l'anima L' ultimo libretto del nostro filosofo, che dal suo stesso nome ci pervenne intitolato « Fracasto- rius sive de Anima, » dovrebbe essere quasi la sintesi de' precedenti ragionamenti da lui tenuti intorno all'intellezione. Ed invero fu a suo luogo notato come intendimento del nostro Au- tore era di risalire daile estrinsecazioni del pensiero alla sua stessa sorgente, e dalle facoltà dell'anima, prima fra le quali la intellettiva, e dagli atti loro, alla stessa propria natura del- l' anima razionale. Cammino inverso a quello che si era tenuto e si teneva comunemente nelle scuole, dove, da definizioni astratte dell'anima. GIROLAMO FRACASTORO 219 come dall' entelecheia d'Aristotele, si faceva di- scendere e si credeva di potere spiegare i singoli fenomeni; ma appunto perciò abbiamo annoverato il Fracastoro fra i primi filosofi del rinascimento, avendo egli avuto chiara coscienza della necessità di procedere a posteriori anche ne' più ardui problemi della filosofia, della quale in tal guisa preannunziò il rinnovamento . Nel suo libro dell' Anima adunque si dovevano raccogliere 1 supremi sforzi dell' acume filosofico del Fraca- storo, e tuttavia per talune ragioni che or ver- remo esponendo, questo libretto rimane inferiore all' aspettazione del lettore, e forse al concetto stesso che aveva guidato l' autore nel comporlo. II. In primo luogo il dialogo è rimasto incom- piuto perchè F autore, che da tanti anni vi me- ditava sopra, fu prevenuto dalla morte. E per quanto si possa credere che in confronto del- l' ampio svolgimento dato al libro dell' Intelle- zione^ questo sull' Anima avrebbe dovuto avere un corrispondente e proporzionato sviluppo, in ragione della più alta gravità e difficoltà della materia, è tuttavia un libretto di non molte 220 CAPITOLO OTTAVO pagine quello clie ci è pervenuto, e che si trova impresso nella raccolta delle opere Fracastoriane. In secondo luogo la dottrina dell' anima è in questo dialogo trattata limitatamente , e quasi esclusivamente rispetto alla controversia dell' immortalità. E' ben vero che il Fracastoro cerca sin dal principio di sollevarsi sino ad af- ferrare la « quiddità » dell' anima, però assai brevemente, e di leggieri si scorge che non è questo, almeno in tal luogo, il fine principale a cui mira. Notissima è la contesa suscitata a quel tempo dal Pomponazzi intorno alla immor- talità, da lui filosoficamente negata, cristiana- mente creduta, non diremmo tanto per la consapevolezza del pericolo, quanto per quello strano contrasto che accompagna le più ardite ribellioni di uomini usciti allora dal dominio della teologia. Il che tuttavia non tolse che al Pomponazzi stesso da taluno si facesse intendere eh' egli, ammessa per buona la sua credenza come cristiano,, poteva essere arso soltanto come filosofo. La dottrina del maestro ebbe contraddi- tori fra i suoi stessi discepoli. Primo fra questi il Contarini, uomo di chiesa, la confutò, dicendola sospetta di ateismo; nè alcuno si attenderebbe che il Fracastoro, uomo religioso, e medico del Concilio di Trento, avesse a difenderla. Ciò non GIROLAMO FRACASTORO 221 ostcante è errata l'opinione di coloro i quali credettero, come riferisce pure l'anonimo scrit- tore della vita del Fracastoro, che questi com- ponesse il suo dialogo « adversus insana non minufi quam impia Pomponatii praeceptoris pla- cita » (pag. 8). Queste parole ci fanno sentire r acrimonia dell' animo nei contradditori del Pomponazzi, ma tale non è verso di lui l'animo del Fracastoro, il quale si sforza bensì di con- fermare l'immortalità, ma senza parola di ran- core contro di alcuno, anzi senza mai nominare il Pomponazzi, e senza quasi mostrar di cono- scere le obiezioni da esso addotte. Il dialogo poi fu pubblicato soltanto molti anni dopo la morte del filosofo mantovano, onde anche per questo rimane del tutto escluso che 1' opera fracastoriana potesse avere un fine personale e polemico. Con tutto ciò egli è certo che il fine apologetico della difesa del dogma la vince , nel nostro autore, sulla discussione schiettamente filosofica; e l'aver egli ristretto un argomento sì vasto pressoché a questa sola questione , to- glie oggi naturalmente al dialogo originalità ed efficacia. In terzo luogo, ed è logica e necessaria con- seguenza di quanto finora si è osservato , la forma stessa del dialogo diviene piuttosto let- 222 CAPITOLO OTTAVO terapia che filosofica e si abbandona a poetiche concezioni, invece di conservarsi strettamente raziocinativa e dialettica , quale appariva nel dialogo della « Intellezione. » Sente il nostro autore che la quistione dell' immortalità sfugge propriamente all' indagine della ragione , on- d' egli vi sostituisce la poesia e il sentimento, per quanto siano questi pure lati assai ragguar- devoli dell' animo e del pensiero umano. Non- dimeno quello che nel caso nostro più importa notare, si è che ciò facendo il Fracastoro non pretende ancora assoggettare la ragione al dogma, siccome era avvenuto per tutto il medio evo, ma francamente riconosce che in quistioni di tal natura non si può procedere col rigore del ragionamento filosofico, in guisa che non s'abbia ad accettare se non quello che sia stato rigoro- samente dimostrato, come volevano le antiche scuole degli stoici e dei peripatetici : « Deinde... et duritiem severitatemque illam vel stoicam vel etiam peripateticam exuamus, ut nihil velimus admittere nisi quod iis rationihus assertum com- prohatumque fuerit quas comprobativas consue- vimus appellare. In omnibus enim illas expe- tere iniustum profecto est » (pag. 207). Queste parole ci sembrano per vero molto notevoli. Se le prendiamo alla lettera, in esse il Fracastoro GIROLAMO FRACASTORO 223 ci apparisce, come filosofo, inferiore a sè stesso, e verrà il Descartes a ristabilire come legge essenziale del metodo quel medesimo rigore dimostrativo che stoici e peripapetici avevano voluto. Tuttavia conviene ben rilevare come anche in cotesto il nostro Autore, pur soste- nendo una tesi opposta a quella del Pompo- nazzi, sa ben distinguere, come questi aveva insegnato a fare, ciò che può esser soggetto di razionali dimostrazioni, e ciò che, non potendo esserlo, va piuttosto confidato al sentimento ed alla fede. Non v' è più qui la formula medio- evale « intellectus quaerens fidem ; » e nemmeno Taltra « /ides quaerens intellectum », ed in cote- sta distinzione che assegna un campo separato alla filosofia e alla fede, pur entrambe neces- sarie a soddisfare un'imperiosa esigenza psico- logica, tutti sanno che fu il principio di un salutare rinnovamento oltreché scientifico, altresì morale e civile. III. Del rimanente non è a dimenticare che al tempo del Fracastoro quasi tutte le specu- lazioni e discussioni che si facevano intorno 224 CAPITOLO OTTAVO all' anima , aggiravansi principalmente intorno all'immortalità. Ogni secolo discute quei pro- blemi che più lo interessano, e non è a mera- vigliarsi che in un' epoca in cui ridestavansi i nomi e i ricordi gloriosi di antiche scuole filosofiche, in cui si rinnovellavano le forme letterarie ed artistiche dell' antica civiltà greca e romana , si cercasse con ansia profonda in quei ricordi, presso quei letterati, nei libri di quei filosofi, la conferma o la liberazione da quei dogmi che per secoli avevano occupato le menti di ognuno. Così avviene che di tutta la psicologia di Aristotele, la sua dottrina intorno alla doppia natura del Noo, da cui sembrava potersi con- chiudere, rispetto all'anima, ora che ella è, ora che non è mortale, era stata fra le altre parti della sua dottrina la più dibattuta da commen- tatori e filosofi ; è i nomi stessi di aristotelismo e di platonismo si prendevano ormai come in- segne di guerra, secondochè si mirava ad oppu- gnare 0 a difendere 1 dogmi cristiani. Indi le guerre tra aristotelici ed antiaristotelici; e tra gli aristotelici stessi gli uni si sforzavano an- cora di tirare le dottrine del maestro, come avea fatto la scolastica, a razionale dimostra- zione di rispettate credenze, gli altri invece francamente vi si ribellavano, ma tutti facevano GIROLAMO FRACASTORO 225 segno de' loro studi più assidui quei luoghi d'Aristotele che più da presso si riferivano alle supreme quistioni del loro tempo. Ed ecco perchè anche la psicologia del Pomponazzi si svolge principalissimamente intorno all'immor- talità , come pure intorno alla stessa quistione si agitano, pressoché esclusivamente, tutti i suoi contraddittori o sostenitori, come il Nifo, il Contarini, il Fracastoro, l'Achillini, il Porzio, il Zabarella infìno al Cremonini e al Cesalpino ; e in generale tutti coloro che più o meno par- tecipando al moto impresso dal Pomponazzi, svolsero o rifecero, sulle tracce d' Aristotele, la psicologia del Rinascimento. IV, Premesse le quali- cose, veniamo ora a più particolareggiato esame di questo dialogo del Fracastoro. Sono i medesimi personaggi che avevano si dottamente ragionato dell'intellezione, i quali ora prendono parte alia nuova discussione intorno all' anima, ed incomincia a parlare il Fracastoro, protagonista del dialogo. Pel cui svol- gimento, quasi dramma intellettivo, l'autore non IS 226 CAPITOLO OTTAVO manca in prima di tratteggiare la mirabile scena naturale ove egli e i su oi compagni si tro- vano, al cospetto di tante bellezze naturali di acque, di monti, di luoghi boscosi ; e tutto ciò risuscita in loro l' immagine degli antichi filo- sofi greci, che contemplando la viva natura s' ispiravano alle sublimi loro speculazioni. Tal- ché pieno dei ricordi e delle idee greche, il Fra- castoro che sin dal principio cita Teofrasto per la somiglianza del luogo ove egli ed i suol amici erano radunati con altro luogo da quello de- scritto nell'Arcadia, così soggiunge: « De anima... nostra cum sinais haUturi sermonem^ in qiiam videtur musica latentem nescio quam vim et consensum habere, apte quidem fiet si aliquan- tis per nunc ecccitetur in noUs. » Ed alcuni carmi cantati dal solito garzonetto, accompagnati dal suono della cetra, danno l' ispirazione e l' in- tonazione del dialogo. Perocché in tali versi si canta del felice giovine che rapito da Giove e dato per compagno ad Ebe, cambia la terrena dimora con V eterna giovinezza dell' Olimpo. Questo congiungere insieme la poesia e la filosofia (pur tenuto fermo quanto sopra abbiam detto sulle diverse e talora opposte ragioni della scienza e dell ' arte ) è uno dei feno- meni a mio giudizio più ragguardevoli che GIROLAMO FRACASTORO 227 SÌ manifestano in taluni dei più grandi inge- gni dei Rinascimento, compreso il Bruno stesso che sì altamente e filosoficamente poetava. In- vero r Italia era allora tutto un popolo di artisti ; e dell' arte si facevano ben sovente ispiratori e maestri i filosofi. Tal fenomeno me- riterebbe un più lungo studio, che qui non è il luogo nemmen di accennare, perchè troppo ci allontanerebbe dal nostro fine principale ; però piacemi almeno di riferire un saggio della poesia filosofica del Fracastoro, osservando che se allora ì' arte e l' ispirazione del sentimento tenevano il luogo delle dimostrazioni filosofiche, ben potremmo augurarci che oggi all'inverso, di tanto mutati i tempi, la filosofia e la scienza valessero a dar vita ad un' arte e ad una poesia nuova, quando tutti oggi sono concordi a lamen- tare la decadenza della poesia e dell'arte. Eceo ora la poetica finzione del Fracastoro : Ne timeas, Troiane fiier, quod in ardua tantum Tolleris a terra: quod rostro atque unguihus uncis Te complexa ferox volncris per inania portai. Audisti ne unquam sublimis nomen Olympi ? Audisti ne Jovis, tonitru, qui fulmina torquet ?. . . . nie ego sum, non haee te volucris, sed Juppiter est, qui Haud praeda captus, diari sed amore nepotis In summum amplexu innocuo te portai Oìympum. 228 CAPITOLO OTTAVO Astra ubi tot spedare soìes, uhi pulcher oUt Sol Oi-tusque occasusque siios, ubi candida noctes Currit Luna nitens, auroram Lucifer anteit. Hic ego te in numero superum domibusque Deorum, Ver ubi perpetuum, felix ubi degitur aetas Aeterna et semper viridis floreìisriiie iuventa, Consistam, aequalemque annis pubcntibus ITeben Officioque dabo comitem .Pone metum, dilecte Jovi, melioraque longe Frospiciens, charam pucr obliviscere Troiani ; Neve Deim te iam et divorum regna petentem lilla canum, aut Idae nemorosae cum sequatur. Y. Tale dunque è la poetica introduzione al trattato dell' anima. Ma l' autore entra subito in materia, e ricerca intorno all'anima due cose : quale ella sia « qualis nam sit^ » cioè s' ella sia eterna ed immortale o no; e che cosa sia « quid sit, » cioè la stessa sua natura. Con rapida analisi egli raccoglie tutti gli elementi che la riflessione filosofica scorge nel concetto che tutti possiedono dell' anima, intesa co- me principio della vita , e che da Aristotele erano stati cosi ampiamente dibattuti e venti- lati. Percorre tutti i gradi della vita, e non si ferma all' antica distinzione delle specie di anime che corrispondono alle celebri facoltà GIROLAMO FRACASTORO 229 aristoteliche di nutrizione, sensibilità, locomo- zione, intelligenza, pur fra loro concatenate in modo che non sia possibile la funzione superiore se non siano state prima attuate le funzioni in- feriori; ma sviluppa inoltre il principio stesso della vita, separandolo, più distintamente forse che non avesse fatto lo stesso Aristotele, dalle varie operazioni, procedenti da altre cause, che concorrono a manifestarlo. In ciò la sua espe- rienza di medico e 1' erudizione eh' egli posse- deva delle dottrine vitalistiche e animistiche emesse da fisici e medici insigni, come Andro- nico e G-aleno, ch'egli ricorda, lo pongono in grado di meglio determinare il principio stesso della vita, procedendo per eliminazione di tutto quanto apparisca insufficiente a spiegare una forza 0 potenza di tanto mirabile efficacia. Così egli esclude che bastino a dar ragione della vita la naturai complessione delle parti d'un corpo organico, considerando quelle piuttosto come strumenti indispensabili che come vera ed intima causa ; esclude quella temperatura o mescolanza di umori e queir armonia o consenso delle mem- bra su cui pur tanto si erano fermati gli antichi, scorgendo in tutto ciò piuttosto un rap- porto da cosa a cosa, che un principio unico ed attivo delle operazioni • esclude infine quegli 230 CAPITOLO OTTAVO Spiriti che eia altri fiiron cliiamati vitali, o il calor naturale, parendogli questi cosa ben dif- ferente da ciò che è propriamente forza vivente e pensante. Ma allora che cosa è 1' anima, come principio della vita, sia vegetativa, sia sensitiva^ sia intellettiva ? E qui il Fracastoro torna esat- tamente ad Aristotele, la cui celebre definizione dell' anima, fu ripetuta per tutto il medio evo, ed in tutto il periodo del rinascimento, « nè an- cora, al dire del Fiorentino, se n' è potuta esco- gitare una migliore » (Pomponazzi, pag. 26.) A dir vero, quella stessa definizione aristotelica, essere cioè V anima V entelechia prima di un corpo fisico, organico, che ha la vita in potenza, non era forse la più persuasiva, a cagione del- l' oscurità di queir entelecheia che ha dato luogo a tante discussioni e interpretazioni ; tuttavia il Fracastoro si adopera per illustrarla, e la esplica coi concetti di forma sostanziale e di atto mo- tore, e poi di forza organizzatrice ; dei quali i primi due erano il risultato delle teorie ari- stoteliche, il terzo dovea essere il punto di partenza delle nuove speculazioni che si vennero svolgendo per tutta la filosofia moderna, dallo spirito puro cartesiano sino alla monade Leibni- ziana :«.... Aristoteles quidem volens animae naturam et rationem eocplicare^ entelechiam GIROLAMO FRACASTORO 231 vocavìt , qiiam alii agitationem continuam, alìi actum transtulere : est ennn anima propria forma corporis organici, naturalis, viventis sed QUATENUS INFLUIT VIM ET AGITATIONEM IN TOTUM! prìmuin enim tum esse dat, tum conservationem continuam ; per ipsam deinde fiunt attractiones similiiim, aggenerationes, et alimenta qualitates in virtute illius alter ant , miscent , collocante formant, figttrant . . . . et tandem progressìones animalium , generationes semìnum , et demum similium organizationes : quae omnia fiunt in virtute animae et formae per eam vim quam a mundi anima ed a Beo certam et nunquam errantem recepit » (pag. 209). VI. Non si poteva concepire in una forma più elevata e universale questa forza efFettrice della vita, qualunque essa siasi (dacché la sua essenza ci sfugge, come ci sfuggono tutte le ultime ragioni delle cose) ; ne la dottrina di Aristotele poteva avere un più chiaro e sincero interprete. Ancora è da notare come il Fracastoro, da buon naturalista eh' egli era, presente qui l' unità della vita nell' universo, ma riferendo 1' anim<a 232 CAPITOLO OTTAVO dell' uomo all' anima del mondo ed a Dio, non conclude in favore di un assoluto panteismo, idea- le 0 materiale , eh' era pure stato il retaggio di alcune scuole antiche, ne partecipa a quelle fantastiche animazioni che si riscontrano, come altrove notammo, in alcuni filosofi del rinasci- mento ; bensì la stessa sua sobrietà e temperanza^ che anche altrove abbiamo avuto occasione di porre in rilievo^ lo trattiene dal trascendere ad affermare quanto non fosse il semplice bisogno di concepire la natura come un tutto organizzato e vivente. Il quale bisogno fu pure altamente sentito in tutto il Kinascimento. Ma se si con- fronti questa semplicità e diremmo quasi buon senso del Fracastoro, con le stravaganze che intorno all'anima del mondo ebbe dichiarato Cornelio Agrippa nei libri « De Occulta Philo- sophia ; » con le cose astruse e sottili che sì leg- gono nella « Pampsychia » del Patrizzi, nel « De SuUitilite » Cardano, nel « Messaggero » del Tasso ; e in fine con le idee trascendenti enunciate nei libri « De Causa » e nella « Cena delle Ceneri » del Bruno e nel «• De sensu re- rum et Magia » del Campanella, si vedrà quanto l'azione moderatrice del Fracastoro fosse oppor- tuna per volgere senza scosse la filosofia del suo tempo dal formalismo d'Aristotele al naturalismo de' nuovi tempi. GIROLAMO FRACASTORO 283 Però la definizione aristotelica dell'anima abbracciata dal Fracastoro non risolve una difl5- coltà, anzi una contraddizione sostanziale che qui sorge improvvisa. L'anima, essendo per Aristotele forma sostanziale del corpo è indisgiungibile da questo, come egli ebbe risolutamente affermato in più luoghi, e segnatamente in quello notis- simo del Lib. II cap. 1 § 12 «De Anima. » Ne perciò Aristotele ebbe anco il pensiero di voler indagare la possibilità di un' esistenza separata dell' anima. In tutto il suo sistema materia e forma costituiscono nella realtà una sola cosa, entrambe sono egualmente necessarie ed inse- parabili, essendo la materia la potenza della forma, e la forma atto della materia, talché dove è materia è forma, e dove è forma è altresì materia. Tuttavia questa unione e compattezza della materia e della forma, che costituisce uno dei cardini del sistema aristotelico, vien rotta allorché dalla realtà applicata al conoscimento, deve la teorica d' Aristotele adattarsi a spiegare il modo con cui si effettua in noi la cognizione, mediante la stessa materia e la stessa forma. Invero la materia, secondo la teoria eredi- tata da Platone , e che non pertanto torna meno sostenibile nel sistema aristotelico, è in- definita 0 indeterminatissima, perciò ella è 284 CAPITOLO OTTAVO inconoscibile in sè stessa, come vlen dichiarato nella metafisica. La cognizione invece è data dalla forma; vi è però in questo una intrin- seca difiìcoltà , perchè la forma educendosi dalla potenza della materia, parrebbe che la inconoscibilità di questa dovesse rendere meno accettevole la conoscibilità di questa. La diffi- coltà si aggrava quando la materia e la forma si considerino in quei due termini estremi di tutta la nostra conoscenza che sono l' individuo e r universale. Questi due termini rimangono inconciliabili nel sistema d' Aristotele, e dì qua la prima sorgente di tutte le opposte direzioni date alle varie parti della sua dottrina, alle quali questo primo principio, per la stessa com- pattezza del sistema, generalmente si distende. Invero l' individuo è sensibile, V universale è intelligibile, secondo la teorica fondamentale d'Aristotele che pure altrove abbiamo richia- mata ; intanto l' individuo che dovrebbe parte- cipare della inconoscibilità della materia , è tuttavia per lui il sinolo di una materia e di una forma, ma partecipa di più della incono- scibilità della materia a cui è più vicino ; l'uni- versale invece nella sua massima forma rimane assoluta conoscenza, ossia pura forma, senza mistione alcuna di materia, cioè Dio. Li tal GIROLAMO FRACASTORO 235 guisa si viene a separare per la prima volta la materia dalla forma, dappoiché è manifesto che mentre tutte le altre forme^ eccetto la massima^ si compenetrano nella materia, rispetto alla no- stra conoscenza si ammette una forma pura che viene ad essere per così dire divorziata dalla materia. E' questa veramente una contraddizione del sistema d'Aristotele, la quale chi ben consideri^ non va attribuita a difetto del genio smisurato di lui, ma accusa piuttosto una di quelle intime ripugnanze che si ritrovano in fondo a tutte le analisi più profonde del pensiero metafisico, e che avrebbe dato luogo più tardi alla nega- zione del principio di causa per parte dell'Hume, e al riconoscimento di quelle intrinseche anti- nomie le quali dovevano essere messe in evi- denza dall' acutissima mente del Kant nella critica della ragion pura. Ora questa stessa con- traddizione trasportata per necessaria conse- guenza di sistema nella investigazione della natura dell'anima, dà luogo alla strana ambi- guità di Aristotele intorno alla immortalità ed alle controversie infinite che ne derivarono. Pe- rocché mentre dalla definizione sopra riferita dell'anima dovea dedursi che questa non essendo disgiungibile dal corpo non potesse avere una 286 CAPITOLO OTTAVO esistenza separata, e perciò dovesse dileguarsi e perire, clie dir si voglia, al morire o disfarsi del corpo, ecco invece che vien dicliiarata ad un tratto capace di separata esistenza, e perciò immortale. Ciò è chiaramente detto da Aristotele in altro luogo pur celeberrimo del IT. libro « De Anima » ove è detto che /' intelletto e la potenza pensante senibra essere un altro genere di aniìna e questa sola potersi dare che sia se- parata, come V eterno dal perituro (cap. 2 § 9). Adunque, stando alla antecedente definizione dell' anima (che pare dovea comprendere tutti i generi di anime) anche l' intellettiva avrebbe dovuto concludersi mortale ; ma giunto a questo Aristotele si arresta, e ripigliando il cammino dalla teorica della conoscenza e dalla forma pura, come sovra V abbiamo esposta, che si può concepire separata dalla materia, conclude che si può dare, èvSéxexat, anche un'intelligenza se- parata, e perciò immortale. Questa conclusione sembra tanto più inaspettata inquantochè egli aveva fatto scaturire 1' anima intellettiva dalle potenze inferiori ; allo stesso modo che tutte le forme erano implicate nella materia ; e tuttavia non ostante l' antinomia delle parti, egli è in fondo coerente all' insieme del suo sistema, per- chè l'intelletto che si dice ora separato vien GIROLAMO FRACASTORO 237 fuori in forza di quel medesimo ragionamento che, nel processo conoscitivo dall' individuo al- l'universale, gli avea fatto concepire la possibilità di una forma pura separata da ogni materia che spiegasse 1' universale. Tale per sommi capi è la teorica di Aristotele che qui ci siamo sfor- zati di ridurre alla suprema possibile chiarezza traendola fuori dal viluppo delle ragioni opposte, specialmente de' commentatori , e mostrandola come un prodotto logico del suo sistema. Nè bisogna dimenticare inoltre che in tutta cotesta controversia Aristotele stesso non è abbastanza esplicito, e ciò diede luogo ai commenti infiniti degli espositori. VII. G-li aristotelici avevano dunque un bel di- battersi fra queste due opposte conclusioni ; il problema era insolubile. Invero tanto potevano aver ragione coloro che avrebbero voluto sfor- zare Aristotele ad esser logico fino in fondo, traendo dall' inseparabilità dell' anima dal corpo la prova della mortalità della medesima, tanto coloro che dalla forma e dall' intelletto separato concludevano per l' immortalità. Ed è cosa nota CAPITOLO OTTAVO nella storia che mentre i Dottori delle scuole stavano per questa sentenza, quasi tutti i com- mentatori non scolastici, e Alessandristi e Averroi- sti, conchiudevano per la prima opinione, anche prescindendo dalla dottrina dell' intelletto sepa- rato come contraria alla definizione generale dell' anima. Il vero si è che cotesti erano sol- tanto ragionamenti a priori^ nè la natura del- l' argomento ammetteva la possibilità di quella esperienza che ormai da tante parti , e dal Fracastoro stesso, si contrapponeva alle astratte speculazioni. Bisognava dunque contentarsi di queste o abbandonare la controversia. Tuttavia notammo già che il problema s' impone, alla umana coscienza e non è di quelli che special- mente in un tempo in cui sì gran parte dell'edificio morale e civile e religioso riposava su di esso, avrebbero potuto evitarsi. Se il sistema d'Aristo- tele era impotente a risolvere un siffatto problema bisognava sciogliersi dal sistema, ed allora a che affidarsi ? La quistione, come altrove notammo, era stata ben posta dal Pomponazzi , la cui dottrina ci piace qui riassumere con le cospicue parole del Ferri nella altre volte citata sua Opera : « Se volete, dice essa, una dimostrazione dell' immortalità, la filosofia non ve la dà, nè ve la può dare ; ammessa invece la verità rive- GIROLAMO FRACASTORO 239 lata, la religione ve la fornisce, domane! alela ad essa » (pag. 219). Ora, il Fracastoro come si comporta ? Egli è, a nostro avviso seguace giudizioso del suo Maestro, perchè è ben vero che egli difende V immortalità la quale il Pom- ponazzi fllosoflcamente impugnava, ma sentendo r insufiScenza de' ragionamenti filosofici, franca- mente ricorre a quella religione stessa che pure il Pomponazzi aveva additata. Infatti, oltre a quanto fu già rilevato in principio, ch'egli non prometteva dimostrazioni filosoficamente rigo- rose ; qui, dopo percorse e ripetute le ragi oni d'Aristotele secondo la interpretazione scolastica, assai modestamente e quasi dubitativamente conchiude esser là tutto quella che sembravagli potersi addurre in favore della sua tesi: « atque haec quidem sicnt quae de perìpateticorwn penu ediici posse videntur.... ; » Di più confessa an- cora per bocca del suo interlocutore, che non poche cose potrebbero tuttavia revocarsi in dubbio : « Non panca certe sunt quae si conten- tiosi esse velimus possint adirne in diihium verti » (pag. 215). Ond' egli da questo punto abbandona addirittura il campo della filosofia per entrare in quello della teologia, e quando viene a parlare, pur tentando di risolvere quei 240 CAPITOLO OTTAVO dubbi, di Dio e dei fini della creazione, così dell' uomo , come di questa meravigliosa mac- china mondana ; e di poi della beatitudine degli angeli, della generazione del Cristo, della vita e dello spirito dei santi (pag. 209 e passijn) egli manifestamente non parla più come filosofo ma soltanto secondo religione, e non fa nè può far altro che ripetere le argomentazioni dei teologanti ; nelle quali, come è giusto, noi in- competenti non lo seguiremo. XIII. Non di meno l' interpretazione che il Fra- castoro dà alle dottrine di Aristotele, ci porge argomento di esaminare alcun' altra cosa che non è senza importanza per rispetto alla storia della filosofia e in particolare dell'Aristotelismo nel rinascimento. L'entelecheia d'Aristotele, oltre alle altre discussioni, aveva dato luogo a dubbi intorno all'unità dell'anima e del corpo umano ; perocché, si diceva, se 1' anima è 1' atto e la forma del corpo organico, naturale, vivente, secondo le parole dello Stagirita, essendo co- testo corpo organico non vera unità, riunione di più membra tanto diverse quanto sono le GIROLAMO FRACASTORO 241 ossa dai muscoli, dai nervi, dalle vene, e così di seguito, come può l'anima essere una forma unica applicandosi a forme tanto diverse ? E qui l'acume de'commentatori d'Aristotele si era assai ingegnato di trar fuori 1' unità dell' anima, in- colume, e quale è attestata dalla coscienza, dalla molteplice varietà delle forme corporee di cui doveva essere l'atto e la vita. Gli uni avean detto che l' unità dell' anima dee intendersi soltanto w genere, pur differendo le membra nelle specie; come più animali, ad esempio r uomo, il cavallo, il bue, costituiscono un ge- nere unico, differenti ssimi rimanendo nella spe- cie : dove ognun vede che, se così fosse, l'unità dell' anima sarebbe fondata soltanto sopra un concetto mentale; ma realmente nient' altro sarebbe che un' astrazione eduna chimera. Altri poi dicevano che in ogni corpo organico vi è sempre una parte che è principale rispetto alle altre, anzi queste son fatte per quella e gover- nate da quella, onde 1' anima non è necessario che si intenda esser una rispetto a tutte le parti del corpo, ma soltanto rispetto a quella che è la principale, e così 1' anima è unico atto od unica forma di un' unica organica potenza,- la quale ha virtù di dare la vita al tutto. Questa risoluzione sembra al Fracastoro più vicina alla 242 CAPITOLO OTTAVO verità del nesso fisiologico che è fra le membra^ e Clelia loro subordinazione: tuttavia non lo ai)paga compiutamente^ e ci sembra notevole ii principio che egli ora introduce per definire la controversia. Anche le parti principali, die' egli con profonda dottrina e con acuto spirito di osservazione, sono parecchie, onde 1' unità non può risultare dal solo fatto che una di esse è la principale. Ma da che cosa risulterà dunque? Balla loro continuità, egli rlice, perchè ogni xmità non sì può altrimenti intendere che come continuità; « Principale» siquidem partes, quam- quam plures sint, fiuntper continuationem unum: OMNE ENIM CONTINUUM EST UNUM » (pag. 209 verso). Questo principio ci pare notevole perchè fa presentire V analisi profonda che del concetto di unità fu fatto da filosofi posteriori sino allo Spencer, il quale ne' « Primi principi » svilup- pando il concetto che è già cosi chiaro nel Fracastoro, dimostra che (.gni unità è continuità di parti,, perchè 1' assolutamente uno è impen- sabile. E se il Fracastoro avesse sostituito alla continuità delle parti del corpo organico la con- tinuità degli stati di coscienza (e ognun sente il nesso . logico che dovea condurre da quella a questa) avrebbe posto una delle pietre ango- lari della psicologia moderna. La quale, come GIROlAMO FRACASTORO 243 ognun sa, si è costituito per proprio oggetto appunto r esame della successione di quegli stati, di cui il processo cerebrale e le parti orga- niche sono la causa occasionale, mentre la co- scienza n'è il legame indispensabile ; e dall'analisi descrittiva di tali stati di coscienza, dal più semplice al più complesso, fa scaturire quella grande unità che è la nota più caratteristica nella natura e nella vita dello spirito. XI. Altro punto importante della psicologia fra- eastoriana ci sembra quello ove, pur mantenendo assoluta la diversità dell'intelletto dalla materia, riaccosta tuttavia l'uno all'altra, per dimo- strare come l' incorruttibilità del primo non dee intendersi altrimenti che quale conservazione di una energia sostanziale, allo stesso titolo per cmì si ammette indistruttibile ed eterna la mate- ria. Nulla si crea e nulla si distrugge, è il prin- cipio antico, cui ritorna il Fracastoro, dopo le negazioni alle quali per il falso concetto dell'atto creativo erano venute la scolastica e la teolo- gia medioevale. Ma tale principio rimesso in Qnore anche da altri filosofi e scienziati del 244 CAPITOLO OTTAVO rinascimento, manifestamente segna un grande progresso, e già accenna a quella legge univer- sale e feconda della conservazione e trasforma- zione dell' energia, che tanta importanza ha assunto nell'indirizzo e nelle scoperte della scienza moderna. Non diremo che nelle dottrine del Fracastoro si giunga sino a questo, e che ciò possa avere virtù risolutiva rispetto alla quistione dell' immortalità ; nondimeno ci par nuovo, bello e fllosoflco il pensiero da cui egli è guidato, e ci piace rilevarlo : « Procul dubio, die' egli, idem de intellectu dicendum erit quod de materia, et utrumque incorruptibile et aeter- num esse. » E ripete poco stante : « Quare et incorruptibilem ponere intellectum debemus, et parem habere cum materia conditionem » (pagi- na 213 verso). Ed infine ci pare manifesto che rispetto alla tesi ultima che il Fracastoro . voleva sostenere, vale a dire V immortalità, egli abbia inteso come non dall' astrazione o separazione dell'intelletto dalla materia, (su cui si fondavano quasi tutti gli altri aristotelici sostenitori dell'im- mortalità stessa) ma dal loro accomunamento era lecito dedurre quanto di più filosofico si poteva dire suir argomento. Onde anche in ciò il Fra- castoro dà prova così di grande acume d'inge- gno come di retto criterio filosofico ; ed è forse GIROLAMO FRACÀSTORO 245 questo il solo punto in cui egli, contrapponendosi alla dottrina del Pomponazzi, ben si appone, perocché se non riesce a dare una dimostrazione della immortalità, che egli stesso abbastanza esplicitamente ha confessato la filosofia non pò- ter dare; toglie almeno quella rude contraddi- zione che non avea dubitato di accogliere il Pomponazzi, ammettendo potersi credere cristia- namente quello che filosoficamente avea negato. Questa massima strana, è tanto inconcepibile, che fra gli stessi storici della filosofia vi fu chi stimò non sincero il Pomponazzi come cristiano, ad esempio il Brucker, il quale scriveva che ha una fede eroica chi crede sincero l' osse- quio onde fa mostra il Pomponazzi verso la religione cristiana; mentre altri invece, come il Bitter, stimò il Pomponazzi non sincero 0 almeno non coerente o non convinto come filosofo. Tale incoerenza non sarebbe stata pos- sibile al Fracastoro, la cui temperanza e il retto criterio filosofico aveano fatto scorgere il giusto punto fin dove filosofia e religione sarebbero andate d'accordo, e al di là del quale alla religione, non alla filosofia, sarebbe stato lecito procedere sola. Sola ma non avversa ; perchè quello che la filosofia avesse dimostrato assurdo, ninna religione potrebbe mai dare a 246 CAPITOLO OTTAVO credere, e ciò che si stima verità religiosa (leve non poter esser dimostrato falso in filosofia. Ecco perchè il Galilei, impigliato egli pure in quistioni religiose, doveva affermare più tardi che « due verità non possono mai contrariarsi ; » intendendo per tali la verHà filosofica e la re- ligiosa ; e fii pure il GFalilei quegli che riuscì a rivendicare totalmente alla filosofia ed alla scien- za la sua autonomia contro le antiche invasioni religiose e teologiche. Il Fracastoro adunque, seguace del Pomponazzi nello sceverare il cri- terio filosofico dal religioso, è più logico e più accorto di lui nel non mettere in contraddizione F uno coir altro, ma piuttosto nel segnare il confine d^ ambedue. E poiché in filosofia come in religione e in morale e in politica, tutte le quistioni più gravi sono principalmente qui- stioni dì confini, così ci pare notevole che il Fracastoro abbia colto precisamente quei punto, in cui trovandosi la religione non con- traddetta dalla filosofia, e offrendo questa ben largo campo ad altre ricerche, potevasi at- tendere ben altro sviluppo da un concetto alta- mente filosofico , quale era quello dell' energia sostanziale e della forza, il quale sviluppo si ebbe di fatto in tutta la filosofia posteriore fino allo Spinoza e al Kant ed all' Hege). GIROLAMO FRACÀSTORO 247 Senza caddentrarci più oltre in questo speciale iirgomento, che eccederebbe i limiti del nostro studio ed il nostro bisogno, stimiamo opportuno confortare la nostra opinione con le belle parole del Ferri, da lui poste come conclusione del suo sapiente esame intorno alle dottrine psicologiche del Pomponazzi , e che a noi pare conven- gano pienamente anche a quelle del Fracastoro : « Accomunati nella energia, manifestazione della forza, r anima e il corpo, l' interno e 1' esterno non sono più estranei 1' uno all' altro. Intesa secondo questo rapporto la materia, può essere sede e condizione perpetua della vita e dello spirito senza contraddizione, e 1' anima umana può aspirare all' immortalità senza che il feno- meno sensibile, falsamente trasformato in cosa sostanziale ed esistente per sè, opponga a que- sta aspirazione un ostacolo insuperabile » (La Psicologia del Pomponazzi, in fine). X. Molte altre cose avremmo ad aggiungere intorno a questo Dialogo del Fracastoro se vo- lessimo per disteso riferirne tutto il contenuto; ma avvertimmo già che nell' esame degli autori 248 CAPITOLO OTTAVO ed in argonìento come quello che stiamo trat- tando, è da cogliere la sostanza delle dottrine, e in quella parte soltanto che, vivificata da studi posteriori, poteva esser cagione di nuovi avvia- menti, e render ragione dei progressi ulte- riori della scienza. Tutto il resto può essere abbandonato all' oblio. Nel Fracastoro, se non ci inganniamo, è manifesta ormai abbastanza, per quanto si è detto fin qui, la somma delle sue dottrine suU' anima. L' intelletto umano , come complesso di tutta quella varietà di ope- razioni che erano state da lui dichiarate nel Dia- logo precedente, è qui raccolto e sintetizzato, per così dire, in un' entità separata, che ha qualche cosa di divino, perchè fornita di quella virtù di pensare che è la suprema manifesta- zione della vita e dell'ordine dell'universo. Talché in certo modo tutto è intelletto e tutto si compendia neir intelletto : « mtellectus omnia quodammodo fieri potest Si igitur omnia fieri dehet intelledus, et in potentia esse ad omnia susceptiUlia, separatimi et aUtractum necesse est.... » (pag. 214). Tale intelletto sepa- rato, che è come l' essenza stessa dell' anima umana a cui è peculiare, a differenza delle anime belluine o semplicemente vegetative che ne sono sfornite, fa sì che la stessa anima umana GIROLAMO FRACASTORO - 249 sia dotata delle virtù che a quello som proprie, onde l'anima, come l'intelletto, può essere con- cepita qual forma separata dal corpo, ed essere pertanto una, non ostante la moltiplicità delle sue funzioni, ed immortale non ostante il suo legame col corpo corruttibile. Belle sono inoltre le parole e le imagini che nel Fracastoro qua e là ricorrono per armonizzare in un tutto questi elementi discrepanti che convergono a spiegare" r intelletto e V anima umana ; e quando , ad esempio,, esamina, secondo un paragone allora divulgato, se l' animo si congiunga col corpo come il nocchiero colla sua nave ; ovvero se sia tal parte di noi che solo da esso dipenda tutto r esser nostro : « utrum ille assistat nohis, que- madmodum nauta, ut aiunt, navi; an magis nostri sit ita pars, ut esse illud , quod quisque hahet ab ilio detur {psig. 216 verso); quando discute in che modo possano stare insieme e formare un tutto solo, un atto o forma indi- visibile quale è l' intelletto, e una materia divi- sibile quale è il corpo : « qiiomodo unum fieri posse ex indivisibili actii et divisibili materia » (pag. 219 verso ) ; quando ricerca con grande sottigliezza il moto proprio dell'anima, e se questo a lei sia sostanziale o accidentale secondo le distinzioni aristoteliche, collegando il moto 250 CAPITOLO OTTAVO di essa e di tutte le cose, coli' iaimagine della catena omerica che tutto abiuracela e stringe al primo motore (pag. 221) ; in tutto ciò, dico, il nostro autore dà prova di grande vigore speculativo, e se non tutte nuove sono le cose ch'ei dice, tutte però rivelano in lui una mente analizzatrice e ricostruttrice, tale da poter stare al confronto cogl' ingegni più acuti e coi filo- sofi metafisici più profondi del Rinascimento. Da ultimo singolarmente importante dovea es- sere quella parte del suo dialogo in cui dalle altezze sin qui contemplate dell' anima e del- l'intelletto umano , partecipazione dell' intelli- genza divina , e attività originata dal primo motore, egli intendeva discendere a dimostrare il naturai principio di tutte le cose, la loro produzione, origine e perfezione. Ancorcliè in- volto nel preconcetto antropomorfico che pone l'uomo quasi centro di tutte le cose «cuius grafia, egli dice, reliqua alia facta et ordinata fiiere » (pag. 222 verso) non può disconoscersi che con mirabile sintesi filosofica egli si prova a riannoda- re in un solo ordine tutte le cause dei fenomeni naturali, e descrive la formazione delle cose. Argo- mento bellissimo che tentò sempre V intelligenza e la fantasia de' più grandi naturalisti e filosofi. Certo, non abbracceremmo oggi le idee del Fraca- GIROLAMO FRACASTORO -OA storo SU tutte le formazioni naturali ; ma, quello che è per noi più importante a notare, qui di nuovo vediamo come accanto al filosofo risorge in lui lo scienziato. Invero il Pracastoro intra- prende a descrivere la formazione del sistema celeste, il numero e la distribuzione delle sfere, il soffio divino che animò il tutto, e poi man mano le generazioni e le varietà delle piante^ degli animali, e da ultimo degli uomini, per mezzo degli elementi naturali, quali il caldo il freddo, le attrazioni e ripulsioni delle cose. In tutto ciò il Fracastoro, per quanto pare a noi, non ragiona come que' filosofi che avevano più volte architettato a priori, e secondo certe loro idee preconcette, il sistema della natura, ma sebbene non alieno egli pure dalle tradizioni bibliche, fa chiaramente sentire che l' ordine dell' universo da lui intuito è semplicemente il risultato delle cognizioni eh' egli mercè F e- sperienza e con lo studio e l' osservazione di tutta la sua vita, si era formato in astronomia, in matematica, in fisica; ed egli in ciò procede come geologo, come botànico , come medico^ come naturalista, o in una parola come scien- ziato. Dalle quali cose si ha ancora una volta confermato come nel rinascimento la parte vitale delle speculazioni e dei sistemi filosofici fu quella 252 CAPITOLO OTTAVO eh' ebbe a sostegno lo studio (lei fatti speri- mentati nella natura, dai quali soltanto gl' in- gegni più illuminati credevano oramai esser possibile tentar di spiegare il passaggio dalla ma- teria informe alle più alte manifestazioni della vita e dello spirito. Problema immenso, tanto alto e tanto complesso clie nemmeno ai dì nostri si può dire di esser vicini al suo scioglimento; non pertanto se fu almeno, fin dal Rinascimento, dimostrato qual dovesse essere la via vera per incamminarvisi, questo è dovuto a coloro che vollero ritemprata la filosofìa nelle scienze. Ma questa parte del Dialogo del Fracastoro, che prometteva essere la sintesi sublime delle sue cognizioni e delle sue idee filosofiche intorno alla natura, all'intelletto ed all'anima, non può se non accendere in noi un desiderio il quale non può essere soddisfatto, percliè a questo punto il dialogo stesso è rimasto tronco e interrotto per la morte dell' autore.
Tuesday, March 29, 2022
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