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Monday, March 14, 2022

GRICE E GUZZO: LE CATEGORIE DI BOEZIO

 AUQUSTO GUZZO   L’ISAGOGE DI PORFIRIO  E I COMMENTI DI BOEZIO     E D I Z I O N   B . i   697 I  . 173 '   aa    TORINO   I DE “L’ERMA,,  I 9 3 4 - X I I    T^37          AUGUSTO GUZZO    L’ISAGOGE DI PORFIRIO  E I COMMENTI DI BOEZIO     TORINO   EDIZIONI DE “L’ERMA,,  I 9 3 4 - X I I      &   ,173   Ù‘ì    ESTRATTO DAGLI   Annali delV Istituto Superiore di Magistero del Piemonte.    Voi. VII - 1934 XII     TORINO 1934-XII   TIPOGRAFIA DPIGLI ARTIGIANELLI (G. RoSSIj  VIA JUVARA, 14    445'/^59   BOSTON COLLEGE LIBRAR j  CHESTNUT HILL. MASS.    o    L’Isagoge di Porfirio  e i Commenti di Boezio    SOMMARIO   1. Il Commento di Porfirio alle Categorie di Aristotele. — 2-5. Que-  stioni su le Categorie. — 6. L’Isagoge. Il prologo. — 7-9. Il  primo commento di Boezio al prologo dell’Isagoge. — 10-12.  Il secondo commento di Boezio. — 13. Le cinque voci. — 14. Il  genere. — 15. La specie. — 16. La differenza. — 17. La qualità.   — 18. L’accidente. — 19. Quel che hanno di comune le cinque  voci. — 20. Comparazione del genere con le alti e quattro voci.   — 21. Comparazione della differenza con le altre quattro voci.   — 22. Comparazione della specie con le altre quattro voci. —  23. Comparazione della proprietà con le altre quattro voci.   — 24. Comparazione dell’accidente con le altre quattro voci. —  25. Il primo commento di Boezio alla dottrina delle cinque voci.   — 26. Il dialogo premesso al primo commento di Boezio. — 27.  Divisione della filosofia. — 28-33. Il secondo commento di Boezio.   — 34. Conclusione. (*)    (*) Queste esposizioni di antichi testi molto famosi ma poco letti co-  stituirono l’argomento del corso di Pedagogia da me professato nell’Istituto  Superiore di Magistero del Piemonte nell’anno accademico 1927-28. Volevo  dare una conoscenza possibilmente precisa di quel che era l’istruzione c  la cultura nell’alto medioevo : ed esposi i testi che in quei secoli erano più  meditati lumeggiando, di scorcio, anche lo sfondo d’idee su cui sorse più  tardi, sui primi periodi déìVIsagoge, la disputa degli universali. Testi di    4    AUGUSTO GUZZO    1. — Porfirio, che è autore della celebre « Isagoge, o In-  troduzione alle Categorie di Aristotele » , è anche autore di un  meno noto Commentario alle medesime Categorie. Sarà utile  studiare almeno la prima parte, cioè la parte introduttiva di  tale Commentario: forse si troverà in essa la spiegazione del  punto di vista dal quale si pone Porfirio nella « Isagoge » .   Questo Commentario ci è pervenuto mancante delPultima  parte - quella riguardante le ultime quattro categorie e i  post-predicamenti - e assai scorretto e guasto anche nella parte  precedente. Lo si trova in un codice modenese miniato del  secolo XIII, in un codice della Marciana del secolo XV, in uno  delPEscuriale del secolo XVI, in uno parigino dello stesso  secolo XVI, in uno della Laurenziana del secolo XV. E' però  dimostrato che di tutti questi codici il primo, da cui tutti gli  altri dipendono direttamente, è quello modenese.   Di sul codice parigino il commento fu stampato a Parigi nel  1543 « apud Jacobum Bogardum ». Su questa edizione, che è  Pedizione principe, del Commentario, fu condotta la versione  latina di Feliciano, stampata in Venezia « apud Hieronymum  Scotum ». L’ « edizione critica » è del 1887, e si deve alle cure    logica che, ad esporli, si può tutt’al più riescire chiari; ma avviciuarli  alla comune cultura può forse essere utile. Anche questo corso, che era  rimasto inedito, va messo tra i lavori da me preparati per l’Istituto Supe-  riore di Magistero del Piemonte. Mi sia permesso enumerarli : Apologia  dell’idealismo (Discorso inaugurale dell’anno accademico 1924 25), Torino,  Paravia, 1925; Introduzione e Commento al i^edone di Platone, Commento  alla Repubblica di Platone, Agostino: dai Contra Academicos al De Vera  Religione^ Firenze, Vallecchi, 1925; Agostino, Il maestro^ Traduzione, Intro-  duzione, Commento e Appendici, Firenze, Vallecchi, 1926; Tommaso  d’Aquino, Il maestro, Traduzione, Introduzione e Commento, Firenze,  Vallecchi, 1927; Giudizio e azione, Venezia, «La Nuova Italia», 1928;  Agostino e il sistema della grazia, Torino, «L’Erma», 1930 (1934®); Il  concetto di individuazione e il problema morale (Discorso inaugurale del-  l’anno 1930-31), Torino, « L’Erma », 1931; La « Summa contra Gentiles »,  Torino, « L’Erma », 1931 ; I Dialoghi del Bruno, Torino, « L’Erma », 1932.    l’isagoge di PORFIRIO E I COMMENTI DI BOEZIO    5    di Adolfo Busse, nell’edizione dei commenti greci ad Aristotele,  promossa dall’Accademia Prussiana (Voi. I, pars. I « Porphyrii  Isagoge et in Aristotelis Categorias commenta rium edidit Adolfus  Busse. — Berolini, Typis et impensis Georgii Reimer —  MDCCCLXXXVII »).   Il Commento procede per yììx di domanda e risposta. E’, in  londo, un dialogo, ma in cui le persone degli interlocutori non  hanno alcun rilievo ; la « domanda » parte da uno che non sa  e chiede spiegazioni : la c Risposta » enuncia, evidentemente, la  soluzione che Porfirio crede si possa e si debba dare alle varie  questioni. Le quali se, da un certo momento in poi, riguardano  il più giusto significato da attribuire alla lettera del testo aristo-  telico, prima vertono su problemi che investono rimpianto stesso  del piccolo scritto aristotelico.   2. -- Prima questione. — « Categoria » in greco vuol dire   € accusa », « denunzia ». Come mai Aristotele chiamò Categorie  l'essenza, la quantità, la qualità, ecc.? La risposa è che il filo-  sofo, costretto talvolta a coniar parole nuove, tal’altra a dare  un significato nuovo a parole consuete, adoprò la parola « Cate-  goria » per indicare le « espressioni enunciative delle cose »  (tàc twv Xé^soov twv a'ijjxavttxwv y.arà twv TUpaYixatcov xat-   YjYopta? TrpoosìTcsv). Sicché, ogni semplice espi*essione enunciativa,  quando sia pronunciata e detta della cosa enunciata, si dice  categoria. Per esempio: se la cosa che vien mostrata è questa  pietra che tocchiamo e che vediamo, quando di essa diciamo:  «questa è pietra», l'espressione «pietra» è il categorèma,  giacché indica la cosa e vien detta di essa.   3. — Seconda questione. — Aristotele chiamò il suo scritto  « Categoi'ie » o, come altri, « Le dieci Categorie » ?   Porfirio risponde respingendo tanto questo titolo dello scritto  quanto gli altri : « Prima della Topica », « dei generi dell'essere »   « dei dieci generi > . Non « Prima della Topica » perché in tal    6    AUGUSTO GUZZO    caso sarebbe stato più esatto dire «Prima degli Analitici»,  anzi « Prima deU’interpretazione » : chè il libro delle Categorie  è il più elementare e introduttivo a tutte le parti della filosofìa,  E piuttosto sarebbe < Prima della parte fisica della filosofia » .  anziché « Prima della Topica » : chè è opera della natura « l’es-  senza, il quale e simili » .   Nè lo scritto potrebbe in nessun caso intitolarsi « Dei generi  dell’essere » o « dei dieci generi » « perchè gli esseri e i loro  generi e le specie e le differenze sono cose e non voci » : e  invece Aristotele, enumerando le dieci categorie, l’essenza, il  quale, il quanto e le rimanenti, dice: «ciascuna delle dette si  dice per sé stessa, non per attribuzione, mentre l’attribuzione,  0 affermazione, avviene mediante connessione di esse tra loro ».  Or se è la connessione delle categorie quella che dà luogo alle  asserzioni, e se le asserzioni consistono in voci indicative e  discorsi dimostrativi (èv oyjaavrix-^ xai àTio^avTixij)), lo   scritto aristotelico non può riguardare i generi dell’essere, nè  in generale le cose: chè non la connessione delle cose costi-  tuisce asserzione, bensì la connessione delle voci significative  che indicano le cose.   E Aristotele stesso dice: « ciascuna delle categorie dette  senza alcuna connessione significa o l’essenza o il quanto », con  quel che segue. Ora, se Aristotele parlasse di cose, non direbbe  « significa l’essenza », chè le cose non significano, bensì sono  significate. _   Ciò che significa è la voce, la parola: di voci, di parole  dunque, tratta Aristotele nelle Categorie.   Perchè, poi, debba essere questo il titolo dello scritto, sarà  chiaro - dice Porfirio - quando si sia dimostrato il contenuto  proprio del libro.   4. — Terza questione. — Quale è dunque il contenuto  proprio delle Categorie?   Porfirio risponde rifacendosi di lontano.    l’isagoge di PORFIRIO E I COMMENTI DI BOEZIO    7    • L’uomo - egli scrive - giunto a indicare e significare le cose  circostanti, pervenne a nominarle con la voce e a indicare con  questo mezzo ciascuna di esse. Il primo uso che egli fece delle  parole fu rivolto a mostrare ciascuna cosa per mezzo di voci  e di parole; col quale riferimento delle voci alle cose questo  chiamò sedile, quello uomo, quell’altro cane e quell’altro sole:  e ancora questo colore chiamò bianco, quello nero; e questo  chiamò numero, quello grandezza ; questo due cubiti, quello tre  cubiti; e cosi per ciascuna cosa stabili parole e nomi signifi-  cativi di esse e indicativi mediante determinati suoni della voce.   Stabilite dunque per le cose, come contrassegno, talune  parole, Tuomo, passando ad una seconda impresa e riflettendo  sulle parole stabilite, quelle che si uniscono agli articoli chiamò  nomi, e quelle come « io passeggio, tu passeggi » chiamò verbi.  Di modo che, se nella prima imposizione » di nomi questo chiamò  oro e quello sole, nella seconda la voce < oro » chiamò nome  e la voce < passeggio » verbo.   Ora il contenuto delle Categorìe d’Aristotele è precisamente  il primo stabilimento delle parole, quello che mostra le cose:  giacché studia le voci significative semplici, in quanto signifi-  cative delle cose, distinguendole non l’una dall’altra individual-  mente, chè, di numero, le voci sono infinite come le cose che  significano, ma distinguendole secondo il genere a cui appar-  tengono. Ora l’infinità degli enti e delle parole che li significano  si lasciano ridurre a dieci generi: giacché dieci sono le diffe-  renze di genere degli enti, e dieci anche le voci che le indicano.  Ma questo fatto che le voci, simili a messaggere, prendano le  differenze dalle cose che annunziano, non toglie che la ricerca  principale sia, nelle Categorie^ intorno alle voci significative,  e non intorno alle differenze di genere degli enti.   Dieci sono i generi delle parole in quanto significative di  cose: ché significano o l’essere (la sostanza), ó la quantità, la  qualità, la relazione, ecc. (i nove accidenti della sostanza). Due,  invece, sono le parole che significano il tipo a cui appartengono ;    8    AUGUSTO GUZZO    giacché tutte le voci sono di due tipi: o nomi o verbi. Alla  quale seconda ricerca - grammaticale, non logica, diremmo  noi > appartiene anche distinguere la espressione propria dalla  metaforica e dagli altri tropi.   Presentata cosi la ricerca delle Categorie come una ricerca  nè metafìsica, nè grammaticale, nè retorica - non metafìsica  perchè secondo Porfirio, è incidentale il riferimento ai generi  delPessere, essendo Pattenzione rivolta ai generi delle parole  significative, in quanto appunto significano questo o quello; non  grammaticale, perchè nelle « Categorie » non si distinguono  tra loro le varie parti del discorso, che è distinzione tardiva  rispetto a quella che distingue le voci secondo ciò che signifi-  cano, non secondo che siano proprie, metaforiche, ecc. - Porfirio  osserva che, contro la sua interpretazione che intende la ricerca  delle Categorie come una ricerca, noi diremmo, di filosofia del  linguaggio, e gli antichi dicevano di logica, comunemente iden-  tificando col pensiero la sua significazione verbale, si schieravano  tanto quelli che ritenevano oggetto principale delle Categorie  la ricerca metafisica intorno ai generi dell’essere, quanto quelli  che. credendo oggetto delle Categorie la ricerca retorica delle  espressioni proprie e delle figurate, ritenevano la distinzione  aristotelica delle Categorie o insufficiente o incomprensiva o,  al contrario, sovrabbondante. Fra questi ultimi, per esempio, i  seguaci di Atenodoro e di Cornuto, studiando le espressioni  proprie ed improprie, e volendo sapere a quali categorie esse  appartenessero, non trovando nello scritto aristotelico risposta  a tale domanda, ritennero manchevole e difettosa Penumerazione  aristotelica, come non comprensiva di tutte le voci significative.  Invece, secondo Porfirio, rettamente intesero lo scritto d’Ari-  stotele Poeto nel suo commento alle Categorie, e più brevemente  Erminio. Il quale dice che la ricerca non verte nè su quelli che  in natura sono i primi e generalissimi generi (che non sarebbe  insegnamento adatto ai giovani), nè studia quali siano le prime  ed elementari differenze delle parole, come se la trattazione    I. ISAGOGE DI PORFIRIO E I COMMENTI DI BOEZIO    9    riguardasse le parti del discorso; ma piuttosto verte sulla spe-  cie di parole che risulti appropriata a ciascun genere di enti:  onde fu necessario toccare in qualche modo dei generi, a cui  le parole si riferiscono : chè non si intenderebbe la significazione  propria di ciascun genere se qualcosa intorno ad esso non s’an-  ticipasse.   Poiché dieci sono i generi, dieci sono le categorie. E si  potrebbe magari anche intitolare lo scritto aristotelico Dei  dieci generi » se con ciò si significasse solo un riferimento ai  dieci generi, giacché non di essi si occupa principalmente il libro.   5. — Quarta Questione. — Perchè il libro verte su le « Cate-  gorie > e s’inizia con una trattazione su gli omonimi e i  sinonimi?   Perchè queste sono distinzioni delle quali Aristotele deve  fare uso in tutto l’Organo: perciò le premette ad ogni altra  considerazione.   Tralasciamo, ora, il seguito del Commento Porfiriano; ma  ci gioverà aver visto come Porfirio intendesse quelle Categorie  alle quali s’assunse lo storico compito di « introdurre » .   6. — La celebre « Isagoge » di Porfirio tratta del genere,  della differenza (che, entro ciascun genere, distingue l’una  dall’altra le specie), della specie, della proprietà (che caratte-  rizza ciascun genere e ciascuna specie) e dell’accidente (che,  senza essere intrinsecamente « proprio » d’una sostanza, le si  attaglia in talune circostanze).   La trattazione del genere è, però, preceduta da una famosa  introduzione, nella quale Porfirio si rivolge a Crisaorio, patrizio  romano suo discepolo, dicendo:   « Poiché, 0 Crisaorio, è necessario anche per la dottrina  « aristotelica delle Categorie, sapere che sia genere e che diffe-  « renza, e che sia specie e che proprietà e che accidente;  « siccome e per assegnar le definizioni e in generale per quel  « che riguarda la divisione e la- dimostrazione è utile l’indagine    10    AUGUSTO GUZZO    « di tali cose: io, facendo per te una compendiosa trattazione,   < tenterò brevemente, come a mo’ di introduzione, di spiegare  « il pensiero degli antichi, astenendomi dalle ricerche, più  € profonde e investigando, invece, opportunamente le più  « semplici » .   Le ricerche più profonde, da cui Porfirio professa di astenersi,  riguardano la realtà dei generi e delle specie, in una parola  degli universali. Difatti Porfirio continua:   « Ora, riguardo ai generi e alle specie, se esistano o invece  c stiano solo nel pensiero e, dato che esistano, se siano corpi  « 0 incorporei, e se separati o esistenti nei sensibili e non  « fuori di essi, io eviterò di dire, profondissima essendo questa  « questione e richiedendo essa altra maggiore ricerca » .   Onde Porfirio conclude dicendo che si limiterà a cercare  d’esporre a Crisaorio ciò che gli antichi meditarono intorno a  questi argomenti, e tra essi specialmente i Peripatetici.   Porfirio, dunque, tratterà dei generi e delle specie senza  determinare se siano idee, cioè enti metafisici, o semplici  concetti, esistenti solo nella mente che li pensa. Ma, per conto  suo, per quale di queste dottrine propende?   Grià si è visto che egli considera generi, specie e differenze  « cose, non voci » e che, in generale, ritiene che le distinzioni  logiche trovino la loro ragion d’esseie in altrettante distinzioni  metafisiche di cui si fanno espressione. Per Porfirio dunque,  generi e specie riguardano l’essere, e se egli prelude alla Logica  aristotelica trattando di essi, in fondo egli ridà alla Logica  d’Aristotele il fondamento della dialettica platonica, tutta diretta  a distinguere generi e specie e valida, nel pensiero di Platone,  tanto oggettivamente, come metafisica, quanto soggettivamente,  come logica.   Questo punto di vista realistico da cui è scritta l’intera   < Isagoge » non sfugge, nonostante tutto, al commentatore  Boezio, il quale torna sulla importante questione cosi nel primo  come nel secondo dei suoi commenti all’Isagoge.    l’isagoge di PORFIRIO E I COMMENTI DI BOEZIO    11    È noto che i due commenti son diversi tra loro in quanto  il primo si dirige ai principianti e quindi evita le discussioni  troppo complicate e sottili, il secondo, invece, vuol indurre i  discepoli già provetti a una ginnastica mentale adatta alle loro  ‘forze e alla loro preparazione. Non è meraviglia, quindi, che  la « questione degli universali » — giacché ormai di essa si tratta  — sia impostata diversamente nei due commenti, sebbene la  trattazione giunga a risultati assai affini.   7. — Il primo commento di Boezio giunge a interpretare  il prologo deirisagoge solo al decimo capitolo, e mostra chiaro  lo sforzo di ricorrere alle argomentazioni e dimostrazioni più  semplici, affinchè i principianti possano intenderle ed afferrarle.   In verità Porfirio pone e rinvia tre questioni:   1) - se generi e specie esìstano davvero o stiano solo  neirintelletto e nella mente;   2) - se siano corporei o incorporei;   3) - se siano separati o uniti con i sensibili.   Rispetto alla prima questione « se generi e specie esistano  davvero, o stiano solo nell’intelletto e nella mente », Boezio  sembra interpretarla in un modo che forse non coincide inte-  ramente con ciò che intendeva Porfirio. Questi, forse, intendeva  domandarsi: generi e specie sono idee platoniche, cioè enti, o  invece concetti aristotelici, cioè universali puramente mentali  nati nel pensiero e dal pensiero? Se sono idee platoniche, si  intende che sono, non solo incorporee, ma separate. Se invece  sono concetti aristotelici, essi corrispondono, nella mente, a  forme che nella realtà vivono intrinsecate nelle cose sensibili.  La questione, dunque, è : gli universali vanno concepiti plato-  nicamente, ante rem, o aristotelicamente, post rem, giacché in  re essi esistono, ma intimi alle stesse cose particolari ?   Se questo è ciò che intende domandarsi Porfirio, si capisce  come egli preferisca rimandare questa controversia prò Platone  0 prò Aristotele a un momento in cui il suo discepolo Crisaorio    12    AUGUSTO GUZZO    sia già innanzi negli studi filosofici. Ma Boezio intende la que-  stione in maniera assai diversa. Egli non intende i generi e  le specie se non come universali mentali post rem, come con-  cetti aristotelici. La conoscenza si inizia con la sensazione:   per sensuum qualitatem res sensibus subiectas (animus) intel-  legit Dalla sensazione lo spirito parte per concepire le specie  ed i generi: et ex bis (le cose sensibili) quadam speculatione  concepta, viam sibi ad incorporalia intellegendapraemunit,,. Così,  quando vede i singoli individui umani, sa d’aver visto uomini,  sa che sono uomini quelli che ha visti. Di qui lo spirito sale  a discernere la stessa specie « uomo », incorporea perchè non si  concepisce che con la mente e rintelligenza. Ma, come movendo  dalla sensazione lo spirito giunge a comprendere le cose incor-  poree, così, movendo dalle stesse sensazioni, lo spirito arriva  a immaginarsi, per esempio, i Centauri, la cui fallace imma-  gine si compone di elementi della forma umana ed elementi  della forma equina. Or si domanda: generi e specie sono con-  cepiti con verità, sicché comprendiamo la specie uomo giusta-  mente ricavandola dai singoli uomini coi'porei, o invece sono  immaginati con finzione mentale pari a quella di cui parla  Orazio nell’Arte Poetica, quando dice: « fiumano capiti cer-  vicem pictor equinam iungere si velit » ?   Come si vede, Boezio non crede che la domanda di Porfirio  sia rivolta a sapere se gli universali siano reali o puramente  mentali, ma se siano concetti veri o pure finzioni delPimma-  ginazione. Il che significa porsi già su terreno prettamente  aristotelico, giacché tutto si riduce a domandare se gli uni-  versali post rem siano rettamente pensati o fallacemente imma-  ginati, o, con altre espressioni, se siano concetti o puri sogni  e chimere.   La risposta che Boezio dà a questa domanda è, se non er-  riamo, singolarmente infelice. Per lui non è dubbio che i generi  e le specie « sono veramente»: «difatti, come tutte le cose che  veramente sono senza queste cinque: non possono essere, così    l’isagoge di PORFIRIO E I COMMENTI DI BOEZIO    13    non si può dubitare che anche queste cinque son concepite  con verità (vere intellectas) » . Che è una strana maniera di  presupporre gli universali reali nelle cose sensibili, quando  proprio la domanda è se gli universali siano reali o fallaci-  Per Boezio generi, specie, differenze, proprietà, accidenti, queste  cinque distinzioni nelle cose sono « conglutinatae et quodam-  modo coniunctae atque compactae ». Difatti, perchè Aristotele  parlerebbe delle prime dieci espressioni (sermonibus) signifi-  canti i generi delle cose, o perchè raccoglierebbe le loro diffe-  renze e proprietà e toccherebbe degli accidenti, se non li avesse  visti nelle cose intrinsecati e in qualche modo riuniti ( <' in  rebus intima et quodammodo adunata » ) ? In base a questa  argomentazione Boezio conclude che « se è cosi, non c’è dubbio  che siano veramente e sian tenute (le cinque distinzioni) con  giusta riflessione («certa animi consideratione >).   Ma si vede chiarissimo che Boezio dà per certa e dimo-  strata la concezione aristotelica degli univeisali come forme  immanenti nelle cose particolari, onde conclude che lo spirito,  pensandoli, è nel vero e non neirerrore delle pure finzioni  immaginarie. Ma se la questione era per Porfirio se gli uni-  versali fossero reali o puramente mentali, e per Boezio se fos-  sero concetti veri o mere finzioni immaginarie, nè la questione  porfiriana, nè quella boeziana possono essere risolte con Tappel-  larsi alla concezione aristotelica di universali reali nei parti-  colari, e quindi veri, post rem, nello spirito umano. Questo è  un affermare il temperato realismo aristotelico, non un l isol-  vere la questione con un procedimento dimostrativo. Boezio  presuppone dimostrato Taristotelismo per decidere in senso  aristotelico e su V autorità di Aristotele la questione da lui  posta.   Senonchè Boezio trova un’altra conferma realistica- della  sua opinione nell’assenso, per quanto tacito, dello stesso Porfirio.  Giacché, egli dice, Porfirio, come se già fosse risaputa e pro-  vata la realtà degli universali, domanda se siano corporei o    14    AUGUSTO GUZZO    incorporei. La quale domanda sarebbe troppo frivola e assurda  se non si fosse prima assodata, per gli universali, quella realtà  che ora si domanda se sia corporea o incorporea. Ma anche  qui forse Boezio, neirinterpretare Porfirio, va lontano da quello  che egli intendeva dire. Porfirio forse domandava: — generi e  specie sono reali o puramente mentali? Se reali, nel senso  platonico, sono enti incorporei; se meramente mentali, non si può  ad essi attribuire altra realtà che nei corpi stessi. Vale a dire,  se reali, nel senso platonico, sono separati: se meramente men-  tali, non possono concepirsi che immanenti nei corpi, congiunti  con essi e da essi inseparabili, tranne che per astrazione nel  pensiero umano.   Se questa che qui proponiamo fosse una interpretazione  plausibile del celebre prologo porfiriano, le domande ivi contenute  in realtà non sarebbero tre, ma una sola: gli universali sono  reali, o mentali? vale a dire, sono incorporei, o esistono nei  corpi? cioè, sono separati, o intrinsecati nei corpi e da essi  inseparabili ?   Ma Boezio le intende come tre domande, ciascuna delle quali  presupponga già risolta in un determinalo senso le precedenti.  Difatti, egli dice: solo se alla prima domanda « se gli universali  siano reali » si risponde affermativamente, si può poi domandare  se esistano come corpi o come incorporei ; e parimenti, solo se  a questa domanda si risponda affermando Tincorporeità degli  universali, si può domandare se, essendo incorporei, esistano  separati dai corpi o siano da essi inseparabili.   8. — Rispetto alla seconda questione « se gli universali siano  corpi 0 incorporei » Boezio tratta separatamente il genere dalla  specie.   Quanto al genere egli dice, « quia incorporeorum prima  natura est», può una cosa incorporea essere madre di una  corporea, ma non viceversa, giacché, la sostanza essendo il  genere, e corporale e incorporale le specie, il genere non può    l’isagoge di PORFIRIO E I COMMENTI DI BOEZIO    15    essere corporale, chè, se fosse tale, la specie incorporea non  potrebbe subordinarglisi. Dal che discende che il genere non  deve essere nè corporeo nè incorporeo, si da poter avere per  specie così il corporeo come Tincorporeo.   (E qui Boezio solleva una questione di grandissima importanza.  Se il genere non può avere nessuna delle determinazioni che  costituiscono le proprietà delle specie e le loro reciproche  differenze, donde nascono nelle specie queste differenze che nel  genere, da cui pure le specie derivano, non ci sono? - Non si può  pensare che il genere animale possegga tanto la proprietà della  ragionevolezza quanto quella della irragionevolezza: chè posse-  dere in sè due contrari sarebbe impossibile. Bisogna dunque che,  per poter dare luogo cosi alBuna come alEaltra delle due specie,  il genere non abbia nè Buna nè Taltra delle due differenze  specifiche: non sia nè Tuna nè l’altra specie, pur contenendole  entrambe « vi sua et potestate » .   Ed anche questa è, come si deve, una soluzione prettamente  aristotelica della questione: il genere è «in potenza» le sue  specie, senza essere « in atto » nessuna di esse. Ma non è qui  il caso di saggiare la consistenza o la inconsistenza di un simile  tentativo di spiegazione che, non riuscendo a dar ragione del  nascere delle differenze, le presuppone già esistenti, e tuttavia  non ancora reali, giacché sono potenziali, virtuali).   Si è visto dunque che per Boezio il genere non è nè corporeo,  nè incorporeo : il che significa, su questo punto, non rispondere  alla domanda di Porfirio, ma sottrarsi ad essa. E la ragione di  tutto ciò è chiara. Porfirio è tutt’ altro che convinto che gli  universali siano puri concetti: ecco perchè egli tende ad affer-  marli reali e incorporei. Ma per Boezio gli universali sono  semplici concetti: e però, per quanto sia anch’egli convinto con  Platone ed anche con Aristotele, che Tincorporeo è, per natura,  prima del corporeo, pure è costretto, dalla sua concezione mera-  mente logica e non metafisica degli universali come concetti e non  come idee, a pensare il genere come privo delle determinazioni    16    AUGUSTO GUZZO    che saranno proprie delle specie: a costo di non sapere più d  donde derivino alle specie queste differenze, che sono estrai  alla sola fonte delle specie che è il genere.   Ma Boezio si illude che ammettere la potenziale presei  delle differenze specifiche nel genere sciolga la difficoltà: (  inoltra nella considerazione meramente logica del genere co  semplice concetto, adatto esclusivamente alle classificazi  scolastiche dei concetti secondo la loro estensione, mentre, ]  Platone, il genere era pregnanza di realtà o idea.   Quanto alle specie Boezio ne ammette di corporee e di ine  poree: specie corporea Puomo; incorporea: Dio.   Parimenti le differenze: «quadrupede» è differenza cor  rea ; < ragionevole * differenza incorporea.   Cosi anche le proprietà: corporee di cose corporee; ine  poree di cose incorporee.   E lo stesso è degli accidenti: accidente incorporeo è nello s  ritolascienza: accidente corporeo èsul capo la capigliatura cres   Insomma per Boezio, solo il genere è neutro, nè corpor  nè incorporeo: ma le specie, le differenze, le proprietà e  accidenti sono corporei se appartengono ai corpi, incorporei  appartengono allo spirito.   Senonchè, in questa teoria, lo stesso Boezio, che non  potuto riconoscere incorporeo il genere per la sua conside  zione meramente logica di esso, ammettendo corporee le spe(  le differenze, le proprietà e gli accidenti delle cose corpor  rinunzia a considerare specie, differenze ecc. come distinzi  meramente logiche, e non solo le pensa metafisicamente intr  secate nelle cose singole, ma fatte una cosa sola con esse,  da ricevere la loro stessa natura.   Torna, bensì, a una considerazione meramente logica de  distinzioni porfiriane, stabilendo, dopo la prima, ora espos  una seconda teoria, che peraltro egli presenta come una teo  altrui. Secondo questa teoria il genere va considerato coi  genere, come pura determinazione logica o concetto. E se    l’isagoge di PORFIRIO E I COMMENTI DI BOEZIO    17    sostanza è genere, non dev’essere considerata come una sostanza,  ma come un genere, cioè come qualcosa che ha delle specie  sotto di sè. Cosi pure la specie. Corporeo e incorporeo saranno  specie della sostanza. Ma essi vanno considerati come pure  specie, cioè come concetti che stanno sotto un genere. Pari •  menti le differenze: bipede e quadrupede sono differenze in  quanto Puno contrapposto all’altro : vanno, dunque, considerati  non come un bipede e un quadrupede, ma come pure differenze  logiche. Similmente le proprietà non vanno considerate nel loro  contenuto, ma come pure caratteristiche logiche della specie.   Così intesi, generi, specie, differenze e proprietà, come pure  distinzioni logiche, non possono essere, secondo la teoria che  Boezio espone senza aderii-vi, se non incorporei. Mentre gli  accidenti avrebbero la natura delle cose a cui accadono: sareb-  bero quindi corporei o incorporei a seconda delle sostanze.   Sia qui notato subito che questa affermazione metafìsica  della incorporeità di quattro fra le cinque distinzioni porfiriane  proprio perchè distinzioni meramente logiche, è una afferma-  zione cosi male impostata da non poter resistere alla più sem-  plice critica. Come semplici distinzioni logiche esse non hanno  nessuna natura: il loro contenuto ha una determinata natura,  non esse: nella specie < uomo », l’uomo è corporeo e ragionevole,  ma € la specie » nè corporea nè ragionevole. Affermare quindi  la incorporeità della specie come distinzione logica, come con-  cetto, è impossibile; per dirla incorporea bisogna considerarla  come idea, come ente metafìsico, non come determinazione lo-  gica. Ma dirla incorporea perchè logica è un abuso inammis-  sibile di pensiero, e, in ogni caso, attesta quel continuo oscillar e  tra logica e metafìsica che è cosi caratteristico nella ti'adizione  aristotelica. Pensati gli universali come concetti, essi non sareb-  bero più suscettibili di nessuna considerazione metafìsica: in-  vece continuano a essere dichiarati, metafìsicamente, incorporei,  primi per natura, ecc., mentre, come puri concetti, essi non sono  che vuoti termini classifìcatorii.    18    AUGUSTO GUZZO    Ma Boezio continua a esporre la teoria della incorporeità  delle distinzioni logiche, dicendo che coloro i quali sostengono  tale teoria s’appoggiano all’autorità di Porfirio stesso, il quale,  come se fosse già dimostrata la incorporeità dei generi, delle  differenze, ecc., domanda se siano separati o uniti alle cose  sensibili: chè, se fossero corporei, sarebbe assurdo domandare  se siano disgiunti dalle cose sensibili o congiunti. Boezio, in-  vece, dà tutt’altra interpretazione a questa domanda porfiriana,  in quanto la intende come se suonasse: «gli universali sono sempre  separabili dai particolari sensibili, o a volte inseparabili?», e  però non gli sembra che la domanda porfiriana presupponga,  come se già fosse risaputa e dimostrata, l’incorporeità di tutte  le specie, differenze, proprietà, ecc. in quanto pure determina-  zioni logiche.   9. — Egli passa perciò a interpretare direttamente la terza  domanda, lasciando da parte la teoria della incorporeità dei  concetti, ed ha l’aria di averla riferita a puro titolo di infor-  mazione, ma ritenendola infondata e insostenibile. Per lui,  dunque, le specie sono talune corporee, talune incorporee. Si  domanda se siano sempre congiunte alle cose particolari, o pos-  sano a volte disgiungersene.   Boezio, per chiarire la domanda porfiriana, distingue tre  specie di cose incorporee:   1) — Cose incorporee affatto insuscettive di corpo, come  lo spirito e Dio;   2) — Cose incorporee inconcepibili senza i corpi, come  lo spazio vuoto che è immediatamente oltre i termini di una  figura geometrica ;   3) — Cose incorporee che sono corpi e possono essere  senza corpo, come l’anima.   Si domanda se generi, specie, differenze, ecc. siano di quegli  incorporei sempre separati da corpo, o di quegli altri che mai    l’isagoge di PORFIRIO E I COMMENTI DI BOEZIO    19    non possono separarsene, o infine di quelli che a volte si uni-  scono, a volte si separano.   La risposta di Boezio è che possono congiungersi e possono  separarsi: che nelle cose corpoi'ee son congiunti a corpo, nelle  incorporee disgiunti da corpo.   Ma non bisogna credere che tutte le specie, le differenze,  le proprietà, ecc. siano congiungibili o disgiungibili dai corpi;  al contrario quelle delle cose corporee sono inseparabili da tali  cose corporee, come lo spazio è inseparabile dai corpi che  limita; e quelle delle cose incorporee, come le proprietà dello  spirito non si trovano che nello spirito, che è perfettamente  separato dal corpo. Boezio ribadisce la sua concezione : ci sono  due ordini di realtà: corporee ed incorporee; le incorporee sono  per natura e dignità anteriori alle corporee, e andrebbero  considerate come loro fonte: senonchè Boezio concepisce le  corporee e le incorporee come tra loro coordinate, e le subordina  entrambe ad un genere nè corporeo nè incorporeo, che avrà  magari in sè la potenza delle une e delle altre, ma che intanto,  così astratto e sopraordinato ad esse, è il vertice di una clas-  sificazione logica da scuola, non la genesi del reale.   10. — Nel secondo commento di Boezio le domande di Porfirio  sono presentate ed interpretate come nel primo: ma ne è diversa  la trattazione.   Le questioni « et perutiles et secretae, et temptatae quidem  a doctis viris nec a pluribus dissolutae», non trattate ancora  da Porfirio per non ingenerare oscurità nel lettore impreparato,  ma tuttavia accennate affinchè il lettore, una volta rafforzato  dal sapere, sappia che domandare, sono da Boezio formulate  così :   1^. Lo spirito 0 , con Pintelletto, concepisce, afferra quello  che realmente esiste in natura e, con la ragione, lo copia in  sé stesso; oppure, con vuota immaginazione, dipinge a sé mede-  simo ciò che non esiste. Si domanda dunque come sia Pinten-    20    AUGUSTO GUZZO    dimento che noi abbiamo del genere^ della specie, ecc. : se  intendiamo generi e specie come cose esistenti delle quali  prendiamo vera comprensione, o se invece noi stessi ci ingan-  niamo immaginandoci con vano pensiero cose che non sono.   2». Che se si ammette che dei generi, delle specie, ecc.  abbiamo un vero concetto, rimane da determinare se siano  corporei o incorporei: giacché tutto ciò che esiste deve essere  corporeo o incorporeo, e non si intenderà bene cosa siano i  generi e le specie finché non si sappia se porli tra le cose  corporee o le incorporee.   3». Che, se si ammette che generi, specie, ecc. siano  incorporei, rimane ancora da stabilire se, pur essendo incorporei,  esistano nei corpi, o se invece sembrino essere sussistenze  indipendenti anche senza corpi. Giacché ci cono due specie di  cose incorporee (qui Boezio sopprime la terza specie da lui  distinta nel primo commento: quella delle cose incorporee che  a volte si uniscono ai corpi, a volte se ne separano, e la fonde  senz’altro con la prima specie): ci son cose incorporee che  possono esistere senza corpo e, separate dai corpi, perdurano  nella loro incorporeità, come Dio, la mente, Tanima ; altre cose  incorporee, invece, non possono esistere senza i corpi, come  la linea, la superficie, il numero e le varie qualità, che noi  diciamo incorporee perchè non si estendono nelle tre dimensioni,  ma che esistono nei corpi siffattamente da non poterne essere  strappate o separate, o da svanire se separate dai corpi.   Come si vede, le questioni sono impostate come nel primo  commento. Ma qui Boezio si propone di trattarle altrimenti:  < primum quidem panca sub quaestionis ambiguitate proponam,  post vero eundem dubitationis nodum absolvere atque explicare  temptabo. »   Insomma, prima egli moverà un attacco, che vorrebbe essere  a fondo, contro ogni concezione platonica o aristotelica degli  universali, sia come reali, sia come concetti: poi giustifi-  cherà la concezione aristotelica tentando di dimostrare che son    l’isagoge di PORFIRIO E I COMMENTI DI BOEZIO    21    veri, nel pensiero, gli universali, pur non essendo reali, in  natura, se non nei particolari.    11. — Boezio scrive: i generi e le specie o sono e sussistono,  o si formano con Tintelletto ed esistono solo nel pensiero, ma  non possono essere generi e specie.   Anzitutto, generi e specie possono essere considerati reali?   Una cosa che nello stesso tempo sia comune a più altre, non  può essere una: specialmente se sia tutta in molte contempora-  neamente. Ora il genere dovrebbe essere uno in tutte le sue  specie : e non nel senso che ogni singola specie prenda per sè  una parte del genere, ma nel senso che ogni singola specie ha  in sè tutto il genere. Or questo genere che è tutto in ciascuna  delle sue specie contemporaneamente, come può essere uno?  giacché, se è tutto in più specie, in sè non può essere uno di  numero. E se non può essere uno, non è nulla assolutamente,  perchè tutto ciò che è, è perchè è uno. E lo stesso va detto della  specie. Che se si dice che la specie o il genere esiste, ma  molteplice di numero, non uno, non sarà il genere ultimo, bensì  avrà sopra di sè un altro genere, che includa quella moltepli-  cità nella propria unità.   E, daccapo, se questo nuovo genere sarà a sua volta molte-  plice, non uno, rinvierà ancor esso a un altro genere: e cosi di  seguito, airinfinito, senza che sia dato trovare un genere che  sia uno di numero pur essendo comune a tutte le sue specie.   Che se si dice che il genere è uno di numero, non potrà  essere comune a molti. Giacché una cosa può essere comune  a molte, ma solo in uno di questi tre casi:   1) — che ciascuna sua parte si applichi ad un particolare  diverso: sicché il genere non stia tutto in ciascuna specie, ma  in ogni specie una sola parte del genere;   2) — che più persone abbiano in comune l’uso di alcunché,  ma l’usino, beninteso, ciascuna in tempi diversi. (Esempio : più    22    AUGUSTO GUZZO    persone hanno un solo servo o un solo cavallo: si capisce che  non possono servirsene tutte con temporaneamente, ma l’una  prima, Taltra dopo);   3) — che qualcosa sia comune a molte persone, ma senza  costituire la loro essenza. (Esempio : il teatro è luogo comune  a tutti gli spettatori ; ed anche lo spettacolo è uno e comune  ad essi tutti).   Ma il genere non è comune alle specie in nessuna delle tre  forme ora dette : giacché deve essere tutto in ciascuna specie,  deve essere contemporaneamente in tutte le specie, e deve costi-  tuire Tessenza delle specie a cui è comune.   Ora, se il genere non è nè uno (giacché è comune), nè molte-  plice (giacché, se fosse tale, richiederebbe un genere ulteriore),  il genere non è per nulla. E lo stesso va detto delle specie,  delle diiferenze, delle proprietà e degli accidenti.   Se genere, specie, ecc. non sono, resta che siano còlti solo  con rintelligenza. Ma di nuovo, ogni concetto si torma da una  realtà o conformemente al suo vero essere o difformemente da  esso. Se conformemente, genere, specie, ecc. esistono non solo  nel pensiero, ma anche nella realtà, e risorge la domanda come  possano essere uni e molteplici ad un tempo, con la conclusione  di pocanzi, che cioè, genere, specie, ecc. non sono. Se difforme-  mente, non possono essere che vani e falsi dei concetti difformi  dalla realtà nel suo vero essere.   Conclusione: se genere, specie, ecc. nè sono, nè, quando son  pensati, sono pensati con verità, non rimane più alcun dubbio  che si debba abbandonare ogni discussione circa le cinque distin-  zioni porfìriane, non vertendo esse nè su qualcosa di reale nè  su qualcosa di cui sia possibile farsi un vero concetto.    12. - A questa obiezione che mirerebbe, come si vede, a  scalzare tutta intera la dottrina porfiriana delle cinque primis-  sime distinzioni logiche, Boezio risponde, appellandosi all’auto-    L ISAGOGE DI PORFIRIO E I COMMENTI DI BOEZIO    23    ritàdi Alessandro di Afrodisia, di cui accetta e riproduce Targo -  montare.   Non è vero — scrive Boezio — che sia falso e vano ogni  concetto che si scosti dalTessere reale delle cose. Se la mente  mette insieme elementi di cose disparate fino a formarsi una  immagine non rispondente a realtà, certamente erra e si inganna,  come quando si immagina i Centauri, componendone mental-  mente la figura con elementi del corpo umano e delTequino.  Ma quando la mente procede non per composizione, ma per  divisione ed astrazione, il concetto non corrisponde a nulla di  obbiettivo, e tuttavia non è falso.   Esempio: — la linea non è concepibile che in un corpo:  staccata da qualsiasi corpo, la linea non è nulla; e difatti chi  potè mai cogliere con un qualsiasi senso una linea separata da  ogni corpo? Ma ciò non esclude che possa separarla lo spirito  e pensarla per sè sola, fuori di qualsiasi corpo. Onde risulta,  nel pensiero, incorporea e separata quella linea che nella realtà  è inseparabilmente unita al corpo e confusa con esso.   Ora, i generi, le specie, ecc. sono proprio cosi fatti: esistono  nei corpi singoli, ma possono essere separati dai corpi, come  puri universali. E come nessuno può dir falso il concetto della  linea perchè si pensa separata da ogni corpo mentre essa fuori  dei corpi non sussiste, cosi non si deve ritenere falso il concetto di  genere, specie, ecc. perchè si isolano come puri universali mentre  essi non esistono che nei particolari. Gtli è che è prerogativa  delTintelletto cogliere la somiglianza dei vari particolari sensi-  bili, fissarla per sè sola e farne una specie; e poi ancora, cogliere  la somiglianza delle varie specie, fissarla e farne un genere.  Sicché la specie è un concetto ricavato dalla somiglianza d’es-  senza di individui diversi numericamente Tuno dalTaltio: e il  genere è un concetto ricavato dalla somiglianza delle specie.   Ma questa somiglianza, quando è nelle cose singole, è sensi-  bile; quando nelle universali, è intelligibile. 0, che è lo stesso,  sentita, è nelle cose singole; pensata, è universale. Sicché generi.    24    AUGUSTO GUZZO    specie, ecc. esistono nei sensibili, son còlti e pensati fuori dei  corpi; universali quando son pensati, singolari quando son  sentiti nei corpi in cui hanno esistenza.   Rimane cosi risolta Tintera questione: giacché generi e  specie esistono in un modo - nei particolari - e son pensati in  un altro - fuori dei particolari - come se esistessero per sé stessi  e non avessero nei particolari Tesser loro.   Ma questa soluzione è aristotelica, e Boezio Tavverte espli-  citamente: giacché per Aristotele generi e specie son pensati  incorporei ed universali, mentre esistono nei particolari sensi-  bili. Platone invece - Boezio ama rammentarlo - ritiene che  generi e specie non solo siano pensati come universali, ma  anche siano tali ed esistano separati dai corpi. E Boezio dichiara  espressamente d^aver presentato la soluzione aristotelica della  questione non perché egli la approvi di più, ma perché un  lavoro, come il suo commento, destinato a servir di introdu-  zione alle Categorie aristoteliche, aveva il dovere di adottare,  in questa questione, preliminare importantissimo, il punto di  vista aristotelico.   13. — Dopo il prologo del quale si é ampiamente discorso,  T « Isagoge » - alla quale ci conviene ormai ritornare - può  intendersi divisa in due parti: la prima studia separatamente  il genere, la specie, la differenza, la proprietà e Taccidente;  la seconda paragona prima il genere alla differenza, alla specie,  alla proprietà e alTaccidente ; poi la differenza alla specie, alla  proprietà e alTaccidente; infine tra loro la proprietà e Taccidente.   Cominciamo ora lo studio delle cinque distinzioni logiche prese  separatamente ad una ad una.   14. — Porfirio osserva che la parola genere si usa con  significati diversi.   Primo significato é quello per il quale genere (o piuttosto  gente) vuol dire stirpe.    L ISAGOGE DI PORFIRIO E    COMMENTI DI BOEZIO    25    Esempi: « Oreste è delle gente di Tantalo », cioè discende  da Tantalo; < Pindaro è della gente tebana », cioè è tebano  di nascita. Nel primo caso è indicato il progenitore, nel secondo  la patria; in entrambi il termine da cui la stirpe, o gente, o  genere proviene.   Secondo significato è quello per il quale il genere (o gente,  vuol dire quella collettività che è stretta da un’origine comune   Esempio: « Gli Eraclidi costituiscono una gente (o genere)  perchè discendono tutti da un comune capostipite: Eracle».   Terzo significato è quello per il quale si dice genere quello  a cui si subordinano le specie, la cui moltitudine esso contiene  sotto di sè. Questo terzo significato, che è quello che la parola  «genere » ha per i filosofi, è probabilmente imitato dai primi due  in quanto, in logica si chiama genere quello che in altri casi  si dice piuttosto stirpe, cioè Torigine da cui le specie derivano,  da essa prendendo il nome e con tal nome distinguendosi da  tutte la altre specie che rientrano sotto altri generi.   In questo terzo significato « genere » è quel che si predica di  più cose, differenti tra loro per la specie, e indica cosa esse sono.   La quale definizione ha bisogno di essere chiarita punto per  punto. « Quel che si predica di più cose » : difatti, i predicati  0 si riferiscono ad una cosa singola o a più cose. Ad una cosa  sola si riferiscono gli individui, come quando si dice: «questi  è Socrate », e anche a una cosa sola si riferiscono: « questi »  e « questo ». Invece a più cose si riferiscono i generi, le specie,  le differenze e le proprietà e quegli accidenti che risultano  comuni, non propri di una cosa sola.   Esempio di genere : « animale » . Esempio di specie : « uomo » .  Esempio di differenza (che contraddistingue Tuomo dagli altri  animali): « ragionevole ». Esempio di proprietà (dell’uomo): « la  capacità di ridere » . Esempi di accidenti (dell’uomo) : « bianco,  nero, muoversi » .   Ora il genere differisce dall’individuo perchè si predica di  più cose, non di una.    26    AUGUSTO GUZZO    Ma la definizione precisa è: « Genere è ciò che si predica  di più cose differenti tra loro per la specie », in quanto anche  la specie si predica di più cose, ma di cose differenti tra loro  per numero, non per specie.   Esempio: - la specie «uomo» si predica di Socrate e di  Platone, che differiscono numericamente in quanto Socrate e  Platone sono due individui diversi, mentre il genere « animale »  si predica delPuomo, del bue, del cavallo, differenti tra loro  non solo numericamente, ma per specie.   Inoltre: « genere è ciò che si predica di più cose differenti  tra loro per la specie, e indica cosa esse sono. » Giacché anche  le differenze si predicano di cose differenti tra loro per la  specie, ma indicano qitali esse sono, non cosa sono.   Esempio: — < se ci domandano che cosa è Puorao, rispon-  diamo indicando il genere a cui appartiene, e diciamo: « Puoino  è animale > ; ma se ci domandano le qualità delPuomo, rispon-  diamo indicando i suoi caratteri differenziali, la ragionevolezza  e la mortalità.   Com’è chiaro, il genere differisce dalla proprietà, perchè  questa si predica d’una sola specie e degli individui di essa,  mentre il genere si predica di più specie.   E differisce dagli accidenti comuni perchè, sebbene questi si  predichino di più cose differenti tra loro per specie, ne indicano  la qualità, non Pessenza (come, ad esempio, il color nero).   Ricapitolando: il predicarsi di più cose divide il genere  dagli individui; il predicarsi di più cose differenti di specie  lo separa dalle specie e dalle proprietà; Pindicare la quiddità  0 essenza lo divide dalle differenze e dagli accidenti comuni  che indicano la qualità. E questa trattazione del genere non  contiene nulla nè di superfluo, nè di manchevole.   15. — Anche « specie » ha più significati : significa « forma »  e significa, in logica, ciò che rientra in un genere (« uomo » è  specie compresa nel genere « animale » ; « bianco » è specie del    L ISAGOGE DI PORFIRIO E I COMMENTI DI BOEZIO    27    genere «colore*; «triangolo» è specie del genere «figura»).  Beninteso, come il genere è genere solo rispetto alle sue specie,  cosi le specie sono specie solo rispetto al loro genere. Genere  e specie cioè sono concetti correlativi. Cosi la specie vien defi-  nita: «ciò che è posto sotto il genere, e di cui il genere si  predica per indicarne l'essenza o quiddità » . Ma questa defi-  nizione conviene solo alle specie specialissime che sono sempre  specie e non mai generi, mentre le precedenti definizioni con-  vengono anche alle specie che non sono specialissime.   Sono generi generalissimi quelli al di sopra dei quali non  esiste altro genere, come ad esempio « sostanza ». Sono specie  specialissime quelle al di sotto delle quali non esistono altre  specie, come, ad esempio, « uomo », che ha sotto di sè imme-  diatamente i vari individui umani.   Tra i generi generalissimi e le specie specialissime inter-  corrono generi subalterni, come ad esempio « sostanza animata »,  « sostanza animata sensibile » , « sostanza sensibile ragionevole » .  Ciascuno di questi concetti, intermedi tra «sostanza» e «uomo »,  è specie rispetto al concetto più ampio nel quale rientra, è  genere rispetto al concetto più ristretto che in esso rientra.   Ad esempio: «sostanza animata» è specie rispetto a « so-  stanza », è genere rispetto a « sostanza animata sensibile ». Ai  due estremi della scala c'è la « sostanza», genere generalissimo  che non è mai specie, e !'« uomo », specie specialissima che non  è mai genere, mentre in mezzo i generi subalterni sono a volte  generi, a volte specie.   Ora, mentre le genealogie famigliari, risalendo di proge-  nitore in progenitore, raggiungono il comune capostipite di tuttele  famiglie, Giove, non è dato rinvenire un genere generalissimo  unico, a cui tutti i generi subalterni si lascino ridurre. Al con-  trario, secondo Aristotele sono dieci i generi generalissimi, asso-  lutamente primi e irriducibili: uno è la sostanza e nove gli acci-  denti (qualità, quantità, luogo, tempo, ecc.). Nè è valida obie-  zione che se questi dieci predicamenti sono, essi sembrano    28    AUGUSTO GUZZO    ridursi ad un genere generalissimo unico, Ve^%ere\ chè, dice  Porfirio, Ve^senza si predica in senso assai diverso della  sostanza e dei vari accidenti, sicché Tunificazione delle dieci cate-  gorie neir^ss^r^ è soltanto nominale, non reale, variando il  significato essere dalPuno all’altro predicamento.   Ora, se i generi generalissimi sono dieci, i generi subal-  terni sono di numero assai grande, ma tuttavia finito : infiniti,  invece, sono gli individui che vengono dopo le specie specia-  lissime, e di essi non si dà scienza.   Platone insegna a dividere, mediante le differenze specifiche,  ciascun genere in due, e poi ancora in due fino a raggiungere  le specie specialissime, che si dirompono negli individui. Chi  discende dai generi generalissimi alle specie specialissime  divide, cioè moltiplica l’unità. Chi, al contrario sale dalle specie  specialissime ai generi generalissimi, raccoglie la moltitudine in  unità. Giacché ciò che è singolare divide, ciò che è comune  aduna.   Adunque, il genere si divide in più specie e si predica di  esse. Giacché i concetti più estesi si predicano dei meno estesi  (il genere si predica delle specie), i concetti equipollenti si pre-  dicano l’uno dell’altro e l’altro dell’uno (la proprietà di nitrire  si predica del cavallo nella proposizione: «Il cavallo è l’ani-  male che nitrisce», e il cavallo si predica del nitrire nella  reciproca: < L’animale che nitrisce è il cavallo »), ma non mai  i concetti meno estesi si predicano dei più estesi (la proposi-  zione : « l’uomo è un animale » non può convertirsi nella reci-  proca: « l’animale è uomo »). Così i generi generalissimi si pre-  dicano di tutti i generi subalterni o specie, delle specie specia-  lissime e degli individui ad esse sottoposti; i generi subalterni  si predicano di tutte le specie ad essi inferiori, delle specie  specialissime e degli individui ; le specie specialissime si pre-  dicano degli individui, e gli individui d’un solo particolare. Gli  individui sono parti della specie, che rispetto ad essi è tota-  lità, mentre rispetto al genere è parte.    l’isagoge di PORFIRIO E I COMMENTI DI BOEZIO    29    16. — Si parla di differenza nel significato comune della  parola, in senso proprio, e in senso rigoroso.   Nel significato comune < differenza » esprime la diversità  d’una cosa da un’altra o da sè stessa. Socrate differisce da  Platone e differisce da sè stesso bambino.   In senso proprio, una cosa si dice differire da un’altra  quando ne differisce per un accidente inseparabile. (Accidente  inseparabile è, per esempio, avere il naso curvo, essere ciechi,  avere una cicatrice causata da una ferita).   In senso rigoroso una cosa si dice differire da un’altra  quando se ne distingue per differenza di specie. Ad esempio,  un uomo differisce da un cavallo perchè appartengono a specie  diverse, l’uno essendo ragionevole, Taltro no.   In generale dunque, ogni differenza altera ciò a cui si in-  nesta: ma le differenze comuni e proprie si limitano a renderlo  alterato, le rigorose lo rendono addirittura altro. E queste dif-  ferenze rigoi-ose che rendono altro ciò a cui si applicano,  si dicono < differenze specifiche » , le altre si dicono semplice-  mente « differenze » . Queste non producono che un’alterazione  o un mutamento di stato (per esempio, il muoversi rispetto  al giacere), quelle, invece, dal genere fanno le specie, le quali  si definiscono appunto col genere e le differenze.   Altra classificazione delle differenze è la seguente: differenze  separabili^ come il muoversi e lo star fermi, l’essere sani o  malati, e differenze inseparabili^ come l’avere un naso aquilino  0 camuso e l’essere ragionevoli o irragionevoli.   Le differenze separabili si dividono ancora in differenze per  se e differenze per accidens. Differenza per se è, nell’uomo, la  ragionevolezza, la mortalità, la capacità di apprendere. Diffe-  renza per accidens è l’avere il naso aquilino o camuso.   Le differenze per se entrano nel concetto della cosa e la  rendono altra (la mortalità entra nel concetto di uomo e lo  differenzia dall’altro essere animato sensibile e ragionevole, ma  immortale che è Dio); invece, le differenze accidens, anche    30    AUGUSTO GUZZO    se insensibili, non entrano nel concetto della cosa e non la ren-  dono altra, ma solo alterata (il naso camuso non entra nel  concetto di uomo, e altera un individuo, ma non lo rende altro  dai rimanenti uomini).   Parimenti le differenze per se non ammettono aumenti o dimi-  nuzioni (tutti gli individui umani sono uomini egualmente),  invece, le differenze per accidens ammettono aumento o dimi-  nuzione (si ha la pelle più o meno bianca, il naso più o meno  curvo, ecc.).   Fra le differenze inseparabili per se talune servono a divi-  dere i generi in specie, tali altre, invece, a specificare i generi  già divisi. Differenze inseparabili per se sono « animato » e  < inanimato » , « sensibile » e « insensibile » , « ragionevole » e  «irragionevole», «mortale» e «immortale». Di queste dif-  ferenze, « animato » e « sensibile » sono differenze costitutive  della sostanza « animale » ; « mortale » e « ragionevole » sono,  invece, divisive della sostanza < animale » in quanto per esse  si giunge dal concetto del genere « animale » al concetto della  specie « uomo » .   Senonchè quelle differenze che son divisive pei generi, sono  costitutive per le specie: difatti, nelPesempio ora addotto, le  differenze « ragionevole » e « mortale » , introducendo una di-  visione nel genere «animale», costituiscono proprio cosi la  specie «uomo». Divisive e costitutive poi sono tutte le dif-  ferenze specifiche, utilissime per le divisioni dei generi e le  definizioni delle specie, mentre a ciò non giovano nè le dif-  ferenze inseparabili per accidens, nè, molto meno, le separa-  bili (sarebbe ridicolo dividere gli uomini secondo che abbiano il  naso aquilino o camuso — differenze inseparabili per accidens  — 0, peggio ancora, secondo che stiano in piedi o a sedere).   La differenza viene anche determinata come quella che la  specie ha in più del genere. L’uomo, ad esempio, ha in più  delhanimale Tessere ragionevole e mortale, qualità che il con-  cetto di «animale» non include. (Or si domanda: se il genere    l’isagoge di PORFIRIO E I COMMENTI DI BOEZIO    31    non ha in sè le differenze che caratterizzano le varie specie,  queste donde le traggono? — Giacché le specie non derivano  che dai generi, e questi non posseggono le differenze, nè pos-  sono possederle, chè, se le possedessero, potrebbero riunire in  sè differenze opposte tra loro, come sono quelle che contrad-  distinguono runa dalbaltra le varie specie. La soluzione di  questa difficoltà è che non è necessario ammettere nè che le  differenze specifiche nascano dal nulla, nè che il genere aduni  in sè differenze contraddittorie, perchè il genere ha in potenza  le differenze che da esso nascono, senza averle in atto.)   Altra definizione della differenza è: «ciò che si predica di  più cose differenti tra loro per specie, per indicarne la qua-  lità ». - Infatti, se uno ci domanda: « che cosa è Tuomo? », noi  rispondiamo indicando il genere a cui la specie umana appar-  tiene, e diciamo: « l’uomo è un animale » ; ma se uno ci domanda  la qualità delbuomo, rispondiamo indicando i suoi caratteri  differenziali, e diciamo: «L’uomo è ragionevole e mortale».   Porfirio paragona così il genere alla materia e la differenza  alla forma, e dice che come la figura rende statua il bronzo,  cosi la differenza rende specie il genere.   Altra determinazione della differenza è : « ciò che è atto a  dividere le cose che sono sotto il medesimo genere » . Difatti,  « ragionevole » e « irragionevole » sono differenze atte a dividere  l’uomo dal cavallo, entrambi compresi nel genere animale.   Altra definizione: « differenza è quella per la quale differiscono  fra loro le varie cose», giacché per il genere non differiscono.  Per esempio: siamo animali mortali noi e gli irragionevoli: la  differenza « ragionevoli » vale a separarci da essi. E ancora:  siamo ragionevoli noi e gli Dei : la differenza « mortali » ci  separa da essi.   Definizione più profonda è la seguente: « Differenza non è  una qualsiasi di quelle determinazioni che valgono a dividere  le cose che sono sotto il medesimo genere ; ma quella determi-  nazione che riguarda l’essere ed è parte dell’essere d’una cosa. »    32    AUGUSTO GUZZO    Per esempio: poter navigare, è particolarità esclusivamente  umana, e tuttavia non è differenza che costituisca la sostanza  delPuomo. Differenze specifiche sono quelle che fanno altra la  specie e sono accolte nel concetto di essa indicandone la qualità.   17. — Ci sono quattro sorte di qualità:   1) - Proprietà che convengono ad una sola specie, sebbene  non intera, come per Tuomo essere medico o geometra. (Solo  gli uomini sono medici e geometri; ma non tutti gli uomini  sono tali).   2) Proprietà che convengono a tutta una specie, sebbene  non solo ad essa, come per Tuomo essere bipede (sono bipedi  anche gli uccelli).   3) Proprietà che convengono ad una sola specie in tutta  la sua estensione, ma solo in un determinato tempo, come per  Puomo imbiancare nella sua vecchiezza.   4) Proprietà che convengono ad una sola specie in tutta  la sua estensione e sempre, come per Tuomo poter ridere. (Non  importa che non rida sempre: importa che abbia natura di poter  ridere).   Sono queste ultime le vere proprietà giacché possono con-  vertirsi con ciò di cui sono proprietà. (Chi è cavallo, può nitrire ;  chi può nitrire è cavallo).   18. — Accidente è quello che può essere presente o assente  senza che il soggetto si corrompa.   Ci sono intanto accidenti separabili e accidenti insepara-  bili. Separabile è dormire; inseparabile il color nero. E tuttavia,  per quanto inseparabile, rimane accidente perchè, sebbene corvi  e Etiopi siano neri, si può sempre pensare un corvo e un Etiope  bianchi.   L'accidente è definito anche « ciò che può contingentemente  esserci e non esserci * ; oppure « ciò che senza essere nè genere    l’isagoge di PORFIRIO E I COMMENTI DI BOEZIO    33    nè specie nè differenza nè proprietà, tuttavia sussiste in un  oggetto » .   19. — Determinate ormai tutte e cinque le distinzioni logiche,  bisogna paragonarle tra loro per vedere cosa hanno di comune  e cosa hanno di diverso.   Di comune hanno il potersi predicare di più cose ; ma il  genere si predica delle specie e degli individui ( « animale » si  predica dei cavalli e dei buoi, e di questo cavallo e di questo  bue); la differenza similmente delle specie e degli individui  ( « irragionevole > si predica dei cavalli e dei buoi, e di questo  cavallo e di questo bue); la specie degli individui che sono sotto  di essa ( « uomini » si predica solo degli individui umani) ; la  proprietà tanto della specie di cui è propria, quanto degli indi-  vidui di tale specie ( « poter ridere » si predica tanto deiruomo  quanto dei singoli uomini); l’accidente cosi della specie come  degli individui (« nero » si predica cosi della specie dei corvi  come dei corvi particolari, ed è accidente inseparabile; « muo-  versi » si predica deH’uomo e del cavallo, ed è accidente sepa-  rabile), ma anzitutto si predica degli individui, e in secondo  luogo delle specie che contengono gli individui.   Ma conviene ora paragonare a due a due le cinque distin-  zioni logiche.    20. — Comparazione del genere con le altre quattro roci.  a) Genere e differenza   Cosa hanno di comune:   1) — Il genere e la differenza entrambi contengono specie.  Bensì la differenza non contiene tante specie quante ne contiene  il genere.   Esempio: la differenza «ragionevole» contiene due specie:  uomo e Dio ; mentre il genere « animale * contiene e le due  anzidetto e tutte le altre specie animali.    34    AUGUSTO GUZZO    2) — Quel che si predica del genere come genere, si  predica anche delle specie comprese in tale genere : e quel che  si predica della differenza come differenza, si predica anche  delle specie comprese in tale differenza.   Esempi: del genere « animale » si predica Tesser sostanza  e Tessere animato: che si predicano anche delle specie del genere  « animale » e perfino degli individui di tali specie. Della diffe-  renza « ragionevole » si predica Tesser provvisto di ragione :  che si predica anche delle specie comprese sotto tal differenza  [uomo e Dio) e degli individui di tali specie (i singoli uomini  e gli Dei).   3) — Tolto il genere o la differenza, son tolte contempo-  raneamente le specie che sono sotto di essi.   Esempio : tolto il genere « animale > , è tolta anche la specie  « uomo » ; tolta la differenza « ragionevole », non ci sarà più  nessun animale provvisto di ragione.   Cosa hanno di diverso:   1) — E’ proprio del genere predicarsi di più cose che non  la differenza, la specie, la proprietà e l’accidente.   Esempio: il genere «animale» si predica egualmente del-  l’uomo, del cavallo, dell’uccello e del serpente, mentre la diffe-  renza « quadrupede » si predica solo degli animali di quattro  piedi, la « specie > uomo solo degli individui umani, mentre la  proprietà del « nitrire » solo della specie cavallo e dei cavalli  particolari, e l’accidente « star in piedi » ancora di più poche cose.   2) — Il genere contiene la differenza in potenza.   Esempio : il genere « animale » si divide in specie animali   « ragionevoli » e specie « irragionevoli » , « ragionevole » e « ir-  ragionevole » essendo le differenze che dividono il genere « ani-  male » in specie diverse.   3) — I generi sono anteriori alle differenze poste sotto di  essi: tolti i generi, son tolte contemporaneamente anche le diffe-  renze, ma non viceversa.    L ISAGOGE DI PORFIRIO E I COMMENTI DI BOEZIO    35    Esempio: tolto il genere « animale », son tolte tutte le diffe-  renze (« ragionevole » e « irragionevole »); mentre, tolte tutte le  differenze, si può ancora pensare la sostnza animata sensibile,  cioè Tanimale.   4) — Il genere riguarda Tessenza (o quiddità) d’unacosa:  la differenza la sua qualità.   Esempio: Cos’è l’uomo? - un animale. Com’è l’uomo? - ragio-  nevole.   5) Ogni specie ha un sol genere, ma moltissime diffe-  renze.   Esempio : il genere dell’uomo è « animale » ; le differenze  sono: ragionevole, mortale, suscettibile di intendere e d’impa-  rare.   6) — Il genere è come la materia, la differenza è come  la forma.   Giacché è la differenza che determina il genere, come la  forma determina la materia.   b) Genere e specie   Cosa hanno di comune:   1) — Tanto il genere quanto la specie si predicano di più   cose.   2) — Entrambi sono anteriori a quelle cose delle quali si  predicano.   3) — Cosi il genere come la specie costituiscono ciascuno  un tutto.   Cosa hanno di diverso:   1) — Il genere contiene la specie sotto di sè, le specie sono  contenute, non contengono i generi.   Giacché sono i generi che, determinati da differenze spe-  cifiche, producono le specie: onde sono naturalmente ad esse  anteriori, e, tolti, tolgono anche le specie, ma non viceversa,  chè, posta la specie, è posto anche il genere, ma posto il ge-  nere, non è posta con ciò stesso la specie.    36    AUGUSTO GUZZO    2) — 1 generi si predicano univocamente delle specie: non  cosi le specie dei generi.   3) — I generi sono superiori per le specie che comprendono  sotto di sè, le specie per le differenze che le determinano.   I generi possono anche essere contemporaneamente specie,  ma non specie specialissime ; e le specie possono essere contem-  poraneamente generi, ma non generi generalissimi.   c) Genere e proprietà   Cosa hanno di comune:   1) — Tanto il genere quanto le proprietà seguono le specie.   Esempio: Se uno è uomo quanto alla sua specie, è ani-  male quanto al genere; e se di specie è uomo, ha la pro-  prietà di poter ridere.   2) — Egualmente si predicano il genere della specie e la  proprietà di quelli che ne partecipano.   Esempio: — L’uomo e il bue sono animali allo stesso titolo;  e cosi Catone e Cicerone hanno egualmente la proprietà di  poter ridere.   3) — Si predicano univocamente il genere delle sue specie  e la proprietà di quelle cose di cui è propria.   Cosa hanno di diverso:   1) — Il genere è anteriore; la proprietà posteriore.   Esempio: — Bisogna che ci sia il genere ahimale, poi sia  diviso dalle differenze e dalle proprietà.   1) — Il genere si predica di più specie, la proprietà di  una sola specie, di cui è propria.   3) — La proprietà si predica di ciò di cui è propria, cosi  come ciò di cui è propria si predica di essa : mentre il genere  non si converte con nessun suo predicato.   Esempio: La proposizione « L’uomo è l’animale che ride »  si converte: esanimale che ride è l’uomo*. Ma la proposi-  zione « l’uomo è animale * non si potrà mai convertire: c l’ani-  male è l’uomo * .    l’isagoge di PORFIRIO E I COMMENTI DI BOEZIO    37    4) — La proprietà è in tutta la specie di cui è propria,  in essa sola, e sempre: mentre il genere è in tutta la specie  di cui è genere, e sempre, ma non in essa sola.   Esempio: la proprietà di ridere è di tutti gli uomini, solo  degli uomini, e sempre rimane in essi : il genere animale è in  tutta la specie umana, è costante in essa, ma si trova anche  in molte altre specie oltreché neirumana.   5) — Poiché la proprietà e ciò di cui é proprietà si con-  vertono, tolta la proprietà é tolto ciò di cui é proprietà, tolto  ciò di cui é proprietà é tolta la proprietà.   Esempio: tolta la proprietà del ridere é tolto l’uomo: tolto  Tuomo é tolta la proprietà del ridere.   Al contrario, tolte le specie non sono tolti i generi.   Esempio : tolta la specie umana non é tolto il genere ani-  male.    d) Genere e accidente   Cosa hanno di comune:   Si é già detto che ci sono accidenti separabili^ come il muo-  versi, e accidenti inseparabili come, ad esempio, il color nero:  ora, cosi gli accidenti separabili come gli inseparabili hanno  di comune col genere il potersi predicare di più cose.   (Neri sono i corvi, ma anche gli Etiopi e talune cose ina-  nimate).   Cosa hanno di diverso :   1) — Il genere é avanti le specie, mentre gli accidenti  sono posteriori ad esse, anche se si tratti di accidenti inse-  parabili, giacché prima è ciò a cui accade, poi é Taccidente.   2) — Del genere tutte le specie che partecipano, parte-  cipano egualmente; mentre degli accidenti si partecipa più  o meno.   3) — Dii accidenti sussistono principalmente negli individui,  mentre generi e specie sono, di natura, anteriori alle sostanze  individuali.    38    AUGUSTO GUZZO    4) — Il genere dice quel che è una cosa. L’accidente quale  è e come è.   Esempio: - Come è l’Etiope? Nero.   21. — Comparazione della differenza con le altre quattro   voci.   a) - Differenza e genere   Furono già comparati quando si esaminarono insieme genere  e differenza.   b) - Differenza e specie   Cosa hanno di comune:   1) — Della differenza e della specie si partecipa egual-  mente.   Esempio: Gli uomini singoli partecipano egualmente della  specie « uomo » e della differenza < ragionevole » .   2) — La differenza e la specie sono sempre presenti in  ciò che di esse partecipa.   Esempio: Socrate è sempre ragionevole e sempre uomo.   Cosa hanno di diverso:   1) — La differenza dice sempre la qualità delle cose, la  specie la loro essenza o quiddità.   Esempio: - « Uomo » non è qualità, se non per le differenze  che, determinando il genere ♦ animale », costituiscono la specie  « uomo » .   2) — La differenza è in più specie.   Esempio : - la differenza « quadrupede » è in vari animali  di specie differente.   La specie è solo negli individui che sono sotto di essa.   3) — La differenza è altra cosa dalla specie a cui dà  luogo.   Difatti, se si toglie la differenza « ragionevole » , si toglie la  specie « uomo » : ma se si toglie la specie « uomo », non si toglie  la differenza « ragionevole » , perchè vi è Dio.    l’isagoge di PORFIRIO E I COMME^ITI DI BOEZIO    39    4) — Una differenza si combina con un’altra (« ragionevole »  e «mortale» compongono la sostanza deiruomo); mentre una  specie non si combina con un’altra per produrne una terza.  (Un cavallo e un’asina generano un mulo; ma non la specie  < cavallo » con la specie « asino * generano la specie « mulo *).   c) - Differenza e proprietà.   Cosa hanno di comune:   1) — Della differenza e della proprietà le cose partecipano  egualmente.   Esempio: gli esseri ragionevoli partecipano della diffe-*  renza « ragionevolezza » , quanto gli esseri che possono ridere  partecipano della proprietà di poter ridere.   2) — Differenze e proprietà sono sempre presenti nelle  cose che le hanno.   Si potrebbe obiettare: se un bipede perde una gamba, non  ha più la sua differenza di essere bipede. Ma l’obiezione non é  giusta: l’amputazione non toglie la natura di bipede al monco.  Del resto, anche la proprietà di poter ridere riguarda la natura'  umana, senza che gli uomini ridano sempre.   Cosa hanno di diverso:   1) — La differenza si predica di più specie (ragionevole si  dice dell’uomo e di Dio), la proprietà si predica di quella sola  specie di cui è propria.   2) — La proprietà e ciò di cui è proprietà si convertono.   (La proposizione « l’uomo è l’animale che ride » ammette la   reciproca: «l’animale che ride è l’uomo).   Mentre la differenza segue quella cosa di cui è differenza,  e non si converte con essa.   (Posto l’uomo, è posta la ragionevolezza; ma, posta la ragio-  nevolezza, non è posto l'uomo, perchè ragionevole è anche Dio).    40    AUGUSTO GUZZO    d) - Differenza e accidente   Cosa hanno di comune:   1) — Differenza ed accidente entrambi si predicano di  più cose.   Esempio: Tanto la differenza della «ragionevolezza» quanto  l’accidente del « muoversi > si applicano a molte cose diverse.   2) — Tanto la differenza quanto gli accidenti insepa-  rabili sono presenti sempre e in tutte le cose di cui si predicano.   Esempio: Tanto la differenza < bipede » quanto l’accidente  inseparabile « nero > riguardano tutti i corvi e li riguardano  sem'pre.   Cosa hanno di diverso :   1) — La differenza contiene, non è contenuta.   (La ragionevolezza contiene l’uomo perchè non è solo di lui).  Gli accidenti, invece, per un verso, contengono perchè sono in  più cose) il muoversi è più esteso dell’uomo) ; per un altro sono  contenuti, perchè il soggetto aduna in sè parecchi accidenti  (l’uomo, oltre al « muoversi », è anche « bianco », < alto », ecc.)   2) — La differenza non ha aumento e diminuzione, gli  accidenti sì.   (0 si è ragionevoli, o no; ma si è più o meno alti).   3) — Le differenze contrarie non possono mescolarsi,  bensì si mescolano gli accidenti contrari.   ( < Bipede » e « quadrupede » si escludono ; ma « bianco >  e . « nero » si mescolano a produrre il < grigio » ).   22. — Comparazione della specie con le altre quattro voci.   a) Specie e genere   Furono già comparati quando si esaminarono insieme Genere  e specie.   b) Specie e differenza   Furono già comparati quando si esaminarono insieme Diffe-^  renza e specie.    l’isagoge di PORFIRIO E I COMMENTI DI BOEZIO    41    c) Specie e proprietà   Cosa hanno di comune:   Specie e proprietà si predicano Tuna deiraltra (se è uomo,  ha la proprietà di ridere ; se ha la proprietà di ridere, è uomo) ;  giacché le cose partecipano egualmente delle specie a cui  appartengono e delle proprietà che le caratterizzano.   Cosa hanno di diverso:   1) — La specie può essere genere ad altre specie ; la  proprietà non può essere di altre specie oltre quella di cui è  propria.   2) — La specie sussiste prima della proprietà, poi la  proprietà ha luogo nella specie.   Esempio: bisogna essere uomo per avere la proprietà di  ridere.   3) — La specie è sempre presente in atto, nel soggetto;  la proprietà, a volte, vi è presente solo in potenza.   Esempio: Socrate è sempre uomo in atto, ma non sempre  ride sebbene abbia natura di poter ridere.   4) — La specie sempre è sotto il genere e si predica di  più cose, differenti tra loro numericamente, indicandone l’es-  senza 0 quiddità; mentre la proprietà è solo in ciò di cui è  propria, e in esso è sempre, e inerisce a tutta la sua estensione.   Esempio: la proprietà del ridere è di tutti gli uomini, solo  negli uomini e sempre negli uomini.   d) Specie e accidente   Cosa hanno di comune:   Si predicano di più cose.   Cosa hanno di diverso:   1) — La specie dice il « che > di una cosa, l’accidente  il « quale > e il « come » .   2) — Ogni sostanza può partecipare di una sola specie,  ma di più accidenti separabili ed inseparabili.   3) — La specie si concepisce prima degli accidenti, anche    42    AUGUSTO GUZZO    se inseparabili (chè bisogna ci sia il soggetto, perchè qualcosa  gli accada); gli accidenti invece sono posteriori e avventizi.   4) — Della specie si partecipa sempre in egual misura,  ma deiraccidente, anche inseparabile, in misure diverse.   Esempio: un Etiope è più nero di un altro.   23. — Com/parazione della proprietà con le altre quattro   voci.   a) — Proprietà e genere   Furono già comparate quando si esaminarono insieme Genere  e proprietà.   b) — Proprietà e differenza   Furono già comparate quando si esaminarono insieme Diffe-  renza e proprietà.   c) — Proprietà e specie   Furono già comparate quando si esaminarono insieme Specie  e proprietà.   d) — Proprietà e accidente   Cosa hanno di comune:   1) — Tanto la proprietà quanto Taccidente inseparabile  sono indispensabili a ciò in cui si osservano.   Esempio: Come senza la proprietà del ridere non esiste  uomo, cosi senza color nero non esiste Etiope.   2) — Tanto la proprietà quanto Taccidente inseparabile  sono sempre presenti a ciò che li possiede, e in tutta la loro  estensione.   Esempio: Tutti gli Etiopi sono neri, e sempre.   Cosa hanno di diverso :   1) — La proprietà è presente in una sola specie. Tacci-  dente inseparabile in molte.   Esempio: La proprietà del ridere è solo delTuomo; Tacci-    l’isagoge di PORFIRIO E I COMMENTI DI BOEZIO    43    dente inseparabile del color nero è deirEtiope, ma anche del  corvo, del carbone, deirebano, ecc.   2) — Sicché la proprietà si converte con ciò di cui è  proprietà, non cosi Taccidente con ciò di cui è accidente.   Esempio : c L'uomo ha la proprietà di ridere > si converte  in « Chi ride è l'uomo » ; ma « l'Etiope è nero » non si converte  in: «Chi è nero è l'Etiope», perchè anche il corvo, il carbone,  ecc. sono neri.   3) — Della proprietà si partecipa sempre egualmente, degli  accidenti in diversa misura.   Si è più 0 meno neri.    24. — Comparazione delV accidente con le altre quattro   voci.   a) — Accidente e genere   Furono già comparati quando si esaminarono insieme Genere  e accidente.   b) — Accidente e differenza   Furono già comparati quando si esaminarono Diffe-   renza e accidente.   c) — Accidente e specie   Furono già comparati quando si esaminarono insieme Specie  e accidente.   d) — Accidente e proprietà   Or ora esaminati come Proprietà ed accidente.   L'Isagoge si chiude con Tosservazione che altri elementi  comuni o diversi tra le cinque voci oltre i già notati ci sono,  ma quelli notati bastano a distinguerli e ad intendere quel che  hanno di comune.    44    AUGUSTO GUZZO    25. — Tanto del primo quanto del secondo commento boe-  ziano abbiamo già esposto ciò che riguarda il celebre prologo  sulla realtà o meno degli universali.   Ci tocca ora dire qualche cosa sul complesso dei due com-  menti, che tanta autorità ebbero in tutto il Medio Evo, e tanto  contribuirono a dare alla mentalità delle nazioni di cultura  latina quella struttura rigorosamente logica che è rimasta loro  caratteristica.   Lo scopo da Boezio assegnato al primo commento è assai  semplice, giacché non va oltre la illustrazione del testo. Boezio  evita di accendere questioni, anche se il testo vi si presti. Solo  quando le obiezioni vengono cosi spontanee che non risolverle  vorrebbe dire non comprendere quel che dice Porfirio, solo  allora Boezio interviene per chiarire il pensiero delPautore, giu-  stificare le sue espressioni, e quindi, sgombrate le difficoltà,  tornare alla illustrazione del testo.   Dove Porfirio propone più classificazioni, Boezio cerca di  connetterle tra loro, in maniera da renderle più facilmente assi-  milabili al lettore. E dove Porfirio accenna appena a teorie  assai note fra gli studiosi, ma forse poco possedute dai princi-  pianti, Boezio interviene a rammentare tali teorie, e a trattarle,  sebbene compendiosamente, in modo da fornire al lettore princi-  cipiante, al quale il primo commento è diretto, le nozioni neces-  sarie per intendere il testo di Porfirio.   Così Boezio torna due volte sulla teoria della definizione, la  quale, facendosi per genus et differentianij è possibile solo per  gli individui (definiti entro la loro specie), per le specie (defi-  nite entro il loro genere!, e per i genej-i subalterni (definiti  entro il genere immediatamente superiore, fino ai generi gene-  ralissimi), ma non per i generi generalissimi, i quali, non avendo  nessun concetto più elevato sopra di sé, non possono essere  definiti, cioè determinati entro Pambito di un concetto più vasto.  Onde, non potendosi definire, possono solo descriversi, con Pin-  dicarne le proprietà.    l’isagoge di PORFIRIO E I COMMENTI DI BOEZIO    45    Un accenno, abbastanza ampio, è fatto da Boezio, come già  da Porfirio, alla teoria platonica della divisione, che da ciascun  genere generalissimo, mediante dicotomia, cioè divisione in due,  giunge fino alle specie specialissime.   Abbiamo già detto che Boezio cerca di rendere più evidente  il nesso che stringe talune classificazioni che Porfirio presenta  runa dopo l’altra, senza unificarle in un solo quadro comprensivo.  Questo avviene specialmente per le classificazioni che riguar-  dano le differenze.   Si rammenterà che Porfirio anzitutto classifica le differenze  in differenze comuni, proprie e più proprie o rigorose; comuni,  tutte le differenze per le quali siamo diversi da altri o da noi  stessi (tu cammini, io seggo, oppure: ora io seggo, dopo cammino);  'proprie le differenze individuali (capelli crespi, occhio cieco,  ecc.); rigorose^ le differenze che riguardano tutta la specie (ra-  gionevole, irragionevole, ecc.). Le quali ultime differenze sono  le differenze specifiche, con le quali si procede a dividere i  generi in specie. Ma questa prima classificazione può semplifi-  carsi quando si avverta che tanto le differenze comuni quanto  le proprie si limitano a rendere alterato il soggetto, mentre  solo le differenze specifiche lo rendono altro.   Si può dire dunque che le differenze si dividono in differenze  che rendono alterato il soggetto e differenze che lo rendono altro.   A questa prima classificazione Porfirio fa seguire la seconda;  le differenze sono o separabili o inseparabili. Questa seconda  classificazione si può collegare con la prima osservando che  solo le differenze comuni sono separabili (il sedere, il correre,  ecc. sono diff'erenze che non persistono, e sono quindi separabili  dal loro soggetto), mentre le differenze proprie e più proprie,  cioè quelle che riguardano l’individuo persistendo in lui e quelle  che riguardano l’intera specie, sono inseparabili (tanto un occhio  cieco quanto la ragionevolezza sono caratteri differenziali perma-  nenti, e quindi inseparabili dal soggetto che li possiede). Senon-  chè, di queste differenze inseparabili, le individuali o proprie    46    AUGUSTO GUZZO    alterano il soggetto, ma non lo rendono altro (la cecità altera  un uomo, ma lo lascia uomo), mentre le specifiche o più proprie  rendono altro il soggetto (la ragionevolezza rende Tuomo altro  dai bruti).   E inoltre, delle differenze inseparabili, le individuali sono  partecipate in misura diseguale, le specifiche sempre egualmente.  Ad esempio, i capelli biondi son carattere differenziale di indi-  vidui che sono Tuno più biondo, Taltro meno biondo; mentre  la ragionevolezza è carattere differenziale della intera specie  umana, i cui individui, in quanto sono uomini, sono tutti egual-  mente partecipi della ragione.   Terza classificazione è quella per la quale le differenze si  dividono in differenze divisive del genere e differenze costitutive  delle specie. Son le medesime differenze che, prese in modo  diverso, risultano una volta divisive del genere, un'altra costi-  tutive delle specie. Se prendiamo le differenze contrarie « ragio-  nevole e irragionevole > , esse dividono il genere «animale»;  e se, dopo, prendiamo le differenze contrarie « mortale e immor-  tale », esse dividono l'inferiore genere « animale ragionevole ».  Ma se prendiamo le differenze subalterne < ragionevole » (con-  cetto più ampio) e « mortale » (concetto restrittivo), queste  differenze subalterne costituiscono la specie dell'animale ragio-  nevole mortale, cioè dell'uomo.   Cosi la teoria delle differenze si avvia nel primo commento  boeziano a quella matura unità che raggiungerà pienamente  nel secondo commento.   26. — Ma forse più di queste particolari delucidazioni, che  tuttavia contribuiscono alla elaborazione della salda logica  medievale, riesce interessante il breve schizzo che del sapere  del tempo Boezio premette al suo commento.   Nel dialogo filosofico che egli immagina si fa chiedere dal  giovane Fabio una illustrazione e prima una introduzione al-  l'Isagoge di Porfirio. L'introduzione indicherà delPIsagoge Vin-    l’isagoge di PORFIRIO E I COMMENTI DI BOEZIO    47    tentOy Vutiliià\ se ci sia altro libro ad essa germano; la ragione  del titolo, ed a qual parte della filosofia si riconduca. Sei punti,  dunque, tratterà Boezio, sulle orme di quel che già aveva fatto  il greco Ammonio nel suo commento alllsagoge.   \Jintenio è trattare del genere, della specie, delle differenze,  delle proprietà e degli accidenti.   futilità deirisagoge è anzitutto quella d’introdurre alle  Categorie di Aristotele, ma è anche più vasta.   Occorre, però, per intenderla, avere un chiaro concetto di  che sia la filosofia. Essa è amor di sapienza, che, non bisognosa  di nulla, « vivax mens et sola rerum primaeva ratio est >. E  questo amore di sapienza è illuminazione dello spirito che conosce  da parte di quella pura Sapienza, e in qualche modo è un richiamo  che questa fa deU’animo umano perchè torni ad essa, di maniera  che il desiderio di sapienza è desiderio e amore della divinità  e amore della pura mente divina.   È questa sapienza che riconduce alla forza e purezza natu-  rale le anime umane. Da essa nasce la verità delle specula-  zioni e dei pensieri e la santa e pura castità delle azioni. Il  che mena direttamente alla divisione della filosofia, che è il ge-  nere, in teoretica o speculativa, e pratica^ o attiva. (0 e II sono le  due lettere che spiccano su la veste della Filosofia nel Be Conso-  latione Philosophice). La teoretica, poi, ha tante parti quanti sono  gli oggetti che considera: si divide quindi in:   1) — Teologia o dottrina di ciò che è sempre uno e me-  desimo, fermo sempre nella sua divinità, non accessibile ai  sensi, ma solo alla mente ed all’intelletto: la quale specula-  zione studia Dio e la incorporeità dello spirito;   2) — Dottrina che si occupa di tutte le opere celesti del-  la suprema divinità, di ciò che nel mondo sublunare ha animo  più beato e sostanza più pura, ed infine delle anime umane:  tutte cose che, fatte di sostanza intelligibile, al contatto dei  corpi, da intelligibili divennero soltanto intelligenti, in maniera    48    AUGUSTO GUZZO    che possono ora divenire più beate per purezza ed intelligenza  quando si volgano ed applichino alle cose intelligibili ;   3) — Dottrina dei corpi, o Fisica, che illustra la natura  e le passioni dei corpi.   Di queste tre parti della filosofia teoretica la seconda è meri-  tamente collocata nel mezzo perchè ha da una parte Tani-  mazione e vivificazione dei corpi, dalFaltra la considerazione  e conoscenza delle cose intelligibili.   27. — Anche la filosofia pratica si divide in tre parti:   1) — VEtica^ che s’orna ed accresce di virtù, nulla am-  mettendo nella vita di cui non possa essere soddisfatta, e niente  facendo di cui debba pentirsi;   2) — la Politica, che assumendosi la cura dello Stato prov-  vede alla salvezza di tutti con la saldezza della sua 'preveg-  genza e prudenza, con Tequilibrio della giustizia, con la sal-  dezza della fortezza e la pazienza della temperanza;   3) — V Economia, che si occupa del buon andamento della  vita famigliare.   Alle quali parti già descritte della filosofia si aggiunge da  vicino queirarte che i Greci chiamano Logica: parte della filo-  sofia 0 suo strumento?   Boezio rimette la trattazione di questa questione ad una  altra opera, che è poi il secondo commento. Intanto osserva  che questa disputa sul genere, la specie, la differenza, la pro-  prietà e l’accidente prepara la via a tutto lo studio della filo-  sofia. Col dire cosa sia genere e cosa sia specie ci fa inten-  dere che la filosofia è genere, e teoretica e pratica sono specie.  Col dire cosa sia differenza, ci rende possibile di intendere se  la logica sia una specie della filosofia, differente, quindi,  dalle altre specie. Col dire cosa sia proprietà, ci spiega la na-  tura propria di ciascuna differenza della filosofia. Col dire cosa  sia accidente ci guarda dal mettere tra le cose principali ciò    l’isagoge di PORFIRIO E I COMMENTI DI BOEZIO    49    che è secondario. Cosi la conoscenza di queste cinque voci  spande i suoi rami in tutte le parti della filosofia.   Utile alla grammatica a cui insegna che il discorso è il ge-  nere e otto sono le sue parti o specie; utile alla retorica, a  cui permette di distinguere tre generi di causa, ciascuno diviso  in specie a seconda dei soggetti: utilissima alla logica, che  nulla potrebbe definire (per genere e differenza) se non sapesse  cos'è genere, cos’è specie, cos’è differenza, ecc. ; nulla potrebbe  dividere se non fosse guidata dalla conoscenza delle cose che  divide (i generi e le specie); e nulla potrebbe dimostrare giacché  la verità delle dimostrazioni sta nei provare ciò che si divide  o qualcos’altro mediante le cose che si son divise.   E l’Isagoge di Porfirio precede tutta la logica aristotelica,  perchè senza di essa non si intenderebbero la sostanza e i nove  accidenti di cui è parola nelle Categorie. Le quali voci signi-  ficative sono quelle di cui si compongono le proposizioni, di  cui si tratta nel « De interpretatione » . Le quali proposizioni  sono quelle di cui si compone il sillogismo, il cui ordine, la  cui struttura e le cui figure sono studiati negli « Analitici  Primi », perchè sia poi possibile studiare il sillogismo dialet-  tico nella « Topica * e il sillogismo dimostrativo negli « Ana-  litici Secondi » .   Cosi l’Isagoge di Porfirio è la base prima di tutta la logica  aristotelica.   28. — Come nel corso del primo commento non sono rare  le occasioni in cui Boezio è costretto a notare le imperfezioni  e le oscurità della versione di Mario Vittorino, cosi nel seconc^o  commento Boezio presenta una traduzione propria, che indubbia-  mente è assai più scorrevole e chiara dell’altra. La versione  è intercalata nella esposizione, che procede meno pedestr e che  nel primo commento, e che, specialmente nei primi fr a i cinque  libri, mostra un vigoroso proposito di rendere più robusta, più  rigorosa ed organica la trattazione porfiriana.    50    AUGUSTO GUZZO    Il secondo commento si inizia con alcuni paragrafi dedicati  alla filosofia in generale, alle sue parti, alle sue utilità, ecc.   Se la filosofia - dice Boezio - è il più alto bene degli animi,  converrà precisamente muovere dalle facoltà delFanima. Una  forza deH’anima è quella vegetativa, comune anche alle piante,  che non hanno sensi; un’altra è la sensitiva, che dove sorge  assume la prima come sua parte; una terza è la intellettiva,  che non si limita a sentire e a rammentare, ma anche esplica  e conferma, con pieno atto di intelligenza, quel che Timmagi-  nazione sopperisce. La qual potenza della ragione si esercita  a indagare, anzitutto, se una cosa sia, poi che sia, poi quale sia,  infine perchè sia.   Ma, perchè il pensiero sia preservato dal pericolo di cadere  nel falso, occorre anzitutto una disciplina che, studiando le  maniere di disputare e gli stessi ragionamenti, possa additare  qual ragionamento risulti ora falso, ora vero, quale sempre falso  quale non mai falso. Della quale scienza - la logica - è duplice  l’uso nell’inventare e nel giudicare: topica e dialettica, trattate  entrambe da Aristotele, ma la prima trascurata dagli Stoici.   Ora, questa logica è una parte della filosofia o è solo il  suo strumento? - Quelli che la considerano parte della filosofia  ragionano così: delle proposizioni, dei sillogismi, ecc. solo la  filosofia si occupa. Dunqne sono oggetto di filosofia. Ma, delle  due grandi parti della filosofia, la speculativa che si occupa  delle cose naturali, e l’attiva che si occupa della morale, nessuna  tratta del discorso, dei giudizi, dei ragionamenti: dunque quella  disciplina filosofica che d’essi si occupa non può non essere  considerata una nuova parte della filosofia; donde la triparti-  zione di questa in: logica, fisica, etica. Coloro i quali invece so-  stengono che la logica sia strumento della filosofia, non sua parte,  osservano che questa scienza della ragione è diretta o a conoscere  le cose (fisica) o a trovare quei principi di morale che producono  la beatitudine. Dunque, essi, dicono la logica serve sempre o  alla fisica o all’etica. Boezio è del parere che le due teorie non    l’isagoge di PORFIRIO E I COMMENTI DI BOEZIO    51    si escludano a vicenda: niente vieta che la logica sia ad un  tempo parte e strumento della filosofia; parte in quanto ha  innegabilmente un fine proprio, distinto dalla fisica e daH’etica;  strumento in quanto, altrettanto innegabilmente, essa serve così  all’una come aH’altra. Del resto, nel nostro corpo, ciascun  organo è al tempo stesso parte e strumento : la mano rispetto  all’organismo intero è strumento; per sè, intanto, è parte.   29. — Ma veniamo allo scopo di questa introduzione porfi-  riana alle Categorie di Aristotele. Queste sono i dieci generi di  predicamenti: può intenderli dunque chi sappia che sia il genere.  Di ciascuno di essi si dànno varie specie (varie specie di so-  stanza, di qualità, ecc.): ed anche ciò presuppone si sappia che  sia specie, e che sia la differenza per la quale ciascuna specie  si allontana dall’altra e l’un genere dall’altro. Inoltre, ogni  genere ha le sue proprietà, mediante le quali può essere descritto.  E dei dieci predicamenti, nove sono accidenti. Donde la neces-  sità di saper bene che sia proprietà e che sia accidente per  intendere le Categorie aristoteliche.   Ma Porfirio spesso indica l’utilità della sua introduzione per  le definizioni, le divisioni e le dimostrazioni, oltreché, come già  si è visto, per l’intendimento delle Categorie aristoteliche. Per  le definizioni, perchè bisogna ben distinguere il genere prossimo  e la differenza specifica per fare una giusta definizione; per  la divisione in tutte le varie sue specie, giacché vanno distinte  divisioni dei concetti presi in sè stessi e divisioni accidentali.  Le divisioni dei concetti presi per sè stessi sono di tre ordini :   1 ) — divisione del genere nelle sue specie ;   2) — distinzione dei vari significati di una parola;   3) — partizione d’un tutto nelle sue varie parti. '   Le divisioni accidentali sono anche di tre ordini:   1) — divisione di un accidente secondo i soggetti che lo  ricettano ( c dei beni, alcuni sono nell’anima, altri nel corpo » )    ***    62    AUGUSTO GUZZO    2) — divisione di un soggetto secondo gli accidenti (« dei  corpi, taluni sono (bianchi, altri sono neri » ) ;   3) — divisione di un accidente secondo altri accidenti  ( « delle cose bianche, alcune sono dure, altre liquide, altre  molli >).   Per tutte queste divisioni occorre sapere che sia genere e  che sia differenza, quando luna parola abbia un significato solo  (univoca) e quando più significati (equivoca), e che sia una  parte e che una specie; occorre inoltre ben distinguere sostanze  ed accidenti.   Infine, Tintroduzione porfiriana è utile per le dimostrazioni,  giacché queste si fanno o da cose già note, o da cose conve-  nienti, 0 dalle prime cose, o dalla causa, o dalle cose connesse,   0 dalle cose inerenti. In ciascuno di questi casi bisogna sapere  che sia genere e che sia differenza, e che sia specie, giacché sono   1 generi quelli che sono anteriori per natura alle specie, e  quindi di esse più noti, e sono i generi e le differenze le cause  delle specie.   30. — Il secondo libro .tratta del genere con un manifesto  desiderio di porre più rigore nella trattazione .porfiriana, magari  rifacendosi da teorie più vaste, che sembrano essere presup-  poste da ciò che dice Porfirio. (Cosi, per esempio, per illustrare  i significati, che Porfirio espone, della parola genere, che si  riferisce a volte al progenitore da cui una gente deriva, a volte  al luogo da cui una gente proviene, Boezio richiama la celebre  dottrina aristotelica delle quattro cause, efficiente, materiale,  formale e finale, alle quali aggiunge due principi accidentali,  il luogo e il tempo. Quando si parla del genere dei Romani,  cioè dei discendenti da Romolo, si indica in costui la causa  efficiente della stirpe; quando invece si dice: «Pindaro Tebano»,  si indica in Tebe il luogo da cui Pindaro i proviene).   Boezio insiste ancora sulla differenza tra descrizione e defini-  zione: 'il genere non può essere definito, chè, per essere defi-    l’isagoge di PORFIRIO E I COMMENTI DI BOEZIO    53    nito, dovrebbe avere un altro genere sopra di sè, e, quando  avesse un genere sopra di sè, sarebbe specie, non genere; sicché,  non potendo essere definito, il genere è descritto, cioè ne ven-  gono indicate le proprietà, che sono come i colori con i quali  si dipinge un quadro. L’intera teoria del genere, della differenza,  della specie, della proprietà e dell’accidente, è chiusa come in  un prospetto nelle seguenti classificazioni boeziane.    Ciò che si Ciò che si predica   predica di di più cose   una cosa sola |    54    AUGUSTO GUZZO    S   ’o   'in   O ®   og O   ce 05  S  ce p!   ce    <e   •1-^   ' Ph   o   u   Ph    o   <v   Ph   m   'P —    ce ^    03   S   O -M   ■Tj ■  p P  ce P ■  cr  ^ cS   a ^      p   p   p   iJ}    OJ   co   a?   a;   pO   o   a   O)   G   *S   (p   o   S   *02   OO   ce    03   .3^ P  •'P P -  p cr    .2   P *o   p   ■| £• '   — xs ce   G 'P    ce P  np P  P P    U sé   ce N   .2 G   ’B ®   p 02  P m  — I a;    'p    03   rQ   O .P O   ■TP O  O (D   VP ce  ^ P. P  P    ce p    sostanzialmente accidentalmente    l’isagoge di PORFIRIO E I COMMENTI DI BOEZIO    55    Boezio prosegue, poi, illustrando via via i passi poifìriani  che traduce e riporta: e le sue sono delucidazioni speciali, del  resto assai utili. (Per esempio : in che senso si dice che gli  uomini differiscono tra loro numericamente? - Nel senso che  si dice: « Socrate è un uomo, Platone è un altro uomo »).   31 — Il terzo libro tratta delle specie (e non prima della  differenza nonostante che la differenza, contenendo in sè più  specie, sia ad essa anteriore, perchè la specie è specie del  genere, come il genere è genere della specie, epperò vanno  studiati in connessione Puno con l’altra).   Le illustrazioni, per solito, non aggiungono nulla di nuovo.  Interessante può essere Patteggiamento di osseqio ad Aristotele  su le questioni delle dieci Categorie ; atteggiamento che è di  Porfirio e non viene mutato da Boezio. Nè i dieci predicamenti  possono ridursi tutti dXVente, perchè ente ha significati diversi  secondo che s’applichi alla sostanza, alla qualità, alla quantità,  ecc. Vale a dire è un nome di più significati, e non un genere  d’un significato solo.   Del resto, come ogni predicamento cosi ogni predicamento  è un predicamento ; sicché se ente fosse gen^ e, i dieci predi-  camenti avrebbero due generi: ente e uno\ e ciò è assurdo,  perchè non si può appartenere a più di un genere.   32. — Il quarto libro tratta della differenza, ripetendo lo  sforzo, visibile già nel primo commento, di dare organicità ed  unità alla trattazione porfiriana dell’argomento col connettere  insieme le varie classificazioni, tutte svolte da una distinzione  fondamentale, tra differenze sostanziali e differenze accidentali,  e col condannare più risolutamente di Porfirio quelle defini-  zioni che « idem per idem definiunt » quando dicono che < dif-  ferenza è ciò per cui una cosa differisce da un’altra», e che  non precisano davvero cosa sia differenza quando la definiscono  «ciò per cui una cosa dista da un’altra», potendosi una cosa    56    AUGUSTO GUZZO    allontanare da un'altra per qualità del tutto accidentali che  non costituiscono diiferenze in senso proprio.   Il medesimo quarto libro tratta anche della proprietà, ri-  spetto alla quale osserva che, se Tessere di una cosa è espressa  dal suo genere, dalla sua differenza e dalla sua specie, le sue  proprietà non costituiscono la sua sostanza, ma qualcosa di ac-  cidentale, sebbene si chiamino proprietà, e che quando Porfirio  distingue proprietà di quattro sorte, non intende enumerare  quattro specie del genere proprietà, ma indicare i quattro si-  gnificati diversi nei quali si parla di proprietà.   Il quarto libro tratta infine delTaccidente, condannando, più  di Porfirio, la distinzione puramente negativa, per la quale « ac-  cidente è ciò che non è nè genere, nè differenza, nè speqie, nè  proprietà » .   33. — Il quinto libro illustra la comparazione che Porfirio  istituisce tra le cinque voci senza alcuna particolare osserva-  zione.   Notevole è tuttavia che Boezio non lascia passare la divi-  sione porfiriana delTanimale razionale in animale razionale  mortale (Tuomo) e animale razionale immortale (Dio) senza  notare che ciò si poteva dire quando si ritenevano il Sole e gli  altri corpi celesti animati e divini.   34. — Su questi testi si chinarono, per generazioni e gene-  razioni, gli uomini del medioevo, come su libri di profondis-  sima sapienza. Se TEuropa uscì dal medioevo cosi fortemente  razionalistica, essa s'era fatta la sua potente quadratura logica  meditando su questi ultimi fra gli antichi, lungamente vene-  rati e studiati.     DATE DUE    UNIVERSITY PRODUCTS, INC. #859-5503    445253    BOSTON COLLEGE    3 9031    32488    does not CTBCULATE    ^ GUZZO. .   697   .173   G9    Bapst Library   Boston College  Chestnut Hill, Mass. 02167 

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