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Monday, March 14, 2022

GRICE ED IACONO: LA COOPERAZIONE

 Alfonso Maurizio Iacono Studi su Karl Marx La cooperazione, l’individuo sociale e le merci  vai alla scheda del libro su www.edizioniets.com  Edizioni ETS                   www.edizioniets.com  © Copyright 2018 Edizioni ETS Piazza Carrara, 16-19, I-56126 Pisa info@edizioniets.com www.edizioniets.com Distribuzione Messaggerie Libri SPA Sede legale: via G. Verdi 8 - 20090 Assago (MI) Promozione PDE PROMOZIONE SRL via Zago 2/2 - 40128 Bologna ISBN 978-884675158-4 ISSN 2420-9198                   PREFAZIONE La notizia dei braccialetti che l’ingegner Cohn ha brevettato per il controllo dei lavoratori di Amazon (più educatamente e ipocritamen- te, per migliorare l’efficienza del lavoro) merita, al di là delle polemi- che contingenti, qualche riflessione su un mondo nascosto e dimenti- cato che tuttavia esiste su questo pianeta e non si vede: il mondo dello sfruttamento sul lavoro e la lesione della dignità di chi lavora. Mi serve un libro, vado su Amazon, lo cerco, lo trovo. C’è anche la versione ebook. Non è la stessa cosa del libro fisico, ma ha due vantaggi. Costa molto meno e, cosa importantissima, dopo avere pagato, lo ottieni in Kindle con un semplice click. Non è la stessa cosa del libro fisico per un’altra ragione. L’impaginazione è diversa e non corrisponde affatto a quella del libro. Questo complica le cose non tanto al lettore di un romanzo giallo, per esempio, o di racconti in generale, quanto allo studioso o, più in generale, a colui che ha bisogno del documento ori- ginale. Mettiamo comunque che voglia e trovi il libro fisico e lo ordini, magari con un sistema veloce che pago in sovrapprezzo. Devo supe- rare una frustrazione. Non posso averlo subito. Non ce l’ho lì davanti sullo scaffale di una libreria. Vedo la copertina online. Devo aspettare uno o qualche giorno. Peggio se lo acquisto nel week end. Una piccola frustrazione, senza dubbio, ma nel nostro pianeta, che è un’immensa raccolta di merci fisiche e virtuali, siamo ormai abituati ad avere tutto e subito, e aspettare non è facile. Ogni nostro desiderio è un ordine che il mercato può eseguire per soddisfarlo, e poter girare fra le merci, libri o divani o qualunque altra cosa, in modo virtuale, da un lato ti dà un senso di straordinaria, gioiosa potenza, dall’altro però ti produce una sensazione di mancanza. Vuoi mettere andare al negozio e provare la giacca, anzi peggio ancora le scarpe o i pantaloni per vedere se ti stanno? Certo, online risparmi. Inoltre, a ovviare a quella sensazione di mancanza derivata dal fatto che il desiderio dell’acquirente non si può soddisfare immediatamente, vi è la precisione rigorosa nella con- segna. Tutto sembra perfetto, ma a quale prezzo? Al prezzo dello sfrut-                   6 Studi su Karl Marx tamento di chi la merce la deve impacchettare, spostare, consegnare. Un prezzo che il cliente non vede. Non è una novità. Il braccialetto dell’ingegner Cohn è l’ultimo ritrovato di una lunga storia del lavoro. Karl Marx aveva fatto vedere bene come stavano realmente le cose nei processi di produzione delle merci. Quel genio che era Charlot aveva rappresentato una straordinaria parodia del sistema di sfruttamento del lavoro dell’operaio nel famoso film Tempi moderni, dove il lavorato- re doveva adattarsi alla velocità del sistema automatico di produzione. In epoca più recente ricordo che perfino zio Paperone cercò di usare le scimmie per il lavoro a catena, ma fallì perché perfino esse non riusci- vano ad adattarsi. Negli anni ’70 Michel Foucault scrisse Sorvegliare e punire, un’analisi cruda dell’organizzazione di un carcere, il cui sistema di controllo era simile a quello elettronico rappresentato dai braccia- letti. Lo sfruttamento del lavoro e la lesione della dignità dei lavoratori, checché se ne dica, non sono diminuiti negli anni, anzi, nonostante le leggi, sono probabilmente aumentati. Dietro la concorrenza e la libertà di mercato, dietro le luci dei supermercati reali o virtuali, dentro quelle nuove caverne di Platone che sono i centri commerciali di Los Angeles, Dubai, Shanghai, Milano e al di là della finestra dei nostri computer o tablet da cui acquistiamo online, vi è ancora il lato oscuro, materiale e psicologico, del dispotismo sul lavoro che oggi nessuno vuol vedere, talvolta nemmeno chi lo subisce. Fino a quando qualcuno di sabato sera, nel suo tempo libero, si siede al bar e chiede di bere, vi sarà sem- pre qualcun altro che dovrà preparare il cocktail e un altro ancora, magari extracomunitario, che lo porterà con un vassoio. Il tempo li- bero di uno è il tempo di lavoro di altri. L’idea che il lavoro sparisca e in particolare sparisca il lavoro manuale mi pare sinceramente, questa sì, una bubbola neoliberista. Meno si vede il lavoro sfruttato e meglio è per il neoliberismo. La tecnologia espelle il lavoro e toglie l’occupa- zione, ma non lo fa sparire. Lo disloca altrove e non lo concentra più in grandi spazi chiusi. Ed è questo che ha messo in totale confusione la sinistra nel mondo. Accade con il lavoro quello che accade con la merce. La compri ma non ti accorgi della quantità di lavoro sociale che ci è voluto per produrla e poi metterla sul mercato. Ti bevi il cocktail ma non vedi nemmeno in faccia il cameriere che te lo porta e che sta lavorando mentre tu ti riposi e a cui forse lascerai una mancia. Il primato del tempo libero è un buon modo per soggiacere al neoliberismo. Potremmo davvero vivere in ozio permanente nel tempo libero? È questo a cui aspiriamo? E perché allora, occupati, disoccupati, precari, siamo tutti depressi? Certo il lavoro troppo spesso è odioso,                  Prefazione 7 ma allora il problema è l’odiosità del lavoro, il suo sfruttamento, non la sua fine. Dietro l’ordine online che facciamo su Amazon vi sono la- voratori che con la testa e con le mani portano, impacchettano, spedi- scono, trasportano e ai quali si vuole mettere il braccialetto elettronico di controllo. Non credo che con tutta la tecnologia li si possa sostituire con dei robot, ma credo che con tutta la tecnologia li si possa usare schiavisticamente come dei robot. Una cosa è lottare per riappropriarsi del lavoro e della sua qualità, altra cosa è rifiutarlo. È nella chiave della riappropriazione del lavoro che è ancora valido, a mio parere, il vecchio slogan “lavorare meno, lavorare tutti”, così come la gratuità della forma- zione scolastica e universitaria. In uno scritto recentissimamente pubblicato in Italia, Realismo capitalista (Nero, Roma 2018), ma uscito in lingua inglese nel 2009, nel bel mezzo dell’esplodere della crisi economica, Mark Fisher, scrittore, filosofo, critico musicale britannico, morto suicida lo scorso anno, ha cercato di rispondere alla famosa affermazione della Signora Marga- ret Thatcher secondo cui al sistema in cui viviamo non c’è alternativa. Un’affermazione vincente che, togliendo al futuro ogni possibilità di accompagnare la politica, lo fece a suon di licenziamenti e ristruttu- razioni aziendali che sarebbero diventati un modello per tutto il capi- talismo occidentale. A sinistra cominciarono i laburisti con il pentito Blair a fare propria la visione thatcheriana, e il modello neoliberista si diffuse quasi ovunque con l’accentuarsi vistoso e potente delle di- seguaglianze e attraverso l’ideologia oggi ancora dominante secondo cui tutto il mondo deve essere modellato come un’azienda. Ideologia che oggi paradossalmente trova quasi più critiche a destra che non a sinistra. Avere tolto ogni alternativa futura ha di fatto azzerato le si- nistre. Il loro ruolo è spesso diventato quello un po’ servile di tampo- nare più o meno malamente gli effetti collaterali del neoliberismo, del dominio della privatizzazione, dello sperpero del bene comune, della devastazione ambientale, senza neanche riuscirci. Scrive Mark Fisher: “Qualsiasi posizione ideologica non può affermare di avere raggiunto il suo traguardo finché non viene per così dire naturalizzata, e non può dirsi naturalizzata fino a quando viene recepita in termini di principio anziché come fatto compiuto”. Le sinistre non potrebbero accettare il neoliberismo come principio, ma se viene naturalizzato come un fatto compiuto allora è diverso. In fondo i dirigenti politici sono tutto som- mato abbastanza ben pagati e sufficientemente fragili culturalmente per scomodarsi a mettere in discussione ciò che è dato come naturale e scontato. “Nel corso di più di trent’anni, continua Fisher, il realismo                  8 Studi su Karl Marx capitalista ha imposto con successo una specie di ontologia imprendi- toriale per la quale è semplicemente ovvio che tutto, dalla salute all’e- ducazione, andrebbe gestito come un’azienda”. Oggi l’aziendalismo è un vero delirio ideologico. I lavoratori sono imprenditori di se stessi, così costano meno alle aziende e possono essere meglio sfruttati, le scuole e le università e gli ospedali invece di pensare alle loro rispettive missioni, affogano penosamente nell’ansia generalizzata della competi- tion, versione metropolitana e neoliberista della giungla. Benvenuti nel realismo capitalista! Questo libro raccoglie studi su Marx che ho portavo avanti a par- tire dagli anni ’70 sui temi della cooperazione e della sua ambivalenza, sul suo metodo, sulle sue concezioni antropologiche. Nonostante siano accadute molte cose nel corso del tempo, dalla fine dell’era industriale alla caduta del muro di Berlino, dalla crisi irreversibile dei partiti operai al trionfo del neoliberismo, alcuni punti, che molti, troppo spesso ab- bacinati dal mantra conservatore del nuovo e del cambiamento, hanno abbandonato, a mio parere, restano fermi. Primo fra tutti il lavoro e in particolare il lavoro cooperativo, grazie a cui, come sostiene Marx, gli uomini si spogliano dei loro limiti individuali e sviluppano la facoltà della loro specie e a causa del quale, nello stesso tempo, essi, dopo aver subito il dispotismo e il disciplinamento di fabbrica, introiettano oggi il dispotismo e il controllo della produzione. E ciò mentre vivono la condizione illusoria di essere imprenditori di se stessi, dopo che dal comprensibile desiderio della flessibilità si ritrovano nella miseria mate- riale e psicologica della precarietà del lavoro. Non hanno più né tempo né possibilità di progettare il futuro e, del resto, è proprio il futuro che è stato tolto, perché esso oggi si mostra al massimo e quasi soltanto come mantenimento dell’esistente, quando non come una devastazione catastrofica del presente. Nessuno ha il coraggio di guardare altrove, là oltre l’orizzonte, dove poter immaginare una vita diversa dalla libera, depressiva solitudine degli iperconnessi che convive con naturalezza insieme alla schiavitù del lavoro nella gran parte del mondo. Eppure è proprio quello che serve. In un libro di alcuni anni fa1 avevo cercato di affrontare il tema dell’autonomia individuale consapevole della lacuna che vi era e cioè del fatto che il tema dell’autonomia si deve porre dentro le condizioni della natura dell’uomo in quanto animale sociale e dunque all’interno delle relazioni sociali. Non vi può essere autonomia in senso proprio 1 A.M. Iacono, Autonomia, potere, minorità, Feltrinelli, Milano 2000.                  Prefazione 9 senza eguaglianza delle relazioni sociali. Forse, riprendendo l’argomen- to della facoltà cooperativa degli uomini e del fatto che essi devono riappropriarsene a partire dal lavoro, si potrebbe ripercorrere una stra- da che nel corso tempo ha cambiato il suo tracciato e il cui manto è attualmente pieno di buche. Desidero ringraziare Silvia Baglini, Giacomo Brucciani, Enrico Campo, Francesco Marchesi, Luca Mori, Giovanni Paoletti. Dedico questo libro alla memoria di Nicola Badaloni, Marco, che mi introdusse agli studi su Marx.                  Capitolo Primo RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI Versione largamente rivista di Divisione del lavoro e sviluppo della facoltà della specie umana in Marx, originariamente pubblicato in «Critica marxista», n. 3, 1977, pp. 109-114. Capitolo Secondo Sull’ambivalenza della cooperazione, in Ecologia, Esistenza, Lavoro, (Officine Filosofiche), a cura di M. Iofrida, Mucchi, Bologna 2015, pp. 33-50. Capitolo Terzo Versione modificata del saggio apparso originariamente con il titolo Sul concet- to di ‘trasparenza’. Un’immagine di asssociazione di uomini liberi nel ‘Capitale’ di Marx, in «Metamorfosi», n. 4, 1981, pp. 126-139. Capitolo Quarto Versione largamente modificata di un saggio apparso originariamente con il titolo Rapporti economici e rapporti sociali in Marx, in «Prassi e teoria», n. 6, 1980, pp. 137-156. Capitolo Quinto Versione modificata del saggio originariamente pubblicato in «Annali della Scuola Normale Superiore», vol. XVIII, 2, 1988, pp. 549-766 (relazione al semi- nario dedicato a Bachofen tenuto alla Scuola Normale Superiore e coordinato da Arnaldo Momigliano). Capitolo Sesto Versione modificata di Sul concetto di feticismo, in «Studi Storici», n. 3⁄4, 1983, pp. 429-436. Capitolo Settimo Versione modificata di Concezione antropologica e concezione storica in Marx. Il caso particolare del ‘feticcio della merce’, in aa.VV., Antropologia, prassi, eman- cipazione. Problemi del marxismo, a cura di G. Labica, D. Losurdo, J. Texier, Quattroventi, Urbino 1990.                  Capitolo Primo DIVISIONE DEL LAVORO E SVILUPPO DELLA FACOLTÀ DELLA SPECIE UMANA IN MARX 1. In un luogo del capitolo sulla cooperazione, Marx afferma: “Nella cooperazione pianificata con altri l’operaio si spoglia dei suoi limiti individuali e sviluppa la facoltà della specie”1. La facoltà della specie umana consiste nella capacità che hanno gli operai riuniti insie- me e combinati secondo le figure della cooperazione di produrre una quantità di oggetti superiore a quella che lo stesso numero di operai sarebbe in grado di produrre se ciascuno di essi lavorasse isolatamente. Questa idea è già in Adam Smith, attraverso il famoso esempio del- la fabbrica di spilli, come ragione di superiorità del modo capitalistico di produzione, basato essenzialmente sulla manifattura, sui precedenti modi di produzione2. Sappiamo che, per Marx, la cooperazione è “la forma fondamentale del modo di produzione capitalistico”3 e precisa- mente è la forma che attraverso le sue figure tende a svuotare le facoltà individuali degli operai e a trasferirle ai mezzi di lavoro. Nella figura più complessa di cooperazione capitalistica, quella del macchinismo, questo trasferimento si realizza completamente. La storia del passaggio dalla cooperazione semplice, alla manifattura, alle macchine, può essere letta come la storia della perdita delle facoltà individuali lavorative degli operai singoli in ragione dello sfruttamento derivante dallo sviluppo tecnico del processo capitalistico di produzione. Già in A. Smith, nel Libro V della Indagine ecc., si ritrova la descrizione della perdita delle facoltà degli operai sottoposti alla divisione del lavoro nella manifattu- ra. Questa perdita di facoltà è posta come ragione di inferiorità della classe operaia nei confronti dei popoli selvaggi, dove non sussiste la divi- sione del lavoro: rispetto ai selvaggi, lo sviluppo delle facoltà individuali degli operai appare in ragione inversa della crescita della quantità di 1 K. Marx, Il capitale, I, trad. D. Cantimori, Editori Riuniti, Roma 1964, p. 371. 2 Cfr. A. SMIth, Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni, ISEDI, Milano 1973, Libro I, cap. I e A. SMIth, La ricchezza delle nazioni. Abbozzo, trad. V. Parlato, Editori Riuniti, Roma 1969. 3 K. Marx, Il capitale, cit., p. 377.                  Capitolo Secondo AMBIVALENZA DELLA COOPERAZIONE Il ritorno dell’uomo come animale sociale Dopo anni di elogio dell’individualismo nel bel mezzo della glo- balizzazione, mentre ritornava in un modo piuttosto primitivo l’abusa- ta metafora della mano invisibile, qualcosa è cambiato. Dopo l’euforia degli anni ’80, un po’ di attenzione si è spostata da una filosofia inge- nua (ma estremamente vantaggiosa per alcuni) dell’individuo verso la facoltà collaborativa e cooperativa degli uomini. In un certo senso è tornata, se non proprio al centro, almeno lateralmente, l’immagine ari- stotelica dell’uomo come zòon politikón, dell’uomo cioè, come ebbero a tradurre Seneca e Tommaso d’Aquino, come animale sociale. L’elemen- to sociale è tornato a essere considerato come costitutivo della forma- zione dell’individuo sul piano etico, politico e cognitivo. Recentemente il sociologo Richard Sennett ha pubblicato un libro che significativa- mente ha per titolo Insieme ed è un’indagine sulla facoltà cooperativa degli uomini esplicitamente influenzata dalle teorie di Amartya Sen e Martha Nussbaum. “Le idee di Amartya Sen e Martha Nussbaum, egli scrive, sono state per me fonte di ispirazione e costituiscono il tema di fondo che orienta questo libro: le capacità di collaborazione delle per- sone sono di gran lunga maggiori e più complesse di quanto la società non dia loro spazio di esprimere”1. In sostanza la facoltà cooperativa degli uomini, nel nostro sistema sociale, non riesce ad esprimersi ap- pieno e in particolare non assicura la piena realizzazione delle capacità emotive e cognitive umane. Lo scenario che emerge da questa tesi è dunque in primo luogo che la società non riesce a realizzare la facoltà cooperativa umana e in secondo luogo che tale facoltà si realizza grazie alle capacità emotive e cognitive e viceversa, nel senso che, queste, a loro volta, si realizzano appieno soprattutto nella collaborazione e nella cooperazione. 1 R. Sennett, Insieme. Rituali, piaceri e politiche della collaborazione, Feltrinel- li, Milano 2012, p. 41.                  Capitolo Terzo DIETRO C’È SEMPRE QUALCOS’ALTRO Un’immagine di associazione di uomini liberi e l’idea di trasparenza La trasparenza nasconde sempre qualcosa. Più precisamente na- sconde ciò che viene tolto per far sì che l’immagine renda trasparenti i rapporti che si vogliono rappresentare. Nell’economia politica, quel- le che Marx chiamava “robinsonate”avevano un importante significato epistemologico: semplificare e rendere per l’appunto trasparenti i rap- porti economici complessi del modo di produzione capitalistico. Que- sto processo di semplificazione presupponeva sempre una scelta in ciò che si voleva rappresentare o, in altri termini, un taglio nel quadro rap- presentativo che presupponeva un privilegiamento di una determinata struttura visiva invece di un’altra. Nell’immagine di Robinson ciò che Defoe vuol far vedere è il rap- porto tra il protagonista del suo romanzo e lo spazio naturale che egli deve trasformare per renderlo utile alla sua sopravvivenza. Il comporta- mento di Robinson è il comportamento del borghese nel suo rapporto con la natura attraverso il lavoro. Ed in effetti, da questo punto di vista, il rapporto tra Crusoe e le cose è chiaro e trasparente: “Il suo inventario dice Marx contiene un elenco degli oggetti d’uso che possiede, delle diverse operazioni richieste per la loro produzione, e infine del tempo di lavoro che gli costano in media determinate quantità di questi diversi prodotti”1. L’effetto di trasparenza appare dato da alcune condizioni complesse che già decidono i contorni dell’immagine e dunque la par- zialità di una rappresentazione semplificata del comportamento di un individuo alle prese col proprio lavoro. Baudrillard ha osservato che la trasparenza della relazione di Robinson con le cose è truccata2, ma la chiave del trucco è rintracciabile già nella stessa immagine descritta da 1 K. Marx, Il capitale, cit., p. 109. 2 L. baudrIllard, Per una critica dell’economia politica del segno, Mazzotta, Milano 1974, p. 148.                  Capitolo Quarto IL METODO DI MARX E L’USO DELL’ASTRAZIONE 1. A più riprese Marx ha sottolineato che il porre l’uomo isola- to all’origine dello sviluppo sociale e del processo storico è un assur- do. Nelle Forme che precedono la produzione capitalistica, egli osserva come sia semplice raffigurarsi che un uomo potente possa servirsi di un altro uomo “come di una condizione naturale preesistente della sua riproduzione”1, e fare dell’esercizio del dominio il suo specifico lavoro allo scopo di far lavorare altri uomini per lui; presupporre cioè una divisione del lavoro tra signore e servo prima che siano state poste le condizioni originarie, comunitarie per la riproduzione della vita de- gli uomini. “Ma una simile idea è assurda – per quanto possa essere giusta dal punto di vista di certe organizzazioni tribali o collettività – in quanto essa parte dallo sviluppo di uomini isolati. L’uomo si isola soltanto attraverso il processo storico”2. La questione posta da Marx non è, ovviamente, nuova. Ferguson, per esempio, aveva già sostenuto la necessità di considerare la specie umana in gruppi e di condurre l’indagine storico-sociale avendo come oggetto la società intera e non gli uomini separatamente presi3. In generale tutta la cosiddetta “scuola storica scozzese” aveva posto il problema di uno studio della storia umana a partire dagli uomini riuniti in società ed aveva sottolineato che il fattore chiave per comprendere lo sviluppo delle diverse società era il “modo di sussistenza”4, da cui si potevano spiegare costumi, leg- gi, forme di governo. È stato sostenuto, a questo proposito, che Marx 1 2 3 Bari 1999, 4 K. Marx, Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica, II, cit., p. 123. Ibidem. A. FerguSon, Saggio sulla storia della società civile (1767), Laterza, Roma- p. 6. Cfr. W. robertSon, History of America (1777), in Works, Hill, Edinburgh V, p. 111; e J. MIllar, The Origin of the Ranks (1771), ristampato in W.C. 1818, vol. lehMann, John Millar of Glasgow, Cambridge University Press, Cambridge 1960, p. 175 (trad. it. J. MIllar, Osservazioni sull’origine delle distinzioni di rango nella società, Fran- coAngeli, Milano 1989).                  Capitolo Quinto BACHOFEN, ENGELS, MARX La pubblicazione ad opera di Krader degli estratti etnologici, l’ultimo lavoro di Marx, rimasto incompiuto, impone di discutere del ruolo di Bachofen nell’Origine della famiglia di Engels, che segnò la fortuna del Mutterrecht nel marxismo, tenendo conto di questo labora- torio. La ragione è semplice: il libro di Engels è basato su tali appunti, e certamente, comparando lo scritto di Marx con quello di Engels, balza subito agli occhi il ben diverso peso che Bachofen ha nei due casi. D’altra parte la frammentarietà degli appunti marxiani non rende sem- plice il lavoro, ma non ci si può accontentare di segnalare le differenze di Marx e di Engels su Bachofen senza fare almeno un tentativo di interpretare il senso della ricerca di Marx al momento della sua morte. Si tratta di provare a capire, se è possibile, quale significato abbia la grande presenza di Bachofen nell’opera di Engels, laddove la cosa non è affatto riscontrabile nel Marx che sta lavorando su quel Morgan che, a sua volta, sarà la base dell’Origine della famiglia. Ma, data appunto la frammentarietà del testo di Marx, l’unica via praticabile sembra quella di considerare in primo luogo il contesto teorico entro cui Marx stava operando e riflettendo. 1. Il laboratorio di Marx L’Origine della famiglia, la cui prima edizione è del 1884, fu pre- sentata da Engels come l’“esecuzione di un lascito”1. Marx, morto un anno prima, aveva lasciato ad uno stadio rudimentale il suo lavoro su Morgan, Phear, Maine, Lubbock, Kovalevskij2. Si trattava in gran parte 1 F. engelS, L’origine della famiglia, Editori Riuniti, Roma 1963, p. 33. 2 The Ethnological Notebooks of Karl Marx (Studies of Morgan, Phear, Maine, Lubbock), cit.; L. krader, The Asiatic Mode of Production. Sources, Development and Critique in the Writings of Karl Marx, Van Gorcum, Assen 1975 pp. 343-412: K. Marx, Excerpts from M.M. Kovalevslcij. Sugli appunti di Marx; cfr. inoltre, L. achenza, Sui Taccuini etnologici di Marx, in «ASNP», S. III, XIV, 1984, pp. 1385-1416; P. greMIgnI,                  Capitolo Sesto SUL CONCETTO DI «FETICISMO» IN MARX Il concetto marxiano di feticismo delle merci è stato analizzato da due punti di vista: quello del suo rapporto con il concetto di alienazione e l’altro della sua connessione con la teoria del valore. È possibile tut- tavia affrontare il problema in modo diverso, forse più ovvio: a partire cioè dalla fonte usata da Marx per la formazione di questo concetto. Si tratta dell’opera di Charles de Brosses, Du Culte des Dieux fétiches, pub- blicata anonima a Parigi nel 1760, che Marx aveva studiato a Bonn nel 1842 in una traduzione tedesca di Pistorius del 1785, e di cui aveva fatto degli estratti1, come del resto di altri testi, tra i quali quello di Meiners sulle religioni2 che riprende il tema brossiano. Considerato il problema da questo angolo visuale, si potrà vedere che il concetto marxiano di feticismo, che diventerà successivamente il concetto di feticismo delle merci, è carico di implicazioni che forse consentono di precisare alcune questioni teoriche ad esso connesse. 1. Il concetto di feticismo ripropone, come è noto, il problema delle apparenze, cioè dello scarto esistente tra l’essere sociale e le im- magini “nebulose e fantastiche” attraverso cui l’essere sociale è visto e concepito dagli uomini. Un tema che percorre la riflessione di Marx nel corso di tutta la sua biografia intellettuale, ma che nel feticismo delle merci assume un valore specifico. Ed è proprio per questo che appa- re necessario percorrere specificamente la strada dello sviluppo di tale concetto, anche perché, inoltre, in esso si possono rilevare due momen- ti importanti del procedimento teorico di Marx, certamente carichi di 1 K. Marx, Fetischismus, MEGA 2, vol. IV/1, Dietz, Berlin 1976. 2 C. MeInerS, Allgemeine kritische Geschichte der Religionen, 2 voll., Hannover 1806-1807. Su Meiners come volgarizzatore di de Brosses, cfr. M. daVId, La notion de fétichisme chez Auguste Comte et l’oeuvre du présidente de Brosses ‘Du culte des dieux fétiches’, in «Revue de l’Histoire des Religions», t. CLXXI (1967), n. 2, e S. landuccI, I filosofi e i selvaggi, Einaudi, Torino 2014.                  Capitolo Settimo ANTROPOLOGIA E STORIA IN MARX. IL CASO PARTICOLARE DEL «FETICCIO DELLA MERCE» La nozione di carattere di feticcio della merce costituisce un momen- to particolare e privilegiato per un’analisi del rapporto fra concezione antropologica e concezione storica in Marx. Le ragioni di questa parti- colarità e di tale privilegio risiedono principalmente nei seguenti fatto- ri: a) nell’uso stesso del concetto di «feticcio» mutuato dalla tradizione etnologica e storico-religiosa a partire dal colonialismo; b) nella torsione teorica che il concetto di feticcio e la nozione di «feticismo» giocano nel corso dello sviluppo del pensiero di Marx; c) nel fatto che il «carattere di feticcio della merce» costituisce un aspetto molto specifico e comples- so dell’idea di rovesciamento provocato dalla coscienza ideologica nei confronti della realtà; d) nel fatto, infine, che la nozione di «feticcio» ap- plicata alla merce viene a definite la funzione simbolica dell’oggetto eco- nomico-sociale e, all’inverso, la funzione economico-sociale dell’oggetto simbolico. Di questi quattro fattori, lo svolgimento dei primi due con- sente di capire come l’applicazione del concetto di «feticcio» alla merce capitalistica significhi, almeno per quel che riguarda questo punto, un radicale mutamento strategico e teorico del concetto stesso rispetto alla sua storia e all’accezione fino ad allora comune e dominante in campo filosofico, etnologico e storico-religioso. E lo sviluppo del pensiero di Marx conferma, a mio parere, il senso di tale mutamento. I secondi due fattori aprono molte questioni interpretative, in particolare riguardo al rapporto fra condizioni reali della forma di vita sociale e forme della coscienza e dell’ideologia, alla specificità ed eccezionalità storica del si- stema capitalistico, al problema dell’osservatore che si trova ad operare e interpretare in quel groviglio che è il sopraddetto rapporto fra condizioni della vita sociale e ordine simbolico e culturale. Ma, soprattutto, possono forse aiutare a comprendere il senso della separazione fra la struttura ca- pitalistica delle relazioni fra gli uomini e gli individui in quanto tali; cioè del modo particolare in cui le relazioni si autonomizzano dagli individui, e la «comunità», originariamente concreta, deposita i rapporti nelle cose, andando a costituire un astratto sistema di vincoli sociali.                  INDICE Prefazione 5 Riferimenti bibliografici 11 1. Divisione del lavoro e sviluppo della facoltà della specie umana in Marx 13 2. Ambivalenza della cooperazione 35 3. Dietro c’è sempre qualcos’altro 55 4. Il metodo di Marx e l’uso dell’astrazione 67 5. Bachofen, Engels, Marx 85 6. Sul concetto di «feticismo» in Marx 101 7. Antropologia e storia in Marx. Il caso particolare del «feticcio della merce» 111 Indice dei nomi 119                  philosophica  L’elenco completo delle pubblicazioni è consultabile sul sito www.edizioniets.com alla pagina http://www.edizioniets.com/view-Collana.asp?Col=philosophica  Pubblicazioni recenti 208. Alfonso Maurizio Iacono, Studi su Karl Marx. La cooperazione, l’individuo sociale e le merci, 2018, pp. 124. 207. Imre Toth, Le sorgenti speculative dell’irrazionale matematico nei dialoghi di Platone, a cura di Romano Romani e Paolo Pagli, prefazione di Romano Romani. In preparazione. 206. Alessandra Fussi, Per una teoria della vergogna, 2018, pp. 164, ill. 205. Alberto Pirni, La sfida della convivenza. Per un’etica interculturale, 2018, pp. 308. 204. Matteo Galletti, Reciprocamente responsabili. La responsabilità morale tra naturalismo e normativismo, 2018, pp. 296. 203. Linda Bertelli, L’utopia nell’estetico. Tempo e narrazione in Ernst Bloch, 2018, pp. 152. 202. Andrei Pleșu, Pittoresco e malinconia. Un’analisi del sentimento della natura nella cultu- ra europea, traduzione e cura di Anita Paolicchi, prefazione di Victor I. Stoichita, 2018, pp. XII-216. 201. Danilo Manca, La disputa su ispirazione e composizione. Valéry fra Poe e Borges, 2018, pp. 176. 200. Russo Maria Teresa, Esperienza ed esemplarità morale. Rileggere Le due fonti della mora- le e della religione di Henri Bergson, 2017, pp. 100. 199. Filieri Luigi, Vero Marta [a cura di], L’estetica tedesca da Kant a Hegel, Prefazione di Leonardo Amoroso, 2017, pp. 176. 198. Flamigni Gabriele, Presi per incantamento. Teoria della persuasione socratica, Prefazione di Maria Michela Sassi, 2017, pp. 144.  Edizioni ETS Piazza Carrara, 16-19, I-56126 Pisa info@edizioniets.com - www.edizioniets.com Finito di stampare nel mese di maggio 2018

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