AUQUSTO GUZZO L’ISAGOGE DI PORFIRIO E I COMMENTI DI BOEZIO E D I Z I O N B . i 697 I . 173 ' aa TORINO I DE “L’ERMA,, I 9 3 4 - X I I T^37 AUGUSTO GUZZO L’ISAGOGE DI PORFIRIO E I COMMENTI DI BOEZIO TORINO EDIZIONI DE “L’ERMA,, I 9 3 4 - X I I & ,173 Ù‘ì ESTRATTO DAGLI Annali delV Istituto Superiore di Magistero del Piemonte. Voi. VII - 1934 XII TORINO 1934-XII TIPOGRAFIA DPIGLI ARTIGIANELLI (G. RoSSIj VIA JUVARA, 14 445'/^59 BOSTON COLLEGE LIBRAR j CHESTNUT HILL. MASS. o L’Isagoge di Porfirio e i Commenti di Boezio SOMMARIO 1. Il Commento di Porfirio alle Categorie di Aristotele. — 2-5. Que- stioni su le Categorie. — 6. L’Isagoge. Il prologo. — 7-9. Il primo commento di Boezio al prologo dell’Isagoge. — 10-12. Il secondo commento di Boezio. — 13. Le cinque voci. — 14. Il genere. — 15. La specie. — 16. La differenza. — 17. La qualità. — 18. L’accidente. — 19. Quel che hanno di comune le cinque voci. — 20. Comparazione del genere con le alti e quattro voci. — 21. Comparazione della differenza con le altre quattro voci. — 22. Comparazione della specie con le altre quattro voci. — 23. Comparazione della proprietà con le altre quattro voci. — 24. Comparazione dell’accidente con le altre quattro voci. — 25. Il primo commento di Boezio alla dottrina delle cinque voci. — 26. Il dialogo premesso al primo commento di Boezio. — 27. Divisione della filosofia. — 28-33. Il secondo commento di Boezio. — 34. Conclusione. (*) (*) Queste esposizioni di antichi testi molto famosi ma poco letti co- stituirono l’argomento del corso di Pedagogia da me professato nell’Istituto Superiore di Magistero del Piemonte nell’anno accademico 1927-28. Volevo dare una conoscenza possibilmente precisa di quel che era l’istruzione c la cultura nell’alto medioevo : ed esposi i testi che in quei secoli erano più meditati lumeggiando, di scorcio, anche lo sfondo d’idee su cui sorse più tardi, sui primi periodi déìVIsagoge, la disputa degli universali. Testi di 4 AUGUSTO GUZZO 1. — Porfirio, che è autore della celebre « Isagoge, o In- troduzione alle Categorie di Aristotele » , è anche autore di un meno noto Commentario alle medesime Categorie. Sarà utile studiare almeno la prima parte, cioè la parte introduttiva di tale Commentario: forse si troverà in essa la spiegazione del punto di vista dal quale si pone Porfirio nella « Isagoge » . Questo Commentario ci è pervenuto mancante delPultima parte - quella riguardante le ultime quattro categorie e i post-predicamenti - e assai scorretto e guasto anche nella parte precedente. Lo si trova in un codice modenese miniato del secolo XIII, in un codice della Marciana del secolo XV, in uno delPEscuriale del secolo XVI, in uno parigino dello stesso secolo XVI, in uno della Laurenziana del secolo XV. E' però dimostrato che di tutti questi codici il primo, da cui tutti gli altri dipendono direttamente, è quello modenese. Di sul codice parigino il commento fu stampato a Parigi nel 1543 « apud Jacobum Bogardum ». Su questa edizione, che è Pedizione principe, del Commentario, fu condotta la versione latina di Feliciano, stampata in Venezia « apud Hieronymum Scotum ». L’ « edizione critica » è del 1887, e si deve alle cure logica che, ad esporli, si può tutt’al più riescire chiari; ma avviciuarli alla comune cultura può forse essere utile. Anche questo corso, che era rimasto inedito, va messo tra i lavori da me preparati per l’Istituto Supe- riore di Magistero del Piemonte. Mi sia permesso enumerarli : Apologia dell’idealismo (Discorso inaugurale dell’anno accademico 1924 25), Torino, Paravia, 1925; Introduzione e Commento al i^edone di Platone, Commento alla Repubblica di Platone, Agostino: dai Contra Academicos al De Vera Religione^ Firenze, Vallecchi, 1925; Agostino, Il maestro^ Traduzione, Intro- duzione, Commento e Appendici, Firenze, Vallecchi, 1926; Tommaso d’Aquino, Il maestro, Traduzione, Introduzione e Commento, Firenze, Vallecchi, 1927; Giudizio e azione, Venezia, «La Nuova Italia», 1928; Agostino e il sistema della grazia, Torino, «L’Erma», 1930 (1934®); Il concetto di individuazione e il problema morale (Discorso inaugurale del- l’anno 1930-31), Torino, « L’Erma », 1931; La « Summa contra Gentiles », Torino, « L’Erma », 1931 ; I Dialoghi del Bruno, Torino, « L’Erma », 1932. l’isagoge di PORFIRIO E I COMMENTI DI BOEZIO 5 di Adolfo Busse, nell’edizione dei commenti greci ad Aristotele, promossa dall’Accademia Prussiana (Voi. I, pars. I « Porphyrii Isagoge et in Aristotelis Categorias commenta rium edidit Adolfus Busse. — Berolini, Typis et impensis Georgii Reimer — MDCCCLXXXVII »). Il Commento procede per yììx di domanda e risposta. E’, in londo, un dialogo, ma in cui le persone degli interlocutori non hanno alcun rilievo ; la « domanda » parte da uno che non sa e chiede spiegazioni : la c Risposta » enuncia, evidentemente, la soluzione che Porfirio crede si possa e si debba dare alle varie questioni. Le quali se, da un certo momento in poi, riguardano il più giusto significato da attribuire alla lettera del testo aristo- telico, prima vertono su problemi che investono rimpianto stesso del piccolo scritto aristotelico. 2. -- Prima questione. — « Categoria » in greco vuol dire € accusa », « denunzia ». Come mai Aristotele chiamò Categorie l'essenza, la quantità, la qualità, ecc.? La risposa è che il filo- sofo, costretto talvolta a coniar parole nuove, tal’altra a dare un significato nuovo a parole consuete, adoprò la parola « Cate- goria » per indicare le « espressioni enunciative delle cose » (tàc twv Xé^soov twv a'ijjxavttxwv y.arà twv TUpaYixatcov xat- YjYopta? TrpoosìTcsv). Sicché, ogni semplice espi*essione enunciativa, quando sia pronunciata e detta della cosa enunciata, si dice categoria. Per esempio: se la cosa che vien mostrata è questa pietra che tocchiamo e che vediamo, quando di essa diciamo: «questa è pietra», l'espressione «pietra» è il categorèma, giacché indica la cosa e vien detta di essa. 3. — Seconda questione. — Aristotele chiamò il suo scritto « Categoi'ie » o, come altri, « Le dieci Categorie » ? Porfirio risponde respingendo tanto questo titolo dello scritto quanto gli altri : « Prima della Topica », « dei generi dell'essere » « dei dieci generi > . Non « Prima della Topica » perché in tal 6 AUGUSTO GUZZO caso sarebbe stato più esatto dire «Prima degli Analitici», anzi « Prima deU’interpretazione » : chè il libro delle Categorie è il più elementare e introduttivo a tutte le parti della filosofìa, E piuttosto sarebbe < Prima della parte fisica della filosofia » . anziché « Prima della Topica » : chè è opera della natura « l’es- senza, il quale e simili » . Nè lo scritto potrebbe in nessun caso intitolarsi « Dei generi dell’essere » o « dei dieci generi » « perchè gli esseri e i loro generi e le specie e le differenze sono cose e non voci » : e invece Aristotele, enumerando le dieci categorie, l’essenza, il quale, il quanto e le rimanenti, dice: «ciascuna delle dette si dice per sé stessa, non per attribuzione, mentre l’attribuzione, 0 affermazione, avviene mediante connessione di esse tra loro ». Or se è la connessione delle categorie quella che dà luogo alle asserzioni, e se le asserzioni consistono in voci indicative e discorsi dimostrativi (èv oyjaavrix-^ xai àTio^avTixij)), lo scritto aristotelico non può riguardare i generi dell’essere, nè in generale le cose: chè non la connessione delle cose costi- tuisce asserzione, bensì la connessione delle voci significative che indicano le cose. E Aristotele stesso dice: « ciascuna delle categorie dette senza alcuna connessione significa o l’essenza o il quanto », con quel che segue. Ora, se Aristotele parlasse di cose, non direbbe « significa l’essenza », chè le cose non significano, bensì sono significate. _ Ciò che significa è la voce, la parola: di voci, di parole dunque, tratta Aristotele nelle Categorie. Perchè, poi, debba essere questo il titolo dello scritto, sarà chiaro - dice Porfirio - quando si sia dimostrato il contenuto proprio del libro. 4. — Terza questione. — Quale è dunque il contenuto proprio delle Categorie? Porfirio risponde rifacendosi di lontano. l’isagoge di PORFIRIO E I COMMENTI DI BOEZIO 7 • L’uomo - egli scrive - giunto a indicare e significare le cose circostanti, pervenne a nominarle con la voce e a indicare con questo mezzo ciascuna di esse. Il primo uso che egli fece delle parole fu rivolto a mostrare ciascuna cosa per mezzo di voci e di parole; col quale riferimento delle voci alle cose questo chiamò sedile, quello uomo, quell’altro cane e quell’altro sole: e ancora questo colore chiamò bianco, quello nero; e questo chiamò numero, quello grandezza ; questo due cubiti, quello tre cubiti; e cosi per ciascuna cosa stabili parole e nomi signifi- cativi di esse e indicativi mediante determinati suoni della voce. Stabilite dunque per le cose, come contrassegno, talune parole, Tuomo, passando ad una seconda impresa e riflettendo sulle parole stabilite, quelle che si uniscono agli articoli chiamò nomi, e quelle come « io passeggio, tu passeggi » chiamò verbi. Di modo che, se nella prima imposizione » di nomi questo chiamò oro e quello sole, nella seconda la voce < oro » chiamò nome e la voce < passeggio » verbo. Ora il contenuto delle Categorìe d’Aristotele è precisamente il primo stabilimento delle parole, quello che mostra le cose: giacché studia le voci significative semplici, in quanto signifi- cative delle cose, distinguendole non l’una dall’altra individual- mente, chè, di numero, le voci sono infinite come le cose che significano, ma distinguendole secondo il genere a cui appar- tengono. Ora l’infinità degli enti e delle parole che li significano si lasciano ridurre a dieci generi: giacché dieci sono le diffe- renze di genere degli enti, e dieci anche le voci che le indicano. Ma questo fatto che le voci, simili a messaggere, prendano le differenze dalle cose che annunziano, non toglie che la ricerca principale sia, nelle Categorie^ intorno alle voci significative, e non intorno alle differenze di genere degli enti. Dieci sono i generi delle parole in quanto significative di cose: ché significano o l’essere (la sostanza), ó la quantità, la qualità, la relazione, ecc. (i nove accidenti della sostanza). Due, invece, sono le parole che significano il tipo a cui appartengono ; 8 AUGUSTO GUZZO giacché tutte le voci sono di due tipi: o nomi o verbi. Alla quale seconda ricerca - grammaticale, non logica, diremmo noi > appartiene anche distinguere la espressione propria dalla metaforica e dagli altri tropi. Presentata cosi la ricerca delle Categorie come una ricerca nè metafìsica, nè grammaticale, nè retorica - non metafìsica perchè secondo Porfirio, è incidentale il riferimento ai generi delPessere, essendo Pattenzione rivolta ai generi delle parole significative, in quanto appunto significano questo o quello; non grammaticale, perchè nelle « Categorie » non si distinguono tra loro le varie parti del discorso, che è distinzione tardiva rispetto a quella che distingue le voci secondo ciò che signifi- cano, non secondo che siano proprie, metaforiche, ecc. - Porfirio osserva che, contro la sua interpretazione che intende la ricerca delle Categorie come una ricerca, noi diremmo, di filosofia del linguaggio, e gli antichi dicevano di logica, comunemente iden- tificando col pensiero la sua significazione verbale, si schieravano tanto quelli che ritenevano oggetto principale delle Categorie la ricerca metafisica intorno ai generi dell’essere, quanto quelli che. credendo oggetto delle Categorie la ricerca retorica delle espressioni proprie e delle figurate, ritenevano la distinzione aristotelica delle Categorie o insufficiente o incomprensiva o, al contrario, sovrabbondante. Fra questi ultimi, per esempio, i seguaci di Atenodoro e di Cornuto, studiando le espressioni proprie ed improprie, e volendo sapere a quali categorie esse appartenessero, non trovando nello scritto aristotelico risposta a tale domanda, ritennero manchevole e difettosa Penumerazione aristotelica, come non comprensiva di tutte le voci significative. Invece, secondo Porfirio, rettamente intesero lo scritto d’Ari- stotele Poeto nel suo commento alle Categorie, e più brevemente Erminio. Il quale dice che la ricerca non verte nè su quelli che in natura sono i primi e generalissimi generi (che non sarebbe insegnamento adatto ai giovani), nè studia quali siano le prime ed elementari differenze delle parole, come se la trattazione I. ISAGOGE DI PORFIRIO E I COMMENTI DI BOEZIO 9 riguardasse le parti del discorso; ma piuttosto verte sulla spe- cie di parole che risulti appropriata a ciascun genere di enti: onde fu necessario toccare in qualche modo dei generi, a cui le parole si riferiscono : chè non si intenderebbe la significazione propria di ciascun genere se qualcosa intorno ad esso non s’an- ticipasse. Poiché dieci sono i generi, dieci sono le categorie. E si potrebbe magari anche intitolare lo scritto aristotelico Dei dieci generi » se con ciò si significasse solo un riferimento ai dieci generi, giacché non di essi si occupa principalmente il libro. 5. — Quarta Questione. — Perchè il libro verte su le « Cate- gorie > e s’inizia con una trattazione su gli omonimi e i sinonimi? Perchè queste sono distinzioni delle quali Aristotele deve fare uso in tutto l’Organo: perciò le premette ad ogni altra considerazione. Tralasciamo, ora, il seguito del Commento Porfiriano; ma ci gioverà aver visto come Porfirio intendesse quelle Categorie alle quali s’assunse lo storico compito di « introdurre » . 6. — La celebre « Isagoge » di Porfirio tratta del genere, della differenza (che, entro ciascun genere, distingue l’una dall’altra le specie), della specie, della proprietà (che caratte- rizza ciascun genere e ciascuna specie) e dell’accidente (che, senza essere intrinsecamente « proprio » d’una sostanza, le si attaglia in talune circostanze). La trattazione del genere è, però, preceduta da una famosa introduzione, nella quale Porfirio si rivolge a Crisaorio, patrizio romano suo discepolo, dicendo: « Poiché, 0 Crisaorio, è necessario anche per la dottrina « aristotelica delle Categorie, sapere che sia genere e che diffe- « renza, e che sia specie e che proprietà e che accidente; « siccome e per assegnar le definizioni e in generale per quel « che riguarda la divisione e la- dimostrazione è utile l’indagine 10 AUGUSTO GUZZO « di tali cose: io, facendo per te una compendiosa trattazione, < tenterò brevemente, come a mo’ di introduzione, di spiegare « il pensiero degli antichi, astenendomi dalle ricerche, più € profonde e investigando, invece, opportunamente le più « semplici » . Le ricerche più profonde, da cui Porfirio professa di astenersi, riguardano la realtà dei generi e delle specie, in una parola degli universali. Difatti Porfirio continua: « Ora, riguardo ai generi e alle specie, se esistano o invece c stiano solo nel pensiero e, dato che esistano, se siano corpi « 0 incorporei, e se separati o esistenti nei sensibili e non « fuori di essi, io eviterò di dire, profondissima essendo questa « questione e richiedendo essa altra maggiore ricerca » . Onde Porfirio conclude dicendo che si limiterà a cercare d’esporre a Crisaorio ciò che gli antichi meditarono intorno a questi argomenti, e tra essi specialmente i Peripatetici. Porfirio, dunque, tratterà dei generi e delle specie senza determinare se siano idee, cioè enti metafisici, o semplici concetti, esistenti solo nella mente che li pensa. Ma, per conto suo, per quale di queste dottrine propende? Grià si è visto che egli considera generi, specie e differenze « cose, non voci » e che, in generale, ritiene che le distinzioni logiche trovino la loro ragion d’esseie in altrettante distinzioni metafisiche di cui si fanno espressione. Per Porfirio dunque, generi e specie riguardano l’essere, e se egli prelude alla Logica aristotelica trattando di essi, in fondo egli ridà alla Logica d’Aristotele il fondamento della dialettica platonica, tutta diretta a distinguere generi e specie e valida, nel pensiero di Platone, tanto oggettivamente, come metafisica, quanto soggettivamente, come logica. Questo punto di vista realistico da cui è scritta l’intera < Isagoge » non sfugge, nonostante tutto, al commentatore Boezio, il quale torna sulla importante questione cosi nel primo come nel secondo dei suoi commenti all’Isagoge. l’isagoge di PORFIRIO E I COMMENTI DI BOEZIO 11 È noto che i due commenti son diversi tra loro in quanto il primo si dirige ai principianti e quindi evita le discussioni troppo complicate e sottili, il secondo, invece, vuol indurre i discepoli già provetti a una ginnastica mentale adatta alle loro ‘forze e alla loro preparazione. Non è meraviglia, quindi, che la « questione degli universali » — giacché ormai di essa si tratta — sia impostata diversamente nei due commenti, sebbene la trattazione giunga a risultati assai affini. 7. — Il primo commento di Boezio giunge a interpretare il prologo deirisagoge solo al decimo capitolo, e mostra chiaro lo sforzo di ricorrere alle argomentazioni e dimostrazioni più semplici, affinchè i principianti possano intenderle ed afferrarle. In verità Porfirio pone e rinvia tre questioni: 1) - se generi e specie esìstano davvero o stiano solo neirintelletto e nella mente; 2) - se siano corporei o incorporei; 3) - se siano separati o uniti con i sensibili. Rispetto alla prima questione « se generi e specie esistano davvero, o stiano solo nell’intelletto e nella mente », Boezio sembra interpretarla in un modo che forse non coincide inte- ramente con ciò che intendeva Porfirio. Questi, forse, intendeva domandarsi: generi e specie sono idee platoniche, cioè enti, o invece concetti aristotelici, cioè universali puramente mentali nati nel pensiero e dal pensiero? Se sono idee platoniche, si intende che sono, non solo incorporee, ma separate. Se invece sono concetti aristotelici, essi corrispondono, nella mente, a forme che nella realtà vivono intrinsecate nelle cose sensibili. La questione, dunque, è : gli universali vanno concepiti plato- nicamente, ante rem, o aristotelicamente, post rem, giacché in re essi esistono, ma intimi alle stesse cose particolari ? Se questo è ciò che intende domandarsi Porfirio, si capisce come egli preferisca rimandare questa controversia prò Platone 0 prò Aristotele a un momento in cui il suo discepolo Crisaorio 12 AUGUSTO GUZZO sia già innanzi negli studi filosofici. Ma Boezio intende la que- stione in maniera assai diversa. Egli non intende i generi e le specie se non come universali mentali post rem, come con- cetti aristotelici. La conoscenza si inizia con la sensazione: per sensuum qualitatem res sensibus subiectas (animus) intel- legit Dalla sensazione lo spirito parte per concepire le specie ed i generi: et ex bis (le cose sensibili) quadam speculatione concepta, viam sibi ad incorporalia intellegendapraemunit,,. Così, quando vede i singoli individui umani, sa d’aver visto uomini, sa che sono uomini quelli che ha visti. Di qui lo spirito sale a discernere la stessa specie « uomo », incorporea perchè non si concepisce che con la mente e rintelligenza. Ma, come movendo dalla sensazione lo spirito giunge a comprendere le cose incor- poree, così, movendo dalle stesse sensazioni, lo spirito arriva a immaginarsi, per esempio, i Centauri, la cui fallace imma- gine si compone di elementi della forma umana ed elementi della forma equina. Or si domanda: generi e specie sono con- cepiti con verità, sicché comprendiamo la specie uomo giusta- mente ricavandola dai singoli uomini coi'porei, o invece sono immaginati con finzione mentale pari a quella di cui parla Orazio nell’Arte Poetica, quando dice: « fiumano capiti cer- vicem pictor equinam iungere si velit » ? Come si vede, Boezio non crede che la domanda di Porfirio sia rivolta a sapere se gli universali siano reali o puramente mentali, ma se siano concetti veri o pure finzioni delPimma- ginazione. Il che significa porsi già su terreno prettamente aristotelico, giacché tutto si riduce a domandare se gli uni- versali post rem siano rettamente pensati o fallacemente imma- ginati, o, con altre espressioni, se siano concetti o puri sogni e chimere. La risposta che Boezio dà a questa domanda è, se non er- riamo, singolarmente infelice. Per lui non è dubbio che i generi e le specie « sono veramente»: «difatti, come tutte le cose che veramente sono senza queste cinque: non possono essere, così l’isagoge di PORFIRIO E I COMMENTI DI BOEZIO 13 non si può dubitare che anche queste cinque son concepite con verità (vere intellectas) » . Che è una strana maniera di presupporre gli universali reali nelle cose sensibili, quando proprio la domanda è se gli universali siano reali o fallaci- Per Boezio generi, specie, differenze, proprietà, accidenti, queste cinque distinzioni nelle cose sono « conglutinatae et quodam- modo coniunctae atque compactae ». Difatti, perchè Aristotele parlerebbe delle prime dieci espressioni (sermonibus) signifi- canti i generi delle cose, o perchè raccoglierebbe le loro diffe- renze e proprietà e toccherebbe degli accidenti, se non li avesse visti nelle cose intrinsecati e in qualche modo riuniti ( <' in rebus intima et quodammodo adunata » ) ? In base a questa argomentazione Boezio conclude che « se è cosi, non c’è dubbio che siano veramente e sian tenute (le cinque distinzioni) con giusta riflessione («certa animi consideratione >). Ma si vede chiarissimo che Boezio dà per certa e dimo- strata la concezione aristotelica degli univeisali come forme immanenti nelle cose particolari, onde conclude che lo spirito, pensandoli, è nel vero e non neirerrore delle pure finzioni immaginarie. Ma se la questione era per Porfirio se gli uni- versali fossero reali o puramente mentali, e per Boezio se fos- sero concetti veri o mere finzioni immaginarie, nè la questione porfiriana, nè quella boeziana possono essere risolte con Tappel- larsi alla concezione aristotelica di universali reali nei parti- colari, e quindi veri, post rem, nello spirito umano. Questo è un affermare il temperato realismo aristotelico, non un l isol- vere la questione con un procedimento dimostrativo. Boezio presuppone dimostrato Taristotelismo per decidere in senso aristotelico e su V autorità di Aristotele la questione da lui posta. Senonchè Boezio trova un’altra conferma realistica- della sua opinione nell’assenso, per quanto tacito, dello stesso Porfirio. Giacché, egli dice, Porfirio, come se già fosse risaputa e pro- vata la realtà degli universali, domanda se siano corporei o 14 AUGUSTO GUZZO incorporei. La quale domanda sarebbe troppo frivola e assurda se non si fosse prima assodata, per gli universali, quella realtà che ora si domanda se sia corporea o incorporea. Ma anche qui forse Boezio, neirinterpretare Porfirio, va lontano da quello che egli intendeva dire. Porfirio forse domandava: — generi e specie sono reali o puramente mentali? Se reali, nel senso platonico, sono enti incorporei; se meramente mentali, non si può ad essi attribuire altra realtà che nei corpi stessi. Vale a dire, se reali, nel senso platonico, sono separati: se meramente men- tali, non possono concepirsi che immanenti nei corpi, congiunti con essi e da essi inseparabili, tranne che per astrazione nel pensiero umano. Se questa che qui proponiamo fosse una interpretazione plausibile del celebre prologo porfiriano, le domande ivi contenute in realtà non sarebbero tre, ma una sola: gli universali sono reali, o mentali? vale a dire, sono incorporei, o esistono nei corpi? cioè, sono separati, o intrinsecati nei corpi e da essi inseparabili ? Ma Boezio le intende come tre domande, ciascuna delle quali presupponga già risolta in un determinalo senso le precedenti. Difatti, egli dice: solo se alla prima domanda « se gli universali siano reali » si risponde affermativamente, si può poi domandare se esistano come corpi o come incorporei ; e parimenti, solo se a questa domanda si risponda affermando Tincorporeità degli universali, si può domandare se, essendo incorporei, esistano separati dai corpi o siano da essi inseparabili. 8. — Rispetto alla seconda questione « se gli universali siano corpi 0 incorporei » Boezio tratta separatamente il genere dalla specie. Quanto al genere egli dice, « quia incorporeorum prima natura est», può una cosa incorporea essere madre di una corporea, ma non viceversa, giacché, la sostanza essendo il genere, e corporale e incorporale le specie, il genere non può l’isagoge di PORFIRIO E I COMMENTI DI BOEZIO 15 essere corporale, chè, se fosse tale, la specie incorporea non potrebbe subordinarglisi. Dal che discende che il genere non deve essere nè corporeo nè incorporeo, si da poter avere per specie così il corporeo come Tincorporeo. (E qui Boezio solleva una questione di grandissima importanza. Se il genere non può avere nessuna delle determinazioni che costituiscono le proprietà delle specie e le loro reciproche differenze, donde nascono nelle specie queste differenze che nel genere, da cui pure le specie derivano, non ci sono? - Non si può pensare che il genere animale possegga tanto la proprietà della ragionevolezza quanto quella della irragionevolezza: chè posse- dere in sè due contrari sarebbe impossibile. Bisogna dunque che, per poter dare luogo cosi alBuna come alEaltra delle due specie, il genere non abbia nè Buna nè Taltra delle due differenze specifiche: non sia nè Tuna nè l’altra specie, pur contenendole entrambe « vi sua et potestate » . Ed anche questa è, come si deve, una soluzione prettamente aristotelica della questione: il genere è «in potenza» le sue specie, senza essere « in atto » nessuna di esse. Ma non è qui il caso di saggiare la consistenza o la inconsistenza di un simile tentativo di spiegazione che, non riuscendo a dar ragione del nascere delle differenze, le presuppone già esistenti, e tuttavia non ancora reali, giacché sono potenziali, virtuali). Si è visto dunque che per Boezio il genere non è nè corporeo, nè incorporeo : il che significa, su questo punto, non rispondere alla domanda di Porfirio, ma sottrarsi ad essa. E la ragione di tutto ciò è chiara. Porfirio è tutt’ altro che convinto che gli universali siano puri concetti: ecco perchè egli tende ad affer- marli reali e incorporei. Ma per Boezio gli universali sono semplici concetti: e però, per quanto sia anch’egli convinto con Platone ed anche con Aristotele, che Tincorporeo è, per natura, prima del corporeo, pure è costretto, dalla sua concezione mera- mente logica e non metafisica degli universali come concetti e non come idee, a pensare il genere come privo delle determinazioni 16 AUGUSTO GUZZO che saranno proprie delle specie: a costo di non sapere più d donde derivino alle specie queste differenze, che sono estrai alla sola fonte delle specie che è il genere. Ma Boezio si illude che ammettere la potenziale presei delle differenze specifiche nel genere sciolga la difficoltà: ( inoltra nella considerazione meramente logica del genere co semplice concetto, adatto esclusivamente alle classificazi scolastiche dei concetti secondo la loro estensione, mentre, ] Platone, il genere era pregnanza di realtà o idea. Quanto alle specie Boezio ne ammette di corporee e di ine poree: specie corporea Puomo; incorporea: Dio. Parimenti le differenze: «quadrupede» è differenza cor rea ; < ragionevole * differenza incorporea. Cosi anche le proprietà: corporee di cose corporee; ine poree di cose incorporee. E lo stesso è degli accidenti: accidente incorporeo è nello s ritolascienza: accidente corporeo èsul capo la capigliatura cres Insomma per Boezio, solo il genere è neutro, nè corpor nè incorporeo: ma le specie, le differenze, le proprietà e accidenti sono corporei se appartengono ai corpi, incorporei appartengono allo spirito. Senonchè, in questa teoria, lo stesso Boezio, che non potuto riconoscere incorporeo il genere per la sua conside zione meramente logica di esso, ammettendo corporee le spe( le differenze, le proprietà e gli accidenti delle cose corpor rinunzia a considerare specie, differenze ecc. come distinzi meramente logiche, e non solo le pensa metafisicamente intr secate nelle cose singole, ma fatte una cosa sola con esse, da ricevere la loro stessa natura. Torna, bensì, a una considerazione meramente logica de distinzioni porfiriane, stabilendo, dopo la prima, ora espos una seconda teoria, che peraltro egli presenta come una teo altrui. Secondo questa teoria il genere va considerato coi genere, come pura determinazione logica o concetto. E se l’isagoge di PORFIRIO E I COMMENTI DI BOEZIO 17 sostanza è genere, non dev’essere considerata come una sostanza, ma come un genere, cioè come qualcosa che ha delle specie sotto di sè. Cosi pure la specie. Corporeo e incorporeo saranno specie della sostanza. Ma essi vanno considerati come pure specie, cioè come concetti che stanno sotto un genere. Pari • menti le differenze: bipede e quadrupede sono differenze in quanto Puno contrapposto all’altro : vanno, dunque, considerati non come un bipede e un quadrupede, ma come pure differenze logiche. Similmente le proprietà non vanno considerate nel loro contenuto, ma come pure caratteristiche logiche della specie. Così intesi, generi, specie, differenze e proprietà, come pure distinzioni logiche, non possono essere, secondo la teoria che Boezio espone senza aderii-vi, se non incorporei. Mentre gli accidenti avrebbero la natura delle cose a cui accadono: sareb- bero quindi corporei o incorporei a seconda delle sostanze. Sia qui notato subito che questa affermazione metafìsica della incorporeità di quattro fra le cinque distinzioni porfiriane proprio perchè distinzioni meramente logiche, è una afferma- zione cosi male impostata da non poter resistere alla più sem- plice critica. Come semplici distinzioni logiche esse non hanno nessuna natura: il loro contenuto ha una determinata natura, non esse: nella specie < uomo », l’uomo è corporeo e ragionevole, ma € la specie » nè corporea nè ragionevole. Affermare quindi la incorporeità della specie come distinzione logica, come con- cetto, è impossibile; per dirla incorporea bisogna considerarla come idea, come ente metafìsico, non come determinazione lo- gica. Ma dirla incorporea perchè logica è un abuso inammis- sibile di pensiero, e, in ogni caso, attesta quel continuo oscillar e tra logica e metafìsica che è cosi caratteristico nella ti'adizione aristotelica. Pensati gli universali come concetti, essi non sareb- bero più suscettibili di nessuna considerazione metafìsica: in- vece continuano a essere dichiarati, metafìsicamente, incorporei, primi per natura, ecc., mentre, come puri concetti, essi non sono che vuoti termini classifìcatorii. 18 AUGUSTO GUZZO Ma Boezio continua a esporre la teoria della incorporeità delle distinzioni logiche, dicendo che coloro i quali sostengono tale teoria s’appoggiano all’autorità di Porfirio stesso, il quale, come se fosse già dimostrata la incorporeità dei generi, delle differenze, ecc., domanda se siano separati o uniti alle cose sensibili: chè, se fossero corporei, sarebbe assurdo domandare se siano disgiunti dalle cose sensibili o congiunti. Boezio, in- vece, dà tutt’altra interpretazione a questa domanda porfiriana, in quanto la intende come se suonasse: «gli universali sono sempre separabili dai particolari sensibili, o a volte inseparabili?», e però non gli sembra che la domanda porfiriana presupponga, come se già fosse risaputa e dimostrata, l’incorporeità di tutte le specie, differenze, proprietà, ecc. in quanto pure determina- zioni logiche. 9. — Egli passa perciò a interpretare direttamente la terza domanda, lasciando da parte la teoria della incorporeità dei concetti, ed ha l’aria di averla riferita a puro titolo di infor- mazione, ma ritenendola infondata e insostenibile. Per lui, dunque, le specie sono talune corporee, talune incorporee. Si domanda se siano sempre congiunte alle cose particolari, o pos- sano a volte disgiungersene. Boezio, per chiarire la domanda porfiriana, distingue tre specie di cose incorporee: 1) — Cose incorporee affatto insuscettive di corpo, come lo spirito e Dio; 2) — Cose incorporee inconcepibili senza i corpi, come lo spazio vuoto che è immediatamente oltre i termini di una figura geometrica ; 3) — Cose incorporee che sono corpi e possono essere senza corpo, come l’anima. Si domanda se generi, specie, differenze, ecc. siano di quegli incorporei sempre separati da corpo, o di quegli altri che mai l’isagoge di PORFIRIO E I COMMENTI DI BOEZIO 19 non possono separarsene, o infine di quelli che a volte si uni- scono, a volte si separano. La risposta di Boezio è che possono congiungersi e possono separarsi: che nelle cose corpoi'ee son congiunti a corpo, nelle incorporee disgiunti da corpo. Ma non bisogna credere che tutte le specie, le differenze, le proprietà, ecc. siano congiungibili o disgiungibili dai corpi; al contrario quelle delle cose corporee sono inseparabili da tali cose corporee, come lo spazio è inseparabile dai corpi che limita; e quelle delle cose incorporee, come le proprietà dello spirito non si trovano che nello spirito, che è perfettamente separato dal corpo. Boezio ribadisce la sua concezione : ci sono due ordini di realtà: corporee ed incorporee; le incorporee sono per natura e dignità anteriori alle corporee, e andrebbero considerate come loro fonte: senonchè Boezio concepisce le corporee e le incorporee come tra loro coordinate, e le subordina entrambe ad un genere nè corporeo nè incorporeo, che avrà magari in sè la potenza delle une e delle altre, ma che intanto, così astratto e sopraordinato ad esse, è il vertice di una clas- sificazione logica da scuola, non la genesi del reale. 10. — Nel secondo commento di Boezio le domande di Porfirio sono presentate ed interpretate come nel primo: ma ne è diversa la trattazione. Le questioni « et perutiles et secretae, et temptatae quidem a doctis viris nec a pluribus dissolutae», non trattate ancora da Porfirio per non ingenerare oscurità nel lettore impreparato, ma tuttavia accennate affinchè il lettore, una volta rafforzato dal sapere, sappia che domandare, sono da Boezio formulate così : 1^. Lo spirito 0 , con Pintelletto, concepisce, afferra quello che realmente esiste in natura e, con la ragione, lo copia in sé stesso; oppure, con vuota immaginazione, dipinge a sé mede- simo ciò che non esiste. Si domanda dunque come sia Pinten- 20 AUGUSTO GUZZO dimento che noi abbiamo del genere^ della specie, ecc. : se intendiamo generi e specie come cose esistenti delle quali prendiamo vera comprensione, o se invece noi stessi ci ingan- niamo immaginandoci con vano pensiero cose che non sono. 2». Che se si ammette che dei generi, delle specie, ecc. abbiamo un vero concetto, rimane da determinare se siano corporei o incorporei: giacché tutto ciò che esiste deve essere corporeo o incorporeo, e non si intenderà bene cosa siano i generi e le specie finché non si sappia se porli tra le cose corporee o le incorporee. 3». Che, se si ammette che generi, specie, ecc. siano incorporei, rimane ancora da stabilire se, pur essendo incorporei, esistano nei corpi, o se invece sembrino essere sussistenze indipendenti anche senza corpi. Giacché ci cono due specie di cose incorporee (qui Boezio sopprime la terza specie da lui distinta nel primo commento: quella delle cose incorporee che a volte si uniscono ai corpi, a volte se ne separano, e la fonde senz’altro con la prima specie): ci son cose incorporee che possono esistere senza corpo e, separate dai corpi, perdurano nella loro incorporeità, come Dio, la mente, Tanima ; altre cose incorporee, invece, non possono esistere senza i corpi, come la linea, la superficie, il numero e le varie qualità, che noi diciamo incorporee perchè non si estendono nelle tre dimensioni, ma che esistono nei corpi siffattamente da non poterne essere strappate o separate, o da svanire se separate dai corpi. Come si vede, le questioni sono impostate come nel primo commento. Ma qui Boezio si propone di trattarle altrimenti: < primum quidem panca sub quaestionis ambiguitate proponam, post vero eundem dubitationis nodum absolvere atque explicare temptabo. » Insomma, prima egli moverà un attacco, che vorrebbe essere a fondo, contro ogni concezione platonica o aristotelica degli universali, sia come reali, sia come concetti: poi giustifi- cherà la concezione aristotelica tentando di dimostrare che son l’isagoge di PORFIRIO E I COMMENTI DI BOEZIO 21 veri, nel pensiero, gli universali, pur non essendo reali, in natura, se non nei particolari. 11. — Boezio scrive: i generi e le specie o sono e sussistono, o si formano con Tintelletto ed esistono solo nel pensiero, ma non possono essere generi e specie. Anzitutto, generi e specie possono essere considerati reali? Una cosa che nello stesso tempo sia comune a più altre, non può essere una: specialmente se sia tutta in molte contempora- neamente. Ora il genere dovrebbe essere uno in tutte le sue specie : e non nel senso che ogni singola specie prenda per sè una parte del genere, ma nel senso che ogni singola specie ha in sè tutto il genere. Or questo genere che è tutto in ciascuna delle sue specie contemporaneamente, come può essere uno? giacché, se è tutto in più specie, in sè non può essere uno di numero. E se non può essere uno, non è nulla assolutamente, perchè tutto ciò che è, è perchè è uno. E lo stesso va detto della specie. Che se si dice che la specie o il genere esiste, ma molteplice di numero, non uno, non sarà il genere ultimo, bensì avrà sopra di sè un altro genere, che includa quella moltepli- cità nella propria unità. E, daccapo, se questo nuovo genere sarà a sua volta molte- plice, non uno, rinvierà ancor esso a un altro genere: e cosi di seguito, airinfinito, senza che sia dato trovare un genere che sia uno di numero pur essendo comune a tutte le sue specie. Che se si dice che il genere è uno di numero, non potrà essere comune a molti. Giacché una cosa può essere comune a molte, ma solo in uno di questi tre casi: 1) — che ciascuna sua parte si applichi ad un particolare diverso: sicché il genere non stia tutto in ciascuna specie, ma in ogni specie una sola parte del genere; 2) — che più persone abbiano in comune l’uso di alcunché, ma l’usino, beninteso, ciascuna in tempi diversi. (Esempio : più 22 AUGUSTO GUZZO persone hanno un solo servo o un solo cavallo: si capisce che non possono servirsene tutte con temporaneamente, ma l’una prima, Taltra dopo); 3) — che qualcosa sia comune a molte persone, ma senza costituire la loro essenza. (Esempio : il teatro è luogo comune a tutti gli spettatori ; ed anche lo spettacolo è uno e comune ad essi tutti). Ma il genere non è comune alle specie in nessuna delle tre forme ora dette : giacché deve essere tutto in ciascuna specie, deve essere contemporaneamente in tutte le specie, e deve costi- tuire Tessenza delle specie a cui è comune. Ora, se il genere non è nè uno (giacché è comune), nè molte- plice (giacché, se fosse tale, richiederebbe un genere ulteriore), il genere non è per nulla. E lo stesso va detto delle specie, delle diiferenze, delle proprietà e degli accidenti. Se genere, specie, ecc. non sono, resta che siano còlti solo con rintelligenza. Ma di nuovo, ogni concetto si torma da una realtà o conformemente al suo vero essere o difformemente da esso. Se conformemente, genere, specie, ecc. esistono non solo nel pensiero, ma anche nella realtà, e risorge la domanda come possano essere uni e molteplici ad un tempo, con la conclusione di pocanzi, che cioè, genere, specie, ecc. non sono. Se difforme- mente, non possono essere che vani e falsi dei concetti difformi dalla realtà nel suo vero essere. Conclusione: se genere, specie, ecc. nè sono, nè, quando son pensati, sono pensati con verità, non rimane più alcun dubbio che si debba abbandonare ogni discussione circa le cinque distin- zioni porfìriane, non vertendo esse nè su qualcosa di reale nè su qualcosa di cui sia possibile farsi un vero concetto. 12. - A questa obiezione che mirerebbe, come si vede, a scalzare tutta intera la dottrina porfiriana delle cinque primis- sime distinzioni logiche, Boezio risponde, appellandosi all’auto- L ISAGOGE DI PORFIRIO E I COMMENTI DI BOEZIO 23 ritàdi Alessandro di Afrodisia, di cui accetta e riproduce Targo - montare. Non è vero — scrive Boezio — che sia falso e vano ogni concetto che si scosti dalTessere reale delle cose. Se la mente mette insieme elementi di cose disparate fino a formarsi una immagine non rispondente a realtà, certamente erra e si inganna, come quando si immagina i Centauri, componendone mental- mente la figura con elementi del corpo umano e delTequino. Ma quando la mente procede non per composizione, ma per divisione ed astrazione, il concetto non corrisponde a nulla di obbiettivo, e tuttavia non è falso. Esempio: — la linea non è concepibile che in un corpo: staccata da qualsiasi corpo, la linea non è nulla; e difatti chi potè mai cogliere con un qualsiasi senso una linea separata da ogni corpo? Ma ciò non esclude che possa separarla lo spirito e pensarla per sè sola, fuori di qualsiasi corpo. Onde risulta, nel pensiero, incorporea e separata quella linea che nella realtà è inseparabilmente unita al corpo e confusa con esso. Ora, i generi, le specie, ecc. sono proprio cosi fatti: esistono nei corpi singoli, ma possono essere separati dai corpi, come puri universali. E come nessuno può dir falso il concetto della linea perchè si pensa separata da ogni corpo mentre essa fuori dei corpi non sussiste, cosi non si deve ritenere falso il concetto di genere, specie, ecc. perchè si isolano come puri universali mentre essi non esistono che nei particolari. Gtli è che è prerogativa delTintelletto cogliere la somiglianza dei vari particolari sensi- bili, fissarla per sè sola e farne una specie; e poi ancora, cogliere la somiglianza delle varie specie, fissarla e farne un genere. Sicché la specie è un concetto ricavato dalla somiglianza d’es- senza di individui diversi numericamente Tuno dalTaltio: e il genere è un concetto ricavato dalla somiglianza delle specie. Ma questa somiglianza, quando è nelle cose singole, è sensi- bile; quando nelle universali, è intelligibile. 0, che è lo stesso, sentita, è nelle cose singole; pensata, è universale. Sicché generi. 24 AUGUSTO GUZZO specie, ecc. esistono nei sensibili, son còlti e pensati fuori dei corpi; universali quando son pensati, singolari quando son sentiti nei corpi in cui hanno esistenza. Rimane cosi risolta Tintera questione: giacché generi e specie esistono in un modo - nei particolari - e son pensati in un altro - fuori dei particolari - come se esistessero per sé stessi e non avessero nei particolari Tesser loro. Ma questa soluzione è aristotelica, e Boezio Tavverte espli- citamente: giacché per Aristotele generi e specie son pensati incorporei ed universali, mentre esistono nei particolari sensi- bili. Platone invece - Boezio ama rammentarlo - ritiene che generi e specie non solo siano pensati come universali, ma anche siano tali ed esistano separati dai corpi. E Boezio dichiara espressamente d^aver presentato la soluzione aristotelica della questione non perché egli la approvi di più, ma perché un lavoro, come il suo commento, destinato a servir di introdu- zione alle Categorie aristoteliche, aveva il dovere di adottare, in questa questione, preliminare importantissimo, il punto di vista aristotelico. 13. — Dopo il prologo del quale si é ampiamente discorso, T « Isagoge » - alla quale ci conviene ormai ritornare - può intendersi divisa in due parti: la prima studia separatamente il genere, la specie, la differenza, la proprietà e Taccidente; la seconda paragona prima il genere alla differenza, alla specie, alla proprietà e alTaccidente ; poi la differenza alla specie, alla proprietà e alTaccidente; infine tra loro la proprietà e Taccidente. Cominciamo ora lo studio delle cinque distinzioni logiche prese separatamente ad una ad una. 14. — Porfirio osserva che la parola genere si usa con significati diversi. Primo significato é quello per il quale genere (o piuttosto gente) vuol dire stirpe. L ISAGOGE DI PORFIRIO E COMMENTI DI BOEZIO 25 Esempi: « Oreste è delle gente di Tantalo », cioè discende da Tantalo; < Pindaro è della gente tebana », cioè è tebano di nascita. Nel primo caso è indicato il progenitore, nel secondo la patria; in entrambi il termine da cui la stirpe, o gente, o genere proviene. Secondo significato è quello per il quale il genere (o gente, vuol dire quella collettività che è stretta da un’origine comune Esempio: « Gli Eraclidi costituiscono una gente (o genere) perchè discendono tutti da un comune capostipite: Eracle». Terzo significato è quello per il quale si dice genere quello a cui si subordinano le specie, la cui moltitudine esso contiene sotto di sè. Questo terzo significato, che è quello che la parola «genere » ha per i filosofi, è probabilmente imitato dai primi due in quanto, in logica si chiama genere quello che in altri casi si dice piuttosto stirpe, cioè Torigine da cui le specie derivano, da essa prendendo il nome e con tal nome distinguendosi da tutte la altre specie che rientrano sotto altri generi. In questo terzo significato « genere » è quel che si predica di più cose, differenti tra loro per la specie, e indica cosa esse sono. La quale definizione ha bisogno di essere chiarita punto per punto. « Quel che si predica di più cose » : difatti, i predicati 0 si riferiscono ad una cosa singola o a più cose. Ad una cosa sola si riferiscono gli individui, come quando si dice: «questi è Socrate », e anche a una cosa sola si riferiscono: « questi » e « questo ». Invece a più cose si riferiscono i generi, le specie, le differenze e le proprietà e quegli accidenti che risultano comuni, non propri di una cosa sola. Esempio di genere : « animale » . Esempio di specie : « uomo » . Esempio di differenza (che contraddistingue Tuomo dagli altri animali): « ragionevole ». Esempio di proprietà (dell’uomo): « la capacità di ridere » . Esempi di accidenti (dell’uomo) : « bianco, nero, muoversi » . Ora il genere differisce dall’individuo perchè si predica di più cose, non di una. 26 AUGUSTO GUZZO Ma la definizione precisa è: « Genere è ciò che si predica di più cose differenti tra loro per la specie », in quanto anche la specie si predica di più cose, ma di cose differenti tra loro per numero, non per specie. Esempio: - la specie «uomo» si predica di Socrate e di Platone, che differiscono numericamente in quanto Socrate e Platone sono due individui diversi, mentre il genere « animale » si predica delPuomo, del bue, del cavallo, differenti tra loro non solo numericamente, ma per specie. Inoltre: « genere è ciò che si predica di più cose differenti tra loro per la specie, e indica cosa esse sono. » Giacché anche le differenze si predicano di cose differenti tra loro per la specie, ma indicano qitali esse sono, non cosa sono. Esempio: — < se ci domandano che cosa è Puorao, rispon- diamo indicando il genere a cui appartiene, e diciamo: « Puoino è animale > ; ma se ci domandano le qualità delPuomo, rispon- diamo indicando i suoi caratteri differenziali, la ragionevolezza e la mortalità. Com’è chiaro, il genere differisce dalla proprietà, perchè questa si predica d’una sola specie e degli individui di essa, mentre il genere si predica di più specie. E differisce dagli accidenti comuni perchè, sebbene questi si predichino di più cose differenti tra loro per specie, ne indicano la qualità, non Pessenza (come, ad esempio, il color nero). Ricapitolando: il predicarsi di più cose divide il genere dagli individui; il predicarsi di più cose differenti di specie lo separa dalle specie e dalle proprietà; Pindicare la quiddità 0 essenza lo divide dalle differenze e dagli accidenti comuni che indicano la qualità. E questa trattazione del genere non contiene nulla nè di superfluo, nè di manchevole. 15. — Anche « specie » ha più significati : significa « forma » e significa, in logica, ciò che rientra in un genere (« uomo » è specie compresa nel genere « animale » ; « bianco » è specie del L ISAGOGE DI PORFIRIO E I COMMENTI DI BOEZIO 27 genere «colore*; «triangolo» è specie del genere «figura»). Beninteso, come il genere è genere solo rispetto alle sue specie, cosi le specie sono specie solo rispetto al loro genere. Genere e specie cioè sono concetti correlativi. Cosi la specie vien defi- nita: «ciò che è posto sotto il genere, e di cui il genere si predica per indicarne l'essenza o quiddità » . Ma questa defi- nizione conviene solo alle specie specialissime che sono sempre specie e non mai generi, mentre le precedenti definizioni con- vengono anche alle specie che non sono specialissime. Sono generi generalissimi quelli al di sopra dei quali non esiste altro genere, come ad esempio « sostanza ». Sono specie specialissime quelle al di sotto delle quali non esistono altre specie, come, ad esempio, « uomo », che ha sotto di sè imme- diatamente i vari individui umani. Tra i generi generalissimi e le specie specialissime inter- corrono generi subalterni, come ad esempio « sostanza animata », « sostanza animata sensibile » , « sostanza sensibile ragionevole » . Ciascuno di questi concetti, intermedi tra «sostanza» e «uomo », è specie rispetto al concetto più ampio nel quale rientra, è genere rispetto al concetto più ristretto che in esso rientra. Ad esempio: «sostanza animata» è specie rispetto a « so- stanza », è genere rispetto a « sostanza animata sensibile ». Ai due estremi della scala c'è la « sostanza», genere generalissimo che non è mai specie, e !'« uomo », specie specialissima che non è mai genere, mentre in mezzo i generi subalterni sono a volte generi, a volte specie. Ora, mentre le genealogie famigliari, risalendo di proge- nitore in progenitore, raggiungono il comune capostipite di tuttele famiglie, Giove, non è dato rinvenire un genere generalissimo unico, a cui tutti i generi subalterni si lascino ridurre. Al con- trario, secondo Aristotele sono dieci i generi generalissimi, asso- lutamente primi e irriducibili: uno è la sostanza e nove gli acci- denti (qualità, quantità, luogo, tempo, ecc.). Nè è valida obie- zione che se questi dieci predicamenti sono, essi sembrano 28 AUGUSTO GUZZO ridursi ad un genere generalissimo unico, Ve^%ere\ chè, dice Porfirio, Ve^senza si predica in senso assai diverso della sostanza e dei vari accidenti, sicché Tunificazione delle dieci cate- gorie neir^ss^r^ è soltanto nominale, non reale, variando il significato essere dalPuno all’altro predicamento. Ora, se i generi generalissimi sono dieci, i generi subal- terni sono di numero assai grande, ma tuttavia finito : infiniti, invece, sono gli individui che vengono dopo le specie specia- lissime, e di essi non si dà scienza. Platone insegna a dividere, mediante le differenze specifiche, ciascun genere in due, e poi ancora in due fino a raggiungere le specie specialissime, che si dirompono negli individui. Chi discende dai generi generalissimi alle specie specialissime divide, cioè moltiplica l’unità. Chi, al contrario sale dalle specie specialissime ai generi generalissimi, raccoglie la moltitudine in unità. Giacché ciò che è singolare divide, ciò che è comune aduna. Adunque, il genere si divide in più specie e si predica di esse. Giacché i concetti più estesi si predicano dei meno estesi (il genere si predica delle specie), i concetti equipollenti si pre- dicano l’uno dell’altro e l’altro dell’uno (la proprietà di nitrire si predica del cavallo nella proposizione: «Il cavallo è l’ani- male che nitrisce», e il cavallo si predica del nitrire nella reciproca: < L’animale che nitrisce è il cavallo »), ma non mai i concetti meno estesi si predicano dei più estesi (la proposi- zione : « l’uomo è un animale » non può convertirsi nella reci- proca: « l’animale è uomo »). Così i generi generalissimi si pre- dicano di tutti i generi subalterni o specie, delle specie specia- lissime e degli individui ad esse sottoposti; i generi subalterni si predicano di tutte le specie ad essi inferiori, delle specie specialissime e degli individui ; le specie specialissime si pre- dicano degli individui, e gli individui d’un solo particolare. Gli individui sono parti della specie, che rispetto ad essi è tota- lità, mentre rispetto al genere è parte. l’isagoge di PORFIRIO E I COMMENTI DI BOEZIO 29 16. — Si parla di differenza nel significato comune della parola, in senso proprio, e in senso rigoroso. Nel significato comune < differenza » esprime la diversità d’una cosa da un’altra o da sè stessa. Socrate differisce da Platone e differisce da sè stesso bambino. In senso proprio, una cosa si dice differire da un’altra quando ne differisce per un accidente inseparabile. (Accidente inseparabile è, per esempio, avere il naso curvo, essere ciechi, avere una cicatrice causata da una ferita). In senso rigoroso una cosa si dice differire da un’altra quando se ne distingue per differenza di specie. Ad esempio, un uomo differisce da un cavallo perchè appartengono a specie diverse, l’uno essendo ragionevole, Taltro no. In generale dunque, ogni differenza altera ciò a cui si in- nesta: ma le differenze comuni e proprie si limitano a renderlo alterato, le rigorose lo rendono addirittura altro. E queste dif- ferenze rigoi-ose che rendono altro ciò a cui si applicano, si dicono < differenze specifiche » , le altre si dicono semplice- mente « differenze » . Queste non producono che un’alterazione o un mutamento di stato (per esempio, il muoversi rispetto al giacere), quelle, invece, dal genere fanno le specie, le quali si definiscono appunto col genere e le differenze. Altra classificazione delle differenze è la seguente: differenze separabili^ come il muoversi e lo star fermi, l’essere sani o malati, e differenze inseparabili^ come l’avere un naso aquilino 0 camuso e l’essere ragionevoli o irragionevoli. Le differenze separabili si dividono ancora in differenze per se e differenze per accidens. Differenza per se è, nell’uomo, la ragionevolezza, la mortalità, la capacità di apprendere. Diffe- renza per accidens è l’avere il naso aquilino o camuso. Le differenze per se entrano nel concetto della cosa e la rendono altra (la mortalità entra nel concetto di uomo e lo differenzia dall’altro essere animato sensibile e ragionevole, ma immortale che è Dio); invece, le differenze accidens, anche 30 AUGUSTO GUZZO se insensibili, non entrano nel concetto della cosa e non la ren- dono altra, ma solo alterata (il naso camuso non entra nel concetto di uomo, e altera un individuo, ma non lo rende altro dai rimanenti uomini). Parimenti le differenze per se non ammettono aumenti o dimi- nuzioni (tutti gli individui umani sono uomini egualmente), invece, le differenze per accidens ammettono aumento o dimi- nuzione (si ha la pelle più o meno bianca, il naso più o meno curvo, ecc.). Fra le differenze inseparabili per se talune servono a divi- dere i generi in specie, tali altre, invece, a specificare i generi già divisi. Differenze inseparabili per se sono « animato » e < inanimato » , « sensibile » e « insensibile » , « ragionevole » e «irragionevole», «mortale» e «immortale». Di queste dif- ferenze, « animato » e « sensibile » sono differenze costitutive della sostanza « animale » ; « mortale » e « ragionevole » sono, invece, divisive della sostanza < animale » in quanto per esse si giunge dal concetto del genere « animale » al concetto della specie « uomo » . Senonchè quelle differenze che son divisive pei generi, sono costitutive per le specie: difatti, nelPesempio ora addotto, le differenze « ragionevole » e « mortale » , introducendo una di- visione nel genere «animale», costituiscono proprio cosi la specie «uomo». Divisive e costitutive poi sono tutte le dif- ferenze specifiche, utilissime per le divisioni dei generi e le definizioni delle specie, mentre a ciò non giovano nè le dif- ferenze inseparabili per accidens, nè, molto meno, le separa- bili (sarebbe ridicolo dividere gli uomini secondo che abbiano il naso aquilino o camuso — differenze inseparabili per accidens — 0, peggio ancora, secondo che stiano in piedi o a sedere). La differenza viene anche determinata come quella che la specie ha in più del genere. L’uomo, ad esempio, ha in più delhanimale Tessere ragionevole e mortale, qualità che il con- cetto di «animale» non include. (Or si domanda: se il genere l’isagoge di PORFIRIO E I COMMENTI DI BOEZIO 31 non ha in sè le differenze che caratterizzano le varie specie, queste donde le traggono? — Giacché le specie non derivano che dai generi, e questi non posseggono le differenze, nè pos- sono possederle, chè, se le possedessero, potrebbero riunire in sè differenze opposte tra loro, come sono quelle che contrad- distinguono runa dalbaltra le varie specie. La soluzione di questa difficoltà è che non è necessario ammettere nè che le differenze specifiche nascano dal nulla, nè che il genere aduni in sè differenze contraddittorie, perchè il genere ha in potenza le differenze che da esso nascono, senza averle in atto.) Altra definizione della differenza è: «ciò che si predica di più cose differenti tra loro per specie, per indicarne la qua- lità ». - Infatti, se uno ci domanda: « che cosa è Tuomo? », noi rispondiamo indicando il genere a cui la specie umana appar- tiene, e diciamo: « l’uomo è un animale » ; ma se uno ci domanda la qualità delbuomo, rispondiamo indicando i suoi caratteri differenziali, e diciamo: «L’uomo è ragionevole e mortale». Porfirio paragona così il genere alla materia e la differenza alla forma, e dice che come la figura rende statua il bronzo, cosi la differenza rende specie il genere. Altra determinazione della differenza è : « ciò che è atto a dividere le cose che sono sotto il medesimo genere » . Difatti, « ragionevole » e « irragionevole » sono differenze atte a dividere l’uomo dal cavallo, entrambi compresi nel genere animale. Altra definizione: « differenza è quella per la quale differiscono fra loro le varie cose», giacché per il genere non differiscono. Per esempio: siamo animali mortali noi e gli irragionevoli: la differenza « ragionevoli » vale a separarci da essi. E ancora: siamo ragionevoli noi e gli Dei : la differenza « mortali » ci separa da essi. Definizione più profonda è la seguente: « Differenza non è una qualsiasi di quelle determinazioni che valgono a dividere le cose che sono sotto il medesimo genere ; ma quella determi- nazione che riguarda l’essere ed è parte dell’essere d’una cosa. » 32 AUGUSTO GUZZO Per esempio: poter navigare, è particolarità esclusivamente umana, e tuttavia non è differenza che costituisca la sostanza delPuomo. Differenze specifiche sono quelle che fanno altra la specie e sono accolte nel concetto di essa indicandone la qualità. 17. — Ci sono quattro sorte di qualità: 1) - Proprietà che convengono ad una sola specie, sebbene non intera, come per Tuomo essere medico o geometra. (Solo gli uomini sono medici e geometri; ma non tutti gli uomini sono tali). 2) Proprietà che convengono a tutta una specie, sebbene non solo ad essa, come per Tuomo essere bipede (sono bipedi anche gli uccelli). 3) Proprietà che convengono ad una sola specie in tutta la sua estensione, ma solo in un determinato tempo, come per Puomo imbiancare nella sua vecchiezza. 4) Proprietà che convengono ad una sola specie in tutta la sua estensione e sempre, come per Tuomo poter ridere. (Non importa che non rida sempre: importa che abbia natura di poter ridere). Sono queste ultime le vere proprietà giacché possono con- vertirsi con ciò di cui sono proprietà. (Chi è cavallo, può nitrire ; chi può nitrire è cavallo). 18. — Accidente è quello che può essere presente o assente senza che il soggetto si corrompa. Ci sono intanto accidenti separabili e accidenti insepara- bili. Separabile è dormire; inseparabile il color nero. E tuttavia, per quanto inseparabile, rimane accidente perchè, sebbene corvi e Etiopi siano neri, si può sempre pensare un corvo e un Etiope bianchi. L'accidente è definito anche « ciò che può contingentemente esserci e non esserci * ; oppure « ciò che senza essere nè genere l’isagoge di PORFIRIO E I COMMENTI DI BOEZIO 33 nè specie nè differenza nè proprietà, tuttavia sussiste in un oggetto » . 19. — Determinate ormai tutte e cinque le distinzioni logiche, bisogna paragonarle tra loro per vedere cosa hanno di comune e cosa hanno di diverso. Di comune hanno il potersi predicare di più cose ; ma il genere si predica delle specie e degli individui ( « animale » si predica dei cavalli e dei buoi, e di questo cavallo e di questo bue); la differenza similmente delle specie e degli individui ( « irragionevole > si predica dei cavalli e dei buoi, e di questo cavallo e di questo bue); la specie degli individui che sono sotto di essa ( « uomini » si predica solo degli individui umani) ; la proprietà tanto della specie di cui è propria, quanto degli indi- vidui di tale specie ( « poter ridere » si predica tanto deiruomo quanto dei singoli uomini); l’accidente cosi della specie come degli individui (« nero » si predica cosi della specie dei corvi come dei corvi particolari, ed è accidente inseparabile; « muo- versi » si predica deH’uomo e del cavallo, ed è accidente sepa- rabile), ma anzitutto si predica degli individui, e in secondo luogo delle specie che contengono gli individui. Ma conviene ora paragonare a due a due le cinque distin- zioni logiche. 20. — Comparazione del genere con le altre quattro roci. a) Genere e differenza Cosa hanno di comune: 1) — Il genere e la differenza entrambi contengono specie. Bensì la differenza non contiene tante specie quante ne contiene il genere. Esempio: la differenza «ragionevole» contiene due specie: uomo e Dio ; mentre il genere « animale * contiene e le due anzidetto e tutte le altre specie animali. 34 AUGUSTO GUZZO 2) — Quel che si predica del genere come genere, si predica anche delle specie comprese in tale genere : e quel che si predica della differenza come differenza, si predica anche delle specie comprese in tale differenza. Esempi: del genere « animale » si predica Tesser sostanza e Tessere animato: che si predicano anche delle specie del genere « animale » e perfino degli individui di tali specie. Della diffe- renza « ragionevole » si predica Tesser provvisto di ragione : che si predica anche delle specie comprese sotto tal differenza [uomo e Dio) e degli individui di tali specie (i singoli uomini e gli Dei). 3) — Tolto il genere o la differenza, son tolte contempo- raneamente le specie che sono sotto di essi. Esempio : tolto il genere « animale > , è tolta anche la specie « uomo » ; tolta la differenza « ragionevole », non ci sarà più nessun animale provvisto di ragione. Cosa hanno di diverso: 1) — E’ proprio del genere predicarsi di più cose che non la differenza, la specie, la proprietà e l’accidente. Esempio: il genere «animale» si predica egualmente del- l’uomo, del cavallo, dell’uccello e del serpente, mentre la diffe- renza « quadrupede » si predica solo degli animali di quattro piedi, la « specie > uomo solo degli individui umani, mentre la proprietà del « nitrire » solo della specie cavallo e dei cavalli particolari, e l’accidente « star in piedi » ancora di più poche cose. 2) — Il genere contiene la differenza in potenza. Esempio : il genere « animale » si divide in specie animali « ragionevoli » e specie « irragionevoli » , « ragionevole » e « ir- ragionevole » essendo le differenze che dividono il genere « ani- male » in specie diverse. 3) — I generi sono anteriori alle differenze poste sotto di essi: tolti i generi, son tolte contemporaneamente anche le diffe- renze, ma non viceversa. L ISAGOGE DI PORFIRIO E I COMMENTI DI BOEZIO 35 Esempio: tolto il genere « animale », son tolte tutte le diffe- renze (« ragionevole » e « irragionevole »); mentre, tolte tutte le differenze, si può ancora pensare la sostnza animata sensibile, cioè Tanimale. 4) — Il genere riguarda Tessenza (o quiddità) d’unacosa: la differenza la sua qualità. Esempio: Cos’è l’uomo? - un animale. Com’è l’uomo? - ragio- nevole. 5) Ogni specie ha un sol genere, ma moltissime diffe- renze. Esempio : il genere dell’uomo è « animale » ; le differenze sono: ragionevole, mortale, suscettibile di intendere e d’impa- rare. 6) — Il genere è come la materia, la differenza è come la forma. Giacché è la differenza che determina il genere, come la forma determina la materia. b) Genere e specie Cosa hanno di comune: 1) — Tanto il genere quanto la specie si predicano di più cose. 2) — Entrambi sono anteriori a quelle cose delle quali si predicano. 3) — Cosi il genere come la specie costituiscono ciascuno un tutto. Cosa hanno di diverso: 1) — Il genere contiene la specie sotto di sè, le specie sono contenute, non contengono i generi. Giacché sono i generi che, determinati da differenze spe- cifiche, producono le specie: onde sono naturalmente ad esse anteriori, e, tolti, tolgono anche le specie, ma non viceversa, chè, posta la specie, è posto anche il genere, ma posto il ge- nere, non è posta con ciò stesso la specie. 36 AUGUSTO GUZZO 2) — 1 generi si predicano univocamente delle specie: non cosi le specie dei generi. 3) — I generi sono superiori per le specie che comprendono sotto di sè, le specie per le differenze che le determinano. I generi possono anche essere contemporaneamente specie, ma non specie specialissime ; e le specie possono essere contem- poraneamente generi, ma non generi generalissimi. c) Genere e proprietà Cosa hanno di comune: 1) — Tanto il genere quanto le proprietà seguono le specie. Esempio: Se uno è uomo quanto alla sua specie, è ani- male quanto al genere; e se di specie è uomo, ha la pro- prietà di poter ridere. 2) — Egualmente si predicano il genere della specie e la proprietà di quelli che ne partecipano. Esempio: — L’uomo e il bue sono animali allo stesso titolo; e cosi Catone e Cicerone hanno egualmente la proprietà di poter ridere. 3) — Si predicano univocamente il genere delle sue specie e la proprietà di quelle cose di cui è propria. Cosa hanno di diverso: 1) — Il genere è anteriore; la proprietà posteriore. Esempio: — Bisogna che ci sia il genere ahimale, poi sia diviso dalle differenze e dalle proprietà. 1) — Il genere si predica di più specie, la proprietà di una sola specie, di cui è propria. 3) — La proprietà si predica di ciò di cui è propria, cosi come ciò di cui è propria si predica di essa : mentre il genere non si converte con nessun suo predicato. Esempio: La proposizione « L’uomo è l’animale che ride » si converte: esanimale che ride è l’uomo*. Ma la proposi- zione « l’uomo è animale * non si potrà mai convertire: c l’ani- male è l’uomo * . l’isagoge di PORFIRIO E I COMMENTI DI BOEZIO 37 4) — La proprietà è in tutta la specie di cui è propria, in essa sola, e sempre: mentre il genere è in tutta la specie di cui è genere, e sempre, ma non in essa sola. Esempio: la proprietà di ridere è di tutti gli uomini, solo degli uomini, e sempre rimane in essi : il genere animale è in tutta la specie umana, è costante in essa, ma si trova anche in molte altre specie oltreché neirumana. 5) — Poiché la proprietà e ciò di cui é proprietà si con- vertono, tolta la proprietà é tolto ciò di cui é proprietà, tolto ciò di cui é proprietà é tolta la proprietà. Esempio: tolta la proprietà del ridere é tolto l’uomo: tolto Tuomo é tolta la proprietà del ridere. Al contrario, tolte le specie non sono tolti i generi. Esempio : tolta la specie umana non é tolto il genere ani- male. d) Genere e accidente Cosa hanno di comune: Si é già detto che ci sono accidenti separabili^ come il muo- versi, e accidenti inseparabili come, ad esempio, il color nero: ora, cosi gli accidenti separabili come gli inseparabili hanno di comune col genere il potersi predicare di più cose. (Neri sono i corvi, ma anche gli Etiopi e talune cose ina- nimate). Cosa hanno di diverso : 1) — Il genere é avanti le specie, mentre gli accidenti sono posteriori ad esse, anche se si tratti di accidenti inse- parabili, giacché prima è ciò a cui accade, poi é Taccidente. 2) — Del genere tutte le specie che partecipano, parte- cipano egualmente; mentre degli accidenti si partecipa più o meno. 3) — Dii accidenti sussistono principalmente negli individui, mentre generi e specie sono, di natura, anteriori alle sostanze individuali. 38 AUGUSTO GUZZO 4) — Il genere dice quel che è una cosa. L’accidente quale è e come è. Esempio: - Come è l’Etiope? Nero. 21. — Comparazione della differenza con le altre quattro voci. a) - Differenza e genere Furono già comparati quando si esaminarono insieme genere e differenza. b) - Differenza e specie Cosa hanno di comune: 1) — Della differenza e della specie si partecipa egual- mente. Esempio: Gli uomini singoli partecipano egualmente della specie « uomo » e della differenza < ragionevole » . 2) — La differenza e la specie sono sempre presenti in ciò che di esse partecipa. Esempio: Socrate è sempre ragionevole e sempre uomo. Cosa hanno di diverso: 1) — La differenza dice sempre la qualità delle cose, la specie la loro essenza o quiddità. Esempio: - « Uomo » non è qualità, se non per le differenze che, determinando il genere ♦ animale », costituiscono la specie « uomo » . 2) — La differenza è in più specie. Esempio : - la differenza « quadrupede » è in vari animali di specie differente. La specie è solo negli individui che sono sotto di essa. 3) — La differenza è altra cosa dalla specie a cui dà luogo. Difatti, se si toglie la differenza « ragionevole » , si toglie la specie « uomo » : ma se si toglie la specie « uomo », non si toglie la differenza « ragionevole » , perchè vi è Dio. l’isagoge di PORFIRIO E I COMME^ITI DI BOEZIO 39 4) — Una differenza si combina con un’altra (« ragionevole » e «mortale» compongono la sostanza deiruomo); mentre una specie non si combina con un’altra per produrne una terza. (Un cavallo e un’asina generano un mulo; ma non la specie < cavallo » con la specie « asino * generano la specie « mulo *). c) - Differenza e proprietà. Cosa hanno di comune: 1) — Della differenza e della proprietà le cose partecipano egualmente. Esempio: gli esseri ragionevoli partecipano della diffe-* renza « ragionevolezza » , quanto gli esseri che possono ridere partecipano della proprietà di poter ridere. 2) — Differenze e proprietà sono sempre presenti nelle cose che le hanno. Si potrebbe obiettare: se un bipede perde una gamba, non ha più la sua differenza di essere bipede. Ma l’obiezione non é giusta: l’amputazione non toglie la natura di bipede al monco. Del resto, anche la proprietà di poter ridere riguarda la natura' umana, senza che gli uomini ridano sempre. Cosa hanno di diverso: 1) — La differenza si predica di più specie (ragionevole si dice dell’uomo e di Dio), la proprietà si predica di quella sola specie di cui è propria. 2) — La proprietà e ciò di cui è proprietà si convertono. (La proposizione « l’uomo è l’animale che ride » ammette la reciproca: «l’animale che ride è l’uomo). Mentre la differenza segue quella cosa di cui è differenza, e non si converte con essa. (Posto l’uomo, è posta la ragionevolezza; ma, posta la ragio- nevolezza, non è posto l'uomo, perchè ragionevole è anche Dio). 40 AUGUSTO GUZZO d) - Differenza e accidente Cosa hanno di comune: 1) — Differenza ed accidente entrambi si predicano di più cose. Esempio: Tanto la differenza della «ragionevolezza» quanto l’accidente del « muoversi > si applicano a molte cose diverse. 2) — Tanto la differenza quanto gli accidenti insepa- rabili sono presenti sempre e in tutte le cose di cui si predicano. Esempio: Tanto la differenza < bipede » quanto l’accidente inseparabile « nero > riguardano tutti i corvi e li riguardano sem'pre. Cosa hanno di diverso : 1) — La differenza contiene, non è contenuta. (La ragionevolezza contiene l’uomo perchè non è solo di lui). Gli accidenti, invece, per un verso, contengono perchè sono in più cose) il muoversi è più esteso dell’uomo) ; per un altro sono contenuti, perchè il soggetto aduna in sè parecchi accidenti (l’uomo, oltre al « muoversi », è anche « bianco », < alto », ecc.) 2) — La differenza non ha aumento e diminuzione, gli accidenti sì. (0 si è ragionevoli, o no; ma si è più o meno alti). 3) — Le differenze contrarie non possono mescolarsi, bensì si mescolano gli accidenti contrari. ( < Bipede » e « quadrupede » si escludono ; ma « bianco > e . « nero » si mescolano a produrre il < grigio » ). 22. — Comparazione della specie con le altre quattro voci. a) Specie e genere Furono già comparati quando si esaminarono insieme Genere e specie. b) Specie e differenza Furono già comparati quando si esaminarono insieme Diffe-^ renza e specie. l’isagoge di PORFIRIO E I COMMENTI DI BOEZIO 41 c) Specie e proprietà Cosa hanno di comune: Specie e proprietà si predicano Tuna deiraltra (se è uomo, ha la proprietà di ridere ; se ha la proprietà di ridere, è uomo) ; giacché le cose partecipano egualmente delle specie a cui appartengono e delle proprietà che le caratterizzano. Cosa hanno di diverso: 1) — La specie può essere genere ad altre specie ; la proprietà non può essere di altre specie oltre quella di cui è propria. 2) — La specie sussiste prima della proprietà, poi la proprietà ha luogo nella specie. Esempio: bisogna essere uomo per avere la proprietà di ridere. 3) — La specie è sempre presente in atto, nel soggetto; la proprietà, a volte, vi è presente solo in potenza. Esempio: Socrate è sempre uomo in atto, ma non sempre ride sebbene abbia natura di poter ridere. 4) — La specie sempre è sotto il genere e si predica di più cose, differenti tra loro numericamente, indicandone l’es- senza 0 quiddità; mentre la proprietà è solo in ciò di cui è propria, e in esso è sempre, e inerisce a tutta la sua estensione. Esempio: la proprietà del ridere è di tutti gli uomini, solo negli uomini e sempre negli uomini. d) Specie e accidente Cosa hanno di comune: Si predicano di più cose. Cosa hanno di diverso: 1) — La specie dice il « che > di una cosa, l’accidente il « quale > e il « come » . 2) — Ogni sostanza può partecipare di una sola specie, ma di più accidenti separabili ed inseparabili. 3) — La specie si concepisce prima degli accidenti, anche 42 AUGUSTO GUZZO se inseparabili (chè bisogna ci sia il soggetto, perchè qualcosa gli accada); gli accidenti invece sono posteriori e avventizi. 4) — Della specie si partecipa sempre in egual misura, ma deiraccidente, anche inseparabile, in misure diverse. Esempio: un Etiope è più nero di un altro. 23. — Com/parazione della proprietà con le altre quattro voci. a) — Proprietà e genere Furono già comparate quando si esaminarono insieme Genere e proprietà. b) — Proprietà e differenza Furono già comparate quando si esaminarono insieme Diffe- renza e proprietà. c) — Proprietà e specie Furono già comparate quando si esaminarono insieme Specie e proprietà. d) — Proprietà e accidente Cosa hanno di comune: 1) — Tanto la proprietà quanto Taccidente inseparabile sono indispensabili a ciò in cui si osservano. Esempio: Come senza la proprietà del ridere non esiste uomo, cosi senza color nero non esiste Etiope. 2) — Tanto la proprietà quanto Taccidente inseparabile sono sempre presenti a ciò che li possiede, e in tutta la loro estensione. Esempio: Tutti gli Etiopi sono neri, e sempre. Cosa hanno di diverso : 1) — La proprietà è presente in una sola specie. Tacci- dente inseparabile in molte. Esempio: La proprietà del ridere è solo delTuomo; Tacci- l’isagoge di PORFIRIO E I COMMENTI DI BOEZIO 43 dente inseparabile del color nero è deirEtiope, ma anche del corvo, del carbone, deirebano, ecc. 2) — Sicché la proprietà si converte con ciò di cui è proprietà, non cosi Taccidente con ciò di cui è accidente. Esempio : c L'uomo ha la proprietà di ridere > si converte in « Chi ride è l'uomo » ; ma « l'Etiope è nero » non si converte in: «Chi è nero è l'Etiope», perchè anche il corvo, il carbone, ecc. sono neri. 3) — Della proprietà si partecipa sempre egualmente, degli accidenti in diversa misura. Si è più 0 meno neri. 24. — Comparazione delV accidente con le altre quattro voci. a) — Accidente e genere Furono già comparati quando si esaminarono insieme Genere e accidente. b) — Accidente e differenza Furono già comparati quando si esaminarono Diffe- renza e accidente. c) — Accidente e specie Furono già comparati quando si esaminarono insieme Specie e accidente. d) — Accidente e proprietà Or ora esaminati come Proprietà ed accidente. L'Isagoge si chiude con Tosservazione che altri elementi comuni o diversi tra le cinque voci oltre i già notati ci sono, ma quelli notati bastano a distinguerli e ad intendere quel che hanno di comune. 44 AUGUSTO GUZZO 25. — Tanto del primo quanto del secondo commento boe- ziano abbiamo già esposto ciò che riguarda il celebre prologo sulla realtà o meno degli universali. Ci tocca ora dire qualche cosa sul complesso dei due com- menti, che tanta autorità ebbero in tutto il Medio Evo, e tanto contribuirono a dare alla mentalità delle nazioni di cultura latina quella struttura rigorosamente logica che è rimasta loro caratteristica. Lo scopo da Boezio assegnato al primo commento è assai semplice, giacché non va oltre la illustrazione del testo. Boezio evita di accendere questioni, anche se il testo vi si presti. Solo quando le obiezioni vengono cosi spontanee che non risolverle vorrebbe dire non comprendere quel che dice Porfirio, solo allora Boezio interviene per chiarire il pensiero delPautore, giu- stificare le sue espressioni, e quindi, sgombrate le difficoltà, tornare alla illustrazione del testo. Dove Porfirio propone più classificazioni, Boezio cerca di connetterle tra loro, in maniera da renderle più facilmente assi- milabili al lettore. E dove Porfirio accenna appena a teorie assai note fra gli studiosi, ma forse poco possedute dai princi- pianti, Boezio interviene a rammentare tali teorie, e a trattarle, sebbene compendiosamente, in modo da fornire al lettore princi- cipiante, al quale il primo commento è diretto, le nozioni neces- sarie per intendere il testo di Porfirio. Così Boezio torna due volte sulla teoria della definizione, la quale, facendosi per genus et differentianij è possibile solo per gli individui (definiti entro la loro specie), per le specie (defi- nite entro il loro genere!, e per i genej-i subalterni (definiti entro il genere immediatamente superiore, fino ai generi gene- ralissimi), ma non per i generi generalissimi, i quali, non avendo nessun concetto più elevato sopra di sé, non possono essere definiti, cioè determinati entro Pambito di un concetto più vasto. Onde, non potendosi definire, possono solo descriversi, con Pin- dicarne le proprietà. l’isagoge di PORFIRIO E I COMMENTI DI BOEZIO 45 Un accenno, abbastanza ampio, è fatto da Boezio, come già da Porfirio, alla teoria platonica della divisione, che da ciascun genere generalissimo, mediante dicotomia, cioè divisione in due, giunge fino alle specie specialissime. Abbiamo già detto che Boezio cerca di rendere più evidente il nesso che stringe talune classificazioni che Porfirio presenta runa dopo l’altra, senza unificarle in un solo quadro comprensivo. Questo avviene specialmente per le classificazioni che riguar- dano le differenze. Si rammenterà che Porfirio anzitutto classifica le differenze in differenze comuni, proprie e più proprie o rigorose; comuni, tutte le differenze per le quali siamo diversi da altri o da noi stessi (tu cammini, io seggo, oppure: ora io seggo, dopo cammino); 'proprie le differenze individuali (capelli crespi, occhio cieco, ecc.); rigorose^ le differenze che riguardano tutta la specie (ra- gionevole, irragionevole, ecc.). Le quali ultime differenze sono le differenze specifiche, con le quali si procede a dividere i generi in specie. Ma questa prima classificazione può semplifi- carsi quando si avverta che tanto le differenze comuni quanto le proprie si limitano a rendere alterato il soggetto, mentre solo le differenze specifiche lo rendono altro. Si può dire dunque che le differenze si dividono in differenze che rendono alterato il soggetto e differenze che lo rendono altro. A questa prima classificazione Porfirio fa seguire la seconda; le differenze sono o separabili o inseparabili. Questa seconda classificazione si può collegare con la prima osservando che solo le differenze comuni sono separabili (il sedere, il correre, ecc. sono diff'erenze che non persistono, e sono quindi separabili dal loro soggetto), mentre le differenze proprie e più proprie, cioè quelle che riguardano l’individuo persistendo in lui e quelle che riguardano l’intera specie, sono inseparabili (tanto un occhio cieco quanto la ragionevolezza sono caratteri differenziali perma- nenti, e quindi inseparabili dal soggetto che li possiede). Senon- chè, di queste differenze inseparabili, le individuali o proprie 46 AUGUSTO GUZZO alterano il soggetto, ma non lo rendono altro (la cecità altera un uomo, ma lo lascia uomo), mentre le specifiche o più proprie rendono altro il soggetto (la ragionevolezza rende Tuomo altro dai bruti). E inoltre, delle differenze inseparabili, le individuali sono partecipate in misura diseguale, le specifiche sempre egualmente. Ad esempio, i capelli biondi son carattere differenziale di indi- vidui che sono Tuno più biondo, Taltro meno biondo; mentre la ragionevolezza è carattere differenziale della intera specie umana, i cui individui, in quanto sono uomini, sono tutti egual- mente partecipi della ragione. Terza classificazione è quella per la quale le differenze si dividono in differenze divisive del genere e differenze costitutive delle specie. Son le medesime differenze che, prese in modo diverso, risultano una volta divisive del genere, un'altra costi- tutive delle specie. Se prendiamo le differenze contrarie « ragio- nevole e irragionevole > , esse dividono il genere «animale»; e se, dopo, prendiamo le differenze contrarie « mortale e immor- tale », esse dividono l'inferiore genere « animale ragionevole ». Ma se prendiamo le differenze subalterne < ragionevole » (con- cetto più ampio) e « mortale » (concetto restrittivo), queste differenze subalterne costituiscono la specie dell'animale ragio- nevole mortale, cioè dell'uomo. Cosi la teoria delle differenze si avvia nel primo commento boeziano a quella matura unità che raggiungerà pienamente nel secondo commento. 26. — Ma forse più di queste particolari delucidazioni, che tuttavia contribuiscono alla elaborazione della salda logica medievale, riesce interessante il breve schizzo che del sapere del tempo Boezio premette al suo commento. Nel dialogo filosofico che egli immagina si fa chiedere dal giovane Fabio una illustrazione e prima una introduzione al- l'Isagoge di Porfirio. L'introduzione indicherà delPIsagoge Vin- l’isagoge di PORFIRIO E I COMMENTI DI BOEZIO 47 tentOy Vutiliià\ se ci sia altro libro ad essa germano; la ragione del titolo, ed a qual parte della filosofia si riconduca. Sei punti, dunque, tratterà Boezio, sulle orme di quel che già aveva fatto il greco Ammonio nel suo commento alllsagoge. \Jintenio è trattare del genere, della specie, delle differenze, delle proprietà e degli accidenti. futilità deirisagoge è anzitutto quella d’introdurre alle Categorie di Aristotele, ma è anche più vasta. Occorre, però, per intenderla, avere un chiaro concetto di che sia la filosofia. Essa è amor di sapienza, che, non bisognosa di nulla, « vivax mens et sola rerum primaeva ratio est >. E questo amore di sapienza è illuminazione dello spirito che conosce da parte di quella pura Sapienza, e in qualche modo è un richiamo che questa fa deU’animo umano perchè torni ad essa, di maniera che il desiderio di sapienza è desiderio e amore della divinità e amore della pura mente divina. È questa sapienza che riconduce alla forza e purezza natu- rale le anime umane. Da essa nasce la verità delle specula- zioni e dei pensieri e la santa e pura castità delle azioni. Il che mena direttamente alla divisione della filosofia, che è il ge- nere, in teoretica o speculativa, e pratica^ o attiva. (0 e II sono le due lettere che spiccano su la veste della Filosofia nel Be Conso- latione Philosophice). La teoretica, poi, ha tante parti quanti sono gli oggetti che considera: si divide quindi in: 1) — Teologia o dottrina di ciò che è sempre uno e me- desimo, fermo sempre nella sua divinità, non accessibile ai sensi, ma solo alla mente ed all’intelletto: la quale specula- zione studia Dio e la incorporeità dello spirito; 2) — Dottrina che si occupa di tutte le opere celesti del- la suprema divinità, di ciò che nel mondo sublunare ha animo più beato e sostanza più pura, ed infine delle anime umane: tutte cose che, fatte di sostanza intelligibile, al contatto dei corpi, da intelligibili divennero soltanto intelligenti, in maniera 48 AUGUSTO GUZZO che possono ora divenire più beate per purezza ed intelligenza quando si volgano ed applichino alle cose intelligibili ; 3) — Dottrina dei corpi, o Fisica, che illustra la natura e le passioni dei corpi. Di queste tre parti della filosofia teoretica la seconda è meri- tamente collocata nel mezzo perchè ha da una parte Tani- mazione e vivificazione dei corpi, dalFaltra la considerazione e conoscenza delle cose intelligibili. 27. — Anche la filosofia pratica si divide in tre parti: 1) — VEtica^ che s’orna ed accresce di virtù, nulla am- mettendo nella vita di cui non possa essere soddisfatta, e niente facendo di cui debba pentirsi; 2) — la Politica, che assumendosi la cura dello Stato prov- vede alla salvezza di tutti con la saldezza della sua 'preveg- genza e prudenza, con Tequilibrio della giustizia, con la sal- dezza della fortezza e la pazienza della temperanza; 3) — V Economia, che si occupa del buon andamento della vita famigliare. Alle quali parti già descritte della filosofia si aggiunge da vicino queirarte che i Greci chiamano Logica: parte della filo- sofia 0 suo strumento? Boezio rimette la trattazione di questa questione ad una altra opera, che è poi il secondo commento. Intanto osserva che questa disputa sul genere, la specie, la differenza, la pro- prietà e l’accidente prepara la via a tutto lo studio della filo- sofia. Col dire cosa sia genere e cosa sia specie ci fa inten- dere che la filosofia è genere, e teoretica e pratica sono specie. Col dire cosa sia differenza, ci rende possibile di intendere se la logica sia una specie della filosofia, differente, quindi, dalle altre specie. Col dire cosa sia proprietà, ci spiega la na- tura propria di ciascuna differenza della filosofia. Col dire cosa sia accidente ci guarda dal mettere tra le cose principali ciò l’isagoge di PORFIRIO E I COMMENTI DI BOEZIO 49 che è secondario. Cosi la conoscenza di queste cinque voci spande i suoi rami in tutte le parti della filosofia. Utile alla grammatica a cui insegna che il discorso è il ge- nere e otto sono le sue parti o specie; utile alla retorica, a cui permette di distinguere tre generi di causa, ciascuno diviso in specie a seconda dei soggetti: utilissima alla logica, che nulla potrebbe definire (per genere e differenza) se non sapesse cos'è genere, cos’è specie, cos’è differenza, ecc. ; nulla potrebbe dividere se non fosse guidata dalla conoscenza delle cose che divide (i generi e le specie); e nulla potrebbe dimostrare giacché la verità delle dimostrazioni sta nei provare ciò che si divide o qualcos’altro mediante le cose che si son divise. E l’Isagoge di Porfirio precede tutta la logica aristotelica, perchè senza di essa non si intenderebbero la sostanza e i nove accidenti di cui è parola nelle Categorie. Le quali voci signi- ficative sono quelle di cui si compongono le proposizioni, di cui si tratta nel « De interpretatione » . Le quali proposizioni sono quelle di cui si compone il sillogismo, il cui ordine, la cui struttura e le cui figure sono studiati negli « Analitici Primi », perchè sia poi possibile studiare il sillogismo dialet- tico nella « Topica * e il sillogismo dimostrativo negli « Ana- litici Secondi » . Cosi l’Isagoge di Porfirio è la base prima di tutta la logica aristotelica. 28. — Come nel corso del primo commento non sono rare le occasioni in cui Boezio è costretto a notare le imperfezioni e le oscurità della versione di Mario Vittorino, cosi nel seconc^o commento Boezio presenta una traduzione propria, che indubbia- mente è assai più scorrevole e chiara dell’altra. La versione è intercalata nella esposizione, che procede meno pedestr e che nel primo commento, e che, specialmente nei primi fr a i cinque libri, mostra un vigoroso proposito di rendere più robusta, più rigorosa ed organica la trattazione porfiriana. 50 AUGUSTO GUZZO Il secondo commento si inizia con alcuni paragrafi dedicati alla filosofia in generale, alle sue parti, alle sue utilità, ecc. Se la filosofia - dice Boezio - è il più alto bene degli animi, converrà precisamente muovere dalle facoltà delFanima. Una forza deH’anima è quella vegetativa, comune anche alle piante, che non hanno sensi; un’altra è la sensitiva, che dove sorge assume la prima come sua parte; una terza è la intellettiva, che non si limita a sentire e a rammentare, ma anche esplica e conferma, con pieno atto di intelligenza, quel che Timmagi- nazione sopperisce. La qual potenza della ragione si esercita a indagare, anzitutto, se una cosa sia, poi che sia, poi quale sia, infine perchè sia. Ma, perchè il pensiero sia preservato dal pericolo di cadere nel falso, occorre anzitutto una disciplina che, studiando le maniere di disputare e gli stessi ragionamenti, possa additare qual ragionamento risulti ora falso, ora vero, quale sempre falso quale non mai falso. Della quale scienza - la logica - è duplice l’uso nell’inventare e nel giudicare: topica e dialettica, trattate entrambe da Aristotele, ma la prima trascurata dagli Stoici. Ora, questa logica è una parte della filosofia o è solo il suo strumento? - Quelli che la considerano parte della filosofia ragionano così: delle proposizioni, dei sillogismi, ecc. solo la filosofia si occupa. Dunqne sono oggetto di filosofia. Ma, delle due grandi parti della filosofia, la speculativa che si occupa delle cose naturali, e l’attiva che si occupa della morale, nessuna tratta del discorso, dei giudizi, dei ragionamenti: dunque quella disciplina filosofica che d’essi si occupa non può non essere considerata una nuova parte della filosofia; donde la triparti- zione di questa in: logica, fisica, etica. Coloro i quali invece so- stengono che la logica sia strumento della filosofia, non sua parte, osservano che questa scienza della ragione è diretta o a conoscere le cose (fisica) o a trovare quei principi di morale che producono la beatitudine. Dunque, essi, dicono la logica serve sempre o alla fisica o all’etica. Boezio è del parere che le due teorie non l’isagoge di PORFIRIO E I COMMENTI DI BOEZIO 51 si escludano a vicenda: niente vieta che la logica sia ad un tempo parte e strumento della filosofia; parte in quanto ha innegabilmente un fine proprio, distinto dalla fisica e daH’etica; strumento in quanto, altrettanto innegabilmente, essa serve così all’una come aH’altra. Del resto, nel nostro corpo, ciascun organo è al tempo stesso parte e strumento : la mano rispetto all’organismo intero è strumento; per sè, intanto, è parte. 29. — Ma veniamo allo scopo di questa introduzione porfi- riana alle Categorie di Aristotele. Queste sono i dieci generi di predicamenti: può intenderli dunque chi sappia che sia il genere. Di ciascuno di essi si dànno varie specie (varie specie di so- stanza, di qualità, ecc.): ed anche ciò presuppone si sappia che sia specie, e che sia la differenza per la quale ciascuna specie si allontana dall’altra e l’un genere dall’altro. Inoltre, ogni genere ha le sue proprietà, mediante le quali può essere descritto. E dei dieci predicamenti, nove sono accidenti. Donde la neces- sità di saper bene che sia proprietà e che sia accidente per intendere le Categorie aristoteliche. Ma Porfirio spesso indica l’utilità della sua introduzione per le definizioni, le divisioni e le dimostrazioni, oltreché, come già si è visto, per l’intendimento delle Categorie aristoteliche. Per le definizioni, perchè bisogna ben distinguere il genere prossimo e la differenza specifica per fare una giusta definizione; per la divisione in tutte le varie sue specie, giacché vanno distinte divisioni dei concetti presi in sè stessi e divisioni accidentali. Le divisioni dei concetti presi per sè stessi sono di tre ordini : 1 ) — divisione del genere nelle sue specie ; 2) — distinzione dei vari significati di una parola; 3) — partizione d’un tutto nelle sue varie parti. ' Le divisioni accidentali sono anche di tre ordini: 1) — divisione di un accidente secondo i soggetti che lo ricettano ( c dei beni, alcuni sono nell’anima, altri nel corpo » ) *** 62 AUGUSTO GUZZO 2) — divisione di un soggetto secondo gli accidenti (« dei corpi, taluni sono (bianchi, altri sono neri » ) ; 3) — divisione di un accidente secondo altri accidenti ( « delle cose bianche, alcune sono dure, altre liquide, altre molli >). Per tutte queste divisioni occorre sapere che sia genere e che sia differenza, quando luna parola abbia un significato solo (univoca) e quando più significati (equivoca), e che sia una parte e che una specie; occorre inoltre ben distinguere sostanze ed accidenti. Infine, Tintroduzione porfiriana è utile per le dimostrazioni, giacché queste si fanno o da cose già note, o da cose conve- nienti, 0 dalle prime cose, o dalla causa, o dalle cose connesse, 0 dalle cose inerenti. In ciascuno di questi casi bisogna sapere che sia genere e che sia differenza, e che sia specie, giacché sono 1 generi quelli che sono anteriori per natura alle specie, e quindi di esse più noti, e sono i generi e le differenze le cause delle specie. 30. — Il secondo libro .tratta del genere con un manifesto desiderio di porre più rigore nella trattazione .porfiriana, magari rifacendosi da teorie più vaste, che sembrano essere presup- poste da ciò che dice Porfirio. (Cosi, per esempio, per illustrare i significati, che Porfirio espone, della parola genere, che si riferisce a volte al progenitore da cui una gente deriva, a volte al luogo da cui una gente proviene, Boezio richiama la celebre dottrina aristotelica delle quattro cause, efficiente, materiale, formale e finale, alle quali aggiunge due principi accidentali, il luogo e il tempo. Quando si parla del genere dei Romani, cioè dei discendenti da Romolo, si indica in costui la causa efficiente della stirpe; quando invece si dice: «Pindaro Tebano», si indica in Tebe il luogo da cui Pindaro i proviene). Boezio insiste ancora sulla differenza tra descrizione e defini- zione: 'il genere non può essere definito, chè, per essere defi- l’isagoge di PORFIRIO E I COMMENTI DI BOEZIO 53 nito, dovrebbe avere un altro genere sopra di sè, e, quando avesse un genere sopra di sè, sarebbe specie, non genere; sicché, non potendo essere definito, il genere è descritto, cioè ne ven- gono indicate le proprietà, che sono come i colori con i quali si dipinge un quadro. L’intera teoria del genere, della differenza, della specie, della proprietà e dell’accidente, è chiusa come in un prospetto nelle seguenti classificazioni boeziane. Ciò che si Ciò che si predica predica di di più cose una cosa sola | 54 AUGUSTO GUZZO S ’o 'in O ® og O ce 05 S ce p! ce <e •1-^ ' Ph o u Ph o <v Ph m 'P — ce ^ 03 S O -M ■Tj ■ p P ce P ■ cr ^ cS a ^ p p p iJ} OJ co a? a; pO o a O) G *S (p o S *02 OO ce 03 .3^ P •'P P - p cr .2 P *o p ■| £• ' — xs ce G 'P ce P np P P P U sé ce N .2 G ’B ® p 02 P m — I a; 'p 03 rQ O .P O ■TP O O (D VP ce ^ P. P P ce p sostanzialmente accidentalmente l’isagoge di PORFIRIO E I COMMENTI DI BOEZIO 55 Boezio prosegue, poi, illustrando via via i passi poifìriani che traduce e riporta: e le sue sono delucidazioni speciali, del resto assai utili. (Per esempio : in che senso si dice che gli uomini differiscono tra loro numericamente? - Nel senso che si dice: « Socrate è un uomo, Platone è un altro uomo »). 31 — Il terzo libro tratta delle specie (e non prima della differenza nonostante che la differenza, contenendo in sè più specie, sia ad essa anteriore, perchè la specie è specie del genere, come il genere è genere della specie, epperò vanno studiati in connessione Puno con l’altra). Le illustrazioni, per solito, non aggiungono nulla di nuovo. Interessante può essere Patteggiamento di osseqio ad Aristotele su le questioni delle dieci Categorie ; atteggiamento che è di Porfirio e non viene mutato da Boezio. Nè i dieci predicamenti possono ridursi tutti dXVente, perchè ente ha significati diversi secondo che s’applichi alla sostanza, alla qualità, alla quantità, ecc. Vale a dire è un nome di più significati, e non un genere d’un significato solo. Del resto, come ogni predicamento cosi ogni predicamento è un predicamento ; sicché se ente fosse gen^ e, i dieci predi- camenti avrebbero due generi: ente e uno\ e ciò è assurdo, perchè non si può appartenere a più di un genere. 32. — Il quarto libro tratta della differenza, ripetendo lo sforzo, visibile già nel primo commento, di dare organicità ed unità alla trattazione porfiriana dell’argomento col connettere insieme le varie classificazioni, tutte svolte da una distinzione fondamentale, tra differenze sostanziali e differenze accidentali, e col condannare più risolutamente di Porfirio quelle defini- zioni che « idem per idem definiunt » quando dicono che < dif- ferenza è ciò per cui una cosa differisce da un’altra», e che non precisano davvero cosa sia differenza quando la definiscono «ciò per cui una cosa dista da un’altra», potendosi una cosa 56 AUGUSTO GUZZO allontanare da un'altra per qualità del tutto accidentali che non costituiscono diiferenze in senso proprio. Il medesimo quarto libro tratta anche della proprietà, ri- spetto alla quale osserva che, se Tessere di una cosa è espressa dal suo genere, dalla sua differenza e dalla sua specie, le sue proprietà non costituiscono la sua sostanza, ma qualcosa di ac- cidentale, sebbene si chiamino proprietà, e che quando Porfirio distingue proprietà di quattro sorte, non intende enumerare quattro specie del genere proprietà, ma indicare i quattro si- gnificati diversi nei quali si parla di proprietà. Il quarto libro tratta infine delTaccidente, condannando, più di Porfirio, la distinzione puramente negativa, per la quale « ac- cidente è ciò che non è nè genere, nè differenza, nè speqie, nè proprietà » . 33. — Il quinto libro illustra la comparazione che Porfirio istituisce tra le cinque voci senza alcuna particolare osserva- zione. Notevole è tuttavia che Boezio non lascia passare la divi- sione porfiriana delTanimale razionale in animale razionale mortale (Tuomo) e animale razionale immortale (Dio) senza notare che ciò si poteva dire quando si ritenevano il Sole e gli altri corpi celesti animati e divini. 34. — Su questi testi si chinarono, per generazioni e gene- razioni, gli uomini del medioevo, come su libri di profondis- sima sapienza. Se TEuropa uscì dal medioevo cosi fortemente razionalistica, essa s'era fatta la sua potente quadratura logica meditando su questi ultimi fra gli antichi, lungamente vene- rati e studiati. DATE DUE UNIVERSITY PRODUCTS, INC. #859-5503 445253 BOSTON COLLEGE 3 9031 32488 does not CTBCULATE ^ GUZZO. . 697 .173 G9 Bapst Library Boston College Chestnut Hill, Mass. 02167
Monday, March 14, 2022
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