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Friday, March 18, 2022

GRICE E GIOVANNI: DIVENIRE

 Il dibattito Un saggio di de Giovanni paragona Severino al filosofo del fascismo. Ma a tutte le sue obiezioni è possibile rispondere È Gentile il profeta della civiltà tecnica Ne rende possibile il dominio planetario. Eppure la legge del divenire è eterna di EMANUELE SEVERINO Giovanni Gentile fu assassinato per- ché era la voce più autorevole e con- vincente del fascismo. Ep- pure la sua filosofia è la ne- gazione più radicale di ciò che il fascismo ha inteso essere. Non solo. Essa è tra le forme più potenti — non è esagerato dire la più potente — del pen- siero del nostro tempo. Di tale potenza lo stesso Lenin si era accorto — forse gli assassini di Gen- tile non lo sapevano neppure. Tanto meno lo sa la cultura filosofica oggi dominante, che mai rico- noscerebbe a un italiano un così alto rilievo. Non solo. Contrariamente agli stereotipi che vedono in Gentile un avversario della scienza, l’attuali- smo gentiliano è l’autentica filosofia della civiltà della tecnica: rende possibile il dominio planeta- rio della tecno-scienza, ancora frenato dai valori della tradizione. Altrove ho mostrato il fonda- mento di queste affermazioni. Il recente libro di Biagio de Giovanni Disputa sul divenire. Gentile e Severino (Editoriale Scientifica, 2013) è un grande e suggestivo contributo al loro approfon- dimento — come d’altronde c’era da attendersi dalla statura culturale e sociale dell’autore. Va facendosi largo nel mondo la convinzione che l’uomo non possa mai raggiungere una verità assolutamente innegabile; che, prima o poi, ogni verità siffatta resti travolta da altri modi di pensa- re, da altri costumi, cioè si trasformi, muoia: di- venga. Travolta, anche la certezza che esistano le cose che ci stanno attorno; essa è innegabile solo fino a che esse non vanno distrutte: era innegabi- le solo provvisoriamente. Esser convinti dell’ine- sistenza di ogni verità assoluta è quindi, insieme, esser convinti dell’inesistenza di ogni Essere im- mutabile ed eterno. «Dio è morto», si dice. La negazione di ogni verità assoluta e innega- bile non investe dunque l’esistenza del divenire del mondo. Anzi, proprio perché si fa largo la convinzione che il divenire di ogni cosa e di ogni stato sia assolutamente innegabile (ed eterno), proprio per questo è inevitabile che ci si convinca dell’impossibilità di ogni altro innegabile e di ogni altro eterno. Gentile lo mostra nel modo più rigoroso (mentre il fascismo, come ogni assoluti- smo politico, intendeva essere la configurazione inamovibile dello Stato). Ma è appunto per quell’estremo rigore che de Giovanni rileva, a ragione, l’incolmabile contra- sto tra il pensiero di Gentile e il tema centrale dei miei scritti, l’affermazione cioè che la verità asso- lutamente innegabile esiste e che tutto ciò che esiste (nel presente, nel passato, nel futuro) è eterno, ossia non esiste alcunché che esca dal proprio esser stato nulla e che sia travolto nel nulla. Certo, la più sconcertante delle affermazio- ni. Che però de Giovanni considera fondata con altrettanto rigore. Infatti, mi sembra, egli è inte-ressato al contrasto Gentile-Severino perché vede in ogni forma di contrasto una conferma della propria prospettiva di fondo, per la quale l’esi- stenza umana è, da ultimo, un contrasto insana- bile tra il desiderio dell’uomo, finito, di esser sal- vato dall’Infinito e la problematicità del rapporto finito-Infinito. Quindi, a suo avviso, per quanto rigorose possano essere la posizione filosofica di Gentile e la mia, ci dev’essere in entrambe un vi- zio o più vizi di fondo che non possono venir estirpati. Attraverso una finissima procedura in- terpretativa de Giovanni lo fa capire rivolgendo domande, obiezioni sotto forma di domande. So- prattutto a me. Provo a rispondere ad una soltan- to. In modo adeguato risponderò in altra sede. Ma prima rivolgo anch’io una domanda a de Giovanni. La sua prospettiva — qui sopra richia- mata in modo molto sommario — intende essere una verità assolutamente innegabile o una pro- posta dove non si esclude che la verità innegabile esista da qualche parte? Propendo per la prima alternativa. Mi sembra infatti che anche per de Giovanni l’unica verità indiscutibile sia la «stori- cità» del reale, cioè il divenire che travolge ogni altra presunta verità. La sua distanza da Gentile tende così a vanificarsi nonostante le obiezioni, che a questo punto hanno un carattere subordi- nato. E infatti de Giovanni mi chiede se non ci sia «qualcosa di ineluttabile» «nella condizione mortale dell’uomo», se la morte non sia «la prova inconfutabile», l’«irrefutabile cogenza» che «l’ente uomo nasce dal nulla e va nel nulla» — e anzi, lasciando da parte il domandare, afferma che il mio discorso «si scontra con il fatto che l’uomo muore» (pp. 83-84, corsivo mio). Il conte- sto in cui de Giovanni avanza queste domande- affermazioni è incommensurabilmente lontano dall’ingenuità con cui a volte queste domande mi vengono rivolte. Ma in questa sede può essere opportuno richiamare — ancora una volta — che i miei scritti, ovviamente, non hanno mai negato che l’uomo muoia e come muoia e resti il suo ca- davere, ma hanno sempre negato che la nascita dell’uomo e delle cose sia un venire dal nulla e che la morte sia un andare nel nulla; e lo negano perché mostrano che questo andirivieni non è un «fatto». Provo a chiarire. Che il dolore, l’agonia, la morte dell’uomo (e il perire dei viventi e delle cose) sia un «fatto» si- gnifica che se ne fa esperienza. Certo: si fa espe- rienza dell’orrore della morte — che è sempre la morte altrui. Ma chi crede che la morte sia un an- dare nel nulla non crede (è impossibile che cre- da) che l’uomo vada nel nulla ma, insieme, conti- nui ad essere un «fatto» che appartiene al conte- nuto dell’esperienza: gli appartenga nello stesso modo in cui gli apparteneva prima di annientar- si. Nell’esperienza rimane il ricordo di coloro che sono andati nel nulla, e il ricordo è un «fatto»; ma non rimane il fatto in cui consisteva il loro es- ser vivi, non si fa più esperienza del loro esser stati vivi. Chi, dunque, crede che la morte sia an nientamento crede che — pur avendo avuto espe- rienza dell’agonia e del cadavere — ciò che è di- ventato niente sia diventato anche qualcosa che non appartiene più all’esperienza, che non è un fatto. Ma allora è impossibile che l’esperienza mostri che sorte abbia avuto ciò che è uscito dall’espe- rienza, e quindi mostri che esso è diventato nien- te. Di questa sorte l’esperienza non può che tace- re. Cioè l’annientamento non può essere un «fat- to». (E se il cadavere viene bruciato e, come si di- ce, «diventa cenere»; allora anch’esso, come tutta la vita passata di chi è morto, esce dall’esperienza —anche se ne rimane il ricordo. Daccapo: che es- so, diventando cenere, sia diventato niente non può essere l’esperienza ad attestarlo). Ci si convince dunque che la morte è annienta- mento non sulla base dell’esperienza, ma sulla ba- se di teorie più o meno consistenti. All’inizio i vivi si fermano atterriti di fronte alle configurazioni orrende della morte dei loro simili e restano col- piti dalla loro assenza; i morti non ritornano, vivi, come invece il sole torna a risplendere al mattino. Anche su questa base, quando si fa avanti la rifles- sione filosofica sul nulla, si pensa che ciò che non ritorna sia diventato niente e si crede di sperimen-tarne l’annientamento. Gentile sta al culmine di tale fede e, con la propria «teoria generale dello spirito», dimostra nel modo più radicale l’impos- sibilità di ogni realtà esterna all’esperienza, sì che l’uscire dall’esperienza è per ciò stesso l’andare nel niente. Ma, appunto, si tratta di una dimostra- zione, di una «teoria», non della constatazione di un fatto. Dunque, la sconcertante affermazione, al cen- tro dei miei scritti, che tutto ciò che esiste è eter- no, non è un «paradosso» che «si scontra» con l’esperienza, cioè «con il fatto che l’uomo muo- re». All’opposto, a scontrasi con l’esperienza sono coloro che — affermando la sua capacità di atte- stare l’annientamento degli uomini e delle cose — vedono in essa ciò che in essa non c’è e non può esserci. Sono molti, moltissimi? Non importa. An- che quando qualcuno ebbe a mostrare che è la Terra a girare attorno al sole e non viceversa, tutti gli altri lo negavano, sconcertati. A questo punto de Giovanni deve mostrare per- ché (una volta escluso lo «scontro con il fatto») non accetta la fondazione che di quella sconcer- tante affermazione ho indicato nei miei scritti. At- tendo. Ma anche tutte le altre sue domande atten- dono la mia risposta.

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