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Wednesday, September 15, 2021

Grice ed Aosta: segno ed impiegatura prammatica

Fin dagli esordi della filosofia medievale, la dottrina dei segni riguarda, come per sant'Agostino,l'interpretazionedelleScrit- ture, o addirittura dell'intero mondo reale, inteso come insieme di segni attraverso i quali Dio si fa manifesto, e attraverso i qua- li ci indirizza alla verità. Siamo agli albori della logica cristiana, con Alenino, lo Pseudo-Dionigi l'Areopagita, Scoto Eriugena, Se- da il Venerabile. Al principio dell'xi secolo iniziano la vera e propria logica e la semantica medievali. Sant'Anselmo d'Aosta elabora una dot- trina della verità finalizzata alla dimostrazione dell'esistenza di Dio. È convinto, infatti, che la fede possa essere confermata dal- la ragione, anche se la sua origine -vieneprima della ragione stes- sa. Nelle sue opere {Monologion, Proslogion, De veritate) vengo- no articolate così le prove dell'esistenza di Dio, che costituisco- no un momento di notevole interesse semiotico. Nel Proslogion, Anselmosostieneladifferenzafralinguaggioerealtàconunesem- pio di fede: se secondo il linguaggio si può dire che Dio non esi- ste, non lo si può però pensare secondo il reale. Si tratta della co- siddetta "prova ontologica", importante perché distingue fra una verità referenziale e una verità proposizionale. Quest'ultima è li- mitata a una pura "asserzione di esistenza", che ha valore indi- pendentemente dall'essenza delle cose. Nel dialogo De veritate, la dicotomia fra segno e referente è maggiormente sviluppata, su base aristotelica, distinguendo fra verità della significazione e ve- rità della proposizione. Le cose determinano la verità della pro- posizione, ma non costituiscono la sua verità. Questa, infatti, è 50   data da una propria legge logica interna, mentre la verità della significazione non è mai certa, perché dipende dalla realtà onto- logica, con la quale non può essere coerente. La verità della si- gnificazione, che può essere detta in termini moderni "semanti- ca", non si applica che al discorso umano, che riflette piti o me- no le cose, mentre il verbum divino è consustanziale alla Natura, ed è Uno e Indivisibile: MAESTRO: Quando una proposizione è vera? DISCEPOLO: Quando esiste realmente ciò che essa enuncia afferman- dolo o negandolo; voglio dire che esiste ciò che essa enuncia anche se essa nega l'esistenza di ciò che non è, perché così essa enuncia, in un certo modo, che una cosa è. M: Ti sembra dunque che la cosa enunciata sia la verità della pro- pcsizione? D: NO. M: Perché? D: Perché nulla è vero che per partecipazione alla Verità, ed è così che la Verità sta nel vero. Ma la cosa enunciata non sta nella pro- posizione vera; perciò, non deve essere detta la sua verità, ma la cau- sa della sua verità. M: Vedi allora se il discorso stesso o la sua significazione o qualche elemento della definizione della proposizione non siano ciò che tu cerchi. D: Non lo penso. M: Perché? D: Perché se fosse così, ogni discorso sarebbe vero, poiché tutti gli elementi della definizione della proposizione restano gli stessi, che ciò che essa enuncia esista o meno; il discorso è lo stesso; la signi- ficazione anche, e così tutto il resto. M: Che cosa ti sembra essere dunque la Verità? D: Non ne so nulla, se non che, quando essa significa esistere ciò che realmente è, ha in sé della verità, ed è vera.' La seconda prova dell'esistenza di Dio consiste nella discus- sione sul linguaggio divino, che Anselmo considera un vero e pro- prio rispecchiamento della natura, un po' come il logos platoni- co o il verbum agostiniano. La differenza fra linguaggio divino e linguaggio umano sta nel fatto che il primo è consustanziale al- la natura, ne è l'esatta immagine, e per questo è perfetto; il se- condo invece permette solo di "pensare alle cose", ed è pertanto necessariamente imperfetto: 1Anselmod'Aosta,Deventate, 11. 51   Questo basta per la verità della significazione di cui abbiamo comin- ciato a parlare. In effetti, la stessa ragione di verità che noi scopriamo in un segno vocale è applicabile a tutti gli altri segni che si fanno per affermare o negare qualcosa, come gli scritti, il linguaggio o i gesti Tutte le parole con l'aiuto delle quali noi diciamo mentalmente le cose, cioè di cui ci serviamo per pensarle, sono rassomiglianze o im- magini delle cose di cui esse sono parole; ora, ogni rassomiglianza o immagine è più o meno vera a seconda della sua maggiore o mi- nore fedeltà alle cose che essa rappresenta.^

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