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Tuesday, May 3, 2022

GRICE E CASOTTI: LA FILOSOFIA DEL VOLERE

 XI suo soggiorno in Italia*    Terminata la sua opera, Schopenhauer non si decise a tornare nel  Nirvana, come torse si sarebbe potuto credere; al contrario senza nem¬  meno aspettare le prove di stampa, egli partì pel paese più bello e più  ottimista che vi sia sotto il sole, per la. véna terra promessa, per il  paese dei paesi, per la bella Italia, Con ragione si è detto che ! abitu¬  dine di vedere la vita in nero, sparisce e sembra innaturale sotto il cielo  splendido d’im paese meridionale. Dintorni poco graziosi spesso di¬  ventano Ja causa d’un falso pessimismo; ma de v ? esser genuino il pes¬  simismo che persiste anche in un ambiente bello ed incantevole. Il fatto  che Schopenhauer non ismani il suo pessimismo è una prova convin¬  cente, se prova ci vuole, che il suo pessimismo era sincero. Questo  pessimismo era piuttosto comprensibile nel freddo settentrione; ma é  un altro conto ritenerla in mi paese ove tutto sorride, ove la natura  stessa c* invita a prendere con leggerezza resistenza ed a gettare lon¬  tano da noi ogni cura, ove Paria stessa respira la leggerezza di cuore,  ove il dolce far niente è il programma di vita degPindigeni,   T resoconti del suo viaggio in Italia sono tutt ? altro che blandi.  Schopenhauer, più si faceva vecchio, pili si rinchiudeva in se stesso,  e non vi sono nè giornali nè lettere che possano colmare questa lacuna  nella sua biografia. D’ora innanzi era il suo espresso desiderio di sfug¬  gire alla pubblicità. Non voglio che la mia vita privata formi mPesea  « per la curiosità fredda e maliziosa del pubblico », così rispose molti  anni più tardi a coloro che lo esortavano a fornire maggiori informa’  zioni su se stesso ai dizionari biografici. I suoi notiziari presero il posto  del giornale, ma siccome contengono piuttosto riflessioni suggerite  dagli avvenimenti senza raccontare .questi, non spargono sugl 5 incidenti  del suo viaggio che poca luce.   Schopenhauer attraversò le Alpi persuaso d 3 avere scritto una gran¬  d'oliera per Pumanftàp stava ora ad aspettarne il risultato. Non era  tanto indifferente in quanto alla accoglienza della sua opera quanto  voleva far credere.   Il trattato sulla Quadruplice Radice era stato ben accolto dai cri-     74    ARTURO SCHOPENHAUER    tiei, -ed. aveva chiamato all 5 autore l’attenzione generale più di quanto  sogliono farlo le dissertazioni universitarie; era giustificabile che spe¬  rasse che la sua opera maggiore dovesse suscitare almeno lo stesso in¬  teresse. Egli corresse le prove di stampa che gii furono mandate ed  a petto k pubblicazione, sfogando intanto i suoi sentimenti in linguag¬  gio poetico.   Unv er schami e Vers e.   A us ] anggehegten, tiefgefuhlten Schmerzen  Wand sich’s einpor aus meinetn innern Herzen,   Es festzuhaHen haMch lang gemngen,   I>och weiss ich, dasz zuletzt es mir gelungen.   Mogi Euch drtim irnrner, wie Ilir wollt, gebar cleri,   Des Werkes Le ben kòimt ihr nìcht gefahrden;   Àufh&ffieii kònnt Ilir's, mirini ermehr vernichterq  Ein Denkrnrj! wird die Nachwelt mir ernchten.   Nel frattempo visitava le principali città <MP Italia settentrionale;  frequentava i musei ed il teatro, continuando a studiare la lingua ita¬  liana die egli già sapeva assai bene. E* in Italia die egli s 5 invaghì cosi  profondamente della musica di Rossini, di cui andava spesso a sentire  le opere. Degli autori italiani egli predilìgeva, -— ed è questo un fatto  abbastanza curioso, — il Petrarca, il poeta di Laura e dell 5 amore.   « Fra tutti gli scrittori italiani, preferisco il mio caro Petrarca.  « Non vi e in tutto il mondo un poeta che lo abbia mai superato nella  « profondità e nell’ardore del sentimento; le sue parole vi vanno dritto  a al cuore. Per' ciò in preferisco i suoi sonetti, i suoi trionfi e le sue can-  a zoili alle follie fantastiche dell 5 Ariosto ed alle orrende contorsioni di  « Dante. Trovo il fiume naturale delle parole, che sgorgano dal cuore,  « molto più opportuno del linguaggio ricercato ed affettato di Dante,  a Petrarca è sempre stato e rimarrà per sempre il poeta del mio cuore.  « Quello che concorre a confermarmi nella mia opinione è il tempo  a presente, a quanto pare, tanto perfetto che osa parlare con disprezzo  a di Petrarca. T T na prova sufficiente sarebbe il confronto di Dante e  « Petrarca nel loro costume intimo e non ricercato, cioè in prosa, eon-  K frontando per esempio i bei libri di Petrarca, ricchi di pensieri e di  « verità, De \ ita solittì-rui, De Coafemptu mundi, De rimediu ufrius-  z que fortume eoe., colla scolastica sterile ed asciutta di Dante ».   Dante coi suoi modi didattici non corrispondeva al gusto rii Scho¬  penhauer che considerava tutto Pinfenio come un’apoteosi della cru¬  deltà. ed il penultimo canto come una glorificazione della mancanza del  sentimento d’onore e di coscienza. Non aveva neppure alcun affetto per  Ariosto e Boccaccio; anzi più volte espresse la sua meraviglia in quanto  alla fama europea di quest’ultimo, il quale dopo tutto non aveva scritto  che Delle ehtonique.s scandaleuse*. Gli piacevano PAlfieri ed il Tasso,       SUA VITA E SUA FILOSOFIA    75   ma li considerava come autori tli seeoncVordine; egli non riteneva il  Tasso degno d'essere posto come quarto in una linea coi tre grandi poeti  italiani.   Per quanto riguardava Parte, egli si sentiva maggiormente attirato  dalla scultura e dall'arekitettura che dalla pittura. Ciò non potrebbe  sorprendere e non sarebbe in contraddizione coll 1 indole generale della  sua mente* se la sua intimità con Goethe non lo avesse fatto entrare  nello studio dei colori.   Schopenhauer non volle mai ammettere che i due anni possati in  Italia fossero stati per lui due anni felici, sosteneva, che mentre gli altri  viaggiavano per divertimento, egli lo faceva per raccogliere nuovi ma¬  teriali in appoggio del suo sistema, e nel suo notiziario scrisse has-  stoma di Aristotile :   6 TQ aAuTCtfO orò TU fiSìl.   Però ricordava con piacere questi due anni, dico con piacere e s'in¬  tende fin dove Schopenhauer ammetteva il piacere; negli ultimi giorni  della sua vita non poteva mai menzionare Venezia senza che la sua voce  tremasse, il che prova che Pamore che ivi lo tenne stretto, non era inte¬  ramente dimenticato, sebbene fosse morto. Senza dubbio, la seguente  nota scritta a Bologna in data del 19 novembre 1818 tradisce qualche  contentezza.   « Appunto perchè ogni felicità è negativa, accade che non ce ne  « avvertiamo affatto, quando ci troviamo in uno stato di benessere; la¬  ti sciamo tutto passare dinanzi a noi liscio, e con dolcezza fino a che  tf questo stato è passato. La perdita soltanto* che ci si fa sentire con  « chiarezza, pone in rilievo la felicità, svanita; è allora soltanto che ci  a accorgiamo di ciò che abbiamo trascurato di assicurarci, ed il rimorso  « si aggiunge alla privazione, b   Schopenhauer fece il soggiorno piu lungo a Venezia- In quel tempo vi  era anche Byron, ritenuto esso pure da vezzi femminili. E J strano che essi  non s'incontrarono mai. Schopenhauer nutriva pel genio di Byron la  più grande ammirazione ed intelletti al mente entrambi sarebbero an¬  dati d f accordo. Egli non incontrò neppure Schelley, nè Leopardi. Un  dialogo secondo il modo di Leopardi in nni egli ed il giovane conte era¬  no confrontati, fu pubblicato nella rivista contemporanea del 1858, e  Schopenhauer non si diede pace prima che non sì fosse assicurato di  averne una copia. Gli procurò una vivissima soddisf azione il trovarsi asso¬  ciato col giovane che egli ammirava così profondamente (ed a cui, dicia¬  molo tra parentesi, Io scrittore De Sanctis, non ha reso giustizia); gran  parte della sua soddisfazione, proveniva vinche dal fatto die egli vedeva  elio la sua filosofia si era fatto strada fino in Italia. Non avveniva spes¬  so che egli fosse contento di quanto sì scriveva sulle sue opere, non tro¬  vava mai che lo avessero letto con sufficiente attenzione; ma quest 1 uo¬  mo, così diceva, lo aveva assorbito in sucóurn et tangm nem .      76    ARTURO SCHOPENHAUER    Quando -Schopenhauer arrivò a Venezia per la prima Tolta, e pii  scrisse : « chiunque si trova repenti nani ente trasferito in un contrada  « totalmente straniera, ove prevale un modo di vivere e di parlare dif-  « ferente da quello a cui e pii è abituato, ha il sentimento di chi ina-  « spettata mente ha messo il piede nel F acqua fredda. Egli avverte su-  « bito la differenza di tempera tura, sente una forte influenza che agi-  « sce dal di fuori e che lo rende infelice; egli si trova in un elemento  « estraneo in cui non sa muoversi comodamente, A questo si aggiunga  « che egli si accorge come ogni cosa attira la sua attenzione e che teme  « di essere a ne Ir e gl i osservato da tutti. Ma dal momento che si è eal-  « maio, che ha incominciato ad assorbire la. nuova temperatura e ad  « abituarsi al nuovo ambiente, egli si trova bene come difatti si trova  « un uomo nell* a equa fresca. Egli si è assimilato a!1 J elemento, ed averir  « do perciò cessato di occuparsi della propria persona, rivolge la sua  a attenzione esclusivamente a ciò che lo circonda: ed ora, appunto per-  « che lo contempla con oggettività neutrale, egli si sente superiore al  « suo ambiente come prima se ne sentiva schiacciato,   « Viaggiando le impressioni dlogni genere abbondano, ed il nutria  s mento intellettuale ci viene in tale quantità che non ci rimane tempo  c per la digestione. Ci rincresce che le impressioni le quali si succedono  a rapidamente non possano lasciare una impronta permanente. In real-  tà però avviene qui quello che ci accade quando leggiamo. Quante  «* volte ci lamentiamo di non essere capaci di ritenere la millesima par-  «te di quanto abbiamo letto! W confortante però in ognuno dei due  « casi il sapere che ciò che abbiamo visto e letto, ha fatto sulla nostra  « mente un'impressione, prima d'essere dimenticato, impressione che  « concorre a formare e nutrire la mente, mentre ciò che riteniamo a  « memoria serve soltanto a riempire i vuoti della testa con materie che  « ci rimangono sempre estranee, perchè non le abbiamo mai assorbite;  « il recipiente dunque potrebbe anche essere rimasto vuoto come prima. »   Schopenhauer era d’opinione elle, viaggiando, possiamo riconosce-  re quanto areno radicate le opinioni pubbliche e nazionali., e quanto  sia difficile di cambiare il modo di pensare d T un popolo,   « Mentre cerchiamo d'evitare uno scoglio, ne incontriamo un altro;  « mentre fuggiamo i pensieri nazionali di un paese, in un secondo ne  « troviamo degli altri, ma non dei migliori. Il cielo ci liberi da questa  « valle di miseria!   « \ i a gg ian do veci i a m o 1 a v ita u ma n a s ot t o ni olle fori n e dive rs e :  « ed è questo appunto che rende i viaggi così interessanti. Ma, ving-  « g i a n d o, non v e d i a m o c he il lato esteriore del la v if a u ni a n a ; cioè ne  « scorgiamo soltanto quello che se ne vede generalmente. D'altra parte  « non vediamo mai la vita interiore del popolo, il suo cuore ed il suo  « centro, cioè il campo in cui Vazione del popolo si svolge, in cui il  «suo carattere si manifesta,,., quindi,, viaggiando, vediamo il mondo       SUA VITA E SUA FILOSOFIA    77    a come un paesaggio dipinto con un orizzonte vasto che abbraccia molte  <i cose, ma che non li a personaggi spiccati. Di lì, nasce pure la stan¬  tìi ehezza del viaggio. »   Schopenhauer studiò profondamente gl’Italiani, i loro costumi e  la loro religione. Di quest’ultima dice:   La religione cattolica è un ordine per ottenere il cielo mendicando,  giacche sarebbe troppo disturbo doverlo guadagnare. I preti sono i me¬  diatori di questa transazione.   « Ogni religione positiva dopo tutto non fa che usurpare il trono  « che per diritto spetta alla filosofia ; i filosofi quindi la coniti attera uno  a sempre, anche se dovessero considerarla come un male neccessario ed  « inevitabile, un appoggio per la debolezza morbosa della maggior pur-  « te degli uomini.   a La nuda verità non ha la forza di frenare le menti rozze e di co¬  te stringerle ad astenersi dal male e dalla crudeltà giacche esse non san¬  ti no afferrare queste verità. Di lì il bisogno di storne, di parabole e di  « dottrine positive. «   In dicembre ièlS la sua grande opera vide la luce per la prima  volta. Schopenhauer ne mandò una copia a Goethe. Poi nella prima¬  vera del 1819, egli si trasferì a Napoli; Goethe accusò ricevuta del do¬  no per mezzo di Adele Schopenhauer, una delle predilette del vecchio  poeta.   « Goethe ha ricevuto il tuo libro con grande piacere, scrive Adele,  a Egli immediata mente divise V opera voluminosa in due parti e cornili-  « ciò a leggerla. Un’ora dopo egli mi mandò il biglietto qui unito, di-  « eendomi che egli ti ringraziava molto e credeva che tutto il libro .do-  « vesso esser buono, giacche aveva sempre la fortuna di aprire i libri  « nei posti più notevoli; così egli mi disse d'avere letto le pagine indi-  « caie (pag. 22 e pag. 340 della prima edizione,) ed egli spera di po-  « ferii scrivere quanto prima la sua opinione completa. Intanto egli  « desiderava che io ti dicessi questo. Alcuni giorni dopo Ottilia mi dis-  « se che il di lei padre leggeva il tuo libro con un interesse che lessa  « fino allora non aveva mai osservato in lui. Egli le Ka detto che ora ave-  « va. un divertimento per tutto ranno, giacché intendeva leggere il tuo  libro da capo in fondo e credeva che ciò lo avrebbe occupato per un  « anno. Disse a me ch’egli si sentiva proprio felice di saperti sempre  « a lui devoto, nonostante il vostro disaccordo sulla teoria dei colori.  « Disse pure che nel tuo libro gli piaceva sopra tutto la chiarezza della  « rappresentazione e del linguaggio, sebbene la tua lingua differisce  da quella degli altri e che occorresse prima avvezzarsi a chiamare le  « cose come tu lo vuoi.   « ila, continuò, quando una volta si é pervenuto a queste, allora  « la lettura procede con facilità e comodo. Anche la disposizione della  « materia gli piaceva ; solfante la forma immaneggiabile del libro non       78    ARTURO SC1-10PENHAU£R    a gli dava pace, e si convinse che F opera dovesse consìstere di due vo-  a fumi* Spero di rivederlo solo ed allora egli mi dirà iorse qualche cosa  « di più soddisfacente ; ad ogni mudo tu sei il solo autore che Goethe  « legga in questo modo e con tanta serietà* »   Nondimeno Schopenhauer ritenne F opinione che Goethe non lo  legasse con sufficiente attenzione ; che il poeta avesse già speso il po~  co interesse che aveva per le questioni filosofiche*   A Napoli Schopenhauer fu principalmente in rapporto con giovani  inglesi. L’elemento inglese aveva per lui, durante tutta la sua vita, un  fascino speciale; credeva che gl"Inglesi erano quasi giunti ad esse)e  il più gran popolo del mondo, e che soltanto alcuni loro pregiudizi si  opponevano, acciocché infatti lo fossero. La sua cognizione della loro  lingua ed il suo accento erano tanto perfetti che anche gl T Inglesi stessi  per- qualche tempo lo prendevano per un loro cOmpatriftta, un errore  die sempre lo esaltava*   Tutto quanto vide, concorse a confermare ed a sviluppare il suo  sistema filosofico * Rimase specialmente colpito dal quadro di un gio¬  vane artista veneziano, Hayez, esposto a Capo di Monte ; di questo quadro  illustrava la sua dottrina per quanto riguarda le lagrime che, secondo  il nostro filosofo, si spargono sempre per compassione di sé stesso* Il  quadro rappresentava, il passo dell 1 Odissea, ove Ulisse piange alla Cor¬  te di re Alcinoo, il feaco, sentendo cantare le proprie sventure, « Questa  « è Fespressione più alta idi e possa avere la compassione di se stesso. »  Schopenhauer aveva oramai raggiunto la piena maturità e forza  dell’uomo. Secondò lui il genio dell’uomo non dura più della bellezza  delle donne, cioè quindici anni, dal ventesimo al trentesimo quinto*  & La ventina e la prima parte della trentina sono per Fintelletto quello  « che è il 'uose di maggio per gii alberi, questi durante la stagione prh  <t maverile emettono soltanto dei bottoni che poi diventano frutti* »  L’esteriore, di Schopenhauer doveva essere caratteristico, ma la sua bel¬  lezza stava nell 9 animo e non nella faccia; i suoi occhi vivaci, ed ardenti  anche nella vecchiaia, nella gioventù rischiaravano quella testa poten¬  te col loro sguardo acuto e limpido. Verso quel tempo un vecchio si¬  gnore* a lui perfettamente estraneo, gli si accosto in istrada per dirgli  che egli, Schopenhauer, sarebbe stato un giorno un grand’uomo* An¬  che un Italiano, che pure non lo conosceva, venne da lui e gli disse:  € Signore, lei deve aver fatto qualche grande opera; non so cosa sia,  a ma lo vedo nel suo viso* » Un Francese che alla tal)le cVhote, gli sede¬  va dirimpetto, ad un tratto esclamò: « Je ooudrais savori- ce qu il penr-  « se de nous autres j nous devom par altre hien ■ petit s à ses yeiux ! ?> Un  giovane Inglese rifiutò assolutamente di cambiare posto con le parole:  « Yoglio stare qui, perchè mi piace vedere la sua faccia intelligente. »  Nel riposo egli rassomiglia va a Beethoven; entrambi avevano la  stessa testa quadrata, ma il cranio di Schopenhauer dev’essere stato       SUA VITA E SUA FILOSOFIA    79    piu grande come lo prova la misura elle ne fu presa dopo la sua morie  e che recai un’idea delle prò pozioni straordinarie eli questa testa, E no¬  tevole la distanza che correva tra un occhio e V altro; egli non poteva  portare occhiali ordinari. Era di statura media, tarchiata e muscolosa ,  aveva le spalle larghe ; In sua bella testa era portata da un collo troppo  breve per esser bello* Capelli biondi e ricci Liti circondavano la sua fron¬  te e cadevano sulle sue spalle; quando era giovane, mustacchi biondi  coprivano la sua bocca ben formata, che coll'accrescersi degli anni  perdette la sua bellezza a misura che perdeva i denti. Il suo naso era  di bellezza speciale e cosi pure le sue piccole mani* Egli stesso faceva  una distinzione fra la fisionomia, intelletuale e morale à- un uomo; cer¬  cava la prima nelPocchio e nella fronte, la seconda nelle forme della  bocca e del mento. Era soddisfatto della sua fisionomia intellettuale,  ma non della sua fisionomia morale* Vestiva sempre bene e con elegan¬  za, il.suo contegno era aristocratico e leggermente altero. Portava Seni¬  li re V abito, cravatta bianca e scarpe; i suoi abiti erano sempre dello  stesso taglio senza riguardo alla moda, eppure egli non pareva mai stra¬  no, talmente aveva adattato il vestito alla persona. He il popolo in istra¬  da spesso lo seguiva collo sguardo, ne era causa il suo esteriore animato  dal fuoco dei genio, e non il suo vestito. Più tardi fu fatto il suo ri¬  tratto con la fotografia e colla pittura; la tradizione soltanto ci parla  dèi suo esteriore, quando era nel fiore degli anni virili.   Velia biografia, del laborioso antiquario e storico I. E. Bolline! tro¬  viamo runica menzione fatta del viaggio di Schopenhauer a Roma.  Allora era un'epoca di misticismo per Parte e per la religione della  Germania, epoca che produsse nella storia un Biniseli, nell’arte un  Cornelius ed un Qverbeck. I giovani artisti tedeschi, chiamati dal loro  console ad ornare la di lui villa sul monte Pine io, avevano l'abitudine  di riunirsi quotidianamente con certi poeti e giornalisti nel caffè Greco,  diventato il punto d'incontro per tutti i Tedeschi di Bontà. Il poeta  Ruekert ed il novelliere L, Schefer, ottimisti per professione, frequen¬  tavano allora quella- casa. Molti degli uomini più importanti della Ger¬  mania allora viventi, si trovavano nella eterna città. Schopenhauer,  come gli altri, frequentava il caffè Greco, ma pare che il suo spirito  mefistofelico fosse un elemento disturbatore per i visitatori ordinari  che desideravano che egli si allontanasse* Un giorno egli annunciò alla  società che la nazione tedesca era la più stupida di tutte, ma che era  in un punto a tutte superiore, cioè che era arrivata al pùnto di poter  fare a meno della religione. Questa osservazione suscitò una tempesta  ili disapprovazioni, ed alcune voci gridarono: fuori! alla porta met¬  tetelo fuori ! Dà quel giorno in poi il filosofo evitò il caffè Greco, ina  le sue opinioni sui Tedeschi rimasero inalterate. « La patria tedesca  * in me non si è allevato un patriota », disse un giorno ; e spesso anda¬  va dicendo ai suoi compatì lotti * a Francesi ed a Inglesi che egli si ver-        80    ARTURO SCHOPENHAUER    goigmva di essere Tedesco, piaceli è questo popolo era tanto stupido, a Se  « io pensassi così della mia nazione », rispose un Francese, « almeno  « non lo direi. »   « Questo Schopenhauer è un sala miste) (N&rr) insopportabile »,  scrive Bòhmer. « Questi filosofi antitedeschi ed irreligiosi, dovrebbero  « essere tutti quanti rinchiusi pei bene comune, »   Schopenhauer non menava una vita santa ed ascetica, uè pretese  die gli altri lo credessero. Egli sprezzava le donne; considerava ibi more  sessuale come una delle manifestazioni più caratteristiche della volon¬  tà; tuttavia non era dissoluto. Sospirava con Byron : «Più che vedo  « gli uomini meno mi piacciono; tutto sarebbe bene se potessi dire lo  « stesso delle donne. » Egli differiva dagli uomini ordinari, parlando  di ciò che gli altri sopprimono. I suoi discepoli troppo zelanti die cre¬  devano vedere qualcosa di divino in tutte le sue azioni, trassero alla  luce del giorno anche questi suoi discorsi e quindi attirarono sul mae¬  stro un’imputazione che egli non ha mai meritata. Le idee di Schopen-  haner coincidevano con questa osservazione di Buddha ; « Non v ? è pas-  « sione più potente di quella dei sessi : di fronte a. questa nessun’ultra  «merita d’essere menzionata; se ve ne fosse un'altra di questa forza,  « per la carne non vi sarebbe più salute ! » E di lì nacque senza dub¬  bio il timore di Sdì operili auer « di non poter raggiungere il Nirvana »,  come egli disse con rincrescimento al dottor Grwinner.   In mezzo a questi trastulli leggeri colla bellezza femminile gli  giunse ad un tratto la notizia che V antica ditta di Danzi e a, in cui era  implicata gran parte della sua sostanza e tutta quella di sua madre, era  minacciata di bancarotta. Senza indugio si trasferì in Germania; ia  perdita del suo avere era il male che Schopenhauer temeva maggior-  mente., il male che egli sapeva di poter sopportare più difficilmente,  tenuto calcolo del suo temperamento. Egli non era adatto a guada'  gnarsi il. pane; la sua intelligenza non era di quelle che si possono dare  in affitto. L’indipendenza materiale che egli aveva ereditata gli parve  sempre uno dei più grandi beni della sua vita, dacché s ! era tutto dedi¬  cato a ? suoi studi.   Nei Par erga, sotto il titolo V on (lem was Einer hai , egli scrive :   « Non. istimo indegno della mia penna di raccomandare hi cura  « della fortuna che si è acquistata per lavoro o per eredità. E 5 un van-  « faggio inapprezzabile il possedere fin da principio quanto occorre per  « vivere, sia anche solo e senza famiglia, comodamente ed in vera im.1L  « p e n d e n z a, c 1 o è se iiz a 1 avocar e ; q uè s t o s ta to re n d e huomn esente ed  « immune dalla privazione e quindi dalla servitù universale, sorte ca¬  ie ninne dei mortali. Colui soltanto che dal destino fu favorito in questo  « modo è veramente nato uomo libero, giacché soltanto egli è vwr j.arix,  « padrone del suo tempo e delle sue facoltà e può dire ogni mattina ; il  « giorno è mio. Per questa ragione la differenza tra colui che hn mille        SUA VITA E SUA FILOSOFIA    ai    a scudi d’entrata e colui clie ne La centomila- è molto minore di quella  « che corre tra il primo e colui che non La nulla. La fortuna ereditari si  « acquista un sommo valore, quando cade in mano ad un uomo il quale,   « dotato di capacità intellettuali d’ordine elevato, segue tendenze in-  « compatibili col lavoro pel pane quotidiano. Tale uomo ricevette da!   « destino un doppio corredo e può vivere pel suo genio; ma egli coni¬  ti pensa cento volte il debito contratto verso- V umanità, effettuando cosa  « che nessun altro potrebbe effettuare, e producendo qualcosa pel bene  « ed anzi per V onore comuni, TTn altro in questa condizione privile-  « gìata con tendenze filantropi eh e saprà meritarsi la gratitudine d el¬  ee l’umanità. D’altra parte sarà un pigro spregevole colui che si tro¬  te va in possesso d’ una fortuna ereditaria e non cerca in nessun modo,   « neppure acquistando a fondo qualche scienza, di rendersi utile al-  « r umanità, »   a Questo ora- è riservato al più alto grado di perfezione iute Ilei-  ft tuale che noi al solito chiamiamo genio; il genio solo si occupa escili-  sivamente dell’esistenza e della natura delle cose, per poi esprimere  a i suoi concetti profondi, secondo la propria inclinazione, per mezzo  <* dell’arte, della poesia e della filosofia. Pei uno spirito di questo ge-  « nere il commercio non interrotto con sé stesso, co’ suoi pensieri e colle  « sue opere è un bisogno urgente. Ad esso è cara la. solitudine, e l’ozio  « è il suo bene maggiore; il resto non gli è indispensabile, anzi talvol-  « ta gli è gravoso. Di tal uomo soltanto possiamo dire con ragione che  « abbia in sé stesso il suo punto di gravità. Cosi si spiega perchè queste  « persone tanto rare, anche se hanno il miglior carattere del mondo,  « non mostrano per gli amici, per la famiglia e pel bene comune quella  a -simpatia ardente ed illimitata, di cui dispongono tanti altri; giacche  « dopo tutto possono consolarsi d’ogin cosa finché hanno sé stessi* In  « loro vive un elemento d'isolazione tanto più attivo quanto meno gli  «altri possano dar loro soddisfazione; questi altri uomini, essi non li  « considerano interamente come loro pan; e dal momento che corniti-  « ciano a vedere che tutto a loro è eterogeneo, prendono V abitudine di  « camminare in mezzo agli nomi ni, come se questi fossero esseri da loro  « diversi; nei loro pensieri ne parlano come di terze persone, dicendo:  « essi, loro , e mai noi...   « Tln uomo munito di questa ricchezza interiore non chiede al mon-  « do esterno nulla, all* infuori d'un dono negativo, cioè la libertà di svi-  « lappare e di migliorare le sue facoltà intellettuali, di godere la sua  « ricchezza interiore, vale a dire di essere interamente a sé in ogni gioì■  « no. in ogni ora e durante tutta la sua vita. Quando un uomo è desti-  « nato a lasciare l’impronta del suo intelletto all’intera razza umana,  « egli non può conoscere che una sola gioia, cioè quella di vedere le  « sue facolt-a riconosciute e di trovarsi in grado di compiere l’opera  e sua; oppure un rammarico e cioè d J esserne impedito. Ogni altra, cosa    6 - SCHOPENHAUER        S3    ARTURO SCHOPENHAUER    « è insignificante ; e intatti troviamo clic in tutti i tempi le menti più  *; elevate abbiano pregiato sopra ogni altra cosa E ozio, ed il valore di  « quest'ozio equivale appunto al valore deli-uomo stesso. »   Volentieri Schopenhauer citava questa massima di Mienstone : la  libertà è un cordiale più fortificante del Tokay,   Pieno dei più cupi presentimenti egli si portò con fretta in (xer -  mania, (tra zi e alla sua- energia e alla siili diffidenza d ogni prò Fessio-  nej riuscì a salvare la maggior parte della propria sostanza. Sua in mire  non volle prendere consiglio,, e quando venne la catastrofe finale essa  ed Adele rimasero quasi senza un centesimo,   Questo incidente dimostra die Schopenhauer non era filosofo (/truche  e poco pratico; egli certamente non avrebbe inciampalo, guardando cri  ammirando le stelle ; al genio egli univa il senso pratico, una combina¬  zione molto rara, la cui origine egli faceva risalire a suo padre nego¬  ziante. Ed è questa qualità che fa di Schopenhauer il vero filosofo pei  bisogni d’ogrii giorno, lasciando da parte il -suo pessimismo. Egli aveva  vissuto nel mondo e non era uno di quegli studiosi che vivono rinchiu¬  si nel loro studio ; egli conosceva i bisogni e le richieste del mondo i  suoi aforismi ed assiomi non sono troppo elevati per essere messi in  pratica s oltreché sono esposti in linguaggio chiaro ed intelligibile ed  esprimono spesso le percezioni d’ogni mente che pensa.   Though man a tlilnkmg being is ci e fine d,   Few use thè great prerogative oi minti;   How few thiiik jusUy oì thè tliiriking few;   II ow manv n e ver inmk, who think they do.   Sfortunata incute il loro numero è infinito ed a loro non occorre  nè filosofo, nè poeta, uè artista; ginstinti sono per loro nella vita una  guida sufficiente. 

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