GRICE E CARBONARA
Un’ osservazione importante : in fatto di libertà non può mai nascere conflitto tra esseri che operino secondo ragione ; ma quando della libertà si faccia un uso con¬ trario al diritto, nasce collisione tra determinati atti di più individui e viene posta in pericolo , quindi, la vita o la proprietà , insomma la libertà del singolo. E poiché è proprio dello Stato attuare l’idea della legalità, così spetta allo Stato appianare gli eventuali conflitti tra individui , contenendo , mediante la forza della legge giuridica, cia¬ scuno entro i propri confini. Non sempre , però , lo Stato può immediatamente intervenire a comporre contese : sot¬ tentra allora il dovere della persona privata. È dovere universale, in tal caso, salvare dal pericolo la libertà del- 1’ essere ragionevole, senza far distinzione se si tratti di noi o di altri, perchè tutti, indistintamente , siamo stru¬ menti della logge morale. Se sono io l’aggredito, il dovere dell’ autoconservazione m’impone di difendermi con tutte le forze ; se è in pericolo il mio simile a me vicino, l’amore del prossimo m’impone di salvarlo anche a rischio della mia vita ; se più di uno è assalito nello stesso tempo, (*) Ibid. pp. 275-299 (ibid. pp. 269-292). \ — CJV — si devo portare aiuto anzitutto a quello ohe si può salvare più presto e del quale oi accorgiamo prima. In questo adempimento del dovere non può essere mai mio fine uc¬ cidere 1’ aggressore , il nemico , ma soltanto disarmarlo ; posso cercare d’indebolirlo , di ridurlo all’ impotenza . di ferirlo , ma sempre in modo che la sua morte non sia il mio fine. u Se, peraltro, rimanesse ucciso, ciò dipende dal caso, contro la mia intenzione, e io non sono perciò re¬ sponsabile „. Si deve, insomma, trattare il nemico con 1’ amore dovuto a ogni altro prossimo, perchè è aneli’ egli strumento della moralità e se dalle sue azioni per il mo¬ mento non si può concludere che 1’ opposto, non si deve, tuttavia , mai disperare che egli sia capace di migliora¬ mento. L’ uomo animato da sentimento morale non ha. nè riconosce, nessun nemico personale; chi sente piu viva¬ mente un’ ingiustizia soltanto perchè fatta a lui, è ancora un egoista, è ancora lontano dalla vera moralità (‘). La libertà formale altrui, verso la quale s’impongono i doveri ora descritti, è condizione necessaria ma non suf¬ ficiente per la moralità negli altri ; questa è resa possibile da quella , ma, alfiuchè sia anche reale, bisogna che gli altri prendano di fatto coscienza del loro dovere. Di qui il comando, per chi si sia già elevato alla coscienza del dovere, di allargare e promuovere la vita morale intorno a sè, di elevare gli altri alla moralità. In qual modo ? poiché sarebbe assurdo voler produrre la virtù con mezzi coercitivi, con premi o gastighi : la moralità non si lascia imporre dal di fuori, nè per forza , ma nasce soltanto da una determinazione interiore ; come può, dunque, tale de- (») Ibid. pp. 300-313 (ibid. pp. 293-304). — cv — terminazione nascere per opera di un altro in colui che. ne è il soggetto e che deve possedere già dentro di sé le condizioni atte a produrla? 14li è che, per chi guardi bene, realmente esiste la possibilità, di un influsso ^morale da coscienza a coscienza, ed esiste grazie a un sentimento che serve di leva alla virtù, ma il cui sviluppo esige ap¬ punto un’ azione dal di fuori, l’azione dell’esempio altrui : è questo il sentimento del rispetto o della stima, il quale, sempre latente nel cuore dell’uomo, da cui è inestirpa¬ bile, si desta, dinanzi alla condotta virtuosa degli altri, suscita, a sua volta, il bisogno di provare il medesimo sentimento dinanzi alla condotta propria, il bisogno, cioè, dell’autostima, e sprona, per tal via, alla moralità. Sorge, così, per ognuno il dovere del buon esempio, essendo l’esempio il vero strumento dell’educazione morale. E poi¬ ché l’esempio, per avere efficacia, per agire sulla coscienza altrui, dev’ essere pubblico, ne segue che anche la pubbli¬ cità della condotta morale è per noi un dovere : essa nasce dalla franchezza dell’ operare virtuoso e non ha nulla di comune con 1’ ostentazione, la quale deriva dal desiderio d’ essere ammirato ('). 4. I doveri particolari condizionati si dicono così perchè hanno sempre per oggetto il fine supremo della moralità, il dominio della ragione, ina, anziché all’umanità o alla società in genere, si riferiscono a ben determinate relazioni umane, a ben definiti organismi sociali, quale che sia la loro origine , vuoi da una stabile legge di na¬ tura — nel qual caso diconsi naturali — vuoi dalla mo¬ bile scelta delle singole volontà — nel qual caso diconsi (*) lbid. pp. 813-325 (itaci, pp. 304-816). evi — artificiali —. .4) Dalle relazioni naturali nascono i doveri di stato, dalle artificiali i doveri di vocazione ('). A) Due relazioni naturali sono possibili per l’uomo, e insieme costituiscono l’organismo sociale della famiglia : a) la relazione tra coniugi, b) la relazione tra genitori e figli. Di qui due specie di doveri di stato : a) doveri tra coniugi, b) doveri tra genitori e figli, a) La relazione co¬ niugale è già 1’ inizio della moralità nella natura, segna già il passaggio da questa a quella , perchè è uno stato che da una parte si fonda sopra un impulso naturale — l’istinto sessuale — dall’ altra implica, in entrambi x sessi, sentimenti — reciproca dedizione completa e perpetuo re¬ ciproco amore, reciproca fedeltà — che trasformano la sen¬ sualità brutale in una spiritualità umana. Il coniugio , as¬ sociazione naturale e morale a un tempo, è condizione precipua per l’esistenza di quella società che vedemmo essere a sua volta condizione cosi indispensabile per 1’ at¬ tuarsi della moralità, e, in quanto t,ale, costituisce un do¬ vere che implica : a) il comando di contrarre matrimonio, quando si verifichi la sua base naturale , 1’ amore, (l’indi¬ viduo umano fisico non è un uomo o una donna, è, a un tempo, 1’ uno e 1’ altra ; lo stesso dicasi dell’ individuo umano morale : vi sono in lui aspetti dell’ umanità — e proprio i più nobili e disinteressati — i quali solamente nel matrimonio possono formarsi ; perciò u rimaner celibi senza propria colpa è una grande infelicità, ma rimaner celibi per propria colpa è una gran colpa „) ; fi) il divieto di relazioni sessuali fuori del matrimonio (queste relazioni, infatti, sono fondate o sull’ amore della donna , e allora (*) Ibid. pp. 326-327 (ibid. pp. 316-318). CVII s’ impone moralmente il matrimonio , ovvero soltanto sul' piacere o sull’interesse, ohe vai quanto dire sull’indegnità della donna, e allora sono immorali non solo per la donna ohe si avvilisce, ma anche per l’uomo che l’avvilisce, che vede in lei non più un essere umano e ragionevole , ma un semplice strumento di voluttà ('). b) La relazione tra genitori e figli dà luogo a due serie inverse di doveri : u) da parte dei genitori il dovere di vigilare la vita e la salute dei loro nati e in pari tempo di suscitare e favo¬ rire in essi lo sviluppo della libertà secondo la direzione del fine umano : insomma il dovere dell’allevamento e del- P educazione alla moralità. L’adempimento di questo do¬ vere — che del resto è una specificazione del dovere uni¬ versale che a tutti incombe di plasmare sè e gli altri in conformità della legge morale — risponde nella famiglia a un bisogno del cuore, perchè la prole, per i coniugi, non è semplicemente prossimo , ma il prodotto del loro reci¬ proco amore ; (1) da parte dei figli, se minorenni il dovere di obbedienza, se maggiorenni il dovere di rispetto, vene¬ razione, assistenza ai genitori ( ! ). B) Due relazioni artificiali ,ma non meno indispen¬ sabili delle naturali alla vita comune, possono essere sta¬ bilite dalla libera scelta dei singoli individui e insieme costituiscono l’organismo sociale dello Stato: a) agire di¬ rettamente sugli uomini , in quanto esseri ragionevoli ; b ) agire sulla natura, in quanto mezzo o strumento per le nostre azioni verso gli uomini. Su questa base e in forza della suaccennata necessità di una armonica divisione del (•) Ibid. pp. 327-398 (ibid. pp. 318-324). (*) Ibid. pp. 333-343 (ibid. pp. 324-333). — cvm lavoro movale e di una organizzazione gerarchica dell’ at- 1’ attività degl’ individui per la promozione del fine su¬ premo, si distinguono due specie di classi sociali, con due corrispondenti specie di doveri di vocazione : a) classi su¬ periori (scienziati, educatori, artisti, impiegati), che lavo- t vano al progresso spirituale della società, e sono, perciò, quasi 1’ anima dello Stato ; b) classi inferiori (minatori, agricoltori , artigiani, commercianti) che assicurano 1’ esi¬ stenza economica della società e sono, perciò, quasi il corpo dello &tato. a) Quali i doveri di vocazione delle classi superiori ? — L’ uomo allora soltanto adempirà la sua vera destina¬ zione quando abbia una visione chiara del dovere ; è ne¬ cessario, dunque, formare anzitutto la sua conoscenza teo¬ rica. Tale ufficio è la missione del dotto (*). Chi consideri tutti gli uomini come una sola famiglia , è tratto a fare delle loro cognizioni un unico sistema, il quale si accresce e si elabora attraverso i secoli, come si accresce e si ela¬ bora attraverso gli anni l’esperienza del singolo individuo. Ciascuna generazione, quindi, eredita dal passato un tesoro di formazione scientifica, che la classe dotta è chiamata a conservare e aumentare. I dotti sono i depositari e quasi 1’ archivio della coltura della loro età ; non però alla ma¬ niera dei non dotti, che si arrestano ai risultati, si bene come chi possiede anche i principi ohe condussero lo spi- (*) L’essenza e la missione del dotto furono più volte per il Fichte argomento di conferenze e di lezioni. Vedi in proposito nel voi. VI dei Sàmmtl. Werke Ueber die Bestimmung des Gelchrten (le¬ zioni tenute a Erlangen nel 1805) ; e nel voi. Ili dei Nachgel. Werhe, Ueber die Bestimmung des Gelchrten (cinque lezioni tenute a Berlino nel 1811). — CIX A rito umano a questi risultati. E primo dovere del dotto, quindi, acquistare una veduta stori co-filosofica del cam¬ mino della scienza sino al suo tempo: altrimenti egli non potrebbe nè intendere il significato della verità , uè epu¬ rarla dagli errori che 1* offuscano. È inoltre dovere del dotto amare rigorosamente la verità e lavorare al suo pro¬ gresso mediante una ricerca sincera e disinteressata. la quale non si proponga altro che servire al fine ultimo dell’umanità, all’avvento del regno della ragione nel mondo. Il dotto, come ogni virtuoso, deve obliare se stesso in questo fine : fare sfoggio di abilità nel difendere errori sfuggiti o brillanti paradossi è soltanto egoismo e vanità che la morale disapprova e un’ elementare prudenza scon¬ siglia ; perchè soltanto il vero e il buono permane : il falso, per quanto sfolgori a tutta prima , è destinato a perire ('). La formazione della conoscenza teorica è solfante mezzo al fine supremo di promuovere la moralità, ed è un mezzo inefficace quando non vi si aggiunga l’operare pra¬ tico, quando, cioè, alla visione da parte dell’intelligenza non si aggiunga 1’ azione da parte della volontà. Ora, è ufficio d’ur.a speciale classe di dotti, dedicarsi in modo particolare all’ educazione della volontà del pubblico non dotto, alla moralizzazione del popolo : sono essi i ministri della Chiesa, i quali, appunto perchè si sono messi al ser¬ vizio della comunità etico-religiosa, hanno il dovere di adempiere il loro ufficio in nome della comunità stessa, attenendosi scrupolosamente a ciò ohe è oggetto di fede generale, al simbolo. Debbono, si, essere uomini di scienza (*) lbid. pp. 5543-347 (ibid. pp. 333-337;. — ex e, ilei loro campo speciale, vedere al di là e meglio di quanto vedano le anime affidate alla loro cura, ma nel- 1 educare queste anime, nell’ inalzarle a vedute superiori , devono procedere in modo che tutte a un tempo possano seguirli, altrimenti si romperebbe quell’accordo spirituale che fa 1 essenza della Chiesa. Gli educatori del popolo , in quanto tali , non devono svolgere o dimostrare cono¬ scenze teoretiche e principi, e tanto meno polemizzarvi sopra, come si fa nella repubblica dotta; non è loro mis¬ sione porre articoli di fede o creare la fede — perchè ar¬ ticoli e fède esistono già come legame vivente della co¬ munità etico-religiosa — ma ravvivare e rafforzare la fede che il credente ha già nel progresso morale , ed elevare con essa lo spirito di lui all’eterno, al divino. Soprattutto l’esempio che danno è importante a tal fine ; la fede della comunità riposa in grandissima parte sulla fede loro, e il più spesso non è che una fede nella loro fede. Ora, se in essi la vita non risponde alla fede , la fiducia in questa rimane profondamente scossa (‘). Spetta al dotto formare 1’intelligenza, spetta all’edu¬ catore morale formare la volontà dell’ uomo : sta tra i due l’artista, il quale ha il privilegio di educare il senso este¬ tico , interposto come tratto d’unione tra la conoscenza teoretica e 1 attività pratica. L’ artista non agisce soltanto sull’ intelletto, come fa 1’ uomo di scienza, nè soltanto sul cuore, come fa il moralista popolare, ma sullo spirito umano tutto quanto : 1’ arte bella investo e pervade tutta l’anima in quanto siuLesi di tutte le facoltà. La formula pili espres¬ siva di ciò che 1’ arte fa è la seguente : l' arie rende co- (') Ibid. pp. 348-853 (ibid. pp. 887-341). CXI — ninne il punto di vista trascendentale. Il filosofo si eleva ed eleva con sé gli altri a questo punto di vista col la¬ voro del pensiero e seguendo una regola ; l’artista vi si trova già senza rendersene conto : nou ne conosce altri. Bai punto di vista trascendentale il mondo è fatto : dal » * punto di vista comune il mondo è dato ; dal punto di vista estetico il mondo è dato, sì, ma non altrimenti che come tatto. Il mondo reale, voglio dire la natura, presenta due aspetti : da un lato è il prodotto delle determinazioni o limitazioni a noi poste, dall’altro è il prodotto della nostra attività libera, ideale, trascendentale. Sotto il primo rispetto la natura è essa stessa limitata da ogni parte, sotto il secondo è da per tutto libera. La prima maniera di vedere è volgare , la seconda è estetica. Per es., ogni forma nello spazio può considerarsi come circoscritta dai corpi vicini, ma anche come la manifestazione della forza espansiva, della pienezza interna del corpo che ha questa forma. Chi vede i corpi nelle prima maniera uon vede che forme contorte, compresse , mostruose : vede la brut¬ tezza ; chi li vede nella seconda maniera, vede in essi la vigoria, la vita , lo sforzo della uatura : vede la bellezza. Vale altrettanto della legge morale : in quanto comanda assolutamente essa comprime ogni tendenza della natura, e veder la nostra uatura a questo modo è come vederla schiava ; ma la legge morale fa tutt’ uno con l’Io , ne è anzi l’espressione più intima, onde, obbedendo ad essa, obbediamo a noi stessi : veder la nostra natura a que¬ st’altra mauiei’a è vederla esteticamente ^ ossia come bel¬ lezza. 1. artista vede tutto dal lato bello, vede in tutto energia , vita , libertà ; il suo mondo è interiore, è nel- 1 umanità , e perciò 1’ arte riconduce 1’ uomo al fondo di CXII — ne stesso, strappandolo al dominio della natura, liberandolo dai vincoli della sensibilità e rendendogli l’indipendenza, che e il supremo fine morale. Idi guisa che il senso este¬ tico non e.la virtù, ma prepara alla virtù, e la coltura estetica ha, un rapporto positivo con l’avanzamento del fine morale. La moralità dell’ artista può raccogliersi in questi due precetti : u ) un itimelo per tutti gli uomini : non ti fare artista a dispetto della natura, non pretendere di essere artista quando la natura uon t’ispira ; b) un co¬ mando per il vero artista: guardati dal favorire, o per egoismo, o per desiderio di fama, il gusto corrotto del tuo tempo; sforzati soltanto a riprodurre l’ideale che è in te; ispiiati alla santità della tua missione, e sarai, a un tempo, uomo migliore e migliore artista (*). L opera del dotto dell’educatore e dell’artista, in ser¬ vigio del fine supremo morale, presuppone sempre quella libera reciprocità d’azione tra gli uomini, che è condizione prima di ogni comunità e a garantir la quale — finché il regno della ragione non sia una realtà — è necessario lo Stato. Quali sono ora i doveri degli impiegati, ossia degli ufficiali dello Stato ? L’ impiegato subalterno è rigorosa¬ mente legato alla lettera della legge, la quale, perciò , dev’ essere chiara e uon dar luogo a dubbi d’interpreta¬ zione. Quanto all impiegato superiore, al legislatore, al giudice inappellabile, i quali non sono che i gerenti della volontà comune affermatasi, espressamente o tacitamente, nel contratto sociale, debbono aneli’ essi conformarsi alla costituzione politica attuale , nata dalla volontà comune , con la riserva, però, di perfezionarla secondo le idee della (•) Ibid. pp. 353-856 (ibid. pp. 342-844;. — asm ragione, tenendo gli occhi tìnsi alla costituzione ideale. Chi regge lo Stato deve avere una chiara veduta circa il fine della costituzione — il quale non può essere che il progresso umano — deve , perciò , elevarsi mediante con¬ cetti sopra 1’ esperienza comune, dev’essere un do'tto nella sua materia, deve, come dice Platone, partecipare alle Idee, e lavorare all’attuazione dell’ideale, favorendo la coltura delle classi superiori. Da queste classi il progresso si dif¬ fonderà poi nella comunità tutta quanta e trarrà seco, col suffragio universale, la riforma della costituzione. Il reg¬ gitore di uno Stato, quindi, è sempre responsabile dinanzi al suo popolo del modo ond’egli lo governa, e se può con¬ siderarsi come legittima ogni costituzione che non renda impossibile il progresso in generale e quello dei singoli individui, sarebbe assolutamente illegittimo e immorale un governo che si proponesse di conservare tutto com’ è at¬ tualmente ( l ). b) Quali i doveri di vocazione delle classi inferiori ? — La nostra vita e il nostro operare sono condizionati dalla materia, la quale va trattata conformemente al fine supremo che è il dominio della ragione sulla natura. Quanto piu questo dominio si estende, tanto più l’umanità progre¬ disce ; è necessario, dunque, elaborare la rozza natura e renderla adatta ai fini spirituali ; è qui, appunto, 1’ ufficio delle classi sociali inferiori, il cui lavoro, riferendosi come ogni altro alla moralità di tutti, ha il medesimo valore etico del lavoro delle classi superiori, alla pve/sibilità del quale è condizione indispensabile. E poiché dal perfeziona¬ mento meccanico e tecnico del lavoro materiale è facilitata (*) (*) Ibid. pp. 35G-3G1 (ibid. pp. 344-349). — rxiv la conquista della natura, ed è quindi promosso il progresso dell’ umanità, è nu dovere per le classi inferiori migliorare e inalzare il loro mestiere. TI che riohiede 1’ adempimento d un altro dovere concernente i rapporti tra la classe in¬ feriore e la superiore. J1 perfezionamento industriale di¬ pende da conoscenze , scoperte , invenzioni, che rientrano nell ufficio professionale dei dotti ; è dovere, dunque, della classe inferiore, onorare la classe piò colta appunto perchè, tale e attenersi ai consigli e alle proposte che da essa le provengono per quanto riguarda il miglioramento di questo o quel ramo d’industria, di questo o quel genere di vite, domestica, di questo o quel sistema di educazione, ecc. Dal canto suo, poi, la classe superiore, ben lungi dal disprez¬ zai e, deve tenere nella piu alta stima la classe inferiore, rispettarne la libertà, riconoscere il valore dell’ opera sua in riguardo agli interessi superiori dell’ umanità. Soltanto in una giusta reciprocanza di rapporti tra le varie classi sociali sta la base del perfezionamento umano, inteso come fine supremo di ogni dottrina morale (*). Riassumendo : la Dottrina Morule, nelle tre parti in cui si divide, si propone un triplice oggetto e ottiene un triplice risultato. u) Anzitutto nella deduzione del principio della mo¬ ralità il Fichte mostra come la Ragione e la Libertà, le quali a tutta prima per la coscienza empirica non sono che ideali, divengano poi in essa principi di azione, esercitino una causalità. L’io empirico individuale non può porsi nè d) Tbid. pp. 861-365 (Tbid. pp. 849-852). — cxv pensarsi se non in base all’ Io puro universale , se non in quanto ha per principio e per fine l’Ideale ; e l’Io puro universale non può attuarsi se non ha per strumento l’io empirico individuale. L’ unità dell’ ideale non acquista cau¬ salità, non diviene efficace nel mondo se non pluralizzan¬ dosi, quasi in centri luminosi, in spiriti individuali, i quali soltauto possono dirsi realmente esistenti e attivi. Ora, ap¬ punto questo reciproco rapporto tra i molteplici io empi¬ rici e 1’ unico Io puro fornisce il contenuto del dovere e rende il dovere intelligibile. Il dovere, infatti, è la neces¬ sita imposta all’ Io puro, ossia alla Libertà, di attraversare 1’ intelligenza , ossia l’io empirico , di divenire quindi in¬ telligibile, per passare dallo stato ideale di potenza a quello leale di atto, necessità che non significa eteronomia perchè non impone alla Libertà se non la propria attuazione. L’in¬ telligibilità del dovere : ecco il primo risultato che il Fichte ottiene, colmando l’abisso che il Kant aveva lasciato aperto tra la conoscenza e la volontà, e facendo dell’ intelligenza la condizione interna, il veicolo della libertà; poiché l’in¬ telligenza esprime quasi lo sforzo della libertà infinita per assumere, con la coscienza di sè, la forma del reale. b) In secondo luogo, a proposito dell’applicabilità del principio morale, il Fichte mostra come il mondo si presti all attuazione della ragione e della libertà ; il che significa che la natura non è radicalmeute cattiva, non è assoluta- mente refrattaria allo spirito ; c’ è anzi una stretta paren¬ tela tra lo spirito e la natura, non essendo questa che un prodotto inconscio di quello. Soltanto che l’attuazione del- 1 ideale morale non si compie a un tratto nel mondo con un semplice decreto della volontà, ma è la meta di un progresso. L’idea di sviluppo, di progresso è una categoria — CXV1 della moralità ; ecco il secondo risultato che il Fichte ot¬ tiene eliminando l’assoluta irriducibilità riaffermata dal Kant tra libertà e natura . spirito e materia, idealità e realtà, e facendo la natura, la materia, la realtà suscettive di un progressivo liberarsi, spiritualizzarsi, idealizzarsi al- l’infinito. c) Infine, nel fare 1’ applicazione del principio mo¬ rale, il Fichte mostra come il progresso richieda, per com¬ piersi, una duplice condizione ; l’uua formale : occorre che 1’ individuo acquisti in sè la coscienza della libertà e della legge morale ; 1’ altra materiale : occorre che 1’ individuo apprenda come il contenuto del dovere sia nell’ attuare la moralità non solo in lui, ma anche fuori di lui, negli altri individui, nel genere umauo tutto quanto , la cui totalità appunto rappresenta la ragione universale ; occorre, insom¬ ma , che 1’ individuo sappia di essere strumento indispen¬ sabile per 1’ attuarsi dell’ ideale nel mondo , per 1’ emanci¬ pazione cioè dell’ umanità intera dai vincoli della natura e per la sua elevazione al regno dello spirito. La sosti¬ tuzione d’ un ideale sociale a un ideale individuale : ecco il terzo risultato che il Fichte ottiene trasformando la for¬ mula kantiana : “ Ogni uomo è esso stesso fine „ in que¬ st’ altra : “ ogni uomo è esso stesso fine in quanto mezzo ad attuale la ragione universale „ e subordinando così il singolo al tutto, 1’ individuo all’ umanità. È facile argomentare, in base a questo triplice risul¬ tato, le radicali innovazioni di cui, rispetto alla morale tra¬ dizionale, è feconda la dottrina fichtiana. L’intelligibilità del dovere porta seco la razionalità dell’azione e sostituisce alla fede, opera della grazia divina o di uu impulso incosciente, la convinzione della propria — CXVII coscienza, l’unione indissolubile dell’energia della volontà con la luce del pensiero. Per ben operare, all’ intellettua¬ lismo socratico basta il retto giudizio, al volontarismo cri¬ stiano basta il cuore puro : il Fichte fonde i due 'punti di vista ed esige per la moralità degli atti così la dirittura del giudizio come la purezza del cuore, così l’intima per¬ suasione come la buona volontà. Un dovere irrazionale, im¬ penetrabile a ogni sforzo della riflessione è, secondo lui, altrettanto immorale quanto un dovere adempiuto per se¬ condi fini. Inintelligibilità e insincerità sono per il Fichte ugualmente incompatibili col concetto del dovere. L’ idea di sviluppo e di progresso, intesa come cate¬ goria della moralità, porta seco la riabilitazione della na¬ tura rispetto allo spirito, alla cui attuazione, anziché osta¬ colo, è condizione e mezzo. Senza la natura — vedemmo — mancherebbe allo spirito l’oggetto su cui esercitare la pi-o- pria attività, la quale ha bisogno d’agire sulla natura per liberarsi dalla natura; senza i corpi individuali, che della natura fanno parte, mancherebbe alla libertà dello spirito il modo di pluralizzarsi in tante sfere d’ azione, le quali, sebbene distinte, sono in recipi'oco rapporto fra loro, sì da applicarsi tutte al medesimo universo e da rappresentare, unite insieme, e attuare la vivente unità del cosmo e della ragione universale. Ogni organismo corporeo, infatti, è stru¬ mento indispensabile affinchè la libera attività spirituale abbia causalità nel mondo ; e da ciò deriva a esso e , per estensione, a tutta quanta la natura, una consacrazione mo¬ rale, che non si accorda con la condanna della natura e del corpo pronunziata dall’ ascetismo cristiano , ma nem¬ meno con l’apoteosi della natura e del corpo celebrata dal¬ l’edonismo pagauo ; una consacrazione morale che vieta a * — cxviii un tempo così la macerazione, come il blandimento della carne, e che mentre, restituisce alla vita dei sensi il suo ufficio subordinato e la sua vera finalità nella vita morale — si ricordi la prescrizione fichtiana già citata : u Man¬ giate e bevete a gloria di Dio ; se questa morale vi sembra troppo austera, tanto peggio per voi ; non ce n’ è un’ al¬ tra „ — non ritiene necessario nè una risurrezione dei corpi, nè un’ immortalità personale. Perché il Fichte non si contenta più di una moralità che miri a una vita futura, o che si appaghi di un sogno di perfezione interiore, ma vuole attuare sulla terra stessa il regno dei cieli, ripo¬ nendo la beatitudine, come già il Lessing aveva detto della verità, non nel possesso, ma nella conquista della libertà : “ essere liberi è nulla, divenire liberi è il cielo ! „ — La sostituzione dell’ ideale sociale all’ ideale indivi¬ duale porta seco l’inversione del rapporto di dipendenza tra morale e diritto , 1’ accentuazione massima del valore del regime di giustizia e la radicale trasformazione del concetto tradizionale di carità. È, infatti, un’ originale ca¬ ratteristica della dottrina fichtiana l’aver posto non più — come si soleva in passato — la morale a condizione del diritto, ma il diritto a condizione della morale. Per il Fichte la libertà, materia del dovere, non si concepisce senza la società, ma la società non si concepisce senza rapporti di giustizia, dunque la giustizia, ossia il diritto (juslitiu da jus = diritto) è il fondamento della morale ; affinchè la moralità possa attuarsi, occorre prima assicurare a tutti 1’ eguaglianza nel possesso della libertà esteriore, e procu¬ rare a tutti indistintamente, con una legislazione regola¬ trice dell’attività economica, quella parte di agiatezza ma¬ teriale che è necessaria all’opera di emancipazione morale CXIX o di elevazione verso la vita dello spirito. Questa emanci¬ pazione ed elevazione spirituale, poi, non deve uè può fi¬ nire nel singolo individuo, che nella dottrina fiohtiana nou ha per sè nessun valore assoluto, ma dev’ essere promossa da ciascun uomo in tutti gli altri uomini, perchè l’ideale etico, ben lungi dal ridurci a una salvezza individuale, a una perfezione interiore, a una santità eremitica incurante della sorte delle altre anime, o una santità operosa sol¬ tanto per conquistarsi un posto nel cielo , consiste invece nella moralizzazione e nella salvezza di tutto il genere umano, nell’avvento del regno della ragione su questa terra e in tutta 1’ umanità. Di qui deriva , secondo il Fichte, il vero concetto della carità : sforzarsi d’inalzare i nostri si¬ mili alla moralità. Ciascuno deve proporsi non la propria felicità, e nemmeno soltanto la propria libertà e indipen¬ denza particolare, ma la libertà universale, la salute spiri¬ tuale di tutti; il culmine della virtù per l’individuo è darsi in olocausto per la salvezza del mondo, accettando coraggiosamente l’imperativo ingrato, se si vuole, ma ca¬ tegorico, di lavorare senza riposo e senza ricompensa, a un fine di cui non vedrà mai l’adempimento completo, al trionfo infinitamente lontano della ragione , e di lavorarvi in un ambiente spesso indifferente ed ostile, con penosi sa¬ crifizi , senz’ altro stimolo che il puro amore del dovere , senz’ altra gioia che quella di avere colla propria abnega¬ zione contribuito all’ordine universale ! Concezione sublime questa, che ricorda l’altra affine dello Zend Avesta, la quale fa dipendere aneli’ essa la salvezza di ciascuno dalla salvezza di tutti e comanda a ognuno di combattere, se¬ condo i propri mezzi e secondo il posto assegnatogli, il regno delle tenebre e del male e di lavorare al trionfo — CSX della luce e del bene. E nonostante questa abnegazione di sè nell’ interesse della ragione universale, l’io individuale conserva tutta la propria realtà e personalità, nè potrebbe avere una dignità ma'ggiore , poiché quale dignità può ri¬ tenersi più grande di quella di un essere dalla cui azione dipende la salvezza di tutti e alla salvezza del quale con¬ corre 1’ universalità degli esseri ragionevoli (’) ? (*) (*) Tale concezione trovasi eloquentemente illustrata dal Ficlite anche nella terza delle conferenze da lui tenute a Jena nel 1794 sulla Missione ilei dotto ; ne riportiamo qui, liberamente tradotta, la bella chiusa che è quasi una lirica: “ Se l’idea liuora svolta si con¬ sidera auche prescindendo da ogni rapporto con noi stessi, siamo por¬ tati a vedere fuori di uoi una collettività in cui nessuno può lavo¬ rare per sè senza lavorare per gli altri, nè lavorare per gli altri senza lavorare in pari tempo per sè , essendo il progresso dell’ uno progresso di tutti, la perdita dell’ uno perdita di tutti : spettacolo questo che ci sodisfa intimamente e solleva alto il nostro spirito con la visione dell’armonia nella varietà. L’interesse aumenta se, ripor¬ tando lo sguardo sopra noi stessi, ci riconosciamo membri di questa grande e stretta comunione. Sentiamo rafforzarsi la coscienza della nostra dignità e della nostra forza, quando diciamo a noi stessi ciò che ognuno può dire : la mia esistenza non è inutile e senza scopo ; io sono un anello necessario dell’ infinita catena che, dal momento in cui 1’ uomo assurse per la prima volta alla piena consapevolezza del proprio essere, si svolge verso l’eternità; quanti, tra gli uomini, furono grandi, buoni e saggi, i benefattori dell' umanità i cui nomi leggo registrati nella storia del inondo, e i tanti i cui meriti riman¬ gono, mentre i nomi sono dimenticati, tutti hanno lavorato per me; io raccolgo i frutti delle loro fatiche; ricalco sulla via che essi per¬ corsero le loro orme benefiche. Io posso, tosto che lo voglia, ripren¬ dere 1’ ufficio altissimo che essi si erano proposto ; rendere , cioè, sempre più saggi e più felici i nostri fratelli ; posso continuare a costruire là dove essi dovettero smettere; posso portare più vicino al compimento il tempio magnifico che essi dovettero lasciare incom¬ piuto. — u Ma anch’ io dovrò smettere il [mio lavoro come essi „ , dirà qualcuno — Oh ! questo è il pensiero più elevato di tutti. Se assumo quell’ ufficio altissimo, non lo potrò mai portare a termine ; quanto è certo che è mio dovere l’accettarlo, altrettanto è certo che CXXI Amiamo sperare che la precedente esposizione della Dol/t'ina morale del Fichte non riesca inutile per chi si accinga a leggere il volume, se non nella lingua, nello stile del suo autore. Certo non tutti accetteranno integral¬ mente l’ardita metafisica ivi presupposta — che volentieri chiameremmo Etilica come quella dello Spinoza e che è forse, per adoperare una felice espressione del Barzel¬ letti (') , la più eroica presa di possesso che mai mente umana abbia potuto fare, a un tempo, e del mondo delle idee e del mondo della realtà — ma tutti*, senza dubbio, saranno colpiti dalla originalità, profondità e finezza delle vedute psicologiche ivi proiettate e analizzate con arte insuperabile, e in particolar modo dalla nobiltà dei senti- non potrò mai cessare d’operare; quindi non potrò mai cessare d’es¬ sere. Ciò che si suoi chiamare morte non può interrompere 1’ opera mia; perchè l’opera mia dev’essere compiuta, e non può essere com¬ piuta nel tempo ; perciò la mia esistenza non è limitata nel tempo ed io sono eterno. Assumendo parte di quell’ufficio sommo, ho fatto mia l’eternità. Sollevo fieramente il capo verso le rocce minaccioso, verso le cascate spumeggianti, verso le nuvole velegginoti in un oceano di fuoco , e dico : io sono eterno e sfido il vostro potere. Ir¬ rompete tutti su di me, e tu, cielo, e tu, terra, precipitate in un sel¬ vaggio tumulto, e voi tutti, o elementi, spumeggiate e rumoreggiato e stritolate nella lotta selvaggia pur 1’ ultimo atomo del corpo che io dico mio ; la mia volontà sola, col suo fermo proposito, aleggerà ardita e fredda sopra le rovine dell’ universo , perchè io ho assunto la mia missione, e questa è più duratura di voi : è eterna, e, al pari di essa, sono eterno io „. (Einige Vorlesungen ilber din Bcstimmung dea Gelehrten, 1794, Summit. Werke, VI, pp. 321-828) — V. la traduz. frane, di M. Ni¬ colas , De la destinatimi da savant et de l'liomine de lettres par J. G. Fichte, Paris, De Ladrauge 1838; e la trad. ital. di E. Roncali, con prefaz. di G. Vitali, G. A. Fichte, La missione del dotto, Lanciano, Carabba, 1912. (') La Storia della Eiloso/ia (estratto dalla Nuova Antologia, 1° gen¬ naio 1908) p. 2. — CXX1I — menti ivi espressi con forza sempre, e spesso con vivezza di colorito. Del resto non c’è una sola opera del nostro filosofo che non elevi e non fortifichi l’anima del lettore perchè i suoi seritti, .emanazione diretta delle più intime e salde convinzioni, e la sua vii* di pensiero, rientrano nel ciclo di quella vita d’azione che fa del Fichte una personalità tipica, un represen latice man, direbbe 1* Emer¬ son. E invero egli appartiene — come già affermammo (’) — all’eletta schiera di quegli eroi, la cui apparizione nella storia diventa un possesso eterno per l’umanità, e la memoria dei quali durerà quanto il mondo lontana. Il carattere adamantino della sua figura morale, la quale è un’ unità altrettanto solida quanto ben fusa, grazie alla più perfetta armonia tra idee pai-ole e opere, risulta scul¬ toreamente espresso in questa solenne dichiarazione, da lui fatta all’ inizio della sua carriera universitaria : u Io sono un sacerdote della verità ; la mia esistenza è votela al suo servizio; sono impegnato a tutto fare, tutto osare, tutto soffrire per essa. Se per causa sua fossi perseguitato e odiato, se dovessi anche morire, che farei di straordi¬ nario? nulla più che il mio assoluto dovere „ ( ! ). Parole, queste, che spiegano bene il poderoso influsso, spiritual- mente rigeneratore, esercitato dal Fichte sui suoi conna- ziouali e contemporanei, influsso che , propagandosi nello spazio e nel tempo, ha suscitato e susciterà sempre su¬ blimi emozioni e risoluzioni virili in mille e mille anime, (') Cfr. prec. pp. XXIX-XXX. ( 2 ) Einiye Vorlesungen iiber die Bestini muny (Ics Gelehrten 1794 (Sdmmtl. Werke, VI, pp. 333-334). V — oxxm — che pur non udirono mai la voce di lui (’). Costante mia- * sione di questo eminente spirito fu : destare negli uomini il senso della divinità della propria natura, fissare i loro pensieri sopra una vita spirituale come l’unica e*vera, insegnar loro a guardare a qualcos’ altro che la pura ap¬ parenza e irrealtà e guidarli così allo sforzo tenace verso i più alti ideali di purezza, abnegazione, giustizia, solida¬ rietà e libertà. (') Questa infinita risonanza di idee, sentimenti e propositi, at¬ traverso le generazioni, nel tempo e nello spazio, questa immensa simpatia e solidarietà umana — che eccelle tra i principi fondamen¬ tali della dottrina liclitiana — era profondamente sentita dal Fichte stesso, come può rilevarsi anche dalla seguente bella pagina con cui si chiude la seconda conferenza sulla Missione del Dotto (1794) : “ Ognuno può dire : chiunque tu sia, tu che hai sembianze umane , sei un membro di questa grande comunità; sia pure infinito il nu¬ mero di quelli che stauuo tra me e te, io so, nondimeno, che il mio influsso giungerà sino a te , e il tuo sino a me ; chiunque porti sul viso, per quanto rozzamente espressa, l’impronta della ragione, non esiste invano per me. Ma io non ti conosco, nè tu conosci me. Oh! quanto è corto che ambedue siamo chiamati a esser buoni e a dive¬ nire sempre migliori, tanto è certo che verrà il giorno, e sia pure tra milioni e bilioni d’ anni (che è mai il tempo ?), verrà il giorno, dico, in cui trascinerò anche te nella mia sfera d’azione, in cui potrò beneficarti e ricevere benefizi da te, in cui anche il tuo cuore sarà avvinto al mio coi viucoli, i più belli, di un libero scambio di reci¬ proche azioni! „ (Siimmtl. Werke, (VI, p. 311).
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