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Friday, August 27, 2021

Grice e Battaglia

 ULTURA MODERNA - Quaderni di Storia, Filosofia e Politica a cura di GIOVANNI MARCHI FELICE BATTAGLIA L'opera di Vincenzo Cuoco e la formazione dello spirito nazionale in Italia R. BEMPORAD & FIGLIO - Editori - FIRENZE Rappresentanti per il Piemonte : S. LATTES & C. Torino. PROPRIETÀ LETTERARIA ED ARTISTICA RISERVATA COPYRIGHT BY R. BEMPORAD & F.' , 1925 1925. – Firenze, Stab. Pisa & Lampronti. DG 848 137 C8B3З CAPITOLO I. La tradizione italica. Il Settecento e la sua importanza. L’Italia ritrova sè stessa nella sua storia. Il processo unitario . – L'eru dizione: Muratori. La filosofia : Vico. Antitesi al cartesianismo. -- Esperienza filologica . - Italianismo di Vico: De antiquissima italorum sapientia. – Vico impersona la nuova tradizione: a lui si ricollega Vin cenzo Cuoco. La fortuna di Vico nell'alta Italia e le origini del nuovo pensiero. – Vincenzo Cuoco e i suoi studiosi. La rivoluzione napoletana del '99.- La cultura rivo luzionaria e prerivoluzionaria. - Razionalismo, astrat tismo. – La classe colta di Napoli. – Riformismo go vernativo. Rottura tra Stato e borghesia. Carattere passivo della rivoluzione. « Le origini sacre della nuova Italia » . Gli storici della letteratura e della vita del popolo ita liano, che vogliano trattare del Risorgimento nostro con piena e sicura conoscenza di cause e di effetti, debbono necessariamente rifarsi al secolo XVIII. Nel secolo XVIII sono le scaturigini di quel vasto e nobile movimento, denso più di idee che di fatti , poi che i pochi e modesti avveni menti ricevono luce ed acquistano nobiltà solo nel riflesso delle idee, di quel vasto e nobile movimento, ripeto, che condurrà all'unificazione e all'indipendenza italiana . Mi rabile la continuità della vita di questo popolo antico M519630 6 d'Italia : i secoli, che ad una critica occhialuta sembrano i più torbidi, si presentano, poi, a chi sappia investigarli con amore e con coscienza, gravi di preparazione, pon derosi d'esperienza : è tutta una vita che si prepara , si svolge, sente il bisogno di concretizzarsi, finchè scoppierà in foga d'eroismo e di volontà . È una preparazione lenta diuturna faticosa, la quale fa emergere figure grandi di filosofi e di poeti, di giuristi e di uomini di governo o di chiesa. La critica ha il dovere di rivendicare questi secoli e di valutarli al paragone di concetti superiori di filosofia . È ridicolo condannare alcune età nel corso d'un popolo, alcuni secoli in blocco per altri secoli, chiamare questa età di decadenza, quella età di fioritura . I periodi storici, le ere, i secoli sono quello che sono con le loro istituzioni, col loro pensiero, con la loro arte, con i loro uomini, soprattutto coi loro uomini. È ridicolo condannare i se coli XVII e XVIII per il XIX, come si usava sino a venti anni fa, critico spietato, Minosse che giudica e manda senza appello, il nostro maggiore poeta, Giosue Carducci. I secoli XVII e XVIII hanno invece diritto alla nostra ammirazione come i secoli, in cui i destini della patria si sono venuti maturando, attraverso un rinnovato fervore di pensiero, di critica, di storiografia , preludio modesto mafaticoso di opere civili, attraverso un rifoggiarsi, insomma, della coscienza nazionale, che da universalmente umana tende a divenire più veramente, se pure più ristrettivamente, italica . È forse, se l'affer mazione non trovasse nella sua rigidità una smentita nell'oceanica figura di Giambattista Vico, un chiudersi in noi stessi, un rinnegare gli ideali cosmopolitici, per ritro vare il particolare più veramente nostro, l'essenza della stirpe. La storia è l'esperienza del nuovo spirito, che gradual mente viene formandosi. Il popolo della penisola s'astrae, si ritira, si allontana dalle grandi competizioni politiche e culturali europee. Il centro del mondo si è spostato : non più Roma, ma Parigi, Lisbona, Madrid, Londra , Vienna. Mentre le altre genti si gettano tumultuose nel 7 fervore della conquista, nella lotta per il predominio, e noi siamo le vittime, la nostra razza si chiude nel guscio della propria coscienza , nel culto della propria essenza . Perchè ? Per essere più italiani, per essere noi stessi , per riacquistare a noi tutto noi stessi, per sapere il nostro passato, per foggiare nello spirito l'avvenire. Così quell'Italia, che ai miopi occhialuti corifei dello storicismo positivo sembra assente tra la seconda metà del Seicento e la prima metà del Settecento, per riacqui stare vita nuova proprio con la critica razionalista pre rivoluzionaria, e poi con « gli immortali princípi » del l '89 , è invece viva e desta, sempre, in ogni tempo, per ritrovarsi, essa stessa , di fronte all'irrompere delle giovani schiere galliche con un patrimonio nobilissimo di schietto pensiero italico , di sapienza civile antica, di esperienza politica nuova. Lo storico deve valutare tutto. La storia della cultura, ben altra cosa, notiamo, dalla storia dell'arte, particola ristica, d'un subiettivismo che rinnega ogni sviluppo che non sia nello spirito individuale e creatore, ha una sua mirabile continuità , una sua ininterrotta evoluzione: l'oggi sorge dal passato, nel passato si prepara il pre sente, il presente è la fucina in cui si foggia il futuro. La storia deve valutare tutto e trovare i nessi ideali tra gli avvenimenti, se vuol essere storia, cioè studio critico e superiore delle idee, che muovono gli uomini gli uo mini sono sopra tutto idee, spirito —, e non cronaca astratta di ciò che gli uomini fanno e potevano anche non fare. Lo storico deve dunque, se vuol rinvenire l'origine vera del nostro Risorgimento, salire assai più indietro che di solito non si faccia ed osservare più le idee che i fatti, poi che i fatti a volte sono puri e semplici fenomeni senza conseguenze, che si spengono come stelle cadenti nel cielo dopo un breve ciclo, mentre le idee vivono, germinano nell'oscurità , generano altre idee, seguendo la trama fatale del corso delle stirpi. Le idee rivelano quel mondo dello spirito, ove si foggiano gli eventi, rivelano il segreto della génesi de' popoli, il loro assurgere all'im 8 pero, le cause della grandezza politica . Dietro il fatto sto rico c'è l'idea, la cui vita, vita storica cioè dinamica, lo studioso deve analizzare nella sua complessa formazione e non rinnegare per i preconcetti del proprio cervello. La rinascita dell'elemento italiano , particolaristico e nazionalista , è un fatto estrinsecamente assai prossimo a noi, intimamente preparato da lunga meditazione, da lunga speculazione, da lunghe ricerche. Una storia vera della cultura , specie della cultura politica, non può non ricollegarsi al secolo XVIII, anzi al secolo XVII, per ri trovarvi le origini vere dell'Italia di oggi. Dove si foggia questa nuova coscienza, questa nuova italianità ? Nell'angolo della penisola , che per il mo mento (siamo nel secolo XVIII) , guardando in modo sommario la distesa temporale della storia , è il più li bero dall'influsso culturale straniero . Non Venezia, non Milano, non Torino, non Firenze .... Napoli. Venezia è decaduta non già, come la retorica vuole, per la corruzione d'una nobiltà festaiola e carnevalesca, ma per un fatto storico ed economico incontrovertibile, perchè la vita commerciale d'Europa ha disertato le antiche vie dell’oriente, per spaziare negli oceani , ove le navi venete non possono andare, troppo lontane dall'infelice scalo della città di San Marco ( 1 ) . Torino è più francese che italiana, più sabauda che nazionale . Firenze è il centro d’uno Stato troppo piccolo, per imporre un'idea politica alle città vicine, ed è estenuata per il rigoglio anteriore. Milano sola può essere il centro delle nuove fortune nostre, e vedremo poi come essa col di sastro della Partenopea riprenda tutto il tesoro ideale del popolo italiano per rendersene degna depositaria . Ma Milano oggi è troppo aperta all'influenza straniera , risente troppo gli effetti d'una vita non propriamente italiana, è troppo cosmopolita, troppo mondana. Biso gna che il rinnovamento si inizi altrove. Milano poi com pirà l'unità spirituale dell'italianismo, sui primi anni ( 1 ) M. Rosi, L'Italia Odierna, Torino , 1922, vol. I , p. 13 e sgg 9 dell'Ottocento, fondendo i due elementi propri della no stra natura : il suo positivismo, più o meno razionalistico secondo i tempi, con l'idealismo.concretamente storico e critico del mezzogiorno, per foggiare quel carattere mentale del rinato popolo italiano, che rifugge così dalla metafisica nubilosa di certe filosofie straniere come dal materialismo volgare, ritrovando la sua sana vita in tima nel ponderato storicismo d'una filosofia dello spirito. Napoli, posta dalla natura nel più incantevole luogo della penisola, arrisa dal cielo e dal mare, beatificata dal sole, Napoli mite e pensierosa impersona la nuova vita nazionale ; essa, chiusa nella sua remotezza dalle grandi vie commerciali dell'alta Italia tra Francia ed Austria, sola può custodire il patrimonio culturale della nazione. L'Italia era senza dubbio indietro di fronte alle grandi speculazioni, di fronte alla grande cultura straniera. Car tesio, Grozio, Spinoza, Locke, Hobbes erano nomi re centi per la gloria della filosofia delle altre stirpi, nomi grandi illustri, pietre miliari nello sviluppo del pensiero moderno. Che avevano gli italiani da contrapporre ? Nulla, fuor che la loro povertà nuda ed altera. Lo spirito ita liano era chiuso in sè stesso, ho detto, quasi disdegnoso della merce straniera, che gli si voleva donare. E pure questa cultura, questa filosofia straniera pas sava da noi ed acquistava diritto alla cittadinanza, spe cie a Torino e a Milano, in quelle città più aperte ai nuovi rapporti civili. Il cartesianismo ovunque si imponeva e con esso il classicismo francese lineare geometrico arido . L'Italia però non filosofava . Il Muratori nella sua solitu dine di Modena cercava, ricercava, spogliava, compilava con foga di ricostruttore, traeva dagli archivi polverosi i resti della storia nostra , e il lavoro di paleografia e di trascrizione diveniva poi lavoro di sceveramento, d’ana lisi, di critica . Il nuovo italianismo rinasce con un rin novato fervore di studi storici. « Il serio movimento scientifico » scrive Francesco De Sanctis « usciva di là dove si era arrestato, dal seno stesso dell'erudizione . Lo studio del passato era come una ginnastica intellet tuale, dove lo spirito ripigliava le sue forze. Alle raccolte 10 successero le illustrazioni. E vi si sviluppò uno spirito d'in vestigazione, di osservazione, di comparazione, dal quale usciva naturalmente il dubbio e la discussione. Lo spi rito nuovo inseguiva gli eruditi tra quegli antichi monu menti. Già non erano più semplici eruditi : erano cri tici » ( 1 ) . A Modena, intanto, studiava il Tiraboschi, a Roma il Crescimbeni, a Napoli il Gravina ; altrove Raf faele Fabretti, Francesco Bianchini, Scipione Maffei e con essi una vera pleiade di dotti « segnano già questo periodo, dove la scienza è ancora erudizione e nella eru dizione si sviluppa la critica » . A Napoli e poi in un remoto paese del Cilento si for mava intanto il Vico. E a Giambattista Vico bisogna rial lacciare tutto il complesso movimento filosofico politico meridionale, tutta la fortuna dell'italianismo, di cui lo scrittore del quale imprendiamo lo studio, Vincenzo Cuoco, è il rappresentante maggiore. La filosofia del Vico nasce da una parte in antitesi al cartesianismo aritme tico e razionalista, dall'altra sopra una perfetta consape volezza, sopra un vero fondamento di ricerca storica, nell’un caso e nell'altro come reazione al pensiero stra niero e ritorno alle fonti nostrane. Solo l'antitesi al cartesianismo, cioè alla filosofia im perante, avrebbe potuto portare il Vico ad affermare l'im possibilità d'una scienza della natura, e in questa scienza era la gran cieca fede del razionalismo , e la sicurezza d'una scienza perfetta nel mondo umano, morale e sto rico . La conversione del vero col fatto ( verum ipsum factum) , impossibile nel mondo naturale agli uomini, di vien possibile nel mondo morale. Per conoscere una cosa occorre farla, o rifare il processo creativo : ciò è impossi bile nell'ordine naturale a tutti, fuor che a Dio, divien possibile nell'ordine umano, spirituale e storico , fatto dall'uomo, nel quale l'uomo opera come Iddio . Le scienze morali, la politica, la poesia perdono il mero carattere di probabilità e brillano di pura luce nello spi ( 1 ) F. DE SANCTIS , Storia della letteratura italiana, Milano, Treves ed. , 1917 , v. II , p. 240. 11 rito. È un nuovo principio gnoseologico, il vero è riposto nel fatto : a questo principio si rifà tutto il nuovo sistema storico. Ma domandiamoci : questo nuovo principio , che è il nucleo d'ogni futura filosofia dello spirito, quest ' in versione, che è la nuova gnoseologia, era possibile come semplice reazione ad un cartesianismo, che al Vico era pervenuto, sia pure, come scrive il De Sanctis ( 1 ) , in una forma antipatica e menomatrice dei suoi studi, ma certo non in maniera del tutto opprimente e scettica ? Io credo di no o almeno credo che la rivoluzione non sa rebbe stata possibile senza considerare un nuovo ele mento, le pure ricerche storiche, che portarono in fine il Vico a conclusioni inattese . Il Vico, scritto il De ratione studiorum , il De antiquis sima italorum sapientia, s ' ingolfò negli studi eruditi di storia antica, di diritto romano, negli studi di diritto naturale, di pura linguistica, di filologia . Dice bene quindi Benedetto Croce che, se pure il grande napoletano non fu condotto alla filosofia , al nuovo orientamento della sua gnoseologia, in virtù di un processo puramente filolo gico, certo lo stimolo e la materia gli furono offerti da gli studi sopra detti, « attraverso i quali egli ebbe a fare un'esperienza solenne ; e cioè che quella materia di studio ( 1) Ecco quel che scrive F. DE SANCTIS , Storia , v. II , p. 246. « La materia della sua cultura è sempre quella : dritto ro mano, storia romana, antichità. La sua fisica è pitagorica, la sua metafisica è platonica, conciliata con la sua fede. Base della sua filosofia è l'Ente, l’Uno, Dio. Tutto viene da Dio, tutto torna a Dio, l'unum simplicissimum di Ficino . L'uomo e la natura sono le sue ombre, i suoi fenomeni, ecc. ecc.... » . Dentro a questa coltura e contro a queste credenze venne ad urtare Cartesio. La coltura non ha valore : del passato bisogna far tavola . Datemi materia e moto, ed io farò il mondo. Il vero te lo dà la scienza ed il senso. Cosa dive niva l'erudizione di Vico, la fisica di Vico, la metafisica di Vico ? cosa divenivano le idee divine di Platone ? e il simplicis simum di Ficino cosa diveniva ? e il dritto romano, la storia, la tradizione, la filologia, la poesia, la rettorica non era più buona a nulla ? Nella violenta contraddizione Vico sviluppo le sue forze, ecc. ». 12 non poteva essere e non era elaborata dal suo pensiero senza l'aiuto di certi princípi necessarî, che gli si ripre sentavano in ogni parte della storia da lui presa a medi tare. Un tempo gli era sembrato che le scienze morali, ragguagliate al metodo matematico, occupassero, quanto a sicurezza, l'infimo posto. Ora, nella quotidiana fami liarità con quelle scienze, gli veniva apparendo il con trario : niente di più sicuro del fondamento delle scienze morali » ( 1 ) . Verum ipsum factum : « ove avvenga che chi fa le cose, esso stesso le narri, ivi non può essere più certa l'istoria » ( 2 ) . Il nuovo pensiero italiano s'afferma schiettamente storicista : il carattere della tradizione se guente serba questo carattere : Cuoco, il discepolo di Vico in un'età caratterizzata da una profonda negazione della storia, riaffermando l'italianismo, riafferma la storia ( 3 ) . Tutta la filosofia dell'autore della Scienza nova nasce da questa scoperta , e questa scoperta nasce da un'affan nosa ricerca storica . La resistenza a Cartesio, a Malebran che, al razionalismo francese sarebbe rimasta resistenza, cioè in parte incomprensione, se il Vico non avesse potuto superare Cartesio stesso in una nuova visione della realtà. Solo la gran vita della storia, l'eterno farsi de' po poli, gli imperi che sorgono si mutano si sviluppano muoiono, solo l'analisi delle istituzioni politiche, del di ritto, delle religioni, delle lingue, delle arti ne' loro par ticolari potevano dargli la superba certezza : ... il pen siero si fa, il pensiero è in quanto diviene, in quanto ha una sua propria dinamica. Il vero è in quanto noi lo facciamo, in quanto lo rifacciamo pensandolo. Le scienze morali s'aprono a nuova vita. Solo in esse v'è perfetta scienza, vera conoscenza. « Il pensiero è moto che va da un termine all'altro, è idea che si fa , si realizza come ( 1 ) B. CROCE, La filosofia di Giambattista Vico, Bari, G. La terza, 1911 , p. 22. (2 ) G. Vico, La scienza nuova giusta l'edizione del 1744, a cura di F. Nicolini, Bari, Laterza ed ., 1911, v. I , p. 187 . ( 3 ) G. GENTILE, Dal Genovesi al Galluppi, Napoli, Edizione della Critica , 1903, p . 34 e sgg. 13 natura, e ritorna idea, si ripensa, si riconosce nel fatto. Perciò verum et factum , vero e fatto, sono convertibili; nel fatto vive il vero ; il fatto è pensiero, è scienza ; la storia è una scienza, e, come ci è una logica per il moto delle idee, ci è anche una logica per il moto dei fatti, una storia ideale eterna, sulla quale corrono le storie di tutte le nazioni » (1 ) . Ora ritorniamo al nostro argomento. Non interessava me tanto ridire quel che sul Vico fino ad oggi si è detto e che coglie assai bene la génesi e il valore della spe culazione del grande napoletano, se non per dimostrare come la nuova filosofia d'Italia, il nuovo italianismo nasca da una vera e propria esperienza critica ed erudita. Il Vico stesso nel De antiquissima italorum sapientia es lignuae latinae originibus eruenda aveva compiuto uno sforzo mirabile di ricerca etimologica, che lo aveva por tato ad affermazioni di grande audacia e nobiltà, se pure non accettabili, quale l'esistenza di una setta filosofica italica preromana, l'esistenza d’un'antica filosofia etrusca, generatrice d’un linguaggio filosofico , che poi trascorse in altre lingue nostre, quali il latino, in cui si trovano singolari tracce altrimenti inspiegabili, filosofia autoctona nostrana, antichissima, di cui Pitagora stesso sarebbe un fievole epigono. Nella sua seconda gnoseologia il Vico rinnegherà il principio informatore dell'opera : il linguag gio cessa d'essere in rapporto alla logica, trova la sua spiegazione « nei principi della poesia , cessa d'avere la sua origine nella volontà per acquistare maggiore sponta neità e naturalezza ( 2) . Ma intanto resta acquisito lo sforzo vichiano della conquista d'un vero italianismo pre latino e preellenico, sforzo in parte rinnegato dallo stesso autore, che trova al suo pensiero nuove vie, ma sforzo non perciò meno degno, dal punto di vista culturale nazionalista. È una riconquista dell'italianità nella tra ( 1 ) F. DE SANCTIS, Storia , v. II, p. 248. ( 2) Vedi B. CROCE , La filosofia di G. B. Vico, pag. 50 e sgg .; B. SPAVENTA, Prolusione e introduzione alle lezioni di filosofia , Napoli, Vitale, 1862, pag. 38 A sgg. 14 dizione, nella storia. La storia è fatta dall' uomo : la storia d'Italia dagli italiani: trovare lo sviluppo della storia italiana significa trovare lo sviluppo di quella volontà, di quello spirito, di quelle idee, che formano il popolo nostro. Dai « rottami dell'antichità » nasce la storia italiana. Nel Nord della penisola la cultura era razionaliştica e cosmopolita. I dotti parlavano francese, non potevano sottrarsi all'influsso di Cartesio o di Locke. A Napoli invece la cultura è storica e filosofica e particolaristica mente italiana, sebbene pur comprensiva ed universale . Il Vico ( 1 ) si sottrae al pensiero europeo, ritorna a Pita ( 1 ) Intendere il Vico e staccarlo in un certo senso dallo sfondo comune delsuo secolo è necessario per colui, che voglia studiare il secolo XVIII, in cui senza dubbio sono le origini della nuova Italia e del nuovo pensiero. Ciò non ha saputo fare, per esempio, Gabriele Maugain , autore di un dotto Étude sur l'évolution intel. lectuelle de l'Italie de 1657 à 1750 environ ( Paris, Hachette, 1909), in cui ritorna ed insiste l'antica tesi (carducciana tra l'altro ) d'una decadenza e di una stasi dello spirito nazionale durante un periodo più o meno lungo. Ma, se non accettiamo questa visione parziale del fenomeno, come poi spiegarci tutta la fio ritura del secolo XIX ? Dobbiamo crederla davvero, mancando una tradizione italica , una fioritura estrinseca, mero riflesso della cultura rivoluzionaria francese prima e romantico -germa nica poi ? O invece il periodo anzi detto è periodo di prepara zione metodica, e in esso sono i germi della nuova Italia ? Questo viene al pensiero di chi legge il libro accennato, in conclusione assai dotto ed interessante . Questo venne al pen siero di Giovanni Gentile, che nella Critica recensì nel 1910 l'opera del Maugain ( recensione riveduta e ristampata in Studi vichiani , Messina, Principato, 1915 ), e che, pur riconoscendo che nel complesso, se si eccettui la figura titanica del Vico , questa storia è una storia di cui non abbiamo molto a com piacerci , nota come il Maugain la renda più malinconica di quanto non sia. A prescindere dal fatto che proprio nell'età di cui si tratta ( 1657-1750) fiorisce Vico, e Vico per noi è il genio dell'Italia nuova, la tradizione insomma a cui il succes sivo italianismo si ricollega , occorre pensare che, « dopo la metà del secolo XVIII, dalla morte rinascerà la vita , e si preparerà l'Italia che accoglierà la Rivoluzione, e si scuoterà tutta, e ri prenderà la sua via in tutte le manifestazioni della vita spiri tuale, e si aprirà un varco nella politica de grandi Stati, e ri . sorgerà come nazione » . Ora ciò sfugge all'autore del libro . 15 gora , a Platone, ai filosofi cristiani da un lato, dall'altro, come vedemmo, procede da sè, per una via del tutto nuova. La Scienza nova è, come scolpì il De Sanctis, « la Divina Commedia della scienza, la vasta sintesi, che riassume il passato e apre l'avvenire, tutta ancora in gombra di vecchi frantumi, dominati da uno spirito nuo vo » ( 1 ) . Essa non è intesa per il momento, non importa ! Lo stesso Vico non si rende conto dei formidabili svi luppi che si trarranno dai suoi studi. Ma il seme, get tato in glebe feconde, germoglierà. Il pensiero meridio L'Italia rinasce e si rinnova, dal cosmopolitismo antinazio nalistico nel culto d'un universale umano l'Italia diviene na zionalistica nel culto d'un tradizionalismo più nostro, pur non dimenticando d'esaurire il mondo morale nella filosofia del Vico , proprio nel periodo che al Maugain sembra morte e stasi. Ben nota il Gentile a proposito ( Studi vichiani, p . 13 ) : « .... Non bisogna dimenticare che quella stessa che diciamo morte, è una morte relativa ; ed è anch'essa vita, perchè condizione e momento di quella che dicesi vita : e senza intendere l'una, non è possibile giungere all' intendimento dell'altra. Tutto sta a non cercare la vita nella morte : e non volere una cosa nell'altra. Lastasi del periodo studiato dal Maugain non è il progresso della creazione, ma è pure progresso , se è la pre parazione del progresso ulteriore. Noi infatti non potremmo intendere l'Italia nuova, nutrita dalla cultura europea compene trata con la tradizione nostra, quale la troviamo p . e. nella poe sia del Foscolo e nell'Italia tutta del tramonto del secolo XVIII e degli albori del seguente, [ quale la troviamo , mi permetta l ' illustre Maestro la chiosa, nel nostro Vincenzo Cuoco] se la innestassimo immediatamente all'Italia tutta italiana , crea trice in filosofia come in arte, maestra ancora all'Europa tutta , e vivente di una vita spirituale sua, del 500 e del primo 600. L'Italia dal 1657 al 1750 è l'Italia che accoglie il riflusso della cultura europea, su cui ha esercitato ella prima l'azione sto rica rinnovatrice: e in questo lavoro di riassorbimento, che dev'essere ed è anche reazione ( esempio solenne Vico), è la vita sua nuova rispetto al passato. Il senso di questa vita nuova , se non m'inganno, non c'è nel libro del Maugain .... » . Precisamente così: può darsi che chi rilegga i fogli dei vari Giornali de' letterati vi ritrovi morte, ma chi trascorra le su date carte del Muratori e le induzioni geniali del Vico non può che rinvenirvi la vita, e le origini grandi della nuova patria, la fonte onde trassero la linfa vitale Cuoco e Foscolo . ( 1 ) F. DE SANCTIS , Storia, v. II , p. 253. 16 nale si ricollega tutto al Vico e col Vico medita i nuovi concetti e i nuovi concreti problemi della storia e della vita ; col Vico si presenta, dopo la caduta d'una repub blica, ad incontrare il pensiero settentrionale per ani marlo, per storicizzarlo nella realtà dello spirito, donde nascerà la nuova cultura veramente nazionale, e non più lombarda toscana napoletana. Così solo si possono spiegare molti atteggiamenti della cultura di Monti e di Cesarotti, di Manzoni e di Foscolo. La tradizione vichiana è in fine la tradizione del più puro italianismo. Da Napoli passerà a Milano, intanto notiamo come a Napoli stessa, nel suo centro ideale, là dove il genio di Giambattista s'era formato nell'umiltà borghese della vita d'ogni giorno, fra amarezze familiari, fra disavventure accademiche, fra l'incomprensione di quella che la retorica chiama alta cultura e poi non è che la più presuntuosa saccenteria, come a Napoli stessa questa tradizione non fu sempre dominante, nè sempre uguale, battuta in breccia dal francesismo, prima carte siano, poi illuminista, volterriano, ecc. Comprensione vera e propria, infine, il Vico non ebbe neppure in vita ( 1 ) : immaginiamo, dunque, se dopo la morte del grande au tore della Scienza nova la patria potesse intendere affatto l'oceanico spirito del suo figliolo . « Certamente a Napoli, nel secolo decimottavo, ci fu in molti una confusa coscienza della grandezza dell'opera vichiana; ma in che propriamente questa grandezza con sistesse non si poteva determinare, perchè facevano an cora difetto l'esperienza e la preparazione adeguate » ( 2 ) . Lo stesso discepolo ideale del Vico, colui che a, detta di Vincenzo Cuoco, solo può condurci al maestro, solo può servirci di guida per raggiungere i suoi voli, non fu immune da contaminazioni estrinseche : il vichismo in Mario Pagano è mescolato al nuovo sensismo francese ( 3 ) . ( 1 ) B. CROCE, La filosofia di G. B. Vico , pp. 270 e sgg. ( 2 ) B. CROCE, La filosofia di G. B. Vico , p. 286. ( 3 ) B. CROCE, La filosofia di G. B. Vico, p. 289. Cfr. VINCENZO Cuoco, Saggio storico sulla rivoluzione napoletana, Bari, Laterza 1913, L, p. 208 : « Nella carriera sublime della 37 potè volgersi alla compilazione d'una legge - base per la repubblica, e architetto un progetto. Il lavoro porta nell'edizione che ho sott'occhio il seguente titolo : Pro getto di costituzione della repubblica napoletana del 1799 per Mario Pagano, Giuseppe Logoteta e Giuseppe Cestari (1 ) , ed è diviso in un Rapporto del Comitato di Legislazione al Governo provvisorio, opera del Pagano, chè lo stile e tutto lo appalesa, e in una Dichiarazione dei diritti e doveri dell'uomo, del cittadino, del popolo e de' suoi rap presentanti, a stendere la quale fu certo maxima pars il celebre autore dei Saggi politici. Per mezzo di Vincenzo Russo il Pagano dovette farne pervenire una copia al Cuoco. Questi rispose coi Frammenti ( 2 ) . di uno scrittore. Potremmo a questo punto intraprendere una confutazione delle operazioni del Tria , ma non lo facciamo, per chè la confutazione scaturisce da tutto il nostro lavoro, e perchè già fatta da N. RUGGIERI, op. cit. , p. 34 e sgg. e da M. ROMANO, op. cit. , p. 51 e sgg. , i quali non hanno nulla tralasciato per lu meggiare storicamente la complessa figura del molisano. Noi per conto nostro abbiamo insistito su questo punto per mettere in guardia il lettore su certi atteggiamenti del Cuoco, che , certo in antitesi con l'atteggiamento del tempo suo, occorre valutare da un punto di vista molto elevato, quasi metastorico, come quello che spesso trascende l'èra sua per incontrare nel passato e nell'avvenire la più vera essenza del popolo nostro. ( 1) Seguo per la Costituzione del Pagano l'edizione nap. del 1861, Rapporto al cittadino Carnot sulla catastrofe napoletana del 1799 per FRANCESCO LOMONACO , con @enni sulla vita del l'autore, note e aggiunte di MARIANO D'AYALA ed infine il Pro getto di costituzione della repubblica napoletana del 1799 per MARIO PAGANO, GIUSEPPE LOGOTETA E GIUSEPPE CESTARI, con note di ANGELO LANZELLOTTI , Napoli, Tip. di M. Lombardi. (2) I Frammenti si credono quasi certamente anteriori al Saggio, scritti quindi proprio durante la rivoluzione, a meno che non si riesca a provare, il che non mi sembra facile , che siano stati scritti col Saggio o del tutto dopo. Del resto ideal mente vanno innanzi. N. RUGGIERI, op. cit., p. 17 , li crede an ch'egli, scritti durante il tempo della Partenopea: a pag. 132 della sua monografia conferma il suo giudizio cronologico, e in nota dà notizie sulla bibliografia del Progetto del Pagano, inedito fino al giorno, in cui il Cuoco stampa il Saggio con l'ap . pendice dei Frammenti, pubblicato la prima volta a Napoli nel 1820 da Angelo Lancellotti, seguito da 30 note, 10 sue, 20 38 La critica al progetto ci mostra intero l'animo di Vin cenzo Cuoco e la sua lucida netta precisa opposizione agli immortali ed astratti princípi . Ma prima due parole su Vincenzo Russo. Potrebbe sembrare un puro caso che le lettere siano a lui indirizzate. Si dirà : una grande ami cizia univa il Russo al Cuoco, amicizia d'antica data, in trinsichezza fraterna ; si dirà : il Russo ha fatto pervenire all'amico studioso il Progetto di costituzione, ond' egli ne prenda visione per le sue ricerche, quindi è naturale che a lui sia diretta la critica ideale della legge. Sì, tutto ciò va bene, ma non bisogna dimenticare che proprio Vin cenzio Russo è il rappresentante tipico dell'astratto rivo luzionarismo, di cui il nostro fa la requisitoria, proprio il Russo il corifeo dell'estremismo che il Cuoco detesta ( 1 ) , proprio il Russo, il socialista che crede furto la proprietà che l'amico invece pone base della nuova società e del nuovo ordinamento civile , come diremo. Teniamo pre sente ciò e le lettere assumeranno un duplice valore, di critica scientifica e giuridica, d'opposizione ad un si stema politico culturale . Sono, ripeto, l'una contro l'altra due filosofie , due sistemi, il sistema rivoluzionario, esu berante e fiducioso nel momentaneo trionfo dell'idea, il sistema liberale moderato, più realistico, che solo nel tempo lentamente spera di vedere sanzionata dalla storia la sua forza. Chi era Vincenzio Russo ? ( 2 ) . Basta leggere i suoi Pen del Cuoco, ripubblicato con le sedicenti note del Lancellotti nella cit . edizione napoletana del '61 . II ROMANO, op. cit., p . 22 e p. 62 e sgg. crede i Frammenti anteriori al Saggio. Lo stesso il CROCE, La rivoluzione napoletana, p. 108 . ( 1 ) B. CROCE, La rivoluzione napoletana, p. 108 e sgg. , scrive a proposito del Russo e del suo estremismo: « Certo , anche gli amici che gli volevano bene e l'avevano in grande stima per la sincerità e nobiltà dei suoi convincimenti, come il suo compagno della prima giovinezza Vincenzo Cuoco, non potevano appro vare la via senza uscita per la quale egli si era messo » . ( 2 ) Su V. Russo vedi B. CROCE, La rivoluzione napoletana, pp. 85-112 ; nonchè G. DE RUGGIERO, Il pensiero politico meri dionale nei secoli XVIII e XIX, Laterza ed ., Bari, 1922, p. 120 e sgg. , che ci offre una buona analisi del pensiero del 39 sieri politici , sui quali lo stesso Cuoco esprime nel Saggio un giudizio ( 1 ) un po' incolore, sebbene ne tra peli una critica, per intendere il suo astrattismo . Rileg giamo, a proposito, le parole di Benedetto Croce. Il suo sistema si fondava « sull'idea di una repubblica popo lare, in cui ciascuno possederebbe un pezzo di terra da coltivare direttamente e da trarne i mezzi di sussistenza . Non testamenti e non atti tra vivi, e neanche succes E sioni legittime; alla morte del possessore la quota di lui sarebbe tornata alla repubblica per una nuova di stribuzione. Gli uffici esercitati dagli stessi cittadini agricoltori, epperò senza stipendio, altro che i mezzi di sussistenza a coloro cui fosse tolto il tempo di lavorare personalmente la terra ; al qual uopo si sarebbero fatti leggieri prelevamenti sulle quote dei coltivatori. L'in dustria, domestica e ridotta al puro necessario ; e il com mercio ridotto , del pari, a permuta di cose necessarie. Nessun lusso di nessuna sorta ; l'istruzione si sarebbe ristretta principalmente alla morale repubblicana e ai princípi dell'agricoltura . Nessuna religione, tranne forse « un tal quale vincolo di fratellanza nel centro di una idea sublimamente tenebrosa » ; e quindi, non classe sa cerdotale. Non grandi città : una serie di piccoli villaggi costituirebbero le nazioni. E, tra le nazioni, non più guerre, tranne quelle per liberare le nazioni oppresse o per respingere tentativi di oppressione. Le nazioni, in unione tra loro, avrebbero poi formato, come termine ultimo, la « Società universale » ( 2 ) . Era nel Russo, come in molti rivoluzionari, special 다. l'insigne martire del '99, specie nelle sue derivazioni dal Leib nitz e dal Rousseau . Un sunto delle dottrine del Russo ci of frono V. FIORINI e F. LEMMI. Il periodo napoleonico dal 1799 1 al 1815, Milano, Vallardi, 8. d. , p. 167 e sgg. ( 1 ) Il giudizio (Saggio , L, p. 209) è il seguente: « La sua opera de Pensieri politici è una delle più forti che si possano leggere. Egli ne preparava una seconda edizione, e l'avrebbe resa anche migliore, rendendola più moderata » . In quel miglio ramento nella moderazione sta tutto Cuoco ! ( 2 ) B. CROCE, La rivoluzione napoletana, p. 90 e sgg. 40 mente meridionali, un misto curiosissimo di anticlerica lismo e di romanità, di filosofia ellenica e di razionalismo moderno, di evangelicità e di naturalismo, che univa insieme Leibniz e Mably, Condorcet e Bruno, Campa nella e Tacito, Platone e Saint- Just, un misto di fierezza spartana e di retorica petroliera, di rigidità catoniana e di montatura civica. Ma se guardiamo il Russo e la sua opera ( 1 ) , non vi troveremo certo il gonfio anticlé ricalismo e le diatribe di Francesco Lomonaco, che potè col suo scilinguagnolo incantare il giovinetto Manzoni, ma non potè incantare la posterità ; troveremo, invece, contrasti, contraddizioni, astrattismi, ma in fondo un sistema, una volontà, un regime di vita e una aspira zione, sia pure non realizzata, al concreto ( 2 ) . Nella pre fazione ai suoi Pensieri politici scrive : « Io non ho volta la mente nè alle antiche repubbliche nè alle moderne, non alle nuove nè alle vetuste legislazioni : ho consul tato nelle cose stesse la verità » . Quindi un desiderio di analizzare l'uomo ne'suoi bisogni specifici, e sovra di essi fondare la sua repubblica, mentre i bisogni stessi individualmente indeterminabili, concetti economici in sommo grado subiettivi, gli sfuggono. In fondo anche il Russo è un astratto e non si distingue dai repubblicani, se non per ingegno, non certo per diversità di metodo e di pratica politica. Basta rileggere i Pensieri e lo studio del Croce per convincersi che i suoi concetti, democra tizzazione sistematica, educazione repubblicana e sta tale, fraternità tra i popoli, sono quelli della generalità, ( 1) La prima edizione dei Pensieri politici è dell'anno 1798 , allorquando il Russo, esule da Napoli, trovavasi a Roma, e fu stampata per sottoscrizione:Pensieri politici diVINCENZIO Russo, napolitano, Roma, presso il cittadino V. Poggioli, anno I della ri stabilita repubblica Romana. L'opera fu ristampata in Milano tra il 1800 e il 1801 (Milano, anno IX , Tip. Milanese in Strada nuova , n. 561 ) ; e poi ancora a Napoli nel 1861 ( ed . a cura del D'Ayala ) e nel 1894 ( ed. a cura di B. Peluso con pref. di E. De Marinis). Vedi a proposito B. CROCE, La rivoluzione napole tana , p. 98 , p. 112. ( 2) B. CROCE, La rivoluzione napoletana, p. 92 e sg. 33 civile. Aggiungiamo a ciò quella sua ritrosia , quella specie di natural pigrizia, di cui abbiamo detto, e comprende remo un altro elemento della solitudine di Vincenzo della sua critica . Ma la causa principale del suo atteg giamento negativo è sopra tutto, innanzi tutto spirituale culturale. Che cosa è la rivoluzione per lui, nutrito di studi con creti d'economia e di storia ? La documentazione della risposta sta in tutto il Saggio storico, ma io credo che egli, sin dagli inizi del movimento sovversivo, dovesse pensarla come si espresse in seguito , altrimenti non si spiega in qual maniera egli abbia potuto in piena repub blica scrivere i suoi Frammenti di lettere dirette a Vincenzio Russo, in risposta al Progetto di costituzione di Mario Pa gano. Nella dedicatoria del suo Saggio, nella Lettera del l'autore a N.Q. scrive : « Come va il mondo ! Il re di Na poli dichiara la guerra ai francesi ed è vinto ; i francesi conquistano il di lui regno e poi l'abbandonano ; il re ritorna e dichiara delitto capitale l'aver amata la patria mentre non apparteneva più a lui . Tutto ciò è avvenuto senza che io vi avessi avuto la minima parte, senza che neanche lo avessi potuto prevedere: ma tutto ciò ha fatto sì che io sia stato esiliato, che sia venuto in Milano, dove, per certo, seguendo il corso ordinario della mia vita, non era destinato a venire, e che quivi , per non aver altro che fare, sia diventato autore. Tutto è concatenato nel mondo, diceva Panglos : possa tutto esserlo per lo meglio ! » ( 1 ) . Egli dichiara che nella rivoluzione tutto si i è svolto senza che egli vi abbia avuto nessuna parte, senza che egli vi sia intervenuto . L'affermazione è vera solo in quanto si sappia intenderla . Il Cuoco ha preso parte agli avvenimenti politici del tempo , egli primo lo sa , e i nuovi studi lo confermano, anche quando per prudenza tace con il fine di non compromettere persone, che non vuol compromettere. Nel capo I del suo Saggio, esplicando la natura del suo lavoro, studio di idee e non di fatti, con cui quasi intende prevenire il giudizio della ( 1 ) V. Cuoco , Saggio storico, p. 11 . 3 - F. BATTAGLIA , 34 posterità sugli avvenimenti, di cui è stato spettatore e di cui imprende la narrazione, s'esprime diversamente. « Dichiaro che non sono addetto » scrive « ad alcun par tito, a meno che la ragione e l'umanità non ne ab biano uno. Narro le vicende della mia patria ; racconto avvenimenti che io stesso ho veduto e de quali sono stato io stesso un giorno non ultima parte ; scrivo pei miei con cittadini, che non debbo, che non posso, che non voglio ingannare » ( 1 ). Dunque di fatto l'autore stesso accetta la partecipa zione. Che vuol dire ? Cuoco sin dall'inizio della rivo luzione ha la coscienza della passività di questa, in quanto è opera d'una classe colta, che ha suoi bisogni speciali , più intellettuali che materiali, e non opera del popolo, il vero agente delle grandi rivoluzioni ; ha la coscienza della fatalità del movimento repubblicano, in quanto non spontaneo , scaturito invece da contraccolpi internazionali, che nessuno può evitare e dirigere ; ma nello stesso tempo egli non può sottrarsi al terribile vortice che lo attrae, perchè la sua educazione e in parte la sua cultura sono quelle della classe dirigente, perchè conosce la nobiltà dei propositi di questa, perchè sa, e questo sovra ogni altra cosa è decisivo, l'ignominia che da dieci anni in qua ha guidato i Borboni e i loro fa voriti , incapacità , cupidigia , sfrenatezza . La rivoluzione per Vincenzo è davvero un fatale vortice. La parola « vortice » per caratterizzare la rivoluzione ricorre spesso ne'suoi scritti. Egli non ne condivide le idee, ne critica la genesi, ne prevede la triste fine, ciò non per tanto non può sottrarsene perchè i suoi bisogni, la sua classe, la sua posizione sociale infallibilmente lo traggono ad una par tecipazione, che noi possiamo, come la rivoluzione stessa, chiamare passiva ( 2 ) . Nè basta ! Egli vede che la rivo luzione di Napoli è più francese che italiana ; che gli uomini, che sono alla testa della cosa pubblica, sono più ( 1 ) V. Cuoco , Saggio storico , I , p. 16. ( 2 ) Oltre i brani citati cfr. Saggio storico, VIII , p. 47 ; XV, p. 84 ; XVI, p. 90. 35 illuministi che non i pensatori francesi, che s ' astrag gono dalla realtà e costruiscono sull'acqua, alla ricerca d'un bene che dovrebbe provenire dalla pura ragione, senza nessi con i bisogni concreti delle masse, senza legami con l'immanente vita pubblica, che vuole essere soddisfatta con provvedimenti specifici e non con le pa role . Questo il Cuoco nota, e doveva aver già notato da un pezzo : fin dai primi processi del '94 il giovine Vin cenzo ha dovuto notare l'astrattismo repubblicano, con sacrato del resto dal sangue de' martiri, e meditarlo aspramente, molto aspramente, se poi darà nel Saggio giudizi rudi contro i fanciulli e gli studenti infrancio sati ( 1 ) . Queste poche osservazioni bastano a spiegarci il contegno di Vincenzo Cuoco nei grandi eventi del 1799, contegno di critica, dunque, dovuto ad un diverso tem peramento culturale, ad una vera antitesi o incompati bilità d'educazione e di metodo tra il nostro e i suoi compatrioti, non già, come qualche storico vuole ( 2) , ad un vero e proprio antifrancesismo, antifrancesismo, che, se potè essere difesa de costumi e del pensiero italiano contro la moda straniera, non fu mai astio contro la nobile nazione gallica , nella quale anzi l'autore degli articoli del Giornale italiano, di cui parleremo a lungo, ebbe grande fiducia per l'avvenire d'Italia . Questo può spiegarci la natura dei Frammenti di lettere a Vincenzio Russo, che ci appaiono non l'appendice, come giusta mente nota il Romano, ma i precedenti solidi e sobri del Saggio storico ( 3 ) . ( 1 ) M. Rosi, op. cit. , v. I , p. 206 e sgg.; B. CROCE, La rivo luzione napoletana, pp. 194-230, ove troverai abbondanti notizie sui primi movimenti sovvertitori a Napoli, sui primi processi , sulla morte eroica di De Deo, Vitaliani e Galiani. ( 2 ) P. HAZARD, op. cit. , 219 e sgg . ( 3 ) Prima di andare innanzi bisogna pur dire poche parole intorno ad una questione cuochiana. Si tratta d'un argomento già dibattuto e risolto , ma su cui mette conto indugiarsi, poi che la figura del nostro dal contrasto s'avvantaggia e non è menomata. U. Tria in una sua nota , Vincenzo Cuoco a propo sito di due sue lettere inedite, pubblicata in Rassegna critica della 36 Dopo che il Governo provvisorio di Napoli fu diviso in due commissioni, la legislativa e l'esecutiva, la prima letteratura italiana, v. VI, ( 1901 ) , p. 193 e sgg. , getta gravi ac cuse sulla figura morale del molisano. Le lettere, sulle quali il Tria basa la sua requisitoria contro il nostro autore, sono state alui date dal signor L.A.Trotta di Toro ( Molise) . « In tutte e due le lettere » , scrive il Tria « il Cuoco di scorre liberamente con il fratello (Michele Antonio] di sè stesso , dei suoi interessi, dei progetti, delle speranze sue. Evidente mente egli non si angustiava del suo avvenire, non perchè le difficoltà incontrate aMilano fossero moltissime, ma, anelando egli a raggiungere una condizione migliore e più comoda degli indugi si infastidiva , e per sè stesso e per il vantaggio dei suoi, che sempre aveva nel cuore. Nè gli studi sulla storia degli an tichi italiani, che proprio in quegli anni andava facendo, nè le vicende non liete della patria sua oppressa, nè il rumore degli inauditi successi di Napoleone lo distoglievano dal suo particu lare, siccome avrebbe detto molto esattamente il Guicciardini ! », Cosi il Tria : e tutto ciò , perchè il povero Cuoco, pur tra le angu stie economiche dell'esilio, rivolge il pensiero ai suoi cari ! Ma fin qui poco male, se il Tria , basandosi su alcune frasi dello scri vente , non avesse voluto gravar la mano anche sull'uomo poli tico . Vediamo prima di tutto le frasi incriminate. In quel tempo, siamo tra il 1871 e il 1802, il governo borbonico era disposto a concedere al Cuoco il perdono, ma egli lo rifiutò . « A che ritor nerei io in patria scrive l'esule al fratello . —- Se io fussi reo , accetterei un perdono : ma un uomo che non ha avuto la viltà di far un delitto , un uomo che ha potuto esser condannato solo perchè si trovò strascinato in un vortice che egli odiava, ma a cui era im possibile resistere ; un uomo in cui l' amor della patria, della pace, della virtù non sono parole, un tale uomo non deve cer tamente esser contento di un perdono che gli lascia sempre l'apparenza di reo » . Alte sublimi parole, che non possiamo non raffrontare con quelle non meno alte e sublimi, con cui l'Ali ghieri rispondeva all'amico fiorentino, che gli annunciava l'umi liante grazia del sospirato ritorno in patria. Ebbene in esse il Tria vede un indice di disdegno verso la rivoluzione, dal Cuoco designata col nome di vortice. « Le parole sue» commenta, « hanno un certo sapore di pentimento e di ritrattazione, che non gli fanno onore: ora egli sconfessa gli atti e gli scatti del cittadino Cuoco, che pure, durante la Repubblica, s'era reso benemerito della patria ; si dice un fuorviato, dimentica i compagni di lotta, di patimenti, li rinnega » , Abbiamo citato abbondevolmente dal Tria, tanto più per di mostrare come ci si discosti dal vero, quando, sedotti dalle ap parenze ci si abbandona ad esse, senza penetrare nello spirito 45 senso che le costituzioni siano una formazione assoluta mente irriflessa e popolaresca, che il giurista osserva senza intervenire, passivo, ma nel senso che non possano prescindere, sia pure quando sono opera di studio perso nale e di ricerca dotta, dalla concreta realtà della nazione. La faccenda si chiarifica. La Volkseele dello Schelling, la coscienza giuridica popolare del Savigny diventano, sono nel Cuoco, più concreto e positivo, i bisogni del po polo, bisogni economici e materiali, religiosi e morali, qualcosa di più tangibile. « I nostri filosofi , » scrive « sono spesso illusi dall'idea di nu ottimo, che è il peggior nemico del bene. Se si volesse seguire i loro consigli, il mondo, per far sempre meglio, finirebbe col non far nulla » . « L'ottimo non è fatto per l'uomo .... » ( 1 ) . Costoro, ai quali accenna il critico, sono i rivoluzionari astratti, che credono ad un universale, che non è, e vanno tanto alto da perdere ogni contatto col mondo. Una costituzione non può scaturire dal cervello di un uomo, come Pallade dal cervello di Giove, armata e folgorante ; deve sorgere dopo mature riflessioni, sulla natura della nazione deve avere una base. « Questa base deve poggiare sul carattere della nazione, deve precedere la costituzione ; e mentre con questa si determina il modo in cui una nazione debba esercitare la sua sovra nità, vi debbono esser molte cose più sacre della costi tuzione istessa , che il sovrano, qualunque sia, non deve poter alterare » ( 2 ) . Nessuno può « törre al popolo tutti i suoi costumi, tutte le sue opinioni, tutti gli usi suoi, che io chiamerei base di una costituzione » ( 3 ) . Il Cuoco, se osserviamo bene la questione, distingue due momenti : una elaborazione incosciente del popolo che crea istituti giuridici, per consuetudine, desumendoli dalla sua stessa essenza ; una elaborazione cosciente e riflessa, che sistematizza e regola ciò che nel popolo era mera pratica senza norma. Questi due momenti si compene ( 1 ) Framm . I , p. 219. ( 2 ) Framm . III, p. 245. ( 3 ) Framm . III , p . 245. 46 trano e sono indispensabili. La consuetudine, senza la legge, può divenire anarchia , dominio della volontà parti colare. La legge, che astragga dalla volontà dei singoli, è mera parola, generalità senza significato. Siamo lon tani dallo storicismo tedesco dell'Hugo e del Savigny. La base, alla quale accenniamo, è d'una grande com plessità. Il costituzionalista, in particolare il legislatore, deve avere riguardo non solo ai costumi, agli usi, alla religione, ai bisogni economici, ma anche ai pregiudizi, ai difetti, ai mali del popolo. La vita non è ottima, nè buona : è male e dolore . Gli uomini sono buoni e cattivi, generosi ed egoisti, eroi e birbanti. Il più grave pericolo è che il legislatore, più filosofo che uomo politico, alla ricerca dell'eterno dimentichi il transeunte, alla ricerca dell'ottimo dimentichi il buono, creda non esservi il male. Le costituzioni debbono parlare alla fantasia e ai sensi dei popoli, avere una certa solennità, quasi un ele mento sacro, perchè « dopo le sue opinioni ed i suoi costumi, il popolo nulla ha di più caro che le apparenze della regolarità e dell'ordine » ( 1 ) . È un consiglio di este riorità. Poco importa ! Le plebi amano l'esteriorità . « Quelle leggi sono più rispettate dal popolo, che con mag giori solennità esterne colpiscono i sensi » ( 2 ) . Dunque, ammesso che un legislatore possa dare una costituzione, interpretando più che sia possibile le esi genze di una nazione, come potrà e dovrà egli compor tarsi ? .Un popolo ha dei costumi. « Non vi è nazione quanto si voglia corrotta e misera, la quale non abbia de costumi , che convien conservare ; non vi è governo quanto si voglia dispotico, il quale non abbia molte parti convenienti ad un governo libero. Ogni popolo che oggi è schiavo fu libero una volta.... Quanto più pesante sarà la schiavitù di un popolo, tanto più questi avanzi degli altri tempi gli saran cari ; perchè non mai tanto, quanto tra le avversità , ci son care le memorie dei tempi felici . Quanto più il governo che voi distruggete è stato ( 1 ) Framm . III , p. 246. ( 2) Framm. III , p. 246. 47 barbaro, tanto più numerosi avanzi voi rinvenite di an tichi costumi; perchè il governo, urtando troppo violen temente contro il popolo, l'ha quasi costretto a trince rarsi tra le sue antiche istituzioni, nè ha rinvenuto nei nuovi avvenimenti ragione di seguirli e di abbandonare ed obbliare gli antichi » ( 1 ). Nello sviluppo storico nulla si perde completamente : l'evoluzione vitale degli uomini e delle istituzioni loro è trasformazione e non distruzione, onde sotto la scorza della modernità si possono ritrovare i nuclei ancor verdi dell'antico. La tradizione non è un culto senza dèi, pro prio de' letterati e de ’ filosofi, è la vita della nazione, è quel che di più sacro essa ha, poi che rappresenta la sua continuità. Ciò non deve dimenticare il legislatore, come colui che è più vicino al palpito dei popoli, dovendo re golare le manifestazioni più svariate della loro attività privata e pubblica. « Questi avanzi di costumi e governo di altri tempi, che in ogni nazione s ' incontrano, sono preziosi per un legislatore saggio, e debbono formar la base dei suoi ordini nuovi. Il popolo conserva sempre molto rispetto per tutto ciò che gli viene dai suoi mag giori ; rispetto che produce talora qualche male, e spesso grandissimi beni. Ma coloro , che vorrebbero distruggerlo , non si avvedono che distruggerebbero in tal modo ogni fondamento di giustizia ed ogni principio d'ordine so ciale ? Noi non possiamo più far parlare gli dèi come i legislatori antichi facevano : facciamo almeno parlare gli eroi, che agli occhi dei popoli son sempre i loro antichi. Un popolo , il quale cangiasse la sua costituzione per solo amor di novità, non potrebbe far altro di meglio, che darsi una costituzione all'anno . Ma, per buona sorte, un tal popolo non esiste che nella fantasia di qualche filo sofo » ( 2 ) . Un legislatore quindi può realmente fare del bene alla nazione, ma deve seguire la natura, cioè la na zione stessa nel suo spirito, e trarre da essa il sistema costituzionale, non il sistema costituzionale da princípi ( 1 ) Framm . I , p . 220 e sg. ( 2 ) Framm . I , p . 221 . 48 che non sono nella natura, ma nella testa dei filosofi. « Tutto è perduto quando un legislatore misura la infi nita estensione della natura colle piccole dimensioni della sua testa, e che, non conoscendo se non le sue idee, gira per la terra come un empirico col suo segreto, col quale pretende medicar tutt'i mali » ( 1 ) . Vincenzo Cuoco ci si presenta come un tradizionalista e un moderato. Non bisogna distruggere per distruggere, perchè si può perdere il buono per un problematicissimo ottimo ; non bisogna atterrare, perchè non sempre si può ricostruire; non bisogna aprire un novus ordo, perchè i novi ordines dei filosofi sono in cielo e non in terra. Bi sogna costruire su quel che già è, edificare sulle fonda menta della storia, che non soffre soluzioni di continuità, riformare e non distruggere. « Io non credo la costitu zione consistere in una dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino » ( 2 ) . Essa è qualcosa di più profondo : è il popolo, il quale da sè stesso trae le norme regolatrici della sua esistenza, della sua attività, della felicità . « E chi non sa i suoi diritti ? Ma gran parte degli uomini li cede per timore; grandissima li vende per interesse : la costituzione è il modo di far sì che l'uomo sia sempre in uno stato da non esser nè indotto a venderli, nè costretto a cederli, nè spinto ad abusarne » ( 3) . Ciò è possibile solo in quanto la costituzione assicuri un medio benessere, attinga quella umana felicità , alla quale abbiamo ac cennato. Le rivoluzioni nascono da un malessere economico generalizzato. Le costituzioni post-rivoluzionarie debbono ristabilire l'equilibrio, il benessere, l'armonia, la vita pa cifica ed operosa. Per fare ciò bisogna intendere le esi genze e i bisogni della nazione, i suoi costumi, il suo carattere . Ecco perchè Cuoco ci dice che, se egli fosse invitato a dar leggi ad un popolo, vorrebbe prima stu diarlo e conoscerlo ; ecco perchè Cuoco ci dice che egli ( 1 ) Framm . I , p . 221 . ( 2 ) Framm. II, p. 233. ( 3 ) Framm . II , p. 233. 41 forse più accentuati da una dinamica naturale d'ora tore, da un estremismo fervente, che voleva, credo, far dimenticare in una vita intemeratamente vissuta un istante di antica debolezza ( 1) . Queste esagerazioni non sono proprie del tempera mento meridionale, ed in genere italiano. Ma, come bene osserva il Romano, calcando un giudizio di G. Zito ( 2 ) , « mentre all'inizio del movimento, i nostri alle teorie nuove davano di proprio la misura e la calma, in seguito invece l'intrepidezza deduttiva propria del tempera mento francese, non trovò più freni neppur da noi, e sovente le dottrine non furono sottoposte a tentativi di analisi e di giudizio » ( 3 ) . Ed è proprio così ! Anche Mario Pagano, mente geniale e solida, è travolto dalla corrente e segue l'andazzo . Il suo vichismo non è coerente a sè stesso , e risente gli influssi esterni, e , se pure gli studi suoi non sono pura speculazione metafisica, « giovevole se mai nella scuola e presso che inutile, se non pure dan nosa, nell'attrito reale del governo di uno Stato » ( +) , è certo però che il grande autore del Processo criminale si mostrò insufficiente all'ardua opera della ricostru zione . Dare la costituzione ad un popolo è l'opera più grande che un uomo possa a sè stesso assegnare, opera da far tremare le vene e i polsi non solo ai legislatori di oggi, ma a menti divine, come quelle di Platone e di Aristo tele. La costituzione non può essere una sovrastruttura , che i dirigenti impongano ad un popolo, perchè le costi tuzioni non si dànno ab externo, ma si formano nelle coscienze prima che sulla carta, e, se pure si impongono, non si reggono sulle armi e sui fucili. Il popolo è una realtà concreta viva palpitante, ne' suoi molteplici bi sogni, ne ' suoi desiderî , ne' suoi costumi , ne' suoi pre ( 1 ) B. CROCE, La rivoluzione napoletana , p. 87. ( 2 ) G. Zito, Vita cd opere di Mario Pagano, Potenza, Tip. Garramone, 1901 , passim . ( 3 ) M. ROMANO, op. cit. , p. 61. ( 4 ) ROMANO, op. cit . , p. 63. Il giudizio sull'opera del Pa gano è eccessivo e non può essere senz'altro condiviso da noi. 42 giudizi. Egli non sopporterà mai una legge, che non intende la sua intima vita e il suo benessere, che tra scenda la sua natura. « Le costituzioni sono simili alle vesti : è necessario che ogni individuo, che ogni età di ciascun individuo abbia la sua propria, la quale, se tu vorrai dare ad altri, starà male. Non vi è veste, per quanto sia mancante di proporzioni nelle sue parti, la quale non possa trovare un uomo difforme cui sieda bene ; ma, se vuoi fare una sola veste per tutti gli uomini, ancorchè essa sia misurata sulla statua modellaria di Poli clete, troverai sempre che il maggior numero è più alto, più basso, più secco , più grasso, e non potrà far uso della tua veste » ( 1 ) . Non esiste un ottimo costituzionale, esi ste un buono relativo alla vita delle singole genti . « Le costituzioni si debbono fare per gli uomini quali sono e quali eternamente saranno, pieni di vizi , pieni di er rori ; imperocchè tanto è credibile che essi voglian de porre que' loro costumi, che io reputo una seconda natura, per seguire le nostre istituzioni, che io credo arbitrarie e variabili, quanto sarebbe ragionevole un calzolaio che pretendesse accorciare il piede di colui cui avesse fatta corta una scarpa » ( 2 ) . I due raffronti con la veste e la scarpa, tratti dal mondo fisico, sono d'una evidenza mirabile. Il legislatore deve intendere il popolo, e costruire sulla base dei bisogni del popolo. Il popolo non parla. Ma per lui parla tutto, costumi, usanze, religione, pregiudizi, vizi. Le costituzioni non si fanno nei gabinetti e negli studî, nelle scuole e nelle accademie, nascono da sè, sotto l'impulso di concrete esigenze dell'anima collettiva, o più vichianamente della collettività , e il legislatore non può essere che un interprete di essa collettività, della ( 1 ) Seguo il già citato testo del NICOLINI , edito dal Laterza di Bari, che come tutte le altre ed . cuochiane, porta i Fram menti di lettere a V. Russo in appendice al Saggio. Per le ci tazioni basterà quindi la sigla Framm. seguita dal numero d’or dine I o II ecc., e dalla pagina dell'edizione barese, Framm . I , p. 218. ( 2 ) Framm. I , p. 219. 43 sono sua coscienza, non già il saggio che dal suo cielo di sa pienza impone norme e nomi. L'obietto delle costituzioni sono gli uomini, e gli uomini sono pieni di vizi, pieni di errori. Ora, chi si propone di legiferare deve prendere gli uomini, come sono, e non andare alla ricerca di un ottimo, che in na tura non è, contentarsi di rendere felici gli uomini, e ren dere felici gli uomini si può solo, soddisfacendo alla loro natura, che è un misto di buono e di cattivo, d'eticità e di pregiudizi, di religione e di ferocia . Siamo, come ognun vede, penetrati nel pieno della critica cuochiana, ma la mia mente, riflettendo su queste acutissime osservazioni, non può non instaurare un pa ragone tra il relativismo giuridico del nostro e lo stori cismo germanico di Gustavo Hugo e di Federico Carlo Savigny. È curioso ! Negli stessi anni, nell' infierire della rivoluzione francese, o quando ancor fresche ne le conseguenze, con basi, cultura diametralmente diverse, con intendimenti presso che uguali, scrivono in Italia il Cuoco, in Inghilterra il Burke, le di cui Riflessioni sulla rivoluzione francese sono del 1790, in Germania l'Hugo che nello stesso anno 1790 formula in un suo libro quei prin cípi , che poi il Savigny, nel 1814, nella polemica col Thibaut, svilupperà nell'operetta : Della vocazione del nostro tempo per la legislazione e la giurisprudenza . Ma tra il Savigny e l'illuminismo rivoluzionario c'è uno sviluppo continuo di pensiero germanico, tra il Cuoco e la rivoluzione non c'è transizione, poi che egli scrive i Frammenti nella rivoluzione stessa, quando già i san fedisti di Ruffo sono alle porte della città. Notiamo però come un certo parallelo c'è : il nostro si ricollega al Vico, tradizione perenne d'italianità ; il Savigny parla di una coscienza giuridica popolare, che non può non tro vare la sua origine nella filosofia idealista tedesca, Schel ling e Hegel, ai quali il grande giurista si ricollegano. Guardiamo brevemente la questione. Col Cuoco siamo da un punto di vista filosofico giuridico più innanzi, ma il parallelismo non manca . Che cosa è il diritto per il Sa vigny che combatte l'unificazione legislativa e la codi 44 ficazione proposta dal Thibaut ? Non certo un quid astratto, vivo nel solo pensiero del legislatore. Il diritto ha úna vita sua propria nella vita d'ogni giorno, che non è che consuetudine irriflessa e pratica comune. Ricor diamo lo Schelling : il principio dello spirito collettivo, principio animatore in perpetuo divenire, si sviluppa dalla sua filosofia, dall'evoluzione stessa della natura nell'infinita sua produttività , concepita non più come mero oggetto, ma come soggetto, nucleo di sviluppo di tutto il pensiero germanico, che dal dualismo di Kant risolve il problema, attraverso Schelling, in Hegel, ul tima conseguenza della posizione kantiana. Il concetto evolutivo della natura trascorre nel diritto. Il diritto è la manifestazione d'una coscienza giuridica che è nel popolo, il quale popolo ha una sua anima ( la Volkseele dello Schelling ), che determina la morale, l'arte, il lin guaggio, e così pure il diritto e la costituzione politica. Quel che nello Schelling è generalmente accennato all'ori gine della costituzione e degli ordini civili, nel Savigny è applicato ad una questione concreta : se convenga im mobilizzare il diritto, elaborazione istintiva e irriflessa , viva nella consuetudine, in un sistema di codici. Donde una illazione : la costituzione, legge fondamentale, non può che essere la risultante d’un'elaborazione incosciente del popolo, che il legislatore può cogliere ed inquadrare per princípi, ma non ex novo, così come il grammatico studia la lingua già formata e non crea la lingua. Il Cuoco più concretamente non arriva alle conclusioni un po' anarchiche del Savigny, il quale in reazione ad una filosofia che pretendeva di sistematizzare e creare tutto a fil di logica, si appalesa ostile ad ogni costituzione scritta , come ad ogni codificazione; il Cuoco ammette in vece che un legislatore possa compilare un progetto di costituzione. Ma come ? Il legislatore deve interpretare i bisogni del popolo, alla felicità del quale vuol provve dere. Il principio base è uno. « Le costituzioni durevoli sono quelle che il popolo si forma da sè » ( 1 ) . Ciò non nel ( 1 ) Framm . I , p. 218 , 33 civile. Aggiungiamo a ciò quella sua ritrosia, quella specie di natural pigrizia, di cui abbiamo detto, e comprende remo un altro elemento della solitudine di Vincenzo e della sua critica . Ma la causà principale del suo atteg giamento negativo è sopra tutto, innanzi tutto spirituale culturale . Che cosa è la rivoluzione per lui , nutrito di studi con creti d'economia e di storia ? La documentazione della risposta sta in tutto il Saggio storico, ma io credo che egli, sin dagli inizi del movimento sovversivo , dovesse pensarla come si espresse in seguito, altrimenti non si spiega in qual maniera egli abbia potuto in piena repub blica scrivere i suoi Frammenti di lettere dirette a Vincenzio Russo, in risposta al Progetto di costituzione di Mario Pa gano. Nella dedicatoria del suo Saggio, nella Lettera del l'autore a N.Q. scrive : « Come va il mondo ! Il re di Na poli dichiara la guerra ai francesi ed è vinto ; i francesi conquistano il di lui regno e poi l'abbandonano ; il re ritorna e dichiara delitto capitale l’aver amata la patria mentre non apparteneva più a lui . Tutto ciò è avvenuto senza che io vi avessi avuto la minima parte, senza che neanche lo avessi potuto prevedere: ma tutto ciò ha fatto sì che io sia stato esiliato, che sia venuto in Milano, dove, per certo, seguendo il corso ordinario della mia vita, non era destinato a venire, e che quivi , per non aver altro che fare, sia diventato autore . Tutto è concatenato nel mondo, diceva Panglos : possa tutto esserlo per lo meglio ! » ( 1 ). Egli dichiara che nella rivoluzione tutto si è svolto senza che egli vi abbia avuto nessuna parte, senza che egli vi sia intervenuto . L'affermazione è vera solo in quanto si sappia intenderla. Il Cuoco ha preso parte agli avvenimenti politici del tempo, egli primo lo sa, e i nuovi studi lo confermano, anche quando per prudenza tace con il fine di non compromettere persone, che non vuol compromettere. Nel capo I del suo Saggio, esplicando la natura del suo lavoro, studio di idee e non di fatti, con cui quasi intende prevenire il giudizio della ( 1 ) V. Cuoco , Saggio storico , p. 11 . 3 E. BATTAGLIA . 34 posterità sugli avvenimenti , di cui è stato spettatore e di cui imprende la narrazione, s'esprime diversamente. « Dichiaro che non sono addetto » scrive « ad alcun par tito , a meno che la ragione e l'umanità non ne ab biano uno. Narro le vicende della mia patria ; racconto avvenimenti che io stesso ho veduto e de'quali sono stato io stesso un giorno non ultima parte ; scrivo pei miei con cittadini, che non debbo, che non posso, che non voglio ingannare » ( 1 ) . Dunque di fatto l'autore stesso accetta la partecipa zione. Che vuol dire ? Cuoco sin dall'inizio della rivo luzione ha la coscienza della passività di questa, in quanto è opera d'una classe colta, che ha suoi bisogni speciali, più intellettuali che materiali, e non opera del popolo, il vero agente delle grandi rivoluzioni; ha la coscienza della fatalità del movimento repubblicano, in quanto non spontaneo, scaturito invece da contraccolpi internazionali, che nessuno può evitare e dirigere; ma nello stesso tempo egli non può sottrarsi al terribile vortice che lo attrae, perchè la sua educazione e in parte la sua cultura sono quelle della classe dirigente, perchè conosce la nobiltà dei propositi di questa, perchè sa, e questo sovra ogni altra cosa è decisivo, l'ignominia che da dieci anni in qua ha guidato i Borboni e i loro fa voriti , incapacità, cupidigia, sfrenatezza. La rivoluzione per Vincenzo è davvero un fatale vortice. La parola « vortice » per caratterizzare la rivoluzione ricorre spesso ne' suoi scritti . Egli non ne condivide le idee, ne critica la genesi, ne prevede la triste fine, ciò non per tanto non può sottrarsene perchè i suoi bisogni, la sua classe, la sua posizione sociale infallibilmente lo traggono ad una par tecipazione, che noi possiamo, come la rivoluzione stessa , chiamare passiva ( 2 ) . Nè basta ! Egli vede che la rivo luzione di Napoli è più francese che italiana ; che gli uomini, che sono alla testa della cosa pubblica, sono più ( 1 ) V. Cuoco , Saggio storico , I , p. 16 . ( 2 ) Oltre i brani citati cfr. Saggio storico , VIII , p. 47 ; XV, p. 84 ; XVI, p. 90. 35 illuministi che non i pensatori francesi, che s ’ astrag gono dalla realtà e costruiscono sull’acqua, alla ricerca d'un bene che dovrebbe provenire dalla pura ragione, senza nessi con i bisogni concreti delle masse, senza legami con l'immanente vita pubblica, che vuole essere soddisfatta con provvedimenti specifici e non con le pa role. Questo il Cuoco nota, e doveva aver già notato da un pezzo : fin dai primi processi del '94 il giovine Vin cenzo ha dovuto notare l'astrattismo repubblicano, con sacrato del resto dal sangue de' martiri, e meditarlo aspramente, molto aspramente, se poi darà nel Saggio giudizi rudi contro i fanciulli e gli studenti infrancio sati ( 1 ). Queste poche osservazioni bastano a spiegarci il contegno di Vincenzo Cuoco nei grandi eventi del 1799, contegno di critica, dunque, dovuto ad un diverso tem peramento culturale, ad una vera antitesi o incompati bilità d'educazione e di metodo tra il nostro e i suoi compatrioti, non già, come qualche storico vuole ( 2) , ad un vero e proprio antifrancesismo , antifrancesismo, che, se potè essere difesa de costumi e del pensiero italiano contro la moda straniera, non fu mai astio contro la nobile nazione gallica, nella quale anzi l'autore degli articoli del Giornale italiano, di cui parleremo a lungo, ebbe grande fiducia per l'avvenire d'Italia. Questo può spiegarci la natura dei Frammenti di lettere a Vincenzio Russo, che ci appaiono non l'appendice, come giusta mente nota il Romano, ma i precedenti solidi e sobri del Saggio storico ( 3 ) . ( 1 ) M. Rosi, op. cit. , v. I, p. 206 e sgg.; B. CROCE, La rivo luzione napoletana, pp. 194-230, ove troverai abbondanti notizie sui primi movimenti sovvertitori a Napoli, sui primi processi , sulla morte eroica di De Deo, Vitaliani e Galiani. ( 2 ) P. HAZARD, op. cit. , 219 e sgg. ( 3) Prima di andare innanzi bisogna pur dire poche parole intorno ad una questione cuochiana. Si tratta d'un argomento già dibattuto e risolto , ma su cui mette conto indugiarsi , poi che la figura del nostro dal contrasto s’avvantaggia e non è menomata. U. Tria in una sua nota, Vincenzo Cuoco a propo sito di due sue lettere inedite , pubblicata in Rassegna critica della 36 Dopo che il Governo provvisorio di Napoli fu diviso in due commissioni, la legislativa e l'esecutiva, la prima letteratura italiana , v. VI, ( 1901), p. 193 e sgg. , getta gravi ac cuse sulla figura morale del molisano. Le lettere , sulle quali il Tria basala sua requisitoria contro il nostro autore, sono state alui date dal signor L. A. Trotta di Toro ( Molise) . « In tutte e due le lettere » , scrive il Tria « il Cuoco di scorre liberamente con il fratello [Michele Antonio] di sè stesso, dei suoi interessi , dei progetti , delle speranze sue. Evidente mente egli non si angustiava del suo avvenire, non perchè le difficoltà incontrate aMilano fossero moltissime, ma, anelando egli a raggiungere una condizione migliore e più comoda degli indugi si infastidiva ,e per sè stesso e per il vantaggio dei suoi, che sempre aveva nel cuore. Nè gli studi sulla storia degli an tichi italiani, che proprio in quegli anni andava facendo, nè le vicende non liete della patria sua oppressa, nè il rumore degli inauditi successi di Napoleone lo distoglievano dal suo particu , lare, siccome avrebbe detto molto esattamente il Guicciardini ! » . Cosi il Tria : e tutto ciò , perchè il povero Cuoco, pur tra le angu stie economiche dell'esilio, rivolge il pensiero ai suoi cari ! Ma fin qui poco male, se il Tria, basandosi su alcune frasi dello scri. vente, non avesse voluto gravar la mano anche sull’uomo poli tico . Vediamo prima di tutto le frasi incriminate . In quel tempo, siamo tra il 1871 e il 1802, il governo borbonico era disposto a concedere al Cuoco il perdono , ma egli lo rifiutò . « A che ritor nerei io in patria — scrive l’esule al fratello . - Se io fussi reo, accetterei un perdono : ma un uomo che non ha avuto la viltà di far un delitto, un uomo che ha potuto esser condannato solo perchè si trovò strascinato in un vortice che egli odiava, ma a cui era im possibile resistere ; un uomo in cui l ' amor della patria, della pace, della virtù non sono parole, un tale uomo non deve cer tamente esser contento di un perdono che gli lascia sempre l'apparenza di reo » . Alte sublimi parole, che non possiamo non raffrontare con quelle non meno alte e sublimi, con cui l'Ali ghieri rispondeva all'amico fiorentino, che gli annunciava l'umi liante grazia del sospirato ritorno in patria. Ebbene in esse il Tria vede un indice di disdegno verso la rivoluzione, dal Cuoco designata col nome di vortice . « Le parole sue» commenta, « hanno un certo sapore di pentimento e di ritrattazione, che non gli fanno onore: ora egli sconfessa gli atti e gli scatti del cittadino Cuoco, che pure, durante la Repubblica, s'era reso benemerito della patria ; si dice un fuorviato, dimentica i compagni di lotta, di patimenti, li rinnega » . Abbiamo citato abbondevolmente dal Tria , tanto più per di mostrare come ci si discosti dal vero, quando, sedotti dalle ap parenze ci si abbandona ad esse , senza penetrare nello spirito 37 potè volgersi alla compilazione d’una legge- base per la repubblica, e architetto un progetto . Il lavoro porta nell'edizione che ho sott'occhio il seguente titolo : Pro getto di costituzione della repubblica napoletana del 1799 per Mario Pagano, Giuseppe Logoteta e Giuseppe Cestari ( 1 ) , ed è diviso in un Rapporto del Comitato di Legislazione al Governo provvisorio, opera del Pagano, chè lo stile e tutto lo appalesa, e in una Dichiarazione dei diritti e doveri dell'uomo, del cittadino, del popolo e de' suoi rap presentanti, a stendere la quale fu certo maxima pars il celebre autore dei Saggi politici . Per mezzo di Vincenzo Russo il Pagano dovette farne pervenire una copia al Cuoco. Questi rispose coi Frammenti ( 2 ) . di uno scrittore. Potremmo a questo punto intraprendere una confutazione delle operazioni del Tria, ma non lo facciamo, per chè la confutazione scaturisce da tutto il nostro lavoro ,e perchè già fatta da N. RUGGIERI, op. cit. , p. 34 e sgg . e da M. ROMANO, op. cit. , p. 51 e sgg. , i quali non hanno nulla tralasciato per lu meggiare storicamente la complessa figura del molisano. Noi perconto nostro abbiamo insistito su questo punto per mettere in guardia il lettore su certi atteggiamenti del Cuoco , che , certo in antitesi con l'atteggiamento del tempo suo, occorre valutare da un punto di vista molto elevato, quasi metastorico, come quello che spesso trascende l'èra sua per incontrare nel passato e nell'avvenire la più vera essenza del popolo nostro. ( 1 ) Seguo per la Costituzione del Pagano l'edizione nap. del 1861, Rapporto al cittadino Carnot sulla catastrofe napoletana del 1799 per FRANCESCO LOMONACO, con cenni sulla vita del l'autore, note e aggiunte di MARIANO D'AYALA ed infine il Pro getto di costituzione della repubblica napoletana del 1799 per MARIO PAGANO, GIUSEPPE LOGOTETA e GIUSEPPE CESTARI, con note di ANGELO LANZELLOTTI, Napoli, Tip. di M. Lombardi. ( 2 ) I Frammenti si credono quasi certamente anteriori al Saggio, scritti quindi proprio durante la rivoluzione, a meno che non si riesca a provare, il che non mi sembra facile , che siano stati scritti col Saggio o del tutto dopo. Del resto ideal mente vanno innanzi. N. RUGGIERI, op . cit ., p . 17 , li crede an ch'egli , scritti durante il tempo della Partenopea: a pag. 132 della sua monografia conferma il suo giudizio cronologico, in nota dà notizie sulla bibliografia del Progetto del Pagano, inedito fino al giorno, in cui il Cuoco stampa il Saggio con l'ap . pendice dei Frammenti, pubblicato la prima volta a Napoli nel 1820 da Angelo Lancellotti, seguito da 30 note, 10 sue, 20 38 La critica al progetto ci mostra intero l'animo di Vin cenzo Cuoco e la sua lucida netta precisa opposizione agli immortali ed astratti princípi. Ma prima due parole su Vincenzio Russo. Potrebbe sembrare un puro caso che le lettere siano a lui indirizzate. Si dirà : una grande ami cizia univa il Russo al Cuoco, amicizia d'antica data, in trinsichezza fraterna; si dirà : il Russo ha fatto pervenire all'amico studioso il Progetto di costituzione, ond' egli ne prenda visione per le sue ricerche, quindi è naturale che a lui sia diretta la critica ideale della legge. Sì, tutto ciò va bene, ma non bisogna dimenticare che proprio Vin cenzio Russo è il rappresentante tipico dell'astratto rivo luzionarismo, di cui il nostro fa la requisitoria, proprio il Russo il corifeo dell'estremismo che il Cuoco detesta ( 1 ) , proprio il Russo, il socialista che crede furto la proprietà che l'amico invece pone base della nuova società e del nuovo ordinamento civile , come diremo. Teniamo pre sente ciò e le lettere assumeranno un duplice valore, di critica scientifica e giuridica, d'opposizione ad un si stema politico culturale . Sono, ripeto, l'una contro l'altra due filosofie, due sistemi, il sistema rivoluzionario, esu berante e fiducioso nel momentaneo trionfo dell'idea, il sistema liberale moderato, più realistico, che solo nel tempo lentamente spera di vedere sanzionata dalla storia la sua forza . Chi era Vincenzio Russo ? ( 2 ) . Basta leggere i suoi Pen del Cuoco, ripubblicato conle sedicenti note del Lancellotti nella cit. edizione napoletana del '61 . Il ROMANO, op. cit ., p. 22 e p. 62 e sgg. crede i Frammenti anteriori al Saggio. Lo stesso il CROCE, La rivoluzione napoletana, p. 108. ( 1 ) B. CROCE, La rivoluzione napoletana, p. 108 e sgg. , scrive a proposito del Russo e del suo estremismo : « Certo , anche gli amici che gli volevano bene e l'avevano in grande stima per la sincerità e nobiltà dei suoi convincimenti, come il suo compagno della prima giovinezza Vincenzo Cuoco non potevano appro. vare la via senza uscita per la quale egli si era messo » . ( 2 ) Su V. Russo vedi B. CROCE, La rivoluzione napoletana, pp. 85-112 ; nonchè G. DE RUGGIERO, Il pensiero politico meri dionale nei secoli XVIII e XIX, Laterza ed ., Bari, 1922, p. 120 e sgg. , che ci offre una buona analisi del pensiero del, 39 sieri politici , sui quali lo stesso Cuoco esprime nel Saggio un giudizio ( 1 ) un po ' incolore, sebbene ne tra peli una critica, per intendere il suo astrattismo . Rileg giamo, a proposito, le parole di Benedetto Croce. Il suo sistema si fondava « sull'idea di una repubblica popo lare , in cui ciascuno possederebbe un pezzo di terra da coltivare direttamente e da trarne i mezzi di sussistenza. Non testamenti e non atti tra vivi, e neanche succes sioni legittime ; alla morte del possessore la quota di lui sarebbe tornata alla repubblica per una nuova di stribuzione. Gli uffici esercitati dagli stessi cittadini agricoltori, epperò senza stipendio, altro che i mezzi di sussistenza a coloro cui fosse tolto il tempo di lavorare personalmente la terra ; al qual uopo si sarebbero fatti leggieri prelevamenti sulle quote dei coltivatori. L'in dustria, domestica e ridotta al puro necessario ; e il com mercio ridotto , del pari, a permuta di cose necessarie. Nessun lusso di nessuna sorta ; l'istruzione si sarebbe ristretta principalmente alla morale repubblicana e ai princípi dell'agricoltura. Nessuna religione, tranne forse « un tal quale vincolo di fratellanza nel centro di una idea sublimamente tenebrosa » ; e quindi, non classe sa cerdotale. Non grandi città : una serie di piccoli villaggi costituirebbero le nazioni. E, tra le nazioni, non più guerre, tranne quelle per liberare le nazioni oppresse o per respingere tentativi di oppressione. Le nazioni, in unione tra loro, avrebbero poi formato, come termine ultimo, la « Società universale » ( 2 ). Era nel Russo, come in molti rivoluzionari, special l ' insigne martire del '99, specie nelle sue derivazioni dal Leib nitz e dal Rousseau . Un sunto delle dottrine del Russo ci of. frono V. FIORINI e F. LEMMI. Il periodo napoleonico dal 1799 al 1815, Milano, Vallardi, s . d. , p. 167 e sgg . ( 1 ) Il giudizio ( Saggio, L , p. 209) è il seguente: « La sua opera de Pensieri politici è una delle più forti che si possano leggere. Egli ne preparava una seconda edizione, e t'avrebbe resa anchemigliore, rendendola più moderata » . In quel miglio ramento nella moderazione sta tutto Cuoco ! ( 2) B. CROCE, La rivoluzione napoletana, p. 90 e sgg. 40 mente meridionali, un misto curiosissimo di anticlerica lismo e di romanità, di filosofia ellenica e di razionalismo moderno, di evangelicità e di naturalismo, che univa insieme Leibniz e Mably, Condorcet e Bruno, Campa nella e Tacito, Platone e Saint- Just, un misto di fierezza spartana e di retorica petroliera, di rigidità catoniana e di montatura civica. Ma se guardiamo il Russo e la sua opera ( 1 ) , non vi troveremo certo il gonfio anticle ricalismo e le diatribe di Francesco Lomonaco, che potè col suo scilinguagnolo incantare il giovinetto Manzoni, ma non potè incantare la posterità ; troveremo, invece, contrasti, contraddizioni, astrattismi, ma in fondo un sistema, una volontà, un regime di vita e una aspira zione, sia pure non realizzata, al concreto ( 2 ) . Nella pre fazione ai suoi Pensieri politici scrive : « Io non ho volta la mente nè alle antiche repubbliche nè alle moderne, non alle nuove nè alle vetuste legislazioni : ho consul tato nelle cose stesse la verità » . Quindi un desiderio di analizzare l'uomo ne'suoi bisogni specifici, e sovra essi fondare la sua repubblica, mentre i bisogni stessi individualmente indeterminabili, concetti economici in sommo grado subiettivi, gli sfuggono. In fondo anche il Russo è un astratto e non si distingue dai repubblicani, se non per ingegno, non certo per diversità di metodo e di pratica politica. Basta rileggere i Pensieri e lo studio del Croce per convincersi che i suoi concetti, democra tizzazione sistematica , educazione repubblicana e sta tale, fraternità tra i popoli, sono quelli della generalità, ( 1) La prima edizione dei Pensieri politici è dell'anno 1798 , allorquando il Russo, esule da Napoli, trovavasi a Roma, e fu stampata per sottoscrizione:Pensieri politici diVINCENZIO Russo, napolitano, Roma, presso il cittadino V. Poggioli, anno I della ri stabilita repubblica Romana. L'opera fu ristampata in Milano tra il 1800 e il 1801 ( Milano, anno IX , Tip. Milanese in Strada nuova , n. 561) ; e poi ancora a Napoli nel 1861 ( ed. a cura del D’Ayala) e nel 1894 ( ed. a cura di B. Peluso con pref. di E. De Marinis ) . Vedi a proposito B. CROCE, La rivoluzione napole tana , p. 98, p. 112. ( 2) B. CROCE, La rivoluzione napoletana, p. 92 e sg. 41 forse più accentuati da una dinamica naturale d'ora tore, da un estremismo fervente, che voleva, credo, far dimenticare in una vita intemeratamente vissuta un istante di antica debolezza ( 1 ) . Queste esagerazioni non sono proprie del tempera mento meridionale, ed in genere italiano . Ma, come bene osserva il Romano, calcando un giudizio di G. Zito ( 2) , « mentre all'inizio del movimento, i nostri alle teorie nuove davano di proprio la misura e la calma, in seguito invece l ' intrepidezza deduttiva propria del tempera mento francese, non trovò più freni neppur da noi, e sovente le dottrine non furono sottoposte a tentativi di analisi e di giudizio » ( 3) . Ed è proprio così ! Anche Mario Pagano, mente geniale e solida, è travolto dalla corrente e segue l'andazzo . Il suo vichismo non è coerente a sè stesso , e risente gli influssi esterni, e , se pure gli studi suoi non sono pura speculazione metafisica, « giovevole se mai nella scuola e presso che inutile, se non pure dan nosa, nell'attrito reale del governo di uno Stato » ( 1 ) , è certo però che il grande autore del Processo criminale si mostrò insufficiente all'ardua opera della ricostru zione. Dare la costituzione ad un popolo è l'opera più grande che un uomo possa a sè stesso assegnare, opera da far tremare le vene e i polsi non solo ai legislatori di oggi, ma a menti divine, come quelle di Platone e di Aristo tele . La costituzione non può essere una sovrastruttura , che i dirigenti impongano ad un popolo , perchè le costi tuzioni non si dànno ab externo, ma si formano nelle coscienze prima che sulla carta, e, se pure si impongono, non si reggono sulle armi e sui fucili . Il popolo è una realtà concreta viva palpitante, ne' suoi molteplici bi sogni, ne' suoi desiderî, ne' suoi costumi, ne' suoi pre ( 1 ) B. CROCE , La rivoluzione napoletana, p. 87 . ( 2 ) G. ZITO, Vita ed opere di Mario Pagano, Potenza, Tip. Garramone, 1901 , passim . ( 3 ) M. ROMANO, op. cit . , p. 61. ( 4) ROMANO, op. cit. , p. 63. Il giudizio sull'opera del Pa gano è eccessivo e non può essere senz'altro condiviso da noi. 42 e giudizi. Egli non sopporterà mai una legge, che non intende la sua intima vita e il suo benessere, che tra scenda la sua natura. « Le costituzioni sono simili alle vesti : è necessario che ogni individuo, che ogni età di ciascun individuo abbia la sua propria , la quale , se tu vorrai dare ad altri, starà male. Non vi è veste, per quanto sia mancante di proporzioni nelle sue parti, la quale non possa trovare un uomo difforme cui sieda bene ; ma, se vuoi fare una sola veste per tutti gli uomini, ancorchè essa sia misurata sulla statua modellaria di Poli clete, troverai sempre che il maggior numero è più alto, più basso, più secco, più grasso, e non potrà far uso della tua veste » ( 1 ) . Non esiste un ottimo costituzionale, esi ste un buono relativo alla vita delle singole genti. « Le costituzioni si debbono fare per gli uomini quali sono quali eternamente saranno, pieni di vizi, pieni di er rori ; imperocchè tanto è credibile che essi voglian de porre que' loro costumi, che io reputo una seconda natura, per seguire le nostre istituzioni, che io credo arbitrarie e variabili, quanto sarebbe ragionevole un calzolaio che pretendesse accorciare il piede di colui cui avésse fatta corta una scarpa » ( 2 ) . I due raffronti con la veste e la scarpa, tratti dal mondo fisico , sono d'una evidenza mirabile. Il legislatore deve intendere il popolo, e costruire sulla base dei bisogni del popolo. Il popolo non parla. Ma per lui parla tutto, costumi, usanze, religione, pregiudizi, vizi . Le costituzioni non si fanno nei gabinetti e negli studî, nelle scuole e nelle accademie, nascono da sè, sotto l ' impulso di concrete esigenze dell'anima collettiva , o più vichianamente della collettività, e il legislatore non può essere che un interprete di essa collettività , della ( 1 ) Seguo il già citato testo del NICOLINI , edito dal Laterza di Bari,che come tutte le altre ed. cuochiane, porta i Fram menti di lettere a V. Russo in appendice al Saggio. Per le ci tazioni basterà quindi la sigla Framm . seguita dal numero d'or dine I o II ecc., e dalla pagina dell'edizione barese. Framm. I , p. 218 . ( 2 ) Framm. I , p. 219, 43 1 sono sua coscienza, non già il saggio che dal suo cielo di sa pienza impone norme e nomi. L'obietto delle costituzioni sono gli uomini, e gli uomini sono pieni di vizi, pieni di errori. Ora, chi si propone di legiferare deve prendere gli uomini, come sono, e non andare alla ricerca di un ottimo, che in na tura non è, contentarsi di rendere felici gli uomini, e ren dere felici gli uomini si può solo, soddisfacendo alla loro natura, che è un misto di buono e di cattivo, d'eticità e di pregiudizi, di religione e di ferocia . Siamo, come ognun vede, penetrati nel pieno della critica cuochiana, ma la mia mente, riflettendo su queste acutissime osservazioni, non può non instaurare un pa ragone tra il relativismo giuridico del nostro e lo stori cismo germanico di Gustavo Hugo e di Federico Carlo Savigny. È curioso ! Negli stessi anni, nell' infierire della rivoluzione francese, o quando ancor fresche ne le conseguenze, con basi, cultura diametralmente diverse, con intendimenti presso che uguali, scrivono in Italia il Cuoco, in Inghilterrà il Burke, le di cui Riflessioni sulla rivoluzione francese sono del 1790, in Germania l'Hugo che nello stesso anno 1790 formula in un suo libro quei prin cípi, che poi il Savigny, nel 1814, nella polemica col Thibaut, svilupperà nell'operetta : Della vocazione del nostro tempo per la legislazione e la giurisprudenza. Ma tra il Savigny e l'illuminismo rivoluzionario c'è uno sviluppo continuo di pensiero germanico, tra il Cuoco e la rivoluzione non c'è transizione, poi che egli scrive i Frammenti nella rivoluzione stessa, quando già i san fedisti di Ruffo sono alle porte della città. Notiamo però come un certo parallelo c'è : il nostro si ricollega al Vico, tradizione perenne d'italianità ; il Savigny parla di una coscienza giuridica popolare, che non può non tro vare la sua origine nella filosofia idealista tedesca, Schel ling e Hegel, ai quali il grande giurista si ricollegano. Guardiamo brevemente la questione . Col Cuoco siamo da un punto di vista filosofico giuridico più innanzi, ma il parallelismo non manca. Che cosa è il diritto per il Sa vigny che combatte l'unificazione legislativa e la codi 44 ficazione proposta dal Thibaut ? Non certo un quid astratto , vivo nel solo pensiero del legislatore. Il diritto ha una vita sua propria nella vita d'ogni giorno, che non è che consuetudine irriflessa e pratica comune. Ricor diamo lo Schelling : il principio dello spirito collettivo, principio animatore in perpetuo divenire, si sviluppa dalla sua filosofia, dall'evoluzione stessa della natura nell'infinita sua produttività, concepita non più come mero oggetto , ma come soggetto, nucleo di sviluppo di tutto il pensiero germanico, che dal dualismo di Kant risolve il problema, attraverso Schelling, in Hegel, ul tima conseguenza della posizione kantiana. Il concetto evolutivo della natura trascorre nel diritto . Il diritto è la manifestazione d'una coscienza giuridica che è nel popolo, il quale popolo ha una sua anima ( la Volkseele dello Schelling) , che determina la morale, l'arte, il lin guaggio, e così pure il diritto e la costituzione politica . Quel che nello Schelling è generalmente accennato all’ori gine della costituzione e degli ordini civili , nel Savigny è applicato ad una questione concreta : se convenga im mobilizzare il diritto , elaborazione istintiva e irriflessa, viva nella consuetudine, in un sistema di codici. Donde una illazione: la costituzione , legge fondamentale, non può che essere la risultante d’un'elaborazione incosciente del popolo, che il legislatore può cogliere ed inquadrare per princípi, ma non ex novo, così come il grammatico studia la lingua già formata e non crea la lingua. Il Cuoco più concretamente non arriva alle conclusioni un po' anarchiche del Savigny, il quale in reazione ad una filosofia che pretendeva di sistematizzare e creare tutto a fil di logica, si appalesa ostile ad ogni costituzione scritta, come ad ogni codificazione; il Cuoco ammette in vece che un legislatore possa compilare un progetto di costituzione. Ma come ? Il legislatore deve interpretare i bisogni del popolo, alla felicità del quale vuol provve dere. Il principio base è uno . « Le costituzioni durevoli sono quelle che il popolo si forma da sé » ( 1 ) . Ciò non nel ( 1 ) Framm . I, p . 218 . 45 senso che le costituzioni siano una formazione assoluta mente irriflessa e popolaresca, che il giurista osserva senza intervenire, passivo, ma nel senso che non possano prescindere, sia pure quando sono opera di studio perso nale e di ricerca dotta, dalla concreta realtà della nazione. La faccenda si chiarifica. La Volkseele dello Schelling, la coscienza giuridica popolare del Savigny diventano, sono nel Cuoco , più concreto e positivo , i bisogni del po polo, bisogni economici e materiali, religiosi e morali, qualcosa di più tangibile . « I nostri filosofi, » scrive « sono spesso illusi dall'idea di nu ottimo, che è il peggior nemico del bene. Se si volesse seguire i loro consigli, il mondo, per far sempre meglio, finirebbe col non far nulla » . « L'ottimo non è fatto per l'uomo.... » ( 1 ) . Costoro, ai quali accenna il critico, sono i rivoluzionari astratti, che credono ad un universale, che non è, e vanno tanto alto da perdere ogni contatto col mondo. Una costituzione non può scaturire dal cervello di un uomo, come Pallade dal cervello di Giove, armata e folgorante ; deve sorgere dopo mature riflessioni , sulla natura della nazione deve avere una base. « Questa base deve poggiare sul carattere della nazione, deve precedere la costituzione ; e mentre con questa si determina il modo in cui una nazione debba esercitare la sua sovra nità, vi debbono esser molte cose più sacre della costi tuzione istessa, che il sovrano, qualunque sia, non deve poter alterare » ( 2 ) . Nessuno può « tôrre al popolo tutti i suoi costumi, tutte le sue opinioni, tutti gli usi suoi, che io chiamerei base di una costituzione » ( 3 ). Il Cuoco , se osserviamo bene la questione, distingue due momenti: una elaborazione incosciente del popolo che crea istituti giuridici, per consuetudine, desumendoli dalla sua stessa essenza ; una elaborazione cosciente e riflessa, che sistematizza e regola ciò che nel popolo era mera pratica senza norma. Questi due momenti si compene ( 1 ) Framm. I , p. 219 . ( 2 ) Framm. III , p. 245 . ( 3 ) Framm . III , p. 245. 46 trano e sono indispensabili. La consuetudine, senza la legge, può divenire anarchia , dominio della volontà parti colare . La legge, che astragga dalla volontà dei singoli, è mera parola, generalità senza significato . Siamo lon tani dallo storicismo tedesco dell'Hugo e del Savigny. La base, alla quale accenniamo, è d'una grande com plessità. Il costituzionalista, in particolare il legislatore, deve avere riguardo' non solo ai costumi, agli usi, alla religione, ai bisogni economici, ma anche ai pregiudizi, ai difetti, ai mali del popolo . La vita non è ottima, nè buona : è male e dolore. Gli uomini sono buoni e cattivi, generosi ed egoisti, eroi e birbanti. Il più grave pericolo è che il legislatore, più filosofo che uomo politico, alla ricerca dell'eterno dimentichi il transeunte, alla ricerca dell'ottimo dimentichi il buono, creda non esservi il male. Le costituzioni debbono parlare alla fantasia e ai sensi dei popoli, avere una certa solennità, quasi un ele mento sacro, perchè « dopo le sue opinioni ed i suoi costumi, il popolo nulla ha di più caro che le apparenze della regolarità e dell'ordine » ( 1 ) . È un consiglio di este riorità . Poco importa ! Le plebi amano l'esteriorità . « Quelle leggi sono più rispettate dal popolo, che con mag giori solennità esterne colpiscono i sensi » ( 2) . Dunque, ammesso che un legislatore possa dare una costituzione, interpretando più che sia possibile le esi genze di una nazione, come potrà e dovrà egli compor tarsi ? Un popolo ha dei costumi. « Non vi è nazione quanto si voglia corrotta e misera, la quale non abbia de' costumi, che convien conservare ; non vi è governo quanto si voglia dispotico, il quale non abbia molte parti convenienti ad un governo libero . Ogni popolo che oggi è schiavo fu libero una volta ... Quanto più pesante sarà la schiavitù di un popolo, tanto più questi avanzi degli altri tempi gli saran cari ; perchè non mai tanto, quanto tra le avversità, ci son care le memorie dei tempi felici . Quanto più il governo che voi distruggete è stato ( 1 ) Framm . III , p . 246. ( 2) Framm. III , p. 246. 47 barbaro, tanto più numerosi avanzi voi rinvenite di an tichi costumi; perchè il governo, urtando troppo violen temente contro il popolo, l'ha quasi costretto a trince rarsi tra le sue antiche istituzioni, nè ha rinvenuto nei nuovi avvenimenti ragione di seguirli e di abbandonare ed obbliare gli antichi (1 ). Nello sviluppo storico nulla si perde completamente : l'evoluzione vitale degli uomini e delle istituzioni loro è trasformazione e non distruzione, onde sotto la scorza della modernità si possono ritrovare i nuclei ancor verdi dell'antico . La tradizione non è un culto senza dèi, pro prio de letterati e de ' filosofi, è la vita della nazione, è quel che di più sacro essa ha, poi che rappresenta la sua continuità. Ciò non deve dimenticare il legislatore, come colui che è più vicino al palpito dei popoli, dovendo re golare le manifestazioni più svariate della loro attività privata e pubblica. « Questi avanzi di costumi e governo di altri tempi, che in ogni nazione s ' incontrano , sono preziosi per un legislatore saggio , e debbono formar la base dei suoi ordini nuovi. Il popolo conserva sempre molto rispetto per tutto ciò che gli viene dai suoi mag giori; rispetto che produce talora qualche male, e spesso grandissimi beni. Ma coloro, che vorrebbero distruggerlo, non si avvedono che distruggerebbero in tal modo ogni fondamento di giustizia ed ogni principio d'ordine so ciale ? Noi non possiamo più far parlare gli dèi come i legislatori antichi facevano : facciamo almeno parlare gli eroi, che agli occhi dei popoli son sempre i loro antichi. Un popolo , il quale cangiasse la sua costituzione per solo amor di novità, non potrebbe far altro di meglio, che darsi una costituzione all'anno . Ma, per buona sorte , un tal popolo non esiste che nella fantasia di qualche filo sofo » ( 2 ) . Un legislatore quindi può realmente fare del bene alla nazione, ma deve seguire la natura, cioè la na zione stessa nel suo spirito, e trarre da essa il sistema costituzionale, non il sistema costituzionale da princípi ( 1 ) Framm . I , p. 220 e sg. ( 2) Framm. I , p . 221 . 48 che non sono nella natura, ma nella testa dei filosofi. « Tutto è perduto quando un legislatore misura la infi nita estensione della natura colle piccole dimensioni della sua testa, e che, non conoscendo se non le sue idee, gira per la terra come un empirico col suo segreto, col quale pretende medicar tutt'i mali ( 1 ) . Vincenzo Cuoco ci si presenta come un tradizionalista e un moderato. Non bisogna distruggere per distruggere, perchè si può perdere il buono per un problematicissimo ottimo; non bisogna atterrare, perchè non sempre si può ricostruire ; non bisogna aprire un novus ordo, perchè i novi ordines dei filosofi sono in cielo e non in terra. Bi sogna costruire su quel che già è, edificare sulle fonda menta della storia, che non soffre soluzioni di continuità , riformare e non distruggere. « Io non credo la costitu zione consistere in una dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino » ( 2 ) . Essa è qualcosa di più profondo : è il popolo, il quale da sè stesso trae le norme regolatrici della sua esistenza, della sua attività, della felicità. « E chi non sa i suoi diritti ? Ma gran parte degli uomini li cede per timore ; grandissima li vende per interesse: la costituzione è il modo di far sì che l'uomo sia sempre in uno stato da non esser nè indotto a venderli , nè costretto a cederli, nè spinto ad abusarne » ( 3 ). Ciò è possibile solo in quanto la costituzione assicuri un medio benessere, attinga quella umana felicità, alla quale abbiamo ac cennato . Le rivoluzioni nascono da un malessere economico generalizzato . Le costituzioni post - rivoluzionarie debbono ristabilire l'equilibrio , il benessere, l'armonia , la vita pa cifica ed operosa . Per fare ciò bisogna intendere le esi genze e i bisogni della nazione, i suoi costumi, il suo carattere . Ecco perchè Cuoco ci dice che, se egli fosse invitato a dar leggi ad un popolo, vorrebbe prima stu diarlo e conoscerlo ; ecco perchè Cuoco ci dice che egli ( 1 ) Framm . I , p . 221 . ( 2 ) Framm . II, p . 233. ( 3 ) Framm . II , p . 233. 49 vuol ritornare all'antico, e all'antico ricollegare il pre sente, perchè il popolo ama le antiche istituzioni, che in passato gli han pure dato felicità ; ecco perchè il Cuoco vuol riformare solo ove è male ed ove le istituzioni antiche non rispondono più ai nuovi bisogni, ed è tra dizionalista all'eccesso, laddove la mania novatrice cerca distruggere istituti e norme consacrate da secoli. Questi i convincimenti del critico . Ma che cosa in vece era avvenuto a Napoli, qual'era, com'era la costi tuzione che Mario Pagano aveva elaborato ? Ogni po polo ha una individualità ineffabile. Il popolo napole tano, quindi, ha pur esso una sua natura specifica, che risulta da un complesso di cose. Parliamo perciò , dice il Cuoco all'amico Russo, « della costituzione da darsi agli oziosi lazzaroni di Napoli, ai feroci calabresi, ai leggieri leccesi, ai spurei sanniti ed a tale altra simile genìa, che forma nove milioni novecento novantanove mila nove cento novantanove decimilionesimi di quella razza umana che tu vuoi tra poco rigenerare » ( 1 ) . Cioè discendiamo ai fatti, al concreto , vediamo se il progetto costituzionale del Pagano risponde alla natura delle cose. Il Cuoco ri sponde risolutamente : « Per questa razza di uomini par mi che il progetto donatoci da Pagano non sia il migliore. Esso è migliore al certo delle costituzioni ligure, romana, cisalpina ; ma al pari di queste è troppo francese e troppo poco napolitano. L'edificio di Pagano è costrutto colle materie che la costituzione francese gli dava : l'architetto è grande, ma la materia del suo edifizio non è che creta » ( 2 ). Il Pagano, nonostante il suo vichismo, è caduto nell'er rore tipico di tutti i rivoluzionari alla francese, ha cre duto in un ottimo che non è ; ha creduto negli immortali princípi che le masse non intendono, poi che gli uomini sentono solo i bisogni e non i princípi che parlano al l'intelletto di pochi ; ha fatto quella, che il critico mo lisano chiama una costituzione da tavolino ; « e quindi ne è avvenuto, che siesi perduta la vera cognizione delle ( 1 ) Framm. I , ( 2) Framm . I , p. p. 220. 220. 4 - F. BATTAGLIA . 50 cose e della loro importanza » ( 1 ) . E nel dispiacere del fallimento, che al nostro appare evidente, c'è una punta d'ironia , che al lettore è facile avvertire pur nell'amiche volezza dell'espressione : « Oh ! perdona. Non mi ricor dava » dice il Cuoco al Russo « di scrivere a colui, che, sull'orme della buona memoria di Condorcet, crede possi bile in un essere finito, quale è l'uomo, una perfettibilità infinita. Scusa un ignorante avvilito tra gli antichi errori: travaglia a renderci angioli, ed allora fonderemo la re pubblica di Saint- Just. Per ora contentiamoci di darcene una provvisoria, la quale ci possa rendere meno infelici per tre o quattro altri secoli, quanti almeno, a creder mio, dovranno ancora scorrere prima di giugnere all'esecu zione del tuo disegno » ( 2 ) . Anche l'amico fedele Vincenzo Russo, come il grande maestro Pagano, è un illuso, un astratto ! Ma osserviamo bene. Quest'astrattismo, che il Cuoco rimprovera al suo Pagano , non è solo del Pagano, è di tutto un sistema, che il nostro vivamente deplora. Primi i francesi, coloro per cui la rivoluzione nacque spontanea esplosione di lungamente compressi bisogni, per cui il moto repubblicano fu attivo e non passivo com'è a Na poli, caddero negli stessi errori. « I francesi aveano fondata la loro costituzione sopra princípi troppo astrusi, dai quali il popolo non può discendere alle cose sensibili se non per mezzo di un sillogismo ; e quando siamo a sillogismo, allora non vi è più uniformità di opinioni e non si potrà sperare regolarità di operazioni » ( 3 ) . Di ciò il molisano dà un esempio concreto . In Francia si volle stabilire come norma costituzionale il diritto all'insur rezione . Ma senza quelle circostanze, che l'accompagna vano e la dirigevano in qualche paese dell'antichità , ove simile norma era stata applicata , essa non poteva pro durre che sedizioni e turbolenze, seguite da una reazione violenta del governo attaccato, in barba ad ogni princi F ( 1 ) Framm. III , p . 241 . ( 2 ) Framm . I , p. 220. ( 3 ) Framm. III, p. 247 . 51 pio legale. « Per buona sorte della Francia » commenta iro nico il nostro « questa massima fu guillottinata con Robe spierre » ( 1 ) . Vedete, dice, « la costituzione romana era sensibile, viva, parlante. Un romano si avvedeva di ogni infrazione dei suoi diritti, come un inglese si avvede delle infrazioni della Gran carta . In vece di questa, immagina per poco che gli inglesi avessero avuto la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino : essi allora non avreb bero avuto la bussola che loro ha servito di guida in tutte le loro rivoluzioni . I romani eccedettero nella smania di voler particolarizzar tutto, per cui negli ultimi tempi formarono dei loro diritti un peso di molti cameli. Ma, mentre conosciamo i loro errori, evitiamo, anche gli ec cessi contrari, e teniamoci quanto meno possiamo lon tani dai sensi. Se la molteplicità dei dettagli forma un bosco troppo folto nel quale si smarrisce il sentiero, i princípi troppo sublimi e troppo universali rassomigliano le cime altissime, dei monti, donde più non si riconoscono gli oggetti sottoposti » ( 2 ) . Questi sono gli errori dei francesi. L'esasperazione dei princípi dovea portare necessariamente agli errori fatali. Questa è l'idea che il Cuoco ha della costituzione francese del 1795. Una « costituzione è buona per tutti gli uo mini ? Ebbene : ciò vuol dire che non è buona per nes suno.... » ( 3 ) . Il Pagano, ritorniamo a lui, s'è ingolfato negli stessi errori. Seguiamo il nostro autore nel suo excursus e nella sua critica minuta del progetto ; ma per intendere come egli colpisca nel segno, e come i Frammenti siano una meditazione veramente profonda, una critica sincera e non sistematica, rileggiamo le prime righe del Rapporto al governo provvisorio, che precede la Dichiarazione dei diritti e dei doveri dell'uomo, e che è certo opera di Mario Pagano. « Una costituzione, che assicuri la pubblica libertà, e ( 1 ) Framm . III , p. 247 . ( 2) Framm. III , ( 3) Framm . I , p . 219. p. 247. 52 che slanciando lo sguardo nella incertezza de ' secoli av venire , guardi a soffocare i germi della corruzione e del dispotismo, è l'opera la più difficile, a cui possa aspirare l’arditezza dell'umano ingegno. I filosofi dell'antichità, che tanto elevarono l'umana ragione, ne presentarono i principii soltanto, e le antiche repubbliche le più celebri e sagge ne supplirono in più cose la mancanza con la · purità de' costumi, e colla energia dell'anime, che ispirò loro una sublime educazione. Gran passi avea già dati l'America in questa , diremo, nuova scienza, formando le costituzioni de' suoi liberi Stati. Novellamente la Fran cia, che ha contestato straordinario amore di libertà con prodigi di valore, ha data fuori altresì una delle migliori costituzioni che siansi prodotte finora » . Fin dalle prime battute si sente l'uomo geniale, ma insieme lo scolastico, che ha bisogno di rifarsi ai prece denti generici ( 1 ) . Il Comitato di legislazione « ha.... adottata la costitu zione della madre repubblica francese. Egli è ben giusto, che da quella mano istessa, da cui ha ricevuto la libertà, ricevesse eziandio la legge, custode e conservatrice di quella . Ma riflettendo che la diversità del carattere mo rale, le politiche circostanze, e ben anche la fisica situa zione delle nazioni richiedono necessariamente de' cam giamenti nelle costituzioni, propone alcune modificazioni, che ha fatte in quella della repubblica madre, e vi rende conto altresì delle ragioni che a ciò l'hanno determinato » . La derivazione è confessata , e con essa l'astrattismo. Senonchè il Pagano afferma una esigenza, che in lui na poletano e vichiano, deve essere sincera, ma che resta poi in pratica insoddisfatta : tenere conto dei bisogni pe ( 1 ) L. PALMA, I tentativi di nuove costituzioni in Italia dal 1796 al 1815, in Nuova Antologia , a . XXVI, v. XXXVI, 16 no vembre, 1-6 dicembre 1891, p . 441. Il Palma ci offre una buona analisi della costituzione di M. Pagano in rapporto alle altre costituzioni francesi ed italiane del tempo, nonchè un'acuta critica di essa , critica che fondamentalmente coincide con quella cuochiana. Sulla costituzione del Pagano vedi pure V. FIORINI e F. LEMMI, op. cit. , Milano, Vallardi, s. d. , p. 170 e sgg. 53 ) ) culiari della nazione alla quale si provvede; e nel resto dell'opera legislativa si rivela per quello che è, cioè un mero teorico. Vediamo. « La più egregia cosa che ritrovasi nelle moderne co stituzioni, è la dichiarazione de' dritti dell'uomo. L'uguaglianza non è un diritto, ma la base di tutti i diritti, che da essa scaturiscono. « L'uguaglianza è un rapporto, e i dritti sono facoltà. Sono le facoltà di oprare, che la legge di natura , cioè l ' invariabile ragione e cono scenza de ' naturali rapporti, ovvero la positiva legge sociale, accorda a ciascuno » . Sembra di leggere un trat tato di filosofia giuridica e non un rapporto di un comi tato legislativo, che presenta un progetto di legge . « Da tal rapporto d'uguaglianza di natura , che avvi tra gli uomini, deriva l'esistenza, e l'uguaglianza de' dritti: es sendo gli uomini simili , e però uguali tra loro, hanno le medesime facoltà fisiche e morali : e l'uno ha tanta ragione di valersi delle sue naturali forze, quanto l'altro suo simile . Donde segue, che le naturali facoltà indefi nite per natura , debbano essere prefinite per ragione, dovendosi ciascuno di quelle valere per modo, che gli altri possano benanche adoprar le loro. E da ciò segue eziandio, che i dritti sono uguali ; poichè negli esseri uguali, uguali debbono essere le facoltà di oprare. Ecco adunque come dalla somiglianza ed eguaglianza della na tura scaturiscano i dritti tutti dell'uomo, e l'uguaglianza di tai dritti » . Io qui non istò a riferire come Mario Pagano « dall'unico e fondamentale dritto della propria conservazione » derivi « la libertà, la facoltà di opinare, di servirsi delle sue forze fisiche, di estrinsecare i suoi pensieri, la resistenza all'oppressione » , modificazioni tutte del primitivo innato diritto, che l'uomo ha di na tura, il conservarsi. Tutto il sistema si sviluppa con una logica impeccabile filosofica e giuridica, e noi non sap piamo che ammirare la grandezza di uno spirito geniale e deplorare la sua morte immatura e tragica. Le defini zioni paganiane sono stupende di sintesi. Ecco la li bertà ! « La libertà è la facoltà dell'uomo di valersi di tutte le sue forze morali e fisiche come gli piace, colla !! 54 sola limitazione di non impedire agli altri di far lo stesso » . Tutto s ' impernia su un principio - postulato e scaturisce di lì . Dal primo fonte di tutto il diritto deriva la pro prietà, poi che « la proprietà reale è una emanazione e continuazione della personale » . Gli stessi diritti ci dànno i doveri ; i diritti e i doveri dei cittadini, i diritti e i doveri dei magistrati e dei pubblici funzionari, e così di seguito . Nè mancano sani princípi costituzionali, che occorre an che oggi meditare. V'è un vigile e vichiano senso della dinamicità delle costituzioni , che, sebbene carte sacre di un popolo, non per questo sono inviolabili, cioè non mo dificabili, poi che la vita stessa e le rinnovate esigenze delle nazioni dànno origini a riforme naturali nel loro stesso seno . « La società vien formata dalla unione delle volontà degli uomini, che voglion vivere insieme per la vicende vole garanzia de proprii dritti. L'unione delle forze fa la pubblica autorità , e l'unione de' consigli forma la pubblica ragione, la quale, avvalorata dalla pubblica autorità, diviene legge. Quindi l ' imprescrittibile dritto del popolo di mutar l'antica costituzione, e stabilirne una nuova, più conforme agli attuali suoi interessi, ma demo cratica sempre ; quindi il dritto di ogni cittadino di es sere garantito dalla pubblica forza, e il dovere di con tribuire alla difesa della Patria ; quindi finalmente i dritti e i doveri de'pubblici funzionarii, che per delega zione esercitano i poteri del popolo sovrano, e per do vere sono vittime consacrate al pubblico bene » . E dire che ancor oggi questo principio della vita giu ridica, che è dinamicità come ogni altra manifestazione dello spirito, non è inteso, e la riforma dello Statuto ita liano è temuta come un terribile evento sovvertitore, mentre le leggi fondamentali sono una vuota forma senza contenuto materiale , vuota forma premuta da esigenze nuove, e , purtroppo, dal più sfacciato illegalismo dei partiti ! Ma, se dal Rapporto passiamo al Progetto costituzio nale, quanto astrattismo ! Quanta artificiosità ne' sin goli istituti, in quell'eforato, che ricorda Sparta, ma che 55 non è che il direttorio o potere esecutivo francese ; in quella distinzione tra assemblee primarie ed assemblee elettorali espresse dal seno delle prime ; in quell'istituto censorio, che arieggia la censura di Roma, ma che in uno Stato moderno e vasto è inconcepibile e vano ! Se guardate il Progetto di costituzione nel suo complesso la critica del giovane Cuoco vi appare pienamente giusti ficata e altamente vera . Essa non si limita ad appunti d'ordine pratico, ma risale pure ai princípi, e traccia, direi, l'abbozzo d'una nuova scienza costituzionale, che nel nome di Vico e di Machiavelli da un lato, di Monte squieu dall'altro, vuol essere positiva senza cadere nel l'empirismo . La sovranità del popolo si manifesta in due maniere: la legislazione e l'elezione. Negli Stati antichi, nelle città primitive, a base democratica, il popolo stesso era legi slatore : negli Stati moderni, che trascendono la greca Tól.is , la romana urbs, numerosi di popolazione, vasti di territorio , il popolo sovrano può legiferare solo per mezzo della rappresentanza. La costituzione del Pagano adotta il sistema rappresentativo, ma lo travisa, per mezzo di un'assurda divisione delle assemblee popolari in primarie, alle quali spetta il compito di eleggere un certo numero di cittadini, ai quali è deferito il compito supe riore della scelta del deputato, e in elettive, alle quali è assegnata la vera sovranità, la nomina del rappre sentante in seno al Consiglio. Così il prescelto è allonta nato, divenuto rappresentante della nazione napolitana e non del dipartimento che lo nomina, dal popolo, di cui dovrebbe sentire i bisogni e rendersene esponente. Il Pagano, in sostanza, non accetta l'elezione con man dato. Il Cuoco vuole invece che il deputato riceva dalle popolazioni memoriali veri e propri, utili avvertimenti, e che, durante l'esercizio della sua carica, viva a contatto con le sue masse elettorali, e non si perda ne' meandri d'una politica, che, per volere essere nazionale e generale, finisce per essere astratta e generica . Tutte le deficienze del sistema parlamentaristico, specie nelle degenerazioni de' nostri paesi, saltano al pensiero, nelle lungimiranti 56 notazioni del nostro autore. E dire che non era necessario che guardarsi attorno per rinvenire il sistema più adatto ai fini, che la Commissione legislativa o il Pagano per lei si proponeva ! « La nazione napolitana offre un me todo più semplice. Essa ha i suoi comizi, e son quei par lamenti che hanno tutte le nostre popolazioni ; avanzi di antica sovranità, che la nostra nazione ha sempre difesi contro le usurpazioni dei baroni e del fisco. È per me un diletto ( e qui il Cuoco pensatore diviene un pochino lirico ) ritrovarmi in taluni di questi parlamenti, e ve dervi un popolo intero riunito discutervi i suoi interessi , difendervi i suoi diritti, sceglier le persone cui debba affi dar le sue cose : così i pacifici abitanti delle montagne dell'Elvezia esercitano la loro sovranità ; così il più grande, il popolo romano, sceglieva i suoi consoli e deci deva della sorte dell'universo » ( 1 ) . Il sistema nostro na zionale è il più spontaneo, il più naturale, consacrato dalle glorie dei nostri comuni, enti che hanno avuto un giorno in una storia grande indipendenza e forza, ed hanno subìto un'evoluzione millenaria. La costituzione francese del 1795 ha distrutto tutto ciò . « I municipi non sono eletti dal popolo, e rendono conto delle loro operazioni al governo, cioè a colui che più facilmente può e che spesso vuole esser ingannato » ( 2 ) . Ma il Cuoco si spiega tutto . La storia insegna molte cose. L'ac centramento in Francia è naturale : questa nazione non ha avuto mai l'esperimento dei comuni, una vera e propria municipalità, poi che questo paese ha trovato l'unità assai presto. In Italia la faccenda è assai diversa . In Italia il comune è stato un istituto spontaneo, espres sione della rinascente romanità contro il feudalismo fer rato, istituto che non è morto mai, e s'è sviluppato, perpetuato, anche allorquando da ente sovrano è dive nuto ente subordinato entro gruppi politici più vasti , come il principato o signoria e lo stato monarchico. Il Cuoco non dice tutto ciò, ma si intravede chiaramente ( 1 ) Framm. II , p. 223. ( 2 ) Framm . II , p. 224. 57 che questo è il suo pensiero. « Io perdono » scrive « ai fran cesi il loro sistema di municipalità : essi non ne aveano giammai avuto, nè ne conoscevano altro migliore: forse non era nè sicuro nè lodevole passar di un salto e senza veruna preparazione al sistema nostro . Ma quella stessa natura, che non soffre salti, non permette neanche che si retroceda ; e, quando i nostri legislatori voglion dare a noi lo stesso sistema della Francia, non credi tu che la nostra nazione abbia diritto a dolersi di un'istituzione che la priva dei più antichi e più interessanti suoi di ritti ! » ( 1 ) . Il sistema costituzionale, dunque, che ha alla sua base il comune, è il più naturale per noi, poi che l’ente comu nale è l'espressione prima di quei bisogni complessi che abbiamo detto essere la base imprescindibile di ordini durevoli. In poche parole, ecco tracciate le funzioni del comune, funzioni varie e molteplici, dirette ad assicu rare la più immediata soddisfazione de' bisogni elemen tari primordiali di una gente ! « Ciascuna popolazione dunque, convocata in parlamento ( questo nome mi piace più di quello di assemblea : esso è antico, è nazionale, è nobile; il popolo l'intende e l'usa : quante ragioni per conservarlo !), eleggerà i suoi municipi. Essi avranno il potere esecutivo delle popolazioni, saranno i principali agenti del governo, e dovranno render conto della loro condotta al governo ed alla popolazione. La loro carica durerà un anno. Tu vedi bene che fino a questo punto altro non farei che rinnovare al popolo le antiche sue leggi » ( 2 ) . Tutto trova la sua consacrazione nella storia italiana. Affermare il comune è il primo passo. Ad esso occorre attribuire tanto potere da assicurargli la possibi lità di vivere e di prosperare, vale a dire occorre dargli una vera e propria autonomia amministrativa . « La mia prima legge costituzionale sarebbe, che qualunque popo lazione della repubblica riunita in solenne parlamento possa prendere sui suoi bisogni particolari quelle determi ( 1 ) Framm . II , p. 224. ( 2 ) Framm . II , p. 225 . 58 nazioni che crederà le migliori ; e le sue determinazioni avran vigore di legge nel suo territorio, purché non siano contrarie alle leggi generali ed agl ' interessi delle altre popolazioni » ( 1 ) . La legge è la volontà generale. Ogni individuo ha d'al tra parte una volontà particolare, che costituisce la sua legge e la sua libertà . Il sorgere dello Stato afferma la legge generale, ma il suo ingrandirsi moltiplica le vo lontà particolari, onde sempre cresce e s'acuisce un fa tale dissidio tra le due volontà , la generale e la partico lare, tra lo Stato e l'individuo, tra l'autorità e la libertà, tra la sovranità e l'autonomia, dissidio che in certe cir costanze anomali può portare al disfacimento dello Stato, tendendo l'uomo per natura ad affermare la sua indi pendenza, lo Stato la sua universalità autarchica . La legge, quindi, nella sua stessa génesi è destinata a cozzare contro l'individualismo umano, onde quanto più generalizza e si astrae tanto più divien tirannica. C'è il pericolo insomma che si venga a creare una discrepanza tra volontà pubblica e volontà privata. Il rimedio è solo nel decentramento. « Quanto più dunque le nazioni s ' ingrandiscono, quanto più si coltivano, tanto più gli oggetti della volontà ge nerale debbono esser ristretti, e più estesi quelli della volontà individuale. Ma, affinchè tante volontà partico lari non diventino del tutto singolari, e lo Stato non cada per questa via nella dissoluzione, facciamo che gli og getti siano presi in considerazione da coloro cui maggior mente e più da vicino interessano . Vi è maggior diffe renza tra una terra ed un'altra che tra un uomo ed un altro uomo nella stessa terra. Se la base della libertà è che ad ogni uomo non sia permesso di far ciò che nuoce ad un altro, perchè mai ciò non deve esser permesso ad una popolazione ? Perchè mai, se una popolazione abbia bisogno di un ponte, di una strada, di un medico, e se tutto ciò richiegga una nuova contribuzione da' suoi ( 1 ) Framm. II , p. 227 . 59 cittadini, ci sarà bisogno che ricorra all'assemblea legi 4 slativa , come prima ricorrer dovea alla Camera ? Come si può sperare che quelle popolazioni, le quali erano im pazienti del giogo camerale, soffrano oggi il giogo di altri , i quali sotto nuovi nomi riuniscono l'antica ignoranza de' luoghi e delle cose, l'antica oscitanza ? ... » ( 1 ) . È as sicurata così la forza dello Stato e la libertà dell'indi viduo. L'individuo si sente più libero, se per lui opera il comune, la sua espressione diretta , poi che il comune è a lui più vicino , è la immediata manifestazione della sua sovranità di cittadino . Si dirà al Cuoco : ma anche la legge, la volontà generale è tale in quanto è la risultante d'una convergenza di consensi e di volontà particolari ; che anche lo Stato opera sul fondamento del diritto , e in questo senso è Stato di diritto, e nella forma del di ritto, in quanto ogni suo atto è manifestazione giuridica, cioè libero volere della collettività ; ma tutto ciò non esclude e menoma la grande verità affermata dal mo lisano . La volontà generale che s ' esprime nello Stato è lontana dai sensi del cittadino, in quanto la sua realtà concreta è una formazione etica di volontà mediata, ond' essa è lontana dalla possibilità d'esaurire tutta la complessa natura della nazione; mentre la volontà che si estrinseca negli atti del comune, alla quale il Cuoco vuol dare carattere di legge, surge spontanea dalle più intime fibre dell'anima popolare, realizza bisogni vera mente profondi, parla infine ai sensi e alla fantasia, di quegli elementi de' popoli, che vichianamente possiamo considerare eterni fanciulli ed eterni primitivi. I risultati pratici di questo sistema sono incalcolabili . « Quante buone opere pubbliche noi avremmo, se più li bero si fosse lasciato l'esercizio delle loro volontà alle popolazioni » ( 2 ) . Vi sono paesi per i quali, esemplifica l'autore, un porto, una rada è indispensabile, e che, in pochi anni, sotto la pressione di esigenze inderogabili, avendo sufficienti libertà, lo costruirebbero : ebbene, que ( 1 ) Framm. II , p. 229. ( 2 ) Framm . II , p. 230. 60 ste stesse popolazioni oggi, posto un freno all'iniziativa individuale, attendono dal governo quel che non viene . Si potrebbe obiettare : ma queste affermazioni sono le affermazioni d'un federalista ! No.... Il Cuoco stesso ha prevenuto la domanda, ed ha distinto tra autonomia e separazione, tra Stato su base decentrata e Stato fede rativo. L'autonomia non rinnega l'unità, anzi la conso lida, mentre la federazione per popoli schiettamente par ticolaristi e campanilisti, com'è l'italiano, è un primo passo verso la disgregazione. Tra il sistema accentratore alla francese, in cui gli organi periferici ricevono tutto dalla capitale, e il sistema federativo di Stati alla sviz zera, ove ogni gruppo gode di leggi sue proprie, ha un parlamento suo proprio , c'è lo Stato unitario su largo decentramento amministrativo, e a quest'ultimo sistema il nostro molisano si volge. « So gl’inconvenienti che seco porta la federazione ; ma, siccome dall'altra parte essa ci dà infiniti vantaggi, così amerei trovar il modo di evitar quelli senza perdere questi. Vorrei conservare al più che fosse possibile l'attività individuale . Allora la repub blica sarà, quale esser deve, lo sviluppo di tutta l'attività nazionale verso il massimo bene della nazione, il quale altro non è che la somma dei beni dei privati. L'atti vità nazionale si sviluppa sopra tutt'i punti della terra. Se tu restringi tutto al governo, farai sì che un occhio solo, un sol braccio, da un sol punto debba fare ciò , che vedrebbero e farebbero mille occhi e mille braccia in mille punti diversi . Quest'occhio unico non vedrà bene, lento sarà il suo braccio ; dovrà fidarsi di altri occhi e di altre braccia, che spesso non sapranno, che spesso non vorranno nè vedere nè agire : tutto sarà malversazione nel governo, tutto sarà languore nella nazione . Il go verno deve tutto vedere , tutto dirigere » ( 1 ) . Nel sistema cuochiano l'attività privata è garantita. Il necessario conflitto tra la volontà generale e la volontà particolare si risolve con lo stabilimento d’una naturale delimita ( 1 ) Framm. II , p. 230 e sg. 61 zione di competenza. L'individuo e gli enti a lui più vicini agiscono in pieną indipendenza : allo Stato resta la funzione, che a lui è più propria ed è manifestazione vera della sua sovranità, la guida e il controllo supremo. Vincenzo Cuoco, come ognun vede, nelle sue ricerche di natura costituzionale è fisso ad una realtà storica che non può fallire, e cerca di stabilire un edifizio incrollabile. La natura opera in questo mondo umano e crea diversità, onde tutto ci si appalesa nella sua ineffabile particola rità, nel mondo fisico e nel mondo morale. I governi operano su questo mondo degli uomini, e la loro volontà è sempre generale. Le norme giuridiche attraverso cui s'esprime questa volontà dello Stato sono quindi fatal mente generali, hanno origine da un processo d'astrazione, riferendosi non al singolo, ma ai singoli in quanto formano una classe, una media, un tipo. Ai subietti per natura diversi di bisogni, di aspirazioni, di carattere sovrasta una norma unica uguale indistinta, e però entro certi limiti tirannica. È fatale, non può essere diversamente. Ciò non toglie che questo hiatus, che può divenire con trasto , tra la libertà dei singoli e l'autarchia sovrana dello Stato, cioè tra la volontà particolare e l'autorità suprema, debba, ed è doveroso, colmarsi. Ecco : lo Stato impone dei tributi, esprime la sua volontà in forma giu ridica, che non può non essere quindi generale ; ma in tanto i prodotti di una nazione, dai quali debbono i tributi raccogliersi, sono diversi : una popolazione ha solo derrate, un'altra manifatture, una terza produce olio e deve realizzare la sua ricchezza in novembre, un'altra è dedita alla pastorizia e la ha realizzata in luglio, laddove un industriale ogni giorno produce, e così via.... « Ben duro esattore sarebbe colui che obbligasse tutti a pa gar nello stesso tempo, e nello stesso modo; e questa sua durezza che altro sarebbe se non ingiustizia ? Al l'incontro tu non potresti giammai immaginare una legge, la quale abbia tante eccezioni, tante modificazioni, quanti sono gli abitatori della tua repubblica : non ti resta a far altro se non che imporre la somma dei tributi e farne la ripartizione sopra ciascuna popolazione, la 62 sciando in loro balìa la scelta del modo di soddisfarla ; così la volontà generale della nazione determinerà l'im posizione, la particolare determinerà il modo : questa non potrebbe far bene il primo, quella non potrebbe far bene il secondo » ( 1 ) . Tutto ciò è la necessaria conseguenza di un sistema mentale potentemente fuso e senza una con traddizione. È naturale che l'astrattismo alla francese si faccia sostenitore d’una unitarietà soffocatrice del par ticolare umano, poi che vede i princípi, che sono schema tici ed astratti, e non le cose, che rinserrano in loro l'ineffabilità dell'opera della natura, la quale non crea una foglia simile ad un'altra foglia. È naturale all'in contro che lo storicismo vichiano di Vincenzo Cuoco vo glia discendere alla realtà, e nella realtà dedurre e sag giare i princípi, così come l'oro si saggia dall'orefice esperto sulla pietra, e su questa realtà edificare il sistema . Per finire questo argomento, sul quale mi sono assai diffuso, perchè lo ritengo interessante, noto che il Cuoco va ancora più in là, concedendo una certa autonomia ai cantoni, un quid come i nostri circondari, ai dipar timenti o provincie . « La costituzione francese confonde municipalità con cantone : cosicchè ogni cantone potrà avere più popolazioni, ma non avrà mai più di una mu nicipalità . Io distinguo due parlamenti : uno municipale per ogni popolazione di un cantone ; l'altro cantonale per tutte le diverse popolazioni che compongono un can tone medesimo » ( 2 ) . Ma anzichè fermarci e analizzare la critica che il nostro fa alla divisione cantonale, qual'è p. 231 . p. 236. ( 1 ) Framm. II , ( 2 ) Framm. II, La Costituzione del Pagano organizzava il territorio in di. ciassette dipartimenti, che sono enumerati al tit. I , art. 3 del Progetto. L'articolo 5 al quale si riferisce il Cuoco dice : « Ciascun dipartimento è diviso in cantoni , e ciascun cantone in comuni : i limiti de'cantoni possono ancora esser rettificati o cambiati dal Corpo legislativo, ma in guisa che la distanza di ogni co mune dal capoluogo del cantone non sia più di sei miglia » . Il titolo VII, art. 173, dice : « In ogni dipartimento vi ha una amministrazione centrale, e in ogni cantone almeno un'am ministrazione municipale » . 63 in Francia, vediamo com'egli crede debba essere orga nizzata l'amministrazione. « Sei tu ormai » scrive al Russo « persuaso della ragionevolezza dell'articolo , che io vorrei fondamentale nella costituzione nostra ? Tu mi conce derai anche questo secondo : se due o tre popolazioni diverse avranno interessi comuni, potranno provvedervi allo stesso modo ; ed, ogni qual volta le loro risoluzioni saranno uniformi, avranno forza di legge obbligatoria per tutte le popolazioni interessate » ( 1 ) . Ecco quindi una comunità d'interesși, che genera co munità d'opera. Sono i bisogni che muovono gli uomini, la loro attività legislativa, la loro vita pubblica. Occorre salire dal basso in alto, cioè dal senso all ' intelletto , dal cittadino al governo, e non viceversa. Adopero una simi litudine, che al Cuoco certo piacerebbe. L'individuo è il senso , il governo l'intelletto dell'organismo sociale . L'intelletto che agisce senza l' esperimento del senso è l'astrazione. Lasciamo, dunque, all'intelletto la direzione, ma lasciamo al senso la avvertenza dei bisogni, che solo l'esperienza immediata può dare. Una delimitazione di competenze è la salute dello Stato. La visione netta e precisa del problema costituzionale , che ebbe Vincenzo Cuoco e che trascende ogni limite di tempo, poi che certe questioni anche oggi hanno il loro peso, ci si appalesa nella posizione che assegna al can tone. Vi sono bisogni, che pur non essendo generali, non sono più particolari, ma riflettono esigenze comuni a due o tre comuni : occorre che i comuni che formano il can tone li risolvano insieme . « Imperocchè, avendo ogni po polazione alcuni interessi particolari ad alcuni altri co muni, è giusto che talvolta prenda delle risoluzioni comuni e tal altra delle particolari » ( 2 ) . Tuttavia il Cuoco non mi sembra che voglia attribuire al diparti mento quella larga autonomia che assegna al comune. Perchè ? L’autore dei Frammenti non lo dice , ma chi ha penetrato il suo pensiero intende facilmente. Il comune ( 1 ) Framm . II , p . 235. ( 2 ) Framm . II , p. 236. 64 è una formazione naturale, consacrata dal tempo, ri spondente a bisogni concreti vigili e immediatamente primi della società. Il dipartimento è una figura ammini strativa, che può avere importanza entro i limiti d'una competenza ben precisa. Se al dipartimento si dà una forza che di natura non ha, si crea un piccolo Stato nello Stato, si perde la sua qualità di nesso d'unione tra il comune e il potere centrale ( 1 ) . Come ognun vede si agitano qui questioni ancor oggi vive nella coscienza politica della nazione nostra, que stioni , che, dopo un sessantennio di convivenza unitaria, non hanno ancora avuto una loro pratica risoluzione e un impostamento concreto. È tipico ed interessante notare come tutti i progetti di riforma costituzionale ed amministrativa siano partiti dall'Italia meridionale, la quale è forse la più danneggiata dal rigido sistema cen tralizzatore, che noi attraverso il Piemonte abbiamo ereditato dalla Francia . Nel '60 , occupando Garibaldi la Sicilia , alcuni patrioti, Crispi, Mordini, agitarono il pro blema, fra l'incomprensione delle masse e peggio del governo, che li tacciarono di separatismo ( 2 ) . Il Cavour stesso, mente lucida e serena, non intese il problema, e non condivideva i vari progetti di governi regionali, che si presentavano da altri a lui vicini ; ed era natura lissimo: egli conosceva più l'Inghilterra e la Francia che non l'Italia meridionale e centrale. Ma la natura si vendica degli uomini, e le crisi politiche hanno origine dalla questione sovra detta. Vincenzo Cuoco l'ha intuito ( 1) Questa è la ragione per cui l'autore ( Framm . II, p. 236) scrive: « Ma le unionicantonali non debbono occuparsi di altro che delle elezioni che la legge loro commette : inutile , inco modo, pericoloso sarebbe incaricarle di oggetti che richiedes sero una riunione troppo frequente. I cantoni, seguendo questi principi, potrebbero essere un poco più grandi di quelli di Francia » . ( 2 ) M. Rosi, L'Italia Odierna, v. I , t . II , p. 988 e sgg .; M. Rosi, Il risorgimento italiano e l'azione di un patriotta co spiratore e soldato, Roma- Torino, Casa ed . nazionale, 1906 , p . 228 e sgg. 65 troppo bene, per non comprenderne il valore. Ma, pur troppo, tra l'Italia settentrionale e l'Italia meridio nale c'è ancora un hiatus troppo vasto , perchè le stesse idee possano germinare nel cervello positivo de gli uomini del nord e nel cervello storicista degli uo mini del mezzogiorno. Notiamo : l'esperienza politica delle due parti d'Italia è troppo diversa, perchè la com prensione sia facile. Il comune nell'Italia settentrionale fu piuttosto sinonimo di particolarismo e di fazione, mentre nell'Italia meridionale seppe chiudersi in limiti più naturali d'amministrazione. E ciò era necessario per un'altra considerazione. Laddove nell'Italia alta si eb bero infiniti domíni, monarchie e repubbliche, varie suc cessive preponderanze straniere, l'Italia centrale e meri dionale, superato il dominio bizantino e il longobardico, che non s'estese del resto oltre Benevento che per un tempo brevissimo — s'assettò sotto i papi e sotto i Nor manni, e chi ricevette il dominio in eredità lo ricevette nella sua complessità, senza infrangerlo. Quindi, mentre nell'Italia del sud non si teme l'autonomia, perchè questa non può infrangere vincoli millenarî, nel nord si teme l'autonomia, perchè si teme la sua degenerazione, il fe deralismo, e con il federalismo, quella che si vuol chia mare la questione meridionale, che ai miopi della poli tica appare questione separatista, mentre è puramente amministrativa. Errore, che non esito a chiamare defi cienza d'educazione politica e di comprensione storica ! L'Italia ha raggiunto l'unità non per un caso furtuito, per l'opera di tre o quattro genî più o meno ispirati, ma per un processo graduale spontaneo secolare di compene trazione di pensiero e di interessi. La storia segue una trama eterna , e questa trama non s'infrange. Scombusso latela , violatela, provatevi a romperla, essa si rifà con i tro di voi, e si ricostituisce. L'Italia è fatta e non può disfarsi, poi che la sua unità è opera delle cose e non dei singoli individui. Nel suo seno vi sono i vincoli d'una unità ancor maggiore e non i germi della dissoluzione. E , se pure vi sono germi dissolvitori, saranno altri, ma non il comunalismo, nome, che se vuol significare fazione e 5 - .F. BATTAGLIA . 66 campanile, è superato da un pezzo. Crisi vi furono, vi sono e vi saranno, ma furono sono e saranno crisi ammi nistrative politiche economiche, ma non mai nazionali. La storia, e non il genio di alcuni ispirati, ha fatto l'Ita lia , la storia la guida nel suo travaglio e la guida sicura, anche fra le crisi , di cui ho detto la natura, senza il bi sogno di uomini, fatali patres patriae, che ogni cinque minuti si arrogano il diritto di rafforzarla, d’epurarla, e, modestamente, di salvarla ! La critica , come ognun vede, alla costituzione del Pa. gano è addirittura radicale : troppo francese e troppo poco napoletana ; per essere ottima men che buona , mediocre; come quella francese del '95 per sancire gli immortali princípi non discende alla vita positiva. I particolari dimostrano a sufficienza l'astrattismo della concezione. Il paese elegge 170 rappresentanti, i quali il Pagano di vide in due gruppi : 50 membri formano il Senato, 120 il Consiglio . Il Senato più austero e savio approva o re spinge ciò che il Consiglio ha proposto. Il critico però sempre fisso ad una realtà che non sfugge, l'elemento economico nella vita dei popoli, si domanda : a qual divisione d'interessi corrisponda questa divisione di Ca mere : « In Inghilterra ha una ragione, perchè gli uo mini non sono eguali ; ha una ragione anche in Ame rica, poichè, sebbene gli americani avessero dichiarati tutti gli uomini eguali per diritto, pure – ed in ciò han pensato come gli antichi ( 1 ) non si sono lasciati illudere dalle loro dichiarazioni, ed han . veduto che ri mane tra gli uomini una perpetua disuguaglianza di fatto, la quale, se non deve influir nell'esecuzione della legge, influisce però irreparabilmente nella formazione della medesima. Gli americani han ricercata nelle ric chezze quella differenza che gl'inglesi ricercan nel grado. (1 ) E noi possiamoaggiungere come.... Cuoco stesso . Il Cuoco non è davvero per il suffragio universale, nè per una limita. zione plutocratica, come gli americani, o per una limitazione di classe come gli inglesi, ma per una limitazione di educa. zione politica , e lo proveremo appresso . 67 La costituzione francese ha adottato inutilmente lo sta bilimento americano » ( 1 ) . In sostanza, non essendovi nes suna diversità di bisogni tra le due Camere, che rappre sentano la stessa borghesia che le esprime, essendo uguale nell'una e nell'altra la possibilità della corruzione, la distinzione non ha una ragione pratica. È un altro esempio della concretezza del pensiero politico del no stro scrittore . La nazione napoletana, mentre per il potere legisla tivo , offre, come abbiam detto una sua tradizione pae sana, alla quale il giurista può rifarsi , non offre pari menti una forma indigena di potere esecutivo potere è pure il più indocile e il più difficile ad organiz zare. Difficoltà questa più grave oggi , in cui le costitu zioni si creano a tavolino nel pieno oblìo degli uomini . « Forse non siamo stati mai tanto lontani dalla vera scienza della legislazione quanto lo siamo adesso, che crediamo di averne conosciuti i princípi più sublimi » ( 2 ) . Non esiste una costituzione giusta, una costituzione ottima, esistono costituzioni che più o meno rispondono ai bisogni di un popolo . Un popolo rozzo avrà una costi tuzione rudimentale, la quale gli sarà più utile della costituzione del Pagano. Un popolo culto avrà una costi tuzione sublime, e sol questa potrà essergli utile . Perchè parlare quindi in via assoluta ? È questo un vero e pro prio bisogno di ciò che tocca i sensi, il trionfo dello sto ricismo . La costituzione è di per sè una mera forma, che è vuota, se tu non le dài un contenuto di sensibilità umana, un contenuto essenzialmente storico, cioè dina mico. Portate il diritto a contatto con la vita, e la vita vi darà la direttiva, il metodo, i princípi ( 3 ) . Voi andate ( 1 ) Framm . II , p. 237 . ( 2 ) Framm. III, p. 241 . (3) Nel Platone in Italia ( a cura di F. Nicolini , Laterza, ed. , 1916, v. I , p. 45) il Cuoco scrive : « .... In Taranto si disputa tutt' i giorni sulla miglior forma di governo; e taluno difende gli ordini popolari , altri si lagna che quelli, che si hanno, non sieno abbastanza oligarchici.... Tornate ai vostri affari -- ho detto io a molti di questi tali; 68 ricercando una norma, che delimiti il potere esecutivo dal potere legislativo, che ponga un freno all'arbitrio e tenga il governo entro la legge : è come cercare l'astratto ! Sono elementi questi di una costituzione che solo una pratica civile può darvi. Stabilite un principio desumen dolo dalla costituzione inglese, non è detto che possiate farlo valere da noi. L'Inghilterra ha fissato per prima questa divisione dei poteri, ed è stata in ciò scrupolosa; così la Francia, la Svizzera. « Ma questa divisione di forze dipende dalle circostanze politiche di una nazione ; e bene spesso lo stato delle cose ed il corso degli avveni menti vincono la prudenza dell'uomo : cosicchè, volendo troppo dividere la forza armata, si corre rischio d’in debolirla soverchio, e sacrificare così alla libertà della co stituzione l'indipendenza della nazione » ( 1 ) . È facile ve dere ciò in concreto . Ogni nazione ha bisogno della forza per la sua difesa , e questo bisogno è vario , secondo molte circostanze etnologiche, storiche, geografiche, ecc. In Inghilterra, per esempio, la Carta costituzionale è animata da un sentimento d’estrema diffidenza verso l'elemento militare, nel timore che questo si faccia stru mento del governo per opprimere le libertà, onde il so vrano stesso non può disporre della forza armata, ed è necessario un atto parlamentare ogni anno per mante nere un esercito . Questi princípi hanno origine nelle lotte tra monarchia e popolo, e trovarono la loro risolu zione pratica nella Dichiarazione dei diritti ( anno 1689 ) , nel definitivo abbattimento degli Stuart e nell'ascesa al fate in modo di star meglio nelle vostre famiglie , e starete anche meglio nelle città. Se voi vi volete occupar sempre degli affari pubblici, senza curar i vostri interessi privati, rassomi. glierete quei viaggiatori, i quali, per la curiosità di osservar gli edifizi pubblici nella città in cui arrivano , trascurano di tro varsi un albergo, e poi si dolgono che in quella città si alberga male. Se volete esser cittadini felici , diventate prima uomini virtuosi. « I vostri maggiori eran liberi perchè forti e virtuosi. » ( 1 ) Framm . III , p. 243. 69 trono degli Orange. Ma il problema così com'è stato risoluto in Inghilterra, non può essere risoluto altrove : il bisogno che Albione ha d'un esercito è minimo, poi che la natura stessa, il mare difende le sue coste dalle aggressioni straniere. Il potere esecutivo può perciò benissimo essere menomato nelle sue manifestazioni mi litaresche, mentre non potrebbe essere menomato, senza che la nazione venga indebolita, qualora dovesse ab bandonare la sua autorità sull'armata, sulla flotta , unico e grande presidio dell'isola. È possibile tutto ciò in Francia ? Evidentemente no. A Napoli ? Neppure. Da noi diminuire il potere esecutivo, togliendogli l'alta di rezione dell'esercito, significherebbe porre il paese in braccio allo straniero . D'altra parte quello stesso po tere esecutivo , che non ha energia sufficiente per difen dere le frontiere, ne avrà sempre tanta da opprimere un collegio elettorale, per fargli subire la sua volontà estrinseca. Gli antichi, nota il Cuoco, « invece d'indebolire i po teri, ... li rendevano più energici, e così, essendo tutti egualmente energici, venivano a bilanciarsi a vicenda » ( 1 ) . Oggi i legislatori invece mirano più alle apparenze, per seguono una delimitazione di forze e di competenze, che non ha ragione di essere, ed ignorano il vero equilibrio delle cose. La ripartizione delle forze consiste in un'ar monia di opinioni, è la risultante d’un lungo processo storico di educazione politica. « I costumi de' maggiori, il. rispetto per la religione, i pregiudizi istessi dei popoli servon talora a frenare i capricci dei più terribili despoti, anche quando al potere esecutivo sia riunito il legisla tivo .... » (2 ). È la natura che mette un limite all'arbi trio nella stessa educazione, nello stesso senso civile del popolo . Una nazione ha, in sostanza, il regime che si merita . A volte gli stessi tiranni sono fatali. Quando per soverchio amore di ordine, di regolarità una repub blica, poniamo, vuol togliere alle popolazioni usi , co ( 1 ) Framm . III , p. 244. ( 2 ) Framm . III , p. 244. 70 stumi, religione, per uniformarle ad una prassi desunta da princípi, il déspota può darsi che sia accolto come un liberatore. Il concretismo storico del Cuoco qui raggiunge le sue vette più alte . L'autore stesso dei Frammenti, dopo pochi anni, dovette a lungo meditare su queste stesse analisi, veggendo come i fatti avessero confermato le sue induzioni con l'avvento di Napoleone al duplice trono di Francia e d'Italia, tra il plauso delle popola zioni stanche di regolarismo repubblicano. « È pericoloso estendere soverchio l'impero delle stesse leggi , perchè allora esse rimangono senza difesa . Le leggi da per loro stesse son mute : la difesa la dovrebbe fare il popolo ; ma il popolo non intende le leggi, e solo di fende le sue opinioni ed i costumi suoi. Questo è il peri colo che io temo, quando veggo costituzioni troppo filo sofiche, e perciò senza base, perchè troppo lontane dai sensi e dai costumi del popolo » ( 1 ) . Il popolo ha sue esigenze d'ordine e di regolarità, in dipendentemente dall'ordine e dalla regolarità che gli si vuole imporre estrinsecamente , e da queste esigenze na scono spontanei contrappesi costituzionali, limiti al l'esercizio de' poteri . Vuoi che egli resti attaccato alla legge, e se ne faccia quasi il tutore ? Devi sfruttare la sua natura, pure i pregiudizi . Vuole solennità ? Dà alle leggi solennità quasi jeratica. La costituzione gli sem brerà cosa sacra, la rispetterà e la farà rispettare. L'uomo, però, è sopra tutto interessi, plasmato com'è da bisogni materiali. Su una base economica e materiale riposa in parte la sua natura. Dividete i poteri esterior mente, non avrete fatto nulla : il più forte invaderà il campo del più debole, ne nasceranno crisi , conflitti, pre dominii . Per frenare la forza non vi può essere che un solo mezzo : dividere gli interessi. Da una disarmonia d'interessi nasce l'armonia degli ordini civili, poi che ciascuno difenderà il proprio interesse e sarà impedito a ( 1 ) Framm . III , p. 246. 71 sua volta di violare l'interesse altrui. « Fate che il potere di uno non si possa estendere senza offendere il potere di un altro ; non fate che tutt'i poteri si ottenghino e si conservino nello stesso modo ; talune magistrature perpe tue, talune elezioni a sorte, talune promozioni fatte dalla legge, cosicchè un uomo, che siasi ben condotto in una carica, sia sicuro di ottenerne una migliore senza aver bisogno del favor di nessuno ; tutte queste varietà , lungi dal distruggere la libertà, ne sono anzi il più fermo so stegno, perchè così tutti i possidenti, e coloro che sperano , temono un rovescio di costituzione, che sarebbe contrario ai loro interessi » ( 1 ) . Questa la vera sapienza costitu zionale : il resto è pregiudizio ed empirismo. Si è pensato a diminuire la forza del governo, aumentando il numero delle persone a cui è affidato. Il numero impedisce, sì , l'usurpazione, ma porta seco la debolezza. I romani avevano il Senato, ma operavano per mezzo de' due consoli, o meglio per mezzo del dittatore. « L'unità im pedisce la debolezza, che porta seco la dissoluzione e la morte politica della nazione » ( 2 ) . Quest'affermazione unitaria del Cuoco avrà, come dimostremo, grande im portanza per la successiva evoluzione del suo pensiero, e sarà la base della legittimazione politica dell'impero napoleonico . Un altro punto interessantissimo è questo. Le costitu zioni sono istituti sociali, umani, e però vivi di vita pro pria. Il giudizio sul loro valore è lento, graduale, si può avere solo dopo lungo tempo, sulla base degli effetti pro dotti e non in base a princípi di ragione. Occorre cono scere i popoli, e vedere se esse costituzioni rispondono alla loro vita, alla loro natura : solo il tempo può darci un giudizio definitivo . Quindi nessuno può dirci se la monar chia o la repubblica sia buona o cattiva . « Un re eredita rio» , dice Mably , parlando della costituzione della Svezia , « quando non ad altro, serve a togliere agli altri l'ambizione ( 1 ) Framm. III , p. 247. ( 2) Framm. III , p. 249. 72 di esserlo ; ed io credo la monarchia temperata meno di quel che si pensa nemica degli ordini liberi » ( 1 ) . In piena rivoluzione il Cuoco afferma che non è detto che la repub blica estremista e radicale sia la panacea di tutti i mali, e che vi possano essere sistemi più rispondenti alla realtà nazionale, che garantiscono meglio l'unità del reggimento politico e la libertà stessa, senza cadere nella debolezza, che di solito interviene allorquando il potere supremo per essere nelle mani d'un direttorio di più persone nelle mani di nessuno. Già spuntano nell'autore dei Frammenti idee, che germineranno e che renderanno sempre più coerenti i suoi princípi, espressioni profonde di convincimenti sinceri e di meditazioni severe, non opportunismi servili , come ha voluto dimostrare qual che critico che del pensiero del grande molisano ha ca pito ben poco. Il popolo è quello che è, con le sue virtù e con i suoi vizi. Il legislatore non deve che osservare, e dar leggi conformi alle condizioni reali dei subietti , sfruttando vizi e virtù, tutto disimpegnando, tutto cercando d'ar monizzare positivamente. Nel Progetto del Pagano c'è un primo istituto, la censura, che rivive ed arieggia la censura latina ; c' è un secondo ufficio, l'eforato, che ri corda un nome spartano anche nella sostanza, avendo il fine di tenere i poteri pubblici nel proprio cerchio, non partecipando ad alcuno di essi. Il Cuoco loda quest'ultima magistratura, ma non nasconde la grave verità : non vi può essere forza estrinseca, fuor dalle cose stesse, che mantenga l'equilibrio ! In quanto alla censura siamo sem pre allo stesso punto : molta nobiltà di sentimenti, poca concretezza. Come provare che un cittadino viva ari stocraticamente, agisca con alterigia, « sia prodigo, avaro, intemperante, imprudente... ? » . Se la nazione è corrotta, se gli strati sociali sono corrosi, la censura non potrà fare nulla di nulla . « Libertà ! virtù ! ecco quale deve esser la meta di ogni legislatore ; ecco ciò che forma tutta ( 1 ) Framm . III , p. 250. 73 la felicità dei popoli. Ma, come per giugnere alla libertà, così la natura ha segnata, per giugnere alla virtù , una via inalterabile : quella che noi vogliam seguire non è la via della natura » ( 1 ) . La virtù, anch'essa, non è un assoluto, quindi non esiste un termine a cui ricondurre le norme della vita. Lo stesso entusiasmo per la virtù può produrre in un paese disgregamenti, e per essere troppo spartani o romani si può cessare d'essere napoletani o milanesi. La notazione è sottile e vera, in un tempo in cui ogni buon repubblicano era un Bruto, uno Scevola o che so io in quarantottesimo, pronto a recitare la sua parte tragica d'eroe e di tirannicida . « La virtù è una di quelle idee, » scrive il Cuoco, « non mai ben definite, che si presentano al nostro intelletto sotto vari aspetti ; è un nome capace di infiniti significati. Vi è la virtù dell'uomo, quella delle nazioni, quella del cittadino : si può considerar la virtù per i suoi princípi, si può considerare per i suoi effetti » ( 2 ) . Può darsi che esi sta un'assoluta virtù, ma questo concetto non può che riflettere la filosofia morale. Il legislatore deve mirare a ben altro fine che ad una virtù superumana sublime, deve mirare a stabilizzare un costume « che non renda infelice il cittadino » , deve cioè trovare quell'armonica delimitazione tra libertà e libertà , tra volontà partico lare e volontà particolare, che sola può rendere pacifica l'umana convivenza. « Il fine della virtù è la felicità, e la felicità è la soddi sfazione dei bisogni, ossia l'equilibrio tra i desideri e le forze » ( 3 ) . Il nostro autore è un politico. A lui non in teressa l'universale etico, che riconosce e legittima nella sua sfera ideale ed eterna ; a lui interessa la morale po sitiva, che altro non è che la conformità del costume del ( 1 ) Framm . VI , p. 261. La critica cuochiana coincide affatto con quella che un valente costituzionalista moderno ha fatto dei due istituti del Pagano, l'eforato e la censura : vedi L. PALMA, op. cit. , p . 442 e sgg . ( 2 ) Framm. VI, p . 261 . ( 3 ) Framm. VI, p . 262. 74 singolo cittadino col costume della nazione ( 1 ) . Il diritto ci appare, quindi, come un minimo etico, che assicura una certa non esagerata regolarità ed uniformità di vivere civile . D'altra parte il Cuoco riconosce che, se il diritto deve limitarsi ad osservare dati di fatto e a porre norme alla convivenza, stabilendo una pura e semplice hominis ( 1) Il concetto che una costituzione politica può assicurare la felicità umana solo in quanto ha un fondamento sulla virtù politica; e, questa alla sua volta rafferma, appare assai fre quente nel Platone in Italia. Arehita (v: I, p . 87) dice : « Ciò , che veramente è necessario in una città ; è che ciascuno stia al suo luogo, cioè che sappia lavorare e che ami l'ordine. Ad ottener l'uno e l'altro , sono necessari egualmente la scienza e la subordinazione... -- Non perdete la stima del popolo, diceva Pittagora, se volete istruirlo. Il popolo non ode coloro che disprezza. Di rado egli può conoscer le dottrine, ma giudica se. verissimamente i maestri, e li giudica da quelle cose che sem . brano spesso frivole , ma che son quelle sole che il popolo vede. Che vale il dire che il popolo è ingiusto ? Quando si · tratta d'istruirlo , tutt' i diritti sono suoi : tutt' i doveri son nostri, e nostre tutte le colpe.... Tutte quelle dottrine destinate a pro durre riforme popolari hanno bisogno di collegi, d'iniziazione, di segreto. Tutt' i popoli hanno avuto di simili collegi. Sono i primi passi che ogni popolo fa verso migliori ordini civili. I vo. stri misteri di Eleusi e quelli di Samotracia hanno la stessa origine: ma nè sul principio sonosi occupati de' nostri oggetti, perchè nati in età più barbara ; nè oggi possono esser più utili, perchè resi troppo comuni. Come pretendete che gl'iniziati emen dino il costume di Atene, se voi ateniesi siete tutti iniziati ? ... ) . « Non son questi, o Archita ) , disse allora Platone, « i soli mali che jo temo per tali collegi. Essi talora possono separarsi dal resto degli uomini, e perdersi o dietro astruse inutili contemplazioni, o dietro l'ozio e gli agi che il rispetto del popolo loro dona. Questo male io temo ogni volta che si separano le instituzioni morali dalle civili. Del resto la morale di Pittagora è nell'in trinseca natura dell'uomo. Essa rinascerà , non ne dubito, sotto altri nomi ed in altre terre. Rinascerà, quando la corruzione dei costumi e degli ordini civili e la miseria generale avrà ridotti gli animi all'estremo de' mali. L'estrema corruzione nei costumi de' popoli produrrà l ' estrema austerità ne' precetti de' pochi saggi che allora vi saranno ; l'estremo de' mali produrrà l'estre. mo del coraggio, della temperanza, della virtù , e risorgeranno sotto altri nomi la sapienza ed i collegi di Pittagora. Possan non separarsi mai dalle leggi e dalla società ! Possano non riunirsi mai con - vincoli troppo tenaci ! ... » . 75 ad hominem proportio, la politica deve andare più in là, assicurare una felicità presente, dalla quale sola può scaturire la virtù, ed inoltre aiutare lo sviluppo della felicità, creare la felicità futura e di conseguenza la virtù futura . La sferà del politico , pur non attingendo il sü blime vertice dell'indagine etica che non può vigere che nel mondo teoretico, la sfera del politico, sfera del tutto pratica, anzi economica, trascende, com'ognun vede, la pura determinazione giuridica: La vita umana è una ë complessa nello stesso tempo, perchè uno e complesso è lo spirito: La felicità politica , e quindi la virtù pub blica, ci appaiono come una formazione vastissima, ri: sultando da elementi molteplici, d'indole spirituale, reli giosa, materiale. Un elemento però è sovra gli altri im portante , l'economico, pur che lo si sappia intendere in sepso lato. « Il fine della virtù è la felicità » ( 1 ) . Per un politico l'affermazione non suona male, specie dopo the egli stesso ha ammesso la possibilità d'un'altra ricerca superiore, i cui termini sono di natura teoretica, che po trà influire sulla ricerca positiva, essendovi innegabili vincoli di reciprocanza, ma che non si connatura con questå . « La felicità è la soddisfazione dei bisogni ossia l'equilibrio tra i desideri e le forze » . Sottentra l'elemento economico. « Ma, siccome queste due quantità sono sem pre variabili, così si può andare alla felicità, cioè si può ottener l'equilibrio oscemando i desideri o accrescendo le forze » (2 ). Il selvaggio cura poco il suo simile: la sua economia è, entro certi limiti, economia individuale iso lata, L'uomo civile non può prescindere dal resto del mondo : la sua economia è solo per astrazione individuale, concretamente è economia collettiva sociale . I bisogni di quest'uomo sono bisogni dinamici e progressivi. Il con cetto della società ha implicito il concetto della progres sività, poi che è impossibile pensare una società umana statica, senza condannarla ad una prossima morte. I bi sogni umani sono in continuo sviluppo : il lusso, quel che ( 1 ) Framm . VI , p . 262. ( 2 ) Framm . VI , p. 262, 76 chiamiamo lusso, è la manifestazione di bisogni nuovi , null’affatto superflui, poi che sono la cagione d'ogni umano progresso . Sorgono nuovi bisogni, ma con essi nasce spesso un disquilibrio, l'infelicità, poi che non sempre le forze bastano a produrre i beni necessari per soddisfare i nuovi bisogni. Che vale predicare gli antichi precetti di moderatezza, fulminare le nuove esigenze so ciali , la ricchezza ? La storia corre incessantemente il suo corso ideale . Nuove età : nuovi bisogni: disquilibrio di forze produttive: poi, di nuovo , equilibrio per una reintegrata armonia tra forze economiche e bisogni: infine ancora un secondo disquilibrio per esigenze sottentrate nell'ambiente, e così in eterno. La dinamica economica è un avvicendarsi continuo d'equilibri successivi, d'equi libri turbati che si compongono in un nuovo punto. L'intuizione cuochiana è lucida ed anticipa di molto alcune vedute economiche moderne. Il fine della politica è assicurare quest'equilibrio tra forze e bisogni, tra forze e desideri, come dice il Cuoco. « Se tu ci insegnerai» , scrive « la maniera di soddisfare i nostri bisogni, se farai crescer le nostre forze, c' ispirerai l'amore del lavoro, schiuderai i tesori che un suolo fertile chiude nel suo seno, ci esenterai dai vettigali che oggi paghiamo per le inutili bagattelle dello straniero, ci renderai grandi e felici: e, senza esser nè spartani nè romani, potremo pure esser virtuosi al pari di loro, perchè al pari di loro avremo le forze eguali ai desidèri nostri » ( 1 ) . Le ricerche del Cuoco sono le ricerche dell'uomo politico . Il molisano è troppo superiore per credere che la sua analisi esaurisca ogni altro problema : egli stesso dice al Russo : « Ti dirò un'altra volta le mie idee sullo studio della morale, sulle cagioni per le quali è stato tanto trascurato presso di noi, sulle cagioni delle contraddizioni che ancora vi sono tra precetti e precetti, tra i libri e gli uomini ; e forse allora converrai meco che di questa scienza, che tanto interessa l'umanità, non ancora si conoscono quei prin ( 1 ) Framm . VI, p. 262 77 cípi che potrebbero renderla utile e vera » ( 1 ) . A me sembra di vedere una netta distinzione tra filosofia e politica, tra etica e pedagogia generale : quel che in una sfera ha un suo profondo valore è insufficiente nell'altra. « L'amor del lavoro mi pare che debba essere l'unico fondamento di quella virtù, che sola può avere il secol nostro. La cura del governo deve esser quella di distrug gere le professioni che nulla producono, e quelle ancora le quali consumano più di ciò che producono ;,e ne verrà à capo, se stabilirà tale ordine, che per mezzo di esse non si possa mai sperare tanto di ricchezza quanto colle arti utili se ne ottiene » ( 2) . Il governo deve dare un vero e proprio impulso alla produzione : le forze giovani anzi che dirigersi agli impieghi pubblici debbono svilup parsi altrove, alle industrie, ai commerci, e sovra tutto alla campagna. « Il lavoro ci darà le arti che ci mancano, ci renderà indipendenti da quelle nazioni dalle quali oggi dipendiamo; e così, accrescendo l'uso delle cose nostre, ne accrescerà anche la stima, e colla stima delle cose nostre si risveglierà l'amor della nostra patria » ( 3 ) . È una vera pedagogia politica in cui i princípi vivono al contatto con la realtà, in un sano relativismo, che, non scendendo alla bassezza dell’empirismo, respinge da se ogni astruseria. Oggi specialmente, in cui la filosofia po litica è di moda e si riconduce pure la pratica più volgare agli eterni princípi; questo nobile realismo ideale, sia permessa la parola , dovrebbe insegnarci più d'una cosa. La rivoluzione pretende di rinnegare la storia, s'af ferma come antistorica ; ma di fronte ad essa, per un processo, che non è solo di reazione, ma di sviluppo - da Vico a Cuoco è lo stesso genio italico lo storicismo rinasce, critica della stessa rivoluzione e entro certi limiti sua rivalutazione. Il Cuoco non rinnega la rivoluzione, anzi mostra di conoscerne i benefíci, che poi enumererà con lucida visione nel Saggio e soprattutto ne' suoi articoli ( 1 ) Framm . VI, p. 261 . ( 2 ) Framm. VI, p. 263. ( 3 ) Framm . VI , p. 263. 78 milanesi . Ma l'astrattismo in materia legislativa è dele terio, ed occorre superarlo, riconducendo il diritto alla vita. Sentimento profondo, che il nostro non tradirà mai, e sarà sempre alla cima del suo pensiero nel lungo corso, che noi ci sforzeremo di seguire . La critica del progetto di Pagano ci appare, quindi, come la manifesta zione d'un sistema, che nel molisano è organico ed in tero, non l'opposizione piccina d'un antirepubblicano. Nè Vincenzo Cuoco si smentì mai. Le notazioni che egli volge alla costituzione partenopea, rivolgerà più tardi nel Saggio alla costituzione francese, che a lui sembra troppo poco adeguata ai bisogni del popolo. « Chi para gona la Dichiarazione de ' diritti dell ' uomo fatta in America a quella fatta in Francia, troverà che la prima parla ai sensi, la seconda vuol parlare alla ragione : la francese è la formula algebraica dell'americana » ( 1 ) . Ma quanto queste idee fossero in lui radicate e profonde, possiamo ancora meglio dimostrare . Nel Giornale italiano, ricevuto l'annunzio che la patria di Alcinoo e di Ulisse ha riacqui stato l'indipendenza , costituendo la così detta Repub blica settinsulare, scrive alcune sue opinioni che è op portuno rivedere. « È difficilissimo giudicar di una costi tuzione . La migliore non è sempre quella che per astratti argomenti si dimostra ottima, ma bensì quella che è più uniforme al costume de' popoli : a quel costume che esi ste sempre prima della costituzione ; e, se è simile, la rende vicina e durevole ; se diverso, la indebolisce e la distrugge .... » . Qual'è dunque il principio che solo può sanzionare la bontà d'una costituzione ? Noi lo sappiamo : il tempo, il quale ci confermerà se essa risponde a bisogni concreti ; la storia, la quale ci dirà se essa si riconnette allo sviluppo della nazione, sviluppo o corso , al quale occorre necessariamente rifarsi, come ad incrollabile base, poi che il processo della vita non soffre soluzioni di con ( 1 ) V. Cuoco, Saggio storico, VII , p. 39 . 79 tinuità. « La storia de' tempi passati », ci ammonisce il Cuoco, è la norma di quelli che ancora debbono ve nire » ( 1 ) . ( 1 ) L'articolo è intitolato La costituzione della repubblica set tinsulare ; Giornale italiano, 1804 , 15 febbraio, n . 20, pp. 78-79. Nelle pagine seguenti del mio lavoro avrò frequente bisogno di rifarmi al Giorn . ital. , in cui c'è il meglio dell'ingegno po litico del Cuoco, e citerò largamente disul testo. Siccome, peraltro , molti dei più significativi articoli del foglio milanese sono stati ristampati in appendice alle opere critiche del Ro MANO e del Cogo, se è del caso, darò tra parentesi, dopo le indicazioni dirette del Giorn . ital., le indicazioni delle ristampe. Altri cinque articoli cuochiani sono stati ripubblicati da G. Gen tile insieme col Rapporto al re Murat e Progetto di decreto per l'ordinamento della Pubbl. Istruzione nel Regno di Napoli col titolo di Scritti pedagogici inediti o rari (Roma-Milano, Albrighi e Se gati ed. , 1909) . Allorquando poi il mio lavoro era già compiuto sono usciti alla luce due altri volumi contenenti quanto di V. Cuoco rimaneva disperso : Scritti vari a cura di N. CORTESE E di F. NICOLINI, Bari, Laterza ed. , 1924. Forse sarebbe stata op portuna una ristampa di tutti gli scritti del Giorn. ital. , ma gli egregi editori non hanno creduto di farla, limitandosi a ripro durre per intero ben ventisette articoli, e sono i maggiori, e a dare, a mo' di appendice, un catalogo ragionato degli altri ri . masti fuori. S'intende che io ho rivisto le mie citazioni sull'edi. zione laterziana, che, dal punto di vista della correttezza , offre i maggiori affidamenti. CAPITOLO III . Il « Saggio storico sulla rivoluzione napoletana » . Il Saggio storico mostra in atto il sistema negativo ab bozzato nei Frammenti. – Lo storico e l'artista . – La . Rivoluzione francese è attiva, quella napoletana pas siva . L'astrattismo . - La corte e il governo. – I re pubblicani e il popolo. - L'arte del Saggio . I Frammenti di lettere dirette a Vincenzio Russo ideal mente vanno innanzi al Saggio storico sulla rivoluzione napoletana, sebbene tipograficamente in tutte le edizioni cuochiane seguano, quasi a mo' d'appendice, questo. Essi sono una vera e propria formulazione di princípi filosofici giuridici economici, che Vincenzo Cuoco desume da un'esperienza storica e politica insieme, antica e mo derna nello stesso tempo. Larghi sono i raffronti tra le costituzioni classiche e le odierne, tra costituzione odierna e costituzione odierna, e la critica si svolge tra compara zioni ed appunti acutissimi. È l'opera di una eccellente testa politica, che ha legittime pretese di teorizzatore e di sistematico. V'è un ordine logico ferreo, una disciplina storica, una consequenzialità impressionante. Avremmo desiderato che questo sistema in abbozzo il Cuoco stesso avesse sviluppato, ma noi posteri, ammirando la sua eletta figura , non possiamo domandargli più di quanto ci ha dato, se non nel dolore di vedere quanta parte del suo genio sia andata dispersa nell'esilio, nella po vertà e infine nelle malattie . È il libro d’un pensatore 81 che ad una astratta ideologia oppone il suo paesano realismo storico . Vincenzo Cuoco assiste allo svolgersi degli avvenimenti, giudice imparziale, ma non per que sto inattivo e mutolo , e vede la storia rinnegare i suoi ideali, l'errore trionfare e fatalmente sommergere l'edi fizio repubblicano. La vita segue una via che è fatale che segua. L'errore trae l'errore, l'estremismo l'estremi smo. L'astruseria rivoluzionaria forza le cose , e la storia sembra calpestare lo storicismo, i princípi, che la specu lazione ha desunto e desume dall'osservazione del suo eterno corso . La storia sembra seguire uno spiegamento, che non è quello che il passato legittima. Vedremo, invece, come, superato il vortice, sia la storia stessa che illumina le verità cuochiane : sarà il periodo del Giornale italiano , il periodo napoleonico dell'impero . « L'uomo è di tale natura, che tutte le sue idee si cangiano, tutt'i suoi affetti, giunti all'estremo, s'indeboliscono e si estin guono : a forza di voler troppo esser libero , l'uomo si stanca dello stesso sentimento di libertà. Nec totam liber tatem, nec totam servitutem pati possumus, disse Tacito del popolo romano : a me pare, che si possa dire di tutti i popoli della terra . Or che altro aveva fatto Robespierre spingendo all'estremo il senso della libertà, se non che accelerarne il cambiamento ? » ( 1 ) . « Questo è il corso ordinario di tutte le rivoluzioni. Per lungo tempo il po polo si agita senza saper ove fermarsi : corre sempre agli estremi e non sa che la felicità è nel mezzo » ( 2 ) . Tale è la vita : dalla sua stessa negazione scaturisce un'afferma zione. La rivoluzione rinnega la storia, e la storia prende la sua rivincita sulla rivoluzione. La rivoluzione afferma il diritto alla sommossa : Robespierre, figlio della rivolu zione, lo nega ghigliottinando ; il popolo stanco lo afferma sul capo di Robespierre. La cos za storica stess sem bra distrutta da tutta una tragica serie di fatti, ispi rati alla più astrusa ideologia : la realtà annichilisce i repubblicani e li conduce alla perdizione; l'equilibrio si ( 1 ) V. Cuoco, Saggio storico , XVIII, p .- 99. ( 2 ) V. Cuoco, Saggio storico , XVIII, p. 102. 6 F. BATTAGLIA . 82 ristabilisce, si riconferma ciò ch'era stato negato. Onde ben scrive, a mio avviso, il De Ruggiero, affermando che l'esperienza rivoluzionaria dà un nuovo significato alla negazione, in quanto questa è la crisi feconda di un rin novamento della vita storica. La crisi, in sostanza, non può non apparire che come una critica degli avveni menti passati e delle istituzioni da essi nate, che non giudica arbitrariamente, sovrapponendo una verità a priori, ma svolge dagli errori stessi un latente spirito di verità ( 1 ) . Questa, infine, la ragione dell'ottimismo rela tivo del Cuoco. L'esperienza politica del Machiavelli do veva necessariamente finire, data la sua natura , le sue premesse, i suoi fini, nel pessimismo o nell'amarezza. L'esperienza del nostro, certo più tragica, più dolorosa, più densa di dolore, che non quella del segretario fioren tino, sfocia, ed è naturale, in un equilibrio, che è quanto dire in un bene relativo , in Napoleone. Tra l'astrattismo e Napoleone c'è la rivoluzione, la prassi sanguinosa, il rinnegamento del passato, la critica assoluta delle isti tuzioni millenarie, l'apriorismo giuridico, la democratiz zazione, universale, l'esaltazione dei princípi. La storia procede con continuità mirabile, ma nella sua stessa continuità c'è un processo di tesi antitesi ed un supera mento implicito, c'è infine la vera dinamica dello spi rito , dell'idea, che muove gli uomini e le nazioni. La rivoluzione e Bonaparte sono due aspetti della stessa realtà : « il passato, negato violentemente, si riaffaccia alla vita nell'atto stesso della negazione » ( 2 ) . La critica dell’astrattismo razionalistico, che ne' Frammenti abbia mo osservato e colta nella teoria, nel Saggio è mostrata e, direi, vista in atto, nello stesso spiegarsi della storia . È la storia stessa, che, nell'indicare la fatalità del pro cesso storico determinato dai princípi e dalla prassi re pubblicana, giudica d’un metodo e d’una mentalità. La storia sembra dire : queste norme hanno portato a tale orribile scioglimento, giudica tu , lettore, della loro bontà ! ( 1 ) G. DE RUGGIERO, op. cit . , p. 167. ( 2 ) G. DE RUGGIERO, op. cit., p. 168. 83 In ciò è riposto quel carattere di sana sapienza, quel l'obiettività del Saggio, per cui Luigi Settembrini ben potea paragonarlo ad una tragedia greca ( 1) . Ed il raf fronto non è davvero stiracchiato . La Provvidenza vi chiana vi tiene il posto dell'antico Fato nell'urto degli eventi, e gli uomini stessi, che hanno determinato la ! catastrofe con i loro errori, con le loro incongruenze, sog giacciono ad un destino, che sembra irrevocabile . Sono essi, gli uomini, che determinano lo scioglimento, o sono poveri burattini nelle mani d'un ignoto motore ? Ma la storia è reciprocanza e v'è perfetta conversione tra causa ed effetto : gli uomini, che fanno la storia , soggiacciono ad essa. Il Cuoco parla spesso di un vortice ( 2 ) , in cui egli stesso fu tratto, e da cui potè districarsi a mala pena, dopo aver perduto i beni e la patria, vortice che egli non ammirava, se pure non odiava, come vuole il Tria, ma che distrusse sul palco ferale tante nobili esistenze, parla insomma di un vortice, che non è altro che la rivoluzione. Che cosa è mai ? È superiore alla volontà degli uomini ? : No, esso è fatto dagli uomini nel loro delirio , nel loro ! errore, e gli uomini possono averne sicura conoscenza , poi che essi ne sono i fattori, ma averne conoscenza, si gnifica in un certo senso superamento e distacco da esso . Nei Frammenti era la teoria, la metodologia. Il Saggio storico è la vita in atto, la tragedia greca in isviluppo, le passioni colte nel loro urto . Questa è la ragione per cui esso è un'opera d'arte, una grande opera d'arte. Lo spi rito dello scrittore rifà il processo della storia, segue il corso delle idee, e lo fa con tale intensa visione da ri crearcelo in un miracolo di luci, di chiaroscuri, di sfu I mature. V'è l'anima insomma, laddove prima era il pensiero ; la fantasia , laddove prima era l'intelletto , la fantasia che s'esprime per immagini e tutto risolve nella immagine. L'opera d'arte è attinta in un processo d'obiet ( 1 ) L. SETTEMBRINI, Lezioni di letteratura italiana, Napoli, Morano ed. , 1882, v. III , p. 282. ( 2 ) V. Cuoco ," Saggio storico, Lettera dell'autore a N. Q. , p. 11: I , p. 16 ; VIII, p. 47 ; XV, p. 84, 84 tivazione, che non esito a dire perfetto, onde non v'è affatto, o assai raramente, quel contrasto ibrido tra l'ar tista che intuisce e lo storico che analizza quale può rin venirsi in molte opere di simile genere, poi che tutto è compenetrato e fuso, attraverso una lunga maturazione, che dovette certo essere prima consapevolezza di pen siero, meditazione di cause e di effetti, e poi immedia tezza nervosa e rapida d'espressione (1 ). Invano tu cercherai nel Saggio un elemento estrinseco all'artista e allo storico. Lo storico si fonde con l'artista , ma lo stesso storico è perfetto. L'uomo pratico non con turba l'artista, che supera nella visione l'enunciato fine utilitario della sua narrazione; il partigiano non con turba lo storico. Leggete invece il Rapporto al cittadino Carnot del vesuviano Francesco Lomonaco. Quante escla mazioni, quanti interrogativi , quante tirate oratorie, quanti pistolotti repubblicani, quanto anticlericalume, quanta montatura ! V? è l'uomo delle nobili passioni, ma v'è pure l'uomo pratico, che per raggiungere un suo fine, non esita di caricar di tinte fosche la storia , non esita un momento per indossare la toga dell'avvocato . Infatti chi può negare la presenza d'una passionalità che di strugge la storia, d'una coscienza turbata ed oscura, che è la negazione d'ogni vera espressione artistica ? ( 2 ). Nel Cuoco nulla di tutto ciò . ( 1 ) La questione della cronologia del Saggio a me sembra oramai risoluta . Fausto Nicolini, in una sua nota all’ed . barese del Saggio, p. 357 e sgg. , la riassume e ne trae le migliori conseguenze. Perciò non ho che da rinviare il lettore a quanto il Nicolini ha egregiamente scritto . Del Saggio poi possediamo numerose edizioni, di cui alcune buone, molte mediocri scorrette ristampe, nonchè traduzioni straniere: vedi N. RUGGIERI, op. cit., p. 173 ; e la nota del Nicolini all’ed . laterziana. ( 2 ) Ogni possibile raffronto tra il Cuoco e il Lomonaco è assolutamente impari. Già lo osservò il Gentile ne' suoi Studi vichiani, p . 361 , nota, là dove critica un giudizio di G. Na. tali, che nella sua monografia La vita e il pensiero di Francesco Lomonaco, Napoli, Sangiovanni, non esita a chiamare il suo scrittore predecessore in molte idee di Vincenzo . Scrive il Gen tile : « Tra le superficialità del Lomonaco e le vedute profonde 85 Chi si accinge a studiare il pensiero cuochiano, i mo menti ideali dello spirito del grande molisano, non può non rifarsi ad un avvenimento, che per lui , come per noi, è la fonte, donde scaturirono tutti i successivi avveni menti, la rivoluzione francese, di cui la rivoluzione parte nopea non è che un tardo episodio . Il Cuoco, che studia più le idee che i fatti, le idee che sono degli uomini, le idee che muovono gli uomini, lega la storia napoletana alla francese, e di questa ci dà un quadro ricco e vasto. « Le grandi rivoluzioni politiche occupano nella storia dell'uomo: quel luogo istesso che tengono i fenomeni straordinari nella storia della natura » ( 1 ) . Le rivolu zioni-sono come le malattie nel corpo umano, i periodi sismici nel mondo geologico. Le generazioni si succedono incolori uguali, finchè « un avvenimento straordinario sembra dar loro una nuova vita » . Le rivoluzioni sono un'misto di bene e di male, gravi di effetti buoni o cat tivi, come le crisi di crescenza nel corpo d’un fanciullo . « In mezzo a quel disordine generale, che sembra voler distruggere una nazione, si scoprono il suo carattere, i suoi costumi e le leggi di quell'ordine, del quale prima si vedevano solamente gli effetti » ( 2 ) . Le rivoluzioni sono esperienze politiche, dalle quali non si può prescindere, perchè sono nell'ordine stesso della natura. Esse rinnegano a parole il passato, di fatto poi lo riconfermano, e nella negazione della storia il filosofo ritrova lo sviluppo fatale della storia . Guardiamo la rivoluzione di Francia, a la più gran rivoluzione dicui ci parli la storia » ( 3 ) . Essa scoppia improvvisamente, rinnegatrice di tutto un passato : una analisi immediata ci dirà che lo stesso passato l'ha pre parata, e allo stesso passato essa si ricongiunge, onde è stato possibile a molti il prevederla. Gli uomini sono cie del Cuoco c'è tale abisso , che non è lecito raccostare i due nomi, se non per illustrare l'ambiente in cui si muoveva lo spi rito del Cuoco, o per far meglio vedere la sua superiorità » . ( 1 ) V. Cuoco, Saggio storico, I. p. 15. ( 2 ) V. Cuoco, Saggio storico, I , p. 15. ( 3 ) V. Cuoco, Saggio storico , II , p . 17, 86 chi, ma la storia, fatta dagli uomini, non è cieca, ed ha una sua logica, nella cui grandezza noi siamo come dispersi. Gli uomini sono ciechi e sono inclini a scambiare il processo della loro mente con il processo della storia, e, peggio , a credere i suoi sviluppi mero sviluppo d'un pen siero loro individuale. Il filosofismo francese ha preceduto la rivoluzione : ciò non significa che esso abbia generato la rivoluzione . La storia non s'esaurisce nella filosofia, come non s'esaurisce nell'economia : la storia è d'una complessità mirabile . « I francesi illusero loro stessi sulla natura della loro rivoluzione, e credettero effetto della filosofia quello che era effetto delle circostanze politiche nelle quali trovavasi la loro nazione » ( 1 ) . Ma la filosofia non compie simili miracoli, non sovverte un mondo, tutt'al più aiuta gli uomini ad insistere ne' loro errori di metodo. Così accadde in Francia. Il Cuoco con ciò non nega l'alta importanza umana della filosofia, vuol semplicemente delimitare la sfera di ogni attività e ad ognuna assegnare il posto che le com pete ; anzi egli stesso ritiene che in ogni operazione umana debba richiedersi la forza e l'idea, e nelle rivoluzioni, come è necessario il popolo, sono necessari i filosofi, i conduttori, « i quali presentino al popolo quelle idee , che egli talora travede quasi per istinto, che molte volte segue con entusiasmo, ma che di rado sa da sè stesso formarsi » ( 2 ) . Il compito dei filosofi è chiarificato : essi debbono trarre i princípi della storia e della politica, non dal loro cervello ed assumerli come postulati inderoga bili , ma dalla vita del popolo, dalla natura eterna del l'uomo, che non è solo intelletto, ma vichiamente anche senso e fantasia. Credere un avvenimento gigantesco, come la rivoluzione francese, frutto soltanto del pensiero filosofico è uno sminuirlo in una visione ristretta e par ticolaristica. La vita non è solo attività teoretica , è me diatamente anche attività pratica, politica ed economica. Pur tenendo di vista il sorgere e l'imporsi delle idee, ( 1 ) V. Cuoco, Saggio storico , VII , p. 37. ( 2 ) V. Cuoco, Saggio storico, XV, p. 82. 87 occorre investigare i bisogni e lo stato dei popoli per ve dere quanto essi siano stati i propulsori d’un moto, che è determinato, ma non cieco, anche nelle sue più crudeli manifestazioni. La rivoluzione francese non si può in tendere, se non s'intende tutta la storia che la precede. La Francia monarchica, la gloriosa potente monarchia accentratrice era un paese di abusi : « la rivoluzione non aspettava che una causa occasionale per iscoppiare » ( 1) . Il Cuoco analizza tutto ciò, e l'analisi breve serrata ner vosa, che egli fa, è, senza dubbio la cosa migliore, che si possa scrivere sul turbolento periodo : gli stessi storici francesi non ebbero mai nessuna di quelle lucide intui zioni che fanno grande il molisano . « Tra tanti » si doman da « che hanno scritta la storia della rivoluzione francese, è credibile che niuno ci abbia esposte le cagioni di tale avvenimento, ricercandole, non già ne'fatti degli uomini, i quali possono .modificare solo le apparenze, ma nel corso eterno delle cose istesse, in quel corso che solo ne determina la natura ? » ( 2 ) . Nessuno, rispondiamo, perchè è fatale negli uomini vedere solo alcuni individui di genio e trascurare le masse e le cose ; credere un moto preparato dai secoli un fenomeno sporadico senza stretti legami con l'antico ; una rivoluzione, opera d'un intero popolo, com presso a lungo dall'ineguaglianza, la manifestazione di pochi genî o d'un partito. Il Cuoco, ho detto, ci dà una disamina dei precedenti della grande rivoluzione, che sfida i tempi nella sua tacitiana concisione. Val la pena di riferirla : non si può estrarre il succo da ciò, che di per sè è tanto concentrato, che togliere una parola val quanto distruggere una meditazione. « La leggenda delle mosse popolari, degli eccidi, delle ruine, delle varie opinioni, de' vari partiti, forma la storia di tutte le rivoluzioni, e non già di quella di Fran cia, perchè nulla ci dice di quello per cui la rivoluzione di Francia differisce da tutte le altre . Nessuno ci ha de scritto , una monarchia assoluta, creata da Richelieu e ( 1 ) V. Cuoco, Saggio storico, VII , p. 37. ( 2 ) V. Cuoco, Saggio storico , VII , p. 38, 88 riforzata da Luigi XIV in un momento ; una monarchia surta , al pari di tutte le altre d'Europa, dall'anarchia feudale, senza però averla distrutta, talchè, mentre tutti gli altri sovrani si erano elevati proteggendo i popoli contro i baroni, quello di Francia avea nel tempo stesso nemici ed i feudatari , ivi più potenti che altrove, ed il popolo ancora oppresso ; le tante diverse costituzioni che ogni provincia avea ; la guerra sorda ma continua tra i diversi ceti del regno ; una nobiltà singolare, la quale, senza esser meno oppressiva di quella delle altre nazioni, era più numerosa, ed a cui apparteneva chiunque vo leva, talchè ogni uomo, appena che fosse ricco, diven tava nobile, ed il popolo perdea così financo la ricchezza ; un clero, che si credeva essere indipendente dal papa e che non credeva dipendere dal re, onde era in continua lotta e col re e col papa ; i gradi militari di privativa de' nobili ; i civili venali ed ereditari, in modo che al l'uomo non nobile e non ricco nulla rimaneva a sperare ; le dispute che tutti questi contrasti facevano nascere ; la smania di scrivere, che indi nasceva e che era divenuta in Francia un mezzo di sussistenza per coloro i quali non ne avevano altro, e che erano moltissimi ; la discus sione delle opinioni a cui le dispute davan luogo ed il pericolo che dalle stesse opinioni nasceva, perchè su di esse eran fondati gl'interessi reali de' ceti ; quindi la massima persecuzione e la massima intolleranza per parte del clero e della corte, nell'atto che si predicava la mas sima tolleranza dai filosofi; quindi la massima contrad dizione tra il governo e le leggi, tra le leggi e le idee, tra le idee e li costumi, tra una parte della nazione ed un'altra ; contraddizione che dovea produrre l'urto vicen devole di tutte le parti, uno stato di violenza nella na zione intera, ed in seguito o il languore della distruzione o lo scoppio d'una rivoluzione . Questa sarebbe stata la storia degna di Polibio » ( 1 ). La Francia ha mille cause per muoversi. La rivoluzione ( 1 ) V. Cuoco, Saggio storico , VII , p . 38. 89 s'esprime dal seno d'un popolo in travaglio secolare, sca turisce da desideri compressi, da bisogni materiali, da un malessere durevole. Che ci hanno a che fare i filosofi ? I filosofi servono, se mai, a conturbare quel che è chiaro , a far credere opera loro quel che è già nella storia, a far scambiare come esigenza intellettuale quel che è esigenza economica nel suo più vasto significato. Enormi sono gli abusi, terribili i contrasti; più astratti, quasi per necessità, i princípi riformistici, come quelli che voglion compren dere un numero più grande di fatti umani. Ecco l'errore ! I francesi deducono i loro princípi dalla metafisica , e cadono nell'errore « di confonder le proprie idee colle leggi della natura » (1). È una ' falsa visione del reale questa in cui possono cadere tutti gli uomini che seguono idee soverchiamente astratte . Commentando le incon gruenze dei repubblicani della Partenopea il Cuoco escla ma : « Io credeva di far delle riflessioni sulla rivoluzione di Napoli, e scriveva intanto la storia della rivoluzione di tutt ' i popoli della terra, especialmente della rivolu zione francese . Le false idee che i nostri aveano conce pite di questa non han poco contribuito ai nostri mali » ( 2 ) . Siamo sempre ad un punto : gli uomini credono troppo ne' loro princípi e non s'accorgono che i principi sono spesso astrazioni, credono in essi e ' non osservano che intanto la storia si muove oltre i princípi. La rivolu zione è opéra dei filosofi ? Altro che filosofi ! « Il grande, il solo agente delle rivoluzioni e delle controrivoluzioni >> è il popolo (3 ) . Guardate questo popolo : si muove mai esso dietro i filosofemi ? No. « Il popolo non intenderà, non seguirà mai' i filosofi » ( ) . Perché ? La ragione è una sola, vichiana. Il popolo è senso e fantasia : i filosofi in telletto . Date al popolo princípi : non li intenderà. Com primete il popolo, esacerbatelo : il suo senso s'esaspererà, la sua fantasia s'accenderà violenta , vremo una crisi vasta ' e potente, la rivoluzione. ( 1 ) V. Cuoco, Saggio storico , VII, p . 39. ( 2 ) V. Cuoco, Saggio storico, XVIII, p. 96. ( 3) V. Cuoco, Saggio storico , Prefazione alla sec. ed. , p . 5 , ( 4) V. Cuoco, Saggio storico , VI, p. 30, 90 La rivoluzione nasce da bisogni positivi, cioè dal senso e dalla fantasia popolaresca. Ciò non toglie che il suo pervertirsi, il suo incrudelire provenga invece dalla falsa filosofia . L'origine è naturale, lo sviluppo abnorme: lo spunto è popolare ed economico, le conseguenze degene razioni di princípi, intellettualistiche. Sono le astruserie dell'ultima ora che portano seco loro gli inconvenienti propri delle grandi rivoluzioni, i capricci de' potenti, le fazioni, le turbolenze, il sangue. « Chi guarda il corso della rivoluzione francese ne sarà convinto » ( 1 ) . I saggi sono inutili a produrre una rivoluzione ( 2 ) , ma i pseudo saggi possono condurre un moto già evoluto sur una falsa via. Ecco perchè la rivoluzione francese ha un vizio d'origine, che dovrà riuscire fatale alle rivoluzioni, che qua e là scoppiarono, riflessi incolori e pur gravi della grande rivoluzione: essa parla troppo alla ragione, poco al senso e alla fantasia, e i popoli, si sa, sono tutto senso, tutta fantasia . Quanto più i pensatori navigano in sfere superne, tanto meno i popoli li intendono, anzi, a volte, sono i popoli che accendono le controrivoluzioni, se i princípi di ragione urtano le avite tradizioni, i sacri costumi, i millenari bisogni. La critica è profonda, e, come ognuno intende, coin volge tutta la rivoluzione francese, ma è una critica , che nel Saggio storico appare per incidenza, e che tocca allo studioso di rilevare . La storia è tutta una catena, in cui un avvenimento non si può astrarre dagli altri. La vita delle nazioni oggi è così complessa, che, trattando della stessa Napoli e della sua politica, non si può prescindere dalla politica generale dell'Inghilterra, della Francia, della Spagna. Nel passato una rivoluzione potea apparire un evento isolato , poteva chiudersi quasi in una barriera sanitaria ; oggi, in tempi nuovi, deve fatalmente trovare addentellati un po' ovunque. La rivoluzione francese suscita un incendio repubblicano in Italia , a Milano, a Roma, a Napoli. Ma in questa stessa considerazione ( 1 ) V. Cuoco, Saggio storico, VII, p. 40. ( 2 ) V. Cuoco, Saggio storico, Prefazione alla sec. ed. , p. 6, 91 sta il primo e capitale appunto alla rivoluzione parte nopea, di cui il Cuoco esclusivamente si occupa. Lo storico critica lo svolgimento della grande rivoluzione francese, ma non nega l'origine pienamente legittima di essa, la riconosce nata da un secolare stato anomalo di cose, per cui il popolo, attivo e industrioso, ma ciò non pertanto trascurato ed isolato politicamente, reagisce e d'un balzo acquista di diritto ciò che di fatto aveva già acquistato . Nulla di tutto ciò a Napoli. Quivi la rivolu zione è un mero riflesso di quella gallica, è nella sua na scita e nel suo affermarsi passiva. L'aggettivo passivo ha fatto epoca , e val quanto dire impopolare. Le idee passano di paese in paese, perchè trovano ovunque in gegni culti atti a riceverle e a meditarle ; i bisogni sono invece ovunque diversi, da nazione a nazione, da po polo a popolo, anzi da regione a regione, da provincia a provincia. Quel che a Parigi è spiegabile, a Napoli ' non lo è : quel che a Napoli è naturale, in Calabria cessa di esserlo, diviene artefatto . Mentre tutto il pensiero europeo, dalla Germania all'Italia, dall'Inghilterra alla Russia, dalla Spagna alla Svizzera, è infranciosato, ra zionalista, illuminista, i bisogni dei popoli sono sostan zialmente e profondamente diversi in ogni angolo del vecchio continente europeo. Come poter condurre realtà di lor natura ineffabili e particolari ad. aderire a prin cipi uniformi, se non sforzando lo stesso ordine delle cose ? Così.a Napoli. Invece di fare una rivoluzione na poletana, si fece una rivoluzione francese in piccolo . « Le idee della rivoluzione di Napoli » scrive il Cuoco « avrebbero potuto esser popolari, ove si avesse voluto trarle dal fondo istesso della nazione. Tratte da una co stituzione straniera , erano lontanissime dalla nostra ; fondate sopra massime troppo astratte, erano lontanis sime da’sensi, e, quel ch'è più, si aggiungevano ad esse, come leggi, tutti gli usi, tutt'i capricci e talora tutt'i difetti di un altro popolo, lontanissimi dai nostri difetti, da' nostri capricci, dagli usi nostri » ( 1 ) . La rivoluzione ( 1 ) V. Cuoco, Saggio storico , XV, p. 83, 92 francese, in sostanza , e qui è il nucleo di tutte le consi derazioni successive, è attiva, cioè risultante di molte plici elementi economici e politici ; la rivoluzione napo letana passiva, cioè frutto di opinioni labili. Ma guardate gli uomini ! I monarchi europei credono la rivoluzione francese questione d'opinioni e la perseguitano, mentre, se era in realtà questione d'opinione, sarebbe caduta di per sè stessa ; il re di Napoli crede cosa grave e profonda, invece, ciò che nel suo nascimento era ' un ' po ' moda e opinione, la tormenta ed incrudelisce, finendo per creare col suo contegno un generico malcontento . Lo stesso atteggiamento politico estremo in due circostanze diverse finisce per produrre i più gravi effetti. Le conseguenze di non mirare entro la natura delle cose ! È un astratti smo, che Vincenzo Cuoco non vede solo nella rivoluzione, ma ne' governi, nei patrioti e nei codini , nella filosofia e nella scienza militare. La reazione, al primo manifestarsi della rivoluzione francese, è tutta ispirata a questa visuale errata. Le potenze europee si coalizzano contro la Francia : effetto : la Francia, di fronte al pericolo straniero, è un sol uomo, si arma, si oppone, vince. « Una guerra esterna, mossa con .... ingiustizia ed imprudenza, assodò una rivoluzione, che, senza di essa, sarebbe degenerata in guerra civile » ( 1 ) . È l'astrattismo, il solito astrattismo del tempo, che crede forzare l'ordine delle cose. La Francia deve ras sodare la sua insurrezione; ha contro di sè tutta l'Europa : la guerra le diviene indispensabile per vivere. È l'oppo sizione stessa che costringe il paese alla lotta. Quindi si sviluppa un sistema di democratizzazione universale, di cui i politici interessati si servono, a cui i filosofi applau dono in buona fede ; « sistema che alla forza delle armi riunisce quella dell' opinione, che suol produrre, e ta lora ha prodotti, quegl'imperi che tanto somigliano ad una monarchia universale » ( 2 ) . ( 1 ) V. Cuoco, Saggio storico , II , p. 18 . ( 2 ) V. Cuoco, Saggio storico, II , p. 20. 93 A Napoli lo stesso errore dei governanti è aggravato da circostanze peculiari. Il principio della rivoluzione francese trova una nazione florida ed esuberante di pen siero e di studi economici, giuridici, filosofici, un paese che trae dalla Francia molte cose, ma tutte le concre tizza in una tradizione paesana, che si ricollega al Vico. La rivoluzione, se pure in questo ambiente è possibile una rivoluzione, è affare d'opinione. Ma a Napoli mancano i repubblicani. Pochi giovinetti, presa la testa - dalle novità straniere, si proclamano sovversivi, vestono alla francese, parlano francese, seguono insomma la moda . Convien disprezzarli. No, il governo muta rotta, incru delisce. È proprio quella politica, che più conveniva evi tare, volendo rimanere saldi nella grave crisi, che agi tava tutto il mondo civile ( 1 ) . « I nostri affetti, preso che abbiano un corso, più non si arrestano. L'odio segue il disprezzo, e dietro l'odio vengono il sospetto ed il timore » ( 2 ). Gli uomini s'oppongono violentemente, gli a ffetti s ' inacerbano : laddove con un metodo diverso la situazione potea dominarsi, è lo scompiglio . « I mali d'opinione si guariscono col disprezzo e coll'obblio : il popolo non intenderà, non seguirà mai i filosofi » ( 3 ) . A Napoli il popolo non partecipa a nessun movimento : la rivoluzione, quindi, è lecito presumere, non c'è , non ci 16 li la ti ( 1 ) È lo stesso concetto che V. Cuoco esprime nel Platone in Italia, v . I , p. 43 : « Nel portico di Falanto si ragunan tutti i giorni , molti, la cura principale de quali è di ragionar della guerra e della pace di tutti popoli della terra ... Forse un giorno taluno imporrà fine al loro cicaleccio. Archita non lo cura, ad onta che il più delle volte si parli di lui , e non sempre con giustizia. E qual giustizia sperare da coloro che siedono tutt' i giorni in un portico per ragionar di regni ? 0. presto o tardi si credono di esser re . Ma Archita, a taluno che gli ha con sigliato di vietar taliadunanze, ha risposto : —Tu vuoi dunque che il popolo creda alle parole di costoro ? Nessun uomo mostra la sua stoltezza , nè il popolo se ne accorge mai al primo mo mento. Se vuoi smascherar lo stolto , lascia che parli lungamente. Gli chiudi tu la bocca al primo istante ? Corri il rischio di farlo riputar savio ( 2) V. Cuoco, Saggio storico, VI, p. 29. ( 3) V. Cuoco , Saggio storico , VI, p . 30. 94 sarà. Ma, ecco, la polizia perseguita quei giovinetti, che hanno per moda il fare le corse a cavallo per Chiaia e Bagnuoli, imitando gli antichi greci, che leggono ne' pe riodici le cose della rivoluzione francese e ne parlano ai loro barbieri e alle innamorate, ecco, le opinioni diven tano sentimenti, il sentimento genera l'entusiasmo, l'en tusiasmo si comunica : « vi inimicate chi soffre la perse cuzione, vi inimicate chi la teme, vi inimicate anche l'uomo indifferente che la condanna ; e finalmente l'opi nione perseguitata diventa generale e trionfa » ( 1 ) . Una politica sbagliata insomma ingenera errori nuovi. Si perde il senso della moderazione e si cade nell'estre mismo. Si vuol sangue, si condanna ( 2 ) . Pochi a Napoli intendono la rivoluzione francese, pochissimi l'approvano, nessuno la desidera : eppure si crea un ambiente insurre zionale, laddove non era. « Il mezzo per opporsi al con tagio delle idee lo dirò io ? non è che un solo : lasciarle conoscere e discutere quanto più sia possibile. La di scussione farà nascere le idee contrarie » ( 3 ) . Il governo di Napoli invece è pavido, e il timore rende deboli e inetti , ci offre sprovvisti all'assalto inimico. « Vince una rivoluzione colui che meno la teme » ( + ) . Questa incomprensione della realtà sociale, che il Cuoco trova nella prassi politica preventiva della corte di Na poli, deriva dallo stesso astrattismo che domina i go verni europei coalizzati, è lo stesso astrattismo che guida i giacobini di Francia e i patrioti di Napoli . Non per nulla tutti gli attori del fòsco dramma, gli uni e gli altri hanno bevuto alle acque della filosofia illuminista, che per la ragione rinnega il senso, e ripone tutta la sua fiducia nell'umano intelletto e nella sua ideologia. Eccone le conseguenze. Vedremo in seguito il comportamento dei ( 1 ) V. Cuoco, Saggio storico, VI, p. 30 . ( 2 ) Il tratto saliente di questa pre -reazione è la condanna a morte di tre giovani, De Deo, Vitaliani e Galvani : la morte del De Deo fu sublime. Vedi quel che ne scrive B. CROCE, La rivoluzione napoletana , p. 204 e sgg: ( 3 ) V. Cuoco, Saggio storico , VII, p. 41. ( 4 ) V. Cuoco, Saggio storico, VII , p. 42. 95 repubblicani, ora dobbiamo osservare più particolar mente la politica governativa e la sua insufficienza . La rivoluzione a Napoli, abbiamo detto, nasce come opinione, quindi passiva ; la corte finisce per renderla necessaria, sforzando il cammino storico della nazione, suscitando vasti malcontenti in tutte le classi del po polo, ne' signori e nella borghesia, perseguitando dotti filosofi ed economisti, un giorno già vanto e decoro della corte stessa, nel popolo, intaccando gravemente i suoi interessi . Vediamo quest'ultimo punto, il quale ci mo strerà pure l'importanza che Vincenzo Cuoco dà all'ele mento economico nella storia e nella politica. La storia per lui non è pura idea, come per gl’intellettualisti, che finiscono per negarla, nè pura economia, come per i ma terialisti storici : la storia è più complessa assai . « La storia si può suddividere in tante parti quanti sono gli aspetti sotto de' quali gli avvenimenti umani si vo gliono considerare » ( 1 ) . Ogni scienza particolare ha una sua storia, ma quel che noi consideriamo come la storia per eccellenza non s'esaurisce in alcuna ricerca partico lare. Lo spirito è complesso pur nella sua unità, così com plessa è la vita dei popoli, che è attività pratica e teore tica, prassi ed economia, intelletto e fantasia. Onde lo storico deve tener conto di tutto, e di tutto deve rendersi conto. Ma non anticipiamo ! Il Cuoco dà molta importanza all'elemento economico, ma non esaurisce in esso il pro cesso storico, lo sviluppo d'una nazione. Qual è la posi zione geografica, e di riflesso economica, del regno di Napoli ? Ove portano questo Stato i bisogni generali ? Qual'è quindi la direttiva più naturale della sua politica ? Quando Napoleone discende in Italia , la penisola è divisa in piccoli Stati, i quali uniti avrebbero potuto opporre resistenza, disuniti era fatale che cadessero . Que sta contingenza mostra quanto lo stato politico degli italiani sia infelice , senza amor di patria e senza virtù militare. Di fronte al genio d’un gran capitano tutte ( 1 ) V. Cuoco, Scritti vari, v . II , p. 31 . 96 le barriere caddero come scenari vecchi : gli austriaci furono messi in fuga, Venezia disparve colla sua imbe cille oligarchia , la distruzione del governo teocratico del Pontefice non costò che il volerla. Napoli sola per un complesso di cose poteva resistere . A Napoli c'era un governo monarchico forte, che garantiva una maggiore compattezza, una certa disciplina, un esercito, un po polo che bene o male seguiva il suo sovrano, c'era un popolo, e dietro di esso una classe colta che voleva stu diare e vivere . Tutto rendeva possibile l'esistenza felice della monarchia, pur nel vortice che dilagava in Eu ropa. Non fu così : la politica borbonica da qualche anno seguiva , e ora sotto la pressione napoleonica con tinuò a seguire, l'andazzo antifrancese de' governi coa lizzati, ed urto in una condizione di cose secolare e pro fondamente sentita dalle popolazioni meridionali. Il regno di Napoli era per sua natura una potenza me diterranea . Tutti i suoi interessi lo portavano ad una politica mediterranea, ad una politica, vale a dire, il cui centro di sviluppo fosse il bacino del Mediterraneo, ad un commercio con l ' Oriente, con Tunisi, con la Francia, con la Spagna. Queste le esigenze del paese : la volontà della regina dominatrice co' suoi favoriti della corte e del governo dispose diversamente. Lo Stato diventò ligio all'Austria, potenza lontana, dalla quale il paese nulla aveva da sperare e tutto da perdere, che finì anzi per coinvolgerlo in continue guerre . Le cause di questo errore si riconducono ad uno di quei concetti , che nel Cuoco sono alla base di tutto il suo pensiero : il disdegno di tutto ciò che è straniero. L'ita lianismo del Cuoco, che si vuol porre di solito come mero antifrancesismo, è, entro certi limiti, un po' xenofobismo. Egli vuol inoculare agli italiani un sicuro orgoglio nazio nale, un vero bisogno d'essere esclusivamente italiani . La rivoluzione napoletana, come in genere tutte le rivoluzioni italiane del tempo, sono la negazione dell'italianismo, negazione, che, notiamo, è cominciata da lungo tempo e si perpetua tra gli errori de' governi e dei repubblicani. È un indirizzo mentale, che il Cuoco combatte ovunque 97 lo trova. Egli non è antirivoluzionario, perchè critica i patrioti: egli non è antiborbonico, sol perchè critica il go verno . La sua critica ha origini più grandi: bisogna riguar darla quale espressione d'una mentalità politico- giuridica più italiana, più grande che non tutti i sistemi che la ri voluzione ha maturati, d'una mentalità politica , che si rivolge combattiva ovunque vede la sua negazione. L'azione rivoluzionaria è una prassi d'astrattismo fran cese : è naturale che Vincenzo Cuoco non ne condivida le direttive .. La politica di Maria Carolina di Napoli e del suo favorito Acton è poco napoletana, molto austriaca : è naturale che Cuoco alla luce delle sue idee ne riveli le incongruenze e le manchevolezze. La pietra di paragone: l'Italia , Napoli, il popolo e i suoi bisogni. Tutte le poli tiche , che astraggono da questo elemento insuperabile, sono rovinose. Maria Carolina, salendo al trono meridionale, dovea dimenticare di essere una tedesca, pensare di divenire napoletana, se voleva divenire davvero regina di Napoli e cessare di essere una principessa germanica. Volle in vece essere novatrice, cioè sforzare la tradizione, gli usi, i costumi del nuovo ambiente, sviluppando una frivola smania per ogni cosa estera, sia materiale, sia intellet tuale . Dalla moda per il vestire si passò a quella per il costume e per i modi, si parlò francese od inglese, e si ritenne poco obbrobrioso non sapere l'italiano ; l'imita zione del vestimento e delle lingue portò di conseguenza l'imitazione delle opinioni . « La mania » ammonisce il « per le nazioni estere prima avvilisce, indi ammi serisce, finalmente ruina una nazione, spegnendo in lei ogni amore per le cose sue » ( 1 ) . La stessa ineguaglianza in tutti i rami dell'ammi nistrazione . Ovunque si navigava nell'astrazione. Chi potrebbe mai pensare la felicità e la potenza, a cui un governo savio ed attivo, cioè nazionale, avrebbe potuto portare il paese, sviluppando l'energia pubblica, ed esen Cuoco ( 1 ) V. Cuoco , Saggio storico, V, p. 29. 7 -- F. BATTAGLIA . 98 tando il paese perciò dalla dipendenza manifatturiera estera, proteggendo le arti, sviluppando il commercio ! Invece no : non v'è provvedimento borbonico che non si possa rimproverare. « L'epoca in cui giunse Acton era l'epoca degli utili progetti : qual progettista egli si spac ciò e qual progettista fu accolto ; ma i suoi progetti, ineseguibili o non eseguiti o eseguiti male, divennero cagioni di nuove ruine, perchè cagioni di nuove inutili spese » ( 1 ) . Il Cuoco non fa distinzioni : il male è nella ra dice, nella mentalità del tempo. Si spera in un ottimo assoluto, che è il peggior nemico del bene, e si finisce per far male : si è miracolisti e si riduce a terra ogni utile antica istituzione. Gli ordini antichi bene o male assicuravano la vita civile : perchè distruggerli ab imo, anzi che rif marli ? Chi era Acton, chi era questo favorito, che voleva ! « Acton non conosceva nè la nazione nè le cose. Voleva la marina, ed intanto non avevamo porti, senza de' quali non vi è marina : non seppe nemmeno riattare quei di Baia e di Brindisi, che la natura istessa avea formati, che un tempo erano stati celebri e che poteano divenirlo di nuovo con piccolissima spesa, se, invece di seguire il piano delle creature di Acton, si fosse seguito il piano dei romani, che era quello della natura » ( 2 ) . Un esempio della vacuità del favorito di Maria Carolina. Napoli, dato che è un paese mediterraneo, aveva bisogni marinari . I bar bareschi erano i suoi nemici diretti, i nemici dei suoi commerci, che con le loro scorrerie finivano per rovinare. Occorreva proteggere le navi mercantili, occorreva una flotta di piccole navi veloci e leggiere da opporre alle navi da corsa. Acton volle provvedervi. Manco a farlo appo sta, la flotta che fece costrurre, era composta di legni pesanti, da combattimento e non da guerriglia. Io non posso indugiarmi su questo argomento , poi che il mio assunto non è quello di dare la contenenza del ( 1 ) V. Cuoco, Saggio storico , VIII , p. 45. ( 2) V. Cuoco, Saggio storico, VIII, p . 46. 99 Saggio storico, ma di tracciare un profilo ideale del pen siero di Vincenzo Cuoco nelle sue svariate manifesta zioni, seguendo fin dove è possibile la cronologia delle opere del molisano, tradendola ove essa complica lo sviluppo sistematico dello spirito. Non mi indugierò quindi ad enumerare gli errori, l'atteggiamento del go verno verso Napoleone, l'aggressione durante la sua as senza, la marcia di Mack, capo dell'esercito borbonico, su Roma. Mack.... Se volete un ultimo esempio di astrattismo, basta pensare al generale austriaco, al quale il governo di Napoli'affidò le sue fortune. Cuoco non è un uomo di guerra, ma ha il buon senso di cogliere il punto debole di duci della natura di Mack, inclini a scambiare le loro idee con l'universo . La scienza militare è una scienza positiva, scienza d'osservazioni particolari, che ripugnano , alle schematizzazioni. Mack invece era la dottrina in per sona, ma faceva i piani a tavolino, risalendo col pen siero ai princípi della sua scienza, senza collaudarli con la realtà, che gli si parava dinanzi. « Vuoi conoscere » do manda il Cuoco « a segni infallibili uno di questi capitani ? Soffre pochissimo la contradizione ed i consigli altrui: il criterio della verità è per lui, non già la concordanza tra le sue idee e le cose, ma bensì tra le sue idee mede sime. Prima dell'azione sono audacissimi, timidissimi dopo l'azione : audacissimi, perchè non pensano che le cose pos san esser diverse dalle idee loro ; timidissimi, perchè, non avendo prevista questa diversità, non vi si trovan pre parati. Affettano ne' loro discorsi estrema esattezza ; ma questa è inesattissima, perchè trascurano tutte le diffe renze che esistono nella natura » ( 1 ) . Simili uomini, come Acton e Mack, sono deleterii in ogni tempo, furono rui nosi ai Borboni, in contingenze delicatissime. Date queste premesse , la sconfitta, la fuga del re, l'in ganno della partenza, l'ingresso de' francesi nella capi tale, il governo repubblicano, la proclamazione della Par ( 1 ) V. Cuoco , Saggio storico , XII, p. 72. 100 tenopea ci appaiono necessari sviluppi di tutti gli elementi , che abbiamo precedentemente analizzato. Ma la storia del Cuoco procede con la stessa spietata critica, per cui l ' in dagine penetra acuta negli avvenimenti e nelle determi nazioni umane, come il bisturì nel corpo d'un paziente, e ne rivela i mali, ne appalesa gli errori. Ancora le stesse deficienze, ancora la stessa visuale falsa. Repubblica e popolo sono due cose distinte. Vediamo i due gruppi. Chi sono i repubblicani di Napoli ? Sono repubblicani tutti coloro che hanno beni e costume. L'aristocrazia, la borghesia, la classe accademica, gli studenti, il clero an che alto , l'ufficialità dànno il contingente maggiore dei patrioti : filosofi, finanzieri, giureconsulti, vescovi, teologi, giornalisti, poeti. Nel moto del '99 non è davvero il pen siero che manca. Ma basta l'idea a muovere i popoli, a sovvertire un ordine secolare, a riformare ab imo gli istituti d'una nazione ? Tra le file dei repubblicani c'è, abbiam detto, quanto di meglio ha prodotto il mezzo giorno d'Italia in tutti i rami dello scibile umano, ma non si può negare , che anche a Napoli si sia prodotto quel fenomeno tipico di tutti i sovvertimenti, l'arrivismo, la speculazione. Molti hanno la repubblica sulle labbra, pochi nel cuore ; molti l'esaltano, pochi la raffermano. Alcuni hanno voluto accusare il Cuoco di parzialità, anzi di malvolere verso le nobili figure de ' martiri del '99 ( 1) . Ma il Cuoco è storico e non travisa ! Che meraviglia che accanto a Pagano ci sia il faccendiere, accanto a Russo li procacciante, accanto a Conforti il paglietta in cerca di clienti, accanto a Grimaldi il soldato che vuol far car riera ! È la storia d'ogni giorno, più o meno triste, ma sempre uguale. Il Cuoco del resto sa sollevare la testa e notare le grandi figure ed eternarle. Questi repubblicani il molisano distingue in due gruppi : coloro che vogliono più un cangiamento che un buon cangiamento, per pescare nel torbido, coloro che in buona (1 ) Cfr. U. TRIA, op. cit., p . 158 e sgg. in Rassegna critica della letteratura italiana , vol. VI, ( 1901) ; L. CONFORTI, op. cit. , p. 21 e sgg. 101 fede vogliono imitare tutto dalla Francia ; i furbi, in somma, e i fantastici ( 1 ) . Ma la virtù a Napoli è grande. Mentre in tutte le altre rivoluzioni è l'elemento cattivo, che fa sorgere principi pessimi, qui vi sono i princípi non buoni, che fanno cadere uomini buoni ed eletti . La memoria dello storico s'in china dinanzi ai martiri del '99 . I patrioti sono uomini colti, superiori, il fior fiore della nazione : forse questa stessa loro origine è la causa prima che li allontana, sele zionandoli, dalle masse, e quindi dalla realtà d'ogni sana politica. Gli uomini sono buoni ; i princípi che essi pro fessano, gli ordini cattivi. La loro virtù è una virtù stoica, il loro spirito romano, la loro morale superiore, troppo superiore a quella comune delle plebi : quest ' è stata una delle cagioni della ruina ( 2 ) . Uomini i patrioti insufficienti tutti, nel giudizio sereno dello storico, a creare e a diri gere uno Stato, grandi solo nella morte : la loro fine con sacra alla posterità la loro sublime grandezza. Il Cuoco è davvero nella sua analisi uno scettico, e sa esaltare l’eroi smo, come abbattere la falsa politica. Lo stesso uomo, che enumera errori errori errori, è poi colui che con pa role degne di Tacito, esaltatore delle ultime aristocra tiche virtù, descrive la difesa strenua degli ultimi nuclei rivoluzionari dinanzi all'irrompere delle torme sanfedi ste , la distruzione del forte di Vigliena, oppure la ca duta di Altamura. L'assedio di Altamura, per esempio, è scolpito con una concisione ed una rapidità mirabili : l'eroica disperata lotta rivive paurosa nella nostra fantasia. Il salto del forte di Vigliena, la battaglia navale di Procida delle flot tiglie barcarecce di Caracciolo contro le munite navi di Nelson mostrano un Cuoco, non solo freddo analista, cri tico spietato d'errati metodi legislativi e costituzionali , ma un Cuoco, direi, lirico e commosso, preso dal fascino delle figure eroiche, che la storia suscita fra errori e de lusioni, onde ei può nel crollo della sua, dico sua, repub ( 1 ) V. Cuoco, Saggio storico , XV, p. 84, nota . ( 2) V. Cuoco, Saggio storico , XXXVI, p. 157 . 102 blica esclamare esaltato : « Si sono tanto ammirati i tre cento delle Termopili, perchè seppero morire ; i nostri fecero anche dippiù : seppero capitolare coll'inimico e salvarsi ; seppero almeno una volta far riconoscere la repubblica napoletana » ( 1 ) . Ma lo spirito politico di Vincenzo Cuoco non può non far risalire alla sventatezza, all'impreparazione dei pa trioti la causa dello sfacelo ; non può, esaltando virtù e meriti, dimenticare l'insufficienza e la vacuità del me todo legislativo, che doveva dar le norme direttive al nuovo ordine . Si è detto ( 2 ) che la storia del Cuoco non è scritta con un fine ben netto . No, il fine c'è : la condanna spietata d'una mitologia costituzionale e filosofica, af finchè l'Italia ritorni alla sua tradizione e non ricada sugli antichi errori . I saggi sono inutili a produrre le ri voluzioni; i filosofi navigheranno sempre in beate astra zioni, ma invano credono di poter muovere con i loro pensamenti i popoli, poi che questi non si muovono che sotto l'urgenza di concreti bisogni. A Napoli, come al trove, c'era un popolo : bisognava tenerne conto, inter pretarne i desideri. I patrioti non ne fecero caso . Tutta la rovina della repubblica s'impernia su questa incompren sione sociale. Il popolo, sappiamo, è il grande, il solo agente delle rivoluzioni e delle controrivoluzioni ( 3 ) . Credere un moto rivoluzionario determinato dalla filosofia è una semplice illusione, che solo i francesi potevano concepire. La rivo luzione deve parlare ai sensi e alla fantasia, non solo all'intelletto, cioè alle plebi, e non solo ai pensatori. A Napoli c'era un popolo, che in qualche modo aveva di che lagnarsi della più recente opera de' Borboni: biso gnava farlo agire, soddisfare i suoi desideri, cointeressarlo alla nuova ricostruzione, legarlo allo Stato : allora solo, ( 1 ) V. Cuoco, Saggio storico, XLVIII, p. 188. ( 2 ) U. TRIA, op. cit., p. 196 , in Rassegna critica della lette ratura italiana, v . VI, ( 1901 ) . ( 3 ) V. Cuoco, Saggio storico , Prefazione, p. 5. 103 fatto ciò, la repubblica poteva dirsi basata su un piedi stallo incrollabile. In una rivoluzione è necessario il numero e l'idea. Le idee repubblicane si sarebbero potute rendere popolari , ove si avesse voluto trarle dal fondo istesso della nazione . Quando la rivoluzione scoppia, il popolo ondeggia tra le due fazioni, i patrioti che vede padroni della capitale, il re che vede fuggire ignominiosamente. È il momento ! Il popolo dubita della saggezza del sovrano, della sua magnanimità, lo coglie in peccato di vigliaccheria , dubita, e chi dubita condanna a metà . Si può rendere il popolo partecipe all'azione, invece si fa di tutto per allontanarlo. « La nostra rivoluzione » scrive Cuoco « essendo una rivo luzione passiva, l'unico mezzo di condurla a buon fine era quello di guadagnare l'opinione del popolo » ( 1 ) . Ma repubblicani e popolo sembrano nonchè due classi, due popoli diversi per idee costumi lingua. I primi sono fran cesizzanti ; il secondo per natura tradizionalista , attac cato alle sue istituzioni, ai suoi principi, alla sua reli gione, ai suoi pregiudizi . Tra gli uni e gli altri c ' è un divario di due secoli di cultura e di storia. I dirigenti invece prescindono da ogni elemento nativo, quell'ele mento che si deve coltivare, essendo tutto nel popolo . Co loro, che sono ancora napoletani, nota con amarezza lo storico , e che compongono il maggior numero, sono in colti. Ritorniamo al solito concetto : la moda straniera è la causa di tutta la rovina ( 2 ) . « Le disgrazie de' popoli sono spesso le più evidenti dimostrazioni delle più utili verità. Non si può mai gio vare alla patria se non si ama, e non si può mai amare la patria se non si stima la nazione . Non può mai esser libero quel popolo in cui la parte, che per la superiorità della sua ragione è destinata dalla natura a governarlo, sia coll’autorità sia cogli esempi, ha venduta la sua opi ( 1 ) V. Cuoco, Saggio storico, XVI, p. 90. ( 2) Il giudizio cuochiano coincide col giudizio degli storici più recenti: vedi V. FIORINI e F. LEMMI, op . cit . , p. 104. 104 nione ad una nazione straniera : tutta la nazione ha per duto allora la metà della sua indipendenza » ( 1 ) . Mancava alla rivoluzione l'orgoglio nazionale, che solo può salvare i popoli nelle loro crisi . Si voleva imitare la Francia e si dimenticava Napoli, si obliava che la gente meridionale avea una sua specifica natura diversa dalla natura delle genti galliche . In Italia c'era un comunali smo, che in Francia non era mai stato ; a Napoli c'erano cento volghi diversi l'uno dall'altro, in Francia un popolo compatto ed omogeneo . I repubblicani dovevano tener conto di ciò, e trovare un interesse comune, che riunisse dirigenti e diretti, governanti e governati. « Quando la nazione si fosse una volta riunita, invano tutte le potenze della terra si sarebbero collegate contro di noi » ( 2 ) . Il popolo non è mai né borbonico nè sovversivo, nè nero nè rosso : « i popoli si riducono » osserva con acutezza il nostro autore « a seguir quelli che loro offrono maggiori beni sul momento » ( 3 ) . Il popolo di Napoli così avrebbe seguito i rivoluzionari, se questi gli avessero dato spe ranze di miglioramenti, avessero intesi i suoi desideri, avessero rispettato gli istituti a cui era legato, avessero riverito la religione dei suoi avi. « Che cosa è mai una rivoluzione in un popolo ? Tu vedrai mille teste, delle quali ciascuna ha pensieri, interessi , disegni diversi dalle altre . Se a costoro si nta un capo che li voglia riu nire, la riunione non seguirà giammai. Ma, se avviene che tutti abbiano un interesse comune, allora seguirà la ri voluzione ed andrà avanti solo per quell'oggetto che è comune a tutti » ( 1 ) . Ma per fare ciò bisogna andare cauti : non bisogna di struggere . Bene o male gli istituti esistenti assicurano la convivenza , occorre riformarli, migliorarli, non ab batterli al suolo : « il voler tutto riformare è lo stesso che voler tutto distruggere » ( 5 ) . ( 1 ) V. Cuoco, Saggio storico, XVI, p. 91 . ( 2 ) U. Cuoco, Saggio storico, XVI, p . 92. ( 3 ) V. Cuoco, Saggio storico , VII, p . 42. ( 4 ) V. Cuoco , Saggio storico , XVII, p . 94. ( 5 ) Framm ., p . 219. 105 Il popolo di Napoli, nota il Cuoco, ha una sua religione. Osserviamo la natura di questa religione, e vedremo che essa non ripugna ai principi della democrazia. « La reli gione cristiana ridotta a poco a poco alla semplicità del Vangelo ; riformate nel clero le soverchie ricchezze di po chi e la quasi indecente miseria di molti ; diminuito il numero dei vescovati e dei benefici oziosi ; tolte quelle cause che oggi separan troppo gli ecclesiastici dal go verno e li rendono quasi indipendenti , sempre indifferenti e spesso anche nemici, ecc. ecc.: è la religione che meglio d'ogni altra si adatta ad una forma di governo moderato e liberale » ( 1 ) . In ciò il cristianesimo è assai diverso dal paganesimo, che, basandosi su un'idea di forza, non può produrre che schiavi indocili e padroni tirannici. La no stra religione si appoggia su princípi di libertà , su prin cípi di fratellanza , su princípi di giustizia, e sembra quindi la più adatta per legare il popolo allo Stato. La reli gione, nota il Cuoco ripetendo un pensiero del Conforti ( 2 ), è un elemento insopprimibile nella vita dello spirito umano, dal quale quindi non si può prescindere. « Non è ancora dimostrato che un popolo possa rimaner senza religione : se voi non gliela date, se ne formerà una da sè stesso . Ma, quando voi gliela date, allora formate una religione analoga al governo, ed ambedue concorreranno al bene della nazione : se il popolo se la forma da sè, allora la religione sarà indifferente al governo e talora nemica » ( 3 ) . Questi i concetti di Vincenzo Cuoco ( 4 ) . Lo Stato deve avere una sua religione, ed imporla : Stato e Chiesa nazionale debbono concorrere al benessere gene rale . Princípi che meritano un superiore approfondi ( 1 ) V. Cuoco, Saggio storico, XXV, p . 129 e sg. ( 2 ) Sulla posizione religiosa del Conforti in confronto al Cuoco vedi B. LABANCA, Giambattista Vico e i suoi critici cat tolici, Napoli, Pierro ed ., 1898, p . 414 e sgg. ( 3) V. Cuoco, Saggio storico, XXV, p. 130. (4) V. FIORINI e F. LEMMI, op. cit ., p . 137. I due insigni storici concordano pienamente col Cuoco nel ritenere che gli errori dei repubblicani in fatto di religione hanno non poco influito ad allontanare il popolo dalla rivoluzione. 106 mento, che noi faremo in seguito : resta acquisito in tanto l'alto e moderno ideale, che il molisano aveva della religione ( 1 ) . La rivoluzione napoletana fu la negazione di questi princípi. Sorse democratica, s'affermò anticlericale e vi lipese l'alto valore etico della dottrina cristiana e catto lica, per sostituirla con una generica morale laica. Si ab bandonò all'incomprensione dei subalterni un problema grave, anzi gravissimo, come il problema religioso. « Il po polo si stancò tra le tante opinioni contrarie degli agenti del governo, e provò tanto maggiore odio contro i repub blicani, quanto che vedeva le loro'operazioni essere effetti della sola loro volontà individuale » ( 2 ) . Il governo in sostanza era agnostico, non conduceva ex professo una politica antireligiosa ed anticlericale, ma lasciava fare, e gli emissari in provincia si sfogavano contro i beni ec clesiastici o peggio contro il culto professato. Il popolo, colpito in uno dei suoi più profondi affetti, s'affermò san fedista contro lo Stato. È questo un episodio, ma certo il più saliente, dell'incomprensione tra quelli, che Cuoco, nonchè due classi, due popoli volle chiamare, i repubbli canti dirigenti e le popolazioni subordinate. Alla religione alcuni volevano opporre una generica morale civile e laica. Si negava il cattolicesimo, si affer mava di contro la libertà. Ma che cosa è la libertà, se non un mero astratto ? Chi chiedeva la libertà ? Non certo quelle popolazioni rurali, che il governo così bel lamente fraintendeva, « La libertà delle opinioni, l'abo lizione de ' culti, l'esenzione dai pregiudizi, era chiesta ( 1 ) Nel Platone in Italia ( v . I , p . 84) ritornano spesso con: cetti consimili, indice della mirabile armonia dell'ingegno di V. Cuoco : « Nelle città colte le leggi civili debbono esser tutte diverse dai precetti di religione e di costumi: chiare, precise, inesorabili. Ma sapete voi perchè ? Perchè, quando si deb bono riformare, il che avviene spessissimo , il popolo tien altri precetti da seguire . Se il popolo allora si trovasse senza co stumi e senza religione, si distruggerebbe per anarchia, prima di darvi il tempo necessario a riordinare le leggi » , ( 2) V. Cuoco, Saggio storico, XXV, p. 131 . -107 da pochissimi, perchè a pochissimi interessava » ( 1 ) . L'er rore, ripeto, è nelle basamenta, in un oblìo completo del popolo, nell'astrarsi ne'sublimi princípi per dimenticare la vita e le sue molteplici manifestazioni. Eppure, ep pure, nota con rimpianto il Cuoco, si poteva riuscire, si potevano sfruttare le forze ignote, ma inesauribili del po polo, e creare così una insuperabile barriera al legittimi smo borbonico . « Il popolo è un fanciullo » ( 2 ) : se ne intendi la complessa psicologia, lo porterai dove vuoi : basta che tu intuisca la sua natura . « Il popolo è ordina riamente più saggio e più giusto di quello che si crede » ( 3 ). Il talento del legislatore consiste nel sapere sfruttare que sto innato senso di saggezza e di giustizia nelle più adatte contingenze, così da « menare il popolo in modo che fac cia da sè quello che vorresti far tu » ( 4) . Ovunque c'è un male da riparare, un abuso da riformare, presentandosi come salvatore il riformatore, che non distrugge per me todo, ma procede per osservazione diretta, troverà sem pre il popolo che saprà seguirlo e rincorarlo. Il Cuoco osserva acutamente che a volte il malcontento nasceva dal volersi fare talune operazioni senz'appa renza, senza quelle solennità tipiche, che la plebe ama, perchè sono nella tradizione. Si trattava di forma e non di sostanza . Ebbene, i repubblicani preferivano urtare contro questi apparati, anzi che secondarli, perdere l'ar rosto per non volere il fumo. La filosofia politica di Vincenzo Cuoco a proposito della rivoluzione si concreta in una sola constatazione. « Ecco tutto il segreto delle rivoluzioni: conoscere ciò che tutto il popolo vuole, e farlo ; egli allora vi seguirà : distinguere ciò che vuole il popolo da ciò che vorreste voi, ed arre starvi tosto che il popolo più non vuole ; egli allora vi abbandonerebbe » ( 5 ) . Una prassi rivoluzionaria, che si ( 1 ) V. Cuoco, Saggio storico, XIX, p. 104. ( 2) V. Cuoco, Saggio storico , XIX, p. 106. ( 3 ) V. Cuoco , Saggio storico , XIX, p. 108. ( 4) V. Cuoco , Saggio storico, XIX , p. 107 . ( 5) V. Cuoco, Saggio storico, XVII, p. 95. 108 allontani da questo elementare principio produce effetti incalcolabilmente gravi e perniciosi. « La manìa di voler tutto riformare porta seco la controrivoluzione » ( 1 ) . Le rivoluzioni nascono dai bisogni, ma dietro i bisogni sono gli uomini, e gli uomini sono idee, idee vive palpitanti, non astratte e categoriche, sono senso, sono fantasia, sono religione, sono molte cose in uno. Ogni nazione ha un patrimonio di idee, il risultato d'una esperienza secolare , d'una vita non interrotta mai: essa è attaccata a questi princípi, vivi nella sua coscienza, presenti alla sua atti vità. La rivoluzione scompiglia questo stato mentale, ma è un errore credere che si possa distruggere tutto , far sottentrare alle idee antiche idee del tutto nuove, ai princípi antichi princípi opposti . La rivoluzione può so pire molte cose, ma esse, idee e princípi, si rifanno sulla rivoluzione ; come la pressione s'indebolisce, affiorano novellamente ne contrasti. Il popolo è scosso, tentato ne' suoi convincimenti : se voi esagerate, ritorna sui suoi passi. Anche nelle idee v'è uno spiegamento, una natu rale continuità : non rompete il processo : è da savi : « il popolo passa per gradi dalle antiche idee alle nuove, e sempre le nuove sono appoggiate alle antiche » ( 2 ) . Ogni nazione ha un suo spirito , una sua mente, dice Cuoco . Questo spirito soggiace ad un processo, non al trimenti che lo spirito individuale. L'estremismo poli tico , in qualsiasi suo aspetto, di destra o sanfedista o legittimista, di sinistra o repubblicano o giacobino, riceve la sua condanna nelle osservazioni del molisano . Le idee nel loro spiegamento non possono essere sforzate , perchè, come ho detto, trovano nello stesso momento della loro negazione un' implicita affermazione. L'estremismo, in sostanza, è un vero e proprio sforzo estrinseco, che si esercita sullo spirito e sul popolo . Le idee giunte allo estremo, debbono retrocedere. Si riforma più di quel che è nelle esigenze de' popoli ; il popolo crede le riforme su perflue, cerca di sottrarvisici; bisogna che il governo, se ( 1 ) V. Cuoco, Saggio storico , XVII, p. 96. ( 2 ) V. Cuoco, Saggio storico , XVII, p . 97 . 109 vuol mantenere il suo punto di vista, le faccia osservare con la forza : ecco come un malinteso riformismo legi slativo conduce all'estremismo, al terrore statale, alla fine della repubblica a Napoli, a Robespierre in Francia . « L'uomo è di tale natura, che tutte le sue idee si can giano, tutt' i suoi affetti, giunti all'estremo, s'indeboli scono e si estinguono : a forza di voler troppo esser libero, l'uomo si stanca dello stesso sentimento di libertà » ( 1 ) . I popoli hanno un corso naturale tra l'estrema servitù e la licenza, estrema libertà , corso eterno che tutte le genti percorrono ! I princípi non debbono correre innanzi alla storia, sforzandola a seguirli, poi che essa si vendica de ' princípi ed afferma la sua autonomia. La vendetta è nel sangue, nella reazione legittimista a Napoli, nella ghigliottina che abbatte Robespierre a Parigi. Da un estremo si ricorre all'altro, e così via, finchè non si ritrova l'equilibrio : il liberalismo moderato . Il Cuoco è l'esponente più vivido del liberalismo italiano . La sua figura si illu mina alla luce di questa idea liberale, grande sopra tutte le idee, la quale ha saputo dare agli italiani l'Italia. Da tutto il Saggio storico l'insopprimibilità del liberalismo, non come teoria, ma come prassi costituzionale e politica, appare evidente. Non mi accusi il lettore di sforzare la fisionomia intellettuale del Cuoco, no, poichè io mi rife risco a ciò che leggo, e mi faccio cauto interprete di ciò che trovo, e documento. « Questo è il corso ordinario di tutte le rivoluzioni. Per lungo tempo il popolo si agita senza saper ove fermarsi : corre sempre agli estremi e non sa che la felicità è nel mezzo » ( 2 ) . Del resto queste opi nioni, che ora vediamo in atto nella storia, che il”Cuoco fa degli avvenimenti napoletani, di cui fu attore, spetta tore e giudice, rivedremo sotto un nuovo aspetto, allor quando egli stesso ci dirà come e sino a quanto la storia , che si sviluppò dopo il crollo della Partenopea, abbia dato a lui ragione , vale a dire allor quando considere remo Cuoco di fronte alla figura di Napoleone, Cuoco di ( 1 ) V. Cuoco, Saggio storico , XVIII, p. 99. ( 2 ) V. Cuoco, Saggio storico , XVIII, p. 102. 110 1 2.02 fronte al problema teorico e pratico, filosofico e costitu zionale dello Stato, Cuoco di fronte all'ideale dell'unità della patria. Notiamo: quest'atteggiamento di modera tismo cuochiano non è estrinseco, non è solo il principio base della critica rivoluzionaria , è anche l'elemento unificatore di tutta la filosofia politica del molisano, l'ele mento che le dà coerenza, e che egli trova impersonato in Napoleone, il restauratore dell'ordine, il corifeo delle idee medie. L'estremismo è esaltazione di princípi : allo Stato si sostituisce la setta : all'ordine costituzionale l'associa zione fuori e a volte contro lo Stato : al diritto codificato le norme del partito . Moderatismo significa : libertà nella legge, i partiti nello Stato e non fuori dallo Stato, diret tiva unitaria della vita civile , garanzia nel diritto . Come il Cuoco vedrà incarnata e realizzata questa sua conce zione, è cosa da studiarsi in seguito ( 1 ) . La rivoluzione del '99, che per il Cuoco è veramente l'esperienza del sistema abbozzato ne' Frammenti, nella stessa degenerazione de' princípi, riconferma il nostro nelle sue aspirazioni. Egli, che dalla storia trae ogni in segnamento – la storia è la fonte d'ogni pedagogia poli litica scrive : « La storia di una rivoluzione non è tanto storià dei fatti quanto delle idee » ( 2 ) . Conoscere il corso delle idee nella storia significa impadronirsi d'una tale sapienza, che ci permette di evitare ogni errore poli tico. Gli errori di Napoli ? Denudiamo la realtà dai fron zoli della retorica, dice Cuoco, esponiamoli nella loro cru dezza, perchè gli uomini, gl'italiani si ravvedano. A Napoli abbiamo avuto perfino un esperimento di terrorismo. È mirabile la definizione psicologica del feno meno. « Il terrorismo è il sistema di quegli uomini che vogliono dispensarsi dall'esser diligenti e severi ; che, non sapendo prevenire i delitti, amano punirli; che , non sa pendo render gli uomini migliori, si tolgono l'imbarazzo ( 1 ) Questa fondamentale coerenza del pensiero di V. Cuoco è stata più che a sufficienza dimostrata da M. ROMANO, op. cit., p. 90 e sgg. ( 2 ) V. Cuoco, Saggio storico, XXXVIII, p . 169. 111 che dànno i cattivi, distruggendo indistintamente cat tivi e buoni. Il terrorismo lusinga l'orgoglio, perchè è più vicino all'impero ; lusinga la pigrizia naturale degli uomini, perchè è molto facile » ( 1 ) . Il Cuoco non lo dice, ma lo pensa : i governi deboli sono i più inclini all'abuso costituzionale, al terrorismo di Stato . Tutte le considerazioni, che lo storico trae dai fatti, convergono verso uno scioglimento, che ci appare fatal mente consequenziario. L'estremismo terroristico, l'ultima ratio de' governi prossimi a cadere, si mostrò più d'ogni altro sistema inutile . Il tribunale rivoluzionario, che si macchid del sangue dei Baccher ( 2 ) , non salvò la repub blica pericolante . Stringiamo le fila della trama, che siamo venuti dise gnando, portiamoci col pensiero di nuovo alla critica del l'opera governativa, alla génesi della repubblica, all'azione legislativa e costituzionale dei rivoluzionari, all'estremi smo di molti patrioti, e ci apparirà vero quanto il nostro autore scrive sull'ineluttabilità dello scioglimento. La sto ria del Cuoco corre, si può dire precipita, ad un fine. Non c'è avvenimento, pagina che non ci ammonisca : ecco un male, ecco un malinteso ! Perciò quando noi ci avvici niamo agli ultimi ruinosi eventi, non possiamo che dire : era fatale ! , sia pure con rimpianto, con dolore. Ho detto in principio che nel Saggio storico si nota una mirabile obiettività, quell'obiettività del creatore, che sola può dare il capolavoro ; ho detto che la personalità dello scrittore non s'intrude mai praticamente nello svi luppo narrativo e nel progresso degli avvenimenti : la storia si svolge da sè, corre sul suo binario logico, senza estrinseci sforzi. Ciò non toglie che il Cuoco a volte rompa con sublime sapienza l'esposizione per ammonire, per parlare ai suoi posteri, per consigliare : è lo storico che è consapevole della sua missione, dell'altezza del suo inse gnamento. Questa pedagogia non è, però, fuori dall'arte, ( 1 ) V. Cuoco, Saggio storico , XXXVIII, p. 160. ( 2 ) B. CROCE, La rivoluzione napoletana, p. 115 e sgg. 112 personalità pratica esterna all'arte, ma si risolve, attra verso una viva commozione dello spirito, in una forma fantasiosa, in una espressione immaginifica, insomma, nell'arte stessa. « La sua personalità » scrive assai bene Guido De Ruggiero ( 1 ) « non s'intrude arbitrariamente nel corso degli avvenimenti; essa non è che raramente la sua empirica e circoscritta soggettività, è più spesso invece la drammatica personificazione del giudizio storico, è quella soggettività superiore dove l'oggettività degli av venimenti e la soggettività dello storico sono fusi in un sol getto » . È insomma il processo creativo della vera storia, che conduce alla vera arte, risolvendo l'empirica personalità, in quell'alta subiettività , che forma l'essenza della storia e dell'arte. La forma precettistica qui non è un elemento estrinseco alla storia, è la gran voce della storia . La critica spietata degli avvenimenti politici lo porta ad accalorarsi per la sua stessa valutazione filoso fica, lo porta a constatazioni, ad esclamazioni, in cui tu senti a volte un rimpianto, perchè uomini di ingegno s'ingolfano in lotte, che il nostro stima senza uscita, a volte una gioia profonda, in cui tu senti il pensatore che discopre un principio sano di vita . Così, dopo una disa mina minuta di idee e di fatti , il Cuoco può ésclamare, e nell'esclamazione io sento un dolore profondo romper la glacialità dell'analista : « Tutti i fatti ci conducono sem pre all'idea, la quale dir si può fondamentale di questo Saggio : cioè che la prima norma fu sbagliata, ed i mi gliori architetti non potevano innalzar edificio che fosse durevole » ( 2 ) . Le premesse dello scioglimento sono d'ordine spirituale, sono metodologiche, politiche. I susseguenti errori, mili tari, giuridici, religiosi, le disfatte, le congiure realiste appaiono inevitabili. Le truppe repubblicane agiscono in territori infidi, fra popolazioni ostili ; i capi sono ine sperti, troppo giovani; i francesi portano aiuti sempre più ( 1 ) G. DE RUGGIERO, op. cit. , p. 189. ( 2 ) V. Cuoco , Saggio storico, XXXIX, p. 163. 113 scarsi ; al contrario i borbonici sono ben diretti, ben vet tovagliati, sempre più numerosi ; le plebi sempre più fa vorevoli ad essi : sono particolari, ma che non possono distogliere il pensiero dal principio sopra espresso, sola ed unica causa della sciagura. Il disastro appare la logica cruda conseguenza di premesse false . Tutto il Saggio ci porta in un mondo di rivoluzione , ove la critica è cruda e precisa, ma ove la simpatia umana non manca. Vincenzo Cuoco possiamo credere che rappresenti nel pensiero italiano quella medesima posizione ideale che Edmund Burke rappresenta in quello inglese . Un raf fronto minuto, particolareggiato tra i due scrittori non è stato fatto. Esso riuscirebbe assai interessante , e po trebbe dimostrare come in ogni lato della vecchia Eu ropa l'opposizione alla rivoluzione si faccia in nome d'un ritorno alla tradizione nazionale. Il liberale moderato Cuoco è il rappresentante tipico dell'italianismo risor gente : il Burke whig, cioè in sostanza liberale, non crede ancora esaurita la missione delle antiche classi storiche, almeno nella vecchia Inghilterra. È facile vedere alcuni punti di contatto tra i due scrittori d'opposizione. Fre quentemente il Cuoco deplora l'esagerazione dei princípi di libertà e d'eguaglianza. Gli uomini, se, di diritto, dinanzi alla legge, sono uguali, serbano una originaria disugua glianza nel fatto : vi sono i buoni e i cattivi, gli operosi e i parassiti , i borghesi industriosi e i lazzaroni oziosi , gli aristocratici colti e gli aristocratici gaudenti: il governo dello Stato deve essere riserbato ai migliori, cioè ai bor ghesi, e lo vedremo documentato in seguito, poi che questi soli sono maturi. « Quando le pretensioni di eguaglianza si spingono oltre il confine del diritto, la causa della libertà diventa la causa degli scellerati . La legge, diceva Cicerone, non distingue più i patrizi dai plebei : perchè dunque vi sono ancora dissensioni tra i plebei ed i pa trizi ? Perchè vi sono ancora e vi saranno sempre, i pochi e i moiti : pochi ricchi e molti .poveri, pochi indu striosi e moltissimi scioperati, pochissimi savi e moltissimi 8 - F. BATTAGLIA. 114 stolti » (.1 ). Se diamo una scorsa ai Discorsi parlamentari o alle Riflessioni sulla rivoluzione francese del Burke scaturi scono osservazioni assai consimili, nel senso, che pur am mettendo liberalmente una rotazione di classi, il politico inglese crede ad un ordine sociale, in cui l'aristocrazia d'Inghilterra ha ancora una sua propria missione . Certo vi sono differenze tra i due scrittori, ma le analogie sono sempre interessanti. S'intende, l'aristocrazia politica del Burke, il lievito, possiam dire, della grande vita costituzio nale d'Inghilterra è qualche cosa di diverso dalla nobiltà italiana, con la quale parola il molisano indica « un ceto che più non deve esistere, ma che ha esistito finora » ( 2 ) . Ma le nazioni hanno svolgimenti diversi e bisogni spesso opposti : quel, che nell’un paese si chiama con lo stesso nome che nell'altro, a volte è una cosa sostanzialmente diversa , secondo varî elementi. Ma non posso lasciare questo argomento senza notare come lo stesso Burke nelle sue Riflessioni sulla rivoluzione francese si rifaccia ad una valutazione, nella sua natura, simile a quella del Cuoco. Il liberale Burke nella rivoluzione d'Oltre manica vede la negazione del suo moderatismo, una ri voluzione, che prescinde dalle realtà peculiari d’un po polo, quale l'inglese, la cui vita è un esempio dimirabile continuità politica, una rivoluzione che pretende di struggere il passato, anche laddove il passato è il presup posto d’un non disprezzabile presente ; uno Stato, che rigetta alcune classi per altre, invece di sintetizzarle in una volontà superiore ed unica ; uno Stato, che rigetta elementi sociali di primissimo ordine, senza pensare che si possano utilizzare per la vita civile, perché hanno ancora energia e sopra tutto hanno quell'esperienza pub blica, che ad altri manca. All'inglese, per cui la vita civile dei popoli è un prodotto graduale d'una evoluzione storica incancellabile, per cui la costituzione de' padri è una conquista continua, nell'aderenza più completa coi ( 1 ) V. Cuoco, Saggio storico, XVIII, p. 100. ( 2 ) V. Cuoco, Saggio storico, XX, p. 109. 115 n mille bisogni d'un popolo secolare, la nuova pretesa di derivare un ordinamento democratico, valido per tutte le genti del globo, desumendolo dalla pura ragione, appare veramente ridicola . Mi sembra che il parallelo tra il Cuoco e il Burke non potrebbe essere più calzante, sia pure tra numerose differenze. Il Burke è un oratore, un parlamen tare, pratico e sensibile politico, che non risale mai a con siderazioni superiori, pur quando la sua critica potrebbe coinvolgere non solo la mentalità rivoluzionaria francese, ma una mentalità , che è di tutti i tempi e di tutti i paesi. Il Cuoco invece, testa politica ma di volo più robusto, dai particolari ascende ai princípi, dai fatti ritorna alle idee, che hanno un corso eterno ed uno sviluppo continuo, per foggiare un suo sistema, che, collaudato da una espe- ' rienza moderna ed antica, ha in sè qualcosa di ferreo . Sì, il Cuoco si può raffrontare al Burke, ma il Saggio storico 1 « è un'opera capitale di pensiero storico, la quale, come osserva B. Croce ( 1 ) , tiene in certo modo in Italia, e forse con maggiore altezza filosofica le celebri Riflessioni sulla rivoluzione francese » , non fosse altro per la vastità del campo d'osservazione, per il senso vigile, che vi do mina, della storia, come eterno farsi, come eterno divenire dello spirito umano. Della maggiore levatura del moli sano sull'inglese noi abbiamo una prova sicura e positiva nell'atteggiamento definito di fronte alla rivoluzione: il Burke da una critica superiore passa presto all'op posizione sistematica, vedendo pura ribellione, mero ri voluzionarismo, semplice neomania, anche ove vè sano liberalismo, desiderio d'un nuovo pacifico equilibrio, rifor mismo contenuto entro limiti di saggezza, sicchè i benefici effetti del movimento gli sfuggono : il Cuoco, invece, rico nosce le origini delle rivoluzioni come legittime, e le spiega completamente; nega, sì , l'applicazione universale dei princípi da essa desunti, ma, nello stesso tempo, sa va lutare l'importanza della nuova situazione creatasi , dalla ( 1) B. CROCE, Storia della storiografia italiana nel secolo XIX, Bari, Laterza ed. , 1921 , v. I , p. 9 e sgg. 1 116 quale nessun paese, nè l'Italia, nè l'Inghilterra, può prescindere (1 ) . Siamo giunti alla fine del nostro discorso sul Saggio storico. Come quest'opera sia nata, dal punto di vista materiale, ove sia stata scritta, come sia stata concretata, a noi importa assai poco. L'esame che ne abbiamo fatto non può non essere sommario, incuneato com'è in un più vasto problema : il pensiero politico di Vincenzo Cuoco, che non si esaurisce, come comunemente si crede, nel Saggio, ma trova il suo naturale sviluppo e comple mento negli articoli del Giornale italiano, che il molisano venne scrivendo negli anni 1804-1806 , dopo il grande successo che ebbe il Saggio nell'ambiente milanese ( 2 ) . Il Saggio storico, per chi ricerchi la sua genesi spirituale, si svolge spontaneamente dai Frammenti di lettere a V. Russo, de cui principi è la riprova vissuta, l'espe rienza . Se la rivoluzione di Napoli ha avuto una utilità, è questa : il foggiarsi d'una coscienza italiana, che all'estre mismo e all'astrattismo oppone una veduta moderna e positiva della vita pubblica. Nel Saggio, abbiamo detto, dette ( 1 ) Conobbe il Cuoco quando scrisse il Saggio storico sulla ri voluzione napoletana le Reflections on the French Revolution di Edmund Burke ? Con ogni probabilità, sì. Le sopra Reflections furono pubblicate per la prima volta neil' ottobre del 1790, vale a dire dieci e più anni prima dell'opera del no stro . Nel Saggio stesso vi è una nota in cui il nome del Burke spicca evidente e col nome un suo giudizio ( II , p. 18 ) . Il Cuoco conosce assai bene i princípi costituzionali inglesi e ne fa sfoggio nelle sue opere. Il popolo inglese lo interessa assai, e le scritture d'autori inglesi ha spesso fra le mani e le recensisce nel Giornale italiano (cfr. 1804, n. 17 , 8 febbraio , p. 68; -1804, n. 28, 5 marzo , pp. 111-12 ; 1804, n. 54 , 5 maggio , pp. 215-216 ; 1804, n. 58, 12 maggio, p . 228 ; ecc. ). Che l'opera del Burke, V. Cuoco conoscesse assai profondamente, lo dimostra una re censione ( cfr. Giorn . ital . , 22 settembre 1804, n. 114, p. 446) , ove egli discorre abbondantemente e fa un largo elogio di una traduzione italiana d'una opera estetica del celebre autore in glese , Essay on the Sublime and Beautiful, Tutto ciò mostra una conoscenza delle cose d'oltre Manica assai profonda, prima e dopo la pubblicazione del Saggio. ( 2 ) N. RUGGIERI, op. cit., p . 34 : G. Cogo, op. cit. , p. 10. 117 non è tutto il Cuoco, non è tutto il suo pensiero politico, ma è certo quanto di meglio abbia prodotto il suo genio, dal punto -di vista artistico . Il Gentile, giudice di alto valore, crede il Rapporto al re Murat per l'ordinamento della pubblica istruzione, di cui avremo a parlare in seguito, quando tratteremo d'altri atteggiamenti spirituali del Cuoco, crede dunque il Rapporto , insieme con il Saggio storico, « ciò che di più notevole produsse il pensiero napoletano in quegli anni agitati tra il '99 e il '20 » ( 1 ) . Ma ciò riguarda più il valore politico dell'opera , di cui diciamo, piuttosto che il valore artistico. Dal punto di vista puramente storico, dal 1801 in poi gli scrittori hanno cercato in varî modi di far luce sugli avvenimenti napoletani, ma le conclu sioni , alle quali si è pervenuto, sono sostanzialmente quelle del nostro autore ( 2 ) . Sembra impossibile che un individuo, che, come il Cuoco, scrive pochi mesi dopo la sciagura, di cui è stato egli non piccola parte, possa superare i fatti stessi e la sua per sonale passionalità, in una lucida espressione artistica, che di converso è anche una mirabile storia umana. Lo storico si leva sugli avvenimenti, e il suo sguardo pene tra a fondo nello spirito degli uomini e nel corso delle cose, allargando la sua visuale dai fenomeni particolari ai princípi che sono eterni, dal problema peculiarmente napoletano a questioni che sono europee, a considera zioni più largamente umane. L'artista poi trova l'espressione più adeguata e palpi- . tante in una forma, che non si sa se più ammirare per la sua immediata precisione o per la sua sinteticità taci ( 1 ) G. GENTILE, Studi vichiani, p . 279. ( 2 ) Un'offensiva anticuochiana tenta L. CONFORTI, op. cit. , P: 21 e sgg. , ma da un punto di vista assolutamente errato é falso. Dopo quanto abbiamo scritto per il Tria una confuta zione delle affermazioni del Conforti ci appare inutile , anche perchè non potremmo che ripetere ciò che già fu detto dal RUGGIERI, op . cit. , p. 104 e sgg ., e dal ROMANO, op. cit. , p . 99. 118 tiana, a scatti , nervosa, e pur viva e palpitante ( 1 ) . In un mondo di riflessi e di chiaroscuri, di luci e di ombre, le figure dei tragici eroi del '99 appariscono scolpite per l'eternità, appaiono martellate nel marmo da una mano michelangiolesca. Io non conosco pagina di storico mo derno, che mi animi la trista figura del Vanni, bieco stru ( 1 ) Anche qui non mancarono i critici . Il GIORDANI, per esempio , in un abbozzo di opera, che aveva intenzione di scri vere col titolo di Studi degli Italiani nel secolo XVIII, discor. rendo di quelli che « sono venuti in tanta stoltizia che hanno fermato non esservi arte alcuna di scrivere » , osserva che in vece: « l'esperienza e la ragione e l'autorità de' primicomprova che vi è : ed è fra tutte difficilissima: e ben lo notò Cicerone che pur futra’ principali. Ma dovette credersi più savio ed esperto di Cicerone quel Vincenzo Cuoco che scrisse non darsi arte di scrivere, e quello che in poche parole affermò, ben con troppe carte, quanto a sè , confermò » . ( Scritti editi e postumi, pubblicati da A. Gusalli, Milano, Borroni e Scotti, 1856, v. I , p. 187 e sgg). Giudizio addirittura stroncatorio ! Del resto l'ar tifizioso Giordani per la sua cultura accademica, per la sua mentalità scolastica era il meno adatto ad intendere la spon taneità geniale dello scultore del Saggio. Ben altro giudizio di quello del Giordani dovea dare di V. Cuoco il Manzoni, per esempio ! Forse per reazione al Giordani il SETTEMBRINI (op. cit. , v. III , p. 280) nella sua felice esaltazione del Saggio , come opera di pensiero, in cui il Cuoco, pur narrando i fatti da pa triota, « li considera da filosofo , e la sua filosofia non è tutta francese, ma è anche senno italiano , è la sapienza storica di Giambattista Vico e di Mario Pagano » , venendo quindi a dire della lingua della grande opera , « nella quale si sente il mesco lamento di due popoli » , il francese e l'italiano, prorompe : « Che importa a me di lingua non pura e di francesismi, se io non me ne accorgo perchè le cose che dice mi occupano tutta l'anima, e in quella lingua torbida io vedo e sento tutto quel torbido rimescolamento diuomini e di cose ? È la lingua stessa del Filangieri, del Beccaria , del Verri , con qualche cosa di più che viene da un profondo sentimento di dolore. Dopo il 1815 i grammatici s' intabaccarono con la Polizia e con l' Indice, e dissero che gli scrittori del tempo della Rivoluzione furono scorretti di lingua, anzi barbari, anzi senza italianità , e da non leggersi, e da dimenticarsi: e così Vincenzo Cuoco fra gli altri fu proscritto da tutte le potestà. Noi dobbiamo conoscere quest'uomo che fu il solo scrittore di pregio che i napoletani ebbero durante la rivoluzione, il solo che in sè stesso raccoglie il senno e la fortuna di un regno » . 119 mento borbonico di reazione, con tratti così rudi ed espres sivi, come quelli dello scrittore civitese. « Lo sguardo di Vanni era sempre riconcentrato in sè stesso ; il colore del volto pallido- cinereo , come suole essere il colore degli uomini atroci; il suo passo irregolare e quasi a salti, il passo insomma della tigre : tutte le sue azioni tendevano a sbalordire ed atterrire gli altri; tutt' i suoi affetti at terrivano e sbalordivano lui stesso . Non ha potuto abitar più di un anno in una stessa casa, ed in ogni casa abitava al modo che narrasi de ' signorotti di Fera e di Agrigento . Ecco l'uomo che dovea salvare il Regno ! » ( 1 ) . V’è in questa prosa lucida e insieme aderente alla realtà dello spirito, tutta l'eloquenza di Livio, tutta la concentrata possanza di Tacito, v'è la acutezza di Ma chiavelli, l'oscura densità di Vico. Una parola scolpisce un individuo, una immagine ci rende un uomo. « Schipani rassomiglia Cleone di Atene e Santerre di Parigi. Ripieno del più caldo zelo per la rivoluzione, attissimo a far sulle scene il protagonista d'una tragedia di Bruto, fu eletto comandante di una spedizione desti nata passar nelle Calabrie, cioè nella due provincie le più difficili a ridursi ed a governarsi, per l'asprezza dei siti e per il carattere degli abitanti. Non avea seco che ottocento uomini, ma essi erano tutti valorosi e di poco inferiori di numero alla forza nemica » ( 2 ) . Ecco come un raffronto , anzi due raffronti ci dànno il tipo dell'eroe gia cobino, pieno di pseudo-romanità teatrale, e perciò lon tano dal secolo, in cui vive ed opera. Dovrei continuare.... Caracciolo e la battaglia navale di Procida, la difesa del forte di Vigliena sono nella narrazione del Cuoco poche righe, ma s'imprimono indelebilmente nella memoria di chi legge e suscitano una larga fantasia. Le pagine che lo scrittore dedica alla reazione sanfe dista e alla caduta della repubblica fanno fremere. Chi non ricorda il combattimento intorno ad Altamura ? ( 1 ) V. Cuoco, Saggio storico , VI, p . 35. ( 2) V. Cuoco, Saggio storico, XXXIII , p. 150, 120 « Il disegno di Ruffo era di penetrar nella Puglia. Al tamura formava un ostacolo a questo disegno. Ruffo l'assedia ; Altamura si difende. Per ritrovare esempi di difesa più ostinata, bisogna ricorrere ai tempi della storia antica. Ma Altamura non avea munizioni bastanti a di fendersi ; impiegarono i suoi abitanti i ferri delle loro case, le pietre, finanche la moneta convertirono in uso di mi traglia ; ma finalmente dovettero cedere. Ruffo prese Altamura di assalto , giacchè gli abitanti ricusarono sem pre di capitolare ; e, dove prima nelle altre sue vittorie avea usato apparente moderazione, in Altamura, sicuro già da tutte le parti, stanco di guadagnar gli animi che potea ormai vincere, volle dare un esempio di terrore . Il sacco di Altamura era stato promesso ai suoi soldati : la città fu abbandonata al loro furore ; non fu perdonato nè al sesso nè all'età. Accresceva il furore dei soldati la nobile ostinazione degli abitanti, i quali, in faccia ad un nemico vincitore, col coltello alla gola, gridavano tutta via : Viva la repubblica ! Altamura non fu che un mucchio di ceneri e di cadaveri intrisi di sangue » (1 ) . Ma ove il Cuoco raggiunge le vette dell'eloquenza, e la sua espressione è cristallina, d'una cristallinità meravi gliosa , è nelle pagine da lui dedicate alla ricordanza dei grandi caduti, ai mani grandi di Cirillo , di Grimaldi, di Caracciolo, di; Carafa , di Conforti, della Fonseca . Alle volte è un episodio che lo scrittore riferisce , un aneddoto, una parola pronunziata : basta , una figura s'illumina. Io non so, ma, forse, non c'è biografia dell'autore dei Saggi politici che valga le poche righe, che Vincenzo, discepolo riverente, dedica al maestro immortale. « Pa gano Francesco Mario . Il suo nome vale un elogio . Il suo Processo criminale è tradotto in tutte le lingue, ed è ancora uno delli migliori libri che si abbia su tale oggetto . Nella carriera sublime della storia eterna del genere umano voi non rinvenite che l'orme di Pagano, ( 1 ) V. Cuoco, Saggio storico, XLV, p. 183. 121 che vi possano servir di guida per raggiugnere i voli di Vico » ( 1 ) . V'è una grandezza degna di Machiavelli. Insomma il Saggio storico non è solo un monumento di sapienza politica e di grande istoria , ma è ancora un capolavoro d'arte, forse la più grande opera di prosa italiana , che dal Machiavelli al Manzoni si sia scritta . I protagonisti del dramma, e il poeta li coglie in atto, in tutta la loro spiritualità , illuminati da una luce di pen siero , possono sembrare ad alcuno marionette agitate da un triste fato. Non è così ! Gli uomini determinano gli eventi , sono gli operatori della vita civile, dell'orribile rivoluzione ; sono essi stessi , poi, che cadono sotto il peso dei loro errori . La loro autonomia così è salva . La storia del Cuoco è storia di idee, da cui uomini potrebbero ban dirsi ed essere sostituiti con lettere dell'alfabeto, X, Y, 2.... Sì , è vero, poichè l'autore mira alle cose, agli interessi, ai bisogni; ma non dimentichiamo che i bisogni, gli inte ressi , le cose, sono in quanto vi sono gli uomini: il Cuoco politico, che scaccia la personalità dalla storia, è vinto dal Cuoco artista, che a tratti nervosi ed icastici scolpisce una figura , anima una creatura umana. Lo storico ab- · braccia un vasto quadro, e ricerca il corso eterno di quelle idee, sulle quali corrono gli eventi delle nazioni, e per lui gli uomini sono elementi particolari e transeunti, meteore, che oggi sono e domani non saranno : l'artista , integrando lo storico , anima gli uomini, e di essi e del loro spirito vede piena la vita, di cui essi stessi sono i fattori. Tra storico ed artista, insomma, c'è una supe riore armonia. « Il realismo della rappresentazione, la nettezza del [ contorno » scrive Giovanni Gentile « il rilievo delle figure, la luce di tutto il quadro » fanno del Saggio « una delle maggiori opere storiche di tutte le letterature. Gli uo mini ci vivono ntro con la vita individuale della loro psicologia, intuita in atto, e con la vita storica, e più vera, degli interessi che rappresentarono, delle idee onde ( 1 ) V. Cuoco, Saggio storico , L, p . 208 . 122 furon investiti, della logica che li governd. Pochi i nomi, e le figure appena abbozzate a tratti rapidi, scultorii, quasi danteschi : l'interesse dello scrittore è per l'in sieme, per le cose, come ei diceva, e per le idee, da cui gl'individui son dominati, e che giovano più all' istru zione di chi legge . Pure, dove sorgono quelle mozze figure, è tanto il sentimento che lo scrittore vi spira dentro, e così fosca la luce in cui le avvolge, che l'opera politica , più che storica, s'anima del patos d'una tragedia » ( 1 ) . Questo giudizio riecheggia con maggior precisione il giu dizio, che sul capolavoro cuochiano ebbe ad esprimere Luigi Settembrini ( 2 ) . Il De Sanctis conobbe il Cuoco ; se pur non integralmente, conobbe certo il Saggio storico e il Platone in Italia, ma in lui non vide il maggior pro satore dell'èra napoleonica; non vide che un mero disce polo di Giambattista Vico. Del resto ai critici come ai poeti non possiam chiedere più di quel che ci hanno dato, quando quel che ci hanno dato, ed è il caso di Francesco De Sanctis, è perfetto . ( 1 ) G. GENTILE, Studi vichiani, p. 351 e sg. ( 2 ) Luigi SETTEMBRINI, op . cit. , v. III , p. 279. CAPITOLO IV. Napoleone e la sua politica generale. L'antifrancesismo di Cuoco : reazione italiana. - Il prin cipio monarchico s'incarna in Napoleone. - I benefici della rivoluzione. - La borghesia. - La proprietà base del nuovo ordine civile . - Quarto stato : proletariato . - Milizia . - Liberismo e protezionismo economico. – Lo Stato napoleonico. - L'unità d'Italia in rapporto alla politica generale europea. - Anglofobia di Cuoco. Stato e religione. - Giurisdizionalismo . Una illazione, forse fuori di posto, che si suole trarre dall'atteggiamento di Vincenzo Cuoco di fronte alla rivo luzione di Francia e al giacobinismo napoletano, è quella di un vero e proprio suo antifrancesismo. Paul Hazard nel suo bel libro La révolution française et les lettres ita liennes, parlando del molisano, al quale egli dedica un buon capitolo, che io credo una delle cose migliori che sul nostro sia stata scritta , ponendo in rilievo la sua op posizione all'astrattismo giacobino, accenna non solo ad una reazione culturale dell'italianismo, e fin qui tutto è legittimo, ma crede di poter rinvenire una vera e pro pria opposizione di natura politica ( 1 ) . È un punto non solo storicamente importante , ma anche degno di di ( 1 ) P: HAZARD, op . cit . , pp. 218 e sg. 124 scussione per intendere un nostro giudizio sul Cuoco, che abbiamo detto essere assai coerente nel suo sviluppo spirituale, affermazione e giudizio, che ora — è venuto il tempo dobbiamo dimostrare, per respingere, di ri flesso, la taccia, che all'autore del Saggio è gettata di opportunismo e di particolarismo . Solo risolvendo questo problema, potremo intendere la situazione del Cuoco a Napoli, la sua visione generale della politica repubblicana e poi di quella napoleonica, la sua concezione dello Stato, la sua risoluzione d'un antico problema, i rapporti tra Stato e Chiesa, tutte questioni che formano la materia del presente capitolo . La critica, che il Cuoco fa della rivoluzione francese - astrattismo, esaltazione di princípi, democratizzazione universale – non è solo critica metodologica e filosofica , ma anche critica politica. Che cosa egli vede nei francesi? Nei francesi vede un popolo, il quale tende a sostituire il proprio spirito, la propria natura , la propria tradizione allo spirito, alla natura, alla tradizione nostra. L'opera cuochiana, vista nel suo complesso, è dunque una reazione al francesismo dilagante in nome della cultura e delle glorie italiane , in nome della nostra storia : ben ha fatto l' Hazard , allorchè, sia pure con qualche esagerazione propria della dimostrazione assunta, ha impersonata que sta cultura, questa gloria, questa storia proprio in Vin cenzo Cuoco. Tutto l'atteggiamento mentale di Vincenzo è diffidenza contro i francesi e contro coloro che credettero di po tere imporre senza difficoltà gl' immortali princípi con le baionette. Il Saggio storico, che il critico francese de finisce l'esame di coscienza del popolo italiano, è infine la denunzia documentata di un sistema che non va ; è la critica senza tregua di un ibridismo politico che la realtà smentisce. La documentazione non potrebbe es sere più sicura e più ricca . E il modo questo di porta la libertà, l'uguaglianza, la fraternità ? di farsi amare dalle popolazioni illuse ? Il popolo italiano, sembra dire il Cuoco, che aspetta l'indipendenza, e fors'anche l'unità , dall'opera altrui, s'adagia in una troppo beata attesa di 125 ciò che non sarà mai. La libertà, l'unificazione, l'indi pendenza occorre sapersele conquistare attraverso un'o pera lunga indefessa grave . Bisogna rendersi degni di miglior fortuna, e però bisogna rendersi prima spiritual mente migliori: divenire prima cittadini in ispirito della gran patria Italia per poi esserlo di fatto . Attendere la libertà come un dono dagli altri ? Ohimè ! La libertà, prima di essere libertà civile, è libertà di pensiero, auto nomia di cultura. Possiamo mai essere liberi noi, che prima di essere italiani, vogliamo essere francesi, noi che nelle cose più banali e più grandi, nella foggia del vestire e nell'ordinamento costituzionale, ci allontaniamo sempre più dalla nostra natura per acquistarne un'altra estrin seca ? Le nazioni hanno un corso che è unitario e lineare, perchè determinato da un primitivo impulso, che costi tuisce il fondo materiale e morale della loro vita . « Una nazione che si sviluppa da sè acquista una civiltà eguale in tutte le sue parti, e la coltura diventa un bene generale della nazione » ( 1 ) . Ecco quindi come l'elemento cultu rale si lega intimamente alle fortune politiche di un paese . Una nazione, che imita un'altra , perde ogni com pattezza, ogni omogeneità, ogni ideale coerenza, e non può che restare inferiore al modello, che ha dinanzi, senza considerare che la perdita dell'unità spirituale porta seco fatalmente la perdita dell'unità politica, se questa già c'è, ' o ritarda la sua formazione, se questa manca. « Non può mai esser libero » ammonisce il Cuoco « quel popolo in cui la parte che per la superiorità della sua ra gione è destinata dalla natura a governarlo, sia coll’auto rità sia cogli esempi, ha venduta la sua opinione ad una nazione straniera : tutta la nazione ha perduta allora la metà della sua indipendenza » ( 2 ) . A ciò bisogna aggiungere considerazioni d'altra natura . Il Cuoco nel suo stesso fondo culturale è antirepubblicano, antirepubblicano per princípi, che trascendono la sua stessa esperienza politica, la sua prassi civile. Ci obiet ( 1 ) V. Cuoco, Saggio storico, XVI, p . 90, nota. ( 2 ) V. Cuoco, Saggio storico , XVI, p. 91 . 126 teranno : ma la sua partecipazione al moto del '99, par tecipazione ( 1 ) che oggi al lume della critica storica appare più importante che per l'innanzi non fosse sem brato, come si spiega ? È dovere del buon cittadino ser vire la patria, qualunque sia la forma di governo, qua lunque sia il suo reggimento politico. Senza dimenticare che tra i Borbonici malversatori e le nobili figure re pubblicane di Cirillo , di Pagano e di Ciaia Cuoco sapeva fare le opportune distinzioni . Io credo che l'opposizione antirepubblicana e antigia cobina del Cuoco derivi da veri e propri princípi filoso fici, oltre che da pura ostilità pratica, che potrebbe anche essere un fenomeno transeunte . Nei Frammenti di lettere, cioè nel pieno della rivoluzione scriveva che « un re ere ditario... , quando non ad altro, serve a togliere agli altri l'ambizione di esserlo » ; e che egli credea « la monarchia temperata meno di quel che si pensa nemica degli ordini liberi » ( 2 ) . A me pare che il Cuoco inclini ad una forma di monarchia costituzionale vera e propria. La vita dei popoli corre uno sviluppo prestabilito. Dall'assoluta ti rannia all'assoluta libertà è un passo, da un eccesso al l'altro eccesso : il punto d'equilibrio , che salva l'unità e la coerenza interiore delle stirpi, è la monarchia costitu zionale. La libertà è un astratto . Bisogna che il popolo se ne renda degno, ed abbia nello stesso tempo un inte resse nella libertà, in quanto questa effettivamente mi gliori la convivenza civile . Bisogna in sostanza che il popolo sia maturo per le conquiste rivoluzionarie, e com prenda : se non è così, gli stessi più alti benefíci si con vertono in pericoli. È matura, si domanda il Cuoco, l'Eu ropa per l'assoluta libertà, per la repubblica ? È matura Napoli per accogliere ordini rivoluzionari ? La risposta ( 1 ) Alludo alla preparazione del moto insurrezionale in Avi. gliano , all'opera repubblicana che il nostro preparò in Basili cata. Questa attività cuochiana era rimasta nell'ombra fino a ieri : il primo che l'ha studiata e documentata è stato M. Ro MANO, op. cit. , p . 19 e sgg. ( 2 ) Framm . III , p. 250. 127 non lascia dubbio. I popoli hanno ancora bisogno d'una guida, hanno bisogno d'una forza, che li tenga costretti nei limiti d'una volontà generale, pur contemperando questa con una maggior autonomia delle volontà parti colari o individuali. Questi sono gli ordini costituzionali. Gli ordini giacobini sono costituzionali a parole, in realtà sono anarchici, libertari. La saggezza dei popoli è ancora da ritrovarsi: i popoli sono ancora più fantasia e mito , senso e leggenda anzi che pensiero ed intelletto : i gover nanti mostrano di non avere intesa questa complessa e primordiale natura loro. I popoli hanno bisogno d'un in telletto, che li guidi ed eserciti ciò che essi, tutto senso e poesia nel significato vichiano, non possono esercitare, la volontà dell'intelletto. « Un sovrano saggio sul trono » scrive il molisano, « è meno raro d'un popolo saggio ne' comizi » (1) . Notiamo che il Cuoco scriveva queste righe, quando l'astro di Napoleone non brillava ancora di pura luce, di tutta la luce grande che doveva poi spiegare, quando egli scrivendo non poteva menomamente pen sare che dalle repubbliche di Francia e d'Italia doveva svolgersi il consolato, l'impero . Il Cuoco ci appare dunque coerente. I suoi sentimenti, ripetiamo una sua frase ti pica, sono eterni. In Napoleone egli vedrà realizzato po sitivamente tutto il suo grande ideale. Nessuno potrà accusarlo di particolarismo , d'amore per il suo parti culare. Ora nella repubblica francese Vincenzo Cuoco vede pre cisamente la negazione di tutto il suo sistema politico, l'astrattismo formulante vuoti schemi per chiudervi l ' ineffabilità delle determinazioni naturali; la democra ( 1) Framm . III , p . 242. Quanto quei sentimenti siano ra dicati nel Cuoco puoi vedere leggendo i suoi articoli su pro blemi politici : in particolare cfr. Giorn . ital., 1804 , 30 maggio, 2 giugno ; n. 65, 66 ; p. 260, p . 264 ; 1805, 2 , 7 , 17 gennaio ; n. 1, 3 , 7 ; pp. 3-4 , pp. 11-12 , pp. 26-28. Nel Platone in Italia , v. I , p . 142 e sgg. , riconferma il suo pensiero , « riafferma » , come scrive il ROMANO, op. cit. , p . 85, « la sua fiducia in ungoverno misto , temperato, tra la monarchia, l'aristocrazia e la democrazia » . 128 zia universale, che cerca di sovrapporsi a popoli , diversi di coltura e di interessi, per costringerli ad accettare un governo monotono uguale ; la volontà generale, che cozza con le volontà singole ; un pazzo alternarsi d'anar chismo e di tirannia . Che cosa è mai questa benedetta libertà, che i francesi portano ? È la più sfacciata tirannia . Essere libero signi fica adattarsi al metodo , all'andazzo giacobino; se no, guai a chi si oppone: le baionette strappano il consenso liberamente mancato. La libertà imposta non è più li bertà, cioè libero volere, libera determinazione. La libertà data dalle repubbliche, nota Vincenzo, è sempre più dura che non la libertà data dai re . Sembra un paradosso, ma è così. Le repubbliche sono infatuate dai loro prin cípi, e credono che tutti siano desiderosi di comparteci parne, e quando li vedono ripudiati, li impongono, poi che non vedono bene e felicità fuori di essi. L'antifrancesismo, dunque, di Vincenzo Cuoco real mente ha radici profonde in questioni di metodo e di po litica . Il Cuoco non è un repubblicano. Egli vagheggia forme costituzionali, che sintetizzino l'indirizzo potente mente unitario dello Stato con le volontà autonome delle popolazioni. Queste considerazioni di natura generale possono spie garci vari punti della biografia di Cuoco, che altrimenti sarebbero destinati a rimanere senza delucidazioni; pos sono darci la ragione della scarsa sua partecipazione alla rivoluzione partenopea , la ragione forse della sua sal vezza dopo la prigionia borbonica, la ragione del suo iso lamento a Milano prima che un nuovo ordine un po' più schiettamente italiano e meno repubblicano non venga a costituirsi; questioni, assai gravi, come ognun vede, ma che acquistano maggior luce, se le si riconducono ai princípi, che sopra abbiamo accennato. Il pensatore, che, criticando il progetto di costituzione del Pagano, scriveva a Vincenzio Russo amaramente ed ironicamente nello stesso tempo : « Oh ! perdona. Non mi ricordavo di scrivere a colui, che, sull'orme della buona memoria di Condorcet, crede possibile in un es 129 sere finito una perfettibilità infinita » ; il pensatore, che così ironicamente pungeva l'amico, è lo stesso uomo, che oggi a Milano esule ricorda a un suo intimo il suo co stante odio contro i Galli ( 1 ) . « Non ti pare che io era profeta » scrive « quando in faccia a Scipione Lamarra ( generale e carceriere dei repubblicani del 1799 ) mi dissi cisalpino ? E profeta anche più grande, quando diceva tanto male dei francesi ? Eccomi dunque cisalpino, per chè in Milano, ed odiator de'Galli, quale lo era nel '93 , nel '94 , nel '95 , nel '96 , nel '97 , nel '98 e finalmente in Capua nel '99 . I miei sentimenti sono eterni. » Il Cuoco ci appare come il più genuino rappresentante di un pensiero politico in tutte le sue manifestazioni in an titesi col pensiero e con la prassi politica francese. Il suo spirito storico e pratico lo rimena al Vico, l'investi gatore profondo delle leggi, che governano il corso delle nazioni, al Machiavelli, che dai fatti trae le norme della vita pubblica, al Montesquieu , il più acuto studioso della natura delle leggi e della loro conformazione ai bisogni fisici e spirituali de' popoli. Nel Saggio, ricordiamo, dopo avere analizzato quanto la rivoluzione era lontana dalla vita italiana e napoletana, quanto i bisogni nostri eran , diversi da quelli francesi, quanto i nuovi princípi erano astrusi, scrive delle righe assai importanti per una com prensione del suo pensiero. « La scuola delle scienze mo rali e politiche italiane seguiva altri princípi. Chiunque avea ripiena la sua mente delle idee di Macchiavelli, di Gravina, di Vico, non poteva nè prestar fede alle pro messe nè applaudire alle operazioni de ' rivoluzionari di | Francia, tostochè abbandonarono le idee della monar chia costituzionale » (2 ) . Ecco, l'opposizione politica di viene una vera e propria reazione culturale in nome del l'italianismo. Non mi sembra più il caso ora di dubitare circa la po ( 1 ) La lettera che segue, pubblicata per primo da M. Ro MANO, op. cit. , p. 269, in parte fu poi ripubblicata da G. GEN TILE , Studi vichiani, p. 350. ( 2 ) . V. Cuoco, Saggio storico , VII, p. 40. 9 - F. BA'I TAGL A. 130 sizione del Cuoco di fronte alla rivoluzione . Il Cuoco non è repubblicano, è monarchico costituzionale. Il Cuoco è antifrancese perchè è troppo profondamente italiano. La posizione non potrebbe essere più chiara. Questa rinnovata posizione di critica non conduce però Vincenzo ad un isolamento politico totale . Egli s'oppone ad uno stato di cose profondamente radicato nella vita contemporanea, ma crede suo dovere agire, operare in un mondo di illusi e di dormienti, mostrare agli italiani quanto essi siano in errore, ripudiando la loro essenza per una natura estrinseca . Come nel '99 egli, vagheggia tore d'una repubblica costituzionale indipendente, da fondarsi subito dopo la partenza dei Borboni, prima del l'ingresso dei francesi, d'una repubblica nazionale, non soggetta ad alcun influsso estraneo , che sapesse intendere la natura del popolo, e su questo solo trovasse la base d'ogni suo operare, rendendolo partecipe ed interessato, non seppe, non potè abbandonare i suoi generosi compa gni per problemi e dissensi di carattere teorico , e si senti travolto in quel vortice che pur non amava ; così oggi, a Milano, ricostituitasi bene o male una parvenza di libertà italica, egli è al suo posto di combattimento, assertore infaticabile delle più pure idealità nazionali. La vita ha una sua particolare dialettica. Questo spie gamento non è lineare uguale, ma inframmezzato da cu riosi contrasti : una affermazione è implicita nell'atto stesso della negazione. La rivoluzione francese, che nega la storia, è nella storia, e afferma la storia . Tutto il movi mento post -rivoluzionario, in antitesi alla rivoluzione, nasce da uno stesso getto, con la rivoluzione . L'illumini smo afferma l'assoluto della ragione e da questa desume formule e princípi ad informarne la vita. Il nuovo pen siero trova il fondamento di tutto nello spirito , che è in sè e fuori di se, istoria e natura, sviluppo continuo, pro duttività infinita, principio attivo. Il Fichte in Germania in parte è ancora nella rivoluzione ; lo Schelling e l'Hegel, e con essi tutto il movimento storicista nella politica e nel diritto , sono già fuori dalla rivoluzione . La filosofia della rivoluzione non aveva prodotto un vero sistema costitu 131 zionale, aveva ondeggiato tra troppo opposti princípi, per finire ad uno Stato, il cui contenuto etico era e non era. La nuova filosofia riconsacra nella natura lo spirito, e lo spirito sublima nello Stato, sua perfetta creazione. La fatale necessaria evoluzione dello spirito porta allo Stato, e in esso celebra, diciamo pur così, tutto sè stesso . Chi dice Stato dice realtà ed ideale, autorità e libertà, forza e consenso. È la reazione dello Schelling e dell’Hegel alla rivoluzione. È la stessa reazione, ma anticipata, di altri filosofi della restaurazione . In Italia questa reazione, che però è una rivalutazione dello Stato monarchico nel suo contenuto etico, è fatta da Vincenzo Cuoco. Col Cuoco, giornalista nella repubblica cisalpina e poi nel regno italico, la rivoluzione muore, depone il berretto frigio, lascia il posto allo Stato, come manifestazione ultima d'un processo etico, in cui la libertà è nel con senso, l'unitarietà nella forza. Pochi hanno notato l'importanza del molisano, come rivendicatore del principio monarchico. Si è detto che egli è il primo, che si faccia araldo del problema unitario in quanto problema spirituale e pedagogico ; ma si è dimenticato che nel suo pensiero il fine della rinascita morale è una unità, che non può ottenersi che nella mo narchia . Affermazione questa , notiamo, che non implica alcun assoluto politico, ma che è la risultante di mere contingenze storiche, di una vera impreparazione popo lare a più ampie libertà, da studiarsi, dunque, nell'am biente, in cui e per cui il Cuoco l'esprime. Il processo pedagogico, che deve condurre all'unità, è un processo nulla affatto rivoluzionario, anzi evolutivo. Mentre in Germania questa rivalutazione è posteriore : alla rivoluzione, mentre in Germania il Fichte, il futuro autore dei Discorsi alla nazione tedesca, scrive il suo Con tributo alla rettificazione dei giudizi del pubblico sulla ri voluzione francese, che non può non essere, nel grave incendio sovvertitore, una partecipazione a quei princípi che agiscono in tutto il movimento, ed insieme una loro legittimazione ; in Italia lo spirito nazionale nasce nella stessa rivoluzione, come reazione d'una sostanza speci 132 ficamente italiana ad una forma vuota ed estrinseca che le si vuol sovrimporre. Napoleone per Cuoco è la creatura di genio, che impersona in sè tutto il nuovo ordine di cose, che sorge dalla rivoluzione e alla rivoluzione s'op pone, ordine di cose che il pensatore ha previsto sin dai primi bagliori dell ' incendio giacobino . Le prime pagine del Saggio storico, la Lettera dell'autore all'amico N. 0. , la Prefazione alla seconda edizione sono la conferma di tutto ciò , che siamo venuti faticosamente esplicando fin qui . In questi scritti la figura del gran capitano è esal tata : ma, se leggiamo profondo, più che l'uomo fatale sono esaltati il nuovo ordine di cose e i nuovi princípi ci vili , che affiorano nella politica generale di Francia. Il Cuoco, dopo alcuni anni dalla rivoluzione di Napoli, di cui era stato spettatore, si rivolge indietro, rivede con la fantasia accesa tutti gli avvenimenti, che nel breve corso d’un anno, il 1799, la storia ha suscitato nella sua patria : il regno del Borboni ruinato mentre minaccia la conquista d'Italia, un monarca debole abbandonare i suoi Stati, la libertà sorgere e stabilirsi quando meno la si attende, i fati combattere la buona causa, e poi gli er rori e il crollo ; rivede tutto con la fantasia e, facendo ciò prova il piacere di chi, essendo stato giudice impar ziale, ha profetato un avvenire, nascente sulle contrad dizioni del presente. L'uomo dei Frammenti è infine il profeta di Napoleone. « Desidero » scrive Vincenzo nella Prefazione alla seconda edizione del Saggio storico « che chiunque legge questo libro paragoni gli avvenimenti dei quali nel medesimo si parla a quelli che sono succeduti alla sua pubblicazione . Troverà che spesso il giudizio da me pronunziato sopra quelli è stata una predizione di questi, e che l'esperienza posteriore ha confermate le antecedenti mie osservazioni » ( 1 ) . La storia ha uno'svi luppo che non falla : lo storico, il quale intende le idee che sono eterne, e non gli uomini che brillano un istante, può a ragione divenir profeta. V'è nelle righe sopra citate ( 1 ) V. Cuoco, Saggio storico, Prefazione, p. 8 . 133 la soddisfazione dell'uomo, che vede la conferma d'una realtà, che non gli sfugge. « Io ho il vanto » aggiunge « di aver desiderate non poche di quelle grandi cose che egli [Napoleone] posteriormente ha fatte ; ed, in tempi nei quali tutt' i princípi erano esagerati, ho il vanto di aver raccomandata , per quanto era in me, quella moderazione che è compagna inseparabile della sapienza e della giu stizia , e che si può dire la massima direttrice di tutte le operazioni che ha fatte l'uomo grandissimo. Egli ha verificato l'adagio greco per cui si dice che gl ' iddii han data una forza infinita alle mezze proporzionali, cioè alle idee di moderazione, di ordine, di giustizia. Le stesse lettere , che io avea scritto al mio amico Russo sul pro- . getto di costituzione composto dall'illustre e sventurato Pagano, sebbene oggi superflue, pure le ho conservate e come monumento di storia e come una dimostrazione che tutti quelli ordini che allora credevansi costituzionali non eran che anarchici » ( 1 ) . V'è qui tutta la spiegazione della nuova situazione, che s'è imposta e di cui il Cuoco si sente partecipe. La rivoluzione era un vortice, che se egli non odiava, certo non amava, al quale s ' era abban donato un po' passivamente, più per criticare che per esaltare, più per negare che per affermare : libertà, fra ternità, vane parole ; virtù e gloria : parole astratte, lon tane dall'intendimento del popolo. Il regno d'Italia, l'impero di Francia, ora, sono invece realtà concrete, ove la prassi politica è ispirata al concreto , al benes sere delle genti, è ispirata ad un principio monarchico unitario, che trova una precisa e sicura delimitazione tra volontà generale e volontà particolari, tra governo ed individuo , in una nuova visione costituzionale, per cui lo Stato è concepito come sublimazione dello spi rito , come forza e consenso, e quindi come autorità e libertà . Il Cuoco dinanzi a Napoleone si trova nell'atteg giamento di chi osserva una realtà, a lungo deside rata , finalmente concretata nella politica generale euro ( 1 ) V. Cuoco , Saggio storico, Prefazione, p. 9. 134 pea, e non nell'atteggiamento dell'adulatore che leva lodi per averne compensi. Si è voluto dipingere il nostro come un volgare, se pur d'ingegno, procacciante , ma coloro, che hanno sostenuto questa tesi non hanno esaminato certo per intero gli scritti del molisano, o hanno perduto per il particolare quell'esatta e continua visione d'in sieme, che ci spiega solo la natura d'una mentalità poli tica. Il Cuoco è l'uomo dai sentimenti eterni, l'eterno an tigiacobino, e in Bonaparte vede l'uomo geniale, sintesi delle nuove idee, che si sono venute formando, di libe ralismo, di moderazione, d'equilibrio . Come sorgono quegli uomini, che per il volgo sono usurpatori, che per lo storico non sono che l'espressione d'una fatalità storica, determinata da bisogni insiti nelle nature umane ? « La mania di voler tutto riformare porta seco la controrivoluzione : il popolo allora non si rivolta contro la legge, perchè non attacca la volontà generale, ma la volontà individuale . Sapete allora perchè si segue un usurpatore ? Perchè rallenta il vigore delle leggi; perchè non si occupa che di pochi oggetti, che li sottopone alla volontà sua, la quale prende il luogo ed il nome di volontà generale, e lascia tutti gli altri alla volontà in dividuale del popolo . Idque apud imperitos humanitas vocabitur, cum pars servitutis esset . Strano carattere di tutti i popoli della terra ! Il desiderio di dar loro sover chia libertà, risveglia in essi l'amore della libertà contro gli stessi loro liberatori » ( 1) . L'usurpatore ha una ragione di essere nella stessa esagerazione della rivoluzione, rallenta il vigore delle leggi antiche, lascia pochi oggetti a sè, il resto alla volontà singola. Mentre le repubbliche nel l'esaltazione dei princípi cadono dalla tirannia all'anar chia, dall'eccesso d’una volontà generale, che vuol sof focare ogni autonomia o volontà subiettiva, all'eccesso di volontà individuali che non s'accordano in una vo lontà generale, e viceversa, il monarca trova più facil mente l'equilibrio, che nelle ere primitive è nella forza, ( 1 ) V. Cuoco, Saggio storico, XVII, p. 96. 135 nelle ere evolute nel consenso . Il giacobinismo, esaltando sè stesso, parimenti ha sviluppato una nuova opinione pubblica. Napoleone è il rappresentante di questa nuova opinione pubblica. Non è detto che il potere, che si viene accentrando in un singolo, quando si sia trovata la delimitazione sovraccennata tra individualità e legge, sia per sè stesso cattivo : quand'esso , anzi, è saldo sicuro , può anche essere umano e temperato. È carattere pro prio dei principi deboli essere sospettosi e feroci, mentre i sovrani, potenti su basi di consenso e di forza, non possono che essere equanimi, larghi, liberali. Tutta la logica storica cuochiana porta alla monarchia : la monarchia, date le condizioni dei tempi e degli uomini, è la migliore forma di governo . Napoleone, ho detto, sorge dalla rivoluzione, e ad essa si oppone. Il Cuoco stesso ha la lucida intuizione che al sistema giacobino si è sostituito un sistema nuovo su nuove basi. Ciò non pertanto egli, ingegno superiore sto rico , portato a valutare le conseguenze ultime della ri voluzione, di fronte al nuovo reggimento instaurato , sa trovare i benefíci che da questa sono scaturiti insoppri mibilmente per l'uman genere. L'articolo Varietà ( 1 ) che il molisano pubblicò nel suo Giornale italiano, i primi giorni del 1805, è un vero e proprio esame di coscienza, dinanzi alla nuova situazione politica, che trova le sue origini, pur negandole, nella rivoluzione. Col nuovo anno che si apre Vincenzo Cuoco s'arresta e guarda indietro : molti mali da un lato, molti beni dall'altro : nonostante i grandi errori, le grandi deficienze, si può notare un progressivo cammino sulla via della saggezza. « Gran parte dell'Europa fa grandi progressi verso un ordine migliore . « In Francia nell'anno scorso le opinioni sono diventate più concordi, gli ordini più regolari. Le idee di rivolu- · ( 1 ) Giorn . ital. , 1805, 2, 7 , 17 gennaio ; n. 1 , 3 , 7 ; pp. 3-4 , pp. 11-12, pp. 27-28 : Varietà ( ristampato in Scritti vari, v . I , pp. 134-144 col titolo La rivoluzione francese e l'Europa) . 136 zione, divenute una volta estreme, han fatto avverare il detto di Mirabeau che l ' esaltazione de' princípi altro non è che la distruzione de' princípi. Ma, incominciando tali idee a retrocedere dal 1795 , non potevano arrestarsi se non giunte ad una forma di ordine regolare. Imper ciocchè ciascun costume richiede una forma di governo , e ciascun governo ha in sé talune parti essenziali, senza le quali, invece di costituzioni, si hanno que' mostri po litici, i quali soglion aver la vita di un almanacco. Possono sembrar sublimi agli occhi de’ mezzo- sapienti, ma sem brerebbero comici agli occhi de' sapienti veri , se l'espe rimento de medesimi non costasse tanto all'umanità. Ri conosciuta una volta necessaria la concentrazione del potere, è indispensabile renderlo ereditario ; altrimenti sarebbe lo stesso che aprir la via a perpetue guerre ci vili. Esempio ne sia la Polonia . Nè vale il dare al primo magistrato il diritto di nominar il suo successore, poichè l'esempio di Roma antica e della Russia ben dimostrano che questo ordine di successione non basta a render lo Stato sicuro dai tristi effetti dell'ambizione de' privati. Reso una volta il potere ereditario, è necessario rivestirlo di tutte le apparenze esteriori della dignità, perchè queste accrescon la forza della opinione, e la forza delle opinioni serve a risparmiar quella delle armi, della quale non si può mai far abuso senza pericolo . Un governo, il quale non ha per sè la forza dell'opinione, si chiami pure con quel nome che si voglia, sarà sempre un governo militare, il pessimo di tutti . Un governo, il quale, avendo già tutto il potere, procura di fortificarsi coll'opinione, se questa opinione non è di sua natura teocratica, tende a cangiarsi da governo militare in governo civile . « Tale è l'ordine delle cose, immutabile, eterno . L'ar restarsi dopo una rivoluzione in mezzo a questa progres sione è lo stesso che dar fine ad una rivoluzione per in cominciarne un'altra » . Come ognun vede, il pensiero di Vincenzo Cuoco, nella sua limpidezza , non lascia dubbio alcuno . Il nuovo or dine costituito, cioè Napoleone, ha la sua origine nella rivoluzione, ma la sua ragion d'essere nella negazione 137 della rivoluzione, la sua base concreta ne' bisogni dei popoli di trovare il loro punto d'equilibrio tra gli estre mismi di destra e di sinistra in quel consenso, che nel mondo moderno solo può fortificare i governi. In Napo leone il Cuoco vede il restauratore dell'ordine civile, ma non vuol vedere, nello stesso tempo, il militare, il con quistatore . Il governo militare, che si erige sulle baio nette , gli ripugna : non per nulla egli ha parteggiato nel '99 per la repubblica , ha salutato con letizia la partenza dei borbonici dalla sua Napoli. Il governo, che tiene in pugno la cosa pubblica e la direzione dello Stato, deve avere seco la forza del consenso, e da questa derivare la forza delle armi. Altrimenti si cade in quel governo mi litare, che, come dice il nostro autore, è il peggiore dei governi , come quello, che, essendo odiato, sovrapponen dosi alle volontà dei cittadini, rinnega le esigenze, i bi sogni, gli interessi delle popolazioni. Lo Stato del Cuoco non è nè lo Stato paterno, di polizia del Wolff, nè lo Stato rivoluzionario , che pone un limite insuperabile alla sua autorità in una visione anarchica dei diritti subiettivi. Nello Stato del Cuoco confluiscono vari e complessi ele menti, dal Rousseau al Vico, dal Montesquieu ad Aristo tele . Se vogliamo caratterizzarlo, diremo che è Stato di diritto , che importa e riposa su un contratto sociale, non storico ma immanente alla vita stessa dello Stato, sin tesi di attività e di diritti singolari, Stato infine che non pud agire che sub specie juris, nella forma del diritto, in quanto il diritto stesso, nella sua natura generale, è alla fine riaffermazione e consacrazione delle libere vo lontà particolari, che lo costituiscono. Il molisano è ugual mente lontano dalle esagerazioni rivoluzionarie, che egli stesso definì anarchiche e non costituzionali , come dalle affermazioni di coloro, che in Napoleone avrebbero vo luto il signore dei gratia, superiore ad ogni volontà na zionale . Egli, ingegno storico, sente che tra Napoleone e il regime assoluto c'è una rivoluzione, e la rivoluzione non si può nè politicamente ne teoreticamente superare a ritroso, onde s'arresta nel giusto mezzo, e ci dà un con cetto dello Stato, che si ricollega sotto alcuni aspetti al 138 Rousseau e al Vico, che ha, pure, qualche rassomiglianza con la teorica kantiana, sebbene il nostro del Kant cono scesse assai poco, e più per seconda mano che per let tura diretta (1 ) . Il Cuoco afferma in sostanza la monar chia liberale moderata, che assomma in sè l'autorità e la forza con il consenso e l'autonomia ( 2) . Le opinioni degli uomini, aggiunge continuando il Cuoco, sono discordi: è fatale che siano discordi, poi che v'è stato di mezzo una rivoluzione, e gli uni parteggiano ancora per essa, gli altri ancora la maledicono. Perchè l'equilibrio si ristabilisca , è necessario che sorga un or dine nuovo tra le varie opinioni, diverso dall'ordine an tico distrutto, diverso dal nuovo che si desiderava. Sono concetti di moderazione, che appaiono anche nel Platone. Michele Romano ha fatto un'analisi minuta di questo ro manzo sotto l'aspetto politico, e noi, che seguiamo un'al tra strada, vi rinveniamo facilmente la conferma delle nostre affermazioni, ed una prova diretta della coerenza cuochiana. « Viene anche per le nazioni il tempo ineluttabile dei mali ; il tempo in cui tutta la forza è nelle mani di coloro che non hanno virtù, e qualche virtù rimane solo a co loro che non hanno forza ; onde avviene che tra le scel lerate pretese de' primi, tra le inutili tenacità de'secondi, tra quei che tutto voglion distruggere e quei che tutto voglion conservare, sorge una lotta asprissima, funesta, in cui i primi a cadere son sempre coloro i quali osan parlar le parole di moderazione che dopo venti anni di strage e di orrore diventa l'inutile pentimento di molti e l'unico desiderio di tutti » . La moderazione, commenta però il Romano, non è virtù negativa in politica, perchè « noi cresciamo andando avanti ; ci conserviamo rima nendoci al nostro posto ; ma non possiamo riformarci tornando indietro, perchè indietro non si ritorna mai » ( 3 ) . Ai partigiani dell'ordine antico si può rispondere che ( 1 ) G. GENTILE, Dal Genovesi al Galluppi, p . 377 . ( 2 ) M. ROMANO, op . cit . , p. 81 e sgg. ( 3) M. ROMANO, op. cit. , p. 84. 139 non è stato Bonaparte a distruggerlo : sono stati essi stessi con la loro viltà, con la loro caparbietà . « Ai parteggiani della libertà si può rispondere che la Rivoluzione non è stata interamente inutile. Si è ot tenuta una forma di governo costituzionale, e, quando anche si volesse credere che questa non sia ancora per fetta , si è sempre ottenuto molto avendone una. Le ot time costituzioni sono figlie del tempo e non di sistemi. Quali sono le parti loro più belle ? le più rispettate. E quali le più rispettate ? le più antiche. Quindi due ve rità : 1° Per ottenere una buona costituzione, è necessario aver, quasi direi, un antico addentellato al quale attac carla . 2 ° Per giudicare di una costituzione è necessario il tempo, perchè le nuove, non potendo ancora goder il rispetto del popolo, ancorchè sien ottime, si credon cat tive. Col tempo, i vari corpi , che formano il governo, di ventano più rispettati dal popolo, e perciò più potenti anche in faccia al governo ; e la libertà pubblica diventa maggiore. Intanto è sempre un gran bene per una nazione che il suo capo s'intitoli tale per le costituzioni della Re pubblica ; che si parli di libertà civile , di libertà di per sone, di libertà di stampa ; che vi sien delle magistrature incaricate di vegliare alla loro custodia ; che vi siano delle assemblee nelle quali si riuniscano i migliori di cia scun dipartimento e di ciascun cantone per proporre ciò che credon più utile allo Stato. Tutte queste istitu zioni han prodotti finora molti beni e ne produrranno ancora . In ogni caso, la religione è stata per sempre riu nita allo Stato col vincolo della tolleranza ; la feudalità è stata abolita per sempre, e, quando anche risorgesse un patriziato, potrebbe esser quello de'greci e de ' romani, eccitator di grandi azioni e non già oppressore de'grandi ingegni; è stata aperta libera e larga la via della gloria ad ogni specie di merito; non vi saranno più le dispute e le persecuzioni de'gesuiti e de'giansenisti ; non vi sarà più la funesta distruzione de'tre stati, de' quali uno era con dannato a pagare e soffrir tutto e a non aver mai nulla ; le imposizioni saranno ripartite egualmente fra tutti ; le proprietà saranno tutte della stessa natura, e le persone 140 della stessa classe . Questi vantaggi si sono ottenuti, nè si perderanno più, e questi vantaggi non sono mica pic cioli » . Tutta la filosofia cuochiana è rinserrata qui. È natu rale che, quando un ordine nuovo di cose si afferma dopo turbamenti generali , questo si presenti come una pana cea di tutti i mali, e temperi l'antico con il nuovo in una fiducia mirabile di sè stesso : spazza via l'antico, e in tanto crea una nuova aristocrazia, se non di sangue, d'armi ; distrugge la teocrazia, e intanto vuol l'accordo con la religione ; sgomina l'anarchia , e dà una nuova costituzione, che, sia pur limitatamente, ha la sua impor tanza ; si basa sull’autorità, ma non prescinde dal con senso . Il nuovo reggimento è in fine un reggimento eclet tico, ma è quel che ci vuole dopo una rivoluzione, è quel che ci vuole in un'epoca, che ha bisogno di freno per non dilagare nella licenza, di libertà per non rammaricarsi del passato soppresso. Lo spirito del bonapartismo è in questo eclettismo moderato, che è classico e moderno nello stesso tempo in arte, che è illuminista nello stesso tempo che afferma la tradizione in filosofia, che è autoritario e non disprezza il costituzionalismo in politica. Ma a noi poco importa la prassi politica del primo console e del l'imperatore, a noi interessa il pensiero di Vincenzo Cuoco in quanto sistematizza tutto un insieme di idee, proprie dell'èra sua, sia sotto un aspetto critico, sia sotto un aspetto di simpatizzante affermazione. Il senso squisitamente politico del Cuoco ci si appalesa sotto un altro punto di vista . Il Saggio storico, abbiamo osservato, mostrava la rivoluzione in atto, e di essa era la critica spietata e fiera . Ma la rivoluzione ha prodotto, ha spiegato tutti i suoi effetti, ha sommerso un mondo, ne ha instaurato uno novello. La realtà storica è quello che è , s ' impone senza rimedio . È possibile rinnegare i benefici evidenti della rivoluzione ? Il Cuoco risponde di no. La rivoluzione ha prodotto benefíci senza pari in Italia e in Francia, e in certi limiti anche altrove, ha ab battuto la feudalità , ha riattivata la vita de' popoli in un ritmo più robusto. Il Cuoco ancor oggi crede che la 141 rivoluzione si sarebbe potuto evitare, con una savia mo derazione sia de' governi sia de' popoli, ma la storia è stata quel che è stata, e non si ritorna indietro per le recriminazioni. Oggi è inutile ogni constatazione artifi cioso, occorre pensare a trarre i maggior frutti possibili dalla concreta realtà. « Le crisi sono nate dall'ostinazione per cui i governi non hanno voluto mai soddisfare [ i reclami dei popoli] . Con una savia moderazione, invece di rivoluzioni distrut tive, si sarebbero ottenute utili riforme » . Il ritornare oggi con ostinazione agli antichi princípi sarebbe lo stesso che preparare nuovi torbidi rivoluzionari. Sono ' con cetti questi assai radicati nel Cuoco : ritornano frequente mente ne' suoi articoli nelle forme più varie . Altrove scrive : « Cangiamo di nuovo lo stato delle idee, facciamo prevalere l'opinione di qualunque partito; e vedremo tutta l'Europa turbarsi di nuovo. E, sia qualunque l'opi nione che noi vorremo far prevalere, l'effetto sarà sem pre lo stesso » ( 1 ) . La storia non si supera a ritroso . Ri tornando allo scritto, di cui noi segnamo il filo ideale, vi troviamo una sicura legittimazione delle nuove forze ( 1) Giorn . ital., 1804 ; 11, 23, 30 luglio, 1 , 11 agosto ; n . 87, 88, 91, 92, 96; pp. 350-351 , pp. 356, pp. 367-68, pp. 371-372, pp. 393-394 : Politica ( ristampato in Scritti vari, v . I , pp . 28-43 sotto il titolo Il sistema politico europeo al principio dell'Otto cento ). Riporto in nota uno squarcio dell'articolo, in seguito al brano citato . « Facciam ritornare in campo i princípi che han dominato dal 1793 fino al 1798. Che avremo ? Nell'interno, incertezza nel potere, che lo rende più impotente nel bene, più sospettoso e più crudele nel male ; divisione tra i vari rami del potere medesimo, onde l'anarchia e la guerra civile ; l ' in certezza dei principi , onde ne diventa l'uso difficile ai buoni e facile l'abuso agli intriganti ed ai prepotenti. Nell'esterno, da una parte l'ambizione, che prende le apparenze di democratiz zazione universale e diventa tanto più terribile quanto che alla forza delle armi riunisce quella delle opinioni ; dall'altra, il timore e sospetto ; dall'una e dall'altra , minacce, tradimenti, inganni di popoli e di re, guerre interminabili e feroci ». Il quadro è fosco : è impossibile ritornare ai princípi puri della rivoluzione, come è impossibile una restaurazione del regime prerivoluzionario : il separamento è inderogabile. 142 (( umane espresse dal capovolgimento rivoluzionario della borghesia. È una osservazione costante, che da tre secoli in qua ( anzi si potrebbe dire dall'epoca delle crociate ) , tutti gli Stati dell'Europa sono cresciuti di forza per l'accresci mento del numero, dell'industria, dell'attività di quella parte della popolazione che chiamavasi in Francia, e si potrebbe chiamar presso ogni nazione, terzo stato . Quelli tra' popoli dell'Europa furono i primi a risorgere dalla barbarie, dall'ignoranza , dalla debolezza, che primi sol levarono questo terzo stato. Tali furono l'Italia, l ' In ghilterra, la Spagna. Quei popoli ne' loro progressi s’ar restarono, che, per la forma del loro governo, tennero questo terzo stato più oppresso : l'oligarchica Venezia, la Polonia . Quei popoli soffrirono rivoluzioni e sedizioni asprissime, ne' quali il terzo stato non fu distrutto ne ottenne giustizia .... E non vi è termine di mezzo. Lo stato di oppressione è uno stato di guerra. Uno de' due : o convien che la classe predominante distrugga la ser viente, o convien che divida con lei tutti i vantaggi della vita civile . Nel primo caso, eviterà le sedizioni in terne, perchè agli estremamente miseri che soffrono pa zientemente, la miseria toglie loro, come diceva Omero, la metà dell'anima; ma, invece delle sedizioni interne, avrà debolezza esterna grandissima, e sarà lo Stato esposto al furore del primo che vorrà occuparlo. Tale è stata la sorte della Polonia ; e perchè non direm noi che è stata la sorte di tutti gli Stati ove ancora è feudalità ? Nel secondo caso, non solamente si accrescerà la forza esterna, ma si renderà più durevole la tranquillità in terna, perchè la parte più numerosa del popolo non avrà alcun motivo di doglianza ;, ed, essendo la nazione piena d'amor di patria e di orgoglio nazionale, mancheranno anche quei fomenti di sedizioni, i quali vengono dalla stolta ammirazione degli stranieri » . Il terzo stato, la borghesia, è il lievito del nuovo ordine, è la parte più sana della nazione, che rivendicati i suoi diritti, è quella che, ugualmente lontana dalla potenza corruttrice e dall' indigenza mortificante, realizza nella 143 modernità quella classe dei migliori, che Aristotele ha indicata come la più adatta a reggere la cosa pubblica . E precisamente nel senso aristotelico il molisano intende la borghesia, non dunque come una casta chiusa e dit tatoria, ma come una classe, in cui liberamente conflui scono le forze vitali del popolo tutto, una classe insomma aperta a tutti coloro, che per virtù d'ingegno e di atti vità s'elevino dall'indigenza. « Le idee, i costumi, gli ordini pubblici di tutta l'Eu ropa » scrive il nostro in un altro suo articolo ( 1 ) che adduco a conferma di quanto vengo dicendo « tendono al ristabilimento di una nobiltà più antica, meno di struttiva e più illustre : a quella nobiltà della quale si gloriavano i Fabi, gli Scipioni, i Camilli, de ' nomie degli esempi de'quali noi italiani dovremmo esser più superbi che di quelli degli Agilulfi e de ' Gundebaldi. La proprietà diventerà la base di tutte le costituzioni : quella proprietà che sola può tener uno Stato lontano dalla letargica in dolenza dell'oligarchia e delle funeste commozioni del l'oclocrazia , perchè nè lo priva dell'opera di molti, i quali possono colla loro industria acquistare un podere, ma non potrebbero mai disfare l'ordine de’ secoli passati e darsi un antenato che non hanno ; nè, dall'altra parte, affida la cosa pubblica alla fede, sempre dubbia, di co loro i quali non hanno verun interesse a sostenerla. Non altra base che la proprietà avea la costituzione di Roma, e noi abbiamo anche ciò che non poteano avere i ro mani, cioè riputiamo proprietà anche l'industria ed il sapere. È la natura delle cose che ha comandata questa differenza : i romani non aveano altra industria che l'agricoltura e per molti secoli non conobbero studi più gravi di quelli necessari a vincere i loro vicini. T ( 1 ) Giorn. ital., 1804, 14, 16, 18, 30 gennaio, 8 febbraio ; n . 6 , 7, 8 , 13 , 17 ; pp. 22-23, p. 27 , pp. 30-31 , p . 51-52, pp. 66-67 : Osservazioni sullo stato politico dell'Europa ( ristampato in Scritti vari, v. I , pp. 13-28 sotto il titolo Il sistema politico europeo al principio dell'Ottocento in uno con l'altro articolo cuochiano da noi già accennato, Politica . 144 « Io non nego che le varie circostanze, nelle quali potrà trovarsi una nazione, possan render necessarie molte modificazioni; ma la massima fondamentale rimane sem pre la stessa. Il migliore de' governi, diceva Aristotele, è quello in cui governano i migliori; e , siccome essi non si potrebbero mai ricercare ad uno ad uno, così il migliore dei governi è quello in cui preponderano tutte quelle classi, nelle quali per l'ordinario si ritrovano gli uomini migliori » . L'aristocrazia nuova, di cui l'autore nostro discute a lungo, è, come ognuno bene intende, la borghesia . Questa classe, che è la più numerosa , in quanto classe aperta a tutti, in quanto esprime la forza di coloro, che si sono potuti sollevare dalle masse, dal proletariato, dal l'artigianato, per darsi all'industria ed agli studi, ha di nanzi a sè un vasto cammino da compiere, è destinata, ove non lo sia già, ad essere la classe dirigente. Ritornando allo scritto sulla rivoluzione francese e i suoi effetti, dal quale abbiamo preso le mosse, vi ri troveremo sempre le stesse idee. « Il gran generale osserva il Cuoco « il profondo ministro sono uomini rari. Chi s ' impone la legge di ricercarli tra dieci, li troverà più difficilmente di colui il quale li ricerca tra mille, tra tutto il popolo.... ») . Ma non bisogna abusare ; la rivoluzione francese aprì la via alla canaglia. Ritorna il Cuoco antigiacobino, l'odia tore de ' princípi esaltati, della democratizzazione uni versale . « Si obliò la profonda osservazione di Aristotele, il quale avea detto che l ' ottimo de ' governi era quello in cui predominavan gli ottimi, ma che questi ottimi non si dovean nè si potevan ricercare individualmente, bensì doveansi ricercare per classe ; che vi era in ogni Stato una classe di ottimi, e che questa era composta di co loro i quali non fossero nè corrotti per eccessiva ric chezza né avviliti per soverchia povertà . Quindi la pro prietà, nella nuova forma di governo, è divenuta con ragione base delle costituzioni. Alla proprietà è ben af fidata la custodia delle leggi : i proprietari, dice lo stesso 145 Aristotele, sono i più atti a tal fine; e come no, se le leggi son tutte fatte per difendere i proprietari ? Ove però non si tratta di custodire ma di agire, ove non basta la volontà, ma vi bisogna la mente, è necessario sostituire alla semplice proprietà l’educazione ; che val quanto dire mettere il merito personale nella stessa linea della pro prietà . Quella parte di popolo, dice lo stesso Aristotele, la quale non ha nè proprietà né educazione ; sarà su bordinata se sarà contenta : è un gravissimo errore darle tutto e non darle nulla » . A me sembra che il problema politico non potrebbe essere impostato dal Cuoco in migliore maniera possibile. Che cosa sono le costituzioni, gli istituti , gli ordinamenti, così come li studia la storia del diritto e il diritto stesso , se non vuoti astratti ? Quel che a noi importa non è la forma in sè, che ci appare morta senza un contenuto umano, ma il contenuto stesso . Le costituzioni in realtà sono , e con esse tutta la struttura giuridica d’un popolo, in quanto in esso popolo c'è una classe dominante, ri stretta o vasta importa poco, certo qualitativamente mi-. gliore, che le determina, e non per via di pura ragione, ma d'analisi concreta sulla realtà viva e pulsante delle masse, una classe dirigente, che si fa interprete sicura della società che l'esprime. La storia del diritto , io credo, anzi che studiare morte sovrastrutture, dovrebbe stu diare come classi dirigenti, per natura condizioni coltura [ estensione diverse secondo le varie epoche, possano de terminare tutto un complesso sistema giuridico e costi tuzionale. In tal caso la storia del diritto, studio di strutture vuote di realtà concrete, si risolverebbe nella politica, studio d’un vero contenuto umano, pulsante d'attualità . Ma questo è un problema teoretico, che nel caso nostro importa relativamente, e la di cui formulazio ne, a me sembra, sorge spontanea dal pensiero cuochiano. Come ognun vede, la vita moderna nella sua vasta for mazione non poteva essere tratteggiata in maniera più vivace, più rispondente al vero, a ciò che poi sarà la realtà dello Stato moderno, di quanto è nell'analisi del grande molisano. . 10 - F. BATTAGLIA , 146 Una classe di migliori, che per la sua stessa composi zione e formazione è atta a modificarsi e ad evolversi con la storia, tiene il reggimento dello Stato. Lo Stato libe rale non è, come lo Stato assoluto e patrimoniale, sta tico, anzi è il più atto ad ulteriori sviluppi. La base imprescindibile di esso è la proprietà . La proprietà è la sua difesa, il suo presidio naturale. Chi ha una sua pro prietà, mobile ed immobile, industriale o fondiaria, in tellettuale o commerciale, tende per natura a conservarla e a migliorarla. Fate sì che uno Stato si appoggi alla classe dei proprietari, questo Stato è al sicuro da ogni attacco contro la sua compagine, poi che troverà sempre la sua difesa in coloro, che, difendendo lo Stato, difendono i loro beni, i propri interessi . Ove lo Stato transige sul l'inviolabilità della proprietà, tradendo le sue basi e le sue origini, viene a mancare la classe de ' possidenti alla tutela della cosa pubblica, e, se non interviene una pronta reazione a ristabilire l'equilibrio, è il crollo, lo sfacelo. Abbiamo così uno Stato liberale, che, pur tendendo alla sua conservazione in ogni manifestazione giuridica, si afferma come dinamico e progressista, trovando però nella sua stessa composizione un limite ad un progresso, che potrebbe divenire, se spinto troppo oltre, anarchico e rivoluzionario . Questo concetto dello Stato borghese, che solo nella proprietà può trovare una base salda, perchè non data dall'estrinseca volontà legislativa, ma dagli umani in teressi per natura conservativi, questo concetto politico della vita moderna non è nuovo, nè sporadico in Vin cenzo Cuoco. Ne’ Frammenti è l'esempio di questa gran coerenza del molisano, il di cui sistema politico non ha mai un'origine estranea alla realtà umana, anzi tutto è organato ed ispirato a princípi superiori di logica ed insieme ad una sicura visione storica . Dopo aver soste nuto che la costituzione non può crearsi a tavolino, pre scindendo dalla vita, dopo aver affermato che le costitu zioni debbono essere vive sensibili parlanti, e noi abbiamo a lungo detto di ciò, il Cuoco viene ad analizzare il proble ma : come si possa organizzare una divisione de' poteri. 147 « Dopo che avrete » scrive « divisi i poteri, assodata la base della costituzione e fortificata la legge col l'opinione e colle solennità esterne, per frenare la forza vi resta ancora a dividere gli interessi . Fate che il po tere di uno non si possa estendere senza offendere il potere di un altro ; non fate che tutti poteri si otten ghino e si conservino nello stesso modo ; talune magi strature perpetue, talune elezioni a sorte, talune pro mozioni fatte dalla legge, cosicchè un uomo, che siasi ben condotto in una carica, sia sicuro di ottenerne una migliore senza aver bisogno del favor di nessuno ; tutte queste varietà, lungi dal distruggere la libertà, ne sono anzi il più fermo sostegno, perchè così tutti i possidenti, e co loro che sperano, temono un rovescio di costituzione, che sarebbe contrario ai loro interessi. Per questa ragione negli ultimi anni della repubblica romana il senato ed i pa trizi furono sempre per la costituzione » ( 1 ) . Se voi vi addentrate nel pensiero dello scrittore, ve drete però che egli, pur disposto a dare alla proprietà la massima importanza tanto da fondare su di essa il sistema politico moderno, non giunge mai a darle una origine metafisica, e quindi a concepirla come un quid di eterno e di immutabile. Ed è naturale : l'origine della proprietà non è in princípi generali filosofici, ma in quel che nell ' uomo è senso , cioè bisogni mutevoli e transe unti. La stessa natura dell'uomo, che vichianamente dà origine alle costituzioni, dà origine alla proprietà, base degli odierni ordini civili . La natura, a cui accenno, non è la natura intellettuale, ma quella natura primordiale e plebea, tutta senso e fantasia, bisogni ed esteriorità . Quindi teoricamente non è impossibile un sistema costi tuzionale, che prescinda dalla proprietà : resta a vedere come questo sistema risolva il problema economico e pratico della vita, che sempre bisogna aver di mira : lo che, evidentemente, non è facile ! Il titolo della pro prietà ! ? È un po' arduo trovarlo nella metafisica.... ( 1 ) Framm. III. , p. 247 , 148 « Voler ricercare un titolo di proprietà nella natura è lo stesso che voler distruggere la proprietà : la natura non riconosce altro che il possesso, il quale non diventa pro prietà se non per consenso degli uomini. Questo consenso è sempre il risultato delle circostanze e dei bisogni nei quali il popolo si trova. Tutto ciò che la salute pubblica impe riosamente non richiede, non può senza tirannia esser sottomesso a riforma, perchè gli uomini, dopo i loro bi sogni, nulla hanno e nulla debbono aver di più sacro che i costumi dei loro maggiori » ( 1 ) . È chiaro ! La pro prietà ha un'origine schiettamente economica, e questa origine posa su un consenso generale, ma storico, cioè null’affatto immutabile ed eterno . Una giustificazione dell'istituto secondo i principi del diritto di natura ap pare a Cuoco poco soddisfacente. Solo i bisogni e gli interessi lo consacrano e lo legittimano : la ragione e la volontà giuridica spiegano, ma non esauriscono il pro blema ( 2 ) Dato il concetto che Vincenzo Cuoco ha della borghesia, che per lui non è una classe chiusa, capitalistica, oppres siva nel monopolio della vita pubblica, è naturale che egli non parli mai o assai di rado del cosiddetto proleta riato o quarto stato, il quale per altro non ha, ne ' tempi di cui ci occupiamo, una sua fisionomia sociale ed eco nomica. Se il Cuoco vede un quarto stato, lo vede, se mai, ( 1 ) V. Cuoco, Saggio storico , XXV, p. 123 e sg . ( 2 ) In tutta questa esaltazione della proprietà C., mi sembra, reagisce in parte alla rivoluzione, che nelle sue esagerazioni ha cercato di scrollarla. Lo stesso Russo, l'amico del nostro, non è tenero per i proprietari, e basa il suo sistema su un ele mento comunistico . Io non faccio che rimandare il lettore, che si interessa del problema, allo studio su V. Russo del CROCE ( La rivoluzione napoletana, p. 90 e sgg. ). Lo stesso Edmund Burke in Inghilterra reagà agli attacchidialcuni giacobini con tro la proprietà, e ne affermò il gran compito sociale: è questo uno de tratti comuni tra l’A . delle Reflections on the French Revolution e l'A . del Saggio storico sulla rivoluzione di Napoli. Il problema, di cui sopra ci siamo occupati, fu studiato da M. ROMANO, op . cit. , p. 152, il quale peraltro non si diffuse molto. 149 nell'artigianato, il quale è il germe di ciò che noi chia miamo proletariato, ma da questo differisce sotto molte plici aspetti. L'artigiano è libero lavoratore, il prole tario è il salariato della grande industria. La grande industria è il prodotto di condizioni, che in Italia, al tempo in cui il nostro medita, non si sono ancora svolte nella loro interezza. Le questioni attinenti al quarto stato sfuggono perciò al Cuoco, ma non in tal misura che egli non vi accenni brevemente in qualche articolo del Gior nale italiano ( 1 ) . Sarebbe pur questo un tema interes santissimo ; senonchè, diffondendoci, noi usciremmo dal nostro assunto : tracciare una linea generale e sommaria del pensiero politico di Vincenzo Cuoco . Se con il pensiero noi andiamo agli scrittori politici , che il secolo XIX offre al nostro studio, invano trove remo un quadro così vivo della società post -rivoluzio naria , ed un intuito così immediato dei problemi, che ne agitano la compagine. Basterà che noi riferiamo ciò che il molisano dice intorno ai benefici effetti della rivo luzione, e che sono i capisaldi di tutta la vita successiva, per intendere quanto lungimirante fosse il suo senso po litico e quanto fine la sua visione economica. Un effetto importante del sovvertimento è un progres sivo migliorarsi della morale pubblica. Quanto grande posto il Cuoco faccia alla morale e alla religione nella vita civile de ' popoli è un problema, sul quale dovremo indugiarci dopo. Una seconda conseguenza è « la perfezione della mi lizia , poichè essa non è perfetta se non dove il nome di soldato si alterna con quello di cittadino ; e questo non può avvenire se non dove non siano nè esenzioni nè pri vilegi » . Tutto il pensiero della rivoluzione si rivela nella sua intima radice antimilitarista. Perchè ? Lo Stato as ( 1) Giorn . ital., 1804, 6 febbraio, n . 16, p . 64 , Economia po litica: a proposito di una cassa filantropica a beneficio degli artigiani; Giorn. ital., 1804, 7 maggio, n. 55, pp. 210-220: Pub blica beneficenza, a proposito della mendicità e dei problemi connessi. 150 solutista era da esso considerato come estrinseco alla volontà dei subietti singoli, come tirannico e nemico : l'esercito nelle sue mani una forza passiva ed antide mocratica . Lo Stato repubblicano, il vero Stato rivo luzionario, alla sua volta, riposa invece su un consenso così largo, da ammettere, ed è un estremo, il diritto alla sommossa, e il consenso così concepito non ha biso gno della forza a suo sussidio ( 1 ) . Il Cuoco naturalmente non può condividere questi princípi . Il suo Stato è stato di diritto, ma per natura tende alla conservazione, e re spinge ogni attacco alla sua compagine anche violente mente. Il contratto sociale, che è alla base della sua co stituzione, non è un contratto storico, ma è immanente alla struttura dello Stato , cioè bisogna riguardarlo come una esigenza ideale ed un presupposto della vita civile stessa. Il Cuoco deriva il principio dal Rousseau, ma lo anima alla luce di superiori meditazioni vichiane. Lo Stato sintetizza le volontà individuali o le libertà indi viduali ( libero volere è libertà ) , ma, appunto perchè in ogni momento della sua esistenza è tale, si afferma come autoritario, contro chi rompe o cerca di rompere l'armonia delle volontà concomitanti al fine sovrano. Il contratto sociale eterno, che è alla base della vita stessa, in quanto è convergenza di volontà e di diritti particolari, dà allo Stato il diritto generico della difesa e della conservazione. In ciò la filosofia giuridica del Cuoco si differenzia dalla filosofia della rivoluzione e, pur mantenendo alcuni punti di contatto con quella del Rousseau, si avvicina alla filo sofia di alcuni pensatori germanici. Nell'uomo si realiz zano due qualità di sovrano e di suddito, in quanto lo Stato è sintesi di volontà singole e insieme volontà ge nerale, che non ammette peraltro sottrazioni, anzi ri chiede la più assoluta sottomissione. In ogni atto giuri ( 1 ) Notiamo che persino la costituzione inglese ha tolto al re e al potere esecutivo ogni possibilità di disporre della forza armata . Il principio è stato superato durante la guerra, date le condizioni eccezionali, ma resta sempre base degli ordini ci vili dell'isola . 151 dico dello Stato è implicita la volontà generale, la quale volontà generale non permette che alcuno possa evitare la sua autorità. Ecco il principio della forza, che integra il consenso ; ecco lo stato di diritto, che nelle sue mani festazioni sovrane diviene militare. Gli stessi cittadini, che sono sudditi di una volontà generale e sovrani, poi chè sono gli elementi costitutivi di essa , sono anche soldati, cioè forza diretta a tutelare il rispetto alla legge, la cui genesi, ripeto, è nel popolo, pur trovando la sua manifestazione più piena e sintetica nel monarca , sim bolo della continuità nella vita giuridica e storica della nazione. Mentre tutta la filosofia della rivoluzione inglese, la filosofia dell'illuminismo e del giacobinismo sono anti militaristiche - e le costituzioni, da esse scaturite, sot traggono al potere esecutivo ogni forza armata — ; il pensiero politico del Cuoco, più addentro nelle concrete esigenze della vita, è in senso altamente nobile milita ristico . La milizia , sotto i Romani dovere e diritto, anzi più diritto che dovere, del cittadino, diviene nel mondo feudale mestiere e prestazione con alla base un ob bligo contrattuale, ritorna nel mondo moderno diritto del cittadino, che dà allo Stato la forza morale del con senso, e la forza materiale delle armi, senza le quali il consenso è mera parola e lo Stato s'espone indifeso agli attacchi di pochi faziosi. Di ciò noi troviamo la con ferma in tutti gli scritti cuochiani, dal Saggio storico al Platone in Italia. Dice assai bene il Romano : « L'anti militarismo, così notevole nella letteratura meditativa del secolo XVIII, permane nel Cuoco solo in quanto si ri ferisce alla bruta forza messa a sostegno della tirannide. Con questa sarà militare il governo ma non il popolo ; e d'altra parte un popolo senza virtù militari passerà per vicende politiche più frequenti e più crudeli » ( 1 ) . Con un governo costituzionale, lo Stato sarà forte, ma il po polo, essendo esso stesso che dà l'elemento materiale per ( 1 ) M. ROMANO, op. cit. , p. 88. 152 l'esercizio della sovranità, avrà tanto coraggio da non sopportare alcuna inconsigliata modificazione dei suoi di ritti . Quest'alto sentimento dell'importanza civile della milizia meglio vedremo, allorquando il Cuoco, apostolo dell'unità italiana e della resurrezione morale del popolo nostro, rincorerà i suoi concittadini a ritornare agli an tichi sani esercizi bellici . E passiamo ad altro . « Il terzo vantaggio » continua il nostro autore « e mas simo, sarà quello di abolire l'antico pregiudizio che con dannava all'ignominia l'utile industria, e specialmente l'agricoltura. Divenuta una volta la proprietà la massima tra le distinzioni civili , questo farà sì che il primo sen timento sociale sarà il desiderio di accrescerla, e quindi un'attività maggiore nell'industria. Un mezzo secolo fa, l'abate Coyer destò gran rumore in Europa pel suo opu scolo Sulla nobiltà commerciante. Egli però non faceva che predicar l'imitazione dell'Inghilterra, ma non tentò mai d'esaminar la cagione per la quale in Inghilterra era comune ciò che si reputava paradosso in Francia . L'industria inglese era figlia delle rivoluzioni che quella nazione avea sofferte più frequenti e più feroci delle altre. È un'osservazione costante che , quando le rivoluzioni finiscono in bene, l'agricoltura fa nuovi e rapidissimi progressi. Questo fenomeno, osservato negli altri secoli, si è ripetuto anche nel nostro entro la Francia . L'in dustria , e specialmente agricola , fa grandi progressi, ed i progressi dell'industria non possono esser mai divisi da quelli della pubblica morale. Esser buon cittadino non è altro che esser cittadino utile, e cittadino utile, diceva Catone, vuol dire buon agricoltore >> Il nuovo Stato, appunto perchè Stato di consenso, lascia la massima libertà individuale ; afferma la volontà generale in tutto ciò che pertiene all'esercizio della so vranità , ma lascia intatta la volontà particolare in ogni sua estrinsecazione, ove essa , s ' intende, si muova in una sfera determinata. Ogni attività , che non coinvolga l'essenza sovrana dello Stato, è lasciata alla volontà dei singoli subietti : il commercio, l'industria , la navi gazione, l'agricoltura , l'istruzione, con riserve debite, 153 sono lasciate alla libera autonomia dei cittadini. Appa riscono qui i princípi del liberismo economico, che ap pare già ne' primordi dell'economia politica, nei Fisio crati, nella scuola liberale inglese e francese, e giù di là ne' nostri maggiori scrittori, per essere l'anima d'ogni ulteriore sviluppo della scienza. Secondo me, entro certi limiti , non si può dubitare di un liberismo vero e pro prio nel Cuoco. Lo Stato assoluto, basato sul principio patrimoniale regio, non potea di fatto non essere Stato monopolistico , come quello che mirava ad un utile particolare e non collettivo, di classe e non generale. L'equilibrio econo mico è la risultante di libere forze individuali, è ciò che nasce dall'esplicazione di queste attività. Ciò che è , è quanto di meglio si possa concepire . Questi princípi liberali , che noi troviamo sviluppati in Adamo Smith, in Ricardo , in Giovan Battista Say, ecc. non sono in antitesi notiamo ai principi della filosofia cuochiana, per meata di vichismo. Le nazioni, dice il Cuoco col Vico , le società umane, i popoli sono governati da leggi naturali eterne, che hanno un proprio sviluppo, un proprio spie gamento, dietro un impulso originario ab antiquo . Gli uomini non possono mutare queste leggi , perchè ciò che è dato dalla natura stessa meglio soddisfa le esigenze umane, quindi rappresenta ciò che, date le condizioni sociali e civili , di migliore si possa imaginare. È l'ordine delle cose che determina l'ordine costituzionale, e non la nuda filosofia : è l'ordine delle cose che determina l'or dine economico, e non l'astratta economia . Di ciò ab biamo una prova diretta nel Cuoco. Esiste, secondo il nostro, una vera scienza economica, ma, appunto perchè questa scienza ha una base non dommatica ed apriori stica , ma di fatto e storica, i princípi che la governano sono pochi, di loro natura « tanto semplici e pochi» che « scompagnati dall'esperienza » divengono « incerti e fa cili ad esser corrotti » ( 1 ). I princípi dell'economia sono ( 1 ) V. Cuoco , Scritti vari, v . II , p. 89. 154 pochi, perché sono i princípi stessi della natura . La na tura determina l'ordine e lo sviluppo delle cose umane, in tutte le loro conseguenze. Lasciamo operare la natura, e questa condurrà a sviluppi, che sono quanto di meglio si possa immaginare ed operare per predeterminazione umana, ammesso cioè che gli uomini, lasciato da parte ogni intendimento utilitario individuale, mirino apriori sticamente ad un fine utilitario generale. La disarmonia di contrastanti interessi porta all'armonia dell'utilità col lettiva, ad un utile generale, lo stesso che si avrebbe, qua lora gli uomini abbandonassero, ed è mera astrazione, l'egoismo economico nativo , che li porta alla ricerca della soddisfazione maggiore de' propri bisogni anche a sca pito altrui. Lo Stato cuochiano quindi è Stato liberista : il prin cipio però notiamo è tutt'altro che chiaro, e lo stesso no stro autore lo intorbida e spesso lo rinnega. Il legislatore interviene a limitare l'attività economica individuale, solo in quanto quell'attività lasciata a sè stessa, in de terminate circostanze sociali anomali, possa risolversi in un danno collettivo, o in quanto quest'attività indivi duale, nel rimuovere gli ostacoli che le si oppongano, agisca fuori dal lecito giuridico. Il Cuoco è troppo for temente concreto per potere formulare princípi astratti e crederli validi per un'universalità di fatti. I princípi economici, ha detto sono pochi, perchè poche sono le leggi eterne della natura ; i casi concreti invece sono molti moltissimi: quindi il principio economico trova nella realtà mille limitazioni, e solo un'analisi caso per caso può ri solvere un problema positivo che ci si presenti. Liberismo o protezionismo ? Questione fino ad un certo punto astratta. La vita nelle sue manifestazioni reali può ren dere necessario il protezionismo, e lo può presentare, vi sono pur de' casi, come un male minore di quello, che si avrebbe lasciando sfogare le libere forze economiche. « Niente si cura produrre chi non è sicuro di vendere. Or, perchè gli abitanti di uno Stato possan vendere molto e con vantaggio , è necessaria una certa potenza politica nello Stato . È necessaria, perchè possa ottenere 155 dalle altre nazioni que patti equi, i quali non si otten gono se non quando taluno creda che noi possiamo ot tenerli anche contro sua voglia. I popoli, dice Melun, e noi diremo i governi, non si regalano nulla. Se non siete forte, sarete sopraffatto. Non solamente non otter rete condizioni giuste, ma sarete costretto a soffrirne delle ingiustissime » ( 1 ) . Come mai il Cuoco, di cui abbiamo veduto il pensiero nella sua sostanza liberista, sembra tradire così i suoi princípi ? In realtà, la concretezza del suo pensiero non può permettergli apriorismi nè costituzionali, nè econo miei, ond’ei bene intende quanto necessario sia il prote zionismo in certe contingenze politiche. Non dimenti chiamo, poi, che non si può parlare di liberismo asso luto in un'età, in cui ferve continua la lotta tra la Francia e le coalizioni europee, fra la Francia e l'Inghilterra do minatrice de’mari, in un'età in cui ogni mezzo politico diviene spietato per vincere economicamente, e le armi del contrasto non sono più la libera concorrenza tra im prese nel campo internazionale, ma il sequestro marit timo, il boicottaggio, il blocco. La realtà dell'èra napo leonica, tragica nel conflitto tra il genio e le forze avverse, impone all' impero il protezionismo. Il Cuoco lo crede ne cessario per evitare danni maggiori, senza però condurre questa tattica positiva a princípi generali e valevoli in eterno ( 2 ) . Ma dove il pensiero cuochiano attinge una verità eco nomica di prim'ordine è in un principio, al quale il no stro accenna ne' Frammenti di lettere a Vincenzio Russo, ( 1 ) Giorn. ital., a. 1806 ; 5, 6 , 7, 8 gennaio ; n . 5 , 6, 7 , 8 ; pp. 19-20, pp. 23-24, pp. 27-28, pp. 31-32; Politica : ( ristampato in M. ROMANO, op. cit ., in Appendice; ed ora negli Scritti vari, v . I, pp. 201-213 col titolo La politica inglese e l'Italia ). ( 2 ) Mi sembra che anche il ROMANO, op. cit., p . 155, creda così. Dopo aver riportato in nota il brano da me sovra ci . tato aggiunge: « Anche qui è palese che il protezionismo del Cuoco non moveva da teoriche astratte, sibbene dall'esame delle condizioni storiche del suo tempo. E che avesse ragione allora .... non è chi non veda », 156 principio, al quale egli stesso non dà alcuna elaborazione, ma in cui è il germe di dottrine, che nella stessa nostra Italia hanno avuto così bello sviluppo. « Una nazione si dirà virtuosa, quando il suo costume sia tale che non renda infelice il cittadino ; e se tutte le nazioni potessero essere sagge a segno che, invece di farsi la guerra e di distruggersi a vicenda, si aiutassero , si giovassero, questa sarebbe la virtù del genere umano. Il fine della virtù è la felicità , e la felicità è la soddisfazione dei bisogni, ossia l'equilibrio tra i desidèri e le forze. Ma, siccome queste due quantità sono sempre variabili, così si può andare alla felicità, cioè si può ottener l'equilibrio o scemando i desideri o accrescendo le forze. Un uomo, il quale abbia ciò che desidera, non sarà mai ingiusto ; perchè naturale e quasichè fisico è in noi quel senti mento di pietà , che ci fa risentire i mali altrui al pari dei nostri, e questo solo sentimento basta a frenare la nostra ingiustizia, sempre che la crediamo inutile. L'uomo selvaggio non cura il suo simile, perchè non gli serve : egli solo basta a soddisfare i suoi bisogni, che son pochi. Debbono crescere i suoi bisogni, perchè si avvegga che un altro uomo gli possa esser utile, ed allora diventa umano. Per un momento nel corso politico delle nazioni le forze dell'uomo saranno superiori ai bisogni suoi ; allora que st'uomo sarà anche generoso . Ma questo periodo non dura che poco : i bisogni tornan di nuovo a superar forze; l'uomo crede un altro uomo non solo utile, ma anche necessario : ed allora non si contenta più di averlo per amico, ma vuole averlo anche per schiavo » ( 1 ) . Per il Cuoco la felicità è ciò che con linguaggio più pro prio possiamo dire soddisfazione de' bisogni, possibilità di sfruttare le qualità fisico - chimiche de ' beni, dati de terminati bisogni individuali. L'uomo è felice, cioè sod disfa interamente i suoi bisogni, realizza uno stato di ap ( 1 ) Framm . VI, p. 262. Errerebbe colui che nel brano citato volesse vedere un abbozzo di morale utilitaria : il problema mo rale ben altrimenti è impostato da V. Cuoco . 157 pagamento, trova un punto d'equilibrio, quando non v'è contrasto tra desideri e forze. La visione però è moderna in ciò che segue. I bisogni , aggiunge lo scrittore, non sono da comprimersi, tut t'altro, anzi è d'uopo dargli il modo d’esplicarsi. « Invano tu colla tua eloquenza fulminerai il nostro lusso, i no stri capricci , l'amor che abbiamo per le ricchezze: noi ti ammireremo, e ti lasceremo solo » . L'economia privata e pubblica dà l'esempio continuo di nuovi bisogni che sorgono, che non trovano soddisfazione che parzialmente, e poi per le mutate condizioni delle produzioni vengono soddisfatti sempre meglio . Il progresso civile è una ca tena ininterrotta di bisogni nuovi e di soddisfazioni ade guate che si sviluppano. Che vale gridare catoniana mente contro le troppo molteplici esigenze della vita moderna ? Quel che è non si discute . Passarvi sopra sa rebbe un condannarsi ad una eterna infelicità . L'equi librio tra i desideri e le forze non può mantenersi che per breve tempo, perchè tosto che si realizza, intervengono nuovi bisogni impreveduti per romperlo. Nella realtà, anzi, è impossibile concepire un vero e proprio equili brio : quel che più ci dà l'idea di questo mondo eco nomico è una serie di equilibri tra desidèri nuovi e forze preesistenti, tra bisogni nuovi , che dan luogo a nuove domande di beni atti a soddisfarli e lo stato della produ zione, che s'adatta all'oscillazioni delle domande. Qual'è il comportamento naturale dello Stato in tali contin genze ? « La cura del governo deve esser quella di distrug gere le professioni che nulla producono, e quelle ancora le quali consumano più di ciò che producono ; e verrà a capo, se stabilirà tale ordine, che per mezzo di esse non si possa mai sperare tanto di ricchezza quanto colle arti utili se ne ottiene » . Il Cuoco continua in una esaltazione del lavoro agricolo ed industriale, e in una deplorazione degli impieghi, che chiama pericolosi per chè fomentano le ambizioni. Con ciò noi usciamo dalla pura indagine economica . L'autore lascia intravedere la possibilità d'un intervento statale in un campo che noi ne 158 vorremmo libero. Ma nel molisano, purtroppo, i concetti economici non sono chiari : il Cuoco indulge troppo spesso a forme d'economia statale, che portano ad un interven tismo e ad un protezionismo fuor di luogo, che, se sono a volte spiegabili come espressioni di circostanze ano male, non hanno mai ragioni scientifiche tali da imporli per una pratica economica generale ( 1 ) . ( 1 ) Bisogna pur riconoscere che elementi estrinseci interven gono a turbare la mera analisi economica, onde il Cuoco so stiene forme d'economia statale e d'intervento per altre ragioni, nobili e spiegabilissime. Dopo gli studi del RUGGIERI ( op . cit., p. 39) e del Cogo sopra tutto ( op. cit. , pp. 13-23, pp. 59-66) non v'è alcun dubbio che l'opera statistica Operazioni sul di partimento dell'Agogna anzichè al cittadino Lizzoli Luigi come appare estrinsecamente dal frontespizio dell'opera ( Dalla tip. Nobile e Tosi, 8. d. ) , debba attribuirsi al Cuoco, che la scrisse per incarico dell'amico tutta di suo pugno , sia pure consigliato dal Lizzoli. Orbene in detta opera (cap. XII, Istruzione pubblica, p. 107) il Cuoco tratta dell'importanza delle scuole di disegno e de' vantaggi che da questa specie d'educazione si ritraggono. « Saremo sempre » scrive poi « i servi degli esteri fin che crede remo che essi sieno i nostri maestri: chi ha perduto la stima di sè stesso , ha già perduto tre quarti della sua indipendenza. Or questa stima di noi stessi non si perde tanto ammirando i genî che ha prodotto, e le grandi azioni che ha fatte una na zione estera, quanto ammirando di soverchio alcune cose che sono per loro natura indifferenti , e che forse anche sarebbero migliori tra noi , se come nostre non fossero disprezzate. Pochi sono sempre presso qualunque nazione coloro che intendono e pregiano le prime, e questi pochi per lo più hanno uno sviluppo tale di ragione che impedisce l'abuso dell'ammirazione. Ma mol. tissimi sono quelli che ammirano le chincaglierie, i ventagli, le fibbie , i mobili, le stoffe , e che aspettano da Lione , o da Londra il figurino della moda. Tra cento uomini convien trovare cin . quanta donne, e quarantotto altri esseri inferiori alle donne, i quali ragionano così: in Inghilterra le fibbie, i mobili , le scarpe sono migliori delle nostre : dunque gl' Inglesi sono migliori di noi. Allora tutto è perduto. Le nazioni estere attaccano sempre la parte più numerosa e più debole di un'altra nazione, e l'at taccano per le vie del comodo e del bello ; e quindiè che un go verno savio deve procurar sempre di dare alla nazione propria gran facilità di mezzi, onde poter vincere in questa concorrenza, e questa cura deve formar la parte principale della pubblica istru zione » . 159 Abbiamo studiato come il Cuoco concepisca lo Stato , Stato di diritto basato sul consenso e realizzante la sua sovranità nella maggior pienezza, Stato militare e forte; abbiamo anche studiato come questo suo Stato sia in fine lo Stato che egli vede sorgere per opera di Bonaparte. Il Cuoco a me appare come il teorizzatore di quel tipo di Stato, che alla storia è passato col nome di napoleonico . Abbiamo già dato in parte la giustificazione di ciò che i legittimisti ben poteano chiamare usurpazione, ma che per il nostro è lo sviluppo logico delle cose, è la fine di tutto un processo storico : occorre però ritornare sul l'argomento per una più vasta documentazione. La storia non s'interrompe. Il primo console diviene presto imperatore di Francia e poi re d'Italia (1 ) . Tutto il movimento spirituale che porta dalla repubblica ita liana al regno italico , trova la sua spiegazione negli scritti cuochiani. Sul Giornale italiano il molisano manda fuori le sue Considerazioni sopra il senato - consulto ( 2 ) , scritto denso di pensiero politico, ove la monarchia napoleonica trova un'adeguata giustificazione nella natura stessa delle cose, nel corso della storia, che tra due estremismi, la tirannia e l'anarchia , trova il suo equilibrio nella costi tuzionalità . I contemporanei non possono intendere Napoleone : la sua figura complessa sfugge ad essi , perchè la conside rano isolatamente, avulsa dal moto storico, in cui opera e dal quale è determinata , moto storico, che solo la po sterità potrà intendere. Avevamo una repubblica. Come va che dal direttorio , dal consolato decennale, dal conso lato a vita, dalla presidenza si passa all'impero e al regno ? « Noi diciamo, pieni di stupore : – Come mai ha potuto avvenir questo ? — E coloro che ci han preceduto, molto tempo prima che avvenisse, lo avean predetto ( 1 ) M. Rosi, op . cit. , p. 230 e sgg. ( 2 ) Giorn . ital., 1804, 30 maggio, 2 giugno ; n. 65, 66 ; pp. 260, 264 : Considerazioni sovra il senato - consulto ( ristampato dal Ro MANO , op. cit., in Appendice ; ed ora in Scritti vari, v. I , pp. 103-108, col titolo Napoleone imperatore) . 160 inevitabile » . L'impero è sorto, perchè tutte le idee por tavano all'impero. L'analisi di tutti i precedenti storici , senza i quali ogni evento ci appare estrinseco, è fatta dal nostro con una lucidità mirabile . La rivoluzione francese, prima di scatenarsi sulle piazze e sui patiboli col terrore, aveva tentato un esperimento costituzionale. Una monarchia moderata sarebbe stata quanto di meglio potea avere in quel momento la Francia . « La rivoluzione scoppiò, perchè era inevitabile. Tutte le idee degli uomini non ebbero allora altro scopo che quello di formare una monarchia costituzionale ; ma si errò nel circoscrivere il limite del potere esecutivo, e se ne creò uno troppo debole e troppo poco rispettato » . Si inde bolì costituzionalmente il potere centrale, togliendo così ogni difesa agli stessi ordini civili, aprendo la via alla licenza trionfante . Gli errori in questo campo furono in numerevoli. Il potere legislativo esercitò un predominio eccessivo, inframettenze internazionali, in campi che pra ticamente, se pur non logicamente, spettano all'autorità amministrativa. La forza ' armata fu divisa , parte al re , parte al popolo : la monarchia fu esautorata, ma il paese resto senza presidio alcuno . Il potere esecutivo perse ogni autorità sul legislativo, e si giunse all'assurdo di togliergli parte sia diretta sia indiretta, sia d'iniziativa sia di veto, nella decretazione e nella sanzione delle leggi. Si separò ancora interamente il potere esecutivo dal giu diziario, e al re fu vietato l'ultimo residuo d'autorità : il diritto di grazia e d'amnistia, che pur tanto serve a sanare situazioni in via strettamente giudiziaria irre solubili. « Che ne avvenne ? La monarchia costituzionale, simile ad un colosso di arena, si sgretolò e cadde » . S'immaginò poi la costituzione del 1793. Un altro ec cesso . Per non cedere la Francia il potere esecutivo ad un organo specifico, esso fu assunto dalla stessa conven zione nazionale . « L'epoca, in cui noi ebbimo distrutto ogni potere esecutivo, si può chiamar l'epoca in cui al governo si sostituì la guillottina » . « Eravamo giunti all'estremo. Era necessità retroce dere . Si comprese l’errore della riunione de' poteri e, 161 colla costituzione del 1795, furon di nuovo separati. Si comprese che la forza fisica di uno Stato dovea esser una sola , e che questa dovea dipendere dal governo . Le at tribuzioni della guardia nazionale furono limitate ; il co mando della forza armata, il pieno comando, fu dato al Direttorio, a cui furon dati attributi più ampi che al re » . Come ognun vede il processo della storia è sempre lo stesso : un estremo porta all'altro estremo, ma nel l'urto e nell'antitesi si sviluppa spontaneo un supera mento, che rappresenta il nuovo e logico equilibrio . La costituzione del '95 avea molti difetti che dovevano in breve distruggerla : la lentezza e la mancanza del se greto in azioni, che esigono rapidità ed unità di comando ; l'incertezza del sistema nel troppo rapido cambiamento del Direttorio ; l'ambizione de' membri che componevano il Direttorio stesso. Gli effetti del sistema : vittorie inu tili, vertiginose disfatte, discredito all'interno e all'estero . La storia continua il suo processo, alla ricerca d'un punto d'equilibrio stabile. La costituzione del 18 bru male fu un rimedio solo in parte . Comincia l'ascesa di Napoleone, ascesa che ora ci appare naturale, inquadrata come è nella continuità d'un processo che si svolge con una particolare logica. Invece che a cinque membri, il potere esecutivo fu affidato ad uno solo, togliendo ogni lentezza alla vita statale ; il potere fu prolungato per dieci anni, evitando la troppo frequente rotazione di governi ; s'evitò ogni ingerenza legislativa nella sfera na turale d'azione del potere amministrativo restituito così alla sua sovranità . Una volta preso questo cammino, le idee andarono fino alla fine : per rendere l'ambizione privata meno nociva, si ebbe il consolato a vita e si diede al console il diritto di nominare il successore . L'ascesa di Napoleone appare così pienamente spiegata nella storia . V'è perfetta reciprocanza : gli uomini deter minano la storia ed operano per la storia ; sono liberi perchè sono i fattori della storia, sono schiavi perchè soggiacciono alla loro opera. « Ciò che è avvenuto posteriormente non è che il com pimento di tali istituzioni . L'eredità rende il potere più 11 - F. BATTAGLIA, 162 sicuro, ed in conseguenza ne rende l'esercizio più dolce; la responsabilità de' ministri corregge ogni abuso che dal l'eredità potrebbe avvenire. Coll'eredità e colla responsa bilità si riuniscono due cose che paiono di loro natura inconciliabili : la libertà e l'impero » . Quand' io ho analizzata la critica rivoluzionaria nel pensiero cuochiano, ho avvertito come da questa critica nasca tutto un sistema politico, di cui la storia è la con sacrazione e la legittimazione. Eccoci giunti al punto, in cui ciò che il Cuoco ha preveduto trova la sua realtà e la sua riprova materiale . La storia ha un processo dialet tico eterno, le cui grandi linee approssimativamente si possono cogliere, pur quando l' ineffabilità de' partico lari ci sfugge. Il Cuoco ha osservato le idee, che sono eterne e non fallano ; ha trascurato gli uomini, che brillano un istante ed ingannano, se li si astrae dal corso ideale delle cose : le sue deduzioni fondate sulla natura umana non sono fallite, ed hanno avuto la più piena sicura conferma. Com'ognun vede, siamo giunti a Napoleone attraverso uno spiegarsi logico delle cose. Bonaparte è la risultante di tutta una convergenza d'elementi, che allo storico e al politico acuto non isfuggono, e de ' quali noi abbiamo descritto la natura . Bonaparte è il creatore di quel tipo di Stato, che, pur lasciando il più vasto campo alle atti vità individuali, esercita unitariamente il suo compito sovrano, e, pur riposando consensualmente su un con tratto sociale, in ogni istante vero nella convergenza delle volontà subiettive, sa trovare la sua difesa in una forza attiva che non falla . Un'esperienza rovinosa di frammen tarismo e di debolezza porta all'impero ( 1 ) . Si è avuta troppo lunga pratica d'anarchismo costituzionale , d'insuf ficienza esecutiva, perchè si possa continuare sulla stessa strada. I popoli non possono prosperare, quando gli or dini civili non rispondono alla vita stessa. La vita è vo lontà unitaria ; lo Stato è sovranità, cioè estrinsecazione di quella volontà suprema, che è alla base d'ogni atti ( 1 ) V. FIORINI ( F. LEMMI, op . cit ., p. 619. 163 vità umana coordinata in società. Ogni menomazione del principio porta all'anarchia . Le costituzioni debbono ri spondere a quelle esigenze eterne ed immutabili, senza le quali gli organismi sociali deperiscono e muoiono. Curioso e tipico è osservare come ugualmente nella storia il Cuoco trovi la legittimazione di altre figure in signi di capitani e di uomini eletti, il duca Valentino, Cromwell. Mi si permetta la parentesi, anche perchè si tratta di considerazioni che illuminano direttamente il nostro argomento. In uno scritto ( 1 ) il molisano immagina che un suo amico possegga un manoscritto antico, descrivente un viaggio per l'Italia nel secolo di Leone X, secolo aureo e grande nella sua pura italianità : dall'opera egli desume un collo quio tra l'anonimo autore e il Machiavelli. Non istard qui a riferire il dialogo, che si svolge animato e profondo di politica, tra i due, nel quale Vincenzo tenta una giusti ficazione di quell'atteggiamento del grande fiorentino, che i secoli hanno battezzato con l'epiteto di machiavel lismo . L'Anonimo' nota al Machiavelli che il mondo lo accusa d'avere insegnato massime di tirannia ai Medici e di avere presi per suoi modelli uomini scellerati, Ca struccio e il Valentino . Alla prima obiezione il Machia velli risponde che egli tanto poco è stato fautore dei signori della sua città, che questi al contrario lo han per seguitato come troppo caldo fautore della libertà della patria ; alla seconda obiezione oppone un ragionamento assai acuto, sul quale merita fermarvisici un po ' . « Ascolta. Per Castruccio ti dirò che, scrivendo la sua Vita, non ebbi altro pensiero che quello di ridestar gli animi degl'italiani, inviliti tra l’ozio e la cura de' cani, della caccia, delle donne e dei buffoni, all'amor delle cose militari, mostrando loro coll' esempio di un uomo illu stre che per questa sola via si può ascendere alla gloria e all'impero .... ». ( 1 ) Giorn. ital., 1804, 21, 23, 25 gennaio ; n . 9 , 10, 11; pp. 35-36 , pp. 39-40, pp. 43-44 : Varietà ( ristampato in Scritti vari, v . I , pp . 42-52 sotto il titolo Due frammenti d'una storia della poli tica italiana ). 164 « Ma pel duca Valentino ? ... » « Perchè quelli che egli oppresse e distrusse eran più scellerati di lui .... Tra tanti scellerati io preferiva quello che almeno dirigeva le sue scelleraggini ad un fine più nobile e tendeva a riunir l'Italia, che gli altri, con iscel leraggini più vili, dividevano e desolavano. L'Italia non avea altro più da sperare : niuna virtù ne' popoli, niun ordine di milizia . Quei tanti tirannotti, che la laceravano, si facevan ogni giorno la guerra ; ma questa guerra non decideva mai nulla. Nel massimo de' mali, era un sol lievo diminuirne il numero. Valentino sarebbe rimasto solo. Più grande, sarebbe stato più umano ed avrebbe accomodati i suoi pensieri all'ampiezza del nuovo impero. Senza rivali, sarebbe stato anche senza sospetti e senza crudeltà. L'Italia avrebbe cominciato a goder la pace, e dopo due età avrebbe incominciato ad avere anche la virtù.... » . Il pensiero del Cuoco è chiaro . La giustificazione del Duca è nei suoi stessi fini. Il secolo di Leone voleva questi mezzi, e da essi non si poteva prescindere: un uomo, che aveva per iscopo di realizzare la sua personalità, non po teva non agire in quella maniera. Oggi la storia è cam biata . Napoleone non è il Valentino ; Napoleone è un ambizioso, il nostro autore non lo disconosce, ma un ambizioso, che unisce la gloria alla virtù . Coloro che lo han preceduto sono inetti metafisici, incapaci di portare la nazione ad un fine grande. Qual è la ragione etica e storica, che possa impedire al genio di farsi strada e di trovare nella sua stessa personalità la sanzione del l'impero ? Nessuna. Tutte le cose invece additano Na. poleone come il restauratore degli ordini civili sconvolti, come colui, che può dare allo Stato un potente indirizzo unitario ( 1 ) ( 1) È curioso ed interessante come l'anglofobo Cuoco spieghi e legittimi il Cromwell. In un articolo del Giorn. ital., 1804, 5 marzo , n . 28 , pp. 111-12 : Considerazioni sul libro in . glese « Uccidere non è assassinare » e sul diritto delle genti ( ri stampato in Scritti vari, v . I , pp . 81-85 col titolo L'assassinio politico e le violazioni del diritto delle genti) scrive, a proposito 165 Napoleone ha inoltre un titolo maggiore al trono, un titolo più nobile, il quale sta maggiormente al cuore di Cuoco : egli ha dato all'Italia quell'unità , e in parte quel l'indipendenza, che è stata il sogno di tanti pensatori e di tanti martiri della Partenopea. Vedremo, in seguito , quando verremo a parlare della pedagogia e dell'ita lianismo del nostro, come il problema unitario italiano sia anzi tutto un problema spirituale, cioè educativo, e poi un problema politico . Limitiamoci ora a vedere la cosa piuttosto dal di fuori, per poi penetrarla meglio nel suo intimo. Bene o male s'è costituito nell'Italia settentrionale uno Stato unitario . Quel che al Cuoco interessa è che, nella nostra patria, si cominci a vivere italianamente, a pen sare nazionalisticamente. Altri dirà: il nuovo organismo è accodato al carro di Napoleone ! Che importa ciò , se quest'uomo grande ha di mira il bene comune dell'Italia , sua patria d'origine, e della Francia, sua patria di ele zione . Il nuovo regno non ha con l'Impero' se non quel vincolo di solidarietà reciproca, che lega il benefi cato al benefattore : Napoleone è il pegno tra i due po poli, comune sovrano di due nazioni sorelle. Come mai il Cuoco così irrimediabilmente antifrancese ora è così strettamente francofilo, incline ad intendere i benefici dell'alleanza e dell'amicizia franco- italiana, fino a ringraziare Iddio, che ha voluto porre Italia e Francia sotto il comune scettro d’un uomo solo ? La risposta è implicita in tutto il pensiero politico del no stró scrittore. di un'operetta del colonnello SEXBY, Killing is no murder e dell'attentato contro Napoleone del febbraio 1804 queste con siderazioni sulla posizione storica del lord protettore Cromwell: Dopo le crudeli stolidezze degli evangelici, de'puritani, de' livellisti e di tutto quell'infinito numero di sette religiose e politiche, che si agitavano allora in Inghilterra come igra nelli di sabbia quando spira il vento di mezzogiorno ne' deserti dell'Arabia, ... era inevitabile che sorgesse finalmente un uomo atto a ricomporre in un qualche modo le cose. Ciò che è ine. vitabile è sempre il minor male » , 166 La Francia, che il Cuoco non ama, è la Francia repub blicana, sinonimo d'astrattismo e di debolezza, che am mannisce ai popoli parole vacue di libertà di fratellanza d'uguaglianza, e intanto depreda musei archivi bibliote che, saccheggia case private, taglieggia le stesse città che dice d'aver liberato. La Francia rivoluzionaria , che egli descrive con così foschi colori, non può dare a noi l'indi pendenza e l'unità. La Francia, che invece esalta, è la Francia che ha superato la rivoluzione, ha ricostituito gli ordini pubblici sconvolti, ha trovato in Bonaparte, la sintesi superba della sua rinascita . L’unità che il molisano osserva realizzata nel nuovo Stato è, però, un'unità più politica che spirituale, più estrinseca che intima. Bisogna dunque operare ancora per rendere le fondamenta del nuovo regno salde ed eterne, bisogna formare quel che manca : la coscienza dell'italianità, la volontà unitaria , un nazionalismo. A ciò mirano gli sforzi del Cuoco, pedagogo dell'Italia, « il pedagogista del primo risveglio della coscienza nazio nale » ( 1 ) . Abbiamo il Regno italico libero indipendente, punto di partenza per estendere a tutta la penisola i benefici d’un nuovo ordinamento. È il gran sogno di Vincenzo Cuoco, che s'esalta, egli , temperamento posi tivo, ovunque veda un barlume d'unità italiana, lo stesso sogno che lo farà fervido murattista ne' suoi ultimi anni, sembrandogli d'intravvedere in Gioacchino il desìo am bizioso d’un più vasto dominio. Certo l'autore del Saggio storico avrebbe voluto che il nuovo organismo nazionale sorgesse più naturalmente, per virtù d'italiani, per il formarsi e il maturarsi d'uno spirito civile nostrano, per un processo politico naturale, senza quell'intervento napoleonico, che pur serba sempre il suo peccato d'origine: la sua esteriorità . Ma, tutto è fatale necessario nella storia. « Quella ragione, per la quale gl'italiani, reggendosi a repubblica, non potrebbero for mar mai uno Stato potente, quella ragione istessa fa sì ( 1 ) G. GENTILE, Studi vichiani, p. 335. 167 che uno Stato potente, tra le tante divisioni di luoghi e di animi, non possa sorgere in Italia se non per mezzo dell’unione ; e questa unione, non essendo più figlia della virtù e degli ordini antichi, non può ottenersi se non per la forza. E come mai non sarà straniera la forza, quando ogni forza patria è già da tanto tempo distrutta ? » ( 1 ) . La repubblica non fa per noi, come non fa per i francesi : essa è disgregazione e ruina, mentre occorre unitarietà e forza per superare i mali e i dottrinarismi del secolo. La Francia repubblicana, dannosa a sè stessa, non potea essere benefica per poi : i suoi rapporti con l'Italia eran rapporti di sudditanza e non di parità. « I legami che ci uniscono alla Francia » scrive il Cuoco, « sono legami di necessità e di vantaggio vicendevoli. Era naturale che la Francia vincitrice volesse usare della sua vittoria ; ma, finchè la Francia ebbe apparenza di governo repubblicano, la sorte d'Italia non fu per certo molto felice, perchè pessima è sempre la condizione de' paesi conquistati o dominati dalle repubbliche . Par che la somma delle libertà tutta si concentri entro le mura, e fuori non rimane che l'oppressione. Forse è inevitabile nell'ordine della natura che l'estremo de 'mali non si possa evitare senza rinunciare a quell'estremo de' beni , a quell'ottimo che si chiama con ragione il peggior ne mico del bene, e mettersi in quella mediocrità che forma la base de governi temperati. La Francia, quando ella stessa non avea governo, prometteva agli altri popoli un governo simile al suo : con promesse, per tutt' i popoli , fallaci, perchè non poteano eseguirsi; per l'Italia , an corchè potessero eseguirsi, dannose. Imperciocchè, am messo per vero che i costumi degli europei viventi fos sero capaci di pure forme repubblicane, rimane però sempre problematico se con forme puramente repubbli cane l’Italia, il di cui male più grave stava nella divi ( 1 ) Giorn . ital . , 1805, 1 , 3 , 6 aprile ; n. 39, 40, 41; p. 158 pp. 161-162, pp. 165-166: Sul regno d'Italia ( ripubblicato in , parte da G. Cogo, op. cit. , pp. 134-136 ; ed ora in Scritti vari, V. I , pp. 149-158) . 168 sione, avrebbe potuto mai riunirsi; e se, non riunendosi, poteva acquistar forza e vera indipendenza ; e se, senza indipendenza e senza forza, preda del primo che volesse invaderla , avrebbe mai potuto perfezionar gli ordini suoi ? » . Ritorniamo alla critica rivoluzionaria di cui abbiamo parlato. Il popolo italiano, pur diviso e suddiviso, ha una sua fisionomia speciale, bisogni propri, antichi ordini na zionali, che non possono mutarsi ed adattarsi ai sistemi nuovi d'oltralpe. Napoleone agisce diversamente : crea in Italia un Regno nuovo e lo pone direttamente sotto il suo scettro, ma nello stesso tempo gli dà, almeno in parte, una certa autonomia governativa, che intenda i bisogni e gli interessi locali, gli dà un esercito proprio, che sol levi lo spirito popolare depresso e lo riabiliti dopo un fiacco passato ; gli dà istituzioni, leggi proprie. V'è una politica imperiale, politica estera, amministrazione ge nerale, la stessa in Italia e in Francia, dipendente dalla volontà del monarca. V'è poi una politica locale, diretta alla soddisfazione di esigenze specifiche, che varia da luogo a luogo, lasciata alla volontà delle popolazioni, che intanto s’abituano alle gestioni pubbliche, alle fun zioni civili, dalle quali sino ad oggi erano state tenute lontane. « Il cangiamento di governo che è avvenuto in Francia, per quanto sia stato necessario ai francesi, si può dire però che sia stato egualmente utile agl'italiani. Di tutti i legami che univan questa a quella non rimane che l'al leanza ; alleanza , che, se alla Francia è utile, all'Italia è indispensabile . Il Regno dell'Italia è divenuto proprietà dello stesso sovrano, e questo sovrano è il più grande uomo del secolo : egli saprà, egli potrà e, ciò che più im porta, egli vorrà farlo prosperare. Questo uomo avea già due titoli i più giusti alla sovranità : quello di creatore e di restauratore dello Stato. Le circostanze politiche del l'Europa gliene dànno un terzo, più giusto di tutti : la necessità di difendere ancora per altro tempo lo Stato che egli ha creato, la necessità che ancora ha questa nazione dei benefíci suoi » , 169 H In Italia non si è formato ancora uno spirito pubblico nazionale , una comunione d'idealità, un italianismo in somma . L'unità , che Napoleone ha dato a noi, è un'unità che non può trovare altra ragione che nel suo genio . L'in dipendenza per volontà intrinseca del popolo è un as surdo : in Italia non c'è ancora un popolo consapevole della sua natura e della sua forza. L'unica possibile ri soluzione del problema italiano è quella che la storia ha sancito . Il fatto nuovo avrà per effetto di mostrare agli italiani, come la convivenza comune ed unitaria sia possibile, anzi vantaggiosa ; come essi uniti siano più forti che non separati; come essi abbiano da sperar tutto da un avvenire libero, e tutto da perdere ricadendo negli antichi errori. I germi di quest'esperienza non andranno perduti, morto Napoleone, poi che la storia non ritorna sui suoi passi, e procede infallibilmente. Qui il Cuoco è davvero il profeta dell'avvenire. Siamo in un campo puramente politico. Ho detto che ci riserviamo di studiare in seguito la maniera con la quale il Cuoco crede possibile una unità italiana più in tima, di natura spirituale, attraverso un'alta pedagogia, che cementi per l'eternità, ciò che il genio d’un uomo ha potuto realizzare in maniera affatto pratica, e , nella sua stessa génesi, estrinseca . Prima però di venire a questo problema, che formerà un capitolo del presente lavoro, bisogna gettare uno sguardo rapido sulla politica gene rale europea, in cui il nostro scrittore ebbe intuizioni ge niali e alcune poche insufficienze tipiche. Per chi ritorna col pensiero alla tormentata storia del secolo XIX, l'unità d'Italia appare come una necessaria conseguenza di forze politiche in pieno sviluppo, come l'inderogabile fine d'un non mai interrotto processo. La questione italiana, considerata da un punto di vista po litico , appare, senza dubbio, come una grande questione europea . L'Italia è il centro del Mediterraneo, il centro pulsante della vita civile di tante stirpi, il transito tra l'Oriente mistico e voluttuoso e l'Occidente pratico e po sitivo; il paese destinato a moderare, se libero ed uno, tutte le competizioni di predominio commerciale, ad ali 170 mentarle, se disgiunto e schiavo, in quanto nessuna grande potenza permetterà mai ad un'altra un dominio incontrastato sulla penisola, che domina tutti gli sbocchi marinari e commerciali europei. L'unità italiana è il fulcro del problema dell'equilibrio europeo. Le guerre cesseranno, in gran parte, quando le nazioni si convince ranno di questa grande verità : l'unità d'Italia è la condi zione indispensabile d'un assetto europeo duraturo. È il concetto centrale del Saggio, il concetto animatore della politica cuochiana. Vincenzo Cuoco si è tuffato nel vor tice che non amava, la rivoluzione, solo perchè aveva una lontana vaga speranza d'indipendenza e di unità italiana. « La rivoluzione di Napoli, rimpiange l’esule della Ci salpina, potea solo assicurar l ' indipendenza d'Italia, e l'indipendenza d'Italia potea solo assicurar la Francia. L'equilibrio tanto vantato di Europa non può esser af fidato se non all'indipendenza italiana ; a quell'indipen denza, che tutte le potenze, quando seguissero più il loro vero interesse che il loro capriccio, dovrebbero tutte procurare. Chiunque sa riflettere converrà meco che, nella gran lotta politica che oggi agita l'Europa, quello dei due partiti rimarrà vincitore che più sinceramente favo rirà l'indipendenza italiana » ( 1 ) . La visuale politica di Vincenzo è senza dubbio vasta e profonda. La lotta tra le grandi nazioni s'impernia sul Mediterraneo : la questione unitaria cessa di essere, come per molti patrioti del tempo, strettamente nazionale, e s'inquadra in problemi più complessi, europei. Gli uomini politici del Risorgimento, purtroppo, non intesero questa grande verità, e la storia, si può dire, operò per virtù naturale delle cose, fra l'incomprensione anche di menti riccamente dotate. Per lo stesso Cavour la lotta è una questione continentale di importanza limitata . Solo un po'tardi, ma a tempo, lo statista piemontese, nell'im presa garibaldina del '60 , s'accorge dall'atteggiamento in ( 1 ) V. Cuoco, Saggio storico , XLIII , p . 178. 171 glese quanto importante sia il problema meridionale nel gioco delle forze mediterranee. Tutta la maggiore o minore bontà della politica delle varie nazioni europee, vien giudicata dal Cuoco alla stre gua di questo fine superiore, secondochè abbiano esse più o meno favorito l'equilibrio internazionale nell'unità d'Italia. Abbiamo uno scritto cuochiano, già innanzi ci tato, assai interessante per la comprensione integrale del suo italianissimo pensiero politico, scritto del quale io darò un largo riassunto, poi che mi sembra che non sia stato considerato dagli studiosi a sufficenza ( 1 ) . L'arti colo , Osservazioni dello stato politico dell'Europa, è una sintesi mirabile delle intime ragioni della storia europea negli ultimi secoli, delle lotte per il predominio , dell'as setto italiano . Lo studio è determinato dalla lotta, che si riacutizza, tra l'Inghilterra e Napoleone, ma il Cuoco supera le contingenze politiche e risale a notazioni di ca rattere assai ampio. Nella vita moderna due sono le pietre miliari dello sviluppo storico, il trattato di Westfalia e il trattato di Amiens, i quali segnano come due epoche ben distinte della vita europea, dopo Carlo V. « Quello che si chiama in Europa tempo di pace non è che il tempo della minor guerra possibile. L'equilibrio politico dell'Europa è la causa principale di tutte le guerre e di tutte le paci : gli uomini e le nazioni travagliano con una mano a distrug gerlo e coll' altra a ristabilirlo . Vi sono sempre due na zioni preponderanti, le quali, a calcolo sicuro, si fanno. la guerra un giorno sì ed un altro no ; e la guerra dura finchè ad una non riesca di acquistar sull'altra una su periorità tale che sensibilmente faccia preponderare uno dei bacini della bilancia e faccia nascere il bisogno di un equilibrio novello. » Le potenze, che fino a Westfalia detennero il dominio in Europa, furono la Francia e la Spagna. Alla pace di (1 ) Giorn . ital. , 1804, 14, 16 , 18, 30 gennaio, 8 febbraio ; n . 6, 7, 8, 13, 17 ; pp: 22-23, p . 27 , pp. 30-31, pp. 51-52, pp. 66-67 : Osservazioni sullo stato politico dell'Europa ( vedi in precedenza, p . 143 ). 172 Westfalia si scoprì la ragione della debolezza spagnuola, a Nimega questa si riconfermò: l'Inghilterra surse a prendere il posto della Spagna nella rivalità con la Francia . Queste le linee sommarie della storia. Vediamo, e qui sta il punto che a noi interessa, quale sia la posizione della Spagna nella vita continentale e quale l'intima ra gione della sua fiacchezza . La Spagna e la Francia erano due nazioni di forze quasi uguali, l'una più grande, l'altra meglio preparata : la Spagna poteva ' trionfare, ma non riuscì. Perché ! La Spagna diventò potente, perché la fortuna delle successioni riunì sotto uno stesso scettro metà dell'Europa, perchè Colombo le donò l'America, perchè potè guadagnare in un primo tempo gli animi degli italiani divisi, discordi, e contro altri irritati. Ma, una volta acquistato un dominio enorme, attese più ad estenderlo ancora, anzi che a rinforzarlo , ad arricchirsi materialmente anzi che moralmente : l'espulsione degli ebrei, le persecuzioni religiose, le dispute teologiche, i governatori rapaci furono le piaghe della sua compagine. La mancata risoluzione del problema italiano, e qui vo glio insistere, fu secondo il Cuoco la causa prima della mancata affermazione della Spagna. « Se la Spagna, potendo riunir l'Italia o formarvi un grande Stato, l'avesse fatto, avrebbe, ottenuto un eterno poten tissimo alleato . Ma il fato avea riserbato ad altri tempi l'uomo grande cui era commesso questo disegno. La volle ritenere distruggendola . Montesquieu dice che la ritenne arricchendola : da troppo impure fonti avea bevuto Mon tesquieu la storia nostra ! Dopo averli impoveriti e spo polati, questi paesi divennero per la Spagna cagioni di spese e non di forza. Difatti la Francia attaccò sempre la Spagna, non già nel centro della monarchia, ma nella Borgogna, nelle Fiandre, nell'Italia, nelle provincie lon tane, le quali non si potevan difendere per loro stesse, ed i successori de' bravi Gonsalvi, De’ Leva e D'Avalos si perdettero inutilmente sulla Mosa e sul Po. La Spagna s ' indebolì per conservar ciò che conservar non poteva » . L'errore politico, causa della rapida decadenza spa 173 gnuola, è il non aver voluto costituire uno Stato d'Italia, libero ma alleato, onde colpire la Francia avversaria da ogni lato ; l'errore politico della Spagna sta dunque nell’aver trattato l'Italia alla stregua delle colonie ame ricane, anzi peggio, perchè in Italia la dominatrice di silluse un popolo grande colto e capace, mentre fuori sfruttò solo genti barbare o semibarbare, tribù selvagge. La politica francese nella lotta per il predominio, secondo il Cuoco, fu l'opposto di quella spagnuola. La Francia divenne potente, mostrando di proteggere gli italiani, proteggendo veramente l'Olanda, aiutando i principi dell'Impero : così detta le condizioni a Munster ; sostiene il Portogallo , si allea con l'Inghilterra : indebo lisce in Europa e nelle colonie, la rivale . I francesi sono forti, desiderosi di dominio , ma non si lasciano accecare dalle ambizioni. Luigi XIV, il superbissimo monarca , non giunge mai ad aspirare al dominio del mondo ; ed è dif ficile trovare nelle storie un principe più di lui moderato nelle vittorie . « La Francia ebbe per sistema quasi eterno di susci tare sempre un'altra potenza contro la sua rivale. Ho detto che fece risorgere il Portogallo e l'Olanda ; fece uso anche del gran Gustavo, e chiamò le forze svedesi sulle sponde del Reno. Dopo le vittorie di Eugenio e la pace di Utrecht, la monarchia austriaca di Germania era divenuta infinitamente più potente di prima. La Svezia non bastava più a contenerla . La Prussia , con popolazione più numerosa, con sito più opportuno, era più atta al bisogno; e la Francia fece sorger la Prussia. «Tale è stata la condotta colla quale la Francia è giunta a tanta grandezza. È la condotta della saviezza , della giustizia e della generosità » . Cuoco non accenna qui all'Italia. La Francia ovunque suscita Stati liberi contro le sue rivali, la Spagna e l'Au stria , ma non crea un Regno d'Italia : ecco la causa del suo non completo trionfo . « Vediamo che han fatto gl'inglesi » . Battuta la Spagna, la cui insufficienza si fa palese a Westfalia e poi a Nimega, l'Inghilterra prende il posto della Spagna. L'Inghilterra 174 è il fomite per tanti anni sino ad oggi, pensa il Cuoco , di tutte le guerre in Europa : per la sua stessa natura non può mantenersi forte che con la guerra. « Il vero baluardo dell'Inghilterra è l'immensa quantità de'capitali che ha accumulati : con questi conserva la sua superiorità ma rittima, perchè con questi mantiene quelle flotte che gli altri non possono costruire. Ma, siccome questi capi tali li può accumular qualunque altra nazione, tostochè abbia industria, commercio e pace ; così gl'inglesi deb bono sostenere la loro superiorità con una continua guerra » . Dalle guerre di successione ad oggi, alle guerre contro Napoleone è la stessa ragione che muove gli iso lani a battersi. Ma questo metodo è assurdo e pazzesco : « l'Inghilterra tende più rapidamente della Spagna alla sua dissoluzione » . Il Cuoco, senza dubbio, s'inganna, ma s'inganna su dei particolari. La visione d'insieme a me sembra luminosa, se pure in tutti i suoi punti non accet tabile. Gl'inglesi prolungano le guerre, oltre il necessario , avidi desiderano troppo. Nella guerra di successione di Spagna perdettero per un orgoglio male inteso ciò che Luigi XIV voleva cedere prima delle vittorie del Villars. In essi nullà della magnanimità de' romani. Essi sono forviati dalla saviezza dalla lusinga di più felici successi. Alla guerra sono spinti dalla loro natura marinara stessa, nella guerra permangono per migliorare il loro stato. Così ieri, così oggi: così nelle guerre dinastiche di suc cessione, così nelle guerre nazionali di oggi. E dire che l'Inghilterra con questa sua iniqua poli tica estera va perdendo i frutti d ' un'antica continua savia politica interna di tolleranza e di libertà ! Coloro, che ne' secoli favoriscono quella che il Cuoco chiama « naturale irresistibile inclinazione a migliorare politica mente » lo stato de' popoli, « o presto o tardi vincono gli uomini ed i tempi » . « L'Inghilterra è giunta ad un grado di prosperità immenso ; fin dall'epoca di Luigi IX, l'in terna sua amministrazione era superiore a quella degli altri popoli : ce lo attesta un uomo, che io chiamo al tempo istesso il Villani ed il Macchiavelli della Francia, il signor di Joinville. Perchè ? Perchè l'Inghilterra fu la prima 175 à riconoscere la proprietà e la libertà civile . Perchè i papi furono fino al secolo XI gli arbitri di tutta l'Europa ? Per chè, in tanta barbarie e ferocia, erano i soli che predi cavano la pace ; perchè abolirono la schiavitù ; perchè, dice Leibnizio, erano i più savi e i più giusti uomini dei loro tempi, e senza i papi l'Europa sarebbe caduta in mali peggiori. Dopo il XII secolo cangiarono massime, e la loropotenza incominciò a diminuire. Perchè la Fran cia e la Svezia vinsero nella guerra dei trent'anni ? Perchè sostennero il partito della tolleranza, dell'umanità , delle idee liberali de'popoli tutti. Nell'ordine eterno delle cose, la legge è sancita anche per i potenti ; anche i popoli hanno la loro morale : chi la trascura , chi la calpesta , o presto o tardi ruina. I francesi promettevano agl'italiani grandi ed utili cangiamenti; non quelli che la stoltezza de’tempi fa ceva millantare in un'epoca che si chiamava di riforma ed era di distruzione,ma quelli che ogni uomo savio sperava da quel disordine dover sorgere un giorno. Imperocchè gli utili cangiamenti- sogliono incominciare per lo più da vivissime commozioni ; ed errano egualmente coloro che , amando troppo queste, voglion perpetuarle, e coloro che, temendole soverchio, disperano di un fine migliore. Il destino dell'Italia era quello che, dopo tre secoli di languore e d'inerzia, dovesse finalmente risorgere a nuova vita. Inglesi, qual male vi avean fatto i discendenti di Galileo, di Raffaello, di Virgilio, di Cicerone ? Ed il vo stro Wickam ha ricoperte le loro terre di tanti orrori ! Ed invece di concorrere al loro risorgimento, non avete neanche voluto riconoscere la repubblica italiana ! » ( 1) . Il Cuoco s'esprime chiaramente. La sua anglofobia non ha origine, come sembrerebbe a prima vista, in un en tusiasmo cieco per la politica di Napoleone contro l'acer rima isola ribelle, ma si giustifica alla luce di supreme esigenze pratiche. La pietra di paragone in tutta questa ( 1 ) . A. BUTTI, L'anglofobia nella letteratura della cisalpina e del regno italico , in Archivio storico lombardo, a. XXXVI ( 1909 ) , p. 434 e sgg. 176 analisi critica è la necessità dell'unità d'Italia, che tutti intendono come fatale, ma che non tutti amano. Alcuno potrebbe dire che questa visione pecca di so verchia parzialità bonapartistica, perchè il nostro scrit tore non rivolge alcun incitamento, alcun rimprovero all'imperatore, per spronarlo a condurre a buon fine l'opera intrapresa, di cui il regno d'Italia non è che un buon cominciamento , che attende ulteriori sviluppi. Non è così. Vincenzo stesso intende quanto poco ab biano fatto i francesi, e la sua parola non è servile . « Se io dovessi parlare al governo francese » scrive nel Saggio « per l'Italia, gli direi liberamente che o convien liberarla tutta ò non toccarla . Formandone un solo go verno, la Francia acquisterebbe una potentissima alleata; democratizzandone una sola parte, siccome questa pic cola parte nè potrebbe sperar pace dalle altre potenze nè potrebbe difendersi da sè sola, così o dovrebbe pe rire abbandonata dalla Francia o dovrebbe costare alla Francia una continua inutile guerra .... L'Italia è più utile alla Francia amica che serva, e quindi è meglio renderla libera che provincia » (1 ). Nella Lettera a N.Q., dinanzi al Saggio storico leggiamo gravi parole. « Se io potessi parlare a colui a cui (il ] nuovo ordine si deve, gli direi che l'obblìo ed il disprezzo appunto [delle idee di moderazione] fece sì che la nuova sorte, che la sua mano e la sua mente avean data all'Italia, quasi dive nisse per costei, nella di lui lontananza, sorte di desola zione, di ruina e di morte, se egli stesso non ritornava a salvarla. Un uomo gli direi , che ha liberata due volte l'Italia, che ha fatto conoscere all'Egitto il nome francese e che, ritornando, quasi sulle ale de’vènti, simile alla folgore, ha dissipati, dispersi, atterrati coloro che eransi uniti a perdere quello Stato che egli avea creato ed illustrato colle sue vittorie, molto ha fatto per la sua gloria ; ma molto altro ancora può e deve fare ( 1 ) V. Cuoco, Saggio storico, XLIII, p. 178 , nota. Cfr. an che tutto ciò che il Cuoco scrive a Napoleone nella Lettera del. l'autore all'amico N. Q. che va dinanzi al Saggio storico ,' a mo' di prefazione, di cui solo poche righe ho riferito nel testo 177 per il bene dell'umanità. Dopo aver infrante le catene all' Italia, ti rimane ancora a renderle la libertà cara e sicura, onde nè per negligenza perda nè per forza le sia rapito il tuo dono » . Queste righe il Cuoco scrive in piena Cisalpina, non molti anni prima dell'articolo del quale ci siamo occupati. Queste righe furono stampate, pub blicate, lette. La voce di Ugo Foscolo nella famosa de dicatoria a Bonaparte liberatore non è più liberale della voce del Cuoco, anzi, direi, che quest'ultimo nel suo genio politico metta il dito sulle piaghe, ond'è afflitta l'Italia, con energia ed acume maggiore che non faccia il poeta de Sepolcri. E dire che v'è sempre colui che vede l'adulazione, laddove questa non c'è , e c'è solo un alto elogio per un uomo grande, il più puro interessamento per le sorti della patria nostra ! Se ora ci accingiamo a dare un giudizio sintetico sulla visione politica che il Cuoco ebbe dell'Europa e dell'Italia , possiamo dire con sicurezza che la storia ha dato in gran parte ragione al grande molisano, in minima parte gli ha dato torto . La questione italiana, a chi la studia oggi, mentre l'unità non solo politica, ma eziandio, come il Cuoco l'ha desiderata, spirituale, è un fatto compiuto, appare sopra tutto una questione di politica generale europea e me diterranea e non limitatamente nazionale . Gli uomini del Risorgimento, attori coscienti e incoscienti della sto ria, mossi da idee e da forze, di cui essi erano gli espo nenti e non i creatori, videro poco : noi storici e critici possiamo affermare certi fatti con maggiore sicurezza, e figurarci l' unità nazionale come un fenomeno prepa rato da secoli nella coscienza del popolo, legato da se coli intimamente ad una realtà spirituale e ad una storia, che si celebrava con mirabile continuità ovunque. La rivoluzione francese desta dall'imo dello spirito italiano, sia pure come reazione allo stesso giacobinismo, un mo vimento di rivalutazione civile , di cui il nostro è il mag giore rappresentante, ma non crea menomamente un fe nomeno, le di cui origini sono assai più remote. Invero il Risorgimento s’è manifestato come un movi 12 - F. BATTAGLIA. 178 mento altamente spirituale da un lato, come un problema d'equilibrio europeo dall'altro . Mazzini e Gioberti sono stati il lievito della rinascita, ma essi non s'intendono se non si comprende il pensiero del loro precursore Cuoco. L'equilibrio politico è stato la causa prima, per cui il terzo Napoleone discese nel '59 in Italia contro l'Austria ; l'equilibrio mediterraneo è stato la causa, per cui l'Inghilterra permise l'opera di Garibaldi nel '60, opera che l'imperatore de francesi prima osteggiò , e poi , inconscio e gabbato dal Nigra e dal Cavour, finì per per mettere . Il Cuoco intravide il problema, e, se errò ne' partico lari , nessuno può condannarlo. L'Inghilterra per il molisano è la nemica naturale del l'unità italiana. È ciò vero ? La storia ha dimostrato di no. La stessa politica, che egli attribuisce alla Francia di liberare i popoli per farne alleati ed opporli ai suoi rivali, è stata la politica dell'Inghilterra , quando nel '60, di fronte al Piemonte vincitore della guerra contro l'Austria , preferì un Regno d'Italia, signore del mezzo giorno della penisola, grande e forte, ad un Regno di Sardegna, grande sì da dominare tutto il settentrione, ma non tale da sottrarsi al vassallaggio della Francia. L'Inghilterra dopo il '59 , durante l'impresa garibaldina, favorì l'Italia per le stesse considerazioni, di cui abbiamo parlato : suscitiamo un forte organismo statale contro la Francia, aiutiamolo ad esimersi dal legame con Napo leone III, esso ci sarà riconoscente, e non ci nuocerà La storia procede così : uno Stato crea un altro Stato, questo dapprima debole è legato all'astro del suo geni tore, poi s ' ingrandisce aiutato sia dalla sorte e dalla sua intima virtù, sia da altri che abbia interesse a svilup parlo, poi, un bel giorno, divenuto potente, saluta i suoi padroni, inizia il suo corso fatale, la sua naturale evolu zione. Egoismo, mancanza di riconoscenza, diranno i mo ralisti, che nella vita vogliono attuate le idee del loro cervello ! È della storia, rispondiamo. L'.Italia sorge na zione dal conflitto austro - inglese, trova ausilio nella Francia, nell' Inghilterra in seguito contro la sua stessa 179 antica protettrice, oggi è autonoma e forte : sarebbe ri dicolo che oggi seguisse la politica de' suoi vecchi mag giori amici, essa che ha in sè forze latenti è, in isviluppo, più esuberanti e vitali che non l'Inghilterra e la Fran cia . La storia consacra interessi, bisogni, volontà e non precetti) filosofici aprioristici.... Che il Cuoco nella storia vegga uno spiegamento di bi sogni naturali ed omogenei, ci si appalesa facilmente, se riguardiamo la condanna, che egli fa di organismi storicamente gloriosi , un giorno potenti, oggi deboli, fiacchi, superati. La caduta dell'antica repubblica di San Marco nel Saggio storico è espressa nella sua gelida obiettività , un sospiro, senza un rimpianto. L'Italia di fronte a Bonaparte, che nel 1796 discende per la pri mavolta da noi, si trova « divisa in tanti piccoli Stati » , che", uniti potrebbero però opporre qualche resistenza . Il papa propone un'alleanza difensiva. I Savii di Ve nezia rispondono che da secoli nel loro paese non si parla di alleanze, che è inutile quindi far proposte. Venezia con ciò sottoscrive la sua condanna di morte. « Per qual forza » si domanda il Cuoco « di destino avrebbe potuto sussistere un governo, il quale da due secoli avea distrutta ogni virtù ed ogni valor militare, che avea ristretto tutto lo Stato nella sola capitale, e poscia avea concentrata la capitale in poche famiglie, le quali, sentendosi deboli a tanto impero, non altra massima aveano che la gelosia, non altra sicurezza che la debolezza de ' sudditi e, più che ogni nemico esterno, temer doveano la virtù dei propri sudditi ? » . « Non so che avverrà » conclude « del l'Italia ; ma il compimento della profezia del segretario fiorentino, la distruzione di quella vecchia imbecille oli garchia veneta, sarà sempre per l'Italia un gran bene » (1 ) . Quanto diverso il politico Vincenzo Cuoco, che nella sua fredda obiettività interpreta la storia presente, dal poeta Jacopo Ortis, che getta uno sguardo sulle età di gloria che furono, piene di luce e di epopea , e sulle ruine della senza ( 1 ) V. Cuoco, Saggio storico , III , p. 22. 180 patria , non trova di meglio , disperato dell'avvenire, che darsi la morte ! Sotto i colpi di Napoleone un altro antichissimo Stato cede : il potere temporale de' papi. Il trattato di Tolen tino ha una importanza senza pari per la storia. Mentre ne' tempi trascorsi , i papi vinti, sgominati, afflitti si rifiu tarono sempre di porre a base delle trattative la benchè minima particella del territorio della Chiesa, a Tolentino per la prima volta per la storia si fa uno strappo, si passa sopra ai diritti inalienabili e imprescrittibili della Sede Romana. L'organismo antico invero è tarlato : un pro cesso storico di disgregazione s'inizia , di cui il Cuoco non può vedere le conseguenze, ma che noi oggi possiamo ben studiare. « La distruzione di un vecchio governo teocra tico » non costa a Bonaparte « che il volerla » ( 1) . La politica di Napoleone dal '97 in poi ne' riguardi della Chiesa, il modo con cui egli impianta il nuovo ed antichissimo problema delle relazioni, merita un acuto studio, che non possiamo fare. Limitiamoci a vedere come Vincenzo apprezzi e giustifichi la visuale ecclesiastica dell'imperatore . Non dimentichiamo che il Cuoco è nato in quel Regno di Napoli, che nello stesso secolo XVIII ebbe a sostenere fiere lotte contro la Curia, in cui il giu risdizionalismo ebbe una vera e propria teorica non solo in iscrittori insigni come Giannone, D’Andrea, Capasso, Aulisio, Conforti, ma anche in ecclesiastici eletti come il famoso arcivescovo Giuseppe Capeceletrato ( 2) : l'atteg. giamento cuochiano solo tenendo presente tutti questi precedenti può apparirci chiaro . Prima però di venire a discutere questo aspetto del pensiero del nostro, dobbiamo intendere quale posto egli assegni alla religione nella vita dello spirito e nella vita dello Stato . Lo Stato deve avere una base spirituale , la quale non può essere data che dall'istruzione umana da un lato, dalla religione dall'altro. Lo Stato per il Cuoco è stato ( 1 ) V. Cuoco, Saggio storico , III , p. 23. ( 2 ) G. GENTILE, Studi vichiani, p. 391 . 181 etico, sintesi di volontà libere, e come tale non ha alcun limite alle sue funzioni, se non nelle volontà particolari stesse che determinano la volontà generale ; esso non può essere agnostico, in quanto l'attività religiosa è uno degli elementi che costituiscono la sua stessa natura, che stanno alla base della sua vita . La funzione educativa è di tale importanza che lo Stato del Cuoco, concepito come so stanza etica, non può disinteressarsene. La religione , anche se lo Stato non volesse occuparsene per principio , rientrerebbe nel quadro civile e pubblico, cioè sottoposto alla sovranità, nel fatto stesso che essa non può nè vuole prescindere d'operare nel campo educativo. Anche lo Stato agnostico di fatto deve riconoscere la religione, quando insieme con essa opera nel terreno vivo della pe dagogia , nella sfera perciò delle coscienze singole . Che cosa è per il Cuoco la religione ? In una sua nota scritta su un foglietto, lasciato inedito e pubblicato per la prima volta da G. Cogo nel suo tante volte da me ci tato volume, egli si pone il formidabile quesito, se sia possibile una delimitazione tra la morale e la religione ( 1 ) . Vediamo. « In questi ultimi tempi » egli scrive « si è domandato se si dovesse o no separare la religione dalla morale, e si è risposto da tutti che si dovea ; si è domandato se si po tesse , e mille han risposto che si poteva ; si è tentato di separarla, e quasi nessuno vi è riuscito. Io non credo che abbiano sciolto il problema coloro i quali hanno tratti i princípi della nostra morale e de' doveri nostri da una profonda analisi del cuore umano, o dall'ordine generale dell'universo, o dalla dignità dell'uomo ; sublimi idee, ma inutili pe'l popolo il quale intende queste cose meno del l'esistenza di una divinità ! ... Persuadiamoci : per esser ateo ci vuole uno sforzo, e tutto nella natura ci parla di Dio. Coloro che, restringendo l'idea della divinità a quella che noi abbiamo, invece di dire : questo popolo ha un'idea della divinità diversa della nostra, o per imbe ( 1 ) G. Cogo, op. cit. , p. 80. Vedi anche V. FIORINI e F. LEMMI, op. cit. , p. 653. 182 cillità o per malizia han voluto dire che non aveva ve runa idea della divinità , han pronunziato l'assurdo di credere che una nazione selvaggia potesse avere più forza d ' intelligenza della nazione culta ; perchè di fatti che altra è presso tutt' i popoli la prima idea della di vinità se non quella di una forza di cui non possiamo nè evitare ne comprendere gli effetti ? » In sostanza il Cuoco non condanna coloro che credono la religione sopprimibile, o almeno la credono distin guibile dalla morale, ma si limita positivamente ad una affermazione : il popolo ha una religione, di essa non può fare a meno. Ben nota Giovanni Gentile ( 1 ) come il Cuoco, ingegno eminentemente politico, capace di ele varsi sicuro alle vette più eccelse della filosofia, ami,'una volta attinto il sommo, ridiscendere al concreto della storia, lasciando a mezzo ogni pensiero speculativo. Ogni problema, sia pure di natura teoretico, al molisano si presenta nelle sue relazioni con la vita d'ogni giorno, con la vita pratica dell'individuo e dello Stato. Noi nel caso nostro andavamo alla ricerca d'un presupposto di natura ideologica, e ci imbattiamo in un problema co stituzionale ; ci attendevamo una dimostrazione di prin cípi , e il Cuoco ci dà senz'altro il principio, come mero dato di fatto. « L'idea di una divinità si può chiamare una proprietà intrinseca dello spirito umano. Se la verità di cui noi siam capaci è la coerenza di una nostra idea con tutte le altre, l'idea di una divinità sarà eternamente vera, e coloro che vogliono distruggerla non possono opporle che parole le quali s'intendono meno » . La religione ci appare come un quid d'insopprimibile, di non superabile, in quanto è un elemento eterno della stessa nostra natura umana. « La prima idea che gli uomini hanno avuto della di vinità è stata quella della forza ; la seconda quella della giustizia, la terza quella della bontà. Ecco il corso natu 11 ) G. GENTILE, Studi vichiani , p. 376. 183 rale delle idee degli uomini. Se noi non daremo loro una divinità, essi se ne formeranno mille, le quali spesso non comanderanno quello che il bene dell'umanità esige, per chè l'idea di un nume è potente sullo spirito umano ed è capace di far obliare i doveri dell'umanità per quelli della religione ». Ritorniamo ad un concetto assai caro al Cuoco, di cui il Saggio ci offre la conferma. « Non è ancora dimostrato che un popolo possa rimaner senza religione: se voi non gliela date, se ne formerà una da sè stesso » ( 1 ) . E perchè un popolo non può restar senza religione ? Perchè la re ligione è la morale fantastica del popolo, e il popolo ha bisogno di qualche cosa che lo guidi e lo governi. Io credo che sia questo il pensiero del Cuoco. L'uomo colto può superare la religione nella filosofia , il semiconcetto nel concetto , trovando la norma della sua condotta nell'as soluto etico ( 2 ) ; il popolo, invece , ha ancora bisogno d'una morale d'autorità , e quindi parzialmente estrin seca, le cui basi non possono non essere religiose. Nelle origini la religione è tutto : diritto, cosmologia, morale : nella religione tutte le forme della vita trovano un prin cipio autoritario e un fondamento. La distinzione fra l'una attività e l'altra è assai tarda. Il popolo però oggi ci offre l'immagine, almeno in parte, dell'umanità primi tiva . La religione per lui è tutto, perchè, essendo, come dice il Cuoco, forza giustizia bontà, è la base insopprimi bile, nel suo pensiero, d'ogni educazione, d'ogni morale, d'ogni diritto umano. Togliete questa base, egli non vi ubbidirà , perchè non trova più alcuna cosa che legittimi l'ubbidienza all'autorità . Il legislatore deve porsi da un punto di vista pratico , ( 1 ) V. Cuoco, Saggio storico , XXV, p. 130. Vedi a propo sito B. LABANCA, op. cit. , p. 411. ( 2 ) Questo superamento , come vedremo in seguito, è più formale che sostanziale . Il Cuoco non crede possibile una mo rale fuor dalla religione. L'uomo colto concettualizza ciò che pel volgo è senso e fantasia, ma dinanzi al mistero si arresta pur esso . La filosofia sistematizza quel che nel popolo è senza ordine, ma non rinnega la religione, 184 e rendersi interprete della natura dei subietti, che vuol disciplinare : se egli vuol regolare tutta l'educazione, in staurare una morale uniforme e sicura, dare un diritto ri spondente a bisogni concreti, egli non può prescindere da quest'elemento dello spirito, la religione ; anzi su questo elemento- base, nativo ed originario nella natura umana, edificherà il suo edificio civile . Ecco come un problema di natura filosofica si è con vertito in un problema politico, anzi nel problema poli tico per eccellenza, come quello che involge tutta la vita giuridica della nazione. Da quanto abbiamo detto derivano due corollari im portanti. Lo Stato , che combatte la religione entro le sue stesse terre, quando la religione è la religione di tutti , è uno Stato che ha sbagliato grossolanamente tattica : egli concepisce la religione come mero fenomeno tran seunte, come pregiudizio, ignora che essa è nello spirito dell'uomo un momento insopprimibile. Lo Stato agno stico, lo Stato neutrale in materia di fede, è ugualmente uno Stato senza base , come quello al quale il problema fondamentale d'ogni vita civile viene a sfuggire, cioè il compito educativo, pedagogico. Lo Stato non può dar mai al popolo un'educazione interamente laica . Il popolo è quello che è. La religione è radice di ogni suo convinci mento, opera della natura e non de' preti. L'educazione popolare non può essere che educazione, non dico reli giosa, ma su base religiosa . Date al popolo i concetti di libertà, virtù, bontà, egli non vi comprende, perchè egli, eterno barbaro, eterno fanciullo, non intende il linguag gio della ragione. Date al popolo miti, leggende, precetti in forma sensibile semifantastica, egli non solo vi intende, ma vi segue, perchè egli ha potente la facoltà fantastica dello spirito , e tutto intuisce prima di pensare, e tutto vede e crede prima di rendersi conto di ciò che vede e crede. Un'educazione popolare non può non informarsi a questi principi. Chi ne prescinde, e va predicando l'istruzione areligiosa e civile, naviga nell'astrazione. Ma del problema scolastico, come problema pedagogico e statale dovremo occuparei in seguito ; qui notiamo la 185 prassi politica dello Stato di fronte ad una realtà eterna, la religione. Lo Stato, se vuole avere un fondamento incrollabile nel popolo, deve parlare al popolo, e, se al popolo vuol parlare, deve parlargli nelle forme a lui familiari, cioè il linguaggio fantastico della favola, il linguaggio semi concettuale della religione, in quanto solo questo intende e non altro . Lo Stato deve in sostanza utilizzare ai suoi fini la religione, come ogni altra realtà umana. Nulla di odioso . Lo Stato fa il suo proprio bene, che collima con gli interessi della popolazione che si vede meglio com presa, con le aspirazioni universali della religione. Co loro , che credono di potere far la guerra alla religione, ed incitano lo Stato ad una lotta impari, poi che esso non può contare che su pochi, mentre la religione ha dietro di sè masse compatte di credenti , non sono che de' vol gari astrattisti . Qui noi possiamo ben vedere quanto il Cuoco si stacchi dal pensiero tipico della rivoluzione e segua una strada tutta sua . Il giacobinismo è anticlericale ; il Cuoco non è nè clericale nè anticlericale, guarda la vita nel suo con creto , e si accorge che lo spirito umano ha esigenze re ligiose . Il Lomonaco urla , s'inquieta, scara venta invettive contro la Sede Romana, contro i leviti, contro i falsi sa cerdoti ; il Cuoco analizza, studia, infine edifica : due tem peramenti, due mentalità diverse, due metodi antitetici : l'uno caduco, l'altro eterno . La nota, sulla quale io vengo facendo le mie conside razioni e che a me appare d’una importanza grande, con tinua ancora : « Io dirò a questo proposito un mio pensiero . Coloro i quali per far la guerra ai preti han voluto segregarli dalla società non hanno inteso il modo di combatterli. Era im possibile che in questa guerra non vincesse quella causa che piaceva ai ( sic ) Dei . Se fosse dipeso da me, mi sarei con dotto diversamente: avrei riunito la religione allo Stato » ( 1 ). ( 1 ) Seguono importanti considerazioni che io non posso ri portare : cfr. Cogo, op . cit., p. 80 e sg. 186 mo La politica che il Cuoco consiglia è confessionista. Que sto significa edificare su fondamenta incrollabili, edificare sulla stessa natura degli uomini. Nel Platone in Italia, Archita esprime concetti assai simili e stabilisce che il diritto , pur mantenendosi ben distinto dalla religione, di questa si serva per raggiungere i suoi fini ( 1 ) . Il Cuoco non investiga in fine l'essenza vera della reli gione, anzi, come può notare chi legga il bellissimo scritto di Giovanni Gentile sul nostro, egli in ogni suo tenta tivo filosofico s'arresta timoroso dinanzi alla formida bile incognita della divinità, e china il capo riverente. V’è in Cuoco un nucleo di trascendenza, che nella nuova teologia vichiana è del tutto superata ( 2 ) . « Il savió» scrive nel Platone « si ritira in sè stesso, riconosce che la nostra mente è una particella della divinità, che noi non riamo . Vede in questa massima il fondamento della mo rale umana, e tenta di stabilirla e diffonderla, non con misteri ristretti agli abitanti d'una sola città.... ; non con istorie, che ciascuno può credere e non credere ; ma con ragioni tratte dall'intrinseca natura delle menti di tutti gli uomini, e dalle quali nessun uomo possa opporre altro che l'ostinazione . Ecco il primo dovere del savio. Il se condo è quello di compatire il volgo, che cerca ad ogni momento delle cose sensibili , ed i filosofi, che, per stabi lir la virtù, si adattano talora al desiderio del volgo » ( 3 ) . Siamo sempre ad un punto. Una base religiosa della mo rale non può mettersi in dubbio. Mentre l'uomo colto, pur arrestandosi dinanzi al mistero della trascendenza, ha nella ragione, se non una impossibile spiegazione, una maggior coscienza della rivelazione ; il volgo ha bisogno di vedere e di sentire anche le cose più immateriali nel travaglio inesauribile della fantasia. Solo la religione può rendere vicina agli uomini la sublime norma della morale : la religione, fondamento della morale, essa stessa pensa a renderla viva nella coscienza. ( 1 ) V. Cuoco, Platone, v . I , p . 84 e sg . ( 2 ) G. GENTILE, Studi vichiani, p. 385. ( 3 ) V. Cuoco, Platone, v. I , p. 133. 187 Non posso negare che in tutto ciò vi sia una vera e propria incertezza . La verità è che il Cuoco non è filosofo, e de' grandi problemi filosofici non può darci un'esplica zione adeguata. La questione per lui è tutta politica e pratica, e, se s'ingolfa in discussioni teoretiche, lo fa per ridiscendere più agguerrito sul terreno pratico. Alcuno potrebbe obiettare che da questa contamina zione di morale civile e di religione, di politica e di reli gione, vengano a scapitarne sia lo Stato sia la religione, in quanto lo Stato penetra, si dice, in una sfera non sua, la religione viene ad essere subordinata ad un fine mon dano. Non è così, ripeto. Il Cuoco stesso ci avverte che v'è netta delimitazione di fini, tra Stato e religione, in quanto il primo persegue un fine politico e gli trova la base sua naturale nello spirito e nella natura umana, mentre la seconda dal fine poli tico si astrae o dovrebbe astrarsi limitandosi ad un'opera meramente interiore. Sul terreno politico non v'è possibilità di conflitti, ammesso che la religione si volga all'eterno ed obblii il mondano . Sul terreno spirituale v'è identità d'oggetto, il miglioramento interiore del po polo, cooperazione e non antitesi. In ogni caso v'è vi cendevole vantaggio : lo Stato deve favorire, pur essendo tollerante, la religione, perchè persegua i suoi fini super terreni; la religione deve aiutare lo Stato, perchè questo possa in terra fruire materialmente d'ogni miglioramento morale degli uomini : l'uomo veramente in ispirito reli gioso non può non essere un buon padre di famiglia, un buon cittadino. Da quanto abbiam detto è evidente come il Cuoco non cada affatto nell'errore di molti, proclamando uno Stato, per il quale non v'è che una sola religione, ed è intolle rante verso le altre. Lo Stato del Cuoco persegue un fine politico ed utilizza ogni forza fisica e morale che trova, utilizza quindi anche, col vincolo d’un vantaggio reci proco, le forze smisurate della religione dominante la cattolica nel caso nostro e a questa dà benefici, come li darebbe ad un qualunque altro ente pubblico che per segua un fine collettivo e civile , senza che ciò significhi > 188 intolleranza verso gli altri culti, che possono pur essi fruire di benefíci, ove il loro fine collimi col fine statale. Lo Stato agisce nel suo interesse pratico , ond'è chiaro quanto sia necessario un controllo continuo da parte sua sulle istituzioni ecclesiastiche, controllo che non può essere altrimenti ispirato che a superiori esigenze di di fesa pubblica e di polizia . ( 1 ) Sino ad ora abbiamo parlato della religione come fa coltà dello spirito, come insopprimibile realtà umana, e il caso di conflitti tra Stato e religione non poteva a noi presentarsi se non come un caso abnorme. Ma il problema politico particolare e il caso d'un conflitto nella sfera pratica può presentarsi, quando noi non consideriamo la religione, ma la Chiesa, l'istituto universale, che può porsi e si pone di fronte allo Stato con uguali caratteri d'eticità e di assolutezza, e con pretese che a volta usur pano le facoltà proprie dello Stato nel campo giurisdi zionale . Date le premesse che abbiamo poste, il Cuoco non può negare il giurisdizionalismo dello Stato e la subordina zione entro i suoi confini d'ogni istituzione ecclesiastica alla legge. L'educazione religiosa non sfugge al controllo dello Stato : l'attività ecclesiastica culturale non può sot trarsi alla norma comune. Il Cuoco differisce solo dai giurisdizionalisti antichi, in quanto ha un senso vigilissimo dell'importanza della religione, « un'intuizione sicura dello spirito nella sua vita politica » ( 2 ) . Con questa sua concezione dello Stato come sostanzia lità etica, è naturale che il nostro non solo « della reli gione come della filosofia, in quanto servono anch'esse come elementi riformatori della coscienza civile » faccia « uno strumento del fine politico » , ma non possa ne ( 1 ) Dopo quanto abbiam detto, ci appare affatto falsa l'af fermazione di B. LABANCA, op. cit . , p . 409, che il Cuoco non abbia mai approfondita la questione religiosa. ( 2 ) G. GENTILE, Studi vichiani, p . 416. 189 ammettere che la Chiesa di Roma, istituto fuori dello Stato, possa entrare a competere con lo Stato in que stioni che involgono la sua sovranità. Libertà di culto e d'istruzione, ma controllo dello Stato, subordinazione allo Stato ! Lo Stato agisce nella forma del diritto, e il diritto pone un obbligo ed una tutela : la religione ha, di conseguenza, l'obbligo di agire ne' limiti delle norme giuridiche, e la libertà di operare come crede in essi, li bertà che si traduce in una tutela civile contro i violatori di essà. Ognuno sa come t si siano svolte le relazioni tra lo Stato e la Chiesa sotto Napoleone, sa come Pio VII si mo strasse conciliante col déspota di Francia, come si giun gesse al Concordato tra Francia e Santa Sede ( 1801 ) , come il papa presenziasse all'incoronazione di Parigi, come presto la politica giurisdizionalista degenerasse in tirannia, per finire attraverso varie occupazioni ( Ancona, 1805 ; Civitavecchia, 1807 ; tutte le Marche, 1808) , con l'arresto brutale del Pontefice in Roma ( 1809) , con la di chiarazione della fine del potere temporale (maggio 1809) . Noi non abbiamo documenti tali dá permetterci di seguire il Cuoco nel suo pensiero dinanzi a tali e sì gravi eventi: dovendo stare allo spirito dell'opera sua fin qui studiata, potremmo, credo, con quasi certezza dire, che egli non partecipasse alle violenze ultime di Napoleone contro Pio VII. Tuttavia per intendere come il Cuoco ponesse il pro blema de' rapporti tra Stato e Chiesa, possiamo esami nare un suo articolo, Considerazioni sul concordato del febbraio del 1804 ( 1 ) . La pace religiosa è uno degli elementi indispensabili della vita civile . Una nazione, che serri in sè discordie chiesastiche si trova in condizioni peggiori d’una nazione, che alimenti in sè le fazioni, poichè, mentre queste sono ( 1 ) Giorn . ital . , 1804, 1 , 4, 6 febbraio ; n. 14, 15, 16 ; p. 56, pp. 59-60, pp. 62-63: Considerazioni sul Concordato ( ristampato in Scritti vari, v. I , pp. 62-70 col titolo Stato e Chiesa ). 190 alimentate da meri bisogni materiali, le prime traggono origine da esigenze spirituali, ben più profonde e durevoli. I turbamenti di molti Stati derivano appunto dal credere che fenomeni di natura religiosa si possano vincere con i metodi comuni, con i quali si distruggono le sedizioni. La Francia in principio ha seguito queste massime, e ne ha fatto una tristissima esperienza : la religione stessa è decaduta, ha perduto buona parte dell’utilità sua ; lo Stato ha subìto più d'una menomazione nella sua auto rità . « .... Chiunque ha un cuore deve applaudire ( siamo, quando il Cuoco scrive, nel 1804, e il conflitto tra Napo leone e Pio non s’è ancora delineato ) all'umanità colla quale un governo savio ed un pontefice degno per le sue virtù del posto eminente che occupa, ponendo fine ai dubbi, ai timori, alle querele, ne hanno data quella pace che è preferibile a mille trionfi. La prudenza ha trovata la via nelle angustie tortuose che vi erano tra il sacerdozio e l'impero » . Fin qui , come ognun vede, ci troviamo di fronte a frasi d’occasione, a concetti ben noti del Cuoco, altre volte espressi e ribaditi nello stesso Saggio storico. Gli Stati sono tanto più forti , quanto più gli elementi della vita materiale e spirituale convergono ad un fine unico . Lo Stato, ove diritto e religione non cozzano in sieme, ma da punti opposti realizzano una stessa verità, è lo Stato più forte che si possa immaginare. Guardiamo la storia : le nazioni floride sono quelle, ove l’armonia tra diritto e religione, autorità e libertà, s'è meglio pre sentata . Nel 1804, commentando la storia che Melchiorre Delfico avea scritto della repubblica di San Marino, dopo aver ricordato che negli Stati non è tanto l'ampiezza del territorio, il numero degli uomini, la forza degli eserciti, che conta, quanto la virtù de ' cittadini e la giustizia degli ordini, scrive riferendosi al fatto che il fondatore del pic colo Stato fu un religioso : « Sulla porta della maggior chiesa leggesi questa iscrizione : Divo . Marino . Patrono. Et. Libertatis . Auctore. Iscrizione che rammenta il de creto col quale gli Ateniesi dichiararono Giove arconte perpetuo della loro repubblica ; iscrizione forse unica tra popoli moderni, i quali per lo più hanno la religione di 191 visa dallo Stato, e degna che si mediti dai ministri del l'una e dell'altro » ( 1 ) . Il sogno del Cuoco mi sembra molto simile al sogno di Dante e di Marsilio da Padova : una Chiesa, ricondotta alla natìa purezza, riaffermante novellamente col divino Maestro che il suo regno non è di questa terra : impero e papato, Napoleone e Pio, con diversi mezzi, con scopi diversi, l'uno terreno, l'altro celeste, operano concordi in terra per assicurare il benessere dei popoli. Il Con cordato , al quale specificamente si riferisce il Cuoco, è il documento del nuovo patto. Breve patto invero ! Ma il Cuoco nel 1804 è fiducioso di un avvenire religioso di pace, che non sarà, crede sinceramente che le antiche lotte giurisdizionali siano definitivamente della storia e non più della vita : l'analisi , perciò, che vien facendo, è meramente storica, è uno sguardo su un passato, che, pia illusione, non ritornerà più ! Nei primi secoli, riassumo il pensiero del nostro, si disputò pochissimo di giurisdizione. Il divin Maestro aveva detto che il suo regno non è di questa terra, onde non si potette confondere ciò ch'era di Dio con quel che spettava a Cesare. Le dispute furono sul dogma. Costan tino mirò solo a mantenere l'ordine nelle dispute, ma i suoi successori Ariani, Nestoriani, Eutichiani si mischia rono ad esse, e l'impero ne fu turbato : lo stesso Giusti niano cadde nell'errore. In Italia solo Teodorico mo strò bene ciò che un principe savio deve alla religione . Egli la rispettò e la fece rispettare. Rigido conservatore dell'autorità regia, fu giusto giudice nella controversia tra il pontefice Simmaco e il suo competitore Lorenzo. « Teodorico volea esser il sovrano egualmente e de’laici e de ' preti » . Ma anche i suoi successori non ebbero la di lui virtù. Surse così in Europa un nuovo ordine di cose . « Delle vicende della giurisdizione ecclesiastica nell’Oc cidente hanno scritto moltissimi, tra i quali un gran nu mero forse non è stato esente da ogni spirito di partito. ( 1 ) Giorn. ital., 1804 25 giugno , n . 76, p. 308 : Memorie stori che della repubblica di San Marino, ecc . 192 ) ) . Noi crediamo che l'indicar le ragioni, per le quali si con fusero i limiti delle due giurisdizioni, sia il più giusto elogio che far si possa e del nostro governo e della Santa Sede ( ! ) , che con tanta prudenza li hanno ristabiliti. Tutto ciò —— scriveva San Bernardo ad Eugenio papa, suo discepolo — tutto ciò che tu hai ricevuto non da Cri sto , ma da Costantino, io ti consiglio a ritenerlo a seconda de ' tempi, ma non mai a pretenderlo come un diritto Il consiglio, che il molisano ripete al Pontefice, è un consiglio altamente politico. Il Cuoco dice: io riconosco che, in determinate contingenze storiche, il papa, posto tra barbari armati, crudeli, pronti alla violenza, abbia dovuto far ricorso alle armi per difendersi, abbia quindi desiderato il potere temporale; oggi le condizioni sono mutate, l'autorità regia non vuol menomare il prestigio della Chiesa, anzi vuole accrescerlo, difenderlo, arric nirlo ; a che dunque serve il potere temporale ? Il po tere temporale ci appare come il resto inutile d'età sor passate, poi che, la base del rispetto e dell'autorità non è più nella forza e nelle armi, ma nella giustizia e nella virtù. Il patrimonio di San Pietro è intangibile ! Ma perchè? Serve alla difesa della Chiesa .... Serviva : ora non più ! Le parole che il Cuoco ripete sono le parole della sa viezza, le parole che la storia, che non torna indietro, consacra nella realtà della vita . L'abdicazione ai diritti antichi significa potenziazione della Chiesa nelle coscienze degli uomini, ritorno alla purezza antica degli Apostoli. La Chiesa Romana ha in sostanza un duplice elemento : un elemento dommatico, che nessuno pensa a menomare, specie l'autorità pubblica, che non intende penetrare in una sfera che non è sua ; un elemento politico, determi nato dai tempi, soggetto a flussi e a riflussi, ma sul quale il conflitto con il potere civile è stato e può essere sempre facile. Il punto di minore resistenza è il dominio temporale, che oggi è una vera barriera per una ( 1 ) Si riferisce sempre al Concordato. 193 comprensione tra Stato e Chiesa, e che occorre superare, perchè i rapporti divengano da buoni ottimi. La Chiesa abdichi ad ogni temporalità, lo Stato riconoscerà tutta la grandezza della religione, la potenzierà praticamente, le darà tutti i mezzi per attuare in terra il compito antico . Certo le ragioni del dominio temporale sono profonde, ma sono tutte storiche, cioè superate; mentre le ragioni della grandezza spirituale della religione sono eterne , cioè presenti alla nostra coscienza umana insopprimibil i mente. Che le condizioni, che han reso il dominio temporale necessario per la religione e il suo bene, siano sorpassate, il Cuoco lo dimostra con una acutissima analisi, sulla quale merita fermarsi. I barbari, discesi dalle provincie nordiche dell'impero romano, permisero, essi meno civili, ai vinti culti e ricchi di sapienza, di vivere secondo le loro leggi, le loro usanze, i loro istituti . Nacque così, crede il molisano, quella specie di giurisdizione personale ignota agli antichi, donde poi scaturì la distinzione de' fori. « A poco a poco le menti degli uomini si avvezzarono a concepire due legislatori diversi ed uno Stato entro un altro Stato » . I vescovi professarono la giurisprudenza romana e l'adattarono ai nuovi bisogni, divennero feudatari, divennero ministri, cancellieri dei grandi sovrani. L'elemento romano trovò in essi un baluardo contro la sopraffazione . La Chiesa insomma fu nell'alto Medio Evo davvero un faro di luce nelle tenebre. Essa predicava l'umanità e la libertà, essa sola potè dichiarare la schiavitù contraria alla religione. Tutti questi elementi contribuirono a darle una forza grandissima, che si tradusse presto in un dominio terreno. È naturale quindi che un mutamento profondo negli ordini sociali porti seco un mutamento negli ordini ec clesiastici . La storia ha uno sviluppo che non permette a lungo superfetazioni antisociali . « Noi scorriamo rapi damente » scrive il nostro autore « sopra un soggetto che è di sua natura vastissimo. Ci basta avere indicate le cagioni principali. Conosciute queste, è facile conoscere che, a misura che gli uomini s'incivilivano e gli ordini 13 F. BATTAGLIA . 194 pubblici ritornavano verso la loro perfezione, dovea ces sare tutto ciò che la sola infelicità de' tempi avea consi gliato, introdotto, tollerato ; e dovean segnarsi di nuovo quei confini entro de' quali la sovranità temporale fosse più energica e meglio ordinata, e l'autorità religiosa più augusta e più sicura. Così dal caos emerse l'ordine, e fu a ciascuna cosa assegnato il suo luogo ». Questo or dine il Cuoco vede avverato in un giurisdizionalismo con fessionista, che tende a volte ad un vero e proprio con fessionalismo all’austriaca. Gli elementi di questo sistema non possono essere esposti brevemente, onde occorre pas sarvi su, Vincenzo Cuoco, se noi guardiamo ora dall'alto le cose, e cerchiamo di raccogliere le fila di ciò che siam venuti dicendo, ci si appalesa come un fermo sostenitore dei diritti dello Stato, concepito come sostanza etica, sostenitore che non ammette alcuna menomazione di quei caratteri salienti che abbiamo veduto. Egli si pre senta come un vero e proprio giurisdizionista, rappre sentante di quel giurisdizionalismo, che lo storico co nosce nelle forme del leopoldinismo, del giuseppinismo e sopra tutto del tanuccismo. Che il Cuoco sia giurisdizio nalista nel senso sovraccennato, molti elementi lo testifi cano. Egli è giurisdizionalista , ma nello stesso tempo il suo Stato è confessionista, sebbene tollerante : anzi il nostro lo consiglia ad essere più confessionista che può, perchè gli interessi dell'autorità civile e dell'autorità ec clesiastica collimano perfettamente. Lo Stato del Cuoco trova una Chiesa dominante e le dà di fatto privilegi, benefíci, considera i suoi sacerdoti come pubblici fun zionari, investiti di vere e proprie funzioni pubbliche, esercitanti un compito che il potere supremo non solo riconosce ma subordina al suo controllo : la stessa educa zione religiosa è vigilata dagli organi centrali. « Il che» come ben nota Giovanni Gentile « non viene, in conchiu sione, a soggiogare quello che non è soggiogabile, lo spi rito religioso e scientifico, alle forme giuridiche istitu zionali dello Stato ; ma soltanto a risolvere nella vita concreta dello Stato l'elemento sociale e pratico di co teste forme superiori dello spirito , le quali, se sono ideal 195 mente sopramondane, storicamente rientrano anch'esse nella sfera dei rapporti sociali, materia del diritto » ( 1 ) . Questo giurisdizionalismo confessionista del XVIII se colo, anteriore alla rivoluzione francese, aveva nei prin cipi e negli statisti un fondamento di vere e proprie credenze e convinzioni religiose, che portavano, come os serva lo Scaduto ( 2 ) , all'affermazione d'una supremazia nel campo morale della Chiesa sullo Stato . Il giurisdizio nalismo napoleonico ha invece cause più politiche che re ligiose, s ' ispira più all'analisi delle condizioni storiche contemporanee che ad altro. Il Cuoco segue quest'ultimo indirizzo, temperandolo col tanuccismo, vale a dire, ri conoscendo l'altezza etica della Chiesa . Nulla ci induce a credere che egli fosse specificamente cattolico prati cante, ma da un'analisi minuta de' suoi scritti, da un manoscritto inedito sull' Ideologia , di cui ci dà' notizia il Gentile, dal Platone in Italia, noi possiamo ritenerlo uno spirito profondamente religioso. La sua filosofia serba anzi resti di trascendenza, e la sua teologia, se è lecito così esprimersi, ritorna ad una posizione che il Vico, suo maestro ideale, avea già superata ( 3) . Egli differisce dagli scrittori politici del tempo suo, scettici e agnostici, per i quali il confessionismo ha basi puramente effimere, dif ferisce dunque per il fatto che nella religione vede un elemento insopprimibile della vita dello spirito . Da noi la religione dominante è la cattolica : non vi è legge che da essa e dalla sua morale possa prescindere . Il suo in gegno, la sua sicura intuizione delle varie attività dello spirito, lo porta ad un riconoscimento che non è solo do veroso in linea di principî, ma è savio in linea politica per lo Stato che voglia realmente attuare la sua missione, e sulla natura umana costruire il suo edificio istituzio nale. « Il primo dovere di chi ama la patria è quello di ( 1 ) G. GENTILE, Studi vichiani, p. 416. ( 2) F. SCADUTO, Diritto ecclesiastico vigente, 1923, Cortona, v. I , p. 19 sg. ( 3) G. GENTILE; Studi vichiani, p . 385. Una parte dell’Ideo logia è stata ripubblicata in Scritti vari, v. I , pp. 297-302 . 196 rispettare la religione de' padri suoi ; il primo dovere di chi ama la religione è quello di rispettare il governo della patria, senza di cui non vi sarebbe alcuna religione ». Qui mi sembra che veramente il Cuoco si distacchi dal l’età che fu sua, e all'astrattismo filosoficizzante e scet tico sostituisca la realtà insopprimibile dello spirito, che è anche religiosità, ed, essendo religiosità, non può essere che tolleranza. CAPITOLO V. Nazionalità e italianismo nel « Giornale italiano » . Le origini della nuova Italia . Il concetto di naziona nalità presso Cesare Paribelli e Francesco Lomonaco. Presso Vincenzo Cuoco. - Sua visione spiritualistica del problema unitario e nazionale. - Mezzi per formare una nuova coscienza nazionale. Abbiamo nella prima parte di questo studio a lungo parlato del pensiero costituzionale di Vincenzo Cuoco , quale egli di fronte all'astrattismo rivoluzionario dei giacobini franco- italiani sistematicamente espresse ne'suoi Frammenti di lettere dirette a Vincenzio Russo, e quale poi mostrò in atto negato in quel Saggio storico, che resta ancora il più mirabile documento dei terribili giorni che passarono alla storia col nome di Rivoluzione napoletana e con la gloria d'eroismi non emulabili. Nel nostro lavoro abbiamo studiato il concetto che il molisano si è fatto dello Stato e dei suoi attributi, la visione della vita giu ridica e politica , e, infine, il modo ond'egli fissa il mille nario problema dei rapporti tra l'autorità civile e l'auto rità ecclesiastica. In tutta questa nostra analisi abbiamo visto come unitario sia il pensiero del nostro autore, che abbiamo definito il più vivo esponente dell'italianismo di fronte ad ogni forma, ad ogni espressione di vita, che non sia consona al nostro spirito, alle nostre esigenze, ai nostri bisogni, alla nostra tradizione. 198 L'italianismo del Cuoco ci si appalesa in tutta l'opera sua multiforme e molteplice, e noi non avremmo bisogno di insistervi più, se in esso non vi fosse un elemento nuovo che lo differenzia dall'italianismo di tutti i con temporanei e degli immediati ' posteri: il modo in cui egli concepisce la nazione e lo spirito nazionale . È que sto il punto sul quale verterà la nuova indagine. Giustamente Benedetto Croce, nella prefazione a La ri voluzione napoletana del 1799, dice che chi cerca « le ori gini sacre della nuova Italia » deve di necessità rifarsi ai fatti della Partenopea ( 1 ) . Il tragico fato della repubblica disperde per la penisola centinaia di patrioti, gente, che, per quanto dottrinaria, astratta , più francese di costumi e di pensiero che italiana, ciò non pertanto ha una fede rigida e calorosa nei destini immancabili della patria . È il polline vivo, che trasportato dalla tempesta fecon derà in altri liti , e poi s'esprimerà in nuovi fiori e in nuovi frutti . Sarebbe facile fare dei nomi e degli scritti, ma uscirei dal mio compito e mancherei con ciò dal mio pro posto : ricorderò solo due scritti molto importanti per due ragioni, in primo luogo perchè in essi l'indagine storica può rinvenire le prime idee sull'indipendenza e sull'unità della nazione italiana ; in secondo luogo perchè dal con fronto, che di essi si farà con le pagine cuochiane, sca turirà la diversa posizione spirituale, che il Cuoco rap presenta. Cesare Paribelli, ex ufficiale di Ferdinando IV, dal 1793 al 1799 rimasto quasi sempre in prigione per ragioni politiche, poi membro del Governo Provvisorio a Napoli, il 18 giugno 1799, essendo incaricato d’una missione a Parigi, proprio mentre le sorti repubblicane volgevano al peggio ( il 17 giugno Ruffo accorda la resa alla città di Napoli e la Partenopea è finita ) scrive un Indirizzo dei Patriotti Italiani ai Direttori e Legislatori Francesi, in cui, dopo avere espresso numerose lagnanze contro gli stra nieri nemici ed amici, dopo avere descritto la misera ( 1 ) B. CROCE , La rivoluzione napoletana , p . XII . 199 condizione dell'Italia tutta, dopo avere enumerati i voti delle varie regioni conclude con profetiche parole. « Legi slatori e Direttori, invoca , osate alfine di soddisfare il voto universale dell'Italia, e di proclamare la sua indi pendenza e la sua riunione, il di cui centro esiste già nella santa energia dei figli del Vesuvio, nello spirito repubblicano dei montagnari Liguri, nello sdegno invano ritenuto dei figli dell'infelice Vinegia, e nella disperazione di tutti i rifugiati Piemontesi, Romani e Toscani, cui non resta più ormai verun'altra alternativa , che o di cercare per via d'una morte volontaria un asilo nella tomba, o di crearsi di bel nuovo, per mezzo d'una volontà ferma e determinata, il felice avvenire, che era stato promesso alla loro Patria. Legislatori e Direttori del popolo fran cese, parlate, e la Repubblica Italica esisterà . Un'assem blea Nazionale e un Governo provvisorio, riunito in Fi renze nel centro dell'Italia , saranno invito a tutti gli abitanti di queste belle contrade ; un'armata ausiliaria sarà formata, lo stendardo Italico sventolerà nell'aria ac canto al vessillo tricolorato, e gl ' intrighi stranieri sa ranno sventati ancor questa volta ; e il secolo decimonono vedrà folgorare questi due astri vittoriosi e protettori, che annunzieranno all'Austria e al gabinetto Brittanico la vicina distruzione, o ai discendenti dei germani e agli abitanti delle tre isole, ormai troppo serve, la prossima loro libertà ( 1 ) . Il documento è importantissimo, e la sua importanza appare ancor maggiore, se si pensa che è esso stato ver gato , quando le sorti non solo di Napoli e d'Italia, ma anche di Francia, volgevano al male, e molti pavidi disperavano. Lo stesso pensiero, un po ' più tardi, esprime Francesco Lomonaco in uno scritto , enfatico e gonfio di forma, ma caldo e commosso d'amor patrio : il Rapporto fatto al cit tadino Carnot, fiera requisitoria contro le malefatte degli ( 1 ) B. CROCE, La rivoluzione napoletana , p . 335 ; M. Rosi , op. cit., v. I , p. 215 e sgg.; V. FIORINI e F. LEMMI, op. cit . , p. 151 e sgg 200 stessi francesi in Italia, malefatte, che non ebbero altro effetto che quello di allontanare sempre più le simpatie del popolo dalla causa rivoluzionaria. Anche il vesuviano Lo monaco sente che in Italia si sta formando una volontà che non era per l ' innanzi, ma invano si sforza di spie garsela filosoficamente, troppo imbevuto com'è di rigi dismo giacobino. Egli enumera i diritti, quelli che egli almeno dice diritti del popolo italiano, all'unità e all'in dipendenza , quegli elementi che l'indagine sistematica del secolo XIX poi preciserà come i presupposti del con cetto di nazionalità. L'Italia, non divisa da grossi fiumi nè da grandi mon tagne, separata dalle Alpi e dal triplice mare dagli altri popoli, forma una indissolubile unità geografica : è questo il primo elemento della nazionalità. Gli abitanti che l'a bitano hanno la stessa tinta di passioni e di carattere, godono d'un eguale germe di sviluppo morale e di fisica energia, hanno gli stessi interessi, la stessa lingua, la stessa religione : tutto li addimostra per membri della stessa famiglia : sono questi nuovi e complessi elementi della nazionalità, elementi etnici, linguistici e religiosi, che si pongono accanto al primo elemento geografico. Aggiungete a ciò una ininterrotta tradizione storica, per cui uno è il processo evolutivo della stirpe, uno il fasto e la sventura, come uno l'avvenire, ed avrete l'ultimo elemento, che informa di sè un popolo e cementa quel che possiamo dire d'una nazione ( 1 ) . Gli italiani hanno perciò un diritto naturale, ab aeterno acquisito, all'unità e all ' indipendenza. La Francia, dice in sostanza lo stesso scrittore, può e deve riconoscerlo positivamente. Solo così l'Italia, dopo tanti secoli potrà vedere sanate le sue molte e sanguinose piaghe, che la tormentarono e la tormentano. « Qual riparo » scrive il Lomonaco « a tanti mali ? Qual rimedio a piaghe sì profonde ? Come imprimere alle de ( 1 ) F. LOMONACO , Rapporto al cittadino Carnot, ecc. , in se guito al Saggio storico di V. Cuoco , Laterza ed. , Bari, 1913 , p. 323. 201 presse ed avvilite fisonomie italiane il suggello dell'an tica grandezza e maestà ? Uno dei principali mezzi, se condo me, è l'unione. Perchè termini il monopolio in glese , e i vili isolani cessino di arricchirsi su le rovine del continente ; perchè si oppongano argini all'ambizione del l'Austria , la Francia abbia una fedele alleata , la condotta della Prussia sia meno equivoca, il gran colosso dell’im pero russo stia immobile ne ' ghiacci del nord, la Spagna divenga stabile amica della gran repubblica ; perchè, in una parola, vi sia in Europa bilancia politica e si disec chi la sorgente delle guerre, è d'uopo che l'Italia sia fusa in un solo governo, facendo un fascio di forze. Rea lizzandosi quest'idea , gl'italiani, avendo nazione, acqui steranno spirito di nazionalità ; avendo governo, diver ranno politici e guerrieri; avendo patria, godranno della libertà e di tutti beni che ne derivano ; ecc. » ( 1 ). La ragione prima dell'unità italiana così è un fattore esterno, quello di un presunto equilibrio europeo , quello d'una nuova armonia tra i popoli, tra le genti del nostro belligero vecchio continente. Questi gli antecedenti dell'idea unitaria, queste le sante origini di quel concetto di nazionalità ( 2 ) , che troverà poi in Giuseppe Mazzini il suo apostolo. Il Cuoco, che a Na poli visse ed operò, che con tutti i patrioti di Napoli a lungo ebbe rapporti, non può non agitare gli stessi senti menti . Ma questi da lui come vengono trasformati , in lui quanta nuova luce acquistano ! Esule dalle sventure della Partenopea, visitato Marsi glia , Chambery, Parigi, dopo Marengo, nel dicembre 1800 il Cuoco è a Milano, ove presto pubblica il Saggio e i Fram menti (3 ) . Io non mi indugierò neppur brevemente sul l'attività del molisano nella Repubblica cisalpina ( poi italica ) e nel Regno italico, attività vasta e complessa di ( 1). F. LOMONACO, op. cit. , p. 327. (2 ) Chi vuole avere notizie più ampie veda La rivoluzione napoletana del CROCE , ove vi è un largo studio sull'argomento , pp . 329-342. ( 3) N. RUGGIERI , op. cit . , p . 3 ] . 202 studioso, di cui sono documento le Osservazioni sul Dipar timento dell'Agogna, che vanno sotto il nome di L. Lizzoli, sebbene siano, come è stato indiscutibilmente dimo strato ( 1), del nostro scrittore, e i frammenti su la Sta tistica della Repubblica italiana, opera scientifica di vasto respiro ( 2 ) , che dimostrano quanto alto fosse il bisogno del nostro autore d'esaurire ogni forma di realtà umana, poichè solo sovra una conoscenza adeguata di essa si può fondare un coerente edificio politico e legislativo . Sono punti questi oramai acquisiti alla storia e su essi non mi soffermo. Vengo piuttosto ad un altro punto, la fonda zione del Giornale italiano, che tanta larga parte ha nella formazione della nostra coscienza nazionale, che primo agita, nel fulgore della gloria napoleonica , il problema unitario . In quel periodo tumultuoso, che comprende i primi decenni del secolo XIX, Milano è il centro culturale più cospicuo d'Italia . Napoli, dopo le aspre lotte giurisdi zionali con la Chiesa , dopo il fiorire della sua Università, dopo la gran luce diffusa da Filangieri, Galiani, Pagano, Cirillo , caduta la breve repubblica del 1799, colla restau razione del Ruffo, aveva visto disperso tutto quel te soro di sapienza che cinquant'anni di attività scientifica aveano accumulato. Torino era un centro troppo ristretto, ancor provinciale e particolaristico, sebbene già comin ciasse a dar segno di nuova e più ampia vita, ma non poteva offrire assolutamente nulla , dato che con le vit torie del Bonaparte aveva perduto l'antica libertà. Di Venezia , di Firenze, di Roma inutile parlare. Milano dunque ne ' primi anni del nuovo secolo è il centro più attivamente colto d'Italia . Grandi in essa sono le memorie del popolo, grande la tradizione recente. « Ivi si era formata prima la scuola del giansenismo, e poi la scuola de' diritti dell'uomo » ; ivi « la 6 Società patriot tica ” , divenuta poi Società popolare, aveva lavorato alla diffusione delle idee nuove » . Come rileva Francesco ( 1 ) N. RUGGIERI, op. cit . , p. 40 ; G. Cogo , op. cit. , pp. 13-23, ( 2 ) G, Cogo, op. cit . , p . 24 e sgg. 203 De Sanctis ( 1 ) ivi s'era espresso, contemporaneamente forse ai primi tentativi giurisdizionalisti del Tanucci, un moto, diretto principalmente contro la curia romana, per sonificata nei gesuiti, e contro l'aristocrazia, che pur non avendo portato ad immediati mutamenti politici, annun ciò importanti riforme civili per il miglioramento del l'uomo, che già erano concrete conquiste civili , allor quando il turbine rivoluzionario si scatenò, distruggendo tutto, l'antico e il nuovo, il cattivo e il buono, ciò che doveva crollare e ciò che era degno di restare. A Milano aveva scritto il Beccaria, instaurando nel campo penale nuove dottrine, che, reagendo a tutto il sistema degenere del medievale processo inquisitorio, preludono ad un mi rabile fiorire delle dottrine criminalistiche ; il Verri aveva disputato di economia, di finanza , di sociologia ; il Caffè aveva agitato nelle menti più illuminate i nuovi pro blemi filosofici e scientifici, le nuove posizioni artistiche, che appassionavano non solo l'Italia, ma la Francia e l'Europa tutta. Questa la tradizione, che ne' primi anni del nuovo se colo Milano rinnova in una vita sempre più grande e degna. Le varie rivoluzioni vi hanno fatto affluire esuli non solo da Napoli , ma da ogni parte d'Italia , poeti e filosofi, soldati e commercianti, giureconsulti ed econo misti ( 2 ) . È il periodo grande della vita milanese; il pe riodo in cui, per dare tre illustri nomi, appena da poco spento il Parini, cantano Monti Foscolo Manzoni. Nulla da meravigliare se in questo ambiente d’intellettualità si agitano quelle questioni, che poi lo stesso secolo XIX vedrà realizzate e risolte, concreterà insomma nell’azione politica . L'animo ardente di Vincenzo Cuoco in questa società così vivace ed attiva trova tutta lo stimolo per destarsi da quella sua natural pigrizia, che lo stesso Manzoni in (1) F. DE SANCTIS , Saggi critici, Milano, Treves ed. , 1918 , v. III , p. 2 . ( 2 ) R. SORIGA, L'emigrazione meridionale a Milano nel primo quinquennio del secolo XIX, in Bollettino della Società pavese di storia patria , a. XVIII ( 1918 ) , pp. 102-117 , pp. 119-121 , 204 lui notava , e della sua nuova attività, oltre gli scritti statistici su citati, sono testimonianza gli articoli sul Gior nale italiano, che egli pubblica il 2 gennaio 1804 e di rige continuamente fino all'agosto del 1806, fino cioè al suo ritorno in patria, avvalendosi della cooperazione di due valentuomini, Bartolomeo Benincasa e Giovanni d'Aniello ( 1 ) . Seguendo il nostro metodo di non occuparci di pro blemi biografici, noti a sufficienza, sorvoliamo sulla fon dazione del foglio milanese ( 2 ) , e vediamo piuttosto che cosa esso rappresenti nella storia dell'idea nazionale, quale sia il suo rapporto con i precedenti ideologici del nazionalismo, che abbiamo visto in Paribelli e Lomonaco. Che cosa è innanzi tutto la nazione per Vincenzo Cuoco? È qualcosa di già acquisito, di rigidamente fatto, di sta tico, o invece qualcosa da acquisirsi, da farsi, di dina mico, qualcosa insomma che diviene in un processo inin terrotto ? Esiste realmente e storicamente una naziona lità italiana, che è formata con questi e con quegli altri elementi, che sono questi e quelli, e nulla più ? E quali sono questi elementi ? Abbiamo noi perciò un diritto na turale ad essere nazione, diritto che gli stranieri non pos sono contestare, donde scaturisce un correlativo supe riore dovere a permettere la nostra unità nella forma d'uno Stato indipendente e sovrano ? Sono questi al trettanti problemi , ai quali dovremo singolarmente ri spondere. Se noi ritorniamo col pensiero agli scritti del Paribelli e del Lomonaco, noi vediamo in essi uno sforzo a definire concretamente gli elementi costitutivi di questo concetto di nazionalità, che poi alla resa dei conti finisce per man care e per sfumare, proprio nel momento , in cui pure essi credono d'averlo conquistato e fissato. Nè è a dire che ( 1 ) V. FIORINI e F. LEMMI, op . cit., p . 655. ( 2 ) Cfr. A. BUTTI, La fondazione del Giornale italiano » e i suoi primi redattori, Milano, Cogliati ed ., 1905 ( estr. dall’Ar chivio stor. lomb. , a. XXXII, fasc . VII) ; vedi pure N. RUGGIERI, op. cit . , p. 43 e sgg.; nonchè G. Cogo, op. cit., pp. 30-34. 205 l'insufficienza sia dovuta all'insufficienza della loro cul tura . Uomini di ben maggiore preparazione si sono sfor zati d'esaurire criticamente il contenuto della naziona lità e non ci sono riusciti. Ogni elemento, tra quelli da noi presi in esame, si rivela attivo nella formazione della nazionalità, ma poi non può essere a rigore accolto come necessario essenziale costi tutivo. Ancora : vi sono elementi, che a volta sono, a volta non sono ; altri che operano storicamente con una certa intensità , ed altri con una intensità maggiore o minore. Il Lomonaco accenna ad elementi geografici, etnici, lin guistici ed eziandio religiosi, quali antecedenti del nostro concetto, del concetto che noi tutti abbiamo di nazione, per cui gli italiani sono fatti per essere membri d'una sola famiglia. Tutti questi egli afferma come la base concreta , sovra la quale s'aderge il superiore diritto a che l'Italia sia un solo Stato. Data questa concezione naturalistica, la conseguenza che ne scaturisce è una sola : il popolo italiano ha una superiore ragione a divenire indipendente, a trovare la sua forma giuridica in un reggimento uni tario ; gli stranieri non debbono che riconoscere positiva mente quel che Dio o la natura, o altri che dir si voglia, segnarono sulle coste delle montagne e nel corso de'fiumi, separando la patria nostra dalle altre patrie, facendo si che essa, geograficamente delimitata dalle Alpi e dal mare, sia abitata da una sola gente, parlante un solo idioma, avente una sola religione, una sola storia, una sola mis sione, una sola somma d'interessi. Ecco perchè il Paribelli e il Lomonaco si rivolgono ai francesi . Essi sono i più forti, essi possono perciò estrin secamente donare all'Italia quell'unità statale, a cui senza dubbio ha diritto, perchè la nazionalità è una realtà non da farsi, ma già fatta e perciò statica. Quel che ancora non è fatto ma da farsi è lo Stato uno ed indipendente, considerato come esterno alla nazione, quasi come una sua sovrastruttura, che può essere e può non essere, ma che, sia o non sia, lascia inalterata la nazionalità. Può esservi la nazione e non esservi lo Stato, e viceversa. Lo Stato sarà il riconoscimento susseguente ed esteriore d'una 206 realtà già concretizzata , e quindi definitiva, che è la na zione con quegli elementi che sappiamo. Contro questa concezione s’oppone il Cuoco Nessuno de gli elementi positivi della nazionalità può dirsi essenziale al concetto di nazionalità. Prendiamoli uno ad uno, ed ognuno di essi ci apparirà fallace e transeunte. Costruire sovr’essi val quanto costruire sovra la sabbia. Che è la terra se non una mera quiddità naturale, che in sè e per sè non ha che una importanza relativa, tant'è vero che gli ebrei sono nazione pur fuori dal territorio nativo, e lo sono dopo quasi due millenni da che si sono dispersi per il mondo ? Che è la religione, se noi la concepiamo come religione comune di tutti, con quei determinati solenni riti e con quella certa gerarchia ecclesiastica , se non un astratto ? Ma d'altra parte ognuno di questi ele menti, ed altri che abbiamo sorvolato, acquistano mag giore consistenza , se noi li guardiamo non già nella loro estrinsecità e nella loro astrattezza, ma se li consideriamo nella loro significazione spirituale, vale a dire in quanto noi li compenetriamo di noi, de ' nostri affetti, de' nostri sentimenti. Non è più allora la terra fisica geografica, « bagnata » come dice il Lomonaco « dal Mediterraneo, dal l ' Jonio , dall'Adriatico , e separata dagli altri popoli da una catena di monti inaccessibili » , ma bensì quella terra che ci vide nascere e vide nascere i nostri avi, ove i nostri avi sono sepolti, saranno sepolti i nostri padri, saremo sepolti noi pure, quella terra ove noi lavoriamo ed amia mo, ove lavorarono le generazioni che furono e compi rono grandi cose, quelle grandi cose, di cui si vede ancor oggi la testimonianza nelle grandi costruzioni, nelle opere plastiche, ne ' carmi, nelle.storie, che ci commovono e ci fanno fremere d'orgoglio. Non è più allora la religione cattolica romana con i suoi dommi scritti e rivelati, fissati perennemente ne' sacri libri, bensì quella religione che vive ne ' nostri cuori, e ci anima nelle opere degne, ci rimprovera nelle indegne, ci consola nelle disgrazie, che brilla come speranza di luce futura, che noi sentiamoogni momento, sempre nuova e presente, sempre viva e rin novantesi . 207 La nazione insomma è in noi, è quella maggior consape volezza che noi abbiamo di noi, onde ci sentiamo fratelli di tanti altri individui, che perciò poniamo non come estranei a noi, ma simili ne’sentimenti e negli affetti, for manti una superiore unità spirituale. Non è perciò nè il territorio, nè la lingua, nè la razza, nè l'interesse che de termina la nazionalità, il suo essere e il suo contenuto, ma siamo noi stessi, che con la nostra spiritualità affermiamo i vari elementi di volta in volta come costituenti la nazio nalità, e li plasmiamo in una suprema volontà, che è co scienza ed energia . La nazionalità così non è fuori di noi, ma in noi ; non è materia o natura, ma spirito ; non è contenuto, ma forma del più vario contenuto . Le conseguenze di questa posizione sono incalcolabili. La nazionalità non è , diviene; non è qualche cosa di preesistente alla nostra determinata energia spirituale, ma coeva con essa, perchè da questa posta e generata in ogni suo momento. Tale più alta visuale del problema il Cuoco esprime in quel Disegno di un giornale italiano, che egli presentò nel 1809 al vice- presidente della Repubblica italiana Fran cesco Melzi d'Eril ( 1 ) . La nazione, egli dice, non è formata ; si tratta anzi di formarla. « Fra noi non si tratta di conservar lo spirito pubblico, ma di crearlo. Conviene avezzar le menti degli italiani a pensar nobilmente, condurle, quasi senza che se ne avvedano, alle idee che la loro nuova sorte richiede, e far divenire cittadini di uno Stato coloro i quali sono nati abitanti di una provincia o di paesi anche più umili di una provincia » ( 2 ) . Da ciò è facile vedere come la con cezione naturalistica sia superata : la nazione non esiste ( 1 ) Il documento tratto dall'Archivio di Stato di Milano è stato pubblicato dal prof. ATTILIO Butti in appendice alla sua op. cit., nonchè ristampato da G. GENTILE : VINCENZO Cuoco, Scritti pedagogici inediti e rari, Roma-Milano, Albrighi e Se gati ed., 1909, p . 3 e sgg.; e poi da N. CORTESE e F. NICOLINI: VINCENZO Cuoco, Scritti vari, Bari, Laterza ed. , 1924, v. I. , pp. 3-12 . ( 2 ) V. Cuoco, Scritti vari, v . I , p. 4 . 208 in natura, come mera entità di fatto, ma nello spirito, come superiore unità ideale. Quest'unità dello spirito, che poi è energia plasmatrice e volontà realizzatrice, come abbiamo detto, consiste di due parti principali: « la prima è la stima di noi stessi e delle cose nostre ; la seconda è l'accordo de' giudizi di tutti su quegli oggetti che possono essere utili o dannosi » ( 1 ) . Io direi : è in primo luogo autocoscienza, consapevolezza di noi e delle nostre pos sibilità ; in secondo luogo quell'atto, per cui il nostro io particolare, coincidendo con tutti gli altri particolari in una sola volontà, s'afferma come universale. La nazione così null'altro è che volontà di nazione, e, siccome con cretamente la volontà è in noi uomini, la nazione è in noi, quella nazione che noi amiamo, sospiriamo, che noi idoleggiamo ne' nostri pensamenti, che vediamo cantata ne' grandi poeti, che desideriamo grande e possente nel futuro come lo fu nel lontano passato, che infine noi vo gliamo ed affermiamo in ogni nostro pensiero ed atto, onde ogni nostra opera o scritto reca l ' impronta d'un superiore carattere, che è il carattere di nostra gente. La stessa così detta tradizione nazionale non è, non ha alcun valore, se non nel presente, se non in quanto la poniamo come presente, e perciò solo operativa di grandi cose, incitamento a maggiori grandezze . Se noi l'assu miamo come passato, essa null'altro è che retorica, sban dieramento inutile di grandi fatti , su cui tutti possono meritamente ridere. « Un giornalista di Londra o di Pa rigi può mille volte al giorno ripetere ai suoi compatrioti: Noi siamo grandi. Egli sarà sempre creduto . Un giornalista italiano, se pronunzierà questa stessa propo sizione, desterà il riso ; ed una proposizione di cui si è riso una volta, dice Shaftesbury , non può produrre mai più verun buon effetto » ( 2 ) . Anche la tradizione, come tutti gli elementi della nazionalità non deve essere fuori degli uomini, ma veracemente parlare agli uomini. La sto ria resta mera erudizione passiva inerte, se la riguardiamo ( 1 ) V. Cuoco, Scritti vari, v. I , p . 3 . ( 2 ) V. Cuoco, Scritti vari, v . I , p. 4 . 209 come un frigido insieme di fatti ; ma se questi fatti par lano ad uomini, e ad essi dànno maggior consapevolezza di loro stessi, ond'essi acquistano maggiore energia e vo lontà di dominio, allora la storia diventa davvero maestra de' popoli. Così la tradizione ben'intesa diviene autoco scienza, stima di noi stessi. « Alla stima di loro stessi » scrive il Cuoco « e delle pro prie cose debbono le grandi nazioni e quella energia, per cui han fatto le grandi operazioni; e quella pazienza , per cui han sopportati grandi mali e sacrifizi gravissimi; e quell' affezione al proprio governo, che si raffredda ed estingue dall'idea che esso non operi bene o che un altro operi meglio ; e finalmente quella costanza ne' pensieri, ne' disegni e nelle operazioni, la quale, fondata sul rispetto che abbiamo per i nostri maggiori, può sola farci ottenere i grandissimi effetti. Quando si analizzano le nazioni, si trova che i beni ed i mali, la verità e gli errori sono misti egualmente da per tutto, e che la differenza tra l'una e l'altra non dipende da altro che dalla loro diversa ma niera di pensare e di sentire » ( 1 ) . Posto ciò , allorquando la nazione non si è ancora con cretata nella forma di uno Stato, non può esservi un di ritto, una pretesa a Stato unitario, che noi possiamo esi gere dagli stranieri, aventi verso di noi un corrispondente dovere al riconoscimento. Lo Stato è sì riconoscimento di nazionalità, ma non riconoscimento estrinseco di altri, ma bensì intima affermazione della nazionalità in ogni suo momento. Dire volontà di nazione e dire volontà di Stato nazionale è la stessa cosa : affermare la nazione val quanto affermare lo Stato nazionale. E siccome la nazione non è , ma diviene ; lo Stato non è, ma diviene. In un senso altamente ideale esso è anche quando giuridicamente non è riconosciuto dagli altri Stati, in quanto è in noi che lo poniamo ed operiamo per realizzarlo , e lo realizziamo continuamente in ogni nostro atto. Come si tratta di fare lo spirito pubblico , la coscienza nazionale, si tratta di ( 1 ) V. Cuoco, Scritti vari, v. I , p. 3 . 14 F. BATTAGLIA . 210 fare lo Stato, e lo si fa, facendo lo spirito pubblico e la coscienza nazionale. Circa la seconda parte della nazionalità, dello spirito pubblico, il Cuoco dice, c'è poco da aggiungere: è il pro blema dell'accordo di più uomini nelle idee utili ( 1 ) , onde la loro volontà si può considerare come una sola volontà . Basta presentare queste idee utili, presentarle caldamente sinceramente, presentarle spesso, perchè tutti siano d'ac cordo. « È necessario che tutti gli uomini convengano in tre cose : in rispettar i governi, in rispettar la religione ed in praticar la morale ; e se tra queste cose si potesse stabilire una progressione, io non avrei veruna difficoltà di dire che la corruzione della morale porta seco il di sprezzo prima della religione e poscia del governo. È na tura dell'uomo trascurar prima i doveri, indi conculcar le leggi che sanciscono i doveri, e finalmente disprezzar coloro dai quali ci vengono le leggi » ( 2 ) . Dato che lo Stato moderno null'altro è che nazione, coincidendo la volontà di Stato con la volontà di nazione, e posto che questa non è fuor di noi, ne viene che la volontà statale non è estrinseca al soggetto, ma a lui intima e connaturale : anzi la volontà di Stato coincide con la nostra in quanto que sta si pone come universale, una ed armonica con tutte le altre. Il rispetto al governo non deve essere una coa zione, ma un'accettazione libera, poichè nell'atto go vernativo vediamo l'espressione di posizioni da noi con divise, anzi da noi volute. Il rispetto quindi allo Stato è in quanto nello Stato vediamo la sublimazione di quanto di meglio è in noi, e, siccome lo Stato del Cuoco è stato etico, e, in termini giuridici, professionista, ne scaturiscono come conseguenze inderogabili: il bisogno che i soggetti rispettino la loro religione che è anche religione di Stato, pratichino la loro morale che è anche morale di Stato. Vincenzo Cuoco, in quella parvenza di Stato unitario che è la Repubblica italica, poi Regno italico, si pone ( 1 ) V. Cuoco, Scritti vari , v. I, p. 3. ( 2 ) V. Cuoco, Scritti vari, v. I , p. 8 . 211 dinanzi una sublime missione, un compito titanico : for mare la coscienza di quel che sarà o diverrà la nazione italiana. Il problema che abbiamo esaminato nei napo letani del '99 è invertito. La rivoluzione imponeva una unitarietà estrinseca, mirava a formare un sentimento vuoto ed astratto di pseudo - solidarietà umana ; il Cuoco invece s'affisa nell'interiore degli uomini, opera sui loro spiriti, ne ridesta quella coscienza che il nuovo secolo XIX dirà nazionalità, e che infine null'altro è che un atto d'energia volitiva, che plasma e fonde in sè ogni parti colare contenuto. V'è il popolo, quel popolo che i giacobini idolatravano e levavano alle stelle , ma a questo popolo la patria non è da darsi bell’e fatta, compiuta e grande, attraverso l'opera di pochi disinteressati idealisti, o italiani o stra nieri; no , questo popolo deve agire, vivere pur esso, sen tire i grandi problemi del tempo, acquistarne la cono scenza , prepararsi liberamente l'avvenire. Il Cuoco pone il popolo come elemento indispensabile della vita civile , come il grande operatore della storia in tutti i suoi sviluppi. La rivoluzione sublima in teoria il popolo, ma di fatto ne ha poco rispetto ; poichè crede po terlo dominare dal di fuori, e fargli subire i nuovi sistemi politici , come già subiva i vecchi, vuote sovrastrutture, in cui può vibrare ogni mutevole realtà. La rivoluzione infine è ne' giacobini, che sono i pochi, non nel popolo, che è la molteplicità. Il Cuoco crede ciò un grande errore, ed è questa la grande sua trovata, ond’egli meritamente s’as side tra i grandi del nostro paese. Se vogliamo creare quella realtà spirituale che è la nazione, non possiamo prescindere dal popolo, dal popolo che abbiamo visto nel Saggio essere il solo autore delle rivoluzioni e delle con trorivoluzioni. Il principio della storia è in lui, e in lui sono tutte le più remote scaturigini della vita. Parlare al popolo, dunque, e ridestarlo, inserirlo nel pulsare della cosa pubblica, fargli acquistare dignità e sensibilità, e allora esso non odierà le istituzioni o non sarà ad esse indifferente, in quanto queste vede fuor di sè stesso, ma le amerà come sue, espressione della sua più alta eticità , 212 e con le istituzioni amerà la morale e la religione, che con le prime vedrà intimamente legate. Oggi, dice il molisano, esiste bene o male una Repub blica o un Regno italico ; il popolo però ancora ne è fuori: bisogna unire i due termini, perchè solo così il primo sarà veramente un ente vitale, il secondo un'unità cosciente e non una molteplicità naturale e perciò bruta. Se domani, il Cuoco non lo dice ma noi lo intendiamo, vicende storiche nuove distruggeranno la mal connessa unità napoleonica, e nuovi stranieri invaderanno il bel suolo d'Italia, se in questo domani il popolo sarà ancor sopito o morto alla vita pubblica, ohimè, non vi sarà speranza più di unità e di indipendenza ; ma, se per av ventura questo popolo noi lo avremo educato, istruito , reso elementó vero dell'attività sociale, oh, allora non vi sarà bisogno di lunghissime lotte perchè la volontà co mune di nazione, la volontà di Stato libero si concreti, s'imponga in giuridiche affermazioni dinanzi agli stra nieri, che le subiranno e le riconosceranno ! Così il problema politico in Vincenzo Cuoco diventa sopra tutto problema pedagogico, anzi il problema peda gogico per eccellenza, come quello che è destinato a creare un popolo, una nazione, uno Stato ( 1 ) . Ben nota Guido De Ruggiero che, laddove il carattere spirituale dei moti, che dalla rivoluzione si espressero, sfuggiva ai rivoluzionari, anche ai più eletti, il Cuoco intende la nuova esigenza e vuol essere educatore : nella sua grandezza come peda gogista intendiamo la sua grandezza come storico e po litico ( 2 ) . Certo gli ostacoli a questa missione, a questo fine sono grandissimi, ma non per ciò il molisano si sbigottisce: quanto maggiori sono gli ostacoli tanto più bello sarà il premio nell'avvenire. Oggi in Italia non v'è nazione, non v'è senso unitario; siamo poveri, pochi , disgregati, senza un esercito vero e ( 1 ) P. ROMANO, Per una nuova coscienza pedagogica, G. B. Pa ravia, s. d. ( 1924 ), Torino , p. 106. ( 2 ) G. DE RUGGIERO, op . cit., p. 175. 213 proprio ; non importa, tutto si farà, ammonisce Cuoco, ed esce in una profetica dichiarazione di fede, che, ancor oggi, commove e rende superbi nello stesso tempo. « Ogni Stato » scrive « ha un periodo da correre . Tutte le nazioni piccole son destinate ad ingrandirsi o a perire. Quelle non periscono, le quali dispongon per tempo le loro menti all'ampiezza de’destini futuri; onde, quando il corso de gli avvenimenti loro presenti le occasioni opportune, esse, per mancanza di preparazione, non si ritrovano impo tenti » ( 1 ) . L'unità d'Italia prima sia nello spirito, poi certamente sarà nella vita giuridica : ma noi non possiamo presu merla in questa se non ci sforziamo di concretarla in quello. Dalla frase che io ho richiamato appare chiaro quanto caldo sia in Cuoco il pensiero unitario : non basta quella parvenza d'autonomia che la Francia ci dà e Na poleone mantiene, occorre di più, occorre che ciò che è Italia a Milano sia Italia a Scilla, e viceversa, occorre la vera unità, cioè lo Stato nazionale. Questo non è un di ritto del passato inestinto e inestinguibile, sacra eredità di generazioni trascorse, ma unità da formare ex novo attraverso un'opera diuturna e disinteressata, in cui tutto ciò che è diritto e storia antica deve rifondersi e rifog giarsi nel presente, diritto e storia nuova, perchè nuova volontà e nuova consapevolezza. La storia in un certo senso è peso bruto, se non si vince come passato ; è atti vità propulsatrice, se noi la riviviamo e ne ritragghiamo incitamento. Perciò tutto il Giornale italiano è pieno di storia, di memorie antiche, di riesumazioni dotte, d'in formazioni nazionalistiche : ma tutto ciò non è materiale d'archivio , da biblioteca, bensì esempio da prospettarsi ad animi italiani, ond'essi vibrino di un legittimo orgoglio, che non è comodo adagiarsi in una indiscussa superiorità o antico primato italico, ma incitamento a nuove opere . Ecco ciò che si propone all'incirca il Giornale italiano : un'alta opera di pedagogia pubblica . ( 1 ) V. Cuoco, Scritti vari, v. I , p. 7. 214 Questo giornale, divenuto rarissimo, per lungo tempo è stato dimenticato dagli studiosi, ma oggi ad esso si è ritornati, e in esso si sono rinvenute le vere ideali origini, di questa nostra Italia, di cui il Risorgimento è stato la cosciente affermazione, non l'estrinseco dono di questo o di quello, sia esso il terzo Napoleone o il Gabinetto britannico. La direzione cuochiana al Giornale italiano durò tre anni : sono tre anni d'un apostolato fervido sincero ele vatissimo, senza mai un minuto di riposo . Nessun pro blema, giuridico o politico, etnografico o storico, econo mico od agricolo, militare o industriale, sfugge alla mente di Vincenzo, e tutto egli rivolge ad un ben noto fine, poichè, com'egli stesso osserva, « per formar la mente de’ lettori, è necessario che l'opera istessa, abbia una mente, cioè un fine unico, e parti tutte corrispondenti al fine » ( 1 ) . L'importanza di questo foglio non isfuggì ai più acuti studiosi delCuoco. Già il Romano lo proclamò « un nobi lissimo apostolato di italianità ( 2 ) » , e, come il Cogo ri leva, questa affermazione il sopra detto critico convalida con prove sicure, sebbene sarebbe stato forse opportuno che egli vi avesse fermato un po' di più la sua atten zione ( 3 ) . Parimenti sul Giornale italiano ha scritt oltre il Cogo, Paul Hazard, il quale nel suo obiettivo e felice intuito ha ben visto quanto il Cuoco si differenzia dai gia cobini francesi e quanto rigidamente affermi la sua na zione ( ) . Ma, nonostante il loro acume, il Romano, il Cogo, l'Hazard , non poterono avere quella sensazione sicura della grandiosa importanza di quel giornale, che solo noi oggi possiamo apprezzare dopo che ulteriori studi hanno messo in luce come quegli scritti della gazzetta milanese, spesso non firmati, o sottoscritti con la sem plice sigla C. , fossero letti da un giovanetto idealista ap ( 1 ) V. Cuoco, Scritti vari , v. I , p. 3. ( 2 ) M. ROMANO , op . cit . , p. 136. ( 3 ) G. Cogo, op . cit. , p. 32. ( 4 ) P. HAZARD, op. cit., p. 231 e sgg. 215 pena uscito dall'università, che li postillava e li trascri veva , da Giuseppe Mazzini: piccola favilla atta a destar gran fuoco. Per raggiungere i suoi alti fini tre sono i mezzi che il Giornale italiano si propone, e che esplicitamente di chiara : in primo luogo, « presentare al pubblico quanto più spesso si possa le memorie degli altri tempi : non, come talora si è fatto, sfigurate e dirette a turbar gli ordini che si avevano, ma quali realmente sono, e per confermar colla stima di noi stessi gli ordini che abbiamo » ; in se condo luogo, « incominciare a misurarci, almen col pen siero, colle altre nazioni » ; poi, « ragionar frequentemente sulle operazioni nostre », onde acquistare coscienza delle nostre possibilità, delle nostre virtù e dei nostri vizi (1 ) . Tutti questi tre mezzi miravano ad un fine unico, far comprendere agli italiani che « chi oggi non è grande » e « quasi diffida di poterlo divenire » , lo sarà, come « lo è stato una volta » (2 ). Nel luglio 1805 Vincenzo Cuoco, recensendo uno scritto del Monti, di quel Monti, che egli pur non troppo ammira come personalità morale ( 3) , scritto col quale il poeta cesareo esalta l'Eroe, che' la gratitudine nazionale in voca « nel tempo stesso suo conquistatore, suo liberatore, suo Re », non loda l’autore per il suo lodare l'Eroe, « soggetto tanto comune qual è sempre » , ma bensì per la novità che ha saputo trovare e per « l'interesse che ha saputo destare rammentando le antiche glorie italiane, e le sciagure e l'avvilimento , che alla gloria succedettero, ridestando le ombre de' tempi antichi, e dopo di esse l'ombra di Dante, di quel poeta del quale nessuna nazione p. 5. ( 1 ) V. Cuoco, Scritti vari, v. I , p. 5 e sgg . ( 2 ) V. Cuoco, Scritti vari , v. I , ( 3 ) Vedi N. RUGGIERI, op. cit., p . 163 ; nonchè A. LEVATI, Saggio sulla storia della letteratura italiana nei primi venti cinque anni del sec. XIX , Milano, Stella ed ., 1831, p. 131 e sgg ., e G. MAFFEI, Storia della letteratura italiana, 3a ediz. corretta da P. THOUAR, Firenze, 1853, v. II , p. 259, n . 3 , ai quali il Ruggieri stesso rimanda. 216 può vantarne un altro più pieno di civile sapienza » ( 1 ) . « Non altri » commenta « vi era di più opportuno di Dante all'occasione solenne che Monti celebrava ; di Dante il quale forse il primo incominciò a illuminar le opre infi nite degli antichi italiani per ammaestramento de' mo derni; di Dante il più zelante dell'antica gloria degli italiani ; il più severo censore della corruzione nella quale ai suoi tempi l'Italia era caduta ; di Dante che tutti i suoi studi e tutte le sue cure dirigeva al solo fine del risorgimento dell'Italia ; e con quali arti vi tendeva ! Col predicare tra gli abitanti delle varie parti nelle quali era allora divisa l'Italia l’unione, e negli ordini pubblici la concentrazione del potere moderata dalle leggi » . L'alta coscienza del Cuoco vede in Dante il simbolo d'ogni attività della stirpe, e per il divino poeta ha un vero culto, come lo hanno e l'avranno tutti i grandi fattori della nostra storia e della nostra civiltà , da Manzoni a Carducci, da Mazzini a Gioberti ( 2 ) . E la sua volontà d'esaltare tutto ciò che è italiano, e in Italia ha avuto origine e nascimento, si compenetra con un felice intuito storico, per cui il fenomeno politico ( 1 ) Giorn. ital. , 1805, 27 maggio, n. 63, p. 274 : Visione del professore V. Monti. Per altri accenni del Cuoco sull’Alighieri vedi Scritti vari, v. I , p. 235, 257 ; v. II , p. 267. ( 2 ) L'alto concetto che V. Cuoco avea della grandezza di Dante si addimostrò chiaramente in una circostanza spiace vole, in una di quelle tante polemiche, con cui gli stranieri cercano di menomare quel che è nostro e di impicciolirlo. Avendo un giornalista dei Débats scritto che una vita di Dante poteva ritenersi a priori una lettura sonnifera , e che la Divina Commedia era l'opera di un piccolo politico , di un poeta bar: baro, del quale solo pochi frammenti potevano dirsi buoni, il molisano rimbecca : « Sia permesso all'autore dell'articolo di ignorare la storia, e non saper quanto Dante fosse politica mente grande. La gloria del sublime poeta ha offuscata quella del profondo politico , ed il maggior numero degli uomini ram menta l'autor della Divina Commedia e quasi oblìa l'autor della Monarchia , libro che, ad onta delle spinosità scolastiche onde è ricoperto, racchiude pensieri profondi, e, ciò che più importa, non è molto lontano dai nostri attuali bisogni » . Vedi Giorn. Ital . , 1804 , 25 gennaio, n. 11 , p. 45. 217 e culturale è mirabilmente rappresentato . Esalta il se colo XVI, « il secolo in cui rinacquero tutte le arti e tutte le scienze, e tutte rinacquero in Italia, e dall'Italia si diffusero per tutto il resto ancor barbaro dell'Europa ; si scopersero due nuovi mondi, e tanti mali e tanti beni si aggiunsero all'antico ; sursero nuove sette religiose, ed il fermento che esse produssero fecondò li primi semi di quella libertà di pensare che dovea col tempo produrre e la sana filosofia e l'imsensato pirronismo » ; ma subito si entusiasma, e , quasi a suggellare tanta gloria , esclama : « e tutti questi avvenimenti o nacquero o agitaronsi o compironsi in Italia o per l'Italia o per l'opera degli italiani...! » ( 1 ) . Il secolo XVI è il secolo di Leonardo, di Raffaello , di Michelangiolo, di Cellini, di Palestrina, di Ariosto , di Tasso, di Machiavelli . Il Cuoco è un ammiratore del se gretario fiorentino. E chi mai, se si eccettui Francesco De Sanctis, intese così profondamente l'autore del Prin cipe e delle Deche ? Anzi astraendo e generalizzando un parallelo tra il Cuoco e il Machiavelli si può fare, ed è stato fatto ( 2) . « Più di uno » nota Giuseppe Ottone « ha paragonato [ Il Cuoco) al Machiavelli, perchè al pari di lui trovò i princípi e le formule di un rinnovamento della coscienza nazionale : e come il Machiavelli segna il punto nel quale i fervori umanistici si incarnano nella realtà della vita politica , e, svestito il paludamento retorico, si rivelano nelle linee semplici e precise di un nuovo ideale, così il Cuoco, dopo un secolo di vaneggiamenti filosofici e col concorso di una dura esperienza, per la quale si fondono come cera le antiche illusioni, ci rivela rinnovata e con sapevole di sè la coscienza italiana » ( 3 ) . ( 1 ) Giorn . ital., 1804, 21 , 23 , 25 gennaio ; n . 9, 10, 11 ; pp. 35-36 , pp. 39-40, pp. 43-44 : Varietà : ( vedi in precedenza, p . 163 ) . ( 2) G. OTTONE, Vincenzo Coco è il risveglio della coscienza nazionale, Vigevano, Unione tipografica vigevanese, 1903, Ap pendice B. LABANCA, op . cit., p. 407 e sgg. (3) G. OTTONE, op. cit., p. 4. 218 « Le ragioni che possono suggerire il pensiero di una certa affinità tra i due scrittori sono parecchie : 1° la tradizione, superficiale e scolastica più che al tro, della trasmissione dell'ideale unitario ; 2º una certa affinità nelle circostanze che hanno sug gerito all'uno e all'altro scrittore di attendere alle fatiche dello scrivere ; 30 il comune intento di ricamare sul tessuto della storia il disegno della loro personale esperienza e delle loro convinzioni; 40 le frequenti citazioni che il Cuoco appunto fa di detti e sentenze del Machiavelli; 50 la comune ammirazione per Roma repubbli cana » ( 1 ) . Ma non è questo che a noi interessa vedere, poi che i paralleli hanno sempre un valore approssimativo, dato che prescindono dalle mutevoli condizioni dei tempi, che di volta in volta sono e non si riproducono più, onde il Rinascimento, fenomeno sopra tutto culturale e in su bordinata politico, non si può mai raffrontare col Risor gimento , fenomeno soprattutto politico sebbene anche culturale. Quel che a noi invece interessa , ripeto, è la nuova luce che il Cuoco riverbera sul segretario di Fi renze, onde per vie diverse da quelle che tiene Ugo Fo scolo, tende a scagionarlo dai « giudizi ingiusti che il maggior numero degli uomini dà sugli scritti suoi » . A ciò immagina che un suo amico conservi il mano scritto d'uno de' suoi antenati, che visse nel secolo di Leone X ed ebbe rapporti con i grandi uomini del tempo : in questo manoscritto l'avo descrive una sua conversa zione col Machiavelli sovra un tema politico. La discolpa del grande fiorentino non potrebbe essere più completa e sicura . « Il maggior numero ( degli uomini), dice il Machiavelli, è ingiusto, perchè pieno di passioni e servo de' partiti. Io ( 1 ) G. OTTONE, op. cit ., p. 51. Giustamente nota l’A. che l'ideale unitario nel Machiavelli è scolastico, laddove nel Cuoco è più profondo ed intimo. 219 ho voluto scrivere senza passione veruna ; non ho seguito nessun partito , e li ho offesi tutti. Ho scritto per gli uomini ragionevoli, e questo è stato il mio torto : gli uomini ragionevoli son pochi » . Il Cuoco perciò intende studiare e giudicare il Machia velli realisticamente, da un punto di vista storico, pre scindendo da ogni giudizio a priori ( 1 ) . Ha il Machiavelli insegnato massime di tirannia ai Me dici , ha preso per modelli uomini scelleratissimi quali Ca struccio e il duca Valentino ? Nulla di tutto ciò . Egli ha visto i costumi e gli ordini dei suoi tempi, e li ha descritti. Ha detto ai principi : che fate ? voi non sapete essere nè buoni nè cattivi, voi finirete con l'essere nulla e vi per derete; voi non avete religione e virtù, necessarie allo Stato, e finirete per distruggerle negli altri. Ha detto : siate giusti, e, se pure qualche volta vorrete permettervi di derogare dalle leggi della giustizia, sia questo a voi soli permesso, non agli altri, non a tutti. Ecco un Machia velli più umano dell'uomo foscoliano : che temprando lo scettro a' regnatori gli allòr ne sfronda, ed alle genti svela di che lagrime grondi e di che sangue. ( 1 ) Che questa sia proprio la posizione, sulla quale il Cuoco crede di poter pervenire ad una esatta comprensione di Ma chiavelli politico, lo dimostra assai bene un passo di un altro suo articolo : Giorn. ital., 1806, 5, 6 , 7, 8 gennaio , n . 5 , 6, 7, 8 ; p. 19, pp. 23-24, pp. 27-28 , pp . 31-32: Politica ( ristampato in Scritti vari, v . I, pp. 201-213 col titolo La politica inglese e l’Italia ). « Quelli li quali leggono » scrive il Cuoco « le opere di Macchiavelli colla stessa attenzione colla quale leggono un romanzo, e quegli altri i quali lo giudicano senza averlo letto ( com'è accaduto al padre Possevino ed a tutta la scuola ge suitica ) credono che Macchiavelli abbia date lezioni di tiran nide o abbia voluto rappresentar quella stessa parte che rap presentò Samuele al popolo ebreo . Io son persuaso che Mac. chiavelli non volle fare nè l'una nè l'altra cosa, ma vide i costumi e gli ordini de' suoi tempi, e ne giudicò con una mente la quale era superiore ai tempi suoi , e che in conseguenza doveva esser per necessità ammirata o biasimata, e sempre senza ragione, perchè non era mai ben compresa » . 220 Ma perchè invece di parlare ai sovrani non ha parlato ai popoli ? Ha tentato di parlare anche ai popoli, ma si è avveduto che avrebbe parlato, dati i tempi, invano. I principi si muovono per il loro potere, i popoli per la loro virtù. Sperimentati i popoli tra i quali viveva, non ha potuto dir loro : fate uso della vostra virtù ; essi non l'avevano. Invece si è rivolto ai principi ed ha detto : fate uso del vostro potere ; e questo precetto prima o dopo avrebbe dovuto produrre gli stessi effetti del primo, « perchè è tanta l'efficacia della virtù che, anche simulata, vale a ricomporre gli animi e gli ordini delle nazioni » . Ma perchè ha scelto come suo esempio il duca Valentino ? Perchè quelli che il duca oppresse e distrusse erano più scellerati di lui, e fra tanti scellerati ha preferito quello « che almeno dirigeva le sue scelleraggini ad un fine più nobile e tendeva a riunir l'Italia, che gli altri, con iscel leraggini più vili , dividevano e desolavano » . Da queste notazioni scaturisce ben netto il giudizio che il Cuoco fa del Machiavelli, giudizio ben diverso da quello che ne davano tutti gli storici e ne dà lo stesso Foscolo, che si arresta sbigottito di fronte alla crudezza e alla rigidità delle massime politiche dell'autore del Principe. Ma il molisano troppo vigile senso storico e troppo realismo ha in sé per arrestarsi, ed il suo giudizio infine coincide con quello di Francesco De Sanctis (1). Conobbe questi proprio lo scritto cuochiano ? Io ne du bito assai ; ma certo è che i due critici si incontrano, spinti forse ad un punto comune da un solo ideale, da studi similari sovra la grande opera vichiana, da un eguale temperamento meridionale, più nobilmente concreto nel suo idealismo critico che non astratto in un nebuloso atomistico positivismo. ( 1 ) « C'è un piccolo libro del Machiavelli, tradotto in tutte le lingue, il Principe, che ha gittato nell'ombra le altre sue opere. L’autore è stato giudicato da questo libro , e questo libro è stato giudicato non nel suo valore logico e scientifico, ma nel suo va. lore morale. E hanno trovato che questo libro èun codice della tirannia, fondato sulla turpe massima che il fine giustifica i mezzi e il successo loda l'opera. E hanno chiamato machia. 221 Il Cuoco risulta da questo nostro esame un esaltatore caldo delle glorie italiche, ma la sua esaltazione non è un'esaltazione cieca fanatica, bensì cosciente illuminata da fine senso storico, per cui ogni uomo, poeta o statista, ogni fenomeno politico, glorioso od infausto, deve inse rirsi nel suo tempo, ove trova le sue radici, cioè la sua determinazione genetica. Dante è Dante nel suo tempo ; Machiavelli è Machiavelli nel suo. Quel che per essi potea avere una ragione, per noi può anche non averla. In ogni caso noi non dobbiamo essere dinanzi a loro passivi, ma assorbirli, farli nostri, sentirli, fare la loro esperienza no stra, affinchè la loro vita spirituale non resti campata in cielo ma si saldi con la nostra, e si continui e si perpetui. Quest'alta dignità umana di Vincenzo lo differenza ben nettamente dagli stessi suoi cooperatori. Ben rivela a questo proposito l ' Hazard che, per esempio, il Benin casa esercita nel giornale una propaganda continua d'ita vellismo questa dottrina. Molte difese sonosi fatte di questo libro , ingegnosissime, attribuendosi all'autore questa o quella intenzione più o meno lodevole. Così n'è uscita una discussione limitata e un Machiavelli rimpiccinito » . ( F. DE SANCTIS , Storia , v . II , p. 50) . « Machiavelli bisogna giudicarlo da un alto punto di vista . Ciò a cui mira è la serietà intellettuale, cioè la precisione dello scopo, e la virtù di andarvi diritto senza guardare a destra e a manca e lasciarsi indugiare o traviare da riguardi accessorii o estranei. La chiarezza dell'intelletto, non intorbidato da elementi so prannaturali o fantastici o sentimentali, è il suo ideale. E il suo Eroe è il domatore dell'uomo e della natura, colui che com prende e regola le forze naturali e umane, e le fa suoi istru menti. Lo scopo può essere lodevole o biasimevole ; e se è degno di biasimo , è lui il primo ad alzare la voce e protestare in nome del genere umano.... Ma, posto lo scopo, la sua am mirazione è senza misura per colui che ha voluto e saputo con seguirlo . La responsabilità morale è nello scopo, non è nei mezzi. Quanto ai mezzi, la responsabilità è nel non sapere o nel non volere, nell'ignoranza o nella fiacchezza. Ammette il terribile ; non ammette l'odioso e lo spregevole. L'odioso è il male fatto per libidine o per passione e per fanatismo, senza scopo. Lo spregevole è la debolezza della tempra, che non ti fa andare là dove l'intelletto ti dice che pur bisogna andare » . ( F. DE SANCTIS , Storia , v. II , p. 69 ) . 222 lianità esaltata, che finisce per divenire noiosa nella sua metodicità, che fa pensare al partito preso. Si tratta di geografia : sono gli italiani che hanno scoperto India ed America ( 1804, n. 6 ) ; si tratta del sistema di Gall: esso è stato preceduto da trovate di italiani ( 1804, n. 140) ; si tratta d'arte tipografica : il primato italico con i vari Bo doni è indiscusso ( 1805, n. 55) : e così in materia di belle arti, di poesia, di teatro (1 ) . Il Cuoco ha un altro metodo, spesso esagera sull'infe riorità dei suoi connazionali di fronte agli stranieri, ma esagera non per altro che per provocare una specie d'emu lazione, una specie di slancio a cose più alte. Nè è a dire però che la lode manchi al Cuoco, no, anzi gli abbonda, e si rivolge non solo ai grandi antichi, ma anche ai contemporanei più eletti o a coloro che da poco sono mancati ai vivi . E in quest'elogio quasi sempre co glie nel segno, e le sue osservazioni sono quanto di più giusto si possa concepire. Esprime un giudizio su Verri, ed il giudizio gli sgorga caldo, come un'apoteosi. « Egli fu » scrive « sublime filosofo , profondo letterato ; il primo storico della sua patria, la quale avanti di lui non aveva avuto che cronichisti privi per lo più di filosofia , di cri tica , di gusto ; magistrato zelante, attivissimo, autore o almeno parte principale di tutte le utili riforme che can giarono quasi interamente la vita politica della Lom bardia austriaca » . E il Verri richiama alla mente un altro grande, che in una disciplina delicatissima, come quella dei delitti e delle pene, segna l'inizio d'una nuova èra. « A Verri deve l'Europa Beccaria. Egli fu quasi l'oste trico di un genio grandissimo che taceva compresso dal l'indolenza a cui era portato per fisica costituzione » (2) . Spesso sono nomi, grandi ma non abbastanza noti, quelli ai quali si riferisce, e allora il Cuoco si accalora e la parola diviene incitatrice ed eloquente, sebben dolorosa ( 1 ) P. HAZARD , op . cit. , p. 235. ( 2) Giorn : ital., 1804, 4 luglio, n . 80, p. 323-324, Scrittori clas sici italiani di economia politica. 1 223 nello stesso tempo per la incomprensione degli italiani . Parlando d’economia trova modo di ricordare un pio niere di questa scienza e di richiamarvi l'attenzione na zionale, Giammaria Ortez . « Chi era questo Giammaria Ortez ? Ecco una domanda che tutti gl'italiani fanno, e che intanto farebbe torto a tutti gl'italiani se un uo mo di tanto merito quanto Ortez, non avesse voluto egli stesso rimanersene ignoto, non sapremmo dir se per mo destia o per orgoglio ; modestia sempre lodevole, orgoglio spesso nobile in un secolo corrotto, ma tanto l'una quanto l'altro eccedenti quei limiti tra quali si contiene la virtù » ( 1 ) . In questa difesa del nome italico il molisano muove contro tutti gli stranieri che a lui ingiustamente s’oppon gono e divengono dispregiatori delle glorie nostre . Recen sendo infatti nel giornale un opuscolo di Vincenzo Monti , Del cavallo alato d'Arsinoe, nel quale il poeta si scaglia contro Salvatore De Coureil, che con gallica fatuità aveva osato menomare glorie purissime d'Italia , il Cuoco lo loda assai di ciò . « Noi non entriamo in questa disputa.... Ma il sig. De Coureil chiama Parini cattivo poeta ; Alfieri, se non mediocre, almeno non degno di tante lodi quante gliene dànno gli italiani sol perchè non hanno altri tra gici; ecc. ecc.... Haec non sana esse, non sanus juvet Ore stes » ( 2 ) . ( 1 ) Giorn . ital . , 1804, 24 novembre, n. 141 , p. 573 : Economisti italiani. ( 2) Giorn. ital. , 1804, 24 novembre, n. 141 , p. 574 : Il cavallo alato di drsinoe di V. MONTI. Nè la tutela vigile che il Cuoco fa del buon nome italico s’ar resta qui: allorquando « un Lalande dice con pueril sangue freddo, che l'Italia non ha oggi un solo ( un solo ? ) uomo di merito» ; allorquando il tragico -comico, drammatico -sentimen tale e memorioso Kotzebue tratta tutti gl'italiani da ignoranti , da incolti e quasi da canaglia » (Giorn . ital., 1805, 18 agosto, Sup plemento al n . 98 , pp. 577-8 , Necrologia ), egli è là , e s'appa lesa bellicoso difensore d'italianità. Recensisce un opuscolo di Luigi Bossi, in cui questi vendica « l'onore italico trattato con poca civiltà dal sig . Akerblad » , egli pur sempre ha dinanzi a sè un alto fine civile: la difesa delle nostre intangibili glorie 224 Da questa rapida scorsa attraverso il Giornale italiano appare chiara la posizione di Vincenzo. « Noi italiani ab biamo un maggior numero di uomini grandi che non le altre nazioni », ma noi non li conosciamo neppure per la nostra apatia : « longa urgentur nocte, carent quia vate sacro » ( 1 ) . La pianta uomo da noi cresce florida, ma gli ' italiani non la coltivano; e, se vicendevolmente non si ignorano, gli italiani si disconoscono. « Dotati gl' italiani dalla natura di grandissimo ed acutissimo ingegno, non mancano di cognizioni ed osservazioni, e nell'angolo più incolto si ritrova talora un uomo il quale vale per dieci accademici. Che pro ? Le sue osservazioni, le cognizioni sue vivono una brevissima vita, ristretta tra i confini di una picciola terra e muoiono con lui. Gli italiani sono grandi, ma l'Italia rimane picciola » ( 2 ) . E così gli stra nieri si avvantaggiano su noi : scoperte che furon fatte da italiani, poi vengon ripresentate come novità francesi o inglesi, e magari da noi ammirate, da noi che forse le avevamo vilipese e trascurate . E nel rilevare ciò Cuoco non esita a discendere a problemi pratici, per dimostrare, per esempio, come un ramo d'industria, la pastorizia « tanto utile » e largamente sfruttata all'estero, sia stata esercitata tecnicamente per la prima volta da un italiano, il Dandolo, il quale poi l'ha diffusa con grande dottrina e ripetuta esperienza ( 3 ) ; come, ancora , certe pratiche agricole generalizzate in Inghilterra o altrove, siano po steriori d’un buon secolo a ricognizioni nostre, del tutto (Giorn. ital. , 1805, 22 luglio , n . 87 , p. 470 : A proposito della « Lettre » di L. Bossi allo SCHLEGEL ). Sovra Lalande, Kotzebue e Akerblad vedi G. Cogo, op . cit., p. 89-90, ove di essi si parla esaurientemente, dando biblio grafia e notizie . ( 1 ) Giorn. ital . , 1804, 28 marzo , n . 38, p. 152 : Scrittori italiani di economia politica. ( 2 ) Giorn. ital., 1804, 19 novembre, n. 139, p. 566 : Biblioteca di campagna , ecc. ( 3) Giorn . ital., 1805, 25 febbraio, n. 24, p. 96 : Del governo delle pecore spagnole e italiane , ecc. , saggio di VINCENZO Dan. DOLO: sovra il Dandolo vedi G. Cogo, op. cit. , p. 88. 225 nostre secondo il giudizio degli stessi stranieri ( 1 ) ; come, infine, addirittura pretese scoperte fisiche intorno a cui inglesi e galli si disputano il primato siano scoperte, ri trovati di un filosofo il cui nome va per la maggiore, nientemeno di Giambattista Vico ( 2 ) . Tutte queste osservazioni rispondono ai mezzi, con cui il Cuoco si propone di raggiungere il suo fine : la formazione della coscienza nazionale e dello spirito pubblico. Bisogna cominciare a misurarci con gli stranieri, ond'essi così ci p. 87. ( 1 ) Giorn . ital., 1805, 31 ottobre, 2 , 4 novembre; n. 148 , 150, 152; p. 874, pp. 882, p. 889-90 : Giudizio sopra tre istituzioni agrarie. A proposito di questo articolo vedi G. Cogo, op. cit. , ( 2 ) « Abbiamo parlato della scoperta fatta da un inglese della virtù che hauna sfera magnetica nuotante nel mercurio di rivolgersi intorno al proprio asse, e d'indicare così la la titudine e la longitudine. Ora i francesi disputano agli in glesi l'onor della scoperta, e pretendono che questo fenomeno trovasi descritto nelle Efemeridi geografiche di Busch, 1803. È pur graziosa cosa veder altri popoli disputarsi la gloria di ciò che è italiano. Nella Vita che Vico ha scritto di sè stesso ( e la scriveva circa il 1730 , quasi un secolo prima di Busch e del l'inglese ) , quest'uomo parla di una nuova teoria che egli avea imaginata per ispiegar il fenomeno della calamita, e da questa sua nuovateoria trae la conseguenza che la calamita non solo si dirige al polo, ma anche al zenit, onde vien poi la rotazione intorno al proprio asse, l' imitazione, diciam così, del giro della terra, ecc. Ķico conchiude dicendo che questa nuova proprietà si sarebbe osservata tosto che si fossero fatte dell'esperienze, in modo che la calamita avesse potuto svilupparla. Non parliamo della ragione che mosse Vico a far questa congettura : essa era figlia di una ipotesi forse falsa . E qual altra ragione può aver altro fondamento che un'ipotesi , o qual altra ipotesi può dirsi vera ? Del resto Vico proponeva un'esperienza : dovea farsi e non si fece. Ma già da due secoli l'Italia non mancava di sommi ngegni, perchè questi li producono il suolo ed il cielo : però l'italiani più non navigavano, più non commerciavano ; i overni non si curavano di nulla ed i privati curavan solo lo studio delle leggi o della medicina, dal quale speravan ric chezza, quello della teologia , che li promoveva ad un canoni cato, e qualche sonetto, unico mezzo che un uomo d'ingegno avea per vedersi aprire la casa d'un grande... » . (Giorn. it. , 1804, 6 'ottobre, n. 120, p. 489, Senza titolo : vedi V. Cuoco, Scritti vari, v. I , p. 244. 15 F. BATTAGLIA, 226 appariranno sempre meno grandi di quello che presu mono di essere, e noi appariremo sempre più grandi di quel che noi stessi non crediamo. Se essi poi di fatto « sono oggi più grandi di noi » ; « non importa : appariranno sem pre tanto meno grandi quanto più ci saranno vicini, e perderanno quella riverenza che suole aversi per le cose lontane » ( 1 ) . Ma in quest'esaltazione dell'italianità l'autore del Sag gio storico non è cieco, anzi, laddove vede una deficienza, la rileva, la rileva, direi, con crudeltà e freddo sguardo d'anatomista. Gli italiani, per esempio, hanno rinvenuto quella filosofia delle lingue che è una scienza tutta nostra , ma i piccoli nipoti , i discendenti di quel Vico, che in essa tant’orma stampò, non che curarla, l'hanno abbando nata ( 2 ) : gli italiani hanno creato i più splendidi melo drammi e libretti, che si conoscano, orbene, oggi essi stessi non sono capaci di darci nulla più di buono, e la deca denza del libretto porta seco la decadenza della musica ( 3 ) : gli italiani un dì maestri nella difficile arte della sacra eloquenza, oggi sono inferiori agli stranieri che da noi hanno appreso ( 4 ) . Questa posizione critica, che tanto distingue l'italiani smo del Cuoco da quello del Benincasa o del Lomonaco, si rivela anche nel terzo mezzo dal molisano adottato per creare un sentimento unitario : il ragionar di frequente delle cose nostre. « Delle cose nostre o non ne abbiamo parlato, o ne abbiam parlato con insensato disprezzo e con più insensata lode ; cose le quali, sebbene opposte, pure per la natura dello spirito umano, che oscilla sempre tra gli estremi, non sono inconciliabili tra loro ». Delle cose nostre occorre invece ragionare obiettivamente, senza ( 1 ) V. Cuoco, Scritti vari, v. I , p. 5. ( 2 ) Giorn . ital. , 1804, 25 febbraio, n. 24 : Sullo studio delle lingue ( ristampato in Scritti vari, v . I, p. 78 e sgg., col titolo G. B. Vico e lo studio delle lingue come documenti storici). ( 3 ) Giorn. ital . , 1804, 8 ottobre, n. 121 , p. 493: Spettacoli. ( 4 ) Giorn. ital., 1804, 25 aprile , n. 50, p. 200 : Varietà ( ristam pato in Scritti pedagogici, pp. 16-22; ed ora in Scritti vari, v. I , pp. 89-92, col titolo di Eloquenza ecclesiastica ) . 227 accenderci troppo, con scienza e ragione, e allora saremo davvero illuminati, e allora troveremo « mille volte motivi di renderci migliori e non mai di crederci pessimi » ( 1 ) . A questi princípi superiori il nostro uniforma l'analisi, che, di volta in volta, fa dei più importanti fenomeni del tempo. Recensendo, per esempio , un libro dell'avv. An tonio Corbetta sulla malavita , ( 2 ) ritiene che tra le altre cause, che questa alimentano, la più importante și debba ritrovare nell'educazione insufficiente. « Noi non abbiamo costume » . « Noi non abbiamo educazione fisica » . « Noi non abbiamo educazione dello spirito. I figli del popolo non imparan da fanciulli nulla di ciò che.... dovrebbero sapere quando sono adulti». Ecco come Cuoco getta rapi damente la luce sul fenomeno, e dal fenomeno risale alle cause , anzi alla causa per eccellenza, più remota, ma più vera . Provvedimenti di sicurezza ? Ma questi sono insuf ficienti per eliminare il male, una volta note le cause de terminanti. Se volete estirpare la delinquenza, consiglia Vincenzo, i mezzi non sono la reazione e il carcere, ma le istituzioni sociali con una intensa opera di pedagogia preventiva. Che abbiamo fatto, si domanda, in questo campo ? Nulla. Ecco come un problema giuridico diviene un problema di natura superiore, pedagogico, anzi filosofico : l'educa zione del popolo, di cui il Cuoco è il più strenuo soste nitore , e che egli pone sovra basi nuove e geniali. Ma questo problema, che poi è il fulcro del pensiero del mo lisano, il problema insomma per eccellenza, noi esamine remo più a lungo, quando verremo a parlare del Rap porto e Progetto di decreto per l'ordinamento della pubblica istruzione nel regno di Napoli. ( 1 ) V. Cuoco, Scritti vari, v. I , p. 6 . (2) Giorn. it ., 1804, 20 agosto, n . 100, p. 410 : Osservazioni di un ex giudice , ecc . CAPITOLO VI. Il « Platone in Italia » e la tesi di un antico primato italico. Deficienza artistica filosofica e storica del « Platone » . – Suo - valore ideeale nella formazione d'una nuova coscienza na zionale. - Antico primato italico preellenico. - Unità. - Educazione del popolo. Governo dei migliori . – Stato e religione. - Lotta di classe , - Cuoco e Gioberti. L'opera pubblica e pedagogica di Vincenzo Cuoco nella Repubblica e nel Regno italico non si esaurisce nei molte plici articoli del Giornale italiano, di cui noi abbiamo rile vato soltanto i più importanti, quelli che meglio servivano a documentare particolari punti da noi presi in esame, ma si continua nel Platone in Italia, nuova ed alta testi monianza di quello spirito che abbiam visto in opera ininterrottamente dai Frammenti agli scritti del foglio milanese. Questo sentimento nazionalistico, che ha il suo centro sol nello spirito e non fuori di esso, è la gran trovata, il punto fermo del molisano, e compenetra il Platone. Quello stesso uomo, nota giustamente Paul Hazard ( 1 ) , che nel 1801 scriveva che avrebbe « amato di morir per la sua patria » , con la sua Napoli, « poichè essa più non esiste », ( 1 ) P. HAZARD, op. cit. , p. 243. 229 mentre egli vive ancora, ed aggiungeva che ad essa ha consacrati tutti i suoi pensieri ( 1 ) ; ora consapevole sem pre di più di quanto nel Saggio storico ha pur detto, cioè che « l'amore di patria.... nasce dalla pubblica educa zione » ( 2 ) , ora scrive una nuova opera il cui solo fine è sempre lo stesso da noi precedentemente dichiarato : creare lo spirito nazionale, e crearlo, presentando quanto più spesso si possa le memorie dei tempi gloriosi . Che questo sia lo scopo del Platone in Italia nessun dubbio : è Cuoco stesso che ce lo dice. Il Platone scrive l'autore , prossimo a pubblicare il terzo ed ultimo volume del suo romanzo, in una lettera al vicerè Eugenio è « diretto a formar la morale pubblica degl'italiani, ed ispirar loro quello spirito d’unione, quell’amor di patria, quell’amor della milizia che finora non hanno avuto » ( 3 ) . Il Platone perciò è un romanzo a tesi, o, se volete , un romanzo didattico, se con ciò noi vogliamo riferirci al suo fine, lasciando impregiudicata assolutamente l'ulte riore valutazione artistica. E chi lo legge con cura non può non accorgersi di questo scopo , estrinseco sì all'arte, ma non allo scrittore, di questo scopo che egli persegue, e per il quale solo sembra vivere. La trama in sè è tenuissima, tanto tenue che lo scrit tore quasi non se ne accorge, onde appena l'abbozza per tosto sorvolarla : un giovane greco, Cleobolo, fa un viag gio culturale nella Magna Grecia al principio del quinto secolo di Roma, con il suo grande maestro Platone, vi sita le più importanti città d'Italia, Taranto, Metaponto, Eraclea, Turio, Sibari, Crotone, Locri, ecc . , conosce di rettamente o indirettamente i più fieri popoli della pe ( 1 ) G. ROBERTI, Lettere inedite di G. Botta, U. Foscolo e V. Cuoco, in Giornale storico della letteratura italiana , a. XII ( 1894), v. XXIII , pp. 416-427. La lettera del Cuoco è ora ri prodotta in Scritti vari , v. II , p . 302. ( 2 ) V. Cuoco, Saggio storico , p. 91 . ( 3) A. BUTTI, Una lettera di V. Cuoco al Vicerè Eugenio nella miscellanea Da Dante al Leopardi, per Nozze Scherillo -Negri, Milano, Hoepli ed. , 1904, pp . 529-40. La lettera è ora ripro . dotta in Scritti vari, v. II, pp. 334-338. 230 nisola, i sanniti e i romani, ammira le opere d'arte, di sputa di filosofia, si innamora d'una bella ragazza, Mne silla, stringe con essa un bel nodo d'amore. La trama è questa, ma vien meno dinanzi a l'urgere d'un contenuto didascalico svariatissimo, che la spezza, la frantuma, e in fine ce la fa dimenticare. Nè il Platone in Italia è sotto questo riguardo un ro manzo originale. Anzi ha i suoi bravi antecedenti, tra cui sopra tutti importante quel Voyage du jeune Ana charsis en Grèce, che nel secolo XVIII ebbe una grande diffusione in Francia e fuori, che ovunque ebbe ammira tori ed imitatori. Ma nella maggior parte de' casi , come nota il De Sanctis, il viaggio è « un semplice mezzo, con un altro scopo ed un altro contenuto », che non sia quello vero e proprio di descrivere paesaggi e monumenti. « Lo scopo non è più il viaggio ; ma l'espressione di certe idee e sentimenti, fatta più agevole, con questo mezzo » . I secoli XVIII e XIX amarono il romanzo viaggio, come del resto anche il romanzo -epistolario , perchè col suo meccanismo si piega ad ogni finalità . Il Platone anzi è nello stesso tempo viaggio ed epistolario , è un insieme di lettere spedite visitando l'una dopo l'altra le varie città d' Italia. « Il viaggio, come forma letteraria, può servire a qua lunque scopo ed avere qualunque contenuto ; è cera, che può ricevere ogni specie d'impressione; marmo, che può configurarsi secondo il capriccio dello scultore. È diffi cile trovare una forma più libera, più pieghevole al vo stro volere. Passate da una città in un'altra : nessun limite trovate al vostro pensiero . Potete incontrarvi con gli uomini che vi piace ; immaginare ogni specie d'acci denti ; saltare dalla natura ai costumi, da' costumi al l'anima; visitare, qua e colà, come vi torna meglio ; rin chiudervi, tutto solo, nella vostra stanza, e fantasticare, filosofare, poetare, mescere, a vostro grado, sogni , ghiri bizzi e ragionamenti, dialoghi e soliloqui, visioni e rac conti . Se voi vi proponete uno scopo particolare, questo v ' impone il tal contenuto, il tale ordine, la tal propor zione: insomma v’impone un limite, che non procede 231 dal mezzo liberissimo di cui vi valete, ma dal fine che avete in mente » ( 1 ) . Ma se voi leggete l'opera del Barthélemy e la raffron tate con l'opera cuochiana, una differenza vi balzerà su bito agli occhi, nell'alto fine che il nostro scrittore s'è proposto e che nel francese, naturalmente, manca del tutto. È il fine quello che interessa il Cuoco, e che da lungo tempo egli persegue ne' più vari modi. Il Giornale italiano, a questo proposito, ci mostra come l'idea d'un viaggio educativo nei vari reami della storia si sia al molisano altre volte presentata. « Tra tante opere che ci si dànno ogni giorno, buone, mediocri, cattive » quella descrivente un viaggio, per esempio, nel secolo di Leone X, « non sa rebbe certamente la meno utile per la nostra istruzione e per la nostra gloria » . Così scrive, e di questo viaggio ideale, di cui immagina che un suo amico conservi l'an tico manoscritto d'un suo maggiore, dà un saggio in quel colloquio col Machiavelli che abbiamo a più riprese ve duto ( 2 ) . Il fine dunque è quello che occupa l'animo del nostro , e questo domina tutto, soffoca, purtroppo, ogni intendimento che pedagogico non sia ( 3 ) . Il romanziere cerca di scusare questa deficienza di trama, che si risolve in una deficienza fantastica e quindi in una deficienza artistica, e nella prefazione scrive che la sua storia fu rinvenuta in un antico manoscritto, auten tico , perchè ritrovato da suo nonno proprio fra le fonda menta d'una sua casa, ergentesi sovra quel suolo ove un dì superba fu Eraclea, manoscritto che è lacerato in varî punti e perciò lacunoso , onde varje situazioni, prima ac cennate, non sono poi svolte e tanto meno condotte a fine: ma questa è una scusa che non scusa nulla, poichè tutti sanno che il manoscritto non è se non nell'immagi nazione del Cuoco, nè più nè meno come l'anonimo ma ( 1 ) F. DÉ SANCTIS, Saggi critici, v . III , pag. 290 e seg . ( 2 ) Giorn. ital . , 1804 ; 21 , 23, 25 gennaio ; n . 9 , 10, 11 , pp. 35-36, pp. 39-40, pp. 43-44 : Varietà (vedi p . 163 del nostro lavoro ) . ( 3) L. SETTEMBRINI, op. cit ., v. III, p. 282. 232 noscritto dei Promessi Sposi è nell'immaginazione di Don Alessandro . Perciò l'esiguità della trama si deve unicamente al sopravvento di fini estrinseci all'arte , pedagogici e dida scalici . E gli stessi personaggi, che la piccola trama lega , sono e non sono : noi li vediamo e non li vediamo : so prattutto noi non li vediamo mai in azione, in atto , con i loro caratteri e con le loro passioni . A rigore possiamo dire che non sono protagonisti di nessun dramma, poichè ci appaiono, se mai, nella stessa funzione del prologo in certi antichi componimenti teatrali, che si limita ad an nunciare ciò che fu o sarà e fa alcune sue considerazioni . Essi hanno perciò un nome, come ne potrebbero avere un altro : non sono essi quelli che contano, conta quel che dicono, o che per essi dice Cuoco. Da questa condizion di cose, è evidente, scaturisce un dissidio insanabile tra quello che è arte, e che perciò non ha nè può avere un fine estrinseco a sè stessa, e lo scopo stesso dichiarato dall'autore : il rammentare agli italiani « che essi furono una volta virtuosi, potenti, felici » ; « che furono un giorno gl'inventori di quasi tutte le cognizioni che adornano lo spirito umano » ( 1 ) . Come il Vico nel De antiquissima italorum sapientia si pone dinanzi il fine di dimostrare qual filosofia si debba trarre dalle origini della lingua latina, quella filosofia che in antico dovè certo essere professata dai sapienti ita liani ; così il Cuoco si propone di dimostrare che, nel pas sato più remoto, tra i popoli, che abitarono la nostra penisola, ve ne furono di civilissimi, popoli, la cui ci viltà fu persino anteriore alla civiltà ellenica, che dalla prima ricevette luce, e non viceversa. E come « chi vo glia intendere il De antiquissima non deve tenere nessun conto del suo titolo e del proemio , e di tutte le vane investigazioni che qua e là , vi ricorrono dei riposti con cetti , che, secondo il Vico supporrebbero talune voci la tine, per considerare unicamente in sè stessa questa dot ( 1 ) V. Cuoco, Platone, v. I , p. 3. 233 trina che egli pretende rimettere in luce dal più vetusto tesoro della mente italica, e che non è altro che una dot trina modernissima, quale poteva essere costruita da esso Vico nel 1710 » ( 1 ) ; così chi voglia comprendere il vero spirito del Platone deve prescindere dall'esil nucleo ro mantico , come dalla faticosa ricostruzione archeologica , e considerarlo nella sua attualità, poichè esso non esprime i pensieri nè di Archita nè di Cleobolo, ma i pensieri del Cuoco, scrittore del Regno italico, meditante sulle pro prie personali esperienze, e non sulle esperienze di ven ticinque secoli avanti : all'anno di grazia 1806 vanno, per esempio , riferite tutte le abbondanti considerazioni sulle leggi, sulla religione, sulle istituzioni, sulle rivoluzioni, Ma l'opera del Vico è un'opera dottrinale, filosofica, per cui lo sforzo di superamento temporale è facile, mentre l'opera del Cuoco è un romanzo che vuol pure essere consi derato dal punto di vista dell'arte : da ciò un insormon tabile dualismo, onde noi veniamo risospinti dall'Italia del VI secolo di Roma all'Italia del secolo XIX di Cristo, da Platone a Vico, da Archita a Napoleone, dai filoneisti di Taranto ai giacobini di Francia , da Alcistenide e Nicorio a Monti ( 2) . E in questo urto di due visioni opposte e con trastanti l'arte fugge via, e noi non sappiamo ove finisca la finzione e cominci la realtà . La funzione è troppo evi dente, perchè noi possiamo ingannarci. V'è troppa eru dizione, troppi richiami di testi classici, e non solo greci, ma anche latini , medievali, moderni, perchè la fantasia possa godere d’una pura contemplazione. E chi è quella Mnesilla, che disputa così bene d'arte e di musica, se non un'estetica moderna, che conosce Vico ? E chi è quel Cleobolo , che cita opinioni del Filangieri e del Pagano, e parafrasa persino versi del Petrarca ? ( 3 ) . ( 1 ) G. GENTILE, Studi vichiani, p . 95. (2 ) L. SETTEMBRINI , op. cit., v. III, p. 284. ( 3 ) In una lettera che Cleobolo scrive all'amata è detto . ( Platone, v. II , p. 114 ). « Così, passando di pensiero in pensiero e dimonte in monte, spesso sopraggiunge la sera ; e , mentre par che tutta la natura dorma, solo il mio cuore veglia, innalzan dosi col pensiero fino a quegli astri eternamente lucenti che 234 E chi è quel Platone, che non ignora i princípi della na zionalità e con Archita disputa di filosofia moderna ! La contaminazione è troppo evidente, e la filosofia pi tagorica e platonica si mesce in uno strano viluppo con quella vichiana. Da ciò, notiamo, scaturisce non solo , come abbiam detto una deficienza grande nell'opera d'arte, ma anche nell'importanza filosofica del Platone in Italia. È questo un'opera d'arte ? un lavoro filosofico ? uno scritto politico ? Nulla di tutto ciò , e pure tutto ciò misto in una unità singolare. Non scritto storico, perchè, « a parte il valore molto discutibile del suo metodo, che egli si proponeva di ragionare e giustificare più tardi, con una di quelle dilazioni, che svelano appunto l' incertezza del pensiero e l'oscurità da vincere, lo scrittore è troppo preoccupato da fini estrinseci alla storia, artistici ed educativi » ( 1 ) ; non filosofia , perchè, com' ho detto, egli non segue un indirizzo unico, ma si trova costretto dal l'imbastitura della narrazione a mescere quel che è pa trimonio dell'antichità con quella vigile coscienza tutta moderna e vichiana della spiritualità del reale ; non opera d'arte per ragioni sovra dette, poichè egli non riesce mai a trovare in sè quell'assoluta pacatezza della fantasia, che sola può generare creature vive. L'arte « non c'è principalmente nota » il Gentile « perchè egli non si dimentica abbastanza in questa visione con fortante, che a un tratto gli sorge nell'animo, di un'Italia grande per virtù private e pubbliche, perchè retta da una saggia filosofia. E corre a ogni po' col pensiero all'Italia per cui scrive, all'Italia presente, piccola, inferma, senza spirito pubblico, senza amor di grandezza , senza orgoglio di nazione, senza forze vive : e ondeggia tra la statua brillano sul mio capo ; e , dopoaverli riguardati ad uno ad uno, il mio occhio si ferma in quella fascia immensa, la quale pare che tutto circondi l'universo . Di là si dice che le nostre anime sien discese, ed ivi ritorneranno.... e rimarranno unite.... per sempre ! » . ( 1 ) G. GENTILE, Studi vichiani, p. 375. 235 che avrebbe da animare, e sè stesso che egli quasi non crede da tanto ; e gli trema la mano » . Non c'è l'opera d'arte, ma il lavoro non è cosa del tutto morta e caduca. Ci sono parti molto belle, in cui realmente l'animo si placa in una commossa visione d'amore, o in un paesaggio italico , ricco di tinte forti calde sfumanti ( 1 ) ; poi c'è una sempre vigile volontà, tesa in un fine, che, se è estrinseco all'arte, non è mai fuori dall'autore, ma pur sempre in lui, e l'accende di sano amore di patria e d'alto nazionalismo. C'è in somma una matura attività dello spirito, che, sia che ( 1 ) Per dare un esempio dell'arte del Platone, trascrivo un brano, che già al RUGGIERI, op. cit. , p. 158 , apparve degno d'attenzione: è una lettera di Cleobolo. « Ieri sera sedevamo in quel poggio il quale tu sai che domina il mare e Taranto. È il sito più delizioso della villa ch'ella tiene nell'Aulone. E noi non sedevamo propriamente sulla sommità, ma in mezzo della falda, come in una valletta, la quale, ren dendo più ristretto l'orizzonte , par che renda più ristretti e più forti i sensi del cuore. Il sole tramontava ; spirava dal l'occidente il fresco venticello della sera, che scendeva a noi turbinosetto per l'opposta falda del colle. Eravamo soli, io ed ella, e nessuno di noi due parlava, assorti ambedue in quella languida estasi che ispira il soave profumo de' fiori di primavera , forse più grave la sera che la mattina ne' luoghi frequenti di alberi. Di tempo in tempo io rivolgevo i miei occhi a lei, ma un istante dipoi li abbassava ; ella li abbassava come per non incontrarsi coi miei, ma un istante dipoi li rial zava , quasi dolendole di non averli incontrati.... Vedi quel l'arboscello di cotogno ? — mi disse ( e di fatti ve ne era uno a dieci passi da me) — vedi come il vento, che si rompe in faccia agli annosi ulivi ed ai duri peri, pare che sfoghi tutta la sua prepotenza contro quel debole ed elegante arboscello ? Quanta verità è in quei versi di Ibico : Il mio cuore è simile al cotogno fiorito, che il vento della primavera afferra per la chioma e ne con torce tutti i teneri rami! ... Tu non hai detti tutti i versi di Ibico ; no escləmai io tu non li hai detti tutti .... Esso è stato nudrito colla fresca onda del ruscello che gli scorre vicino; ma nel mio cuore un vento secco , simile al soffio del vento di Tra cia, divora .... Io voleva continuare ; ma ella mi guardò e le vossi.... Qual potere era mai in quel guardo, in quell'atto ? ... Io non lo so; so che tacqui, mi levai e ritornai in casa , se guendola sempre un passo indietro , senza poter mai più alzar gli occhi dal suolo » . (Platone, v. II , p. 58 ). 236 eccesso e analizzi le antiche istituzioni del Sannio ; sia che valuti i germi della futura grandezza di Roma, sia che da questi discenda ai fatti moderni, e indirettamente dica della ri voluzione francese e de' popoli, che tra un l'altro amano posarsi nelle opinioni medie o magari tro vare la pace in un Napoleone, tiranno restauratore del l'ordine, rivela pur sempre un uomo d'alta coscienza, con sapevole di sè e del suo posto nel suo popolo . Noi dimen tichiamo l'artista mal riuscito , il metafisico contaminato, lo storico poco sicuro , ma ammiriamo il pedagogo, che dai dati concreti della storia umana trae un non perituro insegnamento. Egli parla non a sè stesso, poi che non si pone dal rigido punto di vista subiettivo proprio dell'arti sta, ma a noi, a noi italiani; e per noi vibra, per noi di sputa , per noi parla . Platone non parla al suo discepolo Cleobolo, Archita non parla ai suoi tarantini, Ponzio non parla ai suoi sanniti, ma tutti e tre, attraverso il Cuoco, si rivolgono a noi, e il loro insegnamento mira a formare una più sicura anima italica . Certo questa posizione è un po' monotona, e riporta l'autore ad insistere su punti già precedentemente esposti nel Saggio, nei Frammenti, nel Giornale italiano, ma, se guardiamo l'arduità dello scopo, la difficoltà d'attingerlo, le ripetizioni non appariranno mai soverchie : da noi non si tratta , dice il Cuoco, di conservare lo spirito pubblico, ma di crearlo, e la creazione è opera lunga, spesso do lorosa . La tesi principale del Platone in Italia , che del resto non è una novità cuochiana, ma una trovata del Vico, è che nella nostra penisola vi sia stata una civiltà, come ho detto, anteriore alla greca , quella etrusca, che per il mondo ha diffuso luce di sapere filosofico e splendore d'arte, della quale civiltà quella ellenica e pitagorea è un posteriore riverbero. L'opinione, sia essa tramontata, come pretendono alcuni, per cui le origini greche del pi tagorismo sono indubbie, sia essa vera , come sostengono altri, per cui l'autonomia della civiltà etrusca e delle susseguenti civiltà italiche è parimenti comprovata, è profondamente radicata nel Cuoco, la di cui serietà scien 237 tifica non può essere posta in dubbio. Il Cuoco è forte mente compenetrato di essa, e, laddove crede di vederla comprovata dai fatti, l'animo suo trema d'intima com mozione e di passionata esaltazione . Al tempo del viaggio di Platone la Magna Grecia è in decadenza : molte città, che già furono grandi, vennero nelle civili dissensioni rase al suolo ; altre, che un dì do minarono molte terre, sono ridotte a piccoli borghi ; stirpi, che ebbero un passato glorioso, fiere delle loro milizie e dei loro trionfi, ora languono nell'ozio e nella effemina tezza ; ma, ovunque, a chi mira intimamente le cose s'ap palesano i segni dell'antica grandezza e dell'antica forza, diffusi ne' monumenti architettonici, vivi negli ordini ci vili, parlanti nelle costruzioni filosofiche del pensiero e dell'arte. « Io credo, dunque » dice Ponzio a Cleobolo « ciò che dicono i nostri sapienti, i quali dan per certo che ne' tempi antichissimi l'Italia tutta fioriva per leggi, per agricol tura, per armi e per commercio . Quando questo sia stato, io non saprei dirtelo : troverai però facilmente altri che te lo saprà dire meglio di me. Questo solamente posso dirti io : che allora tutti gl'italiani formavano un popolo solo, ed il loro imperio chiamavasi etrusco » ( 1 ) . Mentre la Grecia è ancor giovane, l'Italia è assai an tica e sul suo vecchio suolo già due epoche s'avvicen dano : l'una è scomparsa, l'altra è in isviluppo, e solo esteriormente potrà dirsi ellenica, nelle innegabili im migrazioni di popoli greci, poichè nel suo spirito è italica, erede della prima : Pitagora, che la impersona, null'altro è che un mito, ma un mito italico, una sintesi concettosa della sapienza, ma una sintesi tutta italica . Come nella natura vi sono terribili sconvolgimenti fisici, per cui la faccia della terra è alterata , i monti si fendono ed aprono larghe valli, in cui scorrono nuovi fiumi che prima non erano, mentre i vecchi veggono alterato il loro corso, così nella storia antiche catastrofi hanno distrutto una fiori tura senza pari e modificato organismi civili possenti. ( 1 ) V. Cuoco, Platone, v. II , p. 157. 238 « Sappi dunque » scrive Cleobolo al maestro, riferendo un colloquio che egli ha avuto con un sacerdote di Pesto « che un tempo tutta l'Italia è stata abitata da un popolo solo, che chiamavasi etrusco. Grandi e per terra e per mare eran le di lui forze ; e, de' due mari che, a modo d'isola, cingon l'Italia, uno chiamossi, dal nome co mune del popolo, Etrusco ; l'altro , dal nome di una di lui colonia, Adriatico . « Antichissima è l'origine di questo popolo ; le memorie della sua gloria si confondono con quella de' vostri iddii e de ' vostri eroi.... « Ma chi potrebbe dirti tutto ciò che gli etrusci opra rono nell’età de' vostri eroi e de' vostri iddii ? Oscurità e favole coprono le memorie di que' tempi. Posso dirti però che gli etrusci estendevano il loro commercio fino all'Asia ; signoreggiavano tutte le isole che sono nel Medi terraneo, ed anche quelle che sono vicinissime alla Gre cia. Dall'ampiezza dell'impero giudica dell'antichità » ( 1 ) . Quest'impero però era troppo grande e poco omogeneo, più federazione di città che Stato unitario, onde esso « avea in sè stesso il germe della dissoluzione. Non mai si era pensato a render forte il vincolo che ne univa le varie parti. Ciascun popolo avea ritenuto il proprio nome : era il nome della regione che abitava, era quello della città principale.... Che importa saper qual mai fosse ? Non era il nome etrusco. Ciascun popolo avea governo, leggi e magistrati diversi. Non vi era nè consiglio, nè magistrato comune se non per far la guerra » ( 2 ) . Da ciò trassero origine grandi mali che distrussero ogni organiz zazione : « la corruzione de' costumi produsse la corru zione delle arti, le quali sono de' costumi ed istrumenti ed effetti » ( 3 ), e poi generò la corruzione della religione, la quale « corrotta accelera la morte delle città » ( 4 ) . Perciò l'Etruria si sfasciò per legge naturale di cose . ( 1 ) V. Cuoco, Platone, v. II , p. 244. ( 2 ) V. Cuoco, Platone, v. II , ( 3 ) V. Cuoco, Platone, v. II , p. 249. ( 4 ) V. Cuoco, Platone, v. II , p. 254. p. 247. 239 « Così cade, o Cleobolo » commenta il divino Platone « qualunque altro impero ove non è unità. Così cadrà la Grecia,, se non cesserà la disunione tra le varie città che la compongono, tra gli uomini che abitano ciascuna città. Imperciocchè, ovunque è sapienza, ivi si tende al l'unità ; all'unità si tende ovunque è virtù , il fine della quale è di render i cittadini concordi e simili ; nè possono . esserlo se non son buoni. La vita istessa di tutti gli esseri non è se non lo sforzo degli elementi, che li compongono, verso l'unità. Ovunque non vi è unità, ivi non è più nè sapienza, nè virtù , nè vita, e si corre a gran giornate alla morte » ( 1) . Ma la morte non è mai interamente morte, bensì tra sformazione, cioè riduzione in nuove forme di vita, forme nuove, che della prima vita mantengono alcuni elementi originari ed altri novelli acquistano. Così l'Italia, dive nuta deserto nella ruina d'Etruria , tosto si ripopola di genti, di nuove città, si riorganizza, si riabbellisce, e al contatto di nuovi popoli, specie i greci, di nuovo si ri presenta composta all'ammirazione universa . Ma questa nuova civiltà , che possiamo dire pitagorea, nella sua es senza è pur essa autoctona, se pure apparentemente elle nistica. Quando le colonie greche si sono stabilite in Italia, già le stirpi indigene dalle montagne eran discese al piano, e due civiltà s'erano espresse. « Noi disputiamo » osserva un italico a Cleobolo « per sapere se i greci abbian popolata l'Italia o gl'italiani abbian popolata la Grecia ; ed intanto è l'una e l'altra regione sono state forse po polate da un altro popolo, ch'è il padre comune de' greci e degl'italiani » ( 2) . Comune è perciò l'origine dei due popoli, ma, stanziatisi in diverse sedi, gl' italiani hanno avuta una fioritura più precoce che non i greci, che pure al V secolo, ai tempi di cui trattiamo, sembrano i più ci vili, i maestri degli italiani in ogni campo dell'umana attività. ( 1 ) V. Cuoco, Platone, v. II , p. 257 . ( 2 ) V. Cuoco, Platone, v . II , p . 220. 240 L'antico primato etrusco però ancor si conserva, tra sformato sì , ma sempre attivo, e si manifesta soprattutto ne' paesi meridionali, ove l'influenza ellena sembra più manifesta. E su questo primato italico il Cuoco insiste, insiste, in siste calorosamente : è la sua tesi nucleare. La pittura era ' in Italia già vecchia ed evoluta, allorquando Panco, fra tello di Fidia, « dipinse ne' portici di Atene la battaglia di Maratona » , riempiendo di stupore i suoi concittadini per la rassomiglianza che seppe mettere nelle immagini dei duci greci e dei capitani nemici ( 1 ) . Furono gl'ita liani che primi « diedero opera alle matematiche, e ne fecero un istrumento principale della loro filosofia » : prima che Teodoro recasse ai greci la scienza degli italiani, in Grecia « le idee geometriche erano puerili, frivole, con traddittorie » ; invece « gl'italiani, potenti per un istru mento di filosofia tanto efficace, han fatto delle scoperte ammirabili in tutte quelle parti delle nostre cognizioni che versano sulla quantità : nella geometria, nella astro nomia, nella meccanica, nella musica ; ed hanno spinte al punto ' più sublime e più lontano dai sensi tutte quelle altre che versan sulla qualità » ( 2 ) . La stessa arte della guerra e delle milizie in Italia si perde nella remotezza de' secoli, onde ancora ai tempi di Platone gli italici mantengono indiscussa la loro supe riorità : « la guerra presso i greci ancora è duello » (3), scienza rudimentale ; mentre presso gli italiani è savio urto di masse e organica distribuzione di manipoli. Le stesse leggi, che regolano la convivenza dei popoli della penisola, sono originarie e nazionali, frutto della loro in tima esperienza sociale, e perciò nel loro complesso im muni da contaminazioni eterogenee. Le romane dodici tavole quindi non sono mai derivate, come alcune storie vogliono , da Atene, poiché Atene nulla poteva dare a un ( 1 ) V. Cuoco, Platone, v. I , p . 252. ( 2 ) V. Cuoco, Platone, v. II, p. 5 . ( 3 ) V. Cuoco, Platone, v. II , p. 119. 241 . popolo, come il romano, discendente da popoli dell’ate niese più antichi. « Vedete dunque » dice Cleobolo ad alcuni legati di Roma « che una parte delle vostre leggi è più antica della città vostra. Un'altra è sicuramente più antica di quei dieci che voi dite aver imitate le leggi di Atene. Voi mi avete recitate le leggi de’ dieci e quelle dei re, le quali dite esser state raccolte da Sesto Papirio sotto il regno del buon Servio Tullio. Alcune, che voi recitate tra quelle, le ripetete anche tra queste. Tali sono tutte quelle che regolano gli auspici, le assemblee del popolo, il diritto di giudicar della vita di un cittadino, e che so io ! Queste dunque già esistevano in Roma ; ed era superfluo correr tanti stadi e valicare un mare tempestosissimo per pren derle da un popolo che non le avea » ( 1 ) . « Tre quarti dunque del vostro diritto non ha potuto esser imitato da noi. Vi rimane una quarta parte, ed è quella appunto nella quale può aver luogo l ' imitazione, perchè può stare, senza sconcio alcuno, ed in un modo ed in un altro. Tali sono le leggi sulla patria potestà, sulle nozze , sulle eredità, sulle tutele.... Ma queste cose sono dalle vostre leggi ordinate in un modo tanto diverso dal nostro, che, se mai è vero che i vostri maggiori abbiano inviati de' legati in Atene, è forza dire che ve li abbian spediti per imparare, non ciò che volevano, ma ciò che non volevano fare.... » ( 2 ) . Passando nel campo delle arti belle, tra gli elleni la poesia drammatica è meno antica che tra gl'italiani : « ben poche olimpiadi » dice un comico italiano, Alesside, a Platone e Cleobolo « contate dalla morte di Tespi e di Frinico, padri della vostra tragedia . Quando il siciliano Epicarmo si avea già meritato quel titolo di principe della commedia, che, più di un secolo dopo, gli ha dato il principe de’ vostri filosofi, Magnete d'Icaria appena bal butiva tra voi un dialogo goffo e villano, che tutta ancor ( 1 ) V. Cuoco, Platone, v. II , p. ( 2 ) V. Cuoco, Platone, v. II , p . 155. 156. 16 F. BATTAGLIA . 242 oliva la rusticità del villaggio ove era nato. Quando la commedia tra voi nasceva, tra noi era già adulta » ( 1 ) . I poemi omerici stessi nel loro nucleo fondamentale sono stati elaborati in Italia, poichè di favole omeriche gli italiani ne hanno più de' greci, e quelle greche co minciano ove le italiche finiscono. In tutto ciò noi non possiamo non notare il partito preso, la volontà di dimostrare ad ogni costo quel che il Cuoco a priori afferma, l'originario primato italico ; ma lo scopo nobilissimo, che ha dinanzi, vale a fare perdonare allo scrittore varie inesattezze. Nel tempo in cui Platone e Cleobolo iniziano il loro viaggio per l'Italia, la Magna Grecia è in dissoluzione : i vari popoli hanno fra loro re lazioni saltuarie ed estrinseche, non si sentono fratelli animati da un'unica missione: guerre, dissensioni, lotte sono frequenti, donde scaturisce una condizione di per petua incertezza. « Vedi, da una parte, l'Italia simile a vasto edificio rovinato dal tempo, dalla forza delle acque, dall'impeto del terremoto : là un immenso pilastro ancora torreggia intero, qua un portico si conserva ancora per metà ; in tutto il rimanente dell'area, mucchi di calcinacci, di co lonne, di pietre, avanzi preziosi, antichi, ma che oggi non sono altro che rovine. Ben si conosce che tali mate riali han formato un tempo un nobile edificio, e che lo potrebbero formare un'altra volta ; ma l'antico non è più, ed il nuovo dev'essere ancora » ( 2 ) . È l'unità che si è infranta, per cui alla primigenia unitaria forza statale è sottentrata la debolezza della molteplicità, mal celata dall' invadente forza belligera di alcune stirpi , come i sanniti, o dal fasto di altre, come i tarentini. Ma questa molteplicità tende quasi per fatale legge di natura all'unità, e dall'indistinto pullulare delle genti dovrà pur sorgere chi di esse farà una sola gente, un nome unico, Italia . « Pure, se tu osservi attentamente e con costanza , ti avvedrai che le pietre, le quali formano ( 1 ) V. Cuoco , Platone, v. I , p. 204 e sg. ( 2 ) V. Cuoco , Platone, v. II , p . 258. 243 quei mucchi di rovine, cangiano ogni giorno di sito ; non le ritrovi oggi ove le avevi lasciate ieri ; e mi par di rico noscere un certo quasi fermento intestino e la mano d'un architetto ignoto che lavora ad innalzare un edificio no vello » ( 1 ) . È la gran fede del Cuoco . Da questa unità o da questa frammentarietà dipende l'avvenire della penisola. « Tutta l'Italia » dice Cleobolo « riunisce tanta varietà di siti e di cielo e di caratteri, e nel tempo istesso sono questi caratteri tanto marcati e forti, che per essi mi par che non siavi via di mezzo. Da ranno gl'italiani nella storia, come han dato finora, gli esempi di tutti gli estremi, di vizi e di virtù, di forza e di debolezza. Se saranno divisi , si faranno la guerra fino alla distruzione : tu conti più città distrutte in Italia in pochi anni, che in Grecia in molti secoli. Se saranno uniti, daranno leggi all'universo » ( 2 ) . Il Cuoco però ha fede che questo suo ideale non resterà mero ideale, ma si concreterà in una entità statale, in un impero, che all'itala gente dalle molte vite darà or ganizzazione e potenza. Egli dice che questo ideale non è nuovo, ma quasi conformandosi ad un antico vero, il dominio etrusco, è risorto e di continuo risorge nelle più elette menti. Lo stesso Pitagora « concepì l'ardito disegno di rista bilir la pace e la virtù, senzadi cui la pace non può du rare. Egli volea far dell'Italia una sola città ; onde l’ener gia di ciascun cittadino avesse un campo più vasto per esercitarsi, senza essere costretta a cozzare continua mente con coloro, che la vicinanza, la lingua, il costume facean nascer suoi fratelli e la divisione degli ordini politici ne costringeva ad odiar come nemici ; e l'energia di tutti non logorata da domestiche gare, potesse più vigorosamente difender la patria comune dalle offese de ' barbari. Egli dava il nome di barbari a tutti coloro che s’in tromettono armati in un paese che non è loro patria, e ( 1 ) V., Cuoco, Platone, v. II , ( 2 ) V. Cuoco, Platone, v. I , p . 20. p. 258. 244 chiamava poi barbari e pazzi quegli altri, i quali, parlando una stessa lingua, non sanno vivere in pace tra loro ed invocano nelle loro contese l'aiuto degli stranieri. Egli soleva dire agl'italiani quello stesso che Socrate ripeteva ai greci: Tra voi non vi può nè vi deve essere guerra : ciò, che voi chiamate guerra, è sedizione, di cui, se amas sivo veracemente la patria, dovreste arrossire -» ( 1 ) . Sia stato Pitagora un essere umano di fatto vissuto, sia egli invece un'idea, un mito elaborato dalla fantasia delle stirpi indigene, nel quale esse han fatto confluire i risultati ultimi di tutte le loro secolari esperienze, ciò dimostra l'antica radice, le remote propaggini nella co scienza collettiva del problema unitario . Ma come attingere l'unità ? Ritorniamo a posizioni che noi già sappiamo. Il problema è un problema etico e pe dagogico insieme. « A questa meta non si può pervenire senza virtù e senza ottimi ordini civili : onde non vi sia chi voglia e chi possa comprar la patria, chi voglia e chi possa venderla ; ma l'ambizione di ciascuno, vedendosi tutte chiuse le vie della viltà e del vizio, sia quasi co stretta a prender quella della virtù . È necessario istruir il popolo, perchè.... un popolo ignorante è simile all'ata bulo, che diserta le campagne : spirando con minor forza il vento delle montagne lucane, porta sulle ali i vapori che le rinfrescano e le fecondano. È necessario istruir coloro che devono reggerlo , perchè un popolo con cen tomila piedi ha sempre bisogno di una mente per cam minare, e, con centomila braccia, non ha una mente per agire » ( 2 ) . Ma quest'educazione pubblica, che occorre diffondere, non deve essere per sua natura uniforme, uguale per tutti, bensì multiforme, varia , secondante le infinite varietà che la natura umana ci offre : deve essere educazione vera, cioè deve parlare agli spiriti, e perciò deve essere in essi , e non fuori di essi . Diversa perciò l'educazione della classe dirigente da quella delle classi povere, diversa però ( 1 ) V. Cuoco, Plaione, v. I , p. 74. ( 2 ) V. Cuoco, Platone, v. I , p . 74 e sg. 245 non nell'intima qualità, perchè l'una e l'altra si volgono alla stessa natura umana e alle stesse potenze dello spirito. « Un popolo » dicono alcuni « il quale conoscesse le vere cagioni delle cose, sarebbe il più saggio ed il più virtuoso de'popoli » . Non è invero così. « Riunite i saggi di tutta la terra, e formatene tante famiglie ; riunite queste fami glie, e formatene una città : qual città potrà dirsi eguale a questa ! » Nessuna, risponde il Cuoco o Archita per lui . « Essa non meriterebbe neanche il nome di città, perchè le mancherebbe quello che solo cangia un'unione di uo mini in unione di cittadini : la vicendevole dipendenza tra di loro per tutto ciò che rende agiata e sicura la vita e la perfetta indipendenza dagli stranieri » ( 1) . È necessario perciò ai fini dello Stato che gl' indotti coesistano accanto ai dotti, come i poveri accanto ai ricchi , perché si realizzi quell’armonica convergenza di forze distinte che è la vita. « Ciò, che veramente è neces sario in una città, è che ciascuno stia al suo luogo, cioè che sappia lavorare e che ami l'ordine. Ad ottener l'uno e l'altro , sono necessarie egualmente la scienza e la su bordinazione » ( 2 ) . Diversa sarà l'educazione dei poveri da quella dei di rigenti, ma una educazione per i primi deve pur esservi. E per istruirli bisogna avere la loro stima. « Non perdete la stima del popolo, se volete istruirlo . Il popolo non ode coloro che disprezza . Di rado egli può conoscer le dottrine, ma giudica severissimamente i maestri, e li giu dica da quelle cose che sembrano spesso frivole, ma che son quelle sole che il popolo vede. Che vale il dire che il popolo è ingiusto ? Quando si tratta d'istruirlo , tutt'i diritti sono suoi ; tutt’i doveri son nostri, e nostre tutte le colpe » ( 3 ) . Al popolo occorre insegnare tutto ciò che è necessario per agire, tutto ciò che può rendergli o più facile o più utile il lavoro, più costante e più dolce la virtù . Al savio, ( 1 ) V. Cuoco, Platone, v. I , p. 85 e sg. ( 2) V. Cuoco, Platone, v. I , p. 87. ( 3) V. Cuoco, Platone, v. I , p. 87 e sg. 246 invece, « è necessaria la conoscenza delle cagioni vere, perchè sol col mezzo della medesima può render più chiara, più ampia e più sicura la conoscenza delle stesse cose. Al volgo conoscer le vere cagioni è inutile, perchè non potrebbe farne quell'uso che ne fanno i savi . È ne cessario però che ne conosca una, in cui la sua mente si acqueti ; e questa necessità è tanto imperiosa, che, se voi non gli direte una cagione, se la farneticherà egli stesso » ( 1 ) . Errano perciò i filosofi che credono opportuno divul gare la sapienza è mettere il popolo a contatto con i sublimi princípi della vita. Del resto ben diversa è la na tura del dotto e del popolano : laddove il savio è ragione, il popolano è tutto senso e fantasia. Il popolo è « un eterno fanciullo che ha sempre più cuore che mente, più sensi che ragione » ( 2 ) : e quindi ad esso bisogna parlare con quello stesso linguaggio che s'usa con il fanciullo , dan dogli in un certo qual modo cose e massime già fatte. Bisogna parlare al popolo dei suoi cari interessi, e parlarne con il linguaggio che a lui più si conviene, con parabole e proverbi. « Se è vero che gli esempi muovon più dei precetti, le parabole, le quali non sono altro che esempi, debbon muovere più degli argomenti » ( 3 ) . I proverbi, che a noi possono sembrare inintelligibili, perchè igno riamo i veri costumi dei popoli per i quali furono imma ginati, sono nella rude concettosità adattissimi per lo scopo prefissoci. La stessa virtù non la si può inculcare al popolo se non con mezzi diversi di quelli che ci si offrono nelle scuole di filosofia . « La virtù è saviezza : la saviezza ha bisogno di ragione, e la ragione ha bisogno di tempo. I pregiudizi, gli errori, i vizi che nella fantasia de' popoli vanno e vengono come le onde del nostro Jonio, riempi rebbero sempre di nuova arena quel bacino, che tu vuoi scavare a poco a poco per formarne un porto. È necessità ( 1 ) V. Cuoco, Platone, v. I , p. 85. ( 2 ) V. Cuoco, Platone, v. II, p. 23. ( 3 ) V. Cuoco, Platone, v. I , p . 82. 247 piantare con mano potente una diga, che freni la violenza delle onde sempre mobili. Prima di avvezzare il popolo a ragionare , convien comandargli di credere ; e, per convin cerlo che il vero sia quello che tu gli dici, convien per suadergli, prima, che non possa essere vero quello che tu non dici . Non cerchiamo.... l'uomo che abbia detto più verità, ma quello che ha persuase verità più utili ; e, se talora la necessità ha mossi i grandi uomini ad illudere il popolo , cerchiamo solo se l'hanno utilmente illuso » ( 1 ) . Sono queste conclusioni che già erano implicite nel Saggio storico, ma riescono sempre interessanti, sia per il loro intrinseco valore, sia per la forma con la quale l'autore ce le prospetta . Questa educazione che mira a far sentire l'interesse comune alla virtù, e quindi a radicarla in eterno, deve precedere la stessa attività legislativa, se non si vuole che essa cada nel vuoto. « Quando tu avrai incise le leggi della tua città sulle tavole di bronzo, nulla potrai dir di aver fatto, se non avrai anche scolpita la virtù ne' cuori de' suoi cittadini » ( 2 ) . Leggi e costumi sono i principali oggetti di tutta la scienza politica : le prime debbono rispondere all'ordine eterno che è nelle cose, sempre perciò buono e vero ; i se condi invece presentano estreme varietà, e, nella maggior parte dei casi, ci si presentano anzi che come correttivo delle prime, come deviazione da esse ; onde coloro, che traggono da una corrotta natura de' popoli le norme obiettive del vivere, invece di evitare il male, spesso lo sanciscono, e la loro opera pedagogica manca . « La legge è sempre una, perchè la natura dell'intelli genza è immutabile. Mutabile è la natura della materia, di cui gli uomini sono in gran parte composti; e quindi è che i costumi inclinan sempre ad allontanarsi dalla legge. È necessità, dunque, conoscere del pari la natura sempre mobile di questo fango di cui siamo formati, onde sapere ( 1 ) V. Cuoco, Platone, v. I , p . 78. ( 2 ) V. Cuoco, Platone, v. I , p. 139. 248 per quali cagioni i nostri costumi si allontanano dalle leggi, per quali modi, per quali arti possano riavvicinarsi alle medesime ; il che forma l'oggetto di tutta la scienza dell’educazione : non di quella educazione che le balie soglion dare ai nostri fanciulli, ma di quell'altra che Li curgo e Minosse seppero dare una volta agli spartani ed ai cretesi. La ignoranza di una di queste due scienze ha moltiplicati sulla terra i funesti esempi di quei legisla tori, i quali, volendo tentare riforme di popoli, hanno o cagionata o accellerata la loro ruina. Imperciocchè, pieni la mente delle sole idee intellettuali delle leggi ed ignoranti de' costumi de ' popoli, li hanno spinti ad una meta a cui non potevan pervenire, perdendo in tal modo il buono che poteano ottenere, per avere un ottimo che era follia sperare ; o, conoscendo solo i costumi ed igno rando il vero bene ed il vero male, hanno sancito i me desimi, ed han fatto come quel nocchiero, il quale, non conoscendo il porto in cui dovea entrare, e servendo ai venti ed all'onde, ha rotto miseramente il suo legno tra gli scogli » (1 ) . La legge però resterà sempre un astratto, se gli uomini non ne intenderanno la sua necessarietà e, quel che più conta, la sua utilità. È d'uopo a ciò che essa sia accom pagnata non solo da pene, onde possa con efficacia di storre gli animi dai vizî, ma eziandio da premi, onde possa allettare alla virtù . Occorre parlare agli uomini un lin guaggio utilitario ed edonistico, se si vuole essere seguiti da essi. E questa scienza, che si occupa dei premî e delle pene, è difficilissima, perchè inutili sono senza premî e pene le leggi, e arduo è calcolare l'adeguato rapporto so pra tutto delle pene con i costumi dei popoli. Il crimi nalista perciò deve studiare non tanto i rapporti giuri dici, di per sé astratti, ma i soggetti di essi rapporti, entità concrete e viventi, e rispetto a questi porsi piut tosto in veste d’educatore, anzi che di carceriere, e peg gio di boia. « La scienza delle pene e de' premî » dice ( 1 ) V. Cuoco, Platone, v. I , p . 139 e sg. , 249 il Cuoco con perfetta sicurezza « appartiene alla pubblica educazione » ( 1) . Le leggi, date alla città, hanno necessità di uomini atti ad eseguirle, che veglino alla loro esecuzione. Le leggi, ho detto, sono nell'ordine eterno delle cose, onde la filosofia a lungo le ha ritenute provenienti dalla divi nità. Perciò il primo dovere degli esecutori è di comandare ne' limiti di esse, sovra la loro base, poichè solo così si adempie l'universa volontà di Dio, o meglio, s'attua l'ar monia immanente nelle cose. « Ora, ordinate le leggi di una città, per qual modo ritroveremo noi gli uomini degni di eseguirle ? Questa è.... la parte più difficile della scienza della legislazione : perchè, da una parte, le buone leggi senza il buon governo sono inutili ; e, dall'altra, sulla natura del migliore de’governi gli uomini son più discordi che su quella delle buone leggi » ( 2 ) . Anche questo secondo problema è di natura spirituale e pedagogica: la preparazione della classe dirigente, la sua natura, ecc. non possono non rientrare in quella scienza, di cui abbiamo visto i caratteri e le forme. In quanto al problema subordinato se sia da accogliere il governo di un solo, di pochi, o di molti ; il governo ereditario o l'elettivo ; e tra quest'ultimo quello regolato dalla nascita , dagli averi, dalla sorte, questo è un pro blema essenzialmente relativo e che del resto abbiamo già storicamente esaminato in altra parte di questo la voro. La risoluzione è offerta dal Cuoco in poche parole che giova riportare. « Noi diremo il miglior de' governi esser quello che non è affidato ad uno solo, perchè un solo può aver delle debolezze ; non a tutti, perchè tra tutti il maggior numero è di stolti ; ma a pochi, perchè pochi sempre sono gli ottimi. E questi pochi avranno obbligo di render ragione delle opere loro, onde la spe ranza dell'impunità non li spinga o ad obbliare per negligenza le leggi o a conculcarle per ambizione ; e per ( 1 ) V. Cuoco, Platone, v. I , p. 140. ( 2 ) V. Cuoco, Platone, v. I , p . 142, 250 ciò divideremo il pubblico potere in modo che le diverse parti del medesimo si temperino e bilancino a vicenda, e, dando a ciascuna classe di cittadini quella parte a cui pare per natura più atta, riuniremo i beni del governo di uno solo, di pochi e di tutti » ( 1 ) . Ma piuttosto altre considerazioni occorre fare, che ci riportano ad un punto troppo caro al Cuoco perchè noi possiamo dimenticarcelo : le considerazioni intorno alla religione. Abbiamo già visto i rapporti tra autorità reli giosa ed autorità statale, il posto che la religione deve occupare nello Stato, e lo abbiamo visto da un punto essenzialmente storico, cioè in rapporto ai tempi del mo lisano : ora dobbiamo esaminare lo stesso problema da un diverso punto, osservando quale posto può occupare la religione nella formazione spirituale dei popoli. La religione è un fatto spirituale dal quale non si può prescindere. « Quindi è che erran egualmente e coloro i quali credon poter tutto ottenere colle sole leggi civili, e coloro che credono poter colla religione e coi costumi supplire alle medesime. Questi renderanno le vite dei cittadini e le loro sostanze dubbie, incerte ; quelli rende ranno vacillante lo stato dell'intera città. È necessità che vi sieno egualmente costumi, religione e leggi: uno che manchi, la città, o presto o tardi, ruina » ( 2 ) . Il bisogno della religione per il Cuoco non si basa tanto su ragioni ideali quanto su ragioni pratiche. Lo Stato, che assorbe in sè la religione, s'eleva agli occhi de'singoli e acquista maggiore rispetto . Nè è a dire che esso con ciò menomi la religione, in quanto vita dello spirito, poi che esso assorbe quel che può assorbire, infine il lato estrinseco e mondano della religione, lasciando intatto il dommatico . I paesi, in cui i patrizi conservano autorità, sono quelli in cui essi esercitano il sacerdozio, e in questi paesi la religione può moltissimo sui costumi. « E forse queste due cose [ religione e costumi, Stato e Chiesa) sono natural ( 1 ) V. Cuoco, Platone, v. I , ( 2 ) V. Cuoco, Platone, v. I , p. 144. P. 84. 251 mente inseparabili tra loro ; perchè nè mai religione emen derà utilmente i costumi se non sarà dipendente dal go verno ; nè mai religione, che non emendi i costumi e non ispiri l'amor della patria, potrà esser utile allo Stato » ( 1 ) . Ora concepite in questa maniera le due classi dei ricchi e dei poveri, dei savi e degli stolti, il Cuoco riguarda la vita pubblica come una loro armonizzazione continua, in una evoluzione ininterrotta. Ricco non vuol dire a priori savio, ma è certo che il ricco, coeteris paribus, può pro curarsi un'educazione superiore, che il povero non può procacciarsi che in casi eccezionali , onde quasi sempre , nella sua indigenza, resterà ignorante e spesso stolto . L'opposizione tra savi e stolti si può in linea generalis sima presentare come opposizione tra patrizi e plebei, op posizione delucidata anche dal fatto che i patrizi, cioè coloro che nelle epoche primitive s'affermano negli Stati e perpetuano la loro posizione dirigente per eredità di sangue e di censo, sono, per lunga consuetudine e pratica pubblica, i più atti al reggimento civile , mentre i plebei, gente nova, spesso portata su da súbiti guadagni, sono di solito inesperti e fiacchi, perchè ignari del nuovo go verno della cosa statale. Il segreto della varia vita delle città è nella saggia ar monia di queste due forze, l'esperienza matura dei patres e la giovinezza audace delle classi nuove. Quelle nelle quali i primi furono troppo fieri difensori dei loro diritti lan guirono : i patres non vollero essere giusti, preferirono es sere i più forti, onde fu mestieri che divenissero tirannici ed oppressori : conservarono i loro privilegi, ma il prezzo di questi privilegi fu la debolezza dello Stato, che al primo urto divenne preda dell' inimico. Quelle altre, in cui la plebe per atto rivoluzionario acquisì d'un tratto i suoi diritti, ebbero sempre costituzioni ispirate più dalla vendetta che dalla sapienza, e poterono durare, per lo più, breve tempo, per turbolenze e dissensioni interne. Ben diversa è la vita degli Stati, ove si giunge ad una ( 1 ) V. Cuoco, Platone, v. II , p. 148, 252 reciproca graduale integrazione de' due opposti in una vitale sintesi. È nell'ordine eterno delle cose che « le idee non possano mai retrocedere » , ed hanno vita felice soltanto « quelle città nelle quali e la plebe ed i grandi vengono tra loro ad eque transazioni » ( 1 ) . Ma pur tuttavia il Cuoco. concepisce la lotta di classe non solo come un utile spediente, purché mantenuta ne' limiti della legge per giungere ad un buono e durevole reggimento politico, ma come necessità di vita : e qui è un punto fermo della sua dottrina politica, che nel Saggio storico non appare, e che nel Platone si rivela nella sua luminosa chiarezza. « Or vedi tu questa lotta eterna tra gli ottimati e la plebe, tra i ricchi ed i poveri ? In essa sta la vita non solo di Roma, di Atene, di Sparta, ma di tutte le città. Ove essa non è , ivi non è vita : ivi un giogo di ferro impo sto al cittadino ha estinte tutte le passioni dell'uomo e, con esse, il germe di tutte le virtù, lo stimolo a tutte le più grandi imprese. Al cospetto del gran re, nessun uomo emula più l'altro : e che invidierebbe, se son tutti nulla ? Quanto dura la vera vita di una città ? Tanto quanto dura la disputa. Tutti popoli hanno un periodo di vita certo e quasi diresti fatale, il quale incomincia dall'estrema barbarie, cioè dall'estrema ignoranza ed op pressione, e finisce nell'estrema licenza di ordini, di co stumi, di idee . Nella prima età i padri han tutto, sanno tutto, fanno tutto, posseggon tutto. Se le cose si rima nessero sempre così, la città sarebbe sempre barbara, cioè sempre fanciulla . È necessario che si ceda alla plebe , poco a poco, ed in modo che non se le dia ne meno nè più di quello che le bisogna : l'uno e l'altro ec cesso porta seco o pericolosa sedizione o languore più funesto della sedizione istessa. È necessario che il popolo prosperi sempre e che abbia sempre nuovi bisogni, per chè questo è il segno più certo della sua prosperità. Guai a quella città in cui il popolo non ha nulla ! Ma due volte ma ( 1 ) V. Cuoco , Platone, v . II , p. 167. 253 guai a quell'altra, in cui, non avendo nulla, nulla chiede ! È segno che la miseria gli abbia tolto non solo, come dice Omero, la metà dell'anima, ma anche l'ultimo spirito di vita che ci rimane nelle afflizioni, e che consiste nel la gnarsi. È necessario però che il popolo e pretenda con modestia, e riceva con gratitudine, e non cessi mai di sperare » ( 1 ) . Da queste considerazioni il molisano trae una impor tante conclusione. Se la vita è molteplicità, ma molte plicità non inorganizzata, bensì tendente ad unità, la molteplicità è pur necessaria per attingere quella diffe renziazione di funzioni, il cui convergere forma la felicità dello Stato. La vita di questo perciò è varietà, e non può essere diversamente : l'uguaglianza assoluta è un'u topia, anzi un'utopia dannosa. « Vi saranno sempre pa trizi e plebei, perchè vi saranno sempre i pochi ed i molti; pochi ricchi e molti poveri ; pochi industriosi e molti scioperati; pochissimi savi e moltissimi stolti. I partigiani de' primi si diran sempre patrizi , quelli de'se condi sempre plebei » ( 2 ) . Allorquando la plebe avrà tutto il potere pubblico, e i patrizi nulla più avranno a cedere, allora, « dopo aver eguagliati a poco a poco gli ordini, si vorranno eguagliare anche gli uomini; dopo aver eguagliati i diritti, si vorrà l'eguaglianza anco dei beni : e sorgeranno da ciò dispute eterne e pericolose. Eterne, perchè la ragione delle dispute sussisterà sempre : vi saranno sempre poveri, vi saranno sempre uomini da poco, i quali pretenderanno e crede ranno di meritar molto. Pericolose, perchè tali dispute moveranno sempre la parte più numerosa del popolo : i poveri, gli scioperati, i viziosi, tutti coloro i quali, nulla avendo che perdere, non ricusan qualunque modo si of fra a guadagnare.... Le assemblee diventeranno più tu multuose, le decisioni meno prudenti. I cittadini dalle sedizioni civili passeranno alla guerra . Fra tanti partiti nascerà la necessità che ciascuno abbia un capo ; tra tanti ( 1 ) V. Cuoco, Platone, v. II , p. 167 e sg. ( 2) V. Cuoco, Platone, v. II, p. 147. 254 capi uno rimarrà vincitore di tutti. Ed avrà fine così la lite e la vita della città » ( 1 ) . Da ciò scaturisce un'altra conclusione, che è una ri prova di precedenti nostre osservazioni circa la politica cuochiana : i più adatti al pubblico reggimento non sono nè i ricchi, pochi e tirannici, nè i poveri, molti e ti rannici in senso inverso dei ricchi, ma bensì quel ceto medio, che con forme diverse e diversi aspetti, secondo i vari tempi e la mutevole realtà storica, è in ogni Stato. « I migliori ordini pubblici sono inutili se non vengono affidati ai migliori cittadini. Quelli sono, in parole ed in fatti, ottimi tra gli ordini, i quali fan sì che la somma delle cose sia sempre in mano degli uomini ottimi. Ma dove sono gli uomini ottimi ? Essi non son mai per l'ordinario nè tra i massimi, corrotti sempre dalle ric chezze, nè tra i minimi di una città, avviliti sempre dalla miseria » ( 2 ) . Ecco qui ritornare il concetto da noi già esaminato di un governo temperato, equilibrio di forze opposte, e perciò armonia e giustizia, la quale giustizia null'altro è se non obiettiva elisione d'ogni antagonismo e d'ogni dissensione. « Ove avvien che siavi un ordine scelto, ma nel tempo istesso la facoltà a tutti d'entrarvi, tostochè per le loro azioni ne sien divenuti degni, ivi tu eviti gli scogli del l'oligarchia e della democrazia. Il popolo non permetterà che i grandi, per gelosia di ordine, trascurino il merito; i grandi non soffriranno che altri si elevi per via di viltà e di corruzione : per opra de’secondi eviterai quella dissi pazione che ne' tempi di pace dissolve le città popolari ; per opra de' primi eviterai quella viltà per cui le città oligarchiche temono i pericoli, e quel livore col quale si oppongono ad ogni pensiero nobile ed ardito, e che vien dal timore dei grandi di dover ricorrere al merito di un uomo il quale non appartenga al loro numero. Queste città così temperate sono quelle che fanno più grandi ( 1 ) V. Cuoco, Platone, v. II , ( 2 ) V. Cuoco , Platone, v. II , p. 161 . p. 168. 255 cose delle altre, perchè non vi manca mai nè chi le pro ponga nè chi le esegua » ( 1 ) . Soltanto attraverso questa coscienza politica dei diri genti, attraverso quest'educazione dei poveri, attraverso questa organizzazione di classi, sarà possibile realizzare quell’unione che è nel pensiero del Cuoco : fare delle varie stirpi italiche un popolo unico. Come nelle singole città è possibile un contemperamento di interessi e di volontà singole, così nella più vasta Italia è possibile un armo nizzamento di stirpi, di genti, d' ideali diversi. Ma, mentre nelle città il processo d’unità procede dal l'interno all'esterno , poichè una tirannia imposta estrin secamente è sempre nociva e deleteria ; nell'Italia il processo unitario può essere affrettato dalla conquista e poi cementato dall'opera pubblica e pedagogica, dalla religione unica e dalla legge unica. « Il primo effetto della sapienza » dice il Cuoco « è.... quello di avvezzar gli uomini a considerar la conquista non come un mezzo di distrug gersi, ma di difendersi » ( 2 ) ; e, aggiungiamo noi, si di fende spesso più validamente colui, che, essendo forte impone la sua ragion civile, la sua legge agli altri, e non si assopisce in una pace senza parentesi d'attività belli gera, assopimento che può diventare anche sonno e poi ancora morte. La conquista perciò non deve rimanere mera conquista, cioè estrinseca forza, ma deve conver tirsi in attività pubblica, imporsi alle volontà, plasmarle di sè, unificarle nel nome d'un superiore verbo, il diritto . Questa, ammonisce il Cuoco, è la missione d’un popolo tra i tanti popoli della penisola, che Platone e Cleobolo nel loro viaggio incontrano, missione divina, missione il cui spiegamento d'altra parte è nell'attualità della storia. Certo Platone e Cleobolo, nel frammentarismo italico del V secolo, non avrebbero mai potuto dire quel che Vincenzo pone in bocca loro ; ma le loro osservazioni, per quanto il nostro spirito critico le riferisca all'autore del ( 1 ) V. Cuoco, Platone, v. II , p. 162. ( 2) V. Cuoco, Platone, v. I , p . 32. 256 romanzo , non possono non commoverci, e la commozione è in noi com'è nel molisano . In una prima età, scrive Platone all'amico Archita, le città vivono pacificamente, e perciò s ' ignorano ; ma in un secondo tempo si conoscono, e quindi si fanno guerra, o con le armi o con le sottigliezze del commercio ; ma questa conoscenza e questa guerra non sono mai distruzione, ma reciproca integrazione : « da questa vicendevole guerra, sia d'armi, sia d'industria, io veggo un'irresistibile ten denza di tutte le nazioni a riunirsi ; e, siccome ciascuna di esse ama aver le altre piuttosto serve che amiche... , così veggo che, ad impedire la servitù del genere umano ed a conservar più lungamente la pace sulla terra, il miglior consiglio è sempre quello di accrescer coll' unione di molte città il numero de' cittadini, prima e principal parte di quella forza , contro la quale la virtù può bene insegnare a morire, ma la sola cieca e non calcolabile fortuna può dar talora la vittoria » . « Non pare a te » continua il filosofo antico caldo ne' suoi accenti e attraverso lui il magnanimo Cuoco « che la natura, colle diramazioni de' monti e de' fiumi, col circolo de' mari, colla varietà delle produzioni del suolo e della temperatura de'cieli , da cui dipende la diversità de' nostri bisogni e de' costumi nostri, e colla varia mo dificazione degli accenti di quel linguaggio primitivo ed unico che gli uomini hanno appreso dalla veemenza de gli affetti interni e dall'imitazione de’vari suoni esterni ; non ti pare, amico, ch'essa abbia in tal modo detto agli abitanti di ciascuna regione : — Voi siete tutti fratelli: voi dovete formare una nazione sola ? --- » ( 1 ) . Da ciò scaturisce la necessità della conquista come mezzo per affrettare dall'esterno un processo naturale : chi si assume questa missione, diviene arbitro e stru mento della Provvidenza, Provvidenza che per il Cuoco, come del resto per Giambattista Vico, è nell'immanenza della storia , piuttosto che nella celeste trascendenza di ( 1 ) V. Cuoco , Platone, v. II , p. 186. 257 un Dio posto fuori di noi : questo l'intimo concetto, se pur qualche volta tradito dall'esteriorità delle parole e dei simboli, nonchè da una certa oscillanza di pensiero . In Italia , intuisce Platone, un solo popolo sarà di ciò capace, il romano, che sovra la fiera rudezza dei san niti, sovra la imbecillità effeminata dei greci del mez zodì, sovra la volubilità dei galli del Nord imporrà la sua legge, il suo diritto, strumento d’universale civiltà, e che, in un lontano avvenire, venuto a contatto con i cartaginesi e poi con i greci, non solo li debellerà come entità politiche, ma solo s'assiderà dominatore del Me diterraneo e del mondo, « Rimarrà un solo popolo dominatore di tutta la terra, innanzi al di cui cospetto tutto il genere umano tacerà ; ed i superbi vincitori, pieni di vizi e di orgoglio, rivolge ranno nelle proprie viscere il pugnale ancor fumante del sangue del genere umano ; e quando tutte le idee liberali degli uomini saranno schiacciate ed estinte sotto l'im menso potere che è necessario a dominar l'universo, e le virtù di tutte le nazioni prive di vicendevole emula zione rimarranno arrugginite, ed i vizi di un sol popolo e talora di un sol uomo saran divenuti, per la comune schiavitù , vizi comuni, sarà consumata allora la vendetta degli dèi, i quali si servono delle grandi crisi della natura per distruggere, e dell'ignoranza istessa degli uomini per emendare la loro indocile razza » ( 1 ) . Grande sogno questo, in cui vibra tutto l'animo nostro in uno con quello del Cuoco, ma che noi critici non dob biamo lasciare nel passato inerte e perciò morto, come quello che non ritornerà più , ma trasportare nel presente del Cuoco, cioè nel presente del 1806, che noi vediamo e pensiamo tale, quando in un' Italia scissa e menomata da straniere superfetazioni, sia pur benigne come quelle napoleoniche, l'unità era davvero un sogno ; nel nostro presente, nella nostra vita, che non è stasi , ma divenire, e perciò slancio, espansione, conquista prima di noi stessi, della nostra maggiore unità, e poi del vario mondo dei ( 1 ) V. Cuoco, Platone, v. II , p. 190. 18 - F. BATTAGLIA . 258 commerci e delle genti, che noi non vogliamo lasciare fuori di noi, inerte grandezza da contemplare taciti am miranti, ma rendere nostre, per la nostra civiltà, che è civiltà latina. Considerato da questo punto di vista altamente poli tico , prescindendo da ogni considerazione artistica o filo sofica, il Platone in Italia riacquista una grandissima importanza, « riacquista » come ben dice il Gentile « tutto il suo valore, ed è la più grande battaglia, combattuta dal Cuoco, per il suo ideale della formazione dello spi rito pubblico italiano » ( 1 ) . È l'animato ricordo d'un tempo che fu e d'una grandezza, che sta a noi rinnovel lare, in cui tutta l'Italia si pose maestra di civiltà tra i popoli, che da essa appresero le cose belle della vita , la poesia, il teatro, la musica , la scultura, la pittura, che da essa intesero i primi precetti del vivere e le norme de ' savi reggimenti; in cui l'Italia ebbe un'egemonia indi scussa, che nella storia non si ripresenterà più se non forse nel Rinascimento : ma, oltre che ricordo, è nello stesso tempo vivo presente, perchè molte considerazioni che si fanno riferendosi all'Impero etrusco, alla Magna Grecia , a Roma calzano nella loro semplicità , s'adattano alla nostra travagliata vita moderna : ciò fa del Platone un libro, la cui importanza trascende la sua deficienza artistica, il suo ibridismo filosofico. Perciò un solo raffronto legittimo, quello tra il Pla tone e un altro grande libro, il Primato morale e civile degli italiani, come quelli il cui obietto è uno solo, e la materia alfine è pur essa comune : un'alta nazionale pedagogia politica. Questo parallelismo fu prima accennato dal Gentile (2 ), ma poi sbozzato da un francese, acuto studioso del Cuoco, al quale nel nostro studio abbiamo frequentemente cennato, Paul Hazard ( 3 ). ac ( 1 ) G. GENTILE, Studi vichiani , p. 386, ( 2 ) G. GENTILE, Studi vichiani, p. 387. ( 3 ) P. HAZARD, op. cit., p. 246. Anche P. ROMANO, op. cit., p. 5 raffronta il Cuoco e il Gioberti e dice che il Platone in Italia è la preparazione del Primato morale e civile degli Italiani. 259 Il principio genetico dei due libri è lo stesso : una na zione non può esplicare le forze vere, che sono in essa in potenza, nè può di esse usare, se non ha la coscienza d'avere queste forze, o almeno la coscienza di poterle sviluppare, e quindi dispiegare nella storia : perciò bi sogna nutrire un orgoglio nazionale, che, basato sulla concreta realtà , è legittimo, non arbitrario. Ma, d'altra parte, laddove il Primato giobertiano, pur riannodan dosi, attraverso le glorie romane, alle remote genti italo pelasgiche, trova il suo asse, il suo fulcro nel Papato , espressione di purità religiosa e d'originaria sapienza, e si rinnoverà, se il presente sarà a sufficienza legato al passato, cioè alla tradizione medievale- cattolica ; il Cuoco, pur mantenendo ferma la remotissima storia italo -pela sgica ed estrusca e poi ancora romana, pur riconoscendo l'alta missione civilizzatrice della Chiesa nel Medio Evo, questo primato vuol rinnovellare solo nel gioco delle li bere forze, espresse da quella tragica crisi che è la rivo luzione francese ed italiana, nel loro sviluppo, e nello spiegamento della loro maggior coscienza ; nello Stato laico, insomma, che afferrni sì la religione, come luce alla plebi, ma affermi pure una sua intima naturale ra gione, che con la religione non ha nulla a che fare. E in quest'accettamento delle nuove forze popolaresche, alle quali bisogna parlare, perchè la volontà di nazione sia realmente nazione, e la volontà di Stato realmente Stato , Vincenzo Cuoco si lega ad un altro grande, Mazzini, tanto diverso da Gioberti, ma pur con questi entusiasta caldo nella visione del futuro popolo dell'Italia re denta. CAPITOLO VII. L'educazione nazionale nel pensiero cuochiano. Il popolo e la scuola . - I tre caratteri di una educazione nazionale : universalità , pubblicità , uniformità. - Tre gradi in una completa educazione : scuola elementare, media , universitaria . - Morale e religione nella scuola . - Educazione filosofica . Quanto sopra abbiamo detto segna ben precisa la po sizione di Vincenzo Cuoco come politico e pedagogo nel Regno italico . Il Platone e gli scritti del Giornale italiano sono i do cumenti luminosi del periodo milanese della vita del l'autore, e basterebbero a dargli una gloria non dubbia nelle lettere del nostro paese, confortata anche da una amicizia intellettuale, che egli godette con uomini come il Monti e il Manzoni ( 1 ) . Con il 1806, ritornati i francesi oramai a Napoli, Vin cenzo pur esso riede in patria , preceduto da una vasta notorietà e annunciato da missive ufficiali del governo di Milano per quello meridionale . È l'ultimo tratto della nobile vita del molisano, che, attraverso una fiera ma ( 1 ) B. LABANCA, op . cit., p. 409 ; N. RUGGIERI, op. cit ., p. 48 ; B. CROCE, La rivoluzione napoletana, p. 172 ; G. GEN TILE , op. cit. , p. 389. 261 lattia di nervi e di mente, si concluderà il 13 dicembre 1823 con la morte, tratto di vita, che è pur ricco di atti vità pubblica, per cui il nostro attinge cariche supreme ( 1 ) , nonchè di un'opera dottrinale e pratica nello stesso tempo ( 2 ) , il Rapporto e il Progetto di decreto per l'ordi namento della pubblica istruzione nel Regno di Napoli, che di per sé sola basterebbe ad assicurargli un posto eminente tra i pedagogisti dell'epoca, Rapporto, che, seb bene tragga « occasione da un incarico speciale.... agli inizi del regno murattiano » non è « il prodotto dell’oc casione, poichè come vedremo, risponde nelle linee prin cipali , a idee profondamente maturate dal Cuoco in tutta ( 1 ) G. GENTILE, op. cit., p. 390. ( 2 ) Oltre il Rapporto il Cuoco lavorò in vari campi dello sci bile , e della sua attività sono documento varie pagine raccolte nel secondo volume degli Scritti vari. Del Rapporto e del Pro getto di decreto esistono numerose edizioni : una prima, senza data e senza frontespizio , fatta a spese del governo prima del 10 ottobre 1809 per tenere il luogo del manoscritto nelle distri buzioni che del Rapporto e del Progetto si fece al re, ai mini stri e ad altre autorità , e quindi non pubblica ; una seconda, che dovea essere il primo volume delle Opere di V. Cuoco, raccolta iniziata nel 1848 a speso di Luisa de Conciliis, nipote del gran molisano, e naturalmente non venuta mai a compi mento, edizione che porta il titolo : Progetto di decreto per l'or dinamento della pubblica istruzione seguito da un Rapporto ra gionato per V. Cuoco ( Napoli, Migliaccio, 1848); una terza infine, che uscì alla luce nel primo tomo della Collezione delle leggi, de' decreti e di altri atti riguardanti la Pubblica Istruzione promulgati nel già Reame di Napoli dall'anno 1806 in poi (Na poli , Fibreno, 1861). Sovra queste edizioni, tutte e tre scor rette, il Gentile trasse la sua edizione critica del Rapporto e del Progetto, corredata di documenti e note bio -bibliografiche illustrate, che inserì negli Scritti pedagogici inediti o rari ( pa gine 49-276 ). I criteri critici di collazione delle tre suddette edizioni, seguìti dal Gentile , non furono dismessi da N. Cortese e da F. Nicolini, che dovettero far posto sia al Rapporto che al Progetto negli Scritti vari ( v. II , pp. 3-161 ), correggendo ta lune sviste e supplendo in talune omissioni il loro illustre pre decessore. Nonostante che gli Scritti vari abbiano visto la luce , allorquando questo lavoro era già compiuto , le citazioni sono state su di essi rivedute definitivamente anche per la parte pedagogica. 262 ī la sua carriera di scrittore e di uomo politico, in rela zione con le questioni fondamentali del tempo suo » ( 1 ) . Evitando di entrare nell'analisi dei fatti, che al Rap porto precedettero e che perciò lo determinarono, perchè oramai sufficienza noti, vengo a studiare le idee che in esso si agitano ed i loro addentellati con tutto il pen siero cuochiano. L'istruzione è la chiave di volta d'ogni sistema po litico . E, come ogni sistema politico mira al benessere sociale, in quanto questo è realizzato eticamente dallo Stato, così chi questo benessere vuol attuato, deve ope rare col mezzo dell'istruzione e della scuola. Il Cuoco vuol rendere grande uno indipendente il popolo italiano, dan dogli veramente il modo di formarsi una coscienza na zionale . Ma praticamente come? Con la scuola. « La sola istruzione, risponde, può far diventare volontà ciò che è dovere. La sola istruzione può renderci l'antica gran dezza e l'antica gloria » ( 2 ) . Il termine di riferimento di questa istruzione è pur sempre il popolo, nel di cui spi rito dovranno essere alimentate le più nobili idealità pub bliche e civili , alimentate da un lato dall'opera giorna listica , dall'altro dalla scuola. Per comprendere questo punto occorre riferirsi, aver presenti le condizioni del popolo e della scuola ne' primi decenni del secolo XIX. Di chi era la scuola ? Non certo del popolo, il quale, assente in tutte le manifestazioni della vita , era assente anche nella scuola. Di chi dunque ? Di pochi fortunati , dotati dalla sorte dei mezzi necessari, onde formarsi quel che si suol dire una cultura : i nobili, i possidenti delle campagne, i borghesi e i commercianti nelle grandi città. La rivoluzione ha il grande merito di avere richiamato l'attenzione dei governanti sulle masse popolaresche, ha il merito di aver compreso che solo queste sono il nucleo dello Stato, e che cointeressarle alla cosa pubblica equi vale eternare lo Stato stesso . Ma la rivoluzione non po ( 1 ) G. GENTILE , op . cit ., p . 336 e sg. ( 2 ) V. Cuoco, Scritti vari, v. II , p. 3. 263 teva dare nel campo educativo, e in generale formativo, buoni risultati, dato il suo astrattismo e la sua filosofia, troppo razionalista, lontana com'era dai bisogni e dagli interessi delle classi basse. Il Cuoco di contro accetta il postulato rivoluzionario , per cui dal popolo non si pre scinde, ma lo rinnova col suo concreto senso storico della realtà : bisogna, dice, non elevare il popolo alle nostre supreme idee di libertà , di virtù, di moralità, che, in quanto assolute, esso non comprenderà, ma noi discen dere a lui, entrare nel suo spirito, nel suo sistema men tale, e , attraverso un progresso graduale e lento, mostrar gli l'utilità , oltre che la necessità ideale, della libertà , della virtù , della moralità . Questo compito, essenzial mente pratico, si può assolvere con la scuola, che prende l'uomo fanciullo, e lo conduce all'adolescenza, e magari alla gioventù , maturandone i sentimenti con un processo intimo ed interiore, non mai estrinseco e forzato . Sol tanto così il popolo entrerà nello Stato , rafforzandolo e potenziandolo. Sentite come ragiona il Cuoco. « Le rivoluzioni » scrive « sogliono svelare il gran segreto della forza di quel po polo, che ne' tempi di tranquillità suol esser la parte pas siva di uno Stato. La rivoluzione francese lo ha messo in istato di produrre grandi beni e grandi mali : la sua condizione è cangiata in gran parte degli Stati dell'Eu ropa. Chiamarlo a parte della difesa dello Stato e delle leggi senza istruirlo è lo stesso che renderlo pericoloso, facendogli fare ciò che non sa fare . Volerlo ritenere inu tile, qual era prima, è lo stesso che voler condannare lo Stato a perpetua debolezza esterna, a frequente disordine interno. Debolezza, perchè è sempre debole quello Stato che non è difeso da’ cittadini, e non sono cittadini co loro che occupano col loro corpo sette palmi di terra in una città, ma bensì coloro che contano tra i loro doveri l'amarla ed il difenderla. Disordine, perchè le leggi e le istituzioni politiche non hanno la loro garanzia se non nella volontà del maggior numero, e , se questo maggior numero non è istruito , o non ha volontà o spesso ne ha una contraria alla legge .... Tutto in Europa mostra la 264 necessità di dare al popolo, e specialmente alla classe degli artefici e degli agricoltori, una nuova educazione ed ispirargli l'amor della patria, delle armi, della gloria nazionale » ( 1 ) . Indietro non si torna ! Avranno i conser vatori tutte le loro buone ragioni per fossilizzarsi in forme statali superate, ma essi non potranno mai negare al popolo , quello che a lui si deve : l'educazione, A coloro che obiettano che il popolo è un ammasso inemendabile di vizi e di passioni è facile rispondere . « E pure tra questo popolo noi viviamo ; questo popolo forma la parte più grande della nostra patria , da cui di pende, vogliamo o non vogliamo, la nostra sussistenza e la difesa nostra ; e noi abbiam core di dormir tran quilli, affidando la nostra sussistenza e la difesa nostra a colui che noi stessi reputiamo pieno di ogni vizio ed incapace d'ogni virtù ? » . A coloro poi che dicono il popolo essere senza mente, o che ripetono il vecchio sofi sma aristotelico, esservi uomini nati a servire ed altri nati a governare, è pur facile controribattere. « Ebbene questo popolo nato a servire, questo popolo che non ha mente, è quello che tante volte vi fa tremare con quei delitti, ai quali lo spingono quella miseria , quell’ozio, quella roz zezza in cui, per mancanza di educazione, voi lo lasciate. Se la religione non avesse presa un poco di cura della educazione sua, qual sarebbe mai questo popolo ? » . Oggi non si può tornare indietro : il bisogno dell'edu cazione è immanente, sentito da tutti, sovrani e sudditi, governanti e governati. « Non mai il bisogno dell'educa zione è stato maggiore. Tutti gli usi antichi, che tenevan luogo di precetti, vacillano : gli uomini, dopo i troppo vio lenti cangiamenti di ordini e d'idee, soglion cadere nel l'anarchia de'costumi, che è peggiore di quella delle leggi. Non mai vi è stato bisogno maggiore di educare quella ( 1 ) Giorn . ital . , 1804 ; n. 61 , 62, 75 ; 21 , 23 maggio, 23 giugno; pp. 243-44, pp. 247-48, pp. 303-304 : Educazione popolare (ri stampato in Scritti pedagogici, p. 23 e sgg.; ed ora in Scritti vari v. II, pp. 93-102 ) . 265 parte della nazione che chiamasi popolo e diffonder l'istru zione ne' villaggi e nelle campagne » . Per queste sue considerazioni il Cuoco si ricollega al grande pedagogista prerivoluzionario, a Jean- Jacques Rousseau , il solo forse che primo sentì le vive pulsanti forze del popolo nuovo ed il bisogno di provvedere alla di lui istruzione, riferendosi alla sua natura e all'evolu zione delle sue facoltà ( 1 ) . A chi noi daremo mai questo alto compito di creare degli uomini consapevoli del loro posto nella società ! La risposta del Cuoco non è dubbia. Dato il carattere etico -giuridico che egli attribuisce allo Stato, è ovvio che l'educazione debba essere impartita, o almeno control lata, dallo Stato. L'educazione mira a formare buoni cit tadini : è naturale dunque che lo Stato » volontà collet tiva, somma di volontà individuali, da essa non possa prescindere. « Posto questo bisogno nello Stato » osserva giustamente il Gentile « di consolidare sempre più le pro ( 1) Del resto il concetto di natura e quello d'educazione e di Stato nel Rousseau hanno un significato ben più profondo di quanto generalmente non si creda. Vedi a questo proposito il libro di G. DEL VECCHIO, Su la teoria del contratto sociale, Bologna, Zanichelli, 1906, p . 32. « È .... massima ( del Rous seau ) che nella realtà si distingua ciò che è fattizio , ossia sopravvenuto per arbitrio ed arte dell'uomo , da ciò che è na turale, ossia fondato nell'essenza medesima della cosa. Questo ha valore di norma rispetto a quello. La natura è dunque per Rousseau il principio del dover essere, più ancora che quello dell'essere . Essa esprime la realtà in un senso filoso fico e non già fisico ; rappresenta la sua ragione e non la sua contingenza » . Ma questa concezione della natura, propria del Rousseau, nel Cuoco viene integrata e corretta, come nota il GENTILE ( Studi vichiani , p. 419), con la concezione storica dello spirito. « Ed è in verità non una contaminazione delle due filo sofie, ma la schietta pedagogia del Vico , che aveva più salda mente fondata (benchè con fortuna storica senza paragone minore) che non il Rousseau, il motivo di vero del suo natu ralismo: l'autonomia dello spirito » . A due distinte fonti oc corre ricondurre la pedagogia cuochiana, al Rousseau che gli dà vivo il senso dell'essenza prima d'ogni realtà, al Vico che gli dà la consapevole riduzione della stessa realtà allo spirito nella sua dialetticità . 266 prie basi nella coscienza nazionale, è evidente che l'istru zione, come pensavano i pedagogisti della Rivoluzione francese, e come prima aveva insegnato il Montesquieu per lo Stato democratico, è funzione di Stato . Poichè lo Stato si regge sulla coscienza nazionale, e questa si forma con l'istruzione pubblica , rinunziare a questa è per lo Stato un assurdo : sarebbe come rinunziare a sè stesso » (.1). Il compito educativo certo non si esaurisce nella scuola, ma questa trascende : l'ecclesiastico , il filosofo, il legi slatore tutti e tre mirano allo spirito e al suo sviluppo, ma la loro opera è di necessità insufficiente, se non è in tegrata dall'attività generale e pubblica dello Stato. Scuole di morale, laiche od ecclesiastiche, possono pur vivere, occorre però che lo Stato le controlli, e le adatti sempre meglio allo scopo, alla finalità che esso si pro pone, e le riconduca a questo, ove se ne allontanino. Sarà perfetta quella città, quello Stato, in cui il sa cerdote, il filosofo e il legislatore si saranno messi di ac cordo, e concorreranno ugualmente all'educazione del popolo. Stabilito il punto primo che l'educazione deve essere dello Stato, ancorchè sia educazione religiosa, fissiamo i suoi caratteri : essa deve essere in primo luogo univer sale, poi pubblica, infine uniforme. L'educazione deve essere universale. Il Cuoco concepi sce la vita da un punto di vista spiritualistico . Vita non è vegetazione o deambulazione, è coscienza della propria posizione nel mondo, perciò è innanzi tutto attività dello ( 1 ) G. GENTILE, Studi vichiani , p. 408. Noto a questo propo sito come soltanto tenendo presente il concetto di Stato qual'è nel Rousseau, il Cuoco poteva giungere a concepire uno Stato educatore. « Quando il Rousseau parla ( Vedi DEL VECCHIO, op. cit. , p. 33) della « nature du corps politique » , non intende con ciò di riferirsi alla guisa onde lo Stato si presenta nei fatti ; ma alla ragione dell'essere suo ingenerale, all'esigenza suprema, cui esso ha da corrispondere.... La libertà e l'uguaglianza, fon date nell'essenza stessa dell'uomo, debbono aver nello Stato la loro assoluta sanzione » . E la libertà e l'uguaglianza bisogna intendere in un senso spirituale e non empirico, intimo e non estrinseco. 267 spirito . Lo spirito è qualcosa di inscindibilmente uni tario, onde l'educazione dev'essere inscindibilmente uni taria . Tutto, scienze ed arti, scienze fisico - naturali e scienze morali, debbono convergere ad un sol centro, lo spirito . I secoli barbari potranno dire « non esservi alcun rapporto tra le scienze e le arti » ( 1 ) ; i secoli di pro gresso, in quanto più hanno consapevolezza della realtà mirano ad unire le disiecta membra di quel che in astratto sarà questa o quella scienza a noi precostituita, ma che in concreto non è che una elaborazione dello spirito, una nostra formazione, e nello spirito attinge l'uni versale . Perciò, dice il Cuoco, « noi adopriamo la parola istruzione nel suo più ampio significato ; ed in ciò , oltre d'imitare tutta l'Europa colta, abbiam la gloria di se guire gli esempi domestici. I nostri pittagorici, forse i più savi istruttori di tutta l'antichità, niuna parte della vita umana escludevano dalla pubblica istruzione » ( 2 ) . L'educazione, in secondo luogo, deve essere pubblica . L'Italia è sempre stata una terra feracissima di ingegni, ricca di uomini grandi, ma costoro, maturatisi in am bienti apatici e morti alla cultura, hanno molto contri buito alla propria gloria, poco alla gloria dello Stato e al benessere della collettività . Poichè « la nazione non era istruita, essi fecero molto per la gloria loro, nulla o poco per l'utilità della patria ; tra essi ed il popolo non eravi nè lingua intelligibile, nè mezzo alcuno di comunica zione » ( 3 ) . Occorre quindi che lo Stato dia un'istruzione ai suoi cittadini, onde le loro forze non vadano disperse, ma convergano sempre più e meglio ad un fine unico, . il progresso civile. Ma il fatto che l'istruzione sia pubblica e statale si gnifica dunque la morte delle scuole private, specie in un paese come l'Italia ed in particolare Napoli, ove la scuola privata ha una storia nobilissima ? No certo : le scuole private sussistano pure gestite da chiunque, ma ( 1 ) V. Cuoco, Scritti vari, v. II , p. 4. ( 2 ) V. Cuoco, Scritti vari , v . II , p. ( 3) V. Cuoco, Scritti vari, v. II , p. 4. 5. 268 lo Stato ha l'alto controllo a che i maestri siano degni e moralmente e culturalmente, a che la materia d'in segnamento sia comune a quella delle scuole pubbliche, a che non si propaghino per mezzo loro dottrine con trarie all'ordine pubblico e alla moralità media della società . Il fatto però che l'ente pubblico, cioè lo Stato, dia una educazione ai suoi cittadini non significa che tutti i cit tadini debbano divenire altrettanti dotti. Lo Stato non pud perseguire questo fine. Ricordiamo quel che il Cuoco dice nel Platone in Italia, laddove osserva che una città di soli savi non meriterebbe nemmeno il nome di città, perchè le mancherebbe ciò che solo tramuta una congre gazione d’uomini, in città, in Stato : « la vicendevole di pendenza tra di loro per tutto ciò che rende agiata e sicura la vita e la perfetta indipendenza dagli stra nieri » ( 1 ) . Accanto al savio è necessaria la coesistenza della massa dei non savi, e in questa è poi necessaria una ulteriore differenziazione di funzioni , per cui l'agricoltore non sia calzolaio, il muratore non sia mugnaio. Coloro che si propongono un assoluto illimitato eleva mento intellettuale del popolo cadono nell'errore, poichè vogliono l'impossibile e il dannoso : l'impossibile, « per chè non si può giungere alla perfezione nelle scienze se non per la stessa via , per la quale vi si perviene in tutte le arti , cioè dividendo gli oggetti del lavoro ed occu pandosi di un solo ; il che da un popolo intero non si può fare, poichè, per sapere, dovrebbe egli rinunciare ai mezzi di vivere » : il pernicioso, « perchè rimanendosi il popolo a mezza strada, avremmo una nazione di mezzo sapienti; ed un mezzo sapiente, diceva il Chesterfield, è unpazzo intero » ( 2 ) . Da ciò consegue che l'istruzione, sebbene pubblica, non può essere uguale per tutti, e come nel paese vi deb bono essere i ricchi e i poveri, i conservatorie i filoneisti, ( 1 ) V. Cuoco, Platone, v. I , p. 86. ( 2 ) V. Cuoco, Scritti vari, v . II , p. 5. 269 così vi debbono essere i dotti e gli indotti, i più colti e i meno colti. Vi sarà perciò una istruzione per pochi, che diremo sublime o alta, una per molti, che diremo media o secondaria, una per tutti, che diremo elementare o pri maria . La prima è destinata al progresso delle scienze, la seconda ha per iscopo di diffondere i trovati dell'alta cultura nella vita commerciale industriale agricola a con tatto con il popolo, la terza di dare allo Stato fedeli sud diti, virtuosi e morali cittadini. Questa tripartizione della scuola rivela il gran senso pratico del nostro autore, a cui della vasta gamma della vita umana nulla sfugge e si perde. Ma la discriminazione non si ferma qui. Occorre che l'istruzione, che lo Stato impartisce alle donne, sia diversa da quella, che impar tisce agli uomini, e che per le donne stesse sianvi pure le tre forme o gradi di scuola sovra dette. L'istruzione alle donne ? È questo un tema caro al Cuoco. Le donne, scrive nel Platone, hanno il grandioso compito di allevare figli per lo Stato, e di allevarli non nel senso comune, cioè di nutrirli, ma di istillare in essi i primi sensi della vita sociale, i primi germi, che poi nell'interiorità dello spirito si svilupperanno. Esse, che hanno un così alto compito, conviene che abbiano una adeguata preparazione. Infatti, scrive il Cuoco, « non può dare al figlio l'educazione di un cittadino colei che ha la condizione e la mente di una serva » (1. ) . Perciò lo Stato si deve preoccupare dell'educazione femminile, e provvedervi in modo da non turbare l'ordine della natura e la sua essenza : educare le donne da donne, ed educarle secondo la diversa posizione sociale che nel mondo esse avranno : e « quando le donne saranno educate, sarà com piuta per metà l'educazione degli uomini » ( 2 ) . Una questione subordinata è quella della gratuitità del l'istruzione. Deve essere questa gratuita per tutti ? No. L'istruzione inferiore o primaria, appunto perchè ha i ( 1 ) V. Cuoco, Platone, v. I , p. 25. ( 2 ) V. Cuoco, Scritti vari, v. II , p. 21 . 270 caratteri della più vasta generalità, è offerta dallo Stato a tutti senza retribuzione alcuna, ma l'istruzione media e superiore, siccome risponde ad utilità non solo sociale, ma altresì particolare, deve essere pagata da chi ne usu fruisce, salvo sempre a fare condizioni di favore a chi, essendo sfornito di beni di fortuna, s'addimostri degno per altezza d'ingegno di essere mantenuto agli studi dallo Stato, che un giorno o l'altro con le opere sue glo rificherà . Infine, in terzo luogo, l'istruzione deve essere uni forme. Dopo quanto abbiamo detto l'uniformità dell'istru zione appare chiara : in ogni suo grado, inferiore medio e superiore, in ogni suo aspetto, maschile e femminile, l'istruzione deve essere uniforme, svolta con gli stessi programmi, con gli stessi metodi, con gli stessi libri. Il Cuoco non si nasconde i gravi difetti insiti nell'abuso d'un simile sistema : le scienze possono anche arrestarsi, poichè la discussione e il contrasto sono il vero e più efficace stimolo al progresso : si può generalizzare un abito di servilità verso il passato, che è quanto di più nocivo per la vita, che si sviluppa in un irrefrenabile superamento dell'antico nel nuovo. Perciò questa uniformità non si può intenderla in un senso assoluto, ma bensì relativo. Ognuno che insegna deve insegnare, previa autorizzazione dello Stato, ed in segnare sulla base di un programma -metodo anteceden temente presentato alle superiori autorità pubbliche. I corsi impartiti da privati non avranno effetto accade mico, se non in seguito ad un esame dinanzi ai docenti di Stato . Lo Stato inoltre esamina e giudica i libri di testo che andranno per le mani dei giovani . Certo questo sistema potrebbe portare con sè il più grave degli inconvenienti, lo staticizzarsi dell'insegnamento, il chiudersi in for mule, in programmi, in metodi, cioè in quanto di più astratto si possa immaginare. Per eliminare tutto ciò il Cuoco propone una direzione o ministero di tecnici, che aperto a tutti gl'influssi scientifici europei, nell'opera sua di controllo riconosca meriti e punisca abusi, ed 271 in ogni caso abbia di mira il progresso e lo sviluppo del l'attività spirituale ( 1) . Posti questi princípi fondamentali , Vincenzo Cuoco abbozza un suo vero e proprio progetto di riforma sco lastica, particolareggiato e minuto, monumento insigne di sapienza pedagogica, in cui davvero noi sentiamo vi vere quella che è la scuola moderna. Noi non possiamo seguirlo fino alle ultime delucidazioni, ma ci proponiamo di astrarre dall'opera quei princípi generali, che più hanno relazione con l'assunto politico . Caratterizzando la scuola primaria il nostro scrittore dice che questa, oltre a dare le prime nozioni della lettura e della scrittura, mira a formare una morale, volendo significare che mira a formare una moralità media so ciale . È un punto importante. La morale è necessaria per gli aggregati umani, ed è necessaria in sè e nella sua uniformità. Possiamo anzi osservare che essa è un bi sogno dello spirito che la elabora e la pone. Questo pro cesso di formazione è un processo spontaneo . Lo Stato non può ignorarlo . O esso interviene e lo promuove, al lorquando prende i fanciulli nelle prime scuole e li porta giovinetti fino alle superiori, plasmando e riplasmando le loro coscienze, o esso inattivo assisterà a degli svi luppi spirituali, dai quali può anche ricevere danno. « È necessario che ai popoli si dia ( una morale ]: altri . menti se la formeranno da loro » ( 2 ) . Questo compito, il dare al popolo una morale, è af fidato alla scuola primaria, allorquando l'uomo è tenero ed atto a ricevere le più svariate nozioni e a compene trarle di tutto il proprio afflato spirituale . Se questa mo rale « la riserbate all'età adulta, quando già l'uomo ha sentito ed ha agito, voi gliela darete tardi ; egli si tro verà di aversene già formata un'altra : siete sicuro che non sia diversa dalla vostra, e che, essendo diversa, vi riesca di distruggerla ? » ( 3) . ( 1 ) V. Cuoco, Scritti vari, v. II , p. 14. ( 2 ) V. Cuoco, Scritti vari, v. II , p. 16. ( 3 ) V. Cuoco, Scritti vari, v. II , p. 16. 272 La prima morale, quella dell'infanzia, è la più pro fonda. Il fanciullo la riceverà, quando il suo animo è ancora puro, in sublime stato d'innocenza, scevro di passioni conturbatrici, e non la dimenticherà mai più, poichè essa gli è divenuta abitudinaria, vale a dire con naturale al proprio esssere . E, se tutti i fanciulli saranno stati educati dallo Stato allo stesso modo, l'opinione dei singoli sarà coincidente con l'opinione universale. Qui si rivela un grande senso pratico . Non basta im porre la legge ai singoli, occorre sentirne la necessarietà od anche, ov'è possibile, l'utilità, perchè essa non resti un astratto, ma vibri davvero nella coscienza collettiva : e questo è il compito della morale. Lo Stato perciò di Cuoco non si preoccupa dell'istru zione letteraria soltanto, ma anche, e sopra tutto, del l'istruzione morale e politica. Dell'istruzione religiosa non si preoccupa « perchè appartiene ai di lei ministri » ( 1 ) . Ma quest'affermazione non bisogna assumerla in senso rigido . Dato il sistema politico del Cuoco, per cui lo Stato è stato professionista e giurisdizionalista, è ovvio che lo Stato non può disinteressarsi di quell'educazione reli giosa, che, ancorchè si ponga fuori dalle mura delle aule scolastiche, mira agli spiriti, cioè agli uomini, che sono poi cittadini. La religione è un mirabile strumento d'educazione, an corchè non sia l'educazione stessa . Come può lo Stato ri manere indifferente dinanzi ad essa ? « È necessario che la legge le dia la norma, perchè spetta alla legge, alla sola legge, il determinare qual debba essere la virtù del cittadino . È necessario che la filosofia le indichi i mezzi, perchè la filosofia è quella cui spetta conoscere il cuore e la mente umana e le vie per insinuarvi la virtù e la saviezza » ( 2 ) . Ma d'altra parte la stessa educazione di Stato deve ( 1 ) V. Cuoco, Scritti vari, v. II , p. 12. ( 2 ) Giorn . ital . , 1804, n. 61, 62, 75 ; 21, 29. maggio , 23 giugno; pp. 243-44, pp. 247-48 , pp . 303-4: Educazione popolare (vedi p. 264 del presente lavoro ). 273 avere carattere religioso. Il Cuoco ha detto che la reli gione non s'insegnerà nelle scuole : va bene : ma l'in segnamento, ' specie il primario, non sarà efficace se non sarà circonfuso di quello spirito religioso, che parla alle anime semplici. Il dotto trova nell'assoluto etico il soddisfacimento delle sue esigenze di libertà ; l ' indotto, il fanciullo hanno bisogno di quella morale rivelata ed oggettiva che è la religione. In un articolo del Giornale italiano il Cuoco, par lando di una scuola normale danese, atta a creare ottimi maestri, scrive che « il popolo deve esser istruito, ma non deve esser dotto : ad ottener ambedue questi fini, non vi è altro mezzo più efficace che dargli de' maestri egual mente lontani dall'ignoranza e dalla pedanteria ; met terli in tutt'i punti dello Stato, onde sieno .in contatto col popolo, nè il popolo abbia bisogno di cercarli; rive stirli di un carattere che pel popolo è il più sacro, cioè del carattere religioso » ( 1 ) . Quindi anche l'istruzione ele mentare, ancorchè laica e gestita e controllata dallo Stato, non può prescindere da quel carattere, che diremo in senso assai largo religioso, come quello che meglio risponde all'indole e alla natura del popolo, che è tutto senso e fantasia e poco ragione. Sovra questa base religiosa si potrà fondare una mo rale civica, poichè chi è buon credente in massima sarà buon cittadino, e sulla morale poi si assicurerà il rispetto alle leggi e allo Stato . Ma la base di tutto è la religione. E, siccome la pubblica autorità « si occupa dapertutto a fare sì che vi sieno istituzioni uniformi di quelle idee che più importa che sieno comuni e concordi, così dia una norma anche per le istruzioni che fanno i ministri dell'altare ; le quali, se non sono concordi colle altre, sa ranno inutili; se sono discordi , diventeranno nocive » . Da tutto ciò una illazione. « Riuniamo ( esse non si avreb bero dovuto separar giammai) le istruzioni della casa, ( 1 ) Giorn . ital . , 1804, 29 ottobre, n. 130, p. 528-29 : Utilità pubblica. 18 - F. BATTAGLIA . 274 del fòro, del tempio ; tolgansi una volta quelle diversità di princípi , per cui ciò che la legge economica di una famiglia richiede è condannato dalla legge politica di tutta la città, e ciò che la patria impone è indifferente per la religione ; facciam sì che costumi, leggi, religione non abbiano che un sol fine, che è quello di render i cit tadini più virtuosi e la patria più felice » ( 1 ) . È la naturale logica conseguenza di quella visuale che il Cuoco ha dei rapporti tra Stato e Chiesa e del posto che egli attribuisce alla religione nella vita dello spirito, so luzione tirannica, se si vuole, ma altamente liberale, se si pensa alla natura dello Stato cuochiano, Stato etico, attuante una sua libera finalità superiore ad ogni parti colare transeunte ed assommante in sè tutte le varie ma nifestazioni della vita. Lo Stato del Cuoco ha molti punti di contatto con lo Stato del Fichte e dell' Hegel. « E ogni - volta » nota giustamente il Gentile « che si sente forte mente la sostanzialità etica, il valore ideale e morale dello Stato ( il che avviene quando piuttosto si guarda all'idea di esso o a uno Stato futuro, che non quando si abbia sott'occhio un determinato governo, il quale di tanto è imperfetto a rappresentare realmente lo Stato, di quanto è inferiore alle idealità che nello Stato pure si agitano , senza raggiungere la forma giuridica ) , così della religione come della filosofia, in quanto servono anch'esse come elementi riformatori della coscienza civile, si fa necessariamente uno strumento del fine politico » ( 2 ) . Laddove l'educazione primaria deve mirare alla fan tasia e al senso, e perciò deve essere essenzialmente re ligiosa, l'educazione superiore deve essere filosofica, cioè mirare allo spirito nelle sue più elevate manifestazioni razionali. Le qualità proprie d'ogni vera educazione, in quanto spirito, l'unitarietà sopra tutte, si rivelano ora. « L'educazione ben diretta non ha tanto in mira d’in segnare una o due idee positive di più o di meno, quanto ( 1 ) Giorn. ital . , 1804, 25 aprile, n. 50, p. 200 : Varietà ( vedi p. 226 del presente nostro lavoro ). ( 2 ) G. GENTILE, Studi vichiani , p. 416. 275 d'ispirare l'amore di una scienza e dare alla mente una attitudine maggiore a comprenderla. Quasi diremmo che non si tratta di formar un libro, ma un uomo : giacchè ad un libro rassomiglia un uomo meramente passivo, il quale tante idee tiene quante se gliene son date ; mentre al contrario il carattere della mente è quella di esser at tiva, creatrice, capace di formare le sue idee, ordinarle, saperle insomma dominare in tutti i modi e signoreg giare » (1 ) . Il concetto realistico della vecchia pedagogia è superato. Il maestro, infine, è tale in quanto è nello spirito del discente, in cui si compie quel processo, per cui la nozione divien vita, cioè atteggiamento spirituale e s’armonizza in un vasto tutto , la personalità. La scuola non è accademia, ma intima affermazione di coscienze formatesi gradualmente in un logico libero sviluppo. Tutto il vecchio macchinario formalistico deve essere bandito : il giovane deve essere posto a tu per tu con i grandi scrittori, poeti storici filosofi, senza il tramite di quei cimiteri di formule che sono le grammatiche, senza il tramite di quelle carceri di idee, che sono le retoriche e le poetiche : il giovane deve mirare al contenuto ideale delle cose, formarsi quel che si può dire estrinsecamente un metodo acquisitivo , ma che in sostanza null'altro è che una forma dello spirito inscindibile dal suo conte nuto. Questo stesso carattere unitario deve offrire l'istru zione superiore. Una differenziazione di facoltà o scuole speciali e di cattedre s ' impone per i fini professionali che si perseguono, ma « l'istruzione vera è quella che tutte le parti dello scibile ci presenta ben ordinate, tutte ce le addita e ci mette nello stato di poter da noi stessi trattenerci intorno a quella che più ci piace » ( 2 ) . Messo dinanzi ai mezzi con cui si può progredire nello spirito, il giovane deve scegliere, perfezionarsi nel sapere, af fermarsi nella gara della vita. ( 1 ) V. Cuoco, Scritti vari, v. II , p. 25. ( 2) V. Cuoco, Scritti vari, v. II , p. 53. 276 Se ora l'istruzione media ed universitaria, come ho detto deve avere carattere filosofico, ne deriva una pro fonda trasformazione di tutto ciò che era per l' innanzi. Un esempio solo basterà per mostrarci le infinite conse guenze di questa nuova posizione. L'eloquenza per gli antichi null'altro era che uno strumento per il ben scri vere, e questo bene scrivere tutto si imperniava sovra il gioco delle grammatiche, delle retoriche, delle poe tiche. Ora, osserva il Cuoco, la filosofia s'è impadronita delle materie dell'eloquenza . Nè è a dire questa una usur pazione, ma una legittima rivendica di ciò che la filosofia già possedeva in antico, cioè con i Platoni e gli Aristo teli. La forza del dire, la perspicuità dello stile non di pendono da cause estranee a noi, come le norme più o meno buone apprese sui " libri scolastici, ma dalla ric chezza della nostra vita interiore, « dalla forza e dal nu mero delle idee presentate al nostro spirito » ( 1 ) . Perciò quello che nella riforma del Cuoco serba il vecchio nome di eloquenza , diviene una vera filosofia del bello o este tica , che dir si voglia, come quella che direttamente mira allo spirito e alle sue manifestazioni fantastiche, cioè artistiche. Ne il Cuoco si arresta qui, ma seguendo la sua idea che la vera grammatica non possa essere se non nella vita del periodo, in quanto questo scaturisce dalla mente originario e fresco, vagheggia una grammatica universale e filosofica , che insegni il meccanismo di tutte le lingue sulla base della comune uniforme mente umana ( 2 ) . La stessa filologia, come la stessa erudizione e lo stesso studio dei monumenti antichi, sia grafici che tecnici, « ha le sue idee astratte, ha la sua parte filosofica ; perchè ha ( 1 ) V. Cuoco, Scritti vari, v p . 56. . II , ( 2 ) Qui più che mai si palesa quel concetto della natura , per cui nelle cose occorre distinguere quel che è fattizio accessorio da ciò che è essenziale ed originario , che il Cuoco attinge come abbiamo veduto dal Rousseau ed integra con una sicura intui. zione dello spirito in ogni suo aspetto o attività di vita, che de riva certamente dal Vico. 277 le sue regole universali applicabili ai fatti di tutte le na zioni. » ( 1 ) . Bisogna uscire dallo studio del fatto in sè e per sè, sia esso un documento grafico o un rudere ar chitettonico, risalire allo spirito, all'idea che ha mosso un popolo o un individuo a crearlo . E come nello spi rito umano c'è un'essenzialità comune, dalle conclusioni particolari ad un popolo occorre risalire a conclusioni più vaste, a generalizzazioni più audaci, investenti il nu cleo della universalità, seguendo questi stessi princípi, che il Vico ha divinato nella sua Scienza nova . Giambattista Vico, analizzando la filologia dei greci e dei romani, ha così fissato le norme per ogni filologia , ha stabilito leggi sicure, addimostrando non le leggi che governano il linguaggio dei singoli , ma bensì quelle che governano il linguaggio delle nazioni. E così si dica, per i miti, per le norme giuridiche, per i riti . « In tal modo la scienza dell'erudizione diventa veramente filosofica ; e ciò, che sappiamo de ' greci e de ' romani, diventa utile ad intendere ciò che della filologia delle altre nazioni o ignoriamo o conosciamo imperfettissimamente » (2 ) . ( 1 ) V. Cuoco, Scritti vari, v. II , p. 62. ( 2 ) V. Cuoco, Scritti vari, v. II , p. 62. Conclusione. Ed ora che abbiamo analizzato la personalità di Vin cenzo Cuoco in tutte le sue manifestazioni politiche e pedagogiche, ci sia lecito concludere, pur sapendo quanta parte del pensiero del molisano sia rimasta fuor dalle linee tracciate . Qual'è la posizione del nostro scrittore nella storia culturale d'Italia ? Posto a cavaliere tra il secolo XVIII e il XIX è il più importante rappresentante di quel che un critico francese, Paul Hazard, ha detto l'italiani smo, e che, se nel secolo XVIII s'impersona nel pen siero storicista, e perciò antirazionalista, di Giambattista Vico, reagente contro l'astrattismo razionalistico di Car tesio, nonchè contro il materialismo di altri minori, in nome di supreme esigenze dello spirito ; nel secolo XIX si impersona nel Cuoco, che animato dall'alta tradizione nazionale muove contro ogni forma di vita, che italiana non sia , e quindi non connaturale a noi, e perciò non veramente storica ma rigidamente morta, astratta, vuota d'ogni vibrante contenuto umano . È un'ideale continuità quella che lega il Vico al Cuoco, è la gloria perenne del pensiero italico rinascente, quando le straniere infiltrazioni sempre più sembrano soffocarlo. Il Vico rappresenta un profondo rinnovamento nella filosofia , e perciò in tutte le attività umane, che dal me todo filosofico non possono prescindere : la politica, la storia, la giurisprudenza, l'economia. Asserendo lo spi 279 rito fonte prima d'ogni realtà morale, asserisce la vera libertà , libertà che nè il Medio Evo nè il Rinascimento, moventisi ancora nell'antico dualismo dell'essere e del divenire, potevano assolutamente concepire. Egli è il primo, che sente il dinamismo dello spirito e pone le grandi proposizioni della filosofia moderna : il mondo del l'arte sensuoso e fantastico, il mondo della storia delle nazioni concretato nelle istituzioni e nelle leggi, il mondo della religione e della moralità s'originano da noi, in noi trovano la loro fonte prima perenne inesauribile, nella continua attività dello spirito. E, se teniamo fermo questo punto, tutto ci si discopre trasformato, e quel che prima era estrinseco, incasellato , morto diviene intimo, libero, vivo. Ma questa posizione implica un nuovo e diverso processo : la realtà spirituale non si conosce, se non affi sandosi nelle più varie manifestazioni delle sue concretiz zazioni, vale a dire discendendo al vero storico, per poi risalire di nuovo allo spirito prima e remota scaturigine : l'unità dello spirito non si comprende se non attraverso la molteplicità , e viceversa la molteplicità non si com prenderebbe se non per il tramite dell'unità. Chiamiamo filosofia la scienza dell'idea eterna ed im mutabile, di ciò che non è transeunte e contingente ; chiamiamo filologia la scienza dei fatti umani, assom mante in sè ogni mutevole prodotto storico : occorre con ciliare l'una con l'altra , la filologia con la filosofia . È il grande assunto del Vico : porre questo nesso correlativo : non v'è filosofia senza filologia, nè filologia senza filosofia . La mente umana è l'origine dell’una e dell'altra, produce l'idea, il vero filosofico, come genera il fatto umano, il vero storico . Da ciò scaturisce che la sua realtà è questo mondo degli uomini, in cui siamo nati ed in cui ci muo viamo, in cui dobbiamo foggiare la nostra individualità ed agire per noi e per gli altri, per il nostro particolare e per lo Stato, in cui vive il nostro miglior noi . E questo il Vico esprime nella notissima icasastica frase : « questo mondo civile certamente è stato fatto dagli uomini, onde se ne possono, perchè se ne debbono, ritruovare i prin cípi, dentro le modificazioni della nostra medesima mente 280 umana » ( 1) . Questo il nucleo profondo della filosofia del Vico, che Cuoco acquisisce e fa sangue del suo sangue, movendo da esso a rinnovare la struttura della politica e della pedagogia tradizionale: Il Cuoco in senso rigido non è filosofo vero, come colui nel quale rimangono vecchi e irresoluti reliquati intellet tualistici nonchè contraddizioni insanabili, per cui in qualche punto è ancor più indietro del suo istesso maestro; ma il suo grande merito è l'aver posto in termini poli tici quel che in Vico era filosofia , e l'aver visto quale inesauribilità di situazioni poteva germinare dalla vec chia esperienza vichiana . In un mondo vuoto e falso quale quello della rivolu zione italo - francese, egli, riinnestandosi al Vico, dà alla nazione quel senso storico che le mancava, e le ridona * quella comprensione sicura della realtà, quella fiducia, che solo può scaturire da una ferma credenza in noi, nelle nostre possibilità, nel nostro avvenire. Nella rivoluzione napoletana si è detto con felice frase sono i germi dell'unità d'Italia, e, notiamo, non solo dal punto di vista estrinseco, ma dal punto di vista anche intellettuale. Con il cadere della Partenopea, diecine e diecine di esuli si diffondono per il Nord d'Italia, ed ivi portano il loro sapere, la loro cultura filosofica più o meno permeata di vichismo, il loro diritto , la loro economia: da ciò nasce una più intima comunione di spiriti, una più attiva fratellanza di idee tra italiani ed italiani. E chi resta insensibile a questo gran movimento cultu rale, in cui sono non pochi e piccoli germi di quel che sarà il Romanticismo ? Nessuno, direi : non v'è alta co scienza che per effetto di questa propaganda non vi chianeggi . È un po' la moda, ma una moda benefica, che porta ad una migliore intesa tra uomini di diverse regioni d'Italia, che erano per secoli rimaste quasi estranee tra loro . Più gli studi si approfondiscono e più questo fenomeno ( 1 ) G. Vico, Scienza nova , v . I , p. 172. 281 appar vero, ' e, notiamo, anteriore in un certo senso al l'opera stessa di Vincenzo Cuoco. È di ieri, recentissimo, uno scritto di Luigi Rava, che ci informa di una rivista, fiorita a Venezia verso il 1796, tre anni prima dunque dell'esilio del nostro molisano, il Mercurio d'Italia , in cui Ugo Foscolo giovinetto fa le sue prime armi e pubblica i suoi precoci scritti, La Croce, l'Ode a Dante, La morte di *** ed altri componimenti di minore importanza ( 1 ) . Ebbene in un articolo anonimo sovra l'Abbozzo di un quadro del progresso dello spirito umano del Condorcet v'è un raffronto tra le dottrine del francese e quelle di Giambattista Vico. È proprio ca suale questa coincidenza ? E il Foscolo giovinetto, che del Vico poi certo si nutrì come dimostrano molte idee dei Sepolcri e degli scritti critici, rimase insensibile al richiamo di questo grande filosofo italiano, « così poco conosciuto fuori della sua Napoli » ? ( 2 ) . Ma i veri apo ( 1) Luigi RAVA, Le prime armi del Foscolo giornalista : il Mercurio d'Italia , in Rivista d'Italia , a. XXVII ( 1924) , v. I , fasc. III , pp. 257-279. ( 2 ) Un certo quale influsso vichiano forse inconscio si può rinvenire in Carlo Gozzi e nella posizione assunta con le sue ce lebri Fiabe contro il Chiari e il Goldoni, in cui certo egli rappre senta una tradizione veramente italica, se pure esausta dal tempo, contro una riforma che a lui pareva una volgarità , troppo permeata di verismo com'era. Lastessa ricerca del fan tastico per il popolo in una società razionalista, superba della infinita sicurezza dell' intelletto , è una posizione vichiana. « Il contenuto » scrive il DE SANCTIS , ( Storia, II, p. 305 e sg. ) se è il mondo poetico com'è concepito dal popolo , avido del meraviglioso e del misterioso, impressionabile, facile al riso e al pianto. La sua base è il soprannaturale nelle sue forme : miracolo, stregoneria, magia. Questo mondo dell'immagina zione, tanto più vivo quanto meno l' intelletto è sviluppato, è la base naturale della poesia popolana sotto le più diverse forme: conti, novelle, romanzi, storie, commedie, farse. La vecchia letteratura se n'era impadronita , ma per demolirlo, per gettarvi entro il sorriso incredulo della colta borghesia. Rifare questo mondo nella sua ingenuità, drammatizzare la fiaba o la fola, cercare ivi il sangue giovane e nuovo della com media a soggetto : questo osò Gozzi in presenza d'una società scettica e nel secolo de’lumi, nel secolo degli spiriti forti e 282 stoli del vichismo sono nell'Italia settentrionale gli esuli napoletani del '99, come osserva B. Croce ( 1 ) , sono Vin cenzo Cuoco, Francesco Lomonaco, Francesco Salfi, il Massa, il De Angelis ed innumerevoli altri minori ma pur degni. Per la loro opera si può dire che non vi sia grande scrittore che non vichianeggi. L'influsso che il Cuoco od altri esercitò sul Foscolo, è indiscutibile. A noi non risulta alcun documento com provante possibili e diretti rapporti Cuoco - Foscolo, ma è certo che, se il molisano ebbe relazioni , anche super ficiali, con amici del poeta dei Sepolcri, questi non potè ignorare l'autore del Saggio storico ( 2 ) . Ma sia o non sia stato il Cuoco od altri ( 3 ) a far conoscere il Vico al Foscolo, de’belli spiriti. E riuscì ad interessarvi il pubblico , perchè quel mondo ha un valore assoluto e risponde a certe corde che, ma neggiate da abile mano d'artista, suonano sempre nell'animo: ciascuno ha entro di sè più o meno del fanciullo e del popolo ». Del resto l'ultimo editore di C. Gozzi, Domenico Bulferetti, ( Le memorie inutili , Torino , 1923 , vol. due) non ha potuto ne gare che lo spirito dell'autore delle Fiabe assuma atteggia menti non certo consoni al tempo suo e alla veneta società, come tutte le società del tempo illuminata, ma riecheggi un po' il nuovo storicismo meridionale, pur senza essere riuscito a provare una diretta influenza di quest'ultimo sugli studi del suo autore. (1 ) B. CROCE , La filosofia di G. Vico, p . 289 ; B. CROCE, Storia della storiografia , v . I , p. 12. ( 2 ) G. ROBERTI, in Giornale storico della letteratura italiana , a. XII, v. XXIII, pp . 416-427. Il Roberti raccoglie nell'arti colo alcune lettere che C. Botta, U. Foscolo , V. Cuoco inviarono al suo bisavolo paterno , Giovanni Giulio Robert ( poi italianiz zato in Roberti). Le lettere di Foscolo sono delle mere com mendatizie di due esuli meridionali, uno certo Piscopo, l'altro un anonimo, che il Roberti crede, senza peraltro dimostrarlo, che sia il Lomonaco . Da ciò si deduce sicuramente che Ugo ebbe rapporti con meridionali e con amici diretti del Cuoco. ( 3 ) Vedi a proposito G. PECCHIO, Vita di U. Foscolo, Città di Castello, Lapi, ed. , 1915 , p. 170, p. 210 e passim . P. HAZARD, op. cit. , p. 241 osserva : « Son influence se répandra même dans la littérature pure, où en trouvera des traces chez Monti et chez Foscolo. Toux ceux lacomprennent les articles que Cuoco consacre à son maître (Vico] » . Ora F. NICOLINI nella Nota agli Scritti vari di V. Cuoco, v . II ,p. 397 , dice che gli 283 gli scritti del poeta stanno lì a testimoniare come pro fondamente nutriti essi siano di pensiero vichiano : così il processo dell'incivilimento descritto nel carme, per cui furono nozze e tribunali ed are, che diero alle umane belve essere pietose di sè stesse e d'altrui, è derivato di- . rettamente dalla Scienza nova, ove è meditato il pas saggio dall'età degli dei alle grandi società eroiche (1 ); e così pure il costume che tolse i miserandi cadaverici avanzi alle fiere e li provvide di sepoltura ( 2 ) . Parimenti articoli del Giornale italiano furono letti attentamente, « molto letti » oltre che da V. Monti e A. Manzoni anche da U. Fo scolo , e allo scopo di provare ciò rimanda ad una recensione, in cui il molisano parla del libro Della Tumulazione di A. DELLA PORTA, Como, Ostinelli, in cui « è, come si vede, il medesimo fondo di idee vichiane, a cui .... s’ ispirò il Foscolo nei Sepolcri » ( v. I , p. 254) . (1 ) B. CROCE, La filosofia di G. B. Vico, p. 172. ( 2) Confronta i su citati brani foscoliani con i seguenti di Vico : à Osserviamo tutte le nazioni così barbare come umane, quantunque, per immensi spazi di luoghi e tempi tra loro lon tane, divisamente fondate, custodire questi tre umani costumi : che tutte hanno qualche religione, tutte contraggono matri moni solenni, tutte seppelliscono i loro morti ; nè tra nazioni, quantunque selvagge e crude, si celebrano azioni umane con più ricercate cerimonie e più consagrate solennità che reli gioni, matrimoni e seppolture. Chè per la Degnità, che « idee uniformi, nate tra popoli sconosciuti tra loro , debbon avere un principio comune di vero, dee essere stato dettato a tutte, che da queste tre cose incominciò appo tutte l'umanità , e perciò si debbano santissimamente custodire da tutte, perchè 1 mondo non s'infierisca e si rinselvi di nuovo » ( Scienza nova, v. I , p. 173) . « Finalmente, quanto gran principio dell'umanità sieno le seppolture, s'immagini uno stato ferino nel quale restino insep polti i cadaveri umani sopra la terra ad esser esca de corvi e cani ; chè certamente con questo bestiale costume dee andar di concerto quello d'esser incolti i campi nonchè disabitate le città, e che gli uomini a guisa di porci anderebbono a mangiar le ghiande, colte dentro il marciume de’ loro morti congionti. Onde agran ragione le seppolture con quella espressione su blime Foedera Generis Humani ci furono diffinite e, con minor grandezza , Humanitatis Commercia ci furono descritte da Ta cito » . ( Scienza nova, I , p. 177 ) . Notiamo che nel primo brano citato il rinselvarsi sta per 284 lo stato ferino dei figli della terra, duellanti a predarsi, primi avi dell'uomo, quei cannibali che s ' imbandiscono convito delle carni umane, così vivi nel mondo rifinito de Le Grazie, non si intendono, se non riferendoci ad un sistema filosofico che è certo quello del Vico ( 1 ) , si stema che siffattamente compenetra l'opera del poeta, che questa trascende e si riflette in tutti gli scritti pro sastici, sia pure storici e critici ( 2 ) . Onde tutta la sua cri tica trova il nucleo originale nei nuovi portati dell'este significare il ritorno allo stato selvaggio primitivo, onde la parola selva significherebbe lo stato stesso, e che precisamente in questo senso il primo e il secondo termine sono stati as sunti da Ugo Foscolo nella celebre Orazione inaugurale: « le umane belve ancor vagabonde per la grande selva della terra » ( Opere, ed. Lemonnier, v . II , p. 21 ) ; nonchè ripetuti da un gio vane, pur esso destinato a divenire un grande scrittore , da GIOSUE CARDUCCI : « fuggendo per la gran selva de la terra il nato de la donna ululò già co' leoni a la preda cruenta : indi con vitto ferin la vita propagando, incerti videsi intorno i figli: e lui cedente de la materia a le vicende eterne l ' immane salma, per lo gran deserto dilaceraro i lupi ». ( Rime, San Miniato, Tipografia Ristori , 1857 , p. 84) . ( 1) La vita preistorica è con viva arte descritta dallo stesso Vico nelle prime pagine dell'opera sua, laddove accenna alle prime trasmigrazioni marittime: « .... gli antenati di coloro che furono poi gli autori delle trasmigrazioni medesime: furono dapprima uomini empi, che non conoscevano niuna divinità ; nefari, chè, per non esser tra loro distinti i paren tadi co' matrimoni, giacevano sovente i figliuoli con le madri, i padri con le figliuole; e , finalmente, perchè, come fiere be stie, non intendevano società , in mezzo ad essa infame comu nion delle cose , tutti soli e , quindi, deboli e , finalmente, miseri ed infelici , perchè bisognosi di tutti i beni che fan d'uopo per conservare con sicurezza la vita . Essi, con la fuga de propri mali, sperimentati nelle risse , ch'essa ferina comunità produ ceva, per loro scampo e salvezza, ricorsero ecc. » ( Scienza nova, v. I , p. 27 ) . ( 2 ) Il vichismo del Foscolo è stato rilevato da N. TOMMASEO, Storia civile nella letteraria , Torino, 1872 , ma certo non com preso , troppo imbevuto , com'era il critico, di passioni oscura trici d'un equanime giudizio e di false idee d’un'arte pedago gica : il brano, al quale intendiamo riferirci , è stato raccolto nell'antologia del TOMMASEO, Scritti di critica e di estetica scelti da A. ALBERTAZZI, Napoli, Ricciardi ed ., s . d. , p. 192 e sgg. 285 tica vichiana, che prima scuote le vecchie scolasticherie, a base di retoriche e di poetiche per penetrare nello spi rito vivo e fantastico dell'opera d'arte ( 1) . Ma l'influsso più importante e diretto Cuoco lo eser cita direttamente sul Monti col quale ebbe rapporti epi stolari ( 2 ) , nonchè disappunti letterari, dovuti al fiero" giudizio che l'autore del Saggio faceva circa il carattere del poeta cesareo assai volubile in politica ; e sul Man zoni di cui fu davvero intimo ( 3 ) . Le lezioni universi tarie, dal primo tenute a Pavia, specie la prolusione Della necessità dell'eloquenza ( 1 ) , il Discorso sulla storia longobarda del secondo ( 5 ) , sono la prova sicura della dif fusione delle dottrine del Vico. ( 1 ) Vedi a proposito come Foscolo intende l'eloquenza e confrontala con il modo come l'intende il Cuoco : G. PECCHIO, op. cit., p . 210, nota ; B. ZUMBINI, Studi di letteratura ita liana, Firenze, Le Monnier ed . , 1894, p. 267; G. A. BOR GESE, Storia della critica romantica in Italia, Milano, Treves ed. , 1920, p. 248 e sgg. , sopra tutto p. 266 : « non è una scoperta , dice quest'ultimo, quella dello Zumbini che anche le lezioni di eloquenza siano tutte nutrite di concetti vichiani ; anzi fa rebbe una scoperta chi indicasse uno scritto capitale del Fo scolo , nel quale la filosofia della Scienza nova non abbia bene o male la sua parte » . ( 2 ) G. Cogo , op. cit. , p. 181; N. RUGGIERI, op. cit. , p. 47 ; P. HAZARD, op. cit ., p. 241 ; vedi anche V. Cuoco, Scritti vari v. II , pp. 318 , 367 , passim . ( 3) N. RUGGIERI , op. cit. , p. 48 , il quale in nota richiama G. CAPITELLI, Patria ed arte, Lanciano, Carabba ed. , 1887 , p. 182 e sg.; vedi V. Cuoco , Scritti vari , v. I , p. 285 ; v. II , pp. 318, 358, 367, 397 , passim . ( 4 ) V. MONTI, Prose e poesie, Firenze, Le Monnier, 1847 , v. IV, p . 31 e sgg. ( 5 ) A. MANZONI, Prose minori con note di A. BERTOLDI, Firenze, Sansoni ed ., s . d ., p. 22 e sgg. Allorquando questo lavoro era già ultimato usciva per le stampe l'opuscolo di G. GENTILE, Vincenzo Cuoco; commemorazione tenuta a Campo basso nel primo centenario della sua morte, Roma, C. De Al berti ed ., *1924. L'influsso vichiano, per il tramite del Cuoco, nota il prof. Gentile, si rivela « non solo per l'alto concetto in cui dimostra di tenere il grande filosofo napoletano, ma anche e principalmente per la forma definitiva della sua mente, per alcuno dei caratteri più significativi della sua individualità di 286 n Nè questa si arresta qui , ma plasma disè tutta la nuova critica d'arte, e in parte la nuova storiografia, rifonden dosi con dottrine di diversa origine e di diversi paesi, specie con i canoni romantici di Germania : a chi legge gli scritti del Berchet ( 1 ) , del Torti ( 2 ) , del Di Breme ( 3 ) , non sarà difficile rinvenirvi idee e proposizioni vichiane. Così, gradualmente per opera del Cuoco e di pochi altri napoletani, il pensiero nazionale si vien formando attra verso un apporto di storicismo e d’idealismo meridio pensatore e scrittore , quale è rappresentata sopra tutto ne romanzo. Poichè anche Manzoni pensatore e scrittore è un realista che non conosce tipi astratti, ma vede sempre gli uo mini e li rappresenta come sono in fatto storicamente; non repubblica di Platone e neppur feccia di Romolo ; ideale col suo limite , come diceva De Sanctis : tutto determinato, vero e certo : e così in questa determinatezza e limitazione e storia, tutto segnato dal dito di Dio , tutto,come aveva insegnato Vico, governato da una Provvidenza che non precede per mi racoli, ma opera naturalmente attraverso gli stessi effetti delle cose e le azioni degli uomini . ( 1 ) Vedi BORGESE, op. cit., p . 105 : « il Berchet s'era nutrito degli scrittori più audaci d'oltremonte : la Staël, il Bouterweck, gli Schlegel erangli familiari; conobbe non leggermente la let teratura inglese e la tedesca ; dei nostri venerò sopra tutti il Vico e il Beccaria. Vari fili della vita intellettuale d'Italia, annodandosi, davano origine alla nuova critica e alla nuova letteratura ; .... nel secolo decimottavo la filosofia aveva silen ziosamente ed oscuramente rinnovato gli spiriti e s' era con pertinace lentezza accostata alla letteratura , col Vico, non compreso, col Cesarotti non comune ragionatore, col Beccaria autore di un trattato dello stile : e , se forza di filosofare non ebbe il Berchet, questi filosofi studiò e ammirò non debol mente » . ( 2 ) BORGESE, op . cit., p. 189 : « il Torti fu uomo di non co mune coltura e d'ingegno e, cosa a quei tempi molto rara, conobbe il Vico e si richiamò alle leggi da luisegnate, senza divenire per questo critico grande » . ( 3 ) L'ampia influenza del Vico si stende su tutta l'opera di Ludovico Di Breme e su quella di tutti i redattori del Concilia tore, ed è stata ben messa in luce dall'ultimo editore dell'abate piemontese C. CALCATERRA ( L. d . B., Polemiche, Torino, Unione tip . - editrice torinese, s . d. ( 1923 ) ] , che dell'idealismo dei primi romantici, della loro reazione ai vecchi sistemi filosofici, dei loro studi, fa un'ampia disamina . 287 nale al positivismo e al razionalismo settentrionale . È certo un processo lento e faticoso, ma nondimeno si curo, le di cui conseguenze ultime occorre osservare non soltanto nel campo critico e storiografico, ma anche, e sopra tutto, nel campo politico . « Eppure si come giusta mente nota Giovanni Gentile « nonostante la propaganda del Cuoco,... quantunque i germi da lui seminati sian caduti in intelligenze delle maggiori del secolo, si può affermare che la voce del Cuoco come banditrice della verità vichiana non trovi nessuna eco in tutto il resto del secolo. Altri scrittori, segnatamente il Gioberti, hanno lavorato ad educare le menti italiane al realismo poli tico ; altri filosofi, segnatamente lo Spaventa, hanno la vorato a sviscerare il nucleo centrale della filosofia vi chiana ; ma fino ai nostri giorni nessuno ha visto in questa filosofia così nettamente e fermamente come Vincenzo Cuoco il nuovo metodo, veramente rivoluzionario , " del pensare storico e politico e un potente irresistibile argo mento per un programma politico nazionale. Egli, per questo rispetto, rimane sulla soglia del secolo XIX, maestro unico solitario : un veggente » ( 1 ) . Con ciò vo gliamo semplicemente dire che se le dottrine vichiane nel campo estetico, attraverso la propaganda del Cuoco, dànno subiti e luminosi effetti, nel campo politico, que sti effetti sono più lenti e tardi, quasi misconosciuti al lorquando si manifestano : Vincenzo Cuoco è un maestro senza discepoli, o meglio , con un solo discepolo, e per avventura grandissimo, Giuseppe Mazzini. Quel che nel Cuoco abbiamo detto realismo politico, derivazione stretta di tutto l'insegnamento della Scienza nova, non è destinato a perire, ma, rinnovandosi, tra sformandosi porta alle più grandi conquiste del secolo : « primo, a riconoscere e a mettere in rilievo l'individua lità insopprimibile di tutte le formazioni storiche; se condo, a negare che un popolo, come un individuo, possa nulla ricevere di fuori, e che possa progredire ed elevarsi senza uno sforzo proprio fondato sulla stima di sè e sulla ( 1 ) G. GENTILE, V. Cuoco : commemorazione, p . 13 e sg. 288 fiducia delle proprie forze » ( 1 ) . Questi due postulati gran diosi e veri, posti dal Cuoco nella coscienza degli Italiani, non si distaccheranno più da essa, e formeranno il nucleo di tutta l'educazione nazionale e di tutta la pratica po litica, che si sintetizza nell'opera di Mazzini. Ora i nuovi studi di F. L. Mannucci circa la prima fase del pensiero mazziniano hanno messo bene in luce come il genovese non solo si sia nutrito del Vico ( 2 ) per il tra mite del Michelet ( 3 ) , ma in suoi privati zibaldoni abbia recensito e fatto estratti de ' numerosi e vivi articoli, che ( 1 ) G. GENTILE, V. Cuoco : commemorazione, p. 14. ( 2 ) L'influenza del Vico su Mazzini è stata ben posta in luce prima che dal Mannucci dal BORGESE, op. cit., p. 291 e sgg. « Egli era, come il Foscolo, lontano dal finalismo dommatico che impediva in ogni modoal Tommasèo di trarre vita e nutri mento dalle dottrine del Vico. Epperò egli era in condizioni più felici di quei due che l'avevano preceduto nell’a i mirazione pel Vico, e se ne disse discepolo con convinzione non minore, ed anzi ne persuase lo studioproprio per il rinnovamento della storia letteraria. « Il vuoto esistente nella filosofia » , egli la mentava, « deve naturalmente ripetersi nella critica letteraria, che è la filosofia della letteratura » ; e la filosofia ch'egli desi derava era proprio la Scienza nova. « Il vincolo » , disse altrove, paragonando le antiche congerie erudite che usurpavano il nome di storie letterarie con quelle che venivano in onore per effetto del rinnovamento romantico, « il vincolo che annoda in un popolo le istituzioni, le lettere e i progressi della civiltà, indovinato un secolo innanzi dal nostro Vico, fu posto in chiaro, sottomesso ad analisi e diede cominciamento ad una sola scuola, il cui scopo santissimo or s'irride da chi non sa , o non cura comprenderlo » . E si compiaceva che ora molti libri e molti studiosi traessero il Vico da quell'obblìo a cui per cento anni lo avevano condannato le baieerudite e l'inerzia degli animi». ( 3 ) F. L. MANNUCCI, Giuseppe Mazzini e la prima fase del suo pensiero letterario : l'aurora d'un genio, Casa ed. Risorgi. mento, Roma, ecc. , 1919, p. 16, p. 23 e sg. , p. 66 e sgg., p . 143. Il Mannucci ci rende edotti che uno dei cinque mss. da lui stu diati, di cui due sono aPortomaurizio in casa dei sigg. Cremona eredi Ferrari, tre nel Museo del Risorgimento a Genova, con tiene una recensione dei Principes de la philosophie de l'histoire traduits de la Scienza Nuova de Fico et precédés d'un discours sur le système et la vie de l'auteur, par J. MICHELET, professeur, ecc. , Paris, Renouard , 1827. Vedi a proposito di questa versione fran cese , CROCE. La filosofia di G. B. Vico, pp. 289, 291, 304. 289 il Cuoco andava pubblicando sul Giornale italiano, firman doli con la semplice sigla C (1 ) . E in questi zibaldoni il lettore commosso può rinvenirvi annotate le Osserva zioni sullo stato politico dell'Europa, le Considerazioni sul Concordato, in cui Vincenzo getta uno sguardo rapido non solo sul passato e sul presente d'Italia, ma anche nel più lontano avvenire, risolvendo, da una parte, sovra basi giurisdizionali il millenario problema dei rapporti tra Stato e Chiesa, dall'altra la questione dell'equilibrio europeo. È interessante notare, pure, come il Mazzini, po stillando il famoso scritto cuochiano sul Machiavelli, da noi a più riprese richiamato, laddove il molisano loda con il segretario di Firenze il duca Valentino, perchè tra tanti scellerati principotti avrebbe potuto rimanere solo, nota : oltre a questo aggiungerei che un tiranno si spegne più facilmente di cento ». Esuberanze giova nili che il Cuoco avrebbe rimproverato e che lo stesso Maz zini maturo avrebbe certo rinnegato ! Sicuramente .... Ma io amo pensare il giovane Giuseppe, appena uscito dal l'università, chino sulle pagine del Cuoco, e, meditabondo, ripensare con lui le sorti della patria e la sua redenzione morale non attraverso giuridici compromessi o speranze d'equilibrii europei, ma attraverso un'azione che è pen siero , perchè guidata dal pensiero, attraverso un pen siero che è azione, perchè mirante agli uomini e alle loro coscienze. Il grande merito del Mazzini è precisamente l'avere accettato le ultime conclusioni politiche cuochiane ed averle con un apostolato senza pari concretate nella vita. Il popolo, il popolo, che il Cuoco vede nell'avvenire nucleo vibrante della patria, diviene il fondamento della repubblica del Mazzini, e in suo nome e per lui l'Italia ( 1 ) Il fatto che gli articoli non siano firmati che con una si gla, il fatto che negli zibaldoni il Mazzini non citi espressamente il Cuoco fa pensare al Mannucci ( op. cit. , p. 107, n. 101 ) che il grande agitatore non abbia mai pensato che gli articoli da lui letti nel Giornale italiano fossero proprio di V. Cuoco : così pure GENTILE, V. C.: commemorazione, p. 26. In quanto poi al Saggio storico il prof. Gentile sostiene nella stessa pagina che il genovese non solo lo conobbe ma lo menzionò. 19 F. BATTAGLIA , 290 diviene dopo tante lotte una e indipendente, diviene nazione e Stato . Il Cuoco intuisce che il problema unitario è un problema di coscienze, Mazzini lo conferma, e nel binomio Pensiero e azione redime l' Italia . Questa vasta trama d'influssi, che la dottrina cuo chiana, in tutti i suoi attributi, sopra tutto nelle inter ferenze politiche, ha esercitato nel pensiero italiano, specie settentrionale , meriterebbe uno studio a parte, ma a me basta averne tracciato le somme linee, il filo conduttore, perchè risulti ai lettori uno essere il processo che porta all'unificazione d'Italia nel nome di una tra dizione secolare, che dal Vico va al Mazzini e che un'unità così raggiunta, vale a dire attraverso una compenetra zione graduale e lenta di spiriti e d'idee, per quanto ancor recente, è troppo salda, perchè alcuno possa te mere di vederla infranta nell'urto fragoroso d'interessi antagonistici internazionali o classisti, perchè altri si ar roghi il non ammissibile diritto di salvarla e di rappre sentarla. 4 Nota bibliografica. Ho seguito i testi più sicuri dal punto di vista tipografico, cioè : VINCENZO Cuoco, Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799 a cura di Fausto Nicolini, Bari, Laterza ed. , 1913, che ho raffrontato con l'edizione milanese del Sonzogno, 1820, e con quella fiorentina del Barbèra, 1865 ; VINCENZO Cuoco, Platone in Italia a cura di F. Nicolini, Bari, Laterza, ed. , 1916-24, volumi due ; VINCENZO Cuoco, Scritti pedagogici inediti o rari raccolti e pubblicati da Giovanni Gentile, Roma-Milano, Albrighi e Se ganti ed. , 1909. Gli articoli del Giornale italiano ho veduto sul testo originario , ma spesso mi sono servito delle ristampe in appendice alle opere critiche del Romano e del Cogo. Allorquando il mio lavoro era già compiuto sono usciti i due volumi di scritti cuochiani, che integrano nella raccolta degli Scrittori d'Italia laterziana il Saggio e il Platone: VIN CENZO Cuoco, Scritti vari a cura di N. Cortese e F. Nicolini, Bari, Laterza ed. , 1924, volumi due. Con questa stampa quanto di meglio è stato scritto dal grande molisano è oramai stato dato al pubblico, e ben poco resta da fare nel campo dell'ine dito. Non tutti gli articoli del Giornale italiano invero hanno tro vato l'attesa ripubblicazione, ma, sebbene alcuni scritti di una certa importanza siano stati posti fuori, quei ventisette che il Cortese e il Nicolini hanno scelto , uniti al catalogo ragionato dei 292 rimanenti, bastano a dare un'idea più che sufficiente al let tore dell'attività pubblicistica del nostro autore. Va data lode ai due insigni editori Cortese e Nicolini per non avere lasciato da parte gli articoli; che il Cuoco ha pubblicato nel Corriere di Napoli e nel Monitore delle due Sicilie, i quali, sebbene assai meno interessanti di quelli del Giornale italiano, pure possono essere utili, e per avere di essi pure offerto un catalogo ragio nato. S’ intende che ho riveduto il testo di tutti gli scritti minori di Vincenzo Cuoco sovra la nuova edizione laterziana, che offre i migliori affidamenti di serietà e di rigore, sopra tutto per la ortografia, che, specie nei fogli originari del Giornale italiano, è la più volubile e ineguale. P. ALBINO, Biografie e ritratti degli uomini illustri della pro vincia di Molise, Campobasso, 1864, I , pp. 1-36 ; F. BALSANO, Vincenzo Cuoco e gli studi della gioventù italiana in Rivista Bolognese, a. II , v. I , fasc. IV, aprile 1868 ; F. BATTAGLIA, Critica rivoluzionaria e tradizione nel pensiero di V. Cuoco in Studi politici, a. I , fasc . 4-5, aprile 1923 ; A. BUTTI, La fondazione del « Giornale italiano » e i suoi primi redattori ( 1804-1806) , Milano, Cogliati ed. , 1905 ( estr. dall' Arch. stor. lomb . , a. XXXII, fasc. VII ) , alla quale operetta si riferisce la recensione di G. OTTONE in Riv, stor. it ., a. XXIII, za serie, vol. V ( 1906 ) , p. 341 e sgg.; A. BUTTI, Una lettera di V. Cuoco al vicerè Eugenio, nella miscellanea Dai tempi antichi ai tempi moderni ( per nozze Scherillo- Negri), Milano , Hoepli ed. , 1904, p. 529 e sgg .; A. BUTTI, L'Anglofobia nella letteratura della cisalpina e del regno italico , in Archivio storico lombardo, a. XXXVI ( 1909) , p. 434 e sgg.; C. CANTONI, Giambattista Vico, studi storici e comparativi, Torino, Civelli ed . , p. 23 e sgg.; N. CAPRARA, V. Cuoco, Isernia , 1919 ( 1 ) ; ( 1 ) L'indicazione dell'opuscolo non è esatta, poichè la sola copia che ho potuto vedere manca del frontespizio : del resto si tratta di uno scritto di mero inte resse bio - bibliografico . 293 9 G. Cogo, Vincenzo Cuoco, note e documenti, Napoli, Jovene ed. , 1909 ( cfr. le recensioni di G. GENTILE in Archivio stor. nap . XXXIV ( 1909) , pp. 588 e sgg ., poi ristampata in ap pendice agli Studi vichiani, Messina, Principato ed ., 1915 ; di G. GALLAVRESI in Il Risorgimento italiano, a. III , fasc. I - II , p. 223 e sgg .; e ancora di G. GALLAVRESI in Arch. stor. lomb. , a. VII , ( 1910) , p. 462 e sgg. ) ; L. CONFORTI, Napoli nel 1799, critica e documenti inediti, Napoli, De Falco ed. , 1886, p. 21 e sgg ., passim (una confuta zione di molte affermazioni ingiuste dell'autore è in N. RUG GIERI, Vincenzo Cuoco , Rocca San Casciano, Cappelli, ed. , 1903, p. 104 e sgg. , nonchè in M. ROMANO, Ricerche su V. Cuoco, Isernia, 1904, p. 99 ) ; B. CROCE, La filosofia di Giambattista Vico, Bari, Laterza ed. , 1911 , passim ; B. CROCE, La rivoluzione napoletana del 1799, terza edizione, Bari, Laterza, 1912, passim ; B. CROCE, Storia della storiografia italiana nel secolo XIX , Bari, Laterza, 1921 , vol. I , p. 8 e sgg ; R. DE RENZIS, Il risveglio degli studi intorno a V. Cuoco in Italia moderna, 1905 ; G. DE RUGGIERO, Il pensiero politico meridionale nei secoli XVIII e XIX, Bari, Laterza ed . , 1922, p. 166 e sgg.; F. DE SANCTIS , Storia della letteratura italiana, Milano, Treves ed. , v. II , p. 309, p. 327 ( accenni ) ; F. DE SANCTIS , Saggi critici, Milano , Treves, v. III , p. 291 ; A. FRANCHETTI, Storia d'Italia dal 1789 al 1799, Milano, s. d. , Vallardi, p. 557 e sgg .; G. GENTILE, Studi vichiani, Messina, Principato ed. , 1915 ( in cui è ristampato lo studio Un discepolo di G. B. Vico : Vincenzo Cuoco pedagogista , già pubblicato in Riv. pedagogica, a. II , 1908) ; G. GENTILE, Dal Genovesi al Galluppi, Napoli, edizione della Critica, 1903, p. 375 e sgg . G. B. GERINI, Gli scrittori pedagogici italiani del secolo XIX, G. B. Paravia ed. , 1910, Torino, pp. 30-44 ; F. GUEX, Storia dell' istruzione e della educazione, trad. o note con app. su Il pensiero pedagogico italiano nel suo sviluppo storico di G. VIDARI, G. B. Paravia ed. , s . d. , Torino, v. II , p. 314 e sgg.; 294 e P. HAZARD, La révolution française et les lettres italiennes, 1779-1815, Paris, Hachette ed. , 1911 , p. 218 e egg.; B. LABANCA, Giambattista Vico e i suoi critici cattolici, Na poli, Pierro ed. , 1898, p. 406 e sgg.; A. LEVATI, Saggio sulla storia della letteratura italiana nei primi venticinque anni del secolo XIX, Milano, Stella ed. , 1831 , p. 228 ; G. MAFFEI, Storia della letteratura italiana, riveduta da P. Thouar, Firenze, Le Monnier ed. , 1853, v. II, p. 259, p. 348 e sgg.; F. L. MANNUCCI, Giuseppe Mazzini e la prima fase del suo pensiero letterario ; l'aurora di un genio , Casa ed. Risorgimento, Roma, 1919, (cfr. recensione di G. GENTILE in Critica, v. XVII, p. 317 e sgg. ) ; G. B. MARCHESI, Studi e ricerche intorno ai romanzieri e ro manzi del ' 700, Bergamo, 1903 ; A. MARTINAZZOLI E CREDARO, Dizionario illustrato di peda gogia, F. Vallardi ed. , 1901-5, Milano, v. I , p. 420 e sgg. ( 1 ) ; 0. MASTROIANNI, Ricerche storiche pubblicate per delibera zione del R. Istituto d' incoraggiamento di Napoli, Napoli, Pierro ed. , 1907, p. 196 e sgg .; P. MONROE ed E. CODIGNOLA, Breve corso di storia dell'edu cazione, trad. di S. CARAMELLA, Vallecchi ed. , 8. d. , Firenze, v. II , pp. 207 e sgg.; G. NATÁLI, Nel primo centenario della morte di V. Cuoco in Rivista d'Italia, a. XXVI, fasc. XII ( 15 dic. 1923) ; G. NATALI, L'idea del primato italiano prima di V. Gio berti , Roma, 1917 ( estr. dalla Nuova Antologia ); G. NATALI, La letteratura italiana nel periodo napoleonico, 1916 ( estr, dalla Rivista d'Italia ); G. NATALI, La vita e il pensiero di F. Lomonaco , Napoli, San giovanni ed. , 1912 ( estr. dagli Atti della R. Accademia di sc. mor. di Napoli: cfr. GENTILE, Studi vichiani, p. 361 ) ; L. PALMA, I tentativi di nuove costituzioni in Italia dal 1796 al 1815 in Nuova Antologia, a. XXVI, fasc. XXVI, 16 novembre, 1-16 dicembre 1891 , p. 433 e sgg. ( 1 ) L'articolo Cuoco è fifmato A. Martin azzoli. 295 1 G. OTTONE, V. Cuoco e il risveglio della coscienza nazionale, Vigevano, Unione tip. vigevanese, 1903 (cfr. le recensioni di A. LEONE, in Riv. stor. ital., a XXI ( 1904) , s. 3a , v. III , pp. 57-8 ; di A. Butti, in Giorn . stor. d. lett. it. , a. XLIV ( 1904) , p. 240 e sgg .; di S. Rocco, in Rass. crit. d. létt. it. a. IX ( 1904) , p. 277 e sgg.; e infine di G. G[ ENTILE) in Arch . st. per le prov. nap. , a. XXX ( 1905) , p. 73 e sgg. ) ; G. OTTONE, La tesi vichiana di un antico primato italiano nel « Platone » di V. Cuoco: contributo alla storia del risveglio nazionale nel periodo napoleonico, Fossano, Rossetti, 1905, ( cfr. recensioni di A. Butti, in Giorn . st. d. lett. it., a. XLVII ( 1906) , p. 157 e sgg.; di S. Rocco, in Rass. crit. d. lett. it. , a. XI ( 1906) , p. 181 e sgg. ) ; G. OTTONE, Mario Pagano e la tradizione vichiana del secolo scorso, Milano , Trevisini, 1897 ; G. PEPE, Necrologia : Vincenzo Cuoco , in Antologia, a. XIV ( 1824) , p. 99 e sgg. ( riprodotta dinanzi a varie edizioni del Saggio storico del Pomba di Torino ) ; I. RINIERI, Della rovina d'una monarchia ; relazioni storiche tra Pio VI e la Corte di Napoli negli anni 1776-1779, Torino, 1901 , p. 484 e sgg.; G. ROBERTI, Lettere inedite di C. Botta , U. Foscolo e V. Cuoco in Giorn. st. d. lett. it. , a. XII, v. XXIII ( 1894) , p. 416 e sgg.; M. ROMANO, Ricerche su V. Cuoco, politico, storiografo, ro manziere, giornalista , Isernia, Colitti, 1904 ( cfr. recensioni di S. Rocco, in Rass. crit. d. lett. it. , a. IX (1904 ), p. 147 e sgg.; di A. BUTTI, in Giorn . st. d. lett . it. , a. XLVI ( 1905) , p. 412 e sgg ; infine di G. GENTILE, in Critica , III ( 1905) , p. 39 e sgg. , ristampata in Scritti vichiani, p. 427 e sgg. ) ; M. ROMANO, Una pagina inedita di V. Cuoco su G. B. Vico, nella miscellanea : Scritti di storia , di filosofia e d'arte ( nozze FEDELE- DE FABRITIIS ) , Napoli, Ricciardi ed. , 1908 , p. 181 e sgg.; P. ROMANO, Per una nuova coscienza pedagogica, G. B. Pa ravia ed. , s. d . , Torino, pp. 102-124 ; N. RUGGIERI, Vincenzo Cuoco : studio storico critico con una appendice di documenti inediti, Rocca S. Casciano , L. Cappelli ed. , 1903 ( cfr. recensioni di B. CROCE, nella Critica, v. I ( 1903) , ſ. pad 296 p. 298 e sgg .; di G. R[OBERTI) , in Giornale st. d. lett. it., a. XLII ( 1903 ) , p. 429 e sgg.; di F. TORRACA, in Rass. bibl. d. lett. it. , a. XII ( 1904 ) , p. 132 e sgg.; di S. Rocco, in Rass. crit. d. lett . it. , a. IX ( 1903) , p. 34 e sgg.; di C. R [INAUDO), in Riv. stor. it. , a. XXI, 3a 8. , vol. III ( 1904) , p. 58 e sgg ); L. SETTEMBRINI, Lezioni di letteratura italiana, Napoli, Mo rano ed. , 1872 v. III , p. 279 e sgg.; R. SÓRIGA, L'emigrazione meridionale a Milano nel primo quinquennio del secolo XIX , in Bollettino della società pavese di storia patria , XVIII ( 1918 ) , pp. 102-117 , pp. 119-121 ; U. TRIA, Vincenzo Cuoco a proposito di due sue lettere ine dite in Rass. crit. d. lett. it . , v. VI ( 1901 ) , p. 193 e sgg . ( cfr. RUGGIERI, op. cit. , p . 94 ; ROMANO, op. cit. , p. 51 e sgg. ) ; A. Zazo , Le riforme scolastiche di Gioacchino Murat, Roma, Albrighi e Segati ed. , 1924, ( estratto dalla Rivista pedagogica, a. XVII ) . « Nel 1905, scrive il GENTILE ( Studi vichiani p. 336) , l'Accade. mia delle scienze morali e politiche di Napoli bandì un concorso sul pensiero politico di V. Cuoco, da studiarsi anche nei mss. acquistati dalla Nazionale di Napoli. Fu presentata una sola memoria, ancora inedita, di M. ROMANO, Di V. Cuoco consi derato come scrittore politico e dei mss. recentemente acquistati dalla Nazionale di Napoli ( sulla quale vedi F. PERSICO , Rel. sul concorso per il premio annuale dell'anno 1905 sul tema « Di Vincenzo Cuoco, ecc. » nei Rend. dell'Acc. ecc. , tornata del 22 dic. 1906 » . Circa questi mss. vedi Suppl. alla Riv. di bibl. ed arch. , 1905, pag. 3 , nonchè RUGGIERI, op. cit. , p. 63 ; Cogo, op. cit ., p. 45, n. 13, il quale ultimo di essi mss. abbondante mente si serve, documentando le sue acute asserzioni, e infine CROCE nella Critica, a. I ( 1903 ) , p. 299. Del Cuoco si sono occupati varî autori in storie generali politiche e letterarie, di cui citerò soltanto alcuni più noti : V. FIORINI e F. LEMMI, Periodo napoleonico dal 1799 al 1814, in Storia politica scritta da una Società di professori, Milano, Vallardi, s. d . passim ; F. LEMMI, Le origini del Risorgimento italiano ( 1789-1815) , Milano, Hoepli, 1906, passim ; M. Rosi, L'Italia odierna, Unione tip .- editr. torinese , 1922, v. I, p. 206, p. 238, passim ; G. MAZZONI, L'Ottocento, Milano, Vallardi, 1913, p. 106-7, p. 131-32, e passim , in Storia letteraria scritta da una 297 società di professori; V. Rossi, Storia della letteratura italia na, Milano, Vallardi, 1915, v. III , p. 243 ; A. D' ANCONA e 0. BACCI, Manuale della letteratura italiana , Firenze, Barbèra, 1914, v. V, p. 132, v. VI, p. 386-7 ( 1 ) ; F. TORRACA, Manuale della letteratura italiana, settima ed. , Firenze, Sansoni, 1918, v. III, p. II , p. 441 e sgg. Il primo centenario della morte di V. Cuoco è stato degna mente ricordato agli italiani, oltre che dalla pubblicazione dei due volumi di Scritti vari per cura di N. Cortese e di F. Nico lini , dalla commemorazione di Campobasso tenuta da G. GEN TILE ( Vincenzo Cuoco , Roma, Alberti ed ., 1924) . Preannunziando o annunziando la ricorrenza scrissero del grande molisano S. ARCOLESE, Vincenzo Cuoco ( 1823-1923 ) , in Il popolo molisano, 15 marzo 1923 ; G. COLESANTI, Un realista ; Vincenzo Cuoco, in Il mondo, 13 dicembre 1923 ( 2 ) ; F. BARIOLA, Vincenzo Cuoco, in Gazzetta delle Puglie, febbraio 1924 ; F. Mo MIGLIANO , Commemorazione di V. Cuoco, in Conscientia, 2 feb braio 1924. Ottima sotto ogni rapporto è la prolusione al Corso di Fi losofia Giuridica tenuta nella R. Università di Firenze da G. DE MONTEMAYOR : La buona politica : dal Vico al Cuoco al Risorgimento Italiano ( Roma, Soc. Anonima Poligrafica 1925) . Altra raccolta di scritti per uso scolastico . V. CUOCO - Educazione e politica ( Bemporad 1925 ) fu composta, pre ceduta da una larga introduzione, da G. MARCHI. ( 1 ) A pag. 387 v'è una duplice inesattezza : ad A. BUTTI sono riferiti gli scritti, Un articolo dimenticato di V. Cuoco sugli scrittori politici italiani, in La Critica , II , p. 337 e Una pagina inedita su G. B. Vico in miscellanea Per nozze Fedele- Fabritiis, p. 181 , la riesumazione dei quali spetta , del primo a B. CROCE, del secondo a M. ROMANO. ( 2) L'articolo del Colesanti era presentato su Il mondo come facente parte di un numero unico cuochiano da pubblicarsi in Campobasso, che non ho potuto avere nè vedere. INDICE CAP. I. La tradizione italica Pag. CAP. II . I « Frammenti di lettere a V. Russo » e la critica rivoluzionaria . 27 CAP. III . Il « Saggio Storico sulla rivoluzione di Napoli » 80 CAP. IV. Napoleone e la sua politica generale. 123 CAP. V. Nazionalità e italianismo nel « Giornale italiano » 197 CAP. VI. Il « Platone in Italia » e la tesi di un antico primato italico . . >> 228 Cap. VII. L'educazione nazionale nel pensiero cuochiano 260 Conclusione 278 Nota bibliografica. ·

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