#vico
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#griceevico
Vico (Napoli). “Si potrebbe presentare la storia ulteriore del pensiero come un
ricorso delle idee del Vico” (Benedetto Croce, La filosofia di Giambattista
Vico, Laterza, Bari) Giambattista Vico, filosofo. Molte delle notizie riguardanti
la vita di Vico sono tratte dalla sua Autobiografia, scritta sul modello letterario
delle Confessioni di di Agostino. Dall’autobiografia Vico cancella ogni
riferimento ai suoi interessi giovanili per le dottrine atomistiche e per il
pensiero cartesiano, che avevano cominciato a diffondersi a Napoli, ma vennero
subito repressi dalla censura delle autorità civili e religiose, che le
consideravano moralmente perniciose e contrari all'Indice dei libri proibiti.
Nato a Napoli da una famiglia di modesta estrazione sociale – il padre, Antonio
Vico, era un povero libraio, mentre la madre, Candida Masulla, era figlia di un
lavorante di carrozze – Vico fu un bambino molto vivace, ma, a causa di una
caduta si procurò una frattura al cranio che gli impedì di frequentare la
scuola per tre anni e che, pur non alterando le sue capacità mentali,
quantunque “il cerusico ne fe' tal presagio: che egli o ne morrebbe o arebbe
sopravvissuto stolido,” contribuì a sviluppare “una natura malinconica ed
acre.” Ammesso agli studi di grammatica presso il Collegio Massimo dei Gesuiti,
li abbandonò intorno per dedicarsi al privato approfondimento dei testi di
Paolo Veneto, il quale, tuttavia, rivelandosi superiore alle sue capacità,
provoca l'allontanamento dall'attività intellettuale per un anno e mezzo.
Ripresa la via degli studi, Vico si recò nuovamente dai gesuiti per seguire le
lezioni di Ricci, ma, rimasto ancora una volta insoddisfatto, si appartò
nuovamente a vita privata per affrontare la metafisica. Successivamente, per
secondare il desiderio paterno, Vico fu “applicato agli studi legali.” Frequentò
per circa due mesi le lezioni private di Verde, si iscrisse alla facoltà di
giurisprudenza, senza tuttavia seguirne i corsi, e si cimentò, come di
consueto, in privati studi di diritto. Conseguita la laurea in a Salerno, si
appassionò subito ai problemi filosofici,, segno “di tutto lo studio che aveva
egli da porre all'indagamento de' princìpi del diritto universal.” Lapide nella
casa natale di via San Biagio dei Librai che recita, “in questa cameretta
nacque il XXIII giugno MDCLXVIII Giambattista Vico. Qui dimorò fino ai diciassette
anni e nella sottoposta piccola bottega del padre libraio usò passare le notti
nello studio. Vigilia giovanile della sua opera sublime. La città di Napoli
pose.” Il periodo di tempo intercorrente fu denominato dell' “autoperfezionamento.”
Difatti, nonostante l'Autobiografia riporti indietro la data d'inizio del suo
magistero, svolse attività di precettore dei figli del marchese Domenico Rocca
presso il castello di Vatolla nel Cilento e colà, usufruendo della grande
biblioteca padronale, ebbe modo di studiare il platonismo italiano (Ficino e
Pico). Approfondisce gli studi aristotelici, nonostante la dichiarata
avversione per Aristotele e la Scolastica. Legge le opere di Botero e di Bodin,
scoprendo al contempo Tacito (che diverrà un maestro cui s'ispirerà la sua
filosofia) e la sua “mente metafisica incomparabile con cui contempla l'uomo
qual è.” Affronta per un breve periodo studi di geometria e pubblica la canzone
“Affetti di un disperato,” d'ispirazione lucreziana. Erma del Vico Ritornato a
Napoli nell'autunno del 1695, all'età di ventisette anni, affetto dalla tisi,
rientra nella misera dimora paterna. A causa delle grosse difficoltà
economiche, Vico è costretto a tenere ripetizioni di retorica e grammatica.
Durante l'anno 1696 pubblica un discorso proemiale a una crestomazia poetica
dedicata alla partenza di Francisco de Benavides, viceré spagnolo e conte di
Santo Stefano. Compone un'orazione funebre in memoria di Catalina de Aragón y
Cardona, madre del nuovo viceré, e nel dicembre del medesimo anno, tenta
vanamente di ottenere un posto di lavoro come segretario al Municipio di
Napoli. Nel gennaio 1699 vince, con striminzita maggioranza, il concorso per la
cattedra di eloquenza e retorica presso l'Università di Napoli, da cui non
riuscì, con suo grande rammarico, a passare a una di diritto. -- è aggregato
all'Accademia Palatina fondata dal viceré Luis Francisco de la Cerda y Aragón,
duca di Medinaceli. Anche dopo la nomina accademica per il mantenimento del
padre e dei fratelli, totalmente dipendenti da lui, deve aprire uno studio
privato dove dà lezioni di retorica e di grammatica elementare, e impegnarsi a
lavorare su commissione alla stesura di poesie, epigrafi, orazioni funebri,
panegirici, ecc. Nel 1699 può finalmente prendere in affitto in vicolo
dei Giganti una casa di «tre camere, sala, cucina, loggia e altre comodità,
come rimessa e cantina» e prendere in moglie la giovane donna, Teresa Caterina
Destito dalla quale ebbe otto figli. Da quel momento non avrà più la
tranquillità necessaria per condurre gli studi, ma proseguirà ugualmente le sue
meditazioni «tra lo strepitio de' suoi figlioli». A questo periodo risale,
inoltre, la conoscenza col filosofo Paolo Mattia Doria e l'incontro con il
pensiero del Bacone. Nel 1703 il governo partenopeo commissiona al Vico la
scrittura del Principum neapolitanorum coniuratio e in una cena a casa del
Doria, espone le sue idee sulla filosofia della natura che lo condurranno, fra
il novembre e il dicembre del medesimo anno, alla composizione del perduto
Liber physicus. Pronunzia in latino le sei Orazioni inaugurali, ossia le
prolusioni all'anno accademico (che al tempo iniziava il 18 ottobre), e,
durante il 1708, se ne aggiunge una settima, più ampia e importante, recante il
titolo di De nostri temporis studiorum ratione, la quale si concentra molto sul
metodo degli studi giuridici, poiché «il Vico sempre aveva la mira a farsi
merito con l'università nella giurisprudenza per altra via che di leggerla ai
giovinetti». Nel De ratione, inoltre, è contenuta la critica al razionalismo
cartesiano e l'elogio dell'eloquenza, della retorica, della fantasia, nonché
dell'«ingegno» produttore di metafore. L'insieme delle prolusioni
universitarie sono rielaborate per essere raccolte in un unico volume mai
pubblicato, dal titolo di De studiorum finibus naturae humanae convenientibus. È
aggregato, dal 1710, all'Accademia dell'Arcadia e, nel novembre, pubblica il
primo libro dell'opera dedicata al Doria, De antiquissima italorum sapientia ex
linguae latinae originibus eruenda, recante il sottotitolo Liber primus sive
metaphysicus. Accanto al Liber metaphysicus l'opera vichiana avrebbe dovuto
comprendere anche il perduto Liber physicus e un mai composto Liber moralis. Un
anonimo recensisce l'opera nel Giornale de' letterati d'Italia del 1711, cui
seguirà la Risposta del Vico, accompagnata dal «ristretto» (un riassunto) del
Liber metaphysicus. Aseguito di nuove obiezioni prodotte dall'anonimo
recensore, Vico replica con una Seconda risposta. Pubblica un trattatello
perduto sulle febbri ispirato alle bozze del Liber physicus, recante il titolo
di De aequilibrio corporis animantis, e, inoltre, si dedica alla stesura del De
rebus gestis Antonii Caraphaei, una biografia del maresciallo Antonio Carafa,
che vedrà la luce. Durante i lavori dell'opera biografica del maresciallo
Carafa, Vico si dedica alla rilettura del suo quarto «auttore», l'olandese Ugo
Grozio, cui dedicherà, nel 1716, un perduto commento al De iure belli ac pacis.
La produzione filosofica della maturità: dal Diritto universale alla Scienza
nuova Scienza nuova seconda. L'incontro di Vico con la filosofia di «Ugon
capo» ebbe un'importanza decisiva per il suo sviluppo intellettuale, poiché da
quel momento il suo interesse sarà completamente assorbito dai problemi
giuridici e storici. L'idea dell'esistenza di un'umanità ferina e primitiva,
dominata solamente dal senso e dalla fantasia, ed entro cui si producono gli
«ordini civili» divenne centrale in tutto il pensiero vichiano. Nel luglio 1720
vide la luce un'opera di filosofia del diritto, intitolata De uno universi
iuris principio et fine uno, seguita dallo scritto De constantia
iurisprudentis, diviso in due parti (De constantia philosophiae e De constantia
philologiae), e che, nonostante il titolo si riferisca alla tematica giuridica,
è meno incentrato sull'argomento rispetto al De uno. Benché le due opere del
1720 e del 1721 si differenzino, segno di un rapido sviluppo del pensiero
vichiano, è d'uso considerarli, come invero fece anche il Vico, insieme alle
Notae aggiunte e le Sinopsi premesse al testo, sotto l'unico titolo di Diritto
universale. S'iscrisse al concorso per ottenere la cattedra «matutina» di
diritto civile presso l'Università di Napoli e il successivo 24 aprile commentò
un passo delle Quaestiones di Papiniano davanti a un collegio di giudici, ma,
con suo grande scorno, il posto fu assegnato a un tal Domenico Gentile. Dopo la
fama ottenuta dalla pubblicazione della Scienza Nuova, ottenne dal re Carlo III
di Borbone, la carica di storiografo regio. Tanto nuova era la sua dottrina che
la cultura del tempo non poté apprezzarla: così che Vico rimase appartato e
quasi del tutto sconosciuto negli ambienti intellettuali, dovendosi
accontentare di una cattedra di secondaria importanza all'Università napoletana
che lo manteneva inoltre in tali ristrettezze economiche che per pubblicare il
suo capolavoro, la Scienza Nuova, dovette toglierne alcune parti in modo che
risultasse meno costoso per la stampa. Alle difficoltà economiche vissute per
la pubblicazione dell'opera sua, che inficiarono la notorietà del Vico nel seno
dell'Accademia partenopea, s'accompagna una prosa involuta, pertanto di
difficile penetrazione. Prima della Scienza Nuova Vico aveva scritto la
prolusione inaugurale De nostri temporis studiorum ratione, il De antiquissima
Italorum sapientia, ex linguae latinae originibus eruenda ("L'antichissima
sapienza delle popolazioni italiche, da rintracciare nelle origini della lingua
latina") a cui si devono aggiungere le due Risposte al "Giornale dei
letterati di Venezia" che aveva criticato il suo pensiero, il De uno
universi iuris principio et fine uno (1720) e il De costantia iurisprudentis. Nello
stesso anno della pubblicazione della Scienza Nuova, Vico, afflitto da
difficoltà e disgrazie familiari, incominciò a scrivere la sua Autobiografia
pubblicata a Venezia. Vengono pubblicati i Principj di una Scienza Nuova
intorno alla natura delle nazioni, più conosciuta con il titolo abbreviato di
Scienza Nuova. Alla "Scienza Nuova" Vico lavorò per tutto il corso
della sua vita, con un'edizione integralmente riscritta nel 1730 anche a
seguito delle critiche ricevute (cui aveva risposto nelle Vici Vindiciae) e,
infine, rivista completamente, senza grandi modifiche, per la terza edizione
del 1744, pubblicata pochi mesi dopo la sua morte da suo figlio Gennaro che lo
aveva sostituito nell'insegnamento accademico. La morte «[incominciarono a
crescere] quei malori che fin dai suoi più floridi anni l’avevano debilitato.
Cominciò adunque ad essere indebolito in tutto il sistema nervoso in guisa che
a stento poteva camminare e, quel che più lo affligea, era di vedersi ogni
giorno infiacchire la reminiscenza....Il fiaccato corpo del saggio vecchio andò
in seguito ogni giorno più a debilitarsi in guisa che aveva perduto quasi
interamente la memoria fino a dimenticare gli oggetti a sé più vicini ed a
scambiare i nomi delle cose più usuali...]» Affetto probabilmente dalla
malattia di Alzheimer, all'epoca non ancora descritta scientificamente, negli
ultimi anni non riconosceva più i suoi stessi figli e fu costretto ad
allettarsi. Solo in punto di morte riacquistò la coscienza come svegliandosi da
un lungo sonno; chiese i conforti religiosi e recitando i salmi di Davide morì.
Per la celebrazione delle esequie nacque un contrasto tra i confratelli della
congregazione di Santa Sofia, alla quale Vico era iscritto, e i professori
dell'Università di Napoli su chi dovesse tenere i fiocchi della coltre
mortuaria. Non giungendo ad un accordo il feretro, che era stato calato nel
cortile, fu abbandonato dei membri della Congregazione e fu riportato in casa.
Da lì finalmente, accompagnato dai colleghi dell'Università, fu sepolto nella
chiesa dei padri dell'oratorio detta dei Gerolamini in Via dei Tribunali. Il
pensiero Nell'ambiente culturale napoletano, molto interessato alle nuove
dottrine filosofiche, Vico ebbe modo di entrare in rapporto con il pensiero di
Cartesio, Hobbes, Gassendi, Malebranche e Leibniz anche se i suoi autori di
riferimento risalivano piuttosto alle dottrine neoplatoniche, rielaborate dalla
filosofia rinascimentale, aggiornate dalle moderne concezioni scientifiche di
Francesco Bacone e Galileo Galilei e del pensiero giusnaturalistico moderno di
Grozio e Selden. Dal neostoicismo cristiano di Malvezzi Vico riprende
l'intuizione che il corso storico sia retto da una sua logica interna. Questa
varietà di interessi farebbe pensare alla formazione di un pensiero eclettico
in Vico che invece giunse alla formulazione di un'originale sintesi tra una
razionalità sperimentatrice e la tradizione platonica e religiosa. De
antiquissima Italorum sapientia Frontespizio del De antiquissima Italorum
sapientia Statua di Giambattista Vico nella Villa Comunale di Napoli Il
De antiquissima doveva constare di tre parti: il Liber metaphysicus, che uscì senza
l'appendice riguardante la logica che, nell'intenzione di Vico, avrebbe dovuto
avere; il Liber Physicus, che Vico pubblica sotto forma di opuscolo col titolo
De aequilibrio corporis animantis nel 1713, che andò smarrito, ma ampiamente
riassunto nella Vita; e infine il Liber moralis, di cui Vico non abbozzò
nemmeno il testo. Nel De antiquissima Vico, considerando il linguaggio come
oggettivazione del pensiero, è convinto che dall'analisi etimologica di alcune
parole latine si possano rintracciare originarie forme del pensiero: applicando
questo originale metodo, Vico risale ad un antico sapere filosofico delle primitive
popolazioni italiche. Il fulcro di queste arcaiche concezioni filosofiche è la
convinzione antichissima che Latinis verum et factum reciprocantur, seu ,
ut scholarum vulgus loquitur, convertuntur. Per i Latini il vero e il fatto sono
reciproci, ossia, come afferma il volgo delle scuole, si scambiano di posto che
cioè il criterio e la regola del vero consiste nell'averlo fatto. Per cui
possiamo dire ad esempio di conoscere le proposizioni matematiche perché siamo
noi a farle tramite postulati, definizioni, ma non potremo mai dire di
conoscere nello stesso modo la natura perché non siamo noi ad averla
creata. Conoscere una cosa significa rintracciarne i principi primi, le
cause, poiché, secondo l'insegnamento aristotelico, veramente la scienza è
«scire per causas» ma questi elementi primi li possiede realmente solo chi li
produce, «provare per cause una cosa equivale a farla». Le obiezioni a
Cartesio Il principio del verum ipsum factum non era una nuova e originale
scoperta di Vico ma era già presente nell'occasionalismo, nel metodo baconiano
che richiedeva l'esperimento come verifica della verità, nel volontarismo
scolastico che, tramite la tradizione scotista, era presente nella cultura
filosofica napoletana del tempo di Vico. La tesi fondamentale di queste
concezioni filosofiche è che la piena verità di una cosa sia accessibile solo a
colui che tale cosa produce; il principio del verum-factum, proponendo la
dimensione fattiva del vero, ridimensiona le pretese conoscitive del
razionalismo cartesiano che Vico inoltre giudica insufficiente come metodo per
la conoscenza della storia umana, che non può essere analizzata solo in
astratto, perché essa ha sempre un margine di imprevedibilità. Vico però
si serve di quel principio per avanzare in modo originale le sue obiezioni alla
filosofia cartesiana trionfante in quel periodo. Il cogito cartesiano infatti
potrà darmi certezza della mia esistenza ma questo non vuol dire conoscenza
della natura del mio essere, coscienza non è conoscenza: avrò coscienza di me
ma non conoscenza poiché non ho prodotto il mio essere ma l'ho solo
riconosciuto. «L'uomo, egli dice, può dubitare se senta, se viva, se sia
esteso, e infine in senso assoluto, se sia; a sostegno della sua argomentazione
escogita un certo genio ingannatore e maligno...Ma è assolutamente impossibile
che uno non sia conscio di pensare, e che da tale coscienza non concluda con
certezza che egli è. Pertanto Renato (René Descartes) svela che il primo vero è
questo: "Penso dunque sono"» (Giambattista Vico, De
antiquissima Italorum sapientia in Opere filosofiche a cura di Paolo Cristofolini,
Firenze, Sansoni) Il criterio del metodo cartesiano dell'evidenza procurerà
dunque una conoscenza chiara e distinta, che però per Vico non è scienza se non
è capace di produrre ciò che conosce. In questa prospettiva, dell'essere umano
e della natura solo Dio, creatore di entrambi, possiede la verità. Mentre
quindi la mente umana procedendo astrattamente nelle sue costruzioni, come
accade per la matematica, la geometria crea una realtà che le appartiene,
essendo il risultato del suo operare, giungendo così a una verità sicura, la
stessa mente non arriva alle stesse certezze per quelle scienze di cui non può
costruire l'oggetto come accade per la meccanica, meno certa della matematica,
la fisica meno certa della meccanica, la morale meno certa della fisica.
«Noi dimostriamo le verità geometriche poiché le facciamo, e se potessimo
dimostrare le verità fisiche le potremmo anche fare.” Mente umana e mente
divina. I latini diceno che la mente è data, immessa negli uomini dagli dei. È
dunque ragionevole congetturare che gli autori di queste espressioni abbiano
pensato che le idee negli animi umani siano create e risvegliate da Dio [...]
La mente umana si manifesta pensando, ma è Dio che in me pensa, dunque in Dio
conosco la mia propria mente (De antiquissima) Il valore di verità che l'uomo
ricava dalle scienze e dalle arti, i cui oggetti egli costruisce, è garantito
dal fatto che la mente umana, pur nella sua inferiorità, esplica un'attività
che appartiene in primo luogo a Dio. La mente dell'uomo è anch'essa creatrice
nell'atto in cui imita la mente, le idee, di Dio, partecipando metafisicamente
ad esse. L'ingegno Imitazione e partecipazione alla mente divina
avvengono ad opera di quella facoltà che Vico chiama ingegno che è «la facoltà
propria del conoscere...per cui l'uomo è capace di contemplare e di imitare le
cose». L'ingegno è lo strumento principe, e non l'applicazione delle regole del
metodo cartesiano, per il progresso, ad esempio, della fisica che si sviluppa
proprio attraverso gli esperimenti escogitati dall'ingegno secondo il criterio
del vero e del fatto. L'ingegno dimostra, inoltre, i limiti del conoscere
umano e la contemporanea presenza della verità divina che si rivela proprio
attraverso l'errore: «Dio mai si allontana dalla nostra presenza, neppure
quando erriamo, poiché abbracciamo il falso sotto l'aspetto del vero e i mali
sotto l'apparenza dei beni; vediamo le cose finite e ci sentiamo noi stessi
finiti, ma ciò dimostra che siamo capaci di pensare l'infinito.»
(Giambattista Vico, De antiquissima, 6) Il sapere metafisico Contro lo
scetticismo Vico sostiene che è proprio tramite l'errore che l'uomo giunge al
sapere metafisico: «Il chiarore del vero metafisico è pari a quello della
luce, che percepiamo soltanto in relazione ai corpi opachi...Tale è lo
splendore del vero metafisico non circoscritto da limiti, né di forma
discernibile, poiché è il principio infinito di tutte le forme. Le cose fisiche
sono quei corpi opachi, cioè formati e limitati, nei quali vediamo la luce del
vero metafisico (De antiquissima) Il sapere metafisico non è il sapere in
assoluto: esso è superato dalla matematica e dalle scienze ma, d'altro canto,
«la metafisica è la fonte di ogni verità, che da lei discende in tutte le altre
scienze. Vi è dunque un primo vero, comprensione di tutte le cause, originaria
spiegazione causale di tutti gli effetti; esso è infinito e di natura
spirituale poiché è antecedente a tutti i corpi e che quindi si identifica con
Dio. In Lui sono presenti le forme, simili alle idee platoniche, modelli della
creazione divina. «Il primo vero è in Dio, perché Dio è il primo facitore
(primus Factor); codesto primo vero è infinito, in quanto facitore di tutte le
cose; è compiutissimo, poiché mette dinanzi a Dio, in quanto li contiene, gli
elementi estrinseci e intrinseci delle cose» (Giambattista Vico, De
antiquissima Italorum sapientia in Opere filosofiche a cura di P.Cristofolini,
Firenze, Sansoni) La Scienza Nuova Frontespizio della terza edizione
della Scienza Nuova Se l'uomo non può considerarsi creatore della realtà
naturale ma piuttosto di tutte quelle astrazioni che rimandano ad essa come la
matematica, la stessa metafisica, vi è tuttavia un'attività creatrice che gli
appartiene «questo mondo civile egli certamente è stato fatto dagli
uomini, onde se ne possono, perché se ne debbono, ritruovare i principi dentro
le modificazioni della nostra medesima mente umana» (Giambattista Vico
Scienza Nuova, terza ediz., libro I, sez. 3) La storia creatrice L'uomo è
dunque il creatore, attraverso la storia, della civiltà umana. Nella storia
l'uomo verifica il principio del verum ipsum factum creando così una scienza
nuova che avrà un valore di verità come la matematica. Una scienza che ha per
oggetto una realtà creata dall'uomo e quindi più vera e, rispetto alle
astrazioni matematiche, concreta. La storia rappresenta la scienza delle cose
fatte dall'uomo e, allo stesso tempo, la storia della stessa mente umana che ha
fatto quelle cose. Filosofia e "filologia" La definizione dell'uomo,
della sua mente non può prescindere dal suo sviluppo storico se non si vuole
ridurre tutto a un'astrazione. La concreta realtà dell'uomo è comprensibile
solo riportandola al suo divenire storico. È assurdo credere, come fanno i
cartesiani o i neoplatonici, che la ragione dell'uomo sia una realtà assoluta,
sciolta da ogni condizionamento storico. «La filosofia contempla la
ragione, onde viene la scienza del vero; la filologia osserva l'autorità
dell'umano arbitrio onde viene la coscienza del certo...Questa medesima degnità
(assioma) dimostra aver mancato per metà così i filosofi che non accertarono le
loro ragioni con l'autorità de'filologi, come i filologi che non curarono
d'avverare la loro autorità con la ragion dei filosofi» (Giambattista
Vico Ibidem Degnità X) Ma la filologia da sola non basta, si ridurrebbe a una
semplice raccolta di fatti che invece vanno spiegati dalla filosofia. Tra
filologia e filosofia vi deve essere un rapporto di complementarità per cui si
possa accertare il vero e inverare il certo. Le leggi della 'scienza
nuova' Compito della 'scienza nuova' sarà quello di indagare la storia alla
ricerca di quei principi costanti che, secondo una concezione per certi versi
platonizzante, fanno presupporre nell'azione storica l'esistenza di leggi che
ne siano a fondamento com'è per tutte le altre scienze: «Poiché questo
mondo di nazioni egli è stato fatto dagli uomini, vediamo in quali cose hanno
con perpetuità convenuto e tuttavia vi convengono tutti gli uomini; poiché tali
cose ne potranno dare i principi universali ed eterni, quali devon essere
d'ogni scienza, sopra i quali tutte sursero e tutte vi si conservano le
nazioni. Ibidem, libro I, sez. 3) La storia quindi, come tutte le scienze,
presenta delle leggi, dei principi universali, di un valore ideale di tipo
platonico, che si ripetono costantemente allo stesso modo e che costituiscono
il punto di riferimento per la nascita e il mantenimento delle nazioni.
L'eterogenesi dei fini e la Provvidenza storica Rifarsi alla mente umana per
comprendere la storia non è sufficiente: si vedrà, attraverso il corso degli
avvenimenti storici, che la stessa mente dell'uomo è guidata da un principio
superiore ad essa che la regola e la indirizza ai suoi fini che vanno al di là
o contrastano con quelli che gli uomini si propongono di conseguire; così
accade che, mentre l'umanità si dirige al perseguimento di intenti
utilitaristici e individuali, si realizzino invece obiettivi di progresso e di
giustizia secondo il principio della eterogenesi dei fini. «Pur gli
uomini hanno essi fatto questo mondo di nazioni...ma egli è questo mondo, senza
dubbio, uscito da una mente spesso diversa ed alle volte tutta contraria e
sempre superiore ad essi fini particolari ch'essi uomini si avevan
proposti» (Giambattista Vico Ibidem, Conclusione) La storia umana in
quanto opera creatrice dell'uomo gli appartiene per la conoscenza e per la
guida degli eventi storici ma nel medesimo tempo lo stesso uomo è guidato dalla
Provvidenza che prepone alla storia divina. I corsi storici Secondo Vico
il metodo storico dovrà procedere attraverso l'analisi delle lingue dei popoli antichi
«poiché i parlari volgari debono essere i testimoni più gravi degli antichi
costumi de' popoli che si celebrarono nel tempo ch'essi si formarono le
lingue», e quindi tramite lo studio del diritto, che è alla base dello sviluppo
storico delle nazioni civili. Questo metodo ha fatto identificare nella
storia una legge fondamentale del suo sviluppo che avviene evolvendosi in tre
età: l'età degli dei, «nella quale gli uomini gentili credettero vivere
sotto divini governi, e ogni cosa esser loro comandata con gli auspici e gli
oracoli»; l'età degli eroi dove si costituiscono repubbliche aristocratiche;
l'età degli uomini «nella quale tutti si riconobbero esser uguali in natura
umana». I bestioni La storia umana, secondo Vico, inizia con il diluvio
universale, quando gli uomini, giganti simili a primitivi "bestioni",
vivevano vagando nelle foreste in uno stato di completa anarchia. Questa
condizione bestiale era conseguenza del peccato originale, attenuata
dall'intervento benevolo della Provvidenza divina che immise, attraverso la
paura dei fulmini, il timore degli dei nelle genti che «scosse e destate da un
terribile spavento d'una da essi stessi finta e creduta divinità del cielo e di
Giove, finalmente se ne ristarono alquanti e si nascosero in certi luoghi; ove
fermi con certe donne, per lo timore dell'appresa divinità, al coverto, con
congiungimenti carnali religiosi e pudichi, celebrarono i matrimoni e fecero
certi figlioli, e così fondarono le famiglie. E con lo star quivi fermi lunga
stagione e con le sepolture degli antenati, si ritrovarono aver ivi fondati e
divisi i primi domini della terra» La civiltà L'uscita dallo stato di ferinità
quindi avviene: per la nascita della religione, nata dalla paura e sulla
base della quale vengono elaborate le prime leggi del vivere ordinato, per
l'istituzione delle nozze che danno stabilità al vivere umano con la formazione
della famiglia e per l'uso della sepoltura dei morti, segno della fede
nell'immortalità dell'anima che distingue l'uomo dalle bestie. Della prima età Vico
sostiene di non poter scrivere molto poiché mancano documenti su cui basarsi:
infatti quei bestioni non conoscevano la scrittura e, poiché erano muti, si
esprimevano a segni o con suoni disarticolati. L'età degli eroi ebbe inizio
dall'accomunarsi di genti che trovavano così reciproco aiuto e sostegno per la
sopravvivenza. Sorsero le città guidate dalle prime organizzazioni politiche
dei signori, gli eroi che con la forza e in nome della ragion di stato,
conosciuta solo da loro, comandavano su i servi che, quando rivendicarono i
propri diritti, si ritrovarono contro i signori che, organizzati in ordini
nobiliari, diedero vita agli stati aristocratici che caratterizzano il secondo
periodo della storia umana. In questa seconda, dove predomina la fantasia,
nasce il linguaggio dai caratteri mitici e poetici. Infine la conquista dei
diritti civili da parte dei servi dà luogo alla età degli uomini e alla
formazione di stati popolari basati sul «diritto umano dettato dalla ragione
umana tutta spiegata». Sorgono quindi stati non necessariamente democratici ma
che possono essere pure monarchici poiché l'essenziale è che rispettino «la
ragione naturale, che eguaglia tutti». La legge delle tre età costituisce
la «storia ideale eterna sopra la quale corrono in tempo le storie di tutte le
nazioni». Tutti i popoli indipendentemente l'uno dall'altro hanno conformato il
loro corso storico a questa legge che non è solo delle genti ma anche di ogni
singolo uomo che necessariamente si sviluppa passando dal primitivo senso nell'infanzia,
alla fantasia nella fanciullezza, e infine alla ragione nell'età adulta:
«Gli uomini prima sentono senza avvertire; dappoi avvertiscono con animo
perturbato e commosso, finalmente riflettono con mente pura»
(Giambattista Vico Scienza Nuova, 3a ediz. Degnità) La verità divina nella
storia Se nella storia pur tra le violenze, i disordini, appare un ordine e un
progressivo sviluppo ciò è dovuto, secondo Vico, all'azione della Provvidenza
che immette nell'agire dell'uomo un principio di verità che si presenta in modo
diverso nelle tre età: nelle prime due età il vero si presenta come certo
«gli uomini che non sanno il vero delle cose procurano d'attenersi al certo,
perché non potendo soddisfare l'intelletto con la scienza, almeno la volontà
riposi sulla coscienza. Scienza Nuova, Degnità IX) Questa certezza non viene
all'uomo attraverso una verità rivelata ma da una constatazione di senso
comune, condivisa da tutti, per cui vi è «un giudizio senz'alcuna riflessione,
comunemente sentito da tutto un ordine, da tutto un popolo, da tutta una
nazione o da tutto il genere umano» La sapienza poetica Vi è poi, nella
seconda età della storia e dell'uomo, caratterizzata dalla fantasia, un sapere
tutto particolare che Vico definisce poetico. In questa età nasce infatti il
linguaggio non ancora razionale ma molto vicino alla poesia che «alle cose
insensate dà senso e passione, ed è proprietà dei fanciulli di prender cose
inanimate tra le mani e, trastullandosi, favellarvi, come se fussero, quelle,
persone vive. Questa degnità filologica-filosofica ne appruova che gli uomini
del mondo fanciullo, per natura, furono sublimi poeti.» Se vogliamo quindi
conoscere la storia dei popoli antichi dobbiamo rifarci ai miti che hanno
espresso nella loro cultura. Il mito infatti non è solo una favola e neppure
una verità presentata sotto le spoglie della fantasia ma è una verità di per sé
elaborata dagli antichi che, incapaci di esprimersi razionalmente, si servivano
di universali fantastici che, sotto spoglie poetiche, presentavano modelli
ideali universali: come fecero ad esempio i Greci antichi che non definirono
razionalmente la prudenza ma raccontarono di Ulisse, modello universale
fantastico dell'uomo prudente. La poesia Vico si dedica poi a definire la
poesia che innanzitutto è autonoma come forma espressiva differente dal
linguaggio tradizionale. I tropi della poesia come la metafora, la metonimia,
la sineddoche ecc. sono stati erroneamente ritenuti strumenti estetici di
abbellimento del linguaggio razionale di base, mentre invece la poesia è una
forma espressiva naturale e originaria i cui tropi sono «necessari modi di
spiegarsi di tutte le prime nazioni poetiche» La poesia ha una funzione
rivelativa, custodisce le prime immaginate verità dei primi uomini; Il
linguaggio non ha quindi un'origine convenzionale perché questo presupporrebbe
un uso tecnico del linguaggio che invece sorge spontaneamente come poesia.
Poiché il linguaggio e i miti costituiscono la cultura originaria e spontanea
di tutto un popolo, Vico arriva alla discoverta del vero Omero che è non il
singolo autore dei suoi poemi ma l'espressione del patrimonio culturale comune
di tutto il popolo greco. È comunque da respingere la interpretazione platonica
di Omero come filosofo, «fornito di una sublime sapienza riposta» «Farsi
intendere da volgo fiero e selvaggio non è certamente (opera) d'ingegno
addomesticato ed incivilito da alcuna filosofia. Né da un animo da alcuna
filosofia umanato ed impietosito potrebbe nascer quella truculenza e fierezza
di stile, con cui descrive tante, sì varie e sanguinose battaglie, tante sì
diverse e tutte in istravaganti guise crudelissima spezie d'ammazzamenti, che
particolarmente fanno tutta la sublimità dell'Iliade» (Giambattista Vico,
Scienza Nuova) Verità e storia La sapienza antica ha per contenuto princìpi di
giustizia e ordine necessari per la formazione di popoli civili. Questi
contenuti si esprimono in modi diversi a seconda che siano formati dal senso o
dalla fantasia o dalla ragione. Questo vuol dire che la sapienza, la verità, si
manifesta in forme diverse storicamente ma che essa come verità eterna è al di
sopra della storia che di volta in volta la incarna. La verità della storia è
una verità metafisica nella storia. Nella storia si attua la mediazione tra
l'agire umano e quello divino: nel fare umano si manifesta il vero divino
e il vero umano si realizza tramite il fare divino: la Provvidenza, legge
trascendente della storia, che opera attraverso e nonostante il libero arbitrio
dell'uomo. Questo non comporta una concezione necessitata del corso della
storia poiché è vero che la Provvidenza si serve degli strumenti umani, anche i
più rozzi e primitivi, per produrre un ordine ma tuttavia questo rimane nelle
mani dell'uomo, affidato alla sua libertà. La storia quindi non è determinata
come sostengono gli stoici e gli epicurei che «niegano la provvedenza, quelli
facendosi strascinare dal fato, questi abbandonandosi al caso», ma si sviluppa
tenendo conto della libera volontà degli uomini che, come dimostrano i ricorsi,
possono anche farla regredire: «Gli uomini prima sentono il necessario;
dipoi badano all'utile; appresso avvertiscono il comodo; più innanzi si
dilettano nel piacere; quindi si dissolvono nel lusso; e finalmente impazzano
in istrapazzar di sostanze. Scienza Nuova, Degnità LXVI) A questa dissoluzione
delle nazioni pone rimedio l'intervento della Provvidenza che talora non può
impedire la regressione nella barbarie, da cui si genererà un nuovo corso
storico che ripercorrerà, a un livello superiore, poiché dell'epoca passata è
rimasta una sia pur minima eredità, la strada precedente.Paradossalmente la
criticità del progresso storico appare proprio con l'età della ragione, quando
cioè questa invece dovrebbe assicurare e mantenere l'ordine civile. Accade
infatti che la tutela della Provvidenza che si è imposta agli uomini nei
precedenti due stadi, ora invece deve ricercare il consenso della «ragione
tutta spiegata» che si sostituisce alla religione: Così "ordenando la
provvedenza" : che non avendosi appresso a fare più per sensi di religione
(come si erano fatte innanzi) le azioni virtuose, facesse la filosofia le virtù
nella lor idea» La ragione infatti, pur con la filosofia, custode della legge
ideale del vivere civile, con il suo libero giudizio, può tuttavia incorrere
nell'errore o nello scetticismo per cui «si diedero gli stolti dotti a
calunniare la verità». La ragione non crea la verità, poiché non può fare
a meno dal senso e dalla fantasia senza le quali appare astratta e vuota. Il
fine della storia infatti non è affidato alla sola ragione ma alla sintesi
armonica di senso, fantasia e razionalità. La ragione poi è ispirata dalla
verità divina per cui la storia è sì opera dell'uomo, ma la mente umana da sola
non basta poiché occorre la Provvidenza che indichi la verità. La filosofia è
succeduta alla religione ma non l'ha sostituita anzi essa deve
custodirla: «Da tutto ciò che si è in quest'opera ragionato, è da
finalmente conchiudersi che questa Scienza porta indivisibilmente seco lo
studio della pietà, e che, se non siesi pio, non si può daddovero esser
saggio» (Giambattista Vico Scienza Nuova, Conclusione) Il giudizio della
filosofia posteriore «Predicavano la ragione individuale, ed egli le opponeva
la tradizione, la voce del genere umano. Gli uomini popolari, i progressisti di
quel tempo, erano Lionardo di Capua, Cornelio, Doria, Calopreso, che stavano
con le idee nuove, con lo spirito del secolo. Lui era un retrivo, con tanto di
coda, come si direbbe oggi. La coltura europea e la coltura italiana s'incontravano
per la prima volta, l'una maestra, l'altra ancella. Vico resisteva. Era vanità
di pedante? Era fierezza di grande uomo? Resisteva a Cartesio, a Malebranche, a
Pascal, i cui Pensieri erano «lumi sparsi», a Grozio, a Puffendorfio, a Locke,
il cui Saggio era la «metafisica del senso». Resisteva, ma li studiava più che
facessero i novatori. Resisteva come chi sente la sua forza e non si lascia
sopraffare. Accettava i problemi, combattea le soluzioni, e le cercava per le
vie sue, co' suoi metodi e coi suoi studi. Era la resistenza della coltura
italiana, che non si lasciava assorbire, e stava chiusa nel suo passato, ma
resistenza del genio, che cercando nel passato trovava il mondo moderno. Era il
retrivo che guardando indietro e andando per la sua via, si trova da ultimo in
prima fila, innanzi a tutti quelli che lo precedevano. Questa era la resistenza
del Vico. Era un moderno e si sentiva e si credeva antico, e resistendo allo
spirito nuovo, riceveva quello entro di sé.» (Francesco De Sanctis, Storia
della letteratura italiana, Morano, Napoli) Fintanto che Vico fu in vita la
portata e la ricezione critica del suo pensiero furono circoscritte quasi
unicamente agli ambienti intellettuali della propria città, trovando poi un ben
più vasto seguito soltanto a quasi due secoli dalla sua stessa morte, tra la
seconda metà dell'Ottocento e il Novecento. Affermatasi la fama del pensiero
vichiano, esso fu conteso dalle più disparate correnti filosofiche: dal
pensiero cristiano (nonostante l'iniziale rifiuto), dagli idealisti (dai quali
fu proclamato precursore dell'immanentismo hegeliano), dai positivisti e persino
da diversi marxisti. Come fa notare il Fassò «Vico è ben più di un semplice
filosofo tanto che in certi momenti della sua travagliatissima fama fu apprezzato
prevalentemente per la sua filosofia del diritto, così come in altri momenti fu
celebrato precursore della sociologia, della psicologia dei popoli, o come
campione fra i maggiori della filosofia della storia, mentre veniva ignorata la
sua pur genialissima metafisica, che è ad un tempo il punto d'arrivo e il
presupposto logico di tutte le ricerche da lui condotte nei più vari campi
dell'operare umano». Il pensiero vichiano, le cui prime fonti s'ispirano alla
tradizione filosofica del Seicento che permeava l'ambiente partenopeo della sua
epoca, rappresenta un ponte fra la cultura secentesca e quella settecentesca. Nonostante
il Vico non sia caratterizzato dall'audacia innovatrice illuminista, il suo
pensiero raggiunse – come nota Abbagnano – «alcuni risultati fondamentali» che
lo connettono a pieno titolo al Settecento. Tuttavia, non può tacersi il
carattere conservatore della filosofia politico-religiosa del Vico, generato
dal turbamento di chi, «assistendo alla fine di un mondo famigliare, non sa
scoprire i segni del sorgere di un nuovo». Ciò è dimostrato dalla
giustapposizione del certo (ossia il peso dell'autorità della tradizione) al
vero (ossia lo sforzo innovatore della ragione) che è il segno di una ricerca
di equilibrio estranea al pensiero illuministico. A tali conclusioni il
pensiero vichiano fu condotto dalla limitatezza della sua gnoseologia e dalla
polemica contro il cartesianesimo, il quale professava, al contrario,
l'eliminazione di ogni limite gnoseologico. Opere: “Sei Orazioni Inaugurali”: “De
nostri temporis studiorum ratione”: “Orazione Inaugurale” “De antiquissima
Italorum sapientia ex linguae latinae originibus eruenda; “Proemium”; “Liber
metaphysicus”; “Risposte al giornale dei letterati Prima risposta”; “Seconda
risposta”; “Institutiones oratoriae”; “De universis Juris”; “De universis juris
uno principio et fine uno liber unus - include “De opera proloquium”; “De
constantia jurisprudentis liber alter”; “ Notae in duos libros, alterum «De uno
universi juris principio et fine uno», alterum «De constantia jurisprudentis”;
“Scienza nuova prima”; “Vici vindiciae”; “Vita di Giambattista Vico scritta da
se medesimo, (l'«Autobiografia» («Supplemento») Scienza nuova seconda, De mente
heroic, Scienza nuova terza. Edizioni: Scritti storici, Giambattista Vico,
Scienza nuova, Scrittori d'Italia, Bari, Laterza,Giambattista Vico, Scienza
nuova seconda. 1, Scrittori d'Italia 112, Bari, Laterza, Giambattista Vico,
Scienza nuova seconda. 2, Scrittori d'Italia, Bari, Laterza, Giambattista Vico,
Opere a cura di Fausto Nicolini, Laterza, Bari, Orazioni inaugurali, De
studiorum rationum, De antiquissima Italorum sapientia, Risposte al giornale
dei letterati; IDiritto universale, Scienza nuova; Scienza nuova, Autobiografia,
Carteggio, Poesie varie; Scritti storici; Scritti vari e pagine disperse; Poesie,
Institutiones oratoriae. Giambattista Vico, Opere filosofiche a cura di Paolo
Cristofolini, Firenze, Sansoni. Giambattista Vico, Opere giuridiche a cura di
Paolo Cristofolini, Firenze, Sansoni. Giambattista Vico, Institutiones
oratoriae, testo critico, versione e commento a cura di Giuliano Crifò, Napoli,
Istituto Suor Orsola Benincasa. Bibliografia critica Il pensiero vichiano
rimase quasi del tutto ignorato dalla cultura europea del XVIII secolo con una
diffusione limitata nell'Italia meridionale. Ancora in età romantica Vico era
poco conosciuto anche se filosofi tedeschi come Johann Gottfried Herder,
chiamato il Vico tedesco, e Hegel presentano delle somiglianze con la dottrina
vichiana per quanto riguarda il ruolo della storia nello sviluppo della
filosofia. La filosofia di Vico comincia ad essere conosciuta e
apprezzata nel clima del romanticismo francese e italiano: François-René de
Chateaubriand e Joseph de Maistre ma, soprattutto Jules Michelet,
Principes de la philosophie de l'histoire, Parigi diffonde il pensiero di Vico
di cui apprezza la concezione della storia come sintesi di umano e
divino. Nella prima metà dell'Ottocento, Auguste Comte e Karl Marx
stimarono la filosofia della storia di Vico ma furono i filosofi italiani, come
Antonio Rosmini, e soprattutto Vincenzo Gioberti, che videro in lui un
maestro. N. Tommaseo, G.B. Vico e il suo secolo, rist. Torino 1930, mette
in evidenza la grande affinità del pensiero vichiano con quello di Gioberti.
Agostino Maria de Carlo, "Istituzione Filosofica secondo i Princìpj di
Giambattista Vico ad uso della gioventù studiosa" - Napoli - Tip. Cirillo
- Nuove interpretazioni basate sul principio vichiano del verum ipsum factum
considerano Vico un anticipatore del positivismo Giuseppe Ferrari, Il
genio di Vico, rist.Carabba, Lanciano Cattaneo, Sulla 'Scienza Nuova' di Vico,
Milano C. Cantoni, Vico, Torino 1967Siciliani, Sul rinnovamento della filosofia
positiva in Italia, Civelli Firenze 1871 Recentemente, viene rivalutato il
legame stringente fra il filosofo e l'Illuminismo: Alberto Donati,
Giambattista Vico. Filosofo dell'Illuminismo, Aracne editrice, 2016. Una spinta
decisiva all'apprezzamento e alla diffusione del pensiero vichiano come
anticipatore di Kant e dell'idealismo, si ebbe in Italia a cominciare dagli
studi di Bertrando Spaventa e De Sanctis iniziatori di quella corrente
dottrinale interpretativa che si ritrova soprattutto in Croce e G. Gentile,
Studi vichiani, Messina, rist. Sansoni Firenze che ne mette in luce le
ascendenze neoplatoniche e rinascimentali rifiutandone nel contempo
l'interpretazione positivista e interpretandone il verum ipsum factum in senso
idealistico. Una forzatura questa, secondo alcuni critici, ripresa da B.
Croce, La filosofia di G.B.Vico, Laterza, Bari che ebbe soprattutto il merito
di aver intuito in Vico una definizione dell'arte come attività autonoma dello
spirito e della visione storicistica dello sviluppo dello spirito da cui Croce
elimina ogni riferimento alla trascendenza della Provvidenza vichiana.
Un'accurata ricerca storica su Vico fu operata dal crociano Fausto
Nicolini, La giovinezza di Vico, Laterza, Bari, Fausto Nicolini, La religiosità
di Vico, Laterza, Bari, Fausto Nicolini, Commento storico alla seconda 'Scienza
Nuova' , Roma, Fausto Nicolini, Saggi vichiani,
Giannini, Napoli, Fausto Nicolini, Giambattista Vico nella vita domestica. La
moglie, i figli, la casa, Editore Osanna Venosa, Contrari all'interpretazione
immanentistica della Provvidenza vichiana sono gli studi di autori cattolici
che ne mettono invece in risalto la trascendenza: E. Chiocchietti, La
filosofia di G. B. Vico, Vita e Pensiero, Milano, F. Amerio, Introduzione allo
studio di Vico, SEI, Torino, L. Bellafiore, La dottrina della Provvidenza in G.
B. Vico, Cedam, Bologna, A. Mano, Lo storicismo di G. B. Vico, Napoli, F.
Lanza, Saggi di poetica vichiana, Ed. Magenta, Varese, Il dibattito tra le
interpretazioni laiche e cattoliche su Vico si è attenuato in periodi recenti
dove lo studio del pensiero vichiano si è dedicato a particolari aspetti della
sua dottrina: G. Fassò, I «quattro auttori» del Vico. Saggio sulla genesi
della Scienza nuova, Milano, Giuffrè, non esistente. G. Fassò, Vico e Grozio,
Napoli, Guida, Maura Del Serra, Eredità e kenosi tematica della
"confessio" cristiana negli scritti autobiografici di Vico, in
Sapientia, sulla concezione della storia ad opera della quale avviene la
conciliazione tra immanenza e trascendenza del pensiero vichiano: A. R.
Caponigri, Time and Idea, Londra-Chicago, trad. it. Tempo e idea, Pàtron,
Bologna, sulla estetica vichiana gli studi più notevoli sono quelli di G. A.
Bianca, Il concetto di poesia in G. B.Vico, D'Anna, Messina, G. Prestipino,
"La teoria del mito e la modernità di G. B. Vico", Annali della facoltà
di Palermo, sugli aspetti giuridici e sociologici:Fabiani, La filosofia
dell'immaginazione in Vico e Malebranche, Firenze, B. Donati, Nuovi studi sulla
filosofia civile di G. B. Vico, Firenze L. Bellafiore, La dottrina del diritto naturale
in G. B. Vico, Milano, D. Pasini, Diritto, società e stato in Vico, Jovene,
Napoli, V. Giannantonio, "Oltre Vico - L'identità del passato a Napoli e
Milano tra '700 e '800, Carabba Editore, Lanciano); G. Leone, [rec. al vol. di]
V. Giannantonio, "Oltre Vico - L'identità del passato a Napoli e Milano
tra '700 e '800, Carabba Editore, Lanciano, in Misure Critiche, n.2, La Fenice
Casa Editrice, Salerno, e in "Forum Italicum", Wehle, Winfried: Sulle
vette di una ragione abissale: Giovambattista Vico e l'epopea di una 'Scienza
Nuova'. In: Battistini, Andrea; Guaragnella, Pasquale (ed.): Giambattista Vico
e l'enciclopedia dei saperi. - Lecce: Pensa multimedia (Mneme; 2) Ferdinand
Fellmann, Das Vico-Axiom: Der Mensch macht die Geschichte, Freiburg/München
1976 Note Benedetto Croce, La filosofia
di Vico, 2ª ed., Bari, Laterza,Maria Consiglia, Napoli, Editoria clandestina e
censura ecclesiastica a Napoli all'inizio del Settecento, in Anna Maria Rao (a
cura di), Editoria e cultura a Napoli nel XVIII secolo. Napoli: Liguori, Francesco
Adorno, Tullio Gregory, Valerio Verra, Storia della filosofia, vol. Editori
Laterza, Giambattista Vico, La scienza nuova (a cura di P. Rossi), Biblioteca
Universale Rizzoli, Giambattista Vico, Giuseppe Ferrari, La scienza nuova (a
cura di Paolo Rossi), Soc. Tip. de' Classici Italiani, B.Cioffi ed altri, I
filosofi e le idee, B. Mondadori, David Armando, Manuela Sanna, "Vico,
Giambattista", Il Contributo italiano alla storia del Pensiero – Politica,
Enciclopedia Italiana Treccani Francesco
Adorno, Tullio Gregory, Valerio Verra, Storia della filosofia, Editori
Laterza); Guido Fassò, Storia della filosofia del diritto. II: L'età moderna,
Editori Laterza, Nicola Abbagnano, Storia della filosofia, Gruppo Editoriale
L'Espresso, Vico, La scienza nuova (a
cura di Paolo Rossi), Biblioteca Universale Rizzoli); Vico, Principj di scienza
nuova, di Giambattista Vico: d'intorno alla comune natura delle nazioni, Volume
1, Francesco d'Amico, Fausto Nicolini,
Giambattista Vico nella vita domestica. La moglie, i figli, la casa, Editore
Osanna Venosa, Giambattista vico, Autobiografia, ed. Nicolini (Bompiani),
Milano, Vico, La scienza nuova (a cura di Paolo Rossi), Biblioteca Universale
Rizzoli, Ugo Grozio, Prolegomeni al diritto della guerra e della pace (a cura
di Guido Fassò), cit.16, Morano Editore, Giambattista Vico, La scienza nuova (a
cura di Paolo Rossi),46, Biblioteca Universale Rizzoli, 2008. Giovanni Liccardo, Storia irriverente di
eroi, santi e tiranni di Napoli. Vico
che si era rivolto inutilmente per sovvenzionare la stampa dell'opera prima al
cardinale Orsini, poi a Papa Clemente XII, fu costretto a vendere un anello per
farla pubblicare. Vico scrisse in seguito che, in fondo, l'accaduto era stato
un bene poiché lo aveva spinto a riscrivere l'opera in maniera più completa.
(Cfr. M.Fubini, G.B.Vico. Autobiografia, Torino Einaudi) M.Fubini, G.B.Vico. Autobiografia, Torino
Einaudi La prima redazione dell'opera, andata perduta, aveva il titolo di
Scienza nuova in forma negativa
L'Autobiografia fu pubblicata postuma nel 1818 ampliata con una modifica
di Vico del 1731. Rivista di studi
crociani, Volume 6, a cura della "Società napoletana di storia
patria", 1969. La fondazione
"Giambattista Vico", voluta da Gerardo Marotta, presidente
dell'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, con sede nella Chiesa di San
Biagio Maggiore di Napoli, si occupa della promozione del pensiero vichiano e
della gestione di alcuni siti vichiani come il castello Vargas di Vatolla
(Salerno) e la Chiesa di San Gennaro all'Olmo in Napoli. Giambattista Vico, Principi di una scienza
nuova d'intorno alla comune natura delle nazioni, a cura di Giuseppe Ferrari,
Società tipografica de' Classici italiani, Milano 1843,479. Silvestro Candela, L'unità e la religiosità
del pensiero di Giambattista Vico, Cenacolo Serafico, 1969, p.35 «Inesatto è altresì che il Vico terminasse di
vivere a più di settantasei anni: per contrario, mancò ai vivi nella notte tra
il 22 e il 23 gennaio e a settantacinque anni e sette mesi precisi. ...» in La
Letteratura italiana: Storia e testi, Giambattista Vico, Ricciardi, 1953. La storia di Giambattista Vico, su
napolitoday. URL consultato il 16 marzo 2017 (archiviato il 16 marzo
2017). Secondo notizie di stampa diffuse
resti della salma di Vico sarebbero stati recuperati nei sotterranei della
chiesa napoletana. (Vedi: Corriere del Giorno: Ritrovata la salma di
Giambattista Vico? I ricercatori vanno cauti Archiviato in Internet Archive.)
La notizia è stata comunque commentata con prudenza dagli esperti. Giambattista Vico, La scienza nuova (a cura
di P. Rossi), Biblioteca Universale
Rizzoli, 2008. Fausto Nicolini, La
giovinezza di Giambattista Vico: saggio biografico, Società editrice Il Mulino,
Croce, Nuovi saggi sul Seicento. Per una silloge di «pensieri» del Malvezzi,
Politici e moralisti del Seicento, ediz. Croce-Caramella, Bari, Laterza,
1930. Vico nel perduto De equilibrio
corporis animantis esponeva una concezione secondo cui «...riponevo la natura
delle cose nel moto per il quale, come se fossero sottoposte alla forza di un
cuneo, tutte le cose vengono spinte verso il centro del loro stesso moto e,
invece, sotto l'azione di una forza contraria, vengono respinte verso
l'esterno; e sostenni anche che tutte le cose vivono e muoiono in virtù di
sistole e diastole». Secondo un'ipotesi di Benedetto Croce e Fausto Nicolini
l'opera era stata concepita come appendice al Liber physicus e fu donata in
forma manoscritta al suo grande amico, il giurista Domenico Aulisio. La
trattazione di quella teoria di ispirazione cartesiana e presocratica venne poi
inserita più ampiamente nella Vita.
Stefania De Toma, Ecco l'origine delle scienze umane: aspetti retorici
di una contesa intorno al De antiquissima italorum sapienti, Bollettino del
Centro di studi vichiani (Roma : Edizioni di storia e letteratura). G.B. Vico, Opere, Sansoni, Firenze, Vico è
considerato da alcuni interpreti del suo pensiero come il primo costruttivista.
Infatti Vico sostiene che l'uomo può conoscere solo ciò che può costruire,
aggiungendo poi che in effetti solo Dio conosce veramente il mondo, avendolo
creato lui stesso. Il mondo quindi è esperienza vissuta e al suo riguardo non
vale per gli uomini alcuna pretesa di verità ontologica. (In Paul Watzlawick,
La realtà inventata, Milano, Feltrinelli)
Per Vico la filologia non è solo la scienza del linguaggio ma anche
storia, usi e costumi, religioni...ecc. dei popoli antichi. L'età degli dei
nella quale gli uomini gentili credettero vivere sotto divini governi, e ogni
cosa esser loro comandata con gli auspici e gli oracoli, che sono le più
vecchie cose della storia profana: l'età degli eroi, nella quale dappertutto
essi regnarono in repubbliche aristocratiche, per una certa da essi rifiutata
differenza di superior natura a quella de' lor plebei; e finalmente l'età degli
uomini, nella quale tutti si riconobbero esser uguali in natura umana, e perciò
vi celebrarono prima le repubbliche popolari e finalmente le monarchie, le
quali entrambe sono forma di governi umane» (G.Vico, Scienza Nuova, Idea
dell'Opera) G.Vico,Scienza Nuova, Idea
dell'Opera Ibidem La ragion di stato «non è naturalmente
conosciuta da ogni uomo ma da pochi pratici di governo» (Ibidem) Ibidem Degnità XXXVII. Sull'immaginazione nei
primitivi secondo la filosofia vichiana si veda: Paolo Fabiani, La filosofia
dell'immaginazione in Vico e Malebranche, La rivendicazione dell'assoluta
autonomia dell'arte e della poesia nei confronti delle altre attività
spirituali fu uno dei meriti che Benedetto Croce riconobbe al pensiero
vichiano. Vico critica tutt'insieme le tre dottrine della poesia come
esortatrice e mediatrice di verità intellettuali, come cosa di mero diletto, e
come esercitazione ingegnosa di cui si possa senza far danno fare a meno. La
poesia non è sapienza riposta, non presuppone logica intellettuale, non
contiene filosofemi: i filosofi che ritrovano queste cose nella poesia, ve le
hanno introdotte essi stessi senza avvedersene. La poesia non è nata per
capriccio, ma per necessità di natura. La poesia tanto poco è superflua ed
eliminabile, che senza di essa non sorge il pensiero: è la prima operazione
della mente umana» (Benedetto Croce, La filosofia di Giambattista
Vico) [qual era quello dei tempi
d'Omero] G.Vico, Scienza Nuova,
Conclusione Nel senso di pietas,
sentimento religioso. Giambattista Vico,
La scienza nuova (a cura di Paolo Rossi) Biblioteca Universale Rizzoli, 2008.
Voci correlate Benedetto Croce Fausto Nicolini Storicismo Filosofia della
storia Filologia. su Treccani – Enciclopedie on line, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana.Fausto Nicolini, Giambattista Vico, in Enciclopedia
Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.Giambattista Vico, in Dizionario
di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2010. Giambattista Vico, su
sapere, De Agostini.Giambattista Vico, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia
Britannica, Inc. Andrea Battistini, Giambattista Vico, in Dizionario biografico
degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.Giambattista Vico, su
BeWeb, Conferenza Episcopale Italiana.Opere di Giambattista Vico, su Liber
Liber.Opere di Giambattista Vico / Giambattista Vico (altra versione) /
Giambattista Vico (altra versione), su openMLOL, Horizons Unlimited srl.Opere
di Giambattista Vico, su Open Library, Internet Archive.Opere di Giambattista
Vico, su Progetto Gutenberg.T. Costelloe, Giambattista Vico, in Edward N.
Zalta, Stanford Encyclopedia of Philosophy, Center for the Study of Language
and Information, Stanford. Alexander Bertland, La Scienza nuova su letteratura
italiana net. Giambattista Vico - Opere*, su bibliotecaitaliana integrali in
più volumi dalla collana digitalizzata "Scrittori d'Italia" Laterza
Paolo Fabiani, La filosofia dell'immaginazione in Vico, su academia.edu.,
Firenze, 2002 Giovanni Pellegrino, 'La concezione della storia di Vico, su centro
studi la runa it. Centro di Studi Vichiani, su Consiglio nazionale delle
ricerche. Fondazione Giambattista Vico, su Fondazione gbvico org. Portale Vico,
su giambattistavico. u treccani., in Il contributo italiano alla storia del
Pensiero – Filosofia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Vico, Principj
di una scienza nuova di Vico: d'intorno alla comune natura delle nazioni, Tip.
di A. Parenti. Itealian
philosopher. Grice: “The Italians revere him so much that his emblem is on one
of their stamps!”“It would be as having Ryle on one of ours!” vico: He is
so beloved by the Italians “that they made a stamp of him.”Grice. cited by H.
P. Grice, “Vico and the origin of language.” Philosopher who founded modern
philosophy of history, philosophy of culture, and philosophy of mythology. He
was born and lived all his life in or near Naples, where he taught eloquence.
The Inquisition was a force in Naples throughout Vico’s lifetime. A turning
point in his career was his loss of the concourse for a chair of civil law. Although
a disappointment and an injustice, it enabled him to produce his major
philosophical work. He was appointed royal historiographer by Charles of
Bourbon. Vico’s major work is “La scienza nuova” completely revised in a second, definitive version.
He published three connected works on jurisprudence, under the title Universal
Law; one contains a sketch of his conception of a “new science” of the
historical life of nations. Vico’s principal works preceding this are On the Study
Methods of Our Time, comparing the ancients with the moderns regarding human
education, and On the Most Ancient Wisdom of the Italians, attacking the
Cartesian conception of metaphysics. His Autobiography inaugurates the
conception of modern intellectual autobiography. Basic to Vico’s philosophy is
his principle that “the true is the made” “verum ipsum factum”, that what is
true is convertible with what is made. This principle is central in his
conception of “science” scientia, scienza. A science is possible only for those
subjects in which such a conversion is possible. There can be a science of
mathematics, since mathematical truths are such because we make them.
Analogously, there can be a science of the civil world of the historical life
of nations. Since we make the things of the civil world, it is possible for us
to have a science of them. As the makers of our own world, like God as the
maker who makes by knowing and knows by making, we can have knowledge per
caussas through causes, from within. In the natural sciences we can have only
conscientia a kind of “consciousness”, not scientia, because things in nature
are not made by the knower. Vico’s “new science” is a science of the principles
whereby “men make history”; it is also a demonstration of “what providence has
wrought in history.” All nations rise and fall in cycles within history corsi e
ricorsi in a pattern governed by providence. The world of nations or, in the
Augustinian phrase Vico uses, “the great city of the human race,” exhibits a
pattern of three ages of “ideal eternal history” storia ideale eterna. Every
nation passes through an age of gods when people think in terms of gods, an age
of heroes when all virtues and institutions are formed through the
personalities of heroes, and an age of humans when all sense of the divine is
lost, life becomes luxurious and false, and thought becomes abstract and
ineffective; then the cycle must begin again. In the first two ages all life
and thought are governed by the primordial power of “imagination” fantasia and the
world is ordered through the power of humans to form experience in terms of
“imaginative universals” universali fantastici. These two ages are governed by
“poetic wisdom” sapienza poetica. At the basis of Vico’s conception of history,
society, and knowledge is a conception of mythical thought as the origin of the
human world. Fantasia is the original power of the human mind through which the
true and the made are converted to create the myths and gods that are at the
basis of any cycle of history. Michelet was the primary supporter of Vico’s
ideas in the nineteenth century; he made them the basis of his own philosophy
of history. Coleridge is the principal disseminator of Vico’s views in England.
James Joyce used the New Science as a substructure for Finnegans Wake, making
plays on Vico’s name, beginning with one in Latin in the first sentence: “by a
commodius vicus of recirculation.” Croce revives Vico’s philosophical thought,
wishing to conceive Vico as the Hegel. Vico’s
ideas have been the subject of analysis by such prominent philosophical
thinkers as Horkheimer and Berlin, by anthropologists such as Edmund Leach, and
by literary critics such as René Wellek and Herbert Read. Refs.: S. N.
Hampshire, “Vico,” in The New Yorker. Luigi Speranza, “Vico alla Villa Grice.” H.
P. Grice, “Vico and language.” vico -- M. Danesi, Metaphor, and the Origin of Language.
Bloomington: Indiana. Serious
scholars of Vico as well as glottogeneticists will find much of value in this
excellent monograph. Vico Studies. A provocative, well-researched argument
which might find reapplication in philosophy." —Theological Book Review. Danesi
returns to Vico to create a persuasive, original account of the evolution and
development of language, one of the deep mysteries of human existence. The
Vico’s reconstruction of the origin of language is described at length, then
evaluated in light of Grice’s philosophical conversational pragmatics.
Glottogenesis Vico’s Reconstruction. The New Science Basic Notions. Language
and the Imagination: Vito’s Glottogenetic Scenario Vico’s Approach
Reconstructing the Primal Scene After the Primal Scence. The Dawn of
Communication: Iconicity and Mimesis Hypotheses The Nature of Iconicity.
Imagery, Iconicity, and Gesture. Iconic Representation. Osmosis Hypothesis
Ontogenesis From Percepts to Concepts The Metaphoricity Metaphor Metaphor and
Concept-Formation Mentation, Narrativity, and Myth The Sociobiological-Computationist
Viewpoint:A Vichian Critique The Vichian Scenario Revisited Revisting the
Genetic Perspective computationism.
Refs.: Luigi Speranza, “Vico e Grice,” Villa Grice. #vico https://www.facebook.com/media/set/?vanity=j.l.speranza&set=a.4421435234535104 #griceevico
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