JL insidia implicita nel concetto stesso di genere letterario ha non di rado contribuito a falsare la prospettiva necessaria a ben collocare la produzione in prosa latina del grande secolo deH'Umanesimo. Eta in cui vennero predominando preoccupazioni critiche, in cui tutta I'attivita spirituale era impegnata a costruire una respublica terrena, degna pienamente dell'uomo nobile,1 il Quattrocento trovo la sua espressione piu alta in opere di contenuto in largo senso moralistico e di tono retorico, in cui non solo si consegnava un modo nuovo di concepire la vita, ma si difendeva e si giustifi- cava polemicamente un atteggiamento originale in ogni suo tratto. Per questo chi voglia andar cercando le pagine esemplari del- Fepoca, le piu profondamente espressive, dovra rivolgersi, non gia a testi per tradizione considerati monumenti letterari, ma alle opere in cui veramente si manifest6 tutto 1'impegno umano della nuova civilta. Cosi, mentre chi prenda a scorrere novelle umani- stiche non potra non uscir deluso da talune, piu che imitazioni, traduzioni, o meglio raffazzonamenti, di modelli boccacceschi, quali troviamo, tanto per esemplificare, in un Bartolomeo Fazio, pagine di insospettata bellezza, capaci di colpire ogni piu raffi- nata sensibilita, ci si fanno incontro nei trattati e nei dialoghi di Poggio Bracciolini, e perfino nelle opere di un filosofo di profes- sione, dalPandamento talora scolasticizzante, qual & Marsilio Fi- cino. E proprio il Ficino della Theologia platonica, presentando gli uomini travagliati dalla malinconia della vita e desiderosi che tutto sia un sogno (wforsitan non sunt vera quae nunc nobis ap parent, forsitan in praesentia somniamus»),2 defmisce nei suoi par- ticolari espressivi un tema di larghissima risonanza in tutta la letteratura europea. Sempre il Ficino, nel Liber de Sole, pur para- frasando talora Torazione famosa dell'imperatore Giuliano, fissa i momenti di quella «lalda del sole)) che, attraverso Leonardo da Vinci, arriva fino alPinno ispirato di Campanella. Leonardo ri- manda esplicitamente all'apertura del terzo libro degli Inni na- turali del Marullo; ma chi veramente, ancora una volta, in una prosa di grandissimo impegno, ci offre tutti i temi di quella so- i. «L'omo nato nobile e in citt& libera»- come diii Alessandro Piccolo- mini. 2. FICINO, Opera, Basileae, per Henricum Petri, 1576, vol. i, pp. 315-17 (Theol plat., xiv, 7). X INTRODUZIONE lenne preghiera di ringraziamento alia fonte di ogni vita e di ogni luce, e proprio Ficino. Del quale e la non dimenticabile raffigu- razione di una tenebra totale, ove e spento ogni astro, che fascia lungamente i viventi, finche di colpo il cielo si apre per mo- strare colui che e sola forma visibile del Dio verace. E ficiniana e 1'opposizione del carcere oscuro e della luce di vita, della te nebra di morte e dei germi rinnovellati dalla luce e dal calore solare, in cui si articolera il metro barbaro di Campanella. Ma per rimanere agli scritti di un medesimo autore, Leon Bat- tista Alberti, non grande imitatore del Boccaccio, raggiunge in- vece la sua piena efficacia quando costruisce i suoi dialoghi, e sa essere perfettamente originale pur intessendoli di reminiscenze classiche. Perfino la tanto celebrata Historia de Eurialo et Lucre- tia di Enea Silvio perde tutto il suo colore innanzi alle pagine dei Commentarii'* e sono piu facili a dimenticarsi i casi di Lucre- zia che non le stanze delle antiche regine divenute nidi di serpi, o le porpore dei magistrati romani rievocate fra Tedera che copre le pietre rose dal tempo, o i topi che corrono la notte nei sotter- ranei di un convento e il papa che caccia sdegnato i monaci ne- gligenti. Per non dire di quella feroce presentazione dei cardinali, fissati in ritratti nitidissimi con rapide Imee mentre per complot- tare trasferiscono nelle latrine la solennita del conclave. Poggio consegna a trattati di morale narrazioni scintillanti di arguzia, spesso molto piu facete di tutte le sue Facezie. I mari di Grecia percorsi sognando di Ulisse, il fasto delle corti d'Oriente, le belve africane, i fiumi immensi, «et per Nilum horrifici illi anguigeni crocodiliw, si alternano a discussioni erudite sulle iscri- zioni delle Piramidi nelle lettere agli amici e nel taccuino di viag- gio di quel bizzarro e geniale archeologo che fu Ciriaco dej Piz- zicolli d'Ancona. E forse ii grande Poliziano ha scritto le sue pa gine piu belle nella prolusione al corso sugli Analitici primi d' Ari- stotele e nella lettera alPAntiquario sulla morte del Magnifico Lorenzo. Lettere dialoghi e trattati, orazioni e note autobiografi- che, sono i monumenti piu alti della letteratura del Quattro cento, e tanto piu efficaci quanto meno 1'autore si chiude nelle i. «La novella era un genere troppo definite, troppo condizionato nelle sue linee essenziali da una tradizione ormai piu che secolare, perche il Piccolomini potesse eluderne il colorito e gli schemi» (G. PAPARELLI, Enea Silvio Piccolomini, Bari, Laterza, 1950, p. 94). INTRODUZIONE XI forme tradizionali, quanto piii si impegna nel problema concrete che lo preoccupa,1 o si accende di passione politica nel discorso e nell'invettiva, o si dimentica nella confessione e nella *lettera. Poliziano, che della produzione letteraria del suo tempo fu il critico piu accorto e consapevole, e che ha dichiarato con grande precisione i suoi princlpi dottrinali nella prefazione ai Miscellanea, nella lettera al Cortese e, soprattutto, nella grande prolusione a Stazio e Quintiliano, ha visto molto bene come alPumanesimo fossero intrinsiche particolari maniere espressive. Proprio nelle prime lezioni del suo corso sulle Selve di Stazio, con la cura mi- nuta che gli era propria, si sofferma a dissertare abbastanza a lungo intorno a due forme letterarie tipiche, Fepistola e il dia- logo,2 accennando insieme al genere oratorio, da cui gli altri due si distaccano pur non senza svelare un'intima parentela. L'epi- stola — egli dice — e il colloquio con gli assenti, siano essi lon- tani da noi nello spazio oppure nel tempo: e vi sono due specie di lettere, scherzose le une, gravi e dottrinali le altre («altera ociosa, gravis et severa altera))).3 Ma 1'epistola deve essere sempre i. In una compilazione erudita come i Dies geniales di Alessandro d'Ales- sandro la discussione filologica si inserisce con eleganza fra il « ritratto » e il «ricordo» senza togliere a questi alcuna grazia, cosi che la discus sione di un testo classico si colloca nella descrizione di un compleanno del Pontano o di una cena di Ermolao Barbaro, o fa seguito a una lezione romana del Filelfo (cfr. BENEDETTO CROCE, Varietd di storia letteraria e civile, n, Bari, Laterza, 1949, pp. 26-33). 2. A proposito del dialogo e dell'epistola come forme caratteristiche dell'Umanesimo e da vedere quan to dice WALTER RttEGG, Cicero und der Humanismus, Formate Untersuchun- gen iiber Petrarca und Erasmus, Zurich, Rhein-Verlag, 1946, pp. 25-65, anche se a proposito della sua tendenza a ricondurre tutto a Cicerone e da tener presente la nota che Croce stese appunto sull'opera del Rxiegg (Mommsen e Cicerone, in Varietd cit., pp. 1-12). 3. II com- mento del Poliziano e nel ms. Magliab. vn, 973 (Bibl. Naz. Firenze). II testo in questione e a c. 4V-5V («est ergo proprie epistola, id quod ex Ciceronis . . . verbis colligimus, scriptionis genus quo certiores fa- cimus absentes si quid est quod aut ipsorum aut nostra interesse arbitremur. Eiusque tamen et aliae sunt species atque multiplices, sed duae praecipuae . . . altera ociosa, gravis et severa altera. Atqui neque omnis materia epistolis accommodata est ... Brevem autem concisamque esse oportet simplicis ipsius rei expositionem, eamque simplicibus verbis. Multas epistolae inesse convenit festivitates, amoris significationes, multa proverbia, ut quae communia sunt atque ipsi multitudini accommodata. Qui vero sententias venatur quique adhortationibus utitur nimiis, iam non epistolam, sed artificium oratorium . . . Epistola velut pars altera dia- logi . . . maiore quadam concinnatione epistola indiget quam dialogus . . . imitatur enim hie extemporaliter loquentem . . . at epistola scribitur»). XII INTRODUZIONE breve e concisa, semplice, con semplici espressioni, ricca di brio, di affettuosita, di motti, di proverbi (amulta proverbia, ut quae communia sunt atque ipsi multitudini accommodata »). Ne la lettera deve prendere un tono troppo sentenzioso e ammonitorio, altri- menti non si ha piu una lettera ma una elaborata orazione («iam non epistolam, sed artificium oratorium))). L'epistola e come la battuta singola, e die rimane quasi sospesa, di un dialogo («velut pars altera dialogi»), anche se deve essere formalmente piu cu- rata del dialogo, che per essere schietto deve imitare ii discorso improwisato, mentre Tepistola e per sua natura discorso medi- tato e scritto. In tal modo un carteggio viene ad essere un dia logo compiuto e vario; e non va dimenticato come proprio il cu- rioso epistolario del Poliziano ci offra un esempio caratteristico di simili colloqui. Non a caso, con la sua grande sensibilita critica, il Poliziano batteva proprio su queste forme : ad esse infatti si pu6 ricondurre quasi tutta la piu significativa produzione latina in prosa del Quat trocento, poiche anche il diario, il taccuino di viaggio, si confi- gura di continue come lettera ad un amico. Cosi, per ricordare ancora V Itinerarium di Ciriaco d'Ancona, noi vi troviamo ripor- tati di peso i temi e le espressioni medesime delle epistole.1 6 stato detto, ma non del tutto giustamente, che «PUmanesimo fu una rivoluzione formale»;3 in verita la profonda novita for- male aderiva esattamente a una rivoluzione sostanziale che fa- cendo centro nella ((conversazione civile)), nella «vita civile)), po- i. Itinerarium: «ego quidem interea magno visendi orbis studio, ut ea quae iamdiu mihi maximae curae fuere antiquarum rerum monumenta undique terris diffusa vestigare perficiam . . . »; «Hinc ego rei nostrae gratia et magno utique et innato visendi orbis desiderio ...» Epist. Bo- ruele Grimaldo (ins. Targioni 49, Bibl. Naz. Firenze): «cum et a teneris annis summus ille visendi orbis amor innatus esset ...» Del resto tutta 1' opera di Ciriaco e una serie di variazioni di questo appassionato motivo : summus ille visendi orbis amor, antiquarum rerum monumenta vestigare, quae in dies longi temporis labe . . . collabuntur . . . litteris mandare. La sete di conoscere il mondo, il bisogno di vincere spazio e tempo, di riconqui- stare ogni piu lontano frammento d'umanita e di sottrarlo alia morte, e insieme questo senso concrete del passato trovano in lui una espres- sione singolare. Nella medesima epistola a Leonardo Bruni abbiarno in sieme notizia di un'iscrizione inviata da Atene (ex me nuper Athenis..,) e della difesa di Cesare contro il Bracciolini spedita dall'Epiro (ex Epyro hisce nuper diebus . . .). 2. Cosl, appunto, il Riiegg, op. cit.y p. 26 («der Humanismus ist eine formale, nicht eine dogmatische Revolution »). INTRODUZIONE XIII neva il colloquio come forma espressiva esemplare.1 E se la let- tera deve essere considerata velut pars altera dialogi, Fattenzione si polarizza sul dialogo: ed in forma di dialogo e in genere il trat- tato, di argomento morale o politico o filosofico in senso lato, che rispecchia la vita di una umana respublica e traduce perfetta- mente questa collaborazione voita a formare uomini ccnobili e li- beri», che costituisce 1'essenza stessa della humanitas rinascimen- tale. La quale celebrandosi nella societa umana tende a persua- dere, a far culminare ogni incontro in una trasformazione degli altri attraverso una riforma interiore raggiunta per mezzo della politia litteraria.2- Limiti e prolungamenti del colloquio ci appa- iono da un lato la notazione autobiogranca, dalTaltro il pubblico discorso, 1'orazione, che attraverso la polemica arriva all'invettiva. I cancellieri fiorentini, Salutati e Bruni, ci ofFrono esempi insigni di questo intrinsecarsi di letteratura e politica, di questa prosa che deU'efficacia e potenza espressiva si fa un'arma piu valida delle schiere combattenti. La lode famosa di Pio II alia saggezza di Firenze, e ai suoi dotti cancellieri le cui epistole spaventavano Gian Galeazzo Visconti piu di corazzate truppe di cavalleria, non e che la proclamazione del valore di una propaganda fatta su un piano superiore di cultura in una societa educata ad acco- gliere e a rispettare la superiorita della cultura. L'incontro di po litica e cultura a Firenze e a Venezia ritrova la valutazione della «retorica» di un Poliziano e di un Barbaro, e giova a defimre un'epoca che cercava i suoi titoli di nobilta al di fuori dei diritti del sangue. La « virtu », che non e certamente un bene ereditato, e sempre intelligenza, humanitas., e cioe consapevolezza e cultura. Anche quando, nelle discussioni non infrequenti sulP argomento, si riconosce il valore della «milizia», s'intende una sottile dottrina, ove il valore personale del capo e intessuto di sapienza. Federigo da Montefeltro — e poco ci importa se il ritratto sia fedele — e profondamente addottrinato, e sa che i poeti descrivendo le bat- taglie possono divenire anch'essi maestri delParte della guerra. Alfonso il Magnanimo reca seco al campo una piccola biblioteca, e pensa sempre a poeti e a filosofi, e sa che la parola bene ado- prata, ossia veramente espressiva, e piu potente di ogni esercito. i. C'& appena bisogno di ricordare che si tratta dei titoli delle opere di Matteo Palmieri e del Guazzo. 2. E ancora il titolo di un'opera signifi- cativa, quella di A. Decembrio in cui si rispecchia la scuola del Guarino. XIV INTRODUZIONE II suo motto, racconta Vespasiano da Bisticci, era che «un re non letterato, e un asino coronato ». II che non significa, si badi, che ser Coluccio fosse un vuoto retore, o Alfonso un re da ser- mone, ma che la cultura era, essa, viva ed efficace e umana, e perfetta espressione di una societa capace d'accoglierla. L'uomo che nel linguaggio celeb ra veramente se stesso («l'uomo si manifesta uomo essenzialmente nella parola »),* come si costi- tuisce in pienezza definendosi attraverso la cultura (le litterae che formano la humanitas), cosi raggiunge ogni sua efficacia mondana mediante la parola persuasiva, mediante la «retorica» intesa nel suo significato profondo di medicina dell'anima, signora delle pas- sioni, educatrice vera dell'uomo, costruttrice e distruttrice delle citta. Tutto e, veramente, nel Quattrocento «retorica)), sol che si ricordi che, d'altra parte, «retorica» e umanita, ossia spiritua- lita, consapevolezza, ragione, discorso di uomini; perche', vera mente, il secolo delPUmanesimo e il Quattrocento, in cui tutto fu inteso sub specie humanitatis, e humanitas fu umano colloquio, ossia tutto il regno delle Muse figlie di Mnemosine — che e il piu vero e il piii bello dei miti. Con semplicita francescana frate Bernardino da Siena, che ve- deva in ser Coluccio un maestro e in Leonardo Bruni un amico, scriveva cristianamente le medesime cose: «non aresti tu gran piacere se tu vedessi o udissi predicare Gesu Cristo, san Paulo, santo Gregorio, santo Geronimo o santo Ambruogio? Orsu va, leggi i loro libri, qual piu ti piace . . . e parlerai con loro, ed eglino parleranno teco; udiranno te e tu udirai loro». E, come dice altrove, le lettere ti faranno «signore». II grande Valla par- lera di un sacramentum\ il modesto Bartolomeo della Fonte dira di un divinwn mimen: quel «nume» che da agli uomini anozze e tribunali ed are».2 Per questo le litterae sono una cosa terri- bilmente seria, e la responsabilita di un termine bene usato & gravissima, e non v'e posto per Fozio. Per questo la poesia in senso vichiano e da cercarsi la dove si traducono e si consegnano i discorsi essenziali per la vita delFuomo. i. Cosi FRANCESCO FLORA, Umanesimo, « Letterature moderne», i, 1950, pp. 20-21. 2. Ecco — secondo il Fonzio — quello che ottiene la parola: «fidem inter se homines colere, matrimonia inire, seque in una moenia cogere viribus eloquentiae compulit». INTRODUZIONE XV II Per tal modo quella «poesia» che talora & lontana dai versi e dalle novelle, e presente ed altissima nella pagina di un filosofo o nell'appassionata invettiva di un politico. La dolcezza del dire (dulcedo et sonoritas verborum), la luce della forma (lux orationis), che si invoca per ogni espressione di vera umanita, vuol far «poe- sia» di ogni umano discorso; e nel momento in cui riesce a tanto toglie ogni privilegiato dominio alle dettere oziose». Perfino un oscuro erudito come Giovanni Cassi d'Arezzo sa dirci che in tal modo nell'eloquenza si unificano tutte le umane attivita, e tutto in essa si umanizza dawero, e non perche\ come taluno ha fan- tasticato, si celebri solo il letterato ozioso, ma al contrario perche 1'uomo e presente in ogni momento dell'agire: perche, faccia egli il matematico, il medico, il soldato o il sacerdote, sempre e in- nanzitutto e uomo, e il suo sigillo umano imprime ad ogni sua opera umanamente esprimendola, ossia rivestendola della lux ora- tionis.* Di qui Fimportanza centrale che vengono ad assumere le trat- tazioni sulla lingua, sulla sua storia, sulla eleganza? ove la discus- sione grammaticale si trasforma di continuo in discorso finissimo di estetica: e quel trapassare dal vocabolario, e magari dal reper- torio ortografico — basti pensare al Perotto o al Tortelli — nel- Panalisi critica e nella dissertazione storica. Mentre, contempo- raneamente, la storia, che intende farsi vivo specchio della a vita civile)), e per eccellenza eloquente discorso, ossia prosa politica e trattato pedagogico-morale. Bellissima cosa & infatti — come af- ferma Leonardo Bruni — raccontare 1'origine prima e il progresso della propria citta, e conoscere le imprese dei popoli liberi (est enim decorum cum propriae gentis originem et progressus, turn libe- i . « Quasi unum in corpus convenerunt scientiae omnes, et rursus tem- poribus nostris . . . eloquentiae studiis studia sapientiae coniuncta sunt » (da una lettera del Cassi al Tortelli, contenuta nel Vat. lat. 3908 e pubbli- cata nel 1904 da G. F. GAMURRINI, Arezzo e rUmanesimo, Arezzo, Tip. Cristelli, 1904, p. 87, miscellanea in onore del Petrarca dell'Accademia Petrarca). 2. A proposito delle eleganze del Valla scrivera il Cortesi, De hominibus doctis, ed. G. C. Galletti, Florentiae, Giovanni Mazzoni, 1847, p. 229 : « conabatur Valla vim verborum exprimere et quasi vias ... ad structuram orationis ». XVI INTRODUZIONE rorum populorum ... res gestas cognoscere).1 E Paolo Cortesi, in quel felice dialogo De hominibus doctis (1490), che e una vera e propria storia critica della letteratura del secolo XV, appunto di- scorrendo delle storie del Bruni, batte su questo incontro della verita con 1'eleganza, che e tutt'uno con queH'armonia di sapienza ed eloquenza che Benedetto Accolti celebr6 quale dote precipua dei Fiorentini e del Veneziani del suo tempo nel dialogo De prae- stantia virorum sui aevi. Per la stessa ragione per cui tutto sembrava divenir dialogo, tutto anche e libro di storia; e storia e, ancora, colloquio con le eta antiche, con i grandi spiriti del passato. II Bruni nell'intro- duzione ai Commentarii confessa che la grande letteratura clas- sica fa si che i tempi lontani ci siano piu vicini e piu noti dei tempi nostri (mihi quidem Ciceronis Demosthenisque tempera multo magis nota videntur quam ilia quae fuerunt iam annis sexaginta), e dichiara che e compito della storia immettere nella nostra vita e nel nostro colloquio il passato, farlo vivo con noi (quasi picturam quondam . . . viventem adhuc spirantemque). Matteo Palmier i in- nanzi alia vita di Niccol6 Acciaiuoli ci insegna che la storia e una specie di immortalita terrena di quanto in noi e, appunto, vita mondana; la storia & culto e salvezza di quella parte mortale che le lettere redimono da morte dilatando la societk umana oltre i limiti del tempo e salvandola dalPoblio e dal destino.2 Ill Si aprono qui, tuttavia, a proposito della prosa latina, due que- stioni fra loro strettamente connesse e che sembrano in qualche modo, gia nella loro impostazione, venir contrastando con quei i. Cosi nel De studiis et litteris (in HANS BARON, Leonardo Bruni Aretino hu- manistisch-philosophische Schriften, Leipzig, 1938, p. 13). Una giusta valuta- zione delPopera storica del Bruni presenta B. L. Ullman, Leonardo Bruni and humanistic historiography, « Medievalia et Humanistica », 1946, 4, pp. 44-61 (e, per quanto si e sopra osservato su retorica, politica e storia, son da vedere i tre saggi di HANS BARON, Das Erwachen des historischen Denkens im Humanismus des Quattrocento, «Hist. Zeitschrift », vol. 147, 1933; di NICOLAI RUBINSTEIN, The Beginnings of Political Thought in Florence: A Study in Mediaeval Historiography, « Journal Warburg Inst. », v, 1942; di DELIO CANTIMORI, Rhetoric and Politics in Italian Humanism, «Journ. Warburg Inst.», i, 1937). 2. « Corpoream vero partem non om- nino negligendam ducunt, sed tamquam suam in terra recolendam, ideo- que desiderant illam oblivioni et fato praeripere ...» INTRODUZIONE XVII caratteri stessi che si sono voluti definire: come, infatti, parlare della «umanita» di una produzione che si serviva di una lingua che nessuno ormai usava e che, dunque, gia nel mezzo espres- sivo poneva come suo canone Timitazione; in che modo una let- teratura mimetica, ricalcata su modelli (cciceroniani», poteva ol- trepassare i limiti della erudizione ? Ma i due gravi problemi, del latino umanistico e della imitazione classica, gia tanto dibattuti, hanno oramai offerto anche 1'avvio a una soluzione. Quanto infatti si obbietta intorno alPuso del latino, in luogo del volgare, e ad una presunta frattura che si opererebbe rispetto alia tradizione trecentesca, deve essere corretto con Posservazione che i generi di prosa a cui ci riferiamo — orazioni, trattati, epi- stole politiche, dialoghi dottrinali — avevano sempre fatto uso del latino. Non e quindi esatto dire che da un presunto uso del vol gare si torna al latino ; e vero invece che al latino medievale defi nite barbarico, e cioe goto o parigino, si oppone un altro latino che si determina e si definisce rispetto ai modelli classici. II quale latino, che si dichiara — come dice esplicitamente il Platina1 — integrate da tutta la piu feconda tradizione postciceroniana, ivi compresi i Padri della Chiesa, intende rivendicare i diritti di una lingua nazionale romana contro Puniversalita di un gergo scola- stico (lo stile parigino), ed innanzi tutto nel campo di una pro- duzione costantemente espressa in latino. Giustamente il De San- ctis sottolineava la frase del Valla che proclama lingua nostra il latino vero, che si contrappone al latino gotico delFuso medie vale. La quale « nostra lingua romana » degli umanisti, che si pre- cisa con caratteri propri cosi rispetto al latino classico come a quello barbaro, va vista per quello che essa veramente e, anche rispetto al volgare: «un nuovo latino, in cui la complessita antica cede il posto alia scioltezza moderna)). II latino degli umanisti, lingua veramente viva che aderisce in pieno a una cultura afTer- matasi attraverso una consapevolezza critica che si collocava chia- ramente nel tempo defmendo i propri rapporti cosl col mondo antico come con il Medioevo; il latino deigrandi umanisti, lungi dal rappresentare una battuta d'arresto o un momento di invo- i. Cosi nella prefazione alle Vite, che riportiamo per intero. Rilievi utili in proposito ha il Sabbadini sia nella Storia del ciceronianismo (Torino, Loescher, 1886), come nel Metodo degli umanisti (Firenze, Le Monnier, 1920). XVIII INTRODUZIONE luzione, si colloca nella storia stessa del volgare. «I1 latino inse- gnava al volgare 1'eleganza la misura la forza e 1'eloquenza, e il volgare imprimeva negli scritti latini degli umanisti le leggi del suo andamento piano, della sua sintassi sciolta, dei suoi trapassi intuitivi, della sua eloquenza interiore. »* Fra il latino, in cui si rispecchia pienamente tutto un atteggiamento culturale, e il vol gare v'e una collaborazione che del resto si traduce quasi mate- rialmente nel fatto che gli autori spesso scrivono 1'opera loro in latino e in italiano. Non sempre si e posto mente al fatto che dal Manetti al Ficino gli stessi trattatisti, siano pur filosofi, stendono anche in volgare le loro meditazioni.2 E come il loro latino e davvero una lingua low., cosi il volgare che adoperano non e per nulla oppresso da una imitazione artificiosa di modelli classici. Giungiamo cosi a quello che forse e il punto piu delicato ad intendersi dell' atteggiamento di questi quattrocentisti : Vimita- zione degli antichi. Che la posizione assunta dagli umanisti ri- spetto agli autori classici sia alimentata da una preoccupazione storica e critica; che essi siano dei filologi desiderosi innanzi tutto di comprendere gli autori del passato nelle loro reali dimension! e nella loro situazione concreta: e cosa ormai in complesso pa- cifica. Ora gia questo defmisce il senso di quella imitazione^ che indica un atteggiamento molto caratteristico. L'Accolti dichiarera nettamente la parita di valore fra i nuovi autori e i classici. Poli- ziano nella polemica col Cortesi, che e un testo capitale, confu- tera tutte le istanze del ciceronianismo, e proclamera il valore di un'intera tradizione aff errata nel suo sviluppo, riven dicando il senso di tutto il periodo piu tardo della letteratura romana (« neque autem statim detenus dixerimus quod diversion sit»). Ma dira so- prattutto 1'enorme distanza fra una poesia che fiorisce come li- bera creazione su una cultura meditata e fatta proprio sangue, e I'imitazione pedestre — ilia poetas facit, haec simias.3 1. RAFFAELE SPONGANO, Un capitolo di storia della nostra prosa d'arte (La prosa letteraria del Quattrocento), Firenze, Sansoni, 1941, p. 3, p. 10 ecc. 2. E cosi sono spesso notevoli le version! di scrittori celebri come lati- nisti: TAurispa che traduce Buonaccorso da Montemagno, Donate Ac- ciaiuoli che volgarizza il Bruni, e cosi via. 3. 6 interessante ritrovare, distesi e volgarizzati, i concetti di un Valla e di un Poliziano negli scrit tori francesi del '500. Per esempio Joachim du Bellay, scrivendo a meta del sec. XVI, dopo aver tratto dal Valla il concetto che Roma fu grande per la lingua ^imposta all'Europa non meno che per 1'impero (« la gloire du peuple Romain n'est moindre - comme a dit quelqu'un - en Tamplifacation INTRODUZIONE XIX L'Umanesimo fu in questa singolare « imitazione-creazione », come 1'ha chiamata il Russo:1 umanita fatta consapevole attra- verso il rapporto stabilito con gli altri uomini nell'operoso sforzo di raggiungere una sempre pifc alta forma di vita. Di qui, appunto, il particolare carattere delle sue piii felici espressioni letterarie. EUGENIO GARIN de son langaige que de ses limites»)> eccolo riprendere Poliziano: «im- mitant les meilleurs aucteurs . . ., se transformant en eux, les devorant, et apres les avoir bien digerez, les convertissant en sang et nouriture ». Solo cosl 1'imitazione e giovevole allo scrittore ; « autrement son immitation res- sembleroit celle du singe ». Cfr. BERNARD WEINBERG, Critical prefaces of the French Renaissance, Northwestern University Press, Evanston, Illinois, 1950, pp. 17 sgg. i. LUIGI Russo, Problemi di metodo critico, Bari, Laterza, I95Q2, PP. 126 sgg.
Thursday, March 24, 2022
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