ORLANDO FURIOSO LODOVICO ARIOSTO CORREDATO DA NOTE STORICHE E FILOLOGICHE E ILLUSTRATO DA GUSTAVO DORÈ CON 517 INCISIONI INTERCALATE NEL TESTO MILANO FRATELLI TREVES, EDITORI LA PBOPBIVTÀ ABTISTIOA DEI DISBONI SD IN0I8IONI DI GUSTAVO DORÈ È RISERVATA VR ITALIA E PER LA LTlTOnA I'.^ LIANA AI FRATELLI TREVEB. Milano. — Tip. Treves. VITA DI LODOVICO ARIOSTO Lodovico Ariosto, che air Heyse « è sempre parso la personificazione di tutto quanto si comprende col nome di poesia » non fu soltanto la più bella e compiuta figura letteraria del nostro Rinascimento, ma avanzò di molto il suo tempo nel quale V Italia avanzava in civiltà ogni altra nazione d'Europa. Ercole I, della famiglia d'Este, figlio di Borse investito del ducato di Modena e Reggio dair imperatore e di quello di Ferrara dal papa, teneva in questa ciCtà chiamata dal Bur-khart « la prima città moderna d' Europa » una corte le di cui magnificenze precedettero di mezzo secolo quelle delle quali si circondarono poi i sovrani de' grandi stati. Niccolò Ariosto, della nobile famiglia degli Ariosti, oriunda bolognese e trapiantata a Ferrara alla metà del XIV secolo, creato conte da Federico III fu nel 1472 nominato capitano della cittadella di Reggio, dove tolse in moglie Daria Malaguzzi e n'ebbe l'S settembre 1474 il primo figlio battezzato con i nomi di Ludovico Giovanni. A sette anni il fanciullo seguì il padre tramutato al comando di Rovigo che non seppe difendere dai Veneziani. Il duca rimandò il capitano Niccolò a Reggio dove rimase fino al 1486, mentre il figlio restava con la madre a Ferrara studiando grammatica e metrica col celebre Luca della Ripa. Costrettovi dal padre incominciò, nel 1489, lo studio delle leggi e della giurisprudenza, sotto Giovanni Sadoleto modenese. Dopo cinque anni, ottenuto il titolo di dottore, Lodovico Ariosto potè tornare ai geniali e diletti studii della poesia avendo a guida Gregorio EUio o Elladio da Spoleto, e compagni Ercole Strozzi e poi il Bembo, conobbe tutte le bellezze de' poeti latini, compresi i comici ; e come portava l' indole del tempo , nel quale gì' influssi cristiani non erano spenti ma infievoliti dal risorgente paganesimo delle lettere e delle arti, alternava allo studio de' poeti i facili amori. Il padre di Lodovicp stato prima tramutato da Reggio a Modena, poi da Modena a Lugo, e nel 1494 privato dell'ufficio, venne a morte nel febbraio del 1500. Il giovine spensierato dovette allora pensare alla madre amatissima, a duo sorelle da marito e a quattro fratelli ancora in giovine età, per provvedere a' quali non bastavano le rendita) dello scarso patrimonio paterno composto della casa di Ferrara e di non molta terra nel circondario di Reggio. Gli convenne mutare .in squarci e in vacchette Omero e farsi nominare castellano di Canossa, continuando a passare parto dolFanno a Ferrara e non dimenticando le bolle. Aveva già avuto parte in alcune rappresentazioni drammatiche alla corto del duca Ercole, e nel 1502 dettò il bel carme catulliano per le nozze di Alfonso con Lucrezia Borgia. Sulla fine del 1503 entrò ai servigi del cardinale Ippolito fratello d'Alfonso, stato creato vescovo a setto anni, cardinale a quattordici, amantissimo delle belle donne ed a suo modo anche dei letterati. Gli obblighi dell'Ariosto presso il cardinale non erano bene deter- minati, come non furono, almeno ne' primi anni, precisamente stabiliti gli emolumenti. Cortamente all' ufficio suo presso Ippolito il poeta non consacrava gran tempo e gliene rimaneva tanto da potere incominciare V Orlando Furioso nel 1506. Mandato nel 1507 a Mantova per congratularsi, a nome del cardinale, con la marchesa Isabella d'Este Gonzaga d' un felice parto, lesse alla gentildonna alcuni canti del poema già scritti. Nel maggio di* quello stesso anno accompagnò a Milano il cardinale Ippolito, titolare dell' arcidiocesi Ambrosiana, che andava ad ossequiare Luigi XII re di Francia ridivenuto padrone del Milanese. Nel carnevale del 1508 faceva rappresentare al teatro di corte la sua Cassandra e nel carnevale seguente / Suppositi, Nello stesso anno 1509 il duca Alfonso associandosi alla lega di Cambrai, aiutato da' Francesi, riprese ai Veneziani il Polesine di Rovigo. Ma i Veneziani, al cadere dell' autunno, mandato un esercito alla riscossa, questi giunse a breve distanza da Ferrara. L' Ariosto mandato a Roma, con Teodosio Brusa, a chiedere aiuto al papa, partì da Ferrara il 16 dicembre. Tornò a Roma nel maggio del 1510 precedendo il cardinale Ippolito, accusato d' essersi intruso nell' abbazia di Nonantola dopo morto il cardi naie. Ccsarini e di aver forzato i monaci ad eleggerlo abate commendatario. Giulio II, sdegnato contro il cardinale e contro gli Estensi, ligii al re di Francia contro il quale preparava la famosa lega, fece cattiva accoglienza all' Ariosto. Pure questi giunse a pla- carne l'ira. Tornato a Ferrara nel giugno, era di bel nuovo a Roma nell'agosto, e Giulio II minacciava di far buttare in Tevere lui o qualunque altro oratore gli si presentasse a nome del cardinale d' Este. Furono quei giorni ben tristi per la famiglia Estense, le cui truppe erano vinte dai Veneziani sul Po, mentre i soldati del papa minacciavano la città, di Ferrara. Alcuni biografi dell' Ariosto affermano eh' egli combattesse a Polesella nel dicembre del 1509, ma tale opinione sembra da lui stesso contradetta nel canto XL del suo poema. Certo da ambasciatore diventò in queir occasione soldato ed egli stesso dico d'aver combattuto a Padova. Dopo la battaglia di Ravenna (11 aprile 1512), gli Estensi, che avevano contribuito alla vittoria con le loro artiglierie, desiderarono la pace. Il duca Alfonso, ottenuto dal papa un salvacondotto, per mezzo di Fabrizio Colonna suo prigioniero, andò a Roma a rabbonire Giulio II. L'Ariosto lo seguì nelle pericolose avventure delle quali il principe fu vittima. Non ostante il salvacondotto, Alfonso potè scampare a stento all'ira del pontefice, rimanendo nascosto per tre mesi nel castello dei Colonna a Marino, e poi salvandosi travestito ora da frate, ora da cacciatore, a traverso la Toscana : e 1' Ariosto fu sempre fedele compagno del suo signore in quei travestimenti ed in quella fuga. Nel febbraio del 1513 giunse a Ferrara la nuova della morte di Giulio II; e venti giorni dopo, la nuova deirelezione del cardinale Giovanni de' Medici , che prese il nome di Leone X. Quando il nuovo papa era stato legato di Bologna, l'Ariosto lo avea pregato di dispensarlo dagli ordini sacri permettendogli di conseguire un benefizio che gli veniva ceduto da un consanguineo. Gli Estensi mandarono il loro poeta ad ossequiare il papa, ma questi non fece all' Ariosto alcuna offerta né tampoco gliene fecero i di lui amici tt divenuti grandi ». Di ritomo a Ferrara, fermatosi a Firenze per le feste di San Giovanni, s' innamorò di Alessandra Benucci vedova di Tito Strozzi, ed a quell'affetto dedicò per il rimanente della vita V animo suo, già nelle passioni amorose tanto mutevole. Per non perdere egli il godimento de' beneficii ecclesiastici, essa la tutela dei figli del primo marito, tennero nascosta la loro unione e vissero per le stesse ragioni separati di casa. Con l'Ariosto viveva Virginio, figlio suo diletto, avuto da un Orsolina Sasso Marino nel 1509. Il cardinale Ippolito aveva in quel tempo preso stanza a Roma dove avrebbe voluto che l'Ariosto lo raggiungesse, sollecitandolo a farsi prete. A tale invito l'Ariosto rispondeva, come egli stesso ha detto nella Satira I: Io né pianeta mai né tonicella Né chierca vo' che in capo mi si pona. Pare che il cardinale non si curasse neppure di far pagare all'Ariosto i suoi emolumenti. Pensava bensì liberalmente alla spesa di stampa dell' Orlando Furioso, che il poeta cominciò nel 1515 a consegnare allo stampatore maestro Giovanni Mazzocco da Bondeno, che teneva bottega in Ferrara. Il 21 aprile 1516 la prima edizione dell'Orlandò vide la bice e l'Ariosto sperava di riceverne dal cardinale lauto compenso per avergliela dedicata. Pochi mesi dopo invece il cardinale pretendeva che l'Ariosto andasse seco lui in Ungheria; ed essendo visi questi rifiutato « per molte ragioni e tutte vere » r eminentissimo andò sulle furie, non volle ascoltarne le scuse , gli intimò di non comparirgli più innanzi, e gli fece togliere le rendite di due beneficii ecclesiastici. L'Ariosto tornò di bel nuovo a Roma per ottenere che non gli fossero tolti « certi bajocchi » ch'egli prendeva a Milano « ancorché non sian molti » e trovò Leone X assai meglio disposto a di lui favore. Poco dopo il duca Alfonso lo comprendeva nel numero dei suoi stipendiati in qualità di famigliare, e con Y assegno mensile di sette scudi d' oro — cinquantadue lire italiane, — più il vitto per tre servitori e due cavalli. Un caso inaspettato avrebbe migliorate molto le non liete condizioni economiche dell' Ariosto se non vi si fosse opposta la prepotenza. Rinaldo Ariosto, cugino del poeta, essendo morto ab intestato, la ricca tenuta detta delle Ariosto, a Bagnolo, passava nelle mani di Lodovico e de' suoi fratelli; Ma ne furono spogliati da Alfonso Trotti, amministratore del duca, che dichiarò quei beni di proprietà camerale, e non ottenne alcun risultato la lite promossa dagli eredi naturali, per ricuperarli. Anche Leone X s'intromise,ma invano, in quella faccenda dell' eredità. Dopo V ultimo viaggio dell' Ariosto a Roma0 la pubblicazione deir OHando, il papa s' era degnato di rammentarsi T antica benevo- lenza verso il poeta, e nel 1519 fece rappresentare in Vaticano i Supponiti y con grande apparato. L* anno seguente X Ariosto, avendo terminato il Negromante, lo spedì al papa sperando ma non ottenendo eguale fortuna. Pochi mesi dopo, il cardinale Ippolito tornato dall'Ungheria moriva a Ferrara d'' una indigestione di gamberi e di vernaccia. Sebbene molto male ricompensato dal cardinale, r Ariosto, anche dopo la di lui morte, non tolse dall' Orlando alcuna delle troppe lodi che gli aveva tributate, e continuò ad intitolare al di lui nome il poema. Il 7 febbraio del 1522 fu nominato commissario ducale nella Garfagnana ed il 20 partì, con pochi soldati di Ferrara per C^stelnuovo, dove andava ad occupare un ufficio, onorevole e molto più lucroso di quello dì famigliare di cort«. Prima di partire fece testamento a rogito di Andrea Succi. Giunse a Castelnuovo il 2G. Nell'Elegia III ha descritto il disastroso viaggio fatto a traverso T Appennino, in tempo d' inverno ; e nella Satira F, nella quale parla lungamente del suo governo, lasciò scritto che La novità del loco è stati tanta C'ho fatto come augel che muta gabbia Che molti giorni resta che non canta. ' Paragonava il paese da lui governato a « una fossa » dolente di trovarsi sempre in mezzo ad Accuse e liti Furti, omicidii, odii, vendette ed ire. Gli parve da prima impresa superiore allo proprie forze il pacificare quella provincia che in meno d' un secolo aveva cambiato cinque o sci volte padrone : ma, messo amoro al proprio ufficio, dette prova di molta energia. Se non che dal Governo ducale aveva scarso appoggio e spesso anche contrarietà, dello quali si lamentava scrivendo direttamente al duca (30 gennaio 1524) ed invitandolo a mandare altri al suo posto se non voleva aiutarlo « a difendere Toner dell'ufficio » ma, dovendo rimanere od andarsene, egli aggiungeva: « sempre desidererei che la giustizia avesse luogo. » Del governo dell'Ariosto nella Garfagnana ha scritto una bella ed erudita monografia il marchese Campori, secondo il quale la storia di quel governo « ci mostra come il più a fantastico de' poeti possa annoverarsi fra gli statisti più positivi, n Alla metà di giugno del 1525 lasciò, dopo tre anni e quattro mesi « l'asprezza di quei sassi e quella gente inculta » e se ne tornò a Ferrara. Era morto nel 1523 Leone X e gli era succeduto un altro Medici col nome di Clemente VII. Il duca Alfonso, desiderando di avere in Roma un oratore autorevole e stimato, aveva fatto scrivere all'Ariosto offrendogli quel posto. Ma X Ariosto se ne schermì , non sperando più nulla dai Medici nò dai papi. Ritornato dunque nel 1825 a Ferrara, acquistò alcune fabbriche e ritagli di terreno in via Mirasele e vi formò un giardino, delizia ed amore dei suoi ultimi anni. Si occupava della correzione ^^ Orlando e di ridurre a spalliera a siepe una boscaglia che aduggiava il suo orto. Cottvivova col padre il figlio Virginio, dio delle abitudini paterne di questi ultimi anni ha lasciato molte memorie. Dalla corte ducale ora sempre, in ogni occasione, onorato come poeta e tenuto in conto di abile politico. Nel 1528, per festeggiare l'arrivo degli sposi Ercole Estense e Renata di Francia, fu rappresentata la sua commedia hLena; nel 1529 fu nuovamente rappresentata la Cassarla, prima d' una lautissima cena offerta da Ercole d' Este al marchese ed alla marchesa di Mantova. Nella contesa fra Carlo V e Francesco I, il duca Alfonso cercava di barcamenarsi a proprio vantaggio, ed ottenne dall' imperatore Y investitura di Modena e Reggio. Essendo a Mantova Don Alfonso d'Avalos, marchese del Vasto, comandante delle truppe imperiaU, il duca gli mandò Lodovico Ariosto per pregarlo a concedergli aiuto sufficiente a mantenere sotto il proprio dominio la contea di Carpi che Clemente VII gli contrastava. L'Ariosto raggiunse il marchese del Vasto a Correggio, in casa di Veronica Gambara, ed il marchese, concesso Taiuto al duca, fece dono al poeta di cento scudi annui d'entrata, per lui ed i suoi eredi, di un lapislazzolo bellissimo legato in oro e di una collana d' oro. Nel 1532 pubblicò a Ferrara, con i tipi di Francesco Rosso da Valenza, una nuova edizione del suo poema con V aggiunta di nuovi canti. Questa edizione fu cronologicamente la diciottesima, essendone state stampate dopo la prima del 1515, un' altra a Ferrara nel 1521, tre a Milano — nel 1523, nel 1526 e nel 1529, — una a Firenze nel 1528, e undici a Venezia dal 1524 al 1531. Di questa nuova edizione in XLVI canti presentò, il 7 novembre, un esemplare a Carlo V che trovavasi in Mantova, reduce dalla guerra d'Ungheria contro i Turchi e diretto a Bologna. L' imperatore mostrò il desiderio di ricompensare l'Ariosto incoronandolo col lauro « onor d'imperatori e di poeti » . Ma l'incoronazione solenne non potè effettuarsi per la sollecita partenza di Carlo V che lasciò bensì all'Ariosto il diploma di poema laureato. Aveva allora cinquantotto anni, e dai quaranta s'era cominciata a guastarglisi la salute, G lo travagliavano il catarro e la debolezza di stomaco. I suoi medici gli avevano proibito Fuso del vino e ogni cibo troppo condito di aromi: gli era molto nocivo.il calore della stufa. Verso la fine del dicembre 1532 ammalò di ostruzione alla vescica alla quale sopravvenne una febbre di consunzione. Dopo lunghi patimenti spirò il 6 giugno 1533 alle 5 pomeridiane, assistito dalla moglie Alessandra, dal figlio Virginio e dal parroco ed amico suo Alberto Castellari. Dopo il primo testamento, fatto partendo per la Garfagnana, ne dettò un secondo nel 1532, istituendo erede universale il figlio Virginio, che conservò per tutta la vita la casa e r orto paterno e lo fece abbellire con statue ed ornamenti di marmo. Lodovico Ariosto fu alto di statura ed ebbe capelli neri e ricciuti, spaziosa la fronte^ ed alte le ciglia, gli occhi neri e vivaci, il naso grande e aquilino, i denti bianchi ed eguali, il colorito olivastro, le, guance scarne, rada la barba. I suoi contemporanei lo dicono riguardoso, prudente, gioviale cogli amici, ma d' indx>le facilmente inchinevole alla mestizia. Fu d'animo buono e retto: costretto dalla necessità a lodare mecenati poco meritevoli d' encomio, adattandosi all' uso de' tempi del quale sa- rebbe errore giudicare con le idee moderne d' indipendenza e di dignità, sopportò sempre a malincuore il giogo dei potenti. Piuttosto che il desiderio d' arricchire sentì quello dì vivere in quiete con i suoi libri, dichiarando di non volere « il più bel cappel eh' in Roma sia » con scapito della libertà. Modesto in ogni desiderio fu altresì temperato ne' cibi e nelle bevande; schietto e sincero con tutti, e per quanto consapevole del proprio valore, non vanitoso né avido d'onori. in vero onore è ch'nom da ben ti tenga Ciascuno, e che tu sia. Provò, come allora era possibile, e seppe esprimere un sentimento di dolore vedendo r Italia divenuta « ancella di quelle genti stesse che le furon serve » e s' augurò di vederla risorgere all' antica grandezza, aggiungendo che ciò si sarebbe ottenuto soltanto a quando sarem migliori. » Intorno allo scopo dell' Orlando molto si è scritto e non concordemente da tutti. Certo non erra il Carducci quando dice che la finalità del poema romanzesco è in sé stesso e nel raccontar piacevole a ricreazione delle persone d'animo gentile; ed a^iunge che l'Ariosto fu più che altri di per sé lontano dall'intenzione di una finale ironia contro l'ideale caval- leresco. In questa ipotesi dell' ironia insiste invece particolarmente il Gioberti. Egli crede che l'Ariosto, frammischiando continuamente l'elemento giocoso al serio, abbia voluto mettere in luce « il vizio principale degli ordini cavallereschi, cioè la sproporzione fra la pompa e il rumore degli apparecchi , e la pochezza o vanità dei risultamenti , e quindi mo- strando la nullità finale di tale istituzione ».... Il Furioso è dunque ad un tempo, se- condo r autore del Primato, la a poesia e la satira del medio evo e tiene un luogo mezzano fra il romanzo del Cervantes e T epopea del Tasso, » della quale però V Or- lando è assai più moderno benché T abbia preceduto d' una generazione. L' Ariosto infatti presente più d'una volta le idee de' tempi moderni, mentre subisce le influenze pagane dell' antica letteratura che da poco tempo era, in Italia prima che altrove, rimessa in onore quando egli intraprendeva i suoi studii. A tali influenze pagane si deve dar colpa se la sbrigliata fantasia del poet^ abbellisce di vivi colori le non rare pitture erotiche. Ma anche di tale licenza bisogna in gran parte ricercare la causa nel- l'indole de' costumi e del tempo, nella quale, a detta di Bernardo Tasso, non era fanciullo, a né fanciulla, né vecchio, né dottore, né artigiano » che si contentasse d'aver letto l'Or- lando più d'una volta. Il Voltaire ha detto, e lo ha confermato il Carducci, che V Orlando é poema politico e religioso con Carlomagno ed Orlando, e privato e famigliare con Ruggiero e Bradamante. Vito Fornari vede rappresentata nella follia d'Orlando, l'indole della società cristiana nel tempo descritto dall' Ariosto, indole che fu d' universale follia. Il De Sanctis dice non essere « nulla uscito dalla fantasia moderna che sia comparabile a questo limpido mondo omerico, n Al Settembrini parve che, mentre il poema di Dante, più che all'Italia appar- tiene a tutto il mondo, 1' epopea dell' Ariosto appartenga all' Italia ed egli sia il primo poeta italiano. Fra i classici é senza dubbio il più naturalista e nessuno ha saputo meglio di lui ottenere ai suoi tempi la rappresentazione oggettiva del mondo esteriore. Da quasi tre secoli il poema romanzesco dell' Ariosto è uno de' libri più ricercati e più letti. Ulisse Guidi ne novera quattrocentotrentuna edizioni italiane fatte dal 1516 a tutto il 1858, oltre le numerose versioni. A quest'orale edizioni italiane hanno probabilmente passato il mezzo migliaio. Nessun altro poeta ha saputo ispirare quanto l'Ariosto la fantasia de' pittori : nessun altro offre occasione di far mostra di vario ingegno pittorico, mettendo nel suo poema rOriento a tenzone con rOccidente, il Cristianesimo con rislamismo; intrecciando gli elementi della mitologia greca con quelli delle favole asiatiche ; descrivendo, con V aiuto della storia, la valle del Po, Parigi, il Cairo, Damasco, Alessandretta ; e con l'aiuto della fantasia il sog- giorno delizioso di Alcina e di Logicilla, la vasta Sericana, il Catajo ed altri paesi ignoti od appena sospettati al principio del XVI secolo. Mai fantasia d'artista, matita di disegnatore, non seppero indovinare il pensiero e l'ar- ditezza altamente poetiche dell' Ariosto come il Dorè che ne illustrò l' intiero poema. I disegni di Gustavo Dorè non solo riproducono le imagìni del poeta, l'ispirazione vertigi- nosa, il carattere fantastico MVOrlando, ma sono il più completo commento di quel mondo meraviglioso. ORLANDO FURIOSO CANTO IMI IMO ABGOMJBNTO. Angelica, fn^sffiirlo (liti p^iìi tritono cU[ (luca di Bnvìera, s incuritrn in RiimliLo ch*^ va in tvartia *k| [H'oprio invailo levita a Umù putcnt 1 tuli osti aTnH.Jite,c trova rollila riva d^un fiume il jin^uo Fiirran, (^uivi Ri- iiJiMo. it^r oagiaiu' d' A u galliti, viene alle mani eoi S^aeìno ; ma eome i cine rivali ai accorguno cht la iluuK^lIa è hjiJiriU, cessano rial eumbattere. Fen-aù intanto si studia di iTen[H:rara l>lmo cadut(i|>li nel llame: Angt^liia s imbatte in Sauripante, il i]uale coglie ropportunità dipigliaitii il cavallo di Rinaldo; e qnt'sti so fragili une? minaccioso. 1 Le doiiiie, i eavalier, l'iimie, gii amori, Le ciiriesie, T audaci inipre^^e io canto, Che furo al tempo the passa ri> i AI ori D'Africa il lìjare , e in Francia iiocquer tanto, Seguendo l'ire e i ipoveni! furori DVAgromante lor re, die si die Tanto Di vendicar la morte di Troiano Sopra re Carlo impera tor romano. 2 Dito d^ Orlando in un medesmo tratto Cosa non detta in prosa mai, né in rima; Che per amor venne in furore e matto, D^uom che si saggio era stimato prima: Se da colei che tal quasi m'ha fatto, CheU poco ingegno ad or ad or mi lima, Me ne sarà però tanto concesso , Che mi basti a finir quanto ho promesso. 3 Piacciavi, generosa Erculea prole, Ornamento e splendor del secol nostro, Ippolito, aggradir questo che vuole E darvi sol può Fumil servo vostro. Quel ch'io vi debbo, posso di parole Pagare in parte, e d'opera d'inchiostro: Né che poco io vi dia da imputar sono Che quanto io posso dar, tutto vi dono. 4 Voi sentirete fra i più degni eroi, - Che nominar con laude m'apparecchio. Ricordar quel Ruggier, che fu di voi E de' vostri avi illustri il ceppo vecchio. L'alto valore e' chiari gesti suoi Vi farò udir, se voi mi date orecchio, E vostri alti pensier cedano un poco. -------Si che tra lor miei versi abbiano loco.
Wednesday, May 25, 2022
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