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Monday, November 22, 2021

#accetto https://www.facebook.com/media/set/?vanity=j.l.speranza&set=a.4587639647914661 #griceedaccetto

#accetto 


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Accetto (Trani). Filosofo. Grice: “I learned so much about Accetto, and I hope it showed in my talk at Brighton on ‘meaning, revisited.’ For Accetto, unlike Strawson, there is ‘disimulazione onesta’ and ‘simulazione disonesta.’ Accetto notes that there is an implicature to the effect that ‘disimulazione’ is disonesta per se and hence he tried to provoke the duchess of Malfi by his little treatise on ‘Della simulazione onesta’ – “An oxymoron, if ever there was one --,’ the duchess told the duke --.” Filosofo. Nativo di Trani, visse ad Andria e fu in relazione con la cerchia del marchese Giovanni Battista Manso, il mecenate napoletano che fu biografo di Torquato Tasso nonché fondatore dell'Accademia degli Oziosi.  Scrisse varie rime, nelle quali evidenziò la sua delicata coscienza morale e il breve trattato Della dissimulazione onesta: nato nel contesto della dominazione spagnola in Italia, fu pubblicato a Napoli e rapidamente dimenticato. Il libello fu poi riscoperto da Benedetto Croce all'inizio Professoree ripubblicato da Salvatore S. Nigro. La "dissimulazione", tematica al centro dei dibattiti all'epoca, non è, per Accetto, sinonimo di menzogna, ma invito al raccoglimento e alla cautela. L'analisi di Accetto pone la questione, da un piano di politica spicciola, su un piano di accurata indagine morale: l'autore, alquanto speciosamente, differenzia la simulazione, moralmente riprovevole perché viziata da intenzioni cattive, dalla dissimulazione, che invece pareva all'Accetto l'unico rimedio per difendersi da una società pullulante di simulatori e per trionfare delle proprie passioni. La ricetta però per risultare vincente richiede una onestà di animo e un buon equilibrio.  Opere Edizioni originali:  Rime di Torquato Accetto, Napoli: nella stampa degli heredi di Tarquinio Longo, Rime del signor Accetto, divise in amorose, lugubri, morali, sacre, et varie, Napoli: nella stampa di Giacomo Gaffaro, Della dissimulazione onesta, Napoli, Edizioni moderne:  Rime amorose, edizione critica Salvatore S. Nigro, Torino: Einaudi, Della dissimulazione onesta, edizione critica Salvatore S. Nigro; presentazione di Giorgio Manganelli, Genova: Costa & Nolan, nuova edizione Torino: Einaudi, Della dissimulazione onesta Rime, E. Ripari, Milano: BURRizzoli, . Note  "Le Muse", De Agostini, Novara, B. Croce, Storia dell'età barocca in Italia, Bari, Eugenio Garin, Storia della filosofia italiana, Torino, 1966 Rosario Villari, Breve riflessione sulla Dissimulazione onesta di Torquato Accetto, R. Villari, Elogio della dissimulazione. La lotta politica nel Seicento, RomaBari, Laterza, sapere, De Agostini.  Torquato Accetto, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Opere di Torquato Accetto, su Liber Liber.  Opere di Torquato Accetto, su openMLOL, Horizons U. La simulazione non facilmente riceve quel senso onesto che si accompagna con la dissimulazione Io tratterei pur della simulazione, e spiegherei appie- no l'arte del fingere in cose che per necessità par che la ricerchino; ma tanto è di mal nome, che stimo maggior necessità il farne di meno; e benché molti dicano: “Qui nescit fingere nescit vivere”, anche da molti altri si af- ferma che sia meglio morire, che viver con questa con- dizione. In breve corso di giorni o d'ore o di momenti, com'è la vita mortale, non so perché la medesima vita si abbia da occupar a piú distrugger se stessa, aggiungendo il falso delle operationi dove l'esser quasi non è; poiché la vera essenzia, come disse Platone, è delle cose che non han corpo, chiamando imaginaria l'essenzia di ciò ch'è corporeo. Basterà dunque il discorrer della dissimu- lazione, in modo che sia appresa nel suo sincero signifi- cato, non essendo altro il dissimulare, che un velo com- posto di tenebre oneste e di rispetti violenti: da che non si forma il falso, ma si dà qualche riposo al vero, per di- mostrarlo a tempo; e come la natura ha voluto che nel- l'ordine dell'universo sia il giorno e la notte, cosí con- vien che nel giro delle opere umane sia la luce 16  e l'ombra, dico il proceder manifesto e nascosto, con- forme al corso della ra- gione, ch'è regola della vita e degli accidenti che in quella oc- corrono. Alcuna volta è necessaria la dissimulazione, e fin a che termine La frode è proprio mal dell'uomo, essendo la ragione il suo bene, di che quella è abuso; onde nasce ch'è im- possibile di trovar arte alcuna, che la riduca a segno di poter meritar lode: pur si concede talor il mutar manto, per vestir conforme alla stagion della fortuna, non con intenzion di fare, ma di non patir danno, ch'è quel solo interesse col quale si può tollerar chi si suol valere della dissimulazione, che però non è frode; ed anche in senso tanto moderato, non vi si dee poner mano se non per grave rispetto, in modo che si elegga per minor male, anzi con oggetto di bene. Sono alcuni che si trasforma- no, con mala piega di non lasciarsi mai intendere; e spendendo questa moneta con prodiga mano in ogni pic- ciola occorrenza, se ne trovano scarsi dove piú bisogna, perché scoperti ed additati per fallaci, non è chi loro cre- da. Questo è per avventura il piú difficile in tal indu- stria; perché, se in ogni altra cosa giova l'uso continuo, nella dissimulazione si esperimenta il contrario, poiché il dissimular sempre mi par che non si possa metter in pratica di buona riuscita. È dunque dura impresa il far con arte perfetta quello che non si può essercitar in ogni occasione, e però non è da dir che Tiberio fosse molto accorto in questo mestiero, ancorché da molti si affermi; e ciò considero perché, dicendo Cornelio Tacito: “Tiberioque etiam in rebus quas non occuleret, seu natura seu adsuetudine, suspensa semper et obscura verba”; non solo disse prima: “plus in oratione tali dignitatis quam fidei erat”, ma conchiude: “At patres, quibus unus me- tus, si intelligere viderentur”, ecc.; ecco che si accorgea- no chiaramente della sua intenzion in quelli continui ar- tifici. In sostanza il dissimular è una professione della qual non si può far professione, se non nella scola del proprio pensiero. Se alcuno portasse la ma- schera ogni giorno, sarebbe piú noto di ogni altro, per la curiosità di tutti; ma degli eccellenti dissimulatori, che sono stati e sono, non si ha notizia alcuna. 1Della disposizione naturale a poter dissimulare Quelli in chi prevale il sangue o la malinconia o la flemma o l'umor collerico, è molto indisposto a dissimu- lare. Dove abbonda il sangue, concorre l'allegrezza, la qual non sa facilmente celare, essendo troppo aperta per sua propria qualità. L'umor malinconico, quando è fuor di modo, si fa tante impressioni, che difficilmente le na- sconde. Il soverchio flemmatico, perché non fa gran conto de' dispiaceri, è pronto ad una manifesta tolleran- zia; e la collera, che è fuor di misura, è troppo chiara fiamma, da dimostrar i proprii sensi. Il temperato dun- que è molto abile a questo effetto di prudenza, perché ha da esser, nelle tempeste del cuore, tutta serena la faccia; o, quando è tranquillo l'animo, parer turbato il viso, come anderà richiedendo l'occasione; e ciò non è facile, se non al temperamento che dico. Non voglio contradir all'opinione di que' che sogliono attribuir a certi popoli la disposizione del dissimulare e, ad altri, stimarla quasi impossibile; ma ben posso dire che, in ogni paese, son di quelli che l'hanno e di que' che non vi si sanno ac- commodare; ma piú è certo che gli uomini non nascono con gli animi legati a necessità alcuna, onde libera la volontà si gira all'elezzione; e ciò leggiadramente fu espresso da Dante in que' versi: Voi che vivete ogni cagion recate pur suso al cielo, sí come se tutto movesse seco di necessitate. Se cosí fosse, in voi fora distrutto libero arbitrio, e non fora giustizia per ben letizia, e per mal aver lutto. Il cielo i vostri movimenti inizia; non dico tutti, ma, posto che 'l dica, lume v'è dato a bene e a malizia, e libero voler; che, se fatica ne le prime battaglie del ciel dura, poi vince tutto, se ben si nutrica. A maggior forza e a miglior natura liberi soggiacete; <e> quella cria la mente in voi, che 'l ciel non ha in sua cura. Dell'esercizio che rende pronto il dissimulare Da chi ha per non plus ultra le porte delle natie con- trade, o che da' libri non apprende il lungo e 'l lato del mondo, e' suoi vari costumi, con difficultà si viene al consiglio della dissimulazione; perché in persona cosí molle e poco intendente, riesce molto dura questa prati- ca, la qual contiene l'esser d'assai e talora parer da poco: è dunque conforme a questo abito chi non s'è tanto ri- stretto, poiché dal conoscer gli altri nasce quella piena autorità che l'uomo ha sopra se stesso quando tace a tempo, e riserba pur a tempo, quelle deliberazioni che domane per avventura saranno buone, ed oggi sono per- niziose. Chiaro è che 'l viaggio per diversi paesi, come Omero cantò di Ulisse, “qui mores hominum multorum vidit et urbes”, o l'aver letto ed osservati molti accidenti, è cagion potente a produrre una gentil disposizione di metter freno agli affetti, acciò che non come tiranni, ma come soggetti alla ragione, ed a guisa di ubbidienti citta- dini, si contentino ad accommodarsi alla necessità, della quale disse Orazio: Durum, sed levius fit patientia quicquid corrigere est nefas. Sí che tant'altezza di spirito si accresce per mezzo della vita occupata negli affari del mondo, e nella considerazione del tempo passato, per non contradir al pre- sente e poter far giudicio dell'avvenire. Stando la mente cosí sodisfatta, non le parrà nuova qual si sia mutazio- ne che le si vada rappresen- tando, ed in conseguenza dipenderà da lei, e non dal precipizio del senso, l'espres- sion di quan- to le succede. Che cosa è la dissimulazione Da poi che ho conchiuso quanto conviene il dissimu- lare, dirò piú distinto il suo significato. La dissimulazio- ne è una industria di non far veder le cose come sono. Si simula quello che non è, si dissimula quello ch'è. Disse Virgilio di Enea: Spem vultu simulat, premit altum corde dolorem. Questo verso contiene la simulazion de la speranza e la dissimulazione del dolore. Quella non era in Enea, e di questo avea pieno il petto; ma non volea palesar il senso de' suoi affanni: ricordava però a' compagni l'aver sofferti piú gravi mali, e nominando la rabbia di Scilla e lo strepito degli scogli ed i sassi de' Ciclopi, se ne valse come per sepellir tra que' mostri, e tra quelle passate rui- ne, tutte le rie venture che lor già davan noia; e col dol- cissimo “meminisse iuvabit”, conchiude: Per varios casus, per tot discrimina rerum tendimus in Latium, sedes ubi fata quietas ostendunt; illic fas regna resurgere Troiae. Durate, et vosmet rebus servate secundis. Ma in ogni modo l'animo era ferito, e troppo dolente, perché  “Talia voce refert curisque ingentibus aeger.” Si vede in questi versi l'arte di nasconder l'acerbità della fortuna, e prima fu espresso da Omero come da Ulisse si dissimulava il dolore, quando in altra figura dava di se stesso nuova alla sua Penelope; della qual disse: Hac autem <iam> audiente fluebant lacrymae, liquefiebat autem corpus sicut autem nix liquefit in altis montibus, quam Eurus liquefecit, postquam Zephyrus defusus est liquefacta autem igitur hac, fluvii implentur fluentes: sic huius liquefiebant pulchrae genae lachrymantis flentis suum virum assidentem. At Ulysses animo quidem lugentem suam miserabatur uxorem. Oculi autem tanquam cornua stabant vel ferrum. Tacite in palpebris dolo autem hic lachrymas occultabat. Ecco la prudenza con che Ulisse mettea freno alle la- grime, quando era tempo di nasconderle; e la compara- zion di liquefarsi Penelope, come la neve, mi dà occa- sione di soggiunger quello che sia l'umido e 'l secco, di- cendo Aristotile: “humidum est quod suo ipsius termino contineri non potest; facile autem termino continetur alieno. Siccum est quod facile suo, difficulter autem ter- mino terminatur alieno”. Da che si può apprender che il dissimular ha del secco, perché si ritien nel proprio ter- mine; e questi son gli occhi di Ulisse rassomiliati, in tempo di dolore, alla fermezza del corno e del ferro, quando que' di Penelope eran molli e non avean termine 25  prescritto, conforme a quelle ch'eran versate nell'animo di Ulisse, tenendo il ciglio asciutto, ed a questo par che corrisponda quella sentenza di Eraclito: “Lux sicca, anima sapientissi- ma”. 26  IX. Del bene che si produce dalla dissimulazione Presupposto che nella condizion della vita mortale possano succeder molti difetti, segue che gravi disordini siano al mondo quando, non riuscendo di emendarli, non si ricorre allo spediente di nasconder le cose che non han merito di lasciarsi vedere, o perché son brutte o perché portan pericolo di produrre brutti accidenti. Ed oltre a quanto avviene agli uomini, se pur si considera la natura per tante altre opere di qua giú, si conosce che tutto il bello non è altro che una gentil dissimulazione. Dico il bello de' corpi che stanno soggetti alla mutazio- ne, e veggansi tra questi i fiori, e tra' fiori la lor reina; e si troverà che la rosa par bella, perché a prima vista dis- simula di esser cosa tanto caduca, e quasi con una sem- plice superficie di vermiglio, fa restar gli occhi in un certo modo persuasi ch'ella sia porpora immortale; ma in breve, come disse Torquato Tasso: quella non par che disiata avanti fu da mille donzelle e mille amanti; perché la dissimulazione in lei non può durare. E tanto si può dir di un volto di rose, anzi di quanto per la terra riluce tra le piú belle schiere d'Amore; e benché della bellezza mortale sia solito dirsi di non parer cosa terre- 27  na, quando poi si considera il vero, già non è altro che un cadavero dissimulato dal favor dell'età, che ancor si sostiene nel riscontro di quelle parti e di que' colori che han da dividersi e cedere alla forza del tempo e della morte. Giova dunque una certa dissimulazion della natu- ra, per quanto si contiene tra lo spazio degli elementi, dov'è molto vera quella proposizione che afferma di non esser tutt'oro quello che luce; ma ciò che luce nel Cielo ben corrisponde sempre, perché ivi tutte le cose son bel- le dentro e fuori. Or, passando all'utile che nasce dalla dissimulazione ne' termini morali, comincio dalle cose che piú bisognano, dico dall'arte della buona creanza, la qual si riduce nella destrezza di questa medesima dili- genza. E leggendosi quanto ne scrisse monsignor della Casa, si vede che tutta quella nobilissima dottrina inse- gna cosí di ristringer i soverchi di- siderii, che son cagion di atti noiosi, come il mo- strar di non veder gli errori altrui, ac- ciò che la con- versazione riesca di buon gusto. 28  X. Il diletto ch'è nel dissimulare Onesta ed util è la dissimulazione, e di piú, ripiena di piacere; perché se la vittoria è sempre soave, e come disse Ludovico Ariosto, Fu il vincer sempre mai lodabil cosa, vincasi per fortuna o per ingegno, è chiaro che 'l vincer per sola forza d'ingegno succede con maggior allegrezza, e molto piú nel vincer se stesso, ch'è la piú gloriosa vittoria che possa riportarsi. Que- st'avviene nel dissimulare, con che, dalla ragione supe- rato il senso, si riceve intiera quiete; ed ancorché si sen- ta non poco dolor quando si tace quello che si vorrebbe dire, o si lascia di far quanto vien rappresentato dall'af- fetto, nondimeno piace poi grandemente d'aver usata so- brietà di parole e di fatti. A questa conseguenza di sodi- sfazzione, ha da rivolger il pensiero chi disidera di viver con riposo; e ciascun, che vuol ben accorgersene per gl'interessi suoi, vegga sopra di ciò gli altrui falli, e cosí ben conosca che tanto è nostro quanto è in noi medesi- mi. Non dico che non si han da fidar nel seno dell'amico i segreti, ma che sia veramente amico; ed è degno di gran considerazione, in quell'epigramma di Marziale, dove parla a se stesso della vita beata, che nominando a questo fine dicisette cose, fa che stia nel mezzo “prudens simplicitas”, dicendo: Vitam quae faciunt beatiorem, iucundissime Martialis, haec sunt: res non parta labore, sed relicta; non ingratus ager, focus perennis; lis nunquam, toga rara, mens quieta; vires ingenuae, salubre corpus, prudens simplicitas, pares amici, convictus facilis, sine arte mensa; nox non ebria, sed soluta curis; non tristis torus, attamen pudicus; somnus qui faciat breves tenebras; quod sis esse velis nihilque malis, summum nec metuas diem nec optes. Il prudente candor dell'animo è dunque il centro della tranquillità. “Hoc opus, hic labor”. 30  XI. Del dissimulare con li simulatori Quelli che si applicano al piacer della parte ch'è in noi soggett'alla morte, sprezzando l'uso della ragione, si mutano in abito di fiere; perché tali son da riputarsi, come fu espresso da Epicteto stoico, dicendo: “Certe misellus homuncio, et caro infoelix, et revera misera. At melius <etiam> quiddam habes carne; quare, misso illo et neglecto, carni duntaxat es deditus? Ob huius societa- tem declinantes a meliore natura quidam, lupis similes efficimur, dum sumus perfidi et insidiosi et ad nocen- dum parati: alii leonibus, quia feri, immanes ac trucu- lenti: maxima vero pars vulpeculae sumus”. Da che si può considerar un de' duri impedimenti nel dissimulare; poiché il guardarsi da lupi e da leoni è cosa piú pronta per la notizia che si ha della lor violenza, e perché poche volte si riscontrano; ma le volpi son tra noi molte e non sempre conosciute, e quando si cono- scono, è pur malagevole usar l'arte contra l'arte, ed in tal caso riuscirà piú accorto chi piú saprà tener apparenza di sciocco, perché, mostrando di creder a chi vuol in- gannarci, può esser cagion ch'egli creda a nostro modo; ed è parte di grand'intelligenza che si dia 31  a veder di non vedere, quando piú si vede, già che cosí 'l giuoco è con occhi che pa- ion chiusi e stan- no in se stessi aperti. Del dissimulare con se stesso Mi par che l'ordine di questo artificio metta prima la mano nella persona propria; ma si richiede prudenzia in estremo, quando l'uomo ha da celarsi a se medesimo, e questo non piú che per qualche picciolo intervallo e con licenza del “nosce te ipsum”, per pigliar una certa ri- creazione passeggiando quasi fuor di se stesso. Prima dunque ciascun dee procurar non solo di aver nuova di sé e delle cose sue, ma piena notizia, ed abitar non nella superficie dell'opinione, che spesse volte è fallace, ma nel profondo de' suoi pensieri, ed aver la misura del suo talento e la vera diffinizione di ciò ch'egli vale, essendo di maraviglia che ogni uno attend'a saper il prezzo della roba sua e che pochi abbian cura o curiosità d'intender il vero valor dell'esser loro. Or, presupposto che si sia fat- to il possibile di saperne il vero, conviene che in qual- che giorno colui ch'è misero si scordi della sua disav- ventura, e cerchi di viver con qualche imagine almeno di sodisfazzione, sí che sempre non abbia presente l'og- getto delle sue miserie. Quando ciò sia ben usato, è un inganno c'ha dell'onesto; poiché è una moderata oblivio- ne, che serve di riposo agl'infelici: e benché sia scarsa e pericolosa consolazione, pur non se ne può far di meno, per respirar in questo modo; e sarà come un sonno de' pensieri stanchi, tenendo un poco chiusi gli occhi della cognizion della propria fortuna, per meglio a- prirli dopo cosí breve risto- ro: dico breve, perché fa- cilmente si muterebbe in letargo, se troppo si praticasse que- sta negligenza. Della dissimulazione che appartiene alla pietà Quando considero che il vino fu trovato dopo il dilu- vio, conosco che non bisognava minor quantità d'acqua per temperarlo; e qui son da veder due cose: una di Noè, che ne restò ignudo, e ciò ne dimostra che 'l vino è mol- to contrario alla dissimulazione, e quanto questa s'im- piega a coprire, tanto quello attende a scoprire; l'altra della pietà delli due figli, che con la faccia indietro rico- prirono il padre, dissimulando di vederlo a tal termine, quando dal lor fratello, già alienato da ogni legge di umanità, era schernito ignudo colui che l'avea vestito delle proprie carni. Oh quanti son al mondo che imitano questa mostruosa ingratitudine, facendo materia da ride- re chi loro doverebber'esser oggetto d'amore e di reve- renza! Pochi son gl'imitatori di que' due che seppero tro- var il modo di volger le spalle, per pietà, al padre, non come molti fanno, che si lascian la paterna necessità dietro le spalle. Non solo que' pietosi figli si occuparono a ricoprir il padre, ma vollero mostrar di non averlo ve- duto in tal condizione. Cosí ciascuno dee corrisponder a scusar i disordini, ed in particolare que' de' superiori, ogni volta che alcuno di loro v'incorre. Altri pietosi uffi- ci mi si rappresentano nell'istoria di Giuseppe che, ven- duto da' fratelli, mostrò poi di non conoscerli, a fine di 35  piú riconoscerli per mezzo de' benefici; e, con esempio di rada mansuetudine, dissimulava il dono di quegli ele- menti che lor in apparenza vendeva, perché i medesimi sacchi ne riportavano i danari a casa; finché, fatto venir anche l'ultimo de' fratelli, e usati tutt'i modi di manife- star a tempo la sua benignità, “non se poterat ultra cohi- bere Joseph multis coram adstantibus”. In questo ebbe fine quella sincera ed innocente dissimulazione; e segue nel Genesi a narrarsi la sua pietà: “unde praecepit ut egrederentur cuncti foras, et nullus interesset alienus agnitioni mutuae. Elevavitque vocem cum fletu, quam audierunt Aegyptii, omnisque domus Pharaonis, et dixit fratribus suis: - Ego sum Joseph -”. Era egli nell'Egitto con suprema gloria, e già chiamato salvator del mondo; con tutto ciò, non tenendo conto dell'offese, dissimulò d'esser fratello, per dimostrarsi piú che fratello. Io non so chi possa ritener le lagrime, leggendo quella pietosa istoria, dalla qual si può apprender la dolcezza del per- dono e del dissimular l'ingiurie, e massimamente quan- do vengon da persone tanto care quanto son i fratelli. Come quest'arte può star tra gli amanti Amor, che non vede, si fa troppo vedere. Egli è pic- ciolo, e come disse Torquato Tasso: Picciola è l'ape, e fa col picciol morso pur gravi e pur moleste le ferite; ma qual cosa è piú picciola d'Amore, se in ogni breve spazio entra, e s'asconde?. Nondimeno è pur tanto grande, che non ha luogo da potersi in tutto nasconder, è quando è giunto al suo cen- tro, ch'è il cuore, se non si mostra per altra via, accende quella febre amorosa della qual era infermo Antioco e di che il Petrarca fe' che dicesse Seleuco: E se non fosse la discreta aita del fisico gentil, che ben s'accorse, l'età sua in sul fiorir era fornita. Tacendo, amando, quasi a morte corse; e l'amar forza, e 'l tacer fu virtute; la mia, vera pietà, ch'a lui soccorse. Quindi si può considerar come, mettendosi fuoco a tutta la casa, le faville, anzi le fiamme, ne fan publica pompa per le finestre e dal tetto. Tanto avviene, e peggio, quando amor prende stanza ne' petti umani, accen- dendogli da dovero, perché i sospiri, le lagrime, la palli- dezza, gli sguardi, le parole, e quanto si pensa e si fa, tutto va vestito con abito d'amore. Cosí dunque di Antio- co, nell'amor verso Stratonica sua matrigna, ancorch'egli tacesse, si palesò l'incendio nelle vene e ne' polsi. Non avea consentito di chiamarsi amante Didone, mentre Amor in figura di Ascanio trattava con lei; ma niuna cosa mancava, perché già si vedesse accesa, come Virgi- lio va significando: Praecipue infelix pesti devota futurae expleri mentem nequit, ardescitque tuendo Phenissa et puero pariter donisque movetur. Ed ancorché andasse velando gli stimoli della piaga interna, nel progresso del suo affetto, At regina gravi iamdudum saucia cura vulnus alit venis at caeco carpitur igni, pur, quello che la lingua non avea publicato, fu espresso nelle strida della piaga ch'ella stessa disperata si fe', conchiudendo Virgilio: Illa, graves oculos conata attollere, rursus deficit: infixum stridet sub pectore vulnus. Di Erminia si ha, da Torquato Tasso, che avea dissi- mulato il suo pensiero, e ch'ella poi disse a Vafrino: 38  Male amor si nasconde. A te sovente desiosa i' chiedea del mio signore. Vedendo i segni tu d'inferma mente: - Erminia - mi dicesti - ardi d'amore. - Io te 'l negai, ma un mio sospiro ardente fu piú verace testimon del core; e 'n vece forse della lingua, il guardo manifestava il foco onde tutt'ardo. Il medesimo dolor che tormenta gli amanti, se non ba- st'a far che dicano i loro affetti, si muta in ambizione amorosa di dimostrarli; e se gli animi onesti si contenta- no di non manifestarsi, con gran fatica si riducono a portar intiero il manto che ha da coprir tanti affanni. L'ira è nimica della dissimulazione Il maggior naufragio della dissimulazione è nell'ira, che tra gli affetti è 'l piú manifesto, essendo un baleno che, acceso nel cuore, porta le fiamme nel viso, e con orribil luce fulmina dagli occhi; e di piú fa precipitar le parole, quasi con aborto de' concetti che, di forma non intieri e di materia troppo grossa, manifestano quanto è nell'animo. Molta prudenza si richiede, per rinchiuder cosí gagliarda alterazione; e di chi è trascorso a tanto impeto, disse Platone: “tanquam canis a pastore, ita de- nique revocatus ab ea quae in ipso est ratione mitescat.” Era Achille in questa passione contra Agamennone, quando “truculento intuens aspectu: - O vir - inquit - ex dolo totus atque imprudentia factus ac genitus, et quis tibi Graecorum posthac libens pareat? Ma l'ufficio della ragione, significata per Minerva scesa dal cielo, va temperando: “ - Non venit - inquit - a caelo, Achilles, ut te iratum in ultionem iniuriae acceptae erumpere vi- deam, sed ut ira<cundia>m tuam compescam - Sí che Omero, in questa occasione di Achille, spiega insieme quanto importi la dissimulazione. Da due potenti stimoli procede tanta licenza di parole nell'ira, cioè dal dispia- cere e dal piacere, perché ella è appetito, con dolore, di far vendetta che si dimostri vendetta, per dispregio che 40  crediamo fatto di noi, o d'alcuno de' nostri, indegnamen- te, come disse Aristotile; ed a questo dolor segue il di- letto, che nasce dalla speranza di vendicarsi, e perché l'animo è in atto di vendetta: e però Aristotele soggiun- se: “recte illud de ira dictum est quod, defluente melle dulcior, in virorum pectoribus gliscit”. Dunque, da cosí fatto misto di amaro e di dolce, dee guardarsi chi non si vuol mostrar facilmente turbato, come sogliono parer gl'infermi, i poveri e gli amanti, e tutti quelli che si fan vincer dal disiderio. Importa il prevenir con la conside- razione di quanto è maggior diletto vincer se stesso, in aspettar che passi la procella degli affetti, e per non deli- berare nella confusione della propria tempesta; ma nel sere- no dell'animo che, ritirato ogni pensiero nell'altissi- ma parte della mente, potrà sprezzar molte cose, o non curar di vederle. Chi ha soverchio concetto di se stesso ha gran difficultà di dissimulare L'error che si può far nel compasso, il qual si gira nel- l'opinion di noi stessi, suol esser cagion che trabocchi ciò che si dee ritener ne' termini del petto; perché, chi si stima piú di quello che in effetto è, si riduce a parlar come maestro, e parendogli che ogni altri sia da men di lui, fa pompa del sapere, e dice molte cose che sarebbe sua buona sorte aver taciuto. Pitagora, sapendo parlare, insegnò di tacere; ed in questo esercizio è maggior fati- ca, ancorché paia d'esser ozio. I concetti che risuonano nelle parole, non solo portano l'imagine di quelli che stanno nell'animo, ma son fratelli mentali (già che non posso dir carnali) del concetto che l'uomo ha del suo sa- pere. Questo è il concetto primogenito (per dir cosí), al qual succedono gli altri; e se non è con misura, ne procedono molti e vari ragionamenti, e di necessità però si scopre quanto è nel pensiero; ma chi di sé fa quella sti- ma che di ragion conviene, non commette alla lingua maggior giuridizzione di quanto è il lume dell'intelligen- zia che la dee muovere. 42  XVII. Nella considerazione della divina giustizia si facilita il tollerar, e però il dissimular le cose che in altri ci dispiacciono Convien di trattar di alcune cose piú in particolare, che ricercano d'esser tollerate, ch'è lo stesso a dir dissi- mulate, poiché sono molt'i dispiaceri dell'uomo ch'è spettator in questo gran teatro del mondo, nel qual si rappresentano ogni dí comedie e tragedie; ed or non dico di quelle che son invenzioni de' poeti antichi o mo- derni, ma delle vere mutazioni del mondo stesso, che da tempo in tempo, in quanto agli accidenti umani, prende altra faccia ed altro costume. L'ordine è forma che fa il tutto simigliante a Dio, che lo creò e lo serba col dono della sua providenza, la qual per lo gran mar dell'essere ogni cosa conduce con prospero viaggio; e disponendo la medesima regola sopra il merito o demerito delle ope- re umane, si vieta nondimeno alla debolezza de' nostri pensieri il passar negli abissi de' consigli divini, alli qua- li si dee infinita riverenza, avendosi da ricever per giu- sto quanto consòna alla volontà di Dio. E se pur sempre non vediamo nelle cose mortali quell'ordine infallibile che si manifesta nel moto del sole, della luna e dell'altre stelle, anz'in molta confusione spesse volte si truovano i negozii di qua giú, non manca però la certezza dell'eter- na legge, che tutto sa applicar ad ottimo fine; e 'l premio e la pena, che non sempre vien pronta, si aspetti come decreto inseparabile dal giudizio divino, che per tutto va penetrando con la sua non mai limitata potenzia. A que- sta verità, ch'è via di quiete, per dissimular le sinistre apparenze, soggiungerò piú distinto il modo di accom- modarsi a quelle. 44  XVIII. Del dissimular l'altrui fortunata ignoranzia Gran tormento è di chi ha valore, il veder il favor del- la fortuna, in alcuni del tutto ignoranti; che senz'altra oc- cupazione, che di attender a star disoccupati, e senza sa- per che cosa è la terra che han sotto i piedi, son talora padroni di non picciola parte di quella. Veramente chi si mette a considerar questa miseria, è in pericolo di perder la quiete, se insieme non s'accorge che la medesima for- tuna, che talora fa qualche piacere alla turba degli scioc- chi, suol abbandonar l'impresa, e quando piú luce, si rompe, lasciando scherniti que' che non son degni della sua grazia; e di piú la gente di questa qualità, non ha che pretender per l'acquisto di quella gloria, che solamente appartiene a chi sa da dovero; e se qualche uomo di ec- cellente virtú, alcuna volta sta quasi sepellito vivo, in ogni modo si ha da udir il grido del suo merito; e non solo la voce ne dee risonar tra quelli che vivono nel me- desimo tempo, ma se ne va passando da un secolo all'al- tro; perché il vero valor è che fa per fama gli uomini immortali, come disse il Petrarca; e prima di lui Dante:  vedi se far si dee l'uomo eccellente sí ch'altra vita la prima relinqua. Di questa maniera si libera il nome dalle mani della morte, ed un'anima piena di cosí alta speranza, non sente noia che a qualche indegno e da poco, per poco tempo, si faccia applauso, es- sendo un salto di fortuna che se ne passa senza lasciar ve- stigio, come il fumo nell'aria. Del dissimular all'incontro dell'ingiusta potenzia Orrendi mostri son que' potenti, che divorano la so- stanza di chi lor soggiace; onde ciascuno, che sia in pe- ricolo di tanta disaventura, non ha miglior mezzo di ri- mediar, che l'astenersi dalla pompa nella prosperità, e dalle lagrime e da' sospiri nella miseria; e non solo dico del nasconder i beni esterni, ma que' dell'animo; onde la virtú, che si nasconde a tempo, vince se stessa, assicu- rando le sue ricchezze, poiché il tesoro della mente non ha men bisogno talora di star sepolto, che il tesoro delle cose mortali. Il capo che porta non meritate corone, ha sospetto d'ogni capo dove abita la sapienzia; e però spesso è virtú sopra virtú, il dissimular la virtú, non col velo del vizio, ma in non dimostrarne tutt'i raggi, per non offender la vista inferma dell'invidia e dell'altrui ti- more. Anche lo splendor della fortuna ha da esser cauto nel palesarsi, già che, passando a dimostrazioni di soverchi arnesi e di oziosi ornamenti, oltre al distrugger il capital nelle spese, suol accender gran fuoco nella pro- pria casa, destando gli occhi degl'ingordi a pretenderne parte, e forse il tutto. Ma piú dura è la fatica di dover pi- gliare abito allegro nella presenza de' tiranni, che so- glion metter in nota gli altrui sospiri, come di Domiziano disse Tacito: “Praecipua sub Domitiano miseriarum pars erat videre et aspici, cum suspiria nostra subscribe- rentur, cum denotandis tot hominum palloribus sufficeret saevus ille vultus et rubor, a quo se contra pudore muniebat”. Sí che non è permesso di sospirare, quando il tiranno non lascia respirare, e non è lecito di mostrarsi pallido, mentre il ferro va facendo vermiglia la terra con sangue innocente, e si niegano le lagrime che dalla benignità della natu- ra son date a' miseri come propria dote, per formar l'onda che in cosí picciole stille suol portar via ogni grave noia e la- sciar il cuor, se non sano, al- men non tanto oppresso. Del dissimular l'ingiurie L'ingiuria, che si può dissimulare, e nondimeno si manifesta nel disiderio della vendetta, è fatta piú da colui che la riceve che dal suo nimico. Non tutti sanno ben conoscer il decoro dell'onesta tolleranzia, in che si accordano tutt'i filosofi, che per altre opinioni, in varie set- te, non son di conforme parere, dicendo Tertulliano: “tantum illi subsignant, ut cum inter sese variis sectarum libidinibus et sententiarum aemulationibus discor- dent, solius tamen patientiae in com<m>une memores, huic uni studiorum suorum commiserint pacem: in eam conspirant, in eam foederantur, illi in adfect<at>ione virtutis unanimiter student, omnem sapientiae ostenta- tionem de patientia praeferunt. Alcuni, non distinguen- do la forteza dal temerario ardire, son pronti ad ogni qualità di vendetta, e per un cenno che non sia fatto a lor modo, vogliono penetrar negli altrui pensieri e dolersene come di offese publiche. I sensi cosí fieri son vicini ad estremi mali, e l'esperienza dimostra che le picciole in- giurie, se non si lascian passar sotto qualche destrezza, sogliono diventar grandi; ed a tutti color che son potenti, molto piú convien di ritirar la vista da simili occasioni: perché ogni un che possa poco, è buon maestro a' suoi pensieri, per accommodarsi a tollerare; ma chi ha forza di risentirsi, sente stimolo di correr a precipizio, e molti di questi che stanno in alta fortuna, scordati non solamente di usar perdono, ma della proporzion della pena, prendono mezzi violenti per l'altrui ruina; da che avviene ch'essi pur rimangono in tanta turbazione de' fatti loro che, oltre all'odio publico, son anche in odio a se medesimi, per la perdita della quiete interna, ch'è bene inestimabile ed appartiene all'innocenzia. Del cuor che sta nascosto Gran diligenza ha posta la natura per nasconder il cuore, in poter del quale è collocata, non solo la vita, ma la tranquillità del vivere: perché nello star chiuso, per l'ordine naturale si mantiene; e quando gli occorre di star nascosto, conforme alla condizion morale, serba la salute delle operazioni esterne. E pur in questo modo, non a tutti si dee nasconder; onde, nell'elezzione, si con- sideri quello che fu detto da Euripide Sapienti diffidentia non alia res utilior est mortalibus. L'esperienza, che si suol doler degl'inganni, potrà far luce in questa materia, ch'è una selva oscura per l'incertezza del ben eleggere; e però ogni ingegno accorto va- gliasi degli abissi del cuore, ch'essendo breve giro, è capace d'ogni cosa; anz'il mondo intiero non lo riempie, poiché solo il Creator del mondo può saziarlo. Si ammira, come grandezza degli uomini di alto stato, lo starsi ne' termini de' palagi, ed ivi nelle camere segrete, cinte di ferro e di uomini a guardia delle loro persone e de' loro interessi; e nondimeno è chiaro che, senza tanta spesa, può ogni uomo, ancorch'esposto alla vista di tutti, nasconder i suoi affari nella vasta ed insieme segreta casa del suo cuore, perché ivi soglion esser quei templi sereni, de' quali cantò Lucrezio: sed nihil dulcius est, bene quam munita tenere edita doctrina sapientium templa serena, despicere unde queas alios passimque videre errare atque viam palantes quaerere vitae. Applicando io però questi versi al senso che conviene a significar un'altezza d'animo, ed una quiete, che con- duce al piacer ed alla gloria immortale, e non al diletto fallace. La dissimulazione è rimedio che previene a rimuover ogni male Era tanto stimata da Giob la dissimulazione onesta che, non avendo lasciato di valersene nel suo regno, poi che si vide privo di prosperità, parendogli di aver fatto assai dalla parte sua perché non gli fosse caduta dalle mani, disse: Nonne dissimulavi? nonne silui? nonne quievi? et venit super me indignatio. Egli con tranquillità governò il suo stato, e sempre che potette dissimular, lo fe' volentieri; e però s'era per- suaso che non avesse da seguir mutazione nelle cose sue, ben assicurate dalla prudenzia, che in sé raccoglie- va dissimulazione, silenzio e quiete. Ma se con tutto ciò cadde in miseria, fu voler di Dio, che si compiacque di far vedere nella persona di quel santo una invitta costan- za e 'l trionfo della pazienzia, che nel carro della vera gloria si menò appresso come catenati tutt'i mali, fin ch'egli ebbe la prístina felicità con duplicate sodisfazzioni; e quella sua giustizia, che nel termine della sem- plice natura si dimostrò al mondo, sarà esempio in tutt'i secoli per affermare che i servi di Dio, in ogni condizio- ne, son sempre beati. Dunque Giob era tale, anche nel tempo de' suoi tormenti; ma per non uscir dalla materia 53  di che vo trattando, dico ch'egli, facendo il conto con la sua conscienzia, dicea: “Nonne dissimulavi? nonne si- lui? nonne quievi?”, volendo significar che a questa dili- genza non suol mancar piacer alcuno; e quando succede qualche accidente che perturbi tanto sereno, vuol il cielo che, dopo l'avversità, si accresca splendor agli animi che son alieni dagli affetti della terra. In un giorno solo non bisognerà la dissimulazione È tanta la necessità di usar questo velo, che solamente nell'ultimo giorno ha da mancare. Allora saran finiti gl'interessi umani, i cuori piú manifesti che le fronti, gli animi esposti alla publica notizia, ed i pensieri esaminati di numero e di peso. Non averà che far la dissimulazio- ne tra gli uomini, in qualunque modo si sia, quando Id- dio, che oggi “est dissimulans peccata hominum”, non dissimulerà piú; ma poste le mani al premio ed alla pena, metterà termine all'industria de' mortali, e que' sa- gaci intelletti, che hanno abusato il proprio lume, si accorgeranno come allora non gioverà l'arte del cucir la pelle della volpe dove non arriva quella del leone, che fu consiglio di un re spartano: perché l'onnipotente Leo- ne, facendo ruggir il mondo dagli abissi fin alle stelle, chiamerà tutti; e ciascuno dee saper e dire circumdabor pelle mea, come disse Giob. Quell'aurora porterà un giorno tutt'occupato dalla giustizia, e nel mostrar i conti, non vi sarà arte da far vedere il bianco per lo nero. S'udirà il decreto, che sarà l'ultimo delle leggi, e darà legge eterna alle stelle ed alle tenebre, al piacer ed alla pena, alla pace ed alla guerra. Sarà forz'alla dissimulazione di fuggirsene in tutto, quando la verità stessa aprirà le finestre del cielo e, con la spada accesa, troncherà il filo d'ogni vano pensiero. Come nel cielo ogni cosa è chiara Se per questa vita in un giorno solo non bisognerà la dissimulazione, nell'altra non occorre mai; e lasciando di trattar delle anime infelici che, con la luce del fuoco eterno, anzi nelle tenebre, mostrano gli orribili mostri de' peccati, dirò dello stato delle anime eternamente felici. Ivi hanno lo specchio, ch'è Iddio, il qual vede tutto, e ben nella lingua greca il suo nome, come osserva Gregorio Nisseno, dimostra efficacia di vedere, perché theós viene a theáome, ch'è mirare e contemplare. Veggono i beati colui che vede, sí che nel cielo non occorre che alcuno si celi. Ivi tutto è manifesto, perché tutto è buono, tutto è chiaro, tutto è caro. Quanti piú sono a possedere il sommo bene, tanto piú son ricchi. Dov'è tanto amor, non può succedere occasion di custodire in- teresse alcuno. Ma qui, dove siamo vestiti di corruzzio- ne, si procura con ogni sforzo il manto, con che si dissi- mula per rimedio di molti mali; ed ancorché ciò sia one- sto, pur è travaglio; onde si dee aspirar al termine di questa necessità, e spesso, rimovendo lo sguardo dagli oggetti terreni, vagheggiar le stelle come segni del vero lume che, anche per mezzo d'esse, c'invita alla propria stanza della verità. Ivi, nella divina essenza, i beati go- dono della chiara vista, ch'è l'ultima beatitudine dell'uomo, essendo la piú alta operazione dell'intelletto, per mezzo del lume della gloria che lo conforta; perch'essendo la divina essenza sopra la condizione dell'intellet- to creato, può questi vederla, non per forze naturali, ma per grazia; e come uno ha maggior lume di gloria del- l'altro, cosí può meglio conoscerla, ancorché sia impos- sibile vederla quanto è visibile, perché il medesimo lume della gloria, in quanto è dato a tal intelletto, non è infinito. Or, considerando cosí sodisfatti, cosí felici, ed in eterno sicuri, gli abitatori del Paradi- so, si vede come non han da nasconder di- fetto alcuno; e per conseguenza la dissimulazio- ne rimane in ter- ra, dove ha tutti i suoi ne- gozii. The first stage X produces a screech volunaarity so that the rest of the world should think that x he is in the state wwhich the NON-voluntary production would SIGNIFY. Stage 2,  produce X is now supposed not only TO SIMULATE pain-behaviour but also to be recognised as simulating pain-behaviour. Stage three  X screes so that Y not only recotgnises that the behaviour is voluntary but also recognises that X intends Y to recognise his behaviour as voluntary. We have underminded that this is a straightforward piece of DECEPTION. DECIEVING consists in trying to get a creature to accept certain things as SIGNS of something or other wihout knowing that this is a FAKED case. Were would weuld have a sort of PERVERSE faked case in which something is faked but at the same time a CLEAR thindictation is put in that the faking has been done.Y can be thought of as initially BAFFLED by this conflicting performance. There is this creature simulating pain but ANNOUNCING, that this what he is doing. What on earth can it be up to me. If Y does raise the question of why X should be doing this, Y might first come up with the idea that X is engagnen in some form of make believe – a game to which Y is expected to make some appropriate contribution. This is stage 4. But we may suppose, tthere might be cases which coud NOT be handled in this way. If Y is to be expected to be a participant whith X in some form of play, it ought to be possible for Y to recognise what kind of contribution Y is supposed to make. And we can envisage the possibility that Y has NO CLUE on which to base such recognition, or again that though some form of contribution seems to be suggested, when Y obliged by coming up with it, X instead of producing further play-behaviour geets corss and perhaps repeats its original and now problematic performance. This is stage 5, at which U supposes thanot that X is engaged in play that buta what I is doing is trying to get Y to believe or accept that X is in pain. In relation to the particular example which I have been using, to reach the position ascribed to in in stage five, Y would have to solve, bypass, or IGNORE, a possible problem presented by X/s behaviour. Why SHOULD X produce what is NOT a genuine but a FAKED expression of pain if what X is trying to get Y to believe is that X IS in pain? Wy not just let out a natural bellow? Possible answers are not too hard to come by. For example, it would be UNMANLY, or otherwise uncreaturely, for X to produce NATURALLY a natural expression of pain, or that X’s NON-NATURAL faked production of an expression of sincere pain is NOT to be supposed to INDICATE EVERY feature which WOULD be indicated by a NATURAL production. The non-natural production or emission, for example, of a LOUD BEELLOW might properly be taken to indicate pain, not that THAT degree of pain wich would correspond with the DECIBELS of the particular emission. This problem would not, however, arise if X’s performance, instead of being something which, in the NATURAL INVOLUNTARY case, woud be an EXPRESSION of the STATE of X which (in the non-natural faked case) is is intended to get Y to believe in, were rather something MORE LOOSELY connecterd with the state of affairs (NOT NECESSARILY A STATE OF X) which it is intended to conveye to Y. X’s performance, that is, would be SUGGESTIVE, IMPLICATURAL, in some recognizable way, OF THE STATE of affairs WITHOUT being a NAUTRAL involuntary response of X to THAT state of affairs. We reach then stage 6. Where the correlation is meant to be something other than inconic. A stage in which the communication vehiles do not ave to be, initially A NATURAL SIGN of what which it is used to communicate. Provided a bit of behaviour could be expected to be seen by the receiving creature as having a discernible connection with a particular piece of information, that bit of bheaviour will be usable by the transmitting creature, provided that the creature can place a fiar bet on the cconnetion being made by the receiving creature. Any link will do, proided it is detectable by the receiver, and the ooser the links creatures are in a position to use, the greater the freedom they will have as communicators, since they will be less and less restricted by the need to rely on a proor natural connection. The widest possible range is given where creatures use for these purposes a ANGE of communication devices which or gamut of communication devices which have NO ANTECEDENT connection at all with the things that they communicate or represent, and the connection is simply made ofbecause the sassupmtion of such an artificial connection is prearranged and foreknown. Here creatures can simply cash in on the stock of information built into them. In some cases, the devices might have other features above the one of being artividial. They might infolve a finite number of roto devices and a FINITE set of fmodes or forms of combination – combinaroty operations, which are cableble of being used over and over again. The creatures whihcll have what some have thought to be characteristic of a language, a communication system with a finite set of initial devices, together with semantic provisions for them, and an understanding of what the functions of those modes of comination are. As a result, they can generate an infinite set of complex communication devices, together with a correspondingly infinite set of things to be communicated. This gives a rationale ro communiationThe muth exhibits the conceptual link Torquato Accetto. Keywords: dissimulazione onesta, dissimulazione disonesta nell’animali – mimesis – camuffare, camouflage, laboratorio di mascheramento – vegetato: camuffamento uffiziale dell’esercito italiano. vegetato: camuffamento uffiziale dell’esercito italiano, simulation as the key concept to unify the only sense of ‘sign’ x consequentia y, y seq-uitur x, segno naturale divenne segno artificiale – segno di una proposizione p – un gesto segna la proposizione p, la correlazione e iconica – ma se intenzionale, it cannot be ‘natural’. Passage in ‘Meaning revisited’ --. -- Giulio Cesare, Medici – grigio – esercito, bande nere.-- Accetto. Refs. Luigi Speranza, “Grice ed Accetto” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria. #accetto https://www.facebook.com/media/set/?vanity=j.l.speranza&set=a.4587639647914661 #griceedaccetto


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