IPOTESI «GIOACHIMITE» SUGLI AFFRESCHI DI GIOTTO NELLA BASILICA DI S. CHIARA IN NAPOLI Estratto dall' «Archivio Storico per le Province Napoletane >, CXXV dell'intera collezione SOCIETÀ NAPOLETANA DI STORIA PATRIA NAPOLI 2007 IPOTESI «GIOACHIMITE» SUGLI AFFRESCHI DI GIOTTO NELLA BASILICA DI S. CHIARA IN NAPOLI Mais si l'on voit partout des métaphores que deviendront les faits? Gustave Flaubert, Bouvard et Pécuchet Una delle più suggestive ipotesi in ordine alle motivazioni della costruzione della grandiosa chiesa esterna del monastero di S. Chiara a Napoli ed al possibile modello della pianta è stata avanzata, nel 1995, da Caroline Bruzelius 1 . Secondo questa tesi Sancia d'Aragona Maiorca, moglie di re Roberto d'Angiò, avrebbe fondato la basilica ed il convento doppio di S. Chiara per ospitarvi i «Francescani spirituali», vale a dire i frati appartenenti ad una frangia rigorista e pauperista dell'Ordine minoritico, avversata dal Papato e dalla dirigenza dell'Ordine stesso. I Francescani spirituali si richiamavano, in particolare, anche alle idee del mistico cala- brese Gioacchino da Fiore (1135-1202), per sostenere la necessità di una radicale riforma della Chiesa 2 . La basilica di Santa Chiara, dunque, sarebbe stata «consacrata» intenzionalmente all'ideale della povertà apostolica 3 , così che le idee degli Spirituali avrebbero costituito, in sostanza, l'unica giustificazione del progetto e la sola 1 C. Bruzelius, Queen Sancia ofMallorca and the convent church ofS.ta Chiara in Naples, in «Memoirs of the American Academy in Rome», 40, 1995, pp. 82ss.; E ad., Le pietre di Napoli. L'architettura religiosa nell'Italia angioina, 1266-1343, Roma, Viella, 2005, pp. 150-175, edizione integrata rispetto alla precedente inglese dal titolo The stones of Naples, Church Building in Angevin Italy, 1266-1343, New Haven-London, Yale University Press, 2004, ove le ipotesi avanzate nel 1995 ven- gono riprese, ribadite ed articolatamente argomentate. 2 Si denominavano «spirituali» appunto perché viri spirituales, e cioè eletti destinati a vivere il terzo stato della storia, quello dello Spirito, così come teorizzato da Gioacchino da Fiore. 3 Bruzelius, Le pietre, eh., p. 151. 36 MARIO GAGLIONE chiave di lettura dell'edificio. Esisterebbe, in particolare, un pre- ciso rapporto tra la semplicissima pianta rettangolare della basilica napoletana ed una delle figurae del Liber figurarum, una raccolta di schemi miniati utilizzati sia per l'esplicazione delle teorie storico- teologiche di Gioacchino che per l'esercizio di pratiche contempla- tive e mistiche. La pianta rettangolare della chiesa napoletana costituirebbe così, secondo tale tesi, una vera e propria citazione della figura XVIII del codice del Seminario urbano di Reggio Emi- lia del Liber 4 . L'area presbiteriale della basilica con il coro dei frati sarebbe stata, anzitutto, ricalcata sullo spazio simbolico corrispon- dente nella figura al Tertius status, quello dello Spirito Santo, nel- l'ambito della settima ed ultima Età della storia del mondo. In questa stessa Età si sarebbe giunti a quella rigenerazione della Chiesa 5 che era tanto attesa e propagandata dai Francescani spiri- tuali. L'oratorio delle Clarisse, invece, avrebbe occupato lo spazio riservato, sempre nel diagramma gioachimita, Poetava aetas, quel- la ormai metastorica iniziata con la Resurrezione dei morti e carat- terizzata dalla rivelazione della Gerusalemme celeste e dalla finale visione della Pace. Tale tesi, pur avendo conseguito un ampio consenso 6 , ha susci- tato altresì rilievi e critiche soprattutto con riguardo agli effettivi contenuti del filospiritualismo dei due sovrani ed alla verosimi- glianza storica della pretesa celebrazione monumentale, nella basi- 4 Cfr. L. Tondelli, M. Reeves, B. Hirsch-Reich, Il Libro delle Figure del- l'abate Gioachino da Fiore, Torino, SEI, 1953, voi. II, tav. XVIIIa. 5 Bruzelius, Le pietre, cit., p. 165. 6 Cfr. infatti M. Righetti Tosti Croce, Architettura tra Roma, Napoli e Avignone nel Trecento, in Roma, Napoli, Avignone. Arte di Curia, Arte di Corte, 1300-1377, a cura di A. Tornei, Torino, SEAT, 1996, pp. 110-111; R.G. Musto, Franciscan Joachimism, at the court ofNaples, 1309-1341: a new appraisal, in «Archi- vimi Franciscanum Historicum», 90, 1997, pp. 419-422; C. Freigang, Kathedralen ah Mendikantenkirchen. Zur politischen Ikonographie der Sakralarchitektur unter Karl L, Karl IL und Robert dem Weisen, in Medien der Macht: Kunst zur Zeit der Anjous in Italien, Berlin, Reimer, 2001, pp. 51-52; V.M. Mattano, La Basilica angioina di S. Chiara a Napoli. Apocalittica ed escatologia, Napoli, La Città del Sole, 2003; C. Bozzoni, Recensione a C. Bruzelius, Le pietre di Napoli..., in «Palladio», n. s. 19, 2006, pp. 129-132. Analogamente a quanto si sarebbe verificato per S. Chiara a Napoli, la simbologia gioachimita della Figura delle Età del mondo avrebbe anche ispirato, direttamente o indirettamente, le piante di alcune chiese francescane della Calabria a partire da S. Francesco a Gerace, e cfr. M. Albano, L'Abbazia florense di S. Maria di Fontelaureato a Fiumefreddo Bruzio, in «Arte Medievale», II, 2003, p. 61, p. 69; A. Spanò, Insediamenti Francescani nella Calabria angioina. Il paradigma Gerace, Soveria Mannelli, Città Calabria edizioni, 2006, pp. 80ss. IPOTESI «GIOACHIMITE» SUGLI AFFRESCHI DI GIOTTO 37 lica napoletana, della teoria della storia elaborata da Gioacchino e sostenuta dagli Spirituali 7 . Comunque, altre conferme della tesi della derivazione gioachi- mita della pianta della chiesa francescana sono state individuate, più di recente, nell'ambito di una importante e preziosa monografia dedicata all' attività di Giotto a Napoli 8 . Nel saggio appena menzio- nato, seguendo la lettura proposta dalla Bruzelius, si sostiene che, conformemente allo schema della Figura XVIII del Liber, che viene definita «tavola di concordanza (Concordia) fra i secoli e i tempi, con i tre stati e le otto età» 9 , Giotto e la sua bottega, riferendosi al Nuovo Testamento, abbiano dipinto alcuni episodi della Vita di Cristo nelle cappelle della navata sinistra della basilica. In quelle poste nella navata destra, invece, il Maestro avrebbe realizzato scene dell'Antico Testamento, ed, in particolare, Storie di Adamo, Noè, Abramo e Davide e, forse, anche della Creazione, di Giuseppe, di Mosè, di Sansone e di Salomone. Nelle cappelle di entrambe le navate queste scene sarebbero state articolate in quattro o, addirit- tura, in sei riquadri per ciascuna cappella 10 . E evidente che l'interpretazione della Figura del Liber nei ter- mini appena esposti viene ad essere principalmente addotta quale conferma «esterna» della notizia, riferita da Giorgio Vasari, secondo la quale Giotto, appena giunto a Napoli da Firenze «dipinse in alcune capelle del detto monasterio [di S. Chiara] molte Storie del- l'Antico Testamento e Nuovo» 11 . Questa stessa notizia è stata in- 7 Per tali critiche si rinvia a M. Gaglione, Qualche ipotesi e molti dubbi su due fondazioni angioine a Napoli: S. Chiara e S. Croce di Palazzo, in «Campania sacra», 33, 2002, pp. 61-108; Id., Allusioni gioachimite nella basilica angioina di Santa Chiara a Napoli?, in «Studi storici», 45, 2004, pp. 280-288; Id., La basilica ed il monastero doppio di S. Chiara a Napoli in studi recenti, in «Archivio per la Storia delle Donne», 4, 2007, pp. 127-198. 8 P. Leone de Castris, Giotto a Napoli, Napoli, Electa, 2006, pp. 125ss., il quale riprende anche osservazioni di Mattano, La Basilica angioina di S. Chiara a Napoli, cit., pp. 49ss.; pp. 83ss.; pp. HOss. 9 Leone de Castris, Giotto a Napoli, cit., p. 116, fig. 64. 10 Leone de Castris, Giotto a Napoli, cit., pp. 131-133, p. 151. 11 L'Edizione Giuntina delle Vite (1568) precisa: «Dopo, essendo Giotto ritornato in Firenze, Ruberto re di Napoli scrisse a Carlo duca di Calavria suo primogenito, il quale se trovava in Firenze, che per ogni modo gli mandasse Giotto a Napoli, perciò che, avendo finito di fabricare S. Chiara, monasterio di donne e chiesa reale, voleva che da lui fusse di nobile pittura adornata. Giotto adunque, sentendosi da un re tanto lodato e famoso chiamar [e], andò più che volentieri a servirlo, e giunto dipinse in alcune capelle del detto monasterio molte storie del Vecchio Testamento e Nuovo. E le storie de l'Apocalisse ch'e' fece in una di dette 38 MARIO GAGLIONE vece oggetto di ampio dibattito, non essendo mancato infatti chi, sulla base di varie considerazioni, ha circoscritto l'intervento di Giotto piuttosto al solo coro delle Clarisse, escludendo che il Mae- stro abbia potuto operare anche nelle cappelle della chiesa esterna di S. Chiara 12 . Infine, sempre nell'ambito della citata monografia, si è sostenuto che la derivazione della pianta della basilica dalla menzio- nata Figura risulterebbe più che probabile, poiché lo stesso Liber Figurarum sarebbe stato ben conosciuto alla corte angioina. Infatti, alcuni testimoni dell'opera e, in particolare, i manoscritti Vaticano Latino 3822 e 4860, risulterebbero di fattura meridionale proprio come il codice di Oxford, forse miniato nello scriptorìum di S. Gio- vanni in Fiore. In particolare, le miniature del ms. Vat. Lat. 4860 rinvierebbero «alla speciosa cultura umbro-cavalliniana maturata a Napoli» da Lello da Orvieto, Cristoforo Orimina e dall'anonimo Mae- stro delle Tempere Francescane, con datazione intorno al 1330 13 . Ad ogni modo, Sancia e Roberto avrebbero potuto conoscere l'opera an- che in Provenza e nella Francia meridionale, ove si trovarono in di- capelle furono, per quanto si dice, invenzione di Dante, come per avventura furono anco quelle tanto lodate d'Ascesi delle quali si è di sopra abastanza favellato; e se ben Dante in questo tempo era morto, potevano averne avuto, come spesso avviene fra gl'amici, ragionamento». L'Edizione Torrentiniana (1550) invece: «Fu chiamato a Napoli dal re Ruberto, il quale gli fece fare in Santa Chiara, chiesa reale edificata da lui, alcune cappelle nelle quali molte storie del Vecchio e Nuovo Testamento si veggono, dove ancora in una cappella sono molte storie dell'Apocalisse, ordinategli, per quanto si dice, da Dante, fuoruscito allora di Firenze e condotto in Napoli anch'egli per le parti», e cfr. l'edizione digitale sinottica curata del Centro di Ricerche Informatiche per i Beni Culturali della Scuola Normale Superiore di Pisa, all'indirizzo <ht tp ://biblio . cribecu . sns . it/vas ari/consult azione/V as ari/indice . html> (ultima con- sultazione: 30 novembre 2007). 12 Cfr. F. Aceto, Pittori e documenti della Napoli angioina: aggiunte ed espun- zioni, in «Prospettiva», 67, 1992, pp. 53ss. Per l'esame e la discussione delle diverse posizioni: Leone de Castris, Giotto a Napoli, cit., pp. 85ss., che, riguardo agli altri dipinti realizzati da Giotto a S. Chiara, ritiene che nell'area presbiteriale della chiesa, alle spalle dell'altare maggiore e del coro dei frati ed in corrispondenza della Croce della Deposizione affrescata dall'altra parte del muro nel coro delle Clarisse, dovesse invece essere l'Apocalisse ricordata dallo stesso Vasari. Questo grande affresco era stato probabilmente eseguito nei due riquadri posti ai lati della quadrifora centrale che si apre nella parete divisoria tra la chiesa esterna e l'oratorio delle monache. Proprio sulla stessa parete divisoria, dal lato dell'oratorio, era affrescato appunto il" Compianto sul Cristo morto e le altre storie cristologiche, tra le quali, verosimilmente, una Resurrezione ed un Cristo giudice. Infine, tornando alla chiesa esterna, anche il para- petto delle tribune era affrescato ma con figure di Angeli e di Profeti, mentre le pareti superiori, probabilmente, non erano dipinte, e cfr. Id., ivi, pp. 129, 133, 151. 13 Leone de Castris, Giotto a Napoli, cit., p. 146, figg. 115-116. IPOTESI «GIOACHIMITE» SUGLI AFFRESCHI DI GIOTTO 39 verse occasioni ed ove, appunto, i diagrammi gioachimiti erano certa- mente diffusi. E fin qui l'importante contributo sulla presenza e sull'attività di Giotto a Napoli. Partendo dall' asserita fattura meridionale dei citati codici Va- ticani Latini, fattura che costituirebbe un indizio della possibile circolazione degli stessi a Napoli e presso la corte angioina, occorre rilevare che l'origine e la datazione di questi manoscritti è partico- larmente controversa. Mentre il ms. Vat. Lat. 4860 è stato varia- mente datato tra il secolo XIII e la prima metà del secolo XIV, e lo si è altresì ritenuto «codice di ambiente benedettino-olivetano pa- dovano» opera di un miniatore bolognese, il ms. Vat. Lat. 3822 è stato invece datato piuttosto concordemente alla fine del secolo XIII, mentre ne è dibattuta l'area di produzione: Parigi o l'area francese^ l'area genericamente italiana, o più specificamente sici- liana 14 . E necessario ricordare poi che il ms. Vat. Lat. 4860 non contiene la Figura delle «Sette età», dalla quale si pretende sia stata ricavata la pianta di S. Chiara e sia derivato il soggetto degli affre- schi che sarebbero stati eseguiti da Giotto nella chiesa esterna 15 . La stessa Figura manca poi anche nel ms. Vat. Lat. 3822 16 . La suppo- 14 Quanto al ms. Vat. Lat. 4860, contenente estratti da opere diverse di Gioacchino, la datazione al secolo XIII è stata sostenuta da Bignami Odier, Hirsch Reich, Reeves e Daniel, che lo assegnano ad un estensore francescano. La datazione alla prima metà del secolo XIV, invece, è stata sostenuta da Kaup, Troncarelli e De Fraja. In particolare, Wessley e Troncarelli parlano di «codice di ambiente bene- dettino-olivetano padovano» opera di un miniatore bolognese. Quanto all'origine del ms. Vat. Lat. 3822, contenente anch'esso opere varie di Gioacchino, Troncarelli propende per Parigi o per l'area francese, mentre Bignami Odier, Hirsch Reich e Reeves propendono genericamente per l'area italiana, infine, all'area siciliana pensa Patschovsky, e cfr. M. Rainini, Disegni dei tempi. Il «Liber Figurarum» e la teologia figurativa di Gioacchino da Fiore, Roma, Viella, 2006, pp. 268-273. 15 Questo codice, infatti, ai ff. 198r-204v, comprende un abbozzo del dia- gramma delle Rotae di Ez. 1, e dei diagrammi degli alberi delle generazioni discen- denti, del drago apocalittico, del misterium ecclesiae, dei tre cerchi trinitari, della dispositio novi ordinis, degli alberi-scala rappresentativi dei tre status e, di nuovo, dei cerchi trinitari, ed è accompagnato da cinque fogli vuoti che avrebbero potuto accogliere almeno altre dieci tavole di diagrammi, circostanza questa che conferma che l'opera non era stata portata a termine, e rende improbabile l'eventuale suppo- sizione di un testo incompleto perché privato, nel corso del tempo, di alcune delle tavole originarie, e cfr. Rainini, Disegni dei tempi, cit., pp. 269-270. 16 II codice, infatti, ai ff . 2v-3r, 4v-5r, 7r-8r, reca i diagrammi delle genera- zioni ascendenti, del draco magnus et rufus, del tetragrammaton e diverse versioni dei tre cerchi, e cfr. Rainini, Disegni dei tempi, cit., pp. 272-273. 40 MARIO GAGLIONE sizione dell'esecuzione delle miniature in ambiente meridionale non può inoltre implicare necessariamente anche una diffusione del Li- ber alla corte angioina. Quanto infine alla possibile conoscenza del- l'opera da parte dei sovrani nel periodo in cui si trovarono in Fran- cia, si tratta di una mera ipotesi, non suffragata, allo stato, da alcun indizio o prova. C'è in realtà da chiedersi se effettivamente la più volte citata Figura XVIII del codice Reggiano del Liber abbia i contenuti «con- cordistici» che vi sono stati da ultimo individuati. Occorre anzitutto premettere che per «concordia», nell'ambito delle opere e delle teorie di Gioacchino, deve intendersi «la corri- spondenza simmetrica tra gli avvenimenti narrati nell'Antico Testa- mento per il popolo di Israele e quelli raccontati e prefigurati nel Nuovo Testamento... per il nuovo Israele della Chiesa» 17 . La Figura in esame del Liber Figurarum reca, al centro, il già citato diagramma rettangolare e, ai margini, un testo fittamente manoscritto (cfr. fig. 1). Tale testo, la cui traduzione può leggersi in appendice a questa nota, è tratto dal libro V della Concordia Novi ac Veteris Testamenti, opera di Gioacchino da Fiore tradita dal co- dice Urbinate Latino 8 della Biblioteca Apostolica Vaticana. Più precisamente è riportato il passo posto tra la I e la II distinctio, destinato ad essere illustrato da una Figura esplicativa che manca nel manoscritto Urbinate Latino, e che viene in genere identificata proprio nella citata tavola XVIII del Liber Figurarum 18 . Orbene, il libro V della Concordia, dal quale è desunto il com- 17 Rainini, Disegni dei tempi, cit., p. 85. La più nota definizione gioachimita della concordia è la seguente: «Concordiam proprie dicimus similitudinem eque proportionis novi ac ueteris testamenti, eque dico quo ad numerum non quo ad dignitatem; cum uidelicet persona et persona, ordo et ordo, bellum et bellum ex parilitate quidam mutuis se uultibus intuentur», e, cioè, «chiamiamo propriamente «concordia» la somiglianza di equa proporzione di Nuovo e Antico Testamento, e dico equa per quanto riguarda il numero, non per quanto riguardo la dignità: come se per una certa parità fossero rivolti l'uno di fronte all'altro persona e persona, ordine e ordine, guerra e guerra», e cfr. ancora Id., ivi, p. 20, p. 33, nota 91. 18 Tondelli, Reeves, Hirsch-Reich, Il Libro delle Figure, cit., voi. I, pp. 84- 87, voi. II, tav. XVIILz, tratta dal codice del Liber conservato presso il Seminario Vescovile di Reggio Emilia, ms. RI = El. Il codice della Concordia precisa (f. 132v): «in hac figura declaratur magnum mysterium pertinens quam nimis ad catholicam fidem...», e, precedentemente, «secundum quod ostenditur in presenti figura...». Quale tavola XVIII£ Tondelli, Reeves ed Hirsch-Reich, pubblicano una variante semplificata, forse «non finita», della stessa Figura, tratta dal codice del Corpus Christi College di Oxford (ms. 255 A), al f. 5r. Nello stesso codice tuttavia, al f. 8v, il diagramma ricompare in forma omogenea a quella della tavola XVIIIa del IPOTESI «GIOACHIMITE» SUGLI AFFRESCHI DI GIOTTO 41 KJ^^^^^^P^^^Uk:^^ Jr**®' •■"■'•■' - *'■.■ Fig. 1 - La figura XVIII del Liber figurarum (da Tondelli, Reeves, Hirsch-Reich). 42 MARIO GAGLIONE mento marginale alla nostra Figura, tratta delle storie principali dell'Antico Testamento. Per esse viene proposta una interpreta- zione fondata sull'esegesi spirituale, la quale, secondo Gioacchino, avrebbe consentito anche di preconizzare gli avvenimenti storici futuri. In altre parole, il libro V «è un lungo commentario sui libri storici del Vecchio Testamento» 19 , ed «il suo contenuto è conside- revolmente diverso» 20 da quello degli altri Libri della Concordia. Infatti, è piuttosto nei precedenti libri, dal I al IV, che Gioacchino procede effettivamente ad esaminare o a rinvenire i punti di «con- cordanza» tra le vicende ed i personaggi narrati nell'Antico e nel Nuovo Testamento. Nell'ambito del Liber Figurarum, nello stesso codice di Reggio Emilia, poi, le figure concordatarie sono altresì contenute piuttosto nelle tavole IX e X, e, soprattutto, nelle tavole III e IV, da esaminare sinotticamente, ed appunto denominate Con- cordia Veteris Testamenti et Novi 21 . In particolare, in queste due ultime tavole è tracciato un dettagliato raffronto tra i personaggi e gli episodi dei due Testamenti, ad esempio tra Adamo ed Azarias, Abramo e Zaccaria, Isacco o Elia e Giovanni Battista, Giacobbe e Cristo e cosi via. Proprio per quanto appena rilevato la Figura XVIII è stata quindi designata come tavola delle «Età del mondo» 22 , delle «Sette età del mondo» 23 ovvero delle «Sette età» 24 . codice di Reggio Emilia, e cfr. Rainini, Il «Liber Figurarum» nel manoscritto Oxford, Corpus Christi College, ms. 255 A (=0), in Id., Disegni dei tempi, cit. 19 A. Tagliapietra, Opere principali, in G. da Fiore, Sull'Apocalisse, Milano, Feltrinelli, 1994, pp. 76ss. 20 Cfr. E.R. Daniel, Abbott Joachim of Flore, Liber de Concordia Noui ac Veteris Testamenti, Philadelphia, The American Philosophical Society, 1983, p. XXII, il quale, appunto, osserva: «not only is Book Five longer than the first four Books together, but its content is considerably different from theirs». Le peculiarità del libro V rispetto ai precedenti sono precisate dallo stesso Gioacchino: «etenim in hiis quatuor libris parum agitur secundum spiritum, magis secundum litteram, hoc est secundum concordiam littere et littere, scilicet duorum testamentorum...oportet nos in hoc quinto libro de quibusdam gestis sollempnibus que occurrerint spiritualiter agere ut ex multis testimoniis ostendamus laboriosos rerum fines et post magnos agones et certamina pacem uictoribus impartiri» (Concordia, V, 1). 21 Tagliapietra, Opere principali, cit., p. 102. 22 Tondelli, Reeves, Hirsch-Reich, Il Libro delle Figure, cit., voi. I, p. 84. 23 A. Crocco, Liber Figurarum, Ms. Reggiano (RI), tav. XVIII (Biblioteca del Seminario di Reggio Emilia). Le «sette età» del mondo, in L'Età dello Spirito e la fine dei tempi in Gioacchino da Fiore e nel Gioachimismo medievale, Atti del II congresso internazionale di studi gioachimiti, S. Giovanni in Fiore, Centro Internazionale di Studi Gioachimiti, 1986, p. 8. 24 Rainini, Il «Liber Figurarum», cit., loc. ult. cit. IPOTESI «GIOACHIMITE» SUGLI AFFRESCHI DI GIOTTO 43 La tavola XVIII del Liber ha infatti, principalmente, lo scopo di illustrare la teoria escatologica della storia elaborata da Gioac- chino ed incentrata sul susseguirsi di secula, tempora ed etates in una prospettiva strettamente trinitaria, che conferisce unitarietà alla storia stessa 25 . Rifacendosi dunque innegabilmente alla divi- sione settenaria delle età della storia già teorizzata da Sant'Ago- stino, Gioacchino colloca in modo originale la settima età, quella cioè del raggiungimento della pax vera, della perfecta iustitia e della plenìtudo veritatis et libertatis, entro il corso storico, aggiungendo poi una Octava aetas quale «stadio finale ed eterno della storia umana». Perciò la figura XVIII del Liber è suddivisa in un fregio inferiore, rappresentante i sette secula dell'Età del Padre, in un fregio superiore, che illustra i sette tempora dell'Età del Figlio, e infine in una parte centrale raffigurante le sette Età del mondo, la settima delle quali, corrispondente al momento storico in cui vi- veva Gioacchino {tempus praesens), sarebbe sfociata nel Tertius sta- tus dello Spirito Santo, cui, in conclusione, avrebbe fatto seguito, appunto, Y Octava aetas 26 . Ma passiamo a leggere le brevi iscrizioni che illustrano il dia- gramma rettangolare centrale della Figura XVIII, riprodotta nella figura 1 posta a corredo di questa stessa nota. Occorre precisare che il diagramma deve essere esaminato trasversalmente, nel senso del lato maggiore del rettangolo, da sinistra a destra e dal basso all'alto, mentre il testo tratto dalla Concordia e trascritto ai margini risulta vergato in senso perpendicolare al diagramma stesso. Partendo dunque dal basso, rileviamo nell'ordine, nel fregio inferiore {secula): a) primum seculum, Adam genera tiones X, secundum seculum, Noe generationes X, tertium seculum, Abraam generationes X, quartum seculum, Booz generationes X, quintum seculum, Joiada generationes X, sextum seculum, ]eremia generationes X, septimum seculum, Zacharia sacerdos, sabbatum, adventus Spi- riti Sane ti, septima etas; b) initiatio primi stati, primum status, secundum status, tertium status; 25 Tondelli, Reeves, Hirsch-Reich, Il Libro delle Figure, cit., voi. I, pp. 4-87. 26 Cfr. Crocco, Liber Figurarum, Ms. Reggiano (RI), tav, XVIII, cit., pp. 8-10. 44 MARIO GAGLIONE nel fregio centrale (etates): a) Adam, Noe, Abraam, Davit, transmigratio Babilonie, lohannes Baptista, presens tempus; b) all'interno della tromba: clarificatio Filii, clarificatio Spiriti Sancii; e) Etas prima, etas secunda, etas tercia, etas quarta, etas quinta, etas sexta, etas septima; nel fregio superiore (tempora): a) initium Romanorum, Hysaia propheta; b) initiatio secundi stati, primum tempus, Ozias generationes X, secundum tempus, Zorobabel, tertium tempus, Christus genera- tiones X, quartum tempus, generationes X, quintum tempus, generationes X, sextum tempus, generationes X, septimum tem- pus; all'estremità destra del diagramma, dopo la linea divisoria: a) etas octava, resurrectio mortuorum. Come può agevolmente notarsi, nessuna delle iscrizioni men- ziona specificamente l'Antico o il Nuovo Testamento; inoltre, per la maggior parte, i personaggi citati, e cioè Adamo, Noè, Abramo, Booz, Ioiadà, Geremia, Davide, Ozias, Zorobabele ed Isaia, rien- trano nell'Antico Testamento e risultano variamente collocati lungo tutto il diagramma, sia in basso che al centro, oltre che in alto. Solo Zaccaria, Giovanni Battista e Cristo rientrano nel Nuovo Testa- mento. Tuttavia, mentre Cristo è indicato nel fregio superiore della Figura, che, sovrapponendo la stessa alla pianta di S. Chiara, corri- sponderebbe alla navata sinistra della basilica guardando l'altare maggiore, Zaccaria, il sacerdote padre del Battista, è segnato nel fregio inferiore, dal lato cioè della navata destra della chiesa. Gio- vanni Battista, infine, è indicato nel fregio centrale, nei pressi della tuba, della tromba apocalittica. Quindi, le iscrizioni appena ripor- tate, così come il testo marginale della Concordia, non consentono di affermare che la Figura XVIII abbia prevalentemente contenuti concordistici, ovvero che la stessa traduca graficamente concordanze tra personaggi dei due Testamenti, che risultano infatti variamente posizionati a destra, a sinistra ed al centro del diagramma. Non vi è, dunque, alcun elemento che possa indurre a sostenere, almeno lette- ralmente, né la concentrazione dei personaggi del Nuovo Testamento nel fregio superiore, né quella dei personaggi dell'Antico nel fregio inferiore, così da poter «giustificare» la collocazione dei cicli pitto- IPOTESI «GIOACHIMITE» SUGLI AFFRESCHI DI GIOTTO 45 rici giotteschi corrispondenti, rispettivamente, nella navata sinistra e nella navata destra della basilica di S. Chiara. Potrebbe tuttavia sostenersi che la Figura gioachimita abbia semplicemente costituito una fonte di ispirazione per la scelta del soggetto dei cicli pittorici da eseguire sulle pareti delle cappelle, oltre che per l'adozione della pianta dell'edificio, sicché non ci si dovrebbe aspettare una corrispondenza letterale tra la tavola XVIII del Liber e l'edificio concretamente realizzato. In altri termini, la Figura stessa non avrebbe costituito né un programma decorativo, né un progetto edilizio 27 . Ma a ben vedere, proprio la mancanza di una tale effettiva corrispondenza, congiuntamente ai seri dubbi avanzati in ordine alla sua fondatezza storica 28 , rende ancor più fragile l'ipotesi della «matrice gioachimita» della chiesa di S. Chiara a Napoli. Un collegamento tanto evanescente con la Figura non consente infatti di dimostrare in maniera convincente che la pianta ad aula rettangolare della chiesa napoletana, invece di derivare dalle analoghe, diffusissime piante delle chiese degli Ordini mendicanti, discenda proprio dal diagramma gioachimita. Risulta inoltre eviden- temente impossibile dimostrare che i cicli pittorici dell'Antico e del Nuovo Testamento, realizzati, secondo il referto vasariano, nella stessa chiesa esterna, invece di derivare dai numerosi cicli «tipolo- gici» inaugurati dagli affreschi dell'antica basilica di S. Pietro in Vaticano, discendano piuttosto dalle speculazioni concordistiche gioachimite. Occorre invece chiedersi se, pur abbandonando la discutibile ipotesi della valenza della Figura XVIII quale modello o fonte di ispirazione, sia eventualmente sostenibile, in altro modo, una «giu- stificazione» gioachimita della scelta del programma decorativo di S. Chiara, incentrato, come si è detto, sulle Storie dell'Antico e del 27 Leone de Castris, ad esempio, osserva che Mattano, nel suo saggio La Basilica angioina di S. Chiara a Napoli, cit., sovrappone la Figura XVIII del Liber alla pianta della chiesa «al contrario» rispetto a quanto ipotizzato dalla Bruzelius, sicché Vociava etas non viene più a corrispondere al coro delle Clarisse, bensì all'area del sagrato e del vestibolo della chiesa esterna. Questa lettura è stata respinta dallo stesso Leone de Castris, perché presuppone non «una ispirazione» ma «una volontà di corrispondenza piena fra la pianta ed il diagramma» derivante da un improprio «uso del diagramma come «progetto»». In altre parole, almeno per il programma architettonico, la Figura gioachimita avrebbe costituito piuttosto una fonte di ispi- razione che un modello seguito letteralmente dai costruttori, e cfr. Leone de Ca- stris, Giotto a Napoli, cit., pp. 159-160, nota 36. 28 Cfr. i saggi indicati alla precedente nota 7. 46 MARIO GAGLIONE Nuovo Testamento. Non di rado, infatti, opere di scultura, di pit- tura e di architettura sono state interpretate proprio facendo riferi- mento ad una possibile matrice gioachimita. Ad esempio, il mosaico dell' 'Arbor vitae nell'abside della basilica di S. Clemente a Roma avrebbe in qualche modo anticipato visiva- mente l'esegesi gioachimita dell'Apocalisse di San Giovanni e della Concordia 2 *, mentre un prezioso codice miniato da una bottega avi- gnonese agli inizi del secolo XIV avrebbe risentito dell'escatologi- smo e del «concordismo» gioachimita 30 . Influenze delle opere di Gioacchino sono state rinvenute altresì nella pianta e nella struttura della stessa abbazia madre dell'Ordine florense a S. Giovanni in Fiore 31 , nelle sculture della facciata del Duomo di S. Rufino 32 ad Assisi e negli affreschi della basilica di S. Francesco 33 nella stessa città. 29 Questa tesi viene avanzata, per la verità, in maniera piuttosto vaga da E.R. Daniel, Joachim of Fiore: Pattems of History in the Apocalypse, in The Apocalypse in the Middle Ages, a cura di R. K. Emmerson-B. Me Ginn, Ithaca London, Cornell University Press, 1992, pp. 72-88; per una lettura teologica ortodossa dei mosaici in questione cfr. invece J. Barclay Lloyd, A new look at the mosaics of San Clemente, in Omnia disce: Medieval studies in memory of Léonard Boy le, O.P., a cura di AJ. Duggan, J. Greatrex, B. Bolton, Ashgate, Aldershot, 2005, pp. llss. D'altra parte gli stessi mosaici vengono correntemente datati intorno al 1118-1123 quando Gioac- chino non era ancora nato o era giovanissimo. 30 Si tratta del codice 55. K. 2 (Rossi 17) dell'Accademia Nazionale dei Lincei e Corsiniana di Roma, e cfr. C. Frugoni, F. Manzari, Immagini di San Francesco in uno Speculum humanae salvationis del Trecento, Padova, Editrici Francescane, 2006. 31 Cfr. A. Cadei, La chiesa figura del mondo, in Storia e Messaggio in Gioac- chino da Fiore, Atti dell Congresso internazionale di studi gioachimiti (19-23 settembre 1979), S. Giovanni in Fiore, Centro Internazionale di Studi Gioachimiti, 1980, pp. 352ss., secondo il quale, l'assetto della chiesa abbaziale di S. Giovanni presenta peculiarità che consentono di parlare di una tipologia gioachimita per Yicnografia architettonica. Questi suoi connotati specifici, secondo Cadei, sono derivati dalle tavole XII, XIII e XV del Liher figurarum. Lo stesso Autore non manca poi di ricordare, a questo proposito, le divergenti opinioni di Leone Tondelli, secondo il quale la Figura XII ha piuttosto carattere idealistico ed utopico, non risultando che in nessuno dei monasteri florensi si sia cercato di realizzare tale modello, e di Edith Pasztor che, invece, vede nel diagramma la pianta concretissima delle strutture «urbanistiche» del monastero, e cfr. anche V. De Fraja, Oltre Cìteaux. Gioacchino da Fiore e l'Ordine florense, Roma, Viella, 2006. 32 F. Prosperi, Gioacchino da Fiore e le sculture del Duomo di Assisi, Spello, Dimensione Grafica, 2003, soprattutto sulla base delle tavole delle Praemissiones di Gioacchino, tradite dal codice 15 del monastero benedettino di S. Pietro a Perugia, risalente alla fine del XIII secolo o agli inizi del XIV. 33 F. Prosperi, Gioacchino da Fiore e Frate Elia. Dalle sculture simboliche del IPOTESI «GIOACHIMITE» SUGLI AFFRESCHI DI GIOTTO 47 ad Con particolare riguardo proprio alla basilica di S. Francesco si è affermato 34 che il programma iconografico prescelto per la deco- razione pittorica della chiesa inferiore così come di quella superiore, nel 1253, avrebbe dovuto, nelle intenzioni dei committenti, illu- strare l'inserimento dell'Ordine francescano nella storia del mondo e della salvezza, storia articolata nelle tre grandi fasi della legge, della grazia e dello spirito teorizzate da Gioacchino da Fiore e riprese dai Francescani spirituali. Questi ultimi, infatti, identifica- rono nel proprio il nuovo Ordine monastico preannunciato da Gioacchino, individuando in San Francesco Valter Christus, il nuovo messia, e, nel papa nemico, l'Anticristo. La ricostruzione concordi- stica della storia operata da Gioacchino da Fiore venne così comple- tata dai teologi Francescani spirituali in modo tale che «le corrispon- denze tipologiche in ambito francescano vennero ampliate e intese non in due ma in tre ricorsi successivi; il Nuovo Testamento è adempimento della promessa dell'Antico, ma è, a sua volta, pro- messa che si adempie sulla terra e nella storia, con l'avvento di Francesco» 35 . Tuttavia, la condanna, nel 1255, delYlntroductorius ad Evangelium Aeternum di Gerardo da Borgo San Donnino, opera che rappresentava la più compiuta espressione delle teorie dei France- scani spirituali, comportò l'interruzione dell'esecuzione del pro- gramma iconografico assisiate, che avvenne forse già nel 1257. Tracce significative di questo originario apparato decorativo sono state ad ogni modo rinvenute nelle vetrate a contenuto tipolo- gico 36 delle tre bifore del coro della basilica superiore, realizzate Duomo di Assisi ai primi dipinti della Basilica di San Francesco, Spello, Dimensione Grafica, 2007. 34 Da A. Cadei, Assisi, S. Francesco: l'architettura e la prima fase della decora- zione, in Roma anno 1300. Atti della IV settimana di studi di storia dell'arte medievale dell'Università di Roma «La Sapienza», a cura di A. M. Romanini, Roma, L'Erma di Bretschneider, 1983, pp. 154ss. 35 Cadei, Assisi, S. Francesco, cit., p. 156, è, in particolare, il Maestro di S. Francesco, negli affreschi della navata della chiesa inferiore, a seguire il parallelismo tra le Storie della passione di Cristo (Cristo depone gli abiti ai piedi della croce, Cristo dall'alto della croce affida Maria a Giovanni, Discesa dalla croce, Deposizione, Com- pianto, Apparizione di Cristo in Emmaus) e le Storie di San Francesco {Francesco rinuncia ai beni paterni, Innocenzo III sogna Francesco sorreggente la Chiesa di Roma, Predica alle creature, Francesco riceve le stimmate da un serafino, Morte di San Francesco e scoperta delle stimmate sul suo corpo). 36 Ad esempio, nella finestra I, designata anche come finestra VII, sono raf- figurati episodi veterotestamentari quali prefigurazioni dei corrispondenti episodi della Vita pubblica di Gesù, con i seguenti parallelismi: Davide viene a conoscenza della morte di Saul, La disputa con i dottori nel Tempio; Giacobbe attraversa il Gior- 48 MARIO GAGLIONE entro il 1250 ad opera di maestri tedeschi. L'iconografia delle stesse, basata sulle corrispondenze tipologiche, avrebbe un sèguito in due lancette del finestrone del transetto destro che completano il ciclo dell'abside con le apparizioni post mortem di Cristo e gli antitipi 01 veterotestamentari delle apparizioni angeliche. Il complesso delle vetrate del coro e del transetto verrebbe in tal modo a costituire una serie tipologica triangolare, nella quale le Storie della vita di Cristo farebbero da perno tra gli antitipi veterotestamentari e le Storie della Genesi, da un lato, le Storie di San Francesco e di San- t'Antonio^ dall'altro. Anche gli affreschi del transetto destro della chiesa sarebbero contrassegnati da una impronta gioachimita. Tra questi, la triade delle teofanie consistenti nella Maiestas, nelY Ascen- dano, Il battesimo di Gesù; Mosè e il Padre Etemo, La Trasfigurazione; La purificazione del tempio, La cacciata dei mercanti dal tempio; L'ingresso di un re, L'ingresso di Gesù in Gerusalemme; Abramo lava i piedi degli angeli, La lavanda dei piedi agli Apostoli; Il banchetto del re Assuero, L'ultima Cena; Elia in preghiera sul monte Oreb, L'Orazione nell'orto di Getsemani; Joab bacia Amasa, Il bacio di Giuda e la cattura di Cristo. 37 L'interpretazione tipologica comporta l'uso di tipi o modelli che presentano un'impronta in negativo o antitipo costituita da un'idea, una persona, o un avveni- mento nell'Antico Testamento che prefigura un'idea, una persona, o un avveni- mento nel Nuovo Testamento. Un esempio autorevole d'interpretazione tipologica è offerto dallo stesso Vangelo (Matteo 12, 40): «Come infatti Giona rimase tre giorni e tre notti nel ventre del pesce, così il Figlio dell'uomo resterà tre giorni e tre notti nel cuore della terra», ove, l'episodio veterotestamentario (antitipo) di Giona e della balena prefigura la morte e la resurrezione di Cristo. Sull'interpreta- zione figurale o tipologica della Sacra Scrittura, cfr. H. Rondet, Thèmes bibliques, éxégèse augustinienne , in Augustinus magister. Congrès intemational augustinien, Paris, 21-24 septembre 1954, Paris, Etudes Augustiniennes, 1955, voi. Ili, pp. 231-242; M. Simonetti, Lettura e/o allegoria. Un contributo alla storia dell'esegesi patristica, Roma, Institutum Patristicum Augustinianum, 1985; H. De Lubac, Esegesi medievale. I quattro sensi della Scrittura, Milano, Jaca Book, 1986, voi. I, pp. 19-37; La termino- logia esegetica nell'antichità. Atti del primo seminario di antichità cristiane, Bari, 25 ottobre 1984, Bari, EdiPuglia, 1987, nonché, più in generale, E. Auerbach, Figura, in Id., Studi su Dante, a cura di D. Della Terza, Milano, Feltrinelli, 1993, pp. 176- 226; P. Van Dael, Tipologia, estratto dal corso di Storia dell'Arte medioevale tenuto presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma, consultabile all'indirizzo: <http://www.unigre.it/rhetorica%20biblica/studenti/TBC005/TIPOLOGIA_- van%20Dael.doc> (ultima consultazione: 30 novembre 2007); H.L. Kessler, Storie sacre e spazi consacrati: la pittura narrativa nelle chiese medievali tra TV e XII secolo, in L'arte medievale nel contesto (300-1300): funzioni, iconografia, tecniche, Milano, Jaca Book, 2006, pp. 438ss. 38 Cadei, Assisi, S. Francesco, cit., pp. 155-156, secondo il quale i medaglioni di San Francesco e di Sant'Antonio attualmente posti nel quadrilobo nella finestra VII della basilica superiore ai lati del Cristo in gloria, proverrebbero dalle lancette della quadrifora III posta nel transetto settentrionale della basilica superiore. ''j$'x&H -' IPOTESI «GIOACHIMITE» SUGLI AFFRESCHI DI GIOTTO 49 sione e nella Trasfigurazione, poste nelle lunette di volta e nel tratto superiore della vetrata centrale, rimanderebbe alla Dispositio novi ordinis pertinens ad tercium statum ad instar superne Jerusalem ed alla Rota in medio rotae, contenute nelle Figurae XII e XV del Liber Figurarum. I sostenitori di questa tesi ammettono peraltro che tali sottili richiami e reconditi significati ben difficilmente avrebbero potuto esser colti dal comune visitatore, e che i principali fruitori sarebbero stati piuttosto i soli Francescani spirituali 39 . Secondo questa opinione, in conclusione, la sintesi ed il com- pletamento della teoria gioachimita della storia, operata dai France- scani spirituali con l'individuazione nell'Ordine minoritico del no- vus ordo monastico destinato alla guida della società, avrebbe avuto, quale esito iconografico, proprio l'affiancamento degli episodi della vita di San Francesco alle tradizionali serie tipologiche vetero e neotestamentarie in una prospettiva «rivoluzionaria». Tuttavia, accanto a queste serie tipologiche che sarebbero state ispirate dalle teorie gioachimite e spirituali, nella stessa basilica superiore assisiate furono eseguite altre e ben più note scene vetero 40 e neotestamentarie 41 , poste ancora una volta in collegamento con ventotto episodi della Vita di San Francesco 42 , benché in una pro- 39 Cadei, Assisi, S. Francesco, cit., p. 159, ricorda infatti che, secondo lo Schòne, si sarebbe trattato di un ciclo iconografico riservato ai soli Francescani spirituali e che perciò era limitato al loro coro non accessibile al pubblico, circo- stanza questa che ne favorì anche la successiva conservazione nonostante il muta- mento del programma decorativo. 40 II ciclo dell'Antico Testamento, realizzato sulla parete nord, si compone di sedici episodi e comincia con le Storie della Creazione nel registro superiore: Crea- zione del mondo, Creazione di Adamo, Creazione di Eva, Peccato originale, La cacciata dal Paradiso terrestre, Il lavoro dei progenitori, Il sacrificio di Caino ed Abele, Caino uccide Abele proseguendo, nel registro inferiore, con episodi della vita dei quattro patriarchi biblici Noè, Abramo, Giacobbe e Giuseppe: La costruzione dell'arca, L'ingresso di Noè e degli animali nell'arca, Il sacrificio di Isacco, La visita degli angeli ad Abramo, Isacco benedice Giacobbe, Esaù davanti ad Isacco, Giuseppe calato nel pozzo dai fratelli, Giuseppe si fa riconoscere dai fratelli in Egitto. 41 II ciclo del Nuovo Testamento, collocato sulla parete sud, si compone di sedici episodi e comincia con le Storie dell'infanzia di Cristo nel registro superiore: Annunciazione, Visitazione, Natività, Adorazione dei Magi, Presentazione di Gesù al tempio, Fuga in Egitto, Disputa nel tempio, Battesimo di Gesù. Nel registro inferiore, invece, sono collocati gli episodi della Vita pubblica e della Passione di Cristo: Le nozze di Cana, La resurrezione di Lazzaro, La cattura di Cristo nell'orto, Cristo davanti a Pilato, La salita al Calvario, La Crocifissione, Il Compianto sul Cristo morto, Le pie donne al sepolcro. 42 A partire dalla parete destra dal lato dell'altare: San Francesco riceve l'omag- gio dell'uomo semplice, Il Santo dona Usuo mantello al povero, Sogno del palazzo colmo 50 MARIO GAGLIONE spettiva più moderata, ispirata questa volta alla Vita ufficiale del Santo, la Legenda maior redatta da San Bonaventura 43 . Proprio Bo- naventura ed, in seguito, il probabile committente degli affreschi, il cardinale francescano Matteo d'Acquasparta, si erano infatti oppo- sti agli Spirituali rigoristi ed alla teoria da loro sostenuta secondo la quale con l'avvento dell'Età dello Spirito si sarebbe pervenuti ad uno scardinamento dell'ordine costituito già sulla terra e nella sto- ria. L'Autore della Legenda, invece, ribaltò proprio la prospettiva di un radicale mutamento «nella storia», sostenendo che i tempi nuovi si sarebbero dispiegati su di un piano esclusivamente ultraterreno, privo quindi di pericolose ricadute politiche. Ritornando dunque agli affreschi dell'Antico e del Nuovo Te- stamento che Giotto avrebbe eseguiti nella chiesa esterna di S. Chiara, non risultano notizie, di fonte letteraria o documentaria, dell'esistenza anche di un ciclo della Vita di San Francesco che avrebbe potuto far pensare ad una consapevole imitazione del mo- dello assisiate nella versione spirituale o piuttosto in quella bona- venturiana. D'altra parte, al tempo della esecuzione degli affreschi nella grande chiesa napoletana erano trascorsi decenni dai movimen- tati inizi della decorazione della basilica di Assisi, vero e proprio palinsesto iconografico della storia dell'Ordine. Inoltre, il contrasto tra il papato e la dirigenza dello stesso Ordine minoritico, da un lato, ed i dissidenti Spirituali dall'altro era giunto ormai, con papa di armi, Cristo appare al Santo in S. Damiano, Rinunzia alle vesti, Sogno di Innocenzo III, Innocenzo III approva la Regola, Il Santo sul carro di fuoco, Frate Leone vede il trono celeste destinato a San Francesco, Cacciata dei demoni da Arezzo, La prova del fuoco, L'estasi di San Francesco, Il presepe di Greccio, Miracolo della fonte, Predica agli uccelli, Morte del signore di Celano, La predica davanti ad Onorio III, San Francesco appare ai frati riuniti in capitolo ad Arles, Stimmate, Morte e funerali, San Francesco appare al vescovo di Assisi e a frate Agostino, Il patrizio Girolamo si accerta delle stimmate, Le Clarisse di S. Damiano piangono il Santo, Canonizzazione, San Francesco appare a Gregorio IX, Guarigione del gentiluomo di llerda, Resurrezione della gentil- donna, Liberazione di Pietro d'Alife. 43 Le posizioni di San Bonaventura vennero riprese dal cardinale Matteo d'Acquasparta in tre suoi sermoni. Il cardinale, generale dell'Ordine dal 1287 al 1289, fu probabilmente l'ideatore del programma iconografico della navata della basilica superiore e contrastò decisamente gli Spirituali guidati da Ubertino da Casale. I tìtuli illustranti gli episodi della Leggenda francescana sono tratti dalla Legenda maior, e cfr. E. Lunghi, San Francesco ad Assisi, Firenze, Passigli, 1996, pp. 56ss. Per l'ispirazione alla Legenda major, cfr. G. Ruf, Francesco e Bonaventura. Un'interpretazione storico-salvifica degli affreschi della navata nella chiesa superiore di San Francesco in Assisi alla luce della teologia di San Bonaventura, Assisi, Casa Edi- trice Francescana, 1974, p. 39 e Cadei, Assisi, S. Francesco, cit., p. 158. IPOTESI «GIOACHIMITE» SUGLI AFFRESCHI DI GIOTTO 51 Giovanni XXII, ad una persecuzione sistematica dei secondi, e, come si è visto, al prevalere di posizioni moderate, circostanza que- sta che sembra deporre contro la possibilità di citazioni iconografi- che eccessivamente «eversive» 44 . Infine, l'assoluta impossibilità di ricostruire i contenuti ed i soggetti delle scene vetero e neotestamentarie eventualmente realiz- zate nella chiesa esterna di S. Chiara a Napoli non consente neppure di accertare una eventuale, effettiva influenza sulle stesse di quella più precisa ed articolata corrispondenza tra fatti, persone, figure e adempimenti dei due Testamenti, che, secondo alcuni, sarebbe co- munque derivata proprio dalla diffusione delle teorie di Gioacchino tradotte poi in immagini 45 . La spiegazione della scelta delle scene dell'Antico e del Nuovo Testamento per la decorazione di S. Chiara, a questo punto, può essere piuttosto individuata proprio nella volontà di seguire il tra- dizionale filone tipologico, significativamente rinvenibile nello stesso repertorio di Giotto. Il modello più prestigioso di tale filone era costituito dalla serie degli affreschi dell'antica basilica di S. Pietro in Vaticano. Le pareti 44 Nell'antico refettorio dei Frati minori, oggi chiesa esterna del monastero delle Clarisse, è posto l'affresco della Mensa del Signore, attribuito al Maestro di Giovanni Barrile, e datato intorno al 1331-1332, ovvero qualche tempo dopo il 1332, la cui particolare iconografia sarebbe servita a celebrare i valori della povertà e dell'umiltà, testimoniando così il particolare favore dei sovrani angioini per questi ideali strenuamente propugnati dai Francescani spirituali, favore «ufficializzato» dal contorno araldico dell'affresco, e cfr. F. Bologna, I pittori alla corte angioina di Napoli (1266-1414), Roma, U. Bozzi, 1969, pp. 200ss.; Leone de Castris, Giotto a Napoli, cit., p. 106; pp. 146-149, e fig. 61. Una lettura più articolata è stata recentemente suggerita da C. Frugoni, Una solitudine abitata. Chiara d'Assisi, Roma-Bari, Editori Laterza, 2006, pp. 125-126: nel nostro affresco, Cristo è posto su di una montagna circondato dagli apostoli. In basso, San Pietro distribuisce il pane alla folla in ascolto attingendo a cesti stracolmi. In primo piano sono inginoc- chiati San Francesco, con la bisaccia della questua, e Santa Chiara, in orazione. Il dettaglio della montagna rimanda al Vangelo di Giovanni (6, 3-15), ove al miracolo della moltiplicazione segue il discorso del Cristo che si presenta alla folla come «il vero pane sceso dal cielo». V Agnus Dei, ripetuto quattro volte alle estremità, co- stituisce un ulteriore richiamo all'eucaristia. Sembrerebbe in tal modo prevalere proprio il riferimento eucaristico ricorrente, peraltro, nella dedicazione ufficiale della chiesa esterna all'Ostia santa, sicché, i frati riuniti nel refettorio per il frugale pranzo garantito dalla carità di Dio, nel consumare il cibo del corpo, non avrebbero dimenticato la necessità di nutrirsi di quello dell'anima, ben più prezioso del pane. Gli eventuali, ma labili, accenni spirituali erano, in tal caso, riservati ai soli frati essendo il refettorio inaccessibile, di regola, ai laici. 45 Cadei, Assisi, S. Francesco, cit., p. 157. 52 MARIO GAGLIONE della navata centrale erano infatti decorate con Storte dell'Antico e del Nuovo Testamento, eseguite durante il pontificato di papa Leone I (440-461), distrutte poi nel 1608, nel corso dei lavori di costru- zione del nuovo S. Pietro, ma fortunatamente descritte da Jacopo Grimaldi e documentate dagli acquerelli di Domenico Tasselli da Lugo. Le scene dell'Antico Testamento, tratte soprattutto dalla Ge- nesi e dall'Esodo, erano dipinte sulla parete destra, mentre sulla parete sinistra si svolgeva un ciclo illustrante la Vita e la Passione di Cristo. Questi affreschi costituirono: «il prototipo fondamentale per le successive decorazioni con scene vetero e neotestamentarie che da Roma si diffusero in tutta Italia e in gran parte d'Europa... la prima e più completa esposizione per immagini dei principali episodi biblici ed evangelici a livello di pittura monumentale» 46 . Un folto gruppo di affreschi tipologici derivò direttamente da quelli di S. Pietro, come nel caso delle decorazioni musive dell'atrio della basi- lica abbaziale cassinense volute da Desiderio, dalle quali derivarono ulteriormente le storie testamentarie di S. Angelo in Formis, nonché degli affreschi di S. Pietro a Ferentillo, di S. Maria Immacolata di Ceri, di S. Giovanni a Porta Latina 47 , di S. Maria in Monte Domi- nico a Marcellina, di S. Nicola a Castro dei Volsci, della cappella di S. Tommaso nel duomo di Anagni, dell'Annunziata a Cori, ed anche 46 Cfr. A. Tomei, La basilica dalla tarda antichità al secolo XV, in La basilica di San Pietro a Roma, a cura di C. Pietrangelo Firenze, Cantini, 1989, p. 67, nonché H. Kessler, «Caput et speculum omnium ecclesiarum»: old St. Peter s and church deco- ration in medieval Latium, in Italian church decoration of the Middle Ages and early Renaissance: functions, forms and regional traditions, a cura di W. Tronzo, Bologna, Nuova Alfa, 1989, pp. 109-146. 47 II ciclo pittorico veterotestamentario comprende diciotto scene, mentre quello neotestamentario ne comprende ventinove conteggiando separatamente V Ul- tima cena e la Lavanda dei piedi, e fu realizzato da tre o quattro pittori nella seconda metà del secolo XII. Nulla ha dunque a che vedere con questi affreschi la presenza nella chiesa di quindici fratres paupertatis attestata dal Catalogo delle chiese di Roma (Biblioteca Nazionale di Torino, Cod. lat. A 381) risalente al 1320 circa, e da alcune lettere di Angelo Clareno del 1313, e cfr. Angelo Clareno, Opera, I, Epistole, a cura di L. von Auw, Roma, Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, 1980, p. XXXI, pp. lss., pp. 28ss. Più in generale, sostengono un collegamento tra gli Spirituali napoletani e quelli romani, ed anzi una vera e propria influenza del filospiritualismo di Sancia sulla politica di Cola di Rienzo: A. Collins, Greater than Emperor. Cola di Rienzo (ca. 1313-1354) and the world of Fourteenth Century Rome, Ann Arbor, The University of Michigan Press, 2002, pp. 108ss.; R.G. Musto, Apocalypse in Rome. Cola di Rienzo and thepolitics ofthe new age, Berkeley, Los Angeles, New York, The University of California Press, 2003, pp. 12 lss., 165ss. IPOTESI «GIOACHIMITE» SUGLI AFFRESCHI DI GIOTTO 53 dei restauri cavalliniani degli affreschi di S. Paolo 48 e del ciclo di Vescovio. Gli stessi affreschi vetero e neotestamentari della basilica superiore di Assisi derivano dalle serie tipologiche di S. Pietro. Si tratta certamente di cicli piuttosto complessi: così a S. Pietro gli episodi veterotestamentari erano quarantasei, a S. Paolo trentotto, a Ceri venticinque, e ad Assisi sedici 49 . Questo modello iconografico fu ripreso ben presto in tutta Europa, come conferma anche una notizia offertaci da Beda il Venerabile (673 ca.-735) relativamente all'importazione da Roma all'abbazia di S. Pietro a Wearmouth di tavole dipinte di contenuto tipologico 50 . Dal dodicesimo secolo in poi i cicli tipologici risultano sempre più elaborati, come dimostra la pala d'altare di Klosterneuburg, costituita da placche di bronzo smaltato champlevè, completata da Nicola de Verdun nel 1181 51 . 48 Su questo ciclo cfr. S. Romano, II cantiere di San Paolo fuori le mura: il contatto con i prototipi, in Medioevo: i modelli. Atti del convegno internazionale di studi Parma 27 settembre-I ottobre 1997, a cura di A.C. Quintavalle, Parma-Milano, Università di Parma-Mondadori Electa, 2002, pp. 615-630. 49 Cfr. S. Romano, La morte di Francesco: fonti francescane e storia dell'Ordine nella basilica di S. Francesco d'Assisi, in «Zeitschrift fur Kunstgeschichte», 61, 1998, pp. 3 43 ss., ed E ad., La basilica di San Francesco ad Assisi. Pittori, botteghe, strategie narrative, Roma, Viella, 2001. 50 «Constituto ilio abbate Benedictus monasterio beati Petri apostoli, consti- tuto et Ceolfrido monasterio beati Pauli, non multo post temporis spatio quinta vice de Brittannia Romam adcurrens, innumeris sicut semper aecclesiasticorum donis commodorum locupletatus rediit; magna quidem copia voluminum sacrorum; sed non minori, sicut et prius, sanctarum imaginum munere ditatus. Nam et tunc do- minicae historiae picturas quibus totam beatae Dei genetricis, quam in monasterio maiore fecerat, aecclesiam in gyro coronaret, adtulit; imagines quoque ad ornandum monasterium aecclesiamque beati Pauli apostoli de concordia Veteris et Novi Te- stamenti summa ratione conpositas exibuit; verbi gratia, Isaac Ugna, quibus inmo- laretur portantem, et Dominum crucem in qua pateretur aeque portantem, proxima super invicem regione, pictura coniunxit. Item serpenti in heremo a Moyse exaitato, filium hominis in cruce exaltatum conparavit» e cfr. Beda, Vita quinque sanctorum abbatum, I, 9, edizione elettronica nella Biblioteca Augustana (Bibliotbeca latina, Latinitas medievalis) a cura di U. Harsch (Fachhochschule Augsburg) basata su Ve- nerabilis Baedae Opera Historica, edidit Carolus Plummer, Oxonii, E typographeo Clarendoniano, 1896, all'indirizzo: <http://www.fh-augsburg.de/~Harsch/Chrono- logia/Lspost08/Bede/bed quin.html> (ultima consultazione: 30 novembre 2007). 51 In alto nella pala sono poste diverse scene veterotestamentarie accadute prima della legge {ante legem), al centro sono le corrispondenti scene neotestamen- tarie (sub gratia), ed in basso le corrispondenti scene veterotestamentarie sotto la legge (sub lege). Ad esempio: le scene del Passaggio del Mar Rosso, del Battesimo di Cristo e del «mare di bronzo» del tempio vanno considerate in corrispondenza; così pure l'episodio di Giuseppe che viene messo nella cisterna, la deposizione di Cristo nel sepolcro e Giona nel ventre del pesce, e così via, cfr. H. Buschhausen, The 54 MARIO GAGLIONE Vennero redatti, inoltre, veri e proprio manuali proprio allo scopo di indicare al pittore o allo scultore i collegamenti tipologici tra gli episodi testamentari. Tra questi si ricorda il Victor in Car- mine 52 , opera di un anonimo monaco cistercense inglese del XII secolo, il quale, pur essendo contrario alla decorazione figurata delle chiese, riteneva tuttavia ammissibili almeno le rappresentazioni ti- pologiche poiché potevano fungere da efficaci libri laicorum. Ma, certamente, la fonte primaria fu costituita dalla Glossa ordinaria di Walafrido Strabone (f849) completata da Niccolò di Lira (f 1349), vera e propria sintesi dell'esegesi tipologica dei Padri della chiesa 53 . Orbene, proprio i temi tipologici rientravano certamente anche nel repertorio di Giotto. Oltre alla discussa partecipazione del Mae- stro all'esecuzione di alcuni episodi dell'Antico e del Nuovo Testa- mento nella basilica di S. Francesco ad Assisi 54 , sappiamo, soprat- tutto dalle Vite del Vasari, che Giotto eseguì Storie dei due Testa- menti nella basilica di S. Pietro a Roma 55 , nella cappella palatina del Castelnuovo 56 a Napoli, e storie del solo Nuovo Testamento nella SS. Annunziata a Gaeta 57 . D'altro canto, la biografia dello stesso Klosterneuburg Aitar of Nicholas of Verdun: Art, Theology and Politics, in «Journal of the Warburg and Courtauld Institutes», 37, 1974, pp. 1-32. 52 Victor in Carmine. Ein Handbuch der Typo logie aus dem 12. Jahrhundert. Nach der Handschrift des Corpus Chris ti College in Cambridge, Ms. 300, a cura di K. A. Wirth, Berlin, Mann, 2006. 53 E. Male, Le origini del gotico. L'iconografia medioevale e le sue fonti, Mi- lano, Jaca Book, 1986, pp. 15ss.; pp. 145ss. 54 L. Bellosi, Giotto e la Basilica Superiore di Assisi, in Giotto. Bilancio critico di sessantanni di studi e ricerche, Firenze, Giunti, 2000, pp. 33-54; B. Zanardi, Giotto e Pietro Cavallini. La questione di Assisi e il cantiere medievale della pittura a fresco, Milano, Skira, 2002; T. De Wisselow, The date of the St. Francis cycle in the upper Church of S. Francesco at Assisi: the evidence of copies and considerations of method, in The art of the Franciscan Order in Italy, a cura di W. R. Cook, Leiden- Boston, Brill, 2005, pp. 113ss. 55 Scrive infatti Vasari: «il papa avendo vedute queste opere e piacendogli la maniera di Giotto infinitamente, ordinò che facesse intorno intorno a San Pietro Istorie del Testamento Vecchio e Nuovo: onde cominciando fece Giotto a fresco l'Angelo di sette braccia che è sopra l'organo; e molte altre pitture, delle quali parte sono state da altri restaurate a dì nostri e parte nel rifondare le mura nuove, o state disfatte», e cfr. anche A. Tomei, Giotto a Roma intorno al primo Giubileo, in La storia dei Giubilei, a cura di G. Fossi, Roma, BNL, 1997, voi. I, pp. 238-255. 56 Questi affreschi furono eseguiti tra il 1329 ed il 1332-1333 ed andarono purtroppo distrutti nel 1470, durante il regno di Ferrante d'Aragona, e cfr. Leone de Castris, Giotto a Napoli, cit., pp. 168ss. 57 Scrive Vasari: «partito Giotto da Napoli per andare a Roma, si fermò a Gaeta, dove gli fu forza, nella Nunziata, far di pittura alcune storie del Testamento t ù„J. ]ìlttes:lJ£A^ ! IPOTESI «GIOACHIMITE» SUGLI AFFRESCHI DI GIOTTO 55 Giotto lascia davvero poco spazio ai sospetti di spiritualismo 58 . I suoi committenti e protettori erano strettamente legati alla corte pontificia, come quel fra Giovanni Mincio da Morrovalle, ministro generale dell'Ordine minoritico, che lo chiamò ad Assisi o il cardi- nale Jacopo Stefaneschi. Il Maestro, che aveva organizzato in ma- niera imprenditoriale la propria bottega, non disdegnava inoltre di prestare danaro e di acquistare terreni per investimento, ben lon- tano da scrupoli pauperistici 59 . A Giotto, anzi, viene tradizional- mente attribuita la canzone Molti son que che lodan povertade, che contiene una vera e propria invettiva contro la povertà, ritenuta istigatrice di delinquenza, causa di sovversione sociale e di ipo- crisia 60 . Ritornando a S. Chiara, in realtà, i frammenti di affresco a contenuto narrativo più sicuramente riconducibili a Giotto ed alla sua bottega sono quelli conservati nel coro o oratorio interno delle monache. Sulla parete che divide appunto l'oratorio dalla chiesa esterna può osservarsi ciò che resta di un Compianto sul Cristo depo- sto, che lascia ipotizzare, pur in mancanza di più precise evidenze, che l'intera parete fosse affrescata con scene della Vita di Cristo, forse principalmente episodi della Passione, secondo quanto realiz- zato nei cori di altri monasteri delle Clarisse. In particolare, nel coro di S. Pietro in Vineis ad Anagni 61 , qualche tempo dopo la canonizza- Nuovo, oggi guaste dal tempo, ma non però in modo che non vi si veggia benissimo il ritratto d'esso Giotto appresso a un Crucifisso grande molto bello», per la citazione cfr. la precedente nota 11. 58 Lo ammette lo stesso Leone de Castris, Giotto a Napoli, cit., p. 151. 59 Cfr. F. Antal, La pittura fiorentina e Usuo ambiente sociale nel Trecento e nel primo Quattrocento, Torino, Einaudi, 1960, p. 232. Giotto affittava telai ai tessitori meno abbienti realizzando profitti del 120%. Alcuni documenti attestano il suo ruolo di garante di prestiti e, nel 1314, risulta assistito da ben sei avvocati in atti contro debitori morosi o insolventi. 60 Tra l'altro il componimento precisa: «Di quella povertà ch'è contro a voglia/ Non è da dubitar ch'è tutta ria,/ Che di peccar è via, / Facendo ispesso a giudici far fallo;/ E d'onor donne e damigelle spoglia;/ E fa far furto, forza e villania; /E ispesso usar bugia/ E ciascun priva di onorato istallo». La canzone fu estratta dal codice 47 pluteo 90 laurenziano, ragguagliata sul codice 1717 riccardiano e pubblicata da F. Trucchi, Poesie italiane inedite di dugento autori: dall'origine della lingua infino al secolo decimosettimo, Prato, Ranieri Guasti, 1846, voi. II, pp. 5ss. 61 Cfr. M. Rak, Vedere, ricordare, raccontare. Immagine e racconto in un appa- rato pittorico dottrinale di una comunità femminile pauperista nel tardo medioevo, in II collegio Principe di Piemonte e la chiesa di S. Pietro in vineis in Anagni, a cura di M. Rak, Roma, INPDAP, 1997, pp. 21-34, nonché S. Romano, Gli affreschi di San Pietro in vineis, ibidem, pp. 105ss. e C. Jaggi, Frauenklóster im Spàtmittelalter. Die 56 MARIO GAGLIONE zione di Chiara avvenuta nella cattedrale di quella città, ove fu conservata la relativa bolla pontificia del 15 agosto del 1255, e, comunque, entro il 1263, vennero appunto dipinte le Storie della Passione di Cristo. Questo notevole ciclo si articola negli episodi dell'Ingresso in Gerusalemme, Ultima cena e lavanda dei piedi, Cattura e flagellazione di Cristo, Deposizione e discesa al limbo, Noli me tangere e missione degli Apostoli, Giudizio universale, che dovevano servire anzitutto come «strumento di memoria» nei momenti più solenni della liturgia. All'atto della recita sottovoce {in secreto) della pre- ghiera eucaristica {canon missae) nel corso della messa, quelle stesse scene consentivano alle Clarisse di ripercorrere, anche visivamente, la storia della redenzione fino alla morte ed alla resurrezione del Salvatore. Le sofferenze di Cristo, rappresentate in maniera reali- stica e cruenta, offrivano dunque alle Clarisse occasioni di medita- zione e di riflessione. Gli episodi della vita del Salvatore, inoltre, erano costantemente richiamati negli scritti dedicati alle Vite di San Francesco e di Santa Chiara, e per quest'ultima, già nella Leggenda redatta da Tommaso da Celano (1255-1256). Perciò, gli affreschi cristologici venivano a costituire, in definitiva, un grandioso prome- moria non solo della vita del Salvatore, ma appunto anche delle «vite parallele» di Chiara e di Francesco, ricostruibili per analogia dalle osservatrici, e ricordate alle monache anche attraverso le letture edificanti, i racconti orali e, soprattutto, la predicazione, non occor- rendo necessariamente la realizzazione di cicli tipologici «completi» che comprendessero cioè anche le Storie dei due Santi francescani 62 . Kirchen der Klarissen una Dominikannerinnen im 13. una 14. Jahrhundert, Monaco, Michael Imhof, 2006, pp. 255ss. 62 II ciclo della Passione nel coro delle monache di S. Pietro in vineis prosegue, in realtà, con l'episodio della stimmatizzazione di San Francesco, che riporta visi- vamente al parallelismo con Cristo. Vi sono rappresentati inginocchiati anche una badessa attorniata da monache ed un frate accompagnato da frati, in veste di donatori oranti. Lo stesso ciclo si conclude con un riquadro nel quale sono dipinti i Santi Aurelia, Scolastica e Benedetto e donatori. Nel coro delle monache della basilica di S. Chiara ad Assisi, corrispondente all'attuale cappella di San Giorgio, intorno al 1340 vennero eseguite, invece, oltre che le Storie della Passione di Cristo, pur nell'ordine anomalo, da sinistra, di Resurrezione, Deposizione dalla croce, e Deposizione nel sepolcro, anche quelle àzW Incarnazione con V Annunciazione , la Na- tività, e l'Adorazione dei Magi, e cfr. C. Jaggi, Frauenklòster im Spàtmittelalter, cit., pp. 247ss. A Napoli dev'essere infine ricordato il notevole ed articolato ciclo della Passione affrescato, probabilmente dopo il 1323 sulle pareti del coro delle Clarisse della chiesa di S. Maria Donnaregina vecchia, ispirato alla Legenda Aurea di Jacopo da Varagine ed alle Meditationes Vitae Còristi dello pseudo-Bonaventura ed articolato in diciassette scene. In particolare, in tre registri di cinque scene ciascuno, più due: IPOTESI «GIOACHIMITE» SUGLI AFFRESCHI DI GIOTTO 57 Come si è cercato di dimostrare, il riferimento alla esaminata Figura gioachimita quale modello o fonte di ispirazione per la scelta dei temi iconografici dei cicli pittorici realizzati nella basilica di S. Chiara risulta, a ben considerare, davvero piuttosto improbabile. Non molti anni or sono Richard Krautheimer, nei Poscritti ad un suo aureo saggio di introduzione alla iconografia architettonica 63 , 1) Ultima cena; 2) Comunione degli Apostoli) 3) Cristo lava i piedi a San Pietro; 4) Orazione di Cristo nell'orto; 5) Cattura di Cristo con l'episodio del San Pietro che taglia l'orecchio a Malco; 6) Cristo al cospetto dei sommi sacerdoti Anna e Cai/a, negazione di Pietro, derisione di Cristo che viene privato dei vestiti per la prima volta, flagellazione di Cristo; 1) Cristo portato davanti a Pilato per il primo giudizio e poi davanti ad Erode; 8) Secondo giudizio di Cristo davanti a Pilato e nuova flagellazione; 9) Cristo privato delle vesti e sua ascesa al Calvario, nuova spoliazione di Cristo ed innalzamento sulla croce; 10) Crocifissione; 11) Deposizione dalla croce, lamentazione sul corpo e sepoltura di Cristo; 12) Discesa al Limbo e resurrezione di Cristo; 13) Le Marie al sepolcro, «Noli me tangere», apparizioni di Cristo alla Vergine ed a Giuseppe d'Arimatea; 14) Apparizioni di Cristo alle due Marie di ritorno dal sepolcro, a Giacobbe figlio di Alfeo ed a San Pietro; 15) Cristo appare quattro volte agli Apostoli sul monte Tabor, poi sul monte degli Olivi, cena ad Emmaus con l'episodio dell'Incredulità di San Tommaso; 16) Ascensione; 17) Pentecoste. Tali scene avevano lo scopo di suscitare la compassione delle mona- che per le ultime vicende di Cristo, illustrando loro l'esempio delle Vergine Maria, non mancando, poi, di suggerire paralleli con la Vita di San Francesco, e di offrire, soprattutto nelle rappresentazioni dell'Ultima Cena, della Comunione degli Apostoli e della Cena di Emmaus, l'occasione di una contemplazione eucaristica che era loro preclusa dal vivo, durante l'elevazione dell'ostia nel corso della messa, e cfr., in proposito, A.S. Hoch, The «Passion» cycle: images to contemplate and imitate amid Clarissan «clausura», in: The church of Santa Maria Donna Regina: art, iconography and patronage in fourteenth-century Naples, a cura di Janis Elliott, Aldershot, Ashgate, 2004, pp. 129-153. 63 Per la traduzione italiana del saggio dal titolo originario Introduction to an «Iconography of Medieval Architecture» , comparso sul «Journal of Warburg and Cour- tauld Institutes», 5, 1942, pp. 1-33, si veda R. Krautheimer, Introduzione a un'i- conografia dell'architettura sacra medievale (1942), in Id., Architettura sacra paleocri- stiana e medievale, Torino, Bollati Boringhieri, 1993, pp. 98-150, in particolare alle pp. 144ss., comprendente i Poscritti del 1969 e 1987 (da p. 143). In questo saggio Krautheimer propone le sue osservazioni sulla «copia parziale» architettonica che caratterizza l'imitazione, durante il Medioevo, dei più prestigiosi edifici sacri non in termini di copia puntuale e corrispondente («copia totale»), ma di copia rielaborata, e cfr. al riguardo anche G. Bandmann, Early medieval architecture as bearer of mea- ning, con introduzione di K. Wallis, e postille di H. J. Boker, New York, Columbia University press, 2005, traduzione inglese del saggio originale in tedesco Mittelal- terliche Architektur als Bedeutungstràger, Berlin 1951 e W. Schenkluhn, Iconografia e iconologia dell'architettura medievale, in L'arte medievale nel contesto (300-1300): funzioni, iconografia, tecniche, Milano, Jaca Book, 2006, pp. 62-63 e p. 67. Per alcuni rilievi critici sulla tesi della «copia parziale», cfr., comunque, B. Brenk, Originalità e innovazione nell'arte medievale, in Arti e storia nel Medioevo, a cura di E. Castelnuovo e G. Sergi, Torino, Einaudi, 2002, voi. I, pp. 3-69. 58 MARIO GAGLIONE rilevava come spesso l'interpretazione simbolica delle piante degli edifici medievali fosse avvenuta post factum, e cioè dopo l'effettiva adozione delle forme decisa per altre motivazioni. Molto frequente- mente, cioè, si è attribuito al committente ed all'architetto ciò che nell'edificio aveva voluto vedere a posteriori il teologo medievale, o, altrettanto spesso, solo l'interprete moderno. Gli importanti studi iconologici di Aby Warburg e, in seguito, di Erwin Panofsky e di Fritz Saxl hanno contribuito involontariamente anche a scoper- chiare «una specie di vaso di Pandora» dal quale sono poi fuoriuscite interpretazioni simboliche a tutti i costi, «per amore o per forza». Invece, l'indagine sui significati dell'opera architettonica ed, in ge- nere, dell'opera d'arte dovrebbe essere svolta in modo che quanto «è possibile» diventi «probabile», perché «la relazione ipotizzata abbia un carattere di causalità ben definito, rilevabile da numerosi e dif- ferenti indizi» 64 . Sembra invece che proprio la mancanza di questi «numerosi e differenti indizi» non consenta di sostenere né l'ispirazione gioachi- mita degli affreschi, né la pretesa matrice francescano-spirituale della pianta della basilica di S. Chiara a Napoli. Mario Gaglione 64 R. Krautheimer, Introduzione, cit., p. 146. IPOTESI «GIOACHIMITE» SUGLI AFFRESCHI DI GIOTTO APPENDICE 59 Traduzione del testo posto ai margini della Figura XVIII del Liber figurarum, tratto dalla Concordia Novi ac Veteris Testamenti dall'edizione a cura di Tondelli, Reeves, Hirsch-Reich, Il Libro delle Figure \ cit., voi. II, tav. XVIIIa. Come illustrato in questa Figura, da Adamo fino a Giovanni Battista sono trascorsi sei tempi ormai conclusi, durante i quali il Signore ha compiute le sue opere sotto la legge ed i profeti, e nel settimo tempo si è riposato dalle opere del primo stato, infatti la legge ed i profeti sono perdurati fino a Giovanni Battista. Per tali motivi occorre attenersi a ciò che affermano i Santi Dottori, in ordine al fatto che le due età, e cioè la sesta e la settima, trascorrono insieme, sia perché, compiuti i sei tempi, le anime dei giusti riposano in Cielo, sia perché al popolo di Dio è stato concesso un tempo sabbatico durante il quale potesse riposare dalla servitù della legge, una volta acquistata la libertà dello Spirito Santo, poiché dov'è lo Spirito del Signore lì è la libertà. Questa definizione delle sei età riguarda propriamente la persona del Padre poiché, evidentemente, il Padre, per mostrarsi signore effettivo di tutta la terra, ha preteso dai suoi sudditi l'assoluta obbedienza dei sei tempi. Com- piutisi questi tempi, in seguito, nel settimo tempo, il Padre mostra, a coloro che gli hanno obbedito, l'affetto dell'amore e la libertà della grazia nello Spirito Santo, perché lo stesso Spirito è amore, e dove c'è l'amore c'è la libertà. Proprio per questo, infatti, l'Apostolo dice: «dove è lo Spirito del Signore lì è la libertà». In conformità a tale generale definizione, riguardo alle sei età del mondo occorre seguire quello che affermano i Santi Dottori, e cioè che nel sesto giorno feriale è rappresentata la sesta età del mondo, nel sabato è significata la settima età, e nella domenica l'ottava età, e poiché il sesto giorno è destinato alla fatica, il settimo è riservato al riposo. Quel sabato sarà dunque colmo della gioia e della letizia di tutti gli eletti, e ciò sia perché l'esercito dei santi martiri e degli altri giusti sarà riunito in Cielo e regnerà con Cristo, sia perché al popolo di Dio verrà concessa quella tregua sabbatica perché possa riposarsi dalla fatica della sofferenza che ha sopportato nel corso dei sei tempi già quasi compiuti, e perchè obbedisca al Signore nella libertà dello Spirito, poiché dov'è lo Spirito del Signore lì è la libertà. Questa definizione delle sei età viene comunemente riferita al Padre ed al Figlio, poiché Padre e Figlio sono un unico Dio. Infatti, così come ciascuno dei due singolarmente considerato è vero Dio, altresì considerati insieme essi non sono due dei ma un unico Dio, ed avviene che alcune opere siano maggiormente somiglianti al Padre ed altre al Figlio, così che essendo appunto uniti assieme si manifestano in una forma unica anche se vengono chiamati distintamente con i loro nomi. Diversa è la persona del Padre come diversa è la persona del Figlio, tuttavia i due insieme considerati non sono due dei ma un unico Dio. E poiché l'unico e lo stesso Spirito Santo procede non da uno solo dei due ma da en- trambi, è chiaro che lo stesso Spirito sia in comunione con il Padre ed il Figlio dai quali, appunto, procede all'infinito. Questa definizione dei sei tempi o età concerne più propriamente la 60 MARIO GAGLIONE persona del Figlio, il quale Figlio, certamente, per dimostrarsi maestro univer- sale ha preteso un'assoluta osservanza della disciplina nel corso delle sei età. Compiuti questi tempi, a coloro che operano con pazienza, Egli mostra nel suo Spirito abbondanza d'amore e piena libertà di grazia, poiché il timore non è compatibile con la carità, e perché la perfetta carità allontana il timore. In questa Figura viene quindi esposto un grande mistero riguardante particolar- mente la fede cattolica. Tutte le cose che Dio ha fatto le ha fatte nella sapienza. La vera sapienza consiste nel conoscere e nel comprendere il Creatore, ed, in particolare, attraverso le cose che sono state rese visibili, nel comprendere i sui aspetti invisibili e nel contemplare Colui che ci ha creati. Dice infatti il Signore nel Vangelo: «il Padre mio opera nello stesso modo nel quale opero anch'io». Perciò è come se dicesse: mio Padre ha operato così che attraverso le opere compiute a sua immagine nel primo stato del tempo, potesse dimostrare di essere vero Signore e vero Dio, ed anche io opero cose simili in questo secondo stato, così che né il Padre potrebbe agire senza di me, né io stesso potrei operare senza il Padre, e ciò per dimostrare di essere identico a mio Padre, poiché egli è Dio così come sono io stesso Dio, ed Egli stesso è onnipotente così come io sono onnipotente. E, dunque, le opere del primo stato attengono specificamente alla persona del Padre, mentre le opere del secondo stato riguar- dano la persona del Figlio, e, d'altra parte, ad entrambi possono essere riferite le opere di ciascuno dei due. Il Padre ed il Figlio sono infatti due persone. Ciascuno di loro è Dio ed al contempo entrambi sono un unico Dio. E così anche lo Spirito Santo viene detto Spirito del Padre perché procede dal Padre ed in conformità a lui. Infatti non siete voi a parlare ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi. Viene anche definito Spirito del Figlio perché procede dal Figlio conformemente a lui, secondo quanto si afferma: «Dio ha immesso nei nostri cuori lo Spirito del Figlio che dice: Abba, Padre!». Ed altrettanto l'Apostolo dice dello Spirito Santo: «dove è lo Spirito del Signore Ti è la libertà». La servitù riguarda i sei giorni ed i sei giorni significano i sei tempi, la libertà invece concerne il settimo giorno ovvero il settimo tempo. E proprio per questo il settimo giorno ed il settimo tempo sono denominati sabato e riposo. Bisogna considerare attentamente che dopo i sei tempi tribolati del primo stato è stata concessa libertà e riposo nello Spirito Santo, e considerare altresì fino a che punto il popolo dei fedeli abbia sopportato la servitù ed il giogo della legge per servire il suo Signore nella libertà dello Spirito, poiché, come dice l'Apostolo: «non avete ricevuto lo Spirito della servitù ancora una volta nel timore, ma avete ricevuto lo Spirito dell'adozione filiale» per il quale possiamo dire: «Abba, Padre!». Perciò, poiché lo Spirito Santo procede dal Padre ed a questi spetta il sabato e la libertà, era necessario in conformità a ciò, che la settima età iniziasse dal momento in cui Cristo è venuto nel mondo, perché questa età è stata concessa come il sabato per il popolo di Dio. E per tale ragione è stato inviato nello stesso tempo lo Spirito Santo, perché iniziasse quella età. Allo stesso modo, dopo i sei tempi faticosi di questo secondo stato che, in conformità a tale spiegazione, è iniziato con Ozia, ovvero con Mosè, verrà conferita al popolo Cristiano la libertà, non vi è dubbio, nello Spirito Santo, affinché si vedano svelate le cose che fino ad ora risultano ancora oscuramente percepibili solo come di riflesso. E così noi stessi procederemo di glorificazione in glorifi- cazione, e dallo Spirito del Signore verrà concessa la pace, nonché il sollievo wmasSÈ IPOTESI «GIOACHIMITE» SUGLI AFFRESCHI DI GIOTTO 61 dalla croce perché si possa trovare nel Signore riposo dalle tribolazioni. Ciò accadrà dopo i sei faticosi tempi del secondo stato che abbiamo detto essere pertinenti piuttosto al Figlio, perché lo Spirito Santo dimostri di procedere dal Figlio di Dio. Esso stesso lo definirò Spirito che procede dal Padre, perchè solo uno e sempre lo stesso Spirito procede da entrambi. Per questa ragione la glorificazione della settima età è stata rimandata fino a questi tempi, poiché i tempi travagliati hanno impedito il riposo del sabato che è stato concesso solo in parte e non integralmente, fino a che si compiano i tempi del secondo stato che sono destinati alla fatica dei cristiani. È dunque per quanto annunziato dal Padre e dal Figlio che crediamo che ognuno di loro sia vero Dio, e, cioè, che il Padre non sia generato da alcuno come Dio ed altresì che il Figlio derivi come Dio da Dio. Poiché, in realtà, il Padre ed il Figlio, dai quali procede lo Spirito Santo, non sono simultaneamente due dei ma un Dio solo, secondo quanto afferma il Figlio nel Vangelo dicendo: «Quando verrà lo Spirito Santo che io invierò a voi dal Padre», occorrerà che si concludano in altro modo le sette età, in maniera che vengano conteggiate fino a Cristo cinque età, ed, inoltre, la sesta fino alla definitiva incarcerazione di Satana, ed, ancora, la settima fino alla resurrezione dei morti.
Wednesday, March 30, 2022
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