Niccolò Giani MISTICA DELLA RIVOLUZIONE FASCISTA Antologia di scritti, 1932-1941, pp. 302, euro 15.00 In libreria dal 27 novembre In breve: «Siamo mistici perchè siamo degli arrabbiati, cioè dei faziosi, se così si può dire, del Fascismo, uomini [...] partigiani per eccellenza e quindi anche assurdi [...]. Del resto nell’impossibile e nell’assurdo non credono gli spiriti mediocri. Ma quando c’è la fede e la volontà, niente è assurdo». (Niccolò Giani) Un’antologia che raccoglie i più significati testi di Niccolò Giani, tra i massimi esponenti della corrente più radicale, oltranzista e universale del Fascismo, la Scuola di Mistica Fascista. Questa antologia rappresenta la prima raccolta organica dei più significativi scritti di Niccolò Giani nel periodo che va dal 1932 al 1941. È, a nostro giudizio, il modo migliore per illustrare senza filtri la sua persona, il suo pensiero e la sua azione. È un omaggio doveroso al testimone di quello che fu il Fascismo universale e intransigente che mai scese a compromessi con la “vita comoda”, al rinnovatore spirituale e politico di una intera generazione. Esempio di eroismo che, al di là della contingenza storica, seppe essere coerente con i propri principî vivendo l’ideale sino all’estremo sacrificio; quasi innalzando il Fascismo ad una categoria universale dell’essere, come fonte inesauribile di spiritualità cui innestarsi per fare la rivoluzione dell’uomo e del mondo. Niccolò Giani, nato a Muggia il 20 giugno 1909, cadde sul fronte greco il 14 marzo 1941, nello slancio del combattimento, trasfigurato ormai nell’eroismo muto. Dimostrò con la vita affermata oltre la morte, l’armonia tra pensiero e fede, la continuità tra dottrina ed azione, e della autentica Rivoluzione rimane il puro rappresentante della giovinezza nuova: per questo il suo esempio sarà il seme fecondo dell’aspro cammino di domani. Seppe con l’azione indicare la strada, con l’intransigenza insegnare l’esempio. I «tesserati» furono i suoi avversari. Contro di essi combatté, contro cioè i falsi, i presuntuosi, gli esibizionisti, i retorici, gli arrivisti; contro coloro, insomma, che considerarono la Rivoluzione come atto di ordinaria amministrazione, sfruttabile per fini personali. Il Cinabro Ufficio stampa ufficiostampa@ilcinabro.it INDICE: Saggi introduttivi: - Luca Leonello Rimbotti: Mistica Fascista. L’ordine della Milizia sacra - Maurizio Rossi: La Mistica Fascista dell’Uomo Nuovo. Tra milizia politica e metapolitica la scuola rivoluzionaria del Fascismo *** Introduzione: - Fernando Mezzasoma: Niccolò Giani discepolo di Arnaldo *** Decalogo dell’Uomo Nuovo La marcia ideale sul mondo della Civiltà fascista Generazioni di Mussolini sul piano dell’Impero Civiltà fascista civiltà dello spirito Aver Coraggio A difesa dell’Europa Fuori La mistica come dottrina del fascismo Le due Europe Mistica del fascismo, Corporativismo e Autarchia Il Centro di preparazione politica per i giovani. Fucina di Campioni della Rivoluzione Valore primordiale del “Covo” I soliti imbecilli L’equivoco Perché siamo dei mistici Il volto della guerra Testamento spirituale al figlio Niccolò Giani: Presente!Mistica Della Rivoluzione Fascista “E questo diritto alla prima linea, ad essere i disperati del Fascismo, è l’unica pretesa che, oggi, domani, sempre, i mistici del Fascismo accamperanno di fronte alla Rivoluzione, come, con vena veramente squadrista, ha detto Guido Pallotta nella sua relazione che ha avuto lo spirito e la mordenza del «menefreghismo» più autenticamente fascista. Prima linea, sul fronte esterno ed interno, contro il nemico di fuori e di dentro. Contro gli attentatori della nostra integrità territoriale, ma anche, e con uguale decisione e durezza, contro gli attentatori della nostra integrità spirituale.” (Niccolò Giani) Le conseguenze derivate dalla fine del primo conflitto mondiale e l’immediatarossi 5 crisi strutturale delle istituzioni e dei valori che investì, con una forza che non aveva avuto precedenti nella storia, le società europee, vennero allora giudicate come l’annuncio di un radicale mutamento di tutte le forme della vita politica e civile fino ad allora conosciute e complessivamente accettate. Una deflagrazione interna dei costumi, di certezze consolidate e di mentalità che modificò in maniera irreversibile l’immaginario collettivo di popoli e nazioni. Niente sarebbe più stato come prima. Uno Spirito nuovo si affacciava con ruvida decisione e realismo eroico reclamando il proprio posto nella Storia. L’alba delle grandi rivoluzioni si affacciava sul continente europeo e i popoli si sarebbero messi in marcia affascinati da nuove e esaltanti Weltanschauung. Per Arthur Moeller Van Den Bruck, uno dei primi e tra i più significativi esponenti della Rivoluzione Conservatrice tedesca, si tratterà di una presa di posizione a carattere diffuso più che evidente: “Assistiamo all’evento per cui tutto quel che non è liberale si unisce contro quel che è liberale. Noi viviamo i tempi di questa agitazione mondiale, che si produce per una estrema consequenzialità, e che si esplica in una rivoluzione radicale che prospetta la perdita da parte del nemico della sua posizione di potere: tale nuova situazione mondiale esordisce con un allontanamento dall’Illuminismo.” Il periodo che immediatamente fece seguito al termine di un conflitto di così immensa portata, venne visto dai più attenti e acuti osservatori incredibilmente saturo di una genuina e stupefacente valenza rivoluzionaria e innovatrice, ciò significò l’inizio di una nuova stagione di entusiastiche mobilitazioni che avrebbero alla fine tonificato la fibra morale e politica del continente fino ad allora logorata ed estenuata da sovrastrutture ipocrite e corrose nel loro intimo che erano riuscite, attraverso innumerevoli sotterfugi, a sopravvivere a se stesse, sempre più annichilite da un pervasivo decadentismo culturale e morale e dal predominio di una mentalità borghese e oligarchica connotata dalle sue più perniciose vedute utilitaristiche e mercantilistiche. Le conseguenze della fine della grande guerra significarono soprattutto una presa di coscienza collettiva e un’accelerazione formidabile dei fenomeni sociali, accompagnate entrambe da una esigenza totalmente nuova di considerare l’esistenza e i rapporti umani, esigenza che venne principalmente percepita prima dai combattenti e poi dai reduci come il frutto maturo della traumatica e allo stesso tempo travolgente esperienza della guerra di trincea, insomma un insieme di condizioni imprescindibili che prepararono il terreno e l’atmosfera per l’avvento delle ondate rivoluzionarie nazionalpopolari che misero in crisi valori e regole consolidate da tempo, assestando colpi mortali alle strutture politiche, sociali e culturali delle società borghesi liberal-democratiche. Dalle forme statiche si passava alle forme dinamiche, nel senso jungeriano del termine. Il Fascismo sarà la matrice principale che inaugurò la feconda ed entusiasmante stagione delle insurrezioni nazional-rivoluzionarie e il primo laboratorio culturale delle ancor più affascinanti sintesi nazionali e sociali. Furono infatti i reduci del fronte, gli ex-combattenti che avevano creduto fino in fondo ad una particolare visione eroica della vita propria di una ideologia della guerra sviluppatasi nell’interiorizzazione del sacrificio bellico e del sangue versato – subendo poi la frustrazione di una vittoria conseguita sul campo di battaglia a duro prezzo che videro mutilata negli accordi di pace internazionali – a rappresentare la spina dorsale di una innovativa e volontaristica visione politica che pretendeva di coniugare un nazionalismo intransigente e guerriero partorito nelle trincee con le più avanzate e spregiudicate chiavi di lettura sociali. La grande guerra di popolo aveva travasato nei combattenti il senso della tensione nazionale e sociale verso scopi e missioni comuni, una nuova coscienza collettiva che sarebbe stata cementata da un formidabile sentimento di fraterno e virile cameratismo, il culto della differenza e del radicamento nella specificità etnica della Stirpe italica. Gli squadristi fascisti non fecero altro che travasare tutti questi motivi nelle battaglie di piazza. Sorti dalla guerra di popolo, divennero avanguardia di popolo. E il 28 Ottobre 1922 sarà il coronamento dei loro sacrifici, la loro apoteosi. D’altronde era stato lo stesso Mussolini a dire che l’esperienza della guerra avrebbe generato le migliori condizioni per la rivoluzione sociale e politica. Anzi, ne sarebbe stata la prefazione. Era il novembre 1916 e Mussolini combatteva sul fronte del Carso, nei ranghi del 11° Reggimento Bersaglieri: “Noi vinceremo la guerra: ma poi dovremo vincere la pace. Sarà duro; ma ci arriveremo. La società italiana deve assolutamente mutare. (…) Sui giovani bisognerà contare. Questa guerra che noi combattiamo e che con tragica definizione viene detta di logoramento, porterà alla ribalta delle lotte civili una generazione che riuscirà a fare quello che la nostra non è riuscita a fare: il riscatto sociale e politico del mondo del lavoro, al di sopra e al di fuori dei dottrinarismi che oggi lo incatenano. A ciò non saremmo mai arrivati se non avessimo voluto la guerra, rovesciato i vecchi feticci sostituendo alle vuote ideologie i fatti e le loro naturali conseguenze. Questo non sarà solo di noi, ma anche di altri popoli.” Una lucida e profetica anticipazione di quanto sarebbe poi accaduto in tutta l’Europa. Tutto questo si pose, in maniera del tutto naturale, in totale opposizione al principio democratico in politica e a quello liberale nel campo economico, all’insegna di una rivoluzionaria concezione elitaria, fortemente gerarchica e anti-egualitaria che reclamava la valorizzazione delle minoranze attivistiche e carismatiche con la conseguente affermazione del principio guida del Capo, con il mito dello Stato totalitario come asse formante e legittimante della Comunità nazionale e non ultimo la funzione pedagogica del Partito unico, soprattutto mediante una costante mobilitazione politica delle masse, una sacralizzazione della politica attraverso il ricorso a liturgie collettive, miti e simbologie, e una crescente militarizzazione della vita sociale e civile, l’intervento statale attraverso gli istituti del Corporativismo per una razionale direzione disciplinata dell’economia che ponesse termine all’epoca del predominio delle oligarchie mercantilistiche e parassitarie e riportasse la vita economica al servizio dell’interesse collettivo subordinandola alle necessità politiche nazionali. Infine, l’affermazione sovrana di una particolare e severa tipologia umana di nuova impronta che avrebbe rappresentato lo spirito del nuovo tempo: l’Uomo Nuovo, l’Uomo integrale come manifestazione vivente di una Tradizione atemporale che ebbe la volontà e la capacità di tradursi in Rivoluzione. Proprio nel senso di quell’interpretazione che Niccolò Giani seppe dare, facendosi portavoce di quegli ambienti del Fascismo intransigente e rivoluzionario che vollero interpretare al meglio gli insegnamenti mussoliniani: “Il Fascismo è un richiamo violento alla Tradizione, non un ritorno o una ripetizione. Per noi fascisti la Tradizione come lo dice il significato etimologico del termine e come Evola ha documentato, è e non può essere che dinamica. Altrimenti si parlerebbe di conservatorismo o di reazione. Invece, la Tradizione è continua coniugazione, attraverso il presente, del passato e dell’avvenire; è processo inesausto di superamento, è una fiaccola accesa con la quale ogni popolo illumina la propria strada e corre nel tempo verso l’avvenire. Ecco perché, oggi, Rivoluzione e Tradizione non si escludono, ma anzi si identificano e questo spiega il culto che noi abbiamo pel passato e dice ai soliti uomini dai paraocchi che l’italiano del secolo XX non può che essere fascista.” Questa nuova visione della politica rappresentata dal Fascismo rappresentò inequivocabilmente la radicale negazione dei principi emersi dalla rivoluzione francese, una evidente antitesi storica e culturale di quanto fu incarnato dall’illuminismo, che costituì l’essenza di tutte le manifestazioni materialistiche ed economicistiche della decadenza moderna: da quelle individualistiche, liberali e democratiche a quelle cosmopolite, genericamente progressiste e marxiste. Il Fascismo, anche nella sua più vasta comprensione europea, intese proporre in maniera concreta ed efficace un discorso radicalmente alternativo alla politica borghese e alla società borghese richiamandosi al concetto di avanguardia delle idee, un’avanguardia rivoluzionaria che fosse in grado, senza contraddizioni, di saldare assieme passato e presente vincendo così la sfida della modernità, sostituendo il vigore giovanile della passione idealistica e volontaristica alla decadente dissolutezza del conservatorismo borghese e il cameratismo militante radicato nella coscienza popolare alla società atomizzata e polverizzata delle democrazie liberali. Un discorso ambizioso per un’avanguardia che ambiva ad essere al contempo simbolo della genuinità politica e della resurrezione spirituale, una speranza che venne riposta nel mito capacitante dell’Uomo Nuovo creatore di nuovi valori, l’esemplare di una specifica specie umana lanciata alla conquista del futuro senza per questo dover recidere le radici culturali e spirituali che lo mantenevano legato alla propria dimensione storica, etnica e popolare; nei confronti della quale si espresse il Duce parlando nel 1933 all’Assemblea delle Corporazioni: “L’uomo economico non esiste, esiste l’uomo integrale che è politico, che è economico, che è religioso, che è santo, che è guerriero.” Quindi questa figura particolare dell’Uomo Nuovo, capace di raccogliere in sé tutte le sue forze creative, che la cultura rivoluzionaria del Fascismo proponeva e che non mancava costantemente di ricollegare alla stagione dello squadrismo, così intrisa di eroicità e di sacrificio, riconduceva alla stessa definizione dell’Uomo integrale di mussoliniana memoria, ovvero un uomo che non esistesse unicamente perché cartesianamente pensante, ma perché arricchito di tutte quelle virtù “romanamente” intese, eroiche, civiche e politiche, sia nella ragione come nei sentimenti. Spesso e volentieri nell’immaginario intellettuale il discorso sull’Uomo Nuovo si andava a concretizzare poi nell’ideale della gioventù, una gioventù non solamente intesa in senso spirituale ma anche come dato anagrafico, poiché il concetto di gioventù rimandava all’ansia del cambiamento e all’impeto rivoluzionario, racchiudendo in se stessa gli ideali della forza e della bellezza, di una esuberante virilità aggressiva, l’anelito vitale di un futuro tutto da conquistare, proprio l’opposto di quanto ancora proponevano i rappresentanti delle democrazie borghesi con tutte le loro desuete convenzioni e i loro logori formalismi, con tutta la loro boriosa rispettabilità e lasciva ipocrisia. Il Fascismo fu quindi profondamente giovane e irruento, meravigliosamente violento e lo fu sia spiritualmente che anagraficamente. Il comune denominatore della più intransigente e autentica cultura fascista, quella derivata appunto dalla passionale ed eroica stagione dello squadrismo, si trovava nell’aspirazione alla realizzazione di un originale disegno politico ed esistenziale da esplicarsi mediante cambiamenti radicali frutto di una ferma volontà rivoluzionaria che armonizzava i riferimenti alla rivolta romantica dell’interventismo e alla mistica eroica evocata dalla guerra di trincea con i nuovi miti palingenetici di trasformazione della società e dello Stato. Questa cultura dell’azione che si nutriva dello spirito barricadiero di rivolta contro l’ordinamento borghese in nome di un rivoluzionario e fascista Ordine Nuovo era la caratteristica di quell’ambiente fascista che si riconosceva, anche per esperienza diretta, nel mito capacitante delle aristocrazie del combattentismo – quella trincerocrazia più volte evocata da Mussolini – e nella scuola di vita e di coraggio rappresentata dalla militanza squadristica che venne vissuta, letta ed interpretata non solamente come una reazione organizzata e armata volta all’annientamento dei focolai dell’insurrezionalismo marxista, ma soprattutto come militanza rivoluzionaria e idealistica volta alla rigenerazione della Nazione e alla creazione di uno Stato nuovo. Una specifica rilettura che si svolgeva anche in aperta polemica con coloro che ritenevano che la nascita del governo presieduto da Mussolini, all’indomani della marcia su Roma, rappresentasse la fase risolutiva del Fascismo. In questo modo, il Fascismo, doveva e poteva assumere una superiore valenza metafisica affermando il suo essere come un completamento naturale e organico della storia della Nazione italiana, andando ben oltre la semplice insorgenza anti-sovversiva e anti-modernista – non a caso lo stesso Niccolò Giani volle mettere l’accento sul fatto che: “La Rivoluzione Fascista infatti non è stata reazione come qualcuno ha creduto in origine e come tuttora si crede da molti all’estero; è stata invece l’ostetrica della nuova storia. Il 28 ottobre 1922 è sorta una nuova civiltà capace di risolvere tutti i problemi della società contemporanea.” Per costoro, che in fondo rappresentavano la vasta base della militanza fascista e anche quella intellettualmente più viva, l’agire politico del Fascismo non doveva assolutamente compromettersi con i residui della vecchia classe dirigente, che in virtù del processo di normalizzazione e di pacificazione avviato dal Duce si adoperavano nell’inserimento all’interno dei gangli del regime, doveva invece mantenere e tonificare una assoluta intransigenza dottrinaria senza incorrere in alcun cedimento politico e morale, perché se il Fascismo era una rivoluzione, doveva necessariamente procedere nei suoi obiettivi con mentalità e metodi rivoluzionari, come perentoriamente affermò un autorevole esponente dell’epopea squadristica della statura di Roberto Farinacci: “Bisogna insomma che la bestia proteiforme del vecchio conservatorismo sornione sia liquidata bruscamente; che le vecchie clientele d’interessi e d’ambizioni fiorite ai margini della vita politica italiana siano messe in mora, vigilate, controllate, sopra tutto tenute lontane, bisogna che sia impedito a chiunque di rifarsi, attraverso il Fascismo, una qualsivoglia verginità e continuare, sotto mentite spoglie, le abitudini peccaminose del passato. La vittoria deve essere integrale.” Tra gli oppositori più accaniti della deriva moderata si evidenziarono gli ideatori della Scuola di Mistica Fascista, costituitasi a Milano il 10 Aprile 1930, tutti provenienti da quella generazione di giovani dei GUF che era cresciuta respirando l’atmosfera del Fascismo, maturando così una profonda convinzione nei miti fondatori del regime e una fedeltà assoluta nella persona del Duce. Al loro fianco si schierarono altre personalità di spicco del Fascismo rivoluzionario: Berto Ricci con il suo universalismo fascista, Alessandro Pavolini e l’esaltazione della primavera squadristica, Edmondo Rossoni con tutte le aspettative del sindacalismo rivoluzionario. Il 29 Novembre 1931, la Scuola di Mistica Fascista verrà intitolata a Sandro Italico Mussolini, il figlio prematuramente scomparso di Arnaldo Mussolini. Niccolò Giani, Guido Pallotta, Fernando Mezzasoma e molti altri giovani entusiasti, avvalendosi della guida orientatrice di Arnaldo Mussolini, seppero rappresentare, attraverso l’opera che fu sviluppata dalla Scuola, una autentica e intransigente avanguardia intellettuale e morale posta a difesa dei valori espressi dalla Rivoluzione Fascista, che sempre più doveva farsi rivoluzione culturale e antropologica per meglio adempiere alla consegna rivoluzionaria che il Duce del Fascismo aveva dato alle nuove generazioni. Sarà Niccolò Giani a spiegare gli scopi dell’istituzione: “Poiché una mistica è un postulato di tanti credo, e un valore assoluto non lo si può derivare che da una fonte indiscutibile, questa fonte non può essere che il Duce. Ecco perché la fonte deve essere quella, esclusivamente quella. Compito nostro deve essere soltanto quello di coordinare, interpretare ed elaborare il pensiero del Duce. Ecco perché è sorta una Scuola di Mistica fascista ed ecco il suo compito: elaborare e precisare i nuovi valori del Fascismo che sono nell’opera del Duce.” Quindi una rivoluzione culturale, del carattere e dello Spirito che, attraverso interessanti rievocazioni del mito della romanità e della sacralità della Stirpe – rappresentazioni metastoriche e metafisiche della migliore tradizione aryo-romana – sarebbe approdata ad una coesione organica della Stirpe italica costituitasi in Comunità nazionale e avrebbe dato all’Italia fascista il diritto-dovere di adempiere ad una missione universale facendo del Fascismo il crocevia della storia europea del ventesimo secolo e il riformatore dei tratti essenziali della Civiltà contemporanea in ogni suo aspetto, la ripresa e il rinnovamento dell’Europa all’indomani del fallimento della democrazia liberale e delle utopiche promesse marxiste. Aprire la strada al secolo fascista. Certamente nella visione della Mistica fascista elaborata dalla Scuola vi era la ferma consapevolezza che il Fascismo fosse una autentica rivoluzione totale della società italiana: spirituale ed etica, sociale e politica, ma al contempo anche una ripresa di tutte le tradizioni essenziali, però la memoria storica proposta non si sarebbe dovuta risolvere in un ripiegamento nel passato, l’immagine del passato non finì mai per schiacciare la dimensione del presente e tanto meno si configurò come un richiamo intensamente nostalgico, bensì le potenzialità ideologizzanti della rimemorazione storica vennero fatte espandere fino a provocare una vera e propria occupazione del cosiddetto campo dei ricordi – una lotta spirituale e rivoluzionaria per il dominio del ricordo e della memoria – che conducesse ad una riscrittura della cronologia nazionale che rispecchiasse le concezioni del pensiero irrazionalista, anti-intellettualista e pragmatista dei decenni trascorsi, un pensiero profondamente permeato di sfumature di matrice nietzschiana e soreliana. Anche i richiami alla Mistica insita nel Fascismo erano animati dallo spirito di rivolta, contro le mentalità borghesi ancora sussistenti, delle nuove generazioni cresciute ed allevate nelle organizzazioni totalitarie giovanili e universitarie, una rivolta che si manifestava con i forti caratteri di un idealismo morale ed etico qualitativamente aristocratico esprimente l’esaltazione di una giovinezza istintiva, disinteressata e piena di spirito vitale, aggressiva, pura e decisa a dare battaglia a qualsiasi forma di conservatorismo e di borghese “buon senso” pur di affermare il carattere intransigente e le finalità rivoluzionarie sociali e spirituali del Fascismo. Non vi era nessun punto di convergenza con eventuali nostalgie reazionarie, mentre invece era presente una totale e coerente aderenza alle istanze di trasformazione rivoluzionaria che il Fascismo esigeva e che ancor di più il Duce imponeva. Per questi giovani attivisti non vi era altra strada per uscire definitivamente dalla crisi della modernità, esplosa alla fine del primo conflitto mondiale, che con un mutamento radicale del popolo italiano e una tale mutazione antropologica poteva provenire solamente da una fede ben salda che aveva iniziato a germinare in un primo tempo con l’esperienza della guerra nel mito della Nazione in armi, della guerra di popolo, proseguendo poi con l’esaltante epopea della lotta squadristica, per approdare infine nella costruzione dello Stato fascista di popolo, corporativo e totalitario, il compimento finale del rinnovamento sociale e spirituale della Stirpe e della grandezza politica della Nazione. Nel corso degli anni che trascorsero dal 1930 fino all’entrata in guerra dell’Italia nel 1940 la Scuola di Mistica Fascista assolse in maniera esemplare ai compiti che si era prefissata, ovvero l’ambizione di voler rappresentare l’infrangibile scudo morale, etico e dottrinario contro il quale si sarebbero dovute infrangere le velleità dei nemici del Duce e del Fascismo, soprattutto i nemici interni, i più pericolosi, quelli che si annidavano tra le pieghe del regime per minarlo alla base. Affinché lo scudo della rivoluzione fosse solido i mistici della Scuola, i soldati politici dell’Idea, vollero essere loro stessi esempio di virtù civiche, morali e politiche, di fedeltà indiscussa nei confronti della guida della rivoluzione, il Duce, spesso descritto come il genio della Stirpe, l’Eroe che con la sua instancabile opera dava quotidianamente prova di rappresentare pienamente la coscienza e la voce dell’anima del popolo, soprattutto di un popolo a cui il Fascismo aveva restituito la dignità politica e sociale e un’unità spirituale che attingeva dalla viva coscienza di appartenere integralmente all’organismo della Nazione. Da questa chiave di lettura emergeva, quindi, una superiore comunione mistica che legava il Duce al suo popolo, cementata dalla comune fede fascista, una fede intensa che a sua volta veniva elevata al rango di una sorta di religione mistico-popolare sacralizzata dal sangue offerto in sacrificio dai martiri dello squadrismo sull’altare della rivoluzione, una rivoluzione continua che, come affermava un giovane esponente della Scuola, procedeva impetuosamente la sua marcia: “I giovani della Mistica si sono irradiati tra le file delle generazioni vecchie e nuove e hanno dato il goccio d’acqua, il pezzo di pane del conforto, hanno sorretto i deboli, hanno convinto i pusillanimi. La Rivoluzione ha attraversato le ubertose valli della sua fase politica, ora sale. Guai a chi volesse tentare di derogare alle direttive di marcia per evitare le asprezze della salita e impedire che dalla politicità si torni alla rivoluzione piena e travolgente delle ore di audacia e di lotta.” Per queste nobili motivazioni gli esponenti della Mistica fascista chiesero e ottennero nel 1939 che la Scuola divenisse la custode del famoso “Covo” milanese di via Paolo da Cannobio, il sacrario della rivoluzione delle camicie nere, appunto il Covo del fascio primogenito dove la fede fascista aveva mosso i primi passi e dove il Duce aveva chiamato all’adunata.rossi Un luogo simbolico carico di suggestivi richiami emozionali, ben presente nell’immaginario collettivo della militanza squadristica, che avrebbe dovuto essere la fonte di irradiamento della Mistica fascista verso tutta la Nazione. Il cosiddetto “Covo” del fascio primogenito rivestì sempre per i mistici fascisti un ruolo centrale nel loro immaginario dottrinario, rappresentava la fonte mitica della fede mussoliniana, il principio fondante del Fascismo, era come trascendere il tempo profano per riapprodare al tempo mitico della purezza dell’Idea, un riaccostamento di ordine metafisico a cui si poteva accedere soltanto attraverso i miti e i simboli, e la Mistica fascista era satura di richiami, di miti e di simboli: “Qui è tutta l’attualità e la contemporaneità del “Covo”. Attualità e contemporaneità che non dovranno mai tramontare. Non solo per noi, infatti, ma per i nostri figli e per i figli dei nostri figli il “Covo” deve e dovrà essere l’Arca dei valori della Rivoluzione, la bussola cui guardare nei momenti di indecisione, la guida cui ispirarsi, la stella polare che il navigante dello Spirito deve vedere sempre alta e lucente davanti a se. E ad esso oggi, domani, sempre gli italiani dovranno salire in pellegrinaggio, per meditare, per ispirarsi. Ad esso le generazioni si accosteranno sempre con stupore religioso per imparare che nulla allo Spirito è impossibile.” Il Fascismo, come spesso ripeteva il Duce, era una fede coltivata nella lotta che aveva avuto i suoi caduti, i suoi martiri che immortalatisi vestendo la gloriosa camicia nera la avevano rafforzata e sacralizzata: “Se ogni secolo ha una sua dottrina, da mille indizi appare che quella del secolo attuale è il Fascismo. Che sia una dottrina di vita, lo mostra il fatto che ha suscitato una fede: che la fede abbia conquistato le anime, lo dimostra il fatto che il Fascismo ha avuto i suoi caduti e i suoi martiri. Il Fascismo ha oramai nel mondo l’universalità di tutte le dottrine che, realizzandosi, rappresentano un momento nella storia dello spirito umano.” Adesso, questa fede, attraverso i mistici fascisti della Scuola aveva trovato i suoi intransigenti custodi e i suoi più appassionati apostoli. Anche loro si stavano preparando al combattimento – nella sua duplice veste fisica e spirituale – aspirando di potere affrontare degnamente il supremo sacrificio per il Fascismo e onorare così la loro scelta di vita versando il proprio sangue per la causa rivoluzionaria. Morire all’ombra dei gagliardetti neri: Mistica dell’azione – Mistica del realismo eroico – Mistica della fede. Fedeltà che era più forte del fuoco, come narravano antiche saghe. Che l’intensa e interessante attività svolta dalla Scuola nell’approfondimento e nell’arricchimento della Dottrina fascista fosse il risultato di un grande impegno contrassegnato da un’altrettanto grande serietà venne comprovato dai numerosi riconoscimenti che ricevette, non ultimo l’apprezzamento e la manifesta simpatia avuta da parte di Julius Evola, ma il riconoscimento più importante, i mistici, lo ricevettero dal Duce che li encomiò pubblicamente il 20 novembre 1939, incontrando i quadri della Scuola a Palazzo Venezia, incitandoli a proseguire nel cammino intrapreso quali custodi della purezza dell’Idea e del mito rivoluzionario: “Io vi ho seguito in tutti questi anni da vicino e con vivissima simpatia perché considero la mistica in primo piano. Ogni rivoluzione ha infatti tre momenti: si comincia con la mistica, si continua con la politica, si finisce nell’amministrazione. Quando una rivoluzione diventa amministrazione si può dire che è terminata, liquidata. Potrei dimostrarvi che tutte le rivoluzioni sono passate attraverso questo ciclo: noi che conosciamo la storia dobbiamo impedire che la politica scivoli nell’amministrazione. Alle origini di ogni rivoluzione c’è la mistica: se la politica è il contingente, la mistica è l’immanente, essa rappresenta i valori eterni, essenziali, primordiali. (…) Voi dovete lavorare per l’avvenire. Per far questo occorre la fede. E’ facile ad un certo momento deviare nella politica: voi dovete essere al di fuori e al di sopra delle necessità della politica. Di queste cose ho parlato in modo molto sommario; ma tutte erano presenti in voi. Avete tempo di riflettere.” Il secondo conflitto mondiale era però già iniziato e l’Italia sarebbe entrata in guerra l’anno successivo. I mistici fascisti volendo essere, fino alle estreme conseguenze, la prima linea del Fascismo accolsero con felicità ed entusiasmo la notizia, chiedendo ufficialmente che gli venisse concesso l’Onore dell’arruolamento volontario “nei più rischiosi reparti di terra, di mare o di cielo”. Subito, ben 169 quadri dirigenti della Scuola partiranno per il fronte, convinti che il processo rivoluzionario fascista avrebbe avuto una formidabile accelerazione proprio per effetto della guerra. Molti altri mistici seguiranno a ruota l’esempio dei loro capi. La loro esemplare condotta evidenzierà una magnifica esplicazione degli insegnamenti della Tradizione: se hai di fronte due strade, scegli sempre la più difficile. Poiché c’è sempre una strada per chi vuole percorrerla. Sia Niccolò Giani, sia un’altra figura di eccezionale valore come Berto Ricci, testimonieranno la loro intransigente coerenza esistenziale e politica con la scelta del combattimento. Il primo volontario sul fronte greco-albanese dove troverà eroicamente la morte nel marzo del 1941, il secondo, sempre volontario, sul fronte africano dove coronerà la propria esistenza di credente nella fede fascista incontrando, altrettanto eroicamente, la morte il 2 febbraio 1941 a Bir Gandula sul Gebel cirenaico. Nell’arco di un solo mese il Fascismo perse due tra i suoi migliori campioni. Le vicende belliche decimarono di fatto il gruppo dirigente della Scuola che sarà costretta a cessare le sue attività. I pochi sopravvissuti di quell’esperienza raccolsero di nuovo la chiamata del Duce aderendo nel 1943 alla Repubblica Sociale Italiana, tra questi Fernando Mezzasoma che era stato il vicepresidente della Scuola e che ricoprì il dicastero della propaganda nella RSI, trasportando con il proprio esempio le intime motivazioni della Mistica fascista nell’esperienza repubblicana: “È questa nostra intransigenza nei confronti della Dottrina che abbiamo sposato, delle battaglie che combattemmo, delle realizzazioni che abbiamo attuate, che, se ci consente di accettare la collaborazione di qualsiasi Italiano in buona fede e di buona volontà che voglia aiutare la titanica fatica del Duce, ci obbliga tuttavia a respingere sdegnosamente qualunque patteggiamento con coloro che agiscono al servizio del nemico, uccidendo a tradimento i nostri migliori compagni di marcia e di battaglia, con coloro che nell’Italia invasa perseguitano i fascisti che a migliaia risorgono e insorgono per rendere dura la vita agli invasori e aprire la strada al nostro ritorno. Questa deve essere oggi la nostra missione di fascisti. Questo è il comandamento di Niccolò Giani. Questo è il suo insegnamento. Nel suo nome, e nel nome degli altri Caduti, i superstiti della Scuola di Mistica fascista chiamano a raccolta l’autentica gioventù italiana.” Anche lui morirà poi nel 1945 assassinato dai partigiani. Andarono tutti volontariamente incontro alla morte per onorare un patto di fedeltà e di fede che li legava al Duce e al Fascismo, così facendo coronarono una vita degna e ben vissuta, il loro abbraccio mistico con il Fascismo si consumò eroicamente in combattimento e di fronte ai plotoni di esecuzione. Se ancora oggi, dopo i tanti decenni trascorsi, la loro memoria, la memoria delle tante battaglie ideali e materiali affrontate, viene nonostante tutto ancora sentita come viva, se il ricordo di questi uomini caduti con onore non in nome di una passione generica, ma per il Fascismo, per il compimento di una Rivoluzione che è rimasta scolpita nella Storia, torna ancora ad emergere non deve assolutamente avvenire perché i vivi di oggi debbano morire nel loro cuore, struggendosi nella nostalgia del ricordo, ma deve invece impetuosamente emergere affinché i morti di ieri possano tornare a vivere tra di noi. Quella marcia, iniziata il 28 Ottobre 1922, non è ancora terminata.
Monday, March 21, 2022
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