Dalmasso
(Milano).
Filosofo. Grice: “Dalmasso is what at Oxford we call a ‘derivative’
philosopher, and at Cambridge a ‘Derrideian’! But he’s written some original
work too, mostly as editor, as in “La passione della ragione” – he has also
explored ‘discourse’ in terms of ‘rationality’ and ‘fairness’ – In my model, both
conversationalists are symmetrical, so questions of unfairness do not apply! I
took the inspiration from Chomsky!” – Si laurea a Milano. Insegna a Calabria,
Roma, Pisa, e Bergamo. Membro della Societa Italiana di Filosofia Teoretica.
Studia Derrida, ha commentato “La voix et le phénomène” e “De la grammatologie
(Jaca Book). Comments on “L’offerta obliqua” e “Passioni” --Dai problemi del
soggetto del discorso e della genesi del segno nel dibattito sul nichilismo i
suoi interessi si sono rivolti alla ragione in rapporto all'etica e Hegel.
Pubbllica in Oltrecorrente, di Magazzino di Filosofia. Altre opere: Hegel,
probabilmente. Il movimento del vero (Milano: Jaca).Hegel e l'Aufhebung del
segno, Chi dice io. Chi dice noi (duale). L’implicatura del noi duale. Razionalità
e nichilismo, Jaca, Milano, La passione della ragione. Il pensiero in gabbia.
La politica dell’imaginario, la verita in effetti. La sovranita in legame.
Etica e ontologia: fatto, valore, soggetto, l’interosoggetivo. Il tra noi.
Di-segno – la giustizia nel discorso. – Hegel e l’Aufhebung del segno. L'implicatura del noi duale.
L’intreccio fra sapere e ragione Il tema della filosofia di Dalmasso riguarda
la domanda originaria. Domanda e origine sono problemi del pensiero
che, fin dall’inizio della filosofia, non costituiscono un approccio
di controllo e di dominio dell’esistenza, quanto piuttosto un ripiegamento
su sé stessi che si interroga sulla propria genesi. In termini meno
esistenziali e più antichi tale questione occupa il posto dell’anima.
Dalla consapevolezza dell’incombere della morte nel primo stasimo
dell’Antigone al costituirsi, per così dire, di un’interiorità nella sofistica
e in Platone, l’anima (animatum) ha funzionato come principio originario
in una forma diversa che il dominio. Principio che annoda e che manifesta,
secondo vie non solo immediate e speculari, il logos (la ragione), il
noein come conoscenza e misura di un ordine. Quando il nous, attraverso
Aristotele, acquista tutto il suo sviluppo concettuale e strategico,
nel pensiero tardo-antico, a partire da Plotino, l’ anima rimane ed
è ribadita come il luogo e il venire a coscienza del rapporto con lo
stesso “nous,” cioè con il formularsi dell’originario (uno, bene o
atto che sia). Grice e Dalmasso scelgono di leggere Bradley e Hegel.
Scelta motivata da loro interessi di ricerca, ma anche, più ampiamente,
dall’attualità di un linguaggio che è in grado di riformulare questioni
sull’assetto moderno del sapere e sul soggetto – e l’intersoggetivo --
di tale sapere. Su un ‘noi’ duale, che, nella esplicita strategia hegeliana,
articola e raddoppia il ruolo di due anime. Sapere su di un noi duale è
comunque per Hegel un sapere sulle strutture di un noi duale chi, che
sono in grado di formulare una domanda originaria. Il testo, di
cui Bradley propone alcune note essenziali di commento, riguarda i paragrafi
dal 440 al 458 della “Psicologia razionale” sezione della Filosofia
dello Spirito contenuta nella edizione dell’Enciclopedia. A differenza
dell’“antropologia”, in cui due anime sono considerate come l’aspetto
immediato della vita dello spirito (le due anime considerate come il
sonno dello spirito, problemi del rapporto delle due anime con I due corpori,
questioni del sonno, della veglia, delle sensazioni ecc.) la Psicologia
non è scienza delle due anima, ma scienza del sapere intorno alle due
anime, cioè scienza veramente tale, nella sua portata concettuale.
Per Bradley e Hegel, ‘scienza’, Wissenschaft, ogni scienza, e soprattutto
quella scienza massimamente rigorosa che è la filosofia (‘regina
scientiarum) è scienza sempre di secondo grado: scienza che controlla e
che ha come oggetto la sua stessa genesi. La filosofia e la regina scientiarum,
la scienza che misura il negativo rispetto al suo assunto e al suo
stesso metodo, scienza che è in grado di smarcarsi dal piano del suo stesso
sapere e di comprendere il rapporto dinamico, generativo e mai
astrattamente “speculare” o reflessivo delle due anime, in cui la inter-conoscenza
si costituisce. Così, nel caso del testo commentato da Bradley, i contenuti
della psicologia sono curiosamente tutti diversi da quelli che nell’assetto
della fine dell’Ottocento e del primo Novecento ci si aspetterebbe da
una psicologia del tipo elaborato a Oxford dai Wilde lecturer in ‘mental
philosophy”: Stout, -- cf. Prichard – cit. da Grice, “Intention and
dispositions”. La psicologia filosofica o razionale non è scienza delle
leggi delle anime o psichai, ma del movimento generativo delle leggi
delle anime o delle psichai. I testi che sono oggetto del commento di
Bradley sono, come Bradley nota, estremamente difficili. Prima di cominciare
Bradley fa qualche rilievo sul problema della difficoltà in generale
nella lettura del testo di Hegel. La questione si pone secondo tre punti
di vista. Innanzi tutto come questione della natura e della destinazione
del testo. Ad esempio l’ “Enciclopedia delle scienze filosofiche”, nel
nostro caso, è pensata come un riassunto delle lezioni per i ‘tuttee’.
In secondo luogo il problema del significato espresso, del voler dire
del discorso hegeliano. In terzo luogo, che è quello decisivo, la questione
del metodo di composizione del testo di Hegel, metodo che riguarda,
d’un colpo solo, due anime: mittente e recipiente. Questioni, dette altrimenti,
di sintonizzarsi con il testo che, per quanto riguarda il metodo
filosofico di Hegel, non può essere altro che ripercorrere l’elemento
generativo del significato di ciò che Hegel explicitamente communica.
Senza di questo incessante ripercorrimento a livello della genesi
del testo, il suo ‘segnato’ posse appare incomprensibile o appiattito.
Appiattito come su di una superficie, in modo che il gioco delle interpretazioni
del tutee, anche nel caso si tratti di studioso molto qualificato, tende
spesso a sbizzarrirsi in grovigli di ipotesi filologiche o di carattere
ideologico-metafisico. Il minimo comun denominatore è la perdita
del nesso fra il segnato di ciò che è detto nel testo con li movimento generativo
di tale segnato. Così si può separare perfino il concetto di negativo
dal concetto di generazione sovrapponendo l’uno sull’altro e rendendo
incomprensibili entrambi. Questione che si pone in modo non infrequente,
anzi malessere spesso diffuso anche nel commento di Bradley. Iniziamo
la lettura partendo dalle prime righe del par. 440. Lo spirito si è
determinato divenendo la verità dell’anima e della coscienza, cioè
la verità di quella totalità semplice e immediata e di questo sapere.
Adesso il sapere, in quanto forma infinita, non è più limitato da
quel contenuto, non sta in rapporto con esso come con un oggetto, ma è
sapere della totalità sostanziale, né soggettiva né oggettiva, ma
intersoggetiva. ll problema del rapporto fra il sapere e la ragione
inaugura qui il dibattito sulla scienza della psiche. L’intreccio fra
sapere e ragione inizia a dipanarsi nel paragrafo seguente:
L’anima è finita nella misura in cui è determinata immediatamente,
cioè determinata per natura. La coscienza è finita nella misura
in cui ha un oggetto. Lo spirito è invece finito, “insofern ist
endlich,” nella misura in cui esso, nel suo sapere (in seinem Wissen)
non ha più un oggetto, ma una determinatezza, nel senso che è finito
per via della sua immediatezza e — che è la stessa cosa — perché è soggettivo,
è cioè come il Concetto. Lo spirito è finito nella misura in cui esso,
nel suo sapere, non ha più un oggetto, ma una determinatezza. Lo spirito
sembra essere quell’attività in grado di contenere e controllare l’intreccio
fra la ragione e il sapere, anche se ora solo nella forma dell’immediatezza.
L’intreccio si organizza su due poli: la ragione e il sapere. Essi si
implicano reciprocamente . A seconda che si consideri come concetto
la ragione o il sapere. Qui è indifferente ciò che viene determinato
come concetto dello spirito e ciò che viene invece determinato come
realità o “Realität” di questo concetto. Se infatti la ragione assolutamente
infinita, oggettiva, viene posta come concetto dello spirito, allora
la realità è il sapere, cioè l’intelligenza; se invece è il sapere a
essere considerato come il concetto, allora la realità del concetto
è questa ragione e la realizzazione (Realisierung) del sapere consiste
nell’appropriarsi della ragione. La finitezza dello spirito
pertanto consiste in ciò: il sapere non comprende l’Essere
in-sé-e-per-sé della sua ragione. In altri termini: la ragione non si
è manifestata pienamente nel sapere.4 C’è un dislivello dunque
strutturale con la ragione che funziona nel sapere. Dislivello
strutturale che per i greci era invece costituito dal rapporto fra il
sapere e la verità. Comunque la realtà, considerata come realtà del sapere
o come realtà della ragione, si costituisce e funziona per Hegel come un
farsi che è un intreccio inestricabile. Una purità e verginità dell’origine
è introvabile. La questione di un sapere dello/sullo spirito si
articola ulteriormente nel paragrafo 442: Il procedere dello
spirito è sviluppo (Entwicklung) nella misura in cui la sua esistenza,
il sapere, ha entro se stessa l’essere — determinato in sé e per sé,
cioè ha per contenuto, “Gehalte,” e per fine, “Zweck” il razionale,
“Vernunftige.” L’attività di trasposizione è dunque puramente e soltanto
il passaggio formale nella manifestazione e, in questa, è ritorno
entro sé, “Rückkehr in sich.” Nella misura in cui il sapere, affetto
dalla sua prima determinatezza, è soltanto astratto, cioè formale, la
meta dello spirito è quella di produrre il ri-empimento oggettivo, “die
objective Erfüllung hervorzubringen,” e quindi, a un tempo, la libertà
del suo sapere. In questo testo il movimento del sapere e il suo saperne
si articola come questione della conoscenza dell’originario. Tale
questione, che ha la forma del ritorno, è pensabile come libertà. L’avventura
dello spirito che è sempre un appropriarsi, un far proprio, qui, e secondo
la radicalità della sua struttura, funziona come appropriarsi del sapere
e coincide con l’avventura della libertà. Il cammino dello spirito
consiste pertanto nell’essere spirito teoretico, cioè nell’avere
a che fare con il razionale nella sua determinatezza immediata, e di
porlo adesso come il suo. Il cammino consiste innanzi tutto nel liberare
il sapere dal presupposto e, con ciò, dalla sua astrazione, e rendere
soggettiva la determinatezza. Poiché in tal modo il sapere è in sé e
per sé determinato come sapere entro sé, e poiché la determinatezza
è posta come la sua, quindi come intelligenza libera, il sapere
è volontà, spirito pratico, il quale innanzi tutto è anch’esso
formale. Il sapere a un contenuto che è soltanto il suo. Esso vuole immediatamente,
e adesso libera la sua determinazione di volontà dalla soggettività e
l’intersoggetivita che la condiziona come forma unilaterale del proprio
contenuto. In tal modo gli spiriti divieneno come spiriti liberi,
nel quale è rimossa quella doppia unilateralità. Lo scorcio teorico fornito
in questo paragrafo merita una puntualizzazione. Abbiamo in precedenza
accennato alla cornice della psicologia filosofica o razionale come progetto
scientifico: scienza delle anime che si pone come scienza dei fattori generativi
delle anime. Il percorso dei spiriti che si sforzano di conoscere
se stessi, che tentano di comprendere l’esperienza della lor libertà,
che nella Fenomenologia dello spirito prende la via della morale come
storia, in queste pagine prende la via della psicologia come scienza
della libertà. Che il sapere possa afferrare se stesso, possa appropriarsi
di sé. La strategia hegeliana implica che l’originario, per i soggetti
(l’intersoggetivo) e per il sapere, funzioni e sia conoscibile come effetto
di questo appropriarsi che è etico, pratico. Se non si pensa il significato
del sapere e di suoi soggetti come etico, pratico, i soggetti del sapere
si dibatteno «in una bi-lateralità»: la rappresentazione che i soggetti
fano di sé come suoi e l’immediatezza di tale rappresentazione. Le
libertà dell’anime è pensabile come lo spiazzamento in cui i soggetti
del sapere conosceno il loro essere fatto, nonostante e attraverso
il loro co-fare (co-operare) impossibilitato a cogliere l’identità fra
sé e le loro immagini. Questa divisione e dislivello interno che è
l’impossibilità di cogliere l’origine del proprio costituirsi è per
Hegel l’Intelligenza (cf. H. L. A. Hart, su Holloway, “Language and
Intelligence” – Signs). Nel montaggio linguistico di questo testo tale divisione
e tale dislivello vanno ad occupare il posto della classica opposizione
fra il dentro e il fuori. L’intelligenza, in quanto è questa unità
concreta dei due momenti — vale a dire, immediatamente, di essere ricordata
entro sé in questo materiale esteriormente essente, e di essere immersa
nell’essere fuori-di-sé mentre entro sé si interiorizza col proprio
ricordo —, è intuizione. Il cammino dell’Intelligenza sta proprio
nel battere in breccia l’opposizione fra il dentro e il fuori. Le
intelligenza, quando ricordano inizialmente l’intuizione, poneno
il contenuto del sentimento nella propria interiorità, nel loro proprio
spazio e nel loro proprio tempo. In tal modo il contenuto è immagine,
liberata dalla sua prima immediatezza e dalla dualità astratta rispetto
all’altro soggetto, in quanto essa è accolta nella dualità del noi. Questo
battere in breccia, visto dal punto di vista dell’intelligenza, è l’immagine.
L’intelligenza possiede dunque le immagini. L’intelligenza è il
Quando e il Dove dell’immagine. L’immagine è per sé “trans-eunte”,
nomade, da una anima ad altra anima, e
l’intelligenza stessa, in quanto attenzione, è il tempo e anche lo spazio,
il Quando e il Dove, dell’immagine. L’intelligenza però non è
soltanto la co-scienza e l’esserci delle proprie determinazioni,
bensì, in quanto tale, ne è anche i soggetti e l’In-sé. Ricordata nell’intelligenza,
perciò, l’immagine non è più esistente, ma è conservata inconsciamente.
Nell’Anmerkung dello stesso paragrafo Hegel inaugura la metafora del
pozzo notturno per definire il funzionamento dell’intelligenza
come un luogo in cui sono conservate immagini e rappresentazioni che
l’intelligenza stessa non conosce. Hegel prosegue la sua indagine
attraverso una sorta di tiro incrociato fra intuizione ed immagine,
mettendo in azione uno stile agostiniano alla “De magistro”. Anche la
nozione, classica, di “re-praesentatum” (il rappresentato) entra, ricompresa
e ripensata, come dall’interno, nel movimento produttivo dell’intelligenza.
La nozione di “memoria” (stato temporario totale) è anch’essa ripercorsa,
nella sua struttura classica, come movimento attivo e imprendibile,
funzionante nell’intelligenza e produttiva di essa, in una svolta
decisiva del paragrafo. L’intelligenza è la potenza che domina
sulla riserva di immagini e il rappresentato che le appartengono. Essa
è quindi congiunzione e sussunzione libera di questa riserva sotto
il contenuto peculiare. L’intelligenza si ricorda ed interiorizza
in modo determinato entro quella riserva, e la plasma immaginativamente
secondo questo suo contenuto. Essa è quindi fantasia, immaginazione
SIMBOLIZZANTE, allegorizzante o poetante. Questa formazione immaginativa
più o meno concrete, più o meno individualizzate, e ancora delle sintesi
nella misura in cui il materiale, in cui il contenuto intersoggettivo
conferisce un esserci al rappresentato, proviene dal Trovato, “dem
Gefundenen,” dell’intuizione. Passività, evidenza, sorpresa di fonte
al darsi originario delle cose riguarda perciò per Hegel un movimento
che ha come suo elemento lo scenario dell’intersoggetività. Il trovato
dell’intuizione, incontro, evidenza, accoglienza della realtà è pensabile
in un registro che è già una traduzione, ‘trans-latum.” È nel registro
di una traduzione (“trans-latum”) che nel percorso di questo testo di
Hegel, di una traduzione (trans-latum) del fuori nel dentro e viceversa,
che si può avvistare ciò in filosofia si chiama realtà. Quando
l’intelligenza, in quanto ragione, parte dall’appropriazione dell’immediatezza
trovata entro sé, cioè la determina come un “universale”, ecco allora
che la sua attività razionale procede dal punto attuale, “dem nunmehrigen
Punkte,” a determinare come essente ciò che in essa si è sviluppato
in auto-intuizione concreta, procede cioè a rendere se stessa Essere,
cosa, il reale. L’intelligenza stessa così si fa essente, si fa cosa, si
fa il relae. Quando è attiva in questa determinazione, l’intelligenza
si estrinseca, “aussernd,” produce, “produzierend,” intuizione: è
fantasia che si esprime in un “segno,” “Zeichen machende Phantasie,”
token-making fantasy – fantasia che fa segno, fantasia che segna. L’intelligenza
esiste in quanto fantasi. Tesi non immediatamente prevedibile nel
dispositivo, intricato, di questo percorso hegeliano. Tesi cui
pure spinge, con rigorosa necessità, questa analisi scientifica delle
anime – una anima segna, l’altra capisce. Questo testo di Hegel innesca consapevolmente
una polemica ed anche una riformulazione metodologica radicale
nei confronti della tradizione empirista, dei sensisti, di Condillac
e degli ideologues. Attraverso le scorribande dell’intelligenza
fra sapere e “segno” (Zeichen, la fantasia che fa segno, la fantasia che
segna), scienza e realtà, attraverso e al di là della dialettica fra il
positivo e il negativo, fra i soggetti e la verità ecc, Hegel afferma
che l’intelligenza è il suo atto. Esistere non è l’immediatezza di un
che rispetto a se stessi, ma è l’atto in cui, in un contenuto determinato,
l’intelligenza si rapporta a se stessa. La fantasia è il punto
centrale in cui l’universale e l’essere, il proprio e il trovato,
l’interno e l’esterno – cf. Bradley, relazione interna, relazione esterna --
sono perfettamente unificati. Le sintesi precedenti dell’intuizione,
del ricordo ecc., sono unificazioni del medesimo momento, tuttavia
si tratta pur sempre di sintesi. Solo nella fantasia l’intelligenza
non è più come il pozzo indeterminato e come l’universale, bensì è
come singolare, cioè come intersoggettività CONCRETA nella quale l’relazione
è determinata sia come essere sia come universale.L’intelligenza è
intersoggettività concreta solo nella fantasia condivisa. Tale questione
è chiarita dal seguito della stessa Anmerkung. Tutti riconoscono che
le immagini della fantasia costituiscono tali unificazioni del proprio
e dell’interno dello spirito con l’elemento intuitivo. Il loro contenuto
ulteriormente determinato appartiene ad altri ambiti, mentre qui
questa fucina interna va intesa soltanto secondo quel momento
astratto. In quanto attività di questa unione, la fantasia è ragione,
ma è ragione formale, solo nella misura in cui il contenuto in quanto
tale della fantasia è indifferente. La ragione in quanto tale, invece,
determina a verità anche il contenuto. Nell’Anmerkung successiva
nello stesso paragrafo Hegel opera la svolta decisiva nel percorso
che qui ci interessa: In particolare bisogna ancora rilevare
questo fatto. Poiché la fantasia porta il contenuto interno a immagine
e a intuizione, e ciò viene espresso dicendo che essa lo determina
come essente, non deve sembrare sorprendente l’espressione secondo
cui l’intelligenza si fa essente, si fa cosa, si fa il relae. Il contenuto
dell’intelligenza, infatti, è l’intelligenza stessa, e lo è altrettanto
la determinazione che essa gli conferisce. L’immagine prodotta
dalla fantasia è intersoggettivamente intuitiva, mentre è nel segno (Zeichen,
token) che la fantasia aggiunge a ciò l’autentica intuibilità (eigentliche
Anschaulichkeit); nella memoria meccanica, poi essa completa in sé
questa forma dell’essere. L’immagine solo nel “segno” (Zeichen,
token) è autentica intuibilità di ciò che è. L’essente è coglibile come
“segno” (Zeichen, token) non come dato, come dono. Dato e dono non sono pensabili,
ma neppure sperimentabili nella forma della presenza, cioè in un darsi
(che, in termini hegeliani, è la materia dell’intuizione). Essi sono
già trascritti nel contenuto interno dell’intelligenza, cioè come un
segno (Zeichen, token). L’elemento imprendibile, enigmatico della conoscenza
è il segno (Zeichen, token) e non il dato, il dono. Nella struttura di questo
testo Hegel afferma che il non proprio, il non nostro sovrasta e spiazza
nella forma del segno (Zeichen, token), non nella forma del dono. In questa
unità, procedente dall’intelligenza, di una rappresentazione autonoma,
“selb-ständiger Vorstellung,” e di una intuizione, la materia dell’intuizione
è certo innanzitutto un qualcosa di accolto, di immediato e di dato,
“ein aufgenommenes, etwas unmittelbares oder gegebenes,” per esempio
il colore della coccarda e affini. In questa identità però l’intuizione
non ha il valore di rappresentare positivamente e di rappresentare
se stessa, bensì di rappresentare qualcos’altro. Essa è un’immagine
che ha ricevuto entro sé una rappresentazione autonoma dell’intelligenza
come anima, che ha ricevuto, cioè, il suo segnato. Questa intuizione è
il segno (Zeichen, token). L’intuizione, rapportata scientificamente
alla sua origine, ha la forma del segno (Zeichen, token). Tale forma ha una
struttura che coinvolge i termine stessi dell’intelligenza. L’intelligenza
sembra funzionare in una deriva di cui il segno (Zeichen, token) costituisce
una sorta di cerniera, snodo in cui l’intelligenza stessa è tolta-conservata.
L’intuizione che immediatamente e inizialmente è qualcosa di dato
e di spaziale, “gegebenes und raumliches,” una volta impiegata come
segno (Zeichen, token) riceve la determinazione essenziale di essere
soltanto come intuizione rimossa. Questa sua negatività è l’intelligenza.
Perciò la figura più autentica dell’intuizione, che è un segno
(Zeichen, token), è di essere un esserci nel tempo: un dileguare, “Verschwinden,”
dell’esserci mentre l’esserci è. Inoltre, secondo la sua ulteriore
determinatezza esteriore, psichica, la figura più vera dell’intuizione
è un essere-posta dall’intelligenza, esser-posta che viene fuori dalla
naturalità propria, antropologica, dell’intelligenza stessa: è il
tono, “Ton,” cioè l’estrinsecazione riempita dell’interiorità annunciantesi.
Il “tono” che si articola ulteriormente in vista del rappresentato determinate
è il dis-corso –dis-cursus – general principles of rational discourse -- e un
sistema del discorso è la communicazione. In questo ambito il “tono” conferisce
a una sensazione, una intuizione e un rappresentato un *secondo* (duale) esserci, più elevato
dell’esserci immediato. In generale conferisce loro un’esistenza
che ha valore nel regno dell’attività rappresentativa. Questo progetto
hegeliano di una scienza della psiche tenta qui un ulteriore radicale
approccio alla genesi dell’intelligenza. L’intuizione, in quanto
funzionante come segno (Zeichen, token), riceve la determinazione essenziale
di essere soltanto come intuizione rimossa, “zu einem Zeichen gebraucht
wird, die wesentliche Bestimmung nur als aufgehobene zu sein.” In questo
esser rimosso, tolto-conservato dell’intuizione sta l’origine dell’intelligenza.
La negatività di cui essa è fatta si intreccia strutturalmente alla nozione
di tempo. L’intuizione non è dominabile da due soggetti se non nella
forma del dopo, un dileguare dell’esserci mentre esserci è. Quell’altro
intreccio che costituisce l’intuizione, l’intreccio fra il dentro e
il fuori si esprime nel “tono,” suono articolato. Il tono, visto in rapporto
ad una rappresentazione determinata, è il discorso (“Rede”) e il sistema
del discorso è la lingua (Sprache) e la communicazione. A questo punto del
suo percorso la strategia di Hegel si incontra con il privilegio greco
e platonico accordato all’espressione, la parola, al logos in quanto vivente
pronunciato, detto, dictum – cf. indice, segnalato, segnato. Come nel
Cratilo di Platone anche in Hegel l’espressione come segno è centrale nella
vita dell’intelligenza, ma di una centralità che occupa il luogo di un
movimento originario ed imprendibile. Per un commento critico
ed esplicativo dei paragrafi della «Psicologia» nella sezione sullo
«Spirito soggettivo», anche per ciò che concerne le fonti di Hegel e la
saggistica relativa, cfr. La «magia dello spirito» e il «gioco del concetto».
Considerazioni sulla filosofia dello spirito soggettivo nell’Enciclopedia
di Hegel, Milano, Guerini e Associati, 1995. ↩︎ Uso la recente traduzione di
Vincenzo Cicero (Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio,
ed. 1830, Milano, Rusconi, 1996) che ritengo puntuale ed avvertita
delle questioni poste dal testo, nonostante la discutibilità di alcune
soluzioni su cui per altro pesa in certa misura la resistenza ad abbandonare
traduzioni familiari e consolidate. Grice: “There’s something otiose
about the ‘faciendi signum’ of the Romans, why not just ‘signare’?” – Who or
what ‘makes’ the sign of a dark cloud (=> rain)?” “While it seems natural
enough to say that a dark cloud is a sign of rain,it or better, that a dark cloud signs *that* it
may rain, I wouldn’t say that the cloud “MAKES” anything --. Grice: “It’s sad
that Hegel’s Latin wasn’t that good – the Romans used ‘signare’ (Italian
‘segnare’) much more than they did use ‘significare’. “With all my love and
kisses” “You used to sign your letters ‘with all my love and kisses” – Sam
Browne --. Horatio Nicholls – aka as something else. Gianfranco Dalmasso.
Keywords: sign-make, fare segno, fare segno a se – zeichen Machen, to sign
versus to signify -- Bradley, Hegel, io, noi, intersoggetivo, Hegel on Zeichen,
zeichen-machende fantasie” – zeichen-interpretand fantasie” -- “l’implicatura
del noi duale” “il tra noi” – la prossimita del tra noi -- Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Dalmasso” – The Swimming-Pool Library.
Dandolo
(Varese). Filosofo. Grice: “I love Dandolo; you know why? Because
he was an amateur, not a professional; I mean, he was a country gentleman and
an earl, so if he philosophised it wasn’t for the colour of the money! Plus, he
owned a lovely ‘palazzo,’ which I would call ‘villa’! Neoguelfo. Figlio dal
conte Vincenzo e Mariana Grossi. Il padre era esponente della Municipalità di
Venezia, ma dopo il trattato di Campoformio, con il quale si sancì la fine
della Repubblica, dovette esulare in Francia. Venne in seguito nominato da
Napoleone senatore del Regno italico e conte. Fu anche governatore civile della
Dalmazia. Passa quindi un'infanzia assai agitata; fu cresciuto da una
"cameriera disattenta" e poi sballottato per vari collegi. Si laurea
a Pavia. Passa alcuni anni girando per l'Europa e conducendo una vita mondana.
In questo periodo venne a contatto con illustri personalità culturali
politiche dell'epoca. Venne sospettato dal governo austriaco di aver
partecipato alle congiure degli anni precedenti, e per questo fatto rientrare
in modo coatto in Italia (senza tuttavia essere perseguitato). In Italia, si
dedica ampiamente alla filosofia, e sposa la sorella di Bargnani; uno dei cospiratori
mazziniani. Morta la sposa affida ad un amico i figli. Sposa la contessa
Ermellina Maselli, da cui ebbe altri due figli. I primi due figli presero parte
alle Cinque giornate e ad altre operazioni belliche e lo stesso Tullio fu uno
dei principali autori della rivoluzione e capo della rivolta varesina (scoppiata
in concomitanza con quella di Milano), ma a Roma, durante la difesa della
repubblica di Mazzini, Su figlio muore e l’altro rimase gravemente ferito.
Questo evento tocca molto Tullio che tuttavia, pur dovendosi prendere cure
molto onerose del superstite, continua comunque i suoi studi di filosofia. Sui
due figli raccolse un gran numero di documenti, memorie e storie pubblicati in
“Lo spirito della imitazione di Gesù Cristo esposto e raccomandato da un padre
ai suoi figli adolescent: corrispondenze di lettere famigliari: riicordi
biografici dell'adolescenza d'Enrico e d'Emilio Dandolo, Milano). Un filosofo
che fece delle critiche alla sua attività fu Tommaseo, ma risultò essere
piuttosto duro ed aspro, tanto da scrivere. “Fin da giovane scarabocchiò
librettucci compilati o piuttosto arruffati. Né di quelli che scrisse dal
venticinque al cinquantacinque sapresti quale sia il più decrepito e il più
puerile. Ma fece due opere buone, un figliolo che morì valentemente in Roma
assediata da Galli vendicatori delle oche; e un altro figliolo che scrisse la
storia, e direi quasi la vita della Legione Lombarda capitanata da Manara,
libro di senno virile e d'affetto pio.” I suoi saggi trattano gli argomenti più
vari: dalla pedagogia all'autobiografia, da quelli di carattere storico a
quelli religiosi. Molti di essi sono schizzi letterari e filosofici o
riguardano descrizioni di viaggi, città e munomenti. Inoltre, scrisse molto
intorno alla storia romana antica, alla nascita del Cristianesimo, al Medioevo
e al Rinascimento, pubblicando anche molti discorsi e documenti inediti. Più
che ad un contributo critico, mira a dare un'informazione non faziosa per una
migliore conoscenza del passato. Questi suoi scritti storici sono molto diversi
fra di loro. In alcuni predilige uno stile aulico, mentre in altri un tono
popolare e facile; trattando ora gli argomenti con approssimazione ed ora dando
al racconto la coinvolgenza di un romanzo. Altre opere: “Roma”; “Napoli”
(Milano); “Firenze”; “Torino”; “La Svizzera”; “Il Cantone de' Grigioni” (Milano);
“Prospetto della Svizzera, ossia ragionamenti da servire d'introduzione alle
lettere sulla Svizzera); “La Svizzera considerata nelle sue vaghezze
pittoresche, nella storia, nelle leggi e ne' costume”; “Venezia”; “Il secolo di
Pericle”; “Schizzi di costume”, “Il secolo d'Augusto”; “Semplicità” (o rapidi
cenni sulla letteratura e sulle arti”; “Album storico poetico morale, compilato
per cura di V. de Castro” (Padova); “Reminiscenze e fantasie. Schizzi
letterari, Peregrinazioni. Schizzi artistici e filosofici (Torino); Roma e
l'Impero sino a Marco Aurelio” (Milano); “Firenze sino alla caduta della
Repubblica”; “Il Medio Evo elvetico”; “Racconti e leggende”; “La Svizzera
pittoresca, o corse per le Alpi e pel Jura a commentario del Medio Evo
elvetico; “I secoli dei due sommi italiani Dante e Colombo; “Il Settentrione
dell'Europa e dell'America nel secolo passato; “L'Italia nel secolo passato; Il
Cristianesimo nascente; La Signora di Monza. Le streghe del Tirolo. Processi
famosi del secolo decimosettimo per la prima volta cavati dalle filze
originali, ibid. 1855 (rist. anast., Milano); Il pensiero pagano ai giorni
dell'Impero. Studii, Il pensiero cristiano ai giorni dell'Impero. Studii; Il
pensiero pagano e cristiano ai giorni dell'Impero. Studii; “Monachesimo e
leggende. Saggi storici; “Roma e i papi. Studi storici, filosofici, letterari
ed artistici, Il secolo di Leone Decimo. Studii, Lo spirito della imitazione di
Gesù Cristo esposto e raccomandato da un padre ai suoi figli adolescenti
(corrispondenza di lettere famigliari). Ricordi biografici dell'adolescenza
d'Enrico e d'Emilio Dandolo, Milano); “La Francia nel secolo passato, “Corse
estive nel Golfo della Spezia; Il secolo decimosettimo, Ragionamenti
preliminari ed indici ragionati degli studi del conte Tullio Dandolo su Roma
pagana e Roma cristiana pubblicati ad annunzio e prospetto dell'opera, Assisi (estr. da Stella dell'Umbria); “Ricordi di
Tullio Dandolo”; “Lettera a D. Sensi. Indice della materia, Assisi); “Ricordi”;
“Ricordi inediti di G. Morone gran cancelliere dell'ultimo duca di Milano, a
cura di D., Milano; Alcuni brani delle storie patrie di Giuseppe Ripamonti per
la prima volta tradotti dall'originale latino dal conte T. Dandolo, Il potere
politico cristiano. Discorsi pronunciati dal Ventura di RaulicaR. P., a cura di
Dandolo, Milano); “Vicende memorabili narrate da Alessandro Verri precedute da
una vita del medesimo di G. A. Maggi, a cura di D., A. F. Roselly de Lorgues. Ricordi,
primo e secondo periodo, Assisi. di Roberto Guerri, direttore delle Civiche
raccolte storiche di Milano. Colloqui
col Manzoni, T. Lodi (Firenze). Treccani, Dizionario biografico degli italiani,
Istituto dell'Enciclopedia Italiano. LA FILOSOFIA ROMANA. Nei primi secoli
della repubblica i romani non diedersi pensiero di filosofia. Appena ne
conobbero il nome. Intenti da principio a difendersi, poi a consolidare la loro
dominazione sui popoli vicini, la loro saviezza fu figlia della sperienza e
d'un ammirabile buon senso affinato dalle difficoltà esteriori in mezzo a cui
si trovarono collocati, e dal godimento di un'interiore libertà, le cui
procelle incessanti valevano ad elevare ed afforzare gli animi. Volle taluno
che le instituzioni del re Numa non andassero digiune di pitagorismo. Gli è da
credere piuttosto, avuto riguardo all'ordine cronologico, che Pitagora
attignesse nelle dottrine sacerdotali del secondo re di Roma qualcuna delle sue
teoriche intorno la religione. Allorchè i romani strinsero i primi legami
co' greci delle colonie italiche e siciliane, non credettero di ravvisare che
leggerezza mollezza e corruzione in que' popoli i quali a ricambio
qualificarono i romani di barbari. Sul finire della prima guerra punica fu resa
nota ai vincitori la letteratura drammatica de greci; e vedemmo Livio Andronico
avere per primo tradotto tragedie, le quali cacciarono di scanno i versi
fescennini, i giuochi scenici etruschi e le informi atellane. Ennio, oltre ai
componimenti poetici di cui facemmo menzione, voltò in latino la storia sacra
di Evemero, scritto ardito, inteso a dimostrare che gli dei della Grecia altro
non erano che antichi uomini dalla superstizione divinizzati. I romani non
videro nelle ipotesi del filosofo che un oggetto di mera curiosità. Non erano
ombrosi come gl’ateniesi, non avevano peranco sperimentato qualc’azione
efficace la filosofia esercitar potesse sulla religione. Accolsero del pari con
indifferenza la sposizione poetica che del sistema d'Epicuro loro presentò
Lucrezio. Germi erano questi gettati in terreno non preparato ancora à
riceverli. La conquista non tardò a dischiudere colla Grecia più facili
mezzi di comunicazione. I conquistatori trasportarono in patria schiavi tra’
quali vi avevano non filosofi, ma retori e grammatici; e loro fidarono
l'educazione de' proprii figli. L'introduzione degli studii filosofici in
Roma risale alla celebre ambasceria di Carneade accademico, Critolao
peripatetico, Diogene stoico. Avidi di brillare e lusingati dall'ammirazione
che destavano in un popolo non avvezzo a sottili investigazioni, quei tre
fecero pompa di tutta la profondità e desterità della loro dialettica ad
abbagliare la romana gioventù che loro s'affoltava intorno, incantata di
scovrire usi dianzi ignorati della parola. I magistrati s'adombrarono di
cotesto subitano commovimento. I vecchi Se. natori armaronsi di tutta
l'autorità delle prische costumanze per respingere studi speculativi, che teme
vano come pericolosi e disprezzavano come futili. Catone il censore ottenne che
si allontanassero tosto dalla romana gioventù i retori che davano opera a
distruggere le più venerate tradizioni e a smovere le fondamenta della morale.
I sofismi di Carneade, il quale faceva pompa della spregevole arte di sostenere
a piacimento le opinioni più contraddittorie, forne a Catone plausibili
argomenti di vituperarlo. Sicchè i primordi della filosofia furono
contrassegnati in Roma da sfavorevoli apparenze. Il rigido Censore non prevede
che, un secolo dopo, quella filosofia che aveva voluto proscrivere, meglio
approfondita e meglio conosciuta, sarebbe il solo rifugio del suo pronipote
contro le ingiurie della fortuna e la clemenza di Cesare. Non possiamo
trattenerci dal simpatizzare con que’ vecchioni, i quali opponevano al torrente
da che avvisavano minacciata la patria lor capegli canuti e la loro antica
esperienza, evocando a respignere pericolose novatrici dottrine la religione
del passato e le tradizioni di seicent anni di vittorie di libertà
divirtù. Ma se a codesto spontaneo sentimento tien dietro la riflessione,
saremo costretti di riconoscere che a rintuzzare il progresso della
filosofia ed anco de sofismi di Grecia, il senato mal si appose con quel
suo violento procedere. Tutto ciò che è pericoloso racchiude in sè un principio
falso che è sempre facil cosa scovrire. Affermare il contrario sarebbe
muovere accusa alla Divinità, quasi ch'ella con innestare il male nella
conoscenza del vero avesse teso un laccio all’umana intelligenza. Convien
dunque adoperarsi a dimostrare la falsità delle opinioni perniziose,
non proscriverle alla cieca, quasi rifuggendo esaminarle conscii
dell'impossibilità di confurtarle. Sì ardua impresa rispondere agli
ateniesi sofisti? o sì difficile dimostrare che quelle loro argomentazioni
pro e contra lo stesso principio di morale erano assurde? O sì
temerario lo appellarsene, ne' cuori romani, a’sentimenti innati del vero e del
giusto, il risvegliare in quelle anime ancor nuove sdegno e disprezzo per
teoriche, le quali, consistendo tutte in equivoci, dovevano vituperosamente
cadere dinanzi la più semplice analisi? Catone anda altero dell'ottenuta
vittoria. Gli ambasciadori ateniesi furono tosto rimandati. Per un secolo
ancora severi editti, frequentemente rinnovati, lottarono contro ogni nuova
dottrina. Ma l' impulso era dato, nè poteva fermarsi. I giovani romani
conservarono impresse nella memoria le dottrine dei sofisti. Era poi e
riguardarono la dialettica di Carneade non tanto come un sistema che conveniva
esaminare, quanto come una proprietà che stava bene difendere. Giunti ad età
provetta nel bivio d'abbandonare ogni speculazione filosofica o di disobbedire
alle leggi, furono tratti a disobbedire dalla loro inclinazione per le lettere,
passione la quale, dacchè è nata, va crescendo ogni dì, siccome quella che ha
riposte in sè medesima le proprie soddisfazioni. Gli uni tennero dietro alla
filosofia nel suo esiglio ad Atene. Altri mandarono colà i loro figli. I
capitani degli eserciti furono i primi a lasciarsi vincere apertamente da
questa tendenza generale degli spiriti. L'accademico Antioco fu compagno di
Lucullo. Catone il censore cedè egli stesso, a malgrado delle sue declamazioni,
alla seduzione dell'esempio, ed assistè alle lezioni del peripatetico Nearco.
Silla fece trasportare in Roma la biblioteca d'Apellico di Teo. Catone d'Utica
allorch'era tribuno militare in Macedonia peregrino in Asia a solo oggetto
d'ottenere che lo stoico Atenodoro abbandonasse il suo ritiro di Pergamo e si
conducesse a dimorare con lui. Pure gli spiriti che con siffatto
entusiasmo s'abbandonarono alle filosofiche investigazioni non trovavansi da
studii anteriori preparati ad astratte speculazioni. Ne avvenne che la
filosofia penetra in coteste menti dirò come in massa e nel suo insieme. Ma non
s'indentificò col rimanente delle loro opinione. La sua efficacia fu nel tempo
stesso più gagliarda e mento continua che in Grecia. Più gagliarda nelle circostanze
importanti nelle quali l'uomo trascinato fuori del circolo delle sue abitudini
cerca appoggi, motivi d'agire, conforti straordinarii. Meno continua perchè, se
niun evento tnrbava l'ordine abituale, ella ridiventava pe’ romani una scienza,
piuttostochè una regola di condotta applicata a tutti i casi della vita
sociale. Che se non iscorgiamo in Roma individui che a somiglianza dei sapienti
della Grecia consacrassero alla filosofia esclusivamente il loro tempo. Non ci
appare nè anche, ad eccezione di Socrate, che i greci abbiano saputo trarre
dalla filosofia quegli efficaci soccorsi che invigorivano gli illustri
cittadini di Roma in mezzo ai campi, nelle guerre civili, tra le proscrizioni,
allora suprema. I romani si divisero in sette. Effetto della maniera
d'insegnamento di cui i retori greci usavano con essi. Per la maggior parte
schiavi od affrancati, dovevano costoro, qualunque fosse il loro convincimento
o la loro preferenza per queste o quelle dottrine, studiarsi di piacere a'
padroni; ond'è che chiaritisi come una tale ipotesi respignesse colla sua
severità o stancasse colla sua sottigliezza, affrettavansi di sostituirne altra
più accetta. Tali sono i risultamenti della dipendenza. L’amore stesso del vero
non basta ad affrancare l'uomo dal giogo. S’egli non abjura le sue opinioni, ne
cangia le forme; se non rinnega i suoi principii, li sfigura. Allorchè a
questi retori schiavi succedettero i retori stipendiati, le dottrine diventarono
derrata di cui itanto per greci trafficarono, e della quale per
conseguenza lasciarono la scelta a' compratori. Le varie sette non trovarono
in Roma uguale favore. L'epicureismo benchè in bei versi esposto ed insegnato
da Lucrezio, vi fu dapprima respinto, non la sua morale di cui bene non si
conoscevano ancora i corollarii, quanto per la raccomandazione che faceva
d'attenersi ad una vita speculativa e ritirata, aliena non meno da fatiche che
da pericoli. Gli è questo difatti il principale rimprovero che fa Cicerone alla
filosofia epicurea. I cittadini d'uno stato libero non sanno concepire la
possibilità di porre in dimenticanza la patria, perciocchè ne posseggono una; e
considerano come colpevole debolezza quell'allontanamento da ogni carriera attiva,
che sotto il dispotismo diventa bisogno è virtù di tulli gli uomini integri e
generosi. L'epicureismo ebbesi per altro un illustre seguace; nè qui vo'
accennare d'Atlico, che senza principii senza opinioni fu bensì amico caldo e
fedele, ma cittadino indifferente e di funesto esempio, avvegnachè sotto forme
eleganti insegnò alla moltitudine ancora indecisa e vacillante come chicchessia
può accortamente isolarsi e tradire con decenza i proprii doveri verso la
patria. Il romano di cui intendo parlare è Cassio che fino dall'infanzia si
consacrò alla causa della libertà, e rinunziando ai piaceri alle dolcezze della
vita, non ebbe che un pensiero un interesse una passione, la patria. Fu centro
della cospirazione contro Cesare; e dolendosi di non potere sperare in un'altra
vita, muore dopo avere corso un arringo continuamente in contraddizione colle
sue dottrine. Le sette di Pitagora, di Aristotile, e di Pirrone
incontrarono a Roma ostacoli d'altra maniera. La prima, per una naturale
conseguenza del segreto in cui si avvolse fino dal suo nascere, contrasse affinità
con estranie superstizioni; perciocchè uno degli inconvenienti del mistero,
anche quando n'è pura l'intenzione primitiva, è di fornire all' impostura
facile mezzo d'impadronirsene. Nigido Figulo è il solo pitagorico di qualche
grido che abbia fiorito in Roma. L'oscurità aristotelica ebbe poche attrattive
per menti più curiose che meditative. L'esagerazione pirronista per ultimo
ripugna alla retta ragione de’ romani. Il platonismo che ancor non era ciò che
di. venne due secoli dopo per opera de' novelli platonici. Lo scetticismo
moderato della seconda accademia, e lo stoicismo furono i sistemi adottati in
Roma. Lucullo, Bruto, Varrone sono platonici. Cicerone, a cui piacque porre a
riscontro tutte le varie dottrine, inclina per l'indecisione accademica. Lo stoicismo
solo fu caro alla grand'anima di Catone Uticense. “Non possum legere
librum Ciceronis de Se. nectute, de Amicitia, de Officiis, de Tusculanis
Quæstionibus, quin aliquoties exosculer codicem, ac venerer sanctum illud
pectus aflatum celesti Qumine. ERASM. in Conviv --. M. Tullio adotta egli
per convinzione i sistemi filosofici della nuova accademia, o diè loro la preferenza
perchè più propizii all’oratore in fornirgli arme con cui combattere i proprii
avversarii! Corse grand' intervallo tra un Cicerone ambizioso, e un Cicerone disingannato.
Ciò che pel primo era oggetto subordinato a speranze a divisamenti avvenire,
diventa pel secondo un bisogno del cuore, un'intensa occupazione della mente.
Ei pose affetto alle dottrine del platonismo riformato; e a quelle parti della
morale in esse contenuta di cui si tenne men soddisfatto, altre ne sostituì
fornitegli dallo stoicism. E propriamente ecclettico, od amatore del vero e del
buono ovunque lo riscontrava. Ad imitazione di Platone pose in dialoghi i
suoi scritti filosofici. Per eleganza di stile ed elevatezza di concetti non
cede al modello. Per chiarezza e per ordine lo vince. Ne cinque libri, De
finibus, intorno la natura del bene e del male si propose una meta sublime; la
ricerca cioè del bene supremo; in che cosa consista; come si consegna; ove
dimori. Tu cerchi però inutil mente in quelle pagine da cui traluce tanta
sapienza plausibile soluzione del quesito. Gli antichi ingolfandosi in cotali disamine
faceano ricerca di ciò che trovare non potevano; chè gli è impossibile che il
bene supremo rinvengasi in ordine di cose che necessariamente è imperfetto.Verità
che il Vangelo ci rese ovvia insegnandoci come la felicità sognata dai gentili
pel loro saggio non sia fatta per uomo mortale, essondechè stanza le è
riserbata imperibile sublime. In che cosa consiste il sommo bene? Ecco di
che venivano continuamente richiesti i filosofi. Epicuro ed Aristippo
rispondevano, nel piacere; Jeronimo, nell'assenza del dolore; Platone, nella
comprensione del vero, e nella virtù che ne è conseguenza; Aristotile, nel
vivere conformemente alla natura. Cicerone associa le sentenze di Platone e
d'Aristotile, e si appose meglio di quanti nell'arduo arringo l'avevano preceduto. Dalle
più elevate astrazioni sceso ad argomenti che si collegano co' bisogni e co'
vantaggi dell'uomo, M. Tullio si propose nelle Tusculane di cercare i mezzi
adducenti alla felicità. Cinque ne noverò; il dispregio della morte; la
pazienza ne' dolori; la fermezza nelle varie prove; l'abitudine di combaltere
le passioni, e finalmente la persuasione che la virtù dee unicamente cercare
premio in sè stessa: e la dimostrazione di cotesti assiomi si fa vaga, sotto la
penna del filosofo, di tutte le grazie dell'eloquenza. All' Anima, egli
scrive, tu cercheresti inutilmente un'origine terrestre, perocchè nulla in
sè accoglie di misto e concreto; non un atomo d'aria d'acqua di fuoco. In
cotesti elementi sapresti tu scorgere forza di memoria d'intelligenza di pensiero,
valevole a ricordare il passato a provvedere al futuro ad abbracciare il
presente? Prerogative divine sono queste , nè troveresti mai da chi sieno state
agli uomini largite, se non 'da Dio. È l'anima pertanto informata di certa
quale sua singolar forza e natura ben diverse da quelle che reggono i corpi
tutti a noi noti. Checchè dunque in noi sia che sente intende vuole vive;
divina cosa certo è cotesta; eterna quindi necessariamente esser deve. Nè la divinità
stessa, quale ce la figuriamo, comprenderla in altra guisa possiamo, che come
libera intelligenza scevra d'ogni mortale contatto, che tutto sente e muove, d’eterno
moto ella stessa fornita. L’anima umana per genere e per natura somiglia a
Dio. “Dubiterai tu, a veder le meraviglie dell'universo, che tal opera
stupenda non abbiasi (se dal nulla fu tratta, come afferma Platone) un
creatore; o se creata non fu, come pensa Aristotile, che ad alcun possente moderatore
non sia data in custodia? Tu Dio non vedi; pur le opere sue tel rivelano: così
ti si fa palese dell'anima, comechè non vista, la divina vigoria, nelle
operazioni della memoria nel raziocinio nel santo amore della virtù.” I
discepoli d'Epicuro, commentando, esagerando ciò che vi avea d'incerto d'oscuro
nei principii del loro maestro. l'universo nato dal caso affermarono,
negarono la provvidenza, piegarono all'ateismo. Tullio si fa a combatterli nel
suo libro Della natura degli Dei. Le lettere antiche non inspiraronsi mai di
più sublime eloquenza. Vedi primamente la terra, collocata nel centro del
mondo, solida, rotonda, in sè stessa da ogni parte per interior forza
ristrella; di fiori d'erbe d'arbori di messi ammantarsi. Mira la perenne
freschezza delle fonti, le trasparenti acque de' fiumi, il verdeggiare vivacissimo
delle rive, la profondità delle cave spelonche, delle rupi l'asperità, delle
strapiombanti vette l’elevazione, delle pianure l'immensità, e quelle recon.
dite vene d'oro e d'argento, e quell' infinita possa di marmi. Quante svariate
maniere d'animali! quale aleggiare e gorgheggiar d'uccelli e pascere d'armenti,
ed inselvarsi di belve! E che cosa degli uomini dirò, che della terra
costituiti cultori non consentono alla ferina immanità di toruarla selvaggia,
all’animalesca stupidità di devastarla, sicchè per opera loro campi isole lidi
mostransi vaghi di case, popolati di città! Le quali cose se a quella guisa
colla mente comprendere potessimo, come le veggiamo cogli occhi; niune in
gettare uno sguardo sulla terra potrebbe dubitar più oltre che esista ia
provvidenza divina. “Ed infatti, come vago è il mare! come gioconda
dell'universo la faccia! Qual moltitudine e varietà d'isole é amenità di piani,
e disparità d'animali, sommersi gli uni nei gorghi, gnizzanti gli altri alla superficie,
nati questi a rapido moto, quelli all’imobi, lità delle loro conchiglie! E
l'acre che col mare con: fina qua diffuso e lieve s'innalza, là si condensa e
accoglie in nugoli, e la terra colle piove feconda ; e ad ora ad ora pegli
spazii trascorrendo ingencra i vento ti, e fa che le stagioni subiscano dal
freddo al caldo loro consuete mutazioni, e le penne de' volatori sostiene, e
gli animali mantien vivi.” 5 Giace ultimo l'etere dalle nostre dimore disco.
stissimo, che il cielo e tutte cose ricigne, remoto confine del mondo; per
entro al quale ignei corpi con maravigliosa regolarità compiono il loro corso.
Il sole, uno d'essi, che per mole vince di gran volte la terra, intorno a
questa s'aggira, col sorgere e il tramontare segnando i confini del giorno e
della notte; coll'avvicinarsi e il discostarsi quelli delle stagioni; sicchè la
terra, allorehè il benefico astro s'allontana, da certa qual tristezza è
conquisa; pare che invece insieme col ciclo ši allegri allorchè torna. La luna,
che a dire de matemateci, è più che una mezza terra, trascorre pe' medesimi
spazii del sole, ed ora facendoglisi incontro; ora dipartendosi, que' raggi che
da lui riceve a noi trasmette; ed avvengonle mutazioni di luce; perciocchè
talora postasi innanzi al sole lo splendore ne oscura ; talora nell'ombra della
terra s'immerge e d'improvviso scompare. Per quegli spazii medesimi le stelle
che denominiamo vaganti girano intorno a noi e sorgono e tramontano ad uno
stessso modo; il moto delle quali ora è affrettato ora s'allenta ora
cessa; spettacolo di cui altro avere non vi può più ammirando e più bello.
Tiene dietro la moltitudine delle non vaganti stelle, delle quali sì precisa è
la reciproca giacitura , che si poterono ad esse applicar nomi di determinate
figure. “E tanta magnificenza d'astri, tanta pompa di cielo, qual sano intelletto
mai potrà figurarsele surte dal raccozzarsi di corpi qua e là fortuitamente ?
Chi potrà credere che forze d' intelligenza e di- ragione sprovvedute fossero
state capaci di dar compimento a tali opere delle quali , senza somma
intelligenza e robusta ragione, ci sforzeremmo inutilmente di comprendere, non
dirò come si sieno fatte, ma solo quali veramente sieno?” Dopo d'avere additato
virtù e religione siccome scaturigini del bene, maestre di felicità, dopo
d'avere spaziato pegli immensi campi d'un'alta e confortevole metafisica, dopo
di avere falto tesoro negli insegnamenti della greca filosofia di ciò ch'essa
mise in luce di più puro e sublime intorno l'anima e Dio; argomento degno della
gran mente di Cicerone era la felicità, non più studiata e ricercata pegli
individui, ma per le nazioni; ed a sì nobile soggetto consacrò i suoi trattati,
in gran parte perduti, Della repubblica e Delle leggi. Nei frammenti che ce ne
restano scorgiamo essersi il filosofo serbato fedele al suo assioma favorito: -
nella giustizia divina contenersi l'unica sanzione dell'umana giustizia.
u Fondamento primo d'ogni legislazione, egli scrive, sia un generale
convincimento che gli Dei sono di tutto arbitri, di tutto moderatori; che
benefattori del. l'uman genere scrutano che cosa è in sè stesso ogni uomo, che
cosa fa, che cosa pensa, con quale spirito pratica il culto ; sicchè i buoni
sanno discernere dagli empii. Ecco di che gli animi voglionsi compene. trati,
onde abbiano la coscienza dell' utile e del vero.” Ma se M. Tullio della virtù
della felicità delle leggi ravvisava nella religione le scaturiggini, la
religione voleva che santa e pura fosse, onninamente sgombra dalle supestizioni
dalle credulità, da che vituperata miravala. A tal uopo dettò l'aureo trattato
De divinatione, nel quale usò d'un argomentare nel tempo stesso seyero e
faceto, con abbandonarsi in isferzare la credulità e la sciocchezza a'voli più
opposti della sua proteiforme eloquenza. Capolavoro di Cicerone è il
libro Degli Officii , ossia de' doveri morali degli uomini in qualunque
condizione si trovino essi collocati. I Greci ebbero costume di spaziare troppo
ne' campi delle filosofiche astrazioni; le loro dottrine trovarono meno facile
applicazione a' casi pratici della vita , perchè sovraccaricate di vane
disputazioni , oppurtune più spesso a trastullare l'imaginazione, che ad
illuminare l'intelletto. Tullio grande e saggio anche in questo volle spoglia
la sua filosofia di quell' ingombro, e ricondussela alla più semplice e precisa
espressione degli inculcati doveri. 6 Cicerone ( scrive- a proposito del libro
degli Officii un critico tedesco) fu dotato di luminosa intelligenza di
rello giudizio di gran. de altività, doti opportunissime a coltivare la
ragione, a fornirle argomento d' incessanti meditazioni. Ma Cicerone non
possedeva lo spirito speculativo che si richiede a poter ben addentrarsi ne'
primi principii delle scienze : il tempo venivagli meno a minute indagini, la
sua indole stessa fare non gliele poteva famigliari. Uomo di stato più che
filosofo, le scienze morali lo interessavano per quel tanto che gli servivano a
rischiarare le proprie idee intorno ad argomenti politici. Vissulo in mezzo a
rivoluzioni, quali traversie non ebbe egli a sopportare ! Niun politico si
trovò mai in situazione più propizia per fare tesoro d'osservazioni intorno
l'indole della civile società, la diversità de' caratteri, l'influenza delle
passioni. Pure cotesta situazione sua stessa era poco alla a fornirgli opportunità
d’approfondire idec astralte o meditare sulla natura delle forze invisibili, i
cui visibili risultamenti s'appalesano nell' umano consorzio. La
situazione politica in cui M. Tullio si trovò collocato improntò la sua morale
d'un carattere speciale. Gli uomini dei quali ed a’ quali ragiona sono quasi
sempre della classe a cui spetla d'amministrare la repubblica: talora, ma più
di rado, rivolgesi agli studiosi delle lettere e delle scienze. Per la
moltitudine de cittadini hannovi bensì qua e là precetti generali comuni
applicabili agli uomini tutti; ma cercheresti inutilmente l'applicazione di
que' precelli alle circostanze d'una vita oscura e modestà. Caso invero
singolare! Mentre le forme del reggimento repubblicano raumiliavano l'orgoglio
politico con dargli a base il favore popolare, i pregiudizii dell'antica
società alimentavano l'orgoglio filosofico, con accordare il privilegio
dell'istruzione unicamente a coloro che per nascita o per fortune erano
destinati a governare i loro simili. In conseguenza di questo modo di vedere i
precetti morali di Cicerone degenerarono sovente in politici
insegnamenti. Coi trattati “Dell' amicizia” e “Della vecchiezza” M.
Tullio a confortevoli meditazioni ebbe ricorso onde ricreare la propria mente
dalla tensione di più ardui studii e dagli insulti della fortuna. E veramente
che cosa avere vi può sulla terra di più dolce e santo d'una fedele amicizia?
Che cosa vi ha di più dignitoso e simpatico d'una vecchiezza onorata e felice ?
Cice, rone in descrivere quelle pure e nobili dilettazioni consulto il proprio
cuore: beato chi trova in sè stesso l' inspirazione e la coscienza della virtù!”
-- Conte Tullio Dandolo. Tullio Dandolo. Dandolo. Keywords: storia della
filosofia romana – ambasceria di Carneade – e tutto il resto! -- “Il secolo di
Augusto”; “Roma e l’impero fino a Marc’Aurelio” “Corse estive nel Golfo della
Spezia”; roma pagana “indici ragionati degli studi del conte Tullio Dandolo su
Roma pagana” -- -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Dandolo” – The Swimming-Pool
Library.
Daniele
(San
Clemente). Filosofo. Grice: “Daniele is an interesting philosopher, if you are
into numismatics, his pet topic!” Figlio di Domenico e Vittoria De Angelis,
studia a Napoli, dove frequenta gli intellettuali della città. Entra in
amicizia con vari studiosi tra cui Genovesi, Cirillo, ed Egizio. Cura
un'edizione delle opere di A. Telesio, illustre filosofo cosentino, lavoro che
gli procurò l'interesse di intellettuali di giornali letterari dell'epoca,
specialmente per l’epistola dedicatoria e la vita del Telesio filosofo in
purgato latino. Cura la pubblicazione le “Opuscoli” di Mondo, che era stato il
suo primo maestro, premettendovi una dotta prefazione di tutte le veneri e la
grazie pellegrine dell’idioma toscano, che merita gli elogi di Zanotti. Pubblica
le nuove “Orazioni” latine di Vico, ch’erano state lette da quest’altissimo
ingengno mentre filosofava sull’eloquenze e la colloquenza alla Regia
Univerista. Publicca la l’aureo romanzo de Longo – que sembra dettato
dall’amore, reso in volgare da Caro, con deliziosa e spontanea gracia, faciendo
un dono preziossimimo agli ananti della toscana favella – corredandolo di una
dotta prefazione escritta con ammirabile purita di lingua. A San Clemente cura le
proprietà della famiglia. Si dedica al studio dell’antico e agli studi della
classicità acquisendo documentazioni – collezione epigrafica -- e creando una
collezione di oggetti antichi legati al territorio di San Clemente. Pubblica una
critica ad alcuni studi sulle storia di Caserta (“Crescenzo Espersi Sacerdote
Casertano al Signor Gennaro Ignazio Simeoni, un ufficiale di artiglieria
napoletano”). Il marchese Domenico Caracciolo lo fa richiamare a Napoli dove
entra nella segreteria di Stato. Riordina la raccolta delle leggi e dei diplomi
dell'imperatore Federico II. E nominato "regio istoriografo", carica
che era stata di Vico e di Assemani. Alla carica era associato un sussidio
economico. Pubblicò Le Forche Caudine illustrate (Napoli), lavoro che gli
permise di entrare all'Accademia della Crusca. Ricoprì nella Reale Accademia di
Scienze e Belle Lettere, creata da Ferdinando IV, la carica di censore per le
memorie delle classi terza e quarta. Riceve l'incarico di sistemare la
biblioteca della Collezione Farnese, in seguito confluita nella Biblioteca di
Napoli. Divenne uno dei 15 soci dell'Accademia Ercolanese, dove cura la
pubblicazione degli studi su Ercolano e Pompei. Suo malgrado anzi fu coinvolto,
a causa della sua vicinanza con gli intellettuali vicini alla repubblica, nei
fatti che successero dopo la caduta della Repubblica partenopea. Perse tutti
gli incarichi e di conseguenza torna agli amati studi. Pubblicò un saggio di
numismatica, Monete antiche di Capua, con la descrizione delle monete capuane di
cui sei inedite. Sotto Bonaparte, riottenne le sue cariche e l'anno dopo
divenne segretario perpetuo dell’Accademia di storia e di antichità e fu
nominato direttore della Stamperia Reale. Fu anche socio dell'accademia
Cosentina, della Plautina di Napoli, e dell'Accademia Etrusca di Cortona. Altre
opere: “Antonii Thylesii Consentini Opera” (Napoli); “Crescenzo Esperti
Sacerdote Casertano al Signor Gennaro Ignazio Simeoni” (Napoli) – una lettera
sotto un falso nome in cui dimonstra la vera origine di Caserta --; “Le Forche Caudine illustrate” (Caserta) –
dove stabilisce il vero luogo ove furono piantati que’ gioghi sotto cui
passarono le vite legion romane, provando con compoisoa e ben adattata
erudizioone, chef u la Valle d’Arpaia, contro l’opinione di Cluvero, Olstenio, e
di altri eruditi di chiaro nome --; “I Regali Sepolcri del duomo di Palermo
riconosciuti et illustrate” (Napoli) – imprese anche ad illustrare le tombe de’
re di Sicilia. Rispende in questa la purita della lingua, e la ‘erudizione piu
estesa, che possa desiderarse tanto nella patria storia degli antichi tempi, ,
quanto in quella del medio evo -- “Monete antiche di Capua” (Napoli) dove interpreta le antiche monete di Capua gia
pubblicate fino al numero di dodici, ne pubblica altre sei del tutto ignote agli
eruditi; e nel fine dell’opera tratta in un erudite discourse del culto di
Giove, di Diana, e di Ercole presso i Campani. Opera inedita: Ricerca storica,
diplomatica, e legalle sulla condizione feudale di Caserta; Vita e Legislazione
dell’Imperatore Federico II, “Codice Fridericiano” contenente tutta la
legislazione di Federico. Propurca l’onoro di iiverine region storiografico,
segretario perpetuo dell’accademia ercolanese e l’accademia della Crusca.– che
le merita membro della Crusca – Vita ed opuscoli di Camilo Pellegrino il
giovane; Topografia dell’antica Capua illustrate con antichi monumenti; Il
Museo Casertano. “Cronologia della famiglia Caracciolo di Francesco de Pietri”
(Napoli). Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Danilele epigrafista e l’epigrafe probabilmente sua per la Reggia di
Caserta,La collezione epigrafica del Daniele a Caserta; Una pagina di storia
dell’Anfiteatro Campano, Francesco Daniele: un itinerario emblematico, in
classica a Napoli, La famiglia Daniele e i suoi due palazzi in San Clemente di
Caserta: note genealogiche ed araldiche, descrizione degli edifici superstiti e
ipotesi e proposte per la loro corretta attribuzione”; Daniele e lo studio del
mondo antico” -- Lettere di Francesco Daniele al principe di Torremuzza”; “Lettera
di Francesco Daniele a Giovanni Paolo Schultesius”, Lettere di Francesco
Daniele al dottor Giovanni Bianchi di Rimini” Pseudonym: ‘Crescenzo
Esperti’. Francesco Daniele. Keywords:
filosofia antica, roma antica, filosofia romana, l’antico in Roma antica,
l’antico, idea dell’antico, ercolano, pompei, collezione farnese, palazzo
Daniele, San Clemente, Caserta. Opera di Mondo, A. Telesio. “Regio
Istoriografo,” carica cheera state di Divo e di Assemani, Giove, Diana, Ercole,
Campania, le vinte legion legion romane, l’origine di Caserta, A. Telesio,
filosofo. Mondo, filosofo, opuscoli. Romanzo di Longo reso in volgare da Caro,
vita di Talesio, orazioni sull’eloquenza di Vico, valle d’Arpaia, gioghi, re di
Sicilia. Daniele. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Daniele” – The
Swimming-Pool Library.
Dati (Siena). Filosofo.
Grice: “Dati is a good one if you are into Ciceronian rhetoric as given a
running commentary by an unknown philosopher from Siena! – But mind, he also
wrote, like Shropshire, on the immortality of the soul!” Noto per il suo
manuale di grammatica Elegantiolae. Erasmo lo loda come uno dei maestri italiani
di eloquenza. Nato da una agiata famiglia senese, passò la maggior parte della
sua vita a Siena. Studia con Filelfo. Dopo aver insegnato per qualche tempo a Urbino,
torna in patria e insegna retorica. E nominato segretario di Siena. Altre
opere: Elegantiolae. L'Isagogicus libellus pro conficiendis epistolis et
orationibus fu stampato per la prima volta a Ferrara da Andrea Belfortis.
Elegantiae minores; “Opusculum in elegantiarum
precepta cum Jodoci Clicthovei Neoportunensis et Jodoci Badii Ascensii
commentariis; “Ascensii in epistolarum compositionem compendium”; “Sulpitii de
epistolis componendis opusculum”; “Tabule in Augustino Datto contentorum
index”; “Francisci Nigri elegantie regularum elucidatio”; “Magistratum
Romanorum nominum declaratio”; “Ortographie regularum Ascensiana
traditio. De grecis dictionibus apex ex Tortellio depromptus.” “Augustini
Datii Senensis opera (Siena) – include diciassetteopusculi: I piu importanti
sono: “Oratium libri septem”, “Fragmenta senensium historiarium libris tribus;
“Isagogicus libellus pro conficiendis epistolis et orationibus” – ristampato
“Elegantiarum libellus”. Le Elegantiolae, ristampato ocon cari titoli, era
considerato "il manuale par excellence". Sirve da base per i “Rudimenta
grammatices” di Perotti. Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, “Plumbinensis Historia”, Firenze, SismelEdizioni
del Galluzzo. Vedi Bandiera, “De laudibus eloquentiae A. Datii” – Grice: “Dati
is into ‘elegance’ but he is also into ‘regulae’, which are a bit like my
maxims – my maxims can be exploited for ‘effect’ – and those are the types of
rules that Dati is interested. Sadly, his philosophy has been interpreted as
that of a mere linguist or grammarian prescribing on how to write letters! But
he surely was a pre-Griceian who is looking for ‘rational’ pragmatic reasons to
the effect of a most effective, yet ‘elegant,’ communication. Many examples can
be philosophical: ‘women are women’, ‘war is war’. ‘Women are women’ is not
meant as a substitutation for Parmenides’s law, x = x. Such an utterance would
be, “Every thing is identical with itself.” “War is war” is different in that
‘war’ is uncountable, and we can keep the singular ‘is’ of Parmenides’s law, x
= x. But why do we consider ‘War is war’ a tautology? Because it is the
exemplification of ‘x = x” – Now, some philosophers claim that ‘war is war’ –
or Parmenides law, for that matter, isn’t not a ‘patent tautology’, since it needs
to be formalized in the predicate calculus, and the predicate calculus is not
decidable, i.e. there is no algorithm for its interpretations which render its
formulae tautologous. Augustinus Datus. Augustinus Dathus. Agostino Dati. Keywords:
retorica, grammatica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Dati” – The Swimming Pool
Library.
Delfino (Padova).
Filosofo. Grice: “Delfino is what we at Oxford would call a ‘philosophical
mathematician,’ and in Italy, an astrologer – his specialty was the ‘motum’ of
the ‘ocatva sphaera’!” “But he also wrote on algorithms!” Ensegna a Padova. Erudito
dalle multiformi attività, fu attivo a Padova nel filone dell'aristotelismo
padovano rinascimentale: sicuramente studioso di logica e matematica, ebbe
chiara fama di matematico e di astronomo. Altre opere: “De fluxu et refluxu
aquae maris” (Venezia); “De holometri fabrica et usu in instrumento geometrico,
olim ab Abele Fullonio invento: Acc.); “Disputatio de aestu maris et motu
octava sphaera, Johann Niklaus Stupanus, Abel Foullon, Padova, In Accademia
Veneta Paulus Manutius. Dizionario
biografico degli italiani. Federicus Dolphinus. Federicus Delphinus. Federico
Dolfin. Federico Delfino. Delfino. Keywords: first sphere, second sphere, third
sphere, fourth sphere, fifth sphere, sixth sphere, seventh sphere, eighth
sphere – prima sphaera, seconda sphaera, tertia sphaera, quarta sphaera, quinta
sphaera, sexta sphaera, septima sphaera, octava sphaera, holometria, fabrica
holometri, aristotelismo padovano vs. platonismo fiorentino – aristotele –
platone – padova naturalism – Firenze idealism – filosofia della percezione –
prospettiva -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Delfino” – The Swimming-Pool
Library.
Delia
Deliminio
Delogu (Nuoro). Filosofo. Grice: “We can
call Delogu a Griceian; at least he has written a little tract that he entitled
‘questioni di senso’ – which is all that my philosophy is about!” Si laurea a Sassari
e, come vincitore di una borsa di
studio regionale di perfezionamento in Dottrina dello Stato, ha collaborato
all’attività didattica e di ricerca con Pigliaru. È stato redattore del
periodico del seminario di Dottrina dello Stato Il Trasimaco, fondato e diretto
da Pigliaru. Come vincitore di concorso ha insegnato Filosofia e Storia
nei licei. Ha preso servizio a Sassari in qualità di ricercatore. Come
vincitore di concorso ordinario, è prof. associato e prof. ordinario di Filosofia morale presso la
Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Sassari. Cofonda
i Quaderni sardi di filosofia e scienze umane. Fonda e diretto i Quaderni sardi
di filosofia letteratura e scienze umane. Fa parte del comitato
scientifico della rivista “Segni e comprensione” -- dell’Lecce. È stato
direttore del Centro studi fenomenologici a Sassari, fonda e diretto la sezione
sassarese della Società Filosofica Italiana. È stato direttore della
Scuola di specializzazione per la formazione degli insegnanti a Sassari. Gli è
stato conferito il Premio Sardegna-Cultura e il Premio Giuseppe Capograssi,
dalla giuria presieduta da Giovanni Conso, presidente dell’Accademia dei
Lincei. Organizza numerosi convegni, tenutisi in Sardegna, generalmente a
Sassari. Tra questi: Realtà impegno progetto in Pigliaru, Libertà e
liberazione; Etica e politica in Capograssi; Tuveri filosofo, Dettori filosofo,
Esperienza religiosa e cultura contemporanea, Le nuove frontiere della medicina
tra etica e scienza, Vasa filosofo, Nella scrittura di Satta,; Filosofia e
letteratura in Karol Wojtyla; Attualità di Noce; Scrittura e memoria della
Grande Guerra . Ha partecipato in qualità di relatore ai convegni su
Merleau-Ponty (Lecce), Mounier (centro E. Mounier Reggio Emilia), Sartre (Bari,
Università Roma TRE, La Sorbona di Parigi), Gramsci (Cagliari), Intellettuali e
società in Sardegna nell’Ottocento (Cagliari), Capograssi (Roma), Noce (Roma); Tuveri (Cagliari), SSatta,
(Trieste); su Corpo e psiche: l’invecchiamento (Chiavari), su I vissuti: tempo
e spazio (Chiavari); è stato relatore al Corso di formazione su Fenomenologia e
psico-patologia promosso dal Dipartimento di salute mentale di Massa
Carrara. Ha tenuto lezioni seminariali sul pensiero fenomenologico di Wojtyla
a Lublino; Capograssi, sul Diritto penale internazionale a Ginevra, sul
pensiero filosofico politico nella Sardegna dell’Ottocento a Zurigo. È
stato responsabile del gruppo di ricerca dell’Ateneo sassarese su L’etica nella
filosofia italiana e francese contemporanea, PRIN. Collabora alle riviste
Annuario filosofico, Rivista internazionale di Filosofia del diritto, Nouvelle
Revue théologique; al Dizionario storico del movimento cattolico in Italia, alla
Enciclopedia Filosofica edita da Bompiani. Ha diretto il Master Mundis per la
Dirigenza Scolastica promosso da Sassari in collaborazione con la conferenza
nazionale dei Rettori. Premio "Sardegna-Cultura" Premio
"Giuseppe Capograssi”. Altre opere: “Insegnamento e implicamento
empiegamento della filosofia nella scuola secondaria, Tipografia editoriale
moderna, Sassari); “La critica di Merleau-Ponty alla concezione tomista
dell’uomo e della libertà in S. Tommaso nella storia del pensiero, Teoria e prassi in A. Pigliaru, Quaderni
sardi di filosofia e scienze umane, La Filosofia Cattolica in Italia, Quaderni
Sardi di filosofia e scienze Umane); “Pluralismo culturale ed educazione in
Colloquio interideologico,“ Orientamenti Pedagogici", La Filosofia
dell’educazione in A. Pigliaru; in Quaderni Sardi di filosofia e scienze umane,
Se la corrente calda… Un itinerario filosofico: Péguy, Sorel, Mounier, Sartre,
Quaderni Sardi di filosofia e scienze umane, M. Ponty, Esistenzialismo,
Marxismo, Cristianesimo,, Editrice La Scuola, Brescia); Né rivolta né
rassegnazione: saggio Su Merleau-Ponty, Ets, Pisa); “Le corpori nell’esperienza
morale” Quaderni Sardi di filosofia e scienze umane, Non vi è terza (né altra
via) nell’ “Esprit” di Mounier, Quaderno Filosofico, “Temporalità e prassi” in
S. Weil, Progetto, Temporalità e prassi in
Sartre in Sartre, teoria scrittura impegno, V. Carofiglio e G. Semerari,
Ed. Dedalo, Bari, Una filosofia disarmata Merleau- Ponty in Esistenza impegno
progetto in Merleau-Ponty, G. Invitto, Guida, Napoli); “Storia e prassi” in La
ragione della democrazia, Ed. Dell'oleandro, Roma, Giuseppe Capograssi e la
cultura filosofico-giuridica in Sardegna, Quaderni sardi di filosofia e scienze
umane, Note per una fenomenologia della esperienza religiosa; in Chi è Dio.
Università Lateranense, Herder, Roma, Storia della cultura
filosofico-giuridica, Enciclopedia della Sardegna, La Filosofia etico-politica
di Dettori e la cultura sardo-piemontese tra Settecento e Ottocento, Quaderni
Sardi di Filosofia e Scienze Umane, Il nucleo di vita e di luce del Rousseau
capograssiano in Due convegni su Capograssi, F. Mercadante, Giuffè, Milano, Filosofia
e società in Sardegna tra Settecento e Ottocento in “La Sardegna e la
rivoluzione francese” M. Pinna, Editore, La Filosofia giuridica e
etico-politica negli intellettuali sardi della prima metà dell’Ottocento: Azuni,
D. FoisTola, G. Manno in Intellettuali e società in Sardegna tra Restaurazione
e Unità d’Italia, Editore, Le Radici fenomenologico-capograssiane di S. Satta
giurista-scrittore; in Salvatore Satta giurista-scrittore, U. Collu, Edizioni,
Nuoro); “Soggetto debole, etica forte: da S. Weil a E. Levinas; in Le
Rivoluzioni di S. Weil, G. Invitto, Capone Editore, Lecce, Pigliaru e Gramsci
in Socialismo e democrazia, Archivio sardo del movimento operaio contadino e
autonomistico, Tracce del postmoderno in Weil, in Moderno e postmoderno nella
filosofia italiana oggi, U. Collu, Consorzio per la pubblica lettura S. Satta,
Nuoro, Società e filosofia in Sardegna Tuveri, FrancoAngeli, Milano, Cultura
barbaricina e banditismo in Pigliaru e M.Pira in L’Europa delle diversità,
FrancoAngeli, Milano, Prospettive fenomenologiche nella cultura contemporanea;
in Quaderni sardi di filosofia letteratura e scienze umane, Asproni e i
filosofi sardi contemporanei in Giorgio Asproni e il suo ‘Diario Politico’,
Cuec, Cagliari, Domenico Azuni, Elogio
della pace, a cura di, Assessorato Regionale alla Pubblica Istruzione,
Cagliari, Multi-dimensionalità della esistenza, in Quaderni sardi di filosofia,
letteratura e scienze umane, D.A. Azuni filosofo della pace, in Francia e
Italia negli anni della rivoluzione, Laterza, Bari); “La Preghiera in J.Sartre
in Esperienza religiosa e cultura contemporanea, a cura di, Diabasis, Reggio
Emilia); Note su “Etica comunitaria” e etica planetaria, in Quaderni sardi di
filosofia, letteratura e scienze umane, Temporalità esistenza sofferenza, in
Esistenza e i vissuti Tempo» e Spazio, A. Dentone, Bastogi, Foggia); Le
Relazioni Intermediterranee e il pensiero di D.A. Azuni, in Il regionalismo
internazionale mediterraneo nel 50º Anniversario delle Nazioni Unite, Consiglio
Regionale della Sardegna, Cagliari, La Festa e la via: una lettura
fenomenologica, in Quaderni sardi di filosofia, letteratura e scienze umane, Corpo
e psiche: l’invecchiamento in Minkoswski, in Corpo e psiche, A. Dentone,
L’invecchiamento, Bastogi, Foggia, Cosmopolitismo e federalismo nel pensiero
politico sardo dell’Ottocento, in Il federalismo tra filosofia e politica.
Edizioni, Questioni Morali); La prospettiva fenomenologica, Istituto Italiano
Di Bio-etica, Macroedizioni, Cesena, L’etica della mediazione, in Il problema
della pena minorile, FrancoAngeli, Milano, La filosofia in Sardegna, Etica
Diritto Politica, Condaghes, Cagliari, Antonio Pigliaru, La lezione di
Capograssi, a cura di, Edizioni Spes, Roma); Note su Del Noce e il nichilismo;
in Quaderni sardi di filosofia, letteratura e scienze umane, Repubblica e
civiche virtù, in Lezioni per la repubblica. La festa è tornata in città,
Diabasis, Reggio Emilia, K. Wojtyla, L’uomo nel campo della responsabilità, a cura
di, Bompiani, Milano, Federalismo e progettualità politico-sociale in Carlo
Cattaneo e Giovanni Battista Tuveri, in Quaderni sardi di filosofia, letteratura
e scienze umane); Cattaneo e Tuveri in Carlo Cattaneo temi e interpretazioni,
M. Corrias Corona, Centro Editoriale Toscano, Firenze, Al confine ed oltre. La
sofferenza tra normalità e patologia, Edizioni Universitarie, Roma); J. Sartre, Barionà o il figlio del tuono, a cura
di, Marinotti, Milano, Due Filosofi militanti: Carlo Cattaneo e Giovanni
Battista Tuveri in Cattaneo e Garibaldi. Federalismo e Mezzogiorno, A. Trova,
G. Zichi, Carocci, Roma, Esperienza e pena in Satta in Nella scrittura di
Salvatore Satta, Magnum, Sassari, Note Introduttive alla filosofia di Wojtyla,
Orientamenti Sociali Sardi); Note sul cristianesimo di Pigliaru, Orientamenti
Sociali Sardi, Nov-Dic., Etica e santità in Simone Weil; in Etica contemporanea
e santità, Edizioni Rosminiane, Stresa); Legge morale e legge civile in Natura
umana, evoluzione ed etica. Annuario di Filosofia, Guerini e Associati, Milano,
V. Jankélévitch, Corso di filosofia morale, a cura di, Raffaello Cortina,
Milano); Filosofia e letteratura in Karol Wojtyla, Urbaniana University Press,
Roma, La phénoménologie de l’agir moral selon Karol Wojtyla, in Nouvelle Revue
Theologique, Prefazione all’analisi
dell’esperienza comune in Giuseppe Capograssi, in La vita etica, F. Mercadante,
Bompiani Milano, La noia in Jankélévich, in In Dialogo con Vladimir
Jankélévich., Lisciani Petrini, Mimesis, Milano); La filosofia di Capograssi in
Esperienza e verità- Capograssi filosofo
oltre il nostro tempo, Il Mulino, Bologna, L’eredità di Capograssi nel pensiero
di Pigliaru, in Antonio Pigliaru. Saggi Capograssiani, a cura di, Edizioni
Spes, Roma, Ragione e mistero, in
Orientamenti Sociali Sardi, XV, . Il pensiero di Noce sul Magistero della
Chiesa, in Attualità del pensiero di Augusto Del Noce, , Cantagalli, Siena, Contro
lo scientismo. Una esperienza di vita, in Gesù Di Nazareth all’UniversitàAzzaro,
Libreria Editrice Vaticana, Roma, . Libertà di coscienza e religione, in Martha
C. Nussbaum, in Nel mondo della coscienza: verità, libertà, santità, Centro
Internazionale di Studi Rosminiani, Stresa, Individuo Stato e comunità in Pigliaru,
in Le radici del pensiero sociologico-giuridico, A. Febbrajo, Giuffré, Milano,
. La pace e la guerra nel pensiero di Cimbali e Vecchio docenti nell’Sassari in
Scrittura e memoria della Grande Guerra, A. Delogu e A.M. Morace, Pisa,
ETS, Questioni di senso- Breviario filosofico,
Donzelli, Roma, . La vita e il diritto nell’opera di Satta, Nuoro, Lezione di
commiato di Antonio Delogu, La Nuova Sardegna, 02 marzo , su
lanuovasardegna.gelocal. Remo BodeiAntonio Delogu, su youtube.com. Festival di
filosofia. Antonio Delogu. Delogu. Grice: “I wouldn’t consider Sardegna part of
Italy, as Sicily isn’t – they are part of the Italian republic – the ‘stato’ –
but geographically, they are not part of the peninsula – the Greeks are
especially precise about that: “Graecia magna” EXCLUDED Sicily!” The logo of
his review, “Segni e comprensione” is a rebus, in that a few letters are
missing. The idea is that the thing STILL SEGNA the proposition that this is
about signs and comprehension. Keywords. “segno e comprensione” s_gn_ e
c_mp-rension-“ “segni e comprensioni” le corpori nella perizia morale, etica
comunitaria, etica universale. -- -- Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Delogu” – The Swimming-Pool Library.
Demaria (Vezza d’Alba).
Filosofo. Grice: “Demaria is what we at Oxford would call a philosophical
theologian! And a dynamically realist at that!” Famoso
per numerosi studi sulla tomistica. Frequenta il seminario di Alba, entrò
come aspirante presso i salesiani di Penango Monferrato (Asti). Continua gli
studi nel liceo di Valsalice (Torino). Studia a Roma. Insegna a Torino e a
Roma. Nel corso della sua carriera fu docente di: Storia delle religioni,
Missionologia, Filosofia dell’educazione, Teologia Fondamentale, Teologia
Dogmatica, Dottrina sociale della Chiesa, Sociologia dell’Educazione.
Negli anni cinquanta avviò una feconda condivisione spirituale, teologica e
filosofica con don Paolo Arnaboldi, fondatore del Fraterno Aiuto Cristiano FAC
con l'attivo incoraggiamento di San Giovanni Calabria. Frequentò assiduamente le
sedi del FAC sia a Vezza D'Alba sia a Roma. Strutturò la sua metafisica
realistico organico dinamica. Negli anni sessanta fondò con Giacomino
Costa il Movimento Ideoprassico Dinontorganico M.I.D., oggi divenuto
l'associazione Nuova Costruttività. Insieme con Paolo Arnaboldi fecero opera di
formazione e divulgazione del realismo organico dinamico presso ambienti
imprenditoriali collegati all'U.C.I.D.. Giacomino Costa strutturò volutamente
la grande e innovativa impresa dell'Interporto di Rivalta Scrivia ( il così
detto "porto secco" di Genova) come applicazione dell'"organico
dinamico" differenziandola dalle imprese tipicamente liberiste.
Negli anni settanta fu il referente culturale delle "Libere Acli"
movimento dei lavoratori cattolici fuoriusciti dalle Acli a seguito della
"ipotesi socialista" che portò alla "sconfessione di Paolo
VI" e alla frattura del movimento. Continuò nell'ambiente dei lavoratori
cattolici con la formazione e la diffusione della "ideoprassi"
(modello di sviluppo) "organico dinamica", una vera ideologia
cristiana alternativa a quella liberal capitalista e a quella marxista
comunista. Tommaso Demaria tiene un seminario sul realismo Dinamico
a Verona presso il Centro Toniolo nel 1980. Negli anni ottanta fu intensamente
attivo nella formazione alla nuova cultura cristiana organico dinamica a
Torino, Verona, Vicenza, Roma con corsi, seminari e numerose pubblicazioni. Tra
tutti i corsi tenuti merita una specifica menzione per la testimonianza
documentale completa tramite registrazione video, presso il Centro Toniolo di
Verona su invito di don Gino Oliosi. Proseguì il lavoro di san Tommaso
d'Aquino e affermava l'incompletezza del tomismo, incapace di cogliere
l'organismo come categoria ontologica a sé stante. L'integrazione della metafisica
realista con l'organismo alla metafisica realistica integrale, strumento di
straordinaria importanza per la vita quotidiana. Lo studio dell'organismo in
quanto tale, in particolare nella sua dimensione di "struttura organica
funzionale", si rivelerà infatti importantissimo per lo studio e lo
sviluppo della società in generale ma in particolare per quella prassi
economica nota col nome di "Sistemi di Qualità" che fa appunto
dell'organicità il proprio fondamento. La possibilità di percepire l'organismo
in quanto tale entità diversa dall'organismo fisico, specifica Demaria, passa
attraverso la percezione dell'ente dinamico. Grande importanza assume
l'organicità nella gestione del sociale perché esso consente di definire con
precisione il bisogno di razionalità dell'umanità che supera le possibilità
dell'essenza della persona. Questa necessaria unità dell'agire della persona
nell'umanità che ne perpetua la presenza, in campo politico/ideoprassico egli
stesso la definisce come comunitarismo all'interno del suo testo "La
società alternativa". L'indagine sui dinamismi profondi della
società industriale e l'osservazione con metodo realistico oggettivo della
realtà storica globale nella sua consistenza ontologica portano Demaria a
sviluppare una metafisica per molti aspetti nuova ed originale. Aderisce
al tomismo e conferma la validità del realismo di Aquino per tutto ciò che è in
“rerum naturae” quindi per gli enti che esistono già in natura. Coglie la
necessità di innestare sul realismo tomista nuovi strumenti metafisici per
comprendere la realtà degli enti che non esistono in natura perché costruiti o
generati dall'uomo, le trasformazioni dell’essenza della persona operata dalla
liberà delle sue scelte, la natura profonda degli enti interumani (famiglia,
azienda, stato, …), l'interpretazione della realtà storica e il suo
indirizzamento. Il cambio d’epoca Individua un cambiamento d’epoca
con valore ontologico (che cambia l’essere, la forma della società) nella
rivoluzione industriale che con l’apporto della energia meccanica a
integrazione e sostituzione del lavoro umano dinamizza la società oltre una
soglia mai varcata prima nella storia. La società dinamizzata dalla rivoluzione
industriale giunge a una radicale trasformazione da “statico sacrale” a
“dinamico secolare”. Si tratta di una trasformazione qualitativa e non solo
quantitativa dei cambiamenti sociali che coinvolge l’”essere” della società. La
differenza fondamentale sta in questo: la società preindustriale (statico
sacrale) era dominata dalla natura e in questo modo ripeteva sempre sé stessa
nonostante i cambiamenti fenomenici (la vita di un romano non era così diversa
da quella di un medievale), la società industriale invece si è in larga parte
sganciata dal condizionamento della natura ed è obbligata a progettare e
costruire continuamente il proprio futuro…. Ma con quali criteri? È a questo
livello che interviene l’indagine metafisica della realtà storica il cui scopo
è proprio scoprire l’essenza profonda della realtà storica appunto. Il
realismo dinamico ontologico Riconosce nel tomismo e nella metafisica di San
Tommaso la validità nel contesto “statico sacrale” ma limiti nella
interpretazione della nuova realtà storica “dinamico secolare”. Osserva che
l’interpretazione data alla storia da Hegel prima e da Marx dopo, sono entrambe
errate e ne critica il fondamento soggettivista e la natura ateo
materialista. Integra quindi il tomismo tradizionale inaugurando la nuova
metafisica dinamica ontologica organica fondata sulla scoperta dell’ente
dinamico o anche ente di secondo grado. Dalla osservazione di ciò che
nasce di una relazione umana (entre uomo 1 e uomo 2) scopre che oltre agli
“enti di primo grado”, gli enti la cui
essenza già è (tutti quelli che già sono in natura – uomo 1 e uomo 2), esistono
altri “enti di secondo grado”, gli enti la cui essenza non è, ma si fa
attivisticamente nello spazio e nel tempo, e la cui nascita, vita e morte sono
costituite dalla esistenza di una relazione tra le persone (ad esempio il
concetto colletivo di ‘diada’ conversazionale, la famiglia, l’azienda sono enti
inter-umani. Una diada e un “ente dinamico” il cui comportamento è simile a
quello della monada – l’uomo, il soggeto,
un organism – ma la diada non e un ente fisico, ma costituito
dall’insieme di cose e di persone. Una diada e ugualmente animato da un
principio vitale, in cui le due parti (soggeto S1 e soggeto S2) e il tutto (la
diada) sono in reciproco equilibrio che ne genera e ne conserva la vitalità.
Quando viene meno questo reciproco equilibrio tra l’organismo di secondo grado
(la diada) tutto e le sue parti (le membra, gli organi, le cellule – uomo 1 e
uomo 2 – le monade) l’organismo perde la sua vitalità, si ammala e può arrivare
alla morte (e così avviene per la diada, la famiglia, l’azienda, la comunità).
Indaga osservando la realtà con metodo metafisico, realistico, oggettivo sulle
“regole”, sulla “razionalità”, o il razzionale, che sottende la vita e la
vitalità di un “ente dinamico” individuando cinque “trascendentali dinamici”
che sono le caratteristiche necessarie e sufficienti in un “ente dinamico”
per restare vivo e vitalmente operante. Sul fronte della
interpretazione della “storia” osserva che la sua complessità non può essere
indagata con un metodi analitico partendo dalla suddivisione del tutto della
diada nelle sue monade. Serve il metodo della “sintesi” e quindi dalla
sommatoria, aggregazione, integrazione dei singoli “enti dinamici” in realtà e
altri organismi via via più complessi e ampi, giunge al tutto che definisce
come “un ente universale dinamico concreto” senza il quale il singolo ente
dinamico non avrebbe né senso né valore metafisico. Del resto è abbastanza
intuitivo comprendere che nessun ente storico può esistere fuori dal contesto
che l’ha generato. Per esempio una semplice azienda di scarpe non può esistere
nel deserto separata da tutte le vie di comunicazione, dagli operai, dai
clienti, dalle fonti di energia eccetera. Raccoglie e coordina le sue
scoperte nella nuova metafisica realistico-dinamica che aggregata alla metafisica
eealistico-statica di Aquinocostituisce nell’insieme delle due componenti, la
statica e la dinamica, la metafisica realistico-integrale. Con il nuovo
strumento della metafisica realistico-integrale individua la giusta forma della
società che definisce organico dinamica – o “dinontorganica” -- come vera
alternativa alle due forme di società “false”, la capitalista e la marxista di
cui stende una dettagliata critica. Comprende che la nuova società
dinamica secolare avviatasi per l’effetto della rivoluzione industriale, è
costruita in vero dalla ideo-prassi, ossia dalla ideologia come prassi
razionalizzata. Una definizione corrente che sia avvicina al concetto di ideo-prassi
è modello di sviluppo, intendendo con questo la necessità di un cambio di paradigma
strutturale nella costruzione della società. Precisa meglio questa terminologia
chiarendo che il tipo di sviluppo riguarda il cambiamento di essenza profonda
di una società mentre invece il modello riguarda le innumerevoli e forse
infinite varianti all’interno del medesimo tipo che si devono calare nei
concreti ambiti temporali e geografici. Le “ideoprassi”, cioè i tipi di
società, riconosciute da Tommaso Demaria sono tre (3): capitalista, marxista,
“dinontorganica” e queste sono costruite secondo i rispettivi modelli. Perciò
all’interno della società di tipo capitalista avremo molteplici modelli anche
molto diversi tra loro dal punto di vista fenomenico ma identici dal punto di
vista dell’assoluto di riferimento (cioè del tipo), in questo caso il denaro
con la relativa competitività necessaria per conquistarlo. Analogamente avviene
per le altre due ideoprassi: la ideoprassi o società di tipo marxista, con
l’assoluto della dialettica oppresso/oppressore (la vecchia lotta di classe) e
la ideoprassi o società di tipo dinontorganico con il proprio assoluto
costruttivo radicato nella dialettica della sintesi in funzione della
vita. Nella società dinamica secolare, che è laica e profana, la
religione non è più accettata come fondamento. Così anche la persona libera e
sovrana che ha il suo posto nella società statico sacrale non può esistere in
quanto nella società dinamica secolare fin dalla nascita la persona umana viene
continuamente ri-manipolata dalla ideo-prassi corrente (capitalista o
marxista). La persona umana trova la sua giusta collocazione nella società se
riconosce la sua nuova natura di persona cellula, componente libera in un
organismo sociale più grande. Come persona cellula rimane sempre persona umana
libera ma al contempo svincolata dalle logiche servo/padrone, oppresso/oppressore
del marxismo. L’Economia e un tema ampiamente trattato dal Demaria che
individua tre tipi di economia: la capitalista, la marxista/comunista, la economia
dinontorganica. Dopo aver profondamente analizzato e criticato le prime
descrive in dettaglio i fondamenti della economia dinontorganica. Per brevità
riportiamo qui la differenza del concetto di impresa capitalista ed impresa dinontorganica.
L’impresa capitalista è un'attività economica professionalmente organizzata al
fine della produzione o dello scambio di beni o servizi. Si avvale di un
complesso di beni strumentali, il mezzo concreto (l’azienda): immobili, sedi,
attrezzature, impianti, personale, metodi, procedure, risorse. Si tratta di
“cose” e tra queste anche il personale/forza lavoro. Anima suprema dell’impresa
capitalista è il profitto e secondariamente la creatività imprenditoriale a
servizio del profitto. La socialità dell’impresa diviene un fatto ambientale ed
incidentale innegabile ma secondario. Quindi l’impresa (con la relativa
azienda) capitalista sè una “cosa” ridotta a capitale e lavoro. L’impresa
dinontorganica, la vera natura profonda dell’impresa, è organismo dinamico
economico di base dell’attuale società industriale o postindustriale. E’un vero
organismo dinamico, una realtà complessa, non fisica ma prodotta dall'uomo,
costituita dalla sintesi di cose e di persone autonome e cellule dell’organismo
impresa, animata da un proprio principio vitale e perciò capace di vivere ed
agire a titolo proprio. E’quindi impresa umanissima, affrancata dal
materialismo capitalista. Anima dell’impresa è la costruttività nel suo
triplice aspetto economico, sociale e “ideo-prassico”, che eleva la creatività
al di sopra del solo profitto e che soddisfa ad un tempo la le esigenze della società
globale e della impresa, quali il profitto, comunque necessario ma non
sufficiente. In ambito ecclesiologico le scoperte come da sua frequente
dichiarazione , si collocano nel solco del Magistero della Chiesa Romana
Cattolica. Cinque delle sue saggi, che contengono nell’insieme il corpo della
sua opera, portano impresso l’imprimatur che attesta l’assenza di errori in
ambito di fede e morale cattolica. La scoperta dell’“ente di secondo
grado” (ente generati dalle relazioni tra le persone) e della persona “cellula”
(individuo libero che riconosce di essere parte di un organismo più grande)
sono in analogia scaturite dalla riflessione sull’essere della Chiesa
(l’insieme dei cristiani) in comunione con il corpo mistico di Cristo. Il
cristiano con il battesimo cambia il suo essere e diviene uomo nuovo. Quindi la
persona umana (in questo caso il cristiano) è contemporaneamente “ente di primo
grado (“in rerum naturae”) che ente di secondo grado (ente dinamico) come
membro della Chiesa che costituisce il corpo mistico di Cristo. La Chiesa così
concepita è il primo ente dinamico sacro della storia. Mentre il primo ente
dinamico laico e profano dell’epoca dinamico secolare post rivoluzione
industriale è l’azienda industriale. Pur accogliendo nella sua
“metafisica realistica integrale” (la metafisica realistica “statica” più la
“dinamica”) il tomismo in toto, il suo pensiero genera dispute con i tomisti
classici del tempo che non riconoscono alla Chiesa (e nemmeno alla azienda
industriale ) la natura di “ente di secondo grado” ma unicamente la
caratteristica di “ente di relazione” che per Demaria è insufficiente per
interpretare la complessità della realtà storica industriale e la relativa
mobilitazione. La Dottrina Sociale della Chiesa e L’Ideoprassi
Dinontorganica Alla Dottrina Sociale Della Chiesa riconosce ogni validità. Ne
segnala tuttavia la incompletezza in quanto costituita da norme etiche e morali
rivolte principalmente alla persona libera e sovrana ed atte ad incidere sul
suo comportamento come singolo per migliorare in senso cristiano la società.
Rileva che la società non è più solo costruita dalle norme morali di persone
libere e sovrane ma anche e soprattutto dalla “ideoprassi” (ideologia come
prassi razionalizzata sintesi di persone e strutture) corrente, dal suo
dinamismo e dalle sue razionalità interne autocostruttive proprie della società
“dinamica secolare”. Pertanto per incidere sulla società contemporanea che è
“dinamica secolare”, laica e profana, serve una vera e propria nuova e completa
“ideoprassi”, certamente laica e profana ma compatibile con i valori cristiani
cardinali. All'interno di questa nuova “ideoprassi” Demaria vede inseriti tutti
gli insegnamenti della Dottrina Sociale Cristiana. Da soli e senza una propria
“ideoprassi” tali insegnamenti tendono a generare delle “para-ideologie” che
hanno effetti locali e temporanei. Per ottenere effetti di trasformazione
duraturi ed è necessario avviare azioni che contengano la giusta razionalità e
caratteristiche (i 5 trascendentali dinamici) capaci di innescare cicli
autocostruttivi. Altre opere: “Catechismo missionario” (Torino, SEI, La
Religione, Colle Don Bosco, Elledici); “Il fiume senza ritorno. Dramma
missionario, Colle Don Bosco, Elledici, La pedagogia come scienza dell'azione,
Salesianum, Sintesi sociale cristiana. Metafisica della realtà sociale
(presentazione di Aldo Ellena), Torino, Pontificio Ateneo Salesiano, Senso
cristiano della rivoluzione industriale, Torino, CESPCentro Studi don Minzoni, ca.
Strumento ideologico e rapporto fede-politica nella civiltà industriale,
Torino, CESPCentro Studi don Minzoni, ca. Presupposti dottrinali per la
pastorale e l'apostolato, Velate di Varese, Edizioni Villa Sorriso di Maria, Cristianesimo
e realtà sociale, Velate di Varese, Edizioni Villa Sorriso di Maria, Realismo
dinamico, Torino, Istituto Internazionale Superiore di Pedagogia e Scienze
Religiose, Il Decreto sull'apostolato dei laici : genesi storico-dottrinale,
testo latino e traduzione italiana, esposizione e commento, Torino, Leumann
Elle Di Ci, Catechismo del cristiano apostolo: la Salvezza cristiana, Torino,
Istituto Internazionale Superiore di Pedagogia e Scienze Religiose, Punti
orientativi ideologico-sociali (a cura del Movimento Ideologico Cristiano
Lavoratori), Bologna, Luigi Parma, Pensare e agire organico-dinamico, Milano,
Centro Studi Sociali); “Ontologia realistico-dinamica” (Bologna, Costruire); “Metafisica
della realtà storica. La realtà storica come ente dinamico” Bologna, Costruire,
La realtà storica come superorganismo dinamico: dinontorganismo e dinontorganicismo,
Bologna, Costruire, L'edizione Realismo dinamico, Bologna, Costruire, L'ideologia cristiana, Bologna, Costruire, Sintesi
sociale cristiana. Riflessioni sulla realtà sociale, Bologna, Costruire); “La
questione democristiana, Bologna, Costruire, Il Marxismo, Verona, Nuova
Presenza cristiana, Ideologia come prassi razionalizzata, Arbizzano, Il Segno, Per
una nuova cultura, Verona, Nuova Presenza cristiana, La società alternativa,
Verona, Nuova Presenza cristiana, Verso il duemila: per una mobilitazione
giovanile religiosa e ideologica, Verona, Nuova Presenza cristiana, Un tema
complesso sullo sfondo dell'ideologia come strumento ideologico, Verona, Nuova
Presenza cristiana, Confronto sinottico delle tre ideologie. Quarta serie, Roma,
Centro Nazareth, Scritti teologici inediti. Roma, Editrice LAS. Letteratura su
Tommaso Demaria Ugo Sciascia, Per una società nuova:inizio di una ricerca
partecipata ., Bologna, L. Parma, Ugo Sciascia, Crescere insieme oltre
capitalismi e socialismi : rifondazione culturale dall'Italia, per l'Europa, al
mondo. Napoli, Edizioni Dehoniane, Mario Occhiena, Riscoperta della realtà : un
itinerario filosofico esistenziale,Torino, Gribaudi, Pizzetti Luigi, Culture a
confronto. Sussidio per l’educazione religiosa e civica nelle scuole medie
superiori, La voce del popolo edizioni, Brescia, Fontana, Stefano, Apertura a
“tutto” l’essere, in Nuove Prospettive, Palmisano, Nicola, Quanto resta della
notte? : analisi e sintesi del medioevo novecentesco all'alba del Duemila,
Roma, LAS, Giuseppe Tacconi, La persona e oltre: soggettività personale e
soggettività ecclesiale nel contesto del pensiero di Tommaso Demaria, Roma,
Libreria Ateneo Salesiano, Gruppo studio scienza cristiano-dinontorganica di
Vicenza , Realismo dinamico : il problema metafisico della realtà storica come
superorganismo dinamico cristiano / riduzione dell'opera di Tommaso Demaria ,
Altavilla (Vicenza), Publigrafica, Gruppo studio scienza
cristiano-dinontorganica di Vicenza ,L'ideo-prassi dinontorganica: la
costruzione dinamica realistico-oggettiva della nuova realtà storica :
revisione del saggio L'ideologia Cristiana, Altavilla (Vicenza), Publigrafica, Mauro
Mantovani, Sulle vie del tempo. Un confronto filosofico sulla storia e sulla
libertà, Roma, Libreria Ateneo Salesiano, Lorenzo Cretti , La quarta
navigazione : realtà storica e metafisica organico-dinamica, Associazione Nuova
Costruttività -Tipografia Novastampa , Verona, Donato Bagnardi, Costruttori di
una Umanità Nuova . Globalizzazione e metafisica, Bari , Edizioni Levante, Oliviero
Riggi, L'ideoprassi cristiana per una società alternativa; implicanze
filosofiche, Roma, Università Pontificia Salesiana, Giulio Pirovano, Roberto Roggero,
Uniti nella diversità, UK, Lulu Enterprise, Mauro Mantovani, Alberto Pessa e
Oliviero Riggi , Oltre la crisi; prospettive per un nuovo modello di sviluppo.
Il contributo del pensiero realistico dinamico (atti dell'omonimo convegno
tenuto a Roma), Roma, Libreria Ateneo Salesiano, Stefano Fontana, Filosofia per
tutti: una breve storia del pensiero da Socrate a Ratzingher, Verona , Fede
& Cultura. Nuova Costruttività, La Vita, su dinontorganico. Scritti teologici inediti, Roma, Editrice
LAS, Mario Gadili, San Giovanni Calabria: biografia ufficiale, Cinisello
Balsamo, San Paolo, Per la ri-educazione all'amore cristiano nel campo
economico-sociale: per una valida teoria della pratica e una adeguata pratica
della teoria; Genova: Crovetto, Atti del convegno: Per la ri-educaziaone
all'amore cristiano tra le aziende, tenustosi a Rapallo e atti del convegno:
Programmazione economico-sociale e amore cristiano, tenutosi a Rapallo, Massaro,
I problemi dell'economia ligure : un'unica iniziativa ma buona. A Rivalta
Scrivia la succursale del pletorico porto di Genova., in LA STAMPA, C.G.N., Il
ministro Andreotti inaugura il nuovo complesso della Rivalta, in Sette Giorni a
Tortona, LIBERE A. C.L.I., Sette domande sulle A.C.L.I. e la svolta di
Vallombrosa e sette risposte delle Libere A.C.L.I., Milano, Centro Studi, Acli
"federacliste", Per un impegno ideologico Cristiano, Torino,
ALC-FEDERACL, Tacconi, La persona e oltre: soggettività personale e
soggettività ecclesiale, LAS, Realismo dinamico, Bologna, Costruire, Il
Marxismo, Verona, Nuova Presenza cristiana, Confronto sinottico delle tre
ideologie. Roma, Centro Nazareth, La società alternativa, Verona, Nuova
Presenza Cristiana, Sintesi sociale cristiana. Metafisica della realtà sociale
(presentazione di Ellena), Torino, Pontificio Ateneo Salesiano, Presupposti
dottrinali per la pastorale e l'apostolato., Velate di Varese, Edizioni Villa
Sorriso di Maria, Cristianesimo e realtà sociale., Velate di Varese, Edizioni
Villa Sorriso di Maria, Paolo Arnaboldi, Demaria e Morini, I consigli
pastorali, diocesani e parrocchiali alla luce di una pastorale
organico-dinamica, Velate di Varese, FAC-Villa Sorriso di Maria, Luigi Bogliolo
e Stefano Fontana, Prospettive del Realismo Integrale. Pensare il trascentente.
La questione metafisica dell'ente dinamico. Dialogo con Bogliolo. Apertura a
tutto l’essere in Nuove Prospettive, Realismo
dinamico Giacomino Costa Realismo Tomismo Neotomismo Comunitarismo, Vita, opere
e ragionata a cura dell'Associazione
Nuova Costruttività., su dinont-organico. Tommaso Demaria. Demaria. Keywords: Tuomela,
we-thinking, cooperation and authority -- Luigi Cipriani, communicazione e
cultura, dynontorganico – dinamico ontico organico -- l’implicanza di Speranza,
implicanza, implicatura, implicazione. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Demaria”
– The Swimming-Pool Library.
Demetrio
(Milano).
Filosofo. Grice: “Demetrio and the semiotic tacit’ – “Grice: “Demetrio
philosophises, in a Grecian, way, on the ‘tacit’ – literally, the unuttered
--.” Grice: “While ‘tacit’ may implicate that the vehicle is phonic, it need
not be – any non-expression is a tacit act --.” “And like me, Demetrio holds
that there is a whole communication involving the un-expressed, or tacit – or
‘suprressed’ as the scholastics preferred. Grice: “I like Demetrio. You see,
Demetrio is sa good one. – and he enriches the Griceian vocabulary. I use
‘imply’ for implicatum and implicitum; but Demetrio, due to the richness of the
Italian language, can play with the ‘tac’ root. I often refer to the implicit
as the tacit – and the tacit is nothing but the ‘silent’ –Demetrio has this
brilliant essay on the ‘sentiments’ wich are ‘taciuti’. A ‘sentimento’ is
taciuto’ when it is tacit, implicit, not explicit – his favourite scenario is a
loving couple – the silence of love – he has also played with the ‘senses’ of
‘silent,’ but it is the ‘tacit’ root that he explores most and relates to my
explicit/implicit, tacit/non-tacit distinction!” – Le sue ricerche promuovono
la scrittura di se stessi, sia per lo sviluppo del pensiero interiore e auto-analitico,
sia come pratica filosofica. Insegna a Milano, è ora direttore scientifico del
Centro Nazionale Ricerche e studi autobiografici della Libera università
dell'Autobiografia di Anghiari e dei “Silenziosi”. Altre opere: “Educatori di
professione. Pedagogia e didattiche del cambiamento nei servizi
extra-scolastici” (Scandicci, La Nuova Italia, Tornare a crescere); “L'età
adulta tra persistenze e cambiamenti” (Milano, Guerini, La ricerca qualitativa
in educazione” (Scandicci, La Nuova Italia); Apprendere nelle organizzazioni.
Proposte per la crescita cognitiva in età adulta, Roma, NIS); “Immigrazione e
pedagogia interculturale. Bambini, adulti, comunità nel percorso di integrazione,
Firenze, La Nuova Italia); “L'educazione nella vita adulta. Per una teoria
fenomenologica dei vissuti e delle origini, Roma, NIS, Raccontarsi); “L'autobiografia
come cura di sé, Milano, Cortina, Educazione degli adulti: gli eventi e i
simboli, Milano, C.U.E.M., Viaggio e racconti di viaggio. Nell'esperienza di
giovani e adulti, Milano, C.U.E.M.); “Bambini stranieri a scuola. Accoglienza e
didattica interculturale nella scuola dell'infanzia e nella scuola elementare,
Scandicci, La Nuova Italia, Agenda interculturale. Quotidianità e immigrazione
a scuola. Idee per chi inizia, Roma, Meltemi, Il gioco della vita. Kit autobiografico.
Trenta proposte per il piacere di raccontarsi, Milano, Guerini); Pedagogia
della memoria. Per se stessi, con gli altri, Roma, Meltemi); “Elogio
dell'immaturità. Poetica dell'età irraggiungibile, Milano, Cortina, Una nuova
identità docente. Come eravamo, come siamo, Milano, Mursia); “L'educazione
interiore. Introduzione alla pedagogia introspettiva, Scandicci, La Nuova
Italia, Di che giardino sei? Conoscersi attraverso un simbolo” (Roma, Meltemi);
“Preparare e scrivere la tesi in Scienze dell'Educazione, Milano, Sansoni); “Istituzioni
di educazione degli adulti. Il metodo autobiografico” (Milano, Guerini); “Istituzioni
di educazione degli adulti” (Milano, Guerini); Album di famiglia. Scrivere i
ricordi di casa, Roma, Meltemi, Scritture erranti. L'autobiografia come viaggio
del se nel mondo, Roma, EDUP, Ricordare a scuola. Fare memoria e didattica
autobiografica, Roma, Laterza, Manuale di educazione degli adulti, Roma,
Laterza, Filosofia dell'educazione ed età adulta. Simbologie, miti e immagini
di sé, Torino, UTET Liberia, L'età adulta. Teorie dell'identità e pedagogie
dello sviluppo, Roma, Carocci, Autoanalisi per non pazienti. Inquietudine e
scrittura di sé, Milano, Cortina); “Istituzioni di educazione degli
adulti. Saperi, competenze e
apprendimento permanente, Milano, Guerini, Didattica interculturale. Nuovi
sguardi, competenze, percorsi, Milano, Angeli, In età adulta. Le mutevoli
fisionomie, Milano, Guerini, Filosofia del camminare. Esercizi di meditazione
mediterranea, Milano, Cortina, La vita schiva. Il sentimento e le virtù della
timidezza” (Milano, Cortina, La scrittura clinica. Consulenza autobiografica e
fragilità esistenziali, Milano, Cortina, L'educazione non è finita. Idee per
difenderla, Milano, Cortina); “Ascetismo metropolitano. L'inquieta religiosità
dei non credenti, Milano, Ponte alle Grazie); “L'interiorità maschile. Le
solitudini degli uomini” (Milano, Cortina, La religiosità degli increduli. Per
incontrare i «gentili», Padova, Messaggero, Perché amiamo scrivere. Filosofia e miti di
una passione, Milano, Cortina, Senza figli. Una condizione umana, Milano,
Cortina, ,Educare è narrare. Le teorie, le pratiche, la cura, Milano, Mimesis);
“Beati i misericordiosi. Perché troveranno misericordia, Torino, Lindau); “I
sensi del silenzio. Quando la scrittura si fa dimora, Milano, Mimesis, La
religiosità della terra. Una fede civile per la cura del mondo, Milano,
Cortina, Silenzio, Padova, Messaggero, Green autobiography. La natura è un
racconto interiore, Anghiari, Booksalad, Ingratitudine. La memoria breve della
riconoscenza, Milano, Cortina, Scrivi, frate Francesco. Una guida per narrare
di sè, Padova, Messaggero, La vita si cerca dentro di sé. Lessico
autobiografico, Milano, Mimesis, Terra, Milano, Dialogos, Foliage. Vagabondare
in autunno, Milano, Cortina, Duccio Demetrio. Demetrio. Keywords: maschile,
omossesuale, perseo, medusa, solitudine, filosofia del maschile, il maschile,
homo-socialite, lo sguardo maschile, virilita, virus, virtu, il concetto del
maschile nella roma antica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Demetrio” – The
Swimming-Pool Library.
Desideri (Roma). Filosofo.
Grice: “I like Desideri; he would be what we at Oxford call a ‘philosopher of
perception,’ and therefore his keywords have been aisthetsis, sensation, and
the rest – he has also played with some Latinate, like ‘imaggine dell’imagine’
and with ‘empathy.’ He endorses a Griceian sort of empathetic theory, as
evidenced in the idea of ‘comprehension,’ a latinate term for English
‘understanding.’ “He has beautiful handwriting,’ while there is a hygienic
interval between I and thou, thou getest what I mean! That he is HOPELESS at
philosophy.” Insegna a Firenze. Cura Nietzsche, Kant, Benjamin, Kafka. Altre
opere: “Il tempo e la forma” (Roma, Editori riuniti); “Il fine del tempo”
(Genova, Marietti); “La scala della giustizia” (Bologna, Pendragon); “Il velo
di Iside: coscienza, messianismo e natura nel pensiero romantico” (Bologna,
Pendragon); “L'ascolto della coscienza” (Milano, Feltrinelli); “Aporia del
sensibile” (Genova, Il melangolo); “Il passaggio estetico” (Genova, Il
melangolo); “Forme dell'estetica: dall'esperienza del bello al problema
dell'arte” – “L’esperienza del bello”
(Roma-Bari, Laterza); “L’ esperienza e la percezione riflessa: estetica e
filosofia psicologia (Milano, Raffaello Cortina); “La misura del sentire: per
una ri-configurazione dell'estetica” (Milano-Udine, Mimesis); “Origine
dell'estetico: dall’emozione al giudizio” (Roma, Carocci); “Percezione ed estetica” (Brescia,
Morcelliana). Fabrizio Desideri. Desideri. Keywords: consentire, “i
consenzienti del bello” – perizia del bello – imago imaginis – il bello -- costellazione
griceiana, aporia, il riflessivo, l’esperienza del bello, il sentire, sensum,
sentiens, sensus, sentire e esperienza, esperimentare, esperienzare, emozione,
giudizio, giudicare, espressione dell’emozione, contenuto proposizionale, il volitum,
il co-sentire del bello, Grice, Sibley, meta-property, second-order property,
aesthetica, Sibley on Grice, Scruton on Sibley on Grice ---- -- Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Desideri” – The Swimming-Pool Library.
Diacceto (Firenze). Filosofo. Grice: “I love Cattano – Amo Cattani – who
philosophised so avidly on ‘amore’ – in fact, he philosophised in three
different ‘symposia’: ‘primo simposio,’ ‘secondo simposio’ and ‘terzo simposio’
– and so outdoes Plato by far!” Figlio di Dionigi Cattani di Diacceto e Maria
di Guglielmo Martini. Suo padre era uno dei tredici figli del filosofo
Francesco Cattani da Diacceto, chiamato il Vecchio o il Pagonazzo per
distinguerlo dal nipote. Divenne un canonico della Cattedrale di Santa
Maria del Fiore a Firenze. Protonotario apostolico. Nominato vescovo di
Fiesole, dopo il ritiro dello zio Angelo Cattani da Diacceto. Durante la sua
carica, termina la costruzione del monastero di Santa Maria della Neve a
Pratovecchio, già iniziata da suo zio. Restaurò l'Oratorio di San Jacopo a
Fiesole e la Chiesa di Santa Maria in Campo a Firenze, e supervisa i lavori di
restauro del Duomo di Fiesole, progettando la forma dell'abside. Studiò diritto
continentale e frequentò l'accademia fiorentina. Filosofo prolifico. Pubblicò
le opere, in latino e in italiano, di suo nonno e incarica Varchi di scrivere
la sua biografia, che fu pubblicata assieme a Tre libri d’amore e un panegirico
all’amore del vecchio Cattani a Venezia. Altre opere” Gli uffici di S.
Ambruogio vescovo di Milano: in volgar fiorentino (Fiorenza: Lorenzo Torrentino);
“Sopra la sequenza del corpo di Christo” (Fiorenza,: appresso L. Torrentino); “L'Essamerone
di S. Ambruogio tradotto in volgar fiorentino” (Fiorenza: Lorenzo. Torrentino);
“L’autorità del Papa sopra 'l Concilio” (Fiorenza: appresso i Giunti); “Instituzione
spirituale utilissima a coloro che aspirano alla perfezzione della vita”
(Fiorenza: Giunti); “L'Essamerone” (Fiorenza: appresso Lorenzo Torrentino); “La
superstizzione dell'arte magica” (Fiorenza: appresso Valente Panizzi &
Marco Peri). I tre libri d'Amore, filosofo et gentil'hvomo fiorentino, con un
Panegerico all'Amore; et con la Vita del detto autore, fatta da M. Benedetto
Varchi (In Vinegia: appresso Gabriel Giolito de' Ferrari). Ricerche su Diacceto:
Cultura teologica e problemi formativi e pastorali. Firenze: Università degli
Studi di Firenze, Facoltà di Lettere e Filosofia. Dizionario biografico degli italiani.
FRANCISCI CATANEI DIACETII PATRICII FLORENTINI IN DIVINI PLA. tonis Sympoſium
Enarratio ad Clementem VII.Pont.Max . Amoremdiftinguit atq, definit,antequam
rei explicatio nem aggrediatur. رازدا ( 1 Ntequam Sympoſi enarrationem aggredia
mur , operæprecium eſt uidere, quid perA morem ſitnobis intelligendum . Secus
enim fieri nequit , ut diuinú Platonem de Amore diſſereniem intelligamus. Solec
itaqduplici capite definiri. Autenim pingui Mineruade, finitur, aut exacta
quadam ratione. Siqui dem pinguiMinerua,omnis appetentia, quæ cungilla
ſit,Amorrectèdici poteſt. Sinautē exacta ratione, Amor eſt deſiderium
perfruendæ &effingendæ pulchritudinis. Quapro pter quot ſunt appetitus,
totidem elle amores neceſſe eſt. Atqui ue rum efficiens propter intimam
fæcunditatem appetitextra fe effice re:appetit quoqz ſeruare quodeffecerit.
Vnde & diuinus Iohannes Omnia,inquit,per ipſum facta ſunt, & feorfum ab
ipſo nihil , quod factum eſt:ſignificans,non ſolùm ex Deo, ideft,ex uero
efficiente res effe ,uerumetiam eaſdem citra dei auſpicia nihilfieri. Dionyſius
quo que Areopagita ſplendor Chriſtiane theologię, Amor, inquit,entiū auctor,
cùm lupereminenterin bono antecederet,minimèpaſſuseſt ipſum in ſeipſo manere,
quaſiſterile lit: ſed ipſum impulit ad opus ſe, cundùm exceſſum omnia
efficientem . Seruat autem propterea om nium cauſa,beneficio fupereminentis
amoris : quandoquidem non fimplici prouidentia extra ſe procedens ſingulis
entium immiſcetur. Quapropter quidiuinorum peritiſunt, Želotem ipſum appellant,
quaſi uehementem entium amatorem . Acuerò &res ipfæ femper in auctorem
reſpiciunt&conuertuntur, proindeqz afiectantipſi adhæ rere: Adheſionem enim
ultima conſummatio fequitur.Huncautem appetitum ſiquis furorem amatorium dicat,
recte appellauerit. Non folùm uerò inferiora in auctorem femper propenſa ſunt,
uerume tiam quæ funt eiuſdem ordinis ſeipfa mutua quadam charitate com
plectuntur. Simile enim ſimili ſemper adhæret,utinuetere prouer bio eſt. Hoc
autem propterea euenit, quoniam fimilitudo ſeruat ab foluités,diſsimilicudo
uerò contrarium efficit, Quapropter diuinus N 146 FRANCISCI CATA NEI DIA ČETI Hierotheus
in hymnis amatoris,Amorem ,inquit,fiue diuinum , li ueangelicum ,fiue
intellectualem , ſiue animalem,ſiue naturalem dixe ris,unificam quandam
conciliantem facultatem intelligimus, qua fuperiora ad inferiorum prouidentiam
:quæ ueró funt eiuſdemordi nis, ad mutuam quandamcommunionem :inferiora uerò ad
fuperio rumconuerſionemmouentur. Verùm huncappetitum, qui poftre mòrebus
aduenit,aliuslongè antecedit, rebus adueniens inter exor dia.Principio quidem
diuina ſtatim quàm ab auctoreſunt; in partes proprietates eſſentiales procedere
concupiſcunt. Diuina enim a . &tusprimiſunt; horum uerò abſolutio ſua
functio eſt.Conftantenim diuina exagente potentia, ac ſua functione, quafi ex
calefaciendi fa cultate calefactionecipfumactu calefaciens. Atqz in huncſenſum
lo cutus eſt Plato in 10.Libro Reip.dicens,diuina feipfa efficere.Signi ficat
enim ex primo fecundoğactu diuina conftare. Quod etiam len fiſſe Ariſtotelem
,ex his quędicuntur in undecimo Rerumdiuinarū, perſpicuum
eſt.Intellectus,inquit,actus eſt. Actus autem per fe illius uita optima
&fempiterna. Dicimus autem Deum eſſe animal ſem . piternum optimum. Quare
uita &æuum continuum & æternum ineſtdeo . Ineft quod & materiæ
primæ appetitus ad formam : qui quidem amordici poteft,quandoquidem merito
formæ boniipfius particeps fit.Eft & alius appetitus, quo res compoſitæ
ſibiipfæ cohæ reſcere amant , optimus eorum conciliator, quæ natura diſsident.
Quemſagax naturæ interpres ſedulò obſeruans, non dubitat capta to cæli fauore
poſſe rerum aſymmetriæ , quæfitex materia , mederi. Virenim naturæ ſtudioſus,
quaſi Lunam è cælo in terram carmini: bus trahens,uim animæ facilè
ductilis,utinquitPlotinus, per cælum generationi inſinuat. Quægeneratio ueluti
excuſſo morboin fuam integritatem farciri poteft.Dehis latius in ſequentibus
agendum no biseſt. In plenumappetitio omnis qua bonum ſibi res adeſſe cupi unt,
amor dici poteſt,ſiueappetitus inanima, ſiuealibiſit, ſiue artis, ſiue
uirtutis,ſiue ſapientiæ , ſiue cuiuſcunqz alterius. Hactenus de eo amore,
quipinguiquadam Minerua nuncupatur. Amor autem qui exacta ratione dicitur,primò
quidem diuinæ animæineft, fi Plotino credimus. Pulchritudo enim in intellectu
primùm apparet. Siigi tur amoror pulchritudinem ſequitur,reſtat utanimæ primò
inſit: quæ quidem intellectui deinceps eſt. Affectat autem anima diuinam pul.
chritudinem uſqz adeo impotenter, ut aliquid pulchrum in fe effi. ciaț. Sed nos
longè aliter diuinum Platonem interpretati, credimus primum amorem cum prima
pulchritudine maximè natura con iunctum eſſe. Quapropter cùm primapulchritudo
intellectui infit, eidem quoq ineſſe amorem ; habere autem originem ex
intelligen tia, IN SYMPOSIUM PLATONIS ENARRATIO, 147 tia,quandoquidem
appetentia omnis fequitur cognitionem . Atue rò diuina anima gemino amore,
nonaduentitio quidem& acciden tario , ſed euidenti &intimo prædita eſt.
Nam&perfrui pulchritudi ne,eandemớper modumſeminis & naturæ in ſeipſa
exprimerecon cupiſcit : & in materiamtransferre affectat idearum
participationes. Sed de his in primo &fecundo libro de Amore ſatis
abundèdiſſerui mus, &in ſequentibus uberrimèdiſleremus. Animaquoquenoſtra
præter hos amores dupliciter in pulchrum aliquod uehementi deli derio
inhæret,uelgratia pulchræ prolis procreandæ , quali pulchrū in pulchro
procreari oporteat ( atąhicamoranimam in generatio nem deorſumą trahit )uel
gratia recuperandæ ueræ pulchritudinis, quamdeſcendens nimia generationis
cupiditate amiſerat. Quicun que igitur ſpectaculo ſenſibilis pulchritudinis
rectè utitur, is profe. étò facillimèrecuperat alas, quibus ad diuinam
pulchritudinem at collitur. Rectèigiturimmortales,ut inquit Homerus, Amoremap
pellarunt Alationem : quandoquidem amore in diuinum rapimur. Expoſitio
primifermonis,qui Phadrieft: Actenus declaratūeſt quid ſit amor, pingui
Minerua, quid fit exacta ratione nuncupatus. In præſentia uerò reftat uc Phædri
ſermonem aggrediamur, in quo Phædrus non de eo qui proprièeſt Amor, ſed deeo
potius appecitu , qui rebus adue nitinter exordia,principiò uerba facit.
Cornumèrans uerò ea com moda, quibus amoris beneficio participamus, in eum tranſit
amo rem , quiab umbratili, Auxaſ pulchritudine ad ueram pulchritudi nemnos
reuocat.Sedagèdum uideamus,quid Chaos, quid Terra, quid Amorfit,tum in mundo
intelligibili,tum in anima,tuminmun do ſenſibili,in quibus hæcinueniuntur.
Verumàmundo intelligibi liexordiendum eft,modò priusconſter,Chaoseſſe
ubiqellentiæru ditatem: Terramuerò effentiæ firmitatem : Amorem autem eſſe Ap
petitum . Plato in Philebo dicit,primòelle perſeunum ſiue Deum, ab ii. lo fuere
Terminum&Infinitum ,quartum eſlemiſtumex his,quod dicitur per fe ens. Ego
uerò Plotinum ſequutus , non puto Termi num & Infinitumelleduas ſoliditates
ſuprà ens,quemadmodúcom miniſcitur Syrianus & Proclus:fed quod àperfe uno
primo profuit; quà eſtactusprimus,& aliquid in fe ,dici Terminuni, quoniam
eſt quiddefinitum ac terminatum: quà uerò eſt actus primus, habens po teſtatem
agendi,acper actionem perfici debet,dici Infinitum : quate nus utrung ſimul
complectitur,diciEns. Quocirca rectè à Placone . er N 2 148 FRANCISCI CATANEI
DIACETII miſtumappellatur , quoniamtermini &infiniti naturaper fe habet.
Chaosigiturin mundointelligibili nihil eft aliud , quàm miſtumex termino ac
infinito , id eft, ipſum per feens,quod ratione poteſtatis
dicitur,perfectioniobnoxium . Poftchaos eſt Terra, quoniam ens ipfum , quodeftchaos,ſtatim
fequitur ſtatus deſignatus per Terram . NamutPlato docet in
Sophiſte,mundusintelligibilis conftat exel ſentia ,ftatu ,motu ,eodem , diuerſo
. Status autê nihil eft aliud, quàm firmitas, per quam fingula manent idipſum
quod funt. Quamo brem autemfirmitas eſſentiædeſigneturperterram , paulo poſt
de. clarabitur. Poft terrameft amor:nam ens ipſum cùm fit actus pri: mus,
perficitur perintimam actionem ,quieſt primus &intimus mo tus,habens
originem ab infinito ipſius entis, ficuti ſtatus eſtà termi. no. Quapropterà
Platone motus ponitur in Sophiſte tertium ele . mentum ,utprius ſitens,
deindeftatus, deinde motus, id eſt, interior actio ipſius entis,quæpropriè Vita
dicitur. Vnde &Ariſtoteles in undecimo Rerumdiuinarum actü per feipfius
intellectus aſſeruiteſ ſe uitam optimam &ſempiternam . Inter actionem ac
potentiam a. gendi,medius eft agendiappetitus,principium actionis.Namagen ti
prius ineſtagendi facultas ,deinde agere affectat,deinde agit. Ecce igitur
quomodo appetitus agendi mediumobtinet locum inter po tentiam &actionem
,cuius eſt principium .Nam potentia omnis, quç cunc ſit ,deſiderat appetitőz
ſuum actum . Quod etiam euenitprimæ materiæ ,ut Ariſtoteles ait . Sed de his
paulopoft. Rectè igitur dicta eſt, poſt Terram eſſe Amorem, id eſt, poſt eſſentiæ
firmitatem ,qui propriè Status dicitur, efle principium intimæ actionis, quæ
Vita appellatur,cùm ſitprimus motus, cuius beneficio ensin ideas diſtin Ctum
eſt.Ex quo patet etiam quomodo amoranteceditdeos omnes, utinquit Parmenides.
Parmenides enim infueuit ſub Deorum appel latione ideas intelligere. Nam ſiens
diſtinguitur peruitam & motū intimum , Vitæ autem appetituseſt principium ,
necefle eft appeci tumhuiuſmodi ideis eſſe priorem . Recte igituramor,quieft
appeti. tus,antecedit deos omnes, ideft ,ideas. Sedut ad terram redeamus,a
nimaduertendum eft fecundùm Pythagoricos,ab ideis fuere mathe mata, à
mathematis uerò res naturalesnon : quod uelint res natura les ſecundùm materiam
&formameſſe à mathematis ( licenim ſunt abideis )ſed uoluntà mathematis eſſe
figuras rerum naturalium , qui busconftituuntur. Proinde mathemata appellantur
à Platone ob ſcura intelligibilia,quoniam pendent ab ideis, quæ funt clara
intelli gibilia :ſicuti corporum imagines & umbræ ,quæ funt obſcura ſenſi
bilia,à corporibusnaturalibus pendent,quæſunt ſenſilia clara. Sed de his latius
in fexto de Rep. Rectè igitur ex proprijs figuris rerum natu. 1 349 IN
SYMPOSIVM PLATONIS ÉNARRATIO. FC naturalium Placo in Timæodeſignat
earundemingenium . Propte: reaignem & terram ac cæteraid genusex triangulis
componit.Ari ſtoteliquoqs placet,naturalianon ſine accidentibus quibuſdam de.
finiri, quemadmodum patet in quinto Primæ philofophiæ , quem iuniores fextum
exiſtimant. Idem quoque aſſerit Plotinus. Sed quorſum hæc:Nempeutintelligamus,
per proprias rerum natura lium figuras delignari rerum ipfarum naturam . Atqui
palàm eſt, teſ ſeramelle propriam terræ figuram , quæ ineptiſsimaeftad motum:
quo fit,ut recta ratione terraſignificet firmitatem . Quodetiamex eo conijcere
poſſumus, quoniam terrà tanquam immobilis eſt totius centrum. Vnde & Plato
in Phædro , Sola , inquit ,in deorum æde manet Veſta. Siigitur terræ ſuapte
natura debeturteffera, terrauti que ſtabiliserit.Vnde &Plato in Timæo
componit folam teſſeram ex triangulisduum æqualium laterum rectangulis, ut eius
oftendat admotumineptitudinem . Verùm dehis fufius in Timæo. Terrai: gitur
firmitatis prærogatiuamubiq præ ſe fert. Hec quidem de mun do intelligibili.
Animauerò ab intellectu primo prodit , ſicuti intel: lectus ab ipſo perſeuno ,
fi Plotino crédimus,ńső ,quiPlotinum ſe cuciſunt,Porphyrio &Amelio,
quanquam Syrianus &Proclus alio ter fenciant. Dionyſius quoq & Origenes
contendunt, ab ipfo per ſeuno eſſe cummentem ,tum animam ,tum materiam ,
Chriſtianum dogma potius quam Platonem ſequuti. Anima igitur cùm ſit ab in
tellectu,ut inquit Plotinus,primofuzeproceſsionis momento inſig. nis prodit
idearum notis. Prodit quo® intelligendi prædita facul tate Nam quemadmodum
intellectus ab ipfo per feuno procedens inde fecum affert unitatis
participationem( quod ſummum eſtipſius intellectus, & quo ipſum per ſe unum
attingit) ſic & animam proce dens ab intellectu indeſecum affert facultatis
intellectualis idearum que participationem.Ergo anima primo ſuæ proceſsionis
momento habet idearum expreſsionem , habet & facultatem intelligendi, qua
non folùm intimasnotiones,uerumetiam ideas intueatur. Sic enim intellectum
auctorem exactè refert.Non continuò tamen perfecta a nimadici
poteſt,quandoquidem debet habere aliquid proprium ac ſuum .Atqui intellectus
etli primo ſuæproceſsionismomento per ſe unius participationeunum eft: per
intimam tamen ac primam actio . nem , quædicitur per ſe uita ,cuius ope ſeipſum
in ideas diſtinguit, quaſi Geometria in ſua Theoremata ,per ſe animal efficitur
:per in telligentiam uerò uitæ ſummum ,përſe intellectus, ac mundusintel
ligibilis. Sic &in anima , quæ primo ſuæ proceſsionis momento fa cultate
intelligendi ideiső participac, quaſi cæra imprimentis ligno, intimailla prima
ac ſua actio , per quamfeipfam in rationes diſtin 3 1 N 3 150 FRANCISCI CATANEI
DIACETII guit, ac per quam propriè animadicitur ,uita eſt participarò, mo. tus
autemper fe.Cuiusſummumeſt ſecunda participatione intelle, ctus, ratiocinatio
autem perfe. Quo fit ,ut inſtar intellectus ſit orbi cularis. Intellectus enim circulus
eft. Dicitur autem propriè motus, quoniam fecum habet & tempus. Quemadmodum
enim primus motus eft in anima, ſic & primum tempus. Nec quenquam pertur
bet in eadem eſſentia animæ idearum participaciones, hoceſt, no
tionesipfas,acrationes formisrationeqz diſtinctas eſſe. Namintelle. ctus &
ratiocinatio in eadem anima, quorum alter in participacio. nesidearum ,altera
uerò in rationes dirigitur,formæ quoque ratio nisis diſcrimen inter fe habent.
Differunt autem notiones à rationi. bus,quoniam notiones (ſicenim voipatæ
præanguſtia linguæ appel. lamus: ſicuti aéyous rationes ) tanquam impartibiles
acfimpliccs latent in penetralibus ipſius animæ, ſoliintellectui obuiæ .
Rationes uerò multiplices explicatæớz ſuntſimiles ratiocinationi, cum qua
habenc affinitatem . VtræQ tamen ſunt tum ſibiipfis,tum animæ ſubiecto i dem.
Intellectum , quianimæ ſuus eſt, Ariſtoteles appellat intelle. & tum
agentem ,ratiocinationem uerò intellectum potentiæ ,quidiui. duuseltacdiſcurſu
agit.Omnes enim animæſuo quæqmodo intel lectu auctoreacprimo participant,qui
omnibuscomuniseft,in quo tanğzin centro lineæ copulantur.Atqideft,quod rectè
inquit The. miſtius,deſententia Ariſtotelis,unum eſſeagentem intellectum illu
minantem ,illuminatos autem ac ſubinde illuminantes complures. Vnum ,inquam
intellectum agentem ,quoniam eſt unus,qui reuera acprimò eſt :complures autem ,
qui ſunt animarū , illuminati quidē, quoniãprimi intellectus particepes ſunt:
illuminantes uerò, quoniã ex his principia hauriunt potentiæ intellectus. Verùm
de his alibi exquiſitius.Ergo anima primo ſuæproceſsionis momento etli inſig.
niseſt idearum participationibus,etliprædita eftintelligendifaculta te,quoniam
tamen nondūin eam actionem prorupit,quain ſuas rati ones interius
diſtinguitur,nondumin eam , quaeaſdem.proſequitur perpetiambitu , quibus
propriè anima cognominatur,Chaos dici poteft.Eftenim Chaos,utdictum eſt
,effentia rudis. HocautēChaos fequitur Terra.Nam animæ eſſentia etſimotuieſt
obnoxia (perpe tuò enim tum generatur,tum interit,ut in Parmenide dictüeſt, quan
doquidem motus repetita quadãuiciſsitudine conficitur) ſemper ta
menmanet,necmotudiſperditur. Amorautem eſtappetitus prorū. pendi in motum: quo
tum diſtinguitur in ſeipſa, tum etiam abſolui-. tur.AmoritaQ cùmprincipium ſit
racionā ,rationes autem ſintidea rum ſimilitudines,meritò dicitur
deosantecedere.Hæc quidem dea. nima. In mundo autem ſenſibili Chaos materia
eſt,quam Platoin Ti inro IN SYMPOSIUM PLATONIS ENARRATIO. 151 I. 11 mæo temere
agitatam Auitantem appellat:materia,inquam ,omni no expers formæ,ſuapte natura,
acſpuria quadam ratione cognobi lis, ut in Timæo dictum eſt.Idautem nihil eft
aliud , quàm cognobi lemeſſe per comparationem ad formam ,ut Ariſtoteles
inquit. Hæc materia abeſtab omniperfectione, omnino deo contraria , ut Plato
ait, infimum ac fæx totius proceſsionis, infra quam duntaxat ipſum nihil
inuenias,principium omnis aſymmetriæ. Vnde& Plotinusi, pſum per ſe
malumappellauit. Huic nonnulli putant ineſſe poten tiam ,perquam formæ
ſubijciatur.Sed mea quidem ſententia mace ria eiuspotentiaomninoidem ſunt. Nam
per defectum totius per fectionis eftunum : ſicuti deus perexceſſum eſtunum .Ad
hæc, condi tionis formalis aliquo modo particeps foret. Cùm igitur ſit unum per
defectum ,eo quòd careat omni perfectione : erit etiam obnoxi generis, cùm citra
auſpicia formæ uel extrinfecus aduenientismane renequeat. Profecto quaeſtunum
per defectum , & cafus abente, di citurmateria: quàuero eſt obnoxii
generis,dicitur ſubiectum , pro pterea quòd ſubeſſe debet. Vnde & Plato
ueluti matrem appellauit in Timæo,eo quòdrecipiat. Ariſtoteles quoçidem
cognomentum materiæ tribuit,quando ſubeſt. Sic fortèmelius, quàm utThemiſtio
uiſumeft : cui placet,materiam eſſe earum rerum , quæ nondum faétæ aut ortæ
ſunt:ſubiectum uerò earum, quæ iam ſunt actu :quo fieri,ut materia fit cum
priuatione, ſubiectum cum priuatione non ſit. Sub iectum itaq dicit tum
firmitatem , tum etiã potentiam priuationém que.Firmitatem quidemdicit, quoniam
ſubiectum generationis ma nes,contraria uerò abeunt,ut Ariſtoteles inquit.
Fitenimex aere ig. nis, non quà eſtaer, ſed quàaccidit ei ut ſit aer. Potentiã
autemdicit, quoniam performã perfici poteſt: non enim fecus fit boni particeps:
quo fit,ut formam uehementiſsimèappetat. Eſt enim forma diuinū &bonum
&appetibile ,ut Ariſtoteles inquit.Hisita perſpectis, pa. tet materiam ,quà
eſtunum ,per defectūtotius perfectionis eſſe Cha. os.Eius autem firmitas
deſeruiens generationi, Terraeſt. Appetitus autem formæ recta ratione amordici
poteſt.Rectèigiturdictum eſt, in mundo ſenſibili uia generationis primoeſſe
Chaos,deindeTerra, poſtea Amorem ſequi.Patetquocßex his ſententia Parmenidis.
Nã uia generationis,priorineſtmateriæ appetitusformæ , quàm forma. Forma autem
ideæ participatio eſt in materia.Quapropter ſiidea de usdicitur,fecundùm
Parmenidem , idegutiớparticipatio,hoceft,for ma,dicetur diuinum.
Amorigitur,hoceft formæ appetitus, Deosi plos,ideft,diuinas
participacionesmeritò dicitur antecedere. Dictú Auñ eft hactenus, quid
GitChaos,quid Terra,quomodo amorſitantiquiſ N 4 152 *** * 1s cÌ CATANE1 DIA
CETII fimus; atqid tumin mundointelligibili,tumin anima, tum in mun do
ſenſibili. Nunc uerò ea commoda uidenda ſunt , quæ ex amore nobis eueniunt.
Animaduertendumtamen eſt,uirtutes eſſe animæ noftræ purificationes. Animaenim
dumingenerationem delabitur,morta li hoc eđeno inficitur , neglectis plerunq;
diuinis, quorum cognata eft :quodin decimode Rep. diuinus Plato indicat,
dicens, animas quæueniuntin generationem , ſumpto potu ex Amelita flumine ad
CampumLethæumdeſcendere. Significat enim ex materiæ com mércio animis alioqui
diuinis ineſſe negligentiam obliuionemére. tum diuinarum . Reuocatur igitur
anima tumin ſui ipſius curam, tumin memoriam diuinorum ,miniſterio uirtutum
,quarumbenefi. cio maculas abñcit, quibus ueluti inuſta erat propter materiæ
for. des.Vnde &Ariſtotelesin ſeptimo libro de Naturali auditu dicit,
perturbationes in nobis fedari quandoque natura, utpueris euenit, quando @ ex
alñs,ſignificans uirtutes, quarum opè perturbationes excutiuntur.Ergo
amorcauſanobiseft uirtutumomnium ,quarum beneficio maxima bona conſequiinur,
hoc eſt, ipſam ſapientiam . Namſapientia ex moribus ſuſcipit incrementum
.Veritasenimpræ ſtò animæ fit per uirtutes expurgatæ , inftarauri quod igne
defæca tur. Quod & Ariſtoteles quo & clara uoce afſeritin ſeptimo deNa
turali auditu. Sedquamobrem amor uirtutum nobis cauſa eſt: An prior nobis
ſénſiliū cognitio ineſt approbatiocs, perinde ac libona fint: quo euenit, ut
fiant expetibilia: hanc fequitur appetitus(fierie nim nequit,appetitum
nonexpetere idipfum , quod ueluti bonum à ſenſu comprobatur )hunc ſequitur
proſequutio. Appetitus enim principiummotus eſt. Vnde&Ariſtoteles in tertio
libro de Ani ma progreſsioneni animalium imaginationi appetituig acceptam
refert. Voluptas autem profequutionis conſequutionisfruitioniſą eft finis. Illa
igitur uirtus,quæanimæ cum appécitu conſentienti mo dum legemő indicit
proſequendi expetibilis , Ciuilis appellatur. Quæuerò ita confirmat animam
,utetiam profequutionem abomi. netur, Purgatio. Atquæita defæcat, ut ab
expetibili uix commo ueatur , iure Sanctitas dicipoteſt. hæc nos deò nonhabenti
uirtu tem , (ut inquit Plotinus, alioquiflagits eſſet obnoxius:quodeti. din
fatetur Ariſtoteles, eiuső enarratorAlexander Aphrodiſiæus) hæc inquam, nos deo
fimiles facit. Vnde & Plato in Theäteto , Fu. ga , inquit , hinc ad deum ,
iplius dei fimilitudo eft. Similitudi nem uerò iuſticia & ſanctitas cum
prudentia præſtant. His ita perſpectis , uidere poſſumus ; quomodo amor
uirtutum cauſa . lit. Quod Phædrus adſtruere contendit. Pudor, inquit , reuo
cans IN SYMPOSIVM PLATONIS ENARRATIO. 23 3 3 čansnosà turpibus, præter hæc
æmulátio ad honeſta inultans,no- , bis fternit muniti uiam ad præclarè rectei
uiuendum . Altera e nim dū in honeſtis ſuperari neſcit, alter ueròeuitando
extrema, ſem per habet ob oculos mediocritatem .Quoeuenit, ut quicquid magni
præclarię efficimus, horum ope efficiamus. Quid aucem amore promptius aut in
nobispudorem excitat, aut ſuſcicatçmulacionem : Amorenimuel abiectiſsimum
quemq,licgnauum reddit ad uirtu tem conſequendam ,ut numine percitus uideatur.
Amorquoq;fica mans amatúmque inſtruit,utnon æquè ſibi erubeſcendum ducant,
quàmſialterum ab altero ſcelerisacfocordiæ iure coargui poſsit. Ha ctenus
adſtructumeſt , Amoremuirtutes ciuiles efficere, atqz id fyl logiſmo
&ratione. In præſentia uerò adſtruendum ,ex eodem quo que eſſe cum
purgatiorias,tum etiam purgati animi uirtutes : quarü beneficio ſapientiæ
acfelicitatis participamus. Cuius quidem rei Al ceſtidis atop Achillis fabula
admonemur. Operæprecium uerò eſt noſſe prius, animam trahi in generationem
affectuuitæ ſenſibilis, cu ius lenocinis impura redditur:aſcendere uerò ad
diuina affectu uitæ intelligibilis, quæ inprimisanimæpuritatê exigit. Vitæ
quidem fen fibilis ſummumeſtopinabile,in quo nihilconitantiæ ,nihil firmitatis
inuenias. Atuita intelligibilis ubiqueritatem præſefert. Sed dehis latius
agemus in fequentibus,ubi declarabimus, quid aſcenſus deſcen ſusţzanimæ ſit,
quid ſibi Plato uoluerit in decimode Rep.dicens, a nimas in generationem
deſcendere per Cancrum, per Capricornum uerò ad diuina aſcendere. In præſentia
uerò fatis ſitgeminum huncaf fectum geminæquoquitæ nobis auctorem eſſe. Sed iam
fabulæmy ſterium aggrediamur. Alceſtis, inquit, Peliæ filia amans Admetum uirum
,pro eo mori uoluit. Dijuerò facinore delectati, eam ab infe ris in uicam
reuocarunt. Alceſtidem puto eſſe animam , quęiaminue ritatem incumbat. Admetum
uerò credo ipfas eſſe ſenſibilium notio nes, quibus anima ad uera
intelligibilia excitatur: impuritate uerò ſenſibilis uitæ impedita,eis rectèuti
nequit. Quapropter ſenſibilem uitam exuendam intelligit, quamfibi deſcendens in
generationem induerat, alioqui nunquam uoricompos euaſura. Hinceſt,quòd mo ri
Alceſtis dicitur.Dij uerò in uitā reuocarunt. Quandoquidem de. poſita ſenſibili
uita , in ſuam puritatem reſtituta eſt.Qua igitur mori tur, hoc eſt ,quà exuit
ſenſibilem uitam, uirtutibus purgatorijsinniti tur.Namexuere uitam ſenſibilem
,nihileft aliud, quàm animam ita defæcari,ut ne ipfam quidem admittat
expetibilisproſequutionem . In quo uirtus purgatoria conſiſtit. Quà uerò in
puritatem reſtitu. ta eſt,prædita eſt uirtutibus animi iampurgati. Virtus
enimhuiu £ ک 294 FRANCISCI CATANEI DIACETII ! modinonin purificatione,fedpotius
in ipfa puritate conſiſtit. Purifi 'catio enim motio quædameſt. Atpuritas
motionis terminus. Con fummatio igituruirtutis potius in termino motionis ,
quàmin ipſa motionecõliſtere debet. Sititaqß puritas confummatio uirtutis, qua
quidem diſcimus etiam abipfo ſenſibili uix commoueri. Præclarum utic eſt
&longèmaximū,& quod longo uſuacdiuina quadam ſor teuix
comparatur,neceſſariūtamen ad fapientiam felicitatem con fequendam ,ita
paratuminſtructumós eſſe ,ut corporeas tantùm fen tias affectiones,cetera
prorſusabiunctus.Longè uero errat,quicunos Orpheumimitatus, exiſtimat, dum
ſenſuum lenocinis delinitur, fim bi in ueritatem patere aditum . Hicenim
ſenſibilium notionibus,qua tenus ducuntadueritatem ,uti nequit, ſed quà ſunt
duntaxat ſenſibi. lium. Quo euenit ,utumbras,hoceft ,fimulachrū Eurydices
captans, falſis opinionibus diſtrahatur.Iure igitur Orpheum fürentibusfae minis
dilaniandū irati di propterſcelus expofuerunt. Verùmquid euenit animæin
puritatem iamredactæ . An talem uiteſtatum ſapien tia ſequituradhæſioc in deum
, quod ſuum cuiusqz bonumeſt: Ani maenim adminiculo utitur ſenſibilium ad
ueritatem conſequendă. Namſenſibilia imagines ſunt rerum diuinarum. Vnde et
Plato in Ti mæo idem fermètribuitanimædiuinæ ingeniū,quod priusin mun. di
corporeexplorauerat, ut à Simulachro, tanſ ab inſtrumentoad exemplarrectè fiat
aſcenſus. Ergo ueritatemintelligibilem plerungs accedimus adminiculo
ſenſibilium :quorum notiones in ipſa intelli gibilia
excitantanimam.Dimittimusautem ſenſibiliūnotiones ,ubi primumintelligibilia
conſecuti ſumus, ex quorum contactu fapien tiamreportamus. Sapientiã uerò
felicitas bonumo conſequuntur. Dehis uberrimèin Socratis oratione agendum nobis
eſt. Horumſa nè Achillis Patrocli ( fabula nosadmonet. Achilles,inquit,mortuo
Patroclo amante mori uoluit: diuerò admirati facinus, non ſolum in uitam
reuocarunt,uerumetiam beatorum inſulas deſtinarunt illi habitandas.Patroclum
puto animamipſamaſcendentem ad uera itt telligibilia adminiculo ſenſibilium .
Achillem uerò ſenſibilium notio nes in anima. Mortuus eft Patroclusamans, id
eft, eò ufog proceſsit anima,ut non amplius ſenſilium notionibus indigeat,quibus
innita tür.Quo fit,ut ſenſilium notiones uſui deſinantelle animæad intelli
gentiam comparandā.Hinceſt quòd mori Achilles dícitur. Dij uerò huncuolunt
reuiuiſcere,quoniam animæ pro notionibus ſenſibiliú fiuntobuia ipſa
intelligibilia :unde fapientia comparatur. Ex ſapien tia ueròfelicitas euenit
& bonum ,quod eſt beatorum inſulas Achilli habitãdas deſtinari. Sed quomodo
dicitur amansamato pręſtantius eſſe: An ſi comparetur uisintelligendi ad id
quod intelligitur, longè I melius IN 155 SYMPOSIVM PLATONIS ENARRATIO.
meliuseſt id quodintelligitur. Intelligibile enim mouet nõ motū, ut Ariſtoteles
inquit in undecimo Rerum diuinarum.Mouet enim tan quamamatū. At uerò
intellectus ab ipſo intelligibili mouetur. Vis enim intelligendi producit
actionem in ipſum intelligibile, quæ intel ligentia appellatur.Ex quo diuinus
Plato in ſexto deRep.dicit,ueri tatem intelligibili,ſcientiam uerò intellectui
ineſſe.Quodetiam uolu iſle Ariſtotelem alibi declarabimus. Licetin ſexto
inſtitutionū Mo ralium aliter ſentire uideatur. Sin uerò ſenſibilium notiones,
quibus anima in uera intelligibilia excitatur,comparentur ad eam facultatē, qua
intelligimus,quisambigat longè minoris eſſe æſtimandas : Pen dencenim à
ſenſibilibus,ſuntázanimæintelligenti aduentitiæ . Plato igitur quando dicitamatum
eſſe deterius amante, non deipfo intel, ligibili intelligit(quodreuera
amatumeſt: id enim longè pręſtat)ue rum de notionibus ſenſibilium inanima, quæ
&ipfæ propterea ama tum dicuntur,quoniam uſui ſuntanimæ ad uerum
intelligibile con ſequendum .Hæfanè intelligente animalongè ſunt deteriores. Cu
ius rei indiciūeſt, quòd intelligens anima affinitate coniuncta eſt cũ ipſo
intelligibili.Intellectusenim ,ut rectè inquit Ariſtoteles, rerum
intelligibiliumeft,eiuſdem @ eſtutrunca contemplari. Quandoqui demeadem
contemplatio eſtomnium ita coniunctorum , ſicuti etiã ſenſus, &rei
ſenſibilis. Quo euenit,ut deſiderio agatur ueritatis. Ato ideſtquod inquit
Plato, Amans propterea amato præſtantius effe, quod diuino furore agitur. Verùm
quid ſibiuult Plato dicens, longe magis dijs cordi eſſe,ubi amatum , in gratiam
amantis moritur, quàm ubiamansin gratiam amatirAnmoriamansin gratiam amati,
nihil eſt aliud, quàm animam incumbentemin ucritatem , abijcere uitam
fenfibilem ,ne ſenſilium notiones, quæ ſuntuſuiadueritatem compa randam ,irritæ
ſint: Amatumenim ſenſiliūnotionesſignificat. Quod exeo aſſeritur, quoddictum
eſt,amatum amante eſſe deterius. Fiunt autem irritx , filieimpedimento
ſenſibilis uita . Amatū uerò moriin gratiamamantis,ſignificat notiones
ſenſibiles uſui non eſſe amplius, quòd intelligens animain ipſam ueritatem
intueatur : quod re uera amatum eſt. Siigiturmulto plus eſt omnino negligere
notiones ſen lilium , intuente animaueritaté, quàm deporre uitam ſenſibilem ,
ut notiones ſenſilium ad ueritatem uſui ſint:multo plus utiq; erit , a matū pro
amante,hoceſt, Achillem in gratia Patrocli: quàm amans pro amato
,hoceſtAlceſtidē in gratiam Admeti mori. Quapropter quid mirūgli Achilles ad
maiorem honorē cuectus eſt: Anima enim exuero intelligibili non ſolum ſapientia
,uerumetiam ipfam felicita temreportat. Quod quidem eſt ,Achilliin uitam à dis
reſtitu to beatorum inſulas habitandas deſtinari: cùm Alceſtidi in uitam
reuocari ſatis fuerit. 257 2 156 IN SYMPOSII SECVNDVM SER: MONEM QVI PA VSAN
IAE TRIB Vlo tur expoſitio. ) Voniamà Pauſania dictum eſt, totidemeſſe Amores,
quot ſunt Veneres:oportetexplicare in primis Vene rem ,
quideaſit:alioquiphiloſophia amoris( quod qui dem in præfentia quærimus )
lateat nos neceſſe eſt. Plotinus igitur putat, Venereineffe ipfam animam ,
proindecaulamamoris efficientem . Sunt etiam & alij, qui aliter ſen .
tiunt,magnialioqui uiri, ſed quos in præſentia dimittere conſilium eſt. Vir
enim fapientiæ ſtudioſus,ut inquit Dionyſius, ſatis ſibi factu cenſere
debet,ſinon alios laceſſendo,fed quàm ualidis poteſt rationi bus,quam
putateſfeueritatem ,audacter aſſerat. Ego uerò Hermiæ libenter aſſentior, qui
credit per Venerem pulchritudinē ſignificari. Argumento , in Phædro dictum eſſe
furorem amatorium , & optimū effe furorum omnium , & ex optimis.Exoptimis
quidem , quoniam ſenſibilis pulchritudo,à qua amor excitatur, optima ac
præſtantiſsi ma eſtomnium , quæcunq ſenſui offeruntur: nam & exquiſiciſsima
diuinorum ſimilitudo eft, quæ optima ſunt, & ſenſui omnium perſpi caciſsimo
ficobuiam .Viſusenim alios ſenſus longè ſuperat. Cùm e. nim cæteri ſenſus,uel
fi nulliſint uſui,cognitionis gratia per fe expeti biles ſint,ut Ariſtoteles
inquit :præ ceteris tamen uidendi facultatein optamus, quippe qua exquiſitius
cognoſcimus. Quapropteruiden di facultatem ad intelligentiam traducere
folemus,ut etiam intellige reuidere ſit. Quod &Ariſtoteles indicauit. Nam
& in tertio uolumi ne eius libri,inquoadſtruendi deſtruendic locos docet,
& in primo de Moribus adNicomachum , Sicut,inquit,pupillain oculo,licintel
lectus eſt in anima.Patet igicuramorem ex optimis eſſe, cùm ex pul. chritudine
ſenſibili excitetur,quę optimaeſtomnium quæcunq hic ſunt. Optimum autem eſſe
facile dabit is, quem non latuerit intelligi bilem pulchritudinem, cuius eſt
Amor,indagancibus bonum obuia fieri: quippe quæ boni penetralia ingredientibus
in ueſtibulo occur rat.Siigiturfuroramatorius tumexoptimis eſt,quodexcitatur
ſen fibili pulchritudine:tum etiam opcimus, quoniam in pulchritudi nem
intelligibilem dirigitur , huius autem patrocinium Veneri cri butumeſt, utPlato
inquit in Phædro :quoniam dij alij alñs furori bus præſunt, Mulæpoetico, Apollo
uaticinio, Myſterijs autem Bac chus: ſicúz Amor, qui
Veneremcomitatur,pulchrorum dux puero. rum , IN SYMPOSIVM PLATONIS ENARRATIO.
157 . 5 rum , eorumſcilicet animorum , quos pulchriuehementer prouocat
{pectaculü :quotuſquiſpambigat, perVenerempulchritudinem in . dicari : Nuncuerò
quid ipſa ſit Pulchritudo uidendum eſt . Quod pulchritudo ſitex eorumnumero,
quæmodum habēt qualitatis,uni cuiqué palàm eſſe poteft. Quòdautemmodum habeat
eius qualita tis , quæ uidendifacultati obuia ſit,idquoqueperſpicuum puto.Nam
&pulchritudo ſenſibilis ueræpulchritudinis fimulachrum ab una uidendi
facultate percipitur. Ea uerò qualitasuiſibilis, quæ fecüdum ſuperficiemexcenta
eſt,Colordici poteft. Quæuerò nullam patitur extenſionem , ſed temporis puncto
ubiquediſcurrit, Lumen appella tur. Eft & alia qualitas uilibilis ,quæ
tanquam imago acflos ellenti alis perfectionis allicit rapítque in borum.Id
igitur quodhabetmo dum eius qualitatis quæ uiſui obuia eſt, imago
acfloseſſentialis per fectionis,alliciens rapiens in bonum ,reuera
eſtPulchritudo:quod que huius particeps fit,Pulchrum appellatur. Cæterum
pulchritudi nieuenit,ut delicata,utiucunda,utamabilis ſit. Delicata,eo quodfe.
quitur perfectionem eſſentialem.Iucunda,eo quòddelectat. Amabi. lis ,eo quòd
allicit rapita.Hincpatet,quàm hallucinationis coarguê dinon ſint,
quiafferuntpulchrum à bono differre, tãquam extimum ab intimo.Eſto pulchrum
omnebonum eſſe: neque tamen uiciſsim . Quid tum poftea.Num continuò
ſequitur,bonum quidem genus ef ſe ,pulchrūuerò ſpeciem ? Alioqui&
ſapiens,& iuftum , & perfecta &cetera generis eiuſdé,boniquo ipfius
ſpecies eſset. Sapiensenim omnebonumeft,ficédecęteris: nõtamen uiceuerſa.Nūcuerò
neck perfectum ,negiuſtum , ne s fapiens boni ſpecies ſunt,alioquieſſent
quoqſpecies unius. Simpliciſsimum enim optimúmg in idem cõſpi rant:non minúſą
Vnius participãt omnia; quàmboni. Atquotuſ quisqaſſeruerit,unum
eſſegenus,fiquidem genus totum eſt : totum uerò partibus obnoxium: Siigitur
unum eft genus,non utiqueerit citra partes. Atuerò unumomnino &undequaque
impartibile eſt, quemadmodum in Sophiſtedeclaratur.Sedagedum ſidetur bonum
eſſegenus, quídnam id poterit:Nónneperfectio eſsentialisactuseſt: Quodexeo patere
poteſt, quòdeſsentiæ beneficioomnia ſunt id ip ſumquod ſunt. Viuensuitæ
beneficio uiuens eſt. Quo euenit,utuita uiuentis actus ſit. Animabeneficio
motusanima eft: fed quocuſquif queambigat,motumeſse animæ actūł Ignis beneficio
formæ ignis eſt. Tuncenim reuera eſtignis,cùm primūignis formamactu habet. Quis
autem non uideat formam actum eſse ignis:Quoeuenit,utre Eta ratione dici
poſsit, perfectionem eſsențialem actum eſse. Actum autem omnemeſse bonum
,neminem inficias iturum puto, quando quidemi merito actus unicuiqz bonumineſt.
Nónneignieſseignem ; 158 FRANCISCI CATANEI DIACETII bonumeſt:Atquis ambigat per
formam ,quieſt actus, ignemeſſeig nēNónne quo anime eſſe animā,uiuęciéeſſe
uiuens, bonüeſt:Ve rùmalterūbeneficio uitæ ,altera beneficio motus, quorūutergeſta
ctus,id euenire palàm eſt.Exñs patere puto, perfectionem eſſentialē
bonüeſſe,uiciſsimo bonüaliquodeffentialem eſſe perfectionê.Quii gitur affirmat,
pulchrumàbono differre, tanquam extimum ab inti mo,etſi nõibit
inficias,fibonuminuniuerſum accipiatur, pofſe dari, gracia
diſſertationis,idipſumgenus effe :contender tamen,fedebono uerba facere, non
quatenus in uniuerſum ſimpliciter accipitur, fed quatenus particulare
definituma eſt,ſuam præſe ferens duntaxateſ ſentialem rerum perfectionem .
Atque id quidem affirmat recta ra. tione . Nampulchritudo ingenium
modumýzhabens accidentis,re uera extimaelt,quodab ipfa
rationeexploditur.Atperfectio eſfētia, lis, quam ſequitur pulchritudo , reuera
intima:quod ex co aſseritur, quoniam unumquodąeſſentia conſtat. Hinc quidem
uidere poſlu . mus,primā pulchritudinem neğz efle ideas,necin ideis . Ideas
enim ab omniaccidentis ingenio procul eſſe perſpicuumeſt. Namipſum per ſeensin
ideas diſtinctumeſt : quaſi Geometria in ſua Theorema ta. Quemautem lateat
Theoremata non eſſe geometriæ accidentia: Sed ſubeft quærere,ubi nam&quo
pacto lintideæ . Vtrumânt in eo ,in quo ſunt,uel tanquam forma in materia, uel
tanquamaccidés in ſubiecto, uel tanquam in caufa effectus, uel tanquam actus in
eo quod perfici debet,uel-tãquam totum in toto ,uel totum in partibus, uel pars
in parte , uel parsiu toto.Fieri enim nequit,ut fecus in aliquo aliquid ſit.
Namgenus &ſpecies totius partium ( habent ingenium . An ex diuiniPlatonis
fententia,ideas eſſe in ipfo perfe animalidicen dumeft:Namin Timäo aperta uoce
aſserit,Opificem munditot for mas mundo exhibere,quot ſpeciesmensuideratin ipfo
per ſeanima. li.ex quo patet, idearum diſcrimen in ipfo per ſeanimali primò
eſse. Reliquumeſtutuideamus, quo pacto in ipſo per feanimali ſintidex .
Anuelutiforma inmateria eſse nequeunt. Non enim per fe animal materia eſt,
quando alterius beneficio noneſtactu . Sed neque tano accidens in ſubiecto .
Quis enim contendat ideas eſse accidentia, quando idearum ſimulachra
foliditateseſse perſpicuum eſt,utignis, & terra, & cætera generis
eiuſdé:Non ſuntquoq tanquãin caufa effe. ctus , quandoquidemeſsentpoteſtate.
Nücuerò ideæ acti funt. Quo modo autem eſse poſsunt tanquam actus in eo quod
perfici debet? Namper feanimal uita ipfa ,non ideis, tanquam actu animaleſt. At
nequetanquam totum in toto , neque tanquam totum in partibuseſ ſe dicendum eſt
. Non enim totum ſunt ideæ , quoniammultitudini ſunt obnoxiæ. Totumuerò
unumeft. Nónneſi tanquam partemin parte IN SYMPOSIVM PLATONIS ENARRATIO. 159 1
parte eſſe concedamus, oportet quoque nos concedere, tam per ſea nimal,quàm
ideas,alicuius totius partes eſſe : Atcuiúſnam pars fu eritipſum per ſe
animal:Reftatigitur, ideas eſſe in ipfo per fe animali tanquamin toto partes.
At id eft, quodin Timæodiuinus Plato fi bi uoluit,dicens Opificēmundi tot
formas mūdo èxhibere, quot fpe cies mènsuideratin ipſo per
ſeanimali.Quemadmodum enim forme quas mundo exhibuit mundiOpifex , continentur
in mundo , tano in toto partes:ficetiam ſpecies, quas mundi Opifex eſt
imitatus,in ip ſo per le animalicontineri pareſt. Abipſo autem per ſèuno
procedit primò ens: quodintima functioneabfolutum , quæ uita dicitur,fit per
ſeanimal. Vitaenim uiuentiseſt actus. Ipſum autem per ſeanimalui tæ beneficio
cùm totum ſit, in partes quoce diſtribuatur neceſſe eſt . Totumenim& partes
ſimul ſunt. Quapropteripſum per ſe animal quemadmodum habet exuitauc totū
ſit,ex eadem quoqhabet,ut ſe ipſum diſtinguat in partes: partes aüt huiuſmodi
ideæ ſunt.Ex quoli cetadmirari nõnullos:quicõminiſcunturideas aduenire
extrinfecus ei in quo funt,tãquam actü informi naturæ . Quo genere peccarenul
lummaius poſſunt, qui amant uideri Platonisftudiofi.Hecdiximus, nõſtudio
quempiã laceſſendi ( quod à uiro philoſopho alienum ſem per duximus) fed
quoniam ſunt nonnulli , qui dum alteros auidius quàm decetinfectantur,nõ
cômittuntutipſiiurenõ poſsint coargui. Nãduxnoſter Marſilius , etſi alicubi
dicitideas excrinſecus accedere, Chriſtianis fortè quibuſdam adftipulatus:ubi
tamen exactèrem Pla tonicam tuetur,longè aliter ſentit. Exhis quædicta ſunt
patere arbitror, primā pulchritudinem non efle ideas, quemadmodumnonnulli
ineptèaſſerunt. Sed neçetiam effe primò in ideisin præſentia declarandumeſt.
Plato in Timæo di cit mundum eſſe pulcherrimum omniumquæcunq genita ſunt: eſse
autemalicuius ſimulachrum , quodratione ac fapientia ſola compre, hendi
poteſt:adhæcmundumpulcherrimum natura opus optimum que eſſè :effe , inquam ,
animal animatum intelligens.Ex quo intelli, gere poſſumus, de
Platonisfententia,id exemplar quodmundiOpi fex eſt imitatus, tūanimal eſſe, tum
etiã pulcherrimum . Quapropter pulchritudinem primò eſſe ipſius per ſe
animalis,non idearum : nam ipſum per fe animal ideas antecedit. Adhæc, ſi
pulchritudo exuberan tia quædamexterioreſtintimæ perfectionis : intimauerò
perfectio ne ipſum per ſe animal fit : quis non uidet,ipſius per fe animalis
prima pulchritudinēeſſe : Quomodo igitur idearu : Dehis tum paulo poft
diſſerendūnobiseſt , tūetiã in libro de amore ſatis abūdediſſeruimus: Hactenus
oſtenſum eſt, quid Venus ſignificet, quid ſit pulchritu do ubiſit.In præſentia
uidendum eſt, nunquid pulchritudo materia B 160 FRANCISCI CATANEI DIACETII
ſitamoris,an potins finis.Nonnulli ſunt, quidicantde Platonis fen tentia
,pulchritudinemeſſe materiam amoris. Nampulchritudo cau fa eſt amoris,non
tanquam principium efficiens eius actus qui eſta mare , fed tanquam obiectum
.AtueròſecundumPlatonicosactuum animæ animaipſa eſtefficiens:obiecta uerò
ſuntmateria, circaquam actumillumproducit anima. Quaproptercum hacratione
pulchri. tudo materia ſitamoris,propterea Venusdicitur amoris mater.Nam
materiam eſſe tanquammatrem ,efficiensuerò tanquam patrem ,con tendunt
Philoſophi. hæcilli ferèaduerbum . Sed non poſſum non uehementer admirari,
quihæcproferunt in medium , uiri alioquigra ues &magni, &quos arbitror
nihillatere potuiſſe, in his præſertim quæ pertinent adintegram caſtamos
Platonis Ariſtotelisęzintelli. gentiam . Non ſolum enim quæ dicta ſunt,Platoni
Ariſtotelicpug. nant, uerùm etiam pugnant &rationi, pugnant quoque&his
quæ ab eiſdem alibidicta ſunt.Primò quidem Plato in ſextodeRep.libro dicit, fjs
quæ intelliguntur inefleueritatem :intelligentiuerò ineſſeſci entiam
,ueritatemcz intellectu percipi. Quo euenit,ut ueritasannexa ſit
intelligibili:ſcientia uerò intellectui. Siigitur ita fehabet,quomo do ueritas
ſcientiæ materia erit fecundùm Platonem :Veritas enim ſci entiæ longè
præſtat:quod nulla ratione eueniret, fi materia eſſet. Ari ftoteles quomin
undecimoRerum diuinarum , Expetibile, inquit, &intelligibile mouetnonmotum
, quodalterumapparens, alterum reuerabonum eſt.Mouereautem nonmotūquotuſquiſque
materię tribuerit:Etpaulo poft,Intellectus,inquit, abintelligibili mouetur.
Intelligibile autemalter ordo fecüdum le. Addit&hoc:Mouet icaqz
tanquamamatum . Ex quibusliquidò patere poteſt, expetibile intel. ligibilegs
finis ipſius habere ingenium . Siitam expetibile &intelligi bile mouetut
finis, pulchritudo autē expetibilis intelligibilisőseſt: quomodo materia eſſe
poterit: Atprimapulchritudo ſoli intellectui eſtobuia,quemadmodum oſtēſum eſt
,cùm fitiplius per ſe animalis: eftetiamexpetibilis, quandoquidébonum quoddam
eſt ,bonum au tem quà bonum ſemperexpetibile.Poſſent &alia multa afferri in
me dium ,quibus oftenderetur de Platonis Ariſtotelisés ſententia obie ctum nõ
eſſe materiam actuum animæ. Quæ quidem propterea omi fimus, quandoquidemijs,
qui uel breuem deambulatiunculam cum Platone Ariſtoteleđß
fecerint,notiſsimaſunt.Atuerò &rationi recla mat,obiectum ueluti
materiãeſſe. Materia enim folet eſſe id ex quo ali quid fit .Nó fiūtaūtex
obiectis animæactus,ſed potius funt circa obie éta . Quo euenit,ut obiecta
materia eſſe nequeat. Adhæc bonüexpeti bileeſt, quandoquid exeo appetimus
quodbonãelt: nõuiciſsimeſt bonüpropterea quòdexpetimus.Expetibile autē
obiectõeſt,quo fit, utbonum IN SYMPOSIVM PLATONIS ENARRATIO . 16i 2:13 I utbonum
obiectum ſit:Gaddas,obiectüeſſemateriam ,bonum quoqs materia fit neceſſe eſt.
At quaratione aſserendum , bonumipſummā teriam eſſe : Pugnantquoque
fibiipſis.contenduntenim pulchrum à bono ſeiungi, tanğſpeciem àgenere. Quo fit,
ut pulchrum boni ſpecies fit :bonum ueròde pulchro tanquamde ſpecie dicatur.
Siigi tur pulchrum eſt bonum ,bonumuerò materiam eſſenequit,quo pa eto pulchrum
materiam eſſe dicendum eſt: Quapropter meaquidem ſententia aſſerendum non eſt,
pulchritudinem eſſe materiamamoris, fed potiusfinem.Cui quidem ſententiæ Plato
Ariſtoteleső adſtipu lătur. Verumfi pulchritudo ingenium habet illius, cuius
gratia : quo pacto Amorem exoriridicendum eſt : Anubi primumcognoſcendi
facultas,pulchritudinem utdelicatam , ut iucundam ,utamabilem co probat,ſtatim
uisappetēdiexcitatur .Appetitus enim cognitionem fequaturneceſse eſt. Dumigitur
appetens exoptat ſibi adeſse ac per frui delicato , iucundo ,amabili,utinde
plenitudinem hauriat uolupta tis,eữactú circa pulchritudinem producit, qui
appetere dicitur.Qui quidemreuera Amoreſtappellandus,hoceft,appetitus
&deſideriū perfruendæ pulchritudinis.Huius deſiderñ efficiens
cauſa,uiseſtap . petendi:pulchritudo illud ,cuiusgratia. Quænam uerò materia
ſit, in Socratis oratione declarabimus,exponentes, quid nobis per Peniam fit
intelligendum , quam eſſematrem amoris affirmat Plato . Quod quidem euidens
argumentum uideri poteſt, pulchritudinem non ef ſemateriam amoris.Nunquam enim
dicit Plato , Venerem ( quæ pul chritudinem ſignificat ) matrem eſse amoris ,
ſed potius amorem co , mitari ſequio Venerem ,quippe quiVenerisipſius eſt ,in
Venerēms dirigitur. Quæ quidem omnia finis ſuntipſius, non materiæ .
Nonnulliſunt, quidicant,quiſquis deſiderat, quodammodo poſsi dere id quod ab
eodeſideratur: idq eſse deſiderācis uirtutis propriū. Adſtruūt autē hocipſum
dupliciratione, tumquoniam deſiderium omne antecedête cognitione lubnititur (
cognitio autem, quædã pof ſeſsio eſt) tum quóniam inter deſideransacdeſideratum
congruentia ſemper ſimilitudo@intercidit.Fieri autem nequit, utidquod deſide.
ratur,à deſiderante quodammodonon participetur. Alioqui nulla eſſet inter
utrung congruentia, nulla ſimilitudo. Sed mea quidē ſen tentia cómentitiử
hoceſt.Nã deſideransomne,quà deſiderans, cogni tione priuatur. Cuius rei
indiciū eſt, quod ex antecedête cognitione deſideratquiſquis deſiderat. Quo
fit,ut recta ratione uis deſiderãdi di catur cęca eſse,quippe àqua cognitio
ſeiūcta fit,quæuiſio appellatur. Atfieri nequit,ut quicquid cognitione
priuatur,non priueturetiã ea poſſeſsione,quęmerito fitcognitonis. Sed fortè
dicent,nõ ficfeadui uum reſecare, ut uelint,deſiderãs,quàdeſiderans, merito
cognitionis cognit 1 3 162 FRANCISCI CATANEI DIACETII habere quodämodo
poffefsionem illius,quod delideratur: fed eadū taxatratione habere,qua
cognofcit.Nosaūtenitemuroſtenderenec etiã cognoſcésqua cognofcēs,habere ali
zrei cognobilis poſſeſsionē dūcognoſcit.Vtrūuerò id affequemur,alñ
iudicabūt.Nobisſatis erit afferre in mediū ,nõ quæ adeo premất
alios,eospræſertim ,quosuelu tinaturæmiraculū ſoliti ſumusadmirari:fed quę
caſtūueritatis fecta torējaſsertoreo decere arbitramur.Quod quidem
ſignumoboculos ſibi ſemper proponere debet, quicũceſt fapientiæ ſtudioſus.Côten
dimus igitur,cognitionēnullo pacto eſſerei cognobilis poffefsionē.
Nãcognitionem eſſe per modumuiſionis, nemo eftomniū qui rectè
poſsitambigere.Cognitio.n.inipſum cognobile à cognoſcētedirigi tur, quafi in
ipſum uilibile uifio.At poſſeſsio nullā habet cumuiſione affinitatem . Non
enimqui poſsidet quodãmodo intuetur, ſedquali manu tenet,accöplectitur id ipſum
quod poſsidetur. Quoeuenit, ut poſſeſsio potius ingenium fapiat tactionis.
Siigitur cognitio uifionis imitatur naturam ,poffefsio uerò non imitatur, quo
pacto dicendum eft ,cognitionem eſſe poſſeſsionem . Adhæc,uerum &
bonūnonidē funt.Quod ex eo patere poteft,quòdnoneadē facultate percipiütur: In
uerum dirigitur cognofcendifacultas,in bonūuerò appetendi.Ex
ueriperceptioneaſseueratio certitudoớa reportatur:exboni poſſeſsi onecóplexu (
uoluptas. Si igitur cognofcens, quà cognoſsēs quodā modopoſsideret,uoluptatisquo
particeps fieret. Voluptas enim boni poſseſsionêcomitatur.Atuoluptas facultaté
cognoſcentem no perficit,fed appetētem .Quapropterdiuinus Plato bonü noftrumin
miſto quodã ex lapiétia uoluptate coſtituit: quarüaltera, id eſt,ſapi entia
intellectum :altera uerò,hoceſtuoluptas , uoluntatem perficit. Sed de his
infequentibus comulatiſsime agemus. Hactenus often ſum eſt, quicūą
deſiderat,huncipsūnon poſsidere ,necquà deſiderat, nec quà cognoſcit.In
preſentia uerò declarandûeft,neclimiltudinem quoos poſseſsionem aliquo modo
auteſse autdici debere. Quodreli quüerat ut adſtrueretur.Quæcun $ igitur
fimilia ſunt,aut propterea dicuntur ſimilia , quòdcerto quodã tertio
participent ( cuiuſmodico, plura alba aut calida ſunt )aut quoniã alterü
alteriſimileeſt,non tamé uiciſsim :quemadmodūuiuenti Socrati pictus autæneus
ſimilis eſt, quãdo uiuentem Socratem quodãmodo imitatur. Nemo tamen pro pterea
fanę mentis contendet,uiuentē picto auteneo ſimilē eſse. Quo genere,homo per
uirtutes deo ſimilis fit,ut rectè inquit Plotinus.Sen lilia quoqhocpacto
intelligibilib. ſimilia ſunt, quæ nihil cum eisha bentcõmune,niſi nomen.
Quodquidem clara uoce diuinusPlatoin Parmenide Timæocz teftatur. Ex quo
Ariſtotelis ratio contra ideas de tertio hominefacilè diluitur. Quæcũçaūt
ſuntidonea,utrecipiãt, cuiuſmodi informis materia eſt, & cætera generis
eiuſdem , fimilia & ipſa dici poffunt, tū ijs quærecipiuntur,tumis quæ
efficiunt.Horum eniin 11 IN SYMPOSIVM PLATONIS EN ÅRRATIO. 163 be Inic enim
poteſtas quædam ſimilitudo uidetur eſſe. Dicitur quo &effi ciens
finiſimile, quoniã efficiensomne à fine mouetur: illius enim gra tia omnia
ſunt. Vnde &Ariſtoteles in undecimo Rerūdiuiuarū ,Ěx petibile,inquit, &
intelligibile mouētnon mota:quaſi efficiens motu moueat. Quod paulo poſtexpreſsit,dicés:
Intellectus ab intelligibili mouetur. lis itaq expoſitis,uidendū eſt, quopacto
deſiderãs, ei quod deſideratur fimile eſt, cuius ſimilitudinem meritò fibi
deſiderati inſit poſſeſsio.Non eſtigiturdeſiderásſimile eiquod deſideratur,
quoniã tertio quodamparticipent. Alioquiutrunqz alteri pari ratione ſimile
eſſet. Quod quidem ñseuenit, quæhoc pacto ſimiliaſunt,quando in tertio
cócurrunt. Atdeſideras &idquod deſideraturita fe habent, ut idquod
deſideraturnomotūmoueat,deſiderãs uerò moueatur:Quo euenit,ut ſecus id , quod
deſideratur, deſiderāti: ſecus autem deſiderás ei,quod deſideratur,ſimile ſit.
Siigitur quæ cõcurruntin tertio, ſibi in uicem ſimilia ſunt:deſiderans uerò
&id quoddefideratur non ſimili côditioneſimilia ſunt:quis ambigat,eadētertñ
quoq nõ participare : Non ſunt quoqz ſimilia ,eo quòd alterü alteri duntaxat
ſimile ſit:alio , quiaut alterum alteriusſimulachrū imagóą eſſet ,autfaltē
imitaretur. Nuncuerò neutrūaut alterũimitatur,aut alterius imago exmplumue
eft.Sed nec quoqeo pacto ſimilia ſunt, quo recipiensautei quodre
cipitur,auteiunde eſt principiū motus ſimile dicitur. Neutrumenim recipientis
habet ingeniū, quandoquidem alterum eſtran efficiens, alterútanſ illud
cuiusgratia efficitur. Reſtat igitur, fi qua eft ſimilitu do ,utdeſideras
&id quod defideratur propterea fimilia ſint, quoniã id quod deſideratur
tãğexperibile mouer:deſiderãs uerò eft efficiés . Quã quidē
fimilitudinēnemoeſtomniã quidiſsimulet. Quis enim ambigat, inter finem atoßea
quæ in finĉprogrediãtur, ſimilitudinem quandãaffinitatēc eſse:Quoenim pacto eo
côtéderent, niſi aliquid inde reportarent, quod in uſumbonūĝz ſuum uerteretur .
Sed hæc ſimilitudo cógruencia (znullădicit poſseſsionem . Nã propterea effici
ens finiſimile eft, quod efficiésmoueri poteſt, finis aūtmouere.Poſse aūtmoueriadfinem
,nulla finispoſseſsio eſt:finis enimpoſseſsio actu eft,poſse aūtmoueripotencia.
Quomodo igitur huiuſmodi ſimilitu : do poſseſsionēdicit . Adhæc
lidefideransratione ſimilitudinis ali quomodo poſsiderid quod deſideratur,id
quidē actu eſse neceſse eſt. Quod aūtactu pofsidetbonū,habet quogiãactu
&uoluptatē, quão doquidēactupfruitur. Quis aūt afseruerit,deſiderãs quà
deſiderãs iã bono gfrui,diliniriq uoluptate:Nãdeſideriūmotio quædã uidetur,
quãdo motionis pricipiūelt.Voluptasaŭt motionis terminus.Cõti getigitu ridē
ſimulmoueri,acno moueri.Quod fieri nulla ratione po teft :Ěxhis perſpicuñeſse
arbitror,deſiderãsminimèilliusparticipare ģddeſideratur.Verùmhæc paulo
altiusrepetëda sūt. Omnia quæcũ queſunt, poft primūingenita cupiditate urūtur
pociūdi illius : quip pe ex cuius poſseſsioneſuum cuique bonumineſt. Cupiunt
autem 164 FRANCISCI CATANEI DIACETIÍ quam uehementiſsimeſingulaſibibonumadeſle.
Quidenim eſlea maret,niſiid fibi proforet: Appetentiauerò omnis ex
cognitioneſus mit exordia. Fieri enimnequit,ut alicuius cupiditas aliqua fit,
cuius non fuerit &cognitio.Hæcquidem cognitio no intelligencia eſt,non
ratiocinatio ,non opinio , ſiue cogitatio,nõ ſenſus aliquis, ex his quos
particulares uocamus,fed longèhæcomniaantecedit. Singula enim ftatimquàmfunt,
intimoquodamnatiuoç ſenſu præſentiunt, in au Ctorem ,unde
uenerunt,libieſſeproperandum , indebonumuberri mèadfequutura.Hicquidem ſenſus,
quem IntimūNaturęgsappella mus,principiūeſt, quo mūdusintelligibilis in uită
intelligēciāõpro cedat.Nãuita intelligentiaõprogreſsioeftin bonū.Progreſsio
aūtin appecētiã reducitur. Quofit,utappetētiauitæ intelligentiæis princi
piūſit. At appetētia omnis cognitione fubnititur. Quapropter cùm nulla prior
cognitio fuerit, quàmea, quamūdus intelligibilisſtatim , quàmeft,præféntit ex
auctore ſibi bonūadfuturū (quem ſenſumInci mum uocamus)ſequens eft,ut
inhunceundem uitaintelligentiáque reducatur.Pari pacto de animadicendum eſt.
Namhic ſenſusperpe. tis illius motionis ratiocinationis & ipſiusauctor eſt.
Vnde& Iambli chus,cætera quidēdiuinus, in hocaūtuerè diuiniſsimus.Effentie,
in quit,animæ ipfiusingenitaquedamineft deorum cognitio ,omniiu dicio
melior,antecedens electionem ,ratiocinationem , demonſtrati onem omnem : quæ
quidem interexordia inhærens in propriam cau fam ,coniúcta eſt cumeo
animæappetitu ,qui ſubſtantificus bonieft: Plotinus quo @ aſserit,omnia naturæ
opera eſſe Theoremata,quip pe quæex intima quadã naturæ cognitione orta
ſint.Hoc fenfu &ele menta in propria loca feruntur.Vnde &illi,
meaquidem ſententia, audiendinonſunt, qui ñſdem tribuunt appetitum in ſua loca
proce dendi,adimuntuerò cognitionem appetitus huiuſmodi principium , quaſi
abextima intelligentia dirigantur .Namfieri nequit,utextima fit
cognitio,appetitusuerò intimus. Appetitus enim cognitionem fequitur,eiuſdemqz
rei eſt cognoſcere & appetere. Huncienſum ue . teres Magiobſeruauere,
hincopera ſuæ arcis feliciſsimè auſpicantes. Hunceundem in hymno naturæ Orpheus
quietum acline ſtrepitu appellauit . Quippe in quemnoncadaterror, quando nulla
indiget ope externorum , fed totus in boni quaſi uiſionem incumbat . Qua
propter mea quidemfententia , quemadmodum concupiſcendiira ſcendió cupiditas
ſuã habet ſentiendi facultatē,electio uerò ratiocinā dig atintelligédi
facultatē uolūtas, quibus nitătur ( alioquin he quidé quod
reuerabonüeſt,illęuerò qa bonūuidetur,nequico deſiderio cöplecterentur) fic
& cómunisrerü omniūappetitus,quo in bonum dirigūrur, ſuāhaberecognitioné (
quë nature ſensűrite nücupamus) ġd bonü præſentiatur,neceſſe
eſt.Hecquidēcognitio quéadmodūnā 1 IN SYMPOSIVM PLATONIS ENARRATIO. 169
eſtbonipoſſeſsio ( alioqui nunquam in bonum progreſsio fieret ) fed potius
poſsidēdi principiū :pari ratione neccæteras cognitiones,pof ſeſsiones eſſe
dicendüeſt, ſedprincipia uias@ potius in poſſeſsionem . Quo fit,utrecta rationedici
nequeat,AmoremPulchripoſſeſsionem habere,quòdantecedête cognitioneſubnicatur,
quaſicognitio ſitpof feſsio quædam . Quomodoautemnon folùm Amor, fed appetentia
omnis,media ſitinter idquodbonum eſt,atquenonbonum : quidper Porum , quidper
Peniam Amoris parentesdiuinus Plato ſibi uelit, in Socracis oratione
uberrimèenitemur oſtendere. Hactenus declarauimus Pulchritudiném eſle Amoris
finem , non materiam : declarauimus quoqs Amoremnullam habere pulchritu dinis
poſſeſsionem , quemadmodumnõnulli comminiſcuntur . In præſentia declarandum
eſt,quænam , qualésque pulchritudines ſint. Quoquidem declarato,uidebimusquinam
,qualéſoamores ſint. Fi eri enim nequit,utcitra pulchritudinem ſit Amor.
Vbiigitur fem per pulchritudinem fequitur, non ſolùm totidem eſſe amores, quot
ſunt puichritudines, pareſt: uerùm etiam expulchritudinisingenio amoris
eſſencia ,uires, opera ſuntæſtimanda. Sediamrem ipfamag grediamur. Rerum
genusunumintelligibileeſt, ſenſibile alterum . Rurſus intelligibile in partes
duas diuiditur, in clarum ſcilicet &ob. {curum .Intelligibile clarum dici
poteft, quod ſuapte natura obuiam fit intellectui,necalio adnititur; cuiuſmodi
funt ideæ fiuemundus in telligibilis, ac liquid aliud tale eſt, quod non
indiget adminiculout maneat. Obfcurumuerò intelligibile ,quod nonnili in claro
intelligi bili apparet: cuiuſmodi mathemata ſunt, quæ habent in ideis quic quid
participant firmitatis.BrõrinusPythagoricus in eo libro, qui de Intellectu
cogitationem inſcribitur,Cogitatio ,inquit, intellectu ma ioreſt,ſicut &
cogitabilemaius intelligibili. Intellectus enim ſimplex eft ,citra
compoſitionem ,id quod primò intelligit:huiuſmodi autem ſpeciem dicimus:eftenim
citra partes, citra compoſitionem aliorum primum . At cogitatio tummultiplex
eſt , tum partibilis,id quod fe cũdo intelligit:ſcientia enim demonſtrationeớ
nititur. Simili ratio ne ſe habentipſa cogitabilia. Hæcautē ſunt ſcibilia
demonſtrabilia ipſac uniuerſalia, quę ab intelle &tu per rationem
comprehenduntur. Ex quibuscolligere poſſumus, intelligibile clarum per illud
ſignifi cari, quoddicitur, fine partibus,fine compoſitione aliorum primum.
Obſcurūuerò per illud , quod dictur, Scibile ,demoſtrabile, uniuer ſale. Nam
cogitabilia omnia, cuiuſmodi ſunt obſcura intelligibilia, ipfacemathemata,non
attinguntur quafi recto quodamintuitu, quê admodum euenit claro
intelligibili:fed per rationem , & quandam ,ut fic dixerim ,ab ideis
declinationem acdeſcenſum . Suntautē mathematare uerafluxus eorum generum
,quæcuque 166 FRANCISCI CATANEI DIACETII rèentiintellectuíçinfunt, intelligibilium
, idearum imagines, ex empla ſenſibilium ,eandem habentia ad ideas
comparationem ,quam habétumbræ &imagines in ſpeculis aduera
corpora,quę& àcorpo ribus profluunt, & in eiſdem ,& beneficio
eorundem , ſenſui fiuntob uiam.Sicutig &mathemata funt ab ideis, &in
ideis apparent, & i, dearum beneficio habéntfirmitatem . Sicuti
autemipſuminelligibile in clarumobſcurū < diuiditur: eodempacto
&ſenſibile in clarum ob ſcurūgs diuidendum eſt.Senſibile clarūdicitur,
quodprimò acrecto quodamtramite ſenſui fit obuiam , quodą ſuapte natura
opinabile eſt, utcælum ,ut elementa , & reliqua corpora naturalia .
Obſcurum uerò, quod,etſi ſub ſenſum cadit,pendet tamen ex corporenaturali tū
quatenus fit ,tumetiamquatenusapparet. Hæcſunt corporum natu ralium imagines ac
ſimulachra, quæ & à corporibus naturalibus pē dent, &citra eadem ſtatim
dilabuntur,necſenſuifiuntobuiam . Hu iuſmodi autemſunt umbræ in aquis, in
ſpeculis @ imagines. Addunt Syneſius &Proclus, eſſe quorundam corporum
naturalium profu uia ,ad certam intercapedinem integrum feruantia characterem
.Quę nõambigunt mirisquibuſdã machinis à Magis impetiſolere, fiquã do quenquam
perderein animo éſt.Hæc cùm & ipſa ſimulachraquæ damſint ſub obſcuro illo
fenſili collocari poſſunt. Architas Tarenti nus in eo libro,cuide intellectu
& ſenſu titulus eft,quæcunqdicütur eſſe, in pares ordines gradusi
diſtinxit, afcenſum fieri uoluitàde, terioribus ad meliora, quippe in quibus
deteriora comprehenderē tur.Diuinus quoạPlato in fexto de Rep.
declarat,quatuoreſſererű gradus, qualeſas ſintä animænoftræ uel habitus uel
facultates, qui. bus uniuerfam illam rerum diſtributionem cognoſcimus.Quæom nia
non erubuit ab Archita ad uerbum ferè mutuari. Quodquidem ös,qui aliquando
legerint Architæuerba, luce clarius patere poteſt. Sed magnacontrouerſia eſt,in
quonam rerum ordineanimaipſa col locari debeat, quicß de ea contempletur . Nam
ſi in mentemani mæ præſtantiſsimum intuemur,noneftcurhæſitemus intelligibilis
generiseſſe ac diuini.Contrà uerò ſi cæteras facultates penlitemus, rė rum
naturalium ordini adſcribemus. Sinuerò utrūos ſimul,necinter diuina
cõnumerabimus ( quodomnino à motu materiaớ abhorrēt ) necinter ea,quæ naturalia
ſunt, quandoquidem ſupra fenfilia non af cendunt. Mensautem genus ſenlibile
longè ſuperat. Themiſtius in ter Peripatecicos nõ poſtremæ auctoritatis dat
manus extremeratio ni : proindecs contendit, animæ ipſius, quaſimedijgeneris
ſit, media quoơſciệtiãeſſe,cuiuſmodi ſuncdiſciplinæ. Anobisuerò lögè abeſt, ut
credamus, cã eſſe mentē Ariſtoteli, utnaturalis intellectü contēple tur. Quid
enim eo illuſtrius eſſe poteſt,quodin ſecüdo de Animadir ctum 1 IN SYMPOSIVM
PLATONIS ENARRATIO 167 1 &umeft:Intellectus fortè diuinum quiddameſt
&impatibile. Quin etiam nihil prohihet,inquit,partem animæ aliquam
ſeparari:liquidē nullius corporis actus eſt.Præterea & illud :deintellectu
autemnon dumpalàmeſt,namuidetur aliud genusanimæ eſſe időzſeparari,tan
quamæternumà caduco. In primoautem de partibus animaliumex erta uoce
ait:Naturalemphiloſophum non de anima omnidiſſerere, quandoquidem non omnisanima
natura eſt.Et in fecundo de Gene ratione animalium ,folam mentemextrinfecus
accedere,eamąfolam diuinam eſſe , cùm eiusactio no communicet cumactione
corporali. Præterea in quinto Rerumdiuinarum ( quêpleriq falsò fextum au
tumant, fi credimus Alexandro Aphrodiſixo) Naturalis, inquit,ip . ſius eſtnon
omnemanimam contemplari,ſed quandam ,quæcunque non ſine materia
fit.Etinundecimo eiuſdem operis, cum de Deolo queretur : Vita,inquit,poteſteſſe
optimanobis,f ed breui. Sicenim femper illud:nobis autem fieri nequit. Ex
quibus intelligi poteft,ex fententia Ariſtotelis contemplationem de intellectu
ad facultatem naturalem non pertinere . Proinde aliam quandamſcientiam eſſe,
quæanimæ ingenium contempletur. Diuinusquoque Plato anima ipſam , quando
ſeparabilisæternacpeſt,ſub eflentia concludit.Proin de intelligibilis
generiseſſedubitandum non eſt.Quòdfiquis obříci at Timæum Platonis ,in quo
multa de animeingenio differuntur,cui nihilominus de Natura tituluseſt:nosutią
quemadmodum non dif fitemur elle princeps eius dialogi uotum, naturę opera
contemplari: ficquoqzimusinficias, quçcungibicótinentur,naturam effe.Multa enim
præ ſe fertilledialogus, quæ naturæ ingenium longè fuperant. Nectamen continuò
commiſcerimateriasobrjciendum eſt. Fuite nimoperæprecium de iis etiam fieri
meditationem , quorumopus, & organum natura eſt . Huncautem eſſe diuinū
opificem ,diuinamą. animam ,Plato afferit.Ex his perſpicuum eſt,rationalem
animam ge neris intelligibilis effe,non quidem obſcuri, quemadmodummathe. mata
ſunt:fed talis potius,cuiuſmodimūduseſtintelligibilis.Nãani marationalis
necalieno indiget adminiculo ,utmaneat, & fuapte na tura intellectui fit
obuiã. Eftenimuera & abſoluta participacione, quicquid per
femūdusintelligibilis eſſe dicitur. Verūtamen animad uertendum eſt,animam
propterea à mente declinare, quòduergitin corpus. Quo fit,ut tumſui
ipſius,tumalterins dicatur eſſe,ut rectèin quitProclus. Siquidem ipſius, quòd
eſſentia ſeparabilis æternáque eſt:alterius autem , quòdin corpus
propenſa,eſſentiam uitāçcorpo ri impartitur. Hinceuenit,utalteram quãdam animã
producat: cu ius ope molem agitetacregat. Hæcanima irrationalis appellatur,
quæſoligenerationi deſeruit, plena ſeminum earum rerum , quæ cunque cum materia
commnicandæ ſunt . Hæc in præſentia de 268 FRANCISCI CATANEI DIACETII
animafatis ſint:Namin fequêtibus eius philoſophiam uberrimècon.
templabimur.Ergo animam rationalemègenere intelligibili,irratio nalemuerò
èſenſibilieſſe aſsèremus . Quod etiam Plato ſignificauit in Timxo , appellans
animam irrationalem mortale animæ genus; mortale autem omneſenſui obnoxium eſt.
In plenum colligere poſ ſumus,ſub claro intelligibili animamrationalem , ideasý
, hoceſtin telligibilem mundum ,quamprimam quoộmentem ,primumens,ac perſe
animalappellant:ſub obſcuro uerò Mathemataconcludi.Cla rumuerò
ſenſibilecomplectiirrationalemanimam ,complecti & om nia corpora naturalia
, cælum ,elementa, quæibexhis coaleſcunt,ani malia,plantas,& cætera generis
eiufdem . Obſcurum uerò imagines in fpeculis,umbrásque in aquis, & fiqua
ſunt alia id genus . Adhęc & ea profluuia corporum naturalium ,de quibus
paulo ante mencio nemfecimus. His ita perſpectis,dicendumefttotidem eſlepulchri
tudines , quot rerum ordinės ſunt. Quapropter eſſe pulchritudinem
intelligibilem ,effe quoqj & ſenſibilem . Rurſusa intelligibilempul
chritudinem tumdarameſſe, tumobſcuram . Claramquidem , tum
quæmundiintelligibilis eſt,tum etiam quæeſtanimæiplius.Obſcu ram uerò eam effe
, quam in mathematiscontemplari poſſumus. At ſenſibilem pulchritudinem cum
animæ irrationalis fiue naturæ , tum etiam corporum naturalium eſſe dicimus :
quamquidem claram ap. pellamus.Quęuerò imaginümumbrarumã eft, &
fiquaſuntalia id genus obſcuram appellari par eſt. Ergo pulchritudo
mundiintelli gibilis reuera cæleſtis acdiuiua eft appellanda, cuinihil non elegans
admiſcetur, nonconcionum , undequaqcompofita, undequaqfibi ipficonfentiens.
Animequoqrationalispulchritudo coeleſtis acdi. uinadici poteft:quæ tantum
abeft,utmateriæ ſordibus immiſceatur, ut etiam cumprima pulchritudine ferè
coniuncta ſit.Atueròpulchri tudo tumirrationalisanimæ, tumetiam corporum
naturalium ,non fine materia eſſe poteſt . Anima enim irrationalis ſuapte
natura circa corpora diuiduaeft , ut Plato inquit: undeuulgarisacplebeia
pulchritudo meritò appellatur, quòdhabet cum materiacommerci um. Siigitur duo
pulchritudinisgenera funt,cæleſte ſcilicetacplebe ium :coeleſtisautem
pulchritudo uniuerſum intelligibile complecti tur, ſiuemundi intelligibilis
ſit, ſiue mathematum ,ſiue animæratioria lis: plebeia uerò univerſum ſenſibile:
totidem quoq eſse amorumge nera neceſse eſt. Quapropter amor ,qui cæleſtis
pulchritudinis eſt,& ipſequoc cæleſtis:qui uerò plebeiæ
pulchritudinis,plebeius & ipfe nuncupabitur. Sed agedū, exquifitius uidédữelt,quomodo
Àmorcircà pulchri tudinauerfetur.In ſuperioribus declaratum eſt, Amoremeſse
appe. 1 titum . IN SYMPOSIVM PLATONIS ENARRATIO . 169 titum deſideriumộ
pulchritudinis. Pulchritudo enim bonum quoddameſt:bonumautem omne expetibile.
Quo fic,ut pulchritu, do uim moueat appetendi.Huius autemactus circa
pulchritudinem amorappellatur.Primusigitur acperfectiſsimus amor,circa primam
pulchritudinem uerſatur:quæ in ipfo per feanimali primùm appa ret ,ut pauloante
dictum eſt. Sedquomodo primus amor circa pri mampulchritudinem uerſatur:An non
ſolumin primam pulchritu dinem incumbit,ut inde particulam hauriat uoluptatis
(qua uis per ficitur appetendi)uerum etiam principium eſt, quo in eadem ellen
tia mundi intelligibilis aliquid pulchrūconcipiatur: Hoc autem ni hileft aliud,
quàm pulchritudinem mundiintelligibilis, quæ tano ſpectaculum intellectui
fitobuiam , in eodem concipi permodum ſe minis acnacuræ . Huiuſmodi autem
conceptus, eius facultatis uis eſt, per quammundusintelligibilis extra ſe
pulchritudinem poteft effi cereEx. quo perſpicuum eſt,Amoremeffe principium
producen di,quæcunq diuinam pulchritudinem imitantur. Nam fieri nequit,
utpulchritudinis ſemina producant extrinſecus pulchritudinem ,ni. fi & ea
quoqproduxerit, in quibus apparet pulchritudo. Quapro pter integra abſolutacz
amoris definitio eſt,ut defiderium ſit non ſo lùm perfruendæ ,uerum etiam
effingendæ pulchritudinis:ut in hoc quoqàquouisalio diſcrepet appetitu ,quòd
cæteriduntaxaruolup tate contenti ſint, quam hauriantex boni poſſeſsione, hic
autem ada datetiam efficaciam.Pari ratione de anima dicendumeft, in qua cùm
fituera participacio pulchritudinis ,uera quocß Amoris parcicipatio fit neceſſe
eſt. Amorigitur in anima, qua pulchritudine perfrui con cupiſcit,eandem
affectateffingere permodum ſeminis ac naturæ ,cu, ius eſt imago. Natura ueró
animæ rationalis inſtrumentum ( quam ſecundam animam appellant)habetab anima
ſuperiore pulchritudi nem :fed &ipſa per modum feminis. Quandoquidemper
hanc ani marationalis componit uerſatớp materiam , in qua pulchritudo per modum
ſpectaculi apparet.Meritò igitur in anima gemini ſuntamo res:alter, qui eius
pulchritudinis eft, quam anima à mundo intelligi bili mutuatur:alter uerò qui
in eam pulchritudinem dirigitur , quæ per modum ſeminis in natura fecundamanima
effulget. Hicquidem amoraffectans ſeminariam pulchritudinem , transfert in
materiam pulchritudinis illius participationem ,quandopulchritudinis ſpecta
culum in ea anima effingerenequit. Exquo amorhuiuſmodi totius generationis re
uera principium eſt. In omniautem anima rationali geminus uiget amor. Namubi
ſecundùm eſſentiam æterna eſt, cor pus habet & ipſaſempiternum , quod uita
donec: in quo explicet fuæ pulchritudinis imaginem . Anima enimquàanima,uicam
alicui exhi р 170 FRANCISCI CATANEI DIACETIT bere debet:quo fit, cùmfemper
animafit,uitam quoc alicui ſemper exhibeat. Idautem eſſe
corpusneceſſeeſt.Cuienim alteri,nificorpo ri,uitamexhiberepoteſt:Acid
corpus,cui uita ſemper exhibetur, ce leſti conditione participare dicendum eſt.
Quapropter anima om nis rationalis,habet corpus æternum , quod Vehiculum
appellant, cuiſemper uitam imparciatur.HæcquidēProcliſententia eſt. Quan
quamPlotinus &lamblichus credantpoſſefieri, utanima noftrae. tiam quandoơ
ſine corpore fit. Sed dehis alibi latius. Ariſtoteles quo in fecundo libro
deGeneratione animalium , Omnis, inquit, animæ ſiueuirtus,ſiuepotentia ,corpus
aliquod participare uidetur, idő magis diuinum ,quàmea quæ elementa
appellantur. Ex quibus uerbis colligere poſſumus,Ariſtotelem cenſuille, cum
animaradio nalialiquod effe corpus,quod cæloproportionereſpondeat. Quod etiam
Themiſtius in ea paraphraſi, quam in primum librumde A nimaedidit, de mente
Ariſtotelis affirmat. Quapropter in omni ani. marationali geminus eft amor.
Quorum alter pulchritudinemin telligibilem ,alter ueròſeminalem explicare in
corpore materias af fectat. Quo euenit,utinanima omnirationali,cæleftis ſit
amor,lice tiam & plebeius. Habet & alia ratione utrun amorem animano
ſtra.Nam liquando ſenſibilis pulchri ſpecie excitata præcipitatina
moremexplicandorum feminum ,proindeq pulchro illo potiri im potenter affectat,ut
pulchram ſobolem in eo progeneret,plebeio a moreoccuparidicendumeft. Rapit enim
deorſum implicatớ ani mamgenerationi huiuſmodiamor. Quod quidemanimæ maximu
malumeſt. Atuerò fieodem pulchro nonadgenerationem , ſed ad contemplationem
utatur,quaſihuius beneficiodiuinæ pulchritudi nisreminiſcatur, quis
ambigat,amore diuino incendir Quandoqui dem in diuinam pulchritudinem reuocatur
, unde facilis in bonum eítaſcenſus. Quo fit, ut hic amor ſummopere laudandus
extollen á dusclit: ille uerò ſummopere uituperandus. Declaratumeft, quid
Venusſignificet : declaratum quoque quid fit pulchritudo, ubi fitprimò, ubi
deinceps : quòdpulchritu do noneſtamorismateria,fed finis : quòd nonelt idex ,
necin ideis: quòd amor nullam habet pulchri poſſeſsionem , ſed potius mer dium
tenet locum inter pulchrum atque non pulchrum : quod to. tidem ſunt amorum
genera , quot pulchritudinum : quòd pul chritudo omnis ad cæleſtem plebeiámque
reducitur , quo fit ut amor partim plebeius , partim cæleſtis ſit : quòd in
omni ani. ma rationali utrunque amorem ſit inuenire , in noftra autem duplici
ratione. In præſentia uerò reſtat , ut diuiniPlatonis fer e uc uc moncm IN
SYMPOSIUM ENARRATIO. 170 PLATONIS moneminterpretemur.Pauſanias apud Platonem
laudaturus Amo rem ,improbatPhædrum , quodliclaudarit,quali unus ſimplex (pa
mor,atą is rectus honeſtusõpeſſet. Quoniam uerò non unus ſim
plexoelt,oportet,inquit, declarare nos prius, quot ſunt Amores, quis laude
dignus, quis minimé.Eftautem laudedignus,qui bonus & àbono ,& in bonum
. Qui uerò necbonuseſt, neqz à bono, neq; in bonum :tantum abeſtutlaudari
debeat,ut etiam uituperatione ſit di gnus. Qui uerò cauſa eſt maximorum bonorum
,hunc ipſum bonū effe ,nemoeſtomnium qui ambigat. Contrà uerò , quimaximorum
malorum cauſaeſt, nónne &ipfemalus eſt putandus. Quapropter illé reuera
laudanduseſt,quibonorumnobis auctor eſt. Contrà ue rò ille uituperandus,à quo
nobismala eueniunt. Videndum igitur primò,quot ſunt amores. Amor,inquit, femper
Venerem comita tur. Quapropterfi una eſfet Venus,unus &Amor utique eſſet.
At quoniam duo ſunt Veneres, altera cælo nata, fine matre quę cæleſtis
Venusdicitur: altera uerò ,quæ Plebeia nuncupatur, ex loueac Dio ne progenita :
propterea duos eſfe Amores neceſſe eſt. Quorū alter .cæleftis eft,
illeſcilicet, qui cæleſtem Venerem : alter uero plebeius, qui plebeiam
comitatur.Dux ,inquit,Veneres ſunt,hoceft,duo pul chritudinis genera :ut
Plotinum ,alios omittamus. NamPlotinus putat, Venerem eſleipſam animam .
Nosautem oſtendimus interex ordia ſermonis huius,ex his quæ à Platone dicuntur
in Phædro, Ve nerem nihil aliud, præter pulchritudinem , ſignificare. Cui
quidem ſententiæ Hermias Ammonius adftipulatur.Namin Phędro,ubiex ponit illud
Platonis,Furorisamatorñpatrociniū tributum eſſe Ve. neri,apertè dicit ,Venerem
ſignificare pulchritudinem . Sed Hermiæ auctoritas contra Plotinum
afferendanoneſt. Satis autem mihi ſit, poſſe ex Platonis ſententia
probabiliratione defendere,Venerem ef ſe pulchritudinem . Quod quidem etiam
obnixè contenderem , ni magnus Plotinusmeremoraretur.Tantum enimei uiro tribuendű
cenfeo ,utexiſtimem , huncipſum primo longè eſſe propiorë quàm tertio , fiue is
ſitNumenius Pythagoræus,fiue lamblichus Chalcidæ us (quem inter homines deum
facit Iulianus Imperator) ſiueſitmag . nus Syrianus,quem Proclus non ſecus
acnumen colic. Ergo dug Ve neres, hoceſt, duo pulchritudinis genera ſint:
quarum alteramdi cit Cælo natam finematre:alteram louis Dionesof ſtirpem .
Vetus eſt dogma(cui Plotinus, quiğz Plotinum ſequuti ſunt,Porphyrius, Amelius
Longinusadftipulantur)tria effe rerü omnium principia, Perſeunum ,Mentem ,
Animam .Aperſeuno eſſe Mentem , quam uocant Mundumintelligibilem , à Menteeſſe
Animam , ab Anima uerò uniuerſum ſenſibilem mundumprocedere. Per ſe unum rebus
P 2 172 FRANCISCI CATANEI DIACETIL elargiri unitatem :Mentemſiue mundumintelligibilem
elargiricon ftantiam :Animamueròmotum . Rurfus ,per ſeunum quandoque
Cælumappellari,Mentemuerò Satúrnum , Animam louem . His itaqz
conſtitutis,poſſumus dicere,E Cælo,hoceft, ex primo rerum omnium principio,
quodper ſe unumdicitur,natameffe Venerem , ideſt,primam pulchritudinem
,quæprimò in ipſo perſe animali ef fulget. Natam ,inquam ,exipſo per reuno,
quoniam intellectus fiue ipfum perfe animal, in quoeſt prima pulchritudo,ex
ipſo perfe uno prodïjt.Natam porrò ſinematre,quoniam proceſsio huiuſmodi nul
Ioantecedente indiget fubiecto, quemadmodum rebus naturalibus euenit. Prodit
enim ſecundum à primo , per fimplicem quandam proceſsionem ( ſicuti lumen à
Sole prodit ) eius potentia totaeft. in producentis uirtute. Quo pacto dicimus
&animam ab intelle ctu , & materiam ab anima prouenire. In toto
hocproceſſu concin git, ſex rerumordines obſeruare. Ipfum per fe unum ,
Mundumin telligibilemn ,Animam ipſam ,Naturam animæ inſtrumentum , Cor
pusMateriam , . Infra autem noneſt deſcenſus. Vnde & Orpheus, In
ſexta,inquit,progeniecantilenæ ornatum finite. Quod ctiamin Philebo uſurpat
diuinus Plato.Poteft &alia ratione, acnondeteri ore fortaſſe, Veneremdici
Cælifiliam eſſe. Namin Cratylo dictum eſt,Cælum efle aſpectum in fuperiora
intuentem : Saturnum purita tem intellectus: Iouem uerò uiuentem , &
perquemuita, ita ſcilicet, atis aſpectus, quo mundusintelligibilis per fe unum
intuetur, Cæ. lumappelletur: is uerò, quo ſeipſum uidet , Saturnus, quali lit
pura intelligentia , in ueritatem incumbens : Iupiter uerò ſit Mundusin
telligibilis,quatenus uidet feextra feipſum participabilem eſſe .Qui quidem
dicitur mundi opifex , quandoquidem mundi principium eſt.Quo euenit, ut recta
ratione tum uiuens dicatur, tum etiam per quemuita. Viuens quidem,
quoniamprincipium eſtefficiendi. Ac uero per quem uita , quoniam fingula ſuum
hinc habent efficiendi modum. Is igituraſpectus, qui in ſuperiora intuetur,
merito in eum ſenſum reduci poteft, quem naturæ paulo ante appellauimus.Qui
propterea Cælum recta ratione dicitur , quandoquidem principi umeſt, quo per fe
bonum ſingula præfentiant. Huius quidem Cæ li Venusfilia dici poteſt: quoniam
pulchritudo intelligibilis, quæ cæleſtis Venus eſt, hinc habet originem. Nam
hicſenſus princi piumeftuitæ. Quo fit, ut etiam ſit principium pulchritudinis.
Pul chritudo ením uitam fequitur,ut dictumeft. Eft autem fine matre:
quoniamnondummateria erat, quæmaterappellatur: quando pri mapulchritudo longè
materiani antecedit. Plotinus uidetur àdi uino Platonediſſentire,qui dicit,
Veneremcæleftem Saturni ſtir pem IN SYMPOSIVM PLATONIS ENARRATIO , fo
pemeſſe.Putat enim Veneremeſſe animam ,quæ àprimo intellectu procedit.Sed
hęchactenus de cæleſti Venere.Nuncuerò de plebeia agendűeft.Plato dicit,plebeia
Venerem louis acDiones ſtirpē eſſe, afferens habere matré,quãCæleſtis Venusnon
habebat. Iupiter ſig nificatMundianimā, quemadmodūpatet ex his ,quædicútur in
Phę dro.Magnus uciądux in Celo lupiter,citans alatū currum ,primus
incedit,exornans cuncta,prouide diſponens. Huncſequitur deo. rumdæmonumą
exercitus,per undecim partes ordinatus. Solà autem in deorumædemanec Veſta.Ex
quibus uerbis palàm effe po teft, louemeſſemundi animam . In Philæbo quoque
dicit Plato, In magno loue eſſe regium intellectum , eſſe & regiam animam :
lig. nificans,mundi animam tumuninerſaliintelligentia,tumetiam uni uerſaliuita
præditameſſe. Ergo Iupiter mundi anima eſt; ſecun , dùm Platonem . Dione autem
Materia dici poteſt. Anima enim quælupiter appellatur,mundumproducere debet.
Mundusautem materia indiget. Quo fit, ut mundo neceſſaria ſit, non quidem ſim
pliciter,fed ex ſuppoſitione.Námſidomus fieri debet, talis aut talis materia
fit neceffe eft. Vnde &Ariſtoteles materiam appellauit ner ceſsitatem ex
ſuppoſitione. Plato quoqiri Timæo dicit; mundum ex mente &neceſsitate,id
eft, ex materia eſſe conſtituium : quaſi ma teria neceſſaria fit. Si
igituranima mundum producere debet , mà. teriam quo producat neceſſeeſt. Quo
euenit, ut Dionérectara tiónė diči poſsit :quandoquidemand trüdros,hoceſt,à
loue trahit ori ginem.Eft itaque plebeia Venus,louis Dioneső filia :quoniam ſe
minaria naturæ pulchritudo tum pendet à mundi anima , cuius eſt inſtrumentum ad
generationem , tum etiam materiam mundo ne . ceſſariam reſpicit: quæ propterea
amat eſſe mater, quòd ſuopte in. genio gremium eſt formarum omnium. Dicitur
autem plebeia; quandoquidemi cūſenſu materias commercium habet. Quod enim
àmateria ſeiungiturubi , ueritatis participat, cæleftem diuinámque conditionem
præ fe ferre credendum eft. Ergo cùm duæ fint pul chritudines,diuina
fcilicet,ac plebeia, duo quoque Amores ſint ñes ceſſeeſt. Amor enim femper
pulchritudinem ſequitur. Diuinæ pul chritudinis Amor diuinuseſt : qui non folùm
diuina pulchritudi: ne perfrui affectat, uerùm etiam hanc candem exprimere per
mo dum feminis. Plebeiæ pulchritudinis amor&ipfe plebeius. Hic autem
principium eſt generationis , quando pulchritudinem ini materiaper modum
ſpectaculi exprimere nequit, citra formarum omniumexplicationem : Sed ambigi
poteſt,quo pacto dictum ſic, quot ſunt pulchritu dines, totidem efle Amores,
Nónne pulchritudo finis Amoris eft : is 31 p3 174 ERIKOISCI CATANEI DIACETIT At
vero quid prohibet, fi finiseſtunus,ea quæ ſuntgratia illius,mul taelle: Sicut
etiam nihil prohibet, exemplar unum eſſe, multa ue. rò quæreferuntexemplar.
Vnus enimHercules eſt: Herculisautem imagines complures. Vnde&illud
Platonis in Timæo in contro uerliam trahitur,propterea, inquit,munduseft unus ,
quoniamex emplar unumimitatur. Nam ſiunius exempli multæ imagines eſſe
poflunt,quomododictum eſt mundum propterea unum eſſe,quo. niam exemplar unum
imitetur : Ariſtotelescùm uellet oftendere, Mundum eſſeunium ,ex tota ſua
materia conſtitutum effedixit. Edli enimaliudmundus eft,aliud ſua mundo
eſſentia : non tamen conti nuo euenit,ut uel plures fintmundi,uel plures
contingat fore: qua. ſi ſpecies, quæ fit in materia , femper amet eſſe
uniuerfale. Suntau tem plura ſub eadem fpecie, quæcunque ſibi ſuæ materiæ
aſſumunt particulam :ut equus,utleo , & fi quaſuntalia generis eiuſdem . At
ueròquæcunqextota materiafua conſtant, hæc quidem ſingulain ſingulis
funt.Exhisautem mundus eſt. Dehisabundèin primo li brodeCælo agitAriſtoteles.
Vnde colligere poſsumus,materia copiam ,multitudinemindicare ſingularium .Quod
etiam in undeci. moRerumdiuinarumclara uoce dictum eſt. Verumenimuero de
claremus primò diuinum Platonem rectè dixiſse, qui aſseruit in Ti.
mæo,mundumpropterea unumeſse, quòd exemplar unum imita. tur.Deinde declarandum
nobis eſt, totidem efse Amores, quotſune pulchritudines.Tametfi pulchritudo
finis eſt Amoris. Plato igitur oftenſurus,muudum eſse unum ,non ex eo oftendit,
quòdmateria eſtuna (quemadmodum Ariſtoteles fecit ) nec.exco, quòdmundi
eſsentia in corpus unum occurrat ,ficut Stoicicomminiſcuntur. Aut enim
ſolus,aut maximèuſus eſt præcognofcente cauſa ,quemadmo. dum inquit
Theophraſtus.Nam mundum eſse unum , acceptumre. fert exemplaricaufæ . Sienim
exemplar unum, opifex unus,neceſse eft & mundum eſseunum . Nam opifexunus
dum perfectiſsimèexo primit exemplar unum , omnes exprimendi numeros impleat ne
ceſse eſt. Alioquinon perfectiſsimèexprimeret. Huiuſmodi autem expreſsio
nonniſi in uno perfectiſsima eſt. Si enim multa eſsent, quæ perfectiſsimè
exprimuntur , quid prohiberet , in infinituma bire : At aſserere , ab uno
opifice infinitos eſse mundos , ſtupidi omnino mancipñ eſt. Non eft igitur dicendum
, multa eſse quæ perfectiſsimè exprimuntur. Sed neque etiam aliud alio eſse
perfe ctius, quandoquidem perfectiſsimum obuiam fieret. At fi uel plu. ra, uel
exquiſitius in perfectiſsimo continentur, nónne cætera fu
perfluent:Quaproptermeaquidem ſententia, rectè adſtructum eft, Si 1 IN
SYMPOSIVM PLATONIS ENARRATIO . 13. Si exemplareſt unum, opifex unus, neceſse
eſt &mundum eſseu num .Acexemplareſſeunum ,opificem unum , facilè oftendi
poteſta Sienim multa exemplaria eſſent,autæquè perfecta dixeris,autaliud alio
ex his præſtantius. Fieri autem nequit, ut æquè perfecta fint, quandoquidem
ſingula ualerent idem . Quo euenit, ut unum fatis ſit. Sin autem aliud alio
perfectiuseft,nónne in id ,quod eſt præſtan tius,ſemper opifex intuebitur unde
& cætera nulli uſui fuerint. Si. mili ratione de opifice adftruendum .
Quapropter recte dictumeſt à diuino Platone, Mundum propterea unum eſſe, quòd
exemplar unumimitetur. Quo fit,ut facillimè ea ratio refutari poſsit, quæ co
nabatur oſtendere,non continuòmundumeſfeunum , quòd exem plar
unumimitaretur:quando uidemus,exemplaris unius multa ſi mulachra eſſe.
Namomnino fierinequit, utmulta ſimulachra exem plarisſint unius, ſi ſit opifex
unus, ifíp perfectiſsimus : cuiuſmodi mundi opifex eſt.Nam multitudo
fimulachrorum ,autex opificis de bilitate : autex multitudine uarietateof fic.
Quòdfiobijcitur, ani marum ideameſleunam , opificem unum , huncés
perfectiſsimum : complures tamenanimaseſſe. Adhæc,leonis autequi, & fiqua
ſunt generis eiufdem , ideam eſſe unam , complura tamen quæ ideam i
plamimitentur. Nos ad hæcreſpondeamus,non eſſe animarum om nium ideam unam,
proinde nec exemplarunum . Sed fingulas ani mas, ſingulas habere ideas. Vnde
& animæ omnesrationales, de Pla tonis fententia,fpecie differunt.
Quodetiamſenliſſe Ariſtotelem non ambigimus. In his,inquit ,quæ ſunt ſeorſumà
materia, idem res ipfaeft,& fuum rei eſſe . At intellectum ſiue rationalem
animam ſe orſum eſſe ,ſecundùm Ariſtotelem facilè dabuntij, qui multis in lo
cis Ariſtocelis uerba attentè legerint. Themiſtius in tertio libro de Anima
dicit de mente Ariſtotelis, intellectum illuminantem eſseu num ,
illuminatosuerò aclubinde illuminantes complures. Quoe. uenit,uttum multi
ſint,tum etiam ſpecie differences. Quapropter & animarum diſcurſiones ,
& uitæ , ſpecie differunt: ſicut etiam &cor pora. Sedde his alibi
latius agendum eſt. Satis eſt auteminpræſen tia declaraſſe,animarum omniumnon
eſſeideam unam . Soluitur & alia ratio .Nam propterealeoniseftidea una ,
exemplar unum , par ticipatus uerò mulci:quoniam idquodexprimit in materia, non
eſt unum ac perfectum ,ficutimundiopifex unus perfectusoz eſt. Con currunt enim
dij mundani, & cælum ac cauſæ particulares, ad i pfam rerum generationem .
Quod etiam Ariſtoteles clara vocete ſtatur,dicens,ab homine & ſole hominem
generari, Hactenusdeclaratum eft,liexemplareſtunū, quo pacto id, quod exemplarimitatur,unumeft,
quo pacto contingitmultitudinem in cidere.Nuncuerò reſtat,ut eirationi
reſiſtamus, qua adftruitur, non elle totidem Amores, quotpulchritudines,
propterea quòd concin git finemeſſeunum :complura uerò, quæ illius gratia ſunt.
Nampul chritudò finiseft amoris.Dicimusigitur,id quod habetrationemfi
nis,expetibile effe:atqzidquod reueraomnium finiseſt, reuera quo que
acmaximèexpetibile .Quapropterquoniamper ſeunum &per febonnmomnium eſt
finis ,reuera & primòab omnibus effe expe tibile. Vndeapud Ariſtotelem
legas,bonumid efTe, quodomnia ap petunt. Significatur enim idquodab omnibus,
fed pro ſua cuiuſque facultate ,expetitur,eſleid ,quodreueraac primò bonumeſt.
Cum itaqs expetibile moueat appetitum , ubi plura expetibilia ſunt, toti
demeſſe appetitus generaneceſſe eſt. Appetitus enim ſemper expeci bile
ſequitur,eiuſdem eftutrunqß contemplari; quaſi natura con iuncta lint.Vbiuerò
unumexpetibile,appetendigenusunumquo. queſitoportet. Quo fit,cùm unum idem's
omnibus commune bo , numſit,unumquoqlıtomnibuscommuneappetendi genus.Om nia
enim ſibi bonumadeffe cupiunt:cuius gratia agunt, quicquida gunt. Atqz ita in
cunctis unum eſt. Præter autem id bonum ,quod cùmprimòbonumſit,omnibusadeſt,ſuntalia
& bonorum genera, quorumſuus cuiuſeftappetitus: cuiuſmodi pulchrumeft,
cuiuſ modiiuſtī , & fi qua ſuntgeneris eiuſdem . Rectè igiturà diuino Pla
tone dičtum eſt,totidem effèAmores,quot ſunt Veneres. Venus énimpulchritudo
eſt:amor autem pulchritudinis deſiderium . Cum igiturduæ ſint
pulchritudines,altera diuina accæleſtis,altera plebe. ia ac ſenſui obnoxia:
ſintóshæc genera duo expetibilium :neceffe eft, totidem quoq; effe
appetendigenera,qui duo ſuntAmores. Atque ſicmea quidem fententia fortèmelius, quàm
quibus uiſumeft, pul chritudinem Amoris eſſe materiam . Ex his ratio illa
facilè diffolui tur.Adftruitenim polito appetibili uno , contingere, ut
complures illius fint appetitus. Cui quidem manus dandæ ſunt , non tamen
continuo pluraelle appetendi genera: quod quidem adſtruendum érat. Nam
pulchritudo fi unafit , etſi nihil prohibet inultos illius Amores efle , unum
tamen fuerit amandi genus. Quoniam uero duæ pulchritudines ſunt, duoquoq amandi
genera ſint neceffe eſt. Acą hanc ego exiſtimo ueriſsimam diuini Platonis
ſententiam èffe : arguimerito, quòd Amorum alterum cæleftem , alterum ple bcium
appellauit:quoniami altera pulchritudo diuina ſeparabiliság dicitur,altera
plebeia,accumimateria communićañs: quali ex inge nio appetibilis appetitus ipſe
ſitæſtimandus. Hactenus IN SYMPOSIVM PLATONIS ENARRATIO, 177 Hactenus de his
amoribus tranſegimus, quiomnibus animis inſunt , ſiue hæ deorum ſint, fiue
dæmonum , ſiue illius generis, quodcorpus caducum ſibi induit, cuiuſmodi
hominum animę funt. Nunc uerò ñ amores ſunt expediendi, qui propriè hominum
dici poſſunt,ſiuenos rapiant in generationem , ſiue in diuinam pulchri tudinem
reuocent. Atqui ſenſibilis mundi huius pulchritudo , intel ligibilis
exemplarisógillius eſt imago. Huius quàm ſimillima eſtcu iufuis hominis
pulchritudo. Anima enim omnis rationalis totius inanimati curam habet: ut in
Phædro dictum eſt. Quofit,utquaf : cung ſpecies ſortiatur, ſiue deorum uitam
uiuens , ſiue cæleſtem ac dæmonicam ,fiuecorpus terrenum , elementarech nacta,
totius ſem per ingenium præ ſe ferant. Quapropter compacta mortali corpori,
etſi uideturanguſti carceris miniſterio detineri, omnem tamen in eo explicat
uniuerſi facultatem , quaſi ubicunqz ſit uniuerſum produs ctura. Ex quo ueteres
Theologi hominem paruum mundumap pellarunt. Fieri enim nequit,quando anima
omnis eft uniuerſum ,. quin profuo efficiatingenio ,ubicunq efficit. Hinc legas
apud Pla tonemin primo libro de Legibus, hominem eſſe miraculum quod. dam
diuinum ,in animantium genere , fiue ludo ſeu ſtudio quodam à ſuperis conſtitutum
. In ſeptimo quoc eiuſdem operis , Deus, in quit, omni beato ſtudiodignus eſt
:homo uerò deiludo eſt fietus.Ex quibus uerbis colligi poteſt, hominem
habereomnia in numerato, quæcunqmundus ipfe habet. Nampropterea dicitur dei
ludo con ftitutus,quoniam ueluti Simia deum ipſum imitatus , fuo quodam modo
fit uniuerſum . Siigitur hæcitafe habent, quis ambigat,homi- . nis
pulchritudinem ipſius mundi pulchritudinis quàm ſimillimarn effe: Quicuno itaq;
huiuſmodiſpectaculo delectatus, in Amorem declinat generationis, hic plebeio
amore detineri iure dicitur. None nim obaliud quæritaffectató pulchrum ,niſi
quoniam credit ſepol fe in co generationem conſummare. Amator autem
talisaggreditur, quodcunqobtigit,ſiue mas ſit, ſeu fæmina. Fæminãquidem , quoni
amhocinſtrumentū neceſſariū eſt ad generationē.Fieri enim nequit, utcitra
fæminam generatio abſoluatur. Fæmina enim ſi credimus Ariſtoteli,materiçuicem
gerit:Eſtenim fæmina mas lęſus, utillein quit. Marē uerò ,quoniã quandoquſą
adeo inſanit, uſą adeo impo tenti uoluptate delinitur,ut credat ſeibi
generationé conficere pofle, unde ſummum hauriat uoluptatis. Quofit,ut cecus
omnino in pudo. rem temere graſſecur. Amatautēcorpus magis quàm animữ. Quan .
doquidéanimus diuina res eſt ,diuino amoreprofequenda. Ille uerò iã totusà
diuino abhorret. Quo fit,ut corpus magis probet uolupta tū miniſteria
exhibitură. Amatquo & potius ſinementehomines, 178 FRANCISCI CATANEI
DIACETI prudentes.Quoniam non facile eft prudentes decipere, qui mente
ualentacnitunturratione.Noneftautem conſilium , ea incommoda in præſentia
recenſere, quçtalesamatores ſuis amatis adeffe cupiunt. Quidenimaliuddiu noctub
cogitant,niſiquo pacto ualeant uolup tatem explere: Vndeſiamatipauperes fuerint
, ſine neceſſarös , ſine clientelis,lineamicis ,adheline omnianimi cultu ,
cuiuſmodi ſuntdi ſciplinæbonarumartium , ſinequibus nemo uirmagnus eſle poteft,
denią fine diuina philoſophia, quæ homines facit prudentiſsimos, miruminmodum
gaudent,quafiex calamitatibuseorum ſuam felici tatem auſpicaturi.Quapropterimprobandi,reiciendi,inſectandig
ſunt,tanquam maximèpernicioſiac noxij, quippequigenus huma nummaximis
detrimentis,bonisuerò nullis afficiant. Quid igitur mirumfi legibus cautum
eſt,nullo pacto uulgares amatores audien dos eſſe, quaſi
impudentiſsimiiniuſtiſsimiĝzlint: Huiuſmodi igitur ac fimilium
affectuũauctoreſtilla ſenſibilis pulchritudo , quam Ve neremplebeiam appellat
Plato. Trahitenim , utdictum eſt, rapitớs animamadcorpora
(quodanimæmaximummalumeſt ) niſi optimi morešdiuiniacobftet philoſophia,cuius
beneficio ueritatis partici pamus. Atuerò ſipulchritudo ſenſibilis ſit
inſtrumentum addiuină pulchritudinem , Venuscæleſtis rectè dicitur:affectusõz
ille,qui cir ca hancuerſatur, Amorquoq cæleſtis iure appellatur. Prouocatau tem
ad diuinam pulchritudinem ,non fæminæ pulchritudo ,ſed ma ris. Amatorenim
diuinus,cùm probè nofcat fæminamgenerationi deſeruire, in mareuero generationem
expediri non poſle, abhorreat autem penitusà generatione (quandoquidem totus in
diuinum in hæret)fit utiqz maſculæ pulchritudinis & fectator adeò
&admira tor: quippe qui pulchro uti amet,non tanquam in quo explicet ſemi
nalem pulchritudinem ( quemadmodum euenit plebeio amatori) fed tanquam
inſtrumento, quo in domeſticam pulchritudinem , ac tumdeinde in
diuinamattollatur. Probat autemnon pueros adhuc mentis expertes,fed
adoleſcentes, quimente ualere iam cceperint. In certum eſtenim ,an pueri
uirtute præditi futuri ſint. Ille autem in pri mis uirtutem , optimum (Banimi
habitum admiratur. Ergo adole ſcens ubi furentem amicumcontemplatur, quàm omni
uirtutum ge nere abundet,non minus obferuareac colere debet, in omne oble quium
paratiſsimus,quàmdeorum immortalium ſtatuas colendas cenfet. Scit enim cumeo
diuinum ad omnetempus habitare: proin de nihil aliud fibicogitandum
efle,niſiquo pactoualeatomneuirtu tumgenus explicare,utdiuino amatore dignus
amatus & uideatur & fit.Hactenus Pauſaniæ ſermonem explicaſſe ſatis
erit. Nam quæ dicunturde Ariſtogitonis &Harmodñjamicitia,quæíz deuarijsa
mandi legibus, tum apud Græcos,tumetiam apud Barbaros, expli canda alijs
relinquimus. Nobis enim ea duntaxat proſequi conſi
liumeft,quæuideanturadPhiloſophiam pertinere. Grice: “If these Italians,
pretentious as some are, want to use more than one surname – their loss!” – Grice:
“It was an excellent idea of Diacceto to
translate is grandfather’s Latin works (‘enarratio’) of Plato’s little dialogue
on the unspeakable vice of the Greeks into ‘vulgar Florentine!” -- Franciscus
Cathaneus. Franciscus Cataneus, Diacetius. Francesco de Cattani da Diacceto. M.
Francesco Cattani da Diacceto. Francesco Cattani di Diacceto. Diacceto. Keywords:
diacetius, amore, “la sequenza del corpo” “l’autorita del papa” -- Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Diacceto” – The Swimming-Pool Library.
Diano (Vibo Valentia).
Filosofo. Grice: “I love Diano, but Italians usually take him to be a bit too
Hellenic; recall that a true Roman considers himself a Troian, i. e. an enemy
of a Greek! But as a scholarship Midlands boy from Clifton to Corpus, I’m a
Dianian!” Compie gli studi classici al Liceo Filangeri
di Vibo Valentia, allora Monteleone Calabro. Rimane orfano di padre all'età di
8 anni e questo fu un evento che segnò la sua vita e molte delle sue scelte
giovanili. Nel 1919 si trasferisce a Roma, dove si iscrive alla Facoltà
di Lettere della Sapienza ove segue le lezioni di Nicola Festa e Vittorio
Rossi. Il suo progetto è di laurearsi con una tesi in Letteratura greca, ma la
necessità di iniziare a lavorare lo spinge a scegliere una via più breve e nel
novembre del 1923 si laurea con 110 e lode con una tesi su Giacomo Leopardi, un
poeta che amò subito e che lo accompagnò nel corso di tutta la sua vita.
Immediatamente inizia a insegnare letteratura latina e greca, dapprima come
supplente e poi, dall'ottobre del 1924, di ruolo come vincitore di concorso a
cattedra. La sua prima nomina è a Vibo Valentia, cui segue un periodo di alcuni
anni a Viterbo e una breve parentesi al Liceo Vittorio Emanuele II di Napoli.
Nella città partenopea frequenta la casa di Benedetto Croce, ma in seguito il
giovane Carlo Diano si allontanerà decisamente dal gruppo dei crociani. Dal
novembre del 1931 è trasferito a Roma, dove insegna prima al Liceo Torquato
Tasso e in seguito al Liceo Terenzio Mamiani. Sempre a Roma, nel 1935, consegue
la libera docenza in lingua e letteratura greca. È fatto oggetto di inchieste
ministeriali e pressioni per il suo rifiuto di iscriversi al Partito fascista,
come chiedeva il suo ruolo di dipendente pubblico. Né mai si iscrisse.
Nel settembre del 1933, su incarico del Ministero degli Esteri, è lettore di
lingua italiana presso le Lund, Copenaghen e Göteborg, incarichi che ricoprì
fino al 1940. Gli anni in Svezia e Danimarca non furono solo utili per
apprendere alla perfezione lo svedese e il danese, ma segnarono un profondo
cambiamento. Il contatto con l'ambiente scandinavo gli spalancò la visione
della grande cultura liberale nord europea e l'amicizia di poeti, letterati e
studiosi scandinavi, tra cui lo storico delle religioni Martin Persson Nilsson
e lo scrittore ed esploratore Sven Hedin, dei quali traduce anche alcune
opere. Al suo ritorno in Italia ricopre un incarico presso la
Soprintendenza bibliografica di Roma e dal gennaio del 1944 all'aprile del 1945
è a Padova in qualità di Ispettore dell'istruzione classica presso il Ministero
dell'Educazione Nazionale della Repubblica Sociale Italiana. Grazie a questo
ruolo e obbedendo alla propria coscienza, all'insaputa di tutti, aiuta molte
persone a mettersi in salvo dalla persecuzione fascista e nazista. Dal
dicembre del 1946 ricopre gli incarichi di Papirologia, Grammatica greca e
latina, Storia della filosofia antica, Letteratura greca e Storia antica presso
la Facoltà di Lettere dell'Bari. Nel 1950 vince il concorso alla cattedra di
Letteratura greca ed è chiamato a Padova a ricoprire, presso la Facoltà di
Lettere dell'Università, la cattedra che era stata di Manara Valgimigli. A
Padova rimarrà ininterrottamente fino alla sua morte. Più volte Preside della
Facoltà di Lettere e Filosofia, fondò e diresse il Centro per la tradizione
aristotelica nel Veneto. Molte delle sue traduzioni dei tragici greci
sono state messe in scena dalla Fondazione del Dramma Antico a Siracusa, al
Teatro Olimpico di Vicenza, a Padova, portate in giro nei teatri italiani,
interpretate da noti attori quali Elena Zareschi, Arnaldo Ninchi, Ugo Pagliai.
Grandi le sue traduzioni, per la ricerca filologica, la lettura rivoluzionaria
e la bellezza dello stile in versi, fra le altre, dell'Alcesti, dell'Ippolito,
dell'Elena, dei Sette a Tebe, dell'Edipo Re, del Dyskolos di Menandro.
Cura, fra le altre cose, l'edizione di tutto il teatro greco per Sansoni e la
traduzione dei Frammenti di Eraclito, volume della Fondazione Lorenzo
Valla. Insignito di numerose onorificenze (Valentia Aurea, Premio
Nazionale dei Lincei, Medaglia d'oro della Città di Padova ecc.) e membro di
numerosissime accademie in Italia, in Europa e in USA, ebbe profonde e durature
amicizie tra gli altri con Salvatore Quasimodo, Sergio Bettini, Mircea Eliade,
Walter F. Otto, Ugo Spirito, Giulio Carlo Argan, Bernard Berenson, Rocco
Montano, Santo Mazzarino, Carlo Bo, Károly Kerényi, Martin Persson Nilsson,
Renato Caccioppoli e molti altri fra i maggiori protagonisti della vita
culturale e artistica del 900. Tra i suoi allievi più noti troviamo il
filosofo ed ex sindaco di Venezia Massimo Cacciari. Per i suoi amplissimi
studi e i suoi contributi originali su Epicuro è da tempo riconosciuto a
livello internazionale come uno dei maggiori e più autorevoli studiosi del
filosofo di Samo. Nei suoi scritti teorici, principalmente in Forma ed
Evento e in Linee per una fenomenologia dell'arte, fonda un vero e proprio
sistema filosofico in cui filologia, studi storici, filosofici, sociali, storia
dell'arte e la storia delle religioni si integrano a creare un nuovo metodo di
indagine. Fondamentale, a tale scopo, è la creazione delle due categorie
fenomenologiche di "forma" ed "evento", che gli permettono
non solo di esplorare l'intera civiltà greca, ma possono divenire strumento di
analisi generale di una cultura. Altre opere: “Commento a Leopardi”; “Commemorazione
virgiliana. Dall'Idillio all'Epos” (Boll. Municip. Viterbo); “ Il titolo De
Finibus Bonorum et Malorum” (FBO). “L'acqua del tempo” (Roma, Dante Alighieri);
“Note epicuree, SIFC); “Questioni epicuree, RAL); “La psicologia di Epicuro,
GFI); “Epicuri Ethica (edidit adnotationibus instr. C.D. Florentiae, in aedibus
Sansonianis, “Lettere di Epicuro e dei suoi nuovamente o per la prima volta
edite da C.D., Firenze, Sansoni); “Aristotele Metafisica, Libro XII. Bari); “La
psicologia d'Epicuro e la teoria delle passioni, Firenze, Sansoni); “Lettere di
Epicuro agli amici di Lampsaco, a Pitocle e a Mitre, SIFC); Voce Aristotele in
Enciclopedia Cattolica); “Edipo figlio della Tyche. Commento ai vv.1075-1085
dell'Edipo Re di Sofocle, Dioniso); “Forma ed evento: principi per un'interpretazione
del mondo greco” (Venezia, Neri Pozza); “Il mito dell'eterno ritorno,
L'Approdo); “Il concetto della storia nella filosofia dei greci, in: Grande
antologia filosofica, Milano, Marzorati); “La data della Syngraphé di
Anassagora. Scritti in onore di Carlo Anti, Firenze); “Linee per una
fenomenologia dell'arte” (Venezia, Neri Pozza); “La poetica dei Feaci. Memorie
dell'Accademia Patavina); “Pagine dell'Iliade, Delta); “Note in margine al
Dyskolos di Menandro” (Padova, Antenore); “Menandro, Dyskolos ovvero Il
Selvatico, testo e traduzione, Padova, Antenore); “Martin P.Nilsson,
Religiosità greca, (traduzione) Firenze, Sansoni); “Saggezza e poetica degli
antichi”; “Orazio e l'epicureismo” (Atti Istituto Veneto); “La poetica di
Epicuro, Rivista di Estetica); “La filosofia del piacere e la società degli
amici, Boll. del Lions Club di Padova); “D'Annunzio e l'Ellade, in L'arte di
Gabriele D'Annunzio, Atti del Convegno Int. di Studio); “L'uomo e l'evento
nella tragedia attica, Siracusa, Dioniso); “Il contributo siceliota alla storia
del pensiero greco, Palermo, Kokalos); “Euripide, Ippolito (traduzione e cura).
Firenze, Sansoni); “Eschilo, I Sette a Tebe, Firenze, Sansoni); “Menandro,
Dyskolos ovvero il Selvatico, Sansoni); “Meleagro, Epigrammi traduzione di C.D.
(con una tavola di Tono Zancanaro) Vicenza, Neri Pozza); “Epikur und die
Dichter: ein Dialog zur Poetik Epikurs, Bonn, Bouvier); “Saggezza e poetiche
degli antichi, Venezia, Neri Pozza); “Gotthold Ephraim Lessing, Emilia Galotti,
(traduzione) Milano, Scheiwiller); “Euripide, Alcesti (traduzione e cura)
Milano, Neri Pozza); “Euripide, Elettra, (traduzione e cura), Urbino, Argalia
Editore); “Voci Eoicurus e Epicureanism per Enciclopedia Britannica); “Il
teatro greco. Tutte le tragedie, C.D. Firenze, Sansoni); (di C.D. Saggio
introduttivo. Traduzioni: Eschilo, I Sette a Tebe; Euripide, Alcesti, Ippolito,
Eracle, Elettra, Elena, Le Fenicie, Oreste, Le Baccanti). Epicuro, Scritti
morali, Trad. C. Diano, Padova, CLEUP); “Euripide, Medea, (traduzione e nota di
C.D.) Padova, Liviana); “Aristofane, Lisistrata (traduzione e cura) Padova,
Liviana); “Anassagora padre dell'umanesimo e la melete thanatou in L'Umanesimo
e il problema della morte, Simposio Padova Bressanone); “Studi e saggi di
filosofia antica, Padova, Antenore); “Scritti epicurei, Firenze, Leo Olschki);
“La tragedia greca oggi, Nuova Antologia); “Limite azzurro, Milano,
Scheiwiller); “Eraclito, Frammenti e testimonianze, (traduzione e cura) Milano,
Fondazione Lorenzo Valla); “Epicuro, Scritti morali, Milano, BUR); Platone, Il Simposio (traduzione e cura),
Venezia, Marsilio); Il pensiero greco da Anassimandro agli stoici, Torino,
Bollati Boringhieri, Introduzione di Massimo Cacciari. e Lia Turtas. Introduzione Jacques Lezra.
Curatele Platone, Ione, Roma, Dante Alighieri, M.T.Cicerone, De finibus bonorum
et malorum, GFI, Omero, Iliade. Libro I, Firenze Bemporad, Platone, Dialoghi Convito,
Fedro, Alcibiade I e II, Ipparco, Amanti, Teage, Carmide, Lachete, Liside,
Bari, Laterza, 1934 (II ed. 1945); Il teatro greco: tutte le tragedie, Firenze,
Sansoni); “Eraclito, I frammenti e le testimonianze, Milano, Fondazione Lorenzo
Valla, Arnoldo Mondadori Editore); “Epicuro Giovanni Gentile Tragedia greca. TreccaniEnciclopedie
on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Carlo Diano, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Opere di Carlo Diano, . Carlo
Diano Forma y evento, Madrid, Circulos Bellas Artes (estratto traduz.
spagnola)Brian Duignan, Carlo Diano, Epicureanism, in Enciclopedia Britannica,
Encyclopædia Britannica, Inc. Carlo Diano, nel sito "Il Ramo di
Corallo", di Francesca Diano. Carlo Alberto Diano. Carlo Diano. Diano. Keywords:
il segno della forma, il simposio ovvero dell’amore, Mario l’epicureo –
homosocialite – forma, segno, convite, Orazio, Virgilio, filosofia roma antica.
Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Diano” – The Swimming-Pool Library.
Dionigi (Barletta). Filosofo. Grice: “I like
Dionigi; for one, he wrote on Cratylo, which I love!” – Grice: “In Plato’s
Cratylo there’s possibly all the vocabulary you need to understand Peirce! As
if Plato foreshadows C. W. Morris!” -- “Postmodern Italians like Donigi, and
they created a cocktail in his honour! His philosophising on Socrates
philosophising with Cratilo on semeiosis proves Whiteheads’s dictum that all
pragmatics is footnotes to Grice, and all Grice is footnotes to Plato!” Si laurea
a Barletta. Il suo primo saggio, sotto Althuser, Bachelard. La
"filosofia" come ostacolo epistemologico. Insegna Bologna. Centrale,
nella sua riflessione, e Nietzsche (Il doppio cervello di Nietzsche),
analizzato sia in chiave ermeneutica che logico-filosofica. Anche Bataille e un
lucido bilancio di Marx ("L'uomo e l'architetto”). Il processo di
ripensamento della sinistra italiana lo vide di nuovo impegnarsi in prima
persona. Si accostò poi alla filosofia analitica e alla svolta
"linguistica", vista come approfondimento della critica della
metafisica. Le saggi si concentrano sull'ermeneutica ("Nichilismo
ermeneutico”), sulla semiotica, segnatura, semantica antica (Nomi Forme Cose.
Intorno il “Cratilo” di Platone) e soprattutto sul pensiero di Wittgenstein (Definite
descriptions – descrivere -- La fatica di descrivere. Itinerario di
Wittgenstein nel linguaggio della filosofia), del quale condivideva pienamente
l'esigenza di ripensare il linguaggio (segnatura) come la "cosa
stessa" della filosofia. “Cocktail
Dionigi” e un documentario contenente testimonianze di alcuni dei maggiori
pensatori italiani su Dionigi, tra i quali Berardi, Bonaga, Picardi, Eco, Cacciari,
Marramao. Altre opere: Bachelard. La
"filosofia" come ostacolo epistemologico, Il doppio cervello di
Nietzsche, Bologna, Cappelli Editore, Nomi Forme Cose. Intorno al Cratilo di
Platone, La fatica di descrivere. Itinerario di Wittgenstein nel linguaggio
della filosofia: “Un filosofo tra Platone e il bar” – cf. Speranza, “Grice: un
filosofo tra Aristotele e il pub”. su
ricerca.repubblica, Cocktail Dionigi. The
development of Plato’s “Cratilo”. Commentaries on the Cratilo nella filosofia
romana antica. Cicerone e il Cratilo. Κρατύλος -- Sulla correttezza --
dei nomi. Personaggi: Socrate, Cratilo, Ermogene. Il Cratilo è un dialogo di
Platone. In esso è trattato il problema del linguaggio, o meglio, della “correttezza”
-- dei nomi o espressioni. Protagonisti del dialogo sono Socrate, Ermogene e
Cratilo. La maggior parte dei filosofi concorda sul fatto che venne
scritto principalmente durante il cosiddetto periodo di mezzo di Platone. Incontro
tra Socrate, Ermogene e Cratilo. Formulazione del problema e delle due tesi
sulla ‘correttezza’ – corretto – lo corretto – di una espressione o nome.
Socrate incontra Ermogene e Cratilo, che stanno discutendo attorno al problema
del ‘corretto’di una espressione e viene messo a parte da Ermogene delle teorie
di cui sono sostenitori. Cratilo afferma infatti che una espressione e “per
natura” – physei -- ossia rispecchia realmente il reale; Ermogene crede invece
che l’espressione e non naturale, ma arbitrario (lo naturale, physikos;
l’arbitrario – thetikos --. deciso dall’uso e dalla convenzione.
Confutazione della tesi di Ermogene: Una espressione racchiude in sé qualcosa
della cosa (il reale) a cui si riferisce. Socrate comincia a confutare la tesi
di Ermogene, mostrando che una espressione non e solo convenzioni, ma anzi
rappresentano un qualcosa della cosa o del reale a cui si riferiscono; contiene
cioè una qualche caratteristica che la rende perfetta nell'adattarsi alla cosa
descritta. Lo dimostra il fatto che esistono un discorso vero e un discorso
falso. Poiché l’espressione (A, B) è parte del discorso (A e B, S e P), è
evidente che l’espressione utilizzata nel discorso vero deve essere ‘corretta’.
Quella usata nel discorso falso non lo e. Colui che ha deciso l’espressione, il
legislatore, uomo sapiente (the master) ha infatti rivolto la sua attenzione
all' ‘idea’ o concetto (implicatum) dell’espressione, adattandolo poi a questa
o quella necessità descrittiva, adoperando sillabe e lettere differenti. Il legislatore
crea una espressione solo corretta, basandosi proprio sulla natura della cosa,
del reale. Ha qui inizio una sezione etimologica. Vengono presi in
considerazione l’espressione di dèi come “Tantalo” e “Giove” e viene
parallelamente sviluppato un eguale ragionamento sull’espressione delle qualità
dell'uomo, come l' “anima” o il “corpo”. In seguito si passa ad analizzare il
‘corretto” dell’espresione degli astri, dei fenomeni naturali. Il ragionamento
si dilunga sulle qualità morali dell'uomo. Il corretto di una espressione
si misura in base al corretto degli elementi che lo compongono, le fonemi Dopo
questa disquisizione Socrate spiega ad Ermogene che l’espressione fino ad
adesso analizzato e una espressione composta (complexus). Questa caratteristica di essere un compost
(complexus) la rende suscettibili di un'ulteriore indagine: quella degli
elementi che lo compongono, come le fonemi. Le fonemi, o, più in generale,
l’elemento morfo-sintattico che forma l’espressione (“Fido is hairy-coated”,
Fido was hairy coated, Fido and Rex ARE hairy coated – l’espressione, deve infatti
riprodurre l'essenza della cosa, del reale, giacché è al reale che si riferisce.
Inizia qui l'analisi di alcune fonemi come rho e lambda. Cratilo si oppone a
questa tesi di Socrate. Sostiene che una espressione è sempre giusta, corretta,
propria, vera, perché è della stessa natura delle cose che descrive. Una sbagliatura
non è una espressione. Socrate comincia a confutare la tesi di Cratilo. Non è
possibile infatti dire che l’espressione e il reale a cui si riferisce siano la
stessa cosa. L’espressione “Fido is hairy coated” e il fatto che Fido is hairy
coated e proprio hanno qualcosa in comune, così come un ritratto di Alcebiade
racchiude qualcosa d’Alcebiade che reproduce. Tuttavia non sono due cose
uguali. Se si ammette questo fatto (e Cratilo, seppur poco convinto, lo fa)
bisogna allora ammettere anche che esistono sbagliatura e l’espressione
corretta, vera, giusta. Del resto un ritrattista può nelle intenzioni riprodurre
Alcebiade e poi essere dissimile. Cratilo contesta ancora a Socrate il
problema della conoscenza tramite il linguaggio. Se l’uomo conosce e apprende il
reale attraverso l’espressione, è evidente che non potrebbe esistere nessuna
conoscenza se l’espressione non fosse corretta, vera, giusta, propira, cioè se
l’espressione non fossero della stessa natura delle cose. Socrate sostiene
allora che un legislatore, all’adopere una espressione, non è detto che avesse
un'opinione giusta corretta vera del reale. Il legislatore infatti non poté
apprendere attraverso l’espressione, perché ancora non era stata inventata (cf.
muon). È possibile allora che abbia fatto dell’errore e ciò è dimostrato dal
fatto che una espressione puo non essere corretta, giusta, vera – atomo, anima,
ecc. Esiste un modo migliore per conoscere: non attraverso l’espressione, ma
attraverso il reale; solo il reale puo non essere contraddetto, mentre
l’espressione si presta a molteplici interpretazioni. La possibilità di una
conoscenza (opinione vera e giustificata) e del corretto dell’espressione
risiede nella stabilità del reale. Poiché la natura è stabile, e rimane sempre
uguale, allora è possibile denominarla con precisione. Cratilo si mostra
poco convinto e alla fine si allontana da Socrate insieme ad Ermogene. Ermogene
simboleggia la concezione sofistica del linguaggio. Per il sofista, a partire
dal italico Protagora, se “l'uomo è misura di tutte le cose”, ogni tipo di
espressione si adatta a seconda delle condizioni poste dall'uso. L’espressione
“Fido is hairy-coated” è puramente arbitraria – convenzionale. E possibile che
non c'è nulla in comune tra una espressione ed il reale (traspassa la fase
iconica). Tuttavia l'uso comune fra il mittente e il recettore ha permesso
quest'accettazione (arbitraria da parte del mittente) e si reputa ‘corretto’
spiegare che Fido è ‘hairy-coated (shaggy)’. Tuttavia ugualmente bene andrebbe
l’espressione "scoiattolo" o "cicala" giacché non sussiste
nessuna somiglianza tra l’espressione (“shaggy”) e il reale
(hairy-coatedness). Cratilo simboleggia invece la concezione naturale
(pre-iconica) della communicazione. Esiste un'assoluta identità tra espressione
e espressum, explicatura ed explicatum, implicatura ed implicatum, profferenza
e profferito. L’espressione è vera sempre, perché racchiude in sé la stessa natura
che pervade il reale segnato per il segno che e primariamente iconico. Ogni
espressione è un “indizio” (index, traccia, segnale) di conoscenza, di una
conoscenza meravigliosa, divina, quasi sacrale. Il segno è giusto perché il
primo legislatore a segnare il segnato fu come un dèo che, essendo perfetto,
assegna un segno (fa un segno – significa) perfetti al segnato. Una sbagliatura
non e un segno; Non tutto e un segno -- . Platone fonda la sua concezione
della communicazione sull'ontologia. Per Platone è immediatamente evidente che
esista un segnato al di fuori del segno; è il segnato stesso a cui il segno si
riferisce. Bisogna infatti che esista un segnato perché esista una segnabilita.
Senza questo segnato, senza quest'essenza, rimarrebbe inutile segnare, giacché
non si dovrebbe indicare “nulla” con il segno, perché non ci sarebbe nulla da
indicare. Platone allora comincia dal Cratilo ad elaborare una teoria dell’idea
immutabile: di un'essenza stabile nella natura, che rimanga uguale ed
inalterata nel tempo e che renda valida la segnabilità. Più volte Platone fa
riferimento alla figura del legislatore e a quella del dialettico. La figura
del legislatore è la figura di colui che adopera il segno per riferirsi al
segnato. Si utilizza il termine legislatore in senso molto ampio, intendendolo
sia come uomo sia come divinità, secondo la concezione naturalistica di
Cratilo. Tuttavia si è visto come Socrate alla fine dubiti della infallibilità
del legislatore, poiché egli ha assegnato anche un segno errato. La figura del
dialettico rappresenta invece la nuova concezione del linguaggio elaborata da
Socrate. Secondo Cratilo non esiste altra conoscenza al di fuori del segno.
Platone invece è convinto che la vera conoscenza sia al di là del segno,
nell'essenza stessa del segnato. Se il legislatore è colui che crea il segno
sulla sua opinione riferendosi alla natura del segnato, il dialettico conosce
il segnato e in maniera approfondita e, di conseguenza, sa quale segno attribuire
al segnato (H2O). Tale segno (H20) sarà per forza corretto. Genette,
nell'opera Mimologie. Viaggio in Cratilia, parte dal discorso di Platone per
argomentare l'idea di arbitrarietà del segno. Secondo questa tesi, sostenuta da
Grice con il suo “Deutero-Esperanto” e il nuovo “High-Way Code”, il
collegamento tra il segno e il segnato non ha necessita di essere naturale (“A
segna che p” no implica “p”). Le idee sviluppate nel Cratilo, benché datate,
storicamente sono state un importante punto di riferimento nello sviluppo della
prammatica. Sulla base del Cratilo Licata ha ricostruito, nel saggio Teoria
platonica del linguaggio. Prospettive sul concetto di verità (Il Melangolo), la
concezione platonica della semantica, in base alla quale il segno avrebbero un
legame naturale, una fondatezza essenziale, col loro segnatum. Sedley,
Plato's Cratylus, Cambridge. Bibliografia ̈ Ademollo, ‘The Cratylus of Plato. A
Commentary’, Cambridge.. Gaetano Licata, Teoria platonica del linguaggio.
Prospettive sul concetto di verità, Genova: Il Melangolo, Luigi Speranza,
“Platone e il problema del linguaggio” seminario. Lettura e commentario di
testi di filosofia antica. testo completo in italiano e lingua greco antico. Traduzione
integrale del Cratilo su filosofico.net, su intratext.com. Il testo greco
presso il Perseus Project, su perseus.tufts.edu. Sedley, Plato's Cratylus, in Zalta
(a cura di), Stanford Encyclopedia of Philosophy, Center for the Study of
Language and Information (CSLI), Università di Stanford. Bibliografia su Cratilo.
Dialoghi di Platone I tetralogia Eutifrone Apologia di Socrate · Critone ·
FedonePlato-raphael.jpg II tetralogiaCratilo · Teeteto · Sofista · Politico III
tetralogia Parmenide Filebo Simposio (o Convivio) Fedro IV tetralogia Alcibiade
primo · Alcibiade secondo Ipparco Amanti V tetralogiaTeage · Carmide · Lachete
· Liside VI tetralogia Eutidemo Protagora Gorgia Menone VII tetralogia Ippia maggiore
Ippia minore Ione Menesseno VIII tetralogia Clitofonte La Repubblica Timeo Crizia
IX tetralogia Minosse · Leggi · Epinomide · Lettere Opere spurie Definizioni
Sulla giustizia Sulla virtù Demodoco Sisifo Erissia Assioco AlcioneEpigrammi. Linguistica
Categorie: Opere letterarie in greco antico Dialoghi platonici Opere letterarie
del IV secolo a.C. CRÀTYLVS PLATONIS,
VEL DE RECTA NOMINVM RATIONE: TRANSLATVS Ficino Florentino, ad Petrum Medicem
uirum clariſſimum. A MARSILIO ec HERMOGENES. CRATYLVS, SOCRATES. Is igitur
sermonem nostrū et cum hoc Socrate conferamus: CRAT. Vo : Io equidem, si tibi
uidetur. HER. Cratylus hic ô Socrates, rebus singulis ait natura inesse rectam
nominis rationem, neqid esse nomen, quod quidã ex constitutione vocant, dum
vocis suæ particulam quandā pronunciat, sed rectam rationem aliquam nominū
& græcis et barbaris eandé omnibus innatam. Percontor itags ipsum, num
revera Cratylus sit eius nomen. Ipfe fatetur. Socrati vero quod nomen, inquam
:Socratesait.Nónne cæteris omnibus,inquã ,id eft nomen quo quenquocamus.Illenõ
tibi tamen ait Hermogenes nomen eſt,nec etiã ſi omnes homines teita uocarint.
Dumýobfecro ut ſciſcitanti mihi quidnamdicat aperiat, nihil prorſus declarat, sed
me ludens, simulatſeſe aliquid uerſareanimo,quali nõnihil hac de re
intelligat,quod li uellet exprimere,cogeret meidipfumfateri,eadēý dicere quæ
ipſe dicit. Quamobrem libenter ex te audirem , siqua ratione Cratyli uaticiniâ
potes conījce se.libentius tamen fencentiam tuam denominum rectitudine,fiquidem
tibiplacet,audi rem.soc.Hipponici fili Hermogenes,ueteriprouerbio fertur.
Pulchra eſſe cognitü Prouerbia e difficilia.Atquiilla nominū notitia haud parua
res eft.Equidem ſi ex Prodico illa quin quaginta drachmarum demonſtrationě iam
olim audiffem , in cuius traditione etiã hæc inerant,ut ipſeteſtatur, nihil
prohiberet quin tu ſtatim nominū rectitudiné intelligeres. cam porrò nun
audiui, fed illamdrachmæunius duntaxat. Quare quid in his uerû ſit, neſcio
,inueftigare autem tecum ſimul &cum Cratylo paratus ſum .Quodautem dicit ti
bi noneſſe reuera nomen Hermogenes,quod à lucro dicitur, mordetteputo quaſi
pecu niarum auidus ſis , & impos uoti. Verum ,ut modo dicebam, diſficilia
hæc cognicu ſunt. Oportet autem rationes utring in medium adducendo perquirere,utrum
ita sit ut dicis ipse, an potius ut Cratylus ait. HER.Enimuero ô Socrates,licet
frequenter cum hoc cær terisc permultis iam diſputauerim ,nondum tamen
perſuaderimihi poteft aliã eſſe no minisrectitudinem , conuentionemipfam
conſenlionemě.Mihi quidē uidetur quod cungnomen quis cuig imponit,id
eſſerectů.Acſi rurſus comutat,aliudó imponit, ni hilominus o primum , quod illi
ſuccedit nomen rectấexiſtere, quemadmodüſeruis no mina cómutare solemus: nulli
quippe rei natura nomē ineſſe,fed lege &uſu illorum qui fic uocare
conſueuerunt.Quod quidem ſi aliter ſe habet,paratus ſum non à Cratylo tan tum
,uerumetiã àquouis alio diſcere ac audire.soc.Forte'aliquid dicis Hermogenes:
Conſideremusitap.quodcũq imponit quis cuinomen uocato , id illi nomen effe af
feris:HER .Mihi ſane'ita uidetur. Soc.Et ſiue priuatus uocet, ſiue civitas. HER.
Affero . soc. Quid vero si ipſerem aliqua vocem, veluti fi quem nunc hominem vocamus
, ego “equum” nominē, quem'ue equum , hominē: publice quidem erit eidē homo
nomen, pricatim “equus”, &priuatim rurſus homo, publice “equus”. Ita
loqueris: HER .Ita uider.soc. Diciterum num aliquid nuncupes vera loqui, aliquid
loquifalſa .HER. Equidem . Soc. Nónne illa quidem uera erit orario,hæcaūtoratio
falſa : HER.Ita prorſus. So c.Illa uero Quæ oratio oratio quæ existentia dicit
ut exiſtűt, vera est ,quæ ut no exiſtűt, falsa: HER.Certe. soc. uera, quæ Est
autem hoc,oratione,ea quæ ſunt, & quæ non ſunt,dicere?HER.Idipfum .soc.
Ora- falfa cio quæ uera eſt,utrum tota quidem eft uera,partes non uerærher.Imò&partes
ueræ . soc. Vtrữ partes magnæ ueræ ,exiguæ uero particulæ fallæ ,an ueræ ſunt
omnes. HER. Omnes arbitror.soc.Habes orationispartem aliquã minorēnominer
HER.Nequaç , Orationis hęceſ pars minima.so c.Etnomen quidē hoc pars orationis
ueræ.H ER.Proculdubio. pars minio soc.Pars utiq uera,utais
ipſe.HER.Vera.soc.Pars autem falfa.HER.Aio. soc. Licet ma eſt nos ergonomen
uerű , & nomen falſum dicere, fiquidē & orationem.HER. Quid prohibet,
men soc. Quod quis cuiq nomen esse ait,id & cuiq; nomen eft ? HER. Idipſum
. soc. An etiam quotcungquis nomina cuique tribuit,totidem erunt:ac etiam
quandocuno tri buit HERM. Haud equidem habeo Socrates, aliquam præter hanc
nominis rectitudinem am rerum ipſas effe dinens,utuidelicetliceatmihi quidē
alio rem uocare quodipfe impoſuinomine,tibiay tem alio quod tuimpoſuifti. Ita
equidem in ciuitatibus uideo eorundem ppria quædam haberinomina, & Græcis
ad alios Græcos,& Græcis ad Barbaros. soc. Animaduerta. musHermogenes,utrum
resipilaita se habere tibiuideantur, utpropria rerum apudu Sententia numquenq
effentia fit, quemadmodum Protagoras tradidit: rerum omnium dicens ho Protagoræ
minem effemenſuram , ita ut qualiamihiquæq uidentur,talia & mihiſint: item
qualiad circa eflenti big& tibi talia. An potius quædam eſſe putes, quæ effentiæ
ſuæ quandã habeant firmita rém.HER.QuandogóSocrates,dubitansad hæc deductusfum
, quæ tradit Protagoras. Ita tamen effe haud fatis mihi perſuadeo.soc. Nunquid
& ad hoc aliquando es dedu ctus, ut tibinequaquam uideretur aliquem eſſe
hominem omnino malum : her . Non per louem.imò fæpenumero ita fum
affectus,utexiſtimarem hominesnonnullosomni nomalos effe, & quidem
plurimos.soc. Prorſus autem boninulliadhuc cibi ufi funt HER. Admodum pauci.
soc. Viſi ergo ſunt aliqui.HER. Aliqui.soc. Quaratione hociudicaschac ne omnino
quidem bonos eſſe,omnino prudêtes: prorſus vero prauos imprudentes omnino:
HER.Mihi fane'ita uidetur.soc. Si Protagoras uera dixit, eſto hæcipfa
ueritas,ut qualia quæą cuiq uidentur,talia ſint fieri'ne poteft,ut alij hominum
prudentes ſint,imprudentes alí :HER.Nequaquam.soc.Atqui hæc, ut arbitror,tibi
omnino uidentur,cum uidelicet prudentia quædam & imprudentia fic,Protagorā
baud omnino uera loquipoffe.Neqenim alter altero reuera prudētiorerit,fi
quæcuiquiden Sententia tur,cui uera erunt.HER.Ita eft.Atneqz
Euthydemoaffentiris, utarbitror,dicenti om Euthydemi, nia omnibus eſſe
ſimiliter ac ſemper.Nec enim ali boni,alí mali effent,fiſemper & æ
nibuselle û que omnibus & uirtus ineffet & prauitas. HER. Vera
loqueris. soc. Ergo fineqom . militer, ac nia omnibus inſunt ſemper ato
ſimiliter,ne cuiq proprium unumquodq , cõſtat res femper quæ effentiam quandam
firmam in fe habent,ne® quo ad nosneæ ànobis per imaginationem ſurſum deorfumą
diſtractæ , fed fecundum feipras quoad ipfarum elfen tiam utnatura inftitutæ
ſunt permanentes.HER. Idem mihi quoq uidetur Ô Socrates. soc.Vtrum res ipfæ ita
natura conſiſtunt,actiones autem illarum non ita,ſed aliter: an & actiones
ipfæ fimiliter quædam rerum fpecies ſunt:HER.Et ipfæ omnino. soc. Er go actiones
ipfæ fecundum naturam ſuam ,non ſecundum opinionem noftram fiunt. Quemadmodum
finosrem quampiam diuidere ftatuamus,utrum ſic diuidēdares quæ que eft,utnos
uolumus, & quo uolumus: an potius ſi unumquodqs diuidamus ſecun dum naturam
qua diuidere & diuidioportet, item eo quo ſecundum naturam diuiſio fieri
debet,diuidemus utiqrecte, & aliquid proficiemus,ac recte iftud agemus:
Sinau tem præternaturam ,aberrabimus,nihilg proficiemus? HER. Mihi quidem ita
uidetur. soc.Atqueetiam ſicomburere aliquid aggrediamur,non fecundum omnem
opinio nem comburereoporter,fed fecundum opinionem rectam . hæc autem eſt qua
ratione naturaliter quode comburi debet atæ comburere,& quo debet. HER.
Vera hæcfunt. soc.Nónne eadem decæteris ratio : HER . Eadem .Soc. Annon &
dicere una quæ dam operationữeſt: HER.Eft plane.soc.Vtrum rectedicet, qui ut
ſibi dicendum ui detur, ita dicitran potius qui ita dicit,utipſa rerum natura
dicere diciç requiritiet fi quo natura exigit,eo & dicat,aliquid dicendo
proficiet:ſin aliter,aberrabic:nihilós efficier. HER.Ita equidem
utais,exiſtimo.soc.An non dicendipars quædam est nominare: & quinominant, loquuntur
quodamodo? HER.Omnino.soc. Etnominareactio quæ dam eft: quandoquidem &
dicereactio quædam circa res eft. HER . Prorſus. soc.A. Ationes autem nobis apparuerunthaud
ad nos reſpicere,fed propriam quandam ſui ha bere naturam. Her. Est ita.so
c.Nominandű itaq; ea ratione qua rerum ipſarum natu . ra
nominareacnominaripoftulat,& quopoftulat,nõ autem pro noftræ uoluntatis
arbi trio ,liftandum eſt in his quæ dicta ſunt. HER. Sic eſt.s o c.Ato ita
aliquid peragemus, nominabimusý ,aliter uero nequaquam . HER. Apparet. soc.
Quod incidendum eſt, aliquo incidendű.HER. Aliquo.soc. Etquod texendữ, aliquo
certe texendű, quodue perforandum ,aliquo perforandū.HER.Plane.so c.ltem quod
nominandũ,aliquono minandum.HER.Sic oportet.soc. Quid illud ,quo aliquid
perforareoportet? HER. Terebrum.soc.Quid quo texere: HER . Radius pecteng. soc.
Quid quo nomina. Reč HER.Nomen.soc.Beneloqueris,ideog inſtrumentum aliquod
nomen eft.HERErt Eft.soc.Siquærerē quod inſtrumentū eſt radiuspectený
,reſponderes quo teximus: HER.Non aliud.soc.Texentes uero quid facimus, an non
fubtegmen & ſtamina con fuſa ,radio diſcernimus. HER.Iſtuc ipſum.so c.Idem
de terebro ac cęteris reſpondebis: HER. Idem .soc.Potes & circa nomen
ſimiliter declarare, quid facimusdum nomine Nomen, res ipfo quod inſtrumentū
eſt,aliquid nominamus. HER.Nequeo.so c.Nűquid docemus tias docen's inuicem
aliquid ,acres ut ſunt diſcernimus. HER .Nempe. soc. Nomen itaqrerű ſub di
diſcernen Itantiasdocendidiſcernendig inſtrumentū eſt ,ficutpecten & radius
ipſe telę.HER.Sic diğinftru eft dicendű.soc.Radiusporrò textorių eſt
inſtrumentū.HER. Quid nir'sOCR.Texcor mentum icaç radio ac pectinerecte
uterur,recte,inquā,ſecundű texendirationē.Ille uero quido cet,nomine utetur,
& recte,recte uidelicet ſecundű docendipropriâ rationē: HER. Cer te.soc.
Cuius artificisoperebene uteturtextor,quando radio pectineś utetur: HER. Fabrilignari.
soc.Quiſque'nelignarius faber,an potius quiartē habet? HER.Quiha .
betartē.soc.Cuius item opere recte perforator utetur? HER.Aerarijfabri.soc. Num
quiſqz eſt faberærariusè an potius quihabet artem: HER .Quiartē. soc.
Ageergo,dic cuius opere ipſe doctorutatur,quotiesnomine uticur.HER .Neſcio.soc.
Allignare & hocneſcis: quis nobis traditnomina quibus utimur.Her.Ignoro
& hoc.soc. Nónne lex tibiuidet nobis nominaſtatuiſſe HER. Videtur. soc.
Ergo legislatoris utet opere doctor,quádo nomineipfoutetur.HER.Opinor.soc.
Códitor legis quilibettibiæque uidetur,an quiarte eſtpræditus.HER.Arte
præditus.soc. Quarenö cuiuſcunq uiri eſt Hermogenesnomen imponere,uerũ cuiuſdam
nominữautoris. hic autem etiam , ut ui detur,nominữ inſtitutor ,
quirarioromniartifice interhominesreperit.HER.Apparet. Soc. Animaduerte obſecro
, quô reſpiciens nominü inſtitutor,nomina rebus imponit: imòſuperiorű exempla
dýjudica,quò reſpiciens faber radium pecteng cõficit.nonnead tale aliquid quodad
texendum natura fit aptum: HER.Prorſus. soc. Siin ipſo operera dius hic
frangatur, utrum alium iterű fabricabit ad fracti iſtius imaginēžan potius ad
ſpe ciem ipfam reſpiciet, ad cuius exemplar radium qui fractus eſt,fecerat: HER
. Adipſam ut arbitror, speciem .soc. Nónneſpeciem ipfam merito ipſius radij
rationé,ipſum pra dium maximenominabimus: HER.Opinor.soc. Siquãdo oportet
cõficiendæ ueſtite nuiuelcraſſiori lineęſiue laneę,ſiue cuiuis alteriradiữ
apparare, radios singulosoportet ſpeciem radīj ipſius habere:qualis uero
cuiqznaturaliter eſt accómodatiſſimus,talem ad opus peragendű ,ut natura poftulat,adhibere.HER.Oportet
ſané.soc.Eadem de cætè ris inſtrumétis eftratio .Nam quod natura cui &
congruit; instrumentũadinueniendum eſt,atq id illiattribuendű,ex quo efficitno
qualecunq uult quifabricat, ſed quale natu ra ipſa exigit. Terebrum nam cuiæ
accommodatum ſcire oportetin ferro perficere. HER. Patet. soc. Radium quinetiam
singulis competentem in ligno. Her. Vera hæc ſunt.soc.Quippeipfa rationenature
alius radius telæ alteri competit, & in alijs eodem modo.HER. Sane. soc.
Oportet quoguir optime, ucillenominum inftitutor nomen Quomố no natura rebus
ſingulis aptű in uocibus & fyllabis exprimat, ad idý reſpiciés quod ipſum
minabit qui nomen eſt, ſingula nomina fingat,atque attribuat, li reuera nominum
autor eſt futurus. recte nomi Quod ſinonñſdem ſyllabis quiſq nominum
conditornomen exprimit,animaduerten dum eſt, quod neq fabriomnesærarñ eodem in
ferro id faciunt, quoties eiuſdem gratia idem fabricant inftrumentum. Verum
quatenus eandem ideam attribuunt, licet in alio , & alio ferro ,eatenus
recte ſe habet inſtrumentum ,ſiuehic,fiue apud Barbaros fabricēt. Nónne;
HER.Maxime. soc.Nónne & eodem modo cenſebis,donec inſtitutor no minum
quiapud nos eſt, & qui apud Barbaros, nominis speciem cuim cõpetentem tria
buunt,in quibuslibet fyllabis nihilo deteriorem efle unű altero in nominibus
imponena dis: HER. Equidem. SOCR. Quis cogniturus eſt utrum conueniens radij species
cui cunqueligno fitimpreſſar num faber qui efficit: an textor uſurus. HER .
Probabile eft ô Socrates,magis eữ quieſt uſurus, cognoſcere.soc. Quis lyræ fabricatoris
opereuti tur:nonne ille qui fabricantem inſtruere poteft, & opus recte'ne
an cótra factâ fit,iudia care: HER. Omnino.soc.Quis ergo:
HER.Cithariſta.soc.Quis autem opere ſtructo . ris nauiữ.
HER.Gubernator.soc.Quis item nominữ conditoris operioptime præſides, bit, &
expletû dijudicabit & apud Græcos & apud Barbaros: Nónne & quiuteſ:
HER. Is certe.so c.Annõ is eſt qui interrogare ſçitç HER . Iſte. $ 0 c.Idem
quog reſpondere, HER nabic zi HER. Nempe. $ o c. Eum uero qui interrogare ſcit ato
reſpondere,aliumuocas i diale Dialecticus nouit recte cticum : HER.Dialecticum
profecto.socr. Fabri ita opuseſt temonem facere guber impofita no natore
præcipiente,li bonus futuruseſt temo. HER. Apparet. soc. Nominum quoq au
minarebus torisnomen, monentedialectico uiro, ſi modo recte ponenda ſunt
nomina. HER. Vera ſint, necne hæc funt. Soc. Apparet ergo Hermogenes haud leue
quiddam ,utipfecenſes,nominis impoſitionem eſſe,neæ id effe imperitorum
&quorumuis hominum opus.NempeCra tylus uėra loquitur,cum nomina dicit
natura rebus competere,neg unum quemuis eſſa nominum autorem, sed illum
duntaxat quiad nomen reſpicit, quod natura cuiq conue. nit, pofteag ſpeciem eâ
literis ſyllabisq inſerere. Her. Neſcio Socrates qua ratione his quæ
dixiſti,lit repugnandã:forte'uero non facile eſt ſubito fic perſuaderi. Videor
autem mihi hâc in modumtibi potius aſſenſurus,fi oftenderis quam dicaseſſe
natura rectano. minis rationem . soc. Equidem ô beate Hermogenes,adhucnullam
dico , ferme'nama è memoria excidic quod dixerā suprà, meuidelicet
hocignorare,uerum una tecum per quirere. Nunc aucem mihi &tibi limul
inueftigantibus hoc duntaxat præter ſuperiora compertõeſt, rectitudinem aliquã
natura nomen habere , nec quemlibetpoffenomen rebus accommodare.Nónne:
her.Valde.soc.Conſiderandum reſtat, ſi noſſe deſide. ras, quænã ipſius ſit
nominis rectitudo,id eftratio recta. Her. Deſidero equidem .soc. Animaduerte
igitur. HER. Quauia inueſtigandâmones. soc. Rectissima estô amice, consideratio,ab
his qui ſciūt hæc perquirere,oblatis pecunis, & gratöjs inſuper actis:hi
uero ſophiſtæ ſunt, quibus frater tuus Callias multis erogatis pecunijs, ſapiês
euafiffe ui detur.Poftquam uero in res paternas iusnon habes,reliquũ eſt
fratrem ſupplex ores, ut te doceatnominârectitudinem quam à Protagora didicit.
HER.Quàm abſurda hæcel Veritas no, ſet petitio Socrates, fi cum illam Protagoræ
ueritatem nullomodo recipiã ,ea quæ ex uc men ſcripci,ritate illa
dicuntur,alicuius precí æſtimarē.soc.Acuero ſi tibi hæc non placent,ab Ho aut
ironicũ mero cæterisý poetis est diſcendum . HER. Quid de nominibus, & ubi
Homerus ô Socrates,tradic:so c.Paſimmulta, maximauero & pulcherrimaſuntilla
,in quibus diftin guitcirca eadem quæ nomina homines, &quæ dö ipfi
inducunt. Annoncenfes ipſum in his magnificum alíquid & mirandumde recta
ratione nominữ tradere: Constat enim deos nominibus illis ad rectitudinem ipfam
uti, quæ natura conſiſtunt. Annon putas: HER. Certe equidem fcio ,fiqua dij
uocant,recte eos admodum nominare. Verum quæ nam ista: Soc. An ignoras quod de Troiano
flumine, quod ſingulari certamine ca Vul cano pugnauit, inquit: quod Xanthứdijuocant,
uiriScamandrum.HER.Scio. SOCR. Annoncenſes magnificum quiddam cognitu
eſſehoc,qua ratione rectius fit flumen il lud Xanthű, quam Scamandrâ nominare. Item
fi uis, animaduerte &iftud, quod auem eandem dicit Chalcidem quidêa dřs,
Cymindin uero ab hominibus nominari. Leuem cognitionem hanc putas,ut fciat
quanto rectius fit eandem auem Chalcidem quam Cy mindin nuncupare, uel Batieam
aros Myrinen , alias permulta &apud huncpoetam &apud alios talia: Verum
iſtarữrerum inuentio acutius ingenium quam noſtrũ exigit. Scamandrius autē
&Altyanax quid ſignificent,humano ingenio, utmihiuidetur, com
prehendi,facile & percipi poteſt,quam rectitudinem eſſeHomerusuelit in his
nomini bus quibus Hectoris filium nuncupat. Scis ea carmina quibusinfunt,quæ
dico: HER. Omnino.soc. Vcrum iſtorum nominâ putasHomerum exiſtimaſſe conuenire
magis puero, Aſtyanacta'ne,an Scamandriã: HER. Ignoro. soc. Sicautem
conſidera:liquis te interrogaret, utrữ putes fapientiores rectius nomina rebus
imponere, an minus ſapien. tes,reſponderes ucią ſapientiores.HER. Sic certe.soc.Vtrũmulieresin
urbibus sapientiores eſſe tibi uidenč, an uiri : quantı ad genus attinet. HER.
Viri.so c.Neſcisquod in quit Homerus, Hectoris filium a Troianis Altyanacta,a
mulieribus Scamandriū nuncu patum : quandoquidem uiri illum Aſtynacta uocare
conſueuerűt. Her . Videtur, soc. Nónne Homerus Troianos uiros fapientiores,
quam mulieres eorũ exiſtimauit: HER . Arbitror equidem. SOCR. Aſtyanacta igiturrectius
quàm Scamandrium nominatum - esse cenſuit, HER .Apparet.SOCR.
Animaduertamusquam ipſe denominationishuius cauſam affert, Solus enim, inquit,
ciuitatem ipſis cutatus eſt amplas mænia . Quapro prer decet, ut uidetur,protectoris
filium nominare &svavaxta, id est regem urbis, urbis, inč ,eius, quam pater
ipſiusſeruauit;ut inquit Homerus. HER. Idem mihi quocuider : Soc.Quod aức hoc
maxime;porrò &ipfe nondum fatisintelligo, ô Hermogenes. Tu vero percipis:
HER. Nõ perlouem.soc.Arqui & Hectori ó boneuir,nomen ipfeHo meras impoſuit.
HER. Quamobrem : soc.Quoniã mihi uidet id nomen Hector Aſtya
sactieſſequamproximum : ferme'enim idemſignificant, putanta Græciutraq hæcno
mina regiaeffe. Cuiuſcunæ enim quis avaş, id eſt rex extitit,eiufdem eft &
fxTue,id eſt poſtelfor.Conftat enim dominari illi,pofliderecſ , & habere.An
forte'nihil tibidicere ui deor meg fallit opinio, quaHomeriſcientiam circa
nominum rectitudinem, ceu per ue ftigia quædam attingere cöfidebam : HER.Nullo
modo, ut arbitror. forte enim nonni hil actingis. SocR .Decet,utmihiuidetur,
leonis filiū leonem ſimiliter nominare, equi filium equum haud certe dico,
liquid tanquammonſtrum exequo nafcatur aliud quid dam quám equus:fed cuius
generis ſecundum naturam eſt quod naſcitur, hoc dico.Sies nim bouis fecundum
naturam filius equũ gignit,non uitulus qui naſcit, ſed pullus equi nus eſt
nuncupándus.Et fi equus præter naturam gignit úitulum ,non pullus equinus di
cendus eſt hic ,fed uitulus. Neqetiam ſi ex homine alia proles quam humana
producit , quodnaſciturhomo uocari debet.Idemg eſt dearboribus,dešcæteris
omnib. iudican dum.Probas hæc: HER.Probo equidem.soc.Obſerua me nequid
defraudem . Eadem quippe ratione,fiquis exrege naſcitur, rex eſt nominandus: in
alíis uero & alíjs ſyllabis idemlignificari,nihil intereſt, neck referc
ſiue addatur litera aliqua,ſiue etiã ſubtrahatur, donec eſſentia reiſignificatæ
in ipſo nomine dominacur.HER. Qui iſtucais:'soc. Nihil mirum nouum'ue dico,
uerű ita ut in elementis fieri cernis, ſcis enim quod elementora nomina dicimus,ipfa
uero elementa nequaç, quacuor duntaxat exceptis.dicimus enim &utonów, o
fixpou & whéya. Cæteris autem tam uocalibus quam non uocalibus alias
addentes liceras ,ut Båtte 4.7.c. nomina conſtituimus,atq;ita proferimus. Verum
quo uſg elementi ipſius uim declarată inſerimus, conuenit nomen illud uocare
ipſum quod nobis fignificet elementum , ut in Bizu apparet, ubi additis 8.
7.éc, nihil obftitit quin in tegro nomine natura elementiilliusoſtenderetur,
cuiusnominum autor uoluit:uſquea deo ſcite literisnominadedit. Her. Vera mihi
loqui uideris.soc.Nónne eadē derege ratio erit : Erit ex regerex , ex
bonobonus, ex pulchro pulcher, &in cæteris omnibus fimiliter ex quolibet
genere alterữ quiddam tale,niſi monſtrữ fiat, eademq dicendano : mina.Variare
autem licet per fyllabas,ut uideantur homini rudi,quæ ſunteadem ,eſſe di Gería.
quemadmodữ pharmaca medicorũ coloribus &odoribusuariata ſæpe cã eadem
fint,nobis diuerſa uidentur : Medico aūt uim pharmacorũ conſideranti eadem
iudican tur ,neß eum additamēta perturbant. Similiter forte qui eſt in
nominibus eruditus, uim illorum conſiderat,neq; eius turbaſiudicium, liqua
litera addita eſt, uel tranſmutata,uel dempta, uelin alijs literisac multis
eadē uis nominisreperitur.Vteanomina quæ fuprà diximus, Altyanax &Hector,
liceras omnino diuerſas,præter folum habent, idem ta menſignificant. Item quod
&exémolis, id eſt,princeps ciuitatis dicitur, quam literarum communionẽ cum
duobus ſuperioribushabet: Idem nihilominus infert. Multaq; ſunt alia, quæ nihil
aliud quam regem ſignificant. Multa præterea ſunt, quæ exercitus du cem
ſignificant,ut čys, worém cedoOMG , .Alia item quæ medicinæ profefforem
declarant,ut ictportas, a xecik @ poro. Aliaó permulta reperiri
poflunt,fyllabis & literis diſcordantia, ui autem fignificationis penitus conſonantia.
Sic ne & ipſe putas, an alia ter : HER. Sic certe.SOCR. His profecto quæ
fecundum naturam fiunt, eadem tribu enda ſuntnomina.HER. Omnino. SOCR. Quoties
uero præter naturam hominesali quifiunt in quadam fpecie monftri , uelut quum
ex bono pioq uiroimpius generatur, quigenitus eft,non genitoris nomen ſortiri
debet, ſed eius in quo ipfe eft generis:quem admodum ſuprà diximus,ſi
equusbouisprolem generet,non equum eiusfilium ,fedbo uem denominandum .HER.
Siceſt. Socr. Homini igitur impio ex pio genito, non pa rentis, sed generis
nomen attribuendum . HER . Vera hæc ſunt.soc.Neque igitur6tocosia Agy , id eft
Deiamicum, nex uygoitzoy, id eſt Dei memorem, uel talem aliquem huiuſmo
diuocarefilium talem decet, Ted cótraria ſignificantibus nominibus appellare,
ſi modo recte nomina inſtituta effe debent.HER. Sic prorſusagendum ô Socrates.
soc. Profe dio Oreſtinomen recte,o Hermogenes,uidetur impoſitum , fiue aliqua
ſors illi nomen dedit, liue poeta quidā, ferinam cius naturã agreſtē
&moncanã nomine eo ſignificās. HER.Sic apparet,Socrates.soc. Viderur
&patri eius ſecundum naturam nomen esse. HER. Apparet.soc. Apparet utiq
talis efTe Agamemnon,utſibi laborandũcenſeat,to lerandumý, &in ijs
quædecreuit,per uirtutem perfeuerandã.Argumentũuerotoleran tiæ ſuæ apud Troiam
tanto cum exercitu perduratio prębuit. Quod igitur mirabilisper feuerantia uir
hic fuerit, nomen ſignificai Agamemnon , quali ayasos 967 oli ümrovlu . Fortè
uero & Atreusrecte eft nominatus.Nexenim Chryfippi, & crudelitas
aduerſus Thyeſten ,noxiữ perniciofumo illum demonſtrant.Vnde cognominatio
parumperde clinat, & clam innuit,ut non quibuslibet naturam huius uiri
declarent:his autem qui no minum periti ſunt, ſatis Atrei ſignificatio pater.
Dicitur enim ſecundum erogès, afeger's atypów, quaſiindomitus, inexorabilis,
noxius contumeliofusq fuerit. Videtur & Pelopi nomen haudab re tributum.
Hominem quippe quæ prope ſunt uidentem ,nomen iſtud congrue significat. HER. Cur
illi id conuenit: socR. Quoniam in Myrtilicæde, utfer tur, prouiderenihil
potuit, nec eminus pſpicere quãta toti generi ex hoc calamitas im mineret. Quæ
enim antepedeserant, &ad præsentia tantum respiciebat, hoc autem eſt prope
aſpicere: quod & fecit, cum Hippodamiæ coniugium omniconatu inire conten
dit. Vnde Pelopinomenawines, id eft,prope,& ontos, quodad uiſionem
pertinet. Tan talo quinetiam nomen natura ipſa uidetur impofitum , ſi uera ſunt
quæ circunferuntur. HER. Quænam iſta : soc. Quoduiuentiadhuc illi aduería
plurima &grauia contige runt,tandemý patria eius omnis fubuerſa eſt.
Defuncto præterea faxum in caput immi. net, ſors certe duriffima. hæcprorſuscum
nomine congruar, perinde ac fi quis nomina re THION to you ,id eft,
inteliciſſimű uoluiffet, fed paulo locutus obſcurius, pro Talancato Tantalum
poſuifler. Taleutiæ nomen fortuna eius aduerſa ipſorumore gentium præ buiſſe
uidetur. Quinetiam patri eius loui recte nomen eſt indicum ,nec tamen facileco.
gnitu.Eftenim uelut oratio quædam louis nomen , quod quidcm bifaijā
partientes,par tim una,partim altera parte utimur. Quidamfive , quidamdia,
uocani. Quæpartes in unumcópofitæ, naturam dei ipſius oftendűt,
quodmaxiinedebernomen efhcere por ſe. Nulla enim nobis cæterisomnibus
uiuendimagis cauſa eſt, quam princeps, rexo omniữ. Quapropter decens nomen eſt
hic Deus fortitus, per quem uita íemper uiuent bus omnibus ineſt.Sectum autem
in duo eft unum, ut diccbam ,nomen ,in diæ uidelicet ata awa. Hinc
Saturnifilium cum quis audiat, forte inſolentem contumelioſumópu tarit. Verű
probabile eft,magnæ cuiuſdam intelligentię piolem louem elle. Quod enin Hóp -
dicitur,non puerum ſignificat,ſed puritatem mentisipfius, & fynceram
integria tem. Est aurem is opavo, id eft, cæli filius,ut fertur. Quippeafpectus
ad ſupera merijo z pane uocatur, quafi opacz zecvw. Vnde affirmant,o
Hermogenes, 17 qui derebusiutli mibusagunt,puram mentem adeffe, & recevo,
iure nomen impofitum.Siautem genealo giam deorum ab Hefiodo traditam mente
tenerem , & quos horum progenitores indu. cic,recordarer,haudquaq ceſſarem
oftendere tibérecte illis nomina infcripta fuiffe ,quo ad huius fapicntie
periculü facerem ,liquid ipſa proficiat peragator, & an deficiatnecne, quæ
mihi tam ſubito ignoro equidem unde nuper illuxit . HER. Profecto mitttiden som
Ô Socrates iliareorum quinumine capitatur, protinus oracula fundere. soc. Reor
equidem ,ô Hermogenes,hanc in me ſapientiam ab Euclıyphrone Pantij filio
emanalie. Illi fiquidem aſtiti a matutino affiduus,auresó porrexi. Patet igitur
eum deo plenú non modo aures meas beata ſapientia impleuiſle, uerumetiam animum
occupalle. Sic utico agendum arbitror, ut hodie quidem utamur ipfa, &
reliqua quæ ad nomina pertinet, ini dagemus. Cras uero,fiin hoc
conſenſerimus,excutiamuscam , expiemusý ,aliquem par ſcrutati,ſiuefacerdotem ,
feu ſophiſtam qui purgare hæc ualeat. HER. Probo hæc maxi. me Socrates. libentiſſime
nang quæ de nominibus reſtant, audirem. soc. Ira prorſus agendum. Vnde igitur
potiffimum exordiendű iudicas,poftquam formulam quandam præfcripfimus,ut
pernoſcamusſi etiã nomina nobis ipía teſtantur non caſu quodama. » ata
fuiſſe,uerum rectitudinem aliquam continere:Nomina quidem heroum atq;homi / num
nos forte deciperent. horum nang multa ſecundum cognomenta maiorum pofita)
ſunt, & fæpe nequağ conueniüt , quemadmodã in principio diximus.Multa uero
ex uo ') to homines nomina tribuunt,ut UtuXidmW, owciQ , Itópinoy, alia “
permulta.Talia itaq ) prætermittenda cenſeo.decens eñconſentaneumg maxime
reperire nos quæ in rebus ſempio Lempiternis &naturæ ordine cõſtitutis
recte ſunt poſita. Nam circa iſta in condendis no minibus ftuduiffe maxime
decet.Forte'uero ipſorūnonnulla diuiniore quadam poten tač humanaſunt
inſtituta. HER. Præclare mihi loqui uideris,ô Socrates. soc.Nonne
pareſtabipfisdíjs incipere ,rationemý inueſtigare qua bcos uocati ſunt:
Her.Nempe, soc.Equidem ita conício.Videnturutiq mihi Græcorű priſci deos ſolos
putaffe eos, quos etiam his temporibus Barbarorű plurimiarbitrantur, solem,
luna, terrram, stellas, calum. Cum ergo hæc omnia perpetuo in cursu esse
coſpicerent,ab hac natura moldatu få nominalle uidentur,deinde &alios
animaduertêtes omneseodem nominenuncu pale.Habeoquod dico uerifimile aliquid,
nec'ne HER . Habetcerte. soc. Quid poft hac inucftigandum : Conſtat de
dæmonibus heroibusø &hominibus quærendum eſſe, HER . Dedæmonibusprimum.
soc. Proculdubio Hermogenes.quidlibi uultdæmo. nun nomen animaduertenum aliquid
dicam .HER.Dicmodo.soc.Scis'nequos Hes Liolus claipovas effe inquit,
HER.Non.soc.Nec etiam , quod aureum genus hominum zitin principio extitiſſe ?
HER.Hoc equidem noui. Soc. Ait enim ex hocgenerepoſt przſentis uitæ fara fieri
dæmones ſanctos,terreſtres,optimos,malorũ expullores,& cu licdes
liominum.HCR . Quid cum: soc.Nempe arbitror uocare illum aureum genus; no ex
auro conſtitutū, ſed bonum atos præclarum.quod inde conſcio, genus noftrum
fereum eſſe dicit. HER . Vera narras. Soc. Annon putas ſiquis nunc ex noſtris
bonus fc ,aureihunc generis ab Heliodo æftimari? HER. Conſentaneum eſt.soc.
Boni autem anj sprudentes: HER. Prudentes. $ o c.Idcirco,ut arbitror,eosdæmones
præcipuenup cupat,quia fapiêtes d'ahuontsó erant.Et ex noſtraiſtud priſca
lingua nomen exiſtit. Qua obrem &is, & cæteripoetæ permultipræclare
loquuntur,quicunq aiunt uidelicet,poft quambonusaliquis uita functus eſt,
maximam dignitatem præmiumý ſortitur,fic & dæ monſecundum ſapientiæ
cognomentūIca & ipfe affero dæmuova, id eſt ſapientemom- nem efle hominem ,
quicung ſitbonus,eumódæmonicum effe ,id eſt felicem ,uiuenten » acc defunctũ,
recteý dæmonem nũcupari.HER Videor . mihi ô Socrates, in hoctecum s maxime
conſentire. soc. newsautem quid lignificar: Id nequaſ inuentu difficile.paur lo
enim heroumnomen ab originediſtac,indicans generationem illorum čre WTO
manaſſe. HER.Qua rationeid ais: s o c.Anignoras ſemideos heroas effe : HER.
Quid tum : soc.Omnesutiq heroes uel ex amore deorũ erga mulieres humanas, uel
amore uirorum erga deas ſuntgeniti.Prætereaſi hocfecundã priſcam Acticorum
linguam con fideraueris ,magis intelliges.reperies enim quòd pauliſper mutatū
eſt nominis gratia ex UTO ,undeſunt heroes geniti:quod'ueaut hincheroum nomen
eſt ducium ,aut ex eo quòd fapientes ,rhetores fuerunc.facundi uidelicet, &
ad interrogandữ diſſerendűó promptiflimi,ziedy Aang dicere eft:Quare,ut
mododicebamus,Attica uoce heroes the tores quidam ,&
diſputatores&amatori uidentur. Vnderbetorum ſophiſtarum gee nusheroica
prolesexiſtit. Verum nõ iſtud quidem difficile cognitu,imò illud obfcurű,
quamob cauſam homines ävbewmoinominantur.habesipfe quid afferas: HER.Vndeid
habeābone uir: Quin ſi reperire quoquo modo poffim ,nil cotendo, ex eo quòdtemo
lius facilius“ quammereperturum ípero.so c.In Euthyphronis inſpiratione
confider se mihiuideris.HER.Abſc dubio.soc.Ec merito quidem confidis.Nam belle
nimium mihi nunc uideor cogitafle,ac periculü eſt niſi caueam ,nehodie
ſapiêtior quam deceat, uidear euafiffe. Attende ad ea quædicã. Hoc in primis
circa nomina animaduertere de serves cet, quòd ſępe literas addimus,lepe ctiam
demimus pro arbitrio,dum nominamus, & a cuta ſæpenumero tranſmutamus,utcum
dicimus dicíres: hoc ut pro uerbo nomen nor bis foret,alterum , inde
excerpfimus, & pro acuta fyllaba media, grauem pronūciamus. Jn alijs
quibuſdam literasinterſerimus,alia uero grauiora proferimus. HER. Vera refers.
soc.Hoc & in ävegen O côtingit,utmihi quidem uidetur.Nam ex uerbo nomen con
ftitutum eſt,uno a excepto,grauiorig fine effecto.HER.Quomodo iſtud ais 's o c.
Itak" hominis nomen illud ſignificat, quod cætera quidem animalia quę
uident,non confide rant,neq; animaduertunt,nec contemplantur: homoautem &
uidet ſimul &contemu platur,animaduertito quod uider.Hincmerito solus ex
omnibus animátibus homočvrse @puro eſt nuncupatus, qualiaabeau contemplans,quæ
ön WT5, id est, uidit. Quid poft ce haqquæram :Anuidelicet quodlibenter
perciperem HER: Maxime.SOC. Succede D teftas reſtatim ſuperioribusmihi
uideturdeanima & corpore cõſideratio .Nam anima& cor pusaliquid hominis
funt.HER.Sine cótrouerſia.soc.Conemurhæcquemadmodū ſu: periora diſtinguere.
Quærendum primodeanima putas, utrecte Luxá nominata fuerit deindede corpore:
HER :Equidem.soc.Vtigitur ſubito exprimarn quod primumm . hinunc ſe
offert,arbitror illos qui ſicanimāuocitarunt,hocpocillimum cogitaffe, quod »
hæc quoties adest corpori, caula est illi uiuendi, reſpirandi,&
refrigerandi uim exhibês: 9 & cum primūdelierit quodrefrigerat,diffoluitur
corpus,& interit.Vnde fuxlu noni 21 naffeuidentur,quaſi awatúzov, reſpirando
refrigerans.Atuero, si placet, fifte parumper. Videor mihi aliquid inspicere
probabilius apud eos quiEuthyphronem ſequütur,nım iftud quidem aſpernarenf,ut
arbitror, & durû quiddã eſſe cenferent. ſed uidean hoc ibi sit placiturű
.HER. Dicmodo.soc. Quid aliud animatibiuidetur corpus continae, uehere, &
utuiuat & gradiatur efficerer HER. Nil aliud.soc. Annon Anaxagoræ ce
dis,rerum naturam omniẩmente quadam & anima exornari ſimul & contineri:
HIR . Credo equidem.soc.Pareſt igitur eam potentia nominare quelw.quæ
quan,naturan, oxa & xe , id eft uehit & continet.politius autem fuxó
proferſ.HER . Siceſtomninoji detur & mihiiſtud artificiofius effe .soc. Eft
profecto.Ridiculum aữc quia apparere, si ita ut pofitüfuit, nominaret. Quod
uero pofthoc ſequiſ corpusnonne owua nücupis: HER.Certe.soc. Atquiuidełmihiin
hocnominepauliſper ab origine declinari. nen . pe corpushoc animæ omua, sepulchrâ
quidam eſſe tradunt:qualiipfa præſenti in tempo se ſic ſepulta:ac etiam quia
animaper corpus omualvd,ſignificat quæcung ohelwa lign ficare poteſt.idcirco
& rivec iure uocari. VidenturmihiprætereaOrpheiſectatores no mēhocobid
potiſſimữpoſuiffe,q anima in corpore hoc delictorũ det pænas, & hocci:
cũſepto uallo claudatur,uelut in carcere quodā ,utolor ferueſ. Effeitac
uolunthoc ita utnominat,animęoãu ce ſeruandigratia clauſtrữ, quoad debita quæQ
expendar,neq literam aliquã adăciendam putant. HER .Dehis fatis dictum ô
Socrates,arbitror. Veri denominibusaliquorû deorum poſſemus ne ita
utdeloueactum eſt,conſiderare,fecun dum quam rectitudinēnomina lint impoſica :
soc. Per Iouem nos quidē ſimentem ha beremus Hermogenes,precipuũrectitudinismodấarbitraremur,faceri
nihil nos de dijs cognofcere,ne deipſis inquam , neq deipſorīnominibus quibus
iplifeuocant. Con ſtar enim illos quidem ueris ſenominibusnuncupare.Secundâ
uero recte denominatio nis modum exiſtimo, utquemadmodülex in uotis ftatuit
precarideos, quomodocung nominarihis placet,ita & nos ipfos uocemus,tanğ
nihil aliud cognoſcētes.Recte não , utmihiuidetur,eft decretū.Quare, li uis ,ad
hanc inueſtigationēpergamus,primo quidē díjs præfati,nosnihilde iplis
conſideraturos: neq; enim poſſe confidimus:fed de homini bus potius, qua
potiſfim opinionecirca deosaffectinomina ipfis inſtituerunt. Hoceñ à diuina
indignatione procul.HER.Modeſte loquiuideris ô Socrates, atqita prorfusa
gendum.soc. Nónneà Vesta fecundum legem incipiendű. HER. Sicutim decet. soc.
Quaratione éstav hanc nominatam dicemus HER. Per Iouem haud facile iftud inuen
9) tu.soc.VidenturprobeHermogenes priminomināautores non hebetes quidā fuisse,
verum acuti fublimium rerum inueſtigatores HER. Quamobrem : soc. Talium quo
rundam hominum inuentione nomina apparent impofita.ac ſi quisperegrinaconlide.
retnomina,nihilominus quod
ſibiuult,unumquodq;reperiret.quemadmodőhocquod nos días, eſſentiam
nominamus, quidam golov nuncupant,alij wvia .Primo quidem ſecundum alterum
nomen iſtorum ,haud procula rationeuidetur rerum effentiam ésiav uocari. &
quia nos quod efteffentiæ particeps ésiav uocamus,ex hocrecte éstæ poffet
denominari.Superioresnoftriquondam šriav,tola uocabant.Quinetiã ſi quis facrorí
ritusanimaduerterit,exiſtimabit ſic eosputaſſe quihæc poſuerűt.Etenim ante
deosom nes Veltæ facra faceredecet eos, qui effentiam omnium Veſtam
cognominarunt. Qui item wola nominarunt,hifermeſecundâ Heraclitum cenfuerüc
fluere omnia femper, nihilo conſiſtere.Cauſam igitur & ipſorum originem
ducem ipſum wow , quod impel lit.quaproptermerito ipſum wola impellentēcauſam
nominari.Dehis hactenusitalic dictų ,uelut ab ijs quinihil intelligunt.Poft Veftam
aất, deRheaato Saturno conſidera reconuenit,quanğ de Saturninomine in
ſuperioribus diximus.Forte'uero nihildico. HER.Curnam ô Socrates: soc. O
boneuir,ſapientiæ quoddam examen animaduer ti. HER . Quale iſtud: soc.
Ridiculum dictu.habet tamen nonnihilprobabile.HER : Quid ais: & quo pacto
probabile.so c.Infpicere mihiHeraclitum uideor,iã pridem ſa pienter nonnulla de
Saturno Rhea tradentem , quæ & Homerus dixerat. HER. Quid iftud ais:'s o
c.Ait enim Heraclitus fluere omnia,nihilo manere,rerum ipſarum pro - ce greflum
amnis fluxuicomparás,haud fieri poffe inquit,utbis eandem in aquam temerou
gas.HER.Vera hæcſunt.soc.An uidetur tibi ille ab Heraclito diſſentire , qui
aliorum a deorum progenitoribus inſeruitRheam atą Saturnữ :Nunquid putas temere
illum no mina iſtis impoſuiſſe.Quin & HomerusOceanum deorum originem
inſtituit, & The tyn genitricem.Idemouoluit,utarbitror, &
Heſiodus.Aitpræterea Orpheus, Oceanű primum pulchrifluum cõiugium inchoaſſe,
quicum Tethy germana ſeſua commiſcuit. Vide ő maximehæc inuicem cõfonant,omniağ
in opinionēHeracliti redeunt. HER. Viderismihialiquid dicere Socrates. Tethyosautem
nomēhaud fatis quid ſibiuelit, in telligo.soc.Hocutißidem
fermeſignificar:quoniam fontis nomēeſt reconditů.Nam doctons & xlsus ,id
eſt ſcaturiens & tranſiliens,fontis imaginem præ ſe ferunt, ex utrif
queuero hiſce nominibusnomen tudúceſt compoſitum . HER.Hoc quidem belliſi mum
eſt ô Socrates.soc..Quid ni? Verum quid deinceps:Deloue profecto diximus. HER. Siceſt.soc.Fratres
autem eius dicamusNeptunum atq Plutonē,nomeno aliud quo ipfum
uocant.HER.Prorſus.soc. VideturNeptunusab eo qui primum nomina uit,idcirco
mooddãy uocatusfuiſſe, quia euntem ipſum marisnatura detinuit,nec pro ,
grediultra permitit,ſed qualiuincula pedibus ipfius iniecit.Maris ita principem
rood @ væ uocauit, quaſi qosideouov, id eſt pedum uinculũ .& uero decoris
gratia forte adie ctum fuit. Forſitan nő hoc fibiuult,fed pro ar, a primo fuit
pofitum, quafi dicat mom sidós, id eftmultanofcens Deus,Fortaſſis ab eo quod
dicitur códy, id eft quatere,okwu ideft quatiens eſtnominatus, cuiw & d
fuitadiectū . Plutonem autem quali zašto, id eſt diuitiarī datorem dicimus,
quoniam diuitiæ ex terræ uiſceribus eruuntur:& dxs uero multitudo
interpretatur, quali addis, triſte tenebroſum'ue. Atæ hocnomen horrentes Plutonem
uocitant.HER.Tuuerò quid fentis Socrates. soc. Videnturmihi homines circa
potētiam Deiiftiusmultifariam errauiſſe,eumg exhorruiſſeſemper,cum minime
deceat.Porrò quiſ ex hocpertimeſcit,quòd nemo poftquam defunctus eſt,hucredit,
quod'ueanimanudata corpore,illucabit.Cæterum hęcomnia & regnum & nomen
hư ius dei,eodem tenderemihiuidentur.HER.Quo pacto :soc.Dicam quod fentio . Dic
age. Vtrữ horũualidiusuinculâ eft ad quoduis animal alicubidetinendű ,
neceſſitas'ne, an cupiditas? HER.Longeô Socrates,præſtat cupiditas.soc.Annõ
plurimi,&dw quo tidie ſubterfugerent,niſi fortiſſimo uinculo eos
quiillucdeſcendunt,uinciret: HER. Vi delicet. Soc. Quare cupiditate quadam
eos,utuidetur,potius ő neceffitate deuincit, fi modouinculo
nectitfortiſſimo.Her.Apparet.soc.Nónne rurſus multæ cupiditates funt
HER.Multę.so c.Ergo uehemētiſlimaoñiữ cupiditate nectit eos, fimododebet
inſolubilinodo conectere.HER. Certe.soc.Eft'neuehemētiorulla cupiditas, ş ea
qua quiſcrafficitur,dum alicuius conſuetudinemeliorem feuirūſperat euadere:
HER.Nul..“ lamehercle Socrates.so C.Hacdecaufa dicendűHermogenes,neminem
hucillincuel lereuerti,nec etiã Syrenesipfas, imò & eas & cæterosomnes
ſuauiſſimis Plutonis ora tionibusdemulceri.Éſtý ,utratio hæcteſtat,deus is
ſophiſta proculdubio diſertiſſimus & ingentia confert his quipenes ipſum
habitãtbeneficia, qui uſ adeo diuitñs affatim abundat,uttantanobis bona
ſuppeditet,unde & Pluto eſt nuncupatus. Annõ philoſo . phitibiuidet
officium , q nolithominibus corpora habentibus adhærere, sed tūc demữ admittateos,
cũanimus illorum eft corporeis omnibusmalis cupidinibus* purgatus:
Excogitauitnempehic deus hacratione fe animosmaxime detenturũ,ſi uirtutis eos
aui ditate uinciret. Eosautem quiftupore & infania corporis
ſuntinfecti,nepater quidem Plutonis Saturnus ipfe,fuis illis uinculis coercere
ualeret,fecumý tenere.HER .Nonni hil loquiuiderisÔ Socrates.soc.Longeabeft
Hermogenes utnomē& dos, quali cudes id eft trifte tenebroſum'uefit
dictâ,imoab eò trahiturquod eft sid qvac, id eſt noſle omia pulchra.Ex hoc itaq
deus ifteà nominữ conditore &dys eſt nấcupatus.HER.Quid præ terea dicimusde
Cereris nomine, Iunonis“ , Apollinis & Minervæ,Vulcanig &
Martis,cæterorumýdeorum : soc. Ceres quidem dwuktor nuncupatur ab ipſa
alimentorī largitione, quaſi didolæ pektyg ,hoc est exhibensmáter. Kex uero,id
eſt Iuno, quali fatá, id eft amabilis,propter amorem quo Iupiter in eam
afficit.Forte'etiam ſublimeſpectans quihoc nomen inſtituit,aeram ,spav denominauit,
& obſcurelocutus est, ponensin fine principiữ quod quidem patebittibi,finomen
illud frequenter pronüciaueris. DefélQKT say,id eſt Proſerpinam ,&
denómwnominare nõnulliuerent,propterea quòdillis ignota eſt nominum rectitudo.
Enimuero permutantes degregóvlw ipsam considerant,graue id illis apparet.
hocautēdeæ ipsius sapientia indicat. Sapientia utic eft quæ resfluentes
attingit,& aſſequi poteft.Quamobrem gegéraqemerito dea
hæcnominaretur,propter fapientiam , & Encolu , id eſt contacta , qepomlis,
id elt eius quod fertur, ueltale aliquid, Quocirca adhæret illi ſapiens ipſe
édes, quia ipſa talis eſt .Nunc autem nomen hocde. clinant,pluris facientes
prolationis gratiam ueritatem, utqepiqastav nominēt. Idem quoq circa Apollinis
nomen accidir. nam pleriq id nomen exhorrent, quasiterribile ali quid preſeferat.Annõ
noſti:HER.Vera penitus loqueris.soc.Hocaūt,utarbitror,hu ius dei potentięmaxime
cõuenit.HER. Quarationeso c.Conabor sententia meam ex primere.Nullű profecto
nomen aliud unum quatuorhuiusdei potentijs reperiri conue nientius potuiſſet,
quod & cöprehenderet omnes, & iplius quodammodo declaret musicam,
uaticinium, medicinam , & sagittandiperitiam. HER. Aperias iam .Mirum
quiddã nomen effe id ais.soc.Congrue quidem compoſitõeſt, conſonatý ,utpote
quod ad de um pertinet muſicum . Principio purgatio purificationesø & ſecundum
medicinam ,& ſecundum uaticinium ,item quæ medicorum pharmacis peraguntur,
ac uatum incanta tiones expiationes , lauacra, & afperſiones, unum
hocintendunt, purum hominem & corpore & anima reddere. HER. Sic omnino.
soc. Nónnedeus qui purgat, ipse erit aro aówn & Ösp núwy,id eft abluensa
malis, solvens ,q Apollo ipfe ſignificat? HER. Abſque Tubio.soc. Quatenusitap
diluitata soluit, uttaliū medicus, åpnvwy merito nuncupa tur. Secunda vero
divinationem uerumg &moww, id est simplex, quod idem eft, recte more
Theſſalicorűnominarehuncpoſſumus.hinempe omnes deum hunc ámró uocãt. Quatenusaấtási
Boda wy, id eft ſemper iaculando arcu uehemens eft,ás Badawy dicipo teſt,hoc
eſt ,perpetuus iaculator.Secundữueromuſicam , dehoc eſt cogitandū quemad modum
de eo quod dicit & nórolo & « xomis,id eftpediſſequus,comes, &
uxor, in qui. bus& ur & in alijsmultis, idem quod ſimul ſignificat.Hic
quoq && zónas ſignificant uerfionem quæ ſimul & unaperagitur, quam
cöuerfionem dicamus.Ea in cælis eft,quæ per eos fit quos sónos uocamus:in cantu
uero & quovia , quam dicimus ovuqwricw . Quia in his, uttraduntmuſicæ &
aſtronomiæ periti,harmonia quadā ſimulomnia cõuertunt. Hicaấtdeusharmoniæ
præfidet omonwy,id eft fimuluertenshæc omnia,& apuddeos & apud
homines.Quemadmodum igitoorkeudoy & Oxóxosniv , id eft ſimuleuntem &
ſimul iacentē,uocauimus anonovlov & KOITIY, o in « permutantes, ita
Apollinem nomi navimuseum qui erat &Mortondy, altero a interiecto , quia
æquiuocũfuiſſetduro cum no mine.quod & his temporib. ſuſpicati pleriq , ex
eo q non recteuim nominishuius ani maduertűt, perindehocmetuunt, ac si
perniciem quandã fignificaret.Sed reueranomen hocomneshuiusdei uires
cõplectitur, quemadmodūſupra diximus. Significat eſlim plicem
,perpetuũiaculatorem , expiatorē & conuertentem .Muſarā uero & muſicæno
men,ab eo quod dicitpães, id eft inquirere,indagatione & ftudio ſapientiæ
tractõelt. agtá,id eſtLatona,à manſuetudine dicit,quia fic edereuwy, id eſt
prompta & expofita & Tibens ad id quodpetit quiſqs exhibendű.
Forte'uero ut peregriniuocãt:multinamga, tú nomināt, quod nomen tribuiſſe
uident,quia non rigida illi mens,ſed mitis,ideo agli, quali neopress,id eftmos
lenis & mitis ab illo cognominat. opruis, id est Diana, ex eo quòd aprejés,
quali integra modeſtaciz sit propter uirginitatis electionē. Forſitā etiã qua
fiageplisoge,id eft uirtutis conſciã,uocauit nominis inftitutor.Fortaffis etiã
dicta eft'Ar temis,quafi apo u des Chocous,id eft quafiilla cõgreſſum oderit
uiricum muliere.Vel enim propterhorâ aliquid ,uel propteromnia huiuſmodinomen eſt
inſtitutű .HER: Quidue ro dióvvoos & espositor's O.Magna petis Hipponici
fili.Atqui eſtnominâ ratio his díjs inpoſitorâ gemina,ſeria uidelicet &
iocoſa.Seriã quippe ab alñs quære,iocofam aứcni hil prohibetrecenſere. locoſi
fanè & difunt: Dionyſuso eft didòs i ciroy id eſt uinida tor, qual tor,
quafi nobivuosioco quodã cognominatus. Vinum autem merito uocari potest oto 18s
quod efficiatut bibentes pleriq mentealienati,oisdocevouü exay, ideftmentem
habe rele putent.DeVenere Hefiodorepugnarenon decet,ſed concedere propter ipfam
ex dogo, hoc eſt ex ſpuma, generationē đopoditlw uocari.HER.Acuero Minerua, ô
Socra tes,Vulcanūča & Martem ,cum fis Atheniēlis,ſilentio nõ
præteribis.soc.Haudquais decet.HER.Non certe.soc.Alterâ quidem eius nomen
quamobrē ſit impofitũ , haud difficile dictu.HER.Quod: soc. Palladē eam
uocamus.HER . Planè.soc.Nomen hoc cenſendum eſt à faltatione in bello ductum
fuiſſe.porro uelfefe,uel aliud à terra attolles re ſeu manibusaliquid
efferre,dicimus cámay, & wameat,id eſt uibrare,agitare & agitari,&
ſaltare, & ſaltationem perpeti.HER.Ablo controuerſia,Palladem hac ratione
uocamus,acmerito.Her.Alterű eiusnomē quo pacto interpretaris: so c . állwaữ quæris:
HER. Id ipsum.soc. Grauiushocamice: vident prisci å blwaw exiſtimare,quemad ,
modum hiquihis temporibusin Homeri interpretationibus ſunteruditi.Nam iftorum
plurimiHomerữexponuntåbwaw tano mentem cogitationemg finiſſe . Et qui nomi na
inuenit,tale aliquid de illa fenfiffe uidetur,imò etiam altius eam
extollēs,utDeimen tem induxit, perinde ac fi diceret sleovõu , hoc eftutens æ
pro y externo quodam ritu , s uero & o detrahens,fortè'uero non ita , ſed
IGavónas, id eft,utpote quæ diuina cogno ſcat,præ cæterisomnibus deoroli , id
eſt diuina cognoſcentē, uocauit.Neqab re erit,li di xerimus uoluiſſe
illũappellareeam klovólw , qualiipſa in more intelligentia fit. Ipſe poſt modữ,uel
eciam pofteriores in pulchrius,ut uidebat,aliquid producendo,Athenean de
nominarunt.HER.Quid de Vulcano quem aquusov nominãt: so'c. Quidais:Num ge
neroſum ipſum páso- isogæ ,id eſt luminispræfidem quæris? HER.Hâc quæliffe
uideor. soc.Hic utcuiq patere poteft , quiso eft,& x ſibiuendicat.Vnde igas
id est,lu minis preſes eſtdictus.HER. Apparet: niſitibiquoq modo adhucaliter
uideaf.s o c.An neuideatur aliter de Marte,interroga.HER
.Interrogo.soc.Siplacet,õpys, id eft Mars, dicitur fecundâ ãgger,id eſt
maſculã, & av dogov,id eſt forte . Quinetiã fi uolueris ob na turam
quandãaſperam ,duram atq inuictã,immutabilemý, quod totumägøæby appella tur,ogy
uocatum fuiffe,hoc quo & Deo penitusbellicoſo cõueniet.HER. Prorſus.Soči
Deosiam mittamus per deos obsecro.Nãdehis diſſerere uereor.Adalia uero quecung
uis,meprouoca,ut qualesEuthyphronisequiſunt,noueris.HER.Faciam utpetis,ſi unű
deme quæfiuero.meliquidē CratylusHermogenē eſſe negat. Inueſtigemus ita quid
épus,id eft Mercurii nomen fignificet,ut fiquid ueri hicloquit,uideamus.soc.
équis, id eſtMercurius,adſermonēpertinere uidetur, quatenus égjelw rús eft,hoc
eſt interpres & nuncius, furtiuús inloquendo ſeductor,ac uehemens
concionator. Totum id circa fer monem uerfatur.profecto quemadmodum in
fuperioribus diximus, kedy ſermonis eſt uſus.Sæpeuero dehocHomerusait £ukcal,
id eft machinatuseſt. Ex utriſq igitur no. men huius dei componit,tum ex eo
quod loquieſt,tum ex eo quodmachinari & exco gitare dicenda, perindeac ſi
nominis autornobis præciperet: Pareſt, ô viri, ut deum illa quiaipfufukcal, id
eſtloquimachinatus eſt, sipíulw uoceris. Nos aấtarbitratiſice legan tius
eloqui, éguli uocamus. Quinetiam ies, ab eo quod apdu , id eſt loqui, nomen
habet, propterea quod nuncia eſt. HER.Probemediusfidius Hermogenē elleme Cratylus
ne gauilfe uidetur. Adorationis enim inventionem hebes ſum .Soc. Conſentaneâ
quoc amice, wową biformem filium efle Mercurî .HER.Qua rationer'soc. Scis quòd
fermo # aw,id eftomne ſignificat,circuitý & uoluit ſemper,eſtó geminus
uerusuidelicetac fal ſus: HER.Equidem . soc. Annon id quod eſt in ſermoneuerum
,leue eftatæ diuinâ, ſu praç in dñshabitans.Contrà quod falſum ,infrà in hominữmultis,afperű
ato tragicũ : Hincenim fabularum comenta & falfa & plurimacirca
tragicam uitam reperiunt.HER . Sic eft omnino.soc.Merito igitur quiefttaw , id
eft totâ nuncians, & æs monasy, id eſt femper uolutans,7 dezóros
biformisMercurij filiusdiceret, ex ſuperioribus partibus lenis ac delicatus, ex
inferioribus aſper atok hircinus.Eftg Panuelipſe ſermo,uel ſermo nis
frater,fiquidem eſt Mercurij filius.Fratrem uero fratri limilem effe quid mirum
:Ce terüiã o beate, ut & paulo ante rogabā, ſermonem dedñshunc
abrumpamus.HER.Ta. les quidem deos,li uis,mittamuso Socrates,huiuſmodiuero
quædam percurrere quid prohibet.Solem ,lunam , ftellas,terram ,ætherem
,aerem,ignem, aquam, ver & annum : D soc. Multa funt acmagna quæ poftulas.
Sicamen gratum tibi futurum eſt,obfequar. HER.Pergratum plane.soc. Quid primum
poſcis: an utipſenarrabas in primis stov , id eft folem; HER.Profecto.soc.Manifeſtius
id fore uidetur,li Dorico nomine quis uta tur.Dorici enim asoy uocant,ato ita
uocatur ſecundữ &nizdv, id eſt ex eo quodcongre gat in unum homines,cum
exoritur. Item ex eo quod circa terram &scina, id eſt ſemper
reuoluitur.Præterea quia uariat circuitu ſuo quæ terra naſcuntur. Variareautem
& duo. agy idem eft. HER . Quid uero de anlws, id eft luna,dicendum :
soc.Nomen hocui detur Anaxagoram premere. HER.Cur.soc. Quoniam præ se aliquid
fert antiquius, quod ille nuperdixit, quodlunaà fole lumen haurit.HER.Quo
pactors o coenas idem eſt quod lumen; HER . Idem . SocR.Lumen hocperpetuo circa
lumen voy & güvoy eſt id eſt nouum ac uetus,limodo Anaxagoriciuera
loquuntur:nam circûluſtranseam con tinue renouatur, Vetusautem eſtmenſis
præteritilumen.HER.Vtig.soc.Lunam qui dem odavalav mulcinominant. HER.Certe.
soc. Quoniam uero lumen nouum acue tus ſemperhabet,merito
uocarideberetadægurteoddam Nunc autem conciſo uocabulo ahavice uocatur. HER .
Dithyrambicum nomen hoc eſt, ô Socrates. Verum uave, id eftmenſem :& äspe
quomodo interpretaris. soc. Menſis quidem várs recteab vas. atroce, id eſtàminuendo,
iure nuncuparetur. Astra uero & sectic, id eſt coruſcationis co gnomentum
habent. « Soekautem quia au o ads avasosqe, ideft uiſum ad fe conuer. tit,
ánæspon á dici deberet, nunc cõcinnioriuocabuloaspauinominal. Her.Vnde no men
trahil mie& idap, id eft ignis & aqua :'Soc. Ambigo equidē,uideturg
autMuſa meEuthyphronisdeſeruiſſe, authocarduum quiddam effe. Aduerte obſecro
quò confu giam in omnibus quæcunq dubito. HER. Quonam : soc. Dicam tibi.ſcis
ipſe qua ratio ne wüe nominat: HER.Non hercle.soc . Vide quid dehoc ſuſpicer.Reor
equidêmul ta nomina Graecos a Barbaris, eos preſertim quiſub Barbaris ſunt, habuiſſe.
HER. Quor ſum hæc.soc.Siquis rectam iſtorũ impoſitionem fecundum græcã uocem
quærat,non ſecundum eam qua eſt nomen inuentũ nimirum ambiget.HER. Verifimile
id quidem . soc. Vide itaç nenomen hoc quebarbaricum ſit.neo enim facile eft iſtud
græcæ lin guæ accomodare , conſtataita hocPhrygios nominare parum quid
declinantes, & ý. dwg & xuías,id eft canes,alia permulta. HER. Vera hæc
sunt. soc. Ergo distrahereiſta nihil oportet, quandoquidem deipſis nihil dicere
quiſquã poteſt.Quapropter nomina illa ignis & aquæ huncinmodum reñcio
kázautēſic eft dictus Hermogenes, quia quæ circa terram ſunt, deed,id
eſteleuat.uel quia aega , hoc eft ſemperfluit,uel quia eiusflu xu
ſpiritusconcitatur.Poetæ quippe flamina aktasnuncupant.Forte igitur aer dicitur
quali avocTócow , agzóſſow id eſt ſpiritus fluens, uel fluens flamen , dedica
præterea fic exponendum arbitror, quoniã đa dicirca ãégæ pêwy, id eft ſemper
currit circa aerem fluens, quocirca čeddeks dicipoteft.gæ autē, id eſt
terra,planius fenſum exprimit,ſigara dicatur.yaa enim recte görkodea, id
eltgenitrix dicipoteft,utait Homerus.Nãquod gazdan dicit, genitum in
re,inquit.Quid reftat deinceps. HER . Ver & annus, ô Socra tes. soc. Spore
quidē, id eftueris temporapriſca & Attica uoce dicendaſunt,ſi uis quod
conuenienseſt,cognoſcere. Horæ nanquocant, quia ief80, id eſt terminant hyemem
atçæftatem uentosca & fructus ex terra nafcentes. giveau tos aất &
čnos, id eft annus,idem effe uidet.Quod eñ in lumen uiciſlim educit,quęcung
naſcunifiunto exterra,ipſum in ſeipſo examinat & diſcernit,annus eft: &
ut ſupra louis nomen diximus in duo ſectű, ab aliquibus Pavæ ,ab alijs diæ
uocari,ita & annữ quidam giardy yocant,quia in ſeipſo, quidā quia
examinat.Integra uero ratio eft ipfum q in ſeipſo examinat.Vndeexo ratiõeunanominaduo
ſelecta funt.quòd eñ limuldicit,co giairū étolov,id eft in ſeipſo examinās,
diſtinctum dicitur griaunos, & £70s, id est annus. HER. Atuero Ô
Socrates,iam longe pgrederis.soc.Longiusequidēin philoſophia uideor euagari.
HER . Quinimò. soc.Forte'magis cöcedes.Her.Verum pofthancfpeciē libentiſlime
contêplarer ,qua rationerectenomina iſta præclara uirtutūſint impofira,ut
ogórkas,id eft prudentia,cuir as, intelligentia, xacoou's,iuftitia, ac reliqua
huius generisomnia.so c.Haud conte. mnendum genus nominū ſuſcitas,ô amice.
Veruntamen poſto leoninā pellem ſum in dutus,haud deterreridecet,imò præclara
ipfa,utais,nomina prudentiæ ,intelligentię,co gitationis ſciêtiæ
cæterorūphuiuſmodicõliderare.HER.Quin profecto prius deſiſtere nullo mododebemus.Soc.
Ædepolnõmalemihide eo conijcere uideor, quod modo conſiderabam ,antiquiflimos
uidelicet illos nominữ autores, ut & fapientiâ noftrorum plurimis
accidit,ob frequentem ipfam in rebus perueftigandis reuolutionem, præter
ceteros in cerebri vertiginem incidiſſe:quo factum puto utres ipsæ proferri
& vacillareil lis apparerēt.opinionis autem huius caufam.haud interiorem
uertiginem ,ſed exterior ? cc ipfarum rerű circuitum arbitrātur:quas ita natura
habere ſe putāt , ut nihil in eis firmum . ZE & ftabile fic,fed fluantomnesferanturo
,& omnifariam agitentur, ſemperø gignantur.PC & defluant. Quod quidem
in his nominibus, quæ nuncrelata ſunt, conſpicio . HERM.CC Quo pacto
Socrates.soc. Haudaduertiſti superior nomina rebus qualidelatis, fluentibus,
& iugigenerationetranslatis impofita fuiſſe: HERM.Nă ſatis
percepi.soc.Prins cipio quod primûretulimus,ad aliquid huius generis
attinet.HERM . Qualeiſtud: soc. apórnois,id eſt prudétia eft,qopás a govórous,
id eſt lacionis & fluxus animaduerſio. Signi ficare quog poteſt,recipere övnou
dopás,id eſt lationisutilitatê.Tádem circa ipfam agita tionem uerſatur. Quinetia
liuis yvaus id eft cogitatio fignificat govis várnoip ,id eft gene rationis
cõliderationem.you cû quippecõſiderare eſt. voxois autem , id eft intellectio ,
eſt réov čois,id eft nouideſideriũ.nouas uero res eſſe,ſignificat eas fieri
ſemper.atqß hoc deſi derare & aggredi animum indicat qui nomēillud
inuenitvsotow .principio nang vósois, nõdicebatur,fed pro ,duo se proferēda
erant,ut rebois, quafivéov , id eſt noui toisappe. titio & aggreſſio.ow
poowy,id eſttemperātia illius quodmodo diximus Opornotus , id eſt prudêtiæ
,falus & conſeruatio eft. udtskun,id eſt ſcientia ,ab eo quod inftar &
fequit tra &tum eſt,quafi res fluentesſolas animusperſequatur,inſtetø &
comitetur:at negexmo tra poſterior,neæ præcurſioneſicprior.Quare&
interiecto shylew uocare decet ouisas tanquam fyllogiſmus,id eft ratiocinatio
quædam eſſe uidetur.Cum autem owibrac dici tur,idem intelligiturac fi diceretur
etiska . Nam oftendit cum rebusanimum congre dirogix , id eft fapiêtia
,agitationis eft tactus.Obſcurius autem , & alieniushoc à nobis. Verum
animaduertendữeſt in poetis, quotiesuoluntaduentantem aliquem & irruen tem
exprimere,ovulo.id eſt erupit,profiljjt,dicere.Quin & illuftricuidam apud
Lacedæ. moniosuiro nomen erat oös,id eſt præpes.Sic enim Lacedæmones
cõcitationis impe tum indicant. Qualiitaqomnia
perferantur,huiusipſiusagitationis, quę eo quod oos di
citur,ſignificatur,iniqw,id eft tactum perceptionem aſophia demonſtrat..yglóxid
eſt bonum cuiufqsnaturæ « y« sóy,id eft mirabile,amabile,delectabile
ſignificat.Enimuero poſtos fluuntomnia,partim celeritas, partim tarditas
ineſt.Eft igiturnon omneuelox, fed ipſius aliquid « y « soy.Quod quidēayasov
ipfius& yali nomine declaratur.ductoo uby, ideft iuſtitia ,quod xaiov
oubsou ideſt iuſti intelligentiam importet, facile conijcere pol fumus. Quid
autem ipſum singu op fibi uelit, difficile cognitu.Videtur autem huculoa multis
quod dictum eſt cocellum ,reliquum uero dubium .Etenim quicung totum mobile
arbitrantur, plurimum agitari ipſum exiſtimāt,per omnealiquid permanare quo
fingula fiant, quod'ue tenuiſlimum fit & uelociſſimum.Nec enim per
omniadiſcurrere polle,nifiadeo tenuelit ut nihil possit
obliſterepenetráci,& adeo uelox, ut cæteris quafi ſtancibus utatur.Quoniam
uero gubernatomnia, dlačov , id eſt diſcurrens & permanans, merito dinglov
eft appellatū, x uno politioris prolationis gratia interiecto. Hactenus quod
modo diximus, inter plurimosconftat hoceffe iuftum.Ego autem Hermogenes urpo te
diſcēdideſiderio flagranshæc omnia perfcrutatus ſum ,& in arcanis
percepiquod hoc ipſum iuftum ſit, & cauſa.quo enim res ipfæ fiunt,hoc eſt
caufa:proprieś ita uocariiſtud debere quiſpiam tradidit.Cum uero ab his iam
auditis iftis nihilominus diligenter ex ., quiro quid ipfum iuftum ſit, quando
quidem ita fehabet, uideor iam ulterius quam decet exigere, & caueam
,utdicitur,uallūý ſupergredi.Satis enim femperrogaſſeme & audiſ- Prouerbia
fereſpondent,meg uolentes explere alius aliud afferre conantur,neo ultra coſentiunt.
Quidam ait iuſtű hoc, folem effe.Solâ quippe folem diſcurrendo calefaciendog
omnia gubernare. Cum uero hoc alacer cuiquam qualipræclarum audierim , refero,
ftatim ille meridet, quærito nunquid exiftimem post solis occaſum iuftűnihil
hominibus superef le: Percontanti itaq mihiquid ille fentiret,ipfum ait ignem
iuftâ exiſtere.neqid cogni tu facile,quarealius,inquit,nõignem ipſum ſed ipſum
potius innatum ignicalorē.Alius hæc omnia pro nihilo habet.eſſe enim iuſtā
mētem illâ quâ induxit Anaxagoras. Dominam certe illam fuapte
natura,necalicuimixtam exornare omnia inquit, per omnia pe netrantem .Hic
quidem ô amice in maiorēambiguitaté fum prolapſus, quàm antea dum nihil
deiuſtitia ſclſcicabar.Cæterű utredeamus ad id cuiusgratia
diſputaus,nomēillicale propter hæc, quale diximus,eft tribucũ .her. Videris Ô
Socrates, ex aliquo audiſſe hæc, nec ex tua officinaruditer deprompſiffe. soc.
Quid alia: HERM. Non ita.s o c.Atten de igitur; forte'nançsin reliquis te
deciperem , quali quæ afferam non audierim.Poſtiu ftitiam quid reſtare
avdgíay,id eft fortitudinēnondum peregimus.iniuſtitia faneobſtacu lum eiuseſt
quoddilcurrit per omnia, dvd piæ in pugnauerfatur.pugna in rebus fi quidē
fluunt nihilaliud fluxusipfe contrarius. Quapropter fi quis d ſubtraxerit ex
nomine hocadipiæ,nomen quod reftat aveia, opusipſum declarat. constat planè
quòd non flu xus cuiuſqz contrarius gom id eſt fluxus,fortitudo eft,fed
oppoficus illi quipræter iuſtum ficfluxui.Neqzenim aliterfortitudo eſſet
laudabilis.žeệw autem ,ideft mas, & civip,uir à ſimili quodã
ducâtoriginē,ſcilicet ab ävw gom,id eſt ſurſum fluxu .pusuero,id eſtmulier,
quafi jová, id eſt fæcunda & generatrix,bãiv,id eft fæmina.cn ? Begrãs,id
eſt papilla dici tur,oxå saấcuideturHermogenes dici,quia retraçúc, ideft
germinare pullulareg facit,ut irrigans ea quæ irrigantur.HERM.Sicapparet,ô
Socrates.SOCR.Idride,id eſt uireſcere, adoleſcere, floreſcere
,augmentum'iuuenum repræſentat, quaſi uelox quiddam & fu bicum , quod
innuitille quinomen conflauit ex leiv , id eſt currere, & &Ma, id eft
faltare. Animaduertismeuelui extra curſum delatâ,poftquãplana ac peruia nactus
ſum : Mul ta quoqz ſuperſunt quæ ad ſeria pertinere
uident.HERM.Veraloqueris.soc. Quorữu num eft utuideamus quid de xuwid eſt ars
importet. HERM. Prorſus.SOCR.Nonnehoc şuu vä , id eſt habitum mentis oſtendit,
ſi z demitur,interſerifautêomediữ inter x & v,& interv & nézován: HERM.
Aridenimiū Socrates & inculte.soc.Anignorasbeateuir no mina uetera
diſtracta iam effe,atq cõfuſa à ſermonis tragiciſtudioſis,elegantiæ gratia ad«
dentibus & fubtrahentibus literas,ac partim tēporis diuturnitate , partim
exornationis& ftudio undiq peruertēcibus ucecce in na rów,id eft fpeculo,
abſurdű eft ipliusaddi “ tamentū : Talia certe,ut arbitror,faciâtquioris
illecebras pluris æſtimantő ueritatem. Quamobré cũ multanominibus ipſis
adiecerint,tãdem effecerűt, utnemoiam nominūdu fenfum
animaduertat.Quemadmodãdum o qizæ,id eſtmõſtrum quoddã proferunt,cūcl oqiya
pronunciare deberēt,ac cæteramulta. Profecto fidareturcuiş arbitratu ſuo &
de mere& addere,magna utic eſſet licentia, & quodlibetnomē cuiæ rei
unuſquiſq tribueu ret:HERM.Veranarras, so CR.Vera plane, ſed enim mediocritatem
quandam aros decorum ſeruare te decet præsidem sapiętem
.HERM.Outinam.soc.Atqui& ipſe,o Her mogenes, opto uerum ne exacta nimium
diſcuſſione, uir felix , exquiras, neuim meam prorſus exhaurias.Afcendam
quippead ſupradictorum apicen: posto post artem cõli. derauerimus Myjavlw ,id
eftmachinationéexcogitationemg ſolertem . Videtautem li gnificare idem
quodmultum pertingere & aſcēdere.Componitur ergo ex his duobus, púxos, id
eſtlonge & multum, & dvey,id eft aſcendere,penetrare,pertingere.
Sedutmo. do dicebam , adſummam dictorum perueniendum eft, quærendum quid nomina
iſta significant, opeta, id est uirtus, & xcxiæ ,id eft prauitas.Alterum
quidem nondum reperio, alterum patere uidetur.Nam ſuperioribusomnibus
conſonar,nempetanquam eancom nia:Kards sok ,id eſt male uadens:xariæ ,id
eft,prauitas erit . quarecum animamale adres ipfas accedet,communiter praua
dicetur. proprie uero acmaximeprocedendihæcfa. culcas inoshiq ,id eſt
timiditate patet, quam nondum declarauimus. prætermiſimuse nim.Oportebatautem
continuopoft fortitudinem ipfam inferre.Multa inſuper alia prę
teriſſeuidemur.ddníc ſignificat durum animæ uinculum.domés enim uinculum
eſt.nian uero forte quiddam durumg ſignificat.quare timiditasuehemensacmaximum
eſt ani mæ uinculum : quemadmodum & exeíc ,id eſt defectus inopia , dubium
,malum quiddã eſt,ac fummatim quodcuną progreſſus ipfius impedimentum ,idé male
progredi uide tur oſtendere,in ipſa uidelicetmotione impediri atą detineri.
Quod cum animaſubit, prauitate plena dicit.Quod ſi illud prauitatis nomen
talibus quibuſdam cõpecit,contra rium osti,id eſt uirtus ſignificabit.In primis
quidē facilē agilemą progreffum , deinde folutum & expeditū animæ bonæ
impetum effe oportet. Quamobréabloaz impedimēto obſtaculog és béov,id eſt
ſemperfluens iure cognominari poffet adgfútn.fortè uero & αριτίω degerli
uocatquis,quia litaliftas aép&TUTTys,id eftmaxime eligendæ . Verum colliſo
uocabulo obetxdenominatur.Forſitan mefingere dices:ego autem aſſero, ſimodo no
men illud prauitatis quod retuli,recte eſt inductum ,recte quoc & iſtud
uirtutis nomen induci.HERM.Arranów ,id eftmalum ,per quod in ſuperioribusmulta
dixiſti, quid ſibi uult: so c.Extraneum quiddam per louem ,ac inuétu difficile.
Icaq ad hoc etiam machi namentum illud fuperiusafferam.HERM. Quid iſtud: SOCR .
Barbaricum quiddam & hoc esse dicam .HERM.Probeloquiuideris.soc.Cæterum
hæciam fi placet mittamus, nominauero iſta menon & degeóv, id eſt pulchrum
& turpe, conſideremus. Quid degepon innuat, fatis mihipatere
uidetur.Nempecum ſuperioribus conuenit. uidetur quinomi na ſtatuit,paſſim
agitationis impedimentum uituperare.utecce,és igorri zion pouw , id eft femper
impedientifluxum nomen dedit aegóggow . Nuncuero collidentes degsów
appellant.HERM. Quid nonoy, id eſt pulchrum : soc.Hoc cognitu difficilius,
quanquam ip ſum ita deducitur,utharmoniæ duntaxat & longitudinis gratia
ipſum æ ſit productum . HERM.Quo pacto: soc. Nomen hoc cogitationis cognomentum
quoddam esse videtur. HERM .Quiiſtud ais:'soc. Quam tu cauſam appellationis rei
cuiuſ cenſes: an nó quod nominatribuit: Herm.Omnino.so c.Nónne causa hæc
cogitatio est veldeorũ, vel hominum ,uel amborum : HERM. Nempe.soc.Ergo xaréoa
,ideft quoduocatres, & kxaóv,idem accogitatio ſunt.HERM.Apparet.soc.
Quæcunq mens & cogitatio a gunt,laudanda ſunt:quæ
non,uituperanda.HERM.Prorſus.soc. Quod medicinæ par . ticeps,medicinæ opera
efficit:quod fabrilis artis,fabrilia.Tu vero quid fentis ? HERM . Idem.soc.Pulchrum
ita pulchra.HERM.Decet.so c.Eft autem hoc,ut diximus,cogi tatio.
HERM.Maxime.soc.Nomen ita @ hoc naróv, id eſt pulchrum ,merito erit pru dentiæ
cognomentum ,talia quædam agencis, qualia affirmantes pulchra eſſe,diligimus.
HERM. Sicapparet.SOCR . Quid ultra generis huius reftat inveſtigandum : HER M.
Quæ ad bonum & pulchrum ſpectant,conferentia uidelicet, utilia,
conducibilia, emo lumenta,horum contraria . soc. Quid our popov ,id eſt
conferens ſit ,ex ſuperioribus ip ſeinuenies. Nam nominis illius quodad
ſcientiam attinet, germanum quiddam appa ret.Nihil enim præ ſe ferc aliud quam
qopav,id eſt lationem animæ ſimul cum rebus, quæ ue hinc proueniunt,uocari
orredoporre & ovu qopa, id eſt conferentia,ex eo quod fimul
circumferuntur.Herm . Videtur.soc.Losdantov autem ,id eft emolumentum : 7 koše
dos,id eſt lucro.xopdos uero,li quisv prod nominihuic inferat, quod uult
exprimit. Ná bonum alio quodam modo nominai. Quod enim omnibus xopavuutui, id
eſt miſcetur diffuſum per omnia,hanc ipfam eiusuim fignificansnomen illud
excogitauit pro vap ponens,ac Kopdo pronunciauit. HERM. Quid autem vorzask,id
eft utile soc.Vides tur Ô Hermogenes,non ſicut cauponeshoc utuntur, idcirco
Avantasy uocari, quia avesa a whece despaúx, id eſt ſumptusuitat &
minuit:uerum quia cum velocissimum sit, res ftareno finit,neq permittit
lationem réao-,id eft finem progreſſionis accipere atæ ceffare : ſed
ſoluitfemper ab illa fugató ,fi quis terminusfuperueniat, ipfamós indeſinentem
immor talemg præbet.hac rationebonum avame18yuocatū arbitror.ipſum enim
motionis aú ou do río , id eft foluens terminum ,avandou uocari
uidetur.coénomoy uero, id eſt con ducibileperegrinum nomēeſt, quo ſæpenumero
Homerus eſt uſus. Eftauté hocaugen difaciendio cognomētum.Her.Quid de horâ
contrarijs eſt dicendûrsoc. Quæ per ne gationem iſtorum
dicuntur,tractarenequaquam oportet.HER.Quænã iſtar'sOc.co.uk gogov ,kiw deres
davandés,axopdes.HERM.Vera loqueris.s o c .Sed Brabopov & yusão s, id eft
noxium & damnofum . HERM. Certe.soc.Braboooy quidembacitou tou how effe
dicit,id eſt quod uult& nav, id eſtimpedire & coercere:pšu id eft
fluxum :hocautem passim uituperat:quodő uultanlay góp pouw , recte bonomopou
appellaret.uerum ornatus gratia Brabopón arbitrornominatū. HERM.Varia
tibifuboriâtur,ô Socrates,nomina.at quimihi uideris in pralentia, quali Palladiæ
legispraeludiữ quoddã præcinuiſſe,dum no men Bracoitopöy pronunciares. so.Nõego
in cauſa ſum Hermogenes,fed quinomēip ſum inſtituerunt.HERM. Vera loqueris.
Verum Cauãdoquid : soc. Quid effe debeat {#ubades dicam Hermogenes: & uide
uere loquar,quoties dico quod addētes ac de mētes literas lõge nominū ſenſum
uariant,adeo ut ſæpe exiguâ quidmutantes, cótraria ſignificationéinducãt.quod
apparethoc in nomine dear,id eſt opportunữ. uenithocnu permihiin mētem deeo
quod di& urus ſum cogitanti.Recēs eſt profecto uoxnobispul chra
illa,coegitý côtrarium ſonare nobis d'top & {mps&d ov,fenſum ipſum
cõfundens.Ve tus autem quid nomen utrung uulc, explicat. HERM. Qui iftucais:
soc.Dicam equi. dem.haud præteritmaiores noſtrosfrequentero & d
utiſolitos,necrariusmulieres,quæ maximepriſcam uocem feruant.Nunc autem pro
uelipfum & uelx adhibent, produe. ro ( quali hæcmagnificentius quiddam
ſonent.HERM .Quo pactorsoc. Vtecceuetu ftiſſimiuiriin op'a diem
uocabant,pofteriores autem partim čuopov ,partim su'épow ,co cant.HERM.Vera hæc
funt. soc.Scis igitur uetufto illo nomine tantum mentem eius quinomen impoſuit
declarari.Nam ex eo quod imeipzory , id eſt deſiderantibus homini bus
gratulantibus etenebris lumen emicuit,diem inopor cognominarunt. HERM.Ap
paret.so c.Nunc autem illa tragicisdecantata quid ſibiuelit suopa,nequaquam
intelli. gas.quanquam arbitrantur nõnullispopov dici,quod kuopa,id eftmāſueta
quæg efficiat. HERM.Itamihi uidetur.soc.Neq te fugitueteres Puyóv,id eft iugum
, dvozov uocauiſ fe.HERM.Planè.soc.Enimuero luzów nihil aperit.at d'voyou
,divoiy dywylw ,id eſt duori conductionem ligandi ſimul gratia,monftrat.Idemø
eftdemultis alijs iudicandű.HER. Patet.soc.Eadem rationediopita pronunciatum
cótrarium nominum omniâ quæ ad bonum ſpectant oſtendit.porro boniſpecies
exiſtens,déondeouós,id eft uinculum quod dam & impedimētum proceſſionis
effe uidet,tanquam Bag Bopo,id eftnoxij affine quid dam
.HERM.Icamaximeapparet,ô Socrates.Soc.Verum nõſicin nomineueteri, quod
ueriſimilius eſtrecte inſtitutum fuiffe, quàm noftrum. Nempe cum ſuperioribus
bonis conſenties,fi pro 4,1 uetus reſtituas.Nec enim deby ;ſed toy bonum illud
ſignificat,quod ſemper nominūlaudat inuentor:Atą ita fecũipſenõdiſſidet, imòad
idem ſpectat,d'ion, quali δίομ, ώφέλιμομ, λυσιτελών, κάρδιαλέον, αγαθόν ,
συμφόβου, εύπορου, ideft facile ad pro , greffum.uniuerſü
hocdiuerlisnominib.innuit aliquid per omnia penetrās, omniaq pe rornans,idő
ubiq laudatü : qd uero obftat & detinet, improbata . Quinetiã nominehoc
{Butãds,liyeterű mored profpoſueris ,apparebit tibinomen iſtud disutisè boy, id
eft li ganti fiftentiç quod pergit,impofitum .unde & Musãdes cognominandum
eſt .Herm. Quid ádura,númy, uslupia ,uoluptas ſcilicet,dolor, cupiditas,
Socrates, & huius generis reliqua: soc.Haudnimis obſcura mihi uidentur
Hermogenes, šidbvi,id eſt uoluptas lir quidem actionis illiusnomen eſt, quæ
adóvgay, id eſt utilitatem emolumentumo tendit duero adiectum facit,ut pro eo
quod eſt sova,údova proferatur.Ajax, id eftdolor,à Stanús Gews,id
eſtdiſſolutione corporis trahi uidetur.Nam in huiuſmodi paflione corpus diffol
uitur.xvíc , id eſt triſtitia , quod impeditigio ,id eft ire,demonftrat.&
aguda , id eft crucia tus,peregrinum nomen uidetur,ab ängdvö dictum.éduig,id
eft dolor & afflictio,ab güdlü Oews,id eft ingreſſionedoloris denominatur. HERM.
Videtur.so Cårigoló ,id eftmoe ror languor ,lationis grauedinem tarditatemg
ſignificat. ãxto enim onuselt.ioy uero pergens.xapod uero ,id eſt lætitia
gaudium ,à diazúrews,id eft profuſione, & progias,id eft facilitate,poas,
id eſtmotionis animæ,dicitur. Tosalesid eſt delectatio,ab toptivs,id eft
oblectamento ducitur.Topavoy autem à trom,id eft inſpiratione delectationis in
animā Quaremerito uocaretur égaršv,id eſt inſpirans. Temporis autem interuallo
ad Top Arvo deuentum eſt.cuqpoouis,id eſthilaritas & alacritas, quam ob
cauſam dicatur,aſſignareni hil opus.Nam cuicp patet hocnomen trahiab eo
quod dicitur eü , id eſt bene. oum @ opeally id eft unaſequi qualidicat
animabeneres affequi.Vnde cu poporubs uocarideberet:ta men Bagooutlw
appellamus.Sed neg difficile est assignare quid üsgutta, id eſtcupidi. tas
ſibiuelit.Nomen quippehocuim tendentem in Ovuoy, id eft animam & iram &
fu rorem oftendit. Ovuós autem à lúoews& toews,id eft flagrantia, feruore,&
impetu animę. proindeiupo ,id eft fuauis & blandaperfuſio,dicitur,jm ,id
eſt fluxu animam uehemen ter alliciente.ex eo enim quodiulio ga ,ideft
incitatusrerumgappetens fluit,animam uehementerattrahitpropter impetum ſiue
incitamērum fluxus.ab hac tota uiHimeros eſt nuncupatus.Præterea Pothos
uocatur,id eſt deſiderium , quod fane'præfentem fuaui tatem nõ reſpicit,
quemadmodū iuepo ,fed abfentem ardet. Vnde wale_diciturqualiá wóvrG ,id eft
abſentis cócupiſcentia.Idem ipſe in id quod gratñeſt animinixus,præ ſente co
quod cupitur iuopo ,abſente wólo denominatur.iews autem , id eſt amor,quia
doga,id eft influit extrinſecus,neg propria eſt habēti gas,id eſt fluxio ilta,fed
infuſa per oculos. Quapropterabcogar,id eſt influere,čopo , id eft influctio
,amor ab antiquis no ftris appellabat,nam opro wutebantur.nuncautem
épwsdicitur,wproo interpoſito . Ve. rum quid deinceps conſiderandum
præcipis?HERM. dlófæ, id eft opinio ,& talia quædã, undenomen
habentisoc.déke,uel à diwa,id eſtperſecutione dicit, qua pergit & pro
ſequituranima,conditionem rerum inueftigans:uelà tófo Borm,id eft arcus iactu .
uides turautem hinc potiusdependere.oinois, id eft exiſtimatio ,huic confonat.
oftendit quip pecioiy,id eſt ingreſſum animæin unumquodß conſiderandum ,oioy,id
eſt quale fic:quê admodum & bons,id eft uoluntas a Borá,id eſt iactu
dicitur: & Bóns, id eſt uelle , pro pter ipſum attingendinixum ſignificat
etiamélis,id eſt cupere:& Bonbuch , id eſt cõſu lere.Omniahæcopinionem
fequentia,Boras ipfius, id eſt iactus & nixus imagines eſſe
uidentur.quemadmodum contrarium , & boniæ,id eſt priuatio
uoluntatis,defectusquidã conſequendiimpos apparet, quali non contendat, neq
etiam quod intendit,uult, cupit, inueftigat,adipiſcatur.HERM.Frequentiora hæc
congerere uideris, ô Socrates. Quare finis iam fic fauence deo. Volo tamen
adhuc,ávéyxlu & Exšonoy,id eſt neceſſarium & uo luntarium
declarari.Nempe ſuperioribusilta ſuccedunt.socRéxóozoy equidem eft si noy,id
eſtcedensneg renitens,hocfiquidem nomine declaratur zinoy lestorti, id eſt ces
denseunti, quod'ue ex uoluntate perficitur. avayeccoy uero, id eſt neceſſarium
& obfi ſtens,cum præter uoluntatem ſit,circa errorem infcitiam
uerſabitur.deſcribiturautem ex proceſſu ſecundum neceſſitatem , quoniam in uia
aſpera denſa inceffum prohibent. Vndeavaysazov dictum eſt ,quali per &
yroscop ,id eſt per uallē uadēs.Quouſ uero uiget robur,ne deſeramus. Quamobré
interrogaamabo, ne deſiſtas. HERM. Ecce rogo quæ maxima ſunt& pulcherrima:«
aksaa ,id eft ueritatem , & fordo ,id eftmendacium , & öy,id eft ens,
& quareid quodehicagimus,övoua,id eft nomen ,dicitur.SOCR. Quid vo casmaksa:
HERM.Voco equidem inquirere.so c.Videtur nomen hoc ex sermone illo conflatum,
quo dicicuröv, id eſt ens esse ,cuiusnomen inquiſitio eſt. Quod clarius certe
comprehendes in eo quod dicimus óvojasóy, id eſt nominandum . hic enim
exprimitur nomen quid ſit, entisuidelicet inquiſitio. &ikbļa uero ficut
& alia componiuider.Nam diuina entislatio ,nominehocincluditur,ankódæ ,
quaſi exiſtensOscarx,id eft diuina que dam uagatio.Foido- autem contrarium
motionis.Rurſushic uſurpatur agitationis obs ftaculum , quod'ue ſiſtere
cogit.Nam à reboudw, id eſt dormio dicitur. 4 uero adiectum ſenſum nominis
occulicouuero & Xoia , id estens et essentia ,cum & rx66ą, id
eſtueritate , congruunt: fic apponatur.namrov,id elt uadens ſignificat.Atdrøv
id eſt non ens,quidam nominant xxcov, id eſt non uadens. HERM. Hæcmihiuideris,
6 Socrares, fortiter admo dum discussisse. Verum si quiste perconteturquæ
fitrecta iſtorum interpretatio, quæ di cuntur čov, id eſt uadens:géov,id eft
fluens,doww,id eſt ligansac detinens, quid illi potiſſi. mum reſpondebimus:
habes'ne: Socr. Habeo equidem.profecto nuper ſuccurrit no bis aliquid ,
cuiusreſponſione quicquam uideamur afferre. HERM . Quale iſtud : soc.
Viquodminimecognoſcimus,barbaricum eſſe dicamus. fortè enim partim reuera talia
ſunt: forte'uero partim , ac præſertim nomina prima,temporum confuſione infcru
. “ tabilia.Etenim cum paflim uocabula diſtrahantur,nihilmirum eſſet ſi
priſcalingua cum Ç noſtra collatanihilo à barbarica uoce differret. HERM .haud
alienum eſtà ratione quod a dicis. Socr . Conſentanea quidem affero , non tamen
idcirco certamen excuſationem uideturadmittere.Sed conemur hæc diſquirere, ato
ita conſideremus: fiquis femper uerbailla per quænomen dicitur,quæreret,rurſus
illa per quæ dicuntur uerba, ſciſci taretur, pergeretob ita perquirere,non'ne
qui refpondet, defatigari tandem & renuere cogeretur:
HERM.Mihiſane'uidetur. S O CR. Quando ita quireſponſum denegar, merito
ceſſabit: An non poftquam ad nominailla peruenerit, quæ cæterorum ſunt&
ſermonum & nominum elementarHæcutio fi elementa funt,ex alñsnominibus com
pofita uiderinon debent.quemadmodum ſupra & yalóy,id eſt bonâ diximus, ex «
y så, id eſtiucundo amabilio , & 805,id eftueloci compofitum.gooy rurſus ex
alijs conftare di cemus,illağ ex alijs.ſed poftquam ad id peruenerimus quod
ultra ex alíisnominibusno coſtituitur,merito nosad elementű perueniſfe
dicemus,nec ulteriusbocin alia nomina , referendum. HERM .Scite
mihiloquiuideris.soc. Annon ea de quibuspaulo ante in terrogabasnomina eleméta
funt oportet rectam illorõrationem aliter quam reliquorum inueftigare. HER. Probabile
id quidem.soc.Probabile certeHermogenes. Supe riora itaq omnia in hæcredacta
uidentur:ac ſi ita ſe res habet,utmihiuidetur, rurſusage hic unamecum
conſidera, neforte delirem dum rectam primorum nominum rationem exponeretento.
HERM. Dicmodo. ego nang pro viribus meditabor. soc . Arbitror equidem in hoc
tecõſentire,unam efferectam & primi& ultiminominisrationem, nul lumğ
illorum eo quod nomen est, ab alio diſcrepare.HERM.Maxime.so c.Etenim om 2 nium
quæ ſuprà retulimusnominum recta ratio in hoc cõſticit, ut qualis quæ res litin
7) dicaretur.HERM . Proculdubio. soc. Hocutio non minus prioribus quam
pofteriori. bus competere debet sinomina fucura sunt.HERM. Prorſus.so-c
.Atquipoſteriora no. minaper priora hocefficere poterant.HERM. Apparet. soc.
Primauero quibus alia nõ præcedunt, quo pacto quam maximeres ipsas nobisoftendēt,
ſi nomina effe debet: Adhoc mihireſponde. ſiuoce & lingua
caruillemus,uoluiffemusgres inuicem declara re,nonneperindeac nuncmuti,manibus
capite & cæterismembris ſignificare tenta uiſſemus? HERM. Haud aliter Socrates,
soc. Ergo supernữ quippiam ac leue demon. ftraturi,cælum uerſusmanum
extuliffemus, ipſam rei naturam imitantes: inferiora uero & grauia
deiectione quadã humiinnuillemus. quinetiã currentem equũuelaliud quic quam
animalium indicaturi,corporum noftrorum geftus figuras ad illorum ſimilitudi
nem quamproximequiſo finxiſſet.Herm .Neceſlariû quod ais eſſemihiuidetur.soc.
Huncinmodűutarbitror his corporis partibus ostensum eſſet, corpore videlicet
quod quifq monstrare voluerat imitante. Herm. Ita certe.soc. Postquá uero uoce,
lingua, & ore declarare uoluimus, nónne ita demum per hæcoſtenſio fiet,li
per ea circa quodli bet,facta fuerit imitatio : HERM.Neceſſarium puto .
soc.Nomen itaq eſt, urapparet, imitatio uocis, qua quiſquis aliquid
imitatur,per uocem imitat & nominat. HER.Idem mihi quoq uidetur.soc. Nondum
tamen recte dictum existimo. HERM .Quamobrē: Soc. Quoniam hos ouiū &
gallorum cæterorum animalium imitatores fateri cogere. murnominare eadem quæ
imitantur.HERM .Vera loqueris. SOCR .Decereid cenſes: HERM . Nequaquam sed
quænam ô Socrates imitatio nomen erit: s o c.Non talisimi. tatio qualis quæ
permuſicam fit ,quamuis uoce fiat,nec etiã eorundem quorum & mu. fica
imitatio eſt,nec enim permuſicam imitationem nominareuidemur. Dico autê ſic:
Adeſtrebusuox & figura colorø plurimus. HERM.Omnino.soc.Videturmihiſiquis
hæcimitetur,neq circa imitationes iftas nominandifacultas cõfiftere.hæfiquidem
ſunt partim muſica, partim uero pictura.jnonne.HERM. Plane. soc. Quid ad hoc:
nonne essentia eſſe cuiq putas, quemadmodú colori & cæteris quæ ſuprà
diximus: an nõ ineſt coloriacuocieſſentia quædam ,& alijs omnibus quæcunc
essendi appellationefundi. gna: HERM. Mihi quidem uidetur. soc. Siquis cuiuſą
eſſentiam imitari literisfylla. biscß ualeret,nonne quid unumquodo fit
declararet: HERM . Maximequidem . Soci Quem hunc eſſe dices: ſuperiores quidem
partim muſicum ,partim pictorem cognomi nabas,hũcuero quomodouocabis? HERM.
Videturhicmihiô Socrates quem iamdiu quærimus nominandiautor. soc. Siuerum hoc
eſt,conſiderandum iam denominibus illis quæ tu exigebas, pess, ideſt fluxu
,igra ,id eſt ire, géoews, id eſt detentione,utrumli teris ſyllabisą luis reuera
effentiam imitantur,nec'ne.Herm .Prorſus. soc. Ageuidea musnunquid hæcſola
primanominaſint,an fint & alia præterhæc. HER.Alia equidem arbitror. Soc.
Consentaneum est cæterum quis diſtinguendimodusunde imitari incir
pitimitator:Nónne quãdoquidem literis ac ſyllabis eſſentiæ fitimitatio ,
præſtatprimu elementa diſtinguere : quemadmodum qui rhytmis dant operam ,
elementorum primo uiresdiſtinguunt,deinde fyllabarum tanium ,rhythmoscandem
iprosaggrediuntur,pri usnequaquam . HERM. Vtiq.soc.Annon ita & nosprimooportetliteras
uocales die ſtinguere,poftea reliquas ſecundum ſpecies,mutas & femiuocales:
Ita enim in his erudi ti uiri loquuntur.acrurſus uocales quidem ,non tamen
ſemiuocales, & ipſarű uocalium ſpecies inuicem differentes.Etpoftquam
bæcbene omnia diſcreuerimus,rurſus induce, renomina,conſiderareg ſi ſuntin quæ
omnia referuntur,quemadmodum elementa,ex quibuscognoſcere licet& ipfa,
& fi in ipſis ſpecies continentureodem modo ficutiner lementis.His
omnibusdiligenter cogitatis,Icire oportet afferre secüdum fimilitudinem unumquodą
,ſiueunum uniſit admouendum, ſeu mulcą inuicem commiſcenda:ceuph Storesctores
similitudinem volentes exprimere, interdum purpureum duntaxat coloré adhi
bent,interdum quemuis alium colorem , quandoq multoscômiſcent,ueluti cum imagi
nem uiri quam ſimilimam effingere uolunt,uel aliud quiddãhuiuſmodi, quatenus
ima goqueo certis coloribusindiget. haud ſecus & noselementa
rebusaccomodabimus,& unum uni, quocunq egere maxime uideatur :oumbona “ ,
id eſt coniecta conficiemus, quas ſyllabasuocant. Quas ubiiunxerimus, ex eisö
nominauerba constituerimus, rur fusex nominibusac uerbismagnum iam quiddam
& pulchrum & integrum conſtrue mus:& quemadmodum totum ipſum
compoſitum pictura animal uocat, ita noscontes xtum huncintegrű ; orationem uel
nominandi peritia ,uel rhetorica fábricatam ,uel alia quauis quæ id
efficiatarte.Imòno nos iſtudagemus.modūnamą loquendo tranſgref fus fum , quippe
ueteres ita conflarunt,fi ita eſt conſtitutum .Nosautem oportet,fimodo
artificiofe conſideraturiſumus,ipſa omnia fic diſtinguentes , fiue ut conuenit
primano mina & pofteriora ſint poſita,ſiue non,ita excogitare.Aliter autem
cõnectere uidendű eft ôamice Hermogenes,ne forte ſit error.Her. Forte per louem
ô Socrates. soc.Nun quid ipfe cöfidis ita te posse diſtinguere:Ego enim mepoſſe
diffido . HEŘ .Multo igitur magis ipſe diffido.soc.Dimittemus igitur?an uis
utcun @ ualemus experiamur,et ſi pa rum quid horum noſſe
poffumus,aggrediamur,ita tamen utfuprà,dis præfati:ucq illis ediximus,nihil
nosueriintelligentes opiniones hominūdeillis conñcere:ita & nấcper
gamusnobiſipſi ſimiliter prædicentes, quod fi quam optime diſtinguenda hæc
fuiffent, uel ab alio quopiam ,uela nobis,ſic certe diſtinguereoportuiſſet:
nuncautem ,ut fertur, puiribus ifta nostractare decebit.Admittishęc'uel quid
ais.HER. Sic prorſusopinor. soc.Ridiculum uiſum iri ô Hermogenes,arbitror, quod
res ipfæ imitatione per literas fyllabas a factamanifeſta fiát.Neceſſarium
tamen:nec enim meliushochabemus quic quam ,ad quod reſpicientes deueritate
primorum nominū iudicemus:niſi forte quemad modum Tragiciquoties ambigunt,
cõmentiris quibuſdam machinamentis ad deosco fugiunt,ita & nos ocyusrem
expediamus,dicentes deos primanominapoſuiſſe, & idcir corecte inſtituta
fuiſſe.nunquid potiſſimusnobis hic fermoran ille,quod ipſa a barbaris quibuſdam
accepimus:Nobis quippe antiquiores ſuntbarbari,uelquòd ob uetuftatem ita ea
diſcerninequeuntut & barbara: Tergiuerſationeshæ ſunt, & belliſſimæ
quidem , illorum quicunq nolint derecta impoſitione primorum nominû reddere
rationem . Ete nim quiſquis rectam primorā nominum rationem ignorat, ſequentium
cognoſcerene quit.hæcporrò ex illis declaranda ſunt,illa autē is ignorat. quin
potius neceffe eft fequê tium peritiam profitentem ,multo prius &
abfolutius antecedentia comprehendiffe,por feq oſtendere,aliter autem
ſciredebet fe in fequentibus deliraturũ.an aliter ipſe confess HER.Haud aliter
Socrates.soc.Quæ ego ſenſideprimis nominibus, inſolentia ridicu lag admodum
eſſe mihiuidentur,eaç tecû , ſi uelis, comunicabo . Siquid uero tumelius inueneris,mecum
& ipſe comunica. HER. Efficiam.fed diciam forti animo. soc.Princi pio ipſum
g uelut inftrumentum omnismotuseſſe uidetur.Curautem motuslivrosap pelletur,non
diximus.patet tamen quoditors ,id eftitio eſſe uult.Non enim » quondam ,
fedeutebamur.principiữautē ab liay, id eſtire, quodperegrinum nomen eft,&
igra ,id eſtire ſignificat.Quare fi priſcum eiusnomen reperiatur in uocem
noftram translatum , recte i'eois appellabitur.Núc autem ab kiau
nomineperegrino , & ipfiusy conmutatione, & vipſius interpofitionelivyoisnuncupatur.Oportebat
autem sidingoy uel any dicere . súčas,id eft ftatio,negatio ipfius iga , id eft
ire eſle uult, ſed ornatuscaufa séas denomi natur.Elementū itaq ipſum
qopportunűmotusinſtrumentum ,utmodo dicebā ,uiſum eſt nominum autori ad ipfam
lationis fimilitudiné exprimendā : paflim itaggad motus expreſſionē utitur.In
primo quidem ipſo jau & goñ, id eſtfluere, fluxuğ per literampla tioně
imitatur,deinde in touw,id eft tremore,& baya aſpero .item in uerbis
huiufmodi, kódy percutere,&gaver uulnerare , oʻúrdy trahere, @ gúndu
frangere eneruareg , kopuerto siddy incidere,pêué du uacillare, irritare, &
circumuerſare. Hæcomnia ut plurimâperpad fimilitudinémotionis effingit.Mitto
enim quod lingua in hac litera pronunciadamini meimmoratur, quin potius
cocitatur . Quocirca ad iſtorũ expreſſione iplo s potiſſimữ uſus fuiffe uider.
Vfus eft & , scilicetiota, ad tenuia quæ per omniamaximepenetran
tia.idcirco igra & icadou , id eft ireprogredió per o imitatur . Quéadmodū
per 4.0, quæ E literæ uehementioris fpiritus ſunt,talia quædam nominum autor
exprimit, fuzeów frigt dum, ( soy feruens, osoatare concuti, & communiter
aconoy, concuſſionē quaffationem : quoties uehemens quippiam &fpiritu
plenum imitari uult nominum inftitutor, tales utplurimum literas
adhibet.Quinetiam ipſiusd cõpreſſionem aco,linguæ & uelut ha . rentis
retractionem ,peropportunã exiſtimaſſe uideturaduinculi&ftationis potentiâ
exprimendam.Etquia in a proferendo maximelingua prolabitur, idcirco per hoc
uelur ex fimilitudine quadam nominauit nga , id eſt lenia & órcdaerah labi
, & noMūdeslie quidum ,Ascrapov pingue, cætera huiuſmodi.Quiauero labentem
linguam y remoratur eo interiecto formauityhioggoy lubricum , gauxudulce ,
yrādes uiſcoſum , luculentum. Animaduertens quo&ipfius v ſonum imoin
gutture detineri, eo nominauit so výdby & te gutos, id eſtąd intus
eſt,& quæ intrinfecusſunt, utres per literas repræſentarer.Ipſum uero w
,meyer@ ,id eſt magno tribuit &ipſum % ukus ,id eſt longitudini, quoniamma.
gnäliteræ ſunt.in nomineautem spozzinoy, id eft rotundum ,ipfo o indigens, o ut
pluri mummiſcuit. Eadem ratione cętera ſecundum literas ac ſyllabas rebus
ſingulis accom modare uidetur nominum autor,ſignữnomenoconſtitués,ex his deinde
ſpecies iamre liquas per ſimilitudinem conſtituere.Hæc mihi Hermogenes recta
uidetur effe nomina ratio, niſi quid aliud Cratylus hic afferat. H ER.Etenim ở
Socrates,fæpemeturbat Craty lus hic, uc à principio dixi,dum eſſe quandã
afferit rectam nominû rationem , quæ uero sit, non explicat, utdiſcernere
nequeam utrum de induſtria , nec'ne adeòfit obſcurus. In præſentia igitur Ô
Cratyle,coram Socrate dicas , utrum placeant ea tibi quæ Socrates de
nominibuspredicat,an preclarius aliquid afferre poffis:quodfi potes,adducas in
me dium, ut uel a Socrate diſcas,uel nos ambos erudias. CRAT. Videtur'netibi
Hermoge nes facile eſſe tam breui percipere quoduis atque docere,nedum rem
tantam, quæ maxi mum quid demaximis æstimatur. HER. Non mihi per louem ,
quinimò ſcite loquutum Heliodum arbitror, quod operęprecium ſit paruum paruo
addere.Quare fi quicquamli cet exiguum perficere uales,ne graueris, fed &
Socratem istum iuua ,& me insuper.de. bes enim.soc. Equidem ô Cratyle,nihil
eorum quæ ſupra comemoraui;aſſererē.Nem peutcunq; uiſumeſt, cum
Hermogenehocindagaui. quocirca aude fi quid melius ha bes, exprimere,tanquã ſim
libenter,quod dixeris,ſuſcepturus.Neqz enimmirarer liquid tu
hiſcehaberespræclarius. Videris porrò &ipfe talia quædã conſideraffe,
&ab alijs di diciſſe. Siquid ergo præstantius dixeris, me interdiscipulos
tuos circa rectam nominā rationem unum connumerato. CRAT. Certe mihi ô
Socrates,utais , curæ hæc fuerunt,ac forte diſcipulum te efficerem .Vereortamen
ne contrà omnino ſe res habeat.Conuenic mihi nuncidem erga te dicere,
quodaduerſus Aiacem in ſacris Achilles inquit.Genero. Iliadosi fe,ait,Aiax
Telamonie populorũ princeps, omnia mea ex ſententia protulifti.Ita cu quo queô
Socrates, nostra exmente uaticinari uideris, fiue ab Euthyphrone fueris inſpira
tus,ſiue Muſa quædam tibipridem inhærens nuncte protinus concitauerit. soc. O
uir bone Cratyle, ego quoß fapientiam meam iampridem admiror,neq nimis
confido.qua re examinãdum quid dicam ,exiftimo.Namaſeipſo decipi grauiſſimum
eſt.nimis enim 2 periculoſa res eft, quum ſeductorabeſt nunquam ſemperdeceptum
proximecomita, tur.Oportetitao superiora
frequêter animaduertere, & utpoeta ille ait, ante illa retros
conſpicere.Atqui &in præsenti videamus quid à nobis sit dictum. Rectam
diximus no minis rationem , quæqualisquæqres fit, oftendit.Nunquid ſufficienter
eſſe dictâ afferi mus: CRAT. Ego quidem aſſero .soc. Docendi igitur gratia
nomina ipfa dicuntur: CRAT. Prorſus.soc. Annon & artem eſſe hancdicimus,
& ipfius artifices : CRAT. Maxime. soc.Quos.CRAT.Quos à principio tu legum
&nominum conditores co gnominabas.soc.Vtrum hanc artem ſimiliter atą alias
ineſſe hominibus, an aliter arhi tramur:Idautem eft quoduolo.pictores quidam
deteriores ſunt,quidam pręſtantiores? CRAT.Sunt.soc. Nónne præſtantiores opera
ſua pulchriora faciunt, figuras uidelicet animalium: cætericontra: Aedificatoresquoq
ſimiliter partim pulchriores, partim tur piores domos efficiūt: CRAT.Sic
eſt.soc. Nónne et legum ipsarī autores partim opera suapulchriora, partim
turpiora efficiunt: CRAT.Haud ampliusiftud admitto.soc. Non ergo leges
aliæmeliores,deteriores aliæ tibiuidentur.CRAT.Non.soc.Nec etiã nomen
utapparet, aliud melius,aliud deteriusimpoſitum arbitraris. CRAT. Negiſtud. soc.Ergo
omnia nomina recte poſita ſunt. CRAT. Quecunqueuidelicet nominaſunr. soc.Quid
de huius Hermogenisquod ſupra dictum eſt,nomine:Vtrum dicendű non effeilli
iftud impoſitum ,niſiquod équo geridews,id eft Mercurijgenerationis illicompe
car:Animpoficum quidem ,non tamen recte:CRAT.Nec impofitum eſſe ô Socrates,
arbitror,fed uideri.eſſe autem alterius cuiusdā nomen, cui natura inest quæ
nomine con cinetur.soc.Vtrum nequementicur quisquis Hermogenem eſſe eum
dicit:Nec enim hoc eft dubitandum , quin eum dicatHermogenem eſſe,cum non
fit.CRAT. Quaratig ne id ais : so c . Nunquid ex eo quod non datur dicere falſa
,ſermo tuus conftat, & circa id uerſacur.permulci nempeô amice Cratyle,
& nunc prædicant, & quondam aſſerue runt.CRAT.Quo pacto ó Socrates,dum
dicit quis quod dicit quod non eſt dixerit; An non hoc eſt falla dicere,quæ nõ
ſunt dicere: soc.Præclarior hic fermoamice ,quam con dicio mea & ætas
exigat.Attamen mihi dicas,utrum loqui falſa non poſſe aliquis tibi ui
detur,fariautē pofle? CRAT.Neq fari.soc.Acetiam nec dicere,nec apppellare, falu
tare:Quemadmodum liquis tibi obuiushoſpitalitatis iure manu te prehendens dicat
Salue hoſpes Athenienſis, Šmicrionisfili Hermogenes.illeloqueretiſta,uel fari
dicere tur,uel diceret,uel falutaret,appellaretę ita, non te quidem ,ſed hunc
Hermogenem ,aut nullum: CRAT.Videtur mihi ô Socrates,incaſſum hæc iſte
uociferare.so c.Šat habeo. utrū uera uociferat,qui ita clamat, an falſa: Anpartim
uera, partim falſa: Namhoc quo queſufficiet.CRAT. Sonare huncego dicam feipfum
fruſtra mouentem , ceu fiquis æra pulſer.soc.Animaduerte Cratyle ,utrum quoquo
modo conueniamus.Nõne aliud no men, aliud cuius nomen eſt,effe dicis: CRAT. Equidem.
soc. Etnomen rei ipsius imita tionem quandam effe: CRAT.Maxime omniū . So
c.Etpicturas alio quodam modo re rumquarundam imitationes: CRAT. Certe.so c. Ageuero,force'ego
quid dicas, non fa tis intelligo,tu autem forſitã recte loqueris.poffumus has
imitationes utraſą &picturas & nomina rebus his quarű imitaciones
ſunt,attribuere,nec'ne: CRAT.Poſſumus. SOC. Adverte hocin primis,nunquid poffit
aliquisuiri imaginē uiro, &mulieri mulieris tri buere, & in alijs eodem
pacto : CRAT.Sic certe.soc.Num &contra ,uiri imaginem mu lieri,&
mulieris uiro : CRAT. Ethoc. soc.An utræquediſtributioneshuiuſmodirectæ sunt:
uelpotiusaltera,quæ cuiæ proprium fimileg attribuit: CRAT.Mihi quidem uide
tur.SOC.Ne igitur ego actu cum ſimusamici,in uerbis pugnemus, aduerte quod
dico. Talemego diſtributionem in imitationibus utriſqz tam nominibuső picturis
rectã uo co . & in nominibus nõrectam modo,fedueram. Alteramuero
diſsimilisipſius tributio nem illationem non rectam ,& in nominibus
præterea falſam. CRAT. Atuide ô Socra tes,nefortè in picturis duntaxat id
contingere poſſit,ut quis male diſpertiat, in nomini bus autem minime,fed
neceſſariū ſit recte femper adſcribere.soc.Quid ais: quo ab illo hoc differt:
Nonefieri poteſt ut cuipiam uiro quis obuius dicat,hæctua figuraeſt, oſten
datók illi forte'uiri illius figuram, forte'etiã mulieris: Oftendere,inquam
,ſenſibus oculo rum offerre.CRAT.Certe.soc.Nónneiterum ut eidem factus obuiam
dicat, nomen id tuum est. Imitatio quippe aliqua nomen est ,quemadmodũ &
figura. Dico autéita.Nón ne licebit illi dicere,nomen hoctuum eft: deinde in
aurē idem infundere,fortè'eius imi tationem dicendo quod uir eſt ,forte' uero
fæminæ cuiuſdã generis humani imitationē, dicendo quod mulier: Non uidetur
tibihoc aliquãdo fieripoffe: CRAT.Concedere ti bi uolo, o
Socrates,licefto.soc.Recte facis amice.acſi id ita fe habet, controuerſia iam
tolletur. Porrò si in his huius modi quædã partitio fit, alterâ uereloqui,alterữloqui
falſa uocamus.Si hocaccidit , & poſſumus non recte nomina diſtribuere,
& quænon propria funt cuic reddere,fimiliter in uerbis aberrare
licebit.Sinautem uerba nominağ ita con gerere datur, necesse est et orationes similiter.
Oratio quippe,utarbitror, eſt uerborum &nominum cõpoſitio. Quid ad iſta
Cratyle: CRAT. Quod & tu.probe namg loqui ui deris.soc. Quinetiã si prima
nomina ad literas ipſas quadã imitatione referimus,cótin . gere poteſt in his
quemadmodã in picturis ,in quibusaccidit ut congruas omnes figuras coloresg;
adhibeamus.Item ( ut non omnes,fed partim ſuperaddamus,partim ſubtraha
mus,plura & pauciora exhibeamus. Nõne fieri hoc potest? CRAT. Proculdubio.so..
Quicóuenientia oſia tribuit,pulchras literas & imagines reddit.Quiuero
addit,uel au fert,liceras quidem ac imagines &ipſe facit, fedmalas,CRAT. Nempe.
soc. Qui autem per literas ac syllabas rerum eſſentiam imitatur,nónne eadem
ratione fi comperētia om nia tribuit,pulchram imaginem efficit: Idautem nomen
exiſtic.finautem in paucás defi, ciatuelexcedat,imago quidem efficietur, sed
non pulchra:Quamobrem nomina quæ. dam beneinſtituta erunt, quædam contra.CRAT.
Forte. soc.Forſican ergo nominum hicbonus erit artifex
,illemalus.CRAT.Profecto.soc.Nónne huic nomen erat nomi numcõditor:
CRAT.Plane.so c.Erititag in hocquemadmodū in cæteris artibus con . ditor
nominum bonus unus,alius uero non bonus,limodo fuperiora illa inter noscon
ftant. CRAT. Vera hæc funt. Verum cernis ô Socrates, quotiens has literas «
& B & quoduis elementorű nominibus per artē grammaticamattribuimus,
ſiquid auferimus, ueladdimus, uel etiam permutamus, quod nomen quidem
ſcribimus;non tamen recte, imò uero id nullo modo fcribimus,quin potius ſtatim
aliud quiddã eſt ,cũ primum horű aliquid patitur.soc.Videndű Cratyle,ne
force'minusrecte hoc pacto conſideremus. CRAT. Quo pacto:so c. Fortaſſis
quæcune aliquo ex numero conſtare uel non cõsta reneceſſe eſt,idquod ais
perpetiuntur, quemadmodūdecem ,autquiuis alius numerus. Nam quilibet numerus
quocûç additouel ablato,alius ſtatim efficitur. Fortè uero qua litatis
cuiuslibet & imaginis haud eadēratio eſt, ſed diuerſa. Neg enim omnia imago
ba bere debet quæcũą illud cuius imago eſt, li modoeſt imago futura.
Animaduerte num aliquid dicam .Anduoquædam hęcerunt,Cratylus uidelicet, &
ipfius imago, ſiquis deo rum nõmodo colorem tuum figuramß expreſſerit,ut
pictores ſolent,ſed interiora quò que omnia fimilia tuis effecerit,mollitiem
eandem ,caloremý,motum ,animā, fapientiā; &ut breui complectar,talia
prorſus effinxerit omnia,qualia tibiinſunt: Varum , inquá, alterum iſtorum Cratylus
erit,alterum Cratyli ipsius imago:AnCratyli potius gemini: CRAT.Cratyli ô
Socrates, ut arbitror, duo.soc.Cernis amicealiam imaginis rationem eſſe
quærendam , quàmillorum quæ paulo ante diximus.'ne cogendum effe liquiduel
additum ,uelablatum fuerit ,ut non ampliusſit imago Annonſentis quantã deeſt
ima ginibus,ut eadem habeantquæ & illa quorû imagines sunt: CRAT. Equidem.soc.Ri.
diculum aliquid Cratyle exnominibus contingeret his quorum nomina ſunt, fi
prorfus illis fimilia redderentur.Gemina quippe omniafierent, neutrumą
illorūutrum effetpo tius dici poffet ,res'ne ipſa annomen. CRAT. Vera loqueris.
soc. Ingenueitaqz fatearis o uirgeneroſe,nominum aliud bene,aliud contra
pofitum effe :nec cogas omnes literas continere,adeò ut penitus tale fit, quale
& id cuius eft nomen :ſed mitte literá quoq mi nus congruam afferri quãdoq:ſi
literam , &nomen ſimiliter in ſermone: ſi in fermoneno men,ſermonem inſuper
nequaq connenientem rebus tribui, et rem ipsam nihilominus nominari diciç
,quoad rei ipſiuscuius fermo eft figura,inſit: quemadmodü in elemento rum
nominibus quæ nuper ego &Hermogenes comemorauimus,lirecordaris. CRAT.
Recordor equidem ,soc. Benehercle igitur quandocung hocinerit, quamvis non om
nia conuenientia prorſus adſint, dicetur.bene quidem, cum omnia:male uero, cum
pau ca.Diciitap ô beate,mittamus,nequemadmodû qui in Aegina noctu
circumuagãtur, fero iter peragūt, ita &nos hoc pacto ad res ipfas reuera
ſerius quàm deceat, perueniſſe uideamur,uelfalutem aliam quandã exquiras rectam
nominis rationem ,nec confitea. ris declarationem rei literis ac fyllabis
facta,nomen effe.Porrò ſi ambo hæc dixeris, tibi ipfe conſtare &conſentire
non poteris. CRAT. Viderismihi probeloqui ô Socrates.at que ita
pono.soc.Poſtquam de his conſentimus, quod reſtat diſcutiamus.Si bene no men
poſitum eſſe debet,oportere diximus literas fibi cõuenientes ineſſe. CRAT.
Plane. soc.Conuenit autem ut literæ rerum fimiles inſint. CRAT. Omnino. soc.
Quæigi tur recte ſunt poſica ita pofita ſunt.Siquid autem non recte poſitum eſt
ut plurimum qui demex conuenientibus ſimilibusý literis conſtat, fi quidem
imago eſt.habet auté & ali quidnon conueniens,propterquod non rectâ
eſt,nerecte nomen eſt inſtitutű,Sic'ne an aliter dicimus:"CRAT.Nihileft ô
Socrates,utarbitror,contendendã:neq enim mihi placet,utņomen quidem eſſe dicatur,non
tamērecte poſitű . soc.Vtrum hoc tibi non placet,quodnoměreiipfiusdeclaratio
lit :CRAT. Placet.soc.At vero nomina partim ex primis constituta esse, partim
esse primanon probedictâ putas:CRAT.Probe.soo Enimuero prima ſi quorundā
declaraciones effe debent, habes'ne modû commodiore quo id fiat, qa li talia
fiát,qualia illa funt quæ declarari volumus:Anmodus iſte pocius ei bipla. i biplacet,qué Hermogenesalijý plurimi
tradunt,quòd uidelicet nomina conuentiones quædam lint ijs qui ita
coſtituerunt,acresipfa præcognouere,aliquid referentes:rectas nominis ratio in
cõuentioneconſiſtat,nec interſit utrum quis ita utnunc ftatutű eſt de cernat,
an contra:ut uideliceto, quod nunc o paruũuocatur, o magnum cognominetur, wuero
quodmodow magnum , w paruum dicatur : Vter iftorum magis tibimodus pla cer:
CRAT. Pręſtatomninoô Socrates,fimilitudine referre quod quis oftendere uult,
quouis alio. soc. Scice loqueris.Nõnelinomen rei ſimile eſt,neceſſe eſt elemēra
ex qui bus prima nomina cõponuntur,natura ipſa rebus eſſe fimilia: Sic autem
dico: an aliquis quandox picturā iz ſupra diximus,rei cuiuſquã ſimilem
effinxiſſet,niſi colores ipfi qui bus cõſtatimago,efTentnatura reiillius
ſimiles quam pictoris ſtudium mitatur : Anno impoſſibile: CRAT.Impoſſibile
plane.soc.Eadem rationenomina ipſanun alicuius fimilia fierent,niſi illa quibus
nomina cõponuntur, limilitudinem aliquam haberent ea rum rerű , quarum nomina
imitationes ſunt. Ea vero quibus conſtant nomina , elemen ta funt.CRAT. Sane .
soc . lam tu ſermonis eiuseſto particeps,cuiusnuperHermoge nes.An
rectediceretibi uili ſumus, quod ipſum plationi,motui,aſperitati congruit?
CRAT.Rectemihi quidem.soc.Ipfum aūta leni & molli, accæteris quæ
narrauimus: CRAT. Profecto.so c.Scis'ne quod idem ,id eſt aſperitasipſa nobis
quidē oxigpótys uo icatur, Eretrienſibus uero oxi spóryg: CRAT.Vting.soc. Vtrữambo
hæclp& o, eidem fimilia uidentur,idemg oſtendűc tam illis per ipliuse
determinacionē,quam nobis pero nouiſſimű,uel alteris noſtrum nihil referunt:
CRAT. Vtriſą plane demonſtrant. soc. Vtrum quatenus fimilia ſuntp & o ,uel
quatenus diſſimilia: CRAT. Quatenus fimilia . soc. Nunquid penitus ſimilia
ſunt,ad lacionē æque ſignificandā : quin & ipſum a inie ctum ,cur non
contrariū aſperitatis ipſius ſignificat: CRAT. Forte'non recte iniectữeſt ô
Socrates, quamadmodūea quæ tu in ſuperioribus cum Hermogenehoc tractabas,dum
&auferebas &inferebas literas ubimaximeoportebat. Acrecte mihi facere
uidebaris. &nunc forte pro 1, s apponendű eſt.so.Probeloqueris. Quid uero
nuncuc loqui nihil percipimus inuicé, quando quis orangón pronunciat : nec tu
quidnuncego dicã, intelligis: CRAT.Intelligo equidem propter
conſuetudiné.soc.Ouir lepidiſſime,cum confuetudinem dicis , quid aliud præter
conuentionem dicere putas. An aliud conſuetu dinem uocas, quàm quodego cum id pronuncio,illud
cogito,eu quoc quod ipſe cogítē percipis :Nonhocdicis: CRAT. Hoc ipsum.soc.S
;id mepronunciante cognoscis, per mne tibi fit declaratio ,ex diſſimili
uidelicet eius quod ipſe cogitans profero: quãdoquide ipſum , diſſimile eft
eius quo tu ordygótym, id eſt aſperitatem úocas. Si hoc ita ſe habet, profecto
ipfe ad id teipfum aſſuefacis, & ex hac conuentione rectam tibi nominis
ratio nem proponis ,poſtộ tibi idem tã diſſimiles of ſimiles literæ repræſentãt
propter ipfum conſuetudinis & conuentionis acceſſum.Sinautem conſuetudo
conuentio minime fit; haudadhuc recte dici poterit ſimilitudinē eſſe
declarationem, imò cõſuetudinem dicere oportebar. Siquidē ex
ſimilitudine&diſſimilitudine conſuetudo declarat , Hisaricco ceffis,ô Cratyle
nempe ſilentiñ tuum pro cõceſſioneponam) neceſſe eſt conſuetudině cca aliquid
conuentionēģconcere,conferreġ ad eorû quæ ſentimus& loquimur expreſſio
nem.Nam ſi uelis ,optime uir,ad numerorũ conſiderationem defcendere, quo
pactoſpe ras, adeò propria reperturű te nomina ut ſingulis numeris ſimile nomen
attribuas, ſi no permiſeris cõcefſionem tuam , conuentionemý autoritatê aliquam
circa nominū ratio nem habere: Mihi quidē et illud placet,ur nomina quoad fieri
poteſt, rebus fimilia ſinta Coc Vereor tamen neforte,utdicebatHermogenes,
tenuis quodãmodoſic iſtius ſimilitudi nis uſurpatio , cogamurg & oneroſa
hacre,cõuentioneuidelicet uti, ad recta nominum rationem :quoniã tunc forte pro
uiribus optime diceretur,cum uel omnino ,uel maxima ex parte ſimilibus,id eſt
cõuenientibus diceremus,turpiſſime uero cữ contrà . Hocautē poft hæc inſuper
mihi dicas: quã nobis uim habētnomina, quid'ue pulchrâ perhec effi. cinobis
afferimus:'CRAT.Doceremihi quidē nomina uident,ô Socrates,idý fimplicia ter
aſſerendű , quòd quiſquis nomina ſcit, & res itidē ſciat.so. Forte ô
Cratyle,tale quid cuc dam dicis, q cũnoueritaliquisquale ſitnomē,eſt aūt tale
qualis &res exiſtit, rem quoq ipſam agnoſcet, quandoquidē nominis eft res
ſimilis. Arsaūtuna eadem eſt omniüin cor ter ſe ſimiliū .Hac ratione inductusdixiſſe
uideris; quod quiſquis nomina cognoſcit, res ecc quoghi quoq ipfas
agnoſcet.cRAT.Veraloqueris.soc.Age ,uideamus quismodus docenda rum rerum iſte
ſit ,quem ipſenuncdicis, & utrum alius prætereaſit,hic tamen potior ha
beatur,uel alius præcerhuncnullus. utrum iſtorum pocius arbitraris: CRAT. Hoccerte,
quòd nullusuidelicet alius ſit,fed hic folus & optimus.soc.Vtrum uero &
resipſas ita reperiri cēſes,ut quicung nomina reperit,ea quoq quorum nomina
ſunt,inueniat: An quærendum potiusalium modum quendā,hunco
diſcendű.CRAT.Maximeomniale cundum iſtahuncipfum & quærendű &
inueniendum . soc.Age,ita conſideremus,ô Cratyle: ſiquis dum res
inueſtigat,nominaipſa ſequitur,rimatur; quale unãquodą uule elle,uides maximum
decepcionis pericula ſubit:CRAT. Quo pacto: soc.Quoniam qui principio
nominapoſuit, quales effe resopinatus est, talia quoq nomina,ut diceba
mus,effinxit.Nonne itar CRAT.Ita prorſus. Soc.Siergo illenõrecteſenlit, &
ut ſenlie inſtituit,nõne & nos fequentes eius ueftigia deceptos iri
exiſtimasť CRAT.Haud ita elt imòneceffe ſciencem fuiffe illum quinomina
poſuit.Aliter autem ,ut iamdudâdicebam , nomina nequaſ
effent.Euidentiſlimoautem argumento id eſſe tibipoteſt, haudà ueri tate
aberrauiffe nominum autorē,quòd ſimale ſenſiſſet,nequaq libiita omnia conſona. rent.An
non aduertiſti & ipfe, cum diceresomnia in idem tendere 'soc.Nihil ifta
obo. neCratyle,ualet defenſio .Quid enim mirum eft, li primodeceptus nominâ
institutor, se quentia rurſusad primum ui quadã traxit,& ipfi conſonare
coegit:Quemadmodücirca figuras interdűexiguo quodam primo ignoto falſof
exiſtente , reliqua deinceps multa Circa prin , inuicem conſonant . Debetenim
quiſo circa rei cuiuſ principium ſtatuendű differere » cipium ſta ,
multa,diligentiſſime conliderare,utrum recte decernat,nec ne . quo quidem
fufficiens tuendă diſ ter examinato ,cætera iam principium fequidebent, Miror
tamen ,fi nomina libímet con i ſereremulta gruunt. Conſideremus iterum quæ
ſupra retulimus. diximus profecto ita nomina effen. oportet tiam ſignificare
qualiomnia currat,ferant & defluant. Ita'nelignificare cenſes ? CRAT. Ita
certe. & recte quidē.soc.Videamusitaqs ex illis aliqua repetentes .
Principio nom hocwrshug,id eſt ſcientia ambiguum eſt,magis a ſignificare
uidetur, quod istory,ideft fiftit in rebus animam , ĝ quod cum rebus pariter
circumfertur:rectiusos eſſe uidetur, ut principium eiusutnuncüdishulu dicamus,
per e ipſius eiectionem , & pro 4, 5 potius adijciamus. Deinde Bébajok , id
eſt firmum dicitur, quoniam badoows & scotas, ideft firmamenti, et status
potius quam lationis est imitation. Præterea igoelæ ad forte ſignifi cat quod
isgor t powi, id eft ſiſtit fluxum , & ipſum nisov,id eſt credendum , isaw
, id eſtfira mare omnino ſignificat.Quinetiã uykusid eſtmemoria,oftendit
prorſus quod in anima nõagitatio eft,fedpovni,id eft quies,ſtabilise permanſio.
Atquifiquis nomina ipſaobler ueta écueapariæ & ovuqoça ,id eft error &
cótingentia caſus ,idem uidebuntinferre,quod owens & ufiskur, id est
intelligentia at scientia, & cætera nomina quæ præclarisſunt rebus impoſita.ltem
cualíc & cronacíc , id eſt inſcitia & intêperantia ,proxima hisui
dentur .icuclic quidē importareuidetur,&cket demi loves aegear, id est simul
cum deo eun tis progreſſum . cronæriæ uero omnino quandam ipfarum rerum
arodubiav,id eft perſe. cutionem atq cogreffum .At ita quæ rerum turpiſſimarű
nominaeffe putamus,nomi num illorû quę circa pulcherrimaſunt,
ſimillimauidebuntur.Arbitror & aliamultare periri poffe,fiquis ad hæc
incumbat, ex quibus iterum iudicabit nominữautorêno cur rentes delataso res,imò
ftabiles indicare. CRAT.Verūtamen multa o Socrates ſecundi agitationis
ſignificationē uides illum conſtituiffe.soc. Quid agemusô Cratyle : Nun quid
fuffragiorû calculorum inſtarnomina ipſa dinumerabimus : at ad hancnormă
derecta ratione nominū iudicabimus,ut ea tandem uera ſint,quibus significationes
plu rium nominum fuffragantur: CRAT.Haud decet . soc. Non certe amice. Sed his
iam omiſſis,redeamus illuc unde digreffifumus.
Dixiſtinuper,firecordaris,neceffariñelle, illűquinomina ſtatuit,prænouille ea
quibus nomina tribuebat:perſtasadhuc in ſenten tia ,nec'ne'CRAT. Adhuc.so
c.Nunquid & illum quiprimanominapoſuit,nouiſicais dum poneret: CRAT. Nouiſſe.soc.Quibusex
nominibus resueldidicerat,uel invene rat, quando necdâ primanomina fuerāt
inftitutar cum dicta ſit impossibile esse resuelig vuenire, uel diſcere,niſi
qualia nominaſint,didicerimus,uelipfinosinuenerimus. CRAT: Videris mihinonnihil
ô Socrates, dicere. soc.Quo igitur pacto dicemus eos ſcientes, nomina
poſgillexuellegum & nominü conditores ante poſitionem cuiuslibet nominis
extitille extitiffe, eosý res antea cognouiffe,fiquidem nõ aliter quam ex
nominibus diſcires por finer"CRAT. Reor equidem Socratesueriſsimum eum
effe fermonem quo diciturex.co cellentiorem quandam potentiam quam humanam
primarebus nomina præbuiffe, quo neceffarium lit ut recte fuerint diſtributa .
soc. Nunquid putas cótraria libijpfipofuif-cc ſe nominum autorē li dæmõ aliquis
ueldeusextitit: an nihiltibi fupra dixiffe uidemur: CRAT.Forte'nondum alterum
iftorum nomina erant. soc. Vtraigitur erantuir opti me; num quæ ad ftatum
uerguntian quæ ad motum potius Neq enim , utmodo dixi
mus,multitudineiudicabitur. CRAT.Sic decet Socrates.soc.Cum itaque diſſentiant
contendanto de ueritate inuicem nomina, & tam hæcquàm illa uero
propinquiora effe feafferant,cuiusadnormam dijudicabimus.Quò nos uertemus: Nec
enimad alia no mina confugiemus, quia præterhæcnulla. Verum alia quædam præter
nomina quæren da funt,quæ nobis oftendantabſque nominibus,utra iſtorum uera
ſint, rerum uidelicet monſtrantia ueritatem . CRAT.Itamihiuidetur.soc.Si hæc
uera ſunt Cratyle , pof ſunt,utuidetur, res line nominibus percipi. CROT.
Apparet. soc. Per quid potiſsi mum aliud fperas res ipfas percipere:Nónne per
quod conſentaneum ac decenseft: pet mutuam illarum communionem , fcilicet
fiquomodo inuicem cognatæ sunt, & perse ipsas maxime. Quod enim aliud eft
ab illis , aliud quiddam non illas significat. CRAT. Vera
loquiuideris.soc.Dicobſecro nonne iam fæpe conceſsimus,nomina quæ recte pofita
funt,fimilia illorum eſſe quorum ſuntnomina,rerão imagineseffe: CRAT. Con
ceſsimus planè.soc.Si ergo licetrespernominadiſcere , acetiam per ſeipfas, quæ
præ ftantior erit lucidiorý perceptio :Num si ex imagine cogitetur et imago
ipſa utrum re cteexpreſſa fit, & ueritas cuiushæc eftimago: Anpotiusfi ex
ueritate tam ueritas ipſa . quàmipſius imago,nunquid decenter imago ad eam
fueritinſtitucar CRAT. Siexueri tate.soc. Qua ratione res vel per doctrinam vel
per inventione comprehendendęſint; iudicare, maioris quàm meum ac tuūſit, ingenñ
opus esse uidetur. Sufficiat autem nunc internos conftitiffe quod non ex
nominibus,immoex ſe ipſis potiusdifcendæ quæren dæg ſunt.ERAT. Sicapparet ô
Socrates .soc.Animaduertamus & hocpræterea,në mulra hæcnomina in idem
tendentia nosdecipiant, cũ quiilla impofuerunt, currere om nia semper
flueresputauerint,ato ea cõſideratione poluerint:uidenturnempemihiita
exiftimaffe:quorû camēopinio fi talis extitit,falſahabêda eſt.profecto
illiuelut in quan dam delapfi uertiginem , & ipfi uacillant iactanturcs,
& nosin eadem rapientes immer gunt. Cõlidera uir mirifice Cratyle quod ego
sæpenumero fomnio , utrum dicendû est: esse aliquid ipſum pulchrum ac bonum
,& unum quodas exiſtentium ita,nec ne.CRAT. Mihiquidem ô Socrates eſſe
uidetur.so c .Illud igitur ipſum cõſideremus, non ſi uul cus quidam aut aliquid
taliú pulchrum eſt, quippe hæc omnia fluunt:ſed ipſum pulchrữ
dicimus,nonneſemper tale quale eſt perfeuerat : CRAT. Neceſſe eſt.soc. Nunquid
possibile eft ipſum recte denominare si ſemper fubterfugit, acprimo quid illud
fic dein de quale ſit dicereruelneceſſariû eſt,dum loquimur aliudipſum ftatim
fieri,iugitero dif fugere,nec tale amplius eſſe: CRAT. Neceflarium.soc. Quo
pacto aliquid illud erit, quod nunquam eodem modo ſe habet: Sienim quandoq
eodem modo fe habet , eo in tempore minimepermutatur:fin autem ſemper eodémodo
ſe habet;idemg exiſtit , quo modo tranfituelmouetur, cum ideam ſuam non
deferat: CRAT. Nullo pacto: so ca Præterea ànullo cognosceretur. dum enim
cognitura uis ipsum aggrederetur, aliud alie numosfieret.quare quid ſit aut
quale cognoſcinõpoffet .nam cognitionulla ita réper cipit, utnullo modo fe
habentem percipiat. CRAT. Eft ut ais.soc . Sed ne cognitio nem ipfam effe
affirmandẫeſt ô Cratyle ſi deciduntomnia,nihilg permanet.Sienim co gnitio ex eo
quod cognitio eſtnon decidit, permanebit semper, ac ſemper eritcognitio irautem
cognitionis ſpeciesipſa diſcedit,ſimul & in aliam cognitionis fpeciem
delabe tur,neæ cognitio erit.Quod fi perpetuomigrat , ſempernon erit cognitio.
Aro hacra . tionenew quod.cogniturum eſt,nec quod cognoſcen lum ,ſemper erit.
Sinautem fem per eſt quod cognoſcit,eft quod cognoſcitur,eft pulchrű,eft &
bonum , eſtý deniq exi. Itențium unűquod & quæ in præſentia dicimus,fluxus
lationis ſimilia non uidentur.Vtrum uero hæcita ſint,an ut dicebantHeraclitiſectatores,
alijg permulti,haud facile di ſcerni poteſt.Nec hominis ſanæmentis eft feipfum
animumg luū nominibuscredere; & autorem nominum sapientem asseverare, atqz
ita de ſeipſo rebus omnibus maleſen 9 ) tire,ut putet nihil integrum firmumą
exiftere,ied omnia uelutfictilia fluere atg conci. v dere, &quemadmodum
homines deſtillationibus capitisęgrotantes,fimiliter quoqres w ipsas affici
iudicet, adeo ut deſtillatione et fluxu omnia comprehendantur. Forteộ Cratyle
ita eſt,forteetiã aliter:forti animo &diligenti ſtudio inueftiganda res
eſt.neqením fácile aſſentiendum.Iuuenis adhuces , arque tibi fufficitætas. Et
liquid inveneris inda gando, mihi quog impartiri debes. CRAT. Nauabo operam
Socrates. Ac certe {cito meetiam in præfentia non torpere,immocogitāti mihi et multa
animo reuoluenti mul tomagis ita ut dicebas ipse, quam ut Heraclitus,res ſeſe
habere uidentur.soc.Dein ceps amice poftquam redieris me docero . Nuncautemut
conſtituiſti in agrum perge. Atqui & Hermogenes hicte comitabitur. CRAT. Fietutmones
Socrates.Verum tu quoque iam de his cogita. Roberto Dionigi. Dionigi.
Keywords: ermeneutica, svolta linguistica, cratilo, linguaggio, la forma del
linguaggio, forma logica. Nietzsche. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Dionigi” –
The Swimming-Pool Library.
Disertori (Trento). Filosofo. Grice: “I like
Disertori; especially his ‘studi platonici’ on the archer, and, ‘under the sky
(or is it heaven – ‘cielo’ is a trick) of Saturn!” Frequenta il Ginnasio liceo
Prati. Si iscrive poi a Firenze e quindi si trasferisce a Genova, dove si
laurea con “Fisio-patologia del sistema nervoso centrale”. Si trasferisce a
Milano e si specializza in neurologia e psichiatria con Besta. Torna a Trento,
dove esercita la libera professione: la carriera pubblica e ospedaliera gli era
preclusa in quanto privo della tessera del Partito Nazionale Fascista. Antifascista da sempre, negli anni quaranta
partecipa attivamente alla Resistenza, incontrando fra gli altri Reale,
Pacciardi, Battisti, Bacchi, e Manci. -- è costretto a riparare in Svizzera.
Finita la guerra ritorna in Italia e, a Trento, diventa primario nel reparto di
neurologia dell'ospedale Santa Chiara e docente sia di neurologia e psichiatria
a Padova, sia di socio-psichiatria e criminologia a Trento. Pubblica più di 300 saggi di filosofia. Per tutto il secondo dopoguerra si occupa
attivamente di politica, ricoprendo la carica di presidente regionale del
Partito Repubblicano. Diventa inoltre presidente della Croce Rossa .Altre
opere: “Il libro della vita”; “Trattato delle nevrosi”; “De anima”; “Trattato
di psichiatria e socio-psichiatria”; “Sfida al secolo, 1975. La collezione si
trova già chiaramente ordinata e organizzata dal Disertori stesso, con un ricco
carteggio con scienziati, personalità politiche e del mondo della cultura,
documenti sull'attività scientifica e pubblicazioni; cronache e materiali
raccolti durante i viaggi; recensioni alle sue opere e materiali di ricerche
scientifiche. Coppola, Passerini,
Zandonati. SIUSA. G. Coppola, A. Passerini e G. Zandonati , Un
secolo di vita degli Agiati. “Sotto il segno dell'uomo” Beppino Disertori. Atti
del convegno di studio, Trento, Palazzo Geremia, Pensiero e opera letteraria di
Beppino Disertori, Manfrini, Calliano (TN), L. Menapace et al. , Note
biografiche, R. Bacchi et al. , Biografia, Accademia del Buonconsiglio, Trento,
Beppino Disertori. Giuseppe Disertori. Disertori. Keywords: libro della vita
(why do we live?), il messagio di Timeo, itinerari pitagorici, pitagora e
aligheri – tensione dell’arco vuolo – eraclito – platone – politeia di Platone
– Grice on Plato’s Republic – plato carmide e la medicina – dell’anima –
psicologia teoretica -- sul segno dell’uomo, de anima. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Disertori” – The Swimming-Pool Library.
Dòdaro
(Bari). Filosofo. Grice: “Dòdaro is an interesting
one – totally cryptic of course! It is as if he were Nowell-Smith, Austin, and
Donne, combined into one! Recall Nowell-Smith’s challenge to Austin: “Donne is
incomprehensible,” “He surely ain’t!” Costretto
a riparare a Turi per sfuggire ai bombardamenti. A Bari si legò a Maglione,
Castellano, Piccinni e, assieme allo zio Silvio, prendeva parte agli incontri
artistici e letterari del caffè-pasticceria Il Sottano (in quegli anni
frequentato da Moro, Albertazzi, Scotellaro, Bodini, Calò ecc.), fondato da Scaturchio,
e agli incontri di Laterza e del circolo La Scaletta di Matera. Nello stesso
periodo conobbe Nazariantz, il quale rappresentò per Dòdaro una sorta di guida,
fu lui, infatti, a introdurlo per la prima volta agli incontri del Sottano dove
ebbe modo di stringere amicizia con Bodini, Calò, Scotellaro. Abbandonò presto
Bari, tentando una prima fuga a Parigi, città in cui sarebbe tornato a vivere
altre volte, prima di tornare a Bari per poi trasferirsi a Lecce. Altre tappe,
prima del trasferimento a Lecce, furono Milano e Bologna. Divenne allievo di Morandi,
presso l'accademia, infatti, prime espressioni della sua attività artistica
furono la pittura, praticata per una manciata di anni, e il teatro, poi diluito
nelle successive esperienze poetiche e narrative. Come pittore produsse alcuni
quadri in cui all'informale materico univa le combustioni, applicate, di fatto:
Verri riporta in suo intervento: arriva con la novità dei colori
"bruciati". Di questo ciclo di opere faceva parte "Svergognato
incantesimo di barca", che gli valse, successivamente, la segnalazione
presso il premio "Il maggio di Bari". Prima del trasferimento a
Lecce, lavora presso l'ufficio stampa della Fiera del Levante, a stretto
contatto con Fiore, figlio di Tommaso, venendo influenzato dal meridionalismo.
Sempre nel clima della Fiera del levante, strinse un ottimo legame con Tot. Al
suo arrivo a Lecce riallacciò i rapporti con Bodini e Calò, oltre che con Suppressa,
conosciuto in occasione del premio Il Maggio di Bari, entrò, inoltre, in
contatto con quelli che sarebbero stati poi suoi amici e compagni artistici:
Durante, Massari, Candia, Pagano. Ebbe frequentazioni con Bene e strinse
importanti sodalizi amicali e letterari con Verri, Gelli, Caruso, il quale, in
corrispondenze private, ebbe modo di rinominare la loro amicizia e
collaborazione come il "sodalizio Caruso-Dòdaro". A Leccesi rese
protagonista, con Candia, di un grande falò in cui i due bruciarono tutti i
quadri realizzati fino a quel momento. Per quanto riguarda l'opera pittorica "Svergognato incantesimo di barca",
insieme a pochi altri, si salvò dal falò perché all'epoca custodito presso la
casa dello zio Silvio. Dopo questo iniziale periodo di ricerca e sperimentazione,
abbandona la scena artistica per circa vent'anni, anni in cui si dedicò allo
studio intenso nel tentativo di scoprire il perché del linguaggio, rompendo il
silenzio con la fondazione del Movimento di Arte Genetica con sede a Lecce,
Genova e Toronto. Con tale movimento, rintracci l’origine dell’italiano o
romano nel battito materno ascoltato in età fetale, teorizzando il romano o
italiano come una congiunzione volta a rifondare la dualità dell’essere umano non
un regressus ad uterum, bensì la coppia, la dualità, ovvero la dimensione
originaria della comunione con l’altro e come lutto, annodandolo alla mancanza
di Lacan. Il movimento si doterà di due riviste: “Ghen”, giornale modulare
ideato da Dòdaro con sede a Lecce, e “Ghen Res Extensa Ligu” con sede a Genova
e diretta da Mignani. L’idea del modulo come unità di misura sarà alla base
della struttura modulare di “Ghen” oltre che della concezione dello spazio,
mutuata sempre dagli studi sulla dimensione pre-natale, fino a sfociare nel
manifesto "Incliniamo l’orizzonte”. L’italiano o il romano diventa una
congiunzione, una dichiarazione onomatopeica in cui si alimentava il trionfo
del lutto e la mancanza. L’orizzonte diventa orizzonte mediale: poesie per i
treni, per gli altoparlanti e più in là romanzi in tre cartelle, romanzi su
cartolina, collane spaginate, poesie e poesie visive da proiettare per le
strade, poesie per internet, net.poetry, narrazioni su leaflet, romanzi da muro-narrativa
concreta, romanzi di cento parole da pubblicare in store, nelle vetrine dei
negozi. Al Movimento di Arte Genetica aderirono, o ruotarono attorno alle sue
riviste e attività, un numero considerevole di autori provenienti dalle
sperimentazioni poetiche e poetico-visive, performative, sonore, plastiche:
Miccini, Marras, Mignani, Fontana, Munari, Fiore, Dramis, Perfetti, Pagano,
Gelli, Noci, Greco, Lorenzo, Marocco, Massari, Miglietta, Center of Art and
Communication (Toronto), Giorgio Barberi Squarotti, Toshiaki Minemura, Xerra,
Sicoli, Souza, Alternativa Zero, Experimental Art Foundation (South Australia),
Block Cor (Amsterdam), Genetet-Morel, Lepage, Martini, Valentini, Restany,
Etlinger, Caruso, Verri, Miglietta, Nigro ecc. Con la nascita del movimento
di Arte Genetica, avvia una personale riflessione sull'oggetto-libro e le sue
modalità fruitive, avviava il progetto "Archivio degli operatori
pugliesi", per una catalogazione degli operatori estetici e culturali.
Crea e anima «il centro di ricerca 1.4.7.8. (strutturato, nel nome, sulle
coordinate della Classificazione Decimale Dewey, ad indicare i percorsi di
ricerca: filosofia, linguistica, arte, letteratura), ospitato dalla Libreria
Adriatica di Lecce, e con il quale coinvolge numerosi operatori del territorio
(docenti universitari, il gruppo Gramma, il Centro ricerche estetiche fondato a
Novoli da Greco e Lorenzo, il gruppo Oistros di Durante e Santoro, gli autori
del gruppo di Arte Genetica da lui fondato ecc). Ha diretto la casa editrice
Conte di Lecce, ha fondato a Lecce, il movimento letterario New PageNarrativa
in store. La sua attività letteraria ed editoriale è stata caratterizzata da uno spiccato senso
per la formazione di gruppi e la ricerca di autori da lanciare, rappresentando
sul territorio pugliese un autentico volano per operazioni di ampio respiro che
andavano spesso a coinvolgere autori del panorama letterario internazionale. Idea
e dirige una mole notevole di collane editoriali volte al rinnovamento
dell’oggetto-libro, fra queste: «Scritture» (Parabita, Il Laboratorio),
«Spagine. Scritture infinite» (Caprarica di Lecce, Pensionante de' Saraceni)
scritture di ricerca formato poster, spaginate, «Compact Type. Nuova narrativa»
(Caprarica di Lecce, Pensionante de' Saraceni) ovvero romanzi in tre cartelle,
«Diapoesitive. Scritture per gli schermi» (Caprarica di Lecce, Pensionante de'
Saraceni) scritture di ricerca da proiettare, «Mail Fiction» (Caprarica di
Lecce, Pensionante de' Saraceni) romanzi su cartolina, «Wall Word» (Lecce,
Conte Editore,)tradotta in giapponese ed esposta all’Hokkaido Museum of
Literature di Sappororomanzi da muro, ovvero collana di narrativa concreta,
«International Mail Stories» (Lecce, Conte Editore), «Internet Poetry» (Lecce,
Conte Editore) una delle primissime esperienze italiane di net poetry, «Walkman
Fiction. Romanzi da ascoltare» (Lecce, Argo), «E 800 European Literature», in 5
lingue (Lecce, Conte Editore), «Pieghe narrative» (Lecce, Conte Editore),
«Pieghe poetiche» (Lecce, Conte Editore), «Pieghe della memoria» (Lecce, Conte
Editore), «Foglie nude» (Doria di Cassano Jonio), «Locandine letterarie»
(Lecce, Il Raggio Verde), «Romanzi nudi» (Lecce) in unico esemplare, «Carte letterarie»
(Lecce, Astragali), «792 Mail Theatre» (Lecce, Astragali), «New Page. Narrativa
in store», (Lecce) narrativa breve, poi anche poesia e teatro, in cento parole,
collana che guarda alla comunicazione pubblicitaria con i testi applicati su
crowner, pannelli cartonati in uso nella comunicazione pubblicitaria, ed
esposti in store, nelle vetrine dei negozi. Nell'ambito della poesia
verbo-visiva e del libro-oggetto, è presente in numerose manifestazioni di
«Nuova scrittura»: Ma il vero scandalo è la poesia. Un salto di codice,
Ferrara, Ipermedia; Attorno a noi poeti in gruppo, Strudà (Lecce), Ospedale
psichiatrico; Dentro fuori luogo, Casarano, Palazzo D'Elia; Centro
internazionale Brera, Documenti di gestione alternativa. Appunti sulla Puglia,
Milano, Chiesa San Corpoforo; Artigianare '81, Lecce,1981; Cercare Bodini, Bari
/ Lecce, Ab origine, Martina Franca; Parola fra spazio e suono. Situazione
italiana, Viareggio; Le brache di Gutenberg, Caruso, Visco, Livorno; Far libro.
Libri e pagine d' artsta in Italia, Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, Il
segno della parola e la parola del segno, Milano, Mercato del sale, Breton et
le poeme-objet, Ugo Carrega, Milano, Mercato del sale, Le porte di Sibari,
Sibari, Visibile Language. Numero speciale sulla poesia visuale. Sezione
Italia, E. Minarelli, USA; Cartoline d'artista, Livorno, Belforte, Terra del
fuoco. Intersezioni per Adriano Spatola, QuartoNapoli, La parola dipinta.
Rassegna di poesia visuale, Belluno, Comune di Gallarate Civica galleria d'arte
moderna. Casa d'EuropaSede di Gallarate, Pagine e dintorni, Libri d' artis ta, Gallarate,L.
Pignotti, “La poesia visiva”, L'immaginazione (Lecce), S-covando l'uovo,
Firenze, Terra del fuoco, QuartoNapoli, Musei Civici di Mantova, Poesia totale.
Dal colpo di dadi alla Poesia visuale. Mantova, Sarenco, Palazzo della Ragione,
Archivio libri d' artista. Laboratorio 66, G. Gini e F. Fedi, Milano, È
presente in Musei, Biblioteche, Archivi. Tra i più importanti: Biblioteca
Nazionale Centrale di Firenze“Libri e pagine d'artis ta”con l’opera Mar/e
amniotico, 1983; Galleria d’arte moderna di Gallarate, con le opere Mourning
Processes. The word, 1991 e Processi di lutto. Notizen: dis, 1991; Museo S.
Castromediano di Lecce, con l'opera Matram psicofisica, Archivio Sackner, Miami
Beach, e Archivio Della Grazia di nuova scrittura, Milano, con varie opere;
Hokkaido Museum of Literature, con la collane “Wall Word”, nteramente tradotta
in giapponese; Imago mundi-Visual poetry in Europe (Fondazione Benetton, ) ecc.
Altre opere: Dichiarazione onomatopeica (Lecce); Progetto negativo (Lecce,);
Disianza Congiuntiva (Livorno); Disperate Professore (Parabita); dis/adriatico
(Caprarica di Lecce); Tracce di un discorso amoroso (Caprarica di Lecce);
Compact Type. Nuova narrative Con A. Verri, (Caprarica di Lecc); Sconcetti di
luna (Caprarica di Lecce); Mail Fiction. Free Lances Con A. Verri(Caprarica di
Lecce); Navigli (Caprarica di Lecce); Void Fiction (Sibari,); Street Stories
(Lecce)tradotto in giapponese(SapporoJapan); Parole morte. Dead Words (Lecce);
L’addio alle scene (Lecce); Antonio Verri. Schegge del contestocon M. Nocera
(Lecce); 18 i titoli pubblicati su leaflets (Lecce), 16 «Pieghe narrative» e 2
«Pieghe poetiche»: “Pieghe narrative”: Vento, vento, I colombi della clausura,
Il figlio dell'anima, La Balilla , Graziato, Il monumento, Dove volano i
gabbiani, La mimosa, Ricordanze zigane, Franco, Joe Cocker, All'ombra del
grande vecchio, Reparto «P», Il tradimento, 27 marzo, L'esame. “Pieghe
poetiche”: Rosa virginale, Il solista; Dichiarazione d'innocenza (Lecce); 7 i
«Romanzi nudi», titoli in unico esemplare (Lecce, Dis, Era d’autunno, Il falò, L’Objet
trouvé, Silenzi, Why, Ballata migrante, Uscita in marasma (Lecce); Di viole.
D’incanti. Astragali teatro (Lecce ); New Page: In un bosco di frammenti
(Lecce), La parola tramava (Lecce); Le prime notti stellate (Lecce)
interrogatorio violento (Lecce, ) I suoi ramaggi (Lecce, ). Grigiori dell’anima
(lecce, ), Di un solstizio d’amore (Lecce, ), Maria la magliaia (Lecce, ),
Teresa. L’Altrove, (Lecce, ), La mer. Ma mère (Lecce, ), Una notte senza stelle
(Lecce). Le distese di grano, (Lecce), Gastronomia da asporto (Lecce), Una sua
lettera (Lecce), Trincee matricali (Lecce), Compagno d’accademia (Lecce). Tra i
gabbiani (Lecce), Cioccolatini di Chicago (Lecce), Cantata duale (Lecce). La
tromba dell’altrove (Lecce), Il nipote violoncellista (Lecce); ‘Operatori
culturali contemporanei in Puglia. Archivio storico divulgativo, Lecce); “Ambivalenze
genetiche”, Ghen (Lecce) ora in “Genetic Ambivalencie”, Art Communication
Edition, Toronto-Canada) “Links”, Ghen (Lecce), “Il complesso di Edipo e quello
di Caino”, Quotidiano (Lecce); “I processi di lutto. La Weltanschauung ghenica”
in , La parola tra spazio e suono. Situazione italiana, Viareggio, “Codice yem:
le origini del linguaggio, ovvero la rifondazione della coppia”, Ghen (Lecce) (ora
in Regione Puglia, Creatività e linguaggio. Atti del Convegno, Maglie);
“Dis-astro”, in A. Massari, Dis-astro. Loos, Lecce, “L’area inter-media”, in F.
Gelli, Transitional Objects. Mutter Fixerung, Lecce; “Ipotesi interpretativa
del fenomeno droga, formulata da una coscienza che opera nella poetica. Della
scissione. Della prevenzione” in Tossico-dipendenza: progetto di lotta per gli
anni ’80Centro studi giuridici M. Di Pietro. Convegno. Lecce; “Mater
externata”, in L. Caruso, Mater: poesia. Madre e signora dell’acqua, Lecce;
“Lontananze genetiche. Ad cantus enclitico”, in Manifesto mostra gruppo
Ghen, Milano; Progetto negativo, Galatina (ora in Ab origine. Presenze pugliesi
nell’arte contemporanea, Roma-Bari); “La letterarietà di Caruso”, in E. Giannì,
Poiesis: Ricerca poetica in Italia, Arezzo; “La poesia totale di Spatola. Il
convegno di Celle Ligure”, On Board, Lecce; “Wall Word: parole da muro, romanzo
da muro”, in F.S. Dòdaro, Street stories, Lecce; “Dodici haiku. Dodici punti di
rilevamento”, in E. Coriano, A tre deserti dall’ultimo sorriso meccanico. Three
deserts from the shadow of the last mechanical smile, Lecce; “Una pagina
diversa, up to date”, in Pieghe narrative, Lecce; Schede d'arte contemporanea. Implicatura
e Mappatura schedografica degli Autori contemporanei, Lecce; “L’ampliamento
della flessione”, in Archivio libri d’artista. Laboratorio 66, Milano; “Le
anime narranti di Alberto Tallone”, in Alberto Tallone. Manuale tipografico,
Alpigiano (Torino), New Page (Lecce); L'ortografia è morta. L'apparato pausativo,
in New Page (Lecce). Francesco Aprile, Già così tenera di folla, in Intrecci,
Napoli, Oèdipus, Edoardo, un cavaliere senza
terra, su bit. Antonio Verri, Edoardo, Un cavaliere senza terra, su bit. Francesco Aprile, Poesia qualepoesia/06:
Un’altra pagina. Le ricerche intermediali a Lecce, su Puglia libre, Testi di
teoria letteraria/editoriale, su utsanga.
Archivio di nuova scrittura, su verbo visual virtuale.org. Cantata duale, Imago mundi-Visual poetry in
Europe, su imagomundiart.com. Antonio Verri,
Una stupenda generazione, SudPuglia, Antonio Verri, Edoardo, un cavaliere senza
terra, SudPuglia, Francesco Aprile, Già così tenera di folla, Napoli,
Oèdipus, Francesco Aprile, La parola
intermediale: lineamenti di un itinerario pugliese, in Aprile F.-Caggiula C. ,
La parola inter-mediale: un itinerario pugliese, Cavallino, Biblioteca Gino
Rizzo, Aprile, Fra parola e new media,
in Aprile F.-Caggiula C. , La parola intermediale: un itinerario pugliese (atti
del convegno), Cavallino, Biblioteca Gino Rizzo, Cristo Caggiula, Intersezioni asemiche nel
movimento di Arte Genetica, in Aprile F.-Caggiula C. , La parola intermediale:
un itinerario pugliese , Cavallino, Biblioteca Gino Rizzo, Visual poetry: A short anthology, in utsanga,
L'ortografia è morta. L'apparato pausativo, in utsanga, Testi di teoria
letteraria/editoriale, Codice Yem, le
origini del linguaggio: ovvero la rifondazione della coppia, in utsanga,
Letterarietà di Caruso, in utsanga, La poesia totale di Spatola/Il convegno di
Celle Ligure, in utsanga Francesco Aprile, Il rapporto Dòdaro-Verri attraverso
la critica, in utsanga Francesco Aprile, Dal modulo all'internet poetry, in
utsanga, Aprile, L’Arte Genetica, in utsanga, Aprile, New Page: Narrativa,
Poesia, Teatro, Scavi in store, in utsanga, Aprile, New Page: la poiesi come approccio
etnografico, Cavallino, Biblioteca Gino Rizzo, Aprile, New Page, collana di
critica letteraria, Sondrio, Edizioni CFR,
Intervista a Vincenzo Lagalla, Francesco Aprile, in utsanga Lamberto
Pignotti, Introduzione, L'addio alle scene, Lecce, Argo,ora in utsanga Lamberto
Pignotti, Rebus, iper-rebus. Parole da vedere, immagini da leggere, in utsanga,
Caruso, Frammento, in utsanga Julien Blaine, Omaggio alla "O" in
Francesco Saverio Dòdaro, in utsanga Ruggero Maggi, Dedica, utsanga Alessandro
Laporta, cercarlo dove non appare, in utsanga, Mignani, Ghen against again.
Risarcimento dei supporti o della signatura dei segni, in utsanga Egidio
Marullo, F. S. Dòdaro. L'ultimo mentore, in utsanga Omaggio, in utsanga Cantata plurale, materiali 01, Caprarica di
Lecce, Utsanga. Francesco Saverio Dòdaro. Dodaro. Keywords: mappatura,
signature, segnatura, cantata duale, cantata plurale, origine del romano,
edipo, caino, mancanza di Lanca, communicazione inter-mediale, communicazione
inter-mediale e luto, immagine e signo, sensibilia, visibilia, Freud, Jakobson,
Levi-Strauss, Magritte, “silenzo silenzo silenzo silenzo” Catullo poema rima
ritmo batto cuore figlio madre padre orale genitale ma-ma etymology of ‘altro’
– Hegel on conscience of ego and conscience of alter, Sartre on ‘nous’ and love
affair – infinito – lingua a codice – codice come ripetizione – ripetizione dei
suoni del cuore – ontogenesi ripete filogenesi – commune, vacuum del ventre
della madre, etimologia di termine chiave, fonema, unita etica, unita emica,
Speranza, Schultz, unita emica come classe di unita etica – criterio: un
accordo o codice di relevanza – l’intenzione del mittente. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Dòdaro” – The Swimming-Pool Library.
Donà (Venezia). Filosofo. Grice: “Well, Donà
has philosophised on almost anything – I drank wine; he philosophises on it –
‘bacchiana,’ he calls it – he has also philosophised on ‘eros’ for which he
uses the very Italian idea of ‘sesso.’ – And he has also punned with
‘di-segnare’ – ‘di-segno’ – In sum, a genius!” Si laurea a Venezia sotto
Severino, presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Venezia, iniziai a
pubblicare diversi saggi per riviste e volumi collettanei, partecipando, lungo
il corso degli anni ottanta, a diversi convegni e seminari in varie città
italiane. A partire dalla fine degli anni ottanta, collabora con Massimo
Cacciari presso la cattedra di Estetica a Venezia e coordina per alcuni anni i
seminari dell'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Venezia. Sempre a
partire dalla fine degli anni ottanta, inizia la sua collaborazione con la
rivista di architettura Anfione-Zeto, della quale dirige ancora oggi la rubrica
Theorein. In quegli stessi anni, fonda, con Massimo Cacciari e Romano Gasparotti,
la rivista Paradosso. Negli anni novanta, invece, ha insegnato Estetica presso
l'Accademia di Belle Arti di Venezia. Attualmente insegna Metafisica e
Ontologia dell'arte presso la Facoltà di Filosofia dell'Università Vita-Salute
San Raffaele di Milano. È inoltre curatore, sempre con Romano Gasparotti e
Massimo Cacciari, dell'opera postuma del filosofo Andrea Emo. Dirige per la
casa editrice AlboVersorio le collane "Libri da Ascoltare" e
"Anime in dettaglio" ed è membro del comitato scientifico del festival
La Festa della Filosofia. Ha scritto diversi saggi e articoli per riviste,
settimanali e quotidiani di vario genere. Collabora con il settimanale
"L'Espresso". Attività musicale In qualità di musicista, dopo
aver esordito, ancor giovane, con Giorgio Gaslini e con Enrico Rava, forma un
suo gruppo: i Jazz Forms, di cui è leader. In seguito sviluppa il suo
linguaggio trasformando l'idioma ancora bop dei primi anni in una scrittura più
articolata in cui entrano in gioco elementi tratti dalla musica rock e da molte
esperienze etniche maturate nel frattempo con diversi gruppi musicali. Si
esibisce in diverse città italiane con un sestetto, in cui ad accompagnarlo
sono una chitarra, una batteria, un basso, delle percussioni e una tastiera.
Nasce così il Massimo Donà Sextet. Suona con musicisti che sarebbero diventati
protagonisti della scena musicale italiana. Suona in jam session anche con
alcuni padri storici del jazz, come Dizzy Gillespie, Marion Brown, Dexter
Gordon e Kenny Drew. Riprende a suonare professionalmente e forma un nuovo
gruppo: il Massimo Donà Quintet, con il quale si esibisce in Italia e
all'estero. Il quintetto diventa quindi un quartetto; che è la formazione con
cui Donà suona da almeno tre anni. A tutt'oggi il nostro ha all'attivo ben sette
CD incisi con suoi gruppi. La sua etichetta di riferimento è sempre la
"Caligola Records", il cui responsabile artistico è Claudio Donà,
fratello di Massimo e importante critico musicale jazz. Altre opere: “Il
'bello, o di un accadimento. Il destino dell'opera d'arte” (Helvetia, Venezia);
“Le forme del fare” (Liguori, Napoli); “Sull'assoluto (Per una
reinterpretazione dell'idealismo Hegeliano” (Einaudi, Torino); “Aporia del
fondamento” (La Città del Sole, Napoli); “Fenomenologia del negative” (Edizioni
Scientifiche Italiane, Napoli); “Arte, tragedia, tecnica” (Raffaello Cortina
Editore, Milano); “L' Uno, i molti : Rosmini-Hegel un dialogo filosofico” (Città
Nuova, Roma); “Aporie platoniche. Saggio sul ‘Parmenide’” (Città Nuova, Roma); “Filosofia
del vino” (Bompiani, Milano); Magia e filosofia (Bompiani, Milano); Joseph
Beuys. La vera mimesi, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo (Milano); Sulla
negazione, Bompiani, Milano); Serenità: una passione che libera, Bompiani,
Milano); La libertà oltre il male” (Città Nuova, Roma); Il volto di Dio, la
carne dell'uomo, con Piero Coda, AlboVerosio, Milano); Dell'arte in una certa
direzione” (Supernova, Venezia); “Filosofia della musica, Bompiani); Il mistero
dell'esistere: arte, verità e insignificanza nella riflessione teorica di Magritte”
(Mimesis, Milano); L'essere di Dio. Trascendenza e temporalità” (AlboVersorio,
Milano); Dio-Trinità. Tra filosofi e teologi” (Bompiani, Milano); Arte e filosofia”
(Bompiani, Milano); “L'anima del vino. Ahmbè, Bompiani, Milano); “Non uccidere”
(AlboVersorio, Milano); L'aporia del fondamento, Mimesis, Milano), “I ritmi
della creazione” (Bompiani, Milano); La "Resurrezione" di Piero della
Francesca, Mimesis, Milano); Il tempo della verità, Mimesis, Milano ; Non avrai
altro Dio al di fuori di me” (AlboVersorio, Milano); “Il conciliabile e L'inconciliabile.
Restauro Casa D'Arte Futurista Depero” (Mimesis, Milano-Udine PANTA decalogo” (Bompiani, Milano); Filosofia.
Un'avventura senza fine, Bompiani, Milano); Comandamenti. Santificare la festa”
(il Mulino, Bologna Abitare la soglia.
Cinema e filosofia, Mimesis, Milano-Udine); “Eros e tragedia, AlboVersorio,
Milano); “Il vino e il mondo intorno. Dialoghi all'ombra della vite” (Aliberti
Editore, Reggio Emilia Figure
d'Occidente. Platone, Nietzsche e Heidegger” (AlboVersorio, Milano); “Le verità
della natura, AlboVersorio, Milano”; “Filosofia dell'errore” – errore vero, la
verita come errore relative – “Le forme dell'inciampo, Bompiani, Milano); “Parmenide.
Dell'essere e del nulla” (AlboVersorio, Milano); “Eroticamente: per una
filosofia della sessualità” (il prato, Saonara (Padova) Misterio grande. Filosofia di Giacomo
Leopardi, Bompiani, Milano); “Pensare la Trinità. Filosofia europea e orizzonte
trinitario” (Città Nuova, Roma Erranze
(Alfredo Gatto), AlboVersorio, Milano); L'angelo musicante. Caravaggio e la
musica” (Mimesis Edizioni, Milano-Udine); “Parole sonanti. Filosofia e forme
dell'immaginazione” (Moretti & Vitali, Bergamo J. Wolfgang Goethe, Urpflanze. La pianta
originaria; Albo Versorio, Milano); La terra e il sacro. Il tempo della verità,
Luca Taddio, Mimesis, Milano); Teomorfica. Sistema di estetica” (Bompiani,
Milano); “Sovranità del bene. Dalla fiducia alla fede, tra misura e dismisura,
Orthotes, Salerno); “Senso e origine della domanda filosofica, Mimesis,
Milano-Udine); “La filosofia di Miles Davis. Inno all'irrisolutezza” (Mimesis,
Milano-Udine); “Dire l'anima. Sulla natura della conoscenza” (Rosenberg &
Sellier, Torino); “Tutto per nulla. La filosofia di William Shakespeare” (Bompiani,
Milano); “Pensieri bacchici. Vino tra filosofia, letteratura, arte e politica”
(Edizioni Saletta dell'Uva, Caserta); “In Principio. Philosophia sive
Theologia. Meditazioni teologiche e trinitarie, Mimesis, Milano-Udine); “Di
un'ingannevole bellezza. Le "cose" dell'arte” (Bompiani-Giunti,
Milano); “La filosofia dei Beatles” (Mimesis, Milano-Udine); “Un pensiero
sublime: saggi su Gentile” (Inschibboleth, Roma); “Dell'acqua” (La nave di
Teseo, Milano); “Essere e divenire: riflessioni sull'incontraddittorietà a
partire da Fichte” (Mimesis, Milano-Udine); “Di qua, di là. Ariosto e la
filosofia dell'Orlando Furioso” (La nave di Teseo, Milano); “Miracolo naturale.
Leonardo e la Vergine delle rocce” (Mimesis, Milano); "Arte e
Accademia", in Agalma; New Rhapsody in blue, Caligola Records; For miles
and miles, Caligola Records; Spritz, Caligola Records; “Cose dell'altro mondo.
Bi Sol Mi Fa Re, Caligola Records); Ahmbè, Caligola Records; Big Bum, Caligola
Records; Il santo che vola. San Giuseppe da Copertino come un aerostato nelle
mani di Dio, Caligola Records
Iperboliche distanze. Le parole di Andrea Emo, Caligola Records. Il
mistero della bellezza svelato da Massimo Donà. Intervista Alberto Nutricati,
in L'Anima Fa Arte Blog e Rivista di Psicologia Video-intervista sul mistero
dell'esistenza, su asia. "Arte e Accademia", in Agalma, Massimo Donà.
Dona. Keywords: eroticamente, per una filosofia della sessualita. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Donà” – The Swimming-Pool Library.
Donatelli (Roma). Filosofo. Grice: “I like Donatelli – his
titles can be too expansive, like the one about ‘philosophy and common
experience,’ as a subtitle, which incorporates the all too controversial notion
of experience simpliciter!” L’etica, la sua storia e le problematiche
contemporanee sono al centro dei suoi interessi. Studia a Roma, dove ha
conseguito la laurea e il dottorato. Insegna alla Luiss Guido Carli. Insegna a
Roma. La sua ricerca spazia dalla ricognizione dei classici dell’etica alla
filosofia morale contemporanea. Si occupa della riflessione sulla vita umana,
in bioetica e nel pensiero teoretico e politico, e del pensiero ambientale. Nel
dibattito bio-etico ha difeso una concezione laica delle istituzioni. La sua
proposta si situa nella filosofia di ispirazione wittgensteiniana (Cavell,
Diamond, Murdoch) che fa incontrare con i temi del pensiero democratico e
perfezionista nella scia della filosofia di Mill. Dirige la rivista Iride.
Filosofia e discussione pubblica (il Mulino). È membro di numerosi comitati,
tra cui del comitato scientifico di Bioetica. Rivista Interdiscliplinare ed
Etica & Politica. Altre opere: “Filosofia morale. Fondamenti, metodi, sfide
pratiche” (Milano, Le Monnier, Il lato
ordinario della vita. Filosofia ed esperienza comune” (Bologna, il Mulino, Etica. I classici, le teorie e le linee evolutive,
Torino, Einaudi); “Quando giudichiamo morale un’azione?” (Roma-Bari, Laterza);
Decidere della propria vita, Roma-Bari, Laterza); “La vita umana in prima
persona duale” (Roma-Bari, Laterza); “Manuale di etica ambientale” (Firenze, Le
Lettere); “James Conant e Cora Diamond, Rileggere Wittgenstein , Roma,
Carocci); “Mill, Roma-Bari, Laterza); “Virtù” (Roma, Carocci); Immaginazione e
la vita morale , Roma, Carocci); La filosofia morale, Roma-Bari, Laterza); Wittgenstein
e l’etica, Roma-Bari, Laterza);Etica analitica. Analisi, teorie, applicazioni”
Milano, LED,I destini dell'etica
Bioetica e progresso morale dell'Italia, su
ilrasoiodioccam-micromega.blogautore.espresso.repubblica. Bioetica Consulta di bioetica Piergiorgio Donatelli. Donatelli. Keywords: let’s
cooperate (cooperiamo), let’s make the strongest utterance; let’s trust each
other; let’s be relevant (siamo relevanti), let’s be perspicuous (siamo
perspicui), prima persona, prima persona duale – noi – nostro – numero nel
verbo greco: singolare, duale, plurale, Mill,
virtu, Conant, ambi, both – the dual – Both conversationalists must
cooperate towards a mutual goal. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Donatelli” –
The Swimming-Pool Library.
Donati (Budrio). Filosofo. Grice: “I like
Donati; most of what he says is very basic, and he says it from what he thinks
is a scientific perspective – but then he writes about morality and you start
to wonder – anyhow, his central concept is that of reflexitvity, which he
multiplies into goal-centred, rule-centred, means-centred, and value-centred –
Since my oeuvre dwells on rellexivity I feel a lot of affection for Donati and
his approach!” Nella sua filosofia occupano una posizione centrale la tematica
epistemologica inerente alla ri-fondazione della ‘sociologia filosofica’, re-interpretata
alla luce della "svolta relazionale”. Su tali basi, vengono svolte l'analisi
del concetto di ‘cittadinanza’, del fenomeno associativo della società civile e
della politiche di welfare state nelle società altamente differenziate;
l'analisi del ruolo dell’istituzione sociale che emergono dai processi di morfo-genesi
sociale, in particolare nelle sfere di terzo settore; l'apertura di una nuova
prospettiva negli studi sul capitale sociale e sui processi di “riflessività” in
rapporto alla legittimazione di nuove forme di democrazia deliberativa. L'elaborazione
di una ‘sociologia filosofica relazionale' è andata di pari passo con la
fondazione filosofica di un nuovo e più generale ‘paradigma relazionale' che si
pone come superamento della contrapposizione fra realismo e costruttivismo, fra
l’individualismo o intersoggetivismo metodologico e olismo o collettivismo metodologico.
Questa prospettiva porta alla elaborazione di nuovi concetti come quelli di “critica
della ragione relazionale” e bene relazionali, come soluzioni rispettivamente
dei problemi inerenti a idiosincrasie culturale e alla mercificazione del
welfare nelle società. L'etichetta "sociologia filosofia relazionale"
viene usata, oltre che da Donati, da vari filosofi. Emirbayer ha scritto un
‘Manifesto di sociologia relazionale' elaborato in maniera del tutto
indipendente rispetto a Donati. Crossley usa la medesima etichetta. Alcuni
studiosi assimilano la sociologia relazionale alla network analysis (Crossley, Mische
), altri tracciano delle differenze fra questi due modi di intendere l'analisi
della società (Donati, Terenzi, Tronca). Indipendentemente dalla filosofia di
Donati, esistono gruppi e reti di sociologia relazionale in vari paesi, tra cui
il Canada (si veda il sito della Canadian Sociological Association,,
l'Australia (si veda il sito della Australian Sociological Association,). In
Italia, gli filosofi vicini a Donati si riconoscono nel network Relational
Studies in Sociology,). Donati ha prodotto numerosi saggi di carattere
teorico ed empirico. Propone una teoria generale per l'analisi della società:
la “sociologia filosofica relazionale”. Insegna a Bologna, direttore del Centro
Studi di Politica Sociale e Sociologia Sanitaria). Presidente dell'Associazione
Italiana di Sociologia. Direttore dell'Osservatorio Nazionale sulla Famiglia.
Ha fatto parte del comitato scientifico di Biennale Democrazia. Fondatore e
Direttore della Rivista “Sociologia e politiche sociali”, editore FrancoAngeli.
Membro del Comitato Scientifico della Rivista "Sociologia", Istituto Luigi
Sturzo, Roma. Ha ricevuto il riconoscimento dell'ONU come membro esperto
distinto nel corso dell'Anno Internazionale della Famiglia. Premio Capri San
Michele per "Pensiero sociale
cristiano e società post-moderna" (Ave, Roma). Premio San Benedetto per la
promozione della Vita e della Famiglia in Europa. Attraverso la sua filosofia,
Donati mostra con specifiche indagini empiriche in che modo la società possa
essere conosciuta e interpretata come una semplice “relazione sociale” diadica
-- e non come un prodotto culturale. La sociologia relazionale (o teoria
relazionale della società) viene per la prima volta esplicitata con “Introduzione
alla sociologia relazionale”. Questa “Introduzione” è nata come una sorta di
“Manifesto della sociologia relazionale”, anche se da allora pochi se ne sono
accorti. I punti essenziali di quel Manifesto sono varie. La sociologia
relazionale consiste nell'osservare che una società, ovvero qualsiasi fenomeno
o formazione sociale (la famiglia, una impresa o società commerciale, una
associazione, una società nazionale), la società globale, non è né una idea (o
una rappresentazione o una realtà mentale soggetiva) né una cosa materiale (o
biologica o fisica in senso lato), ma è una relazione sociale – una
intersoggetivita. L’intersoggetivo è né un “sistema”, più o meno pre-ordinato o
sovrastante i singoli fatti o fenomeni, né un prodotto di una azione soggetiva,
ma un altro ordine di realtà. L’intersoggetivo è relazione. L’interosggetivo è
fatto di una relazioni fra un soggetto S1 e un soggetto S2, che distinguono la
forma e i contenuti di ogni concreta e specifica “diada. L’intersoggetivo – la
relazione intersoggetiva -- deve essere concepito non come una realtà accidentale,
secondaria o derivata dall’altre entità: il soggetto S1 e il soggetto S2),
bensì come un levello ontologico differente sui generis, appunto,
‘l’intersoggetivo’. Affermare che “la società è relazione” può sembrare quasi
ovvio, ma non lo è affatto ove l'affermazione sia intesa come presupposizione
epistemologica generale e quindi si abbia coscienza delle enormi implicazioni
che da essa derivano. Ogni filosofo parlano dell’intersoggetivo della relazione
di una diada fra soggeto S1 e soggetto S2 (Aristotele: ogni uomo e politico,
Marx, Durkheim, Weber, Simmel, Parsons, Luhman, Grice), ma quasi nessuno ha
compiuto l'operazione che viene proposta dalla sociologia
relazionale: partire dal presupposto che “all'inizio c'è la relazione”,
ossia che ogni realtà sociale emerge da un contesto di relazioni e genera un
contesto di relazioni essendo essa stessa ‘relazione sociale'. Ciò non
significa in alcun modo aderire ad un punto di vista di relativismo. Si tratta
esattamente del contrario: la sociologia relazionale si fonda su una ontologia
dell’intersoggetivo relazionale, e dunque su una ontologia dell’intersoggetivo
della relazione che vede nella relazioni il costitutivo di ogni realtà sociale
seconda la loro propria natura. La sociologia relazionale e una forma del relazionismo
filosofico. Per l’intersoggetivo (la relazione) intende l’intersoggetivo nel
spazio-tempo, dell'inter-umano, ossia ciò che sta fra un soggetto agente S1 e
un soggetto agente S2 chi collaborano, o cooperano. e checome tale costituisce
il loro orientarsi e agire reciproco (o riflessivo, al modo di Grice), per
distinzione da ciò che sta nel singolo attore individualo o collettivo considerati
come poli o termini della relazione. Questa «realtà dell’intersoggetivo – che
Donati chiama ‘il fra’ -- fatta insieme di due soggetti che collaboron, è la
sfera in cui vengono definite sia la distanza sia l'integrazione dei due
soggetti che stanno in società: dipende da questo ‘fra’ – fra tu e me -- (la
relazione sociale in cui le due soggetti si trovano) se, in che forma, misura e
qualità le due soggetti può distaccarsi o coinvolgersi rispetto agli altri
soggetti più o meno prossimi, alle istituzioni e in generale rispetto alle dinamiche
della vita sociale. La teoria relazionale della società ha elaborato nuovi
concetti che sono stati utilizzati non solo da filosofi, ma anche in altri
campi, come il diritto, la legislazione sociale, l'economia. I concetti originali
elaborati da Donati sono varie. Il concetto di ‘privato sociale’ e applicato in
molte leggi dello Stato italiano. Il concetto di ‘cittadinanza societaria è
stato utilizzato dal Consiglio di Stato (Sezione consultiva per gli atti
normativi, Adunanza, N. della Sezione: in importanti deliberazioni. Il concetto
di ‘beni relazionali’ è stato ripreso in campo economico da filosofi come
Zamagni e Bruni. Il concetto di un ‘servizio relazionale’ è stato ripreso nella
legislazione regionale e nazionale in Italia, anche in relazione alla buona
pratica nelle politiche familiari analizzate con le ricerche svolte per
l'Osservatorio nazionale sulla famiglia. Il concetto di ‘lavoro relazionale’ e
il concetto di ‘contratto relazionale’ sono importanti. Il concetto di ‘welfare
relazionale’ e usanto in buona pratica nei servizi alle famiglie (utilizzato
dal Centro studi Erickson). Il concetto di ‘differenziazione relazionale’ si
applica in particolare alla problematica della conciliazione fra lavoro e
famiglia. Il concetto di una critica della ‘ragione relazionale’ e dato come
una possibile soluzione ai problemi dei conflitto. Il concetto di capitale
sociale come relazione sociale con una ridefinizione degli studi sociologici si
applica nel capitale sociale. Il concetto di "riflessività
relazionale" si applica per superare il concetto puramente soggettivo di
riflessività come mera riflessione interiore. Il concetto di "genoma
sociale della famiglia" s’applica nella evoluzione. Ha affrontato una
serie di tematiche di ricerca il cui sviluppo è ancora in corso. La prima e più
estesa riguarda la tematica della sociologia della famiglia. Si vedano I saggi
di Donati, Lineamenti di sociologia della famiglia. Un approccio relazionale
all'indagine sociologica, Carocci, Roma, Donati, Manuale di sociologia della
famiglia, Laterza, Roma-Bari). Si vedano anche i Rapporti Cisf sulla famiglia
in Italia, per gli aspetti applicativi: Sociologia delle politiche familiari,
Carocci, Roma, è il più recenteDonati "La famiglia. Il genoma che fa vivere
la società", Soveria Mannelli, Rubbettino. Un'altra tematica è quella
della salute: si veda Donati Manuale di
sociologia sanitaria” (La Nuova Italia Scientifica, Roma); Sui giovani e le
generazioni nella società dell'indifferenza etica: “Giovani e generazioni.
Quando si cresce in una società eticamente neutral” (il Mulino, Bologna); Sul
cittadinanza e welfare: La cittadinanza societaria, Laterza, Roma- Bari); Sul
welfare state e le politiche sociali, “Risposte alla crisi dello Stato sociale”
(Franco Angeli, Milano); “Lo Stato sociale in Italia: bilanci e prospettive”
(Mondadori, Milano); “Sul privato sociale o terzo settore e la società civile:
Sociologia del terzo settore” (Carocci, Roma); sulla società civile: “La
società civile in Italia, Mondadori, Milano; Generare “il civile”: nuove
esperienze nella società italiana, il Mulino, Bologna); Il privato sociale che
emerge: realtà e dilemmi, il Mulino, Bologna, Sul lavoro: Il lavoro che emerge,
Bollati Boringhieri, Torino); I rapporti fra sociologia relazionale e pensiero
sociale cristiano: Pensiero sociale cristiano e società post-moderna, Editrice
Ave, Roma, La matrice teologica della società, Rubbettino, Soveria Mannelli. Sul
capitale sociale: Donati, Terzo settore e valorizzazione del capitale sociale
in Italia: luoghi e attori, FrancoAngeli, Milano, Donati, I. Colozzi, Capitale
sociale delle famiglie e processi di socializzazione. Un confronto fra scuole
statali e di privato sociale (FrancoAngeli, Milano). Attraverso queste saggi,
la sociologia relazionale ha sviluppato un nuovo quadro teorico e ne ha
dimostrato la validità sia sul piano della ricerca empirica, sia sul piano
delle applicazioni concrete (in termini di legislazione e di programmi di
intervento sociale). La conoscenza sociologica che la sociologia relazionale
intende perseguire non rifiuta a priori nessuna teoria, né vuole “unificare”
tutte le teorie sotto un'unica bandiera, ma tutte le prende in considerazione e
le valuta per mettere in evidenza quelle verità, anche parziali, che ciascuna
di esse contiene. Tuttavia, perché di solito una teoria offre una visione
limitata, se non riduttiva della realtà, la sociologia relazionale è in grado
di inserire ogni teoria in un quadro concettuale più ampio, nel quale ritrovare
le verità parziali ad un livello più elevato, coerente e consistente di
conoscenza della realtà sociale. Terenzi, Percorsi di sociologia
relazionale, FrancoAngeli, Milano, .
Luigi Tronca, Sociologia relazionale e social networks analysis. Analisi
delle strutture sociali, FrancoAngeli, Milano.Enzo Paci, Dall'esistenzialismo
al relazionismo, D'Anna, Messina-Firenze. Per un nuovo welfare locale “family
friendly”: la sfida delle politiche relazionali, in Osservatorio nazionale
sulla famiglia, Famiglie e politiche di welfare in Italia: interventi e
pratiche. I, il Mulino, Bologna,
Politiche sociali e servizi sociali di fronte al modello sociale europeo: lo
scenario del “welfare relazionale”, in C. Corposanto, L. Fazzi , Il servizio
sociale in un'epoca di cambiamento: scenari, nodi e prospettive, Edizioni Eiss,
Roma, Quale conciliazione tra famiglia e lavoro? La prospettiva relazionale, in
Donati , Famiglia e lavoro: dal conflitto a nuove sinergie, Edizioni San Paolo,
Cinisello Balsamo, La valorizzazione del capitale sociale in Italia: luoghi e
attori Donati, I. Colozzi , FrancoAngeli, Milano, Altre opere: “L'enigma della
relazione” Mimesis, Milano); “La famiglia. Il genoma che fa vivere la società”
(Rubbettino, Soveria Mannelli); “Sociologia della riflessività. Come si entra
nel dopo-moderno, il Mulino, Bologna); “I beni relazionali. Che cosa sono e
quali effetti producono (Bollati Boringhieri, Torino); “La matrice teologica
della società, Rubbettino, Soveria Mannelli); “Teoria relazionale della
società: i concetti di base, FrancoAngeli, Milano); “La società dell'umano,
Marietti, Genova-Milano); “Il capitale sociale degli italiani. Le radici
familiari, comunitarie e associative del civismo” (FrancoAngeli, Milano); “Oltre
il multiculturalismo. La ragione relazionale per un mondo comune, Laterza,
Roma-Bari); “Manuale di sociologia della famiglia, Laterza, Roma-Bari); “Sociologia
delle politiche familiari, Carocci, Roma); “Il lavoro che emerge. Prospettive
del lavoro come relazione sociale in una economia dopo-moderna, Bollati
Boringhieri, Torino); “La cittadinanza societaria” (Laterza, Roma-Bari); Teoria
relazionale della società, FrancoAngeli, Milano, 1991 La famiglia come
relazione sociale, FrancoAngeli, Milano, La famiglia nella società relazionale.
Nuove reti e nuove regole, FrancoAngeli, Milano); “Introduzione alla sociologia
relazionale, FrancoAngeli, Milano); “Risposte alla crisi dello Stato sociale.
Le nuove politiche sociali in prospettiva sociologica, FrancoAngeli, Milano); “Famiglia
e politiche sociali. La morfogenesi familiare in prospettiva sociologica,
Angeli, Milano); “Pubblico e privato: fine di una alternativa?” (Cappelli,
Bologna). Pierpaolo Donati. Donati. Keywords: relazionalismo, internal
conversation, l’intersoggetivo, realta fra, il fra, fra tu e io,
intersoggetivismo metodologico, communicazione come realta fra, implicatura,
reflessivita, reciprocita. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Donati” – The
Swimming-Pool Library.
Dondi (Chioggia). Filosofo. Grice: “I like Dondi and I like a watch chain!” Figlio
di Jacopo,
studia filosofia a Padova. Insegna a Padova. Si trasferì a Pavia. Dopo un
periodo a Firenze, vi ritorna come filosofo di corte dei Visconti. Insegna a Pavia. Scrittore di rime, amico e corrispondente di Petrarca,
fu anche tra i pionieri dell'archeologia. In occasione di un viaggio a Roma,
descrisse e misura monumenti classici, copiò iscrizioni e trascrisse i dati
rilevati nel suo ‘'Iter Romanorum'’. La
sua fama è legata soprattutto all'astrario da lui progettato a Padova e
costruito a Pavia, dove, era conservato, nel castello di Pavia, presso la
biblioteca Visconteo-Sforzesca.
L'astrario è un orologio astronomico che mostra l'ora, il calendario
annuale, il movimento dei pianeti, del Sole e della Luna. Per ogni giorno sono
indicati l'ora dell'alba e del tramonto alla latitudine di Padova, la
"lettera domenicale" che determina la successione dei giorni della
settimana e il nome dei santi e la data delle feste fisse della Chiesa. L'orologio
astronomico (o astrario) di Dondi è andato distrutto, ma è ben conosciuto
perché il suo ideatore ne dette una particolareggiata descrizione nel saggio
“Astrarium”, trasmesso da due manoscritti. Si tratta di un congegno mosso da
pesi, di piccole dimensioni (alto circa 85 cm, largo circa 70), racchiuso in un
involucro a base eptagonale. Grazie ad una serie di ingranaggi l'astrario
riproduce i moti del Sole, della Luna e dei cinque pianeti. Esso indicava anche
la durata delle ore di luce alla latitudine di Padova. Come misuratore del
tempo esso, oltre all'ora, indicava (forse per la prima volta tra gli orologi
meccanici) anche i minuti, a gruppi di dieci. La presenza di trattati di
astrologia nella biblioteca di Dondi fa sospettare che la progettazione sia stata
influenzata da astrologi antichi. L'orologio astronomico che si può tuttora
ammirare sulla Torre dell'Orologio, Padova, in Piazza dei Signori, è una copia
non dell'astrario di Dondi, ma dell'orologio costruito dal padre Jacopo. Secondo
la tradizione sarebbe stato Dondi ad introdurre a Padovala gallina col ciuffo,
oggi nota come gallina padovana. In realtà, il giornalista padovano Franco
Holzer in una sua ricerca ha potuto stabilire che non vi è documentazione alcuna
che attesti che Dondi abbia mai avuto contatti con la Polonia o che l'abbia mai
visitata. A lui è dedicata una delle statue che adornano il Prato della Valle,
a Padova. Il Circolo Numismatico Patavino gli ha dedicato una medaglia
commemorativa opera dello scultore bellunese Massimo Facchin. A Giovanni
De'Dondi è dedicata la ballata iniziale di Mausoleum. Siebenunddreißig Balladen
aus der Geschichte des Fortschritts del poeta tedesco Hans Magnus Enzensberger.
Altre opere: Rime, Antonio Daniele, Neri Pozza, Vicenza); “Astrarium, E.
Poulle, CISST); Opera omnia Jacobi et
Johannis de Dondis, corpus pubblicato sotto la direzione di Emmanuel Poulle.
Padova. Andrea Albini, Op. La Biblioteca Visconteo Sforzesca, su collezioni.
Musei civici.pavia. Andrea Albini, L'astrario di Giovanni Dondi, su
Museoscienza. Ricerche d'Archivio riguardanti la famiglia Dondi dall'Orologio. Di
Franco Holzer. Andrea Albini, Machina
Mundi. L'orologio astronomico di Giovanni Dondi, Create Space, Astrario, Gabriele
Dondi dall'Orologio Università degli studi di Padova. Dizionario biografico
degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Replica in scala 1/2 dell'Astrario,
su clock maker. Replica in scala ¼, su pendoleria. com. Grice: “I thought it
was a good idea of the Anglo-Normans to retain the Anglo-Saxon idea of ‘time’
(as stretch – a rather English root – cf. German ‘zeit,’ our ‘tide’ --, and
borrow from Latin, ‘tempus’, which gives us ‘temporary’, as I use in my
‘Personal Identity,’but also ‘tense’ – This tense is better than by vice/vyse,
since vice and vyse are both cognate with violence. But tense and tense are
not. One is cognate with Latin tension. The other is just a mispronounciation
of Fremch ‘temps,’ Latin/Roman ‘tempus’ – So as Cicero would have it, it’s
‘tempus’ we should care about!” -- Giovanni Dondi dall’Orologio. Giovanni De
Dondi. Dondi. Keywords: Leibniz’s Law, time-relative identity, total temporary
state (Grice: “I’m thinking of Hitler”); Wiggins, Myro, The Grice-Myro Theory
of Identity, sameness and substance, Mellor, filosofia del tempo, Prior,
Creswell, Mellor – logica cronologica, ‘tense logic’ ‘tense implicature’ -- “iter
romanorum”. Refs: Luigi Speranza, “Grice e Dondi” – The Swimming-Pool Library.
Dorfles (Trieste). Filosofo. Grice: “Must say my favourite Dorfles is his
‘artificio e natura,’ on the doryphoros!”. Nato a Trieste nell'allora
Austria-Ungheria da padre goriziano di origine ebraica e madre genovese, si
laurea a Trieste. Si dedica allo studio della pittura, dell'estetica e in
generale delle arti. La conoscenza dell'antroposofia di Steiner, acquisita grazie
alla partecipazione a un ciclo di conferenze a Dornach, orienta la sua arte
pittorica verso il misticismo, denotando una vicinanza più ai temi dominanti
dell'area mitteleuropea che a quelli propri della pittura italiana
coeva. Isegna a Milano, Cagliari e Trieste. Fonda il Movimento per l’Arte
Concreta (vs. arte astratta). del quale contribuì a precisare le posizioni
attraverso una prolifica produzione di articoli, saggi e manifesti artistici. Prende
parte a numerose mostre in Italia e all'estero: espone i suoi dipinti alla
Libreria Salto di Milano e in numerose collettive, tra le quali la mostra alla
Galleria Bompiani di Milano, l'esposizione itinerante, e la grande mostra
"Esperimenti di sintesi delle arti", svoltasi nella Galleria del
Fiore di Milano. Risulta componente di una sezione italiana del gruppo
ESPACE. Diede il suo contributo alla realizzazione dell'Associazione per il
Disegno Industriale. Si dedica quindi in maniera pressoché esclusiva all'attività
critica. Con la personale presso lo Studio Marconi di Milano, torna a rendere
pubblica la propria produzione pittorica. L'arte non prescinde dal tempo per
esprimere semplicemente lo spirito della Storia universale, bensì è connessa al
ruolo delle mode e a tutti gli ambiti del gusto. Considerevole è stato il suo
contributo allo sviluppo dell'estetica italiana, a partire dal Discorso tecnico
delle arti, cui hanno fatto seguito tra gli altri Il divenire delle arti e
Nuovi riti, nuovi miti. Nelle sue indagini critiche sull'arte contemporanea si
è sovente soffermato ad analizzare l'aspetto socio-antropologico del fenomeno
estetico e culturale, facendo ricorso anche agli strumenti della linguistica. È
autore di numerose monografie su artisti di varie epoche (Bosch, Dürer,
Feininger, Wols, Scialoja). Pubblicato due volumi dedicati all'architettura
(Barocco nell'architettura moderna, L'architettura moderna) e un famoso saggio
sul disegno industriale (Il disegno industriale e la sua estetica). è il
primo a vedere tendenze barocche nell'arte moderna (il concetto di neobarocco
sarà poi concettualizzato da Calabrese) riferendole all'architettura moderna
in: Barocco nell'architettura moderna. Contribuisce al Manifesto
dell'antilibro, presentato ad Acquasanta, in cui esprime la valenza artistica e
comunicativa dell'editoria di qualità e il ruolo del lettore come artista. A
Genova si occupa anche del lavoro di Costa. Partecipa alla presentazione
del libro Materia Immateriale, biografia di Costa, Miriam Cristaldi, di cui
Dorfles ha scritto la prefazione. L'editore Castelvecchi ha pubblicato Horror
Pleni. La (in)civiltà del rumore, in cui analizza come la scoria massmediatica
ha soppiantato le attività culturali; Conformisti e Fatti e Fattoidi. Pubblica
un inedito d'eccezione, “Arte e comunicazione”, in cui mette la teoria alla
prova con alcune applicazioni concrete particolarmente rilevanti e
problematiche come il cinema, la fotografia, l'architettura. è uscito
Irritazioni: un'analisi del costume contemporaneo, uscito nella collana Le navi
dell'editore Castelvecchi. Con la sua ironia ha raccolto le prove della sua
inconciliabilità con i tempi che corrono. Nel saggio c'è una critica sarcastica
e corrosiva all'attuale iperconsumismo. NComunicarte Edizioni, pubblica 99+1
risposte di Dorfles nella collana Carte Comuni. Un'intervista "lunga un
secolo" con la quale il critico ripercorre la sua vita e alcuni incontri
d'eccezione: da ISvevo a Warhol, da Castelli a Fini. La Triennale di
Milano ospita la mostra "Vitriol, disegni" Aldo Colonetti e Luigi
Sansone; V. I. T. R. I. O. L. è un
simbolo alchemico, acronimo del motto rosa-crociano “Visita Interiora Terrae
Rectificando Invenies Occultum Lapidem”. Assieme ad artisti e autori come
Anceschi, Enrico Baj, Marchesi, Mulas e Niccolai, partecipa al numero
quattordici di BAU.. Muor e a Milano, nella sua casa di piazzale
Lavater. Zio di Piero Dorfles, critico letterario della trasmissione televisiva
Per un pugno di libri (il padre di Piero, Giorgio, era fratello di
Gillo). Tra i riconoscimenti ricevuti: Compasso d'oro dell'Associazione
per il Design Industriale, Medaglia d'oro della Triennale, Premio della critica
internazionale di Girona, Franklin J. Matchette Prize for Aesthetics. È stato
insignito dell'Ambrogino d'oro dalla città di Milano, del Grifo d'Oro di Genova
e del San Giusto d'Oro di Trieste. È stato Accademico onorario di Brera e
Albertina di Torino, membro dell'Accademia del Disegno di Città del Messico,
Fellow della World Academy of Art and Science, dottore honoris causa del
Politecnico di Milano e dell'Università Autonoma di Città del Messico. Palermo
gli conferì la laurea honoris causa in Architettura. Ricevette dall'Cagliari la
laurea honoris causa in Lingue moderne. Onorificenze Cavaliere di gran
croce dell'Ordine al merito della Repubblica italiana nastrino per uniforme
ordinariaCavaliere di gran croce dell'Ordine al merito della Repubblica
italiana, Di iniziativa del Presidente della Repubblica» Medaglia d'oro ai
benemeriti della cultura e dell'arte nastrino per uniforme ordinaria Medaglia
d'oro ai benemeriti della cultura e dell'arte. Altre opere: “Barocco
nell'architettura moderna” (Studi monografici d'architettura, Libreria Editrice
Politecnica Tamburini, illustrazioni); “Discorso tecnico delle arti, Collana
Saggi di varia umanità, Pisa, Nistri-Lischi,Il pensiero dell'arte, Milano,
Marinotti); “L'architettura moderna, Collana serie sapere tutto, Milano,
Garzanti); “Le oscillazioni del gusto e l'arte moderna” (Forma e vita, Milano,
Lerici); “Il divenire delle arti, Collana Saggi, Torino, Einaudi, ed.
accresciuta, Torino, Einaudi; Collana Reprints Einaudi, Bompiani); “Ultime
tendenze nell'arte”, Collana UEF, Milano, Feltrinelli); XXVII ed., UEF, Milano,
Feltrinelli); “Simbolo, comunicazione, consume” (Torino, Einaudi, Il disegno
industriale e la sua estetica, Bologna, Cappelli, Kitsch e cultura, in Aut Aut,
Nuovi riti, nuovi miti” (Torino, Einaudi, Milano, Skira, L'estetica del mito
(da Vico a Wittgenstein), Milano, Mursia, Kitsch: antologia del cattivo gusto,
Milano, Gabriele Mazzotta Editore); “Artificio e natura” (Torino, Einaudi); Milano,
Skira, Le oscillazioni del gusto. L'arte d'oggi tra tecnocrazia e consumismo, Torino,
Einaudi, Milano, Skira, “Senso e insensatezza nell'arte d'oggi, ellegi
edizioni, L'architettura moderna. Le origini dell'architettura contemporanea; I
quattro grandi: Wright, Le Corbusier, Gropius, Mies van der Rohe); Dall'espressionismo
all'organicismo razionalizzato, dall'ornamented modern al brutalismo, ai più
avveniristici tentativi attuali, I Garzanti, Milano, Garzanti, Dal significato
alle scelte, Torino, Einaudi, Massimo Carboni, Collana I Timoni, Roma, Castelvecchi,
Il divenire della critica, Collana Saggi, Torino, Einaudi); “Le buone maniere,
Milano, Mondadori, Mode & Modi, Collana Antologie e saggi, Milano,
Mazzotta, II ed. riveduta, Mazzotta, Introduzione al disegno industriale.
Linguaggio e storia della produzione di serie” (Torino, Einaudi, L'intervallo
perduto, Collana Saggi, Torino, Einaudi, Milano, Skira, I fatti loro. Dal
costume alle arti e viceversa, Milano, Feltrinelli, Architettura ambigue. Dal
Neobarocco al Postmoderno, Bari, Dedalo, La moda della moda, Collana I
turbamenti dell'arte, Genova, Edizioni Costa & Nolan, La (nuova) moda della
moda), Costa & Nolan, Elogio della disarmonia: arte e vita tra logico e
mitico” (Milano, Garzanti, Milano, Skira, Itinerario estetico, Milano, Studio
Tesi, Itinerario estetico. Simbolo mito metafora, Luca Cesari, Bologna,
Editrice Compositori); “Il feticcio quotidiano” (Milano, Feltrinelli, Massimo
Carboni, Collana I Timoni, Roma, Castelvecchi, Intervista come auto-presentazione,
con VII tavole di Giulio Paolini, Collana Scritti dall'arte, Tema Celeste
Edizioni, Preferenze critiche. Uno sguardo sull'arte visiva contemporanea, Bari,
Dedalo, Design: percorsi e trascorsi” (Design e comunicazione, Bologna, Lupetti,
Fulvio Carmagnola, Lupetti, Conformisti, Roma, Donzelli, Fatti e fattoidi. Gli
pseudo-eventi nell'arte e nella società, Vicenza, Neri Pozza, Massimo Carboni,
Roma, Castelvecchi, Irritazioni. Un'analisi del costume contemporaneo, Collana
Attraverso lo specchio, Luni, Massimo Carboni, Roma, Castelvecchi, Scritti di
Architettura, L. Tedeschi, Milano, Mendrisio Academy Press, Flavia Puppo,
Dorfles e dintorni, Milano, Archinto, Lacerti della memoria. Taccuini intermittenti,
Bologna, Editrice Compositori, L'artista e il fotografo, Verso l'Arte, Conformisti.
La morte dell'autenticità, Massimo Carboni, Roma, Castelvecchi, Horror Pleni.
La (in)civiltà del rumore, Collana I Timoni, Roma, Castelvecchi); “Arte e
comunicazione: comunicazione e struttura nell'analisi di alcuni linguaggi
artistici” (Milano, Mondadori Education, Inviato alla Biennale, A. De Simone,
Milano, Scheiwiller, 99+1 risposte, Lorenzo Michelli, Trieste, Comunicarte Edizioni,
Movimento Arte Concreta, Luigi Sansone e N. Ossanna Cavadini, Milano, Mazzotta,
Poesie, Campanotto Editore, L'ascensore senza specchio, Quaderni di prosa e di
invenzione, Milano, Edizioni Henry Beyle, Kitsch: oggi il kitsch, Aldo
Colonetti et al., Bologna, Editrice Compositori, Arte con sentimento. Conversazione,
Marco Meneguzzo, Collana Polaroid, Milano, Medusa Edizioni, Essere nel tempo,
Achille Bonito Oliva, Milano, Skira, Gli artisti che ho incontrato, Luigi
Sansone, Milano, Skira, La logica dell'approssimazione, nell'arte e nella vita,
Aldo Colonnetti, Silvana, Estetica senza dialettica. Scritti, al , Luca Cesari,Milano,
Bompiani, Paesaggi e personaggi, Enrico Rotelli, Milano, Bompiani, La mia
America, Luigi Sansone, Milano, Skira; "Interviene Gillo Dorfles", in
alterlinus "Calligaro: parole e immagini", in Preferenze critiche,
Dedalo, "Né moduli, né rimedi", in Agalma, "Disarmonia, asimmetria, wabi,
sabi", in Agalma, "Feticcio", in Agalma, "Barozzi", in Da Duchamp agli Happening.
Il Mondo di Pannunzio e altri scritti, Campanotto Editore, Traduzioni Rudolf Arnheim,
“Arte e percezione visive” (Milano, Feltrinelli, Rudolf Arnheim, Guernica.
Genesi di un dipinto, Milano, Feltrinelli); Addio a Gillo Dorfles: «La mia vita
infinita da Francesco Giuseppe agli smartphone», su corriere. Aldo Cazzullo: la
mia vita infinita da Francesco Giuseppe agli smartphone, Corriere della sera, 1
il Redazione, Novità formali e riesumazioni di precedenti esempi, il
contemporaneo è un linguaggio nuovo di un sapere condiviso, QM, su quid
magazine, biografia sul sito delle Edizioni Il Bulino, Galliano Mazzon, Mostra
antologia: Civico Padiglione d'Arte Moderna, MMilano, Civico Padiglione d'Arte
Moderna, Mostra antologia di Galliano Mazzon : Civico Padiglione d'Arte Moderna,
Milano, Luciano Caramel, Arte in Italia, su Dioguardi Gianfranco, Processo
edilizio e progetto: vecchi attori alla ricerca di nuovi ruoli, Milano: Franco
Angeli, Studi organizzativi. Fascicolo, Corriere della Sera, Cfr. la raccolta
degli scritti raccolti in Architetture Ambigue: Dal Neobarocco al Postmoderno,
Dedalo, Bari Di Giovanni Marilisa, Il corpo, nuova forma: la “body art”; Cheiron
: materiali e strumenti di aggiornamento storiografico. Lecta web, arte e
comunicazione. Vitriol Triennale, Sussidiaria: GPS/GaPSle Forbici di Manitù
(BAU14). Celeste Prize BAU 14 Antonio Gnoli, Gillo Dorfles, il rivoluzionario
critico d'arte, La Repubblica, Bucci,
Morto, critico poliedrico. Corriere della Sera, Addio ad Alma Dorfles, signora
di cultura, Il Piccolo, Sito web del Quirinale: dettaglio decorato., su
Quirinale, dettaglio decorato., su Quirinale, Intervista su conoscenza.rai.
Sergio Mandelli, Capire l'arte contemporanea su youtube.com Gillo Dorfles ,«Mi
sveglio, lavoro. Amo il vino», in Corriere della Sera, Aldo Cazzullo, la mia vita infinita da Francesco Giuseppe agli
smartphone, in Corriere della Sera. Gillo
Dorfles. Angelo Eugenio Dorfles. Dorfles. Keywords: “Artificio e Natura,
natura, artificio, communicazione, mito, simbolo, segno, linguaggio,
interpretazione, semiotica, disarmonia, Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Dorfles” – The Swimming-Pool Library.
Doria (Genova). Filosofo. Grice: “I love Doria: a nobleman who should
be sailing off Portofino, is writing a ‘progetto di metafisica’ after
discussing the ‘filosofia degl’antichi’ – you HAVE to love him! Plus, he philosophised
WHILE sailing!” Figlio di Giacomo e Maria Cecilia Spinola, appartenente alla
nobile casata dei Doria Lamba dalla quale provennero ben quattro dogi della
repubblica di Genova, ha un'infanzia travagliata segnata a cinque anni dalla
morte del padre. L'uscita dalla famiglia delle tre sorelle lo fa rimanere solo
con la madre che influenza negativamente il suo carattere melanconico ma
vivace, il suo desiderio di virtù e Gloria. La madre, che egli accusa esser
stata de' miei errori la prima e principal cagione, si era disinteressata del
figlio limitandosi ad affidarne l'educazione a filosofi bigotti che lo fano
crescere con la paura delle malattie e della morte, che gli viene indicata dai
suoi educatori gesuiti come un positivo castigo all’uomino re. Divenne
quindi vivace e grazioso nelle conversazioni affabile con tutti, facile e
condiscendente con gli amici e allo stesso tempo pieno di sé e fatuo divenendo un
Petit Maitre disinvolo e alla moda, e prende per idea di virtù vera ed
esistenta ogni vanità e molte volte prende con l’idea di virtù il vizio ancora!
Pieno di sé e fatuo. Compì con la madre il “grand tour” – Firenze, Capri,
Girgentu -- dei ‘viri’ ben nato dal quale ne usce libero dall’inibizione
religiosa, ma con un nuovo abito di un anima viziosa, la quale lo fa mirare
come idea di virtù la rilassatezza nel senso, la prepotenza con i deboli e la
vendetta. Tornato a Genova, la trovò bombardata dal mare dalle navi di Luigi
XIV. In quell'occasione conosce il conte di Melgar che l’avvia nell’arte
militare e lo introduce nel giro del patriziato mondano. Innamoratosi
fortemente di una meritevole donna che muore poco tempo dopo, cadde in
depressione e per distrarsi dal dolore riprese i suoi dispendiosi viaggi.
Ridotto in ristrettezze economiche si reca a Napoli per recuperare certi suoi
crediti ma dove lottare per districarsi dalla palude di leggi e cavillose
procedure al punto che si mise a studiare filosofia con un certo profitto per ottenere
dal tribunale quanto gli spetta. La sua fama di spadaccino gli fa
guadagnare la simpatia del patriziato napoletano che ritiene massime di
cavagliero che fusse atto di disonore e di vergogna il non punire un uomo a sé
inferiore quando si ha da quello qualche offesa ricevuto, e che il perdonare generosamente
fusse vergogna. Ma poscia era massima d'estrema vergogna il non chiamare
a duello un nobile a sé uguale quando da quello si era qualche offesa ricevuta.
Si diede quindi a duellare per qualsiasi puntiglio cavalleresco tanto da essere
messo in prigione aumentando così la sua fama di duellista e vendicativo presso
la nobiltà locale. Comincia a disgustarsi di questa sua vita fatua e falsa
trasformandosi in filosofo metafisico ed entrando nella cerchia degli
intellettuali cartesiani e gassendisti che caddero sotto l'attacco della Chiesa
preoccupata che il loro sensismo approdasse a un conclamato materialismo. La
posizione della Chiesa fu esplicitata dal grande processo contro gl’ateisti,
quegli intellettuali che si erano illusi di poter modernizzare la dottrina
cattolica. Si schierò con questi frequentando il salotto filosofico Caravita
che si era già battuto contro l'Inquisizione e che era divenuto il centro di
diffusione della filosofia cartesiana. Qui il Doria ebbe modo di conoscere il
protetto di Caravita, quel Giambattista Vico che scriverà del genovese che «fu
il primo con cui poté cominciare a ragionar di metafisica» nella quale si
intravedevano «lumi sfolgoranti di platonica divinità. Per organizzarsi contro
le polemiche dei tradizionalisti, sostenuti dalla Chiesa cattolica, il Caravita
pensò di fondare un'associazione di intellettuali modernisti che, dopo diverse
difficoltà, finalmente vide la luce col nome di Accademia Palatina e che
annoverava fra i 18 soci fondatori anche Doria che pronunzia in quella sede
lezioni concernenti la teoria politica (Sopra la vita di Claudio imperadore)
dove sostene la superiorità della nobiltà per virtù e non per nascita, e dove
contestava la base valoriale dell'aristocrazia fondata sull'uso delle armi
(Dell'arte militare, Del conduttor degl'eserciti, Del governatore di piazza,
Della scherma). La guerra, scriveva Doria, non e un privilegio della nobiltà di
spada ma un'attività che richiede l'applicazione di una tecnica e il comando
affidato a ufficiali competenti nel dirigere l'animo umano (Il capitano
filosofo, Napoli) Pubblica la Vita civile e l'educazione del principe,
criticata da alcuni per alcuni fraintendimenti sul pensiero di Cartesio. Non ha
inteso il Cartesio, o ad arte ne tronca
o perverte il senso. Critica la politica di Tacito e Machiavelli sostenendo che
questa va basata non sopra l'idea degli uomini quali sono ma sulla virtù, il giusto
e l'onesto». Lo Stato anda guidato, come dettava l'insegnamento platonico, dal
filosofo facendosi così sostenitore, secondo le nuove idee riformatrici che
cominciavano a circolare in Europa, di un assolutismo moderato nel Regno di
Napoli. Doria cominciò ad interessarsi a temi scientifici mandando alle stampe
le sue Considerazioni sopra il moto e la meccanica de' corpi sensibili e de'
corpi insensibili (Augusta) e una Giunta d iM. Doria al suo libro del Moto e
della Meccanica. Opere queste, dove si critica il metodo di Galilei e si mette
in discussione la distinzione cartesiana fra res extensa e res cogitans in nome
del principio neo-platonico dell'Uno immateriale, che non ebbero il successo
sperato e vennero anzi aspramente criticate da più parti. Divenne un
personaggio ambito da nobili e femmes savantes che lo invitavano nei loro
circoli culturali dove riceve numerosi attestati di stima. Per ricambiare le
nobili dame, sue discepole, pubblica i Ragionamenti ne' quali si dimostra la
donna, in quasi tutte le virtù più grandi, non essere all'uomo inferior. La
donna ha gli stessi diritti naturali dell’uomo e puo governare e fondare grandi
imperi ma non e adatte fisiologicamente a formulare leggi per le quali occorre
una sapienza storica e filosofica. Cartesio infatti aveva errato nel credere
che Dio avesse dato a tutti eguale abilità per intender le scienze, mentre iddio
non ha ugualmente a tutti gli uomini distribuito e perciò vediamo che molti non
son capaci nelle scienze. Quindi la donna che egli ammirava moltissimo e che lo
ricambiavano con tante lodi, deve tuttavia accontentarsi di poter dirigere lo
stato ma non puo essere legislatrice. Un rapporto questo con l'altro sesso che
rimase problematico per Doria che non volle mai sposarsi ritenendo il
matrimonio una legge dura che non trova precisa corrispondenza nella teologia. Si
considera ormai un filosofo metafisico e mattematico che adottando il
platonismo ha pressoché distrutto li saggi di filosofia del signor Giovanni
Locke ed in parte ancora la filosofia di Renato Des-Cartes. Compiva un
capovolgimento delle sue convinzioni moderniste passando nel campo degli
antichi quando il suo Nuovo metodo geometrico (Augusta) e i Dialoghi ne' quali s'insegna
l'arte di esaminare una dimostrazione geometrica, e di dedurre dalla geometria
sintetica la conoscenza del vero e del falso (Amsterdam), furono aspramente
criticati da parte della rivista Acta eruditorum. Ancora più aspre le
contestazioni ricevute a Napoli che gli costarono un sonetto denigratorio che
così recitava. Di rispondere a te nessun si sogna /de' nostri, e strano è assai
che Lipsia mandi/ risposta a un uom che 'l matto ognun lo noma. Illustrazione alla recensione pubblicata
sugli Acta Eruditorum al Capitano filosofo. Gl’Oziosi, dove profuse tutte le
sue energie nel criticare i moderni, seguaci del pensiero filosofico di Locke,
dell'Accademia delle scienze di Celestino Galiani che aveva detto di lui «il
Doria ha ristampato tutte in un corpo le sue coglionerie. Con l'avvento del re
riformista Carlo III di Borbone nel Regno di Napoli, si trova completamente
isolato col suo platonismo pratticabil che continua a difendere scrivendo “Il
Politico alla moda”. Si rendeva ormai conto di come fosse irrealizzabile il suo
ideale di un governo ad opera del concetto di “sovrano virtuoso” e di “filosofe
legislatore.” Il magistrato, il capitano, il sacerdote e tutti gli ordini che
governano hanno diviso la filosofia dalla politica per unire alla politica la
sola prattica; ormai i principi scriveva vogliono governare lo stato colla
politica del mercadante, e non con la politica del filosofo. Constatava come vi
fosse ormai una generale crisi dei valori perché in questo nostro tempo si
corre dietro solamente alla perniciosa filosofia di Locke e di Newton e si
pratica solamente la politica mercantile. Completamente ignorato dall'ambiente
intellettuale, Doria malato e in difficoltà economiche muore indicando nel suo
testamento la volontà che fosse pubblicata a spese di un suo cugino, a saldo di
un debito da questi contratto, l'opera “Idea di una perfetta repubblica”.
Quando il saggio e infine edito fu condannato dai revisori ad essere bruciato
per il suo contenuto contro Dio, la religione e la monarchia. In realtà
contesta il celibato ecclesiastico, l'indissolubilità del matrimonio, la
castita, l'eternità delle pene inflitte ai dannati e l'ideologia etico-politica
dei gesuiti. Il governo perfetto doveva essere a imitazione di quello
della Roma repubblicana, perché posto il governo in mano agli uomini, è forza
che sia moderato da un magistrato ordinato alla difesa del popolo contro la
tirannia. Gli unici a esecrare il rogo del saggio furono proprio i giuristi
napoletani difendendo i libri di quel savio e cordato vecchio di Doria, di cui s'infama
la venerata memoria. E al centro del saggio “La distruzione della fiducia e le
sue conseguenze economiche a Napoli”. Si argumenta che il governo nell'azione
di depredazione del Regno di Napoli ha spogliato i loro sudditi della virtù e
della ricchezza, introducendo al posto loro ignoranza, infamia, divisione e
infelicità. Altra azione, che si rivelerà in seguito disastrosa per la società
napoletana e in genere per il Mezzogiorno, fu lo smantellamento dei rapporti
inter-personali di fiducia tra le diverse classi, necessari per lo sviluppo dei
commerci e dell'iniziativa privata e l'introduzione di una cultura dell'onore
attraverso l'infoltimento dei ranghi nobiliari, il rafforzamento
dell'Inquisizione, l'inasprimento della segretezza dell'attività di governo,
l'incremento delle cerimonie religiose e di devozione ritualizzata, l'aumento
della diseguaglianza davanti alla legge e infine l'indebolimento apertamente
perseguito del rapporto armonioso che si era creato in passato tra i diversi
ordini del Regno: tutto ciò al fine di scoraggiare, minando la fede pubblica,
l'ascesa di una classe imprenditoriale-commerciale che avanzasse i propri
diritti e rompesse l'equilibrio dei poteri tra la corte e il patriziato locale
che gli spagnoli intendevano mantenere. Tutti questi fattori, lesivi di quel
rapporto di fiducia tra le classi necessario per l'avvio e il consolidamento dell'attività
di co-operazione e di intrapresa economica, non tarderanno a produrre effetti
duraturi sulla società meridionale, non solo a livello mentale-culturale, e di
converso a livello economico, costituendo uno dei fattori prodromici
dell'arretratezza socio-economico-culturale del Mezzogiorno d'Italia.
Altre opere: “Considerazioni sopra il moto e la meccanica de' corpi sensibili,
e de' corpi insensibili, In Augusta [i.e. Napoli?, Daniello Hopper); “Considerazioni
sopra il moto e la meccanica de' corpi sensibili, e de' corpi insensibili.
Giunta, In Augusta [i.e. Napoli?, Daniello Hopper; Dialoghi, Amsterdam, Esercitazioni
geometriche, In Pariggi, Duplicationis cubi demonstration” (Venezia); “Discorso
apologetico” (Venezia); “Soluzione del problema della trisezione dell'angolo”
(Venezia); “Vita civile” (Napoli, Angelo Vocola. Pierluigi Rovito, Dizionario
Biografico degli Italiani. “L’arte di
conoscer se stesso, in De Fabrizio , Manoscritti napoletani. Autobiografia, in Cristofolini
, Opere filosofiche, R. Ajello, Diritto ed economia, Vita civile, ed. Augusta, S.
Rotta in Politici ed economisti del primo Settecento. Dal Muratori al
Cesarotti, V, Milano-Napoli, L'arte di conoscere se stesso. Eugenio Di Rienzo,
GALIANI, Celestino in Dizionario Biografico degli Italiani, V. Ferrone, Scienza
natura religione. Mondo newtoniano e cultura italiana nel primo Settecento,
Napoli, Manoscritti, La Politica mercantile, Manoscritti, Idea di una perfetta
repubblica "accorato" Ajello. Segnatamente: Del commercio del Regno
di Napoli, in E. Vidal, Il pensiero civile di Paolo Mattia Doria negli scritti
inediti, Istituto di Filosofia del diritto dell'Roma; Della vita civile,
Torino; Massime del governo spagnolo di Napoli, V. Conti, Guida, Napoli Contenuto
nel volume miscellaneo Diego Gambetta, Le strategie della fiducia, Einaudi,
Torino, D. Gambetta, Pierluigi Rovito, «DORIA, Paolo Mattia», in Dizionario
Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Roberto
Scazzieri, Il Contributo italiano alla storia del Pensiero Economia, Roma,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, . Giulia Belgioioso, Il Contributo
italiano alla storia del PensieroFilosofia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, . E. Vidal, Il pensiero civile di Paolo Mattia Doria negli scritti
inediti, Istituto di Filosofia del diritto dell'Roma. Paolo Mattia Doria. Doria.
Keywords: co-operazione, duelo – duel, the duelists, cooperation – il sensismo,
roma repubblicana, la aristocrazia romana, Romo, aristocrazia. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Doria” – The
Swimming-Pool Library.
Dottarelli (Bolsena). Filosofo. Grice: “I like
Donatelli; he is an Etruscan, from Balsena, and it’s only natural that he is
obsessed with the one and only Etruscan philosopher, Musonio!” Si è formato
alla Facoltà di Filosofia dell'Perugia, dove ha studiato con Cornelio Fabro e
si è laureato con una tesi sul dibattito epistemologico del Novecento (K.
PopperFeyerabend, I. Lakatos, T. Kuhn) sotto la guida di Massimo Baldini. Si è
poi specializzato in Filosofia all'Urbino, dove ha avuto come maestri Italo
Mancini e Pasquale Salvucci, con cui ha discusso una tesi sulle implicazioni
epistemologiche della filosofia di Immanuel Kant. Ha insegnato nei Licei ed è
stato docente a contratto di Filosofia della scienza, Filosofia morale,
Bioetica nelle Università della Tuscia, di Macerata e Firenze. Ha sempre
coniugato il lavoro didattico e di ricerca con l'impegno civile. Per 13 anni
consecutivi è stato Sindaco della città di Bolsena (VT). Eletto la prima volta
nel 1986, con una lista civica di sinistra, è stato successivamente confermato
nel 1990 e nel 1995. Dal 2005 al ha
ricoperto il ruolo di Direttore generale della Provincia di Viterbo e in tale
veste, oltre al coordinamento e alla sovrintendenza della gestione complessiva
dell’Ente, ha avuto la responsabilità diretta della formazione e organizzazione
delle risorse umane, del percorso di certificazione EMAS, del processo Agenda
21 locale e del progetto Arco Latino, strumento per la definizione di una
strategia integrata di sviluppo dell’area del Mediterraneo. Con Pasquale
Picone, filosofo e psicoanalista junghiano, nel 2004 è stato cofondatore della
Società Filosofica Italianasezione di Viterbo, di cui è attualmente
vicepresidente. Nel ha costituito il
Club per l’UNESCO Viterbo Tuscia, di cui è presidente. I suoi interessi
teorici si sono rivolti all'epistemologia, all'etica, alla filosofia politica e
alla pratica filosofica. In Popper e il gioco della scienza ha svolto
un'analisi critica dell'epistemologia falsificazionista, mostrando come
l'ultimo Popper, pur rendendosi conto della coerenza dello sviluppo evoluzionistico
della propria epistemologia, arretrasse e resistesse dal trarne le estreme
conseguenze, restando fedele al paradigma del razionalismo critico,
difendendolo sino in fondo, ma con ragioni sempre più deboli. Nei suoi lavori
su Immanuel Kant (Kant e la metafisica come scienza, Abitare un mondo comune.
Follia e metafisica nel pensiero di Kant) ha evidenziato sia il proposito
kantiano di fondare come una scienza rigorosa la metaphysica generalis, prima
parte della metafisica come era intesa nella tradizione razionalistica tedesca,
sia il carattere che viene ad assumere la metaphysica specialis, dopo la
critica: un pensare congetturale e analogico che è anche prassi, vita. In
questa prospettiva la filosofia kantiana viene valorizzata per la sua peculiare
dimensione "cosmica", come «scienza della relazione di ogni
conoscenza e di ogni uso della ragione umana con lo scopo essenziale di essa»,
e viene ricollegata alla filosofia come era praticata soprattutto
nell'antichità: arte di vivere, esercizio spirituale. Il filosofo pratico, il
maestro di saggezza tramite l’insegnamento e l’esempio, è così «l’autentico
filosofo», che, nel quadro della complessiva ed originale riorganizzazione
kantiana dell’orizzonte utopico di derivazione platonica e rousseauiana,
diventa esso stesso un ideale regolativo, al quale colui che più si è
avvicinato è stato Socrate, per via della sua esemplare coerenza di vita. In
Freud. Un filosofo dietro al divano, il lavoro del fondatore della psicoanalisi
viene letto come un episodio della lunga tradizione che ha interpretato la
filosofia come "medicina per l'anima". Il rapporto di Freud con la
filosofia si nutre di una profonda ambivalenza: da un lato un'irresistibile
attrazione; dall'altro quasi la necessità di rassicurare se stesso e gli altri
su una propria «incapacità costituzionale» (Autobiografia, 1924) alla pura
speculazione e sulla sua ferma volontà di sottrarsiproprio lui, formidabile
affabulatoreal fascino delle narrazioni filosofiche. La riflessione di Freud
non trascura nessuna delle dimensioni fondamentali della ricerca filosofica.
Neanche quella teoretica, volta a costruire visioni complessive dell’uomo e del
mondo; quella che gli appare la più rischiosa, perché la più astratta, la più
esposta alla frequentazione della metafisica e della religione, sempre in
procinto di cadere nella trappola della verità assoluta. Più a suo agio Freud
si sente invece nel lavorare lungo un'altra linea d’impegno tradizionale della
filosofia: la riflessione critica sui saperi e sulle pratiche umane. Nell'opera
di smascheramento dei meccanismi con cui le ideologie e le prassi individuali e
sociali ammantano la loro miseria “umana, troppo umana”, le potenzialità della
psicoanalisi si esprimono al meglio. Masecondo l'interpretazione di Luciano Dottarellila
fatica intellettuale di Freud trova la propria collocazione più appropriata
nella dimensione della ricerca filosofica che interpreta se stessa come
un’attività in cui l’uomo si dedica alla cura e alla fioritura di sé, alla
coltivazione della propria umanità. Questa dimensione della filosofia come arte
di vivere è stata approfondita da Luciano Dottarelli attraverso la
ricostruzione della vita e del pensiero del filosofo stoico Musonio Rufo nella
monografia su Musonio l'Etrusco. La filosofia come scienza di vita.
Testimonianza della vitalità della tradizione culturale etrusca in epoca
romana, la filosofia di Musonio è espressione significativa di quel crogiolo di
idee ed esperienze di ricerca della felicità che è l'ellenismo della tarda
antichità, in cui si rispecchierà poi la civiltà medievale e soprattutto quella
umanistico-rinascimentale. Musonio ha dato il tono di fondo all'impegno
prevalente nella tradizione filosofica della Tuscia: ricerca di una scienza di
vita, studio di perfezione, imitazione di Dio, àskesis, esercizio per
sviluppare la conoscenza e la coltivazione di sé, finalizzata alla fioritura
dell’autentica esistenza umana. L’adesione del filosofo di Volsinii allo
stoicismo è decisamente sotto il segno di Socrate: la filosofia può proporsi
come arte regia in quanto, in primo luogo, è arte di governare se stessi.
L’ideale dell’autosufficienza del saggio si traduce nella predilezione per
l’agricoltura, come attività più appropriata per il filosofo. «La terra in
effettiaffermava Musonioricambia con i frutti più belli e più giusti coloro che
si prendono cura di essa, dando molte volte tanto quel che riceve ed offrendo
grande abbondanza di tutto quanto è necessario per vivere a chi ha la volontà
di faticare: e tutto questo con decenza, nulla di ciò con vergogna». Ad un
analogo sentimento di appartenenza al cosmo e ad un profondo rispetto per gli
altri esseri umani e per tutti i viventi, sono ispirate anche le sue
riflessioni sui rapporti sociali, sulla schiavitù, sulle donne, sulla
nonviolenza, sull'alimentazione, sul vestire e sull'abitare. Riflessioni che
Musoniosecondo la concorde testimonianza dei contemporaneiseppe tradurre con
coerenza esemplare in una efficace pratica di elevazione spirituale, diretta a
coinvolgere, insieme, il corpo e l’anima. Sobrietà, rispetto, universalità e
condivisione sono le parole di riferimento di una visione etica che anticipa in
modo sorprendente istanze fondamentali della moderna sensibilità ecologista. La
visione della filosofia come arte di maneggiare gli assoluti è approfondita nel
libro Maneggiare assoluti. Immanuel Kant, Primo Levi e altri maestri. «La
filosofiasostiene Luciano Dottarellianche quella più incline a farsi
coinvolgere nell'impresa di estinguere la sete dell’assoluto, contiene in sé,
nella propria vocazione alla ricerca di una comune verità mediante il dialogo,
un antidoto indispensabile al rischio distruttivo che può annidarsi in ogni
tentativo umano, tanto umano di cogliere la totalità, l’infinito, Dio. Anche le
grandi tradizioni religiose, quelle che da secoli sono impegnate a tracciare
sentieri, trovare parole, celebrare liturgie per saziare la fame di assoluto
che agita il cuore e la mente degli uomini non possono fare a meno di intessere
un intenso dialogo con questa tradizione di ricerca, soprattutto nei momenti
cruciali, quando diventa urgente addomesticare i dèmoni che una frequentazione
inadeguata del sacro può evocare. Dèmoni che portano il nome di fanatismo,
intolleranza, totalitarismo e di cui la storia degli uomini alla ricerca della
verità assoluta, della totalità autentica ed incondizionata, dell’esperienza
integrale è purtroppo costellata. La consapevolezza che anche la filosofia non
possa dichiararsi storicamente innocente, non cancella ma spinge a ritrovare
sempre di nuovo la vocazione più profonda di quest’originale forma di esercizio
spirituale: una ricerca appassionata del bene e della verità, capace di
resistere alla suggestione del possesso compiuto e di mantenersi in quella
apertura alla possibilità dell’errore che è presidio di autentica libertà per
sé e per gli altri». Altre opere: “Il gioco della scienza” (Massari);
“Metafisica non scienza” (Massari); “Abitare un mondo comune: follia e
metafisica nel pensiero di Kant (Introduzione al Saggio sulle malattie
dell’anima di I.Kant” (Massari); “Utopia e ragione come luoghi del incontro
dell’ego ed il tu”, in Le ragioni della
speranza” (La Piccola Editrice); “L’assoluto e il relative” (Il Prato); “Musonio”
(Annulli Editori); Freud. Un filosofo dietro al divano, Annulli Editori, Riverberi Di Tuscia e d’altro, Annulli
Editori); “La farfalla dell’anima e la libertà , Armando Editore. Luciano
Dottarelli. Dottarelli. Keywords: Musonio, Etruscan influence on Roman
philosophy, Why Roman philosophy is not Greco-Roman – The Etrurian connection.
Etrurian as ‘antique’ – Etrurian as exotic for Indo-European Aryan Latins
(Romans). Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Dottarelli” – The Swimming-Pool
Library.
Duni (Matera). Filosofo. Grice: “I like Duni; but of course
he errs, as Kant does – for how can a ‘sitte’ a mere costume, become
‘universal’ – yet that’s the oxymoronic title of his tract, ‘scienza dei
costume, ovvero, diritto universale’. Figlio di Francesco, maestro di cappella
della cattedrale di Matera, e fratello dei compositori Egidio Romualdo ed
Antonio, nell'ambiente familiare impara la musica scrivendo anche alcune
composizioni da gravicembalo, pur se non seguì le orme dei fratelli maggiori in
campo musicale, e fu avviato agli studi religiosi nel Seminario della città di
Matera. Si laurea in Napoli. Torna a Matera dove aveva già intrapreso la
pratica di avvocato presso la Regia Udienza e dove, chiamato da Lanfranchi, fu
insegnante presso il Seminario; lo stesso Palazzo del Seminario divenne in
seguito sede del Liceo Classico di Matera, che fu a lui intitolato. Dopo la
morte del padre, lascia Matera trasferendosi dapprima a Napoli e
successivamente a Roma. Presso
l'Università degli Studi La Sapienza fu docente di diritto canonico e di
diritto civile, e pubblica un Commentarius in cui esponeva la dottrina
giuridica del codicillo, con una dedica a Benedetto XIV che in seguito lo
sostenne nella sua nomina alla cattedra universitaria; a Roma entrò in contatto
con le opere di Vico, del quale divenne un convinto sostenitore. Eleggendo Vico
a suo maestro, si propose di realizzare un programma di diritto universale come
fonte di tutte le leggi e costumi umani. Partendo dalla sua formazione
cattolica, crede in Dio creatore del mondo e suo legislatore, e non distinse
l'etica e la giurisprudenza considerandole integrative in quanto tendenti allo
stesso fine, cioè a dare il senso della vita, e quindi facenti parte entrambe
della filosofia. Nacque così il “Saggio sulla giurisprudenza universale”; sua
opera fondamentale, dedicato al promotore della politica riformatrice del Regno
meridionale, il ministro Tanucci. Il “Saggio” indica esclusivamente nel vero il
principio unitario delle conoscenze umane, a cui ricondurre anche la fondazione
delle scienze morali. Il bene o vero morale (Cicerone e buono), che differisce
dal vero metafisico perché comporta anche l'elezione volontaria del vero
conosciuto, si esprime come onestà e come giustizia. La morale propone
l'honestum, cioè il bene secondo coscienza, e opera dall'interno, invece il
diritto indica la via per andare al giusto, regolando i rapporti tra gli
individui o soggetti e quindi la vita sociale. Successivamente al Saggio, scrisse
un'opera sul rapporto tra filosofia e filologia nell'ambito della storia di
Roma, ed in seguito una Risposta ai dubbi proposti da Finetti in cui
polemizzava contro Finetti difendendo la memoria del Vico. Pubblica a Napoli la
“Scienza del costume o Sia sistema del diritto universale”, dedicata a Antonelli,
in cui prosegue l'opera iniziata con il Saggio. Opere: “De veteri ac novo iure
codicillorum commentaries; “Saggio sulla giurisprudenza universale”; “Origine e
progressi del cittadino e del governo civile di Roma”; “Scienza del costume o sia sistema del
diritto universale”. LA A falſa comune
opinione adotta ta co me un'affioma dai Politici , che le So cieti Civili
naſcono colla forma di Governo Monarchico , diede occaſione non meno agli
antichi , che moderni Scrittori della Storias Romana di formare di queſta
Nazione tutt ' altra idea di quella , che fu realmente . I vo caboli di Re e di
Regno appreſi nel ſenſo di quei tempi , in cui viſſero gli Storici , quando già
fioriva in Roma la Monarchia , gli traſportarono a credere , che il Governo
cominciaſſe fin dal tempo di Romolo colla , forma Monarchica . Taluni peraltro
convinti da’ fatti contrari della Storia furono obbligati a confeflare che ne'
primi tempi di Roma quantunque regnaffe la Monarchia , pure.que Ita non poteſſe
dirá alſoluta ma che folle accom DI ROMA . 17 accompagnata , e mifta di
Ariſtocrazia , ' é, Democrazia ; ' e che in conſeguenza i Patrizi inſieme co '
Plebej rappreſentaſsero qualche dritto nel Governo , di cui peraltro la ſomma
foſse preſso de' Re . L'Idea adunque che tam luni Scrittori fecero del Governo
di Roma fin dal fuo nafcere , fu di conſiderare Romolo co'ſuoi Succeſsori o per
veri Monarchi ; o per Monarchi, che aveſsero comunicato parte
dell'amminiſtrazione ai due Ceti di Patrizi, e Plebej , riputando i Patrizi e
Senatori , come Ceto di Cittadini illuſtri ricchi e favj , im piegati dai Re
nelle cariche più gelofe del lo Stato , ed i Plebej per Ceto anche di Cit
tadini ma ignoranti e vili , che ſerviſsero per le faccende ruſtiche , e per la
guerra ; e che aveſsero qualche parte anche ne' pubblici affari . Venne , come
diſi , tal falfa opinione fo ſtenuta da quel comune errore , che tutte le
Società Civili non poſsano altrimenti comin ciare , fe non con la forma
Monarchica , non fapendo eſli immaginare con qual altra for ma di Governo poſsa
mai unirli , e comporli Tom. II. B un > 7 18 DEL GOVERNO CIVILE un Ceto di
famiglie a convivere tra loro , ed a formare un corpo . Imperciocchè , dico no
efli , non è poſſibile di concepire il prin cipio di tal unione , ſenzachè
qualcuno di eſſi, o per violenza , o per fraudolente ambizione induca gli altri
alla di lui foggezione e Si gnoria ; tantoppiù che non ſi faprebbe in al tra
maniera immaginare , come i Padri di fa miglia, i quali prima di entrare in
Società Ci vile , facendo ſenza dubbio la figura di Mo narchi nella propria
famiglia , pofsano ſenza il mezzo della violenza , o dell'inganno , ab
bandonare la propria Signoria col foggettarfi al Governo Civile . Su queſta mal
fondata , opinione incontrandoſi nel fatto della Nazio ne Romana , in cui
intefero parlare di Re , e di Regno nel ſenſo appreſo di Monarca , e Monarchia
non dubitarono punto di defi nire il Governo fotto Romolo , e Tuoi fuccef fori
per Monarchico . Ma poichè i fatti ſteſſi della Storia realmente non
s'uniformano all ' Idea di una perfetta Monarchia , furono co ftretti ad
ainiettere una Mon : irchia mitta di Ariſtocrazia inſieme , e Democrazia .
Tutte DI- ROMA . 19 Tutte le ragioni politiche , che ſogliono ads durſi dagli
Scrittori nel pretendere , che le So cietà Civili non poſſano altrimenti
nafcere che colla forma Monarchica , fono a mio giu dizio tanto lontane dal
dimoſtrarla , che anzi provano tutto il contrario , cioè , che la unione de'
Padri di famiglia , nel comporre la Società Civile , debba neceſsariamente pro
durre forma di Governo Ariſtocratico , e non Monarchico ; poichè fe effi non
fanno im maginare , come tali particolari Monarchi di famiglia poſsano
ſoggettarſi alla pubblica , Podeſtà ſenza frode o violenza di qualcuno di loro
, io al contrario non ſo concepire , .come tal violenza o frode d' un ſolo por
fa eſser valevole ad obbligare un Ceto in tiero di Padri di famiglia avvezzi a
ſignoreg . giare in caſa propria per ſoggettarſi al Mo narca , Qualunque voglia
figurarfi la frode o la violenza d'un folo , egli è chiaro che tali mezzi non
faprebbero indurgli a foffrire di buon animo un totale cambiamento di con
dizione , quanto, lo è il paſsare da quella , in cui trovavanli di Signori
aſsoluti , a queſta di B 2 fud 20 DEL GOVERNO CIVIL E fudditi, trattandoſi di
cambiare condizione in tieramente oppofta ; ed ognun fa , quanto rin . : creſce
al Signore il paſſare di fatto dallo ſta to di comandare a quello di ubbidire .
Che ſe mi diceffero , che ciò nafce dalla violenza, cui non ſi può reſiſtere ,
io gli riſpondo , che nei naſcimenti delle Repubbliche la for za d'un ſolo non
è , ne può eſſere parago nabile alle forze unite di tanti Padri di fa miglia ,
quanti converranno ä formare la So cietà . Sicchè tanto è fupporre , che la
forza d'un folo baſti per opprimere gli altri , quan to è dire , che molti non
fiano in grado di vincere la violenza d' un folo ; ciò che o non è affatto
poſſibile , o almeno lo potrà eſſere in qualche caſo troppo raro , e
ſtravagante ; ma la ſtravaganza e la rarità non può in durre un ſiſtema
generale . Quindi il preten dere , che le Società Civili debbano necella
riamente cominciare colla forma di Governo Monarchico , è lo ſteſso , che
fupporre la violenza , o la frode d' un folo maiſempre ſuperiore alla forza ,
ed alla deſtrezza di mol ti ; e ciò non baſta , perchè biſognerebbe an che >
DI ROMA . 21 1 che ſupporre , che al numero di molti non fc gli preſenti mai
occaſione favorevole per re fiftere , e liberarſi dall' uſurpato potere di un
ſolo ; cioche realmente s’oppone ad ogni no ftra immaginazione. Se poi vorranno
fingere, che dopo la violenza , o frode uſata dal Mo narca per ſoggettare gli
altri , poffa ſeguire il compiacimento degli ſteſſi ſoggetti , forſe perché il
Monarca ſia dotato di virtù tali , che baſtino ad innamorargli , oltreché une
tal ſupporto non ſi può ammettere general, mente , incontra il maſſimo oſtacolo
di non poterſi concepire , come gli Uomini avvezzi a dominare poſſano cosi
preſto invogliarſi della condizione oppofta di ubbidire per qualunque
ammirazione di virtù nella perſona del Moia. narca . Ma poi non è poſſibile il
concepire nel Monarca virtù degna di ammirazione preſo co loro , che
naturalmente, non fanno ſpogliarli di fatto del proprio carattere di dominare ,
ſenzaché entrino almeno a parte della pub blica amminiſtrazione ; fe pure non
vogliamo fingerli per Uomini affatto ftolidi ed alieni dalla maſſima delle
Umane paſſioni . B 3 Qui 22 DEL GOVERNO CIVILE Qui potrei co ' monumenti
pervenutici de gli antichiſsimi Popoli dimoſtrare col fatto l? inſuffiſtenza di
un tal ſentimento dei Politici col riconoſcere nelle origini delle Nazioni tutt
altra forma di Governo , che la Monar chica ; e che laddove eſli ſuppongono ,
che la Monarchia ſia ſtata la prima a forgere nel le Società Civili , fi
troverà maiſempre l'ulti tima a venire dopo l' Ariſtocrazia , e Demo- ' crazia
; perché la naturalezza delle Umane vicende è tale , che i Padri di Famiglia
nel formare la Società Civile dovendo decadere da quella podeſtà afloluta , che
eſercitavano in Caſa , cercheranno di cedere il meno che ſia poſſibile
dell'antica Signoria ; poichè l'Uo mo per natura non fa mutarſi di fatto da ,
uno ſtato ad un altro direttamente oppoſto al primo , e perciò quando trovali
nella contin genza di dover paſſare da una condizione ſuperiore all' inferiore
, procura ſempre di paſſarci per gradi , e non di ſalto . Quin di è , che fe
vogliamo ragionare a ſeconda , dell'idee Umane , dobbiam dire , che tali Pa dri
di famiglia qualora li vedranno obbligati dalla DI R O M A. 23 dalla neceſſitii
di laſciare la Monarchia del ta loro famiglia , ſebbene converranno vo lentieri
in Società Civile per trovare mag gior ſicurezza coll'erezione della poteſtà
pub blica compoſta di forze unite , e per confi gliare ai vantaggi, e comodi
della vita ; pu Te non ſi diſporranno mai a cedere dell'anti ca poteſta , fe non
quanto biſogna per reg gerſi il Corpo Civile , e quanto meno liane poflibile di
quella dominazione , che lafciano . Or la forma di governo , che dovranno fce
gliere , farà certamente l'Ariſtocratica , come quella , in cui fi cede il meno
dell'anticas Signoria , formandoſi una Podeſtà pubblica che riſiede nondimeno
preſſo gli iteſi mem bri , che la compongono , e nel tempo ſtello col Governo
Ariſtocratico ſieguono a ſignorega giare ſul Volgo , e ſulla Plebe , che ſi
ricovera ſotto la loro protezione . Che ſe poi vorremo fare un' efatto giudizio
, come coll' andar del tempo dall'una forma di Governo ſi fuol para ſare
all'altra , poſſiamo qul accennare breve. mente , che ſtabilitaſi la Societ :
Civile nella ſua origine colla forma Ariſtocratica , che dee ellere 1 B 4 priva
d'ogni dritto Civile i Indi l'oppreſſo 24 - DEL GOVERNO CIVILE eſsere la prima
a naſcere , gli Ottimati na turalmente faranno traſportati dall’amor pro prio
ad opprimere , e tirannizzare il Volgo , o ſia la Plebe , che ricoverandoſi
ſotto la lo ro protezione, per ſoſtentare la vita , rimane Volgo creſciuto in
numero , maſſime col mez zo della procreazione , pel deſiderio iſpiratoci dalla
Natura di fottrarci dall' altrui tirannia , cogli ammutinamenti e ſedizioni
cerca di li berarſene ; e quindi avviene , che dall' Ari ftocrazia ſi paſſa
alla Democrazia . Finalmente il Popolo tutto reſo partecipe del Governo ,
naturalmente ſi divide in fazioni , le quali agi tandoſi continuamente tra loro
, non trovano altro ſcampo per ſalvarſi dalle guerre Civili , che di
ricoverarſi ſotto la Monarchia . E que Ito ſembra il corſo ordinario e naturale
delle Origini e de' progreſſi delle Nazioni tutte uniforme altresì alle memorie
pervenuteci del le antichiſſime Nazioni. Ma per non partirci dal noſtro
argomento , ci conviene di fermarci ſull' eſame del Go verno Civile di Roma . E
ſulla prima fa duo po DI ROMA: 25 po di ſviluppare dalle tante incoerenze , che
troviamo nella Storia , quella prima forma di Governo , che venne iſtituita
ſotto Romolo nel naſcimento della Città Romána . Dicia ino adunque , che la
prima forma diGover no iſtituita fin dal tempo di Romolo tanto è lungi , che
fofle ftata Monarchica , o miſta di Monarchia , che anzi ſi riconoſce chiaramen
te Ariſtocratica delle più feverè , che mai li poſſa immaginare , come
realmente lo furono le Nazioni tutte nei loro forgimenti . E pri mieramente
l'efferſi attribuita a Romolo , e ſuoi Re fucceffori la Monarchia , nacque fo
vratutto , come diſli , dalla falſa intelligen-. za della voce Rex , col di cui
nome vennero chianati tutti quei , che da Romolo fino al la creazione de' due
Conſoli Annali ebbero la cura di preſedere , e far da Capi del Se nato regnante
. La voce Rex nei tempi , in cui gli Storici, come Livio e Dioniſio 'com
pilarono la Storia Romana , fu certamente appreſa in ſenſo di Monarca , come
temps , in cui fioriva. la Monarchia e con un tal Suppoſto non ſapendo neppur
eſi immagina. re 26 DEL GOVERNO CIVILE re altra forma di Governo nel naſcimento
della Città Roinana , andarono a credere , che o in tutto , o in parte regnaſſe
la Monarchia . Ma ſe vogliamo inveſtigare la vera originaria fignificazione
della voce Rex , troveremo , ch'ella viene da reggere , e ſoſtenere , e che
propriamente dinotava un Capo e Dace del la Repubblica , e non un Monarca di
pode Atà aſſoluta . La ſtella eſpreſſione di Rex tro viamo uſurpata in tutte le
altre Nazioni , di cui ci è pervenuta la Storia ; ma il Governo del le
niedeſime non ſi può attribuire a Monar chia ſenza ſmentire i fatti medefimi,
dai quali ſcorgeſi , che tali Re altro realmente non era no , che Capi, e Duci
delle Repubbliche : per che inſieme colla perſona del Re troviamo i Senati , da
cui definivanfi gli affari pubblici dello Stato . Soleaſi per altro diſtinguere
l' incombenza dei Re in pace ed in Città da quella , che rappreſentavaſi in
guerra ; poi che qualora erano in piegati a far da Capita ni Generali a
comandare l'eſercito , ſpiega vano certamente una podeſtà affoluta , come
quella , ch'è troppo necelaria nel Capitan Gen DI ROMA 27 Generale per lo buon
regolamento delle fac cende militari . Trattaſi in guerra di porre in
eſecuzione all'iſtante le opere militari , le qua li non ſoffrono dilazione , e
richieggono la più rigoroſa ſegretezza per forprendere l'ini mico , ed in
conſeguenza i Re in guerra per natura dell'impiego medeſimo ſpiegavano po teſtà
aſſoluta , perchè non giova di eſercitarſi colla dipendenza dal volere degli
altri , è maf fimamente de' Cittadini, come lontani e che non poſſono eſſer
preſenti alle diſpoſizioni mi Jitari , e perciò non ci dee far maraviglia , fe
per conſigliare al pubblico bene fafi co ſtumato di concedere al Re , quando
coman da in guerra , una poteſtà indipendente e Monarchica . Ma di qualunque
carattere ftata foſſe lae poteftà dei Re in guerra , non dobbiamo con fonderla
colla podeſtà da effi loro praticata in pace e nel Governo Civile dello Stato .
In fatti Tacito narrando i coſtumi degli antichi Germani ci fa ſapere che
prello tali antis chi Popoli ſi diſtinguevano i Re propriamen te 1 28 DEL
GOVERNO CIVILE te detti nel ſenſo di reggere la Repubblica dai Capitani
Generali ; poichè i primi fi eleg gevano dal Ceto degli Ottimati e . Signori ,
ed i ſecondi fi ſceglievano tra quei , che li erano reſi celebri pel valore , '
I Re , dices egli , ſi eleggono dal Ceto de' Mobili , e per Capitani Generali
ſi ſcelgono i più celebri nel valore ; Ma i Re non rappreſentano pode fà libera
ed illimitata (a ) ; quanto a dire che la qualità di Re preflo gli antichiſſimi
Germani non produceva poteſtà fuprema , e Monarchica , tuttoche Tacito gli
aveſſe at tribuito il nome di Rex . Dioniſio parlando degli antichi Re della
Grecia fcrive , che i Re delle antiche Greche Nazioni , preffo di cui il
Principato era ereditario , o pure elettivo , governavano col conſiglio degli
Ottimati , come lo atteſtano Omero , e gli antichiſſimi Poeti. Nè quei tali
antichi Re eſercitavano il Prin cipato con poteſtà aſſoluta , come veggiamo a
tempi (a ) Tacit. de moribus Germanorum 9. VII. Reges ex nobilitate , duces ex
virtute fumunt . Nec Regi bus infinita , aut libera poteftas . DI ROMA . 29
tempi noftri (a ) . La voce Rex adunque nell' originaria ſignificazione Latina
dinotava une Capo di qualunque Ceto , o di Repubblica , e non un Monarca z e
queſto Capo qualora veniva deſtinato a comandare in guerra ; al lora fpiegava
la poteſtà aſſoluta ; Ma nei tem pi poſteriori , quando le Nazioni pervennero
allo ſtato di Monarchia fi ritenne la ſteffa voce Rex , che paſsò a ſignificare
il Monarca , quan to a dire , che il nome di Rex attribuito a Romolo , ed agli
altri Re ſucceſſori, non può eſſere un argomento per definire il Governo
Monarchico nel naſcimento della Città Ros mana . Parliamo ora ad eſaminare i
fatti narratici dagli Storici , dai quali unicamente dipende lo ſchiarimento di
queſto articolo . Dioniſio , il quale a differenza degli altri s'impegna a de (
a ) Dioniſio Antiq. Rom . lib . 2. Graecanici Reges çerte , qui haereditarium
Principatum fumerent , quolve Populus fibi ipfe praeficeret , confilium
habebant ex Optimatibus , ut Homerus , & antiquitlimi quique Poetarum
teftantur .. neque ( ut fit in noſtro feculo ) veteres illi Reges ex ſui tantum
animi fententia poo feſtatem exercebant . 30 DEL GOVERNO CIVILE deſcriverci
minutamente l'origine del Govere no Civile ſotto Romolo , febbene non ſeppe ,
formare un' eſatto e coſtante giudizio della forma del Governo , pure ci
ſomminiſtra ba . ftanti lumi , onde poſſiamno ſcovrire il vero . E ſulla prima
introduce un allocuzione fatta da. Romolo ai ſuoi Compagni ſul propoſito di
doverſi ſtabilire una forma di Governo che foſſe più utile , e più atta per
tener lon tana la Città dalle fedizioni Civili , e per di fenderla dagl'
inſulti dei Popoli eſteri . E qui ci rappreſenta Romolo per Uomo ben iltrutto
ed erudito delle Nazioni Greche , e delle Barbare , delle forme del loro
Governo della difficoltà nello ſcegliere la migliore ; indi gli conſiglia a
riflettere maturamente l' affare , affinchè poteſſero riſolvere , se piutto fto
voleano ubbidire a un ſolo , o pure a pochi, moſtrandoſi pronto e pieno di
moderazione a ſeguire il loro volere (a) . Dopo una ſpe cio ( a) Dioniſio
antiq. Rom. lib. 2. Quum autem diffi çilis fit earum ( vitae uempe rationum )
electio , juf lit DI ROMA . 31 ciofa allocuzione i compagni di Romolo te. nendo
conſiglio tra loro , non dubitarono di preſcegliere la forma del Goveno Regio
in perſona dello ſteſſo Romolo , non ſolamente perchè l' aveano ſperimentata la
migliore per quanto l'aveano inteſo approvare dai loro Maggiori , ma perchè
giudicavano , che con una tal forma di Governo ſi otteneffero i due maſimi
vantaggi , cioè la libertà propria , e · l' impero preſſo degli altri (a) . Da
un tal racconto ognun vede , che Dio. nilio fit eos re per otium conſiderata
dicere , NUM UNI RECTORI , AN PAUCIS PARERE MALINT . Etenim , inquit ,
quamcumque Reipublicae formain in ftitueritis , ad eam recipiendam paratus fum
, nec principatu me indignum cxiſtimans , nec detrcaans imperata facere . (a)
Dioniſio loc.cit.Illi, communicato inter fe con filio, reſponderunt in hunc
moduin : nobis nova Reid publicae forma non eft opus ; nec a majoribus proba
tam , & per manus traditam mutabimus , fed & pri fcorum conlilium
fequimur, quos non ſine inſigni prů. dentia illam Reipublicae formam
inſtituiſſe credimus, & praefenti fortuna contenti ſumus ; cur enim illam in.
cuſemus , quum fub Regibus contingerint nobis bona , quae apud homines habentur
praecipua , LIBERTAS ET IMPERIUM IN ALIOS Haec eft noftra de Republica
fententia &c. 32 DEL GOVERNO CIVILE niſio compoſe tali narrazioni piuttoſto
allas maniera , com'egli avrebbe penſato di fare , che con quella , che Romolo
realmente ufaf ſe preſſo i lnoi compagni'. E tralaſciando di riflettere le
tante improprietà di ſimile allo cuzione , in cui ci propone Romolo per Uo mo
iſtrutto delle Barbare , e delle Greche Na zioni, anzi delle varie forme del
loro Gover no ; quando al contrario , come dimoſtraremo a fuo luogo , i Romani
per molti ſecoli fu rono affatto ſconoſciuti ed ignoti , mallime alle Greche
Nazioni , ci giova quì di notare quell'eſpreſſione , che il Governo Regio po
tea loro conſervare il pregio della libertà , il quale certamente non ſi può
ottenere colla Mo narchia preſa nel ſuo vero fenfo di podeſa d' un ſolo
aſſoluta , ed arbitraria; poiché an che ſul ſuppoſto d'un Monarca dotato della
più retta politica ę ſaviezza , e di coſtumi i più ſublimi ed innocenți , il
Popolo non può godere altro pregio di libertà , ſe non quello, che deriva dalla
rettitudine dell'animno dalla ſaviezza del Monarca medeſimo ; mais non ſi può
pretendere ſotto la Monarchia di 1 DI ROMA . 33 godere il dritto e la libertà
di reſiſtere , ed oppora al di lui ſentimento e comando ; poiché la forma
Monarchica , come tale , racchiude la fuprema poteſtà preſſo di una folo ; e
tutto il reſto del popolo potrà fo lamente eſercitare quell'autorità , che pia
ce rà al Monarca di comunicargli ; ficchè ſi conſidera allora ' tale autorità
come dipen dente e ſoggetta maiſempre al voler del Monarca e non libera del
popolo , che l' eſercita per comando del Principe . Ed ecco cheDioniſio leffo
finora ci propone il Gover no Regio non già in ſenſo di Monarchia , ma di Capo
e Duce d ' un ceto d' Uomi ni , che intendono d'eſser membri del Go verno
medeſimo , per eſſere anch'eſſi a par te della libertà di comandare . Siegue
indi Dioniſio a narrare la diviſione del Popolo in Tribù , e Curie , inſieme
colla egual partizione de' campi , e de' terreni tralle Curie ; e poi paſſando
alla diviſione de' Ceti fatta in Padri e Plebe , nel riferire il carat tere che
i Patrizi doveano rappreſentare nella Repubblica , chiaramente ci atteſta , Tomo
II. С che 34 DEL GOVERNO CIVILE che ai Patrizi apparteneva la cura dei Sacri ,
l'eſercizio de' Magiftrati, l'amministrazione della Giuſtizia , ed il Governo
della Repubblica unitamente con Romolo (a ). Ę poco dopo narran do l'erezione
del Senato dal Ceto de? Patrizj replica lo ſteſſo , cioè , che Romolo avendo ri
dotto le coſe in buon ordine , immediatamen- : te creò dal Ceto de' Patrizj i
Senatori , i quar. li doveſſero ſeco lui amminiſtrare la Repubbli 64 (b) . E
queſta ' erezione di Senato l'affomi glia alle Repubbliche delle antiche
Nazioni Greche ſulla teſtimonianza di Omero , e di altri Poeti Greci , che
fanno menzione di fimi li Senati regnanti, cui preſedeva il Re , il qua le per
altro facea da Capo e Duce, in ma niera $ (a) Dionifo loc. cit. Romulus porro
poftquam difcre vit potiores ab inferioribus, mox legibus latis praefcri plit ,
quid utriſque faciendum effet : ut Patricii facra curarent, Magiſtratus
gererent , jus redderent ,SECUM REMPUBLICAM ADMINISTRARENT. ( b ) Dioniſio loc.
cit. Ceterum Romulus poftquam haec in decentem ordinem redegit , confeftim
decrevit Se fatores creare , ut ellent , QUIBUS CUM ADMINI STRARET REMPUBLICAM
. DI ' ROMA . 35 niera però , che il Governo della Repubblica riſedelle prello
il Senato compoſto degli Ot timati , come per l'appunto furono i Patrizi di
Roma (a) . Indi riferiſce le particolari in combenze attribuite a Romolo , come
Capo del Senato , cioè , che prello di lui eſſer do veſſe la principal cura dei
Sacrifizj e del le coſe Sacre : che doveſſe aver cura delle Leggi e de' Coſtumi
Patri ; che ſi riſerbaf ſe il giudizio per gli delitti più gravi, e de' minori
ne giudicaſſero i Senatori ; che foſſe di ſua incombenza di convocare il Senato
ed il Popolo tutto , colla prerogativa di dover eſſere il primo a profferire il
ſuo ſentimento , ma che le determinazioni del Senato dovef ſero dipendere dalla
pluralità dei fuffragi ; e finalmente , che poteſſe ſpiegare Poteſtà aſſo luta
in guerra ( b) , Paſſando poi a ſpiegare , C 2 qua (a) Dioniſio 796x it.
Graecanici Reges certe > qui hereditarium Principatum fumerent, quoſve
populus fibi ipfe praeficeret , conlilium habebant ex Optimatibus , ut Homerus
& antiquiſſimi quique Poetarum teſtantur &c. ( b) Dioniſio loc.cit. His
conſtitutis, honorcs, & potefta tes in fingulos Ordines diſtribuit . Regi
quidem eximia mune 36 DEL GOVERNO CIVILE quale eller doveſſe l'autorità del
Senato , fcri ve , che gli affari del Governo ſi doveſſero dal Re proporre al
Senato, preſo di cui non di meno doveſſe riſedere la potefta fuprema di decidere
col mezzo della pluralità dei ſuf fragj , ſoggiungnendo inoltre, che un tal fix
ſtema di Governo folle ftato appreſo dalla Repubblica dei Lacedemoni , ( fempre
col falfo fuppofto , che Romolo in tali tempi aveſſe avuto cognizione de'
Papoli della Gre cia ) in cui i Re non erano Monarchi , nè Die {potici del
Governo , ma ſemplici Capi del Senato il quale fpiegava la fuprema pote ftate
munera fuerunt haec: Primum , ut Sacrificiorum , & re liquorum Sacrorum
penes eum eflet principatus, per quem çumque gereretur quidquid ad placandos
Deos attinet ; deinde uit legum ac conſuetudinum Patriarum haberet cuſtodiam ,
omniſque Juris , quod vel natura di&ar , vel pacta & tabula fanciunt
curam ageret ; utque de graviſſimis delictis ipſe decerneret , leviora permitteret
Senatoribus , providendo interim , ne quid in judiciis pece caretur ; utque
Senatum cogeret , Populum in concio nem vocaret , primus fententiam diceret ,
quod pluçi bus placuiſſet , ratum haberet . Haec Regi attribuit mu nia , &
practerea fummum in bello Imperium , DROMA. 37 ( be neppur ftà
nell'amminiſtrazione della Repubblica (a ). Da tutto queſto racconto di
Dioniſio non v'è chi pofſa negare , che Romolo non eb l'ombra, della poteſtà
Monarchica; poichè colla coſtituzione del Senato la poteità ſuprema riſedeva
preſſo il Senato medeſimo , e preſſo gli Ottimati ; e che tutto quello , che fu
attribuito alla perſona del Re , conſiſte va nel fare da Capo del Senato
Regnante col la ſemplice prerogativa di poter proporre gli affari, e di eſſere
il primo tra i Senatori 2 profferire il ſuo fentimento ; ma che la poteſtà di
determinargli riſedeſſe preſſo il Ceto dei Senatori , in maniera che le
determinazioni ſi coſtituivano colla pluralità de' Suffragj, a cui il Re
medeſimo dovea foggiacere ; ciocchè non ſolamente eſclude ogni idea di
Monarchia , ma C3 ci (a ) Dioniſio loc. cit. Senatui vero dignitatem ac po
teſtatem hanc addidit , ut is s de quibus à Rege ad ipſum referretur , de his
decerneret , & ferret calculum, ita ut ſemper obtineret plurium ſententia .
Id quoque a Laconica Republica defumtuin eſt; Lacedaemonio, rum cnim Reges non
erant fui arbitrii , ut, quidquid vellent , facerent ; fed penes Senatum erat
tocà publi cæ adminiftrationis poteftas . 38 DEL GOVERNOICI V ILE ro ci
manifeſta chiaramente una perfetta Ariſto crazia compoſta di Senatori , i quali
furono eletti dal Ceto nobile de' Patrizj. Egli è ve che il Re di Roma ſpiegava
la poteſtà aſſoluta ſoltanto in guerra ; ma queſta , come dicemmo , non toglie,
nè s’ oppone alla for ma del Governo mero Ariſtocratico , perchè in tutte le
Ariſtocrazie troviamo tal poteſtà ſuprema nella perſona del Capitan Generale ,
per la ragione di non poterſi altrimenti eſer citare con felice effetto il
comando del Du ce dell' Eſercito : E qui giova d' oſſervare , che ſebbene nelle
Ariſtocrazie il Capitan Ge nerale faccia ufo di poteſtat aſſoluta in guer ra ;
pure la dichiarazione della guerra , e tut to ciò , che appartiene al ſiſtema
generale di eſercitarla , dipende dal volere dello ſteſſo Se nato regnante ,
quatito a dire , che tutta live poteſtà ſuprema del Capitan Generale ſi ridu ce
ad eſeguire gli ſteſſi ordini del Senato éd a riſolvere all'iſtante da ſe
medeſimo ciò che non ſoffre dilazione , e l'attendere l'ora colo del Senato
ſarebbe inutile e dannoſo Del rimanente la forma del Governo ſi diſtin gue ITDI
ROMÀ. 9. 39 gue non già dall'uſo della poteſtă , che ſi eſercita in guerra , ma
dalla ragione delle pubbliche determinazioni , le quali , qualora dipendono
dall' arbitrio di quei pochi , che compongono il Senato , ci manifeſtano chiara
mente l'Ariſtocrazia , e non la Monarchia , anzi neppure un miſto dell'una è
dell'altra ; perchè la coſtituzione d'un Capo del Senato , ſempreche tutte le
pubbliche determinazioni ſono riſerbate alla pluralità de' Suffragj dei
Senatori s non ſi può aſcrivere , che ad un più ordinato regolamento del Senato
mede ſimo , come avviene in tutti i Ceti di per fone , in cui vi ſia un Capo ,
il quale ſembra effer neceſſario , affinchè ſia meglio regolato il Corpo
intiero di quei , che lo compongo ño ; ma non già che la coſtituzione del Capo
vaglia à mutare o alterare in minima parte il fiftemå del Ceto medeſimo. So
bene , che anche nelle Monarchie fogliono eſſervi i Se nati , maſlime de Grandi
dello Stato ma cali Senati ſono di gran lunga diverſi da quello, che fu
ſtabilito in Roma forto Romolo ; poi chè il Monarca talvolta ſuole commettere a
C4 quals 40. DEL GOVERNO CIVILE 0 qualche Geto di Perſoné la deliberazione de
gli affari , o pubblici , o privati ; ma tali de liberazioni non oltrepaſſano i
confini d'un mero configlio , ſicchè rimane maiſempre al Monarca la facoltà di
approvare , di repu diare la deliberazione ; quanto a dire , che la
determinazione dipende maiſempre dall' arbitrario fuo volere e non dai
ſentimenti dei ſuoi Conſiglieri; ragion, per cui nelle Mo narchie ſi trovano
talvolta ſtabiliti tali Ceti di perſone , che ſogliono aver nome di Con
ſiglieri del Monarca . All'incontro il Senato di Roma era compoſto di perſone ,
di cui ognu na ſpiegava uguale autorità a quella di Ro molo per le pubbliche
determinazioni , e queſta tal ſorta di Senato Regnante è quel la propriamente ,
che coſtituiſce la vera forma di Governo Ariſtocratico . Quindi pof ſiamo
francamente affermare , che dove re gna la Poteſtà fuprema nel Senato , ivi non
vi può eſſere neppur l'ombra della Monar chia , ed al contrario dove regna la
Monar chia , ivi non può eſſervi Senato di poteftà ſuprema; perchè l'una e
l'altra forma di Go verno DI ROMA . 4.1 3 come verno non ſi diſtinguono in
altro , ſe non che nella Monarchia la poteſtà fuprema riſiede in un folo , e
nell' Ariſtocrazia in molti . Ma per eſſer meglio convinti d'una tal ve rità ,
ci conviene di eſaminare con maggior diſtinzione quel Capo di Poteítà , che
riguar da lo ſtabilimento delle Leggi , il quale più d'ogni altro fa
diſtinguere la Monarchia dal? Ariſtocrazia , ſecondo che venga eſercitata da un
ſolo , o da molti , è che ſecondo il ſenti mento di tutti i Politici ſi
conſidera la maſſima nell' amminiſtrazione dello Stato . In fatti tra tutte le
pubbliche deliberazioni la più ſpecioſa ed importante è certamen te quella ,
che diceſi poteſtà Legislativa ; poi chè lo ſtabilimento delle Leggi , come
quel lo , che più d'ogni altro riguarda l'intereſſe e la pubblica tranquillità
, è il punto più ge lofo , che poſſa eſſervi nel regolamento del le Società
Civili , e come tale ci manifeſta , e ci fa diſtinguere ad un tratto la
Monarchia dall'Ariſtocrazia . La ragione ſi è , perchè pre ſcriver la Legge
allo Stato altro non è , che obbligare e ſoggettare tutti i particolari mes 42
DEL GOVERNO CIVILË membri del Corpo Civile alla cieca obbedien za di ciò , che
la Legge comanda ; e perciò ñon li può riconoſcere poteſtà più ſublime di
quella di poter comandare la Legge . Or fen za biſogno di ſoggettarci ſu tale
articolo ai ſentimenti degli Storici ; qualora ci riuſciſſe di dimoſtrare , che
la Poteſtà Legislativa di fat. to riſedeva non nella perſona di Romolo , ma
preſſo l'Ordine del Senato regnante , non ci rimarrà luogo da dubitare , che
l'iſtituzio ne del Governo folle di forma mera Ariſto craticào É qul fa d’uopò
di ricorrere alla narrazio ñê del Giureconfulto Pomponio nella Legge feconda de
Origine juris į ove impreſe con particolari cura à trattare dell'origine delle
Leggi Romane · Ci fa egli ſapere , che ſul principio il Popolo Romano ſi
regolava ſenzos leggi certe e determinate ; ma che tutto ſi go Bernava col
mezzo della dutorità del Re (a) . A tal (a ) L. 2. 9.1. de Orig. Juris : Et
quidem initio Ci vitatis noftrae Populus fine lege cerca , fine jure certo pri
DI R O M A. 43 A tal narrazione di Pomponio gl' Interpreti del Dritto Civile ,
valutando aſſai più la di lui Autorità , che quella di Dioniſio li dettero a
credere che realmente il Governo iſtituito fotto Romolo folle itato Monarchico
, poichè (dicono eſli ) ſe ne primi principi della fonda zione di Roma al dir
di Pomponio non v'era no leggi ſtabilite , e determinate , ma tutto li regolava
collº autorità del Re , ne liegues neceſſariamente , che la forma del Governo
cominciare dalla Monarchia . Ma io non sò , come tali Interpreti poſſano
formare da quelle parole di Pomponio un tal giudizio , quando dall' altre , che
ſeguono , li dimoſtra il con trario . Indi ( fiegue Pomponio ) eſſendoſi ing
qualche maniera ingrandita la città , dicéſi , che lo ſtesſo Romolo aveſſe
diviſo il Popolo in trenta parti , chiumate CURIE a motivo , che allo primum
agere inſtituit , omniaque manu Regis guber nabantur . NellePandette Fiorentine
leggefi MAŇU A REGIBUS GUBERNABANTUR ma de ciocchè fregue , e dall' eller
direito il diſcorſo di Pomponio alla perfona di Romolo , dee fi piuttosto
abbracciare la lezio ne volgata , omniaque manu Regis gubernabantur. 44 DEL
GOVERNO CIVILE allora Spediva gli affari della Repubblica coi ſentimenti , e
colle determinazioni delle medeſime Curie ; ed in tal maniera promulgò egli
alcune leggi dette CVRIATE , come fecero altresì i Re ſuoi ſucceſſori (a ) . Or
fe folle vero , che Romolo cominciaſſe a governare la Città colla fornia
Monarchica , dovrebbe eſſer falſo , che lo ſteſso Romolo indi ſtabiliſſe la
Repubbli ca degli Ottimati , con attribuire al Senato l' Autorità ſuprema di
diſporre degli affari pub blici per mezzo della pluralità de' Suffragi . Nè
vale il ſupporre , che Romolo regolaſſe , la Città coi ſentimenti delle CURIE
di puro conſiglio , quafi che ſi riſerbaffe l'arbitra rio volere di ſeguire , o
di ripudiare tali fen timenti . Imperciocchè lo ſtello Pomponio chia ramente
s'eſprime , che gli affari ſi determi navano per Sententias partium earum , che
in buon ( a ) Poftea au&a ad aliquem modum Civitate ipfum Romulum traditur
, Populum in triginta partes divififfe , quas partes Curias appellavit ,
propterea quod tunc Reipublicae curam per Sententias partium caruni expediebat
; & ita leges quaſdam & ipfe Curiatas ad Populum tulit. Tulerunt &
fequentes Reges . DI ROMA . 45 buon latino non poſſono ſignificar Configlio ;
ed oltracciò le Leggi ſi chiamarono Curiato non per altra ragione , fe non
perchè le de terminazioni venivano preſcritte co' ſentimens ti delle ſteſse
Curie , e non dall' arbitrario vo lere di Romolo . Egli è vero , che tali Leggi
coll'andar del tempo furono anche dette Regie a cagion che ſi proponevano dai
Re ne' Co mizj Curiaci; ma poichè tutti gli Storici con vengono nell'affermare
, che gli affari li de terminavano dalSenato a relazione degli ftelli Re , come
Capi di quella adunanza , non ci dee far maraviglia , ſe le Leggi ſi foſſero
dette anche Regie ; perchè venivano propoſte dal Capo del Senato , cui ſi dette
il nome di Re . Dunque fe vogliamo credere più a Pompó nio , che a Dioniſio ,
pure ſiamo obbligati coll'autorità dello ſteſſo Pomponio di ammet tere ne'
tempi di Romolo l ' Ariſtocrazia , u non la Monarchia ; perché altrimenti non
ſi potrebbero comporre le prime colle ſeguen ti parole del Giureconſulto .
All'incontro egli farebbe coſa ridicola il ſupporre , che pri ma di ſtabilirſi
le leggi certę , Romolo go f ver 46 DEL GOVERNO CIVILE vernaſse da Monarca , e
che poi iſtituiſſe l' Ariſtocrazia ; e quando anche potefle'aver luogo una tal
fuppoſizione , non dobbiamo at tenerci a quel che foſſe ſeguito , prima che ſi
dalle una certa forma al Goveșno , la quale non fi dee ripetere , fe non dal
tempo , in cui la Città preſe i ſuoi certi regolamenti. Ма ,per meglio
chiarirci di tal verità, con „ viene di riflettere , che quella eſpreſione di Pomponio
, cioè , che fu i principi della cit tà non v'erano leggi certe , ma che tutto
ve niva regolato coll'autorità di Romola , non può ſignificare forma di Governo
Monarchi co , come è itata appreſa dagl' Interpreti. E qut fa d 'uopó
d'inveſtigare la vera ſignifi çazione di quelle parole , Omniaque manu Regis
gubernabantur . La voce Manus , è vero , che per traslato • ſtata anche appreſa
da' Latini in ſenſo di poteftà (a) ; pure non hanno 1 ( a ) I Latini quandą
apprefero la voce Manus in senſo di POTESTA' , s' avvalſero di quelle locuzioni
IN MANU ESSE , HABERE, IN MANUM CON VE DI ROMA , 47 hanno mai detto gubernare
manu in ſenſo di governarc , colla poteſtà ; nè mai trovaremg gubernare , o
regere , o altre fimili parole in ſieme colla voce manu , per ſignificare
poteſta nel governo , Molto meno può adattarſi alla voce manus la
ſignificazione di arbitrio , o la diſpotiſmo , come piacque ad altri Inter
preti ; perché un tal difpotiſmo altro non è , che poteft fuprema , ed
indipendente ; ma comunque ſi apprenda tal poteſtà , ſiamo pur troppo ſicuri ,
che nel linguaggio latino quel gubernare many non ſi può apprendere in ſen ſo
di poteft . In queſta eſpreſſione adunque di Pomponio la voce manus deeſi
riferire a tutt'altra intelligenza , che a quella di po teſtà ; e poichè tal
voce è ſtata anche appre fa dai Latini in ſenſo di forza , e di valore di corpo
, o d'animo , come la troviamo in tan te locuzioni (a) , non poſſiamo fpiegare
il detto VENIRE > DARE , MANU MITTERE fimili . ( a) Nel fenſo di FORZA , VALORE
, E CO RAGGIO i Latini han detto MANUS MILITARIS , MA 48 DEL GOVERNO CIVILE
detto di Pomponio , ſe non nel ſenſo d ' ef ferli in quelle prime origini della
Città re golati gli affari colla forza , col valore , e col la guida di Romolo
, come quegli , che tra quelle poche perſone , che ſi unirono ſeco lui nella
fondazione della Città , facea la fi gura di Capo e Duce . E queſta intelligen
za ci fa intendere altresì tutto il compleſſo del racconto di Pomponio ; poichè
, dic'egli, che ne' principi il Popolo vilfe ſenza legge certa , fine lege
serta , fine jure certo ; perché prima di ſtabilirſi moltitudine cale di
abitanti, che formafle un corpo abile a comporre una Società Civile , non v'era
biſogno di formare leggi e regolamenti pubblici , ma tutto re golavaſi con quei
medeſimi coſtumi , fecon do i quali erano ſtati educati quegli ſteſli , che
unironſi con Romolo ; e perciò dice Pomponio , che ſi vivea ſenza Leggi certe ,
perché MANUS ARMATA , MANUM CONSERERE, IN JICERE , INFERRE MANUM ALICUI REI
IMPONERE , MANU DOCERE , e fimili . E noz Italiani abbiamo ritenuta
l'eſpreſione di MANO RE GIA per hgnificare la forza legittima dello Stato di
pronta , e spedita eſecuzione . D'L ROMA . 49 perchè allora la Legge era la
voce mede ſima del Capo dell'unione , il quale poteva occorrere ad ogni
diſordine . Ma quando poi crebbe la moltitudine degli Abitanti , allora
biſognava di ſtabilire le Leggi , non poten doli regolare un Corpo Civile colla
fola voce parlante del Duce . In fatti le Leggi certe e ſtabilite altro non ſono
, che voci mute di chi governa ; e ſiccome per regolare i pic coli Corpi può
baltare la voce parlante di chi gli regge , cosi moltiplicataſi l'unione degli
abitanti , e pervenuta al grado di formarli un Corpo conſiderabile richiede
neceſariamente lo ſtabilimento di Leggi certe , le quali pre ſtino l'uffizio
della voce medelima di quel Ceto , preſso di cui riſiede la pubblica pote ftà .
Ciò ſuppoſto , fino a tanto che Roina ven ne abitata da piccol numero di
perſone , la vo çe parlante di Romolo baſtava per regolare gli affari ; ma
moltiplicatoſi il numero , fi do vette venire alle determinazioni delle Leggi
certe , non potendoſi altrimenti ſoſtenere un Corpo Civile . Ma prima di
ſtabilirfi tali Leg gi non poſſiamo ſupporre , che Romolo co Tom . 11. D man 50
DEL GOVERNO CIVILE mandaffe coll'arbitrario fuo volere ; perchè lo Steffo Po
mponio ci aficura , che quando ci fu biſogno di stabilire le Leggi certe ,
furono queſte determinate colla pluralità de' fuffragi delle Curie , o ſia del
Senato ; e poichè non è poſſibile l'immaginare , che il Governo per coså breve
tempo dipendeſse dal voler del Mo barca , e che immediatamente poi paffalle
nella poteſtà Ariſtocratica , perciò dobbiams conchiudere coll' autorità dello
ſteſſo Pompo nio , che fin dal principio la Città fu eretta colla forma del
Governo Arittocratico . Ne G può conoſcere altra divertità tra quel tempo , in
cui fi vivea ſenza Leggi certe , e quell' altro , che venne immediatamente, in
cui furo no ftabilite le Leggi , fe non che in quello la poteſtà degli Ottimati
ſpiegavafi colla voce parlante di Romolo , manu Regis , laddove in quefto il
Senato fpiegava la ſua poteſtà colla voce muta delle ſtabilite Leggi; ma l' uno
e l' altro tempo riconobbe la medeſima forma , Ariſtocratica ; Quindi è ancora
, che quelle locuzioni di Pomponio ſine Lege certa , fine's jure certo , non si
poſſono apprendere , come fecea DIROMA . 51 fecero alcuni Interpreti , quaſiché
il regola mento in quel tenipo folle vario ed inco ftante , perché non ſi può
fingere ſocietà di Uomini , che vivano ſotto un yario fiftema di Regolamento ,
ma ſi debbono riferire a quella intelligenza , che meritano , cioè che tutto
veniva preſcritto a voce ſecondo le opportu nità delle contingenze , che
ſpiegavali col mezzo di Romolo loro Capo ; perché non v ' era biſogno ancora di
ſtabilirſi leggi certe , come figui poi colla moltiplicazione degli abitanti ,
Siegue Pomponio a narrare , che eſéndoli diviſo il Popolo in trenta Curie , coi
di cui ſentimenti li determinavano gli affari , allo ra cominciaffero a
ſtabilirli le. Leggi cere te , che furono perciò dette Curiate , come fecero
altresi i Re fuoi fucceffori : Et ita le ges quafdam cuo ipſe Curiatas ad
Populam tri lit , tulerunt eam fequcntes Reges : 1 qut gł Interpreţi del Dritto
Romano per ſoſtenere la fognata Monarchia di Romolo caddero in tun'al tro
equivoco nell'apprendere l'eſpreſſione di Pomponio di ferre legem ad populum in
fente D2 d'ef 52 DEL GOVERNO CIVILE d'eſſerſi comandate le leggi da Romolo , e
dai Re fuoi fucceffori . E febbene una tale interpretazione ſi oppone
direttamente a cioc. chè lo ſteſſo Pomponio riferiſce nelle parole antecedenti
, cioè che il governo della Re pubblica ſi amminiſtrava per mezzo de' fen
timenti delle Curie : propterea quod tuma Reipublicæ curam per ſententias earum
partium expediebat ; pure abbagliati da quel guberna bantur manu Regis , ſi
videro obbligati a rico noſcere nella perſona di Romolo e degli al tri Re la
poteſtà fuprema di comandare le leggi . Siminaginarono dunque , che lo ſta
bilimento delle Curie non toglieva al Re la poteſtà Monarchica , poichè febbene
il Sena to interveniva nelle deliberazioni dello Stato, pure i ſentimenti delle
Curie ſi debbono ri ferire piuttoſto a ragion di conſiglio , e che in
conſeguenza la poteſtà di comandare le Leggi riſedeſſe preſſo di Romolo , e
ſuoi Re ſucceſſori. Or (dicono eſli) ſe la poteſtà di co mandare le Leggi , al
dir di Pomponio , fpie gavaſi dal Re , ne ſiegue , che la forma del Governo
debbafi attribuire anzi a Monarchia , che , DI ROMA che ad Ariſtocrazia . Ma io
non só intendere con qual fondamento poſſano afcrivere l'e ſpreſſione latina di
ferre legem ad populum al fenſo di comandare , e preſcrivere la legge , quando
al contrario egli è coſa notiſlima pref fo i Latini , che il ferre legem nella
ſua vera intelligenza ſignifica ſemplicemente il propor re la legge per
determinarji , o ripudiarſi , e non il preſcriverla , e comandarla ; anzichè
qualora dagli Scrittori Latini al ferre legem fi aggiligne ad populum , ad
plebem , e ſimili , non v'è eſempio , che foſſe ſtata mai tal lo cuzione
appreſa in ſenſo di comandare la leg ge al Popolo , alla Plebe, ma ſempre nel
ſen ſo di proporla , per determinarſi dal Ceto del Popolo , o della Plebe ( a )
. E quando la lega ge propoſta veniva coi fuffragi ſtabilita v preſcritta ,
allora diceaſi lex juſſa , condita ; ſic chè altro era il ferre , altro il
jubere legem ; il ferre fignificava proporre , ed il jubere pro D 3 pria ( a )
Vedi Briſſonio de Formulis lib. 2. cap. 17. 2 109. il quale traſcrive i laoghi
degli Scrittori Latini ſu sale articolo DEL GOVERNO CIVILE priamente dinotava
la determinazione , o sia le juffione della legge . Tra gli altri Scrittori
Latini ſono innumerabili i luoghi di Livio , in cui cgli îi avvale dell'
eſpreſsione di ferre legem , o pure rogationem , nel ſuo vero ſenſo di propar
re , e non già di comandare , e ſoprattutto quando riferiſce le pretenſioni de'
Tribuni del la Plebe , in cui fa uſo della voce ferre ine fenſo ſempre di
proporre o promuovere , e lis mili , e non mai di preſcrivere , o comandare,
perchè i Tribuoi della Plebe non aveano altra facoltà , fe non quella di
promuovere , e di eſporre le petizioni del Ceto plebeo , e non già di
comandarle . Ma per eller convinti di queſto vero ſenſo ſecondo l'originaria
fua fi gnificazione baſta un luogo folo di Livio , in eui eſpreſamente ſi
addita la differenza tra "! ferre , e jubere legem . Racconta egli , che
pell'anna 372. il Senato -ordinà , che ſi fosſe pro poſto al Ceto plebeo la
deliberazione d' intimark la guerra a' Popoli di Veletri . I Patrizi co
nofcendo d' eſſerſi laſciata più volte impunitra la ribellione de' cittadini di
Veletri , decreta rono, che al più preſto che fosſe poſſibile, ſi pro poneffc
DI ROMA SS ponefe,al Ceto plebeo l'affare d' intimarye loro la guerra , e che
propoftafi una tal delibera zione tutte le Tribù conſentirono a coman dare' , e
determinare una tal guerra . E qui Livio eſpreſſamente fi avvale della voce fer
re , quando parla di proporſi l'affare al Ceto plebeo , e della voce jubere ,
quando riferiſce la juffione della guerra ſeguita coi fuifragj di tutte le
Tribù (a ). Egli è vero , che l' eſpreſ Gone di ferre legem é ſtata poi dai
Latini tra ſportata anche a fignificare la promulgazione della legge in quelle
locuzioni Lata lex eft , e limili ; ma neppure "la trovaremo uſurpata in
queſto ſenſo , quando ci ſi aggiugne ad Populum , ad plebem c. perchè allora
ritie ne l' originaria ſignificazione di proporre , e non di promulgare (.b).
Comunque però fi D4 ap ( a ) Liviv lib. 6. Cap. 21. Id Patres rati contemptu accidere
, quod Veliternis Civibus ſuis tamdiu impuni ' ta dete &tio effet ,
decreverunt , ut primo quoque rem pore ad populum FERRETUR de bello cis indicen
do ...... Tum , ut bellum JUBERENT , latum ad Populum eft ; & nequidquam
diffuadentibus Tribu nis Plebis , omnes Tribus bellum JUSSERUNT . ( b) Tum ut
bellum juberent , LATUM AD PO PULUM EST . Livio loc. cit. 56 DEL GOVERNO CIVILE
apprenda , o in ſenſo di proporre , o di pro mulgare , egli è fuor di dubbio ,
che non mai può ſignificare juffione è determinazione della legge . Ciò
ſuppoſto , per ritornare ora a Pomponio, ognun vede , che le di lui parole : Et
ito leges quaſdam & ipfe Curiatas ad populum tue lit ; tulerunt ex
Sequentes Reges non pofſono apprenderli nel ſenſo , che Romolo , e gli altri Re
aveſſero preſcritte le leggi Curiate ſe non vogliamo tacciare il Giureconſulto
per ignorante del linguaggio latino , ma quel tu lit ad populum deeſi riferire
a quella facoltis che riſedeva ſoltanto preſso la perſona del Re , di proporre
gli affari pubblici in Senato , ed in conſeguenza le leggi , la di cui juffio
ne nondimeno dipendeva dal fuffragio delle Curie medesime per fententias earum
partium , e non dall'arbitrario volere del Re ; e le leg gi fi diſſero Curiate
non per altra ragione , ſe non perché vennero preſcritte , e comandate dalle
Curie , e non dal volere del Re , quan tunque egli come. Capo del Senato , e
come riconoſciuto per lo più abile e favio trai Senapa " DI ROM A 57
Senatori godeſſe la facoltà di proporre cioc chè gli ſembrava più eſpediente
per l'ottimo regolamento dello Stato ; ma' una tal prero gativa fu fpiegata'
altresì dopo il diſcaccia- , mento de'Re dai Conſoli , dai Tribuni mili tari di
poteſtà Confolare , dai Ditcatori , e da altre Magiſtrature di ſublime
autorità, le quali tutte proponevano al Senato , alla Plebe , al Po polo tutto
, le determinazioni degli affari pub blici , e maſſime delle leggi ; niuno però
fin è ſognato finora di aſcrivere la forma del Go verno ſotto i Conſoli a
Monarchia , perchè la ragione di Capo d'un Popolo ſenza carat tere di poteſtà
aſſoluta non può produrre Monarchia , fe non vogliamo confondere ! idea del
Governo Monarchico coll' Ariſtocra tico e Democratico . winno Conchiudiamo
adunque. Gli Scrittori chepiù degli altri ci narrano con qualche diſtinzione la
forma del Governo tenuta ſotto Romolo , fo no Dioniſio , e Pomponio . Il primo
ci de fcrive chiaramente la coſtituzione del Senato , dal di cui arbitrio
dipendevano le determina zioni degli affari e l'intiero regolamento dello 58
DEL GOVERNO CIVILE dello Stato , ciocchè eſclude di fatto ogniom bra
diMonarchia in perfona di Romolo . Il fecondo non ſolamente non fi oppone a
quan to riferiſce Dioniſio , anziché ce lo conferma più chiaramente , prima col
riferirci , che nel naſcimento della Città non v'erano leggi cer te e
preſcritte , ma che tutto regolavaſi col conſiglio e guida di Romolo , ed indi
cot narrarci, che creſciuta in qualche maniera la moltitudine degli abitanti ,
fu neceffario di venirli allo ſtabilimento delle leggi certe . Quali leggi inſieme
col reſto de' pubblici af fari , eſſendoſi diviſo il Popolo in trenta Cu rie ,
furono preſcritte col fuffragio delle me defime ; ragion , per cui fi diſsero
leggi Cum riate; e che finalmente la prerogativa di Rom molo , come Capo del
Senato , fi riduceaus alfa - facoltà di proporre predo il Ceto de Se natori
ciocchè gli ſembrava opportuno per determinarli gli affari dal Senato medeſimo
per ſententias carum partium . In fomma, che Je leggi col reſto delle pubbliche
determinazia -ai fi ſtabilivano colla juſsione delle Curie , o fia del Senato ,
non si può negare per l'alt torita DI ROM A . 1 59 torità di Pomponio , di
Dioniſio , di Livio , e di tutti gli Storici , i quali concordemente combinano
ſu tale articolo . Il determinarli gli affari per ſententias delle ſteſſe .
Curie e de Senatori , in buon latino non può fignifica re pareri confultivi ,
ma juſsione per mezzo della pluralità de* fuffragi. Quel tulit leges ad populum
attribuito a Romolo , ed ai Re fuc celori , altro non contiene , che la facoltà
del Re nel proporle , e non già nel comandarle , e prefcriverle . Dunque dai
detti degli ſteffi Storici siamo convinţi , che la forma del Gom verno
iſtituita fatto Romolo non ebbe nep pur l'ombra dellaMonarchia , perché doves
vi è Senato , preffo di cui rilieda la poteftà. ſuprema di decidere gli affari
dello Stato , ivi non vi può regnare il Monarca . E per ultimo troviamo nella
Storia Civile di Romaun fatto incontraſtabile , che di ſya natura ci dimoſtra ,
quanto foffe lontano dalla Monarchia il Governo Civile iſtituito foto Romolo .
Egli è troppo noto il dritto di Pa tria poteſtà , che eſercitavaſi in Caſa dal
Citta dino Romano ſulla ſua famiglia ſenza limiti, @fen . 60 DEL GOVERNO CIVILE
3 e fenza la minima dipendenza dal Re, o dal Senato . Non intendā io qui di
quella potefta patria praticataſi nei tempi poſteriori , e maf fime fotto
gl’Imperatori , ma di quell'affolu to Impero Paterno eſercitato fin dalla fonda
zione di Roma , e che dai Decemviri fu tra- . ſcritto nelle xir. Tavole , come
riferiſce Dio-, niſio (a ) . Era certamente la Patria poteſtà di quel tempo
fornita d'un aſſoluta dominazio ne ſulla ſua famiglia , finanche verſo i pro
prj. Figli , fovra di cui il ' Padre eſercitava dritti di vera Monarchia,
com'era l'effer di ſpotico della vita , e della morte loro (b) , eltre
dell'arbitraria facoltà di poterli vende re , in manierachè dopo la terza
vendita i Fi gli di liberavano dal diſpotiſmo Paterno ( c) . Or queſto dritto
Patrio , che con vera efpref fione ( a) Antiq. Rom. lib. 2. ( b ) Sull' autorità
di Dioniſio gl' Interpreti del dritco Romano compoſero quel capo di legge delle
mit . Tavole con quelle parole : ENDO LIBERIS JUSTIS VITAE NECIS VENUM ,
DANDIQUE POTE STAS EI ESTO . (c ) SI PATER FILIUM TER VENUM DUIT , FILIUS A
PATRE LIBER ESTO : altro capa delle ? DI ROMA. 61 fione da Valerio Maſſimo ( a)
e da Quintilia no (b) venne detto Patria Majeſtas , fu eſerci tato dai Romani
non ſolamente dal teropo della promulgazione delle XII. Tavole , ma fin da’ pri
ra , delle xir . Tavole riferito da Ulpiano tit. 10.5. 1. E Dionifio loc. cit:
Romanorum autem legislator ( inc tende di Romolo ) omuem ur breviter dicam ,
pour teſtatem patri dedit in filium , idque toto vitae tem pore , five in
carcerem eum detrudere ; five fla gris caedere , five vinctum ablegare ad
ruſtica ope five necare libeat , etiamli filius tractet Rempue. blicam ,
etiamfi Magiftratus gefferit maximos , etiamſi fudii erga Rempublicam laudem
fit promeritus. Jux ta hanc certe legem illuſtres viri pro roftris favente
plebe concionantes in Senatus invidiam , fruenteſque aura populari, detracti e
ſuggeſto , abducti ſunt apa tribus , poenas daturi ex ipforum fententia ; quos
, duin per forum ducerentur , nemo adftantium eripere poterat , non Conſul ,
non Tribunus , non ipſa turba , cui tuin adulabantur , licet omnem poteſtatem
ſua minorem exi ftimans . Taceo , quot viri fortes necati Gnt . a patri bus
&c . ... Nec contentus hanc poteſtatem parentibus dediffe Legislator
Romanus , permifit etiam vendere fi lium .. Majorem largitus poteſtatem patri
in filium , quam hero in mancipiuin ; lervus eniin ſemel venditus , deinde
libertatem adeptus , in poſterum fui juris eſt ; fi lius vero a patre venditus
, fi liber fieret , rurſum fub ра tris poteftatem redigebatur ; iterum quoque
venunda tus , & liberaçus , fervus patris crat tertiam demum yendiționem
eximebatur e patris po teſtare & c . (a) Lib. 7. Cap. 7 . ( b ) Declamat.
378 . , ut ante ? poſt 62 DEL GOVERNO CIVILE primi tempi di Roma , poichè
Ulpiano ( a ) afferma d'ellerli introdotto moribus , cioè , non per legge
ſcritta , ma per antichillimo coftu me Patrio ; Dioniſio (6) lo riferiſce ad
una legge di Romolo ; e Papiniano (c) l' attri buiſce ad una legge Regia . Ma
Ulpiino a mio giudizio l'indovina meglio di tutti , coll' affermare d'eſerli
tal dritto di Patrią poteſtå ricevuto per coſtume ; e la ragione ſi è , perchè
una tal poteſtà diſpotica del Padre di famiglia dobbiamo fupporla nata inſieme
col la coſtituzione delle Famiglic medefime , e prima che quefte conveniſſero a
formare So cietà Civile , ſicchè troyandofi tal coſtuine già introdotto nello
Stato di famiglie , natu ralmente fu conſervato e ritenuto dalle Fa miglie ,
che convennero con Romolo nella fon dazione di Roma . In fatti tal coſtume
trovali quaſi uniforme in tutte le Nazioni ne'loro for gimenti per le chiare
teſtimonianze degli an tichi (a) L. 8. de his , qui ſunt fui , vel alieni
juris. ( b ) Loc. cit. ( c ) Collar. leg. Mofaic. tit. 4. ). 8 . DI KO MA . 63
3 tichi Scrittori (a ) . E ſebbene Triboniano (b ) credette , che folle queſto
dritto proprio de' Romani , pure s'inganno , forſe dall' avere of fervato , che
ne’tempi , in cui i Romani eſer citarono queſto dritto con aſſoluta poteſtà ,
e. nel maſſimo ſuo rigore , l'altre Nazioni l'avea. no già raddolcito con
ridurlo a limiti più be. nigni ed umani , come avvenne altresì pref fo gli
itefli Romani , mallime fotto gl'Im peradori , nella di cui età la poteità
Patria decadde in buona parte dall'antico fuo ri gore . Comunque sia , quanto
al preſente ar gomento çi baſta di potere afficu are colla tea ftimonianza di
tanti Scrittori , che il Diſpo tilmo Patrio fu eſercitato da'Romani fin dai
primi tempi di Romolo . Qui cade in acconcio di riflettere ciocche gli Storici
ci narrano dell'accuſa d'Orazio per aver ucciſa la Sorella in atto , che ritornava
trion ( a) Ariftotele Nicomache lib . 8. cap. 10. Cefare lib. 6. de bell. Gill.
cap. 9. Plutarco in Lucullo · Giustiniane Novel la 1 34 • ( b ) Inf . lib . 1.
tit. 9. 1. 2 . 64 : DEL GOVERNO CIVILE trionfante per la vittoria contro i
Curiazi . Dioniſio fembrami', che racconti il fatto al ſai meglio di Livio ,
allorchè cinarra l'accuſa , e'l giudizio d'Orazio , in cui non fa men zioné né
del Giudizio de' Duum viri , nè dell' appellazione propoſta da Orazio al Popolo
, che ſono le due circoſtanze che fi leggo no in Livio (a ) ; ma ſemplicemente
ci rac conta , che füll'accuſa propoſta da taluni con tro Orazio al Re Tullo ,
il Padre di Orazio , oltre di aver dichiarato di non meritare fuo Figlio la
minima pena , pretendeva, che un tal giudizio apparteneſſe privativamente alla
di lui cognizione , tractandoſi d'un fatto acca duto tra i ſuoi figli , e che
in confeguen za per dritto di poteſtà Patria dovea egli ef fere il giudice di
queſta Cauſa (b) . Ma il Re per una parte credeva anch'egli di doverli af fólann
(a) Lib. 1. cap 26. (b) Dioniſ. Antiquit. Romanarum lib. 3. Pater contra
patrocinabatur filio , acculans filiam , & negans eam dicendam cædem , fed
poenam verius , poftulabatque fibi de fuis malis permitçi Judicium ut qui ambo
rum effet Pater . 2 • Í Ř OM Å 68 folvere Orazio io benemerenza della vittoria
ed in conſiderazione dell'inſulto di parole fat to dalla Sorella al Fratello in
tempo , che aſpettava dà lei piùcche da ogni altro lode , ed applauſo per
un'opera egregia preſtata alla Pa tria ; è molto più à cagione , che il Padre
preſſo di cui rifedevå fecondo i coſtumi di que' tempi l'indipendente poteſtà
di giudica re ſulle perſone de propri Figli fi era dichia rato d'averlo già
adoluto (a ) .Dall'altra parte il Re temeva il tumulto Popolare eccitato dagli
emuli , ed inimici d'Orazio . Tra tali dubbiezze pensò di prendere l'eſpediente
di rimettere la cognizione della Caufa al Popo lo , il quale confermò il
giudizio Paterno con affolvere l' accufato Orazio . Un tale rac conto è molto
più verifimile di quel ; che ci narra Livio fúl giudizio de ' Duumviri, e dell'
appellazione propoſta da Orazio al Popolo ; poichè in que' tempi l'Impero
Paterno eras Tomo 11. E nel ( a ) Dioniſ. loc. cit. Praeſertim patrc quoque
ipſum abfolvente , quem potiſſimum Filiae ultorem jus * natura fecerar : 66 DEL
GOVERNO CIVILE nel ſuo miglior vigore ; nè il Re fenza of fendere le leggi del
Patrio Impero potea to gliere il giudizio di queſta Cauſa dallauto gnizione del
proprio Padre , e tasferirlo ai Duumviri , e molto meno in ſimili Cauſe era
permello al Popolo di prenderne cognizio ne in pegiudizio del dritto Paterno ;
Ma la contingenza ſtraordinaria d ' eſſerſi mella, la Città in rivolta per
queſto fatto , produſela neceflità di ſedarſi il tumulto coll’eſpedien te
politico di rimettere l'affare al giudizio del Popolo , e l' Impero privato del
Padre dovette cedere alla ragione della pubblica tranquillità ... E quindi
intendiamo ancora la ragione , per cui Dioniſio riferiſce , che que Ita fu la
prima volta , in cui il Popolo preſe cognizione d ' un giudizio Capitale (a) ,
non gia perchè prima di queſto tempo non aveſſe mai il Senato giudicato di
delitti capitali , come (a) Pion. lor. cit. Populus autem Romanus tum pri mum
Capitalis Judicii poteftatem nactus , compro bavit Patris fententiam Juvenemque
abſolvit a cac dis crimine , DI ROMA .. 67 come ſe prima non foſſero mai
accadute con tingenze fimili o fe al Senato , che gode vala ſuprema poteſtà del
Governo folle mancata fino allora quella di poter giudica re di delitti
Capitali ; Ma l'eſſere ſtata que. fta la prima volta , in cui eſercitoſli dal
Po polo il dritto di giudicare d ' un delitto Ca pitale , deeſi riferire al
fatto particolare , di cui ſi trattava , cioè alla poteſtà di giudicare d'un
Figlio di Famiglia contro il ricevuto ca ſtume dell'Impero Paterno , a cui
privativa mente ne apparteneva la cognizione . Or per tornare al noſtro
propoſito diciamo, che fe que? Scrittori, i quali s'immaginarono , che Romolo
infieme coi Re ſucceſſori fpiegaro no carattere di Poteſtà Monarchica, aveſsero
fat to oſſervazione ſull'Impero Patrio , e familia re praticato da ’ Romani fin
dalla fondazione della Città , ſi ſarebbero accorti dell' impof ſibilità di
poterſi unire inſieme Monarchia , Civile prello del Re , e Monarchia familiare
preſſo i privati Cittadini ; poichè chi dice Monarchia familiare prello de'
privati Citta dini cfclude ogni ombra di Monarchia preſſo E 2 il 68 DEL GOVERNO
CIVILE ma dello il Re ; e la ragione ſi è , perchè fe i Padri di famiglia ſenza
la minima dipendenza non folamente del Capo del Senato fteſſo Senato regnante
erano gli aſſoluti Mo narchi dell'intiera loro famiglia , ſia de ' figli, fia
dei fervi , e famoli , come mai poſſiamo figurarci , che tali Monarchi
familiari foſſero nel tempo ſteſſo ſoggetti alla Monarchia Ci vile ? Chiamaſi
Monarchia Civile quello fta TO , in cui tutto l'intero Corpo Civile in tutte le
ſue faccende pubbliche e private trovali ſoggetto all'autorità fuprema d'un
folo che comanda . Or chi non vede la manifeſta diſſonanza e contradizione nel
ſupporre il Ceto 'de' Cittadini fornito di po* teftà ſuprema, ed indipendente
nella fua fa miglia , é foggetto nel tenipo Ateſo al Mo narca ? E come mai
poſſono fingerfi unite in ſieme poteſtà fuprema , e foggezzione ? In tutte le
Società Civili , ove regna la Monar chia , non trovaremo mai poteftà familiare
in dipendente dal Monarca , perchè l'una eſclu de direttamente l'altra . In
fatti tali poteft:s private in perſona de' Cittadini non pollonio altri 3 1 1 1
DI ROMA . 69 altrimenti eſercitarſi , fe non in quelle Socie tà Civili , che
ſiano governate colla formas Ariſtocratica perchè tal forma di Gover no
ſolamente può comportare diviſioni di po teſtà pubblica , e privata ; pubblica
preſso il Ceto degli Ottimati e privata preſo le perſone particolari degli ſteſſi
rappreſentan ti della Repubblica , i quali ſpiegano la po teſtà pubblica ,
quando uniti inſieme com pongono l'autorità regnante , e la privata , quando
ſeparatamente regolano gli affari para ticolari delle loro famiglie : Or quanto
tal diviſione di poteftà pubblica , e privata è comportabile call' Ariſtocrazia
, altrettanto fi oppone direttamente alla Monarchia veggiamo colla ſperienza ,
la quale coſtan temente ci atteſta , che la Monarchia non mai ammette un tale
impero paterno nelle famiglie , come in fatti avvenne preſſo i Ro mani in tempo
, che la Repubblica cadde nella poteſtà aſſoluta del Monarca . Ne poſliamo
figurarci , che la poteſtà fa niliare de' Romani foſſe ſtata in qualche ma
niera ſubordinata alla poteſtà pubblica ; pero E 3 chè 9 come / 70 DEL GOVERNO
CIVIL E ché ſono troppo chiare le teſtimonianze de gli Storici, come abbiam
veduto , dalle quali Siamo a ſacurati , che l'Impero Paterno de' Romani in que'
tempi avea carattere di po teſtà aſſoluta ; ed indipendente ; e quando al tro
mancaffe il dritto vite e necis , e di vendere i propri figli ci dimoſtra
chiaramen te , che non potea eſſere un dritto ſubordina to ; poichè i dritti
ſubordinati , e dipendenti riconoſcono neceffariamente certi confini, ol tre
de' quali non lice di eſercitarli; ma qualo ra ſi tratta di dritto ſulla vita ,
ch' ċ l'ulti mo termine di ogni poteſtà aſſoluta ſi poſſa uſare ſulle perſone ,
ceſsa ogni ſoſpetto di ſubordinazione ; ed oltracciò colle chiare teſtimonianze
degli Storici ſiamo convinti , che l'impero paterno di fatto fu eſercitato da’
Romani ſenza la minima dipendenza del la poteſtà pubblica . Dunque non abbiam
cam po da fuggire da quel dilemma , cioè , che o fi dee ammettere per punto di
Storia certa , che quei Padri di famiglia eſercitavano poteſtà fuprema in caſa
, e non poſſiamo fingere poteſtà Monarchica Civile ; o fe vogliamo nega DI ROMA
. 71 negare tal poteſtà familiare ai Padri di fami glia , allora ci ſi chiude
affatto la ſtrada di fapere la Storia Civile di Roma ; perchè fe voglianio
mettere in dubbio i punti di Sto ria confermatici concordemente da tutti gli
Scrittori, non ſiamo più in grado di dar fe de a tutto il reſto. Grice:
“Unfortunately, Duni, being the elitist he is, spends more time on the monarchy
than the republic, and focuses on the concept of ‘citizen.’ Emanuele
Duni. Duni. Keywords: diritto universale – diritto filosofico -- Vico,
filologia, Roma, universalita – Cicerone e buono. Cicerone e onesto – Cicerone
dice la verita. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Duni” – The Swimming-Pool
Library.
Duso (Treviso). Filosofo. Grice: “While Duso is right that
Hegel makes constitution and freedom analytically connected, the Romans didn’t!
-- Grice: “My favourite Duso is his study of Hegel on freedom and the
constitution – but Duso, who could have drawn from ‘diritto romano’ doesn’t!” Studioso
dei concetti della politica moderna e riconosciuto per i suoi interventi su
Althusius e sul giusnaturalismo. Studia a Padova. Si laurea con “Hegel
interprete di Platone” (cf. “L’influenza di Hegel su Platone”). Assistente di
Storia della filosofia e Professore di Storia della logica. Insegna a Padova.
Dirige un Gruppo di ricerca sui concetti politici. È stato membro della
redazione delle riviste "Il Centauro" e Laboratorio politico. Membro
della Direzione della rivista "Filosofia politica", membro fondatore
dell'associazione "Centro di ricerca sul lessico politico europeo",
insieme a Roberto Esposito, Alessandro Biral, Adone Brandalise, Nicola Matteucci
e altri. Fonda con alcuni colleghi il Centro Inter-Universitario di Ricerca sul
Lessico Politico e Giuridico Europeo (CIRLPGE), con sede presso l'Istituto suor
Orsola Benincasa a Napoli, di cui è Direttore. Ha tenuto corsi di Storia della
Filosofia politica, di Filosofia politica e di Analisi dei Linguaggi e dei Concetti
Politici a Padova. In occasione della sua ultima lezione "ufficiale",
gli allievi del gruppo di ricerca padovano sui concetti politici hanno edito in
suo onore il volume "Concordia discors”. Il 27 maggio
l'Universidad Nacional de San Martín gli conferisce la laurea honoris
causa per il suo lavoro accademico in quanto "costituisce un fondamento
teorico indispensabile per comprendere l'attualità" -- è tra i principali
fautori italiani di una riflessione sui concetti del politico, che si inserisce
nel solco della Begriffsgeschichte tedesca di Brunner, Conze, Koselleck. Nei
confronti di quest'ultima il gruppo padovano coordinato da Duso ha elaborato
una originale linea di ricerca caratterizzata in modo duplice dalla filosofia:
in primo luogo in quanto i concetti che si affermano e si diffondono con la
Rivoluzione francese sono esamila loro genesi, che avviene nell'ambito delle
dottrine del ‘contratto’sociale e dei sistemi di ‘diritto’ naturale; ma
soprattutto perché filosofico è il movimento di pensiero di chi pratica una
storia concettuale consistente nell'interrogare e mettere in questione (nel
senso dell'elenchos socratico) il concetto (‘diritto’, ‘ius’, ‘uguaglianza’,
‘libertà’ ‘potere’ ‘democrazia’) che sono in genere ritenuti ovvii sia nel
dibattito intellettuale, sia nella lotta politica. La storia concettuale
consiste in questo modo nel comprendere la genesi, la logica e le aporie dei
fondamentali concetti politici. "Storia dei concetti"
(Begriffsgeschichte) compare per la prima volta nelle “Vorlesungen über die
Philosophie der Geschichte” diHegel. Stanti le caratteristiche di quel testo,
non si sa se ‘Begriffsgeschichte’ sia di conio hegeliano, o non piuttosto
frutto di interpolazione. Esso allude ad una delle tre modalità storiografiche
discusse da Hegel, ed in particolare alla "storia interpretativa" (“reflektierte
Geschichte”), che indirizza la storia generale o storia del mondo o storia
universale (“Weltgeschichte”) alla filosofia, da un punto di vista universale.
Quest'uso della “Begriffsgeschichte” resta senza seguito. La tradizione
storico-concettuale evolve invece, tra il XVIII secolo ed il XIX, nell'alveo della
lessicografia filosofica. Nella
riflessione di Duso, la filosofia politica da una parte coincide con il lavoro
critico della storia concettuale, e dall'altra tende, sulla base delle aporie
emerse, a trovare linee di orientamento per un nuovo pensiero della politica.
In tal modo viene messa in questione la modalità generalmente accettata di
pensare la politica, che ha la sua radice nello sviluppo teorico che va dalla
nascita della sovranità sulla base del concetto di ‘libertà’ ai concetti
fondamentali delle nostre costituzioni democratiche, in particolare ‘sovranità
del popolo’ e ‘rappresentanza politica’. Il lavoro critico sul concetto ha
perciò una sua ricaduta nella messa in questione del dispositivo formale sia
della ‘democrazia rappresentativa’ che della ‘democrazia diretta’, e nel
tentativo di pensare la politica mediante nuove categorie. Altre opere: “Hegel e Platone, Padova; Contraddizione
e dialettica nella formazione in Fichte, Argalìa, Urbino; Weber: razionalità e
politica Arsenale, Venezia; La politica oltre lo Stato: Carl Schmitt Arsenale,
Venezia; Il contratto nella politica (Il Mulino, Bologna); Filosofia politica e
pratica del pensiero: Eric Voegelin, Leo Strauss e Hannah Arendt”
(FrancoAngeli, Milano); “Il potere. Per la storia della filosofia politica
modernaCarocci, Roma (disponibile su cirlpge); “La logica del potere. Storia
concettuale come filosofia politica” (Laterza, Roma-Bari (Polimetrica, Monza (disponibile su cirlpge); “La libertà nella
filosofia classica tedesca. Politica e filosofia tra Kant, Fichte, Schelling e
Hegel (ed. con G. Rametta), Milano, FrancoAngeli); “La rappresentanza politica:
genesi e crisi del concetto, Franco Angeli Milano, cirlpge)(Duncker &
Humblot, Berlin, 2006 (disponibile su cirlpge); “Oltre la democrazia. Un
itinerario attraverso i classici” (Carocci, Roma); Sui concetti giuridici e
politici della costituzione dell'Europa (ed. con S. Chignola), FrancoAngeli,
Milano, Polimetrica, Monza; Ripensare la
costituzione. La questione della pluralità, (ed. con M. Bertolissi e Antonino
Scalone), Polimetrica, Monza, (disponibile su cirlpge) Storia dei concetti e
filosofia politica, (con Sandro Chignola), FrancoAngeli, Milano; Come pensare
il federalismo? Nuove categorie e trasformazioni costituzionali (ed. con A.
Scalone), Polimetrica, Monza
(disponibile su cirlpge). Santander, Il concetto di ‘libertà’ e
costituzione repubblicana nella filosofia politica di Kant, Polimetrica,
Monza, (disponibile su cirlpge)
Ripensare la rappresentanza alla luce della teologia politica, in «Quaderni
fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno», (centropgm.unifi) Libertà
e costituzione in Hegel” (FrancoAngeli, Milano,
Parti o partiti? Sul partito politico nella democrazia rappresentativa,
in «Filosofia politica» cirlpge); “Buon governo e agire politico dei governati:
un nuovo modo di pensare la democrazia? (A proposito di Rosanvallon, Le bon
gouvernement), in «Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno»,
centropgm.unifi. libri scaricabili
gratuitamente in formato dal sito del Centro Interuniversitario di Ricerca sul
Lessico Politico e Giuridico Europeo. Nello stesso sito sono disponibili
inoltre altri saggi dello stesso autore.
Carl Schmitt Georg Wilhelm Friedrich Hegel Johann Gottlieb Fichte
Roberto Esposito Alessandro Biral Adone Brandalise Gianfranco Miglio. CIRLPGE:
Sito Ufficiale. Grice: “I consider myself, like Rawls, a contractualist – my
steps towards a quasi-contractualism, are formulated elsewhere.” Grice: “I
should not be confused with Grice – a FULL-BLOWN contractualist!” Grice: “’May’
only has one sense – it may rain, you may run. Credibility and desirability
modalities are not Fregeian senses! ‘may’ is aequi-vocal. In Latin it is more
obvious, since there is only ‘possum’ for ‘I may’. ‘Can’ is of course a
solecism!” Giuseppe Duso. Bepi Duso. Keywords: Plato-Hegel, Aristotle-Kant –
Plathegel, Ariskant – zoon politikon – contratto sociale – democrazia –
repubblica – il primo contrattualista cita Aristotele – Contratto nel diritto
romano – aporia della rappresentazione – concetto di politica, concetto di
soveranita – concetto di potere – io posso – concetto di liberta – la filosofia
politica italiana – l’influenza di Fichte nell’idealismo rivoluzionario del
risorgimento --. Regime di governo – storia del concetto – aporia del concetto
-- Welsh philosopher Geoffrey Russell
Grice, modalita, verbo modale, verbo servile, verbo aussiliare, puo, posso,
possiamo. Modalita aletica o doxastica (posso passarti la sale) e deontica
(puoi ma non puoi – you can but you may not --. Contract, pact, compact.
Foundations of morality – contract in ethics, meta-ethics, politics,
meta-politics. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Duso: zoon politikon” – The Swimming-Pool Library.
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