircania, provincia dell'antica Persia, sul mar Ca-
famosa per le sue tigri (tigri ireane) che non vi
iù.
38. V. 7. — Lestrigoni: rozzi popoli del Lazio,
asentati neHOdissea come antropofSaigi.
30. V. 1-5. — Non fu da EuHsteo mai, ecc. Vedi
i mitologi le molte prove a cui Alcide (Brcole) fu
osto, per l'odio ohe gli portava Giunone. In Lema,
l'Idra ; in Nomea, il Leone ; in Tracia, Diomede; in
ato accise on cinghiale ferocissimo; in Nnmidia,
•nte Anteo ; sul Tevere, Caco; solllbero, Gerione.
17. V. 3. — Infeee: deturpò.
iO. V. 5. — Vaghi: scorra intomo.
St. 53. V. 5^. — Dedalo: qui ifi^e^oso, a modo di
epiteto. — Le mirahil sette moli: le sette, chiamate
dagli antichi, maraviglie del mondo; vale a dire,
le Piramidi egiziane, il sepolcro di Mausolo, il tempio
di Diana in Efeso, il colosso di Rodi, il palazzo di Ciro
re dei Medi, la statua di Giove Olimpico, e le mura di
Babilonia.
St. 58. V. 1-8 — Giovanni l'evangelista, figlinol di
Zebedeo.
St. 69. v. 2-8. — Enoch, U patriarca, ecc. In letà d'anni
365 fu rapito sopra un carro di fuoco , e portato vivo
nel paradiso terrestre, dove si dice che debba stare fino
alla consumazione dei secoli. — Il gran profeta Elia.
Presso al fiume Giordano, e sugli occhi del profeta Eli-
seo, suo discepolo, anche Elia scomparve sopra un carro
di fuoco. — Tube, trombe, voce latina usata da Dante.
St. 61. v. 5. — Il vecchio sposo : Titone.
St. 62. V. 1. ~ Scorse: discorse, ragionò.
St. 69. V. 1-6. Quattro destrier, via più che /lammu
rossi; ed il Petrarca, Trionfo d'Amore, I: Quattro de-
strier via più che neve bianchi. — E tosto in messo U
fuoco etemo giunse. Intendi nella sfera del fuoco, che,
secondo le teorie di Tolomeo, credevasi intermedia fm
la terra e il cielo della luna.
St. 75. V. 4. — Non han mai loco : non sono mai
eseguiti.
St. 76. v. 1. — Biche : qui cumuli, mucchi.
St. 78. V. Ò, — J^cppi; le pelli de' mantici, che di-
latandosi e restringendosi a vicenda, accolgono l'aria e
la respingono fuori. ^ Ganimedi : qui sta per i favoriti
de'principi. Ganimede , figliuolo di Troe, era si beUo e
ben formato, che Giove lo rapi per farsene un coppiere
in cielo.
St. 80. V. 8. — Che Costantino , ecc. Costantino im-
peratore, di cui senza fondamento storico si dice , che
passando ad abitare a Costantinopoli donasse Roma a
S. Silvestro.
St. 84, V. 3. — Il dtéca franco : Astolfo, che, sebbene
inglese, era paladino di Francia.
St. 88. V. 4. — Oana: canuta.
St. 91. V. 8. — £ ritornar sempre per anco : sottin-
tendi a levarne.
St. 92. V. 1. — Era quel vecchio, ecc. Descrive alle
goricamente la velocità del tempo.
CANTO TRENTESIMOQUINTO. Canto XXXV. dell amore auo; poi, tOj^Lìeiido occ&slone d&ì lavoro d6lJ« Pattdit,
fa uno Bi>Ii.''ULlidij elogio al cjìidinal d' K^to^ Hostra qiuQcli tOMÈÈ
il tem|iu Hpi,'iig^a i nomi de^Ii nomini ofì^iurì, e come salg^ a i
immortùlr.^ (lUi'l f!iri prcdai-i. E ripii^^liandu U filo dui Foi:im&» ri-
ferisce alcuni fatti lj;ì Brad cimante, elle, punta tuttora dì ,
pei' Ruggiero, Io sfida a Uattaglia, Chi salirà per moi Madonna ^ in cielo
A riportarne il miu p erti ut a ingegno ^
Che^ poi cli'n:ìcì de^beì Toatri occM il telo
Cile 1 cor mi fisee , ognor perdendo Tegno ?
Ké di tauU iattura mi querelo,
rurchè non cresca, ma sda a quesito segno;
Cy ii> dubito , SG più si Ta scemando ,
Dì venir tal , qual lio descritto Orlando.
Per riaTer l'ingeierno mio m*è aTTiso
Cile non bisogna che per Tana io poggi
Nel cercliio della Luna o in Paradisa;
Chè'ì mio non credo che tanto alto alloggi.
Nc^ bei vostri occld e nel sereno viso ^
Nel sen d^avoris> e alabagtrìm poggi
Se ne va errando ; ed io con queste labbia
Lo còrrò y se vi par ch'io lo riabbia. Per gli ampli tetti andava il Paladino
\itte mirando le fatare vite,
'oi ch'ebbe visto sul fatai molino
olgerd quelle <ih' erano già ordite :
scòrse nn vello che più che d' dr fino
)Iender parea; né sarian gemme trite ,
in filo si tirassero con arte,
a comparargli alla millesma parte.
Mirabilmente il bel vello gli piacque,
le tra infiniti paragon non ebbe;
di sapere alto disio gli nacque,
landò sarà tal vita, e a chi si debbe.
Evangelista nulla glie ne tacque :
e venti anni principio prima avrebbe ,
le coll'M e col D fosse notato
anno corrente dal Verbo incarnato.
9 Quegli ornamenti che divisi in molti,
A molti basterìan per tutti ornarli ,
In suo ornamento avrà tutti raccolti
Costui, di ch'ai volato ch'io ti parli.
Le virtudi per lui, per lui suffolti
Saran gli studi; e s'io vorrò narrar li
Alti suoi merti , al fin son si lontano ,
Ch'Orlando il senno aspetterebbe invano.
10 Cosi venia V imitator di Cristo
Ragionando col Duca : e poi che tutte
Le stanze del gran luogo ebbono visto ,
Onde l'umane vite eran condutte.
Sul fiume uscirò, che d'arena misto
Con l'onde discorrea turbide e brutto;
E vi trovar quel vecchio in su la riva ,
Che con gì' impressi nomi vi veniva.
E come di splendore e di beltade
el vello non avea simile o pare;
sì saria la fortunata etade,
e dovea uscirne al mondo , singulare ;
rchè tutte le grazie inclite e rade ,
alma Natura, o proprio studio dare,
)enigna Fortuna ad uomo puote,
rà in perpetua ed infallibil dote.
)el Be de' fiumi tra l'altiere coma
siede umil, diceagli, e piccol borgo;
anzi il Po, di dietro gli soggiorna
Jta palude un nebuloso gorgo;
, volgendosi gli anni , la più adoma
tutte le città d'Italia scorgo,
pur di mura e d' ampli tetti regi ,
di bei studi e di costumi egregi
anta esaltatone e cosi presta ,
fortuita 0 d'avventura casca;
V ha ordinata il Ciel perchè sia questa
uà in che l'uom, di ch'io ti parlo, nasca:
j doYe il fhitto ha da venir , s' innesta
•n studio si fa crescer la frasca;
artefice l' oro affinar suole ,
he legar gemma di pregio vuole.
» si leggiadra né si bella veste
la ebbe altr'alma in quel terrestre regno;
ro è sceso e scenderà da queste
superne un spirito si degno,
) per fame Ippolito da Este
e V eterna Mente alto disegno,
ito da Este sarà detto
mo a ehi Dio si ricco dono ha eletto.
11 Non so se vi sia a mente, io dico quello
Ch' al fin dell' altro Canto vi lasciai.
Vecchio di faccia, e si di membra snello.
Che d'ogni cervio è più veloce assai.
Degli altrui nomi egli si empia il mantello;
Scemava il monte , e non finiva mai ;
Ed in quel fiume che Lete si noma,
Scarcava, anzi perdea la ricca soma.
12 Dico che , come arriva in su la sponda
Del fiume, quel prodigo vecchio scuote
Il lembo pieno , e nella turbida onda
Tutte lascia cader l' impresse note.
Un numer senza fin se ne profonda,
Ch'un minimo uso aver non se ne puote;
E di cento migliaia che l'arena
Sul fondo involve , un se ne serva appena.
13 Lungo e d' intomo quel fiume volando
Gfivano corvi ed avidi avoltori>
Mulacchie e vari augelli, che gridando
Facean discordi strepiti e r omeri;
Ed alla preda correan tutti , quando
Sparger vedean gli amplissimi tesori:
E chi nel becco, e chi nell'ugna torta
Ne prende; ma lontan poco gli porta.
14 Come vogliono alzar per l'aria i voli.
Non han poi forza che '1 peso sostegna ;
1^ che convien che Lete pur involi
De^ ricchi nomi la memoria degna.
Fra tanti augelli son duo cigni soli.
Bianchi , Signor , come è la vostra insegna ,
Che vengon lieti riportando in bocca
Sicuramente il nome che lor tocca.
562
ORLANDO PUBIOSO.
stanza 16.
16 Cosi contra i pensieri empi e maUgm
Del yecchio, che donar gli yorria ai ùmim
Alcan ne salyan gli augelli benigni
Tatto Tayanzo obblivìon oonsnme.
Or se ne yan notando i sacri d^i ,
Ed or per l'aria battendo le pinme,
Finché presso alla ripa del fiiime empio
Troyano un colle, e sopra il colle un tempii.
16 All' Immortalitade il laogo è sacro,
Oye una bella Ninfa giù del colle
Viene alla ripa del letéo layacro ,
E di bocca dei cigni i nomi tolle;
E quelli affigge intorno al simalacro
Ch'in mezzo il tempio una colonna «tolle.
Qoiyi li sacra, e ne fa tal goyemo.
Che yi si puon yeder tutti in eterno.
17 Chi sia quel yecchio, e perchè tatti al rk
Senza alcun frutto i bei nomi dispensi,
E degli augelli , e di quel luogo pio
Onde la bella Ninfa al fiume yiend ,
Ayeya Astolfo di saper desio
I gran misteri e gli incogniti sensi ;
E domandò di tutte queste cose
L' uomo di Dio, che cosi gli rispose :
18 Tu dèi saper che non si muoye fronda
Laggiù, che segno qui non se ne fiaccLL
Ogni effetto conyien che corrisponda
In terra e in ciel, ma con diyersa faccia.
Quel yecchio, la cui barba il petto innond&.
Veloce si che mai nulla V impaccia ,
Gli effetti pari e la medesima opra
Che '1 Tempo fa laggiù , fa qui di sopra.
19 Vòlte che son le fila in su la ruota,
Laggiù la yita umana arriva al fine.
La fama 1& , qui ne riman la nota ;
Ch' immortali sariano ambe e divine ,
Se non che qui quel dalla irsuta gota,
E laggiù il Tempo ognor ne fk rapine
Questi le getta , come yedi , al rio :
E quel l'immerge nell'eterno obblio.
20 E come quassù i corvi e gli avoltori
E le mulacchie e gli altri vari augelli
S' affaticano tutti per trar fuori
Dell'acqua i nomi che veggion più beUi;
Cosi laggiù ruffiani , adulatori ,
Buffon , cinedi , accusatori , e quelli
Che vivono alle corti , e che vi sono
Più grati assai che '1 virtuoso e 1 buono;
stanza 13. 21 E son chiamati cortigian gentili ,
Perchè sanno imitar l' asino e '1 ciacco ;
DeMor Signor tratto che n*ahhia i fili
La giusta Parca, anzi Venere e Bacco,
Questi di ch'io ti dico, inerti e vili.
Nati solo. ad empir di cibo il sacco.
Portano in bocca qualche giorno il nome ;
Poi nelPobblio lascian cader le some. 7 Omero Agamennon vittorioso,
E fé i Troian parer xili ed inerti ;
E che Penelopea, fida al suo sposo,
Dai prochi mille oltraggi avea sofferti.
E se tu vuoi cheU ver non ti sia ascoso,
Tutta al contrario V istoria converti :
Che i Greci rotti , e che Troia vittrice
E che Penelopea fu meretrice.
?2 Ma come i cigni, che cantando lieti
Rendono salve le medaglie al tempio ;
Cosi gii uomini degni da* poeti
Son tolti dalPobblio, più che morte empio.
0 beue accorti Principi e discreti ,
Che seguite di Cesare V esempio ,
E gli scrittor vi fate amici, donde
Non avete a temer di Lete Fonde!
3 Son , come i cigni , anco i poeti rari ,
Poeti che non sian del nome indegni.
Si perchè il Ciel degli uomini preclari
Non paté mai che troppa copia regni ,
Sì per gran colpa dei Signori avari
Che lascian mendicare i sacri ingegni ;
Che le virtù premendo, ed esaltando
I vizj, caccian le buone arti in bando.
[ Credi che Dio questi ignoranti ha privi
Dello 'ntelletto , e loro offusca i lumi ;
Che della poesia gli ha fatto schivi,
Acciò che morte il tutto ne consumi.
Oltre che del sepolcro uscirian vivi,
Ancor ch*avesser tutti i rei costumi;
Purché sapesson farsi amica Cirra,
Più grato odore avrian, che nardo o mirra.
Non si pietoso Enei, né forte Achille
^u, come è fama, né sì fiero Ettorre;
^ ne son stati e mille e mille e mille
^he lor si puon con verità anteporre ;
ila i donati palazzi e le gran ville
)ai discendenti lor , gli ha fatto porre
Q questi senza fin sublimi onori
)air onorate man degli scrittori.
Non fa si santo né benigno Auguste ,
'ome la tuba di Virgilio suona:
«' avere avuto in poesia buon gusto ,
a proscrizione iniqua gli perdona.
essun sapria se Neron fosse ingiusto,
è sua ^ma saria forse men buona ,
vesse avuto e terra e ciel nimid ,
i gli scrittor sapea tenersi amici.
stanza 24.
28 Dair altra parte odi che fama lascia
Elisa, ch'ebbe il cor tanto pudico;
Che riputata viene una bagascia ,
Solo perché Maron non le fu amico.
Non ti maravigliar eh* io n'abbia ambascia,
E se di ciò diffusamente io dico.
Gli scrittori amo, e fo'il debito mio;
Ch*al vostro mondo fui scrittore anch'io.
21 E sopra tutti gli altri io feci acquisto
Che non mi può levar tempo nò morte:
E ben convenne al mio lodato Cristo
Rendermi guiderdon di si gran sorte.
Ducimi di quei che sono al tempo tristo.
Quando la cortesia chiuso ha le porte;
Che con pallido viso e macro e asciutto
La notte e '1 di vi picchian senza frutto.
80 ^ che, continuando il primo detto,
Sono i poeti e gli studiosi pochi;
Che dove non han pasco né ricetto,
Insin le fere abbandonano i lochi.
Cosi dicendo il vecchio benedetto
Gli occhi infiammò, che parveno duo fuochi:
Poi volto al Duca con un saggio riso ,
Tornò sereno il conturbato viso.
31 Resti con lo scrittor dell'Evangelo
Astolfo ormai, ch'io voglio far un salto.
Quanto sia in terra a venir fin dal cìdo:
Ch4o non posso più star su l'ali in alto.
Tomo alla donna, a cui con grave telo
Mosso avea gelosia crudele assalto.
Io la lasciai eh' avea con breve ^erra
Tre Re gittati, un dopo l'altro, in terra;
Stanza 40.
32 E che giunta la sera ad un castello
Ch'alia via di Parigi si ritrova,
D'Agramante che, rotto dal fratello,
S'era ridotto in Arli, ebbe la nuova.
Certa che'l suo Rnggier fosse con quello;
Tosto ch'apparve in ciel la luce nuova.
Verso Provenza , dove ancora intese
Ohe Carlo lo seguia, la strada prese.
33 Verso Provenza per la via più dritta
Andando, s'incontrò in una donzella,
Ancorché fosse lacrimosa e afflitta.
Bella di faccia, e di maniere bella.
Questa era quella si d' amor trafitta
Per lo figliuol di Monodante , quella
Donna gentil ch'avea lasciato al ponte
L'amante suo prigion di Rodomonte.
stanza 31. 84 Ella venia cercando un cavalìero ,
Cb' a far battaglia usato , come lontra
In acqua e in terra fosse , e co^ fiero ,
Che lo potesse al Pagan porre incontra.
La sconsolata amica di Ruggiero ,
Come quest'altra sconsolata incontra,
Cortesemente la saluta, e poi
Le chiede la cagion dei dolor suoi. 35 Fiordiligi lei mira, e veder parie
Un cavalier eh* al suo bisogno fia;
E comincia del ponte a ricontarle ,
Ove impedisce il Re d* Algier la via ;
E ch'era stato appresso di levarle
L'amante suo: non che più forte sia;
Ma sapea darsi il Saracino astuto
Col ponte stretto e con quel fiume aiuto.
(6 Se sei, dicea, si ardito e si cortese,
Come ben mostri 1* uno e 1* altro in vista ,
Mi vendica , per Dio , di chi mi prese
Il mio signore , e mi fa gir si trista;
E consigliami akneno in che paese
Possa io trovare un eh' a colui resista,
E sappia tanto d'arme e di battaglia,
Che '1 fiume e '1 ponte al Pagan poco vaglia.
7 Oltre che tu farai quel che conviensi
Ad uom cortese e a ca vallerò errante,
In beneficio il tuo valor dispensi
Del più fedel d' ogni fedele amante.
Dell'altre sue virtù non appartiensi
A me narrar ; che sono tante e tante ,
Che chi non n' ha notizia , si può dire
Che sia del veder privo e dell'udire.
B La magnanima donna, a cui fu girata
Sempre ogni impresa che può farla degna
D'esser con laude e gloria nominata.
Subito al ponte di venir disegna:
Ed ora tanto più, eh' è dispei 'a,
Vien volentier, quando anco a mor, vegna;
Che credendosi, misera! esser priva
Del suo Ruggiero, ha in odio d'esser viva.
) Per quel ch'io vaglio, giovane amorosa.
Rispose Bradamante , io m' offerisco
Di far l'impresa dura e perigliosa.
Per altre cause ancor, ch'io preterisco;
Ma più, che del tuo amante narri cosa
( he narrar di pochi uomini awertisco ,
Che sia in amor fedel; ch'afiè ti giuro
Ch'in ciò pensai eh' ognun fosse pergiuro.
40 Con un sospir quest'ultime parole
Finì , con un sospir eh' usci dal core ;
Poi disse : Andiamo ; e nel seguente sole
Giunsero al fiume, al passo pien d'orrore.
Scoperte dalla guardia che vi suole
Fame segno col corno al suo Signore ,
n Pagan s'arma; e, quale è'I suo costume.
Sul ponte s' appresenta in ripa al fiume :
41 E come vi compar quella guerriera.
Di porla a morte subito minaccia,
Quando dell'arme e del destrier, su ch'era,
Al gran sepolcro oblazi'on non faccia.
Bradamante che sa l'istoria vera,
Come per lui morta Isabella giaccia ,
Che Fiordiligi detto le l'avea,
Al Saracin superbo rispondea:
42 Perchè vuoi tu, bestiai, che gl'innocenti
Facciano penitenzia del tuo fallo?
Del sangue tuo placar costei convienti*.
Tu l'uccidesti; e tutto '1 mondo sallo.
Sì che di tutte l'arme e guernimenti
Di tanti che gittati hai da cavallo ,
Oblazione e vittima più accetta
Avrà, ch'io te le uccida in sua vendetta.
43 E di mia man le fia più grato il dono ,
Quando , com' ella fu , son donna anch' io :
Né qui venuta ad altro effetto sono,
Oh' a vendicarla; e questo sol disio.
Ma far tra noi prima alcun patto è buono,
Che'l tuo valor si compari col mio.
S'abbattuta sarò, di me farai
Quel che degli altri tuoi prigion fatt' hai :
44 Ma s' io t' abbatto , come io credo e spero ,
Guadagnar voglio il tuo cavallo e l'armi,
E quelle offerir sole al cimitero ,
E tutte l'altre distaccar da' marmi;
E voglio che tu lasci ogni guerriero.
Rispose Bodomonte: Giusto parmi
Che sia come tu di'; ma i prigion darti
Già non potrei, ch'io non gli ho in queste parti.
45 Io gli ho al mio regno in Africa mandati
Ma ti prometto e ti do ben la fede,
Che se m'awien per casi inopinati
Che tu stia in sella, e ch'io rimanga a piede,
Farò che saran tutti liberati
In tanto tempo, quanto si richiede
Di dare a un messo che 'n fretta si mandi
A far quel che , s' io perdo , mi comandi.
46 Ma 8* a te tocca star di sotto , come
Più si conviene, e certo so che fia,
Non yo^che lasci Parme, né il tao nome,
Come di vinta, sottoscritto sia:*
Al tuo bel viso, a^ begli occhi, alle chiome;
Che spiran tutti amore e leggiadria.
Voglio donar la mia vittoria; e basti
Che ti disponga amarmi, ove m'odiasti.
49 Nel trapassar ritrovò appena loco
Ove entrar col destrìer quella gnenierm;
E fu a gran risco , e ben vi mancò poeo.
Ch'ella non traboccò nella riviera;
Ma Rabicano, il quale il vento e 1 faoeo
Concetto avean, si destro ed agii era.
Che nel margine estremo trovò strada;
E sarebbe ito anco s'un fil di spada.
stanza
50 EUa si volta , e centra rabbattuto
Pagan ritoma : e con leggiadro mott<» :
Or puoi, disse , veder chi abbia perduto ,
E a chi di noi tocchi di star di sotto.
Di maraviglia il Pagan resta muto ,
Ch' una donna a cader V abbia condotto ;
E far risposta non potè o non volle ,
E fu come uom pien di stupore e foUe.'
51 Di terra si levò tacito e mesto ;
E poi ch'andato fu quattro o sei passi.
Lo scudo e Telmo, e dell'altre arme il resm
Tutto si trasse, e gittò contra i sassi;
E solo e a pie fu a dileguarsi presto;
Non che commissì'on prima non lassi
A un suo scudier , che vada a far V eflfeao
Dei prigion suoi ,• secondo che fu detto.
52 Partissi; e nulla poi pia se n'intese.
Se non che stava in una grotta scura.
Intanto Bradamante avea sospese
Di costui l' arme all' alta sepoltura ;
E fattone levar tutto l'arnese,
D qual dei cavalieri, alla scrittura.
Conobbe della corte esser di Carlo ,
Non levò il resto, e non lasciò levarlo.
47 Io son di tal valor, son di tal nerbo,
Ch'aver non dèi d'andar di sotto a sdegno.
Sorrise alquanto , ma d' un riso acerbo ,
Che fece d'ira, più che d'altro, segno.
La donna : uè rispose a quel superbo ;
Ma tornò in capo al ponticel di legno.
Spronò il cavallo , e con la lancia d' oro
Venne a trovar quell'orgoglioso Moro.
53 Oltr'a quel del figliuol di Monodante,
V'è quel di Sansonetto e d'Oliviero,
Che, per trovare il Principe d'Anglante,
Quivi condusse il più dritto sentiero.
Quivi fur presi, e fiiro il giorno innante
Mandati via dal Saracino altiero:
Di questi T arme fé' la donna tórre
Dall'alta mole, e chiuder nella torre.
4S Rodomonte alla giostra s' apparecchia :
Viene a gran corso; ed è si grande il suono
Che rende il ponte , eh' intronar l' orecchia
Può forse a molti che lontan ne sono.
La lancia d'oro fé' l'usanza vecchia:
Che quel Pagan, si dianzi in giostra buono.
Levò di sella, e in aria lo sospese,
Indi sul ponte a capo ingiù lo stese.
54 Tutte l'altre lasciò pender dai sa&M.
Che fur spogliate ai cavalier padani.
V eran l arme d' un Re , del quale i pafsi
Per Frontalatte mal fur spesi e va i :
Io dico l' arme del Re de' Circassi ,
Che dopo lungo errar per colli e piani,
Venne quivi a lasciar V altro destriero ;
E poi senz'arme andossene leggiero. 5 S'era partito disarmato e a piede
Quel Re pagan dal periglioso ponte,
Si come gli altri, ch^eran di sua Fede,
Partir da sé lasciava Rodomonte.
Ma di tornar più al campo non gli diede
Il cor; chMvi apparir non avria fronte;
Che, per qnel che vantossi, troppo scorno
Gli saria &ryi in tal gnisa ritorno. 68 Ove navilio e buona compagnia
Spero trovar, da gir neir altro lito.
Mai non mi fermerò, finch'io non sia
Venuta al mio Signore e mio marito.
Voglio tentar , perchè in prigion non stia ,
Più modi e più: che, se mi vien fallito
Questo che Rodomonte t' ha promesso ,
Ne voglio avere nno ed un altro appresso.
X _r
Stanza 62.
Stanza 62.
5 Di pur cercar nuovo desir lo prese
Colei che sol avea fissa nel core.
Fu r avventura sua, che tosto intese
(Io non vi saprei dir chi ne fu autore)
Oh' ella tornava verso il suo paese :
Ond*esso, come il punge e sprona Amore,
Dietro alla pesta subito si pone.
Ma tornar voglio alla figlia d'Amene.
' Poi che narrato ebbe con altro scritto,
Come da lei fa liberato il passo;
A Fiordiligi eh' avea il core afflitto,
E tenea il viso lacrimoso e basso,
Domandò umanamente ov'ella dritto
y olea che fosse , indi partendo , il passo.
Rispose Fiordiligi: Il mio cammino
Vo' che sia in Arli al campo Saracino ,
AaiosTo.
59 Io m'offerisco, disse Bradamante,
D'accompagnarti un pezzo della strada,
Tanto che tu ti vegga Arli davante ,
Ove per amor mìo vo'che tu vada
A trovar quel Ruggier del re Agramante,
Che del suo nome ha piena ogni contrada;
E ohe gli rendi questo buon destriero ,
Onde abbattuto ho il Saracino altiero
60 Voglio eh' a punto tu gli dica questo :
Un cavalier che di provar si crede,
E fare a tutto '1 mondo manifesto
Che contra lai sei mancator di fede;
Acciò ti trovi apparecchiato e presto,
Questo destrier, perch'io tei dia, mi diede.
Dice che trovi tua piastra e tua maglia,
E che l' aspetti a &r te«o battaglia.
61 Digli questo, e non altro; e se quel vuole
Saper da te elisio son, di' che noi sai.
Quella rispose umana come suole :
Non sarò stanca in tuo servizio mai
Spender la vita, non che le parole;
Che tu ancora per me cosi fatto hai.
Grazie le rende Bradamante, e piglia
Frontino, e le lo porge per la briglia.
62 Lungo il fiume le belle pellegrine
Giovani vanno a gran giornate insieme ,
Tanto che veggono Arli , e le vicine
Rive odon risonar del mar che freme.
Bradamante si ferma alle confine
Quasi de' borghi ed alle sbarre estreme,
Per dare a Fionliligi atto intervallo.
Che condurle a Raggier possa il cavallo.
63 Vien Fiordiligì» ed entra nel rastrelk-.
Nel ponte e nella porta; e seco prende
Chi le fa compagnia fino all'ostello
Ove abita Ruggiero , e quivi scende ;
£ , secondo il mandato , ai damigello
Fa r imbasciata, e il buon Frontin gii rak
Indi va , che risposta non aspetta ,
Ad eseguire il suo bisogno in fretta.
64 Ru&:gier ri man confuso e in pensìer gn::ir
E non sa ritrovar capo né via
Di saper chi lo sfide , e chi gli mande
A dire oltraggio, e a fargli cortesia.
Che costui senza fede lo domande,
0 possa domandar uomo che sia,
Non sa veder né imaginare; e prima,
Ch'ogu' altro sia che Bradamante, istinti.
'^^ ''^n jt^^.._. _
stanza
r-^L^:,
- S 7
65 Che fosse Rodomonte, era più presto
Ad aver, che fosse altri, opinione;
E perchè ancor da lui debba udir questo
Pensa , né iraaginar può la cagione.
Fuorché con lui , non sa di tutto '1 resto
Del mondo con chi lite abbia e tenzone.
Tu tanto la donzella di Dordona
Chiede battaglia, e forte il corno suona.
C6 Vien la nuova a Marsilio e ad Agramante,
Cli'un cavalier di fuor chiede battaglia.
A caso Serpentin loro era avante,
Ed impetrò di vestir piastra e maglia,
E promesse pigliar questo arrogante.
Il popol venne sopra la muraglia;
Né fanciullo restò , né restò veglio ,
Che non fosse a veder chi fésse meglio.
67 Con ricca sopravvesta e bello arnese
Serpentin dalla Stella in giostra venne.
Al primo scontro in terra si distese :
Il destrìer aver parve a fuggir penne.
Dietro gli corse la donna cortese,
E per la briglia al Saracin lo tenne,
E disse : Monta , e fa che '1 tuo Signore
Mi mandi un cavalier di te migliore.
68 II Re african , eh' era con gran fiinuglìt
Sopra le mura alla giostra vicino,
Del cortese atto assai si maraviglia,
Ch'usato ha la donzella a Serpentino.
Di ragion può pigliarlo, e non lo piglia.
Diceva, udendo il popol Saracino.
Serpentin giunge; e com'ella comanda,
Un miglior da sua parte al Re domanda. 9 Grandonio di Yolteraa furibondo .
Il più superbo cavalier di Spagna ,
Pregando fece sì , che fd il secondo ,
Ed usci con minacce alla campagna:
Tua cortesia nulla ti vaglia al mondo;
Che , quando da me vinto tu rimagna,
Al mio Signor menar preso ti voglio:
Ma qui morrai , s^ io posso come soglio.
0 La donna disse lui: Tua villania
Non vo^ che men cortese far mi possa ,
ChUo non ti dica che tu torni , pria
Che sul duro terren ti doglian Tossa.
Ritorna, e di* al tuo He da parte mia,
Che per simile a te non mi son mossa;
Ma per trovar guerrier che '1 pregio vaglia ,
Son qui venuta a domandar battaglia.
1 li mordace parlare acre ed acerbo ,
Graii fuoco al cor del Saracino attizza;
Si che , senza poter replicar verbo ,
Volta il destrier con collera e con stizza.
Volta la donna , e centra quel superbo
La lancia d' oro e Rabicano drizza.
Come Tasta fatai lo scudo tocca,
Coi piedi al cielo il Saracin trabocca.
2 11 destrier la magnanima guerriera
Gli prese , e disse : Pur tei prediss' io ,
Che far la mia ambasciata meglio t'er/,
Che della giostra aver tanto disio.
Di' al Re , ti prego , che fuor della schier.i
Elegga un cavalier che sia par mio;
Né voglia con voi altri aifaticarme,
Ch'avete poca esperienzia d'arme.
75 Contra la donna per giostrar si fece
Ma prima salutolla, ed ella lui.
Disse la donna: Se saper mi lece,
Ditemi in cortesia chi siate vui.
Di questo Ferraù le satisfece:
Ch'usò di rado di celarsi altrui.
Ella soggiunse : Voi già non rifiuto ;
Ala uvria più volentieri altri voluto.
stanza 71.
3 Quei dalle mura, che stimar non sanno
Chi sia il guerriero in su T arcion si saldo ,
Quei più famosi nominando vanno,
Che tremar li fan spesso al maggior caldo.
Che Brandimarte sia, molti detto hanno:
La più parte s' accorda esser Rinaldo :
Molti su Orlando avrian fatto disegno;
Ma il suo caso sapean, di pietà degno.
4 La terza giostra il figlio di Lanfusa
Chiedendo, disse: Non che vincer speri,
Ma perchè di cader più degna scusa
Abbian , cadendo anch' io , questi guerrieri.
E poi di tutto quel ch'in giostra s'usa,
Si messe in punto; e di cento destrieri
Che tenea in stalla, d'un tolse Teletta,
Ch'avea il correre acconcio, e di gran fretta.
76 E chi ? Ferraù disse. Ella rispose :
Ruggiero; e appena il potè proferire;
E sparse d'un color, come di rose.
La bellissima faccia in questo dire.
Soggiunse al detto poi : Le cui famose
Lode a tal prova m* han fatto venire.
Altro non bramo , e d' altro non mi cale ,
Che di provar com' egli in giostra vale.
77 Semplicemente disse le parole
Che forse alcuno ha già prese a malizia.
Rispose Ferraù : Prima si vuole
Provar tra noi chi sa più di milizia.
Se (li me avvien quel che di molti suole,
Poi verrà ad emendar la mia tristizia
Quel gentil cavalier che tu dimostri
Aver tanto desio che teco giostri.
78 Parlando tattavolta la donzella,
Teneva la visiera alta dal viso.
Mirando Ferraù la faccia bella,
Si sente rimaner mezzo conquiso ;
E taciturno dentro a sé favella:
Questo un Angel mi par del Paradiso;
E ancor che con la lancia non mi tocchi,
Abbattuto 'son già da^ suoi begli occhi.
79 Preson del campo : e, come agli altri avvenne,
Ferraà se n^ usci di sella netto.
Bradamante il destrier suo gli riteane ,
E disse: Torna, e serva quel ch'hai detto.
Ferraù vergognoso se ne venne,
E ritrovò Ruggier eh* era al conspetto
Del re Agramante; e gli fece sapere
Ch'alia battaglia il cavalier lo chere.
80 Ruggier, non conoscendo ancor chi fosse
Che a sfidar lo mandava alla battaglia,
Quasi certo di vincere , allegrosse ;
E le piastre arrecar fece e la maglia :
Né Taver visto alle gravi percosse
Che gli altri sian caduti , il cor gli smaglia.
Come s'armxsse, e come uscisse, e quanto
Poi ne seguì, lo serbo all'altro Canto. N o TB, '^T. 3. V. 5-8. — E scórse un vello, ecc. In quel vello
si denota il corso vitale del cardinale Ippolito da Este,
ch'ebbe TAriosto in sna corte.
St. 4. V. 6-8. — Che venti anni prima , ecc. Il car-
dinale Ippolito nacque nel 1479 ; ed erano allora com-
pinti venti anni prima del 1500.
St. 6. V. 1-2. — Ferrara aveva in antico il Po da
due lati.
St, 11. V. 7. — Ed in quel finme^ che Lete si noma:
fiume deirobblio, finto dal Poeta nella luna, come Dante
lo finse nel paradiso terrestre.
St. 13. V. a — Mulacchie. Uccelli molto slmili ai corvi.
St. 14. V. 6. — Come è la vostra insegna: come è
r aquila di casa d' £st« : cioè Taquila bianca in campo
azzurro.
St. le. V. 2. — Questa bella ninfa ò la Fama.
St. 22. V. 6. — Cesare. Qui Cesare Augusto.
St. 24. V. 7. —Cirra .-città nella Focide, presso Delfo
alle radici del Parnaso. I poeti la finsero stanza delle
Muse; ed è qui nominata per indicare i poeti.
Tt. 28. V. 2. — Elisa: ossia Didone, regina di Carta-
gine, innamorata di Enea.
St. 33. V. 5-6. — Questa era quella, ecc., Fiordiligi —
Lo figliuol di Monodante: Brandimarte.
St. 54. V. 5 — Del re de* Circassi: di .Sacripante,
pri no posseditore di Frontalatte, che, venuto in poter
di Ruggiero, ta poi detto Frontino.
St. 70. V. 6-8. — Bradamante , preoccupato dai suoi
pensieri, si cara poco che altri la prenda per uomo o
per donna; tanto ò vero che teneva anche la visiera al-
zata, com'è detto alla Stanza 78.
St. 80. V. 6. — Il cor gli smaglia : gli fiacca , gli
prostra*
0 C-^'
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mutar poi non è possente, eh' ovunque sia, sempre palese rillan si mostri similmente, nchina al male; e viene a farsi poi difficile a mutarsi. rtesia, di gentilezza esempj antiqui guerrier si vider molti , fra i moderni; ma degli empj avvien ch'assai ne vegga e ascolti, i guerra , Ippolito , che i tempj
ornaste agi' inimici tolti ,
■aeste lor galee captive
i carche alle paterne rive,
Tutti gli atti crudeli ed inumani
Ch' usasse mai Tartaro o Turco o Moro ,
Non già con volontà de' Veneziani ,
Che sempre esempio di giustizia ioro ,
Usaron l'empie e scellerate mani
Dei rei soldati, mercenari loro.
Io non dico or di tanti accesi fuochi,
Ch'arson le ville e i nostri ameni lochi:
Benché fu quella ancor brutta vendetta,
Massimamente contra voi , eh' appresso
Cesare essendo , mentre Padua stretta
Era d'assedio , ben sapea che spesso
Per voi più d'una fiamma fu interdetta,
E spento il fuoco ancor, poi che fu messo,
Da villaggi e da templi ; come piacque
All'alta cortesia che con voi nacque.
Io non parlo di questo, né di tanti
Altri lor discortesi e crudeli atti;
Ma sol di quel che trar dai sassi i pianti
Debbe poter , qual volta se ne tratti.
Quel dì, Signor, che la femiglia innanti
Vostra mandaste là dove ritratti
Dai legni lor con importuni auspici
S'erano in luogo forte gP inimici:
Stanza 17.
8 Schiavon crudele, onde hai tu il modo appreso
Della milizia? In qual Scizia sMntende
Ch'uccider si debba un, poi ch'egli è preso.
Che rende l'arme, e più non si difende?
Dunque uccidesti lui , perchè ha difeso
La patria ? Il sole a torto oggi risplende ,
Crudel secolo , poiché pieno sei
Di Tiesti , di Tantali e di Atrei.
9 Fésti, Barbar crudel, del capo scemo
Il più ardito garzon che di sua etade
Fosse da un polo all'altro, e dall'estremo
Lito degl'Indi a quello ove il sol cade.
Potea in Antropofago , in Polifemo
La beltà e gli anni suoi trovar pietade;
Ma non in te, più crudo e più fellone
D'ogni Ciclope e d'ogni Lestrigone.
10 Simile esempio non credo che sia
Fra gli antiqui guerrier, de'quai gli studi
Tutti fur gentilezza e cortesia;
Né dopo la vittoria erano crudi.
Bradamante non sol non era ria
A quei eh' avea , toccando lor gli scudi ,
Fatto uscir della sella; ma tenea
Loro i cavalli , e rimontar facea.
11 Di questa donna valorosa e bella
Io vi dissi di sopra, che abbattuto
Aveva Serpentin quel dalla Stella,
Grandonio di Volterna e Ferrauto,
E ciascun d'essi poi rimesso in sella;
E dissi ancor , che '1 terzo era venuto ,
Da lei mandato a disfidar Ruggiero,
Là dove era stimata un cavaliero.
6 Qual Ettorre ed Enea sm dentro ai flutti ,
Per abbruciar le navi greche, andaro;
Un Ercol vidi e un Alessandro, indutti
Da tropp(f ardir , partirsi a paro a paro ;
E spronando i destrier, passarci tutti;
E i nemici turbar fin nel riparo ;
E gir si innanzi, ch'ai secondo molto
Aspro fu il ritornare, e al primo tolto.
7 Salvossi il Ferruffin, restò il Cantelmo.
Che cor, Duca di Sora, che consiglio
Fu allora il tuo, che trar vedesti l'elmo
Fra mille spade al generoso figlio ,
E menar preso a nave, e sopra un schelmo
Troncargli il capo? Ben mi maraviglio
Che darti morte lo spettacol solo
Non potò, quanto il ferro a tuo figliuolo.
12 Ruggier tenne lohivito allegramente,
E l'armatura sua fece venire.
Or , mentre che s' armava , al Re presente
Tomaron quei Signor di nuovo a dire,
Chi fosse il Cavalier tanto eccellente.
Che di lancia sapea si ben ferire;
E Ferraù, che parlato gli avea.
Fu domandato se lo conoscea.
13 Rispose Ferraù: Tenete certo
Che non è alcun di quei ch'avete detto.
A me parea , eh' il vidi a viso aperto ,
Il fratel di Rinaldo giovinetto:
Ma poi ch'io n'ho l'alto valore esperto,
E so che non può tanto Ricciardetto,
Penso che sia la sua sorella, molto
(Per quel ch'io n'odo) a Ini simil di volto.
CANTO TRENTESIMOSESTO.
14 Ella ha ben fama d'esser forte a pare
Del ano Rinaldo e d'ogni Paladino; 3ra , per quanto io ne veggo oggi , mi pare
Che vai più del fratel, più del cugino.
Come Ruggier lei sente ricordare,
Del vermiglio color che '1 mattutino
Sparge per Tarla, si dipinge in faccia,
£ nel cor criema, e non sa che si faccia. 15 A questo annunzio, stimolato e punto
Dair amoroso strai , dentro infiammarse ,
E per l'ossa senti tutto in un punto
Correr un giaccio che '1 timor vi sparse ;
Timor eh' un novo sdegno abbia consunto
Quel grande amor che già per lui si l'arse.
Di ciò confuso , non si risolveva ,
S'incontra uscirle, oppur restar doveva.
20 Forza è a Marfisa eh' a quel colpo vada
A provar se '1 terreno è duro o molle;
E cosa tanto insolita le accada,
Ch' ella n' è per venir di sdegno folle.
Fu in terra appena , che trasse la spada ,
E vendicar di quel cader si volle.
La figliuola d'Amon non meno altiera
Gridò : Che fai ? tu sei mia prigioniera.
21 Sebbene uso con gli altri cortesia,
Usar teco , Marfisa , non la voglio ;
Come a colei che d' ogni villania
Odo che sei dotata e d'ogni orgoglio.
Marfisa a quel parlar fremer s'udia
Come un vento marino in uno scoglio.
Grida, ma sì per rabbia si confonde,
Che non può esprimer fuor quel che risponde.
16 Or quivi ritrovandosi Marfisa,
Che d'uscire alla giostra avea gran voglia.
Ed era armata, perchè in altra guisa
É raro , o notte o di , che tu la coglia ,
Sentendo che Ruggier s'arma, s'avvisa
Che di quella vittoria ella si spoglia,
Se lascia che Ruggiero esca fuor prima :
Pensa ire innanz*, e averne il pregio stima*
17 Salta a cavallo, e vien spronando in fretti
Ove nel campo la figlia d' Amone
Con palpitante cor Ruggiero aspetta.
Desiderosa farselo prigione;
£ pensa solo ove la lancia metta.
Perchè del colpo abbia minor lesione.
Marfisa se ne vien fuor della porta ,
E sopra Telmo una fenice porta:
stanza 20.
22 Mena la spada, e più ferir non mira
Lei , che '1 destrier , nel petto e nella pancia ;
Ma Bradamante al suo la briglia gira,
E quel da parte subito si lancia ;
E tutto a un tempo con isdegno ed ira
La figliuola d' Amon spinge la lancia ,
E con quella Marfisa tocca appena.
Che la fa riversar sopra l'arena.
18 0 sia per sua superbia, dinotando
Sé stessa unica al mondo in esser forte ,
0 pur sua casta intenzi'on lodando,
Di viver sempre mai senza consorte.
La figliuola d' Amon la mira ; e quando
Le fattezze ch'amava non ha scorte.
Come si nomi le domanda; et ode
Esser colei che del suo amor si gode ;
23 Appena ella fu in terra, che rizzosse..
Cercando far con la spada mal' opra.
Di nuovo l'asta Bradamante mosse,
E Marfisa di nuovo andò sozzopra.
Benché possente Bradamante fosse,
Non però sì a Marfisa era di sopra,
Che T avesse ogni colpo riversata;
Ma tal virtù nell'asta era incantata.
19 0, per dir megUo, esser colei che crede
Che goda del suo amor, colei che tanto
Ha in odio e in ira, che morir si vede,
Se sopra lei non vendica il suo pianto.
Volta il cavallo, e con gran furia riede.
Non per desir di porla in terra, quanto
Di passarle con Tasta in mezzo il petto,
libera restar d'ogni sospetto.
24 Alcuni cavalieri in questo mezzo.
Alcuni, dico, della parte nostra
Se n'erano venuti dove, in mezzo
L'un campo e l'altro, si facea la giostra
(Che non eran lontani un miglio e mezzo),
Veduta la virtù che'l suo dimostra;
Il suo , che non conoscono altrimente
Che per un cavalier della lor gente.
25 Questi vedendo il generoso figlio
Di Troiano alle mnra approssimarsi,
Per ogni caso , per ogni periglio
Non volse sprovveduto ritrovarsi;
E fé* che molti all' arme diér di piglio ,
E che fuor dei ripari appresentArsi.
Tra questi ta Ruggiero , a cui la fretta
Dì Marfisa la giostra avea intercetta.
Stanza 23.
26 L'innamorato giovene mirando
Stava il successo, e gli tremava il core,
Della sua cara moglie dubitando ;
Che di Marfisa ben sapea il valore.
Dubitò, dico, nel principio, quando
Si mosse V una e V altra con furore;
3ra visto poi come successe il fatto.
Restò maraviglioso e stupefatto:
27 E poiché fin la lite lor non ebbe,
Com'avean T altre avuto, al prim' incontro,
Nel cor profondamente gli ne 'ncrebbe ,
Dubbioso pur di qualche strano incontro.
Dell'una egli e dell'altra il ben vorrebbe.
Ch'ama amendue; non che da porre incontro
Sien questi amori: è l'un fiamma e furore,
V altra benivolenza più eh' amore.
29 Di qua di là gridar si sente all' arme ,
Come usati eran far quasi ogni giorno.
Monti chi è a pie, chi non è armato a' arme,
Alla bandiera ognun faccia ritorno ,
Dicea con chiaro e bellicoso carme
Più d'una tromba che scorrea d'intorno:
E come quelle svegliano i cavalli,
Svegliano i fanti i timpani e i taballi.
30 La scaramuccia fiera e sanguinosa,
Quanto si possa imaginar, si mesce.
La donna di Dordona valorosa,
A cui mirabilmente aggrava e incresce
Che quel di ch'era tanto disìosa,
Di por Marfisa a morte, non riesce;
Di qua di là sì volge e si raggira,
Se Ruggier può veder, per cui sospira.
31 Lo riconosce all'aquila d'argento
C'ha nello scudo azzurro il giovinetto.
Ella con gli occhi e col pensiero intento
Si ferma a contemplar le spalle e '1 petto ,
Le leggiadre fattezze , e '1 movimento
Pieno di grazia; e poi con gran dispetto,
Imaginando ch'altra ne gioisse.
Da furore assalita cosi disse:
Stanza 26.
2 Dunque baciar si belle e dolci labbia
Deve altra , se baciar non le posa' io ?
Ah non sia vero già ch'altra mai t'abbia;
Che d' altra esser non dèi , se non sei mio.
Piuttosto che morir sola di rabbia,
Che meco di mia man mori, disio;
Che sebben qui ti perdo, almen F Inferno
Poi mi ti renda, e stii meco in eterno.
28 Partita volentier la pugna avria,
Se con suo onor potuto avesse farlo.
Ma quei ch'egli avea seco in compagnia.
Perchè non vinca la parte di Carlo,
Che già lor par che superior ne sia,
Saltan nel campo , e vogliono turbarlo.
Dall'altra parte i cavalier cristiani
Si fanno innanzi, e son quivi alle mani.
33 Se tu m' cecidi , è ben ragion che deggi
Darmi de la vendetta anco conforto;
Che voglion tutti gli ordini e le leggi.
Che chi dà morte altrui, debba esser morto.
Né par eh' anco il tuo danno il mio pareggi:
Che tu morì a ragione , io moro a torto.
Farò morir chi brama , oimè ! eh' io mora ;
Ma tu, crudel, chi t'ama e chi t'adora. S4 lerchè non dèi tn, mano, essere ardita
D'aprir col ferro ài mio nimico il core?
Che tante volte a morte m'ha ferita
Sotto la pace in sicurtà d'amore,
Ed or può consentir tormi la vita,
Né por aver pietà del mio dolore.
Contra quest'empio ardisci, animo forte:
Vendica mille mie con la sua morte. 36 Ben pensa quel che le parole denno
Volere inferir piiì; ch'ella l'accusa
Che la convenzì'on ch'insieme fènno,
Non le osservava : onde , per farne iscusa ,
Di volerle parlar le fece cenno.
Ma qnella già con la visiera, chiusa
Venia , dal dolor spinta e dalla rabbia ,
Per porlo, e forse ove non era sabbia.
{ Gli sprona contra in questo dir; ma prima.
Guardati , grida , perfido Ruggiero :
Tu non andrai , s' io posso , della opima
Spoglia del cor d'una donzella altiero.
Come Ruggiero ode il parlare, estima
Che sia la moglie sua, com'era in vero;
La cui voce in memoria si bene ebbe,
Ch'in mille riconoscer la potrebbe.
37 Quando Ruggier la vede tanto accesa.
Si ristringe nell' arme e nella sella :
La lancia arresta; ma la tien sospesa,
Piegata in parte ove non noccia a quella.
Li donna, eh' a ferirlo e a fargli offesa
Venia con mente di pietà rubella,
Non potè soiferir, come fu appresso,
Di porlo in terra, e fargli oltraggio espresso.
stanza 29.
88 Cosi lor lance van d'effetto vuote
A qnello incontro ; e basta ben , s' Amore
Con l'un giostra e con l'altro, e gli percuote
D'una amorosa lancia in mezzo il core.
Poi che la donna sofferir non puote
Di far onta a Ruggier , volge il furore,
Che l'arde il petto, altrove; e vi fa cose
Che saran, finché giri il ciel, famose.
e 9 In poco spazio ne gittò per terra
Trecento e più con quella lancia d' oro.
Ella sola quel di vinse la guerra,
Hesse ella sola in fuga il popol moro.
Ruggier di qua di là s'aggira ed erra
Tanto , che se le accosta e dice : Io moro ,
non ti parlo: oimè ! che t'ho fatt'io.
Che mi debbi fuggire? Odi, per Dio.
40 Come ai meridional tiepidi venti ,
Che spirano dal mare il fiato caldo
Le nevi si disciolgono e i torrenti,
E il ghiaccio che pur dianzi era si saldo;
Cosi a quei prieghi , a quei brevi lamenti
Il cor della sorella di Rinaldo
Subito ritornò pietoso e molle ,
Che l'ira, più che marmo, indurar volle.
41 Non vuol dargli, o non puote, altra risposta;
Ma da traverso sprona Rabicano ,
E quanto può dagli altri si discosta ,
Ed a Ruggiero accenna con la mano.
Fuor della moltitudine in reposta
Valle si trasse , ov' era un piccol piano ,
Ch'in mezzo avea un boschetto dr cipressi
Che parean d'una stampa tutti impressi.
72
670
ORLANDO FURIO
42 In quel boftchetto era di bianchi marmi
Fatta di nuovo un'alta sepoltura.
Chi dentro giaccia, era con brevi carmi
Notato a chi saperlo avesse cura.
Ma quivi giunta Bradamante, parmi
Che già non pose mente alla scrittura.
Euggier dietro il cavallo affretta e punge
Tanto , ch'ai bosco e alla donzella giunge.
43 Ma^ ritorniamo a Maifisa , che s' era
In questo mezzo in sul destrier rimessa,
E venia per trovar quella guerriera
Che l'avea al primo scontro in terra messa;
E la vide partir fuor della schiera ,
E partir Kuggier vide , e seguir essa ;
Né si pensò che per amor seguisse,
Ma per finir con l'arme ingiurie e risse.
Stanza 38.
44 Urta il cavallo , e vien dietro alla pesta
Tanto, eh' a un tempo con lor quasi arriva.
Quanto sua giunta ad ambi sia molesta,
Chi vive amando il sa, senza ch'io'l scriva.
Ma Bradamante offesa più ne resta;
Che colei vede, onde il suo mal deriva.
Chi le può tor che non creda esser vero
Che l' amor ve la sproni di Ruggiero ?
46 E perfido Ruggier di novo chiama.
Non ti bastava , perfido , disse ella ,
Che tua perfidia sapessi per fama,
Se non mi facevi anco veder quella?
Di cacciarmi da te veggo e' hai brama:
E per sbramar tua voglia iniqua e fella ,
Io vo'motir; ma sforzerommi ancora
Che muora meco chi è cagion ch'io mora.
stanza 42. CANTO TRENTESIM0SB8T0. 46 Sdegnosa più che yipera, si spicca
Cosi dicendo, e va contra Marfisa;
Ed allo scudo V asta sì le appicca ,
Che la fa addietro riversare in guisa,
Che quasi mezzo Telmo in terra ficca:
Né si può dir che sia colta improvvisa;
Anzi fa incontra ciò che far si puote :
Eppure in terra del capo percuote. 47 La figliuola d' Amon, che vuol morire 0 dar morte a Marfisa , è in tanta rabbia ,
Che non ha mente di nuovo a ferire
Con l'asta, onde a gittar di nuovo T abbia;
Ma le pensa dal busto dipartire
capo mezzo fitto nella sabbia:
Getta da sé la lancia d* oro , e prende
La spada, e del destrier subito scende.
48 Ma tarda é la sua giunta: che si trova
Marfisa incontra , e di tanta ira piena
(Poiché s'ha vista alla seconda prova
Cader sì facilmente su V arena),
Che pregar nulla, e nulla gridar giova
A Ruggier, che di questo avea gran pena
Si l'odio e Tira le guerriere abbaglia,
Che fan da disperate la battaglia.
49 A mezza spada vengono di botto :
E per la gran superbia che V ha accese ,
Van pur innanzi , e si son già sì sotto.
Ch'altro non puon che venire alle prese.
Le spade, il cui bisogno era interrotto,
Lascian cadere, e cercan nuove offese.
Priega Ruggiero e supplica amendue;
Ma poco frutto han le parole sue.
50 Quando pur vede che '1 pregar non vale ,
Di partirle per forza si dispone:
Leva di mano ad amendua il pugnale ,
Ed al pie d'un cipresso li ripone.
Poiché ferro non han più da far male,
Con prieghi e con minacce s' interpone :
Ma tutto é iuvan : che la battaglia fanno
A pugni e a calci, poi ch'altro non hanno,
51 Ruggier non cessa; or l'una or l'altra prende
Per le man , per le braccia , e la ritira ;
E tanto fa che di Marfisa accende
Contra di sé, quanto si può più, l'ira.
Quella, che tutto il mondo vilipende.
All'amicizia di Ruggier non mira.
Poi che da Bradamante si distacca.
Corre alla spada, e con Ruggier s'attacci.
52 Tu fai da discortese e da villano ,
Ruggiero, a disturbar la pugna altrui;
Ma ti farò pentir con questa mano ,
Che vo'che basti a vincervi ambedui.
Cerca Ruggier con parlar molto umano
Marfisa mitigar; ma contra lui
La trova in modo disdegnosa e fiera,
Ch'un perder tempo ogni parlar seco era.
Stanza 45
58 Ali ultimo Ruggier la spada trasse ,
Poiché l'ira anco lui fé' rubicondo.
Non credo che spettacolo mirasse,
Atene o Roma o luogo altro del mondo ,
Che così a' riguardanti dilettasse.
Come dilettò questo e fu giocondo
Alla gelosa Bradamante, quando
Questo le pose ogni sospetto in bando.
54 La sua spada avea tolta ella di terra,
E tratta s' era a riguardar da parte ;
E le parca veder che '1 Dio di guerra
Fosse Ruggiero alla possanza e all'arte.
Una Furia ìnfemal , quando si sferra ,
Sembra Marfisa, se quel sembra Marte.
Vero é ch'un pezzo il giovene gagliardo
Di non far il poter ebbe riguardo.
572
orlando;furios .
55 Sapea ben la Tirtù della sua spada;
Che tante espeiieuze n' ha già fatto.
Ove giunge, convien che se ne vada
L'incanto, o nulla giovi, e stia di piatto;
Sì che ritien che '1 colpo suo non cada Di taglio 0 punta, ma sempre di piatto.
Ebbe a questo Ruggier lunga avvertenza;
Ma perde pure un tratto la pazienza, 56 Perchè Marfisa una percossa orrenda
Gli mena per dividergli la testa.
Leva lo scudo , che '1 capo difenda ,
Ruggiero , e 1 colpo in su T aquila pesta.
Vieta lo'ncanto che lo spezzi o fenda;
Ma di stordir non però il braccio resta:
£ s'avea altr'arme che quelle d'Ettorre,
Gli potea il fiero Colpo il braccio tórre 57 E saria sceso indi alla testa, dove
Disegnò di ferir V aspra donzella.
Ruggiero il braccio manco a pena muove ,
A pena più sostien l'aquila bella.
Per questo ogni pietà da sé rimuove ;
Par che negli occhi avvampi una facella.
E quanto può cacciar, caccia una punta.
Marfisa, mal per te, se n'eri giunta.
68 Io non vi so ben dir come si fosse :
La spada andò a ferire in un cipresso,
E un palmo e più nell' arbore cacciosse :
In modo era piantato il luogo spesso.
In quel momento il monte e il piano scosse
Un gran tremuoto ; e si sentì con esso
Da quell'avel ch'in mezzo il bosco siede,
Gran voce uscir , ch'ogni mortale eccede.
Stanxa 5^
59 Grida la voce orribile: Non sia
Lite tra voi: gli è ingiusto ed inumano
Ch'alia sorella il f ratei morte dia,
0 la sorella uccida il suo germano.
Tu, mio Ruggiero, e tu, Marfisa mia,
Credete al mìo parlar che non è vano:
In un medesimo utero d'un seme
Foste concetti, e usciste al mondo insieme
60 Concetti foste da Ruggier secondo :
Vi fu Galacì'ella genitrice,
1 cui fratelli avendole dal mondo
Cacciato il genitor vostro infelice,
Senza guardar eh' avesse in corpo il pondo
Di voi , eh' usciste pur di lor radice ,
La fèr , perchè s'avesse ad affogare,
S' un debo legno pone in mezzo al mare.
61 Ma Fori una che voi, benché non nati.
Avea già eletti a gloriose imprese,
Fece che'l legno ai liti inabitati
Sopra le Sirti a salvamento scese;
Ove, poi che nel mondo v'ebbe dati,
L'anima eletta al paradiso ascese,
Come Dio volse e fu vostro destino :
A questo caso io mi trovai vicino.
62 Diedi alla madre sepoltura onesta,
Qual potea darsi in sì deserta arena;
E voi teneri , avvolti nella vesta ,
Meco portai sul monte di Carena ;
E mansueta uscir della foresta
Feci e lasciare i figli una leena,
Delle cui poppe dieci mesi e dieci
Ambi nutrir con molto studio fed. 3 Un giorno che d^ andar per la contrada,
E dalla stanza allontanar m^occorse,
Vi soprayyenne a caso nna masnada
D' Arabi (e ricordarvene de' forse) ,
Che te, Marfisa, tolser nella strada;
Ma non poter Ruggier, che meglio corse.
Restai della tua perdita dolente,
E di Rnggier guardian più diligente.
(54 Ruggier , se ti guardò , mentre che visse ,
11 tuo maestro Atlante, tu lo sai.
Di te sentii predir le stelle fisse ,
Che tra' Cristiani a tradigion morrai :
E perchè il mal' influsso non seguisse,
Tenertene lontan m'affaticai;
Né ostare alfin potendo alla tua voglia.
Infermo caddi, e mi morii di doglia.
65 Ma innanzi a morte, qui dove previdi
Che con Marfisa aver pugna dovevi ,
Feci raccor con infemal sussidi
A formar questa tomba i sassi grevi;
Ed a Caron dissi con alti gridi:
Dopo morte non vo' lo spirto levi
Di questo bosco, finché non ci giugna
Ruggier con la sorella per far pugna.
66 Cosi lo spirto mio per le belle ombre
Ha molti di aspettato il venir vostro :
Si che mai gelosia più non t' ingombre,
0 Bradamante, ch'ami Ruggier nostro.
Ma tempo é ormai che della luce io sgombre,
E mi conduca al tenebroso chiostro.
Qui si tacque: e a Marfisa ed alla figlia
D'Amon lasciò e a Ruggier gran maraviglia.
67 Riconosce Marfisa per sorella
Ruggier con molto gaudio, ed ella lui
E ad abbracciarsi, senza offender quella
Che per Ruggiero ardea, vanno ambidui
E rammentando dell'età novella
Alcune cose: Io feci, io dissi, io fui;
Vengon trovando con più certo effetto,
Tutto esser ver quel e' ha lo spirto detto.
68 Ruggiero alla sorella non ascose
Quanto avea nel cor fissa Bradamante;
E narrò con parole affettuose
Delle obbligazion che le avea tante:
.E non cessò , eh' in grand' amor compose
Le discordie ch'insieme ebbono avante:
E ffc' , per segno di pacificarsi ,
Ch'umanamente andaro ad abbracciar:^].
Stanza 62.
69 A domandar poi ritornò Marfisa
Chi stato fosse, e di che gente il padre,
E chi l'avesse morto, ed a che guisa,
S'in campo chiuso, o fra l'armate squadre;
E chi commesso avea che fosse uccisa
Dal mar atroce la misera madre :
Che , se già l' avea udito da fanciulla ,
Or ne tenea poca memoria o nulla.
70 Kuggiero incominciò: che da' Troiani
Per la linea d'Ettorre erano scesi;
Che poi che Astì'anatte delle mani
Campò d'Ulisse e dalli agguati tesi,
Avendo un de' fanciulli coetani
Per lui lasciato, usci di quei paesi;
E dopo un lungo errar per la marina ,
Venne in Sicilia, e dominò Messina.
72 Fu Ruggier primo, e Gìanbaron di questi,
Buovo , Rambaldo , alfin Rnggier secondo ,
Che fe\ come d' Atlante udir potesti ,
Di nostra madre P utero fecondo.
Della progenie nostra i chiari gesti
Per l'istorie vedrai celebri al mondo.
Segui poi, come venne il re Agolante
Con Almonte e col padre d'Agramante:
stanza 66.
71 I descendenti suoi di qua dal Faro
Signoreggiar della Calabria parte;
E dopo più successioni andare
Ad abitar nella città di Marte.
Più d'uno Imperatore e Re preclaro
Fu di quel sangue in Roma e in altra parte,
Cominciando a Costante e a Costantino,
Sino a Re Carlo, figlio di Pipino.
73 E come menò seco una donzella
Ch' era sua figlia , tanto valorosa ,
Che molti Paladin gittò di sella,
E di Ruggiero alfin venne amorosa
E per suo amor del padre fu ribella ,
E battezzossi, e diven tògli sposa.
Narrò come Beltramo traditore
Per la cognata arse d'incesto amore;
74 E che la patria e'I padre e duo fratelli
Tradì, cosi sperando acquistar lei;
Aperse Risa agl'inimici, e quelli
Fér di lor tutti i portamenti rei:
Come Agolante e i figli iniqui e felli
Poser Galacì'ella, che di sei
Mesi era grave, in mar senza governo,
Quando fu tempestoso al maggior verno.
7.5 Stava Marfisa con serena fronte
Fisa al parlar che'l suo german facea;
Ed esser scesa dalla bella fonte,
Ch' avea sì chiari rivi , si godea.
Quinci Mongrana, e quindi Chiaramonte,
Le due progenie derivar sapea,
Ch'ai mondo fur molti e molt'anni e lustri
Splendide , e senza par , d' uomini illustri.
76 Poi che '1 fratello alfin le venne a dire
Che '1 padre d' Agramante e l'avo e '1 zio
Ruggiero a tradigion feron morire,
E posero la moglie a caso rio;
Non lo potè più la sorella udire,
Che lo 'nterroppe , e disse: Fratel mio
(Salva tua grazia) , avuto hai troppo torto
A non ti vendicar del padre morto.
77 Se in Almonte e in Troian non ti potevi
Insanguinar, ch'erano morti innante.
Dei figli vendicar tu di dovevi.
Perchè, vivendo tu, vive Agramante?
Questa è una macchia che mai non ti levi
Dal viso; poiché, dopo offese tante,
Non pur posto non hai questo Re a morte,
Ma vivi al soldo suo nella sua corte. 78 Io fo ben voto a Dio (ch'adorar voglio
Cristo Dio vero, ch'adorò mio padre),
Che di questa armatura non mi spoglio,'
Finché Ruggier non vendico e mia madre.
£ vo' dolermi, e finora mi doglio. Di te, se più ti veggo fra le squadre Del re Agraraante, o d'altro Signor moro. Se non col ferro in man per danno loro. 79 Oh come a quel parlar leva la faccia
La bella Bradamante , e ne gioisce ! E conforta Bnggier , che cosi faccia. Come Marfisa sua ben V ammonisce ; E venga a Carlo e conoscer si faccia, Che tanto onora, lauda e riverisce Del suo padre Kuggier la chiara fama, Ch' ancor guerrier senza alcun par lo chiama. 80 Ruggiero accortamente le rispose,
Che da principio questo far dovea;
Ma per non bene aver note le cose.
Come ebbe poi, tardato troppo avea.
Ora, essendo Agramante che gli pose
La spada al fianco, farebbe opra rea
Dandogli moite, e saria traditore,
Che già tolto Tavea per suo signore.
81 Ben, come a Bradamante già promesse
Promettea a lei di tentare ogni via.
Tanto ch'occasione, onde potesse
Levarsi con suo onor, nascer faria.
E se già fatto non l'avea, non desse
La colpa a lui , ma al Re di Tartaria ,
Dal qual nella battaglia che seco ebbe.
Lasciato fu , come saper si debbe :
82 Ed ella , che ogni di gli venia al letto ,
Buon testimon , quanto alcun altro , n' era.
Fu sopra questo assai risposto e detto
Dall'una e dall'altra inclita guerriera.
L'ultima conclusìon, l'ultimo effetto
È , che Ruggier ritomi alla bandiera
Del suo Signor, finché cagion gli accada
Che giustamente a Carlo se ne vada.
83 Lascialo pur andar, dicea Marfisa
A Bradamante , e non aver timore :
Fra pochi giorni io fard bene in guisa
Che non gli fia Agramante più signore.
Così dice ella; né però divisa
Quanto di voler fare abbia nel core.
Tolta da lor licenzia alfin Ruggiero,
Per tornar al suo Re, volgea il destriero ;
84 Quando un pianto s'udì dalle vicine
Valli sonar , che li fé' tutti attenti.
A quella voce fan l'orecchie chine,
Che di femmina par che si lamenti.
Ma voglio questo Canto abbia qui fine,
E di quel che voglio io siate contenti;
Che miglior cose vi prometto dire,
S' all'altro Canto mi verrete a udire. iq o T E. St. 2. V. 4 8. — Jn quella giiena^ ecc. Parlasi della
gaeiTa fra i Veneziani e gli Estensi, accaduta nel 1509,
nella quale il cardinale Ippolito riportò la vittoria del
22 decembre, facendo poi sospendere nella chiesa di
Fenara i rostri delle galere e le insegne tolte ai nemici. St. 4. V. 1-4. — Benché fu quella ancor brutta ven-
ditta , ecc, I Veneziani, rinfrancatisi dopo la sconfitta
di Ghiaiadadda ch'ebbero nel 14 maggio del 1509, riac-
quù»tarono Padova, la quale fxi poi cinta d'assedio dal-
Tinaperatore Massimiliano. Il duca Alfonso nel 3 settem-
spedi il cardinale Ippolito con gente d* armi a rin-
is ^ dell'imperatore, il quale nondimeno, dopo qn Iche
AmosTO.
tempo, dovè levare l'assedio. Allora i Veneziani si sca-
gliarono con poderoso esercito sul Fen arese sino a Fran-
colino, vincendo sempre.
St. 5. V. 3 4. — Ma sol di quel, ecc. Ecco in succinto
il fatto, che il Poeta accenna in questa e nelle due Stanze
seguenti. L'irruzione dei Veneziani vittoriosi sopia enun-
ciata fu respinta poi da Ippolito: i Veneziani si raccol-
sero allora alla Polesella, ov' eressero una bas ita e vi
si fortificarono. Nel 30 novembre 1509 , Ippolito spinse
le sue genti ad attaccare la bastita. Fi-a queste erano
Ercole (lantelmo, figlio di Sigismondo, già duca di Sora,
e Alessandro FerrnABno. Cantelmo cadde prigioniero de-
ICH Sohiavoni , in serTigio della Repubblica Veneta , i |
quali gli mozzarono il capo; il Ferrufflno si salvò a
stento.
St. 7. V. 5. — Sopra un schelmo. Dicesi aeì^elmo ed
anche scalmo la caviglia a cui nelle galere si lega il remo.
ST. 8. V. a — 2X TiesH, di Tantali^ d*AtreL Di Tie-
8te e di Atreo si ò avuta opportunità di ]}arlare altrove.
Tantalo ò anch' egli noto per la sua crudeltà, avendo
imbandita la mensa con le carni di Pelope suo figliuolo,
per esperimentare la divinità de' suoi ospiti.
St. 9. Y. 5-S. ~ Polifemo: crudelissimo fra i Ciclopi,
noclso da Ulisse con un tizzone. I Ciclopi e i Lestrigoni
erano antropofaghi.
St. 29. V. 8. — TaballL È il tàballo o timballo uno
strumento musicale moresco, specie di timpano, con la
cassa di rame semisferica.
8T. 36. v. 8. — Per porlo, e forse ove non era sabbia,
non per porlo nella sabbia, abbatterlo, scavalcarlo, ma
forse per ucciderlo, porlo nel sepolcro, dove non ò sab-
bia, U quale suolsi distendere sullo spazzo de' tornei e
d*ogni agone militare-
ST. &5. V. 4-6. — Stia di piatto : stia nascosto.
St. 60. y. 2. — Vi fu Gal<utiella genitriee. È questa
la disperata figlia d* Agolante, di cui nella St. 32 del
Canto U. Venuta col padre in Europa , s' innamorò di
Ruggiero II , signore di Risa , ossia di Reggio in Cala-
bria; e per isposarlo si separò dal padre e si fece cristiana. Beltramo di lei cognato se ne invaghì, e, ftt
averla , tradi il fratello , aprendo le porte di Risa id
Agolante, che entratovi, uccise Ruggiero, e, fatta porre
la figlia incinta in una barca senza governo Tabbu-
donò al mare. La barca pervenne sulle Sirtif cioè «olle
seocagne della costa africana, dove (Hlaciella si sgnvò
ad un parto di Ruggiero e di Mar fisa. St. 62. v. 6. — Leena : lionessa. St. 6K. V. 3^. — Vi sopravvenne a ca^o una masnada
d'Arabi , eec- — Marfisa rapita dagli Arabi fu veudiiu
al re di Persia. Al crescere negli anni ella non ebbe
pari in quel regno per bellezza e valore. Tenta*» di
basso amore da quel monarca, lo uccise e fa signora del
reame ; donde poco dopo, vaga di imprese cavallerescbe,
si parti, cercando Francia e molt'altrì paesi.
8t. 75. v. 5-6. — Quinci Mongrana , e quindi Chia-
ramontef eec. Nomi delle due case a cui appartengono
i personaggi notati nella genealogia degli eroi romantici.
St. 77. v. 8. — Ma vivi al soldo suo nella sua corte.
Non ò che Ruggiero avesse soldo da Agramante; ss
Marfisa vuol pungerne Tamor proprio con quella espi»
sione di avvilimento, per determinarlo ad abbandonare
le bandiere moresche
St. 78. Y. 8. — Marfisa parla secondo lo spirito del
medio evo , quando V uccisione d' un parente era qnaii
acro legato di vendetta.
Oftnto'XXXVII.
CAKTO TRENTESIMOSETTIMO.
ABQOMENTO.
A t' cannando vuri scrittori che adoperarono le loro p«nae
Tit?U encomiale il bel snsfìo, toglie il Poeta opportunità di
lodare Vittoria Colonoa , e le rime gentili da lei consa-
crate »]la meinorìa i3t;l snurchese ài Pescara suo sposo. In-
irorluce quindi UHaiiia, la iae.58JLfjgIerft della regina del-
rl,sola Perduta, a uartare a Rug^ii.ro, a Bradamaute e a
Mar lÌJia Y ìndirgiìn usanza g tali Ulta da Marganorre nel
proprio castello a vitupÉ^rD lìdle doline : di che k due gq<fr-
rkre i3 Ruggiero fanxio subire a colui lamentata punizioni^.
Se^ come iti acquistar quakli' altro dono
Cbe senza itidn stria non può diir Natura,
Affaticale notte e dì si sono
Cun 5omma dilìgenzia e hmga cura
Le valorose donne , e se con buono
yuccesso n* è U-^cìC opra non oscura j
Cosi si fosson poste a quelli studi
Ch'immortal fanno le mortai virtodi;
2 £ che per sé medesime potato
Avesson dar memoria alle sae lode.
Non mendicar dagli scrittori aiuto,
Ai quali astio ed invidia il cor si rode,
Che'l ben che ne puon dir, spesso è taciuti,
E'I mal, quanto ne san, per tutto s'ode;
Tanto il lor nome sorgerla , che forse ^
Viril fama a tal grado unqua non sorse.
3 Non basta a molti di prestarsi Topra
In far r un l'altro glorioso al mondo,
Ch'anco studian di far che si discopra
Ciò che le donne hanno fra lor d'immondo.
Non le vorrian lasciar venir di sopra,
E quanto puon, fan per cacciarle al fondo :
Dico gli antiqui; quisi Tonor debbia
D' esse il loro oscurar , come il Sol nebbia.
4 Ma non ebbe e non ha mano né lingua,
Formando in voce o descrivendo in carte
(Quantunque il mal, quanto può. accresce e impin-
E minuendo il ben va con ogni arte), [gua,
Poter però, che delle donne estingua
La gloria si, che non ne resti parte;
Ma non già tal, che presso al segno giunga,
Né eh' anco se gli accosti di gran lunga:
5 Ch'Arpalice non fu, non fu Tomirì,
Non fti chi Turno , non chi Ettor soccorse ;
Non chi seguita da'Sidonj e Tiri
Andò per lungo mare in Libia a porse;
Non Zenobia , non quella che gli Assiri ,
I Persi e gl'Indi con vittoria scorse:
Non fur queste e poch' altre degne sole.
Di cui per arme etema f.ima vole.
6 E di fedeli e caste e sagge e forti
State ne son, non pur in Grecia e in Roma,
Ma in ogni parte , ove fra gì' Indi e ^li orti
Delle Esperide il Sol spiega la chioma;
Delle quaì sono i pregi e gli onor morti.
Si eh' a pena di mille una si noma;
E questo perché avuto hanno ai lor tempi
Gli scrittori bugiardi, invidi ed empi.
7 Non restate però, donne, a cui giova
II bene oprar , di seguir vostra via ;
Né da vostr'alta impresa vi rimuova
Tema che degno onor non vi si dia:
Che, come cosa buona non si trova
Che duri sempre, cosi ancor né ria.
Se le carte sin qui state e gl'inchiostri
Per voi non sono, or sono a' tempi nostri.
8 Dianzi Marnilo ed il Pontan per vai
Sono, e duo Strozzi, il padre e'I figlio, stati:
C'è il Bembo, c'è il Capei, c'è chi, qual Ini
Vediamo, ha tali i cortigian formati:
C'è un Luigi Alaman; ce ne son dui,
Di par da Marte e dalle Muse amati
Ambi del sangue che regge la terra
Che'l Menzo fende, e d'alti stagni serra.
9 Di questi l' uno , oltre che '1 proprio istinto
Ad onorarvi e a riverirvi inchina ,
E far Parnaso risonare e Cinto
Di vostra laude , e porla al del vicina ;
L' amor , la fede , il saldo e non mai vinto
Per minacciar di strazi e di mina,
Animo ch'Isabella gli ha dimostro,
Lo fa assai più , che di sé stesso , vostro :
10 Si che non è per mai trovj^rsi stanco
Di farvi onor nei suoi vivaci carmi
E s' altri vi dà biasmo , non è eh 'anco
Sia più pronto di lui per pigliar V armi.
E non ha il mondo cavalier che manco
La vita sua per la virtù risparmi.
Dà insieme egli materia ond' altri scriva;
E fa la gloria altrui , scrivenlo , viva.
11 Ed è ben degno che si ricca donna»
Ricca di tutto quel valor che possa
Esser fra quante a:l mondo portin gonna ,
Mai non si sia di sua costanza mossa
E sia stata per lui vera colonna,
Sprezzando di Fortuna ogni percossa:
Di lei degno «gli, e degna ella di lui;
Né meglio s'accoppiare unque altri dui.
12 Nuovi trofei pon su la riva d'Oglio;
Ch'in mezzo a ferri, a fuochi, a navi, a mote
Ha sparso alcun tanto ben scritto foglio ,
Che'l vicin fiume invidia aver gli puote.
Appresso a questo un Ercol Benti voglio
Fa chiaro il vostro onor con chiare note ,
E Renato Trivulcio , e '1 mio Guidetto ,
E '1 Molza , a dir di voi da Febo eletto.
13 C'è'] duca de'Camuti Ercol, figliuolo
Del Duca mio , che spiega Tali , come
Canoro cigno, e va cantando a volo,
E fin al cielo udir fa il vostro nome.
C'è il mio Signor del Vasto, a cui non solo
Di dare a mille Atene e a mille Rome
Di sé materia basta; eh' anco accenna
Volervi eteme far con la sua penna.
CANTO TRENTESIMOSETTIMO. 14 Ed oltre a questi ed altri eh' oggi avete ,
Che v'hanno dato gloria, e ve la danno,
Voi per voi stesse dar ve la potete:
Poiché molte , lasciando l' ago e '1 panno ,
Son con le Muse a spegnersi la sete Al fonte d' Aganippe andate , e vanno ;
E ne ritoman tai , che V opra vostra
É più hisogno a noi , eh' a voi la nostra. 15 Se chi sian queste , e di ciascana voglio
Render huon conto, e degno pregio darle,
Bisognerà eh' io verghi più d' un foglio , E eh' oggi il Canto mio d' altro non parie :
E s' a lodarne cinque o sei ne toglie.
Io potrei l'altre offendere e sdegnarle.
Che farò dunque? Ho da tacer d'ognuna,
Oppur fra tante sceglierae sol una? 16 Sceglieronne una : e sceglierò Ila tale ,
Che superato avrà l' invidia in modo ,
Che nessun' altra potrà avere a male ,
Se l' altre taccio , e se lei sola lodo.
Quest'una ha non pur sé fatta immortale
Col dolce stll di che il miglior non odo;
Ma pud qualunque, di cui parli o scriva,
Trar del sepolcro , e far eh' etemo viva.
17 Come Feho la candida sorella
Fa più di luce adoma, e più la mira.
Che Venere o che Maia, o ch'altra stella «
Che va col cielo , o che da sé si gira :
Così facondia, più eh' all' altre , a quella
Di eh' io vi parlo , e più dolcezza spira ;
E dà tal forza all' alte sue parole ,
Ch'orna a' di nostri il ciel d'un altro Sole.
20 S'al fiero Achille invidia della chiara
Meonia tromha il Macedonico ehhe;
Quanto, invitto Francesco di Pescara.
Maggiore a te, se vivesse or, l'avrebbe!
Che si casta mogliere, e a te si cara,
Canti l'eterno ouor che ti si debbe;
E che per lei si'l nome tuo rimbombe,
Che da bramar non hai più chiare trombe.
Staiiza 10.
18 Vittoria é'I nome; e ben conviensi a nata
Fra le vittorie, ed a chi o vada, o stanzi,
Di trofei sempre e di trionfi ornata,
La vittoria abbia seco , o dietro o innanzi.
Questa é un'altra Artemisia che lodata
Fa di pietà verso il suo Mausolo; anzi
Tanto maggior, quanto é più assai bell'opra.
Che por sotterra un uom, trarlo di sopra.
21 Se quanto dir se ne potrebbe , o quanto
Io n'ho desir, volessi porre in carte.
Ne direi lungamente; ma non tanto, ^
Ch'a dir non ne restasse anco gran parte:
E di Marfisa e dei compagni intanto
La bella istoria rimarria da parte.
La quale io vi promisi di seguire,
S' in questo Canto mi verreste a udire. 19 Se Laodamia , se la moglier di Bmto ,
S'Arria, s' Argia, s'Evadne, e s' altre molte
Meritar laude per aver voluto.
Morti i mariti, esser con lor sepolte;
Quanto onore a Vittoria é più dovuto.
Che di Lete e del rio che nove volte
L' ombre circonda, ha tratto il suo consorte,
Malgrado delle Parche e della Morte! 22 Ora essendo voi qui per ascoltarmi,
Ed io per non mancar della promessa.
Serberò a maggior ozio di provarmi
Ch' ogni laude di lei sia da me espressa;
Non perch'io creda bisognar miei carmi
A chi se ne fa copia da sé stessa;
Ma sol per satisfare a questo mio ,
C ho d' onorarla e di lodar , disio.
582
0RLA9Ba f URIOSO.
23 Donne, io conchiudo insomma, ch'ogni etade
Molte ha di voi degne di storia avute;
Ma, per invidia di scrittori, state
Non sete dopo morte conosciute:
Il che non più sarà, poiché voi fate
Per voi stesse immortai vostra virtute.
Se far le dae cognate sapean questo,
Si sapria meglio ogni lor degno gesto.
24 Di Bradamante e di Marfisa dico,
Le cui vittoriose inclite prove
Di ritornare in luce m' affatico ;
Ma delle diece mancanmi le nove.
Queste ch'io so, hen volentieri esplico;
Si perchè ogni heir opra si de', dove
Occulta sia, scoprir; si perchè bramo
A voi , donne , aggradir , eh' onoro ed amo.
25 Stava Ruggier , com' io vi dissi , in atto
Di partirsi, ed avea commiato preso,
E dall'arbore il brando già ritratto.
Che , come dianzi , non gli fu conteso :
Quando un gran pianto, che non lungo tratto
Era lontan, lo fé' restar sospeso;
E con le donne a quella via si mosse
Per aiutar, dove bisogno fosse.
26 Spingcnsi innanzi, e via più chiaro il suon ne
Viene, e vìa più son le parole intese.
Giunti nella vallea trovan tre donne
Che fan quel duolo , assai strane in arnese ;
Che fin all'ombilico ha lor le gonne
Scorciate non so chi poco cortese;
E per non saper meglio elle celarsi,
Sedeano in terra, e non ardlan levarsi
27 Come qnef HgfkÈ él TbIbbì che venne
Fuor della polve senza madre m wlft»
E Pallade nutrir fé' con solenne
Cura d'Aglauro al veder troppo ardita.
Sedendo , ascosi i brutti piedi tenne
Su la quadriga da lui prima ordita:
Così quelle tre giovani le cose
Secrete lor tenean , sedendo , ascose.
28 Lo spettacolo enorme e disonesto
L'una e l'altra magnanima guerriera
Fé' del color che nei giardin di Pesto
Esser la rosa suol da primavera.
Riguardò Bradamante, e manifesto
Tosto le fu , eh' Dilania una d' esse era ,
Dilania che dall'Isola Perduta
In Francia messaggiera era venuta:
29 E riconobbe non men T altre due;
Che dove vide lei, vide esse ancora.
Ma se n'andaron le parole sue
A quella delle tre , eh' ella più onora ;
E le domanda chi si iniquo fue,
E sì di legge e di costumi fuora ,
Che quei secreti agli occhi altrui riveli,
Che, quanto può, par che Natura celi.
30 Dilania che conosce Bradamante,
Non meno eh' alle insegne , alla favella ,
Esser colei che pochi giorni innante
Avea gittati i tre guerrier di sella;
Narra che da un Castel poco distante
Dna ria gente e di pietà ribella,
Oltre all' ingiuria di scorciarle i panni ,
L'avea battuta, e fattoi' altri danni
31 Né le sa dir che dello scudo sia.
Né dei tre Re che per tanti paesi
Fatto le avean si lunga compagnia;
Non sa se morti , o sian restati presi ;
E dice e' ha pigliata questa vìa.
Ancor eh' andare a pie molto le pesi ,
Per richiamarsi dell' oltraggio a Carlo,
Sperando che non sia per tollerarlo.
82 Alle guerriere ed a Ruggier, che meno
Non bau pietosi i cor, ch'audaci e forti,
De'bei visi turbò l'aer sereno
L' udire , e più il veder , si gravi torti ;
Ed obbliando ogn' altro affar che avieno,
E senza che li prieghi o che gli esorti
La donna afflitta a far la sua vendetta ,
Piglian la via verso quel luogo in fretta. 83 Di cornane parer le sopravreste,
Mosse da gran bontà, s^aveano tratte,
Ch'a ricoprir le parti meno oneste
Di quelle sventurate assai furo atte.
Bradamante non yuol ch^UlIania peste
Le strade a pie, ch'avea a piede anco fatte,
E se la leva in groppa del destriero:
L'altra Marfisa, l'altra il buon Ruggiero:
34 Ullania a Bradamante che la porta,
Mostra la vìa che va al Castel più dritta;
Bradamante alP incontro lei conforta,
Che la vendicherà di chi V ha afflìtta.
Lascian la valle , e per via lunga e torta
Sagliono un colle or a man manca or ritta;
E prima il sol fu dentro il mare ascoso.
Che volesser tra via prender riposo.
35 Trovaro una villetta che la schena
D'un erto colle, aspro a salir, tenea;
Ove ebbon buono albergo e buona cena.
Quale avere in quel loco si potea.
Sì mirano d'intorno, e quivi piena
Ogni parte dì donne sì vedea.
Qua! giovani , quai vecchie ; e in tanto stuolo
Faccia non v' apparìa d' un uomo solo.
36 Non più a Giason dì maraviglia dénno,
Né agli Argonauti che venian con lui ,
Le donne che i mariti morir fènuo ,
E ì figli e i padri coi fratelli sui ,
^ che per tutta l'isola di Lenno
Di vini faccia non si vìder dui;
Che Rnggier quivi, e chi con Ruggier era,
ALiraviglia ebbe all'alloggiar li sera.
37 Fero ad Ullania ed alle damigelle
Che venivan con lei, le due guerriere
La sera provveder di tre gonnelle.
Se non cosi polite , almeno intere.
A sé chiama Ruggiero, una dì quelle
Donne ch'abìtan quivi, e vuol sapere
Ove gli uomini sian , eh' un non ne vede ;
Ed ella a luì questa risposta diede :
38 Questa che forse è maraviglia a voi»
Che tante donne senza uomini siamo,
È grave e ìntollerabil pena a noi,
Che qui bandite misere viviamo.
E perchè il duro esilio più ci annoi,
Padri , figli e mariti , che si amiamo,
Aspro e lungo divorzio da noi fanno,
Come piace al crudel nostro tiranno.
39 Dalle sue terre, le quai son vìcme
A noi due leghe , e dove noi siam nate ,
Qui ci ha mandato il barbaro in confine ,
Prima di mille scorni ingiuriate.;
Ed ha gli uomini nostri e noi meschine
Di morte e d'o^ strazio minacciate,
Se quelli a noi verranno , o gli fia detto
Ole noi diam lor, venendoci, ricetto.
40 Nimico è si costui del nostro nome.
Che non ci vuol più, ch'io vi dico, appresso,
Né eh' a noi venga alcun de' nostri, come
L'odor l'ammorbi del femmineo sesso.
Già due volte l' onor delle lor chiome
S' hanno spogliato gli alberi e rimessti.
Da indi in qua che '1 rio Signor vaneggia
In furor tanto ; e non è chi '1 correggia :
41 Che '1 popolo ha dì lui quella paura
Che maggior aver può l' uom della morte ;
Ch'aggiunto al mal voler gli ha la natura
Una possanza fuor d'umana sorte.
U corpo suo, di gigantea statura,
É più, che di cent' altri insieme, forte.
Nò pur a noi sue suddite è molesto:
Ma fa alle strane ancor peggio dì questo.
42 Se l'onor vostro, e queste tre vi sono
Punto care, eh' avete in compagnia ,
Più vi sarà sicuro , utile e buono
Non gir più innanzi, e trovar altra vìa.
Questa al Castel dell' uom di ch'io ragiono,
A provar mena la costuma ria
Che v'ha posta il crudel, con scorno e danno
Di donne e dì gnerrier che di là vanno.
43 Margauor il fellon (cosi si chiama
n Signore, il tiran di quel castello).
Del quai Nerone, o s'altri è ch'abbia fama
Di crudeltà , non fd più iniquo e fello ,
Il sangue uman, ma'l femminil più brama
Che '1 lupo non lo brama dell' agnello.
Fa con onta scacciar le donne tutte
Da lor ria sorte a quel Castel condutte.
44 Perché quell'empio in tal furor venisse,
Volson le donne intendere e Ruggiero:
Pregar colei, ch'in cortesia seguisse.
Anzi che comincia.sse il conto intero.
Fu il Signor del Castel , la donna disse ,
Sempre crudel, sempre inumano e fiero;
Ma tenne un tempo il cor maligno ascosto.
Né si lasciò conoscer cosi tosto:
btanza 43.
45 Che mentre duo suoi figli erano tìtì,
Molto diversi dai patemi stili ,
Ch'amavan forestieri, ed eran schivi
Di crudeltade e degli altri atti vili,
Quivi le cortesie fiorivan, quivi
I bei costumi, e T opere gentili:
Che U padre mai , quantunque avaro fosse ,
Da quel cl.e lor piacea, non li rimosse.
46 Le donne e i cavalier che questa via
Facean talor, venian kì ben raccolti,
Che si partian del^alta cortesia
Del duo germani innamorati molti.
Amendui questi di cavalleria
Parimente i santi ordini avean tolti
diandro Tun, l'altro Tanacro detto.
Gagliardi e arditi, e di reale aspetto. Stanza 42. 47 Ed eran veramente, e sarìan stati
Sempre di laude degni e d^ogni onore,
SMn preda non si fossino si dati
A quel disir che nominiamo amore;
Per cui dal buon sentier fur traviati
Al labirinto ed al cammin d'errore;
E ciò che mai di buono aveano fatto ,
Bestò contaminato e brutto a un tratto.
63 Non men di questa il gioveue Tana ero
Arse, cheU suo fratel di quella ardesse
Che gli fé* gustar fine acerbo ed acro
Del desiderio ingiusto ch'in lei messe.
Non men di lui di violar del sacro
E santo ospizio ogni ragione elesse ,
Piuttosto che patir che'l duro e forte
Nuovo desir lo conducesse a morte.
48 Capitò quivi un cavalier di corte
Del greco Imperator, che seco avea
Una sua donna di maniere accorte,
Bella quanto bramar più si potea.
Cilandro in lei s' innamorò si forte ,
Che morir , non V avendo , gli parea :
Gli parea che dovesse, alla partita
Di lei, partire insieme la sua vita.
49 E perchè i prieghi non v'avriano loco.
Di volerla per forza si dispose.
Armossi, e dal Castel lontano un poco,
Ove passar dovean , cheto s' ascose.
L' usata audacia e V amoroso fuoco
Non gli lasciò pensar troppo le cose:
Si che vedendo il cavalier venire ,
L'andò lancia per lancia ad assalire.
50 Al primo incontro credea porlo in terra ,
Portar la donna e la vittoria indietro;
Ma '1 cavalier , che mastro era di guerra ,
L'osbergo gli spezzò, come di vetro.
Venne la nuova al padre nella terra.
Che lo fé' riportar sopra un feretro;
E ritrovando! morto, con gran pianto
Gli die sepulcro agli antiqui avi accanto. 51 Né pii\ però né manco si contese
L'albergo e l'accoglienza a questo e a quellO)
Perchè non men Tanacro era cortese, Né meno era gentil di suo fratello.
L'anno medesmo di lontan paese
Con la moglie un Baron venne al castello,
A maraviglia egli gagliardo, ed ella,
Quanto si possa dir , leggiadra e bella ; 52 Né men che bella , onesta e valorosa ,
£ degna veramente d'ogni loda; 11 cavalier di stirpe generosa.
Di tanto ardir , quanto più d' altri s' oda.
E ben conviensi a tal valor, che cosa
Di tanto prezzo e si eccellente goda.
Olindro il cavalier da Lunga villa;
La donna nominata era Drusilla.
54 Ma perch'avea dinanzi i^li occhi il tema
Del suo fìratel, che n'era stato morto.
Pensa di torla in guisa, che non tema
Ch' Olindro s'abbia a vendicar del torto.
Tosto s'estingue in lui, non pur si scema
Quella virtù, su che solea star sorto;
Che non lo sommergean dei vizj l'acque,
Delle quai sempre al fondo il padre giacque.
Stanza 50.
55 Con gran silenzio fece quella notte
Seco raccor da vent' uomini armati
E lontan dal castel fra certe grotte.
Che si trovan tra via, messe gli agguati.
Quivi ad Olindro il di le strade rotte,
E chiusi i passi fur da tutti i lati;
E benché fé' lunga difesa e molta ,
Pur la moglie e la vita gli fti tolta.
56 Ucciso Olindro, ne menò captiva
La bella donna, addolorata in guisa
Ch'a patto alcun restar non volea viva.
E di grazia chiedea d'essere uccisa.
Per morir sì gittò giù d'una riva
Che vi trovò sopra un vallone assisa:
E non potè morir: ma colla testa
Rotta rimase, e tutta fiacca e pesta.
67 Altrìmente Tannerò riportarla
A casa non potè, che s^una bara.
Fece con diligeuzia medicarla;
Che perder non volea preda si cara.
E mentre che s' indugia a risanarla
Di celebrar le nozze si prepara:
Ch^aver si bella donua e sì pudica
Debbe nome di moglie, e non d^ amica.
60 Simula il viso pace; ma vendetta
Chiama il cor dentro, e ad altro non attende.
Molte cose rivolge , alcune accetta ,
Altre ne lascia ed altre in dubbio appende.
Le par che quando essa a morir si metta .
Avrà il suo intento; e quivi alfin s^ apprende
E dove meglio può morire , o quando ,
Che'l suo caro marito vendicando?
61 Ella si mostra tutta lieta, e finge
Di queste nozze aver sommo disio ;
E ciò che può indugiarle addietro spinge ,
Non ch'ella mostri averne il cor restio.
Più deir altre s' adoma e si dipinge :
Olindro al tutto par messo in oblio;
Ma che sian fatte queste nozze vuole ,
Come nella sua patria far si suole.
Stanza 55.
58 Non pensa altro Tanacro, altro non brama,
D'altro non cura, e d'altro mai non parla.
Si vede averla offesa , e se ne chiama
In colpa , e ciò che può , fa d' emendarla.
Ma tutto è invano : quanto egli più l' ama ,
Quanto più s'affatica di placarla,
Tant' ella odia più lui , tanto è più forte ,
Tanto è più ferma in voler porlo a morte.
59 Ma non però quest'odio cosi ammorza
La conoscenza in lei , che non comprenda
Che , se vuol far quanto disegna , è forza
Che simuli , ed occulte insidie tenda ;
E che'l desir sotto contraria scorza
(TI quale è sol, come Tanacro offenda)
Veder gli faccia; e che si mostri tolta
Dal primo amore, e tutta a lui rivolta.
62 Non era però ver che questa usanza ,
Che dir volea , nella sua patria fosse ;
Ma perchè in lei pensier mai non avanza,
Che spender possa altrove; imaginosse
Una bugia, la qual le die speranza
Di far morir chi '1 suo Signor percosse :
E disse di voler le nozze a guisa
Della sua patria; e'I modo gli divisa. 63 La vedovella che marito prende,
Deve, prima (dicea) eh* a lui s'appresse,
Placar Talma del morto ch'ella offende ,
Facendo celebrargli officj e messe,
In remissiou delle passate mende,
Nel tempio ove di quel son V ossa messe ;
E dato fin eh* al sacrificio sia ,
Alla sposa Tanel lo sposo dia: 65 Tanacro , che non mira quanto importe
Ch'ella le nozze alla sua usanza faccia,
Le dice : Purché *1 termine sì scorte
D' essere insieme , in questo si compiaccia.
Né 8* avvede il meschin eh' essa la morte
D' Olindro vendicar cosi procaccia;
£ si la voglia ha in uno oggetto intensa,
Che sol di quello, e mai d'altro non pensa.
Stanza 61.
64 Ma ch'abbia in questo mezzo il sacerdote
Sul vino ivi portato a tale effetto
Appropriate orazì'on devote,
Sempre il liquor benedicendo, detto;
Indi che '1 fiasco in una coppa vote ,
E dia alli sposi il vino benedetto :
Ma portare alla sposa il vino tocca,
Ed esser prima a porvi su la bocca.
Stanza 67.
66 Avea seco Drusilla una sua vecchia,
Che seco presa, seco era rimasa.
A sé chiamolla , e le disse all' orecchia ,
Si che non potè udire uomo di casa :
Un subitano tosco m'apparecchia,
Qual so che sai comporre, e me lo invasa;
C'ho trovato la via di vita torre
Il traditor figliuol di Marganorre;
67 E me so come, e te salvar non meno;
Ma differisco a dirtelo più ad agio.
Andò la vecchia , e apparecchiò il veneno ,
Ed acconciollo, e ritornò al palagio.
Di vin dolce di Candia un fiasco pieno
Trovò da por con quel succo malvagio,
E lo serbò pel giorno delle nozze;
Ch' ornai tutte l' indugie erano mozze.
68' Lo statiùto giorno al tempio venne,
Dì gemme ornata e di leggiadre gonne;
Ove d*01indro, come gli convenne,
Fatto avea Parca alzar sn dne colonne.
Qnivi r ufficio bì cantò solenne :
Trasseno a udirlo tutti, uomini e donne;
E lieto Marganor più dell'usato,
Venne col figlio e con gli amici a lato.
69 Tosto ch^alfin le sante esequie foro,
E fu col tosco il vino benedetto,
Il sacerdote in una coppa d'oro
Lo versò , come avea Drusilla detto.
Ella ne bebbe quanto al suo decoro
Si conveniva, e potea far l'effetto:
Poi dio allo sposo con viso giocondo
Il nappo; e quel gli fé' apparire il fondo.
70 Penduto il nappo al sacerdote, lieto
Per abbracciar Drusilla apre le braccia.
Or quivi il dolce stile e mansueto
In lei si cangia , e quella gran bonaccia.
Lo spinge addietro , e gli ne fa divieto ,
£) par eh' arda negli occhi e nella faccia ;
E con voce terribile e incomposta
Gli grida: Traditor, da me ti scosta.
71 Tu dunque avrai da me sollazzo e gioia ,
Io lagrime da te , martiri e guai?
10 vo'per le mie man ch'ora tu muoia:
Questo è stato venen , se tu noi sai.
Ben mi duol ch'hai troppo onorato boia,
Che troppo lieve e facii morte fai ;
Che mani e pene io non so si nefande.
Che fosson pari al tuo peccato grande.
72 Mi duol di non veder in questa morte
11 sacrificio mio tutto perfetto:
Che s' io '1 poteva far di quella sorte
Ch' era il disio , non avria alcun difetto.
Di ciò mi scusi il dolce mio consorte:
Riguardi al buon volere, e l'abbia accetto;
Chò non potendo come avrei voluto,
10 t'ho fatto morir come ho potuto.
73 E la punizi'on che qui, secondo
11 desiderio mio, non posso 4^rti,
Spero l'anima tua nell'altro mondo
Veder patire; ed io starò a mirarti.
Poi disse, alzando con viso giocondo
I torbidi occhi alle superne parti:
Questa vittima, Olìndro, in tua vendetta
Col buon voler della tua moglie accetta;
74 Ed impetra per me dal Signor nostro
Grazia, ch'in paradiso oggi io sia teco.
Se ti dirà che senza merto al vostro
Regno anima non vien , di' eh' io l' ho meco :
Che di questo empio e scellerato mostro
Le spoglie opime al santo tempio arreco.
E che merti esser puon maggior di questi ,
Spegner si brutte e abbominose pesti ?
75 Fini il parlare insieme colla vita;
E morta anco parea lieta nel volto
D'aver la crudeltà cosi punita
Di chi il caro marito le avea tolto.
Non so se prevenuta o se seguita
Fu dallo spirto di Tanacro sciolto.
Fu prevenuta, credo; ch'effetto ebbe
Prima il veneno in lui, perchè più bebbe.
76 Marganor che cader vede il figliuolo ,
E poi restar nelle sue braccia estinto.
Fu per morir con lui , dal grave duolo ,
Ch'alia sprovvista lo trafisse, vinto.
Duo n' ebbe un tempo ; or si ritrova solo :
Duo femmine a quel termine l'han spinto.
La morte all'un dall'una fu causata;
E l'altra all'altro di sua man l'ha data.
77 Amor, pietà, sdegno, dolore ed ira,
Disio di morte e di vendetta insieme
Quell'infelice ed orbo padre aggira,
Che, come il mar che turbi il vento, freme.
Per vendicarsi va a Drusilla , e mira
Che di sua vita ha chiuse l'ore estreme:
E , come il pnn?e e sferza V odio ardente ,
Cerca offendere il corpo che non sente.
78 Qual serpe che nell' asta eh' alla sabbia
La tenga fissa, indarno i denti metta;
0 qual mastin ch'ai ciottolo che gli abbia
Gittate il viandante, corra in fìretta,
E morda invano con stizza e con rabbia,
Né se ne voglia andar senza vendetta:
Tal Marganor, d'ogni mastin, d'ogni angue
Via più crudel , fa contro il corpo esangue.
79 E poi che per stracciarlo e feume scempio
Non si sfoga il fellon nò disacerba,
Vien fra le donne di che è pieno il tempio,
Né più l'una dell'altra ci riserba;
Ma di noi fa col brando crudo ed empio
Quel che fa con la falce il villan d'erba.
Non vi fu alcun ripar, ch'in un momento
Trenta n'uccise, e ne feri ben cento. 80 Egli dalla sua gente è si ternato ,
Ch' uomo non fu eh' ardisse alzar la testa.
Faggon le donne col popol minato
Faor della chiesa , e chi può ascir non resta.
Quel pazzo impeto alfin fa ritenuto
Dagli amici con prieghi e forza onesta:
E lasciando ogni cosa in pianto al hasso ,
Fatto entrar nella rocca in cima al sasso.
81 E tattavia la collera durando,
Di cacciar tutte per partito prese:
Poiché gli amici e '1 popolo pregando ,
Che non ci uccìse affatto , gli contese ;
E quel medesmo dì fé' andare im bando,
Che tutte gli sgombrassimo il paese;
E darci qui gli piacque le confine.
Misera chi al castel più s'avricine!
82 Dalle mogli cosi furo i mariti,
Dalle madri cosi i figli divisi.
S' alcuni sono a noi venire arditi ,
Noi sappia già chi Marganor n'avvisi:
C!he di multe gravissime puniti
N'ha molti, e molti crudelmente uccisi.
Al suo castello ha poi fatto una logge.
Di cui peggior non s'ode né si legge.
83 Ogni donna che trovin nella valle,
La legge vuol (ch'alcuna pur vi cade)
Che percuotan con vimini alle spalle,
£ la faccian sgombrar queste contrade :
Ma scorciar prima i panni , e mostrar falle
Quel che natura asconde ed onestade:
E s* alcuna vi va , eh' armata scorta
Abbia di cavalier, vi resta morta.
84 Quelle e' hanno per scorta cavalieri,
Son da questo nimico di pietate,
Come vittime, tratte ai cimiteri
Dei morti figli, e di sua man scannate.
Leva con ignominia arme e destrieri,
E poi caccia in prigion chi l'ha guidate:
E lo può far, che sempre notte e giorno
Si trova più di mille uomini intomo.
85 E dir di più vi voglio ancora, ch'esso,
S' alcun ne lascia , vuol che prima giuri
i a l' ostia sacra , che '1 femmineo sesso
In odio avrà finché la vita duri.
Se perder queste donne, e voi appresso
Danque vi pare, ite a veder quei muri
Ove alberga il fellone , e fate prova
S' in lui più forza o crudeltà si trova.
86 Cosi dicendo , le guerriere mosse y
Prima a pietade, e poscia a tanto sdegno.
Che se, com'era notte, giorno iDsee,
Sarian corse al castel senza ritegno.
La bella compagnia quivi pososse:
E tosto che l'aurora fece segno
Che dar dovesse al sol loco ogni stella,
Ripigliò l'arme , e si rimesse in selli.
87 Già sendo in atto di partir, s'udirò
Le strade risonar dietro le spalle
D' un lungo calpestio , che gli occhi in giro
Fece a tutti voltar giù nella valle
E lungi quanto esser potrebbe un tiro
Di mano , andar per uno istretto calle
Vider da forse venti armati in schiera ,
Di che parte in ardon , parte a pied' era :
88 E che traean con lor sopra un cavallo
Donna eh' al viso aver parca molt' anni ,
A guisa che si mena im che per fallo
A fuoco 0 a ceppo o a laccio si condanni :
La qual fu , non ostante l' intervallo ,
Tosto riconosciuta al viso e ai panni.
La riconobber queste della villa
Esser la cameriera di Drusilla:
89 La cameriera che con lei fa presa
Dal rapace Tanacro , come ho detto,
Ed a chi fd di poi data l'impresa
Di quel venen che fe"l crudele effetto.
Non era entrata ella con l' altre in chiesa ;
Che di quel che segui stava in sospetto :
Anzi in quel tempo , della villa uscita ,
Ov' esser sperò salva, era friggita.
90 Avuto Marganor poi di lei spia,
La qual s'era ridotta in Ostericche,
Non ha cessato mai di cercar via
Come in man l'abbia, acciò l'abbruci o impicche:
E finalmente l' Avarizia ria ,
Mossa da doni e da profferte ricche,
Ha fatto eh' un Baron, ch'assicurata
L'avea in sua terra, a Marganor l'ha data:
91 E mandata glie l' ha fin a Costanza
Sopra un somier, come la merce s'usa,
Legata e stretta , e toltole possanza
Di far parole, e in una cassa chiusa:
Onde poi questa gente l'ha, ad instanza
Dell' uom eh' ogni pietade ha da sé esclusa ,
Quivi condotta con disei^no ch'abbia
L'empio a sfogar sopra di lei sua rabbia.
Stanza )75.
92 Come il gran fiuma che dì Vésiilo esce ,
Quanto più innanzi e verso il mar discende,
E che con lui Lambro e Ticin si mesce.
Ed Adda, e gli altri onde tributo prende,
Tanto più altiero e impetuoso cresce:
Così Ruggier, quante più colpe intende
Di Marganor, cosi le due guerriere
Se gli fan con tra più sdegnose e fiere.
93 Elle fur d'odio, elle far d'ira tanta
Contra il crudel, per tante colpe, accese,
Che di punirlo, malgrado di quanta
Gente egli avea, conclusìon si prese.
Ma dargli presta morte troppo santa
Pena ior parve, e indegna a tante offese;
Ed era meglio fargliela sentire,
Fra strazio prolunganduU e martire. 94 Ma prima liberar la donna è onesto,
Che sia condotta da quei birri a morte.
Lentar di briglia col calcagno presto
Fece appresti destrier far le vie corte.
Non ebbon gli assaliti mai di questo
Uno incontro più acerbo né più forte;
Si che han di grazia di lasciar gli sondi
E la donna e V arnese , e fuggir nudi : 95 Sì come il lupo che dì preda vada
Carco alla tana , e quando più si crede
D' esser sicur , dal cacciator la strada
E da' suoi cani attraversar si vede ;
Getta la soma, e dove appar men rada La scura macchia innanzi , affretta il pieile :
(tià men presti non fur quelli a fuggire.
Che li fnsson quest'altri ad assalire.
Stanza 94.
96 Non pur la donna e V arme vi lasciaro ,
Ma de' cavalli ancor lasciaron molti,
E da rive e da grotte si lanciaro,
Parendo lor cosi d'esser più sciolti.
Il che alle donne ed a Ruggier fu caro;
Che tre di quei cavalli ebbono tolti,
Per portar quelle tre che '1 giorno d' ieri
Feron sudar le groppe ai tre destrieri.
97 Quindi espediti seguono la strada
Verso l'infame e dispietata villa.
Voglion, che seco quella vecchia vada,
Per veder la vendetta di Drusilla.
Ella, che teme che non ben le accada,
Lo niega indamo, e piange e grida e strilla;
Ma per forza Ruggier la leva in groppa
Del buon Frontino , e via con lei galoppa.
Stanza 97.
98 Giunsero in somma onde vedeano al basso
Di molte case un ricco borgo e grosso ,
Che non serrava d'alcun lato il passo,
Perchè né muro intomo avea né fosso.
Avea nel mezzo un rilevato sasso,
Ch' un' alta rocca sostenea sul dosso.
A quella si drizzar con gran baldanza.
Ch'esser sapean di Slarganor la stanza.
99 Tosto che son nel borgo, alcani fanti
Che v' erano alla guardia dell' entrata ,
Dietro chiudon la sbarra, e già davanti
Veggion che l'altra uscita era serrata:
Ed ecco Marganorre, e seco alquanti
A pie e a cavallo , e tutta gente armata ;
Che con brevi parole, ma orgogliose,
La ria costuma di sua terra espose.
100 Marftsa, la qual prima avea composta
Con Bradamante e con Ruggier la cosa
Gli spronò incontro in cambio di risposta:
E com'era possente e valorosa.
Senza ch'abbassi lancia, o che sia posta
In opra quella spada sì famosa.
Col pugno in guisa l'elmo gli martella,
Che lo fa tramortir sopra la sella.
101 Con Mariisa la gioTane di Francia
Spinge a un tempo il destrier ; né Ruggier resta,
Ma con tanto valor corre la lancia,
Che sei , senza levarsela di resta ,
N'uccide, uno ferito nella pancia,
Duo nel petto, un nel collo, un nella testa:
Nel sesto , che fuggia , V asta si roppe ,
C h' entrò alle scheno , e riuscì alle poppe.
102 Là figliuola d'Amon quanti ne tocca
Con la sua lancia d' ór , tanti ne atterra.
Fulmine par che U cielo ardendo scocca ,
Che ciò ch'incontra, spezza e getta a terra.
Il popol sgombra, chi verso la rocca.
Chi verso il piano : altri si chiude e serra ,
Chi nelle chiese, e chi nelle sue erse;
Né, fuorché morti, in piazza uomo rimase.
105 Perocché Tun dell'altro non si fida,
E non ardisce Conferir sua voglia,
Lo lascian eh' un bandisca, un altro nccidi,
A quel r avere , a questo V onor toglia.
Ma il cor che tnce qui , su nel ciel grida.
Finché Dio e Santi alla vendetta iuvoglia;
La qual, sebben tarda a venir, compensa
L'indugio poi con punizione immensa.
106 Or quella turba, d'ira e d'odio pregna.
Con fatti e con mal dir cerca vendetta.
Com'è in proverbio ognun corre a far legna
All' arbore che '1 vento in terra getta.
Sia Mnrganorre esempio di chi regna;
Che cLi mal opra, male alfine aspetta.
Di vederlo punir de' suoi nefandi
Peccati, aveau piacer piccioli e grandi.
Stanza 106.
107 Molti, a chi fur le mogli o le sorelle
0 le figlie 0 le madri da lui morte,
Non più celando l'animo ribelle,
Correan fer dargli di lor man la morte:
E con fatica lo difeser quelle
Magnanime gueniere e Ruggier forte,-
Che disegnato avean farlo morire
D'affanno, di disagio e di martire.
108 A quella vecchia, che l'odiava quanto
Femmina odiare alcun nimico possa.
Nudo in mano lo dier, legato tanto.
Che non si scioglierà per una scossa ;
Ed ella , per vendetta del suo pianto ,
Gli andò facendo Li persona rossa
Con un stimulo aguzzo eh' un villano.
Che quivi si trovò , le pose in mano.
103 Marfisa Marganorre avea legato
Int'\uto con le man dietro alle rene,
Ed alla vecchia di Drusilla dato ,
Ch'appagata e contenta se ne tiene.
D'arder quel borgo poi fu ragionato,
S'a penitenzia del suo error non viene.
Levi la legge ria di Marganorre,
E questa accetti, ch'essa vi vuol porre.
104 Non fu già d'ottener questo fiitica;
Che quella gente, oltre al timor eh' avea
Che più faccia Marfisa che non dica.
Ch'uccider tutti ed abbruciar volea,
Di 3Iarganorre al!i\tto era nimica,
E della legge sua crudele e rea.
Ma '1 popolo facea , come i più fanno ,
Ch'ubbidiscon più a quei che più in odio hanno.
109 La messaggi era e le sue giovani anco,
Che quell'onta non son mai per scordarsi,
Non s' hanno più a tener le mani al fianco ,
Né meno che la vecchia, a vendicarsi.
Ma si è il desir d'offenderlo, che manco
Viene il potere , e pur vorriau sfogarsi :
Chi con sassi il percuote, chi con l'ugue;
Altra lo morde, altra cogli aghi il pugne.
110 Come torrente che superbo faccia
Lunga pioggia talvolta o nevi sciolte.
Va ruinoso , e giù da' monti caccia
Gli arbori e i sassi e i campi e le rìculte;
Vien tempo poi, che l'orgogliosa faccia
Gli cade , e sì le forze gli son tolte ,
Ch' un fanciullo , una femmina per tutto
Passar lo puote , e spesso a piede asciutto : 111 Cosi già fu che Marganorre intorno
Fece tremar, dovunque udiasi il nome:
Or venuto è chi gii lia spezzato il corno
Di tanto orgoglio , e si le forze dome ,
Che gli pnon far sin a' bambini scorno ,
Chi pelargli la barba, e chi le chiome.
Quindi Eiiggiero e le donzelle il passo
Alla rocca voltar, ch'era sul sasso. 114 Perchè stata saria, com'eran tutte
Qnelle ch'armate avean seco le scorte.
Al cimitero misere condutte
Dei duo fratelli , e in sacrificio morte.
Gli è pur men che morir, mostrar le brutte
E disoneste parti, duro e forte;
E sempre questo e ogni altro obbrobrio ammorza
11 poter dir che le sia fatto a forza.
112 La die senza contrasto in poter loro
Chi v' era dentro , e così i ricchi arnesi ,
Ch' in parte messi a sacco , in parte foro
Dati ad Ullania ed accompagni offesi.
Ricovrato vi fu lo scudo d' oro ,
E quei tre Be ch'avea il tiranno presi ,
Li quai venendo quivi, come parrai
D'avervi detto, erano a pie senz'armi;
113 Perchè dal di che fur tolU di sella
Da Bradamante, a pie sempre eran iti
Senz'arme, in compagnia della donzella
La qual venia da si lontani liti.
Non so se meglio o peggio fti di quella ,
Che di lor armi non fusson guerniti.
Era ben meglio esser da lor difesa;
Ma peggio assai, se ne perdean l'impresa:
Stanza 121.
115 Prima ch'indi si partan le guerriere.
Fan venir gli abitanti a giuramento ,
Che daranno i mariti alle mogliere
Della terra e del tutto il reggimento :
E castigato con pene severe
Sarà chi contrastare abbia ardimento.
In somma , quel eh* altrove è del marito ,
Che sia qui della moglie è statuito.
1 16 Poi si fecion promettere eh' a quanti
. Mai Yenian quivi, non darian ricetto,
0 fosson cavalieri^ o fosson fanti;
Né 'ntrar gli lascerian pur sotto un tetto ,
Se per Dio non giurassino e per Santi,
0 s'altro giuramento v'è più stretto, •
Che sarian sempre delle donne amici ,
E dei nimici lor sempre nimici :
117 E s'avranno in quel tempo, e ne saranno.
Tardi o più tosto, mai per aver moglie,
Che sempre a quelle sudditi saranno,
E ubbidienti a tutte le lor voglie.
Tornar Marfisa , prima eh' esca l' anno ,
Disse, e che perdan gli arbori le foglie;
E se la legge in uso non trovasse ,
Fuoco e ruina il borgo s'aspettasse.
119 L'animose guerriere a lato un teDipio
Videno quivi una colonna in piazza.
Nella qual fatt'avea quel tiranno empio
Scriver la legge sua crudele e pazza.
Elle, imitando d'un trofeo l'esempio.
Lo scudo v'attaccaro e la corazza
Di 3[arganorre , e V elmo ; e scriver fénuo
La legge appresso, ch'esse al loco dénno.
120 Quivi s' indugiar tanto , che Marfisa
Fé' por la legge sua nella colonna.
Contraria a quella che già v'era incisa
A morte ed ignominia d'ogni donna.
Da questa compagnia restò divisa
Quella d* Islanda, per rifar la gonna;
Che comparire in corte obbrobrio stima,
Se non si veste ed orna come prima.
118 Né quindi si partir, che dell'immondo
Luogo dov' era , fér Drusilla torre ,
E col marito in un avel, secondo
Ch'ivi potean più riccamente, pone.
La vecchia facea intanto rubicondo
Con lo stimulo il dosso a Marganorre:
Sol si dolea di non aver tal lena.
Che potesse non dar triegua alla pena.
121 Quivi rimase Ullania; e Marganorre
Di lei restò in potere : ed essa poi ,
Perché non s'abbia in qualche modo a sciorre.
E le donzelle un' altra volta annoi ,
Lo fé' un giorno saltar giù d' una torre ,
Che non fé' il maggior salto a' giorni suoi.
Non più di lei, né più dei suoi si parli;
Ma della compagnia che va verso Arli.
122 Tutto quel giorno, e l'altro fin appresso
L' ora di terza andaro , e poi che furo
Giunti dove in due strade è il cammin fésso
(L'una va al campo, e l'altra d'Arli al muro).
Tornar gli amanti ad abbracciarsi , e spesso
A tor commiato, e sempre acerbo e duro.
Alfin le donne in campo, e in Arli é gito
Kuggiero; ed io il mio Canto ho qui finito. NOTE. St. 5. V. 1-6. — Arpalice: figlia del re di Tracia, che
difese il regno paterno contro Neottolemo, ossia Pirro,
figliuolo d'Achille. — Tomiri, regina de' Massageti, che
riportò vittoria sopra Ciro persiano. — Non fu ehi
Turno , ecc. Accenna Camilla , figlia del re de' Volaci,
la quale die aiuto a Turno. — Non chi Ettor soccorse:
parla di Pentesilea, regina delle Amazzoni, quale ausi-
liaria dei Troiani. — Non chi seguita , ecc. Allude a
Didone , che , rimasta vedova di Sicheo , e quindi emi-
grata da Tiro , si condusse sulla costa d' Africa , dove
fondò Cartagine. — Zenohia, celebre regina di Palmira,
che dopo essersi difesa con molto valore contro l'impe-
ratore Aureliano, restò prigioniera di lui. — Non quella
che gli Assiri f ecc. Questa è Semiramide ^ qui mento-
vata per le bellicose sue geste.
St. 6. V. 3-4. — Ove fra gVJndi e gli orti Delle Espe-
ride, ecc. Prendesi qui l'India per l' estremo contineita
a levante; e gli orti dell' Esperidi per l' ultima tem a
ponente. Si finsero quegli orti nella parte occidentale
dell'Etiopia, e appartenenti alle tre figlie di Espero, die
ivi tenevano sotto la guardia di un drago i pomi d'oro
recati in dote da Giunone a Giove.
St. 8. v. 1-8. — In questa Stanza e in altre che se-
guono , il Poeta nomina vari letterati che scrinerò ia
lode delle donne , e dei quali si darà breve oenio. —
Marnilo : ebbe nome Michele , nato da genitori greei.
ma allevato in Italia; fa scrittore di epigrammi e d'inni,
detti da lui naturali: mori sommerso nel fiume Cecina
in Toscana. — Ed il Pontan , ecc. Gi-ande e meritata
fama ebbe nelle lettere Giovanni o Gioviano Fontano,
nato a Cereto nello Spoletino Tanno 1426. Ritrasse le
grazie degli antichi poeti; mori nel 1503. — E duo
Strozzi f il padre e 7 figlio. Il padre fa Tito Vespasiano,
discendente dagli Strozzi di Firenze. Cominciò ad essere celebrato nel secolo XV; e tutti gli scrittori di quei tempi esaltarono con somme lodi le rime di lui. Finiva
di vivere circa il U08. Il figlio chiamavasi Ercole , e
superò il padre. Fu stimato ammirabile nella poesia
latina, felicissimo nell'italiana, e dotto nella lingua greca.
Moli ucciso a tradimento nel 6 giugno 1508. — Il Bembo.
Pietro Bembo nacque in Venezia nel 1470; fu storiografo
di quella Repubblica, e cardinale nel 15:^. Era amicis-
simo del Poeta. — Jl Capei, Bernardo Cappello, verseg-
giatore veneziano, amico pure deirAriosto. — Chi, guai
lui Vediamo , ha tali i cortigian formati, intende di
Baldassar Castiglione, mantovano, nato nel 1468, eru-
dito, rimatore elegante, e autore del Cortigiano. Cessò
di vivere in Toledo nel 1529. — Luigi Alaman. È questi
r elegante poeta Luigi Alamanni , nato in Firenze nel
1495 , autore della Coltivasione , e di altri due poemi,
uno intitolato Girone il cortese, e Taltro, YAvarchide.
— Ce ne son dui di par da Marte, ecc. Accenna Luigi
Gonzaga, secondo conte di Sabbioneta, soprannominato
Rodomonte , e Francesco Gonzaga , marito d' Isabella
d'Este. Il primo nacque nel 1500 , e mori in età di 33
anni. L'altro fu marchese di Mantova dal 1484 al 1519;
ed entrambi si dimostrarono cosi fervidi proteggitorì,
come gentili cultori delle buone lettere, e prodi nel-
Tarmi. — La terra Che H Menzo fende, ecc. : Mantova,
situata in mezzo di un lago formato dal Mincio.
St. 9. V. 3-8. — Cinto : monte dell' isola di Delo , e
luogo natale di Apollo. — L* amor, la fede, ecc. Cle-
mente VII, irritato perchè Luigi Gonzaga favoriva i
Pallavicino contro i Rangoni, voleva impedire con mi-
nacce il matrimonio stabilito tra esso Luigi e Isabella
figlia di Vespasiano Colonna duca di Traetto; la quale,
a malgrado del papa, mantenne al Gonzaga la data fede
e il matrimonio ebbe luogo nel 1531.
St. 12. v.5^8. — Un Ercol Bentivoglio. Questi nacque
in Bologna nel 1506i anno in cui la sua famiglia perde
la signoria di quella città. Educato nella corte di Al-
fonso I di cui era nipote, aggiunse lustro alla nobiltà
d-lla stirpe col suo valore nella volgar poesia. — E
Renato Trivulcio, eH mio Guidetto , E'I Molza, ecc.
Il piimo fondò in Milano, o almeno restaurò circa il 1543
l'Accademia detta de* FenicJ, L' altro era Francesco
Guidetti, uno dei collaboratori all'edizione del Boccac-
cio fatta nel 1527; e Ftancesco Maria Molza, nato in
Modena il 18 giugno 1489, ed ivi morto nel 28 febbraio
1544, riusci felicemente in tutti i generi di poesia in cui
piacquegli esercitarsi.
St. 13. V. 1-8. — Ce 7 duca de' Carnuti Ercol figliuo-
lo, ecc. Ercole II, figlio d'Alfonso I, ch'ebbe da Luigi XII,
insieme con altre signorie, il ducato di Chartres, città
detta dai Latini Chamutum, fu splendido fautore e col-
tivatore delle buone lettere. — C è il mio signor del
Vasto , ecc. Annoverasi fra i mecenati e cultori della
letteratura anche Alfonso d^Aralos, marchese del Va-
sto, cognato del marchese di Pescara, di cui più sotto.
St. 44. V. 6. — Al fonte d'Aganippe. Quel fonte scen-
deva dal monte Elicona, era consacrato ad Apollo e alle
Muse: e le sue acque avevano la virtù dUnspirare i poeti:
St. 17. V. 3. — Maia : una delle Pleiadi, nella costel-
lazione del Toro; od anche il pianeta Mercurio, a cui
si è dato il nome di quel Dio ohe fu figliuolo di Maia.
St. 18. V. 1-6. — Vittoria è'I nome. Parlasi di Vit-
toria Colonna, nata in Marino, feudo di sua casa, circa
il 1490. Fu sposa a Ferdinando Francesco d'Avalos, mar-
chese di Pescara. Fornita di rare doti di corpo e di spi-
rito, restò vedova nel 1525, e con egregie rime, che ce-
lebrarono la memoria del perduto sposo, cercò sfogo al
dolore della vedovanza. Mori in Roma nel febbraio del
1547. — Un^altra Artemisia, ecc. Questa regina di Caria,
oltreché fece costruire al marito un mausoleo , che fu
una delle sette maraviglie del mondo, ne inghiotti le
ceneri, non trovando pel suo sposo un più degno sepolcro.
St. 19. v. 1-7. — Laodamia: figlia di Acasto, e mo-
glie di Protesilao, ucciso da Ettore, non gli volle soprav-
vivere, e si gettò nelle fiamme. — Lamoglier di Bruto:
ebbe nome Porzia, e morto il marito, si uccise ingo,
iando carboni accesi. — Arria : moglie di Cecina Peto*
implicato in una congiura contro l' imperator Claudio.
Non potendo salvare il marito , s' immei-se un pugnale
nel petto. — Argia: moglie di Polinice, fatta morire
da Creonte tiranno di Tebe, per aver data sepoltura al-
l'ucciso marito a malgrado il divieto fatto dal tiranno.
— Evadne : moglie di Capaneo morto nell'oppugnazione
di Tebe. Pel dolore di quella perdita si gettò anch'essa
nel rogo. — Del rio che nove volte Vomirà circonda:
del fiume Stige, a cui Virgilio dà nove giri.
St. 20. V. 2-3. — Il Macedonico: Alessandro, figliuol
di Filippo , re di Macedonia, invidiava ad Achille V es-
sere stato celebrato da Omero. — Francesco di Pescara:
lo sposo di Vittoria Colonna. Egli protesse con munifi-
cenza e coltivò con amore le buone lettere; f^ assai
valoroso nell' ai*mi , e morì di ferite riportate combat-
tendo per Carlo V nella famosa battaglia di Pavia,
l'anno 1525.
St. 27. V. 1-4. — Come quel figlio di Vnlcan , occ.
Fu detto Eriltonio, e nacque coi piedi di dragone. Cre-
sciuto per le cure di Aglauro, figlia di Eritteo, re d'A-
tene, inventò il cocchio per coprire, sedendo in esso, la
deformità de' suoi piedi. — Al veder troppo ardita.
Rammenta il Poeta questa circostanza, perchè Aglauro,
portando invidia ad Erse sua sorella, amata da Mercurio,
pose ostacoli agli amori del nume; e per questa colpa
fu da lui convertita in sasso.
St. 36. V. 1-6. — Non più a Giason , ecc. Racconta
Stazio nel V della Tebaide che Giasone, approdato con
gli Argonauti in Lenno , trovò queir isola abitata sol-
tanto da femmine, perchè tutti i maschi erano stati
messi a morte da quelle.
St. 44. V. 4. — J/ conto: il racconto.
St. 54. V. 1-6. — Tema : qui esempio. — Su che solca
star sorto : sulla quale solca star fermo, reggersi.
St. 90. V. 2. — Osterricche: Austria.
St. 92. V. 1-4 — Jl gran fiume: il Po. — Vesulo:
Monviso , ano dei monti liguri che fanno parte delle
Alpi Cozie. — Lambro e Ticin.... Et Adda: tre fiumi
di Lombardia.
St. 93. v. 5-6. — Troppo santa Pena lor parve e
indegna a tante offese: pena di cui egli non era degno.
■^■•'
CA^^TO TRENTESIMOTTAA^O.
::^'/
Canto XXXV]I lltiffÉficro, fefJelo all' onore ehe Ip chiami presso Agri'
matite^ va in kv\L Sì prebcntano alla Corto dì C&rlo,
Bnnìamn-iitt? e Marflsa; e questa riceva il baite-siiafli.
D altra p».rte Astolfo con un esercito dì KubJ mette
rAfrtea a soqquadvo, e minaccia Bi^rUu Agr«mftate,
di ciò ìjitvuito, ottit>ne da Carlo che «E dcdd* la ^em
fra loro cai combat ti incaica di due camici oni eletti
uno per parte. Cortesi donnea clic beuigna udienza
Date a' miei versi, io vi vegg'o al seminante,
Che quej?t* altra si subita partenza
Che fa Eiiggier dalla sua ftda amante ,
Vi dà gran noia^ e avete displiceuza
Puco minor cb^ives.'ie Brad amante;
E fate anco arfl:omeDt<> , ch^ esser poco
In hii dove^ae l'amoroso foco.
Per o^iiì altra cagiun ch'allontanato
Cuiitia la volgila d' esiga se ne fusae,
Ancor di' arcisse più tesor spera tu ,
Che Creso o Crasso insieme non ri(lnss€;
Io crederla con voi, che penetrato
Non fosse al cor lo strai che lo percosse:
Ch^ un almo gaudio , un cosi gran contento
Non potrebbe comprare oro uè argento.
CANTO TRENTESUEOTTAVO 3 Pur, per salvar Tonor, non solamente
D' escnsa , ma di laude è degno ancora ;
Per salvar , dico , in caso eh* altrimente
Tacendo , biasmo ed ignominia fora : E se la donna fosse renitente,
Ed ostinata in fargli far dimora ,
Darebbe di sé indizio e chiaro segno
O d'amar poco, o d'aver poco ingegno.
4 Che se l'amante dell'amato deve
La vita amar più della propria, o tanto
(Io parlo d'uno amante a cui non lieve
Colpo d'Amor passò più là del manto);
Al piacer tanto più , eh' esso riceve ,
L' onor di quello antepor deve , quanto
L' onore è di più pregio che la vita ,
Ch'a tutti altri piaceri è preferita.
R Fece Ruggiero il debito a seguire
II suo Signor; che non se ne potea.
Se non con ignominia, dipartire;
Che ragion di lasciarlo non avea.
E s'Almonte gli fé' il padre morire,
Tal colpa in Agramante non cadea;
Ch'in molti effetti avea con Ruggier poi
Emendato ogni error dei maggior suoi.
0 Farà Ruggiero il debito a tornare
Al suo Signore; ed ella ancor lo fece,
Che sforzar non lo volse di restare ,
Come potea, con iterata prece.
Ruggier potrà alla donna satisfare
A un altro tempo , s' or non satisfece :
Ma all'onpr, chi gli manca d'un momento,
Non può in cento anni satisfar uè in cento.
7 Toma Ruggiero in Arli, ove ha ritratta
Agramante la gente che gli avanza.
Bradamante e Marfisa, che contratta
Col parentado avean grande amistanza,
Andaro insieme ove re Carlo fetta
La maggior prova avea di sua possanza,
Sperando , o per battaglia o per assedio ,
Levar di Francia cosi lungo tedio.
8 Di Bradamante , poi che conosciuta
III campo fu, si fé' letizia e festa.
Ognun la riverisce e la saluta;
Ed ella a questo e a quel china la testa.
Rinaldo, come udì la sua venuta.
Le venne incontra ; uè Ricciardo resta ,
Né Ricciardetto , od altri di sua gente ,
E la raccoglion tutti allegramente.
9 Come s'intese poi che la compagna
Era Marfisa, in arme si famosa,
Che dal Cataio ai termini di Spagna
Di mille chiare palme iva pomposa ;
Non è povero o ricco che rimagna
Nel padiglion : la turba disiosa
"Vien quinci e quindi, e s'urta, storpia e preme,
Sol per veder sì bella coppia insieme,
10 A Carlo riverenti appresentarsi.
Questo fu il primo dì, scrive Turpino,
Che fu vista Marfisa inginocchiarsi;
Che sol le parve il figlio di Pipino
Degno, a cui tanto onor dovesse farsi.
Tra quanti o mai nel popol Saracino
0 nel cristiano, Imperatori e Regi
Per virtù vide o per ricchezza egregi.
11 Carlo benignamente la raccolse,
E le uscì incontra ftior dei padigfa'oni:
E che sedesse a lato suo poi volse
Sopra tutti , Re , Principi e Baroni.
Si die licenzia a chi non se la tolse,
Sì che tosto restaro in pochi e buoni.
Restaro i Paladini e i gran Signori:
La vilipesa plebe andò di fuori.
12 Marfisa cominciò con grata voce:
Eccelso , invitto e gloiioso Augusto ,
Che dal mar Indo alla Tirinzia foce,
Dal bianco Scita all'Etìope adusto
Riverir fai la tua candida croce,
• Né di te regna il più saggio o'I più giasto;
Tua fama , eh' alcun termine non serra ,
Qui tratto m'ha fin dall'estrema terra.
13 E, per narrarti il ver, sola mi mosse
Invidia , e sol per farti guerra io venni ,
Acciò che sì possente un Re non fosse.
Che non tenesse la lejrge ch'io tenni.
Per questo ho fatto le campagne rosse
Del Cristian sangue; ed altri fieri cenni
Era per farti da cru iel nimica ,
Se non cadea chi mi t' ha fatto amica.
14 Quando nuocer pensai più alle tue squadre.
Io trovo (e come sia dirò più ad agio)
Che'l buon Ruggier di Risa fu mio padre
Tradito a torto dal f ratei malvagio.
Portommi in corpo mia misera madre
Di là dal mare , e nacqui in gran disagio.
Nutrimmi un Mago infin al settimo anno ,
A cui gli Arabi poi rubata m' hanno ;
15 E mi venderò in Persia per ischiava
A un Re che^ poi cresciuta, io posi a morte.
Che mia virginità tor mi cercava.
Uccisi lui con tutta la sua corte :
Tutta cacciai la sua progenie prava;
E presi il regno , e tal fu la mìa sorte ,
Che diciotto anni d'uno o di duo mesi
Io non passai, che sette regni presi.
16 E di tua fam\ invidiosa, come
10 t'ho già detto, avea fermo nel core
La grande altezza abbatter del tuo nome:
Forse il faceva, o forse era in errore.
Ma ora avnen che questa voglia dome,
E faccia cader Pale al mio furore.
L'aver inteso, poi che qui son giunta,
Come io ti son d' affinità congiunta.
17 E come il padre mio parente e servo
Ti fu , ti son parente e serva anch' io :
E quella invidia e quell' odio protervo ,
11 qual io t'ebbi un tempo, or tutto obblio;
Anzi centra Agramante io lo riservo,
E contra ògn' altro che sia al padre o al zio
Di lui stato parente , che fur rei
Di porre a morte i genitori miei.
18 E seguitò, voler cristiana farsi,
E , dopa eh' avrà estinto il re Agramante ,
Voler , piacendo a Carlo , ritornarsi
A battezzare il suo regno in Levante ,
Et indi contra tutto il mondo armarsi,
Ove Macon s'alori e Trivigante;
E con promissi'on , eh' ogni suo acquisto
Sia dell' Imperio , e della fé' di Cristo.
19 L'Imperator, che non meno eloquente
Era , che fos^e valoroso e saggio ,
Molto esaltando la donna eccellente,
E molto il padre e molto il suo lignaggio.
Rispose ad ogni parte umanamente ,
E mostrò in fronte aperto il suo coraggio ;
E conchiuse nell' ultima parola ,
Per parente accettarla e per figliuola.
20 E qui si leva , e di nuovo l'abbraccia,
E , come figlia , bacia nella fronte.
Vengono tutti con allegra faccia
Quei di Mongrana e quei di Chiaramente.
Lungo a dir fora quanto onor le faccia
Rinaldo, che di lei le prove conte
Vedute avea più volte al paragone,
Quando Albracca assediar col suo girone.
21 Lungo a dir fora quanto il giovinetto
Guidon s'allegri di veder costei,
Aquilante e Grifone e Sansonetto ,
Ch' alla città , crudel furon con lei •
Malagigi e Viviano e Ricciardetto ,
Ch' all' occision de' Maganzesi rei .
E di quei venditori empj di Spagna
L'aveano avuta sì fedel compagna.
22 Apparecchiar per lo seguente giorno .
Ed ebbe cura Carlo egli medesmo ,
Che fosse un luogo riccamente adomo .
Ove prendesse Marfisa battesrao.
I véscovi e gran chierici d'intorno,
Che le leggi sapean del Cristianesmo ,
Fece raccorre, aedo da loro in tutta
La santa Fé' fosse Marfisa in strutta.
23 Venne in pontificale abito sacro
L'arcivesco Turpino, e battezzolla:
Carlo dal salutifero lavacro
Con cerimonie debite levolla.
Ma tempo è ormai ch'ai capo vóto e micri'
Di senno si soccorra con l'ampolla,
Con che dal ciel più basso ne venia
II duca Astolfo sul carro d'Elia.
24 Sceso era Astolfo dal giro lucente
Alla maggiore altezza della terra ,
. Con la felice ampolla che la mente
Dovea sanare al gran mistro di gaem.
Un'erba quivi di virtù eccellente
Mostra Giovanni al Dum d' Inghilterr i :
Con essa vuol ch'ai suo ritorno tocchi
Al Re di Nubia e gli risani gli occhi :
25 Acciò per questi e per li primi merti
Gente gli dia. con che Bi^erta assaglia.
E come poi quei popoli inesperti
Armi ed acconci ad uso di battaglia ,
E senza danno passi pei deserti
Ove l'arena gli uomini abbarbaglia,
A punto a punto l' ordine che tegna ,
Tutto il Vecchio santissimo gl'insegna.
26 Poi lo fé rimontar su quello alato
Che di Ruggiero , e fu prima d' Atlante.
Il Paladin lasciò , licenziato
Da san Giovanni , le contrade sante ;
E secondando il Nilo a lato a lato ,
Tosto i Nubi apparir si vide innante;
E nella terra che del regno è capo ,
Scese dall'aria, e ritrovò il Senàpo.
Stanza 26. 27 Molto fu il gaudio e molta fu la gioia
Che portò a quel Signor nel buo ritorno;
Che hen si raccordava della noia
Che gli avea tolta, deir Arpie, d'intorno,
Afa poi che la grossezza gli discuoia
Di quello umor che già gli tolse il giorio,
E che gli rende la vista di prima,
I/arlora e cole, e come un Dio sublima:
'2S Si che non pur la gente che gli chiede
Per muover guerra al regno di Biserta ,
Ma cento mila sopra gli ne diede,
E gli fé' ancor di sua persona offerta.
La gente appena, ch'era tutta a piede,
Potea cajiir nella campagna aperta;
Che di cavalli ha quel paese inopia,
3Ta d'elefanti e di camelli copia.
29 L<\ notte innanzi il ì\ì che a suo cammino
L'esercito di Nubia dovea porse,
Montò su rippogrifo il Paladino,
E verso Mezzodì con fretta corse,
Tanto che giunse al monte che TAustrino
Vento produce , e spira contra T Orse.
Trovò la cava , onde per stretta bocca ,
Quando si desta, il furioso scocca.
80 E, come raccordògli il suo maestro,
Ayea seco arrecato un utre vóto ,
Il qual. mentre nell'antro oscuro alpestre
AiliRticato dorme il fiero Noto,
Allo spiraglio pon tacito e destro;
{)d è l' agguato in modo al vento ignoto ,
Ohe, oredendosi uscir fuor la dimane,
Preso • legato in quello utre rimane.
33 Poi che , inchinando le ginocchia , fece
Al santo suo maestro orazione,
Sicuro che sia udita la sua prece,
Copia di sassi a far cader si pone.
Oh quanto, a chi ben crede in Cristo, lece!
I sassi , fuor di naturai ragione
Créscendo , si vedean venire in giuso ,
E formar ventre e gambe e collo e muso:
34 E con chiari annitrir giù per quei calli
Venian saltando; e giunti poi nel piano,
Scotean le groppe, e fatti eran cavalli,
Chi baio e chi leardo e chi rovano.
La turba ch'aspettando nelle valli
Stava alla posta , lor dava di mano :
Si che in poche ore fnr tutti montati;
Che con sella e con freno erano nati.
Stanza ^
35 Ottanta mila cento e dua in un giorno
Fe\di pedoni, Astolfo cavalieri.
Con questi tutta scorse Africa intomo,
Facendo prede, incendj e prigionieri
Posto Agramante avea, fin al ritomo.
Il Re di Fersa e '1 Re degli Algazeri ,
Col re Branzardo a guardia del paese :
E questi si fèr contra al Duca inglese;
36 Prima avendo spacciato un sottil legno ,
Ch'a vele e a remi andò battendo
Ad Agramante avviso, come il r>igno
PatJa dal Re de' Nubi oltraggi e mali.
Giorno e notte andò quel senza ritegno ,
Tanto che giunse ai liti provenzali :
E trovò in Arli il suo Re mezzo oppresso :
ChèU campo avea di Carlo un miglio appresso.
81 Di tanta preda il Paladino allegro ,
Ritorna in Nubia, e la medesma luce
Si pone a camminar col popol negro ,
E vettovaglia dietro si conduce.
A salvamento con lo stuolo integro
Verso l'Atlante il glorioso Duce
Pel mezzo vien della minuta sabbia,
Senza temer che'l vento a nuocer gli abbia.
33 B giunto poi , di qua dal giogo , in parte
Onde il pian si discopre e la marina,
Astolfo elegge la più nobil parte
Del campo, e la meglio atta a disciplina;
E qua e là per ordine la parte
Appiè d' un colle , ove nel pian confina.
Quivi la lascia, e su la cima ascende
In vista d'uom eh' a gran pensieri intende.
37 Sentendo il re Agramante a che periglio,
Per guadagnare il regno di Pipino ,
Lasciava il suo , chiamar fece a consiglio
Principi e Re del popol Saracino.
E poi ch'una o due volte girò il ciglio
Quinci a Marsilio e quindi al re Sobrino,
I quaì d'ogni altro fur, che vi venisse,
I duo più antiqui e saggi, cosi disse:
38 Quantunque io sappia come mal convegna
A un capitano dir, Non me '1 pensai ,
Pur lo dirò ; ohe quando un danno vegna
Da ogni discorso uman lontano assai ,
A quel fallir par che sia escusa degna:
E qui si versa il caso mio; ch'errai
A lasciar d' arme 1' Africa sfornita .
Se dalli Nubi esser dovea assalita. 39 Ma chi pensato avria, fuorché Dio solo,
A cui non è cosa fdtura ignota, Che dovesse venir con si gran stuolo
A farne danno gente si remota ,
Tra i quali e noi giace IMnstabil suolo
Di quell'arena ognor da' venti mota?
Pur è venuta ad assediar Biserta,
Ed ha in gran parte l'Africa deserta. 40 Or sopra ciò vostro consiglio chieggio:
Se par; irmi di qui senza far frutto,
Oppur seguir tanto l'impresa deggìo,
Che prigion Carlo meco abbi condutto; 0 come insieme io salvi il nostro seggio,
E questo imperiai lasci distrutto.
S' alcun di voi sa dir , prego noi taccia ,
Acciò si trovi il meglio , e quel si faccia. 41 Cosi disse Agramante; e volse gli occhi
Al Re di Spagna, che gli sedea appresso,
Come mostrando di voler che tocchi,
Di quel e' ha detto, la risposta ad esso.
E quel, poi che surgendo ebbe i ginorchi
Per riverenzia, e così il capo flesso.
Nel suo onorato seggio si raccolse;
ludi la lingua a tai parole sciolse :
42 0 bene o mal che la Fama ci apporti.
Signor, di sempre accrescer ha in usanza.
Perciò non sarà mai ch'io mi sconforti,
0 mai più del dover pigli baldanza
Per casi , o buoni o rei , che sieno sorti ;
Ma sempre avrò di par tema e speranza
Ch'esser debban minori, e non del modo
Ch'a noi per tante lingue venir odo.
45 Yo' concedergli ancor , che sieno i Nubi
Per miracol dal ciel forse piovuti;
0 forse ascosi venner nelle nubi.
Poiché non far mai per cammin veduti.
Temi tu che tal gente Africa rubi,
Sebben di più soccorso non l'alati?
U tuo presidio avria ben trista pelle,
Quando temesse un popolo si imbelle.
46 Ma se tu mandi ancor che poche navi,
Purché si veggan gli stendardi tuoi ,
Non scioglieran di qua si tosto i cavi,
Che fuggiranno nei confini suoi
Questi, 0 sien Nubi o sieno Arabi ignavi
Ai quali il ritrovarti qui con noi ,
Separato pel mar dalla tua terni,
Ha dato ardir di romperti la £:uerra.
^^
Stanza 36.
43 E tanto men prestar gli debbo fede,
Quanto più al verisimile s'oppou'».
Or se gli é verisimile si vede.
Ch'abbia con tanto numer di persone
Posto nella pugnace Africa il piede
Un Re di sì lontana regione,
Traversando l'arene a cui Cambile
Con male augurio il popol suo commise.
44 Crederò ben che sian gli Arabi scesi
Dalle montagne, ed abbian dato il guasto,
E saccheggiato, e morti uomini e presi.
Ove trovato avran poco contrasto ;
E che Branzardo , che di quei paesi
Luogotenente e viceré é rimasto,
Per le decine scriva le migliaia,
Acciò la scusa sua più degna paia.
47 Or piglia il tempo che, per esser senza
Il suo nipote Carlo, hai di vendetta.
Poich' Orlando non c'è, far resistenza
Non ti può alcun della nimica setta.
Se per non veder lasci, o negligenza,
L' onorata vittoria che t' aspetta ,
Volterà il calvo ove ora il crin ne mostra,
Con molto danno e lunga infamia nostra.
48 Con questo ed altri detti accortamente
L'Ispano persuader vuol nel concilio,
Che non esca di Francia questa gente,
Finché Carlo non sia spinto in esilio.
Ma il re Sobrin , che vide apertamente
Il cammino a che andava il re Marsilio,
Che più per l'util proprio queste cose,
Che pel comun , dicea , cosi rispose :
49 Quando io ti coufortava a stare in pace,
Foss^ io stato , Sigfnor , falso indovino ;
0 tu, s'io dovea pure esser verace,
Creduto avessi al tuo fedel Sobrino,
£ non piuttosto a Rodomonte audace ,
A Marbalnsto , a Alzirdo e a Martasino ,
Li quali ora vorrei qui avere a fronte:
Ma vorrei più degli altri Rodomonte,
50 Per rinfacciargli che volea di Francia
Far quel che si faria d'uu fragil vetro,
E in cielo e nello 'uferno la tua lancia
Seguire , anzi lasciarsela di dietro ;
Poi nel bisogno si gratta la pancia,
Neir ozio immerso abbominoso e tetro :
Ed io , che per predirti il vero , allora
Codardo detto fui, son teco ancora:
51 E sarò sempre mai, finchMo finisca
Questa vita, eh* ancor che d'anni grave,
Porsi incontra ogni dì per te smarrisca
A qualunque di Francia più nome bave.
Né sarà alcun, sìa chi si vuol, ch'ardisca
Di dir che l'opre mie mai fosser prave:
E non han più di me fatto né tanto
Molti che si donar di me più vanto.
52 Dico cosi, per dimostrar che quello
Ch'io dissi allora, e che ti voglio or dire,
Né da vìltade vien né da cor fello ,
Ma d'amor vero e da fedel servire.
Io ti conforto ch'ai paterno ostello,
Più tosto che tu puoi, vogli redire;
Che poco saggio si può dir colui
Che perde il suo per acquistar l' altrui.
53 S'acquisto c'è, tu'l sai. Trentadui fummo
Re tuoi vassalli a uscir teco del porto:
Or se di nuovo il conto ne rassuroroo,
C'è appena il terzo, e tutto '1 resto è morto.
Che non ne cadan più, piaccia a Dio sommo:
Ma se tu vuoi seguir, temo di corto ,
Che n"n ne rimarrà quarto né quinto;
E'I miser popol tuo fia tutto estinto.
54 Ch'Orlando non ci sia, ne aiuta; ch'ove
Siam pochi , forse alcun non ci saria.
Ma per questo il periglio non rimuove,
Sebben prolunga nostra sorte ria.
Ecci Rinaldo, che per molte prove
Mostra che non minor d'Orlando sia.
C è il suo li naggio , e tutti i Paladini ,
Timore etemo a' nostri Saracini;
55 Ed hanno appresso quel secondo Marte
. (Benché i nemici al mio dispetto loio).
Io dico il valoroso Brandimarte,
Non men d' Orlando ad ogni prova sodo ;
Del qual provato ho la virtnde in parte ,
Parte ne yegs;o all'altrui spese et odo.
Poi son più di che non e' è Orlando stato ;
E più perduto abbiam, che guadagnato.
56 Se per addietro abbiam perduto, io temo
Che da qui innanzi perderem più in grosso.
Del nostro campo Mandricardo è scemo ;
Gradasso il suo soccorso n'ha rimosso:
Marfisa n'ha lasciati al punto estremo;
E cosi il Re d' Algler , di cui dir posso
Che, S3 fosse fedel come gagliardo,
Poco uopo era Gradasso o Mandricardo.
57 Ove sono a noi tolti questi aiuti,
E tante mila son dei nostri morti;
E quei eh' a venir han son già venuti ,
Né s'aspetta altro legno che n'apporti:
Quattro son giunti a Carlo, non tenuti
Manco d' Orlando o di Rinaldo forti ;
E con ragion, che da qui sino a Battro
Potresti mal trovar tali altri quattro.
58 Non so se sai chi sia Guidon Selvaggio
E Sansonetto e i figli d'Oliviero.
Di questi fu' più stima e più tema aggio ,
Che d'ogni altro lor duca e cavaliero
Che di Lamagna, o d'altro stran linguaggio,
Sia contra noi per aiutar l' Impero ;
Bench'importa anco assai la gente nuova
Ch' a' nostri danni in campo si ritrova.
59 Quante volte uscirai alla campagna,
Tante avrai la peggiore, o sarai rotto.
Se spesso perde il campo Africa e Spagna,
Quando sian stati sedici per otto;
Che sarà poi ch'Italia e che Lamagna
Con Francia è unita, e'I popolo anglo e scotto,
E che sei contra dodici saranno?
Ch'altro si può sperar, che biasmo e danno?
60 La gente qui, là perdi a un tempo il regrno.
S' in questa impresa più duri ostinato ;
Ove, s'al ritornar muti disegno.
L'avanzo di noi sèrvi ccn lo stato.
Lasciar Marsilio è di te caso indegno:
Ch' ognun te ne terrebbe molto ingrato.
Ma c'è rimedio: far con Carlo pace;
Ch'a lui deve piacer, se a te pur piace. stanza 33. 61 Pur se ti par che non ci sia il tuo onore,
Se tu , che prima offeso sei , la chiedi :
E la battaglia più ti sta nel core,
Che, come sia fin qui successa, vedi;
Studia almen di restame vincitore;
Il che forse avverrà , se tu mi credi ,
Se d'ogni tua querela a un cavaliero
Darai l'assunto; e se quel fia Ruggiero. 62 lo'l so, e tu'l sai, che Ruggier nostro è tale,
Che già da solo a sol con l' arme in mano ,
Non men d'Orlando o di Rinaldo vale,
Né d'alcun altro cavalier cristiano.
Ma se tu vuoi far guerra universale,
Ancorché '1 valor suo sia soprumano ,
Egli però non sarà più eh' un solo ,
Ed avrà di par suoi contra uno stuolo.
63 A me par, s^a te par, ch'a dir si luandi
Al Re Cristian , che per finir le liti ,
E perchè cessi il sangue che tu spandi
Ognor de' suoi, egli de'tuoi infiniti,
Che contra un tuo guerrier tu gli domandi
Che metta in campo uno dei suoi più arditi:
E faccian questi duo tutta la guerra.
Finché Tun vinca, e T altro resti in terra;
Stanza 65.
64 Con patto, che qual d'essi perde, faccia
CheU suo Re all'altro Re tributo dia.
Questa condizi'on non credo spiaccia
A Carlo, ancorché sul vantaggio sia.
Mi fido sì nelle robuste braccia
Poi di Ruggier, che vinci tor ne fia;
E ragion tanta é dalla nostra parte,
Che vincerà, s'avesse incontra Marte.
65 Con questi ed altri più efficaci detti
Fece Sobrin sì, che '1 partito ottenne;
E gì' interpreti fur quel giorno eletti ,
E quel dì a Carlo l'imbasciata venne
Carlo, ch'avea tanti guerrier perfetti,
Vinta per sé quella battaglia tenne,
Di cui l'impresa al buon Rinaldo diede,
In ch'avea, dopo Orlando, maggior fede.
66 Di questo accordo lieto parimente
L'uno esercito e l'altro si godea;
Chè'l travaglio del corpo e della mente
Tutti avea stanchi, e a tutti rincrescea.
Ognun di riposare il rimanente
Della sua vita disegnato avea:
Ognun maledicea l'ire e i furori
Ch' a risse e a gare avean lor desti i cori.
67 Rinaldo che esaltar molto si vede.
Che Carlo in lui dì quel che tanto pesa,
Via più eh' in tutti gli altri , ha avuto fede .
Lieto si mette all'onorata impresa:
Ruggier non stima; e veramente crede
Che contra sé non potrà far difesa :
Che suo pari esser possa non gli è avviso ,
Sebben in campo ha Mandricardo ucciso.
68 Ruggier dall'altra parte, ancorché molto
Onor gli sia che '1 suo Re V abbia eletto ,
E pel miglior di tutti ì buoni tolto,
A cui commetta un sì importante effetto:
Pur mostra affanno e gran mestizia in volto:
Non per paura che gli turbi il petto;
Che non eh' un sol Rinaldo, ma non teme
Se fosse con Rinaldo Orlando insieme:
69 Ma, perché vede esser di lui sorella
La sua cara e fidissima consorte ,
Ch'ognor scrivendo stimola e martella.
Come colei ch'é ingiuriata forte.
Or s'alle vecchie oflTese aggiunge quella
D'entrare in campo a porle il frate a morte,
Se la farà, d'amante, così odiosa,
Ch'a placarla mai più fia dura cosa.
70 Se tacito Ruggier s'affligge ed auge
Della battaglia che mal grado prende.
La sua car» moglier lacrima e piange.
Come la nuova indi a poche ore intende.
Barte il bel petto, e l'auree chiome frange,
E le guance innocenti irriga e offende;
E chiama con rammarichi e querele
Ruggiero ingrato, e il suo destin crudele,
71 D'ogni fin che sortisca la contesa,
A lei non può venirne altro che doglia.
Ch'abbia a morir Ruggiero in questa impresi
Pensar non vuol ; che par che '1 cor le toglia :
Quando anco , per punir più d' una offesa ,
La ruina di Francia Cristo voglia,
Oltre che sarà morto il suo fratello ,
Seguirà un danno a lei più acerbo e fello; 72 Ohe non potrà, se non con biasrao e scorno
E nimìcizia dì tutta sua gente, Fare al marito suo mai più ritorno ,
Si che lo sappia og^un pubblicamente,
Come s' avea , pensando notte e giorno ,
Più volte disegnato nella mente:
E tra lor era la promessa tale ,
Ohe 1 ritrarsi e il pentir più poco vale. 73 Ma quella usata nelle cose avverse
Di non mancarle di soccorsi fidi ,
Dico Melissa maga, non sofferse
Udirne il pianto e i dolorosi gridi :
E venne a consolarla, e le profferse ,
Quando ne fosse il tempo , alti sussidi ,
E disturbar quella pugna futura ,
Di ch'ella piange e si pon tanta cura.
74 Rinaldo intanto e F inclito Ruggiero
Apparecchiavan Tarme alla tenzone,
Di cui dovea Teletta al Oa vallerò
Che del romano Imperio era campione.
E come quel che, poi oboi buon destriero
Perde Baiardo , andò sempre pedone ,
Si elesse a pie, coperto a piastra e a maglia,
Con Tazza e col pugnai far la battaglia.
75 0 fosse caso, o fosse pur ricordo
Di Malagigi suo provvido e saggio,
Che sapea quanto Balisarda ingordo
Il taglio avea di fare alF arme oltraggio ,
Combatter senza spada fur d'accordo
L'uno e l'altro guerrier, come detto aggio.
Del luogo s'accordar presso alle mura
DelT antiquo Arli , in una gran pianura.
76 Appena avea la vigilante Aurora
Dall' ostel di Titon fuor messo il capo ,
Per dare al giorno terminato, e all'ora
Ch'era prefissa alla battaglia, capo:
Quando di qua e di là vennero fuora
I deputati : e questi in ciascun capo
Degli steccati i padiglion tiraro ,
Appresso ai quali ambi un aitar fermaro.
77 Non molto dopo, instrutto a schiera a schiera,
Si vide uscir l'esercito pagano.
In mezzo armato e sontuoso v'era
Di barbarica pompa il Re africano;
E s'un baio corsier di chioma nera,
Di fronte bianca, e di duo pie balzano,
A par a par con lui venia Ruggiero ,
A cui servir non è Marsilio altiero.
78 L'elmo che dianzi con travi\glio tanto
Trasse di testa al Re di Tarlarla, L' elmo che celebrato in maggior Canto
Portò il troiano Ettor milT anni pria ,
Gli porta il re Marsilio a canto a canto:
Altri Principi ed altra Baronia
S' hanno partite Taltr^arme fìra loro,
Ricche di gioie e ben fregiate d'oro^ 79 Dall'altra parte fuor dei gran ripari
Re Carlo usci con la sna gente d'arme,
Con gli ordini medesmi e modi pari
Che terria se venisse al fatto d'arme.
Cingonlo intorno i suoi famosi Pari;
E Rinaldo è con lui con tutte Tarme,
Fuorché T elmo che fu del re Mambrino ,
Che porta Uggier danese, paladino.
80 E di due azze ha il duca Namo l'una,
E l'altra Salamon re di Bretagua.
Carlo da un lato i snoi tutti raguna;
Dall'altro son quei d'Africa e di Spagna.
Nel mezzo non appar persona alcuna ;
Voto riman gran spazio di campagna:
Che per bando comune a chi vi sale,
Eccetto ai duo guerrieri, è capitale.
81 Poi che dell'arme la seconda eletta
Si die al campion del popolo pagano ,
Duo sacerdoti, T un dell' una setta ,
L' altro dell' altra , uscir coi libri in mano.
In quel del mstro è la vita perfetta
Scritta di Cristo, e T altro è l'Alcorano:
Con quel dell'Evangelio si fé' innante
L'Imperator, con l'altro il re Agramante.
82 Giunto Carlo all'alter che statuito
I suoi gli aveano, al ciel levò le palme,
E disse : 0 Dio , e' hai di morir patito
Per redimer da morte le nostr'alme;
0 Donna, il cui valor fu sì gradito.
Che Dio prese da te l'umane salme,
E nove mesi fu nel tuo santo alvo.
Sempre serbando il fior virgineo salvo :
83 Siatemi testimoni, ch'io prometto
Per me e per ogni mia successione,
Al re Agramante , ed a chi dopo eletto
Sarà al governo di sua regione,
Dar venti some ogni anno d' oro schietto ,
S' oggi qui riman vinto il mio campione;
E ch'io prometto subito la trìegua
Incominciar che poi perpetua segua
84 £ se'n ciò manco, subito sfaccenda
La formidabil ira d^ambidui
La qnal me solo e i miei figliuoli offenda,
Non alcun altro che sìa qui con nui;
Sì che in brevissima ora si comprenda
Che sia il mancar della promessa a vui.
Così dicendo , Carlo sul Vangelo
Tenea la mano, e gli occhi fissi al cielo.
87 Ruggier promette, se della tenzone
Il suo Re Tiene o manda a disturbarlo,
Che né suo guerrier più , né suo barone
£sser mai vuol , ma darsi tutto a Carlo.
Giara Rinaldo ancor, che se cagione
Sarà del suo Signor quindi levarlo.
Finché non resti vinto egli o Ruggiero,
Si farà d'Agramante cavaliero.
85 Si levan quindi, e poi vanno all'altare
Che riccamente avean Pagani adomo;
Ove giurò Agramante , eh' oltre al mare,
Con V esercito suo farà ritomo ,
Ed a Carlo daria tributo pare ,
Se restasse Ruggier vinto quel giorno:
E perpetua tra lor triegua saria ,
Coi patti ch'avea Carlo detti pria.
86 E similmente con parlar non basso ,
Chiamando in testimonio il gran Maumette ,
Sul libro che in man tiene il suo Papasso ,
Ciò che detto ha, tutto osservar promette
Poi del campo si partono a gran passo ,
E tra i suoi l'uno e l'altro si rimette:
Poi quel par di campioni a giurar venne;
E'I giuramento lor questo contenne.
88 Poi che le cerimonie finite hanno,
Si ritoma ciascun dalla sua parte;
Né v'indugiano molto, che lor danno
Le chiare trombe segno al fiero Marte.
Or gli animosi a ritrovar si vanno,
Con senno i passi dispensando ed arte.
Ecco si vede incominciar l'assalto
Sonar il ferro, or girar basso, or alto.
89 Or innanzi col calce, or col martello
Accennau quando al capo e quando al piede,
Con tal destrezza e con modo si snello.
Cli'ogni credenza il raccontarlo eccede.
Ruggier, che combattea centra il fratello
Di chi la misera alma gli possiede,
A ferir lo venia con tal riguardo,
Che stimato ne fu manco gagliardo.
90 Eia a parar, più eh' a ferire, intento;
E non sapea egli stesso il suo desire.
Spegner Rinaldo saria mal contento;
Né vorria volentieri egli morire.
Ma ecco giunto al termine mi sento,
Ove convien l'istoria diflFerire.
Nell'altro Cauto il resto intenderete,
S'udir nell'altro Canto mi verrete. N O TS. St. 2. v. 4. — Creso o Crasso: V uno fa re di Lidia,
l'altro patrizio romiiio, tutti e due ricchissimi. St. 12. V. 3. — Alla Tirinzia foce: allo stretto di
Gibilterra, formato dalle colonne d'Ercole, soprannomi-
nato alcune volte Tirinzio , perchè educato in Tirinta,
antica città del Peloponneso. St. 20. V. 8. — Albracca assediar col suo girone: con
tutto il grosso cerchio delle più alte fortezze inteme. St. 26. v. 1. — Sm ^mc^ìo o/afo.- iiiteiidesi l'Ippogiifo. St. 29. v 5-6 — Anstrino vento: vento che spira da
mezzogiorno. St 31 .v.2. — Ela medesma luce : e nello stesso giorno. St. 35. V. 6. — Il re di Fersa e il re de ili Algazeri.
Il primo nominavasi Folvo, e l'altro Bua far. st. 3^. V. 6. — Mota: mossa, agitata. St. 41. V. 6. — Flesio: piegato. St. 4:1 V. 7-8. — L'arene a cui Camhise, ecc. Questo re di Persia spedi uu esercito contro gli Ammonì, popoUi
della Libia ai confini della Cirenaica, e i soldati resta-
rono sepolti sotto l'arena sollevata dal vento.
St. 47. V. 7. — Volterà il calvo ove ora il erin u*
mostra» La Fortuna rappresentasi con un sol daffa di
capelli sul davanti del capo, e calva in tutto il rìmaaeot?.
St. 57. V. 7. — Battro: antica città, tr& il Caucaso ed
il mar Caspio. É qui usato senz'altro per paese lontano.
come dire fino al più lontano oriente.
St. 77. V. 1-8. — Instrutto : qui disposto. St. 78. V. 3. — In maggior Canto: neW Iliade di Onero. St. 79. V. 5. — J suoi famosi Pari: i paladini, ch'e-
rano dodici, e cosi detti perchè tutti di egnal disnirà
nella corte di Carlo. St. 80. V. 2-8. — /; capitale : è delitto da pnnirsi con U
morte. St. 86. V. 3. — Papasso : sacerdote. CANTO TRENTESIMOXONO. Stanza 27
Hti^lrnsn f'ol m'^K^f> iU un ìnriiiilosiiiio Th vho j^j^r^^manl^ romim I palli
gì II rati uello f^Taliilire il dm'llo; ijuìjiili von^^ono alle mani i dne
PHcrciti, e i >I{ii i hanno la l>'^f;io. Astolfo fa proiiez^e iit Afika e
vi crK'n iin^i llolta. Egli d i suoi conipapiù s'Imbniltoiio in Orlando,
li Astfilfii gli rfinde il siivun* Afìraiìiante , poj^tosl alla vela, con le
Kilt'' tTUppi^ iiTC'tintra Isti JUdta crbtiaiia. da imi vk'iio a>sdalLto.
!/aflUnnri di Riis^i^ier ben veramente
K K(-]ira tsgif ftlrro duro, acerba e forte,
T»i cui tràvas:li;i il cur|ìii, e pili la mente*
Puìcìiè di due fn^t^ir non può una mnrte;
o dEi Riimldo, 5=e di lui posseiito
Fia Tiii'iio; 0 P« tiii più. dalla couì^orte:
(he tìel fratel le uccide, sa clf incorre
Xeir odio suo, che più clic nicirtc abburre-
KiniiMo, die non h;x simìl jfeniiiery.
Tu ri] tri i lujili alla virluria asjiira:
Mtna deirjiKza dispetroso e riero;
(^nauibi allt^ braccia e quando al capo mìr;\.
Vultc^f^iaudo con Tai^ta il Luou Riu%nerfi
Ribatte il colpo, e quinci e quindi gira;
E se percuote pur, disegna loco
Ove possa a Rinaldo nuocer poco.
B Alla più parte dei Signor pagani -
Troppo par disegnai esser la zuffa:
Troppo è Ruggier pigro a menar le mani;
Troppo Rinaldo il giovine ribuffa.
Smarrito in faccia il Re degli Africani
Mira l'assalto, e ne sospira e sbuffa;
Ed accusa Sobrin, da cui procede
Tutto l'error, cbe'l mal consiglio diede.
4 Melissa in questo tempo, ch'era fonte
Di quanto sappia incantatore o mago,
Avea cangiata la femminil fronte,
E del gran Re d' Algier presa IMmago.
Sembrava al viso, ai gesti Rodomonte,
E pnrea armata di pelle di drago;
E tal lo scudo, e tal la spada al fianco
Avea, quale usava egli, e nulla manco.
5 Spinse il Demonio innanzi al mesto fiorilo
Del re Troiano, in forma di cavallo;
K con gran voce e con turbato ciglio
Disse: Signor, questo è pur troppo fallo.
Oh' un giovene inesperto a far periglio
Contra un si forte e si famoso Gallo
Abbiate eletto in cosa di tal sorte,
Che'l regno e Touor d'Africa n'importe.
6 Non sì lassi seguir questa battaglia,
Che ne sarebbe in troppo detrimento.
Su Rodomonte sia; né ve ne caglia
L'avere il patto rotto e'I giuramento.
Dimostri ognun, come sua spada taglia:
Poich'io ci sono, ognun di voi vai cento.
Potè questo parlar si in Agr.imante,
Che, senza più pensar, si cacciò innante.
7 II creder d' aver seco il Re d' Algieri
Fece che si curò poco del patto ;
E non avria di mille cavalieri
Giunti in suo aiuto si gran stima fatto.
Perciò lance abbassar, spronar destrieri
Di qua dì là veduto fu in un tratto.
Melissa, poi che con sue finte larve
La battaglia attaccò , subito sparve.
8 I duo campion, che vedono turbarsi
Contra ogni accordo, contra ogni promessa.
Senza più l' un con l' altro travagliarsi ,
Anzi ogni ingiuria avendosi rimessa.
Fede si dan, né qua né là impacciarsi,
Finché la cosa non sia meglio espressa,
Chi stato sia che i patti ha rotto innante,
O'I vecchio Carlo, o'I giovene Agramante.
9 E replican con nuovi giuramenti
D' esser nimici a chi mancò di fede.
Sozzopra se ne van tutte le genti :
Chi porta innanzi, e chi ritorna il piede.
Chi sia fra i vili, e chi tra i più valenti ,
In un atto medesimo si vede.
Son tutti parimente al correr presti;
Ma quei cirrono innanzi, e indietro questi.
10 Come levrier che la fugace fera
Correre intorno ed aggirarsi mira,
Né può con gli altri cani andare in schiera.
Che'l cacciator lo tien, si strugge d'ira
Si tormenta, s'affligge e si dispera,
Schiattisce indamo, e si dibatte e tira:
Cosi sdegnosa infin allora stata
Marfisa era quel di con la cognata.
11 Fin a quell'ora avean quel dì vedute
Si ricche prede in spazioso piano;
E che fosser dal patto ritenute
Di non poter seguirle e porvi mano .
Rammaricate s' erano e dolute ,
E n' avean molto sospirato invano.
Or che i patti e le triegue vider rotte ,
Liete saltar nell'africane frotte.
12 Marfisa* cacciò l'asta per lo petto
Al primo che scontrò , due braccia dietro:
Poi trasse il brando, e in men che non V ho dett^
Spezzò quattro elmi che sembrar di vetro.
Bradamante non fé' minore effetto;
Ma l'asta d'or tenne diverso metro:
Tutti quei che toccò, per terra mise;
Duo tanti fur, né però alcuno uccise.
13 Questo si presso l'una all'altra fero,
Che testimonie se ne flir tra loro;
Poi si scostare, ed a ferir si diero,
Ove le trasse l'ira, il popol moro.
Chi potrà conto aver d'ogni guerriero
Ch'a terra mandi quella lancia d'oro?
E d'ogni testa che tronca o divisa
Sia dall' orribil spada di Marfisa?
14 Come al soffiar de' più benigni venti.
Quando Apennin scopre l'erbose spalle,
Muovonsi a par duo turbidi torrenti .
Che nel cader fan poi diverso calle;
Svellono i sassi e gli arbori eminenti
Dall'alte ripe, e portan nella valle
Le bia'^e e i campi; e quasi a gara fanno
A chi far può nel suo cammin più danno:
CAKTO TKENTESIMONONO.
611
15 Così le due magnanime guerriere ,
Scorrendo il campo per diversa strada,
Gran strage fan neir africane schiere,
L^nna con Tasta, e 1* altra con la spada.
Tiene Adamante a pena alle bandiere
La gente sua, eh' in fuga non ne vada.
Invan domanda, invan volge la fronte;
Né pnò saper che sìa di Rodomonte.
16 A conforto di lui rotto avea il patto
(Cosi credea) che fu solennemente,
I Dei chiamando in testimonio , fatto;
Poi s* era dileguato sì repente.
Né Sobria vede ancor. Sobrin ritratto
lu Arli s'era, e dettosi innocente;
Perchè di quel pergiuro aspra vendetta
Sopra Agramante il dì medesmo aspetta.
17 Marsilio anco è fuggito nella terra;
Si la religi'on gli preme il core.
Perciò male Agramante il passo serra
A quei che mena Carlo imperatore,
D^ Italia , di Lamagna e d' Inghilterra ,
Che tutte genti son d'alto valore;
Ed hanno i Paladin sparsi tra loro ,
Come le gemme in un ricamo 4* oro :
18 E presso ai Paladini alcun perfetto,
Quanto esser possa al mondo cavaliero,
Guidon Selvaggio, l'intrepido petto,
E i duo famosi figli d'Oliviero.
Io non voglio ridir, ch'io l'ho già detto.
Di quel par di donzelle ardito e fiero.
Questi uccidean di genti saraeine
Tanto, che non v'è numero né fine.
19 Ma, differendo questa pugna alquanto.
Io vo' passar senza navilio il mare.
Non ho con quei di Francia da far tanto.
Ch'io non m'abbia d'Astolfo a ricordare.
La grazia che gli die l'Apostol santo
Io v'ho già detto, e detto aver mi pare
Che'l re Branzardo e il Re dell' Algazera
Per girgli incontra armasse ogni sua schiera.
20 Furon di quei ch'aver poteano in fretta.
Le schiere di tu tt' Africa raccolte.
Non men d'inferma età che di perfetta;
Quasi eh' ancor le femmine fur tolte.
Agramante ostinato alla vendetta,
Avea già vota l'Africa due volte.
Poche genti rimase erano, e quelle
Esercito facean timido e imbelle.
21 Ben lo mostrar; che gl'inimici appena
Vider lontan, che se n'andaron rotti.
Astolfo , come pecore « li mena
Dinanzi ai suoi di guerreggiar più dotti ,
E fa restarne la campagna piena:
Pochi a Biserta se ne son ridotti:
Prigion rimase Bucifar gagliardo;
Salvossi nella terra il re Branzardo.
22 Via più dolente sol di Bucifaro ,
Che se tutto perduto avesse il resto.
Biserta è grande, e farle gran riparo
Bisogna, e senza lui mal pnò far questo.
Poterlo riscattar molto avria caro.
Mentre vi pensa, e ne sta afflitto e masto,
Gli viene in mente come tieu prigione
Già molti mesi il paladin Dudone.
23 Lo prese sotto a Monaco in riviera
U Re di Sarza nel primo passaggio.
Da indi in qua prigion sempre stato era
Dudon, che del Danese fu lignaggio.
Mutar costui col Re dell' Algazera
Pensò Branzardo, e ne mandò messaggio
Al capitan de' Nubi perchè intese.
Per vera spia , eh' egli era Astolfo' inglese.
24 Essendo Astolfo paladin, comprende
Che dee aver caro un paladino sciorre.
Il gentil Duca , come il caso intende ,
Col re Branzardo in un voler concorre.
Liberato Dudon, grazie ne rende
Al Duca, e seco si mette a disporre
Le cose che appartengono alla guerra ,
Così quelle da mar, come da terra.
25 Avendo Astolfo esercito infinito
Da non gli far sette Afriche difesa ;
E rammentando come fu ammonito
Dal santo Vecchio, che gli die l'impresa,
Di tor Provenza e d'Acquamorta il lito
Di man de' Saracin che l' avean presa :
D'una gran turba fece nuova eletta.
Quella ch'ai mar gli parve manco inetta).
26 Ed avendosi piene ambe le palme,
Quanto potean capir, di varie fronde
A lauri, a cedri tolte, a olive, a palme,
Venne sul mare , e le gittò nell' onde,
uh felici e dal Ciel ben dilette alme!
Grazia che Dio raro a' mortali infonde!
Oh stupendo miracolo che nacque
Di quelle frondi, come fur nell'acque!
27 Crebbero in quantità fuor d' ogni stima ;
Si feron curve e grosse e lunghe e gravi;
Le vene cVa traverso aveano prima,
Mutaro in dure spranghe e in grosse travi;
E rimanendo acute in ver la cima ,
Tutto in un tratto diventaro navi
Di differenti qualitadi , e tante ,
Quante raccolte fur di varie piante.
28 Miracol fu veder le fronde sparte
Pro'lur f uste , galee , navi da gabbia.
Fu mirabile ancor, che vele e sarte
E remi avean, quanto alcun legno n'abbia.
Non mancò al Duca poi chi avesse l'arte
Di governarsi alla ventosa rabbia;
Che di Sardi e di Córsi non remoti,
Nocchier, padron, pennesi ebbe e piloti.
29 Quelli che entraro in mar, contati foro
Ventiseimila, e gente d'ogni sorte.
Dudon andò per capitano loro ,
Cavalier saggio, e in terra e in acqua forte.
Stava Tarmata ancora al lito moro,
Miglior vento aspettando che la porte,
Quando un naviglio giunse a quella riva,
Che di presi guerrier carco veniva.
30 Portava quei ch'ai periglioso ponte,
Ove alle giostre il campo era sì stretto ,
Pigliato avea l'audace Rodomonte,
Come più volte io v' ho di sopra detto.
Il cognato tra questi era del Conte;
E il fedel Brandimarte e Sansonetto,
Ed altri ancor, che dir non mi bisogna,
D'Alemagna, d'Italia e di Guascogna.
Èl Quivi il nocchier, eh' ancor non s'era accorto
Degl'inimici, entrò con la galea,
Lasciando molte mis^lia addietro il porto
D'AIgieri, ove calar prima volea.
Per un vento gagliardo ch'era sorto,
E spinto oltre il dover la poppa avea.
Venir tra i suoi credette, e in loco fido ,
Come vien Progne al suo loquace nido.
32 Ma come poi l'imperiale Augello,
I Gigli d'oro, e i Pardi vide appresso,
Restò pallido in faccia, come quello
Che'l piede incauto d'improvviso ha messo
Sopra il serpente venenoso e fello ,
Dal pigro sonno in mezzo l'erbe oppresso;
Che spaventato e smorto si ritira,
Fuggendo quel eh' è pien di tosco e d'ira.
33 Già non potè fuggir quindi il nocchiero t
Né tener seppe i prigion suoi di piatto.
Con Brandimarte fu , con Oliviero ,
Con Sansonetto e con molti altri tratta
Ove dal Duca e dal fìgliuol d' Uggiero
Fu lieto viso agli suo' amici fatto;
E per mercede, lui che li condusse,
Volson che condannato al remo fusse.
34 Come io vi dico , dal figliuol d' Otone
I cavalier Cristian furon ben visti,
E di mensa onorati al pa^liglione.
D'arme e di ciò che bisognò provvisti.
Per amor d'essi differì Dudone
L'andata sua; che non minori acquisti
Di ragionar con tai baroni estima,
Che d' esser gito uno o due giorni prima.
35 In che stato, in che termine si trove
E Francia e Carlo, istruzion vera ebbe;
E dove più sicuramente, e dove ,
Per far miglior effetto, calar debbe.
Mentre da lor venia intendendo nuove ,
S'udì un rumor che tuttavia più crebbe;
E un dar all'arme ne segui si fiero.
Che fece a tutti far più d'un pensiero.
36 II duca Astolfo e la compagnia bella.
Che ragionando insieme si trovare.
In un momento armati furo e in sella,
E verso il maggior grido in fretta andaro,
Di qua di là cercando pur novella
Di quel remore; e in loco capitalo.
Ove videro un uom tanto feroce.
Che nudo e solo a tutto '1 campo nuoce.
37 Menava un suo baston di legno in volta,
Ch'era si duro e si grave e sì fermo,
Che declinando quel , facea ogni volta
Cader in terra un uom peggio ch'infermo.
Già a più di cento avea la vita tolta;
Né più se li facea riparo o schermo.
Se non tirando di lontan saette :
Da presso non é alcun già che Paspette.
38 Dudone , Astolfo , Brandimarte essendo
Corsi in fretta al remore, ed Oliviero,
Della gran forza e del valor stupendo
Stavan maravigliosi di quel fiero;
Quando venir s'un palafren correndo
Videro una donzella in vestir nero.
Che corse a Brandimarte e salutollo,
E gli alzò a un tempo ambe le braccia al collo. Stanza 15. 39 Questa era Fiordilìgi, che si acceso
Ayea d' amor per Brandimarte il core ,
Che , quando al ponte stretto il lasciò preso ,
Vicina ad impazzar fu di dolore.
Di là dal mare era passata, inteso Avendo dal Pagan che ne fu autore,
Che mandato con molti cavalieri
Era prigion nella città d^ Algieri.
40 Quando fu per passare , avea trovato
A Marsilia una nave di Levante ,
Ch' un vecchio cavaliere avea portato
Della famiglia del re Monodante;
Il qual molte provincie avea cercato ,
Quando per mar, quando per terra errante,
Per trovar Brandimarte; che nuova ebbe
Tra via di lui , eh' in Francia il troverebbe.
41 Ed ella conosciuto che Bardino
Era costui, Bardino che rapito
Al padre Brandimarte Piccolino,
Ed a Rocc\ Silvana avea no trito,
E la cagione incesa del cammino ,
Seco fatto l'avea scioglier dal Jito,
Avendogli narrato in che maniera
Brandimarte passato in Africa era.
42 Tosto che furo a terra, udir le nuove,
Ch'assediata da Astolfo era Biserta.
Che seco Brandimarte si ritrove
Udito avean, ma non per cosa certa.
Or Fiordiligi in tal fretta si muove ,
Come lo vede, che ben mostra aperta
Queir allegrezza ch'i precessi guai
Le fero la maggior ch'avesse mai.
Stanza 40.
43 II gentil Cavalier , non men giocondo
Di veder la diletta e fida moglie,
Ch'amava più che cosa altra del mondo.
L'abbraccia e stringe, e dolcemente accoglie:
Né per saziare al primo né al secondo
Né al terzo bacio era l'accese voglie;
Se non ch'alzando gli occhi, ebbe veduto
Bardin che con la donna era venuto.
44 Stese le mani , et abbracciar lo volle ,
E insieme domandar perchè venia;
Ma di poterlo far tempo gli tolle
Il campo ch'in disordine fuggia
Dinanzi a quel boston che '1 nudo folle
Menava intorno, e gli facea dar via.
Fiordiligi mirò quel nudo in fronte,
E gridò a Brandimarte : Eccovi il Conte.
45 Astolfo tutto a un tempo, ch'era quivi ,
Che questo Orlando fosse, ebbe palese
Per alcun segno che dai vecchi Divi
Su nei terrestre Paradiso intese.
Altrimente resuavan tutti privi
Di cognizion di quel Signor cortese,
Che per lungo sprezzarsi, come stolto,
Avea di fera , più che d' uomo , il volto.
46 Astolfo, per pietà, che gli trafisse
Il petto e il cor , si volse lacrimando :
Et a Dudon, che gli era appresso, disse ,
Et indi ad Oliviero: Eccovi Orlando.
Quei gli occhi alquanto e le palpebre fisse
Tenendo in lui , l' andar raffigurando ;
E '1 ritrovarlo in tal calamitade ,
Gli empi di maraviglia e di pietade.
47 Piangeano quei Signor per la più parte;
Si lor ne dolse, e lor ne 'ncrebbe tanto.
Tempo è, lor disse Astolfo, trovar arte
Di risanarlo , e non di fargli il pianto :
E saltò a piedi, e cosi Brandimarte,
Sansonetto, Oliviero e Dudon santo;
E s' avventar© al nipote di Carlo
Tutti in un tempo; che volean pigliarlo.
48 Orlando che si vide fare il cerchio ,
Menò il baston da disperato e folle;
Et a Dudon , che si facea coperchio
Al capo dello scudo , ed entrar volle ,
Fé' sentir ch'era grave di soperchio :
E se non che Olivier col brando tolle
Parte del colpo , avria il bastone inginsto
Rotto lo scudo, l'elmo, il capo e il busto.
49 Lo scudo roppe solo, e su Telmetto
Tempestò sì, che Dudon cadde in terra.
Menò la spada a un tempo Sansonetto ,
E del baston più di duo braccia afferra
Con valor tal, che tutto il taglia netto.
Brandimarte , eh' addosso se gli serra ,
Gli cinge i fianchi , quanto può , con ambe
Le braccia, e Astolfo il piglia nelle gambe.
50 Scuotesi Orlando, e lungi dieci passi
Da sé l' Inglese fé' cader riverso :
Non fa però che Brandimarte il lassi.
Che con più forza l'ha preso a traverso.
Ad Olivier, che troppo innanzi fassi,
Menò un pugno sì duro e si perverso ,
Che lo fé' cader pallido ed esangue,
E dal naso e dagli occhi uscirgli il sangue. 51 E se non era l'elmo più che buono
Ch' avea Olivier , V avria quel pugno ucciso :
Cadde però, come se fatto dono
Avesse dello spirto al Paradiso.
Dudone e Astolfo che levati sojo,
Benché Dudone abbia gonfi «to il viso,
E Sansonetto che'l bel colpo ha fatto,
Addosso a Orlando son tutti in un tratto. 55 Come egli è iu terra, gli son tutti addosso,
E gli legan più forte e piedi e mani.
Assai di qua di là s^è Orlando scosso;
Ma sono i suoi risforzi tutti vani.
Comanda Astolfo che sia quindi mosso,
Che dice voler far che si risani.
Dudon eh' è grande, il leva in su le schene
E porta al mar sopra T estreme arene.
--"^--faP^rt-^,
Stanza 51.
56 Lo fa lavar Astolfo sette volte,
E sette volte sotto acqua l' attuffa ;
Si che dal viso e dalle membra stolte
Leva la brutta roghine e la muffa:
Poi con cert' erbe , a questo effetto colte
La bocca chiuder fi, che soffia e buffa;
Che non volea ch'avesse altro meato
Onde spirar, che per lo naso, il fiato.
57 Aveasi Astolfo apparecchiato il vaso,
Tn che il vsenno d'Orlando era rinchiuso;
E quello in moflo appropinquogli al naso.
Che nel tirar che fece il fiato in suso ,
Tutto il votò. Maraviglioso caso !
Che ritornò la mente al primier uso;
E ne' suoi bei discorsi l'intelletto
Rivenne , più che mai lucido e netto.
02 Dudon con ^rran vigor dietro V abbraccia .
Pur tentando col pie farlo cadere:
Astolfo e gli altri gli han prese le braccia,
Xè Io puon tutti insieme anco tenere.
Chi ha visto toro a cui si dia la caccia ,
E eh' alle orecchie abbia le zanne fiere,
Correr mugliando, e trarre ovunque corre
I cani seco, e non potersi sciorre;
53 Immagini ch'Orlando fosse tale,
Che tutti quei gnerrier seco traea.
Tn quel tempo Olivier di terra sale,
Là dove steso il gran pugno l'avea;
E visto che cosi si potea male
Far di lui quel ch'Astolfo far volea.
Si pensò un modo , et ad effetto il messe ,
Di far cader Orlando, e gli successe.
54 Si fé' quivi arrecar più d'una fune,
E con nodi correnti adattò presto ;
Ed alle gambe ed alle braccia alcune
Fé' porre al Conte, ed a traverso il resto.
Di quelle i capi poi parti in comune,
E li diede a tenere a quello e a questo.
Per quella via che maniscalco atterra
Cavallo 0 bue, fu tratto Orlando in terra.
Stanza 54.
58 Come chi da noioso e grave sonno ,
Ove , 0 veder abbominevol forme
Di mostri che non son , né eh' esser ponno ,
0 gli par cosa far strana ed enorme,
Ancor si maraviglia, poi che donno
È fatto de' suoi sensi, e che non dorme;
Così poi che fa Orlando d'error tratto.
Restò maraviglioso e stupefatto.
59 E Brandimarte, e il f ratei d'Alda bella,
E qnel cheU senno in capo gli ridusse,
Pur penando liguarda, e iron favella,
Com'egli quivi, e quando si condusse.
Girava gli occhi in questa parte e in quella
Né sapea imaginar dove si fusse;
Si maraviglia che nudo si vede,
E tante funi ha dalle spalle al piede.
60 Poi disse, come già di?se Sileno
A quei che lo legar nel cavo speco :
Solvite me, con viso si sereno,
Con guardo sì men dell'usato bieco ,
Che fu slegato, e de' panni ch'avieno
Fatti arrecar parteciparon seco;
Consolandolo tutti del dolore.
Che lo premea, di quel passato errore.
stanza 67.
HI Poi che fu all'esser primo ritornato
Orlando più che mai saggio e virile ,
D' amor si trovò insieme liberato ;
Si che colei che sì bella e gentile
Gli parve dianzi , e eh' avea tanto amato ,
Non stima più , se non per cosa vile.
Ogìii suo studio, ogni disio rivolse
A racquistar quanto già Amor gli tolse.
62 Narrò Bardino intanto a Brandimarte,
Che morto era il suo padre Monodante ;
E che a chiamarlo al regno egli da parte
Veniva prima del fratel Gigliante,
Poi delle genti ch'abitan le sparte
Isole in mare, e l'ultime in Levante;
Di che non era un altro regno al mondo
Si ricco , populoso , o si giocondo.
63 Disse, tra più ragion, che dovea farlo.
Che dolce cosa era la patria; e quando
Si disponesse di voler gustarlo,
Avria poi sempre in odio andare errando.
Brandimarte rispose, voler Carlo
Servir per tutta questa guerra e Orlando ;
E se potea vederne il fin, che poi
Penseria meglio sopra i casi suoi.
64 II di seguente la sua armata spinse
Verso Provenza il figlio del Danese :
Indi Orlando col Duca si ristrinse,
Ed in che stato era la guerra, intese:
Tutta Biserta poi d'assedio cinse,
Dando però l'onore al Duca inglese
D'ogni vittoria; ma quel Duca il tutto
Facea, come dal Conte venia instmtto.
V. V stanza 44. 65 Ch' ordine abbian tra lor , come s' assaglia
La gran Biserta , e da che lato e quando ,
Come fu presa alla prima battaglia ,
Chi neir onor parte ebbe con Orlando ,
S'io non vi seguito ora, non vi caglia;
ChMo non me ne vo molto dilungando.
In questo mezzo di saper vi piaccia
Come dai Franchi i Mori hanno la caccia.
66 Fu quasi il re Agramante abbandonato
Nel pericol maggior di quella guerra;
Che con molti Pagani era tornato
Brarsilio e *1 re Sobrin dentro alla terra ;
Poi su V armata e questo e quel montato ,
Che dubbio avean di non salvarsi in terra;
E duci e cavalier del popol moro
Molti seguito avean T esempio loro.
67 Pure Agramante la pugna sostiene;
E quando finalmente più non puote,
Volta le spalle, e la via dritta tiene
Alle porte non troppo indi remote.
Babican dietro in gran fretta gli viene,
Che Bradamante stimola e percuote.
D'ucciderlo era disiosa molto;
Che tante volte il suo Buggier le ha tolto.
68 II medesmo desir Marfìsa avea ,
Per far del padre suo tarda vendetta ,
E con gli sproni, quanto più potea,
Facea il destrier sentir ch'ella avea fretta.
Ma né l'una né l'altra vi giungea
Sì a tempo, che la via fosse intercetta
Al Be d'entrar nella città serrata.
Et indi poi salvarsi in su l'armata.
71 E fatto sopra il Bodano tagliare
I ponti tutti. Ah sfortunata plebe,
Che dove del tiranno utile appare,
Sempre è in conto di pecore e di zebe!
Chi s'affoga nel fiume e chi nel mare,
Chi sanguinose fa di sé le glebe.
Molti perir , pochi restar prigioni ;
Che pochi a farsi taglia erano buoni.
72 Della gran moltitudine ch'uccisa
J'u da ogni parte in quest' ultima guerra
(Benché la cosa non fu ugual divisa,
Ch' assai più andar dei Saracin sotterra
Per man di Bradamante e di Marfisa),
Se ne vede ancor segno in quella terra;
Che presso ad Arli , ove il Bodano stagna
Piena di sepolture è la campagna.
Stanza 71.
69 Come due belle e generose par de
Che fuor del lascio sien di pari uscite,
Poscia eh' i cervi o le capre gagliarde
Indarno aver si veggano seguite.
Vergognandosi quasi, che fur tarde ,
Sdegnose se ne tornano e pentite;
Cosi tornar le due donzelle, quando
Videro il Pagan salvo, sospirando.
73 Fatto avea intanto il re Agramante sciorre
E ritirar in alto i legni gravi,
Lasciando alcuni, e i più leggieri, a torre
Quei che volean salvarsi in su le navi.
Vi sté duo di , per chi f uggia raccorre;
E perchè i venti eran contrari e pravi ,
Fece lor dar le vele il terzo giorno ;
Ch'in Africa credea di far ritorno.
70 Non però si fermar; ma nella frotta
Degli altri cbe fuggivano cacciarsi ,
Di qua di là facendo ad ogni botta
Molti cader, senza mai più levarsi.
A mal partito era la gente rotta,
Che per fuggir non potea ancor salvarsi;
Oh' Agramante avea fatto , per suo scampo ,
Chiuder la porta ch'uscia verso il campo,
74 II re Marsilio, che sta in gran paura
Ch'alia sua Spagna il fio pagar non tocche,
E la tempesta orribilmente oscura
Sopra i suoi campi all' ultimo non scocche ;
Si fé' porre a Valenza, e con gran cura
Cominciò a riparar castella e rocche,
E preparar la guerra che fu poi
La sua mina e degli amici suoi.
75 Verso Africa Agramante alzò le vele
De' legni male armati , e vóti quasi ;
D' uomini vóti , e pieni di querele ,
Perch'in Frapcia i tre quarti eran rimasi.
Chi chiama il Re superbo, chi crudele,
Chi stolto ; e , come avviene in simil casi ,
Tutti gli voglion mal ne' lor secreti ;
Ma timor n'hanno, e stan per forza cheti.
7 ti Pur duo talora o tre schindon le labbia .
Ch'amici sono, e che tra lor s'han fede,
E sfogano la collera e la rabbia;
E '1 mìsero Agramante ancor si crede
Ch'ognun gli porti amore, e pietà gli abbia:
E questo gì' intervien , perchè non vede
Mai visi se non finti , e mai non ode
Se non adnlazìon , menzo2ne e frode.
stanza dò.
77 Erasi consigliato il Re africano
Di non smontar nel porto di Biserta;
Però eh' avea del popol nubiano ,
Che quel lito tenea, novella certa;
3! a tenersi disopra si lontano,
Che non fosse acre la discesa ed erta;
Mettersi in terra, e ritornare al dritto
A dar soccorso al suo popolo afflitto.
78 Ma il suo fiero destin, che non risponde
A quella iutenzi'on provida e saggia,
Vuol che l'armata che nacque di fronde
^IJracolosamente nella spiaggia,
E vien solcando inverso Francia l' onde ,
Con questa ad incontrar di notte s' aggia ,
A nubiloso tempo, oscuro e tristo,
Perchè sia in più disordine sprovvisto.
79 Non ha avuto Agramante ancora spia,
Ch' Astolfo mandi un' armata si grossa ;
Né creduto anco, a chi 'l "dicesse, avria,
Che cento navi un ramuscel far possa:
E vien senza temer ch'intorno sia
Chi contra lui s'ardisca di far mo^sa;
Né pone guardie né veletta in gabbia,
Che di ciò che si scopre avvisar abbia.
80 Si che i navili che d' Astolfo avuti
Avea Dudon, di buona gente armati,
E che la sera avean questi veduti,
Ed alla volta lor s' eran drizzati ,
Assalir gli nemici sprovveduti.
Gì t taro i ferri , e sonsi incatenati ,
Poich'ai parlar certificati foro
Ch' erano Mori , e gì' inimici loro. 6^181 Xell' arrivar cbe i gran navili fénno
(Spirando il vento a* lor desir secondo) ,
Nei Saracin con tale impeto dènno,
Che molti legni ne cacciaro al fondo:
Poi cominciaro oprar le mani e il senno ,
£ ferro e fuoco e sassi di gran pondo , 'J irar con tanta e si fiera tempesta ,
Che mai non ebbe il mar simile a questa. 82 Quei di Dndone, a cui possanza e ardire
Più del solito è lor dato di sopra (Che venuto era il tempo di puuire
I Saracin di più d^una mal' opra),
Sanno appresso e lontau si ben ferire ,
Che non trova Agramante ove si copra.
Gli cade sopra un nembo di saette;
Da Iato La spade e graffi e picche e accette.
83 D'alto cader sente gran sassi e gravi,
Da macchine cacciati e da tormenti;
£ prore e poppe fracassar di navi,
£d aprire usci al mar larghi e patenti :
£'1 maggior danno è degPiucendj pravi,
A nascer presti ad ammorzarsi lenti.
La sfortunata ciurma si vuol tórre
Del gran periglio, e via più oguor vi corre.
84 Altri, che'l ferro e T inimico caccLi,
Nel mar si getta, e vi s'affoga e resta;
Altri , che muove a tempo piedi e braccia ,
Va per salvarsi o in quella barca o in questa*
Ma quella, grave oltre il dover, lo scaccia.
E la man, per salir troppo molesta,
Fa restare attaccata nella spoudi:
Ritorna il resto a far sanguigna l' onda.
85 Altri, che spera in mar salvar la vica ,
0 perderlavi ahnen con minor pena.
Poiché notando non ritrova aita ,
£ mancar sente i'auimo e la lena,
Alla vorace fiamma eh' ha fug^glta ,
La tema di annegarsi auco rimena:
S'abbraccia a un legno ch'arde e per timore
Ch' ha di du3 morti , in ambe se ne muore.
86 Altri , per tema di spiedo o d'accetta
Che vede appresso al mar ricorre invano,
Perchè dietro gli vien pietra o saetta
Che non lo lascia andar troppo lontano.
Ma saria forse, mentre che diletta
Il mio cantar, consiglio utile e sino
Di finirlo, piuttosto che seguire
Tanto, che v'aimoiasse il troppo dire.
NOTE.
St. 3. V. 4. — Troppo.... ribuffa : troppo si affretta
a menar colpi.
St. 22. v. 8. — n paladin Dudone. Nacque da Er-
mellioa, figlia di Namo duca di Baviera, e moglie di
Uggiero il Danese. Fu preso da Bodomonte a Montco
di Provenza, come si accenna nella Stanza seguente;
quindi mandato in Africa, e dato in custodia a Branzardo.
St. 28. v. 2-8. — Navi da gabbia: navi di maggior
portata che le fus'e e le galee, che hanno gli alberi
principali moniti di gabbie. — I^nesì: ufficiali subal-
terni nelle navi , cura de' quali è stivare e distivare i
diversi oggetti che sono a bordo.
St. 30. V. 5. — Il cognato,.., del conte: Oliviero di
Vienna, fìntello di Alda, moglie d'Orlando.
St. 31. V. 8. — Come vien Progne, ecc. La rondine,
volatile in cui fu tramutata Progne figlia dì Paudione
re di Atene, e moglie di Tereo.
St. 32. V. 1 i. — LHmperiale augello, I gìgli d*oro, e i
pardi: insegne di Carlo Magno, di Francia e d'InghilteiTa.
St. 40. V. 3-4. — Un vecchio eavaliero, ecc. : Bardiuo
del quale si parla nella Stanza seguente. Egli era al
servigio del re Monodane, a cui, per un dispiacere ri-
cevutone, tolse il figliuoletto Brandimarte, e lo vendè
al conte di Rocca Silvana. 11 conte lo adottò per figlio,
e a lui fatto adulto lasciò la signoria. Ma il giovane,
vago di avventure 'cavalleresche, e andandone in ti ac-
cia, restò prigione della fata Morgana, che teneva preso
anche Ziliante, o Qigliante, fratello di Brandimiite.
Ambidue però furono liberati da Orlando.
St. 42. V. 7. — Precessi: preceduti, passati.
St. 47. V. 6. — Diuion santo: chiana cosi Dudone,
perchò lasciò, dopo un certo tempo, la vita militale e
si applicò alla devota.
St. 55. V. 4. — Risforsi: reazioni.
St. 69. V. 2. — Lascio: guinzaglio.
St. 85. V. 2. — Tormenti: macchine da lanciare pro-
iettili, come altrove si ò detto.
OAKTO QUARANTESIMO. Canto XL. ARGOMENTO* Disfattfi ed ar?j[i U Elotta di Agramftiiid , seifiie ì oppa-
^na^Junc di BLnprta ^ oh' è pr«j& per forr^ d'urtai, e
abbandonata al sacdi^grgìo e alk flatnme. A^rm munte
con Solai 11 u Siì rkot era in Lara pedina* r e tii>VKto Gra-
dasso ili qiieirisola, ò fermato tm loro il oocuiglio d'in-
vitare eulà Orlatido &d altri doe ca^alie^rì ft ba^tUglia.
Orluinlo af^o.kglic dì buongrado rinvilo, e sì elegge a
coinpa^Miì Brand iinarte e Oliviero Intanto Rii^pero
turnato in Adi JìUer», sette re ttfricanU coudotuvipri-
pionieri da Eiiudon?, e pancia viene alle amai eoft lai.
LuLigo sarebbe, ae i diversi casi
Volessi dir di quel uavaJ conflitto;
E raetiont^irlo a voi mi parrift quasi ,
Maguauiuio tìglìuol d^ Ercole iuritto,
Portar , come ai dice ^ a Samo vasi ,
Nùttole a Atene, e crocidili a Egitto :
Cile quando per udita io ve ne parlo ,
Signor^ nuraHte , e fu;; te altrui mirarlo.
Ebbe lungo spettacolo il fetlele
Vo?^tro popid la notre e'I di che stette*
Ci ime in tei\tro , l'iuimiclie vele
Mirando iu Po tra ferro e fuoco astrette
Che gridi udir si possano e querele,
Ch'onde veder di sangue umano infette,
Per quanti modi in tal pugna si mora ,
Vedeste, e a molti il dimostraste allora.
CANTO QUARANTESIMO.
Stanza 7.
Noi vidi io già, ch'era sei giorni innanti,
Mutando ogn'ora altre vetture, corso
Con molta fretta e molta ai piedi santi
Del gran Pastore a domandar soccorso :
Poi né cavalli bisognar né fanti ;
Ch'intanto al Leon d*ór T artiglio e*l morso
Fu da voi rotto sì, che più molesto
Non 1' ho sentito da quel giorno a questo.
Ma Alfonsin Trotto , il qual si trovò in fatto ,
Annibal e Pier Moro e Afranio e Alberto ,
E tre Ariosti, e il Bagno e il Zerbinatto
Tanto me ne contar, ch'io ne fui certo:
Me ne chiarir poi le bandiere affatto ,
Vistone al tempio il gran numero offerto
E quindici galee eh' a queste rive
Con mille legni star vidi captive.
Chi viJe quelli incenfìj e quei naufragi,
Le tante uccisioni e sì diverse,
Che , vendicando i nostri arsi palagi ,
Finché fu preso ogni narilio, fèrsej
Potrà veder le morti anco e i disagi
Che '1 miser popol d' Africa sofferse
Col re Agramante in mezzo l'onde salse,
La scura notte che Dudon
Stanza 8.
6 £ra la notte , 6 non si vedea lume ,
Quando sMncominciàr T aspre contese:
Ma poi che U zolfo e la pece e U hitume
Sparso in gran copia, ha prore e sponde acce8\
E la vorace fiamma arde e consume
Le navi e le galee poco difese ;
Sì chiaramente ognun si vedea intorno,
Che la notte parea mutata in giorno.
7 Onde Agramante, che per Paer scuro
Non avea l' inimico in si gran stima ,
Né aver contrasto si credea si duro ,
Che , resistendo , alfin non lo reprima ;
Poi che rimosse le tenebre furo ,
E vide quel che non credeva in prima ,
Che le navi nimiche eran duo tante ;
Fece pensier diverso a quel d'avante.
8 Smonta con pochi, ove in piìì lieve larra
Ha Brigliadoro e l'altre cose care.
Tra legno e legno taciturno varca,
Finché si trova in più sicuro mare
Da' suoi lontan, che Dudon preme e carca,
E mena a condizioni acri ed amare.
Gli arde il foco, il mar sorbe, il ferro stmgge;
Egli, che n'è cagion, via se ne fugge.
9 Fugge Agramante, ed ha con Ini Sobrino,
Con cui si duol di non gli ai^er crednto,
Quando previde con occhio divino,
E'I mal gli annunziò, ch'or gli è avvenuto.
Ma torniamo ad Orlando paladino.
Che, prima che B'serta abbia altro aiuto.
Consiglia Astolfo che la getti in terra.
Sì che a Francia mai più non faccia guerra.'
10 E cosi fu pubblicamente detto,
Che'l campo in arme al terzo dì sia instmlto.
Molti navi li Astolfo a questo effetto
Tenuti avea, né Dndon n'ebbe il tutto:
Di qnai diede il governo a Sansonetto ,
Si buon guerrier al mar come all'asciutto:
E quel si pose, in su l'ancore sorto,
Contra a Biserta, un miglio appresso al poito.
11 Come veri cristiani, Astolfo e Orlando.
Che senza Dio non vanno a rischio alcuno ,
Neil' esercito fan pubblico bando ,
Che sieno orazi'on fatte e digiuno;
E che si trovi il terzo giorno, quando
Si darà il segno, apparecchiato ognuno
Per espugnar Biserta, che data hanno.
Vinta che s'abbia, a fuoco e a saccqipanno.
12 E così, poi che le astinenzie e i voti
Devotamente celebrati foro ,
Parenti , amici , e gli altri insieme noti
Si cominciaro a convitar tra loro.
Dato restauro a' corpi esausti e vóti,
Abbracciandosi insieme lacrimoro;
Tra loro usando i modi e le parole
Che tra i più cari al dipartir si suole.
13 Dentro a Biserta i sacerdoti santi.
Supplicando col popolo dolente,
Battonsi il petto , e con dirotti pianti
Chiamano il lor Macon, che nulla sente^
Quante vigilie , quante offerte , quanti
Doni promessi Fon privatamente !
Quanti in pubblico templi , statue , altari ,
Memoria etema de' lor casi amari ! 14 E poi che dal Cadi fu benedetto,
Prese il popolo Tarme, e tornò al moro.
Ancor giacca col suo Titon nel letto
La bella Aurora, ed era il cielo oscuro,
Quando Astolfo da un canto, e Sansonetto
Da un altro, armati agli ordini lor furo;
£ poi cheU segno, che die il Conte, udirò,
Biserta con grande impeto assalirò.
15 Avea Biserta da duo canti il mare,
Sedea dagli altri duo nel lito asciutto.
Con fabbrica eccellente e singulare
Fu a iniquamente il suo muro costrutto.
Poco altro ha che V aiuti o la ripare :
Che poi che '1 re Branzardo fu ridutto
Dentro da quella, pochi mastri e poco
Potè aver tempo a riparare il loco.
16 Astolfo dà l'assunto al Re de' Neri,
Che faccia a' merli tanto nocumento
Con falariche , fonde , e con arcieri ,
Che levi d'affacciarsi ogni ardimento:
Si che passin pedoni e cavalieri
Fin sotto la muraglia a salvamento,
Che veugon, chi di pietre e chi di travi.
Chi d'asse e chi d'altra materia gravi.
17 Chi questa cosa e chi quell'altra getta
Dentro alla fossa, e vien di mano in mano:
Di cui l'acqua il di innanzi fu intercetta
Si , che in più parti si scopria il pantano.
Ella fu piena ed otturata in fretta,
E fatto uguale insin al muro il piano.
Astolfo, Orlando ed Olivier procura
Di far salire i fanti in su le mura.
Ariobto.
18 I Nubi d'ogni indugio impazienti,
Dalla speranza del guadagno tratti,
Non mirando a' pericoli imminenti ,
Coperti da testuggini e da gatti.
Con arieti e loro altri instrumenti
A forar torri, e porte rompere atti,
Tosto si fero alla città vicini;
Né trovaro sprovvisti i Saracini:
19 Che ferro e fuoco e merli e tetti gravi
Cader facendo a guisa di tempeste ,
Per forza aprian le tavole e le travi
Delle macchine in lor danno conteste.
Nell'aria oscura e nei principj pravi
Molto patir le battezzate teste;
Ma poi che'l Sole usci del ricco albergo,
Voltò Fortuna ai Saracini il tergo.
20 Da tutti i canti risforzar l'assalto
Fé' il conte Orlando e da mare e da terra.
Sansonetto, ch'avea Tarmata in alto,
Entrò nel porto, e s'accostò alla terra;
E con frombe e con arcbi facea d' alto ,
E con Tari tormenti estrema guerra;
E facea iusieme espedir lance e scale,
Ogni apparecchio e miinizion navale.
stanza 13.
23 Vien Brandimarte, e pon la scala a' muri ,
E sale , e di salir altri conforta :
Lo seguon molti intrepidi e sicuri;
Che non può dubitar chi l'ha in sua scorta.
Non è chi miri , o chi mirar si curi ,
Se quella scala il gran peso comporta.
Sol Brandimarte agl'inimici attende;
Pugnando -sale , e alfine un merlo prende.
24 E con mano e con pie quivi s' attacca ,
Salta sui merli, e mena il brando in volta.
Urta, riversa e fende e fora e ammacca,
E di sé mostra esperì'enzia molta.
Ma tutto a un tempo la scala si fiacca ,
Cile troppa soma e di soperchio ha tolta:
E, fuor che Brandimarte, giù nel fosso
Vanno sozzopra, e l'uno e l'altro addosso.
25 Per ciò non perde il Cavai ier l'ardire.
Né pensa riportare addietro il piede;
Benché de' suoi non vede alcun seguire ,
Benché bersaglio alla città sì vede.
Pregavan molti (e non volse egli a lire)
Che ritornasse ; ma dentro si diede :
Dico che giù nella città d'un salto
Dal muro entrò, che trenta braccia era alto.
26 Come trovato avesse o piume o paglia,
Presse il duro terren senza alcim danno;
E quei ch'ha intorno affrappa e fora e taglia.
Come s'afi^rappa e taglia e fora il panno.
Or contra questi or contra quei si scaglia;
E quelli e questi in fuga se ne vanno.
Pensano quei di fuor, che l'han veduto
Dentro saltar, che tardo fia ogni aiuto.
21 Facea Oliviero, Orlando e Brandimirte,
E quel che fu si dianzi in aria ardito ,
Aspra e fiera battaglia dalla parte
Che lungi al mare era più dentro al lito.
Ciascun d'essi venia con una parte
Dell' oste che s' avea quadripartito.
Quale a mur, quale a porte, e quale altrove,
Tutti davan di sé lucide prove.
22 II valor di ciascun meglio si puote
Veder cosi, che se fosser confusi":
Chi sia degno di premio e chi di note ,
Appare innanzi a mill' occhi non chiusi.
Torri di legno trannosi con ruote ,
E gli elefanti altre ne portano usi ,
Che su lor dossi così in alto vanno,
Che i merli sotto a molto spazio stanno.
27 Per tutto '1 campo alto rumor si spande
Di voce in voce, e'I mormorio e'I bisbiglio.
La vaga fama intorno si fa grande ,
E narra, ed accrescendo va il periglio.
Ove era Orlando (perchè da più bande
Si dava assalto), ove d'Otone il figlio ,
Ove Olivier , quella volando venne ,
Senza posar mai le veloci penne.
28 Questi guerrier, e più di tutti Orlando,
Ch'amano Brandimarte e l'hanno in pregio,
Udendo che, se van troppo indugiando,
Perderanno un compagno così egregio,
Pigliau le scale , e qua e là montando ,
Mostrano a gara animo altiero e regio.
Con si audace sembiante e si gagliardo ,
Che i nemici tremar fan con lo sguardo.
CANATO QUARANTESIMO
627
29 Come nel mar che per tempesta freme,
Assagliou Tacque il temerario legno,
Ch*or dalia prora, or dalle parti estreme
Cercano entrar con rabbia e con isdegno;
Il pallido nocchier sospira e geme .
Ch'aiutar dere, e non ha cor né ingegno;
Una onda viene alfin eh* occupa il tutto ,
E dove quella entrò, segue ogni flutto:
30 Così , di poi eh* ebbono presi i muri
Questi tre primi, fu si largo il passo,
Che gli altri ormai seguir ponno sicuri ,
Che mille scale hanno fermate al basso.
Aveano intanto gli arieti duri
Rotto in più lochi, e con sì gran fracasso,
Che si poteva in più che in una parte
Soccorrer P animoso Brandimarte.
35 Fu Bueifar dell' Algazera morto
Con esso un colpo da Olivier gagliardo.
Per luta ogni speranza, ogni conforto,
S' uccise di sua mano il re Branzardo.
Con tre ferite, onde morì di corto.
Fu preso Folvo dal Etnea del Pardo.
Questi eran tre ch'ai suo partir lasciato
Avea Agramante a guardia dello Stato.
36 Agramante, ch'intinto avea deserta
L' armata , e con Sobrin n' era fuggito ,
Pianse da lungi e sospirò Biserta,
Veduto sì gran fiamma arder sul lito.
Poi più d' appresso ebbe novella certa
Come della sua terra il caso era ito :
E d' uccider sé stesso in pensier venne ,
E lo facea; ma il re Sobrin lo tenne.
31 Con quel furor che '1 Re de'fiimii altiero,
Quando rompe talvolta argini e sponde,
E che nei campi Ocnei s' apre il sentiero ,
E i grassi solchi e le biade feconde,
E con le sue capanne il gregge intiero ,
E coi cani i pastor porta nell'onde;
Guizzano i pesci agli olmi in su la cima
Ove solean volar gli augelli in prima :
32 Con quel furor l' impetuosa geutp ,
Là dove avea in più parti il muro rotto ,
Entrò col ferro e con la face ardente
A distruggere il popol mal condotto.
Omicidio , rapina , e man violente
Nel sangue e nell'aver, trasse di botto
La ricca e trionfai città a mina ,
Che fii di tutta l'Africa regina.
33 D'uomini morti p'eno era per tutto,
E delle iunumerabili ferite
Fatto era un stagno più scuro e più brutto
Di quel che cinge la città di Dite.
Di casa in casa un lungo incendio indutto
Ardea palagi, portici e meschite.
Di pianti e d'urli e di battuti petti
Suonano i vóti e depredati tetti.
34 I vincitori usar delle funeste
Porte vedeansi di gran preda onusti.
Chi con bei vasi e chi con ricche veste ,
Chi con rapiti argenti a' Dei vetusti:
Chi traea i figli, e chi le madri meste. .
Fur fatti stupri e mille altri atti ingiusti ,
Dei quali Orlando una gran parte intese.
Né lo potè vietar, né'l Duca ioglese.
37 Dicea Sobrin: Che più vittoria lieta,
Signor, potrebbe il tuo nimico avere.
Che la tua morte udire , onde quieta
Si spereria poi l'Africa godere?
Questo contento il viver tuo gli vieta:
Quindi avrà cagion sempre di temere.
Sa ben che lungamente Africa sua
E<?ser non può, se non per morte tua.
38 Tutti i sudditi tuoi, morendo, privi
Della speranza, un ben che sol ne resta.
Spero che n'abbi a liberar, se vivi,
E trar d'affanno e ritornarne in festa.
So che , se muori , slam sempre captivi ,
Africa sempre tributaria e mesta.
Dunque, s'in util tuo viver non vuoi,
Vivi, Signor, per non far danno ai tuoi.
39 Dal Soldano d'Egitto, tuo vicino,
Certo esser puoi d'aver danari e gente
Mal volentieri il figlio di Pipino
In Africa vedrà tanto potente.
Verrà con ogni sforzo Norandino
Per ritornarti in regno , il tuo parente :
Armeni, Turchi, Persi, Arabi e Medi,
Tutti in soccorso avrai , se tu li chiedi.
40 Con tali e simil detti il vecchio accorto
Studia tornare il suo Signore in speme
Di racquistarsi l'Africa di corto;
Ma nel suo cor forse il contrario teme.
Sa ben quanto é a mal termine e a mal porto
E come spesso invan sospira e geme
Chiunque il regno suo si lascia tórre,
E per soccorso a' Barbari ricorre.
Stanza 30.
41 Anuibal e lugurta di ciò fóro
Buon testimoni, ed altri al tempo antico:
Al tempo nostro Ludovico il Moro,
Dato in poter d*un altro Ludovico.
Vostro fratello Alfonso da costoro
Ben ebbe esempio (a voi, Signor mio, dko)y
Che sempre ha riputato pazzo espresso
Chi più si fida in altri, chMn sé stesso.
42 E però nella guerra che gli mosse
Del Pontefice irato un duro sdegno,
Ancorché nelle deboli sue posse
Non potesse egli far molto disegno ,
E chi lo difendei , d' Italia fosse
Spinto, e n^ avesse il suo nimico il regno;
Né per minacce mai né per promesse
S'indusse che lo stato altrui cedesse. 43 11 re A/^amante air Oriente avea
Vòlta la prora, e s'era spinto in alto:
Quando da terra una tempesta rea
Mosse da banla impetuoso assalto.
Il nocchier eh' al governo vi sedea :
Io veggo (disse alzando gli occhi ad alto)
Una procella apparecchiar sì grave ,
Ohe contrastar non le potrà la nave.
Stanza 33.
44 S'attendete, signori, al mio consiglio,
Qui da man manca ha un' isola vicina ,
A cui mi par eh' abbiamo a dar di piglio ,
Finché passi il furor della marina.
Consenti il re Agramante, e di periglio
Usci, pigliando la spiaggia mancina.
Che per salute de' nocchieri giace
Tra gli Afri , e di Vulcan l' alta fornace.
45 D'abitazioni è l' isoletta vota,
Piena d'urail mortelle e di ginepri;
Gioconda solitudine e remota
A cervi , a daini , a caprioli , a lepri :
E , fuor eh' a pescatori , è poco nota ;
Ove sovente a rimondati vepri
Sospendon, per seccar, l'umide reti":
Dormono intanto i pesci in mar quieti.
46 Quivi trovar che s'era un altro legno ,
Cacciato da fortuna , già ridutto.
Il gran guerrier eh' in Sericana ha regno ,
Levato d'Arli, avea quivi condutto.
Con modo riverente e di sé degno
L' un Ee con l'altro s'abbracciò all'asciutto;
Ch'erano amici, e poco innanzi furo
Compagni d*arme al parigino muro.
47 Con molto dispiacer Gradasso intese
Del re Agramante le fortune avverse:
Poi confortollo , e , come Re cortese ,
Con la propria persona se gli offerse;
Ma eh' egli andasse all' infedel paese
D' Egitto , per aiuto , non sofferse.
Che vi sia, disse, periglioso gire,
Dovria Pompeio i profugi ammonire.
48 E perché detto m'hai che con l'ainto
Degli Etiopi sudditi al Senàpo ,
Astolfo a tòrti l'Africa é venuto;
E ch'arsa ha la città che n'era capo;
E eh' Orlando é con lui , che dimiuuto
Poco innanzi di senno aveva il capo;
^li pare al tutto un ottimo rimedio
Avjr pensato a fani uscir di tedio.
stanza 43.
49 Io piglierò per amor tuo l'impresa
D'entrar col Conte a sino;olar certame.
Contra me so che non avrà difesa ,
Se tutto fosse di ferro o di rame.
Morto lui, stimo la cristiana Chiesa
Quel che T ugnelle il lupo ch'abbia fame.
Ho poi pensato, e mi^a cosa lieve,
Di fare i Nubi uscir d' Africa in breve.
50 Parò che gli altri Nubi che da loro
Il Nilo parte e la diversa legge,
E gli Arabi e i Macrobi , questi d' oro
Ricchi e di gente, e quei d'equino gregge,
Persi e Caldei (perchè tutti costoro
Con altri molti il mio scettro corregge),
Farò eh' in Nubia lor faran tal guerra ,
Che non si fermeran nella tua terra.
Stanza 54.
53 Purch'io non resti fuor, non me ne lagno.
Disse Agramente, o sia primo o secondo
Ben so ch'in arme ritrovar compagno
Di te miglior non si può in tutto '1 mondo.
Ed io, disse Sobrin, dove riraaguo?
E se vecchio vi paio , vi rispondo
Ch'io debbo esser più esperto; e nel periglio
Presso alla forza è buono aver consiglio.
54 D'una vecchiezza valida e robusta
Era Sobrino, e di famosa prova;
E dice eh' in vigor 1' età vetusta
Si sente pari alla già verde e nuova.
Stimata fu la sua domanda giusta;
E senza indugio un messo si ritrova,
Il qual si mandi agli africani lidi ,
E da lor parte il conte Oliando sfidi;
55 Che s'abbia a ritrovar con numer pare
Di cavalieri armati in Lipadusa.
Una isoletta è questa, che dal mare
Medesmo che la cinge è circonfusa.
Non cessa il messo a vela e a remi andare.
Come quel che prestezza al bisogno usa,
Che fu a Biserta ; e trovò Orlando quivi ,
Ch'a'suoi le spoglie di videa e i captivi.
56 Lo'nvito di Gradasso e d'Agramante
E di Sobrino In pubblico fu espresso,
Tanto giocondo al Principe d'Anglante,
Che d'ampli doni onorar fece il messo.
Avea da' suoi compagni udito innante,
Che Durindana al fianco s'avea messo
Il Te Gradasso; ond'egli, per desire
Di racquistarla , in India volea gire.
51 Al re Agramante assai parve opportuna
Del re Gradasso la seconda offerta;
E si chiamò obbligato alla Fortuna,
Che l' avea tratto all' isola deserta :
Ma non* vur)l torre a condizione alcuna ,
Se racquistar credesse indi Biserta,
Che battaglia per lui Gradasso prenda;
Che 'n ciò gli par che l'onor troppo offenda.
52 S'a disfidar s'ha Orlando, son quell'io.
Rispose , a cui la pugna più conviene ;
E pronto vi sarò : poi faccia Dio
Di me come gli pare, o male o bene.
Facciam, disse Gradasso, al modo mio,
A un nuovo modo eh' in pensier mi viene :
Questa battaglia pigliamo ambedui
Incontra Orlando , e un altro sia con lui.
57 Stimando non aver Gradasso altrove,
Poi ch'udì che di Francia era partito.
Or più vicin gli è offerto luogo , dove
Spera che '1 suo gli fia restituito.
Il bel corno d'Ai monte anco lo muove
Ad accettar si volentier lo'nvito,
E Brigliador non men ; che sapea in mano
Esser venuti al figlio di Troiano.
58 Per compagno s* elegge alla battaglia
Il fedel Brandimarte e'I suo colato.
Provato ha quanto l'uno e l'altro vaglia;
Sa che da entrambi è sommamente amato.
Buon destrier, buona piastra e buona maglia .
E spade cerca e lance in ogni lato
A sé e a' compagni. Che sappiate parme,
Che nessun d' essi avea le solite arme. 59 Orlando (come io v*ho detto più volte)
Delle sue sparse per furor la terra :
Agli altri ha Rodomonte le lor tolte,
Ch' or alta torre in ripa un fiume serra.
Non se ne può per Africa aver molte ,
Sì perchè in Francia avea tratto alla guerra
Il re Agramante ciò ch'era di buono,
Sì perchè poche in Africa ne sono.
60 Ciò che di rug;ginoso e di brunito
Aver si può, fa ragunare Orlando;
E coi compagni intanto va pel lito
Della futura pugna ragionando.
Gli avvien ch'essendo fuor del campo uscito
Più di tre miglia, e gli occhi al mare alzando,
Vide calar con le vele alt« un legno
Verso il lito African senza ritegno.
61 Senza nocchieri e senza naviganti,
Sol come il vento e sua fortuna il mena,
Venia con le vele alte il legno avanti
Tanto , che si ritenne in su V arena.
Ma prima che di questo più vi canti ,
L*amor eh' a Ruggier porto , mi rimena
Alla sua istoria, e vuol ch'io vi racconte
Di lui e del guerrier di Chiaramonte.
62 Di questi duo guerrier dissi, che tra ti
S' erano fuor del marziale agone ,
Viste convenzi'on rompere e patti,
E turbarsi ogni squadra e legione.
Chi prima i giuramenti abbia disfatti ,
E stato sia di tanto mal cagione,
0 r imperator Carlo o il re Agramante ,
Studian saper da chi lor passa avante.
63 Un servitor intanto di Ruggiero ,
Ch'era fedele e pratico ed astuto,
Né pel conflitto dei due campi fiero
Avea di vista il patron mai perduto ,
Venne a trovarlo , e la spada e '1 destriero
Gli diede, perchè ansaci fosse in aiuto.
Montò Ruggiero , e la sua spada tolse ,
l^fa nella zuffa entrar non però volse.
64 Quindi si parte; ma prima rinnova
La convenzion che con Rinaldo avea:
Che se pergiuro il suo Agramante trova,
Lo lascerà con la sua setta rea.
Per quel giorno Ruggier fare altra prova
D'arme non volse; ma solo attendea
A fermar questo e quello, e a domandarlo
Chi prima roppe, o'I re Agramante o Carlo.
65 Ode da tutto *l m >ndo , che la parte
Del re Agramante fu che roppe primi.
Ruggiero ama Agramante; e se si parte
Da lui p'^r questo , error non lieve stima.
Fur le genti africane e rotte e sparte
(Questo ho già detto innanzi), e dalla cim^
Della volubil ruota tratte al fondo ,
Come piacque a colei ch'aggira il mondo.
66 Tra sé volve Ruggiero , e fa discorso ,
Se restar deve, o il suo Signor seguire.
Gli pon V amor della sua donna un morso ,
Per non lasciarlo in Africa più gire:
Lo volta e gira, ed a contrario corso
Lo sprona, e lo minaccia di punire,
Se'l patto e'I giuramento non tien saldo,
Che fatto avea col palalin Rinaldo.
Stanza ii5.
67 Non men dall'altra parte sferza e sprona
La vigilante e stimnlosa cura,
Che s' Agramante in quel caso abbandona,
A viltà gli sia ascritto ed a paura.
Se del restar la causa parrà buona
A molti , a molti ad accettar fia dura.
Molti diran che non si de' osservare
Quel eh' era ingiusto e illicito a giurare.
68 Tutto quel giorno e la notte seguente
Stette solingo, e così l'altro giorno.
Pur travagliando la dubbiosa mente,
Se partir deve , o far quivi soggiorno.
Pel Signor suo conclude finalmente
Di fargli dietro in Africa ritorno.
Potea in lui molto il coniugale amore;
Ma vi potea più il debito e 1* onore.
69 Torna verso Arli; che trovar vi spera
L' armata ancor , cb' in Africa il trasporti :
Né leg^o in mar né dentro alla rivera,
Né Saracini vede, se non morti.
Seco al partire og^ni legno che v^era
Trasse Agramaiite, e'I resto arse nei porti.
Fallitogli il pensier, prese il cammino
Verso Marsilia pei iito marino.
73 Venne in speranza di lontan Ruggiero,
Che questa fosse armata d'Agramaute;
E, per saperne il vero, urtò il destriero:
Ma riconobbe, come fu più innante,
li Re di Xasamona prigioniero ,
Bambirago , Agricalte e Feruraute ,
Manilardo e Balastro e Rìmedonte,
Che piangendo tenean bassa la fronte.
Stanza 74.
74 Roggier che gli ama , sofTerir non puote
Che stian nella miseria in che li trova.
Quivi sa ch^a venir con le man vaote.
Senza usar forza, il pregar poco giova.
La lancia abbassa, e chi li tien percuote;
E fa del suo valor l'usata prova:
Stringe la spada, e in un piccol momento
Ne fa cadere intorno più di cento.
75 Dudone ode il rumor , la strage vede ,
Che fa Ruggier ; ma chi sia non conosce :
Vede i suoi e' hanno in fuga volto il piede
Con gran timor, con pianto e con angosce.
Presto il destrier, lo scudo e Telmo chiede,
Che già avea armato e petto e braccia e cosce:
Salta a cavallo, e si fa dar la lancia,
E non obblia eh' é Paladin di Francia.
70 A qualche legno pensa dar di piglio ,
Ch'a prieghi o forza il porti all'altra riva.
Già v'era giunto del Danese il figlio
Con l' armata de' Barbari captiva.
Non si avrebbe potuto un gran di miglio
Gittar nell'acqua: tanto la copriva
La spessa moltitudine di navi.
Di vincitori e di prigioni, gravi.
71 Le navi de' Pagani, ch'avanzaro
Dal fuoco e dal naufragio quella notte,
Eccetto poche ch'in fuga n'andaro,
Tutte a Marsilia avea Dudon condotte.
Sette di quei eh' in Africa regnare ,
Che , poi che le lor genti videf rotte ,
Con sette legni lor s'eran renduti,
Stavan dolenti, lacrimosi e muti.
72 Era Dudon sopra la spiaggia uscito ,
Ch'a trovar Carlo andar volea quel giorno;
E de' captivi e di lor spoglie ordito
Con lunga pompa avea un trionfo adorno.
Eran tutti i prigion stesi nel Iito,
E i Nubi vincitori allegri intorno ,
Che faceauo del nome di Dudone
Intorno risonar la regione.
Stauza 81. 76 Grida che si ritiri ognun da canto.
Spinge il cavallo , e fa sentir gli sproni.
Ruggier cent' altri n'avea uccisi intanto,
E gran speranza dato a quei prigioni:
E come venir vide Dudon santo
Solo a cavallo , e gli altri esser pedoni ,
Stimò che capo e che Signor lor fosse;
E centra lui con gran desir si mosse. 77 Già mosso prima era Dudon , ma quando
Senza lancia Ruggier vide venire,
Luuge da sé la sua gittò, sdegnando
Con tal vantaggio il cavaìier ferire.
Ruggiero , al cortese atto riguardando ,
Di^e fra sé : Costui non può mentire ,
Ch! uno non sia di quei guerrier perfetti
Che Paladin di Francia sono detti. 80 Ma perchè in mente ognora avea di meno
Ofifenler la sua donna, che potea;
Ed era certo , se spargea il terreno
Del sangue di costui, che la offendea
(Delle case di Francia istrutto appieno ,
La madre di Dudone esser sapea
Armellina, sorella di Beatrice,
Ch'era di Bradamante genitrice).
78 S'impetrarlo potrò, vo*cheU suo nome,
Innanzi che segua altro , mi palese :
E cosi domandollo; e seppe come
Era Dudon , figliuol d' Uggier danese.
Dudon gravò Ruggier poi d'ugual some;
E parimente lo trovò cortese.
Poi che i nomi tra lor s'ebbono detti,
Si disfidare, e vennero agli effetti.
79 Avea Dudon quella ferrata mazza.
Ch'in mille imprese gli die eterno onore.
Con essa mostra ben, ch'egli è di razza
Di quel Danese pien d'alto valore.
La spada ch'apre ogni elmo, ogni corazza,
Di che non era al mondo la migliore,
Trasse Ruggiero, e fece paragone
Di sua virtude al paladin Dudone.
81 Per questo mai di punta non gli rass3
E di taglio rarissimo feria.
Schermiasi , ovunque la mazza calasse ,
Or ribattendo , or dandole la via.
Crede Turpin che per Ruggier restasse
Che Dudon morto in pochi colpi avria
Né mai , qualunque volta si scoperse ,
Ferir, se non di piatto, lo sofferse.
82 Di piatto usar potea, come di taglio,
Ruofgier la spada sua, eh' avea gran schena
E quivi a strano gioco di sonaglio
Sopra Dudon con tanta forza mena,
Che spesso agli occhi gli pon tal barbaglio
Che si ritien di non cadere a pena.
Ma per esser più grato a chi m'ascolta,
Io differisco il Canto a un' altra volta. NOTE. St. 3. V. 6-7. — Al Leon d*6r Cartiglio e *l morso, ecc.
Ripete della Hconfitta dat» sul Po ai Veneziani dal car-
dinal d'Este. ST. 9. V. 3. — Divino: indovino. St. 14. V. 1. — Cadì: nome di magistrato giudiziario
presso i Maomettani, il qnale hi in^ei-enza anche nelle
cose del culto. St. 16. V. 3. — Falariche: lunghe picche da lanciare,
che avevano fuochi lavorati avvolti intorno al ferro. —
Fonde 0 frombe ed anche fionde : strumenti di fune da
lanciar sassi o palle di piombo, adoperati anticamente
dalle milizie leggiere: erano lunghi circa due braccia,
ed aveano nel mezzo una reticella dove si metteva il
proiettile che volevasi scagliare.
St. 18. V. 4-5. — Coperti da testugjini e da gatti ,
Con, arieti, ecc. La testuggine era macchina murale d'of-
fesa, formata da una tettoia sovrappo&ta a quattro travi,
e coperta di cuoio fresco per garantirla dal fuoco: gì-
j-ava sulle mote, e potea volgersi da ogni binda. Sotto
di essa slavano i soldati riparati dalle offese del ne-
mico, per far agire altre macchine, o per altre opera-
zion Una di queste testuggini dicevasi dai Komani
anetartaf perchè sotto di essa pendeva orizzontalmente
Varieté, ch'era una trave ferrata in una delle sue estre-
mità, e con essa si battevano le mura nemiche. Il gatto
era un' altra specie di testuggine , e consisteva in un
tetto, 0 tavolata intessuto di vimini, e copei-to anch'esso
di pelli crude, sotto il quale pendeva o l'ariete, o nn
forte rampicene di ferro con cui si aggrappavano i
merli del muro, o le pietre già smosse dagli urti dell'a-
riete, che così era denominato, per una certa rassomi-
glianza alla t3sta e agli urti di. quell'animale.
St. 21. V. 2, — E quel c^w fu sì diami in aria ar-
dito: Astolfo.
St. 25. V. 6. — Dentrtì si diede : si mise , si lanciò
dentro.
St. 26. V. 3. — Affrappa: taglia a pez/.ì.
St. 31. V. 1-3. — // re de' fiumi: il Po. — Campi
Ocnei: campi del Mantovano, detti qui Ocnei da Ocno
figlio di Manto , creduto fondatore di Mantova insieme
con sua madre.
.St. 33. V. 4. — Di quel che cinge la vittu di Dite:
della palude Stigia.
St. 35. V. 6. — Dal duca dal Pardo: da Astolfo.
St. 41. V. 14. — Annibal e Jugurta, ecc, Annibal ri-
fuggitosi presso Prusia re della Bitinia, si avvelenò per
non esuer dal suo ospite consegnato ai Romani Jagurta,
o Giugiirta, re di Numidja, rimessosi al]» fede di Bocco,
re di Mauritania e suo genero. Ai da lui dato in mano
a Sillu, che lo fece morir di fame nel carcere Mamer-
lino. — L'un altro LvdovicQ: di Luigi XII re di Fran-
cia; nrlle cui mani Lodoxico Sforza cadde per tradi-
mento degli Svizzeri che teneva al proprio rervizio.
Si". 42. V. 1-6. — Allude alle circostanze in cui si trovò
il duca Alfonso, quando Giulio II con l'appoggio degli
Svizzeri gli mosse guerra. Alloi-a i Francesi, difensori
del duca, erano cacciati d' Italia , e gli Spagnuoli suoi
nemici tenevano il Regno di Napoli.
St. 4-1. V. 6-8. — la spiaggia mancina, Che per sa-
lute, ecc.. risoletta di Lampedusa, che giace tra la costa
d'Africa e la Sicilia. — J5t Vtiifau l'alta forno ce :lEtì\&,
nel cui interno finsero i poeti che fosse la principale
fucina di Vulcano.
St. 47. V. 8. — Doxria Fompeio i profvgi ammo
nire. Pompeo, disfatto da Cesare nei campi della Te^sa-
glia, si ricoveiò in Alessandria d'Egitto presso quel r
Tolomeo, il quale, per gratificarsi il vincitore , fece al
profugo mozzare il capo.
St. 60 V. 2 6. — 7/ JSilo parte t la diversa Itfjgt. I
Nubj abitanti oltre la destra sponda del Nilo, erano an-
che allora maomettani. — Corregge: regge.
St. 55. V. 2-4. — Lipadusa: Lampedusa, nominai a più
sopra. — Dal mare Medamo che li cince , è circoh
fusa: è bagnata all'intorno dal Meditenaneo, che ba-
gna anche Biserta, ove si trovano i cavalieri di Carle.
St. 57. V. 5. — Il lei corno d^Almonie: tolto ad A»
monte da Orlando, e cui poscia lo tolse Brunello.
St. 58. V. 2. — JS 7 svo co(,r,ato: Oliviero.
St. 73. V. 5-8. — L'Arie ito si Fcorda qui che Agri-
calte, Puliano e Balastro li ha fatti nccidei e nella I at-
taglia descritta nel Canto X^ I e XVIII. St. 82. V. 3-4. — E quivi a strano giuoco di «oiu-
glio , ecc. Jl giuoco del acuoglio è poco dissìmile da
quello che i fanciulli chiamano mosca-deca : nelqaal«>
si danno forti colpi ma non pericolosi; e tali erano i
colpi di Ruggiero sopra Dudone.
CANTO QUARANTESlMOPRlMi). Canto XLI. RiiK^iora e Timido ne ceasano il alla pugna, con fiatto di? siano
fatti lilutìrt i sette paesani re prigionierL Euggìturo sMm-
bari:a con fi.T-5Ì per TAfilca? e nel tragitto re^tiLtio tatti
siiminorsi p^;r fnrtuna ili mare, tranne HLi*;r^tero ; il quale
fìlli (ln(ti e pnitaU a salvam»nitu plesso un ri>nntf> , cho
gli pik^iliiif^ diverse cnsp. J,a nri.vp. vuota di gonte. capila
vicimi a Binerta, eon a bitrli il Riavallo, Ifl apada e J'ar-
matnm Uì Htii^i>iero. Odamio pflhdc {uìt s«- la ^^padu, dà
laiinatura a Ulìvlevo, u Brandmarto il r-a vallo ; e lutti
tre \ anno a Lam]>edusa rt;r battersi coi tiT padani. Sì
altiu^ca la zutr*, daianle lagnale Boluina e Olivier'^ iono
fcritij e liranfìiniaitR rimane uccìso.
I/odi.r di' è siinrs^tj in ben nullità e h^.lhi
0 cbioma cj bniba o delicata vesta
Vi giovane Irggiailro o dì rloiizelJn ,
ih' iiuior stive ti te I luti man do defila ;
Se &pira, e fa sxiitìr dì !^ò novella,
E dopo molti giomi ancora resta,
nostra con chiaro ed evidente effetto ,
Con^e a piincipio Iuolo era e ptifeito.
L'almo liquor che ai metitori suoi
Fece Icaro gustar con sno gran dauno ,
E che &i dice che già Celti e Boi
Fé' passar TAlpe, e nou sentir P affanno;
Mostra che dolce era a principio, poi
Che 8i serva ancor dolce al fin dell'anno.
L'arbor ch'ai tempo rio foglia non perde,
Mostra eh' a primavera era ancor verde.
L' incliU stirpe che per tanti lustri
Mostrò di cortesia sempre gran lume,
£ par eh' o^or più ne risplenda e lustri ,
Fa che con chiaro indizio si presume
Che chi progenerò gli Estensi illustri
Dovea d'ogni laudabile costume,
Che sublimar al ciel gli uomini suole,
Splender non men che fra le stelle il Sole.
Stanza 9.
Hnggier, come in ciascun suo degno gesto.
D'alto valor, di cortesia solca
Dimostrar chiaro segno e manifesto,
E sempre più magnanimo apparea;
Così verso Dudon lo mostrò in questo,
Col qual (come di sopra io vi dicea)
Dissimulato avea quanto era forte,
Per pietà che gli avea di porlo a morte.
Avea Dadon ben conosciuto certo,
Ch'ucciderlo Ruggier non l'ha voluto;
Perch' or s' ha ritrovato allo scoperto ,
Or stanco sì, che più non ha potuto.
Poiché chiaro comprende, e vede aperto
Che gli ha rispetto, -e che va ritenuto;
Quando di forza e di vigor vai meno ,
Di cortesia non vuol cedergli almeno.
Per Dio (dice). Signor, pace facciamo;
Ch' esser non può più la vittoria mia :
Esser non può più mia; che già mi chiamo
Vinto e prigion della tua cortesia.
Ruggier rispose: Ed io la pace bramo
Non men di te; ma che con patto sia.
Che questi sette Re e' hai qui legati ,
Lasci ch'in libertà mi sieno dati
E gli mostrò quei sette Re ch'io dissi
Che stavano legati a capo chino;
E gli soggiunse , che non gì' impedissi
Pigliar con essi in Africa il cammino.
E così furo in libertà rimessi
Quei Re ; che gliel concesse il Pala-lino :
E gli concesse ancor, eh' un legno tolse.
Quel eh' a lui parve, e verso Africa sciol.-».
CANTO QUARANTESIMOPRIMO.
8 II legno sciolse, e fé' scioglier la vela,
E si die al vento perfido in possanza,
Che da principio la gonfiata tela
Drizzò a cammino, e die al nocchier baldanza.
Il lito fugge, e in tal modo si cela,
CLe par che ne sia il mar rimaso sanza;
Keir oscurar del giorno fece il vento
Chiara la sua perfidia eM tradimento.
9 ^utossi dalla poppa nelle sponde ,
Indi alla prora, e qni non rimase anco.
Ruota la nave, ed 1 nocchier confonde;
Ch'or di dietro, or dinanzi, or loro è al fianco.
Sorgono altiere e minacciosa T onde :
Mugliando sopra il mar va il gregge bianco.
Di tante morti in dubbio e in pena stanno,
Quante son Tacque eh' a ferir li vanno.
10 Or da fronte or da tergo il vento spira,
E questo innanzi, e quello addietro caccia;
Un altro da traverso il legno aggira ,
E ciascun pur naufragio gli minaccia.
Quel che siede al governo , alto sospira
Pallido e sbigottito nella faccia;
E grida invano, e invan con mano accenna
Or di voltare , or di calar V antenna.
1 1 Ma poco il cenno , e '1 gridar poco vale :
Tolto è'I veder dalla piovosa notte.
La voce , senza udirsi , in aria sale ,
In aria che feria con maggior botte
De' naviganti il grido universale ,
E'I fremito dell'onde insieme rotte:
E in prora e in poppa e in ambedue le bande
Non si può cosa udir, che si comande.
Ì2 Dalla rabbia del vento che si fende
Nelle ritorte, escono orribil suoni.
Di spessi lampi l'aria si raccende;
Risuoua '1 ciel di spaventosi tuoni.
V è chi corre al timon , chi remi prende ;
Van per uso agli uflìcj a che son buoni:*
Chi s' affatica a sdorre e chi a legare ;
Vota altri l'acqua, e toma il mar nel marj
13 Ecco stridendo l' orribil procella
Che'l repentin furor di Borea spinge,
La vela coutra l'arbore flagella:
Il mar si leva , e quasi il cielo attinge.
Frangonsi i remi; e di fortuna fella
Tanto la rabbia impetuosa stringe,
Che la prora si volta , e verso 1' onda
fa rimaner la disarmata sponda.
14 Tutta sotto acqua va la destra banda ,
E sta per riversar di sopra il fondo.
Ognun , gridando , a Dio si raccomanda ;
Che più che certi son gire al profondo.
D' uno in un altro mal Fortuna manda :
Il primo scorre, e vien dietro il secondo.
Il legno vinto in più parti si lassa ,
E dentro l'inimica onda vi passa.
Stanza 15.
15 Muove crudele e spaventoso assalto
Da tutti i lati il tempestoso verno.
Veggon talvolta il mar venir tan t'aito,
Che par ch'arrivi insin al ciel superno.
Talor fan sopra l' onde in su tal salto ,
Ch' a mirar giù par lor veder lo 'nferno.
0 nulla 0 poca speme è che conforte;
E sta presente inevitabil morte. -
16 Tutta la notte per diverso mare
Scorsero errando ove caccioUi il vento ;
Il fiero vento che dovea cessare
Nascendo il giorno, e ripigliò augumcnto.
Ecco dinanzi un nudo scoglio appare:
Voglion schivarlo, e non v'hanno argumento.
Li porta, lor mal grado, a quella via
Il crudo vento e la tempesta ria.
17 Tre volte e quattro il pallido nocchiero
Mette vigor, perchè '1 timon sia volto,
E trovi più sicuro altro sentiero ;
Ma quel si rompe, e poi dal mar gli è tolto.
Ha si la vela piena il vento fiero ,
Che non si può calar poco né molto:
Né tempo han di riparo o di consiglio ;
Che troppo appresso è quel mortai periglio.
20 Del mare al fondo; e seco trawe quanti
Lasciaro a sua speranza il maggior le^aa.
Allor s^udi con dolorosi pianti
Chiamar soccorso dal celeste regno :
Ma quelle voci andaro poco innanti ,
Che venne il mar pien d'ira e di dis legno .
E subito occupò tutta la via
Onde il lamento e il flebil grido uscìa.
18 Poiché senza rimedio si comprende
La irreparabil rotta della nave,
Ciascuno al suo privato utile attende ,
Ciascun salvar la vita sua cura Ave.
Chi può più presto al palischermo scende;
^la quello è fatto subito sì grave
Per tanta gente che sopra v' abbonda ,
Che poco avanza a gir sotto la sponda.
21 Altri laggiù, senza apparir più, resta;
Altri risorge, e sopra Tonde sbalza:
Ohi vien nuotando, e mostra fuor la testa:
Chi mostra un braccio, e chi una gamba scalza.
Ruggier , che '1 minacciar della tempesta
Temer non vuol, dal fondo al sommo s'alza,
E vede il nudo scoglio non lontano ,
Ch'egli e i compagni avean fnggito invano.
4*
/^
Stanza 19.
19 Ruggier che vide il comite e'I padrone
E gli altri abbandonar con fretta il legno ,
Come senz'arme si trovò in giubbone,
Campar su quel battei fece disegno;
Ma lo trovò sì carco di persone ,
E tante venner poi, che Tacque il segno
Passaro in guisa, che per troppo pondo
Con tutto il carco, andò il legnetto al fondo;
22 Spera, per forza di piedi e di braccia
Nuotando, di salir sul lito asciutto.
Soffiando, viene, e lungi dalla faccia
L'onda respinge e l'importuno flutto.
Il vento intanto e la tempesta caccia
Il legno vóto, e abbandonato in tutto
Da quelli che per lor pessima sorte
Il disio di campar trasse alla morte. 23 Oh fiillace degli uomini credenza!
Campò la nave che dovea perire;
Quando il padrone e i galeotti senza
Governo alcun l'avean lasciata gire.
Parve che si mutasse di sentenza
Il vento , poi che ogni uom vide fuggire:
Fece che '1 legno a miglior via si torse ,
Né toccò terra, e in sicura onda corse. 29 E perchè gli facean poco mestiero
L'arme (ch'era inviolabile e affatato),
Contento fu che l'avesse Oliviero;
Il brando no, che sei pose egli a lato:
A Braudiraarte consegnò il destriero.
Cosi diviso ed ug:ualmente dato
Volse che fosse a ciaschedun compagno,
Ch'insieme si trovar, di quel guadagno.
24 E dove col nocchier tenne via incerta,
Poi che non l'ebbe, andò in Africa al dritto,
E venne a capitar pres?o a Biserta
Tre miglia o due , dal lato verso Egitto ;
E nell'arena sterile e deserta
Kestò, mancando il vento e l'acqua, fitto.
Or quivi sopravvenne, a spasso andando,
Come di sopra io vi narrava, Orlando.
25 E disioso di saper, se fiisse
La nave sola, e fusse o vota o carca.
Con Brandiraarte a quella si condusse ,
E col cogimto, in su una lieve barca.
Poi che sotto coverta s'introdusse,
Tutta la ritrovò d'uomini scarca:
Vi trovò sol Frontino il buon destriero.
L'armatura e la spada di Ruggiero;
26 Di cui fu per campar tanta la fretta ,
Ch'a tor la spada non ebbe pur tempo.
Conobbe quella il Paladin, che detta
Fu Baliwrda , e che già sua fu un tempo.
So che tutta l' istoria avete letta ,
Cume la tolse a Fallerina , al tempo
Che le distrusse anco il giardiu sì bello,
E come a lui poi la rubò Brunello ;
27 E come sotto il monte di Csrena
Brunel ne fé' a Rnggier libero dono.
Di che taglio ella fosse e di che schena,
N'avea già fatto esperimento buono;
Io dico Orlando; e peiò n'ebbe piena
Letizia, e ringrazionne il sommo Trono;
E si credette (e spesso il disse dopo)
Che Dio gliela mandasse a si grande uopo:
S8 A si grande uopo, quant'era, dovendo
Condursi col Signor di Sericana;
Ch'oltre che di valor fosse tremendo,
Sapea ch'avea Baiardo e Durindana.
L' altra armatura , non la conoscendo ,
Non apprezzò per cosa si soprana,
Come chi ne fé' prova; apprezzò quella,
Per buona sì, ma per più ricca e bella.
>/
stanza 22.
30 Pel di della battaglia ogni guerriero
Studia aver ricco e nuovo abito indosso.
Orlando ricamar fa nel quartiero
L'alto Babel dal fùlmine percosso.
Un can d'argento aver vuole Oliviero,
Che giaccia, e che la lassa abbia sul dosso,
Con un motto che dica : Finché vegna :
E vuol d' oro la veste , e di sé degna.
31 Fece disegno Brandimarte, il giorno
Della battaglia , per amor del padre
E per suo onor, di non andare adomo
Se non di sopravveste oscure et adre.
Fiordiligi le fé' con fregio intorno
Quanto più seppe far, belle e leggiadre.
Di ricche gemme il fregio era contesto:
D'un schietto drappo, e tutto nero il resto.
32 Fece la donna di sua man le sopra-
Vesti a cui l'arme converrian più fine,
De'quai Tosbergo il cavalier si copra,
E la groppa al cavallo e U petto e U criin.
Ma da quel dì che cominciò quest'opra,
Continuando a quel che le die fine ,
E dopo ancora, mai segno di riso
Far non potè, né d'allegrezza in viso.
83 Sempre ha timor nel cor, sempre tormento,
Che Brandimarte suo non le sia tolto.
Già l'ha veduto in cento lochi e cento
In gran battaglie e perigliose avvolto;
Né mai , come ora , simi'e spavento
Le agghiacciò il sangue e impallidille il volto.
E questa novità d'aver timore
Le fa' tremar di doppia tema il core.
34 Poi che son d'arme e d'ogni arnese in punto.
Alzano al vento i cr.valier le vele.
Astolfo e Sansonetto con l'assunto
Riman del grand'esercito fedele.
Fiordiligi col c-r di timor punto ,
Empiendo il ciel di voti e di querele ,
Quanto con vista seguitar le puotc,
Segue le vele in alto mar remote.
85 Astolfo a gran fatica e Sansonetto
- Potè levarla da mirar nell' onda ,
E ritrarla al palagio, ove sul letto
La lasciaro affannata e tremebonda.
Portava intanto il bel numero eletto
Dei tre buon cavalier l'aura seconda.
Andò il legno a trovar l'isola al dritto,
Ove far si dovea tanto conflitto.
Stanza 46.
36 Sceso nel lito il Cavalier d' Anglante ,
Il cognato Oliviero e Brandimarte,
Col padiglione il lato di Levante
Primi occupar; né forse il fér senz'arte.
Giunse quel dì medesimo Agramante
E s' accampò dalla contraria parte ;
Ma perchè molto era inchinata l' ora ,
Differir la battaglia nell'aurora.
37 Di qua e di là sin alla nuova luce
Stanno alla guardia i servitori armati.
La sera Brandimarte si conduce
Là dove i S.\racin sono alloggiati ,
E parla , con licenzia del suo duce ,
Al Re african, ch'amici erano stati;
E Brandimarte già cpn la bandiera
Del re Agramante in Francia passato era.
38 Dopo i saluti e '1 giunger mano a mino.
Molte ragion, sì come amico, disse
Il fedel Cavai iero al Re pagano,
Perchè a questa battasflia non venisse :
E di riporgli ogni cittade in mano ,
Che sia tra '1 Nilo e '1 segno eh' Ercol fis^e.
Con volontà d'Orlando gli offeria,
Se creder volea al Figlio di Maria.
39 Perché sempre v'ho amato ed amo molto,
Questo consiglio, gli dicea, vi dono;
E quando già , Signor , per me V ho tolto ,
Creder potete ch'io l'estimo buono.
Cristo conobbi Dio , Maumette stolto ;
E bramo voi por nella via in eh' io sono :
Nella via di salute, Signor, bramo
Che siate meco, e tatti gli altri ch'amo. 40 Qui consiste il ben vostro; né consiglio
Altro potete prender, che vi vaglia;
E men di tutti gli altri, se col figlio
Di Milon vi mettete alla battaglia:
Che il guadagno del vincere al perìglio
Della perdita grande non si agguaglia.
Vincendo voi, poco acquistar potete:
Ma non perder già poco , se perdete.
41 Quando uccidiate Orlando, e noi venuti
Qui per -morire o vincere con lui ,
Io non veggo per questo che i perduti
Dominj a racquistar s^abbian per vui.
Ne dovete sperar che si si muti
Lo stato delle cose, morti nui,
Ch'uomini a Carlo manchino da porre
Quivi a guardar fin all'estrema torre.
stanza 40.
42 Così parlava Brandimarte, ed era
Per soggiungere ancor molte altre cose;
Ma fu con voce irata e faccia altiera
Dal Pagano interrotto, che rispose:
Temerità per certo e pazzia vera
È la tua , e di qualunque che si pose
A consigliar mai cosa o buona o ria.
Ove chiamato a consigliar non sia.
43 E che U consiglio che mi dai , proceda
Da ben che m'hai voluto, e vuommi ancora,
Io non so , a dir il ver , come io tei creda
Quando qui con Orlando ti veggo ora.
Crederò ben, tu che ti vedi in preda
Di quel dragon che l'anime divora,
Che brami teco nel dolore eterno
Tutto '1 mondo poter trarre all' Inferno.
44 Ch'io vinca o perda, o debba nel mio regno
Tornare antiquo, o sempre stame in bando,
In mente sua n' ha Dio fatto disegno ,
Il qual né io , né tu , né vede Orlando.
Sia quel che vuol , non potrà ad atto indegno
Di Re inchinarmi mai timor nefando.
S'io fossi certo di morir, vo' morto
Prima restar, ch'ai sangue mio far torto.
45 Or ti puoi ritornar; che se migliore
Non sei dimani in questo campo armato,
Che tu mi sia paruto oggi oratore,
Mal troverassi Orlando accompagnato;
Queste ultime parole usciron fuore
Del petto acceso d'Agramante irato.
Ritornò Puno e T altro, e ripososse
Finché del mar il giorno uscito fosse.
46 Nel biancheggiar della nuova alba, firmati
E in un momento fiir tutti a cavallo.
Pochi sermon si son tra loro usati :
Non vi fu indugio , non vi fu intervallo ;
Che i ferri delle lance hanno abbassati.
Ma mi parria, Signor, far troppo fallo,
Se , per voler di costor dir, lasciassi
Tanto Ruggier nel mar, che v'affogassi.
47 II giovinetto con piedi e con braccia
Percotendo venia Porribil onde.
Il vento e la tempesta gli minaccia:
Ma più la coscì'enzia lo confonde.
Teme che Cristo ora vendetta faccia ;
Che , poiché battezzar nell' acque monde ,
Quando ebbe tempo., sì poco gli calse,
Or si battezzi in queste amare e salse.
48 Gli ritornano a mente le promesse
Che tante volte alla sua donna fece ;
Quel che giurato avea quando si messe
Centra Rinaldo e nulla satisfece.
A Dio , eh' ivi punir non lo volesse ,
Pentito disse quattro volte e diece ;
E fece voto di core e di fede
D'esser Cristian, se ponea in terra il piede:
49 E mai più non pigliar spada né lancia
Contra ai Fedeli in aiuto de' Mori;
Ma che ritomeria subito in Francia,
E a Carlo renderla debiti onori;
Né Bradamante più terrebbe a ciancia,
E verria a fine onesto dei suo' amori.
Miracol fti, che senti al fin del voto
Crescersi forza, e agevolarsi il nuoto.
50 Cresce la forza e l' animo indefesso :
Ruggier percuote l' onde e le respinge.
L' onde che seguon V una all' altra presso .
Di che una il leva, un'altra lo sospinge.
Cosi montando e discendendo spesso
Con gran travaglio , alfin l' arena attinge ;
E dalla parte onde s'inchina il colle
Più verso il mar, esce bagnato e molle.
51 Fur tutti gli altri , che nel mar si di?rii .
Vinti dall'onde e alfin restar nell'acque.
Nel solitario scoglio uscì Ruggiero,
Come all'alta Bontà divina piacque.
Poi che fu sopra il monte inculto e fiero
Sicur dal mar, nuovo timor gli nacque
D'avere esilio in sì stretto confine,
E di morirvi di disagio alfine.
52 Ma pur col core indomito , e costante
Di patir quanto é in ciel di lui prescrìtto ,
Pei duri sassi l'intrepide piante
Mosse, poggiando inver la cima al dritto.
Non era cento passi andato innante,
Che vide d'anni e d'astinenzie afflitto
Uom eh' avea d'eremita abito e segno,
Di molta reverenzia e d' onor degno ;
53 Che, come gli fu presso, Saulo, Saulo,
Gridò, perché perseguì la mia Fede?
(Come allor il Signor disse a san Paulo ,
Che'l colpo salutifero gli diede).
Passar credesti il mar, né pagar nanlo,
E defraudare altrui della mercede.
Vedi che Dio , e' ha lunga man , ti giunge ,
Quando tu gli pensasti esser più Innge.
54 E seguitò il santissimo Eremita ,
Il qual la notte innanzi avuto avea
In vision da Dio , che con sua aita
Allo scoglio Ruggier giunger dovea-
E di lui tutta la passata vita,
E la futura , e ancor la morte rea ,
Figli e nipoti ed ogni discendente
Gli avea Dio rivelato interamente.
55 Seguitò r Eremita riprendendo
Prima Ruggiero : e alfin poi confortollo.
Lo riprendea ch'era ito difi^erendo
Sotto il soave giogo a porre il collo;
E quel che dovea far , libero essendo ,
Mentre Cristo pregando a sé chiamollo.
Fatto avea poi con poca grazia, quando
Venir con sferza il vide minacciando. 56 Poi confurtollo che non niega il cielo,
Tardi o per tempo , Cristo a chi gliel chiede ;
E di quegli operari del Vangelo
Narrò, che tutti ebhono ugual mercede.
Con caritade e con devoto zelo
Lo venne ammaestrando nella Fede
Verso la cella sua con lento passo ,
Ch' era cavata a mezzo il duro sasso.
hS Eran degli anni ormai presso a quaranta ,
Che sullo scoglio il fraticel si messe;
Ch'a menar vita solitaria e santa
Luogo opportuno il Salvator gli elesse.
Di frutte còlte or d'una or d'altra pianta,
E d'acqua pura la sua vita resse,
Che valida e robusta e senz'affanno
Era venuta all'ottantesimo anno.
Stanza 5a
59 Dentro la cella il vecchio accese il fuoco ,
E la mensa ingombrò di vari frutti,
Ove si ricreò Ruggiero un poco,
Poscia ch'i panni e i capelli ebbe asciutti.
Imparò poi più ad agio in questo loco
l'i nostra Fede i gran misteri tutti j
£d alla imra fonte ebbe battesmo
11 di seguente dal vecchio medesmo.
Stanza 60.
60 Secondo il luogo, assai contento stava
Quivi Ruggier; chè'l luon servo di Dio
Fra pochi giorni int^nzion gli dava
Di rimandarlo ove più avea disio.
Di molte cose intanto Mgionava
Con lui sovente, or al regno di Dio,
Or alli propri oasi appertinenti ,
Or del suo sangue alle future genti.
57 Di sopra siede alla devota cella
Una piccola chiesa, che risponde
All'oriente, assai comoda e bella;
Di sotto un bosco scende sin all'onde,
Di lauri e di ginepri e di mortella,
E di palme fruttifere e feconde,
Che riga sempre una liquida fonte ,
Che mormorando cade giù dal monte.
61 Avea il Signor, che'l tutto intende e vede.
Rivelato al santissimo Eremita,
Che Ruggier da quel dì ch'ebbe la Fede,
Dovea sette anni, e non più, stare in vita;
Che per la morte che sua donna diede
A Pinabel, ch'a lui fia attribuita.
Saria, e per quella ancor di Bertolagi,
Morto dai ^laganzesi empi e malvagi :
62 £ che quel tradimento andrà sì occulto ,
Che non se n'udirà di fuor novella;
Perchè nel proprio loco fia sepulto,
Ove anco ucciso dalla gente fella:
Per questo tardi vendicato ed ulto
Fia dalla moglie e dalla sua sorella:
£ che col ventre pieu per lunga via
Dalla moglie fedel cercato fia.
65 £ perchè dirà Carlo in latino: Este
Signori qui , quando foragli il dono ;
Nel secolo futur nominato Este
Sarà il hel luogo con augurio buono;
E così lascerà il nome d'Ateste
Delle due prime note il vecchio suono.
Avea Dio ancora al servo suo predetta
Di Ruggier la futura aspra vendetta:
t^igWi
^
Stanza 61.
63 Fra l'Adige e la Brenta appiè de^ colli
Ch'ai troiano Antenór piacquero tanto,
Con le sulfuree vene e rivi molli ,
Con lieti solchi e prati ameni accanto,
Che con l' alto Ida volentier m atolli ,
Col sospirato Ascanio e caro Xanto ,
A partorir verrà nelle foreste
Che son poco lontane al frigio Ateste :
64 £ ch'in bellezza ed in valor cresciuto
Il parto suo, che pur Ruggier fia detto ,
£ del sangue troian riconosciuto
Da quei Troiani , in lor Signor fia eletto ;
£ poi da Carlo , a cui sarà in aiuto
Incontra i Longobardi giovinetto ,
Dominio giusto avrà del bel paese,
£ titolo onorato di Marchese.
66 Ch'in visione alla fedel consorte
Apparirà dinanzi al giorno un poco;
£ le dirà chi l'avrà messo a morte ^ •
£, dove giacerà, mostrerà il loco:
Ond'ella poi con la cognata forte
Distruggerà Pontieri a ferro e a fuoco ;
Né farà a'Maganzesi minor danni
Il figlio suo Ruggiero, ov' abbia gli anni.
67 D' Azzi , d* Alberti , d' Obici discorso
Fatto gli aveva, e di lor stirpe bella,
Insino a Niccolò , Leonello , Borso ,
Ercole, Alfonso, Ippolito e Isabella.
Ma il santo vecchio, ch'alia lingua ha il morso.
Non di quanto egli sa però favella:
Narra a Ruggier quel che narrar convìensi;
E quel ch'in sé de' ritener, ritiensi.
68 In questo tempo Orlando e Brandimarte
£ '1 marchese Olivier col ferro basso
Vanno a trovare il Saracino Marte
(Che così nominar si può Gradasso),
E gli altri duo che da contraria parte
Han mosso il buon destrier più che di passo;
Io dico il re Agramante e '1 re Sobrino :
Rimbomba al cor?o il lito e'I mar vicino.
69 Quando allo scontro vengono a trovarsi ,
E in tronchi vola al ciel rotta ogni lancia ,
Del gran rumor fu visto il mar gonfiarsi ,
Del gran rumor che s'udì sino in Francia.
Venne Orlando e Gradasso a riscontrarsi;
E potea stare ugual questa bilancia ,
Se non era il vantaggio di Baiardo,
Che fé' parer Gradasso più gagliardo.
70 Percosse egli il destrier di minor forza.
Ch'Orlando avea, d'un urto così strano,
Che lo fece piegare a poggia e ad orza ,
E poi cader, quanto era lungo, al piano.
Orlando di levarlo si risforza
Tre volte e quattro, e con sproni e con mau«>:
E quando alfin noi può levar, ne scende,
Lo scudo imbraccia, e Balisarda prende.
71 Scontrossi col Re d'Africa Oliviero;
£ fur di quello incontro a paro a paro.
Brandimarte restar senza destriero
Fece Sobrin, ma non si seppe chiaro
Se v'ebbe il destrier colpa, o il cavaliero;
Ch'avvezzo era cader Sobrin di raro.
0 del destriero, o suo pur fosse il fallo,
Sobrin si ritrovò giù del cavallo.
72 Or Brandimarte, che vide per terra
Il re Sobrin, non l'assalì altrimente;
Ma contro il re Gradasso si disserra,
Ch'avea abbattuto Orlando parimente.
Tra il Slarchese e Agramante andò la guerra
Come fu cominciata primamente;
Poi che si roppon l'aste negli scudi,
S'eran tornati incontro a stocchi ignudi.
Stanza 74.
73 Orlando , che Gradasso in atto vede ,
Che par eh' a lui tornar poco gli caglia;
Né tornar Brandimarte gli concede ,
Tanto lo stringe e tanto lo travaglia;
Si volge intorno, e similmente a piede
Vede Sobrin che sta senza battaglia.
Vèr lui s'avventa; e al muover delle piante
J?'a il ciel tremar del suo fiero sembiante.
74 Sobrin, che di tanto uora vede l'assalto,
Stretto nell'arme s'apparecchia tutto:
Come nocchiero a cui vegna a gran salto
Muggendo incontra il minaccioso flutto ,
Drizza la prora, e quando il mar tant'alto
Vede salire, esser vorria all'asciutto.
Sobrin lo scudo oppone alla mina
Che dalla spada vien di Fallerina.
Sunza 78.
75 Di tal finezza è quella Balisarda ,
Che l'arme le puon far poco riparo:
In man poi di persona si gagliarda.
In man d'Orlando, unico al mondo o raro.
Taglia lo scudo; e nulla la ritarda
Perchè cerchiato sia tutto d'acciaro:
Taglia lo scudo, e sino al fondo fende,
E sotto a quello in su la spalla scende.
76 Scende alla spalla; e perchè la ritrovi
Di doppia lama e di maglia coperta ,
Non vuol però che molto ella le giovi ,
Che di gran piaga non la lasci aperta.
Mena Sobrin ; ma indarno è che si provi
Ferire Orlando , a cui per grazia certa
Diede il Motor del cielo e delle stelle ,
Che mai forar non se gli può la pelle,
77 Raddoppia il colpo il valoroso Conte,
E pensa dalle spalle il capo torgli.
Sobrin che sa il valor di Chiaramonte ,
E che poco gli vai lo scudo opporgli ,
S'arretra; ma non tanto, che la fronte
Non venisse anco Balisarda a còrgli.
Di piatto fu , ma il colpo tanto fello ,
Ch'ammaccò l'elmo, e gl'intronò il cervello.
78 Cadde Sobrin del fiero colpo in terra ,
Onde a gran pezzo poi non è risorto.
Crede finita aver con lui la guerra
Il Paladino, e che si giaccia morto;
E verso il re Gradasso si disserra ,
Che Brandimarte non meni a mal porto:
Chè'l Pagan d'arme e di spada l'avanza,
E di destriero , e forse di possanza.
V f^*^^'''*^^^^^^^^^
Stanza 85.
79 L'ardito Brandimarte in su Frontino,
Quel buon destrier che di Ruggier fu dianzi ,
Si porta cosi ben col Saracino,
Che non par già che quel troppo l'avanzi;
E s'egli avesse osbergo cosi fino,
Come il Pagan, gli starla meglio innanzi;
Ma gli convien , che mal si sente armato ,
Spesso dar luogo or d'uno or d'altro lato.
80 Altro destrier non è che meglio intenda
Di quel Frontino il cavillerò a cenno:
Par che , dovunque Durindana scenda ,
Or quinci or quindi abbia a schivarla senno.
Agramante e Olivier battaglia orrenda
Altrove fanno, e giudicar si denno
Per duo guenier di pari in arme accorti,
E poco differenti in esser forti.
81 Avea lasciato, come io dissi, Orhindo
Sobrino in terra ; e contra il re Gradasso .
Soccorrer Brandimarte disiando.
Come si trovò a pie , venia a gran passo.
Era vicin per assalirlo, quando
Vide in mezzo del campo andare a spasso
Il buon cavallo onde Sobrin fu spinto ;
E per averlo , presto si fu accinto.
82 Ebbe il destrier, che non trovò contesa,
E levò un salto , ed entrò nella sella.
Nell'una man la spada tien sospesa,
Mette l'altra alla briglia ricca e bella.
Gradasso vede Orlando , e non gli pesa
Ch' a lui ne viene , e per nome l' appella.
Ad esso e a Brandimarte e all'altro spera
Far parer notte , e che non sia ancor sera.
S'd Voltasi al Conte, e Brandimarte lassa,
E d' una punta lo trova al camaglio :
Fuorché la carne , ogni altra cosa pasa ;
Per forar quella è vano ogni travaglio.
Orlando a un tempo Balisarda abbassa:
Non vale incanto ov'ella mette il taglio.
L' elmo , lo scudo , 1' osbergo e l' arnese .
Venne fendendo in giù ciò ch'ella prese;
84 E nel volto e nel petto e nella coscia
Lasciò ferito il Re di Sericana,
Di cui non fu mai tratto sangue, poscia
Ch' ebbe queir arme : or gli par cosa strana
Che quella spada (e n'ha dispetto e angoscia)
Le tagli or si; né pur é Durindana.
E se più lungo il colpo era o più appreso ,
L'avria dal capo insino al ventre fésso
85 Non bisogna più aver nell' arme fede ,
Come avea dianzi; che la prova è fatta.
Con più riguardo e più ragion procede,
Che non solea; meglio al parar si adatta.
Brandimarte ch'Orlando entrato vede,
Che gli ha di man quella battaglia tratta.
Si pone in mezzo all'una e all'altra pugna,
Perchè in aiuto , ove è bisogno , gingna.
86 Essendo la battaglia in tale istato,
Sobrin , eh' era giaciuto in terra molto .
Si levò poi ch'in sé fu ritornato;
E molto gli dolca la spalla e 'l volto.
Alzò la vista, e mirò in ogni Iato:
Poi, dove vide il suo Signor, rivolto,
Per dargli aiuto i lunghi passi torse
Tacito sì, ch'alcun non se u' accorse.
TANTO QUARANTESIMOPRIMO.
647
87 Vieu dietro »ad Olivier, che tenea gli occhi
Al re Affamante, e poco altro attendea;
E gli feri nei deretin ginocchi
Il deatrier di percossa in modo rea,
Che senza indugio è forza che trabocchi.
Cade Olivier; nè^l piede aver potea,
Il manco pie ch'ai non pensato caso
Sotto il cavallo in staffa era rimaso.
91 Trovato ha Brandimarte il re Agramante,
E cominciato a tempestargli intorno :
Or con Fronti n gli è al fianco, or gli è davante,
Con quel Frontin che gira come un torno.
Buon cavallo ha il figliaol di Monodante;
Non l' ha peggiore il re di Mezzogiorno :
Ha Brigliador che gli donò Ruggiero
Poi che lo tolse a Mandricardo altiero.
<^'
Stanza 87.
88 Sobrin raddoppia il colpo , e di riverso
Gli mena, e se gli crede il capo torre;
Ma lo vieta V acciar lucido e terso ,
Che temprò già Vulcan, portò già Ettorre.
Vede il periglio Brandimarte , e verso
Il re Sobrino a tutta briglia corre;
E lo fere in sul capo, e gli dà d'urto:
Ma il fiero vecchio è tosto in pie risurto;
89 E toma ad Olivier per dargli spaccio ,
Sì eh' espedito all'altra vita vada;
O non lasciare almen eh' esca d' impaccio ,
2^Ia che si stia sotto il cavallo a bada.
Olivier e' ha di sopra il miglior braccio ,
Sì che si può difender con la spada,
Di qua di là tanto percuote e punge,
Che , quanto è lunga , fa Sobrin star lunge.
90 Spera , s' alquanto il tien da sé rispinto ,
In poco spazio uscir di quella pena.
Tutto di sangue il vede molle e tinto,
E che ne versa tanto in su l'arena,
Che gli par eh' abbia tosto a restar vinto :
Debole è si, che si sostiene a pena.
Fa per levarsi Olivier molte prove.
Né da dosso il destrìer però si muove.
92 Vantaggio ha beuB assai dell' armatura ;
A tutta prova Pha buona e perfetta.
Brandimarte la sua tolse a ventura ,
Qual potè avere a tal bisogno in fretta:
Ma sua animosità si V assicura ,
Ch' in miglior tosto di cangiarla aspetta :
Come che'l Re african d'aspra percossa
La spalla destra gli avea fatta rossa ,
93 E serbi da Gradasso anco nel fianco
Piaga da non pigliar però da gioco.
Tanto l'attese al varco il guerrier franco.
Che di cacciar la spada trovò loco.
Spezzò lo scudo, e ferì il braccio manco,
E poi nella man destra il toccò un poco.
Ma questo un scherzo si può dire e un spasso
Verso quel che fa Orlando e '1 re Gradasso.
stanza 88.
94 Gradasso ha mezzo Orlando disarmato;
L'elmo gli ha in cima e da dui lati rotto ;
E fattogli cader lo scudo al prato ,
Osbergo e maglia apertagli di sotto:
Non l' ha ferito già ; ch* era affatato.
Ma il Paladino ha lui peggio condotto:
In faccia , nella gola , in mezzo il petto
L'ha ferito, oltre a quel che già v'ho detto.
95 Gradasso disperato, che si vede
Del proprio sangue tutto molle e brutto,
E ch'Orlando del suo dal capo al piede
Sta dopo tanti colpi ancora asciutto ;
Leva il brando a due mani, e ben si crede
Partirgli il capo, il petto, il ventre e'I tutto;
E appunto , come vuol , sopra la fronte
Percuote a mezza spada il fiero Conte.
100 Padre del elei , dà fra gli eletti tuoi
Spiriti luogo al martir tuo fedele.
Che giunto al fin de' tempestosi suoi
Viaggi, in porto ormai lega le vele.
Ah Durindana, dunque esser tu puoi
Al tuo signore Orlando sì crudele ,
Che la più grata compagnia e più fida
Ch'egli abbia al mondo, innanzi tu gli ncdda?
96 E s' era altro eh' Orlando , l' avria fatto ;
L' avria sparato fin sopra la sella :
Ma , come colto l' avesse di piatto ,
La spada ritornò lucida e bella.
Della percossa Orlando stupefatto.
Vide, mirando in terra, alcuna stella.
Lasciò la briglia, e 'I brando avria lasciato;
Ma di catena al braccio era legato.
97 Del suon del colpo fu tanto smarrito
Il corridor eh' Orlando avea sul dorso ,
Che discorrendo il polveroso lito,
Mostrando già quanto era buono al corso.
Della percossa il Conte tramortito.
Non ha valor di ritenergli il morso
Segue Gradasso, e l' avria tosto giunto,
Poco più che Ba lardo avesse punto.
98 Ma nel .voltar degli occhi, il re Agramantc
Vide condotto all' ultimo periglio ;
Che nell'elmo il figliuol di Monodante
Col braccio manco gli ha dato di piglio ,
E gliel'ha dislacciato già davante,
E tenta col pugnai nuovo consiglio;
Né gli può far quel Re difesa molta ,
Perchè di man gli ha ancor la spada tolta.
f^9 Volta Gradasso , e più non segue Orlando ;
Ma , dove vede il re Agramante , accorre.
L' incauto Brandimarte , non pensando
Ch'Orlando costui lasci da sé tórre.
Non gli ba né gli occhi né '1 pensiero, instando
Il coltel nella gola al Pagan porre.
Giunge Gradasso, e a tutto suo potere
Con la spada a due man l' elmo gli fere.
Stanza 97.
101 Di ferro un cerchio grosso era duo dita
Intorno all'elmo, e fu tagliato e rotto
Dal gravissimo colpo , e fu partita
La culfia dell' acciar ch'era di sotto.
Brandimarte con faccia sbigottita
Giù del destrier si riversò di botto;
E fuor del capo fé' con larga vena
Correr di sangue un fiume in su l'arena.
102 II Conte .si risente, e gli occhi gira.
Ed ha il suo Brandimarte in terra scorto;
E sopra in atto il Serican gli mira,
Che ben conoscer può che glie T ha morto.
Non so se in lui potè più il duolo o l'ira;
Ma da piangere il tempo avea sì corto ,
Che restò il duolo, e Tira uscì più in fretti».
Ma tempo è omai che fine al Canto io metta. NOTE. St. 2. V. 1. — L'almo liquor, ecc. Intendesi il vino
dato da Bacco ad Icaro, e più comunemente Icario, fi-
glio di Ebaio re di Laconia. Qaesti ne fece bere ai suoi
mietitori , i quali ne divennero ubbrlachi ; e creden-
dosi da lui avvelenati. Io gettarono in un pozzo ,'dove
morì. — V. 6. Celti e Boi: popoli delle Gallie, che ade-
scati dalla bontà delle frutta, e segnatamente del vino
d' Italia , passarono le Alpi e posero sede nella Peni-
sola. St. 9. V. 6-7. — Mugliando sopra il mar va il gregge
bianco. I mostri marini van mugliando, ecc., detti bian-
chi perchè classificati tra i pesci , e gregge , psrchè
diti in guardia, secondo le favole , e condotti dal dio
Pi-oteo.
St. 19. V. 1. — IZ cornile e H padrone. Nelle galere
dicevasi comite o cornilo il basso uffiziale che soprav-
veglia alla ciurma, e ordina le manovre. Padrone cbia-
mavasi il capitano dei minori navigli. St. 26. V. 5. — .Sto cJì^ tutta l'istoria avete letta. Al
Canto XVII, lib I, dell'Orbando 7/ma morato del Boiardo.
St. '28. V. 5. — L^altra armatura, ecc. Ruggiero aveva
conquistata l'armatura d'Ettore Troiano, figliuolo di
Priamo, portata da Mandricardo. Vedi Canto XXX, St. 74.
St. 36. V. 2-4. — Brandimarte: Costei em venuta in
Francia ad .\rdenna con Ruggiero, Gi-adasso e Mandri-
cardo per liberare Orlando, ch'era tenuto allacciato da-
gli incanti di Atlante. Vedi Semi, Canto LXVI, St. 14,
e Canto LXVII , St. 17, ^7 e segj. — liè forse il fèr
Sem* arte: perchè era gran vantaggio che il sole, na-
scendo dietro le loro spalle, battes.se in faccia i nemici^
St. .38. v. 'ò. — Il fedel cavaliero, ecc. Brandimarte
era stato battezzato da Orlando, trovandosi amendue
prigioni di Monodante. Berni, Orlando IiinamoratOf
Canto XLI, Stanza 11.
St. 43. V. 6. — Di quel dragon : del dem(Tnio.
St. 53. V. 5. — Naulo (o più comunemente nolo) ciò
che si paga per fare un viaggio marittimo. Qui il naulo
che Dio fa paga^ a Ruggiero per quel tragitto , è il
naufragio, qual gastigo del recalcitrare di lui alle di-
vine chiamate.
St. 63. V. 1-3. — Fra V Adige e la Brenta: fiumi che
limitano il territorio di Padova da mezzogiorno a set-
tentrione. — Al troiano Antenòr piacquero tanto. Se-
guita r opinione che Antenore fuggitivo da Troia ve-
nisse in Italia, e vi fondasse Padova. — Lealtà Ida:
montagna di Frigia, non lungi da Troia. — Ascanio:
nome di lago e fiume nell i Misia, soggetta al re Priamo.
— Xanto, 0 Scamandro, fiumicello vicino a Troia. —
Al frigio Ateste: nome antico del castello d'Este sul
padovano; e il Poeta Io dicefriglOt perchè in que' tempi
credevasi fabbricato dai Troiani.
St. 65. v. 6. — Delle due prime note: dell'A e del T,
che sono le due prime lettere della parola Ateste. Gl'im-
peratori, quando a rimeritare alcuno de' loro seguaci o
capitani voleano costituirlo signore di qualche luogo,
dicevano in latino: Este hic domini, cioè siate qui si-
onori. Or quando Carlo Magno donò a Ruggiero l'antico
castello di Ateste, dovette pure pronunciare tali parole.
E da questo costume e dal nome del suddetto castello,
l'Ariosto, puntualmente seguendo i Cronisti originò il
cognome dei duchi di Ferrara.
St. 83. y. 2. — E d'una punta lo trova: lo colpisce,
lo percuote. — Camaglio: parte dell'armatura che di-
fende il collo.
Canto XLIl (lANTO QUARANTESIMOSECONDO. ABQOMENTO. Il combattimento in Lampedusa ttuwec con la morte di Qn-
dasso e di Af^ramanto, uccisi per mano d'Orl&tido, eh© con-
fliTva in vita J^obnno- Bnidamaiito ai accora pel rilanJo di
RtiSgicro; e Rinaldo, o^ll'andare in traccia il'Attg^lic», trOT»
crii lo gtiari^^ce dairainOLOsa piscione. iQC&mmtEiatosì quindi
juH- raggi u(ij;jti re tarlando , s' imbatto in an cavallerìe ehfl la
accoglie in un magni Itco palazzo ornato di aiatQe rapiirefcn^
tanti varie do a uè Ki^leni^i; ed Ivi T oapite gli propoite om
mnàtù onik c[:rti Scarsi sulla fedeltà della moglie.
1 Qiml duro freno, o qnal hnìgno nodo,
Qimi , s' e4ser può , catena di diaìnante
Farà che V ira servi ordine e modo ,
Che non trascorra oltre al prescrìtto innante,
Quando persona, che con saldo chiodo
T^ abbia già fìssa Amor nel cor costante,
Tu vegga o per violenzia o per inganno
Patire o disonor o mortai danno ?
E 8^ a cradel, s^ad inumano effetto
Quell'impeto talor P animo svia,
Merita escusa; perchè allor del petto
Non ha ragione imperio né balia.
Achille, poi che sotto il falso elmetto
Vide Patroclo insanguinar la via,
D'uccider chi l'uccise non fu sazio,
Se noi traea, se non ne facea strazio.
Invitto Alfonso , simile ira accese
La vostra gente il di che vi percosse
La fronte il grave sasso , e si v* offese ,
Ch' ognun pensò che l' alma gita fosse :
L'accese in tal furor, che non difese
Vostri inimici argini o mura o fosse,
Che non fessine insieme tutti morti,
Senza lasciar chi la novella porti.
Il vedervi cader causò il dolore
Che i vostri a furor mosse e a crudeltade.
S'eravate in pie voi, forse minore
Licenzia avrian ayute le lor spade.
Era vi assai, che la Bastia in manche ore
V'aveste ritornata in potestade,
Che tolta in giorni a voi non era stata
Da gente Cordovese e di Granata.
Forse fu da Dio vindice permesso
Che vi trovaste a quel caso impedito ,
Acciò che '1 crudo e scellerato eccesso
Che dianzi fatto avean , fosse punito ;
Che, poi ch'in lor man vinto si fu messo
Il miser Vestidel, lasso e ferito,
Senz'arme fa tra cento spade ucciso
Dal popol la più parte circonciso.
Ma perch' io vo' concludere , vi dico
Che nessun' altra quell'ira pareggia.
Quando Signor, parente, o sozio antico
Dinanzi agli occhi ingiuriar ti veggia.
Dunque è ben dritto , per sì caro amico ,
Che subit'ira il cor d'Orlando feggia;
Che dell' orribil colpo che gli diede
Il re Gradasso , morto in terra il vede.
Qual nomade pastor , che vedut' abbia
Fuggir strisciando l'orrido serpente
Che il figliuol, che giocava nella sabbia,
Ucciso gli ha col venenoso dente,
Stringe il baston con collera e con rabbia;
Tal la spada, d'ogn' altra più tagliente,
Stringe con ira il cavalier d' Anglante :
Il primo che trovò, fu il re Agramante,
8 Che sanguinoso, e della spada privo ,
Con mezzo scudo , e con l' elmo disciolto ,
E ferito in più parti ch'io non scrivo,
S' era di man di Brandimarte tolto ,
Come di pie all' astor sparvier mal vivo ,
A cui lasciò alla coda , invido o stolto.
Orlando giunse, e messe il colpo giusto
Ove il capo si termina col busto.
9 Sciolto era l' elmo , e disarmato il collo ,
^ che lo tagliò netto come un giunco.
Cadde e die nel sabbion l'ultimo crollo
Del regnator di Libia il grave tronco.
Corse lo spirto all' acque , onde tiroUo
Caron nel legno suo col graffio adunco.
Orlando sopra lui non si ritarda ,
Ma trova il Serican con Balisarda.
10 Come vide Gradasso d'Agramante
Cadere il busto dal capo diviso;
Quel che accaduto mai non gli era innante ,
Tremò nel core, e si smarrì nel viso:
E all' arrivar del cavalier d' Anglante ,
Presago del suo mal, parve conquiso.
Per schermo suo , partito alcun non prese ,
Quando il colpo mortai sopra gli scese.
11 Orlando lo ferì nel destro fianco
Sotto r ultima costa ; e il ferro, immerso
Nel ventre, un palmo uscì dal lato manco ,
Di sangue sin all'elsa tutto asperso.
Mostrò ben che di man fu del più franco
E del miglior guerrier dell' universo
n colpo eh' un Signor condujse a morte,
Di cui non era in Paganìa il più forte.
12 Di tal vittoria non troppo gioioso ,
Presto di sella il Paladin si getta ;
E col viso turbato e lagrimoso
A Brandimarte suo corre a gran fretta.
Gli vede intorno il campo sanguinoso :
L'elmo, che par ch'aperto abbia un'accetta.
Se fosse stato firal più che di scorza ,
Difeso non l' avria con minor forza.
13 Orlando l' elmo gli levò dal viso ,
E ritrovò che '1 capo sino al naso
Fra r uno e l' altro ciglio era diviso :
Ma pur gli è tanto spirto anco rimaso ,
Che de' suoi falli al Re del Paradiso
Può domandar perdono anzi l'occaso;
E confartar il Conte, che le gote
Sparge di pianto , a pazì'enzia puote ;
14 E dirgli: Orlando, fa che ti raccordi
Di me neirorazion tue grate a Dio:
Né meu ti raccomando la mia Fiordi....
Ma dir non potè ligi: e qui finio.
E voci e Huoni d'Angeli concordi
Tosto in aria s' udir , che l' alma uscio ;
La qual , disciolta dal corporeo Telo ,
Fra dolce melodia sali nel cielo.
15 Orlando , ancorché far dovea allegrezza
Di sì devoto fine, e sapea certo
Che Brandimarte alla suprema altezza
Salito era , che U ciel gli vide aperto ;
Pur dair umana volontade , avvezza
Coi fragil sensi, male era sofferto
Ch'un tal più che fratel gli fosse tolto,
E non aver di pianto umido il volto.
16 Sobrin che molto sangue avea perduto,
Che gli piovea sul fianco e sulle gote,
Riverso già gran pezzo era cadalo ,
E aver ne dovea ormai le vene vote
Ancor giacca Olivier; né riavuto
Il piede avea, né riaver lo puote
Se non ismosso , e dallo star che tanto
Gli fece il destrier sopra, mezzo infranto:
Ì7 E seU cognato non venia ad aitarlo,
Siccome lacrimoso era e dolente,
Per sé medesmo non potea ritrarlo*.
E tanta doglia e tal martir ne sente ,
Che ritratto che Tehbe, né a mutarlo
Né a fermarvisi sopra era possente;
E n'ha insieme la gamba si stordita,
Che muover non si può, se non si aita.
Stanza 9.
18 Della vittoria poco rallegrosse
Orlando; e troppo gli era acerbo e duro
Veder che morto Brandimarte fosse.
Né del cognato molto esser sicuro.
Sobrin che vivea ancora, ritrovosse.
Ma poco chiaro avea con molto oscuro:
Che la sua vita per l'uscito sangue
Era vicina a rimanere esangue.
19 Lo fece tdr, che tutto era sanguigno.
Il Conte, e medicar discretamente;
E confortollo con parlar benigno ,
Come se stato gli fosse parente :
Che dopo il fatto nulla di maligno
In sé tenea, ma tutto era clemente.
Fece dei morti arme e cavalli torre;
I)el resto a' servi lor lasciò disporre.
20 Qui della istoria mia , che non sia vera ,
Federigo Fulgoso é in dubbio alquanto ;
Che con Tarmata avendo la riviera
Di Barberia trascorsa in ogni canto ,
Capitò quivi, e Pisola sì fiera.
Montuosa e inegual ritrovò tanto.
Che non è, dice, in tutto il luogo strano
Ove un sol pie si possa metter piano:
21 Né verisimil tien che nell'alpestre
Scoglio sei cavalieri , il fior del mondo ,
Potesson far quella battaglia equestre.
Alla quale obiezion così rispondo:
Ch'a quel tempo una piazza delle destre,
Che sieno a questo, avea lo scoglio al fondo:
Ma poi , eh' un sasso , che 'l tremuoto aperse
Le cadde sopra, e tutta la coperse.
22 Si che , 0 chiaro fulgor della Fnlgosa
Stirpe. 0 serena, o sempre viva luce,
Se mai mi riprendeste in questa cosa,
E forse innanti a quello invitto Duce,
Per cui la vostra patria or si riposa,
Lascia ogni odio, e in amor tutta sMnduce;
Vi priego che non siate a dirgli tardo.
Ch'esser può che né in questo io sia bugiardo.
23 In questo tempo , alzando gli occhi al mare,
Vide Orlando venire a vela in fretta
Un na villo leggier, che di calare
Facea sembiante sopra P isoletta.
Di chi si fosse, io non voglio or contare,
Peic' ho più d' uno altrove che m' aspetta.
Veggiamo in Francia, poi che spinto ne hanno
I Saracin. se mesti o lieti stanno.
24 Veggiam che fa quella fedele amante ,
Che vede il suo contento ir si lontano;
Dico la travagliata Bradamante,
Poi che ritrova il giuramento vano ,
Ch'avea fatto Ruggier pochi di innante.
Udendo il nostro e T altro stuol pagano.
Poi chMn questo ancor manca, non le avanza
In ch^ella debba più metter speranza:
25 E ripetendo i pianti e le querele,
Che pur troppo domestiche le furo.
Tornò a sua usanza a nominar crudele
Ruggiero , e U suo destin spietato e duro.
Indi sciogliendo al gran dolor le vele,
II Ciel che consentia tanto pergiuro ,
Né fatto n'avea ancor segno evidente.
Ingiusto chiama, debole e impotente.
26 Ad accusar Melissa si converse ,
E maledir Toracol della grotta;
Ch*a lor mendace suasion s'immerse
Nel mar d'Amore, ov'è a morir condotta.
Poi con Marfisa ritornò a dolerse
Del suo fratel , che le ha la fede rotta ;
Con lei grida e si sfoga, e le domanda.
Piangendo, aiuto, e se le raccomanda.
27 Marfisa si ristringe nelle spalle,
E, quel sol che può far, le dà conforto;
Né crede che Ruggier mai cosi falle ,
Ch' a lei non debba ritornar di corto ;
E se non toma pur, sua fede dàlie,
Ch' ella non patirà si grave torto ;
0 che battaglia piglierà con esso,
0 gli farà osservar ciò e' ha promesso.
28 Così fa ch'ella un poco il duo! raffrena;
Ch'avendo ove sfogarlo, è meno acerbo.
Or ch'abbiam vista Bradamante in pena.
Chiamar Ruggier pergiuro, empio e superbo:
Veggiamo ancor se miglior vita mena
11 fratel suo che non ha polso o nerbo,
Osso 0 medolla che non senta caldo
Delle fiamme d'Amor; dico Rinaldo:
\ .
Stanza 27.
29 Dico Rinaldo , il qual (come sapete)
Angelica la bella amava tanto;
Né l'avea tratto all'amorosa rete
Si la beltà di lei, come l'incanto.
Aveano gli altri Paladin quiete.
Essendo ai Mori ogni vigore affranto:
Tra i vincitori era rimase solo
Egli captivo in amoroso duolo.
30 Cento messi a cercar che di lei fiisse
Avea mandato , e cerconne egli stesso.
Alfine a Malagigi si ridusse.
Che nei bisogni suoi V aiutò spesso.
A narrare il suo amor se gli condusse
Col viso rosso e col ciglio dimesso.
Indi lo priega che gF insegui dove
La desiata Angelica si trove.
31 Gran maraTiglia di si strano caso
Va rìfolgendo a Malagigi il petto.
Sa che sol per Rinaldo era rimaso
D' averla cento volte e più nel letto :
Ed egli stesso, acciò che persuaso
Fosse di questo, avea assai fatto e detto
Con prieghi e con minacce per piegarlo ;
Né mai avuto avea poter di farlo:
stanza 34.
32 E tanto più, ch*allor Rinaldo avrebbe
Tratto fuor Malagigi di prigione.
Fare or spontaneamente lo vorrebbe ,
Che nulla giova, e n^ha minor cagione:
Poi priega lui, che ricordar si debbe
Pfir quanto ha offeso in questo oltr' a ragione;
Che per negargli già, vi mancò poco
Di non farlo morire in scuro loco.
33 Ma quanto a Malagigi le domande
Di Rinaldo importune più pareano ;
Tanto che l' amor suo fosse più grande ,
Indizio manifesto gli faceano.
I prieghi che con lui vani non spande ,
Fan che subito immerge nell'oceano
Ogni memoria della ingiuria vecchia,
E che a dargli soccorso s' apparcccliia.
34 Termine tolse alla risposta, e spena
Gli die, che favorevol gli saria:
E che gli saprà dir la via che tiene
Angelica, o sia in Francia, o dove sii.
E quindi Malagigi al luogo viene ,
Ove i demonj scongiurar solia;
Oh' era fra monti inaccessibil grotta :
Apre il libro, e gli spirti chiama in frotta.
35 Poi ne sceglie un che de' casi d'Amore
Avea notizia: e da lui saper volle ,
Come sia che Rinaldo, eh' avea il core
Dianzi si duro , or l' abbia tanto molle :
E di quelle due fonti ode il tenore,
Di che l'una dà il foco, e l'altra il toUe;
E al mal che l' una fa , nulla soccorre ,
Se non V altr' acqua che contraria corre.
36 Et ('de come avendo già di quella.
Che l'amor caccia, bevuto Rinaldo,
Ai lunghi prieghi d'Angelica bella
Si dimostrò cosi ostinato e saldo:
E che poi giunto, per sua iniqua stella,
A ber nell'altra l'amoroso caldo.
Tornò ad amar, per forza di quelle acque,
Lei che pur dianzi oltr'il dover gli spiacqae
87 Da iniqua stella e fier destin fu giunto
A ber la fiamma in quel ghiacciato rivo;
Perchè Angelica venne quasi a un punto
A ber nell'altro di dolcezza privo ,
Che d'ogni amor le lasciò il cor si emunto,
Ch' indi ebbe lui , più che le serpi , a schivo :
Egli amò lei, e l'amor giunse al seg^o
In ch'era già di lei l'odio e lo sdegno.
38 Del caso strano di Rinaldo a pieno
Fu Malagigi dal demonio instructo.
Che gli narrò d'Angelica non meno,
Ch'a un giovine african si donò in tutto;
E come poi lasciato avea il terreno
Tutto d'Europa, e per l'instabil flutto
Verso India sciolto avea dai liti ispani
Su l'audaci galee de' Catalani
39 Poi che venne il cugin per la risposta ,
Molto gli dissuase Malagigi
Di più Angelica amar , che s' era posta
D'un vilissimo Barbaro ai servigi;
Ed ora si da Francia si discosta ,
Che mal seguir se ne potria i vestigi:
Ch'era oggimai più là ch'a mezza strada
Per andar con Medoro in sua contrada. .
40 La partita d'Angelica non molto
Sarebbe grave air animoso amante;
Né pur gli avria turbato il sonno, o tolto
Il pensier di tornarsene in Levante:
Ma sentendo ch'avea del suo amor colto
Un Saracino le primizie innante ,
Tal passione e tal cordoglio sente,
Che non fu in vita sua mai più dolente.
41 Non ha poter d'una risposta sola;
Triema il cor dentro, e trieman fuor le labbia;
Non può la lingua disnodar parola;
La bocca ha amara, e par che tosco v'abbia.
Da Malagigi subito s'invola;
E come il caccia la gelosa rabbia.
Dopo gran pianto e gran rammaricarsi ,
Verso Levante fa pensier tornarsi.
42 Chiede licenzia al figlio di Pipino;
E trova scusa, che'l destrier Baiardo,
Che ne mena Gradasso Saracino
Contra il dover di cavalier gagliardo,
Lo muove per suo onore a quel cammino,
Acciò che vieti al Serican bugiardo
Di mai vantarsi che con spada o lancia
L'abbia levato a un paladin di Francia.
43 Lasciollo andar con sua licenzia Carlo ,
Benché ne fu con tutta Francia mesto;
Ma finalmente non seppe negarlo:
Tanto gli parve il desiderio onesto.
Vuol Dudon-, vuol Guidone alcompagnarlo ;
Ma lo niega Rinaldo a quello e a questo.
Lascia Parigi , e se ne va via solo ,
Pien di sospiri e d'amoroso duolo.
Stanza 45.
44 Sempre ha in memoria, e mai non se gli toUe,
Ch'averla mille volte avea potuto,
E mille volte avea, ostinato e folle ,
Di sì rara beltà fatto rifiuto;
E di tanto piacer , eh' aver non volle ,
Sì bello e sì buon tempo era perduto;
Ed ora eleggerebbe un giorno corto
Averne solo, e rimaner poi morto.
45 Ha sempre in mente, e mai non se ne parte.
Come esser puote eh' un povero fante
Abbia del cor di lei spinto da parte
Merito e amor d' ogni altro primo amante.
Con tal pensier, che'l cor gli straccia e parte,
Rinaldo se ne va verso Levante:
E dritto al Reno e a Basilea si tiene,
Finché d'Ardenna alla gran selva viene.
46 Poi che fu dentro a molte miglia andato
Il Paladin pel bosco avventuroso,
Da ville e da castella allontanato.
Ove aspro era più il luogo e periglioso.
Tutto in un tratto vide il cìel turbato ,
Sparito il Sol tra nuvoli nascoso.
Ed uscir fuori d'una caverna oscura
Un strano mostro in femminil figura.
47 Mill' occhi in capo avea senza palpebre;
Non può serrarli, e non credo che dorma:
Non men che gli occLi, avea l'orecchie crebre;
Avea, in loco di crin, serpi a gran torma.
Fuor delle diaboliche tenèbre.
Nel mondo uscì la spaventevol forma.
Un fiero e maggior serpe ha per la coda ,
Che pel petto si gira, e che l'annoda.
48 Quel ch^ a Rinaldo in mille e mille imprese
Più non avvenne mai, quivi gli avviene;
Che come vede il mostro eh' ^11' offese
Se gli. apparecchia, e eh' a trovar lo viene,
Tanta paura, quanta mai non scese
In altri forse, gli entra nelle vene;
Ma pur V usato ardir simula e finge ,
E con trepida man la spada stringe.
49 S'acconcia il mostro in guisa al fiero assalto,
Che si può dir che sia mastro di guerra:
Vibra il serpente venenoso in alto,
E poi centra Rinaldo si disserra:
Di qna di là ^li vien sopra a gran salto.
Rinaldo centra lui vaneggia ed erra :
Colpi a dritto e a riverso tira assai:
^ Ma non ne tira alcun che fera mai.
Stanza 50.
52 Nel più tristo sentier, nel peggior calle
Scorrendo va, nel più intricato bosco,
Ove ha più aspreaza il balzo , ove la valle
È più spinosa, ov'è l'aer più foàco;
Cosi sperando torsi dalle spalle
Quel brutto , abbominoso , orrido tosco ;
J] ne sarla mal capitato forse.
Se tosto non giungea chi lo soccorse.
53 Ma lo soccorse a tempo un cavaliere
Di bello armato e Incido metallo,
Che porta un giogo rotto per cimiero
DI rosse fiamme ha pien lo scudo giallo;
Così trapunto il suo vestire altiero ,
Così la sopravvesta del cavallo:
La lancia ha in pugno, e la spada al suo loco,
E la mazza airarcion, che getta foco.
54 Piena d' un foco etemo è quella mazza ,
Che senza consumarsi ognora avvampa :
Né per buon scudo, o tempra di corazza,
0 per grossezza d'elmo se ne scampa.
Dunque si debbe il cavalier far piazza,
Giri ove vuol l' inestin^ibil lampa ;
Né manco bisognava al guerrier nostro,
Per levarlo di man del crudel mostro.
55 E come cavalier d'animo saldo.
Ove ha udito il rumor , corre e galoppa ,
Tanto che vede il mostro che Rinaldo
Col brutto serpe in mille nodi aggroppa,
E sentir fagli a un tempo freddo e caldo:
Che non ha via di torlosi di groppa.
Va il cavaliere, e fere il mostro al fianco,
E lo fa traboccar dal lato manco.
50 II mostro al petto il serpe ora gli appicca,
Che sotto l'arme e sin nel cor l'ag^liiaccia :
Ora per la visiera gliele ficca,
E fa ch'erra pel collo e per la faccia.
Rinaldo dall'impresa si dispicca,
E quanto può con sproni il destrier caccia:
Ma la Furia infernal già non par zoppa ,
Che spicca un salto, e gli è subito in groppa.
56 Ma quello è appena in terra che si rizz.\ ,
E il lungo serpe intorno aggira e vibra.
Quest' altro più con l' azza non V attizza ;
Ma di farla col foco sì delibra.
La mazza impugni, e dove il serpe guizza
Spessi come tempesta i colpi libra;
Né lascia tempo a quel bratto animale.
Che possa farne un solo , o bene o male :
51 Vada attraverso, al dritto, ove si voglia,
Sempre ha con lui la maledetta peste;
Né sa modo trovar che se ne scioglia.
Benché '1 destrier di calcitrar non reste.
Triema a Rinaldo il cor come una foglia:
Non ch'altrimenti il serpe lo moleste;
Ma tanto orror ne sente e tanto schivo ,
Che stride e geme, e ducisi ch'egli è vivo.
57 E mentre addietro il caccia o tiene a bada,
E lo percuote, e vendica mille onte.
Consiglia il Paladin che se ne vada
Per quella via che s'alza verso il monte.
Quel s'appiglia al consiglio ed alla strada;
E senza dietro mai volger la fronte.
Non cessa che di vista se gli tolle ,
Benché molto aspro era a salir quel colle-
Stanza 53.
58 II cavalier, poi ch'alia scura baca
Fece tornare il mostro dall'Inferno,
Ore rode sé stesso e si manuca ,
E da mille occhi yersa il pianto etemo
Per esFer di Einaldo guida e duca,
Gli sali dietro , e sul giogo superno
Gii fu alle spalle, e si mise con lui
Per trarlo fuor de' luoghi oscuri e bui
69 Come Rinaldo il vide ritornato,
Gli disse che gli avea grazia infinita,
E ch'era debitore in ogni lato
Di porre a beneficio suo la vita.
Poi lo domanda come sia nomato.
Acciò dir sappia chi gli bacato aita;
E tra guerrieri possa , e innanzi a Carlo ,
Dell' alta sua bontà sempre esaltarlo.
60 Rispose il cavalier: Non ti rincresca
Se*J nome mio scoprir non ti vogli*ora:
Ben tei dirò prima ch^nn passj cresca
L'ombra; che ci sarà poca dimora.
Trovare, andando insieme, un'acqua fresca,
Che col suo mormorio facea talora
Pastori e viandanti al chiaro rio
Venire, e berne T amoroso obblio.
Stanza 57.
63 L'un e l'altro smontò del suo cavallo,
E pascer lo lasciò per la foresta;
E nel fiorito verde a rosso e a giallo
Ambi si trasson l'elmo della testa.
Corse Rinaldo al liquido cristallo.
Spinto da caldo e da sete molesta ,
E cacciò, a un sorso del freddo liquore,
Dal petto ardente e la sete e l'amore.
64 Quando lo vide l'altro ca vallerò
La bocca sollevar dell' acqua molle ,
E ritrarne pentito ogni pensiero
Di quel desir eh' ebbe d' amor si folle ;
Si levò ritto e con sembiante altiero
Gli disse quel che dianzi dir non volle ;
Sappi, Rinaldo, il nome mio è lo Sdegno
Venuto sol per sciorti il giogo indegno.
65 Cosi dicendo, subito gli sparve,
E sparve insieme il suo destrier con lui.
Questo a Rinaldo un gran miracol parve;
S' aggirò intorno , e disse : Ov' è costui ?
Stimar non sa se sian magiche larve;
Che Malagigi un de' ministri sui
(Ui abbia mandato a romper la catena
Che lungamente l'ha tenuto in pena;
66 Oppur che Dio dall'alta gerarchia
Gli abbia per ineffabil sua bontade
Mandato , come già mandò a Tobia ,
Un angelo a levar di cecitade.
Ma buono o rio demonio, o quel che sia.
Che gli ha renduta la sua libertade,
Ringrazia e loda; e da lui sol conosce
Che sano ha il cor dell' amorose angosce.
61 Signor, queste eran quelle gelide acque.
Quelle che spen^on l'amoroso caldo;
Di cui bevendo y ad Angelica nacque
L'odio ch'ebbe di poi sempre a Rinaldo.
E s'ella un tempo a lui prima dispiacque.
E se nell'odio il ritrovò si saldo,
Non derivò , Signor, la causa altronde ,
Se non d'aver bevuto di queste onde.
b2 II cavalier che con Rinaldo viene.
Come si vede innanzi al chiaro rivo ,
Caldo per la fatica il destrier tiene,
E dice : 11 posar qui non fia nocivo.
Non fia, disse Rinaldo, se non bene;
Ch' oltre che prema il mezzogiorno estivo ,
M' ha così il brutto mostro travagliato ,
Che '1 riposar mi fia comodo e grato.
67 Gli fu nel primier odio ritornata
Angelica, e gli parve troppo indegna
D'esser, non che si lungi seguitata,
Ma che per lei pur mezza lega vegna.
Per Biiard) riaver tutta fiata
Verso India in Sericana andar disegna,
Si perchè l'onor suo lo stringe a farlo,
Si per averne già parlato a Carlo.
68 Giunse il giorno seguente a Basilea ,
Ove la nuova era venuta innante
Che '1 conte Orlando aver pugna dovea
Contra Gradasso e centra il re Agramante.
Né questo per avviso si sapea
Ch'avesse dato il Cavalier d'Anglante;
Ma di Sicilia in fretta vennt'era
Chi la novella v'apportò per vera.
69 Rinaldo vuol trovarsi con Oliando
Alla battaglia, e se ne vede Innge.
Di dieci in dieci m'glia va mutando
Cavalli e guide, e corre e sferza e punge.
Passa il Beno a Costanza, e in su volando,
Traversa l'Alpe, ed in Italia giunge.
Verona addietro, addietro Mantua lassa;
Sul Po si trova, e con gran fretta il
70 Già sM'nchinava il sol molto alla sera.
E già apparia nel del la prima stella,
Quando E inaldo in ripa alla riviera
Stando in pensier s'avea da mutar sella,
O tanto soggiornar, che Paria nera
Fus'gisse innanzi alP altra aurora bella,
Wnir si vede un cavaliero innanti ,
( 'urtese nell'aspetto e nei sembianti.
71 Costui dopo il saluto, con bel modo
(j]\ domandò s'aggiunto a moglie fosse.
Disse Rinaldo; Io son nel giugal nodo;
l^Ia di tal domandar m aravi gliosse.
Soggiunse quel : Che sia cosi ne godo.
Poi , per chiarir perchè tal detto mosse ,
Disse: Io ti prego che tu sia contento
Ch'io ti dia questa sera alloggiamento;
72 Che ti farò veder cosa che debbe
Ben volontier veder chi ha moglie a lato.
Rinaldo, si perchè posar vorrebbe,
Ormai di correr tanto affaticato;
Sì perchè di vedere e d'udir ebbe
Sempre avventure un desiderio innato;
Accettò l'offerir del cavaliero,
E dietro gli pigliò nuovo sentiero.
73 Un tratto d' arco fuor di strada uscirò ,
E innanzi un gran palazzo si trovare ,
Onde scudieri in gran frotta venire
Con torchi accesi, e fero intorno chiaro.
Entrò Rinaldo , e voltò gli occhi in giro ,
E vide loco il qual si vede raro,
14 gran fabbrica e bella e bene intesa;
Né a privato uom convenia tanta spesa.
74 Di serpentin , di porfido le dure
Pietre fan della porta il ricco vólto.
Quel che chiude è di bronzo , con figure
Che sembrano spirar, muovere il volto.
Sotto un arco poi s'entra, ove misture
Di bel mosaico ingannan l'occhio molto.
Quindi si va in un quadro ch'ogni faccia
Delle sue logge ha lunga cento braccia.
75 La sua porta ha per sé ciascuna loggia,
E tra la porta e sé ciascuna ha un arco:
D' ampiezza pari son , ma varia foggia ,
Fé* d' ornamento il mastro lor, non parco.
Da ciascun arco s'entra, ove si poggia
Si facil, che un somier vi può gir carco.
Un altro arco di su trova ogni scala;
E s'entra per ogni arco in una sala.
stanza 66.
76 Gli archi di sopra escono fuor del segno
Tanto, che fan coperchio alle gran porte;
E ciascun due colonne ha per sostegno ,
Altre di bronzo , altre di pietra forte.
Lungo sarà; se tutti vi disegno
Gli ornati alloggiamenti della corte;
E oltr'a quel ch'appar, quanti agi sotto
La cava terra il mastro avea ridotto.
77 L' alte colonne e i capitelli d'oro ,
Da che i gemmati palchi eran suffiilti,
I peregrini marmi che vi foro
Da dotta mano in varie forme soniti ,
Pitture e getti, e tant' altro lavoro
(Beuchè la notte agli occhi il più ne occulti)
Mostran che non bastare a tanta mole
Di duo Re insieme le ricchezze sole.
78 Sopra gli altri ornamenti ricchi e belli ,
Ch^ erano assai nella gioconda stanza ,
V era nna fonte che per più ruscelli
Spargea freschissime acque in abbondanza.
Poste le mense a?eau quivi i donzelli ;
Ch' era nel mezzo per egual distanza :
Vedeva, e parimente veduta era
Da quattro porte della casa altiera.
Stanza 90.
81 Fermava il pie ciascun di questi segni
Sopra due belle immagini più basse,
Che con la bocca aperta facean segni
Che U canto e l' armonia lor dilettasse :
E queir atto in che son, par che disegni
Che V opra e studio lor tutto lodasse
Le belle donne che sugli omeri hanno,
Se fosser quei di cui in sembianza stanno.
82 I simulacri inferiori in mano
Avean lunghe ed amplissime scritture ..
Ove facean con molta laude piano
I nomi delle più' degne figure;
E mostravano ancor poco lontano
I propri loro in note non oscure.
Mirò Rinaldo a lume di doppieri
Le donne ad una ad una, e i cavalieri.
83 La prima inscrizì'on ch'agli occhi occorre.
Con lungo onor Lucrezia Borgia noma,
La cui bellezza ed onestà preporre
Debbe all'antiqua la sua patria Roma.
I duo che voluto han sopra so tórre
Tanto eccellente ed onorata soma,
Noma lo scrittoi Antonio Tebaldeo,
Ercole Strozza; un Lino, ed uno Orfeo.
84 Non men gioconda statua né men bella
Si vede appresso, e la scrittura dice:
Ecco la figlia d' Ercole , Isabella .
Per cui Ferrara si terrà felice
Via più , perchè in lei nata sarà quella ,
Che d'altro ben che prospera e fautrice
E benigna Fortuna dar le deve,
Volgendo gli anni nel suo corso lieve.
79 Fatta da mastro diligente e dotto
La fonte era con molta e sottil opra ,
Di loggia a guisa, o padiglion ch'in otto
Facce distinto, intorno adombri e copra.
Un ciel d'oro, che tutto era di sotto
Colorito di smalto , le sta sopra ;
Ed otto statue son di marmo bianco ,
Che sostengon quel ciel col braccio manco.
80 Nella man destra il corno d'Amaltea
Sculto avea lor P ingenì'oso mastro ,
Onde con grato murmurc cadea
L'acqua di fuore in vaso d'alabastro;
Ed a sembianza di gran donna avea
Ridutto con grande arte ogni pilastro.
Son d'abito e di faccia differente,
Ma grazia hanno e beltà tutte egualmente.
85 I duo che mostran disiosi affetti
Che la gloria di lei sempre risuone
Gian lacchi ugualmente erano detti,
L'uno Calandra, 1* altro Bardelone.
Nel terzo e quarto loco, ove per stretti
Rivi r acqua esce fuor del padiglione ,
Due donne son , che patria , stirpe , onore
Hanno di par, di par beltà e valore.
86 Elisabetta l'nna, e Leonora
Nominata era l'altra, e fia, per quanto
Narrava il marmo sculto, d'esse ancora
Si gloriosa la terra di Manto
Che di Vergilio, che tanto l'onora.
Più che di queste , non si darà vanto.
Avea la prima appiè del sacro lembo
Iacopo Sadoleto e Pietro Bembo.
87 Un elegante Castiglione, e nn colto
Muzio Arelio dell'altra eran sostegni.
Di questi nomi era il bel marmo sculto,
Ignoti allora, or sì famosi e degni,
Veggon poi quella a cui dal Cielo indulto
Tanta ^irtù sarà, quanta ne regni,
0 mai regnata in alcun tempo sia,
Versata da Fortuna or buona or ria.
88 Lo scritto d'oro esser costei dichiara
Lucrezia Bentivoglia ; e fìra le lode
Pone di lei, che'l Duca di Ferrara
D'esserle padre si rallegra e gode.
Di costei canta con soave e chiara
Voce un Camil, chel Reno e Felsina ode
Con tanta attenzTon, tanto stupore,
Con quanta Anfìriso udì già il suo pastore :
stanza 91.
89 Ed un per cui la terra , ove l' Isauro
Le sue dolci acque insala in maggior vase,
Nominata sarà dall' Indo al Mauro ,
£ dalPaustrine all'iperboree case.
Via più che per pesare il Romano auro ,
Di che perpetuo nome le rimase;
Guido Postumo, a cui doppia corona
Pallade quinci, e quindi Febo dona.
90 L' altra che segue in ordine , è D^na.
Non guardar (dice il marmo scritto) ch'ella
Sia altiera in vista; che nel core umana
Non sarà però men ch'in viso bella.
Il dotto Celio Calcagnin lontana
Farà la gloria e'I bel nome di quella
Nel regno di Monese, in quel di luba.
In India e Spagna udir con chiara tuba;
Stanza 98.
91 Ed un Marco Cavallo, che tal fonte
Farà di poesia^ nascer d' Ancona ,
Qiial fé' il cavallo alato uscir del monte ,
Non so^se di Pamasso o d'Elicona.
Beatrice appresso a questo alza la fronte,
Di cui lo scritto suo cosi ragiona :
Beatrice bea, vivendo, il suo consorte,
E lo lascia infelice alla sua morte ;
92 Anzi tutta l' Italia , che con lei
Fia tri'onfonte; e senza lei captiva.
Un signor di Correggio di costei
Con alto stil par che cantando scriva,
E Timoteo , l' onor de' Bendedei :
Ambi faran tra 1' una e l' altra riva
Fermare al suon d«3'lor soavi plettri
Il fiume ove sudar gli antiqui elettri.
662
GELANDO FUEIOSO.
93 Tra questo loco ,. e quel deUa colonna
Che fu sculpìta in Borgia , com^ è detto ,
Formata in alabastro una gran donna
Era di tanto e si sublime a^^petto,
Che sotto puro velo, in nera gonna i
Senza oro e gemme, in un vestire schietto,
Tra le più adorne non parea men bella.
Che sia tra le altre la Ciprigna stella.
Stanza 101.
94 Non si potea , ben contemplando fiso
Conoscer se più grazia o più beltade,
0 maggior maestà fosse nel viso ,
0 più indizio aMngegno o d'onestadc.
Chi vorrà di costei (dicea IMucìko
riarmo) parlar quanto parlar n^ accade,
Ben torrà impresa più d^ogni altra degna:
Ma non però, eh' a fin mai se ne vegna.
95 Dolce ruantunque e pien di grazia tanto
Fosse il suo bello e ben formato segno,
V'.r.x sdegnarsi che con urail canto
Ardisse lei lodar si rozzo ingegno ,
Com'era quel che sol, senz' altri accanto
(Non so perchè), le fu fatto sostegno.
Di tuttofi resto erano i nomi soniti;
Sol questi duo l'artefice avea occulti.
96 Fanno le statue in mezzo un luogo tondo.
Che '1 pavimento asciutto ha di corallo.
Di freddo soavissimo giocondo ,
Che rendea il puro e liquido cristallo ,
Che di fuor cade in un canal fecondo ,
Che '1 prato verde , azzurro , bianco e giallo
Rigando, scorre per vari ruscelli,
Grato alle morbid'erbe e agli arbuscelli.
97 Col cortese oste ragionando stava
Il Paladino a mensa; e spesso spesso ,
Senza più differir, gli ricordava
Che gli attenesse quanto avea premesso:
£ ad or ad or mirandolo, osservava
Ch'avea di grande affanno il cuore oppresso;
Che non può star momento che non abbia
Un cocente sospiro in su le labbia.
SUDza 102.
98 Spesso la voce dal disio cacciata.
Viene a Rinaldo sin presso alla bocca
Per domandarlo ; e quivi , raifrenat i
Da cortese modestia, fuor non scocca.
Ora essendo la cena terminata.
Ecco un donzello, a chi l'ufficio tocca.
Pon su la mensa un bel nappo d'or fino.
Di fuor di gemme, e dentro pien di vino. 99 II signor della casa allora alquanto
Sorridendo, a Rinaldo levò il viso;
Ma chi ben lo notava, più di pianto
Parea ch'avesse voglia, che di riso.
Disse : Ora a quel che mi ricordi tanto ,
Che tempo sia di soddisfar m' è avviso ;
Mostrarti un paragon eh' esser de' grato
Di vedere a ciascun e' ha moglie a lato.
100 Ciascun marito , a mio giudizio , deve
Sempre spiar se la sua donna Fama;
Saper s' onore o biasmo ne riceve;
Se per lei bestia o se pur uom si chiama.
L' incarco delle coma è lo più lieve
Ch'ai mondo sia, sebben l'uom tanto infama:
Lo vede quasi tutta l'altra gente;
E chi l'ha in capo, mai non se lo sente.
101 Se tu sai che fedel la moglie sia
Hai di più amarla e d* onorar ragione ,
Che non ha quel che la conosce ria,
0 quel che ne sta in dubbio e in passione.
Di molte n'hanno a torto gelosia
1 lor mariti , che son caste e buone :
Molti di molte anco sicuri stanno
Che con le coma in capo se ne vanno.
102 Se vuoi saper se la tua sia pudica
(Come io credo che credi , e creder dèi :
Ch' altrimente far credere è &tica
Se chiaro già p3r prova non ne sei) ,
Tu per te stesso , senza eh' altri il dica ,
Te n'avvedrai, s'in questo vaso bei;
Che per altra cigion non è qui messo ,
Che per mostrarti quanto io t'ho promesso.
108 Se bei con questo , vedrai grande effetto :
Ohe se porti il cimiér di Comovaglia,
Il vin ti spargerai tutto sul petto.
Né gocciola sarà ch'in bocca saglia;
Ma s' hai moglie fedel , tu berai netto.
Or di veder tua sorte ti travaglia.
Cosi dicendo, per mirar tien gli occhi,
' Oh' in seno il vin Rinaldo si trabocchi.
104 Quasi Rinaldo di cercar suaso
Quel che poi ritrovar non vorria forse
3Ies3a la mano innanzi , e preso il vaso ,
Fu presso di volere in prova porse;
Poi, quanto fosse periglioso il caso
A porvi i labbri , col pensier discorse.
Ma lasciate , Signor , eh' io mi ripose ;
Poi dirò quel che '1 Paladin rispose.
NOTB.
St. 2. V. 5-a — AchiUCt poi che sotto il fUlso elmet-
tOy ecc. É noto per V Biade d' Omero, che Achille diede
la propria armatura all'amico Patroclo, «cciocchò com-
battesse con Ettore. Patroclo restò ucciso in quel com-
battimento; e Achille tanto se ne sdegnò, che dopo aver
data la morte ad Ettore, ne trascinò il cadàvere, av-
vinto al suo carro, intorno alle mura al Troia.
St. 3. V. 2^. — Il dì che vi percosse La fronte il
grave sasso, ecc. Rammenta una ferita ohe neirattacco
della Bastia sul Po. il duca Alfonso riportò in fronte da
una pietra scagliata da una macc'iina dagli Spagauoli.
St. 5. V. 3-8. — Acciò che 'l crudo e scellerato ecces-
so, ecc. Prim% di qaeir attacco, il Vestidello , governa-
tore della Bastia, fatto prigioniero dagli Spa?nuoli, era
stato da essi ucciso, nonostante le leg^i di guerra; per
cui , ricuperato che fu quel fortilizio dalle genti d' Al-
fonso , il presidio spaguuol > , composto nella maggior
parte di gente circoncisa , Mori cioè , o discendenti da
Mori, fu passato a fil di spada.
St. 6. V. 6. — Fegga: ferisca.
ST. 22. V. 1-6. — 0 chiaro fulgor della Fulgosa Stir-
]ìe, ecc. Dirige la parola a Federico Fulgoso oFregoso,
nominato nella Stanza 20 (e lè con ambedue queste voci
Iti denota una sola illustre famiglia di Genova), il quale
fu arcivescovo di Salerno, vescovo di Gubbio, e poi car-
dinale. Andando egli qual condottiere della flotta geno-
vese contro il corsaro Gorregoli, vide Lampedusa; e par
che non convenisse col Poeta sulla condizione fisica di
queir isola. — Quello invitto du^ie , Per cui la vostra
patria: ò Ottaviano Fregoso, fratello di Federico e doge
di Genova, che pacificò le fazioni onde quella repubblica
era turbata.
St. 38. V. 8. ^ I Caf alani furono nel medio evo grandi
navigatori.
St. 47. V. 3. — Orecchie crèbre: spesse, numerose.
St. 65. V. 6. — Un de* ministri sui : uno fra i demoni
che ubbidivano all'incantatore Malagigi.
St. 76. V. 7-8. — Quanti agi sotto la cavj terra, ecc.
Intende dei comodi di cucine, che si praticano ne' sot-
terranei dei palazzi.
St. 80. V. 1. — Il corno d*Amaltea: il corno dell'ab-
bondanza. Amaltea era il nome della capra, o della ninfa
a cui apparteneva la capra che allattò Giove: e chi pos-
sedeva quel corno, otteneva tutto ciò che desiderava.
St. 81. V. 1-8. — Ciascun di questi segni: ciascuna
di queste statue. — Che con la bocca aperta facean
segni, ecc. Vuol dii-e che le statue inferiori, con la bocca
aperta, come in atto di cantare, mostravano compia-
cersi di encomiare le donne rappresentate dalle statue
s nperiori che su di loro posavano.
St. 83. V. 2-8. — Luereiia Borgia: moglie del duca
Alfonso I. — Antonio Tebaldeo: verseggiatore nelle dae
lingue, italiana e latina; mori in Roma in età d'anni 80.
— Ercole Strozza: se ne parlò nella nota alla St. 8 del
Canto XXZVII. — Un Lino ed un Orfeo: paragona il
Tebaldeo a Lino, figlio d'Apollo e di Terpsioore,^ riguar-
dato come inventore della poesia lirica; e lo Strozza ad
Oifeo, figlio di Giove e di Calliope, il quale con la sua
musica si faceva seguitare dalle rocce e dagli alb^l. '
St. 85. v. 3-4. — Oian Jacobi ugualmente^ ecc. Que-
sti due, cognominati l'uno Calandra e Faltro Bardellone,
erano mantovani; e il Calandra ò noto come fcrittòre
prosastico di soggetti amorosi.
St. 86. V. 1-8. — Elisabetta V una e Leonora Nomi-
nata ei-a V altra t ecc. Elisabetta era sorella di France-
sco Gonzaga, marchese di Mantova, e moglie di Gaidu-
baldo duca d'Urbino. Leonora, figlia del predetto Gon-
zaga, fa sposa di Francesco Maria della Roverej creato
duca d'Urbino da Giulio II. — Jacopo Sadoleto e Pietro
Bembo. Il Sadoleto nasceva in Modena , fu vescovo, ed
ebbe il cappello cardinalizio da Paolo III. Era letterato
insigne , poeta e teologo. Il Bembo era intrinseco del
Sadoleto, e molto innanzi nella buona grazia del duca
Guidubaldo.
St. 87. V. 1-8. — Uno eHegante Castiglione, e xm culto
Muzio Arelio, ecc. Il Castiglione, celebre specialmente
per il suo Cortigiano , loda molto negli eleganti suoi
versi latini Leonora. Muzio Arelio, altrimenti detto Gio-
vanni Mozzarelle, tu. autore di molti componimenti ita-
lianj e latini, e accademico in Roma al tempo di Leon X ;
mori di ferite dategli da alcuni suoi malevoli. — Veg-
gon poi quella a cui dal cielo indulto , ecc. Intendesi
qui la nominata più a basso Lucrezia Bentivogli, figlia
naturale del duca di Ferrara, e partecipe della fortuna,
ora propizia, ora contraria, ohe provarono i Bentivogli,
signori di Bologna.
St. 88. y. 2-4. — Lucrezia, figlia d'Ercole I e d'una
Condulmiero, sposò Annibale Bentivoglio, signore di Bo-
logna, e mutò spesso fortuna.
Ivi. y. bS. — Di costei canta con soave e chiara
Voce un Camil , ecc. È questi Camillo Paleotto , bolo-
gnese, e cortigiano del cardinale di Bibbiena, che, in-
sieme col Postumo, di cui tra. poco, cantò le lodi della
Bentivogli. — Beno: fiume di Bologna. — Fdsina:
nome antico di Bologna. — Anfriso: fiume di Tessa-
glia , presso il quale Apollo pascolava gli armenti del
re Admeto.
St. 89. V. 1-8. — iSi ti» per cui la terra, ove Vlsau-
ro, ecc. Accenna Pesaro, patria di Guido Postumo , no-
minato nel settimo verso. Questi ebbe nome Guido Sii-
vestrif e lo dissero Postumo, perchè nato dopo la morte
del padre; fu valente medico , soldato e poeta, amicis-
simo dell'Ariosto, e addetto qual medico alla corte del
cardinale Ippolito da Este. — Isauro, oggi denominato
Foglia, è il fiume che scorre vicino a Pesaro, ed ha
foce neir Adriatico. — Nominata sjrd.... Via piA che
per pesare il romano auro^ ecc. Alcuni, sairantoriià
di Servio commentatore di Virgilio, trassero l'etimolo-
gia di Pesaro iPisaurum\ vera o falsa che sia, dall'oro
rapito dai Galli ai Romani ed ivi tolto ai rapitori dal
dittatore CammìUo, che colà li raggiunse. — A cui
doppia coróna, ecc. Allusione al merito filosofioo e let-
terario del Postumo, tenuto in reputazione anche nella
corte di Leone X.
St. 90. V. 1-8. — Valtra che segue in ordine iDim-
na , ecc. Questa è Diana d' Este , nata di Siisismondo
Estense, dei màròheòi di S. Martino. Fu domia di bel
sembiante, d'animo altiero. — Il dotto Celio Calcagràn:
erudito scrittore ferraiese , che per due anni e pia fu
compagno di viaggio al cardinal Ippolito, e ne compose
l'elogio funebre. — Nel regno di Monese e in qnti di
luba. Monese fa re de' Parti, Inba dei Maoritani; e que-
sti due regni sono qui indicati per significare il setten-
trione ed il mezzogiorno. — In India e Spagna : re-
gioni che denotano l'una il levante, e l'altra il ponente.
St. 91. V. 1.-8. — Ed un Marco Cavallo, ecc.: loda-
tore di Diana Estense , insieme col CalcagninL Era an-
conitano, e buon rimatore; onde il Poeta lo paragona
al cavai Pegaso della Favola , che con nn calcio fere
scaturire una fonte dal Parnaso , secóndo alcuni , e se-
condo altri, dall'Elicona, montagne ambedue consacrati
ad Apollo e alle Muse. — Beatrice appresso , ecc., É
questa la figlia del duca Ercole I , moglie di Lodovico
Sforza, encomiata nelle Stanze 62 e 63 del Canto XIIl,
alle quali si rimette il lettore , a scanso d' inatili rii»e-
tizioni. St. 92. V. 3-8. — uh signor di Correggio; ecc. Niccolò
da Correggio, che, oltre le composizioni da lai fatte in
lode di Beatrice, scrisse due poemi in ottava rima, in-
titolati Psiche V uno , e l' altro Aurora. — B Timoteo
Vonor de* Bendedei: letterato ferrarese easo pure, che
adoperò il suo ingegno poetico nell'ooorar Beatrice —
Il fiume ove sudar gli antiqtii elettri: il Po, sulle cai
rive le sorelle del caduto Fetonte furono convertita in
pioppi.
St. 98. y. 1-8. — Della colonna che fu 9culpita in
Borgia : del marmo in cui fu scolpita la stàtna di La-
orezia Borgia; e lo dice colonna, perchè cosi qaella e
le altre statue sostenevano col braccio manco il dorato
cielo della sala. — Formata in alabastro una grttn
donna, ecc. Air ssandra Benucci, amica e poi moglie del
Poeta. — In nera gonna : còsi la rappresenta O Poeta,
perchè quand'egli s^invagfai di Alessandra, essa era ve-
dova da poco tempo di Tito Stro^. St. 95. V. 5 8. — Com'era quel che sol, ^ens* altri
accanto, ecc. Una sola statua d'uomo era sostegno a
quella della Benucci , mentre le altre statue erano so-
stenute da due. Ed in quel sosterò il Poeta figura sé
stesso. CANTO QUARANTESIMOTERZO. Canto XLIII.
Una foTlB e pituita invettiva contro L'avarizin ^ npi'c questo Canto,
e infTt'ilft due novdle che ve n goti nunriitea Rìnghio , Tina a vitn-
pf^ro ùvUf! donne, ['altra ilpgli nomini che si Jaf^cTano viniiere da
(]iji;lla bniUa"!paH3Ìone*Ptfr lim^o cammini terrestr* e marittimo
fiiiniRf.' RinaMo in LampeJasap e-ssendo terminato il comliatti-
mento fra i iialadini e i pagani . Fcenìono tutti in fììinlia» f'A
ivi Mulla Npia^^ia d'A^igento rendoìio ^li aitimi nnod alli^ laor-
tali Jij>cpKlì<3';^di Brandimaite. Di colà vanno al romitaggio ove
)ìta Hngi^ioro , ;ià fatto cristiano; e il buon eremita risana Oli-
viero eJ aneli a Sobrino , cJi& poi prende il batti.'i-'flmo,
0 esecrabile Avarizia , o ingorda
Fame iV avere , io non mi maraviglio
Ch^ad alrim vile^ e ri' altre macchie Ionia,
8i facH mente dar po^ai di piglio;
Ma che meni legaci in una curda ^
E die tu impianelli dd medei^ma artiglio
Alcun elle per altezza era d'inc^egno,
Se te scliivar potea , tV ogni onor degno.
2 Alcun la terra e '1 mare e U del miaarEi ^
E render sa tutte le cause appieno
IVo^j^ni opra, d'oijui effetto di Natura,
E poirirìa iii , dì\^ Dio ri stuarda in seno;
E non può a,ver più ferma e maggior cura,
Morso dal tuo mortifero veleno,
Ch'unir tesoro; e questo sol gli preme,
E pouyi ogni salute, ogni sua speme.
3 Rompe eserciti alcun, e nelle porte
Si vede entrar di bellicose terre,
Ed esser primo a porre il petto forte ,
Ultimo a trarre, in perigliose guerre:
E non può riparar che sino a morte
Tu nel tuo cieco carcere noi serre.
Altri d'altre arti e d'altri studii industri,
Oscuri fai , che sarian chiari e illustri.
9 Cosi dicendo il buon Rinaldo , e intanto
Respingendo da sé V odiato vase ,
Vide abbondare un gran rivo di pianto
Dagli occhi del signor di quelle case,
Che disse, poi che racchetossi alquanto:
Sia maledetto chi mi persuase
Ch'io facessi la prova, oimè! di sorte,
Che mi levò la dolce mia consorte.
4 Che d'alcune dirò belle e gran donne,
Ch'a bellézza, a virtù di fidi amanti,
A lunga servitù , più che colonne
Io veggo dure, immobili e costanti?
Veggo venir poi V Avarizia , e pónne
Far si, che par che subito le incanti:
In un di, senza amor (chi fia che '1 creda?)
A un vecchio, a un brutto, a un mostro le dà
[in preda.
5 Non è senza cagion s'io me ne doglio:
Intendami chi può, che m'intend'io
Né però di proposiro mi toglie.
Né la materia del mio Canto obblio;
Ma non più a quel e' ho detto adattar voglio ,
Ch' a quel eh' io v' ho da dire , il parlar mio.
Or torniamo a contar del Paladino ,
Ch'ad assaggiare il vaso fu vicino.
6 Io vi dicea ch'alquanto pensar volle ,
Prima ch'ai labbri il vaso s'appressasse.
Pensò , e poi disse : Ben sarebbe folle
Chi quel che non vorria trovar, cercasse.
Mia donna é donna, ed ogni donna é molle:
Lasciam star mia credenza come stasse.
Sin qui m'ha il creder mio giovato, e giova:
Che poss'io megliorar, per fame prova?
7 Potria poco giovare, e nuocer molto:
Ché'l tentar qualche volta Iddio disdegna.
Non so s'in questo io mi sia saggio o stolto;
Ma non vo'più saper che mi convegna.
Or questo vin dinanzi mi sia tolto:
Sete non n' ho , né vo' che me ne vegna ;
Che tal certezza ha Dio più proibita.
Ch'ai primo padre l'arbor della vita.
8 Che come Adam , poi che gustò del pomo
Che Dio con propria bocca gì' interdisse ,
Dalla letizia al pianto fece un tomo ,
Onde in miseria poi sempre s'afflisse;
Cosi, se della moglie sua vuol Tuomo
Tutto saper quanto ella fece e disse.
Cade dall'allegrezze in pianti e in guai.
Onde non può più rilevarsi mai.
10 Perché non ti conobbi già dieci anni,
Si che io mi fossi consigliato teco,
Prima che cominciassero gli affanni ,
E '1 lungo pianto onde io son quasi cieco?
Ma vo' levarti dalla scena i panni,
Che'l mio mal vegghi, e te ne dogli meco;
E ti dirò il principio e l'argumento
Del mio non comparabile tormento.
11 Quassù lasciasti una città vicina ,
A cui f% in tomo un chiaro fiume laco ,
Che poi si stende, e in questo Po declina,
E l'origine sua vien di Benaco.
Fu fatta la città quando a mina
Le mura andar dell' agenoreo draco.
Quivi nacqui io di stirpe assai gentile,
Ma in pò ver tetto, e in fàcnltade umile.
12 Se Fortuna di me non ebbe cura
Si , che mi desse al nascer mio ricchezza ,
Al difetto di lèi supplì Natura
Che sopra ogni mio ugual mi die bellezza.
Donne e donzelle già di mia figura
Arder più d'una vidi in giovanezza;
Ch'io ci seppi accoppiar cortesi modi;
Benché stia mal che i'uom sé stesso lodi.
13 Nella nostra cittade era un uom saggio,
Di tutte l'arti oltre ogni creder dotto,
Che, quando chiu^ gli occhi al febeo raggio,
Contava gli anni suoi cento e ventotto.
Visse tutta sua età solo e selva^io ,
Se non l'estrema; che, d'Amor condotto,
Con ptemio ottenne una matrona bella,
E n' ebbe di nascosto una zittella.
14 E per vietar che simil la figliuola
Alla matre non sia , che per mercede
Vendè sua castità , che valca sola
Più che quant'oro al mondo si possiede,
Fuor del commercio popular la invola;
Ed ove più solingo il luogo vede.
Questo ampio e bel palagio e ricco tanto
Fece fare a demonii per incanto.
CANTO QUARANTESIMOTEI^ZO.
15 A vecchie donne e caste fé' nutrire
La figlia qui , eh' in gran heltà poi venne ;
Né che potesse altf uom veder , né udire
Pur ragionarne in quella età , sostenne.
E perch' avesse esempio da seguire ,
Ogni pudica donna che mai tenne
Contra illicito amor chiuse le sharre ,
Ci fé' d' intaglio e di color ritrarre :
16 Non quelle sol che , di virtnde amiche ,
Hanno si il mondo all'età prisca adomo;
Di quai la &ma per l'istorie antiche
Non é per veder mai l' ultimo giorno :
Ma nel futuro ancora altre pudiche
Che faran hella Italia d'ogn' intorno,
Ci fé' ritrarre in lor fattezze conte,
Come otto che ne vedi a questa fonte.
17 Poi che la figlia al vecchio par matura
Si, che ne possa l'uom cogliere i frutti,
0 fosse mia disgrazia o mia avventura.
Eletto fai degno di lei fra tutti.
1 lati campi , oltre alle helie mura ,
Non meno i pescherecci che gli asciutti ,
Che ci son d'ogni intomo a venti miglia.
Mi consegnò per dote della figlia.
21 Ella sapea d'incanti e di malie
Quel che saper ne possa alcuna maga:
Rendea la notte chiara, oscuro il die,
Fermava il Sol, facea la terra vaga.
Non potea trar però le voglie mie,
Che le sanassin l'amorosa piaga
Col rimedio che dar non le potria
Senz'aita ingiuria della donna mia.
22 Non perchè fosse assai gentile e hella,
Né perchè sapess'io che si me amassi,
Né per gran don, né per promesse ch'ella
Mi fésse molte, e di continuo instassi.
Ottener potò mai eh' una fiammella ,
Per darla a lei, del primo amor levassi;
Ch'addietro ne traea tutte mie voglie
Il conoscermi fida la mia moglie.
23 La speme, la credenza, la certezza
Che della fede di mia moglie avea ,
M'avria fatto sprezzar quanta hellezza
Avesse mai la giovine Ledea,
0 quanto offerto mai senno e ricchezza
Fa al gran pastor della montagna Idea.
Ma le repulse mie non valean tanto ,
Che potesson levarmela da canto.
18 Ella era hella e costumata tanto.
Che più desiderar non si potea.
Di hei trapunti e di ricami , quanto
Mai ne sapesse Pallade , sapea.
Vedila andare , odine il suono e 1 canto ,
Celeste e non mortai cosa parca;
E in modo all'arti liberali attese.
Che quanto il padre o poco men n'intese.
19 Con grande ingegno e non minor bellezza,
Che fatta l' avria amabil fin ai sassi ,
Era giunto un amore, una dolcezza,
Che par eh' a rimembrarne il cor mi passi.
Non avea più piacer né più vaghezza
Che d'esser meco ov'io mi stessi o andassi.
Senza aver lite mai stenmio gran pezzo;
L'avemmo poi, per colpa mia, da sezzo.
20 Morto il suocero mio dopo cinque anni
Oh' io sottoposi il collo al giugal nodo ,
Non stero molto a cominciar gii affanni
Ch'io sento ancora, e ti dirò in che modo.
Mentre mi richiudea tutto coi vanni
L'amor di questa mia che si ti lodo,
Una femmina nobil del paese ,
Quanto accender si può, di me s'accese.
24 Un di che mi trovò fuor del palagio
La maga, che nomata era Melissa,
E mi potè parlare a suo grande agio ,
Modo trovò da por mia pace in rissa,
E con lo spron di gelosia malvagio
Cacciar del cor la fé' che v'era fissa.
Comincia a commendar la intenzion mia.
Ch'io sia fedele a chi fedel mi sia.
25 Ma che ti sia fedel tu non puoi dire,
Prima che di sua fé' prova non vedi.
S' ella non falle , e che potria fallire ,
Che sia fedel, che sia pudica credi.
Ma se mai senza te non la lasci ire,
Se mai vedere altr' uom non le concedi ,
Onde hai questa baldanza, che tu dica
E mi vegli affermar che sia pudica?
26 Scostati un poco, scostati da casa;
Fa che le cittadi odano e i villaggi
Clie tu sii andato, e ch'ella sia rimasa:
Agli amanti dà comodo e ai messaggi.
S' a prieghi , a doni non fia persuasa
Di fare al letto maritale oltraggi ,
E che, facendol, creda che si cele,
Allora dir potrai che sia fedele.
27 Con tai parole e simili non cessa
LMncantatrice , fin che mi dispone
Che della donna mia la fede espressa
Veder voglia e provare a paragone.
Ora poguiamo , le soggiungo , ch^ essa
Sia qnal non posso averne opinione)
Come potrò di lei poi farmi certo
Che sia di punizion degna o di merlo?
28 Disse Melissa: Io ti darò un vasello
Fatto da ber, di virtù rara e strana,
Qnal già , per fare accorto il suo fratello
Del fallo di Ginevra, fé' Morgana.
Chi la moglie ha pudica, bee con quello:
Ma non vi può già ber chi Tha puttana;
Che *1 vin , quando lo crede in bocca porre ,
Tutto si sparge , e fuor nel petto scorre.
29 Prima che parti ne farai la prova,
E per lo creder mio tu berai netto :
Che credo eh' ancor netta si ritrova
La moglie tua: pur ne vedrai l'effetto.
Ma s'al ritomo esperì'enzia nuova
Poi ne farai, non t'assicuro il petto:
Che se tu non lo immolli , e netto bei ,
D'ogni marito il più felice sei.
80 L'offerta accetto. Il vaso ella mi dona:
Ne fo la prova , e mi succede a punto ;
Che, com'era il desio, pudica e buona
La cara moglie mia trovo a quel punto.
Dice Melissa: un poco l'abbandona;
Per un mese o per duo stanne disgiunto:
Poi toma ; poi di nuovo il vaso toUi ;
Prova se bevi , oppur se '1 petto immolli,
81 A me duro parea pur di partire;
Non perchè di sua fé' mi dubitassi,
Come eh' io non potea duo di patire ,
Né un'ora pur, che senza me restassi.
Disse Melissa : Io ti farò venire
A conoscere il ver con altri passi.
Vo'che muti il parlare e i vestimenti,
E sotto viso altmi te le appresenti.
82 Signor , qui presso una città difende
Il Po fra minacciose e fiere coma;
La cui giurisilizion di qui si stende
Fin dove il mar fugge dal lito e torna.
Cede d'antiquità, ma ben contende
Con le vicine in esser ricca e adorna.
Le reliqnie troiane la fondaro.
Che dal flagello d' Attila camparo.
33 Astringe e lenta a questa terra il morso
Un cavalier giovene, ricco e bello ,
Che dietro un giorno a un suo falcone iscorsiOt
Essendo capitato entro il mio ostello,
Vide la donna, e «i nel primo occorso
Gli piacque , che nel cor portò il suggello ;
Né cessò molte pratiche far poi ,
Per inchinarla ai desiderii suoi.
34 Ella gli fece dar tante ripulse ,
Che più tentarla alfin egli non volse;
Ma la beltà di lei , eh' Amor vi sculse ,
Di memoria però non se gli tolse*
Tanto Melissa allusingommì e mulse ,
Ch' a tor la forma di colui mi volse ;
E mi mutò (uè so ben dirti come)
Di faccia, di parlar, d'occhi e di chiome.
85 Già con mia moglie avendo simulato
D' esser partito e gitone in Levante ,
Nel giovene amator cosi mutato
L'andar, la voce, l'abito e'I sembiante,
Me ne ritorno, ed ho Melissa a lato,
Che s'era trasformata, e parea un fante;
E le più ricche gemme avea con lei.
Che mai mandassin gl'Indi e gli Eritrei.
36 Io che r uso sapea del mio palagio .
Entro sicuro , e vien Melissa meco ;
E madonna ritrovo a sì grande agio ,
Che non ha né scudier né donna seco.
I miei prieghi le espongo, indi il malvagio
Stimulo innanzi del mal far le arreco:
I mbini , i diamanti e gli smeraldi ,
Che mosso avrebbon tutti i cor più saldi.
37 E le dico che poco è questo dono
Verso quel che sperar da me dovea.
Della comodità poi le ragiono ,
Che , non v' essendo il suo marito , avea :
E le ricordo che gran tempo sono
Stato suo amante, com'ella sapea;
E che l'amar mio lei con tanta fede
Degno era avere alfin qualche mercede.
38 Turbossi nel principio ella non poco,
Divenne rossa, ed ascoltar non volle:
Ma il veder fiammeggiar poi, come fuoco,
Le belle gemme, il duro cor fé' molle;
E con parlar rispose breve e fioco
Quel che la vita a rimembrar mi tolle;
Che mi compiacerla, quando credesse
Ch'altra persona mai noi risapesse.
39 Fu tal risposta un venenato telo ,
Di che me ne senti' V alma trafissa ;
Per r ossa andommi e per le Tene un gelo :
Nelle fauci restò la voce fissa.
Levando allora del suo incanto il Telo,
Nella mia forma mi tornò Melissa.
Pensa di che color dovesse farsi .
Ch'in tanto error da me vide trovarsi.
40 Divenimmo ambi di color di morte,
Muti ambi, ambi restiam con gli occhi bassi.
Potei la lingua appena aver sì forte ,
E tanta voce appena , eh' io gridassi :
Me tradiresti dunque tu, consorte,
Quando tu avessi chi '1 mio onor comprassi ?
Altra risposta darmi ella non puote,
Che di rigar di lagrime le gote.
42 E la mattina s'appresenta avante
Al cavalier che 1' avea un tempo amata ,
Sotto il cui viso, sotto il cui sembiante
Fu contro Ponor mio da me tentata.
A lui , che n' era stato ed era amante ,
Creder si può che fu la giunta grata.
Quindi ella mi fé' dir ch'io non sperassi
Che mai più fosse mia , né più m' amassi.
stanza 42*
41 Ben la vergogna è assai , ma più lo sdegno
Ch' ella ha , da me veder farsi quella onta ,
E multiplica sì senza ritegno,
Ch'in ira alfine e in crudele odio monta.
Da me fuggirsi tosto fa disegno;
E nell'ora che'l sol del carro smonta,
Al fiume corse, e in una sua barchetta
Si fa calar tutta la notte in fretta:
43 Ah lasso! da quel di con lui dimora
In gran piacere, e di me prende giuoco:
Ed io del mal che procacciaimi allora,
Ancor languisco, e non ritrovo loco.
Cresce il mal sempre, e giusto è ch'io ne muora;
E resta ornai da consumarci poco.
Ben credo che '1 primo anno sarei morto ,
Se non mi dava aiuto un sol conforto.
44 II conforto ch'io prendo, è che di quanti
Per dieci anni mai fur sotto al mio tetto
(Ch* a tutti questo vaso ho messo innanti) ,
Non ne trovo un che non s'immolli il petto.
Aver del caso mio compagni tanti
Mi dà fra tanto mal qualche diletto.
Tu tra infiniti sol sei stato saggio ,
Che far negasti il periglioso saggio.
46 II mio voler cercare oltre alla meta
Che della donna sua cercar si deve,
Fa che mai più trovare ora quieta
Non può la vita mia , siajlunga o breve.
Di ciò Melissa fu a principio lieta :
Ma cessò tosto la sua gioia lieve;
Ch'essendo causa del mio mal stata ella.
Io l' odiai si , che non potea vedella.
46 Ella d'essere odiata impaziente
Da me, che dicea amar più che sua vita/
Ove donna restarne immantinente
Creduto avea, che T altra ne fosse ita;
Per non aver sua doglia si presente ,
Non tardò molto a far di qui partita ;
E in modo ahhandonò questo paese,
Che dopo mai per me non se n'intese.
47 Cosi narrava il mesto cavaliero :
E quando fine alla sua istoria pose ,
Rinaldo alquanto stè sopra pensiero ,
Da pietà vinto , e poi cosi rispose :
Mal consiglio ti die Melissa in vero,
Che d'attizzar le vespe ti propose;
E tu fosti a cercar poco avveduto
Quel che tu avresti non trovar voluto.
48 Se d'avarizia la tua donna viuta
A voler fede romperti fu indutta ,
Non t'ammirar; né prima ella né quinta
Fu delle donne prese in si gran latta:
E mente via più salda ancora è spinta
Per minor prezzo a far cosa più brutta.
Quanti uomini odi tu. che già per oro
Han traditi padroni e amici loro?
49 Non dovevi assalir con si fiere armi ,
Se bramavi veder farle difesa.
Non sai tu , contra l' oro , che né i marmi
Nè'l durissimo acciar sta alla contesa?
Che più fallasti tu a tentarla parmi ,
Di lei che così tosto restò presa.
Se te altrettanto avess' ella tentato ,
Non so se tu più saldo fossi stato.'
stanza 56.
50 Qui Rinaldo fé' fine , e dalla mensa
Levossi a un tempo, e domandò dormire;
Che riposare un poco, e poi si pensa
Innanzi al di d' un' ora o due partire.
Ha poco tempo ; e '1 poco e' ha , dispensa
Con gran misura, e invan noi lascia gire.
Il signor di là dentro, a suo piacere,
Disse, che si pò tea porre a giacere;
51 Ch' apparecchiata era la stanza e '1 letto :
Ma che se volea far per suo consiglio.
Tutta notte dormir potria a diletto,
E dormendo avaiizarsi qualche miglio.
Acconciar ti farò, disse, un legnetto,
Con che volando, e senz' alcun periglio,
Tutta notte dormendo vo'che vada,
E una giornata avanzi della strada.
52 La profferta a Rinaldo accettar piacque,
E molto ringraziò l'oste cortese:
Poi senza indugio là , dove neir acque
Da' naviganti era aspettato, scese.
Quivi a grande agio riposato giacque ,
Mentre il corso del fiume il legno prese.
Che da sei remi spinto , lieve e snello
Pel fiume andò, come per aria augello.
53 Cosi tosto come ebbe il capo chino,
Il cavalier di Francia addormentosse ;
Imposto avendo già, come vicino
Giungea a Ferrara, che svegliato fosse.
Restò Melara nel lito mancino;
Nel lito destro Sermide restosse:
Figarolo e Stellata il legno passa,
Ove le coma il Po iracondo abbassa.
54 Delle due corna il noccbier prese il destro,
£ lasciò andar verso Vinegia il manco :
Passò il Bonrleno; e già il color cìlestro
Si vedea in Oriente venir manco;
Che , votando di fior tutto il canestro ,
L'Aurora vi facea vermiglio e bianco;
Quando I lontan scoprendo di Tealdo
Ambe le rocche, il capo alzò Rinaldo.
55 0 città bene avventurosa , disse ,
Di cui già Malagìgi , il mio cugino ,
Contemplando le stelle erranti e fisse
E costringendo alcun spirto indovino,
Nei secoli futuri mi predisse
(Già chMo facea con lui questo cammino)
Ch' ancor la gloria tua salirà tanto ,
Ch'avrai di tutta Italia il pregio e'I vanto.
56 Cosi dicendo , e pur tuttavia in fretta
Su quel battei che parca aver le penne,
Scorrendo il re de' fiumi, all' isoletta
Ch' alla cittade è più propinqua , venne :
E benché fosse allora erma e negletta,
Pur s' allegrò di rivederla , e fenne
Non poca festa; che sapea quanto ella,
Volgendo gli anni , saria ornata e bella.
57 Altra fiata che fé' questa via ,
Udì da Malagigi, il qual seco era,
Che settecento volte che si sia
Girata col monto n la quarta sfera.
Questa la più gioconda isola fia
Di quante cinga il mar, stagno o riviera;
Si che , veduta lei , non sarà eh' oda
Dar più alla patria di Nausicaa loda.
58 Udì che di bei tetti posta innante
Sarebbe a quella si a Tiberio cara;
Che cederian 1' Esperide alle piante
Ch' avria il bel loco , d' ogni sorte rara ;
Che tante spezie d'animali, quante
Vi fien, né in mandra Circe ebbene in ara;
Che v' avria con le Grazie e con Cupido
Venere stanza, e non più in Cipro o in Guido;
59 E che sarebbe tal per studio e cura
Dì chi al sapere ed al potere unita
La voglia avendo , d' argini e di mura
Avria sì ancor la sua città munita,
Che centra tutto il mondo star sicura
Potria, senza chiamar di fuori aita;
E che d' Ercol figliuol , d' Ercol sarebbe
Padre il signor che questo e quel far debbe.
60 Così venia Rinaldo ricordando
Quel che già il suo cugin detto gli avea,
Delle future cose divinando,
Che spesso conferir seco solca.
E tuttavia V nmil città mirando :
Come esser può eh' ancor, seco dicea,
Debban cosi fiorir queste paludi
Di tutti i liberali e degni studi?
61 E crescer abbia di sì piccol borgo
Ampia cittade e di si gran bellezza?
E ciò ch'intorno é tutto stagno e gorgo,
Sien lieti e pieni i campi di ricchezza?
Città, sinora a riverire assorgo
L'amor, la cortesia, la gentilezza
De' tuoi Signori, e gli onorati pregi
Dei cavalier, dei cittadini egregi.
62 L' inefifabil bontà del Redentore ,
De' tuoi principi il senno e la giustizia ,
Sempre con pace, sempre con amore
Ti tenga in abbondanza ed in letizia;
E ti difenda centra ogni furore
De' tuoi nimici , e scopra lor malizia :
Del tuo contento ogni vicino arrabbi,
Piuttosto che tu invidia ad alcuno abbi.
63 Mentre Rinaldo cosi parla, fende
Con tanta fretta il snttil legno l'onde,
Che con maggiore a logoro non scende
Falcon ch'ai grido del padron risponde.
Del destro corno il destro ramo prende
Quindi il nocchiero, e mura e tetti asconde:
San Giorgio addietro, addietro s'allontana
La torre e della Fossa e di Gaibana.
64 Rinaldo, come accade eh' un pensiero
Un altro dietro « e quello un altro mena.
Si venne a ricordar del cavaliere,
Nel cui palagio fu la sera a cena;
Che per questa cittade, a dire il vero,
Avea giusta cagion di stare in pena:
E ricordossi del vaso da bere ,
Che mostra altrui l'error della mogliere;
65 E ricordossi insieme della prova
Che d' aver fatta il cavalier narrolli :
Che di quanti avea esperti, uomo non trova
Che bea nel vaso , e '1 petto non s' immolli.
Or si pente , or tra sé dice : E' mi giova
Ch'a tanto paragon venir non volli.
Riuscendo, accertava il creder mio;
Non riuscendo, a che partito era io?
66 Gli è questo creder mio , come io l' avessi
Ben certo, e poco accrescer lo potrei:
Si che, s^al paragon mi succedessi,
Poco il meglio saria chMo ne trarrei;
Ma non già poco il mal, quando vedessi
Quel di Clarice mia, ch4o non vorrei.
Metter saria mille contra uno a giuoco ,
Che perder si può molto, e acquistar poco.
69 II nocchier soggiuugea : Ben gli dicesti .
Che non dovea offerirle si gran doni ,
Che contrastare a questi assalti e a questi
Colpi non sono tutti i petti huoni.
Non so se d'una giovane intendesti
(Ch' esser può che tra voi se ne ragioni) .
Che nel medesmo error vide il consorte ,
Di ch'esso avea lei condannata a morte.
Stanza 73.
67 Stando in questo pensoso il cavaliero
Di Chiaramonte, e non alzando il viso,
Con molta attenzìon fu da un nocchiero.
Che gli era incontra , riguardato fi.^o :
E perchè di veder tutto il pensiero.
Che r occupava tanto , gli fu avviso ,
Come uom che ben parlava ed avea ardire,
A seco ragionar lo fece uscire.
68 La somma fu del lor ragionamento,
Che colui mal accorto era ben stato ,
Che nella moglie sua l'esperimento
Maggior che può far donna , avea tentato ;
Che quella che dall'oro e dall'argento
Difende il cor di pudicizia armato,
Tra mille spade via più facilmente
Difenderallo, e in mezzo al fuoco ardente.
70 Dovea in memoria avere il signor mio.
Che l'oro e'I premio ogni durezza inchina;
Ma , quando bisognò , l' ebbe in obblio ,
Ed ei si procacciò la sua mina.
Cosi sapea lo esempio egli, com'io,
Che fu in questa città di qui vicina ,
Sua patria e mia , che '1 lago e la palude
Del rifrenato Menzo intorno chiude :
71 D'Adonio voglio dir, che'l ricco dono
Fé' alla moglie del giudice, d'un cane.
Di questo, disse il Paladino , il suono
Non passa l'Alpe, e qui tra voi rimane;
Perchè uè in Francia, uè dove ito sono ,
Parlar n'udi' nelle contrade estrane:
Si che di' pur , se non t' incresce il dire ;
Che volentieri io mi t'acconcio a udire.
72 n nocchier cominciò: Già fu di questa
Terra un Anselmo di famiglia degna ,
Che la sua gioventù con lunga vesta
Spese in saper ciò eh' Ulpi'ano insegna;
E di nobil progenie, bella e onesta
Moglie cercò, ch'ai grado suo convegna;
E d'una terra quindi non lontana
N'ebbe una di bellezza sopraumana;
73 E di bei modi e tanto graziosi.
Che parea tutto amore e leggiadria;
E di molto più forse , eh' ai riposi ,
Cb^allo stato di lui non convenia.
Tosto che l'ebbe, quanti mai gelosi
Al mondo fur, passò di gelosia :
Non già ch'altra cagion glie ne desse ella,
Che d'esser troppo accorta e troppo bella.
74 Nella città medesma un cavaliero
Era d' antiqua e d' onorata gente ,
Che discendea da quel lignaggio altiero
CVusci d'una mascella di serpente:
Onde già Manto, e chi con essa fero
La patria mia, disceser similmente.
Il cavalier, ch'Adonio nominosse.
Di questa bella donna innamorosse:
75 E per veiiìre a fin di questo amore,
A spender cominciò senza rilego
In vestire, in conviti, in farsi onore,
Quanto può farsi un cavalier più deguo.
II tesor di Uberio imperatore
Non saria stato a tante spese al segno.
Io credo ben che non passar duo verni ,
Ch' egli usci fuor di tatti i ben patemi.
76 La casa eh* era dianzi frequentata
Mattina e sera tanto dagli amici,
Sola restò , tosto che fu privata
Di stame, di fagian, di coturnici
Egli che capo fu della brigata.
Rimase dietro , e quasi fra mendici :
Pensò , poi eh' in miseria era venuto ,
D'andare ove non fosse coneeciuto.
77 Con questa intenz'ion una mattina,
Senza far motto altmi, la patria lascia;
E con sospiri e lacrime cammina
Lungo Io stagno che le mura fascia.
La donna che del cor gli era regina ,
Già non obblìa per la seconda ambascia.
Ecco un'alta avventura che lo viene
Pi sommo male a porre in sommò bene.
78 Vede un villan che con uu gran bastone
Intorno alcuni sterpi s'affatica.
Quivi Adonio si ferma, e la cagione
Di tanto travagliar vuol che gli dica.
Disse il villan, che dentro a quel macchione
Veduto avea una serpe molto antica.
Di che più lunga e grossa a'giomi suoi
Non vide, né credea mai veder poi;
79 E che non si voleva indi partire ,
Che non l'avesse ritrovata e morta.
Come Adonio lo sente cosi dire,
Con poca paz'ienzia lo sopporta. '
Sempre solea le serpi favorire :
Che per insegna il sangue suo le porta,
In memoria ch'usci sua prima gente
De' denti seminati di serpente.
80 E disse e fece col villano in guisa
Che, suo malgrado abbandonò l'impresa;
Si che da lui non fu la serpe uccisa,
Né più cercata, né altrimenti offesa.
Adouio ne va poi dove s'avvisa
Che sua condìzìon sia meno intesa;
E dura con disagio e con affanno
Fuor della patria appresso al settimo anno.
81 Né mai per lontananza, né strettezza
Del viver, che i pensier non lascia ir vaghi
Cessa Amor che si gli ha la mano avvezza ,
Ch'ognor non gli arda il core, ognor impiaghi,
É forza alfin che torni alla bellezza
Che son di riveder si gli occhi vaghi.
Barbato , afflitto , e assai male in arnese ,
Là donde era venuto , il cammin prese.
Stanza 74.
2 In questo tempo alla mia patria accade
Mandare un orator al Padre santo.
Che resti appresso alla sua Santitade
Per alcun tempo, e non fu detto quanto.
Gettan la sorte, e nel Giudice cade.
Oh giorno a lui cagion sempre di pianto!
Fé' scuse , pregò assai , diede e promesse
Per non partirsi ; e alfìn sforzato ces'e.
83 Non gli parea cradele e duro manco
A dover sopportar tonto dolore:
Che se veduto aprir s'avesse il fianco,
E vedutosi trar con mano il core.
Di geloso timor pallido e bianco
Per la sua donna , mentre starla fuore ,
Lei con quei modi che giovar si crede,
Supplice priega a non mancar di fede ;
Stanza 75.
84 Dicendola eh' a donna né bellezza,
Nò nobiltà , né gran fortuna basta ,
Si che di vero onor monti in altezza
Se per nome e per opre non è casta;
E che quella virtù via più si prezza,
Che di sopra riman quando contrasta ;
E ch'or gran campo avria, per questa absenza.
Di far di pudicizia esperienza.
85 Con tal le cerca ed altre assai parole
Persuader eh' ella gli sia fedele.
Della dura partita ella si duole ,
Con che lagrime, oh Dio! con che querele!
E giura che più tosto oscuro il Sole
Vedrassi, che gli sia mai si crudele,
Che rompa fede; e che vorria morire
Piuttosto ch'aver mai questo desire.
86 Ancor eh' a sue promesse e a' suoi scongiuri
Desse credenza e si acchetasse alquanto ,
Non resta che più intender non procuri ,
E che materia non procacci al pianto.
Avea nn amico suo, che dei futuri
Casi predir teneva il pregio e '1 vanto ;
E d' ogni sortilegio e magic' arte
0 il tutto, 0 ne sapea la maggior parte.
87 Di égli pregando di vedere assunto ,
Se la sua moglie, nominata Argia,
Nel tempo che da lei starà disgiunto,
Fedele e casta, o pel contrario fia:
Colui, da prieghi vinto, toUe il ponto;
11 ciel figura come par che stia.
Anselmo il lascia in opra, e l'altro giorno
A lui per la risposta fa ritomo.
Stanza 83.
88 là astrologo tenea le labbra chiose ,
Per non dire al dottor cosa che doglia;
E cerca di tacer con molte scuse.
Quando pur del suo mal vede e' ha voglia ,
Che gli romperà fede, gli concluse,
Tosto eh' egli abbia il pie fiior della soglia ,
Non da bellezza né da prieghi indotta,
Ma da guadagno e da prezzo corrotta.
89 Giunte al timore, al dubbio ch^avea prima,
Queste minacce ilei superni moti ,
Come gli stesse il cor tu stesso stima ,
Se d^amor gli accidenti ti son noti.
E sopra ogni mestizia che T opprima,
E che l'afflitta mente aggiri e arruoti,
È '1 saper come , vinta d' avarizia ,
Per prezzo abbia a lasciar sua pudicizia.
90 Or per far , quanti polea far , ripari
Da non lasciarla in queir error cadere
(Perchè il bisogno a dispogliar gli altari
Trae V uom talvolta , che se 4 trova avere) ,
Ciò che tenea di gioie e di danari
(Che n'avea somma) pose in suo potere:
Rendite e frutti d'ogni possessione,
E ciò e' ha al mondo, in man tutto le pone:
stanza 86.
91 Con facultade , disse , che ne' tuoi
Non sol bisogni te li goda e spenda ,
Ma che ne possi far ciò che ne vuoi.
Li consumi, li getti, e doni e venda.
Altro conto saper non ne vo'poi,
Purché , qual ti lascio or , tu mi ti renda :
Purché, come or tu sei, mi sie rìmasa.
Fa eh' io non trovi né poder né casa.
92 La prega che non faccia, se non sente
Ch' egli ci sia , nella città dimora ;
Ma nella villa, ove più agiatamente
Viver potrà d'ogni commercio fuora.
Questo dicea , però che l' urail gente ,
• Che nel gregge o ne' campi gli lavora
Non gli era avviso che le caste voglie
Contaminar potessero alla moglie.
93 Tenendo tuttavia le belle braccia
Al timido marito al collo Argia ,
E di lacrime empiendogli la faccia.
Ch' un fiumicel dagli occhi le n' uscia ,
S'attrista che colpevole la faccia,
Come di fé' mancata già gli sia ;
Che questa sua sospizi'on procede
Perchè non ha nella sua fede fede.
94 Troppo sarà s' io voglio ir rimembrando
Ciò ch'ai partir da tramendua fu detto.
Il mio onor, dice alfin, ti raccomando.
Piglia licenza, e partesi in effetto;
E ben si sente veramente, quando
Volge il cavallo , uscire il cor del petto.
Ella lo segue, quanto seguir puote,
Con gli occhi che le rigano le gote.
95 Adonio intanto misero e tapino,
E, come io dissi, pallido e barbuto,
Verso la patria, avea preso il cammino ,
Sperando di non esser conosciuto.
Sul lago giunse alla città vicino,
L\ dove avea dato alla biscia aiuto ,
Ch' era assediata entro la macchia forte
Da quel villan che por la volea a morte.
Stanza 86.
96 Quivi arrivando in su V aprir del giorno ,
Ch' ancor splendea nel cielo alcuna stella ,
Si vede in peregrino abito adorno
Venir pel lito incontra una donzella
In siguoril sembiante, ancor ch'intorno
Non r appari8.<»e né scudier né ancella.
Costei con grata vista lo raccolse,
E poi la lingua a tai parole sciolse :
97 Sebbeu non mi conosci^ o ca vallerò,
Son tua parente e grande obbligo t' aggio:
Parente son,, perchè da Cadmo fiero
Scende d'amenduo noi Paltò lignaggio.
Io son la fata Manto, che M primiero
Sasso messi a fondar questo villaggio;
E del mio nome icome ben forse hai
Contare udito) Mantua la nomai.
98 Delle Fate io son una : ed il fatale
Stato per farti anco saper eh* importe.
Nascemmo a un punto , che d' ogn'aliro male
Siaino capaci , fuor che della morte.
Ma giunto é con questo essere immortale
Condizion non meu del morir forte;
Ch'ogni settimo giorno ognuna è certa
Che la sua forma in biscia si converta.
99 II vedersi coprir del brutto scoglio,
E gir serpendo, è cosa tanto schiva.
Che non é pare al mondo altro cordoglio ;
Talché bestemmia ognuna d'esser viva.
E l'obbligo ch'io t'ho (perchè ti voglio
lusiememente dire onde deriva)
Tu saprai ; che quel di , per esser tali ,
Siamo a periglio d'infiniti mali.
100 Non è sì odiato altro animale in terra,
Come la serpe; e noi, che n'abbiam faccia,
Patimo da ciascun oltraggio e guerra;
Che chi ne vede, ne percuote e caccia.
Se non troviamo ove tornar sotterra.
Sentiamo quanto pesa altrui le braccia ,
Meglio saria poter morir, che rette
E storpiate restar sotto le botte.
101 L'obbligo ch'io t'ho grande, è ch'una volti
Che tu passavi per quest'ombre amene,
Per te di mano fui d'un villan tolta,
Che gran travagli m'avea diti e pene.
Se tu non eri, io non andava asciolta,
Ch'io non portassi rotto e capo e schene,
E che sciancata non restassi e storta,
Sebbeu non vi potea rimaner morta;
102 Perchè quei giorni che per terra il petto
Traemo avvolte in serpentile scorza.
Il ciel , eh' in altri tempi è a noi suggetto ,
Niega ubbidirci, e prive slam di forza.
In altri tempi ad un sol nostro detto
11 sol si ferma, e la sua luce ammorza;
L' immobil terra gira , e muta loco :
S'infiamma il ghiaccio e si congela il fuoco.
103 Ora io son qui per renderti mercede
Del beneficio che mi festi allora.
Nessuna grazia indamo or mi si chiede,
Ch'io son del manto viperino fuora.
Tre volte più che di tuo padre erede
Non rimanesti, io ti fo rioco or ora*.
Né vo'che mai più povero diventi.
Ma quanto spendi più, che più augomenti.
stanza 96.
r^H/i.^
OF
104 £ perchè so che neir antiquo nodo,
In che già Amor t' avvinse, anco ti trovi ;
Voglioti dimostrar T ordine e'I modo
Ch'a disbramar tuoi desiderii giovi.
Io voglio , or che lontano il marito odo ,
Che senza indugio il mio consiglio provi;
Vadi a trovar la donna che dimora
Fuor alla villa, e sarò teco io ancora.
105 E seguitò narrandogli in che guisa
Alla sua donna vuol che s' appresenti ;
Dico come vestir, come precisa-
Mente abbia a dir, come la prieghi e tenti;
E che forma essa vuol pigliar divisa;
Che, fuor cheM giorno ch'erra tra' serpenti ,
In tutti gli altri si può far, secondo
Che più le pare, in quante forme ha il mondo.
106 Messe in abito lui di peregrino ,
n qual per Dio di porta in porta accatti.
3Intossi ella in un cane, il più piccino
Di quanti mai n'abbia Natura fatti:
Di pel lungo , più bianco eh' armellino ,
Di grato aspetto e di mirabili atti.
Così trasfigurati entraro in via
Verso la casa della bella Argia:
107 E dei lavoratori alle capanne,
Prima ch'altrove , il giovene fermosse,
E cominciò a suonar certe sue canne,
Al cui suono danzando il can rizzosse.
La voce e '1 grido alla padrona vanne ,
E fece si, che per veder si mosse.
Fece il romeo chiamar nella sua corte,
Si come del dottor traea la sorte.
108 E quivi Adenio a comandare al cane
Incominciò , e il cane a ubbidir lui ;
E far danze nostral, farne d' estrane,
Con passi e continenze e modi sui:
E finalmente con maniere umane
Far ciò che comandar sapea colui.
Con tanta attenzion, che chi lo mira,
Non batte gli occhi, e appena il fiato spira.
109 Gran maraviglia, et indi gran desire
Venne alla donna di quel can gentile;
£ ne fa per la balia profferire
Al cauto peregrin prezzo non vile.
S'avessi più tesor, che mai sitire
Potesse cupidigia femminile,
Colui rispose, non saria mercede
Dì comprar degna del mio cane un piede.
110 E per mostrar che veri i detti foro.
Con la balia in un canto si ritrasse,
E disse al cane, ch'una marca d'oro
A quella donna in cortesia donasse.
Scossesi il cane» e videsi il tesoro.
Disse Adonio alla balia che pigliasse.
Soggiungendo : ti par che prezzo sìa
Per cui sì bello et util cane io dia ?
Stanza 111.
1 1 1 Cosa , qual vogli sia , non gli domando ,
Di eh' io ne tomi mai con le man vote :
.E quando perle, e quando anella, e quando
Leggiadra veste e di gran prezzo scuote ,
Pur di' a madonna, che fia al suo comando,
Per oro no , eh' oro pagar noi puote ;
Ma se vuol ch'una notte seco io giaccia,
Abbiasi il cane , e '1 suo voler ne faccia. .
112 Cosi dice; e una gemma allora nata
Le dà, ch'alia padrona l'appresenti.
Pare alla balia averne più derrata.
Che di pagar dieci ducati o venti.
Toma alla donna, e le fa l'ambasciata;
E la conforta poi che si contenti
D'acquistare il bel cane, ch'acquistarlo
Per prezzo può, che non si perde a darlo.
113 La bella Argia sta ritrosetta in prima:
Parte , cbe la sut fé romper uon vuole;
Parte, ch'esser possibile non stima
Tutto ciò che ne suonan le parole.
La balia le riconla. e rode e lima,
Che tanto ben di rado avvenir suole;
E fé* che V agio un altro dì si tolse,
Che'l can veder senza tanti occhi volse.
Stanza 114.
114 Quest'altro comparir ch'Adonio fece,
Fu la ruina e del dottor la morte.
Facea nascer le doble a diece a diece,
Filze di perle, e gemme d'ogni sorte:
Sì che '1 superbo cor mansuefece ,
Che tanto meno a contrastar fu forte,
Quanto poi seppe che costui eh' innante
Le fa partito , è '1 cavalier suo amante.
115 Della puttana sua balia i conforti ,
I prieghi dell'amante e la presenzia,
II veder cbe guadagno se l'apporti,
Del misero dottor la lunga abseuzia ,
Lo sperar eh' alcun mai non lo rapporti ,
Fero ai casti pensier tal vi'olenzia.
Ch'ella accettò il bel cane, e per mercede
In braccio e in preda al suo amator si diede.
116 Adonio lungamente frutto colse
Della sua bella donna, a cui la fata
Grande amor pose , e tanto le ne volse ,
Che sempre star con lei si fu obbligata.
Per tutti i segni il sol prima si volse.
Ch'ai Giudice licenzia fosse data:
Alfìn tornò, ma pien di gran sospetto
Per quel che già l'astrologo avea detto.
117 Fa, giunto nella patria, il primo volo
A casa dell' a9trologo , e gli chiede
Se la sua donna fatto inganno e dolo,
Oppur serbato gli abbia amore e fede.
Il sito figurò colui del polo,
Ed a tutti i pianeti il luogo diede:
Poi rispose, che quel eh' avea temuto,
Come predetto fu, gli era avvenuto;
118 Che da doni grandissimi corrotta.
Data ad altri s'avea la donna in preda.
Questa al dottor nel cor fu sì gran botta,
Che lancia e spiedo io vo'cha ben le ceda.
Per esserne più certo , ne va allotta
(Benché pur troppo allo indovino creda)
Ov'è la balia, e la tira da parte,
E per saperne il certo usa grand' arte.
119 Con larghi giri circondando prova
Or qua or là di ritrovar la traccia;
E da principio nulla ne ritrova,
Con ogni dìligenzia che ne faccia;
Ch' ella , che non avf'a tal cosa nuova ,
Stava negando con immobil faccia;
E come bene istrutta, più d'un mese
Tra il dubbio e'I certo il suo padron aospefle.
120 Quanto dovea parergli il dubbio buono
Se pensava il dolor ch'avrìa del certo?
Poi ch'indarno provò con priego e dono
Che dalla balia il ver gli fosse aperto ,
Né toccò tasto ove sentisse suono
Altro che falso ; come uom bene esperto ,
Aspettò che discordia vi venisse;
Ch'ove femmine son, son liti e risse.
121 E come egli aspettò, così gli avvenne;
Ch' al primo sdegno che tra loro nacque ,
Senza suo ricercar ^ la balia venne
Il tutto a raccontargli; e nulla tacque.
Lungo a dir fora ciò che '1 cor sostenne ,
Come la mente costernata giacque
Del Giudice meschin, che fu sì oppresso
Che stette per uscir fuor di sé stesso:
122 E si dispose alfia , dallMra vinto,
Morir ; ma prima uccider la saa moglie ,
£ che d*ambidui sangui un ferro tinto
Levasse lei di biasmo, e sé di doglie.
Nella città se ne ritoma, spinto
Da così furibonde e cieche voglie;
Indi alla villa un suo fidato manda,
E quanto eseguir debba gli comanda.
123 Comanda al servo, ch'alia moglie Argia
Tomi alla villa, e in nome suo le dica
Ch' egli è da febbre oppresso cosi ria ,
Che di trovarlo vivo avrà fatica :
Si che , senza aspettar più compagnia .
Venir debba con lui , s' ella gli è amica
(Verrà: sa ben che non farà parola);
E che tra via le seghi egli la gola.
124 A chiamar la patrona andò il famiglio,
Per far di lei quanto il signor commesse.
Dato prima al suo cane ella di piglio,
Montò a cavallo, ed a cammin si messe.
L' avea il cane avvisata del periglio ,
Ma che d'andar per questo ella non stesse:
Ch*avea ben disegnato e provveduto
Onde nel gran bisogno avrebbe aiuto.
125 Levato il servo del cammino s'era;
E per diveri^e e solitarie strade
A studio capitò su una riviera
Che d' Apennino in questo fiume cade ;
0?' era bosco e selva oscura e nera ,
Lungi da villa e lungi da cittade.
Gli parve loco tacito e disposto
Per l'effetto cradel che gli fu imposto.
126 Trasse la spada, e alla padrona disse
Quanto commesso il suo signor gli avea;
Sì che chiedesse, prima che morisse,
Perdono a Dio d'ogni sua colpa rea.
Non ti so dir com'ella si coprisse:
Quando il servo ferirla si credea ,
Più non la vide, e molto d' ogn' intorno
L'andò cercando, e alfin restò con scorno.
128 Non sa che far; che né l'oltraggio grave
Vendicato ha , uè le sue pene ha sceme.
Quel ch'era una festuca, ora è una trave;
Tanto gli pesa, tanto al cor gli preme.
L'error che sapean pochi, or si aperto ave.
Che senza indugio si palesi , teme.
Potea il primo celarsi j ma il secondo ,
Pubblico in breve fia per tutto il mondo.
Stanza 117.
129 Conosce ben che, poiché '1 cor fellone
Avea scoperto il misero centra essa,
Ch' ella , per non tornargli in suggezione ,
D'alcun potente in man si sarà messa.
Il qual se la terrà con irrisione
. Ed ignominia del marito espressa;
E forse anco verrà d' alcuno in mano ,
Che ne fia insieme adultero e mfiìano.
127 Toma al patron con gran vergogna ed onta,
Tutto attonito in faccia e sbigottito;
E V insolito caso gli racconta ,
Ch'egli non sa come si sia seguito.
Ch'a'suoi servigi abbia la moglie pronta
La fata Manto , non sapea il marito ;
Che la balia , onde il resto avea saputo ,
Questo, non so perché, gli avea taciuto.
130 Si che, per rimediarvi, in fletta manda
Intorno messi e lettere a cercame.
Chi 'n quel loco , chi 'n questo ne domanda
Per Lombardia, senza città lasciamo.
Poi va in persona, e non si lascia banda
Ove 0 non vada o mandivi a spiarne :
Né mai può ritrovar capo né via
Di venire a notizia che ne sia.
Stanza VJ6.
131 Alfìn chiam-x quel servo, a chi fa imposta
L'opra crudel che poi uou ebbe effetto,
E fa che lo conduce ove nascosta
Se gli era Arg^a, sì come gli avea detto;
Che forse in qualche macchia il di reposta,
La notte si ripara in alcun tetto.
Lo guida il servo ove trovar si crede
La folta selva, e un gran palagio vede.
132 Fatto avea farsi alla i>ua Fata intanto
La beila Argia con subito Idvuro
D'alabastri un palagio per incauto,
Dentro e di fuor tutto fregiato d'oro.
Ne lìngua dir, né cor pensar può quanto
Avea beltà di fuor, dentro tesoro.
Quel che iersera si ti parve bello,
Del mio signor, saria un tugurio a quello.
133 E di panni di razza, e di cortine
Tessale riccamente e a varie foggie ,
Ornate eran le stalle e le cantitie ,
Non sale pur, non pur camere e loggie;
Vasi d^ oro e d* argento senza fine ,
Gemme cavate, azzurre e verdi e roggie,
E formate in gran piatti e in coppe e in nappi,
E senza fin d^oro e di seta drappi.
134 II Giudice, siccome io vi dicea.
Venne a questo palagio a dar di petto ,
Quando né una capanna si credea
Di ritrovar, ma solo il bosco schietto.
Per l'alta maraviglia che n'avea,
Esser si credea uscito d' intelletto :
Non sapea se fosse ebbro, o se sognasse,
Oppur se 1 cervel scemo a volo andasse.
135 Vede innanzi alla porta un Eti'ópo
Con naso e labbri grossi; e ben gli è avvis »
Che non vedesse mai , prima né dopo ,
Un cosi sozzo e dispiacevol viso;
Pei di fattezze, qua! si pinge Esopo,
D'attristar, se vi fosse, il Paradiso;
Bisunto e sporco , e d' abito mendico :
Né a mezzo ancor di sua bruttezza io dico.
136 Anselmo , che non vede altro da cui
Possa saper di chi la casa sia,
A lui s'accosta, e ne domanda a lui;
Ed ei lisponde: Questa casa è mia.
Il Giudice ò ben certo che colui
Lo beffi, e che gli dica la bugia:
Ma con scongiuri il Negro ad affermare
Che sua è la casa, e ch'altri non v'ha a fare;
J37 E gli offerisce, se la vuol vedere,
Che dentro vada, e cerchi come voglia;
E se v'ha cosa che gli sia in piacere
0 per sé o per gli amici, se la toglia.
Diede il cavallo al servo suo a tenere
Anselmo , e messe il pie dentro alla soglia ;
E per sale e per camere condutto.
Da basso e d' alto andò mirando 11 tutto.
139 E gli fa la medesima richiesta
Ch'avea già Adonio alla sua moglie fatta.
Dalla brutta domanda e disonesta.
Persona lo stimò bestiale e matta.
Per tre repulse e quattro egli non resta;
E tanti modi a persuaderlo adatta,
Sempie offerendo in merito il palagio,
Che fé' inchinarlo al suo voler malvagio.
stanza 135. 188 La forma, il sito, il ricco e bel lavoro
Va contemplando, e l'ornamento regio ;
E spesso dice : Non potria quant' oro
É sotto il Sol pagare il loco egregio.
A questo gli risponde il brutto Moro ,
£ dice: E questo ancor trova il suo pregio:
Se non d'oro o d'argento, nondimeno
Pagar lo può quel che vi costa meno.
140 La moglie Argia, che stava appresso ascosa,
Poi che lo vide nel suo error caduto.
Saltò fuora gridando : Ah degna cosa
Ch' io veggo di dottor saggio tenuto !
Trovato in si mal' opra e viziosa,
Pensa se rosso far si deve e muto.
0 terra , acciò ti si gittasse dentro ,
Perché allor non t' apristi insino al centro?
stanza 140.
141 La douna in suo dìscarco, ed in vergogna
D' Anselmo , il capo gì' intronò di gridi ,
Dicendo : Come te punir bisogna
Di quel che far con si vii uom ti vidi ,
Se per seguir quel che natura agogna,
Me, vinta a'prieghi del mio amante, uccidi.
Ch'era bello e gentile, e un dono tale
Mi fé', eh' a quel nulla il palagio vale?
142 S'io ti parvi esser degna d'ona^ morte.
Conosci che ne sei degno di cento:
E benché in questo loco io sia sì forte.
Ch'io possa di te fare il mio ^talento ,
Pure io non vo' pigliar di peggior sorte
Altra vendetta del tuo fallimento.
Di par l' avere e '1 dar , marito , poni ;
Fa, com'io a te, che tu a me aijcor penloui.
143 £ sia la pace e sia raccordo fatto,
Ch*ogni passato error vada in obblio;
Né eh* in parole io possa mai uè in atto
Ricordarti il tuo errori né a me tu il mio.
Il marito ne parve aver buon patto ,
Né dimostrossi al perdonar restio.
Cosi a pace e concordia ritornaro,
E sempre poi fu Tnno air altro caro.
144 Cosi disse il nocchiero; e mosse a riso
Rinaldo al fin della sua istoria un poco;
E diventar gli fece a un tratto il viso,
Per l' onta del Dottor, come di fuoco.
Rinaldo Argia molto lodò, ch'avviso
Ebbe d* alzare a quello augello un gioco
Oh' alla medesma rete fé' casca) lo ,
In che cadde ella , ma con minor fallo.
stanca 149.
14.5 Poi che più in alto il Sole il cammin prese,
Fé' il Paladino apparecchiar la mensa ,
Ch'avea la notte il 3rantiian cortese
Provvista con larghissima dispensa.
Fugge a sinistra intanto il bel paese ,
Ed a man destra la palude immensa :
Viene e fnggesi Argenta e '1 suo girone ,
Col lito ove Santerno il capo pone.
146 Allora la Bastia credo non v'era,
Di che non troppo si vantar Spagnuoli
D'avervi su tenuta !a bandiera;
Ma più da pianger n'hanno i Rom(ignuo)i.
E quindi a Filo alla dritta riviera
Cacciano il legno, e fan parer che voli.
Lo volgon poi per una fossa morta.
Ch'a mezzodì presso a Ravenna il porta.
147 Benché Rinaldo con pochi danari
Fosse sovente, pur n'avea si allora,
Che cortesia ne fece a' marinari ,
Prima che li lasciasse alla buon' ora.
Quindi mutando bestie e cavallari,
A Rimino passò la sera ancora ;
Né in Montefiore aspetta il mattutino,
E quasi a par col sol giunge i^ Urbino.
148 Quivi non era Federico allora,
Né Lisabetta, nè'l buon Guido v'era,
Né Francesco Maria, né Leonora,
Che con cortese forza , e non altiera ,
Avesse astretto a far seco dimora
Sì famoso guerrier più d'una sera;
Come fèr già molti anni , ed oggi fanno
A donne e a qavalier che di 14 vanuo.
149 Perchè quivi alla briglia alcun noi prende,
Smonta Rinaldo a Cagli alla via dritta.
Pel monte che 1 Metanro o il Gauno fende,
Passa ApenninOf e più non Tha a man ritta;
Passa gli Ombri e gli Etmsci, e a Roma scende;
Da Roma ad Ostia; e qnindi si tragitta
Per mare alla cittade a cui commise
Il pietoso figliaci V ossa d^ Anchise.
150 Muta ìyì legno , e verso V isoletta
Di Lipadusa fa ratto levarsi;
Quella che fu dai combattenti eletta ,
£d ove già stati erano a trovarsi
Insta Rinaldo , e gli nocchieri affretta ,
Ch*a vela e a remi fan ciò che può farsi;
Ma i venti avversi, e per lui mal gagliardi,*
Lo fecer, ma di poco, arrivar tardi.
151 Giunse ch'appunto il Principe d'Anglante
Fatta avea l' utile opra e gloriosa :
Avea Gradasso ucciso ed Agramante ,
Ma con dura vittoria e sanguinosa.
Morto n'era il figliuol di Monodante:
E di grave percossa e perigliosa
Stava Olivier languendo in su T arena,
E del pie guasto avea martire e pena.
162 Tener non potè il Conte asciutto il viso,
Quando abbracciò Rinaldo, e che narroUi
Che gli era stato Brandimarte ucciso ,
Che tanta fede e tanto amor portolli.
Né men Rinaldo, quando si diviso
Vide il capo all' amico , ebbe occhi molli :
Poi quindi ad abbracciar si fu condotto
Olivier, che sedea col piede rotto.
158 La consolazion che seppe, tutta
Die lor, benché per sé tòr non la possa;
Che giunto si vedea quivi alle frutta.
Anzi poi che la mensa era rimossa.
Andare i servi alla città distrutta,
E di Gradasso e d' Agramante l' ossa
Nelle mine ascoser di Biserta,
E quivi divulgar la cosa certa.
154 Della vittoria ch'avea avuto Orlando,
S'allegrò Astolfo e Sansonetto molto;
Non si però, come avrian fatto, quando
Non fosse a Brandimarte il lume tolto.
Sentir lui morto il gaudio va scemando
Sì , che non ponno asserenare il volto.
Or chi sarà di lor, ch'annunzio voglia
A Fiordiligi dar di si gran doglia?
155 La notte che precesse a questo giorno,
Fiordiligi sognò che quella vesta
Che , per mandarne Brandimarte adomo ,
Avea trapunta e di sua man contesta,
Vedea per mezzo sparsa e d'ogn' intomo
Di goccio rosse, a guisa di tempesta:
Parca che di sua man cosi l'avesse
Ricamata ella, e poi se ne dogliesse.
156 E parca dir: Pur hammi il signor mio
Commesso ch'io la faccia tutta nera:
Or perché dunque ricamata hoU'io
Centra sua voglia in si strana maniera?
Di questo sogno fe'giudicio rio;
Poi la novella giunse quella sera:
Ma tanto Astolfo ascosa glie la tenne,
Ch' a lei con Sansonetto se ne venne.
157 Tosto ch'entraro, e ch'ella loro il viso
Vide di gaudio in tal vittoria privo,
Senz' altro annunzio sa , senz' altro avviso ,
Che Brandimarte suo non é più vivo.
Di ciò le resta il cor cod conquiso,
E cosi gli occhi hanno la luce a schivo ,
E cosi ogn' altro senso se le serra,
Che come morta andar si lascia in terra.
158 Al tornar dello spirto, ella alle chiome
Caccia le mani; ed alle belle gote,
Indarno ripetendo il caro nome,
Fa danno ed onta più che far lor puote:
Straccia i capelli e sparge; e grida come
Donna talor che'l demon rio percuote,
0 come s'ode che già a suon di comò
Mènade corse, ed aggìrossi intomo.
159 Or questo or quel pregando va, che pòrto
Le sia un coltel, si che nel cor si fera:
Or correr vuol là dove il legno in porto
Dei duo signor defunti arrivato era,
E dell'uno e dell'altro cosi morto
Far cmdo strazio, e vendetta aera e fiera:
Or vuol passare il mare , e cercar tanto,
Che possa al suo signor morire accanto.
160 Deh perché, Brandimarte, ti lasciai
Senza me andare a tanta impresa? (disse)
Vedendoti partir, non fVi più mai
Che Fiordiligi tua non ti seguisse.
T'avrei giovato, s'io veniva, assai;
Ch'avrei tenute in te le luci fisse:
E se Gradasso avessi dietro avuto,
Con un sol grido io t'avrei dato aiuto;
161 0 forse esser potrei stata si presta,
Ch'entrando in mezzo, il colpo t* avrei tolto:
Fatto scudo t'avrei con la mia testa;
Che morendo io , non era il danno molto.
Ogni modo io morrò ; né fia di questa
Dolente morte alcun profitto cólto;
Che, quando io fossi morta in tua difesa,
Non potrei m^lio aver la vita spesa.
162 Se pur ad aiutarti i duri fati
Avessi avuti e tutto il cielo avverso ,
Gli ultimi baci almeno io t'avrei dati,
Almen t'avrei di pianto il viso asperso;
E prima che con gli angeli beati
Fosse lo spirto al suo Fattor converso,
Detto gli avrei: Va in pace, e là m'aspetta:
Ch' ovunque sei, son per seguirti in fretta.
163 É questo, Brandimarte, è questo il regno ,
Di che pigliar lo scettro ora dovevi?
Or cosi teco a Dammogire io vegno?
Cosi nel real seggio mi ricevi?
Ah Fortuna crudel , quanto disegno
Mi rompi ! oh che speranze oggi mi levi !
Deh, che cesso io, poic'ho perduto questo
Tanto mio ben, ch'io non perdo anco il resto?
164 Questo ed altro dicendo, in lei risorse
n furor con tanto impeto e la rabbia,
Ch'a stracciare il bel crìu di nuovo corse ,
Come il bel crin tutta la colpa n'abbia.
Le mani insieme si percosse e morse;
Nel sen si cacciò l'ugne e nelle labbia.
Ma tomo a Orlando ed a' compagni, intanto
Ch'ella si strugge e si consuma in pianto.
1^5 Orlando, col cognato che non poco
Bisogno avea di medico e di cura ;
Ed altrettanto, perchè in degno loco
Avesse Brandimarte sepoltura;
Verso il monte ne va, che fa coi fuoco
Chiara la notte, e il di di fumo oscura.
Hanno propizio il vento, e a destra mano
Non è quel lito lor molto lontano.
1 66 Con fresco vento eh' in favor veniva ,
Sciolser la fune al declinar del giorno ,
Mostrando lor la taciturna Diva
La dritta via col luminoso corno;
E sorser l'altro dì sopra la riva
Ch'amena giace ad Agrigento intomo.
Quivi Orlando ordinò per l'altra sera
Ciò ch'a funeral pompa bisogno era.
167 Poi che l'ordine suo vide eseguito,
Essendo omai del Sole il lume spento,
Fra molta nobiltà eh' era allo 'nvito
De' luoghi intorno corsa iu Agrigento,
D'accesi torchi tutto ardendo '1 lito,
E di grida sonando e di lamento,
Tomo Orlando ove il corpo fu lasciato.
Che vivo e morto avea con fede amato.
168 Quivi Bardin, di soma d'anni grave,
Stava piangendo, alla bara funebre,
Che pel gran pianto eh' avea fatto in nave,
Dovria gli occhi aver pianti e le palpebre.
Chiamando il ciel cmdel, le stelle prave,
Bnggia come un leon ch'abbia la febre.
Le mani erano intanto empie e ribelle
Ai crin canuti e alla rugosa pelle.
stanza 168.
169 Levossi, al ritomar del Paladino ,
Maggiore il grido, e raddoppiossi il pianto.
Orlando, fatto al corpo più vicino.
Senza parlar stette a mirarlo alquanto ,
Pallido come còlto al mattutino
É da sera il ligustro o il molle acanto ;
E dopo un gran sospir , tenendo fisse
Sempre le luci in lui, cosi gli disse:
170 0 forte, o caro, o mio fedel compagno,
Che qui sei morto, e so che vivi in cielo,
E d' una vita v' hai fatto guadagno ,
Che non ti può mai tòr caldo né gelo.
Perdonami , sebben vedi eh' io piagno ;
Perchè d'esser rimaso mi querelo,
E ch'a tanta letizia io non son teco;
Non già perchè quaggiù tu non sìa meco.
] 7 1 Solo senza te son ; né cosa in terra
Senza te posso aver più che mi piaccia.
Se teco era in tempesta e teco in guerra,
Perchè non anco in ozio ed in honaccia?
Ben grande èl mio fallir, poiché mi serra
Di questo fango uscir per la tua traccia.
Se negli affanni teco fui , perch' ora
Non sono a parte del guadagno ancora?
172 Tu guadagnato, e perdita ho fatto io:
Sol tu air acquisto , io non son solo al danno.
Partecipe fatto é del dolor mio
L'Italia, il regno franco e l'alemanno.
Oh quanto, quanto il mio Signore e zio.
Oh quanto i Paladin da doler s' hanno ^
Quanto l'Imperio e la cristiana Chiesa,
Che perduto han la sua maggior difesa!
Stanza 181.
173 Oh quanto si torrà, per la tua morte,
Di terrore a' nimici e di spavento !
Oh quanto Paganìa sarà più forte!
Quanto animo n'avrà, quanto ardimento!
Oh come star ne dee la tua consorte!
Sin qui ne veggo il pianto , e 'i grido sento :
So che m' accusa', e forse odio mi porta ,
Che per me teco ogni sua speme è morta.
174 Ma, Fiordiligi , almen resti un conforto
A noi che siam di Brandimarte privi ;
Ch'invidiar lui con tanta gloria morto
Denno tutti i guerrier ch'oggi son vivi.
Quei Decj , e quel nel roman Foro absorto ,
Quel si lodato Codro dagli Argivi,
Non con più altrui profitto e più suo onore
A morte si donar, del tuo signore.
175 Queste parole ed altre dicea Orlando.
Intanto i bigi , i bianchi , i neri frati ,
E tutti gli altri chieici , seguitando
Andavan con lungo ordine accoppiati,
Per r alma del deftinto Dio pregando ,
Che gli donasse requie tra' beati.
Lumi innanzi e per mezzo e d'ogn' intorno,
Mutata aver parean la notte in giorno.
176 Levan la bara , ed a portarla fOro
Messi a vicenda Conti e cavalierL
Purpurea seta la copria, che d*oro
E di gran perle ayea compassi altieri :
Di non men bello e signori! lavoro
Avean gemmati e splendidi origlieri;
E giacea quivi il cavalier con vesta
Di color pare, e d'un lavor contesta.
SUnza 185.
177 Trecento agli altri eran passati ìnnanti,
De' più poveri tolti della terra,
Parimente vestiti tutti quanti
Di panni negri, e lunghi sin a terra.
Cento paggi seguian sopra altrettanti
Grossi cavalli, e tutti buoni a guerra;
E i cavalli coi paggi ivano il suolo
Badendo col lor al)ito di duolo.
178 Molte bandiere innanzi, e molte dietro.
Che di diverse insegne eran dipinte,
Spiegate accompagnavano il feretro ;
Le quai già tolte a mille schiere vinte,
E guadagnate a Cesare ed a Pietro
Avean le forze ch'or giaceano estinte.
Scudi v'erano molti, che di degni
Querrier, a chi fur tolti, aveano i segui.
179 Veniali eento e cent' altri a diversi usi
Deir esequie ordinati; ed avean questi,
Come anc3 il resto, accesi torchi; e chiusi,
Più che vestiti , eran di nere vesti.
Poi seguia Orlando, e ad or ad or soffusi
Di lacrime avea gli occhi, e rossi e mesti;
Né più lieto di lui Rinaldo venne:
Il pie Olivier, che rotto avea, ritenne.
180 Lungo sarà s'io vi vo'dire in versi
Le cerimonie, e raccontarvi tutti
I dispensati manti oscuri e persi ,
Gli accesi torchi che vi furon strutti.
Quindi alla chiesa cattedral conversi ,
Dovunque andar, non lasciaro occhi asciutti;
Si bel, sì buon, sì giovene, a pietade
Mosse ogni sesso, ogni ordine, ogni etade.
183 E vedendo le lacrime indefesse ,
Ed ostinati a uscir sempre i sospiri;
Né , per far sempre dire ufficj e messe ,
Mai satisfar potendo a' suoi disiri;
Di non partirsi quindi in cor si messe ,
Finché del corpo V anima non spiri :
E nel sepolcro fé' fare una cella,
E vi si chiuse , e fé' sua vita in quella.
184 Oltre che messi e lettere le mande.
Vi va in persona Orlando per levarla.
Se viene in Francia, con pensìon ben grande
Compagna vuol di Gktlerana farla :
Quando tornare al padre anco domande ,
Sin alla Lizza vuole accompagnarla:
Edificar le vuole un monastero ,
Quando servire a Dio faccia pensiero.
stanza 190.
181 Fu posto in chiesa; e poi che dalle donne
Di lacrime e di pianti inutil opra ,
E che dai sacerdoti ebbe eleisonne,
E gli altri, santi detti avuto sopra ,
In un' arca il serbar su due colonne :
E quella vuole Orlando che si copra
Di ricco drappo d' ór , sinché reposto
In un sepulcro sia di maggior costo.
182 Orlando di Sicilia non si parte.
Che manda a trovar porfidi e alabastri.
Fece fare il disegno, e di quell'arte
Inarrar con gran premio i miglior mastri.
Fé' le lastre, venendo in questa parte,
Poi drizzar Fiordiligi , e i gran pilastri
Che quivi, essendo Orlando già partito ,
Si fé' portar dall'africano lito.
185 Stava ella nel sepulcro; e quivi, attrita
Da penitenzia, orando giorno e notte,
Non durò lunga età, che di sua vita
Dalla Parca le fur le fila rotte.
Già fatto avean dall'isola partita.
Ove i Ciclopi avean l'antique grotte,
I tre guerrier di Francia, afflitti e mesti
Che'l quarto lor compagno addietro resti.
186 Non volean senza medico levarsi,
Che d'Olivier s'avesse a pigliar cura;
La qual, perché a principio mal pigliarsi
Potè , fatt' era faticosa e dura :
E quello udiano in modo lamentarsi ,
Che del suo caso avean tutti paura.
Tra lor di ciò parlando , al nocchier nacque
Un pensiero, e lo disse; e a tutti piacque.
187 Disse ch'era di là poco lontano
In un solingo scoglio uno eremita,
A cui ricorso mai non s' era invano ,
0 fosse per consiglio o per aita ;
E facea alcun effetto soprnmano ,
Dar lume a ciechi, e tornar morti a vita.
Fermare il vento ad un segno di croce,
E far tranquillo il mar quando è più atroce;
188 E che non d^nno dubitare, andando
A ritrovar quell' uomo a Dio sì caro ,
Che lor non renda Olivier sano , quando
Fatto ha di sua virtù segno più chiaro.
Questo consiglio si piacque ad Orlando
Che verso il santo loco si drizzare;
Né mai piegando dal cammin la prora,
Vider lo scoglio al sorger dell'aurora.
189 Scorgendo il legno uomini in acqua dotti,
Sicuramente s'accostaro a quello.
Quivi aiutando servi e galeotti,
Declinaro il marchese nel battello:
E per le spumose onde far condotti
Nel duro scoglio, et indi al santo ostello;
Al santo ostello, a quel vecchio medesmo,
Per le cui mani ebbe Kuggier battesmo.
190 II servo del Signor del paradiso
Baccolse Orlando e i compagni suoi,
E benedilli con giocondo viso,
E de' lor casi dimandolli poi ;
Benché di lor venuta avuto avviso
Avesse prima dai celesti eroi.
Orlando gli rispose esser venuto
Per ritrovare al suo Oliviero aiuto;
191 Ch'era, pugnando per la fé di Cristo,
A periglioso termine ridutto.
Levógli il Santo ogni sospetto tristo,
E gli promise di sanarlo in tutto.
Né d'unguento trovandosi provvisto..
Né d'altra umana medicina instrutto,
Andò alla chiesa , ed orò al Salvatore ;
Et indi usci con gran baldanza fuore:
193 E in nome delle eteme tre Persone,
Padre e Figliuolo e Spirto Santo , diede
Ad Olivier la sua benedizione.
Oh virtù che dà Cristo a chi gli crede !
Cacciò dal cavallero ogni passione,
£ ritomògli a sanitade il piede ,
Più fermo e più espedito che mai fosse:
E presente Sobrino a ciò trovosse.
193 Giunto Sobrin delle sue piaghe a tanto,
,Che star peggio ogni giorno se ne sente ,
Tosto che vede del monaco santo
Il miracolo grande ed evidente,
Si dispon di lasciar Macon da canto ,
E Cristo confessar vivo e potente:
E domanda, con cor di fede attrito,
D'iniziarsi al nostro sacro rito.
194 Cosi l'uom giusto Io battezza, ed anco
Gli rende, orando, ogni vigor primiero.
Orlando e gli altri cavalier non manco
Di tal conversion letizia fero.
Che di veiler che liberato e franco
Del periglioso mal fosse Oliviero.
3[aggior gaudio degli altri Kuggier ebbe;
E molto in fede e in devozione accrebbe.
195 Era Buggier dal dì che giunse a nuoto
Su questo scoglio, poi statovi ognora.
Fra quei guerrieri il vecchierel devoto
Sta dolcemente , e li conforta ed óra
A voler, schivi di pantano e loto.
Mondi passar per questa morta gora ,
C'ha nome vita, che si piace a' sciocchi;
Ed alle vie del ciel sempre aver gli occhi.
[Stanza 193.
196 Orlando un suo mandò sul legno, e trarne
Fece pane e buon vin, cacio e presciutti;
E all'uom di Dio , eh' ogni sapor di starne
Pose in obblio poi eh' avvezzossi a' frutti,
Per carità mangiar fecero carne,
E ber del vino , e far quel che fèr tutti.
Poi ch'alia mensa consolati f5ro,
Di molte cose ragionar tra loro.
1
197 E come accade nel parlar sovente,
Ch' una cosa vien l' altra dimostrando ,
Buggier riconosciuto finalmente
Fu da Kinaldo, da Olivier, da Orlando,
Per quel Kuggier in arme sì eccellente ,
Il cui valor s' accorda ognun lodando :
Né Binaldo l'avea niffigurato
Per quel che provò già nello steccato.
198 Ben V avea il re Sobrio riconosciuto ,
Tosto che *1 vide col vecchio apparire ;
B[a volse innanzi star tacito e muto ,
Che porsi in avventura di fallire.
Poi eh' a notizia agli altri fu venuto
Che questo era Ruggier, di cui l'ardire,
La cortesia, e'I valore alto e profondo
Si facea nominar per tntto il mondo;
199 E sapendosi gii eh' era crist'ano ,
Tutti con lieta e con serena faccia
Vengono a lai: chi gli tocca la mano,
Chi lo bacia, e chi lo stringe e abbraccia.
Sopra gli altri il signor di Montalbano
D'accarezzarlo e fargli onor procaccia.
Perch'esso più degli altri, io '1 serbo a dire
Nell'altro Canto, se'l vorrete udire.
N OTB,
St. 8. v. 3. — Tomo; caduta. St. 10. V. 5. — Levarti dalla scena i panni : vale
manifestarti il mio interno. St. 11. V 1-6. — Una cittd vicina, ecc.: Mantova,
circondata da un laf?o formato dal Mincio , che deriva
dal Benaco (lago di Gai'da) e si scarica in Po. — Le
mura.... de'l* agenoreo draco: Tebe di Beozia, fabbri-
cata da Cadmo, figlio di Agenore, re di Fenicia. Andava
egli in traccia d'Kuropa, sua sorella, rapita da Giove;
e giunto con i suoi compagni in Beozia, trovò quella
regione infestata da un drago; Tnccise, ed avendone
seminati i denti, ne nacquero nomini armati, che lo aiu-
tarono a fabbricar la città.
St. 13. V. 4. — Pallade: figlia di Giove, dea della
sapienza, dell'arti e della guerra.
St. 23. V. 4-6. — La giovane Ledea: Elena, fleliadi
Leda e di Tindaro, e moglie di Menelao, re di Sparta,
famosa per l'avvenenza. — Al gran pastor deVa mon-
tagna Idea: Paride, figlio di Priamo, re di Troia; fu
allevato dai pastori reali sul monte Ida, e giudicò la
contesa sulla bellezza fra Venere, Pallade e Giunone,
ognuni delle qui li, per averlo propirio, gli offeriva i
pregi di che poteva disporre.
St. '28. V. 3-4. — Qual già , per fare accorto , ecc.
Leggesi nei romanzi della Tavola Rotonda , che Mor-
gana, sorella di Marco, re di Gomovaglia, per mostrare
al fratello che la consorte di lui, Ginevra, gli avea man-
cato alla fede, fece per incanto un bicchiere . che pro-
duceva l'effetto indicato nei quattro ultimi versi di
questa Stanza. St. 32. V. 18. — Signor, qui presso una n'iti difende
Il Po, ecc. Ferrara, che giace dove il Po si divide ne'
due rami di Volano e di Primaro. — Fin dove il mir
fugge dal Ufo e toma: fino alla spiaggia dell' Adrìa-
lico. — Le reliquie troiane la fondaro , ere. Accenna
l'opinione, allora coirente, che fondatoti di Fenura fos-
se* 0 i Padovani scampati dalP eccidio che fece Atala
della loro città , che credevasi fabbricata dal troiano
Antenore.
St. 33. V. 5. — Nel primo occorso: nel primo incontro.
St. W. V. 5 8. — Melara.... Sermide... Figarolo e
Stellata , castelli sul Po ; r ultimo di questi sorge là
dove quel fiume si divide in due rami , il destro de'
quali, detto Poatello, rade Ferrara, e l'altro sbocca
uell'Adrìatico col nome di Po di Goro.
ST. 54. V. 3-8, — iZ Bondeno : altro castello sulla
confluenza del Pan!.ro nel Poatello. — Di TecUdo Amh^
le rocche: qai s'intenle un castello fabbricato, secondo
il Pigna, da Te<laUo d*Este sul Poatello, nella estnmità
occidentale di Ferrara , circa l' anno 970 , epoca poste-
riore ai tempi di Carlo Magno.
St. 56. v. 3-8. — AlV isoletta , ecc.: Belvedere, piccola
isola formata dal Po , la quale ai tempi del Poeta era
luogo di delizie del duca Alfonso.
St. 57. V. 3-8. — Che settecento volte che si sia Gi-
rata col M nton la quarta sfera : locuzione che im-
porta scorsi che sieno 700 anni. La quarta sfera, se-
condo il sistema di Tolomeo, è quella del Sole; e l'anno
astronomico comincia all'entrar di quell'astro nel segno
d'Ariete. — Alla patria di Nausicaa: l'isola di Pea-
eia, ora Corfù , rinomata presso gli antichi per la bel-
lezza dei giardini d'Alcinoo, p-dre di Nausicaa, che
n'era il sovrano.
St. 58. v. 2-6. — Quella si a Tiberio cara : l'isola
di Capri , ultimo ritiro dell' imperator Tiberio Nerone.
— Né in mandra Circe ebbe né in hara : Circe, figlia
del Sole e maga famosa, convertiva in bestie, e per lo
pia in porci, gli uomini che approdavano nella sua isola
— Hara : porcile.
St. 59. V. 7-8. — E che d'Ercol figliuola ecc.: inten-
desi il duca Alfonso, figliuolo d'Ercole I, e padre d'Er-
cole II.
St. 63. V. 8-8. — Logoro: or .Ugno di penne e di cuoio .
fatto a modo d'ala, che serve agli uccellatori , per ri-
chiamare il falcone. — Del destro corno il destro ramo
prende, ecc. Quel ramo cioè del Poatello, che piA avanti
chiamasi Po di Primaro , ed è il destro anche rispetto
air altro ramo , detto Po di Volano. — San Giorgio :
nome di un'isoletta sul Po. — La torre e della Fossa
e di Galbana: due torri costruite sul Po di Primaro
a sei miglia da Ferrara, la prima a destra, l'altra (oni
più non esistente) a sinistra di quel ramo di fiume.
St. 70. V. C-8. — Che fu in qttesta cittd di qui vi-
cina, ecc. Mantova, circondata dal lago formato dal
Mincio, come si è notato poc'anzi.
St. 72. V. 4. — Ciò ch'Vlpiano insegala. Fu Ulpiano
un celebre giureconsulto, ai tempi dell'imperatore Ales-
sandro Sevei'o.
St. 74. V. 3-4. — 2>a quel Urnaggio altiero CKusci
da una mascella di serpente: dai compagni di Cadmo,
nati , come s' è veduto , dai denti del drago o serpeate
ucciso da quello. St. 75. V. 5-8. — H tesar di Tiberio imperatore : non
Tiberio Nerone , ma nn altro Tiberio che saccedette a
Giustino Ian\ore, e che fa doviziosissimo per gli eredi-
tati tesori. ])er quelli ammassati da Narsete spogliando
ritalia, e per altri provenutigli dalle vittorie che riportò
sui Persiani. — Usci fuor di tutti i ben paterni: gli
scialacquò tatti. St. 79. ▼. 8. — Di' denti seminati di serpente. Finge
il Poeta che gli antenati di Antonio discendessero dai
compagni di Cadmo. St. 87. V. 5. — Tolle il punto: coglie il punto accon-
cio per le osservazioni astrologiche. St. 101. V. 5-6. — Io non andava aseiolta Ch'io non
portassi rotto , ecc. Io non andava esente dal portar
rotto, ecc. St. 107. V. 3^. — Certe sue canne: una zampogna
composta di canne. — Il romeo: nome che davasi a chi
andava in pellegrinaggio a Roma, e che poi si estese
anche agli altri pellegrini. — Traea : per voleva.
St. 133. v. 1. — Ratsi o Panni di tazza non sonò
altro che gli arasti , cosi detti dalla città di Arras in
Fiandra, ove da principio si fabbricarono.
St. 135. V. 5. — Esopo: scrittore di favole e deforme.
St. 145. V. 8. — Col lito ove Santerno il capo pone:
la riva del Po di Primaro, in cui, sotto Argenta, sbocca
il Santerno, ch'è il fiume dimoia. St MS. V. 4-7. — I RomagnuoH: vedi la Stanza 53
del Canto Ili. — E quindi a Filo : nome di una villa
sulla sinistra del Po di Primaro, sette miglia sotto Ar-
genta. — Fossa morta: cosi chiamano un ramo subal-
terno del Po di Primaro , che corre per dodici miglia
fino a Ravenna. St. 148. V. 1-3. — Quivi non era Federico al/ora, ecc.:
Federico e Ouidubaldo da Montefeltro, Elisabetta sua
moglie, e Francesco Maria della Rovere, marito di Leo-
nora Gonzaga, duchi d* Urbino , e splendidamente ospi-
tali alle persone distinte. St. 149. V. 2-8. — Cagli: piccola città vescovile nel-
l'Urbinate, alle fetide degli ApenninL — Pel monte che 7
Metawo o il Gauno fende: questo monte è il Furio,
nel cui intemo, per mezzo di un foro, passa un tratto
della strada postale. Il Metauro ò fiume dell* Urbinate
che si confonde col Gauno, fiumicello di cui forse ora
si è perduto il nome. — Oli Ombri e gli Strusci: il
paese abitato una volta dagli Umbri e dagli Etruschi,
che faceva parte degli Stati del papa nello Spoletino,
nel Perugino, e nel cosi detto Patrimonio di San Pietro.
— Ostia: alla foce del Tevere; già florida città qaando
era il porto di Roma, ora quasi totalmente distrutta e
abbandonata all'aria malsana. — Alla cittade a cui
commise^ ecc. Trapani in Sicilia, ove Enea fece seppel-
lire Tossa di suo padre Anchise.
St. 158. V. 8. —Menade: nome comune alle Baccanti
0 sacerdotesse di Bacco, che ne celebravano i notturni
misteri coiTendo furiose , e agitandosi a suon di comi
e di altri istromenti.
St. 163. y. 3. — Dammogire: città capitale del regno
di Brandimarte.
St. 165. V. 5. — Verso il monte.... cìie fa col fuoco
Chiara la notte, ecc.: TEtna, o Mongibello, montagna
vulcanica di Sicilia.
St. 174. V. 5-6. — Quei DeeJ: due Romani, padre e
figlio, che votaronsi agli Dei per la salate del popolo,
esponendosi alla morte. — Quel nel roman Foro ab-
sorto: Curzio, che per salvare la patria si gettò in una
voragine apertasi nel Foro di Roma. — Quel sì lodato
Codro, ultimo r» di Atene, il quale per amore della li-
bertà della Grecia sì fece volontariamente uccidere dai
nemici.
^T. 176. V. 4. — Compassi altieri: compartimenti, o
lavori a disegno magnifico.
St. 181. V. 1-3. — Di lacrime e di ].ianti. ecc.: allude
al costume ani ico di prezzolar donne a piangere nei fa-
nerali. — Eleisonne: il salmo Miserere, che comincia
in greco con la parola eleison-me.
S T, 182. V. 4. — Inarrar : impegnare.
St. 184. V. 4-6. — Galerana: la moglie di Carlo Ma
gno. — Lizza: anticamen'e detta Laodt'cea ad mare
ora Latakia.
St. 190. V. 6. — Dai celesti eroi: dai Santi del cielo.
Canto XLIV. .Hringonsì ì cinque giiertieri in fraterna aniicizj»; e Einalila per ìa
stima cho f* dì Rng|s:>ro,e pei confotti de! baon romito, gli firc^
tuetle Bra^lnniaTite in coasorie. Vanno <iuitidi & ìliraUim, dove con-
tempo l'alien in <^ii te ttrtivii Astolfo, che ìia Ikenitiati gik i Xtibj, e
ren dilla In floita d primo ^Ets^re di foglie. I paUdiut e Sobrtiìfi
sono accolti niEiRniflcanieiite da. Carlo in Parigi; ma quel gaudio
è turbato dal dif^senso del duca Amono e di BeaTricoairiinio»fi dj
Kiiggi^ro con Biadamant^ , da loro fidaiiiata a Leone, figlio àtl-
l'iinperator gì eco. Atniasi Rupgìtro; o pieno d'o<j io cqatTtt LeotHf,
bi loca al campo de' Bulf^^ri, tbe li unno guerra co 'Greci, Bconfig^
qtitstì ultimi, poi \a ad allog^iarù in nna terra da lui non l-obo-
acìuta per soggetta al greco impeto; ed hi A denaniiato com *
autore del diaastro £ offerto dai Greci.
l SpDì?Po iu pùberi alberghi e in piceml tetli.
Nelle calaTDitadl e uei disagi «
lleglio BVasTì^iunjC^oii tV amicìzia i petti,
Che fra ricchezze invì{liuHe t*ì agi
Tel le piene tV insidie e ili aosipetti
Curti regali e splendidi palagi,
Ove la cari t ade è in tutto estinta ,
Né si vede amici/ia se non finta*
Quindi avvjen che tra Principi e Signori
Patti e convennon sono sì frali.
Fan lega oggi Re» Papi e Imperatori;
T'^iniHii pLìran nimicì CL^pitali:
Perchè , qual V apparenze esteriori ,
Non hanno i cor, non han gli animi tali;
Che, non mirando al torto più ch^al dritto,
Attendon solamente al lor profitto.
CANTO QUARANTESIMOQUARTO.
3 Questi, quantunque d'amicizia poco
Sieno capaci, perchè non sta quella
Ove per cose gravi, ove per giuoco
Mai senza finzì'on non si favella;
Pur , se talor gli ha tratti in umil loco
Insieme una fortuna acerba e fella,
In poco tempo vengono a notizia
(Quel che in molto non fér) dell' amicizia.
I Profferte senza fine , onore e feata
Fece a Ruggiero il Paladin cortese.
Il prudente Eremita, come questa
Benivolenzia vide, adito prese.
Entrò dicendo : A fare altro non resta
(E lo spero ottener senza contese) ,
Che come V amicizia è tra voi fatta ,
Tra voi sia ancora affinità contratta;
4 n santo vecchierel nella sua stanza
Giunger gli ospiti suoi con nodo forte
Ad amor vero meglio ebbe possanza,
Ch'altri non avria fatto in real corte.
Fu questo poi di tal perseveranza ,
•Che non si sciolse mai fino alla morte.
Il vecchio li trovò tutti benigni ,
Candidi più nel cor, che di fuor cigni.
5 Trovolli tutti amabili e cortesi ,
Non della iniquità ch'io v'ho dipinta
Di quei che mai non escono palesi,
Ha sempre van con apparenza finta.
Di quanto s'eran per addietro offesi
Ogni memoria fu tra loro estinta:
E se d' un ventre fossero e d' un seme ,
Non si potriano amar più tutti insieme.
« Sopra gli altri il Signor di Blontalbano
Accarezzava e riveria Ruggiero;
Si perchè già l'avea con Tarme in mino
Provato quanto era animoso e fiero;
Si per trovarlo affabile ed umano
Più che mai fosse al mondo cavaliere :
Ma molto più, che da diverse bande
Si conoscea d'avergli obbligo grande.
7 Sapea che di gravissimo periglio
Egli avea liberato Ricciardetto ,
Quando il Re ispano gli fé' dar di pìglio ,
E con la figlia prendere nel letto :
E eh' avea tratto l'uno e l'altro figlio
Del duca Buovo, com'io v'ho già detto,
Di man dei Saracini e dei malvagi
Ch'eran col maganzese Bertolagi.
Stanza 9.
10 Acciò che delle due progenie illustri ,
Che non han par di nobiltade al mondo,
Nasca un lignaggio che più chiaro lustri
Che'l chiaro Sol, per quanto gira a tondo;
E come andran più innanzi ed anni e lustrì.
Sarà più bello, e durerà (secondo
Che Dio m'inspira, acciò eh' a voi noi celi)
Finché terran l'usato corso i cieli.
8 Questo debito a lui parca di sorte.
Oh' ad amar lo stringeano e ad onorarlo;
E gli ne dolse e gli ne 'ncrebbe forte ,
Che prima non avea potuto farlo,
Quando era l'un nelP africana corte,
E l'altro ali! servigi era di Carlo.
Or che fatto Cristian quivi lo trova,
Quel che non fece prima , or far gli giova.
11 E seguitando il suo parlar più innante.
Fa il santo vecchio si, che persuade
Che Rinaldo a Rug^ier dia Bradamante ;
Benché pregar né l'un né l'altro accade.
Loda Olivier col Principe d'Anglante,
Che far si debba quest i affinitade :
Il che speran che approvi Amone e Carlo ,
E debba tutta Francia commendarlo.
12 Cosi ^cean; ma non sapean ch'Amone,
Con Yolnntà del figlio di Pipino ,
N^avea dato in quei giorni intenzione
Air imperator greco Costantino,
Che glie le domandava per Leone
Suo figlio , e snccesBor nel gran domino.
Se n^era, pel valor che n'avea inteso,
Senza vederla, il giovinetto acceso.
18 Risposto gli avea Amon , che da sé solo
Non era per concludere altramente.
Né pria che ne parlasse col figliuolo
Rinaldo , dalla corte allora assente ;
Il qual credea che vi verrebbe a volo ,
E che di grazia avria si gran parente :
Pur , per molto rispetto che gli avea ,
Risolver senza lui non si volea.
--■-Svtó:''^;
stanza lo.
14 Or Rinaldo lontan dal padre, quella
Pratica imperiai tutta ignorando.
Quivi a Ruggier promette la sorella ,
Di suo parere e di parer d'Orlando,
£ degli altri eh' avea seco alla cella ,
Ma sopra tutti V Eremita instando :
E crede veramente che piacere
Debba ad Amon quel parentado avere.
16 Quel di e la notte, e del seguente giorno
Steron grau parte col Monaco saggio.
Quasi obbliando al legno far ritorno.
Benché il vento spirasse al lor viaggio.
Ma i lor nocchieri, a cui tanto soggiorno
Increscea ornai, mandar più d'un messaggio,
Che sì li stimolar della partita ,
Ch' a forza li spiccar dall' Eremita.
16 Ruggier che stato era in esilio tanto,
Né dallo scoglio avea mai mosso il piede,
Tolse licenzia da quel mastro santo,
Ch'insegnata gli avea la vera Fede.
La spada Orlando gli rimesse accanto,
L'arme d'Ettorre, e il buon Frontin gli diede;
Si per mostrar del suo amor segno espresso,
Si per saper che dianzi erano d'esso.
17 E quantunque miglior nell'incantata
Spada ragione avesse il Paladino,
Che con pena e travaglio già levata
L'avea dal formidabile giardino,
Che non avea Ruggiero, a cui donata
Dal ladro fu, che gli die ancor Frontino;
' Pur volentier gliele donò col resto
Dell'armi, tosto che ne fu richiesto. 18 Par benedetti dal vecchio devoto
E sol navìlio alfin si ritornaro ,
I remi air acqua , e diér le vele al Noto ;
E fa lor sì sereno il tempo e chiaro.
Che non vi bisognò priego né voto ,
Finché nel porto di Marsiglia entraro.
Ma quivi stiano tanto , eh' io conduca
Insieme Astolfo , il glorioso duca. 19 Poi che della vittoria Astolfo intese »
Che sanguinosa e poco lieta s'ebbe;
Vedendo che sicura dall'offese
D' Africa oggiinai Francia esser potrebbe ,
Pensò che '1 Re de' Nubi in suo paese
Con l'esercito suo rimanderebbe,
Per la strada medesima che tenne
Quando centra Biserta se ne venne.
stanza 23.
20 L'armata che i Pagan roppe nell' onde ,
Già rimandata ave.i il figliuol d' Uggiero ;
Di cui , nuovo miracolo , le sponde
(Tosto che ne fu uscito il popol nero)
E le poppe e le prore mutò in fronde,
E ritomolle al suo stato primiero :
Poi venne il vento , e come cosa lieve
LeToUe in aria, e fé' sparire in breve.
22 Negli utri , dico , il vento die lor chiuso ,
Ch'uscir di mezzodì suol con tal rabbia,
Che muove a guisa d' onde , e leva in suso ,
E rota fin in ciel l'arida sabbia;
Acciò se lo portassero a lor uso,
Che per cammino a far danno non abbia;
E che poi, giunti nella lor regione,
Avessero a lassar fuor di prigione.
21 Chi a piedi e chi in arcion, tutte partita,
D' Africa fèr le Nubiane schiere.
Ma prima Astolfo si chiamò infinita
Grazia al Senape ed immortale avere.
Che gli venne in persona a dare aita
Con ogni sforzo ed ogni suo potere.
Astolfo lor nell'uterino claustro
A portar diede il fiero e turbido Austro.
23 Scrive Tarpino , come furo ai passi
Dell'alto Atlante, che i cavalli loro
Tutti in uu tempo diventaron sassi;
Sì che, come venir, se ne tornerò.
Ma tempo é ornai ch'Astolfo in Fran'^ia passi ;
E cosi, poi che del paese moro
Ebbe provvisto ai luoghi principali ,
AU'Ippogrifo suo fé' spiegar l'ali.
24 Volò in Sardigna in nn batter di penne,
E di Sardigna andò nel llto corso;
E quindi sopra il mar la strada tenne,
Torcendo alquanto a man sinistra il morso.
Nelle maremme alP ultimo ritenne
Della ricca Provenza il leggier corso,
Dov'eseguì dell' Ippogrifo quanto
G.i disse già V Evangelista santo.
25 Hagli commesso il santo Evangelista,
Che più , giunto in Provenza , non lo sproni;
E eh' all' impeto fier più non resista
Con sella e fren , ma libertà gli doni.
Già avea il più basso eie), che sempre acquista
Del perder nostro, al corno tolti i suoni;
Che muto era restato , nonché roco ,
Tosto eh' entrò '1 guerrier nel divin loco.
stanza 29.
28 Per onorar costor, ch'eran sostegno
Del santo Imperio e la maggior colonna,
Carlo mandò la nobiltà del regno
Ad incontrarli fin sopra la Sonna.
Egli usci poi col suo drappel più degno
Di Re e di Duci, e con la propria donna,
Fuor delle mura, in compagnia di belle
E ben ornate e nobili donzelle.
21 L'Imperator con chiara e lieta Aronte.
I Paladini e gli amici e i parenti.
La nobiltà, la plebe fanno al Conte
Ed agli altri d'amor segni evidenti:
Gridar s'ode Mongrana e Chiaramonte.
Sì tosto non finir gli abbracciamenti,
Rinaldo e Orlando insieme ed Oliviero
Al signor loro appresent&r Ruggiero;
80 E gli narrar che di Ruggier di Risa
Era figliuol, di virtù uguale al padre.
Se sia animoso e forte, ed a che guisa
Sappia ferir, san dir le nostre squadre.
Con Bradamante in questo vien Marfi::.! ,
Le. due compagne nobili e leggiadre.
Ad abbracciar Ruggier vien la sorella:
Con più rispetto sta l'altra donzella.
31 L'imperator Ruggier fa risalire.
Ch'era per riverenzia sceso a piede,
E Io fa a par a far seco venire;
E di ciò eh' a onorarlo si richiede,
Un punto sol non lassa preterire.
Ben sapea che tornato era alla fede;
Che tosto che i guerrier furo all' asciutto ,
Certificato avean Carlo del tutto.
26 Venne Astolfo a Marsiglia , e venne appunto
11 dì che v'era Orlando ed Oliviero,
E quel da Montalbano insieme giunto
Col buon Sobrino e col me^ior Ruggiero.
La memoria del sozio lor defunto
Vietò che i Paladini non poterò
Insieme cosi a punto rallegrarsi,
Come in tanta vittoria dovea farsi.
2 Con pompa trionfai , con festa grande
Tomaro insieme dentro alla cittade ,
Che di frondi verdeggia e di ghirlande:
Coperte a panni son tutte le strade:
Nembo d'erbe e di fior d'alto si spande,
E sopra e intomo ai vincitori cade ,
Che da veroni e da finestre amene
Donne e donzelle gittano a man piene.
27 Carlo avea di Sicilia avuto avviso
Dei doo Re morti, e di Sobrino preso,
E ch'era stato Brandimarte ucciso;
Poi di Ruggiero avea non meno inteso:
E ne stava col cor lieto e col viso
D'aver gittate intollerabil peso,
Che gli fu sopra gli omeri si greve ,
Che starà un pezzo pria che si rìleve.
33 Al volgersi dei canti in vari lochi
Trovano archi e trofei subito fatti ,
Che di Biserta le mine e i fochi
Mostran dipinti, ed altri degni fatti:
Altrove palchi con diversi giuochi,
E spettacoli e mimi e scenici atti;
Ed è per tutti i canti il titol vero
Scritto: Ai liberatori dell'Impero. 34 Fra il suon d' argute trombe , e di canore
Piffxre , e d' og^ni musica armonia ,
Fra riso e plauso, i^iubiio e favore
Del popolo eh' a pena vi capa ,
Smontò al palazzo il magno Imperatore ,
Ove più giorni quella compagnia
Con toruiamenti , personaggi e farse ,
Danze e conviti attese a dilectarse. 85 Rinaldo un giorno al padre fé' sapere
Che la sorella a Rus^gier dar volea;
Ch'in presenzia d'Orlando per mogliere,
E d' Olivier , promessa glie l' avea ;
Li quali erano seco d' un parere ,
Che parentado far non si potea,
Per nobiltà di sangue e per valore,
Che fosse a questo par , nonché migliore.
stanza 32.
36 Ode Amone il figliuol con qualche sdegno,
Che , senza conferirlo seco , gli osa
La figlia maritar, ch'esso ha disegno
Che del figliuol di Costantin sia sposa,
Non di Ruggier, il qual non eh' abbi' regno
3ra non può al mondo dir: Questa è mia cosa;
Né sa che nobiltà poco si prezza ,
E men virtù, se non v'è ancor ricchezza.
37 Bla più d'Araou la moglie Beatrice
Biasma il figliuolo, e chiamalo arrogante ;
E in segreto e in palese contraddice
Che di Ruggier sia moglie Bradamante:
A tutta sua possanza Imperatrice
Ha disegnato farla di Levante.
Sta Rinaldo ostinato, che non vuole
Che manchi ou iota delle sue parole.
38 La madre , eh' aver crede alle sue voglie
La magnanima figlia, la conforta
Che dica, che piuttosto ch'esser moglie
D'un pover cavalier, vuole esser morta;
Né mai più per figliuola la raccoglie,
Se questa ingiuria dal fratel sopporta:
Nieghi pur con audacia , e tenga saldo;
Che per sforzirla non sarà Rinallo.
SO Sta Bradamante tacita , né al detto
Della madre s'arrisca a contraddire;
Che r ha iu tal riverenzia e in tal rispetto ,
Che non potria pensar non l' ubbidire.
Dall' altra parte terria gran difetto ,
Se quel che non vuol far volesse dire.
Non vuol, perchè non può; chè'l poco e'I molto
Poter di se disporre Amor le ha tolto.
40 Né negar, né mostrarsene contenta
S'ardisce; e sol sospira, e non risponde:
Poi quando é in laogo ch'altri non la senta,
Yersan lacrime gli occhi a guisa d'onde;
£ parte del dolor, che la tormenta,
Sentir fa al petto ed alle chiome bionde:
Che l'un percuote, e l'altre straccia e frange;
E cosi parla, e cosi seco piange:
Stanza 33.
41 Ahimè! vorrò quel che non vuol chi deve
Poter del voler mio più che poss'io?
Il voler di mia madre avrò in si lieve
Stima, ch'io lo posponga al voler mio?
Deh ! qual peccato puote esser si grieve
A una donzella, qual biasmo si rio ,
Come questo sarà, se, non volendo
Chi sempre ho da ubbidir, marito prendo?
42 Avrà, misera me! dunque possanza
La materna pietà, ch'io t'abbandoni,
0 mio Ruggiero? e eh' a nuova speranza,
A desir nuovo, a nuovo amor mi doni?
Oppur la riverenzia e l'osservanza
Ch'ai buoni padri denno 1 figli buoni
Porrò da parte, e solo avrò rispetto
Al mio bene , al mio gaudio , al mio diletto ?
43 So quanto , ahi lassa ! debbo tài: so quanto
Di buona figlia al debito conviensi:
10 '1 so ; ma che mi vai , se non può tanto
La ragion, che non possine più i sensi?
S'Amor la caccia e la fa star da canto,
Né lassa ch'io disponga, né ch'io pensi
Di me dispor, se non quanto a lui piaccia,
E sol, quanto egli detti, io dica e faccia?
44 Figlia d' Amone e di Beatrice sono ,
E son, misera me! serva d'Amore.
Dai genitori miei trovar perdono
Spero e pietà, s'io cadere in errore:
Ma s' io offenderò Amor , chi sarà buono
A schivarmi con prieghi il suo furore,
Che sol voglia Una di mie scuse udire,
E non mi faccia subito morire?
45 Cime ! con lunga ed ostinata prova
Ho cercato Ruggier trarre alla Fede;
Ed bollo tratto alfin : ma che mi giova ,
Se'l mio ben fare in util d'altri cede?
Così, ma non per sé, l'ape rinnova
11 mele ogni anno, e mai non lo possiede.
Ma vo' prima morir, che mai sia vero
Ch' io pigli altro marito , che Ruggiero.
Stanza 95.
46 S* io non sarò al mio padre ubbidiente ,
Né alla mia madre, io sarò al mio fratello,
Che molto e molto è più di lor prudente,
Né gli ha la troppa età tolto il cervello.
E a questo che Rinaldo vuol, consente
Orlando ancora, e per me ho questo e quello;
Li quali duo più onora il mondo e teme ,
Che V altra nostra gente tutta insieme.
47 Se qnesti il fior, se questi ognuno stima
La gloria e Io splendor di Chiaramente;
Se sopra gli altri ognnn gli alza e sublima
Più che non è del piede alta la fronte ;
Perchè debbo voler che di me prima
Amon disponga , che Rinaldo e '1 Conte ?
Voler noi debbo; tanto meu, che messa
In dubbio al Greco, e a Bnggier fui promessa.
48 Se la donna s'affligge e si tormenta,
Né di Euggier la mente è più quieta;
Ch' ancorché di ciò nuova non si senta
Per la città, pur non é a lui segreta.
Seco di sua fortuna si lamenta,
La qual fruir tanto suo beu gli vieta.
Poi che ricchezze non gli ha date e regni,
Di che è stata si larga a mille indegni.
50 Ma il volgo, nel cui arbitrio son gli onori,
Che, come pare a lui, li leva e dona
(Né dal nome del volgo voglio fuori,
Eccetto Tuom prudente, trar persona;
Che né Papi né Re né Imperatori
Non ne trae scettro, mitra né corona;
Ma la prudenzia, ma il giudizio buono,
Grazie che dal del date a pochi sono):
Stanza 86.
51 Questo volgo (per dir quel ch'io vo'dire),
Ch'altro non riverisce che ricchezza,
Né vede cosa al mondo che più ammire ,
E senza , nulla cura e nulla apprezza .
Sìa quanto voglia la beltà, l'ardire.
La possanza del corpo, la destrezza.
La virtù, il senno, la bontà: e più in questo
Di ch'ora vi ragiono, che nel resto.
49 Di tutti gli altri beni, o che concede
Natura al mondo, o proprio studio acquista,
Aver tanta e tal parte egli si vede,
Qual e quanta altri aver mai s'abbia vista;
Ch'a sua bellezza ogni bellezza cede;
Ch'a sua possanza é raro chi resista:
Di magnanimità, di splendor regio
A nessun , più eh' a lui, si debbe il pregio.
52 Dicea Ruggier: Se pur é Amon disposto
Che la figliuola Imperatrice sia,
Con Leon non concluda cosi tosto :
Almen termine un anno anco mi dia;
Ch'io spero intanto che da me deposto
Leon col padre dell'imperio fia:
E poi che tolto avrò lor le corone,
Genero indegno non sarò d'Amene.
53 Ma 86 fa senza indugio, come ha detto,
Suocero della figlia Costantino;
S'alia promessa non avrà rispetto
Di Rinaldo e d^ Orlando suo cugino
Fattami innanzi al Tecchio benedetto ,
Al marchese Oliviero, al re Sobrìno;
Che farò? vo' patir si grave torto?
0 , prima che patirlo , esser pur morto ?
54 Deh che farò? &rò dunque vendetta
Contra il padre di lei di quest'oltraggio?
Non miro ch'io non son per farlo in fretta,
0 s'in tentarlo io mi sia stolto o saggio:
Ma voglio presuppor eh' a morte io metta
L'iniquo vecchio, e tutto il suo lignaggio:
Questo non mi tara, però contento;
Anzi in tutto sarà contra al mio intento.
55 E fu sempre il mio intento, ed è, che m'ami
La bella donna , e non che mi sia odiosa :
l^fa, quando Amon le uccida, o faccia o trami
Cosa al fratello o agli altri suoi dannosa ,
Non le do giusta causa che mi chiami
Nimico, e più non voglia essermi sposa?
Che debbo dunque far? debbo l patire?
Ah non, per Dio: piuttosto io vo' morire.
56 Anzi non vo' morir; ma vo'che muoia
Con più ragion questo Leone Augusto ,
Venuto a disturbar tanta mia gioia;
10 vo' che muoia egli e '1 suo padre ingiusto.
Elena bella all' amator di Troia
Non costò si, né a tempo più vetusto
Proserpina a Piritoo, come voglio
Ch'ai padre e al figlio costi il mio cordoglio,
57 Può esser, vita mia, che non ti doglia
Lasciare il tuo Ruggier per questo Greco?
Potrà tuo padre far che tu lo toglia ,
Aucor ch'avesse i tuoi fratelli seco?
Ma sto iu timor, ch'abbi piuttosto voglia
D'esser d'accordo con Amon, che meco;
E che ti paia assai miglior partito
Cesare aver ,. eh' un privato uom , marito.
58 Sarà possibil mai che nome regio.
Titolo imperiai, grandezza e pompa,
Di Bradamante mia l'auimo egregio,
11 gran valor , l' alta virtù corrompa
Si , eh' abbia da tenere in minor pregio
La data fede, e le promesse rompa?
Né piuttosto d'Amon farsi nimica.
Che quel che detto m'ha, sempre non dica?
59 Diceva queste ed altre cose molte ,
Ragionando fra sé Ruggiero; e spesso
Le dicea iu g^sa, ch'erano raccolte
Da chi talor se gli trovava appresso;
Si che il tormento suo più di due volte
Era a colei , per cui pativa , espresso ;
A cui non doleJi meno il sentir lui
Cosi doler, che i propri affanni sai
60 Ma più d'ogni altro dnol che le sia detto
Che tormenti Ruggier, di questo ha dogUa,
Ch'intende che s'affligge per sospetto
Ch'ella lui lasci, e che quel Greco voglia-
Onde, acciò si conforti, e che del petto
Questa credenza e questo error si toglia,
Per una di sue fide cameriere
Gli fé' queste parole un di sapere :
61 Ruggier, qual sempre fui, tal esser voglio
Fin alla morte , e più , se più si puote.
0 siami Amor benigno , o m' usi orgoglio ,
0 me Fortuna in alto o in basso mote,
Immobil son di vera fede scoglio
Che d'ogn' intorno il vento e il mar percuote:
Né giammai per bonaccia né per verno
Luogo mutoi, né muterò in eterno.
62 Scarpello si vedrà di piombo, o l!ma.
Formare in varie immagini diamante.
Prima che colpo di Fortuna, o prima
Ch'ira d'Amor rompa il mio cor costante;
E si vedrà tornar verso la cima
Dell' alpe il fiume turbilo e sonante ,
Che per novi accidenti, o buoni o rei,
Faccino altro viaggio i pensier miei.
63 A voi , Ruggier , tutto il dominio ho dato
Di me, che forse é più ch'altri non criede.
So ben eh' a novo Prìncipe giurato
*Non fu di questa mai la maggior fede;
So che né al mondo il più sicuro stato
Di questo, Re né Imperator possiede:
Non vi bisogna far fossa né torre ,
Per dubbio eh* altri a voi lo venga a torre;
64 Che, senza eh' assoldiate altra persona ,
Non verrà assalto a cui non si resista:
Non é ricchezza ad espugnanni buona,
Né si vii prezzo un cor gentile acquista;
Né nobiltà , né altezza di corona ,
Ch'ai sciocco volgo abbagliar suol la vista;
Non beltà , eh' in lieve animo può assai ,
Vedrò, che più di voi mi piaccia mai.
65 Non avete a temer chMn forma nuova
Intagliare il mio cor mai più sì possa:
Sì l'immagine vostra si ritrova
Scalpita in lui, cìi' esser non può rimossa.
Che'l cor non ho di cera, è fatto prova;
Che gli die cento , non eh' una percossa ,
Amor, prima che scaglia ne levasse,
Quando all'immagin vostra lo ritrasse.
66 Avorio e gemnui, ed ogni pietra dura
Che meglio dall' intaglio si difende ,
Romper sì può; ma non ch'altra figura
Prenda, che quella ch'una volta prende.
Non è il mìo cor diverso alla natura
Del marmo o d'altro ch'ai ferro contende.
Prima esser può che tutto Amor lo spezze,
Che lo possa sculpir d' altre hellezze.
67 Soggiunse a queste altre parole molte,
Piene d'amor, dì fede e di conforto.
Da ritornarlo in vita mille volte ,
Se stato mille volte fosse morto.
Ma quando più della tempesta tolte
Queste speranze esser credeano in porto ,
Da un nuovo tnrho impetuoso e scuro
Rispinte in mar, lungi dal lito, furo:
68 Perocché Bradamante, ch'eseguire
Vorria molto più ancor che non ha dett • .
Rivocando nel cor l'usato ardire,
E lasciando ir da parte ogni rispetto,
S' appresenta un di a Carlo, e dice : Sire ,
S'a vostra Maestade alcun effetto
10 feci mai, che le paresse huono,
Contenta sia di non negarmi un dono.
69 E prima che più espresso io le lo chieggia,
?u la real sua fede mi prometta
Farmene grazia; e vorrò poi che veggia
Che sarà giusta la domanda e retta.
Merta la tua virtù che dar ti deggia
Ciò che domandi , o giovane diletta ,
Rispose Carlo; e giuro, sebhen parte
Chiedi del regno mio, di contentarte.
70 n don ch'io bramo dall'Altezza vostra,
È che non lasci mai marito darme.
Disse la damigella, se non mostra
Che più (li me sia valoroso in arme.
Con qualunque mi vuol, prima o con giostra
O con la spada in mano ho da provarme
11 primo che mi vinca, mi guadagni:
Chi vinto sia, con altra s'accompagni.
71 Disse r Imperator con viso lieto ,
Che la domanda era di lei ben degna;
E che stesse con l'animo quieto.
Che farà a punto quanto ella disegna.
Non è questo parlar fatto in segreto
Si, eh' a notizia altrui tosto non vegna;
E quel giorno medesimo alla vecchia
Beatrice e al vecchio Amon corre all'orecchia.
Stanza C9.
72 Li quali parimente arser di grande
Sdegno contra alla figlia, e di grand' ira;
Che vider ben con queste sue domande,
Ch'ella a Ruggier più eh' a Leone aspira:
E presti, per vietar che non si mande
Questo ad effetto, a ch'ella intende e mira.
La levaro con fraude della corte ,
E la menaron seco a Rocca Forte.
73 Quest' era una fortezza eh' ad Amone
Donato Carlo avea pochi dì innante.
Tra Perpignano assisa e Carcassone,
In loco a ripa il mar molto importante.
Quivi la riteneau come in prigione,
Con pensier di mandarla un dì in Levante:
Si eh' ogni modo , voglia ella o non voglia ,
Lasci Ruggier da parte, e Leon toglia.
74 La yalorosa donna, che non meno
Er^ modesta, cV animosa e forte;
Ancorché posto gaardia non Tavieno,
E potea entrare e uscir fiior delle porte;
Pur stava ubbidiente sotto il freno
Del padre : ma patir prigione e morte ,
Ogni martire e crudeltà, piuttosto
Che mai lasciar Ruggier, s^avea proposto.
77 L^ arme che fur già del troiano Ettorre ,
E poi di Mandricardo, si riveste,
E fa la sella al buon Frontino porre,
E cimier muta, scudo e sopravveste.
A questa impresa non gli piacque tórre
L^ aquila bianca nel color celeste;
Ma un candido liocorno , come giglio ,
Vuol nello scudo, eM campo abbia vermiglio.
stanza 86.
78 Sceglie de' suoi scudieri il più fedele,
E quel vuole , e non altri , In compagnia;
E gli fa commission che non rivele
In alcun loco mai, che Ruggier sia.
Passa la Mosa e '1 Reno , e passa de le
Contrade d'Ostericche in Ungheria;
E lungo ristro per la destra riva
Tanto cavalca, eh' a Belgrado arriva.
79 Ove la Sava del Danubio scende ,
E verso il mar maggior con lui dà volta,
Vede gran gente in padiglioni e lentie
Sotto r insegne imperiai raccolta;
Che Costantino ricovrare intende
Quella città che i Bulgari gli bau tolta.
Costantin v'è in persona, e'I figliuol seco
Con quanto può tutt^) l'Imperio greco.
80 Dentro a Belgrado, e fuor per tutto il monte,
E giù fin dove il fiume il pie gli lava,
L' esercito dei Bulgari gli è a fronte;
E l'uno e l'altro a ber viene alla Sava,
Sul fiume il Greco per gittare il ponte,
Il Bulgar per vietarlo armato stava.
Quando Ruggier vi giunse; e zuffa grande
Attaccata trovò fra le due bande.
75 Rinaldo, che si vide la sorella
Per astuzia d' Amon tolta di mano ,
E che dispor non potrà più di quella ,
E ch'a Ruggier l'avrà promessa invano;
Si duol del padre, e centra a luì favella.
Posto il rispetto fili'al lontano.
Ma poco cura Amon di tai parole,
E di sua figlia a modo suo far vuole.
76 Ruggier , che questo sente , ed ha timore
Di rimaner della sua donna privo ,
E che l'abbia o per forza o per amore
Leon, se resta lungamente vivo;
Senza parlarne altrui si mette in core
Di far che muoia, e sia, d'Augusto, Divo;
E tdr , se non l' inganna la sua speme ,
Al padre e a lui la vita e'I regno insieme.
81 I Greci son quattro contr'uno, ed hanno
Navi coi ponti da glttar nell'onda;
E di voler fiero sembiante fanno
Passar per forza alla sinistra sponda.
Leone intanto , con occulto inganno
Dal fiume discostandosi, circonda
Molto paese, e poi vi torna, e getta
Nell'altra ripa i ponti, e passa in fretta.
82 E con gran gente, chi in arcion, chi a piede
(Che non n' avea di venti mila un manco) ,
Cavalcò lungo la riviera, e diede
Con fiero assalto agl'inimici al fianco.
L' Imperator , tosto che '1 figlio vede
Sul fiume comparirsi al lato manco,
Ponte aggiungendo a ponte, e nave a nave,
Passa di là con quanto esercito ave. 83 II capo , il re de' Salgari Vatrano ,
Animoso e prudente e prò* gaeniero ,
Di qua e di là s^ affaticava invano
Per riparare a un impeto si fiero ;
Quando, cingendol con robusta mano
Leon, gli fé' cader sotto il destriero;
£ poiché dar prigion mai non si volse,
Con mille spade la vita gli tolse. 84 I Bulgari sin qui fatto avean testa;
Ma quando il lor Signor si vider tolto ,
E crescer d' ogn' intorno la tempesta ,
Volt&r le spalle ove avean prima il volto.
Rnggier, che misto vien fra i Greci, e questa
Sconfitta vede, senza pensar molto,
I Bulgari soccorrer si dispone,
Perch' odia Costantino , e più Leone.
Stanza 95.
85 Sprona Frontin, che sembra al corso un vento,
E innanzi a tutti i corridori passa;
E tra la gente vien, che per spavento
Al monte fugge, « la pianura lassa.
Molti ne ferma, e fa voltare il mento
Centra i nemici , e poi la lancia abbassa ;
E con si fier sembiante il destrier muove,
Che fin nel eiel Marte ne teme e Giove.
86 Dinanzi agli altri un cavaliere adocchia,
Che ricamato nel vestir vermiglio
Avea d'oro e di seta una pannocchia
Con tutto il gambo, che parca di miglio;
Nipote a Costantin per la sirocchia,
Ma che non gli era men caro che figlio :
Gli spezza scudo e osbergo come vetro,
E fa la lancia un palmo apparir dietro.
87 Lascia quel morto, e Balisarda strìnge
Verso uno stuol che più si vede appresso;
E contra a questo e contra a quel si spinge,
Ed a chi tronco ed a chi il capo ha fésso :
A chi nel petto, a chi nel fianco tinge
Il brando, e a chi Tha nella góla messo:
Taglia busti, anche, braccia, mani e spalle;
E il sangue, come un no, corre alla valle.
88 Non è , visti quei colpi, chi gli faccia
Contrasto più; cosi n'è ognun smarrito:
Si che si cangia subito la faccia
Della battaglia; che, tornando ardito,
Il petto volge e ai Greci dà la caccia
Il Bulgaro che dianzi era fuggito :
In un momento ogni ordine disciolto
Si vede , e ogni stendardo a fuggir volto.
89 Leone Augusto s'un poggio eminente,
Vedendo i suoi fuggir, s'era ridutto;
E sbigottito e mesto ponea mente
(Perch'era in loco che scopriva il tutto)
Al cavalier ch'uccidea tanta gente,
Che per lui sol quel campo era distrutto ;
E, non può far, sebben n'è offeso tanto,
Che non lo lodi e gli dia in arme il vanto.
90 Ben comprende alP insegne' e sopravvesti ,
All'arme luminose e ricche d'oro.
Che , quantunque il guerrier dia aiuto a questi
Nimici suoi, non sia però di loro.
Stupido mira i soprumani gesti ,
E talor pensa che dal sommo coro
Sia per punire i Greci un angel sceso ,
Che tante e tante volte hanno Dio offeso.
91 E come uom d'alto e di sublime core,
Ove l'avrian molt' altri in odio avuto,
Egli s' innamorò del suo valore ,
Né veder fargli oltraggio avria voluto:
Gli sarebbe per un de' suoi che muore,
Vederne morir sei manco spiaciuto,
E perder anco parte del suo regno,
Che veder morto un cavalier si degno.
.*
92 Come bambin, sebben la cara madre
Iraconda Io batte e da sé caccia,
Non ha ricorso alla florella o al padre ,
Ma a lei ritorna , e con dolcezza abbraccia ;
Cosi Leon, sebben le prime squadre
Ruggier gli uccide, e l'altre gli minaccia,
Non lo può odiar, perch' all' amor più tira
L'alto valor, che quella ouesa all'ira.
93 Ma se Leon Ruggiero ammira ed ama
Mi par che duro cambio ne. riporte
Che Ruggiero odia lui , né cosa brama
Più, che di dargli di sua man la morte.
Molto con gli occhi il cerca, ed alcun chiama.
Che glie lo mostri; ma la buona sorte
E la prudenza dell'esperto Greco
Non lasciò mai che s'affrontasse seco.
94 Leone, acciò che la sua gente affatto
Non fosse uccisa, fé' sonar raccolta
Ed all'Imperatore un messo ratto
A pregarlo mandò, che desse volta,
E ripassasse il fiume , e che buon patto
N'avrebbe, se la via non gli era tolta:
Ed esso, con non molti che raccolse.
Al ponte ond' era entrato i passi volse.
95 Molti in poter de' Bulgari restaro
Per tutto il monte, e sin al fiume uccisi
E vi restavan tutti, se'l riparo
Non gli avesse del rio tosto divisi.
Molti cadder dai ponti, e s' affogare;
E molti, senza mai volgere i visi,
Quindi lontano irò a trovar il guado
E molti fur prigion tratti in Belgrado.
96 Finita la battaglia di quel giorno,
Nella qual , poiché il lor signor fu estinto ,
Danno i Bulgari avriano avuto e scorno ,
Se per lor non avesse il guerrier vinto ,
Il buon guerrier che '1 candido liocorno
Nello scudo vermiglio avea dipinto;
A lui si trasson tutti, da cui questa
Vittoria conoscean, con gioia e festa.
97 Uno il saluta , un altro se gì' inchina ,
Altri la mano , altri gli bacia il piede :
Ognun, quanto più può, se gli avvicina,
E beato si tien chi appresso il vede,
E più chi'l tocca; che toccar divina
E soprannatural cosa si crede.
Lo pregan tutti, e vanno al del le grida,
Che sia lor Re , lor capitan, lor guida.
98 Ruggier rispose lor, che capitano
E re sarà, quel che fia lor più a grado ;
Ma né a baston né a scettro ha da por mano,
Né per quel giorno entrar vuole in Belgrado:
Che, prima che si faccia più lontano
Leone Augusto, e che ripassi il guado,
Lo vuol seguir, né torsi dalla traccia,
Finché noi giunga, e che morir noi faccia:
99 Che mille miglia e più, per questo solo
Era venuto, e non per altro effetto.
Cosi senza indugiar lascia lo stuolo,
E si volge al cammin che gli vien detto
Che verso il ponte fa Leone a volo,
Forse per dubbio che gli sia intercetto.
Gli va dietro per l' orma in tanta fretta ,
Che'l suo scudier non chiama e non aspetta.
100 Leone ha nel fuggir tanto vantaggio
(Fuggir si può ben dir, più che ritrarse) ,
Che trova aperto e libero il passaggio:
Poi rompe il ponte, e lascia le navi arse.
Non v'arriva Ruggier, ch'ascoso il raggio
Era del sol, né sa dove alloggiarse.
Cavalca innanzi, che lucea la luna,
Né mai trova Castel né villa alcuna.
101 Perché non sa dove si por, cammina
Tutta la notte, né d'arcion mai scende.
Nello spuntar del nuovo sol vicina
A man sinistra una città comprende;
Ove di star tutto quel dì destina.
Acciò l'ingiuria al suo Frontino emende,
A cui, senza posarlo o trargli briglia,
La notte fatto avea far tante miglia.
102 Ungiardo era signor di quella terra ,
Suddito e caro a Costantino molto.
Ove avea, per cagion di quella guerra.
Da cavallo e da pie buon numer tolto.
Quivi, ove altrui P entrata non si serra.
Entra Ruggiero; e v'é sì ben raccolto.
Che non gli accade di passar più avante
Per aver miglior loco e più abbondante.
103 Nel medesimo albergo in su la sera
Un cavalier di Romania alloggiosse,
Che si trovò nella battaglia fiera.
Quando Ruggier pei Bulgari si mosse ,
Ed a pena di man fuggito gli era,
Ma spaventato più ch'altri mai fosse;
Sì eh' ancor triema , e pargli ancora intomo
Avere il cavalier dal liocorno.
stanza 103.
104 Conosce, tosto che lo scudo vede,
Che U cavalier che quella insegna porta
È quel che la sconfitta ai Greci diede,
Per le cui mani è tanta gente morta.
Corre al palazzo , ed udienzia chiede ,
Per dire a quel signor cosa ch'importa;
E subito intromesso, dice quanto
Io mi riserbo a dir nell'altro Cauto.
NOTE.
St. 7. V. 5-a — L'uno e Valtro figlio Del duca Buovo:
Malagigi e Viviano , figlinoli di Baovo d' Agrismonte,
liberati da Ruggiero.
St. 17. V. 4. — Dal formidabile giardino: dal giar-
dino di Fallerina.
St. 18. V. 3. — Noto: vento di mezzogiorno.
St. 21. V. 7-8. — NélV uterino claustro: nel vano
dell'otre. — Austro: vento meridionale, lo stesso che
Noto.
St. 25. V. 5-6. — Jl più basso ciel , che sempre ac-
quista Del perder nostro : il cielo della luna, ove si
raduna ciò che si perde saUa terra.
St. 29. V. 5. — Mongrana e Chiaramonte: nome delle
case a cui appartenevano Orlando e Rinaldo.
St. 56. V. 5-7. — AlV amator di Troia: a Paride. —
A Piritoo: figlio d'Issione; scese all'inferno insieme con
Teseo per rapire Proserpina, ed ivi fu divorato da Cer-
bero, cane di Pluto.
St. 61. V. 7. — Verno: procella.
St. 76. V. 6. — S sia^ d'Augusto, Divo : e da Augu-
sto ch'egli ò ora, divenga Divo. Ironica allusione ai co-
stumi ch'ebbero i Romani, sotto gl'imperatori, di divi-
nizzarli dopo la morte.
St. 77. v. 7-8. — Ma un candido liocorno..» Vuol nello
scudo , e 'l campo abbia vermiglio. Il lioconio bianco
(animale da un corno solo) in campo rosso, fu impresa
anticamente usata dagli Estensi; e se ne vedono tuttora
le reliquie in qualche luogo di Ferrara.
St. 78. V. 6-7. — Ostericche: Austria. — Istro: oggi
Danubio.
stanza 76.
CANTO QUARANTESIMOQUINTO, AROOMBNTO.
Ruggiero, preao nel sonno da Uogiardo, resta prigioniero di Teodora, sorella deirimperator Costantino. Cario
intanto, a richiesta di Bradamante, ha fatto bandire che chi la vuole in moglie deve battersi con lei, e via-
cere la pugna. Leone, che ha concepito amore e stima per Ruggiero, benché noi conosca, lo trae di prigione,
e lo impegna ad assumersi quel duello. Ruggiero, portando le insegne di Leone, combatte con la donzella.
Sopraggiunta la notte, <3arlo fo cessale la pugna, e destina Bradamante al creduto Leone. Ruggiero acco-
rato vuole uccidersi ; ma presentasi a Q^rlo Marfisa, e impedisce quel maritaggio.
Quanto più sn l' iustabil mota vedi
Di fortuna ire in alto il miser uomo;
Tanto più tosto hai da vedergli i piedi
Ove ora ha il capo, e far cadendo il tomo.
Di questo esempio è Policrate, e il Re di
Lidia, e Dionis;!, ed altri ch'io non uomo,
Che minati son dalla suprema
Gloria in un dì nella miseria estrema.
3 n re Luigi, suocero del figlio
Del Duca mio; che rotto a Santo Albino,
E) giunto al suo nimico neir artìglio ,
A restar senza capo f\i vicino.
Scorse di questo anco maggior periglio,
Non molto innanzi , il gran Mattia Corrino.
Poi Tun de* Franchi, passato quel ponto.
L'altro al regno degli Ungarì fu assunto.
Cosi all'incontro, quanto più depresso,
Quanto è più Tuom di questa motA al fondo.
Tanto a quel punto più si trova appresso,
C'ha da salir, se de' girarsi in tondo.
Alcun sul ceppo quasi il capo ha messo.
Che l' altro giorno ha dato legge al mondo.
Servio e Mario e Ventidio l'hanno mostro
Al tempo antico, e il re Luigi al nostro:
Si vede, per gli esempi di che piene
Sono l'antiche e le moderne istorie,
Che '1 ben va dietro al male, e 1 male al bene,
£ fin son l'un dell'altro e biasmi è glorie;
E che fidarsi all'nom non si conviene
In suo tesor, suo regno e sue vittorie;
Kè disperarsi per Fortuna avversa,
Che sempre la sua mota in giro Tersa.
CANTO QUARANTESIMOQUINTO.
Ruggier, per la vittoria ch'avea avuto
Di Leone e del padre Imperatore,
In tanta confidenzia era venuto
Di sua fortuna e di suo gran valore,
Che senza compagnia , senz' altro aiuto ,
Di poter egli sol gli dava il core,
Fra cento a pie e a cavallo armate squadre
Uccider di sua mano il figlio e il padre.
stanza 4.
6 Ma quella che non vuol che si prometta
Alcun di lei, gli mostrò in pochi giorni
Come tosto alzi , e tosto al basso metta,
E tosto avversa e tosto amica torni.
Lo fé' conoscer quivi da chi in fretta
A procacciargli andò disagi e scorni ,
Dal cavalier che nella pugna fiera
Di man fuggito a gran fatica gli era.
7 Costui fece ad Ungiardo saper come
Quivi il goerrier ch'avea le trenti rotte
Di Costantino , e per molt' anni dome ,
Stato era il giorno e vi staria la notte;
E che Fortuna presa per le chiome,
Senza che più travagli o che più lotte,
Darà al suo Re, se fa costui prigione;
Ch' a' Bulgari, lui preso, il giogo pone.
8 Ungiardo dalla gente che, fuggita
Della battaglia, a lui s'era ridutta
(Ch'a parte a parte v'arrivò infinita,
Perch'ai ponte passar non potea tutta),
Sapea come la strage era seguita.
Che la metà de' Greci avea distrutta:
E come un cavalier solo era stato ,
Ch' un campo rotto , e l' altro avea salvato.
9 E che sia da sé stesso senza caccia
Venuto a dar del capo nella rete,
Si maraviglia, e mostra che gli piaccia,
Con viso e gesti e con parole liete.
Aspetta che Ruggier dormendo giaccia;
Poi manda le sue genti chete chete,
E fa il buon cavalier, ch'alcun sospetto
Di questo non avea , prender nel letto.
10 Accusato Ruggier dal proprio scudo.
Nella città di Novengrado resta
Prigion d' Ungiardo, il più d'ogni altro crudo,
Che fa di ciò maravigliosa festa.
E che può far Ruggier, poi ch'egli è nudo
Ed è legato già quando si desta?
Ungiardo un suo corrier spaccia a staffetta
A dar la nuova a Costantino in fretta.
11 Avea levato Costantin la notte
Dalle ripe di Sa va ogni sua schiera;
E seco a Beleticche avea ridotte ,
Che città del cognato Androfilo era.
Padre di quello a cui forate e rotte
(Come se state fossino di cera)
Al primo incontro l'arme avea il gagliardo
Cavalier , or prigion del fiero Ungiardo.
12 Quivi fortificar facea le mura
L' Imperatore , e riparar le porte ;
Che de'Bulgari ben non s'assicura.
Che con la guida d'un guerrier sì forte
Non gli faccino peggio che paura,
El resto ponghin di sua gente a morte
Or che l' ode prigion , né quelli teme ,
Né se con lor sia il mondo tutto insieme.
13 L' Impera tor nuota in un mar di latte,
Né per letizia sa quel cVe si faccia.
Ben son le genti bulgare disfatte.
Dice con lieta e con sicura faccia.
Come della vittoria, chi combatte.
Se troncasse al nimico ambe le braccia,
Certo saria; così n'é certo e gode
L' Imperator , poiché '1 guerrier preso ode.
14 Non ha minor cagìon di rallegrarsi
Del padre il figlio ; eh' oltre che si spera
Di racquistar Belgrado , e soggiogarsi
Ogni contrada che de' Bulgari era,
Disegna anco il guerriero amico farsi
Con benefici, e seco averlo in schiera.
Né Rinaldo uè Orlando a Carlo Magno
Ha da invidiar, se gli è costui compagno.
16 Da questa voglia è ben diversa quella
Di Teodora , a chi '1 figliuolo uccise
Ruggier con Tasta che dalla mamme^a
Passò alle spalle , e un palmo fuor si mise.
A Costantin , del quale era sorella ,
Costei si gettò a' piedi , e gli conquise
E iutenerìgli il cor d' alta pietade
Con largo pianto, che nel sen le cade.
16 Io non mi leverò da questi piedi,
Diss'ella, Signor mio, se del fellone
Ch'uccise il mio figliuol non mi concedi
Di vendicare , or che 1' abbiam prigione.
Oltre che stato t'è nipote, vedi
Quanto t' amò , vedi quant' opre buone
Ha per te fatto, e vedi s'avrai torto
Di non lo vendicar di chi l'ha morto.
17 Vedi che per pietà del nostro duolo
Ha Dio fatto levar dalla campagna
Questo crudele, e, come augello, a volo
A dar ce l'ha condotto nella ragna,
Acciò in ripa di Stige il mio figliuolo
Molto senza vendetta non rimagna.
Dammi costui. Signore, e sii contento
Ch'io disacerbi il mio col suo tormento.
18 Cosi ben piange, e cosi ben si duole ,
E cosi bene ed efficace parla;
Né dai piedi levar mai se gli vuole
(Benché tre volte o quattro per levarla
Usasse Costantino atti e parole),
Ch'egli é forzato alfin di contentarla:
E cosi comandò che si facesse
Colui condurre, e in man di lei si desse.
19 E per non far in ciò lunga dimora,
Condotto hanno il guerrier dal liocorno ,
E dato in mano alla crudel Teodora,
Che non vi fu intervallo più d'un giorno.
Il far che sia squartato vivo, e muora
Pubblicamente con obbrobrio e scorno.
Poca pena le pare; e studia e pensa
Altra trovarne inusitata e immensa.
ataD7A 18L
20 La femmina crudel lo fece porre.
Incatenato e mani e piedi e collo,
Nel tenebroso fondo d' una torre ,
Ove mai non entrò raggio d' Apollo.
Fuor eh' un poco di pan muffato, tórre
Gli fé' ogni cibo, e senza ancor lassollo
Duo dì talora; e lo die in guardia a tale,
Ch' era di lei più pronto a fargli male.
29 E che fatt^abbia ancor qualche disegno,
Per più tosto levarsela dal core,
D'andar cercando d'uno in altro regno
Donna per cui si scordi il primo amore,
Come si dice che si suol d'un legno
Talor chiodo con chiodo cacciar fuore.
Nuovo pensier eh' a questo poi succede,
Le dipinge Ruggier pieno di fede;
30 E lei, che dato orecchie abbia, riprende,
A tanta iniqua suspizione e stolta:
E così r un pensier Ruggier difende ,
L* altro l'accusa; ed ella amenduo ascolta ,
E quando a questo e quando a quel s'apprende,
Né risoluta a questo o a quel si volta :
Pur all'opinion piuttosto corre
Che più le giova, e la contraria abborre.
33 Deh avesse Amor cosi nei pensier miei
Il tuo pensier, come ci ha il viso, sculto!
Io son ben certa che lo troverei
Palese tal, qual io lo stimo occulto;
E che si fuor di gelosia sarei ,
Ch'ad or ad or non mi farebbe insulto;
E dove a pena or è da me respinta,
Rimarria morta, non che rotta e vinta.
31 E talor anco , che le toma a mente
Quel che più volte il suo Ruggier Ip ha detto,
Come di grave error , si duole e pente ,
Ch' avuto n' abbia gelosia e sospetto;
E come fosse al suo Ruggier presente ,
Chiamasi in colpa, e se ne batte il petto.
Ho fatto error, dice ella, e me n'avveggio;
Ma chi n' è cau^a , è causa ancor di peggio.
32 Amor n'è causa, che nel cor m'ha impresso
La forma tua cosi leg^adra e bella;
E posto ci ha l'ardir, l'ingegno appresso,
E la virtù di che ciascun favella;
Ch' impossibil mi par , eh' ove concesso
Ne sia il veder, ch'ogni donna e donzella
Non ne sia accesa, e che non usi ogni arte
Di sciorti dal mio amore, e al suo legarte.
St&uza 'ài.
34 Son simile all'avar, e' ha il cor sì intento
Al suo tesor, e sì ve l'ha sepolto,
Che non ne può lontan viver contento.
Né non sempre temer che gli sia tolto.
Ruggiero, or può, ch'io non ti veggo e sento
In me, più della speme, il timor molto;
Il qual, benché bugiardo e vano io creda,
Non posso far di non mi dargli in preda.
CANTO QUARANTESIA
36 Ma non apparirà il lume sì tosto
Agli occhi miei del tuo tìso giocondo,
Contro ogni mia credenza a me nascosto,
Non 80 in qual parte, o Ruggier mio, dei mondo,
Come il falso timor sarà deposto
Dalla vera speranza , e messo al fondo.
Deh toma a me, Ruggier, toma e conforta
La speme che '1 timor quasi m^ ha morta !
36 Come al partir del sol si fa maggiore
y ombra, onde nasce poi vana paura;
E come ali* apparir del suo splendore
Vien meno l'ombra, e '1 timido assicura:
Cosi senza Ruggier sento timore;
Se Ruggier veggo, in me timor non dura.
Deh toma a me, Ruggier, deh torna prima
Che '1 timor la speranza in tutto opprima !
37 Come la notte ogni fiammella è viva,
E rìman spenta sobito ch'aggiorna;
Così, quando il mio Sol di sé mi pi iva,
Mi leva incontra il rio timor le corna.
Ma non si tosto air orizzonte arriva,
CheU timor fugge, e la speranza torna.
Deh torna a me , deh toma , o caro lume ,
E scaccia il rio timor che mi consume !
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38 Se'l sol si scosta, e lascia i giorni brevi.
Quanto di bello avea la terra asconde;
Fremono i venti, e portan ghiacci e nevi :
Non canta augel, uè fior si vede o fronde:
Cosi, qualora avvien che da me levi,
0 mio bel Sol, le tue luci gioconde.
Mille timori, e tutti iniqui, fanno
Un aspro vemo in me più volte Panno.
39 Deh toma a me, mio Sol, toma, e rimena 43 Par!
La desiata dolce primavera! Della
Sgombra i ghiacci e le nevi, e rasserena Vederi
La mente mia si nubilosa e nera. Sentei
Qual Progne si lamenta, o Filomena, Giunta
Ch' a cercar esca ai figliuolini ita era , Audaci
E trova il nido vóto; o qual si lagna E fa e
Turture e' ha perduto la compagna : Ch' egl
40 Tal Bradamante si dolca, che tolto 44 II e
Le fosse stato il suo Ruggier teraea , Seco a
Di lagrime bagnando spesso il volto , Col co
Ma più celatamente che potea. Che si
Oh quanto, quanto si dorria più molto, Giunti
S'ella sapesse quel che non sapea, Al cas
Che con pena e con strazio il suo consorte Per ap
Era in prigion , dannato a cmdel morte ! E subi
45 Apron la cataratta, onde sospeso
Al canape , ivi a tal bisogno posto ,
Leon si cala, e in mano ha nn torchio acceso,
Là dove era Rnggier dal sol nascosto.
Tutto legato, e s'una grata steso
Lo trova, al racqna un palmo e men discosto,
li'avria in un mese, e in termine più corto,
Per sé, senz'altro aiuto, il luogo morto.
46 Leon Rnggier con gran pietade abbraccia,
E dice : Cavai ier , la tua virtute
Indissolubilmente a te m'allaccia
Di voluntaria etema servitute,
E vuol che più il tuo ben che '1 mio mi piaccia,
Né curi per la tua la mia salute,
E che la tua amicizia al padre; e a quanti
Parénti io m'abbia al mondo, io metta innanti-
s-^' ^-^
stanza <
47 Io son Leon, acciò tu intenda, figlio
Di Costantin, che vengo a darti aiuto.
Come vedi, in persona, con periglio
(Se mai dal padre mio sarà saputo)
D'esser cacciato, o con turbato ciglio
Perpetuamente esser da lui veduto;
Che, per la gente la qual rotta e morta
Da te gli fu a Belgrado , odio ti porta.
48 E seguitò, più cose altre dicendo
Da farlo ritornar da morte a vita;
E lo vien tuttavolta disciogliendo.
Rnggier gli dice: Io v'ho grazia infinita;
E questa vita, ch'or mi date, intendo
Che sempre mai vi sia restituita,
Che la vogliate riavere, ed ogni
Volta che per voi spenderla bisogni.
?0 QUARANTESIMOQUINT
loco oscaro,
lian rimase;
ri faro.
) case,
ro
persu'ise ;
er gagliardo
se Ungiardo.
55 Ma due cose ha
Il cavalier, che qu
L'altra, nel campo
In modo che non «
A se lo chiama, e
E pregai poi con (
Ch'egli sia quel ci
Col nome alimi, s
lardìan strozzato 56 L'eloquenza del
la prigione.
^he Bill niiKìì
■un 9' appone,
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AT^Vi ai alo.
Ma più delPeloque
L'i>bbligM granile f
Dft mai non ne ììù
Si che quaumnqtie
E non TJos.H'bil qun
Più che COTI cor gi
Ch'era per far pel
U'^giero
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e miglia,
priniieru ,
a quel simiglia,
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giorni» pensa,
avefv immen»^a.
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più nuu m^rte.
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bbia a far prova
e con huii'ia,
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Che giorno e notte
Sempre V affligge e
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Mille Volte, non e
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j^ur sia manco ,
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glia Franc^j :
V irajiresa,
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La diiutia, ha da I
0 che l'accorerà i
0 se 'l duolo e l*a
Con le irniu propri
Che eiiiga ralmi,
Ch'ogni altra cosa
Che poter lei vede
59 Gli è di morir disposto; ma che sorte
Di morte voglia far, non sa dir anco.
Pensa talor di fingersi men forte,
E porger nudo alla donzella il fianco;
Che non fa mai la più beata morte,
Che se per man di lei venisse manco.
Poi vede, se per lui resta che moglie
Sia di Leon, che l'obbligo non scioglie;
60 Perchè ha promesso centra Bradamante
Entrare in campo a singoiar battaglia.
Non simulare, e fame sol sembiante,
Sì che Leon di lui poco si vaglia.
Dunque starà nel detto suo costante :
E benché or questo or quel pensier Tassaglia,
Tutti li scaccia, e solo a questo cede,
Il qual r esorta a non mancar di fede.
61 Avea già fatto apparecchiar Leone ,
Con licenzia del patre Costantino,
Arme e cavalli , e un numer di persone ,
Qual gli convenne, e entrato era in cammino;
E seco avea Ruggiero, a cui le buone
Arme avea fatto rendere e Frontino :
E tanto un giorno e un altro e un altro andare,
Ch'in Francia ed a Parigi si trovare.
62 Non volse entrar Leon nella cittate ,
E i padiglioni alla campagna tese:
E feMl medesmo di per ambasciate,
Che di sua giunta il Re di Francia intese.
L'ebbe il Re caro; e gli fu più fiate.
Donando e visitandolo, cortese.
Della venuta sua la cagion disse
Leone, e lo pregò che P espedisse ;
63 Ch'entrar facesse in campo la donzella
Che marito non vuol di lei men forte;
Quando venuto era per fere o eh' ella
Moglier gli fosse, o che gli desse morte.
Carlo tolse l'assunto, e fece quella
Comparir l'altro dì fuor delle porte ,
Nello steccato che la notte sotto
All' alte mura fu fatto di botto.
65 Lancia non tolse; non perchè temesse
Di quella d' òr , che fu dell' Argalia
E poi d' Astolfo a cui costei successe ,
Che far gli arcion votar sempre solia;
Perchè nessun , eh' ella tal forza avesse ,
0 fosse fatta per negromanzia ,
Avea saputo, eccetto quel Re solo
Che far la fece, e la donò al figliuolo.
66 Anzi Astolfo e la donna, che portata
L'aveano poi, credean che non l'incanto,
Jla la propria possanza fosse stata ,
Che dato loro in giostra avesse il vanto;
E che con ogni altr'asta ch'incontrata
Fosse da lor, farebbono altrettanto.
La cagion sola, che Ruggier non giostra
È per non far del suo Frontino mostra:
67 Che Io potria la donna facilmente
Conoscer, se da lei fosse veduto;
Perocché cavalcato , e lungamente
In Montalban l'avea seco tenuto.
Ruggier, che solo studia e solo ha mente
Come da lei non sia riconosciuto ,
Né vuol Frontin, né vuol cos' altra avere.
Che di far di sé indizio abbia potere.
68 A questa impresa un'altra spada volle;
Che ben sapea che centra a Balisarda
Saria ogn' osbergo , come pasta , molle ;
Ch'alcuna tempra quel furor non tarda;
E tutto '1 taglio anco a quest'altra tolle
Con un martello , e la fa men gagliarda.
Ck)n quest'arme Ruggiero, al primo lampo
Ch'apparve all'orizzonte, entrò nel campo.
69 E per parer Leon, le sopravveste
Che dianzi ebbe Leon, s'ha messe indosso;
E l' aquila deU' òr con le due teste
Porta dipinta nello scudo rosso.
E facilmente si potean far queste
Finzion, ch'era ugualmente grande e grosso
L'un come l'altro. Appresen tossi l'uno;
L'altro non si lasciò veder d'alcuno.
64 La notte ch'andò innanzi al terminato
Giorno della battaglia, Ruggiero ebbe
Simile a quella che suole il dannato
Aver, che la mattina morir debbe.
Eletto avea combatter tutto armato,
Perch' esser conosciuto non vorrebbe;
Né lancia né destriero adoprar volse;
Né , fuor che '1 brando, arme d' offesa tolse.
70 Era la volontà della donzella
Da quest'altra diversa di gran lunga;
Che se Ruggier sulla spada martella
Per rintuzzarla, che non tagli o punga,
La sua la donna aguzza, e brama ch'ella
Entri nel ferro , e sempre al vivo giunga ;
Anzi ogni colpo si ben tagli e fere
Che vada sempre a ritrovargli il core. 7 1 Qnal su le mosse il barbaro si vede ,
Che '1 cenno del partir focoso atteude ,
Né qua né là poter fermare il piede ,
Gonfiar le nare, e che le orecchie tende:
Tal V animosa donna, che non crede
Che questo sia Ruggier con chi contende,
Aspettando la tromba, par che fuoco
Nelle vene abbia, e non ritrovi loco.
72 Qua] talor, dopo il tuono, orrido vento
Subito segue, che sozzopra volve
L' ondoso mare , e leva in un momento
Da terra fin al ciel 1* oscura polve;
Fuggon le fiere, e col pastor T armento,
L'aria in grandine e in pioggia si risolve:
Udito il segno la donzella, tale
Stringe la spada , e '1 suo Ruggiero assale.
73 Ma non più quercia antica, o grosso muro
Di ben fondata torre a Borea cede,
Né più all'irato mar lo scoglio duro.
Che d'ogni intomo il di e la notte il fiede;
Che sotto l'arme il buon Ruggier sicuro.
Che già al troiano Ettór Vulcano diede.
Ceda all'odio e al furor che lo tempesta
Or ne' fianchi, or nel petto, or nella testa.
74 Quando di taglio la donzella, quando
Mena di punta; e tutta intenta mira
Ove cacciar tra ferro e ferro il brando ,
Sì che si sfoghi e disacerbi l' ira.
Or da un lato, or da un altro il va tentando;
Quando di qua, quando di là s'aggira;
E si rode e si duol che non le avvegna
Mai fatta alcuna cosa che disegna.
75 Come chi assedia una città che forte
Sia di buon fianchi e di muraglia grossa,
Spesso l'assalta, or vuol batter le porte,
Or l'alte torri, or atturar la fossa;
E pone indarno le sue genti a mort« ,
Né via sa ritrovar , eh' entrar vi possa :
Così molto s' affanna e si travaglia,
Né può la donna aprir piastra né maglia.
76 Quando allo scudo e quando al buono elmetto,
Quando all'osbergo fa gittar scintille
Con colpi eh' alle braccia, al capo, al petto
Mena dritti e riversi, e mille e mille,
E spessi più che sul sonante tetto
La grandine far soglia delle ville.
Ruggier sta su l' avviso , e si difende
Con gran destrezza , e lei mai non offende :
77 Or si ferma, or volte già, or si ritira,
E con la man spesso accompagna il piede.
Porge or lo scudo, ed or la spada gira
Ove girar la man nimica vede.
0 lei non fere, o, se la fere, mira
Ferirla in parte ove mpn nuocer crede.
La donna, prima che quel di s' inchine ,
Brama di dare alla battaglia fine.
78 Si ricordò del bando, e si ravvide
Del suo periglio, se non era presta;
Che se in un dì non prende e non uccide
Il suo domandator, presa ella resta.
Kra già presso ai termini d'Alcide
Per attuifar nel mar Febo la testa.
Quand'olia cominciò di sua possanza
A diffidarsi, e perder la speranza.
Stanza 74.
79 Quanto mancò più la speranza, crebbe
Tanto più l' ira , e raddoppiò le botte ;
Che pur quell'arme rompere vorrebbe,
Ch' in tutto un dì non avea ancora rotte
Come colui ch'ai lavorio che debbe
Sia stato lento , e già vegga esser notte ,
S'affretta indamo, si travaglia e stanca.
Finché la forza a un tempo e il dì gli manca,
80 0 misera donzella, se costui
Tu conoscessi , a cui dar morte brami ;
Se lo sapessi esser Ruggier, da cui
Della tua vita pendono gli stami:
So ben eh' uccider te , prima che lui ,
Vorresti; ebé di te so che più l'ami:
E quando lui Ruggiero esser saprai,
Di questi colpi ancor , so , ti dorrai.
81 Carlo e moli' altri seco, che Leone
Esser costai credeansi, e non Ragg;iero,
Vedoto come in arme, al paragone
Di Bradamante, forte era e leggiero;
E , senza offender lei , con che ragione
Difender si sapea, mntan pensiero,
E dicon: Ben convengono amendni;
Ch' egli è di lei ben degno , ella di lai.
82 Poi che Febo nel mar tatt* è nascoso ,
Carlo, fatta partir quella battaglia.
Giudica che la donna per suo sposo
Prenda Leon , né ricusarlo vaglia.
Ruggier, senza pigliar quivi riposo.
Senz'elmo trarsi, o alleggerirsi maglia,
Sopra un piccìol ronzin toma in gran fretta
Ai padiglioni ove Leon P aspetta.
87 Di chi mi debbo, oimè! dicea, dolere
Che cosi m'abbia a un punto ogni ben tolto?
Deh, sMo non voM' ingiuria sostenere
Tenza vendetta, incontro a cui mi volto?
Fuorché me stesso, altri non so vedere
Che m'abbia offeso, ed in miseria vòlto.
Io m*ho dunque di me centra me stesso
Da vendicar, e' ho tutto il mal commesso.
88 Pur quando io avessi fatto solamente
A me r ingiuria , a me forse potrei
Donar perdon, sebben difficilmente;
Anzi vo' dir che far non lo vorrei :
Or quanto, poi che Bradamante sente
Meco r ingiuria uguil , men lo ferei ?
Quando bene a me ancora io perdonassi ,
Lei non convien ch'invendicata lassi.
83 Gittò Leone al cavalier le braccia
Due volte e più fraternamente al collo;
E poi, trattogli Telmo dalla faccia.
Di qua e di là con grande amor baciollo.
Vo', disse , che di me sempre tu faccia
Come ti par; che mai trovar satollo
Non mi potrai , che me e lo stato mio
Spender tu possa ad ogni tuo disio.
84 Né veggo ricompensa che mai questa
Obbligazion, ch'io t'ho, possi disdorre;
E non , s^ ancora io mi levi di testa
La mia corona, e a te la venghi a porre.
Rnggier, di cui la mente auge e molesta
Alto dolore , e che la vita abborre ,
Poco risponde; e l'insegne gli rende.
Che n'avea avute, el suo liocorno prende;
85 E stanco dimostrandosi e svogliato ,
Più tosto che potè da lui levosse;
Ed al suo alloggiamento ritornato,
Poi che fu mezzanotte, tutto armosse;
E sellato il destrìer, senza commiato,
E senza che d'alcun sentito fosse,
Sopra vi salse, e si drizzò al cammino
Che più piacer gli parve al suo Frontino.
89 Per vendicar lei dunque debbo e voglio
Ogni modo morir, né ciò mi pesa:
Ch'altra cosa non so ch'ai mio cordoglio ,
Fuorché la morte, far possa difesa.
Ma sol, ch'allora io non morii, mi doglio ?
Che fatto ancora io non le aveva offesa.
Oh me felice , s' io moriva allora
Ch'era prigion della crudel Teodora!
90 Sebben m'avesse ucciso, tormentato
Prima ad arbitrio di sua crndeltade.
Da Bradamante almeno avrei sperato
Di ritrovare al mio caso pietade.
Ma quando ella saprà eh' avrò più amato
Leon di lei, e di mia volontade
Io me ne sia, perch'egli l'abbia, privo,
Avrà ragion d'odiarmi e morto e vivo.
91 Questo dicendo, e molte altre parole
Che sospiri accompagnano e singulti,
Si trova all'apparir del nuovo sole
Fra scuri boschi, in luoghi strani e inculti;
E perchè è disperato e morir vuole,
E, più che può, che'l suo morir s'occulti,
Questo luogo gli par molto nascosto.
Ed atto a far quant'ha di sé disposto. 86 Frontino or per via dritta or per via torta.
Quando per selve e quando per campagna
II suo signor tutta la notte porta.
Che non cessa un momento che non piagna:
Chiama la morte, e in quella si conforta.
Che l'ostinata doglia sola fregna;
Né vede, altro che morte, chi finire
Possa V insopportabil suo martire. 92 Entra nel folto bosco, ove più spesse
L'ombrose frasche e più intricate vede;
Ma Frontin prima al tutto sciolto messe
Da sé lontano, e libertà gli diede.
0 mio Frontin, gli disse, s'a me stesse
Di dare a'merti tuoi degna mercede
Avresti a quel destrier da invidiar poco
Che volò al cielo, e fra le stelle ha loc^. 93 Cillaro, so, non fu, non fu Arìone
Di te miglior, né meritò più lode;
Né alena altro destrier di cui menzione
Fatta da' Greci o da' Latini a' ode.
Se ti fiir par nell'altre parti beone,
Di questa so eh' alcun di lor non gode ,
Di potersi vantar ch'avuto mai
94 Poich' alla più
Donna gentile e
Si caro stato sei
£ di sua man ti
Caro eri alla mi
La dirò più, se
S'io l'ho donata
Abbia il pregio e l' onor che tu avuto hai ; Di volger questa
stanza 92. 95 Se Ruggier qui s'affligge e si tormenta,
E le fere e gii augelli a pietà muove
(Ch' altri non è che questi gridi senta ,
Né vegga il pianto che nel sen gli piove) ,
Non dovete pensar che più contenta
Bradamante in Parigi si ritrove,
Poiché scusa non ha che la difenda,
0 più l'indugi, che Leon non prenda.
96 Ella, prima ci
Che'l suo Ruggii
Mancar del dette
I parenti e gli a
E quando altro i
0 col veneno o '
Che le par megl
Che, vivendo, n
97 Deh, Ruggier mio, dìcea, dove Sci gito?
Puote esser che tn sia tanto discosto,
Che tu non abbi questo bando udito,
A nessun altro , fuor che a te , nascosto ?
Se tu '1 sapessi , io so che comparito
Nessun altro saria di te più tosto.
Misera me ! eh' altro pensar mi deggio ,
Se non quel che pensar si possa peggio ?
stanza 94.
98 Come è, Ruggier, possìbil che tu solo
Non abbi quel che tutto il mondo ha inteso?
Se inteso l'hai, né sei venuto a volo.
Come esser può che non sii morto o preso?
Ma chi sapesse il ver, questo figliuolo
Di Costantin t' avrà alcun laccio teso ;
Il traditor t'avrà chiusa la via,
Acciò prima di lui tu qui non sia.
99 Da Carlo impetrai grazia, eh' a nessuno
Men di me forte avessi ad esser data ,
Con credenza che tu fossi quell'uno
A cui star contra io non potessi armata.
Fuorché te solo , io non stimava alcuno :
Ma dell'audacia mia m'ha Dio pagata;
Poiché costui , che mai più non fé' impresa
D'onore in vita sua, cosi m'ha presa:
100 Se però presa son, per non avere
Uccider lui né prenderlo potuto;
Il che non mi par giusto ; né al parere
Mai son per star, ch'in questo ha Carlo avuto.
So ch'incostante io mi farò tenere,
Se da quel e' ho già detto ora mi muto;
Ma nò la prima son né la sezzaia,
La qual parata sia incostante, e paia.
101 Basti che nel servar fede al mio amante
D'ogni scoglio più salda mi ritrovi,
E passi in questo di gran lunga quante
Mai furo ai tempi antichi, o sieno ai nuovi.
Che nel resto mi dicano incostante,
Non curo, purché l'incostanzia giovi:
Purch'io non sia di costui tórre astretta,
Volubil più che foglia anco sia detta.
102 Queste parole ed altre, ch'interrotte
Da sospiri e da pianti erano spesso,
Segui dicendo tutta quella notte
Ch' air infelice giorno venne appresso.
Ma poi che dentro alle cimmerie grotte *
Con l'ombre sue Notturno fu rimesso,
Il Ciel, ch'eternamente avea voluto
Farla di Ruggier moglie, le die aiuto.
1 03 Fé' la mattina la donzella altiera
Marfisa innanzi a Carlo comparire,
Dicendo ch'ai fratel suo Ruggier era
Fatto gran torto, e noi volea patire,
Che gli fosse levata la mogliera,
Né pure una parola glie ne dire:
E contra chi si vuol di provar toglie.
Che Bradamante di Ruggiero é moglie;
104 E innanzi agli altri, a lei provar lo vuole,
Quando pur di negarlo- fòsse ardita:
Ch'in sua presenzia ella ha quelle parole
Dette a Buggier, che fa chi si marita;
E con la cerimonia che si suole.
Già si tra lor la cosa é stabilita ,
Che più di sé non possono disporre ,
Nò r un r altro lasciar , per altri tórre.
105 .Marfisa, o'I vero o '1 falso che dicesse,
Pur lo dicea, ben credo con pensiero.
Perché Leon più tosto interrompesse
A dritto e a torto, che per dir il vero;
E che di volontade lo facesse
Di Bradamante. eh' a riaver Ruggiero,
Ed escluder Leon, né la più onesta
Né la più breve via vedea di questa. 106 Turbato il Re di questa cosa molto,
Bradamante chiamar fa immantinente;
E quanto di provar Marfisa ha tolto
Le fa sapere, ed ecci Amon presente.
Tien Bradamante chino a terra il volto,
E confusa non niega né consente,
In gnisa che comprender di leggiero
Si può che Marfisa abbia detto il vero.
107 Piace a Rinal
Tal cosa udir, e
Che '1 parentado
Che già conchius
E pur Rnggìer 1
Malgrado avrà d
E potran senza 1
Di man per forz
Stanza 95
108 Che se tra lor queste parole stanno.
La cosa è ferma, e non andrà per terra.
Cosi atterràn quel che promesso gli hanno,
Più onestamente e senza nuova guerra.
Questo è, diceva Amon, questo è un inganno
Centra me ordito: ma'l pensier vostro erra:
Ch' ancorché fosse ver quanto voi finto
Tra voi v* avete, io non son però vinto.
109 Che presuppos
Né vo' credere an
Scioccamente a R
Come voi dite, e
Quando e dove fi
Più chiaro e piar
Stato so che non
Prima che Ruggì
HO Ma s'egli è stato ìananzi che cristiano
Fosse Ruggier , non vo' che me ne caglia ;
Ch'essendo ella Fedele, egli Pagano,
Non crederò che'i matrimonio vaglia.'
Non 3i debbe per questo essere invano
Posto al risco Leon della battaglia;
Né il nostro Imperator credo vogli' anco
Venir del detto suo per questo manco.
Stanza 103. Ili Quel ch'or mi dite, era da dirmi quando
Era intera la cosa, né ancor fatto
A'prieghi di costei Carlo avea il bando
Che qui Leone alla battaglia ha tratto.
Così contra Rinaldo e contra Orlando
Amon dicea, per rompere il contratto
Fra quei duo amanti ; e Carlo stava a udire ,
Né per Fun né per l'altro volea dire.
112 Come si senton, s' Austro o Borea spira,
Per l'alte selve murmurar le fronde;
0 come soglion, s'Eolo s'adira
Contra Nettuno, al lito fremer l'onde:
Cosi un rumor che corre e che s'airgirat
E che per tutta Francia si diffonde,
Di questo dà da dire e da udir tanto,
Ch'ogni altra cosa é muta in ogni canto.
113 Chi parla per Ruggier, chi per Leone;
Ma la più parte è con Ruggiero in lega:
Son dieci e più per un che n'abbia Amone.
L' Imperator né qua né là si piega;
Ma la causa rimette alla ragione,
Ed al suo Parlamento la deléga.
Or vien Marfisa, poich'é differito
Lo sponsalizio, e pon nuovo partito;
Stanza 113.
114 E dice: Con ciò sia ch'esser non possa
D'altri costei, finché '1 fra tei mio vive;
Se Leon la vuol pur , suo ardire e possa
Adopri sì, che lui di vita prive:
E chi manda di lor 1' altro alla fossa ,
Senza rivale al suo contento arrìve.
Tosto Carlo a Leon fa intender questo,
Come anco intender gli avea fatto il resto.
115 Leon che, quando seco il cavaliero
Dal liocorno sia, si tien sicuro
Di riportar vittoria di Ruggiero,
Né gli abbia alcun assunto a parer duro;
Non sappiendo che l'abbia il dolor fiero
Tratto nel bosco solitario e oscuro,
Ma che . per tornar tosto , uno o due miglia
Sia andato a spasso, il mal partito piglia. CANTO QUARANTESIMI 116 Ben se ne pente in breve; che colui, 117 Pe
Del qual più del dover si promettea, D^app
Non comparve quel dì, né gli altri dui Né co
Che lo seguir, né nuova se n'avea; Egli i
E tor questa battaglia senza lui Ma n<
Contra Ruggier, sicur non gli parea: Né V
Mandò, per schivar dunque danno e scorno, Se no
Per trovar il guerrier del liocorno. Mi se
N o T B. St. 1. V. 4-6. — Far.... il tomo: da tornare, che vale
cadere eoi capo aWingiù. — Folicrate, e il re di Lidia,
e Dionigi. Il primo er* tiranno di Samo, e celebre per
la prosperità onde tutte le sue imprese furono accom-
pagnate ; ma rimase sconfitto dair armata di Dario , e
mori appiccato. — Re di Lidia fu Creso, l'uomo più
liceo de' suoi tempi , felice ne' suoi principj , ma vinto
da Ciro. — Dionigi, tii-anno di Siracusa , vide mutarsi
lo splendore di sua fortuna nella oscurità di maestro
di scuola, a cui fu costretto ridursi in Corinto. St. 2 V. 7. — Servio, Mario, Ventidio. Da figlio della
schiava Tanaqnilla, Servio diventò re di Roma, succe-
dendo a Tarquinio Prisco. — Mario, nato in Arpino di
basso lignaggio, ebbe sette volte il consolato di Roma. — Vèìitidio era schiavo di Strabone , e nondimeno ri-
portò pel primo il trionfo sui Parti, e fu pretore e con-
sole in Roma. St. 3. V. 1-8. — Il re Luigi, ecc. Parla del re di Fran-
cia Luigi XII, padre di Renata che fu consorte del duca
Alfonso 1. Sconfitto e tenuto prigione da Carlo VITI, gli
successe
spetto di
dislao, 1
poco dop St. 10.
neirUngl St. 65.
l'Argalia St. 92.
Pegaso ,
Chimera, ST. 93.
di Castoi
vallo di
per rendi St. la
Qui è la
HllaPaln
al lago d
gine: qui
Canto XLVI.
Mf^lissa va iii traccia di Ruggiero j e qU salva la Tìta col
!»iez?,o Ji Lpoiie, clie, fatto inteso del motivo onde Rtig*
Riero ó flrtli'tto, gli ce (te Bmdamaiite. Tutti va» no a Fa-
ri^ij dou! lìiTBfjterOj gìh eletto re dei Bulgari, è macife-
Htstu pd ravaliete clic ha combattuto con BTo^lamatite,
Si fminD If^ iio;cz(4 ron regale eplendldczz^ e prepiiraBt it
talamo sotro J'isl oriate padiglione imperiale, cJie Meli»
con raagit:artc la fttt to ti-»aportBie da Costantinopoli,
Xt^irnUìinp f^ioino ddle feste nuziali , 8opraY\ieDe Bodo^
TUùntct, che stidii tUigRicro a battaglia, conibat te con e
e maoiu: por di lui mano.
Or, se mi mostra ta mia carta il vero,
Noti è lontAiìo a discoprirsi il porto;
Sì clic nel lito Ì voti scioglier spero
A chi nel mar per tanta via m'hsi scorto |
t)vc . 0 ili non tornar col legno i a toro ,
0 d'errar sempre, ebbi già il viso smorto*
Ma mi par di veiler, ma veggo certo ,
Veggo la terra, e veggo il (ito aperto* 2 Sento venir per allegrezza un tnono
Che fremer l'aria e rimbombar fa T onci e;
Odo di sqnille , odo dì trombe xm suono
Che Talto popnlnr grido confonde.
Or comincio a d lacerne re cbi &ono
PncHti eh' (in pioti del parto ambe le sponde.
Par che tutti s'allegrino ch'io sia
Venuto a fin di cosi innga via. CANTO QUARANTE 3 Oh di che belle e sagge donne veggio, 4
Oh di che cavalieri il lito adorno! Da
Oh di che amici , a chi in eterno deggio Ve
Per la letizia e' han del mio ritorno ! Da
Mamma e Ginevra e l'altre da Correggio Ve
Veggo del molo in su l' estremo corno ; Ch
Veronica da Gamhara è con loro , Co
Sì grata a Febo e al santo aonio coro. Bi
Stanza 3.
Ecco la bella, ma più saggia e onesta , 6 ^
Barbara Turca, e la compagna è Laura. Qu
Non vede il Sol di più bontà di questa Ce:
Coppia dair Indo all' estrema onda maara. Do
Ecco Ginevra che la Malatesta Cr<
Casa col suo valor si ingemma e inaura , E
Che mai palagi imperiali o regi To
Non ebbon più onorati e degni fregi. Né
7 Del mio Signor di Bozolo la moglie,
La madre, le sirocchie e le cugine,
E le Torelle con le Bentivoglie ,
E le Visconte e le Pallavicine ;
Ecco chi a quante oggi ne sono , toglie ,
E a quante o Greche o Barbare o Latine
Ne Airon mai, di quai la fama s'oda.
Di grazia e di beltà la prima loda.
8 Giulia Gonzaga, che dovunque il piede
Volge, e dovunque i sereni occhi gira.
Non pur ogn' altra di beltà le cede.
Ma, come scesa dal ciel Dea, T ammira.
La cognata è con lei, che di sua fede
Non mosse mai, perchè T avesse in ira
Fortuna che le fé' lungo contrasto :
Ecco Anna d' Aragon , luce del Vasto ;
9 Anna bella , gentil , cortese e saggia ,
Di castità , di fede e d' amor tempio.
La sorella è con lei , eh' ove ne irraggia
L'alta beltà, ne paté ogn' altra scempio.
Ecco chi tolto ha dalla scura spiaggia
Di Stige, e fa con non più visto esempio,
Malgrado delle Parche e della Morte,
Splender nel ciel l' invitto suo consorte. 18 Ecco Alessandro, il mio signor. Farnese:
Oh dotta compagnia che seco mena!
Fedro, Capella, Porzio, il bolognese
Filippo, il Volterrano, il Madalena,
Blosio, Piero, il Vida cremonese,
D' alta facondia inessiccabil vena ,
E Lascari e Musuro e Navagero ,
E Andrea Marone , e '1 monaco Severo.
14 Ecco altri duo Alessandri in quel drappello.
Dagli Orologi l'un, l'altro il Guarino.
Ecco Mario d' Olvito « ecco il flagello
De' Principi, il divin Pietro Aretino.
Duo Jeronimi veggo, l'uno è quello
Di Verìtade, e l'altro il Cittadino.
Veggo il Mainardo , veggo il Leoniceno ,
Il Pannizzato, e Celio e il Teocreno.
15 Là Bernardo Capei, là veggo Pietro
Bembo , che '1 puro e dolce idioma nostro ,
Levato fuor del volgare uso tetro,
Qnal esser dee, ci ha col suo esempio mostro.
Guasparro Obizzi è quel che gli vien dietro.
Ch'ammira e osserva il si ben speso inchiostro.
Io veggo il Fracastorio, il Bevazzano,
Trifon Gabriele, e il Tasso più lontano.
10 Le Ferraresi mie qui sono , e quelle
Della corte d'Urbino e riconosco
Quelle di Mantua, e quante donne belle
Ha Lombardia , quante il paese tosco.
n cavalier che tra lor viene, e ch'elle '
Onoran si, s'io non ho l'occhio losco,
Dalla luce ofiFuscato de' bei volti,
É'I gran lume aretin, l'Unico Accolti.
11 Benedetto, il nipote, ecco là veggio,
C'ha purpureo il cappel, purpureo il manto,
Col Cardinal di Mantua, e col Campeggio,
Gloria e splendor del consistono santo*.
E ciascun d'essi noto (o ch'io vaneggio)
Al viso e ai gesti rallegrarsi tanto
Del mio ritomo , che non facil parmi
Ch'io possa mai di tanto obbligo trarmi.
12 Con lor Lattanzio e Claudio Tolomei ,
E Paulo Pausa, e'I Dresino, e Latino
Giuvenal parmi, e i Capilupi miei,
E '1 Sasso e 1 Molza e Florian Montino ;
E quel che per guidarci ai rivi ascrei
Mostra piano e più breve altro cammino ,
Giulio Camillo; e par eh' anco io ci scema
Marco Antonio Flaminio , il Sanga , il Berna.
16 Veggo Niccolò Tiepoli, e con esso
Niccolò Amanio in me affissar le ciglia;
Anton Falgoso, eh' a vedermi appresso
Al lito mostra gaudio e maraviglia.
n mio Valerio è quel che là s'è messo
Fuor delle donne; e forse si consiglia
Col Barignan c'ha seco, come offeso
Sempre da lor, non ne sia sempre acceso.
17 Veggo sublimi e sopmmani ino^egni ,
Di sangue e d'amor giunti, il Pico e il Pio.
Colui che con lor vien, e da' più degni
Ha tanto onor, mai più non conobbi io;
Ma, se me ne fur dati veri segni,
È l' uom che di veder tanto desio ,
lacobo Sannazar, eh' alle Camene
Lasciar fa 1 monti , ed abitar l'arene.
18 Ecco il dotto, il fedele, il diligente
Secretarlo Pistofllo, ch'insieme
Cogli Acciaiuoli e con l'Angiar mio sente
Piacer , che più del mar per me non teme.
Annibal Malagnzzo , il mio parente ,
Veggo con l'Adoardo, che gran speme
Mi dà, eh' ancor del mio nativo nido
Udir farà da Calpe agi' Indi il grido.
CANTO QUARANTESI
19 Fa Vittor Fausto, fa il Tancredi festa 20 (,
Di riyedermi e la fanno altri cento. V 1
Veggo le donne e gli nomini di questa Che
Mia ritornata ognun parer contento. Nod
Dunque a finir la breve via che resta E d
Non sia più indugio, or c^ho propizio il vento; Che
E torniamo a Melissa, e con che aita Per
Salvò , diciamo , al buon Buggier la vita. Che
stanza 12.
21 In preda del dolor tenace e forte 23 S<
Buggier tra le scure ombre vide posto. Qua
Il qual di non gustar d'alcuna sorte Se 1
Mai più vivanda fermo era e disposto. Ben
E col digiun si volea dar la morte : Qua
Ma fu r aiuto di Melissa tosto; Al i
Che, del suo albergo uscita, la via tenne Che
Ove in Leone ad incontrar si venne : Non
22 II qual mandato, Puno alP altro appresso, 24 II
Sua gente avea per tutti i luoghi intorno; E s(
E poscia era in persona andato anch'esso II p
Per trovar il guerrier dal liocorno. Mai
La saggia incantatrice , la qual messo Sol
Freno e sella a uno spirto avea quel giorno , Sta
E Pavea sotto in forma di ronzino, Per
Trovò questo figliuol di Costantino. S'al
25 Neir animo a Leon subito cade,
Che'l cavalier di chi costei ragiona,
Sia quel che per trovar fa le contrade
Cercare intomo, e cerca egli in persona;
Sì eh' a lei dietro , che gli persuade
Si pietosa opra, in molta fretta sprona;
La qual lo trasse, e non fèr gran cammino,
Ove alla morte era Ruggier vicino.
26 Lo ritrovar che senza cibo stato
Era tre giorni , e in modo lasso e vinto ,
ChMu pie a fatica si saria levato,
Per ricader, sebben non fosse spinto.
Giacca disteso in terra tutto armato,
Con Telmo in testa, e della spada cinto;
E guandal dello scudo s'avea fatto,
In che *1 bianco liocorno era ritratto.
27 Quivi pensando quanta ingiuria egli abbia
Fatto alla donna, e quanto ingrato e quanto
Isconoscente le sia stato, arrabbia,
Non pur si duole; e se n'affligge tanto,
Che si morde le man, morde le labbia,
Sparge le guancie di continuo pianto;
E per la fantasia che v' ha si fissa ,
Né Leon venir sente, né Melissa:
28 Né per questo interrompe- il suo lamento,
Né cessano i sospir, né il pianto cessa.
Leon si ferma, e sta ad udire intento;
Poi smonta del cavallo, e se gli appressa.
Amore esser cagion di quel tormento
Conosce ben ; ma la persona espressa
Non gli è , per cui sostien tanto martire ;
Ch'anco Ruggier non glie l'ha fatto udire.
29 Più innanzi, e poi più innanzi i passi muta,
Tanto che se gli accosta a faccia a faccia;
E con fraterno affetto lo saluta,
E se gli china a lato, e al collo abbraccia.
Io non so quanto ben questa venuta
Di Leone improvvisa a Ruggier piaccia;
Che teme che lo turbi e gli dia noia,
E se gli voglia oppor, perché non muoia.
30 Leon con le più dolci e più soavi
Parole che sa dir, con quel più amore
Che può mostrar, gli dice: Non ti gravi
D'aprirmi la cagion del tuo dolore;
Che pochi mali al mondo son si pravi,
Che Tuomo trar non se ne possa fùore.
Se la cagion si sa; né debbe privo
Di speranza esse/ mai , finché sia vivo.
31 Ben mi duol che celar t'abbi voluto
Da me , che sai s' io ti son vero amico ,
Non sol di poi ch'io ti son si tenuto ,
Che mai dal nodo tuo non mi districo ,
Ma fin allora ch'avrei causa avuto
D'esserti sempre capital nemico;
E dèi sperar ch'io sia per darti aita
Con l'aver, con gli amici e con la vita.
32 Di meco conferir non ti rincresca
Il tuo dolore; e lasciami far prova,
Se forza, se lusinga, acciò tu n'esca.
Se gran tesor, s'arte, s' astuzia giova.
Poi , quando l' opra mìa non ti riesca ,
La morte sia ch'alfin te ne rimova:
Ma non voler venir prima a quesi' atto ,
Che ciò che si può far non abbi £atto.
33 E seguitò con si efficaci prieghi,
E con parlar si umano e si benigno ,
Che non può far Ruggier che non si pieghi ,
Che né di ferro ha il cor né di macigno,
E vede, quando la risposta nieghi,
Che farà discortese atto e maligno.
Risponde; ma due volte o tre s'incocca
Prima il parlar , eh' uscir voglia di bocca.
34 Signor mio, disse alfin, quando saprai
Colui ch'io son, che son per dirtel ora,
Mi rendo certo che di me sarai
Non men contento, e forse più, ch'io mora.
Sappi ch'io son colui che si in odio hai:
Io son Ruggier, ch'ebbi te in odio ancora;
E che con intenzion di porti a morte ,
Già son più giorni , usci' di questa corte ;
35 Acciò per te non mi vedessi tolta
Bradamante, sentendo esser d' Amone
La voluntade a tuo favor rivolta.
Ma perchè ordina l'uomo, e Dio dispone.
Venne il bisogno ove mi fé' la molta
Tua cortesia mutar d'opinione;
E non pur l'odio ch'io t'avea deposi ,
Ma fé' eh' esser tuo sempre io mi disposi.
86 Tu mi pregasti non sapendo ch'io
Fossi Ruggier, ch'io ti facessi avere
I^a donna; ch'altrettanto sana il mio
Cor fuor del corpo, o l'anima volere.
Se soddisfar piuttosto al tuo desio.
Ch'ai mio, ho voluto, t'ho fatto vedere.
Tua fatta é Bra«lamante; abbila in pace;
Molto più che '1 mio bene , il tuo mi piace.
41 Che prima il nome di Rnggiero odiassi,
ChMo sapessi che tu fossi Ruggiero,
Non negherò; ma ch^or più innanzi passi
L'odio ch'io t'ebhi, t'esca del pensiero.
£ se, quando di carcere io ti trassi,
N'avessi, come or n'ho, saputo il yero;
n medesimo avrei fatto anco allora,
Oh' a benefizio tuo son per far ora.
42 E s'allor volentier fatto l'avrei,
Ch'io non t'era, come or sono, obbligato;
Qnant'or più farlo debbo, che sarei.
Non lo facendo, il più d'ogn' altro ingrato?
Poiché, negando il tuo voler, ti sei
Privo d'ogni tuo bene, e a me l'hai dato.
Ma te lo rendo; e più contento sono
Renderlo a te, ch'aver io avuto il dono.
43 Molto più a te, eh' a me, costei conviensi,
La qual, bench'io per li suoi merit'ami.
Non è però, s'altri l'avrà, eh* io pensi,
Come tu, al viver mìo romper li stami.
Non vo'che la tua morte mi dispensi,
Che possa, sciolto ch'ella avrà i legami
Che son del matrimonio ora fra voi,
Per legittima moglie averla io poi.
44 Non che di lei, ma restar privo voglio
Di ciò e' ho al mondo, e della vita appresso.
Prima che s'oda mai ch'abbia cordoglio
Per mìa cagion tal cavaliero oppresso.
Della tua diiìidenzia ben mi doglio;
Che tu che puoi , non men che di te stesso ,
Di me dispor, piuttosto abbi voluto
Morir di duol, che da me avere aiuto.
45 Queste parole ed altre soggiungendo.
Che tutte saria lungo riferire ,
£ sempre le ragion redarguendo ,
Ch'in contrario Ruggier li potea dire,
Fé' tanto, ch'alfin disse: Io mi ti rendo,
E contento sarò di non morire.
Ma quando ti sciorrò l'obbligo mai,
Che due volte la vita dato m'hai?
47 II qual con gran fatica, ancor ch'aiutx)
Avesse da Leon, sopra vi salse:
Cosi quel vigor manco era venuto ,
Che pochi giorni innanzi in modo valse,
Che vincer tutto un campo avea potuto ,
E far quel che fé' poi con Tarme false.
Quindi partiti , giunser , che più via
Non fèr di mezza lega, a una badia:
48 Ove posaro il resto di quel giorno ,
E l'altro appresso, e l'altro tutto intero,
Tanto che'l cavalier dal liocorno
Tornato fu nel suo vigor primiero.
Poi con Melissa e con Leon ritomo
Alla città real fece Ruggiero,
E vi trovò che la passata sera
L' imbascieria» de' Bulgari giunt'era:
49 Che quella nazìon, la qual s'avea
Ruggiero eletto Re, quivi a chiamarlo
Mandava questi suoi, che si credea
D'averlo in Francia appresso al Magno Carlo;
Perchè giurargli fedeltà volea,
E dar di sé dominio, e coronario.
Lo scudier di Ruggier , che si ritrova
Con questa gente, ha di lui dato nuova.
50 Della battaglia ha detto, ch'in favore
De' Bulgari a Belgrado egli avea fatta
Ove Leon col padre Imperatore
Vinto , e sua gente avea morta e disfatta :
E per questo V avean fatto Signore ,
Messo da parte ogni uomo di sua schiatta:
• E come a Novengrado era poi stato
Preso da IJngiardo, e a Teodora dato:
51 E che venuta era la nuova certa ,
Che '1 suo guardian s' era trovato ucciso ,
E lui fuggito, e la prigione aperta:
Che poi ne fosse , non v' era altro avviso.
Entrò Ruggier per via molto coperta
Nella città, né fu veduto in viso.
La seguente mattina egli e '1 compagno
Leone appresentossi a Carlo Magno.
46 Cibo soave e prezioso vino
Melissa ivi portar fece in un tratto;
E confortò Ruggier, ch'era vicino.
Non s' aiutando , a rimaner disfatto.
Sentito in questo tempo avea Frontino
Cavalli quivi , e v' era accorso ratto.
Leon pigliar dalli scudieri suoi
Lo fé' e sellare, ed a Ruggier dar poi;
52 S'appresentò Ruggier con l'augel d'oro,
Che nel campo vermiglio avea due teste ;
E , come disegnato era fra loro ,
Con le medesme insegne e sopravveste
Che , come dianzi nella pugna fòro ,
Eran tagliate ancor , forate e peste;
Si che tosto per quel fti conosciuto ,
Ch' avea con Bradamante combattuto.
CANTO QUABANTESIM08E8TO.
53 Con ricche yesti e regalmente ornato ,
Leon senz' arme a par con luì venia ;
£ dinanzi e di dietro e d' ogni lato
Avea onorata e degna compagnia.
A Carlo s^ inchinò , che già levato
Se gli era incontra; e avendo tuttavia
Roggier per man, nel qnal intente e fisse
Ognun avea le luci, cosi disse:
54 Qnesto ò il hnon cavaliere, il qnal difeso
S* è dal nascer del giorno al giorno estinto ;
E poiché Biadamante o morto ; o preso ,
O fuor non V ha dallo steccato spinto ,
Magnanimo Signor, se hene inteso
Ha il Yostro bando , è certo d' aver vinto ,
E d' aver lei per moglie guadagnata ;
E cosi viene, acciò che gli sia data.
55 Oltre che di ragion, per lo tenore
Del bando, non v^ha altr'uom da far disegno;
Se s' ha da meritarla per valore ,
Qnal cavalier più di costui n*è degno?
S' aver la dee chi più le porta amore ,
Non è chi '1 passi o ch'arrivi al suo segno:
Ed è qni presto contra a chi s* oppone ,
Per difender con Parme sua ragione.
56 Carlo , e tutta la corte stupefatta ,
Qnesto udendo, restò; ch'avea creduto
Che Leon la battaglia avesse fatta.
Non qnesto cavalier non conosciuto.
Marfisa , che cogli altri quivi tratta
S^ era ad udire , e eh' appena potuto
Avea tacer, finché Leon finisse
n sno parlar, si fece innanzi e disse :
57 Poiché non c'è Ruggier, che la contesa
Della moglier fra sé e costui disciogUa ,
Acciò per mancamento di difesa
Così senza rumor non se gli teglia,
Io che gli son sorella, questa impresa
Piglio contra a ciascun, sia chi si voglia,
Che dica aver ragione in Bradamante,
O di merto a Ruggiero andare innante.
58 E con tant'ira e tanto sdegno espresse
Questo parlar, che molti ebber sospetto,
Che senza attender Carlo che le desse
Campo, ella avesse a far quivi l'effetto.
Or non parve a Leon che più dovesse
Ruggier celarsi , e gli cavò l' elmetto ;
E rivolto a Marfisa: Ecco lui pronto
A rendervi di sé, disse, buon conto.
59 Quale il canuto Egèo rimase, quando
Si fu alla mensa scellerata accorto
Che quello era il suo figlio, al quale, instando
L' iniqua moglie , avea il veneno pòrto ;
E poco più che fosse ito indugiando
Di conoscer la spada, l'avria morto:
Tal fu Marfisa, quando il cavaliere
Ch'odiato avea, conobbe esser Ruggiero.
60 E corse senza indugio ad abbracciarlo ,
Né dispiccar se gli sapea dal eolio.
Rinaldo, Orlando, e di lor prim% Carlo
Di qua e di là con grand' amor baciollo.
Né Dudon né Olivier d'accarezzarlo.
Né 'I re Sobrin si pnò veder satollo.
Dei Paladini e dei Baron nessuno
Di far festa a Ruggier restò digiuno.
61 Leone, il qual sapea molto ben dire.
Finiti che si fur gli abbracciamenti ,
Conunciò innanzi a Carlo a riferire ,
Udendo tutti quei ch'eran presenti,
Come la gagliardia, come l'ardire
(Ancorché con gran danno di sue genti)
Di Ruggier, eh' a Belgrado avea veduto,
Più d'ogni offesa avea di se potuto ;
62 Si ch'essendo di poi preso e condutto
A colei ch'ogni strazio n'avria fatto.
Di prigion egli , malgrado di tutto
D parentado suo, l'aveva tratto;
E come il buon Ruggier, per render frutto
E mercede a Leon del suo riscatto,
Fé' l' alta cortesia , che sempre a quante
Ne furo o saran mai , passerà innante.
63 E seguendo, narrò di punto in punto
Ciò che per lui fatto Ruggiero avea:
E come poi da gran dolor compunto ,
Che di lasciar la moglie gli premea.
S'era disposto di morire; e giunto
V'era vicin se non si soccorrea;
E con si dolci affetti il tutto espresse.
Che quivi occhio non fu ch'asciutto stesse.
64 Rivolse poi con si efficaci prieghi
Le sue parole all'ostinato Amone,
Che non sol che lo muova, che lo pieghi.
Che lo faccia mutar d'opinione;
Ma fa ch'egli in persona andar non nieghi
A supplicar Ruggier che gli perdone,
E per padre e per suocero l'accette:
E cosi Bradamante gli promette;
65 A coi là dove, della vita in forse,
Piangea i suoi casi in camera segreta,
Con lieti gridi in molta fretta c^rse
Per più d^nn nie.«8o la novella lieta:
Onde il sangue ch'ai cor, quando lo morse
Prima il dolor, fa tratto dalla pietà,
A questo annunzio il lasciò solo in guisa,
Che quasi il gaudio ha la donzella uccisa.
66 Ella riman d* ogni vigor si Tòta ,
Che di tenersi in pie non ha balia;
Benché di quella forza ch'esser nota
Vi debbe, e di quel grande animo sia.
Non più di lei, chi a ceppo, a laccio, a mota
Sia condannato, o ad altra morte ria,
E chi già agli occhi abbia la benda negra,
Gridar sentendo grazia, si rallegra.
67 Si rallegra Mongrana e Chiaramonte ,
Di nuovo nodo i dui raggianti rami;
Altrettanto si duol C^no col conte
Anselmo, e con Falcon Gini e Ginami:
Ma pur coprendo sotto un'altra fronte
Van lor pensieri invidiosi e erami ;
E occasione attendon di vendetta,
Come la volpe al varco il lepre aspetta.
71 Ruggiero accettò il regno, e non conteae
Ai preghi loro, e in Bulgheria promesse
Di ritrovarsi dopo il terzo mese,
Quando Fortuna altro di lui non fèsse.
Leone Augusto, che la cosa intese.
Disse a Rnggier, ch'alia sua fede stesse.
Che , poich' egli de' Bulgari ha il domino ,
La pace è tra lor fatta e Costantino:
72 Né da partir di Francia s* avrà in fretta ,
Per esser capitan delle sue squadre;
Che d'ogni terra ch'abbiano suggetta,
Far la rinunzia gli farà dal padre.
Non é virtù che di Rnggier sia detta,
Ch'a muover sì l'ambiziosa madre
Di Bradamante , e far che '1 genero ami ,
Vaglia, come ora udir che Re si chiami.
73 Fansi le nozze splendide e reali.
Convenienti a chi cura ne piglia:
Carlo ne piglia cura, e le & quali
Farebbe maritando una sua figlia:
I merti della donna erano tali ,
Oltre a quelli di tutta sua famiglia,
Ch'a quel Signor non parria uscir del segno.
Se spendesse per lei mezzo il suo regno.
68 Oltre che già Rinaldo e Orlando ucciso
Molti in più volte avéan di quei malvagi ;
Benché l'ingiurie fur con saggio avviso
Dal Re acchetate, ed i comun disagi ;
Avea di nuovo lor levato il riso
L'ucciso Pinabello e Bertolagi:
Ma pur la fellonia tenean coperta,
Dissimulando aver la cosa certa.
74 Libera corte fa bandire intomo ,
Ove sicuro ognun possa venire;
E campo franco sin al nono giorno
Concede a chi contese ha da partire.
Fé' alla campagna l'apparato adomo
Di rami intesti e di bei fiori ordire,
D' oro e di seta poi , tanto giocondo ,
Che'l più bel luogo mai non Ai nel mondo.
69 Gli ambasciatori bulgari, che in corte
Di Carlo eran venuti, cxyme ho detto.
Con speme di trovare il guerrier forte
Del liocorno, al regno loro eletto;
Sentendol quivi, chiamar buona sorte
La lor , che dato avea alla speme effetto ;
E riverenti ai pie se gli gittaro ,
E che tornasse in Bulgheria il pregare;
70 Ove in Adrianopoli servato
Gli era Io scettro e la real corona:
Ma venga egli a difendersi Io Srato;
Ch*a danni lor di nuovo si ragiona
Che più numer di gente apparecchiato
Ha Costantino, e toma anco in persona:
Ed essi , se '1 suo Re ponno aver seco ,
Speran di tórre a lui V Imperio greco.
75 Dentro a Parigi non sariano state
L'innumerabil genti peregrine,
Povere e ricche e d'ogni quali tate.
Che v' eran , greche , barbare e latine.
Tanti Signori , e ambasderie mandate
Di tutto '1 mondo , non aveano fine:
Erano in padiglion, tende e frascati
Con gran comodità tutti alloggiati.
76 Con eccellente e singulare ornato
La notte innanzi avea Melissa maga
Il maritale albergo apparecchiato ,
Di ch'era stata già gran tempo vaga.
Già molto tempo innanzi desiato
Questa copula avea quella presaga:
Dell'avvenir presaga, sapea quanta
Boutade uscir dovea dalla lor pianta. 77 Posto avea il genì'al letto fecondo
In mezzo un padiglione ampio e capace,
]] più ricco, il più ornato, il più giocondo
Che giammai fosse o per guerra o per pace,
0 prima o dopo, teso in tutto U mondo;
£ tolto ella l' avea dal lito trace :
L'ayea di sopra a Costantin levato,
Ch'a diporto sul mar s'era attendato.
83 Elena nominata era colei,
Per cui lo padiglione a Proteo diede;
Che poi successe in man de'Tolomei.
Tanto che Cleopatra ne fa erede.
Dalle genti d' Agrippa tolto a lei
Nel mar Leucadio fa con altre prede:
In man d* Augusto e di Tiberio venne ,
£ in Roma sin a Oostantiii si tenne ;
78 Melissa di consenso di Leone,
0 piuttosto per dargli maraviglia ,
E mostrargli dell'arie paragone,
Ch' al gran vermo infernal mette la briglia ,
E che di lui, come a lei par, dispone,
E della a Dio nimica empia famiglia;
Fé' da Costantinopoli a Parigi
Portare il padiglion dai messi stigi.
79 Di sopra a Costantin, ch'avoi l'Impero
Di Grecia , lo levò da mezzo giorno ,
Con le corde e col fusto, e con l'intero
' Guemimento eh' avea dentro e d'intorno:
Lo fé' portar per l'aria, e di Ruggiero
Qaivi lo fece alloggiamento adorno:
Poi, finite le nozze, anco tornoUo
Miracnlosamente onde levollo.
80 Eran degli anni appresso che duo milia ,
Che fa quel ricco padiglion trapunto.
Una donzella della terra d'Ilia,
Ch'avea il furor profetico congiunto,
Con studio di gran tempo e con vigilia
Lo fece di sua man di tutto pu^to.
Cassandra fu nomata, ed al fratello
Inclito Ettor fece un bel don di quello.
81 n più cortese cavalier che mai
Dovea del ceppo uscir del suo germano
(Benché sapea, dalla radice assai
Che quel per molti rami era lontano)
Ritratto avea nei bei ricami gai
D'oro e di varia seta, di sua mano.
L'ebbe, mentre che visse, Ettorre in pregio,
Per chi lo fece e pel lavoro egregio.
82 Ma poi eh' a tradimento ebbe la morte,
E fu '1 popol troian da' Greci afflitto :
Che Sinon falso aperse lor le porte,
E peggio seguitò che non è scritto ;
Menelao ebbe il padiglione in sorte,
Col quale a capitar venne in Egitto ,
Ove al re Proteo lo lasciò, se volse
La moglie aver che quel tiran gli tolse.
Akiosto.
Stanza 51.
84 Quel Costantin, di cui doler si debbo
La bella Italia finché giri il cielo.
Costantin, poi che '1 Tevere gì' increbbe,
Portò in Bisanzio il prezioso velo.
Da un altro Costantin Melissa l'ebbe.
Oro le corde , avorio era lo stelo ;
Tutto trapunto con figure belle,
Più che mai con pennel facesse Apelle.
85 Quivi le Grazie in abito giocondo
Una Regina aiutavano ai parto :
Si bello iniante n'apparia, chel inondo
Non ebbe un tal dal secol primo al quarto.
Vedeasi Giove, e Mercurio facondo,
Venere e Marte, che l'aveano sparto
A man piene e spargean d' eterei fiori ,
Di dolce ambrosia e di celesti odori.
86 Ippolito diceva una scrittura
Sopra le fasce in lettere mi onte.
In età poi più ferma l'Avventura
L'avea per mano, e innanzi era Virtute.
Mostrava nuove genti la pittura
Con veste e chiome lunghe, che venute
A domandar da parte di Corvino
Erano al padre il tenero bambino.
87 Da Ercole partirsi riverente
Si vede , e dalla madre Leonora ;
E venir sul Danubio, ove la gente
Corre a vederlo, e come un Dio l'adora.
Vedesi il Re degli Ungari prudente.
Che '1 maturo sapere ammira e onora
In non matura età tenera e molle,
E sopra tutti i suoi Baron V estolle.
88 V'è chi negl'infantili e teneri anni
Lo scettro di Strigonia in man gli pone:
Tempre il fanciullo se gli vede a' panni,
Sia nel palagio , sia nel padiglione :
0 centra Turchi o centra gli Alemanni
Quel Re possente faccia espedizione,
Ippolito gli è appresso, e fiso attende
A' magnanimi gesti, e virtù apprende.
S9 Quivi si vede come il fior dispensi
De' suoi primi anni in disciplina ed arte.
Fusco gli è appresso, che gli occulti sensi
Chiari gli espone dell'antiche carte.
Questo schivar, questo seguir conviensi,
Se immortai brami e glorioso farte,
Par che gli dica: così avea ben finti
1 gesti lor chi già gli avea dipinti.
90 Poi Cardinale appar, ma giovinetto,
Sedere in Vaticano a consisterò,
E con facondia aprir l'alto intelletto
E far di sé stupir tutto quel coro.
Qual fia dunque costui d'età perfetto?
Parean con meraviglia dir tra loro.
Oh se di Pietro mai gli tocca il manto,
Che fortunata età ! che secol santo !
91 In altra parte i liberali spassi
Erano e i giuochi del giovene illustre.
Or gli orsi affronta su gli alpini sassi,
Ora i cingiali in valle ima e palustre:
Or s'un giannette par che 'l vento passi:
Seguendo o caprio, o cerva multilustre,
Che giunta , par che bipartita cada
In parti uguali a un sol colpo di spada.
92 Di filosofi altrove e di poeti
Si vede in mezzo un'onorata squadro.
Quel gli dipinge il ccrso de' pianeti,
Questi la terra, quello il ciel gli squadra:
Questi meste elegie, quei versi lieti,
Quel canta eroici, o qualche oda leggiadra.
Musici ascolta, e vari suoni altrove;
Né senza somma grazia un passo move.
93 In questa prima parte era dipinta
Del sublime garzon la puerizia.
Cassandra l'altra avea tutta distinta
Di gesti di pru'lenzia, di giustizia,
Di valor, di modestia, e della quinta
Che tien con lor strettissima amicizia;
Dico della virtù che dona e spende;
Delle quai tutto illuminato splende*
94 In questa parte il giovene si vede
Col Duca sfortunato degl' Insubri ,
Ch'ora in pace a consiglio con lui siede,
Or armato con lui spi^a i colubri ;
E sempre par d' una medesma fede ,
0 ne' felici tempi o nei lugubri :
Nella fuga lo segue, lo conforta
Neil' afdiziou , gli é nel periglio scorta.
95 Si vede altrove a gran pensieri intento ,
Per salute d'Alfonso e di Ferrara;
Che va cercando per strano argumento ,
E tjova, e fa veder per cosa chiara
Al giustissimo frate il tradimento
Che gli usa la famiglia sua più cara ;
E per questo si fa del nome erede ,
Che Roma a Ciceron libera diede.
96 Vedesi altrove in arme relucente,
Ch'ad aiutar la Chiesa in fìretta corre;
E con tumultuaria e poca gente
A un esercito instrutto si va opporre;
E solo il ritrovarsi egli presente
Tanto agli Ecclesiastici soccorre,
Che'l fuoco estingue pria ch'arder comince;
bi che può dir, che viene e vede e vince.
CANTO QUARANTES
97 Vedesi altrove della patria riva 103
Pugnar incoutra la più forte armata, E <
Che contra Turchi o con tra gente argiva Pei
Da^ Veneziani mai fosse mandata : Chi
La rompe e vince, ed al fratel captiva Ma
Con la gran preda V ha tatta donata; Ve
Né per sé vedi altro serbarsi lui , Coi
Che Tonor sol, che non può dare altrui. AH
98 Le donne e i cavalier mirano fisi, 104
Senza trarne construtto, le figure, E
Perchè non hanno appresso chi gli avvisi Me
Che tutte quelle sien cose future. E
Prendon piacere a riguj^rdare i visi Ma
Belli e ben fatti, e legger le scritture: Ch
Sol Bradamante, da Melissa instrutta , La
Gode tra sé; ohe sa V istoria tutta. Pe
99 Buggiero, ancor ch^a par di Bradamante 105
Non ne sia dotto, pur gli torna a mente Co
Che fra i nipoti suoi gli solea Atlante So
Commendar questo Ippolito sovente. Ch
Chi potria in versi appieno dir le tante E
Cortesie che fa Carlo ad ogni gente? Pi
Di vari giochi è sempre festa grande , E
E la mensa ognor piena di vivande. Fi
100 Vedesi quivi chi è buon cavaliero; 106
Che vi son mille lance il giorno rotte: P(
Fansi battaglie a piedi ed a destriero , Pi
Altre accoppiate, altre confuse in frotte. In
Più degli altri valor mostra Ruggiero, E
Che vince sempre, e giostra il di e la notte,; Di
E cosi in danza , in lotta ed in ogni opra , Se
Sempre con molto onor resta di sopra. E
101 L'ultimo di, nell'ora chel solenne 107
Convito era a gran festa incominciato; E
Che Carlo a man sinistra Rnggier tenne, CI
E Bradamante avea dal destro lato; CI
Di verso la campagna in fretta venne CI
Contra le mense un cavaliero armato, CI
Tutto coperto egli e '1 destrier di nero , E
Di gran persona e di sembiante altiero. CI
102 Quest'era il Re d'Algier, che per lo scorno 108
Che gli fg' sopra il ponte la donzella , S(
Giurato avea di non porsi armi intorno , E
Né stringer spada, né montare in sella, CI
Finché non fosse un anno, un mese e un giorno Q
Stato, come eremita, entro una cella. Q
Cosi a quel tempo solean per sé stessi D
Punirsi i cavalier di tali eccessi. S
109 Mostrando ch'essendo eg^ nnovo speso,
Non doTea conturbar le proprie nozze;
Raggkr rispose lor : State in riposo ;
Che per me fdran queste scase sozze.
L*arme che tolse al Tartaro famoso
Vennero , e tur tutte le lunghe mozze.
Gli sproni il conte Orlando a fiuggier strinse
£ Carlo al fianco la spada gli cinse.
SUnza 115.
HO Bradamante e Marflsa la corazza
Posta gli areano , e tutto V altro arceite.
Tenne Astolfo il destrier di buona razza ,
Tenne la staffa il figlio del Danese.
Feron d'intorno far sabito piazza
Rinaldo, Namo ed Olivier marchese:
Cacdaro in fretta ognun dello steccato,
A tai bisogni sempre apparecchiato.
112 Cosi a tutta la pl^, e alla^pià parte
Dei cara! ieri e dei Baron parca;
Che di memoria ancor lor non si parte
Quel ch'in Parigi il Pagan &tto ayea;
Che, solo, a ferro e a fuoco una gnn parte
N'avea distrutta, e ancor vi rimanea ,
E rimarrà per molti giorni il segno :
Né maggior danno altronde ebbe quel regno.
113 Tremava, più eh' a tutti gli altri, il core,
A Bradamante; non ch'ella credesse
Che 1 Saracin di forza, e del valore
Che vien dal cor, pia di Ruggier potesse;
Né che ragion, che spesso dà l' onore
A chi l'ha seco, Rodomonte avesse:
Par stare ella non può senza sospetto;
Che di temere, amando, ha degno effetto.
114 Oh quanto Tolentier sopra sé tolta
L' impresa avria di quella pugna incerta .
Ancorché rimaner di vita sciolta
Per quella fosse stata più che certa !
Avria eletto a morir più d' una volta ,
Se può più d'una morte esser sofferta,
Piuttosto che patir che 1 suo consorte
Si ponesse a pericol della morte:
115 Ma non sa ritrovar priego che vaglia.
Perché Ruggiero a lei l'impresa lassi.
A riguardare adunque la battaglia
Con mesto viso e cor trepido stassi.
Quinci Ruggier , quindi il Pagan si scaglia ,
E vengonsi a trovar coi ferri bassi.
Le lande all' incontrar parver di gielo ;
I tronchi, augelli a salir verso il cielo.
116 La lancia del Pagan, che venne a córre
Lo scudo a mezzo, fé' debole effetto
Tanto l'acciar che pel famoso Ettorre
Temprato avea Vulcano, era perfetto.
Ruggier la lancia parimente a porre
Gli andò allo scudo, e glie lo passò netto ,
Tuttoché fosse appresso un palmo grosso.
Dentro e di fuor d'acciaro, e in mezzo d'osso.
lU Donne e donzelle con pallida faccia
Timide a guisa di colombe stanno ,
Che da' granosi paschi ai nidi caccia
Rabbia de' venti che fremendo vanno
Con tuoni e lampi, eU nero a^r minaccia
Grandine e pioggia, e a' campi strage e danno:
Timide stanno per Ruggier; che male
A quel fiero Pagan lor parea uguale.
117 E se non che la lancia non sostenne
Il grave scontro, e mancò al primo assalto,
E rotta in schegge e in tronchi aver le penne
Parve per l'aria, tanto volò in alto,
L' osbergo apria (si furi'osa venne) ,
Se fosse stato adamantino smalto,
E finia la battaglia; ma si roppe:
Posero in terra ambi i destrier le groppe.
CANTO QUABANTESIM0SE8T0.
118 Con briglia e sproni i cavalieri instando,
Bisalir fèron subito i destrieri ;
£ d' onde gittar V aste , preso il brando ,
Si toraaro a ferir cmdeli e fieri.
Di qua di là con maestria girando
Gli animosi cavalli atti e leggieri ,
Con le pungenti spade incomlnciaro
A tentar dove il ferro era più raro.
119 Non si trovò lo scoglio del serpente,
Che fu sì dnro, al petto Rodomonte,
Né di Nembrotte la spada tagliente;
Ne 1 solito elmo ebbe qnel di alla fronte ;
Che r usate arme , quando fu perdente
Contra la donna di Dordona al ponte,
Lasciato avea sospese ai sacri marmi.
Come di sopra avervi detto parmi.
124 Bodomonte per questo non s'arresta.
Ma s'avventa a Rnggier che nulla sente;
In tal modo intronata avea la testa.
In tal modo offuscata avea la mente.
Ma ben dal sonno il Saracin lo desta:
Gli cinge il collo col braccio possente;
£ con tal nodo e tanta forza afferra ,
Che dall* arcion lo svelle , e caccia a terra.
125 Non fa in terra si tosto, che risorse.
Via più che d'ira, di vergogna pieno;
Però che a Bradamante gli occhi torse,
E turbar vide il bel viso sereno.
Ella al cader di lui rimase in forse,
E fu la vita sua per venir meno.
Ruggiero , ad emendar presto queir onta ,
Stringe la spada, e col Pagan s'affronta.
120 Egli avea un'altra assai buona armatura,
Non come era la prima già perfetta:
Ma né questa né quella né più dura
A Balisarda si sarebbe retta;
A cui non osta incanto né fattura.
Nò finezza d'acciar né tempra eletta.
Ru^ìer di qua di là d ben lavora.
Ch'ai Pagan l'arme in più d'un loco fora.
121 Quando si vide in tante parti rosse
Il Pagan l'arme, e non poter schivare
Che la più parte di quelle percosse
Non gli andasse la carne a ritrovare:
A maggior rabbia , a più furor si mosse ,
Ch' a mezzo il verno il tempestoso mare
Oetta la scudo, e a tutto suo potere
Sa l'elmo di Ruggiero a due man fere.
122 Con quella estrema forza che percuote
La macchina eh' in Po sta su due navi ,
E levata con uomini e con mote
Cader si lascia sulle aguzze travi;
Fere il Pagan Ruggier, quando più puote,
Con ambe man sopra ogni peso gravi:
Giova l'elmo incantato; che senza esso,
Lui col cavallo avria in un colpo fesso.
123 Ruggiero andò due volte a capo chino,
E per cadere e braccia e gambe aperse.
Raddoppia il fiero colpo il Saracino ,
Che quel non abbia tempo a ria verse ;
Poi vien col terzo ancor: ma il brando fino
Si lungo martellar più non sofferse;
Che volò in pezzi, ed al crudel Pagano
Disarmata lasciò di sé la mano.
stanza 135.
1 26 Quel gli urta il destrier contra , ma Ruggiero
Lo causa accortamente, e si ritira;
E, nel passare, al fren piglia il destriero
Con la man manca, e intorno lo raggira; E con la destra intanto al cavaliere
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