Sebbene questo titolo rimandi a questioni di critica letteraria, e di fatto i risultati della critica leopardiana costituiscano l’oggetto principale da cui muove questo studio, essi saranno presentati e analizzati nelle prossime pagine innanzitutto come un ‘documento’ storico : un documento che forse non ci darà risposte soddisfacenti per comprendere meglio il pensiero leopardiano, ma contribuirà invece alla nostra riflessione sull’iter culturale e ideologico di alcuni intellettuali italiani, tra il 1940 e il 1948. Per affrontare il problema della transizione e tentare di isolare alcuni elementi di continuità e di rottura, il discorso svolgerà un percorso circolare : partendo dal saggio pubblicato da Cesare Luporini nel 1947, Leopardi progressivo, al quale, in un primo momento, si accennerà solo molto brevemente ; seguendo poi un cammino a ritroso per rintracciare l’itinerario e le origini anche abbastanza lontane del dibattito – iniziato sin da prima del Ventennio – da cui trae origine questo testo ; e tornando infine al 1947 e al libro di Luporini, molto noto, anche fuori dalla cerchia degli specialisti di Leopardi, tanto da esser divenuto un ‘classico’ studiato spesso sin dal liceo1. 2 Scrive Sebastiano Timpanaro a proposito del titolo scelto da Luporini : « un titolo che per un vers (...) 3 Si tratta del v. 51 della Ginestra, in G. Leopardi, Poesie e prose, vol. I, Poesie, a cura di M. A. (...) 4 C. Luporini, Leopardi progressivo, cit., p. 64. 2 La scelta dell’aggettivo progressivo, benché avesse un’eco politica particolare nella cultura comunista del primissimo dopoguerra2, era dettata dal richiamo letterario alle « magnifiche sorti e progressive » de La Ginestra di Leopardi3. Ma nella citazione di Luporini l’aggettivo perdeva il sapore amaramente ironico di quel verso leopardiano ed assumeva invece un significato totalmente positivo, per indicare una forma di fiducia nel « generale progresso dell’incivilimento »4 che, secondo il critico, emana dalla lettura complessiva di una poesia come La Ginestra e, forse soprattutto, da un’attenta analisi dello Zibaldone di Leopardi. Questa fiducia non risiede però, per Luporini, nell’individuo, bensì nella moltitudine, ovvero nel popolo e nella sua virtù, e sfocia in una dichiarazione di solidarietà tra gli uomini tutti, contro la natura, per un progresso generale della condizione umana. 3 La vivacità delle reazioni che suscitò il saggio quando fu pubblicato dà una preziosa indicazione di quanto originale e quanto importante fosse l’interpretazione proposta da Luporini. Per illustrare l’accoglienza che ricevette è particolarmente utile la recente testimonianza di Franz Brunetti, che sarebbe poi diventato professore di filosofia e specialista di Galilei, ma che allora era ancora al terzo anno di studi della Scuola normale superiore di Pisa, dove Luporini appunto insegnava. Brunetti ricorda perfettamente il Leopardi progressivo, la cui lettura creò interesse e agitazione fra i normalisti : ne discutevano animatamente nei corridoi, nelle stanze e durante i pasti nella sala da pranzo soprattutto gli italianisti Giulio Bollati, Luigi Blasucci, Dante della Terza, che trascinavano tutti gli altri. Era lecita una definizione politica del poeta ? Era corretta siffatta operazione ideologica ? Non era forse più opportuna una ricomposizione unitaria del pensiero leopardiano […] ? 5 F. Brunetti, Il « nostro » professore Cesare Luporini, in Cesare Luporini 1909-1993, a cura di M. M (...) La discussione, animata e per certi versi lacerante, si protrasse per giorni, riecheggiando sotto le volte dei corridoi nel Palazzo dei Cavalieri. Fu però efficace, perché fece rientrare la sensazione provocatoria del saggio e ricondurre l’elemento ideologico e il « tecnicismo filosofico » nelle giuste dimensioni, sortendo d’altro canto l’effetto di mettere in discussione l’apollineità in cui la critica crociana mirava a rinchiudere la poesia e insieme il poeta. Non è un caso che da quello stesso anno [1948] anche il lavoro critico di Luigi Russo si attestò in una valorizzazione della « politicità » dei poeti, rompendo, proprio lui, il dominante schema crociano. Una pietra gettata nello stagno, una fertile provocazione intellettuale.5 4 Quanto racconta Brunetti è, per molti aspetti, significativo e rappresentativo del clima ideologico e culturale di quegli anni, e della transizione che si sta operando, anche nel piccolo mondo della critica letteraria. 6 C. Luporini, Leopardi progressivo, cit., p. 38 e 92. 7 W. Binni, La nuova poetica leopardiana, Firenze, Sansoni, 1947. Sebbene molto diversi, il testo di (...) 5 Brunetti definisce il testo di Luporini un’« operazione ideologica », in quanto offre una lettura non solo eminentemente politica dell’opera leopardiana, ma una lettura esplicitamente comunista. Luporini vede in Leopardi un « anticipatore di ulteriori dottrine », « fedele ai principi della democrazia rivoluzionaria, anche più avanzata »6. In questo senso, il 1947 segna, col saggio di Luporini – e col saggio altrettanto noto di Walter Binni, La nuova poetica leopardiana, pubblicato lo stesso anno7 – una svolta decisiva nella storia della fortuna leopardiana, inaugurando la proficua stagione della critica leopardiana del secondo Novecento, segnatamente della critica detta marxista. 6 D’altra parte, Brunetti considera che l’opera di Luporini era, nel contesto culturale della seconda metà degli anni Quaranta, una vera e propria « pietra gettata nello stagno » e una « fertile provocazione intellettuale », in quanto rimetteva in questione il « dominante schema crociano ». Con quest’ultima osservazione, Brunetti non rende, tuttavia, conto di quanto fosse recente tale « dominio ». Se è vero, infatti, che il metodo crociano si era imposto nel mondo culturale di quel primissimo dopoguerra, durante tutto il Ventennio e anche durante la guerra esso era stato sì prevalente, ma solo nella cerchia, in realtà abbastanza ristretta, degli intellettuali ostili o estranei al fascismo. Di sicuro non era stato lo « schema dominante » imposto negli studi letterari, nelle riviste, nelle accademie e nelle università dell’Italia fascista. 8 Croce conia la voce « allotrio » per indicare ciò che è estraneo all’estetica, rifacendosi al vocab (...) 9 Per l’influenza di Giovanni Gentile sul mondo culturale in epoca fascista, si veda in particolare G (...) 10 Il ruolo di Vittorio Cian (1862-1951) negli studi letterari del Ventennio e nel periodo di transizi (...) 11 Arturo Marpicati (1891-1961) compie studi di letteratura italiana a Firenze, pubblica alcune raccol (...) 12 Ecco quanto scriveva, ad esempio, Vittorio Cian, nel 1933, rivolgendosi a Croce e ai suoi discepoli (...) 13 Mi sia consentito di rimandare in questa sede a due testi miei, entrambi accessibili in linea : S. (...) 7 In realtà, durante il Ventennio solo una minoranza di critici – pur trattandosi di una minoranza quantitativamente e soprattutto qualitativamente importante – aveva seguito l’idea crociana dell’autonomia dell’arte, e quindi perlopiù evitato di dare una lettura apertamente politica dei testi letterari. Erano relativamente pochi i critici che aderivano al principio secondo cui gli elementi che in un’opera d’arte contengono un messaggio dichiaratamente politico o morale sono « allotri »8, ovvero estranei alla vera poesia del testo, perché non corrispondono allo slancio primo e poetico dell’intuizione estetica. A questi si opponeva la critica di stampo fascista, nelle cui file, ben più folte, troviamo uomini di grande influenza e di grande potere nell’ambiente culturale ed accademico, come un Giovanni Gentile9, un Vittorio Cian10, ma anche un Arturo Marpicati11. Essi contestavano, anche violentemente, la lezione crociana12, mentre rivendicavano, per tutti i testi letterari, la legittimità di una lettura morale, politica, improntata all’attualità. La tendenza ad ‘attualizzare’ il significato delle opere fu portata a tal segno da far loro presentare, talvolta e anzi spesso, i classici della letteratura italiana come precursori del fascismo13. 8 Non era dunque la prima volta che si buttavano pietre nello stagno della critica crociana ; si potrebbe quasi dire, anzi, che non si era fatto altro che buttarvi pietre durante tutto il Ventennio. 14 In realtà, i primi sintomi di « insofferenza » Russo li diede sin dal 1941, mentre scriveva un arti (...) 15 Ibid., p. 4. 9 Perciò, quando Brunetti denuncia « l’apollineità » in cui Croce rinchiude i poeti, e quando ricorda l’itinerario di Luigi Russo – che in quegli anni, dopo esser stato a lungo un fedele discepolo crociano, da Croce prende appunto le distanze14 – egli ci fa intuire non tanto una rottura, quanto una ‘transizione’ interessante. Tra i critici che erano stati antifascisti negli anni Venti e Trenta, molti cominciano, sin dai primissimi anni Quaranta, a maturare un progressivo allontanamento dalla posizione crociana, proprio perché si sentono vincolati da quell’implicito divieto di ‘allotrismo’ che caratterizza la produzione critica crociana, rivendicando la possibilità di considerare « la politicità nascosta » anche nella « grande poesia »15. Arrivati al 1947 o 1948, sembrano ormai giunti al punto di rottura. Ma quel che preme qui sottolineare è che vi è dunque una continuità, non certo nei contenuti politici – affatto diversi – ma potremmo dire nel metodo e nei presupposti teorici ed estetici che vengono opposti a Croce durante e dopo il Ventennio, ovvero nella comune rivendicazione ‘allotrica’. 10 Il testo di Luporini segna senz’altro una svolta nella fortuna critica di Leopardi nel Novecento, quando lo si studia come punto di partenza di una tradizione critica, e in questo modo esso viene generalmente e giustamente valutato. L’intento di questo lavoro sarà invece di considerarlo come punto di approdo problematico di un’altra tradizione critica, non posteriore ma anteriore, vigente nel Ventennio e di stampo generalmente fascista, con cui il testo di Luporini, nonostante le fondamentali differenze, ha in comune almeno due aspetti essenziali. Il primo è appunto l’opposizione all’estetica crociana che è già stata evocata e che potrebbe, senz’altro, esser estesa a gran parte della critica letteraria, non trattandosi di una specificità leopardiana ; il secondo è l’idea – sulla quale verterà più precisamente questo studio – di un fondamentale ottimismo leopardiano. Ora, una certa paternità del tema dell’ottimismo leopardiano, così come lo sviluppa Luporini, può essere attribuita a Giovanni Gentile e ad un suo saggio sulle Operette morali di Leopardi, scritto nel 1916. Questo, invece, è un discorso specifico, valido per la sola critica leopardiana. 11 L’ipotesi di una continuità tra l’interpretazione che Luporini dà di Leopardi nel 1947 e la produzione critica degli anni Venti e Trenta, con una comune opposizione a Croce, ma anche una comune matrice – almeno parziale – gentiliana, è convalidata sia dall’analisi dei testi, come vedremo, che dalla stessa biografia di Luporini e da quanto lui stesso racconta della propria esperienza. La vicenda umana, ideologica e culturale di Luporini in quel decennio che va dalla seconda metà degli anni Trenta alla fine degli anni Quaranta è, per molti aspetti, emblematica proprio di quel profilo di intellettuale nella transizione tra fascismo e Repubblica. 16 C. Luporini, Critica e metafisica nella filosofia kantiana, « Rendiconti della Reale Accademia Nazi (...) 17 Il testo faceva parte di un volume scritto dai docenti del liceo dove Luporini insegnava, in occasi (...) 18 Nella sua autobiografia, Norberto Bobbio cita un disegno di Renato Guttuso che illustra una delle p (...) 19 C. Luporini, Qualcosa di me stesso (25 maggio 1979), in Cesare Luporini 1909-1993, cit., p. 239. Qu (...) 12 Cesare Luporini (1909-1993) si è laureato a Firenze nel 1935, dopo aver studiato anche in Germania, dove fu in contatto con Heidegger e Hartmann. La sua tesi di filosofia su Kant, d’impostazione esistenzialistica, è letta e molto apprezzata da Gentile, il quale decide di presentarla, nel febbraio del 1935, all’Accademia dei Lincei di cui era socio16. Dopo aver conseguito la laurea, Luporini insegna al liceo, prima a Livorno, dove pubblica un primo testo su Leopardi, di cui dà un’interpretazione esistenzialistica e la cui impostazione reca già segni evidenti di anticrocianesimo17. Nel 1938 torna a Firenze ed entra a far parte del movimento liberalsocialista di Aldo Capitini e Guido Calogero, nel quale frequenta anche Norberto Bobbio, Renato Guttuso e Umberto Morra18. Nel 1939 Gentile lo chiama alla Scuola Normale Superiore di Pisa, dove era disponibile un posto di lettore di tedesco. C’era, tra Gentile e Luporini, un rapporto che Luporini stesso ebbe a definire « di grande franchezza politica », sin dal 1937, quando i due uomini si conobbero meglio, e fino alla morte di Gentile, avvenuta nel 194419. Luporini non aveva approvato la decisione del movimento liberalsocialista di confluire nel Partito d’Azione e si era perciò ritirato nel 1942, per aderire invece, nell’agosto del 1943, al Partito Comunista. Luporini si trovava quindi agli esatti antipodi politici di Gentile : eppure egli stesso racconta di come avesse tentato, nel 1943, di convincerlo ad abbandonare la Repubblica di Salò e avesse anche creduto di riuscire nel suo intento, definendo « tragica » ma anche « consapevole » la sua fine : 20 Ibid., p. 240. Non mi soffermerò sull’ultima fase di Gentile, tragica. Ricordo solo che, certo illusoriamente, cercai di persuaderlo a che si tirasse fuori dal fascismo, nel frattempo divenuto la Repubblica di Salò. Nel novembre del ’43, al Salviatino, dove abitava, ebbi con lui un incontro che non finiva mai, perché non riuscivo a rimanere solo con lui. Quando ce la feci, lo misi al corrente di quello che stava succedendo, dandogli delle notizie che evidentemente non gli davano le autorità fasciste – era stato anche ucciso uno del suo entourage – mentre io le avevo dalla rete clandestina in cui mi trovavo. Me ne uscii con la sensazione che forse qualcosa avevo ottenuto. Invece, non era così : due giorni dopo, venne fuori che il ministro Biggini s’era recato lì, al Salviatino, per offrirgli la presidenza dell’Accademia d’Italia, e che Gentile aveva accettato (ma, quand’ero stato da lui, non me l’aveva detto). E così s’avviò verso un destino di cui in qualche modo aveva consapevolezza.20 13 Poche settimane dopo quest’episodio, Gentile propone a Luporini di diventare bibliotecario dell’Accademia d’Italia. Ma Luporini rifiuta, sancendo così la fine del suo rapporto con Gentile : un rapporto che, nella nostra prospettiva, è senz’altro importante e che invece è stato quasi integralmente passato sotto silenzio. In realtà, di Luporini si ricorda soprattutto l’attività posteriore al 1945, in particolare quella che svolse come co-fondatore – con Bianchi Bandinelli – della rivista “Società”, e in seguito come direttore della stessa. La storia di questa rivista illustra l’evoluzione di molti intellettuali di sinistra dopo la Liberazione, proprio per il vincolo che venne rapidamente a crearsi col partito comunista. Parlando di « Società » e dei suoi intenti programmatici, Luporini dichiara nel 1979 che per lui, l’idea principale era 21 Ibid., p. 244. d’una saldatura fra quella cultura degli anni trenta di cui ho parlato – quella rottura con il passato che eravamo venuti preparando lentamente, modestamente, molecolarmente – e la cultura di quelli che venivano da fuori, soprattutto i dirigenti comunisti, e segnatamente Togliatti. Perciò, non ero d’accordo con Vittorini, con la sua idea, nel « Politecnico » d’una « nuova cultura ». I contenuti li avevamo in comune, più o meno ; però io ero per un continuismo, non assoluto, naturalmente, ma rispetto a quel che ho detto.21 22 Ibid., p. 241. 14 Per illustrare meglio le forme di questo « continuismo », bisogna rifarsi alle pagine che precedono questa citazione, in cui Luporini descrive l’ambiente culturale della Firenze degli anni Trenta e il gruppo di intellettuali antifascisti che vi frequentava. Luporini dichiara in quest’occasione che « da un certo punto di vista la vera dittatura era proprio quella idealistica » e che, nel campo specifico della letteratura e della storiografia, l’idealismo « dittatoriale » era forse più crociano che non gentiliano22. Continua poi la narrazione del proprio iterintellettuale, negli anni Trenta e Quaranta, che Luporini descrive come un percorso che consta di due tappe fondamentali, due svolte, anzi due transizioni. La prima avviene negli anni Trenta, quando Luporini prende le distanze dall’idealismo crociano e scopre l’esistenzialismo ; la seconda, negli anni Quaranta, quando dall’esistenzialismo Luporini si sposta verso posizioni marxiste. 15 Questi pochi elementi biografici offrono due spunti notevoli per l’analisi della produzione di Luporini. In primo luogo, il rapporto personale più approfondito che Luporini aveva con Gentile e non con Croce induce a riconsiderare l’influenza dell’uno e dell’altro sulla sua prima formazione, da giovane studente e studioso di filosofia e di letteratura. In secondo luogo, nell’esprimere a posteriori il programma della sua rivista « Società », Luporini formula una precisa volontà culturale ed ideologica propria di quel periodo di transizione, che consiste nel superare l’idealismo crociano e nel consentire una forma di « continuismo » tra una certa cultura anticrociana degli anni Trenta e quella degli anni Quaranta. Applicati alla critica leopardiana del dopoguerra, questi due elementi dimostrano quanto fosse complessa e problematica l’eredità della critica fascista e della critica idealista. 23 C. Luporini, Con Heidegger 1931-1933. Alcune riflessioni, oggi, tra filosofia e politica, in Heideg (...) 24 G. Gentile, Manzoni e Leopardi (1928), in Opere, vol. XXIV, Firenze, Sansoni, 1960. 16 Leopardi, d’altronde, offre una prospettiva privilegiata per analizzare il rapporto tra Croce, Gentile e Luporini. Era il poeta prediletto di Luporini : « Leopardi è stato sempre il mio autore », dichiarava Luporini nel 198923, e come tale, egli continuò a leggerlo e a rileggerlo da un capo all’altro della sua vita. Ma era anche un poeta molto amato da Gentile – benché numerose e importanti fossero le differenze tra il materialismo dell’uno e l’attualismo dell’altro – e la costanza del suo interesse per Leopardi ci è testimoniata dalla regolarità con la quale il filosofo siciliano pubblicò per più di trent’anni, tra il 1907 e il 1938, testi sul pensiero e sulla poesia di Leopardi, poi raccolti in un unico volume24. D’altro canto, invece, Leopardi non è stato un autore particolarmente apprezzato né compreso da Croce. Citiamo qui l’allegro commento di uno studioso che era stato suo discepolo, Vincenzo Gerace, e che nel 1929 dichiarava : 25 V. Gerace, Leopardiana, in La tradizione e la moderna barbarie. Prose critiche e filosofiche, Folig (...) Croce non ama Leopardi. Non può amarlo. Gli dà forte sui filosofici nervi. Gli è d’impaccio al teorico passo, uso a scalciare stizzoso, ovunque lo trovi, quel terribile nemico della sua teoria estetica : l’intellettualismo e il moralismo nel mondo dell’arte. Or se c’è un intellettualista e un moralista convinto e di altissimo stile nella storia della nostra poesia, e tenace in teorie e in fatti, questi è Leopardi.25 26 B. Croce, Leopardi in Poesia e non poesia, Bari, Laterza, 1923, pp. 103-119. 27 Ibid., p. 107. 17 Gerace allude qui senz’altro al celebre testo che Croce pubblica dapprima su « La Critica » e poi nel volume Poesia e non poesia del 192326. La principale critica che Croce rivolge alla poesia di Leopardi è di esser intrisa di elementi allotri, di momenti meditativi, filosofici, polemici, che sono, per il critico idealista, profondamente estranei alla pura ispirazione e intuizione poetica. Come tali, Croce non li considera veramente poetici, tanto che, nel suo esame complessivo dei versi leopardiani, egli considera che solo un numero relativamente ridotto corrisponda alla sua definizione di poesia. Croce non emette riserve unicamente sulla poesia di Leopardi, ma ne esprime di ancora più forti sul valore della sua filosofia. Per Croce, il pensiero leopardiano è dettato innanzitutto dal sentimento, anzi dal risentimento per una « vita strozzata », ed è dunque troppo soggettivo per essere considerato un pensiero filosofico universale. In questa prospettiva, Croce interpreta il pessimismo o ottimismo di Leopardi come un indizio dell’origine prettamente sentimentale del suo pensiero, e quindi come una prova della sua pochezza concettuale : « La filosofia », afferma Croce, « in quanto pessimistica o ottimistica è sempre intrinsecamente pseudo-filosofia, filosofia a uso privato »27. 28 I due testi si trovano oggi nel volume di G. Gentile, Manzoni e Leopardi, cit. Il primo, Le Operett (...) 29 Ibid., p. 164 30 Ibid., p. 163. 18 In queste pagine, Croce sta in realtà dialogando con colui che era, da molti anni ma per pochi mesi ormai, un amico ed un collaboratore, Giovanni Gentile, il quale aveva pubblicato, nel 1916 e nel 1919 due saggi – il primo sulle Operette morali, il secondo intitolato Prosa e poesia nel Leopardi – decisivi per la questione della filosofia pessimistica o ottimistica di Leopardi28. Anche Gentile, come Croce, giudica severamente la qualità filosofica del pensiero leopardiano, dichiarando che « se cerchiamo in lui il filosofo, avremo lo scettico, ironista, materialista piuttosto mediocre nell’invenzione »29. Gentile formula, tuttavia, un’interpretazione ben diversa, molto più feconda ed originale, della questione del pessimismo o ottimismo di Leopardi. Senza negare del tutto il suo pessimismo, Gentile lo ridimensiona attribuendolo storicamente e concettualmente alla sola influenza della filosofia materialista, direttamente ereditata dai Lumi. Si tratta quindi di un « pessimismo della ragione » settecentesca, che Gentile giudica, tutto sommato, superficiale e poco originale, e al quale oppone invece un « ottimismo del cuore », profondamente radicato nell’animo leopardiano. Così scrive nel 1919 : « Il Leopardi, pessimista di filosofia, e quasi alla superficie, fu invece ottimista di cuore, e nel profondo dell’animo : tanto più acutamente pessimista col progresso della riflessione, e tanto più altamente e umanamente ottimista »30. 31 Vi è, nello Zibaldone, un’unica occorrenza del termine « ultrafilosofia », come vi è, del resto, un (...) 32 Ricordiamo, a tale proposito, il giudizio formulato da Augusto Del Noce, secondo cui Gentile « sent (...) 33 F. Pasini, Tutto il pessimismo leopardiano, Parenzo, Coanna, 1928, p. 5. 19 Gentile dà particolare rilievo alla tesi di un’ultrafilosofialeopardiana31, supponendo l’esistenza di una sorta di pensiero leopardiano oltre la filosofia pessimistica e materialistica : un pensiero più autentico, perché più intimamente poetico, più spirituale e quindi, per Gentile, più leopardiano32. La rivalutazione gentiliana delle Operette morali e l’interpretazione in chiave ottimistica del pensiero leopardiano segnano un momento importante nella storia della critica, avviando un nuovo filone esegetico che gode di particolare successo durante il Ventennio. Si assiste allora, come nota un critico nel 1928, ad un « capovolgimento, del punto di vista dal quale si usava considerare Leopardi » : da « poeta del pessimismo » che era « per tutti », Leopardi « è diventato il poeta dell’ottimismo »33. 34 F. De Sanctis, Schopenhauer e Leopardi, in Scritti critici e Ricordi, Torino, Utet, 1986, p. 159. 35 Per una presentazione dei testi, dei contenuti e degli autori di questa particolare produzione crit (...) 20 Sin dall’Ottocento, De Sanctis aveva esaltato l’effettopositivo prodotto dalla lettura della poesia leopardiana, dichiarando che « Leopardi produce l’effetto contrario a quello che si propone. Non crede al progresso, e te lo fa desiderare ; non crede alla libertà, e te la fa amare »34. Negli anni Venti e Trenta, tuttavia, l’intento della critica leopardiana è rivelare elementi intrinsecamente positivi ed ottimistici, non nell’effetto prodotto sui lettori, ma alla matrice stessa del pensiero leopardiano. L’opposizione proposta da Gentile nel 1919, tra un pessimismo della ragione ed un ottimismo del cuore viene ampliamente ripresa e riesplorata, dando adito a tutta una serie di interpretazioni che potremmo definire irrazionali e fideistiche. Oltre il pessimismo materialista, oltre il razionalismo disperato, la cui importanza viene sistematicamente sminuita, molti critici cercano ed esaltano lo slancio ottimistico della fede leopardiana : fede nella poesia, ma anche e spesso soprattutto fede nella patria e nella stirpe italiana. In questo senso potremmo interpretare alcune letture mistiche che vengono date di Leopardi e del suo pensiero negli anni Trenta soprattutto35. 36 S. Lanfranchi, De centenaire en centenaire. L’Italie fasciste célèbre ses poètes (Foscolo 1927, Leo (...) 21 Non è certo questo il luogo per analizzare questa produzione, vasta seppur povera di elementi filologici e critici realmente nuovi. Ai fini del nostro discorso, preme tuttavia osservare che un argomento ricorre sovente tra questi testi, che consiste nel dare una spiegazione prettamente contestuale e storica al pessimismo di Leopardi, negandogli di fatto un valore universale. Il motivo fondamentale del pessimismo leopardiano è, per la critica di stampo fascista degli anni Venti e Trenta, di natura politica, anzi patriottica. Morto nel 1837, Leopardi non ha assistito né agli albori del Risorgimento, né alla prima guerra mondiale, né tanto meno alla marcia su Roma : se invece fosse stato spettatore e attore di tali avvenimenti, egli – assicurano tali critici – non sarebbe stato pessimista. Questo argomento costituisce un vero e proprio topos oratorio, ripetuto centinaia di volte in occasione dei discorsi ufficiali e delle commemorazioni del Ventennio, poiché, nonostante sia fondato su un anacronismo e quindi scientificamente non abbia alcun valore, la sua efficacia retorica è notevole. E segnatamente lo si trova nel 1937, quando, in occasione del centenario della morte, il regime organizzò, spesso controllandoli e canalizzandoli, tutta una serie di festeggiamenti ufficiali, in cui Leopardi veniva molto spesso presentato come un precursore del fascismo36. 22 Vi furono però alcune celebrazioni che riuscirono a rimanere in margine delle commemorazioni ufficiali e quindi a garantire una certa libertà di espressione rispetto alla produzione su Leopardi. Tra queste, troviamo l’annuario di un liceo livornese, che nel 1938 pubblicò un numero speciale con vari studi consacrati a Leopardi. Il secondo, intitolato Il pensiero di Leopardi, era proprio il testo di Cesare Luporini, che in quel liceo appunto insegnava filosofia. In questo saggio, l’intento primo di Luporini non è solo di presentare un Leopardi esistenzialista, ma anche e forse soprattutto di contestare la posizione dell’idealismo, sia crociano che gentiliano, rivendicando innanzitutto il valore filosofico del pensiero leopardiano e quindi anche del suo pessimismo. Luporini non esita a metterlo a confronto con i maggiori filosofi dell’Occidente : 37 C. Luporini, Il pensiero di Leopardi, cit., p. 68. Tra il pessimismo del Pascal, ultima grandiosa affermazione del medioevo religioso e il pessimismo del Leopardi, c’è l’età dell’illuminismo nei suoi ideali più alti, c’è Cartesio e Kant (che pur Leopardi non conosceva), c’è insomma il pensiero moderno che fonda tutto il valore dell’uomo nella sua dignità morale e questa sua dignità morale nella verità che egli ha raggiunto colle proprie forze, rivelata alla sua ragione.37 38 Secondo Sebastiano Timpanaro : « L’esperienza esistenzialistica [Luporini] se l’era ormai lasciata (...) 39 C. Luporini, Leopardi progressivo, cit., p. 97. 40 Ibid., pp. 101-102. 23 Sarebbe opportuno comprendere se vi siano elementi comuni tra i due testi di Luporini su Leopardi, scritti a distanza di dieci e decisivi anni. Sussistono poche tracce del Leopardi esistenzialista del 1938 nel Leopardi progressivo del 194738. Un lascito più evidente consiste invece nella condanna duratura e permanente di Croce – di cui Luporini cita esplicitamente « l’infelice giudizio » su Leopardi39. Per Luporini, non solo la poesia di Leopardi è sempre vera poesia, ma anche il suo pensiero, potremmo dire, è vero pensiero, vera filosofia. Leopardi, dice Luporini nel 1947, « fu un pensatore progressivo ; in certo modo, dentro i limiti della sua funzione di moralista, di non-tecnico della filosofia né di alcuna disciplina particolare, il più progressivo che abbia avuto l’Italia nel xix sec. »40. 24 L’interpretazione data da Gentile – che invece Luporini nel suo testo non cita mai – e la stagione di studi sul Leopardi ottimistico che essa inaugurò per il Ventennio fascista lasciano invece dietro di sé, e sul saggio di Luporini in particolare, un’eredità molto più complessa da cogliere e da valutare. Nell’insistere sul materialismo del pensiero leopardiano, Luporini intendeva senz’altro opporsi alla lettura idealistica e spirituale di Gentile. È inoltre significativa la scelta di Luporini, che non parla di un Leopardi ottimista, ma progressivo, rifacendosi perciò ad un lessico di tutt’altra connotazione ideologica. Vi sono, tuttavia, anche alcuni elementi di continuità, e ci soffermeremo brevemente su tre di questi. 41 Ibid., pp. 49 e 69. 42 S. Timpanaro, Classicismo e illuminismo, cit., p. 180. 25 Il primo sta nell’origine contestuale e storica che Luporini attribuisce al pessimismo leopardiano, il quale deriva, secondo lui, da una delusione storica : la delusione della Rivoluzione francese. « Questa delusione – scrive Luporini – non spiega solo il pessimismo storico di Leopardi, ma il suo successivo e rapido ‘pessimismo cosmico’ ; ossia spiega tutto il pensiero leopardiano. I due pessimismi nascono da un unico germe, appartengono a un unico processo di pensiero »41. Nel 1965, esprimendo un giudizio complessivamente molto positivo sul testo di Luporini, Sebastiano Timpanaro emette la principale sua riserva proprio su questa interpretazione, che giudica insufficiente in quanto non rende conto del « valore permanente del pessimismo leopardiano »42. Nella nostra prospettiva, è importante notare che la spiegazione storica, benché usasse altri mezzi e perseguisse altri fini, era già usata in modo sistematico dalla critica fascista, escludendo a priori l’idea di un pessimismo non fondato sulla storia, ma sulla condizione umana in senso universale e astorico. 43 C. Luporini, Leopardi progressivo, cit., p. 50. 44 Ibid., p. 60. 26 Il secondo elemento di continuità sta nel giudizio, proprio di Luporini ma anche della critica fascista, secondo cui nonostante il pessimismo scaturito dalla delusione storica, vi fosse in Leopardi una “inconcussa e nascosta fede”43, qualcosa che lo induceva comunque a sperare. Come Gentile, anche Luporini dà un notevole rilievo a quell’unica occorrenza del termine « ultrafilosofia » nello Zibaldone, ma le attribruisce contenuti affatto diversi perché in essa « sembra condensarsi la “disperata speranza” dell’individuo Leopardi »44. 45 Ibid., p. 38. Timpanaro considera che non era « accettabile » il « rimprovero » mosso a Luporini, d (...) 27 Il terzo ed ultimo elemento di continuità, tra il testo di Luporini e la produzione critica del Ventennio, sta infine nel presentare Leopardi quale un « anticipatore di ulteriori dottrine »45. In entrambi i casi, Leopardi diventa precursore politico di un’ideologia del Novecento e, in entrambi i casi, diventa precursore di un’ideologia strutturalmente ottimistica. L’ottimismo era, infatti, un aspetto culturale e ideologico programmatico per il fascismo ma, d’altra parte, il progresso – e quindi la visione ottimistica del divenire umano che lo sottende – è a sua volta un perno essenziale dell’ideologia comunista. 46 C. Luporini, Leopardi moderno, intervista a cura di F. Adornato, « L’Espresso », 1°marzo 1987, p. 1 (...) 28 Su questo punto vorremmo abbozzare le nostre prime rapide conclusioni. Parallelamente al discorso critico più tradizionale e canonico, che sin dall’Ottocento va definendo le varie fasi del pessimismo leopardiano, si possono rintracciare nel Novecento le tappe di elaborazione del mito di un Leopardi ottimista : un mito che forse proprio durante il Ventennio conosce la maggiore diffusione, ma che non muore con la caduta del regime fascista. Il suo permanere, sotto forme diverse, è forse proprio dovuto al vincolo che lo unisce ad ideologie strutturalmente ottimistiche, le quali, quando designano nel Leopardi un precursore, lo « piegano » naturalmente in questo senso. Alla luce di queste considerazioni, assumono un significato particolare le parole che pronuncia lo stesso Luporini, in un altro periodo di transizione, alla fine degli anni Ottanta, davanti al crollo del regime comunista e davanti alla crisi di quest’altra ideologia novecentesca. Non a caso, Luporini ritorna allora a studiare Leopardi, per trovarvi l’espressione del suo sgomento : « Il sapersi soli di fronte alla storia, senza speranze – senza nessuna garanzia, senza nessuna ideologia, senza nessuna consolazione »46. Siamo molto lontani dal messaggio ottimistico del Leopardi progressivo, e rimane poco delle antiche speranze (di Luporini). Rimane però quello stesso amore per Leopardi, e quel sentimento della sua ‘attualità’ più pregnante : 47 Ibid. Nella nostra epoca così confusa e in fase di assestamento, nella crisi di tutte le categorie con le quali ci siamo mossi finora, questa mi sembra un’idea liberatoria. Si può, anzi si deve, essere disillusi : ma non per questo inerti e rassegnati. Essere nichilisti e insieme attivi : ecco l’attualissimo messaggio di Leopardi.47Débat Inizio pagina NOTE 1 Il testo Leopardi progressivo fu pubblicato per la prima volta nel volume Filosofi vecchi e nuovi : Scheler-Hegel-Kant-Fichte-Leopardi, Sansoni, Firenze, 1947. Come Luporini scrive in un’avvertenza ad una nuova edizione, datata del febbraio 1980, « questo Leopardi progressivoebbe subito una sua risonanza particolare, così che poi, nel corso di tutti questi anni, molte volte sono stato sollecitato a ripubblicarlo in edizione separata. Questa domanda proveniva da varie parti, ma soprattutto dal mondo della scuola (insegnanti e studenti), il che mi ha sempre fatto particolare piacere » (C. Luporini, Avvertenze dal 1980 al 1992, in Id., Leopardi progressivo, Roma, Editori Riuniti, 2006, p. ix). 2 Scrive Sebastiano Timpanaro a proposito del titolo scelto da Luporini : « un titolo che per un verso alludeva polemicamente alle “magnifiche sorti e progressive” derise nella Ginestra (volendo indicare che il Leopardi, nemico del falso progresso borghese-moderato, mirava ad un progresso molto più radicale, al di là dell’orizzonte politico della propria epoca e del proprio ambiente), per un altro accoglieva quell’accezione un po’ sottile e non immune da ambiguità che questo aggettivo ebbe per alcuni anni nel linguaggio politico italiano : non equivalente a “progressista” (che sapeva troppo di radicalismo borghese), ma piuttosto a “democratico avanzato”, di una democrazia destinata, senza rivoluzione, a sfociare nel socialismo. Gli equivoci politici di quest’uso di “progressivo” ne causarono la rarefazione e poi la scomparsa quando era ancora in vita Togliatti, che ne era stato, se non l’inventore, certo il massimo diffusore attraverso la formula della “democrazia progressiva” » (S. Timpanaro, Antileopardiani e neomoderati nella sinistra italiana, Pisa, ETS, 1982, p. 150). 3 Si tratta del v. 51 della Ginestra, in G. Leopardi, Poesie e prose, vol. I, Poesie, a cura di M. A. Rigoni, con un saggio di C. Galimberti, Milano, Mondadori (I Meridiani), 1987, p. 125. 4 C. Luporini, Leopardi progressivo, cit., p. 64. 5 F. Brunetti, Il « nostro » professore Cesare Luporini, in Cesare Luporini 1909-1993, a cura di M. Moneti, numero speciale della rivista « Il Ponte », LXV, 11, 2009, p. 60. 6 C. Luporini, Leopardi progressivo, cit., p. 38 e 92. 7 W. Binni, La nuova poetica leopardiana, Firenze, Sansoni, 1947. Sebbene molto diversi, il testo di Luporini e quello di Binni hanno in comune l’originalità dell’impostazione critica, che contribuì a rinnovare gli studi leopardiani nel dopoguerra. La migliore illustrazione e analisi di tale svolta critica si trova forse ancora nelle pagine, ormai non più recenti, di S. Timpanaro, Classicismo e illuminismo nell’Ottocento italiano, Pisa, Nistri Lischi, 1965, p. 133-137. 8 Croce conia la voce « allotrio » per indicare ciò che è estraneo all’estetica, rifacendosi al vocabolario filosofico tedesco dell’Ottocento, e al greco ἀλλóτριος, che signifca « estraneo, altrui ». 9 Per l’influenza di Giovanni Gentile sul mondo culturale in epoca fascista, si veda in particolare G. Turi, Giovanni Gentile : una biografia, Firenze, Giunti, 1996. 10 Il ruolo di Vittorio Cian (1862-1951) negli studi letterari del Ventennio e nel periodo di transizione è stato recentemente studiato da Clara Allasia in una serie di lavori, tra cui « Il virus malefico » dell’ideologia nazionale e le illusioni di un « maestro di metodo » : Vittorio Cian, in Fascisme et critique littéraire. Les hommes, les idées, les institutions, a cura di C. Del Vento e X. Tabet, vol. II, Caen, PUC (Transalpina 13), pp. 33-60. 11 Arturo Marpicati (1891-1961) compie studi di letteratura italiana a Firenze, pubblica alcune raccolte di poesie e vari testi di critica letteraria. Ma sin dalla prima guerra mondiale mette da parte l’attività letteraria – alla quale si consacra solo sporadicamente – per dedicarsi invece alla politica, dapprima a Fiume, poi nella militanza e nel regime fascisti. Assume vari incarichi prestigiosi, tra cui quello di Cancelliere dell’Accademia d’Italia dal 1929, poi di direttore, nel 1930, dell’Istituto nazionale di cultura fascista, e anche di vice segretario del Partito Nazionale Fascista dal 1931 al 1934. 12 Ecco quanto scriveva, ad esempio, Vittorio Cian, nel 1933, rivolgendosi a Croce e ai suoi discepoli : « Questi cerebrali, più o meno giovini, chierici sterili e sterilizzatori, officianti nella Cappella all’insegna dello Spegnitoio, dovrebbero ormai decidersi. O smetterla, rassegnandosi a tacere e a sparire dalla scena letteraria – e sarebbe tanto di guadagnato – oppure mettersi al passo coi tempi nuovi » (V. Cian, Rassegna bibliografica, « Giornale Storico della letteratura italiana », LI, 102, 1933, p. 120). 13 Mi sia consentito di rimandare in questa sede a due testi miei, entrambi accessibili in linea : S. Lanfranchi, La recherche des précurseurs, Lectures critiques et scolaires de Vittorio Alfieri, Ugo Foscolo et Giacomo Leopardi dans l’Italie fasciste, 2008 [http://tel.archives-ouvertes.fr/docs/00/37/21/89/PDF/theseversion7-12-08.pdf] ; Id., « Verrà un dì l’Italia vera », Poesia e profezia dell’Italia futura nel giudizio fascista, « California Italian Studies », II, 1, 2011 [http://escholarship.org/uc/ismrg_cisj], consultato in data 9 marzo 2012. 14 In realtà, i primi sintomi di « insofferenza » Russo li diede sin dal 1941, mentre scriveva un articolo sulla critica foscoliana recente, nel quale rivendicava la « politicità » di un testo come Le Grazie e la legittimità di una lettura che non si attenesse ad un’analisi strettamente letteraria, estetica e formale. Questo esempio viene a dimostrare quanto detto subito dopo nel nostro studio, ovvero l’ipotesi di un allontanamento progressivo dalle posizioni crociane durante gli anni Quaranta, che nel 1947-1948 giunge a compimento (L. Russo, Le Grazie di Foscolo e la critica contemporanea, « Italia che scrive », XXIV, 2, 1941, pp. 3-4). 15 Ibid., p. 4. 16 C. Luporini, Critica e metafisica nella filosofia kantiana, « Rendiconti della Reale Accademia Nazionale dei Lincei. Classe di Scienze morali, storiche e filologiche », s. VI, XI, 1935, pp. 87-115. 17 Il testo faceva parte di un volume scritto dai docenti del liceo dove Luporini insegnava, in occasione del centenario della morte di Leopardi, nel 1937 : C. Luporini, Il pensiero di Leopardi, in Studi su Leopardi, Livorno, Belfronte e C., 1938 (Pubblicazioni del R. Liceo Scientifico « Costanzo Ciano », 1), pp. 41-69. 18 Nella sua autobiografia, Norberto Bobbio cita un disegno di Renato Guttuso che illustra una delle prime riunioni clandestine del movimento, riunito nella villa di Umberto Morra, vicino a Cortona, nel 1939. Vi si vedono Bobbio, Luporini, Capitini (con davanti a sé un testo che porta la scritta « Non violenza »), Morra, lo stesso Guttuso e Calogero (con un altro testo intitolato invece « Liberalismo sociale ») (N. Bobbio, Autobiografia, Roma-Bari, Laterza, 1997, pp. 41 e 172). 19 C. Luporini, Qualcosa di me stesso (25 maggio 1979), in Cesare Luporini 1909-1993, cit., p. 239. Questo testo è la trascrizione « dell’ultima lezione tenuta, dall’autore, nella Facoltà di Lettere di Firenze, al momento dell’andata fuori ruolo » (ibid., p. 233). 20 Ibid., p. 240. 21 Ibid., p. 244. 22 Ibid., p. 241. 23 C. Luporini, Con Heidegger 1931-1933. Alcune riflessioni, oggi, tra filosofia e politica, in Heidegger in discussione, Atti del Convegno internazionale « L’eredità di Heidegger », Roma, 29-31 maggio 1989, a cura di F. Bianco, Milano, Franco Angeli, 1992, p. 39. 24 G. Gentile, Manzoni e Leopardi (1928), in Opere, vol. XXIV, Firenze, Sansoni, 1960. 25 V. Gerace, Leopardiana, in La tradizione e la moderna barbarie. Prose critiche e filosofiche, Foligno, Franco Campitelli Editore, 1929, p. 194. 26 B. Croce, Leopardi in Poesia e non poesia, Bari, Laterza, 1923, pp. 103-119. 27 Ibid., p. 107. 28 I due testi si trovano oggi nel volume di G. Gentile, Manzoni e Leopardi, cit. Il primo, Le Operette morali, fu pubblicato per la prima volta in « Annali delle Università toscane », XXXV (1916), poi come proemio di un’edizione delle Operette morali curata da Gentile nel 1918 (G. Leopardi, Operette morali, con proemio e note di G. Gentile, Bologna, Zanichelli, 1918) ; il secondo, Prosa e poesia nel Leopardi, fu invece pubblicato, dal febbraio al marzo del 1919, nel « Messaggero della domenica ». 29 Ibid., p. 164 30 Ibid., p. 163. 31 Vi è, nello Zibaldone, un’unica occorrenza del termine « ultrafilosofia », come vi è, del resto, una sola occorrenza del termine « pessimismo », ma nella critica leopardiana questi due hapax hanno goduto di grandissimo successo. Il 7 Giugno 1820, Leopardi scriveva : « E un popolo di filosofi sarebbe il più piccolo e codardo del mondo. Perciò la nostra rigenerazione dipende da una, per così dire, ultrafilosofia, che conoscendo l’intiero e l’intimo delle cose, ci ravvicini alla natura. E questo dovrebb’essere il frutto dei lumi straordinari di questo secolo » (p. 115 del manoscritto dello Zibaldone). 32 Ricordiamo, a tale proposito, il giudizio formulato da Augusto Del Noce, secondo cui Gentile « sentì se stesso come il filosofo di Leopardi, come il suo vero continuatore perché l’attualismo avrebbe realizzato quell’ultrafilosofia a cui Leopardi aspirava » : A. Del Noce, Giovanni Gentile : per una interpretazione filosofica della storia contemporanea, Bologna, Il Mulino, 1990, p. 134. 33 F. Pasini, Tutto il pessimismo leopardiano, Parenzo, Coanna, 1928, p. 5. 34 F. De Sanctis, Schopenhauer e Leopardi, in Scritti critici e Ricordi, Torino, Utet, 1986, p. 159. 35 Per una presentazione dei testi, dei contenuti e degli autori di questa particolare produzione critica leopardiana, oggi poco nota, rimando alla mia già citata tesi di dottorato (S. Lanfranchi, La recherche des précurseurs, cit., in particolare le pp. 171-180). 36 S. Lanfranchi, De centenaire en centenaire. L’Italie fasciste célèbre ses poètes (Foscolo 1927, Leopardi 1937), in Fascisme et critique littéraire, cit., vol. I, Caen, PUC, 2009 (Transalpina 12), pp. 115-126. 37 C. Luporini, Il pensiero di Leopardi, cit., p. 68. 38 Secondo Sebastiano Timpanaro : « L’esperienza esistenzialistica [Luporini] se l’era ormai lasciata decisamente alle spalle ; eppure essa aveva lasciato una traccia nell’interesse per i temi leopardiani della “vitalità” e del rapporto natura-ragione, nel rifiuto di un’interpretazione troppo storicisticamente angusta del problema Leopardi ». (S. Timpanaro, Antileopardiani e neomoderati, cit., p. 149) 39 C. Luporini, Leopardi progressivo, cit., p. 97. 40 Ibid., pp. 101-102. 41 Ibid., pp. 49 e 69. 42 S. Timpanaro, Classicismo e illuminismo, cit., p. 180. 43 C. Luporini, Leopardi progressivo, cit., p. 50. 44 Ibid., p. 60. 45 Ibid., p. 38. Timpanaro considera che non era « accettabile » il « rimprovero » mosso a Luporini, di aver fatto di Leopardi un « precursore del marxismo » (S. Timpanaro, Classicismo e illuminismo, cit., p. 134). Ma certe pagine del libro di Luporini e alcune formule in esse contenute (segnatamente quell’« anticipatore di ulteriori dottrine ») se non rendono « accettabile » un tale giudizio, perlomeno ne spiegano l’origine. 46 C. Luporini, Leopardi moderno, intervista a cura di F. Adornato, « L’Espresso », 1°marzo 1987, p. 116. 47 Ibid.
Friday, March 4, 2022
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