Non bisogna cedere alla facile tentazione erudita di dare troppi precursori al fascismo, come si è fatto da taluno in questi ultimi tempi. Il fascismo ha molti precursori e e non ne ha nessuno. Non ne ha nessuno se alla parola « precursore » si dà un significato strettissimo o letterale, ne ha molti se la stessa parola viene interpretata in un senso più lato. ln quest'ultima categorià può esser posto Vincenzo Gioberti. Ecco un autore che appare oggi « attuale » più di quanto non fosse fra il 1840 e il 1850 o anche semplicemente venti anni fa. Ci sono nelle pagine dei suoi libri notazioni, istruzioni, moniti, previsioni che il tempo ha confermato. Si vuole oggi, dal fascismo, una gioventù studiosa, che sia forte nel corpo come nello spirito. Or ecco come il Gioberti, a proposito della necessità dell'educazione fisica giovanile, si esprimeva nel suo Primato: « I giovani indurino il corpo avvezzandolo al sole, allenandolo alla corsa e ai ginnici esercizì, rompendolo alle operose veglie e alle utili fatiche, costringendolo a nutrirsi di cibi frugali, a posare su dura coltrice e assoggettandolo in ogni cosa allo imperio dell'animo, il quale col domare i sensi; si rende libero e franco e si dispone ai nobili affetti, ai vasti e magnifici pensieri ». Il fascismo ha battuto sempre in breccia certi persistenti snobismi linguaioli, che sono ormai superstiti soltanto in piccoli gruppi. Vedete come Gioberti flagellava gli esotismi del tempo che facevano preferire le lingue straniere all'italiana, l'abietto « forestierume », come, con parola di scherno supremo, diceva il Gioberti: « Riscuotano dunque se stessi da ogni ombra di forestierume, non solo nelle cose gravi ma anco nelle leggere, perché queste concorrono a informare il costume, che in opera di mutazioni morali è la somma del tutto. E non lieve faccenda, ma gravissima e importantissima è la lingua nazionale così per la stretta ed intima congiuntura dei pensieri con le voci, onde gli uni tanto valgono quanto l'espressione che li veste (dal che segue che le parole non sono pur parole, ma eziandio cose) come perché essendo ·la favella lo specchio più compito e più vivo delle specialità morali e intellettive di un popolo, chi la trascura e disprezza non può essere veramente libero, né aver cara l'indipendenza e la libertà della patria. Perciò indizio grave di servilità e di declinazione civile e prova non dubbia di poco amore verso il luogo natìo, è il trasandare la propria loquela e il vezzo di parlare o di scrivere senza bisogno di lingua forestiera. Tale indegno costume è altresì basso e vile! ». Pochi scrittori hanno, più del grande pensatore torinese, posto in rilievo la somma importanza della lingua nella vita di un popolo e i pericoli insiti nel trascurarla o avvilirla. L'ostracismo che il regime ha dato agli eccessivi dialçttismi e ai tentativi di creare su basi regionali delle letterature dialettali, trova la sua più alta giustificazione in questo superbo brano ,di prosa giobertiana. E da ricordare che il Gioberti definisce la italiana come « la più bella delle lingue vive ». « Lo stile, dice Giorgio Buffon, è l'uomo; lo stile e la lingua, dico io, sono il cittadino. La lingua e la nazionalità procedono di pari passo, perché quella è uno dei principi fattivi e dei caratteri principali di questa, anzi il più intimo e fondamentale di tutti, come il più spirituale, quando la consanguineità e la coabitanza poco servirebbero ad unire i popoli unigeneri e compaesani, senza il vincolo morale della comune favella. E però il Giordani insegna che "la vita interiore e la pubblica di un popolo si sentono nella sua lingua", la quale "è l'effige vera e viva, il ritratto di tutte le mutazioni successive, la più chiara e indubitata storia dei costumi di qualunque nazione e quasi un amplissimo specchio in cui mira ciascuno l'immagine ·della mente di tutto e tutti di ciascuno". E il Leopardi non dubitò di affermare che "la lingua e l'uomo e le nazioni per poco non sono la stessa cosa" ». Parole queste che non saranno mai abbastanza meditate. Quanto alla missione di Roma nella storia italiana e in quella europea e universale, ecco alcune citazioni di Gioberti che hanno un sapore attualissimo. « Il genio orientale affine a quello dell'Italia, se non altro perché Roma fu una volta e sarà forse di nuovo un giorno, se posso così esprimermi, l'oriente dell'Oriente ». « Roma in effetto, nel bene come nel male, nei tempi antichi come nei moderni, è arbitra suprema e norma delle genti italiche ». La figura di Gioberti, quale filosofo e patriota, ci è giunta un poco deformata dalle polemiche del tempo. Ma bastano le citazioni di cui sopra per far vedere che la portata educatrice del pensiero giobertiano, non è diminuita con le vicende del tempo. Gioberti è « attuale », anche e soprattutto oggi, nell'Italia del Littorio.
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