FONDAZIONE GIORGIO AMENDOLA E ASSOCIAZIONE LUCANA CARLO LEVI Pino Mantovani Luca Motto Albino Galvano Fare, pensare, vivere la pittura "i P____—_ mm gr s_———m dz de __—2zpA—A_t} PA "o Scritti di PINO MANTOVANI LUCA MOTTO ALESSANDRO BOTTA ADRIANO OLIVIERI ALBINO GALVANO Fare, pensare, vivere la pittura Aver puntato il senso della propria vita sui segni e sui colori sarà stata magari una puntata inutile ma non elusiva e non insincera | [ALBINO GALVANO, 1980] FONDAZIONE GIORGIO AMENDOLA AssociaziIoNE LUCANA IN PieMONTE Carto LEVI MOSTRA D'ARTE TRENTENNALE DI ALBINO GALVANO Torino, marzo-giugno 2021 presso la Sala Mostre dell’Associazione Lucana Carlo Levi e della Fondazione Giorgio Amendola Con il Patrocinio di Con la collaborazione di REGIONE CONSIGLIO wc I GALLERIA | NE } CITTA DI TORINO olii MIN FEONIE DEL PIEMONTE att Sen DEL PIEMONTE Il 2020-21 è stato un biennio segnato dalle notevoli difficoltà imposte dalla pandemia da Covid-19. Alla luce delle molte restrizioni, la Fondazione Giorgio Amendola ha cercato, nel limite del possibile, di proseguire con le proprie attività di divulgazione e promozione culturale adattando spazi e metodologie alle esigenze del periodo, rispondendo all'emergenza coronavirus con iniziative dinamiche e creative, passando per la fruizione digitale per permettere agli utenti di restare a casa, come le disposizioni prescrivono, senza perdersi dei contenuti culturali. Sotto questa prospettiva e, nonostante le molteplici difficoltà, il lavoro svolto per ricordare, a trent'anni dalla sua scomparsa, l'artista torinese Albino Galvano (1907-1990) è stato importante. La Fondazione Giorgio Amendola ha ritenuto opportuno offrire alla città di Torino e non solo, la possibilità di accedere gratuitamente all'incontro con l’opera artistica e intellettuale di una delle figure di spicco del panorama artistico italiano della seconda metà del novecento. L'iniziativa, di rilievo nazionale, ha permesso di raccogliere artisti e intellettuali di tutta Italia che hanno collaborato con Galvano e che tuttora ricoprono un ruolo fondamentale nella produzione culturale del nostro Paese. Prospero Cerabona Presidente della Fondazione Giorgio Amendola Studi, Convegni, Ricerche della Fondazione Giorgio Amendola e dell’Associazione Lucana Carlo Levi 54 Presidente Fotografie delle opere PROSPERO CERABONA MARCO CORONGI Curatore mostra e catalogo Direttore Responsabile PINO MANTOVANI PROSPERO CERABONA Scritti di Redazione PINO MANTOVANI, LUCA MOTTO, ALESSANDRO BOTTA, ADRIANO OLIVIERI DOMENICO CERABONA, MARIA SOFIA FERRARI Progetto ed allestimento PINO MANTOVANI, LUCA MOTTO, EDITRICE IL RINNOVAMENTO —” Fotocomposizione © EDITRICE IL RINNOVAMENTO Ente promotore Fondazione Giorgio Amendola VIDEOIMPAGINAZIONE GRAFICA DI TESTI E IMMAGINI Associazione Lucana in Piemonte Carlo Levi VIA TOLLEGNO 52 - 10154 TORINO TEL. 0112482970 — cerabona@libero.it Si ringraziano per il prestito delle opere e la collaborazione: Galleria del Ponte (Torino), Civica Galleria d'Arte Contemporanea Filippo Scroppo (Torre Pellice), Stefania e Stefano Testa, Liliana Dematteis, la famiglia Maggiorotto e tutti gli altri prestatori che hanno preferito restare ano- nimi. Si ringrazia Francesca Barzan per la realizzazione delle docu-interviste. Sommario Albino Galvano e la pittura Pino Mantovani Albino Galvano: la fedeltà alla pittura Luca Motto Da discepolo a interprete. Albino Galvano e Felice Casorati Alessandro Botta Gli occhi fervidi e il sapore di cenere. Albino Galvano: Decadentismo, Simbolismo, Art Nouveau Adriano Olivieri Opere esposte ARTE DI VENEZIA 1954 GATMAZH TEAOZ GANATOZ XXVI: ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE D GALVANO ALBINO BIENNALE (267) Foto Giacomelli - Venezia FOTOTECA ASA. Albino Galvano e la pittura Pino Mantovani Da pittore, Albino Galvano pone tre livelli d’inda- gine; come qualsiasi artista intelligente, se non fosse che, nel caso suo e di non molti altri, i tre livelli si presentano specialmente complessi e coltivati con con- sapevole separatezza e problematica interconnessione: Il primo livello comporta chiedersi che pittore Galvano sia stato e, ovviamente, interrogarsi sulla specie e sulla qualità della pittura (delle pitture) che ha messo in opera nel lungo percorso, sicuro e tortuo- so, che lo ha impegnato pressoché ininterrottamente dalla fine degli anni Venti (era nato nel 1907) fino alla morte, nel 1990. Il secondo livello comporta mettere a fuoco la concezione (le concezioni) ch'egli ha elaborato della pittura, in quanto da critico (e autocritico: nella sua scrittura, l’autoritrattoè un vero e proprio genere!) si è occupato dell’arte, in particolare della pittura, conuna intensità, una pervicacia, una curiosità sempre sveglia, direi aggressiva, in un'epoca provocatoria e insieme minacciata dalla condiscendente banalizzazione. Ma, forse, il nodo più difficile da sciogliere è quale rapporto ci sia tra il praticante pittura (‘[...] è questa l’arte — scrive di sé nel ‘46 — della quale ab- biamo, bene o male, una qualche esperienza vissuta e [...] non crediamo se non ai discorsi che nascono da questa esperienza”, dove si radica anche la mi- litanza del critico) e il teorico che usa gli strumenti del filosofo, dell’antropologo, dello psicanalista, dello storico (da competente, eppure mai imprigionato dallo specialismo? e anche meno dall’appartenenza'*) 1 Sipuòdaffermare che ogni suo scritto è occasione per una au- toanalisi. Come, d'altra parte, che l'autobiografia non è mai cro- naca contingente, invece occasione per andare oltre la cosiddetta evidenza dei fatti, per indagarne radici e proiezioni. 2 A. Galvano, La pittura, lo spirito e il sangue, in “Tendenza” n.1, Torino, ripubblicato in A. Galvano, La pittura, lo spirito e il sangue, a cura di G. Mantovani, Il Quadrante, Torino 1988; in A. Galvano, Diagnosi del moderno, a cura di A. Ruffino, Aragno editore Torino, 2018. 3. G. Gallino, in Attraverso il Novecento: Albino Galvano, Atti del Convegno, Torino 1997 a cura di M. Pinottini. Bulzoni editore, Roma 2004, pag. 45: "Se ... l’eclettismo diventa una condizio- ne dell'esercizio dell’arte, è anche la qualificazione dello status dell’intellettuale, che, in ogni specifico ambito d'indagine, è sol- lecitato a non perdere di vista la visione d'insieme dei problemi. La polemica di Galvano contro la specializzazione, quale esclusiva procedura del sapere, risponde a tale regola metodologica. In- dubbiamente, in ogni attività culturale, è necessaria una partico- lare competenza, ma, al di là del suo confine, s'impone l'esigenza del controllo unitario dei suoi esiti e delle sue interpretazioni”. A. Ruffino, (Com)plessi galvanici, introduzione a Diagnosi del mo- derno, cit., pagg. XIII-XIV: “Contro lo specialismo, ... Galvano ha sferrato una controffensiva senza tregua e a tutto campo: sul pia- no pratico, opponendo al tecnicismo la tèchne (nel suo caso quella pittorica); sul piano morale, opponendo alla provvisorietà della posa il rigore della presa di posizione (ma mai irrigidita in partito preso); sul piano estetico, opponendo ai miraggi di progresso illi- mitato espressi dal Funzionale le ragioni dell’Organico, capace di suscitare creazioni vive”. 4 Interessato “da una parte all'eredità del tardo romantici- A. G. con Mariacarla e Pino Mantovani, Racconigi, 1980. per affrontare la pittura, alla quale riconosce una singolare centralità. Tutti questi temi mi hanno per decenni accom- pagnato e sollecitato. I miei primi interventi su Galvano pittore risalgono, infatti, all’inizio degli Ottanta: data 30 novembre 1980, la presentazione ad una personale presso la Galleria Maggiorotto di Cavallermaggiore, seconda di una serie dedi- cata ai protagonisti del MAC torinese; ma già nel marzo dello stesso anno avevo tracciato, con la collaborazione dei miei allievi in Accademia, un quadro della pittura degli anni Cinquanta a Torino nel Museo Civico di Casa Cavassa a Saluzzo’, sulla falsariga delle indicazioni che Galvano aveva for- nito a T. Sauvage? per una storia ancora regionale dell’arte italiana nel Dopoguerra; e nel 1983 sul catalogo della mostra Arte a Torino, 1945-1953” nel smo e del decadentismo: Mallarmé e Bergson, ‘esoteristi e filosofi della vita’, psicanalisi ed esistenzialismo, dall'altra alla severità dello storicismo crociano e all'esempio del rigoroso metodo cri- tico negli studi di storia dell’arte [...] Lettore di Klages, di Jung o di Guénon, ma anche studioso di Kant e di Hegel” (A. Galvano, Perché non possiamo non dirci crociani, in “Numero”, n. 3, 1953. At- tento a Freud come a Jung. Curioso delle storie, nel tempo e nello spazio, pronto a coglierne, nella comune umanità, le differenze e le istruttive potenzialità. 5 PitturaaTorinoneglianni cinquanta, a cura di G. Mantovani, cata- logo della mostra, Museo Civico di Casa Cavassa, Saluzzo 1980. 6 T. Sauvage (pseudonimo di A. Schwarz) Pittura italiana del Dopoguerra; Ed. Schwarz, Milano 1957, il testo fu ripubblicato con integrazioni e il titolo La pittura a Torino dal ‘45 ad oggi, in “Let- teratura”, n. 1, Torino 1960, successivamente in A. Galvano, La pittura..., cit. pag. 135 segg; e A. Galvano, Diagnosi..., cit., pagg. 393 segg. 7 Arte a Torino, 1945-1953, a cura di M. Bandini, G. Mantovani, F. Poli, catalogo della mostra, Torino 1983 salone d’onore dell’Accademia Albertina, dedicavo a Galvano il mio intervento, anche oltre gli anni definiti nel titolo. Mi troverò, pertanto, a incro- ciare in queste pagine scritti pubblicati in un arco di tempo di circa quarant'anni, con il proposito, spero non solo narcisistico, di organizzare in di- scorso unitario contributi sparpagliati e spesso di non facile reperimento. Proprio dalla presentazione Maggiorotto — poi variamente elaborata per occasioni ulteriori dedicate appunto al MAC, come il catalogo per la esposizione del MAC torinese sempre curata dalla galleria Mag- giorotto alla Expo Arte — Fiera Internazionale di Arte Contemporanea di Bari (1982), la presentazione del catalogo Albino Galvano, Proferio Grossi, Luiso Sturla, Artecentro, Milano 1994, fino al saggio sul movimen- to torinese nel volume per la mostra MAC/ESPACE TORINO È VIa S. GIULIA 12 TORINO 370 ‘ Pre. A. PARISOT |F. SCROPPO Bollettino «Arte Concreta» n. 9, 1952 e n. 12, 1953. all’Acquario di Roma, 1999°—mi parlogico cominciare, non tanto perché uno dei primi approcci al tema — allora potevo anche contare sul rapporto diretto con Galvano, ma devo dire che la sua disponibilità non era invasiva e tanto meno arcigna rispetto alle inter- pretazioni che venissero proposte del suo impegno — quanto perché vi si pongono i fondamenti del mio interesse per l'artista /critico / filosofo. L'incipit che sceglievo allora mi pare sia ancora il migliore possibile; non mio, intendiamoci, invece proprio di Albino che 8. Loscrittosarà rielaborato come prefazione a A. Galvano, La pittura, lo spirito e il sangue, cit. 9 P. Mantovani, Pittori concreti a Torino, in MAC-ESPACE - Arte concreta in Italia e in Francia, 1948-1958, a cura di L. Berni Canani e G. Di Genova, catalogo della mostra, l'Acquario Romano, Roma, ed Bora, Bologna 1999, pagg.60 e segg. così aveva concluso un asterisco sul Bollettino “Arte Concreta”, n.12, 195310 ; “E scopriremo che è un programma [quello del MAC le cui premesse erano già nei romanzi dei tempi della nonna? Tanto meglio, almeno avremo evitato l'equivoco più antipatico che grava sull'arte astratta: che si tratti di cosa moderna 0, peggio, d'avanguardia”. Una fulminante risposta al nemico Leonardo Borgese che sul Corriere della Sera, aveva definito A’ rebours di Huysmans, “un vecchio romanzo dell’800”, fonte peraltro “di tuttele velleità estetiste dell'avanguardia”: fornendo unovvio spunto polemico — non saprei quan- to consapevole, nel caso addirittura masochistico — a chi da anni si occupava del rapporto tra le cosiddette “avanguardie” ela linea dal Romanticismo al Simboli- smo; ma anche agli amici di Milano che si riconoscevano nel programma di Sintesi delle Arti pubblicato nello H | FIL sintesi allo studio b 24 dal 21-2 al i: se ? i fi 5 5! È s7 A. G. riproduzione di Verso Occidente, Biennale di Venezia 1952. stesso Bollettino, che prevedeva “il diretto concorso di tecnici e artisti, sul piano della stretta collabora- zione, per il raggiungimento finale d’un concreto il quale aderisca alla funzione in armonia di colleganza fra il mondo della forma, lo spazio e l'applicazione pratica dell’opera collettiva”! viva il design, la grafica e l'estetico diffuso, dunque. Come non bastasse, Gal- vano conclude l'asterisco citato rigettando qualsiasi attualismo:” Che bel giorno quello in cui potremo lavorare in pace al compito che la storia ci ha affidato, certi che nonè sulla misura della contingente attualità 10 L'asterisco, cioè l'osservazione, la messa a punto marginale è il contributo che Galvano sceglie per intervenire criticamente liberamente sui Bollettini del MAC (e altrove). 11 E Passoni, Le arti e la tecnica, “Arte Concreta” 12, 1953, pag. 65, ried. anastatica, a cura della galleria Spriano, Omegna, 1981. , , che il nostro lavoro verrà giudicato!”. Il fatto è che Galvano non intende escludere tutta la complessità di rimandi e proiezioni, soggettivi ed oggettivi, che i linguaggi dell'immagine — specialmente quando non siano troppo condizionati da tecniche o ideologiche motivazioni — si portano dietro e dentro, e che, del resto, la cultura moderna indaga con particolare impegno e analizza con rinnovata strumentazione, mentre altri linguaggi dell’immaginario—la poesia, la narrativa, lamusica — stanno sperimentando a tentoni forme “nuove” (o vecchie !? o antiche, al punto d’essere “originarie”!). Neppure, d'altra parte, egli intende abbandonare la pittura come linguaggio specifico, proprio quella tradizionale (tela, carta o qualunque supporto piano, disegnoe colore, gesti e tracce a formar figure !4); per quanto metta in conto uno spostamento dall’iconico all’aniconico, dal descrittivo all’evocativo, dall’allusivo all’emblematico, dal geometrico al rit- mico al gestuale; ciò che non precluderebbe peraltro “la possibilità di uno scambio e di una penetrazione sempre possibili nell'esercizio di una lettura figurativa per elementi — segno, colore, movimento, materia ecc. 12. “Confessiamo di essere segretamente d'accordo con Bor- gese [quando invita a rileggere A’ rebours]. Perché... l'essere agli antipodi [delle scelte di Huysmans e delle preferenze in pittura del suo eroe Des Esseintes] è troppo vitalmente legato a ciò che rifiuta per non riprenderlo su di un piano meno esterno: e le cita- zioni dalla Blavatzky e da Steiner del Kandinsky della ‘Geistige’, l'appartenenza a circoli teosofici di Mondrian giovane, il fatto che uno dei primi scritti italiani sull'arte astratta sia di J. Evola sono ben significativi di un rapporto ambivalente — di rifiuto per la ca- rica letteraria, moralistica o immoralistica, del simbolismo speso alla spicciola nell’allusività delle immagini e della messa in scena, e insieme di accettazione di quel gusto di allusioni e suggestioni, di segrete corrispondenze tra immagini e speculazioni — che — nel- le sue due facce: sensualmente umbratile l'una, simbolicamente intellettuale l’altra — tra il 1890 e questa metà del nuovo secolo hanno ostinatamente tentato di aprirsi una strada — sia pure af- fidandosi alla romantica barca ‘ebbra’- dalle varie forme di resa alla prosasticità del realismo”. Ancora dall'asterisco citato di Gal- vano in “Arte concreta” 12, 1953. 13. Azzardo un'ipotesi (certo suggestionato dal recente catalogo della mostra La regione delle Madri. I paesaggi di Osvaldo Licini, Elec- ta, Milano, 2020, in particolare dal saggio di S. Bracalente, Licini oltre la geometria: una primordiale genesi del mondo): che Galvano non abbia ignorato “Valori primordiali”, e in particolare l’opera di F. Celiberti, anche lui proveniente da studi di storia delle religioni, tanto importante per Licini proiettato dalla fine degli anni Trenta oltre la geometria, specialmente nell’incrocio tra teosofia, esisten- zialismo e fenomenologia (Paci e Banfi), e per comuni interessi per Spengler, Klages, Guénon ... e per l'alta poesia romantica. 14 “Dipingere con colori e pennelli ... è stata una costante del mio lavoro nei suoi vari cicli, anche quando come spettatore ho pregiato e difeso esperienze varie e opposte. Ma è certo che, se tra il '75 e il ’78 ero venuto via via recuperando alla mia pittura quell’attaccamento alle gidiane nourritures terrestres che confessa- vo in un altro mio scritto, nei quadri qui presentati esse hanno perso ogni ghiottoneria che non sia quella dell'occhio contemplan- te: in bocca è solo sapore di cenere. Ciottoli, fossili: l'eco della vita in ciò che non ha vita o non l’ha più”. A. Galvano, Autopresenta- zione della Personale, Piemonte Artistico Culturale, Torino 1985). Libretto di iscrizione a magistero. — non diversi da quelli che consentono la valutazione di ogni buona pittura”! Perfino le ‘’ giuste ragioni” concesse ai concretisti milanesi sembrano far parte di un gioco alquanto provocatorio, portando il discorso dal livello tecnico a quello culturale ed etico, di una eticità sempre esposta, in un certo senso negativa (“demoniaca”, nella cultura occidentale, di radice inevitabilmente cristiana anche nella più spinta laicità). Già l’anno precedente, nelnovembre del ’52, firmando con Biglione, Parisot e Scroppo quello che a ragione o a torto è considerato il manifesto del movimento torinese, Galvano aggira gli ottimistici programmi dei milanesi, espressi nei manifesti dell’ Arte Organica, del Macchinismo, del Disintegrismo, dell'Arte Totale!’ che sanno ancora tanto di Futurismo, e dichiara che carattere essenziale nella scelta dei nuovi adepti è la “responsabilità liberamente assunta sul limite più impegnativo ... di lotta contro ogni conformismo e pigrizia intellettuale” nel campo della pittura come in diversa applicazione estetica e pratica, senza com- promessi e “senza pudore”. Il fatto è che Galvano (e 15. A. Galvano, presentazione della collettiva, Bordoni, Galva- no, Jarema, Parisot, Scroppo, Galleria del Fiore, Milano 1954. 16 Cfr. “Arte Concreta n. 10. 17. “L'unico atteggiamento ragionevole è quello di lavorare at- tendendo colla sincerità di chi sa che lo spirito ama le posizioni estreme ed attive , non i compromessi”. (A. Galvano, L'evasione, in “Il Selvaggio”, 15 gennaio 1940, ripubblicato in A. Galvano, Dia- gnosi del moderno (a cura di A. Ruffino), cit., pag. 28. con lui i pressoché coetanei Adriano Parisot, Filippo Scroppo, Paola Levi Montalcinie i più giovani Anniba- le Biglione e Carol Rama, per nominare tutti i torinesi che aderiscono più o meno convinti al MAC)ha dietro le spalle una ventina abbondante d’anni di lavoro non ovviamente mirato allo sbocco astratto. Basta pensare alla frequenza orgogliosamente esibita fino all'ultimo della scuola di Felice Casorati (sul quale elabora una piccolamaimportantemonografia che punta non poco sulla stagione simbolista — sull'argomento si rimanda all'intervento in questo catalogo di Alessandro Botta), al rapporto con il neoimpressionismo dei Sei, in va- riante espressionista; al fatto che egli medita, continua a meditare sul significato e sul valore della scelta “moderna”, essenziale, inevitabile, ma problematica nelle ragioni, nei modi, negli obiettivi; infine, che ha una formazione teorica e storica — aggiungerei una struttura psicologica ed una educazione — che non gli consentono di utilizzare a cuor leggero la strategia del manifesto, di ascendenza futurista, e in genere le dichiarazioni programmatiche!8: una questione di carattere e di stile oltre che di metodo e di cultura. Del resto, Albino Galvano aveva già affrontato il tema in testi antecedenti di alcuni anni, ne utilizzo uno in particolare:” La pittura, lo spirito e il sangue”, che uscì nel 1946 sul primo ed unico numero della rivista “Tendenza”, nell’ambiziosa prospettiva dei direttori responsabili — lo stesso Galvano e Pippo Oriani — Ri- vista mensile di Arti figurative!. Certo esistono di Galvano saggi più importanti come quelli che elenco innota?°, dove il tema è affrontato con argomentazioni analitiche e storicamente complesse, ma continuo a trovare snodo esemplare nella vicenda dell'artista il brevesaggio citato. Anche la data è importante, a guer- 18. Il dubbio, lo scetticismo, l'ambiguità come tensione fra op- posti sono fondamenti del suo metodo, che non è irrazionale, in- vece di un razionalismo critico che mai cede allo schema ideolo- gico o alla rigida consequenzialità. 19 Nonacaso ho scelto il titolo del saggio come titolo per la citata Antologia di A. Galvano, edita dal Quadrante, Torino 1988. 20 Diversi saggi di grande respiro, Galvano pubblica negli anni immediatamente successivi alla seconda Guerra mondiale. Elen- co in ordine cronologico quelli ripubblicati sull’Antologia citata, consenziente l’autore: Aspetti del problema estetico dell’esistenziali- smo, Atti del Congresso internazionale di Filosofia, Castellani e C ed., vol II, Roma, 1946; L'esistenzialismo, a cura di E Castelli, Mi- lano 1948; Storicità e significato dell’arte “astratta”, in “Archivio di filosofia”, vol. I, Milano 1953, “Galleria di Lettere ed Arti”, n. 4-5, 1953; Medioevo e Romanticismo, “Questioni” n. 2, 1955; Vita e forma in alcune ricerche di estetica contemporanea, Atti del IIl Congresso In- ternazionale di Estetica, Venezia 1956, edito dalla “Rivista di Esteti- ca”, Torino 1957; Le poetiche del simbolismo e l'origine dell’Astrattismo figurativo, Studi in onore di L. Venturi, vol. II, Roma 1956. All'elenco si aggiungono i saggi pubblicati in successive occasioni: in partico- lare sul catalogo della Antologica postuma: Omaggio a Albino Galva- no, a cura di P. Fossati, F. Garimoldi, M. C. Mundici, catalogo della mostra, Circolo degli Artisti, Torino 1992 e, con scelta assai più am- pia ma ancora lontana dalla completezza, sulla recente antologia: A. Galvano, Diagnosi del moderno, cit. ra appena finita; come significative le collaborazioni, che elenco per segnalare la ricchezza e la varietà dei contributi, intesi a coprire in tutta la loro estensione le cosiddette Arti figurative: C. Mollino e U. Mastro- ianni, Monumento ai Caduti per la liberazione d'Italia; R. Chicco, ... et le tableau quittè nous tourmente et nous suit; I. Cremona, Dal cannone alla Secessione; A. Dra- gone, Disegni, acqueforti e acquerelli di Cino Bozzetti; P. Oriani, Franco Costa; C. Mollino, Gusto dell’Architettura organica; O. Navarro Il messaggio della cultura; ancora A. Galvano, Woyzeck di Georg Biùchner, P. Oriani, Breve discorso su due films di Cocteau. Aggiungo — e non è un dato secondario—dopo una pagina redazionale, quindi di Pippo Oriani “che proviene dall'esperienza futuri- sta” e dello stesso Albino “che proviene dal purismo casoratiano e dal neoimpressionismo venturiano”, dove si rivendica, dalle due parti inconciliabili (ma l’inconciliabilità è segno di forza, di utile tensione) la gratuità dell'atto creativo rispetto alla riflessione critica, e l'autonomia del giudizio critico rispetto alle generalizzazioni dell'estetica, in un tempo storico che minaccia di deludere chi aveva sperato che la fine del regime politico e culturale comportasse il recupero pieno della libertà e la sua pratica esplosiva. L'avvio del saggio è forte, al solito compromesso, e ancora una volta lo propongo: “L'appello della pit- ‘LA PITTURA, LO SPIRITO E IL SANGUE L'appello della pittura risuona dal profondu del nostro sangue — ancora con quell’urgenza — come nei quindici anni quando sostituiva in camuff:imenti impegnati sino alle estreme ragioni della possibile azione, gli slanci religiosi o i presentimenti sessuuli. Ma le vie dell'Eden sono perdute, e sarà vano lo sforzo di ricostruire un itinerarioche approdi al- l’innocenza d'allora, che vi riscatti la sin troppv chiara coscienza del carattere composito e compro. messo di ogni atto umano che non sia di rinunzia: il peccato fondamentale dell’arte. Invano da anni l'estetica crociana, non per nulla irritata con il « fanciullino » pascoliano troppo chiaramente preanunciante le scoperte freudiane {e contro Freud i erociani si armeranno della più ipocrita in- comprensione) cerca di riprendere e di legittimare, con la sterilizzata convinzione del carattere « teore. tico» dell’arte, il troppo scoperto « alibi » kan- tiano del « bello come simbolo del bene morale ». Credo siu venuto il momento di confessare schiet- tamente che il bello, proprio questo bello artistico che ci brucia sin dalla giovinezza ogni possibilità di rassegnazione e di conformismo, è piuttosto il « sim. bolo del male morale ». Tanto, anche eticamente. dla questa franchezza non perderemo nulla. Soltanto Nietsche ha insistito con sufficiente chia- rezza su questo carattere, profondamente « vitale » e perciò profondamente « immorale » dell'attività artistica: contro il quale assai poco mi paiono va- lere le due obiezioni che implicitamente o esplici- tamente vengono mosse dagli idealisti e dagli spiri. tualisti. Se per i crociani — ma credo che in Gen- tile l'implicita ammissione, inevitabile data l’iden- tificazione di arte e sentimento e l’inseparabilità dell'agire dal conoscere, di quanto sì è detto, fosse più che sospettata dall'autore anche se la reto. rica di cui sempre fu ammalato gli impedì di am- metterlo in termini chiari; che tuttavia non man- cano nei più diversi fra i suoi seguaci o avversari- seguaci: dal primissimo Abbagnano disciogliente tatto il reale in irrazionalità, appunto con una re- ducetio ad absurdum dell’attualismo, all'Evola, al più recente Spîrito — se per i crociani, si diceva, la scappatoia di ridurre l’arte a pura conoscenza, giocando sul doppio ruolo confuso insieme del- l’« intuizione » permette di evitare lo spinoso prò- blema, i recenti spiritualisti — ma anche fra di. loro lo Stefanini, ad esempio, ammettendo una.« in- sufficienza dell’arte alla vita» — pur nella auto- ì enza in ordine al proprio valore peculiare, finisce collo svalutare moralmente l’arte — candi- damente invece sermoneggiano sulle comuni radici del bello e del buono (nel secolo scorso queste niaiseries di solito avvenivano su di uno sfondo ontologistico vagamente giobertiano, oggi lo gnoseo- logismo idealistico generalmente è rispettato anche dagli spiritualisti che dell’idealismo dovrebbero es- ser avversari) e ci avvertono che il tormento del- l'urtistu che insegue con il diuturno lavoro il fan- tasma che sempre gli sfugge è profondamente mo- rale! ; Dio volesse che fosse veramente così. E che si potesse sul serio sperare che all'artista, dopo la conquista su cui ha tutto giocato, della propria immagine, fosse anche riservato per soprappiù il paradiso delle religioni e delle etiche! Sarà meglio invece guardarci chiaramente in fac- cia e chiederci se veramente per il puradiso provvi. sorio della bellezza non giochiamo la salvezza della nostra anima — ammesso che «questa espressione abbia un senso: quello cristiano, + quello di una etica « laica » (ma generalmente è cripto-eristiana anch'essa) — riconoscere per che cosa abbiamo scommesso; chè le conseguenze del nostro « pari » atiche se lo avremo perduto non diventerunno duv- vero peggiori per quest’atto di franchezza. Rimane inteso che su questa rivista, che non è dedicata a studi filosofici, non potremo farlo che sotto l'angolo della pittura; ma poichè è questa arte della quale abbiamo, bene 0 male. una qual che esperienza vissuta e poichè d'altra parte non crediamo se non ai discorsi che nascono da questa specie d'esperienza, la cosa non sarà fuori posto. La coscienza rimane inquieta. E poichè sente che tutto nel problema implica la discussione delle CAROL RAMA Disegno - 1944 Da «Tendenza», 1946, disegno di Carol Rama. tura risuona dal profondo del nostro sangue — ancora con quell’urgenza — come nei quindici anni quando sostituiva in camuffamenti impegnati sino alle estre- me ragioni della possibile azione, gli slanci religiosi o i presentimenti sessuali”. Geniale, perché collega direttamente, intimamente la pittura (ma in genere i linguaggi creativi) alla natura, al sangue appunto, affermando “il carattere profondamente immorale dell'attività artistica” già sostenuto da Nietzsche, negato o perlomeno arginato invece da Idealisti e Spiritualisti; e insistendo sulla “presenza di una volontà — non risolta nella pura contemplazione, né risolvibile, dato ilsuo orientamento verso l’immagine [...] La cosaè particolarmente evidente nelle arti figu- rative e la multiforme e aperta a direzioni divergenti attività [...] ne è il paradigma [...] Ed è appunto ciò che è sfuggito all’idealismo, a causa della artificiosa distinzione [...] di teoretico e di pratico, come al confu- sionismo attualistico che confinando l’arte nella sfera dell’immediato sentimento cade di fatto in un troppo semplicistico naturalismo. La distinzione fra teoretica e pratica è certo valida, ma all’interno di ogni singolo atto spirituale nella sua integrità, ché la vita spirituale presenta questi due aspetti come facce sempre distinte, sì, ma sempre inseparabili”. Conclude Galvano (e in questa direzione trova sostegno nella fenomenologia di Alain?!, ne “L'Imma- culée Conception” dei surrealisti e in Breton, più che nella poetica di Valery, almeno quando troppo insiste sul pieno controllo cosciente dell'artista nell’elabora- zione dell’opera): ‘Qui [...] bisogna pensare [...] ad una volontà tutta inconscia, individuante e non ancora individuata (come[...] Schopenhauer presentiva) e ad unopposto momento rappresentativo che solo giustifi- ca il valore estetico dell'immagine raggiunta negando nel sogno l’ebbrezza del movimento fisiologico”. Con un salto di parecchi anni, dal 1946 de La pittura, lo spirito e il sangue ad una autopresentazione 21 Utilissimal’ampia citazione in proposito da uno scritto ine- dito di A. Galvano, riportata da F. Garimoldi Albino Galvano: pro- getto di una nuova cultura, in Omaggio a Albino Galvano, cit., nota 12: “[in Alain ovvero Emile Chartier] l'accento cadrà ... molto più che nell’estetica idealistica, sul momento del fare che su quello del conoscere , e sulla resistenza del mezzo sentita come condizio- ne positiva ed essenziale al sorgere del fantasma artistico, fanta- sma che non sarà più un'immagine al tutto congiunta a priori ad una materiale estensione che la traduce, ma che sorgerà insieme all'atto di esecuzione e che soltanto a posteriori rispetto a que- sto avrà la sua concretezza “ ... “L'opera non nasce nella testa o nel cuore, nell’intelletto o nel sentimento, per poi essere realizzata nella pietra o sulla tela, ma, direi, nel vivo pulsare del sangue al polso quando questo gioca le resistenze e le tensioni, gli scatti e le flessioni del pollice e della mano nell’urto con il resistente ma- teriale. La scultura e la pittura sono meno la realizzazione visiva di un'immagine mentale che la materiale traccia lasciata da un gioco di ritmi fisiologici”. Sarà in particolare Merleau-Ponty a sviluppare il tema, per esempio negli studi dedicati a Cézanne. lino Vieeate colla (o crlize pus (olenda, cuni (aza sr net&uk' a fr suina und la gut rin % NAM (dA Pene più 0 me0 Ara la rr tn he Ut forata ME TISHOI: RE Peas LA LALA Les al caso TU fi e fa dii Lo val poco comi pila est; ua dn AA Prima pagina della lettera di A. G. a Adriano Villata, 1980. del 1980 — scritta a mano “quasi si trattasse di una lettera destinata solo all'amico [il “Caro Villata”, gallerista], nella quale ci si può confidare e divagare come l'umore o la nostalgia suggeriscono” —, Galvano ritorna sul rapporto fra il concepire e il fare, tra il fare e il decodificare il senso in più o meno risolutive lettere; ancora una volta mettendosi in gioco, ma senza alcuna intenzione di assumere valore esemplare o chiedere scusa 0 simpatia, esponendosi in tutto lo spessore di sensibilità e intelligenza, di impossibilità (a meno che non si scelga o si accetti la rinuncia) di sottrarsi all'impulso profondo. E anche senza compiacimento narcisistico: ci si esprime non per coltivare l'emozione ma per darne testimonianza e, per quanto possibile, esporla a sé e ad una analisi non priva di crudeltà, comunque oggettiva. È interessante seguire il filo del discorso, che nella scelta del tono dimesso non è meno teso del solito. Prima motivazione del movimento pendolare tra pittura e scrittura, così esposto al giudizio e all’ironia dei colleghi dell'una e dell'altra banda: l'appartenenza “ad una generazione [quella di Cremona, di Maccari, di Mollino, per restare tra amici] e ad un ambiente 22 Ripubblicata in A. Galvano, La pittura, lo spirito e il sangue, cit., pag. 29 e segg.; e in A. Galvano, Diagnosi del moderno, cit. , pagg. 13-17. All'inaugurazione di una sua personale, inizio anni ‘70. in cui questo male, se male, era quasi una ragione di orgoglio”. Era la generazione dei nati all’inizio del secolo, che raccoglieva dai protagonisti del rinno- vamento dell’arte (secessionista o avanguardistico, rappresentato per Albino, in primo luogo e per sempre, dal maestro Felice Casorati), una eredità che era non meno di esperienza materiale che di elaborazione intellettuale, un atteggiamento aperto, anzi tentato da molteplici contraddittorie curiosità e linguaggi espressivi (ma il quasi suggerisce l’affacciarsi di qual- che incrinatura nella certezza adamantina esibita dai predecessori, forse anche per il confronto inevitabile con una generazione successiva che tornerà a proporre arroccamenti specialistici). Seconda motivazione: ‘[...] Tutto quantohai odiato o amato nei giochi e nella noia dell'infanzia alimenterà peruna vita quanto produrrai, buono o meno chesial....] I nutrimenti terreni avranno un bel essere filtrati in parole, in segni e colori, in note, in spettacolo, il loro repertorio non muta, non lo hai scelto, ma ne sei stato scelto, e tu sei quello che essi ti hanno fatto, la tua libertà non può consistere che nell'essere loro fedele sino alla fine, libertà di adesione non di ripudio, e libertà nella misura in cui con il tuo ripensamento e il tuo scavo li trasformi da passivo esser fatto in attivo assecondamento della sorte che essi ti hanno assegnato, in obbiettivazione in cui il loro oscuro sgorgo, la loro inconscia matrice, si chiarisce nell'opera, nel segno formato e consegnato all'oggetto che ti rivela agli altri e in cui assumi responsabilità di confessione e di 10 proposta”. Insomma, è proprio il rilancio dal fare al pensare e dal pensare al fare che definisce una identità intuita come destino e accettata come scelta. Ma se rimane “ovvio” il rapporto fra i nutri- menti terreni e ciò che uno diviene e fa nel tempo, è anche vero che “una immagine retrospettiva di sé è sempre un’interpretazione che porta il peso della mutata identità dell’interrogante, del penoso carico di nostalgie, ricordi, rimpianti e rimorsi [...] e ogni interpretazione, specialmente nell'impegno auto- biografico, è anche una falsificazione”, per quanto cerchi di evitare tanto l’apologia ideologica quanto la “disgustosa e mimetica” confessione personale. Giusto nel mezzo, fra le due citazioni del 1946 e del 1980, nel 1960 (è il caso di ricordare che è il tempo della svolta neodada e pop che mette in crisi e addirittura annichilisce alcuni dei pittori più con- vinti), Galvano mostra d’avere di questo destino ironica e malinconica ma anche dura consapevolezza. Del fallimento egli tesse un sistema, secondo i miti di Prometeo e Sisifo, riscoperti come”moderni” dal Romanticismo all’Esistenzialismo. “Finis picturae? [...] Il punto si identifica [...] con questo estremo di coscienza contraddetta e irritata: la certezza che la via senza uscita dell’arte oggi non ha [...] nemmeno l'alibi della professione, del successo, del guadagno, ma soltanto il fascino senza illusioni di una fedeltà a un impegno individuale, quasi di una scommessa con la propria intelligenza e con la possibilità e i limiti del nostro stesso temperamento!”. Diventano così esemplari l’ultima e penultima produzione di Galvano pittore, alla quale viene dedi- cata in questa mostra una intera sezione, iniziata verso la fine degli anni ’70 con i ciottoli le foglie i frutti, i relitti, proseguita con “i paesaggi (rocce, alberi, isole), i nudi, le macchie[|...]”:esemplare neltentare una trascrizione di archetipi, congelati inluoghi comuni della pittura, tipi, generi e maniere (il fascino baudeleriano dei luoghi comuni!). Ma già muovevano nella stessa direzione ireos e cespugli d'inizio ‘70 — tracce che regrediscono attraverso lamemoria nella gesticolazione elementare — e prima i segni asemantici, prima ancora (siamo nella seconda metà dei ‘60) le bandiere, i nastri, i nodi e così via: tutte figure emblematiche, primarie e coltissime, che niente hanno a che fare con la semplificazione, la banalizzazione pop. La pittura ivi coincide con la costruzione delle im- magininominabili (nona caso varianti dell'icona della cosa, anzi del frantume, astratta da qualsiasi contesto, su un fondo bianco che è il segno di una definitiva separazione dallo scorrere fenomenico), e insieme la pittura è automatismo oggettivo, registrazione fredda della emozione costruttiva (se non creativa): infatti presentata tipicamente come nodo, descrizione dell’a- 23 A. Galvano, La pittura a Torino dal ‘45 ad oggi, cit. »m®) da cor. 4 È "ut me rematori) E ua Br su : Pa ù LE a Con Gino Gorza a Palazzo Te, Mantova, 1988. zione dell’annodare, avvolgere, intricare-intrigare, 0 dello sciogliere e liberare (vedi la bellissima immagine scattata, credo, alla galleria Martano). Ma è tutta la vicenda di Galvano pittore e critico che val la pena di ripercorrere in mostra, sia pure per cenni e con discutibili tagli. Danotarel’uso ch'egli fa dell’insegnamento casora- tiano: del maestro, Galvano non assume passivamente il “platonismo”, consapevole che il rapporto di Felice con la pittura è dal principio e resta nel tempo un rapporto “decadente”, che diventa eticamente “sano” e formalmente “classico” solo per un atto di volontà tanto mirabile quanto falsificante; sarebbe meglio dire critico, con vettore opposto, sia pure, a quella che sarà la scelta di Galvano. Che il travestimentosia storicamente giustificato su un modello rispettabilissimo come quello gobettiano, non vuol dire che la sua sostanza più vera non debba essere riconosciuta nonostante, attraverso la corazza ideologica e formale ritrovando il nucleo profondo, ’malato”ma straordinariamente vitale. 11 Del Galvano degli anni’30-inizio ‘40, sarebbe da approfondire l’espressionismo — che del resto condivi- de con altri della sua generazione: Nella Marchesini, Paola Levi Montalcini, Piero Martina, Italo Cremona, Carol Rama. In tal senso ci si potrebbe chiedere che peso abbia avuto, localmente, Spazzapan che esaltava l'ispirazione e deprecava l'istinto (viene in mente la teoria di Klages, che insiste sulla attrazione magnetica traimmagine e “anima”, ben distinta, l’anima ispirata e creativa, dall’istinto che è del corpo, come dalla volontà decidente e dotata di facoltà riflessiva che è dello spirito”); e anche Carlo Levi, l’unico dei Sei che partecipi intimamente all’espressionismo europeo, e, fuori sede, i romani, Scipione in particolare al quale Albino dedicò una bellissima recensione nel ‘40, che è lo stesso anno della prima edizione del Casorati. In un saggio intitolato Perché non possiamo non dirci crociani, in “Numero”, 3, 1953, Albino Galvano sottolinea che la sua generazione “decadente” deve a Croce specialmente questo: d'essere stata messa nella condizione di “accettare senza malafede e senza rimorsi i dati di quella cultura di tardo romanticismo che, così feconda quanto a ricchezza e sottile sensibi- lità di ricerche particolari, tanto si è dimostrata inca- pace di una sistemazione totale... [insomma di poter essere] decadente malgrado Croce, grazie proprio al riscatto che il metodo crociano offriva”. Che è un modo ottimo anche per comprendere come coerenza di sistema e incoerenza pragmatica siano in Galvano strettamente congiunte in dialettica tensione: la co- erenza consistendo nella allarmata coscienza critica, nella responsabilità che non può consentirsi “nessuna comoda complicità”, l’incoerenza nell'essere ogni scelta un esito che, per quanto imperfetto, è sempre compromesso e rappresentativo. Come a dire che la vitalità della ricerca costituisce un valore, non meno che l'aspirazione ad una sistemazione che finalmente rappresenti una “identità”, forse meglio “la libertà di essere identici al proprio destino”. Perciò Galvano non intende, tanto meno come pittore, tagliare i ponti col passato (il suo passato, oltre che la storia); invece semina il cammino di tracce, di residui, vorrei quasi dire fisiologici, di lapsus, così che in ogni momento il cammino sia ripercorribile o almeno riconoscibile, ma anche sostituibile. Egli, in effetti, sa che nulla va distrutto e non consuma sacrifici liberatori. Per lui in particolare (adatto il titolo di un importante saggio del ’63), La sublimazione astrattista non liquida l'erotismo del Liberty, semmai ne prende le distanze, per poterlo rimettere in circolo, come in un processo alchemico in perenne rinnovamento. Così Galvano passa necessariamente da un con- cretismo geometrizzante, che di fatto ironizza — ma non banalizza - la geometria come privilegiata ma- 24 A. Galvano, Per un'armatura, Lattes, Torino 1960, pag. 87. nifestazione della razionalità e della chiarezza, ad un concretismo informale che libera la possibilità di una pittura scritta usando il campo come tabula rasa 0 pagina intonsa, dove il gesto può scorrere ed intricarsi, e/o come dimensione praticabile in tutto il suo spessore magmatico, a sua volta ironizzato dalla scoperta di una ritmica, di una metrica essenziale. Come adire che è nella pittura (nell'arte) chesi realizza, assumendo evidenza di mito visivo — feticcio laico — l'unico progetto possibile senza illusioni razionaliste e moralismi ideologici. Un momento certamente fondamentale, sarei tentato di dire il perno sul quale ruota il resto è quello attorno al’60: quando la “natura” del gesto s'incontra felicemente conlo schema, generando una concrezione araldica, l'intenzione simbolica con il simbolo ricono- sciuto nella memoria collettiva; ennesima variante della tradizione dell’ornato, raccolta e riavviata dal Liberty: insieme puro gesto e automatismo assolu- tamente impuro. In questa mostra, il momento avrà adeguata evidenza. Ma è anche vero che Galvano si guarda bene dal protrarre artificiosamente quel momento (diciamolo pure, straordinario, quasi senza confronto in Italia), tanto che si prenderà negli anni immediatamente successivi, dal ‘62 al ‘65 circa, una pausa di riflessione che produrrà anziché pittura saggi teorici che culminano in Artemis Efesia, per riprendere il filo (la matassa) della pittura con proposte (in appa- renza) assai differenti: le bandiere, i nastri, 1 padiglioni, gli anelli di Moebius. Che cos'è la pittura per Galvano, allora? Scrive di lui nel 1974 l’amico / avversario Giulio Carlo Argan, che ha scommesso sul progetto ideolo- gico, vincente almeno per un certo periodo storico: “Egli non risponde una volta per sempre, con una definizione filosofica: infatti ciò che vuol sapere è che cosa sia la pittura in questa precisa condizione della cultura, della coscienza, dell’esistenza, e quale sia il suo grado di vitalità, quali le sue possibilità di sopravvivere in uno spazio ogni giorno più ristretto”. Non gli si potrebbe dar torto, se non fosse che proprio l’opera e ciò che la sottende, l’opera come atto critico, questo è appunto il suo contributo filosofico, e anche la sua testimonianza sapienziale, che trascrivo da una autopresentazione del 19822: “Dunque [la pittura], una meditazione sulla morte imminente [...] o il recupero della gioia ottica nello spazio ripercorso in termini di colore e di luce, sia pure della luce irreale della memoria e del sogno? O la scenografia di ambigue emersioni dall’inconscio? Davvero non saprei dirlo, e, forse, è inutile porsi le domande. Forse anche soltanto la monotona iterazione 25. G.C. Argan, in catalogo della personale, Galleria Unimedia, Genova, 1974. 26 A. Galvano, Autopresentazione, in catalogo della mostra, Piemonte Artistico Culturale, Torino 1982. 12 di una passione per il dipingere, che ripercorre con insistenza sigle che non è più capace di vivificare colla curiosità e il gusto avventuroso della giovinezza”. Tante pitture, allora, e però tutte mirate ad essere presenza di pittura e non illustrazione di concetti. Pittore concettoso, a volte, mai concettuale nel senso di illustratore di concetti : aggiungo,nel segno di una ine- ludibile, per quanto mascherata vocazione poetica.” Devo citare, almeno una volta, Edoardo Sangui- neti, allievo e amico, grande estimatore di Galvano: “Mi trovo [...] forzato a pensare che, alle radici del lavoro di Galvano, come artista e come studioso, stia un'immagine — è la parola giusta — che accenna all'uomo come animale che è capace di immagine. E dunque un’antropologia fondata sopra la facoltà della visione”, In formula perfetta, a conclusione di Storicità e significato dell’arte astratta (1953), Galvano aveva già precisato:“L'opposizione affermata da Mallarmé tra la concretezza della vue e l’allusività delle visions, l'affermazione di Alain che il poeta è l'opposto del visionario perché sa di non vedere sino a che la mano non abbia realmente costruito nello spazio l'oggetto che la passione progettava, sono divenute nella co- scienza del pittore concreto l'imperativo di una scelta tra il peso della memoria e la libertà pericolosa di una iniziativa tutta affidata al risultato”. F. Garimoldi, nel saggio più volte citato”, sottolinea che Galvano pone come centro dell’arte “l’insoluto rapporto fra espressione ed enigma” (che cosa di più chiaramente collocato sulla linea romanticismo-simbolismo come la vede Albino?), citando una autopresentazione del 27, La seconda parte di questo scritto elabora liberamente tre miei testi: in ordine cronologico, Témoignage de notre dignité, in Fi- gure d'Arte, artisti a Torino dagli anni ‘50, a cura di A. Balzola, R. Cavallo, E. Ghinassi, P. Mantovani, Alberti ed., Pescara 1991; A proposito del pittore Albino Galvano, in Attraverso il Novecento. Albi- no Galvano, 1907-1990, a cura di M. Pinottini, Bulzoni ed., Roma 2004; Albino Galvano pittore, catalogo della mostra, Galleria del Ponte, Torino, 2010. 28 E. Sanguineti, Contro la ragione, “La Stampa”, 10 marzo 1990. Un libro singolare, dove Sanguineti è figura nodale nella messa in circolo della “linea liberty” ancora nella seconda metà del ‘900; li- nea che Casorati, Cremona, Mollino e Galvano avevano mantenu- ta viva con originali apporti nella prima metà del secolo, è L'altra faccia della luna — Origini del neoliberty a Torino di Elvio Manganaro, Libria ed., Melfi 2018. Al libro citato devo la conoscenza di un te- sto di Galvano: Processo alla pittura in “Il Selvaggio”, 15 novembre 1938, che dà originale contributo alla interpretazione della vicenda artistica della sua generazione, che “si gioca tutto nello spazio che separa le Uova del 1914 da quelle del 1920, o tra l’”Icaro senza ali e le ali senza volo del Sogno...”, di Casorati naturalmente, perché proprio Casorati era “appartenuto paradigmaticamente ai due mondi [...] quello della figlia di Iorio e quello della Jeune Parque”... (E. Manganaro, L'altra faccia della luna, cit., pagg. 168-170). 29 A. Galvano, Storicità... cit., 1953. 30 EF Garimoldi, A. G. Progetto di una nuova cultura, in Omag- gio..., cit., pag. 15. ‘77%:"Si dà arte solo quando il non differente operare a fini strumentali o di puro edonismo è impedito e stravolto dai sedimenti di una vicenda individuale che s'insinuano e dominano dove pretendeva condurre il gioco la razionalità del progetto decisionale. A que- sta condizione in ogni tempo si è cercato di opporre la dignità dell’autocontrollo [...], certo vanamente, ma anche proficuamente perché [...] la possibilità di coinvolgere gli altri [...] non consiste se non nel pun- tualizzato istante di tensione in cui lascia materiale traccia di segno o di tocco quel gioco d’insidie; l'istante in cui l’inspiegata vicenda interiore si fa immagine ed emblema”. Con Francesco Bartoli a Palazzo Te, Mantova, 1988. Nota bibliografica La discutibile scelta di privilegiare la pittura come via di accesso alle molteplici attività di Albino Galvano, obbliga a segnalare gli autori che hanno af- frontato il caso con particolare intelligenza e puntuale cultura filosofica. E. Sanguineti, in catalogo Antologica, 1979; R. Tessari, nello stesso catalogo, e Galvano e il mito, in Figure d'Arte, cit. 1991; G. Carchia, Prefazione a Arte- mis Efesia, nella riedizione del 1989, cit.; P. Fossati, F. 31 Autopresentazione, mostra personale, Galleria Weber, Tori- no 1977. 13 Garimoldi, M.C. Mundici (a cura di), catalogo della mostra al Circolo degli Artisti, cit. 1992; A. Balzola, Galvano e D'Adda: l'immagine matrice, in Figure d'Arte, cit. 1991; G. Gallino, pagg. 27-46 e F. Salza, Albino Galvano e Jung, in“ Attraverso il Novecento”, cit. 2004; A. Ruffino, Introduzione in Albino Galvano — Diagnosi del moderno, cit. 2018. A parte, segnalo il “ritratto” che ne fa Paolo Fos- sati, con riferimento prevalente agli anni Sessanta e Settanta, presentando Omaggio a Albino Galvano nel 1992; e le memorie che in circa trent'anni di colloqui — non di rado centrati su Casorati, Cremona e Galvano — ho potuto raccogliere da Gino Gorza, l'unico artista di generazione successiva che per cultura e gusto potesse essere accostato a Galvano. Fu proprio Gino a volere una mostra comune — con il significativo titolo di Sincronie — a Mantova in Palazzo Te, nel 1988; riannodando il filo della presentazione che Albino gli aveva dedicato dieci anni prima, per l’Antologica nello stesso luogo. Ricordo all’inaugurazione del 1988 la presenza di Francesco Bartoli, documentata anchein una fotografia dove il geniale interprete di Licini sembra inchinarsi al geniale interprete di Artaud. Più recentemente, sempre al Te, una giornata di studio dedicata a Bartoli è stata anche l'occasione per rievocare la figura di Galvano con Roberto Tessari. Anche Tessari è mancato. Prova di ritratto Uomoriservatissimo, comea volte chi non si neghi alla mondanità, anzi se la imponga come esercizio. La leggendaria disponibilità (senza ombra di debolezza) realizza una delle forme più aristocratiche dell'etica (per discrezione in maschera di rigore pro- fessionale). Essenziale un fondo di malinconia, come misura di una perdita irreparabile, e di nostalgia per una totalità irreversibilmente frantumata. Tra distacco soggettivo e oggettiva commozione scorre l’impurità di un continuare a vivere, si scrive in tracce stenografiche il diario di un sedotto ... e di un seduttore per forza (di un gentiluomo piemontese). Sensualissimo lettore; scrittore capace di costruire macchine logiche come trebbie di tortura, e di avvolgere in sontuose inestricabili ragnatele (costante una specie di dolcezza, cui tanto meno resistono rigidi baluardi): trascurabile vi è l'inganno, perché la circonvenzione è ignobile, specialmente d'incapace. Come un dovere coltiva il diletto: su questo piano potrebbe essere magistrale se non fosse troppo fine e pericoloso un tal modello. Nel suo sistema, la pittura rappresenta il “concreto”. Distratto semmai da irridu- cibile curiosità, non è mai astratto. Ireos, sassi e conchiglie sigillano una storia so- stanzialmente coerente, perché osano confronto con il principio e la fine: così su una pietra tombale si posano cose e il tempo vissuto, relitti nudi, epifanie senza velo. Omaggio a Albino Galvano Catalogo mostra antologica, Palazzo Chiablese, Torino, 1979. Catalogo mostra antologica, Circolo degli Artisti, Torino, 1992. Atti del convegno, a cura di M. Pinottini, Torino, 1997. Antologia di scritti di A. G., a cura di A. Ruffino, Aragno editore, 2018. Electa Piemonte ATTRAVERSO IL NOVECENTO: ALBINO GALVANO (1907-1990) a cura di Marzio Pinottini BIBLIOTECA DI CULTURA / 657 BULZONI EDITORE 14 Albino Galvano: la fedeltà alla pittura Luca Motto Il magistero casoratiano e la prima figurazione 1928 — 1944 Albino Galvano nacque a Torino il 16 dicembre 1907, l’anno d'esecuzione delle Demoiselles d'Avignon di Picasso che segnò l’imporsi e il susseguirsi delle avanguardie: « che nel bene e nel male problematico [...]dovevanocaratterizzare, inconcomitanza concrisi umane, politiche e sociali ben più gravi, ilnostro secolo sino a porre oggi il problema della “morte dell’arte” qualunque cosa si intenda sottolineare con questo termine apocalittico»!. Galvano pur muovendosi nel solco della modernità, affondava le sue radici in una meditata e personalissima assimilazione di riferimenti pittorici dell'Ottocento e del primo Novecento, ben lontano dalla reazione e dall’inattualità. Apparteneva all'ambiente casoratiano e alla sua scuola «divenuta il centro di un'opposizione cortese, tacita che non esclu- de — la cosa è molto torinese — rapporti amichevoli o per lo meno corretti con gli avversari»?. Nel decennio 1918-1928 venne segnata la tempe- rie di una Torino moderna (tuttavia non futurista) di seguito enunciata in pochi assunti utili a comprendere l’ambiente artistico nel quale il giovane Galvano s'in- trodusse: la comparsa di Felice Casorati alla Promotrice del 1919 come artista rivoluzionario e di rottura; la «breve esistenza » di Piero Gobetti e il suo cenacolo antifascista; le polemiche e la reazione dell'ambiente cittadino alle scelte di «gusto» antinovecentiste di Lionello Venturi rivolte all'arte di nuovi «primitivi», gli impressionisti; il fugace percorso del gruppo dei Sei di Torino (coagulato e promosso dal duo Persico e Venturi)che rinunciarono a «Roma madre» per «Parigi amica»; e la vitalistica apertura culturale europea del finanziere, collezionista e mecenate Riccardo Gualino. Dopo un precoce apprendistato con il pittore Giovanni Pisano e il maestro di disegno Vannini, l'educazione di Galvano all'arte contemporanea si svi- luppò suriviste di settore (in particolare”“Emporium” e “L'art vivant”) e attraverso la frequentazione delle Biennali veneziane. Alla rassegna del 1928 Galvano poté osservare dal vivo la pittura di Felice Casorati che rappresentò «la scoperta del mondo nuovo e spre- giudicato che si apriva alla nostra cultura: l'ingresso del mondo “moderno”»*. Al termine del 1928 si iscrisse alla Scuola Libera di Pittura di Casorati (sorta a Torino nel 1921 e struttu- ratasi maggiormente dal 1927 nella nuova sede di via Galliari, antistante l'abitazione di Riccardo Gualino) e la frequentò fino al 1930. Il suo magistero, lontano da 1. A. Galvano, Autobiografia, in N. Pizzetti e G. Givone (a cura di), Albino Galvano, catalogo della mostra, Palazzo Chiablese, Re- gione Piemonte, Torino 1979, pp. 17 — 18. 2 A. Galvano, Torino e i «Secondi futuristi», in A. Galvano, Dia- gnosi del moderno. Scritti scelti 1934 - 1985, a cura di A. Ruffino, Nino Aragno editore, Torino 2018, p. 344. 15 Albino Galvano (al centro, seduto) e (da sinistra, in piedi, tra gli altri) Filippo Scroppo, Daphne Maugham, Rina Galvano, Danila Cremo- na, Felice Casorati, Carol Rama, Leopoldo Bertolè, Valpellice 1949. «Ogni sistematicità d'accademia»°, non fu solamente estetico ma anche pregno dell'eredità etica e politica gobettiana: un debito verso quel «fanciullo puro» che esigeva «fedeltà e non lacrime»®. Per Galvano il punto fondamentale della sua formazione fu il trovarsi par- tecipe di un ambiente che lo salvò «tanto dal rischio di un'adesione acritica al regime imperante [...] e da quello ben più grave [...] di un'immersione o som- mersione nella Torino di quel tipo di borghesia che amava in pittura Giacomo Grosso». L'insegnamento del «platonico» Casorati, pervaso «d’una signorile severità», verteva su l’«insieme» e il «tono». Dalla monografia Felice Casorati di Galvano (1940, editore Hoepli, Milano) si legge che il Maestro consigliava agli allievi di «imparare a vedere il più semplicemente possibile [...] la forma di quella determinata massa tonale, di quella determinata massa chiaroscurale, non la forma dell'oggetto» [...]. La forma serve qui a distruggere la linea ed a passare al colore [...]»*. Il clima della scuola di via Galliari fu efficacemente narrato da Lalla Romano ne Una giovinezza inventata: «Verso sera venivano sovente visite: Alberto Rossi, Mario Soldati, Carlo Levi. Levi ridacchiava — con noi — sull'indirizzo classicistico della scuola, dove gli allievi più ambiziosi preparavano un bozzetto per il quadro. Rideva ma affettuosamente. C'era una base culturale comune: il disprezzo per il fascismo».I nomi citati sono solo una parte delle personalità con cui Galvano, all’inizio degli anni Trenta, instaurò un duraturo rapporto amicale sulla via del confronto artistico, tra gli altri: Paola Levi Montalcini, Sergio Bonfantini, Riccardo Chicco, Italo Cremona, i Sei e 5 P. Gobetti, Iniziative d'arte a Torino, in “L'Ordine Nuovo”, 27 dicembre 1921. 6 F. Casorati, in “Il Mondo”, 20 marzo 1926. 7. A. Galvano, Autobiografia cit., p. 17. 8 A. Galvano, Felice Casorati, cit. pp. 369, 371. O) L. Romano, Una giovinezza inventata (1979), Einaudi, Torino 2018, p. 185. Giulio Carlo Argan, ma anche Carlo Mollino, Massimo Mila, Leone Ginzburg e Franco Antonicelli. La pittura postimpressionista di Galvano del decennio Trenta e fino al 1945 si orientava in un «con- traddittorio intento di tenere insieme i valor plastici di Casorati e quelli dei Sei» il cui risultato «pesante e impastato» fu autocriticamente espresso dall'artista stesso!°. Anche una certa l’arte d'oltralpe praticata da stranieri fascinò Galvano (Maurice de Vlaminck, Ko- stia Terechkovitch, Christian Krog), mentre i rimandi nostrani furono indirizzati alchiarismo lombardo eai tonalisti romani. «Quei loro mezzi [...] misi sfasciava- no ed intorbidivano tra le mani, rimanendo parentele d’accatto o esperimenti di lettura, ed enorme riusciva la dispersione e la perdita di tempo»"!. Un repertorio antinovecentista di temi iconogra- fici ricorrenti segnò quel periodo: «pesci, molluschi, conchiglie, vecchi libri accartocciati, crocefissi e acquasantiere barocchi, nudi tortili come molluschi e paesaggi incerti tra quegli andamenti sinuosi e un modesto cezannismo che era nell’aria»!“. Galvano s’inserì nel circuito espositivo nel 1929, anno in cui le arti si avviavano verso la loro fasci- stizzazione di forma con l'istituzione del Sindacato Fascista a cui venne affidato il compito di gestire le manifestazioni espositive periodiche sul territorio nazionale. Il rapporto con la società artistica di un Novecento sarfattiano (a un passo dallo smantella- mento definitivo) e della retorica celebrativa di Stato era destinato tuttavia a un sostanziale fallimento. A Torino Galvano esordì nell'alveo casoratiano in due mostre della scuola nel 1929 e nel 1930. Dal 1930 al 1942 furono regolari le sue presenze alle espo- sizioni annuali della Promotrice di Belle Arti con più sporadiche puntate alla Società degli Amici dell’arte (1931, 1932, 1934). Il critico Emilio Zanzi, in una recensione riguar- dante un'esposizione di vendita torinese del 1934, sagomava i tratti pittorici del giovane Galvano: «[...] sfuggito anzitempo alla disciplina rigorosa della scuola di Casorati. Il Galvano in certe composizioni di nature in silenzio ricorda la chiara e sapiente pittura del Maestro, in altri quadroni ricerca l’effetto della pennellatona agile ed abile, cara passione di qualche post-impressionista»". Alle rassegne di carattere nazionale Galvano prese parte alla I e alla Il Quadriennale romana (1931 e 1935) dove vi fu una discreta rappresentanza torine- se e piemontese: Felice Casorati e il suo discepolato (Paola Levi Montalcini, Nella Marchesini, Sergio Bonfantini, Emilio Sobrero), Daphne Maugham, 10 A. Galvano, Autobiografia cit., p.18. 11 A. Galvano, in catalogo della mostra, Galleria La Giostra, Asti 1952. 12. Ibid. 13 E. Zanzi, in “La Gazzetta del popolo”, 1934 16 Albino Galvano e Filippo Scroppo alla I Mostra Internazionale dell'Art Club, Palazzo Carignano, Torino 1949. parte dei Sei (Carlo Levi, Francesco Menzio, Enrico Paulucci), Giulio Da Milano, Umberto Mastroianni, Italo Cremona. Alla Biennale di Venezia del 1930 Galvano presenziò con un’opera nella stessa sala di Casorati e allievi, mentre nell'edizione 1936 espose isolato (a Gigi Chessa scomparso nel 1935 venne dedicata un'ampia retrospettiva, Menzio e Paulucci comparivano attigui). In questo periodo sono da indagare infine le par- tecipazioni alle quattro edizioni del Premio Bergamo (1939-1942). Fuuna manifestazione, insieme al Premio Cremona, che svelò la dialettica artistica italiana: due componenti antitetiche dello stesso volto del regime. Il primo (promosso da Giuseppe Bottai), più elitario, «si riallacciava a un versante dell’arte italiana colto, internazionale e post-impressionista»!* suscitando polemiche nell’ala più intransigente del fascismo; il secondo (voluto da Roberto Farinacci) era sintonizzato sull'onda delle mostre hitleriane. AII Premio Bergamo del 1939 (in giuria Casorati, Funi, Longhi e Argan) il terzo riconoscimento venne suddiviso tra cinque concorrenti: si evidenziava la presenza romana di Giuseppe Capogrossi e quella piemontese con Menzio, Paulucci, Galvano e Piero Martina (era presente anche Nicola Galante, non premiato). Al secondo Premio Bergamo del 1940 Galvano ricevette una particolare menzione e il suo dipinto fu acquistato dal Ministero dell'Educazione Nazionale. Galvano espose anche alla terza (1941) e alla quarta edizione (1942, vincitore l’intimista Menzio), la rassegna scandalo della Crocifissione di Guttuso, reinterprete drammatico e rabbioso di un’iconografia mutuata dal sacro: anticipazione in chiave cubista della militanza postbellica. Il ventennio Trenta-Quaranta contrassegnò inol- 14 AA.VV, Gli anni del Premio Bergamo: arte in I talia intorno agli anni Trenta, catalogo della mostra, Bergamo, Electa, Milano 1993, p. 58. tre il compimento della formazione intellettuale di Galvano che si laureò nel 1938 (con Angiolo Gambaro e Nicola Abbagnano) con una tesi sulla pedagogia della religione: primo atto dell’approfondito con- fronto con le tematiche spiritualiste, antropologiche e filosofiche (in primis l'influenza di Benedetto Croce e Henri Bergson). Tra le sue prime prove di critica d’arte si possono menzionare il breve scritto del 1932 su Armando Spa- dini in “L'Arte” diretta da Venturi; il saggio del 1934 su Luigi Spazzapan in “Orsa”; le collaborazioni con il periodico milanese “Le arti plastiche (1933) e la reda- zione delle cronache d’arte torinese per “Emporium” (1938-1942). Si ricordano inoltre i volumi del 1938 (per l'editore fiorentino Nemi) L'arte egiziana antica, L'arte dell'Asia occidentale e centrale, L'arte dell'Asia orientale; la monografia Felice Casorati edita da Hoepli (nel 1947 uscirà una seconda edizione) e Tre nature morte: Casorati, Menzio, Paulucci pubblicato a Torino nel 1942. Fu assistente alla Cattedra di pittura di Paulucci all'Accademia Albertina di Belle Arti di Torino nel 1942 e da quell’anno, fino al 1978, insegnò storia e filosofia negli istituti liceali. Tra inumerosissimi allievi con i quali mantenne profondi legami si ricorda in particolare Edoardo Sanguineti. Dalla fase espressionista verso l'astrattismo 1945-1951 AI termine del conflitto bellico per Galvano e gli artisti della sua generazione s'impose il confronto con l'avanguardia, l'Europa e il moderno. «Moderna non è soltanto l’arte prodotta nel periodo in cui viviamo, ma quella che di voler essere moderna ha program- matica intenzione! [...] Che assume come categoria predicativa l'affermazione di “novità” rispetto ad una situazione di cultura storicamente conclusa. [...] Il concetto di moderno si chiarisce, così come un concetto “etico” [...] per cui l'avversario non è un modesto o nullo artista, ma il traditore di una causa totale, il reazionario che non merita pietà e al quale non giova la buona fede». Queste lucide affermazioni di Galvano aiutano a delineare un settore della sua linea di pensiero che contribuì ad animare il vivace dibattito degli intellettuali torinesi, fautori di quel compatto blocco culturale che, tra il 1945 e il 1947 tentò una ricostruzione «morale e civile» della società. La posizione politica di Galvano dopo la Liberazione fu abbastanza distante dall’ideologia estetica del fronte comunista. L'urto «non era tanto fra tradizione e innovazione, anche meno tra astratto (o concreto) e figurativo [...] ma tra militanza “costruttiva” ed autonomia “critica” [...]»!9. 15 A. Galvano, Moderno, in Enciclopedia Universale dell'Arte, vol. IX, Fondazione Cini, Roma-Venezia 1963. 16 G. Mantovani, Il malessere dell'arte, in A. Galvano, La pittura, lo spirito e il sangue, a cura di G. Mantovani, Il Quadrante edizioni, E; Negli anni postbellici il complesso confronto- scontro con Croce era ineludibile e la posizione di Galvano (sviluppata in anni più tardi nel fondamen- tale scritto Perché non possiamo non dirci crociani, 1953) merita qui qualche breve accenno. L'intuizione pura, come atto teoretico astorico, non poteva prescindere dalla soggettività dell’«opera manuale». La polarità non sussisteva tra il bello crociano, simbolo del bene morale e il suo opposto, quanto tra lo «spirito» (il momento razionale - contemplativo) e il «sangue» (il principio vitale inconscio che in ultimo concretizza l’opera con il linguaggio scelto). Scriveva Galvano nel numero unico del periodico “Tendenza” (1946, coideato con Pippo Oriani): «Questo bisogno del sangue che ignora l’astratto spirito e gli anatemi e le accuse di “naturalismo” degli idealisti o quelle di “immoralità” degli spiritualisti è essenziale all'opera di pittura. Essa cade o sussiste con il sangue non con lospirito»!. L'attività di critico d’arte seguitò in quegli anni anche su quotidiani come “La Nuova Stampa” (nel 1946) e “Mondo Nuovo” (nel 1947 e 1948). Tra il 1945 e il 1949 la pittura di Galvano si aprì ad una fase espressionista slargandosi e semplifi- candosi in campiture bidimensionali dai contorni lineari marcati e attraverso l’uso di un cromatismo timbrico. In un testo di autopresentazione del 1952 l'artista esplicò: «Così quando, intorno al 1941, Guttuso guardando a Picasso, Birolli e quelli di “Corrente” sbirciando l’espressionismo, diedero altro indirizzo alla pittura italiana, mi trovai in ritardo rispetto a quei coetanei e ai loro discepoli molto più giovani di me, e con un bilancio piuttosto negativo. [...] Tentavo così una soluzione in un breve periodo di esasperazione “espressionistica” del segno, dove l’“illusivo” si tra- sformava in “allusivo” a quelle immagini che potevo considerare mie». Galvano puntualizzava inoltre di essere stato tentato verso «esperienze varie di carattere cultu- ralistico, fra cui un primo richiamo al liberty che allora fu aspramente rimproverato da certi critici (A. Podestà) come incomprensibilmente anacronistico ma che almeno come recupero critico, rappresentava un'anticipazione di interessi e recuperi diventati di moda un ventennio più tardi». Nella Torino della Ricostruzione gli spazi esposi- tivi erano esigui; molto spesso sorgevano in simbiosi con una libreria come per esempio la Galleria Faber, dove Galvano nel 1945 partecipò ad una Antologica di Maestri contemporanei. Alla personale di Galvano del 1946 presso la Libreria del Bosco «ci troviamo di fronte ad un artista dalle varie esperienze», denotava Torino 1988, p. 18. 17 A. Galvano, La pittura, lo spirito e il sangue, in “Tendenza”, n.1, 1946. 18. A. Galvano, Galleria la Giostra cit. 19 A. Galvano, Autobiografia cit., p. 18. Salvatore Gatto su “L'Unità”, e proseguiva: «riesce spesso a lievitare le acquisizioni culturali ed a tradurle in efficienti risultati creativi». Il molteplice approccio stilistico, confessato dallo stesso Galvano nell’auto- presentazione del 1979, è qui confermato: «leggero impressionismo, [...] decorativismo un po’ orientale, [...] motivi che tendono a risolversi in figurazioni quasi astratte». La fase pittorica più recente, concludeva Gatto, «pare indirizzarsi verso una pittura dominata da una volontà ed un’ansia di sintetismo formale»?. Alla Biennale di Venezia del 1948 (la prima edi- zione al termine del ventennio fascista nella quale emersero le linee essenziali degli sviluppi dell’arte moderna europea) Galvano partecipò su invito con cinque opere (nudi e nature morte del 1947-48) in sala con Martina e Paulucci. In quell’edizione fu parecchio vasta la partecipazione di artisti torinesi sulla via dell’astratto: Sandro Cherchi, Mario Davico, Franco Garelli, Gino Gorza, Paola Levi Montalcini, Umberto Mastroianni, Mattia Moreni, Adriano Parisot, Carol Rama, Filippo Scroppo. All’edizione del 1950, nuova- mente su invito, Galvano fu presente con tre opere (in sala con Birolli, Corpora, Moreni, Morlotti, Turcato, Vedova, Zigaina). Nel quadriennio 1948-1951 si registrarono nume- rose partecipazioni dell'artista a rassegne nazionali di verifica diretta degli sviluppi artistici contemporanei, tra cui la Quadriennale romana del 1948 e la mostra collettiva Arteastratta e concreta presso la Galleria Nazio- nale d’arte moderna di Roma nel 1951(il comitato ese- cutivo era composto da Joseph Jarema, Palma Bucarelli e Giulio Carlo Argan). Il testo di Galvano in catalogo analizzava la ricerca concretista propria e dei torinesi verso una direzione lontana dal «formalismo astratto» insenso stretto e intesa attraverso la «‘“proiezione” nelle strutture dell'oggetto stesso di una carica emotiva, che asua volta presuppone la totalità spirituale dell'artista impegnato, ed impegnato “responsabilmente”, in una prospettiva, in una scelta, in una “Weltanshaung”, cioè in ultima analisi in un punto di vista etico e metafisico [...]. Non può perciò stupire che anche a Torino siano proprio gli artisti più responsabili di fronte a un loro mondo interiore a volgersi a questa pittura. Superfluo cercar nel dato estrinseco del gusto un’unità “munici- pale” o di gruppo: se mai l’unità “torinese” di questi pittori è nella condizione di cultura cui lo stesso schivo etalvolta un poco scontroso raccoglimento della città in cui essi lavorano, è, per taluna delle ragioni accennate, propizia»”!. Rilevanti furono inoltre le sortite extranazionali del 1951. In occasione della mostra nizzarda, Peintres de Turin, Galvano definì forme e colori delle sue com- 20 S.Gatto, Mostra d’arte. Galvano al Bosco, in “L'Unità”, 31 mag- gio 1946. 21 A. Galvano, in Arte astratta e concreta, catalogo della mostra, Galleria Nazionale d’arte moderna, Roma 1951. 18 Con Enrico Paulucci, Albino Galvano e Filippo Scroppo. Confe- renza al Circolo degli Artisti, Torino 1967. posizioni come «feticci laici», «costanti di sentimenti e impulsi» che non necessitavano di riportarlo «a una rappresentazione esteriore e imitativa». «La topografia spirituale di questo mondo che non è né meccanica né architettonica, ma piuttosto organica e determinata soprattutto dalla tensione tra le forze elementarie vitali pressanti, da una parte, e l'aspirazione religiosa o me- tafisica dall'altra, che vuole dominarle e oggettivarle nello spirito delle tradizioni filosofiche e religiose alle quali nei miei quadri faccio a volte allusione anche attraverso i titoli stessi». Al Premio Parigi (itinerante anche a Cortina d'Ampezzo) il critico Luigi Carluccio seguitava di rimando: «[...] L'artista si è portato sempre su posi- zioni di ricerca mantenendo tuttavia vivo il dialogo fra i suoi istinti pittorici e le sue meditazioni. [...] Il temine “feticcio laico” [...] annota con felice incidenza che all'origine degli impulsi e dei sentimenti è sempre vivo lo stesso dibattito tra la pressione vitale di forze elementari, naturali, e l'aspirazione ad ordinarle in una ragione metafisica»?3. Il rivolgersi all'arte d'oltralpe (già a partire dalla mostra Arte francese d'oggi, Roma e Torino 1947) ebbe degli echi a Torino con le sei edizioni della rassegna Pittori d'Oggi Francia- Italia (1951-1961) promosse da Carluccio e alle quali Galvano partecipò alla prima (1951) e alla terza (1953), così come figurava ai due Premi Saint Vincent (1948-1949) messi in piedi dalla fronda democristiana capeggiata da Carluccio in re- 1951. 23 L. Carluccio, in Mostra Nazionale del Premio Parigi 1951, cata- logo della mostra, Cortina d'Ampezzo 1951 e Parigi 1951-1952. Con Mauro Chessa e Liliana De Matteis. azione al Premio Torino del 1947, troppo polarizzato a sinistra secondo il critico. È di vitale importanza ricordare infine il ruolo di Galvano come animatore culturale nel clima di fermento postbellico, dapprima impegnato attivamente come promotore dell’Unione Culturale (sorta nel 1945, raccolse intellettuali antifascisti tra cui Giulio Einaudi, Massimo Mila, Franco Antonicelli, Lionello Venturi e tra gli artisti Casorati, Menzio, Levi) e nel 1949 come propugnatore di due rassegne artistiche: la I Mostra Internazionale dell'Art Club a Torino e la Mostra d’arte contemporanea di Torre Pel- lice. La prima — con presidente Casorati e segretario Scroppo, organizzata dalla sede torinese dell'Art Club, un'associazione apartitica internazionale — mirava a presentare le nuove voci artistiche italiane e di diversi stati esteri. La seconda, aveva sede a Torre Pellice, che «pur nella modestia delle proprie possibilità, possiede, come centro delle Valli Valde- si, una secolare tradizione di cultura che ha i suoi particolari caratteri di pensiero e di ispirazione»”4. Era stata ideata insieme a Filippo Scroppo, artista e critico valdese, (nativo della Sicilia ma inseritosi dalla metà degli anni Trenta nell'ambiente cittadino) e da Leopoldo Bertolè notaio e illuminato collezio- nista di moderno. La Mostra d’arte contemporanea — appuntamento estivo annuale protrattosi per un 24 Mostra d'arte italiana contemporanea, catalogo della mostra, Collegio Valdese, Torre Pellice 1949. 19 quarantennio (1949 - 1991) al quale Galvano espose assiduamente—trasformòla cittadina della provincia torinese in un polo culturale aggiornatissimo sulle ricerche artistiche nazionali e con qualche non rara puntata internazionale. Il Movimento Arte Concreta 1952-1955 Il «confuso ribollire di tendenze astratteggianti»?, che imperava tra il 1947 e il 1951, andò delineandosi verso l’elusione dell’astrazione su base mimetica in favore del concretismo. Una lucida definizione della corrente venne offerta da Gillo Dorfles in uno scritto del 1951, il così detto manifesto del Movimento Arte Concreta, (MAC) fondato a Milano nel 1948 insieme a Bruno Munari, Gianni Monnet e Atanasio Soldati. Dorfles precisava il concetto di concreto «che non cer- cava di creare delle opere d’arte togliendo lo spunto o il pretesto dal mondo esterno e astraendone una successiva immagine pittorica, ma che anzi andava alla ricerca di forme pure, primordiali, da porre alla base del dipinto senza che la loro possibile analogia con alcunché di naturale avesse la minima importanza»”. L'adesione formale al MAC di Galvano eun gruppo di giovani torinesi — Annibale Biglione, Adriano Parisot, Filippo Scroppo e in seguito Carol Rama e Paola Levi Montalcini — avvenne nel 1952. A Torino il coagulo del Movimento rappresentò una sfaccettata unione di poe- tiche, abbastanza distante dal rigore costruttivista delle soluzioni compositive lombarde che fondava le sue basi nell’Astrattismo storico internazionale e locale degli anni Trenta. In questa sede non è possibile analizzare la presa di coscienza sulle radici dell'avanguardia delle personalità torinesi e ci si limita al solo caso di Galvano. Nel 19471] distacco di Galvano dal comitato promo- tore del Premio Torino (la prima manifestazione locale di arte attuale italiana dopola fine della guerra)non avven- ne solo per posizioni politiche. Come chiariva Giuliano Martano, nel catalogo della mostra Arte concreta a Torino 1947-1956, per una parte di artisti si trattava di una scelta di «lettura in quelle matrici dell'avanguardia europea [...]quasiin contrapposizione alle matrici trovate allora in un neonaturalismo e del “Fronte nuovo delle arti”»”. Per Galvano e il discepolato della scuola di Caso- rati, alla quale riconoscevano la creazione di «una terra concimata pronta a recepire, stratificazione di cultura altezzosasevogliamo, maattenta[...]. Aveva purelasciato ineredità una figurazione latente, una scansione dell’og- getto che verrà dai torinesi lentamente e sofferentemente decantata»°. Unosmarcamento, dunque, intotalebuona 25 T.Sauvage, Pittura italiana del dopoguerra 1945 — 1957, edizio- ni Schwarz, Milano 1957, p. 129. 26 G. Dorfles, Manifesto del MAC, ora in Arte concreta a Torino 1947 — 1956, catalogo della mostra, Sala Bolaffi, Torino 1970. 27, G. Martano, in Arte concreta a Torino 1947 — 1956 cit. 28. Ibid. pace del Maestro, che anche Galvano intraprese: la via verso l’astrattismo ben circoscritta e lineare. La sua poetica, tra i torinesi, era la più distante dal concretismo «proprio perché non è mai d'origine speri- mentale ma la sua “avanguardia” si pone sempre come una verifica dello sperimentalismo. Si pone insomma come contrasto immediato fra una realtà esterna [...] ed una realtà interna quasi avida di controllare im- mediatamente sul terreno stesso dell’accadimento, la validità dell’accadere, e di controllarlo appunto in via sperimentale»? Gli aspetti strettamente contenutistici della pittura di Galvano della prima metà degli anni Cinquanta erano in diretto contatto con i suoi interessi in quanto studioso di filosofia e storia delle religioni. Andreina Griseri notava che gli entusiasmi per il Kandinskij volto all’astratto e per il primo Kupka giungevano «a una presa di posizione nell’ambito dell’arte non figurativa, chiarita in numerosi scrit- ti, in cui il Galvano lumeggia la derivazione dalla secessione di Klimt di molta arte contemporanea in una interpretazione nuova dei rapporti art nouveau- Liberty e astrattismo»?°. Degli scritti galvaniani degli anni Cinquanta ai quali Griseri si riferisce citiamo almeno: Storicità e significato dell’arte “astratta” (1953), Dal simbolismo all’astrattismo (1953), Le poetiche del Simbolismo e l'origine dell’Astrattismo figurativo (1956). Gli intendimenti del manifesto del MAC torinese del 1952 furono piuttosto netti. Più in generale erano incontrapposizione con il dibattito dilagante in quegli anni che scindeva gli artisti tra formalisti e realisti, con- tro il neopicassismo ed estranei al «pudore» del com- promesso dell’astratto-concreto di Venturi. A livello localelalororicerca era indirizzata all'emancipazione dall’orbita casoratiana, dal neoimpressionismo dei Sei e dal secondo futurismo con il quale condividevano lo spirito avanguardistico, ma certamente non gli in- tenti. Biglione, Galvano, Parisot e Scroppo firmarono il testo programmatico, con la responsabilità di «lotta contro ogni conformismo pigrizia intellettuale». «Se il nome stesso di “arte concreta” [...] sta a significare il desiderio di rigore di chi ha rotto ogni ponte con tradizioni storicamente esaurite [...] per sostituire la loro ricerca d'una diretta “presentazione” di oggetti in cui si vengano obiettivando i bisogni spirituali dell’uomo, come negli strumenti del suo lavoro quo- tidiano si proiettano i suoi bisogni materiali [...]»®. Galvano, pur immerso in una personalissima ricerca non figurativa, nel periodo che all'incirca si estende tra il 1952 e il 1954, sviluppò una maggior 29. Ibid. 30 A. Griseri, Albino Galvano, in Dizionario Enciclopedico, Utet, Torino 1957. 31. A. Biglione, A. Galvano, A. Parisot, F. Scroppo, in “Arte con- creta” n. 9, 15 novembre 1952, ora in L. Caramel, Mac Movimento Arte Concreta 1948 - 1958, Electa, Milano 1984, p. 58. 20 adesione al MAC. Lo spazio dei suoi dipinti, asciugato dall'andamento curvilineo delle partiture, si popolò di forme squadrate dalla linearità spigolosa. Tutta- via, la freddezza costruttivista e il rigore logico del concretismo erano solo apparenti; l'artista puntava al contrario «ad un'arte che preservi il dialogo tra gli schemi astratto-geometrici e quelli compositivamente più liberi, moduli grafici e forme archetipiche non direttamente razionalizzate»”. Un precoce avvicinamento ai concretisti lom- bardi lo si data già al 1950. Galvano fu presente a Milano in due collettive: con Filippo Scroppo (1950, presentati da Gianni Monnet) presso la Libreria Il Salto, cenacolo della pittura concreta milanese e alla Terza mostra di pittura astratta italiana. Astrattisti milanesi e torinesi allestita alla Galleria Bompiani (1951, dove esponevano i piemontesi Costa, Davico, Mastroianni, Parisot, Scroppo, Spazzapan). I mag- giori rappresentanti della corrente di entrambe le regioni figuravano, Galvano compreso, anche alla II e III Mostra d’arte contemporanea di Torre Pellice del 1950-51. L'allineamento al MAC di Galvano fu palesato anche dalla sua presenza ad esposizioni promosse dal gruppo. La sortita d'esordio dei torinesi (Biglio- ne, Galvano, Parisot, Scroppo ai quali si aggiunsero anche Mario Davico, Mario Merz e Ugo Giannattasio) avvenne alla Saletta Gissi di Torino con la mostra Pittori astratto-concreti di Milano e Torino. Non fu però la prima presenza organica del concretismo in città poiché già nel 1950 presso la Galleria il Grifo si affacciarono alcuni esponenti milanesi così come alla Quadriennale Nazionale d’Arte di Torino dove comparve una nutrita schiera di astrattisti tra cui anche Galvano. Commentando la mostra presso Gissi, sul bollettino “Arte concreta” n. 9, Galvano esibiva la profonda sicurezza di una non superficiale accoglienza nell'ambiente cittadino e rilevava la sfaccettatura di posizioni della compagine torinese che collimavano in una base comune di principi. «Principi che possono riassumersi in una profonda fiducia nella capacità dell’uomo ad esprimersi e a comunicare con gli altri uomini, attraverso il puro linguaggio delle forme, attraverso l’organicità e la coerenza ch’esso sa imprimere ad un discorso i cui vocaboli non hanno bisogno di essere immagini e finzioni per legarsi a una sintassi espressiva e, nei casi più felici, poetica»®. La politica espositiva del gruppo torinese non 32. L Mulatero, in P. Mantovani, I. Mulatero (a cura di), Lucide inquietudini. Storie singolari dell’astratto-concreto tra il '50 e il ‘70, Civico Museo d’arte Contemporanea di Calasetta, Calasetta 2016, p. 26. 33 A. Galvano, Mostra di pittori concreti di Milano e Torino alla Saletta Gissi, in “Arte concreta” n. 9 cit., ora in L. Caramel, Mac Movimento Arte Concreta 1948 — 1958 cit., pp. 58-59. Con un'opera dalla serie i Nastri. ebbe seguito se non l’anno successivo alla Galleria 5. Matteo di Genova. L'eccezione è rappresentata da Galvano che figurò in svariate mostre organizzate dal MAC, si ricordano qui le principali: Pitture di Albino Galvano in un esperimento di sintesi, presso lo Studio b24 di Milano nel 1953 (valla pena rimandare agli «asterischi» galvaniani di quel periodo, quasi «privati manifesti» sui bollettini “Arte concreta” n. 12 e 14 che chiariscono la sua posizione all’interno del movimento) e lo stesso anno a Torino da Gissi esposero pittori concretisti italiani e francesi (Gal- vano presentò collages polimaterici di ascendenza prampoliniana); sempre al Torino l’anno successivo Galvano fu presente ad una mostra allestita dallo Studio b 24 in occasione del Salone dell'Automobile. Si menziona a parte la collettiva presso la Galleria il Fiore di Milano del 1954 dove Galvano espose insieme a Bordoni, Jarema, Parisot e Scroppo. Nello scritto introduttivo al catalogo elaborò stringenti analisi nei riguardi di un’«arte figurativa che non ripeta ma continui la natura», invitando il visitatore a riflettere «che l'apparente chiusura ad una più ovvia comunicazione di queste opere nulla intende precludere alla possibilità di uno scambio e di una penetrazione sempre possibili nell'esercizio di una 21 lettura figurativa per elementi, segno colore, mo- vimento, materia, ecc., non differenti da quelli che consentono la valutazione di ogni buona pittura»*. Non sono da dimenticare infine le presenze alle Biennali veneziane del 1952 e del 1954 con la sua produzione concretista e la ripresa espositiva alle rassegne della Società Promotrice di Belle Arti di Torino (1951, 1953, 1954). Dall'Informale al neoliberty floreale 1955- 1965 Il «logico passaggio all’astrattismo»” di Gal- vano culminò tra il 1952 e il 1954 in una fase di «tensione tra impaginatura attenta alle squadra- ture neoplastiche e colore tonale impastato». La vibrazione cromatica delle campiture, ottenuta attraverso una libera stesura di pennellate, lo portò a un lento e graduale sfaldamento delle sue strut- ture geometrico-architettoniche a favore dell’indi- pendenza dell'immagine e al protagonismo di una componente espressiva. Sul piano formale il gesto pittorico si faceva emancipato e l’organicità della materia riprendeva vigore. Si segnò qui il definitivo passaggio di Galvano all’Informale, lontano dall’interpretazione del neona- turalismo propugnata dal duo Carluccio-Arcangeli (è proprio nel 1955 che furono presentati a Torino i giovani artisti informali presso la Galleria La Bussola nell'esposizione Niente di nuovo sotto il sole, titolo che rivelava la volontà di mantenere una continuità con il passato e la natura). L'evoluzione del concretismo impose a Galvano (e alla compagine torinese del MAC) un binario doppio di direzioni che nonsiindirizzò all’antipittura quanto piuttosto alla scelta di rimanere «dentro la pittura» nell’opzione di un astrattismo lirico che lo condurrà verso l’Informale. Un Informale, sosteneva Galvano, affine alla «declinazione di un linguaggio asemantico in cui tuttavia potessero trovare esito quelle allusioni simbolistiche che già avevano un posto ben rivelato dai titoli dei miei quadri del periodo astratto-concreto Rica pe Una delle prime esposizioni che offrirono un Galvano smarcato dall’astrattismo di matrice con- creta fu la personale (undici opere del 1954-56) alla Biennale di Venezia del 1956 mirabilmente introdotta da Giulio Carlo Argan. «La radice comune della sua pittura [...]è la distinzione netta tra i concetti di forma e immagine. L'idea di forma è inseparabile dall'idea di arte come rappresentazione, implica sempre un contenuto di nozioni, un riferimento alla natura, un 34 A. Galvano, in Bordoni, Galvano, Jarema, Parisot e Scroppo, catalogo della mostra, Galleria Il Fiore, Milano 1954. 35 A. Galvano, Autobiografia cit., p. 20. 36 A. Galvano, in Bordoni, Galvano, Jarema, Parisot e Scroppo cit. 37 A. Galvano, Autobiografia cit., p. 20. processo dioggettivazione. L'idea diimmagine supera ildualismo dioggetto e soggetto, la relatività costante di quod significat e quod significatur; mira a designare un assoluto valore d’esistenza, a sostituire alla rap- presentazione un'immediata semantica». Seguitava Argan: «La sua è la ricerca di un'immagine che non abbia determinazioni dirette o indirette nel mondo esterno, che non si manifesti per via di similitudini o allegorie, che dichiari esplicitamente le sue origini e le sue ragioni esclusivamente umane, che si ponga ad un tempo come noumeno e come fenomeno. [...] Così la materia, non la forma, diventa mito ed immagine; e la materia è il colore, ma anche il segno, la linea, il punto». Nel 1957 Galvano venne invitato da Carlo Lu- dovico Ragghianti per una personale alla Galleria La Strozzina di Firenze. Nell’autopresentazione l'artista tenne a ribadire ancora una volta le convinzioni e la coerenza del suo percorso pittorico che lo avevano condotto all’Informale. La «formazione spirituale» si era compiuta, esplicava Galvano, «attraverso la mia adesione alle correnti non figurative, a quel- l'inversione” del simbolismo nell’astrattismo che ho cercato di spiegare storicamente in sede critica. Perciò a Kandinskij e al Kupka del 1913 [...] agli americani Pollock e Tobey, ai polimaterici di Prampolini. [...] L'unico germe di “manifesto” è quello sul “feticcio laico”. “Feticcio” cioè metafisica, ma “laico” cioè an- timetafisica”. Credo si possa essere antimetafisici solo nella misura in cui si è contro le false metafisiche. Nel caso dell’arte contro la falsa “ispirazione”, l'evasione sentimentale...»°. Tra il 1956 al 1962 il mezzo informale di Galvano virò verso accezioni neoliberty. La copertura totale della tela della prima fase si distillò per mezzo di uno sfondo neutro solcato da grafismi pittorici orientati sempre meno verso un'immagine quanto in direzione di archetipi floreali e calligrammidi scrittura gestuale. Galvano recuperava, seppur allusivamente, attraverso una nuova definizione di immagini, la figuratività «trasformando o meglio puntualizzando i ‘feticci laici” in “emblemi”»‘° esplicitati in forme larvali di iris, i fiori paradigmatici del Simbolismo. Sul finire del decennio Cinquanta e fino al 1965, oltre alle regolari presenze alle Promotrici torinesi e alle mostre annuali di Torre Pellice, si segnalano la puntata alla collettiva berlinese presso la Maison de France del 1957, le partecipazioni al V Premio Bergamo dell’anno successivo, ai Premi Arezzo (1960) e Fiorino. (Firenze 1960) e alla Quadriennale romana del 1963. Di particolare rilevanza in quel periodo furono 38. G. C. Argan, in catalogo dell’ XXVIII Biennale di Venezia, Venezia 1956. 39 A. Galvano, in catalogo della mostra, Galleria La Strozzina, Firenze 1957. 40 A. Galvano, Autobiografia cit., p. 20. 22 Nel 1972. due mostre. La personale del 1960 presso Galleria Il Canale di Venezia presentata da Edoardo Sanguineti che così ultimava il suo scritto: «I fiori Mallarmé ci costringono anche a riguardare di nuovo in faccia la posizione dell'artista las que la vie étiole, portando cosìla pittura ad assolvere a un compito, molto forte e molto importante, di smascheramento dell'avanguardia, nella forma, secondo le possibilità “moderne” di uno “estraniamento”»*!. Nella collettiva (Galvano, Scroppo e Levi Mon- talcini) alla Galleria il Quadrante di Firenze, Gillo Dorfles, accogliendo gli enunciati di Sanguineti, alluse altresì ad un significato orientaleggiante delle pitture di Galvano che avevano: «accolto nella loro matrice compositiva quasi il “vuoto” il sunyata di certa arte zenista, purrimanendo lige a una composta scansione di ritmi dell’Abendland»”. Pittore dunque in «senso tradizionale» si definiva Galvano che ricusava le forme antipittoriche, schiuse alla strada dell’arte-oggetto (della quale si interessò in sede teorica), per abbracciare una «simulazione d'avanguardia». Un profondo disagio lo condusse, tra il 1962 e il 1965, a compiere una pausa dalla pittura causata probabilmente dal cortocircuito innescato a causa di intendimenti antitetici perseguiti dal parallelo mestiere di critico e di artista. Come rimarcava Argan: 41 E. Sanguineti, in catalogo della mostra, Galleria Il Canale, Venezia 1960. 42 G. Dorfles, Tre pittori torinesi, in Albino Galvano, Paola Levi Montalcini, Filippo Scroppo, catalogo della mostra, Galleria Il Qua- drante, Firenze 1962. 43 A. Galvano, Autobiografia cit., p. 21. Con Filippo Scroppo. «la confluenza dei due percorsi di pensiero (e la sua pittura è tutta pensiero) sono difficili e interiormente sofferte[...]»*. Assumono infine un ruolo fondamentale nella produzione saggistica di Galvano i due volumi pubblicati in quel periodo: Per un’Armatura (Lattes, 1960) e Artemis Efesia. Il significato del politeismo greco (Adelphi, 1966). Sono opere difficilmente classificabili che attingono alla filosofia, alla storia delle religioni, alla psicoanalisi e all’antropologia. I due studi affron- tano il problema dell’interpretazione sia culturale che psicologica di un passato che ci coinvolge direttamente e sono al tempo stesso «processo di autoanalisi in me- rito al rapporto tra una figura-feticcio — un’armatura tardomedievale e un idolo greco — e l’area psichica della coscienza». Il decennio 1955 -1965 fu certamente per Galvano la fase più feconda di collaborazione con periodici e riviste tra cui le torinesi “Sigma”, “Cratilo” e come redattore di “Questioni” (già “Galleria di Arti e Lette- re”)con Vincenzo Ciaffi, Mario Lattese Oscar Navarro per l'editore Lattes. Una menzione a parte merita il 44 G. C. Argan, in catalogo della mostra, Galleria Unimedia, Genova 1974. 45M. T. Roberto, Albino Galvano, Dizionario biografico degli italiani, Treccani, Milano 1988. 23 contributo Le tigriimpagliate (1959) peril primo numero della rivista “Azimuth” fondata da Piero Manzoni ed Enrico Castellani. Per “Letteratura” nel 1960 Galvano pubblicò La pittura a Torino dal ‘45 ad oggi, un lucidissi- mosaggio che inquadrava, da testimone diretto, l’arte torinese del dopoguerra. Successivi furono i notevoli contributi sulla situazione artistica cittadina tra cui: Per lo studio dell'Art Nouveau a Torino (1960), Torino e i “secondi futuristi” (1962) e il più tardo La pittura a Torino all’inizio del secolo (1897-1918) (1978)?°. Bandiere, Nastri, «Griffonages» e Segni asemantici 1966- 1974 Nel 1966 con l'esposizione Erbe e Bandiere, presso la Galleria Botero di Torino, Galvano sentì «il bisogno di affiancare e poi sostituire gli emblemi ispirati alla natura con quelli di carattere artificiale più spogli e tendenti in qualche modo a una nuova astrazione». In mostra le forme organiche dai tratti guizzanti dell'ultimo Informale di Galvano furono accostate, in un felice trait d'union, con la nuova produzione attraverso la serie delle Bandiere. In uno scritto critico perla suddetta mostra Gilda Chepes sottolineava: «Le sue erbe alghe, le sue flammulae, più che bandiere, sembrano, ad analizzarle, vive, agitate da sentimenti, da spasimi da aneliti, da desideri»**. L'artista perseverò nella coerenza linguistica della sua ricerca che ancora una volta, nei più nuovi risvolti, non si collocò in un'immediata e netta inserzione in correnti o gruppi operativi. Gli estesi panneggiamenti svolazzanti dai colori accesi che si stagliavano su fon- di neutri riecheggiavano quasi un'antica tradizione araldica. I riferimenti pittorici non erano di certo estranei al linearismo sensuale del Liberty, anche nella sua declinazione decorativa, rammentando inoltre suggestioni neobarocche. Un commento di Carlo Mollino, riguardante un'architettura baroccheggiante di Galvano dipinta degli anni Quaranta, potrebbe restituire puntualmente le atmosfere delle recenti Bandiere espresse in uno: «scenario di questo tempo immobile nella chiara decisione di un arabesco che non si placa che in un ordine senza indulgenza, ma vivo di un amore disincantato»? Furono ancora le Bandiere ad essere esposte nel 1968 per una personale a Cremona alla Galleria d’arte I Portici. Gli stendardi svolazzanti davano la prova di una profonda conoscenza degli allora attuali linguaggi pop e forniscono anche un «grave riverbero di anti- chità» rendendo l’immagine «imminente e insieme assente che par scelta e fabbricata per un pubblico 46 Tutti gli scritti qui citati sono reperibili in A. Galvano, Dia- gnosi del moderno, cit. 47 A. Galvano, Autobiografia cit., p. 21. 48. G. Chepes, in “Borsa Arte”, 1966. 49 C. Mollino, in S. Cairola, Arte italiana del nostro tempo, 1946. senza tempo e d’ogni tempo [...]. Proprio per questo [...]è significante perché carica di intenzioni contrad- dittorie e fortemente drammatiche, nella dialettica che stabiliscono tra l’esperienza passata e l'avvento, e la necessità del presente»”. Dal1968Galvanosirivolse alla nuova serie pittorica dei Nastri mantenendo una viva tangenza allo sviluppo formale del periodo MAC. L'oggettivazione del dato geometrico si sostituì con una figurazione elementare di armonica tridimensionalità sull’estensione della tela. Le masse sventolanti e libere, nelle quali si evidenzia una ben nota propensione per l’ellissi e il semicerchio, proseguivano l'indagine sullo spazio volumetrico. Giuliano Martano asseriva appunto di un'«astrazione intellettuale, in cui i segni, i ghirigori, sono veri e pro- pri simboli codicillari, incognite d’equazione, libertà della memoria. [...] Nastri che si dipanano nel quadro senza né capo né coda e sono le bandiere di prima rese a brandelli, sono una forma chiusa che si apre, che da circonlocuzione diventa interlocuzione»?”!. Presso la Saletta d'Arte contemporanea di Cu- neo, nel 1972, Galvano presentò questa figurazione elementare di volute concave e convesse di recente produzione, che si palesavano, secondo Giorgio Brizio, «dall’uso parco e strettamente pensato delle timbrici- tà cromatiche. Basandosi su toni primari, operando esclusivamente sulla opacità della parte in ombra, Galvano può, in una suddivisione doraziana dell’in- fluenza tonale, usare la direttrice cinetica del timbro per equilibrare il dinamismo globale della partitura spazio-occupato, spazio-vuoto»”. Nel 1974 la personale alla Galleria Martano di Torino assunse il significato di una ricapitolazione, dal MAC al presente, in cui gli elementi nastriformi si erano evoluti, tra il 1973 e il 1974, in forme dall’aspet- to cellulare e in moduli verticali e curvilinei. Tracce realizzate a carboncino, impreziosite da lievi velature scariche di colore, campeggiavano solitarie sulla tela; la dimensione gestuale fu affiancata dall'espressione intellettiva dell'atto primario del dipingere. Questi moduli nella linea filogenetica della sua pittura non- figurativa «appaiono anche maggiormente legati ai dettami grafici di una cultura passata attraverso “quell’inversione del simbolismo nell’astrattismo” [...] che riaffiora con l’organicità delle sue forme così tese ed essenziali, rispondenti ancora una volta a quella logica interiore che resta come la matrice vera di ogni opera di Galvano»”. Lostesso anno una sala personale della 25° Mostra d'arte contemporanea di Torre Pellice venne dedicata a 50 E. Fezzi, in catalogo della mostra, Galleria d’arte I Portici, Cremona 1968. 51. G. Martano, Albino Galvano, in “Pianeta”, 1968. 52. G. Brizio, in catalogo della mostra, Saletta d'arte contempo- ranea, Cuneo 1972. 53. A.Dragone in “Stampa sera”, 1976. 24 Galvano che vi espose una ventina di opere. L'artista presentò efficacemente al pubblico la sua recente svolta pittorica: «ho sentito il bisogno di logorare la forma, di intercettarne la presunzione di organicità, sgranan- done il supporto disegnativo in pochi cenni grafici su cui il colore nonagisse più come elemento qualificante ma soltanto come sottolineatura allusiva. [...] Come nel ritmo stesso delle vicende vitali, a una stagione di estroversa aggressione della percezione dello spet- tatore si avvicendava una fase di ripiegamento sulla discrezione, sulla riserva, sultono contenuto». Coevi furono i Griffonages e i Segni dell'alfabeto asemantico lavori con scritte quasi illeggibili rese «come puro segno e gioco lineare [...] non senza un, fra ironico e intenerito, strizzar l'occhio al “concettualismo”»59. Sempre nel 1974 si ebbe la personale genovese alla Galleria Unimedia per la quale Saguineti imple- mentò la troppo riduttiva definizione del Galvano “doppio”, critico e pittore, trascendendo anche nella saggistica e nella filosofia e invitando a vedere «con totale persuasione [...] la forza della sua lezione [...] rispecchiata, con eguale fedeltà, nelle sue pagine e sopra le sue tele». Il discorso si reiterava anche nello scritto critico di Argan che chiudeva con un interro- gativo dal quale Galvano non si discostò mai: «Che cos'è la pittura?». «Ciò che vuol sapere è che cosa sia la pittura in questa precisa condizione della cultura, della coscienza, dell’esistenza, e quale il suo grado di vitalità, quali le sue possibilità di sopravvivere in uno spazio ogni giorno più ristretto»”. Tra la ripresa dopo l'interruzione pittorica e il 1974 si ricordano infine le puntuali presenze a collettive con cadenza annuale come la Promotrice delle Belle Arti e le mostre del Piemonte Artistico e culturale di Torino; le rassegne estive di Torre Pellice e due edizioni dell’Incontro di artisti piemontesi e liguri a Bordighera (1967, 1969). Il periodo ultimo 1975-1990 Dal 1975 si reimpose per Galvano un nuovo approccio rivolto alle forme naturali: la ripresa di una figurazione espressionista pervasa d’un realismo quasi visionario e il fascino recuperato, come confessò lo stesso artista, per le gidiane «nourritures terrestes». Galvano sembrò sentirsi quasi responsabile d'un tradimento verso la pittura allorché, per coerenza, operò una «sintesi tra l’ele- mento naturale e il non figurativo che gli consentì 54 A. Galvano, Personale di Albino Galvano, in 25° mostra d’arte contemporanea, catalogo della mostra, Scuole comunali, Torre Pel- lice 1974. 55 A. Galvano, Autobiografia cit., p. 21. 56 E. Sanguineti, in catalogo della mostra, Galleria Unimedia, Genova 1974. 57 G.C. Argan, in catalogo della mostra Galleria Unimedia, cit. SZ Nella bottega dell'antiquario. un'impaginazione astratta servendosi di forme non inventate, non di natura cerebrale ma veramente esistenti», Riemerse, con la serie dei Cespugli (fino al 1977 circa), la fascinazione per i cespi di iris, tema dominante di inizio anni Sessanta, ma questa volta non più giocato con la «gestualità irruente» del colore spremuto direttamente sulla tela, eredità del linguaggio informale, ma attraverso un sedimen- tato approccio di sottili velature di pittura a olio utilizzata come gouache che si rifaceva alle delicate tinte dei moduli di qualche anno precedenti. Gli sfondi bianchi svuotati erano percorsi esplicita- mente da segni grafici e scritte che sembrarono dischiudere uno spiraglio perfino alla poesia visiva. Fu Galvano stesso, riferendosi a questi la- vori — esposti in una personale del 1977 presso la Galleria Weber di Torino — a parlare di «archetipo floreale» dove «il fiore dell’iris scandisce l’intrico dei segni, grafismi di parole o di immagini, altre volte rigidamente modulari o, almeno non anco- ra piegati all’allusione significativa. ‘“Cespugli” 58 A. Spinardi, in catalogo della mostra, Piemonte Artistico e Culturale, Torino 1982. 25 perciò in contrapposizione ai glifi dell’”alfabetico asemantico” e dei griffonages che li avevano, verso la fine del 1974, preceduti»®?. Dal 1978 e fino al concludersi del decennio seguì la serie dei Motivi vegetali (Ciottoli, Foglie, Frutti, Relitti). La riappropriazione di una rappresentazione ottica- mente realistica fu solo apparente; il candore neutro dei fondiesaltava una suggestione di tridimensionalità attraverso la scansione prospettica degli oggetti. Tali elementi solitari erano estraniati dal loro contesto naturale e inseriti negli spazi illusori di questa pittura d’assenza. Sul cadere diogni riferimento a contenuti simboli- ci «o anche solo sentimentali» della pittura di Galvano, ne scrisse Renzo Guasco in un testo che introduceva lagrande mostra retrospettiva dell'artista organizzata a Torino nel 1979 dalla Regione Piemonte. Tali opere, per Guasco, «non sono più emblemi né simboli che rimandano a un ulteriore significato. Per essi si può forse parlare di “sospensione di senso” (per usare un termine di Barthes), di un muto stupore di fronte alla vita e alla natura. Le foglie morte e i relitti di Galvano rifiutano il significato, e quindi ogni commento, o spiegazione. Il cespuglio spezzato è solo un cespuglio spezzato; le foglie, anche se rosse, autunnali, non sono les feuilles mortes»®. Con avvio del decennio Ottanta ne i Paesaggi (Rocce, Alberi, Isole) vi fu il riutilizzo di una stesura cromatica che spesso occupava l’intera tela con un conseguente recupero dell'effetto tonale. Gli spazi desolati, le «muse inquietanti», che Galvano propose in questa fase suggerirono a Paolo Fossati richiami alla pittura metafisica. «Luoghi, intanto, vuoti, svuotati di allotrie presenze, come è giusto siano le radure vuote e silenti, per il camminante che vi si ferma a pensare e meditare. Luoghi di pensiero e di inconsci sofismi: con i relativi feticci oppure archetipi, teste in gesso di eroi, manichini nel pictor optimus; rami sassi acque per Galvano»®!. L'artista in età avanzata, provato dalla difficoltà dell’offuscamento della vista, con le serie di guazzi su carta di Nudi e Macchie sperimentò infine, una pittura liquida fatta di segni colantiin un'inversione di «sgor- bi cromatici di netta matrice informale»? Nel 1988 confessava ai lettori del catalogo della Galleria Micrò (una delle sue ultime mostre): «Ancora una volta ho voltato gabbana e me ne scuso a chi può dare fastidio, 59 A. Galvano, in catalogo della mostra, Galleria Weber, To- rino 1977. 60 R. Guasco, in N. Pizzetti e G. Givone (a cura di), Albino Gal- vano cit., p. 16. 61 P. Fossati, Per un omaggio a Galvano, in P. Fossati, F. Garimol- di e M. C. Mundici (a cura di), Omaggio a Albino Galvano, catalogo della mostra, Circolo degli Artisti, Torino, Electa, Milano 1992, p. iz. 62 A.Galvano, in catalogo della mostra, Galleria Micrò, Torino 1988. ma vorrei ricordare che vi è stata una mia stagione di “eriffonages” [...] che a questi fogli ultimi molto si apparenta, anche se là il segno prevaleva, monocromo [...]. Perciò dico a mia difesa — il diritto di difendersi è sempre riconosciuto ai colpevoli — “versatilità, ca- pricciosità sì, incoerenza no”»®. Molti furono gli spazi espositivi torinesi che ac- colsero le personali di Galvano inquadrando la sua ultima fase pittorica, tra cui: la Galleria Weber (1977), il Piemonte Artistico e Culturale (1982), la Galleria Cittadella (1981 e 1984) e la Galleria Micrò (1988). Occasioni extracittadine rilevanti furono presso la Galleria Morone di Milano (1979), la Galleria Villata a Cerrina Monferrato (1980) e la bipersonale insieme a Gino Gorza presso Palazzo Te a Mantova (1988). Si rammentano poi l’antologica presso la Galleria La Cittadella di Torino con opere dal 1930 al 1950 (1976); la vasta esposizione del 1979 organizzata dalla Regio- ne Piemonte presso Palazzo Chiablese di Torino che esplorava l’intera carriera dell'artista (corredata da un notevole apparato critico in catalogo) e le mostre retrospettive del 1989 e 1990 alla Galleria Accademia di Torino. Costanti furono inoltre le partecipazioni a collet- tive come alla Promotrice torinese (dal 1975 al 1979), alla Galleria Martano (1976) e all'esposizione Torino tra le due guerre presso la Galleria d’arte moderna di Torino. Infine, nell’ambito della rinnovata attenzione perlostoricizzato Movimento Arte Concreta, Galvano figurò in svariate mostre a: Cavallermaggiore (1980), Torre Pellice (1983), Gallarate (1984), Aosta (1987). Albino Galvano morì il 18 dicembre 1990 a Torino all’età di ottantatré anni. La dichiarazione conclusiva sugli intendimenti di una pratica pittorica perseguita per l'arco di una vita intera è affidata a Galvano stesso e permette di afferrare almeno un aspetto di questa multiforme e primaria figura di artista, critico e intellettuale italiano del Novecento. «Di una sola coerenza credo di poter- mi vantare, ma è coerenza che in qualche modo mi sequestra al di fuori di tanta arte contemporanea: la fedeltà alla tela, al colore ai pennelli. In parole povere ho sperimentato molto, forse troppo e troppo disper- sivamente, ma non mi sono mai sentito vicino alle ricerche di chi avevarifiutato o cercato un'alternativa ai mezzi tecnici — che poi vuol dire anche espressivi — di una tradizione che va dal Cinquecento agli impressio- nisti, ai fauves, agli espressionisti. Fedeltà o incapacità di uscire dalla routine? Non sta a me deciderlo. Ne rivendico la responsabilità o il merito». 63 bid. 64 A.Galvano, in catalogo della mostra, Palazzo Te, Mantova 1988. 26 Seconda metà anni Settanta. Alla presentazione del volume "La pittura, lo spirito e il sangue", 1988. Da discepolo a interprete. Albino Galvano e Felice Casorati Alessandro Botta “Quando, a vent'anni, mi presentai alla Scuola di via Galliari, cioè allo studio di Felice Casorati, avevo dietro le incerte aspirazioni dettate da una pretesa mia attitudine al disegno [...]. Poco, ma abbastanza, insie- me alla passione per la storia dell’arte, perché seguis- si con attenzione sulle riviste (specialmente “Empo- rium”) le Biennali veneziane del 1926 e del 1928 che mi educarono al gusto per l’arte contemporanea”. Con queste parole Albino Galvano apre la sua auto- biografia scritta per una mostra retrospettiva torinese del 1979, definendo sin da subito le proprie origini di formazione e circostanze di aggiornamento. Nato nel 1907, “anno in cui, con le Demoiselles’ di Picasso, l’arte occidentale vedeva chiudersi il ciclo iniziatosi alla fine del duecento”? si iscrive al liceo classico Cavour insie- me a Giulio Carlo Argan (“eravamo vicini di banco”), e presto interrompe gli studi per dedicarsi interamente alla pittura, seguendo inizialmente le indicazioni di ar- tisti intercettati attraverso le conoscenze familiari.‘ Un temperamento vivo e curioso, il suo, che più che seguire le letture e gli studi che il percorso scola- Stico gli impongono, preferisce accrescere le proprie conoscenze con una formazione isolata, fatta di letture personalissime: “Mi seppellivo cinque-sei ore al giorno in biblioteca — sostiene in un'intervista —. Lì incomin- ciai a leggere ‘La Critica’. Nel’25 avevo letto Bergson” 5 Nell’atteggiamento che caratterizza il giovane artista, concentrato ad inseguire le proprie passioni piuttosto che le strade già battute, si può forse leggere una conti- nuità nella scelta di rivolgersi a Casorati come maestro, una decisione non così scontata in una Torino dove gli orientamenti estetici erano ancora influenzati dall’in- gombrante figura di Giacomo Grosso e dall’insegna- mento della paludata Accademia Albertina. Galvano ha una fascinazione improvvisa verso l'artista torinese, arrivata attraverso l'osservazione di- 1 A. GALVANO, Autobiografia, in N. PizzETTI, G. Givone (a cura di), Albino Galvano, catalogo della mostra (Torino, Palazzo Chia- blese, 21 dicembre 1979 - 13 gennaio 1980), Regione Piemonte, Torino 1979, p. 17. 2 Ibidem. 3 G. C. ARGAN, Albino Galvano [presentazione], in XXVIII Bien- nale di Venezia, catalogo della mostra (Venezia, giugno - ottobre 1956), Alfieri Editore, Venezia 1956, p. 213; “Non eravamo tra i pri- mi della classe: troppe cose c'interessavano, che non avevano nulla a che fare col programma, e ne discutevamo per interi pomeriggi, dimenticando le versioni di latino e i problemi di matematica. For- se quell’amicizia di ragazzi ci costò qualche esame a ottobre ma, almeno per me, non fu un'esperienza inutile” (Ibidem). 4 Galvano parla di “un apprendistato presso il Vannini, ma- estro di disegno a cui ero stato indirizzato dal pittore Giovanni Pisano amico di famiglia, che avevo avuto spesso occasione di veder al cavalletto” (A. GaLvano, Autobiografia [1979], cit., p. 17). ©) [Intervista di L. Lanzardo ad A. Galvano], in P. Fossati, F. GarmoLpi, M. C. Munpici (a cura di), Omaggio a Albino Galvano, catalogo della mostra (Torino, Circolo degli Artisti, 23 gennaio - 1° marzo 1992), Electa Piemonte, 1992, p. 140. Ud Albino Galvano alla mostra personale di Palazzo Chiablese, Torino, 1979. Archivio Storico della Città di Torino, fondo "Gazzetta del Popolo". retta di alcuni suoi dipinti presenti nelle collezioni del museo cittadino: “Alla Galleria di Torino — sostiene egli stesso nell’autobiografia del 1952 — mi erano cioè pia- ciuti piuttosto i bianchi di tempera con il rosso dei co- ralli o il cielo spugnoso del bozzetto per il ‘Ritratto del- la signora Wolf” che il neoquattrocentismo del ‘Ritratto della sorella’”.. Prime indicazioni attestabili dopo il 1926, sintomatiche di un interessamento che si rafforza man mano e che è destinato a diventare decisivo per il suo ingresso nella scuola dopo la visita alla Biennale veneziana del 1928, nella quale Casorati espone,” oltre ad otto dipinti, anche due statue destinate al proscenio per il teatro Gualino. Galvano è colpito, in questa occa- sione, ‘“[dal]l’azzurro o il paglierino di stoffe e legni in ‘Daphne’ che le pose ricercate dei nudi”. 6 A.GALVANO, [autobiografia], in Albino Galvano, catalogo del- la mostra (Asti, Galleria La Giostra, 1952), Asti 1952, p.n.n.; rela- tivamente ai dipinti di Casorati citati si veda il catalogo generale dell'artista G. BERTOLINO, F. PoLi, Felice Casorati. Catalogo generale. I dipinti (1904-1963), 2 voll., Allemandi & C., Torino 1995, nn. 188 (1922), 250 (1925). Da qui in poi citato come (Bertolino, Poli). 7 A. GALVANO, [autobiografia] [1952], cit., p. n.n. Relativamen- te alla Biennale del ‘28 scrive: “Quella del 1928 volli visitarla di persona e vi fui impressionato specialmente da Felice Casorati, sicché decisi, scoperto che abitava a Torino, di iscrivermi alla sua scuola.” (Ip., Autobiografia [1979], cit., p. 17). 8 Ibidem;inquell’occasione, oltre al Ritratto di Daphne (1928) (Ber- tolino, Poli 328), Casorati espone l’opera Ragazze dormenti (o Mozart) (1927) (309), ricordata da Galvano nel suo racconto autobiografico. L'ingresso alla scuola, avvenuto probabilmente verso la fine dell’anno o all’inizio di quello successivo, lo vede inserirsi in un ambiente già consolidato, ac- cresciuto notevolmente d’iscritti rispetto al nucleo fondante di stretto discepolato del suo studio “che sta tra l'accademia e il monastero” del 1921.!° La “Scuola libera di pittura”, inaugurata nel 1927 in via Galliari 33, è ormai una realtà pubblica, che riunisce maestro e allievi e li vede impegnati come fronte coeso nelle esposizioni cittadine e nazionali.! La serietà e la dedizione alla pittura sono le ca- ratteristiche fondamentali che danno l’accesso alla scuola: lo si ricava dalle impressioni che risuonano con continuità tra i commenti e i ricordi degli allievi che in tempi diversi affrontano l’alunnato casoratia- no.! Galvano non fa eccezione: “L'accoglienza fu, come era nel suo stile, di una signorile severità”.! Ma, al di là delle incertezze iniziali, il maestro sem- bra essere più colpito dalla spiccata vivacità intel- lettuale del giovane allievo piuttosto che dalle sue capacità pittoriche: “credo che — sottolinea Galvano raccontando di se stesso — abbia avuto subito per l’uomo la simpatia e la stima che poi sempre mi di- mostrò, forse assai più scarsa la fiducia nelle mie possibilità di pittore, il che mi fu ottimo stimolo a intestardirmi e ad impegnarmi a fondo”! Tra la fine di ottobre e l’inizio di novembre del 1929 lo scolaro “intelligente ma noioso, predicatorio”, secondo il ricordo di Lalla Romano (anche lei discepola di Casorati),'° presenta le sue opere per la prima volta con il gruppo di allievi alla II Esposizione d’arte allesti- ta nello studio di via Galliari. L'esposizione “intima”, alla sua seconda edizione, è aperta al pubblico di inte- ressati (a visitarla, sono perlopiù personalità del milieu intellettuale antifascista cittadino) e vuol essere una “raccolta dei lavori più notevoli eseguiti dagli allievi nello scorso anno”.!° La prova generale della scuola non sembra però garantire a Galvano l’accesso all’im- 9 Galvano, a molti anni di distanza, fissa la sua presenza nella scuola “dalla fine del 1928 a quella del 1930” (A. GaLvano, Auto- biografia [1979], cit., p. 17). 10 P. GOBETTI, Felice Casorati pittore, Torino [1923], p. 91. 11 Perunostudiosulla scuola di Casorati e sulle vicende espo- sitive della stessa si veda V. CavaLLaro, La scuola di Casorati, tesi di laurea, Facoltà di lettere e filosofia, Università degli Studi di Torino, 2012, relatore: F. Rovati; F. Poi, V. CavaLLaro (a cura di), La scuola di Felice Casorati ed Andrea Cefaly, catalogo della mostra (Catanzaro, Complesso monumentale di San Giovanni, 26 ottobre — 26 novembre 2017), Rubettino, Soveria Mannelli 2017. 12 testimonianze e memorie dei suoi discepoli, in C. Pianciola (a cura di), Il critico e il pittore. Gobetti, Casorati e la sua scuola, Aras Edizioni, Fano 2018. 13 A. GALVANO, Autobiografia [1979], cit., p. 17. 14 Ibidem. 15. L. Romano, Una giovinezza inventata, Einaudi, Torino, 1979, p. 192. 16 E. PauLuccCI, Cronache torinesi. Scuola di Casorati, in “Le Arti Plastiche”, 16 novembre 1929, p. 2. Su questo argomento si veda A. BOTTA, Felice Casorati nelle. 28 minente esposizione alla Galleria Valle di Genova — or- ganizzata probabilmente da tempo e inaugurata nel gennaio del nuovo anno -, che vuol essere l’occasio- ne per riunire una selezione più stretta degli allievi.!” Dovrà attendere ancora qualche mese, in primavera, prima di assistere alla presentazione di un suo dipinto (accolto per accettazione dalla Giuria) alla Biennale del 1930.!* Riuniti attorno al maestro, gli allievi di Casorati — otto in totale — occupano la sala 30, attigua alla fortu- nata e discussa retrospettiva di Modigliani ordinata da Lionello Venturi, che non manca di far nascere alcune corrispondenze e letture parallele con le opere dei ca- soratiani. Da questo momento in poi Galvano incomince- rà ad essere presente con continuità alle mostre della scuola. Una conferma che arriva già a poche settima- ne di distanza con la partecipazione alla 88° esposizione della Società Promotrice delle Belle Arti con ben quattro dipinti. Ancora alla fine dell’anno il suo nome si regi- stra tra gli allievi presenti alla III Esposizione d’arte di via Galliari,' mentre nel gennaio del 1931 viene segna- lato come uno dei “casoratiani” che espongono - que- sta volta senza il maestro — alla mostra torinese degli “Amici dell’ Arte”. Se fino a questo momento le opere di Galvano non sembrano sollecitare più di tanto l'interesse della critica — forse perché il modello del maestro è troppo riconoscibile nella sua pittura —, l'occasione della I Qua- driennale d'Arte Nazionale di Roma del gennaio 1931 apre ad un interessamento che coinvolgerà da lì in poi anche il giovane artista torinese, presente con il dipinto Estate, riprodotto per l'occasione sulla nota rivista mi- lanese “La casa bella”?! Galvano, ancora coeso al gruppo almeno fino al marzo di quell’anno (la sua presenza è confermata in una mostra di “scuola” allestita alla galleria Milano), 17 Esposizione dei pittori Casorati, Bay, Bionda, Bonfantini, Mar- chesini, Maugham, Mori, prefazione di G. Pacchioni, catalogo della mostra (Genova, Galleria Valle, 20 gennaio - 3 febbraio 1930), Ge- nova 1930. 18. Sitratta del dipinto Paese con un ponte; cfr. Catalogo XVII Espo- sizione Biennale Internazionale d'Arte 1930, catalogo della mostra (Venezia, maggio - novembre 1930) Venezia 1930, sala 30, n. 18. 19 Cfr. E. Pautucci, Cronache torinesi. Scuola di Casorati, in “Le arti plastiche”, 16 gennaio 1931, p. 2. 20 Cfr.E. ZANZI, Cronache torinesi. La mostra degli “Amici dell’Ar- te”, in “Emporium”, vol. LXXIII, n. 433, gennaio 1931. pp. 50-51. 21. P. Torriano, Cronache d’arte. Note alla I Quadriennale, in “La casa bella”, marzo 1931, p. 57. Relativamente alla partecipazione degli artisti piemontesi alla rassegna romana si veda L. IAMURRI, Levi, Paulucci e gli altri. Presenza torinesi alla Quadriennale, in M. Cossu, C. MicHELLI (a cura di), Cultura artistica torinese e politiche nazionali 1920-1940, catalogo della mostra (Roma, Galleria Nazio- nale d'Arte Moderna, 16 dicembre 2004 - 13 febbraio 2005), Electa, Milano 2004, pp. 58-60. 22. Cfr. Bay, Bionda, Bonfantini, Casorati, Chicco, Cremona, Donati, Galvano, Levi, Maugham, Marchesini, Mennyey, Mori, catalogo del- la mostra (Milano, Galleria Milano, 1° - 15 marzo 1931), Milano 1931. Copertina del catalogo della mostra alla Galleria Milano, Milano 1931. incomincia a dar segni di cedimento rispetto allo sta- tuto casoratiano e nei confronti della scuola. Un di- Stacco progressivo che si rende evidente nell'esercizio Stesso della pittura, che lo vede ricercare una propria indipendenza e nuove vie di espressione. La Promo- trice del 1931 diventa per lui un terreno di confronto nel quale presentare le più recenti ricerche, filtrate at- traverso nuovi modelli nel frattempo subentrati e ma- turati, chiariti con lucidità — a distanza di anni — dallo Stesso artista: Mi affascinavano il tentativo di ricostruzione formale del mio maestro e, contemporaneamente e contradditto- riamente, gli esiti dell’impressionismo e postimpressio- nismo, sia nelle loro accezioni originali sia nelle riprese locali dei Sei e, in genere, la pittura di colore e di tocco, ovviamente legata a una visione naturalistica. Nel du- plice e, in certo senso, contraddittorio intento di tener Insieme i valori plastici di Casorati e quelli cromatici dei Sei il risultato diveniva naturalmente pesante, impasta- to, anche perché subivo fortemente l'influenza di una certa pittura francese [...], o meglio di una pittura che si faceva in Francia spesso da stranieri, [...] che allora agli inizi degli anni trenta mi affascinava dalle pagine di “L'Art Vivant”.® Assente il maestro, Galvano è presente con tre ope- re. La Composizione con figura, in particolare, riprodotta 23. A. Galvano, Autobiografia [1979], cit., p. 18. 29 sia in catalogo che sulla rivista “Emporium”,’° mostra gli esiti dell'aggiornamento condotto sugli esempi dei post-impressionisti francesi e sulle proposte figurative dei “Sei” (sciolti ufficialmente, come gruppo, proprio nel 731), che si riconoscevano nella linea di rinnovamento dell’arte contemporanea tracciata da Lionello Venturi.® Il passaggio, da questo momento in poi, è breve. Complice un disfacimento generalizzato della scuola stessa, il pittore, alla mostra degli “Amici dell'Arte” al- lestita nell'autunno del medesimo anno, è considerato già da tutti un ex allievo.?? Ma la sua fedeltà al maestro e l'amicizia che li lega lo vedranno partecipare ancora ad una mostra di “scuola”, allestita nel teatro di Pavia all’inizio del 1932. Accanto agli ex compagni, Galva- no diventa una presenza eccentrica. Le sue opere, che spaziano tra i generi (dalla natura morta al paesaggio), mostrano la sua indecisione circa la strada da intra- prendere, alla luce delle più recenti scoperte, passando “da l’espressionismo a l'impressionismo senza un atti- mo di esitazione”. La “rottura” con Casorati — 0 presunta tale —, coin- cide con il suo esordio di critico e con il suo avvicina- mento a Lionello Venturi, al quale viene introdotto dal suo compagno di studi Giulio Carlo Argan.* Nel lu- glio del 1932 Galvano pubblica il suo primo contributo sull’illustre rivista trimestrale “L'Arte”, che a partire dal 1930 vede Lionello impegnato nella condirezione accanto al padre Adolfo. La presenza del figlio, pro- fessore all’Università di Torino, apre il periodico al di- battito sulle arti contemporanee, fino a quel momento escluso dai contenuti tradizionali della rivista. Il saggio Armando Spadini e il gusto degli impressionisti? mostra l'avvicinamento di Galvano alla critica venturiana, già evidente nel titolo del contributo (che riecheggia il più celebre volume del 1926)" e che si conferma nei conte- nuti e nel soggetto stesso dell'articolo. 24 E. ZANzZI, Cronache torinesi. Dopo ottantanove anni... L'Esposi- zione Interregionale della Promotrice di B. A., in “Emporium’”, vol. LXXXIV, 443, novembre 1931, p. 307. 25 Alberto Rossi, sulle pagine de “L'Italia letteraria”, sottolinea come Galvano sia ormai “teso a tutt'uomo alla ricerca di costru- zioni personali” (A. Rossi, Una mostra interregionale, in “L'Italia letteraria”, 12 luglio 1931, p. 4), mentre Emilio Zanzi, su “La Gaz- zetta del Popolo”, rileva come la distanza -tra allievo e maestro- sia ormai sensibile sia da un punto di vista cromatico che formale: “Il giovane Galvano - fa notare - sta liberandosi dai grigi e dalle tristezze casoratiane e ora si esperimenta, con accortezza e con gusto, nelle esperienze di Matisse e di Friesz” (E. z. [E. Zanzil], L'arte al Valentino. La terza Mostra regionale del Sindacato delle Belle Arti, in “Gazzetta del Popolo”, 14 maggio 1931, p. 6). 26 Cfr.e.z. [E. Zanzi], Agli “Amici dell'Arte” pittori, scultori, ar- chitetti, decoratori. La mensa degli avieri ideata da S. E. Balbo, in “Gaz- zetta del Popolo”, 10 ottobre 1931, p. 7. 27, P.A.Sornini, Alla mostra Casorati II, in “Il Popolo di Pavia”, 27 gennaio 1932, p. 3. 28 Cfr. A. GALVANO, Autobiografia [1979], cit., p. 17. 29 In., Armando Spadini e il gusto degli impressionisti, in “L'Arte”, vol. III, nuova serie, IV, luglio 1932, pp. 318-331. 30 LL. VENTURI, Il gusto dei primitivi, Zanichelli, Bologna 1926. Accanto all'impegno pittorico, piuttosto in crisi in questo periodo (“per una dozzina d'anni, mi mossi un poco a casaccio”), Galvano intraprende gli studi universitari presso la Facoltà di magistero. Una scelta che è dettata non tanto dalla sua ben nota passione per le materie letterarie e filosofiche o dalla sua curiosità innata, ma più semplicemente da “problemi economi- ci” che lo obbligano “in fretta e furia a prendere una laurea e ad iniziare l'insegnamento in istituti privati” La fine del suo percorso di studi, che si conclude con una Tesi sulla pedagogia della religione discussa con Angiolo Gambaro e Nicola Abbagnano, coincide con la ripresa dell'attività di critico ma anche di saggista,” che si fa particolarmente intensa a partire dal 1938 e che lo vede collaborare con le riviste “Il Selvaggio” ed “Emporium”. AI di là dell'abbandono della scuola di Via Gal- liari, Casorati resta per Galvano un solido punto di riferimento, non tanto come esempio figurativo o di pratica pittorica da seguire, ma come rappresentate di un modello culturale autorevole e indipendente pre- sente in città. L'amicizia tra i due, avviata alla fine degli anni Venti e riconfermata in più occasioni, sembra in questo giro di anni intensificarsi ulteriormente, antici- pando il sodalizio che porterà alla pubblicazione della monografia per la collana “Arte Moderna Italiana” di Scheiwiller nel 1940, dedicata integralmente al mae- stro.” A partire dal 1938 (fino al 1942) incomincia a col- laborare con “Emporium” occupandosi di curare la sezione Cronache torinesi del mensile. Questo nascente incarico gli permette di affrontare e commentare l’atti- vità artistica piemontese, confrontandosi con un uni- verso legato ad una rivista nota ed ampiamente diffusa e discussa. Casorati è sempre presente nei suoi articoli: viene seguito passo passo da Galvano sia nelle vesti di pittore che di organizzatore culturale, offrendo in spe- cial modo la propria attenzione all'impresa della galle- 31 A.GALVvano, [autobiografia] [1952], cit., p. nn. 32. [Intervista di L. Lanzardo ad A. Galvano], cit., p. 138. 33. Da ascriversi sempre al rapporto con Venturi sono i tre vo- lumi di Galvano, apparsi a partire dal 1938 per l'editore Nemi di Firenze (L'arte egiziana antica [1938]; L'arte dell'Asia occidentale e centrale [1938]; L'arte dell'Asia orientale [1939]), pubblicati nella collana “Novissima enciclopedia monografica illustrata”. 34 “Casorati [...] sapeva rispettare la personalità dell'allievo anche quando non era affatto d'accordo sulla visione dell’allie- vo. Infatti quei pochi che sono venuti fuori tra i molti che c'erano - Bonfantini, Chicco, Paola Levi Montalcini, ed io, ci siamo subito allontanati da Casorati pur restando suoi amici, pur essendo sem- pre aiutati da lui sul piano pratico per mostre ed esposizioni. [...] Ma la Montalcini ed io siamo passati negli anni Cinquanta all’a- strattismo, poi all’informale, tutte cose che Casorati... ma non ci ha mai tolto né la sua amicizia né la sua protezione. In questo era veramente un grandissimo signore” ([Intervista di L. Lanzardo ad A. Galvano], cit., p. 141). 35 A. GALvano, Felice Casorati, Arte moderna italiana n. 5, Serie A - Pittori - n. 4, Ulrico Hoepli, Milano 1940. 30 ria “La Zecca”, avviata dal maestro a Torino insieme a Enrico Paulucci in via Verdi 15.5 Se appare piuttosto chiaro come Galvano tenti — con i mezzi a sua disposizione — di promuovere e so- stenere l’amico Casorati nelle sue molteplici attività, il maestro, dal canto suo, cerca di aiutare il suo ex-allievo nel suo percorso di pittore. È lo stesso Galvano a di- chiarare apertamente, molti anni più tardi, come la sua affermazione al Premio Bergamo sia in realtà frutto di un aiuto arrivato dallo stesso maestro: “Casorati era molto potente [...] mi fece accettare [al Premio Berga- mo], mi fece sempre dare qualche premio, per cui mi trovai agganciato”. Presente con continuità dal 1939 al 1942, Galvano si aggiudica per ben tre anni i pre- mi in denaro del concorso. Solo nella seconda edizio- ne non compare tra i vincitori, ma la sua opera viene acquistata dal Ministero dell'Educazione Nazionale a titolo di incoraggiamento. Il. Verso la fine del 1940 è data alle stampe la mo- nografia “Felice Casorati” scritta da Albino Galvano, apparsa per le edizioni Hoepli di Milano.* La pub- blicazione si inserisce all’interno dell’ambiziosa col- lana “Arte Moderna Italiana” inaugurata nel 1925 e coordinata da Giovanni Scheiwiller, immaginata per raccogliere — uno dopo l’altro — gli artisti italiani più noti del tempo, attraverso piccole monografie illustra- te, introdotte da un testo critico che viene di volta in volta scelto dall'editore o dall'artista protagonista del volume. In questo caso, è infatti Casorati a suggerire il nome del giovane critico a Scheiwiller, incaricandolo di aggiornare radicalmente la precedente edizione di Raffaello Giolli, ormai vecchia di quindici anni.” La piccola monografia di Galvano non si colloca, all’epoca, come una novità di genere nella letteratura artistica del pittore, ma rientra in un panorama già piuttosto sedimentato di studi sul maestro, che si oc- cupano di fornire uno sguardo complessivo sull'intera produzione raggiunta sino a quel momento. Il volume 36 Ip., La collezione Della Ragione, in “Emporium”, vol LXXXVII, 520, aprile 1938, p. 220; Ip., Torino. Maccari alla “Zecca”, in “Em- porium”, vol. LXXXIX, 531, marzo 1939, pp. 161-162. In., Torino. Mostre alla “Zecca”, in “Emporium”, vol. XC, 537, settembre 1939, pp. 161-163; Ip., Torino. Mostre alla “Zecca”, in “Emporium”, vol. XC, 538, ottobre 1939, pp. 203-204. 37. [Intervista di L. Lanzardo ad A. Galvano], cit., p. 138. 38. A. GALVANO, Felice Casorati, cit. Per uno studio sulla mono- grafia si veda A. Botta, Albino Galvano e Felice Casorati. La mono- grafia per la collana “Arte Moderna Italiana” di Giovanni Scheiwiller, tesi di specializzazione, Università degli Studi di Udine, 2014- 2015, relatore: F. Fergonzi. 39 R. Giotty, Felice Casorati, Arte moderna italiana n. 5, Serie A - Pittori - n. 4, Ulrico Hoepli, Milano 1925. lo studio di Giolli, infatti, limitava necessariamente l'indagine sull'artista alla prima metà degli anni Venti. di Gobetti del 1923,‘ che si propone come una rico- struzione cronologica del percorso artistico (nonostan- te la limitatezza della produzione casoratiana) apre la strada a numerosi tentativi di interpretazione e ordi- namento dell’opera del maestro, non limitati alle pub- blicazioni di carattere monografico (il caso successivo — come si è detto — è quello di Giolli) ma rintracciabili anche all’interno di contributi meno estesi che, a par- tire dal saggio di Venturi uscito il medesimo anno su “Dedalo”, diventano sempre più frequenti nei tempi a venire, anche sotto forma di presentazioni nei catalo- ghi delle esposizioni.” La critica contemporanea studia la produzione di Casorati secondo principi e approcci molto differen- ti che, verso la metà degli anni Venti, tendono a farla rientrare in quel processo di costituzione di un'arte nazionale ufficiale: un’annessione ai “pittori del Nove- cento” (non pienamente condivisa dall'artista) che sarà esplicitata nell'articolo di Margherita Sarfatti apparso su “La Rivista Illustrata del Popolo d’Italia” nel marzo del 1925* e che contribuirà a determinare una lettura della pittura di Casorati divisa “tra estetica e lettera- tura”, destinata a rimanere ancora per molto tempo identificativa del suo lavoro. Intorno agli anni Trenta il lavoro di Casorati rien- tra già nell'ottica di una ricostruzione storica più am- pia dell’arte italiana ed internazionale: le pubblicazioni della Sarfatti, di Virgilio Guzzi, di Vincenzo Costanti- ni, di Anna Maria Brizio e — poco più tardi - di Ugo Nebbia, esaminano Casorati secondo una prospettiva generale (con le inevitabili ed ulteriori opinioni con- traddittorie), ma sono tutte piuttosto concordi a identi- 40 P. Gost, Felice Casorati pittore, cit.. 41 L. VENTURI, Il pittore Felice Casorati, in “Dedalo”, IV, fasc. IV, Settembre 1923, pp. 238-261. 42 Ip., Mostra individuale di Felice Casorati, in XIV Esposizione Internazionale d'Arte della Città di Venezia, catalogo della mostra (Venezia, aprile - ottobre 1924), Carlo Ferrari, Venezia 1924, pp. 88-89; G. PACCHIONI, Felice Casorati, in Exposition d'’artistes italiens contemporains, catalogo della mostra (Ginevra, Musée Rath, feb- braio 1927), Stabilimento grafico Foa, Torino 1927, p. n.n.; A. Rossi, Felice Casorati, in 21 Artistes du Novecento Italien. Deuxième exposi- tion du Novecento italien, catalogo della mostra (Ginevra, Galerie Moos, giugno-luglio 1929), Richter, Ginevra 1929; M. BERNARDI, 25 opere di Felice Casorati nel salone de La Stampa, catalogo della mostra (Torino, gennaio 1937), Tipografia del giornale “La Stam- pa”, Torino, 1937, p. n.n. Per una ricognizione sulla fortuna critica Casoratiana si veda P. THeA, La critica e Casorati: profilo e antologia, in M. M. LAMBERTI, P. Fossati, Felice Casorati 1883-1963, catalogo della mostra (Torino, Accademia Albertina, 19 febbraio - 31 marzo 1985), Fabbri Editori, Milano 1985, pp. 141-167. 43. M. SARFATTI, Pittori d'oggi. Felice Casorati, in “Rivista illustra- ta del Popolo d’Italia”, 15 marzo 1925. 44 In. Storia della pittura moderna, Paolo Cremonese Editore, Roma 1930; V. Guzzi, Pittura italiana contemporanea. Origini e aspet- il, Bestetti & Tumminelli, Treves, Roma-Milano 1931; V. COSTAN- TINI, Pittura italiana contemporanea dalla fine dell’800 ad oggi, Ulri- co Hoepli, Milano 1934; A. M. Brizio, Ottocento Novecento, Utet, Torino 1939; U. NEBBIA, La pittura del Novecento, Società editrice libraria, Milano 1941. 31 ARTE MODERNA ITALIANA N. 5 ALBINO GALVANO FELICE CASORATI 1940 - XIX ULRICO HOEPLI . MILANO EDITORE Felice Casorati, Ulrico Hoepli, Milano 1940. ficare nell'opera del medesimo una tendenza interna e personalissima alla corrente novecentista. Le difficoltà nel rintracciare una linea condivisa per la sua arte era già stata evidenziata da Giacomo Debenedetti (intellettuale torinese, come Gobetti, “pre- stato” anche lui alla critica d’arte) con l'articolo Casorati e la critica d'arte del 1933, nel quale sottolineava come “L'arte di Casorati pare fatta apposta per isconcerta- re gli schemi che la più ‘scientifica’ critica d'arte s'è data come sicuri oramai ed incontrovertibili”,’° evi- denziando nelle conclusioni tutte le contraddizioni di una generazione: “Linea, dunque, no: forma plastica, no: colore, no: o quanto meno né la linea, né la forma, né il colore intesi come schemi esclusivi ed esaurien- ti, nell'accezione data dai critici, che di quegli schemi si sono fatti, non pure gli interpreti, ma i banditori. E questa è l’involontaria polemica del Casorati contro la critica d’arte”. Davanti a questo insieme di opinioni e approc- ci differenti, Galvano si dimostra sin da subito molto perplesso verso i suoi predecessori, affermando in maniera categorica come “Ciò che è mancato più ad una critica concludente su Casorati è appunto [...] una comprensiva ‘lettura’ delle sue pitture”,‘ e sintetizzan- 45 G. DEBENEDETTI, Casorati e la critica d'arte, in “L'Italia lettera- ria”, 15 gennaio 1933, p. 4. 46 Ibidem. 47 A.GALVANO, Felice Casorati, cit., p. 28. do poi, nelle prime pagine della monografia, i termini di questa fortuna critica — che è anche incomprensio- ne — sedimentata verso l’artista, almeno fino alla metà degli anni Venti: Casorati ha goduto di un momento di fortuna quando la sua pittura, forse proprio perché meno urtante a prima vista di quella di altri pittori di avanguardia, ebbe tutti i suffragi e specialmente a quelli della critica che voleva essere alla pagina, ma salvando il rispetto per la tradi- zione [...] Erano i tempi in cui la pittura del novecento appariva come uno sforzo neoclassico in polemica con l’arte futurista da una parte, con l’aneddotismo elegante dall'altra, [...] la pittura di Casorati [...] ebbe una sua funzione in Italia per liberare il medio pubblico dagli en- tusiasmi per Grosso, per Sartorio, per Dall’Oca Bianca.* Rispetto ai precedenti studi la posizione di Gal- vano è fin da subito ben chiara: risiede nell'approccio preferenziale con cui affronta l’opera di Casorati, total- mente inedito sino a quel momento, che viene ribadito in più punti della monografia. In apertura del volume il critico-pittore sottolinea come la sua analisi non si circoscriva a una rilettura analitica e distaccata della produzione casoratiana, ma si sviluppi attraverso una consapevolezza fondata sul ricordo della propria formazione: “Casorati pittore — scrive richiamandosi ai suoi rapporti col maestro — è stato per molti della mia generazione una esperienza di importanza capitale in ordine alla formazione del gusto e all'orientamento di una cultura non soltanto limitata a fatti di specie figurativa. La pratica di di- scepolato presso di lui e la frequente consuetudine di Casorati uomo, hanno valso ad alcuni di noi come un'esperienza fra le più profonde e decisive anche per quanto riguarda la vita morale”! L'insegnamento di Casorati, oltre a fornire una solida base di rudimenti pittorici insieme agli stru- menti per uno sviluppo individuale delle personalità artistiche, è la chiave — sempre secondo Galvano — per la comprensione stessa dell’opera del maestro, chiarita metaforicamente in un passaggio del testo: “Casorati è uno di quei pochissimi artisti che dopo il rapimen- to delle muse non rimangono incoscienti di quanto in loro è avvenuto; lo capiscono ed aiutano a capirlo agli altri”.°° Un concetto che viene ribadito, in maniera ancora più chiara, verso la fine del suo lungo contri- buto per Scheiwiller: “Non molti di noi [allievi] hanno saputo da quelle parole imparare a dipingere decente- mente, ma certo tutti a leggere i suoi quadri un poco meglio”. Con queste premesse Galvano vuole dimostra- re come la vicinanza al maestro gli permetta di avere 48 Ivi, p.7. 49 Ivi, p.d. 50 Ivi, p. 6. 51. Ivi, p.32. 32 una visione privilegiata, lucida e fedele del suo lavoro, elevando la lettura delle opere ad un’originalità vicina alle intenzioni del maestro, più di quanto gli altri pos- sano avere. AI di là degli schieramenti e dei tentativi di cate- gorizzazione che, a più riprese, hanno interessato il la- voro di Casorati — tra assimilazione al gruppo novecen- tista, ascendenza neoclassica 0, ancora, appartenenza alla poetica metafisica —, Galvano sceglie il sostantivo “Platonismo” per riassumere gli esiti figurativi ottenu- ti dall'artista a partire dagli anni Venti," un’indicazio- ne che gli permette di liberarsi da ingombranti etichet- te sino a quel momento attribuite all'opera del pittore. È un'affermazione di Casorati a suggerire a Gal- vano le basi per un'interpretazione platonica delle sue opere: il critico recupera esplicitamente una dichiara- zione del maestro che risale al 1921 espressa a margine di un catalogo della Galleria Pesaro, nella quale chiari- sce le proprie intenzioni —quasi programmatiche — di esercizio pittorico: “Dipingere la verità, dimenticando la realtà superficiale” 5° Un concetto che viene succes- sivamente ribadito da Casorati, spogliato delle sue im- plicazioni categoriche (rinnegate in un secondo tempo dallo stesso pittore)? in una successiva dichiarazione, fatta a dieci anni di distanza e riportata nel catalogo della prima Quadriennale romana, con la quale l’ar- tista sottolinea ancora una volta come il suo distacco dalla realtà dei soggetti sia prerogativa fondante del suo lavoro: “la mia pittura è staccata dalla vita”.> La posizione “platonica” di Galvano pone il la- voro di Casorati in netto contrasto con la pittura degli Impressionisti (che godono invece di una notevole for- tuna, verso gli anni Trenta, a Torino), collocando il mo- vimento francese e il maestro torinese su due fronti op- posti — sia da un punto di vista lirico che tecnico —: un 52 sto di Casorati preferiremmo ad ognuna quella di ‘Platonismo (Ivi, p. 6). 53 F. Casorati, [Dichiarazione], in Arte italiana contemporanea, catalogo della mostra (Milano, Galleria Pesaro, ottobre - novem- bre 1921), Alfieri & Lacroix, Milano 1921; ora in In., Scritti intervi- ste lettere, cura di E. Pontiggia, Abscondita, Milano 2004, p. 11. 54 “Scrissi allora nel catalogo alcune parole per spiegazione del mio lavoro e quasi per contrappormi all'arte di quel tempo: affermavo di voler dipingere la verità, dimenticando la realtà apparente; di voler indulgere agli errori che spesso sono la sola ragione dell’opera d’arte... Queste parole furono definite un’ere- sia estetica; in fondo, però, esse volevano spiegare il carattere di immobilità, di impassibilità dei contorni decisi di forma, in con- trapposto al più o meno degenere impressionismo di sfarfalleg- giamenti colorati, di indecisione ottica, di ricerca del movimento nel vibrare continuo della luce” (F. CASORATI, in G. MascHERPa [a cura di], Felice Casorati e il religioso, catalogo della mostra [Milano, Galleria San Fedele, Milano, 1 marzo - 8 aprile 1983], Milano 1983, p. 12). 55 E. CASORATI, Presentazione, in Prima quadriennale d'arte nazio- nale, catalogo della mostra (Roma, Palazzo delle esposizioni, gen- naio - giugno 1931), E. Pinci, Roma 1931; ora in In., Scritti interviste lettere, cit., p. 23. “E infatti se dovessimo trovare una parola per definire il gu- IN rifiuto che è categorico e si muove sulla falsariga delle indicazioni già enunciate dall'artista nella citata pre- sentazione del 1931: “non ho mai capito il movimento ‘qui déplace les lignes’, e adoro invece le forme statiche [...] la mia pittura nasce -per così dire- dall'interno e mai trova origine dalla mutevole ‘impressione’ }° consi- derazioni che vengono caricate di significati filosofici, anche in questo caso, da Galvano: Al Protagorico impressionismo per cui misura di tutte le cose è l'uomo individuale, si contrappone dunque il Pla- tonico Casorati richiamandoci all'ordine di una pittura dove le cose appaiono reali in quanto hanno la maneg- giabilità di ciò che dal flusso delle sensazioni è ritagliato per opera dell'intelletto. Scodelle o uova, teste o seni var- ranno come categoria.” Al “degenere impressionismo” Casorati contrap- pone, secondo Galvano, “i suoi caratteri di immobilità, di impassibilità, di contorni decisi, di ‘forma’”.* Alle premesse teoriche fanno seguito le prime verifiche sulle opere che, a differenza dei precedenti Studi, non seguono uno sviluppo strettamente crono- logico ed organico della produzione casoratiana, ma si Muovono più liberamente, procedendo secondo l’an- damento del discorso. | Come nelle antecedenti occasioni di studio, l’ini- z10 dell'attività pittorica viene fatta coincidere con le Opere del 1909, che gli valgono le prime attenzioni da parte della critica alla Biennale di Venezia ed alla mo- Stra degli Amatori e Cultori di Roma. Le considerazio- ni che investono il dipinto Le vecchie (1909) e La cugina (1909)? sottolineano nelle ricerche di Casorati “un sen- so drammatico della vita teso in un’acuta analisi psico- logica in cui non manca una punta di sensualità [...], Ma temperata in una specie di serenità letteraria”’,9 Motivi che si pongono in continuità con le formulazio- Ni espresse in precedenza sia da Gobetti che da Ventu- Il, attenti entrambi a rilevare l’attenzione psicologica ed il senso letterario di queste prime composizioni.‘ ._ Il salto a questo punto si fa subito brusco: l’esclu- Silone di tutta la produzione degli anni della guerra (che coincide con il suicidio del padre di Casorati e con le nuove responsabilità di capofamiglia verso le due Sorelle e la madre) è in linea con le volontà dell'artista, che sceglierà di non conservare le opere di quel perio- do, contraddistinte da un simbolismo e sintetismo de- Corativo piuttosto anomalo. 56 Ibidem. 957 A. Galvano, Felice Casorati, cit., p.7. 98 Ivi, p. 6. 59 (Bertolino, Poli 40, 50). 90 A. GALvaNnO, Felice Casorati, cit., p. 9. 01 Cfr. P.Gosetti, Felice Casorati pittore, cit., p. 93; L. VENTURI, Mostra individuale di Felice Casorati, in XIV Esposizione Internazio- nale d'Arte della Città di Venezia, cit., p. 88. 33 Un passaggio su Le signorine (1912), che “libe- ro questa volta da preoccupazioni di ordine realistico ed orientato verso una completa subordinazione alla composizione”, permette a Galvano di transitare di- rettamente su Tiro al bersaglio del 1919, anticipando i problemi di annullamento della terza dimensione già evidenti nel dipinto. Per Galvano Tiro al bersaglio rappresenta un’opera cruciale, da cui parte tutta la produzione più celebrata dell'artista, quella del periodo immediatamente suc- CESSIVO: l’opera significativa ‘Tiro al bersaglio’ (1919) [...]. In essa il colore e la linea collo scomparire di ogni ricerca della terza dimensione assumono per la prima volta una organicità che è davvero il segno dell’impostarsi nella pittura di Casorati dei problemi di cui anche oggi essa si nutre. Ridotto il qua- dro, colla completa scomparsa delle ricerche chiaroscurali e mancando ancora l'ulteriore ricerca spaziale, ad un sem- plice tappeto di tinte piatte, si comprende facilmente come linea e colore divengano funzione l'uno dell'altro, tendendo a uno stato in cui la visione inquietante del pittore raggiun- ge uno dei più intensi suoi momenti” Il dipinto, in realtà, aveva sino a quel momento goduto di una fortuna alterna: tacciato di futurismo nella prima presentazione pubblica del 1919, è per Gobetti un’opera dai “rapporti formali [...] indecisi” ancora legata alla produzione dalla prima metà degli anni Dieci, un lavoro insomma, che Casorati realizza come “prova per testimoniare a se stesso la fine del suo estetismo e la sua incapacità di fermarsi ormai all'episodio”. La rivalutazione di Tiro al bersaglio, nei fatti trova, prima di Galvano, un precedente mol- to prossimo all'uscita della monografia Scheiwiller: nell'agosto del 1940 Italo Cremona (anch’egli vicino a Casorati, pur non essendo mai stato allievo della sua scuola), in maniera analoga a Galvano ragiona sull’im- portanza del colore e sul principio di astrazione pre- sente nel dipinto, che anticipa le opere più compiute e celebrate degli anni Venti: sottrarre le cose dai variabili accidenti della luce per pe- netrare invece il colore secondo un processo di intelli- gente astrazione. [...] In quella curiosa vetrina di oggetti [...] vivono infatti quei bianchi spettrali, quei colori —fin- ti-, che sovente ritroveremo nell'aria rarefatta dove re- spirano le sue figure, anche quelle delle parate familiari che Casorati ha sovente composto con sincera affettuosi- tà ma che appaiono pur sempre affacciate a una ribalta, in uno scenario freddamente preordinato, sul mondo dal quale l’artista le ha volontariamente allontanate.” 62 (Bertolino, Poli 71). (Bertolino, Poli 140). A. GALVANO, Felice Casorati, cit., pp. 10-11. 65 P. GOBETTI, Felice Casorati pittore, cit., p. 96. Ibidem. I. CREMONA, Felice Casorati, in “Primato. Lettere e arti d’Ita- La rivalutazione del dipinto si pone verosimil- mente in linea con le volontà dello stesso Casorati: l’o- pera, che dal 1919 trova collocazione stabile nell’abita- zione dell'artista, è ripresentata nel 1929 ad una mostra degli allievi e riprodotta per volere dello stesso mae- stro come prima tavola nella monografia Scheiwiller.® Un interessamento che viene letto da Galvano come un “Segno che una pittura senza volume ed una pittura di colore sembra ancora a Casorati rivelatrice del senso profondo della sua arte”. Le opere realizzate a partire dal 1921 aprono la di- scussione sulla funzione e l’importanza del colore per Casorati, che viene ampiamente discussa nel testo e che caratterizza da qui in poi tutta la monografia come lettura univoca del decennio successivo. Accanto ad una premessa platonica, che si confronta nuovamen- te con le opere Meriggio (1923), Lo studio (1923) e Con- certo (1924), allontanandole da facili letture estetiche,” Galvano vede in “quegli slarghi formali” di pittura un anticipo di “un’esperienza di tono che sarà chiarissima intorno al 1931-32”. Contrapponendosi alle interpretazioni — che vede- vano nella linea e nella forma plastica le caratteristiche fondanti dell’opera di Casorati — Galvano valuta la pit- tura del maestro come una pittura essenzialmente di colore,” spingendosi a verificare le intenzioni dell’arti- sta e giustificare la scelta di determinati soggetti e for- me piuttosto che altre, proprio in funzione del colore: “Vi sono dei quadri di Casorati, e talvolta proprio i più formali a prima vista, come ‘Daphne”? [...] che non si afferrano in tutto il loro valore se non riferendoli al co- lore. Casorati ama le forme semplici perché sono quelle che permettono al colore di stendersi con la sua miglio- re ampiezza. È strano come questa semplice verità sia stata tanto spesso fraintesa, non mancando del resto di contribuirvi la stessa interpretazione che il pittore ha dato della propria opera”. Una sensibilità tonale che porta il critico ad accostare come esempio di ‘“straordi- lia”, I, 11, 1 agosto 1940, p. 19. 68 ‘è quanto mai significativo a questo proposito il fatto che il pittore abbia tenuto in tempi recenti non lontani ad esporre, ad introduzione e quasi chiave di sue opere più recenti, quel ‘Tiro a segno’ piatto e ritagliato fra tutti che volle anche ad inizio di queste riproduzioni” (A. GALVANO, Felice Casorati, cit., p. 24). 69 Ibidem. 70 “Il ‘nudo’ e gli analoghi ‘Concerto’, ‘Meriggio’, ‘Studio’, ci presentano un mondo che si presta ad essere interpretato in modo equivoco, come estetistico, da chi non tenga presente che per Ca- sorati quelle platoniche accolte di figure femminili ignude, anche se esse presentano molta eleganza, non hanno veramente valore per questa eleganza ma solo per lo snodarsi ritmico dei volumi” (Ivi, p. 12). Cfr. (Bertolino, Poli 212, 215, 226). 71. A.GAlvano, Felice Casorati, cit., p. 13. 72 “La forma serve [...] a distruggere la linea ed a passare al colore: essa è, se si vuole, il punto di partenza, ma è proprio il colore è il punto di arrivo” (Ibidem). 73. (Bertolino, Poli 328). 74 A.GALVANO, Felice Casorati, cit., pp. 13-14. 34 ARTE MODERNA ITALIANA N.5 ALBINO GALVANO | FELICE CASORATI II ed. del volume Felice Casorati, Ulrico Hoepli, Milano 1947. nario pre-casoratismo” l’opera di Jan Vermeer e di Ge- orges de La Tour piuttosto che quella di Ingres, riferita dallo stesso pittore come modello di riferimento alla propria pittura nel “Referendum sul quadro storico” del 1929. A sostegno di questa sua tesi sul colore Galvano recupera ancora una volta i ricordi dell’insegnamento del maestro, affrontando questioni di metodo e di pra- tica pittorica vissuta nello studio dell'artista, dove l’os- servazione dei modelli veniva condotta non tanto sulla forma degli oggetti, ma sui valori tonali dei medesimi: ci limiteremo a notare come quanto resti nel ricordo di chi è stato alla scuola di Casorati verta essenzialmente su due punti: l'insieme e il tono. E soprattutto l’insie- me come forma il più sintetica possibile in funzione del tono. La forma intellettualistica di un oggetto, proprio ciò che interessa di più al pittore formale o classico, è ciò che Casorati consiglia all'allievo di disimparare, la for- ma che l'allievo deve imparare a vedere il più semplice- mente possibile è la forma di quella determinata massa tonale, di quella determinata massa chiaroscurale, non la forma dell'oggetto.” 75 F. CASORATI, [Risposta al referendum sul quadro storico], in “Le arti plastiche”, 16 dicembre 1929; ora in Ip., Scritti interviste lettere, cit., p. 22. 76 A.GALVANO, Felice Casorati, cit., p. 14. Analoghe impressioni sì ritrovano in L. RoMAnO, La scuola di Casorati, in “L'Arte”, XXXIII, La discussione sul colore offre a Galvano il punto di partenza per affrontare le influenze cézanniane che, secondo una critica assodata ormai da tempo, avrebbe- ro avuto un ruolo capitale nell'evoluzione del lessico pittorico casoratiano, soprattutto per il genere della natura morta.” È Venturi, nel 1923,” a offrire per primo quest'in- terpretazione, individuando nell'esperienza diretta di Casorati alla Biennale del 1920 (dove, su 28 dipinti di Cézanne presenti, erano ben sette le nature morte) il passaggio di svolta tra Le uova sul tappeto verde del 1914 e Le uova sul cassettone del 1920:”? “Le ‘uova’ [...] del 1913 sono un motivo di bianco su verde, le ‘uova’ del 1920 sono un motivo di forma geometrica solida e chiara sopra un volume scuro”.8° Per Galvano, l'avvicinamento al maestro di Aix è da intendersi come “esperienza più morale che pittorica”, nella quale l'evoluzione delle sue natu- re morte rappresenta un processo interno alla pittu- ra stessa piuttosto che il risultato di quest’incontro: “[Uova sul cassettone] non si spiega con un riferimento al costruire tonale del Provenzale nella sua essenza sti- listica” — puntualizza Galvano - “ma solo col metterlo In relazione a quello che la pittura di Casorati fu prima d'allora” 8 Secondo il critico, più che un precedente sti- listico, la lezione di Cézanne offre la verifica di nuove possibilità espressive; un punto di vista che trova con- ferma — più tardi — nelle stesse dichiarazioni del pittore, che ripercorrono l’incontro con i dipinti alla Biennale del 1920: Tutta la grandezza del Maestro di Aix mi si manifestò im- provvisa. L'emozione che ne provai fu enorme e non fu un'emozione di sbalordimento o di stupore, che anzi mi sentii preso da quel senso di calma, di fermezza, di equi- librio, che solo le opere dei grandi può dare. Equilibrio! Compresi che nella sua pittura trovava il giusto equilibrio il problema posto e sviluppato in un senso dell'Impressioni- smo e il grande opposto risolto da tutta la tradizione; com- presi l'aberrazione di una certa critica che non si staccava di insistere sui problemi di Cézanne: capii che proprio, che Specialmente in quei difetti era il germe della sua grandez- fasc. IV, luglio 1930, p. 380. 77. Relativamente a questo genere si vedano P. Fossati, Nature morte di Casorati, in M. M. LamBERTI (a cura di), Casorati. Mostra antologica, catalogo della mostra (Milano, Palazzo Reale, 27 mar- ZO - 20 maggio 1990), Electa, Milano 1989, pp. 29-38; G. BERTOLINO, Dal repertorio di oggetti alle prime nature morte (1910-1920), in ID., F. PoLI (a cura di), La natura morta nella pittura di Felice Casorati, cata- logo della mostra (Iseo [Brescia], Sale dell’ Arsenale, 24 maggio-20 luglio 1997), Electa, Milano 1997, pp. 11-22. 78. L. VENTURI, Il pittore Felice Casorati, in “Dedalo”, cit. 79 (Bertolino, Poli 114, 162); relativamente alle opere si veda In particolare M. M. LAMBERTI, Scherzo: uova (o Le uova sul tappeto verde) e Le uova sul cassettone, in In., P. Fossati, Felice Casorati 1883- 1963, cit., pp. 62-64; 79-80. 80. L. VENTURI, Il pittore Felice Casorati, in “Dedalo”, cit., p. 254 ù A. GALVANO, Felice Casorati, cit., p. 33. Ivi, p. 16. 35 za. Compresi che Cézanne era il pittore della rinuncia e che la rinuncia era la forza della pittura moderna. Non cambiai modo di dipingere, ero troppo inconsciamente orgoglioso per tentare un cambiamento di rotta che non avrei potu- to fare in alcun modo. Credetti allora di approfittare della grande lezione di Cézanne proprio irrigidendomi sulle mie posizioni e cercando solo in profondità.* La monografia Scheiwiller, pensata per aggiorna- re la precedente di Giolli, in realtà affronta solo margi- nalmente la più recente produzione del maestro, soste- nendo per le opere più prossime la piena attuazione del proposito coloristico în nuce già nei primi anni Venti. Ai ricordi della Biennale del 1924, e soprattutto a quella del 1928,* Galvano contrappone le opere espo- ste nei primi anni Trenta: per La lezione (1929), Susanna (1929) e Lo straniero (1930) pone l'accento su come pre- valgano in questi dipinti “certe note di rossi improvvisi, il taglio in controluce, il gusto, almeno nei due primi, di accostare il nudo ad una figura maschile vestita, un de- siderio di atmosfera serena che suggerisce lontananze chiare e assolate” .8# Motivi pittorici che, spogliati degli elementi accessori (come la copertina del “Selvaggio” nella Lezione o, ancora, le pantofole rosse di Susanna), trovano un'ulteriore compiutezza in Daphne (1934) e Ragazza in collina” delle collezioni dei Musei Civici di Torino, “soluzioni più aneddoticamente umane [...] dove il motivo del controluce sulla finestra aperta so- stituisce figure familiari o umilmente umane ai mani- chini, mentre il paesaggio si fa sereno [...] ricavato da quei campi di Pavarolo ormai cari all’artista”.* Come già sottolineato da Maria Mimita Lamberti, l'apporto di Galvano si dimostra poi piuttosto illuminan- te nell'individuare nel tema del nudo una possibile linea di lettura della sua produzione, sino a quel momento tra- scurata rispetto al genere più discusso della natura morta. 83 Il passo è riportato in L. Caruccio, F. Casorati, quaderni d'arte del Centro Culturale Olivetti, Ivrea, All'insegna del pesce d'oro, Milano 1958, p. 22. 84 ‘Noi veniamo dall'esperienza della generazione per cui i quadri del ‘24 rappresentarono lo scandalo dell'adolescenza che ancora confondeva la classicità coll’accademismo e che scorgeva in quei quadtri, visti alle esposizioni colla famiglia deplorante o pronta al riso di fronte alle stranezze dell'arte moderna, pur qual- che cosa di inquietante e di tentatore che non si poteva dimenti- care [...] i quadri della biennale del ‘28 rappresentarono invece la scoperta del mondo nuovo e spregiudicato che si apriva alla nostra cultura” (A. GaLvano, Felice Casorati, cit., p. 15). 85 (Bertolino, Poli, 366, 368, 396). Erroneamente Galvano attri- buisce il titolo Lo studio al dipinto La lezione esposto alla Biennale del 1930. L’opera verrà distrutta nell'incendio del Glaspalast di Monaco del 1931. 86 A.GAlvano, Felice Casorati, cit., p. 22. 87 (Bertolino, Poli 531, 592). Galvano, in realtà, indica il secon- do dipinto con il titolo Estate. Cfr. A. Galvano, Felice Casorati, cit. p.iz. 88 Ibidem. 89 M.M.LAMBERTI, I nudi nello studio, in Ip. (a cura di), Casorati. Mostra antologica, cit., pp. 13-28 (13). Galvano vi riconosce una traccia di continuità che, a partire dalle Signorine del 1912 (opera che, secondo il critico, non è da intendersi come “gruppo” ma come insieme di figure isolate), arriva sino alla Venere bionda del 1934, “punto di arrivo e di dissoluzione di quello che si potrebbe chiamare il ‘tonalismo’ di Casorati”:” secondo Galvano il motivo del nudo in Casorati si presenta “come figura essenziale, come una forma ele- mentare, categorica, simile a quelle delle scodelle, delle uova, dei libri”, caratteristiche che, alla pari dei sem- plici oggetti che popolano i suoi dipinti, permettono quegli “slarghi formali” di pittura, oltre alla “possibi lità di un tono uniforme”? capaci di confermare la sua sensibilità di colorista. III. A distanza di sette anni dalla pubblicazione la monografia di Galvano su Casorati viene ristampata,” aggiornata in alcune sue parti e rivista totalmente per quanto concerne l'apparato iconografico. È il 1947. Tra la prima uscita e la riedizione, l’interessamen- to che il discepolo dimostra nei confronti del maestro è continuo e si attesta già dall'inizio del 1941 con mo- dalità simili a quelle che avevano contraddistinto il suo precedente impegno sulle riviste nazionali. Vi si affiancano però nuove prospettive lavorative. Proprio nel 1941, accanto alla sua attività di pittore e di critico (che in questi anni, oltre alla corrispondenza per “Em- porium” e alla collaborazione per “Il Selvaggio”, si amplia con due contributi sulla rivista “Le Arti”) Gal- vano è impegnato nella nuova veste di assistente alla cattedra di “Pittura” di Enrico Paulucci presso l’Acca- demia Albertina di Torino, assegnata contestualmente anche a Felice Casorati per l'insegnamento di “Com- posizione pittorica”. Incarichi che vengono entrambi costituiti ad personam dal Ministero dell'Istruzione nel contesto dei provvedimenti avviati da Bottai a favore delle Accademie artistiche. Sono questi, inoltre, gli anni nei quali Galvano va consolidando una sicurezza economica stabile — tanto auspicata negli anni Trenta — grazie all'insegnamento nelle scuole superiori: prima come professore di figura disegnata nei licei artistici piemontesi e poi, dal 1942, come docente di filosofia e storia nei licei classici e scientifici. La mostra Casorati Menzio Paulucci, inaugurata nel novembre del 1940 alla Galleria Cigala di Torino, è l’oc- casione per tornare a parlare di Casorati sulle pagine di 90 A. GaLvano, Felice Casorati, cit., p. 18; cfr. (Bertolino, Poli 501). sa: «Ivi, p. 20. 92 Ibidem. 93 Ip, Felice Casorati, Arte moderna italiana n. 5, Serie A - Pitto- ri - n. 4, Ulrico Hoepli, Milano 1947. 94 Cfr. F. Darmasso, Casorati e l'Accademia Albertina, in M. M. LAMBERTI, P. Fossati, Felice Casorati 1883-1963, cit., pp. 199-205. 36 Copertina e pagine del volume Tre nature morte. Casorati Menzio Pau- lucci, Carlo Accame, Torino 1942. “Emporium”, presente in questa circostanza con due pittori torinesi protagonisti della scena artistica citta- dina (reduci entrambi dall'esperienza del gruppo dei “Sei” ), sicuramente vicini a Casorati ma mai allievi di- retti del maestro: il quarantaduenne Francesco Menzio e il più giovane (di poco) Enrico Paulucci, con il quale Casorati ha intrapreso da tempo un rapporto di stretta collaborazione.” Il sodalizio dei tre artisti, che non vuol essere un principio di ricerca comune ma piuttosto un impegno di politica culturale condivisa, si ripropone più tardi, in modo analogo, con una mostra allestita alla Galleria Genova del capoluogo ligure nel febbraio del 1942. La circostanza è anticipata da una pubblicazione autono- ma di Galvano, intitolata Tre nature morte e stampata dalla tipografia Accame di Torino (che pubblica, nello 95 A. Galvano, Casorati, Menzio, Paulucci, in “Emporium”, XCI- II, 554, febbraio 1941, pp. 93-95. Stesso anno, la monografia su Casorati di Italo Cremo- na), in un elegante edizione in folio che riporta come Sottotitolo i nomi dei tre pittori torinesi.’ In questa oc- casione — che si propone di presentare sinteticamente tre opere dei rispettivi pittori, con tanto di riprodu- zioni a colori — Galvano sceglie la natura morta come genere esemplificativo della produzione degli stessi. Un'operazione che nell’introduzione viene definita come “didattica”” e che si pone in aperta polemica nei confronti della tendenza a considerare questo genere come motivo poco adatto alla pittura moderna: “ad Ogni esposizione abbiamo sentito deplorare l'eccessiva presenza di nature morte o esaltare per il loro scom- parire di fronte ai quadri di figura”. Una difesa per l'autonomia e dignità del genere pittorico, che non si risparmia nel chiamare in campo i precedenti noti di Cézanne, Manet ed ancora Renoir. La questione, in realtà, non è nuova, ma prende le mosse da un pensiero espresso dal maestro quasi quindici anni prima, che rappresenta verosimilmente il pretesto per il contributo di Galvano, che mostra que- sto taglio così inaspettato. Sulle pagine del quotidiano torinese “La Stampa”, Casorati lamentava nell’artico- lo La crisi delle arti figurative i medesimi problemi di accettazione della natura morta da parte di pubblico € critica, con presupposti che sembravano essere gli stessi avanzati ora da Galvano nella sua introduzione: Ho sentito dire ed ho letto purtroppo parecchie volte questa frase: troppe nature morte, troppe mele, troppi aranci, troppi pomodori ecc. [...] poveri oggetti, [...] vo1 siete i modelli più docili e più esigenti degli artisti [...] Nei momenti più disperati della mia vita di arti- Sta, io ho potuto riconciliarmi con la pittura dipingen- do umilmente una scodella, un uovo, una pera”.? . La scelta della natura morta casoratiana — vero- sImilmente selezionata da Galvano — ricade su Le pere verdi del 1941,!% presentata probabilmente per la prima volta in questa sede: un’opera che gli permette di riba- dire il principio coloristico sostenuto nella monografia del ‘40, che viene qui chiarito con un'attenta analisi 96 Ip., Tre nature morte. Casorati Menzio Paulucci, Carlo Accame, Torino, 1942. 97 “La presentazione di ‘Nature morte’, dovute a tre fra i più autentici pittori operanti oggi a Torino, potrà anche apparire, ed essere criticata, come una iniziativa a carattere tendenzioso e po- lemico. Non sarà forse il caso di affermare che essa ha piuttosto un intento didattico? E proprio di educazione del pubblico: degli intelligenti (almeno in potenza, chè degli ostinati per limitazione Naturale di possibilità, per passione di parte o per difficoltà di Sclogliersi da presupposti culturali privi di validità non occorre Hr a comprendere le ragioni per cui, su di una falsa impo- azione di presupposti, può passare per atteggiamento polemico 9, peggio, di conventicola, il semplice intento di chiarificazione Intellettuale e critica” (Ivi, p.n.n.). 8 Ivi, p.nn. "i F CASORATI, La crisi delle arti figurative, in “La Stampa”, 29 ra raio 1928; ora in Ip., Scritti interviste lettere, cit., pp. 19-20. (Bertolino, Poli 682). CY della sua pittura (non priva di tecnicismi del mestie- re), che si concentra sui valori tonali e sugli accordi cromatici presenti nel dipinto, che sottendono sempre — secondo Galvano — a problemi ed equilibri di natura compositiva: Sul fondo rosa e paglia un accordo di due verdi: crudo e spento, e le chiazze rugginose e calde della putredine che intacca i frutti; solo dal colore prende realtà il fascino di questa natura morta, eppure il colore qui non evocherà a nessuno la categoria della ‘forma aperta’ o la scioltezza di un pittoricismo abbandonato: chè Casorati è anche ora il pittore delle forme assolute e degli elementari geometrici, ma il colore ne rivela, per distinguersi dei campi continui e dilatati, la purezza, anzi il purismo, di impaginazione e ce ne propone la più castigata presenza. [...] i colori si subordinano ad una ragione compositiva a priori [...] in essa si giustifica quel disporsi graduale di intensità pittorica che può far apparire persino sordo (e tale veramente sarebbe se non servisse a concentrare ogni attenzione sull’interno ordinarsi del gruppo centrale, ma pretendesse di disporsi sul medesimo piano di ‘bel colo- re’ dei toni vicini) il colore locale; necessario a staccare nel castigato e serrato gioco compositivo della frutta ritagliati sul fondo chiaro, dove più i toni non si distinguono nella vibrante luminosità, la bruciata profilatura delle foglie.!®! Di respiro ben diverso, invece, è il contributo Fe- lice Casorati (e i torinesi) apparso un anno più tardi, nel 1943, sulla rivista “Pattuglia” di Forlì.!® Nel numero di maggio-giugno, dedicato interamente alle arti figura- tive e curato da Giovanni Testori, Galvano traccia un bilancio della situazione artistica torinese: accanto a considerazioni su Casorati in linea con la monografia Hoepli del 1940, abbandona i ricordi della scuola di via Galliari proponendo una lettura totalmente rinnovata, alla luce dei più recenti sviluppi espositivi. Menzio e Paulucci rappresentano qui (insieme agli altri “Sei”, che però non vengono nominati) i “giovani pittori che si erano stretti intorno a Casorati” e che, seppur non direttamente allievi dell'artista, non “rinnegavano il debito contratto col primo ideale maestro, né erano da lui sconfessati: anzi la stima, l'amicizia e la valutazione dei diversi ed ugualmente validi risultati, da parte del più anziano rimanevano intatti od accresciuti”."° Una 101 A.GALVANO, Tre nature morte. Casorati Menzio Paulucci, cit., p. n.n. 102 In., Felice Casorati (e i torinesi), in “Pattuglia”, 7-8, maggio- giugno 1943, pp. 15-16. La rivista, mensile del Guf di Forlì, viene inaugurata nel 1941 e riporta nel sottotitolo la dicitura “Mensile di politica, arti e lettere”. L'articolo di Galvano viene pubblicato nell'ultimo numero della rivista, curato Giovanni Testori e in- titolato “Omaggio alla pittura”, che si proponeva di fornire un bilancio dell’arte italiana del ‘900. La rivista viene interrotta e se- questrata da Mussolini per i suoi contenuti non in linea con le direttive -in campo figurativo- imposte dal regime. 103 Ivi, p. 16. 07 ee (E I TORINESI) E condizioni che determinarono a To- ‘20: sei anni dopo l'altra polemica fra rino l'orientarsi della pittura degna L. Venturi, a proposito del di quest'ultimo, di eu- proposito del valore positivo tentici pittori. Condizioni in cui la eri. tivo delle influenze parigine sull'arte tica ai pose di per se stessa come po- —ita'iana non ebbe significato diverso. Ora lemica: © in cui da polemica fu l'one- —P. Gobetti e L. Venturi furono appunto stà stessa della critica. La guerra del tra | primi ad esaltare l'opera di Ca 14-18 era terminata. Lo stile «libe- sorati. A dispetto danque delle av ty » in architettura, il neo-pre-ralfuel- versioni del borghese e delle ammira lismo tipo «In arte libertas» da cui zioni dell'aggiornato, che esalta insie pure avevano mosso î primi passi pit- e Carrà 0 © Casorati, l'e tori validi come Modigliani e Spadini figurativa di quest uveva esaurita ogni pretesa alla forma- —srebbe un significato diverso, e in certo zione di una coscienza figurativa nella senso opposto, n quello in cui si è banalità di un'acquiescenza in cui i svolta la comune esperienza della più fermenti di possibilità che più tard' vi viva pittura italiana? In parte si deve scoprirà l'accorto senso del « perver- rispondere affermativamente pEr eg sai 16 gin lettuale per quello Hgurativo sano ogni evasione dal fatto pittorico, E che sioo al 1928 la pittura di Casorati quanto per queste esperienze avveniva —anche nelle punte di estrema avanguar- ordine a le possibilità della linea cur- —.ija come in certi distrutti. di- me di questo è quel complesso frea- —pinti, n quanto si dice. sotto l'influenza F. Casorati: “Ragazza,. (1937) diano avveniva, in modo anche più vol- —gel gusto di Kandiski, cerca i proprii gare è fatuo, mancati Sant'Elia e Boocio riferimenti non in un mondo mediterra- : ma in uno nordico {quasi a fedeltà i H È È; i figurativo di Martino Span- Torino poi: Thover seguitava a eredere viti e di Defendente Ferrari che guard Memet o di Bestlovea, a confeadero assai più che quello, volto verso il l'eleganza lineare di Modigliani con di Gaudenzio), non in un'umanità l'imperizia del bambino (e se mai si assertrice di proporzionata statura mul sarebbe dovuto rimproverargli un'ele- rondo det orizzonte, ma nel panza sin troppo vicina » preoccupazio- tormento di sentirai oppressa da È ni ostetistiche e contenutistiche simili amine mirror quelle che limitavano fl eritico) inau- ciò di dramma per la propria persona, guraodo quella tradizione di contenu- in quanto finita, Il sottile Tinguaggio tismo ad oltranza e di cauto e garbato, formale, la ricerca d'equilibrio compo- ma fondamentalmente deciso, « fin de sitivo, l'astratto rigore della sintesi po- non recevoie » mel riguardi di una vi- Loveno sì! suggerire, insieme @ certo conda pittoricamente valide a cui si at- codenze illustrative (i libri aperti, i tiene con un'ostinazione che ha per io csrtigli) o agli accorgimenti ‘tecnici, meno 2 merito della consequenzialità come l'uso della tempera verniciata, ri- quel poco di csi valga la pena di (91 —rorimenti al quattrocento, mostro. sn menzione della critica d'arte del quo- non poteva sfuggire ad ‘una tidiani oggi ancora a Torino. più accorta l'assoluta continuità spi- Un panorama, come si vede, sostan- rituale che legava il mondo d'allusioni rialmente simile a quello del resto crepuscolari è le eleganze cstotizzanti d'Italia, in cui tuttavia, in quegli delle « Vecchie» o delle « Signorine» anni dell'immediato dopoguerra, Tori. attraverso 1 paradossi pseudoformali ba ipo ipa delle « Scodelle » è delle « Uova » nella maniera particolare e gerto senso, doppia redazione, a tappeto ed s vo- fispetto al resto d'Italia, polemica, su tume. a questo muovo mondo di non di un doppio piano, intellettuale e figu: —1meno quintessenziate definizioni umane Rene a pi o spaziali, anche se nel silenzio di IO) essere esemplificata PO quelle quinte prospettiche ora quei pro- sizioni reciproche de «La Ronda fili proponessero le loro cadenze non di « Rivoluzione Liberale ». Cinscuno più per la via analitica dei compisci vede quanto diversi gli orientamenti menti particoleristici, ma per quella umani e culturali. Ma è tipico che pro? —delle sintesi ellittiche. prio fra Cardareti un'occe. Eppure una così diversa afferma- sione polemica, sul Leopardi, portò a zione in ordine a scoperte pittoriche, una discussione do andava ben una tanto dialettica decisione nel de- oltre i termini della cortesia. Siamo nel finire il proprio mondo indipendente. F. Casorati: “ Bambina. (1932) Felice Casorati (e i torinesi), "Pattuglia", 7-8 maggio-giugno 1943. lettura della scena artistica cittadina che esclude total- mente i primi discepoli dell'artista — che continuano nel frattempo a dipingere ed esporre, non solo a Torino — preferendo invece soffermarsi poi sulle “anomalie” figurative (intese rispetto al tracciato casoratiano) pro- poste da Luigi Spazzapan e Italo Cremona. Il rapporto tra allievo e maestro, che è innanzi- tutto di amicizia, rimane solido negli anni a seguire, nonostante le scelte di Galvano si avviino, nel frattem- po, verso un fronte non figurativo della pittura, che lo vedono abbracciare l’astrazione ed aderire nel 1950 al Mac (Movimento Arte Concreta), fondando insieme ad Annibale Biglione, Paola Levi Montalcini, Adriano Parisot, Carol Rama e Filippo Scroppo la sezione tori- nese del gruppo. Accanto alla sua attività di critico militante, più orientata verso le verifiche nel frattempo ottenute con- testualmente in pittura, tornerà solo raramente ad inte- ressarsi di Casorati, soprattutto in occasione di letture complessive e bilanci di un'epoca, che sembra ormai essere lontana nel tempo.!% 104 Cfr. A. Galvano, Felice Casorati, in S. CAIROLA (a cura di), Arte italiana del nostro tempo, Istituto Italiano d’Arti Grafiche, Bergamo 1946, pp. 18-20; In., La pittura a Torino dal '45 a oggi, in “Letteratura. Rivista di lettere e di arte contemporanea”, 43-45, gennaio-giugno 1960, pp. 55-76; ora in Ip., La pittura, lo spirito e 38 mente da ricerche solo per certi riguar- questi sforzi di giovani della cultura mona, Anch'egli amico di Casorati: ma pre riuscito a cogliere il momento di di parallele, grazie all'autenticità della universitaria e in tutt'altra la lezione che ne ha appreso. spontanen concretezza pittorica. Senza realizzazione figurativa è della schiet ritorno! Un rigore, un'incisività, un'analitica nì- che del resto questo gli abbia impedito tezza di linguaggio fantastico da essa Nacque così il gruppo dei «Sei»: —tidenza di segno, una predilizione per quell'accorta coscienza teorica della po- presupposia, s'inseriva nel dialogo della —Menzio, Chessa, Levi, Paolucci, Galanta —quei profili nettissimi che gli permettono sizione di gusto in cui il suo mondo fi- italiana di quegli anni con una © Jessie Boswell.,Fntro e fuari le vi- di dare evidenza allucinante di inganno gurativo sì determina e del rapporti di validità di proporzioni che tuttavia man. —cende del gruppo, Francesco Menzio isivo alla riproduzione dei i og- esso col movimento «surrealista», (di tiene integro il valore dell'esperienza risultò allora e tale si mantiene, come i: distribuiti poi questi in un ardine cui, per una curiosa ‘e significativa » a della la personalità più dotata che fosse ap- di fantasia di rara coerenza suggest vicenda gli interessi destati a Torino memoria 0 più rigorosa- parsa, da Casorati in qua, fra i pit- rispondere a furono proprio nella cerchia dei col monte impegnata in un bilanelo della tori torinesi. Un mondo di compiaci- più profondamente che gene- laboratori dell'originariamente pittura. Tutti da « Fanciullo ad- —menti delicati, di edonismo controllato —rano l'inquietante mondo delle ansocia» sano» Seleaggio, per brev'ora torinese dormentato » del "21, allo « Studio » del —© schivo, sceglie usa sun umanità d'ele- i oniriche e dei senza si ppunto, sino alle recenti realizzazioni 122, al « Concerto » del ‘24. ne henno zione in volti di giovani donne 0 di gnilicato, dei soprasensi di cui non si itettoniche, nella sede della società nti i risultati più vivi. Poi el si bambini. Da questo punto di partenza —dà lettura , ma « cl Ippica di Carlo Mollino) che tatti 1 suoli hnocorse che i valori di tono e di ero appena le due esperienze opposte, ma frata» per via di quegli emblemi pit- lettori conoscono, ma erano pur utilizzabili în assai più —concordanti nella dissoluzione di ogni e- —torici in cui però Cremona è quasi sem- ALBINO GALVANO concreto discorso di quanto non si lamento estrinsecamente contenutistico, facesse dagli epigoni del peggior otto- del rigoriamo formale casoratiano in- cento. Si affermò che i Macchiaioli tu- torno al ‘23, e del fervore cromatico de rono fra gli artisti autentici della no- gli impressionisti intorno al ‘29 per- === stra tradizione; si riconobbe che un ar- —misero a Menzio di scontare in puro tista ostile o almeno appartato di fron- sollecitazioni pittoriche quei dati del te a ricerche futuriste, metafisiche © sentimento, si defini una visione tanto neoclassiche era un grande pit- personale quanto coerente dove la mu i si riscopri l'im- sicalità del colore e la freschezza del pressionismo. Îl necclassiciamo, nel È È «po vecento » milanese, che qualcuno git si che delicati non impedirono, anzi fa- definiva nooromantico, sì innestava, con vorirono lo spiegarsi di una confes- Tosi, in una tradizione di pittura a- —sione umana piena di melanconica no- perta. Soffici non più cubista predicava —biltà nel reiterato e come ansiosamento ed esemplificava un ritorno alla natura interrogato indagare intorno alla con- in cui l'esperienza di Cézaane non eselu- sistenza pittorica di quelle persone di deva quella di Fattori: a Torino, do- drumma, così sottilmente lirico e di ve già ‘intorno a Casorati una scuola cosi pausate parole, che si muovona tendeva a ridurre a grammatica il sua nelle composizioni famigliari di Menzio. figurativo, attraverso l’inse- Tanto Casorati che Menzio del resto guamento universitario, Îl mecenatiamo —qutt'altro che paghi o chiusi nell'au di un collezionista, i più rapidi con- tosoddisfazione: anzi entrambi sempre tatti con Parigi, rapporti col gruppo sofferenti dei limiti 0 della milanese di Persico anch'esso partito —contiagenti stanchezze che potessero cc- in battaglia contro il neoclassicismo, appannare il gelido speo- la lezione degli impressionisti fu at- chio di formalismi eidetici del primo, tinta direttamente ai grandi modelli: © Manet, Renoir, Cézanne, in un preciso pida dell'altro. inquietudine che ci spie senso importante due notevoli carollari). ga il piegare verso più riscntite ao Enrico Paolacei: * Piazza Navona .. l'affermazione che Cèzanne non meno nitide pro- veva reagito all'impressioniamo, ma lo filature lineari di Casorati dopo il ‘30, veva continuato e che perciò la tradi- —come le | ritorni, e, meno zione più viva di movimento an- , da monotonia le ripetizioni dava proprio cercata in quel discorso —1delle cose meno valide di Menzio. ln rapido ed atmosferico si, ma tutt'al. modo assai diverso, ina con accanita tro che occasionale e vedutistico che era commovente dedizione ad un'ideale stato proprio dei pittori che abbiamo di pura pittura che escludesse tanto citato piuttosto che dei Monet, dei Pis- ogni intrusione intellettualistica quento surro, del Sisley. Secondo: che quel- ‘ ogni dispersione decorativa Enrico Pao l'adesione all'impressionisno non po. Iucci è venuto sempre più approfon teva che importare, da una parte, con- dendo una visione grata © improvvisa, Van Gogh al più libero «fsuvinmo », rivivere il gusto degli impros- che-dn qualche modo e sia pure unilate; sionisti, proprio di questa fase della ralmente, il linguaggio di Cizanne ave- pittura torinese, possono essere riat- ivano continuato, Gli strilli dei varii taccati, in senso diverto, Piero Mar- Ojetti per i «salti in lunghezza da tina, temperamento delicato di colorista Giorgione n Braque » naturalmente non eu cui è stata decisiva l'influenza di si contarono! Ma intanto quello che te nf gie gi importava fu che la esemplificazione cento personale una trepida, © vitale dei frutti di quest'esperienza cul- come smorzata, elaborazione di ogni da- turale fosse data proprio da quei gio- to tonale degli oggetti, e Luigi Spazza- vani pittori che sì erano stretti intorno pan la cui origine è le cui esperienze è Casorati, pur non più così ragazzi istriano diedero ad una veramente pro da diventar suoi allievi nel senso sco- digiosa capacità di trasfigurare |pit- lastico della parola, © che ora nell'inì- —1toricamente, attraverso la rapidità della ziare un lavoro diversamente orientato, —acchia e del segno, ogni dato ogget- e vano il debito contratto col tivo una truculenza cspressionistica re- primo ideale macatro, nè erano da Jui =—mota dal raccoglimento degli altri to- sconfessati: anzi la stima, l'amicizia rincsi e dalla pacata visione dell'im- © la valutazione dei diveral ed ugual. =—pressioniamo. È di questo suo pecu- mente validi risultati, da parte del —liare atteggiamento ci restano molti mo- più anziano rimanevano intatti od ec- menti d'espressione mirabile, speci cootrapporre ai della mano facile è dell'illustra < incomprensioni fra chi incegue un me- tone occasionale. desio sforzo d'arte, ala pur attra- Opposta invece, per intento e per ri verso divergenti esperionze di gusto. È all'impressionismo l'esperienza i sultato, altrettanto si può dire dell'attenzione a —Dittorica inieressantiesima di Italo Cre- Francesco Menzio: ‘ Ritratto ,, Nel 1963, alla scomparsa del pittore, Galvano traccerà un ricordo del maestro, a margine del catalo- go della 14° mostra d'arte contemporanea di Torre Pelli- ce. Non più il colore o il tono, ma quei valori umani e di rispetto per le diversità appresi durante gli anni di via Galliari animeranno, in conclusione, questo suo “omaggio” di discepolo: “poiché fu anche la coscienza di questa libertà, prima ancora morale che estetica, che da Felice Casorati alcuni di noi ricevettero come l’inse- gnamento più prezioso, ci è caro chiudere col richiamo ad esso questo saluto al Maestro. Chè le sue opere par- lano, per il rimanente, senza bisogno di commento”!°. il sangue, a cura di G. Mantovani, Il Quadrante Edizioni, Torino 1988. 105 A. GaLvano, Omaggio a Felice Casorati, in 14° mostra d'arte con- temporanea, catalogo della mostra (Torre Pellice, Collegio Valdese, 3 - 28 agosto 1963), Tipografia Subalpina, Torre Pellice 1963. Gli occhi fervidi e il sapore di cenere Albino Galvano: Decadentismo, Simbolismo, Art Nouveau Adriano Olivieri Approssimarsi all'opera letteraria di un uomo di cospicua cultura quale fu Albino Galvano, significa penetrare in una eletta densità speculativa sorpren- dente se commisurata a un intellettuale defilato in vita e ricorrente oggi nella ferma e attenta riflessione di pochi storici. Come ebbe a dichiarare Galvano stesso In una autopresentazione del 1980, non gli si perdonò l'ambiguità di essere scrittore e pittore aggravata dalle stigmate dell’intellettuale, categoria in cui finì suo malgrado per giovanile quanto vocazionale passione per la cultura. Proprio nell’ambiguità, nel marcare un confine ideologico sottile, ordinandosi orgogliosamen- te in disparte insieme alla generazione degli eclettici Cremona, Mollino e Maccari, ci pare che Galvano trovi un eccentrico terreno di appartenenza sul quale edificare una propria filosofia personale sistematica- mente relata all’erudizione antropologica, filosofica, religiosa e pedagogica. Formazione altresì integrata agli interessi misteriosofici - Galvano stesso ebbe a definire le proprie opere “evocazioni esoteriche” — vagamente connessi alla cultura torinese d’inizio secolo e, in modo maggiormente probante, con lo Studio di Casorati in via Galliari dove conobbe Daphne Maugham che, dopo avere respirato l’aria mistica della parigina Académie Ranson, si era trasferita a Torino dove la sorella Cynthia con Cesarina Gurgo Salice, Bella e Raja Markman si dilettavano già, oltre che di danza, di teosofia. Redattore e pubblicista prolifico, Galvano — che inizia allora ad interessarsi a Rudolf Steiner e Madame Blavatsky — batté gli argomenti indigesti alla cultura del suo tempo facendo di sé un Intellettuale atipico che, come ricordava Sanguineti, ISpirò idee ereticali nei propri allievi. Autore di pochi libri, che punteggiarono una carriera meno prodiga di quella del compagno di studi liceali Argan, nel 1932 conobbe Lionello Venturi che lo accolse come collaboratore de “L'Arte” facendogli inoltre pubblicare alcuni studi sulle civiltà extraeuropee?. L'equivocità tra critica militante e pratica pittorica fu un banco di prova sul quale verificare, tra continui rilanci e azzardi, la reciproca tenuta delle parti. In questo assiduo riversarsi delle specificità discipli- nari consiste per Galvano il senso estremo della sua Pittura, votata alla vanità dell'atto privato, smagata da Ogni velleità economica e promozionale ma cro- S!uolo rovente dal quale estrarre i concentrati succhi di un'urgenza creativa. L'incessante ritorno all'arte . ni n GALVANO, La pittura a Torino dal ‘45 a oggi, in “Letteratura”, I, “n 0, p. 99-76. Poi in: “La pittura, lo spirito e il sangue”, P.MAN- ia la cura di), Il Quadrante Edizioni, Torino, 1988, p. 155. Poi R i ALVANO, Diagnosi del moderno. Scritti scelti 1934-1985”, A. UFFINO (a cura di), Nino Aragno Editore, Torino, 2018, p. 393. | L'arte egiziana antica, Firenze, 1938; L'arte dell'Asia occidentale centrale, Firenze, 1939; L'arte dell'Asia orientale, Firenze, 1939. 39 è, Al Liceo Gioberti di Torino, 1961-62. dA EdO a ad. come artificio, come fare in sé autosufficiente, fu per Galvano un difettivo rimedio all’insanabile scissura della natura umana divisa tra spirito e materia, tra razionalità e intuizione, e un’imperfetta occasione di confronto tra individui sul piano partecipabile ed empirico dell'immagine che, pur sempre aderente alla condizione fabrile, trova la propria natura più autentica nell'essere essa stessa divisa tra creazione e imitazione. L'attività poietica, l'agire sulla materia intesa sui presupposti estetici gettati da Alain (pen- satore scomunicato da Croce), sottrae il discorso di Galvano dall’osservanza teoretica idealistica come dall'impegno etico esistenzialista e, abrogando di fatto la condanna platonica dell’arte, accetta il va- lore estetico come simbolo del “male”. L'arte trova allora la propria eretica ragion d'essere nella forma materiata, così come l’idolo o il feticcio sarebbero la divinità in presenza e non l’ipostasi divina. Per questo la pittura per Galvano rappresenta enigmaticamente il “dio visto di spalle”. Quando Mosè chiese al Signo- re di mostrargli la sua Gloria il Signore gli rispose: «Farò passare davanti a te tutto il mio splendore e proclamerò il mio nome” [...]. Soggiunse: “Ma tu non potrai vedere il mio volto, perché nessun uomo può vedermi e restare vivo [...]. Tu starai sopra la rupe: quando passerà la mia Gloria, io ti porrò nella cavità della rupe e ti coprirò con la mano finché sarò passato. Poi toglierò la mano e vedrai le mie spalle, ma il mio volto non lo si può vedere”». L'espediente divino narrato nell’Esodo biblico?, fatto laicamente 3 i La Sacra Bibbia, cap. 33, vers. 19 e segg. Cesare Saccaggi, Alma Natura, Ave!, pastello su carta applicata su tela, 68x125 cm., 1898, GAM Torino. reagire con esperienze disposte alle “proiezioni”, tra cui l’idea del dio pagano che non tace non parla ma accenna, sarebbe da intendersi per Galvano — che si era laureato presso la facoltà di magistero di Torino discutendo con Gambaro e Abbagnano una tesi su “La pedagogia della religione” — come metafora dell'immagine (il “dio visto di spalle” appunto), quale unica possibilità mondana di riconquistare l’unità primigenia dell’uomo. L'azione esercitata dall'artista nelle condizioni oggettive della materia è, più di una tecnica operativa, un’alchimia - ai filosofi Galvano preferisce Jean Baptiste van Helmont e Cesare Della Riviera — che permette il verificarsi di un'unione tra l'esperienza concreta bloccata nell'immagine e l’'epifania del dio inteso non in senso devozionale. Sì tratta in sostanza dell’allontanamento dall'idea crociana di un'arte che esisterebbe autenticamente solo nell’intuizione e non nella funzione estrinsecante della materia. L'arte sfugge così al concetto di rap- presentazione candidandosi come opportunità che contemporaneamente apre allo sguardo rinserrandosi nell’enigma, nella manifestazione del trascendente. Galvano percorrerà incessantemente questa terra di frontiera: come filosofo, come storico, come pittore. Prodromo del percorso pittorico fu l’alunnato presso Felice Casorati, scelto peril linguaggio sufficien- temente decantato, sintetizzato e affrancato dal dato naturalistico per mezzo di un'operazione intellettuale capace di conferire un ordine platonico agli oggetti dispensati dalla polverizzazione cromatica impressio- 40 nistica. Una lezione estetica essenziale quanto l’austero contesto della scuola. Esemplarità che si concretizza inunalto profilo morale e umano che Galvano ritiene in dissolvimento nell'arte moderna con la quale si conclude un ciclo plurisecolare aprendosene un altro, tumultuoso nel bene ma anche nel male, dal quale si sentì definitivamente estraneo dall'inizio degli anni Sessanta. Il mondo del secondo dopoguerra sarebbe affetto da una crisi di moralità alla quale potrebbe unicamente fare fronte una presa di responsabilità politica, artistica, religiosa, speculativamente limpida ed esente da posizioni compromissorie e accomodanti come quelle sostenute dagli artisti che vogliono salvare i valori della tradizione pur dichiarandosi moderni. L'intera modernità e l’idea stessa di progresso tecnico aGalvanorisultano ree di edificare, intorno a un fulcro di ragioni economiche (Marx) e sessuali (Freud), un presente depauperato dall’opportunità della variazio- ne imprevista. A una totalità di costruzione legata alla forma, tipica del Medioevo, si avvicenda insomma una totalità d'impiego legata allo scopo, decisamente avvilente come comproverebbe per inverso il moder- no carattere apologetico della narrazione tecnica e scientifica. Giudizio estendibile al fatto estetico per cui all'arte come atto fabrile, tipico del Medioevo, si avvicenda l’arte come atto intellettuale, peculiare del Rinascimento e dei secoli successivi fino al XVIII. Seguirà il periodo reazionario e tradizionalista del Romanticismo, caratterizzato dal recupero program- matico degli archetipi (Jung) medievali ma rivissuti Per un'armatura, Edizioni Lattes, Torino, 1960. Senza il contesto sociale entro il quale quegli ideali Sl erano formati. La spontaneità medievale diviene nel Romanticismo programma culturale e come tale sarà ereditata dal Decadentismo e dal Simbolismo, il Soggettivismo dei quali impronterà di sé l'Espres- Slonismo. Le avanguardie appaiono dominate dalla pulsione oppositiva alla tradizione elevando a sistema l'efficienza produttiva di un “nuovo” codificato come autoreferenziale, programmatico e inintelligibile ma ‘ncapace di emanciparsi dal dato naturale nonostante esaurirsi dell'esperienza storica dell’arte illusiva. Gli €pigoni dell’astrazione storica, i concretisti, sarebbero Invece esonerati da questa soggezione insieme alle Tetoriche idealistiche riuscendo, in piena ricostruzione etica e umana, a calarsi completamente nel dato resi- duale figurativo, ossia all'evidenza del fatto pittorico. Fu l’esperienza che Galvano intraprese dal 1948 al 1953, con l'adesione alla branca torinese del MAC, €sauritasi per lui nella spontanea affermazione delle forme curvilinee tipiche del Liberty su quelle rette e Spigolose dell’astrazione concretistica. In una sorta di personale contropartita agli inte- lessi spiritualistici e antropologici, Galvano pensa a 41 Artemis Efesia, Edizioni Adelphi, Milano, 1966. un'arte come luogo del verificarsi del mito capace di portare a definitiva decantazione la sua inclinazione espressionistica (rubricata dal Pallucchini) estraendo- ne la forza panica trasfigurata in una rinnovata spinta metafisica. Sein ambito artistico risulta evidente come egli abbia risolto insé l’apprendistato casoratiano non assorbendone che un clima d'insieme, metabolizzando l'aspetto decadentistico della pittura del maestro celata sotto la rigorosa adesione a una norma di cristallina evidenza estetica ed etica, sul piano dell'esercizio critico volle incrinare dialetticamente il sapere con- solidato al fine di cogliere unitariamente il senso più autentico della modernità. Accostandosi ai testi suoi maggiori, nei quali dispiega un cospicuo sforzo storico ma editati in un periodo a loro sfavorevole — “Per una armatura” (1960) e “Arthemis Efesia” (1967), si hala sensazione di essere dinanzi a un affascinate quanto indefinibile prodotto letterario —saggio, disquisizione filosofica, colta divagazione, eccentrico soliloquio, introspezione analitica — che, pensando alla continua permutazione tra scrittura e pittura, indurrebbe a pensare a una creazione letteraria con statuto indipen- denteecreativo rifiutato da Galvano incline, viceversa, a una critica intesa come emanazione di un'attività immanente all'atto creativo. Permane tuttavia l’eco dell'idea crociana della storiografia e della critica che, pur non aggiungendo nulla all'opera ma limitandosi a sancirne la validità poetica secondo l’idea del philo- sophusadditusartifici- contrapposta all'idea dell’artifex additus artifici sostenuta da Gabriele D'Annunzio e Angelo Conti sulla scorta di John Ruskin e Walter Pater -—, attribuisce facoltà filosofiche e artistiche alla soggettiva sensibilità intuitiva dello storico. Coscienza “temuta e avversata”* Croce è, per Galvano, un'autorità intellettuale che in cambio di una piattaforma teoretica esige la partecipata condanna delle opere che, passate al vaglio di un accurato approccio metodologico, risultino prive di valore poetico. Nell’acido corrosivo dell'ironia e dialettizzando gli argomenti con lo storicismo, Croce condanna il Decadentismo nelle accezioni mistiche, estetizzanti, irrazionalistiche e in quella che crede inconsistenza filosofica e spirituale, includendo in quel termine tutto ciò che tende a sviluppi formali astratti e condannando di fatto la fitta rete culturale e relazionale della modernità. Nonostante ciò Croce avrebbe il merito di avere reso accessibile e ripercor- ribile questa fitta topografia anche nella declinazione contraddittoria e fragilmente raffinata del vituperato Decadentismo. Accettando la condanna crociana, Galvano confessa la propria passione per decadenti, esotici, erotici e apostoli misteriosofici, ponendosi scientemente in una giurisdizione infernale come critico e come artista nato dalla linea evolutiva del Simbolismo. Identifica anzi quello straordinario mo- mento storico come un estremo malinconico balenio della civiltà al crepuscolo, un'epoca di transizione divisa tra spirito e carne, abitata da alcuni tra i più eletti spiriti dell'umanità capaci di creazioni difformi ma compiute e che lo sperimentalismo modernista delle avanguardie esaurirà. In una sorta di ribellione alla figura paterna, Galvano trasgredisce la raccomandazione crociana di non leggere Rimbaud, Mallarmé, Valéry e risco- pre, anteriormente a Cremona?, il modernismo e la linfa vitale del Decadentismo attraverso il quadro metodologico del filosofo abruzzese inclusivo di fatti estetici anche diametralmente opposti alle sue idee. A Galvano, come alla sua generazione, fu quindi im- possibile non dirsi crociano proprio per l'opportunità 4 A. GALVANO, Perché non possiamo non dirci crociani, in “Nu- mero — Arte e letteratura”, V, n. I-II, gennaio-marzo 1953. Poi in: “Omaggio a Albino Galvano”, catalogo della mostra, Circolo de- gli Artisti, Torino, gennaio-marzo 1992, P. Fossati, F. GARIMOLDI, M. C. MunpiCI (a cura di), Electa, 1992, pp. 116-120. Poi in: A. GALVA- NO, “Diagnosi del moderno”, cit., p. 37. 5 I. CREMONA, Il tempo dell'Art Nouveau, Firenze, 1964. 42 che quella metodologia offriva nel sistematizzare l’intera storia. Quello che invece depose fu lo spirito conciliante dell'estetica di Croce buona, al più, a ba- nalizzarsi nell’idea diunmuseoimmaginario.Quando negli anni Sessanta ebbe il proposito di approfondire l’immagine cultuale e psicologica dell’efesina Arte- mide, partì dalla fascinazione prodotta su di lui da un pastello di Cesare Saccaggi, “Alma Natura, Ave!” (1898), opera collocabile allora, quando uscì il libro, e tuttora, in un filone di gusto piuttosto sospetto. Con una serie di pubblicazioni’, si renderà così protago- nista, a partire dagli anni Cinquanta, del rinnovato interesse per l’arte Liberty dalla quale trarrà ben più diuna semplice ragione di studio quanto invece, nella pratica pittorica, una viva permutazione in allusioni enigmatiche irriducibili a ogni interpretazione, quali il fiore di iris, destituite dal ruolo di metafore e sim- boli. Questa continuità formale si chiarisce anche come continuità semantica quando si consideri come Galvano e Cremona abbiano ricondotto l’arte astratta in un comune svolgimento con il Simbolismo e con il Liberty che, di quest’ultimo, ful’espressione impiegata sul piano della fabbricazione. Da cui il transitare di Galvano dalla fase concretistica a quella informale e, più in là negli anni, a quella araldica di nastri e bandiere per giungere appunto agli iris. Trascorrere stilistico da non leggersi come eclettismo quanto piut- tosto come legittimo susseguirsi tra la carica allusiva assegnata ai reticoli cromatici astratti e la sensibilità decorativa trasformata in materia fermentata fino alla disgregazione dalla quale estrarre infine nuovamente il ritmo danzante delle forme arabescate. Il Simbolismo gli consente di riversare il misticismo nella propria opera di pensatore e, soprattutto, di pittore. L'arte assume quindi un valore emersivo di forze morali (leggi spirito) — del “bene” nel momento crociano, del “male” più tardi in modo nietzschiano — prima ancora che estetiche (leggi sangue); diade debitrice al suo filosofo di riferimento Ludwig Klages, altro intel- lettuale trascurato in Italia quanto sospettato di avere incubato l'ideologia autoritaria tedesca quando invece più coerentemente dovrebbe essere pensato come un epigono del romanticismo intuizionista. L'arte tenta un'indiretta conciliazione tra spiritualità e artificio consegnando alla storia un’estrinsecazione autentica- mente creatrice e non solo la copia di una copia; non una rappresentazione ma un esserci immanente. La volontà di accogliere quel “male” come necessario gli viene dalla presa coscienza di un'’artisticità, che arde 6 A. Galvano, Dal simbolismo all'astrattismo, in “Galleria di lettere ed arti”, n. 4-5, 1953; Le poetiche del simbolismo e 1 ‘origine dell'Astrattismo figurativo, in “Studi in onore di L. Venturi”, vol. II, 1956. Articoli specifici ai quali aggiungere: L'erotismo del liberty e la sublimazione astrattista, in “Cratilo”, n. 3, 1963. i Gabetti Isola, Casa di Erasmo, Torino, 1953-1956. inlui fin dalla giovinezza, radicata proprio nelle opere Create tra XIX e XX secolo e nelle elaborazioni più irrazionalistiche. Come quella immoralità sia aperta a fertili risultati lo si comprende appoggiandosi all’in- terpretazione che Galvano offre delle Artemis: bianca come simbolo coadiuvante di perfezione conchiusa ma Statica, nera come simbolo avverso di imperfezione e INCompiutezza ma dinamica e che in potenza può Jenerativamente aprirsi a una riserva di possibilità eventualmente immanifeste. Per traslato, quindi, la hegatività del Simbolismo si apre a una plenitudine di risultati. Permane tuttavia il concetto di fondo che la Pittura, come prodotto di una volontà impossibilitata a realizzarsi nell’ideale, sia il risultato di una caduta la Cul spoglia materiale sarebbe prova di vanità e disvia- mento. Come s'accennava sopra, Galvano si smarca dall'idea di un'arte quale esempio del bello estetico e del bene morale, per lui non più coincidenti, ma accetta la disperata affermazione dell'immagine come 43 “ ” a » l Me. È È n IS 18 la . t : LI è» ® î unico possibile risultato dell'impulso proiettivo delle aspirazioni individuali o sociali. Pittura che in ultima istanza è anche piacere sensoriale, vocazionale istinto a testimoniare (Baudelaire), “vizio assurdo”, vanitas; pittura come atto cultuale che mantiene in gioco la proiezione degli archetipi, la ricchezza delle imma- gini aderenti al mistero, almeno per quel poco che la contemporaneità consente, poiché ilmondo nega ogni giorno più spazio alla pittura mentre il pensiero bor- ghese, incapace di slanci estetici e metafisici, permette che in questa duplice assenza si innesti la tecnica, la pianificazione, la sterile sistematicità. Per Galvano la nostra epoca è irrimediabilmente scissa dal significato iù autentifico della vita, dalla sua forza feticistica poiché ha fatto di quel mondo, in cui la presenza del dio era costante, una favola bella l'iconografia della quale non è che una lontana immagine idealizzata priva, per i moderni, di ogni accenno oracolare. Queste ragioni filosofiche, di estremo interesse, dovettero apparire perlomeno eterodosse all'atto della loro formulazione, divise tra esistenzialismo e fenome- nologia e affacciate all’abisso del mondo preclassico, alle profondità eraclitee. Scostatosi dall’irrazionalismo di Klages, Galvano non intese fare di sé un anti-razio- nale quanto piuttosto un convinto a-razionale, come indica la personale concezione di arte in equilibrio tra ragionevolezza e vaticinio, secondo un fare né pienamente consapevole poiché eroticamente privo di volontà intellettiva, né tantomeno completamente incosciente poiché contemplativo. Pertanto l'ipotesi di Galvano fu più aderente alla poetica di Mallarmé piuttosto che al pensiero di Valery, perché dove il primo disidratando e affinando la parola poetica pose le condizioni per un superamento del modello simbolistico aprendo di fatto alle avanguardie, il secondo immaginò la creatività come un processo logico ricondotto alla piena luce della razionalità, alla consapevolezza dell'atto. Esaltando cartesianamente l’intellettoela coscienza, il processo creativo per Valery è un'attività spiegabile analiticamente senza ricorrere a misticismo, vitalismo e spiritualismo. Carnalità, sessualità e sensualità - Croce aveva biasimato la sen- sualità nell'opera di Mallarmé come priva di “anelito d’innalzamento”” — furono invece le pulsioni vitali del Simbolismo che interessarono Galvano e che la razionalità, in un prolifico ripiegamento autoanaliti- co, dovrebbe avocare a sé integrandole senza ripulse pregiudiziali. Speculazione intellettuale e artistica che rivela tutta l’enigmaticità di Galvano che oscilla tra i termini affermati da Mallarmé, e ripresi da Alain, di “vision”, intesacome vaghezza di ispirazione, e “vue”, intesa come concretezza dell'oggetto in sé risolto. Se da una parte, sull'esempio di Mallarmé — il quale pre- cipitò le parole nell’assoluta perentorietà delle pure idee aspirando infine a una “poésie sans les mots”® -, Galvano pare decidersi per la “vue” aderendo al concretismo astratto come pars construens dalla quale pretendere risposte formali di esito certo, dall'altra, per mezzo del multiforme divenire della sua pittura, apre obliquamente alla possibilità allusiva dell’appa- rire, accettando di fatto unesito provvisorio prossimo al concetto di “vision”. L'oscillazione dalla vaghezza creativa all'evidenza intellettuale di forme e colori è l’unica risposta contingente possibile per Galvano che decide di non decidere tra i termini antitetici asseriti, approfondendolo sguardo nell'oscurità della creazio- ne e della vita. Medesimamente il Galvano scrittore affronta il passato eludendo la descrizione analitica delle epoche storiche portandone bensì all’emersione 7. B. CROCE, Poesiae non poesia, Laterza, Bari, 1950, 5° edizione riveduta, pp. 318, 319. g S.MALLARMÉ, Divagations, Bibliothèque-Charpentier, Eugène Fasquelle Éditeur, Parigi, 1897, p. 297. i reconditi meccanismi, le contraddittorie spinte pul- sionali; un’organica prassi opportuna a increspare la ricerca storica attraverso una molteplicità di punti di vista culturali posti in reciproco dialogo e liberamente sollecitati. Il rischio nell’approcciare oggi la figura di Galvano è quello di appiattirne il pensiero, come già avvertiva Sanguineti nel 1990°. L'illustre allievo aveva compreso come il decadentismo pittorico di un Moreau o lette- rario di un Huysmans fossero considerati dal maestro un indispensabile momento storico. Galvano mostra insomma un’idiosincrasia per quelle “mortificazioni crepuscolarmente schifiltose”!° che avevano impedito ai Campana, agli Onofri, agli Ungaretti e ai Montale di superare, senza rifiutarne la “carica panica e mitica”, il naturalismo panteistico dell’Alcyone dannunziano. InItalia, l'assenza del dissolutivo lavacro simbolista si era in sostanza ripercosso nella crociana deplorazione categoriale per l’arte moderna insieme all’illusione di potere produrre un'opera estetica autenticamente nuo- vaeludendo il peccato originario del Decadentismo. Il tentativo di emanciparsi dal prestigio delle autoritates latine che aveva tentato D'Annunzio richiamandosi ai romantici tedeschi, apriva gli occhi di Galvano ai presocratici e alla filosofia moderna (dall’irrazionali- smo alla scuola ermeneutica) che del classicismo aveva assunto il senso vitalistico, indefinibile e misterioso di una natura come rivelazione del divino. Da cui l’idea di una suprema ragion d'essere trascendente alla quale l’arte, per Galvano, dovrebbe aprirsi ma che invece nelle enunciazioni contemporanee gli pare, con buona pace di Eco, rinserrarsi in un'opera chiusa. Con un piglio da lettura sociale dell’arte, Galvano scrive dell’esaurimento dei rapporti storici tra committenti e artisti e di come ciò abbia mutato l'originaria destinazione d'uso delle opere, ridotte così a gratuite provocazioni. Conseguentemente proponeva le dimissioni delle categorie di giudizio elaborate perle arti visive del passato da sostituirsi con un equivalente delle letture psicanalitiche tentate da Sartre su Baudelaire e da Lacan su Poe. Restato sempre un pittore tradizionalista, Galvano si dichiara disin- teressato a certi sviluppi artistici lasciando intendere come il problema dell'effimerità dell’arte contempo- ranea—compreso l'amato astrattismo geometrico—sia anche un problema della storia dell’arte come disci- plina. Su come debba essere poi questa storiografia Galvano non si pronuncia se non dichiarando che il problema della storia dell’arte debba essere anche e 9 E. SANGUINETI, Contro la ragione, in “La Stampa”, 10 marzo 1990, p. 7. 10 A. GALVANO, catalogo della mostra, Palazzo Chiablese, Tori- no, dicembre 1979-gennaio 1980, p. 108. 11 Ibidem. soprattutto il problema dell’uomo! Sovvengono le parole destinate a grande fortuna critica che avrebbe scritto Hans Belting nei pamphlet intitolati “La fine della storia dell’arte o la libertà dell’arte” (1983) e nel successivo “Das Ende der Kunstgeschichte. Eine Revision nach zehnJahren” (1995)nei quali auspicava la fine della storiografia artistica tradizionale a favore di proposte olistiche e antropologiche avvedute delle mutate circostanze sociopolitiche, del rimescolamento di cultura alta e bassa, della suggestione determinata dai linguaggi mediali, dell’emergere di realtà culturali prima marginalizzate, dell’obsolescenza della funzio- ne assegnata al lavoro manuale, dell’alterato ruolo di musei e gallerie d’arte. La prospettiva delineata da Galvano si tinge di accenti acri quando denuncia la pacifica cittadinanza ottenuta dagli ismi ridotti alla non nocenza di prodotti da supermarket immersi in una rete di opportunità economiche e di complicità professionali. Un terreno culturale desolante che assume una disillusa trasposizione nella sua pittura ultima, nei paesaggi desertificati, nella scelta estrema del silenzio creativo come opzione possibile nonché parzialmente intrapresa. Facendosi anticipatore di posizioni storiografiche di superamento della cano- nica divisione tra antico e moderno e concentrando il periodo rivoluzionario dell’arte d'avanguardia tra il 1907 e il 1925, in una sorta di personale à rebours Galvano esprime l'opinione secondo cui i movimenti artistici successivi si sarebbero attestati su posizioni di assimilazione manieristica piuttosto che di irriverente Sovversione peculiare degli ismi nei riguardi della tradizione rappresentativa. Delinea unastoria dell’arte moderna parallela più complessa e connettiva come avrebbero potuto scriverla gli artisti ai quali infine delega idealmente il compito futuro di creare un'ar- te che, restando nell’ambito non figurativo e senza Impossibili riflussi, riesca coerentemente a ristorare i Valori artistici e umani del passato. Galvano insomma invoca il diritto anon essere moderno, o peggio ancora d avanguardia, evitando di lavorare sulla contingenza e rifiutando l'egemonia della critica per privilegiare, In senso dichiaratamente anticrociano, la poetica degli artisti che al lavoro intellettuale uniscono la prassi. Insieme alla proposta per un rinnovamento della Storiografia artistica Galvano ne affianca un’altra di Natura conservativa consistente nell’idea di salvaguar- dare le opere minori del modern style, perlomeno gli Oggetti e gli arredi non ancora distrutti (di Cometti Per esempio). Immagina la documentazione degli edifici Liberty finendo per invocare l'allestimento di Una retrospettiva sull’Art Nouveau internazionale, ma ù A. Gauvano, «Cosa nostra», in “Sigma”, Ln1, primavera 64, pp. 63-70. Poi in: “Omaggio a Albino Galvano”, 1992, cit., Pp. 130-133. Poi in: “Diagnosi del moderno”, cit., p. 59. 45 avveduta del caso italiano e piemontese nel dettaglio, da allestirsi nella rinata Galleria di Arte Moderna di Torino (1960). Caduta nel vuoto la proposta sarà pro- prio Galvano a scrivere un articolo sull’Art Nouveau a Torino! e poi, insieme a Giorgio Balmas e Lorenzo Guasco, a curare nel 1978 al foyer del Piccolo Regio una mostra dedicata alla pittura torinese all’inizio del secolo. Sorta di doveroso omaggio a uno stile di vita prima ancora che d’arte nel quale confluirono la vita delle forme collettive e l’individualità creativa. Dissentendo da Croce, l'interesse di Galvano per gli oggetti si approssima alle idee espresse da Giovanni Gentile nella prolusione al corso universitario di storia della ceramica pronunciato nel Palazzo Comunale di Faenza nel 1928 nel quale il filosofo, saldando arte e vita, rivendica la dignità estetica dei prodotti artigianali e industriali di qualità. Si consuma qui l'ennesima contraddizione di un crociano affine alle idee di Gentile che pur biasima per densità retorica. Sensibile alle arti dei periodi di transizione e avvedu- to della caducità dei giudizi, compresi i propri, per Galvano ogni critica obiettiva deve essere sempre un’autocritica. Augurandosi l'avvento di un esegeta capace di rileggere l’arte tra i due secoli, così come Sanguineti seppe fare con la letteratura, Galvano rammenta come la sua generazione abbia vergato parole sferzanti su Bistolfi fino a pochi anni addietro valutato un artista di statura europea. Ma fu anche la generazione di quei giovani i quali, raggiunti i vent'anni nella terza decade del XX secolo, quando dovetteroimmaginare una ribellione la fantasticarono conle parole di Rimbaud, Gide, Lawrence e Huysmans il cui Des Esseintes sembrò essere allora il prototipo di un esteta come Carlo Mollino. Dell’amico, stimato oltre che come professionista di genio anche come dilettante d'eccezione, Galvano ammirò la capacità di governare con la formazione culturale crociana e il rigore razionale tipico della sua professione, gli umori sensuali, avventurosi e ambigui del suo animo capace di rievocare il ritmo aperto e biologico del Liberty restituendolo nella voluttà degli interni arredati, nell'armonia architettonica dei pieni e dei vuoti, nella eterogenea e immaginosa commistione di elementi organici e funzionali. Un'omogeneità che il termine “surreale” illustra solo parzialmente e che trova una segreta corrispondenza nelle opere di Cremona come nei molluschi, nelle conchiglie, negli antichi libri accartocciati e nelle acquasantiere barocche che Galvano dipinge negli anni Trenta e Quaranta. L'identità autopoietica generata da Torino si manifesta nella condivisione spirituale prodotta da 13 A. GALVANO, Per lo studio dell'Art Nouveau a Torino, in “Bol- lettino della Società Piemontese di Archeologia e Belle Arti”, nn. 14-15, 1961. questa generazione d’eccentrici intelletti, nella speci- fica formazione di un genius loci come Galvano e nel progetto della Bottega d’Erasmo che Gabetti e Isola disegnano in forme intellettualistiche neo-liberty nel 1953. Proprio in quell’anno, “A Rebours” di Huysmans diverrà per Galvano il pretesto per puntualizzare le proprie posizioni all’interno del Mac e più in generale nel modo di intendere il Decadentismo!. Quando Leonardo Borgese consigliò agli astrattisti concreti, in chiusura della recensione alla mostra di Galvano allestita presso lo Studio B 24 di Milano nel 19535, di rileggersi il celebre romanzo di Huysmans nel quale, a suo parere, ci sarebbe stato il necessario per decodi- ficare la loro poetica, gli aderenti al gruppo accolsero l'esortazione come una blasfemia da respingersi inte- gralmente. Galvano ritenne legittima la protesta dei compagni astrattisti apparendogli chiaro come Borgese incaricasse l’ipocondriaca, solitaria ed estetizzante vita del protagonista narrato nelromanzo, diesprimere un'e- pidermica quota di edonismo e di sensualismo ribelle ai disvalori della società positivistica industrializzata e scientifica, votata al profitto, al commercio, al nuovo capitale borghese. Dopo di che Galvano, confessando di aderire parzialmente al pensiero del capitano della brigata anti-astrattista Borgese, s'inalvea in una lettura sorprendentemente sincretica aperta al riconosci- mento dell’ambivalenza del rapporto tra astrazione e Simbolismo. Al rifiuto delle suggestioni emotive del Simbolismo, l’astrattismo, secondo Galvano, ne intellettualizzerebbe le allusioni ele “corrispondenze” (termine apertamente rimontante a Baudelaire) come strumento oppositivo al dilagare prosastico del reali- smo. L'astrattismo del dopoguerra ridurrebbe quindi ai minimi termini la carica letteraria aumentando quella metafisica, riscattando la tradizione dei padri nobili dell’astrazione primonovecentesca e tesaurizzando nel contempo (sulla scorta della ricostruzione filogenetica di Pevsner) la lezione di Toorop, Gauguin, Munch e Klimt insieme a quella degli antesignani Runge, Blake, Antonelli, Ciurlionis, Kupka; in sostanza dei precursori che evocarono ancora le leggi del mondo fisico consentendo agli evoluti linguaggi non figurativi di divincolarsi più recisamente dalla mimesi. Negli anni tra le due guerre, sull'onda della fenomenologia e della psicologia della forma, si assisté a un aurorale revisionismo storiografico dell'Art Nouveau — anche Edoardo Persico ebbe in animo di scriverne una storia!° 14. A. GALVANO (asterisco di) in, ‘Pitture di A. Galvano in un esperimento di sintesi” (testo anonimo), Milano Studio B 24, “Arte Concreta”, bollettino n. 12, seconda serie, febbraio 1953. Poi in: P. Fossati, “Il movimento arte concreta 1948-1958. Materiali e documenti”, Martano Editore, Torino, 1980, pp. 62, 63. 15 L. BorcEse, “Corriere della Sera”, 1° gennaio 1953. 16 A. Pica, Revisione del Liberty, in: “Emporium”, a. XLVII. n. 8, vol. XCIV, n. 560, agosto 1941, p. 66. 46 — ma sarà con gli anni Sessanta e Settanta che diverrà condivisa acquisizione la carica anticipatoria ricoperta da Mackmurdo e dalla cultura figurativa a partire da Blake. Anima nera del concretismo, Galvano assume un ruolo sovversivo nel movimento proponendo ine- dite e intelligenti aperture di senso che tuttavia non giungeranno a ispirare un prolifico dibattito all’interno del gruppo infragilito dalle difformità tra la posizione intellettuale rigorosamente metodica dei milanesi e gli arrovellamenti sulla materia fortemente allusiva espressi dalla linea torinese. Risalendo alle sorgenti dell’arte astratta, Galvano riannodò, in antitesi alle let- ture formalistiche, le affinità con le fonti spiritualiste di Decadentismo e Simbolismo e — pensando alla densità mistica nell'opera di Huysmans sfogata in occultismo e cattolicesimo — con le citazioni della Blavatsky e di Steiner scritte da Kandinsky, con la prossimità di Mon- drian ai circoli teosofici, con il lirismo magico di segni e colori dell’orfismo di Kupka e, non ultimo, con uno dei primitesti dedicati all’astrazione scritto da Julius Evola. Dandy autoironico votato alla marginalità, Galva- no disseminò il proprio percorso di tracce sulle quali indugiare, trascorrendo liquidamente da una disciplina all'altra in modo stupefacente per un intellettuale ani- mato da pura vocazione pedagogica ma riottoso alla metodicità dello studio scolastico. Attribuire un senso univocoal suo pensiero equivarrebbe a fraintenderne la filosofia e l’idea stessa di un'arte come autosufficiente e spontaneistico operare nella ferita aperta tra vitali- smo e intelletto che l’atto artistico non riesce tuttavia a cicatrizzare. La civiltà intera corrisponde per lui alla fenomenicità delle immagini da essa prodotte che, in sostanza, aprirebbero al mistero quale autentico even- to metafisico. Intendendo come piani dell’emersione archetipica i segni dell’arte — della quale l’idealismo si limiterebbe a coglierne l'aspetto teoretico, Alain quello pratico e l’Esistenzialismo quello etico — sarebbe troppo semplicistico archiviare la passione di Galvano per Decadentismo, Simbolismo e modern style, come l'infatuazione culturale per un'epoca vesperale. Egli si sente invece custode ed erede di quella lacerante contraddizione, di quella genesi oppositiva, di quella disperata tensione verso uno spirituale fatalmente arreso alle forme dell’estetismo, di quella magnifica e perduta sfida, tanto da riversarne la forza vitale nella personale proteiforme pittura così come nelle pro- gressive illuminazioni della sua letteratura filosofica e artistica. Opere esposte 1 Lettrice sdraiata -— 1931 — olio su tela — 63,5x81 cm 2 Autoritratto - 1940 ca — olio su tela — 23,5x18 cm 3 Astrazione - 1950 — olio su tela — 50x60 cm et adi 4 Il giorno — 1952 — olio su tela — 100x80 cm 5 Pacato — 1954 — olio su tela — 90x110 cm 6 Composizione in nero — 1954 — olio su tela — 90x110 cm / S.t.-1956-olio su carta — 34x48 cm $ Ercole ed Anteros — 1956 — olio su tela — 85x115 cm 9 Omaggio a Van De Velde - 1959 — olio su tela — 80x90 cm 10 Ir1s — 1960 — olio su tela — 105x95 cm 58 10Y1-1960- olio su tela — 95x110 cm 3 F 12 Calligramma — 1960 — olio su tela — 100x85 cm 13 Fiori di lago — 1962 — olio su tela — 100x120 cm 14 Le jardin de cet astre — 1962 — olio su tela — 132x116 cm 15 Ireos — 1962/65 — olio su tela — 130x115 cm 16 Proposta — 1965 — olio su tela — 135x122 cm 17 Pavese — 1967 — olio su tela — 120x110 cm 18 Farfarello e Malambruno — 1967 — olio su tela — 80x60 cm 19 Gonfaloni — 1968 — olio su tela — 95x80 cm 20 Nastro n. 25 — 1968 — olio su tela — 90x80 cm 21 Nastri — 1969 olio su tela — 60x50 cm 22 Nastri colorati — 1969 - olio su tela — 110x100 cm 23 Nastri — 1970 — olio su tela — 60x50 cm 24 Nastri — 1970 — olio su tela — 60x50 cm MALI 25 Nastri — 1970 — olio su tela — 60x50 cm ter» IG MOFBEE sie Tre ir" Saitta Sl 26 Segni asemantici (dittico) - 1973 — olio su tela — 110x90 cm pari #1 =$ Re |a te n ; 26 Segni asemantici (dittico) - 1973 — olio su tela — 110x90 cm 27 Artemis — 1974 — olio su tela — 120x110 cm 28 Maioresque cadunt - 1974 — olio su tela — 90x80 cm —____ TITO sal - 1974 — olio su tela — 70x50 cm 30 s.t. 1974 - olio e carboncino su tela — 80x60 cm 31 Ireos - 1977 — olio su tela — 70x60 cm —_—— mr LIIII:5 ——_—_ T=—r-—-r®x (i 32 Iris n. 2 - 1975 - acquarello su carta — 40x30 cm Sa Cespu glio — 1974 — acquarello su carta — 40x30 cm 34 Glotre du lon g desir idees —- 1975 — acquarello su carta — 40x30 cm 35 Fiori — 1975 — acquarello su carta — 40x30 cm VRREET L6 LL AIA USD GOG VE o VERDE IL I BEILET DART DIG SPARI DIO RR pia I I LITIO ODE LIL 36 Fiori — 1975 — acquarello su carta — 40x30 cm 37 Une Fleur — 1975 — olio su tela— 70x70 cm 38 Scrittura - 1976 — acquarello su carta — 60x50 cm 39 Sassi e foglie — 1978 — olio su tela — 80x80 cm 40 Foglie morte — 1978 — olio su tela — 80x80 cm 41 Ciottoli — 1980 — acquarello su carta — 40x30 cm Labrit, © di DASIO LT R EDLI u DILODIAT 42 Ciottoli e rocce — 1980 — acquarello su carta — 48x35 cm 43 Ciottoli — 1980 — acquarello su carta — 48x35 cm ” — hu ro iiriiRRRE 44 Rocce e ciottoli — 1981 — olio su tela — 80x80 cm 45 Rocce e sassi — 1981 — olio su tela — 80x80 cm 46 Rocce e sassi — 1981 — olio su tela — 80x80 cm 47 Rocce e sassi — 1982 — olio su tela — 80x80 cm Opere in mostra 01 — Lettrice sdraiata — 1931 — olio su tela — 63,5x81 cm 02 — Autoritratto — 1940 ca — olio su tela — 23,5x18 cm 03 — Astrazione — 1950 — olio su tela — 50x60 cm 04 — Il giorno — 1952 — olio su tela — 100x80 cm 05 — Pacato — 1954 — olio su tela — 90x110 cm 06 — Composizione in nero — 1954 — olio su tela — 90x110 cm 07 — s.t.-— 1956 — olio su carta — 34x48 cm 08 — Ercole ed Anteros — 1956 — olio su tela — 85x115 cm 09 — Omaggio a Van De Velde — 1959 — olio su tela — 80x90 cm 10 — Iris-— 1960 — olio su tela — 105x95 cm 11 — Fiori - 1960 — olio su tela — 95x110 cm 12 — Calligramma — 1960 — olio su tela — 100x85 cm 13 — Fiori di lago —- 1962 — olio su tela — 100x120 cm 14 — Le jardin de cet astre — 1962 — olio su tela — 132x116 cm 15 — Ireos — 1962/65 — olio su tela — 130x115 cm 16 — Proposta — 1965 — olio su tela — 135x122 cm 17 — Pavese — 1967 — olio su tela — 120x110 cm 18 — Farfarello e Malambruno — 1967 — olio su tela — 80x60 cm 19 — Gonfaloni — 1968 — olio su tela — 95x80 cm 20 — Nastro n. 25 - 1968 — olio su tela — 90x80 cm 21 - Nastri — 1969 — olio su tela — 60x50 cm 22 — Nastri colorati —- 1969 — olio su tela — 110x100 cm 23 — Nastri — 1970 — olio su tela — 60x50 cm 24 — Nastri - 1970 — olio su tela — 60x50 cm 25 — Nastri - 1970 — olio su tela — 60x50 cm 26 — Segni asemantici (dittico) — 1973 — olio su tela — 110x90 cm 27 — Artemis — 1974 — olio su tela — 120x110 cm 28 — Matoresque cadunt — 1974 — olio su tela — 90x80 cm 29 — s.t.- 1974 -— olio su tela — 70x50 cm 30 — s.t.— 1974 — olio e carboncino su tela — 80x60 cm 31 — Ireos — 1977 — olio su tela — 70x60 cm 32 — Iris n. 21975 — acquarello su carta — 40x30 cm 33 — Cespuglio — 1974 — acquarello su carta — 40x30 cm 34 — Gloire du long desir idees — 1975 — acquarello su carta — 40x30 cm 35 — Fiori —- 1975 — acquarello su carta — 40x30 cm 36 — Fiori - 1975 — acquarello su carta — 40x30 cm 37 — Une Fleur — 1975 — olio su tela — 70x70 cm 38 — Scrittura — 1976 — acquarello su carta — 60x50 cm 39 — Sassi e foglie — 1978 — olio su tela — 80x80 cm 40 — Foglie morte — 1978 — olio su tela — 80x80 cm 41 — Ciottoli — 1980 — acquarello su carta — 40x30 cm 42 — Ciottoli e rocce — 1980 — acquarello su carta — 48x35 cm 43 — Ciottoli — 1980 — acquarello su carta — 48x35 cm 44 — Rocce e ciottoli - 1981 — olio su tela — 80x80 cm 45 — Rocce e sassi — 1981 — olio su tela — 80x80 cm 46 — Rocce e sassi — 1981 — olio su tela — 80x80 cm 4/ — Rocce e sassi — 1982 — olio su tela — 80x80 cm Finito di stampare nel mese di marzo 2021 da GARABELLO ARTEGRAFICA (SAN MAURO TORINESE)
Friday, March 25, 2022
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