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Wednesday, March 30, 2022

GRICE E FIORE: GIOTTO

 IPOTESI «GIOACHIMITE» SUGLI AFFRESCHI DI GIOTTO  NELLA BASILICA DI S. CHIARA IN NAPOLI     Estratto dall' «Archivio Storico per le Province Napoletane >,  CXXV dell'intera collezione     SOCIETÀ NAPOLETANA DI STORIA PATRIA  NAPOLI 2007     IPOTESI «GIOACHIMITE» SUGLI AFFRESCHI DI GIOTTO  NELLA BASILICA DI S. CHIARA IN NAPOLI     Mais si l'on voit partout des métaphores  que deviendront les faits?   Gustave Flaubert, Bouvard et Pécuchet     Una delle più suggestive ipotesi in ordine alle motivazioni  della costruzione della grandiosa chiesa esterna del monastero di  S. Chiara a Napoli ed al possibile modello della pianta è stata  avanzata, nel 1995, da Caroline Bruzelius 1 . Secondo questa tesi  Sancia d'Aragona Maiorca, moglie di re Roberto d'Angiò, avrebbe  fondato la basilica ed il convento doppio di S. Chiara per ospitarvi  i «Francescani spirituali», vale a dire i frati appartenenti ad una  frangia rigorista e pauperista dell'Ordine minoritico, avversata dal  Papato e dalla dirigenza dell'Ordine stesso. I Francescani spirituali  si richiamavano, in particolare, anche alle idee del mistico cala-  brese Gioacchino da Fiore (1135-1202), per sostenere la necessità  di una radicale riforma della Chiesa 2 . La basilica di Santa Chiara,  dunque, sarebbe stata «consacrata» intenzionalmente all'ideale  della povertà apostolica 3 , così che le idee degli Spirituali avrebbero  costituito, in sostanza, l'unica giustificazione del progetto e la sola     1 C. Bruzelius, Queen Sancia ofMallorca and the convent church ofS.ta Chiara  in Naples, in «Memoirs of the American Academy in Rome», 40, 1995, pp. 82ss.;  E ad., Le pietre di Napoli. L'architettura religiosa nell'Italia angioina, 1266-1343,  Roma, Viella, 2005, pp. 150-175, edizione integrata rispetto alla precedente inglese  dal titolo The stones of Naples, Church Building in Angevin Italy, 1266-1343, New  Haven-London, Yale University Press, 2004, ove le ipotesi avanzate nel 1995 ven-  gono riprese, ribadite ed articolatamente argomentate.   2 Si denominavano «spirituali» appunto perché viri spirituales, e cioè eletti  destinati a vivere il terzo stato della storia, quello dello Spirito, così come teorizzato  da Gioacchino da Fiore.   3 Bruzelius, Le pietre, eh., p. 151.     36 MARIO GAGLIONE   chiave di lettura dell'edificio. Esisterebbe, in particolare, un pre-  ciso rapporto tra la semplicissima pianta rettangolare della basilica  napoletana ed una delle figurae del Liber figurarum, una raccolta di  schemi miniati utilizzati sia per l'esplicazione delle teorie storico-  teologiche di Gioacchino che per l'esercizio di pratiche contempla-  tive e mistiche. La pianta rettangolare della chiesa napoletana  costituirebbe così, secondo tale tesi, una vera e propria citazione  della figura XVIII del codice del Seminario urbano di Reggio Emi-  lia del Liber 4 . L'area presbiteriale della basilica con il coro dei frati  sarebbe stata, anzitutto, ricalcata sullo spazio simbolico corrispon-  dente nella figura al Tertius status, quello dello Spirito Santo, nel-  l'ambito della settima ed ultima Età della storia del mondo. In  questa stessa Età si sarebbe giunti a quella rigenerazione della  Chiesa 5 che era tanto attesa e propagandata dai Francescani spiri-  tuali. L'oratorio delle Clarisse, invece, avrebbe occupato lo spazio  riservato, sempre nel diagramma gioachimita, Poetava aetas, quel-  la ormai metastorica iniziata con la Resurrezione dei morti e carat-  terizzata dalla rivelazione della Gerusalemme celeste e dalla finale  visione della Pace.   Tale tesi, pur avendo conseguito un ampio consenso 6 , ha susci-  tato altresì rilievi e critiche soprattutto con riguardo agli effettivi  contenuti del filospiritualismo dei due sovrani ed alla verosimi-  glianza storica della pretesa celebrazione monumentale, nella basi-     4 Cfr. L. Tondelli, M. Reeves, B. Hirsch-Reich, Il Libro delle Figure del-  l'abate Gioachino da Fiore, Torino, SEI, 1953, voi. II, tav. XVIIIa.   5 Bruzelius, Le pietre, cit., p. 165.   6 Cfr. infatti M. Righetti Tosti Croce, Architettura tra Roma, Napoli e  Avignone nel Trecento, in Roma, Napoli, Avignone. Arte di Curia, Arte di Corte,  1300-1377, a cura di A. Tornei, Torino, SEAT, 1996, pp. 110-111; R.G. Musto,  Franciscan Joachimism, at the court ofNaples, 1309-1341: a new appraisal, in «Archi-  vimi Franciscanum Historicum», 90, 1997, pp. 419-422; C. Freigang, Kathedralen  ah Mendikantenkirchen. Zur politischen Ikonographie der Sakralarchitektur unter Karl  L, Karl IL und Robert dem Weisen, in Medien der Macht: Kunst zur Zeit der Anjous in  Italien, Berlin, Reimer, 2001, pp. 51-52; V.M. Mattano, La Basilica angioina di S.  Chiara a Napoli. Apocalittica ed escatologia, Napoli, La Città del Sole, 2003; C.  Bozzoni, Recensione a C. Bruzelius, Le pietre di Napoli..., in «Palladio», n. s. 19,  2006, pp. 129-132. Analogamente a quanto si sarebbe verificato per S. Chiara a  Napoli, la simbologia gioachimita della Figura delle Età del mondo avrebbe anche  ispirato, direttamente o indirettamente, le piante di alcune chiese francescane della  Calabria a partire da S. Francesco a Gerace, e cfr. M. Albano, L'Abbazia florense di  S. Maria di Fontelaureato a Fiumefreddo Bruzio, in «Arte Medievale», II, 2003, p. 61,  p. 69; A. Spanò, Insediamenti Francescani nella Calabria angioina. Il paradigma Gerace,  Soveria Mannelli, Città Calabria edizioni, 2006, pp. 80ss.     IPOTESI «GIOACHIMITE» SUGLI AFFRESCHI DI GIOTTO 37   lica napoletana, della teoria della storia elaborata da Gioacchino e  sostenuta dagli Spirituali 7 .   Comunque, altre conferme della tesi della derivazione gioachi-  mita della pianta della chiesa francescana sono state individuate, più  di recente, nell'ambito di una importante e preziosa monografia  dedicata all' attività di Giotto a Napoli 8 . Nel saggio appena menzio-  nato, seguendo la lettura proposta dalla Bruzelius, si sostiene che,  conformemente allo schema della Figura XVIII del Liber, che viene  definita «tavola di concordanza (Concordia) fra i secoli e i tempi,  con i tre stati e le otto età» 9 , Giotto e la sua bottega, riferendosi al  Nuovo Testamento, abbiano dipinto alcuni episodi della Vita di  Cristo nelle cappelle della navata sinistra della basilica. In quelle  poste nella navata destra, invece, il Maestro avrebbe realizzato  scene dell'Antico Testamento, ed, in particolare, Storie di Adamo,  Noè, Abramo e Davide e, forse, anche della Creazione, di Giuseppe,  di Mosè, di Sansone e di Salomone. Nelle cappelle di entrambe le  navate queste scene sarebbero state articolate in quattro o, addirit-  tura, in sei riquadri per ciascuna cappella 10 .   E evidente che l'interpretazione della Figura del Liber nei ter-  mini appena esposti viene ad essere principalmente addotta quale  conferma «esterna» della notizia, riferita da Giorgio Vasari, secondo  la quale Giotto, appena giunto a Napoli da Firenze «dipinse in  alcune capelle del detto monasterio [di S. Chiara] molte Storie del-  l'Antico Testamento e Nuovo» 11 . Questa stessa notizia è stata in-     7 Per tali critiche si rinvia a M. Gaglione, Qualche ipotesi e molti dubbi su due  fondazioni angioine a Napoli: S. Chiara e S. Croce di Palazzo, in «Campania sacra», 33,  2002, pp. 61-108; Id., Allusioni gioachimite nella basilica angioina di Santa Chiara a  Napoli?, in «Studi storici», 45, 2004, pp. 280-288; Id., La basilica ed il monastero  doppio di S. Chiara a Napoli in studi recenti, in «Archivio per la Storia delle Donne»,  4, 2007, pp. 127-198.   8 P. Leone de Castris, Giotto a Napoli, Napoli, Electa, 2006, pp. 125ss., il  quale riprende anche osservazioni di Mattano, La Basilica angioina di S. Chiara a  Napoli, cit., pp. 49ss.; pp. 83ss.; pp. HOss.   9 Leone de Castris, Giotto a Napoli, cit., p. 116, fig. 64.   10 Leone de Castris, Giotto a Napoli, cit., pp. 131-133, p. 151.   11 L'Edizione Giuntina delle Vite (1568) precisa: «Dopo, essendo Giotto  ritornato in Firenze, Ruberto re di Napoli scrisse a Carlo duca di Calavria suo  primogenito, il quale se trovava in Firenze, che per ogni modo gli mandasse Giotto  a Napoli, perciò che, avendo finito di fabricare S. Chiara, monasterio di donne e  chiesa reale, voleva che da lui fusse di nobile pittura adornata. Giotto adunque,  sentendosi da un re tanto lodato e famoso chiamar [e], andò più che volentieri a  servirlo, e giunto dipinse in alcune capelle del detto monasterio molte storie del  Vecchio Testamento e Nuovo. E le storie de l'Apocalisse ch'e' fece in una di dette     38 MARIO GAGLIONE   vece oggetto di ampio dibattito, non essendo mancato infatti chi,  sulla base di varie considerazioni, ha circoscritto l'intervento di  Giotto piuttosto al solo coro delle Clarisse, escludendo che il Mae-  stro abbia potuto operare anche nelle cappelle della chiesa esterna di  S. Chiara 12 . Infine, sempre nell'ambito della citata monografia, si è  sostenuto che la derivazione della pianta della basilica dalla menzio-  nata Figura risulterebbe più che probabile, poiché lo stesso Liber  Figurarum sarebbe stato ben conosciuto alla corte angioina. Infatti,  alcuni testimoni dell'opera e, in particolare, i manoscritti Vaticano  Latino 3822 e 4860, risulterebbero di fattura meridionale proprio  come il codice di Oxford, forse miniato nello scriptorìum di S. Gio-  vanni in Fiore. In particolare, le miniature del ms. Vat. Lat. 4860  rinvierebbero «alla speciosa cultura umbro-cavalliniana maturata a  Napoli» da Lello da Orvieto, Cristoforo Orimina e dall'anonimo Mae-  stro delle Tempere Francescane, con datazione intorno al 1330 13 . Ad  ogni modo, Sancia e Roberto avrebbero potuto conoscere l'opera an-  che in Provenza e nella Francia meridionale, ove si trovarono in di-     capelle furono, per quanto si dice, invenzione di Dante, come per avventura furono  anco quelle tanto lodate d'Ascesi delle quali si è di sopra abastanza favellato; e se  ben Dante in questo tempo era morto, potevano averne avuto, come spesso avviene  fra gl'amici, ragionamento». L'Edizione Torrentiniana (1550) invece: «Fu chiamato  a Napoli dal re Ruberto, il quale gli fece fare in Santa Chiara, chiesa reale edificata  da lui, alcune cappelle nelle quali molte storie del Vecchio e Nuovo Testamento si  veggono, dove ancora in una cappella sono molte storie dell'Apocalisse, ordinategli,  per quanto si dice, da Dante, fuoruscito allora di Firenze e condotto in Napoli  anch'egli per le parti», e cfr. l'edizione digitale sinottica curata del Centro di Ricerche  Informatiche per i Beni Culturali della Scuola Normale Superiore di Pisa, all'indirizzo  <ht tp ://biblio . cribecu . sns . it/vas ari/consult azione/V as ari/indice . html> (ultima con-  sultazione: 30 novembre 2007).   12 Cfr. F. Aceto, Pittori e documenti della Napoli angioina: aggiunte ed espun-  zioni, in «Prospettiva», 67, 1992, pp. 53ss. Per l'esame e la discussione delle diverse  posizioni: Leone de Castris, Giotto a Napoli, cit., pp. 85ss., che, riguardo agli altri  dipinti realizzati da Giotto a S. Chiara, ritiene che nell'area presbiteriale della chiesa,  alle spalle dell'altare maggiore e del coro dei frati ed in corrispondenza della Croce  della Deposizione affrescata dall'altra parte del muro nel coro delle Clarisse, dovesse  invece essere l'Apocalisse ricordata dallo stesso Vasari. Questo grande affresco era  stato probabilmente eseguito nei due riquadri posti ai lati della quadrifora centrale che  si apre nella parete divisoria tra la chiesa esterna e l'oratorio delle monache. Proprio  sulla stessa parete divisoria, dal lato dell'oratorio, era affrescato appunto il" Compianto  sul Cristo morto e le altre storie cristologiche, tra le quali, verosimilmente, una  Resurrezione ed un Cristo giudice. Infine, tornando alla chiesa esterna, anche il para-  petto delle tribune era affrescato ma con figure di Angeli e di Profeti, mentre le pareti  superiori, probabilmente, non erano dipinte, e cfr. Id., ivi, pp. 129, 133, 151.   13 Leone de Castris, Giotto a Napoli, cit., p. 146, figg. 115-116.     IPOTESI «GIOACHIMITE» SUGLI AFFRESCHI DI GIOTTO 39   verse occasioni ed ove, appunto, i diagrammi gioachimiti erano certa-  mente diffusi.   E fin qui l'importante contributo sulla presenza e sull'attività  di Giotto a Napoli.   Partendo dall' asserita fattura meridionale dei citati codici Va-  ticani Latini, fattura che costituirebbe un indizio della possibile  circolazione degli stessi a Napoli e presso la corte angioina, occorre  rilevare che l'origine e la datazione di questi manoscritti è partico-  larmente controversa. Mentre il ms. Vat. Lat. 4860 è stato varia-  mente datato tra il secolo XIII e la prima metà del secolo XIV, e lo  si è altresì ritenuto «codice di ambiente benedettino-olivetano pa-  dovano» opera di un miniatore bolognese, il ms. Vat. Lat. 3822 è  stato invece datato piuttosto concordemente alla fine del secolo  XIII, mentre ne è dibattuta l'area di produzione: Parigi o l'area  francese^ l'area genericamente italiana, o più specificamente sici-  liana 14 . E necessario ricordare poi che il ms. Vat. Lat. 4860 non  contiene la Figura delle «Sette età», dalla quale si pretende sia stata  ricavata la pianta di S. Chiara e sia derivato il soggetto degli affre-  schi che sarebbero stati eseguiti da Giotto nella chiesa esterna 15 . La  stessa Figura manca poi anche nel ms. Vat. Lat. 3822 16 . La suppo-     14 Quanto al ms. Vat. Lat. 4860, contenente estratti da opere diverse di  Gioacchino, la datazione al secolo XIII è stata sostenuta da Bignami Odier, Hirsch  Reich, Reeves e Daniel, che lo assegnano ad un estensore francescano. La datazione  alla prima metà del secolo XIV, invece, è stata sostenuta da Kaup, Troncarelli e De  Fraja. In particolare, Wessley e Troncarelli parlano di «codice di ambiente bene-  dettino-olivetano padovano» opera di un miniatore bolognese. Quanto all'origine  del ms. Vat. Lat. 3822, contenente anch'esso opere varie di Gioacchino, Troncarelli  propende per Parigi o per l'area francese, mentre Bignami Odier, Hirsch Reich e  Reeves propendono genericamente per l'area italiana, infine, all'area siciliana pensa  Patschovsky, e cfr. M. Rainini, Disegni dei tempi. Il «Liber Figurarum» e la teologia  figurativa di Gioacchino da Fiore, Roma, Viella, 2006, pp. 268-273.   15 Questo codice, infatti, ai ff. 198r-204v, comprende un abbozzo del dia-  gramma delle Rotae di Ez. 1, e dei diagrammi degli alberi delle generazioni discen-  denti, del drago apocalittico, del misterium ecclesiae, dei tre cerchi trinitari, della  dispositio novi ordinis, degli alberi-scala rappresentativi dei tre status e, di nuovo, dei  cerchi trinitari, ed è accompagnato da cinque fogli vuoti che avrebbero potuto  accogliere almeno altre dieci tavole di diagrammi, circostanza questa che conferma  che l'opera non era stata portata a termine, e rende improbabile l'eventuale suppo-  sizione di un testo incompleto perché privato, nel corso del tempo, di alcune delle  tavole originarie, e cfr. Rainini, Disegni dei tempi, cit., pp. 269-270.   16 II codice, infatti, ai ff . 2v-3r, 4v-5r, 7r-8r, reca i diagrammi delle genera-  zioni ascendenti, del draco magnus et rufus, del tetragrammaton e diverse versioni dei  tre cerchi, e cfr. Rainini, Disegni dei tempi, cit., pp. 272-273.     40 MARIO GAGLIONE   sizione dell'esecuzione delle miniature in ambiente meridionale non  può inoltre implicare necessariamente anche una diffusione del Li-  ber alla corte angioina. Quanto infine alla possibile conoscenza del-  l'opera da parte dei sovrani nel periodo in cui si trovarono in Fran-  cia, si tratta di una mera ipotesi, non suffragata, allo stato, da alcun  indizio o prova.   C'è in realtà da chiedersi se effettivamente la più volte citata  Figura XVIII del codice Reggiano del Liber abbia i contenuti «con-  cordistici» che vi sono stati da ultimo individuati.   Occorre anzitutto premettere che per «concordia», nell'ambito  delle opere e delle teorie di Gioacchino, deve intendersi «la corri-  spondenza simmetrica tra gli avvenimenti narrati nell'Antico Testa-  mento per il popolo di Israele e quelli raccontati e prefigurati nel  Nuovo Testamento... per il nuovo Israele della Chiesa» 17 .   La Figura in esame del Liber Figurarum reca, al centro, il già  citato diagramma rettangolare e, ai margini, un testo fittamente  manoscritto (cfr. fig. 1). Tale testo, la cui traduzione può leggersi  in appendice a questa nota, è tratto dal libro V della Concordia Novi  ac Veteris Testamenti, opera di Gioacchino da Fiore tradita dal co-  dice Urbinate Latino 8 della Biblioteca Apostolica Vaticana. Più  precisamente è riportato il passo posto tra la I e la II distinctio,  destinato ad essere illustrato da una Figura esplicativa che manca  nel manoscritto Urbinate Latino, e che viene in genere identificata  proprio nella citata tavola XVIII del Liber Figurarum 18 .   Orbene, il libro V della Concordia, dal quale è desunto il com-     17 Rainini, Disegni dei tempi, cit., p. 85. La più nota definizione gioachimita  della concordia è la seguente: «Concordiam proprie dicimus similitudinem eque  proportionis novi ac ueteris testamenti, eque dico quo ad numerum non quo ad  dignitatem; cum uidelicet persona et persona, ordo et ordo, bellum et bellum ex  parilitate quidam mutuis se uultibus intuentur», e, cioè, «chiamiamo propriamente  «concordia» la somiglianza di equa proporzione di Nuovo e Antico Testamento, e  dico equa per quanto riguarda il numero, non per quanto riguardo la dignità: come  se per una certa parità fossero rivolti l'uno di fronte all'altro persona e persona,  ordine e ordine, guerra e guerra», e cfr. ancora Id., ivi, p. 20, p. 33, nota 91.   18 Tondelli, Reeves, Hirsch-Reich, Il Libro delle Figure, cit., voi. I, pp. 84-  87, voi. II, tav. XVIILz, tratta dal codice del Liber conservato presso il Seminario  Vescovile di Reggio Emilia, ms. RI = El. Il codice della Concordia precisa (f. 132v):  «in hac figura declaratur magnum mysterium pertinens quam nimis ad catholicam  fidem...», e, precedentemente, «secundum quod ostenditur in presenti figura...».  Quale tavola XVIII£ Tondelli, Reeves ed Hirsch-Reich, pubblicano una variante  semplificata, forse «non finita», della stessa Figura, tratta dal codice del Corpus  Christi College di Oxford (ms. 255 A), al f. 5r. Nello stesso codice tuttavia, al f.  8v, il diagramma ricompare in forma omogenea a quella della tavola XVIIIa del     IPOTESI «GIOACHIMITE» SUGLI AFFRESCHI DI GIOTTO     41      KJ^^^^^^P^^^Uk:^^      Jr**®'      •■"■'•■' - *'■.■          Fig. 1 - La figura XVIII del Liber figurarum (da Tondelli, Reeves, Hirsch-Reich).     42 MARIO GAGLIONE   mento marginale alla nostra Figura, tratta delle storie principali  dell'Antico Testamento. Per esse viene proposta una interpreta-  zione fondata sull'esegesi spirituale, la quale, secondo Gioacchino,  avrebbe consentito anche di preconizzare gli avvenimenti storici  futuri. In altre parole, il libro V «è un lungo commentario sui libri  storici del Vecchio Testamento» 19 , ed «il suo contenuto è conside-  revolmente diverso» 20 da quello degli altri Libri della Concordia.  Infatti, è piuttosto nei precedenti libri, dal I al IV, che Gioacchino  procede effettivamente ad esaminare o a rinvenire i punti di «con-  cordanza» tra le vicende ed i personaggi narrati nell'Antico e nel  Nuovo Testamento. Nell'ambito del Liber Figurarum, nello stesso  codice di Reggio Emilia, poi, le figure concordatarie sono altresì  contenute piuttosto nelle tavole IX e X, e, soprattutto, nelle tavole  III e IV, da esaminare sinotticamente, ed appunto denominate Con-  cordia Veteris Testamenti et Novi 21 . In particolare, in queste due  ultime tavole è tracciato un dettagliato raffronto tra i personaggi e  gli episodi dei due Testamenti, ad esempio tra Adamo ed Azarias,  Abramo e Zaccaria, Isacco o Elia e Giovanni Battista, Giacobbe e  Cristo e cosi via. Proprio per quanto appena rilevato la Figura XVIII  è stata quindi designata come tavola delle «Età del mondo» 22 , delle  «Sette età del mondo» 23 ovvero delle «Sette età» 24 .     codice di Reggio Emilia, e cfr. Rainini, Il «Liber Figurarum» nel manoscritto Oxford,  Corpus Christi College, ms. 255 A (=0), in Id., Disegni dei tempi, cit.   19 A. Tagliapietra, Opere principali, in G. da Fiore, Sull'Apocalisse, Milano,  Feltrinelli, 1994, pp. 76ss.   20 Cfr. E.R. Daniel, Abbott Joachim of Flore, Liber de Concordia Noui ac  Veteris Testamenti, Philadelphia, The American Philosophical Society, 1983, p.  XXII, il quale, appunto, osserva: «not only is Book Five longer than the first four  Books together, but its content is considerably different from theirs». Le peculiarità  del libro V rispetto ai precedenti sono precisate dallo stesso Gioacchino: «etenim in  hiis quatuor libris parum agitur secundum spiritum, magis secundum litteram, hoc est  secundum concordiam littere et littere, scilicet duorum testamentorum...oportet nos  in hoc quinto libro de quibusdam gestis sollempnibus que occurrerint spiritualiter  agere ut ex multis testimoniis ostendamus laboriosos rerum fines et post magnos  agones et certamina pacem uictoribus impartiri» (Concordia, V, 1).   21 Tagliapietra, Opere principali, cit., p. 102.   22 Tondelli, Reeves, Hirsch-Reich, Il Libro delle Figure, cit., voi. I, p. 84.   23 A. Crocco, Liber Figurarum, Ms. Reggiano (RI), tav. XVIII (Biblioteca del  Seminario di Reggio Emilia). Le «sette età» del mondo, in L'Età dello Spirito e la fine  dei tempi in Gioacchino da Fiore e nel Gioachimismo medievale, Atti del II congresso  internazionale di studi gioachimiti, S. Giovanni in Fiore, Centro Internazionale di  Studi Gioachimiti, 1986, p. 8.   24 Rainini, Il «Liber Figurarum», cit., loc. ult. cit.     IPOTESI «GIOACHIMITE» SUGLI AFFRESCHI DI GIOTTO 43   La tavola XVIII del Liber ha infatti, principalmente, lo scopo  di illustrare la teoria escatologica della storia elaborata da Gioac-  chino ed incentrata sul susseguirsi di secula, tempora ed etates in  una prospettiva strettamente trinitaria, che conferisce unitarietà  alla storia stessa 25 . Rifacendosi dunque innegabilmente alla divi-  sione settenaria delle età della storia già teorizzata da Sant'Ago-  stino, Gioacchino colloca in modo originale la settima età, quella  cioè del raggiungimento della pax vera, della perfecta iustitia e della  plenìtudo veritatis et libertatis, entro il corso storico, aggiungendo  poi una Octava aetas quale «stadio finale ed eterno della storia  umana». Perciò la figura XVIII del Liber è suddivisa in un fregio  inferiore, rappresentante i sette secula dell'Età del Padre, in un  fregio superiore, che illustra i sette tempora dell'Età del Figlio, e  infine in una parte centrale raffigurante le sette Età del mondo, la  settima delle quali, corrispondente al momento storico in cui vi-  veva Gioacchino {tempus praesens), sarebbe sfociata nel Tertius sta-  tus dello Spirito Santo, cui, in conclusione, avrebbe fatto seguito,  appunto, Y Octava aetas 26 .   Ma passiamo a leggere le brevi iscrizioni che illustrano il dia-  gramma rettangolare centrale della Figura XVIII, riprodotta nella  figura 1 posta a corredo di questa stessa nota. Occorre precisare che  il diagramma deve essere esaminato trasversalmente, nel senso del  lato maggiore del rettangolo, da sinistra a destra e dal basso all'alto,  mentre il testo tratto dalla Concordia e trascritto ai margini risulta  vergato in senso perpendicolare al diagramma stesso.   Partendo dunque dal basso, rileviamo nell'ordine, nel fregio  inferiore {secula):   a) primum seculum, Adam genera tiones X, secundum seculum,  Noe generationes X, tertium seculum, Abraam generationes  X, quartum seculum, Booz generationes X, quintum seculum,  Joiada generationes X, sextum seculum, ]eremia generationes X,  septimum seculum, Zacharia sacerdos, sabbatum, adventus Spi-  riti Sane ti, septima etas;   b) initiatio primi stati, primum status, secundum status, tertium  status;     25 Tondelli, Reeves, Hirsch-Reich, Il Libro delle Figure, cit., voi. I, pp.  4-87.   26 Cfr. Crocco, Liber Figurarum, Ms. Reggiano (RI), tav, XVIII, cit., pp. 8-10.     44     MARIO GAGLIONE     nel fregio centrale (etates):   a) Adam, Noe, Abraam, Davit, transmigratio Babilonie, lohannes  Baptista, presens tempus;   b) all'interno della tromba: clarificatio Filii, clarificatio Spiriti  Sancii;   e) Etas prima, etas secunda, etas tercia, etas quarta, etas quinta,  etas sexta, etas septima;   nel fregio superiore (tempora):   a) initium Romanorum, Hysaia propheta;   b) initiatio secundi stati, primum tempus, Ozias generationes X,  secundum tempus, Zorobabel, tertium tempus, Christus genera-  tiones X, quartum tempus, generationes X, quintum tempus,  generationes X, sextum tempus, generationes X, septimum tem-  pus;   all'estremità destra del diagramma, dopo la linea divisoria:  a) etas octava, resurrectio mortuorum.   Come può agevolmente notarsi, nessuna delle iscrizioni men-  ziona specificamente l'Antico o il Nuovo Testamento; inoltre, per la  maggior parte, i personaggi citati, e cioè Adamo, Noè, Abramo,  Booz, Ioiadà, Geremia, Davide, Ozias, Zorobabele ed Isaia, rien-  trano nell'Antico Testamento e risultano variamente collocati lungo  tutto il diagramma, sia in basso che al centro, oltre che in alto. Solo  Zaccaria, Giovanni Battista e Cristo rientrano nel Nuovo Testa-  mento. Tuttavia, mentre Cristo è indicato nel fregio superiore della  Figura, che, sovrapponendo la stessa alla pianta di S. Chiara, corri-  sponderebbe alla navata sinistra della basilica guardando l'altare  maggiore, Zaccaria, il sacerdote padre del Battista, è segnato nel  fregio inferiore, dal lato cioè della navata destra della chiesa. Gio-  vanni Battista, infine, è indicato nel fregio centrale, nei pressi della  tuba, della tromba apocalittica. Quindi, le iscrizioni appena ripor-  tate, così come il testo marginale della Concordia, non consentono di  affermare che la Figura XVIII abbia prevalentemente contenuti  concordistici, ovvero che la stessa traduca graficamente concordanze  tra personaggi dei due Testamenti, che risultano infatti variamente  posizionati a destra, a sinistra ed al centro del diagramma. Non vi è,  dunque, alcun elemento che possa indurre a sostenere, almeno lette-  ralmente, né la concentrazione dei personaggi del Nuovo Testamento  nel fregio superiore, né quella dei personaggi dell'Antico nel fregio  inferiore, così da poter «giustificare» la collocazione dei cicli pitto-     IPOTESI «GIOACHIMITE» SUGLI AFFRESCHI DI GIOTTO 45   rici giotteschi corrispondenti, rispettivamente, nella navata sinistra  e nella navata destra della basilica di S. Chiara.   Potrebbe tuttavia sostenersi che la Figura gioachimita abbia  semplicemente costituito una fonte di ispirazione per la scelta del  soggetto dei cicli pittorici da eseguire sulle pareti delle cappelle,  oltre che per l'adozione della pianta dell'edificio, sicché non ci si  dovrebbe aspettare una corrispondenza letterale tra la tavola XVIII  del Liber e l'edificio concretamente realizzato. In altri termini, la  Figura stessa non avrebbe costituito né un programma decorativo,  né un progetto edilizio 27 . Ma a ben vedere, proprio la mancanza di  una tale effettiva corrispondenza, congiuntamente ai seri dubbi  avanzati in ordine alla sua fondatezza storica 28 , rende ancor più  fragile l'ipotesi della «matrice gioachimita» della chiesa di S. Chiara  a Napoli. Un collegamento tanto evanescente con la Figura non  consente infatti di dimostrare in maniera convincente che la pianta  ad aula rettangolare della chiesa napoletana, invece di derivare dalle  analoghe, diffusissime piante delle chiese degli Ordini mendicanti,  discenda proprio dal diagramma gioachimita. Risulta inoltre eviden-  temente impossibile dimostrare che i cicli pittorici dell'Antico e del  Nuovo Testamento, realizzati, secondo il referto vasariano, nella  stessa chiesa esterna, invece di derivare dai numerosi cicli «tipolo-  gici» inaugurati dagli affreschi dell'antica basilica di S. Pietro in  Vaticano, discendano piuttosto dalle speculazioni concordistiche  gioachimite.   Occorre invece chiedersi se, pur abbandonando la discutibile  ipotesi della valenza della Figura XVIII quale modello o fonte di  ispirazione, sia eventualmente sostenibile, in altro modo, una «giu-  stificazione» gioachimita della scelta del programma decorativo di S.  Chiara, incentrato, come si è detto, sulle Storie dell'Antico e del     27 Leone de Castris, ad esempio, osserva che Mattano, nel suo saggio La  Basilica angioina di S. Chiara a Napoli, cit., sovrappone la Figura XVIII del Liber  alla pianta della chiesa «al contrario» rispetto a quanto ipotizzato dalla Bruzelius,  sicché Vociava etas non viene più a corrispondere al coro delle Clarisse, bensì all'area  del sagrato e del vestibolo della chiesa esterna. Questa lettura è stata respinta dallo  stesso Leone de Castris, perché presuppone non «una ispirazione» ma «una volontà  di corrispondenza piena fra la pianta ed il diagramma» derivante da un improprio  «uso del diagramma come «progetto»». In altre parole, almeno per il programma  architettonico, la Figura gioachimita avrebbe costituito piuttosto una fonte di ispi-  razione che un modello seguito letteralmente dai costruttori, e cfr. Leone de Ca-  stris, Giotto a Napoli, cit., pp. 159-160, nota 36.   28 Cfr. i saggi indicati alla precedente nota 7.     46     MARIO GAGLIONE     Nuovo Testamento. Non di rado, infatti, opere di scultura, di pit-  tura e di architettura sono state interpretate proprio facendo riferi-  mento ad una possibile matrice gioachimita.   Ad esempio, il mosaico dell' 'Arbor vitae nell'abside della basilica  di S. Clemente a Roma avrebbe in qualche modo anticipato visiva-  mente l'esegesi gioachimita dell'Apocalisse di San Giovanni e della  Concordia 2 *, mentre un prezioso codice miniato da una bottega avi-  gnonese agli inizi del secolo XIV avrebbe risentito dell'escatologi-  smo e del «concordismo» gioachimita 30 . Influenze delle opere di  Gioacchino sono state rinvenute altresì nella pianta e nella struttura  della stessa abbazia madre dell'Ordine florense a S. Giovanni in  Fiore 31 , nelle sculture della facciata del Duomo di S. Rufino 32 ad  Assisi e negli affreschi della basilica di S. Francesco 33 nella stessa  città.     29 Questa tesi viene avanzata, per la verità, in maniera piuttosto vaga da E.R.  Daniel, Joachim of Fiore: Pattems of History in the Apocalypse, in The Apocalypse in  the Middle Ages, a cura di R. K. Emmerson-B. Me Ginn, Ithaca London, Cornell  University Press, 1992, pp. 72-88; per una lettura teologica ortodossa dei mosaici in  questione cfr. invece J. Barclay Lloyd, A new look at the mosaics of San Clemente,  in Omnia disce: Medieval studies in memory of Léonard Boy le, O.P., a cura di AJ.  Duggan, J. Greatrex, B. Bolton, Ashgate, Aldershot, 2005, pp. llss. D'altra parte  gli stessi mosaici vengono correntemente datati intorno al 1118-1123 quando Gioac-  chino non era ancora nato o era giovanissimo.   30 Si tratta del codice 55. K. 2 (Rossi 17) dell'Accademia Nazionale dei Lincei e  Corsiniana di Roma, e cfr. C. Frugoni, F. Manzari, Immagini di San Francesco in  uno Speculum humanae salvationis del Trecento, Padova, Editrici Francescane,  2006.   31 Cfr. A. Cadei, La chiesa figura del mondo, in Storia e Messaggio in Gioac-  chino da Fiore, Atti dell Congresso internazionale di studi gioachimiti (19-23 settembre  1979), S. Giovanni in Fiore, Centro Internazionale di Studi Gioachimiti, 1980, pp.  352ss., secondo il quale, l'assetto della chiesa abbaziale di S. Giovanni presenta  peculiarità che consentono di parlare di una tipologia gioachimita per Yicnografia  architettonica. Questi suoi connotati specifici, secondo Cadei, sono derivati dalle  tavole XII, XIII e XV del Liher figurarum. Lo stesso Autore non manca poi di  ricordare, a questo proposito, le divergenti opinioni di Leone Tondelli, secondo il  quale la Figura XII ha piuttosto carattere idealistico ed utopico, non risultando che  in nessuno dei monasteri florensi si sia cercato di realizzare tale modello, e di Edith  Pasztor che, invece, vede nel diagramma la pianta concretissima delle strutture  «urbanistiche» del monastero, e cfr. anche V. De Fraja, Oltre Cìteaux. Gioacchino  da Fiore e l'Ordine florense, Roma, Viella, 2006.   32 F. Prosperi, Gioacchino da Fiore e le sculture del Duomo di Assisi, Spello,  Dimensione Grafica, 2003, soprattutto sulla base delle tavole delle Praemissiones di  Gioacchino, tradite dal codice 15 del monastero benedettino di S. Pietro a Perugia,  risalente alla fine del XIII secolo o agli inizi del XIV.   33 F. Prosperi, Gioacchino da Fiore e Frate Elia. Dalle sculture simboliche del     IPOTESI «GIOACHIMITE» SUGLI AFFRESCHI DI GIOTTO     47     ad     Con particolare riguardo proprio alla basilica di S. Francesco si  è affermato 34 che il programma iconografico prescelto per la deco-  razione pittorica della chiesa inferiore così come di quella superiore,  nel 1253, avrebbe dovuto, nelle intenzioni dei committenti, illu-  strare l'inserimento dell'Ordine francescano nella storia del mondo  e della salvezza, storia articolata nelle tre grandi fasi della legge,  della grazia e dello spirito teorizzate da Gioacchino da Fiore e  riprese dai Francescani spirituali. Questi ultimi, infatti, identifica-  rono nel proprio il nuovo Ordine monastico preannunciato da  Gioacchino, individuando in San Francesco Valter Christus, il nuovo  messia, e, nel papa nemico, l'Anticristo. La ricostruzione concordi-  stica della storia operata da Gioacchino da Fiore venne così comple-  tata dai teologi Francescani spirituali in modo tale che «le corrispon-  denze tipologiche in ambito francescano vennero ampliate e intese  non in due ma in tre ricorsi successivi; il Nuovo Testamento è  adempimento della promessa dell'Antico, ma è, a sua volta, pro-  messa che si adempie sulla terra e nella storia, con l'avvento di  Francesco» 35 . Tuttavia, la condanna, nel 1255, delYlntroductorius ad  Evangelium Aeternum di Gerardo da Borgo San Donnino, opera che  rappresentava la più compiuta espressione delle teorie dei France-  scani spirituali, comportò l'interruzione dell'esecuzione del pro-  gramma iconografico assisiate, che avvenne forse già nel 1257.   Tracce significative di questo originario apparato decorativo  sono state ad ogni modo rinvenute nelle vetrate a contenuto tipolo-  gico 36 delle tre bifore del coro della basilica superiore, realizzate     Duomo di Assisi ai primi dipinti della Basilica di San Francesco, Spello, Dimensione  Grafica, 2007.   34 Da A. Cadei, Assisi, S. Francesco: l'architettura e la prima fase della decora-  zione, in Roma anno 1300. Atti della IV settimana di studi di storia dell'arte medievale  dell'Università di Roma «La Sapienza», a cura di A. M. Romanini, Roma, L'Erma di  Bretschneider, 1983, pp. 154ss.   35 Cadei, Assisi, S. Francesco, cit., p. 156, è, in particolare, il Maestro di S.  Francesco, negli affreschi della navata della chiesa inferiore, a seguire il parallelismo  tra le Storie della passione di Cristo (Cristo depone gli abiti ai piedi della croce, Cristo  dall'alto della croce affida Maria a Giovanni, Discesa dalla croce, Deposizione, Com-  pianto, Apparizione di Cristo in Emmaus) e le Storie di San Francesco {Francesco  rinuncia ai beni paterni, Innocenzo III sogna Francesco sorreggente la Chiesa di Roma,  Predica alle creature, Francesco riceve le stimmate da un serafino, Morte di San Francesco  e scoperta delle stimmate sul suo corpo).   36 Ad esempio, nella finestra I, designata anche come finestra VII, sono raf-  figurati episodi veterotestamentari quali prefigurazioni dei corrispondenti episodi  della Vita pubblica di Gesù, con i seguenti parallelismi: Davide viene a conoscenza  della morte di Saul, La disputa con i dottori nel Tempio; Giacobbe attraversa il Gior-     48 MARIO GAGLIONE   entro il 1250 ad opera di maestri tedeschi. L'iconografia delle stesse,  basata sulle corrispondenze tipologiche, avrebbe un sèguito in due  lancette del finestrone del transetto destro che completano il ciclo  dell'abside con le apparizioni post mortem di Cristo e gli antitipi 01  veterotestamentari delle apparizioni angeliche. Il complesso delle  vetrate del coro e del transetto verrebbe in tal modo a costituire  una serie tipologica triangolare, nella quale le Storie della vita di  Cristo farebbero da perno tra gli antitipi veterotestamentari e le  Storie della Genesi, da un lato, le Storie di San Francesco e di San-  t'Antonio^ dall'altro. Anche gli affreschi del transetto destro della  chiesa sarebbero contrassegnati da una impronta gioachimita. Tra  questi, la triade delle teofanie consistenti nella Maiestas, nelY Ascen-     dano, Il battesimo di Gesù; Mosè e il Padre Etemo, La Trasfigurazione; La purificazione  del tempio, La cacciata dei mercanti dal tempio; L'ingresso di un re, L'ingresso di Gesù in  Gerusalemme; Abramo lava i piedi degli angeli, La lavanda dei piedi agli Apostoli; Il  banchetto del re Assuero, L'ultima Cena; Elia in preghiera sul monte Oreb, L'Orazione  nell'orto di Getsemani; Joab bacia Amasa, Il bacio di Giuda e la cattura di Cristo.   37 L'interpretazione tipologica comporta l'uso di tipi o modelli che presentano  un'impronta in negativo o antitipo costituita da un'idea, una persona, o un avveni-  mento nell'Antico Testamento che prefigura un'idea, una persona, o un avveni-  mento nel Nuovo Testamento. Un esempio autorevole d'interpretazione tipologica  è offerto dallo stesso Vangelo (Matteo 12, 40): «Come infatti Giona rimase tre  giorni e tre notti nel ventre del pesce, così il Figlio dell'uomo resterà tre giorni e  tre notti nel cuore della terra», ove, l'episodio veterotestamentario (antitipo) di  Giona e della balena prefigura la morte e la resurrezione di Cristo. Sull'interpreta-  zione figurale o tipologica della Sacra Scrittura, cfr. H. Rondet, Thèmes bibliques,  éxégèse augustinienne , in Augustinus magister. Congrès intemational augustinien, Paris,  21-24 septembre 1954, Paris, Etudes Augustiniennes, 1955, voi. Ili, pp. 231-242; M.  Simonetti, Lettura e/o allegoria. Un contributo alla storia dell'esegesi patristica, Roma,  Institutum Patristicum Augustinianum, 1985; H. De Lubac, Esegesi medievale. I  quattro sensi della Scrittura, Milano, Jaca Book, 1986, voi. I, pp. 19-37; La termino-  logia esegetica nell'antichità. Atti del primo seminario di antichità cristiane, Bari, 25  ottobre 1984, Bari, EdiPuglia, 1987, nonché, più in generale, E. Auerbach, Figura,  in Id., Studi su Dante, a cura di D. Della Terza, Milano, Feltrinelli, 1993, pp. 176-  226; P. Van Dael, Tipologia, estratto dal corso di Storia dell'Arte medioevale tenuto  presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma, consultabile all'indirizzo:  <http://www.unigre.it/rhetorica%20biblica/studenti/TBC005/TIPOLOGIA_-  van%20Dael.doc> (ultima consultazione: 30 novembre 2007); H.L. Kessler, Storie  sacre e spazi consacrati: la pittura narrativa nelle chiese medievali tra TV e XII secolo, in  L'arte medievale nel contesto (300-1300): funzioni, iconografia, tecniche, Milano, Jaca  Book, 2006, pp. 438ss.   38 Cadei, Assisi, S. Francesco, cit., pp. 155-156, secondo il quale i medaglioni  di San Francesco e di Sant'Antonio attualmente posti nel quadrilobo nella finestra  VII della basilica superiore ai lati del Cristo in gloria, proverrebbero dalle lancette  della quadrifora III posta nel transetto settentrionale della basilica superiore.     ''j$'x&H -'     IPOTESI «GIOACHIMITE» SUGLI AFFRESCHI DI GIOTTO     49     sione e nella Trasfigurazione, poste nelle lunette di volta e nel tratto  superiore della vetrata centrale, rimanderebbe alla Dispositio novi  ordinis pertinens ad tercium statum ad instar superne Jerusalem ed alla  Rota in medio rotae, contenute nelle Figurae XII e XV del Liber  Figurarum. I sostenitori di questa tesi ammettono peraltro che tali  sottili richiami e reconditi significati ben difficilmente avrebbero  potuto esser colti dal comune visitatore, e che i principali fruitori  sarebbero stati piuttosto i soli Francescani spirituali 39 .   Secondo questa opinione, in conclusione, la sintesi ed il com-  pletamento della teoria gioachimita della storia, operata dai France-  scani spirituali con l'individuazione nell'Ordine minoritico del no-  vus ordo monastico destinato alla guida della società, avrebbe avuto,  quale esito iconografico, proprio l'affiancamento degli episodi della  vita di San Francesco alle tradizionali serie tipologiche vetero e  neotestamentarie in una prospettiva «rivoluzionaria».   Tuttavia, accanto a queste serie tipologiche che sarebbero state  ispirate dalle teorie gioachimite e spirituali, nella stessa basilica  superiore assisiate furono eseguite altre e ben più note scene vetero 40  e neotestamentarie 41 , poste ancora una volta in collegamento con  ventotto episodi della Vita di San Francesco 42 , benché in una pro-     39 Cadei, Assisi, S. Francesco, cit., p. 159, ricorda infatti che, secondo lo  Schòne, si sarebbe trattato di un ciclo iconografico riservato ai soli Francescani  spirituali e che perciò era limitato al loro coro non accessibile al pubblico, circo-  stanza questa che ne favorì anche la successiva conservazione nonostante il muta-  mento del programma decorativo.   40 II ciclo dell'Antico Testamento, realizzato sulla parete nord, si compone di  sedici episodi e comincia con le Storie della Creazione nel registro superiore: Crea-  zione del mondo, Creazione di Adamo, Creazione di Eva, Peccato originale, La cacciata  dal Paradiso terrestre, Il lavoro dei progenitori, Il sacrificio di Caino ed Abele, Caino  uccide Abele proseguendo, nel registro inferiore, con episodi della vita dei quattro  patriarchi biblici Noè, Abramo, Giacobbe e Giuseppe: La costruzione dell'arca,  L'ingresso di Noè e degli animali nell'arca, Il sacrificio di Isacco, La visita degli angeli  ad Abramo, Isacco benedice Giacobbe, Esaù davanti ad Isacco, Giuseppe calato nel  pozzo dai fratelli, Giuseppe si fa riconoscere dai fratelli in Egitto.   41 II ciclo del Nuovo Testamento, collocato sulla parete sud, si compone di  sedici episodi e comincia con le Storie dell'infanzia di Cristo nel registro superiore:  Annunciazione, Visitazione, Natività, Adorazione dei Magi, Presentazione di Gesù al  tempio, Fuga in Egitto, Disputa nel tempio, Battesimo di Gesù. Nel registro inferiore,  invece, sono collocati gli episodi della Vita pubblica e della Passione di Cristo: Le  nozze di Cana, La resurrezione di Lazzaro, La cattura di Cristo nell'orto, Cristo davanti a  Pilato, La salita al Calvario, La Crocifissione, Il Compianto sul Cristo morto, Le pie  donne al sepolcro.   42 A partire dalla parete destra dal lato dell'altare: San Francesco riceve l'omag-  gio dell'uomo semplice, Il Santo dona Usuo mantello al povero, Sogno del palazzo colmo     50 MARIO GAGLIONE   spettiva più moderata, ispirata questa volta alla Vita ufficiale del  Santo, la Legenda maior redatta da San Bonaventura 43 . Proprio Bo-  naventura ed, in seguito, il probabile committente degli affreschi, il  cardinale francescano Matteo d'Acquasparta, si erano infatti oppo-  sti agli Spirituali rigoristi ed alla teoria da loro sostenuta secondo la  quale con l'avvento dell'Età dello Spirito si sarebbe pervenuti ad  uno scardinamento dell'ordine costituito già sulla terra e nella sto-  ria. L'Autore della Legenda, invece, ribaltò proprio la prospettiva di  un radicale mutamento «nella storia», sostenendo che i tempi nuovi  si sarebbero dispiegati su di un piano esclusivamente ultraterreno,  privo quindi di pericolose ricadute politiche.   Ritornando dunque agli affreschi dell'Antico e del Nuovo Te-  stamento che Giotto avrebbe eseguiti nella chiesa esterna di S.  Chiara, non risultano notizie, di fonte letteraria o documentaria,  dell'esistenza anche di un ciclo della Vita di San Francesco che  avrebbe potuto far pensare ad una consapevole imitazione del mo-  dello assisiate nella versione spirituale o piuttosto in quella bona-  venturiana. D'altra parte, al tempo della esecuzione degli affreschi  nella grande chiesa napoletana erano trascorsi decenni dai movimen-  tati inizi della decorazione della basilica di Assisi, vero e proprio  palinsesto iconografico della storia dell'Ordine. Inoltre, il contrasto  tra il papato e la dirigenza dello stesso Ordine minoritico, da un  lato, ed i dissidenti Spirituali dall'altro era giunto ormai, con papa     di armi, Cristo appare al Santo in S. Damiano, Rinunzia alle vesti, Sogno di Innocenzo  III, Innocenzo III approva la Regola, Il Santo sul carro di fuoco, Frate Leone vede il  trono celeste destinato a San Francesco, Cacciata dei demoni da Arezzo, La prova del  fuoco, L'estasi di San Francesco, Il presepe di Greccio, Miracolo della fonte, Predica agli  uccelli, Morte del signore di Celano, La predica davanti ad Onorio III, San Francesco  appare ai frati riuniti in capitolo ad Arles, Stimmate, Morte e funerali, San Francesco  appare al vescovo di Assisi e a frate Agostino, Il patrizio Girolamo si accerta delle  stimmate, Le Clarisse di S. Damiano piangono il Santo, Canonizzazione, San Francesco  appare a Gregorio IX, Guarigione del gentiluomo di llerda, Resurrezione della gentil-  donna, Liberazione di Pietro d'Alife.   43 Le posizioni di San Bonaventura vennero riprese dal cardinale Matteo  d'Acquasparta in tre suoi sermoni. Il cardinale, generale dell'Ordine dal 1287 al  1289, fu probabilmente l'ideatore del programma iconografico della navata della  basilica superiore e contrastò decisamente gli Spirituali guidati da Ubertino da  Casale. I tìtuli illustranti gli episodi della Leggenda francescana sono tratti dalla  Legenda maior, e cfr. E. Lunghi, San Francesco ad Assisi, Firenze, Passigli, 1996,  pp. 56ss. Per l'ispirazione alla Legenda major, cfr. G. Ruf, Francesco e Bonaventura.  Un'interpretazione storico-salvifica degli affreschi della navata nella chiesa superiore di  San Francesco in Assisi alla luce della teologia di San Bonaventura, Assisi, Casa Edi-  trice Francescana, 1974, p. 39 e Cadei, Assisi, S. Francesco, cit., p. 158.       IPOTESI «GIOACHIMITE» SUGLI AFFRESCHI DI GIOTTO     51     Giovanni XXII, ad una persecuzione sistematica dei secondi, e,  come si è visto, al prevalere di posizioni moderate, circostanza que-  sta che sembra deporre contro la possibilità di citazioni iconografi-  che eccessivamente «eversive» 44 .   Infine, l'assoluta impossibilità di ricostruire i contenuti ed i  soggetti delle scene vetero e neotestamentarie eventualmente realiz-  zate nella chiesa esterna di S. Chiara a Napoli non consente neppure  di accertare una eventuale, effettiva influenza sulle stesse di quella  più precisa ed articolata corrispondenza tra fatti, persone, figure e  adempimenti dei due Testamenti, che, secondo alcuni, sarebbe co-  munque derivata proprio dalla diffusione delle teorie di Gioacchino  tradotte poi in immagini 45 .   La spiegazione della scelta delle scene dell'Antico e del Nuovo  Testamento per la decorazione di S. Chiara, a questo punto, può  essere piuttosto individuata proprio nella volontà di seguire il tra-  dizionale filone tipologico, significativamente rinvenibile nello  stesso repertorio di Giotto.   Il modello più prestigioso di tale filone era costituito dalla serie  degli affreschi dell'antica basilica di S. Pietro in Vaticano. Le pareti     44 Nell'antico refettorio dei Frati minori, oggi chiesa esterna del monastero  delle Clarisse, è posto l'affresco della Mensa del Signore, attribuito al Maestro di  Giovanni Barrile, e datato intorno al 1331-1332, ovvero qualche tempo dopo il  1332, la cui particolare iconografia sarebbe servita a celebrare i valori della povertà  e dell'umiltà, testimoniando così il particolare favore dei sovrani angioini per questi  ideali strenuamente propugnati dai Francescani spirituali, favore «ufficializzato» dal  contorno araldico dell'affresco, e cfr. F. Bologna, I pittori alla corte angioina di  Napoli (1266-1414), Roma, U. Bozzi, 1969, pp. 200ss.; Leone de Castris, Giotto  a Napoli, cit., p. 106; pp. 146-149, e fig. 61. Una lettura più articolata è stata  recentemente suggerita da C. Frugoni, Una solitudine abitata. Chiara d'Assisi,  Roma-Bari, Editori Laterza, 2006, pp. 125-126: nel nostro affresco, Cristo è posto  su di una montagna circondato dagli apostoli. In basso, San Pietro distribuisce il  pane alla folla in ascolto attingendo a cesti stracolmi. In primo piano sono inginoc-  chiati San Francesco, con la bisaccia della questua, e Santa Chiara, in orazione. Il  dettaglio della montagna rimanda al Vangelo di Giovanni (6, 3-15), ove al miracolo  della moltiplicazione segue il discorso del Cristo che si presenta alla folla come «il  vero pane sceso dal cielo». V Agnus Dei, ripetuto quattro volte alle estremità, co-  stituisce un ulteriore richiamo all'eucaristia. Sembrerebbe in tal modo prevalere  proprio il riferimento eucaristico ricorrente, peraltro, nella dedicazione ufficiale  della chiesa esterna all'Ostia santa, sicché, i frati riuniti nel refettorio per il frugale  pranzo garantito dalla carità di Dio, nel consumare il cibo del corpo, non avrebbero  dimenticato la necessità di nutrirsi di quello dell'anima, ben più prezioso del pane.  Gli eventuali, ma labili, accenni spirituali erano, in tal caso, riservati ai soli frati  essendo il refettorio inaccessibile, di regola, ai laici.   45 Cadei, Assisi, S. Francesco, cit., p. 157.     52 MARIO GAGLIONE   della navata centrale erano infatti decorate con Storte dell'Antico e  del Nuovo Testamento, eseguite durante il pontificato di papa Leone  I (440-461), distrutte poi nel 1608, nel corso dei lavori di costru-  zione del nuovo S. Pietro, ma fortunatamente descritte da Jacopo  Grimaldi e documentate dagli acquerelli di Domenico Tasselli da  Lugo. Le scene dell'Antico Testamento, tratte soprattutto dalla Ge-  nesi e dall'Esodo, erano dipinte sulla parete destra, mentre sulla  parete sinistra si svolgeva un ciclo illustrante la Vita e la Passione  di Cristo. Questi affreschi costituirono: «il prototipo fondamentale  per le successive decorazioni con scene vetero e neotestamentarie  che da Roma si diffusero in tutta Italia e in gran parte d'Europa... la  prima e più completa esposizione per immagini dei principali episodi  biblici ed evangelici a livello di pittura monumentale» 46 . Un folto  gruppo di affreschi tipologici derivò direttamente da quelli di S.  Pietro, come nel caso delle decorazioni musive dell'atrio della basi-  lica abbaziale cassinense volute da Desiderio, dalle quali derivarono  ulteriormente le storie testamentarie di S. Angelo in Formis, nonché  degli affreschi di S. Pietro a Ferentillo, di S. Maria Immacolata di  Ceri, di S. Giovanni a Porta Latina 47 , di S. Maria in Monte Domi-  nico a Marcellina, di S. Nicola a Castro dei Volsci, della cappella di  S. Tommaso nel duomo di Anagni, dell'Annunziata a Cori, ed anche     46 Cfr. A. Tomei, La basilica dalla tarda antichità al secolo XV, in La basilica di  San Pietro a Roma, a cura di C. Pietrangelo Firenze, Cantini, 1989, p. 67, nonché H.  Kessler, «Caput et speculum omnium ecclesiarum»: old St. Peter s and church deco-  ration in medieval Latium, in Italian church decoration of the Middle Ages and early  Renaissance: functions, forms and regional traditions, a cura di W. Tronzo, Bologna,  Nuova Alfa, 1989, pp. 109-146.   47 II ciclo pittorico veterotestamentario comprende diciotto scene, mentre  quello neotestamentario ne comprende ventinove conteggiando separatamente V Ul-  tima cena e la Lavanda dei piedi, e fu realizzato da tre o quattro pittori nella seconda  metà del secolo XII. Nulla ha dunque a che vedere con questi affreschi la presenza  nella chiesa di quindici fratres paupertatis attestata dal Catalogo delle chiese di Roma  (Biblioteca Nazionale di Torino, Cod. lat. A 381) risalente al 1320 circa, e da alcune  lettere di Angelo Clareno del 1313, e cfr. Angelo Clareno, Opera, I, Epistole, a  cura di L. von Auw, Roma, Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, 1980, p.  XXXI, pp. lss., pp. 28ss. Più in generale, sostengono un collegamento tra gli  Spirituali napoletani e quelli romani, ed anzi una vera e propria influenza del  filospiritualismo di Sancia sulla politica di Cola di Rienzo: A. Collins, Greater  than Emperor. Cola di Rienzo (ca. 1313-1354) and the world of Fourteenth Century  Rome, Ann Arbor, The University of Michigan Press, 2002, pp. 108ss.; R.G.  Musto, Apocalypse in Rome. Cola di Rienzo and thepolitics ofthe new age, Berkeley,  Los Angeles, New York, The University of California Press, 2003, pp. 12 lss.,  165ss.       IPOTESI «GIOACHIMITE» SUGLI AFFRESCHI DI GIOTTO     53     dei restauri cavalliniani degli affreschi di S. Paolo 48 e del ciclo di  Vescovio. Gli stessi affreschi vetero e neotestamentari della basilica  superiore di Assisi derivano dalle serie tipologiche di S. Pietro. Si  tratta certamente di cicli piuttosto complessi: così a S. Pietro gli  episodi veterotestamentari erano quarantasei, a S. Paolo trentotto, a  Ceri venticinque, e ad Assisi sedici 49 . Questo modello iconografico  fu ripreso ben presto in tutta Europa, come conferma anche una  notizia offertaci da Beda il Venerabile (673 ca.-735) relativamente  all'importazione da Roma all'abbazia di S. Pietro a Wearmouth di  tavole dipinte di contenuto tipologico 50 . Dal dodicesimo secolo in  poi i cicli tipologici risultano sempre più elaborati, come dimostra la  pala d'altare di Klosterneuburg, costituita da placche di bronzo  smaltato champlevè, completata da Nicola de Verdun nel 1181 51 .     48 Su questo ciclo cfr. S. Romano, II cantiere di San Paolo fuori le mura: il  contatto con i prototipi, in Medioevo: i modelli. Atti del convegno internazionale di studi  Parma 27 settembre-I ottobre 1997, a cura di A.C. Quintavalle, Parma-Milano,  Università di Parma-Mondadori Electa, 2002, pp. 615-630.   49 Cfr. S. Romano, La morte di Francesco: fonti francescane e storia dell'Ordine  nella basilica di S. Francesco d'Assisi, in «Zeitschrift fur Kunstgeschichte», 61, 1998,  pp. 3 43 ss., ed E ad., La basilica di San Francesco ad Assisi. Pittori, botteghe, strategie  narrative, Roma, Viella, 2001.   50 «Constituto ilio abbate Benedictus monasterio beati Petri apostoli, consti-  tuto et Ceolfrido monasterio beati Pauli, non multo post temporis spatio quinta vice  de Brittannia Romam adcurrens, innumeris sicut semper aecclesiasticorum donis  commodorum locupletatus rediit; magna quidem copia voluminum sacrorum; sed  non minori, sicut et prius, sanctarum imaginum munere ditatus. Nam et tunc do-  minicae historiae picturas quibus totam beatae Dei genetricis, quam in monasterio  maiore fecerat, aecclesiam in gyro coronaret, adtulit; imagines quoque ad ornandum  monasterium aecclesiamque beati Pauli apostoli de concordia Veteris et Novi Te-  stamenti summa ratione conpositas exibuit; verbi gratia, Isaac Ugna, quibus inmo-  laretur portantem, et Dominum crucem in qua pateretur aeque portantem, proxima  super invicem regione, pictura coniunxit. Item serpenti in heremo a Moyse exaitato,  filium hominis in cruce exaltatum conparavit» e cfr. Beda, Vita quinque sanctorum  abbatum, I, 9, edizione elettronica nella Biblioteca Augustana (Bibliotbeca latina,  Latinitas medievalis) a cura di U. Harsch (Fachhochschule Augsburg) basata su Ve-  nerabilis Baedae Opera Historica, edidit Carolus Plummer, Oxonii, E typographeo  Clarendoniano, 1896, all'indirizzo: <http://www.fh-augsburg.de/~Harsch/Chrono-  logia/Lspost08/Bede/bed quin.html> (ultima consultazione: 30 novembre 2007).   51 In alto nella pala sono poste diverse scene veterotestamentarie accadute  prima della legge {ante legem), al centro sono le corrispondenti scene neotestamen-  tarie (sub gratia), ed in basso le corrispondenti scene veterotestamentarie sotto la  legge (sub lege). Ad esempio: le scene del Passaggio del Mar Rosso, del Battesimo di  Cristo e del «mare di bronzo» del tempio vanno considerate in corrispondenza; così  pure l'episodio di Giuseppe che viene messo nella cisterna, la deposizione di Cristo  nel sepolcro e Giona nel ventre del pesce, e così via, cfr. H. Buschhausen, The     54 MARIO GAGLIONE   Vennero redatti, inoltre, veri e proprio manuali proprio allo  scopo di indicare al pittore o allo scultore i collegamenti tipologici  tra gli episodi testamentari. Tra questi si ricorda il Victor in Car-  mine 52 , opera di un anonimo monaco cistercense inglese del XII  secolo, il quale, pur essendo contrario alla decorazione figurata delle  chiese, riteneva tuttavia ammissibili almeno le rappresentazioni ti-  pologiche poiché potevano fungere da efficaci libri laicorum. Ma,  certamente, la fonte primaria fu costituita dalla Glossa ordinaria di  Walafrido Strabone (f849) completata da Niccolò di Lira (f 1349),  vera e propria sintesi dell'esegesi tipologica dei Padri della chiesa 53 .   Orbene, proprio i temi tipologici rientravano certamente anche  nel repertorio di Giotto. Oltre alla discussa partecipazione del Mae-  stro all'esecuzione di alcuni episodi dell'Antico e del Nuovo Testa-  mento nella basilica di S. Francesco ad Assisi 54 , sappiamo, soprat-  tutto dalle Vite del Vasari, che Giotto eseguì Storie dei due Testa-  menti nella basilica di S. Pietro a Roma 55 , nella cappella palatina del  Castelnuovo 56 a Napoli, e storie del solo Nuovo Testamento nella  SS. Annunziata a Gaeta 57 . D'altro canto, la biografia dello stesso     Klosterneuburg Aitar of Nicholas of Verdun: Art, Theology and Politics, in «Journal of  the Warburg and Courtauld Institutes», 37, 1974, pp. 1-32.   52 Victor in Carmine. Ein Handbuch der Typo logie aus dem 12. Jahrhundert. Nach  der Handschrift des Corpus Chris ti College in Cambridge, Ms. 300, a cura di K. A.  Wirth, Berlin, Mann, 2006.   53 E. Male, Le origini del gotico. L'iconografia medioevale e le sue fonti, Mi-  lano, Jaca Book, 1986, pp. 15ss.; pp. 145ss.   54 L. Bellosi, Giotto e la Basilica Superiore di Assisi, in Giotto. Bilancio critico  di sessantanni di studi e ricerche, Firenze, Giunti, 2000, pp. 33-54; B. Zanardi,  Giotto e Pietro Cavallini. La questione di Assisi e il cantiere medievale della pittura a  fresco, Milano, Skira, 2002; T. De Wisselow, The date of the St. Francis cycle in the  upper Church of S. Francesco at Assisi: the evidence of copies and considerations of  method, in The art of the Franciscan Order in Italy, a cura di W. R. Cook, Leiden-  Boston, Brill, 2005, pp. 113ss.   55 Scrive infatti Vasari: «il papa avendo vedute queste opere e piacendogli la  maniera di Giotto infinitamente, ordinò che facesse intorno intorno a San Pietro  Istorie del Testamento Vecchio e Nuovo: onde cominciando fece Giotto a fresco  l'Angelo di sette braccia che è sopra l'organo; e molte altre pitture, delle quali parte  sono state da altri restaurate a dì nostri e parte nel rifondare le mura nuove, o state  disfatte», e cfr. anche A. Tomei, Giotto a Roma intorno al primo Giubileo, in La  storia dei Giubilei, a cura di G. Fossi, Roma, BNL, 1997, voi. I, pp. 238-255.   56 Questi affreschi furono eseguiti tra il 1329 ed il 1332-1333 ed andarono  purtroppo distrutti nel 1470, durante il regno di Ferrante d'Aragona, e cfr. Leone  de Castris, Giotto a Napoli, cit., pp. 168ss.   57 Scrive Vasari: «partito Giotto da Napoli per andare a Roma, si fermò a  Gaeta, dove gli fu forza, nella Nunziata, far di pittura alcune storie del Testamento      t ù„J. ]ìlttes:lJ£A^ !      IPOTESI «GIOACHIMITE» SUGLI AFFRESCHI DI GIOTTO 55   Giotto lascia davvero poco spazio ai sospetti di spiritualismo 58 . I  suoi committenti e protettori erano strettamente legati alla corte  pontificia, come quel fra Giovanni Mincio da Morrovalle, ministro  generale dell'Ordine minoritico, che lo chiamò ad Assisi o il cardi-  nale Jacopo Stefaneschi. Il Maestro, che aveva organizzato in ma-  niera imprenditoriale la propria bottega, non disdegnava inoltre di  prestare danaro e di acquistare terreni per investimento, ben lon-  tano da scrupoli pauperistici 59 . A Giotto, anzi, viene tradizional-  mente attribuita la canzone Molti son que che lodan povertade, che  contiene una vera e propria invettiva contro la povertà, ritenuta  istigatrice di delinquenza, causa di sovversione sociale e di ipo-  crisia 60 .   Ritornando a S. Chiara, in realtà, i frammenti di affresco a  contenuto narrativo più sicuramente riconducibili a Giotto ed alla  sua bottega sono quelli conservati nel coro o oratorio interno delle  monache. Sulla parete che divide appunto l'oratorio dalla chiesa  esterna può osservarsi ciò che resta di un Compianto sul Cristo depo-  sto, che lascia ipotizzare, pur in mancanza di più precise evidenze,  che l'intera parete fosse affrescata con scene della Vita di Cristo,  forse principalmente episodi della Passione, secondo quanto realiz-  zato nei cori di altri monasteri delle Clarisse. In particolare, nel coro  di S. Pietro in Vineis ad Anagni 61 , qualche tempo dopo la canonizza-     Nuovo, oggi guaste dal tempo, ma non però in modo che non vi si veggia benissimo il  ritratto d'esso Giotto appresso a un Crucifisso grande molto bello», per la citazione  cfr. la precedente nota 11.   58 Lo ammette lo stesso Leone de Castris, Giotto a Napoli, cit., p. 151.   59 Cfr. F. Antal, La pittura fiorentina e Usuo ambiente sociale nel Trecento e nel  primo Quattrocento, Torino, Einaudi, 1960, p. 232. Giotto affittava telai ai tessitori  meno abbienti realizzando profitti del 120%. Alcuni documenti attestano il suo  ruolo di garante di prestiti e, nel 1314, risulta assistito da ben sei avvocati in atti  contro debitori morosi o insolventi.   60 Tra l'altro il componimento precisa: «Di quella povertà ch'è contro a voglia/  Non è da dubitar ch'è tutta ria,/ Che di peccar è via, / Facendo ispesso a giudici far  fallo;/ E d'onor donne e damigelle spoglia;/ E fa far furto, forza e villania; /E ispesso  usar bugia/ E ciascun priva di onorato istallo». La canzone fu estratta dal codice 47  pluteo 90 laurenziano, ragguagliata sul codice 1717 riccardiano e pubblicata da F.  Trucchi, Poesie italiane inedite di dugento autori: dall'origine della lingua infino al  secolo decimosettimo, Prato, Ranieri Guasti, 1846, voi. II, pp. 5ss.   61 Cfr. M. Rak, Vedere, ricordare, raccontare. Immagine e racconto in un appa-  rato pittorico dottrinale di una comunità femminile pauperista nel tardo medioevo, in II  collegio Principe di Piemonte e la chiesa di S. Pietro in vineis in Anagni, a cura di M.  Rak, Roma, INPDAP, 1997, pp. 21-34, nonché S. Romano, Gli affreschi di San  Pietro in vineis, ibidem, pp. 105ss. e C. Jaggi, Frauenklóster im Spàtmittelalter. Die     56 MARIO GAGLIONE   zione di Chiara avvenuta nella cattedrale di quella città, ove fu  conservata la relativa bolla pontificia del 15 agosto del 1255, e,  comunque, entro il 1263, vennero appunto dipinte le Storie della  Passione di Cristo. Questo notevole ciclo si articola negli episodi  dell'Ingresso in Gerusalemme, Ultima cena e lavanda dei piedi, Cattura  e flagellazione di Cristo, Deposizione e discesa al limbo, Noli me tangere  e missione degli Apostoli, Giudizio universale, che dovevano servire  anzitutto come «strumento di memoria» nei momenti più solenni  della liturgia. All'atto della recita sottovoce {in secreto) della pre-  ghiera eucaristica {canon missae) nel corso della messa, quelle stesse  scene consentivano alle Clarisse di ripercorrere, anche visivamente,  la storia della redenzione fino alla morte ed alla resurrezione del  Salvatore. Le sofferenze di Cristo, rappresentate in maniera reali-  stica e cruenta, offrivano dunque alle Clarisse occasioni di medita-  zione e di riflessione. Gli episodi della vita del Salvatore, inoltre,  erano costantemente richiamati negli scritti dedicati alle Vite di San  Francesco e di Santa Chiara, e per quest'ultima, già nella Leggenda  redatta da Tommaso da Celano (1255-1256). Perciò, gli affreschi  cristologici venivano a costituire, in definitiva, un grandioso prome-  moria non solo della vita del Salvatore, ma appunto anche delle «vite  parallele» di Chiara e di Francesco, ricostruibili per analogia dalle  osservatrici, e ricordate alle monache anche attraverso le letture  edificanti, i racconti orali e, soprattutto, la predicazione, non occor-  rendo necessariamente la realizzazione di cicli tipologici «completi»  che comprendessero cioè anche le Storie dei due Santi francescani 62 .     Kirchen der Klarissen una Dominikannerinnen im 13. una 14. Jahrhundert, Monaco,  Michael Imhof, 2006, pp. 255ss.   62 II ciclo della Passione nel coro delle monache di S. Pietro in vineis prosegue,  in realtà, con l'episodio della stimmatizzazione di San Francesco, che riporta visi-  vamente al parallelismo con Cristo. Vi sono rappresentati inginocchiati anche una  badessa attorniata da monache ed un frate accompagnato da frati, in veste di  donatori oranti. Lo stesso ciclo si conclude con un riquadro nel quale sono dipinti  i Santi Aurelia, Scolastica e Benedetto e donatori. Nel coro delle monache della  basilica di S. Chiara ad Assisi, corrispondente all'attuale cappella di San Giorgio,  intorno al 1340 vennero eseguite, invece, oltre che le Storie della Passione di Cristo,  pur nell'ordine anomalo, da sinistra, di Resurrezione, Deposizione dalla croce, e  Deposizione nel sepolcro, anche quelle àzW Incarnazione con V Annunciazione , la Na-  tività, e l'Adorazione dei Magi, e cfr. C. Jaggi, Frauenklòster im Spàtmittelalter, cit.,  pp. 247ss. A Napoli dev'essere infine ricordato il notevole ed articolato ciclo della  Passione affrescato, probabilmente dopo il 1323 sulle pareti del coro delle Clarisse  della chiesa di S. Maria Donnaregina vecchia, ispirato alla Legenda Aurea di Jacopo  da Varagine ed alle Meditationes Vitae Còristi dello pseudo-Bonaventura ed articolato  in diciassette scene. In particolare, in tre registri di cinque scene ciascuno, più due:       IPOTESI «GIOACHIMITE» SUGLI AFFRESCHI DI GIOTTO 57   Come si è cercato di dimostrare, il riferimento alla esaminata  Figura gioachimita quale modello o fonte di ispirazione per la scelta  dei temi iconografici dei cicli pittorici realizzati nella basilica di S.  Chiara risulta, a ben considerare, davvero piuttosto improbabile.   Non molti anni or sono Richard Krautheimer, nei Poscritti ad  un suo aureo saggio di introduzione alla iconografia architettonica 63 ,     1) Ultima cena; 2) Comunione degli Apostoli) 3) Cristo lava i piedi a San Pietro; 4)  Orazione di Cristo nell'orto; 5) Cattura di Cristo con l'episodio del San Pietro che taglia  l'orecchio a Malco; 6) Cristo al cospetto dei sommi sacerdoti Anna e Cai/a, negazione di  Pietro, derisione di Cristo che viene privato dei vestiti per la prima volta, flagellazione di  Cristo; 1) Cristo portato davanti a Pilato per il primo giudizio e poi davanti ad Erode; 8)  Secondo giudizio di Cristo davanti a Pilato e nuova flagellazione; 9) Cristo privato delle  vesti e sua ascesa al Calvario, nuova spoliazione di Cristo ed innalzamento sulla croce;  10) Crocifissione; 11) Deposizione dalla croce, lamentazione sul corpo e sepoltura di  Cristo; 12) Discesa al Limbo e resurrezione di Cristo; 13) Le Marie al sepolcro, «Noli me  tangere», apparizioni di Cristo alla Vergine ed a Giuseppe d'Arimatea; 14) Apparizioni  di Cristo alle due Marie di ritorno dal sepolcro, a Giacobbe figlio di Alfeo ed a San  Pietro; 15) Cristo appare quattro volte agli Apostoli sul monte Tabor, poi sul monte degli  Olivi, cena ad Emmaus con l'episodio dell'Incredulità di San Tommaso; 16) Ascensione;  17) Pentecoste. Tali scene avevano lo scopo di suscitare la compassione delle mona-  che per le ultime vicende di Cristo, illustrando loro l'esempio delle Vergine Maria,  non mancando, poi, di suggerire paralleli con la Vita di San Francesco, e di offrire,  soprattutto nelle rappresentazioni dell'Ultima Cena, della Comunione degli Apostoli e  della Cena di Emmaus, l'occasione di una contemplazione eucaristica che era loro  preclusa dal vivo, durante l'elevazione dell'ostia nel corso della messa, e cfr., in  proposito, A.S. Hoch, The «Passion» cycle: images to contemplate and imitate amid  Clarissan «clausura», in: The church of Santa Maria Donna Regina: art, iconography and  patronage in fourteenth-century Naples, a cura di Janis Elliott, Aldershot, Ashgate,  2004, pp. 129-153.   63 Per la traduzione italiana del saggio dal titolo originario Introduction to an  «Iconography of Medieval Architecture» , comparso sul «Journal of Warburg and Cour-  tauld Institutes», 5, 1942, pp. 1-33, si veda R. Krautheimer, Introduzione a un'i-  conografia dell'architettura sacra medievale (1942), in Id., Architettura sacra paleocri-  stiana e medievale, Torino, Bollati Boringhieri, 1993, pp. 98-150, in particolare alle  pp. 144ss., comprendente i Poscritti del 1969 e 1987 (da p. 143). In questo saggio  Krautheimer propone le sue osservazioni sulla «copia parziale» architettonica che  caratterizza l'imitazione, durante il Medioevo, dei più prestigiosi edifici sacri non in  termini di copia puntuale e corrispondente («copia totale»), ma di copia rielaborata,  e cfr. al riguardo anche G. Bandmann, Early medieval architecture as bearer of mea-  ning, con introduzione di K. Wallis, e postille di H. J. Boker, New York, Columbia  University press, 2005, traduzione inglese del saggio originale in tedesco Mittelal-  terliche Architektur als Bedeutungstràger, Berlin 1951 e W. Schenkluhn, Iconografia e  iconologia dell'architettura medievale, in L'arte medievale nel contesto (300-1300):  funzioni, iconografia, tecniche, Milano, Jaca Book, 2006, pp. 62-63 e p. 67. Per alcuni  rilievi critici sulla tesi della «copia parziale», cfr., comunque, B. Brenk, Originalità e  innovazione nell'arte medievale, in Arti e storia nel Medioevo, a cura di E. Castelnuovo  e G. Sergi, Torino, Einaudi, 2002, voi. I, pp. 3-69.     58 MARIO GAGLIONE   rilevava come spesso l'interpretazione simbolica delle piante degli  edifici medievali fosse avvenuta post factum, e cioè dopo l'effettiva  adozione delle forme decisa per altre motivazioni. Molto frequente-  mente, cioè, si è attribuito al committente ed all'architetto ciò che  nell'edificio aveva voluto vedere a posteriori il teologo medievale, o,  altrettanto spesso, solo l'interprete moderno. Gli importanti studi  iconologici di Aby Warburg e, in seguito, di Erwin Panofsky e di  Fritz Saxl hanno contribuito involontariamente anche a scoper-  chiare «una specie di vaso di Pandora» dal quale sono poi fuoriuscite  interpretazioni simboliche a tutti i costi, «per amore o per forza».  Invece, l'indagine sui significati dell'opera architettonica ed, in ge-  nere, dell'opera d'arte dovrebbe essere svolta in modo che quanto «è  possibile» diventi «probabile», perché «la relazione ipotizzata abbia  un carattere di causalità ben definito, rilevabile da numerosi e dif-  ferenti indizi» 64 .   Sembra invece che proprio la mancanza di questi «numerosi e  differenti indizi» non consenta di sostenere né l'ispirazione gioachi-  mita degli affreschi, né la pretesa matrice francescano-spirituale  della pianta della basilica di S. Chiara a Napoli.   Mario Gaglione     64 R. Krautheimer, Introduzione, cit., p. 146.       IPOTESI «GIOACHIMITE» SUGLI AFFRESCHI DI GIOTTO     APPENDICE     59     Traduzione del testo posto ai margini della Figura XVIII del Liber  figurarum, tratto dalla Concordia Novi ac Veteris Testamenti dall'edizione a  cura di Tondelli, Reeves, Hirsch-Reich, Il Libro delle Figure \ cit., voi. II,  tav. XVIIIa.     Come illustrato in questa Figura, da Adamo fino a Giovanni Battista sono  trascorsi sei tempi ormai conclusi, durante i quali il Signore ha compiute le sue  opere sotto la legge ed i profeti, e nel settimo tempo si è riposato dalle opere del  primo stato, infatti la legge ed i profeti sono perdurati fino a Giovanni Battista.  Per tali motivi occorre attenersi a ciò che affermano i Santi Dottori, in ordine al  fatto che le due età, e cioè la sesta e la settima, trascorrono insieme, sia perché,  compiuti i sei tempi, le anime dei giusti riposano in Cielo, sia perché al popolo  di Dio è stato concesso un tempo sabbatico durante il quale potesse riposare  dalla servitù della legge, una volta acquistata la libertà dello Spirito Santo,  poiché dov'è lo Spirito del Signore lì è la libertà.   Questa definizione delle sei età riguarda propriamente la persona del  Padre poiché, evidentemente, il Padre, per mostrarsi signore effettivo di tutta  la terra, ha preteso dai suoi sudditi l'assoluta obbedienza dei sei tempi. Com-  piutisi questi tempi, in seguito, nel settimo tempo, il Padre mostra, a coloro che  gli hanno obbedito, l'affetto dell'amore e la libertà della grazia nello Spirito  Santo, perché lo stesso Spirito è amore, e dove c'è l'amore c'è la libertà. Proprio  per questo, infatti, l'Apostolo dice: «dove è lo Spirito del Signore lì è la libertà».   In conformità a tale generale definizione, riguardo alle sei età del mondo  occorre seguire quello che affermano i Santi Dottori, e cioè che nel sesto giorno  feriale è rappresentata la sesta età del mondo, nel sabato è significata la settima  età, e nella domenica l'ottava età, e poiché il sesto giorno è destinato alla fatica,  il settimo è riservato al riposo. Quel sabato sarà dunque colmo della gioia e della  letizia di tutti gli eletti, e ciò sia perché l'esercito dei santi martiri e degli altri  giusti sarà riunito in Cielo e regnerà con Cristo, sia perché al popolo di Dio  verrà concessa quella tregua sabbatica perché possa riposarsi dalla fatica della  sofferenza che ha sopportato nel corso dei sei tempi già quasi compiuti, e perchè  obbedisca al Signore nella libertà dello Spirito, poiché dov'è lo Spirito del  Signore lì è la libertà.   Questa definizione delle sei età viene comunemente riferita al Padre ed al  Figlio, poiché Padre e Figlio sono un unico Dio. Infatti, così come ciascuno dei  due singolarmente considerato è vero Dio, altresì considerati insieme essi non  sono due dei ma un unico Dio, ed avviene che alcune opere siano maggiormente  somiglianti al Padre ed altre al Figlio, così che essendo appunto uniti assieme si  manifestano in una forma unica anche se vengono chiamati distintamente con i  loro nomi. Diversa è la persona del Padre come diversa è la persona del Figlio,  tuttavia i due insieme considerati non sono due dei ma un unico Dio. E poiché  l'unico e lo stesso Spirito Santo procede non da uno solo dei due ma da en-  trambi, è chiaro che lo stesso Spirito sia in comunione con il Padre ed il Figlio  dai quali, appunto, procede all'infinito.   Questa definizione dei sei tempi o età concerne più propriamente la     60 MARIO GAGLIONE   persona del Figlio, il quale Figlio, certamente, per dimostrarsi maestro univer-  sale ha preteso un'assoluta osservanza della disciplina nel corso delle sei età.  Compiuti questi tempi, a coloro che operano con pazienza, Egli mostra nel suo  Spirito abbondanza d'amore e piena libertà di grazia, poiché il timore non è  compatibile con la carità, e perché la perfetta carità allontana il timore. In  questa Figura viene quindi esposto un grande mistero riguardante particolar-  mente la fede cattolica. Tutte le cose che Dio ha fatto le ha fatte nella sapienza.  La vera sapienza consiste nel conoscere e nel comprendere il Creatore, ed, in  particolare, attraverso le cose che sono state rese visibili, nel comprendere i sui  aspetti invisibili e nel contemplare Colui che ci ha creati. Dice infatti il Signore  nel Vangelo: «il Padre mio opera nello stesso modo nel quale opero anch'io».  Perciò è come se dicesse: mio Padre ha operato così che attraverso le opere  compiute a sua immagine nel primo stato del tempo, potesse dimostrare di  essere vero Signore e vero Dio, ed anche io opero cose simili in questo secondo  stato, così che né il Padre potrebbe agire senza di me, né io stesso potrei  operare senza il Padre, e ciò per dimostrare di essere identico a mio Padre,  poiché egli è Dio così come sono io stesso Dio, ed Egli stesso è onnipotente così  come io sono onnipotente. E, dunque, le opere del primo stato attengono  specificamente alla persona del Padre, mentre le opere del secondo stato riguar-  dano la persona del Figlio, e, d'altra parte, ad entrambi possono essere riferite  le opere di ciascuno dei due. Il Padre ed il Figlio sono infatti due persone.  Ciascuno di loro è Dio ed al contempo entrambi sono un unico Dio. E così  anche lo Spirito Santo viene detto Spirito del Padre perché procede dal Padre  ed in conformità a lui. Infatti non siete voi a parlare ma è lo Spirito del Padre  vostro che parla in voi. Viene anche definito Spirito del Figlio perché procede  dal Figlio conformemente a lui, secondo quanto si afferma: «Dio ha immesso  nei nostri cuori lo Spirito del Figlio che dice: Abba, Padre!». Ed altrettanto  l'Apostolo dice dello Spirito Santo: «dove è lo Spirito del Signore Ti è la libertà».  La servitù riguarda i sei giorni ed i sei giorni significano i sei tempi, la libertà  invece concerne il settimo giorno ovvero il settimo tempo. E proprio per questo  il settimo giorno ed il settimo tempo sono denominati sabato e riposo. Bisogna  considerare attentamente che dopo i sei tempi tribolati del primo stato è stata  concessa libertà e riposo nello Spirito Santo, e considerare altresì fino a che  punto il popolo dei fedeli abbia sopportato la servitù ed il giogo della legge per  servire il suo Signore nella libertà dello Spirito, poiché, come dice l'Apostolo:  «non avete ricevuto lo Spirito della servitù ancora una volta nel timore, ma  avete ricevuto lo Spirito dell'adozione filiale» per il quale possiamo dire: «Abba,  Padre!». Perciò, poiché lo Spirito Santo procede dal Padre ed a questi spetta il  sabato e la libertà, era necessario in conformità a ciò, che la settima età iniziasse  dal momento in cui Cristo è venuto nel mondo, perché questa età è stata  concessa come il sabato per il popolo di Dio. E per tale ragione è stato inviato  nello stesso tempo lo Spirito Santo, perché iniziasse quella età. Allo stesso  modo, dopo i sei tempi faticosi di questo secondo stato che, in conformità a  tale spiegazione, è iniziato con Ozia, ovvero con Mosè, verrà conferita al  popolo Cristiano la libertà, non vi è dubbio, nello Spirito Santo, affinché si  vedano svelate le cose che fino ad ora risultano ancora oscuramente percepibili  solo come di riflesso. E così noi stessi procederemo di glorificazione in glorifi-  cazione, e dallo Spirito del Signore verrà concessa la pace, nonché il sollievo     wmasSÈ     IPOTESI «GIOACHIMITE» SUGLI AFFRESCHI DI GIOTTO     61     dalla croce perché si possa trovare nel Signore riposo dalle tribolazioni. Ciò  accadrà dopo i sei faticosi tempi del secondo stato che abbiamo detto essere  pertinenti piuttosto al Figlio, perché lo Spirito Santo dimostri di procedere dal  Figlio di Dio. Esso stesso lo definirò Spirito che procede dal Padre, perchè solo  uno e sempre lo stesso Spirito procede da entrambi. Per questa ragione la  glorificazione della settima età è stata rimandata fino a questi tempi, poiché i  tempi travagliati hanno impedito il riposo del sabato che è stato concesso solo in  parte e non integralmente, fino a che si compiano i tempi del secondo stato che  sono destinati alla fatica dei cristiani. È dunque per quanto annunziato dal  Padre e dal Figlio che crediamo che ognuno di loro sia vero Dio, e, cioè, che  il Padre non sia generato da alcuno come Dio ed altresì che il Figlio derivi come  Dio da Dio. Poiché, in realtà, il Padre ed il Figlio, dai quali procede lo Spirito  Santo, non sono simultaneamente due dei ma un Dio solo, secondo quanto  afferma il Figlio nel Vangelo dicendo: «Quando verrà lo Spirito Santo che io  invierò a voi dal Padre», occorrerà che si concludano in altro modo le sette età,  in maniera che vengano conteggiate fino a Cristo cinque età, ed, inoltre, la sesta  fino alla definitiva incarcerazione di Satana, ed, ancora, la settima fino alla  resurrezione dei morti. 

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