La dottrina dell’Anima in Aristotile. Il periodo filosofico che ho in animo di traiteggiaro si travaglia pressoché tulio intorno alla ricerca dell’ani- ma ; muovendo dai principi! aristotelici, e contenendosi il più delle volte nel modesto ufficio del commentare. Il perchè, volendo io risalire alle origini di quella contro- versia, ho divisato farmi dalla dottrina aristotelica, e dopo averla guardata in sè, considerarla negli sviluppa- mene che partorirono i due commenti, greco ed arabo. In Aristotile medesimo quella dottrina non si può diligentemente esaminare , se non riferendola alle altre rimanenti, onde si compone il sistema tutloquanto. Ci. e se in cotesti riferimenti la scienza sempre si amplia e si allarga, nel caso nostro il farlo è una necessità derivata dall’ indole medesima della speculazione aristotelica , la quale ci si palesa consentanea con se stessa fin nelle ultime conseguenze di un primo sbaglio. Nelle menti volgari si un errore e si una verità possono essere inseriti, come^una specie di episodio, nella struttura del siste- ma ; ma gl’ ingegni veramente speculativi si guardano di cascare in questo fallo, tanto almeno, quanto a loro basta la vista di guardarsene. . • J3jc|ti|<|£Lby Coogl 72' PIETRO POMPONAZZI. La dottrina dell’ anima, e più particolarmente poi quella dell’anima intellettiva, presso Aristotile, implica quelle medesime difficoltà che s’ incontrano sin dai primi passi del sistema. Nel Saggio storico su la filosofia greca io toccai di queste difficoltà, e mi studiai di chiarirne al possibile il vero nodo e la vera sorgente. Lo Zeller non ha guari nella sua Filosofìa dei Greci ne faceva una distesa rassegna, e di nodo in nodo mostrava come tutte si aggruppassero nella posizione di Aristotile verso Pla- tone. Qui non mi è consentito altro che sfiorare tutte quelle difficoltà, e mostrare come riappaiano nella dot- trina, della quale ora discorriamo. Si vedranno nella psicologia come nella metafisica gli stessi problemi , e poi le stesse soluzioni , o meglio il difetto di una vera soluzione. ( Platone aveva detto: l’universale, o l’idea, è quanto v’ ha di vero e di sostanziale nelle cose ; la materia, per i contrario, è una mera negazione, un non-ente. L'idea rimane sopra la moltitudine e la varietà dei fenomeni, una , identica , permanente. Le cose mutano , ella no ; le cose muoiono, ella dura eterna. Tra le idee ed i sen- sibili corre dunque un dissidio infinito, a colmare il quale Platone non sa trovare efficace rimedio ; onde il sistema platonico rimane con una scissura profonda ed irreparabile. Aristotile venuto dopo, e fermo di porvi riparo, delle affermazioni del suo maestro parte ritenne, parte rifiutò. Parve anche a lui che l’ idea sola fosse la verità delle cose; ma perciò medesimo, a suo avviso, ella non può stare nè sopra nè fuori di esse , ed anzi implicata in una materia di cui ella è la forma. All’ idea sopra le cose di Platone, Aristotile sostituì V idea nelle cose , o la forma. Il partito, a cui si appigliò lo Stagirita pare a prima giunta il solo spediente acconcio a ricongiungere ]_bv Gooffli 73 capito/lo primo. quei due mondi che Platone aveva lasciato staccati non solo, ma opposti. La materia e la forma, collegate in- sieme nell’unità deU’individuo, rappresentano l'armonia di quei due conlrarii che Platone non aveva saputo riu- nire. Ed intanto in Aristotile quel congiungimento noi| è tanto saldo, che quei due contrarii mal collegati non si rivoltino soventi l' un contro l’altro, e non si mettano in aperta rottura. Ognuno di essi si tiene in grado di primeg- giare su l’altro, e fonda le sue pretese sopra esplicite dichiarazioni di Aristotile a suo favore; le quali, bilancian- dosi in modo che nessuno di loro penda, tengono l’animo sospeso ed irresoluto. Da una parte T universale non può stare più da sè, e cotesta indipendenza è accordata soltanto all’individuo, dove pare che consista la vera sostanza ; dall’ altra l’ universale solo è conoscibile, esso solo è la verità. Cosi la realtà e Fa’^erTIir si trovano spartite quando non dovrebbero essere. La realtà si l appartiene all’individuo; la verità all’universale. Pla- tone era stato conseguente nel riporre nell’ idea e la sostanza e la verità delle cose; Aristotile, invece, on- deggia, e quasi vorrebbe gratificarsi l’uno e l’altro, accordando all’ individuo la realtà ed all’ universale la verità, con un sistema di compensi che qui non appro- dano. Questa contraddizione è notata molto profonda- mente dal Zeller , che la sostiene contro le osservazioni del Biese, ed è manifesta a chiunque sappia di Aristo- tile la dottrina della cognizione, e quella delle cate- gorie.1 Questa prima contraddizione ne partorisce parec- chie altre. E primieramente, se la scienza non è atta a 1 « Er sagt oline jene Bescbrinkung : dati Wissen geli e nur taf ’a Allgemeine , und ebeaso unbedingt : nur das Eiozelwesen tei eia Sabstan- tielles. • Die Philoi. der Griechen , vou Zeller, Zweite Tbeil, Zweìte Au- flage , pog. 252. Digitized by Google 74 PIETRO POMPONAZZI. cogliere se noe la forma delle cose , e questa oon ne costituisce l’ intera sostanza , ne conseguita eh* eHa sarà imperfetta e che non corrisponde alla ..realtà delle cose conosciute, le quali si trovano specchiate in lei soltanto a metà. Che se la materia è un elemento indi- spensabile a fornire la sussistenza dell’individuo, non può venire esclusa dalla cognizione, come se fosse un accidente, o anzi un ostacolo. Ciò era ben detto secondo i principii platonici , ma non secondo quelli di Aristo- tile. Intanto la materia è dichiarala inconoscibile,' es- sendo priva di ogni determinatezza. Inoltre 1’ inconoscibilità della materia nuoce alla conoscibilità delie forme, perchè queste, salvo la prima e purissima forma , sono tutte implicate nella materia non solo, ma s’ ingradano in modo, che la inferiore sìa • deve considerare come potenza , e perciò come mate- ria, per rispetto all' altra che le sta sopra. * Aristotile difatti ha posto tal relazione tra la mate- ria e la forma, qual’ è quella che corre tra la potenza e l’ atto ; onde la materia per lui è la potenza della forma , come la forma è l’ atto della materia. Ora se- condo questa determinazione tutte le forme, tranne una sola, la massima, possono dirsi materia, e cosi l’ inconoscibilità della materia si riverserà eziandio so- pra le forme. La massima forma poi, Dio, in mentre che dovrebbe essere la più pura , e perciò la più lontana dalla individualità, è ella stessa un individuo. Ora l’ in- dividualità divina contraddice con la teorica fonda- mentale, secondo cui ogni individuo dev’ essere il sinolo di una materia e di una forma, non potendosi 1 à «?’ «Xtj «yva>»To; xa8’ ocutijv. Metapk., VII, IO. 1 « Ein and dasselbe Diog kana tich desihalb io dar einen Beziehong «It Stoff, io der Andern ala Form, in jener ala Mogli chea, in diesar ala Wirkliches verhalteo. • Zeller, op. cit., loe. oit. , pag. 245. • - itized by Google CAPITOLO PRIMO. 75 etere un individuo dove non abbia luogo punto di ma- teria. In fine non si può scorgere dove propriamente Aristotile ponga U sostrato della individualità : non nella forma che, stando alla teorica della cognizione, dovrebbe essere l’universale; non nella materia, la quale è in- determinatissima, e che tanto acquista di determinatezza, quanto la forma ve ne impronta. Tale per sommi capi è il capitale difetto dell’ ari- stotelismo ; difetto che dalla relazione mal definita di universale e di individuale , di materia e di forma , si diffonde in tutte le altre teoriche, e le guasta in si- mil guisa, producendo un' incertezza ed un viluppo ir- resolubile. Non è dunque da maravigliare se quel si- stema diede occasione a tante controversie di interpreti, perchè esso si acconciava ai più opposti avviamenti.* Tutta la filosofia nel medio evo e nella rinascenza si diede a risolvere quei problemi in opposte sentenze, credendo sempre di ormare i passi di Aristotile ; nè , per vero dire, mancavano fondamenti a questo conflitto di opinioni. Se non che ogni diversa età ha mutalo aspetto alla ricerca, pur conservandone integro il fondo. Così la scolastica nei primi secoli considerò la relaziono tra universale ed individuo come la più rilevante ; di poi, tra Tomisti e Scotteti, prevalse la questione del- l’ individualità , e chi la ripose nella materia , chi nella forma. Da ultimo nella rinascenza si cercò nell’ anima e nelle sue facoltà quella partizione e quella incertezza, e si domandò quale fosse il legame che stringe l’ intel- letto con le rimanenti facoltà. Le tre questioni degli universali , della individua- lità e dell’ intelletto sono diversi aspetti di una stessa ricerca ; e tult' e tre mettono capo in Aristotile , e si connettono insieme, e si spiegano 1' una con l'altra nel loro storico sviluppamento, secondochò parmi di ve- Digitized by Google 76 PIETRO POMPÒNAZZI. dere , e secondochè m’ ingegnerò di provare nel pro- cesso di questo libro. Lasciando stare per ora le teorici# che sono aliene dal mio tema , e restringendomi a quella che più da presso vi si riferisce , dico che Aristotile ha risguardato il corpo e l’ anima sotto l’ annodamento medesimo di materia e di forma. Basta leggere il primo capitolo del secondo dei libri dell’ anima per chiarirsene pienamente. Il corpo fa le veci di materia o di soggetto , 1’ anima per contrario non può essere sostanza se non come forma di un corpo naturale che ha la vita in potenza. 1 E per corpi che abbiano la vita in potenza Aristotile in- tende quelli che si dicono organici. Quindi proviene la sua celebre definizione dell’ anima , la quale fu ripetuta in tutto il medio evo, ed in tutto il periodo del rinasci- mento, nè ancora se n’ è potuto escogitare una migliore. L’ anima, ei dice, è l’ entelechia prima di un corpo na- turale che ha la vita in potenza ; e bisogna intendere per tale un corpo organico.* Ora, benché l’entelechia avesse, nel linguaggio aristotelico, una determinatezza maggiore della forma, nondimeno l’anima è pur sem- pre la forma del corpo , e ad esso annodata con legami non disleghevoli. 3 Perciò ad Aristotile pare oziosa la ricerca se il corpo e 1’ anima siano una sola e medesima cosa , nel modo stesso che riesce vano il voler sapere la differenza che passa tra il suggello e la cera su cui s’ impronta. Impe- rocché se l’ entelechia si dice propriamente in quanto v 1 4 Vedi, De Anima, lib. II, cap. I, £ 4. s Sto boxili è®Tiv évreXt^sia n rzpàrn ata/xt ctoj fvotxoZ dwà/zsi txoxro; . róiaÙTO Si, a xv ri òpyavixóv. De Anima , lib. II, cip. I, § 8, 6. Nell’ ediz. del Treodelembarg. ’ ori /ztv oo! oix giTiv |vx»ì xwptsrÀ toG sw/xares. De Anima , lib. II, cap. 4, § 12. CAPITOLO PRIMO. , 77 è forza motrice e tinaie, essa è però, come osserva lo Zeller, sempre tutt’ uno con la forma.1 Il concetto che ha dunque Aristotile dell’anima, è quello di forma , o di entelechia inseparabile dal corpo. E si badi, che egli non vuol restringere in' nessun modo questa sua definizione fondamentale, la quale è comune a tutte le anime, come la definizione della figura io geometria è applicabile a tutte le figure in particolare. Ben si distinguono parecchie specie di anime, i cui gradi Aristotile determina cosi: nutrizione, sensibilità, locomozione, intelligenza, ordinate in modo che il grado superiore presupponga l’inferiore e non possa stare senza di esso ; però tutte coleste specie di anime debbono convenire nella definizione comune. Lo stesso Barili, de Saint’Hilaire riconosce questa necessità.* Stando a queste deduzioni, la dottrina di Aristotile procede fin qui sicura e senza esitazioni. Dove ci è moto prodotto per intrinseca energia, ci è vita; dove ci è vita, ci è corpo ed anima, cosa mossa e causa motrice. Il corpo è la potenza e la materia ; l’ anima è 1’ entele- chia e la forma. E come nella metafisica l’ individuo risulta dalla materia e dalla forma , cosi nel caso spe- ciale degl’ individui animati, o degli animali, il loro compiuto concetto consta di corpo organico e di anima. Ma tutta questa armonia viene rotta da una dubita- zione che Aristotile propone senza risolvere. * • Das gleiche Wesen wird aber aoch «eia Eodzweck «ein , wie ja Qberbaapt die Form voo der bewegenden und der Endursacbe nicbt verscbie- deo ist. Solerti non die Form ala bewrgende Kraft wirkt, nennt aie Aristote- le* Entelechie, ami somit definit i er die Seele ala die Entelechie uod naber ala die erste Entelechie cines nalQrlichen Kòrpers, welcher die Fahigkeit bat, za leben. » — Zeller, Zw. Tbeil , pag. 571. 1 « La definition qu’il a donoée lui-méme au cb. l«r de ce livre doit donc ponvoir s’appliqoer ipécialement à chaqoe espìce d’ime qu’il a distia- gatte. » Ptychologit d’Ariilole, Paria, 1846, pag. 181. * Digitized by Google 78 PIETRO POUPONAZZI. Arrivato all’intelligenza, egli tentenna, e si perita di applicare a lei le determinazioni precedenti dell’anima, benché avesse prima detto che quella comune defini- zione fosse applicabile a tutti i gradi differenti di vita. L’ intelligenza pare a lui un altro genere di anima, e per- ciò separabile nello stesso modo che l’ eterno si separa dal perituro. 1 Questa scappata di Aristotile può riuscire inaspettata a quelli soltanto i quali non hanno seguito il pensiero aristotelico in tutto il suo svolgimento. Chi però ha posto mente alla irresolutezza di Aristotile nel- l’accordo proposto tra l’universale e l’individuo, ed ha visto continuare questa perplessità nella concezione della materia e della forma, nel legame tra Dio ed il 1 mondo, e nella teorica della cognizione, si accorge anzi che Aristotile non poteva fare altrimenti. Nell’ anima i stessa ci è qualche cosa che tiene più della materia, e qualcosallro che fa le veci di forma ; il senso e le fa- coltà inferiori che sembrano un patire, e l’ intelletto clic sembra attivo verso di loro. Anzi nell’ intelletto me- desimo Aristotile discopre questa duplicità, la quale co- me era rimasa irreconciliata e contrastante nelle prime categorie dell’ essere, così rimane qui negli ultimi svi- I appara enti dello spirilo. Ciò che v’ ha di peculiare nell’ anima umana è l’in- \ lelletto; perciò noi ci fermeremo un poco più nel mo- ’ strare in che modo Aristotile ne avesse esposto la na- ! tura. L’ intelletto primieramente apparisce legato con le l altre facoltà non solo per la intuizione generale del si- stema aristotelico, che fa ricomprendere ogni forma in- feriore nella superiore, ma per l’esercizio medesimo della sua attività, che non potrebbe recarsi in atto senza Digitized by Google CAPITOLO PRIMO. 79 il sussidio delle facoltà precedenti. Le cose estese sono ricevute nell’anima mediante le sensazioni, le quali \ sono perciò forme delle cose sensibili. Dopo questa prima maniera di forme, che richiede la presenza della mate- ria, ve n’ha un’ altra la quale si assomiglia alla sen- sazione, se non che non ha bisogno della materia presente. Da ultimo l’ intelletto, eh’ è forma delle forme, esercita verso le sensazioni ed i fantasmi la medesima azione che i fantasmi hanno esercitato su le sensazioni, e le sensazioni su le cose sensibili. Cotalchè come la sensa- zione non può aversi senza la materia, nè la immagine fantastica senza la sensazione , così 1’ atto della intelli- genza non è possibile senza il fantasma. L’ intelletto in questa prima posizione apparisce dunque legato indis- solubilmente con tutto il sistema delle facoltà del- l’anima.1 Nè per la sola operazione l’ intelligenza apparisce legata con l’ organismo corporeo, ma per la sua intrin- seca natura. Difatti ella, come intelligenza, non è altro che ciò per cui l’anima ragiona, e non è nessuna cosa in atto prima di pensare : ella è soltanto in potenza. * Che se riannodiamo questa teorica dell’ intelletto con l’ altra dell’ anima , si scorgerà , che come l’ anima era legata col corpo organico, così l’ intelletto è legato con l’ anima ; perciò qui Aristotile la chiama intelligenza dell’ anima (r»ì; voC«)- Ed in ultimo risultamento avremo il corpo organico come subbietto o materia del- l’ anima, e questa come subbietto dell’ intelligenza. 1 Vedi tutto il cap. 8 del lib. Ili dell’Anima, dove ì degno di spe- ciale nota questo luogo: x ed Sii roóro omtc jit) Atrèavépigva; puj&év *» oùdé ?uvior ór*» rs Se capri, oèvexyxvj »(»* yxVTaspta ri àsoipstv. * ùsre fj-nS’ aùroù stvat pùnv /sride/tta» àXX’ n t*vt»ì», ori ^u»aró» ò «pa xaXaóptsvoi rn ( »®ó; (Xsyoi Si voó» w dtetvostroci xeni oivei r, 'l'UX’t) où&t* èsTiv svspyda tmv ovroiv tepìv vosi». Lib. Ili, cap. H, 2 5. De Anima. Digitized by Google 80 PIETRO POMPONAZZI. Altre asserzioni dello stesso Aristotile accennano però alla sentenza opposta. Già abbiamo visto come per lui l’intelligenza sia un altro genere di anima, e se- parabile, in mentre che le anime dei gradi inferiori sono legate con gli organi. A questa testimonianza, che sta contro alle cose precedenti, se ne aggiunge un’altra ugualmente esplicita, dove si sostiene che il Noo venga dal di fuori, e che solo sia divino. 1 Si possono distrug- gere la riflessione, l’amore, l’odio, il ricordarsi, per- chè siffatte modificazioni appartengono al soggetto in cui alberga l’ intelligenza e che la possiede ; ma l’ intelli- genza medesima è qualcosa di più divino , è qualcosa d’ impassibile. * Che se dopo tutte queste dichiarazioni, che riguar- dano il principio intellettivo nell’ uomo , ricorriamo col pensiero all’ intelligenza suprema , come vien descritta nella metafisica, e segnatamente nel libro dodicesimo, la difficoltà da noi proposta si farà più evidente. Prima si dimostra come non ci siano altre sostanze che quelle che risultano da una materia e da una forma; poi di forma in forma si arriva ad una suprema, la quale non è punto implicata nella materia , e che perciò si svelle dal sistema mondano, e non vi rimane legata se non per un filo debolissimo , com’ è la relazione di mosso e di movente. Quella forma suprema, che doveva acco- gliere in sè tutte le forme inferiori, non è potente nem- manco di pensarle. L’ intelligenza divina rimane staccata dal mondo , se non fosse per il bisogno di ricorrere ad un motore ultimo, ed immobile. Tale rimane nel si- stema delle facoltà umane l’ intelligenza : è lo stesso di- fetto che si riproduce in ciascuna parte. 1 AeiTtirai «?* róv voi!» /ióvov OùpaOev eiwisuvai xai 0eTov ecvat uo'vov. De gener. anim., lib. II, ctp. 5. Vedi De Anima, lib. I, cap. 4, § 14. Digitized by Google CAPITOLO PRIMO. 81 Il Rénan si è accorto della discrepanza della dottrina su l’ intelletto nel congegno del sistema aristotelico , e la dichiara un frammento di scuole più antiche, di Anas- sagora specialmente, che viene citato dallo stesso Aristo- tile nel terzo libro dell’Anima, e nell’ottavo della Fi- sica.' Ma colesta spiegazione, oltre all’ essere poco degna di Aristotile, il quale non ne avrebbe saputo misurare tutta l’importanza, contrasta col disegno generale del sistema. Saldata che avrete questa screpolatura, come fa- rete poi per tante altre che rimarranno scommesse ed ir- remediabili? Poniamo ancora che il legame tra Dio ed il mondo si rimeni a questa medesima dottrina, e che tutto il duodecimo libro della Metafisica sia un episodio, benché un po’ troppo lunghetto; si risalderà meglio la rottura tra la materia e la forma ? Si spiegherà meglio la teorica della cognizione, sviluppata negli analitici ? E se cotesta magagna s’ insinua in tutte le particolari trat- tazioni, come si fa a dichiararla un frammento slegato, ed a cacciarla via dal sistema ? Altro, a parer nostro, è il dire che il più spedilo e più logico avviamento di Ari- stotile sarebbe stato di continuare nella risoluta opposi- zione verso il suo maestro, ed altro il negare eh’ egli in questa polemica non sia proceduto incerto, parte rifiu- tando e parte ritenendo: incauto cercatore, anche lui, di conciliazioni impossibili. c Della prima e più spiccata contraddizione nel co- struire Findividuo di materia e di forma ho discorso di sopra; toccherò ora della dottrina della cognizione. La scienza secondo il processo aristotelico piglia le mosse dalla sensazione, e procede, sempre più svilup- pandosi, per molti gradi, i quali sono variamente de- scritti, ma che si possono però ridurre, conforme al- 1 • Il est évideot que toute cette tliéorie da voù( est eropruntée 4 Anaxagore. » — Jverrhoès, etc., psp. 96, F. Fiorbntiko. « 82 PIETRO POMPONÀ.ZZI. l’esposizione del Barili, de Sant’ Hilaire, ai seguenti; sen- sazione cioè, pensiero nella forma volgare , ed in quanto sottoslà alle impressioni sensibili; scienza (ìttLotìiw) , é intelletto (vo»{), il quale è in relazione cop gl’inteUigibili. Riguardo alla sensazione non s’ incontra difficoltà : essa è la forma delle cose sensibili, che viene accolta dall’ anima sensitiva. Nel sollevarsi poi dalla sensazione alla scienza Aristotile ammette moltè sfumature, die talvolta si confondono, ma che giova descrivere, per far vedere quanto sottile osservatore egli fosse, e come per lui tutto il processo del pensiero non fosse altro che un continuo disvilupparsi dalle forme più materiali per ri- vestirne altre più generali e più pure. Il grado immediato alla sensazione è per lui la Séga che lo stesso Saint-Hilaire traduce per percezione, e po- trebbe pure dirsi opinione. Sopra cotesla percezione, o opinione che dir si voglia, pone la fantasia (pxvmaia.) , la quale può dirsi un grado di sviluppamene maggiore, staccandosi già dall’ oggetto sentito , più che non faces- sero i due gradi precedenti, i quali ne richiedevano sempre l’ immediata presenza. La fantasia medesima si riferisce al fantasma (pàv touhx) ed all’ inamagine (Uwv) ; imperocché essendo la fantasia una specie di tramezzo fra la sensazione e la scienza, col fantasma si accosta più all’ intelletto , con l’ immagine invece si accosta più all’ obbielto. La scienza e l’ opinione possono accoppiarsi in certo qual modo, ed il loro miscuglio dà la riflessione ( <j>pó- vjiJts). La scienza, 1’ opinione e la riflessione Sega , ppóvmatj) , sono da Aristotile comprese sotto un .termine comune uttò^cs, il quale è deputato a signifi- care l’ attività spontanea dell’ anima, doyecchè la Stóvota discorre da un oggetto in un altro. 1 1 Per la determinazione di tatti cotesti gradi del pensiero, vedi Barth. de CAPITOLO PRIMO. 83 Tali sono i primi sviluppameli della scienza; ma ipoichè ella consiste nel dimostrare , e nel far vedere le -cose nelle loro cagioni, perciò è necessario che si fermi in principi assoluti ed indimostrabili. Il voOs è l’ intelletto di questi primi principi, i quali sono i termini della di- mostrazione. Se la sensazione ( afo^ots) dunque è il primo inizio della scienza , l’ intelletto (vo0«) n’è l’ul- timo risultato. 1 Chi ha tenuto d’ occhio tutto il processo della cogni- zione, com’ è descritto da Aristotile, si sarà accorto che -conforme a questa dottrina il vovg non può fermarsi se non nei principi più remoli dalla materia, e più univer sali. Essendo l’apice di ogni astrazione, esso dev’essere al polo opposto della sensazione, che si trova congiunta ■con la materia immediatamente. Ed intanto il punto di fermata sono i termini, ossia è la sostanza. Ora la so- stanza, nonché sia 1* universalissimo essere, è invece individuale ; dunque il processo della scienza, dopo aver percorso tutte le forme di separazione dalla materia, ri- casca nella sostanza, la quale è dalla materia insepara- bile. L’ essere e la sostanza sono spesso confusi da Ari- stotile, eh’ è quanto dire la più astratta delle forme, l’essere, vi si scambia con la forma attuosa legata con la materia. * La sostanza è per lui una volta il neccssa- Saint-Hilaire , Logique d'Arùtote, tom. II, Deuxìème l’artie, section XI®, -di. 9®. * Ecco come il Trendcleraburg prova questo ufficio proprio del veù; ■aristotelico. « Noè; in primis et ultimis scienti» priucipiis rersatur. Ita Analyt., post. I, 27, Xiyu yàp *sùv ù.pyn'1 éKcuni/in»- Elh. Nicom. VI, 6. 7st fTSToct voùv siva* TÙv xpyrZv. Quteuaui sit xp%rj (neque euim omnis ed noJv rediòit) accuratius defiuitur Elh. JVtc., Vi, 9, ò pit -/«.p voós ri» opwv u'J oóx sor* /óyo;. i. e. quorum sulla est demoustratio conclusione «ffecta. « Àristot., De Aniti. Commentario, pag. 494. 1 « L’idée de Cétre et l’idée de substauce se coufoudeot souvent aiosi pour Aristote.» Bar ih. Saiot-Iliiaire, ioc. cit. , cb. 40®. Digitized by Google 84 ' PIETRO POMPONAZZI. rio e 1’ universale, un’ altra volta il puro accidente ; un» volta forma, un’ altra volta sinolo di materia e di forma/ Il Noo aristotelico adunque una volta si ferma ai principi (àp^wv), un’altra volta ai termini (ópwv), i quali non sono altro che la sostanza. Nè in quest’ una soltanto si restringono le incertezze di quella dottrina. Il Noo allora veramente si conchiude e si assolve, quando si posa in se stesso. L’andare di pensiero in pen- siero implica un processo all’ infinito , dal quale Aristo- lile si mostra sempre alieno. Sforzato adunque dalla stessa dialettica egli immedesima in questo atto supremo l’ intelletto e l’ intelligibile, ed in cotesta medesimezza dell’ intelletto con se stesso è riposta la sua vera asso- lutezza. * Se ci fosse qualcosa di esterno, alla quale lo spirito dovesse stare sospeso, egli sarebbe da meno di lei. E fin qui tutto si accorda a maraviglia con la natura dello spirito, che non può prendere in prestito d’ al- tronde la sua compiutezza, nè posare altrove che in se stesso ; ma in che modo si potrà conciliare cotesta af- fermazione con l’ altra che fa travagliare il Noo intorno ai primi principi? Ed ecco una nuova irresolutezza, una nuova contraddizione : lo spirito che una volta si 1 Ecco come il medesimo Sant-Hilaire riassumo da parecchi luoghi della Metafilica la teorica di Aristotile, dove la sostanza apparisco una volta neces- saria, un’ altra volta come reale, cioè come individuale. Non trattando qui di proposito questa teorica mi astengo dal citaro io stesso i luoghi del testo. • La Science, douée de ces deux caractéres, du général et du nécessaire, «'applique donc surtout è ce qui est en soi , è lasubstance, bien plutùt qu’anx autres catégorie», qui ne sont que^d’accident. La substance, l’étre ■ éel (oùsia) est su faste de la Science: et c’esl elle spécialement qne le phi- lusophe doit étudier. De plus, c’est à une seule et ménte Science de recher- « ber et les principe» généraux de l’étre , de la substance , et Ics principe» généraux de la démonstration, et du syllogisme qui la coostitne. • Loc. cit., eh. »e. * a Si absolutum id est, quod ad nihil nisi ad seipsum rifertur, acqui tur sane mentem , siquidem absoluta est, seipsam cogitare. » Tren- «bltmburg , op. cit., pag. 497. CAPITOLO PRIMO. 85 ferma nei principi universali e nella sostanza ; un’ altra volta che si conchiude in se medesimo. Certamente quest’ ultima conclusione è più accettevole, e più consen- tanea alla nozione deirintellelto espressa precedentemen- te; ma ciò non toglie il fare incerto ed anche contraddit- torio del sistema. Se l’ intelletto non è, se non quando pensa in atto ; esso non può compirsi, se non nell’ atto suo proprio. Se gl’ intelligibili non si differenziano dal- l’ atto medesimo che li pensa, come si può dire, che l’ intelletto si fermi nei primi principi, i quali in tal modo dovrebbero avere un’ esistenza indipendente? Forse ad ovviare a questi ed a tutti gli altri incon- ■venienti finóra discorsi, Aristotile ricorse allo sparii- j mento del Noo in due, per potere più facilmente altri- j buirgli le più conlradittorie determinazioni. Il quinto capitolo del terzo dei libri su l’ anima ospone la partizione dell’ intelletto in attivo e passivo. \ Come nella natura ci è la materia, eh’ è lutto in potenza, \ e poi la causa che la rechi in atto ; così bisogna che co- teste differenze si trovino pure nell’anima. In lei adun- que vi è un intelletto, che può tutto divenire, ed mi altro che può tutto fare. 1 E come l’agente prevale sul paziente, cosi l’ intelletto, che tutto fa, è fornito delle migliori prerogative; è separato, eh’ è quanto dire non dipendente da nessun organo, è impassibile, e non ha mistura di sorta; perciò è immortale ed eterno. Per contrario l’ intelletto , che tutto diviene, è capace di patire, e perciò è perituro, e senza l’ aiuto dell’ intel- letto attivo non può nulla pensare. Il Noo attivo così descritto apparisce essere quanto nell’ uomo v’ha di divino ; anzi, come osserva il Zeller, esso non si differenzia punto dallo stesso Dio. E di ciò 1 /.ai !<mv S pìv Totovro* vsus tw Tra/Ta ycvss&at, S Sì' r» irà/Toc iisiitv. De Anim., lib. Ili, 5. Digitized by Google PIETRO POMPONAZZI. potrà capacitarsi chiunque si faccia a riscontrare la dob- trina del Noo attivo con l’altr del Dio aristotelico,, come si trova nel dodicesimo libro della Metafisica. Se non chè il Noo attivo, da alcuni tolto per lo stesso Dio,, non si può considerare se non come qualcosa dell’anima. Aristotile medesimo, se da una parte lo chiama il divine nell’ uomo ; 1 dall’ altra ci ricorda eh’ esso ò un altro ge- nere di anima. 1 Intanto è impossibile concepire due es- senze divine, una nell’anima umana, l’altra separata; e questa contraddizione, prodotta dalla solita dubbietà. di Aristotile, rimane anch’ essa irresolubile. 3 Gl’ interpreti di Aristotile, e non gliene mancarono’ neppure quando fioriva ancora la greca filosofia, comin- ciarono percip a dissentire sul Noo attivo, secondochè ci attesta Temistio. Chi voleva farne la facoltà che co- glie i supremi principi con una semplice comprensione, e senza bisogno di discorrere, come pare avesse intesa Temistio medesimo (nè era certamente senza fonda- mento cotesta interpretazione): chi per contrario dal dover essere sempre in atto argomentò che non po- tesse essere altri, salvochè Dio; ed anche a cotesto com- mento dava nerbo la descrizione sovresposta di Aristotile. Se non che, obbiettava lo stesso Temistio, Aristotile parla dell’ intelletto attivo e del passivo come di diffe- renze (rà; Scxp cpas) dell’ anima ; ed il porlo in Dio ri- 1 el Oeiov è vaù? ir pòi t ài av9/Jwirov. Et. ffie., X, 7. 8 7t»o; irti 59v. Jìe An im., lib. Il, cgp. 3, § 9. 3 « Die ihatige Vernunft ist mit Eincm Wort nicht atlein dea Guttli- che im Menschen, sondern aie ist der Sacbe noch von dei» gottlirhen Geiste selbat nicht veracliieden. ...... Andererseits liess sich aber freilich der ansserweltliche gòttliebe Geist nicht wohl ala die den Kinzclncn in" oli ricado nnd mittelst der Zengnnge in aie iibcrgehcndo Vernunft , ale ein Theil der menschlichen Sede bezeichnen. Aber eine Liisung dieaea Widersprucbs so- ebeà wir bei Aristatclca vergeblieh. • Zeller, Phil der Grieche n, Zw. Theil, pag, 440-441. Diaitized CAPITOLO PRIMO. 87 pugnerebbe a questo esplicito testo. Il Trendelerobnrg nota tutte le precedenti dubbietà, nè sa risolversi egli medesimo a miglior partito, che a questo, di confes- sare cioè una certa cognazione tra il Noo attivo e Dio, senza però spiegare come avvenga nella nostra mente questa partecipazione del divino. * Ben si accorge che Aristotile nella teorica del Noo attivo rompe la preclara serie delle umane facoltà, e del loro progressivo svi-' luppo, introducendovi qualcosa di nuovo e di estrin- seco, ma non riporta questa rottura ad una più estesa, che noi vedemmo fin da principio avvenuta dentro' la costituzione originaria dell* individuo. Al dotto critico di Berlino non Sfuggirono però i testi ripugnanti, e la ragionevolezza delle interpretazioni contraddittorie, ben- ché egli non si fosse sforzato , come di poi ha fatto il Zeller, di risalire alla prima scaturigine di quelle con- traddizioni divenute necessarie. Chi disse : I’ intelletto attivo è Dio, e Chi lo negò, non ebbe certo difetto di testi per convalidare la sua chiosa. 11 Brentano non ha guari pubblicava un libro per provare che il Noo è una facoltà dell' anima, ma senza far caso delle espressioni che si possono trarre iti opposto senso. Così, a mò d'esempio, nel libro della generazione degli animali ò detto che l’ intelletto venga da fuori, ed egli interpreta doversi intenderà non del solo intelletto , ma di- tutta l’anima intellettiva.* Che non abbia veduto manifesta 1 Dopo riferite le parole di Aristotile, che queste differenze di attivo o - di passivo si trovino pare nell’anima, soggiunge. « Qua) serba aperte de humano agere mimo. « D’altra parte. « Divina mena nibil esse potest , nisi agens intcllectus , a qno veritas rerum manat Sed quomodo liut, ut Immani mens divine particeps sit, dietimi est nusquam. s Com- meni. Ariti, de Anima, pag. 492, 493. 1 • Vor der Hmd sei nnr bemnrkt, dass nnter dem vou; der Svpy.Sev in den Fòla* eingeht , nidi t , wie Manche meinen , der voù; 7ro‘V)Tt/o; at- leta , sonderò die ganze ibujnj vortrtxv zn versteben ist.» Die Ptychologie * 88 PIETRO POMPONA.ZZI. l’ oscillazione di Aristotile dopo le profonde osservazioni del Zeller, che pure ha letto, a me sembra cosa stra- nissima ; ma ognuno, a vedere, si vale degli occhi suoi e non degli altrui. Eppure a lui è saltato negli occhi il doppio valore del Noo aristotelico; se non che, invece di spiegare la causa di questa duplicità, ei riconosce una sola significazione come propria della, dottrina ari- stotelica, l’altra come una certa metafora, di cui Ari- stotile si fosse valso ; lui che dalle metafore era alienis- simo. Come, dice il Brentano, noi diciamo sano tanto chi ha la sanità , quanto le cose che conferiscono a pro- curarla, cosi Aristotile ha potuto chiamare Noo tanto il subbielto, che ha in sè il pensiero, come il desiderio spirituale, che n’ è un corollario, e Dio che n’ è il prin- cipio creatore. 1 Cosi nella lingua tedesca, ei soggiunge, Geruch vuol dire ugualmente ed il senso che coglie gli odori, e l’odore come qualità dei corpi. E lutto questo va bene ; ma Aristotile piglia il Noo tutte e due le volte in significato proprio e serio; tanto nel terzo libro dell’Anima, dove ne parla come di differenza dell’ anima umana, come nel dodicesimo libro della Metafisica, dove lo descrive come primo motore immobile nella relazione che ha con lutto l’ universo. E le descrizioni rinvergano cosi bene , che paia sempre lo stesso Noo che si descri- ve : tanto il primo motore della metafisica rassomiglia al Noo attivo dei libri dell’anima! Da qui l’oscillazione del sistema aristotelico, che nessuna interpretazione, o distinzione al mondo varrà a far cessare. * ‘ < des Ar ilio tele*, intbetondere teine Lehre vom vojj noi n ti xeg vou D* Frani Brentano, Maini, 1807. 1 a So knnnte aucb Aristoteles nicht bloss das, was die Gedanksn io sich bat, sonderà aucb das, was Folgc dea Deokes iat, wie dea geistige Begebren , aber auch das , was ala Princip die Gedanken bervorbringt , ala #>9Ù; bczeichoen. — Brentano, op. cit., pag. 171-172. CAPITOLO PRIMO. 89 Una nuova difficoltà ci si affaccia nel conciliare le due differenze che Aristotile introduce nel Noo, perchè il passivo è detto corruttibile, e legato con la memoria, col desiderio, con tutte le altre facoltà inferiori ; e l’at- tivo, per contrario, immisto, separabile, e perciò im- mortale : ed intanto il primo ed il secondo appartengono del pari all’ intelligenza, che n’ è il genere comune. Ari- stotile nel distinguere il Noo in passivo ed in attivo ha voluto occorrere a due condizioni, imposte entrambe dal suo sistema. Prima ha voluto legare, il meglio che si poteva, l’ intelletto con le facoltà rimanenti ; perciò ha dovuto introdurre in esso i fantasmi per intendere, i desideri per volere; e gli uni e gli altri si fondano su la sensibilità, e perciò su la materia, su la possibilità del corpo. Dipoi ha voluto far dell’ intelletto la facollà che pone la scienza, che coglie l’universale puro, sce- verato da ogni qualsiasi possibilità, e che perciò non avesse nessuna mistura di potenza, o di materia, e fosse puro atto. Da qui la distinzione di due intelletti ; uno che attinge ancora alle sorgenti della materia, l’altro che non vi comunica punto. Perciò vedemmo che l’ in- telletto puro non può patire, e consiste tutto nell’ atto; mentre chel’ intelletto passivo patisce, ed in certo senso si dee dire che abbia della materia, perchè ogni potenza è materia, considerata per rispetto all’ atto. Hegel ha cercato di conciliare questa contraddizione, che si possa cioè dare un intelletto che partecipi alla materia, di- cendo che la possibilità nell’ intelletto non abbia nessuna materia, perchè, nel pensare, la possibilità è ella mede- sima un essere per sè. 1 Però conciliazione siffatta tien 1 « Die Moj>lichkeit eelbst ist abcr liier nicht Materie; dar Versta mi hat nOinlicti keine Mitene, scinderti die Moglickeit geliort zu seiner Substanz eelbst. Denn das Denken ist vielmrhr dieses , nicbt an sicli za sein ; and. v egeti seiner Reiobeit ist seme Wirklickeit nielli das Fùrcinandersein , scine Digitized by Googte 90 PIETBO P0MP0NAZ7I. più del sistema proprio dell’ Hegel, che di quello di Aristotile. Quindi proviene ancora l’ incertezza di determinare in che consista veramente l’ intelletto passivo. Il Tren- delemburg ha opinato eh’ esso sia costituito da tutte le facoltà raccolte quasi in un nodo, e considerate come condizioni del pensare. Il quale può aver pigliato il nome di passivo sia perchè vien recato a perfezione dall’ intelletto attivo, sia perchè viene occupato dalle cose esterne. 1 Tale interpretazione però va incontro a questo inconveniente, di rendere inutile la distinzione che Ari- stotile aveva fatto tra sentire; immaginare e pensare. Se il pensare non è altro che il sentire e l’ immaginare annodati insieme, perchè distinguerli da quello? Non bisogna dimenticare mai che dell’intelletto in generale Aristotile fece un altro genere di anima. Pare adunque che nello sviluppo della intelligenza , medesima bisogna trovare quei gradi che appartengono al Noo passivo , e gli altri che sono propri del Noo attivo. Già di questo ultimo noi vedemmo che Aristotile avesse posto la fun- zione peculiare talvolta nei primi principi, tal’ altra nel ripiegarsi sopra di sè. I gradi precedenti della scienza, che del resto appartengono certo alla intelligenza, biso- gna che si attribuiscano aH’intelletto passivo. Tale è la ne- cessaria conclusione a cui si perviene a guardare nel lutt’ assieme la dottrina aristotelica, e cosi vedo che ha interpretato pure il Zelier, che nelle cose di Aristotile Mogliclikeit «ber selbst cin Fursichsein. » Hegel , GeschicMe der Philoi .. tom. II, pag. 540—54 1 . 1 a Qua? a sensu inde ad imagiuationem mentera anteccssorunt , ad rea parcipiendas menti necessaria, sed ad intelligendas non suflìciunt. Orno es iilas , qua? p r eccedimi , facultates in nnum quasi nodum colleetas , □natenus ad rea cogitaodas postula nlur, vouv TtuSriTixo v dietas esse in- nicamus. > Trendclembnrg, De Anima, Comment., pag. 493. CAPITOLO PRIMO. 9f vede molto addentro, ed ha grande autorità. L’ intelletto passivo per lui consiste in quei gradi intermedi che stanno tra il sollevarsi delle forze rappresentative ed il pensiero compiuto che quieta in sè stesso ; in quel pro- cesso riflessivo e discorsivo che Aristotile stesso con- trassegna con la parola ScuvousOca. 1 Guardando ora tutta insieme la dottrina del Noo aristotelico, essa ci presenta questa contraddizione, di essere cioè considerato come l’ ultimo sviluppo dell' at- tività pensante nell’ uomo, e di essere presupposto fuori dell’uomo, perfetto, compiuto in sè, separato. È per questa ragione che il Noo passivo ci vien mostrato come processo, come discorso, ed il Noo attivo come intui- zione ; e che il primo è tenuto in minor conto del se- condo. Affinchè la posizione aristotelica fosse riuscita precisa e diritta, ei si sarebbe dovuto disfare di quel- l’universale separato, ed ambiguo, e tener fermo nel ri- guardare lo spirito come processo rigoroso ed ordinato. Ma per fare ciò, non bisognava modificare soltanto la dottrina dell’ intelletto , sì veramente mutare 1’ anda- damento generale del sistema ; cosa che forse non era da pretendere in quei tempi. Il concetto dello spirito come sviluppo è risultato della filosofia moderna. Un valoroso storiografo tedesco, il prof. Carlo Pranll, non ha dubitato di presentarci come genuino sistema di Aristotile quello che per noi è piuttosto un desiderio. Nò al dotto critico manca ingegno o copia di testi ; ma il suo fare sa troppo di moderno, e perciò di- viene subito sospetto. L’intelletto, il Noo aristotelico, è per lui una im- mediata unità nella duplicità della Giostra essenza, e da un lato coglie l’uno trascendente, il divino, dall’altro i 1 Zellcr, op.cit., pag. 441. Digitized by Google f D2 PIETRO POMPONAZH. molli, l’ individuo ; o in altri termini è l’unità originaria del senso e della ragione , il principio e la fine, l’ alfa e l’ omega.1 In un luogo dei morali nicomachei si dice che il senso è Noo ; e su tal dichiarazione il critico tedesco rifà da capo tutta la teorica di Aristotile. Dove gli altri avevan visto un altro genere di anima, egli scorge un’originaria medesimezza; dove gli altri avevan tro- vato incertezze, egli sicuramente afferma che il Noo aristotelico è sviluppo, che muovendo dalle impressioni sensibili arriva sino all’ universale. L’intelletto, dice il Franti , secondo il modo di ve- dere aristotelico, non è una passiva intuizione, ma un* attività che nel progresso del suo sviluppo va dalla potenza all’atto. È un accrescimento dentro sè stesso, Zuwachs in sich selb&lhinein, come dice il critico te- desco traducendo l’ iniSoais ì<?>’ tàuro di Aristotile. Che se l’ intelletto si dice potenza , esso è una potenza tale •che si distingue da tutte le altre non solo perchè com- prende gli opposti, ma ancora perchè si fonda sopra un precedente attuale. La continuità dello spirito in questo processo si pare a ciò, che i primi pensieri si distinguono appena dalle sensibili impressioni ; talché il sapere non è qualcosa apparecchiato d’avanzo, ma nasce la prima volta come * « Der voi; ist fur dia Stale , vvas dea Ange fur den Korper i«t , rr ist die anraittelbare Einheit in der Duplicil&t nnseres VVescn , deno er < rfasst einerseits das trascendente Eioe , Gòttlicbe , and andrerseits ist er cs atich , welcher das Einzelne , Viete ergreift , ja es wird io diesem Sion , d. li. von einem wabrhaften Antropologismns aus , selbst die Sinneswabrnehraung aiisdriiklicli voi; gena noi; und,indem so der voi; der geistige Sion fQr dia beiderseitigen Crtheile ist , sowohl fOr jene , welche ein Ewìges und Crsprùn- fjliebes aussprerben, als aocb ffir jene , welche anf das Gcbiet des Verglii- glicheo sich beziehen , a» kann er mit Rccbt der Anfaog und das Eode , das vahre A und Q, des Apndeiktischeo genannt wcrdon. » Getchichle der Logik. ’ Erster Band, pag. 106-407. Dii by Google CAPITOLO PRIMO. 93 , tale. 1 Quando il Noo si solleva , sopra tutte le opposi- zioni, al supremo Uno, ivi pensa sè stesso, ed il pen- siero ed il pensato s’ identificano : in tale attività egli mostra la sua eternità.* •> Tal’ è per sommi capi la teorica del Noo aristote- lico secondo il Prantl : prima, attività originaria , unità del senso e della ragione ; poi sviluppo sino al pensare, sviluppo tale che tra le impressioni sensibili ed i primi gradi del pensiero v’ è appena differenza ; infine processa intimo, ed indipendente dalla materia, fino ad attingere il pensiero di sè stesso, e con questo l'eternità. Questa esposizione toglie ogni dubbietà ed irreso- lutezza dal sistema aristotelico, e lo fa rigorosamente logico, però, a quel che mi pare, a scapito della genui- nità. Quella unità originaria sa troppo di moderno, e quella eternità conseguita dal nostro spirito nel colmo del suo sviluppo è un’ intuizione moderna del pari. Ciò che mi sembra schiettamente aristotelico è il concetta dello sviluppo applicato all’ attività dello spirilo ; ma il pensare puro rimane pur sempre staccato dalla serie preclara come diceva il Trendelemburg. Ammettendo difatti la spiegazione del Prantl, il Dio aristotelico spa- risce, perchè il Noo è perfetto e compiuto nello spirito umano; ed il Dio di Aristotile, se bisogna a qualcosa, è per cotesta ultima finalità. Il Prantl tocca dell’ intelletto per arrivare al comin- ciamento della Logica. Per lui l’ intelletto si compie nel concetto, cioè nel cogliere l’universale, il quale non è 1 Prantl, op. cit., loc. cit., pag. 412. * • Und indetti dar voù; in dem Denkcn dieses bòchsten Einen aicb se'btt deukt , erreicbt er das Ziel and das Zweck seiner Actnaliiat : er denkt das Angich and deukt kiebei steli selbst in einer Tbeilnabme an dem Geda- chten, ao dass Denken und Gedacbtes ideatiseli siod ; in solcber TbStigkeit erweister arine Ewigkeit. » Pag. 115, loc. cit. $4 PIETRO POMPONAZZI. altro che l’ atto medesimo dell’ intendere ; talmente che la logica s’ inizia là dove la psicologia finisce. L’ unilà immediata del Noo è il principio della psicologia; l'unità immediata del concetto è il cominciamento della logica.1 Il Prantl fa una dotta e profonda investigazione delie ca- tegorie aristoteliche, delle quali mi rincresce non poter qui discorrere, tanto più che nel Saggio sulla filosofia greca io mi trovai, inconsapevolmente, d’accordo col professore tedesco nei risultati di quella ricerca. Qui però non voglio omettere di dire come il Prantl si accorge che lo sviluppo dello spirito si riannoda colla dottrina delle categorie, dove, oltre alle determinazioni estrinseche •della sostanza, bisogna ammettere un processo genetico -ed intimo.1 Ma cotesto processo per il quale la sostanza -si genera, rimane nel sistema aristotelico ciò che direb- besi una semplice esigenza. Perchè la sostanza diventi •questa o quest’ altra essenza, non apparisce ; e cosi non apparisce neppure nello sviluppo dello spirito la necessità del passaggio da una forma all’ altra ; perciò neppure la necessità del Noo, che, per tal causa, può dirsi nell’ in - sieme del sistema introdotto da fuora. Il Prantl ha un bel chiamare il Noo unità immediata, Ansich ; tutte coteste vedute sono più profonde come scienza che vere come storia. L’intelletto separato, il motore immobile della me- 1 • Dass aber Aristotele* eine Selbstentwicklung der Denktliàtigkeit voo ciucili erstcr Stadium aa bis tu einem letztea wesentlicli erreicbbsreu Zieie «nerkennt, sahea wir gleicbfalls scbon obeu.... ; und so ist ihiu aucb die tìrsprùogliche Conception der Begriffe aio erstcs Lumittelbares. • Pag. 216. 1 Voglio riferire questa osservazione del Praotl eoo le parole eoa cui I’ ha compendiata un mio giovane amico in una bella tesi di laurea: a Cosi intorno all’ individuo si raggnippano amendue i processi , nel processo gene 4ico, o nel ytvsoàai vltOÒiì l’individualità, la sostanza funziona da predi, ceto, ed il suo soggetto è la materia indeterminata; uel processo categorica funziona da soggetto, e regge e sostiene tutte le determinazioni categoriche. » Delle varie interpretazioni dell' idea platonica e della categoria aristo- telica, Tesi per laurea di Felice Tocco. *C -«V- Digitized by Gt CAPITOLO PRIMO. 95 tafisica, resiste ad ogni più benevola interpretazione. Certo se Aristotile avesse volato e potuto essere conseguente, avrebbe pensato come lo fa pensare il Prantl. Passando ora dall’ intelletto alla libertà noi troviamo nella dottrina aristotelica le tracce della prima indeter- minatezza. 11 Brandis ha detto che la libertà secondo Ari- stotile consiste nella facoltà che ha lo spirito di svilupparsi da sè e mediante se stesso secondo la misura della sua originaria disposizione. Ma, domanda con molla ragio- nevolezza il Zeller, a qual parte dell’anima debbe ap- partenere questo sviluppo ? alla ragione no, perchè im- mobile ed inalterabile; all’anima sensitiva ed appetitiva nemmanco, perchè non sono capaci' di svilupparsi con libertà, non potendo trovarsi libertà se non dov’è la ragione. Rimarrebbe l’intelletto passivo, al quale, sia detto una volta per sempre, si ricorre d’ordinario quando si scorge l’impossibilità di dare uno scioglimento risoluto ; ma esso stesso oscillando tra la ragione e la sensibilità, avrebbe bisogno, al pari della volontà, di uno schiarimento per vedere in che modo si possa dare * una facoltà che partecipi di due altre cosi opposte, come sono il senso e la ragione.1 Aristotile stesso accortosi della specie di altalena che fanno la ragione pratica ed il desi- derio, li rassomiglia a due palle che si rimandano da uno all’ altro.1 Un filosofo francese, il Waddington, ta- glia come Alessandro il nodo, invece di scioglierlo, di- cendo il principio, la causa dell’atto volitivo esser l’Io; degli altri atti essere soltanto partecipe, ma qui il caso esser diverso, e sentirsi assoluto e sovrano padrone.* Ma appunto di questo Io noi cerchiamo invano in Ari- 1 Zeller , op cit. , loc. cit., psg. 461. 1 Aristotile , De anim., lib. IH, csp. 41, $3. 8 La Piicologia di Ariiloliie, esposta da Carlo Waddiogton e Toltala in italiano dalla marchesa Marianna Floreozi Waddington , pag. 284. Digìtized by Google 96 PIETRO POMPONAZZI. stotile, e vogliamo scoprire (love si annida, se nella ra- gione, o nella sensibilità, perchè la volontà non è facoltà originaria, come non è l’ intelletto passivo, nè l’ intelletto pratico. La vera personalità dello spirito è da cercare dunque o nella sensibilità, o nella ragione, almeno se- condo i dati della psicologia aristotelica. La scuola ecclettica di Francia ha ripetuto sempre che la volontà è l’ Io, essendoché la ragione è impersonale ed i fatti sensibili traggono origine dal mondo esteriore. Con questa intuizione peculiare del loro sistema, ei si fanno ad interpretare Aristotile. Se non che la volontà per il filosofo greco non è una facoltà originaria , quanto meno perciò può essere la intera personalità dello spi- rito! La volontà è una specie di risultante prodotta dal connubio della ragione col desiderio. Le quali due facoltà essendo si opposte, rimane assai difficile il definire in quale di esse stia la libera determinazione di se stessa. 1 Quando Aristotile appaia la ragione speculativa con le facoltà rappresentative, e ne fa l’ intelletto passivo ; ovvero quando accoppia la ragione pratica col desiderio, e ne fa la libera volontà, rimane sempre incerto quale dei due elementi debba prevalere: se la parte sensitiva ed appetitiva debba trarre dalla sua la ragione, ed in- trodurre in lei la mutabilità ed il patire; ovvero se la ragione, signoreggiando il senso e l’ appetito , debba far questi partecipi della propria impassibilità ed eternità. Nella vera conciliazione di cotesti due opposti termini sarebbe stala riposta la persona umana, se in Aristotilo il loro accoppiamento non fosse rimasto un accostamento esterno, e, come dicono i Tedeschi, un Zusmrmensetzung~ 1 « Der Wille musa demnach cioè ans Vernnnft and Bugiarde snsam- mengetetzte Thatigheil saio. Aber auf welcber Scita io dieser Verbiudong da& eigentliche Wesen dea Willens, die Krafta der freieu Selbslbestimmung liegt , ist sclmer za sagea. • Zeller, op. cit. , peg. 460. CAPITOLO PRIMO. 97 Esclusa la volontà, dove si deve dire che alberghi la persona umana? Talvolta pare che Aristotile la faccia consistere nella propria ragione di ciascuno; ma la ra- gione è un puro universale, incapace di mutazioni e di patimenti, eterna ed impassibile; ed invece la persona è il subbielto proprio, e la causa intrinseca dei suoi mutamenti. Tal’ altra volta pare che Aristotile attribuisca la personalità all’anima, in quanto senziente ed appeti- tiva; ma, oltre che questa, come osserva il Zelter, è incapace di produrre movimenti da sè, secondochè so- stiene Io stesso Aristotile, viene esplicitamente esclu- ' sa, dicendo che non nell’ anima, ma nell’ uomo in quanto consta di corpo e di anima, dee riporsi il subietlo dei movimenti sensibili. Il corpo intanto non è cagione del moto, perchè esso verso l’anima è come la potenza verso l’ atto. Ecco in quali difficoltà ci siamo imbattuti nel cercare dove consista la personalità umana secondo i principi di Aristotile. Le quali difficoltà, a parer mio, procedono dal non aver Aristotile fatto vedere per qual modo 1’ universale si determini, per intrinseca energia e per dialettica necessità, nel particolare, e diventi in- dividuo; e per qual modo poi T individuo, rifacendo nel processo conoscitivo il cammino inverso del processo genetico, si sollevi dalle determinazioni particolari ed accidentali all’ universale ed all’ assoluto. Non è già che siffatto processo non sia stato intraveduto dall’ acume di Aristotile, ma non è stato spiegato con sufficiente chiarezza , perchè le sue dottrine s’ informassero tutte secondo quel processo. Il Franti accennando al processo genetico, come intimo, e diverso dal processo catego- rico, e trovandone le tracce nella Metafisica di Aristo- tile, ed in altre sue opere, ha mostrato come la deter- minazione dell’ universale nel particolare, il concretarsi della forma in una materia sia il primo postulato di F. Fiomntiiso. 7 Digitized by Google 98 PIETRO POMPONAZZI. Aristotile. E spiegando dipoi come il Noo, per assur- gere alla condizione assoluta di pensiero, ha dovuto essere fin da principio unità originaria, individuo ed z universale, senso e ragione, affinchè fosse possibile tutto lo sviluppo intrinseco dello spirito, ha posto in evidenza il secondo postulato, non meno del primo in- dispensabile. I due postulati che la critica del Prantl richiede nel sistema aristotelico, nella metafisica il primo, nella psicologia il secondo, sono però, lo ripetiamo, appena intraveduti da Aristotile, e non pienamente de- dotti. Forse il concetto di sviluppo nello spirito è molto più evidente che non il processo genetico nella sostan- za; ma ciò non toglie tutte le irresolutezze, ed anche le contraddizioni, che noi abbiamo fatto notare, giovan- doci degli studi del Zeller, il quale ha collocato il si- stema di Aristotile nella sua vera luce, tanto per ri- spetto a Platone, come nel suo intrinseco organamento. Dalle cose premesse apparisce chiaramente quel che debba dirsi della immortalità dell' anima secondo Ari- stotile. Per lui tutto ciò che si altera è soggetto alla morte; onde le facoltà sensitive, le appetitive, le rap- presentative, e perfino l’ intelletto passivo finiscono con l’ organismo corporeo, da cui dipendono, e con cui sono indissolubilmente legati. Solo superstite è per Aristotile l’ intelletto attivo, il quale, se fosse provato che fosse da solo la persona umana, basterebbe ad assicurare l' immortalità. Ma l' intelletto attivo è il solo elemento universale, una specie della ragione impersonale della scuola eccletlica, e perciò la sua durata non ha nulla che fare con la durata dell’ individuo e della persona. Questo intelletto attivo superstite, slegato che sarà dal corpo, non avrà nè sensazioni, nè fantasmi, nè memo- ria, nè desideri; e perciò neppure volontà, nè intelletto passivo; talché non potrà avere più coscienza, nè per- Digitized by Google CAPITOLO PRIMO. 99 sonalità che sodo inseparabili da tutte quelle determi- nazioni. Che se si pon mente, come il Noo attivo per pensare avesse bisogno del passivo, noi potremo dire, che Aristotile non poteva, secondo i suoiprincipii, far sopravvivere l’ intelletto attivo alla morte dell’ intelletto passivo, e se, non ostante la forza della logica, lo ha fatto, ciò ne dà nuova riprova , che per lui non era ben fermo il vero concetto del Noo, e che una volta Io po- neva come termine supremo dello sviluppo psichico, un’altra volta ne lo stralciava, attribuendogli una esi- stenza separata, impassibile ed immortale. Aristotile non è pervenuto sino all’ autogenesi dello spirito', perchè non si può creare quel che si suppone esterno non solo, ma sproporzionalo alle facoltà umane. L’ infinito per lui ora consisteva nel concetto dello spi- rito, ed ora in qualche cosa di esterno. Tolta l’ ipostasi dell’ universale che aveva ammesso Platone per ciascuna ! cosa, ei la ritenne per rispetto a Dio, perciò il processo dello sviluppamento rimase dimezzato, imbottendosi in un termine esteriore che gliene impediva il prosegui- mento. Non ci è un’ idea preformata della natura , per- : ciò la natura può svilupparsi per virtù intrinseca ; ma ; ci è l’ idea di Dio sussistente d’avanzo, perciò lo spi- rito non può farsi: egli già è fatto, e non gli rimane se non d’ insinuarsi nel mondo e di svegliarvi il pen- i siero. Questa mi pare la posizione dell’ aristotelismo: ; Aristotile rimase platonico per metà. Il prof. Augusto Conti è ricorso a cause esteriori ed accidentali per trovare una spiegazione del sistema aristo- telico, e perchè l’egregio professore di Pisa è il primo ai nostri tempi che siasi dato a scrivere una storia della filo- sofìa in Italia, mette il conto di dare un saggio del suo modo di criticare i sistemi. Aristotile è passato dall’idea- lismo platonico alla scienza delle cose reali : perchè? Ecco "'Otgitized by Google •too PIETRO POMPONAZZI. la risposta del Conti: « dacché la civiltà greca, uscendo da’ propri confini, si distendeva nell’ Asia con l’armi, era naturale che alle idealità interiori, tutte di raccogli- mento, succedesse la scienza delle cose reali. » Ma tutto colesto, dico io, non ci ha nulla che fare. Prima di ogni cosa non è certo che Aristotile abbia pensato il suo si- stema proprio al lempo che i Greci passarono in Asia ; ma, poniamo che sì, qual relazione ci è fra una spedi- zione a mano armata con una polemica su le idee? Il prof. Conti discorre dei vizi, pei quali i Greci vennero specialmente in mala voce, ed eccoti scoverta la causa, perchè la loro filosofia « non giunse mai al puro concetlo di creazione, pernio della scienza. » An- che qui la causa mi pare troppo lontana dall’ effetto, e non veggo in che modo la corruzione dei costumi greci potesse appannare il loro intelletto. Forse non concepi- rono tante cose vere e belle con tutte quelle passioni? Forse, ai tempi in cui fioriva 1’ accademia platonica, a Firenze non dominavano vizi somiglianti? Dagli scrit- tori di quel secolo parmi scorgere che quelle brutture fossero molto in voga, e intanto giunsero al puro con- cetto della creazione non solo, ma concepirono perfetta- mente tutti i dommi cattolici, e li disposarono alla filo- sofia. Il prof. Conti inclina troppo a far la critica filoso- fica con la nascita e l’ educazione cristiana, con le rette inclinazioni del cuore, con il candore dei costumi; ma tutto ciò se prova a favore del suo animo bennato, non dà pari fondamento ad apprezzarne l’acume critico* La scienza non si giudica con la fede di buona condotta del curato. Ma lasciando queste osservazioni generali, che ap- partengono al suo criterio storico, voglio notare che nella teorica dell’ intelletto di Aristotile, egli ha frantesi lIÀQOglc CAPITOLO PRIMO. ÌM la mente dello Slagirita. Di lui, difatti, dice il Conti che « distinse l’ intelletto agente che fa intelligibili le cose, dal possibile che le concepisce. » 1 Aristotile invece chiama intelletto possibile quello che tutto diventa, agente quello die tutto fa , come si può vedere nel testo medesimo dei libri dell’Anima che ho di sopra allegato. L’ atto con cui l’ intelletto concepisce gli intelligibili, e gli intelligi- bili medesimi sono tutt’ uno. Non ci sono già le cose in- telligibili distinte dal concetto; onde se Aristotile avesse posto veramente questa differenza tra i due intelletti, si sarebbe contraddetto. E che il prof. Conti abbia travisato la dottrina aristotelica, si pare da ciò , che l’ intelletto possibile per Aristotile precede l’ agente, come la potenza precede l’ alto; mentre pel professor Conti av- viene il contrario, forse perchè non ha attinto questa distinzione dalla sorgente aristotelica, ma da qualche espositore che 1* avea compreso male. Il peggio poi si è che il professore di Pisa ha l’ aria di non sospettare «eppure l’importanza di questo problema, non meno che di parecchi altri rilevantissimi, contento a sfiorarli leggermente, quando non li trasanda del tutto.
Tuesday, March 29, 2022
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