CLASSICITÀ E CONTEMPORANEITÀ:BRUNO GENTILI NEGLI STUDI CLASSICI ITALIANI DEL NOVECENTO «Kein Volk der Geschichte, auch das begabteste nicht, läßt sich isoliert betrachten. Ein jedes wird durch äußere Anstöße aus zuständlichem Dasein in geschichtliches Leben übergeführt. Weder seine äußere noch seine innere Geschichte kann verstanden werden, ohne die Fäden zu verfolgen, die es mit außen verbinden».(Usener 1907, 11).«Il senso vero di una vita piena è quello che essa imprime di più anche sulla quotidianità: la ricerca. Ricerca. Ricerca. Ricerca. Il possesso che noi abbiamo di certi principi (che a loro modo sono verità) è labile e sfuggente – e non appena noi ci illudiamo di stringerlo, ecco scom-pare».( Diari Anceschi/2 2006, 55).1. Il periodo successivo alla morte di Bruno Gentili nel suo novanta-novesimo anno d’età, il 7 gennaio 2014, ha visto comparire vari ampi e impegnati ricordi ad opera di alcuni tra i colleghi e allievi più vicini. Con attenzione e devozione vi sono evocati i momenti e i contributi più signi-ficativi nella carriera scientifica del grande grecista scomparso; nel riper-correrla si dà davvero la possibilità di posare lo sguardo su ottant’anni di storia della filologia classica, via via italiana europea e mondiale, sin dagli anni Trenta del Novecento. A tutti comune è il riconoscimento del forte valore innovativo nell’incessante attività critica e filologica di Gentili, a partire soprattutto dalla metà degli anni Sessanta con la fondazione dei «Quaderni Urbinati di Cultura Classica», «vera e propria officina intellet-tuale» dove su impulso del fondatore e direttore «la filologia classica, sen-za mai smarrire la dimensione tecnica e specialistica, si apre al confronto serrato non solo con l’archeologia, la storia e l’ermeneutica, ma anche con discipline emergenti quali l’antropologia, la semiotica, la linguistica e la sociologia della letteratura» 1 . A tale sensibilità può ben connettersi la visione che sino ai suoi ultimi anni Gentili elaborò della traduzione, nel- la ricerca e nell’asserzione di una «teorica eminentemente pragmatica», 1 Così Catenacci 2014, 450e quindi «una poetica non astratta, non prefigurata su schemi di modelli già esperiti», così sempre tendendo a «una poetica aperta che si costrui- sca gli strumenti adeguati ad una maggiore portata di comunicazione»: il problema del tradurre è così definito nei termini «di quell’idea cui aspira l’antropologia contemporanea della traduzione come comunicabilità fra culture, visioni del mondo, strutture linguistiche e sistemi grammaticali diversi e distanti nel tempo» 2 . Una prospettiva che nello studio e nella ‘traduzione’ dall’antico (e dell’antico) a Gentili certo si schiuse in relazio- ne e risposta alle sfide prodotte dai grandi mutamenti culturali e sociali, di rilievo antropologico appunto, degli ultimi quattro decenni del XX se-colo: una prospettiva di ‘apertura’ nell’analisi e negli strumenti applicati all’interpretazione dei testi antichi, e in particolare della Grecia di età ar-caica, che mi è sembrato potesse essere bene espressa dalla prima citazio-ne in esergo, di un altro grande innovatore degli studi classici al volgere di un secolo, Hermann Usener (1834-1905). Il passo proviene da un discorso rettorale bonnense del 1882 riproposto in occasione del Congresso inter-nazionale della FIEC tenutosi a Bonn nel 1969 3 , e richiamato da Gentili nel famoso saggio L’arte della filologia (1981). A differenza della for-tunata citazione nietzschiana d’incipit («filologia è quella onorevole arte che esige dal suo cultore soprattutto una cosa, trarsi da parte, lasciarsi tem-po, divenire lento»), il rimando a Usener è passato piuttosto inosservato. Gentili si rifà alla Rede bonnense, dal titolo Philologie und Geschichts- wissenschaft 4 , discutendo della prevalente natura ‘storica’ o ‘scientifica’ della filologia classica e rinvenendo «una impostazione sostanzialmente corretta del problema» nella distinzione attribuita a Usener, «che delimitò i due campi specifici della ricerca, riservando alla filologia la critica e la ricostruzione del testo e all’indagine storica l’interpretazione globale del mondo antico» 5 . La prolusione di Usener si apre con un panorama della storia degli stu-di classici sin dal XVI secolo francese e ugonotto 6 , subito poi riservando 2 Gentili 1989, 61, dalla relazione presentata al convegno La traduzione dei testi classici . Teoria prassi storia (Palermo 6-9 aprile 1988), nei cui Atti poi comparve (Gentili 1991). 3 All’interno della Festschrift per il convegno curata da W. Schmidt (Schmidt 1969, 13-36); al congresso bonnense Gentili presentò il fondamentale intervento L’interpretazione dei lirici greci arcaici nella dimensione del nostro tempo. Sin-cronia e diacronia nello studio di una cultura orale (Gentili 1969). 4 Usener 1907. 5 Gentili 1984 (2006 4 ), 299. 6 Che la riflessione sulla storia della filologia classica sia strettamente connessa ai temi trattati nella prolusione rettorale è ben chiarito nella postilla che la intro-duce: «Die Geschichte einer Wissenschaft verzeichnet nicht bloß Leistungen. In ihrer Geschichte entfaltet sich ihr Begriff, der nicht unberührt bleiben kann von dem Wandel der Generationen. Die wissenschaftliche Arbeit bedarf der Selbstbe-sinnung, will sie nicht ziellos in der Unendlichkeit des Einzelnen umhertreiben." grande rilievo al genio di Bentley («zur Grundlegung einer Wissenschaft […] die Wege dazu hat erst das Genie Rich. Bentleys gebahnt»), pur rico-noscendo solo alla cultura tedesca, nel fatale trapasso tra XVIII e XIX se-colo, la decisiva spinta perché lo studio dell’antichità classica si costituisse «zu einer geschlossenen philologischen Wissenschaft». Grazie soprattutto all’impegno di dotti come Melantone e Camerarius, la centralità della Pa-rola proclamata dalla Riforma si era rivelata determinante per assicurare la presenza dell’insegnamento del greco nelle nuove scuole volte primaria- mente alla formazione dei pastori evangelici, finché nei rifondatori della letteratura tedesca del XVIII secolo (Klopstock, Lessing, Hamann, Herder) «der gottergebene idealistische Sinn des norddeutschen Protestantismus», laicizzandosi, risultò fecondo per la rinascita della cultura e della scienza tedesca grazie a figure come Winckelmann, Reiske, Heyne 7 . L’organica sistematizzazione delle varie discipline volte al fine della Rekonstruktion des Altertums secondo l’intuizione dei grandi edificatori e teorizzatori dell’ Altertumswissenschaft , Wolf e soprattutto Boeckh, nel corso del XIX secolo si fece altresì modello per le nuove filologie applicate alle varie letterature d’Europa, come pure per le discipline storico-filologiche volte allo studio del ben più antico patrimonio di cultura e civiltà delle lingue mesopotamiche, semitiche e arie. A fronte dell’enorme ampliarsi delle co-noscenze non solo all’interno dell’ Altertumswissenschaft , con diretto rife-rimento al mondo classico nelle sue varie epoche e aspetti, ma soprattutto all’esterno, negli orizzonti aperti dalle antiche civiltà del Vicino Orien-te rivelate dall’archeologia, Usener riconosce l’impossibilità di isolare la civiltà greca dall’attenta considerazione di quegli influssi, certo determi-nanti nella genesi almeno dell’arte greca: «heute zeigen die Reste Babylons und Ninivehs verglichen mit den griechischen und italischen Gräberfunden jedem, der Augen hat zu sehen, von wo jene hellenische Kunst […] ihre Anstöße und auf lange hin nachwirkenden Vorbilder empfangen hat». In realtà a Usener preme soprattutto mettere in rilievo che il concetto stesso di storia si è enormemente ampliato, al di là della tradizionale identificazio- ne nella «pragmatische Entwicklung der Haupt-und Staats-aktionen von Fürsten und Völkern», ormai annettendo territori ignoti, nati dall’indagine delle origini delle lingue, dei credi, dei costumi, dei miti («die unbegrenz-te Ferne einer vorgeschichtlichen Geschichte»). In tale condizione appare al professore bonnense ormai impossibile aderire a una costruzione della filologia quale quella boeckhiana. La filologia, egli afferma, non può più essere intesa come scienza storica, perché radicalmente mutata è la visione stessa della storia propria del tardo XIX secolo 8 . La filologia è piuttosto da 7 Onde se «la moderna poesia italiana e francese è figlia degli studi umanistici, la letteratura tedesca è invece legata alla nostra filologia in uno stretto rapporto di sorellanza» (Usener 1907, 7). 8 Usener è in proposito molto chiaro: «Es bleibt also dabei: eine geschichtlicheconsiderarsi «ein Studienkreis», un insieme di discipline che vertendo sulla parola scritta, e così assolvendo alla funzione di arte o metodo di decisivo valore nel fissare i contenuti della conoscenza storica, costituisce «die le-tzte Voraussetzung aller geschichtlichen Forschung» 9 : una filologia come tecnica dell’interpretazione che, potenziata dalla prospettiva comparatista, assunse forse agli occhi di Usener i tratti di «una sorta di antropologia» 10 . Ho indugiato sul saggio di Usener perché l’insieme della sua opera, spesso poco apprezzata dal mondo filologico tedesco contemporaneo, gode da anni di crescente attenzione 11 , anche in ragione degli interessi ‘trasversali’, comparativi e religionsgeschichtlich che l’attraversano e innervano, non privi di influssi sullo sviluppo della teologia dapprima protestante e poi cattolica nella Germania del XX secolo 12 , e forse anche sulle origini degli studi novecenteschi italiani di storia delle religioni e di storia del cristia-nesimo 13 . Notevole è, nelle pagine di Gentili sull’arte della filologia, il suo ri-farsi a Usener. Sin dal titolo, a Nietzsche esse intendono forse associare proprio il filologo bonnense, quasi provocatorio (in una prolusione retto-rale del 1882!) nel definire Kunst l’essenza dell’attività filologica 14 , pri- Wissenschaft ist die Philologie nicht. Sie konnte und mußte als solche erschei-nen zu der Zeit, als die Geschichtswissenschaft in ihrem heutigen Begriff noch nicht vorhanden war […]. Es war die Zeit, wo die moderne Geschichtswissenschaft zuerst ihre Blüten trieb. Alles hat seine Zeit». 9 «Wenn es also wahr ist, daß der Boden aller geschichtlichen Wissenschaft das geschriebene Wort ist, so folgt, daß die Kunst, welche dasselbe feststellt und deutet mittels ihres grammatischen Vermögens, die letzte Voraussetzung aller geschicht-lichen Forschung ist. Diese Kunst haben wir in der Philologie erkannt» (Usener 1907, 26). 10 Così Momigliano 1985, 166. 11 A partire soprattutto dal seminario del febbraio 1982 presso la Scuola Nor-male di Pisa coordinato da Arnaldo Momigliano e subito pubblicato come Aspetti di Hermann Usener filologo della religione (Arrighetti [et al.] 1982). Sono apparse negli ultimi anni edizioni italiane di varie opere di Usener, tra le quali Usener 1993; Usener 2008; Usener 2010. 12 Assai notevole e davvero anticipatrice, nonché oggi di particolare attualità, è la lettera del dicembre 1888 al teologo bavarese I. von Doellinger, nella quale Use-ner afferma che «lo scopo ultimo ed inespresso dei miei sforzi è quello di aiutare a preparare l’unità della Chiesa della nostra nazione», passo su cui attira l’attenzione Momigliano 1985, 147. 13 È opportuno ricordare l’attenta, e assai poco nota, presentazione che del Le-benswerk di Usener, «grande maestro che l’Italia colta quasi ignora», diede Pesta-lozza 1909 (che cito dall’estratto), sulla rivista del modernismo cattolico milanese «Il Rinnovamento» cessata quello stesso anno: su Pestalozza, in quegli anni presso l’Accademia scientifico-letteraria di Milano primo libero docente e poi primo do-cente in Italia di Storia delle religioni, vd. i riferimenti in Benedetto 2008. 14 Non sorprende il dissenso, rispettoso ma chiaro, che subito espresse il trenta-quattrenne Wilamowitz circa la visione della filologia presente nella Rektoratsre-de , prospettandone una ben diversa: «Die alte Poesie (und natürlich ebenso Rechtmariamente volta a fondare l’affidabilità della parola scritta . La centralità del testo, oggi preferiamo dire: quel testo visto da Gentili come «struttura complessa di materiali linguistici, di implicazioni metrico-ritmiche, refe-renziali e pragmatiche» 15 nel cui processo interpretativo «una pluralità di discipline» è coinvolta (uno Studienkreis , appunto) 16 . Senza qui proporsi di passare in rassegna l’ampia, varia, settantennale attività scientifica di Bruno Gentili 17 , si cercherà piuttosto di soffermarsi su alcuni aspetti, quali soprattutto il rapporto con la figura di Gennaro Perrotta e in genere con gli studi italiani di filologia classica nella prima metà del Novecento, la produzione degli anni ’50 e ’60, e la serie di saggi «di portata fondativa» 18 scritti da Gentili tra la metà degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70, nei qua-li evidente è una svolta per gli studi sulla lirica greca, e notevole l’interesse verso temi e problemi della traduzione dall’antico.2. L’esordio di Gentili si ebbe nel pieno della Seconda guerra mondiale con un articolo nato dalla tesi di laurea con Silvio Giuseppe Mercati, dedi-cato soprattutto a passare in rassegna quattro inesplorati codici delle Storie di Agazia conservati in biblioteche italiane (tre Vaticani e un Marciano) 19 . In quegli anni drammatici il giovane studioso li collazionò in parte, avendo in animo di preparare una nuova edizione critica dell’opera 20 , in vista del-la quale non tace anzi l’intenzione di provvedere a «un nuova collazione accurata» di un manoscritto Vulcaniano conservato nell’allora inaccessi-bile Leida 21 . Il netto cambiamento di interessi e «una decisa virata ver- und Glaube und Geschichte) ist tot: unsere Aufgabe ist, sie zu beleben […] dann empfinde ich, daß Philologie doch etwas für sich ist, oder wenigstens ihr τέλος hat» (lett. del febbraio 1883 in Dieterich – Hiller von Gaertringen – Calder III 1994 2 , 28), e cfr. Sassi 1982, 79. 15 Gentili 1984 (2006 4 ), 301. 16 «Philologie in dieser Auffassung ist nicht eine Wissenschaft, sondern ein Stu-dienkreis» (Usener 1907, 16). 17 Sin d’ora rimando alle molte informazioni e osservazioni desumibili dal Ri-cordo di Bruno Gentili di Angeli Bernardini 2013; Catenacci 2014; Cerri 2014; Lomiento 2014; G. A. Privitera, commemorazione lincea dell’11 aprile 2014, ac-cessibile on line presso www.lincei.it/files/documenti/Privitera_commemorazio-ne_Gentili.pdf ; Tedeschi 2014. 18 Cerri 2014, 230. Non si tratterà di Gentili editore e critico del testo, tema che di per sé richiederebbe apposita discussione. 19 Gentili 1944. 20 Come chiaramente lascia intendere la chiusa dell’articolo: «Da quanto abbia-mo detto appare chiaro che la sola finora ad avere almeno l’aspetto di edizione cri-tica ed anche il metodo è quella del Niebuhr, in quanto si fonda sul valore effettivo di una parte della tradizione. Ma l’uso di tutto il materiale manoscritto, secondo gli intendimenti che ho esposto, trae con sé la necessità di una recensione del testo di Agatia, che si fondi su basi più complete e quindi più solide. E questo compito, se le forze non mi verranno meno, spero di poter assolvere». 21 Vd. in particolare p. 168: «occorrerebbe perciò una nuova collazione accurata Sent from the all new AOL app for iOSso la poesia greca arcaica» 22 si legano all’incontro con Gennaro Perrotta (1900-1962), dal 1938 sulla cattedra romana di Greco come successore di Ettore Romagnoli (1871-1938) 23 e nel corso degli anni ’30 impegnato nel rinnovamento su modello crociano dello studio della lirica greca ( Saffo e Pindaro. Due saggi critici uscì presso Laterza nel 1935), ma attento altresì all’esegesi puntuale di frammenti e ritrovamenti papiracei, in particolare con interventi accolti nei pasqualiani «Studi italiani di filologia classica» (nota è in particolare la polemica intorno al ‘poeta degli epodi di Strasbur-go’) 24 . Un’importante rassegna ad opera di Perrotta su La filologia classica nell’ultimo ventennio , apparsa per il Natale di Roma del 1943 in un volu-me promosso dal Ministero dell’Educazione Nazionale (Perrotta 1943), se è priva non solo di elogi ma si può dire di qualsiasi menzione del morente Regime, è peraltro chiarissima sin dalle prime righe nell’affermare che il «vero progresso» segnato nel precedente ventennio dalla filologia classi-ca in Italia è spiegabile perché essa «ha sentito profondamente l’influsso dell’estetica moderna, anzi di tutto il pensiero moderno», con sicuro ri-ferimento al crocianesimo e in genere agli orientamenti antipositivistici: «superate le polemiche del periodo precedente, la filologia classica ha preso un nuovo indirizzo […] vivificata dalle correnti nuove della cultura moderna, è divenuta meno arida e pedantesca», e finanche «abbondano i saggi critici, che una volta avrebbero destato scandalo». Dopo un rapido ma attento ragguaglio di commenti, edizioni critiche ed edizioni di papiri pubblicati nel periodo considerato, l’articolo si conclude appunto notando che mentre «in qualunque campo la filologia classica italiana può sostene-re dignitosamente il confronto con quella delle altre Nazioni», proprio «nel campo della critica letteraria, essa supera di gran lunga la filologia classica di qualunque altro Paese del mondo» 25 . Cinque anni dopo, nell’Italia e nell’Europa del 1948, presentando ai let-tori insieme al condirettore Gino Funaioli la nuova rivista «Maia» («nome caro a due grandi poeti, a Gabriele d’Annunzio e a John Keats»), in sostan-ziale continuità e coerenza con se stesso Perrotta indicherà la via della ripresa dello «studio della civiltà antica, per noi moderni» in un «rinnovato umanesimo», fondato sull’incontro tra l’eredità del classicismo europeo del manoscritto, che mi propongo di fare quanto prima»; si tratta del Cod. Vulc. 54, usato da Bonaventura Vulcanius per l’ editio princeps del testo greco del De impe-rio et rebus gestis Iustiniani imperatoris libri quinque , uscita a Leida nel 1594 (cfr. Dewitte 1981, 196). B. Vulcanius (B. de Smet), fu dal 1578 (in effetti dal 1581) professore nella nuovissima università di Leida. 22 Lomiento 2014, 1. 23 Su circostanze e contesto della successione illuminanti scorci in Canfora 2005, 19-20 e passim . 24 Sulla quale, e sulla persuasiva identificazione in Ipponatte sostenuta da Per-rotta, vd. Gamberale 1994, 75; Sisti 1994, 43-45; Morelli 1996, 24. 25 Perrotta 1943 Sent from the all new AOL app for iOSdegli ultimi due secoli («la tradizione gloriosa di Goethe e di Humboldt, di Gioacchino Winckelmann e di Federico Schlegel, di Shelley e di Keats, di Hölderlin e di Nietzsche, di Foscolo e di Leopardi, di Carducci e di Pasco-li») e una pratica filologica che, nutrita di adeguata consapevolezza critica e storica, trascendesse le mai del tutto sopite conseguenze delle polemiche, e dei connessi schieramenti, che avevano lacerato gli studi classici italiani d’inizio secolo: Il nostro ideale è il filologo che abbia l’abnegazione d’un grammatico alessandri-no e l’entusiasmo d’un umanista del Quattrocento, la tecnica filologica e il senso storico dei grandi filologi dell’Ottocento, il senso artistico e la coscienza critica dei migliori critici letterari dell’età nostra. L’ideale della nostra rivista è la storia senza lo storicismo, la filologia senza il filologismo, la critica estetica senza l’estetismo e il vacuo filosofismo 26 . Non manca subito di séguito una citazione da Nietzsche, dalla qua-le risulta «la filologia nel suo senso più elevato rappresentata, come me- glio non si potrebbe, con alta fantasia poetica» 27 . Né manca un richiamo a Nietzsche, in quella stessa prima annata di «Maia», nell’ampia e intensa commemorazione che Perrotta dedicò nel decennale della morte a Ettore Romagnoli 28 , accostato a Nietzsche nell’accesa e ‘immaginifica’ giovinez- za di filologo 29 , quindi rievocato come professore universitario a Catania 26 Funaioli – Perrotta 1948. Che punto nodale del «discorso sulla filologia» sia «la divisione o meno delle competenze tra filologia e critica letteraria in senso lato» rimarrà, con altra prospettiva, costante elemento di riflessione per Gentili: cfr. Gentili 1984 (2006 4 ), 300 sgg. 27 L’ammirazione di Perrotta per Nietzsche filologo è messa in rilievo da Gi-gante 1996, 150-151, il quale anche suggerisce che mediatore per il filologo ita-liano della conoscenza di Nietzsche possa essere stato Croce; un’emendazione del giovane Nietzsche («oltre a giudicare il carme nel suo insieme con la finezza e la profondità ch’erano proprie del suo genio») è lodata e accolta in Perrotta 1951, 83. 28 Un certo paradossale irrigidimento di Perrotta «negli ultimi tempi in cui poté ancora esercitare un sensibile influsso negli ambienti culturali», onde «egli affermò sempre più polemicamente e rigidamente la sua fedeltà al verbo crociano […] com-memorò entusiasticamente il Romagnoli, proclamò ripetutamente la indipendenza dei supremi valori poetici da ogni condizionamento ambientale e culturale» noterà Paratore 1963b, 6 (appunto a intendere «quella sopravvalutazione della critica let-teraria che è sembrata così singolare in un uomo di così severa formazione filolo-gica» è dedicata la commemorazione lincea di Paratore 1963a, in gran parte rifusa nel profilo Gennaro Perrotta in Grana 1969, IV, 2591-2601). 29 È utile citare il passo: «Federico Ritschl soleva dire che Federico Nietzsche giovinetto concepiva una dissertazione filologica come un romanzo. Il grande filologo non intendeva certo, con queste parole, spregiare l’attività filologica di Nietzsche giovane, del quale egli presagì il genio. Ma un intuito profondo gli face-va scoprire in Nietzsche qualche cosa di singolare, di acceso e di appassionato, che non faceva assomigliare le sue dissertazioni, pur dottissime e condotte con metodo impeccabile, a quelle degli altri. Poichè un uomo dotato di molta immaginazione(attraverso la testimonianza del fraccaroliano e romagnoliano F. Gugliel-mino), in particolare quando leggeva con predilezione i lirici greci, e, traducendoli, comunicava agli uditori con la scelta felice delle parole e delle espressioni, che potessero rendere con maggiore adesione il pensiero e il sentimento dell’antico poeta, e anche con l’inflessione della voce, quello che egli stesso sentiva. Il commento era sobrio, scevro d’in-gombrante erudizione: accennava a questioni controverse dibattute dai filologi solo quando avevano importanza innegabile per la retta interpretazione di un passo dub-bio, e in tal caso riduceva la questione all’essenziale 30 . Il 1948 fu anche l’anno in cui, a cura di Gennaro Perrotta e del suo as-sistente Bruno Gentili, uscì Polinnia , antologia della lirica greca ad uso dei licei destinata a grande fortuna nella scuola italiana della seconda metà del Novecento, sino alla recente e rinnovata terza edizione del 2007. Non fu la prima antologia dei lirici greci destinata alla scuola e impostata con rigore scientifico. Dopo che i programmi del 1923, con la riforma Gentile, più decisamente aprirono ai lirici le porte dei licei, si diffusero antologie sco-lastiche «nate in un periodo di estetica esasperata, di olimpico dispregio per tutto quello che si chiamava (e la parola era oltraggio) filologia», come vollero osservare prefando i loro Lirici greci scelti e commentati (1940) Giuseppe Ugolini e Alessandro Setti che a quell’andazzo con efficacia e serietà reagirono, avendo per modello essenzialmente Aglaia , la nuova an-tologia della lirica greca da Callino a Bacchilide pubblicata nel 1937 da Bruno Lavagnini (1898-1992) 31 . In sede di valutazione storica è giusto rilevare che «ad Aglaia si sono ispirate tutte le antologie successive che si finirà sempre per mettere, anche senza averne affatto il proposito, perfino in una dissertazione filologica, un po’ della sua immaginazione. Questo avveniva spesso a Romagnoli giovane» (Perrotta 1948, 93). Le pagine di Perrotta sono in parte ripro-dotte nella sezione su Romagnoli in Grana 1969, II, 1448-1459. 30 Nel Profilo di Bruno Gentili premesso da Carlo Bo al I volume dei ricchissimi Scritti in onore di Bruno Gentili , Romagnoli ricorre accanto a Perrotta come pre-senza utile a comprendere in Gentili l’«uomo dotato di spirito creativo, quale ge-neralmente posseggono soltanto gli scrittori e in modo più specifico i poeti. La sua straordinaria perizia filologica è strettamente collegata al suo gusto e alle sue doti di creatore. Tutte cose che si possono riscontrare nella storia della sua formazione, perché accanto a uno dei suoi primi maestri, Ettore Romagnoli, a un certo punto si è accostato uno studioso come Gennaro Perrotta» (in Pretagostini 1993b, I, XXVIII ). 31 Nella Prefazione a Ugolini – Setti 1940 due sono «tra i lavori scolastici» quelli citati dai curatori perché risultati utili «per il loro carattere più spiccatamente scientifico»: oltre all’antologia di Lavagnini si fa cenno a un’opera di A. Taccone, in cui è da ravvisarsi l’ Antologia della melica greca pubblicata nel 1904 con pre-fazione del maestro G. Fraccaroli, attenta e informatissima ma ormai invecchiata a fronte delle scoperte papiracee accumulatesi nei decenni successivi. Del libro di Ugolini e Setti oltre trent’anni dopo uscirà un’edizione ampliata e rinnovata, in seguito ristampata: Ugolini – Setti 1972possono definire serie, a cominciare da Polinnia » 32 , senza dimenticare che in pieni anni Trenta la volontà di chiarire agli alunni di liceo l’«enigma psicologico» di Saffo e della sua passione dettò all’antologia di Lavagnini toni ben più diretti 33 di quanto dieci anni dopo accadrà a Perrotta (cui si deve la sezione su Saffo in Polinnia ), e più in linea con le posizioni cui Gentili espressamente approderà negli anni Sessanta. I cenni di Perrotta alle «gioie leggere del tiaso di Saffo» insieme a un certo riemergere delle preoccupazioni per la difesa della poetessa dalle accuse di immoralità tor-nano a riflettere ambagi e premure proprie peraltro dei più noti studiosi di Saffo tra metà del XIX e metà del XX secolo, da Welcker a Valgimigli 34 : impostazione da Perrotta stesso a suo tempo esplicitamente confutata in Saffo e Pindaro 35 . 32 Così Degani 1995, 30. 33 Nell’introduzione alla sezione su Saffo in Lavagnini 1937, 116, si dice che «Saffo visse facendo della sua casa un centro di culto ad Afrodite, alle Muse, e alle Cariti. Le più nobili e le più belle fanciulle di Lesbo e dell’Asia vicina venivano a lei per essere ammaestrate nella poesia e nel canto, ed essa vive tutta in questa compagnia di fanciulle. Anzi l’affetto per le scolare assume un trasporto così im-petuoso e sa trovare accenti così caldi da prendere i colori della passione di sesso, sicché la Lesbia resta ancora, almeno in parte, un enigma psicologico per noi, che siamo così lontani da quel suo mondo». Ivi è inoltre il rimando alla trattazione che del tema Lavagnini aveva dato nella sua precedente Nuova antologia dei frammenti della lirica greca (Lavagnini 1932, 171), dall’ incipit e dalle tesi assai esplicite, e con esplicito rifarsi a Freud nell’individuare in Saffo «una invertita : essa trasferì sopra creature del medesimo sesso il potenziale affettivo ( libido secondo la termi-nologia di Freud) che avrebbe dovuto normalmente rivolgere su persone del sesso opposto». Al di là dell’interpretazione di Saffo, le pagine di Lavagnini meritano di essere particolarmente segnalate in relazione alla prima (s)fortuna italiana della psicanalisi, quando si pensi che la «Rivista italiana di psicoanalisi», diretta da E. Weiss, fu fondata in quello stesso 1932 e soppressa due anni dopo: ricco di infor-mazioni in proposito, benché talora disorganico e confuso, Zapperi 2013. 34 Per più ampi riferimenti su molti dei temi qui e di seguito trattati rimando a Benedetto 2012. 35 Cfr. Perrotta 1935, 28-31, in pagine non prive di sarcasmo e oggi dimenticate: «Infine, non giovano a nulla le discussioni, interminate e interminabili, sull’amo-re e sulla purezza di Saffo. I Welcker e i Wilamowitz hanno difeso la poetessa nobilmente, ma non si sono accorti che nel loro zelo appassionato essi stessi non erano troppo lontani dai grammatici dell’età romana, da quel Didimo che disser-tava dottamente an Sappho publica fuerit […] In realtà, Saffo non ha bisogno di essere giustificata: essa che, se potesse udire i suoi accusatori e i suoi difensori, non intenderebbe neppure i termini della questione. La soluzione dei Welcker e dei Wilamowitz non risolve nulla […] Quando per spiegare il tiaso amoroso di Saffo, si parla di un convento, di un pensionato di fanciulle, di un conservatorio di musica e di declamazione, e perfino d’un salotto letterario, e perfino d’un club estetico di donne, non si spiega nulla; e per giunta non si mostra né senso storico, né gusto irre-prensibile […]. E, ancora peggio, si è costretti a ridurre ad elemento secondario, ad ammettere a mala pena, facendo di tutto per togliergli ogni importanza, l’amore di Saffo per le amiche; ma per Saffo l’amore era tutto». Significativo il pieno consen Sent from the all new AOL app for iOSLa parte curata da Gentili comprende tra gli altri Alceo, Anacreonte e Bacchilide, i tre autori di cui più egli si occupò tra la fine degli anni ’40 e la fine degli anni ’50. Nella difesa che Gentili fa (come già Coppola e Perrotta negli anni ’30) dell’allegoricità del famoso frammento alcaico ora 208a V. citato da Eraclito stoico («nella nave è rappresentato lo Stato, cioè la città di Mitilene, minacciata dalla rovina») 36 , tra affinità e differenze piace scorgere lo spunto delle future pagine sulla ‘pragmatica dell’allegoria della nave’ 37 . Superando i vincoli ancora operanti in Polinnia connessi al tradi-zionale confronto ‘estetico’ con Orazio, tramite l’approccio pragmatico-espressivo Gentili giungerà lì a riconoscere nell’allegoria lo strumento co-municativo strategicamente più idoneo e perciò scelto in varie occasioni da Alceo poeta e politico al fine di «trasmettere il messaggio in un linguaggio velato e allusivo comprensibile solo dall’uditorio dei compagni» 38 . Crocia- namente priva di introduzione sia generale, sia ai singoli poeti 39 , Polinnia riserva particolare attenzione alle presentazioni dei singoli carmi. Spiccano lo spazio e il ruolo assegnati all’esposizione della metrica, «quelle sequenze di lunghe e di brevi, che avevano pari dignità grafica rispetto ai caratteri del testo, e apparivano ben in evidenza, non erano nascoste a fondo pagina, magari in una nota», sì da divenire per un liceale «il primo impatto reale con la metrica greca» 40 . Ciò appunto dovettero prefiggersi i curatori, con quella passione per gli studi metrici che la scarna premessa Ai lettori rivela: Riteniamo che l’accurata interpretazione metrica sarà accolta con favore. Essa ha per suo fine principale la lettura metrica, senza la quale non è possibile sentire e gustare un poeta greco. La metrica greca non è, come purtroppo credono ancora molti, né una scienza inesistente, né una scienza che permetta ad ognuno d’inter-pretare i versi come vuole, ma una scienza che è facile imparare, purché sia studiata sul serio. Per agevolare la lettura metrica, ci siamo presa la libertà di segnare gli ictus dei piedi, benché agli ictus non crediamo: certo i Greci non avevano l’accento dinamico, ma l’accento musicale. Poiché la lettura metrica è indispensabile: coloro che traggono, dalla giusta constatazione che la nostra lettura con gli ictus non corri-so riservato in nota alle posizioni esegetiche di Lavagnini: «Una pagina coraggiosa scrive, invece, nel senso contrario, il Lavagnini, col quale consento in tutto, benché abbia meno fiducia di lui nella psicanalisi». 36 Perrotta – Gentili 1948, 198-199. Sulle Allegorie omeriche del non altrimenti noto Eraclito nell’àmbito dell’esegesi antica di Alceo, e in particolare sul tema delle immagini marittime e il loro uso con significato politico da parte del poeta di Mitilene, rimando alla messa a punto di Porro 1994, 22-23, 55 sgg. e 105 sgg. 37 È il capitolo XI in Gentili 1984 (2006 4 ), 257-283. 38 Gentili 1984 (2006 4 ), 279. 39 Si ricordi per confronto la collana laterziana degli Scrittori d’Italia , priva d’introduzione e di qualsiasi apparato interpretativo. Senza introduzione generale e ai singoli poeti sarà anche la successiva edizione del 1965: Perrotta – Gentili 1965. 40 Sono parole dalle pagine molto belle, di tono e sapore memorialistico, che alla metrica di Polinnia dedica Di Benedetto 2001, 141 sggsponde alla lettura degli antichi, la pessima conclusione dell’inutilità di ogni lettura metrica, fanno un’imperdonabile rinunzia, che generalmente tende a nascondere la pigrizia o l’ignoranza. Non diverse considerazioni, e non diversa passione didattica, animano la prefazione a La metrica dei Greci (1952), il libro che rappresentò «lo sdoganamento» di tale disciplina «nella scuola e, più in generale, negli studi classici italiani» 41 . Val la pena rileggere l’inizio di quella prefazione: È sentita in Italia la mancanza di un manuale di metrica ad uso dei non iniziati. Tale mancanza ha nociuto sino ad oggi all’insegnamento di questa disciplina soprattutto nelle scuole medie, poiché spesso i docenti, mossi da uno strano scetticismo […] considerano di scarso interesse la conoscenza della metrica greca, talora ritenen-dola del tutto estrinseca alla poesia, pura invenzione di alcuni studiosi moderni 42 anche perché già vi si rinvengono temi e motivi che ispireranno per decen-ni l’indefessa indagine metrica di Gentili: In realtà la metrica non è né estrinseca alla poesia, né invenzione dei moderni. Come ho già dimostrato nella mia Metrica greca arcaica , alcune teorie metriche dei moderni, quelle più attendibili, sono già contenute nella migliore tradizione dei metricologi antichi. La metrica è necessaria, non solo ai fini della critica testuale, ma anche ad una più compiuta intelligenza del testo poetico. Poiché metrica e poe-sia furono nell’antica Grecia intimamente connesse, in funzione reciproca. È un errore avvicinarsi allo studio delle forme metriche con pregiudizi scolastici […] Soltanto dimenticando gli schemi e seguendo i metri nel loro sviluppo storico, si può davvero intendere il valore e la necessità dello studio di questa disciplina. Notevoli sono il precoce apprezzamento per il valore dei metricisti antichi 43 e la visione non ancillare degli studi metrici, da intendersi non 41 Catenacci 2014, 448. 42 Gentili 1952, VII - VIII . Circa venticinque anni dopo, tra le cause dell’isolamento in Italia dello studio della metrica greca «nel ghetto degli specialisti e guardato al pari di una disciplina esoterica con sospetto e diffidenza», Gentili tornerà a cita-re l’idea largamente diffusa «della impossibilità di costruire per la versificazione greca una teoria coerente ed univoca», inoltre aggiungendo l’influsso avuto dalla nostra cultura degli anni Trenta «che aveva reciso alla radice ogni altro impulso all’indagine critica che non procedesse nel solco della teoria estetica dell’arte»: cfr. Gentili 1979a, 681. 43 Sensibilità critica in cui Cerri 2014, 232 ravvisa l’indizio di una attitudine ‘an-tropologica’ già allora in qualche modo operante nella filologia di Gentili: «Contro l’orientamento che era invalso tra i metricisti di allora, non solo rivaluta le teorie e le analisi dei metricisti antichi, ma basa costantemente su di esse la propria trat-tazione […] è del tutto evidente che ciò avviene non solo e non tanto perché le ritenga ipotesi scientifiche acute e azzeccate, ma soprattutto perché le assume come testimonianza diretta di una sensibilità ritmico-musicale diversa dalla nostra, di un linguaggio fonico-gestuale specifico di quella civiltà e di quell’orizzonte mentalecome meramente funzionali o subordinati alla critica del testo, ma in-dispensabili innanzitutto per una piena comprensione dell’antica poesia, nella convinzione «che la metrica non sia un fatto esteriore, ma in funzio- ne della poesia stessa», come è poi ribadito all’inizio dell’ Introduzione . Lì è anche subito affermata l’unità ritmica del verso antico, la sua strutturale unione con la musica, onde «posta l’unità del verso greco, non sarà più legittimo parlare di piedi, ma soltanto di cola » 44 . Rievo-cando di recente le lezioni di metrica tenute da Gentili alla Sapienza nell’immediato dopoguerra, G. A. Privitera ha colto nella «prospetti-va storica» l’aspetto che in quelle esercitazioni più colpiva, quando «a differenza dei trattatisti, che nei manuali si limitano ad esporre le loro interpretazioni, Gentili citava anche le opinioni dei metricisti antichi e dei metricisti moderni» 45 : come con ampiezza appunto avviene in Me-trica greca arcaica , il volume del 1950 dedicato a Gennaro Perrotta, anch’esso aperto dalla rivendicazione della metrica come «una scienza al pari delle altre discipline classiche», tutta «nella migliore tradizione della filologia ellenistica» 46 . Conoscenze ampie sugli studi metrici degli ultimi centocinquant’anni attestano i primi due capitoli del libro, dove dapprima ( Studi metrici: brevi cenni ) Gentili delinea con ricchezza di esempi e osservazioni lo svolgersi delle principali analisi e teorie me- triche da Hermann (con cui «la scienza metrica nacque nel secolo scor-so» sulle orme di Bentley e di Porson) a Westphal 47 , a Usener 48 , a Wila- 44 Gentili 1952, 1-2. 45 G. A. Privitera, commemorazione lincea, cit. supra , n. 17. 46 Gentili 1950. Ho consultato la copia conservata presso la biblioteca del Cen-tro di papirologia ‘Achille Vogliano’ (Dipartimento di studi letterari, filologici e linguistici dell’Università degli Studi di Milano), con ex libris dello stesso Voglia-no (segn. Vgl.II.B.61), in quegli ultimi anni di vita alle prese con lo studio rimasto incompiuto La lirica eolica e Pindaro nella critica di Gottfried Hermann . 47 La cui «Entdeckung eines indogermanischen Urverses» già è lodata in Usener 1907, 15. 48 Di Usener è rammentato con interesse il trattato Altgriechischer Versbau: ein Versuch vergleichender Metrik (Usener 1887), con la sua «analisi comparativa del-la metrica greca con la metrica germanica». I capitoli IV e V dell’opera di Usener consistono di una rassegna, desultoria ma affascinante, volta a dimostrare la predi-lezione dei popoli indoeuropei per una struttura metrica base in otto sillabe ancor ravvisabile nei testi sanscriti, avestici, nelle più antiche ricostruibili forme metriche greche e latine, nei canti popolari germanici, slavi settentrionali e meridionali, li-tuani: nota è l’icastica reazione negativa di Wilamowitz alla lettura del libro («In metrischen Dingen vermag ich nicht in kurzem meine Differenz auszudrücken, weil sie zu tief geht […]. Ich kann überhaupt das einheitliche griechische Volk nirgends finden, also auch keine urgriechische Sprache und keinen urgriechischen Vers und keine urgriechische Religion», lett. del 13 ottobre 1887 in Dieterich – Hiller von Gaertringen – Calder III 1994 2 , 46). Dal punto di vista della linguistica storica e della metrica comparativa indoeuropea severo giudizio sul lavoro di Use-ner dà Campanile 1982, cfr. anche Morelli 1996, 50 sgg. e 83-87 Sent from the all new AOL app for iOSmowitz, a Schroeder, a Maas 49 . Il successivo capitolo ( Metrica e musica ), prendendo spunto dai lavori di R. Westphal volti a «applicare le leggi dell’isocronia musicale ai metri greci», tentativo fallito ma assai noto in Italia per l’applicazione che ne diede Romagnoli nei suoi Poeti lirici 50 , si segnala per la riflessione sulla centralità del rapporto metrica-musi-ca, cioè poesia e musica, e sulla necessità di considerarlo storicamen-te, alla luce delle svolte nella storia della cultura greca dall’arcaismo sino a Timoteo e poi all’età ellenistica, quando «il distacco della musica dalla poesia è definitivo; questa sarà destinata quasi sempre alla lettu-ra» 51 . Noti sono i meriti di Perrotta nella rinascita degli studi italiani di metrica antica 52 , nei quali «egli raggiunse una competenza che lo pose in una condizione di assoluto predominio in Italia». Così Ettore Para-tore all’indomani della morte del collega grecista nell’ateneo romano, rimarcandone la visione della metrica quale «premessa indispensabile per l’intelligenza di un altissimo testo poetico» e osservando la pro-fonda coerenza della «esemplare e severa scienza metrica del Perrotta» con l’intera sua concezione degli studi classici («nella metrologia del Perrotta veramente filologia e critica si dànno la mano in una sintesi tra le più feconde») 53 : nel timbro certo ‘romano’ ma già storiografica- 49 Cui già allora Gentili imputa gravi limiti metodologici, per la sopravvaluta-zione ‘empirica’ dell’ observatio metrorum e il connesso «profondo scetticismo per tutti i problemi metrici di Urgeschichte »: Gentili 1950, 20 sgg. 50 Particolarmente il secondo volume ( I Poeti Lirici. Terpandro, Alceo, Saffo , Bologna 1932) è costellato di «traduzioni in segnatura moderna della realizzazione sonora», cioè vere e proprie trascrizioni per musica dei frammenti dei tre antichi autori; almeno da un punto di vista storico non a torto Stella 1972, 171 indica come merito di Romagnoli «quello di avere richiamato l’attenzione fin dai primi anni del Novecento sul binomio poesia-musica , in stretta interdipendenza di nota e parola, nei poeti greci fino all’età ellenistica», e di aver così dato «avvio ad una compren-sione profonda e meno letteraria di Saffo e di Pindaro, di Eschilo e Aristofane: indicava nuove strade per future ricerche». 51 Gentili 1950, 33. Le indagini sulla musica greca anche in età ellenistica cono-scono oggi nuovo impulso: vd. Martinelli 2009. 52 Messi in rilievo da Albini 1963, 111, il quale anche ricorda che «quando la morte lo sorprese, Perrotta stava ultimando un libro sul saturnio», sul contenuto del quale vd. la ricostruzione di Morelli 1996, 70 sgg. Resta il paradosso, segnalato da Morelli sin dall’inizio del suo studio, che «nella produzione di Gennaro Per-rotta, anche tenendo conto delle notazioni occasionali e delle scansioni fornite in Polinnia , i contributi di carattere metrico risultano nel complesso piuttosto scarsi ed esigui, specie se rapportati all’importanza che egli annetteva notoriamente alla materia e agli anni spesi nelle relative ricerche fin dall’adolescenza». 53 Paratore 1963b, 7-8. È visione che si ritrova bene espressa anche nell’esordio del I capitolo di Metrica greca arcaica : «Critica testuale, metrica, interpretazione estetica sono problemi che devono essere affrontati contemporaneamente dal fi-lologo classico; essi rappresentano una unità indissolubile, inscindibile. È merito grandissimo dei grammatici alessandrini se essi, unitamente all’esame critico delmente atteggiato della valutazione di Paratore, «la più grande scuola di metrologia classica fiorente in Italia», derivata da Perrotta, si ricapitola e si identifica nel nome di Bruno Gentili. L’esperienza di Perrotta me- tricista non può disgiungersi dal magistero pasqualiano 54 . Con il ricordo di conversazioni avute con Pasquali «su problemi importanti di metrica greca» Gentili scelse di aprire il suo contributo su Pasquali e la metrica nell’àmbito del convegno del 1985 Giorgio Pasquali e la filologia clas-sica del Novecento : Ricordo con perfetta lucidità l’esame metrico cui fui sottoposto al nostro primo incontro: mi chiese se ero in grado di scandire un carme di Bacchilide o di Pindaro; risposi affermativamente. Non ne fu del tutto convinto; mi porse il testo di Bacchi-lide e mi invitò a leggere metricamente il quinto epinicio, chiedendomi prima in quale metro fosse composto. Risposi: «Dattilo-epitriti» e lessi tutta intera la prima triade strofica. Ne fu sorpreso, forse perché dubitava che un giovane non formatosi alla sua scuola fosse in grado di superare questa difficile prova 55 . I colloqui con Pasquali, avvenuti a Firenze nell’immediato dopoguerra, si incentrarono (continua Gentili) quasi esclusivamente su un problema che particolarmente angustiava il grande filologo, quello cioè «delle re-sponsioni impure nei lirici corali e nei cantica della tragedia e della com-media del quinto secolo», in relazione soprattutto alla soluzione data da P. Maas in due articoli del 1914 e del 1921, dove «egli crede di poter negare le responsioni impure in Bacchilide e in Pindaro, correggendo ar-bitrariamente il testo nei luoghi dove esse appaiono» 56 . Ciò che qui conta mettere in rilievo è la persuasione che Gentili trasse da quegli incontri dell’esigenza, in Pasquali riconoscibile, «di affrontare il tanto discusso problema delle libere responsioni fra strofe e antistrofe non più nella pro-spettiva astratta e schematica indicata da Paul Maas ma in una prospettiva più attenta alla fenomenologia del rapporto metro-ritmo melodico» 57 : che cioè, più in generale, Pasquali già avesse testo, curarono nelle loro edizioni critiche la divisione in strofe, in στίχοι e in κῶλα dei cori lirici, tragici e comici […]. Se oggi il filologo moderno dissentirà da essi nell’interpretazione, non potrà certo dissentire nel metodo. Conoscere, dunque, la metrica di un poeta significa poter intendere più profondamente la sua stessa poe-sia, significa poter penetrare nell’intima armonia e musicalità del verso». 54 «Tratto ereditato da Pasquali» lo dice Gamberale 1994, 77. 55 Gentili 1988, 79. Per la centralità nella ricerca metrica di Gentili dell’inter-pretazione dei dattilo-epitriti, «così denominati nel secolo scorso da R. Westphal», nella dialettica tra individuazione di cola unitari e sistematizzazione metrica otto-centesca di origine boeckhiana vd. e. g. Gentili – Giannini 1977, 13 sgg. 56 Così Gentili 1950, 21, in un passo e in un contesto che sembrano conservare qualche traccia delle conversazioni con Pasquali di quegli anni (la prefazione reca la data del 30 settembre 1949, ma Gentili informa il lettore che la prima parte del libro era già in bozze nella primavera del 1948). 57 Si ricordino le polemiche degli anni seguenti con Maas circa luoghi bacchi Sent from the all new AOL app for iOSnetta e chiara l’idea che la poesia lirica sia essa monodica o corale e la musica erano i mezzi di comunicazione di una cultura che, attraverso il linguaggio poetico, i ritmi e le melodie, trasmetteva oralmente i suoi messaggi in pubbliche audizioni 58 . In parte riguardante l’àmbito delle responsioni, e in polemica con Maas, fu l’intervento di Gentili compreso nella raccolta di contributi in memoria del maestro («Maia» 15, 1963) 59 : «alcuni problemi qui discussi», è detto in apertura, «furono non di rado il tema preferito da Gennaro Perrotta nelle conversazioni con i suoi allievi, i μετρικώτατοι», particolarmente negli anni 1947-1951. L’articolo è interessante anche per l’attenzione che di-mostra, pur con vari dubbi, verso la colometria antica quale attestata dai pa-piri di Anacreonte e di Bacchilide, già in qualche modo preludendo a quel- lo che diverrà, soprattutto dagli anni Ottanta, uno degli àmbiti di studio più cari a Gentili e alla sua scuola 60 .3. Come per l’Italia e il mondo, così per Bruno Gentili gli anni Sessanta videro prepararsi e poi compiersi svolte decisive. Poco dopo la precoce scomparsa di Perrotta (settembre 1962), Gentili divenne all’Università di Urbino ordinario di Letteratura greca, insegnamento tenuto per incarico da alcuni anni, sin dall’istituzione della locale Facoltà di Lettere di cui fu subito «figura cardine» 61 . La prolusione urbinate del 18 giugno 1964, pub- blicata l’anno successivo con il titolo Aspetti del rapporto poeta, commit- lidei in cui «la presunta corruttela del metro, per la responsione non perfetta» aveva condotto il filologo tedesco a ritenere corrotto il testo, difeso ammettendo la re-sponsione impura in Gentili 1958, 20 sgg. 58 Gentili 1988, 80-81. Il racconto di Gentili va naturalmente letto tenendo pre-sente la frattura tra Pasquali e Perrotta su cui vd. Morelli 1996, 33 sgg.; dal no-vembre 1948, su sollecitazione di Pasquali, erano ripresi i rapporti epistolari con il filologo tedesco: cfr. Bossina 2010. 59 Gentili 1963 (poi nei monumentali Studi in onore di Gennaro Perrotta ). Nella stessa Gedenkschrift non manca un breve contributo di P. Maas, una nota metrica di argomento ‘moderno’ datata Oxford, 31 ottobre 1962: Maas 1963. Anche per Maas metricologo molto si potrà trarre dall’esame delle carte segnalate in Lehnus 2010a e Lehnus 2010b. 60 Una quindicina d’anni dopo Gentili osserverà: «Si ritiene che la dottrina me-trica degli antichi sia di scarso valore e di nessuna utilità per noi […]. Ma, ch’io sappia, nessuno sino ad oggi ha realmente dimostrato la validità di questa asser-zione. Il disprezzo e il totale rifiuto delle teorie antiche è una moda invalsa negli studi metrici del Novecento» (Gentili 1979a, 688). Dello sviluppo degli studi sulla colometria antica guidati da Gentili negli anni successivi sono testimonianza molti contributi nei «Quaderni Urbinati di Cultura Classica»: come sguardo d’assieme vd. Pretagostini 1993a, Gentili – Perusino 1997 e più di recente la Tavola rotonda 2008; breve consuntivo del dibattito in corso in García Novo 2008, 408-409. 61 Sugli studi classici a Urbino dapprima nella Facoltà di Magistero (dall’a. a. 1937/38) poi in quella di Lettere e Filosofia (dall’a. a. 1956/57) vd. il profilo di Colantonio – Bravi 2006tente, uditorio nella lirica corale greca , presenta un chiaro carattere pro-grammatico 62 e introduce quell’insieme di temi che «nel tempo si rivelerà più produttivo e tipicamente ‘gentiliano’» 63 . Fin dalle prime righe del sag-gio è messo in evidenza il valore di «strumento di conoscenza del reale» proprio della produzione poetica nella cultura greca del tardo arcaismo, il suo farsi «guida orientativa nell’evoluzione della società greca, nelle forme del linguaggio e dell’arte del poetare» per motivi non estrinseci ma stret-tamente connessi alla centralità del rapporto diretto tra il committente e il poeta che particolarmente connota la poesia corale. La funzione del mito, e dunque il tessuto dei contenuti stessi del carme, si svela quando ci si rifaccia al professionismo del poeta e alla funzione celebrativa costitutiva-mente propria della sua attività, volta a «scegliere una leggenda appropriata all’occasione», a trovare cioè e rendere intelligibile all’uditorio la relazio- ne tra racconto e celebrando, cosicché «il mito avesse un reale significato e un valore esemplare». Solo in tale contesto, a un tempo storicamente determinato e aperto alla necessità dell’interpretazione, possono corretta-mente configurarsi il rapporto mito-attualità e il rapporto mito-gnome, e può considerarsi superato «il problema dell’unità dell’epinicio e in genere del carme corale sul quale per più di un secolo dal Boeckh in poi la critica si è tormentata nella disperata ricerca di un’unità logica o estetica». Era, quello dell’unità dell’epinicio, il problema centrale della critica pindarica quale intuíto e sviscerato dalla grande filologia tedesca del XIX secolo, e che Perrotta aveva posto tematicamente al centro della sezione pindarica in Saffo e Pindaro (1935), dedicandovi una rilettura di oltre cento pagine attraverso l’intera produzione del poeta di Tebe, frammenti compresi, infi-ne giungendo alla constatazione dell’assenza di unità sia estetica sia logica nelle odi pindariche. Sostanzialmente riprendendo la visione romagnolia-na di Pindaro come «poeta del mito» 64 , l’interpretazione di quel «poeta puro, più che poeta-moralista o poeta-filosofo» 65 è infine da Perrotta per intero riportata all’interno della dicotomia crociana poesia/non poesia, senza arretrare dinanzi alle necessarie conseguenze di quella scelta critica: Non poeta dei giuochi, nè della gnome; non poeta dell’etica e della politica dorica; non poeta della saggezza di Apollo delfico. Ma poeta grandissimo del mito sentito religiosamente come miracoloso eroismo e miracoloso prodigio. Questa defini-zione dell’arte pindarica costringe a ripudiare come non poesia buona parte dei versi del poeta. Questo forse dispiacerà; e si dirà che Pindaro è ridotto ad essere, a questo modo, un poeta frammentario, e si deplorerà ch’egli è stato rimpicciolito e diminuito. Ma una più serena considerazione convincerà, che, anzi, il poeta è 62 «Una specie di manifesto per la Scuola urbinate» lo definisce Angeli Bernar-dini 2013, 16. 63 Catenacci 2014, 449. 64 La cui derivazione da Burckhardt sottolinea Paratore 1963, 300. 65 Perrotta 1935, 107-108stato accresciuto, perchè l’unico modo di onorare un poeta è quello di esaltare la sua poesia. Isolare le parti impoetiche, non che fargli torto, è un servigio reso al poeta stesso 66 . Non a caso subito Perrotta richiama per confronto il caso della poesia dantesca («naturalmente continueranno ad esistere gli ammiratori dell’architettura, dell’unità, dell’armonia dell’epinicio pindarico, proprio come non mancano gli ammiratori dell’architettura, della struttura, della concezione del mondo dantesco») 67 , a proposito della quale con maggior valenza paradigmatica Croce aveva teorizzato e applicato la necessaria dis-tinzione – valida per ogni autore e opera letteraria – tra la dimensione pro-priamente ‘poetica’ e quella ‘allotria’, attinente «una varia interpretazio- ne filosofica e pratica» 68 .Trent’anni dopo, nel 1965, disegnando il percorso per un profondo rinnovamento degli studi italiani su Pindaro e i lirici che definitivamente li sottraesse alle ipoteche critiche della prima metà del secolo, Gentili in certo modo proietterà all’esterno il tema dell’unità dell’epinicio, rinvenen-dolo «nel mondo dei valori che il poeta in rapporto al suo pubblico e alla funzione sociale della poesia era portato a interpretare» 69 . Discernere nella orazione urbinate i fili di una nascosta dialettica con Perrotta è operazio-ne non priva di giustificazioni, quando si pensi che il saggio Aspetti del rapporto poeta, committente, uditorio nella lirica corale greca , nato da quella prolusione e poi pubblicato in più sedi, per la prima volta comparve nel volume di «Studi Urbinati» contenente gli Scritti in onore di Genna-ro Perrotta 70 aperti da una pagina di presentazione di Gentili stesso, alla quale segue un inedito perrottiano, una nota critico-testuale a un passo di Lucano, in duello con una atetesi di Housman nel pasqualiano baluginare di «due varianti antiche» 71 . Significative le parole introduttive di Gentili, che indicano nel maestro un modello di «vivo impegno a dare un senso di attualità ai nostri studi», mentre pur non si può tacere l’esigenza di porre nuove domande alla grecità arcaica e classica: 66 Perrotta 1935, 227-228. 67 E così prosegue: «gli uni e gli altri si riterranno i soli capaci d’intendere i poeti, pur essendo incapacissimi d’intendere qualunque poesia, perchè per poesia intendono l’allegoria, oppure la così detta ‘poesia d’idee’, oppure perfino una rac-colta di massime belle e utili». 68 Mi limito a rimandare in proposito, come testo esemplare, all’ Introduzione di Croce 1921, che cito da una ristampa laterziana sostanzialmente immutata del 1943. 69 Saranno poi i temi fondamentali di molte, famose pagine di Poesia e pubblico nella Grecia antica , soprattutto nel cap. VIII Poeta-committente-pubblico, ovvero la norma del polipo . 70 Gentili 1965a. 71 Perrotta 1Chi gli fu vicino e poté, anche fuori della scuola, ascoltarlo nella conversazione abi-tuale, sempre viva e piena d’intelligenza umana, apprese, oltre che il rigore scien-tifico della ricerca, il vivo impegno a dare un senso di attualità ai nostri studi, oggi, nelle prospettive del nostro tempo, diremo l’impegno a comprendere nell’inesauri-bile mondo della grecità arcaica e classica la problematicità dei rapporti di valore culturali e civili, quali uomo-scienza, uomo-natura, uomo-società, che sono alla base della nostra inquietudine e per i quali sentiamo l’urgenza di una soluzione se dobbiamo, tra i rottami inutilizzabili del vecchio umanesimo e tra gli automi della odierna civiltà industriale, riproporre una nuova dimensione dell’uomo, dell’uomo non come strumento ma come fine 72 . La seconda parte del saggio discute un buon numero di passi, perlopiù di Pindaro, anticipando traduzioni destinate all’antologia Lirica corale greca. Pindaro Bacchilide Simonide , che uscì per Guanda nel 1965 73 ; il saggio originato dalla prolusione urbinate sarà lì riproposto in versione sostanzialmente immutata, a mo’ di introduzione dal titolo Poeta e com-mittente . Nuovo è però l’avvio (ripreso nel retrocopertina), che intercetta le curiosità ‘d’avanguardia’ di quegli anni di profondi mutamenti, un po’ provocatoriamente invitandoli a una nuova lettura dei poeti della lirica co-rale greca: In un momento di crisi, oggi, della poesia, tra sperimentalismi d’avanguardia, giu-stificati, entro certi limiti, dalla buona intenzione di trovare linguaggi più idonei ad interpretare la realtà presente, ha forse un senso riproporre una nuova lettura dei poe- ti della lirica corale greca, Pindaro, Simonide, Bacchilide. La scelta non è casuale, ma ha un suo significato che sarebbe stato eluso se ci si fosse limitati a ripresentare i poeti della lirica monodica, troppo consunti dalla tradizione ermetica. Premeva invece offrire, nei limiti consentiti dall’indole della collana, un panorama delle op-poste tendenze ideologiche e artistiche che animarono la poesia del tardo arcaismo greco, cioè di un’epoca culturale caratterizzata da una profonda crisi evolutiva nella quale la poesia, come solo rare volte nella storia della cultura occidentale, divenne strumento di conoscenza del reale […] 74 . Si tratta dunque di una affermazione di ‘contemporaneità’ della lirica greca ancorata a solide e rinnovate basi filologiche e storiche, proposta in un’epoca di crisi e trasformazione tra le più incisive e impetuose del se-colo, come oggi sappiamo. Se può forse anche rimandare qualche eco dei 72 Parole che in parte torneranno trent’anni dopo nell’introduzione premessa da Gentili alle Giornate di studio su Gennaro Perrotta . Si può aggiungere che nella premessa agli Scritti urbinati in onore del maestro, Gentili segnalava che alcuni di essi costituivano i primi contributi di collaboratori del neocostituito «Centro di studi sulla lirica greca e sulla metrica greca e latina» presso l’Università di Urbino. 73 Gentili 1965c. Ho consultato presso la Biblioteca centrale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano una copia appartenuta a Luigi Alfonsi, con dedica manoscritta di Gentili datata «Urbino 18.11.1965». 74 Con l’ultimo periodo si apre il saggio in «Studi Urbinati» clamori suscitati dalla beat generation di A. Ginsberg, il cenno iniziale agli «sperimentalismi d’avanguardia» nell’àmbito della poesia contempora-nea, ai loro eccessi e alle loro ragioni, essenzialmente rinvia alla neoavan-guardia italiana di quegli anni, la cui fase preparatoria si suole riconoscere nel dibattito culturale sviluppato sulla rivista milanese «Il Verri», fondata nel 1956: sin dall’inizio diretta da Luciano Anceschi (1911-1995), se n’era avviata nel 1962 una seconda serie presso l’editore Feltrinelli, sedendo nel comitato di redazione letterati poeti e studiosi destinati a fama e fortu-na nei successivi decenni (Nanni Balestrini, Renato Barilli, Umberto Eco, Alfredo Giuliani, Angelo Guglielmi, Antonio Porta, Edoardo Sanguineti). I nomi appunto intorno a cui nel 1961 si era aggregata l’antologia poetica I Novissimi: poesie per gli anni Sessanta (con testi di N. Balestrini, A. Giu- liani, E. Pagliarani, A. Porta, E. Sanguineti), con il successivo passaggio al Gruppo 63, più eterogenea e conflittuale formazione: intorno alla metà degli anni Sessanta poli entrambi di definizione e diffusione della neoa-vanguardia italiana, poetae novi avversi contemporaneamente a ermetismo e neorealismo 75 , volti (i più) alla destrutturazione sperimentale di lingua e forma come unica modalità di espressione di/in una realtà svuotata di sen-so e accettata come tale 76 . Presentando il primo numero della nuova serie de «Il Verri» (febbraio 1962), L. Anceschi salutava il determinarsi di un evidente mutamento nel panorama della poesia italiana contemporanea. A una maniera «che fu giustamente detta anacoretica , o ermetica , o chiusa , non senza certe tentazioni di involuzione neoclassica» e che intendeva la poesia «come fuga o rifugio; come estrema voce del soggetto nascosto e introverso […] come sintesi illuminante, pregnante, e veloce nel rigore calcolato, coltivatissimo, e raro della parola», si sostituiva ora il diverso atteggiamento e sentimento «di una poesia dissacrata, estroversa, che si ritrova in un mondo di oggetti reali, affidata talora alla casualità del sin-tagma, talora ad un ritaglio significante dell’effimero, di modi analitici, a struttura complessa e multipolare, tale che […] può farsi capace di una critica di vita, di un’azione per la trasformazione dell’uomo»: egli avver-tiva insomma il farsi avanti di una poesia, e di una stagione di poesia, «come accrescimento della vitalità , e nuove tecniche, e volontà di for-me aperte, e speranze di una maggior portata di comunicazione…» 77 . Il saggio già apparso in «Studi Urbinati» fu da Gentili subito ripubblicato 75 Nonché «uniti e avvinti (per impulso d’Anceschi) nel programma di approfit-tare della prima congiuntura economica favorevole dopo secoli – il famoso boom »: così Alberto Arbasino in Anceschi – Campagna – Colombo, 338. 76 «Sganciato il linguaggio da intenti determinati e da precise responsabilità semantiche, lo scrittore appare attirato non tanto dalla mancanza di senso quanto piuttosto da ciò che sembra lecito chiamare il possibile verbale, ossia l’estrema libertà di invenzione linguistica. La parola comunica non dei significati, ma le pro-prie avventure e peripezie, percorre lo spazio senza fine del desiderio, del gioco e del godimento», come efficacemente sintetizza Curi 2014, 100. Sent from the all new AOL app for iOS appunto su «Il Verri» 78 , all’interno di un numero monografico Classicità e contemporaneità contenente contributi anche di altri studiosi del mon-do antico 79 . Il fascicolo era introdotto da un intervento di Anceschi, da sempre attento a «scoprire in modi non fortuiti una zona antica e nuova della classicità» 80 , qui volto a riflessioni di singolare lucidità e preveggen-za, oggi certo più inoppugnabilmente attuali di cinquant’anni fa: Le infinite maniere con cui nel secolo son stati sentiti i classici testimoniano già esse di un continuo vivere dei classici al di fuori della astrazione, ormai incredibile, di eterne, immobili esemplarità. Che senso avrà la lettura dei classici in un mondo in cui l’Europa non sia più il “cervello del mondo” ma solo, se sarà possibile, una delle sue fibre, una delle voci di una cultura che si è aperta, aperta al riconoscimen-to delle ragioni di tutti i popoli, di tutte le tradizioni? La cultura europea in certi suoi esponenti della metà del secolo scorso sembra aver intuito la possibilità del determinarsi di una situazione di questo genere […]. Questa è la situazione in cui siamo, qui dobbiamo vivere, e in questo ordine recuperare i nostri antichi 81 . Particolarmente appropriati, nel contesto del numero de «Il Verri», ri-sultano dunque sin dall’inizio del saggio di Gentili i rilievi sulla ‘lontanan-za’ dal gusto moderno specialmente della lirica corale, tra le varie forme della poesia greca arcaica, e sull’almeno apparente maggiore accessibilità dei grandi poeti della lirica monodica (Saffo, Alceo, Anacreonte) anche se il loro volto è apparso spesso da noi alterato da un certo estetismo deca-dentistico che ha ancor più accentuato, a suo modo, quell’idea astratta e astorica della lirica greca che abbiamo ereditato dalla nostra cultura classicistica. Il culto della “poesia pura” idoleggiò in essi quella che fu ritenuta l’espressione essenziale, irripetibile, poetica per eccellenza, o addirittura la “poesia del frammento” conden-sata in un’immagine di pochi versi superstiti. Il riferimento è qui alla importante, benché spesso indiretta presenza dei maggiori lirici monodici nella letteratura italiana dalla seconda metà 77 Anceschi 1962, in partic. 14 sgg. 78 Gentili 1965, 80-97. 79 C. Del Grande ( Grecità ); C. Diano ( Ritorno a Plutarco ); E. Pasoli ( Per una lettura dell’epistola di Orazio a Giulio Floro ); G. C. Giardina ( Note per l’esegesi di Orazio lirico ); A. Mele ( Orazio e il significato culturale del classicismo latino ). 80 Cit. in Nisticò 1997. 81 Anceschi 1965, 4-5. Quanto una ben diversa visione della Grecia come «anti-ca madre comune» fosse in àmbito filosofico italiano ancora viva pochi anni prima testimonia ad esempio il volume di Barié – Sini 1959, dove a fronte del «senso della crisi dei valori oggi tanto diffuso nella coscienza dei contemporanei, che nessuna generazione del passato potrebbe probabilmente reggerne il paragone», si propugna un ritorno alla Grecia, che «vagheggiata dall’Umanesimo al Romanticismo come il felice e radioso mattino della nostra storia, sembra non avere mai deluso chi ricerchi in essa i germi del modo occidentale di considerare e vivere la vita» (17dell’Ottocento, non solo e non primariamente nelle traduzioni 82 . A Car-ducci in particolare, e per vari aspetti già al Foscolo 83 , si deve «la riscoper-ta, nelle immagini e nei metri, dei lirici greci, di Alceo e Saffo, già di leo-pardiana memoria, e poi di Alcmane […] come modelli di poesia pura» 84 , all’origine di un ricco e complesso processo di ricezione, ancora non ade-guatamente studiato, che attraverso Pascoli 85 e D’Annunzio conduce sino ai Lirici greci tradotti da Salvatore Quasimodo , usciti a Milano in prima edizione nella tragica primavera del 1940, introdotti da un saggio critico del ventinovenne Luciano Anceschi. A Milano Anceschi si era formato con Antonio Banfi, subito segnalandosi con il volume Autonomia ed ete-ronomia dell’arte (1936) 86 , radicale presa di distanza dall’intuizionismo estetico crociano e dalla sua incapacità di comprendere le poetiche del Novecento 87 . Come il coetaneo Carlo Bo (1911-2001) per la corrente ‘fio- 82 Tra le quali per più ragioni merita ricordare quella che Felice Cavallotti (1842-1898), allora già famoso deputato dell’ Estrema , dedicò a Canti e frammenti di Tirteo. Versione letterale e poetica con testo e note preceduta da un’ode a Gio-suè Carducci , Milano 1878, con prefazione, interessante per il rifiuto della ‘metrica barbara’ («il tentativo – che non data da oggi – di ricondurre la poesia italiana alla esteriorità dei metri greci e latini, mal saprebbe giudicarsi alla stregua di alcune splendide ispirazioni di Enotrio»), e per l’attenzione alla fortuna di Tirteo anche fuori d’Italia, in particolare nel mondo tedesco (lingua che Cavallotti aveva appreso nell’ancor asburgico liceo milanese di Porta Nuova), finanche citando «la versione olandese in versi di Bilderdijk»: ma nella costituzione del testo adottando «per base la volgata di Enrico Stefano – del 1566 – che ancora oggi fra tutti i distillamenti di cervello della critica germanica rimane la guida del testo più fida e più sicura». 83 Del Foscolo si ricordi almeno la visione dei versi della Coma catulliano-calli-machea come poesia lirica sin dalla dedica a G. B. Niccolini («non credo che l’an-tichità ci abbia mandata poesia lirica che li sorpassi, e niuna abbiano le età nostre che li pareggi») della traduzione e commento de La Chioma di Berenice poema di Callimaco tradotto da Valerio Catullo (1803): ivi il Discorso quarto. Della ragione poetica di Callimaco si chiude nel nome di Pindaro dopo aver esaltato Alceo e Saf-fo nei superstiti rari vestigi a fronte di Orazio e di Catullo. Sul ‘pindarismo’ fosco-liano dal commento alla Chioma di Berenice attraverso i Sepolcri sino alle Grazie come riflessione sul nesso che lega lirica antica e moderna vd. Benedetto 2006. 84 Nava 2007, 90; qualche utile elemento si trae da Tomasin 1997. 85 Fondamentali soprattutto i Poemi Conviviali (del 1904 la prima edizione in volume) sin dal liminare Solon (1895), su cui vd. le considerazioni introduttive e il dettagliato commento in Treves 1980, I 555-569. Un àmbito di particolare interesse è quello della sperimentazione pascoliana ispirata ai metri della lirica greca, cfr. Giannini 2009 e ora Capone – Giannini 2015. 86 Lo stesso anno de La poetica del decadentismo di W. Binni, per il cui influs-so sugli studi pindarici degli anni Quaranta di M. Untersteiner (1899-1981) vd. Lehnus 1989. 87 Sui fondamenti filosofici e critici del precocissimo anticrocianesimo di An-ceschi vd. Lisa 2007, cap. I ( La nuova fenomenologia e la nozione di poetica ); su Anceschi, la critica di ispirazione fenomenologica e la sua connessione con la neoavanguardia (come già con l’ermetismo critico) utile profilo in Orvieto 2003, 1090-1095 e 1104-1110rentina’ dell’ermetismo, sul versante ‘milanese’ Anceschi fu figura di spicco tra i giovani critici che si fecero interpreti e banditori della singolare intensità della parola nella poesia di Quasimodo: ‘poetica della parola’ sul-la cui centralità Anceschi torna nell’introduzione ai Lirici greci del 1940, dicendola erede dell’«esperienza complessa della poesia dopo Hölderlin, Poe, Baudelaire, e, per noi in special modo, Leopardi» e, soprattutto, scor-gendone l’antecedente nella «pura e libera voce dei lirici greci». Anceschi si mostra consapevole del fecondo lavoro filologico svoltosi per secoli intorno a quegli antichi poeti, ma del pari afferma che nella cultura euro-pea «non ci fu mai la felice e piena stagione dei lirici greci». Quella stagio- ne ora è giunta, cosicché «nella ricerca di una poesia veramente nuova e contemporanea » e soprattutto «nella aspirazione al raggiungimento di una rigorosa purezza lirica » l’‘ermetico’ Quasimodo può pienamente espri-mere se stesso traducendo Saffo Alceo Archiloco e Alcmane, ritrovando cioè «la purezza di quell’antica sensibilità in una condizione di linguaggio attuale della poesia». Senza sentimentalismi – va detto – ma nutrito di una chiara percezione della terribile crisi della civiltà europea 88 , risuona l’appello alla lirica greca come depositaria dell’assolutezza della parola, paradossalmente assicurata dalla condizione frammentaria di quella tra-dizione testuale: Questa aspirazione di purezza in un riconoscimento della relativa «brevità» di ogni composizione poetica, che, per raggiungere il suo scopo, deve presentarsi alla no-stra coscienza come un tutto è, appunto, la lirica – per la prima volta nata all’u-manità nella Grecia. Di essa solo la parola (qualche parola altissima, e interrotta) ci resta, là dove era anche danza e musica: parola, danza, musica in un’invisibile armonia unitaria di ritmi. E solo l’immaginazione più libera può darci un’approssi-mazione felice a quel segreto. Se pregevole appare la sottolineatura del concorrere di parola, danza e musica nel definire la particolare natura della lirica greca, è indubbio che il suggerire compatibilità o addirittura sovrapponibilità tra ‘poetica della parola’ cara agli ermetici novecenteschi e scarni testi dei lirici greci conservati per fragmina («qualche parola altissima, e interrotta») si risolve in una forzatura critica a danno del concetto e della realtà di ‘frammento’ propri della filologia classica: all’indomani della guerra pubblicamente lo segnalò Manara Valgimigli (1876-1965) 89 , peraltro con Quasimodo e 88 Consapevolezza che ad esempio si esprime nel richiamo a un’illuminante frase di P. Valéry: «… une civilisation a la même fragilité qu’une vie. Les cir-constances qui enverraient les oeuvres de Keats et celles de Baudelaire rejoindre les oeuvres de Ménandre ne sont plus du tout inconcevables: elles sont dans les journaux» (22-23). 89 Valgimigli 1946 (1957). Dopo aver ricordato che dei lirici greci «per tra-dizione medioevale diretta, oltre la silloge teognidea e quella pseudofocilidea, e oltre i quattro libri degli Epinici di Pindaro […] tutto il resto lo abbiamo o per ciAnceschi in rapporti epistolari già in quel 1940, e da subito ben disposto verso l’impresa traduttoria del poeta ermetico e i suoi risultati 90 . Quan-do Gentili, nel saggio pubblicato nel 1965 su «Studi Urbinati» e su «Il Verri», polemicamente alludeva a quell’impresa nei termini su citati («il culto della “poesia pura” idoleggiò in essi [ scil . i grandi poeti della lirica monodica] quella che fu ritenuta l’espressione essenziale, irripetibile, poe- tica per eccellenza, o addirittura la “poesia del frammento” condensata in un’immagine di pochi versi superstiti»), i Lirici greci di Quasimodo erano nel pieno della loro fortuna: mentre proprio nel 1965 era definita la for-ma ne varietur delle versioni dai lirici nell’edizione mondadoriana degli Opera omnia del poeta, tra vivaci polemiche di recente laureato dal Pre-mio Nobel (1959), quelli erano gli anni in cui se ne radicava e diffondeva la presenza nelle scuole italiane, particolarmente dopo l’istituzione della Scuola media unica. Soprattutto dai primi anni Sessanta e nel successivo decennio si può dire che in Italia nella percezione comune, anche gene-ricamente colta, la lirica greca coincise con i Lirici greci di Quasimodo, opera anzi che già all’indomani della morte del poeta (1968) si prese a riconoscere come la sua migliore 91 . La stessa scelta da parte di Gentili di tazioni indirette, oppure, dove siamo stati più fortunati, per ritrovamenti papiracei; a ogni modo, per frammenti» e che in realtà anche la lirica era «tutta intessuta e ragionata nel mito», Valgimigli pienamente riconosce le ragioni storico-culturali di quell’equivoco, il ‘fascino singolare’ esercitato sui ‘lirici nuovi’ dagli antichi poeti in frammenti: «ora, se io penso a quelle che furono ai principi del Novecento le teoriche dell’intuizionismo, del futurismo, del frammentismo, non credo peccare di temerità né di irriverenza se tra le cause di questo incontro di poesia greca e poeti nuovi oso porre anche questa umile e strana combinazione, cioè del casuale stato frammentario e quindi, in certo senso, alogico, anticontenutista, antisintattico, e, vorrei aggiungere, anticantato di certa poesia lirica greca». 90 Quanto sopravvive dei carteggi Quasimodo-Valgimigli e Anceschi-Valgimi-gli è ora raccolto nel volume Benedetto – Greggi – Nuti 2012. Val la pena qui trascrivere almeno la breve missiva (da Padova, 6 giugno 1940, su carta intestata «R. Università di Padova/Seminario di Filologia Classica») con cui Valgimigli rin-graziava il poeta per l’invio di una copia degli appena pubblicati Lirici greci : «Caro Quasimodo / Ho avuto il libro. Grazie. Certi versi mi hanno ridato la consolazione di un nuovo cantare. Sopra tutto, come già Le scrissi, c’è quel pudore schietto, quel pudore senza inganni, quella limpidezza liquida, che erano e sono qualità insolite e ignote. Di alcuni punti e modi, di alcuni suoni di parole, assai mi piacerebbe par-lare con Lei. Anche mi piacerebbe scrivere di questo suo libro. Ma dove, in questi giorni feroci? Addio, caro Quasimodo. E auguriamoci bene. E auguriamo bene al nostro paese e alla nostra civiltà. / M. Valgimigli» (in Benedetto – Greggi – Nuti 2012, 100-101). 91 Così per primo E. Sanguineti, uno dei protagonisti della neoavanguardia, che in chiusura dell’ Introduzione alla sua importante antologia einaudiana Poesia italiana del Novecento (1969) accomuna in iconoclastico dileggio antiermetico le versioni quasimodee al famoso saggio di Carlo Bo Letteratura come vita (1938); appunto perché gli antichi lirici risultano «volgarizzati, mediante il Quasimo- Sent from the all new AOL app for iOSantologizzare e tradurre per Guanda i poeti della lirica corale (Pindaro, Bacchilide, Simonide) fu con ogni evidenza determinata dal fatto che si tratta appunto degli autori non presenti tra i Lirici di Quasimodo perché non compatibili con l’idea di lirica sottesavi, come peraltro Anceschi ave-va a suo tempo esplicitamente affermato: Entro i limiti di una pura (attuale e antica) idea della poesia perciò fu osservata la scelta dei testi […]. Naturalmente è ben definito il senso anche delle esclusioni di poeti disposti a mettere a servizio della «celebrazione» la magnificenza di uno stile espertissimo, come Pindaro; o, come Bacchilide, abile e colto in una dolcezza di analisi descrittive. E sempre, poi, un rigore senza concessioni ha voluto la esclu-sione, o, almeno, la limitazione nella presenza di poeti «semi-lirici» (giambici o elegiaci, gnomici o politici) troppo disposti alla sentenza , all’ esortazione o alla narrazione : a indubbie condizioni di prosa 92 . Venticinque anni dopo la comparsa dei Lirici greci prefati da Anceschi, Gentili propugnava e realizzava il rovesciamento di quella prospettiva cri-tica 93 ; ci si può quindi chiedere perché il grecista urbinate abbia scelto pro-prio la rivista diretta da Anceschi per ripubblicare e più ampiamente divul-gare il saggio Aspetti del rapporto poeta, committente, uditorio nella lirica corale greca . Quanto si è prima accennato circa i convincimenti maturati da Anceschi nel corso degli anni Cinquanta, e poi sempre più all’inizio dei Sessanta, rende chiara la risposta: «nemico di ogni posizione cristallizza-ta» 94 , Anceschi soprattutto con «Il Verri» individuò come primario compi-to del critico «quello di risolvere la situazione in cui si trova, e di cui sente l’ansia e l’instabilità» 95 . Non solo sin dai primi anni del dopoguerra egli si do, con i tratti deformanti della poetica ermetica», su quindici poesie antologizzate da Sanguineti tredici sono tratte dai Lirici greci , definiti «il suo più vero contribu-to originale alla poesia del nostro secolo» e «uno dei documenti più significativi dell’intiera stagione ermetica». 92 L. Anceschi, Introduzione in Quasimodo 1940, 22. 93 Con espressioni che sembrano anche direttamente rispondere a quelle di An-ceschi del 1940: «per questa via era difficile accostarsi ai lirici corali del tardo ar-caismo greco, particolarmente a Simonide, Pindaro e Bacchilide, più elaborati, più consapevoli delle loro possibilità espressive, più ricchi nei contenuti etici, politici e artistici, indissolubilmente legati a un particolare ambiente e ad una determinata occasione che stimolarono e condizionarono il loro canto» (Gentili 1965c, 15). 94 Anceschi – Campagna – Colombo 1998, 331: «Anceschi – si sa – era nemico di ogni posizione cristallizzata […]. Non sconfessava l’ermetismo, in cui si era riconosciuto e che lo aveva visto nascere come critico militante, ma non intendeva lasciarsi rinchiudere in esso. E magistrale […] era la sua capacità di muoversi in territori ambigui, d’incerta definizione, non ancora riconosciuti, e di porsi come punto di riferimento per chi cercava la sua strada». 95 Anceschi 1956, saggio con cui si apre il primo numero de «Il Verri» nell’au-tunno di quell’anno, riproposto nella nuova serie de «il verri» nel 1996; sulla con-dizione della letteratura italiana dopo la metà degli anni ’50, chiusa tra le ultimeera convinto (come Quasimodo del resto) dell’esaurimento della stagione ermetica, ma tornò ad affrontare i Lirici greci e la sua stessa introduzione dieci anni dopo, riscrivendola nel 1951 per una nuova edizione mondado-riana. Molte qui sono le novità, sin dall’avvio. Anceschi lascia intendere di essere all’origine dell’incontro di Quasimodo con la lirica greca (come peraltro già le pagine del 1940 lasciavano sospettare) 96 , prende atto del de-finitivo isterilirsi dell’ermetismo, contestualizza la traduzione quasimodea nel suo valore e nei suoi limiti storicamente determinati: Ma che cosa si son fatti i lirici greci nella lettura di Quasimodo? Essi furon letti, è evidente, nel gusto particolare di una certa tendenza alla poesia del tempo […]. Era un momento in cui la verità della poesia ci sembrava tutta compresa nella veloce intensità della lirica in una estrema lucidità di contatti tra oggetti lontanissimi e lon-tanissimi tempi della memoria; e gli antichi frammenti (la giustificazione della vali-dità del frammento è sempre la prova di resistenza delle estetiche) ci confermavano con la loro forza che la poesia non sta nella struttura, non sta nella «musica esterio-re», non sta nel «contenuto morale» o nella «narrazione» e nel «discorso»…: tutto ciò può andar perduto, eppure una bellezza intensa e veloce resta, e ci commuove. 4. Importante novità rispetto all’introduzione del 1940 è il richiamo al saggio «incompiuto e bellissimo» di Renato Serra (1884-1915) Intorno al modo di leggere i Greci , pubblicato postumo da Valgimigli nel 1924 su «La Critica». Ispirate dalle contradditorie reazioni che il primo volu-me della traduzione commentata dei Lirici greci del Fraccaroli (1910) gli avevano suscitato 97 , le pagine di Serra sono soprattutto una riflessione sulla fine del vecchio classicismo («il calco in gesso dell’Ellade serena, dell’Ellade perfetta, che aveva fatto le delizie di tante generazioni, dagli umanisti fino al Carducci, è andato in frantumi»), sul nuovo «desiderio di realtà» suscitato dall’incessante lavoro di filologi e archeologi, sulla inquie- manifestazioni dell’ermetismo e il dogmatismo neo-realista, e sulla risposta libera-toria che la rivista trovò in una ‘fenomenologica’ concezione della letteratura «che rinnova continuamente la propria consapevolezza in rapporto al concreto mutare delle situazioni» torna ad esempio Anceschi 1967. 96 «Non dimenticherò certo facilmente il giorno – davvero molto lontano, or-mai – in cui, parlando con Quasimodo, mi venne fatto di associare, secondo certe ragioni, due idee familiari e carissime, che, in quel momento, sollecitavano in modo singolare la mia mente; voglio dire: l’idea della prima lirica greca, e quella della poesia italiana contemporanea. Fu, credo, un giorno dell’autunno 1938»: l’introdu-zione anceschiana del 1951 è ristampata in Quasimodo 2004, 321-333. 97 «Ho davanti a me i Lirici del Fraccaroli. Che cosa è dunque l’interesse di que-sto libro? L’intendimento nuovo di mettere sotto gli occhi dei lettori comuni questi avanzi venerabili della lirica greca, sì che ognuno possa vedere e giudicare senza scrupoli quel che sono sostanzialmente e quel che valgono. Con questo animo l’au-tore ha dato e il pubblico ha ricevuto, molto lietamente, come sapete, il libro. Per-ché dunque invece di partecipare a questa lietezza io resto malinconico e dubitoso ad ascoltare l’eco beffardo di una ironia lontanissima. ὁρᾶς τὸν πόδα τοῦτον;» Sent from the all new AOL app for iOSta grecità da loro rivelata, consentanea al gusto fin de siècle («coi prefidi-aci, con la civiltà micenea e con la cretese, con le fasce delle mummie e con gli ostraka dei monticoli egiziani, e insomma con l’insistenza su tutto ciò che la Grecia può dare di più crudo, barbaro, romantico, positivo, con-trastante col vecchio ideale gelato»), e soprattutto sulle opportunità svelate da questo diverso, modernissimo ‘bisogno di antico’: Realtà, come dicevo, di cose, e non di parole. Questa è la differenza profonda fra la nostra generazione e quelle che l’han preceduta. Le statue, le fotografie, le imma-gini, i processi, i costumi, in somma la vita nella sua indifferente nudità ha preso il posto degli aoristi del maestro di seminario e delle figure di Longino […]. Una cosa è chiara, direi quasi a priori ; che con tanta voglia di appropriarsi solo il grosso e l’essenziale della grecità, i pensieri e i motivi e le immaginazioni piuttosto che le frasi e le formalità, quest’ora dev’essere propizia per i traduttori. I passi ora citati del saggio di Serra provengono dal fascicolo de «Il Verri» dedicato a Classicità e contemporaneità , che si apre con estratti da Intorno al modo di leggere i Greci 98 . Sugli appunti di Serra si sofferma il liminare Intervento di Anceschi. Nel giovane critico cesenate caduto sul Podgora, Anceschi indica colui che «intuì una crisi del modo di sentire e vivere i classici, in cui noi ancora siamo», la crisi di chi ha compreso «che non ha più alcuna utilità per noi una lettura assoluta dei classici», ma che esistono ancora molti modi, altri modi, con cui i classici ci possono rispon-dere, molti e diversi piani su cui essi vivono ancora per noi, e che molti e diversi possono essere i gesti del nostro rapporto con loro. E su questa fenomenologia va forse ormai posato l’accento. Sono evidenti le consonanze tra un così attento bisogno di fondare una diversa presenza dei classici in un futuro avvertito come totalmente ‘altro’, e l’attività di Gentili in quegli anni come filologo e come docente. Ne è conferma la scelta di continuare a pubblicare su «Il Verri» gli articoli di maggior impegno teorico e programmatico già apparsi nei «Quaderni Urbinati di Cultura Classica»: in particolare i due saggi L’interpretazione dei lirici greci arcaici nella dimensione del nostro tempo e Prospettive critiche nell’interpretazione della cultura greca dell’età dei lirici . Il primo (Gentili 1970) 99 pienamente si presenta al lettore ‘nella dimensione del nostro tempo’, subito prospettando l’ineludibile «grosso problema di fon-do che è il problema stesso della sopravvivenza del mondo classico nella nostra cultura», letto all’interno del più radicale tema della ‘morte della storia’ nelle società a tecnologia avanzata e pervasiva degli ultimi decenni 98 Serra 1965. 99 Già in «QUCC», con il sottotitolo Sincronia e diacronia nello studio di una cultura orale : Gentili 1969del XX secolo. Quaranta e più anni dopo, sono riflessioni che colpiscono per lungimiranza, e per estraneità agli ideologismi allora correnti come a qualsivoglia ‘umanistica’ retorica consolatoria o deprecatoria: In concreto, quale senso può avere la grecità arcaica nell’odierna civiltà tecnolo-gica che rifiuta la storia e s’impone come civiltà nuova, integrata e alienata come è definita dai sociologi, perché ha tolto al mondo, irrevocabilmente, le sue proprie dimensioni storiche? Il risultato di questa situazione irreversibile è a tutti noto: la grande crisi dei valori etici, politici, espressivi. Se volgiamo per un attimo lo sguardo alla cultura contemporanea e agli ultimi movimenti delle neoavanguardie europee, lo stato di crisi dell’espressione ha forse toccato i suoi limiti. L’articolo enuclea e propone con chiarezza i principali elementi caratte-rizzanti il rinnovamento a livello internazionale degli studi sulla lirica gre-ca arcaica, sulla spinta soprattutto dei lavori di E. A. Havelock, muovendo dal riconoscere che «dato comune alla lirica greca, e in generale alla poesia greca sino alla fine del V sec. fu il tipo di comunicazione cui fu affidata, comunicazione non scritta ma orale», e che una poesia orale «comporta modi di espressione e atteggiamenti mentali diversi dalla poesia di comu-nicazione scritta». Si è di fronte a una ‘tecnologia di scrittura’ rinvenibile «in contesti poetici di altre culture orali», solita affidarsi a periodi brevi e figurazioni paratattiche, estranea all’«uso dell’io idiosincratico», cioè appunto all’‘io lirico’ della poesia latina e poi moderna, connessa invece a una «psicologia della performance poetica che mira a pubblicizzare il personale e il soggettivo per renderlo immediatamente percepibile e coin-volgere emozionalmente l’uditorio» attraverso la ricca serie di immagini e metafore proprie del linguaggio della lirica arcaica. La presenza del mito ne riflette la funzione, «tessuto connettivo della cultura orale e strumento sociale di interazione tra passato e presente, fra tradizione e attualità, tra poeta e uditorio», sì da delineare un tipo di poesia prammatica per la sua funzione e i suoi scopi parenetici, didattici e celebrativi, sollecitata nella scelta dei temi dalle vicende della vita militare e politica, dalle reali situazioni della vita sociale, dei simposi, delle feste religiose e degli agoni atletici, vincolata alle richieste di un committente o a un uditorio di “amiche” e di “amici” di un thiaso di ragazze o di una consorteria politica di identico rango sociale. Si trovano qui compendiate e illustrate con efficace consapevolezza critica le linee guida che per mezzo secolo ispireranno l’amplissimo la-voro di Gentili e della sua scuola sulla lirica greca arcaica 100 . È opportu-no sottolineare la volontà di Gentili di legare l’interpretazione dei lirici greci, così rinnovata, a una prospettiva particolarmente ampia e ambizio- sa, protesa sul futuro e infatti più volte ribadita nei decenni successivi, 100 Esemplare l’esposizione in Gentili 1990 Sent from the all new AOL app for iOSl’idea cioè «cui aspira l’antropologia contemporanea, dell’interpretazione come comunicabilità fra culture diverse e distanti nel tempo». Il rifiuto, all’inizio dell’articolo, sia della «interpretazione umanistica tradizionale della poesia greca come eterna storia naturale del gusto e dell’arte» sia del ‘neoumanesimo etico’, e in definitiva la presa d’atto della «crisi profon-da dell’umanesimo tradizionale» in un contesto culturale dominato dalle nuove scienze dell’uomo, mira all’affermazione di un diverso paradigma (identificabile nei nomi diversi ma variamente concordanti di Dodds e di Finley, di Vernant e di Havelock) con «lo sforzo di capire in concreto la mentalità dell’uomo greco arcaico», secondo una linea critica attenta all’oggi e al domani: nella quale cioè «convergono le domande, le cate-gorie e gli strumenti delle moderne scienze dell’uomo: dalla lessicologia semantica alla psicologia sociale e alla psicologia della storia, dalla socio-logia all’antropologia», e il vero tema risulta infine «il problema concreto dell’uomo nella sua vita individuale e sociale» 101 .Allo scopo evidentemente di segnalare nell’attività critica ed esegetica la necessità di una costante riflessione concernente passato (dell’oggetto) e presente (dell’interprete), «contro il pericolo di arbitrari travestimenti» 102 , il saggio si chiude con una breve citazione da T. S. Eliot 103 , cara a Gentili, che la ripeterà in futuro. Si tratta di un passo proveniente da un saggio del 1920 ( Euripides and Professor Murray ), violento attacco dello scrittore contro le traduzioni euripidee approntate per la scena dal famoso grecista, accusato di adottare per le proprie versioni un obsoleto stile tardo-otto-centesco incapace di trasmettere la sostanza del testo greco e di renderlo comprensibile nel presente (opinione ben espressa dalla devastante frase finale: «è per il fatto che il professor Murray non ha istinto creativo che lascia Euripide lì, proprio morto»): è giusto aggiungere che, quali siano stati moventi e intenti della stroncatura di Eliot, le traduzioni di Murray proposte on the stage furono grandemente popolari per decenni, e anzi «it was largely due to Murray that Greek tragedy established itself as a permanent feature of the theatrical landscape» 104 . L’intervento fu incluso 101 Sul significato di fondo dell’opera di Gentili da individuarsi nella «applica-zione alla filologia testuale dell’antropologia culturale», al fine di porre «la spiega-zione dei testi, della loro struttura e dei singoli passi, nel quadro illuminante della cultura complessiva cui furono funzionali» vd. soprattutto le osservazioni di Cerri 2014. 102 Con riferimento a quanto sembra alle interpretazioni idealistiche e estetiz-zanti della lirica greca contro cui più polemizza Gentili. 103 «Abbiamo bisogno di un occhio che possa vedere il passato al suo posto con le sue definite differenze dal presente e tuttavia in modo così vivo che esso sia tanto presente a noi come il presente». 104 Cfr. Garland 2004, in partic. 161-163. Su Euripides and Professor Murray vd. ora i rilievi di Morwood 2007, 139 sgg.; sui ben noti, profondi interessi di Eliot per le letterature classiche e soprattutto per Virgilio, e sull’importanza nella costru-zione e nell’autorappresentazione del poema The Waste Land (1922) del concetto Sent from the all new AOL app for iOSda Eliot nella raccolta Il bosco sacro ( The Sacred Wood ), rivelata nel 1946 alla cultura italiana dalla traduzione di Luciano Anceschi, che premise una lunga introduzione (datata marzo 1945!) 105 dove non manca di essere menzionato Euripides and Professor Murray , da Anceschi accostato al saggio «incompiuto e bellissimo di Serra Intorno al modo di leggere i Greci » per la comune avversione verso «quel tipo ambiguo di traduttore-poeta-filologo-professore che fu di moda nei primi anni del secolo e che […] non soddisfò né le ragioni pure della filologia, né tanto meno quelle, certo più rigorose, dell’arte» 106 . Bersaglio di Anceschi, subito dichiarato, è «il prof. Romagnoli», esempio più noto della «filologia poetica di fine secolo», appunto quella « filologia poetica , che è riuscita a ridurre i liri-ci greci ad una farsa domenicale» a suo tempo già attaccata dallo stesso Anceschi (direttamente coinvolgendo Romagnoli, da poco scomparso) nell’introduzione ai Lirici greci del 1940 107 , priva invece di riferimenti al certo in Italia ancora ignoto intervento di Eliot contro Murray traduttore: lo si troverà poi citato, in chiusura, nella rielaborata, quasi palinodica pre-fazione anceschiana del 1951 108 . Il terzo ampio e importante contributo che Gentili in quegli anni ripropose sulla rivista di Anceschi ( Prospettive critiche nell’interpretazione della cultura greca dell’età dei lirici : Gentili 1972) è per intero dedicato a discutere i radicali mutamenti intervenuti tra la prima e la seconda metà del Novecento nel definire «l’orizzonte della critica sui lirici greci». Il saggio prima di tutto registra con soddisfazione il venir meno «dei miti e dei luoghi comuni della vecchia critica idealistica e delle sue estreme frange estetizzanti», particolarmente forti in Italia «per oltre un trentennio» proprio nell’àmbito degli studi sui lirici, e nelle tradu-zioni. Come traccia dell’estremo persistere della «critica del gusto» e in di fragment («these fragments have I shored against my ruins») vd. il profilo di Martindale 1999. 105 Anceschi 1946. 106 Anceschi 1946, 32. 107 L. Anceschi, Introduzione in Quasimodo 1940, 24-25. Questo il passo: «Quasimodo sembra perciò essere veramente il più adatto – oggi – per una impresa così ardua – necessariamente – difficile […] in reazione a certa filologia poetica , che è riuscita a ridurre i lirici greci ad una farsa domenicale (e si veda Romagnoli da un frammento bellissimo: Tramontata è già Selene / e le Pleiadi: il ciel tiene / Mezzanotte: l’ora vola; / io son qui sopita e sola )», dove il riferimento è natural-mente al famoso frammento saffico 94 D. = 168b V. 108 In Quasimodo 2004, 333, dove Eliot «nel saggio su Euripide» è menzionato accanto a pensieri sul tradurre di Leopardi e di Pound. Pochi mesi prima della comparsa in italiano de Il bosco sacro , il richiamo al Murray di Eliot a proposito delle traduzioni dai lirici greci prodotte in Italia tra Ottocento e Novecento da «certi filologhi non so come invasati dal dio» era già in L. Anceschi, Presentazione in Anceschi – Porzio 1945, 15-16 (dove come traduttore di poeti antichi oltre a C. Sbarbaro, da Sofocle, compare in realtà il solo S. Quasimodo, con testi da Omero, Saffo, Alceo, Erinna, Eschilo, Virgilio, Ovidio, Catullo).generale di «quel gusto del lirismo novecentesco che ha dominato la cul-tura italiana tra il 1920 e il 1940» è indicata l’ancora presente «tendenza a ricondurre il testo originale al gusto del lettore e non viceversa a guidare il lettore verso il testo originale», così procedendo a un’operazione «che an-nulla le categorie del tempo e dello spazio in vista di una contemporaneità falsa ed artificiale». A rinforzo dell’osservazione e come monito «contro il pericolo di arbitrari travestimenti» in cui possano cadere le traduzioni, Gentili torna a menzionare il passo di Eliot contra Murray già citato al termine dell’articolo di due anni prima ( L’interpretazione dei lirici greci arcaici nella dimensione del nostro tempo ). È interessante notarlo, inte-ressante e paradossale. Originario intento del brano, e in genere di Euri- pides and Professor Murray , era l’accusa dello scrittore Eliot al grecista Murray di essere privo dell’‘occhio creativo’ 109 capace di render vivo Euri-pide con una traduzione inglese adeguata ai tempi e alla perduta centralità dell’educazione classica 110 . Anceschi nel presentare la traduzione italiana ravvisò in Murray l’equivalente inglese di Romagnoli, cioè dell’esponente più illustre di quella ‘filologia poetica fine di secolo’ a lungo di voga in Italia, colpevole di aver travestito gli antichi poeti nelle forme di un linguaggio che non sappiamo collocare né storicizzare: un inafferrabile linguaggio di Utopia che ci ha sempre meravigliato con certi moti di umore, e oggi ancor più ci meraviglia e diverte; solo in qualche caso si potrà parlare di uno sfatto e maldestro residuo di discepolato carducciano 111 . 109 È opportuno citare per intero nel contesto originario il brano, con cui il sag-gio di Eliot si conclude: «Abbiamo bisogno di una digestione che assimili insieme Omero e Flaubert; abbiamo bisogno (come ha incominciato Pound) di uno studio accurato degli umanisti e dei traduttori del Rinascimento. Abbiamo bisogno di un occhio che possa vedere il passato al suo posto con le sue definite differenze dal presente, e, tuttavia in modo così vivo, che esso sia tanto presente a noi come il presente. Questo è l’occhio creativo; ed è per il fatto che il professor Murray non ha istinto creativo che lascia Euripide lì, proprio morto». 110 Eliot 1920 (1946), 142-143: «Negli ultimi anni del diciannovesimo secolo e fino ad oggi, i classici han perduto il loro posto di pilastri del sistema politico-socia-le […]. Se i classici devono sopravvivere e giustificare se stessi, come letteratura, come elementi del pensiero europeo, come fondamento per la letteratura che spe-riamo di creare, sono proprio sfortunati per il bisogno che hanno di persone capaci di chiarirli. Se di Aristotele si può dire che è stato un pilota morale dell’Europa, noi abbiamo bisogno di qualcuno […] che ci spieghi come sia materia vitale per noi il rinunciare o no a tale pilota. E abbiamo bisogno di un gruppo di poeti colti che abbiano, almeno, opinioni sul dramma greco, e se esso sia o no di qualche utilità per noi. Si deve dire che il professor Gilbert Murray non è l’uomo adatto per ciò. I poeti greci non avranno il più insignificante effetto di sollecitazione per la poesia inglese, se appariranno solamente travestiti in un volgare avvilimento dell’idioma troppo risentitamente personale di Swinburne». 111 Anceschi 1946, 32 n. 1: discorso che, Anceschi tiene a precisare, «non si rife-risce ad un letterato di bella educazione e di civilissimo spirito, come il Valgimigli»Per l’Anceschi del 1945, come per quello del 1940 e parimenti del 1951 (e poi sempre), la risposta alle illeggibili e a tratti grottesche traduzioni di Fraccaroli e di Romagnoli 112 venne dai Lirici greci di Quasimodo, frutto di «acuto, inatteso, e ormai da molti anni pressoché desueto contatto tra l’antico e il contemporaneo» 113 , fonte di poesia nuova e antica a un tempo: proprio l’opera cioè implicito (e di lì a poco esplicito) obiettivo polemi-co di Gentili, in quanto espressione più nota e fortunata di quel ‘lirismo novecentesco’ che indebitamente assimilò alle proprie categorie critiche ed estetiche la realtà incommensurabilmente altra della lirica greca, pie-gandola alle attese e ai gusti del moderno lettore. Riscoperto da Anceschi a sostegno di una resa dei classici antichi affine a quella operata da Quasi-modo con i lirici greci, Euripides and Professor Murray è invece evocato da Gentili come alleato contro gli «arbitrari travestimenti» realizzati da traduzioni quale quella di Quasimodo. Lo si nota non per ossessione ‘fon-tistica’ 114 o gusto della minuzia paradossale, ma come indizio – insieme a tanti altri più rilevanti – del ruolo che nei decenni centrali del Novecento la versione quasimodea dei Lirici ebbe, come presenza immanente e come termine di confronto positivo o negativo, non solo nel mondo letterario italiano, ma anche in quello filologico e accademico 115 . Nel caso di Gentili una tale presenza e un tale confronto dovettero sin da giovane caricarsi di più intense risonanze, quando si pensi che la prima (e pressoché unica) re-censione dei Lirici greci di Quasimodo ad opera di un grecista accademico fu di Gennaro Perrotta, nell’ottobre 1940. Dimenticata dopo la guerra in 112 Ottime in proposito le osservazioni di U. Albini, Prefazione , in Perrotta – Al-bini 1972, V : «Le due traduzioni dei lirici greci che hanno contrassegnato la prima parte del Novecento sono opera di G. Fraccaroli ed E. Romagnoli, due studiosi di seria dottrina, impegnati nello sforzo di rievocare la bellezza e la grandezza dei classici antichi […]. Si voleva spalancare una grande finestra sul mondo antico, offrire le chiavi di un mondo paradigmatico, richiamare al passato come premessa e garanzia per l’avvenire. Se le riprendiamo in mano oggi, tali versioni si rivelano sconfortantemente indecifrabili. Lessico, movenze, stilemi ci sono estranei, ignoti, quasi…». 113 Dall’introduzione di Anceschi del 1951 ora in Quasimodo 2004, 324. 114 Pare certo che Gentili sia giunto al saggio di Eliot attraverso Anceschi, che lo propose al pubblico italiano, e di cui nel saggio poche righe più avanti è del resto citata l’introduzione all’edizione 1951 dei Lirici greci . Ancora nella postuma Premessa di L. Anceschi, Brevi parole, su un modo del tradurre a Mariotti 2001, le versioni di Mariotti sono lodate come «ben lontane dalle effusioni floreali del prof. Murray, non meno che da quelle di certi nostri professori-poeti», e si ha un interessante ricordo personale delle «traduzioni dai Frammenti dei tragici greci [1925] che lessi ai tempi del liceo, lontane ormai, ma non dimenticate, di Mario Untersteiner, un traduttore che rimase esente dalle rumorose, eccitate, e un poco illusionistiche euforie degli esuberanti traduttori liberty del suo tempo». 115 Anche in questo senso non è fuori luogo osservare, come più volte fece Marcello Gigante, che «la traduzione dei Lirici greci ha conquistato un posto ben definito nella storia degli studi classici ragione della sede in cui fu pubblicata 116 , la recensione di Perrotta non si limitò a rilevare errori e spropositi della traduzione («Bella cosa, se Quasi-modo sapesse un po’ meglio il greco!»), ma soprattutto seppe cogliere nell’impresa di Quasimodo quella di «un poeta, un modernissimo poeta che vuol tradurre i lirici greci modernamente, e riesce così a conservare ad essi la semplicità antica»: da contemporaneo Perrotta comprese cioè il ‘novecentismo’ dei Lirici greci , la loro pertinenza (come Anceschi dirà del «classicismo post-simbolista» di Eliot) a «una zona di dignità anticamente moderna, di classiche aspirazioni, che è movimento proprio a gran parte dell’Europa civile tra gli anni 1919-1939» 117 .Sono osservazioni utili, credo, a contestualizzare e meglio valutare l’attenzione, pur critica, che Gentili spesso manifestò verso i Lirici greci quasimodei nonché verso significato e influsso nella cultura italiana del Novecento di quella modalità di accesso alla poesia greca. Nel saggio di Gentili compreso nell’annata 1972 de «Il Verri» alle versioni di Quasimo-do dai lirici è accostato il Pindaro di Leone Traverso, cioè la traduzione delle odi e di una scelta di frammenti che il grecista e germanista L. Tra-verso (1910-1968) aveva pubblicato nel 1961 per Sansoni 118 . Va ricordato che sede originaria di Prospettive critiche nell’interpretazione della cul-tura greca dell’età dei lirici fu l’imponente numero in due tomi di «Studi Urbinati» (1971) per intero dedicato a ospitare Studi in onore di Leone Traverso 119 , con Dedica di Carlo Bo, di cui è altresì presente il saggio La cultura europea in Firenze negli anni ’30 . Vi si rievoca il clima degli anni di formazione fiorentina di Traverso, poi professore di Lingua e letteratura tedesca nell’Ateneo urbinate, tra i giovani poeti e scrittori (Bo, Bigongia-ri, Luzi, Macrí) che raccolti intorno a «Il Frontespizio» e a «Letteratura» diedero vita all’esperienza dell’ermetismo, prima di tutto come esigenza di apertura a una cultura di carattere europeo e organicamente volta perciò alla traduzione 120 : «anni lontanissimi dove la poesia era una sorta di religio- 116 Si tratta de «Il Bargello. Foglio d’ordini della Federazione fiorentina dei Fasci di combattimento», periodico cui collaborarono molti giovani intellettuali anche vicini all’ermetismo. La recensione ai Lirici greci è comunque segnalata nelle bibliografie di Perrotta in Studi Perrotta 1964, 663 e in Perrotta 1978, 397; sul tema vd. Benedetto 2012, 40 sgg. e passim . 117 Anceschi 1946, 21; ricordo in proposito il recente, ricco catalogo Mazzocca 2013. 118 Traverso – Grassi 1961. 119 Gentili 1971. 120 Cfr. Bo 1971 (in origine conferenza pronunciata a Firenze nel 1967); nel I tomo è l’ampio saggio di Macrí 1971, dove particolare attenzione è riservata alla rigorosa formazione filologica classica di Traverso («addetto, nella distribuzione dei nostri compiti generazionali, alla specula ellenico-germanica»), alla sua ammi-razione per Perrotta e alla intrinsichezza con Pasquali, alla lunga consuetudine con Pindaro, letto e tradotto «non con un rifacimento o rimpasto contemporaneizzante di tipo idealistico pseudostoricistico (poesia e non poesia, ciò che è vivo e ciò chene e la critica sposava le stesse passioni e le stesse ricerche dei poeti» 121 . Già coinvolto in una polemichetta con Quasimodo ( duce Lavagnini) ancor prima dell’uscita dei Lirici greci , intorno all’interpretazione di ὤρα come giovinezza nel famoso fr. 94 Diehl di Saffo ( Tramontata è la luna ) 122 , Tra-verso fu uno dei primi recensori dell’opera, su «Primato» dell’1 luglio 1940. Pur notando qualche «arbitrio» e «difetto» nella resa del greco, sin dall’ incipit egli aderisce alla scelta effettuata sui lirici («perfettamente adeguata al gusto del nostro tempo»), alla sua modalità e ispirazione: Tralasciati i pezzi gnomici e oratorii o comunque ristretti al giro d’una polemica occasionale (Callino, Tirteo, Focilide,Teognide, Solone, Senofane, ecc.) e insieme le manifestazioni illustri – a prima vista un po’ estranee al nostro spirito – di poeti considerati, ma non sempre a ragione, come ufficiali quali Pindaro e Bacchilide – egli isola di quella poesia una zona che più evidente offre il carattere di una «pu-rezza» rarissima in tutte le civiltà letterarie. (E l’ha aiutato efficacemente in questa selezione anzitutto lo stato in cui più di frequente furono tramandate quelle reliquie – naturalmente per ragioni diversissime dalle sue: frammentario) 123 . Forse memore di quei lontani trascorsi, e certamente del retroterra erme-tico di Traverso, Gentili assimila Lirici greci di Salvatore Quasimodo e Pin-daro di Leone Traverso come «prove più rappresentative di un’esperienza letteraria intesa come problema d’immagini, d’invenzione linguistica, di ricerca di stile». Mentre in Quasimodo la «vera “fedeltà” di traduttore è nella libertà del movimento linguistico e ritmico» con il conseguente scarso valore attribuito al reale rapporto originale-traduzione 124 , l’assai più ricca è morto, ecc.) ma di colpo, al centro e al cuore dell’assoluto e del sublime pindari-co, che fu operazione tipica della critica ermetica nel contatto con l’opera d’arte»: notandosi inoltre che «non diverso (pur computata la diversità della preparazione filologica) fu il possesso della lirica greca da parte di Quasimodo». In una vivace intervista del novembre 1981 O. Macrí ebbe a ricordare Traverso all’inizio degli anni Trenta come parte «del primissimo gruppo pre-ermetico al caffè San Marco […] infusi del demone delle letterature straniere», insieme naturalmente a Carlo Bo, che «venne alla Facoltà di Lettere fiorentina per seguire gli studi classici, poi ci ripensò e divertì sulla letteratura francese, maestro Luigi Foscolo Benedetto, anche di Luzi» (Tabanelli 1986, 65). 121 Sono parole a proposito di Quasimodo e degli anni Trenta da un articolo di Carlo Bo, Ma dove va la poesia? , apparso sul «Corriere della Sera» dell’11 marzo 1987, ora in Bo 1994, 1610. 122 I testi della disputa, avvenuta su «Corrente di vita giovanile» del 29 febbraio 1940, sono ora disponibili in Benedetto – Greggi – Nuti 2012, 138-140. 123 Traverso 1940; la recensione è ora ripubblicata in Benedetto – Greggi – Nuti 2012, 143-144. Di fronte alle versioni di Quasimodo anche a Traverso, come a tutti i primi recensori, «preme anzitutto riconoscere la validità di poesia italiana, indipendente, che ne risulta». 124 E quindi, come da molti è stato osservato, «il tradurre diviene un momento essenziale del poetare Sent from the all new AOL app for iOStrama letteraria e filologica sottesa, nonché l’influsso di Hölderlin traduttore di Pindaro e di Sofocle, ha come effetto in Traverso un maggiore rispetto «per gli usi della lingua greca che per lo spirito della propria lingua», con il paradossale scivolare «in una sorta di ermetismo di scrittura che rende inintelligibile il senso e in un preziosismo linguistico che tradisce l’impegno della trasparenza anche se il calco raggiunga in qualche caso la fedeltà auspicata» 125 . Pur tra loro sotto molti aspetti differenti, le versioni di Quasimodo e di Traverso sono agli occhi di Gentili accomunate dall’inadeguatezza a riproporre «la totalità umana e artistica dei lirici greci», vittime della loro stessa ricerca di una «fedeltà emotiva» incapace di rendere l’attuale lettore consapevole della distanza che lo separa da quegli antichi e frammenta-ri testi. Allora e per i successivi decenni della sua intensissima attività scientifica, di filologo e di traduttore, la risposta scelta da Gentili fu ri-nunciare a soffermarsi sul «problema teorico, e in un certo senso ozioso, della traducibilità o intraducibilità in assoluto», e invece, per così dire ‘fenomenologicamente’, «investire sul piano prammatico il problema del-la traducibilità» 126 . Si tratta di pagine di grande rilievo, dove sono indi-viduate priorità e finalità concernenti «il discorso della traducibilità dei lirici, dei modi e delle tecniche del tradurre», nel rifiuto dell’assunzione a modelli di specifiche poetiche del tradurre, affermando l’impossibilità di «prescindere dalle reali situazioni di cultura del mondo contemporaneo e dalle richieste che al traduttore pone il lettore moderno», e definendo esigenze di vasto e pur rigoroso valore comunicativo, destinate (come già si è visto) a essere ribadite e di continuo inverate nel lavoro di Gentili dei decenni a venire: Una poetica non astratta e irreale, non prefigurata su schemi di modelli già espe-riti, ma una poetica aperta del tradurre che si costruisca gli strumenti adeguati a una maggiore portata di comunicazione e riproponga il problema del tradurre dai 125 Gentili 1972, 23-24. Le considerazioni a proposito di Traverso, e delle tra-duzioni di Hölderlin come «esempi mostruosi» di fedeltà all’originale, torneranno in B. Gentili, Introduzione , a Gentili – Angeli Bernardini – Cingano – Giannini 1998 2 , LXVIII . 126 Gentili richiama in nota «il pregevolissimo saggio» di Mattioli 1965, com-preso nel numero speciale Classicità e contemporaneità , dove anche si aveva la fondamentale prolusione urbinate Aspetti del rapporto poeta, committente, uditorio nella lirica corale greca . Il saggio di Mattioli si conclude con alcune considera-zioni di tipo teorico, a partire dalla convinzione che «la soluzione univoca (tra-ducibilità assoluta o intraducibilità assoluta che sia) nega il concreto del vissuto», e che perciò risposta sul piano teorico non si può dare ma «il problema si risolve soltanto in un contesto prammatico», cioè sul piano delle molteplici risposte della storia. Alla tradizionale domanda ‘si può tradurre?’ Mattioli propone di sostituire domande quali ‘come si traduce?’ e ‘che senso ha il tradurre?’, cioè «sostituire alla domanda di tipo metafisico la domanda di tipo fenomenologico» greci non nei limiti dei vecchi modelli privilegiati della traduzione letteraria e della traduzione poetica, ma nella prospettiva più ampia di quella idea cui aspira l’et-nografia contemporanea della traduzione come comunicabilità fra culture, visioni del mondo, strutture linguistiche, sistemi grammaticali diversi e distanti nel tempo […]. Poiché fedeltà alla poesia o fedeltà alla qualità letteraria è un problema che investe la comprensione totale del testo, non soltanto di tutte le sue connotazioni, dei suoi registri linguistici e metrici […] ma anche di tutta la realtà extralinguistica e situazionale dell’enunciato poetico 127 . Senza passare dettagliatamente in rassegna l’intero saggio, bastino al-cuni richiami a temi che in futuro variamente continueranno ad occupa-re Gentili. Così l’interrogarsi su una versificazione italiana adeguata alla complessa struttura metrica delle strofe di Pindaro e di Bacchilide conduce Gentili a sostenere la preferibilità del verso libero delle grandi odi dannun-ziane 128 , finanche segnalando le possibilità aperte dal «verso “dinamico” e “atonale” della poesia dei Novissimi», e in effetti nell’antologia Lirica corale greca del 1965 lo stesso Gentili aveva tentato «di risolvere il movi-mento dei metri simonidei con le tecniche metriche della poesia contem-poranea dei Novissimi» 129 : va detto che un profondo interesse per le strut-ture metriche della poesia italiana soprattutto ottocentesca e novecentesca sin dall’inizio caratterizzò i «Quaderni Urbinati di Cultura Classica» 130 . La 127 Gentili 1972, 25. Sono affermazioni che ritorneranno, insieme a parte dell’intero saggio, nell’ Appendice II. La traduzione dai lirici. Alcune osservazioni sul problema del tradurre in Gentili1984 (2006 4 ), 313-320 (e cfr. anche supra n. 2). 128 Si ricordi la scelta del verso libero per la traduzione delle Pitiche , con l’os-servazione che «le grandi odi delle Laudi del D’Annunzio, particolarmente il verso libero della Laus vitae , scandito da strofe di 21 versi, offrono sotto il profilo tecnico un modello esemplare di versificazione per l’esuberante dovizia delle forme ritmi-che, tali da riecheggiare […] i molteplici schemi della metrica pindarica» (Gentili, Introduzione , a Gentili – Angeli Bernardini – Cingano – Giannini 1998 2 , LXIX - LXX ); e si ricordi altresì la lunga citazione da Maia , con l’apparizione del «monarca de-gli Inni», al principio dell’ Introduzione alla postrema fatica Gentili – Catenacci – Giannini – Lomiento 2013. 129 Lo rileva Bernardini 1966, 144. In àmbito diverso ma non estraneo si tenga presente, dello stesso Gentili, l’importante e innovativo lavoro Cultura dell’im- provviso. Poesia orale colta nel Settecento italiano e poesia greca dell’età arcaica e classica (Gentili 1980), poi riproposto in altre sedi: nella conclusione si esprime vivo interesse per esperienze contemporanee quali «l’affermarsi, in America, di un’avanguardia poetica, che si definisce “postmoderna” e trae il suo alimento dai contributi sulla poesia orale forniti, in questi ultimi decenni, non solo dall’antropo-logia culturale, ma anche e soprattutto dalla più autorevole filologia classica ameri-cana, rappresentata dagli studi del Parry, del Lord e dell’Havelock» (poi in Gentili 1984 [2006 4 ], 29-30). 130 Già nel primo numero si ha l’articolo di Pinchera 1966, 92-127, che si apre lamentando l’effetto negativo sulle «indagini critiche relative alla storia delle forme metriche» prodotto dalla «dittatura culturale esercitata per vari decenni in Italia da Benedetto Croce».riflessione sull’eclissarsi nel secondo dopoguerra del neoumanesimo di W. Jaeger è occasione per evocare il contemporaneo «crollo dell’esperienza critica crociana», la cui presenza più autorevole nel settore della classicità e più coerente con l’orientamento crociano è riconosciuta in G. Perrotta, particolarmente per Saffo e Pindaro (1935) 131 . Circa la più generale posi-zione critica del maestro, Gentili tiene a mettere in rilievo che «pur ade-rendo senza riserve al canone dell’interpretazione estetica dei lirici, aveva tuttavia saldissime basi filologiche e storiche, non era in altri termini una critica del gusto», giacché il crocianesimo operava in lui come una sorta di sovrastruttura, sul tronco più vi-tale di quella viva metodologia critica introdotta in Italia da Giorgio Pasquali, che portava in sé già latenti i fermenti di un approccio linguistico, psicologico e antro-pologico alla cultura classica: la ricerca filologica costituiva soltanto il momento preliminare e necessario di un’indagine il cui fine era l’intelligenza del mondo an-tico nella viva concretezza della sua cultura 132 . Nel prosieguo del contributo, Gentili brevemente si sofferma sull’innova- tivo apporto soprattutto degli indirizzi di Dodds e di Vernant allo studio della cultura greca arcaica, infine indicando il problema cardine della ricerca sulla cultura e la poesia di quell’età «nel corretto rapporto tra livello sincronico e livello diacronico della ricerca», il che è stimolo per accennare alle note riserve verso gli studi pindarici di E. L. Bundy, e poi di D. C. Young. Ad essi Gentili rimprovera un’analisi limitata ai soli aspetti sincronici delle strutture linguistiche e formali, tale da precludere «la possibilità di comprendere gli aspetti situazionali ed extralinguistici della performance della lirica pindarica». Alcuni anni dopo, più ampia- mente e duramente Gentili assocerà a questa nuova critica «il fastidio che suscita inevitabilmente un’analisi soltanto formale, intesa a repe-rire le costanti intertestuali, senza riguardo all’articolazione dei singoli contesti ed alla impostazione ideologica dei diversi autori» 133 : è per noi interessante il confronto lì istituito con «quella critica estetica che ebbe in Italia come suo massimo esponente G. Perrotta», a tutto vantaggio 131 In nota è menzionato il contemporaneo saggio su Saffo di M. Valgimigli (1933), «da noi la prova più rilevante di una critica del gusto permeata di evoca-zioni e suggestioni letterarie della cultura italiana fra i due secoli». Significativo è, nella stessa nota, il richiamo invece favorevole all’intonazione anticlassicistica dei frammenti dal saggio di Serra Intorno al modo di leggere i Greci pubblicati da E. Raimondi nel numero de «Il Verri» 1965 su Classicità e contemporaneità ; si consi-deri anche che del 1965, in occasione del cinquantenario della morte, è il saggio di Carlo Bo La religione di Serra , poi accolto nel volume La religione di Serra e altre note di lettura , Firenze 1967. 132 Gentili 1972, 30. Su crocianesimo e Pasquali in Perrotta, analoghe espressio-ni vent’anni dopo in Gentili 1996, 12. 133 Su questi temi vd. poi almeno Gentili 1984 (2006 4 ), 156-157dell’approccio del maestro, «una critica estetica che non è puro estetismo impressionistico ed intuizionistico, ma una critica del gusto corroborata da un’acuta sensibilità storica» 134 . L’articolo del 1972 si chiude confer-mandosi come «proposta di una diversa lettura dei lirici, che recuperi nella storicità delle relazioni fra poeta e uditorio il significato originario del loro messaggio». Una proposta di cui si tiene a sottolineare il caratte-re antidogmatico, inteso a rispondere alle esigenze critiche del presente: «Ma, di là da una falsa pretesa di un equivoco oggettivismo metasto-rico, essa non presume di essere definitiva. Al contrario, consapevole del divenire storico della critica, si affianca alle precedenti proposte, già esperite, in una modalità di lettura più coerente con l’orizzonte culturale del nostro tempo» 135 .Assai più dei due precedenti interventi accolti su «Il Verri», nel 1965 e nel 1970, Prospettive critiche nell’interpretazione della cultura greca dell’età dei lirici è attento al tema della traduzione, e alle ricadute delle varie correnti critiche del Novecento su teoria e prassi delle traduzioni dai lirici greci. Al ‘piano prammatico’ e all’impostazione ‘aperta’ della traduzione, di taglio antropologico, Gentili rimarrà fedele, ulteriormente approfondendo la riflessione negli anni, sì da scorgere nel traduttore «uno “sciamano” che non conosce confini sino al punto da divenire un altro da sé e di cogliere il momento puntuale in cui significante e significato si compenetrano» 136 , nella fedeltà alla «norma dannunziana di avvicinare il lettore all’opera e non viceversa» 137 . La presenza di contributi di Gentili 134 Gentili 1979b; sul conflitto tra gli indirizzi di E. L. Bundy e della scuola ur-binate di B. Gentili, le considerazioni di Lehnus 1988. Ampia analisi delle posizioni di Bundy e di Young, con frequenti richiami a Perrotta e in nome (come noto) della riproposizione di una ‘lettura estetica’ degli epinici, è nel lavoro di Bonelli 1987, con ricca bibliografia. 135 Gentili 1972, 38. Analogamente, e fenomenologicamente, si concludeva il già citato Mattioli 1965, 128: «Altre risposte (traduzioni e idee del tradurre) segui-ranno in futuro per le quali sarebbe arbitrario stabilir regole o far previsioni come lo sarebbe per l’arte del futuro», e perciò «a questo punto si può fermare il discorso, non solo perché si presenta come abbozzo di una futura ricerca, ma anche perché i discorsi conclusi in questo àmbito di studi sono palesemente insensati». Si veda già Mattioli 1963 per la proposta di «una impostazione fenomenologica della ricer-ca», considerata particolarmente necessaria e opportuna nel campo dell’antichità classica proprio in ragione dello «scacco che ha ricevuto il tentativo, compiuto in Italia, di trasportare sic et simpliciter l’estetica crociana nella interpretazione delle letterature classiche». 136 Gentili, Introduzione , a Gentili – Angeli Bernardini – Cingano – Giannini 1998 2 , LXIV . 137 Così in Gentili 2002, dove anche è ricordato il giudizio di Perrotta 1935, 97, per il quale D’Annunzio fu «non solo il traduttore ideale di Pindaro, ma il poeta italiano che meglio di tutti ha saputo riecheggiarne l’arte, intendendola pienamen-te». Più positivo si fa nel citato articolo il giudizio sulla traduzione pindarica di L. Traversosu «Il Verri» non andrà oltre i primi anni ’70 138 , ma sino alla vigilia del-la morte di Anceschi (maggio 1995) durarono i rapporti epistolari, come oggi sappiamo grazie alla pubblicazione dei diari riferiti agli ultimi anni del professore bolognese 139 , che molte volte sino agli estremi suoi giorni continuò a tornare con il pensiero alla traduzione di Quasimodo dei Lirici greci e al suo significato storico e culturale 140 .A quella stessa seconda metà degli anni ‘60 fecondissima di idee e di propositi appartiene il numero d’avvio dei «Quaderni Urbinati di Cultura Classica» (1966), come espressione del Centro di studi sulla lirica gre-ca e sulla metrica greca e latina diretto da Bruno Gentili e connesso al CNR. Un effettivo riesame dell’attività scientifica di Gentili comportereb-be una sistematica rilettura non solo dei contributi e degli interventi del direttore dei Quaderni ma più in generale delle principali linee di ricerca espresse dalla rivista, del loro permanere, mutare ed evolvere nel corso di cinquant’anni. Mi limiterò a richiamare due contributi di Gentili su Saffo ospitati nei «Quaderni Urbinati di Cultura Classica» a distanza di oltre quarant’anni l’uno dall’altro, per così dire ai due poli cronologici dei Qua-derni di Bruno Gentili. Il primo è La veneranda Saffo , del 1966 141 , che 138 Sino a Gentili – Cerri 1973: sull’importanza dell’articolo per successivi lavo-ri di Gentili sulla storiografia antica vd. Angeli Bernardini 2013, 16. 139 Oltre a un cenno in un’annotazione del 3-5 settembre 1989 («Eccellente scritto di Bruno Gentili sulla “Repubblica”. Lo riporto integralmente. Ancora una volta acu-te considerazioni sulla oralità – e sulla situazione degli studi umanistici», cfr. Diari Anceschi 2006, 109), si veda soprattutto quella del 2 gennaio 1993 («Lettera molto lusinghiera di Bruno Gentili. Conosco l’ironia, ed è tale da non accettare ambiguità. Ecco un uomo che dice quello che pensa», cfr. Diari Anceschi/2 2006, 9). Nell’Ar-chivio Anceschi presso la Biblioteca dell’Archiginnasio di Bologna sono conservate 26 lettere di Bruno Gentili: cfr. Campagna 1998, 513; si tratta della presenza più am-pia per un filologo classico, insieme a M. Barchiesi (parimenti 26 lettere), del quale sulla rivista anceschiana vd. Plauto e il “metateatro” antico (Barchiesi 1969), con la premessa: «sulla tentazione erudita […] prevalse l’idea di tenere aperto, in perfetta modestia, il discorso su quello che è più che mai il nostro tema cruciale, e che può designarsi con la formula stessa del “Verri”, “classicità e contemporaneità”». 140 Così l’11 marzo 1995, a meno di due mesi dalla morte: «Con Quasimodo ho avuto una frequentazione amichevole molto prolungata e, mi pare, serena aperta ai problemi con vivi impulsi di collaborazione e di conoscenza. Certo sono passati tanti anni; per altro, l’affetto del ricordo non diminuisce. Quale che sia la forza della mia vita letteraria, per me si è trattato di un risvolto capitale […]. La traduzione dei Lirici Greci fu una esperienza radicale alle origini, che ci portò a rivivere il proble-ma del tradurre come un problema fondamentale della poesia. Da quel momento la discussione è aperta, e mi pare con qualche frutto, mi pare anche che in questo senso l’impulso continui. Penso che questa esperienza nel mettere in rilievo tanti motivi della relazione complessa tra traduzione e poesia – sia, o almeno sia per quel che mi riguarda, costitutiva di un modo di vedere che continua ad operare» ( Diari Anceschi/2 2006, 92). 141 Gentili 1966 (confluito in forma abbreviata nel cap. XII di Gentili 1984 [2006 4prende spunto dal famoso fr. 384 V. (verosimilmente) di Alceo ἰόπλοκ’ ἄγνα μελλιχόμειδε Σάπφοι, forse (si è supposto) «l’ incipit di un car-me dedicato all’illustre concittadina» 142 . Era il frammento cui s’era volto Perrotta dopo aver espresso il proprio rifiuto verso «la soluzione dei Wel- cker e dei Wilamowitz» a difesa della ‘purezza’ di Saffo: Molto meglio, per chi voglia davvero intendere e onorare Saffo, ricordare il fram-mento di Alceo che dice (63 D.): «Saffo pura, dal dolce sorriso, dal crine di viola». L’omaggio devoto dell’insolente cavaliere di Lesbo basta a farci sicuri che né bia-simi né malignità aduggiarono mai la vita mortale di Saffo. Altro non è da ricercare: non si può pretendere di giudicare con le nostre idee moderne, né giudicare una donna di Lesbo con i pregiudizi di un Ateniese […]. Ognuno vede quanto sarebbe ingiusto rimproverare alla poetessa i suoi amori per le amiche, mentre nessuno rimprovererà al suo compatriota e contemporaneo Alceo gli amori per Lico. Ma più importa questo: Saffo è soprattutto una poetessa, anzi è soltanto una poetessa per noi; soltanto la sua poesia noi dobbiamo giudicare, e soltanto in essa noi possiamo trovare la sua immagine. Ora, alla sua poesia possiamo accostarci con animo puro: essa è pura, perché poesia, e altissima poesia 143 . Al passo, per molti aspetti paradigmatico dell’interpretazione perrottia-na di Saffo, Gentili non fa diretto riferimento, rifacendosi invece all’ultimo articolo di Walter Ferrari, l’allievo prediletto di Pasquali «inviato come as-sistente di Perrotta a Roma ma morto assai giovane nel 1940» 144 . Se merito dell’intervento di Ferrari era stato sottrarre l’interpretazione dell’epiteto ἄγνα all’àmbito della «castità profana» 145 , caro a «tutte le mitiche specula-zioni sulla purezza degli amori di Saffo» e a tutte le «moderne idealizzazioni della sua poesia» 146 , dimostrandone invece il senso arcaico «limitato esclu-sivamente alla sfera del sacro», d’altra parte – rileva Gentili – l’indagine di Ferrari sfociava in una idealizzazione di Saffo sostanzialmente coerente «con l’orientamento critico di stretta osservanza crociana prevalente in quei tempi», rappresentato al meglio dal Saffo e Pindaro di Perrotta, «scritto appena cinque anni prima» 147 . Nel varare la fortunata avventura dei «Qua-derni Urbinati di Cultura Classica», dalla ‘purezza’ di Saffo Gentili decide 142 Degani – Burzacchini 2005, 241. 143 Perrotta 1935, 31. 144 Canfora 2005, 216. 145 L’articolo di Ferrari era ricordato a proposito del «significato di ἀγνός» anche nella I edizione di Polinnia , 202 ad loc . 146 «Questo verso famoso, che sarà da attribuire ad Alceo, è innocentemente responsabile di tutte le mitiche speculazioni (soprattutto da noi) sulla personalità di Saffo che poeti, critici e filologi ci hanno somministrato a partire dalla Saffo “dal riso morbido, dall’ondeggiante | crin di viola” del Carducci sino alla casta Saffo del Valgimigli»: così Gentili l’anno prima, in occasione del rifacimento della sezione su Alceo per l’edizione di Polinnia del 1965, 224 (anche in Gentili – Catenacci 2007a, 196). 147 Gentili 1966, 37-38di prendere le mosse: da quello stesso frammento, si può aggiungere, scelto ad introdurre la sezione su Saffo nei Lirici greci di Quasimodo («o coro-nata di viole, divina / dolce ridente Saffo»). In conformità ai principî deli-neati nel saggio dell’anno precedente Aspetti del rapporto poeta, commit-tente, uditorio nella lirica corale greca , dove si poneva in primo piano la necessità per il moderno lettore di comprendere la funzione e il fine proprio del carme lirico, il senso dell’apostrofe è rintracciato attenendosi «al senso reale del contesto alcaico», così leggendo nel saluto di Alceo «un reverente omaggio alla dignità sacrale della poetessa quale ministra d’Afrodite», con precisa allusione «alla funzione religioso-sociale nell’ambito del tiaso» 148 . L’inveterato tema degli amori di Saffo è radicalmente riesaminato alla luce di carattere, aspetti, scopi del tiaso saffico «nelle sue giuste proporzioni storiche e sociali anche mediante l’apporto di analoghe esperienze di altre culture». Il riconoscimento dell’esistenza nella dinamica del tiaso di «pre-cise “unioni” per così dire ufficiali fra le ragazze» tali da non escludere «probabilmente un rapporto di tipo matrimoniale» è posto da Gentili in relazione a una testimonianza di Simone de Beauvoir circa la presenza a Singapore e a Canton ancora in anni recenti «di molte comunità femminili che nelle convenzioni e nelle pratiche di culto sembrano ripetere antichi modelli culturali molto simili a quelli delle comunità della Lesbo arcaica», e cioè «des lesbiennes reconnues […] se marient entre elles et adoptent des enfants». Gentili offre qui un geniale esempio di «interpretazione dei lirici greci arcaici nella dimensione del nostro tempo», come suonerà il ti-tolo dell’intervento al congresso di Bonn del settembre 1969: al di là di eventuali dubbi circa la sostenibilità del confronto, comunque verosimile, conta mettere in luce l’efficacissima reazione ermeneutica che lega antico e contemporaneo illuminando entrambi. Né manca l’apertura sul futuro, quando si pensi in che misura a distanza di pochi decenni in molti Paesi oc-cidentali quegli antichi modelli culturali si siano concretizzati nella rifles-sione giuridica, nella legislazione e nella prassi sociale. Esempio forse tra i più chiari di quanto i classici, e il rinnovamento della loro interpretazio- ne, abbiano contribuito a porre lontane, e meno lontane, basi della (post)moderna sexual revolution 149 , con tutte le forzature e gli arbitrî propri di tali ardui e complessi intrecci di tempi e di culture. Dell’attenzione di Gen- 148 Gentili 1966, 46 sgg. Importanti in quest’àmbito anche i numerosi contributi ospitati nei «Quaderni Urbinati di Cultura Classica» a proposito di significato e contesto del partenio di Alcmane, a partire soprattutto da Gentili 1976 (poi rifuso nel cap. VI Le vie di Eros nella poesia dei tiasi femminili e dei simposi in Gentili 1984 [2006 4 ]); sul più ampio tema delle iniziazioni femminili l’assai più recente volume Gentili – Perusino 2002. 149 In luogo di rifarmi alla sovrabbondante bibliografia anglosassone in proposi-to, spesso ideologicamente determinata, ricordo il capitolo Klassieken en seksuele vrijheid nel bel libro di Veenman 2009, 273-291: con particolare riferimento a una cultura, quale quella dei Paesi Bassi, cui in differenti epoche, sino alle più recentitili a questi temi e alle loro ricadute e implicazioni, è infine testimonianza Saffo ‘politicamente corretta’ , l’articolo del 2007 (in collaborazione con C. Catenacci) dove la ribadita posizione critica che ammette la presenza nei carmi saffici di elementi avvaloranti la pratica dell’omoerotismo in àmbito iniziatico e paideutico 150 è volta a contrastare «una nutrita serie di lavori ispirati ai gender studies » di recente diffusisi soprattutto negli (e dagli) Stati Uniti, e intesi a sostenere che «Saffo non si rivolgeva a giovinette, ma a sue coetanee in una forma di libera attrazione omosessuale, e non svolgeva nessun ruolo né paideutico né religioso all’interno del gruppo». Un corag-gioso intervento, di grande valore metodologico e rilevanza storiografica, per il quale una tale Saffo politically correct va respinta, al pari della Saffo otto-novecentesca votata alla purezza, giacché «rappresentazione astorica e forgiata su istanze manifestamente attualizzanti» 151 .Nel quadro del crescente interesse nei «Quaderni Urbinati di Cultura Classica» dell’ultimo ventennio per questioni di storia e metodologia degli studi classici, alcuni anni fa apparve un articolo di C. Miralles, dal titolo The use of classics today , aperto dall’indubbia constatazione «the huma-nities are losing ground and classical studies are in retreat» 152 . Al di là dei suggerimenti proposti, e dell’enorme differenza di tempi e condizioni, torna in mente «il vigile e costante impegno a dare un senso di attualità ai nostri studi» caro a Perrotta, da Gentili più volte ricordato nelle com-memorazioni del maestro. Nel salutare la recente rinnovata edizione di Polinnia è stato giustamente e autorevolmente rilevato che «in tanto rin-novamento, Gentili e la sua scuola non hanno dimenticato né che la poesia greca si può avvicinare solo attraverso la storia e la filologia, né che essa ha comunque uno straordinario valore estetico. Gentili non ha rinnegato le sue radici, semplicemente da esse è nato un albero capace di produrre fiori non prevedibili all’inizio – se Perrotta sarebbe contento di lui? Difficile dirlo» 153 . Forse, e per molti motivi, si può azzardare una risposta positiva. Giovanni Benedetto si devono determinanti apporti nell’elaborazione di teoria e prassi della moderna sessualità ‘liberata’, Veenman mostra quanto soprattutto negli ultimi due secoli «i classici hanno aiutato a capire e denominare l’omosessualità» («de klassieken hielpen homoseksualiteit te begrijpen en te benoemen»). 150 Gentili – Catenacci 2007b; circa la storia della fortuna e della ricezione di Saffo mi limito a rinviare alle incisive osservazioni di Most 1996. 151 Va detto che in generale la critica più recente sembra avvertire una quantità crescente di aporie circa il significato del contesto comunitario, il gruppo ristretto e omogeneo tradizionalmente attribuito a Saffo, il ‘tiaso’, e torna ad osservare che «mentre nel caso di Alceo la dimensione di gruppo ristretto è evidente e spiega ade-guatamente gran parte – se non la totalità – della sua poesia, nel caso di Saffo è più difficile da delineare senza rischiare attualizzazioni indebite» (Michelazzo 2007). 152 Miralles 2009, in partic. 23-24. 153 Bettini 2010, 336Albini 1963 = U. 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Tuesday, March 22, 2022
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