Questa sociologia costituisce una parte della morale dei positivisti. È in ogni parte o ritoccata o rifatta. Non vi si trattano tutte le questioni introdotte e discusse generalmente nei saggi di sociologia; ma solo la fondamentale: quella cioè della formazione naturale del fatto speciale caratteristico dell' organismo sociale, ossia della giustizia. E, relativamente a questo fatto, non dà una riproduzione pitc meno manipolata delle idee messe in voga dai filosofi più celebrati di questa materia. Qualunque ne sia il valore, chi scrive presenta qui il frutto della sua riflessione solitaria; e non recente, ma di vecchia data, e già matura fin da quando lo esponeva ai filosofi di Mantova, pei quali divenne germe e stimolo ad elaborazioni ed applicazionidi merito nel campo della filosofia. Restringendosi poi la trattazione, come qui è divisato, al fatto della giustizia, con ciò la sociologia tiene a mantenersi nel campo, che le spetta in proprio, e pel quale riesce una disciplina a sé e distinta da tute le altre. È un errore capitale quello comunissimo di fare della sociologia un ammasso di tutte le dottrine riguardanti i fenomeni svariatissimi, che suppongono l’ambiente della società umana, A tale stregua la cosmologia dovrebbe constare di tutte le dottrine riguardanti i fenomeni svariatissimi, che suppongono l’ambiente dell’universo visibile. A questo modo si dà ragione a quelli che persistono a *negare* alla sociologia filosofica la qualità di disciplina autonoma. Una sub-disciplina filosofica è un tutto a sé, che si pone e si distingue da quello di tutte le altre, come la specialità del fatto che essa considera. E, nel caso nostro, la sociologia filosofica, o la psicologia filosofica dell’intersoggetivita, si pone e si distingue, come la specialità del fatto della giustizia, nel quale è la ragione diretta dell'organismo sociale; a quel modo che nel fatto della gravitazione è la ragione diretta della mutua dipendenza delle masse astrali, considerata dalla cosmologia filosofica. Così, essendoci il fatto Fisico si dà la Fisica; essendoci il fatto chimico si dà la chimica; essendoci il fatto psichico, si dà la psicologia filosofica, e via discorrendo per ogni sub-disciplina. Si restring la presente trattazione allo studio della formazione naturale della giustizia, e limitandosi a considerare il fatto di essa in generale, e non estendendosi a considerarlo in particolare nelle molte e diverse forme svariate, che si munifesiano, funzionando la giustizia nelle differenti comàiìmzioni secondarie pnllulanti ed armonizza nèi nella totalità malto complessa dell’organismo sociale. Ed è solo in qneslo senso, die fuesta trattazione non aòòraccia tutto r amèito della So- etologia j. co7icernendo solo la sua farle introduttiva e fondamentaie. Esaurita la prima edizione di questo quarto Volume delie Opere filosofiche, e anche la seconda, nella quale tra stata introd^itta qualche piccola correzione ed aggiunta, colia presente terza questa Sociologia comparisce nella sua edizione quinta. Questa trattazione deWdi Sociologia suppone e completa quella della morale dei positivisti. La suppone, in quanto nella morale medesima è presentata l’analisi della attitudine etico-civile umana, ed è esposta la teoria positiva della responsabilità sotto tutti i suoi aspetti e rapporti. La completa, in quanto studia la formaziofie della attitudine etico-civile suddetta. Specialmente sotto V di-- spetto e il rapporto della sua obbligatorietà si interna che esterna. Ma questa della sociologia è poi, come tale, una trattazione distinta da quella della morale. La morale ha per oggetto suo speciale e proprio la attitudine etica e quindi la virtu individuale. La sociologia ha per suo oggetto la costituzione della società civile e quindi la gitistizia che ne è la funzione caratteristica. Il punto di partenza del nostro ragionamento è la questione proposta dalla morale dei posttivisti. Il concetto della responsabilità (de- finito precedentemente come l'astratto delle sanzioni, onde la società reagisce, rintuzzandola, contro l’azione propriamente umana individuale) fosse manchevole, non estendendosi quanto la moralità, e quindi fosse da ripudiarsi. E ciò per la considerazione che sembrerebbe così la responsabilità riferirsi solamente agli atti intesi nel concetto stretto del giusto, cioè ai pochi atti esterni, aventi importanza per l’ordine sociale, commessi in misura e in circostanze determinate, discorso basta notare il fatto, la cui spiegazione si lascia alla fisiologia. Come l’apparato nervoso delF organismo biologico vi si forma a poco a poco per naturale svolgimento e trasformazione di una parte degli elementi prima omogenei della sostanza viva, cosi l'apparato del P<:7/^r^ nell’organismo dello stato vi si forma a poco a poco per naturale selezione ed adattamento dì alcuni fra gli individui del *consorzio* umano informe primitivo. Del pari, come la funzione speciale dell' apparato nervoso si è in esso determinata per Io svolgimento e la trasformazione della attività vitale generica della sostanza animale, cosi la specialità della reazione del potere non è altro che una distinzione, operatasi a poco a poco e di mano in mano che andava formandosi, della reazione istintiva comune degli individui eslegi del *consorzio* umano primitivo. E, come l’attività nuova speciale sovrapposta e dominante dell' apparato nervoso dell'animale superiore sviluppato non vi sopprime l’attività iniziale semplice e comune del materiale biologico, la quale vi persiste allato e al disotto dell' attività nervosa, che la regola, così la reazione del potere, svoltasi naturalmente collo svolgersi dell' organismo sociale, non vi sopprime la reazione istintiva detta sopra, la quale quindi persiste nello Stato civile allato e al disotto della reazione del Potere, che la regola. E cosi nello Stato vengono a riscontrarsi contempo- è assai opportuno studiare ulteriormente, e sotto /r^r df~ versi aspeliì, l'analogia notata fra T organismo dell' ani- male superiore e quello della Società civile. Nel corpo di un animale, anche di organizzazione superiore (e quindi massimamente in quello dell' uomo), ogni parte viva ha in sé la ragione della propria attivita puramente vegetativa, che ha luogo quindi indipendentemente dal concorso diretto della funzionalità nervosa centrale. Ma questa funzionalità nervosa centrale può intervenire ad impedire tanto o quanto la detta attività puramente vegetativa della parte subordinata, A far ciò l’uomo, nel caso che la parte si ammali e quindi la sua attività vegetativa si renda anormale, si sforza (valendosi dell' apparecchio nervoso sovrastante alle parti) di limitare l’anormalità e di contrastame gli effetti perniciosi sulle altre. Mettiamo, sostituendo la medicina al cibo, o tralasciando di mangiare e di adoperare se possibile la parte malata, o operando su di essa, o staccandola in caso estremo dal resto del corpo. Quindi, l’intervento della funzionalità centrale qui sarebbe puramente negativa; cioè solo di impedire tanto o quanto l’attività vegetativa; la quale, nella parte, sorge in virtù della propria natura dì questa, e non potrebbe esservi creata ed infusa dalla medesima funzionalità centrale. Un fatto analogo si osserva nel corpo della società civile. In questo corpo sì riscontrano due generi di reazione sociale, quello della convenienza, proprio di ciascun individuo e nascente direttamente dall’urto degli individui fra di loro, indipendentemente dalla sovrapposizione ad essi del potere al quale sono subordinati; e quello della giusto, proprio di questo potere. La reazione di convenienza tra individuo e individuo tende con forza ad assumere, e spesso assume effettivamente forme irregolari nocive e atte a turbare in misura più o meno grande il buon assetto della società. Ed è qui che intervitìne la reazione del giusto per parte del potere sovrapposto. Ma con effetto solo di impedire e limitare, per quanto possibile, la irregolarità della rea zione della convenienza. Si che questa, funzionando pure per forza e legge propria, non ecceda però la forma e la misura compatibile coll’andamento migliore del corpo sociale. Le parti singole dell'animale sono coordinate insieme mediante una funzione, che sì aggiunge alle particolari di esse e loro sovrasta, dominandole e subordinandole nel sistema complessivo deir individuo. Questa funzione centralizzatrice ha una efficienza negativa, na ne ha anche una positive, ed è quella di produrre il concerto delle parti nell’attività dell’individuo totale. Coè, la vìta propriamente detta, elevantesi sulla semplice vegetazione di ciascuna parte, adattata e resa ubbidiente alle esigenze della vita medesima, e quindi, per cosi dire, ingentilitane. Cosi anche nella societa. Nella quale la funzione assodante del potere si sovrappone a quelle degli due *associate*, ed è puramente negativa o di limitazione per rispetto a queste, ma è positiva per rispetto a se stessa, in quanto cioè si pone e produce un effetto speciale suo proprio, che si risolve soprattutto in quello della moralizzazione dell' uomo nello Stato civile. Annunciamo qui solo il fatto, la cui spiegazione det- tagliata risulterà dal corso della trattazione. L' individuo eslege è pronto ad impiegare a proprio vantaggio, come T istinto naturale lo sospinge, tutta la forza materiale onde dispone; e ad elidere e a togliere di mezzo il più debole. Il che impedirebbe la formazione della società e il concerto civile delle sue parti. Perchè tale concerto sia possibile è necessario che sopravvenga neir umano consorzio una forza superiore, la quale, in nome e colla mira dell'interesse di tutti, rin- tuzzi e contenga la forza esuberante e trasmodante dei singoli più forti o irregolarmente operanti, e renda cosi attuabile lo sviluppo e l’esercizio pieno e non impedito, e tranquillo, e benefico delle attitudini di ogni elemento, onde è costituito il corpo sociale. L' istinto della reazione individuale, per sé, rappre- senterebbe il princìpio egoistico antisociale. Invece il Po- ^ tere subordinante rappresenta T Idealità sociale ossia il principio morale antiegoistico. L' individuo nella Società diventa morale in quanto, ridotto dalla coazione della Giustizia a riconoscere il principio antiegoistico rappresentato dal Potere associante, vi si uniforma, ingentilendosi, rinunciando alla tendenza di usare la violenza rispetto agli altri, contenendosi nei limiti permessi dal Potere, cooperando con esso al Bene comune. La costituzione quindi della Società umana, fino al grado di un' alta Civiltà, è possibile, perchè la psiche umana, a preferenza di quelle dei bruti, è atta alla for- mazione caratteristica della Idealità sociale, come è di- mostrato nella Morale dei Positivisti (i). Nella macchina fisiologica dell' animale non si dà potenza centralizzatrice delle parti senza un organo di- stinto da esse, che ne sia investito e la possegga. La forza centralizzatrice poi, in un animale, è in ragione della massa di questo organo; come la massa stessa è in ra- gione del bisogno (2) della forza occorrente per dominare le parti. E inoltre neir animale la materia dell' organo centralizzante è presa dalle parti stesse centralizzate per via di un processo di selezione naturale, come dimostra la embriologia e la zoologia comparata. E secondo il principio generale, da me tante volte ricordato, del pas- saggio dall' indistinto al distinto (3). (i) Vedi specialmente il Capo III della terza Parte del Libro primo ; e la Parte seconda del Libro secondo. Per questa espressione bisogno vedi la nota alla pag. 17 del volume ILI di queste Op, fil. Per la teoria dell' indistinto e del distinto vedi la Fortnazione naturale nel fatto del sistema solare y nel Voi. II di queste Op, fil. Cosi nella Società» La coordinazione delle partì com- ponenti e la relativa reazione della Giustizia non vi può aver luogo senza che vi sia costituito un ordine di per* sone investito del Potere occorrente all'uopo, e fornito dei mezzi sufficienti all' effetto. Tale ordine di persone si stabilisce nella Società per la legge suddetta della selezione naturale, come già ac- cennammo sopra; e di ciò parleremo in seguito più a lungo, E r ordine sovraiieggiante nella Società deve essere in ragione della forza occorrente a produrre Teifetto di contenere le parti nella associazione dello Stato. Più in queste è la resistenza alla coordinazione so- ciale, come nella barbarie o nella depravazione, quando ha ana grande prevalenza T egoismo (o perchè le Idea- lità sociali non sono ancora progredite nella loro forma- zione, o perchè abitudini prave sottentrate le paralizzano), e più il Potere centrale è poderoso e A'iolento, e ha quindi il carattere di Potere militare. E la Giustizia allora as- sume la forma del fato inesorabile e crudele, che sforza ad agire colla violenza necessitante. E, nel caso che manchi nel Potere la forza suffi- ciente, la Società si trova in quello stato di organizza- zione imperfetta che si osserva negli animali inferiori aggruppati in masse, che sono piuttosto delle colonie che non degli individui propriamente detti. Se invece poca o nuila è la renitenza alla coordina- zione sociale, come nelle Società adulte, colte e virtuose. quando le Idealità sociali negli individui sì sono già for- mate e si mantengono impulsive, allora il Potere centrale assume il carattere di un semplice arbitro morale fra gli individui associati. E la Giustizia qui perde il carattere della violenza^ assumendo invece quello di una sentenza vera ed equa, che ottiene il rispetto e T assentimento col solo essere enunciata. E si conferma ciò che dicemmo al- trove del regno del fato e del regno della Giustizia fra gli uomini (i), E discende anche dalle cose dette che, siccome il dispotismo militare è proprio dello stato della barbarie, così invece il governo repubblicano è proprio dello stato della cultura più compita ; intendendo per questo governo (idealmente) un governo formatosi per la selezione natu- rale più propria dell' uomo, ossia razionale ; e di persone funzionanti quasi come semplici arbitri morali ; e rap- presentanti U Idealità sociali ammesse dagli individui associati, che sono disposti per ciò a rispettarle, senza bisogno di coazione e di violenza. Le cose dette hanno una conferma da ciò che si riferisce al Diritto internazionale, e servono a chia- rirne ÌL fatto e la teoria. • 1 diversi Stati tra loro indipendenti sono come degli (i) Nella Morale dei Positivisti, Per es. Gap. II della Parte IV del Libro li, al numero i6 (pag. 399 del voi. Ili di queste Op, fil, nella edijE. del tSSs^ e 432 dell' ediz. del 1893 e del 1901, e 432 Del- l' ediz, dei 1908). 3"«|P).individui non co-ordinati l’uno con l’altro sopra i quali vige la ragione del più forte, poiché l' idealità sociale co-ordinante non è realizzata in un potere effettivo sovrastante, che si faccia valere; e quindi vi campeggiano sole attività egoistiche dei singoli, staccati V uno dall' altro. Ma, essendo il principio della socialità naturale al- l' uomo, come per esso tendono a stare uniti gli individui nella Società più semplice della famiglia, e questa e le altre unità sociali più o meno grandi tendono a colle* garsi organicamente nelle unità dello Stato, cosi gli Stati tendono poi a riunirsi fra di loro: e, parzialmente, in gruppi di Stati ; e, totalmente, nella unità universale della umanità intera. E da ciò si vede che il Diritto di uno Stato è rela- tivo al pari di quello dell' individuo, che ne fa parte ; per la ragione che, come il Diritto di questo viene a sof- frire una limitazione e una rettificazione col prevalere su di esso del Diritto del Potere dello Stato particolare che se lo subordina, così anche il Diritto di questo è limita- bile e rettificabile nella sua subordinazione all'organismo più grande, del quale tende a far parte. E cosi dicasi della Giustizia, che è la funzione del Potere. Nella Giustizia del Potere si riassumono tanto o quanto, diventando la Legge propriamente detta, o al- meno (se non ne sono in tutto sostituiti) vi si appuntano come tollerati, o permessi, o anche incoraggiati, certi atti di iniziativa degli individui ispirati dalla Idealità so- ciale, tendenti a frenare o vendicare la reazione istintiva irregolare: avverantisi già nel consorzio umano non ancora sviluppatosi nell'organismo sociale civile, e per- duranti in questo, o produeentisi nella condizione della Civiltà. Il padre che governa la famiglia, il forte gene- roso che difende il debole, V associazione che si prefigge scopi umanitari, e via dicendo, ne sono esempi. Qui ab- biamo le virtualità della Giustizia, che ne preparano r avvenimento, o la riforma miglioratrice, nella Giustizia di fatto dello Stato. E questa Giustizia di fatto di uno Stato è soggetta a limitazioni e rettificazioni ulteriori, per via di una Giustizia più ideale, in quanto uno Stato può subordinarsi alle unità sociali maggiori, delle quali dicemmo, e quindi alla Legge loro. Data la riunione effettiva di più Stati in una unità sociale maggiore che li comprenda, e della quale essi siano le parti componenti, in questa si avrà il Po- tere distinto o specifico coordinante, del quale abbiamo parlato sopra, col carattere della Giustizia, di fronte alle funzionalità particolari degli Stati componenti; la reazione diretta dei quali per ciò fra di loro avrà il carat- tere della Convenienza, mentre V uno non potrà valersi della forza materiale contro T altro, sia in sostegno del proprio Diritto, sia in offesa dell' altrui, ma dovrà la- sciarne r uso al Potere internazionale sovrastante. Il Diritto internazionale quindi non è effettivamente un Diritto, se non ha il detto carattere, della Giustizia. E non ha questo carattere, se non esiste un organo reale, colla forza sufficiente all'uopo, per esercitarla pratica- mente. La storia ci presenta diverse forme di questo potere intemazionale o egemmiico, che dir si voglia. Ma sempre più o meno imperfette. Per esempio quello esercitato dalla madre patria sopra gli Stati delle colonie, che ne furono fondate. O quello di uno Stato più forte sopra altri più deboli soggiogati colle armi, o ridotti a protettorato, o confederati, O quello di una autorità re- ligiosa sui popoli che la riconoscono. O quello risultante da una lega, più o meno precaria, per iscopi determinati. Le forme suddette, come già accennammo, sono forme di egemonia imperfette, o per la loro ristrettezza e precarietà, o perchè non abbastanza potenti per farsi valere, o perchè una tirannia di im forte su molti deboli, E per ciò disfatte o da disfarsi col progredire della Società. La quale invece tende ad una consociazione più ideale degli Stati fra di loro. Ma a quale? Poiché, e questa non deve essere per mezzo di uno Stato più forte che soggioghici altri più deboli, e tuttavia la consociazione, colla Giustizia so- vrastante relativa, non è una vera realtà organica se non esiste effettivamente il potere che la eserciti. La risposta alla domanda si ha in ciò che dicemmo costituire il governo più perfetto, ossia del vero regno della Giustizia, cioè n^W Aròiiraio. L'Arbitrato o l'Anfizionia internazionale. E come si va già disegnando sempre più concretamente nel fatto dei trattati internazionali aventi forza esecutiva, e del consenso moralmente giusto e fortemente efficace, che si va stabilendo nel gruppo degli Stati più civili circa te questioni sociali di interesse universale, e che influisce anche sopra la legislazione interna dei singoli Stati, Solo — ac- quando esista realmente, in forma ben determinata e colla forza necessaria di farsi valere, questa Anfizionia, potrà esistere un Diritto internazionale veramente tale. Dico, quando esista questa Anfizionia. Fogniamo sul fare della autorità centrale elvetica o degli Stati Uniti di America. E dico, quando questa Anfizionia sia un Potere veramente efficace. Il che non può essere, se non pel pro- gresso sociale dei singoli Stati dipendenti; come T Arbi- trato efficace fra gli individui non è possibile che a misura che questi si perfezionano moralmente, come dimo- strammo. E in effetto il progresso sociale degli Stati ci- vili è già riuscito a stabilire delle legislazioni, o comuni, o concordanti, colle rappresentanze e coi mezzi di esecuzione rispettivi, in ordine ai rapporti di interesse non politico; come sarebbero il Commercio, T Industria, la Navigazione» le Comunicazioni, i Diritti privati, le Monete^ le Misure, la Scienza. E tende ad estendere sempre più questo genere di Giustizia universale, sia colle Com- pagnie internazionali riconosciute per imprese di interesse della Civiltà generale, sia coi Congressi pure internazio- nali per altre sue esigenze, come sarebbe p. e. l'Igiene. Lontana ancora è T epoca della unione politica in discorso. Ma va facendosene sempre più forte V aspira- zione, che è già T anima del partito politico dell' internazionalismo, e che per la forza delle cose deve ormai essere confessata più o meno dagli stessi governi. Queir epoca è lontana; ma arriverà una qualche volta; e cioè quando nei singoli Stati saranno state rimosse le cause che la ritardano: quelle cause precisa- mente che la Civiltà attuale tende a rimuovere: e che saranno rimosse quando ogni Stato avrà ottenuto il suo as- setto naturale giusto rispetto all' Estero nella sua circo- scrizione etnografica, nella sua sicurezza, nel suo equili- brio cogli altri Stati. Anche la questione del Machiavellismo politico trova la sua risposta nei principj da noi indicati; riu- scendo cosi in pari tempo a riconfermarne la verità. La reazione dell'individuo nella rozzezza eslege del consorzio ancora selvaggio non è una reazione morale. Non lo è, né di fatto, né di diritto. Non di fatto, perché il suo movente é il puro istinto egoistico, pronto senza ritegno al danno altrui, indiffe- rente all'uso di tutti i mezzi di riuscire: fino alla violenza più spietata, fino all' inganno più vile e sfacciato. Non di diritto, perché, mancando l'ordinamento so- ciale e la Giustizia del Potere che ne é il prodotto, non si ha ancora la ragione, onde le reazioni umane siano giudicate col criterio della moralità. In una condizione analoga si trova il Potere nello Stato non progredito nella Civiltà. In tale condizione si rivela nel Potere ciò che si chiama il Machiavellismo. Il Machiavellismo del Potere può divenire, nel fatto, una impossibilità e, nel diritto, una immoralità, solo in forza di una Giustizia relativa che lo impedisca e lo ri- provi, E come? Per rispondere bisogna distinguere la reazione del Potere di uno Stato per rispetto al Potere di altri Stati, e quella del medesimo per rispetto ai propri subordinati. Nel caso della reazione del Potere di uno Stato per rispetto agli altri Stati è evidente che, se esso non è tutelato nella sua esistenza da una forza internazionale equa e^ nella sua tendenza a vantaggiarsi sugli altri e a soperchiarli, non è frenato dalla medesima, non farà dif- ferenza tra mezzo e mezzo che giovi al suo intento; e il danno altrui lo procurerà come bene suo proprio. Il ricorrere ai mezzi opportuni all' intento, nel caso in discorso, come non ne è impedito dalla Giustizia in- ternazionale, che non esiste, cosi non è nemmeno ripro- vato, E per ciò il ^lachiavellismo del Potere nella sua rea- zione cogli altri Stati viene ad essere una possibilità di fatto, senza essere ancora una immoralità di diritto. Ciò è dimostrato storicamente nelle formazioni in- ternazionali imperfette di epoche e regioni diverse. Valga r esempio dei vari Stati della Grecia antica, collegati tanto o quanto fra loro, e insieme isolati dalle genti non greche; alle quali, considerate per ciò come barbare, ne- gavano i riguardi che pure si avevano fra loro. E valga r altro esempio delle religioni abbraccianti diversi Stati, i quali insieme per ciò di fronte agli altri, considerati siccome infedeli, si credevano sciolti da ogni freno di procedimento. Nel caso della reazione del Potere per rispetto ai propri sudditi è da considerare che la sua condizione in uno Stato progredito nella Civiltà è ben diversa da quella che la precede. Qui il Potere non è ancora divenuto la semplice e- spressione del volere di tutti che lo pone, lo regola, lo sancisce, come la Giustizia che lo rigfuarda. Ma è ancora solo la conquista machiavellica di una casta, di una fa- miglia, di una persona, lottanti per conservarlo con tutti i mezzi atti all' uopo di fronte alle altre caste, ad altre famiglie, ad altre persone dello Stato medesimo, con una reazione quindi come tra individuo e individuo prima della costituzione definitiva di una Giustizia superiore al di sopra di essi. Nel caso in discorso è notevole il fenomeno del concetto della Giustizia divina, che si pensa sovra- stare alla stessa persona del Principe (come spiegheremo in seguito) ; in modo che le sue azioni, quantunque fuori d* ogni Legge, tuttavia vengono considerate dal punto di vista della moralità: onde il suo Machiavellismo, persi- stendo di fatto, viene a cessare in qualche modo di esi- stere di diritto. Questo fenomeno non è un argomento contro il nostro principio, ma a favore di esso. La Giustizia perfetta accompagnante lo stesso svi- luppo iniziale dell'organismo sociale, informa natural- mente la coscienza di quelli che ne fanno parte. E que- sti, ignorando come si è formata veramente, la immaginano una entità assoluta preesistente alla Società e pro- pria del nume divino. E cosi la si pensa valere, nella lotta fra i competi- tori del Potere, al di sopra e delle imprese degli emuli e di quelle del vincitore. In effetto però il Potere conquistato dallo stesso vin- citore lo emancipa dalla Giustizia, che esso esercita sopra gli altri, e (massimamente se la lotta è eccitata da idee sociali nuove) si fa autore di una Giustizia nuova che deroga quella anteriore creduta divina ; e questa per con- segfuenza non serve più quale criterio di moralità delle azioni del Potere medesimo. Di che luminosamente ci ammaestra la storia nei contrasti multiformi col Potere sacerdotale sostituito da quello militare, e tra questo e il civile che gli sottentra nella Civiltà più avanzata. Il conòetto quindi della Giustizia divina né valse da sé a impedire nel fatto il Machiavellismo del Potere, né a riprovarlo nel diritto. Parlando però di impedimento del Machiavellismo non abbiamo inteso di un impedimento assoluto, ma solo relativo. La forza della Giustizia, che si stabi- lìsce nella Civiltà avanzata, anche al di sopra del Potere di uno Stato, ne impedisce il Machiavellismo tanto o quanto; ma non mai affatto. La cosa qui è precisamente come nelle reazioni ini- que tra cittadino e cittadino, che la Legge dello Stato tende ad impedire : ed impedisce realmente tanto o quanto ma non mai del tutto. Dalle cose dette importa soprattutto che si raccolga V importanza suprema, in ordine alla moralità, dello sviluppo dell' organismo sociale sopra indicato. Come accennammo (e lo dimostreremo più largamente in seguito) lo sviluppo del consorzio umano nello Stato ha per effetto la moralità privata. La Civiltà che per- feziona r organismo dello Stato all' interno, e promuove r associazione civile degli Stati ha per effetto la moralità politica. La Giustizia (e quindi la Responsabilità, che è un suo correlativo) non è perfettamente tale nell'organismo civile se in questo non si ha la libertà ù.^\\^ parti coordinatevi, e la distinzione netta del Potere e delle sue attribuzioni. Importa fissare in modo preciso in che consista, teo- ricamente, la libertà. La libertà consiste in ciò, che la parte coordinata neir organismo sociale vi possa funzionare secondo la di^ sposizione naturale onde è atta a funzionare. E, in base a tale disposizione, imprescrivibilmente. E, tanto relativamente a se stessa, quanto nel reagire all' azione collaterale delle altre parti. S' intende bene che la disposizione naturale onde la parte è atta a funzionare, traente con sé il diritto impre- scrivibile alla funzione relativa, deve essere quella del- l' uomo socialmente perfezionato ; e quindi in tutto razionale in ordine alla convivenza e alla collaborazione cogli altri nel consorzio civilmente perfetto. Ma la reazione della parte verso le altre deve essere tale che non le impedisca. Che altrimenti si avrebbe eli- sione di attività nelle parti impedite, e quindi lesione in queste della loro libertà. È questa una condizione essenzialissima perchè esista realmente nell'organismo sociale la libertà vera e per- fetta delle sue parti. Ora tale condizione importa che la reazione della parte sulla parte si limiti a quella della pura Conve- nienza, che esclude la violenza dell' uno suir altro. E cosi questa esclusione, . ossia questo limite nega- tivo, viene ad essere essenziale al concetto della libertà. Sicché questa è determinata positivamente dalla attività intrinseca dell' operante che ne è fornito, e negativamente dalla rimozione della violenza estrinseca che la impedi- rebbe nella sua sfera di coordinazione. Il limite negativo suddetto della libertà ne porta seco di necessità anche uno positivo, per la ragione che la rimozione degli impedimenti estrinseci alle libertà delle parti non si può ottenere se non mediante la costituzione di una forza superiore a tutte, sufficiente all'uopo. La coazione, colla quale questa forza deve reagire, per lo scopo detto, sopra le parti subordinate, non eli- mina la libertà, come sarebbe la coazione tra parte e parte. Come notammo sopra, la coazione della parte come tale è egoistica, e quindi a vantaggio della parte che la esercita e a danno della parte che la soffre; mentre la coazione del Potere sovrastante alle parti è antiegoistica, vantaggiosa alla Società, e quindi diretta a salvare nella integrità della sua attitudine e funzione la disposizione naturale di ogni sua parte. La forza superiore del Potere essendo richie- sta dalle esigenze delle stesse libertà delle parti subor- dinate» queste devono concorrere a costituirla con una parte della loro attivitàt sottoponendola quindi alla ne- cessità della organizzazione sociale. Qui, come dicemmo, abbiamo un limite positivo della libertà delle parti costitutive della società; ma, siccome è posto da esse liberamente (mentre l'organizzazione so- ciale è una spontaneità naturale del consorzio umano nel quale si produce)» allo scopo di sussistere, torna poi sem- pre che la libertà delle parti medesime rimane on primo ed un assoluto da cui tutto in ultimo dipende nella società. Dal bisogno stesso della libertà adunque di- pende anche il Potere subordinante. E con ciò è legiitimaiù. E quindi anche determinato in ciò che deve essere. Determinato nel corpo che ne è investito, il quale non deve essere una delle stesse parti coordinate, perchè con ciò essa si troverebbe nel caso sopra indicato ed e* sclusOf della parte che impedisce V altra* Determinato nella azione che deve esercitare, che è quella precisa richiesta dai due limiti «opra detti, cioè^ quello di porsi, onde essere in caso dì funzionare, e non più; e quello di impedire la violenza della parte sulla parte, e non più- Ciò posto r ideale della Società umana richiede le ragioni che seguono. L' autonomia perfetta delle parti, che cioè ognuno sia veramente un arbitrio, come dicemmo nella Morale dei Positivisti (i). E precisamente quel tanto che si trova di poter essere realmente. Secondo. Nessuna esecutività diretta o violenta del volere dell' una sull' altra. Sicché la reazione loro sia quella della Convenienza, scevra da costringimento ma- teriale. Terzo. Costituzione distinta del Potere, al quale solo competa la esecutività coattiva sopra le parti subordinate. Quarto. U ordine del Potere derivante dal corpo dello Stato per selezione naturale degli ottimi, in dipen- denza dal volere stesso delle parti che vi si subordinano ; e in virtù delle Idealità sociali proprie delle stesse, e quindi non altro che allo scopo della tutela delle auto- nomie coordinate nella Società, e della stessa loro coor- dinazione nella medesima. Quinto. Giusta e stabile organizzazione e subordina- zioue delle parti corrispondente alla stabile giusta orga- nizzazione ed efficacia d' azione del Potere. Ma il fatto concreto delle Società storiche del- l' umanità si presenta assia vario e complesso. E lo stesso (i) Libro I, Parte II, Capo IV, (Pag. 113 del voi. Ili dì queste Op, fU. nella ediz. del 1883, 118 della ed. del 1893 e del 1901, 122 della ediz. del 1908). Ideale generico di queste Società non sì può rettamente comprendere senza lo studio diretto del fatto medesimo. E noi qui lo tenteremo, prendendo le mosse dalla stessa analogia, alla quale ricorremmo sopra, tra V orga- nismo sociale e V organismo biologico. Nelle specie infime degli animali le parti del corpo sono omogenee ed indistinte, o pressoché tali. E somiglia a questo indistinto preorganico della zoologia r indistinto preorganico sociale delle truppe o coacerva- zioni disordinate delle popolazioni selvaggie. Nelle specie animali che seguono alle infime nella scala zoologica si ha una prima distinzione di formazione : cioè una moltitudine di parti distinte, congiunte insieme in colonie, nelle quali non è ancora costituito un apparato speciale distinto unico atto a subordinarle insieme nella unità più perfetta dell' individuo. E a ciò somiglia il fatto dei primordi di una formazione sociale, nei quali, sul suolo medesimo e coi soli rapporti della vicinanza, e della parità maggiore o minore delle idee, dei costuiri e della discendenza comune, si trovano a contatto, in un certo numero, le tribù o i pìccoli Stati indipendenti gli uni degli altri. Nelle specie animali superiori, per una distinzione ulteriore (onde si forma la diversità dei tessuti e uno di questi, il nervoso, resta con una speciale superiorità verso gli altri in quanto, formando un sistema solo di tutte le sue diramazioni nate in ogni parte, associa cosi colla u- nità del suo lavoro i lavori di tutte le unità singole su cui domina), si arriva alla unità organica propriamente detta, che non è più quella della massa informemente coacervata, né quella delle semplici colonie delle unità distinte, ma quella dell' individuo complete, E somiglia a questa distinzione progredita quella della Società ci- vile, formatasi in seguito alla distinzione delle tribù in caste, e al predominio della più forte e intelligente sulle altre, e alla trasformazione successiva della sua tirannia nel Potere regolare, moderatore delle unità sociali con- federate. Nel processo evolutivo di distinzione della formazione biologica l’apparato, onde si unificano le parti neir organismo assai complesso dell' animale, sorge dalle intimità della sostanza viva. La quale però non risente l’effetto proprio dell' apparato stesso, uscito dal proprio seno, se non a misura che si è formato effettivamente. Lo stesso avviene nel processo evolutivo di distinzione della formazione sociale. Il Potere subordinante, e quindi ciò che si dice la Legge e la Giustizia, e la relativa Re- sponsabilità dell' individuo verso di esse, nasce dalla stessa virtù intima delle parti associate ; ossia in ultimo, degli individui umani. E accennammo già come; e spie- gheremo più a lungo in segfuito. Nasce cioè in virtù delle Idealità sociali (i), che sono un fenomeno psichico pro- prio dell' individuo. Ma r individuo non ne ha coscienza distinta se non dopo che, pel processo naturale indicato, e inconscia- mente per lui, il Potere stesso si è costituito. Ed ecco come l' individuo è il fattore della Legge, della Giustizia, della Responsonilità ; e, nello stesso tempo, (i) Su ciò verte in generale tutto il Libro I della Maiale dei po- sitivisti, e in particolare il suo Capo III della Parte III. queste suppongono l’evoluzione sociale già avvenuta, e vi sono risentite siccome la correlazione dell' individuo subordinato col potere sovraneggiante. E con ciò siamo ora in grado di rilevare ancora m.e- glio, e una volta di più, la verità, già illustrata nella Morale dei Positivisti (i), del concetto della morale degli antichi e di Aristotele in ispecie, che la consideravano correlativa essenzialmente alla Società formata ; e la fal- sità del concetto ascetico-scolastico, che la considera sic- come indipendente dalla Società stessa, fondandosi sul fenomeno sopra indicato (2) del concetto della Gitistizia divina. Ma la coordinazione e subordinazione, nel corpo sociale come neir animale, e in qualunque altra unità or- ganica naturale, non è cosi semplice quale, per chiarezza e preparazione del discorso ulteriore, sopra abbiamo supposto. Non è cosi semplice. Vale a dire non è puramente un certo numero di parti, proprio eguali ed equipollenti, concertate per la dipendenza diretta unica e sola di o- gnuna da un centro immediato di tutte unico e solo; come, per esempio, i raggi di un cerchio dal punto di mezzo, dal quale si dipartono uniformemente con ugua- glianza di lunghezza e di divergenza. E invece immensamente più complessa. Gl’elementi fondamentali ed ultimi del corpo so- ciale sono gli individui umani, i quali formano, in gruppi di pochi, degli organismi sociali elementari distinti ; que- (1) Capo V della Parte III del Libro I. (2) N. 6 del l III. sti piccoli organismi elementari poi si coordinano come parti di associazioni e di organismi superiori ; i quali alla loro volta di nuovo si aggruppano in complessi maggiori. E la serie di tali ordini maggiori, che ne abbracciano dei minori, è ben lunga. Come è anche il caso dell' animale superiore, soprat- tutto dell'umano, nel quale ogni arto ed ogni viscere è già un complesso ottenuto per una certa serie di combi- nazioni di gruppi minori; e gli arti e i visceri sono insieme collegati dai centri del midollo spinale, al quale poi sono sovrapposti gli altri centri superiori del cervel- letto e dei lobi cerebrali, dipendenti alla loro volta dal- E qui possiamo venire a una conseguenza im- portantissima circa i diversi aspetti che assume nella So- cietà civile ciò che dicemmo in genere, la Giustizia; e quindi anche la Responsabilità. Data la serie delle subordinazioni dette sopra, solo degli estremi si potrà dire che siano assolutamente, T in- fimo, la piura Convenienza, e il sommo, la piura Giustizia. Non COSI dei medii. Qualunque dei quali non sarà asso- lutamente, né la Giustizia, né la Convenienza; ma con- incoata, e si compia solo in virtù del Tribunale dello Stato. E cosi il Potere dello Stato, per rispetto all' eser- cizio della Giustizia subordinata della associazione particolare, no permette solo quello che non danneggia l'assetto generale della Società o il Diritto dei soggetti in quanto questi sono enti, oltreché della essociazione par- ticolare, anche in pari tempo della totale. Il che fa sì che la Giustizia propria dei Poteri su- bordinati, col progredire della Società, va sempre più av- vicinandosi a ciò che chiamammo sopra V arbitrato, E che rispteade massimamente in quello paterno del buon padre di famiglia. Spieghiamoci meglio. Nelle popolazioni selvaggie l’individuo è vindice di se stesso, o dei propri voleri, al di sopra dei quali non è costituito ancora, per la imperfezione della associazione in cui vive, nessun potere giudicatore. E vindice dei propri voleri, anche se violatori della libertà dell’altro. La costituzione di. un Potere superiore . nelle Società progredite, che si assume la vendetta delle violazioni della libertà individuale, togliendo la esecutività co-attiva al *volere dell' individuo sopra l’altro*, assicura la libertà di ambi. Tanto la cosa è cosi che, se per poco vien meno questo Potere superiore, torna subito all' individuo la ne- cessità e quindi il Diritto della propria vendetta. Come nel caso che una persona appartenente ad una società civile si trovasse fra una popolazione selvaggia, o sopra una nave in alto mare e quindi fuori della portata del Potere vendicatore, o assalito senza scampo immediato da malfattori, o in un momento di anarchia dello Stato in cui vive. Nel primo embrione di Società, in quello mettiamo di una famiglia isolg-ta dal resto degli uomini, le contese tra i fratelli le giudica e le vendica il padre, che ne è il capo naturale. E la sua vendetta è illimitata e senza responsabilità verso nessuno. Nessuno per ciò gli impedisce o gli contende il Di- ritto anche sulla vita dei figli e della moglie. Non così però, coordinate che siano le famiglie sotto un Potere superiore nella città che le abbraccia in una società sola. In questa città il Potere superiore tende a limitare il Potere del padre al puro necessario per l'esi- stenza, il ben essere, la prosperità della famiglia come tale; e veglia a che il padre non eserciti verso i suoi dipendenti altro Potere che questo, che però in pari tempo concorre ad assicurare: e vendica su di lui ogni eccesso od abuso del potere. E da ciò consegue naturalmente, che se ne restringa sempre più la esecutività, e che si converta in semplice arbitrato ; nel quale può soprattutto, e da sé sola, per la propria impulsività morale, la Idealità sociale, nella quale consiste la Legge, nel cui nome l'arbitrato si esercita. Ed ecco quindi l’effetto naturale del progresso della evoluzione sociale: salvare e garantire sempre più le autonomie naturali. Stabilire sempre più distintamente il compito dei Po- teri subordinanti; e impedirne gli eccessi e gli abusi. Rendere quindi con ciò più evidenti le Idealità s(h ciali, e rafforzarne la impulsività, e ridurle alla condi- zione di Poteri efficaci senza uso di violenza e quali sem- plici arbitrati. Come più volte, e per varie g^ise, dedu- cemmo sopra. Il quale eflFetto, che il Potere si converta in semplice arbitrato, lo riscontrammo anche nello stesso Potere, solo provvisoriamente supremo, di un singolo Stato. Solo provvisoriamente supremo. Perchè notammo, che lo Stato tende a coordinarsi naturalmente nei colle- gamenti intemazionali di più Stati. E per la stessa legge; mentre dimostrammo, che il Potere di uno Stato va sempre perdendo del violento, e avvicinandosi alla natura puramente persuasiva della Idea- lità, che si impone da sé, in conseguenza di una forza estema e superiore ad esso; cioè del potere inter-nazionale, tendente ad impedire gli atti di lesa umanità nei singoli Stati intemazionalmente collegati o altrimenti, e il loro Machiavellismo. Come emerge poi luminosamente anche dalla storia politico-sociale contemporanea. Un saggio storico eloquentissimo di un Po- tere superiore convertitosi in semplice arbitrato si ha nel fatto della Chiesa Romana, e in seguito all' abolizione di ciò che in essa si chiamava il braccio secolare. Si verificò in questa conversione, per questo lato, r Ideale della Società umana, sopra da noi chiamato anche il regno (razionale) della Giustizia sottentrante a quello irrazionale del fato; ossia il regno del concorso libero o autonomico delle parti costituenti ; e non eteronomico(\)y ossia p>er violenza materiale esercitata sopra di esse da una forza, non morale, ma bruta. E questo arbitrato sociale non è poi altro in fine se non lo stesso arbitrato della volontà dell' indi- viduo sopra se stesso, onde emana, come più volte di- cemmo. Ne emana, e quindi ne ha in sé le ragioni costitu- tive. Nel medesimo tempo però, per le ragioni già ripe- tute, lo stesso arbitrio individuale non finisce di diven- tare ciò che deve essere (vale a dire una forza che muove per la impulsività pura delle Idealità sociali), se non a misura che, idealizzandosi nel modo anzidetto, si perfe- Circa r Autonomia e la Eteronomia, vedi la Morale dei Po- siiivisti, Lib. I, Parte II, Capo IV (Pag. 113 del volume III di queste Opere filosofiche nella ediz. del 1885, 118 della ed. del 1883 e del 1901, e 122 della previa edizione). seziona il Potere sociale al quale V individuo è subordi- nato. Onde poi lo studio dell' arbitrio sociale subordinante serve indirettamente a far conoscere la natura dell'arbi- trio deir individuo umano. E siccome lo studio da noi qui fatto dell' arbitrio sociale subordinante ci ha condotto al concetto di una Legge© che si impone colla sola evidenza della propria Giustizia, con ciò abbiamo una nuova prova della nostra dottrina (esposta nella Morale dei Positivisti). L'idealità sociale impulsiva del volere individuale è una Giustizia. Ed ora poi dalle cose dette possiamo ricavare la conseguenza, alla quale mirava tutto il lungo discorso fin qui fatto sopra la distinzione e la genesi della Convenienza e della Giustizia. L' Idealità sociale è la stessa Legge che si stabilisce nella Società. E la Legge è la Giustizia in quanto im- porta una Responsabilità dei subordinati verso il Potere. L' idealità sociale (impulsiva della volontà dell' indi- viduo, com' è dimostrato nella Morale dei Positivisti) si viene formando nella psiche dell' individuo convivente nella Società per effetto di questa convivenza. Per ciò di- ciamo che r Idealità sociale è infine nuli' altro che l'm- pronta, nella psiche singola di un dato uomo, della Legge o del Volere sociale subordinante. Nello stesso luogo indicato nella nota precedente. Da ciò consegne poi che l’Idealità sociale nella psi- che o nella mente dell' uomo, in cui si è formata nel modo ora detto, non si presenta come una semplice ve- rità logica, dipendente da una propria speculazione teo- rica, ma si come qualche cosa che si impone; cioè come una Legge che la domina da una altezza superiore, e ac^ compagnata dalla minaccia di una Sanzione vendicatrice ; ossia, non come una semplice idealità qualunque, ma come una Giustizia. Ed ecco scoperto il nostro gran difficile. La Giustizia non può essere che la legge del potere subordinante: e tuttavia la Idealità sociale, impul- siva del volere dell' individuo e nascente in lui per la evoluzione intima e propria della sua psiche, è pure una Giustizia. I due asserti parevano contradditorj ; e invece sono veri ambedue, accordandosi tra di loro e spiegandosi a vicenda. Si spiegano a vicenda. Da una parte, non è possibile il fatto della Legge del Potere subordinante senza il lavoro psichico dei di- versi individui che compongono la Società. Dall' altra, le stesse attitudini dell' individuo sono però massimamente gridate nel loro funzionamento natu- rale dall' ordine delle cose della Società in cui vive. E quindi le Idealità sociali dell' individuo devono assumere nella sua mente la forma della Legge subordinante che domina nella Società che lo involge : devono essere nella sua mente come 1' eco o la soggettivazione o il pensiero del fatto oggettivo reale dell'ambiente che determina il suo lavoro intimo. Il valore scientifico della detta soluzione della difficoltà propostaci è tanto maggiore in quanto V indu- zione sociologica qui conferma pienamente V induzione psicologica, che nella Morale dei Positivisti ci portò alla medesima conclusione. Alla conclusione cioè, che la morale individuale è es-- senzialmente dipendente dalla morale sociale ; e che VE- tica è un ramo della Politica, come diceva Aristotile, ossia della Sociologia, come si dice adesso. E che il principio dei Metafisici, che sia l'Etica che crei la Sociologia (e non il contrario), è falso. Falso, come, in ogni altro ramo della scienza, il cre- dere che il fatto complesso della natura sia determinato direttamente dalle azioni indipendenti dei singoli compo- nenti, e non che V azione di ogni componente sia essa stessa determinata dal suo rapporto col resto della na- tura ; come ho spiegato nel libro della Formazione natila rale nel fatto del sistema solare (i), dove dimostrai che la legge di una formazione naturale qualunque è questa : che un fatto singolo è il punto nel quale si intersecano le due linee infinite dello Spazio (o delle cose tutte quante esistenti) e del Tempo (o delle azioni tutte quante succedutesi). E godo adesso di avere illustrato quella legge gene- rale col rilevarne la verifica anche n^Wz. formazione etica. La quale ha questo carattere, di apparire nella co- scienza individua siccome una Giustizia. E la Giustizia implica un ambiente esterno alla coscienza stessa, dal quale sia determinata. Del quale principio poi (e gioverà notarlo qui ancora, quantunque, la cosa, V abbiamo accennata altre volte precedentemente) è prova positiva diretta il fatto storico (superiore a qualunque eccezione, e accertabile nel modo più evidente) che nmt non fu possìòtle di ira- vare in una coscienza individuale una Idealità elica, ossia un principio di Giuslizia, di formazione inconsapevole, £he non corrispondesse al fatto della Legge sociale real- mente riabilitasi neir amòiente nel quale la coscienza stessa fu educata. Proprio come sopra nessuna bocca d'uomo parlante fu mai possibile una parola inconsapevolmente appresa, che a lui non abbia insegnato la So- cietà dei parlanti fra i quali crebbe. E come in tutte le cose le diversità degli ambienti creano le varietà e le specie delle individualità dipen* denti, cosi le Varietà e le Specie eliche fra gli uomini sono create storicamente dagli ambienti sociali vari e di- versi, ai quali essi appartengono; e per quella stessa leg^ge dell’ordine e del Caso, che in ogni parte della na- tura si verifica nella produzione delle Varietà e delle Specie delle cose, come dimostrai nel libro testé citato. Che più? La stessa teoria dei metafisicici for- nisce un argomento in appoggio della nostra. Anche il Metafisico ha trovato nella coscienza umana Una serie di Idealità, direttive del volere, con questo ca- rattere della Giustizia o della Obbligatorietà; e ha argo- mentato che, per ciò stesso, ossia per tale carattere della obbligatorietà, era giocoforza ricorrere a qualchecosa di esterno alla coscienza medesima, onde quelle Idealità le fossero dettate, e di fronte ad essa sancite. Se non che il Metafisico non si è apposto nella de- terminazione giusta di questo esterno. Ossia il suo esterno non è quello distinto e vero del Positivista, che è quanto dire V ambiente sociale ; ma T indistinto, anzi il confuso della speculazione volgare antiscientifica, ossia dio. Non si è apposto qui il Metafisico, come non si è apposto neir assegnare T esterno onde dipende la produ- zione della pianta e dell' animale, che il Positivista ha trovato essere la stessa natura (i) e il Metafisico ha cre- duto fosse il volere diretto della divinità. L' Idealità etica è una Legjge obbligante, ossia una Giustizia. Dunque, ha detto il Metafisico, tale Idealità è prima una realtà fuori dell' uomo, ossia è un pensiero di dio. E da esso è dettata in modo misterioso all' uomo. Vale a dire lo stesso pensiero divino di quella Idealità è riflettuto nella mente umana, come in uno specchio il raggio di luce che lo illumini da un corpo per sé luminoso. L' Idealità etica è una Legge obbligante. E non lo sarebbe realmente se non importasse una Sanzione. Dun- que, ha detto il Metafisico, lo stesso dio ha decretato quella sanzione e la applica in un modo misterioso. Un castigo misterioso è preparato in una vita misteriosa av- venire a quelli che trasgrediscono la Legge stessa. Non sarà inutile qui di avvertire che, pel significato dì questa parola natura, mi riferisco alla spiegazione che ne do negli 'altri miei libri, e specialmente in quello della Formazione naturale nel fatto del Sistema solare : e per la quale intendo solamente le proprietà inerenti alle stesse cose. Sicché è ridicola affatto V osservazione di certi miei accusatori superficialissimi^ che io con questa parola non faccia altro che sostituire al soprannaturale, chiamato dio dai metafisici, un* altro soprannaturale chiamato natura. Dal che si rileva, che la Metafisica ha notato giu- stamente la relatività della Giustizia data nella coscienza verso una esteriorità che renda ragione delle qualità ca- ratteristiche della Giustizia medesima quali la osserva- zione le riscontra nel fatto della coscienza stessa. Solo ha sbagliato nel projettare questo fatto. Ha sbagliato la Metafisica nel projettare V individuo cosciente sul fondo della esteriorità immaginaria e fallace della divinità^ an- ziché su quello della esteriorità positiva e vera della Società, Ha sbagliato qui la Metafisica, come negli altri campi dello scibile la scienza vecchia in genere. Per esempio, V astronomia tolemmaica, che aveva ragione nel distinguere i fatti dei movimenti dei corpi celesti, ma errò nella loro projezione. Proiettandoli essa secondo la ragione del suo falso supposto che la Terra fosse immo- bile, le osservazioni vere condussero ad un disegno falso del movimento cosmico reale. Per render vero questo di- segno r astronomia copernicana non ha avuto bisogno di altro che di projettare le figure medesime del movimento sidereo, notate dai tolemmaici, secondo una ragione pro- spettica diversa; cioè secondo la ragione della immobi- lità del Sole, e della mobilità della Terra intorno ad esso. E così qui possiamo riconfermare il nostro asserto per ciò che dicemmo in un capitolo della Morale dei Positivisti (i), dove accennammo alla genesi storica della (i) Capo VII della Parte I del Libro I, n. 8 (Pag. 70 del Voi. Ili di queste Opere filosofiche nella ediz. del 1885, 72 dell' ed. del 1893 e del 1901, e 75 dell'ediz. del 1908). stessa Idea della Giustizia divina nel terzo stadio della evoluzione del sentimento religioso. L’Idealità sociale è gia Giustizia potenziale. La Giustizia adunque, secondo le cose dette, ha due lati essenziali correlativi V uno air altro ; correla- tivi come r individuo e la Società. Due lati: dalla parte della Società, ossia come un fatto verificatosi persistentemente nel Potere che la eser- cita sugli individui dipendenti : e per questo rispetto spe- cialmente si chiama Giustizia. E dalla parte dell* indi- viduo nel quale è, non qualchecosa di statico, come nel Potere, ma una potenzialità, ossia qualche cosa di dinamico: e per questo rispetto specialmente si chiama Idea- lità sociale. Capitale questo carattere della Giustizia o dell'Idea- lità sociale dell' individuo. E positivamente certo : poiché corrisponde alla osservazione del fatto. E che non si può spiegare se non per le vie onde qui lo scoprimmo. E senza del quale poi è impossibile chiarire le diverse forme delle reazioni sociali, e quindi delle responsabilità corrispondenti al principj etici dominanti nella coscienza individuale. E in che consiste questa ragione dinamica o questa Potenzialità? Ossia in che modo la Giustizia nella co- scienza individuale è una Giustizia potenziale? Nell’individuo non può esistere distintamente in un determinato modo il concetto della Giustizia so- ciale obbligante, e correlativa ad una Sanzione, se non per effetto sull'individuo stesso della vita sociale com- plessiva, della quale esso faccia parte. Questo si: ma è pur vero che, come la Società è V opera degli individui che r hanno costituita, cosi la Giustizia che vi domina si deve in ultimo alle loro disposizioni psicologico-morali, che ne sono la potenzialità inconsapevole. Secondo. Una volta che la Giustizia sociale è dive- nuta, pel processo naturale inconsapevole della forma- zione della Società, un fatto statico atto ad informare di sé la coscienza dell' individuo vivente sotto il suo re- gfime, questa coscienza concorre a mantenerla nell'essere suo. E ciò più o meno consapevolmente. Così, per esempio, il maestro di musica di una data epoca è in possesso della sua arte perchè questa vi si era naturalmente maturata ; e cosi potè essere da lui appresa nella forma che vi aveva. Egli poi serve in pari tempo a mantenerne la tradizione. La applicazione della Sanzione sociale in virtù della detta consapevolezza viene ad essere reclamata dallo stesso pensiero della Giustizia vivente nella coscienza in- dividuale. E quindi la detta applicazione è una soddis- fazione della stessa coscienza individuale. E tanto, che la Sanzione medesima essendo applicata, mentre soddisfa il reclamo della coscienza individuale, nello stesso tempo la rafferma e la rende più viva e sentita, come osser- vammo nella Morale dei Positivisti (Libro II, Parte IV, Capo II, n. 17 (pag. 400 e seg. del Voi. Ili di queste Opere filosofiche nella ediz. del 1885, 423 dell' ed. del 1893 e del 1901, e 433 delPediz. del 1908). La coscienza individuale diventa per tal modo giudice in primo appello, o potenziale, dei fatti e degli ordinamenti della Socteià complessiva. E giudice delle parti coordinate nella Società^ Settimo, E giudice di se stessa. Ed ecco, in questa ultima cerchia, la Giustizia sociale divenuta Giustizia etica. La Giustizia sociale cosi nell'individuo lo rende un giudice potenziale verso tre termini: la Società stessa, le altre parti coordinate (ossia ciò che anche si dice, il prossimo), e se stesso. Come giudice potenziale verso la Società coopera nella produzione del Potere e nella riduzione di esso alla sua forma giusta. Come giudice potenziale verso il prossimo si atteggia nella reazione che dicemmo della Convenienza. Come giudice potenziale verso se stesso si manifesta nel fatto intimo del rimorso per la colpa e della compiacenza morale per la virtù, Resta che si considerino un poco queste tre specie di giudizi del tribunale individuale della coscienza di ciascun uomo, E, per ora, la prima e la seconda. E cominciando dalla prima, ossia del giudizio del- l' individuo verso il Potere sovrastante. Nello sviluppo normale della vita sociale la ragione della Autorità subordinante e la sua fissazione in un Potere effettivamente affidato ad un dato ordine di persone va producendosi di continuo inconsciamente (quan- tunque in modo inegualissimo dall' uno all' altro) nella psiche dei singoli individui. E perciò fu da noi detta sopra, non statica, ma dinamica. Vi si va producendo di continuo secondo che la com- partecipazione precedente degli individui stessi li ha messi in grado di procedere, dalla formazione psichica acquistata inconsciamente nella matrice sociale educativa, ad una formazione ulteriore. E con un lavoro, che si svolge si nei singoli indi- vidui, ma nello stesso tempo, per la comunanza della vita morale, si aiuta nel formarsi del lavoro simultaneo degli altri. Inegualissimamente, abbiamo detto, nei singoli indi- vidui. Ma colla consapevolezza del consentimento nella formazione stessa della massa sociale. In modo che la formazione medesima, quantunque inegualissima nei singoli, determina una tendenza com- plessiva, che ha la potenza unica e grande corrispondente alla somma delle individuali. Potenza che si attesta con un effetto proporzionato: cioè colla creazione del Potere sociale, che rappresenta quella Idealità sociale onde è l’effetto (come già di- cemmo), o col perfezionamento del Potere già esistente, in corrispondenza col perfezionamento delle stesse Idea- lità sociali. Per tal modo il Potere, come è una manifestazione spontanea della vita sociale, nella quale concorrono i sin- goli individui inconsciamente, e prorompe quindi da tale inconscio concorso irresistibilmente, cioè pel processo in- vincibile della natura, e diventa coscienza dell'individuo solo dopo che si è manifestato nella realtà sociale pròdotta dal processo medesimo, così è potenzialmente prima neir individuo. Ne viene, che V individuo stesso, una volta che ha potuto cosi accorgersi dell' Idealità sociale produttrice del Potere sociale (accorgersene cioè dopo la sua manifesta- zione comune in esso operatasi), s' accorge insieme di due cose. Che cioè la detta Idealità ha all' estemo per suo corrispondente il Potere stabilito nella Società, ed è nata dentro di sé: e che vi è nata col carattere di una Giu- stizia ; vale a dire con quel carattere col quale apparisce all' individuo quando arriva ad averne la coscienza. E tanto, che l' individuo sfesso per tale Idealità concepita come Giustizia giudica lo stesso fatto esterno del Potere : ossia rileva come corrisponde o meno al principio di Giustizia della propria coscienza, e pone astrattamente una Responsabilità dello stesso Potere verso esso principio. Ed è ciò precisamente che notammo sopra, parlando del Machiavellismo polìtico nel suo riguardo all' in- terno, e del fenomeno storico del concetto della Giustizia divina. Il che poi spiega un altro fatto della evo- luzione sociale. Quello cioè che, a misura che una Società progredisce nella cultura e nella umanità, diminuisce ciò che si dice il Diritto del più forte, é cresce ciò che si dice il Diritto dell' uomo, e l’ordinamento sociale va sempre più diventando elettivo. Che è mai il Diritto dell' uomo, che si attesta di fronte al Diritto del Potere subordinante, se non la sud- detta coscienza individuale della Idealità sociale, onde il potere medesimo nasce e vige ? Si: è proprio la suddetta coscienza individuale, che ne è il giudice potenziale, po- nendolo, fissandone i confini, e creandone la responsabi- lità in modo . astratto verso se stessa. Questo Diritto, la coscienza lo trova in sé, in seguito al fenomeno sociale corrispondente verificatosi; a quel modo che la coscienza dell'arbitrio sopra le proprie gambe si ha solo dopo che si è fatto Tuso volontario delle gambe medesime. E l’arbitrio la causa onde si muovono le gambe ; ma solo r effetto seguito del movimento rende avvertita la coscienza di tal suo potere. E ciò è proprio di ogni genere di coscienza. Per esempio, dell' arte. Che sa dell'arte l'uomo prima di avere prodotto un' opera d' arte? U opera riuscita inconsciamente estetica gli rivela il suo potere estetico. E dair opera medesima che 1' uomo ricava la coscienza e la regola dell' arte in genere e la mossa a progredire nel correggere e migliorare la precedente, e a giudicarne. E di mano in mano che la coscienza della Idealità sociale va facendosi nella generalità distinta e forte e impulsiva in proporzione dell* atto umano, anche la creazione del potere si sottrae al caso della forza brutale e si fa dipendente dalle deliberazioni dirette degli indi- vidui associati : tanto più razionali e libere dalla violenza, quanto più la massa degli individui stessi è umanizzata. Onde, se la selezione naturale è la legge secondo la quale negli organismi in genere si crea il loro apparec- chio centralizzatore, nell'organismo sociale, per la crea- zione del Potere, che è il suo apparecchio centralizzatore. ■"TW^W^^PP^la selezione naturale si specifica nella forma superiore della ciezìofie, E anche in ciò toma il principio già ricordato del procedimento progressivo della Società nel suo sviluppo: cioè del regno della Giustizia razionale, che si va sempre più sostituendo a quello del fato: analogo al procedi- mento generico della natura, che neir uomo tanto più è diventata psiche quanto più ha cessato di essere cosa meramente _^ica. Tutto ciò nel processo sociale di evoluzione normale. E nell'anormale? Xeir anormale si genera un movimento periferico contrastante la funzionalità centrale, che non armonizza colle Idealità sociali già formate negli individui sotto- posti. Un movimento contrastante che può andare fino alla distruzione della funzionalità esistente, e quindi alla sostituzione di un'altra che armonizzi colle dette Idealità, ossia colla Giustizia potenziale degli individui medesimi. E questo il processo della rivoluzione. Succede in questa un fatto analogo a quello fisiolo- gico della passione, nella quale una eccitazione insolita invadente le parti subordinate dell' organismo sopraffa i centri, sostituendo quindi il proprio impulso a quello normale dell'apparato volitivo libero. E tale processo anormale della rivoluzione, nel fondo, è quello stesso normale detto sopra della evoluzione. Poi- ché anche in questo il Governo sociale è determinato dal consenso delle parti subordinate. La differenza sta solo in ciò, che nel processo normale della evoluzione il centro si presta, cedendo, ad atteggiarsi secondo le esigenze della Giustizia potenziale; e nell'anormale della rivohi- none no. In una parola, le forze che agiscono sono le stesse, e gli eflFetti diversi dipendono dalla diversità dei rapporti delle forze medesime. La rivoluzione sociale propriamente detta dunque suppone una condizione avanzata di cultura mo- rale dei membri della Società. Più è questa cultura morale e più è irresistibile la forza rivoluzionaria. Ma più questa forza è irresistibile e più la sua anione è moderata e procede per moto evolutivo anziché sovversivo- In modo che, nel massimo della cultura, e quindi della irresistibilità, e conseguentemente della modera- zione, il moto rivoluzionario coincide con quello normale progressivamente riformante detto sopra. Q, — Perchè non si incorra in un equivoco circa il principio sopra stabilito, bisogna ricordare qui esatta- mente il concetto da noi posto a fondamento di tutto il nostro discorso; ossia quello della Giustizia potenziale, che infine è la stessa Idealfià sociale an^iegoùHca; la quale nella umanità perfezionata è impulsiva irresistibil- mente della volontà individuale. Onde r individuo rivoluzionario per eccellenza è, non Tuomo di poca levatura, nel quale la mente e il volere si acconciano a ciò che impera esternamente» trovando tutto buono; ma il Sapiente, quale fu da noi definito nella Morale dei positivisti (i). (D Libro I, Parte li. Capo IV, w. 17 (^ag^ lay del Voi. Ili di queste Ofté re filosofiche nella ed, dei iS85, 132 dell* ed* del J&93 e deJ 1901, e 136 dell" ed. del 1908). ^m - 64 - Il sapiente, come ivi dicemmo, è quello nella co- scienza del quale le Idealità sociali antiegoistiche si sono espresse colla massima evidenza, e acquistarono la mas- sima impulsività sul volere. Onde è ciò che si dice un carattere. Esso è per questo nella impossibilità di patteg- giare cogli ordinamenti riprovati dalla potenzialità della Giustizia imperante nella sua coscienza : anche se il patteg- giare gli porti soddisfazioni egoistiche. Ed è anche nella impossibilità di non isforzarsi secondo la potenzialità me- desima ; anche se il farlo gli porti danni personali. Questi egli li incontra senza impensierirsene e tranquillamente come Cristo e Socrate, e tutti i cosi detti martiri delle idee. Sublimemente questo fatto nel cristianesimo primi- tivo è stato espresso nel principio, che òisogna ubbidire prima a dio poi agli tcomini, E il principio, come è chiaro dopo le cose dette, è in tutto vero, quando alla espressione dio, che indica indistintamente una realtà giusta, si sostituisca quella di Giustizia potenziale, che indica distintamente la realtà stessa. E discende poi da ultimo dalle cose dette anche la conseguenza, essere la teoria della rivoluzione del positivismo diametralmente opposta alla vecchia della Metafisica, espressa soprattutto oella dottrina del contratto sociale di Spinoza e di Rousseau. Il contratto sociale è falso per la storia naturale della umanità. Per la storia naturale dell' umanità è vera invece un' altra legge : la legge della naturalità della società umana, formantesi spontaneamente, e inconsci gli indi- vidui subordinativi. Nella dottrina di Spinoza e di Rousseau il moto rivoluzionario è determinato dall' individuo che si pone come un assoluto ; e quindi è affatto egoistico ; e quindi tende a disfare la Società. Nella dottrina positivistica invece il moto rivoluzionario è determinato dall'individuo siccome ordinato naturalmente alla Società; ossia è determinato dall’idealità che vi hanno relazione. E quindi è essenzialmente ant-iegoistico o altruistico – l’amore dell’altro, la benevolenza, la beneficenza : e conseguentemente tende, non a disfare la diada sociale, rna a migliorarla. Consideriamo ora il giudizio del tribunale indi- viduale della coscienza di ciascun uomo verso le parti coordinate nella Società, ossia verso di ciò che si chiama il prossimo. Nel che tocchiamo di un argomento di importanza principalissima tanto dal lato sociologico quanto dal lato morale propriamente detto. E la nostra considerazione, cominciando in questi due ultimi paragrafi del primo Capo del libro, sarà prò- segpiita nel seguente. La Idealità sociale è una formazione naturale della psiche individuale umana: e tale Idealità è impulsiva del volere : e per esso gli atti liberi dell' uomo sono antiegoi- stici e quindi morali. E (come indicammo anche qui nei paragrafi precedenti) la Idealità sociale agisce sopra il volere dell'uomo presentandosegli nella forma della Giustizia; vale adire come qualchecosa che ha rapporto con una Sanzione: ossia è una legge che importa la Responsabilità del volere verso di essa. La Giustizia onde è dettata e autorizzata Téizione del volere ne costituisce il Diritto, La Giustizia che importa verso di se la Responsabi- lità del volere ne costituisce il Dovere a). Ed ecco in che modo la Idealità sociale, che è una formazione naturale spontanea dell* individuo, è in pari tempo, e un concetto mentale, e un motivo pratico (ossia una forza che determina T atto volontario), e una Giusti- zia, e una Legge, e un diritto, e un dovere. L' essere umano, unico o collettivo, in quanto r azione ne è determinata dalla Giustizia, è una Persona, Il genere poi della Personalità varia secondo il genere del rapporto creato dalla Giustizia medesima. Considerando qui il rapporto di subordinare nell'or- ganismo sociale, si ha la Personalità del Potere. Consi- derando il rapporto di esservi subordinato, si ha la personalità della parte sociale sottoposta che, in ultimo, è r individuo. Pel potere la Giustizia è la stessa Legge dello Stato. Per r individuo è la stessa Idealità sociale che in lui si forma e che chiamammo Giustizia potenziale. In virtù della Legge il Potere costringe il subordi- (i) Vedi la Morale dei Positivisti ; per es. Libro I, Parte II, Capo IV, n. 15 e 16 (Pag. 125 del Voi. Ili di queste Opere filosofiche nella ediz. del 1885, 131, 132 dell* ediz. del 1893 e del 1901 e pag. 135» 136 nella ediz. del 1908). - nato alla osservanza della Idealità sociale. E quindi il Potere ha un Diritto sul subordinato, e il subordinato ha un Dovere verso il Potere. E il Diritto del Potere qui è positivo. Ma in virtù della Giustizia potenziale anche il subordinato ha una azione sopra lo stesso potere. E per tale rispetto quindi il potere ha un *dovere* verso il subordinato; e questo ha un *diritto* verso il Potere. E il *diritto* del subordinato qui è *naturale*. Ed ecco il concetto vero del diritto naturale, creatore e gfiudice del positivo e vendicatore sopra lo stesso potere delle ragioni del subordinato. E cosi, per asserire lo stesso diritto naturale, non occorre punto uscire dall’uomo, e riferirsi ad una divinità e ad una Legge da essa emanata. Questo diritto naturale appartiene all'essere umano, malgrado che in esso non possa formarsi al di fuori della Società e senza che V Idealità sociale della psiche singola siasi prima convertita nella Legge positiva del Potere. Essendo poi il Diritto positivo lo stesso fatto del Potere che si è costituito efifettivamente in una data Società, con ciò si spiega come possa essere più o meno in contraddizione col Diritto naturale, preso siccome la Giustizia potenziale astratta, desunta dallo studio compa- rativo dei fatti sociali, e rappresentante quindi un ideale, che solo imperfettamente si trovi realizzato nelle singole formazioni storiche della Società umana. Ed essendo il Diritto positivo stesso una formazione naturale della totalità sociale, che diventa qual' è col pas- sare dall' indistinto al distinto (per la legge comune ad ogni formazione naturale), cosi si spiega come, prima di essere un codice scritto, è stato una consuetudine sorta per inconscia spontaneità; e come la stessa consuetudine, che seguita a sorgere pure per inconscia spontaneità an- che dopo la fissazione del codice, possa a poco a poco avere prevalenza, come diritto, sopra la legge positiva. Il Diritto naturale, oltre comprendere la ragione, imperante nel subordinato, di creatore, giudice e vindice verso il Potere sovrastante, ne ha in sé anche un' altra. Vale a dire ha in sé anche la ragione di ciò che de- signammo sopra col nome di Convenienza, che riguarda i rapporti dei subordinati tra di loro, e non ha esecuti- vità propriamente detta. Ora é da dire di questa più chiaramente e precisela mente, se e come sia o no una Giustizia, e quindi appar- tenga alla Moralità; poiché la Moralità non si può con- cepirla se non con una Sanzione e con una Responsabilità; e quindi in ordine ad una Legge sovrastante: cioè come una Giustizia. Domanderemo e risponderemo di nuovo: Quale é l’ufficio del Potere? L'ufficio del Potere è triplice. Dì stabìlii-si aella Società a spese delle sue partì. Secondo. Di difendere l’autonomia di ciascheduna dalla violenza delle altre. Dì dispensare nell'effetto del mij^Uoramenta delle parti quella forza coniane dell* ambiente sociale che opera per esso Potere. In tutte e tre le suddette forme del suo ufficio il Potere esercita sulle parti un Diritto, come abbiamo detto. E la ragione della azione del Potere è quindi una Giustizia, ossia è col legata ad una Sanzione, E ciò perchè esiste una Responsabilità per parte dei subordinati verso di essa azione, se mai violassero gli ordini stabiliti. E il Diritto medesimo lo dicemmo un Diritto positivo. Ma questo Diritto positivo dimostrammo sopra di- pendere in ultima analisi dal Diritto potenziale o dalle Idealità mentali degli individui» Onde, in ultima analisi, potenzialmente la Giustizia non è altro che le stesse Idea- lità mentali. La Giustizia dunque si estende quanto la potenzialità della Idealità sociale, formantesi nella psiche singola dell’uomo per la sua partecipazione alla vita comune della Società; nella quale si cova, per cosi dire, il germe in- dividuale, si che si maturi in lui la disposkione naturale al civile coasorzio. Maturazione questa che importa tutte tre le forme suddette dell' ufficio del Potere, se non che il Potere stesso non è tutto l’effetto di tale maturazione; ma solo una parte* Quella cioè, che si potrebbe chiamare V effetto più disHnéù. Oltre sififatta parte ne resta un'altra; e più estesa ancora: ed è quella che non si matura nel fatto di un Potere legale, ma rimane neW indistinto di ciò che chia- miamo la Convenienza. E la Convenienza la diciamo un indistinto appunto per- chè il Potere non è altro che un distinto che si forma poste- riormente da essa per una elaborazione più compiuta. Ne /iene che, se il Potere è il Diritto distinto, e quindi la sua ragione una Giustizia distinta, (e cosi la Sanzione e la Responsabilità) la Convenienza è invece un Diritto indistinto, e quindi anche una Giustizia indistinta. Una Giustizia indistinta si, ma pur sempre una Giustizia. Ed ecco come il concetto della Giustizia, e quindi della Legge morale (col suo rapporto ad una San- zione e con una Responsabilità) si allarga oltre la sfera delle prescrizioni del codice pubblico e si estende a tutte le relazioni libere tra individuo e individuo. E come questa Legge morale extralegale sia anch'essa puramente una formazione naturale della psiche dell'uomo civile. E quindi non occorra per ispiegarla ricorrere al sogno della Legge eterna della divinità. E il farlo sia un errore ana- logo a quello della vecchia astronomia che, il moto della Luna intorno alla Terra, lo spiegava col comando dato alla Luna da dio di girare cosi intorno alla Terra, e non per via della stessa naturale evoluzione cosmica; e, la virtù dell'a- cido di intaccare il metallo, lo spiegava colla proprietà in- taccatrice capricciosamente concessa da dio all'acido, e non per via della stessa disposizione intima degli atomi compo- nenti la molecola dell'acido e del metallo, onde dipende na- turalmente ossia necessariamente, il fatto chimico suddetto. La Giustizia legale (seconda forma dell' ufficio del Po- tere) è una gradazione evolutiva superiore di un in- distinto inferiore da cui emerge. Ma la cosa ha bisogno di essere dilucidata meglio e con esempj più concreti. K per ordine. Cioè secondo le tre forme dette sopra deir ufficio del Potere. E comincieremo dalla seconda, di difendere l’autonomia di ciascheduna parte della Società dalla violenza delle altre. La difesa dell' individuo subordinato, assunta dal Potere, importa che questo lo guardi dalle ofifese degli altri, e faccia che V ofifensore risarcisca T ofifeso ; e che gli arbitrj singoli nella loro attività si equilibrino vicendevolmente in modo che la limitazione imposta a ciascheduno sia la minima necessaria, la minima indi- spa usabile ad ottenere la coordinazione giusta nella So- cietà, richiedente la collaborazione egualmente non im- pedita di tutte le sue parti. Ma tale difesa, assunta dal Potere, della libertà e del Diritto individuale non si pud estendere a tutti asso- iuiamente i fatti sociali verificantisi attorno ad un indi" viduo. Non a tutti, di gran lunga. Non a tutti, che sono infinitamente molti. Ma solo ad alcuni pochi. A quei pochi solamente che è strettamente richiesto dalla esi- stenza del corpo sociale. E la difesa in discorso, circa i detti pochi fatti, è propria di quella che si chiama la Giustizia legale, o po- sitiva, o distinta. Quanto poi agli altri infiniti fatti rimanenti ha luogo il fenomeno sociale della Convenienza, che dicemmo es- sere pure una Giustizia ; ma non legale, o positiva, o distinta: sibbene potenziale, o indistinta, o morale. Quella della convenienza è anch' essa una Giustizia, come la legale. Ma indistinta. E per la ragione che, nel fondo, V una e r altra sono la cosa medesima, e si differenziano tra loro solamente come il distinto dall' indistinto. E tanto che, provenendo nelle formazioni naturali il distinto dall' in- distinto, qui nella Società la reazione della Giustizia le- gale non è altro infine se non una forma evolutiva supe- riore della stessa reazione della Convenienza. Anzi di più. Come l'idealità sociale della psiche umana è sola- mente una forma evolutiva superiore di un indistinto che si trova già nei bruti, cosi la Giustizia legale si collega nelle sue gradazioni formative, non solo con quella della Convenienza propria dell' uomo, ma anche con quella del semplice talento egoistico osservabile nelle reazioni tra bruto e bruto. E mettiamo in chiaro la cosa. La reazione tra bruto e bruto è V effetto di un im- pulso istintivo quasi affatto egoistico. Ma non del tutto, poiché (come osservai più volte nella Morale dei Positivisti (i) in certi istinti socievoli dei bruti fa capolino qualche cosa di antiegoistico. L' istinto egoistico del bruto si continua anche nell’uomo ; nel quale però va emergendo l'impulso antiegoi- stico a misura che si sviluppano in Fui le formazioni psi- chiche superiori (2) ; in modo che nell' individuo umano vivente nella Società apparisce la reazione della convenienza, che è mista di talento egoistico e di ragione an- tiegoistica. Quindi nella reazione della Convenienza si ha una forma di passaggio dal talento egoistico del bruto alla ragione dello schietto antiegoismo della Giustizia legale. E questa è il divenuto della Convenienza, come la Con- venienza è il divenuto del talento egoistico del bruto. E in effetto infinite sono le gradazioni della reazione della Convenienza; da quella che rasenta la brutale del (i) Per es. Libro I, Parte III. Capo III, n. 6 (Pag. 149 del Voi. III di queste Op, fil. nella ediz. del 1885, 156 dell' ediz. del 1893 e del 1901 e 161 dell'ediz. del 1908. Ciò è dimostrato in tutto il corso della Morale dei Positivisti, essendone V assunto fondamentale. l^WU IP ■ I puro egoismo, a quella che tocca la più nobile del puro antiegoismo. Infine, se si guarda una medesima Società nel suo progresso storico dallo stato della barbarie a quello della civiltà, e se si guardano le diverse condizioni degli in- dividui di una medesima Società in un dato tempo. Per la legge, più volte indicata, che nella formazione natu- rale i diversi del coesistente sono T immagine dei diversi del successivo. E in oltre, da una parte, nelle Società imperfette il talento egoistico si riscontra nello stesso Potere, e dal- l' altra, la Convenienza, a misura che si spoglia dell' e- goismo, si fa più antiegoistica e tende a diventare una Giustizia legale. E la Giustizia legale da prima è stata sempre e da per tutto una Convenienza radicatasi neir uso e final- mente stabilitasi come legalità. §n. Dall'indistinto della Prepotenza (principio egoistico) nasce il distinto della giustizia (principio anti-egoistico) che è la risultante dinamica di quella, per rendere evidente la verità dell'asserto, che la Giustizia emerge, come formazione superiore, dal ta- lento egoistico precorso, giova vedere come succede il fatto. Il più forte è prepotente verso il più debole. E la Prepotenza è precisamente l'espressione del talento egoistico in opposizione colla ragione antiegoistica, o della Idealità sociale, o della Giustizia. Ne viene che l’adulto è prepotente col fanciullo, l’uomo colla donna, il robusto col debole, il ricco col povero. Fra gli uomini sempre si verifica tale prepotenza, ma in gradazioni infinitamente diverse: da un massimo ad un minimo. Cioè in ragione inversa dell’idealità anti-egoistica contrastante, ossia in ragione inversa della civiltà. E ciò, tanto considerando la successione dei momenti del progresso di incivilimento, quanto considerando gli elementi più o meno inciviliti di una medesima società. Considerando gli elementi più o meno inciviliti di una medesima Società, la prepotenza dell' adulto del ro- busto del maschio del ricco e via discorrendo è sempre maggiore fra le persone rozze e minore fra le colte. E in queste per la ragione del maggiore sviluppo delle Idealità sociali contrastanti. Le Idealità sociali si impon- gono alle persone colte per la semplice abitudine che ab- biano di concepirle. Ai rozzi possono imporsi quando, neir atto che essi inveiscono con Prepotenza, esse bale- nano neir atteggiamento disapprovante e minaccioso di vendetta degli altri uomini. Cioè, alle persone rozze, nelle quali, le Idealità sociali non sono ancora una coscienza ben forte e distinta, queste frenano il talento egoistico nella forma di volere sociale con qualche maniera di San- zione ; e alle persone colte non occorre la manifestazione estema vendicatrice, perchè in esse V imperiosità della ragione della Società è diventata una loro coscienza, che rinasce efficace senza la espressione materiale esterna del volere sociale. Ed ecco come avviene il passaggio Del- l' individuo dalla disposizione egoistica del bruto alla an- tiegoistica dell' uomo civile. Considerando poi i momenti successivi di formazione di una medesima Società, la Prepotenza degli individui si vede a poco a poco eliminata dalla formazione contra- stante del Potere ; il quale, per esempio, ha tolto, in tutto o in parte, le Prepotenze dell' arbitrio assoluto del padre di famiglia sui figli e sulla moglie, della schiavitù sotto le diverse sue forme, dei privilegi dei nobili, della infe- riorità della donna, e via discorrendo. Quando il Potere non era ancora riuscito a elimi- nare queste Prepotenze anche la coscienza comune non sentiva distintamente la ingiustizia loro. Mentre questa ingiustizia vi è divenuta evidentissima in seguito al fatto della Legge che le ha inibite. Questo fatto ha reso l'ingiustizia medesima evidente al segno, che nella coscienza di tutti gli individui della società civile le Prepotenze suddette appariscono delle vere impossibilità, non solo per gli altri, ma anche pel proprio volere; cioè, nel vo- lere, formatasi pienamente l' Idealità sociale antiegoistica corrispondente, questa riusci ad ottenervi una forza assoluta di impulsività. E con ciò si ha la prova di fatto, e della dottrina nostra generale circa la Moralità esposta nella Morale dei Positivisti, e della dottrina qui toccata del divenire della Idealità impulsiva: e della Giustizia legale distinta dalla Giustizia indistinta della Convenienza. Ancora, le persone civili sono meno manesche delle rozze. Onde, come fra queste è facilissima e pronta la vendetta dell' offesa, così fra quelle- riesce invece e difficilissima e tarda. E ciò nulla ostante la persona civile ha esigenze infinitamente maggiori e più sottili verso le altre, e nello stesso tempo assai più raramente offende. E la cosa parrebbe assurda. E lo è colla teoria vec- chia della ragione degli atti morali. Ma si spiega chiaris- simamente colla positiva. Il rozzo reagisce direttamente colle proprie mani, e punisce l’offesa atrocemente : tuttavia è offeso ad ogni poco. E basta udire, per convincersene, le ingiurie che due persone rozze si scagliano colla massima facilità. Dunque T idea dell' utile non è quella che insegna il contegno dell' uomo. Il rozzo è più religioso del civile; e tuttavia con ciò non è più rispettoso del Diritto altrui. Dunque 1' idea religiosa non è la ragione della Giustizia. Immensamente più che nel rozzo è estesa l'idea del proprio diritto nell' uomo civile, il quale dell' offesa recatagli si risente nel suo intimo assai più ohe il primo. Ciò dipende dalla più progredita formazione psichica dell' uomo civile. E questa dal beneficio più largamente produto della influenza formatrice dell' ambiente sociale. Il risentirsi poi più forte dell' offesa porta seco una tendenza più forte a reagire. Ma nell’uomo civile anche la reazione (quantunque più fortemente disposta) ha il carattere della umanità più progredita. Quella dell' uomo civile è una reazione non di egoistica e brutale Prepotenza: cioè non è fatta di propria autorità e di propria mano. E invece una reazione fatta in nome di qualche cosa che trascende l'individuo ; vale a dire in nome di una Idealità sociale rico- nosciuta come tale. In nome insomma di ciò che si chiama la pubblica opinione. E questa pubblica opinione, diventata la coscienza della persona civile, che la trae al risentimento; ed è a questa medesima pubblica opinione che è lasciato l'in- carico della vendetta: in modo che l’offensore è responsabile deir offesa verso la stessa pubblica opinione ven- dicatrice, la quale per ciò viene ad essere una Giustizia. E conseguentemente una Gitistizia viene ad essere pure la coscienza individuale, che ne segue la morale impulsività. Una Giustizia indistinta, che precorre e prepara alla distinta o legale. E come? La pubblica opinione si forma nel cozzo delle parti della Società fra di loro, onde nascono le diverse Idea- lità sociali relative. Questa pubblica opinione si annuncia prima vaga- mente nelle parole e negli atti accidentali degli individui. A poco a poco si stabilisce nei detti e nei pro- verbi e nelle usanze e consuetudini comuni. Un pò' alla volta poi crea i suoi rappresentanti di- retti. Da questi quelli del Potere. Ma con ciò, che il Potere non può assorbirli in sé tutti. Onde, sotto tale rapporto, il Potere deve considerarsi siccome il vertice di una piramide, nel quale va a collimare una infinità di piani sempre più allargantisi di sotto, cioè una serie di associazioni giudicatrici subordinate. Costante e organica è questa legge della for- mazione sociale. Da prima è V individuo che si fa giustizia da se stesso. Nel che però non si ha la Giustizia vera, ma an- cora solo la Prepotenza. Poi più persone aventi speciali interessi comuni si associano in modo tacito e anche espresso in vista di essi; e nella associazione si va costituendo naturalmente r arbitrio collettivo sopra le contestazioni che la riguar- dano; nel quale è già quindi un principio di vera Giu- stizia, quantunque ancora più o meno indeterminata o in- distinta. Da ultimo il Potere supremo della Società si arroga il giudizio nelle contese, fissandone precisamente i ter- mini; ed ecco il meno della Prepotenza e il più dell' an- tiegoismo e della Giustizia. E questa è la Giustizia di- stinta, derivata per evoluzione dalla indistinta, come questa lo è dal talento più egoistico dell' individuo. E nella nostra attuale Società la legge mede- sima apparisce nella sua massima evidenza. Vediamo costituirvisi dei giuri al di fuori del Po- tere legale; i quali, in nome di una pubblica opinione (che è il loro codice) pronunciano dei verdetti, vendica- tori almeno iniziali delle violazioni della opinione stessa, e che quindi ne sono la Sanzione sociale diretta. Giusta, ossia antiegoistica, perchè sociale e non individuale o di Prepotenza. Sanzione producente una Responsabilità pei violatori delle Idealità sociali corrispondenti; e quindi atta ad innalzare le Idealità stesse nelle coscienze di tutti al grado di vera Giustizia ; tanto più distinte quanto più stabile e ordinato e ripetuto e normale è l'esercizio del suo ufficio. E anche quando non è eliminata ancora del tutto nella vendetta V azione diretta della persona, che ne ha da essere soddisfatta, si può tuttavia palesare l'in- tervento subordinante di una autorità superiore all'indi- viduo. Come nel duello; nel quale la ragione di intimarlo e di accettarlo deve essere sancita dal codice della opinione corrente ad esso relativa, e giudicata 1' applicabi- lità al caso particolare da padrini, e questi devono pre- senziare r esecuzione. Nel duello si ha quindi una certa Giustizia, quan- tunque molto imperfetta. Imperfetta, perchè vi si mantiene ancora troppo 1' eccessivo e il brutale dell' atto di Prepotenza dell' individuo di vendicarsi colle sue mani. Imperfetta ancora perchè 1' autorità che vi si intromette non è riconosciuta come tale dalla Legge. Il fatto del duello qui ricordato toma poi op- portuno per confermare, colle particolarità da esso of- ferte, la verità delle cose suesposte. L* opinione, che vige nei paesi civili di. oggi in re- lazione al duello, è una formazione storica della nostra Società. Perchè, se, da una parte, esso ha la sua causa generale in alcune ragioni costanti di ogni formazione sociale, dall' altra però, le formalità che lo accompagnano accusano la sua provenienza per trasformazione storica dalla consuetudine di un tempo dei cosi detti giudizi di dio, E da ciò si vede, come sia vero che la Giustizia (anche quella naturale o potenziale o etema che dir si voglia), quanto alla forma precisa colla quale è effettiva- mente in una data Società o coscienza, è una accidenta" lità storica. Come la produzione di un dato frutto di una data pianta. L’opinione circa il duello non è qualchecosa di fis- sato e sancito dal Potere legittimo, che T infligga inde- clinabilmente anche a chi vi si rifiuti. Ma ciò non toglie che r opinione stessa abbia una forza ; e tale da imporsi quantunque gravosissima, alla volontà. E da ciò si vede che la Giustizia ha già una effettività piena di efficacia anche nella forma indefinita della spontaneità vaga della opinione pubblica. Ma r opinione circa il duello, appunto perchè ancora in quello stadio della vaga spontaneità sociale, non ma- turata e non maturabile in una Legge del Potere che la stabilisca per tutta la Società, vi si restringe ad un certo ordine di persone. E (cosa curiosissima) per questo or- dine di persone è divenuta una idea di una impulsività potente, certa, indeclinabile, atta a tenerlo sotto il proprio impero, mentre per gli altri, esenti dalle influenze onde è insinuata, è come se non esistesse. E tanto che, dove presso gli uni è moralmente spregevole e disonorato chi non si attiene alle prescrizioni della opinione favorevole al duello, per gli altri è cosa ridicola e stolta il tenerne conto. L' opinione relativa al duello associa delle conse- guenze esecutive gravissime a fatti riguardanti V onore. L' onore, che è un semplice rapporto mentale dell' indi- viduo colla Società. E da ciò si vede che neir uomo, per lo sviluppo speciale onde la sua psiche è capace, si Voi. IV. 6 creano delle entità di un ordine superiore, che sono impossibili pel bruto e si trovano solo inizialmente e quindi poco avvertite nelle Società rozze e nelle classi sociali meno colte. Delle entità aventi per base, non il benes- sere materiale dell* individuo, che è l'espressione del puro egoismo, ma il benessere degli spiriti associati, che è r espressione della ragione antiegoistica. Qui insomma r individuo si trova necessitato perfino al sacrificio vo- lontario della vita in omaggio di un' idea che lo padro- neggia. L' opinione relativa al duello tende (come tutte le altre opinioni, con tendenza positiva o negativa) a diven- tare una Legge della Società. Questa tendenza in parte è riuscita, in quanto esistono già delle disposizioni posi- tive di Legge che riguardano il duello. Ma in parte non è riuscita. Ora T analisi accurata della tendenza medesima e di ciò che n' è riuscito e non riuscito ci raggua- glia circa il processo naturale, onde la Giustizia indi- stinta, ossia la Convenienza, si fa la Giustizia distinta, ossia la Legge positiva. Il Potere ha emanato delle disposizioni relative al duello. Ciò ha potuto fare solo in seguito all'essersi que- sto fenomeno sociale fissato a poco a poco nelle sue forme precise, che presentarono 1' occasione alla opinione pubblica di manifestarsi nel senso del partito adottato nella Legge. Ma, delle disposizioni stesse prese una volta dall'au- torità in relazione al duello, altre rimasero poi anche in seguito perchè trovate rispondenti allo scopo sociale, di non impedire in modo nocivo il corso inevitabile di certe reazioni di Convenienza j altre invece dovettero essere smesse come inopportune e quindi contrastate nella prova dalla coscienza dei cittadini, cioè dalla Giustìzia poten- ziale che, come dicemmo tante volte, è Tarbitro naturale di ogni Legge sociale. Il Potere però, nella reazione anche esecutiva del duello, non ha potuto sosHiuirsi ialalmenie, come è la sua tendenza in generale per rapporto a qualsiasi esecu- tività forzata delle reazioni dirette tra individuo e indi- viduo. E ciò ci istruisce praticamente di due cose, che già osservammo sopra. Vale a dire: Primo. Che nel Potere non si può appuntare se non una parte delle reazioni tra indivìduo e individuo; come nel cervello non arrivano direttamente dei fili ner- vosi che governino immediatamente tutti i punti della massa del corpo: ai quali invece in gran parte il cer- vello fa sentire la sua influenza solo per J' azione che esercita sopra centri secondari, aventi però anch' essi una propria azione, che si compie in parte senza rintervento degli organi cerebrali. Secondo. Che, se una tendenza reale dell' individuo non può essere soddisfatta intéramente dalT intervento del Potere, Tindividuo cerca la soddisfazione da se ; come in un assalto improvviso dì un assassino, dove, non po- lendo la forza pubblica difendere il cittadino, a questo è concesso il Diritto anche dell' uccisione a propria di- fesa. Per cui si arguisce, che il fatto ancora incivile ed anomalo del duello non sarà evitato nella civiltà, se non quando in questa le questioni circa V onore potranno es- sere risolte appieno giuridicamente, sia modificandosi l'o- pinione pubblica relativa, sia trovata in base a questa una legislazione atta all' effetto. Vedemmo fin qui come la Giustizia legale, af- fatto antiegoistica, del Potere sorga dalla potenziale della coscienza degli individui, che ha per base una Idealità sociale antiegoistica non ancora divenuta una Legge, e nello stadio tuttavia solamente di opinione più o.meno comune. Resta ora a chiarire come questa Giustizia poten- ziale, avente per base una Idealità antiegoistica, si svolga anch' essa alla sua volta da una forma ancora più im- perfetta di tendenza dell' uomo, cioè dal talento brutale egoistico della Prepotenza. La reazione del semplice talento brutale, o della Prepotenza, per la concorrenza dei prepotenti di pari forza, diventa Equipollenza: e quindi Giustizia, Non occorre per ciò che intervenga un elemento nuovo. Il diverso, anzi 1' opposto, della Giustizia si ot- tiene per la semplice reduplicazione dell' identico della Prepotenza elementare dell' individuo. Per la legge universale dell' emergere del diverso distinto dair identico indistinto per la reduplicazione dei molti identici (prima distinzione dell* indistinto uno), che ha luogo in tutte le formazioni naturali. Come ho dimostrato nello scritto sulla Formazione naturale nel fatto del sistema solare (Voi. II di queste Opere filosofiche)^ e come dimostrerò nei libri relativi alla Formazione del pensiero (nei voi. V, VI e VII di queste stesse Op, fil.) Così nella formazione chimica la materia identica diventa gli opposti deir acido e della base dopo che, distintasi in atomi diversi, questi poi si reduplicano e si aggruppano variamente. La Prepotenza è la coscienza che l' individuo ha acquistato del fatto della propria Attività che esso ha esperimentato ; e la Giustizia è la coscienza che neir individuo stesso ha dovuto formarsi del fatto della Equipollenza degli altri individui dato dalla espe- ricìiza delle Prepotenze concorrenti nella Società. Sicché nel bruto la psiche non arriva alla trasfor- mazione in discorso, perchè in esso, non essendo un es- sere sociale, non si può formare la coscienza successiva a quella della Prepotenza come nell* uomo, che è un essere sociale (Onde poi raccogliamo la conferma di un altro dei grandi principi da noi già spiegati della Formazione naturale : vale a dire che la Cosa è il molteplice preso nella coesistenza dei singoli, e la Forza è lo stesso molteplice preso nella loro successione. Sicché Cosa e Forza non sono che distinzioni di un identico indistinto : il quale, preso nello schema della coesistenza, è la Cosa, e, preso nello schema della successione, è la Forza. — La Giustizia o T idealità sociale, come apparisce dalle cose dette nel libro, suppone una successione di fatti ; ed è assurda senza questa supposizione. Ma nello stesso tempo, potendo questi fatti succedentisi essere presenti contempo- raneamente al pensiero, pel lavoro suo descritto nella Morale dei Positivisti^ è una entità (Cosa) del pensiero, ed è una virtù efficiente (Forza) nella dinamica morale (Impulsività dell* idea). E qui dobbiamo notare una cosa curiosissima, spiegabile solo colla nostra teoria della identità, nel fondo, della Cosa che è, e della Forza onde essa agisce. L' Idealità sociale è impulsiva del volere umano in quanto gli si presenta siccome una Giustizia, vale a dire in quanto gli fa pro- spettare una Sanzione ; ossia lo avverte della sua responsabilità. E tuttavia, a misura che V Idealità sociale si fa più viva e abituale, diviene invece più vago il presentimento pauroso delle relative conseguenze di punizione per parte della reazione sociale. Anzi il massimo della impulsività dell' Idealità sociale (nel Sapiente e nel Regno della Giustizia, come dicemmo nella Morale dei Positivisti) va col minimo del presentimento pauroso della punizione sanzionatrice. Il concetto umano della Giustizia si forma da quello della Prepotenza per V equilibrio di molti prepo- tenti nella loro concorrenza sociale. La filosofia tradizionale (o la filosofia sana, come la chiamano) spiega la Giustizia ponendola siccome lo stesso comando di dio. La spiega così: aggiungendo molto ingenuamente alla sua spiegazione V avvertenza, che la Giustizia, ri- mane distrutta assolutamente tosto che si rimova la di- vinità e il suo volere assoluto. E invece la verità è precisamente il contrario. La Giustizia» in questo volere divino, è V opposto, ossia la negazione, della Giustizia come tale. Come ne è l'oppo- sto e la negazione la Prepotenza come tale. Il volere di dio è la Prepotenza innalzata al grado dèlia Prepotenza assoluta. E il bello si è che la stessa filosofia tradizionale ha dovuto accorgersi de IT inconveniente, tanto o quanto, an- ch' essa, senza intenderlo distintamente. Poiché ha dovuto maritare, nella sua dottrina della ragione della Giustizia, il principio del volere divino con quello della conoscenza che dio debba avere dell' essere intimo delle cose, e della necessità onde il suo volere sìa costretto assolu- Egli è come dire, che è V ordine dei fatti sociali, il quale è diventalo un inrro ordine ideale, presente al pensiero in un suo atto intuitivo momentaneo : qiTasi forza fissatavisi dal di fuori come sommi» unica di efileni ng^i untisi a poco a poco l’uno all' altro. Proprio come la proprietà attuale, onde una sostanza è atta ad agire in un dato momento con una data intensità dì forza, sì è for- mata in questa per la addizione successiva, mettiamo, dì un certo numero di \:alorie, entratevi dal di fuori a poco a poco V una dopo V altra. -tamente (se ha da essere giicsto) a regolarsi nel suo comando secondo le esigenze della essenza da sé cono- sciuta appieno della cosa, alla quale impartisce il co- mando. In questo secondo principio maritato al primo è stata riconosciuta implicitamente, in qtuilche maniera, tardi, imperfettamente, confusamente e con una contraddizione col primo principio la verità di ciò che dimostrammo ; ossia della derivazione della Giustizia dallo stesso uomo per effetto della sua convivenza sociale. Imperfettamente, dicemmo. E la dottrina teologica della predestinazione n' è testimonio. E tardi : cioè a misura che lo studio dei fatti guidò al presentimento confuso della verità contenuta nella dottrina positiva. Tanto che la storia della idea di dio ce lo presenta prima coir impero capriccioso, dispotico, appassionato, mutabile del tiranno prepotente. E succes- sivamente con una mitigazione del capriccio e della prepotenza, quale era suggerita dal fatto della legislazione sociale in lui oggettivata, che venne diventando sempre più giusta per T equi librar visi sempre maggiore degli elementi componenti. Come si è detto, nell'individuo non coordi- nato nella Società si ha la sua autonomia che si goverua colla Prepotenza. una risul- tante dinamica di esse, per le considerazioni che seguono. Con uno straniero, e soprattutto con un barbaro, o con un selvaggio, un uomo in generale non sente il dovere della Giustizia come con un altro uomo della sua stessa Società. Perfino si dà che in faccia ad un uomo di razza diversa si atteggi ne' suoi sentimenti come in faccia ad un bruto o ad una fiera. E la cosa è naturalissima. La sua Società è in lotta colla popolazione alla quale appartiene queir uomo. La sua Società quindi si atteggia verso di essa e verso i suoi Componenti come un prepotente ; ed egli pure. Anche se non è in lotta, dal momento che 1' offesa recata al(Il Nel che si verifica la legge generale di tutta la natura, che r ambiente è necessario all' ottenimento di una formazione, mettiamo la nebulosa solare alla formazione di un pianeta, o 1* ambiente vege- tativo alla formazione di un seme ; ma una volta ottenuta la forma- zione questa funziona come tale anche indipendentemente dalle con- dizioni onde emerse. Mettiamo la forma e la solidità di un pianeta, e la virtù vegetativa specifica del seme. ^'^''PfliW^^IF lontano selvaggio non è vendicata dal tribunale del pro- prio paese, né di nessuno, queir offesa stessa non appa- risce un attentato vero e proprio contro la Giustizia. Che se ci sono degli uomini che sentono la Giustizia anche per gli estranei, fossero anche dei selvaggi, questo succede solo per quelli nei quali il sentimento della Giu- stizia, prodotto prima nel modo che spiegammo, è diven- tato una forma perfetta e assolutamente dominante della psiche, e che agisce da sé e senza il bisogno più del co- stringimento dell' ambiente produttore, e con una sponta- neità esuberante. Ancora, nella stessa Società un gentiluomo è molto cauto nelle sue relazioni coi stcoi pari. Non lo è egualmente trattando con persone di condizione inferiore.E ciò perchè co' suoi pari le conseguenze speciali del suo contegno (quelle mettiamo di un duello) hanno indotto un ordine di Convenienza che non occorre per gli altri, relativamente ai quale le conseguenze non hanno la me- desima gravità. In una parola, chi sta sopra è prepotente cogli infe- riori, e non co' suoi pari, coi quali è più giusto. La formazione della Giustizia nel senso proprio va colla formazione del Potere onde è l' espressione. L’idea della Giustizia non nasce se non dietro i fatti determinati prodottisi effettivamente nelle reazioni degli associati. Dico, dietro i fatti determinati. Non prima di essi. contenuta. Per questo il Potere (nel senso da noi qui inteso) è eminentemente la Giustizia, che i poeti rappresentarono colla bilancia in mano (1* equipollenza giusta degli arbi- trj) e colla spada nell' altra (la forza onde si determina r equilibrio tra arbitrio e arbitrio). E lo è perfettamente esso solo. Lo è eminentemente in quanto dispone di una forza che costringe e determina i soggetti alla osservanza della Idealità sociale, o giusta, che dir si voglia. Lo è perfettamente esso solo, in quanto a sé solo ri- serba il costringimento violento alla osservanza della me- desima Idealità giusta. Onde viene poi che la Giustizia propriamente detta si restringe agli atti che possono cadere sotto la direzione del Potere, e non comprende quelli che ne sono esenti: i quali per ciò rimangono la sola Convenienza. E su tutto ciò non cade dubbio. Il furto, per esem- pio, dove non e' é un Potere che lo inibisca, non é un delitto. È solo un atto pericoloso e che esige del corag- gio e della avvedutezza in chi lo commette. Dove e' é un Potere, che proibisca sì il furto, ma sia impotente a impedirlo, il furto stesso é un delitto vago e non grave. Dove il Potere lo impedisce effettivamente e lo col- pisce con forti punizioni è un delitto grave. E può essere un delitto di varie specie se la puni- zione è varia. Per esempio, il furto del privato a danno del privato, che importa la prigionia del ladro, è perciò un de- litto infamante. Il furto invece di un privato che non paga un diritto della pubblica finanza, onde incorra solamente in una multa pecuniaria, non è più infamante, a motivo che la punizione non è la prigionia ma la multa. La quale forza poi del Potere, onde è mante- nuta violentemente V osservanza della Legge, in due ma- niere è dispensata. ' Direttamente cioè dal Potere, stesso per V otteni- mento delle condizioni occorrenti alla vita sociale, e indi- rettamente quando esso è domandato per interesse pro- prio delle parti individualmente offese. E da ciò due forme di Giustizia. Questa seconda più sentita dagli individui meno educati e quindi più egoisti ; la prima più sentita dai più eletti e quindi meno egoisti. L' avaro si commuove per la infrazione della Legge . della proprietà individuale, che è per esso la Giustizia per ec- cellenza. Il virtuoso si commuove per una disposizione po- litica antiliberale, preoccupandosi soprattutto della Giu- stizia in se stessa. La circostanza di questa forza materiale occor- rente al Potere ci conduce a scoprire una legge fonda- mentale della Sociologia, ossia della formazione naturale deir organismo e della vita sociale. Nel Potere, per costituire questa sua forza, sono as- sorbite delle forze prese dal corpo sociale: e in ima certa misura (i). Così la forza propria del cervello, onde sono (i) Ci limitiamo qui a notare il fatto. Quale sia questa misura, e come sia variabile fra estremi assai distanti secondo le condizioni e gli stadj storici di una Società, deve essere lasciato a uno studio regolate le funzioni del corpo di un uomo, è costituita dalle forze prestate dal sangue del corpo medesimo in una misura, che non può essere oltre certi limiti. Ora una quantità determinata di forza non può pro- durre se non un effetto limitato, proporzionato ad essa. Ne viene che, se la Società è mcipiente o selvaggia o rozza, tutta la forza rimanendo impegnata nel costringere gli individui a osservare la Legge fondamentale della esi- stenza sociale, il Potere rimane senza altra forza da di- sporre per la produzione nella Società di miglioramenti ulteriori (i). Ma quando in seguito si sono introdotte, colla ripetizione degli atti violenti di coercizione sociale, le abitu- dini giuste, queste producono poi V effetto della osser- vanza della Legge per parte dei soggetti da sé; e la- sciano la forza del Potere disimpegnata e quindi disponi- bile per altri usi, per altri lavori, per indurre altre abitu- dini superiori ; insomma pel progresso ulteriore della vita sociale. Cosi nel corpo dell' uomo. Nel bambino il cervello è tutto impegnato nel produrre le abitudini dell' esercizio delle membra; e pogniamo anche in quelle di leggere e scrivere. Prodotte queste abitudini iniziali, resta disponi- particolare, che può da sé fornire materia per una scienza spcciaU, E per noi basta notare, che la misura in discorso va crescendo in ragione che progredisce V organizzazione sociale ; analogamente a quanto si osserva negli organismi biologici, nei quali cresce la pro- porzione del cervello in ragione che si fa maggiore la centralizzazione degli organi. (i) Ciò si ripete nel caso di una guerra, che assorbisca le risorse del Governo ; e nel caso di anarchia che le dissipi. bile per altri esercizi. Mettiamo per la cultura propria- mente detta. E ottenute le abitudini di questa cultura, ri- mane poi libero per V esercizio di una professione parti- colare. E cosi via. E insomma la questione dell' immagazzinamento delle forze. Un' abitudine in un individuo è la forza che, por- tata sopra di lui una lunga serie di volte, vi si è imma- gazzinata in questa forma. Come nella produzione delle proprietà delle sostanze chimiche dalle più semplici alle più complicate. Come nella produzione della pianta dal seme fino al frutto maturatone. Onde la Giustizia, che va producendosi nelle coscienze dei singoli uomini raccolti nella Società civile è )' imma- gazzinamento lento e progressivo della forza dispensata dal Potere nei singoli atti infiniti del suo esercizio, e im- pressa e ricevuta in quelle coscienze volta per volta. An- che nel fatto del concetto della Giustizia, come in ogni fatto distinto della natura, si ha una forza o un rifmo persistente, ottenuto per la fissazione di una forza appli- cata dall' ambiente e divenuto 1' essere costitutivo di ciò in cui si è formato (i), ossia dell' uomo civile come tale. Il che poi dimostra che anche la Società, come ogni altra formazione naturale, è una formazione che nasce, progredisce e muore. Quando nasce, è la violenza che tende a produrre il fatto e il sentimento della Giustizia. Quando progredisce, è la forza del Potere che si di- ■I) Si allude alla Legge della Formazione naturale \A\\\q\X.^ ^o^x?i accennata. spensa ad ottenere ordini sempre più alti di azioni e di idee giuste. Quando muore è V organismo vecchio, che non si presta più al mantenimento di questa forza comune orga- nicamente subordinante del Potere. Come (per una forma dì questa morte) nella famìglia vien meno il potere su- bordinante del padre quando la personalità adulta dei figli non si presta più alla coordinazione di essi sotto la tu- tela del capo della famiglia. Se non che, riguardo alle Società che muoiono, vale del pari ancora la relativa legge naturale di ogni altra formazione, per la quale la morte «di un organismo non è mai totale, restando tuttavia i ritmi singoli pro- dotti dallo stesso organismo mentre era vivo. Come nel seme della pianta, che resta alla morte di questa. Come nelle idee, che restano per gli uomini succedenti a quelli che le hanno trovate. Sicché il mondo greco e il mondo romano, per es., sono morti come quelle date formazioni sociali, ma re- starono le idee della Giustizia umana nate nel loro seno. Restarono come germi, o magazzini di forza già elabo- rata. E dei quali si giovarono le Società europee venute dopo, che non dovettero ricominciare da capo (ossia dalla condizione infima dell' uomo preistorico) il lavoro della organizzazione sociale. La giustizia è la forza specifica dell'organismo sociale. Siccome poi V organismo e la vita sociale si spiegano per la Giustizia che vi si produce, cosi la teoria «T- della formazione naturale della vita sociale è anche nello stesso tempo la teorìa della formazione naturale della Giustizia. La quale per ciò è una formazione naturale, come il Sistema solare, come un Minerale, come un Ve- getale, come un animale, come una Goccia di Rugiada, come un qualunque Pensiero di un uomo. È cioè la Giustizia una formazione naturale della Società ; come, ad esempio, si direbbe che la vegetazione è una formazione naturale del nostro Pianeta. Ed è la Giustizia la forza specifica della società medesima. Ne è la forza specifica, come si direbbe che V affi- nità è la forza specifica delle sostanze chimiche, la vita delle organiche, la psiche degli animali. Nessuna affinità, o vita, o psiche, senza sostanza chi- mica, organismo vivo, animale. Del pari nessuna Giusti- zia senza Società umana. L* affinità, la vita, la psiche scaturiscono dalle stesse forze onde esistono i loro soggetti ; e ne rappresentano la risultante, che, come tale, si distingue specificamente dalle forze producenti medesime. E cosi la Giustizia sca- turisce dalle stesse autonomie prepotenti degli individui, ed è la specie distinta di essere risultante naturalmente dal loro contemperarsi insieme. La società quindi, come tale, è tanto più per- fetta quanto più è forte V idea della Giustizia formatasi nei consociati ; ossia quanto più questi sono morali : sic- ché meno sia uopo concorrere colla forza materiale al- l' ottenimento dell* ordine sociale. D che equivale al dire che T Idealità sociale sia più Voi. IV. 7 impulsiva da se stessa nella psiche di ciascheduno, e quindi il regno della Gitcstizia {adoperando la nostra so- lita espressione) si sostituisca a quello del Fato o della Prepotenza. In modo analogo una sostanza chimica è tanto più stabile e perfetta quanto più V Affinità degli atomi vi è grande» e la rende atta a mantenersi nell' essere suo in- dipendentemente dalle circostanze fisiche esterne della temperatura, delP ambiente, della compressione e via di- cendo, che suppliscano colla loro azione al difetto della forza di coesione intima dei componenti. La costituzione dell'organismo sociale, e quindi la sostituzione della Giustizia alla Prepotenza, produce la incolumità dei consociati. La incolumità, che non è altro appunto se non la elisione della Prepotenza oflFen- dente. Questa incolumità ha due fattori : Primo. La forza materiale disposta nelle mani del Potere per far valere violentemente la Legge contro la Prepotenza non domata delle parti subordinate. Secondo. Il sentimento del Dovere formantesi negli individui associati nel modo detto sopra. Ora, siccome questo sentimento del Dovere (o questa Idealità sociale impulsiva, che torna lo stesso) è una vera forza traente l' individuo a vincere la propria tendenza egoistica della Prepotenza, e a segfuire la ragione an- tiegoistica della Giustizia o della Legge, cosi le due forze suddette, del Potere di fuori e del Dovere di dentro collimanti a produrre V incolumità dei consociati e in^e- granfisi vicendevolmente nella intensità sufficiente al- l' uopo, si troveranno concorrervi in ragione inversa. Meno è il sentimento del Dovere sviluppatosi nei singoli individui, e più dovrà essere la forza materiale usata dal Potere. E viceversa, più il sentimento del Do- vere, e meno la forza materiale. E ciò, sia normalmente, sia accidentalmente; e per certi momenti critici sociali, e per certe Idealità. La incolumità poi del cittadino importa un complesso di condizioni sue particolari molte e diverse, cominciando dalla fondamentale della salvezza della vita materiale e andando fino alle più delicate (proprie delle condizioni sociali più perfette) del rispetto morale vicen- devole negli atti anche più comuni della vita. Il Potere supremo della Società non può (come altre volte avvertimmo) provvedere per tutte le dette condi- zioni della incolumità del cittadino : ma deve necessaria- mente intervenire almeno per le fondamentali. Da ciò consegue che l’azione materiale sulla persona del cit- Chi consideri tutte le possibili reazioni tra uomo e uomo in una Società di leggeri può rilevare due cose molto importanti pel discorso che facciamo qui. Cioè: Primo. La varietà infinita delle azioni di un uomo atte a destare in qualunque modo la attenzione di un altro. Fogniamo, partendo da un assassinio e venendo fino ad uno sbadiglio. Nella quale varietà, come è chiaro da sé, si hanno delle vere diflFerenze di generi e di specie. Secondo. Il sentimento nascente in un uomo, per reazione, in seguito all' azione da lui osservata in un altro. E di tale sentimento abbiamo parlato nella Morale dei Positivisti (i), mostrando quanto sia variato e come formi una serie di sentimenti diversi, anzi una scala in ordine di nobiltà. Ora, per le cose dette, ripetendosi e le azioni e i sentimenti accompagnanti le reazioni che le susseguono, si producono un po' alia volta e si fissano nella psiche, come sue potenzialità, delle Idealità sociali corisppndenti. Le quali per ciò sono costituite dalla rappresentazione della azione e dalla reazione effettiva conseguente: onde sono Idealità impulsive del volere, ossia Giustizie. La mente si confonde pensando alle varietà possibili ad emergere in ragione di tale processo. I pochi ele- menti del chimico, si sa a quale infinita varietà di for- mazioni di sostanze si prestano: le poche note musicali, a quale infinita varietà di composizioni musicali ; le poche lettere dell' alfabeto, a quale infinita varietà di suoni ar- (i) Libro I, Parte I, Capo III (Pag. 21 e segg. del Voi. Ili di queste Op, fil. nella ediz. del 1885, del 1893 e 1901, e pag. 22 nel- l'Ediz. del 1908). I20 ticolati. Or che sarà della varietà delle formazioni psichiche della Giustizia, pensando anche solo alla varietà dei senti- menti componibili colle rappresentazioni degli atti sociali? Per farcene una qualche idea prendiamo un esempio. Neir uomo, fra i molti sentimenti onde è capace, si ha anche quello caratteristico corrispondente alla espres- sione del ridere. È questo si può connettere con un nu- mero senza fine di rappresentazioni di atti, dando ori- gine cosi al genere delle Idealità comiche ; le quali nes- suno ignora quanto siano potenti neir indirizzo della vita e nell'impero della volontà; mentre è pur vero che il timore del ridicolo ha talvolta più efficacia che non il timore del carcere e della multa. Il fatto, pel mondo morale, è analogo a quello di una sostanza che, potendosi combinare con tutte le altre nel mondo materiale, è atta a determinarvi un atteggia- mento particolare per tutto T essere suo. Il nostro mondo, per esempio, sarebbe un mondo aflFatto diverso da quello che è, se gli mancasse il ferro. E cosi dicasi degli orga- nismi in genere se mancasse, mettiamo, il potassio che concorre a formarli, essendovi quindi un ministro della vitcu Allo stesso modo V atteggiamento morale dell'uomo, quale è al presente, verrebbe meno, se mancasse il coef- ficiente del riso, che concorre a formarlo, essendovi quindi con ciò anche esso un ministro del bene. Il quale ragionamento poi va ripetuto per tutti i sentimenti umani ad uno ad uno, che sono altrettanti coefficienti dell* Idealità sociale direttiva delle azioni u- mane, attivandola sotto la forma di generi speciali dì Idealità o di Giustizie. E della varietà inesauribile di queste, per tale via ottenute, è un saggio V arte, che nella scultura, nella pit- tura, nella poesia, nella prosa, riproduce dalla coscienza, in tante forme, gli atteggiamenti morali dell' uomo. In tante forme li ha riprodotti, e in tante ancora, senza fine, è atta a riprodurla 3. — E i sentimenti umani riescono cosi coefScienti della Giustizia, perchè un sentimento, qualunque sia, essendo la reazione corrispondente ad un atto, ne è anche la Sanzione ; e chi commette V azione atta a susci- tare un sentimento incontra una Responsabilità in ordine ad esso. Anche ciò è essenziale al concetto naturale vero e pieno della Responsabilità umana. Anche ciò quindi appartiene all' ordine naturale della Giustizia nella varietà delle sue formazioni. Il restringere 1* ordine della Giustizia a quei pòchi atti ai quali si rìduceva una volta, e che si abbraccia- vano nei dieci comandamenti del decalogo, è eflFetto di nna grossolana e non scientifica idea della cosa. Come il restringere che fa il volgo dell' idea dell' animale a quelli che sono forniti di occhi e di gambe per camminare: e il restringere l' idea del vegetale a quelli soltanto che hanno le foglie verdi. La scienza ha trovato animali anche senz' occhi e fissi alle pietre ; e vegetali senza foglie e senza verde. E cosi trova delle Giustizie senza la Sanzione del carcere e della multa. La restrizione suddetta corrisponde insomma perfet- tamente a quella che fa il volgo e fecero gli antichi delle specie degli animali, credute poche e sempre quelle e mo- dellate a priori sugli esemplari fatti passare da dio in rivista davanti ad Adamo nel paradiso terrestre. E dipende dalla stessa ignoranza della legge della formazione naturale. Poche, dicevano, e sempre quelle, le specie degli ani- mali ; e create direttamente da dio, e mostrate ad Adamo al principio del mondo nel paradiso terrestre. E cosi, poche e sempre quelle le specie della Giustizia, impresse da dio direttamente neir anima di ogni uomo che nasce e scritte sulle tavole di Mosè dalla cima del monte Sinai [cfr. Grice, ’10 comandi’, decalogo] La scienza sbugiardò V idea meschìnissima quanto alle specie degli animali. Sbugiarda col positivismo l'idea meschinissima quanto alla Giustizia. Non dio, autore delle specie degli animali; ma la natura: e le specie, un nu- mero stragrande; e non fisse, ma variabili; e variabili accidentalissimamente. E cosi, non dio autore delle specie della Giustizia, ma la natura : e queste specie, un numero stragrande e immensamente differenziato ; e non fisse, ma variabili; e variabili accidentalissimamente. L'idealità sociale, ossia la giustizia morale, formata che sia nella coscienza dell' individuo, vi fun- ziona come una forza speciale, nel senso antiegoistico chiarito nella Morale dei Positivisti; e vi produce un doppio effetto, secondo che si applica al giudizio e alla direzione delle azioni individuali proprie, ovvero al giu- dìzio e alla direzione delle azioni degli altri. Da questo secondo effetto dipende la vitalità intrin- seci e vera della Società, considerata siccome un organismo naturale nel senso proprio della parola. Perchè la Giustizia, parlando nella coscienza dell' individuo, è la potenzialità indistinta onde originano i distinti dei Po- teri sociali effettivi e delle Leggi da essi emananti; e perchè la Giustizia potenziale degli individui associati collabora a rendere efficace l’opera del potere e della legge sociale. E come se si dicesse che un organismo, pogniamo vegetante, si sviluppa nei suoi organi caratteristici mercè la vitalità delle parti componenti: e che poi T attività di questi organi speciali è operativa de' suoi effetti par- ticolari sopra le parti mercè il concorso della vitalità che si mantiene nelle parti stesse. Sempre insomma la legge generale della formazione naturale, che l' indistinto non cessi mai di sottostare al distinto, e di offrire cosi la ra- gione naturale e del suo essere e del suo operare. Cosi si osserva che una legge in un paese rimane senza efficacia e come lettera morta se, a farla valere, è solo il Potere, e non lo ajutano di conserva le singole coscienze dei cittadini; le quali, accogliendo in sé la forza viva già formata della Giustizia morale, ne ricevono un impulso atto a muoverle alla disapprovsizione degli atti contrari alla Legge e a concorrere per quanto possono a farla valere. E, quanto sia vero ciò che affermiamo, lo di- mostrano i fatti sociali tutti quanti. Anche, per esempio. r interesse vivissimo onde si tien dietro allo svolgimento di un processo criminale, pur dei paesi lontani, pure re- lativo a persone che non ci riguardano punto, né diret- tamente, ne indirettamente. Che più? Tanto è viva e potente nell'uomo T idea della Giustizia antiegoistica, che egli non può stare che non ne provi V eflFetto più vivo anche pei fatti immagi- nari delle fole, dei racconti, delle poesie, dei drammi. Data r immaginazione di un fatto, al quale sia applica- cabile l'idea della Giustizia, questa per legge psicologica indeclinabile si ridesta nella mente, e col suo naturale atteggiamento: come in tutte le altre associazioni men- tali. In ciò la spiegazione della vivezza della voluttà, onde si leggono o si odono i suddetti racconti, e si as- siste ai drammi. E la vivezza di tale voluttà è il termo- metro che prova la presenza nella coscienza della idea efficace della Giustizia e ne ne misura l' intensità. La punizione materiale, vendicatrice della Giu- stizia, sarà necessaria quindi in ragione inversa della ef- fettuazione nella coscienza della Idealità sociale giusta. Meno sarà questa, e più dovrà essere la severità e la prontezza della pena materiale, che n' è la Sanzione. Il che, come altrove dicemmo, si fa per due scopi: per quello di supplire, colla impulsività dall' esterno della minaccia del castigo, al difetto della impulsività dall* in- terno della Idealità sociale direttrice dell'azione: e per quello di giovare a produrre questa impulsività nel!' in- dividuo. Onde, più questa è già prodotta, e meno occorre di coazione a supplirla. E al massimo assoluto della produzione della detta impulsività corrisponderà V assenza del bisogno della coa- zione materiale e la sufficienza per la Moralità del puro fatto psichico della idea e della disposizione della Giu- stizia, e del giudizio mentale dettatone di approvazione e disapprovazione dell' atto relativo. Ciò nel rapporto dinamico tra chi detta la Legge e chi ne è obbligato ad eseguirla. Ma e' è di più. La effettuazione della Idealità della Giustizia, in ra- gione che più avviene, più paralizza il suo contrario, onde deriva; cioè la Prepotenza. E quindi i sentimenti nei quali questa si esprime: come è, tra gli altri, quello della vendetta considerata quale sodisf azione egoistica. E più invece ravviva i sentimenti antiegoistici, come quello della benevolenza altrui. Ravviva cioè i sentimenti che, nella Morale dei Positivisti (i), distinguemmo colla denominazione di pietosi, dopo avere dimostrato che la Pietà è il carattere del sentire dell' uomo in corrispon- denza della sua formazione caratteristica della Idealità sociale. Per conseguenza, la stessa pena materiale, a misura che una Società diventa civile, va perdendo del carattere di una vendetta espiatoria ed appassionata, assumendo quello di un semplice rimedio; che si applica a malin- cuore e con sentimento di compassione essendocene il bisogno e per questo bisogno solamente. E in generale, questa qualità della assenza del carat- (i) Libro I, Parte III, Capo III, n. 7 (Pag. 150, 151 del Voi. Ili di queste Op, fil, nella ediz. del 1885, e pag. 158, 159 nella ediz. del 1893 e del 1901, e pag. 163, 164 nella ediz. del 1908) e altrove. tere appassionatamente vendicativo e di pura espiazione si trova nella Società assai più nella reazione del Potere, che rappresenta maggiormente V Idealità antiegoistica, di quello che nella reazione della Convenienza, nella quale assai più rimane dell' egoismo e della Prepotenza. E, negli atti stessi della Convenienza, la vendetta appassionata, egoistica, prepotente, è più o meno in ra- gione che è più o meno eflFettuata V idea della Giustizia neir individuo reagente. Ossia, in una parola, quantunque la Giustizia im- plichi la Responsabilità, e questa una Sanzione o una vendetta punitrice, tuttavia, compiuta che sia come for- mazione psichica individuale essa Giustizia, vi si dissi" mula o vi si fa latente la vendetta relativa: a quello stesso modo che, formata che siasi in una sostanza la sua affinità chimica per la trasformazione in questa di un certo numero di calorie, il fenomeno propriamente ter- mico vi si dissimula e non si manifesta più in una tem- peratura misurabile col termometro. E torna cosi, anche nello studio della Respon- sabilità e del carattere della Idealità sociale come Giu- stizia, il principio più volte illustrato nella Morale dei Positivisti per altre vie (i), del regno della Giustizia sot- tentrante nella Società, di mano in mano che questa si perfeziona, al regno del fato. E torna ad apparire del pari il carattere speciale deir uomo formato sotto V influenza dell' ambiente o del- (i) Libro II, Parte IV. Capo II, n. 16 (Pag. 399 del Voi. Ili di queste Op, fil. nella ediz. del 1885, e pag. 422, 423 nella ediz. del 1893 e del 1901, e pag 432, 433, nella ediz. del 1908) e altrove. PPipm>yi^"imtVi- k^i.J»^-» ■-pr^\»y-^r* t-^»t-«- ^vv --.. vt-w- l'organismo sociale: ossia dell' uomo virtuoso, o sapiente, che dir si voglia. Per lui basta, ed è tutto, V idea della Giustizia ; e il giudizio che fa egli stesso di se medesimo in virtù di essa: e al di fuori e al di sopra di ogni punizione mate- riale. Come dice Dante di Virgilio: El mi parea da sé stesso rimorso, O dignitosa coscienza e netta, Come t' è picciol fallo amaro morso! E, relativamente al malvagio che lo oflFende, in ra- gione della offesa, anziché il sentimento della vendetta, cresce in lui quello della pietà. Come in quel divino cro- cefisso, al quale, negli spasimi di dolore cagionatigli dalla più atroce delle ingiustizie col più atroce dei supplizi, l'offesa immensa non riusci che a trargli dall'anima la preghiera sublime : Padre, perdgna a questi miei crocifis- sori, perchè non sanno quello che si facciano. Abbiamo parlato di quello che, sulla fine del primo, avevamo chiamato il secondo degli uffici del Potere. Resta dunque a parlare del primo di questi uffici, che dicemmo essere di stabilirsi nella Società a spese delle sue parti; e del terzo che dicemmo essere di di- spensare nell'effetto del miglioramento delle parti quella forza comune dell' ambiente sociale che opera per esso Potere. E lo faremo, cominciando la illustrazione divisata in questo Capo e nel seguente, e compiendola nelF ultimo. 2. — La Giustizia propriamente detta non è tutta la moralità. Questa Giustizia, cóme vedemmo, riguarda la ifuo- lumità delle parti sociali. E quindi è il solo lato nega- tivo della Moralità. Ma la Moralità ha anche i suoi lati positivi: come quelli indicati dalle parole Diritto e Autorità; e quello dei mezzi onde si costituisce e vive il Potere, organo della Società; e quello del Premio della virtù. Anche di questi lati positivi quindi (e sotto il punto di vista prefissoci (i) della Responsabilità) si deve chia- rire la formazione naturale. Con ciò potrà rimanere spie- gato appieno il fatto naturale della Moralità, e la ragione della Responsabilità potrà apparire sotto tutti i suoi aspetti reali. §11. Criterio positivo del Diritto e del Dovere. Il Diritto (come dimostrammo nel luogo più volte citato della Morale dei Positivisti) è la stessa potenza libera che si avvera rielT essere umano. Considerato questo essere isolatamente, il Diritto, come dicemmo sopra, coincide colla Prepotenza; e di- venta il Diritto sociale antiegoistico e giusto (o il Diritto propriamente detto) in quanto è ridotto in limiti deter- minati dal contrasto della potenza opposta degli altri uo- mini consociati. Vale a dire: la potenzialità astratta dell' individuo, nella condizione eflFettiva del suo esercizio (cioè di fronte alle reazioni delle potenzialità degli altri), diventa una potenzialità reale determinatamente limitata dalla effi- cienza contrastante delle potenzialità degli altri uomini. 12) Libro I, Parte II, Capo IV. n. 15 ecc. (pag. 125 del Voi. nidi queste Op, ftl. nell' ediz. del 1885, e 131 dell' edìz. del JS93 e del 1901, e pag. 135 nelle ediz. del 1908). Voi. IV. 9 Tf^r»* Con che però resta sempre il principio, che il Di- ritto di un uomo è ciò che esso può fare. Resta sempre ; per la ragione xche, posto V uomo di fronte agli altri, e rimanendone elisa per tale relazione una parte della potenzialità, la potenzialità sua effettiva non è tutta V astratta, ma solamente quella che residua dalla elisione sofferta. E, per togliere ogni dubbio su ciò, basta V osserva- zione del fatto che, cambiandosi le condizioni e i rap- porti dinamici, onde dipende la elisione di una parte della potenzialità di un individuo, questa torna attiva, e con ciò torna Diritto. Il potere di staccare un frutto ma- turo da un albero non è Diritto dove il contrasto del possesso altrui impedisce di esercitarlo; ma tolto questo contrasto (portandoci, mettiamo, in una regione nella quale le piante sono proprietà comune) lo stesso potere di staccare il frutto torna Diritto, per la sola ragione che non ha più T impedimento al suo esercizio del possesso altrui. Il Diritto quindi, come dicemmo pure nello stesso luogo della Morale dei Positivisti, se in astratto è identico per ogni uomo, (essendo Tuomo in astratto identico all' uomo) nella realtà per ogni uomo è diverso, per la ragione che la potenzialità di un uomo differisce sempre nel caso pratico da quella di un altro: quella del maschio, ad esempio, da quella della femmina; quella dell' adulto, del sano, del civile, del colto, dell' educato, dell' uomo di genio, da quella del bambino, del malato, del selvaggio, dell' ineducato, dell' imbecille ; e via dicendo. wyfmwii^i ' P Jl >»u- .ry -"^.-^v- ■f^.-.-v-.-f-— l’uomo ha nella natura in forza del suo arbitrio in quanto è deter- minato dalla Idealità lituana che è la Idealità sociale. Qui colla spiegazione della formazione della Giustizia (o dell' Idealità sociale) spieghiamo anche la formazione del Diritto, e quindi ne indichiamo le condizioni dettagliatamente, che si possono riassumere nel quadro che segue : A) Arbitrio umano libero. Non il potere generico della cosa sulla cosa. Non quello della persona in condizione irresponsabile. B) Arbitrio libero di un uomo (sulla cosa o sull* uomo) in con- fronto colla reazione delVarbitrio libero dell* altro uomo. Non dove non si pone questa reazione : e in quanto è regolata dalP Idealità so- ciale. E in ordine a ciò: Arbitrio libero di un uomo in confronto con una reazione pos- sibile. E qui Diritto potenziale o naturale. Arbitrio libero di un uomo in confronto con una reazione reale. E qui Diritto di fatto o positivo^ nelle diverse forme di questo. il Diritto può essere nello stesso tempo un Dovere, e non che deòòa. E perchè questa differenza fra Diritto e Diritto? Rispondendo, apparirà insieme come e quanto con- vengano fra loro le definizioni apparentemente diverse da noi date del Diritto nella Morale dei Positivisti (nel luogo sopra citato), dove dicemmo che è in se stesso la Giustizia, o la Legge o la Idealità sociale, e qui, dove diciamo che è un potere libero implicante una Respon- sabilità verso una Sanzione che ne salva V esercizio. Nel caso di chi mangia la propria mela, M impulsi- vità traente all' azione è data, non dalla Idealità sociale « antiegoistica, ma dall' istinto egoistico, o da quella che dicemmo la Prepotenza, precedente T Idealità morale propriamente detta. Trattandosi di questa Prepotenza, la Re- sponsabilità r accompagna solo in quanto la limita, e non in quanto la produca. E quindi la stessa Responsabilità ha con essa un rapporto unico. E. per ciò non può aver che il nome di Diritto, ossia si può pensare soltanto che r esercizio ne è reso incolume dalla Responsabilità che lo salva. In vece, nel caso del padre che educa il figlio, T im- pulsività traente all' azione è data dalla Idealità sociale antiegoistica, ossia da qualche cosa che è già una Giu- stizia, implicante quindi T elemento della Responsabilità. Da ciò proviene che il potere del padre di educare il figlio sia fra due rapporti: fra quello di eserizio incolume, in quanto è salvaguardato da una Sanzione sociale relativa, onde è Diritto; e quello che il padre è alla sua volta obbligato, pure per una Sanzione sociale relativa. ad avere in sé la Idealità della sua disposizione o del suo potere di educare il figlio, onde è Dovere. In una parola, il potere egoistico, non derivando estrinsecamente dall' ordinamento sociale, ma dalla stessa spontaneità dell' individuo, non può importare se non la Responsabilità di chi volesse impedirlo. E quindi è solo un Diritto. Mentre invece il potere antiegoistico, deri- vando come tale dall' ordinamento sociale, che lo ingenera per mezzo della relativa Sanzione, impòrta due Re- sponsabilità. Una per chi non lo rispettasse: onde gli corrisponde il Dovere in un altro. Ed una seconda per chi non lo avesse e non lo esercitasse : onde, sotto questo rispetto, è un Dovere esso stesso. Dunque il Diritto è sempre una potenzialità che importa una Responsabilità, secondo la definizione che qui ne abbiamo dato. Ma questa potenzialità può es- sere determinata da una Legge, o Giustizia, o Idealità sociale, secondo che importava la definizione data nella Morale dei Positivisti, In questo secondo caso, come ivi dicemmo, il Diritto è nello stesso tempo un Dovere. Non cosi quando la po- tenzialità è di un ordine estramorale. 8. — E cosi siamo arrivati, per mezzo della analisi positiva del fatto umano e sociale, a scoprire // criterio positivo del Diritto e del Dovere. Con questo criterio (e non altrimenti) si possono ri- solvere i problemi che li riguardano; e specialmente i quattro fondamentali che seguono: circa i Diritti dell' uomo sopra le altre cose della natura. Circa i Diritti dell' uomo sopra se stesso. Circa i Diritti di Autorità. Circa il Diritto, non di Giustizia, ma di Carità o Beneficenza, che dir si voglia. Nell'esempio innanzi citato di uno che pigli dei pesci notammo, che il Diritto di chi lo fa è solo per quanto il fatto riguardi altri uomini, e non per quanto riguarda i pesci. Coi pesci, che prende, l'uomo ha il semplice rapporto generale della cosa colla cosa, quale è quello, pogniamo, della foglia verde oscillante al sole e rubante all'atmo- sfera la molecola di acido carbonico che vi nuota dentro e si imbatte alla portata delle boccuccie predatrici. In confronto col pesce 1' uomo non ha né Diritto né Dovere. Esso, in forza del potere onde é fornito, ne usa e ne abusa senza offesa della Moralità, che é estranea a tale ordine di azioni. E nessuno dice reo di colpa e im- morale, né il pescatore di professione che trae dall'acqua il pesce e ne contempla impassibile gli spasimi dell'asfis- sia, onde muore dibattendosi convulsivamente sulla secca arena, e lo piglia cosi per procacciarsi da vivere; né il pescatore dilettante, che gli infligge quel martirio per semplice spasso. Ma nella Civiltà progredita si può arrivare fino al punto di estendere il carattere del Dovere anche alla detta azione dell' uomo in rapporto col pesce. La Zoofilia - 138 - (che è una tendenza della Civiltà progredita) cosi parle- rebbe in proposito air uomo ; — Il pesce, prendilo pure : x:hè ti abbisogna per vivere. Ma nel farlo non eccedere i limiti della stretta necessità. Prendilo per quanto ti oc- corre, o per mangiarlo, o perchè ti è di danno o di pe- ricolo il viver suo. Altrimenti rispetta in lui il godi- mento della propria vita. E, dovendo prenderlo, fa ia modo che avvenga col minore suo dolore possibile. E tutto ciò consideralo siccome un tuo Dovere verso il pesce. E, un Dovere analogo, i moralisti più delicati oggi lo stabilirebbero, non solo pei pesci, ma anche per tutti gli altri animali; e non solo per gli animali, ma anche per le piante ; e non solo per le piante, ma anche per le cose inanimate senza distinzione. Stabilirebbero cioè quel- la ordine quarto di Doveri, che chiamano dei Doveri del- l' uomo verso le cose della najtura: essendo V ordine primo, secondo loro, quello dei doveri verso dio; il secondo, quello dei Doveri, verso se stesso; il terzo, quello dei Doveri verso il prossimo. E come ciò? E giusta tale estensione dell'idea del dovere? E, se giusta, non si avrebbe con ciò una smentita alla nostra dottrina della formazione naturale deir idea del dovere? Dicemmo che la effettuazione della Idealità della Giustizia, in ragione che più avviene, più para- lizza il suo contrario , . , e più invece ravviva i sentimenti antiegoistici, che distinguemmo col nome di pietosi, caratteristici del sentire dell' uomo in corrispondenza colla sua formazione della Idealità sociale. In ordine a ciò, parlando in ispecie della Idealità sociale della famiglia, nella Morale dei Positivisti (i) scri- vemmo quanto segne: — Questa Idealità diversifica se- condo le varietà umane. Rozza fra le rozze, gentile fra le gentili ; portante a illimitato uso di potere nelle So- cietà embrionali, ristretta alla mera necessità dell* alleva- mento, dell' educazione, e dei riguardi necessari, nelle So- cietà più perfette ; e cosi via per altre diversità e grada- zioni senza numero. Sicché si può dire, che, se dal bruto air uomo r idealità in discorso si umanizza, questa uma- nizzazione è neir uomo stesso maggiore o minore. E, dove è minore, vediamo T effetto, e nella forma ancor fiera del sentimento relativo, e nella sua limitazione, restringen- dosi, o alla nazione, o allo stato, o ^alla tribù, o ad un semplice branco di uomini. Mentre, dove è maggiore, ve- diamo Teffetto, e nella gentilezza del sentimento, e nella sua estensione, che abbraccia tutti quanti gli uomini, per quanto diversi e immeritevoli: e travalica anche il con-- fine dell'umanità, e si presta a che l'uomo sia pietoso anche cogli animali inferiori, e perfino cogli esseri inanimati, La pietà cosi estesa, o in genere Tappi icazione del potere proprio verso le cose 7iei limiti del necessario e del ragionevole, è una moralità indiretta, e non una mralità diretta. Che questa è solo quella che dipende immediatamente dalla reazione tra uomo e uomo; e che quindi ha per correlativo una Sanzione sociale e conseguentemente ne implica la Respc^nsabilità. (i) Libro I, Parte III, Capo III, 11. 6 (|)a^. 149, 150 del voi. lU di queste Op. fiL nella ediz. del 1885, e pag'. 156, 157 nel!' ediz. del 1893 e del 1901, e pag. 161, 162 nella ediz. del 1908). Onde storicamente (nella successione dei periodi della evoluzione della Moralità umana), e statisticamente (nei gradi di evoluzione della Moralità propria dei diversi ordini costitutivi di una stessa Società) da prima si ha solamente la Moralità diretta, o che riguarda V uomo e non le cose. Le genti più rozze oggi e, fra le genti più colte, le persone che lo sono meno, né sentono né sospettano neanco che la Moralità possa riferirsi anche agli atti relativi ai bruti e alle cose inanimate. Il decalogo mosaico, sintesi dei precetti morali di uno stadio evolutivo antico e non ancora perfetto della Moralità, non ne fa cenno nemmeno esso. Ma, sviluppatasi più fortemente col progredire della civiltà nel sentimento pio la espressione della Idealità antiegoistica, questa dovette risentirsi e muovere ogniqual- volta nella rappresentatività umana si fossero avute anche solo delle analogie coi fatti umani eccitatori dello stesso sentimento pio. E ciò per la legge generale della attività psichica, la quale importa che la rappresentazione somigliante (os- sia il ritmo analogo dell' attività centripeta) determini affetti e volizioni somiglianti (ossia ritmi analoghi dell’attività riflessa). Mansuefatto l’uomo per l’effetto dell' ambiente sociale, e reso più umano, e cresciuta in lui la potenza pietosa, questa dovette scuotersi al palpito, non solo delle viscere del fratello immolato dalla ferocia dell' assassino, ma (per somiglianza della cosa) anche di quelle dell’agnello semivivo sul lastrico del pubblico macello. Do- ||Wli|ILP!iWWiJi,iS"iWii vette scuotersi perfino alla dilaniazione dei ramoscelli vivi di una pianta, onde il pensiero è tratto per analogia a rappresentarsela con un senso di dolore. Come quando Goethe canta di una pianticella di rosa. Der wilde Knabe brach* s Rdslein auf der Heiden ; Ròslein wehrte sich und sùach, Hai/ ihm dock kein Weh und Ach ! Mussi* es eben leiden, E siccome il senso della pietà è, come dicemmo, il sentimento riassuntivo dell’idealità antiegoistica, ossia doverosa, cosi il concetto vago del dovere, colla sua imperatività astratta e quindi misteriosamente indefinita, dovette associarsi anche alla Pietà sentita in causa dell’analogia per T agnello e per la rosa ; e conseguente- mente si dovette indirettamente o per riflesso, la ragione del Dovere, estenderla anche al rispetto di un animale e di una pianta. Ed è ciò che confusamente presentirono quei vecchi sensisti che posero la facoltà immaginaria del senso della Moralità, o queir altra misteriosa della *simpatia* o compassione. Ma la cosa può andare anche più oltre. Il sentimento pio medesimo, rimanendo offeso in chi è testimonio della azione spietata, compiuta da una per- sona o sopra un bruto o sopra un' altra cosa, e perciò in lui risentendosi, può far sì che egli si esprima ripro- vando r azione offendente. Tale espressione riprovatrice sarebbe una vera San- zione vendicatrice della resizione di Convenienza, e che — 142 — potrebbe essere assunta dal Potere, quando esso (come è possibile, anzi probabile, an2i in gran parte si è già fatto (i) progredendo la Civiltà) convertisse in Legge pubblica il giudizio privato divenuto comune. Come è notissimo, in tutti si può dire i paesi civili si sono formate delle società per la difesa degli animali, e si sono fatte delle confederazioni di esse anche internazionali, e si tengono di tratto in tratto dei congressi dei loro rappresentanti. E si sono anche fatte delle leggi proibitive degli eccessi contro le povere bestie. E credo opportuno riportare (jui tradotto un tratto a proposito del Konversations Lexikon del Brockhaus (Lipsia, 1895 voi. 15, pag. 844) — La legislazione più antica contro quelli che maltrattano gli animali ci è presentata dall' Inghilterra dove essi erano puniti fino dal secolo passato. Seguì una serie di leggi per la protezione degli animali domestici, per la proibizione delle giostre delle fiere, per la limitazione delle vivisezioni. Relativamente presto anche la Germania dettò leggi nello stesso senso ; oltre le misure di polizia, il codice penale sassone del 30 marzo 1838 indisse la prescrizione generale per la quale si deferivano alle autorità di polizia le punizioni per gli eccessi dell' uso anche legittimo degli animali. Seguirono tosto la Prussia, il Wtirtemberg, ecc. con prescrizioni in parte più estese. Al presente vige un paragrafo del codice penale dell' Impero, col quale è punito con una multa che va fino ai 150 marchi, o col carcere, chi pubblicamente o in modo da fare scandalo con malvagità d' animo tormenta o tratta male gli animali. Oltre ciò sono in vigore nei diversi stati delle ordinanze speciali delle autorità amministrative proibitive di particolari maltrattamenti degli animali e in favore di un contegno ad essi favorevole, e in specialità con prescrizioni circa il trasporto degli animali, i cani da tiro, la macejleria, il sopraccarico dei carri ecc. Nell'Austria, oltre certe ordinanze speciali delle autorità, ha valore di legge 1* ordinanza ministeriale del 15 febbraio 1855, che dichiara punibile il maltrattamento degli animali che desti pubblico scandalo ; in Francia la cosidetta legge Grammont del 2 luglio 1850 per la protezione degli animali domestici, ecc. I rappresentanti delle società per la difesa degli animali tendono a che la punibilità si estenda maggiormente e non si limiti a restrizioni fissate, come per esempio la pubblicità def maltrattamento. Di tale tendenza pare ab- biano tenuto conto la Svizzera, 1' Italia (art. 491 del Codice penale del 1889), il Belgio (Codice penale del 1867), l'America del Nord, ecc. ■^i^i Nel qual caso poi si avrebbe una doverosità diretta formatasi da una indiretta. E con una Sanzione e una Responsabilità, non misteriosa e indefinita e vaga, ma determinata. E lo stesso avviene poi per molte altre dell’idealità morali. E anche per un altro verso V esercizio del po- tere di un uomo sulle cose può finire coir essere gover- nato da una doverosità. Come dove uno, che possiede un podere e potrebbe farne lo strazio che volesse, è tratte- nuto dair idea di non lasciare i figli senza pane. Nel quale ordine di idee cade il fatto della legislazione sulla interdizione dei prodighi. E per altri versi ancora; e per moltissimi. Ogniqual- volta cioè r esercizio del potere, di un uomo sulle cose offende, o affetta in qualsiasi maniera, il senso e l’appreziazione dell’altro e ne provoca una reazione, incontrandone quindi una sanzione e la responsabilità. E in tale ordine di casi è da notarsi che certi atti fisiologici necessari ed inevitabili, ma incomodi o al senso esterno o al sentimento estetico, importano una dovero- sità solo in quanto sono compiuti da un uomo alla pre- senza di altri e non in quanto sono fatti in disparte e in segreto. Fatta però V abitudine di considerare gli atti mede- simi fatti alla presenza degli altri come illeciti, V idea della loro sconvenienza si associa poi ad essi • tanto o quanto. anche compiendoli nascostamente. E quindi l'uomo, a misura che diventa civile e moralmente più perfetto, si studia o di evitarli più che è possibile o, non poten- . I !ij.i«pj dolo assolutamente, di eseguirli nel modo meno inde- coroso. Ciò conferma anche la dottrina positiva già da noi accennata (i) della formazione naturale dei Doveri del- l' uomo verso se stesso. E spiega in pari tempo il fatto curioso delle an- tiche Moralità religiose, che consideravano alcuni fatti fisiologicamente necessari dell'uomo, anche compiuti in- segreto, impuri e tali da inquinarlo, e richiedenti quindi i riti della purificazione, 7. — Secondo le idee religiose T arbitrio sulle cose sarebbe una concessione di dio, creatore e quindi proprie- tario di esse: e in forza di questa concessione l'arbitrio medesimo sarebbe intero ed assoluto ed esente dalla restrizione doverosa sopra chiarita di un trattamento umano e di un uso razionale, mancando il precetto divino rela- tivo, che solo, secondo le idee stesse, può stabilire la ra- gione del Dovere. E da ciò si vede che il positivismo, anziché distrug- gere la Moralità, è atto invece ad allargarla più che non lo faccia la religione. La quale anzi, nella sua gelosia pel monopolio arrogatosi della morale, si irrita e si im- penna per questo eccesso (come essa lo chiama) di Mora- lità positiva della Società moderna più colta, che vuol essere buona anche colle bestie e coi fiori. La religione si sente in ciò moralmente soverchiata, e se ne vendica chiamando questa bontà, che essa non sente e non può insegnare, cosa diabolica e perversa. (i) Vedi sopra Capo II, J VI, n. 14, e la nota (2) relativa. Si teme che, perduta la religiosità, V uomo tor- nerà alla ferocia brutale della prepotenza egoistica; e non si vede che invece il positivismo è ancora più umano e morale che non la religione. Cosi si lamenta che la Civiltà vada distruggendo la ingenuità santa dei tempi antichi ; e non si vede che' i santi ingenui dei vecchi tempi, perfino le matrone pa- trizie e venerabili, erano, verso le stesse persone umane degli schiavi, più fieri e crudeli che il rozzo mulattiere colla sua bestia ricalcitrante, e il ragazzo ineducato col- r insetto che strazia senza pietà. L' uomo del positivismo non si umilia irragionevol- mente col credere che V uso delle cose, sulle quali sente di avere un potere, sia una concessione gratuita e capric- ciosa che gli sia stata consentita dal talento o dalla mi- sericordia di qualcheduno. Ed è orgoglioso di ritenere cosa sua ciò che egli è in gprado di appropriarsi: anche i mari, le montagfne, il vapore, V elettricità, che non sono enumerati nel rogito di consegna del paradiso terrestre. Ma ciò non impedisce che egli agisca verso le cose con meno insolenza dell' uomo religioso e con maggiore mitezza. Il proposito del positivista non è quello avaramente egoistico del moralista della religione, che dice a se stesso: — Queste cose dio me le ha date in proprietà: dunque perchè non ne caverò per me tutto il pro- fitto possibile? Il suo proposito è quello retto, onesto, morale della razionalità, di servirsi cioè delle cose pel bene in genere, proprio od altrui ; fosse pur anco solo il bene delle cose che non sono lo stesso uomo. Voi. IV. IO '■■■^ ^ Pel moralista della religione le cose sono una pro- prietà, onde dio, che le ha create e può quindi disporre a suo talento, lo ha investito, col controsenso che abbia ancora a sudare per raccogliere i frutti del campo, e lot- tare contro la rabbia, molte volte fatale, delle bestie fe- roci. Il moralista del positivismo invece, fiero di se stesso, audace, generoso come Giapeto, non riconosce donatori. Egli si sente- padrone della natura come frutto della siia conquista faticosa ; e, come un duellante cavalleresco, al- l' elemento immite della natura dice: Eccoci alla prova; se varrai più di me soccomberò io; sarai tu a soccom- bere, se sarò io il vincitore. Ma si dice dal moralista religioso, che un Do- vere originato nel modo da noi detto sopra non è pro- priamente un Dovere : e che, se V ha fatto V uomo, esso può anche disfarlo. Secondo il moralista religioso il Dovere propriamente detto è quello che non è abbandonato alla balia del ta- lento mutabile e capriccioso dell'uomo: onde è neces- sario che sia un comando di dio, al quale non è possi- bile sottrarsi. E in tale credenza è secondato dalla falsa idea, pur generale ancora fra gli stessi positivisti, che le buone azioni in genere, e in ispecie la pietà verso i bruti e la ragionevolezza neir uso delle cose, siano naturalità irre- sponsabili, al pari, mettiamo, degli effetti delle cause fi- siche sui corpi: disconoscendosi cosi, per ispiegare i fatti in discorso, la loro natura morale, che è pure una realtà attestata sperimentalmente. Il positivismo (malgrado i positivisti che sbagliano) vita futura, conchiudono generalmente che l'uomo da nulla è obbligato ad avere rispetto alla propria vita, poiché, suicidatosi, rimane senza efficacia qualunque minaccia che la Società ponesse a trattenerlo. E che quindi sia V uomo anche moralmente padrone assoluto della propria vita, e possa disporne come gli talenta. Queste sono due soluzioni opposte ed estreme. False ambedue, perchè dedotte da una idea del Dovere scien- tificamente non vera. Una doverosità diretta, relativamente al suici- dio, certo che non si può trovarla, poiché, né ha nes- suna presa sul suicida una minaccia di punizione per parte della Società sulla di lui persona, che se ne sot- trae col suicidio stesso, né é ammissibile l' idea della Legge divina e della immortalità dell' anima. E, assolutamente parlando, quanto alla conservazione della propria esistenza, V uomo potrebbe considerarsi nella condizione estramorale indicata sopra parlando degli atti deir uomo sopra le cose della natura. E quindi, come non si ascrive a merito il tendere, nelle condizioni nor- mali dell'animo, a conservarsi in vita, e neanche a tirare il respiro (quantunque a ciò si possa concorrere anche colla volontà), cosi il suicidio potrebbe essere riguardato semplicemente quale effetto naturale di condizioni anor- mali dell' animo di un uomo, come il tossire delle con- dizioni anormali degli organi della respirazione. Ma, se non una doverosità diretta, si può bene avere, circa il suicidio e la conservazione della propria vita, una doverosità indiretta; per la ragione che molte e diverse Idealità morali doverose, connesse col fatto della conservazione della vita, possono essere presenti imperativamente (ossia con una impulsività morale o do- verosa) nella coscienza disposta al suicidio; e rivestirne la deliberazione del carattere della reità morale. Mettiamo un padre disposto a suicidarsi, che pensi di creare, facendolo, la infelicità materiale e morale der figli superstiti. O uno che pensi danneggiare suicidan- dosi dei creditori onesti, che si sono fidati di lui e lo hanno beneficato prestandogli del denaro, che avrebbe potuto pagare almeno in parte continuando a vivere. E cosi via per moltissimi altri casi consimili (i). (i) Molto istruttivo per questo è il noto dramma di Paolo Ferrari, intitolato // Suicidio^ nel quale, come le tirate spiritualistiche sono freddure senza fondamento scientifico, senza sugo e ridicole, che è strano che egli creda che si possano prendere sul serio, cosi invece è pieno di verità e di effetto il quadro delle conseguenze nella fa- miglia superstite del suicida. Onde poi si deduce che anche nei casi nei quali la doverosità affetta, per impedirla, la deliberazione del sui- cidio, questa doverosità non è sempre la stessa, ma varia secondo il numero, la importanza e la qualità delle ra- gioni morali intervenienti. Cosi, se un corpo insipido per sé acquista un sapore da sostanze che glielo danno, que- sto suo sapore varia secondo la diversità delle sostanze dalle quali Io riceve. Tanto è vero poi che la doverosità non è in- trinseca al suicidio per se stesso, e gli è. conferita, quando si dà che Io accompagni, da ragioni morali intervenienti diverse secondo i casi, che si può pensare Inter venirvene anche di opposte; e tanto da produrre perfino la dove- rosità contraria, ossia quella puranco di commetterlo. E invero tutti quanti i ragionamenti ingegnosissimi architettati da certi moralisti non poterono mai togliere r aureola di eroismo virtuoso onde risplende la memoria di Lucrezia romana e di Catone uticense. Dicemmo, che la doverosità può associarsi al fatto del suicidio, e contrastarlo quindi nella coscienza morale in quanto si dà accidentalmente la circostanza che, commettendosi da un uomo, restino inadempiuti dei Doveri che gli incombono e sono da lui apprezzati. E per ciò affermammo che la doverosità stessa viene così a riguardare il suicidio, non per sé, ma indiretta- mente. Se non che è pur vero che anche una doverosità diretta, atta a contrastare da sé la deliberazione di com- metterlo, si accompagni al suicidio. E per ciò per una Sanzione che minacci, non la persona viva (che non può I- "II* PF.I 'darsi come dicemmo), ma la sua fama dopo la morte. La paura di nuocere alla propria fama col suicidio può trat- tenere tanto o quanto un uomo dal commetterlo, e in tal caso esisterebbe per quest' uomo una doverosità diretta impeditiva del suicidio. E sono due gli ordini dei motivi che possono deter- minare questa Sanzione per la quale la Società può ven- dicarsi del suicidio sopra la memoria del suicidato. Il primo è quello delle doverosità indirette accen- nate sopra. E per esse viene ad avverarsi così ciò che si disse al numero 5 del paragrafo precedente della dove- rosità indiretta occasione della diretta. Il secondo è quello della opinione sfavorevole che domini in una Società o in una classe di persone ri- guardo all'atto der suicidio, fondata sopra la idea che sia una irreligiosità abbominevole o una rivelazione di debolezza d' animo o di alterazione delle facoltà mentali. La doverosità diretta dipendente da una San- zione sociale, determinata da questo secondo ordine di motivi, è una doverosità accidentale e temporanea, e non normale e durevole, come si richiede pel Dovere assolu- tamente tale. E in vero T opinione relativa al suicidio, non sem- pre, non dapertutto, si trova ad esso sfavorevole. Quante volte, e presso quanti invece il suicidio è solo ragione di compassione, come per una disgrazia non colpevole, o è anche una ragione di lode! La disapprovazione motivata dalle idee religiose vien meno con queste. Si danno circostanze nelle quali il sui- cidio si riveste del carattere di atto eroicamente lodevole, come nei citati di Lucrezia romana e di Catone uticense. Si danno condizioni e periodi dello stato di una Società, che fanno considerare il suicidio siccome una fatalità ir- responsabile. Che più? Se uno è colto a commettere una azione criminosa, la gente si avventa sdegnata contro il delin- quente e si presta in aiuto della pubblica autorità ven- dicatrice. Si corre invece a salvare dalla morte chi è in procinto di darsela, e con senso, non di sdegno, ma di pietà, Tutto giorno si moralizza sul suicidio a fine di impedirlo, ritenendosi di danno alla Società in gene- rale e a certe sue istituzioni in particolare. Ma si mora- lizza inutilmente. Le ragioni che si fanno campeggiare sono inefficaci per mancanza di solidità intrinseca. Il fatto si ripete ugualmente, come la febbre curata coli* acqua fresca. E il male, riguardo alla Società, non è tanto nella perdita dei suicidi, che in generale non costituiscono la sua parte più attiva e sana, ma nelle condizioni stesse della Società, che, se sono favorevoli al suicidio, con ciò dimostrano di essere non buone e da migliorarsi. Per le cose dette certo si scandolezzeranno molti. E crederanno di avervi trovato un capo d' accusa ineccepibile contro T etica del positivismo, per sostenere che essa è esiziale alla Moralità dell' individuo e del corpo sociale. Ma noi rideremo dello scandalo; ingenuo, se chi lo prova è un pusillo; e ipocrisia, se chi lo pre- testa è un accorto. E diremo: Acquietatevi, che né la Moralità individuale, né la Società avranno danno nes- suno. Anzi ne avranno vantaggio. L' esperienza dimostra che anche tra i credenti in una fede, che riprova assolutamente il suicìdio, si danno di quelli che lo commettono. Sicché non si può soste- nere che la religiosità valga ad impedirli. Quanto alla minaccia dell' eterno castigo il credente suicida, o la af- fronta disperatamente, o trova modo di persuadersi di po- terlo evitare. Tanto che si sa di suicidi cattolici che si confessano prima di darsi la morte. E nei credenti, se si ha il ritegno della paura della pena avvenire, non si ha poi queir altro, del non credente, dell'orrore di metter fine per sempre alla esistenza, che per questo non si pro- lunga oltre la vita attuale. E se si disse, che i credenti un tempo si trattenevano molte volte dal suicidarsi per r idea di essere sepolti fuori del cimitero consacrato, non è men vero che ora possa altrettanto l'idea del biasimo che può restare alla loro memoria. Abbastanza ha provveduto la natura coli' istinto strapotente della vita alla conservazione dell' umanità, malgrado i mali gravissimi che ne accompagnano la esi- stenza. La disperazione che porta al suicidio non si mani- festa con frequenza allarmante se non in certe condizioni morbose sociali ; e ne è il sintomo. Si manifesta per ef- fetto delle condizioni medesime, regnino o non regnino le religiose credenze. Ed avviene pel morbo, onde il sui- cidio è il sintomo, come per tutti gli altri morbi; che, se non producono la morte, le loro crisi stesse ajutano la guarigione, sia segnalandoli alla cura da applicarsi, sia promovendo una reazione salutare. Quando in una Società si verificano frequenti suicidi HW"*^ » è certo ch^ la pubblica opinione si scuote dalla sua indifferenza per le cause dalle quali essi dipendono. E finisce per rendere giustizia alla protesta contro di lei di quelli, ai quali fu fatale lo sdegno contro la sua durezza. E i singoli individui sono avvertiti e ammaestrati circa i pericoli fatali di certe posizioni e circa gli effetti funesti di certi indirizzi della vita, perchè li evitino e si ravvedano intanto che il male può essere ancora scon- giurato. Il Diritto suppone l'Autorità; ossia è Diritto solo in quanto è autorizzato ad esserlo. Ma la stessa Au- torità è tale solo in quanto è un Diritto. E lo stesso Di- ritto, qualunque esso sia, è in se stesso una Autorità. Questi asserti sono altrettanti principj fondamentali positivamente veri; quantunque la loro enunciazione ab- bia r apparenza di un circolo vizioso. Come dicemmo sopra tante volte (i), il Diritto per essere veramente tale (e non semplicemente la potenza di fare, comune ad ogni cosa che agisce), deve corrispon- dere ad una Sanzione che ne assicuri V esercizio, con- forme air Idealità sociale o giusta : e importare quindi una Responsabilità morale. Ora la potenza che stabilisce questa Sanzione, e verso la quale esiste questa Respon- (E si veda per tutte la nota al n. 5 del § II di questo Capo III ) sabilità, è ciò che si chiama una Autorità. Onde è chiaro essere il Diritto un correlativo della Autorità, e quindi supporla necessariamente. Potrebbe sembrare a prima giunta che questa dottrina fosse identica alla vecchia religiosa e politica circa TAutorità e la dipendenza da essa del Diritto. Ma tra quella e la nostra corre una differenza di opposizione perfetta. La vecchia dottrina religiosa della Autorità insegna, che ogni Diritto dell* uomo risulta da una concessione gra- tuita di dio: che il Diritto, assolutamente parlando, non l'ha se non dio: che T uomo di suo ha solo il Dovere: che quindi, quando si dice di un uomo che ha un Di- ritto verso un altro, la cosa va intesa cosi, che dio ha imposto a questo il Dovere di fare o rispettare o lasciar fare una cosa che lo stesso dio vuole che sia pertinenza del primo. Politicamente poi la stessa dottrina insegna che il capo dello Stato è investito divinamente (e ciò significa la consacrazione e la incoronazione con rito religioso per parte del sacerdozio) di un potere sopra tutti i cittadini; che esso ne è il sovrano per volere diretto di dio (onde il titolo Per la grazia di dio) e indipendentemente dal volere loro e da qualunque ragione naturale di Giustizia o di bene comune (onde il precetto religioso: Obedite praepositis vestris etiam discolis)\ e che quindi i citta- dini, per lo stesso arbitrario volere divino, non sono altro che sudditi. La scienza ha fatto ragione del principio religioso; r evoluzione storica sociale del politico. IP^II^KIIV idn,»»^ij5'tr«'isnfc#«^--xj' Il principio religioso è il solito fenomeno psicolo- gico volgare, onde, concepito V astratto di un ordine na- turale di fatti, il medesimo astratto è pensato come una realtà fuori degli stessi fatti e come causa di essi. Gli esseri viventi, ad esempio, danno V astratto dalla vt^a, che non è se non la forma caratteristica speciale che li distingue dai non viventi. Pel fenomeno psicologico sud- detto si fece di questa vita una realtà atta ad introdursi in questi esseri che lo possiedono e a renderli vivi con ciò. Cosi fu fatto per V Autorità. Per una illusione ana- loga; separata mentalmente dalla funzionalità sociale, onde è un aspetto, fu collocata in dio, e di là si è fatta valere a cagionare la funzionalità medesima. E qui, come è ben noto, ci troviamo col solito abbaglio, del metodo metafisico, che spiega la cosa e il fatto colla stessa cosa e collo stesso fatto. Come nel de- rivare gli effetti fisiologici dell'Oppio dalla sua Virtù dormitiva: per citare lo stesso esempio addotto da Pa- squale Villari nel suo scritto intitolato e La Filosofa po- sitiva e il Metodo storico » pubblicato fino dal gennaio 1806 nel Politecnico di Milano, e che io qui ricordo per- chè egli fu il primo che ponesse la questione del Posi- tivismo (nel senso che ha oggi) in Italia, e perchè una grande influenza anch' esso ebbe sopra V indirizzo delle riflessioni che finirono a produrre l'ordine attuale delle mie idee filosofiche. Parlando poi della applicazione politica dello stesso principio religioso basterà osservare come per essa il Potere è concepito, non come Giustizia, ma come Prepotenza ed Usurpazione ; onde si ha la Pre- potenza, ossia r Ingiustizia, eretta alla dignità di principio inorale. Il che è bene scandaloso in una dottrina che pretende di essere la salvaguardia unica possibile della Moralità. E questa applicazione politica del principio religioso si trova poi corrispondere precisamente ad uno stadio arretrato della evoluzione. Il contrasto sociale (dal quale, come dimostrammo, dipende la riduzione della Prepotenza e la sua trasfor- mazione in Giustizia) si attestò da prima nell' impero della religfiosità e della sua rappresentanza, cioè in quella del sacerdozio. E allora si disse, il sovrano avere il po- tere da dio, ed essere responsabile verso di lui dell'uso di esso; e il sacerdozio si atteggiò a creatore e giudice del sovrano in nome di dio. Poi, venuta meno per le ragioni storiche la forza ef- fettiva del sacerdozio nella Società, e quindi il peso del suo contrasto, la sovranità se ne emancipò, e il legitti- mismo di ortodosso divenne eterodosso; cioè, riconoscendo ancora T esser suo dal cielo, autore e giudice della so- vranità della terra, sottrasse però questa alla elezione e al foro sacerdotale. Incontrastabile veramente è il principio della filosofia etica tradizionale, che il Diritto suppone la Autorità e che quindi questa si richiede pure per la Mo- ralità. Ma si ragiona falsamente dicendo, che il Positivismo viene a distruggere la Moralità, dal momento che toglie di mezzo l'Autorità; sicché per salvare la Moralità si debba necessariamente tornare alla filosofia tradizionale, che sola possa stabilire il principio della Autorità. L'Autorità, il Positivismo, la pone anch' esso ; e con certezza, poiché ne trova il fatto nella Società e nella psiche deir uomo civile, e ne dà la spiegazione partendo dalla osservazione di ciò che succede realmente. E cosi la fissa scientificamente ne' suoi termini veri e giusti, e la garantisce dal dubbio (fatale sempre in materia di mo- rale), e da ogni falsa, e dannosa, e immorale interpreta- zione e applicazione. L'Autorità, che la filosofia tradizionale fa venire dal cielo, è un sogno antiscientifico ed involgente una con- traddizione. Come avvertimmo un' altra volta (i), il comando di- vino imponente il Dovere all' uomo è un principio im- morale della Moralità, mentre in fondo è la tirannia, o l'ingiustizia, in grado infinito. E mostrarono d'essersene accorti gli stessi metafisici quando concedettero, che il comando divino abbia da essere non ripugnante alla es- senza stessa delle cose, per cui riesca giusto, e dio che ne usa debba chiamarsi santo. La stessa condizione po- sero anche per la sua Autorità ; e cosi, ammettendo una dipendenza di essa dalla essenza delle cose, fecero di questa il primo e di dio il secondo, e quindi vennero a disautorarlo. E r ammettere la condizione in discorso è poi infine un riconoscere in modo indistinto la verità della nostra dottrina, per la quale l'Autorità, non è un assoluto,. xm, un relativo. Cioè l'Autorità è il relativo di qualche cosa che si impone moralmente; vale a dire con una Responsabilità (i) Sopra Capo II, § II, n. ii. ..LUI «IVI verso una Sanzione, e quuidi verso una reausione libera od umana: insomma verso la Sanzione sociale. Per cui l'Autorità non può nascere se non nella Società degli uomini, e non può essere se non una formazione naturale della sua attività organica. Ma questa dottrina del positivismo circa l'Au- torità pare anch' essa contradditoria alla sua volta. Un Potere, come si disse, è una Autorità in quanto conviene con una Idealità sociale ed è giudicabile se- condo questa; e quindi il suo esercizio è passibile di una Responsabilità verso un Tribunale che dispone di una Sanzione per far valere i principj secondo i quali sentenzia. Ora, siccome tale è precisamente anche il Diritto, cosi l'Autorità viene ad essere anch' essa un Diritto. Ma se l'Autorità è un Diritto, e il Diritto lion è tale se non per l'Autorità subordinante che lo riconosca e lo sancisca, come potrà darsi l'Autorità, non potendo essere che il subordinante sia nello stesso tempo il subordinato? Per rispondere alla difficoltà basta richiamare quanto fu detto sopra (i) della Giustizia effettiva o giu- ridica, o del corpo sociale ; e della potenziale, o dell' in- dividuo. Ciò che sancisce l'Autorità suprema dello Stato è in genere l' indistinto delle coscienze individuali, che ve- demmo sopra come esista e come operi. E che, in modo via via più distinto, si concreta nelle prerogative proprie della gerarchia sociale (I) Capo I. i VII. E COSI è tolta la contradd^ione obbiettata. Il Diritto del subordinato è sancito dalla Autorità stabilita nella Società. Il Diritto di questa Autorità è sancito anch' esso da qualche cosa. Ma non da un' altra Autorità superiore a quella della Società, che non può darsi: sibbene dalla potenzialità morale del corpo sociale collettivo (o delle coscienze individuali) che si forma ed esiste e funziona ed è efficace in r^ione e a misura che vige l'ordinamento effettivo della Società. E questo vero è attestato dal fatto storico co- stante della Società umana, nella quale sempre si è ma- nifestato questo processo; da una parte, della Autorità stabilita che sancisce il Diritto del subordinato; e dal- l'altra, della coscienza comune dei subordinati che san- cisce il Diritto della Autorità stabilita. Questo fatto è evidentissimo nella costituzione delle Società moderne più avanzate, nelle quali é già ricono- sciuta anche legalmente la dipendenza del Governo, in tutte le sue parti, dal beneplacito dei cittadini. In tutte le sue parti ; mentre ormai la irresponsabilità, o si limita alla sola persona del capo supremo, o è tolta affatto anche per questa. All' infuori del potere tirannico della forza e della violenza di certe Società informi, che non è ancora l'Au- torità giusta propriamente detta, ma la Prepotenza in- giusta, nei governi teocratici la potenzialità morale del corpo sociale collettivo si manifesta nella istituzione e dipendenza del Potere dalla religione. E nei governi as- soluti laici la potenzialità stessa si manifesta nella dipendenza del Potere sovrano, che pure ivi ha luogo, da qualche cosa; come dalle consuetudini, dalle caste, dagli ottimati e via discorrendo. 7. — Ed è poi confermato il vero medesimo dalla distinzione, che sempre fu riconosciuta, fra il Diritto reale e il potenziale ; ossia, che è lo stesso, fra il Diritto positivo e il naturale. Poiché, scientificamente parlando, che è mai il Diritto naturale, se non la potenzialità morale propria degli individui componenti la So- cietà. Il nostro ragionamento ci ha condotto: Primo, a scoprire la vera indole del Diritto naturale. Secondo, a spiegare con ciò V origine e la natura vera della Autorità sociale. A darci il criterio per istabilire i rapporti del Diritto naturale col positivo, tanto storici quanto ideali. 2. — Il Diritto positivo è, come già dicemmo più volte, il Potere quale è costituito e funziona nella Società umana; il Potere dei subordinanti e quello dei subordinati, in quanto è riconosciuto fissato e garantito dal primo. (i) Vedi in proposito : Morale dei Positivisti Libro I, Parte li. Capo IV. n. 15 e segg. (pag. 125 e segg. del Voi. Ili di queste Op. fil, nella edizione del 1885, e pag. 131 e segg. nella ediz. del 1893 e del 1901, e pag. 135 e segg. nella ediz. del 1908), e Parte HI, Capo I (pag. 129 e segg. del medesimo nella ediz. del 1885, e pag. 135 e segg. nella ediz. del 1893 e del 1901, e pag. 139 e seg. nella ediz. del 1908). — E questa Sociologia Capo I J VII (principalmente n. 6) e J Vili (principalmente n. 3 e 4), e Capo II. ? 11, nota al n. 5. Il Diritto naturale non è altro che il potenziale. Ossia quello che corrisponde alle Idealità sociali, o giu- ste, o morali. £ alle Idealità sociali universe: tanto a quelle che si sono già avverate nella psiche e nella co- scienza umana, quanto a quelle che non vi si sono an- cora avverate, ma vi si possono avverare quandochesia. Dalle quali definizioni enaerge che il Diritto positivo è determinato e giu- stificato dal naturale; che il Diritto naturale è imprescrivibile, ed ha un valore trascenclente assoluto, corrispondendo al va-- lore trascendente assoluto della natura onde è il prodotto: come una forza o una specie naturale qualunque, che l'uomo trova nella realtà e deve subirvi e riconoscervi; che il Diritto naturale è universale, come la natura umana, allo svolgimento proprio della quale cor- risponde. Quarto, che il Diritto naturale è infinito. Il Diritto naturale è infinito, nel senso posi- tivo della parola, spiegato nella Morale dei Positivisti (i). Infinito cioè nel senso, che è una potenzialità inter- minabile nelle serie e nelle forme de' suoi svolgimenti. Una potenzialità indistinta atta a determinarsi nei fatti dei Diritti distinti che si verificano via via senza fine, come i fatti in genere nella natura per la sua forza ine- sauribile. E non mica un pensiero, o un sistema di pen- sieri, già determinato e fissato in tutto il suo contenuto (Libro II, Parte III, Capo I (pag. 255 e segg. del Voi. Ili di queste Op. fil,, neir ediz. del 1885 e pag. 268 nell'ediz. del 1893 e del 1901, e pag. 275 nella ediz. del 1908). e in una forma unica, nella mente di dio, come dà la filosofìa tradizionale. La quale immiserisce meschinissimamente il concetto del Diritto. Come immiserisce meschinissimamente il con- cetto delle specie naturali delle piante e degli animali, riducendole ad un numero chiuso di archetipi fissi pre- stabiliti in una mente creatrice. Come realtà attuale, già distinta nella sua forma di Diritto, questo è un fatto accidentale; è il risultato del caso dell'incontro fortuito delle reazioni particolari che ne determinarono la effettuazione reale, analogamente a ciò che avviene per ogtii fenomeno naturale, e come nella Formazione naturale nel fatto del sistema solare dimo- strai importare la legge universale della Formazione na- turale. Ma esso Diritto poteva realizzarsi in un infinito numero di altri modi ; come era possibile un infinito altro numero di accidenti (i) nella coincidenza produttrice della serie degli eventi e della serie delle condizioni dell'uomo, in cui si avverò la coincidenza. E, del pari, resta sempre infinito il numero dei momenti evolutivi ulteriori, per la stessa ragione, e perchè V attività naturale resta sempre inesauribile, e non si arresta al punto al quale è arrivata in un dato momento. Dalle quali cose poi emerge che tra il Diritto positivo e il naturale vi deve sempre essere lotta. Tanto è lungi che il positivo (come discenderebbe dalle dot- trine dell' etica tradizionale) sia T acquietamento defini- tivo del naturale; e che questo, eflFettuatolo, riposi in (i) Vedi la Parte IV dello stesso libro. - quello, e solo debba stare in guardia contro i principj contrari (sia delle passioni ree dell' uomo, sia di potenze sovrannaturali perverse) tendenti a disturbare V assetto etico definitivo del mondo. Eterna è la lotta fra il «Diritto positivo e il Diritto naturale. E non effetto della reità di nessuno, ma dello stesso Processo del Bene. Il Diritto naturale lavora continuamente a trasfor- mare il talento della Prepotenza egoistica, che rimane nella Autorità vigente, in ijome della Idealità antiegoi- stica. E la trasformazione, incominciata sopra il massimo della Prepotenza, e continuata pei gradi insensibili infi- niti della sua diminuzione, non è mai compiuta total- mente. Il Diritto positivo di un dato momento è sempre in arretrato verso le Idealità sociali più progredite, già al- beggianti nelle coscienze sociali. E la evoluzione di que- ste Idealità, che, nate, si ribellano subito al Diritto po- sitivo discordante per riformarlo ad immagine di se stesse, è una evoluzione che mai non cessa. L’Autorità del subordinante e in pari tempo, un suo Diritto. Soggiungiamo ora che anche il Diritto del subor- dinato è, esso pure, una Autorità nel vero senso della parola. Il Diritto del subordinato è si riconosciuto dalla Au- torità del subordinante, mai non è da questa creato. Esso esiste per sé in virtù del fatto del suo comparire nella coscienza individuale. Se questo fatto non si avesse, l'Au- torità del subordinante non potrebbe fare che fosse il Diritto relativo. Dato che sia il fatto, la stessa Autorità non può esimersi dall' ammettere il Diritto. Il Diritto del subordinante quindi si impone per que- sto verso all'Autorità del subordinante, e perciò è esso stesso una Autorità. Oltreché poi ogni Diritto, anche di un subordinato, è sempre tanto o quanto subordinante, cioè atto a determinare dei Doveri e dei Diritti corre- lativi. E questa dottrina della autorevolezza intrinseca del Diritto del subordinato (santo pel subordinante, come l'Autorità di questo è santa pel subordinato), era sentita nella coscienza etica degli antichi, malgrado il falso loro riferimento della cosa, quando all' ordine iniquo del prin- cipe tendente a violare il Diritto naturale del suddito, questo rispondeva: Se il principe comanda ciò che dio proibisce, o proibisce ciò che dio comanda, l' ordine e il divieto del principe non hanno valore per la coscienza. La dottrina positiva dell'Autorità e del Diritto è liberale. Questa dottrina (che è quella del liberalismo positivo) contrasta a due estremi opposti ; esiziali 1' uno e r altro alla Moralità vera. A quello del Nichilismo del Diritto individuale della dottrina etico-religiosa dei me- tafisici ; e a quello del dichilismo deldiritto del Potere di un certo socialismo materialistico. Il Diritto naturale e l'Autorità del Potere, che lo riconosce, sono fatti naturali della Società, correlativi ruoo all'altro. Onde» sopprimendo T uno di essi, sì sop- prime anche V altro. Il Nichilismo materialistico dunque, annullando l'Autorità del Potere viene ad annullare lo «tesso Diritto individuale, che vorrebbe rimanesse col carattere di Diritto unico ed assoluto* Il Diritto individuale è un effetto dell' organismo so- ciale; e tanto che» tolto questo organismo, né potrebbe formarsi, né perdurare, esistendo di già; come la fun- zione e il prodotto speciale di un viscere particolare non è segregabile dall* organismo deir animale e dai centri nervosi superiori, onde è determinata e regolata V atti- vità di ogni sua parte. Si form<\ il viscere a misura che si formarono i centri regolatori ; si mantiene finché si mantengono i rapporti di dipendenza da essi. E analogo è il caso del Diritto individuale nel suo rapporto coli' Au- torità centrale. E dunque liberale la dottrina positiva che, mante* nendo TAutorità subordinante, può mantenere anche il Diritto dell' individuo. E, per conseguenza, illiberale è quella del Nichilismo materialistico, poiché, distruggendo questa Autorità, finisce con ciò a distruggere anche que* sto Diritto. Ma la stessa dottrina positiva combatte, nel medesimo tempo, il principio illiberale del Nichilismo teistico, dal quale non è riconosciuto nelT individuo un Dìntto propriamente detto, o proveniente dal suo essere stesso; ed è insegtiato essere il Diritto una concessione gratuita di dio, che egli possa dare e togliere a suo pia- dmento, e lasciare anche alla balia degli usurpatori della sovranità, nei quali si debba in ogni caso riconoscere una Autorità che non emani dal corpo sociale e sia ir- responsabile verso di esso. Il positivismo combatte questo principio, stabilendo l'Autorità originariamente ed inalienaòilmente risiedente neir individuo di esercitare il suo naturale imperio sopra le cose, sopra di sé, sopra gli altri. E mostrando, come la dipendenza dell' individuo dal Potere subordinante non è quella dello schiavo, che è costretto colla violenza dal padrone, e ne eseguisce i comandi suo malgrado, e col- r ira incitante alla vendetta ; ma è quella liberale di chi fa con persuasione e con amore. E ciò perchè, l'Autorità giusta subordinante, l'individuo la pone esso stesso pel Bene di tutti; anche se importa un sacrificio per parte propria: la pone, la coltiva, la difende come cosa, pro- pria, anzi come suo proprio Diritto. Proponemmo quattro problemi fondamentali da risolvere secondo il criterio positivo del Diritto e del Do- vere prima indicato. Dei primi tre problemi abbiamo trattato nei paragrafi successivi del Capo medesimo. Tratteremo in questo del quarto, cioè circa il Diritto, non di Giustizia, ma di Carità Beneficenza, che dir si voglia. Fin qui il nostro libro ha voluto soddisfare a due dei tre suoi intendimenti; cioè di dimostrcure che la Moralità, come è spiegata nella filosofia positiva, com- prende, non solo gli atti della Gitistizia propriamente detta, ma anche: Primo. Gli atti infiniti offensivi non contemplati e uon contemplabili dalla Legge. I quali perciò, esclusi dal campo della Giustizia propriamente detta, vanno at- tribuiti a queir altro della pura Convenienza. Gli atti sindacabili soltanto dalla coscienza intima dell' individuo in cui si avverano, e producenti la sola reazione del Rimorso intemo. Trattando ora del quarto problema suddetto, vedremo di soddisfare al terzo degli intenti propostici, vale a dire di mostrare, che la Moralità, come è spie- gata nella filosofia positiva, comprende anche; Terzo. Gli atti virtuosi, che V individuo potrebbe fare e sarebbe bene facesse, e non è costretto a fare. Ossia quegli atti, che non si attribuiscono né alla Giustizia né alla Convenienza, ma alla Carità, come dicevano i mo- ralisti vecchi, o alla Filantropia o Beneficenza, come di- rebbero i nuovi. Gli atti benefici nell* Etica tradizionale. E noto che nell' Etica tradizionale si stabiliscono due ordini diversi di atti buoni: Quelli ai quali uno é tenuto per poter essere senza colpa, che si dicono atti di Giustizia; e si riassumono nel detto: Non fare agli altri ciò che non vuoi che sia fatto a te. Che é quindi un vero Precetto, E quelli che uno può tralasciare senza diventare con ciò colpevole, che si dicono atti di Carità o di Beneficenza, e si riassumono nel detto: Fa agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te. Che è quindi propriamente, non un Precetto, ma un Consiglio, Ed è noto che 1' osservanza dei primi si dice pro- durre la semplice Onestà morale; e la semplice Esenzione dalla punizione. E che la pratica dei secondi pro- duce anche una Perfezione morale ; e quindi il Merito di un premio. Ed è noto ancora che, tra i pronunciati morali ap- partenenti alla categoria dei Consigli miranti alla mag- giore Perfezione morale, se ne pongono anche di quelli relativi, non al bene da farsi agli altri, ma alla nobilita- zione interna della Persona morale. Il principio del Bene morale non prescritto, e quindi n&n obbligatorio o gratuito (che è un principio ve- rissimo, anzi è il principio morale per eccellenza), l'Etica tradizionale, e non potè mai riuscire a dedurlo rigorosa- mente, ed è, nel sistema di essa, contradditorio. E regge solo nella dottrina dell'Etica positiva. E ciò malgrado sembri a tutta prima che questa,, posta la dipendenza da essa stabilita del fatto morale dalla Sanzione costringente, conduca ad una conseguenza affatto opposta ; a quella cioè di togliere di mezzo quello che ora chiamammo (ed è senza dubbio) il principio mo- rale per eccellenza. L' Etica teologico-metafisica tradizionale si è accorta dell' imbroglio che sta nella sua dottrina ; e ha cercato di cavarsene colla sua solita gherminella (rilevata stupendamente dal Mefistofele del Faust di Goethe) di un vocabolo equivoco. Cioè col vocabolo Consiglio contrap- posto a quello di Precetto. Il Bene morale obbligatorio (ha detto V Etica teolo- gico-metafisica tradizionale) è il Precetto di dio, che non si può non seguire : il Bene morale gratuito invece è il suo Consiglio, che l'uomo può anche non seguire. Ma ciò non è altro, come dicemmo, che una gherminella. La mentalità divina del Bene morale, onde partono i metafisici in discorso, derivandone tanto il Precetto quanto il Consiglio, sta, secondo loro, colla ragione di- vina dell' Ordine morale. Ora si può domandare: L' Ordine morale metafisico, ragione del Bene, è esso esigenza assoluta dell' essere proprio delle cose che ri- guarda? E allora è necessario che sia Precetto tutto il Bene. O sta invece che l'Ordine morale sia il puro bene- placito di dio, il quale possa stabilirlo arbitrariamente in un dato modo, e di due sorta, cioè uno da esigersi inesorabilmente, e un altro da consigliarsi soltanto e quindi da permettere che sia anche violato da chi voglia? E allora il Bene morale, anche quello prescritto, non ha un valore assoluto ; e si può supporre che dio po- tesse non averlo voluto, come si suppone dagli stessi me- tafisici, che egli potesse non aver voluto creare il mondo. Si può supporre insomma, che il male sia male solo perchè dio r ha decretato, e che egli avesse potuto decre- tare che non lo fosse. Il che sarebbe la distruzione pili radicale immaginabile della Moralità. E da questo dilemma non si scappa. Cosa ben curiosa e ridicola il sistema etico della filosofia sana, anche da questo punto di vistai Secondo questa filosofia sana un uomo sa che dio io consiglia ad un Bene che egli potrebbe fare benissimo; e sa che con ciò darebbe soddisfazione a lui che deve amare sopra ogni cosa : ma quest' uomo non si cura, né del Bene per sé, né dell'autorità di dio che lo invita a farlo, né del dispiacere che gli reca trascurandolo ; e ciò per la preferenza data a un proprio interesse egoistico contrario : e tuttavia il medesimo uomo rimane dopo tutto questo esente da colpa, e nella grazia dello stesso dio cosi postergato. L' imbroglio e V assurdo della distinzione tra il Precetto e il Consiglio dipende dalla distinzione falsa, posta dai moralisti in discorso nella stessa ragione di- vina del Bene morale, del Bene doveroso e di quello non doveroso, corrispondente all' altra distinzione falsa, di un Ordine morale che dio voglia necessariamente e di uri Ordine morale che egli voglia arbitrariamente; e che è la conseguenza di un principio ontologico fondamentale erroneo circa le leggi dell' essere e della causalità in ge- nerale e della provvidenza in particolare. Nel principio ontologico al quale alludiamo si accoz- zano, in modo confuso e contradditorio, il necessario e r arbitrario, come nell' Etica corrispondente la Moralità determinata dalla ragione assoluta dell' essere e quella determinata dalla ragione di un comando arbitrario. E per un processo logico analogo. Il concetto del necessario e dell'assoluto deriva dalla osservazione della costanza delle leggi naturali dove que- ste appariscono a tutti. Il concetto dell' accidentale e del- l'arbitrario deriva dalla osservazione dei fatti, che nella apparenza non si connettono necessariamente a cause na- turali, onde si attribuiscono all' intervento diretto volta per volta dell' arbitrio divino ; come, pel volgo, la piog- colare della povertà (che anzi questa sublimità per sé la povertà non V ha niente affatto, se non ha invece la qua- lità opposta) ; ma bensì se mai fosse V effetto inevitabile di una azione o giusta o caritatevole, sì che uno non a- vesse potuto rimaner giusto se non si fosse rassegnato ad incontrare la povertà, o avesse sofferto perfino di subirla per un maggior bene altrui.E così la povertà volontaria può essere anche pel po- sitivista una cosa sublime ed eroica. Mentre in caso di- verso egli la direbbe una stoltezza ridicola e riprovevole. Che se pel religioso la elezione della povertà non è una stoltezza, ciò dipende unicamente dalla circostanza che egli la riferisce ad uno scopo; cioè a quello di gua- dagnare con essa il paradiso. Ma, se cessa così di essf re una stoltezza, riesce però un atto al tutto egoistico e quindi ancora tutt' altro che eroicamente morale. E merita una speciale considerazione a questo proposito la dottrina relativa alla elemosina e al dare a prestito. Ho un ricco, fatto proprio secondo lo spirito dell'E- tica sana teologico-metafisica. Egli crede fermamente che r esser lui nato ricco e destinato, senza lavorare, a go- di ogni genere, mentre il povero non ha da coprirsi a- vendo freddo; se il ricco ha a sua disposizione palazzi e ville, quando il povero manca di un tetto qualsiasi; se il ricco imbandisce la propria mensa di cibi e vini costo- sissimi con profusione, dove il povero manca della stessa polenta; se il ricco ha cavalli e cocchi e servi che lo ajutano a fare niente, mentre il povero si stima fortunato che altri gli offra per carità un lavoro che lo esaurisce senza compensarlo ; se al ricco si offrono tutti i pia- ceri da vicino e da lontano (poiché non gli bastano quelli che può dargli il suo paese e gli occorrono anche quelli che solo si trovano altrove), e questi gli sono sempre perdonati quand' anche affatto eccessivi e corrompenti e illeciti e scandalosi, quando il povero ne è privo al tutto ed è barbaramente rimproverato pur dei pochissimi e grami che gli sia dato di procurarsi; se fa tutto questo il ricco, non solo crede, secondo la sua sana morale (che sempre ha cura di contrapporre ad un' altra diversa, detta da lui empia e sovversiva) di far uso di un Diritto concessogli da dio per un gusto particolare di predilezione, ma crede poi anche di adempiere ad nn Dovere: a quel Dovere che si chiama il Dovere di vivere secondo il proprio stalo. Or bene questo ricco, fatto secondo lo spirito dell’Etica sana teologico-metafisica, riconosce fra i Doveri del proprio stato anche quello della elemosina, ritenendo che coir adempirlo diventi, non solo buono (che lo è già senza la elemosina), ma ottimo, ed in modo perfetto ed eroico. Ed è assai bello vedere come il nostro ricco intenda la detta elemosina. C è da rilevarne proprio la sublimila della morale onde ha lo spirito. Prima di tutto, se egli si trova padrone di una so- stanza vistosissima ereditata nascendo (quanta fatica, quanto studio, e quanto merito!), la sua proprietà è cosa sacra, qualunque ne sia la origine antica: anche se in questa origine fu accumulata colla frode e colla rapina. È cosa sacra, che gli viene da dio stesso. E, se deve contribuire una parte piccola e superflua per lui dell' aver suo, per concorrere alle spese dello Stato che glielo di- fende, o per dare un pane insufficiente a chi si logora la- vorando penosamente per lui, che nulla fa e solò consuma godendo e corrompendo, egli intende, nella goffaggine su- perlativa del suo pensiero, che T operaio, che suda per la scarsissima paga, e il funzionario pubblico, che si sacri- fica pel meschino stipendio, della paga e dello stipendio debbano arrossire come di suoi compassionevoli e gratuiti donativi, e debbano riconoscere che, se faticando assai hanno poco da mangiare, anche questo poco è tutta gene- rosità sua, per la quale si compiaccia di largirlo, privandosi di una piccola parte di ciò che gli sovrabbonda. Ma va più in là l’eroismo della sua generosità di dare del superfluo a chi non ha di proprio se non il dovere di lavorare (quando. gliene danno) e di soffrire. Va più in là; poiché, oltre pagare le imposte che non può frodare, oltre angariare V operajo coir avarissimo com- penso dei servigi avutine, esercita anche la viriti dell’eielosina. Non già impoverirsi per ciò. E nemmeno restringere di nulla gli scialacqui demoralizzanti. Oibò! Sarebbe questo un venir meno ai Doveri del proprio stato. E nem- meno impiegarvi una, anche piccola, parte delle super- fluità più riprovevoli. Tanto non occorre; e di gran lunga. Se, per cavarsi un capriccio stimato come un nulla, il nostro ricco non bada a spendere un migliaio di lire, una lira sola è anche troppo gettarla, come si farebbe di un osso ad un cane, ad un vecchio cadente per la fame. Un pugno di monete di rame, ecco quanto basta per a- dempiere al Dovere di perfezione della elemosina, per es- sere morale in grado superlativo ed eroico, per acquistare il merito -di un posto riservato in paradiso. Poiché anche quelle miserabili monete di rame della elemosina non si intende mica s'abbiano a gettare gratis. Né anche per sogno! Anche da esse, quantunque non abbiano un valore apprezzabile per chi le getta, deve ve- nire un vantaggio : e un vantaggio assai grande ; devono fruttare nientemeno che una felicità eterna in un'altra vita. E la cosa va di suo piede. Il povero, la cui vita fu uno strazio continuo, é ben giusto e naturale che vada poi air inferno, essendo infine, un povero, un malvagio mascalzone ; mentre il ricco, che ha sempre goduto senza nessun merito, deve essere premiato colla beatitudine del cielo, essen'do infine, un ricco, una persona buona. Un pugno di piccole monete di rame; ecco dunque la limosina del ricco, secondo l'Etica sana. Un pugno di piccole monete di rame date all' impazzata ad una turba degradata di accattoni che le implorino, facendo ressa e alzando le mani supplichevoli, intorno al castello minac- cioso e al cocchio superbo, di chi le getta loro col piglio del disprezzo. E questa turba di accattoni degradati é poi neces- sario, secondo la stessa Eti.ca sana, che ci sia anch'essa. Altrimenti come sarebbe possibile al ricco di avere il vantaggio di procacciarsi il paradiso a si buon mercato, e di far risplendere, al di sopra dei languenti per inopia, r orgoglio stupido della ricchezza in tutta la forza della sua brutalità? Onde, nel pensiero del nostro ricco (fatto secondo ìct spirito dell'Etica sana), è cosa immoralissima e sovver- siva del Bene, che altri, come il positivista, cerchi di to- gliere dalla Società T ignominia dell'accattonaggio: che consigli la Società a provvedere, non in apparenza ma in realtà, V impotente, 1' ammalato, il disgraziato : e senza degradarlo, e con un soccorso che apparisca un Diritto riconosciuto in chi lo riceve, e non una elemosina che lo avvilisca ; che faccia opera affinchè il povero sia educato in modo da sentire il danno e la vergogna di accattare il pane poltrendo neir ozio ; e il vantaggio e la soddisfa- zione confortevole di guadagnarselo nobilmente col pro- prio lavoro. E, il sommo della immoralità della condotta del po- sitivista, il nostro ricco la riscontra poi in questo; che, se si dà il caso dell' incontro di un infelice bisognoso di soccorso, egli, il positivista, glielo porga per puro sen- timento antiegoistico di umanità, senza pensare punto allo interesse, né del paradiso né di nient' altro, da ricavarne ; e lo faccia senza avvilire chi riceve, comportandosi con esso come il fratello col fratello ; e nell' intento, non di perpetuarne lo stato miserabile, che faccia risaltare meglio- il proprio più decoroso, ma di agevolargli la via per u- scirne al più presto, diventando un suo pari. Dopo tutto però bisogna confessare che il no- stro ricco, fatto secondo lo spirito dell' Etica sana, è logico. Ma le conseguenze pratiche di tale sua logica ser- vono assai bene per farne apprezzare i principj. Come, al contrario, la verità dei principj positivi apparisce nelle conseguenze opposte or ora accennate, eminentemente (ed esse sole) buone e morali. Certo si deve ammettere, che nella Società (pur pre- valendo nelle dottrine dei maestri di morale il concetto teologico-metafisico sopra descritto) si fece strada a poco a poco, e per, la condotta individuale e per la direzione delle cose pubbliche, V idea della beneficenza propugnata dal positivismo, fondata sulla benevolenza effettiva che r uomo, diventato buono, ha pe' suoi simili, stimati tutti avere gli stessi Diritti ai beneficj della vita e della So- cietà; alla quale perciò incomba il debito di provvedere normalmente, più che sia possibile utile e morale, per gli infelici. Ma giò è V effetto della stessa natura, che opera se- condo le sue leggi invincibilmente, senza e malgrado le teorie dei filosofi. E qui pure, come in tutto il resto dei fatti etici, essa natura ha dimostrato, che la Moralità non si attacca materialmente ad un atto determinato circa . il quale dio abbia detto : Questo atto voglio che sia un atto buono. E ha dimostrato che la Moralità consiste invece nella stessa disposizione antiegoistica dell' animo, creata dal vivere sociale ; e per la quale V atto materiale (che per sé non è moralmente né buono né cattivo) diventa buono, se la disposizione relativa dell' animo è buona, e cattivo, se cattiva, E ha dimostrato che non occorre, che un atto buono sia stato prescritto positivamente da nes- suno, perchè si introduca nella pratica morale degli uo- mini, e che questi lo eseguiscono anche senza e prima che sia stato prescritto. Che anzi la prescrizione positiva medesima è pur essa non altro che V effetto della disposi- zione potenziale degli individui precedentemente forma- tasi neir animo moralizzato, nel modo sopra descritto. Un discorso analogo si può fare circa il dare a prestito. L' Etica religiosa, computandolo fra gli atti di beneficenza e volendo quindi che, se altri lo eseguisce, abbia da, poterlo fare solamente sotto questo riguardo, e conseguentemente senza interesse, ne sopprime la funzione vitalissima per la prosperità commerciale ed industriale nel meccanismo economico sociale; lasciando più libero il campo alle imprese esiziali degli usurai ; sottraendo il capitale all'ingegno e all'operosità dei volonterosi; re- stringendo le fonti del benessere pubblico e quindi della Moralità comune. E allora non sarà colpa l'approfittarne per contravvenirla: e Vufficio del galantuomo sarà tulio nello studio di elu^ dere la Legge, E vi riuscirà, più o meno sempre, es- sendo verissimo V adagio : Fatta la Legge, trovato V in- ganno. Ed ecco il galantuomo inappuntabile dell'Etica sana. Quanto diverso, e più veramente galantuomo, quello del positivismo, che l'Etica sana dice sovversione, distruzione, negazione della Moralità. Lo scopo dell' attività umana congegnata insieme nell’organismo sociale è di produrre nella coscienza degli individui la Idealità morale antiegoistica, atta a muoverne la volontà a fare il Bene. Fino a che l'individuo, questa Idealità, non ha potuto formarsela, è un infelice da com- passionarsi, come il selvaggio che non ha appreso da una Società colta a procurarsi ciò che forma il benessere e il decoro di un uomo. Si faccia dunque ogni sforzo per isvolgerne le facoltà etiche onde egli goda del bene di avere il carattere dell' essere morale. — • 2og — Una volta che Tuomo sia tale, egli fa il Bene in virtù della Idealità, che è viva in lui e impulsiva per sé del suo volere. Impulsiva per sé: tanto pel Bene della Giustizia propriamente detta quanto per quello della beneficenza. Impulsiva sempre ; ogni volta che si presenti V occa- sione di ravvivarsi nella coscienza. Operatrice del Bene nella stessa misura della sua im- palsività, ossia del suo esserci. Impulsiva finalmente pel solo fatto di esserci ; e senza la scappatoja immorale del difettò, o nella promulgazione della Legge, o nella sua redazione negli articoli del co" dice. Poiché, come dimostrammo già più volte, l'Idealità morale, essendo essa la Giustizia potenziale, non segue (come vaneggia la filosofia da noi riprovata), ma precede la Legge propriamente detta ; e quindi esiste nella coscienza (ancor prima della redazione scritta di una Legge e della sua promulgazione) un suo dettato e una sua an- nunciazione, che integra qualunque difetto della redazione e della promulgazione positiva; e conseguentemente im- pedisce che la Legge e il suo spirito siano ipocritamente dissimulati e dolosamente elusi. Il Bene di perfezione non obbligatoria, la vecchia Etica teologico-filosofica, lo ravvisò anche negli stessi atti della Giustizia propriamente detta. E in vero essa insegna, come notammi^ altrove, che, se la volontà si decide a questi atti unicamente perchè premuta dalla minaccia del castigo sancito per essi, si ha solo la Giustizia e non la perfezione; e la perfezione si raggiunge, eseguendo gli atti della Giustizia indipendentemente dalla minaccia del castigo e per la pura soddis- fazione di fare le cose giuste. Ed è giustissima questa distinzione fra il primo e il secondo genere della deliberazione volontaria rispetto ad un medesimo atto obbligatorio. E l'etica positiva la ri- pete e la mantiene anche per conto suo. E ne approfitta per argomentarne ad hominem contro TEtica vecchia. Poi- ché questa colla distinzione in discorso (che è una prova della verità dei principj della nostra Etica sperimentale) mette a nudo il proprio difetto per gli artificj, ai quali deve ricorrere affine di conciliarla colle sue teoriche; e per le incongfruenze che, malgrado gli artificj stessi, vi risultano. Notiamo, per esempio, l’incongruenza relativa alla distinzione tra T atto di rigorosa Giustizia e V atto gra- tuito, al quale essa annette il carattere di perfezione mo- rale. Qui non si tratta più di un Bene supererogatorio, e tuttavia vi trova il carattere della stessa perfezione. La quale incongruenza svanisce subito partendo dai principj da noi esposti dell'Etica positiva. L' essenza dell' atto morale propriamente tale, ossia di perfezione, di un'atto che ecceda l' efifetto diretto della minaccia del castigo, consiste, come dicemmo, nella atti- tudine del volere a esegfuire V atto indipendentemente dalla eccitazione esterna della Sanzione del castigo minacciato. E questa attitudine si ha quando, per effetto appunto della applicazione della eccitazione esterna mede- sima, a poco a poco si ingenerò e si rinforzò la dispo- sizione psichica impulsiva per sé; e tanto, che, divenuta questa una autonomia morale, ha da sé quanto basta per agire, senza bisogno di esservi ajutata dalla eccitazione della minaccia esteriore. Il che in qualche maniera é ammesso anche dall' E- tica vecchia, che pur riconosce la detta spontaneità mo- rale, ricorrendo però per ispiegarla al sogno della grazia di dio, che sostituisca il timore del castigo all' uopo di muovere la volontà al Bene. Coi principj dell'Etica positiva é dunque spiegata nel modo più ovvio e conseguente 1' analogia che corre tra r atto della stretta Giustizia eseguito per pura bontà d' animo, e l' atto della beneficenza in pari modo prodotto ; e come ambedue possano avere cosi egualmente il carat- tere della Moralità perfetta. Molto più che è precisamente la spontaneità di operare la Giustizia (ossia lo Giustizia potenziale) che, precedendola, promuove la legislazione positiva colla rela- tiva Sanzione costringente (come dimostrammo). Ed é la stessa spontaneità che ne mantiene il vigore. Chi ha in sé l'amore alla Giustizia si fa autore diretto o indiretto della Legge, la difende, e concorre a renderla efficace e a vendicarla, se violata. E non impegna persé la forza del Potere, lasciandola disponibile interamente all' utile comune della Società. Dalle quali cose si trae un nuovo argomento in favore del principio etico positivo in confronto col me- tafisico tradizionale. Nella formazione della Moralità umana, secondo le cose dette, va considerato il momento disponente alla for- mazione stessa, e il momento della Moralità già attuata neir animo. Il momento disponente si ha nel cedere che fa il volere alla eccitazione che le viene esternamente dalla Sanzione della Legge. Il momento della Moralità già attuata si ha nella spontaneità acquistata dallo stesso volere air azione giusta e buona senza il bisogno della suddetta eccitazione. Or bene: il principio etico metafisico, onde la ragione deir atto morale è riferita al motivo della pena e del premio, contempla la Moralità nel Momento dispo- nente, vale a dire quando essa non è ancora la Moralità già fatta: dove il principio etico positivo, pel quale la ragione dell' atto è nell' Idealità sociale impulsiva per sé, contempla la Moralità proprio nel momento nel quale essa esiste veramente nella disposizione effettiva del volere. § VII. La virtic, il merito e il premio. Ora poi, esposte le quattro considerazioni pro- posteci, e confermata cosi e chiarita pienamente la dot- trina positiva riguardante gli atti cosidetti di carità o beneficenza, possiamo anche iritendere più compiutamente e precisamente, che sia ciò che si chiama la viriti e il me-' rito, nel loro senso distinto e proprio. Pl'lt .■l .J * — Tr"»T' ^r- Il merito è la proprietà della virtù, come tale; e non del semplice atto morale. E la virtù è una disposizione esistente realmente nel- l'uomo virtuoso. Il che, come sia, è chiaro dalle cose dette sopra. Cosi la scienza è V attitudine particolare dello scien; ziato. Ed essendo la virtù una disposizione reale dell'uomo virtuoso, questo per ciò è un essere diverso dall'uomo non virtuoso; poiché in questo secondo non esiste la potenza etica, che esiste nel primo. E questo vero è stato riconosciuto (quantunque con- fusamente e in contraddizione col loro principio (i)) dai moralisti della chiesa, in quanto per essi il merito e la virtù richiedono la presenza nell'anima di una attività spe- ciale, vale a dire di ciò che da loro è chiamato, la grazia. Se qualcheduno osservasse che noi, col ricor- rere alle dottrine dei teologi cattolici per trarne una con- ferma dei dettati del positivismo, tiriamo in campo inse- gnamenti già abbandonati dalla stessa filosofia etico-me- tafisica che combattiamo, e che quindi facciamo opera inutile (come anche oppugnando il dogma della grazia, che è voler sfondare una porta aperta, non credendo ad esso oramai più nessuno dei moralisti metafisici non teo- logi), soggiungeremo che la teoria dei metafisici non teo- logi non è che un riflesso sparuto della dottrina teolo- (r) Vedi Morale dei Positivisti Libro li, Parte I, Capo II, n. 26, 27 e 28 (pag. 224 e segg. del Voi. Ili di queste _Op, fil, nella ediz. del 1885, e pag. 234 e segg. nella edìz. del 1893 e del 1901, e pag. 241 e segg. nella ediz. del 1908). • ^'••^'^'^gica patristico-scolastica precedente; e che ne ha eredi- tato i difetti perdendone i pregi ; rimanendo cosi una su- perficialità destituita anche di quel valore scientifico, che bisogna pure riconoscere, anzi ammirare, nellametafisica ecclesiastica. Gli autori della quale furono grandi pensatori che, se non poterono arrivare alla soluzione positiva del pro- blema morale (ed era impossibile al loro tempo e nelle loro circostanze), ne ebbero però dei presentimenti. E il principale fra questi pensatori fu S. Agostino vescovo di Ippona, il cui genio potè a ragione essere messo allato a quello del divino Platone. La dottrina della grazia, relativamente al fatto morale, è analoga alla dottrina della forza creativa, rela- tivamente al fatto fisico. Il corpo agisce fisicamente perchè ha in sé la pro- prietà di farlo. Del pari T uomo agisce moralmente per- chè ha in sé la proprietà di agire cosi. Per ispiegare V azione fisica gli antichi supponevano la produzione della proprietà relativa nel corpo per parte della onnipotenza divina. E così davano una ragione della azione fisica stessa quantunque falsa. Il positivismo (come dimostrai nel libro della Formazione naturale nel fatto del sistema solare) trova che la proprietà del corpo di agire fisicamente è la stessa sua costituzione naturale. E così spiega Y azione fisica in modo analogo a quello degli antichi : ma colla differenza che, dove questi considerano la proprietà introdotta nel corpo arbitrariamente da dio nel crearlo (che è contro l' insegnamento del fatto), il positivista considera la proprietà connaturale al corpo medesimo. Nella evoluzione scientifica, onde si passò dalla spie- gazione antica della azione fisica alla positiva attuale, tra quella e questa si formò una spiegazione ibrida e con- tradditoria ; la quale, da una parte, riconosceva V appar- tenenza della proprietà al corpo, proclamandola quindi una naturalità; e, dall'altra, riconosceva ancora dio quale primo autore di ogni naturalità; il che è una incon- gruenza scientifica, ed è il vizio capitale della dottrina teistica, come si trova ad esempio nel sistema del padre Secchi.Tale e quale la storia della evoluzione della dottrina etica. La virtù, o la proprietà psichica specifica dell'uomo morale, i teologi cattolici la supponevano un dono santo e sovrannaturale di dio. Il positivismo invece trova che tale proprietà santa è la stessa costituzione che potè acqui- stare la psiche umana per 1* azione esercitata sovr' essa dalla Società; ed è quindi una naturalità nel senso asso- luto della parola. La dottrina ibrida intermedia dei me- tafisici non teologi rende confuso econtraddittorio il con- cetto, pur semplice e chiaro, escogitato dai teologi, della proprietà etica infusa come grazia diviua. Rende, dico, confuso e contradditorio questo concetto in quanto, da una parte, negano V intervento diretto dell' azione divina sulla volontà, e, dall'altra, ne mantengono la indiretta. Il merito è l' indice della virtù. Esso è quindi per ogni atto virtuoso in ragione inversa dell'intervento del motivo estemo nella spinta alla deliberazione volon- taria. Appunto come la virtù, la quale, essendo la pro- pensione ad astenersi dal Male e a fare il Bene ingene- ratasi neir animo per le vie già indicate, tanto più ha in W-Vfl«-JJJ «.P., —sé di intensità quanto meno ha bisogno di essere mossa dal costringimento della minaccia del castigo e dall'ade» scamento della prospettiva di un vantaggio. Per conseguenza, minimo è il merito nelle azioni buone dipendenti al tutto dalla diretta efficacia della loro Sanzione esteriore: come in quelle che si fanno perchè imposte dalle Leggi positive. Ed è massimo nelle azioni buone per nulla determinate da motivo di fuori : come in quelle del Bene gratuito o supererogatorio, o di carità e beneficenza, per le quali, o non esiste Sanzione positiva determinata, o, esistendo, non si considera da chi le fa. Ma la stessa osservanza della Legge avente 4a sua Sanzione può in un uomo, indipendentemente dal ri- gfuardo della Sanzione stessa, essere determinatadallavirtùformatasi in lui di eseguirla solo perchè giusta, come vedemmo sopra nella osservazione quarta, E così anche per questa osservanza può aversi un grado di me- rito: e per questo distinguersi nella Società il semplice galantuomo (o quello che non può essere messo in pri-» gione perchè non fu còlto a delinquere) dall' uomo virtuoso, che è stimato non disposto a mancare agli obblighi del cittadino anche aboliti il Tribunale e il carcere. L' uomo, per la formazione che in lui si veri* fichi della energia morale o della virtù, diventa un essere fornito di una eccellenzaparticolare; cioè della eccellenza dignità o prerogativa d’essere morale. E il fatto è analogo a quello, per esempio, della for- mazione della energia vitale nel corpo materiale, per la quale questo si distingue fra le cose come ESSERE VIVENTE. Il premio, in relazione alla Moralità, o è una sua causa, o è un suo effetto. Come causa è la Sanzione allettatrice della quale par- lammo nel paragrafo quarto al numero sette. E con ciò si comprende percliè alla osservanza della Legge imposta colla minaccia di una Sanzione punitrice, ed eseguita per evitarla, non si addica la ragione di un premio, ma solo la esenzione dal castigo. Con questo la Società si difende dalla offesa dell' individuo ; dal quale si procura invece l'opera utile della beneficenza colla offerta di un van- taggio. Dove è da considerare che la offerta stessa, fa- cendosi più per r utile dell' azione che per la sua Mora- lità, non si differenzia da quella che si fa in generale per la prestazione dell' opera volontaria da chi la desidera, cominciando dai premj dei concorsi riguardanti o un libro, una cosa d' arte, o una invenzione scientifica, meccanica, industriale, o un' impresa, e venendo fino allo stipendio dell'impiegato e alla mercede giornaliera dell' operajo. Come semplice effetto il premio è la conseguenza spontanea del merito ; ed è l’espressione onde altri lo riconosce. Sotto questo riguardo anche la semplice osserva- vanza della Legge punitrice può avere una ragione di premio, se V osservanza avviene nel senso detto sopra al numero sei, parlando dell'' uomo virtuoso. E il premio consiate in questo caso, oltreché nella stima comune, anche in ciò, che questo uomo virtuoso è considerato siccome il rappresentante nato della Legge e del Diritto, come spiegheremo meglio in seguito. Il premio conseguente al merito della virtù è una naturalità non determinata positivamente. In generale si restringe alla stima e alla venerazione degli uomini pel virtuoso; la quale non è altro che la reazione spontanea sociale di fronte al Bene morale, e quindi si produce negli uomini in ragione che sono buoni, ossia bene di- sposti moralmente. Ma alla detta stim^ e venerazione si possono accompagnare anche vantaggi di posizione so- ciale e di benessere materiale. La mancanza del premio o della espressione del riconoscimento del merito, quando si verifica, è una ingiustizia, ma non distoglie dalla virtù chi ha la pro- prietà di averla ; essendoché la virtù è per sé, e basta a se stessa. E non si addice il nome di virtù a quella disposi- zione a fare il Bene che sia determinata proprio dalla sola idea di averne la rimunerazione ; secondo V osserva- zione sublime del Vangelo su quelli che fanno il Bene per essere veduti e rimeritati dagli altri.Esso dice di loro giustissimamente, che rimangono così senza il merito della virtù, essendo già pagati per quello che hanno fatto egoisticamente in vista della ricompensa. Il che però non vuol dire che il virtuoso non ap- prezzi la lode e T ammirazione altrui e non se ne soddisfi. Nobilissimo sentimento é questo di fare stima e di sod- disfarsi del giudizio morale degli uomini che apprezzano e ammirano la virtù; e più che di vantaggi materiali anche grandi. E di ciò parlai nel mio Discorso su Pietro Pomponazzi, dicendo del pensatore, che esso « ama la so- litudine. Ma non perchè sia privo di sentimenti benevoli, che anzi in lui si trovano più generosi; mentre nulla tanto disavvezza dall' egoismo, quanto la scuola delle idee. ^^P". E nemmeno perchè non apprezzi la stima e la lode degli uomini; che, invece, in nessuno la passione della gloria è più viva, che in lui. E, nobilmente altero della sua oscurità, solo egli rinuncia sdegnosamente all' onore, che si acquista colle umili arti. Sciolto cosi il problema propostoci, riguardante r azione benefattrice e la virtù che porta ad essa, gioverà fermarci a considerare il fatto dell' Ordine morale, e la naturalità della sua formazione. Circa la FORMAZIONE NATURALE NEL FATTO DELL' ORDINE MORALE, in quanto questo fatto è un Ordine, alle cose dette alla fine del Capo prece- dente (2) e a quelle più generali esposte nel libro della FORMAZIONE NATURALE NEL FATTO DEL SISTEMA SOLARE {3) e nel lavoro s\x\Y Inconosciòile di H, Spen- cer (4), qui ci proponiamo di aggiungerne una nuova. 3. — L' insufficienza e quindi la falsità del principio assoluto, che un Ordine qualunque naturale presupponga (i) Vedi pag. 51 del Voi. I di queste Op, fil, nella ediz. del 1S82, ^ P3&- 54 nell'edìz. del 1908). (2) \ VII. Vedi sopratutto V Appendice sul Caso (pag^. 271 e s%%%. del Voi. II di queste Op, flL nell'ediz. del 1884, pag. 287 e segg. nel- l'ediz. del 1899, e pag. 295 e segg. nell'ediz. del 1908). (4) Specialmente al J VII (pag. 353 e segg. dello stesso vo- lume neir ediz. del 1884, pag. 375 e segg. nella ediz. del 1899, e pag. 383 e segg nell'ediz. del 1908J. una Mente, che lo abbia concepito anteriormente e pre- disposto, emerge: Primo. Dalla considerazione che ciò che si chiama, la mente, è il fatto stesso della formazione psichica umana svolgentesi da ciò che non è ancor tale: onde la stessa Mente è per tal verso, essa pure, un effetto, come tutti gli altri avvenimenti naturali. Secondo. Dalla considerazione che, se la Mente (sorta per graduale isvolgimento da ciò che non era tale), è an- ch' essa la causa dell' Ordine che è subordinato alla sua efficienzaspecifica, sono del pari cause di Ordini subor- dinati propri anche tutte le altre formazioni naturali: anche quelle puramente meccaniche e fisiche. Sicché la il- lazione che 5i fa per la Mente, come ragione dell'Ordine, vale tanto quanto la illazione identica che si faccia per l'agente puramente fisico e meccanico. E in effetto, se r analisi del fatto mentale vi discopre gli elementi e le ragioni della sua efficienza ordinatrice, anche l'analisi del fatto puramente fisico e meccanico vi rintraccia pure gli elementi e le ragioni della sua analoga efficienza ordina- trice. Né più, né meno. Terzo. Dalla considerazione che I' efficienza ordina- trice della Mente, da una parte, si estende solo alla sfera dell' ambiente da essa abbracciato, e quindi è impotente al di fuori di questa; e, dall'altra, essa stessa suppone un ambiente maggiore nel quale si forma e che la fa es- sere : un ambiente che é, non una Mente, ma qualchecosa di puramente meccanico e fisico. Sicché, paragonando in- sieme le due formazioni ordinatrici (cioè la formazione meccanico-fisica, e quella della Mente), la prima è più ampia della seconda e quindi superiore ed anteriore ad essa. Quarto. Dalla considerazione che l'Ordine, che realmente si trova esistere in un dato punto della natura e in un dato momento del tempo, non è V effettuazione di un disegno, nel quale fosse stabilita la serie degli atti occorrenti alla effettuazione stessa, fino all'ultimo, cioè a quello del compimento dell' Ordine contemplato. No. Nella linea del tempo questo ordine ha la sua ragione in un primo che è fuori della Mente : cioè nelle stesse possibi- lità di svolgimento verso un Ordine proprie dell' essere naturale attivo. Nella linea dello spazio poi 1' Ordine in discorso ha tante ragioni quanti sono gli incontri fortuiti subiti dall' essere naturale attivo nel corso del suo svol- gimento; in modo che ad ogni incontro lo svolgimento stesso devia accidentalmente dalla sua direzione prece- dente, e quindi V ordine ultimo non corrisponde più alla virtualità Iniziale dell' essere che si svolge, ma solo a quella diversissima e puramente casuale portata dall' in- contro ultimamente subito. In una parola, la Mente, né pone il disegno dell' Ordine, che è già nell' essere natu- rale stesso, né lo eseguisce come l' aveva disegnato, poi- ché la esecuzione sempre ne differisce per opera degli agenti naturali casualmente concorrenti. Fra i quali può benissimo essere anche la mente stessa (che è pure una attività naturale), ma 'solo con analoga accidentale effi- cienza. Ciò fu già chiarito a lungo e dimostrato con argomenti positivi nelle trattazioni sopra citate. Ora faremo un ragionamento che suppone i suddetti. ne discende e li completa : ed è poi senz' altro la semplice constatazione logica del fatto dato dalla osservazione. La teoria metafisica, onde si pone in una Mente la ragione dell' Ordine delle cose, è basata sopra i due falsi supposti, che il disegno finale della Mente preceda al tutto la esecuzione estema, e che l'adattamento delle parti nel tutto reale effettuato sia stato determinato dal concetto medesimo di esso tutto; sicché questo sia asso- lutamente un fine e le parti siano assolutamente mezzi; e non il contrario. Il secondo falso supposto deriva dalla osservazione superficiale ed illudente della specie già formata, che ap- parisce come un ultimo, ossia come un fine. Anche perchè la specie è di una stabilità relativamente grandissima per rispetto alla esperienza dell' uomo. Egli, trovandone già r esistenza anteriormente alle mutazioni conosciute, la im- magina realizzata nella sua interezza attuale fino dal suo principio : e, non essendogli dato di essere testimonio del suo trapasso in una specie nuova, ritiene che sia desti- nata a durare inalterata fin che dura il mondo. E cosi si forma il proprio concetto della specie, che, o sia come è, o non sia punto. E, siccome la esistenza di una specie im- plica quella delle parti onde risulta, cosi l'uomo pensa che queste non siano altro che i mezzi necessari al fine di essa, e quindi siano il trovato ingegnoso di una Mente ; la quale, formatasi da prima il disegno della specie, sia passata poi a divisare le parti occorrenti alla sua realiz- zazione. Il primo falso supposto poi deriva dalla esperienza del fatto della Idealità dell' arte, che è qualchecosa di re- lativamente compiuto e fisso, e che si comunica qual' è da uomo a uomo : e in un modo che uno avendone la co- gnizione e segtiendone la rappresentazione mentale, è atto ad eseguire addirittura, senza tentennamenti e prove im- perfette, un' opera definitiva, predisponendo e coordinando all'uopo tutto ciò che si esige. perchè riesca nella realtà quale si concepisce. I metafisici fanno i due detti falsi supposti, commettendo T errore di considerare il tempo della osser- vazione siccome una eternità, nella quale non sia diffe- renza tra un momento e V altro della esistenza ; mentre invece nella durata reale i momenti sono effettivamente diversi l'uno dall'altro, ed essa nei precedenti va diven- tando ciò che risulta poi nei successivi, cessando in que- sti quello che era nei primi. L'essere naturale esiste trasformandosi (i); e, nella linea infinita del tempo, solo per un tratto di questo si trova in una forma che svanisce col venire del successivo. La specie è questa forma, instabile come il tempo del quale è figlia. Si muta insensibilmente nel mentre che pare persista la medesima, come il posto del Sole in cielo che sembra fermo a chi lo guarda. E ciò vale tanto per la specie, quale complesso di parti, quanto per la parte coordinata nella specie. L' una e l' altra soggiace del pari al fato del mutamento. E cosi n) Vedi per ciò 1* Osservazione III del libro della Formazione naiuraie nel fatto del Sistema solare e sopratutto il J X (p-ig. 193 del Voi. II di queste Op, fil. nella ediz. del 1884, pag. 204 nella ediz. del 1899, e pag. 209 nella ediz. del 1908). la parte viene ad essere, non solo un mezzo, ma anche un fine, come la specie; e questa, non solo un fine, ma anche un mezzo, come la parte. Molto più che nella na- tura nessuna cosa è tanto una specie, che non sia nello stesso tempo semplice parte in una specie più grande ; e nessuna cosa tanto è una parte che non sia nello stesso tempo una specie per sé. E nella natura medesima non è la esigenza a priori di una specie, destinata ad esistere, che abbia determi- nato il farsi delle parti occorrenti alla sua esistenza, se- condo il divisamento precorso di una mente ragionatrice : ma è la esistenza avveratasi delle stesse parti costitutrici che ha determinato la formazione della specie, quale si trova in effetto nella realtà. Se le cause naturali relative (indipendentemente af- fatto da un concetto della specie che non era prima della esistenza reale di essa) non avessero prodotto le parti costitutive della specie, questa non si sarebbe realizzata. E se le cause naturali avessero prodotto le parti in modo diverso, la specie si sarebbe realizzata diversamente. La coordinazione quindi delle parti alla specie, come del mezzo al fine, è una coordinazione a posteriori. Non può esistere la specie qual' è senza le parti occorrenti ; e se esiste la specie è solo pel caso avvenuto della formazione delle parti richiestevi. Per ciò, se la parte è il mezzo a cui consegue il fine della specie, questo mezzo non è un effetto (come è sup- posto nella teoria metafisica della Mente che è determi- nata a ricorrervi dalla necessità del fine della specie) ; ma è la stessa causa della specie. E quindi, se si vuol chiamare la specie un fine, ciò va inteso come dell' effetto che segue la sua causa, e non viceversa, come nella teoria che ripudiamo. Così, se si avverasse che il tronco di un albero per un accidente qualunque cadesse sopra un altro tronco in modo da stare sovr' esso in bilico, e questo fatto dello stare in bilico lo si prendesse come un fine, apparireb- bero mezzi per ottenerlo la esistenza sotto il caduto di queir altro tronco colla sua sufficiente resistenza a non piegarsi e rompersi, e T esservi dato sopra il tronco in bilico col centro della sua gravità. Ma qui il detto fine, nessuno lo direbbe la causa precedente del fatto ; nessuno direbbe i detti mezzi degli effettivenuti dopo, ossia di- visati e predisposti da una Mente consecutivamente al pensiero di avere un tronco in bilico sopra un altro. Non altrimenti è la cosa nel fatto della Idea- lità e dell'Arte umana, e in genere di tutto ciò che si chiama il disegno ordinatore della Mente. La Mente e il suo disegno sono fatti della natura, analoghi a tutti gli altri in essa verificantisi nella sfera biologica e nella inorganica ; e quindi soggetti alle stesse leggi : sono casualità, come la produzione di una specie o la caduta or ora accennata di un albero sopra un altro. Quando un dato disegno è già un fatto compiuto, al- lora certo può rimanere un certo tempo come è riuscito ; ed essere trasmesso da uomo ad uomo ; e servire per pro- durre addirittura l’opera corrispondente, e per predisporre e coordinarvi le parti come mezzi al fine dell'opera stessa ; e in modo che questo fine venga ad essere proprio la causa di dovere divisare i mezzi relativi, e il divisamento di questi mezzi venga ad essere l’effetto di aver voluto r opera. Ma ciò non succede soltanto per la mente e pel suo disegno : che succede lo stesso anche per la specie fisica, una volta che sìa g^ià un fatto compiuto. Una volta che esista g^à la gallina, essa potrà pro- durre un' altra gallina. Cosi un bruco nato da un altro potrà fare un bozzolo simile a quello che faceva il suoprocreatore. Un uomo, arrivato a comporre nella sua Mente il di- segno di una locomotiva a vapore, ha potuto costruirne una reale: i meccanici in seguito poterono imparare quel disegno e costruirne delle altre. Non potè succedere che la gallina procreasse altre galline prima che se ne formasse la specie. E lo stesso del bruco. E lo stesso dell' uomo. Non potè succedere che questo costruisse la locomotiva a vapore prima che se ne fosse formato il disegno nella sua Mente. E come la specie della gallina e quella del bruco non proruppero tali e quali dal nulla, secondo la cre- denza di un tempo, ma furono la riuscita ultima di una serie lunghissima di gradazioni di svolgimento dell'essere, che prima non era né gallina né bruco, cosi il disegno della locomotiva a vapore della Mente umana, fu la riu- scita ultima di un lavoro del suo pensiero, che prima non era quel disegno. Né divèrsa nel fondo è la legge della formazione nelle specie biologiche della gallina e del bruco e nel di- segno della mente umana. E analoga nei due casi è la ra- gione della potenza di produrre la cosa a propria immagine e somiglianza, e di fare che nella cosa stessa corri- spondano allo scopo dell' essere suo i mezzi impiegativi. £ quindi un libro che narri la storia della invenzione di una macchina è analogo a quello che esponga la evolu- zione formativa di una specie naturale. E, se, come di- cono i teisti, dio è 1' autore della natura, questa non se- rebbe altro che il libro nel quale si può leggere ciò che esso è arrivato a inventarvi, una cosa dopo l'altra, a poco a poco. Ma dobbiamo dimostrare e chiarire meglio la cosa. Un uomo ha fatto bollire dell'acqua in un vaso. Ne ha visto sortire del vapore. Per caso copre il vaso mente ritenta l' esperimento, e il vapore solleva il co- perchio. E l'uomo pensa allora: — Dunque il vapore è una forza: e non si potrebbe adoperarla a produrre un qualche lavoro? Sì certo. E si prova ad applicare al coperchio del vaso un' asta, la quale, alzandosi il coper- chio, trasmette il suo movimento ad un corpo che essa urta. Ma il movimento così è in un solo senso ; e l' uomo immagina che si potrebbe averlo nei due contrarj di va e vieni. E che perciò sarebbe necessario che il vapore spingesse il coperchio una volta al disotto e un' altra al disopra. E quindi studia e trova il modo di far passare il vapore dal vaso dell' acqua bollente, per un foro in un cilindro, nel quale sforzi il coperchio medesimo ora al di- sopra e ora al disotto. E allora gli soccorre V idea di ap- plicare r asta, moventesi avanti e indietro, ad una ruota per farla girare. E vi riesce praticando un foro all'estre- mità libera dell' asta e applicandolo ad una caviglia fissata vicino al centro della ruota. Ed ecco inventata la locomotiva a vapore. Ecco tutto. Il disegno della locomotiva a vapore, la Mente non lo creò con un suo fiat. Quel disegno in essa è r esito faticoso e lento di una serie di operazioni succedutevi r una dopo T altra ; e determinatevi da una serie di accidentalità che la trassero fino al compimento della sua invenzione, che riusci una sorpresa per la mente stessa che si trovò di esservi arrivata. Analogo è il processo di tutte le formazioni mentali. La Psicologia positiva lo dimostra nel suo studio della FORMAZIONE NATURALE NEL FATTO DEL PENSIERO in genere, e logico in ispecie; su di che spero di pubblicare presto un mio lavoro g^à pressoché ulti- mato (i). L'Estetica positiva lo dimostra nel suo studio della FORMAZIONE NATURALE NEL FATTO DEL- L'ARTE, che mi duole assai non avere potuto ancora pre- sentare in un libro pel quale ho già preparato tutti i materiali. L'Etica sociologica positiva lo dimostra nel suo studio (i) Cosi ho scritto e ripetuto nelle edizioni precedenti, quando aveva ancora la fiducia di poter ultimare il lavoro. La speranza ora è quasi svanita. La circostanza di essere impegnato otto mesi del- l' anno per le lezioni mi lasciò sempre poco tempo per ciò che avrei voluto fare fuori di esse. Gran parte del materiale preparato per la Formazione naturale nel fatto del Pensiero mi ha servito pei tre libri del Vero^ della Ragione e della Unità della Coscienza, E questi quindi possono supplire tanto o quanto invece del libro promesso ; che poi non ha cessato di preoccuparmi, come apparisce dai lavori sull'argo- mento pubblicati nei Volumi IX e X di queste Op, fU, Ptll — della FORMAZIONE NATURALE NEL FATTO DELL’ORDINE MORALE, che è l' oggetto della presente trattazione. 10. — Ora è noto come la scienza oggi, illuminata e messa sulla strada dal genio di Darwin, dimostri av- venire allo stesso modo la FORMAZIONE NATURALE NEL FATTO DELLA SPECIE organica: e per ciò mi devo rimettere ai libri che uq trattano. Anche qui si rileva lo stesso processo di formazione, indicato per V invenzione del disegno della locomotiva a vapore nella Mente umana, pei lenti e accidentali ingran- dimenti e tramutamenti di struttura e conseguentemente di funzione : la stessa ragione, onde la formazione già ot- tenuta è riprodotta nella forma raggiunta. E per la stessa legge, da me formulata nel libro della Formazione naturale più volte citato, del ritmo che lentamente si trasforma per gli urti esterni non concor- danti, e indefinitamente si conserva in quanto non è di- sturbato, e si trapianta fuori di sé, applicato come forza ad un altro essere atto a riceverla. Ciò posto, riepiloghiamo il nostro ragiona- mento. Il piano mentale è un meccanismo o apparato psico- logico riuscito per aggiunte e modificazioni cernali suc- cessive, indipendenti da un proposito consapevole del sog- getto pensante, e occasionato dalle azioni e reazioni ac- cidentalmente verificatesi tra esso soggetto e le cose ate. Vedi Formazione naturale nel fatto del Sistema Solare ^ Os- servaz. Ili, J XIV.a impressionarlo,come la specie della gallina è un mec-- canisfno o apparato fisiologico riuscito per aggiunte e mo- dificazioni casuali occasionate dalle azioni e reazioni dell' ambiente in cui si è formata. L' apparato psicologico del piano mentale serve alla produzione di un' opera a sua immagine e somiglianza : come l'apparato fisiologico della specie della gallina serve alla produzione di un individuo nuovo della specie mede- sima. Il fatto è come di uno stromento che 1' arte della natura (cioè del complesso delle cause che esistono in essa) ha preparato, nel primo caso entro la psiche deU r uomo, nel secondo caso entro la vita della gallina, per produrre 1' opera relativa (i). Dunque nel disegno della mente ciò che si chiama il fitte di esso (poniamo per la locomotiva a vapore di muoversi della macchina sulla ferrovia colla forza di tra- scinarsi dietro il treno attaccatovi) non è un primo, che la Mente si sia proposta e che abbia motivato per essa il divisamento, al quale sia quindi venuta solo dopo, delle sue parti, come deimezzi necessari al conseguimento del fine medesimo : nel che si fa consistere la ragione di dover (i) Nel Capo I della Parte II del Libro I della Morale dei Positivisti, numero 3 ho mostrato potersi definire la Psiche : Un mondo possibile^ che si presenta coyne il piano dell* opera a chi ha da pro- durne uno reale. E precedentemente vi è dimostrata la casualità della formazione del stessa psiche. Una cosa affatto analoga è V energia specifica di un agente naturale fisico qualunque. Tale energia è un ordine di proprietà costituite nella cosa per la stessa ragione della casualità della sua formazione, le quali vengono ad essere la possi- bilità degli effetti che la cosa è atta a produrre, e precisamente di un ordine di eff*etti corrispondente all' ordine delle proprietà dalle quali dipendono. Fra la psiche e V agente puramente fisico nel ri- ricorrere alla Mentalità per ispiegare il fatto dell’ordine, inteso quale divisamento dei mezzi necessari al conseguimento di un fine. Nel disegno della mente, ciò che si chiama il fine non è un primo, ma un ultimo, che vi si verifica posteriormente, perchè prima vi si è verificata la cogni- zione dei mezzi. Nel fatto particolare della concezione del disegno della locomotiva a vapore allo scopo di trascinare il treno ferroviario, la Mente che vi è arrivata possedeva già la cognizione della forza del vapore; e del modo di farlo agire sopra uno stantuffo si che ne risultasse un movi- mento di va e vieni sopra un'asta; e del modo di con- vertire il movimento rettilineo dell' asta in quello circo- lare di una ruota; e la cognizione, che un peso, gravi- tando sopra ruote che lo portino è girino su guide di ferro, si trasloca con esse. Solo dopo ciò, solo dopo che la Mente era già pervenuta alla cognizione di questi mezzi, ad esso potè sovvenire V applicabilità loro al fine di avere un motore di un treno ferroviario. L'Ordine adunque anche nella Mente è un risultato accidentale di concorrenze casuali nel quale i mezzi non spetto in discorso si ha la sola differenza, che nella prima l'ordine mentale, causa dell'ordine delle opere, mettiamo dell* uomo, è accom- pagnato dalla coscienza di sé, mentre nel secondo 1' ordine delle proprietà attive, causa dell' ordine de' suoi effetti, non è fornito di tale coscienza. Ma ciò non influisce punto ad alterare la natura del processo della estrinsecazione, per così esprimermi, della attività. Cosciente o non cosciente, V attività funziona in un agente sempre e necessariamente nel modo onde è atta a funzionare, ossiasecondo lacostituzione propria dell'attività stessa nella intimità dell'agente che la esercita. L sono determinati dal fine, ma è questo determinato dai mezzi. E tanto, che supporre il contrario è supporre ima impossibilità o un assurdo della dinamica della natura. E cesi la tantovantata scoperta di Anassagora, che V Or- dine dell'universo importi una Mente ordinatrice, vale quella del suo predecessore Talete, che si argomentò di ritenere doversi V attrazione della calamita pel ferro ad un' anima che vivesse in essa, e ne determinasse questo effetto curioso. Se qualcheduno qui credesse di sfuggire alla nostra conclusione, osservando che il pensiero che si at- tribuisce a dio non è come il pensiero dell' uomo, sul quale noi facemmo la nostra argomentazione, risponde- remmo due cose: Primo. O il pensiero attribuito a dio è qualche cosa di analogo al pensiero dell'uomo, e allora l'argomenta- zione fatta su questo vale anche per quello : o non è una cosa analoga, e allora non si può dire che sia un pen- siero. Perchè a noi, quando diciamo, pensiero, è impossi- bile concepire altro che non sia lo stesso nostro pensiero. E poi non si può ancora in nessuna maniera fondarvi sopra r argomentazione relativa all' Ordine, dal momento che questa è suggerita precisamente (quantunque per sem- plice illusione) dal fatto dello stesso pensiero umano. Secondo. Lo stesso fatto della natura poi smentisce direttamente la supposizione della obiezione. E in che modo? Si disse: Concepì dio il disegno del mondo e poi lo esegui creandolo: e tale subitoqualedoveva es- sere poi sempre a gloria sua ; e quindi coli' uomo, dotato per ciò da lui, non solo del senso come il bruto, ma anche della ragione e del libero volere, che lo rendes- sero atto a conoscerlo e a rendergli omaggio e culto spontaneo. E il sistema era logico. Non aveva che il piccolo di- fetto di essere basato sul falso supposto che il mondo at- tuale sia una formazione che persista immutabilmente: tale al suo primo principio, tale ancora fin che ne dura la esistenza. Ma la scienza s'è avveduta che la formazione quale ora si presenta, l'uomo compreso, è una fasetransitoria della esistenza. E con ciò ha distrutto il sogno che fosse r opera definitiva, nella quale si fosse realizzato appuntino il disegno di una Mente divina. La scienza s' è avveduta, che lo stato attuale delle cose è dovuto ad un processo continuo di formazione ana- logo a quello delle idee e dell' arte dell' uomo, e che que- sto processo è determinato dalla attività intrinseca delle stesse coseche si formano, e dal caso delle reazioni delle cose fra di loro. E con ciò ha distrutto il sogno che siano r Ordine preveduto come fine in una divina idea. I teisti, smentiti così nel campo degli Ordini della natura fisica, si restrinsero a sostenere il loro prin- cipio della preordinazione della Mente divina, nel campo dell' ORDINE MORALE; e credettero che quivi sareb- bero rim£isti eternamente inoppugnabili. Ma ahi! che anche qui la scienza li ha seguiti e ha messo in evidenza la insostenibilità della loro tesi.La scienza positiva dell' Etica sociologfica ha sco- perto, come vedemmo, 1' analogia perfetta che corre tra la formazione naturale in genere e quella della Giustizia e del Bene morale in tutte le sue forme. Ha scoperto quindi che tutto ciò che si riferisce all' Ordine morale, e r Ordine morale medesimo, sono il prodottolento e pro- gressivo {e vario secondo le dccidentalitàaccompagnanti) della attività intrinseca dell' essere umano e delle reazioni degli individui nella convivenza della Società. Il fatto del Diritto (diversità, specie, coordinazione) e il suo Ideale. Circa la diversità del Diritto tra individuo e individuo, in ragione della potenzialità non ugnale dal- l' uno air altro, alle cose dette nel libro della Morale dei Positivisti {\) e superiormente in questo {2), un'altra im* portantissima qui ora torna la opportunità di aggfiungerne. La diversità in discorso dipende in parte dalla stessa costituzione fisico^psichica colla quale uno nasce ; e per questo riguardo si potrebbe chiamarla diversità ini- zicUe; e in parte (grandissima) è il prodotto della convi- venza sociale: e per questo altro riguardo si potrebbe (i) Libro I, Parte II, Capo IV, n. 15 ecc. (pag. 125 del Voi. ITI di queste Op, fil. nella ediz. del 1885, e pag. 131 nella ediz. del 1893 e del 1901 e pag. 135 nella ediz. del 1908). (2) Capo III, J II, n. 3. pi L I «IP^« chiamarla diversità riuscita. La quale poi alla sua volta influisce pur anche indirettamente sulla disposizione ini- ziale della nascita. L' argomento della diversità del diritto, considerata sotto il secondo degli aspetti ora indicati, è vastissimo: ma noi qui lo toccheremo solo per ciò che occorre allo scopo della nostra trattazione. Le specialità di condizione di un uomo, dipen- denti dalla sua relazione e convivenza cogli altri uomini uniti in Società, sono moltissime; come ognuno sa. Per esempio, la ricchezza, la parentela, la clientela, gli ade- renti, gli amici, i conoscenti, T ufficio, il grado, la cultura, il merito, le idee, e via discorrendo. Queste specialità di condizione sono nello stesso tempo altrettante specialità di attitudini e di potenza del- l' uomo. E quindi anche, secondo le cose stabilite sopra, altrettante specialità di Diritti di esso. Si verifica perciò nell'organismo sociale la legge di tutti gli organismi, per la quale V elemento, che, con- siderato in astratto e fuori dell' orgfanismo, è uniforme, una volta entrato a farne parte, si diversifica per opera dell'organismo medesimo; poiché questo, fra le moltis- sime funzioni delle quali un elemento ha primitivamente la potenzialità indistinta, lo dispone e lo destina ad una data funzione distinta. Che è ciò che si chiama anche il fenomeno della divisione del lavoro, ed è nello stesso tempo ciò che altrove (i) dicemmo corrispondere alla (i) Per esempio, nella Formazione naturale nel fatto del sistema solarCy Osservazione III, § V (nel Voi. II di queste Op, fil,). wf^'^vmmmifm^gg^ della varietà, onde si spiega T attitudine alla esi- stenza e alla virtù formativa nella natura in generale e negli organismi in particolare. Così vediamo che gli atomi polivalenti del carbonio si costituiscono, negli organismi degli animali e delle piante, in una serie di forme diverse di radicali: in una serie tanto più notevole per numero e varietà, quanto più complicato e perfetto è V organismo costruitone. Nell'organismo sociale poi i suoi radicali (per ado- perare questa espressione) o le sue varietà elementari co- stitutive, o attitudini distinte di funzione, onde emerge r essere suo complessivo quale organismo sociale, sono precisamente le specialità di condizione dell' uomo sopra accennate: ossia quelle specialità di potenza, che l'uomo vi assume: ossia le specialità dei Diritti, I quali Diritti, nell' organismo sociale, in pari tempo, e lo costituiscono, e ne sono determinati. In modo che la Società si può chiamare la procreatrice dei Diritti, Come la pianta è la. procreatrice delle sostanze speciali necessarie alla sua vita particolare ; le quali, nello stesso tempo, e la costituiscono e ne sono determinate. I diritti individuali, per tal modo nascenti e vigenti in una Società, sono in numero immensamente gratide: e perchè i fatti determinati sono moltissimi, e perchè questi si connettono insieme in maniere differen- tissime, e perchè le attitudini emergenti si diversificano all' infinito secondo le condizioni infinitamente diverse nelle quali si verificano. Tuttavia si deve avere nella Società umana, in quanto è un organismo speciale dato, una certa costanza nel nu- - 238 - mero e nella qualità dei generi secondo i quali si pos- sono classificare i Diritti. Allo stesso modo che nell'or- ganismo vegetale, per esempio, si ha una certa costanza nel numero e nella qualità dei generi delle sostante com- ponenti. La quale costanza però non sarà mai quella delle Idee^ eternamente immutabili, di Platone ; né quella delle specie, sempre le medesime dopo la creazione, dei vecchi naturalisti ; né quella dei Diritti ab eterno ed immutabil- mente stabiliti dal verbo divino, dell'etica metafisica: ma sarà solo, come dicemmo, una certa costanza; e si che, da una parte, ammetta una lenta trasformazione secondo i tempi le circostanze e i casi e, dall'altra, nella realtà si verifichi sempre con qualche diversità, come il tipo di un uomo o di una foglia, che non si effettua mai lo stesso in ogni uomo, in ogni foglia. Il Diritto, che si forma nel modo suddetto, è il Fatto del Diritto ; ma non il suo Ideale, Un uomo esercita la propria potenza in quanto l'ha e in quanto glaltriglielo permettono, o gli detta la Idealità sociale : che torna lo stesso, dal momento che la Idealità sociale non è che 1' astratto della reazione altrui e quindi del permesso dato dagli altri di agire. £ la forma della reazione altrui e quindi della Idealità sociale, nella loro tendenza a ridurre e trasformare la prepotenza egoistica originaria dell' arbitrio individuale nella Giu- stizia antiegoistica del suo concc«:so nel lavoro social- mente utile, sono continuamente in via di progressivo mu- tamento; come spiegammo sopra, e come esige, secondo che pure avvertimmo più volte, la legge universale della ^'«ifannipiiij I ^^Formazione naturale applicata al caso particolare della Formazione etico-sociale.6. — Un uomo esercita la propria potenza in quanto r ha e gli altri glielo permettono, o gli detta V Idealità sociale regolante il suo operare. Ecco il Fatto del Diritto. La reazione sociale, e quindi V Idealità mentale con- seguente diretttiva dell' azione umana, va sempre trasfor- mando r arbitrio individuale dalla sua originaria prepo- tenzaegoistica nella Giustizia antiegoistica. £ questa Giustizia antiegoistica, alla quale tende la detta forza trasformatrice, è T Ideale del Diritto. Ma questo Ideale è un termine al quale si può andare avvicinandosi sempre più, senza che si effettui però mai perfettamente. E da ciò consegue: Primo. Che V Ideale assoluto del Diritto non esiste realmente. Sicché è una assurdità il concetto di un ordi- namento morale definitivo, come porta la dottrina meta- fisica della istituzione morale per parte di un legislatore divino, che la fissasse una volta per sempre, e nei ter- mini di una sognata Giustizia assoluta e quindi irrefor-mabile. Secondo. Che il fatto del Diritto è sempre una Giti^ stizia relativa: e cioè relativa al lavoro di riduzione so- ciale precedente e alla potenza attuale dell' organismo so- ciale derivatone. Ma tale Giustizia, quantunquesolamente relativa quando sia rapportata ad un concetto astratto più perfetto dell' organismo sociale, nella Società in cui vige ha valore come se fosse assoluta, perchè essa giù- ■Jf W4» l dica, non in base all' Ideale o di un' altra Società o di una Società possibile più perfetta, ma in base al Fatto che si è già verificato in essa. Terzo. Che ogni Diritto di fatto è nello stesso tempo in parte una prepotenza ingiusta, che si tende ad elimi- nare, e si va sempre più eliminando. E ciò, sia regolando meglio il fatto medesimo, sia, quando occorra, togliendolo del tutto. 8. — Senza questi criteri è affattoinspiegabile la storia del Diritto, e il processo legislativo delle Società. Tale processo, senza questi criteri, apparirebbe, non la Giustizia in azione (come è realmente, e non può non es- sere), ma la ingiustizia incaricata di creare la Giustizia. E con questi criteri poi si spiega il fatto storico della evoluzione sociale procreatrice del Diritto più utile e più giusto. La quale evoluzione quindi, secondo i cri- teri medesimi, si può dire consistere in ciò, che il Diritto dell' avvenire, ossia il Diritto ideale, combatte e vince il Diritto delpassato, ossia il Diritto di fatto. L' Ideale assoluto del Diritto dicemmo che non esiste realmente. E che nella realtà non si ha, dell'Ideale del Diritto, se non una effettuazione incompleta. E da ciò potrebbe altri dedurre, che il Diritto di fatto sia un relativo il quale supponga un assoluto: e che questo assoluto sia l'Ideale o il tipo eternamente deter- minato del Diritto, che la mente o possieda gfià o abbia la possibilità di possedere quandochesia. Ma anche ciò è un errore. L'Ideale del Diritto non è un tipo assoluto o eter- namente determinato, nemmeno come semplice mentalità. L' Idealità del Diritto è, anch' essa, un fatto, come quello del Diritto effettuatosi realmente. U Idealità del Diritto presiede si, come mentalità direttiva, nella pro- duzione del Diritto di fatto, ma è pur sempre un fatto anch' essa. Solo che questa Idealità è un fatto della mente, dove il Diritto effettuatosi realmente è un fatto della co- stituzione già vigente esteriormente in una Società. Ed essendo un fatto ha le proprietà di tutti gli altri fatti jn quanto tali: cioè di essere casuale e quindi relativo. Il tipo ideale del Diritto è come tutti gli altri tipi ideali. Per esempio, come quello del disegno della crea-- zione supposto nella mentedi dio, del quale abbastanza ho discorso nel libro della Formazione naturale, E come, quello dell' arte ; mettiamo dell'Architettura: che (per una serie di casualità) è riuscito diverso nell'India, in Egitto, in Roma,in Germania, e via dicendo ; e pur nello stesso paese non fu mai identico affatto nemmeno nella stessa epoca, e nemmeno in due soli architetti, anzi nemmeno nello stesso architetto in tutta la sua vita. Il tipo ideale del Diritto, come tutti quanti i tipi ideali, è una formazione mentale, che apparisce un dato momento per una accidentalità che la suggerisce; vi si perfeziona poi in una data maniera per altre accidentalità che guidano la mente a farlo ; e un dato momento poi si oblia e si sostituisce con altri diversi e opposti, ancora per delle accidentalità che ve la inducono. E tanto, che il tipo ideale stesso non è quindi deter- minabile a priori, come un vero preesistente inmodofisso e inalterabile nella mente di ognuno: ma solo a poste- riori, cioè come 1' astratto di tutti i tipi conosciuti veri- Vol. IV. 16 ficatisi effettivamente nelle Società umane d* ogni tempo. A quella maniera che il tipo del vegetale non si può avere se non pel confronto mentale fra le forme reali che effettivamente s* è dato che se ne producessero. IO. — Che se altri dicesse che il tipo ideale del Di- ritto è assoluto in quanto è il corrispettivo necessario etico-sociale di una entità reale, cioè dell' uomo e della sua convivenza nella Società (i), risponderemmo: Primo. Che la reale entità stessa, dell' uomo e della sua convivenza nella Società, determinante necessaria- mente il tipo ideale del Diritto, è ancora una somma di accidentalità, che si rileva a posteriori, e non si prefigge a priori. Secondo. Che il tipo ideale del Diritto sipresta al concetto di essere il correspettivo necessario del fatto so- ciale, non come il disegno preesistente di ciò che non è ancora succeduto; ma solo come V astratto rilevato dopo (i) Su ciò ho scritto nella Psicologia come scienza positiva (Voi. I di queste Opev e filosofiche pag. 219, 220) un tratto che stimo op- portono di ripetere anche qui : « Anche nel dire, idealità, il filosofo positivo esprime un concetto armonizzante i veri imperfetti di diverse scuole. La scuola psicologica dà l'idea, come una mera forma del tutto soggettiva, accidentale e variabile del pensiero. La scuola onto- logica le assegna un valore oggettivo, immutabile ed assoluto. La scuola storica ricorre per ispiegarla alle relazioni dell'uomo colle con- dizioni esterne in cui vive , per cui le attribuisce una semioggettività, e la considera, da una parte contro i psicologi, non una creazione fa- cile ed efimera dell' individuo, ma una produzione faticosa,lenta, du- revole della Società, e dall' altra contro gli ontologi, non una intui- zione che la riveli d' un tratto nella sua interezza ed in una forma unica sempre e per tutti, ma una formazione progressiva e varia, che incomincia dall' abbozzo per venire al lavoro sempre più finito; e che riesce con aspetti diversi, secondo le circostanze differenti dalle quali •*-^..r9,rr-fr- ^.-^ — 243 di ciò che è già succeduto. Onde il ricorrervi che fanno i nostri avversari è un circolo vizioso. §n. // Diritto è in virtù di se stesso, gioverà qui ripetere, in forma appropriata a questo punto del nostro discorso, ciò che pursopra sotto vari aspetti dimostrammo. Quello che può un uomo, che fa parte di una So- cietà, è una forza, che vi si pone da sé col solo fatto che r uomo medesimo ne faccia parte ; e che vi emerge in quanto non vi è elisa dal contrasto dei consociati. Come già dicemmo più volte. Emergendo la forza di un uomo nella Società, vi è dipende. Or bene anche nel filosofo positivo l' idea è una formazione lenta, progressiva, durevole, non dell' individuo, ma della società, e dipendente dalie esteme condizioni di essa, ma solo in quanto queste condizioni esterne e l'opera sociale giovano a dare eccitamento e rin- forzo al pensiero individuale, il quale è il vero fattore dell' idea, se- condo chedicono giustamente i psicologisti. Ma l' individuo e la so- cietà, producendo l' idea, non fanno opera capricciosa, ed avente solo valore momentaneo e soggettivo. No : tale lavoro ha la sua ragione nella stessa natura per la quale agiscono, come la forma che assume il seme germogliando. E come la forma assunta dal seme per la ger- mogliazione, più che se stessa, rappresenta queir ordine di cose, che ha determinato la formazione della specie vegetale a cui appartiene, cosi r idea di un uomo, più che 1' operazione accidentale, soggettiva, variabilissima di esso, rappresenta, secondo che dicono giustamente gliontologisti, queir ordine assoluto e immutabile, almeno quantola natura, nel quale è la ragione oggettiva del fatto particolare, che consideriamo. Vedi per esempio nel Capo I, dove parlammo della Giustizia potenziale y e nel Capo II, dove parlammo della derivazione della Giustizia dalla prepotenza. ■«T- riconosciuta: o estrale galmente nel tacito consenso degli altri uomini, e nell' uso, e nella esplicita manifestazione dell'opinione pubblica in qualunque modo approvante: o legalmente nelle forme stabilite dal Potere sociale rico- nosciuto come tale. E pel detto riconoscimento la forza in discorso acqui- sta il carattere di Diritto, per la ragione che importa la Responsabilità di chi la lede verso la Società, la quale, col suo riconoscimento, se ne è costituita tutrice e vin- dice. E quindi è falsa V idea che il Diritto emani assolu- tamente dall'Autorità superiore, che lo doni o lo conceda air inferiore. Non emana da essa: esiste potenzialmente prima e indipendentemente e malgrado di essa : si impone da sé : e sforza la stessa Autorità ad ammetterlo col riconoscerlo e sancirlo. E anche questo dicemmo già più volte. Ma ci occorre ora di far notare un fatto essen- ziale alla dottrina della sociologia positiva, non ancor ri- levato: il fatto cioè che il Potere sociale crea pur esso direttamente dei Diritti individuali. E, dato questo, si domanda : come si accorda questo fatto col suddetto principio della emanazione del Diritto dall'individuo e non dalla Società? Facile è la risposta. Il fatto della creazione di un Diritto individuale per parte del Potere sociale si ac- corda col principio in discorso per la ragione che questo Potere, nel caso qui contemplato, può porre il Diritto neir individuo in quanto può fornirlo di una forza ; e in quanto questa forza, che l' individuo ha ritratto dal potere che gliel' ha fornita, sia riconoscibile quale Diritto come le altre forze possedute comecchessia dall'individuo medesimo, e dalla società rispettate o difese. In ogni caso il fatto del Diritto di un uomo neir organismo sociale è analogo a quello delle proprietà acquistate dall' elemento materiale quando é entrato a far parte di un organismo ; e, per un esempio, dalla molecola combinata nel tutto di una sostanza, che acquista la forza specificamente funzionante della sostanza medesima solo perchè è divenuta V elemento di essa. Nell’organismo chimico di una sostanza V elemento è la molecola, come neir organismo sociale l’elemento è la persona di un uomo. L' organismo intero, neir un caso e neir altro, e' è solo pel rapporto della forza di un ele- mento con quelle degli altri; ossia per orientarla se- condo la coordinazione acconcia di tutte. Il che però non esclude: Primo. Che, coordinandosi nella complessa azione dell' organismo le forze proprie degli elementi, ognuno di questi non ne ceda un tanto a formare delle somme comuni, che poi siano distribuite di nuovo nelle parti in ordine alle esigenze generali dell' organismo. Secondo. Che l' individuo stesso non dipenda (e in quanto giunge all' acquisto di tutte le forze onde riesce rivestito, e in quanto le conserva e ne usa liberamente) dall' ambiente sociale, nel quale trova il mezzo dell'acquisto e della sua gsiranzia. Sicché per questo lato (ma per questo solamente) è vero il principio della derivazione del Diritto neir individuo dalla Società e dal suo Potere direttivo : e come, per esempio, nella sostanza del chimico, nella quale, in virtù della sua costituzione, le forze sono condotte ad assommarsi in certi punti determinati, e in certa maniera ; e poi anche V acquisto e la costanza della forza specifica operante negli atomi dipendono dall' es- servi coordinati. Il diritto è la facoltà del bene sociale. L’esercizio del diritto è la funzione del bene sociale. Dalle cose dette apparisce, che il Diritto è la facoltà del Bene sociale; e che l'esercizio del Diritto è la funzione del Bene sociale. E ciò, o solo indirettamente, o anche direttamente. Solo indirettamente, in quanto la facoltà indi- viduale sia puramente V egoismo contenuto nei limiti inof- fensivi per gli altri e producente il Bene dell' individuo investitone; che torna il bene della Società, e perchè è il Bene del suo elemento, e perchè se ne possono giovare e se ne giovano anche gli altri. Come nel fatto di una industria, che arricchisce l'in- dustriale, e quindi anche il paese, e offre nello stesso tempo un utile e un comodo ai consumatori de' suoi pro- dotti. E anche direttamente, in quanto la facoltà in- dividuale sia quella che corrisponde alla Idealità antiegoi- stica; la quale, come si estenda in urla Società adulta e colta e bene ordinata e fiorente, vedemmo sopra; dove anzi dimostrammo che, se si tien conto di tutte le gra- dazioni della Idealità e delle disposizioni antiegoistiche (da una minima che lavori insieme con un massimo di egoismo, ad una massima che lavori insieme ad un mi- nimo diegoismo), si trova in tutto ciò che può fare e fa r individuo sociale. Il Diritto costa una contribuzione, I. — Ma, se, da una parte, l'individuo è investito di una potenza o di un Diritto (del quale usa poi facendo, o indirettamente, o direttamente, il vantaggio altrui) dal- l' altra, la stessa potenza o Diritto costa una contribuzione per parte degli altri. E questa una legge naturale correlativa alla sopra accennata e necessariamente ad essa collegata. Si piglia ; ma si deve dare. Si dà; ma si piglia per poter dare. Questa legge dell' organismo sociale non è altro cioè che r applicazione al caso particolare di esso organismo della legge che domina in tutti gli organismi, anzi in tutta la natura, dove una forza, posseduta da un agente che funziona in virtù di essa, è, non una forza creata dal nulla neir agente medesimo, ma comunicata ad esso da altri agenti, che gliela cedono in ragione dei rapporti correnti fra quello che cede e quello che acquista ; come ho dimostrato nel libro della Formazione naturale, par- lando del ritmo (i). Il vegetale si appropria l' acido carbonico che lo at- (i) Vedi Formazione naturale nel fatto del sistema solare^ Os- servazione terza. § XIV (nel Voi. II di queste Op. Jil.J. tornia, e con esso mantiene la vita. Gli animali maggiori vivono cibandosi dei minori. Neir organismo di un mam- mifero alcune parti lavorano a preparare il sangue, e le masse nervose ne fanno consumo. Impossibile V attività specifica nervosa, necessaria al funzionamento generale deir organismo e anche a quello particolare delle parti preparanti il sangue, senza la contribuzione di queste alla nutrizione dei nervi mediante la somministrazione del sangue acconciamente preparato e distribuito. 2. — Parlando in particolare deir organismo sociale, la partecipazione al contributo di ciascuna parte è in ra-gione della importanza del Diritto, e quindi della facoltà di produrre il Bene sociale. Più è r importanza del Diritto, e più è la facoltà di produrre il Bene sociale. Più è questa facoltà e più è la partecipazione al contributo delle parti. Come nel resto della natura, dove si trova che le funzioni più elevate de* suoi agenti costano un immagaz- zinamento di forza tanto più grande quanto più distinta è la forma e ìa sfera della efficienza. Risultando cosi una proporzione di equivalenza tra la natura che dà e quella che riceve. E in questo modo, che al più della contri- zione apportata corrisponda il più della importanza della attività emergente. Per la stessa ragione il Diritto di un ordine supe- riore, quello ad esempio di un Giudice, costa una contri- buzione per parte di quelli sui quali ha giurisdizione. Sicché il Giudice mangia dei frutti della terra che essi hanno lavorato, come il sistema nervoso consuma del sangue che fu preparato da altre parti dell'organisme animale. PPP^P"?!'^. Come molto movimento equivale a poco di calore, e molto calore a poco di attività chimica, e molta attività chimica a poco di attività vitale, e molta attività vitale a poco di pensiero; cosi, nell'ordine etico della natura, a molta materialità (intendendo con questa espressione le forme inferiori della esistenza) corrisponde poco di attitudine morale: poiché, nella gradazione delle formazioni naturali e quindi delle equivalenze delle forze, i suoi poli opposti possiamo rappresentarceli, o andando dal movimento meccanico al pensiero, che ne è l'ultima trasformazione (i), o andando dalla materialità alla mora- lità, che è r ultima e più sublime sfera della evoluzione ascendente della natura insensibile e bruta. Naturale è questo fatto della contribuzione delle parti nell'organismo sociale. E quindi, non effetto solo di arbitrio o prepotenza di alcuno, ma necessario; a quel modo che è necessario l'assorbimento del carbonio per parte del vegetale, e il consumo del sangue per parte dei nervi. E naturale il fatto stesso ; ed anche giusto, in quanto è, direttamente o indirettamente, consentito ed approvato da quelli che contribuiscono. Ed è consentito ed approvato da questi per la legge, rilevata dagli economisti, della domanda; la quale, come tutti sanno, consiste in ciò, che più una cosa importa a molti e più è domandata; e tanto più si paga quanto più (i) Intendendo questo nel senso della filosofia positiva e non in quello della metafìsica materialistica. Come spiego da per tutto nei miei libri, e più a lungo in quello col titolo V Unità della Coscienza nel VII voi. dì queste Op. fil. iiu^.i'i>nn^ si domanda; ma si paga quanto occorre per averla e non più. Questa legge poi, che determina nei suoi limiti ne- cessari la contribuzione assentita e giusta nell'organismo sociale, è analoga alla fisiologica, onde un tessuto vivo si impadronisce delle sostanze che lo nutrono nei limiti deter- minati dallo stesso bisogno della funzione domandatagli. 4. — E quindi il fatto in discorso deve essere con- siderato come un caso speciale di selezione naturale; che si potrebbe chiamare la selezione etico-sociale. E dalle cose dette si conferma e si chiarisce viemmeglio la dottrina sopra esposta, che il Diritto indi- viduale è pur esso una autorità (i). Poiché, come ve- demmo, il Diritto individuale si impone a tutti quelli che contribuiscono all' essere suo ; e agli eguali, che lo rico- noscono e lo rispettano; e agli inferiori, ossia a quelli che, in ragione dei rapporti nascenti dalla sua speciale natura, ne subiscono una dipendenza e una direzione; e al Potere sociale subordinante, in quanto questo non lo crea ma lo riconosce, ed è determinato a riconoscerlo dal fatto stesso di porsi da sé; onde, una volta che si sia posto, viene ad essere realmente Diritto in virtù di se stesso. Le unità minime, le unità medie, e V unità ^ massima nel corpo sociale. L’individuo è V unità minima del composto so- ciale, come r atomo del composto chimico. E, come in (i) Vedi Capo III, specialmente \ V. tutti gli altriorganismi naturali, cosi nel sociale, oltre le unità minime degli individui sociali, e Munita massima dell' intero organismo, si trovano delle unità di mezzo di terzo grado, risultanti di più individui associati parti- colarmente fra loro, o di più di queste associazioni di individui collegate particolarmente in federazioni più grandi. In unaSocietà adulta, fiorente e grande, la vita del tutto si manifesta nelle più svariate e spiccanti differen- ziazionidelle attitudini e conseguentemente dei Diritti individuali, come accennammo or ora. Anzi la grandezza della Società è, alla sua volta, il risultato di tali varietà o specificazioni di attitudini ; ovvero di tale divisione di lavoro, verificatavisi : come in ogni altro organismo; per esempio, in quello fisiologico dell' uomo, nel quale la ec- cellenza zoologica sopra gli altri animali dipende da una suddivisione di specificazioni in massimo gradodegli or- gani componenti. In un animale del grado infimo della scala zoologica la sostanza componente (come avvertimmo nel principio del libro) non è né muscolo ne nervo : come in una Società umana primitivissima tutti gli individui sono, mettiamo, dei guardiani d' armenti : e non vi si trova una distinzione di occupazioni, per salire, po- gniamo, da uno che attende a far pascolare le oche ad uno che attende a costruire stromenti di ottica o di astro- nomia. La differenziazione in discorso nella Società più pro-gredita va, si può dire, all' infinito. E non solo nelle u- nità minime degli individui, ma anche nelle combinazioni medie già dette delle associazioni degli individui e delle confederazioni di queste associazioni. Le quali pure, nelle Società adulte fiorenti e grandi, si producono, per cosi dire, anch' esse all' infinito : dalle più comuni, normali, e costanti, come quella della/amiglia, alle più insolite, ac- cidentali ed efimere, come quella ad esempio per dare una volta una festa o uno spettacolo: dalle più piccole, come di due persone in una impresa commerciale, alle più grandi, come di due provincie di uno Stato tra loro consorziate per interessi speciali. Or bene, anche queste unità medie sono (al modo che una data somma, come tale, si distingue dalle sin- gole quantità sommate, considerate ad una ad una) sog- getti distinti in possesso di una facoltà speciale, analoga alla individuale, a somiglianza di ciò che pur si verifica neglialtri organismi naturali : nei quali, per esempio, la cellula nervosa singola ha le sue proprietà particolari, e una data massa distinta di cellule nervose ha un dato uf- ficio distinto fisiologico, che essa esercita in quanto esiste e si conserva nella peculiarità del suo insieme. E siccome poi il possesso di una potenza di fare im- porta il possesso di un Diritto, come dimostrammosopra,cosinellaSocietà si danno i Diritti degli individui e i Diritti delle stssociazioni loro. E questi Diritti delle As- sociazioni hanno le proprietà già notate dei Diritti indi- viduali più quelle dipendenti dalla specialità proporzio- nale della associazione. Delle quali ultime proprietà una massimamente occorre che sia qui messa in rilievo. L' individuo, in astratto, si può considerare siccome un plasma generico, il quale, nell' ambiente sociale e nel circolo della sua vita, secondo le disposizioni già pos- sedute nascendo, e le circostanze accidentali nelle quali viene a cadere, riceve una particolarità di impronta di- stinta e tutta sua. Nel che ha luogo un fatto di selezione naturale: cioè la selezione naturale onde una unità so- ciale si sceme quale individualità distinta fra altre unità. Anche le agglomerazioni di più individui in associa- zioni o totalità distinte sono determinate e foggiate, con grandezze, tendenze e attività particolari, neir ambiente sociale, secondo i bisogni ed i fatti, e costanti e acciden- tali, onde emergono, per una analoga selezione naturale distinguente un composto singolo fra altri composti. Ma in questo composto (o unità media, come sopra lo chiamammo) ha luogo un' altra forma della selezione naturale : cioè quella che, neir interno stesso del com- posto, diflFerenzia edistingue fra loro le parti compo- nenti: e si che esso composto riesca un organismo e non rimanga una semplice agglomerazione inorganica di ele- menti tutti identici fra loro. E questa forma di selezione si potrebbe chiamare selezione interorganica. La unità sociale da noi detta media non è puramente un certo numero di parti addizionate le une alle altre, ma è una collaborazione organica degli individui o dei soda- lizi aggregati insieme; e quindi con diversità di attinenze e di facoltà distribuite fra loro. Altri fanno numero, con- tribuiscono e concorrono a mantenere T associazione : altri invece la rappresentano, la dirigono, ne applicano le forze accumulatevi. E, occorrendovi specialità di lavoro e di ufficio, queste vi sono divise quali negli uni e quali negli altri. E, come è naturale la creazione di queste differenze interorganiche delle parti costitutive delle unità medie, cosi è naturale la selezione interorganica dalla quale di- cemmo che proviene. Questa selezione interorganica, come insegna la os- servazione del fatto, avviene in diverse maniere secondo i casi; ma soprattutto secondo la legge, che riesce a una data facoltà ufficio chi piti vi ha attitudine, o ne ha il merito, e colla condizione del consentimento degli as- sociati. Il fatto del merito, onde uno acquista una preroga- tiva o una particolarità d'ufficio a preferenza di altri, è analogo a quello notato da Darwin della specie preva- lente nella lotta per la esistenza. Il fatto del consentimento degli associati è analogco air altro, pure da Darwin segnalato, dell* efficacia del- l' ambiente nel secondare la trasformazione progressiva dell' essere naturale. L' individuo investito di nna facoltà o di un ufficio in un corpo di individui o di sodalizi viene con ciò ad avere due sorta di facoltà o di Diritti : cioè il Di- ritto fondamentale spettante a lui come parte elementare della Società intera, e il Diritto avventizio, onde è in- vestito come organo speciale della associazione partico- lare a cui appartiene. Il Diritto fondamentale ha il suo rapporto immediato colla costituzione generale delle Società che lo garantisce direttamente a tutti senza distinzione : T avventizio V ha con quella della associazione particolare per la quale e- merge; ed è garantito dal Potere sociale supremo in quanto esso riconosce il Diritto della medesima associa- zione particolare. Se privato si dice ciò che è proprio della unità sociale minima, come tale, e pubblico ciò che è proprio della unità massima, parlando delle unità medie si dirà che hanno un carattere di mezzo tra i due, e gradata- mente; in ragione cioè della importanza loro, intensiva- mente o estensivamente, nella vita sociale complessiva. Il pubblico poi si differenzia in genere dal privato in quanto ha un rapporto diretto col Bene, non indivi- duale, ma sociale ; ossia è, non egoistico, ma antiegoistico. La proprietà quindi di ente morale antiegoistico com- peterà massimamente alla unità più glande o allo Stato. E se, come sopra dicemmo, il Diritto in genere è \2l fa- coltà del Bene sociale e il suo esercizio è la funzione del Bene sociale, ciò si avvererà meno pel Diritto privato, più pel Diritto delle associazioni sociali intermedie, e in grado più alto pel Diritto dello Stato. Ma non diremo che per questo Diritto dello Stato il principio si avveri proprio nel grado massimo, per la ragione che, come sopra dicemmo n), uno Stato singolo, o già in effetto, o almeno in potenza, si coordina internazionalmente con altri Stati, anzi con tutte le Società umane esistenti sulla terra. La selezione interorganica nella evoluzione formatrice dello Stato. La legge della selezione interorganica, che si avvera nella costituzione degli organismi delle unità com- (i) Dove parlammo del Diritto internazionale (Capo [, \ II). plesse medie, si avvera poi per le ragioni medesime nella costituzione dell' organismo della unità massima dello Stato. Ed è per essa legge che ha luogo in questo la formazione del Potere onde si esercitano le sue fimzioni subordinanti, che sono poi funzioni del Bene sociale. Questa selezione assume storicamente forme svari atis- sime. Ma anche la varietà è determinata da una ragione costante, che si rivela chiarissimamente nella storia poli- tica degli Stati, e che non è altro che una applicazione del principio nostro fondamentale della formazione etico- sociale, che cioè la prepotenza è V indistinto onde si forma il distinto della Giicstizia, E in vero nello stadio iniziale, o della prepotenza, la selezione formatrice del Potere sociale è dipendente dalla violenza, che a poco a poco si mitiga nella eredità, finché da ultimo è sostituita, prima in parte e poi del tutto, dalla elezione (per parte dei subordinati, e in modo legale e pacifico) dei più degni, in ragione del merito morale e della Giustizia» e non del soprastare materiale della ricchezza o della forza dei muscoli : e si che riesca investito dell' ufficio chi si trova piti atto ad esercitarlo, e che il Potere nella direzione del corpo sociale sia quel premio del virtuoso del quale un' altra volta parlammo nel Capo precedente (i). 2. — Il costante e vivissimo lavoro evolutivo del- l' organismo dello Stato, onde si ha la sua formazione na- turale e il suo sviluppo e isuo progresso, è T applica- zione nel grado massimo del principio della formazione (I) \ VII, numero 8. morale, cioè, dall' indistinto (morale solo virtualmente) della prepotenza e dell' egoismo, al distinto (morale in atto) della Giustizia antiegoistica. Più procede la formazione organica dello Stato e più si estende e arriva in tutte le parti e nel!' intimo di esse la virtù direttiva e moralmente perfezionatrice della So- vranità politica. In modo che, dove prima le parti erano agglomerate e coacervate e tenute in fascio violentemente, a poco a poco vanno organizzandosi vitalmente insieme e finiscono coli' aderire 1' una con V altra, e tutte nel tutto, volontariamente e per liberoconsentimento. Come, per esempio, le molecole di certe sostanze, che fanno sentire la loro affinità e aderiscono insieme a formare un cri- stallo solo in seguito ad una compressione che le sforzò a ravvicinarsi meccanicamente. Il quale processo però va di pari passo con quel- r altro; che le parti stesse subordinate, di mano in mano che si orientano nella armonia politica dello Stato, di- ventando partecipi e collaboratrici della sua vita, reagi- scono sul Potere sovraincombente, rintuzzando la prepo- tenza, che vi fosse, e riducendolo ad una forza giusta e mo- rale ; ad una forza, in una parola, diretta al Bene di tutti. 3. — Non è nostro compito (non richiedendolo lo scopo del presente libro) di studiare i modi precisi onde, per la elezione interorganica, e pel processo di distin- zione, si va formando nell' organismo dello Stato bordine del Potere, che riesce un sistema complesso di funzioni speciali esercitate da individui e corpi particolari; e come nasca il fatto, mettiamo, della divisione del Governo in diversi ministeri, e di ciascuno di questi in parecchie Voi. IV. 17 dipendenze, alle quali, variamente e per mez£o di centri subordinati, si rannodano le ultime propag^ni della am-ministrazionepubblica sparse in ogni parte dello Stato. Pel nostro scopo, in riguardo alle specializzazioni ac- cennate degli organi del Potere, basterà fare T osserva- zione (pure importantissima) che, come si distinguono tra loro le amministrazioni pubbliche, e quindi gli c^getti di ciascheduna, e conseguentemente il modo di funzionare (che deve atteggiarsi in conformità dell' intento da otte- nere), cosi si distinguono tra di loro le Sanzioni pub- bliche e legali degli atti sociali relativi; e quindi (si noti bene) le specie di Responsabilità, che neemergono. E da ciò proviene che le forme della Giustizia e quindi della Moralità si specializzano insieme collo spe- cializzarsi della pubblica amministrazione; onde, moral- mente, non sono, per esempio, identiche le azioni degli individui giudicate da un tribunale civile e quellegiudi- cate da una una intendenza di finanza, o da una commis- sione igienica o di belle arti; e per un reato controla proprietà individuale o per uno contro le restrizioni della libertà della stampa, in materia scientifica; e cosi via. Il che non vuol dire però che non si possano tutte le dette azioni ridurre al genere comune delle obbliga- torie nel foro intimo della coscienza, in ragione che Del- l' individuo si è formata, come sopra abbiamo dimostrato, r abitudine virtuosa e propria del saggio ; l'abitudine cioè di attribuire universalmente alle Idealità antiegoistiche sociali un valore obbligativo per se, assoluto e indipen- dente dalle specialità di procedura e di Sanzione, che loro corrispondono nella amministrazione governativa. m — Come risuiii spiegata la prima /orina de li* ufficio del Intere, e anche la terza : e stabilito l' assunto del liérù. Ora, facendo, colla proporzione dovuta, al fatto del Diritto del Potere, Tapplicazione del priacipio stabi- lito sopra, che ogni Diritto importa una conirièuzionc, possiamo trovare la verità di quella che sopra, alla fine del Capo I, dicemmo la pritna forma dell' ufficio del Po- tere, cioè : di stabilii*^! nella Società a spese delle sue parti. Et facendo allo stesso fatto» pure colla pro- porzione dovuta, r applicazione dell' altro principio, che il Diritto è la facoltà del Bene^ constatiamo la verità di quella, che ivi stesso chiamammo la terza forma dell' uf- ficio del Potere, cioè: di flÌH|ìensHri^ la forza propriadeir ambiente sociale (cioè le contribuzioni suddette) al migli orauiento delle sue parti. In questo ultimo enunciato poi abbiamo il com- pendio, per cosi dire, di tutta la trattaEione di questo libro, E> in relazione allo stesso enunciato, si verificano, in ragione cho lo Stato si perfeziona in ogni sua parte, i principj che seguono: Primo* Che le contribuzioni di ogni genere, prestate da tutti gli elementi costitutivi dello Stato, diventano li-èeramente consentile. Secondo. Che le contribuzioni medesime si vanno av- vicinando al massimo di ciò che pi4Ò dare ciascuno ^ senza suo esiziale detrimento* ^ i '«.iFI-i-^..' TChe nulla, di ciò che è contribuito, va consur- malo prepotentemente ed egoisticamente da chi è investito del Potere di disporne. Quarto. Che la erogazione medesima è fatta secondo il volere di quelli stessi che contribuiscono. Quinto. E alla tutela dei Diritti di tutti; e dXVotte- nimento della prosperità, e al miglioramento morale. Sesto. E a questo soprattutto. E nella ragione che il miglioramento morale ottenuto, supplendo da sé, come dimostrammo sopra (i), alla tutela dei Diritti e all' otte- nimento della prosperità materiale, lascia per sé disponi- bili mezzi sempre maggiori. E cosi nello Stato siverifica T idea della prov- videnza, che il teista colloca in dio, come in esso colloca il tipo della specie di una pianta, per la solita illusione tante volte notata. E si verifica anche V idea della grazia, immaginata per una simile illusione dalla teologia cattolica siccome emanazione divina, atta a rendere V uomo morale, a far che segua le leggi della Giustizia ed eserciti la beneficenza. La possibilità per 1* individuo di essere morale, di conoscere e seguire la Giustizia, e di essere benefico verso gli altri, si ha, come dimostrammo nel corso del libro, dalla sua convivenza nella Società e dalla proprietà di questo di svolgere e perfezionare le facoltà dell'uomo, e di moralizzarlo. 5. — Onde lo Stato, cosi concepito, viene ad essere l'attuazione pura e compiuta della Idealità sociale, ossia (i) In molti luoghi: per es. Numero 2 del J VI del Capo IV. 201 del principio del Bene an ti egoistico, del Bene morale, in una parola del Bene pel Bene, E quindi lo Stato medesimo riesce la prova concreta ' sperimentale della verità del principio della Morale dei positivisti da noi affermato, chiarito, dimostrato: e una prova evidente, in quanto nel fatto dello Stato il fenomeno individuale si trovaingrandito, E mi spiego. Se, ad esempio, si può dubitare che un atomo materiale preso da sé sia pesante, perchè il peso deir atomo è tanto piccolo che non si può rilevare iso- latamente, il dubbio cessa affatto prendendo una grande congerie di atomi, nella quale i pesi minimi non valu- tabili di ognuno sisommano in un peso valutabile, dal quale si arguisce quello troppo piccolo dei componenti. E, se si può dubitare che una molecola di ferro, consi- derata isolatamente, sia calamitata, il dubbio cessa quando se ne prenda una grande massa. E cosi nel caso nostro. Se si può dubitare che T uomo singolo sia mosso nelle sue azioni da una Idealità sociale antiegoistica, perchè la ragione di questa, nella singola azioneumana di un individuo, si sottrae facilmente alla osservazione, stante il concorso e il contrasto colle ragioni egoistiche, le quali ve la accompagnano, il dubbio è tolto interamente arguendo dal fatto che, appuntandosi i voleri individuali nella totalità dello Stato, ne risulta la incontrastabile sovranità del volere morale, e antiegoistico, che vi os- servammo. Le cose dette nel corso del libro dimostrarono che la Responsabilità, intesa nel senso che sia Vastraito delle Sanzioni,onde la Società reagisce, rintuzzandola, contro V azione propriamente umana individuale, si rife- risce, non solo agli atti della Giustizia propriamente detta, ma anche a tutti gli altri atti etico-civili dell'uomo ; cioè : Primo. Agli atti offensivi non contemplati e non con- templabili dalla Legge. I quali perciò, esclusi dal campo della Giustizia propriamente detta, vanno attribuiti a quel- la altro della puraConvenienza. Secondo. Agli atti sindacabili soltanto dalla coscienza intima dell* individuo in cui si avverano, e producenti la sola reazione del rimorso intemo. Terzo. Agli atti virtuosi, che V individuo potrebbe fare e sarebbe bene facesse, e non fa. Ossia a quegli atti che non si attribuiscono, ne alla Giustizia, né alla Con- venienza, ma alla Carità, come dicevano i moralisti vecchi, o alla Filantropia o Beneficenza, come direbbero inuovi. E cosi è sciolta la questione, propostaci nella Introduzione, come compito di questa nostra Sociologia.
Sunday, September 12, 2021
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