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#griceedaccetto
Accetto
(Trani). Filosofo. Grice: “I learned
so much about Accetto, and I hope it showed in my talk at Brighton on ‘meaning,
revisited.’ For Accetto, unlike Strawson, there is ‘disimulazione onesta’ and
‘simulazione disonesta.’ Accetto notes that there is an implicature to the
effect that ‘disimulazione’ is disonesta per se and hence he tried to provoke
the duchess of Malfi by his little treatise on ‘Della simulazione onesta’ – “An
oxymoron, if ever there was one --,’ the duchess told the duke --.” Filosofo. Nativo
di Trani, visse ad Andria e fu in relazione con la cerchia del marchese
Giovanni Battista Manso, il mecenate napoletano che fu biografo di Torquato
Tasso nonché fondatore dell'Accademia degli Oziosi. Scrisse varie rime, nelle quali evidenziò la
sua delicata coscienza morale e il breve trattato Della dissimulazione onesta:
nato nel contesto della dominazione spagnola in Italia, fu pubblicato a Napoli e
rapidamente dimenticato. Il libello fu poi riscoperto da Benedetto Croce
all'inizio Professoree ripubblicato da Salvatore S. Nigro. La
"dissimulazione", tematica al centro dei dibattiti all'epoca, non è,
per Accetto, sinonimo di menzogna, ma invito al raccoglimento e alla cautela.
L'analisi di Accetto pone la questione, da un piano di politica spicciola, su
un piano di accurata indagine morale: l'autore, alquanto speciosamente,
differenzia la simulazione, moralmente riprovevole perché viziata da intenzioni
cattive, dalla dissimulazione, che invece pareva all'Accetto l'unico rimedio
per difendersi da una società pullulante di simulatori e per trionfare delle
proprie passioni. La ricetta però per risultare vincente richiede una onestà di
animo e un buon equilibrio. Opere
Edizioni originali: Rime di Torquato
Accetto, Napoli: nella stampa degli heredi di Tarquinio Longo, Rime del signor Accetto,
divise in amorose, lugubri, morali, sacre, et varie, Napoli: nella stampa di
Giacomo Gaffaro, Della dissimulazione onesta, Napoli, Edizioni moderne: Rime amorose, edizione critica Salvatore S.
Nigro, Torino: Einaudi, Della dissimulazione onesta, edizione critica Salvatore
S. Nigro; presentazione di Giorgio Manganelli, Genova: Costa & Nolan, nuova
edizione Torino: Einaudi, Della dissimulazione onesta Rime, E. Ripari, Milano:
BURRizzoli, . Note "Le Muse",
De Agostini, Novara, B. Croce, Storia dell'età barocca in Italia, Bari, Eugenio
Garin, Storia della filosofia italiana, Torino, 1966 Rosario Villari, Breve riflessione
sulla Dissimulazione onesta di Torquato Accetto, R. Villari, Elogio della
dissimulazione. La lotta politica nel Seicento, RomaBari, Laterza, sapere, De
Agostini. Torquato Accetto, in
Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Opere di Torquato Accetto, su Liber
Liber. Opere di Torquato Accetto, su
openMLOL, Horizons U. La simulazione non facilmente
riceve quel senso onesto che si accompagna con la dissimulazione Io tratterei
pur della simulazione, e spiegherei appie- no l'arte del fingere in cose che
per necessità par che la ricerchino; ma tanto è di mal nome, che stimo maggior
necessità il farne di meno; e benché molti dicano: “Qui nescit fingere nescit
vivere”, anche da molti altri si af- ferma che sia meglio morire, che viver con
questa con- dizione. In breve corso di giorni o d'ore o di momenti, com'è la
vita mortale, non so perché la medesima vita si abbia da occupar a piú
distrugger se stessa, aggiungendo il falso delle operationi dove l'esser quasi
non è; poiché la vera essenzia, come disse Platone, è delle cose che non han
corpo, chiamando imaginaria l'essenzia di ciò ch'è corporeo. Basterà dunque il
discorrer della dissimu- lazione, in modo che sia appresa nel suo sincero
signifi- cato, non essendo altro il dissimulare, che un velo com- posto di
tenebre oneste e di rispetti violenti: da che non si forma il falso, ma si dà
qualche riposo al vero, per di- mostrarlo a tempo; e come la natura ha voluto
che nel- l'ordine dell'universo sia il giorno e la notte, cosí con- vien che
nel giro delle opere umane sia la luce 16 e l'ombra, dico il proceder
manifesto e nascosto, con- forme al corso della ra- gione, ch'è regola della
vita e degli accidenti che in quella oc- corrono. Alcuna volta è necessaria la
dissimulazione, e fin a che termine La frode è proprio mal dell'uomo, essendo
la ragione il suo bene, di che quella è abuso; onde nasce ch'è im- possibile di
trovar arte alcuna, che la riduca a segno di poter meritar lode: pur si concede
talor il mutar manto, per vestir conforme alla stagion della fortuna, non con
intenzion di fare, ma di non patir danno, ch'è quel solo interesse col quale si
può tollerar chi si suol valere della dissimulazione, che però non è frode; ed
anche in senso tanto moderato, non vi si dee poner mano se non per grave
rispetto, in modo che si elegga per minor male, anzi con oggetto di bene. Sono
alcuni che si trasforma- no, con mala piega di non lasciarsi mai intendere; e
spendendo questa moneta con prodiga mano in ogni pic- ciola occorrenza, se ne
trovano scarsi dove piú bisogna, perché scoperti ed additati per fallaci, non è
chi loro cre- da. Questo è per avventura il piú difficile in tal indu- stria;
perché, se in ogni altra cosa giova l'uso continuo, nella dissimulazione si
esperimenta il contrario, poiché il dissimular sempre mi par che non si possa
metter in pratica di buona riuscita. È dunque dura impresa il far con arte
perfetta quello che non si può essercitar in ogni occasione, e però non è da
dir che Tiberio fosse molto accorto in questo mestiero, ancorché da molti si
affermi; e ciò considero perché, dicendo Cornelio Tacito: “Tiberioque etiam in
rebus quas non occuleret, seu natura seu adsuetudine, suspensa semper et
obscura verba”; non solo disse prima: “plus in oratione tali dignitatis quam
fidei erat”, ma conchiude: “At patres, quibus unus me- tus, si intelligere
viderentur”, ecc.; ecco che si accorgea- no chiaramente della sua intenzion in
quelli continui ar- tifici. In sostanza il dissimular è una professione della
qual non si può far professione, se non nella scola del proprio pensiero. Se
alcuno portasse la ma- schera ogni giorno, sarebbe piú noto di ogni altro, per
la curiosità di tutti; ma degli eccellenti dissimulatori, che sono stati e sono,
non si ha notizia alcuna. 1Della disposizione naturale a poter dissimulare
Quelli in chi prevale il sangue o la malinconia o la flemma o l'umor collerico,
è molto indisposto a dissimu- lare. Dove abbonda il sangue, concorre
l'allegrezza, la qual non sa facilmente celare, essendo troppo aperta per sua
propria qualità. L'umor malinconico, quando è fuor di modo, si fa tante
impressioni, che difficilmente le na- sconde. Il soverchio flemmatico, perché
non fa gran conto de' dispiaceri, è pronto ad una manifesta tolleran- zia; e la
collera, che è fuor di misura, è troppo chiara fiamma, da dimostrar i proprii
sensi. Il temperato dun- que è molto abile a questo effetto di prudenza, perché
ha da esser, nelle tempeste del cuore, tutta serena la faccia; o, quando è
tranquillo l'animo, parer turbato il viso, come anderà richiedendo l'occasione;
e ciò non è facile, se non al temperamento che dico. Non voglio contradir
all'opinione di que' che sogliono attribuir a certi popoli la disposizione del
dissimulare e, ad altri, stimarla quasi impossibile; ma ben posso dire che, in
ogni paese, son di quelli che l'hanno e di que' che non vi si sanno ac-
commodare; ma piú è certo che gli uomini non nascono con gli animi legati a
necessità alcuna, onde libera la volontà si gira all'elezzione; e ciò
leggiadramente fu espresso da Dante in que' versi: Voi che vivete ogni cagion
recate pur suso al cielo, sí come se tutto movesse seco di necessitate. Se cosí
fosse, in voi fora distrutto libero arbitrio, e non fora giustizia per ben
letizia, e per mal aver lutto. Il cielo i vostri movimenti inizia; non dico
tutti, ma, posto che 'l dica, lume v'è dato a bene e a malizia, e libero voler;
che, se fatica ne le prime battaglie del ciel dura, poi vince tutto, se ben si
nutrica. A maggior forza e a miglior natura liberi soggiacete; <e> quella
cria la mente in voi, che 'l ciel non ha in sua cura. Dell'esercizio che rende
pronto il dissimulare Da chi ha per non plus ultra le porte delle natie con-
trade, o che da' libri non apprende il lungo e 'l lato del mondo, e' suoi vari
costumi, con difficultà si viene al consiglio della dissimulazione; perché in
persona cosí molle e poco intendente, riesce molto dura questa prati- ca, la
qual contiene l'esser d'assai e talora parer da poco: è dunque conforme a
questo abito chi non s'è tanto ri- stretto, poiché dal conoscer gli altri nasce
quella piena autorità che l'uomo ha sopra se stesso quando tace a tempo, e
riserba pur a tempo, quelle deliberazioni che domane per avventura saranno
buone, ed oggi sono per- niziose. Chiaro è che 'l viaggio per diversi paesi,
come Omero cantò di Ulisse, “qui mores hominum multorum vidit et urbes”, o
l'aver letto ed osservati molti accidenti, è cagion potente a produrre una
gentil disposizione di metter freno agli affetti, acciò che non come tiranni,
ma come soggetti alla ragione, ed a guisa di ubbidienti citta- dini, si
contentino ad accommodarsi alla necessità, della quale disse Orazio: Durum, sed
levius fit patientia quicquid corrigere est nefas. Sí che tant'altezza di
spirito si accresce per mezzo della vita occupata negli affari del mondo, e
nella considerazione del tempo passato, per non contradir al pre- sente e poter
far giudicio dell'avvenire. Stando la mente cosí sodisfatta, non le parrà nuova
qual si sia mutazio- ne che le si vada rappresen- tando, ed in conseguenza
dipenderà da lei, e non dal precipizio del senso, l'espres- sion di quan- to le
succede. Che cosa è la dissimulazione Da poi che ho conchiuso quanto conviene
il dissimu- lare, dirò piú distinto il suo significato. La dissimulazio- ne è
una industria di non far veder le cose come sono. Si simula quello che non è,
si dissimula quello ch'è. Disse Virgilio di Enea: Spem vultu simulat, premit
altum corde dolorem. Questo verso contiene la simulazion de la speranza e la
dissimulazione del dolore. Quella non era in Enea, e di questo avea pieno il
petto; ma non volea palesar il senso de' suoi affanni: ricordava però a'
compagni l'aver sofferti piú gravi mali, e nominando la rabbia di Scilla e lo
strepito degli scogli ed i sassi de' Ciclopi, se ne valse come per sepellir tra
que' mostri, e tra quelle passate rui- ne, tutte le rie venture che lor già
davan noia; e col dol- cissimo “meminisse iuvabit”, conchiude: Per varios
casus, per tot discrimina rerum tendimus in Latium, sedes ubi fata quietas
ostendunt; illic fas regna resurgere Troiae. Durate, et vosmet rebus servate
secundis. Ma in ogni modo l'animo era ferito, e troppo dolente, perché “Talia voce refert curisque ingentibus aeger.”
Si vede in questi versi l'arte di nasconder l'acerbità della fortuna, e prima
fu espresso da Omero come da Ulisse si dissimulava il dolore, quando in altra
figura dava di se stesso nuova alla sua Penelope; della qual disse: Hac autem
<iam> audiente fluebant lacrymae, liquefiebat autem corpus sicut autem
nix liquefit in altis montibus, quam Eurus liquefecit, postquam Zephyrus
defusus est liquefacta autem igitur hac, fluvii implentur fluentes: sic huius
liquefiebant pulchrae genae lachrymantis flentis suum virum assidentem. At
Ulysses animo quidem lugentem suam miserabatur uxorem. Oculi autem tanquam
cornua stabant vel ferrum. Tacite in palpebris dolo autem hic lachrymas
occultabat. Ecco la prudenza con che Ulisse mettea freno alle la- grime, quando
era tempo di nasconderle; e la compara- zion di liquefarsi Penelope, come la
neve, mi dà occa- sione di soggiunger quello che sia l'umido e 'l secco, di-
cendo Aristotile: “humidum est quod suo ipsius termino contineri non potest;
facile autem termino continetur alieno. Siccum est quod facile suo, difficulter
autem ter- mino terminatur alieno”. Da che si può apprender che il dissimular
ha del secco, perché si ritien nel proprio ter- mine; e questi son gli occhi di
Ulisse rassomiliati, in tempo di dolore, alla fermezza del corno e del ferro,
quando que' di Penelope eran molli e non avean termine 25 prescritto,
conforme a quelle ch'eran versate nell'animo di Ulisse, tenendo il ciglio
asciutto, ed a questo par che corrisponda quella sentenza di Eraclito: “Lux
sicca, anima sapientissi- ma”. 26 IX. Del bene che si produce dalla dissimulazione
Presupposto che nella condizion della vita mortale possano succeder molti
difetti, segue che gravi disordini siano al mondo quando, non riuscendo di
emendarli, non si ricorre allo spediente di nasconder le cose che non han
merito di lasciarsi vedere, o perché son brutte o perché portan pericolo di
produrre brutti accidenti. Ed oltre a quanto avviene agli uomini, se pur si
considera la natura per tante altre opere di qua giú, si conosce che tutto il
bello non è altro che una gentil dissimulazione. Dico il bello de' corpi che
stanno soggetti alla mutazio- ne, e veggansi tra questi i fiori, e tra' fiori
la lor reina; e si troverà che la rosa par bella, perché a prima vista dis-
simula di esser cosa tanto caduca, e quasi con una sem- plice superficie di
vermiglio, fa restar gli occhi in un certo modo persuasi ch'ella sia porpora
immortale; ma in breve, come disse Torquato Tasso: quella non par che disiata
avanti fu da mille donzelle e mille amanti; perché la dissimulazione in lei non
può durare. E tanto si può dir di un volto di rose, anzi di quanto per la terra
riluce tra le piú belle schiere d'Amore; e benché della bellezza mortale sia
solito dirsi di non parer cosa terre- 27 na, quando poi si considera il
vero, già non è altro che un cadavero dissimulato dal favor dell'età, che ancor
si sostiene nel riscontro di quelle parti e di que' colori che han da dividersi
e cedere alla forza del tempo e della morte. Giova dunque una certa
dissimulazion della natu- ra, per quanto si contiene tra lo spazio degli
elementi, dov'è molto vera quella proposizione che afferma di non esser
tutt'oro quello che luce; ma ciò che luce nel Cielo ben corrisponde sempre,
perché ivi tutte le cose son bel- le dentro e fuori. Or, passando all'utile che
nasce dalla dissimulazione ne' termini morali, comincio dalle cose che piú
bisognano, dico dall'arte della buona creanza, la qual si riduce nella
destrezza di questa medesima dili- genza. E leggendosi quanto ne scrisse
monsignor della Casa, si vede che tutta quella nobilissima dottrina inse- gna
cosí di ristringer i soverchi di- siderii, che son cagion di atti noiosi, come
il mo- strar di non veder gli errori altrui, ac- ciò che la con- versazione
riesca di buon gusto. 28 X. Il diletto ch'è nel dissimulare Onesta ed
util è la dissimulazione, e di piú, ripiena di piacere; perché se la vittoria è
sempre soave, e come disse Ludovico Ariosto, Fu il vincer sempre mai lodabil
cosa, vincasi per fortuna o per ingegno, è chiaro che 'l vincer per sola forza
d'ingegno succede con maggior allegrezza, e molto piú nel vincer se stesso,
ch'è la piú gloriosa vittoria che possa riportarsi. Que- st'avviene nel
dissimulare, con che, dalla ragione supe- rato il senso, si riceve intiera
quiete; ed ancorché si sen- ta non poco dolor quando si tace quello che si vorrebbe
dire, o si lascia di far quanto vien rappresentato dall'af- fetto, nondimeno
piace poi grandemente d'aver usata so- brietà di parole e di fatti. A questa
conseguenza di sodi- sfazzione, ha da rivolger il pensiero chi disidera di
viver con riposo; e ciascun, che vuol ben accorgersene per gl'interessi suoi,
vegga sopra di ciò gli altrui falli, e cosí ben conosca che tanto è nostro
quanto è in noi medesi- mi. Non dico che non si han da fidar nel seno
dell'amico i segreti, ma che sia veramente amico; ed è degno di gran
considerazione, in quell'epigramma di Marziale, dove parla a se stesso della
vita beata, che nominando a questo fine dicisette cose, fa che stia nel mezzo
“prudens simplicitas”, dicendo: Vitam quae faciunt beatiorem, iucundissime
Martialis, haec sunt: res non parta labore, sed relicta; non ingratus ager,
focus perennis; lis nunquam, toga rara, mens quieta; vires ingenuae, salubre
corpus, prudens simplicitas, pares amici, convictus facilis, sine arte mensa;
nox non ebria, sed soluta curis; non tristis torus, attamen pudicus; somnus qui
faciat breves tenebras; quod sis esse velis nihilque malis, summum nec metuas
diem nec optes. Il prudente candor dell'animo è dunque il centro della
tranquillità. “Hoc opus, hic labor”. 30 XI. Del dissimulare con li
simulatori Quelli che si applicano al piacer della parte ch'è in noi
soggett'alla morte, sprezzando l'uso della ragione, si mutano in abito di
fiere; perché tali son da riputarsi, come fu espresso da Epicteto stoico,
dicendo: “Certe misellus homuncio, et caro infoelix, et revera misera. At
melius <etiam> quiddam habes carne; quare, misso illo et neglecto, carni
duntaxat es deditus? Ob huius societa- tem declinantes a meliore natura quidam,
lupis similes efficimur, dum sumus perfidi et insidiosi et ad nocen- dum
parati: alii leonibus, quia feri, immanes ac trucu- lenti: maxima vero pars
vulpeculae sumus”. Da che si può considerar un de' duri impedimenti nel
dissimulare; poiché il guardarsi da lupi e da leoni è cosa piú pronta per la
notizia che si ha della lor violenza, e perché poche volte si riscontrano; ma
le volpi son tra noi molte e non sempre conosciute, e quando si cono- scono, è
pur malagevole usar l'arte contra l'arte, ed in tal caso riuscirà piú accorto
chi piú saprà tener apparenza di sciocco, perché, mostrando di creder a chi
vuol in- gannarci, può esser cagion ch'egli creda a nostro modo; ed è parte di
grand'intelligenza che si dia 31 a veder di non vedere, quando piú si
vede, già che cosí 'l giuoco è con occhi che pa- ion chiusi e stan- no in se
stessi aperti. Del dissimulare con se stesso Mi par che l'ordine di questo
artificio metta prima la mano nella persona propria; ma si richiede prudenzia
in estremo, quando l'uomo ha da celarsi a se medesimo, e questo non piú che per
qualche picciolo intervallo e con licenza del “nosce te ipsum”, per pigliar una
certa ri- creazione passeggiando quasi fuor di se stesso. Prima dunque ciascun
dee procurar non solo di aver nuova di sé e delle cose sue, ma piena notizia,
ed abitar non nella superficie dell'opinione, che spesse volte è fallace, ma
nel profondo de' suoi pensieri, ed aver la misura del suo talento e la vera
diffinizione di ciò ch'egli vale, essendo di maraviglia che ogni uno attend'a
saper il prezzo della roba sua e che pochi abbian cura o curiosità d'intender
il vero valor dell'esser loro. Or, presupposto che si sia fat- to il possibile
di saperne il vero, conviene che in qual- che giorno colui ch'è misero si
scordi della sua disav- ventura, e cerchi di viver con qualche imagine almeno
di sodisfazzione, sí che sempre non abbia presente l'og- getto delle sue
miserie. Quando ciò sia ben usato, è un inganno c'ha dell'onesto; poiché è una
moderata oblivio- ne, che serve di riposo agl'infelici: e benché sia scarsa e
pericolosa consolazione, pur non se ne può far di meno, per respirar in questo
modo; e sarà come un sonno de' pensieri stanchi, tenendo un poco chiusi gli
occhi della cognizion della propria fortuna, per meglio a- prirli dopo cosí
breve risto- ro: dico breve, perché fa- cilmente si muterebbe in letargo, se
troppo si praticasse que- sta negligenza. Della dissimulazione che appartiene
alla pietà Quando considero che il vino fu trovato dopo il dilu- vio, conosco
che non bisognava minor quantità d'acqua per temperarlo; e qui son da veder due
cose: una di Noè, che ne restò ignudo, e ciò ne dimostra che 'l vino è mol- to
contrario alla dissimulazione, e quanto questa s'im- piega a coprire, tanto
quello attende a scoprire; l'altra della pietà delli due figli, che con la
faccia indietro rico- prirono il padre, dissimulando di vederlo a tal termine,
quando dal lor fratello, già alienato da ogni legge di umanità, era schernito
ignudo colui che l'avea vestito delle proprie carni. Oh quanti son al mondo che
imitano questa mostruosa ingratitudine, facendo materia da ride- re chi loro
doverebber'esser oggetto d'amore e di reve- renza! Pochi son gl'imitatori di
que' due che seppero tro- var il modo di volger le spalle, per pietà, al padre,
non come molti fanno, che si lascian la paterna necessità dietro le spalle. Non
solo que' pietosi figli si occuparono a ricoprir il padre, ma vollero mostrar
di non averlo ve- duto in tal condizione. Cosí ciascuno dee corrisponder a
scusar i disordini, ed in particolare que' de' superiori, ogni volta che alcuno
di loro v'incorre. Altri pietosi uffi- ci mi si rappresentano nell'istoria di
Giuseppe che, ven- duto da' fratelli, mostrò poi di non conoscerli, a fine di
35 piú riconoscerli per mezzo de' benefici; e, con esempio di rada
mansuetudine, dissimulava il dono di quegli ele- menti che lor in apparenza
vendeva, perché i medesimi sacchi ne riportavano i danari a casa; finché, fatto
venir anche l'ultimo de' fratelli, e usati tutt'i modi di manife- star a tempo
la sua benignità, “non se poterat ultra cohi- bere Joseph multis coram
adstantibus”. In questo ebbe fine quella sincera ed innocente dissimulazione; e
segue nel Genesi a narrarsi la sua pietà: “unde praecepit ut egrederentur
cuncti foras, et nullus interesset alienus agnitioni mutuae. Elevavitque vocem
cum fletu, quam audierunt Aegyptii, omnisque domus Pharaonis, et dixit
fratribus suis: - Ego sum Joseph -”. Era egli nell'Egitto con suprema gloria, e
già chiamato salvator del mondo; con tutto ciò, non tenendo conto dell'offese,
dissimulò d'esser fratello, per dimostrarsi piú che fratello. Io non so chi
possa ritener le lagrime, leggendo quella pietosa istoria, dalla qual si può
apprender la dolcezza del per- dono e del dissimular l'ingiurie, e massimamente
quan- do vengon da persone tanto care quanto son i fratelli. Come quest'arte
può star tra gli amanti Amor, che non vede, si fa troppo vedere. Egli è pic-
ciolo, e come disse Torquato Tasso: Picciola è l'ape, e fa col picciol morso
pur gravi e pur moleste le ferite; ma qual cosa è piú picciola d'Amore, se in
ogni breve spazio entra, e s'asconde?. Nondimeno è pur tanto grande, che non ha
luogo da potersi in tutto nasconder, è quando è giunto al suo cen- tro, ch'è il
cuore, se non si mostra per altra via, accende quella febre amorosa della qual
era infermo Antioco e di che il Petrarca fe' che dicesse Seleuco: E se non
fosse la discreta aita del fisico gentil, che ben s'accorse, l'età sua in sul
fiorir era fornita. Tacendo, amando, quasi a morte corse; e l'amar forza, e 'l
tacer fu virtute; la mia, vera pietà, ch'a lui soccorse. Quindi si può
considerar come, mettendosi fuoco a tutta la casa, le faville, anzi le fiamme,
ne fan publica pompa per le finestre e dal tetto. Tanto avviene, e peggio,
quando amor prende stanza ne' petti umani, accen- dendogli da dovero, perché i
sospiri, le lagrime, la palli- dezza, gli sguardi, le parole, e quanto si pensa
e si fa, tutto va vestito con abito d'amore. Cosí dunque di Antio- co,
nell'amor verso Stratonica sua matrigna, ancorch'egli tacesse, si palesò
l'incendio nelle vene e ne' polsi. Non avea consentito di chiamarsi amante
Didone, mentre Amor in figura di Ascanio trattava con lei; ma niuna cosa
mancava, perché già si vedesse accesa, come Virgi- lio va significando:
Praecipue infelix pesti devota futurae expleri mentem nequit, ardescitque tuendo
Phenissa et puero pariter donisque movetur. Ed ancorché andasse velando gli
stimoli della piaga interna, nel progresso del suo affetto, At regina gravi
iamdudum saucia cura vulnus alit venis at caeco carpitur igni, pur, quello che
la lingua non avea publicato, fu espresso nelle strida della piaga ch'ella
stessa disperata si fe', conchiudendo Virgilio: Illa, graves oculos conata
attollere, rursus deficit: infixum stridet sub pectore vulnus. Di Erminia si
ha, da Torquato Tasso, che avea dissi- mulato il suo pensiero, e ch'ella poi
disse a Vafrino: 38 Male amor si nasconde. A te sovente desiosa i'
chiedea del mio signore. Vedendo i segni tu d'inferma mente: - Erminia - mi
dicesti - ardi d'amore. - Io te 'l negai, ma un mio sospiro ardente fu piú verace
testimon del core; e 'n vece forse della lingua, il guardo manifestava il foco
onde tutt'ardo. Il medesimo dolor che tormenta gli amanti, se non ba- st'a far
che dicano i loro affetti, si muta in ambizione amorosa di dimostrarli; e se
gli animi onesti si contenta- no di non manifestarsi, con gran fatica si
riducono a portar intiero il manto che ha da coprir tanti affanni. L'ira è
nimica della dissimulazione Il maggior naufragio della dissimulazione è
nell'ira, che tra gli affetti è 'l piú manifesto, essendo un baleno che, acceso
nel cuore, porta le fiamme nel viso, e con orribil luce fulmina dagli occhi; e
di piú fa precipitar le parole, quasi con aborto de' concetti che, di forma non
intieri e di materia troppo grossa, manifestano quanto è nell'animo. Molta prudenza
si richiede, per rinchiuder cosí gagliarda alterazione; e di chi è trascorso a
tanto impeto, disse Platone: “tanquam canis a pastore, ita de- nique revocatus
ab ea quae in ipso est ratione mitescat.” Era Achille in questa passione contra
Agamennone, quando “truculento intuens aspectu: - O vir - inquit - ex dolo
totus atque imprudentia factus ac genitus, et quis tibi Graecorum posthac
libens pareat? Ma l'ufficio della ragione, significata per Minerva scesa dal
cielo, va temperando: “ - Non venit - inquit - a caelo, Achilles, ut te iratum
in ultionem iniuriae acceptae erumpere vi- deam, sed ut ira<cundia>m tuam
compescam - Sí che Omero, in questa occasione di Achille, spiega insieme quanto
importi la dissimulazione. Da due potenti stimoli procede tanta licenza di
parole nell'ira, cioè dal dispia- cere e dal piacere, perché ella è appetito,
con dolore, di far vendetta che si dimostri vendetta, per dispregio che
40 crediamo fatto di noi, o d'alcuno de' nostri, indegnamen- te, come
disse Aristotile; ed a questo dolor segue il di- letto, che nasce dalla
speranza di vendicarsi, e perché l'animo è in atto di vendetta: e però
Aristotele soggiun- se: “recte illud de ira dictum est quod, defluente melle
dulcior, in virorum pectoribus gliscit”. Dunque, da cosí fatto misto di amaro e
di dolce, dee guardarsi chi non si vuol mostrar facilmente turbato, come
sogliono parer gl'infermi, i poveri e gli amanti, e tutti quelli che si fan
vincer dal disiderio. Importa il prevenir con la conside- razione di quanto è
maggior diletto vincer se stesso, in aspettar che passi la procella degli
affetti, e per non deli- berare nella confusione della propria tempesta; ma nel
sere- no dell'animo che, ritirato ogni pensiero nell'altissi- ma parte della
mente, potrà sprezzar molte cose, o non curar di vederle. Chi ha soverchio
concetto di se stesso ha gran difficultà di dissimulare L'error che si può far
nel compasso, il qual si gira nel- l'opinion di noi stessi, suol esser cagion
che trabocchi ciò che si dee ritener ne' termini del petto; perché, chi si
stima piú di quello che in effetto è, si riduce a parlar come maestro, e
parendogli che ogni altri sia da men di lui, fa pompa del sapere, e dice molte
cose che sarebbe sua buona sorte aver taciuto. Pitagora, sapendo parlare,
insegnò di tacere; ed in questo esercizio è maggior fati- ca, ancorché paia
d'esser ozio. I concetti che risuonano nelle parole, non solo portano l'imagine
di quelli che stanno nell'animo, ma son fratelli mentali (già che non posso dir
carnali) del concetto che l'uomo ha del suo sa- pere. Questo è il concetto
primogenito (per dir cosí), al qual succedono gli altri; e se non è con misura,
ne procedono molti e vari ragionamenti, e di necessità però si scopre quanto è
nel pensiero; ma chi di sé fa quella sti- ma che di ragion conviene, non
commette alla lingua maggior giuridizzione di quanto è il lume dell'intelligen-
zia che la dee muovere. 42 XVII. Nella considerazione della divina
giustizia si facilita il tollerar, e però il dissimular le cose che in altri ci
dispiacciono Convien di trattar di alcune cose piú in particolare, che
ricercano d'esser tollerate, ch'è lo stesso a dir dissi- mulate, poiché sono
molt'i dispiaceri dell'uomo ch'è spettator in questo gran teatro del mondo, nel
qual si rappresentano ogni dí comedie e tragedie; ed or non dico di quelle che
son invenzioni de' poeti antichi o mo- derni, ma delle vere mutazioni del mondo
stesso, che da tempo in tempo, in quanto agli accidenti umani, prende altra
faccia ed altro costume. L'ordine è forma che fa il tutto simigliante a Dio,
che lo creò e lo serba col dono della sua providenza, la qual per lo gran mar
dell'essere ogni cosa conduce con prospero viaggio; e disponendo la medesima
regola sopra il merito o demerito delle ope- re umane, si vieta nondimeno alla
debolezza de' nostri pensieri il passar negli abissi de' consigli divini, alli
qua- li si dee infinita riverenza, avendosi da ricever per giu- sto quanto
consòna alla volontà di Dio. E se pur sempre non vediamo nelle cose mortali
quell'ordine infallibile che si manifesta nel moto del sole, della luna e
dell'altre stelle, anz'in molta confusione spesse volte si truovano i negozii
di qua giú, non manca però la certezza dell'eter- na legge, che tutto sa
applicar ad ottimo fine; e 'l premio e la pena, che non sempre vien pronta, si
aspetti come decreto inseparabile dal giudizio divino, che per tutto va
penetrando con la sua non mai limitata potenzia. A que- sta verità, ch'è via di
quiete, per dissimular le sinistre apparenze, soggiungerò piú distinto il modo
di accom- modarsi a quelle. 44 XVIII. Del dissimular l'altrui fortunata
ignoranzia Gran tormento è di chi ha valore, il veder il favor del- la fortuna,
in alcuni del tutto ignoranti; che senz'altra oc- cupazione, che di attender a
star disoccupati, e senza sa- per che cosa è la terra che han sotto i piedi,
son talora padroni di non picciola parte di quella. Veramente chi si mette a
considerar questa miseria, è in pericolo di perder la quiete, se insieme non
s'accorge che la medesima for- tuna, che talora fa qualche piacere alla turba
degli scioc- chi, suol abbandonar l'impresa, e quando piú luce, si rompe,
lasciando scherniti que' che non son degni della sua grazia; e di piú la gente
di questa qualità, non ha che pretender per l'acquisto di quella gloria, che solamente
appartiene a chi sa da dovero; e se qualche uomo di ec- cellente virtú, alcuna
volta sta quasi sepellito vivo, in ogni modo si ha da udir il grido del suo
merito; e non solo la voce ne dee risonar tra quelli che vivono nel me- desimo
tempo, ma se ne va passando da un secolo all'al- tro; perché il vero valor è
che fa per fama gli uomini immortali, come disse il Petrarca; e prima di lui
Dante: vedi se far si dee l'uomo
eccellente sí ch'altra vita la prima relinqua. Di questa maniera si libera il
nome dalle mani della morte, ed un'anima piena di cosí alta speranza, non sente
noia che a qualche indegno e da poco, per poco tempo, si faccia applauso, es-
sendo un salto di fortuna che se ne passa senza lasciar ve- stigio, come il
fumo nell'aria. Del dissimular all'incontro dell'ingiusta potenzia Orrendi
mostri son que' potenti, che divorano la so- stanza di chi lor soggiace; onde
ciascuno, che sia in pe- ricolo di tanta disaventura, non ha miglior mezzo di
ri- mediar, che l'astenersi dalla pompa nella prosperità, e dalle lagrime e da'
sospiri nella miseria; e non solo dico del nasconder i beni esterni, ma que'
dell'animo; onde la virtú, che si nasconde a tempo, vince se stessa, assicu-
rando le sue ricchezze, poiché il tesoro della mente non ha men bisogno talora
di star sepolto, che il tesoro delle cose mortali. Il capo che porta non
meritate corone, ha sospetto d'ogni capo dove abita la sapienzia; e però spesso
è virtú sopra virtú, il dissimular la virtú, non col velo del vizio, ma in non
dimostrarne tutt'i raggi, per non offender la vista inferma dell'invidia e
dell'altrui ti- more. Anche lo splendor della fortuna ha da esser cauto nel
palesarsi, già che, passando a dimostrazioni di soverchi arnesi e di oziosi
ornamenti, oltre al distrugger il capital nelle spese, suol accender gran fuoco
nella pro- pria casa, destando gli occhi degl'ingordi a pretenderne parte, e
forse il tutto. Ma piú dura è la fatica di dover pi- gliare abito allegro nella
presenza de' tiranni, che so- glion metter in nota gli altrui sospiri, come di
Domiziano disse Tacito: “Praecipua sub Domitiano miseriarum pars erat videre et
aspici, cum suspiria nostra subscribe- rentur, cum denotandis tot hominum
palloribus sufficeret saevus ille vultus et rubor, a quo se contra pudore
muniebat”. Sí che non è permesso di sospirare, quando il tiranno non lascia
respirare, e non è lecito di mostrarsi pallido, mentre il ferro va facendo
vermiglia la terra con sangue innocente, e si niegano le lagrime che dalla benignità
della natu- ra son date a' miseri come propria dote, per formar l'onda che in cosí
picciole stille suol portar via ogni grave noia e la- sciar il cuor, se non
sano, al- men non tanto oppresso. Del dissimular l'ingiurie L'ingiuria, che si
può dissimulare, e nondimeno si manifesta nel disiderio della vendetta, è fatta
piú da colui che la riceve che dal suo nimico. Non tutti sanno ben conoscer il
decoro dell'onesta tolleranzia, in che si accordano tutt'i filosofi, che per
altre opinioni, in varie set- te, non son di conforme parere, dicendo Tertulliano:
“tantum illi subsignant, ut cum inter sese variis sectarum libidinibus et
sententiarum aemulationibus discor- dent, solius tamen patientiae in
com<m>une memores, huic uni studiorum suorum commiserint pacem: in eam
conspirant, in eam foederantur, illi in adfect<at>ione virtutis
unanimiter student, omnem sapientiae ostenta- tionem de patientia praeferunt. Alcuni,
non distinguen- do la forteza dal temerario ardire, son pronti ad ogni qualità
di vendetta, e per un cenno che non sia fatto a lor modo, vogliono penetrar
negli altrui pensieri e dolersene come di offese publiche. I sensi cosí fieri
son vicini ad estremi mali, e l'esperienza dimostra che le picciole in- giurie,
se non si lascian passar sotto qualche destrezza, sogliono diventar grandi; ed
a tutti color che son potenti, molto piú convien di ritirar la vista da simili
occasioni: perché ogni un che possa poco, è buon maestro a' suoi pensieri, per
accommodarsi a tollerare; ma chi ha forza di risentirsi, sente stimolo di
correr a precipizio, e molti di questi che stanno in alta fortuna, scordati non
solamente di usar perdono, ma della proporzion della pena, prendono mezzi
violenti per l'altrui ruina; da che avviene ch'essi pur rimangono in tanta
turbazione de' fatti loro che, oltre all'odio publico, son anche in odio a se
medesimi, per la perdita della quiete interna, ch'è bene inestimabile ed appartiene
all'innocenzia. Del cuor che sta nascosto Gran diligenza ha posta la natura per
nasconder il cuore, in poter del quale è collocata, non solo la vita, ma la
tranquillità del vivere: perché nello star chiuso, per l'ordine naturale si
mantiene; e quando gli occorre di star nascosto, conforme alla condizion
morale, serba la salute delle operazioni esterne. E pur in questo modo, non a
tutti si dee nasconder; onde, nell'elezzione, si con- sideri quello che fu
detto da Euripide Sapienti diffidentia non alia res utilior est mortalibus.
L'esperienza, che si suol doler degl'inganni, potrà far luce in questa materia,
ch'è una selva oscura per l'incertezza del ben eleggere; e però ogni ingegno
accorto va- gliasi degli abissi del cuore, ch'essendo breve giro, è capace
d'ogni cosa; anz'il mondo intiero non lo riempie, poiché solo il Creator del
mondo può saziarlo. Si ammira, come grandezza degli uomini di alto stato, lo
starsi ne' termini de' palagi, ed ivi nelle camere segrete, cinte di ferro e di
uomini a guardia delle loro persone e de' loro interessi; e nondimeno è chiaro
che, senza tanta spesa, può ogni uomo, ancorch'esposto alla vista di tutti,
nasconder i suoi affari nella vasta ed insieme segreta casa del suo cuore,
perché ivi soglion esser quei templi sereni, de' quali cantò Lucrezio: sed
nihil dulcius est, bene quam munita tenere edita doctrina sapientium templa
serena, despicere unde queas alios passimque videre errare atque viam palantes
quaerere vitae. Applicando io però questi versi al senso che conviene a
significar un'altezza d'animo, ed una quiete, che con- duce al piacer ed alla
gloria immortale, e non al diletto fallace. La dissimulazione è rimedio che
previene a rimuover ogni male Era tanto stimata da Giob la dissimulazione
onesta che, non avendo lasciato di valersene nel suo regno, poi che si vide
privo di prosperità, parendogli di aver fatto assai dalla parte sua perché non
gli fosse caduta dalle mani, disse: Nonne dissimulavi? nonne silui? nonne
quievi? et venit super me indignatio. Egli con tranquillità governò il suo
stato, e sempre che potette dissimular, lo fe' volentieri; e però s'era per-
suaso che non avesse da seguir mutazione nelle cose sue, ben assicurate dalla
prudenzia, che in sé raccoglie- va dissimulazione, silenzio e quiete. Ma se con
tutto ciò cadde in miseria, fu voler di Dio, che si compiacque di far vedere
nella persona di quel santo una invitta costan- za e 'l trionfo della pazienzia,
che nel carro della vera gloria si menò appresso come catenati tutt'i mali, fin
ch'egli ebbe la prístina felicità con duplicate sodisfazzioni; e quella sua
giustizia, che nel termine della sem- plice natura si dimostrò al mondo, sarà
esempio in tutt'i secoli per affermare che i servi di Dio, in ogni condizio-
ne, son sempre beati. Dunque Giob era tale, anche nel tempo de' suoi tormenti;
ma per non uscir dalla materia 53 di che vo trattando, dico ch'egli,
facendo il conto con la sua conscienzia, dicea: “Nonne dissimulavi? nonne si-
lui? nonne quievi?”, volendo significar che a questa dili- genza non suol
mancar piacer alcuno; e quando succede qualche accidente che perturbi tanto
sereno, vuol il cielo che, dopo l'avversità, si accresca splendor agli animi
che son alieni dagli affetti della terra. In un giorno solo non bisognerà la
dissimulazione È tanta la necessità di usar questo velo, che solamente
nell'ultimo giorno ha da mancare. Allora saran finiti gl'interessi umani, i
cuori piú manifesti che le fronti, gli animi esposti alla publica notizia, ed i
pensieri esaminati di numero e di peso. Non averà che far la dissimulazio- ne
tra gli uomini, in qualunque modo si sia, quando Id- dio, che oggi “est
dissimulans peccata hominum”, non dissimulerà piú; ma poste le mani al premio
ed alla pena, metterà termine all'industria de' mortali, e que' sa- gaci
intelletti, che hanno abusato il proprio lume, si accorgeranno come allora non
gioverà l'arte del cucir la pelle della volpe dove non arriva quella del leone,
che fu consiglio di un re spartano: perché l'onnipotente Leo- ne, facendo
ruggir il mondo dagli abissi fin alle stelle, chiamerà tutti; e ciascuno dee
saper e dire circumdabor pelle mea, come disse Giob. Quell'aurora porterà un
giorno tutt'occupato dalla giustizia, e nel mostrar i conti, non vi sarà arte
da far vedere il bianco per lo nero. S'udirà il decreto, che sarà l'ultimo
delle leggi, e darà legge eterna alle stelle ed alle tenebre, al piacer ed alla
pena, alla pace ed alla guerra. Sarà forz'alla dissimulazione di fuggirsene in
tutto, quando la verità stessa aprirà le finestre del cielo e, con la spada
accesa, troncherà il filo d'ogni vano pensiero. Come nel cielo ogni cosa è
chiara Se per questa vita in un giorno solo non bisognerà la dissimulazione,
nell'altra non occorre mai; e lasciando di trattar delle anime infelici che,
con la luce del fuoco eterno, anzi nelle tenebre, mostrano gli orribili mostri
de' peccati, dirò dello stato delle anime eternamente felici. Ivi hanno lo
specchio, ch'è Iddio, il qual vede tutto, e ben nella lingua greca il suo nome,
come osserva Gregorio Nisseno, dimostra efficacia di vedere, perché theós viene
a theáome, ch'è mirare e contemplare. Veggono i beati colui che vede, sí che
nel cielo non occorre che alcuno si celi. Ivi tutto è manifesto, perché tutto è
buono, tutto è chiaro, tutto è caro. Quanti piú sono a possedere il sommo bene,
tanto piú son ricchi. Dov'è tanto amor, non può succedere occasion di custodire
in- teresse alcuno. Ma qui, dove siamo vestiti di corruzzio- ne, si procura con
ogni sforzo il manto, con che si dissi- mula per rimedio di molti mali; ed
ancorché ciò sia one- sto, pur è travaglio; onde si dee aspirar al termine di
questa necessità, e spesso, rimovendo lo sguardo dagli oggetti terreni,
vagheggiar le stelle come segni del vero lume che, anche per mezzo d'esse,
c'invita alla propria stanza della verità. Ivi, nella divina essenza, i beati
go- dono della chiara vista, ch'è l'ultima beatitudine dell'uomo, essendo la
piú alta operazione dell'intelletto, per mezzo del lume della gloria che lo
conforta; perch'essendo la divina essenza sopra la condizione dell'intellet- to
creato, può questi vederla, non per forze naturali, ma per grazia; e come uno
ha maggior lume di gloria del- l'altro, cosí può meglio conoscerla, ancorché
sia impos- sibile vederla quanto è visibile, perché il medesimo lume della
gloria, in quanto è dato a tal intelletto, non è infinito. Or, considerando
cosí sodisfatti, cosí felici, ed in eterno sicuri, gli abitatori del Paradi-
so, si vede come non han da nasconder di- fetto alcuno; e per conseguenza la
dissimulazio- ne rimane in ter- ra, dove ha tutti i suoi ne- gozii. The
first stage X produces a screech volunaarity so that the rest of the world
should think that x he is in the state wwhich the NON-voluntary production
would SIGNIFY. Stage 2, produce X is now
supposed not only TO SIMULATE pain-behaviour but also to be recognised as
simulating pain-behaviour. Stage three X
screes so that Y not only recotgnises that the behaviour is voluntary but also
recognises that X intends Y to recognise his behaviour as voluntary. We have
underminded that this is a straightforward piece of DECEPTION. DECIEVING
consists in trying to get a creature to accept certain things as SIGNS of
something or other wihout knowing that this is a FAKED case. Were would weuld
have a sort of PERVERSE faked case in which something is faked but at the same
time a CLEAR thindictation is put in that the faking has been done.Y can be
thought of as initially BAFFLED by this conflicting performance. There is this
creature simulating pain but ANNOUNCING, that this what he is doing. What on
earth can it be up to me. If Y does raise the question of why X should be doing
this, Y might first come up with the idea that X is engagnen in some form of
make believe – a game to which Y is expected to make some appropriate
contribution. This is stage 4. But we may suppose, tthere might be cases which
coud NOT be handled in this way. If Y is to be expected to be a participant
whith X in some form of play, it ought to be possible for Y to recognise what
kind of contribution Y is supposed to make. And we can envisage the possibility
that Y has NO CLUE on which to base such recognition, or again that though some
form of contribution seems to be suggested, when Y obliged by coming up with
it, X instead of producing further play-behaviour geets corss and perhaps
repeats its original and now problematic performance. This is stage 5, at which
U supposes thanot that X is engaged in play that buta what I is doing is trying
to get Y to believe or accept that X is in pain. In relation to the particular
example which I have been using, to reach the position ascribed to in in stage
five, Y would have to solve, bypass, or IGNORE, a possible problem presented by
X/s behaviour. Why SHOULD X produce what is NOT a genuine but a FAKED
expression of pain if what X is trying to get Y to believe is that X IS in
pain? Wy not just let out a natural bellow? Possible answers are not too hard
to come by. For example, it would be UNMANLY, or otherwise uncreaturely, for X
to produce NATURALLY a natural expression of pain, or that X’s NON-NATURAL
faked production of an expression of sincere pain is NOT to be supposed to
INDICATE EVERY feature which WOULD be indicated by a NATURAL production. The
non-natural production or emission, for example, of a LOUD BEELLOW might
properly be taken to indicate pain, not that THAT degree of pain wich would
correspond with the DECIBELS of the particular emission. This problem would
not, however, arise if X’s performance, instead of being something which, in
the NATURAL INVOLUNTARY case, woud be an EXPRESSION of the STATE of X which (in
the non-natural faked case) is is intended to get Y to believe in, were rather
something MORE LOOSELY connecterd with the state of affairs (NOT NECESSARILY A
STATE OF X) which it is intended to conveye to Y. X’s performance, that is,
would be SUGGESTIVE, IMPLICATURAL, in some recognizable way, OF THE STATE of
affairs WITHOUT being a NAUTRAL involuntary response of X to THAT state of
affairs. We reach then stage 6. Where the correlation is meant to be something
other than inconic. A stage in which the communication vehiles do not ave to
be, initially A NATURAL SIGN of what which it is used to communicate. Provided
a bit of behaviour could be expected to be seen by the receiving creature as
having a discernible connection with a particular piece of information, that
bit of bheaviour will be usable by the transmitting creature, provided that the
creature can place a fiar bet on the cconnetion being made by the receiving
creature. Any link will do, proided it is detectable by the receiver, and the
ooser the links creatures are in a position to use, the greater the freedom
they will have as communicators, since they will be less and less restricted by
the need to rely on a proor natural connection. The widest possible range is
given where creatures use for these purposes a ANGE of communication devices
which or gamut of communication devices which have NO ANTECEDENT connection at
all with the things that they communicate or represent, and the connection is
simply made ofbecause the sassupmtion of such an artificial connection is
prearranged and foreknown. Here creatures can simply cash in on the stock of
information built into them. In some cases, the devices might have other
features above the one of being artividial. They might infolve a finite number
of roto devices and a FINITE set of fmodes or forms of combination –
combinaroty operations, which are cableble of being used over and over again.
The creatures whihcll have what some have thought to be characteristic of a
language, a communication system with a finite set of initial devices, together
with semantic provisions for them, and an understanding of what the functions of
those modes of comination are. As a result, they can generate an infinite set
of complex communication devices, together with a correspondingly infinite set
of things to be communicated. This gives a rationale ro communiationThe muth
exhibits the conceptual link Torquato Accetto. Keywords: dissimulazione onesta,
dissimulazione disonesta nell’animali – mimesis – camuffare, camouflage,
laboratorio di mascheramento – vegetato: camuffamento uffiziale dell’esercito
italiano. vegetato: camuffamento uffiziale dell’esercito italiano, simulation
as the key concept to unify the only sense of ‘sign’ x consequentia y, y
seq-uitur x, segno naturale divenne segno artificiale – segno di una
proposizione p – un gesto segna la proposizione p, la correlazione e iconica –
ma se intenzionale, it cannot be ‘natural’. Passage in ‘Meaning revisited’ --. --
Giulio Cesare, Medici – grigio – esercito, bande nere.-- Accetto. Refs. Luigi
Speranza, “Grice ed Accetto” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza,
Liguria. #accetto https://www.facebook.com/media/set/?vanity=j.l.speranza&set=a.4587639647914661 #griceedaccetto
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