#velia
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#griceevelia
Grice
e Velia -- Zenone
(Velia). Filosofo. f. senofane, parmenide -- Velia -- (or as Strawson would prefer, Zeno). Sometimes spelt ‘Senone’ "Senone *loved* his native Velia. Vivid evidence of the cultural impact of Senone's arguments
in Italia is to be found in the interior of a red-figure drinking cup (Roma,
Villa Giulia, inv. 3591) discovered in the Etrurian city of Falerii. It
depicts a heroic figure racing nimbly ahead of a large tortoise and has every
appearance of being the first known ‘response’ to the Achilles (or Mercurio,
Ermete) paradox. “Was
‘Senone’ BORN in Velia?”that is the question!”Grice. Italian philosopher, as as such, or as Grice prefers, ‘senone’ --
Zenos paradoxes. “Since Elea is in Italy, we can say Zeno is Italian.”H. P.
Grice. “Linguistic puzzles, in nature.”
H. P. Grice. four paradoxes relating to space and motion attributed to
Zeno of Elea fifth century B.C.: the racetrack, Achilles and the tortoise, the
stadium, and the arrow. Zeno’s work is known to us through secondary sources,
in particular Aristotle. The racetrack paradox. If a runner is to reach the end
of the track, he must first complete an infinite number of different journeys:
getting to the midpoint, then to the point midway between the midpoint and the
end, then to the point midway between this one and the end, and so on. But it
is logically impossible for someone to complete an infinite series of journeys.
Therefore the runner cannot reach the end of the track. Since it is irrelevant
to the argument how far the end of the track is
it could be a foot or an inch or a micron away this argument, if sound, shows that all
motion is impossible. Moving to any point will involve an infinite number of
journeys, and an infinite number of journeys cannot be completed. The paradox
of Achilles and the tortoise. Achilles can run much faster than the tortoise,
so when a race is arranged between them the tortoise is given a lead. Zeno
argued that Achilles can never catch up with the tortoise no matter how fast he
runs and no matter how long the race goes on. For the first thing Achilles has
to do is to get to the place from which the tortoise started. But the tortoise,
though slow, is unflagging: while Achilles was occupied in making up his
handicap, the tortoise has advanced a little farther. So the next thing
Achilles has to do is to get to the new place the tortoise occupies. While he
is doing this, the tortoise will have gone a little farther still. However
small the gap that remains, it will take Achilles some time to cross it, and in
that time the tortoise will have created another gap. So however fast Achilles
runs, all that the tortoise has to do, in order not to be beaten, is not to
stop. The stadium paradox. Imagine three equal cubes, A, B, and C, with sides
all of length l, arranged in a line stretching away from one. A is moved
perpendicularly out of line to the right by a distance equal to l. At the same
time, and at the same rate, C is moved perpendicularly out of line to the left
by a distance equal to l. The time it takes A to travel l/2 relative to B
equals the time it takes A to travel to l relative to C. So, in Aristotle’s
words, “it follows, Zeno thinks, that half the time equals its double” Physics
259b35. The arrow paradox. At any instant of time, the flying arrow “occupies a
space equal to itself.” That is, the arrow at an instant cannot be moving, for
motion takes a period of time, and a temporal instant is conceived as a point,
not itself having duration. It follows that the arrow is at rest at every
instant, and so does not move. What goes for arrows goes for everything:
nothing moves. Scholars disagree about what Zeno himself took his paradoxes to
show. There is no evidence that he offered any “solutions” to them. One view is
that they were part of a program to establish that multiplicity is an illusion,
and that reality is a seamless whole. The argument could be reconstructed like
this: if you allow that reality can be successively divided into parts, you
find yourself with these insupportable paradoxes; so you must think of reality
as a single indivisible One. Senza le premesse di
tale discussione e problematica si precisano chiaramente nei finissimi
argomenti di Zenone di Velia, diseepolo e difensore di Parmenide, in cui si
vede bene il taglio netto tra l'essere che è e in cui tutto si annulla, e il
mondo umano costruito dall'uomo stesso. All'inizio del “Parmenide” Platone
narra che una volta, durante le grandi Panatenee, Parmenide e Zenone vennero ad
Atene. Parmenide era allora molto innanzi negli anni, tutto bianco, ma
d'aspetto bello e nobile, e aveva circa sessantacinque anni. Zenone si
avvicinava allora ai quaranta anni, di grande statura e bell'uomo (Parmenide,
127b). Platone dice, poi, che in quell'occasione Zenone lesse un saggio che
scrive per difendere la tesi di Parmenide, ma k:he quel libro egli compose per
amor di polemica e che per giunta un tale glielo aveva sottratto, per cui,
Platone fa dire a Zenone. Nnon ebbi neppure il ternpo di pensare se fosse o no
il caso di darlo alla luce (128a). Platone, forse, per dare avvio alla sua
discussione, probabil-mente nei confronti dell'eleatismo megarico, si
riallaccia di proposito a Zenone e a Parmenide mettendoli in rapporto con
Socrate, allora giovanissimo, quel Socrate di cui poi i megarici furono
discepoli. Può darsi, dunque, che Platone forza la notizia di Zenone ad Atene
insieme a Parmenide, in un'epoca, il 455-450, in cui sembra difficile, per
ragioni cronologiche, che Parmenide sia potuto venire ad Atene, o avesse circa
sessantacinque anni. Nulla vieta, invece, di pensare che Zenone sia stato
effettivamente ad Atene, anche se in epoca diversa, e che sia nato tra il 500 e
il 490. Discepolo di Parmenide, Zenone nacque ad Elea nel 500/490. ·Platone
(Parmenide, 127b) narra che nel 452 circa Zenone, venuto con Parmenide ad
Atene, aveva circa quaranta anni. Tutte le fonti lo presentano come uomo
prestante e altamente intelligente, che prese attiva parte alla vita politica
della sua città, dove sarebbe eroicamente morto combattendo il tiranno Ncarco,
quando, preso da Nearco e torturato, per non parlare si spezza la lingua con i
denti, sputandola addosso al tiranno. Sembra che la struttura originaria del
saggio di Zenone (o dei suoi saggi) fosse antinomica, e che [Altro punto sospetto
è che Platone dice che il saggio che Zenone scrive e stato fatto circolare
senza il permesso dell'autore. Potrebbe questo essere indice che Platone, in
effetto, non espone la tesi vera di Zenone, anche se, nella finzione del
dialogo, Zenone stesso approvi, con qualche riserva, il sunto che dei punti
salienti dà Socrate. Platone, nel Parmenide tende a dimostrare l'impossibilità
di pensare l'essere di Parmenide che porta dietro di sé l'altrettanta
impossibilità di pensare i molti, onde, postici sul piano di Parmenide, risulta
impossibile il discorso, un qual- sivoglia giudizio. Non interessa ora la
soluzione di Platone e il suo tentativo di poter pensare l'Essere come
dialetticità corrispondente alla dialetticità del pensiero, per cui si rendeva
possibile porre un tutto oggettivo. come ordine dialettico e misura su cui
scandire, attraverso la conoscenza di sé, lo stesso ordine politico. È tuttavia
importante sottolineare che nei confronti dell'uno di Parmenide e delle opere
di Zenone (che accettando l'ipotesi di Parmenide e anche accettando che l'uno
di Parmenide si può, all'estremo, ritenere assurdo, vuoi dimostrare che
altrettanto assurdo è porre unità accanto a unità, come i pitagorici, quando si
ritenga che queste siano realtà per sé e non puri nomi), la polemica di Platone
chiarifica quella che storicamente dev'essere stata l'aporia fondamentale in
cui doveva trovarsi il lettore del saggio di Zenone. In verità - abbietta
Zenone nel Parmenide di Platone - questo mio saggio vuol essere in certo modo
una difesa della dottrina di Parmenidc contro quelli che cercano di metterla in
ridicolo sostenendo che la tesi dell'esistenza dell'uno va incontro a molte
conseguenze ridiwlc c contraddittorie. Vuole confutare perciò questo mio saggio
quelli che asseriscono l'esistenza dei molti c render loro la pariglia e anche
di piu, cercando di mostrare che la loro ipotesi dell'esistenza dei. molti va
incontro a conseguenze ancor piu ridicole di quella dell'uno se si vuole andare
in fondo alla ricerca (l28c-d). In effetto qui Platone corregge la sua prima
affermazione che Zenone e Parmenide avessero detto la stessa cosa ("dite
su per giu la cosa medesima ": 128b}, e per i suoi intenti lascia cadere
la precisazione di Zenone. Ma ciò è fondamentale, perché, in genere, è con
questi abili accenni che Platone distingue quello che a lui importa da quello
che accantona, ma che corrisponde, quasi sempre, alla verità storica. Zenone,
quaranta fossero gli argomenti contro la tesi che sostiene il molteplice e il
moto. Platone che vede in Zenone il difensore dell"Uno di Parmenide, lo
chiamò il "PALAMEDE eleatico" (Fedro, 26ltl). ] dunque, sarebbe
parmenideo alla rovescia. Egli accetterebbe che l'Uno tutto di Parmenide porti
alla finale contraddizione dell'impensabilità - proprio sulla via del pensiero
- dell'Uno stesso. Solo che la facile critica dell'annullarsi dell'Uno deve
tener presente che, ammessa la esistenza dei molti, di punti accanto a punti,
come enti reali, si cade nelle stesse contraddizioni di chi pone l'uno. Zenone
non dice mai cosa sia l'Essere. Zenone nega che posti i molti come esistenti,
sul piano logico i molti esistano, confermando cosi la tesi parmenidea che i
molti in quanto tali, in quanto definizioni, non sono che puri nomi. Ammessa,
dunque, pitagoricamente, l'esistenza di punti reali costituenti le cose,
bisogna necessariamente ammettere che ciascuna di tali unità in quanto punto ha
una grandezza, anche se minima, onde in ogni punto vi sono infiniti punti e
quindi ogni punto-unità sarà infinitamente grande; se il punto poi non ha
gradezza, poiché le cose si costituiscono come aventi grandezza per l'unione
dei punti, come sarà mai possibile che punti senza grandezza diano luogo a
grandezze? n punto dunque, se non ha grandezza, non è (fr. l, 2). Ancora:
ammesse piu cose costituite di punti, esse saranno ad un tempo in numero finito
e infi.t;lito, il che è contraddittorio: saranno in numero finito, perché non
possono essere piu o meno di quante sono; infinito perché tra l'una e l'altra
ve ne sarà un'altra ancora, e tra questa e l'altra un'altra ancora all'infinito
(fr. 3). Ancora: ammessa la molteplicità di cose reali per sé, bisogna
ammettere o che sono continue, onde la molteplicità si annulla nella
continuità, che, essendo divisibile all'infinito, è costituita di infiniti punti
a loro volta divisibili all'infinito, fino al nulla; oppure che ogni cosa,
limitando l'altra, occupa uno spazio e si distingue dal- l'altra per uno
spazio: ma allora ogni spazio in quanto luogo implica un altro luogo e cosi
all'infinito, sino all'unico luogo cioè l'uno, cioè il nulla (Aristotele,
Fisica, 209a-210b; Simplicio, Fisica, 140, 34, 562, 1). Entro questa linea
rientra anche il cosiddetto argomento del grano di miglio. Un grano o la
decimillesima parte di un grano di miglio fa rumore: ora se fra un grano di
miglio e un medimmo c'è proporzione, vi sarà proporzione anche tra i suoni, per
cui se un medimmo di miglio fa rumore lo farà anche un solo grano (Aristotele,
Fisica, 250a~ 19; Simplicio, Fisica, 1108, 18), ma ciò non avviene. Evidentemente
quest'ultimo argomento rientra nei termini dei primi. Se l'uno, o la totalità,
è impensabile irrelativamente, altrettanto impensabili sono i molti qualora si
pongano quali realtà accanto a realtà. Nessuna parte del molteplice costituirà
il limite ultimo e nessuna sarà senza una relazione con un'altra" (fr. 1).
Poiché i molti sono impensaolli, se non. determinati come variazione di
quantità di un CONTINUO, e poiché IL CONTINUO si può rappresentare come retta
all'infinito, fino al nulla, i molti, se posti come realtà per sé, non sono.
Cosi nell'ipotetica retta (nulla è pensabile se non in quanto estensione ed
estensione che si qualifica) altrettanto inconcepibile è il moto, o meglio la
possibilità dello spostamento e del passaggio da punto a punto, ché, dato, ad
esempio, un segmento AB, tra A e B posta una metà A', necessariamente tra A e
A', vi sarà una metà A" e cosi vita all'infinito – eis apeiron --
(argomento della dicotomia, cioè della divisione in due: Aristotele, Fisica,
233a, 239b, 263a; Simplido, Fisica, 1013; 4). Evidentemente non vi è allora
passaggio tra un ipotetico primo punto A e il punto della linea accanto ad A,
onde si può dire che Achille piè veloce" (in A) non raggiungerà mai la
tartarugà che sia un passo avanti (in A"), ché, in effetto, logicamente,
né l'uno né l'altra si muovono (argomento dell'Achille: cfr. Aristotele,
Fisica, 239b; Simplicio 1013, 31), tanto piu che la linea, essendo costituita
d'infiniti punti, è divisibile all'infinito, e quindi, all'infinito, si
annulla. Analogamente LA FRECCIA non raggiungerà mai il bersaglio, dovendo
percorrere l'infinito e rimanendo sempre ferma al punto di partenza (argomento
della freccia: cfr. Aristotele, Fisica, 239b; Simplicio, Fisica, 1015, 19;
Filopono, Fisica, 816, 30; Temistio, Fisica, 199, 4). Infine, dei presunti
quaranta argomenti con i quali Zenone avrebbe dimostrato la contraddittorietà
in cui pone o l'esperienza sensibile o la definizione dei dati che implicano la
molteplicità o il movimento, abbiamo l'argomento detto dello stadio. Considerando
in uno stadio un punto mobile che va ad una certa velocità, se lo si considera
rispetto ad un punto fermo andrà, ad esempio, a dieci chilometri l'ora, se lo
si considera invece rispetto a un altro punto mobile che vada alla sua stessa
velocità in senso opposto, quello stesso mobile va a venti chilometri all'ora.
Il quarto argomento - dice Aristotele - è quello delle due serie di masse
uguali che si muovono in senso contrario nello stadio, lungo altre masse
uguali, le une cioè a partire dalla fine dello stadio, le altre dalla metà, con
velocità uguale; la conseguenza è, secondo Zenone, che la metà del tempo è
uguale al doppio (Fisica, 239b; cfr. anche Simplicio, Fisica, 1016, 9 sgg). I
celebri argomenti sul movimento, con cui, accettata la premessa che esiste il
moto, con ferrea consequenzialità, di deduzione in deduzione, si dimostra
come-sul piano logico, contraddicendosi, non si possa se non negare il moto
(onde, appunto, Aristotele, secondo Diogene Laerzio, VIII, 57, nel “Sofista”
andato perduto - ha potuto dire che Zenone fu padre della DIALETTICA, come arte
del confutare), ci sono rimasti attraverso le discussioni e le critiche di
Aristotele. Non sappiamo, in effetto, se tali argomenti fossero proprii del
saggio di Zenone, ché le fonti precedenti, ivi compreso Platone (che fa
intravedere solo gli argomenti contro l'esistenza della molteplicità), ne
tacciono. Certo gli argomenti sul movimento potevano essere conseguenza di
quelli sulla pluralità, che, portando a dimostrare l'intraducibilità della fisica
in termini logico-matematici, per l'impensabilità del CONTINUO SPAZIALE,
portavano anche a rendere impensabile il continuo temporale-spaziale su cui si
determinano, definendoli, i punti-geometrici, i cui rapporti di movimento
divenivano rapporti spaziali e, quindi, ancora una volta impensabili o
contraddittori. La polemica di Zenone sembra quindi rivolta sia contro i punti-
cose dei primi pitagorici (o se si vuole contro la riduzione a numeri interi
delle cose da parte dei primi pitagorici), supponendo i numeri irrazionali, sia
contro l'impossibilità di ridurre le esperienze della vita, della mutevolezza,
alla sfera della ragione e dei numeri, senza perdere in puri nomi quella stessa
vitalità. Le conseguenze della discussione di Zenone, tenendo presenti certe
posizioni a lui contemporanee o immediatamente posteriori - lasciando da parte
le implicazioni che vi hanno veduto certi storici, riferendo le tesi di Zenone
ad alcune delle concezioni della matematica e della fisica moderna, - sembrano
potersi indicare nei seguenti punti: l. impossibilità di ridurre la fisica in
termini matematici; 2. conseguente impossibilità di pensare, e quindi di
definire, sia l'Essere come totalità, sia la molteplicità; 3. consapevolezza
che ogni ricostruzione matematica è valida, in quanto ipotetica e che
altrettanto ipotetica è ogni ricostruzione fisica. Sul piano storico si
determinano cosi: posizioni diverse, a seconda di quale aspetto della
problematica, impostata da Zenone, veniva approfondito. O si insistito sul
continuo giungendo a risolvere e ad an- nullare i molti (che restano come
determinazioni valide su di un piano puramente linguistico) nel continuo
stesso, cioè nell'infinita unità (Me- lisso); o si è risolto l'uno su di un
piano puramente matematico, per cui l'uno non è nessuno dei punti della serie,
né il pari né il dispari, ma la possibilità dell'uno e dell'altro, e che
nell'opposizione-armonia dà luogo a un'ipotesi logica che spiega un'ipotesi
fisica (Filolao e piu tardi Archita); o si è assunta l'ipotesi fisica del
continuo divisibile al- l'infinito in infiniti punti ognuno dei quali,
infinito, ha in sé tutte le infinite possibilità, gl'infiniti semi vitali, onde
in ogni punto tutto è tutto (Anassagora); o si è fatta l'ipotesi che gli
infiniti punti, proprio perché infiniti e quindi escludenti un passaggio
dall'uno all'altro all'infinito costituiscono infiniti limiti, d'onde una
infinita serie di limiti, d'indivisibili (atomi) implicanti nel limite una
separazione, cioè un altro limite come vuoto (Leucippo, che fu discepolo di
Zenone, e Democrito). Infine, se da un lato la problcmatica di Zenone portava a
impo- stare l'intelligibilità del reale non come afferrante la struttura in sé
del reale stesso, ma come ipotesi o fisica o matematica, dall'altro lato portava,
nella consapevolezza dell'impossibilità logica dell'Essere o del divenire,
della Verità, a rimanere sul piano dell'opinione c del discorso umani, entro i
termini dello stesso mondo dègli uomini e dei loro rapporti (Protagora,
Gorgia). Senone di Velia. Keywords: reductio ad absurdum, alievo di
Parmenide di Velia, scuola di Velia, scuola di Crotone, i veliati, i veliani,
Adorno. Refs.: H. P. Grice, “Zeno’s sophisma;” Luigi
Speranza, "Senone e Grice," “Grice e Zenone” -- The Swimming-Pool
Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
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