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Tuesday, March 29, 2022

GRICE E FIORENTINO: FILOSOFIA DELLA VITA

 La  dottrina  dell’Anima  in  Aristotile.   Il  periodo  filosofico  che  ho  in  animo  di  traiteggiaro  si  travaglia  pressoché  tulio  intorno  alla  ricerca  dell’ani-  ma ; muovendo  dai  principi!  aristotelici,  e contenendosi  il  più  delle  volte  nel  modesto  ufficio  del  commentare.  Il  perchè,  volendo  io  risalire  alle  origini  di  quella  contro-  versia, ho  divisato  farmi  dalla  dottrina  aristotelica,  e  dopo  averla  guardata  in  sè,  considerarla  negli  sviluppa-  mene che  partorirono  i due  commenti,  greco  ed  arabo.   In  Aristotile  medesimo  quella  dottrina  non  si  può  diligentemente  esaminare , se  non  riferendola  alle  altre  rimanenti,  onde  si  compone  il  sistema  tutloquanto.  Ci. e  se  in  cotesti  riferimenti  la  scienza  sempre  si  amplia  e si  allarga,  nel  caso  nostro  il  farlo  è una  necessità  derivata  dall’  indole  medesima  della  speculazione  aristotelica , la  quale  ci  si  palesa  consentanea  con  se  stessa  fin  nelle  ultime  conseguenze  di  un  primo  sbaglio.  Nelle  menti  volgari  si  un  errore  e si  una  verità  possono  essere  inseriti,  come^una  specie  di  episodio,  nella  struttura  del  siste-  ma ; ma  gl’  ingegni  veramente  speculativi  si  guardano  di  cascare  in  questo  fallo,  tanto  almeno,  quanto  a loro  basta  la  vista  di  guardarsene.  . •    J3jc|ti|<|£Lby  Coogl    72'    PIETRO  POMPONAZZI.    La  dottrina  dell’ anima,  e più  particolarmente  poi  quella  dell’anima  intellettiva,  presso  Aristotile,  implica  quelle  medesime  difficoltà  che  s’ incontrano  sin  dai  primi  passi  del  sistema.  Nel  Saggio  storico  su  la  filosofia  greca  io  toccai  di  queste  difficoltà,  e mi  studiai  di  chiarirne  al  possibile  il  vero  nodo  e la  vera  sorgente.  Lo  Zeller  non  ha  guari  nella  sua  Filosofìa  dei  Greci  ne  faceva  una  distesa  rassegna,  e di  nodo  in  nodo  mostrava  come  tutte  si  aggruppassero  nella  posizione  di  Aristotile  verso  Pla-  tone. Qui  non  mi  è consentito  altro  che  sfiorare  tutte  quelle  difficoltà,  e mostrare  come  riappaiano  nella  dot-  trina, della  quale  ora  discorriamo.  Si  vedranno  nella  psicologia  come  nella  metafisica  gli  stessi  problemi , e  poi  le  stesse  soluzioni , o meglio  il  difetto  di  una  vera  soluzione.   ( Platone  aveva  detto:  l’universale,  o l’idea,  è quanto  v’  ha  di  vero  e di  sostanziale  nelle  cose  ; la  materia,  per  i contrario,  è una  mera  negazione,  un  non-ente.  L'idea  rimane  sopra  la  moltitudine  e la  varietà  dei  fenomeni,  una , identica , permanente.  Le  cose  mutano , ella  no  ;  le  cose  muoiono,  ella  dura  eterna.  Tra  le  idee  ed  i sen-  sibili corre  dunque  un  dissidio  infinito,  a colmare  il  quale  Platone  non  sa  trovare  efficace  rimedio  ; onde  il  sistema  platonico  rimane  con  una  scissura  profonda  ed  irreparabile.  Aristotile  venuto  dopo,  e fermo  di  porvi  riparo,  delle  affermazioni  del  suo  maestro  parte  ritenne,  parte  rifiutò.  Parve  anche  a lui  che  l’ idea  sola  fosse  la  verità  delle  cose;  ma  perciò  medesimo,  a suo  avviso,  ella  non  può  stare  nè  sopra  nè  fuori  di  esse , ed  anzi  implicata  in  una  materia  di  cui  ella  è la  forma.  All’  idea  sopra  le  cose  di  Platone,  Aristotile  sostituì  V idea  nelle  cose , o la  forma.   Il  partito,  a cui  si  appigliò  lo  Stagirita  pare  a  prima  giunta  il  solo  spediente  acconcio  a ricongiungere       ]_bv  Gooffli    73    capito/lo  primo.   quei  due  mondi  che  Platone  aveva  lasciato  staccati  non  solo,  ma  opposti.  La  materia  e la  forma,  collegate  in-  sieme nell’unità  deU’individuo,  rappresentano  l'armonia  di  quei  due  conlrarii  che  Platone  non  aveva  saputo  riu-  nire. Ed  intanto  in  Aristotile  quel  congiungimento  noi|  è tanto  saldo,  che  quei  due  contrarii  mal  collegati  non  si  rivoltino  soventi  l' un  contro  l’altro,  e non  si  mettano  in  aperta  rottura.  Ognuno  di  essi  si  tiene  in  grado  di  primeg-  giare su  l’altro,  e fonda  le  sue  pretese  sopra  esplicite  dichiarazioni  di  Aristotile  a suo  favore;  le  quali,  bilancian-  dosi in  modo  che  nessuno  di  loro  penda,  tengono  l’animo  sospeso  ed  irresoluto.  Da  una  parte  T universale  non  può  stare  più  da  sè,  e cotesta  indipendenza  è accordata  soltanto  all’individuo,  dove  pare  che  consista  la  vera  sostanza  ; dall’  altra  l’ universale  solo  è conoscibile,  esso  solo  è la  verità.  Cosi  la  realtà  e Fa’^erTIir  si  trovano  spartite  quando  non  dovrebbero  essere.  La  realtà  si  l  appartiene  all’individuo;  la  verità  all’universale.  Pla-  tone era  stato  conseguente  nel  riporre  nell’  idea  e la  sostanza  e la  verità  delle  cose;  Aristotile,  invece,  on-  deggia, e quasi  vorrebbe  gratificarsi  l’uno  e l’altro,  accordando  all’  individuo  la  realtà  ed  all’  universale  la  verità,  con  un  sistema  di  compensi  che  qui  non  appro-  dano. Questa  contraddizione  è notata  molto  profonda-  mente dal  Zeller , che  la  sostiene  contro  le  osservazioni  del  Biese,  ed  è manifesta  a chiunque  sappia  di  Aristo-  tile la  dottrina  della  cognizione,  e quella  delle  cate-  gorie.1   Questa  prima  contraddizione  ne  partorisce  parec-  chie altre.  E primieramente,  se  la  scienza  non  è atta  a   1 « Er  sagt  oline  jene  Bescbrinkung  : dati  Wissen  geli  e nur  taf ’a  Allgemeine , und  ebeaso  unbedingt  : nur  das  Eiozelwesen  tei  eia  Sabstan-  tielles.  • Die  Philoi.  der  Griechen , vou  Zeller,  Zweite  Tbeil,  Zweìte  Au-  flage  , pog.  252.    Digitized  by  Google    74    PIETRO  POMPONAZZI.    cogliere  se  noe  la  forma  delle  cose , e questa  oon  ne  costituisce  l’ intera  sostanza , ne  conseguita  eh*  eHa  sarà  imperfetta  e che  non  corrisponde  alla  ..realtà  delle  cose  conosciute,  le  quali  si  trovano  specchiate  in  lei  soltanto  a metà.  Che  se  la  materia  è un  elemento  indi-  spensabile a fornire  la  sussistenza  dell’individuo,  non  può  venire  esclusa  dalla  cognizione,  come  se  fosse  un  accidente,  o anzi  un  ostacolo.  Ciò  era  ben  detto  secondo  i principii  platonici , ma  non  secondo  quelli  di  Aristo-  tile. Intanto  la  materia  è dichiarala  inconoscibile,'  es-  sendo priva  di  ogni  determinatezza.   Inoltre  1’  inconoscibilità  della  materia  nuoce  alla  conoscibilità  delie  forme,  perchè  queste,  salvo  la  prima  e purissima  forma , sono  tutte  implicate  nella  materia  non  solo,  ma  s’ ingradano  in  modo,  che  la  inferiore  sìa  • deve  considerare  come  potenza , e perciò  come  mate-  ria, per  rispetto  all'  altra  che  le  sta  sopra.  *   Aristotile  difatti  ha  posto  tal  relazione  tra  la  mate-  ria e la  forma,  qual’ è quella  che  corre  tra  la  potenza  e l’ atto  ; onde  la  materia  per  lui  è la  potenza  della  forma , come  la  forma  è l’ atto  della  materia.  Ora  se-  condo questa  determinazione  tutte  le  forme,  tranne  una  sola,  la  massima,  possono  dirsi  materia,  e cosi  l’ inconoscibilità  della  materia  si  riverserà  eziandio  so-  pra le  forme.  La  massima  forma  poi,  Dio,  in  mentre  che  dovrebbe  essere  la  più  pura , e perciò  la  più  lontana  dalla  individualità,  è ella  stessa  un  individuo.  Ora  l’ in-  dividualità divina  contraddice  con  la  teorica  fonda-  mentale,  secondo  cui  ogni  individuo  dev’  essere  il  sinolo  di  una  materia  e di  una  forma,  non  potendosi    1 à «?’  «Xtj  «yva>»To;  xa8’  ocutijv.  Metapk.,  VII,  IO.   1 « Ein  and  dasselbe  Diog  kana  tich  desihalb  io  dar  einen  Beziehong  «It  Stoff,  io  der  Andern  ala  Form,  in  jener  ala  Mogli  chea,  in  diesar  ala  Wirkliches  verhalteo.  • Zeller,  op.  cit.,  loe.  oit. , pag.  245.  •    - itized  by  Google    CAPITOLO  PRIMO.    75    etere  un  individuo  dove  non  abbia  luogo  punto  di  ma-  teria. In  fine  non  si  può  scorgere  dove  propriamente  Aristotile  ponga  U sostrato  della  individualità  : non  nella  forma  che,  stando  alla  teorica  della  cognizione,  dovrebbe  essere  l’universale;  non  nella  materia,  la  quale  è in-  determinatissima, e che  tanto  acquista  di  determinatezza,  quanto  la  forma  ve  ne  impronta.   Tale  per  sommi  capi  è il  capitale  difetto  dell’  ari-  stotelismo ; difetto  che  dalla  relazione  mal  definita  di  universale  e di  individuale , di  materia  e di  forma , si  diffonde  in  tutte  le  altre  teoriche,  e le  guasta  in  si-  mil  guisa,  producendo  un'  incertezza  ed  un  viluppo  ir-  resolubile. Non  è dunque  da  maravigliare  se  quel  si-  stema diede  occasione  a tante  controversie  di  interpreti,  perchè  esso  si  acconciava  ai  più  opposti  avviamenti.*  Tutta  la  filosofia  nel  medio  evo  e nella  rinascenza  si  diede  a risolvere  quei  problemi  in  opposte  sentenze,  credendo  sempre  di  ormare  i passi  di  Aristotile  ; nè ,  per  vero  dire,  mancavano  fondamenti  a questo  conflitto  di  opinioni.  Se  non  che  ogni  diversa  età  ha  mutalo  aspetto  alla  ricerca,  pur  conservandone  integro  il  fondo.  Così  la  scolastica  nei  primi  secoli  considerò  la  relaziono  tra  universale  ed  individuo  come  la  più  rilevante  ; di  poi,  tra  Tomisti  e Scotteti,  prevalse  la  questione  del-  l’ individualità , e chi  la  ripose  nella  materia , chi  nella  forma.  Da  ultimo  nella  rinascenza  si  cercò  nell’  anima  e nelle  sue  facoltà  quella  partizione  e quella  incertezza,  e si  domandò  quale  fosse  il  legame  che  stringe  l’ intel-  letto con  le  rimanenti  facoltà.   Le  tre  questioni  degli  universali , della  individua-  lità e dell’  intelletto  sono  diversi  aspetti  di  una  stessa  ricerca  ; e tult'  e tre  mettono  capo  in  Aristotile , e si  connettono  insieme,  e si  spiegano  1'  una  con  l'altra  nel  loro  storico  sviluppamento,  secondochò  parmi  di  ve-    Digitized  by  Google    76    PIETRO  POMPÒNAZZI.    dere , e secondochè  m’ ingegnerò  di  provare  nel  pro-  cesso di  questo  libro.   Lasciando  stare  per  ora  le  teorici#  che  sono  aliene  dal  mio  tema , e restringendomi  a quella  che  più  da  presso  vi  si  riferisce , dico  che  Aristotile  ha  risguardato  il  corpo  e l’ anima  sotto  l’ annodamento  medesimo  di  materia  e di  forma.  Basta  leggere  il  primo  capitolo  del  secondo  dei  libri  dell’  anima  per  chiarirsene  pienamente.  Il  corpo  fa  le  veci  di  materia  o di  soggetto , 1’  anima  per  contrario  non  può  essere  sostanza  se  non  come  forma  di  un  corpo  naturale  che  ha  la  vita  in  potenza. 1  E per  corpi  che  abbiano  la  vita  in  potenza  Aristotile  in-  tende quelli  che  si  dicono  organici.  Quindi  proviene  la  sua  celebre  definizione  dell’  anima , la  quale  fu  ripetuta  in  tutto  il  medio  evo,  ed  in  tutto  il  periodo  del  rinasci-  mento, nè  ancora  se  n’  è potuto  escogitare  una  migliore.  L’ anima,  ei  dice,  è l’ entelechia  prima  di  un  corpo  na-  turale che  ha  la  vita  in  potenza  ; e bisogna  intendere  per  tale  un  corpo  organico.*  Ora,  benché  l’entelechia  avesse,  nel  linguaggio  aristotelico,  una  determinatezza  maggiore  della  forma,  nondimeno  l’anima  è pur  sem-  pre la  forma  del  corpo , e ad  esso  annodata  con  legami  non  disleghevoli. 3   Perciò  ad  Aristotile  pare  oziosa  la  ricerca  se  il  corpo  e 1’  anima  siano  una  sola  e medesima  cosa , nel  modo  stesso  che  riesce  vano  il  voler  sapere  la  differenza  che  passa  tra  il  suggello  e la  cera  su  cui  s’ impronta.  Impe-  rocché se  l’ entelechia  si  dice  propriamente  in  quanto   v 1   4 Vedi,  De  Anima,  lib.  II,  cap.  I,  £ 4.   s Sto  boxili  è®Tiv  évreXt^sia  n rzpàrn  ata/xt ctoj  fvotxoZ  dwà/zsi   txoxro;  . róiaÙTO  Si,  a xv  ri  òpyavixóv.  De  Anima , lib.  II,  cip.  I,  § 8,  6.  Nell’  ediz.  del  Treodelembarg.   ’ ori  /ztv  oo!  oix  giTiv  |vx»ì  xwptsrÀ  toG  sw/xares.  De  Anima ,  lib.  II,  cap.  4,  § 12.    CAPITOLO  PRIMO.  , 77   è forza  motrice  e tinaie,  essa  è però,  come  osserva  lo  Zeller,  sempre  tutt’  uno  con  la  forma.1   Il  concetto  che  ha  dunque  Aristotile  dell’anima,  è  quello  di  forma , o di  entelechia  inseparabile  dal  corpo.  E si  badi,  che  egli  non  vuol  restringere  in' nessun  modo  questa  sua  definizione  fondamentale,  la  quale  è comune  a tutte  le  anime,  come  la  definizione  della  figura  io  geometria  è applicabile  a tutte  le  figure  in  particolare.  Ben  si  distinguono  parecchie  specie  di  anime,  i cui  gradi  Aristotile  determina  cosi:  nutrizione,  sensibilità,  locomozione,  intelligenza,  ordinate  in  modo  che  il  grado  superiore  presupponga  l’inferiore  e non  possa  stare  senza  di  esso  ; però  tutte  coleste  specie  di  anime  debbono  convenire  nella  definizione  comune.  Lo  stesso  Barili,  de  Saint’Hilaire  riconosce  questa  necessità.*   Stando  a queste  deduzioni,  la  dottrina  di  Aristotile  procede  fin  qui  sicura  e senza  esitazioni.  Dove  ci  è moto  prodotto  per  intrinseca  energia,  ci  è vita;  dove  ci  è  vita,  ci  è corpo  ed  anima,  cosa  mossa  e causa  motrice.  Il  corpo  è la  potenza  e la  materia  ; l’ anima  è 1’  entele-  chia e la  forma.  E come  nella  metafisica  l’ individuo  risulta  dalla  materia  e dalla  forma , cosi  nel  caso  spe-  ciale degl’ individui  animati,  o degli  animali,  il  loro  compiuto  concetto  consta  di  corpo  organico  e di  anima.   Ma  tutta  questa  armonia  viene  rotta  da  una  dubita-  zione che  Aristotile  propone  senza  risolvere.    * • Das  gleiche  Wesen  wird  aber  aoch  «eia  Eodzweck  «ein , wie  ja  Qberbaapt  die  Form  voo  der  bewegenden  und  der  Endursacbe  nicbt  verscbie-  deo  ist.  Solerti  non  die  Form  ala  bewrgende  Kraft  wirkt,  nennt  aie  Aristote-  le* Entelechie,  ami  somit  definit  i er  die  Seele  ala  die  Entelechie  uod  naber  ala  die  erste  Entelechie  cines  nalQrlichen  Kòrpers,  welcher  die  Fahigkeit  bat,  za  leben.  » — Zeller,  Zw.  Tbeil , pag.  571.   1 « La  definition  qu’il  a donoée  lui-méme  au  cb.  l«r  de  ce  livre  doit  donc  ponvoir  s’appliqoer  ipécialement  à chaqoe  espìce  d’ime  qu’il  a distia-  gatte.  » Ptychologit  d’Ariilole,  Paria,  1846,  pag.  181.   *    Digitized  by  Google    78    PIETRO  POUPONAZZI.    Arrivato  all’intelligenza,  egli  tentenna,  e si  perita  di  applicare  a lei  le  determinazioni  precedenti  dell’anima,  benché  avesse  prima  detto  che  quella  comune  defini-  zione fosse  applicabile  a tutti  i gradi  differenti  di  vita.  L’ intelligenza  pare  a lui  un  altro  genere  di  anima,  e per-  ciò separabile  nello  stesso  modo  che  l’ eterno  si  separa  dal  perituro. 1 Questa  scappata  di  Aristotile  può  riuscire  inaspettata  a quelli  soltanto  i quali  non  hanno  seguito  il  pensiero  aristotelico  in  tutto  il  suo  svolgimento.  Chi  però  ha  posto  mente  alla  irresolutezza  di  Aristotile  nel-  l’accordo proposto  tra  l’universale  e l’individuo,  ed  ha  visto  continuare  questa  perplessità  nella  concezione    della  materia  e della  forma,  nel  legame  tra  Dio  ed  il  1 mondo,  e nella  teorica  della  cognizione,  si  accorge  anzi  che  Aristotile  non  poteva  fare  altrimenti.  Nell’  anima  i stessa  ci  è qualche  cosa  che  tiene  più  della  materia,  e  qualcosallro  che  fa  le  veci  di  forma  ; il  senso  e le  fa-  coltà inferiori  che  sembrano  un  patire,  e l’ intelletto  clic  sembra  attivo  verso  di  loro.  Anzi  nell’  intelletto  me-  desimo Aristotile  discopre  questa  duplicità,  la  quale  co-  me era  rimasa  irreconciliata  e contrastante  nelle  prime  categorie  dell’  essere,  così  rimane  qui  negli  ultimi  svi-  I appara  enti  dello  spirilo.   Ciò  che  v’  ha  di  peculiare  nell’  anima  umana  è l’in-  \ lelletto;  perciò  noi  ci  fermeremo  un  poco  più  nel  mo-  ’ strare  in  che  modo  Aristotile  ne  avesse  esposto  la  na-  ! tura.  L’ intelletto  primieramente  apparisce  legato  con  le  l altre  facoltà  non  solo  per  la  intuizione  generale  del  si-  stema aristotelico,  che  fa  ricomprendere  ogni  forma  in-  feriore nella  superiore,  ma  per  l’esercizio  medesimo  della  sua  attività,  che  non  potrebbe  recarsi  in  atto  senza    Digitized  by  Google    CAPITOLO  PRIMO.    79    il  sussidio  delle  facoltà  precedenti.  Le  cose  estese  sono  ricevute  nell’anima  mediante  le  sensazioni,  le  quali  \  sono  perciò  forme  delle  cose  sensibili.  Dopo  questa  prima  maniera  di  forme,  che  richiede  la  presenza  della  mate-  ria, ve  n’ha  un’  altra  la  quale  si  assomiglia  alla  sen-  sazione, se  non  che  non  ha  bisogno  della  materia  presente.   Da  ultimo  l’ intelletto,  eh’  è forma  delle  forme,  esercita  verso  le  sensazioni  ed  i fantasmi  la  medesima  azione  che  i fantasmi  hanno  esercitato  su  le  sensazioni,  e le  sensazioni  su  le  cose  sensibili.  Cotalchè  come  la  sensa-  zione non  può  aversi  senza  la  materia,  nè  la  immagine  fantastica  senza  la  sensazione , così  1’  atto  della  intelli-  genza non  è possibile  senza  il  fantasma.  L’ intelletto  in  questa  prima  posizione  apparisce  dunque  legato  indis-  solubilmente con  tutto  il  sistema  delle  facoltà  del-  l’anima.1   Nè  per  la  sola  operazione  l’ intelligenza  apparisce  legata  con  l’ organismo  corporeo,  ma  per  la  sua  intrin-  seca natura.  Difatti  ella,  come  intelligenza,  non  è altro  che  ciò  per  cui  l’anima  ragiona,  e non  è nessuna  cosa  in  atto  prima  di  pensare  : ella  è soltanto  in  potenza.  *  Che  se  riannodiamo  questa  teorica  dell’  intelletto  con  l’ altra  dell’  anima , si  scorgerà , che  come  l’ anima  era  legata  col  corpo  organico,  così  l’ intelletto  è legato  con  l’ anima  ; perciò  qui  Aristotile  la  chiama  intelligenza  dell’  anima  (r»ì;  voC«)-  Ed  in  ultimo  risultamento  avremo  il  corpo  organico  come  subbietto  o materia  del-  l’ anima,  e questa  come  subbietto  dell’ intelligenza.   1 Vedi  tutto  il  cap.  8 del  lib.  Ili  dell’Anima,  dove  ì degno  di  spe-  ciale nota  questo  luogo:  x ed  Sii  roóro  omtc jit)  Atrèavépigva; puj&év  *»  oùdé  ?uvior  ór*»  rs  Se  capri,  oèvexyxvj  »(»*  yxVTaspta  ri  àsoipstv.   * ùsre  fj-nS’  aùroù  stvat  pùnv  /sride/tta»  àXX’  n t*vt»ì»,  ori  ^u»aró»  ò «pa  xaXaóptsvoi  rn ( »®ó;  (Xsyoi  Si  voó»  w dtetvostroci   xeni  oivei  r,  'l'UX’t)  où&t*  èsTiv  svspyda  tmv  ovroiv  tepìv  vosi».   Lib.  Ili,  cap.  H,  2 5.  De  Anima.    Digitized  by  Google    80    PIETRO  POMPONAZZI.    Altre  asserzioni  dello  stesso  Aristotile  accennano  però  alla  sentenza  opposta.  Già  abbiamo  visto  come  per  lui  l’intelligenza  sia  un  altro  genere  di  anima,  e se-  parabile, in  mentre  che  le  anime  dei  gradi  inferiori  sono  legate  con  gli  organi.  A questa  testimonianza,  che  sta  contro  alle  cose  precedenti,  se  ne  aggiunge  un’altra  ugualmente  esplicita,  dove  si  sostiene  che  il  Noo  venga  dal  di  fuori,  e che  solo  sia  divino. 1 Si  possono  distrug-  gere la  riflessione,  l’amore,  l’odio,  il  ricordarsi,  per-  chè siffatte  modificazioni  appartengono  al  soggetto  in  cui  alberga  l’ intelligenza  e che  la  possiede  ; ma  l’ intelli-  genza medesima  è qualcosa  di  più  divino , è qualcosa  d’ impassibile.  *   Che  se  dopo  tutte  queste  dichiarazioni,  che  riguar-  dano il  principio  intellettivo  nell’  uomo , ricorriamo  col  pensiero  all’  intelligenza  suprema , come  vien  descritta  nella  metafisica,  e segnatamente  nel  libro  dodicesimo,  la  difficoltà  da  noi  proposta  si  farà  più  evidente.  Prima  si  dimostra  come  non  ci  siano  altre  sostanze  che  quelle  che  risultano  da  una  materia  e da  una  forma;  poi  di  forma  in  forma  si  arriva  ad  una  suprema,  la  quale  non  è punto  implicata  nella  materia , e che  perciò  si  svelle  dal  sistema  mondano,  e non  vi  rimane  legata  se  non  per  un  filo  debolissimo , com’  è la  relazione  di  mosso  e  di  movente.  Quella  forma  suprema,  che  doveva  acco-  gliere in  sè  tutte  le  forme  inferiori,  non  è potente  nem-  manco  di  pensarle.  L’ intelligenza  divina  rimane  staccata  dal  mondo , se  non  fosse  per  il  bisogno  di  ricorrere  ad  un  motore  ultimo,  ed  immobile.  Tale  rimane  nel  si-  stema delle  facoltà  umane  l’ intelligenza  : è lo  stesso  di-  fetto che  si  riproduce  in  ciascuna  parte.   1 AeiTtirai  «?*  róv  voi!»  /ióvov  OùpaOev  eiwisuvai  xai  0eTov  ecvat  uo'vov.  De  gener.  anim.,  lib.  II,  ctp.  5.   Vedi  De  Anima,  lib.  I,  cap.  4,  § 14.    Digitized  by  Google    CAPITOLO  PRIMO.    81    Il  Rénan  si  è accorto  della  discrepanza  della  dottrina  su  l’ intelletto  nel  congegno  del  sistema  aristotelico , e  la  dichiara  un  frammento  di  scuole  più  antiche,  di  Anas-  sagora specialmente,  che  viene  citato  dallo  stesso  Aristo-  tile nel  terzo  libro  dell’Anima,  e nell’ottavo  della  Fi-  sica.' Ma  colesta  spiegazione,  oltre  all’  essere  poco  degna  di  Aristotile,  il  quale  non  ne  avrebbe  saputo  misurare  tutta  l’importanza,  contrasta  col  disegno  generale  del  sistema.  Saldata  che  avrete  questa  screpolatura,  come  fa-  rete poi  per  tante  altre  che  rimarranno  scommesse  ed  ir-  remediabili?  Poniamo  ancora  che  il  legame  tra  Dio  ed  il  mondo  si  rimeni  a questa  medesima  dottrina,  e che  tutto  il  duodecimo  libro  della  Metafisica  sia  un  episodio,  benché  un  po’  troppo  lunghetto;  si  risalderà  meglio  la  rottura  tra  la  materia  e la  forma  ? Si  spiegherà  meglio  la  teorica  della  cognizione,  sviluppata  negli  analitici  ? E  se  cotesta  magagna  s’ insinua  in  tutte  le  particolari  trat-  tazioni, come  si  fa  a dichiararla  un  frammento  slegato,  ed  a cacciarla  via  dal  sistema  ? Altro,  a parer  nostro,  è  il  dire  che  il  più  spedilo  e più  logico  avviamento  di  Ari-  stotile sarebbe  stato  di  continuare  nella  risoluta  opposi-  zione verso  il  suo  maestro,  ed  altro  il  negare  eh’  egli  in  questa  polemica  non  sia  proceduto  incerto,  parte  rifiu-  tando e parte  ritenendo:  incauto  cercatore,  anche  lui,  di  conciliazioni  impossibili.  c   Della  prima  e più  spiccata  contraddizione  nel  co-  struire Findividuo  di  materia  e di  forma  ho  discorso  di  sopra;  toccherò  ora  della  dottrina  della  cognizione.   La  scienza  secondo  il  processo  aristotelico  piglia  le  mosse  dalla  sensazione,  e procede,  sempre  più  svilup-  pandosi, per  molti  gradi,  i quali  sono  variamente  de-  scritti, ma  che  si  possono  però  ridurre,  conforme  al-   1 • Il  est  évideot  que  toute  cette  tliéorie  da  voù(  est  eropruntée  4  Anaxagore.  » — Jverrhoès,  etc.,  psp.  96,   F.  Fiorbntiko.    «    82    PIETRO  POMPONÀ.ZZI.    l’esposizione  del  Barili,  de  Sant’  Hilaire,  ai  seguenti;  sen-  sazione cioè,  pensiero  nella  forma  volgare , ed  in  quanto  sottoslà  alle  impressioni  sensibili;  scienza  (ìttLotìiw) , é  intelletto  (vo»{),  il  quale  è in  relazione  cop  gl’inteUigibili.   Riguardo  alla  sensazione  non  s’ incontra  difficoltà  :  essa  è la  forma  delle  cose  sensibili,  che  viene  accolta  dall’  anima  sensitiva.  Nel  sollevarsi  poi  dalla  sensazione  alla  scienza  Aristotile  ammette  moltè  sfumature,  die  talvolta  si  confondono,  ma  che  giova  descrivere,  per  far  vedere  quanto  sottile  osservatore  egli  fosse,  e come  per  lui  tutto  il  processo  del  pensiero  non  fosse  altro  che  un  continuo  disvilupparsi  dalle  forme  più  materiali  per  ri-  vestirne altre  più  generali  e più  pure.   Il  grado  immediato  alla  sensazione  è per  lui  la  Séga  che  lo  stesso  Saint-Hilaire  traduce  per  percezione,  e po-  trebbe pure  dirsi  opinione.  Sopra  cotesla  percezione,  o  opinione  che  dir  si  voglia,  pone  la  fantasia  (pxvmaia.) ,  la  quale  può  dirsi  un  grado  di  sviluppamene  maggiore,  staccandosi  già  dall’  oggetto  sentito , più  che  non  faces-  sero i due  gradi  precedenti,  i quali  ne  richiedevano  sempre  l’ immediata  presenza.   La  fantasia  medesima  si  riferisce  al  fantasma  (pàv  touhx)  ed  all’  inamagine  (Uwv)  ; imperocché  essendo  la  fantasia  una  specie  di  tramezzo  fra  la  sensazione  e la  scienza,  col  fantasma  si  accosta  più  all’  intelletto , con  l’ immagine  invece  si  accosta  più  all’  obbielto.   La  scienza  e l’ opinione  possono  accoppiarsi  in  certo  qual  modo,  ed  il  loro  miscuglio  dà  la  riflessione  ( <j>pó-  vjiJts).  La  scienza,  1’  opinione  e la  riflessione  Sega , ppóvmatj) , sono  da  Aristotile  comprese  sotto  un  .termine  comune  uttò^cs,  il  quale  è deputato  a signifi-  care l’ attività  spontanea  dell’  anima,  doyecchè  la  Stóvota  discorre  da  un  oggetto  in  un  altro. 1   1 Per  la  determinazione  di  tatti  cotesti  gradi  del  pensiero,  vedi  Barth.  de    CAPITOLO  PRIMO.    83    Tali  sono  i primi  sviluppameli  della  scienza;  ma  ipoichè  ella  consiste  nel  dimostrare , e nel  far  vedere  le  -cose  nelle  loro  cagioni,  perciò  è necessario  che  si  fermi  in  principi  assoluti  ed  indimostrabili.  Il  voOs  è l’ intelletto  di  questi  primi  principi,  i quali  sono  i termini  della  di-  mostrazione. Se  la  sensazione  ( afo^ots)  dunque  è il  primo  inizio  della  scienza , l’ intelletto  (vo0«)  n’è  l’ul-  timo risultato. 1   Chi  ha  tenuto  d’ occhio  tutto  il  processo  della  cogni-  zione, com’  è descritto  da  Aristotile,  si  sarà  accorto  che  -conforme  a questa  dottrina  il  vovg  non  può  fermarsi  se  non  nei  principi  più  remoli  dalla  materia,  e più  univer  sali.  Essendo  l’apice  di  ogni  astrazione,  esso  dev’essere  al  polo  opposto  della  sensazione,  che  si  trova  congiunta  ■con  la  materia  immediatamente.  Ed  intanto  il  punto  di  fermata  sono  i termini,  ossia  è la  sostanza.  Ora  la  so-  stanza, nonché  sia  1*  universalissimo  essere,  è invece  individuale  ; dunque  il  processo  della  scienza,  dopo  aver  percorso  tutte  le  forme  di  separazione  dalla  materia,  ri-  casca nella  sostanza,  la  quale  è dalla  materia  insepara-  bile. L’ essere  e la  sostanza  sono  spesso  confusi  da  Ari-  stotile, eh’ è quanto  dire  la  più  astratta  delle  forme,  l’essere,  vi  si  scambia  con  la  forma  attuosa  legata  con  la  materia.  * La  sostanza  è per  lui  una  volta  il  neccssa-    Saint-Hilaire , Logique  d'Arùtote,  tom.  II,  Deuxìème  l’artie,  section  XI®,  -di.  9®.   * Ecco  come  il  Trendcleraburg  prova  questo  ufficio  proprio  del  veù;  ■aristotelico.  « Noè;  in  primis  et  ultimis  scienti»  priucipiis  rersatur.  Ita  Analyt.,  post.  I,  27,  Xiyu  yàp  *sùv  ù.pyn'1  éKcuni/in»-  Elh.  Nicom.  VI,  6.  7st  fTSToct  voùv  siva*  TÙv  xpyrZv.  Quteuaui  sit  xp%rj  (neque  euim  omnis  ed  noJv  rediòit)  accuratius  defiuitur  Elh.  JVtc.,  Vi,  9,  ò pit  -/«.p  voós  ri»  opwv  u'J  oóx  sor*  /óyo;.  i.  e.  quorum  sulla  est  demoustratio  conclusione  «ffecta.  « Àristot.,  De  Aniti.  Commentario,  pag.  494.   1 « L’idée  de  Cétre  et  l’idée  de  substauce  se  coufoudeot  souvent  aiosi  pour  Aristote.»  Bar  ih.  Saiot-Iliiaire,  ioc.  cit. , cb.  40®.    Digitized  by  Google    84  ' PIETRO  POMPONAZZI.   rio  e 1’  universale,  un’  altra  volta  il  puro  accidente  ; un»  volta  forma,  un’  altra  volta  sinolo  di  materia  e di  forma/   Il  Noo  aristotelico  adunque  una  volta  si  ferma  ai  principi  (àp^wv),  un’altra  volta  ai  termini  (ópwv),  i  quali  non  sono  altro  che  la  sostanza.  Nè  in  quest’ una  soltanto  si  restringono  le  incertezze  di  quella  dottrina.  Il  Noo  allora  veramente  si  conchiude  e si  assolve,  quando  si  posa  in  se  stesso.  L’andare  di  pensiero  in  pen-  siero implica  un  processo  all’  infinito , dal  quale  Aristo-  lile  si  mostra  sempre  alieno.  Sforzato  adunque  dalla  stessa  dialettica  egli  immedesima  in  questo  atto  supremo  l’ intelletto  e l’ intelligibile,  ed  in  cotesta  medesimezza  dell’  intelletto  con  se  stesso  è riposta  la  sua  vera  asso-  lutezza. * Se  ci  fosse  qualcosa  di  esterno,  alla  quale  lo  spirito  dovesse  stare  sospeso,  egli  sarebbe  da  meno  di  lei.  E fin  qui  tutto  si  accorda  a maraviglia  con  la  natura  dello  spirito,  che  non  può  prendere  in  prestito  d’ al-  tronde la  sua  compiutezza,  nè  posare  altrove  che  in  se  stesso  ; ma  in  che  modo  si  potrà  conciliare  cotesta  af-  fermazione con  l’ altra  che  fa  travagliare  il  Noo  intorno  ai  primi  principi?  Ed  ecco  una  nuova  irresolutezza,  una  nuova  contraddizione  : lo  spirito  che  una  volta  si   1 Ecco  come  il  medesimo  Sant-Hilaire  riassumo  da  parecchi  luoghi  della  Metafilica  la  teorica  di  Aristotile,  dove  la  sostanza  apparisco  una  volta  neces-  saria, un’  altra  volta  come  reale,  cioè  come  individuale.  Non  trattando  qui  di  proposito  questa  teorica  mi  astengo  dal  citaro  io  stesso  i luoghi  del  testo.  • La  Science,  douée  de  ces  deux  caractéres,  du  général  et  du  nécessaire,  «'applique  donc  surtout  è ce  qui  est  en  soi , è lasubstance,  bien  plutùt  qu’anx  autres  catégorie»,  qui  ne  sont  que^d’accident.  La  substance,  l’étre  ■ éel  (oùsia)  est  su  faste  de  la  Science:  et  c’esl  elle  spécialement  qne  le  phi-  lusophe  doit  étudier.  De  plus,  c’est  à une  seule  et  ménte  Science  de  recher-  « ber  et  les  principe»  généraux  de  l’étre , de  la  substance , et  Ics  principe»  généraux  de  la  démonstration,  et  du  syllogisme  qui  la  coostitne.  • Loc.  cit.,  eh.  »e.   * a Si  absolutum  id  est,  quod  ad  nihil  nisi  ad  seipsum  rifertur,  acqui  tur  sane  mentem , siquidem  absoluta  est,  seipsam  cogitare.  » Tren-  «bltmburg , op.  cit.,  pag.  497.    CAPITOLO  PRIMO.    85    ferma  nei  principi  universali  e nella  sostanza  ; un’  altra  volta  che  si  conchiude  in  se  medesimo.  Certamente  quest’  ultima  conclusione  è più  accettevole,  e più  consen-  tanea alla  nozione  deirintellelto  espressa  precedentemen-  te; ma  ciò  non  toglie  il  fare  incerto  ed  anche  contraddit-  torio del  sistema.  Se  l’ intelletto  non  è,  se  non  quando  pensa  in  atto  ; esso  non  può  compirsi,  se  non  nell’  atto  suo  proprio.  Se  gl’  intelligibili  non  si  differenziano  dal-  l’ atto  medesimo  che  li  pensa,  come  si  può  dire,  che  l’ intelletto  si  fermi  nei  primi  principi,  i quali  in  tal  modo  dovrebbero  avere  un’ esistenza  indipendente?   Forse  ad  ovviare  a questi  ed  a tutti  gli  altri  incon-  ■venienti  finóra  discorsi,  Aristotile  ricorse  allo  sparii-  j  mento  del  Noo  in  due,  per  potere  più  facilmente  altri-  j  buirgli  le  più  conlradittorie  determinazioni.   Il  quinto  capitolo  del  terzo  dei  libri  su  l’ anima  ospone  la  partizione  dell’  intelletto  in  attivo  e passivo.  \  Come  nella  natura  ci  è la  materia,  eh’ è lutto  in  potenza,  \  e poi  la  causa  che  la  rechi  in  atto  ; così  bisogna  che  co-  teste  differenze  si  trovino  pure  nell’anima.  In  lei  adun-  que vi  è un  intelletto,  che  può  tutto  divenire,  ed  mi  altro  che  può  tutto  fare. 1 E come  l’agente  prevale  sul  paziente,  cosi  l’ intelletto,  che  tutto  fa,  è fornito  delle  migliori  prerogative;  è separato,  eh’  è quanto  dire  non  dipendente  da  nessun  organo,  è impassibile,  e non  ha  mistura  di  sorta;  perciò  è immortale  ed  eterno.  Per  contrario  l’ intelletto , che  tutto  diviene,  è capace  di  patire,  e perciò  è perituro,  e senza  l’ aiuto  dell’  intel-  letto attivo  non  può  nulla  pensare.   Il  Noo  attivo  così  descritto  apparisce  essere  quanto  nell’  uomo  v’ha  di  divino  ; anzi,  come  osserva  il  Zeller,  esso  non  si  differenzia  punto  dallo  stesso  Dio.  E di  ciò   1 /.ai  !<mv  S pìv  Totovro*  vsus  tw  Tra/Ta  ycvss&at,  S Sì'  r»  irà/Toc  iisiitv.  De  Anim.,  lib.  Ili,  5.    Digitized  by  Google    PIETRO  POMPONAZZI.    potrà  capacitarsi  chiunque  si  faccia  a riscontrare  la  dob-  trina  del  Noo  attivo  con  l’altr  del  Dio  aristotelico,,  come  si  trova  nel  dodicesimo  libro  della  Metafisica.  Se  non  chè  il  Noo  attivo,  da  alcuni  tolto  per  lo  stesso  Dio,,  non  si  può  considerare  se  non  come  qualcosa  dell’anima.  Aristotile  medesimo,  se  da  una  parte  lo  chiama  il  divine  nell’  uomo  ; 1 dall’  altra  ci  ricorda  eh’  esso  ò un  altro  ge-  nere di  anima. 1 Intanto  è impossibile  concepire  due  es-  senze divine,  una  nell’anima  umana,  l’altra  separata;  e questa  contraddizione,  prodotta  dalla  solita  dubbietà.  di  Aristotile,  rimane  anch’  essa  irresolubile. 3   Gl’  interpreti  di  Aristotile,  e non  gliene  mancarono’  neppure  quando  fioriva  ancora  la  greca  filosofia,  comin-  ciarono percip  a dissentire  sul  Noo  attivo,  secondochè  ci  attesta  Temistio.  Chi  voleva  farne  la  facoltà  che  co-  glie i supremi  principi  con  una  semplice  comprensione,  e senza  bisogno  di  discorrere,  come  pare  avesse  intesa  Temistio  medesimo  (nè  era  certamente  senza  fonda-  mento cotesta  interpretazione):  chi  per  contrario  dal  dover  essere  sempre  in  atto  argomentò  che  non  po-  tesse essere  altri,  salvochè  Dio;  ed  anche  a cotesto  com-  mento  dava  nerbo  la  descrizione  sovresposta  di  Aristotile.  Se  non  che,  obbiettava  lo  stesso  Temistio,  Aristotile  parla  dell’  intelletto  attivo  e del  passivo  come  di  diffe-  renze (rà;  Scxp cpas)  dell’  anima  ; ed  il  porlo  in  Dio  ri-   1 el  Oeiov  è vaù?  ir  pòi  t ài  av9/Jwirov.  Et.  ffie.,  X,  7.   8 7t»o;  irti 59v.  Jìe  An im.,  lib.  Il,  cgp.  3,  § 9.   3 « Die  ihatige  Vernunft  ist  mit  Eincm  Wort  nicht  atlein  dea  Guttli-  che  im  Menschen,  sondern  aie  ist  der  Sacbe  noch  von  dei»  gottlirhen  Geiste  selbat  nicht  veracliieden.  ......  Andererseits  liess  sich  aber  freilich  der   ansserweltliche  gòttliebe  Geist  nicht  wohl  ala  die  den  Kinzclncn  in"  oli  ricado  nnd  mittelst  der  Zengnnge  in  aie  iibcrgehcndo  Vernunft , ale  ein  Theil  der  menschlichen  Sede  bezeichnen.  Aber  eine  Liisung  dieaea  Widersprucbs  so-  ebeà  wir  bei  Aristatclca  vergeblieh.  • Zeller,  Phil  der  Grieche n,  Zw.  Theil,  pag,  440-441.    Diaitized    CAPITOLO  PRIMO.    87    pugnerebbe  a questo  esplicito  testo.  Il  Trendelerobnrg  nota  tutte  le  precedenti  dubbietà,  nè  sa  risolversi  egli  medesimo  a miglior  partito,  che  a questo,  di  confes-  sare cioè  una  certa  cognazione  tra  il  Noo  attivo  e Dio,  senza  però  spiegare  come  avvenga  nella  nostra  mente  questa  partecipazione  del  divino.  * Ben  si  accorge  che  Aristotile  nella  teorica  del  Noo  attivo  rompe  la  preclara  serie  delle  umane  facoltà,  e del  loro  progressivo  svi-'  luppo,  introducendovi  qualcosa  di  nuovo  e di  estrin-  seco, ma  non  riporta  questa  rottura  ad  una  più  estesa,  che  noi  vedemmo  fin  da  principio  avvenuta  dentro'  la  costituzione  originaria  dell*  individuo.  Al  dotto  critico  di  Berlino  non  Sfuggirono  però  i testi  ripugnanti,  e la  ragionevolezza  delle  interpretazioni  contraddittorie,  ben-  ché egli  non  si  fosse  sforzato , come  di  poi  ha  fatto  il  Zeller,  di  risalire  alla  prima  scaturigine  di  quelle  con-  traddizioni divenute  necessarie.  Chi  disse  : I’  intelletto  attivo  è Dio,  e Chi  lo  negò,  non  ebbe  certo  difetto  di  testi  per  convalidare  la  sua  chiosa.  11  Brentano  non  ha  guari  pubblicava  un  libro  per  provare  che  il  Noo  è una  facoltà  dell'  anima,  ma  senza  far  caso  delle  espressioni  che  si  possono  trarre  iti  opposto  senso.  Così,  a mò  d'esempio,  nel  libro  della  generazione  degli  animali  ò  detto  che  l’ intelletto  venga  da  fuori,  ed  egli  interpreta  doversi  intenderà  non  del  solo  intelletto , ma  di-  tutta  l’anima  intellettiva.*  Che  non  abbia  veduto  manifesta   1 Dopo  riferite  le  parole  di  Aristotile,  che  queste  differenze  di  attivo  o -  di  passivo  si  trovino  pare  nell’anima,  soggiunge.  « Qua)  serba  aperte  de  humano  agere  mimo.  « D’altra  parte.  « Divina  mena  nibil  esse  potest , nisi   agens  intcllectus , a qno  veritas  rerum  manat Sed  quomodo   liut,  ut  Immani  mens  divine  particeps  sit,  dietimi  est  nusquam.  s Com-  meni.  Ariti,  de  Anima,  pag.  492,  493.   1 • Vor  der  Hmd  sei  nnr  bemnrkt,  dass  nnter  dem  vou;  der  Svpy.Sev  in  den  Fòla*  eingeht , nidi t , wie  Manche  meinen  , der  voù;  7ro‘V)Tt/o;  at-  leta , sonderò  die  ganze  ibujnj  vortrtxv  zn  versteben  ist.»  Die  Ptychologie  *    88    PIETRO  POMPONA.ZZI.    l’ oscillazione  di  Aristotile  dopo  le  profonde  osservazioni  del  Zeller,  che  pure  ha  letto,  a me  sembra  cosa  stra-  nissima ; ma  ognuno,  a vedere,  si  vale  degli  occhi  suoi  e non  degli  altrui.  Eppure  a lui  è saltato  negli  occhi  il  doppio  valore  del  Noo  aristotelico;  se  non  che,  invece  di  spiegare  la  causa  di  questa  duplicità,  ei  riconosce  una  sola  significazione  come  propria  della,  dottrina  ari-  stotelica,  l’altra  come  una  certa  metafora,  di  cui  Ari-  stotile si  fosse  valso  ; lui  che  dalle  metafore  era  alienis-  simo. Come,  dice  il  Brentano,  noi  diciamo  sano  tanto  chi  ha  la  sanità , quanto  le  cose  che  conferiscono  a pro-  curarla, cosi  Aristotile  ha  potuto  chiamare  Noo  tanto  il  subbielto,  che  ha  in  sè  il  pensiero,  come  il  desiderio  spirituale,  che  n’  è un  corollario,  e Dio  che  n’  è il  prin-  cipio creatore. 1 Cosi  nella  lingua  tedesca,  ei  soggiunge,  Geruch  vuol  dire  ugualmente  ed  il  senso  che  coglie  gli  odori,  e l’odore  come  qualità  dei  corpi.  E lutto  questo  va  bene  ; ma  Aristotile  piglia  il  Noo  tutte  e due  le  volte  in  significato  proprio  e serio;  tanto  nel  terzo  libro  dell’Anima,  dove  ne  parla  come  di  differenza  dell’ anima  umana,  come  nel  dodicesimo  libro  della  Metafisica,  dove  lo  descrive  come  primo  motore  immobile  nella  relazione  che  ha  con  lutto  l’ universo.  E le  descrizioni  rinvergano  cosi  bene , che  paia  sempre  lo  stesso  Noo  che  si  descri-  ve : tanto  il  primo  motore  della  metafisica  rassomiglia  al  Noo  attivo  dei  libri  dell’anima!  Da  qui  l’oscillazione  del  sistema  aristotelico,  che  nessuna  interpretazione,   o distinzione  al  mondo  varrà  a far  cessare.   * ‘ <   des  Ar  ilio  tele*,  intbetondere  teine  Lehre  vom  vojj  noi  n ti  xeg  vou  D*  Frani  Brentano,  Maini,  1807.   1 a So  knnnte  aucb  Aristoteles  nicht  bloss  das,  was  die  Gedanksn  io  sich  bat,  sonderà  aucb  das,  was  Folgc  dea  Deokes  iat,  wie  dea  geistige  Begebren , aber  auch  das , was  ala  Princip  die  Gedanken  bervorbringt , ala  #>9Ù;  bczeichoen.  — Brentano,  op.  cit.,  pag.  171-172.    CAPITOLO  PRIMO.    89    Una  nuova  difficoltà  ci  si  affaccia  nel  conciliare  le  due  differenze  che  Aristotile  introduce  nel  Noo,  perchè  il  passivo  è detto  corruttibile,  e legato  con  la  memoria,  col  desiderio,  con  tutte  le  altre  facoltà  inferiori  ; e l’at-  tivo, per  contrario,  immisto,  separabile,  e perciò  im-  mortale : ed  intanto  il  primo  ed  il  secondo  appartengono  del  pari  all’  intelligenza,  che  n’  è il  genere  comune.  Ari-  stotile nel  distinguere  il  Noo  in  passivo  ed  in  attivo  ha  voluto  occorrere  a due  condizioni,  imposte  entrambe  dal  suo  sistema.  Prima  ha  voluto  legare,  il  meglio  che  si  poteva,  l’ intelletto  con  le  facoltà  rimanenti  ; perciò  ha  dovuto  introdurre  in  esso  i fantasmi  per  intendere,  i desideri  per  volere;  e gli  uni  e gli  altri  si  fondano  su  la  sensibilità,  e perciò  su  la  materia,  su  la  possibilità  del  corpo.  Dipoi  ha  voluto  far  dell’  intelletto  la  facollà  che  pone  la  scienza,  che  coglie  l’universale  puro,  sce-  verato da  ogni  qualsiasi  possibilità,  e che  perciò  non  avesse  nessuna  mistura  di  potenza,  o di  materia,  e fosse  puro  atto.  Da  qui  la  distinzione  di  due  intelletti  ; uno  che  attinge  ancora  alle  sorgenti  della  materia,  l’altro  che  non  vi  comunica  punto.  Perciò  vedemmo  che  l’ in-  telletto puro  non  può  patire,  e consiste  tutto  nell’ atto;  mentre  chel’  intelletto  passivo  patisce,  ed  in  certo  senso  si  dee  dire  che  abbia  della  materia,  perchè  ogni  potenza  è materia,  considerata  per  rispetto  all’ atto.  Hegel  ha  cercato  di  conciliare  questa  contraddizione,  che  si  possa  cioè  dare  un  intelletto  che  partecipi  alla  materia,  di-  cendo che  la  possibilità  nell’  intelletto  non  abbia  nessuna  materia,  perchè,  nel  pensare,  la  possibilità  è ella  mede-  sima un  essere  per  sè. 1 Però  conciliazione  siffatta  tien    1 « Die  Moj>lichkeit  eelbst  ist  abcr  liier  nicht  Materie;  dar  Versta  mi  hat  nOinlicti  keine  Mitene,  scinderti  die  Moglickeit  geliort  zu  seiner  Substanz  eelbst.  Denn  das  Denken  ist  vielmrhr  dieses , nicbt  an  sicli  za  sein  ; and.  v egeti  seiner  Reiobeit  ist  seme  Wirklickeit  nielli  das  Fùrcinandersein , scine    Digitized  by  Googte    90    PIETBO  P0MP0NAZ7I.    più  del  sistema  proprio  dell’ Hegel,  che  di  quello  di  Aristotile.   Quindi  proviene  ancora  l’ incertezza  di  determinare  in  che  consista  veramente  l’ intelletto  passivo.  Il  Tren-  delemburg  ha  opinato  eh’  esso  sia  costituito  da  tutte  le  facoltà  raccolte  quasi  in  un  nodo,  e considerate  come  condizioni  del  pensare.  Il  quale  può  aver  pigliato  il  nome  di  passivo  sia  perchè  vien  recato  a perfezione  dall’  intelletto  attivo,  sia  perchè  viene  occupato  dalle  cose  esterne. 1   Tale  interpretazione  però  va  incontro  a questo  inconveniente,  di  rendere  inutile  la  distinzione  che  Ari-  stotile aveva  fatto  tra  sentire;  immaginare  e pensare.  Se  il  pensare  non  è altro  che  il  sentire  e l’ immaginare  annodati  insieme,  perchè  distinguerli  da  quello?  Non  bisogna  dimenticare  mai  che  dell’intelletto  in  generale  Aristotile  fece  un  altro  genere  di  anima.  Pare  adunque  che  nello  sviluppo  della  intelligenza  , medesima  bisogna  trovare  quei  gradi  che  appartengono  al  Noo  passivo , e  gli  altri  che  sono  propri  del  Noo  attivo.  Già  di  questo  ultimo  noi  vedemmo  che  Aristotile  avesse  posto  la  fun-  zione peculiare  talvolta  nei  primi  principi,  tal’ altra  nel  ripiegarsi  sopra  di  sè.  I gradi  precedenti  della  scienza,  che  del  resto  appartengono  certo  alla  intelligenza,  biso-  gna che  si  attribuiscano  aH’intelletto  passivo.  Tale  è la  ne-  cessaria conclusione  a cui  si  perviene  a guardare  nel  lutt’  assieme  la  dottrina  aristotelica,  e cosi  vedo  che  ha  interpretato  pure  il  Zelier,  che  nelle  cose  di  Aristotile    Mogliclikeit  «ber  selbst  cin  Fursichsein.  » Hegel , GeschicMe  der  Philoi ..  tom.  II,  pag.  540—54 1 .   1 a Qua?  a sensu  inde  ad  imagiuationem  mentera  anteccssorunt , ad  rea  parcipiendas  menti  necessaria,  sed  ad  intelligendas  non  suflìciunt.  Orno es  iilas , qua?  p r eccedimi , facultates  in  nnum  quasi  nodum  colleetas  ,  □natenus  ad  rea  cogitaodas  postula  nlur,  vouv  TtuSriTixo  v dietas  esse  in-  nicamus.  > Trendclembnrg,  De  Anima,  Comment.,  pag.  493.    CAPITOLO  PRIMO.    9f    vede  molto  addentro,  ed  ha  grande  autorità.  L’ intelletto  passivo  per  lui  consiste  in  quei  gradi  intermedi  che  stanno  tra  il  sollevarsi  delle  forze  rappresentative  ed  il  pensiero  compiuto  che  quieta  in  sè  stesso  ; in  quel  pro-  cesso riflessivo  e discorsivo  che  Aristotile  stesso  con-  trassegna con  la  parola  ScuvousOca. 1   Guardando  ora  tutta  insieme  la  dottrina  del  Noo  aristotelico,  essa  ci  presenta  questa  contraddizione,  di  essere  cioè  considerato  come  l’ ultimo  sviluppo  dell'  at-  tività pensante  nell’  uomo,  e di  essere  presupposto  fuori  dell’uomo,  perfetto,  compiuto  in  sè,  separato.  È per  questa  ragione  che  il  Noo  passivo  ci  vien  mostrato  come  processo,  come  discorso,  ed  il  Noo  attivo  come  intui-  zione ; e che  il  primo  è tenuto  in  minor  conto  del  se-  condo. Affinchè  la  posizione  aristotelica  fosse  riuscita  precisa  e diritta,  ei  si  sarebbe  dovuto  disfare  di  quel-  l’universale separato,  ed  ambiguo,  e tener  fermo  nel  ri-  guardare lo  spirito  come  processo  rigoroso  ed  ordinato.  Ma  per  fare  ciò,  non  bisognava  modificare  soltanto  la  dottrina  dell’  intelletto , sì  veramente  mutare  1’  anda-  damento  generale  del  sistema  ; cosa  che  forse  non  era  da  pretendere  in  quei  tempi.  Il  concetto  dello  spirito  come  sviluppo  è risultato  della  filosofia  moderna.   Un  valoroso  storiografo  tedesco,  il  prof.  Carlo  Pranll,  non  ha  dubitato  di  presentarci  come  genuino  sistema  di  Aristotile  quello  che  per  noi  è piuttosto  un  desiderio.  Nò  al  dotto  critico  manca  ingegno  o copia  di  testi  ; ma  il  suo  fare  sa  troppo  di  moderno,  e perciò  di-  viene subito  sospetto.   L’intelletto,  il  Noo  aristotelico,  è per  lui  una  im-  mediata unità  nella  duplicità  della  Giostra  essenza,  e da  un  lato  coglie  l’uno  trascendente,  il  divino,  dall’altro  i    1 Zellcr,  op.cit.,  pag.  441.    Digitized  by  Google    f    D2  PIETRO  POMPONAZH.   molli,  l’ individuo  ; o in  altri  termini  è l’unità  originaria  del  senso  e della  ragione , il  principio  e la  fine,  l’ alfa  e  l’ omega.1  In  un  luogo  dei  morali  nicomachei  si  dice  che  il  senso  è Noo  ; e su  tal  dichiarazione  il  critico  tedesco  rifà  da  capo  tutta  la  teorica  di  Aristotile.  Dove  gli  altri  avevan  visto  un  altro  genere  di  anima,  egli  scorge  un’originaria  medesimezza;  dove  gli  altri  avevan  tro-  vato incertezze,  egli  sicuramente  afferma  che  il  Noo  aristotelico  è sviluppo,  che  muovendo  dalle  impressioni  sensibili  arriva  sino  all’  universale.   L’intelletto,  dice  il  Franti , secondo  il  modo  di  ve-  dere aristotelico,  non  è una  passiva  intuizione,  ma  un*  attività  che  nel  progresso  del  suo  sviluppo  va  dalla  potenza  all’atto.  È un  accrescimento  dentro  sè  stesso,  Zuwachs  in  sich  selb&lhinein,  come  dice  il  critico  te-  desco traducendo  l’ iniSoais  ì<?>’  tàuro  di  Aristotile.  Che  se  l’ intelletto  si  dice  potenza , esso  è una  potenza  tale  •che  si  distingue  da  tutte  le  altre  non  solo  perchè  com-  prende gli  opposti,  ma  ancora  perchè  si  fonda  sopra  un  precedente  attuale.   La  continuità  dello  spirito  in  questo  processo  si  pare  a ciò,  che  i primi  pensieri  si  distinguono  appena  dalle  sensibili  impressioni  ; talché  il  sapere  non  è qualcosa  apparecchiato  d’avanzo,  ma  nasce  la  prima  volta  come    * « Der  voi;  ist  fur  dia  Stale , vvas  dea  Ange  fur  den  Korper  i«t , rr  ist  die  anraittelbare  Einheit  in  der  Duplicil&t  nnseres  VVescn  , deno  er  < rfasst  einerseits  das  trascendente  Eioe , Gòttlicbe , and  andrerseits  ist  er  cs  atich  , welcher  das  Einzelne , Viete  ergreift , ja  es  wird  io  diesem  Sion  , d.  li.  von  einem  wabrhaften  Antropologismns  aus  , selbst  die  Sinneswabrnehraung  aiisdriiklicli  voi;  gena noi;  und,indem  so  der  voi;  der  geistige  Sion  fQr  dia  beiderseitigen  Crtheile  ist , sowohl  fOr  jene , welche  ein  Ewìges  und  Crsprùn-  fjliebes  aussprerben,  als  aocb  ffir  jene , welche  anf  das  Gcbiet  des  Verglii-  glicheo  sich  beziehen , a»  kann  er  mit  Rccbt  der  Anfaog  und  das  Eode  , das  vahre  A und  Q,  des  Apndeiktischeo  genannt  wcrdon.  » Getchichle  der  Logik.   ’ Erster  Band,  pag.  106-407.    Dii    by  Google    CAPITOLO  PRIMO.    93    , tale. 1 Quando  il  Noo  si  solleva , sopra  tutte  le  opposi-  zioni, al  supremo  Uno,  ivi  pensa  sè  stesso,  ed  il  pen-  siero ed  il  pensato  s’ identificano  : in  tale  attività  egli  mostra  la  sua  eternità.*  •>   Tal’  è per  sommi  capi  la  teorica  del  Noo  aristote-  lico secondo  il  Prantl  : prima,  attività  originaria , unità  del  senso  e della  ragione  ; poi  sviluppo  sino  al  pensare,  sviluppo  tale  che  tra  le  impressioni  sensibili  ed  i primi  gradi  del  pensiero  v’  è appena  differenza  ; infine  processa  intimo,  ed  indipendente  dalla  materia,  fino  ad  attingere  il  pensiero  di  sè  stesso,  e con  questo  l'eternità.   Questa  esposizione  toglie  ogni  dubbietà  ed  irreso-  lutezza dal  sistema  aristotelico,  e lo  fa  rigorosamente  logico,  però,  a quel  che  mi  pare,  a scapito  della  genui-  nità. Quella  unità  originaria  sa  troppo  di  moderno,  e  quella  eternità  conseguita  dal  nostro  spirito  nel  colmo  del  suo  sviluppo  è un’  intuizione  moderna  del  pari.  Ciò  che  mi  sembra  schiettamente  aristotelico  è il  concetta  dello  sviluppo  applicato  all’  attività  dello  spirilo  ; ma  il  pensare  puro  rimane  pur  sempre  staccato  dalla  serie  preclara  come  diceva  il  Trendelemburg.  Ammettendo  difatti  la  spiegazione  del  Prantl,  il  Dio  aristotelico  spa-  risce, perchè  il  Noo  è perfetto  e compiuto  nello  spirito  umano;  ed  il  Dio  di  Aristotile,  se  bisogna  a qualcosa,  è  per  cotesta  ultima  finalità.   Il  Prantl  tocca  dell’  intelletto  per  arrivare  al  comin-  ciamento  della  Logica.  Per  lui  l’ intelletto  si  compie  nel  concetto,  cioè  nel  cogliere  l’universale,  il  quale  non  è    1 Prantl,  op.  cit.,  loc.  cit.,  pag.  412.   * • Und  indetti  dar  voù;  in  dem  Denkcn  dieses  bòchsten  Einen  aicb  se'btt  deukt , erreicbt  er  das  Ziel  and  das  Zweck  seiner  Actnaliiat  : er  denkt  das  Angich  and  deukt  kiebei  steli  selbst  in  einer  Tbeilnabme  an  dem  Geda-  chten,  ao  dass  Denken  und  Gedacbtes  ideatiseli  siod  ; in  solcber  TbStigkeit  erweister  arine  Ewigkeit.  » Pag.  115,  loc.  cit.    $4    PIETRO  POMPONAZZI.    altro  che  l’ atto  medesimo  dell’  intendere  ; talmente  che  la  logica  s’ inizia  là  dove  la  psicologia  finisce.  L’ unilà  immediata  del  Noo  è il  principio  della  psicologia;  l'unità  immediata  del  concetto  è il  cominciamento  della  logica.1  Il  Prantl  fa  una  dotta  e profonda  investigazione  delie  ca-  tegorie aristoteliche,  delle  quali  mi  rincresce  non  poter  qui  discorrere,  tanto  più  che  nel  Saggio  sulla  filosofia  greca  io  mi  trovai,  inconsapevolmente,  d’accordo  col  professore  tedesco  nei  risultati  di  quella  ricerca.  Qui  però  non  voglio  omettere  di  dire  come  il  Prantl  si  accorge  che  lo  sviluppo  dello  spirito  si  riannoda  colla  dottrina  delle  categorie,  dove,  oltre  alle  determinazioni  estrinseche  •della  sostanza,  bisogna  ammettere  un  processo  genetico  -ed  intimo.1  Ma  cotesto  processo  per  il  quale  la  sostanza  -si  genera,  rimane  nel  sistema  aristotelico  ciò  che  direb-  besi  una  semplice  esigenza.  Perchè  la  sostanza  diventi  •questa  o quest’  altra  essenza,  non  apparisce  ; e cosi  non  apparisce  neppure  nello  sviluppo  dello  spirito  la  necessità  del  passaggio  da  una  forma  all’  altra  ; perciò  neppure  la  necessità  del  Noo,  che,  per  tal  causa,  può  dirsi  nell’  in  -  sieme  del  sistema  introdotto  da  fuora.  Il  Prantl  ha  un  bel  chiamare  il  Noo  unità  immediata,  Ansich  ; tutte  coteste  vedute  sono  più  profonde  come  scienza  che  vere  come  storia.  L’intelletto  separato,  il  motore  immobile  della  me-    1 • Dass  aber  Aristotele*  eine  Selbstentwicklung  der  Denktliàtigkeit  voo  ciucili  erstcr  Stadium  aa  bis  tu  einem  letztea  wesentlicli  erreicbbsreu  Zieie  «nerkennt,  sahea  wir  gleicbfalls  scbon  obeu....  ; und  so  ist  ihiu  aucb  die  tìrsprùogliche  Conception  der  Begriffe  aio  erstcs  Lumittelbares.  • Pag.  216.   1 Voglio  riferire  questa  osservazione  del  Praotl  eoo  le  parole  eoa  cui  I’  ha  compendiata  un  mio  giovane  amico  in  una  bella  tesi  di  laurea:  a Cosi  intorno  all’  individuo  si  raggnippano  amendue  i processi , nel  processo  gene  4ico,  o nel ytvsoàai  vltOÒiì  l’individualità,  la  sostanza  funziona  da  predi,  ceto,  ed  il  suo  soggetto  è la  materia  indeterminata;  uel  processo  categorica  funziona  da  soggetto,  e regge  e sostiene  tutte  le  determinazioni  categoriche.  »  Delle  varie  interpretazioni  dell'  idea  platonica  e della  categoria  aristo-  telica, Tesi  per  laurea  di  Felice  Tocco.    *C  -«V-    Digitized  by  Gt    CAPITOLO  PRIMO.    95    tafisica,  resiste  ad  ogni  più  benevola  interpretazione.  Certo  se  Aristotile  avesse  volato  e potuto  essere  conseguente,  avrebbe  pensato  come  lo  fa  pensare  il  Prantl.   Passando  ora  dall’  intelletto  alla  libertà  noi  troviamo  nella  dottrina  aristotelica  le  tracce  della  prima  indeter-  minatezza. 11  Brandis  ha  detto  che  la  libertà  secondo  Ari-  stotile consiste  nella  facoltà  che  ha  lo  spirito  di  svilupparsi  da  sè  e mediante  se  stesso  secondo  la  misura  della  sua  originaria  disposizione.  Ma,  domanda  con  molla  ragio-  nevolezza il  Zeller,  a qual  parte  dell’anima  debbe  ap-  partenere questo  sviluppo  ? alla  ragione  no,  perchè  im-  mobile ed  inalterabile;  all’anima  sensitiva  ed  appetitiva  nemmanco,  perchè  non  sono  capaci'  di  svilupparsi  con  libertà,  non  potendo  trovarsi  libertà  se  non  dov’è  la  ragione.  Rimarrebbe  l’intelletto  passivo,  al  quale,  sia  detto  una  volta  per  sempre,  si  ricorre  d’ordinario  quando  si  scorge  l’impossibilità  di  dare  uno  scioglimento  risoluto  ; ma  esso  stesso  oscillando  tra  la  ragione  e la  sensibilità,  avrebbe  bisogno,  al  pari  della  volontà,  di  uno  schiarimento  per  vedere  in  che  modo  si  possa  dare  * una  facoltà  che  partecipi  di  due  altre  cosi  opposte,  come  sono  il  senso  e la  ragione.1  Aristotile  stesso  accortosi  della  specie  di  altalena  che  fanno  la  ragione  pratica  ed  il  desi-  derio, li  rassomiglia  a due  palle  che  si  rimandano  da  uno  all’ altro.1  Un  filosofo  francese,  il  Waddington,  ta-  glia come  Alessandro  il  nodo,  invece  di  scioglierlo,  di-  cendo il  principio,  la  causa  dell’atto  volitivo  esser  l’Io;  degli  altri  atti  essere  soltanto  partecipe,  ma  qui  il  caso  esser  diverso,  e sentirsi  assoluto  e sovrano  padrone.*  Ma  appunto  di  questo  Io  noi  cerchiamo  invano  in  Ari-   1 Zeller  , op  cit. , loc.  cit.,  psg.  461.   1 Aristotile , De  anim.,  lib.  IH,  csp.  41,  $3.   8 La  Piicologia  di  Ariiloliie,  esposta  da  Carlo  Waddiogton  e Toltala  in  italiano  dalla  marchesa  Marianna  Floreozi  Waddington , pag.  284.    Digìtized  by  Google    96    PIETRO  POMPONAZZI.    stotile,  e vogliamo  scoprire  (love  si  annida,  se  nella  ra-  gione, o nella  sensibilità,  perchè  la  volontà  non  è facoltà  originaria,  come  non  è l’ intelletto  passivo,  nè  l’ intelletto  pratico.  La  vera  personalità  dello  spirito  è da  cercare  dunque  o nella  sensibilità,  o nella  ragione,  almeno  se-  condo i dati  della  psicologia  aristotelica.   La  scuola  ecclettica  di  Francia  ha  ripetuto  sempre  che  la  volontà  è l’ Io,  essendoché  la  ragione  è impersonale  ed  i fatti  sensibili  traggono  origine  dal  mondo  esteriore.  Con  questa  intuizione  peculiare  del  loro  sistema,  ei  si  fanno  ad  interpretare  Aristotile.  Se  non  che  la  volontà  per  il  filosofo  greco  non  è una  facoltà  originaria , quanto  meno  perciò  può  essere  la  intera  personalità  dello  spi-  rito! La  volontà  è una  specie  di  risultante  prodotta  dal  connubio  della  ragione  col  desiderio.  Le  quali  due  facoltà  essendo  si  opposte,  rimane  assai  difficile  il  definire  in  quale  di  esse  stia  la  libera  determinazione  di  se  stessa. 1   Quando  Aristotile  appaia  la  ragione  speculativa  con  le  facoltà  rappresentative,  e ne  fa  l’ intelletto  passivo  ;  ovvero  quando  accoppia  la  ragione  pratica  col  desiderio,  e ne  fa  la  libera  volontà,  rimane  sempre  incerto  quale  dei  due  elementi  debba  prevalere:  se  la  parte  sensitiva  ed  appetitiva  debba  trarre  dalla  sua  la  ragione,  ed  in-  trodurre in  lei  la  mutabilità  ed  il  patire;  ovvero  se  la  ragione,  signoreggiando  il  senso  e l’ appetito , debba  far  questi  partecipi  della  propria  impassibilità  ed  eternità.  Nella  vera  conciliazione  di  cotesti  due  opposti  termini  sarebbe  stala  riposta  la  persona  umana,  se  in  Aristotilo  il  loro  accoppiamento  non  fosse  rimasto  un  accostamento  esterno,  e,  come  dicono  i Tedeschi,  un  Zusmrmensetzung~    1 « Der  Wille  musa  demnach  cioè  ans  Vernnnft  and  Bugiarde  snsam-  mengetetzte  Thatigheil  saio.  Aber  auf  welcber  Scita  io  dieser  Verbiudong  da&  eigentliche  Wesen  dea  Willens,  die  Krafta  der  freieu  Selbslbestimmung  liegt ,  ist  sclmer  za  sagea.  • Zeller,  op.  cit. , peg.  460.    CAPITOLO  PRIMO.    97    Esclusa  la  volontà,  dove  si  deve  dire  che  alberghi  la  persona  umana?  Talvolta  pare  che  Aristotile  la  faccia  consistere  nella  propria  ragione  di  ciascuno;  ma  la  ra-  gione è un  puro  universale,  incapace  di  mutazioni  e di  patimenti,  eterna  ed  impassibile;  ed  invece  la  persona  è il  subbielto  proprio,  e la  causa  intrinseca  dei  suoi  mutamenti.  Tal’ altra  volta  pare  che  Aristotile  attribuisca  la  personalità  all’anima,  in  quanto  senziente  ed  appeti-  tiva; ma,  oltre  che  questa,  come  osserva  il  Zelter,  è  incapace  di  produrre  movimenti  da  sè,  secondochè  so-  stiene Io  stesso  Aristotile,  viene  esplicitamente  esclu-  ' sa,  dicendo  che  non  nell’  anima,  ma  nell’  uomo  in  quanto  consta  di  corpo  e di  anima,  dee  riporsi  il  subietlo  dei  movimenti  sensibili.  Il  corpo  intanto  non  è cagione  del  moto,  perchè  esso  verso  l’anima  è come  la  potenza  verso  l’ atto.  Ecco  in  quali  difficoltà  ci  siamo  imbattuti  nel  cercare  dove  consista  la  personalità  umana  secondo  i principi  di  Aristotile.  Le  quali  difficoltà,  a parer  mio,  procedono  dal  non  aver  Aristotile  fatto  vedere  per  qual  modo  1’  universale  si  determini,  per  intrinseca  energia  e per  dialettica  necessità,  nel  particolare,  e diventi  in-  dividuo; e per  qual  modo  poi  T individuo,  rifacendo  nel  processo  conoscitivo  il  cammino  inverso  del  processo  genetico,  si  sollevi  dalle  determinazioni  particolari  ed  accidentali  all’  universale  ed  all’  assoluto.  Non  è già  che  siffatto  processo  non  sia  stato  intraveduto  dall’ acume  di  Aristotile,  ma  non  è stato  spiegato  con  sufficiente  chiarezza , perchè  le  sue  dottrine  s’ informassero  tutte  secondo  quel  processo.  Il  Franti  accennando  al  processo  genetico,  come  intimo,  e diverso  dal  processo  catego-  rico, e trovandone  le  tracce  nella  Metafisica  di  Aristo-  tile, ed  in  altre  sue  opere,  ha  mostrato  come  la  deter-  minazione dell’  universale  nel  particolare,  il  concretarsi  della  forma  in  una  materia  sia  il  primo  postulato  di   F.  Fiomntiiso.  7    Digitized  by  Google    98    PIETRO  POMPONAZZI.    Aristotile.  E spiegando  dipoi  come  il  Noo,  per  assur-  gere alla  condizione  assoluta  di  pensiero,  ha  dovuto  essere  fin  da  principio  unità  originaria,  individuo  ed  z universale,  senso  e ragione,  affinchè  fosse  possibile  tutto  lo  sviluppo  intrinseco  dello  spirito,  ha  posto  in  evidenza  il  secondo  postulato,  non  meno  del  primo  in-  dispensabile. I due  postulati  che  la  critica  del  Prantl  richiede  nel  sistema  aristotelico,  nella  metafisica  il  primo,  nella  psicologia  il  secondo,  sono  però,  lo  ripetiamo,  appena  intraveduti  da  Aristotile,  e non  pienamente  de-  dotti. Forse  il  concetto  di  sviluppo  nello  spirito  è molto  più  evidente  che  non  il  processo  genetico  nella  sostan-  za; ma  ciò  non  toglie  tutte  le  irresolutezze,  ed  anche  le  contraddizioni,  che  noi  abbiamo  fatto  notare,  giovan-  doci degli  studi  del  Zeller,  il  quale  ha  collocato  il  si-  stema di  Aristotile  nella  sua  vera  luce,  tanto  per  ri-  spetto a Platone,  come  nel  suo  intrinseco  organamento.   Dalle  cose  premesse  apparisce  chiaramente  quel  che  debba  dirsi  della  immortalità  dell'  anima  secondo  Ari-  stotile. Per  lui  tutto  ciò  che  si  altera  è soggetto  alla  morte;  onde  le  facoltà  sensitive,  le  appetitive,  le  rap-  presentative, e perfino  l’ intelletto  passivo  finiscono  con  l’ organismo  corporeo,  da  cui  dipendono,  e con  cui  sono  indissolubilmente  legati.  Solo  superstite  è per  Aristotile  l’ intelletto  attivo,  il  quale,  se  fosse  provato  che  fosse  da  solo  la  persona  umana,  basterebbe  ad  assicurare  l' immortalità.  Ma  l' intelletto  attivo  è il  solo  elemento  universale,  una  specie  della  ragione  impersonale  della  scuola  eccletlica,  e perciò  la  sua  durata  non  ha  nulla  che  fare  con  la  durata  dell’  individuo  e della  persona.  Questo  intelletto  attivo  superstite,  slegato  che  sarà  dal  corpo,  non  avrà  nè  sensazioni,  nè  fantasmi,  nè  memo-  ria, nè  desideri;  e perciò  neppure  volontà,  nè  intelletto  passivo;  talché  non  potrà  avere  più  coscienza,  nè  per-    Digitized  by  Google    CAPITOLO  PRIMO.    99    sonalità  che  sodo  inseparabili  da  tutte  quelle  determi-  nazioni. Che  se  si  pon  mente,  come  il  Noo  attivo  per  pensare  avesse  bisogno  del  passivo,  noi  potremo  dire,  che  Aristotile  non  poteva,  secondo  i suoiprincipii,  far  sopravvivere  l’ intelletto  attivo  alla  morte  dell’ intelletto  passivo,  e se,  non  ostante  la  forza  della  logica,  lo  ha  fatto,  ciò  ne  dà  nuova  riprova , che  per  lui  non  era  ben  fermo  il  vero  concetto  del  Noo,  e che  una  volta  Io  po-  neva come  termine  supremo  dello  sviluppo  psichico,  un’altra  volta  ne  lo  stralciava,  attribuendogli  una  esi-  stenza separata,  impassibile  ed  immortale.   Aristotile  non  è pervenuto  sino  all’  autogenesi  dello  spirito',  perchè  non  si  può  creare  quel  che  si  suppone  esterno  non  solo,  ma  sproporzionalo  alle  facoltà  umane.  L’ infinito  per  lui  ora  consisteva  nel  concetto  dello  spi-  rito, ed  ora  in  qualche  cosa  di  esterno.  Tolta  l’ ipostasi  dell’  universale  che  aveva  ammesso  Platone  per  ciascuna  !  cosa,  ei  la  ritenne  per  rispetto  a Dio,  perciò  il  processo  dello  sviluppamento  rimase  dimezzato,  imbottendosi  in  un  termine  esteriore  che  gliene  impediva  il  prosegui-  mento. Non  ci  è un’  idea  preformata  della  natura , per-  :  ciò  la  natura  può  svilupparsi  per  virtù  intrinseca  ; ma  ;  ci  è l’ idea  di  Dio  sussistente  d’avanzo,  perciò  lo  spi-  rito non  può  farsi:  egli  già  è fatto,  e non  gli  rimane  se  non  d’ insinuarsi  nel  mondo  e di  svegliarvi  il  pen-  i  siero.  Questa  mi  pare  la  posizione  dell’  aristotelismo:  ;  Aristotile  rimase  platonico  per  metà.   Il  prof.  Augusto  Conti  è ricorso  a cause  esteriori  ed  accidentali  per  trovare  una  spiegazione  del  sistema  aristo-  telico, e perchè  l’egregio  professore  di  Pisa  è il  primo  ai  nostri  tempi  che  siasi  dato  a scrivere  una  storia  della  filo-  sofìa in  Italia,  mette  il  conto  di  dare  un  saggio  del  suo  modo  di  criticare  i sistemi.  Aristotile  è passato  dall’idea-  lismo platonico  alla  scienza  delle  cose  reali  : perchè?  Ecco    "'Otgitized  by  Google    •too    PIETRO  POMPONAZZI.    la  risposta  del  Conti:  « dacché  la  civiltà  greca,  uscendo  da’ propri  confini,  si  distendeva  nell’ Asia  con  l’armi,  era  naturale  che  alle  idealità  interiori,  tutte  di  raccogli-  mento, succedesse  la  scienza  delle  cose  reali.  » Ma  tutto  colesto,  dico  io,  non  ci  ha  nulla  che  fare.  Prima  di  ogni  cosa  non  è certo  che  Aristotile  abbia  pensato  il  suo  si-  stema proprio  al  lempo  che  i Greci  passarono  in  Asia  ;  ma,  poniamo  che  sì,  qual  relazione  ci  è fra  una  spedi-  zione a mano  armata  con  una  polemica  su  le  idee?   Il  prof.  Conti  discorre  dei  vizi,  pei  quali  i Greci  vennero  specialmente  in  mala  voce,  ed  eccoti  scoverta  la  causa,  perchè  la  loro  filosofia  « non  giunse  mai  al  puro  concetlo  di  creazione,  pernio  della  scienza.  » An-  che qui  la  causa  mi  pare  troppo  lontana  dall’  effetto,  e  non  veggo  in  che  modo  la  corruzione  dei  costumi  greci  potesse  appannare  il  loro  intelletto.  Forse  non  concepi-  rono tante  cose  vere  e belle  con  tutte  quelle  passioni?  Forse,  ai  tempi  in  cui  fioriva  1’  accademia  platonica,  a  Firenze  non  dominavano  vizi  somiglianti?  Dagli  scrit-  tori di  quel  secolo  parmi  scorgere  che  quelle  brutture  fossero  molto  in  voga,  e intanto  giunsero  al  puro  con-  cetto della  creazione  non  solo,  ma  concepirono  perfetta-  mente tutti  i dommi  cattolici,  e li  disposarono  alla  filo-  sofia.   Il  prof.  Conti  inclina  troppo  a far  la  critica  filoso-  fica con  la  nascita  e l’ educazione  cristiana,  con  le  rette  inclinazioni  del  cuore,  con  il  candore  dei  costumi;  ma  tutto  ciò  se  prova  a favore  del  suo  animo  bennato,  non  dà  pari  fondamento  ad  apprezzarne  l’acume  critico*  La  scienza  non  si  giudica  con  la  fede  di  buona  condotta  del  curato.   Ma  lasciando  queste  osservazioni  generali,  che  ap-  partengono al  suo  criterio  storico,  voglio  notare  che  nella  teorica  dell’  intelletto  di  Aristotile,  egli  ha  frantesi    lIÀQOglc    CAPITOLO  PRIMO.    ÌM   la  mente  dello  Slagirita.  Di  lui,  difatti,  dice  il  Conti  che  « distinse  l’ intelletto  agente  che  fa  intelligibili  le  cose,  dal  possibile  che  le  concepisce.  » 1 Aristotile  invece  chiama  intelletto  possibile  quello  che  tutto  diventa,  agente  quello  die  tutto  fa , come  si  può  vedere  nel  testo  medesimo  dei  libri  dell’Anima  che  ho  di  sopra  allegato.  L’ atto  con  cui  l’ intelletto  concepisce  gli  intelligibili,  e gli  intelligi-  bili medesimi  sono  tutt’ uno.  Non  ci  sono  già  le  cose  in-  telligibili distinte  dal  concetto;  onde  se  Aristotile  avesse  posto  veramente  questa  differenza  tra  i due  intelletti,  si  sarebbe  contraddetto.  E che  il  prof.  Conti  abbia  travisato  la  dottrina  aristotelica,  si  pare  da  ciò , che  l’ intelletto  possibile  per  Aristotile  precede  l’ agente,  come  la  potenza  precede  l’ alto;  mentre  pel  professor  Conti  av-  viene il  contrario,  forse  perchè  non  ha  attinto  questa  distinzione  dalla  sorgente  aristotelica,  ma  da  qualche  espositore  che  1*  avea  compreso  male.  Il  peggio  poi  si  è  che  il  professore  di  Pisa  ha  l’ aria  di  non  sospettare  «eppure  l’importanza  di  questo  problema,  non  meno  che  di  parecchi  altri  rilevantissimi,  contento  a sfiorarli  leggermente,  quando  non  li  trasanda  del  tutto. 

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