The Grice Club

Welcome

The Grice Club

The club for all those whose members have no (other) club.

Is Grice the greatest philosopher that ever lived?

Search This Blog

Friday, March 4, 2022

GRICE E LIGUORI: LUSSURIA ED IMPLICATURA

 Dannazione e redenzione dell’eros. Soggetti e figure dell’emarginazione: la donna come oggetto determinante nell’invenzione cattolica del “peccato” di lussuria di Girolamo de Liguori Il Cristianesimo ha maledetto la carne, ha infamato l’amore. L’atto vario e molteplice nei modi, ma uno nel principio, per il quale le creature si riproducono e a cui gli antichi avevano preposta una della maggiori fra le divinità dell’Olimpo, è, agli occhi del cristiano, essenzialmente malvagio e turpe e la malvagità e turpitudine sua possono a mala pena, nella progenitura d’Adamo, essere emendate dal sacramento. Il celibato è pel cristiano, se non altro in teoria, condizione di vita assai più pregevole e degna che non il coniugio e la continenza è virtù che va tra le maggiori. A. Graf1 Abstract The paper examines the story of Eros, from ancient Greece to the age of Enlightenment, and tries to underline relevant connections with other events of thought and religious traditions as well as European popular customs. The ideological conflict with Christian ethics and Catholic church is particularly highlighted thanks to a specific textu- al analysis, particularly during 17th and 18th centuries. Keywords: Subjects and Figures of Marginalization, Woman Condi- tion, Ethics and Christianity, St. Alphonsus M. de’ Liguori. 1 A. Graf, Il Diavolo, (nuova ed. con apparato critico, dopo l’originale, Treves 1889, in sedicesimo) a cura di C. Perrone, introduzione di L. Firpo, Salerno editrice, Roma 1981, p. 99. Avverto l’eventuale lettore che lo scritto che segue ha natura meramente divulgativa e di mera indicazione didattica nei confronti dei docenti di discipline storico-filosofiche. Nasce dall’assemblaggio di appunti per il canovaccio di uno spettacolo tenutosi a Parma al Teatro del Vicolo il 3 maggio 2013, dal titolo Eros e Poesia. M’è d’obbligo infine rimandare sull’argomento che qui espongo, agli interventi di alta e corretta divulgazione, curati per Rai Educational, di Simona Argentieri, Umberto Curi e Sergio Moravia, in Enciclopedia Multimediale delle Scienze Filosofiche dell’aprile 1998. 29  1. Raccolta e catalogazione dei materiali Non partiamo dalla consueta e abusata presunzione ontologica; non di- ciamo che le cose sono, piuttosto ci limitiamo, cartesianamente, a scoprire in noi il pensiero e, col pensiero il corpo e la sua capacità di rapportarci ad altri corpi attraverso quelli che chiamiamo i sensi. Ci hanno preceduto i sensi sti: nulla è dentro la nostra mente che non ci viene fornito dai sensi. E così la fantasia, la logica, la ragione, la fede altro non sono che gli strumenti più raffinati di un corpo tra i corpi (materia) che, come l’infima creatura che emette pseudopodi, procede dal coacervato all’ameba e arriva all’uo- mo, cuspide di presunzione, anelito più che sensata pregnanza di vita.. Non lasciamoci impressionare dai prodotti di questo strumentario intellettuale: arti, religioni, presenze invisibili, futurologie improbabili, paradisi perduti o escatologici disegni, virtualità effimere come sogni, denunciate già dal fol- le di Danimarca una volta per tutte. Sono sirene lusingatrici di contro al cui canto ammaliante hanno ancora buona validità i tappi di cera nelle orecchie usati da Odisseo, navigante curioso, per escludere i suoi compagni2. Qualcuno sostiene che le cose non sono se non create. Qui noi non soste- niamo l’inesistenza delle cose: in tal caso dovremmo postulare e ammettere la trascendenza, laddove noi riteniamo l’oltre una autonoma creazione (se vogliamo mantenere il termine) del nostro pensiero. Abbiamo raggiunto (a livello di pensiero puro, non certo di pensiero soggettivo) un tale grado di evoluzione da creare dal niente, come aveva, in termini tutti romanti- ci, spiegato Fichte enunciando i tre celebri principi della sua dottrina della scienza! Ma gli sviluppi delle neuroscienze, in particolare, hanno reso sterili tali tentativi di esplicazione del reale. Idealismo e religione fanno a gara a rincorrersi nella loro foga di raggiungere la verità eterna! Meglio perciò rinchiudere i filosofi nel trittico che si sono costruiti con secolare pazienza della Metafisica, Teodicea e Ontologia. Che farnetichino in eterno sull’ori- gine dell’anima, sul rapporto col corpo e sul destino futuro della umanità. Si potrà, una volta sgombrato il terreno dalla zavorra, procedere in modo più lineare, ordinato ed onesto alla diagnosi del male di vivere: del nascere e morire. Tolta di mezzo la pretesa razionalità e la scientificità teologica (e teleologica) con la sua saccenteria, gli strumenti dei sensi come la fantasia, la fede, la ragione potranno riprendere legittimamente la loro funzione di guida o di orientamento. Se partiamo dalla nostra “condizione umana” (senza scomodare Mal- reau) vera e concreta, viene prepotente in ballo, la nostra sensualità, prima ancora che la nostra sensitività. Avvertiti da Freud, che va ascoltato con la 2 Vedi quanto scrive, F. Berto, L’esistenza non è logica. Dal quadrato rotondo ai mondi impossibili, Laterza, Roma-Bari 2010. 30  dovuta prudenza filosofica, ci accorgiamo facilmente che è l’eros la molla privilegiata delle nostre azioni o inazioni. Tanto è vero che sul terreno della storia è con l’eros che il Cristianesimo ha ingaggiato fin dalle sue prime origini la sua battaglia aperta, dagli erotici furori degli anacoreti fino ai ra- ziocinanti dogmatismi teologici dei nostri giorni. Conviene delinearne un breve profilo. 2. Profilo storico dell’Eros in Occidente. Dal mito di Venere a Maria Vergine È proprio nel mondo romano, e in quella che gli storici designano come età tardo-antica, che si compie una storica metamorfosi della mitologia pa- gana: il suo graduale trasferimento da religione delle classi colte e dominanti a religione dei campi (pagi = pagani), della plebe rurale. Indicativo tra tutti il passaggio di Venere, dea della bellezza, dell’amore e della fecondità, da un canto, a quella di Demonio, Lucifero (portatore di luce), stella del mattino, per i suoi referenti legati alla sessualità, e, dall’altro, a quella della Vergine Maria, madre di Gesù Bisogna ricordare che mentre avanza il Cristianesimo, il mito di Roma non solo permane ma, sotto mutate spoglie, cresce e si svolge fino ai nostri giorni. Perde la sua valenza politica, la sua forza sugli eventi immediati ma guadagna nell’immaginario. Entra a far parte del grande patrimonio del- la memoria collettiva. Ma in tale processo, se perde i suoi caratteri storici, obbiettivi, acquista una rinnovata immagine fantastica, rispondente alle esigenze delle masse. Soprattutto il Medioevo trasforma Roma, i suoi dei, la sua cultura in nuova mitologia sincretica, mista di elementi tradiziona- li e di apporti nuovi conferiti dalle differenti popolazioni d’Europa, attinti soprattutto alla nuova fede cristiana che diventa l’amalgama di germane- simo, usanze barbariche, romanità, orientalismi, ecc. Roma continuava ad avere un suo primato nell’immaginario o mondo incantato dei miti e delle leggende3, come l’aveva avuto in quello, storico, politico culturale e civile. Ricordiamo l’accorato rimpianto di Rutilio Namaziano Fecisti patriam diversis gentibus unam [...] Urbem fecisti quae prius orbis erat Nella cultura illuministica, tra Settecento e Ottocento, il mito di Roma si veste di forme neo classiche. Goethe, Winkelmann, e lord George Byron che 3 Cfr. F. Denis, Le monde enchanté,. Cosmographie et histoire naturelle fantastiques du Moyen Âge, richiamato da Graf, Miti, leggende e superstizioni del Medio Evo, 2 voll., Loe- scher, Torino 1892-1893. Ma vedi, dello stesso, Roma nella memoria e nelle immaginazioni del Medio evo, 2 voll., Loescher, Torino 1882. 31  ne fa la patria ideale delle genti Oh Rome! My country! City of the soul! The orphans of th heart must turne to thee, Lon mother of dead impires! Tale trasformazione della mitologia classica, porta con sé naturalmente un radicale cambiamento della maniera di concepire l’amore e di vivere l’e- ros. L’amore tra uomo e donna acquista differenti valenze e si prepara quella teorizzazione dell’amore tutto spirituale che verrà dommatizzato e praticato per tutto il Medioevo e, nella forma più angelicata e sublime, da Dante al Petrarca, ...quel dolce di Calliope labbro che amore nudo in Grecia e nudo in Roma, d’un velo candidissimo adornando, rendeva in grembo a Venere celeste. Dilagheranno per tutta Europa fenomeni di sessuofobia completamente ignoti alla società greca e latina, quale ad es. il fenomeno dell’ascetismo. Sorgerà la figura, del tutto nuova e inconcepibile per il mondo classico, dell’anacoreta e, d’altro canto, l’immagine del peccato prenderà aspetto dia- bolico orripilante, venendo a popolare tutta una nuova mitologia di presen- ze infernali che accompagnano e turbano la vita degli uomini del Medioevo. Molte e varie le rappresentazioni tipiche della diabolicità mostruosa, frutto, in particolare, del peccato di lussuria, quali il mosaico nel Battistero di Fi- renze, opera popolaresca di Coppo di Marcovaldo che tanto impressionò Dante fanciullo, il poema predantesco di Bonvesin della Riva, Il libro delle tre scritture o il De Babilonia di Giacomino da Verona e i vari “precursori” di Dante, fino alle allucinate raffigurazioni de il Giardino delle delizie di Bosch al Museo del Prado4. Ma che accadeva? Venere, scacciata, veniva ugualmente a tentare gli sciagurati che volevano sfuggirle, quali monaci ed asceti; e, come ci ricorda sempre Graf, «invadeva le loro celle ugualmente, immagine vagheggiata e detestata a un tempo». Siamo nell’epoca delle tentazioni. Ecco l’autorevolis- sima testimonianza di San Girolamo, il grande dottore della Chiesa, autore indiscutibile della Volgata, l’edizione ufficiale della Sacra Scrittura, in una sua lettera alla vergine Eustochia: 4 Si ricordi, P. Villari, Alcune leggende e tradizioni che illustrano la Divina Commedia, «Annali delle Univ. Toscane», t. VIII, Pisa 1866, pp. 153 e sgg. Soprattutto, A. D’Ancona, I precursori di Dante, Sansoni, Firenze 1874, p. 52, in particolare. Per ulteriori e dettagliati riferimenti, cfr. il mio, I baratri della ragione. A. Graf e la cultura del secondo Ottocento, prefazione di E. Garin, Lacaita, Manduria 1986, pp. 228-248. 32  Oh quante volte, essendo io nel deserto, in quella vasta solitudine arsa dal sole, che porge ai monaci orrenda abitazione, immaginavo d’essere tra le de- lizie di Roma! Sedeva solo, piena l’anima d’amarezza, vestito di turpe sacco e fatto nelle carni simile a un Etiope. Non passava giorno, senza lagrime, senza gemiti e quando mi vinceva, mio malgrado, il sonno, m’era letto la nuda terra. [...] E quell’io, che per timor dell’inferno m’era dannato a tal vita e a non avere altra compagnia che di scorpioni e di fiere, spesso m’im- maginava d’essere in mezzo a schiere di fanciulle danzanti. Il mio volto era fatto pallido dai digiuni, ma nel frigido corpo l’anima ardeva di desideri e nell’uomo, quanto alla carne già morto, divampavano gli incendi della libidine5. E qui l’iconografia sacra ha lavorato sul santo, riempiendo di San Giro- lami, atteggiati in guise diverse, tele, altari, absidi, pale, trittici per tutto il medioevo e il Rinascimento. Da Dürer a Caravaggio, da Cima da Conegliano a Masolino, da Masaccio a Tiziano, dalle tentazioni di Giovanni Girolamo Savoldo al Perugino, fino alla compostezza gotico-geometrica di Antonello, ecc.Si assiste ad una evoluzione storica dell’eros, che si arricchisce, per così dire, dell’idea stessa del peccato. Simboleggiato dal frutto proibito, l’atto carnale tra Adamo ed Eva nel Paradiso terrestre viene stigmatizzato come “peccato originale”, una sorta di marchio che da quel momento in poi mac- chierà ogni creatura. Homo vulneratus est naturaliter, sanziona definitiva- mente San Paolo! Anche se la dottrina della chiesa troverà il modo di recu- perare in positivo quella ferita, quella malattia costituzionale, con il concet- to dell’agape, nel quale l’eros si diluisce in amicizia includente la mediazione del Cristo. Ma la cosa più sorprendente è che Venere, simbolo dell’amore carnale, cantata da Lucrezio, poeta epicureo, come colei che presiede alla bellezza della fecondazione sia di piante che di animali, e perciò come voluttà d’uo- mini e di dei, subisce nel corso della storia differenti e impensabili metamor- fosi. Da un canto, come quasi tutte le divinità pagane, trapassa a popolare la mitologia cristiana di nuove figure positive e negative, arrivando a iden- tificarsi dapprima con il Demonio in persona, poi con la stella portatrice di luce, (Lucifero, angelo caduto e stella del mattino); infine, fattasi mite e mise- ricordiosa, gradualmente perdendo i suoi più accesi caratteri erotici di beltà voluttuosa, assurge addirittura al ruolo di Maria Vergine, concepita senza peccato, Madre di Gesù, figlio unigenito di Dio! Siamo di fronte a un feno- meno storico noto agli storici e agli antropologi come sincretismo religioso 5 Trad. fedele di Graf da S. Gerolamo, Epistolae, II, 22, 7, in Patrologia latina, a cura di J.-P. Migne, Parigi 1879-1970, vol. XXII, pp. 398-399. Cfr. A. Graf, Il Diavolo, cit., pp. 99-100. 33  per cui le divinità pagane continuano una loro vita, si direbbe più dimessa e quasi nascosta, nei pagi, nelle campagne tra la povera gente, trasformandosi, e sovente confondendosi, coi santi e le divinità della nuova religione cristia- na. Ne è un esempio la favola di Tanhäuser, il cavaliere francone di cui la dea Venere si innamora6. È nel mondo romano in sfacelo che gli dei di Roma si avviano alla loro metamorfosi (quello che non era accaduto agli dei ellenici). Da un canto si rintanano nei pagi, nei campi, tra la povera gente di campagna e ne conti- nuano a propiziare raccolti, a combattere carestie ad aiutare la gente misera nelle quotidiane disgrazie che affliggevano gli umili e gli indifesi; dall’altro lato, in questa storica trasformazione, raccolgono in loro tutto il male ese- crabile del mondo antico: il turpe, il diabolico, l’illecito, il peccaminoso del mondo romano di origine greca. Soprattutto l’osceno (ciò che è dietro alla scena e, pertanto, non è visibile) e il sensuale nei rapporti amorosi. Gli dei pagani si trasformano così in demoni. Si passa dalla celebrazione dell’amore fisico, cantato dai poeti, da Ovidio, Catullo (i neoteroi) a Tito Lucrezio Caro, che lo inserisce nel fluire e divenire dei fenomeni naturali, alla definitiva divaricazione della sessualità dall’amore spirituale, come aspetti di una pas- sionalità di differente e contrapposta natura. Si ricordi l’inno a Venere di Lucrezio: Aeneadum gentirix, hominum divomquae voluptas, Alma Venus, caeli subter labentia signa quae mare navigerum, quae terras frugiferentes, concelebras, per te quoniam genus omne animantum concipitur visitqae exortum lumina solis; Ma ecco come espone Arturo Graf, storico dei miti romani nel Medio- evo, la sottile trasformazione degli dei di Roma (quelli stessi che Virgilio, guida di Dante, aveva chiamati, falsi e bugiardi) in divinità o potenze demo- niache cristiane: I numi che avevano avuto altari e templi non muoiono, non dileguano, ma si trasformano in demoni, perdendo alcuni l’antica formosità seduttrice, ser- bando tutti la gravità antica, accrescendola. Giove, Giunone, Diana, Apollo, Mercurio, Nettuno, Vulcano, Cerbero e fauni e satiri sopravvivono al cul- to che loro era reso, ricompaiono fra le tenebre dell’inferno cristiano, in- gombrano di strani terrori le menti, provocano fantasie e leggende paurose. Diana, mutata in demonio meridiano, invaderà i disaccorti troppo obliosi di lor salute, e la notte, pei silenzi dei cieli stellati, si trarrà dietro a volo le 6 G. Paris, Legendes du Moyen Age, Hachette, Paris 1903, dove esamina la storia e la dif- fusione della leggenda (La légende de Tanuhäuser). Fonte delle varianti della stessa leggenda resta Guglielmo di Malmesbury (XII secolo). Vedi Graf, Il Diavolo, cit., pp. 143 e sgg. 34  squadre delle maliarde, istruite da lei. Venere sempre accesa d’amore, non meno bella demonio che dea, userà negli uomini l’arti antiche, inspirerà ardori inestinguibili, usurperà il letto alle spose, si trarrà fra le braccia, sot- terra, il cavaliere Tanhäuser, ebbro di desiderio, non più curante di Cristo, avido di dannazione7. 3. Scienza, filosofia e fantasia: il pensiero femminile e la ”teoria e pratica della dimenticanza”. Il rapporto latente tra il sapere e il credere Ogni proposta gnoseologica parte opportunamente da quelle ben note premesse che Galileo autorevolmente chiamava le “sensate esperienze”, an- che se le poneva in relazione con le “certe dimostrazioni”. Così, prudente- mente procedendo, ogni teoria della conoscenza, pur restando legata alla dimensione esperienziale, per così dire, non escludeva né poteva escludere l’elaborazione successiva di ipotesi con l’ausilio della fantasia, della fede, dell’intuizione oltre che della facoltà razionale con la quale da sempre la mente umana ha provato ad elaborare i portati sensoriali, di volta in volta vari e complicati. Proviamo a valutare, ad esempio, non le nostre idee, o i nostri elaborati razionali ma alcuni particolari sentimenti o pulsioni come l’amore, l’eroti- smo, o, addirittura, la poesia con cui ci accostiamo ad una persona o ad uno scenario naturale quale, che so? la volta celeste di kantiana memoria. Gli eroi greci per comprendere una verità nascosta, scendevano nell’Ade, entravano nel regno imperscrutabile delle ombre. Da altra prospettiva, sub specie feminae, da quel che oggi chiamiamo «pensiero femminile», ci viene incontro, spalancandoci una diversa rinnovata visuale, un modo solitamen- te desueto di scrutare l’imperscrutabile. Abbiamo davanti un continente dissepolto, il nostro Ade, tutto da esplorare. È così che – s’è detto e sostenuto da parte delle donne – «le poesie vivono delle voci narranti che, appassiona- tamente, riflettono su un passato da abbandonare»:8 Quel che sembrava finito Era nascosto entro i luoghi del cuore... Da tale prospettiva, in conclusione, «per giungere a tanto bisognava scen- dere all’Ade», come fa il viaggiatore Odisseo: «provare i dolori più cupi e le delusioni più cocenti a cui seguono le esperienze». S’entra così nell’universo del senso fantastico senza ripudiare la possibilità razionale di elaborare non 7 A. Graf, Il Diavolo, riedizione cit., pp. 52-53. 8 Utilizzo in questo paragrafo, frammettendone brani a mie riflessioni e commenti, il testo originale inedito, cortesemente messo a mia disposizione, dalla filosofa della mente G. Bussolati, Teoria e pratica della dimenticanza. 35  più ciò che è nei sensi ma quanto ribolle nella fantasia. Un esempio potrebbe fornircelo il Leopardi dell’infinito laddove dalla esperienza sensibile (la sie- pe, il vento, lo stormir delle foglie) che non si lascia elaborare razionalmente, sale, quasi spinozianamente, ad un sapere più complesso: una sorta d’amor dei intellectualis che s’apre al mistero sia della poesia che dell’amore... ...E come il vento odo stormir tra queste piante, io quello infinito silenzio e questa voce vo comparando e mi sovviene l’eterno e le morte stagioni e la presente e viva e il suon di lei.... E, ancora, entrando nel campo intricato del male di vivere, addirittu- ra nelle patologie del comportamento, delle ossessioni, delle schizofrenie, laddove ci siamo chiesti, con l’angoscia nel cuore, se questo è un uomo, pro- viamo a proporre la teoria e pratica della dimenticanza: l’obliviologia. È cer- to come un lavoro di scavo; ma non abbiamo da riportare al celeste raggio nessuna sepolta Pompei; non procediamo, in senso freudiano, a rimestare nella memoria, nel sogno, recuperando oggetti rimossi, tutt’altro. L’oggetto è diventato uno scheletro che va dimenticato, ritenuto per non posto: mai esistito. La dimenticanza è dapprima una sola pratica; quasi l’abitudine a dimenticare le chiavi di casa. Poi assurge a tecnica e, infine a teoria e pratica dell’oblio. Corre, in un certo senso, parallela alla terapia farmacologica del sonno, indotto da dosi opportune di psicofarmaci. Si tratta di togliere le fissazioni tramite la dimenticanza: di riportare il conosciuto agli elementi puri ma allo scopo di favorire un intervento di maggior forza ectoplasmica sugli oggetti e sugli eventi esterni, e per eliminare il noto processo di invec- chiamento e, infine, di morte mentale. Scendendo al piano sperimentale, abbiamo cancellato i sovraccarichi delle impressioni mnemonizzatrici e fatto sparire le figure retoriche fanta- smatiche, i “mostri” o “giganti” che si fissano e si ripetono continuamente, oberando la mente affralita. Dimenticare diventa così l’ausilio migliore del vivere senza alcun sforzo il presente. Non è la panacea, non si raggiunge il Nirvana; non si recuperano paradi- si perduti. Si vive riconquistando un più corretto rapporto col corpo, i sensi, la natura. La memoria deve servirci, non turbarci. Se è una soffitta ingombra rischia di confonderci nel suo disordine; dobbiamo far pulizia perché la vita va vissuta non sopportata E arriviamo infine a una considerazione alquanto complessa ma di facile comprensione. Quella stessa nostra propensione che chiamiamo fede altro non è, finanche nella sua forma più umile, che sempre e soltanto costruzio- 36  ne della ragione, in quanto ogni fede presuppone sempre un giudizio della ragione. Da tale considerazione deriva la plateale conseguenza che la fede non è altro, alla fin fine, che la nostra visione più o meno razionale della realtà; pertanto quella fede nel numinoso e nel fantastico che è la fede re- ligiosa dei fedeli e che alla nostra razionalità più sofisticata ripugna, è solo un puro e semplice equivoco, imposto dall’educazione, dalle convenzioni e mai può derivare dalla nostra libera scelta intelligente che in tal modo si contraddirebbe9. Credere, altro non è che atto razionale; in quanto, rigoro- samente, non c’è fede senza il sostegno della ragione. Ma, ci si chiede, fino a che punto? Il limite è il sano buon senso. Oltre c’è la follia e l’assurdo; ma follia, sempre ed esclusivamente della ragione stessa, unico vero soggetto di quanto chiamiamo fede! 4. Emarginazione femminile e non. La donna da oggetto a soggetto di pensiero Da differente angolatura l’oggetto del mistero che chiamano la verità, si svela gradatamente, di sotto il velame delli versi strani. Del resto, a ben pensare, quando penso, penso al maschile, ho sempre pensato al maschile. La storia, la civiltà tutta, occidentale e orientale, hanno pensato soltanto al maschile. Non solo: per secoli, il vero, il bene, il bello sono stati visti, si al maschile, ma ancora nella implicita insignificanza oltre che della donna, di altre figure sociali di grande rilevanza: del bambino, del disadattato o del diseredato o escluso dalla comunità, dell’alienato o del demente. Interi uni- versi come continenti inesplorati si sono schiusi appena abbiamo provato a visitarli. Erano emersi, nella dannazione dell’inferno dantesco, nei mosaici e negli affreschi allucinati di Coppo, nei battisteri, nelle chiese medioevali, nelle allucinazioni di raffiguratori fantasiosi fino al paradosso come in Bo- sch o in Goja, nei racconti favolosi delle mitiche origini di intere popolazio- 9 Cfr. P. Martinetti, Scritti di metafisica e di filosofia della religione, a cura di E. Agazzi, Ed. di Comunità, Milano 1976, vol. II, pp. 470-475, dove tra l’altro si legge: «Anche la filo- sofia è [...] sotto certi rispetti una fede; in quanto essa è uno sforzo verso l’unità sistematica che in ogni grado raggiunto si pone come una visione definitiva della realtà; ciò che non può fare che trasformandosi in una fede razionale; la fede nella dottrina kantiana. D’altra parte la fede comune non è assolutamente irrazionale; è una razionalità adatta alla mente comune, ma è una forma di razionalità; non v’è sistema di dogmi così assurdo che non tenti subito una razionalizzazione [...] Ogni esposizione d’un sistema di filosofia è, sotto questo riguardo, l’esposizione di una fede [...] Non ha quindi ragion d’essere la contrapposizione della ragione e della fede (come qualcosa di irrazionale): la fede è l’espressione stessa di una formazione razionale; ogni grado della vita razionale in quanto si esprime, si fissa e diventa una realtà operante, è una fede». Più analitica esposizione della questione si trova nel mio, Ateismo e filosofia. Considerazioni sull’ateismo latente nel pensiero moderno e contempora- neo e sul conflitto tra la fede e la ragione, «Il Cannocchiale», I (2011), pp. 32-34. 37  ni, tramandate oralmente nei miti e nelle leggende che correvano per l’Eu- ropa come fiumi carsici, uscendo di tanto in tanto al “celeste raggio”, dove l’oblio di secoli li aveva segregati....Soltanto oggi cominciamo a prenderne consapevolezza, filosofica e scientifica: scopriamo un nuovo continente spe- culativo, il pensiero al femminile come rinnovato modo di guardare la vita, la storia, la natura. Proviamo a riandare di qualche secolo addietro. Le cosiddette scienze umane ci si erano accostate per via di quel loro par- ticolare porsi dalla prospettiva del diverso, ma solo l’assurgere di quell’og- getto alla dignità di soggetto pensante e determinante trasforma del tutto la prospettiva. La partecipazione del femminile come quella del diverso, del disadattato alla ricerca della verità completa veramente il mondo storico della cultura portandolo al suo stadio più alto, fuori da ogni gilepposo pa- ternalismo o indulgente concessione caritatevole. Del tutto trascurati o stipati alla rinfusa nella soffitta anodina della eru- dizione, alcuni sprazzi di consapevole disponibilità al diverso erano emersi già nel passato, in ambito borghese progressista, presso spiriti particolar- mente sensibili. Ma restava un fatto isolato che non ha vissuto significanza o storicità. Sentite questa: siamo nel 1898: E dei disadattati all’ambiente non è giusto parlar con tanto disprezzo. Ol- trecché esercitano alcune funzioni non esercitate dagli altri, essi sono un lievito sociale utile e necessario; tengon viva nell’organismo collettivo un’inquietezza nemica delle stagnazioni prolungate, e non avvien mutazio- ne alla quale in qualche maniera non cooperino [...] che se i geni fossero pazzi davvero [...] bisognerebbe riconoscereche i più disadattati fra i disa- dattati, quali son per l’appunto i pazzi, resero alla misera umanità più di un buon servigio. Da altra banda è da considerare che un perfetto adattamento all’ambiente farebbe gli uomini supinamente contenti e tranquilli e porte- rebbe fine al moto della storia, per la ragione potentissima che chi sta bene non si muove. Lo direi il vademecum per l’onest’uomo del nostro tempo! Ma molto an- cora resta da fare: e questa è la vergogna del nostro tempo. La chiesa cat- tolica ad es., che ha chiesto, solo di recente, con un pontefice tormentato e disponibile al dialogo, perdono al mondo islamico, ha ancora da chiedere scusa alle donne, ai bambini, alle coppie di fatto, agli omosessuali, agli atei, agli agnostici, agli scienziati onesti e laici che dalle dottrine e dai dogmi della chiesa vengono quotidianamente offesi, respinti e vilipesi. 38  5. I libri proibiti e il rapporto sessuale come “peccato” contro il sesto precetto del Decalogo Tra i compiti primari che si assunsero al loro tempo gli apologisti catto- lici e i controversisti, figura subito in primo piano quello della lotta ai libri proibiti, che è come dire a tutta la prodizione libraria moderna. Prendo an- cora ad es. emblematico il santo teologo moralista e dottore autorevole della Chiesa: Alfonso de Liguori. Ne La vera sposa di Gesù Cristo10, a dimostrazio- ne di quanto possa essere pericolosa la lettura in genere, sconsiglia alle Mo- nache addirittura lo studio sia della Teologia Morale che di quella Mistica. Parimenti libri inutili ordinariamente sono, ed alle volte anche nocivi per le Religiose, i libri di Teologia Morale, poiché ivi facilmente possono inquie- tarsi con la coscienza oppure apprendere ciò che lor giova non sapere. An- che nociva può essere a taluna la lettura dei libri di Teologia Mistica, giacché può essere che ella si invogli dell’orazion soprannaturale, e così lascerà la via ordinaria della sua orazione solita, in meditare e fare affetti, e così resterà digiuna dell’una e dell’altra. Vige, come una sentenza inappellabile, il motto lapidario di San Paolo: Sapienza carnis inimica est Deo. L’amore del sapere viene paragonato ad un vizio, alla libidine sessuale: libido sciendi11. Circa i classici del pensiero che pur contengono delle verità, si domanda con San Girolamo: «Che bisogno hai di andar cercando un poco d’oro in mezzo a tanto fango, quando puoi leggere i libri devoti, dove troverai tutt’o- ro senza fango?». La lettura è importante, fondamentale anche alla via della salute, ma ha dei rigorosi limiti. Quanto è nociva la lettura de’libri cattivi, altrettanto è profittevole quella de’buoni [...]. Il primo autore de’libri devoti è lo Spirito di Dio; ma de’li- bri perniciosi l’autore n’è lo spirito del Demonio, il quale spesso usa l’arte con alcune persone di nascondere il veleno, che v’è in tali suoi libri, sotto il pretesto di apprendersi ivi il modo di ben parlare, e la scienza delle cose del mondo per ben governarsi, o almeno di passare il tempo senza tedio. Con determinate categorie di persone, l’esclusione si fa radicale. Alle suore scrive così: Ma che danno fanno i romanzi e le poesie profane, dove non sono parole 10 Cito dall’ed. Remondini, Bassano, del 1781, pp. 112-121. 11 Vedi l’uso di tale espressione nella denuncia controversistica cattolica (aristotelica) della filosofia cartesiana e moderna nel saggio di chi scrive, «Libido sciendi». Immagini dell’empietà nell’apologetica cattolica tra Sei e Settecento (Dal Magalotti al padre Valsecchi), «Giornale critico della filosofia italiana», III/1(2007), pp. 53-85. 39  immodeste? Che danno voi dite? Eccolo: ivi si accende la concupiscenza de’ sensi, si svegliano specialmente le passioni, e queste poi facilmente si gua- dagnano la volontà, o almeno la rendono così debole, che venendo appresso l’occasione di qualche affezione non pura verso qualche persona, il Demo- nio trova l’anima già disposta per farla precipitare12. Contro il risveglio delle passioni e contro “la concupiscenza dei sensi”, i controversisti scagliano i loro dardi infuocati e avviano le loro sottili disqui- zioni teologiche su quanto vada considerato peccato mortale. Ed è questo un fardello che la chiesa si porta dietro così come uno ster- corale si rotola la sua palla di escrementi. L’ossessione del sesso: la cura me- ticolosa con cui si prova da secoli a disciplinarlo, legittimarlo, canalizzarlo, evirandolo della sua essenza: la ricerca del piacere e costringendolo alla sola funzione riproduttiva. Ci serviremo non di un semplice scrittore di opere di pietà ma di un autorevole moralista della chiesa cattolica, santo per giunta, dottore della chiesa, uomo di grande pietà e d’erudizione: che Croce defini- va il più santo dei napoletani, il più napoletano dei santi. Ecco cosa scrive il nostro moralista sul sesto precetto del Decalogo e in che modo espone le sue precauzioni con cui anticipa una minuziosa tratta- zione di quanto potremo chiamare la fattispecie del peccato mortale. Il peccato contro questo precetto è la materia più ordinaria delle Confessio- ni, ed è quel vizio che riempie d’Anime l’Inferno; onde su questo precetto parleremo delle cose più minutamente; e le diremo in latino, affinché non si leggano facilmente da altri che dai confessori, o da quei sacerdoti che in- tendano abilitarsi a prendere la Confessione; e preghiamo costoro a non leg- gere né in questo né in altro libro di quella materia (che colla sola lezione o discorso infetta la mente) se non dopo tutti gli altri trattati e quando ormai sono prossimi ad amministrare il Sacramento della Penitenza13. Affronta perciò subito lo scabroso tema della fornicazione, e dei rapporti carnali con l’altro sesso con minuta casistica sessuofobica: de tactibus, de muliebre permittente se tangere, an puella oppressa teneatur clamare, an pos- sit unquam permittere sua violationem, de aspectis, de verbis, de audientibus verba turpie, ecc. Ma non manca di precisare: Ante omnia advertendum, quod in materia luxuriae (quidquid alii dicant de levi attrectatione manus foeminae, vel de in torsione digiti) non datur par- vitas materiae; ita uti omnis delectaio carnalis, cum plena advertentia, et consensu capta, mortale peccatum est. 12 La vera Sposa di G.C., 1760, pp. 113-121. 13 A. M. de Liguori, Istruzione e pratica per li Confessori, Giuseppe Di Domenico, Napo- li, MDCCLXV, I, p. 333 e sgg., anche per le citaz. successive. 40  Il pio moralista, scaltrito nella casistica giuridica, sa che bisogna scende- re nei minimi particolari per trovare la situazione peccaminosa: se grave o lieve o poco rilevante o, addirittura, del tutto inesistente; perciò distingue gli atti sessuali compiuti nel matrimonio o extra matrimonium. In situazio- ne extra coniugale, tutti i toccamenti, oscula et amplexus ob delectatione, mortale sunt. Vi sono numerosi casi dubbi da esplicitare: ne va di mezzo la salute delle anime, calate in situazioni mondane sempre diverse e comunque sempre a stretto contatto con le tentazioni della carne. Ad es., la donna o il fanciullo non peccano se si fanno toccare secondo la consueta pudicizia dettata dalla simpatia o dalla buona affettuosa disposizione; peccano invece se non si op- pongono a contatti impudichi, o a baci insistenti (morosis) e furtivi. E anco- ra: la fanciulla aggredita allo scopo di usarne violenza è tenuta a urlare ad se liberandam a turpitudine? Nel caso non invocasse aiuto con la dovuta forza e insistenza lo stupro si cambierebbe facilmente in consenso peccaminoso. Ma la questione resta controversa se debba ritenersi consenso il non aver gridato o invocato aiuto, secondo un’antica sentenza per la quale, praesume- batur puella non clamans consentiente (p. 335). Perviene infine a definizioni accurate degli atti turpi, differenziando quelli compiuti naturalmente da quelli innaturalmente. Ecco la definizione di fornicazione e di concubinaggio, quali peccati mortali: Fornicatio est coitus intersolutos ex mutuo consensu. Concubinatus autem non est aliud quam continuata fornicatio, habita uxorio modo in eadem vel alia domo; [e quella di stupro, come:] defloratio virginis ipsa invita, et ideo praeter fornicationis malitiam habet etiam injustitiae. Attraverso una minuziosa casistica quasi boccaccesca, buona – si direb- be - ad arricchire la documentazione erotica di un romanziere libertino, il moralista passa in rassegna le svariate forme di rapporti sessuali, da quelle legittime a quelle addirittura più strane e peregrine, come l’accoppiarsi in luogo sacro, quali una chiesa, il cimitero, l’oratorio, il monastero, ecc. Pone addirittura questioni dubbie sulle maniere e le condizioni in cui tale rap- porto potrebbe verificarsi. Pur ammettendosi il peccato, sorge la questio se si tratti o meno di sacrilegio. Ad es. «an copula maritalis, aut occulta abita in Ecclesia, sit sacrilegium?» Vi si potrebbero emanare tre sentenze differenti: una che ritiene irrilevante la condizione di coniugi, un’altra la situazione occulta (che l’abbiano fatto di nascosto) e una terza che ritiene essere sacri- lego l’atto in ogni caso. Addirittura se si tratta di marito e moglie, secondo alcuni teologi, l’atto consumato in chiesa potrebbe essere scusato, si ipsi sint in morali necessitate coeundi, puta si ipsi in pericolo continentitiae, vel si diu in Ecclesia permanere debeant. 41  Il lettore ne trae l’impressione che l’autore (più che dietro suggerimenti letterari coevi) vada ad estirpare direttamente dalla vita, dalle lussuriose esperienze dei peccatori, dalle situazione più impensabili, apprese nelle lun- ghe ore passate al confessionale ad ascoltare ed a sollecitare le confessioni più intime dei fedeli, tutte le forme, i modi che la secolare ricerca del piacere ha suggerito di epoca in epoca all’uomo, dalle più rozze e volgari maniere di accoppiamento fino alle più raffinate arti di amare e trarre godimento che proprio i libertini del secolo XVIII andavano perfezionando e praticando in forme sempre più sofisticate. La stessa lingua latina – ma qui dovrebbe- ro dirla i linguisti – si fa molto particolare fino all’uso di neologismi non presenti nei classici. Parlando della sodomia distingue quella propriamente detta da quella impropria ed eterosessuale Coitum viri in vase praepostero mulieris esse sodomiam imperfectam, specie distinctam a perfecta. Si quis autem se pollueret inter crura aut brachia mu- lieres, duo peccata diversa committeret, unum fornicationis inchoatae, alte- rum contra naturam. An pollutio in ore fit diverse speciei? Affirmant aliqui, vocantque hoc peccatum irrumantionem, dicentes quod sempre ac sit pollutio in alio vase quan naturali, speciem mutat. Sed probabilius sentiunt [...] quod si pollutio viri sit in ore maris est sodomia; si in ore feminae, sit fornicatio inchoata, et in super peccatum contra naturam ut mox diximus... Arriva addirittura ad ipotizzare il coito cum femina morta, che non rien- trerebbe nella fattispecie dei rapporti bestiali ma nella polluzione e in quella che Alfonso chiama fornicatio affectiva (p. 343). 6. Dalla sessuofobia all’erotismo peccaminoso: Cortigiane poetesse e libertini filosofi. L’Eros redento Prendiamo due secoli di storia molto emblematici: il Cinquecento e il Settecento. Dall’Italia delle corti signorili alla Francia della grande rivolu- zione. Due secoli in cui l’Eros vive una sua storia illustre, tra cortigiane raffinate poetesse e abati filosofi e libertini. A dirla franca alla sua maniera sull’eros e a dargli veste poetica disinibita, ci pensa subito Pietro Aretino: ma sempre da una angolatura tutta maschile. Nonostante si salvi la dignità della partner che qui giuoca un ruolo attivo di co-protagonista del rapporto amoroso, in cui l’atto sessuale si trasforma in una sticomitia drammatica non priva di poetica oscenità. Soltanto nel petrarcheggiare delle cortigiane, come la soave Veronica Franco che riceve sotto le sue lenzuola di tela d’O- landa finanche Enrico III di Valois, la donna trova finalmente il suo primo vero riscatto sul maschio, con un suo modo raffinato (di alto erotismo) di 42  pilotare la barca dell’Amorosa Dea; ad esse, tra principi, sovrani, alti prela- ti, pontefici gaudenti, spetta il compito di riscattare dall’eterna dannazione l’Eros e fargli recuperare il valore perduto col trionfo del Cristianesimo. Un recupero, tutto al femminile, del paradiso perduto. Così canta il suo ufficio amoroso, guidato da Apollo, la dolce Veronica. Febo che serve a l’ amorosa Dea E in dolce guiderdon da lei ottiene Quel che via più che l’esser Dio il bea, A rilevar nel mio pensier ne viene Quei modi che con lui Venere adopra Mentre in soavi abbracciamenti il tiene. Ond’io instrutta a questi so dar opra, Si ben nel letto, che d’Apollo all’Arte Questa ne va d’assai spazio di sopra E il mio cantar e ‘l mio scrivere in carte S’oblia in chi mi prova in quella guisa Ch’a suoi seguaci Venere comparte. Nel Settecento, cui ora vogliam far cenno, sia pur per sommi capi, le cose stavano in modo ben differente da come ce le hanno rappresentate quando a scuola ci hanno spiegato quel periodo. I libri del Marchese de Sade rap- presentano, ad es., una nuova filosofia morale e non sono la pura e semplice invenzione di tecniche erotiche pervertite, come comunemente si crede. I recenti studi hanno sfatato quella immagine del divin marchese. “La filo- sofia deve dire tutto”, egli ha affermato: tutto senza ipocrisie e fingimenti. Egli non fu né il primo né il solo a sostenere i diritti della carne, che grida la sua legittima soddisfazione contro le assurde costrizioni della cosiddetta civiltà. Il celeberrimo sadismo: ricerca del piacere attraverso il godimento per la sofferenza del partner, ha ben altre origini che le sole discendenze da Sade. Bisognerebbe intanto rifarsi alle meticolese ricerche di Jenny Skipp, dell’U- niv. di Leeds, che ha schedato tutti i testi erotici inglesi del ‘700 scoprendovi come l’uso educativo della frusta e le sculacciate a pelle nuda sui ragazzi, era praticato dai gesuiti in chiave educativa e correttiva, ma finiva per confinare molto spesso con l’erotismo portando addirittura all’orgasmo vero e pro- prio. Nacque un termine: “orbinolismo” che vuol dire “smania di frustare” (Cfr. Rodez, Memorie storiche sull’orbinolismo, 1760). Né si dimentichi, oltre la pratica, anche l’elogio cattolico, presso non solo l’ordine dei gesuiti ma anche di Scolopi e Salesiani, fatto in termini pedagogici della frusta e della sua frequente pratica a scopi educativi e correttivi: virga tua et baculus tuus salus mea fuerunt!.... A tali osservazioni sul costume del secolo va aggiunto che la proverbia- le sporcizia che caratterizzava il ménage domestico dell’epoca anche tra 43  le famiglie nobili e abbienti, non era poi così generalizzata. Soprattutto le donne avevano introdotto l’uso davvero innovativo dell’erotico bidet (che ha la forma di violino e, al tempo stesso, quella dei fianchi femminili) che permetteva loro di mantenere igiene e pulizia in quelle parti del corpo che ne avevano più bisogno. A tal proposito restano molto istruttive le pagine dei romanzi erotici e libertini, tra i quali spicca Restif de La Breton con il suo Anti Justine dove si nota l’uso frequente e generalizzato di tale strumento da toilette, prima e dopo gli incontri amorosi.. Perciò, una volta sfatata l’immagine stereotipata del Settecento illumi- nistico, astrattamente razionalista, irreligioso e dai costumi depravati, pro- viamo a riguardare sotto diversa luce e angolatura, libere da pregiudizi e remore moralistiche e confessionali, la letteratura erotica e d’amore di quel secolo che, oltre tutto, fu di Mozart, di Kant, di Bach, oltre che di Voltaire, di Rousseau e di Goethe e ci lasciò in eredità non soltanto la grande rivoluzione dell’89 ma anche quella che fu la più colossale e universale summa di sapere moderno: l’Enciclopedia, ovverosia dizionario ragionato di tutte le scienze, le arti e i mestieri contro la quale pullularono subito una serie di Anti-Enciclo- pedie anche da noi in Italia per porre un argine all’avanzata di quelle idee di libertà e di progresso civile. Il ricordare Leopardi è qui d’obbligo: Così ti spiacque il vero, dell’aspra sorte e del depresso loco che natura ci diè, per questo il tergo vigliaccamente rivolgesti al lume che il fe palese... Insomma lo zelo sessuofobico, la guerra dichiarata all’istinto sessuale porta il sacerdote, il ministro del culto cattolico, il confessore a scendere nei particolari della vita sessuale singola e della coppia, sia entro che fuori del matrimonio: a scoprire i più segreti momenti dell’intimità delle coppie fino a scrutare e distinguere, entro le fantasie erotiche più raffinate, i comporta- menti più o meno peccaminosi, cioè conformi a canoni tutti da verificare di volta in volta (casistica). Una sorta di filo invisibile lega pertanto il pio cen- sore al libertino e al peccatore o la peccatrice (lo denuncia la stessa corrente espressione possessiva: il” mio” confessore!) tanto da diventare complemen- tari, avvincersi in un legame indissolubile fino a non poter più fare a meno l’uno dell’altro14. Ma il legame tra religiosità e libertinismo, così come tra l’erotismo e la religione cattolica in particolare, si fa sempre più stretto fino a dipendere l’uno dall’altro: come, in regime capitalistico, domanda e offerta. Il cattoli- 14 Cfr., infine, “L’Asino” di Podrecca a Galantara e le critiche positivistiche e anticlericali alla morale alfonsiana, Feltrinelli, Milano 1970 (Reprint), pp. 78-79. 44  cesimo deve disciplinare a suo modo il sesso e, in genere, tutta l’attività e la fantasia umane; l’eros deve trovare entro una nuova coscienza storica la sua rinnovata voluttà. Ecco allora il piacere stesso trovar vie differenti rispetto al piacere degli antichi, allor quando quella ricerca non veniva combattuta, non era un tabù, anzi era apprezzata come uno dei più ambiti doni della na- tura. Vengono a far parte del piacere anche i marchingegni e i sotterfugi per eludere le prescrizioni correnti e i limiti che le norme religiose impongono dall’esterno. Finanche i pregiudizi - siano di ispirazione cattolica o meno - diventano materia di raffinato erotismo. L’esecrabile peccato della lussu- ria, prodotto tipico del Cristianesimo, diventa perciò stesso fonte di piacere (la Jouissance illuministica), proprio perché vietato e esecrato: soprattutto quando l’atto viene compiuto di nascosto, cogliendo quello che è diventato, dopo la mitica cacciata dal Paradiso terrestre, il frutto proibito, il godimen- to raggiunto di soppiatto e contro la legge o la morale corrente perciò più seducente e ricercato per la sua illegtittimità! La letteratura è piena zeppa di esempi e finisce per produrre un genere di scrittura narrativa particolare che chiamiamo “erotica” o “pornografica”: di libri che s’han «da leggere con una mano sola», un genere che non si spiegherebbe prima del cristianesimo e della dannazione dell’eros e del piacere e che va dai canti carnascialeschi al Decamerone, al Ruzante, all’Aretino, ai poeti dialettali: da Alvise Baffo, veneziano, al grandissimo Belli, romanesco, al dimenticato Domenico Tem- pio, siciliano (nato a Catania nel 1750) per arrivare alla letteratura erotica del romanzo libertino francese in cui confluiscono le innumerevoli forme e modi di estraniazione, di sogno, di fuga dalla realtà che delineano l’universo fantastico che sarà la base della letteratura romantica europea e soprattut- to del romanzo e della grande narrativa ottocentesca e contemporanea, da Balzac a Flaubert, a Hugo a Dumas, dal romanzo russo al nostro Manzoni, a Zola, a Verga alla miriade dei narratori dei nostri giorni15. In conclusio- ne, ma in una maniera tutta nuova, possiamo ritenere avesse davvero visto giusto il grande saggio napoletano Benedetto Croce, quando affermò che “non possiamo non dirci cristiani”: se persino l’erotismo è stato – malgré lui - influenzato e raffinato dal cristianesimo. Se ne stanno accorgendo anche in Francia dove nacque la letteratura libertina e la illuminata filosofia del piacere: dal materialista La Mettrie all’esecrato marchese De Sade16. 15 Emblematico, per quanto qui si va rilevando, il romanzo libertino, non ancora tradot- to, D.A.F. de SADE, Alina et Valcour, ovvero il romanzo filosofico (1788-1795). 16 Cfr., la Mostra: BNF, L’Enfer de la Biblioteque Nazionale. Eros au secret, Paris, 2 dic. 2007-22 mar. 2008. Ricco di 58 titoli, è venuto alla luce un significativo numero di opere e autori soltanto nel 1983 ad opera di specialisti che li vanno pubblicando e illustrando. In- tanto segnalo l’originale antologia da: J. O. de La Mettrie e D. Diderot, curata da P. Quintili, L’Arte di godere. Testi dei filosofi libertini del XVIII secolo, Manifestolibri, Roma 2006.

No comments:

Post a Comment