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Sunday, March 27, 2022

GRICE E GALILEI: IL CARTEGGIO DI HASDALE

 4 Volgareelatino nel carteggio galileiano   Sommario 4.1 Galileo epistolografo: volgare e latino. – 4.2 Un confronto con Descartes e Mersenne. – 4.3 Le lingue dei corrispondenti. – 4.4 Le lettere latine di Galileo. 4.1 Galileo epistolografo: volgare e latino Per le consuetudini della respublica litterarum lo scambio epistolare europeo riveste un ruolo importantissimo, anche in considerazione della censura, in quanto «la lettre n’a pas besoin d’imprimatur ni de ‘privilège’» (Fattori in Armogathe, Belgioioso, Vinti 1999, 52).1 Non esistendo ancora i periodici scientifici, le lettere svolgevano anche tale funzione. Allievi e simpatizzanti, protettori, principi e cardinali, eruditi ita- liani e stranieri, colleghi ed ecclesiastici, artisti e letterati, amici e familiari: il carteggio galileiano comprende tutto questo.2 I destinatari di Galileo sono per lo più in Italia, ma non mancano corrispondenti stranieri, specialmente in Francia (Parigi e Lione), in Baviera, a Praga e nei Paesi Bassi: «Per quanto la giurisdizione del 1 Sulla respublica litterarum e la corrispondenza tra i savants cf. Fumaroli 1988; Bots, Waquet 1994 (in particolare i saggi di Johns, Fumaroli, Waquet, Frijhoff); Waquet 1998; Armogathe, Belgioioso, Vinti 1999 (in particolare l’intervento di Marta Fattori); Jau- mann 2001; Bots, Waquet 2005; Fumaroli 2015. 2 Breve, ma puntualissimo, Bucciantini in Irace 2011, 344-9; si veda anche Garcia 2004, 257-65. All’epistolario galileiano è dedicato Ardissino 2010; la studiosa ha cura- to un’antologia delle lettere italiane dello scienziato (Galilei 2008), con introduzione di Battistini (L’umanità di uno scienziato attraverso le sue lettere). Sul registro polemico nell’epistolario si veda Ricci 2015.   Filologie medievali e moderne 23 | 19 10.30687/978-88-6969-450-9/004 57  Bianchi 4 • Volgare e latino nel carteggio galileiano suo epistolario sia di estensione europea, Galileo si rivolge soprat- tutto alla classe dirigente degli Stati italiani, laica ed ecclesiastica» (Battistini in Galilei 2008, 13).3 In che lingua scriveva Galileo le sue lettere? Ci si aspetterebbe che, nonostante la programmatica scelta del volgare per le sue opere, egli utilizzasse nella corrispondenza con gli stranieri il latino, lingua franca dell’aristocrazia del sapere. Una verifica integrale nei volumi dell’EN riserva invece la sorpresa di una situazione affatto diversa, che riportiamo in tabella:   Vol. EN 10 11 12 13 14 15 16 17 18 18suppl. 20 suppl. 1 20 suppl. 2 Suppl. 2015 TOT. Anni Lettere di cui scritte in latino da Galileo 1574-1610 89 3 1611-13 42 0 1614-19 47 0 1620-28 51 1 1629-32 49 1 1633 18 0 1634-36 50 2 1637-38 33 1 1639-42 49 1 2 0 2 0 3 0 10 0 445 9 2 a Kepler (4 agosto 1597, EN 10, 67; 19 agosto 1610, EN 10, 421) 1 a Brengger (8 novembre 1610, EN 10, 466) a Kepler (28 agosto 1627, EN 13, 374) a Fortescue [Aggiunti] (febbraio 1630, EN 14, 83) 1 a Bernegger [Aggiunti] (16 luglio 1634, EN 16, 111) 1 agli Stati generali dei Paesi Bassi (agosto 1636, EN 16, 468-9) a Boulliau(d) (1 gennaio 1638, EN 17, 245) a Boulliau(d) (30 dicembre 1639, EN 18, 134)                 3 Cf. anche Garcia 2004, 257: «l’espace de cette république semble se réduire, dans son esprit, à la seule Italie – c’est-à-dire aux trois villes de la Péninsule les plus actives culturellement, Rome, Venise et Florence». Filologie medievali e moderne 23 | 19 58 Galileo in Europa, 57-70   Bianchi 4 • Volgare e latino nel carteggio galileiano Su un totale di 445 lettere – manteniamo i criteri di Favaro, che in- clude anche le epistole-trattato, quali le tre sulle macchie solari, e le dedicatorie – sono latine soltanto 9 (il 2,02 %). Si tratta delle lettere superstiti, ma, anche supponendo che la sorte ne abbia distrutto un numero maggiore in latino che in italiano, i dati sono inequivocabili. Sappiamo poi che di quelle 9, 2 sono state composte da Niccolò Ag- giunti su commissione dello scienziato (v. infra). Ne restano dunque 7. 4.2 Un confronto con Descartes e Mersenne Il confronto con Descartes è eloquente. Charles Adam ricostruisce che nel carteggio superstite «sur un total de 498 lettres, 63 sont en latin» (Adam 1910, 22), cioè il 12,65%. Del resto la familiarità del fi- losofo con il latino era profonda: Il apprit le latin à fond, non seulement comme une langue morte, mais comme une langue vivante qu’il pourrait avoir à parler et à écrire. Il la parla, en effet, quelquefois en Hollande, et même en France à une soutenance de thèses; et il l’écrivit dans trois ou quatre de ses ouvrages et un certain nombre de lettres. Quelques- unes de ses notes mêmes, rédigées pour lui seul et à la hâte, sont en latin. Il maniait cette langue aussi bien et souvent mieux que le français, le plus souvent avec vigueur et sobriété, parfois aus- si pourtant avec quelques gentillesses de style qui rappellent les leçons des bons Pères; lui-même avoue qu’il a fait des vers, sans doute des vers latins, et une fois avec Balzac il se piqua de bel esprit et lui écrivit dans un latin élégant ‘à la Pétrone’. (Adam 1910, 22)4 Il latino fu ancor più abituale per Marin Mersenne (1588-1648), che anche in quanto ecclesiastico (ordine dei Minimi) era più legato alla lingua antica: su 308 epistole da lui redatte e conservateci sono la- tine il 38, 64% (119), in francese le restanti.5 Sarebbe interessante uno studio dell’uso linguistico in tale epistolario che analizzi il tipo di missiva, la provenienza e la formazione dei destinatari. Accenniamo qui soltanto al fatto che Mersenne, a cui furono rivolte alcune lette- 4 Al carteggio di Descartes è dedicato l’ampio volume di Armogathe, Belgioioso, Vinti 1999; vi si veda in particolare il saggio di Torrini che compara l’epistolario di Descartes e di Galileo: per il primo il carteggio fu un luogo privilegiato di discussione filosofica, ben più che per Galileo. 5 Conteggio nostro dai 17 volumi della corrispondenza dell’erudito (Mersenne 1945- 1988). Divergono leggermente dalla nostra la somma indicata nel vol. 17 a p. 107 (330) e quella che si ricava dall’indice delle missive a pp. 145-9 (317). La lettera nr. 1691 a Baliani ci è tradita in italiano da una stampa secentesca delle opere di questi, ma si tratta probabilmente di una traduzione dall’originale latino o francese (cf. il commen- to di de Waard, Beaulieu). Filologie medievali e moderne 23 | 19 59 Galileo in Europa, 57-70     Bianchi 4 • Volgare e latino nel carteggio galileiano re in italiano, non rispose mai in quella lingua; i curatori del carteg- gio affermano, seccamente, che «Mersenne savait très mal l’italien» (commento alla lettera nr. 1691). Troppo seccamente, perché egli comprendeva in verità assai bene l’italiano, come dimostra la tradu- zione-rielaborazione di pagine galileiane (Les Méchaniques de Gali- lée, Les nouvelles pensées de Galilée).6 Interessante sarebbe valutare affermazioni di comprensione o incomprensione di una lingua stra- niera come quelle di Giovanni Battista Baliani, in cui la grafia sem- bra giocare un grande ruolo. Per esempio, ha ricevuto da Mersenne una lettera «in lingua francese, ma tanto chiara ché io l’ho intesa leg- gendola correntemente» (missiva nr. 1429), cioè è riuscito a legger- la nonostante fosse in francese e nonostante la grafia. Un mese pri- ma aveva spiegato al corrispondente: «Rispetto alla lingua, in che V. P. mi deve scrivere, confesso, che mi è più caro che mi scriva in lat- tino, che già hò preso un poco la pratica del suo carattere. Il france- se però intendo meno, ancorche intenda assai bene i libri stampati» (missiva nr. 1417; in nota i curatori ricordano che Torricelli aveva lo stesso problema). Galileo non leggeva il francese.7 Contrariamente a ciò che era consuetudine e norma nella respublica litterarum, Galileo fece uso parchissimo del latino per l’epistolografia. Anche se dobbiamo precisare che era ormai scontata a quell’altezza cronologica, almeno in Francia e Italia, l’utilizzo della lingua mater- na per comunicare con connazionali,8 e il carteggio stricto sensu ga- lileiano – lettere composte o ricevute dallo scienziato – non presenta quasi eccezioni.9 Anche tra le lettere che nell’EN fanno corona all’epi- stolario galileiano propriamente detto, ma che fornendo informazioni sullo scienziato furono raccolte da Favaro, sempre o quasi gli italia- ni scrivono a un connazionale (foss’anche il papa) in italiano. Analo- gamente si comportano i dotti francesi (pur con qualche eccezione): Mersenne, Fermat, Descartes si scrivono in francese. Ricorrono in- vece non infrequentemente al latino i dotti tedeschi per comunicare tra loro: nell’EN si veda Scheiner che scrive a Kircher, e Bernegger a tutti i propri connazionali.10 Analogamente, l’olandese Hugo de Gro- 6 Sul rapporto Mersenne-Galileo (e Descartes-Galileo) si veda almeno Bucciantini 2009. 7 Cf. anche Favaro 1983, 1392. 8 Pantin 1996, 58: «À la fin de la Renaissance, les langues vernaculaires (surtout s’il s’agissait du français et de l’italien) étaient devenues le premier moyen de s’exprimer et même de raisonner (dans la correspondances scientifiques du début du XVIIe siècle les allemands sont souvent presque les seuls à parler latin)». Di diverso parere Battis- tini in Galilei 2008, 13: «pur essendo ancora il latino la lingua abituale nel trattare ma- terie scientifiche ed erudite, anche tra connazionali». 9 Paolo Maria Cittadini, che si firma teologo dello Studio bolognese, si rivolge in la- tino a Galileo (EN 10, 389). 10 Per un’indagine sulla corrispondenza dei dotti tedeschi nel Cinquecento si veda Lefèbvre 1980. Cf. anche Leonhardt 2011, 213. Filologie medievali e moderne 23 | 19 60 Galileo in Europa, 57-70     Bianchi 4 • Volgare e latino nel carteggio galileiano ot (Grotius) scrive in latino a Maarten van den Hove (Martino Orten- sio nell’EN) e a Gerhard Voss (Vossius). 4.3 Le lingue dei corrispondenti Galileo non si allinea al costume della comunicazione latina con stra- nieri, mostrando una forte tendenza a evitare la lingua antica.11 D’al- tra parte, l’adozione dell’italiano da parte di stranieri testimonia la fortuna della nostra lingua e il suo prestigio.12 Galileo instaura una comunicazione italiana paritetica – nel senso che entrambi i corri- spondenti scrivono in italiano – non solo con Clavius e Faber, che vi- vevano stabilmente in Italia da molti anni (si noti però che in alme- no due lettere il principe Cesi aveva scritto al secondo in latino), ma anche con Markus Welser,13 l’ingegnere militare Antoine de Ville (al- lora in servizio della Serenissima),14 Carcavy, Peiresc, Reael, Lowijs Elzevier,15 Ladislao IV di Polonia, Massimiliano di Baviera, Jean de Beaugrand. L’effettiva conoscenza dell’italiano da parte dei corri- spondenti non si può misurare solo dalle missive, per alcune delle quali va postulato l’intervento di un madrelingua (certamente nel caso di principi e regnanti, ma anche le lettere di Reael sono troppo ben scritte per non supporre almeno un correttore).16 Significativo il caso di François de Noailles (1584-1645).17 Già sco- laro di Galileo a Padova, ufficiale militare e poi non troppo abile am- basciatore francese a Roma (1634-36), attivo nel chiedere alla Chie- sa clemenza per l’antico maestro, lo incontrò a Poggibonsi sulla via del ritorno in Francia e ricevette una copia manoscritta delle Nuove scienze, delle quali fu dedicatario. Restano 8 lettere da lui inviate a Galileo dall’ottobre 1634 al novembre 1638. Le prime cinque sono in italiano e risalgono al tempo in cui era diplomatico a Roma: di esse soltanto una è interamente autografa (EN 16, 144), ma probabilmente 11 Nell’inopportunità di riportare dettagliate rassegne biografiche sui molti personag- gi che nomineremo, rimandiamo una volta per tutte all’Indice biografico dell’EN (anche del supplemento 2015) e agli indici di Drake 1995 e di Heilbron 2010, nonché al rege- sto di nomi propri curato dal Museo Galileo di Firenze, disponibile online e continua- mente aggiornato. Daremo qui solamente qualche informazione utile al nostro discorso. 12 Cf. Stammerjohann 2013. 13 Cf. cap. 2, § 5. Quando questi è malato, anche il fratello Matthäus scrive in ita- liano a Galileo. 14 Cf. Pernot 1984 e Vérin 2001. 15 Scrive in italiano anche a Micanzio. Bonaventure e Abraham Elzevier si erano in- vece rivolti a Galileo in latino. 16 Diodati scrive a Reael in italiano (EN 16, 492). 17 Su di lui cf. Favaro 1983, 1317-45. Per i corrispondenti francesi di Galileo riman- diamo a Baumgartner 1988 e ai riferimenti bibliografici ivi contenuti. Filologie medievali e moderne 23 | 19 61 Galileo in Europa, 57-70     Bianchi 4 • Volgare e latino nel carteggio galileiano composta o almeno rivista da un madrelingua. Le altre quattro han- no soltanto la sottoscrizione di pugno del diplomatico. Il 15 gennaio 1636, in un punto morto delle discrete manovre per il mitigamento della condanna di Galileo, Noailles si scusa con questi del ritardo nel- lo scrivere: «Potrà similmente attribuire la cagione dell’haver tardato a scriverli all’assenza del mio secretario italiano» (EN 16, 377). È al- meno in parte un pretesto, ma ci informa delle abitudini linguistiche della corrispondenza. La stessa lettera riporta un breve poscritto au- tografo, che può dare l’idea della competenza linguistica dell’amba- sciatore, buona, ma nettamente inferiore alla lingua e allo stile esibi- to nelle altre lettere a Galileo: «Il latore de la presente li darà nove di me, et quanto gran stima fo de le sue virtù et come sto con desiderio di servirla in ogni occorrenza». Di fatto, l’uso dell’italiano sembra, non solo in Noailles, un piacere e un omaggio al maestro degli anni pado- vani e al grande scienziato. Dopo il rientro in Francia (1636) Noailles gli scriverà personalmente – cioè senza aiuto di segretari – in france- se (restano tre lettere autografe). Lettere che – l’ambasciatore dove- va certo esserne al corrente – Galileo non poteva intendere e di cui restano tra i manoscritti galileiani le traduzioni italiane.18 A Grienberger e de Groot che gli si rivolgono in latino, Galileo ri- sponde in italiano. In latino gli scrivono anche Gassendi (con l’ec- cezione di una missiva italiana composta insieme a Peiresc), Tycho Brahe, Mersenne, Morin, Abraham e Bonaventure Elzevier, l’avver- sario Scheiner e parecchi altri.19 Ma non sono conservate le risposte del nostro (a Tycho non rispose affatto) 20 e dunque non sappiamo in quale lingua fossero composte. Gli scrissero invece in italiano Martin Hasdale (tedesco, fu a lun- go in Italia per divenire poi potente consigliere alla corte di Rodolfo II); David Ricques (polacco o tedesco), Thomas Segget (scozzese, fu a lungo in Italia; poi a Praga), il greco Demisiani, il cardinale François de Joyeuse, Krzysztof Zbaraski (nell’EN Cristoforo di Zbaraz), Ri- chard White (allievo di Castelli, scrive da Londra e si scusa per gli errori di lingua), Giovanni di Guevara (spagnolo, ma nato a Napoli), Philippe de Lusarches (maestro di camera degli ambasciatori fran- cesi a Roma), Johannes Riijusk (cugino del Reael, scrive da Venezia), Francesco van Weert (olandese al servizio della Serenissima), Justus 18 Cf. l’introduzione di Favaro alle missive e il supplemento di EN 18, 436. Al ruo- lo dei segretari nella respublica litterarum accenna Fattori in Armogathe, Belgioioso, Vinti 1999, 57-8. 19 Raymund Schorer (mercante tedesco attivo anche a Venezia), Theophilus Mül- ler (tedesco, linceo, da Roma), Beaulieu (non meglio identificato), John Welles (da Lon- dra), Jan Friedrich Breiner, Michel Coignet, Marek Lentowicz (che fu studente a Pado- va), Bartholomäus Schröter (tedesco), Jean Tarde, Filippo d’Assia, Jan Brozek (polac- co), Maarten van den Hove (Hortensius, olandese).   20 Bucciantini 2003, 87.  Filologie medievali e moderne 23 | 19 62 Galileo in Europa, 57-70  Bianchi 4 • Volgare e latino nel carteggio galileiano Weffeldich (agente degli Elzevier a Venezia), Jean-Jacques Bouchard (dotto francese che visse molti anni a Roma), Henry Robinson (ingle- se, fu a Livorno per commercio e abitò per alcuni anni a Firenze). Restano alcune epistole italiane che Galileo inviò a Leopoldo d’Au- stria (Innsbruck), a Pedro de Castro conte di Lemos (Madrid), agli Stati Generali delle Province Unite dei Paesi Bassi (ve n’è un’altra in latino, EN 468-69, di cui parleremo tra qualche pagina), a Francisco de Sandoval duca di Lerma (Madrid), a Maarten van den Hove (matematico olandese). Scrivono a Galileo sia in latino che in italiano Leopoldo d’Austria, Jacques Jauffred21 (una missiva privata è in volgare, una pubblica è stampata in latino), Benjamin Engelcke (di Danzica, fu per alcuni an- ni in Italia).22 Gli Stati Generali delle Province Unite dei Paesi Bassi si rivolgono a Galileo sia in latino che in francese (Reael traduce per Galileo; una deliberazione dell’assemblea sulla proposta galileiana del calcolo della longitudine è redatta in olandese e Reael la tradu- ce in latino per Galileo). Il francese è peraltro usato anche in altre occasioni dagli olandesi, come quando Huygens si rivolge a Diodati. Il quadro generale dell’epistolario è dominato dall’italiano, anche perché la maggioranza degli stranieri aveva vissuto per un periodo abbastanza lungo in Italia durante gli studi universitari o per altri motivi. Sono dunque stranieri con una vasta conoscenza personale della Penisola e della sua lingua.23 4.4 Le lettere latine di Galileo Si esaminerà ora il ristretto gruppo di epistole latine di Galileo rima- steci. Della corrispondenza tra Galileo e Kepler, di importanza capi- tale, restano poche lettere, 7 da parte del tedesco, 3 da parte del pi- sano. Non si incontrarono mai di persona. La comunicazione si svolse sempre in latino e coprì, per quanto è conservato, un arco tempora- le che va dal 1597 al 1627 (ma le lettere scritte da Kepler non vanno oltre il 1611). I rapporti scientifici e personali tra i due scienziati so- no illustrati nel dettaglio e nell’ampio quadro culturale del tempo in Bucciantini (2003), a cui ci rifacciamo per la nostra analisi. Al tempo del primo contatto epistolare (1597) nessuno dei due è famoso: Gali- leo è niente più che il solido matematico dello Studio di Padova; Ke- pler, dopo aver rinunciato alla carriera teologica e pastorale, è mate- matico a Graz. I due non si conoscono neppure di nome. Per tramite 21 Su di lui vedi DBI (s.v. «Gaufrido, Jacopo»). 22 Cf. infra in questo capitolo. 23 Cf. Favaro 1983, 1320-2. Una testimonianza in senso contrario (ovvero scarsa com- petenza dell’italiano da parte di studenti stranieri a Padova) è riferita da Mikkeli 1999, 81; ci sembra tuttavia un’eccezione di fronte alle tante altre. Filologie medievali e moderne 23 | 19 63 Galileo in Europa, 57-70     Bianchi 4 • Volgare e latino nel carteggio galileiano dell’amico Paul Homberger, Kepler fece arrivare in Italia il suo My- sterium cosmographicum (1596). «Probabilmente fu lo stesso Keple- ro a suggerirgli [a Homberger] di destinare una copia allo Studio di Padova, ovvero di consegnarla a chi in quel tempo occupava la catte- dra di matematica in una delle università più prestigiose d’Europa» (Bucciantini 2003, 22). E Galileo, letta solo la prefazione dell’opera, nella quale Kepler dichiara la sua adesione al Copernicanesimo, de- cise di inviare una lettera di ringraziamento all’autore per tramite dello stesso Homberger che stava per fare ritorno in Austria.24 È la missiva del 4 agosto 1597 (EN 10, 67), che contiene l’importantissima di dichiarazione di Copernicanesimo da parte di Galileo (in Copernici sententiam multis abhinc annis venerim).25 Importantissima anche in base alla doppia considerazione che a fine Cinquecento i copernicani si contavano sulle dita (oltre a Kepler e Galileo, erano Bruno, Roth- mann, Mästlin, Digges, Harriot, Stevin, de Zúñiga)26 e che prima del- le scoperte del 1610 «le copernicianisme était une opinion extrava- gante et ridicule, et donc non dangereuse ni ne méritant même d’être condamnée» (Bucciantini 2009, 20). Si capisce dunque l’entusiasmo di Galileo nell’apprendere che un tale Kepler aveva le sue stesse idee e pubblicava opere per difenderle e diffonderle, mentre lui, Galileo, non aveva avuto il coraggio – afferma – di pubblicare le sue osserva- zioni in difesa del sistema eliocentrico per non fare la fine di Coper- nico, lodato da pochissimi e deriso dai più. Il latino di questa lette- ra ci sembra un poco più elevato di quello del Sidereus nuncius, con più frequente subordinazione (soprattutto frasi relative e infinitive). La gioiosa risposta di Kepler, contento anch’egli di aver trovato un compagno, è più lunga e stilisticamente superiore, per quanto non brillante: esclamazioni e interrogative retoriche vivacizzano il det- tato, che è molto fluido e senza imbarazzi; vi sono finezze umanisti- che, come l’inserzione di una parola in caratteri greci (αὐτόπιστα). La strategia culturale di Kepler per l’affermazione del Copernicane- simo prevede innanzitutto il convincimento dei matematici ed egli si dichiara disponibile a far pubblicare in terra tedesca gli scritti di Galileo, se questi teme di farlo in Italia. Ma Galileo, non condividen- do la strategia proposta, non rispose a questa lettera.27 Stupito del silenzio, Kepler ritentò attraverso Edmund Bruce di avere nuove di Galileo nel 1599.28 24 Cf. anche Biancarelli Martinelli 2004. 25 Una dichiarazione di poco precedente (maggio 1597), ma appena accennata e di- messa, diversamente dalle righe indirizzate a Kepler, è in una lettera a Jacopo Mazzo- ni (EN 2, 197-202; cf. Bucciantini 2003, 29).   26 Bucciantini 2003, 53. 27 Bucciantini 2003, 73. 28 Bucciantini 2003, 103.  Filologie medievali e moderne 23 | 19 64 Galileo in Europa, 57-70  Bianchi 4 • Volgare e latino nel carteggio galileiano Giunse poi la stagione del Sidereus nuncius, durante la quale Ke- pler fu il solo grande interlocutore straniero cui Galileo si rivolse e la cui conferma delle scoperte ebbe importanza paragonabile soltanto a quella degli studiosi del Collegio Romano. Oltre alla presa di posizio- ne ufficiale con la Dissertatio cum Nuncio sidereo, Kepler invia a Ga- lileo una lettera privata il 9 agosto 1610, chiedendo, in sostanza, altri elementi a sostegno delle scoperte e del cannocchiale. La risposta di Galileo, datata 19 agosto (EN 10, 421), è significativa. Il nostro è an- cora a Padova, ma ha già ottenuto il posto alla corte di Toscana e la lettera è pervasa da un’esuberante soddisfazione del proprio succes- so, «con toni che sfiorano l’autocelebrazione» (Bucciantini 2003, 190): il racconto delle ricompense e dello stipendio ricevuto dopo la scoper- ta, la protezione e la garanzia del Granduca quanto alle scoperte, il ti- tolo di filosofo aggiunto ora a quello di matematico, che Kepler non gli riconoscerà. Galileo non ha molto tempo per scrivergli (paucissimae enim supersunt ad scribendum horae). Lo stile è solido e non più impac- ciato come nella lettera del 1597; la scrittura è più fluida, c’è più mo- vimento, con interrogative e riferimenti eruditi (seppur scolastici, co- me oblatrent sicophantae) e quasi con affetto per il suo alleato lontano che, pur chiedendo chiarimenti e testimoni, lo ha appoggiato. In par- ticolare è insolita, in Galileo, una conclusione come me, ut soles, ama. Con la pubblicazione della Dioptrice nel 1611 (Kepler fu il padre dell’ottica moderna), termina uno scambio frequente tra i due: essi non hanno più avvertito il bisogno di confrontarsi e collaborare rego- larmente, a causa sia di progetti e attitudini scientifiche differenti, sia di piccole incomprensioni (per es. la stima riposta da Kepler in Simon Mayr, che dispiacque al nostro).29 Certo, Galileo si informerà su co- me stia e che cosa faccia l’altro e Kepler prenderà posizione nelle po- lemiche legate al Saggiatore con l’Hyperaspistes (1625), ma non è più in gioco una collaborazione stabile e duratura. Le lettere superstiti, in ogni caso, saltano dal 1611 al 4 settembre 1627 (EN 13, 374-5), al- lorché Galileo raccomanda Giovanni Stefano Bossi al dotto corrispon- dente perché questi lo accetti come scolaro. La missiva, non molto in- teressante quanto al contenuto (una raccomandazione), testimonia il tentativo di riallacciare la relazione. Nel poscritto Galileo aggiunge: Mitto, cum his complicatam litteris, Orationem Nicolai Adiunctii, adolescentis in omni humaniore et severiore literatura excultissi- mi: eam sat scio te magna cum voluptate lecturum, et mirifice fu- turam ad tuum palatum et gustum. Si tratta dell’Oratio de mathematicae laudibus, uscita a Roma nello stesso anno dalla penna del giovane Aggiunti, notevole non solo per 29 I motivi del distacco sono scandagliati in Bucciantini 2003, 198-205. Filologie medievali e moderne 23 | 19 65 Galileo in Europa, 57-70     Bianchi 4 • Volgare e latino nel carteggio galileiano lo stile latino brillante di cui l’autore dava prova, ma anche per la celebrazione della matematica come modo di vedere la realtà (una Geometria nos in rerum notitiam perducit, et sola complectitur studia universa).30 Dopo di che, morto Kepler nel 1630, il Dialogo lo accuse- rà, pur «con rispetto» (così la didascalia a margine), di aver creduto a «predominii della Luna sopra l’acqua, ed a proprietà occulte, e simi- li fanciullezze» (4, 54): come è noto, un attacco che si ritorce contro Galileo. A rendere incompatibili le posizioni dei due grandi vi erano idee radicalmente diverse sul cosmo e la posizione dell’uomo in esso.31 Veniamo agli altri corrispondenti. Johann Georg Brengger (1559- 1630 ca.), medico di Augsburg, si interessava di problemi scientifici.32 Per tramite di Welser pone a Galileo alcune questioni sui monti lu- nari, cui Galileo risponde con una lunga epistola in un latino asciut- to l’8 novembre 1610. A sua volta Brengger risponderà estesamente in latino il 13 giugno 1611 (EN 11, 121). Una delle due lettere composte in latino da Niccolò Aggiunti su incarico di Galileo si legge in EN 14, 83 (datata febbraio 1630) ed è la risposta a George Fortescue.33 Il 15 ottobre 1629 (EN 14, 47) que- sti gli aveva indirizzato una pomposa lettera latina annunciandogli la pubblicazione delle sue Feriae academicae (1630), nelle quali, di- scorrendo di ottica, catottrica, matematica e astronomia, adduceva nonnulla [...] experientia comprobata mea. Lettera pomposa in cui gli elogi a Galileo, iperbolici, sono intessuti di riferimenti eruditi (il mi- to di Cefeo e la costruzione del faro di Alessandria su progetto di So- strato). La notizia più saliente che il mittente vuole comunicare è l’a- ver fatto di Galileo un personaggio del libro annunciato: In his usus sum artificio Marci Tullii aliorumque, qui, ut sibi in dicendo auctoritatem concilient, inducunt colloquentes Catones, Crassos, Antonios, similesque palmares homines. [...] Igitur ignosce, Vir sapientissime, si disputantem in scriptis meis temet repereris, 30 Il passo è riportato in Camerota 2004, 570. Secondo Peterson 2015, 130, inviando a Kepler il testo di Aggiunti, Galileo inviterebbe il corrispondente a rivolgere un’‘atten- zione matematica’ non solo ai cieli, ma anche alla realtà terrestre. 31 «L’abbandono [da parte di Galileo] di ogni visione antropocentrica è certamente una delle caratteristiche della sua filosofia che più lo allontana non solo da Keplero ma an- che da Copernico» (Bucciantini 2003, 322). «Il progetto galileiano di fondazione di una scienza copernicana del moto fu fin dall’inizio antitetico e concorrente alla nuova dina- mica celeste kepleriana. La forza e la tenacia con cui Galileo proseguì in ogni momento della sua vita le sue ricerche sul moto inerziale all’interno di una prospettiva cosmolo- gica gli impedirono di accettare le ‘assurde’ leggi kepleriane» (Bucciantini 2003, 336). 32 Laureato in medicina a Basilea, ebbe scambio epistolare con Clavio e Kepler su problemi scientifici (cf. Reeves, van Helden 2010, 43, 220-1; Keil 2002, 610-11; Buc- ciantini 2003, 230-3). 33 Pochissimo si sa di lui: cf. la voce di Ross Kennedy nell’Oxford Dictionary of National Biography (2004), con bibliografia; Favaro 1883b, 203-10; Besomi, Helbing 1998b, 3-4. Filologie medievali e moderne 23 | 19 66 Galileo in Europa, 57-70     Bianchi 4 • Volgare e latino nel carteggio galileiano illos inter qui exquisitis suis artibus occiduum hunc sustentant orbem. Alle pp. 122-59 delle Feriae è allestito un dialogo (con narratore) tra Ga- lileo, Clavio, Grienberger – astrologorum huius aevi facile principes – e Ferdinando Gonzaga. Con la missiva Fortescue ne informa lo scienziato e si scusa per non avergli chiesto il permesso (Ergo da veniam, serius petenti licet, Vir spectatissime, quod, inconsulto te, cum tuo egerim nomine). Nella risposta – che commenteremo – lo scienziato dichiara, con accenti che corrispondono del tutto ai moduli dello stile encomia- stico, che nostram [...] enim mirifice incendisti cupiditatem, pregando- lo di inviargli copia del libro non appena stampato (Cum typographi suam operam absolverint, tuique libri editionem perfecerint, unum vel alterum exemplar ad nos primo quoque tempore perferendum cures). Non escludiamo che la parte ‘galileiana’ delle Feriae34 abbia potuto ispirare Galileo e suggerirgli quell’unicum narrativo che è la sua appa- rizione come personaggio nel Dialogo sopra i due massimi sistemi (3, 176). In tale passo, per ribadire la priorità galileiana su Scheiner ri- guardo alla scoperta della correlazione tra macchie solari e l’inclina- zione dell’asse solare, Galileo si è servito di un fine stratagemma reto- rico-narrativo, unico nell’opera: Salviati ricorda dettagliatamente una discussione con Galileo e ne riporta in modo diretto (con due punti e virgolette) le parole. Un intervento ‘diretto’ dell’autore all’interno del Dialogo dei personaggi. Lo stratagemma è interessante anche perché è un falso creato ad hoc da Galileo, come hanno acutamente ricostruito Besomi, Helbing (1998b, 720-37) e come era noto a collaboratori di Ga- lileo: Benedetto Castelli parlò del passo in questione come «testimonio falso delle macchie del sole» (lettera del 29 maggio 1632 a Galileo, EN 14, 358). L’influenza di Fortescue su tale episodio è indimostrata, ma possibile anche in base alla cronologia della composizione del Dialogo.35 Contrariamente alle sue abitudini, Galileo volle rispondere a For- tescue in latino (questi era stato al Collegio inglese di Roma dal 1609 al 1614; non sappiamo tuttavia se Galileo ne fosse al corrente), e si affidò per questo al provetto latinista Niccolò Aggiunti (1600-1635). Allievo di Castelli a Pisa, al quale succedette nel 1626 sulla cattedra di matematica, Aggiunti fu anche precettore di corte, dove conobbe e divenne discepolo fidato di Galileo, tanto che fu tra coloro che du- rante il processo del 1633 asportarono da casa del maestro le carte giudicate pericolose. Studiò in particolare i fenomeni capillari. Uni- ca sua opera a stampa è la già menzionata Oratio de mathematicae 34 Accenni in Favaro 1883b, 203-10; Besomi, Helbing 1998b, 3 e Camerota 2004, 206. 35 La parte dell’opera sui movimenti delle macchie solari (3, 172, 10-187) è stata com- posta «probabilmente dopo il settembre del 1631, dopo che Galileo aveva letto la Rosa Ursina [opera di Scheiner]» (Besomi, Helbing 1998b, 47). Filologie medievali e moderne 23 | 19 67 Galileo in Europa, 57-70     Bianchi 4 • Volgare e latino nel carteggio galileiano laudibus (1627), che fu la prolusione al suo insegnamento universi- tario; restano manoscritti alcuni altri suoi testi.36 Ebbe fama di otti- mo latinista e per questo Galileo chiese la sua collaborazione. Ciono- nostante difese anche l’uso del volgare nella trattazione filosofica.37 Il 30 gennaio 1630 Aggiunti scrisse a Galileo: «Credo che V. S. Ecc.ma volentieri mi perdonerà così lunga dilazione, vedendo che io gli pago il debito e in oltre qualche usura: io parlo della rispo- sta al Sig.r Giorgio [Fortescue], la quale mando a V. S., fatta con quella maggior accuratezza che ho potuto. Harò caro intender quan- to gli sodisfaccia. Nella soprascritta basterà fare: Eruditiss.o Viro Georgio de Fortiscuto. Londinum» (EN 14, 71). Della missiva ci resta la copia autografa di Galileo. In essa, datata da Favaro febbraio 1630, si ringrazia ampollosamente, anche con richiami eruditi, per l’onore di comparire come personaggio inter eximios viros e di essere così celebrato. La lettera è ben nota agli studiosi galileiani, perché Gali- leo dichiara di lavorare a un arduum opus: magnum mundi systema, quod trigesimum iam annum parturiebam, nunc tandem pario. E di- chiarandone il tema (in hoc opere abditissimas maris aestuum causas [...] inquiro, et, nisi mei me fallit amor, mirabiliter pando), prega il cor- rispondente di inviargli dati sull’osservazione delle maree: Proinde siquid habes circa hasce alternas aequoris agitationes diligenti nec divulgata observatione notatum, ad me perscribere ne graveris. L’altra lettera latina composta da Aggiunti su commissione di Galileo (16 luglio 1634; EN 16,111) è indirizzata a Matthias Bernegger (1582- 1640), dotto residente a Strasburgo e traduttore in latino del Dialogo. Alcuni mesi prima egli aveva scritto a Galileo annunciandogli la tradu- zione (10 ottobre 1633; EN 15, 299).38 Favaro ricostruisce che probabil- mente tale epistola non fu consegnata allo scienziato, perché Benjamin Engelcke (1610-1680), che avrebbe dovuto portarla di persona, la spedì a Galileo ed essa andò perduta (noi leggiamo oggi la minuta dello scri- vente); l’Engelke scrisse poi a Galileo informandolo della traduzione. La lettera di Bernegger è stesa in un latino sicuro e curato, ma non af- fettato, con la sola iperbole finale di Galileo non Italiae modo tuae, sed orbis, quem immortalibus tuis scriptis illustrasti, lucidissimum sidus, che rispecchia lo stile encomiastico. Per la risposta Galileo volle affidarsi anche in questa occasione ad Aggiunti, che così scriveva allo scienziato il 12 aprile 1634: «Questa qui alligata è la lettera che, in esecuzione del suo cenno, ho fatta al Bernechero, del quale non sapendo il nome non ho potuto porvelo. Se le paresse lunga, potrà scorciarla et acconciarla a modo suo. Io l’ho scritta con mia gran fatiga, perché il considerare in 36 Su Aggiunti, oltre alla voce del DBI, si vedano Favaro 1983; Camerota 1998; Ca- merota 2004, 21-2 e passim; Peterson 2015, 128-36.   37 Cf. Camerota 1998. 38 Commenteremo questa lettera nei cap. 8.  Filologie medievali e moderne 23 | 19 68 Galileo in Europa, 57-70  Bianchi 4 • Volgare e latino nel carteggio galileiano nome di chi io scrivevo mi sbigottiva. V. S. nel mio mancamento accusi il suo comandamento» (EN 16, 82). Ciò testimonia inequivocabilmente che Aggiunti non ha semplicemente tradotto in latino una risposta re- datta da Galileo in volgare, ma composto in toto la lettera. Essa sfoggia uno stile brillante, retorico, erudito. Aggiunti parago- na Bernegger traduttore a un egregius pictor che abbellisce la figura della persona ritratta: con i latinae elegantiae colores egli riprodurrà le philosophicae lucubrationes dello scienziato. L’acme retorico-erudita è raggiunta paragonando la traduzione del Dialogo al ritratto di Antigo- no sapientemente realizzato da Apelle: essendo il sovrano privo di un occhio – era appunto soprannominato μονόφθαλμος –, il pittore sfruttò i vantaggi del tre quarti per nascondere il difetto fisico, come ricorda un passo dell’Institutio oratoria (2, 13, 12): Habet in pictura speciem tota facies: Apelles tamen imaginem Antigoni latere tantum altero ostendit, ut amissi oculi deformitas lateret. Aggiunti si rifà direttamente a Quintilia- no e inscena una ‘cecità’ di Galileo, non fisica, come avverrà più tardi, ma metaforica (difetti di stile e improprietà di espressione del Dialogo): tuum artificium hoc pollicetur, ut, citra similitudinis detrimentum, me pulchriorem quam sum ostendas, et, imitatus Apellem, qui Antigoni faciem altero tantum latere ostendit, ut amissi oculi deformitas occultaretur, tu quoque, si quid in me mutilum vel deforme offendes, ab ea parte convertas qua speciosius apparebit. È evidente la soddisfazione e l’orgoglio per la traduzione latina dell’o- pera che tante umiliazioni aveva portato a Galileo, soddisfazione e orgoglio accresciuti dai dolori fisici e dalla perdita della figlia, man- cata pochi mesi addietro (ma di ciò non si accenna nella lettera): Ceterum deierare liquido possum, post tot turbas et corporis animique vexationes, quas mihi pepererunt primum studia ipsa, quae radices artium amarae sunt, deinde studiorum fructus, qui multo ipsis radicibus amariores fuerunt, hoc tuo erga me studio nullum mihi maius solatium contigisse. Passi come questo attestano l’alto livello della prosa latina di Aggiunti: sottolineamo la naturalezza stilistica con cui l’immagine degli studi co- me radici delle scienze – radici amare perché intrise di fatica – si tramu- ti nel paradosso dei frutti più amari delle radici, paradosso in cui sono adombrate le sofferenze e umiliazioni del processo e dell’abiura. Alle quali Galileo reagisce con nuovi studi e la stesura delle Nuove scienze: Non tamen his angustiis eliditur aut contrahitur animus, quo liberas viroque dignas cogitationes semper agito, et ruris angustam hanc solitudinem, qua circumcludor, tanquam mihi profuturam aequo animo fero. Filologie medievali e moderne 23 | 19 69 Galileo in Europa, 57-70    Bianchi 4 • Volgare e latino nel carteggio galileiano Bernegger fu sbalordito dall’eleganza di tale lettera e non subodo- rò che non venisse dalla penna di Galileo; scrisse infatti a Diodati: Valde me terruit ipsius [Galileo] epistola, longe tersissima et elegantissima; quam elegantiam cum vel mediocriter assequi posse desperem, verendum habeo ne magnus ille vir ingenii sui divini foetum in commodiorem interpretem incidisse velit. Sed iacta est alea (EN 16, 176-7). Aggiunti morì nel dicembre 1635. Meno interessanti le ultime tre lettere di cui dobbiamo occuparci. Il 30 ottobre 1637 il dotto Ismaël Boulliau(d) (1605-1694)39 inviò a Ga- lileo una copia del suo De natura lucis40 accompagnandola con una lettera latina in cui si dichiarava amico di Gassendi e di Diodati (EN 17, 207-8) e in cui annunciava l’imminente pubblicazione del Philolaus sive Dissertatio de vero Systemate Mundi (1639). È una missiva di ac- compagnamento, piuttosto breve e spedita quanto a stile. La risposta di Galileo (1 gennaio 1638; EN 17, 245), pure in latino, ha lo stesso te- nore: con un dettato puramente comunicativo informava di aver già perso la vista e di non poter quindi formarsi un giudizio sulle dimo- strazioni del De natura lucis che contengano figure; ha però apprez- zato ciò che gli è stato letto e si interessa del Philolaus. Infine si scu- sa per la brevità e sommarietà della risposta: Breviter admodum ac ieiune scribo, praestantissime vir: plura enim scribere me non patitur molesta oculorum valetudo. Quare me velim excusatum habeas. Una seconda lettera di Boulliau(d) risale al 16 settembre 1639 (EN 18, 103): un puro accompagnamento all’invio del Philolaus, con l’augurio retorico che utinam Deus, qui alligat contritiones suorum, restituat oculorum lumen tibi ademptum, nobisque tale damnum resarciat, ut ipse legas libellum, et rationum seriem sine alienorum oculorum opera dispicias. La risposta latina del nostro, in data 30 di- cembre 1639 (EN 18, 134), è del tutto analoga alla precedente: rin- grazia il corrispondente e apprezza quanto gli è stato letto, ma non potendo vedere le figure non può giudicare bene. È latina, infine, una missiva di Galileo agli Stati generali dei Pae- si Bassi, in cui chiede che sia esaminata la sua proposta per il calco- lo della longitudine in mare. È una lettera non retorica, per quanto contenga alcuni elementi topici come l’elogio del destinatario:   39 40 Celsitudinum Vestrarum, qui per omnia maria et terras celeberrimas suas peregrinationes et navigationes cum gloria maxima iam instituerunt et quotidie porro instituunt, et commercia amplissima ubique quotidie dilatant [...] (EN 16, 469). Su di lui vedi Beaulieu 1984, 377) e Hockey et al. (2007). L’opera a stampa reca la data 1638; non sappiamo dire se Boulliau(d) ne abbia invia- to un esemplare (cui poi fu apposta una datazione posteriore) o una copia manoscritta. Filologie medievali e moderne 23 | 19 70 Galileo in Europa, 57-70

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