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Monday, September 20, 2021

Grice ed Antonino

 

Antonino (Roma). Filosofo. – marc’aurelio: antonino -- Grice: “Some call him Aurelio, but I call him Antonino, since the first time his thing was published in Latin, his thing was under ‘M. Antonini,’ no clue about the Aurelius!” -- Grice: “I once suggested to Strawson that he should write a dissertation on a comparison of Barberini’s and Xylander’s translation of Marcus Aurelius; you see, he was a Roman who philosophised in Greek; and he was translated to Latin only in the 1550s; and into Italian a century later! Sir Peter responded: “I guess you want me to detect all the misimplicata!’ ‘Misimpiegato,’ I replied!” -- -  «Solo il presente ci è tolto, dato che solo questo abbiamo.»  (Marco Aurelio, Pensieri, II, 14) Marco Aurelio Antonino Augusto (in latino: Marcus Aurelius Antoninus Augustus; nelle epigrafi: IMP·CAES·M·AVREL·ANTONINVS·AVG[22]. Meglio conosciuto semplicemente come Marco Aurelio, è stato un imperatore, filosofo e scrittore romano. Su indicazione dell'imperatore Adriano, fu adottato nel 138 dal futuro suocero e zio acquisito Antonino Pio che lo nominò erede al trono imperiale.  Nato come Marco Annio Catilio Severo[24][25] (Marcus Annius Catilius Severus), divenne Marco Annio Vero (Marcus Annius Verus), che era il nome di suo padre, al momento del matrimonio con la propria cugina Faustina, figlia di Antonino, e assunse quindi il nome di Marco Aurelio Cesare, figlio dell'Augusto (Marcus Aurelius Caesar Augusti filius) durante l'impero di Antonino stesso.[26]  Marco Aurelio fu imperatore dal 161 sino alla sua morte, avvenuta per malattia nel 180 a Sirmio secondo il contemporaneo Tertulliano[20] o presso Vindobona. Mantenne la coreggenza dell'impero assieme a Lucio Vero, suo fratello adottivo nonché suo genero, anch'egli adottato da Antonino Pio. Dal 177, morto Lucio Vero, associò al trono suo figlio Commodo.[27] È considerato dalla storiografia tradizionale come un sovrano illuminato, il quinto dei cosiddetti "buoni imperatori" menzionati da Edward Gibbon. Il suo regno fu tuttavia funestato da conflitti bellici (guerre partiche e marcomanniche), da carestie e pestilenze. Marco Aurelio è ricordato anche come importante filosofo stoico, autore dei Colloqui con sé stesso (Τὰ εἰς ἑαυτόν nell'originale in greco). Alcuni imperatori successivi utilizzarono il nome "Marco Aurelio" per accreditare un inesistente legame familiare con lui. Busto dell'imperatore Marco Aurelio (Musei Capitolini, Roma). Nome originaleImperator Caesar Marcus Aurelius Antoninus Augustus Tribunicia potestas9 anni (da solo), 6 con Lucio Vero, 4 con Commodo e 15 con Antonino Pio per un totale di 34 volte: la prima volta (I) dal 1º dicembre del 147, rinnovata annualmente al 10 dicembre di ogni anno[1] Cognomina ex virtute Armeniacus nel 164, Medicus e Parthicus Maximus, Germanicus, Sarmaticus. TitoliPater Patriae dal 166 Salutatio imperatoria10 volte:[1] I (al momento della assunzione del potere imperiale) nel 161, (II) nel 163,[11] (III) 165,[12] (IV) 166, (V) 167,[13] (VI) 171,[14] (VII) 174,[15] (VIII) 175,[16] (IX) 177[17] e (X) 179.[1] Nascita26 aprile 121[18] Roma Morte17 marzo 180 Sirmio o Vindobona (attuale Vienna) PredecessoreAntonino Pio SuccessoreCommodo ConiugeFaustina minore FigliDomizia Faustina Aurelia Tito Aurelio Antonino Tito Elio Aurelio Lucilla Annia Aurelia Galeria Faustina Tito Elio Antonino Fadilla Annia Cornificia Faustina minore Commodo Tito Aurelio Fulvio Antonino Marco Annio Vero Cesare Vibia Aurelia Sabina Adriano Un altro figlio di cui non si conosce il nome nato dopo Tito Elio Antonino GensAnnia DinastiaAntonini PadreMarco Annio Vero adottivo: Antonino Pio MadreDomizia Lucilla Consolato3 volte: nel 140, 145 e 161. Le principali fonti per la vita e il ruolo di Marco Aurelio sono frammentarie e spesso inaffidabili. Il gruppo più importante è rappresentato dalle biografie contenute nella Historia Augusta, composte in epoca successiva al IV secolo.[34] Le biografie derivate principalmente da fonti ormai perdute (come Mario Massimo), ma anche da Eutropio e Aurelio Vittore, ovvero quelle di Marco Aurelio, Adriano, Antonino Pio e Lucio Vero, sono ritenute accurate e affidabili.[34] Di Frontone, maestro di retorica di Marco e di vari funzionari di Antonino Pio, si conservano una serie di manoscritti irregolari, che coprono il periodo che va dal 138 al 166. Nei Colloqui con sé stesso Marco offre una finestra sulla sua vita interiore, ma gran parte dei libri risultano senza riferimenti cronologici e con pochi accenni al mondo esterno.[35]  La più attendibile fra le fonti del periodo è Cassio Dione, Egli scrisse una storia di Roma dalla sua fondazione al 229, chiamata Historia romana.[36] Altre fonti letterarie e giuridiche, come gli scritti del medico Galeno, le orazioni di Elio Aristide e le costituzioni imperiali dello stesso Marco Aurelio forniscono ulteriori informazioni sul contesto storico e sociale in cui visse l'imperatore. Epigrafi e monete possono integrarle, così come i numerosi reperti archeologici. La sua famiglia e di origine romana, ma stabilita da tempo a Ucubi (Colonia Claritas Iulia Ucubi), una piccola cittadina. Essa salì alla ribalta alla fine del I secolo, quando il suo bisnonno, Marco Annio Vero, fu senatore e forse pretore. Il nonno, anch'egli di nome Marco Annio Vero, fu elevato al rango di patrizio. Il terzo Marco Annio Vero, cioè suo padre, sposa Domizia Lucilla. Lucilla maggiore, la di lei nonna materna, eredita una grande fortuna, tra cui una fabbrica di mattoni (figlina) a Roma, attività alquanto redditizia in un'epoca in cui la città era interessata da una notevole espansione edilizia. La famiglia della madre e di rango consolare, mentre quella del padre vanta addirittura una discendenza da Numa Pompilio. Busto di Marco Aurelio giovane uomo, Museo Archeologico Nazionale di Napoli, collezione Farnese. Il busto (fino al collo) è un rifacimento moderno. Nacque da Vero e Lucilla il sesto giorno prima delle calende di maggio, l'anno del secondo consolato di suo nonno Marco Annio Vero, corrispondente all'anno 874 dalla fondazione di Roma. La sorella, Annia Cornificia Faustina, nacque probabilmente nel 122 o nel 123. Il padre Annio Vero muore giovane, durante la sua pretura, quando Marco ha solo tre anni. Anche se difficilmente può averlo conosciuto, scrisse nelle sue Meditazioni che ha imparato modestia e virilità dal ricordo di suo padre e dalla sua reputazione postuma. Lucilla non si risposa più. La madre di Marco, come da usanza della nobilitas, trascorse poco tempo col figlio, affidandolo alle cure delle domestiche. Ciononostante, Marco accredita a sua madre l'insegnamento della pietà religiosa, la semplicità nella dieta e come evitare le vie dei ricchi. Nelle sue lettere Marco fa frequente e affettuoso riferimento alla madre, manifestandole la sua gratitudine, nonostante mia madre fosse condannata a morire giovane, trascorse i suoi ultimi anni di vita con me. Dopo la morte del padre, anda a stare dal nonno paterno Marco Annio Vero. Ma anche Lucio Catilio Severo, descritto come il bisnonno materno di Marco (probabilmente il patrigno o padre adottivo di Lucilla maggiore), partecipa alla sua istruzione. Crebbe nella casa dei suoi genitori, sul Celio, dove era nato, in un quartiere che avrebbe affettuosamente ricordato come il mio Celio. E una zona esclusiva, con pochi edifici pubblici e molte domus nobiliari fra cui il palazzo del nonno, adiacente al Laterano, dove Marco avrebbe trascorso gran parte della sua infanzia. Marco era riconoscente al nonno per avergli insegnato a tener lontano il brutto carattere, ma era anche grato agli eventi che gli evitarono di vivere nella stessa casa con la concubina presa dal nonno dopo la morte della moglie, Rupilia Faustina. Evidentemente questa donna o qualcuno del suo seguito potevano costituire una tentazione per Marco. La sua istruzione avvenne in casa, in linea con le tendenze aristocratiche del tempo. Uno dei suoi maestri, Diogneto, si dimostrò particolarmente influente, introducendo Marco a una visione filosofica della vita e insegnandogli l'uso della ragione. Per volere di Diogneto, prese a praticare le abitudini proprie dei filosofi e a utilizzarne l'abbigliamento, come il ruvido mantello greco. Altri tutores, Trosio Apro, Tuticio Proculo edAlessandro di Cotieno, descritto come un importante letterato (il principale studioso omerico del suo tempo), continuarono a occuparsi della sua istruzione. Deve ad Alessandro la sua formazione nello stile letterario, rilevabile in molti passi dei Colloqui con sé stesso. Adriano, convalescente nella sua villa di Tivoli dopo aver rischiato di morire per un'emorragia, scelse Lucio Ceionio Commodo (conosciuto poi come Lucio Elio Cesare) come suo successore, adottandolo contro la volontà delle persone a lui vicine. Lucio però si ammalò e morì, costringendo il princeps Adriano a indicare un nuovo successore, quando la scelta cadde su Aurelio Antonino, il genero di Marco Annio Vero che il giorno successivo, dopo essere stato attentamente esaminato, fu accettato dal Senato e adottato col nome di Tito Elio Cesare Antonino. A sua volta, come da disposizioni dello stesso princeps, Antonino adotta Marco, allora diciassettenne, e il giovane Lucio Commodo, figlio dello scomparso Lucio Elio Vero. Da questo momento Marco muta il suo nome in Marco Elio Aurelio Vero e Lucio in Lucio Elio Aurelio Commodo. Rimase sconcertato quando seppe che Adriano lo aveva adottato come nipote. Solo con riluttanza passò dalla casa di sua madre sul Celio a quella privata di Adriano, che si ritiene non fosse ancora la casa di Tiberio, come veniva chiamata la residenza imperiale sul Palatino). Adriano chiese in Senato che Marco fosse esentato dalla legge che richiedeva il venticinquesimo anno compiuto per il candidato alla carica di questore. Il Senato acconsentì e Marco divenne prima questore, ricevette quindi l'imperium proconsulare maius nel 139-140[62] e il consolato nel 140, a soli diciotto anni.[63] L'adozione facilitò il percorso della sua ascesa sociale: egli sarebbe verosimilmente divenuto prima triumvir monetalis (responsabile delle emissioni monetali imperiali) e in seguito tribunus militum in una legione. Marco probabilmente avrebbe preferito viaggiare e approfondire gli studi. Il suo biografo attesta che il suo carattere rimase inalterato: mostrava ancora lo stesso rispetto per i rapporti come aveva quando era un cittadino comune ed era così parsimonioso e attento dei suoi beni come lo era stato quando viveva in una abitazione privata.[64]  La salute di Adriano peggiorò al punto da fargli desiderare la morte, tentando anche il suicidio, impeditogli dal successore Antonino.[66] L'imperatore, gravemente malato, lasciò Roma per la sua residenza estiva, una villa a Baiae, località balneare sulla costa campana, ove morì infine di edema polmonare il 10 luglio del 138. La successione di Antonino era ormai stabilita e non presentava appigli per eventuali colpi di mano. Per il suo comportamento, rispettoso dell'ordine senatorio e delle nuove regole, Antonino fu insignito dell'appellativo "Pio".[25][67]  Governo con Antonino Pio (139-161)  L'adozione (Monumento dei Parti, oggi presso il Museo di Efeso di Vienna): Antonino Pio (al centro) con Lucio Vero di sette anni (a destra) e Marco Aurelio di diciassette anni (a sinistra, alle spalle). All'estrema destra, sembra esserci Adriano. Magnifying glass icon mgx2.svgEtà antonina. Subito dopo la morte di Adriano, Antonino pregò la moglie Faustina di accertarsi se Marco fosse disposto a modificare i suoi precedenti accordi matrimoniali. Marco acconsentì a sciogliere la promessa fatta a Ceionia Fabia e a fidanzarsi con Faustina minore, la loro giovane e bella figlia, inizialmente promessa a Lucio.[68] Marco ricoprì il suo primo consolato nel 140, con Antonino come collega. In qualità di erede designato, fu quindi nominato princeps iuventutis, il comandante dell'ordine equestre. Assunse il titolo di Cesare,[69] divenendo Marco Elio Aurelio Vero Cesare, ma in seguito si schermì dal prendere troppo sul serio l'incarico.[70] Su invito del Senato, Marco venne inserito contemporaneamente nei principali collegi sacerdotali, tra i quali figuravano i pontifices, gli augures, i quindecemviri sacris faciundis e i septemviri epulones. Antonino gli chiese di prendere la residenza nella Domus Tiberiana, uno dei palazzi imperiali sul Palatino. Marco avrebbe avuto difficoltà a conciliare la vita di corte con le sue aspirazioni filosofiche, anche se ammirò sempre e profondamente Antonino come un uomo giusto, esempio di condotta integerrima.[72] Marco si convinse che la vita serena a corte doveva essere un obiettivo raggiungibile, dove la vita è possibile, allora è possibile vivere una vita giusta, la vita è possibile in un palazzo, per cui è possibile vivere la vita proprio in un palazzo[73][74] affermò, trovandolo comunque di difficile attuazione. Nei Colloqui con sé stesso Marco sembrava criticarsi per aver abusato della vita di corte di fronte alla società.[74][75]  Come questore, Marco sembra abbia ricoperto un ruolo amministrativo secondario: i compiti erano la lettura delle lettere imperiali al Senato, quando Antonino era assente, e più in generale quello di essere una sorta di segretario privato del princeps. I suoi compiti come console furono invece più significativi, presiedendo le riunioni che avevano un ruolo importante nelle funzioni amministrative del corpo statale. Si sentiva assorbito dal lavoro d'ufficio e se ne lamentò con il suo tutore Frontone: Sono senza fiato a causa di dover dettare quasi trenta lettere. Egli era stato, nelle parole del suo biografo, preparato per governare lo Stato. Il 1º gennaio 145, Marco venne nominato console per la seconda volta, a soli ventiquattro anni.[77] Una lettera di Frontone esortava Marco a dormire molto in modo che potrai entrare in Senato con un buon colorito e leggere il discorso con una voce forte. Marco si era lamentato di una malattia in una lettera precedente: Per quanto riguarda la mia forza essa è migliorata, sto cominciando a guarire e non vi è alcuna traccia di dolore nel mio petto, ma riguardo l'ulcera [...] sto facendo un trattamento e faccio attenzione a non fare nulla che interferisca con esso. Marco era di salute cagionevole: lo storico romano Cassio Dione, scrivendo dei suoi ultimi anni, lo elogiò per essersi comportato a dovere, nonostante le numerose malattie.[79]  Matrimonio con Faustina  Busto di Faustina Minore, Louvre, Parigi. Nell'aprile del 145 Marco sposò la quattordicenne Faustina, come era stato programmato sin dal 138. Secondo il diritto romano, per far sì che il matrimonio potesse aver luogo, fu necessario che Antonino liberasse ufficialmente uno dei due figli dalla sua autorità paterna; in caso contrario Marco, in quanto figlio adottivo di Antonino, avrebbe sposato sua sorella. Poco si sa della cerimonia stessa. Vennero coniate delle monete con le immagini degli sposi e di Antonino, che avrebbe officiato la cerimonia come pontifex maximus. Nelle lettere rimanenti Marco non fa esplicito riferimento al matrimonio, durato trentun anni, e accenna solo raramente a Faustina.[81]  Formazione oratoria e filosofica (136-147) Magnifying glass icon mgx2.svgPensiero di Marco Aurelio § Formazione filosofica e rapporto con i maestri. Dopo aver indossato la toga virilis nel 136 iniziò probabilmente la sua formazione oratoria. Aveva tre maestri di greco, tra cui Erode Attico, e uno di latino, Marco Cornelio Frontone, che Marco ricorda spesso come suo maestro di stile e di vita nei Colloqui con sé stesso. Frontone e Attico erano gli oratori più stimati dell'epoca, ma divennero suoi precettori solo dopo la sua adozione da parte di Antonino, nel 138. La preponderanza dei tutores greci indica l'importanza di quella lingua per l'aristocrazia di Roma. Questa era l'età della seconda sofistica, una rinascita della letteratura greca. Sebbene istruito a Roma, Marco userà il greco per scrivere i suoi pensieri più profondi nei Colloqui con sé stesso. Erode era un uomo molto ricco e discusso, forse il più ricco d'Oriente e mal sopportava gli stoici, ma era un abile oratore e sofista; Marco, che sarebbe diventato proprio uno stoico, non lo ricorda affatto nei suoi Colloqui, nonostante si fossero incontrati molte volte nel corso dei decenni successivi. Quinto Giunio Rustico in un disegno riportato nel Crabbes Historical Dictionary, edizione 1825.  Busto di Erode Attico in marmo, risalente al II secolo d.C. e conservato al Museo del Louvre di Parigi. Frontone godeva di grande reputazione: nel mondo consapevolmente antiquato della letteratura latina era considerato, come oratore, secondo solo a Cicerone, una fama che oggi, in base ai pochi frammenti rimasti, può lasciare meravigliati.[85] Non correva una gran simpatia fra Frontone ed Erode; eppure i due seppero in ultimo far scorrere una vena di reciproca cortesia e gentilezza, grazie anche a Marco.[86]  Frontone non divenne insegnante a tempo pieno di Marco e continuò la sua carriera di avvocato. Una causa famosa lo portò in contrasto con Erode, che era il principale accusatore di Tiberio Claudio Demostrato, un notabile ateniese difeso proprio da Frontone. L'esito del processo è ignoto, ma Marco riuscì a far riconciliare i due. All'età di venticinque anni Marco cominciò a disamorarsi degli studi in giurisprudenza, mostrando segnali di un diffuso malessere. Era stanco dei suoi esercizi e di prendere posizione in dibattiti immaginari.[88] In ogni caso, l'istruzione formale di Marco era ormai finita. Aveva mantenuto con i suoi insegnanti buoni rapporti e continuava a seguirli con devozione, anche se la lunga istruzione ebbe negative influenze sulla sua salute.[89] Quando Marco era giovane Frontone lo aveva messo in guardia contro lo studio della filosofia, disapprovando come una deviazione giovanile le sue lezioni con Apollonio di Calcide.[90] Pur se Apollonio potrebbe aver introdotto Marco alla filosofia stoica, sarebbe stato Quinto Giunio Rustico, il vero successore di Seneca, ad aver esercitato la maggior influenza sul ragazzo. Marco s'ispirò anche ad Epitteto di Ierapoli, le cui letture fu proprio Rustico a suggerire.[91]  Nascite e morti nella famiglia. Il 30 novembre 147 Faustina diede alla luce una bambina di nome Domizia Faustina Aurelia. Era solo la prima di almeno quattordici figli (tra cui due coppie di gemelli) che Faustina avrebbe partorito nei successivi ventitré anni.[92] Il giorno successivo, 1º dicembre, Antonino Pio attribuì a Marco il potere tribunizio, mentre l'imperium, cioè l'autorità sugli eserciti e sulle province imperiali, potrebbe essergli già stato conferito. Il potere tribunizio conferiva a Marco il diritto di proporre un provvedimento con prelazione sul Senato e sullo stesso Antonino. Questi poteri gli furono rinnovati, insieme ad Antonino, il 10 dicembre.[1][93]  La prima menzione di Domizia nelle lettere di Marco ne rivela la salute malferma.[94] Lui e Faustina furono molto occupati nella cura della bambina, che sarebbe morta poi nel 151.[92][95][96]  Nel 149 nacquero a Faustina due gemelli, celebrati da una moneta con cornucopie incrociate sotto i busti dei due bambini e la scritta "felicità dei tempi" (temporum felicitas). Essi però non sopravvissero a lungo. Tito Aurelio Antonino e T. Elio Aurelio, questi i nomi ricavati dagli epitaffi, morirono molto presto (entro la fine del 149) e furono sepolti nel mausoleo di Adriano.[92][96] Lo stesso Marco scrisse: Uno prega: «che io non debba perdere mio figlio!»; ma tu devi pregare: «che io non tema di perderlo!»[97]  Marco Aurelio: aureo FAUSTINA MINOR RIC III 682-808351FAVSTINA AVGVSTA, busto con drappeggioFECVNDITA-TI AVGVSTAE, la Fecunditas (fertilità) seduta, con un bambino sulle ginocchia e altri due in piedi AV (7,37 g); 161 circa Il 7 marzo del 150 nacque una bambina, Annia Aurelia Galeria Lucilla, cui seguì Annia Aurelia Galeria Faustina, che sembra sia nata non più tardi del 153 (un altro figlio, Tito Elio Antonino, viene citato dalle fonti nel 152). Una moneta celebra la fertilità dell'Augusta (FECVNDITAS), raffigurando due bambine e un bambino (Lucilla, Faustina e Antonino, appunto).[98] Il maschio non sopravvisse a lungo, considerando che sulle monete del 156 erano raffigurate solo le due femmine. Egli potrebbe essere morto nel 152, lo stesso anno in cui mancò la sorella di Marco, Cornificia.[92][96]  Un settimo figlio nacque e morì poco dopo tra la fine del 157 e gli inizi del 158, come risulta da una lettera di Marco, datata 28 marzo del 158. Nel 159 e 160 Faustina diede alla luce altre due figlie: Fadilla e Cornificia, che portavano i nomi delle defunte sorelle di Faustina e di Marco.[99] Altri figli nacquero in seguito, oltre a Commodo e al gemello di questi, Fulvio Antonino. Si trattava di Marco Annio Vero Cesare, Vibia Aurelia Sabina e Adriano, che morì anche lui giovanissimo.[92][100]  Ultimi anni di Antonino (152-161) Nel 152 Lucio divenne questore all'età di ventitré anni, due anni prima dell'età legale (Marco aveva ricoperto lo stesso incarico a soli diciassette anni).[63] Nel 154 ottenne il consolato all'età di venticinque, sette anni prima dell'età legale. Lucio non aveva altri titoli onorifici, tranne quello di figlio dell'Augusto. Aveva una personalità molto diversa da Marco: amava l'attività sportiva di ogni genere, in particolare la caccia e la lotta, e aveva evidente piacere ad assistere ai giochi circensi e alle lotte dei gladiatori. Non si sposò fino al 164. Antonino Pio non condivideva i suoi stessi interessi: desiderava mantenere Lucio in famiglia, ma non era sicuro di potergli dare gloria e potere.[101] Come si nota dalle statue di questo periodo, Marco cominciò a portare la barba (oltre ai tipici capelli arricciati dell'età antonina), proseguendo la moda iniziata da Adriano,[102] seguita da Antonino e che durò a lungo, sostituendo il tradizionale aspetto dell'uomo romano, completamente sbarbato.[103]  Nel 156 Antonino Pio compì settanta anni. Godeva ancora di un discreto stato di salute, seppure avesse difficoltà a stare eretto senza utilizzare dei sostegni. Il ruolo di Marco andò via via crescendo, in particolare quando il prefetto del pretorio Gavio Massimo, che per quasi vent'anni era risultato di fondamentale importanza con i suoi consigli su come governare, morì tra il 156 e il 157. Il suo successore, Gavio Tattio Massimo, sembra non avesse lo stesso peso politico presso il princeps e poi non durò a lungo.[104] Nel 161 Marco e Lucio furono designati consoli insieme, forse perché il padre adottivo sentiva avvicinarsi la fine che infatti giunse nei primi mesi dello stesso anno.[105][106] Secondo i racconti della Historia Augusta l'imperatore, che si trovava nella sua tenuta di Lorium, due giorni prima di morire aveva fatto indigestione, vomitò e fu colto da febbre. Aggravatosi il giorno successivo, il 7 marzo 161, convocò il consiglio imperiale (compresi i prefetti del pretorio Furio Vittorino e Sesto Cornelio Repentino) e passò tutti i suoi poteri a Marco, ordinando che la statua d'oro della Fortuna, che era nella camera da letto degli imperatori, fosse portata da Marco. Diede quindi la parola d'ordine al tribuno di guardia, «equanimità», poi si girò, come per andare a dormire, e morì all'età di settantacinque anni.[105][107]  Principato (161-180) Ascesa alla porpora imperiale Magnifying glass icon mgx2.svgDinastia degli Antonini.Dopo la morte di Antonino Pio, Marco Aurelio era di fatto unico princeps dell'Impero. Il Senato gli avrebbe presto concesso il titolo di Augusto e di imperator, oltre a quello di Pontifex Maximus, sacerdote a capo dei culti ufficiali della religione romana. Sembra che Marco dimostrasse, almeno inizialmente, tutta la sua riluttanza a farsi carico del potere imperiale, poiché il suo biografo scrive che fu "costretto dal Senato ad assumere la direzione della Res publica dopo la morte di Pio". Egli deve aver avuto una vera e propria paura del potere imperiale (horror imperii), considerando la sua predilezione per la vita filosofica, ma sapeva, da stoico qual era, quello che doveva fare e come farlo. Governo imperiale con Lucio (161-169) Anche se nei Colloqui con sé stesso non sembra mostrare affetto personale per Adriano, Marco lo rispettò molto e presumibilmente ritenne suo dovere metterne in atto i piani di successione. E così, anche se il Senato voleva confermare solo lui, egli rifiutò di entrare in carica senza che Lucio ricevesse gli stessi onori: alla fine il Senato fu costretto ad accettare e insignì Lucio Vero del titolo di Augustus. Marco divenne, nella titolatura ufficiale, Imperatore Cesare Marco Aurelio Antonino Augusto mentre Lucio, assumendo il nome di famiglia di Marco, Vero, e rinunciando al suo cognomen di Commodo, divenne Imperatore Cesare Lucio Aurelio Vero Augusto. Per la prima volta Roma veniva governata da due imperatori contemporaneamente.[109]  Fin dalla sua ascesa al principato, Marco ottenne dal Senato che Lucio Vero gli fosse associato su un piano di parità (diarchia),[62][69] con gli stessi titoli, ad eccezione del pontificato massimo che non si poteva condividere. La formula era innovativa: per la prima volta alla testa dell'impero vi era una collegialità e una parità totale tra i due principes. In teoria i due fratelli ebbero gli stessi poteri, in realtà Marco conservò una preminenza che Vero mai contestò. Le ragioni pratiche di questa collegialità, voluta da Adriano forse per onorare la memoria di Lucio Elio, adottandone il figlio, e al tempo stesso lasciare l'impero a Marco Aurelio di cui aveva capito le grandi qualità, non sono completamente chiare.[111] A dispetto della loro uguaglianza nominale, Marco ebbe maggior auctoritas di Lucio Vero. Fu console una volta di più, avendo condiviso la carica già con Antonino Pio, e fu il solo a divenire Pontifex Maximus. E questo fu chiaro a tutti. L'imperatore più anziano deteneva un comando superiore al fratello più giovane: Vero obbedì a Marco... come il tenente obbedisce a un proconsole o un governatore obbedisce all'imperatore. Subito dopo la conferma del Senato, gli imperatori procedettero alla cerimonia di insediamento presso i Castra Praetoria, l'accampamento della guardia pretoriana. Lucio affrontò le truppe schierate, che acclamarono la coppia di imperatores. Poi, come ogni nuovo imperatore, da Claudio in poi, Lucio promise alle truppe un donativo speciale, che fu il doppio di quelli passati: 20.000 sesterzi (5.000 denari) pro capite ai pretoriani, e in proporzione agli altri militari dell'esercito.[113] In cambio della donazione, pari a diversi anni di stipendium, le truppe giurarono fedeltà ai due imperatori. La cerimonia non del tutto necessaria, considerando che l'ascesa di Marco era stata pacifica e incontrastata, costituì comunque una valida assicurazione contro possibili rivolte da parte dei militari.[109] In seguito a questi eventi sembra che la moneta d'argento, il denario, cominciò un lento processo di svalutazione, che portò sia alla riduzione del suo peso che del suo titolo (% di argento presente nella lega), che passò dall'89% dell'epoca di Traiano al 79%. Il funerale di Antonino fu celebrato in modo che lo spirito potesse ascendere agli dèi, come era tradizione. Il corpo venne posto su una pira. Lucio e Marco divinizzarono il padre adottivo attraverso un sacerdozio preposto al suo culto, con il consenso del Senato. Secondo le sue ultime volontà, il patrimonio di Antonino non passò direttamente a Marco,[116] ma a Faustina, che in quel momento era incinta di tre mesi. Durante la gravidanza sognò di dare vita a due serpenti, uno più agguerrito rispetto all'altro.[117][118] Il 31 agosto a Lanuvium nacquero infatti due gemelli: Tito Aurelio Fulvio Antonino e Commodo, che poi sarebbe succeduto al padre come imperatore. A parte il fatto che i gemelli erano nati lo stesso giorno di Caligola, i presagi sembra fossero favorevoli, e gli astrologi trassero auspici positivi per i due neonati. Le nascite furono celebrate sulla monetazione imperiale. Statua equestre di Marco Aurelio (Equus Marci Aurelii Antonini), in bronzo, situata al Campidoglio (copia moderna non fedele dell'originale che si trova ai Musei capitolini) Subito dopo l'adozione, Marco promise come sposa a Lucio la figlia undicenne, Lucilla, nonostante fosse formalmente suo zio.[120] Alle celebrazioni dell'evento, furono donate delle somme per i bambini poveri, come aveva fatto in precedenza Antonino Pio quando volle commemorare la moglie scomparsa. I sovrani divennero popolari tra la gente di Roma.[118] Gli imperatori concessero piena libertà di parola, come dimostra il fatto che un noto commediografo, un certo Marullus, poté criticarli senza subire ritorsioni. In ogni altro momento, sotto qualsiasi altro imperatore, sarebbe stato giustiziato. Ma era un periodo di pace e di clemenza e il biografo riporta che Nessuno rimpiangeva i modi miti di Pio. Marco Aurelio sostituì vari funzionari dell'impero: Sesto Cecilio Crescenzio Volusiano, responsabile della corrispondenza imperiale, con Tito Vario Clemente, un provinciale, originario del Norico, che aveva prestato servizio militare nella guerra in Mauretania e in seguito aveva servito come Procurator Augusti in cinque differenti province. Costituiva l'uomo adatto per affrontare un periodo di emergenza militare.[122] Lucio Volusio Meciano, che era stato uno degli insegnanti di Marco Aurelio, era governatore della prefettura d'Egitto. Marco lo nominò senatore, poi prefetto della tesoreria (Praefectus aerarii Saturni) e poco dopo ottenne anche il consolato.[123] Il figlio adottivo di Frontone, Gaio Aufidio Vittorino, padre dei futuri consoli di età severiana Gaio Aufidio Vittorino[124] e Marco Aufidio Frontone, venne nominato governatore della Germania superiore. Non appena la notizia dell'ascesa imperiale dei suoi allievi lo raggiunse, Frontone lasciò la sua casa di Cirta e il 28 marzo rientrò nella sua residenza romana. Inviò una nota al liberto imperiale Charilas, chiedendo di potersi mettere in contatto con gli imperatori poiché, disse in seguito, non aveva osato scrivere direttamente agli imperatori. L'insegnante si dimostrò immensamente orgoglioso dei suoi allievi. Egli, ripensando al discorso tenuto per l'ascesa al consolato del 143, elogiò Marco con queste parole: C'era allora una straordinaria capacità naturale in te, perfezionata ora in eccellenza, il grano che cresceva è ora un raccolto maturo. Lucio era invece meno stimato dallo stesso precettore, i suoi interessi erano di livello inferiore. Annia Lucilla, figlia di Marco e moglie di Lucio Vero Il primo periodo di regno procedette senza intoppi, così che Marco Aurelio poté dedicarsi alla filosofia e alla ricerca dell'affetto popolare. Ben presto, però, nuove preoccupazioni avrebbero significato la fine della Felicitas temporum, che il conio del 161 aveva con disinvoltura proclamato.[127]  Nell'autunno del 161, il Tevere esondò dalle sue sponde, devastando alcune comunità italiche e gran parte di Roma. Annegarono molti animali, lasciando la città in preda alla carestia. «Marco e Lucio affrontarono personalmente questi disastri» e le comunità italiche colpite dalla carestia furono aiutate, permettendo loro di rifornirsi del grano della capitale.[127][128] In altri tempi di carestia, gli imperatori avevano tenuto le comunità italiche fuori dai granai romani.[129]  Gli insegnamenti di Frontone continuarono nei primi anni di regno di Marco. Frontone riteneva che, visto il ruolo ricoperto da Marco, le lezioni fossero più importanti oggi di quanto non fossero mai state prima. Riteneva che Marco desiderasse riacquistare l'eloquenza di una volta, eloquenza per la quale aveva per un certo periodo di tempo perso interesse.[130] Frontone ricordò nuovamente al suo allievo l'antitesi tra il suo ruolo e le sue aspirazioni filosofiche: Supponiamo, Cesare, che tu possa raggiungere la saggezza di Cleante e Zenone, eppure, contro la tua volontà, tu non possa comunque avere la mantella di lana del filosofo.  I primi giorni di regno di Marco furono i più felici della vita di Frontone: il suo allievo era amato dal popolo di Roma, era un ottimo imperatore, uno studente appassionato, e, forse più importante, eloquente come lui voleva. Marco diede prova di grande abilità retorica nel suo discorso al Senato dopo un terremoto avvenuto a Cizico. Aveva trasmesso il dramma del disastro, e il senato era stato intimorito: improvvisamente la mente degli ascoltatori era più violentemente agitata durante il discorso, che la città durante il terremoto". E Frontone ne fu enormemente soddisfatto.[130]  Politica interna: l'amministrazione dello stato In politica interna, Marco Aurelio si comportò, come già Augusto, Nerva e Traiano, da princeps senatus, cioè "primo tra i senatori" e non da monarca assoluto, rivelandosi rispettoso delle prerogative del Senato, consentendogli di discutere e di decidere sui principali affari di Stato, come le dichiarazioni di guerra alle popolazioni ostili o le stipule dei trattati, come anche sulle nomine alle magistrature.[131] Avviò anche una politica tendente a valorizzare le altre categorie sociali: ai provinciali fu reso possibile raggiungere le più alte cariche dell'amministrazione statale. Né ricchezza, né illustri antenati influenzarono il giudizio di Marco, ma solo il merito personale. Egli concesse cariche a persone che riconosceva come illustri eruditi e filosofi, senza guardare alla loro condizione di nascita.[132] L'assetto amministrativo introdotto da Augusto quasi centocinquant'anni prima, che fino a quel momento aveva preservato l'Impero anche quando si erano succeduti imperatori dissoluti come Caligola e Nerone, oppure in occasione della guerra civile del 69, era imponente e la sua classe dirigente cominciava ad acquisire piena consapevolezza del proprio potere. Marco istituì l'anagrafe: ogni cittadino romano aveva l'obbligo di registrare i propri figli entro trenta giorni dalla loro nascita; colpì l'usura, regolarizzò le vendite pubbliche[134] e distrusse tutti i libelli diffamatori che circolavano su molte persone.[135] Proibì i processi pubblici prima che fossero raccolte prove certe, garantì ai senatori l'antica immunità dalle condanne capitali, a meno che ci fossero prove certe e una condanna ufficiale.[132] Impiegò il denaro non in splendide architetture, ma in opere di ricostruzione estremamente necessarie, o in migliorie della rete stradale, da cui dipendeva la difesa dell'impero e il progresso del commercio, o in fortezze, accampamenti e città.Egli non amava particolarmente i giochi gladiatorii e gli spettacoli cruenti del circo, ma li indiceva e li frequentava solo se non poteva esimersi; più tardi formò unità militari ausiliarie di gladiatori a supporto delle legioni del nord, ma dovette richiamarli per il malcontento del popolo che, nonostante le economie necessarie a causa della guerra, reclamava il suo divertimento.[137] Non riuscì a realizzare i suoi ideali stoici di eguaglianza e libertà perché l'esigenza di controllare le finanze locali portò alla formazione di una classe burocratica che presto volle arrogarsi diritti e privilegi e che si costituì quale classe chiusa.   Marco Aurelio Pontefice Massimo Trascorse, inoltre, molto tempo del suo regno a difendere le frontiere.[138]  Tra le altre leggi proibì la tortura per i cittadini eminenti, prima e dopo la condanna, poi per tutti i cittadini liberi, come era stato in epoca repubblicana.[139] Restò valida per gli schiavi, ma solo se non si trovavano altre prove.[140] Venne comunque proibito di vendere uno schiavo per utilizzarlo nei combattimenti contro le belve.[141]  Nei processi da lui presieduti cercò sempre la massima giustizia ed equità per tutti, anche quando doveva emettere una condanna secondo le leggi.[142] Marco e Lucio stabilirono ad esempio la non punibilità di un figlio che avesse ucciso un genitore in un momento di follia, materializzando così un primo concetto di infermità mentale.[143] Come molti imperatori, Marco trascorse la maggior parte del suo tempo ad affrontare questioni di diritto come petizioni e controversie, prendendosi molta cura nella teoria e nella pratica della legislazione. Avvocati di professione lo definirono un «imperatore versato nella legge» e, come sosteneva il grande Emilio Papiniano, «molto prudente e coscienziosamente giusto».[144] Egli mostrò uno spiccato interesse in tre aree del diritto: l'affrancamento degli schiavi, la tutela degli orfani e dei minori, e la scelta dei consiglieri cittadini (decuriones). Rivalutò la moneta da lui svalutata, ma due anni dopo tornò sui suoi passi a causa della grave crisi militare che l'impero stava affrontando a causa delle guerre marcomanniche.[145]  E mentre il fratello Lucio era impegnato in Oriente contro i Parti, Marco era impegnato a Roma in questioni familiari. La prozia Vibia Matidia era morta e sul suo testamento pendeva una disputa legale, dato che il suo ingente patrimonio aveva attratto l'attenzione di molte persone. Alcuni dei suoi clientes erano riusciti a farsi includere nel suo testamento attraverso vari codicilli. Tuttavia, le sue volontà non potevano essere riconosciute come valide, poiché in contrasto con la lex Falcidia: Matidia aveva infatti assegnato più di tre quarti del suo patrimonio non alla propria familia ma a gente estranea, fra cui un gran numero di suoi clientes. Marco si trovò così in una posizione imbarazzante, dato che Matidia non aveva mai confermato la validità dei documenti, anche se sul letto di morte alcuni dei sedicenti eredi avevano colto l'opportunità per farli convalidare. Frontone esortò Marco a portare avanti le rivendicazioni della famiglia ma quest'ultimo, studiato attentamente il caso, preferì che fosse il fratello a prendere la decisione finale.[146]  Benché a Roma vigessero la tortura e la pena di morte, applicate con facilità soprattutto nei confronti di schiavi e stranieri, la normativa di molti imperatori "illuminati" cercò di ridurre il numero di reati punibili con pene severe, come in passato aveva già fatto Tito. Per Marco anche gli schiavi andavano trattati come persone, seppure subordinate, e non come oggetti,[149] evitando quindi ogni crudeltà e rispettandone la dignità, a differenza dei cristiani che spesso non si pronunciavano a favore della classe servile.[150] Alcuni critici tuttavia temevano che il movimento filosofico-giuridico legato alla politica di affrancamento degli Antonini, se non fosse stato profondamente ancorato al sistema economico romano, basato principalmente sulla schiavitù, avrebbe portato all'abolizione de facto dell'istituto servile entro un secolo, ed avrebbe comportato gravi ripercussioni economiche. Marco mostrò un grande interessamento affinché a ogni schiavo fosse data la possibilità di riguadagnare la propria libertà, qualora il padrone avesse espresso la propria disponibilità a restituirgliela. Si racconta, infatti, che in una causa di manomissione, portata alla sua attenzione dall'amico Aufidio Vittorino, e citata in seguito dai giuristi come un precedente decisivo, egli favorì uno schiavo. Coerente con lo stoicismo, filosofia contraria alla schiavitù, emanò numerose norme favorevoli alla classe servile, estendendo le leggi già promulgate dai suoi predecessori, a partire da Traiano, e ribadendo per esempio il concetto di diritto di asilo per gli schiavi fuggitivi (che potevano essere puniti e uccisi in ogni modo dal padrone) garantendo loro l'immunità finché si trovassero presso qualsiasi tempio o qualsiasi statua dell'imperatore.[152]  Politica estera Guerra partica (161/2-166) Magnifying glass icon mgx2.svgCampagne partiche di Lucio Vero. Sul letto di morte, Antonino Pio aveva espresso la sua collera nei confronti di alcuni re clienti, che il Birley interpreta fossero quelli posti lungo i confini orientali.[153] Il cambio al vertice dell'Impero romano sembra infatti abbia incoraggiato Vologese IV di Partia ad aggredire, nella seconda metà del 161, il Regno d'Armenia, alleato dell'Impero romano, nominando un re fantoccio a lui gradito, Pacoro III, un arsacide come lui. L'Impero dei Parti, sconfitto e parzialmente sottomesso da Traiano quasi cinquant'anni prima (114-116), era così tornato a rinnovare i suoi attacchi alle province orientali romane dagli antichi territori dell'Impero persiano.[154][156]  Il governatore della Cappadocia, Marco Sedazio Severiano, convinto che avrebbe potuto sconfiggere i Parti facilmente,[157] condusse una delle sue legioni in Armenia, ma a Elegia fu sconfitto e preferì suicidarsi, mentre l'intera legione veniva completamente distrutta.[154][158]  E mentre tutto ciò accadeva in Oriente, nuove minacce si profilavano lungo le frontiere settentrionali della Britannia e del limes germanico-retico, dove i Catti dei monti Taunus erano penetrati negli Agri Decumates.[154] Sembra che Marco non fosse pronto ad affrontare simili problematiche poiché, come ricorda il suo biografo, non aveva potuto maturare un'adeguata esperienza militare, avendo trascorso l'intero periodo del regno di Antonino Pio in Italia e non nelle province, al contrario dei suoi predecessori, come Traiano o Adriano.[122]   Scena di guerra tra Romani e Parti, sul Monumento dei Parti a Efeso, celebrativo delle vittorie di Lucio Vero e Marco Aurelio contro Vologese IV. Poco dopo giunse la notizia che anche l'esercito del governatore provinciale della Siria era stato sconfitto dai Parti e che si stava ritirando disordinatamente. Era quindi necessario intervenire con grande rapidità, anche nella scelta dei migliori ufficiali da inviare lungo quel settore dell'Impero così strategicamente importante. Marco pose a capo della spedizione (expeditio parthica) il fratello Lucio perché, come suggerisce Cassio Dione, era robusto e più giovane del fratello Marco, più adatto all'attività militare.[159] Il Birley suggerisce che Marco volesse spingere Lucio ad abbandonare la vita dissoluta che conduceva e a capire i suoi doveri. In ogni caso, il Senato diede il suo assenso, e nell'estate del 162 Lucio partì, lasciando Marco Aurelio a Roma, perché la città ha chiesto la presenza di un imperatore. Era però necessario affiancare a Lucio un adeguato staff militare (comitatus), ampio e ricco di esperienza, e che comprendesse anche uno dei due prefetti del pretorio: il prescelto fu Tito Furio Vittorino.[161]  I rinforzi vennero inviati da numerose province imperiali fino alla frontiera partica.[162] Frattanto Marco si ritirò per quattro giorni a Alsium, una nota località turistica sulle coste dell'Etruria, ma le numerose preoccupazioni gli impedirono di rilassarsi. Egli scrisse allora all'amico Frontone, dicendogli che avrebbe evitato di descrivergli nei particolari quello che stava facendo a Alsium, perché sapeva che sarebbe stato rimproverato. Frontone rispose ironicamente e lo incoraggiò a riposare, prendendo esempio dai suoi predecessori: Antonino era stato un appassionato di palaestra, di pesca e di teatro, Marco trascorreva invece gran parte delle sue notti insonni a risolvere questioni giudiziarie. Dai loro scambi epistolari sappiamo che Marco non riuscì a mettere in pratica i consigli di Frontone poiché ho doveri che incombono su di me che difficilmente possono essere delegati e rimandati, adducendo la sua devozione al dovere. Conclude informandosi della salute dell'amico e salutandolo addio mio ottimo maestro, uomo dal cuore buono.[163]  Frontone rispose qualche tempo dopo, inviando all'amico una selezione di letture e, per rimediare al suo disagio per lo svolgimento della guerra contro i Parti, una lunga e meditata lettera, piena di riferimenti storici, indicata, nelle edizioni moderne sulle opere di Frontone, De bello Parthico (Sulla guerra partica). Frontone scrive che, anche se in passato Roma aveva subito pesanti sconfitte, alla fine i Romani avevano sempre prevalso sui loro nemici: Sempre e ovunque [Marte] ha cambiato le nostre difficoltà in successi e i nostri terrori in trionfi.[164]   Il teatro delle campagne militari orientali di Lucio Vero Intanto Lucio, partito dall'Italia e giunto dopo un lungo viaggio in Siria, fece di Antiochia il suo "quartier generale", trascorrendo gli inverni a Laodicea e le estati a Daphne.[165]  Durante la guerra, nel periodo autunnale/invernale del 163 o del 164, Lucio andò a Efeso per sposarsi con Lucilla, secondo quanto stabilito da Marco, nonostante circolassero voci sulle sue amanti, in particolare su una certa Panthea, donna di umili origini. Lucilla aveva circa quindici anni e venne accompagnata dalla madre Faustina, insieme a uno zio di Lucio, Marco Vettuleno Civica Barbaro, nominato per l'occasione comes Augusti. Marco che avrebbe voluto accompagnare la figlia fino a Smirne, in realtà non andò oltre Brindisi. Una volta tornato a Roma, inviò istruzioni specifiche ai governatori provinciali affinché non preparassero alcun ricevimento ufficiale.[166][167]  La capitale armena Artaxata, venne presa nel 163 e alla fine di quello stesso anno Lucio assunse il titolo di Armeniacus, pur non avendo mai partecipato direttamente alle operazioni militari, mentre Marco si rifiutò di accettare l'appellativo fino all'anno successivo. Al contrario, quando Lucio venne acclamato imperator, anche Marco accettò la sua seconda salutatio imperatoria.[168][169]  Nel 164 le armate romane si attestarono stabilmente in Armenia e l'ex console di origine emesana, Gaio Giulio Soemo, venne incoronato re tributario d'Armenia,[170] con l'assenso di Marco. Vide le armate romane entrare vittoriose in Mesopotamia, dove posero sul trono il re vassallo Manno. Avidio Cassio raggiunse le metropoli gemelle della Mesopotamia: Seleucia, sulla riva destra del Tigri, e Ctesifonte su quella sinistra. Entrambe le città vennero occupate e date alle fiamme.[173] Cassio, nonostante la penuria di rifornimenti e i primi effetti della peste contratta a Seleucia, riuscì a riportare indietro e in buon ordine la sua armata vittoriosa. Lucio venne così acclamato Parthicus Maximus, mentre insieme a Marco venne salutato nuovamente imperator, ottenendo la sua seconda acclamazione imperiale.[173] Nel 166 ancora Avidio Cassio invase il paese dei Medi, al di là del Tigri, permettendo a Lucio di fregiarsi del titolo vittorioso di Medicus, mentre Marco otteneva la IV salutatio imperatoria e il titolo di Parthicus Maximus.[174][175]  I Parti si ritirarono nei loro territori, a oriente della Mesopotamia. Marco sapeva di dover ascrivere il maggior merito della vittoria finale allo staff militare del fratello Lucio. Tra i comandanti romani si distinse Gaio Avidio Cassio, legatus legionis della III Gallica, una delle legioni siriane. Al ritorno dalla campagna, a Lucio venne tributato un trionfo (12 ottobre del 166). La parata risultò insolita perché comprendeva i due imperatori, i loro figli e le figlie nubili, come una grande festa di famiglia. Nell'occasione Marco elevò i due figli, Commodo di cinque anni e Marco Annio Vero di tre al rango di Cesare (il gemello di Commodo, Fulvio Antonino, era morto l'anno precedente).[176]  Scambi commerciali con l'Oriente Magnifying glass icon mgx2.svgRelazioni diplomatiche sino-romane. Proprio durante la guerra partica Marco potrebbe aver favorito l'apertura di nuove vie commerciali con l'Estremo Oriente. Si ricorda, infatti, negli annali del "Celeste impero", un'ambasceria inviata presso l'Imperatore cinese della dinastia Han, Huandi (nel 166), nella quale i Cinesi chiamarono l'imperatore romano col nome di Ngan-touen o Antoun. Ciò sembra confermare che tale ambasceria (forse composta da soli mercanti), sia giunta in Estremo Oriente proprio durante il regno di Marco Aurelio o del suo predecessore, Antonino Pio, in quanto Antoun equivarrebbe in lingua cinese al nome latino della famiglia imperiale degli "Anto[u]n-ini". Statua di Marco Aurelio in uniforme militare (Museo del Louvre, Parigi).  Marcomanni e Sarmati nel 178 Il figlio adottivo di Frontone, Gaio Aufidio Vittorino, venne inviato, dal 162 al 166, a governare la provincia della Germania superiore, ove si trasferì con l'intera famiglia (a parte un figlio che rimase a Roma con i nonni). La situazione lungo la frontiera settentrionale si presentava estremamente difficile. Una postazione lungo gli Agri Decumati era stata distrutta e sembra che molte delle popolazioni dell'Europa centrale e settentrionale fossero in fermento. Regnava, inoltre, molta corruzione tra gli ufficiali romani: Vittorino fu costretto, infatti, a chiedere le dimissioni di un legatus legionis che aveva preso tangenti[27][178][179] e numerosi governatori esperti vennero sostituiti da amici e parenti della famiglia imperiale. Le tribù germaniche e altri popoli nomadi avevano iniziato le prime incursioni lungo i confini settentrionali romani, in particolare in Gallia e sul Danubio. Questo nuovo slancio verso occidente era causato dalle pressioni che subivano a loro volta dalle tribù germaniche più orientali e settentrionali. Una prima invasione di Catti nella Germania superiore era stata respinta nel 162.[179] Molto più pericolosa fu l'invasione del 166, quando i Marcomanni della Boemia, clienti dell'impero romano dal 19 (ma ribelli sotto Domiziano, che vi scatenò contro un'offensiva), attraversarono il Danubio, insieme a Longobardi e altre tribù germaniche. Contemporaneamente, i Sarmati Iazigi attaccarono i territori compresi tra il Danubio e il fiume Tibisco. Secondo la Historia Augusta, conclusa la guerra partica, scoppiava così quella contro i Marcomanni, una coalizione di natura militare, composta da una decina di popolazioni germaniche e sarmatiche (dai Marcomanni propriamente detti della Moravia, ai Quadi della Slovacchia, dalle popolazioni vandaliche dell'area carpatica, agli Iazigi della piana del Tibisco, fino ai Buri di stirpe suebica del Banato). Era la naturale conseguenza di una serie di forti agitazioni interne e dei continui flussi migratori che avevano ormai modificato gli equilibri con il vicino Impero romano. Questi popoli erano alla ricerca di nuovi territori dove insediarsi, sia in conseguenza della forte spinta che subivano da altre popolazioni, sia per il continuo aumento demografico della Germania Magna. Erano, inoltre, attratti dalle ricchezze e dalla vita agiata del mondo romano.[182]  In quel periodo la frontiera danubiana non poteva contare su buona parte dei suoi effettivi, sia perché molte legioni avevano dovuto destinare consistenti distaccamenti alla guerra partica, sia perché la grave epidemia di peste aveva falcidiato numerosi reparti. Tale epidemia avrebbe causato una catastrofe demografica prolungatasi per oltre un ventennio e paragonabile a quella causata dalla peste nera. Nel 166/167 avvenne il primo scontro lungo il limes pannonicus ad opera di poche bande di predoni longobardi e osii che, grazie al sollecito intervento delle truppe di confine, furono prontamente respinte. La pace stipulata con le limitrofe popolazioni germaniche a nord del Danubio fu gestita direttamente dagli stessi imperatori, Marco e Lucio, ormai diffidenti nei confronti dei barbari aggressori, recatisi pertanto fino alla lontana fortezza legionaria di Carnunto (nel 168).[184]  Al ritorno dalla campagna partica l'esercito portò con sé una terribile pestilenza, in seguito conosciuta come la "peste antonina" o "peste di Galeno", che si diffuse a partire dalle fine del 165 per quasi un ventennio, mietendo milioni di vittime e riducendo drasticamente la popolazione dell'Impero romano. Qualche anno dopo la malattia, una pandemia che oggi si ritiene potesse invece essere vaiolo o morbillo,[185] avrebbe finito per reclamare la vita dei due imperatori stessi. La malattia scoppiò di nuovo, nove anni più tardi, secondo Dione, e causò fino a 2.000 morti al giorno a Roma, infettando fino a un quarto dell'intera popolazione. I decessi totali sono stati stimati in cinque milioni. La colonna di Marco Aurelio o colonna antonina, fatta costruire dal figlio Commodo Dopo che la morte colse Lucio agli inizi del 169 (secondo la Historia Augusta in seguito ad un attacco apoplettico che lo colpì non molto distante da Aquileia,[187] mentre autori moderni sostengono che il decesso, forse causato dalla stessa peste, sopraggiunse mentre era impegnato in nuove manovre militari lungo il limes danubiano),[184] Marco Aurelio si trovò ad affrontare da solo i barbari ribelli e con decisione, piuttosto che imporre nuove tasse ai provinciali, organizzò una vendita all'asta nel Foro di Traiano degli oggetti preziosi appartenenti al patrimonio imperiale, tra cui coppe d'oro e di cristallo, vasellame regale, vesti di seta, trapunte d'oro appartenuti anche all'augusta moglie, oltre a una raccolta di gemme trovata in un forziere di Adriano. In quell'anno Marco diede alla figlia Lucilla, rimasta vedova di Vero, un nuovo marito, il fedele Claudio Pompeiano, un militare esperto e affidabile, premiato in seguito con il consolato, nel 173. Marco avrebbe voluto associarlo al trono, al posto dello scomparso Lucio Vero, conferendogli perlomeno il titolo di Cesare, ma egli rifiutò sempre la porpora imperiale.[189]  Frattanto lungo il fronte settentrionale, i Romani subirono un paio di pesanti sconfitte contro le popolazioni di Quadi e Marcomanni le quali, una volta penetrate lungo la via dell'ambra e attraversate le Alpi, devastarono Opitergium (Oderzo) e assediarono Aquileia, il cuore della Venetia, la principale città romana del nord-est dell'Italia.[27][190] Questo evento provocò un'enorme impressione: era dai tempi di Mario che una popolazione barbara non assediava dei centri del nord Italia.[192]  Contemporaneamente la popolazione dei Costoboci, proveniente dalla zona dei Carpazi orientali, aveva invaso la Mesia e la Macedonia, spingendosi fino in Grecia, dove riuscì a saccheggiare il santuario di Eleusi. Dopo una lunga lotta, Marco riuscì a respingere gli invasori. Numerosi barbari germanici vennero allora stabiliti nelle regioni di frontiera come la Dacia, le due Pannonie, le due Germanie e la stessa Italia. E sebbene ciò non costituisse una novità, Marco si adoperò per creare sulla riva sinistra del Danubio, tra l'odierna Repubblica Ceca e l'Ungheria, due nuove province di frontiera chiamate Sarmazia e Marcomannia. Quelli che erano stati insediati a Ravenna si ribellarono e riuscirono a impadronirsi della città. Per questo motivo, Marco non portò mai più nessun altro barbaro in Italia, e mise al bando quelli che qui si erano stabili ti in precedenza.[193]   Il miracolo della pioggia. Marco fu così costretto a combattere una lunga ed estenuante guerra contro le popolazioni barbariche del Nord, prima respingendole e "ripulendo" i territori della Gallia Cisalpina, del Norico e della Rezia (170-171), poi contrattaccando con una massiccia offensiva in territorio germanico (172-173) e sarmatico (174-175), in scontri prolungatisi per diversi anni.[194] L'imperatore, in seguito a questi conflitti, poté fregiarsi dei cognomina Germanicus (172) e Sarmaticus (175), ma contestualmente abbandonò ufficialmente i titoli Armeniaco, Medico e Partico, che non volle più tenere dopo la morte di Lucio Vero, giacché andava a quest'ultimo il merito del loro conseguimento;[195] tuttavia egli, per via dell'impegno profuso lungo il fronte pannonico, non riuscirà più a far ritorno a Roma.  Dione e gli altri biografi raccontano anche alcuni episodi particolari della guerra, come il cosiddetto miracolo della pioggia, rappresentato anche nella scena XVI sulla colonna di Marco Aurelio.[196] I Romani, circondati dai Quadi in territorio nemico, si salvarono a stento da un possibile nuovo disastro. L'evento fu utilizzato dagli apologeti cristiani per sostenere che non sarebbero state le preghiere dell'imperatore a ottenere la pioggia in favore dei soldati romani assetati, ma quelle di alcuni legionari di fede cristiana.[197]  Sempre nel 172-173 scoppiò una violenta rivolta in Egitto, guidata dal sacerdote Isidoro, che arrivò a minacciare la stessa città di Alessandria. L'intervento di Gaio Avidio Cassio e le discordie interne ai rivoltosi portarono alla fine del conflitto entro breve tempo[198].  Rivolta di Cassio (175) Magnifying glass icon mgx2.svgAvidio Cassio § La ribellione. Nel 175, mentre preparava una nuova campagna contro le popolazioni della piana del Tibisco, l'imperatore fu raggiunto dalla notizia che il governatore della Siria, Avidio Cassio, uno dei migliori comandanti militari romani, alla falsa notizia della sua morte, si era autoproclamato imperatore. Secondo quanto ci tramandano sia Cassio Dione che la Historia Augusta, Avidio Cassio accettò la porpora imperiale per volere di Faustina, poiché la stessa credeva che Marco stesse per morire e temeva che l'impero potesse cadere nelle mani di qualcun altro, visto che Commodo era ancora troppo giovane. Cassio venne acclamato imperator dalla Legio III Gallica mentre la gran parte delle province orientali, escluse Cappadocia e Bitinia, si schieravano a fianco dei ribelli.  All'inizio Marco cercò di tenere segreta la notizia dell'usurpazione, ma quando fu costretto a renderla pubblica, di fronte all'agitazione dei soldati si rivolse loro con un discorso (adlocutio) rivelando di voler evitare inutili spargimenti di sangue tra Romani. Ma dopo soli tre mesi, quando la notizia della morte di Marco si rivelò ufficialmente falsa, il Senato romano proclamò Cassio hostis publicus, nemico dello stato e del popolo romano e Avidio fu ucciso dai suoi stessi soldati. La testa dell'usurpatore fu portata a Marco, come testimonianza dell'uccisione, ma l'imperatore, che avrebbe voluto dimostrargli il suo perdono e salvarlo, non esultò, al contrario esclamò: Mi è stata tolta un'occasione di clemenza: la clemenza, infatti, dà soprattutto prestigio all'imperatore romano agli occhi dei popoli. Io però risparmierò i suoi figli, il genero e la moglie, lasciando metà del patrimonio paterno ai figli di Avidio Cassio, e donando una grande quantità di oro, di argento e di gemme alla figlia.[200]  Viaggio in Oriente (175-176) Marco Aurelio: aureo[201] MARCUS AURELIUS RIC III 357-159422M ANTONINVS AVG GERM SARM, testa laureata con corazza e paludamentumTR P XXX IMP VIII COS III, la Felicitas con caduceo e scettro AV (7,33 g); coniato nel 176 Nell'ultimo decennio di regno, mentre si trovava lungo i confini settentrionali imperiali, Marco scrisse i Colloqui con sé stesso, tornando di rado a Roma. Insieme alla moglie Faustina, al figlio Commodo, al seguito composto dai comites del consilium principis e a un ingente esercito, Marco visitò le province orientali nel 175-176.[202] Partito da Sirmio nel luglio del 175, dopo essere passato per Bisanzio, Nicomedia, Prusias ad Hypium e per Ancyra, giunse a Tarso, sostando in Cilicia dove, secondo Dione, molti si erano schierati dalla parte di Avidio. Poco dopo aver passato la località di Tanya, Faustina morì in circostanze poco chiare in un villaggio di nome Halala, sito in Cappadocia ai piedi dei Monti Tauri. Cassio Dione riporta alcune versioni sulla morte dell'Augusta: una prima ipotizza il suicidio, motivato dall'aver stretto accordi per la successione con Avidio Cassio; una seconda chiama in causa la gotta; una terza vedrebbe Faustina morire di parto dopo un'ennesima gravidanza all'età di quarantacinque anni. Dopo la morte venne divinizzata ufficialmente con degne cerimonie a Roma, per volere del Senato. L'Augusta, che aveva spesso accompagnato il marito in guerra, era stata la prima delle imperatrici romane a essere insignita del titolo di mater castrorum.[204] Halala, il villaggio dove era morta, venne rinominato "Faustinopolis". In suo onore furono istituiti collegi di sacerdotesse e create le puellae Faustinianae, in ricordo dell'istituzione benefica sorta in memoria della madre, la moglie di Antonino Pio, istituzione che si occupava di fanciulle orfane della penisola italica.[204] Le fonti antiche, in contrasto coi Ricordi di Marco Aurelio, spesso accusarono Faustina di dissolutezza e di aver ripetutamente tradito il marito, con marinai e gladiatori, tanto che da una di queste relazioni sarebbe nato Commodo, secondo una diceria riportata dal biografo della Historia Augusta.[205]  Dopo questa ennesima disgrazia famigliare, il princeps ripartì per la Siria, forse fermandosi a visitare la città di Antiochia (che si era schierata con Cassio), perdonandone i suoi abitanti, e qui potrebbe avervi svernato, incontrando alcuni personaggi locali come il patriarca Giuda I. Riprese, quindi, il suo viaggio per giungere nell'estate nel 176 in Egitto, dove ricevette una delegazione dei Parti. Nel viaggio di ritorno dall'Oriente, dopo essersi imbarcato per l'Asia Minore, passò per Efeso, poi Smirne (dove incontrò Elio Aristide) e, da ultimo, Atene, dove il filosofo cinico Zenone aveva fondato la scuola stoica, sotto il famoso portico dipinto, dichiarandosi "protettore della filosofia".[207][208] Istituì quattro cattedre permanenti di studio, finanziandole, una per ogni principale scuola filosofica: platonici, aristotelici, epicurei e stoici.[209] In Grecia prese parte anche ai riti dei misteri eleusini.[210][211] Durante il tragitto lungo l'Asia Minore e la tappa a Atene si rivolsero a Marco Aurelio e a Commodo anche alcuni padri apologisti cristiani.[202]  Decise di associare al trono imperiale il figlio Commodo,[212] l'unico maschio superstite tra i suoi figli (dopo la morte del giovane Marco Vero Cesare e quella di alcuni nipoti), nominandolo Augusto e concedendogli la tribunicia potestas e l'imperium,[213] benché avesse nei confronti del figlio alcune perplessità.[214] Marco celebrò, quindi, il matrimonio di Commodo con Bruzia Crispina.[215]  A Roma, si dedicò ad amministrare la giustizia, cercando di riparare a torti e abusi del passato; dispose la celebrazione di giochi circensi, mettendo però un limite di spesa a quelli gladiatorii.[216] Il 23 dicembre del 176, Marco, che aveva battuto le popolazioni germaniche e sarmatiche a nord del medio corso del Danubio, ottenne per decreto del Senato romano il trionfo insieme al figlio Commodo, da poco nominato Augusto. In suo onore venne eretta una statua equestre, tuttora custodita nel Palazzo dei Conservatori.[217]  Offensiva finale in Marcomannia e Sarmatia (177-180)  L'impero romano alla fine del regno di Marco Aurelio, nel 180 L'apparente tregua sottoscritta con le popolazioni germaniche, in particolare Marcomanni, Quadi e Iazigi, durò però solo un paio d'anni, fino al 177. Il 3 agosto del 178 Marco fu infatti costretto a marciare ancora una volta verso la frontiera danubiana, a seguito di una nuova sollevazione dei Marcomanni. Non sarebbe mai più tornato a Roma. Egli fece della fortezza legionaria di Brigetio il suo nuovo quartier generale e da qui condusse l'ultima campagna nella primavera successiva del 179, che aveva come obiettivo quello di occupare stabilmente parte della Germania Magna (Marcomannia) e della Sarmatia.[219] Si racconta infatti che:  «I Quadi essendo poco disposti a sopportare la presenza di forti romani costruiti nel loro territorio tentarono di migrare tutti insieme verso le terre dei Semnoni. Ma Marco Aurelio Antonino che ebbe queste informazioni in anticipo della loro intenzione di partire per altri territori, decise di chiudere loro tutte le vie di fuga, impedendo la loro partenza.»  (Cassio Dione, 72, 20.2.) Dopo una vittoria decisiva nel 178, il piano per annettere la Moravia e la Slovacchia occidentale (Marcomannia), per porre fine una volta per tutte alle incursioni germaniche, sembrava avviato al successo, ma venne abbandonato dopo che Marco Aurelio si ammalò gravemente nel 180, forse anch'egli colpito dalla peste che affliggeva l'impero da anni.[220] La sua salute, da sempre fragile e in costante declino, sembra lo costringesse a fare uso anche di oppio per alleviare il dolore persistente che lo affliggeva da anni allo stomaco, rimedio prescritto dallo stesso Galeno.[221]  Morte (180)  Eugène Delacroix, Ultime parole dell'imperatore Marco Aurelio, una rappresentazione moderna della morte di Marco: l'imperatore, al centro, siede a letto, circondato da amici e dignitari, e stringe il braccio di Commodo (a destra), vestito di rosso, sbarbato e abbigliato in maniera orientaleggiante, con orecchini e una corona, e che appare distante e poco interessato. «Uomo, sei stato cittadino in questa grande città: che ti importa se per cinque anni o per cento? Quel che è secondo le leggi ha per ognuno pari valore. Che c'è di grave allora se dalla città ti espelle non un tiranno o un giudice ingiusto, ma la natura che ti ci aveva introdotto? (...) A stabilire che il dramma è completo infatti è chi allora fu responsabile della composizione, ora del dissolvimento; tu invece non sei responsabile né dell'una né dell'altro. Quindi parti sereno: chi ti congeda è sereno.»  (Marco Aurelio, 12.36.) Marco Aurelio morì il 17 marzo 180, a circa cinquantanove anni, secondo Aurelio Vittore nella città-accampamento di Vindobona (Vienna).[19] Secondo invece quanto riferisce Tertulliano, uno storico e apologeta cristiano suo contemporaneo, sarebbe invece deceduto sul fronte sarmatico, non molto distante da Sirmio (odierna Sremska Mitrovica, nell'attuale Serbia),[20] che fungeva da quartier generale invernale delle sue truppe, in vista dell'ultimo assalto. Il Birley ritiene infatti che Marco potrebbe essere morto a Bononia sul Danubio (che per assonanza ricorda la località di Vindobona), venti miglia a nord di Sirmio. Iniziando a stare male, chiamò Commodo al capezzale e gli chiese per prima cosa di concludere onorevolmente la guerra, affinché non sembrasse che lui avesse "tradito" la Res publica. Il figlio promise che se ne sarebbe fatto carico, ma che gli interessava prima di tutto la salute del padre. Chiese pertanto di poter aspettare pochi giorni prima di partire. Marco, sentendo che i suoi giorni erano alla fine e il dovere compiuto, accettò da stoico una morte onorevole, astenendosi dal mangiare e bere, e aggravando così la malattia per permettergli di morire il più rapidamente possibile. Il sesto giorno, chiamati gli amici e deridendo le cose umane disse loro: perché piangete per me e non pensate piuttosto alla pestilenza e alla morte comune?[223] Se vi allontanerete da me, vi dico, precedendovi, statemi bene. Mentre anche i soldati si disperavano per lui, alla domanda su a chi affidasse il figlio, rispose ai subordinati: a voi, se ne sarà degno, e agli dèi immortali. Nel settimo giorno si aggravò e ammise brevemente solo il figlio alla sua presenza, ma quasi subito lo mandò via, per non contagiarlo. Uscito Commodo, coprì il capo come se volesse dormire, come il padre Antonino Pio, e quella notte morì.[224] Cassio Dione aggiunge che la morte avvenne "non a causa della malattia per cui stava ancora soffrendo, ma a causa dei medici che, come ho chiaramente sentito, volevano favorire l'ascesa di Commodo", anche se secondo il Birley, "è inutile avanzare ipotesi".[225]  Successione  Commodo, figlio e successore di Marco Aurelio, raffigurato come Ercole Officiato il funerale, venne cremato, e fu immediatamente divinizzato, mentre le sue ceneri furono portate a Roma e deposte nel mausoleo di Adriano, che divenne così il sepolcro di famiglia da Adriano a Commodo e, forse, anche per alcuni imperatori successivi, finché, nel 410, il sacco visigoto della città lo danneggiò gravemente. Le sue campagne vittoriose contro Germani e Sarmati furono commemorate con la costruzione della Colonna Aureliana e di un tempio.[226]  Marco Aurelio aveva stabilito che a succedergli fosse il figlio Commodo, che già aveva nominato Cesare nel 166 e poi Augusto (co-imperatore) nel 177. Questa decisione, che mise di fatto fine alla serie dei cosiddetti "imperatori adottivi", venne fortemente criticata dagli storici successivi, poiché Commodo non solo era estraneo alla politica e all'ambiente militare, ma fu inoltre descritto, già in giovane età, come estremamente egoista e con gravi problemi psichici, appassionato in maniera eccessiva di giochi gladiatorii (a cui lui stesso prendeva parte), passione ereditata dalla madre.  Marco Aurelio riteneva, a torto, che il figlio avrebbe abbandonato quel genere di vita così poco adatto a un princeps, assumendosi le necessarie responsabilità nel governare un Impero come quello romano, ma così non fu. A conclusione del principato di Marco Aurelio, Cassio Dione scrisse un elogio all'imperatore, pur descrivendo il passaggio a Commodo con dolore e rammarico:  «[Marco] non ebbe la fortuna che meritava, perché non era fisicamente forte e poiché dovette affrontare, per la durata del suo regno, numerose difficoltà. Proprio per questo motivo lo ammiro maggiormente, in quanto egli, in mezzo a difficoltà insolite e straordinarie, non solo sopravvisse ma salvò l'impero. Solo una cosa lo rese infelice, il fatto che, dopo aver dato l'educazione migliore possibile al figlio, questi deluse le sue aspettative. Questa materia deve essere il nostro prossimo argomento, dato che da quel periodo dei Romani deriva oggi la nostra storia, decaduta da un regno d'oro a uno di ferro e ruggine.»  (Cassio Dione, 72, 36.3-4.) Carattere e pensiero filosofico Magnifying glass icon mgx2.svgColloqui con sé stesso, Pensiero di Marco Aurelio e Letteratura greca alto imperiale.  Statua equestre di Marco Aurelio (Roma, Musei capitolini) Marco Aurelio fu l'ultimo grande esponente dello Stoicismo.[228] Tra il 170 e il 180, Marco scrisse i Colloqui con sé stesso, come esercizio per il proprio orientamento e auto-miglioramento.[228] Il titolo è stata un'aggiunta postuma, originariamente Marco intitolò l'opera A se stesso, ma non si sa se avesse intenzione di renderla pubblica. Il libro è considerato uno dei capolavori letterari e filosofici di tutti i tempi.[228]  «Sii come il promontorio contro cui si infrangono incessantemente i flutti: resta immobile e intorno ad esso si placa il ribollire delle acque. «Me sventurato, mi è capitato questo». Niente affatto! Semmai: «Me fortunato, perché anche se mi è capitato questo resisto senza provar dolore, senza farmi spezzare dal presente e senza temere il futuro». Infatti una cosa simile sarebbe potuta accadere a tutti, ma non tutti avrebbero saputo resistere senza cedere al dolore. Allora perché vedere in quello una sfortuna anziché in questo una fortuna?»  (Marco Aurelio, 4.49.) Politica religiosa e atteggiamento nei confronti dei cristiani Magnifying glass icon mgx2.svgPersecuzione dei cristiani sotto Marco Aurelio. Sebbene Marco abbia da sempre seguito la linea indulgente degli imperatori Adriano e Antonino Pio, che continuò nei confronti dei culti ammessi, è elencato tra gli imperatori persecutori dei cristiani. Molti disordini si verificarono sotto il regno di Marco Aurelio, segnato da epidemie, carestie e invasioni e più volte le folle diedero la caccia ai cristiani, ritenuti responsabili di tutto (per aver causato la collera degli dèi, avendoli negati), e i martiri furono numerosi. Marco Aurelio, personalmente, non mostrò esplicito disprezzo per i cristiani, né li considerò un vero pericolo, ma piuttosto dei fanatici.[229][230]  Monetazione imperiale del periodo Magnifying glass icon mgx2.svgMonetazione degli Antonini. Marco Aurelio nella cultura Magnifying glass icon mgx2.svgMarco Aurelio nell'eredità storica culturale. Il prototipo di statua equestre è senza alcun dubbio la statua equestre di Marco Aurelio. In precedenza l’opera bronzea si trovava nella piazza del Campidoglio a Roma, prima di essere sostituita da una copia e trasferita nell’adiacente Palazzo dei Conservatori.Note  Scarre 1995,113.  AE 1998, 1622; AE 1998, 1625, AE 1998, 1626; AE 1966, 517.  AE 1897, 124.  RIC, Marcus Aurelius, III, 92, 142 e 198; AMN-43/44-203; AE 1999, 1103; MIR, 18, 88-4/30; RSC 469.  AE 1975, 785; AE 2001, 2154; AE 1998, 1626; AE 1997, 1332.  Historia Augusta, Marcus Aurelius, 12.9.  Cassio Dione, 71, 3.5.  AE 1961, 318; AE 2006, 1837.  RIC, Marcus Aurelius, III, 357, 1054 e 1184; MIR, 18, 370-6/37; Banti, 64.  RIC, Marcus Aurelius, III, 1188; MIR, 18, 372a-19/50; Cohen, 170.  AE 2000, 1537, AE 1986, 528.  CIL VIII, 14435, AE 1992, 1184.  CIL VIII, 24103, CIL VIII, 26248, AE 1912, 47, AE 2004, 1695.  CIL VIII, 26249, CIL VIII, 17972, CIL VIII, 4209.  CIL VIII, 17869.  CIL III, 6578.  CIL VIII, 26250.  Birley 1990,60.  Aurelio Vittore, De Caesaribus, 16.  Tertulliano, 25.  Grant 1996,27.  Testo per esteso dell'epigrafe: Imperator Caesar Marcus Aurelius Antoninus Augustus.  Il luogo della morte è incerto tra Sirmio o Vindobona: Tertulliano, 25: (LA) «[...] cum M. Aurelio apud Sirmium rei publicae exempto die sexto decimo Kalendarum Aprilium [...]» «essendo stato Marco Aurelio strappato allo Stato a Sirmio il 17 marzo.»  Aurelio Vittore, De Caesaribus, 16.14: (LA) «Ita anno imperii octavo decimoque aevi validior Vendobonae interiit, maximo gemitu mortalium omnium» «Il diciottesimo anno del suo governo, tra grandi lamenti, il più forte e più grande di tutti gli uomini morì a Vindobona»  Riportato invece così in Aurelio Vittore, Epitome de Caesaribus, 16.12 (compendio, più tardo, della stessa opera di Vittore, attribuita a lui stesso, ma con molta incertezza): (LA) «Ipse vitae anno quinquagesimo nono apud Bendobonam morbo consumptus est» «Egli stesso, nel cinquantanovesimo anno della sua vita, venne consumato da una malattia a Vindobona.»   Historia Augusta, Marcus Aurelius, 1.9; McLynn 2009,24.  Cassio Dione, 69, 21.1.  Asse della zecca di Roma antica (del 151-152), RIC, III, 1308a (Antoninus Pius); BMCRE,1917; Cohen, Cassio Dione, 72, 11.3-5.  Machiavelli 1531, I.10.  Gibbon 1776-1789, capitolo I: Estensione e forza militare dell'Impero nel secolo degli Antonini; in particolare I.78, in cui l'autore descrive il buon governo degli imperatori adottivi; inoltre,273 nota 4 del testo disponibile su Google libri, in cui usa l'espressione "good emperors".  Cassio Dione, 72, 14.3-4. Il libro completo, che parla dell'epidemia avvenuta sotto Marco Aurelio, è andato perduto; questa nuova epidemia fu la più grave che lo storico avesse mai visto, a quanto narra nella "vita di Marco Aurelio".  Historia Augusta, Marcus Aurelius, 12.13, 17.1-2 e 22.1-8.  Renan 1937.  Tra questi vi furono: Marco Aurelio Probo (CIL XI, 1178), Marco Aurelio Mario (imperatore nelle Gallie), Marco Aurelio Caro e Marco Aurelio Carino (CIL VIII, 10956), oltre a due imperatori suoi omonimi, Caracalla (AE 1911, 56) ed Eliogabalo (il cui nome imperiale ufficiale era "Marco Aurelio Antonino"; CIL VI, 40677 e AE 1990, 469) e che furono i primi, pur non appartenendo alla dinastia antonina, ad usare il suo nome. Questi ultimi due, in particolare, come già il padre di Caracalla, Settimio Severo, che aveva riabilitato la memoria di Commodo, divinizzandolo e rimuovendo la damnatio memoriae imposta dal Senato, e dato al figlio il nome di Marco Aurelio, cercavano un collegamento diretto con gli Antonini al fine di nobilitare le loro origini africane e asiatiche, quindi provinciali. Inoltre, una delle mogli di Eliogabalo era una nipote di Marco Aurelio stesso, Annia Faustina. Il nome Marco Aurelio divenne, quindi, un nome di famiglia dei Severi e, come «Cesare», «Augusto» e, più tardi, «Flavio», venne utilizzato come prenome imperiale da molti altri.  Birley 1990,317-318.  Birley 1990,269 ss.  Birley 1990,316.  Birley 1990,313-319.  CIL II, 656 (p 696).  Birley 1990,31.  Historia Augusta, Marcus Aurelius, 1.2-1.4.  Birley 1990,32-34.  McLynn 2009,14.  Birley 1990,34.  Historia Augusta, Marcus Aurelius, 1.5.  Historia Augusta, Marcus Aurelius, 1.  Poiché suo fratello Marco Annio Libone è stato console nel 128 e difficilmente potrebbe essere stato pretore più tardi del 126, Annio Vero deve essere stato a sua volta pretore prima di questa data, verosimilmente, appunto, nel 124.  Birley 1990,34-35; Marco Aurelio, 1.2  Birley 1990,36-37; Tacito, Dialogus de oratoribus, 28-29; Marco Aurelio, 5.4.  Marco Aurelio, 1.3.  Birley 1990,40; Marco Aurelio, 1.17.7.  Birley 1990,35; Historia Augusta, Marcus Aurelius, 2.1; Marco Aurelio, 1.14.  Birley 1990,39; Marco Aurelio, 1.1.  Marco Aurelio, 1.17; Birley 1990,39.  Marco Aurelio, 1.4.  Marco Aurelio, 1.6.  Norelli,75 nota 1.  Marco Aurelio, 1.6; Birley 1990,43.  Marco Aurelio, 1.10 e 1.12; Birley 1990,46.  Birley 1990,51-52.  Guido Clemente 2008,629-630.  Birley 1990,55 ss.  Guido Clemente 2008,630.  Birley 1990,69.  Birley 1987,38-42.  Birley 1990,50-51; Cassio Dione, 69, 22.4; Historia Augusta, Hadrianus, 25.5-6  Cassio Dione, 69, 22.1-4; Historia Augusta, Hadrianus, 24.8-13.  Birley 1990,63-66; Grant 1996,12.  Birley 1990,63.  Mazzarino 1973,328.  Marco Aurelio, 6.30: "Bada di non cesarizzarti, di non impregnarti con la porpora: succede infatti".  Historia Augusta, Marcus Aurelius, 6.5; Birley 1990,67-68.  Marco Aurelio, 1.16.  Marco Aurelio, 5.16.  Birley 1990,68.  Marco Aurelio, 8.9.  Historia Augusta, Marcus Aurelius, 2.4 e 3.6.  Birley 1990,108.  Frontone, Ad Marcum Caesarem 4.8 (trad. da Haines 1.184 ss.).  Cassio Dione, 71, 36.3.  Grant 1996,24.  Birley 1990,110-111.  Marco Aurelio, 1.11.  Historia Augusta, Marcus Aurelius, 2.4; Cameron 1967,347.  Aulo Gellio, 9, 2.1–7 e 19.12; Birley 1990,76-78.  Birley 1990,65-67; molti critici moderni hanno avuto dubbi per l'ammirazione dei contemporanei. Filologi di fama espressero numerose critiche: Barthold Georg Niebuhr, lo descrisse "frivolo", Samuel Adrian Naber lo trovò "disprezzabile" (Champlin 1980, capp. 1-2); altri lo hanno definito "pedante e noioso", scrivendo che le sue lettere non offrono né l'analisi politica di un Cicerone né l'introspezione di un Plinio (Mellor 1982 commentando Champlin 1980); una ricerca prosopografica degli anni '80 ha riabilitato, almeno in parte, la sua reputazione, cfr. ad esempio, sempre Mellor 1982 su Champlin 1980.  Birley 1990,88 ss.  Birley 1990,78.  Birley 1990,113.  Birley 1990,114 ss.  Birley 1990,83 ss.; Marco Aurelio, 1.8.  Marco ricorda Epitteto come una guida spirituale, facendo spesso riferimento alle sue Diatribe e al Manuale come ad esempio in Marco Aurelio, 11.34, dove lo cita e ne commenta alcune massime.  Birley 1990,336-339.  Birley 1990,126 ss.  Champlin 1980,174 n. 12.  Frontone, Ad Marcum Caesarem 4.11 (trad. da Haines 1.202 ss.).  Birley 1990,130-132.  Marco Aurelio, 9.40.  RIC, III 682 (Aurelius); MIR, 18, 13-2a; Calicó, 2055 (moneta illustrata); BMCRE,399 note.  Inscriptiones Graecae ad Res Romanas pertinentes, 4.1399, tradotta da Birley 1990,140.  Birley 1990,205 e 339.  Historia Augusta, Lucius Verus, 2.9-11 e 3.4-7; Birley 1990,132-133.  Forse in omaggio ai filosofi greci o a causa di una cicatrice (cfr. Melani, Fontanella e Cecconi,58).  Bianchi Bandinelli e Torelli 1976, scheda 131 (ritratti di Adriano).  Birley 1990,137-138.  Birley 1990,140.  Cassio Dione, 71, 33.4-5.  Historia Augusta, Antoninus Pius, 12.4-8.  Birley 1990,142; Historia Augusta, Pertinax, 13.1 e 15.8  Birley 1990,142-143.  Historia Augusta, Lucius Verus, 4.2.  Historia Augusta, Marcus Aurelius, 15-16.  Historia Augusta, Lucius Verus, 3.8; Birley 2000,156  Historia Augusta, Marcus Aurelius, 7.9.  Savio 2001,331.  Historia Augusta, Marcus Aurelius, 7.10-11; Historia Augusta, Antoninus Pius, 12.8; Birley 1990,144-145.  Historia Augusta, Marcus Aurelius, 19.1-2; Birley 1990,145.  Historia Augusta, Commodus, 1.2.  Birley 1990,145-147.  Birley 1990,145-146 cita Mattingly 1940, Marcus Aurelius and Lucius Verus, nos. 155 ss.; 949 ss.  Cassio Dione, 71.1, 3; 73.4.4–5.  Historia Augusta, Marcus Aurelius, 8.1.  Birley 1990,150.  Historia Augusta, Marcus Aurelius, 8.8; Birley 1990,151 cita Eck 1995,65 ss.  Vittorino minore fu console assieme al nipote di Marco Aurelio, Tiberio Claudio Severo Proculo nel 200 (AE 1996, 1163 e CIL III, 8237).  Birley  cita Frontone, Ad Verum Imperator 1.3.2 (trad. da Haines 1.298 ss.).  Frontone, Ad Antoninum Imperator 4.2.3 (trad. da Haines 1.302 ss.).  Birley 1990,148 ss.  Historia Augusta, Marcus Aurelius, 8.4-5.  Birley 1987,278.  Birley 1990,158 ss.  Historia Augusta, Marcus Aurelius, 8-10 e 12.  Historia Augusta, Marcus Aurelius, 10.  Pulleyblank 1999.  Historia Augusta, Marcus Aurelius, 9.  Historia Augusta, Marcus Aurelius, 11.  La grandiosa colonna di Marco Aurelio di fronte a Palazzo Chigi (alta 42 m) fu eretta per ricordare proprio le vittorie sul fronte germanico-sarmatico del Danubio. La colonna era sormontata da una statua dell'Imperatore, dove ora è posta quella di san Paolo, così come accadde per la colonna di Traiano, dove venne posizionata una statua di san Pietro in sostituzione di quella dell'Optimus princeps), in Coarelli 2008,42-43.  Historia Augusta, Marcus Aurelius, 17 e 23.  Renan 1937,21-23.  Eusebio, 5.1.77.  Codice Giustinianeo, Digesto, 1, 18, 13.  Codice Giustinianeo, Digesto, XVIII, 1,42.  Historia Augusta, Marcus Aurelius, 24.1-3.  Codice Giustinianeo, Digesto, XLVIII, 9, 9, 2.  Codice Giustinianeo, Digesto, XXXI, 67.10: «Item Marcus imperator […] et ideo princeps providentissimus et iuris religiosissimus cum fideicommissi verba cessare animadverteret, eum sermonem pro fideicommisso rescripsit accipiendum».  Birley 1990,165 ss.; Millar 1993,6 e ss. Vedi anche Millar 1967,9-19  Frontone, Ad Antoninum Imperator 2.1-2 (trad. da Haines 2.94); Birley 1990,164; Champlin 1980,134.  Historia Augusta, 24.1-3.  Svetonio, Titus, 8 e 9.  Casadei e Mattarelli 2009,107-108.  Bloch 1947.  Renan 1937,336-337.  Birley 1990,170-172.  Historia Augusta, Antoninus Pius, 12.7; Birley 1990,148.  Birley 1990,149.  Mazzarino 1973,335 ss.  Frontone, De Feriis Alsiensibus 4 (trad. da Haines 2.19); Frontone, De bello Parthico 1-2 (trad. da Haines 2.21-23); e 10 (trad. da Haines 2.31); Guido Clemente 2008,633.  Luciano di Samosata, Alessandro, 27.  Cassio Dione, 71, 2.1; Luciano di Samosata, 21; 24-25  Cassio Dione, 71, 2.1.  Historia Augusta, Marcus Aurelius, 8.9.  Birley 1990,151-154.  Birley 1990,154-155.  Champlin 1980,134; Frontone, De Feriis Alsiensibus 4 (trad. da Haines 2.19); Birley 1990,156-157.  Frontone, De bello Parthico 10 (trad. da Haines 2.31); Birley 2000,150-164; Birley 1990,157.  Historia Augusta, Lucius Verus, 9; Historia Augusta, Marcus Aurelius, 9.4; Birley 1990,159.  Historia Augusta, Marcus Aurelius, 9.4-6; Historia Augusta, Lucius Verus, 7.7; Birley 1990,162.  Birley 2000,163.  Historia Augusta, Marcus Aurelius, 9.1; Historia Augusta, Lucius Verus, 7.1-2; Frontone, Ad Verum Imperator 2.3 (trad. da Haines 2.133); Birley 1990,159; Mattingly 1940, Marcus Aurelius and Lucius Verus, 233 e ss..  Birley 2000,162.  Farrokh 2007,165; RIC, III, Antoninus Pius to Commodus, n. 511-513255 e n. 1370-1375322.  Birley 1990,163.  Mattingly 1940, Marcus Aurelius and Lucius Verus, nos. 261ff.; 300 ff.  Birley 1990,174.  ILS 1098; Birley 1990,179-180; Mattingly 1940, Marcus Aurelius and Lucius Verus,401 ss..  Birley 2000,164.  Birley 1990,183.  Birley 1990,180; Pulleyblank 1999; Mazzarino 1973,338 ss..  Frontone, De nepote amisso 2 (trad. da Haines 2.222); Frontone, Ad Verum Imperator 2.9-10 (trad. da Haines 2.232 ss.)  Birley 1990,164-165.  Lucio Dasumio Tullio Tusco, un lontano parente di Adriano, fu inviato in Pannonia superiore, per sostituire l'esperto Marco Nonio Macrino. La Pannonia inferiore venne affidata al poco conosciuto Tiberio Aterio Saturnino. M. Servilio Fabiano Massimo venne trasferito dalla Mesia inferiore a quella Superiore quando Iallio Basso si era recato ad Antiochia di Siria da Lucio Vero. La Mesia inferiore venne allora affidata al figlio, Marco Ponzio Leliano. La Dacia venne divisa in tre distretti, governati da un senatore pretoriano e da due procuratori. La pace non poteva durare a lungo, la Pannonia inferiore disponeva di una sola legione, ad Aquinco. Cfr. Alföldy 1977, Moesia Inferior,232 ss.; Moesia Superior,234 ss.; Pannonia Superior,236 ss.; Dacia, 245 ss.; Pannonia Inferior,251.  Birley 1990,189.  Southern 2001,203-206.  Ruffolo 2004,84.  Birley 1990, 194-197.  Stathakopoulos 2004,95.  Birley 1990,186-187.  Historia Augusta, Marcus Aurelius, 14.8; Historia Augusta, Lucius Verus, 9.11.  Historia Augusta, Marcus Aurelius, 17.4.  Cassio Dione, 72-2, 3; 73-4,5 e 20,1; 74-3, 1,2.  Birley 1990,207; Alföldy 1977, Moesia Inferior,232 ss.; Moesia Superior,234 ss.; Pannonia Superior,236 ss.; Dacia,245 ss.; Pannonia Inferior,251.  Cassio Dione, 72, 3.1.  Questa invasione avvenne secondo Birley 1990,184-186, 194-196 e 207-208 ed altri studiosi moderni (Brizzi e Sigurani 2010,393-394 e 398) nel 170.  Birley 1990,208-213.  Guido Clemente 2008,635.  Kneissl 1969,206-207. Infatti i cognomina Armeniaco, Medico e Partico sono assenti nella documentazione di carattere ufficiale posteriori al 172, come ad esempio i diplomi militari: nello specifico si veda, ad esempio, AE 1990, 1023 o AE 1987, 843 (entrambi del 179).  Historia Augusta, Marcus Aurelius, 24.4.  Tertulliano, 5, 6.  Michael Grant, The Antonines. The Roman Empire in Transition, Routledge, 1994,50.  Birley 1990,230-231.  Cassio Dione, 72, 27-29; Historia Augusta, Marcus Aurelius, 26.10-12.  RIC, Marcus Aurelius, 357 corr. (no P P); MIR,18, 322-2/35; Calicó, 2017; BMCRE,674.  Astarita 1983,155-162.  Birley 1990,239-240.  Historia Augusta, Marcus Aurelius, 26.3-9.  Historia Augusta, Marcus Aurelius, 19.1-8 e 26.3-9.  Ammiano, 22, 5.5; Historia Augusta, Marcus Aurelius, 25 e 26; Birley 1990,241 ss..  Historia Augusta, Marcus Aurelius, 1.1 e 27.1-7.  Cassio Dione, 71, 1.1.  Birley 1990,243-244.  IG II2 3620  Historia Augusta, Marcus Aurelius, 27.1.  Historia Augusta, Commodus, 12.4.  Historia Augusta, Marcus Aurelius, 27.5.  Historia Augusta, Marcus Aurelius, 27.11-12.  Historia Augusta, Marcus Aurelius, 27.8; Cassio Dione, 71.31.1  Historia Augusta, Marcus Aurelius, 27.6.  Historia Augusta, Commodus, 12.5; Historia Augusta, Marcus Aurelius, 16.1-2 e 17.3.  Historia Augusta, Commodus, 12.6.  Birley 1990,259-261.  Guido Clemente 2008,636.  Cassio Dione, 72, 36; Grimal 2004,228.  Birley 1990,264.  citato in Antonio de Guevara, Vita, gesti, costumi, discorsi, lettere, di Marco Aurelio imperatore, Venezia, 1557,80.  Historia Augusta, Marcus Aurelius, 28.  Cassio Dione, 72, 33.4; Birley Cassio Dione, 72, 36.3-4.  Erodiano, Commodo, I, 13.1; Historia Augusta, Commodus  Perelli 1969,320-324.  Marco Aurelio, 11.3.  Sordi 2004,103 ss. 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PredecessoreImperatore romanoSuccessoreProject Rome logo Clear.png Antonino Pio161–180 (con Lucio Vero, dal 177 con Commodo)CommodoPredecessoreConsole romanoSuccessoreConsul et lictores.png Gaio Bruttio Presente Lucio Fulvio Rustico II140Marco Peduceo Stloga PriscinoI con Imperatore Cesare Tito Elio Adriano Antonino Augusto Pio IIcon Imperatore Cesare Tito Elio Adriano Antonino Augusto Pio IIIcon Tito Enio SeveroTito Statilio Massimo145 Gneo Claudio Severo Arabiano II con Lucio Edio Rufo Lolliano Avitocon Imperatore Cesare Tito Elio Adriano Antonino Augusto Pio IVcon Sesto Erucio Claro IIAppio Annio Atilio Bradua161Quinto Giunio Rustico IIIII con Tito Clodio Vibio Varocon Lucio Elio Aurelio Commodo IIcon Lucio Tizio Plauzio AquilinoMarco Aurelio Campagne partiche di Lucio Vero Guerre marcomanniche Imperatori adottivi Imperatori romani e relative linee di successione Stoicismo. Antica Roma Portale Antica Roma Biografie Portale Biografie Filosofia Portale Filosofia Letteratura Portale Letteratura   Categorie: Imperatori romaniFilosofi romaniScrittori romani Nati il 26 aprile Morti il 17 marzoNati a Roma Morti a Sirmio Aforisti romani Dinastia antoniniana Consoli imperiali romani Stoici Annii Auguri Sepolti a Castel Sant'Angelo Marco Aurelio Persone legate ai Misteri eleusini. Italian philosopherone of the most important onesVide his letters to his tutor Frontino -- Marcus Aurelius, Roman emperor (from 161) and philosopher. Author of twelve books of Meditations (Greek title, To Himself), Marcus Aurelius is principally interesting in the history of Stoic philosophy (of which he was a diligent student) for his ethical self-portrait. Except for the first book, detailing his gratitude to his family, friends, and teachers, the aphorisms are arranged in no order; many were written in camp during military campaigns. They reflect both the Old Stoa and the more eclectic views of Posidonius, with whom he holds that involvement in public affairs is a moral duty. Marcus, in accord with Stoicism, considers immortality doubtful; happiness lies in patient acceptance of the will of the panentheistic Stoic God, the material soul of a material universe. Anger, like all emotions, is forbidden the Stoic emperor: he exhorts himself to compassion for the weak and evil among his subjects. “Do not be turned into ‘Caesar,’ or dyed by the purple: for that happens”. “It is the privilege of a human being to love even those who stumble”. Sayings like these, rather than technical arguments, give the book its place in literary history. Ab avo meo Vero didici placidis esse moribus et iram abstinens. Ex estimatione parentis mei cius recordatione ad verecundiam et VIRO dignos mores usus sum. Matre in studio pietatis erga deos isberalitategimitatus. Præterea in abstinendo anno perpetrandis modo sed et cogitandis flagitiis. Tum in frugalitate victus, ab opulentia comitante luxu remotissima. A pro-avo id habui ut ne in publicos ludos comcarem sed bonis præceptoribus domimex uterer, intellige regnullis hac in re parcendum sumptib. Ab educatore, ne auriga Praginus, aut Venetus, neuc palmularius aut scutarius fierem. Ab eodem tolerare labores, esse contentus parvo, operari, non immiscere mc multis negociis, haud facile calumniam admittere, didici. A Diogneto, tudium in res inanes non conferre, fidem abrogare iisque de incantationibus, de  monug pfligationib. acid genusalii reb pitigiatores et impostores referent. Nec animi causa coturnices alere, aut fi milium rerum studio et cupiditate teneri. Ite libere dicta ferre æquo animo, PHILOSOPHIAE ME ADDICERE, audire primo Bacchiu, deinde Tandasidem ac Marcianum, scriber dialogos puerili etate grabatu, pellem, aliağ ad greca disciplinam pertinentia, usurpare. RUSTICI monitu in ea deveni cogitatione, mores meos correctione ac cultu opus habere. Non esse imitandos sophistas, non esse instituendas de contemplationibus scriptiones ne que oratiunculas adhortatorias declamandum neq speciem VIRI exercitiis dediti, ac laboriosi ostentandam. Ad hæc rhetorica, poetica ed atrologia abstinendum, domincuesticu, negaliis huius modi rebutendum. Epistolas scribendas simpliciter, quomodo ipsius ad matrem meam est epistola Sinueſſam missa. In super placabilitatem este et in alloquio facilitatem exhibendam iis qui stomachu nobis moverint, aut aliquid deliquerít, simulatqii redire adofficium volint. Diligenter etiam legendum, nec omnino considerationem accuratam satis putandum, ne æceleriter adsentiendum loquacite LOQUACITER CONVERSANTIBUS. Commentarios Epicteti legendos, quorum et e domo sua mihi copiam fecit. Apollonius medocuit ut libertatem secta rer, certamg constantiam, negalio un quam, ne minimum quidem, quam ad rectam rationem respicerem ac semper mei similis essem in gravibus doloribus a missione prolis, morbis diuturnis. Uc quem in vivo exemplo evidenter contemplarer, posse eundem et durissimum esse et remissum quam maxime. Tum etiam ut in percipienda doctrina menon morosum præberem sed circumspicerem de homine qui palam experientiam et in tradendis scientijs facultatem mia nimum suorum bonorum putaret. Præterea modum beneficia utiis videntur ab amicis accipiendi ne vel accepta ea nos viliores redderent vel stupidem ne gligerenturato permitterent. In Sexto de præhemdi comitatem et exemplum domo ad arbitrium patris familias institute, vivem di secundum naturam, gravitatem nion simulatam, ing consulendo amicorum commodis sagacitatem, facilitatem erga privatos, mores omnibus accomodatos. Quo fiebat, ut eius consuetudo omni adulatione suavior ipseos codem tempore in summa apud cos quibus cum agebat veneratione esset. Porro autem expedicam viam acrationem inveniendi et disponendi præcepta ad usum vitæ necessaria. item quod nequc iræ neo alius cuius animi commotio nis ullum indicium dabat, sed simul et quam maxime affectibus vacuus et humanissimi erat ingenii. In codem honc stam famam finciactatione. Multa rumorerum scientiam citra ostentationem. Alexandrum Grammaticum obseruabam ab increpationibus sibi tempera re, neque ignominiose castigare si quis barbarum, lolocum, aut absonum quippiam protulisset sed civiliter id modo o dicendum fuerat, pronunciare. Perinde ac si respondens vel suam sententiam interponeret, aut rationem re ipsa non verbo cum altero conferret. Aut omni no alia quadam solerti et occulta correctione idem efficiebat. A FRONTONE didici ut scirem quæ consequeretur tyranidem invidia quæ varietas simulatione. Et quod omnino qui nobis patria icidicunt in humaniores quodammodo fint reliquis. Ab Alexando Platonico, ne crebro neve nil necessitate coactus cuiquam dicerem scriberemúeme esse occupatum ne ve identidem impendetia negocia prætendendo debita familiaribus officia detrectare, A CATULO, ne parvi facerem li quid amicus conquereretur, etiam et nulla id ab eo fieretratione. Sed anniterer eum in pristinam gratiam rcducere. Item ut summa animi contentione præceptorum laudem prædicarem. Uti de Domitio et Athenodoto traditum est. Ut yliberos vere diligere. A fratre meo SEVERO amore familiarić et ucritatis iustitiæ. Per eundem cognovi Thrasea, Helvidium, CATONEM, Dionem, BRUTUM. Idem mihi autor fuit ut animo conciperem formam reipublicam in qua æquis legibus codemý iure omnia administrarent, ac regni, cui nihil cf afet libertate subditorum antiquius. Eun dem observans curis esse vacuum, constantiam in honore PHILOSOPHIAE habendo, beneficentiam et liberalitatem perpetuam servare, bene sperare ac de amicorum in amore certo libipolliceri, aq bus animo elſet factus alieno idiis non occultum ferre. Nec amicis eius opus esse ut de ipsius voluntate coniectura facerent sed eam apertam elle. Maximus adhortatus me est, ut suo exemplo me ipsum regerem, neq ulla in re præcipitarem, animo bono cùm aliis in calibus, tum in morbis essem. Ut moribus ut erer temperatis, blandis, ac gravibus ut quæ instituissem expedite necma gnacum molestia perficere. Dicebat libi verba facienti aut a genti quic quam nemine non fidem habuisse ex animi ipsum sententia loqui vel agree. Nullius rei admiratione se obstupuisse nunquam aut seſsi nasse, aut cunctatum fuisse, nec trepidasse neq mæstitiæ, neo gaudii nimium fuisse, neqz iracundum neq suspiciosum sed beneficum, placabilem, veracm, magis có Itantia erroris secura o erratorum correc ioné præ se tulille. Neminem fuisse, afe 1 abipfo conteptum, aut ipso pstantiorem putaret. Liberaliter quoß facetum fuisse. Patris notavi humanitatem et inijs quæ semel essent accuratem deliberata, pmansionem vanægloriæ et eorumque putant, ne que sunt tim honoru contemptu, tudium laborum, assiduitatem. Libenter audiebat cos, qaliqd reip. utile poterant adducere. In tribuendo unicuip dignitate suu firmiter pſeuerabat, pitusubi intendendum et ſet, ubi remittedum. AMORES ADOESCENTU lorú coercebat, utilitati publicæ, oes cogitationes intendebat. Amicis sec uncce nan dı, autiter faciendi necessitate remittebat etque necessitate aliqua impediti cum non conitati fuerant, cunde fempirfum inveniebant.In consiliis accurateqd conducere possetīqrebat, ac conftanter, nec ob uiis quibusg cogitationik. contento fine consultandi faciebat.Amicitiam conservabat, neq vel satietaté amicorum capiebat, ne ad eosparandos furore aliquo ferebat. In oib.reb. ola sua i se repogta habebat, læto vultu. Longe futura puidebat. Arq et minima antem pparabat, idý citra tumultum. Acclamationes, oems adulationem compescebat. Quæ ad magistratum erant necessaria, semper custodiebat, sumptus procura bat, ncq detrectabat dcijsreb, causam dicere. Deos citra superstitionem cole þat, homines ne demerebatur, ncquc auram popularem captabat. In omnib, his sobrius, costans, nusquam ineptus, aut novitatis studiosus. Has porrò res, quæ ad vitę commoditatem aliquid conducunt, quas fortuna suppeditat, liberaliter, fimulý sincfastu tractabat, ita ut & liadeffent, haud solicite iis uteretur, nec defidcraret, li deeflent.Nemo fuit, quieum aut sophistam, aut vernam, aut hominem de schola esse diceret. Sed VIRUM MATURUM, absolutum, adulatione superiorem, qui et seipsum regere, et ali ospoflet, Iam PHILOSOPHIAM VERAM profitentes in honore habens, reliquis nihil exprobravit. Cæterum in consuctudi ne familiari commodus gratiosuso extra fastidium erat. Corpus suum moderate curabat, non ut qui vitæ CUPIDUS, aut cuiforme elegantia curæ esset, non tamen interim negligenter. Itag suæ diligentiæ causa paucissimis medicorum pharmacis et fomentis opus habuit. Id in co praeclarissimum fuit, quod facultate alicuius rei præditis concedebat abso invidia, utoratoriæ, historiæ, legum, consuetudinum, aliorum gid genus. Quin etiam ut gloriam iis rebusquibus excellebant, adipiscerentur, operam suam ipsis navabat. Eccum ageret omnia secundum instituta maiorum, ne hoc ipsum quidem studebat consequi, ut videretur a maioribus accepta obserualle. Ad hæc non erat vagus aut levis sed locise et negociis iisdem soleba timmorari. Post intentissimos capitis dolores, recens at que alaçer ad consueta opera redibat. Praeterea pauca ad modum habebat arcana et hæc quoq tantum derebus publicis. Prudens porroerat, moderatus cum in spectaculis exhibendis, tumin operum extructionibus congiariis et aliis huius modi negotiis. Guippe vir ed ex usu foret potius, quam quem gloria fa &tum sequeretur, reputans. Non utebatur alieno tempore balneis, non erat ædificandi CUPIDUS, non de ciborum, non vestium texturæ aut infacturæ, non formæ corporis elegantia anxius. Comitatus ei e prædio qui eum ab inferiori casa deduceret. Inter Lanuvinos ple rung Tusculano publicano utebatur, etiam deprecante. Omnino in eius moribus nihil in erat in humanum, nihil in verecundum, nihil procax, ne quod dicitur ad sudorem usque. Sed omnia ita apta  et concinna ut li per otium cogitata fuissent, compositem, placidem, firmiter et sibi in vicem convenienter. Ac commodari posset ei id quod de Socrate memoratur, quod et abstinere potuerit,et frui reb.istis, quibus et carere ple rio per infirmitatem & in fruendo continere se nequeunt: at temperare fibi ab utroque uitio pofle et sobrium permanere, id VERO VIRI eft animo integroinui conspræditi: quod ille in morbo maximi præstitit.A diis bonos avos, bonos parentes, bonam sororem, bonos praeceptores, familiares, necessarios, amicos bonos accepi feren omnia bona: tum g in nullum eorum quicquam deliqui, quam quam ita affectus, ut, si occasio incidisset, utiq aliquid tale admisissem verum beneficio deorum evenit, neresita caderent, ut hoc in me depræhenderetur. Id quoque iis acceptum refero, quod non diutius apud concubinam avisum educatus, quodad PUBERTATEM CASTUS perveni, neque ante eam VIR sum factus sed tempus expectavi. Quod principi et patri subditus fui, qui erat omnem mihi superbiam excussurus, oftenfurúsque pofle eum qui in aula vivat et ftipatoribus carere & vestibus pictis et facibus, ftatuisý certi generis, reliquo ğluxu: Sed licercei proximum privato homini habitum ſumere: imò verò eum splendorem eos, qui principes rempub.gerere velint, demissio, res segnioresg efficere. Itemque eum fratrem sum nactus, qui moribus fuis me ad curam mei ipsius habendam posset excitate, honore autemet  amore in me suo delectare . Quod hberi mi hi neque indole, neque corpore pravinati sunt. Quodmagnos in rhetorica, poetica, reliquisg studijs progressus non feci, qme fortassis planem detinuissét, si me feliciter pficeresenlitlem. Quod mature cos a quibus sum enu tritus in dignitate constitui, quod mihi videbantur cupere, quodg id iuvenib. Adhuc praestiti, neo diu cas future spela cavi. Quod Apollonium, RUSTICUM, Maximum cognovi. Quod perspicueat ą sæpe numero naturalem vitam cum ani momeo reputavi, qualisnam ea esset: nimirum quodad deos attineret & co rum munera, cogitationcsoninde conceptas, nihil iam obstarc, quin aut secundum naturam viverem, aut non. Atque boc quidem fore mca culpa, qui deûm monitus,actantùm non præcepta non obferuaffem . Quòd in cali uita mcum corpus tandiu durauit.Quòdncquecú Benedicta,nc cumThcodoto rem ha bui , fed & pofteàamore cócitus, rcctæ rationi parui. QuòdRuſtico fæpiusin dignatus,nihil prætercà admiferim, cu ius mepæniterepotuiſſet. Quòd ma ter, cum esset adhuciu venis moritura, reliquos tamen vitæ suæ annos mocum exegit. Quod quotiescung pauperi ali cui, aut alias indigenti opitulari statuissem, nunquam audivi, pecuniam mihi 110 non esse, unde id facere et quod mininum quam usu ucnit, ut alterius ope indigerem . Quod uxorem ita obsequentem, mei AMANTEM ac limplicem habui. Quod alumni quibus liberos meos credere idonei non defuere. Quod in somnis cum alia mihi remedia funtdata tum contra sanguinis ex creationem ac contra vertiginem, hocg Caietę. SicutChrękę. cuğanimü ad PHILOSOPHIA adiunxič ſem, nó incidi in sophistam aliqué, aut scriptore, vel a SYLLOGISMOS diflol uere doceret, aut meteora traderet. Olahực deorum auxilio, forcuna indigent. Hec in Quadis ad Granuam. Solobatis sibi prædicere, erit ut incidam in curiosum, ingratum, contumeliosum  dolosum, invidum, DISSOCIABILEM. Omnia hęcijs euenc runt ignoratione bonorum et malorum. Ego vero, quinaturam boni perspectam habeo, quòdhoncstum fit, & mali, quod turpc,ipfamg .eius qui peccat natura, quod mihi lit cognata non quia ciul dem carnis efs aut feminis sed mentis et divinem particulæ particeps a nullo cocum lædi pollum. Nequccnimiamo V turpitudinem aliquam quisquam con ijciec. Ei porrò quod mihi cognatum est, negira scipossum, neque insensus esse: ute nim unus alterum iuvaret in suo opere, eo nati sumus, ut manus, ut pedes, ut palpebræ, ut superiorum inferiorum o dentium ordines. quare contra natura est, ut in vicem nobis repugnemus: atqui succensere at a verfari se invicem ,id quidem est repugnare. Quidquid ego sum, idomne constat caruncula, animula et mente. Proinde missos fac libros, neß stude, non enim licet. Quin tu, ut mox vitam cum morte commutaturus,cor pussperne, quod est tabus, ossicula et reticulí muliebris instar plexus nervorum, venarum arteriarum. Animaquog considera, qualis ea sit. SPIRITUS nimirum , ne que is idem semper, sed qui in horasali us efflatur, alius ſorbetur. Restat tertia pars, principatum obtinens. Proindelic tecum reputa. Senex es? Ne patere hanc principem partem ulcerius feruire, necß alieno impetu raptari, neq fatú uel præ sensi niquem fer, vel im pedes subterfuge. Res decorum plenæ sunt prudentiæ. Fortuitæ aut non carent natura, complexude corum quæ a prudentia administratur. Inde omnia fluunt:necessitas etiam accedit,et totius universi cuius tu pars es utilitas. Porrò autem quòd natura univerſi fert, quod quem ad eam facit conservandam, id bonum est unicui vis univerli particulæ. Conseruant autem mundum, quemadmodum elementorum, ita & exipsis concretarum rerum mutations .Hec sufficiant tibi, ac sem per præceptorum locum habcant. Librorum verò Gitim proijce, ne murmurans moriare sed vere placatus, at ex animo gratiam diis agens. A Emento quandiu hactenus ea diftuleris, ac quoties prorogato tibi à diis tempore, co non ususlis. Certè aliqua do te animadvertere oportet, cuius mundi pars sis et à quo mundi gubernatore de fluxcris. Tum finem præscripti tibi temporis futurum. Quodquidem tempus G ocio sus intra parietes consumpseris, elabet, nequeredibit unquam tibi defuncto. Singulis horis animo in id incumbe ut fortiter, quemadmodum ROMANO ET VIRO CONVENIT id quod præ manibus est, per agas, accurata & non fi &ta gravitate, humanitate, liberalitate, iustictia g adhi bitis .Interea animum tuum ab omnib aliis cogitationib. abduc: quodita fict, si unum quodlibet negotium, eorum quæ in vita tua exequenda cibi fintpo stremum elfe iudicans, ita conficias, ut ne quid vanitatis, affectuum a conglio avertentium, simulationis, AMORE SUI, aut earum rerum quæ fato quodam ei negotio adiunctæ sunt improbationis admittat. Cernis, quam pauca Gint ea, quorum có pos vitam felicem ac diuinæ similem ui uerc homo potest? nam ea qui adferuarit, ab eo dijnihilultrà exigunt. Ignominia te ipsum affice anime, contemnete ipsum inquam ut enim honore te ipsum afficias, non tibi præterea tempus suppetet. Vita enim unicuiqueid præbet. Quæ tibi propemodum iam exacta eſt. Nonigitur te ipsum venerare sed felicitatem tuam aliorum in animis reposita habe. Non patere ab ijs quæ extrinfecus accidunt, te circúagi,ſed otium tibipa raut boni aliquid addiſcas,ac uagari de fine.Eft & alter declinandus error : nó . nulli enim actibus uitæ ſuæ'confecti de lirant,quòdfcopum nullum habent,ad qué omnes ſuos conatus & cogitatio nes dirigant. Haud temere quisquam repertus est infelix ea de causa quod non inquireret quid aliorum animis accideret. Qui ucrò luiiplius animi motib. non obsequitur, necessario miser est. Horum semper oportet recordari, quæ sit uniuerli natura, quæ mea, quomodóque hæc ad illam lit affecta, qualis pars ca cuius totius Git : adhæc neminem esse qui obstet, quo minus semper ea, quæ naturæ cuius tu pars es Gintconfentanca et agas et dicas. THEOPHRASTUS in comparatione peccatorum, ubi ostendit communiorem ea inter se conferendi rationem, PHILOSOPHICE, inquit, ea quæ per cupiditatem conmittuntur peccata, graviora esse iis quem periram. Et enim iratus videtur cum dolore quodam et occulte correptus animo a recta ratio ne divertere. Qui vero per cupiditatem peccat, victus a voluptate, intemperantior altero censetur, magilý EFFEMINATUS. Recte igitur, & ut PHILOSOPHO diagnum erat. In maiori esse culpa pronunciavit cui voluptas, quam cui dolor peccandi fuisset causa: ac omnino hic ante læsus, & propter doloré iratus, ille sponte sua ad delinquendum cupiditatis explendæ causa fertur. Omnia tibi ita et agenda sunt et dicenda et cogitanda, ut Giam nunc vitam in exitu esse arbitreris. Cæterum e vivis discedere, si quidem dii sunt, nihil habet incommode. Neque enim ii te aliquo malo sunt affecturi. Sin autem, vuel non sunt dii, uc!res humanas non curant, quid atti nebatui vere in mundo deum, ac prouidenti z uacuo? Enim vero et sunt dii et rerum humanarum curam gerunt et ut ne homo in ea, quæ re vera sunt mala, incideret, id quidem in eius potestate posuerunt. In reliquis rebusliquid mali inesset, utique & hinc ei prospexissent, ne omni noin malum incideret. Quod uerò hominem deteriorem non efficit, quonam id modo uitam eius poflet redderepeiorem? Et quidem um niuerli natura nunquam neg perigno rationem ,ncg fciens quidem , non ua lens autem cauere autemědare illa, tan tum errorem admiſerit,neque imbecil licatis,nequeinſcitiæ caula, ut bona & mala bonis maliſque hominibus promiscuem & ex æquo accidant. Atqui mors et uita , honor et ignominia, dolor et voluptas, opes et paupertas, omnibus hæc uniuersa eadem ratione hominibus cum bonis tum malis contingunt, ſuntg neque honesta, neque turpia: ergo neque bona quidem, neque mala. Quam celeriter omnia aboletur, in müdo quidem corpora, in quo autem etiam corum memoria. Omnia quæ sub sensum cadut, ac præsertim ea, quæ vel voluptate alliciu ut, vel dolore terrent, vel faste suo clara sunt, quam vilia sunt ca omnia et contemptione digna, quam sordida, obnoxia interitui et mortua? Intelligentiæ est, indagare quidnam sintii, quorum opiniones et voces gloria. Quidnam estmors? Certe si quis ea per se intueatur, cogitatio neg omnia ab ea separet, quæ ciinesse videntur, isi am nihil aliud existimabic esse mortem, quam opus naturæ. At verò PUER EST, qqui nature aliquod opus formidat. Et quidem mors non opus solum est naturæ sed et prodest ei. Qoónam modo Deus hominem attingis et qua hominis parte ?preterea quomodo affe citur eo tactu pars illa? Nihil miserius cít eo, qui omnia circulando scrutatur, et quod aiunt ea etiam quæ ſunt infra terram rimatur, coniecturağ ea quæ in aliorum animis eueniant inquirit, neg ſentit ſufficere,utſuu quiſq quiin ipſo ineſt genium obferuet, eumlegitimè colat.Colitur autem, fi quis ſeiplum ab animi perturbationib.à vanitate,ab in dignatione eorum caufa quæ à diis aut hominibus aguntur concepta,uacuum conseruet. Quæ enim dijagút, virtutis causa honorem quæ ab hominibus, cognationis nomine AMOREM merentur: nonnunquam etiam miserationem, ratione ignorationis eorum quæ bona aut mala ſunt. qui sane defectus non uilior eſt eo, quo ne inter album et nigrum discernere poſsimus, impediunt. Quòdf tria annorum millia tibi vivenda forent, insuperg triginta alia, tamen recordandum tibi est, neminem aliam ab ea quam vivit uitam deponere, negaliam dep nere quam eam quam vivit. Itagidem est longissimum spatium cum eo quod est brevissimum. nam quod praesens eſt, id omnibus idem est, quanquã id quod perijt, non fitidem, atqid quodamitti  temporis punctum eſſe apparet. Ete nimncß præteritum aliquis,neß futu rum quicquã amittere poteft:qui enim id ei adimatur, quod ne habet quidem. Duo itag hæc memoria ſunt tenenda, Vnum ,omnia ab æterno eſſe ciufdé for mæ, atq circulo reuolui,nequedifferre quicquam, eadémne cétum aliquis, aut ducentis annis , an uerò infinito videat tempore. Alterum, quodis qui diutif sime uixit, & is qui celerrimem moritur, tantundem amittunt: eo enim tantum priuantur, quod præsens est, quando id etiam solùm habent: quod autem non habet, neid ne deperditur quidem, Universa elle ſita in opinione. Quod patet ex his quæ cum Monimo Cynico sunt disputata. Perſpicua autem eft c ius quod dictum eſt utilitas, fi quis ea tenus eius fuauitatem admittat, quate nus ueritati congruit. Anima hominis contumelia se ipsam multis modis afficit. Primo, quum quantum in se ipsa Gitum eſt,abſceſſus quidam, & qua fulcus mundi fit.Abſcedit autem à na tura, quando ea quæ fiunt, iniquo fere animo: cuius quidem naturæ una in par e reliquæ singulorum naturæ omnes continentur. Deinde, quum hominem aliquem auerlatur, aut lædendi causa adversatur: hoc est iratorum. Tertiò, quum uoluptati aut dolori ſuccum bit. Quartò, quum fimulat, fidéquc aliquid autfacit aut loquitur. Quin to , quum fiquam actionem aut cona. tum ad nullum certum scopum diri git,fed fruftrà quicquam,nulláque con fequentia agit: quum oporteat etiam minima quæg ad certum finem referri. Finis autem animantiratis eprædi to propoftus eft utrationem atque Le gem ciuitatis uetuſtiſsimæ fequatur. Humanæ quidem uitæ tempus,momë tum eft, natura fluxa ,fenſus obſcurus: totius corporis temperamétum putrc fcitfacilè ,animauaga eſt, fortuna quæ fit, difficile eſt colligere , famaincerta eſt. Atque ut ſummam rei dicam , o mnia quæ ad corpus pertinent, fluuij naturam habent, quæ ad animā,inſom nij & fumi:uita bellum eſt, & peregri natio , fama poſt mortem ,obliuio eft. b4  Quid ergo eſt quòd tutò hominem por fitdeducere? PHILOSOPHIA. Ea verò in hoc conſiſtit,utgenium quiin te est, incontaminatum conferues,atqz illeſum , la uoluptatibuſ & doloribus fuperiore: ut nihil fruſtrà,nihilfictè aut falſò agas: nihil cures, agátne quicquam alius,aut omittat.Præterea,ut ea quæ accidūt,fa tóue eueniunt, ita accipias, tanquã inde miſſa,unde tu quoqueneris.Poftremò, utplacıdo morté animoexpectes,quip penihil aliud ,quàm diffolutionem ele métorum eorum ,ex quibus unūquod libet animal concretum eſt. Iam Gipfis elementis nihil mali euenit continenti bus iſtis mutationibus, quibus ipfain ter ſe alia identidem in alia uertuntur, quænam causa est, cur de mutatione universi corporis, dissolutionéque fini ſtrum quicquam suspicari debeamus? Cum ea fecúdum naturam fiat. nihil vero malum est, quodnatura cuenit. Hæc Carnunti disputata. qonhoc tantum est considerandum, singulis diebus vitam cossumi, parcég eius ſubinde minorérelinqui: fed & hoc cogitandum ,getſiquis diutius lit uictu rus,incertum tamen eſt,lítne fuppedita tura eadem intelligentia ad cognoſcen das res, & cótemplationé, cuiusfiniseft peritia rerü diuinarű at humanarum, Etenim & delirare ceperithomo,fpira bit quidé nihilominus, nutrietur,imagi nabitur,appetet,reliquasgid genus fa cultates retinebit: ca vero uis , quaſe i plo uti queat , rationes officii ſubduce re accuratas, quæ animo pręcepitin or dinem collocare, de coipſo an iam tem pus fit uitam relinquendi delibcrare, ac fi quæ alia sunt, ad quæ obcunda ratione probè exercitata opuseft, ea inquã uis iam antè extincta eft.Feftinandum eſti gitur,nonidcò ſolú, quòd fubinde moc b s  ti propiores fimus, fed &quia rerum in telligentia nos ante exitum uitæ deſti tuit.Id quoß observandum, ca quę appendicis quafi loco adhæréthis quæ na tura fiunt,haberenonnihil gratiæ & o blectationis.Viquum panis pinlitur,ui demusquaſdam particulaseius rumpi: quod ipſum etli quodãmodo accidit præter inſtitutú piſtoriæ artis, habet ta mennónihil decoris,appetitumg cibi ſuo quodā'modo excitat. Ficus quog quú maximè maturæſunt, fatiſcút, itém Oliuis maturiſsimis quiddam putredi niproximum ,pulcritudinem peculiaré addunt. Iam ſpicas deorſum le flecten tes, leonis ſupercilium , fpumam apro rú ex ore effluentem ,multa eiuſmodi alia fiquis ſeorſim confideret,intelliget ca ctGlongèabſuntà pulchritudine,tas men quia rebus naturalibus inhærent, & eas conſequuntur,co &ornatum his adferre , & delectare. Quam obrem qui attentiùs ea quæin rerum natura fi untmente contemplatus fuerit , nihil pon eleganter eſſe factum putabit , e tiam corum quæ appendicis loco res naturales conſequuntur . Itaque ue ros belluarum rictus haud minori cum uoluptate afpiciet, quàm quos picto res & figuli effingunt: uetulæ etiam & ſenis maturam ætatem , puerorúmque amori aptum florem caſtis oculis in tuebitur: multaque alia cernet, non a. pud omnes fidem inuenientia , ſed a pud eos folùm , qui naturam , ciúſque opera rectè intelligit. Hippocrates quummultosſanaſſet morbo,ipſemor bo deceffit. Chaldæi multis finem ui tæ prædixerunt:poſtipfos etiam fatum arripuit, Alexander, Pompeius, & C . Cesar, quum totas urbes toties deleuiſ ſent, commiſſó queprælio multa cqui. tum peditúmque millia cecidiſſent, i pli quoque tandem uita exceſſerunt. Heracletus, multa denatura rerum, & incédio finem uniuerfo allaturo quum diſputaffet, ipſe intercutc aqua disten , tus, ftercore bubulo oblitus mortem obijt. Democritum pediculi, Socra. tem cicuta abſumplit. Quorſum hæc? Ingreſſus es uitam , nauigaſti, uc & us cs: diſcede. Quod fi abcundum eſtin aliam uitã , equidem neibi quidő erit quicquã dijs uacuum :lin omnisſen fus adiinet,nó iam præterea dolores ac uoluptates ferēdæ,neg feruiédum uaſi tantò deteriori. Quinimo quod ſeruit, id fupererit,nimirum més &genius: cú uas illud terra fit , & tabus.Proinde reli quum uitæ tépusne abſume de alijs co gitando, nifi ad commune aliquod co modum id referatur: alioquin enim in terim ab alio negotio detineberis.Nam cogitare,quid hic uelille agat, quamob rem , quid loquatur, quid cogitet, quid moliatur automnino de alijs effe folici tum, id uerò efficitur euagemur,neque obferuemus eam quæ principatú in no bis obtinet partem .Itaq;in ſerie cogita tionú declinanda eſt uanitas, omniúş maximè curiofitas, & malitia.Adſuefa cere teipfum debes, ut de his tantùm re bus cogites , de quibus fi quis te fubitò interroget quid nunc mediteris, confe ftim liberè pofsis refpondere , hocaut boc:nimirum ut ftatim conſtet,cogita tiones tuas eſſe ſimplices,placidas,con fentaneas animali fociato alijs , ac negligenti earum quæ ad uoluptatéoble & ationemúefaciant cogitationum ,ua cuo contentionis, inuidiæ, fufpitionis, aliorúmue, quæ ſi te animoagitaffefaf fus eſſes,pudore ſuffundi oportuiſſet. Virad hunc modum compoſitus, non eft cur diutiusexpectet nomen eius, qui in optimorum Gii numero. Eft cnim fa cerdos quafi, &adminiſter deûm , uti turg eo, quodinipſo tãquam ſacrario eſt pofitum . Id autem hominé præſtat purum à uoluptatibus, inuiolatú à do Ioribus,intactum à libidine, inſciumo mnis malitię, certatorem maximi certa minis (ne fcilicet ullus cum affectus de ijciat altè tinctum iuſtitia ,ex animo có tentum ijs quæ eueniunt, fatóuedeſti nata ipfi funt, non sæpe,ncg niſi magna & publica neceſsitate urgente, de alio rum dictis,factis, aut cogitationib.me ditantem : ſolis enim ijs quæ in ipſo ſunt ad agendum intentuseſt, ac quæ à fato uniucrſi ipfi ſunt deſtinata, continenter conſiderat. Nam illa cenſet honeſta & pulcra: quæ uerò fibi obtigerunt, cabo Dacſſe perſuaſum habet: quippe uniufs cuius factű & constat aliunde, & fecü aliud adfert.Meminit etiam oia ratione prædica eſſe interſe cognata, eſſeſ ,ho minis naturæ cóueniens, ut omniūho minú curā gerat : exiſtimationem auté non ab omnibus hominibus petédam, sed ijs tantùm, qui naturæ conuenienter vivunt. Qui uerò aliter uiuunt, hi quales ſe domi & extra ædes,noctu at que interdiu gerant,ac quibus fc homi nibus admiſccant, perpetuò memoria tenet : ab his igitur laudariſe nihil cu rat, quum ij ne fibi quidem ipfis pro . bentur. Ne inuitus accedas ad agen dum, neque cotus humaniimmemor, neque non bene cogitata re, neque pa tere te retrahi:nein cogitationibustuis aftutiam ſecteris,nequeuerbolusfis ,ne que multa negocia ſuſcipias. Enimue ro Deus qui in te ineſt, præfit'tibi,ma ſculo animanti , ſeni, ciui,Romano, ac principi, qui ſeita comparauerit, ut ad abitum inſtructus expecter quando re ceptui ex hac uita canat. Neiuramen toindigeas, néue hominis alicuius teſti monio , Hilari eſto uultu, ac qui exter " A nominiſterio poſsit carere., eám quam alij ſuppeditent quietc. Rectú elle expe dit te, nó quilapſus ſe erigat. Si quid in uita humanainuenis potius iuſtitia ,uc ritate , temperantia , fortitudine,autfi quid aliud melius eſt, quàm animum tuum eſſe ſeipſo contentum, quatenus præſtat ut fecundum rectam rationem agas: ſi, inquam, in fato , & ijs quæ abfo tuo delectu tibi ſunt deſtinata inucnis aliquid his quæ dixi præſtabilius, caut fruaris toto animo incumbe.Sin co qui in te eft collocatus genio nihil præftan tius inuenis, qui & appetitus fibijpfi fubiecit, & uifa examinat, &à perſua fionibus ſenſuum ut dicebat Socrates scipsum abduxit, féque Dco ſubmißt et pro hominibus procurat: fi hoc inferiora omnia , & uiliora de prehendis, nulli alteri rei locum con cede, nefemel ad eam inclinans , poft hac proprium illum tuum bonum præ ferre omnibus rebus nequeas. Nes fas enim eft ullam aliam diuera generis rem bono rationcprædito, & effe &tri ci opponi : ut laudem popularem, principatum, divitias, voluptatum perceptionem: hæc omnia,quel parùm te iis accómodare uiſum fuerit,confeftim præualent, & à recta uia abducunt. Tu uerò , inquam , fimpliciter ac liberè id quod eſt meliuselige,eiginhære :me lius autem eſt id quod conducit. At hocipſú fi ea ratione fitutile, quatenus métem habes, serva: lin quatenus es ani mal,repudia, & iudicium integrum reti ne. Id modo cura, ne quid , p tuo como do amplectaris, quòd pofsit aliquando tecompelleread fallendum fidem ,pro dendam uerecundiam, odium alicuius, fufpitiones, imprecandum, ſimulandú, appetendúmue aliquid, quod parietes & uelamenta degideret. Etenim quimé tiacgenio fuo, & facris uirtutis eius pri mas defert, is tragediam nullam exci tat,nongemet,nó ſolitudinis,nófrequé tiæ hominum indigebit: plerung uiuet nekappetés quicquā, neqfugiens.diú ne aparuo téporis {patio incluſa cor pori animautatur, nihil omnino cura bit:nam etli continuo migrandum fit ,i . ta facile diffoluétur ut fi ad aliam quan dam functionem uerecundè ac decen ter obeundam ſe conferat. Id unum fi per uniuerſam uitam obſerues,ut cogi caciones tuæ ſíper lint de ijs rebus quæ ad ſocietatem ciuilem nato animali, ei que rationis compoti cóueniant , nihil unquam in animodeprauatú, nihil puc rulentum , nihil contaminatú ,nihilſug . gillatú invenies Ncą uerò fatum uitá imperfectam adhuc abrūpit, quemadmo dum dici poſſet de tragãdo fabula no . dum peracta diſccdéte.)præterea nihil feruile, nihilfucatum ,nihil alligatum, nihil abſciſſum , nihil obnoxium ,nihil occulcum. Venerare facultatem cogita trice : in co.n.ſuntoía , ut pars cui prin cipatum obtinés nihil unquam animo concipiat quod fit naturæ inconueni ens, aut conſtitutionianimalis ratione præditi.Illiusautem conſtitutionis eſt munus,ut à temeritate alieni, coétui hu mano adiuncti, dijsý obſequentes li mus. Proinde omnibus proie & is, hæc modo pauca comprchende, acmemo ria tene, gunufquifq tantùm , id quod præſens eittemporis punctum uiuit: reliquum uitæ aut iam exactum ,autin in certo politum est. Exiguū ſanè tempus quod uiuit quil:perexiguus etiãter ræ, in quo uiuitur,angulus:etia longiſsi ma poſt obicú fama, cxiguum cft , quæ &ipſaper ſucceſsionem cóſeruaturho múculorum mox moriturorum , acne ſe quidem ipfos cognoſcentium , nedů cum ,quiiampridem fato conceſsit. Ad dendum his quæ commemoraui præce ptis unum , nempe eius quæquouis tem pore animo noftro cogitanda accidit rei, definitionem ſeu deſcriptioné effe faciendam,quo tecúipſe differerepof fis, quęnam lit eiusnuda &abomnibus alijs ſeparata natura , ac qualis: tú quod proprium eius nomen, quæ item appel laciones eorum , è quibus ipfa confiata eſt , & in quæ diſſoluet. Nihil enim per indeaninum magnitudine extollit, ac uia & uerè poſſe lingula,quæ in hacui. ta nobis occurrunt, examinare, atß eo modo ſemper intueri,utunà deprehen datur, cuinam uniuerli parti unuquod. que uſui ſit, quo in precio habendúra tione cum iplius.uniucra , cú hominis, 14 qui ded quiciuis cſt ſupremæ ciuitatis, ac cuius quaſi domus lunt reliquæ ciuitates . Quid eft, quibusex elementis concres tum . & quandiu fert natura cius ut per maneat id, quòd modò cogitatione ani momco attulit?quaporrò uirtuteadid uſus cric?ſcilicetmanſuetudine, ortitu dine, ueritate, fide, ſimplicitatc , ea qua totus ex me aprus fum , cęteris?de lingu lis ergo dicédum . Hoc divinitus venit, hoc faci connexio, casus $ aut fortuna attulit,hoc pfectum eſt à cognato mco & focio ,ignaro quidem quænam effet cius natura: ego autem & noui, & cofc cundum legem ſocietatis naturalem u toræquo animo,iuſté ,limulgin mc dijs rebus coniecturam facio ut unicui que ſuum ut dignum eſt tribuam. Sirea &am rationem fequens, id quodinſtat agas diligéter,firmiter,æquo animo,nc quc inftituto negotio alia admiſccas, ſcd cuum geniumGincerum conſerues, perinde ac fi iam is dimittendus tibieſ let, atqita ſi perſeucres nihil expectás, nihil fugiens,fed eo quod ſecúdum na turam agis, & heroica in dictis factiſas ueritate cótérus, bene uiues. Nemo aut eſt, quihocimpedire poſsit.Quéadmo dum mediciad ſubita malacuranda,in promptu ſua inſtrumenta habent, at ferramenta : fictu ad res diuinashuman nalý præcepta inſtructa habe,atos para ta :omniaş etiam minimaita age,ut mc mineris hæc duo genera interfe eflc có nexa. Neg enim rem ullam humanárc ctè perfeceris,niſi ſimulcam ad deosre feras:neq contrà. Non erra amplius. Non eniin commentarios leges tuos, neque priscorum ROMANORUM et græcorum acta, excerptas ex libris, quæ tibijpfi in ſenectute utenda repoſuiſti. Itaqad fi nem propera,uanaló (pes miſlas faciés, tibiipfi opem fer, fiquidé(dum licet )tui rationem habesullam . Neſciunt quàm multa fignificet uocabulum furari, ſerc re, emere,quieſcere, uidere quid sit agendum. Quorum hocnon oculis cernitur, ſed alio uiſu.Corporis ſuntſenſus, ani miappetitus, mentis praecepta. Imaginari aliquid , & uiſum concipere,nobis cu pecoribus eſt communc.Moueriappe titus explendi cauſa ,id quidé & belluis contingit et ANDROGYNIS et Phalaridi et NERONI. Porrò mentem ducé habere ad ea quæ apparent eſſe officij, corum etiá eſt, qui deos eſſe negant, qui patria deſerunt, qui fimulac fores clauſere,ni hil non turpe perpetrant. Si igitur reli qua his quæ dixinius omnibus funtcó munia,reliquum ſanè eft aliquid, quòd proprium lit uiri boni: nempe æquo a nimo ferre ca quęaccidunt,fatog eie ueniút, in pectore collocatum genium non commouere, neg turba uiſorum perturbare,ſed quietum ſeruare, cique decenter tanquam Deo obſequi: nihil à ueritate alienum loqui,nihil præteriu ftitiam agere. Quòd fi nemohominum credat eum fimpliciter, uerecundè , ac tranquillo animo uiuere, tamdnneque ſuccenſebit cuiquam, nez deflecter à femita ad finem uitæ ducente:ad quem finem uenire debet homo purus, quie tus, ac diffolutu facilis, & qui nulla ui coactus ultrò ſuo ſc faro accommodauerit. VAE in nobis ineſt pars prī cipatum tenens, ea di ſecun dum natura fe habeat, ita ad ea quæ accidunt comparata cit,ut quouis tépore facile ad id quod poſsibile eft &conceditur ſe adiungat. Neg.n. materiã aliquä fibi ppria ſubic ctá habet, fed ut cum exceptione qua dam'ad ea fertur, quę propofita ſunt,ita id quod offertur ei, pro materia sua accipit. Quemadmodúignis, quiijs quæ inciduntpręualet,à quibus exiguus ly chnus fuiffet extinctus: at copiofiori gnis ſtatim ea quæ ipG iniecta lunt, Gibi accommodat,ato conſumir,atg ex ijs ipfis augetur.Nihil agendú fruſtrà,ne aliter, quàm ſecundum contemplatio nem, qua artisdefectus compleatur.Se ceflus uulgò quærunt hominibus,rura, litto ra,montes: tu quoq ſoles maximè cadeliderare. Atqui id planèeft rudiữ &  & abiectæ ſortis hominum. Tibi qua cúq uiſum fuerit hora licet in teipſum recedere:nuſquam enim neg tranquil lior, nec maioris otii ſeceſsus homini datur, quàm adanimum ſuum : præſer cim ei qui intus ea habet, in quæ aſpici ens,ftatim ſummam animi tranquillita tem reperit :bene nimirumomnibus in tus compofitis.Cótinenter igitur te eò recipe,ac teipfum renoua. Breuia auté fint quædam , & elementorú uicem ob tinentia, quæ tibiſtatim occurrant, om nig te molcftia liberent, & remittent nihil indignè ferentem corum ad quæ reuerteris. Quid enim fersindignè ?nú hominüimprobitatem ?Reputa tecü,i ta eſle ſtatuendum,ratione prędita ani.. mantia unum effe alterius caulanatum : tum æquanimitatem parté cflciuftitiæ : item non ſua cos peccare uolütate:quá multi exercitisinimicitijs, odijs, ſuſpi tionibus, confoſsi perierunt,ac in cine remreda & ifunt:ita & deſinetádem . At molcftú tibi eft fatum tuum ? in mētem reuoca quomodo uniuerfi partes difti xerit uel prouidentia ,uel atomiillę,uel  quodcungillud fuit, ex quo demóftra tum eft,múduminſtar ciuitatis effe. At quæ corpus attingūt,ca te afficiūt?cogi ta intellectú, cu femel feipfum college rit,ſuamý uim perfpexerit non permi ſceri Spiritui leniter aut aſperè moto: præterea quæ de uoluptate & dolore auditu perceperis,repete, atqillis adfé tire. Sed forlitan gloriola teſolicitúte net?refpice quá celerrimè omnia obli uione delcantur,quod fit chaos infiniti utrinæ æui,quá inanis famæfonus, quã ta inconftantia &incertitudo opinio num humanarum, quàm arcto includā tur hæc omnia loco. Quippe punctum eſt terra,at huius iplius quàm perexi guus angulus habitai? quot uerò ſunt in ca ipſa, aut quales illi , qui.tefint lau daturi?Proindememento in hanc (quã demonſtraui,particulam tui recedere; idó præcipue cura,ne cupiditate traha ris,fedliber mane,relợita intuere,ut VIRUM UT HOMINEM UT CIVEM UT ANIMAL MORTALE conucnit. Cæterùm ex his quæ tibi infpicienti quàm maximèin promptu cffe debcãt, duo funt:alterú ,gresipfæ animā non contingut , ſed extra eam fic matæ perſiſtunt.Perturbationes tátùm ex internis opinionib.naſcunt. Alterú, goía hæc quæ cernis, statim mutabun tur, nec crunt amplius perpetuog.com gita, quoriam eorú mutationib.ipfe in terfueris.Mundus quidérerum in uari as fubinde formas mutatio eſt, uita in o pinione confiftit. Si intelligentia eſſe pręditu ,hominibusnobis inter nos eſt comune, erit &ratio , ob quam illud no bis adeft cómunis: ſin hæc, etiam ratio quæ præcipit quid agendum fit,quido mittendum , communis eric omnium: proinde &lcx. Quód Gita habet,ciues ſumus: crgo ciuitatis alicuius partici pes. Quo reliquit, múdú ciuitatis loco eſſe : cuius.n. alius ciuitatis dicere pof fimus cómunionéeffehumano generi? utruita ex hac cómuni ciuitate nobis eſſe capacib, intelligentiæ, utiratione, & legi, datú est, an aliunde? Utenim ter renæ mihià cesra aliqua particulæ sunt tributæ & humorab alio quodā elemento, ités ſpiritus,calor, & ignca natura, ſuis fingula à fótib. admcderiuataſūt, puso  nihil enim eſt ,quod non alicunde &uc niat , & aliquò abcat .) ita & intelligétia nobis aliunde data eſt . Mors , perinde acuita ,arcanum cftnaturæ opus , ex ijſ dem elemétis in eadé confufio & mix tio.Deniq non est eares, cuius pudere aliquem debeat: neque enim eſt contra caufas animalis mente donati, ncg có tra eius ſtructuræ rationem. Hæcita , hiſq de caufis fiút neceffariò. Quod qui fieri nolit ,perinde faciat , acli ficum ar borem fucco uelit carere . Omnino au tem memineris ,intra breuiſsimum tem lo pòſt , ne nomen quidem ucftrum ſu pererit. Tolle opinionem , fimul etiam de accepto damno abolebitur cogita tio :hacý ſublata , ipſum etiam danum non crit. Quod hominéſeipfo deterio rem efficere nó poteft , id neg uită eius pciorem reddit ,ncg lædit ,nec extrin Tecus , neg intrīſecus . Natura utilitatis hoc neccſſariò fccit , ut quicquid acci dat ,iufte accidat : quod, fi diligenter observes, ita haberc inuenies : atq hocdi co ,non tantùm caufarum consequentia ita fieri, fed etiam ratione iuſtitiæ , & ab aliquo, g tribuat unicuip dignita te ſuū . Itaq ,uti coepiſti,obferuare hoc perge, & quicquid facies, hoc modo a ge,adhibitabonitate , quo modo uerè bonus intelligitur:idgin omnibus tuis obſerua actionibus. Nonita tibi fentić dum eſt, quemadmodú is quiiniuriá fa cit , uel iple fétit,uelte cxiſtimare uult: ſed resipfæ quid uerè lint,perſpice.Sem per hçc duoin promptu habenda ſunt: alterú,utea tãtùm agas, quod ratio cius partis, quæregnum in te, & poteſtatem obtinetlegislatoris,te hortat, idý pros pter hominum utilitaté. Alterum , ut fi quis adfit, qui te corrigere, & ab aliqua opinionc deducereuelit, ſententiamu tes :modò ut ea mutatio fidé mereatur iuſtitiæ autpublicę utilitatis,aliúſuchu iufmodi cauſa, nóuoluptatisgloriæúc gratia facta eſſe. Ratione præditus es: cur ca non uteris ? quid enim prætcrca deſideras, ca ſuum obeuntc officium ? Scis te, utparté , interiturű in co, quod te produxit universo: imò potius facta mutationc allumcris ad mcntem cam quæcſtreliquarum origo.Multa thuris grana eidem aræ impolita, unum altes ro priusignicorripit, ſed nihil intereſt. Intra decimum diem , Deus uideberis ijs ,qui te nuncbeſtiam & fimiam putát: fiquidem ad præcepta &ueneratione métis reflectas,ne & cogites uitam tibi in immenſos annos prorogatum iri. Mors imminet, ergo dum uiuis, & li cet,bonus ut ſis cura.Quantum otij lu cratur, quinon uidet quid proximus di catsagat, aut cogitet, ſed tantùm quid ipfe agat, curato ut hoc iuftú fit & fas. At quifecundum Agathonem fortèbo numno circunfpicit nigrosmores , fed propofitamlineam recto ,non uago cur fu tenet. Quifamæ poftmortem cupidi tate ducitur,non cogitat quenlibetco Tum, quiipfius mentionem fint facturi, mox ipfum etiam moriturum : deinde itidem eum quihuic ſuccedit, idő.co uſcs, dum omnis memoria per attoni. tosinanifama,extinctoſý homines p pagatu aboleatur. Quinetiam fingeim mortales fore eos, qui tui recordentur, immortalemg tuifutură memoriam .. quid ergoid adte,ne dicam ,mortuum ? quid ueluiuo tibilaus proderit?nifi ra tionecuiuſdam difpenfationis: omitte enim nunc naturæ munus, huic tempo ri non conucnicns, & de quo fuo loco erit differendum . Omne quod pul chrum eſt,ex ſeipſo tale cſt , atquc in ſc ipſo abſoluitur ,nullámque ſui partem habetlaudem . Ideoid quod laudatur, co ipfoncß peius fit, neq melius. Idý ctiam deijs intelligiuolo, quęcómuni ori nominc pulcraaut bona dicuntur, ut quæ ex materia fiunt, &artis opera . Id autem quod rcuera bonum eft, noa magis alia quadam re opus adid, ut fit bonum, habet, quàm lex, ueritas, cran quillitas animi,uerecundia :quid horú uelli laudetur bonum fit, uel uitupera tione corrumpitur? Smaragdus quidé niſ laudetur, debonitate ſua aliquid a mittit? quid aurum ,ebur,purpura,cul ter ,floſculus,arbuſcula? Si permanent animi , quomodo cosab æterno capit aer : & quomodo terra abęuo uſquchu matorum corpora recipit? Quemad modum hîc corpora quum aliquádiu in terra delituere,mutantur,diſsipatag fpacium alijs cadaueribus præbent:fic animæ in aérem ſubuectę,quum aliquá diu ibiperftiterunt,mutantur, fundun turg, &ad menté omnium aliarum ge nitricem adiungunt , eağ ratione alijs aduentantibus locum cedunt. Hocrea fpóderi poteſt, pofito animas eſſc cor poribus ſuperſtites. Neq uerò tantùm multitudo ſepultorum eo modo cor porum confideranda eſt: ſed & corum quæ quotidie comeduntur à nobis, & beftijs animalium et fic quodammo do ſepeliuntur magno numero, acni hilominus fuppedicat ſpatium alijs, p pter corum in fanguinem , aërem , calo remgmutationem. Ratio autem ucri tatis conſtat, ſimateria & caufæ inqui rantur.Non eſt uagandum ,fed in omni appetitu iuſticię ratio habenda:omnig in cogitatione,certitudinis.Quicquid tibi,ô Naturarerum , conuenit, id omne mihiconuenit,nihilſ mihi uelimmatu rum eſt,ueltardú , quod tibi ſit tépeſti uum :oéid fructum meum puto , quod tuæ ferunthoræ .Ex tcfunt, &in una to omnia, ac in te unam omnia redeunt, Quidam dixit, ô chara Cecropis urbs. ego autem de tccur non dicam , ô cha ra Dei urbs ? Pauca age , inquit, fi tibi tranquillitas animi curæ eſt. Nihil co plus cnofert, quàm ea quæ neceffe eft, agere , & quæ ratio animalis ad ciui lem ſocietatem nati, ac quo ca modo dcligit. Id enim non modò rede a gendo, fed & paucaagendo animi tran quillitatem parit. Nam ex his, quæ plurima &agimus & loquimur,fi quis ca quæ non ſunt neceffaria tollat, is &maiori otio utetur, & pauciores per turbationes experietur. Itaque lingu . lis in rebus circunfpiciendum , ne quid non neceſſarium agamus: acnon mo dò actioncs, fed & cogitationes inuti les funt uitandæ. ita cnim fict, ut nea . &tiones quidem fuperuacaneæ conſe quantur.Facpericulum ,ut tibiboniui uita quadret:eius inquam ,qui fato fibi deſtinata æquo fert animo, contentus eſtiuſtis ſuis actibus, & placidoftatu:ui diſti illa ,hæc quoqueintuere.Non per turbatcipfum , fed fimplex efto.Si quis U MAwy peccat, fibijpfi peccat. Tibili quidbom ni obtigit, ab initio tibiid fato tuo fuit deſtinatum . Omnino autem breuis quum sit uita , curandum ut præſens tempus lucreris rectam rationem & iu ftitiam ſequutus: ac in remiſsionibus animi ſobrius fis . Aut compofitus eſt certo ordine mundus, aut cófuſo quæ ram rerum temerè mixtarum , mundus tamen . An quum in te ipſo poſsitor dolocum habere, uniuerſum nullo or dine conſtare dicemus? præſertim om nibus in co rebus ita digeſtis, diffufis, atque inter fe affectis . Mores nigri uocantur mores effæminati, duri , fe ri, pecorum aut infantium fimiles, ſto lidi,fucati,fcurriles,cauponarij,tyran nici. Si peregrinus in mūdo habetur, quæin mundo funt , non cognofcit: haud minus peregrinus erit , qui ea quæ fiunt:non cognofcit: exul, quiciuilem rationem fugit: cæcus, quiintelligen tiæ oculos clauſos habet: pauper, qui alio indiget , nequein fe habet omnia quæ ad uitam conducunt . Abſceſſus,ſiuculcus mundi-eſt , qui ſe à communis naturæ ratione feiungit ,in dignè ferendo ea quæ cueniunt:(caeń quæ te produxitnatura, omnia pfert.) fruſtum à ciuitate amputatum , quiſu am animam à communi & unica om nium ratione præditorum méte reſcin dit. Alius line toga philoſophatur,ali us abfg libro ,alius feminudus,panes ſe non haberè,& tamen ingſtere rectæ rationi dictitans,alius ſe diſciplinis ſuis non alere , & tamen perfeuerare profi tens.Tu artem quam didiciſti,dilige, in cağacquieſce. Reliquam vitæ partem : ita exige, ut q cx animo dijs omnia tua commiſeris,negullius te hominisuel ſeruum uel tyrannum conſtituas. CóGidera ſuerbigratia) quęVeſpaſia nitēpore euenerint: inuenies homines tum nuptias contraxiſſe, liberos aluiſ ſeægrotaſſe,diem ſuum obijffe, bellige raſſe ,feſtos dies egiſſe, negociatos fuif ſe,agricultură exercuiſſe,adulatosfuif ſc,præfractos ſe geſsiſle, suspicionibus indulgfie, inſidias feciſſe,quoſdami uo tis mortem uocaſſe,alios quiritatos de præſentererum ſtatu,amalle, theſauros d TU collegiſſe,conſulatus et regna expetiif fe.Nonne corum omnium uitaiå aboli ta eſt ?Rurfus ad ætatem Traiani defcé . de: invenies eadem omnia , atque cius quo ætatis hominesmortuoseſſe,eo dem modo ſi etiam reliquas ætates et gentes totas conlideres, uidebis quàm multicú ad ſummú cótendiſſent,paulò poſt ceciderint, & in elementa reſoluti fint.Præſertim uerò hi memoria recole di ſunt,quos ipfe cognouiſti uana affc Etantes , cum agere fecundum id ad quod natura erant facti , cizinhærere, &eo contenti effc ceflarent.Id quoque opuseftmeminiffe,in unaquauis actio necantum uerfandum ,quantum digni tas cius & modus permitcunt:ita fiet,ut non diutius quum par litreb.exiguisim moratus, nullú faſtidiú cótrahas. Vlita ta quondā uocabula, nuncinterpreta tionis loco funt: ita et corum quifuerút olim celeberrimi, nunc quodammodo ſunt glossæ, ut Camillus, Cæso,Volcſus, Leonnatus, cum paulò post SCIPIO, CATO, inde AUGUSTUS, ADRIANUS, ANTONINUS. Ist hus : omnia enim hæc euanida ſunt, & mox in fabulam abeunt: mox obliuio. nc oí a obruuntur.Ato hocdicodeijs, qui ad miraculü ufo clari erant : relig enim fimulato animam efflarunt, obscuri, & ignoti facti ſunt. Quáquá quid eſt omnino,cuius fit memoria lempiter ħa? Omnia füntinanía. Quid eftigitur, in qd Geſtudio incúbendú? Vnicú hoć, ut cogitationes antiuftæ , actiones ſo cietatem humanam refpiciant , ratio te punő fallat,itag lis alo affcctus,ut quæ cúqaccidút,catanğneceſſaria,nota,ab codé principio & fonte promanantia, approbes. Vltrò te fato ſubmitte, pate regid teijs quæ ei uiſum fuerit reb.de ſtinare:oia in diéfunt, cúid recordat alicuius, túid, cius fit mentio . Nunquá nó con dera , oía permutationes fieri, neq uniuerſi naturæ quicquã eſſe ulita tius,ĝres mutare, & innouare. Omnia em quæ in natura ſubliſtűt,femina qua G ſunt corum , quæ cxillisſunt naſcitus ra ; eftautem nimium rudis hominis exi Ntimare ea cătùm ſemina cfTe, quæ in cer ram aut matricem deijciuntur. IM lam morieris,neque in pofterumeris is quinunces,fimplex, perturbationu uacuus,nihilſuſpicans extrinfecus tibi poffe damni afferri, omnib . benignus, prudentiam in eo tantum utiuſtè agas poſiram cenſens. Intuere aliorum principem partem, acquænam fugiant,quæ ſequanturpru dentes. Tuum quidem malum non eſt in al terius animo pofitú,neg in conuerlio neulla aut mutatione cæli. Vbi ergo? in opinione demalistua. Nihiligitur malum eſleiudica , & omniabenehabc bunt.Quòd li corpus, quod animo tuo eft proximum ,fecetur,uratur,ſuppure tur,putreſcat,tamen ea pars , quæ iudi care de his debet, quietaGt:hoceft,exi ftimet nihil effe neque bonum ,neque malum ,quod exæquo poteft bono at que malo accidere:nam quod'ei qui ſe cundum naturam uiuit, exæquo acci dit, id neque fecundum , neque contra naturam eft, Aſsiduè tecum cogita,mundum eſſe animal quoddam unum,unam naturā, uno animo præditum, quomodo om nia ad eius fenfum unicum rcferantur, omnia ab co unico appetitu mouétea gantur, ac omnes res omnium rerum caufæ aliqua ex parte fint,tum quis ca rum inter fe contextus & ordo. Animula es , quæ cadauer geſtat: ut Epictetus dicebat. His qin mutatione funt, nihil eſtma lum: utnequebonum quicquã his qui è mutatione exiftunt. Aeuum , fluctus quidam eſtrapidus carum quefiunt rerü :fimulcnim unum quodß & apparet &præterit, &aliud ſubſequitur, moxitem aliud ſuccedet. Omne quod nobis accidit , ita conſue tum eſt, & notum , ut roſa uere, fructus æftate. Eadem eſtratio morbi, mortis, calumniæ, inſdiarum, omniumg eorü, quæ ſtultis uel gaudium, uel triſtitiam afferunt. Quæ ſubſequuntur ſubinde, ca præcedentibus rite ſuccedunt.Non enim numerus tantum certus eft eorü, àfolaneceſsitate dependens:fed & có fentanca corum inter ſe colligatio. ac quemadmodum certo ordine resinter fe ſunt coaptatæ, ita quæ fiunt,non ſuc ccfsionem nudam ,fed mirabilemctiam quandam inter fe coniun &tionem etne ceſsitudinem oftendunt. Dictum Hera cleti ſemper eſtmemoria tenédum :ter ræmortem fcilicer eſſe aquam ,aquæ ac rem ,aêrisigné,idý uiciſsim . Eius quo quc exemplum recolendum ,quineſcie bet quorſum iter duceret, Et quod cum rationc quæ uniuerſum admini ſtrat, continenter conſuetudinem ha bentes , tamen ab ea diſcrepant: itag in quæ quotidie incidunt, ca noua ipfis & peregrina uidentur. Non tanquam ſi dormiremus, agendum nobis eſt & lo quendum: in fomnis enim tantum uide murnobissgere aut dicere. Nequeimi tádi ſunt nobis pueri , qà parentib.fuis * hucé,nudè, Gicutaccepimus,Quéadmo dulias tibi Dcorūdiceret, moriendum tibi aut cras, aut ad diētertiú : nojā ma gnopètertiú dié craftino pferres,nifi a nimielies oio abiectiſsimi.quátú emeſt interuallum? Eodēmodoiudicanon in magno effe fouédú difcrimine,poſtmil lenos acaonos, anuçrò çras decedas. Crebrò reputa , quàm multi medici fint mortui, qui ſæpenumero ægrotos inſpi cientes ſupercilia contraxerint : quot Mathematici, qui alijs exitú è uita præ dicédo ſeiactauerint:quotphilofophi, quide morte & immortalitate multa alleruiſſent:quotre bellica laudati, qui multos occiderant : quot tyranni, qui magna cum inſolentia tanquamimmor tales poteſtate luauſi crant:quot urbes mortuę( utita dică)ſunt,Helico, Pom peij,Herculanú,& aliæ innumeræ .Col lige etiam ,quos tuipſc noftiunum poſt alium ,cuius funus curaffet mortuos:Et quod heri fuit piſcis ,cras critfalfamen tum, aut cinis. Momentancum itagté pus à natura eſſe conſtitutum , conſide randum eft æquoſ animo è uita abeun dum:perinde ac Goliua maturitaté co ſecuca G decidat,arboréqipfam tulit ac genuit ,collaudet, & gratiasagat. Simi lis elle debespromontorij, adquod al fiduè fluctus alliduntur : ipſum autem perfiftit,utcunque undęæftuantes cir cùm ferátur.Diceret aliquis: infęlicem mé,cuiboçacciderit:quinimòfelicem t me, quihunc cafum fine dolore perfe ram , & nec præſentibus frangar, necfu tura extimeſcam.Nam unicuiqtaleąd potuit accidere: at non cuiuſuis craç,li ne dolore cum caſum excipere. Curigi tur illud potius infortunio, quam hoc felicitati adſcribis? autcuridinfelicita tem hominis appellas,in quo nihil mali palla eſt hominis natura? an uerò dam num tibi humanæ naturæ uideri poteſt id, quod non eſt contra uoluntatem naturæ çius? Quid ergo? Numcaſus ifte ef ficere poterit, quominusfis iuſtus, magnaminus,temperans,prudens, circum fpectus,tutus ab errore,uerecundus, li ber?autadimereomnino quicquam co rum ,quçhominis naturę funt propria? Proinde quoțies inciderit quicquam, quod ad dolorem te prouocet, recor dare huius præcepti,non illud informado nium eſſe appellandum ,fedfelicitati tri buendum , quòd id fortiter feran Eft quidem ignobile,præſenstamen ad contemnendam mortem auxilium , memoria repeterc eos, qui uitam inlon giſsimum extraxerc tempus. Quid enim hi 57 1 hi amplius consecuti sunt, quàmij, qui immaturamorte ſuntabrepti? Vtique ipfi etiam defuncti iacent , Cadicianus, Fabius,Iulianus,Lepidus, alijſ corum fimiles, q cúmultosextuliſſent,ipfidein de elati ſunt.Omninoeņexiguū eſt ſpa çium, időper quotlabores,inter quos, &quali in corpuſculo exigendum ?Ne igiturmortem prore difficili accipe. In tuere cius quod retro eſtæui uaſtiratë, & eius quod reſtat ,immenſam longitu dinem :in tanto tempore quid præſtat is qui tres ætatcs, ci qui uixit triduum ? Semper breuiorem uiamingrederc: brevissima autem est ea, quamnatura præ ſcripſit. Itag in omni & fermone & a . & ioncidfectare, quòd eſtrosiſsimum . Hocpropoſitum laboribus ,militia, çura rei familiaris, & folicitudi neliberat. Anè cum grauatim à fom no ſurgis, in promptu tibi ſitcogitare,tead humanum opusfaciendum ſurgere.lca que ergo dices) grauatè acccdo ad agé da ea, quorum cauſa natusſum, ac pro ter quæ in huncueni mundum? scilicet in hocfactus,utdecumbesin lectome ipſum calefaciam ?Atquihoc iucundi dius eft. Ergónead uoluptatem natus es, nonad agendum ?nonuides plantu las, palierculos, formicas,arcaneas, a pes, lingula hæc luo intenta officio : tu uerò ea quæ funt hominis obire recu ſas,nc ad id te confers, quod naturæ tuæ conuenit? At uerò quiete opus eſt. Sane: fed & huic ,modü ftatuit natura, pinde,utedédi,bibédig: atqui tu ultra modú &laq gfatis é, pcedis:n reb.uc rò agedis intro moduſubliſtis. Fit hoc cò , qateipſum nó diligis:alioqn eń & natura tua, cius voluntate diligeres.Et cnim alij qui ſuas artes amāt, operibus fuis ita incumbunt, ut neque balneorü nog cibi curá habeant. Tu naturm tua non tanti facis, quanti aut tornator, aut histrio suam artem, quanti avarus argentum , &inanis gloriæ cupidus glo riolam. Hi enim quarum rerum ftudio tenentur,dum eas augere poſsint, cibų &fomnum poftponunt. At tibi actio nes ad ſocietatem ſpectanteshumanam uiliores uidentur', 'minorig opera di gnæ ?Quàm facile eft omnem cogitatio nem quæ animo aut perturbationem af ferat,aut nóconueniat, reijcere, & delc re, ſtatimg effc in fumma animi tran quillitate? Omnem fermonem & actionemque fit fecundum naturam, dignam te iudi . ca:nca te auertat ab ijs reprehenfioare fermones aliorum ca consequentes. Sed fi quid fa & o dictúue pulchrumeft,idte neindignum putes. Alij cnim aliam ra fionem ,alios appetitus fequuntur :ad quos tibi non eit refpiciendum ,fed re Cta via cò pergendum,quò &tua,& comunis omnium ducitnatura: utriuf que autem una eademg eſtuia per ca quæ funt fecundumnaturam progre: dior,donec morte finiam: expirans qui dem eam, quá inſpiro quotidie animā, cadens uerò in terram, ex qua &femen meum pater, & fanguinem mater,&lac nutrix collegit: quæmeterratot iam an nos'quotidie alit cibo ac potu, quamc calcantem fert, ac totmodisipla abu tentem. Auſteritatem tuam ut admirêturno est. Sit fanè, at multa alia ad quæ tc non eflenatura aptum, dicere non po tes.Eaigitur profert, quętota funtin te: integritatem, grauitatem ,laborum tole rantiam, uoluptatum abftinentiam ,ani mum ſua ſorte contentum, pauca defi derantem ,placidum ,liberum, àcurioſi tate & nugis alienum, altitudine prædi tum.Nonſentis,quam multa poſsisprę ftare, de quibusnulla eſt excufatio na turæ ad ea non aptæ : & taméadhucfpó te tua inferius manes. Quid? Ante natura parum beneinſtructa cogit indigna ri,cúctari, adulari, corpuſculum tuum incuſare, tuam ſortem improbare,leuć eſſe, animouagari:nonmehercle,fed his omnibus iampridem ut liberareris malis,in tua fuit poteſtate.Hoc tantum erat uitij, quod tardioris ingenij, ac qui non facilè affequeretur ea quæ traderé tur,exiſtimari poteras: Sed &hoc exer citationeerat corrigendum ,neſubinde cogitares de tua tarditate, néue ca de lectateris. Eorum qui bene alijs faciút,triaſune genera:primum corum , quiſtatim exhi bito beneficio , ſtatim etiam quam ſint meriti gratiam reputant. Alterum co rum , quiid quidem non faciunt,ta conſcij quid fecerint,debitorem ſeiam habere cogitant.Tertij quodammodò ne hocipfum quidem quod fecere,no runt:uiti ſimiles, quæ uuam cum protu lit , ut femel ſuum deditfructum , nihil præterea quærit. Equus ficucurrit , canis fi uenatus eſt,apis fi mel fecit ,fatis eſt. Homo auté l benè fecit,non reuocatur, ſed ad ali ud negocium tranſit, quemadmodum uitis,ut rurſum fuo tempore uuam producat . In his nc igitur eſſe debent, quæ aliquomodo fine conſequentiaid faciunt?equidem .ſed hocipſum debet confequi. Propriū cnim eft (inquit) ani malis legeſociati,ut ſentiatle et societatis causa egiſſe &ut uelit omninoid eû qui ſocietatis eft ciuſdem, sentire. Verum clt quod dicis: quod autem nunc dici tur, excipe . Proptereà ex eorum numc ro eris,quorüantè feci mentionem. Hi enim uerifimilitudine quadam proba bili abducuntur. Quòdh intelligereuis quidná litid, quod diximus,netimcas, ne obid actio aliqua ſocietati hominü inferuiés tibi Gt omittêda.Athenienlių erathocuotu:plue,pluuiã ò chare lu piterin agros & cáposAthenienſes de mitte. Enimuerò aut nihil eft optandū, aut omnino fimpliciter, & liberalitcr. Quod dicimus Aeſculapium huice quitationé , illi lotioné in frigida,alteri utnudispedib.ambulet, iniúxiſſe :nihil aliud eft cú dicim°, natura uniuerfi huic hoimorbú, defectú autamiſsionémen brialicui'impofuit.Náutilliccum dici mus iniunxiſſe,intelligit.AEſculapium HUO O unam rem ad alterāordinafic, uerbigra tia ,camrem reſpectum habere ad fanita té:ica hicidqunicuiqaccidec, rationé babet & rcfpectumad fatū.Ita enim hęc nobis accidere & cógruere dicimus, ut opificesquadratoslapides in muris aut Pyramidibus extruendis congruere a lerunt , quippe certa cos collocation ne inter ſe componétes. Omnino enim una quædam eſt harmonia: atg ut uni uerG huius corpus ex omnib.corporib . eſt compactum , ita ex omnib.caufis Fa tum ſuprema cauſa conſtat.Id quod di co,etiam rudiſsimi intelligút homiues: dicút enim ,hocſors cius tulit,hoceica ratimpolitú.Accipiamusergo hæcita, utilla quæ Acſculapius impofuit: nā & in illis multa ſunt aſpera, quæ tamen fpc ſanitatis ferimus.Tibi crgò corú quęcó munis naturatibiiniúxerit perfectio ,fi milis ſanitati iudicet:atqita æquo ſuſci peanimo oía quæ fiút( ctiāli gd durius uidcat. ) quoniã adidducunt, quod ra tioncmúdić fanicas,népeadfelicitaté. Nihileſ accidiſſet tibi, nifi in réuniuer Gita ect:ncq cnim una quæuis natura i  quicquam fert,ſed id modò, quod re fpcctum adid quod ab ea adminiſtratur, habcat. Quare duæ ſunt rationes,cur ea que tibicueniunt, çquodebeas animoferre. Vna, quiaſors tua ficferebat, & tibi de ſtinata erant ab antiquiſsimacauſa fata li habentiaad te certum reſpectum.Al teras quòd ca faciunt adprofectum , & perfe &tionem , ac permanentiam eius, quòduniuerfo praecſt. Totum enim muti latur,fi etianminimam partem conti nuitatis & coherentieutmembrorum , ita etiamcaufarum difcindas. Id autem quantum intc eft,facis , quotiesea quæ tibi obtigerút,moleſtèfers,ac quodam modo tollis. Faftidire,animumdeſpondere,ac de terrerinódebes, fi nó ubiq tibi fuccef ſusrefpondet,fecundum recta præcep ta agere fingula cupienti :ſed fruſtratus conatu,cum redintegrare, & æquo ani mopleraq humanaferre : neque debet te eius,ad quod redis ,poenitere.Nequc tibi eſt ad philofophiam tanquam ad pædagogum redeundum :Sed utſolent qui ex oculis laborant,ad ſpongiam & ouum, alij ad cataplaſma &perfufioné confugere.Ita enim nó opuserit tibi o. ſtendi,utrectęrationiobedias:ſed in ca ipſe acquieſces. Memento philofophiam ca tantum poſcere, quæ natura etiam tua exigit: tu aút aliud quippiam uolebas.Vtrum uc rò horum blandius'eft an nonhocpa eto dccipit uoluptas ? Vide gratior no gt magnamitas, libertas, simplicitas,æ quanimitas, fanctitas? Quid enim ipſa prudentia Git acceptius,ubicùm animo tuoreputes facultatem quæ ſcientiam certam , & certis conſequentijs nixam habet,nuſquamlabi, & ubiq ſucceſſum habere? Res quidem ipfæ in tanta quodam modo uerſantur obfcuritate, ut philo fophorú plerifcb & ijs no ignobilibus, omnino pcipipoſſe nihil uifum fit:Stoi ci tamé poflc percipi, ſed planè difficul ter,cenſucrunt.Eft omnis noſtra aſſé lo talis, utfalli & mutati poſsit:quis c nim ſenó pofle errare dixerit ? Trasfer itag cogitationes ad ipfas res fubice  & as ,acuide quàm breues , uilesø Gne, quæ ctiam à cinædo, fcorto ,autprædo ne poſsint teneri.Inde tranG ad mores corum, quibuscum uitam degis , inter quos uix eſt etiam gratiofifsimum per ferrc,ne dicam , quod uix ſeipſum quis perpeti pofsit. Tanta igitur in caligigine, sordibus, tātoo rerum, temporis, motuumý, & rerum quæ mouentur flu xu , non uideo quid lit effe in honore, aut obferuantia hominum. Contrà præ ftat feipfum confirmare, acmortemræ quo animo expectare,ncqmoram indi gnè ferre, fed in his modo acquieſcere duobus: uno, quòd nihil mihi accidet, quod nó fitſecundum naturam uniuer fi:alterum , quòd licet mihi, nihil agere quod contra Deum geniumg fit meú demo em ad hocme cópellere poteft. Subinde hoc teipſuminterroga: quam adrem nunc utoranimo meo? at & exa mina teipfum :ea pars, quam principem uocant, quomodo núc habet?cuiusaío prçditus ſum ? num pueri, num ADOESCENTIS, num mulierculæ , num tyranni, num iumenti,num feræ? Qualia fint illa, quæ uulgò bona ha bentur, etiam hinc euidens fiat.Sienim animo concipias ca quæ ſunt reipfa bo na, utprudentia, ut temperantia,utiu fticia ,ut fortitudo,hisiam antè reputa tis, nihil porrò audies nominari bonú, quod nófub hæc referatur. Quæ uerò uulgus hominum bona putat ,ca qui an tè mente conceperunt,fimulatq nomi nari audiút,perfacilè accipiút,perinde ut liquidà Comico appolice di& ú eft. Hæc eſt fere uulgi de differentia bo norum opinatio :alioquin enim haud co peruentum eſſet, ut uera bona auer ſarent,diuitiarū aút, voluptatis aut glo riæ métionéita admitterét, utſcitè ato urbanè dicta.Progredere ergò,acinter roga,(intne in honore habendaet in bo nis ducenda hæc, quæ fi animo tuoima ginatus fueris,aptè quis dicere poſsit, cum quiiſta poſsideat,propterhác co piam ncubi quidem cacec habere. Ex forma & materia conſto : ho. rum uerò neutrum in nihil uertetur, ut neque ex nihilo extitit. Ergo om nis mci pars permutationem redigetur in aliquam mundi partem, atqhæcrur fus in aliam uniuerli portioné tranſibir, ido ad infinitum uſ. Huiufmodi auté mutatione & ipfe extici, & parétes mei, ide in infinitum uſo retrò eunti licet dicere:quãquam certis alioquin circui tibusmundusadminiftratur. Ratio et rationalis ars, facultates funt abiipfæ ſufficientes,fuisg operib. Progrediunturàſuo principio, acper gunt ad finem propoſitum :habent a & tiones earum à uiæ cuiinGftuntilleno men apud gręcos, utfine netoptásons:nos rectas effectiones dicere poſſumus.Ho rum nihil de homine dicipoteſt,neque enim ei conucnit, ea ratione, qua homo eft : Non hæchomo,ncgiplius natura profitetur:non eſt ca in humana natura perfectio.Proindein externis rebusnc quaquam erit finis homini cóftitutus, nepid bonum , quod finem illumabfol uit:Alioquin hominis partes non fuif ſét,ut eosdeſpiceret,nem laudedignus, quiſeita parat,utillis non indigeat:no que qui illis rebus abſtinct, bonus dici mercrctur, fiquidem cæ bona ellent Nunc uerò tanto quiſ melioreſt, quá to magisſeipſum ab illis rebusabſtinet. Talis erit intellectus tuus, qualia ſunt ca,de quibus ſubinde cogitas : nam à ui bis fcu cogitationibus illis animus im buitur.Inficeigitur eum adliduitatehu iuſmodi cogitationum , qualesſunt:ubi cunqueuiuere,ibietiam bene uiuere li cet :uiuere autem licet in aula, ergo etiã bene uïvere licet in aula. ltem alicuius rei caufa fingula ſunt facta cui ucrò gra tia unúquodgfa & ú eft,adid fert, ado aút fert in eo finis eius é poſitus: ubi ue ro finis ,ibi ét bonú unicuiq. Ergo finis animanti ratione prędito ppolituseft, focictas, natos cnim nos effe ad eājiam pridem eft demonſtratum . An uerò non euidens eſt, deteriora præftantiorum ,rurſumýex his unum alterius caufa effe.Præftantuerò inani mis animata,atq inter hæcipfa, ca quæ rationem habent. Ioſani eſt,ſectari impoſsibilia. At fic ri non poteft,quinmaliſuomore agāt. Nihil cuiquam accidit,nifi ita Natu rá deſtinarit. Id quod alius iniquè fert, e  bas wal wide ولا bus alteri accidit, qui fiue ignorationc cius caſus,ſineut magnanimitatem oftédat, cóftantiā tuetur,atqillæſus manet.Ini quú cſtigitur admittere,utinſcitia et o pinio prudētiäſupent. Etenim res ipfæ animúnequaqattingunt, non intrātad eu,ncg mouere, ncq uertere poffunt. Solusipſe ſeipſum ciet, ac quale iudicia umtulerit, talia ea quæ accidere, fiunt. Alia róeſumma nobis eſt necefsitu . do cũ hoíe cóftituta,quaeibenefacere, eumý ferre iubemur :cú aúcimpedire conant noſtras actiones , nó magis ad nos attinet, ộ Sol, uétus:beſtiæ. Ato hi qdé impedire effectú aliquãdo pofsint: animi uero appetitioné, & affectum no qucunt,quiahæcexceptioné habét , & conuerlionem.Ná omneid quodimpe dimento fuit effectioni,id animus ad ca quæ præcellerút,cóuertit, atßcomo do id ,quod inſtituto operi,uiccoßinitę obftitit,ei iam confert aliquid . Id quodin múdo eft præftantiſsimū, cole. Eit aútid, qd oíbusreb.utitur,oía gubernat. Similiterid quoßhonora, q in te elt primú: nimirú illi alteri cogna tum, cesa üles DO Pe quatum ,quòd & cæteris quæ in teſuntom nibus utitur, & tuam uitam regit. Quod civitati nullum affert detri mentum ,idnc ciui quidé nocet. Hæcre gula recoléda tibič, quotieſcúq telæ ſum aliquâ eſſe cogitas.Sin ciuitas dam no affecta cft, ei qui ítulit,ſuccéferenó debes. Quid neglectú eft?Sæpenumero códdera, ệ celeriter oía quæ & funt & fi unt, abripiãtur & cuanefcát. Etenim & ipfęnaturę amnisinſtarin adſiduo funt fluxu , & cffectiones cótinétib.mutatio nibus obnoxiæ , & cauſarúinfinitæ ſunt uices:denią nihilferè perſiat, aut ſui fi mile durat.lā & pręteriti, & uenturiçuí infinita é, in qua oſaabolentur,uaftitas, Quî ergo ſtultitiæ nó damnet, qin hoc tā cxiguo téporis articulo ſupbit,appe tit,autmoleſtia fe affectú quiritaf. Vni uerfæ rerú naturęrecordare, cuiusmini . mã parté tenes:totius zui,cui' breue & mométaneútibi éattributúſpacium :fa ti , cuius perexigua ad te portio ptinet . Peccatalius qs aduerſummc uiderit, ſuā habet affectioné, ſuum a &um. Ego in præſentia id habeo, quod me habere i t c & C a & 1 uult cómunis natura: agogid qd'age remeiubetmea natura . Pars animitui princeps neinucrtatur ullo uelleui uel alpero carnis motu , neg admittat per fuafones quçinmembrisoriuntur, Sed circumſcribatcas. Quòd fi ex ratione alterius conſenſusad intelligentiam ef ferútur,nimirum quatennsea cum cor pore copulata eft, tum quidem ſenſui, cum is a natura proficiſcatur, reluctan dum non eft: opinioniautem mali aut . boniadfentiremensnon debet. Viuendum eſt cum dijs.Vitam ucrò cum dijs agit, qui continenterijs ſuum animum oftendit probātem ea quę ipli fatum tribuit, agentemg ea quægenio placerent: quem lupiterſuæ quandam particulā naturæ unicuiæ prælidé, du coşdedit, nimirú mente atæ rationé. Neiraſcaris ei qui hircú olet, autcui aia fætet; nihil, n.ad teidcmaliredibit, Alæ iplius, & osita ſunt affecta,utne ceflc ùthæcmala conſequi, Rationc,inquis, præditus eſt homo, ac fi scrutari uclit , intelligere poteſt quainre delinquat.Benereshabet. Proinde tu, qui & ipfe præditus es ratione, mentem eiustuæ mentis motu cxcita, doce, commonefac: li enim obtempe rat tibi, fanabis eum , negira opuserit. Nonita hic uiuendú eſt tibi,ut Tra gedo autſcorto qui egrediés uiuere co gitat. Quòd li tibinon cóccditur,tunc uita excedere, ita quidé,ut qnihil mali patiatur,acfumiinitar abeat, Quid hoc rei eſſeputas? Dum uerò nihilme tale abducit,liber permaneo ,neq mequif quam prohibet agere ,ut uolo, uolo au. tem ,ut naturæ animantis ratione predi ti, & ad certum nati conuenit, Mens quæ mundum gubernat, ſocic tatisrationcm habuit:itag & inferiora præftantiorumcaufa effecit,& pręſtan tiorum unum alteri ſubdidit. Videt , ut ſubiecerit , cóiunxerit,ac unicuiq ſecu dú dignitaté ſuú tribuerit,ea quęlunt pręſtátiſsima,mutuo cófenfu deuíxerit. Quomodo uſus es hactenus dijs, pa rentibus, fratrib. uxore, liberis, docto ribus, alumnis,amicis,familiaribus, fa mulis? an in huncuſquediem in nemi nem horrcū uerbóuefuiſti iniurius! Reminiſcere étą ſupaueris , actolc raueris : tum fabulam uitæ tibiiam pera tam,teş tuo miniſterio defunctum ef ſe. Quàm multa uidiſti pulcra? quot uo luptates quotdolores deſpexiſti? quot peruerfis hominib. æquúte præbuiſti? Quamobré animi artis & diſciplinæ uacuiarte & fcientia præditum confun dunt? quem uerò animum arte & ſcien tia præditum uocas?cum ,qui principi um & finem cognoſcet,et mentem , quç per uniuerfam rerum natură penetrat, acper omnes fæculorum curſus defini tos atq; ftatosmundum gubernat. lãiá cinis eris, &oſſa nuda, nihil öter nomé(liquidéid ſupererit) tui reſtabit. Noméautnihil eftõſonitus. Atea quæ magniin uita precij habent,uana ſunt, putrida, cxigua, atą inſtar catellorum mordicantiŭ, aut pucrorü inquietorů, quimodò rident,mox plorant. Cæterű fides,pudor,iufticia, & ueritas. Climatib . tcrræ cæld petiere relictis. Quid ergò reſtat, te hîc detineat? fen Gliane tam fluxa, torý mutationib . cxpofita ?an ſenſus, obſcuri, & qui facilè decipiantur?animula ipſa, quæ cft ex halatio à ſanguine? gloria inter huiuf modi homines, inanis illa ? Quid ergo aliud operiris,niſiuelextinctionem ,uel translationem ,idý æquo animo?Quid interim dum eam occafio adducit ,tibi fuffi ciet?Quid aliud, quàm deos uene rari &collaudare,hominibus beneface re,eos &ferre, & ijs abftinere:quæ cx tra tuæ carunculæ & animulæ ſunt po fata fines,ea meminiſſenex poſſeſsióis, nco poteſtatis tuæ eſſe? Semper potcs uti ſecundisſucceſsibus, Gredtæ uiæ in Giſtere uis,duo hæc obferuare, quæ di uinæ menti communia funtcum homi nis , omnisg ratione præditi aſalis ani mo: unum, non poſle te ab alio impedi ri:alterum ,iniuſta uoluntate & actione | bonum eſſe collocatum, cumý ad fino efle appetitionesdirigendas: Si hocneg mca fitmalicia,ncqactio eſtàmeaproficiſcensmalicia:nequcco munitatidāno eſt, quid folicitus deco ſum ?querò dānúě cómunis focictatis ? Non debemus nos cogitationib.om ninoabripiédos præbere, fed opitulari quátum eius fieri poteſt, & dignum eſt, etiam li in medio lit defectus:ncqueid pro damno ducere.ca enim cófuetudo mala eſt. Sed quemadmodū ſenex di ſcedens rhombum alumni poſcebat, memorrhombú cffc.ita etiam hic: quo niam bonú aliquid fiatin roſtris. Heus homo,oblitus es, adhæc lint? lanè: Sed ca,in quibushiſtudiú ponát.Propterea tu quoqs ſtultus es fa & us? Aliquando uteung relictus,factusſum felix. Felici tas auteſt, utbonam tibiipfifortem uendices : id eft ,boni motus ani mi,bonæ appetitiones,bonæ actiones. Aturauniuerfi ſuo guberna tori obedies eft, acbene có polita: quæ uerò cam guber nat mens,nulláin ſeipſa ha betmalè agendicauſam : quippenihilei ineft uitij,nc peccat,nc ab ea quic quam læditur: omnia uerò fecundum cam fiuntatßperficiuntur. Nullo ponein diſcrimine,algenſne, an calens, dormiturićsan ſomni fatur, malian benè audiens,moriens an aliud quid agens id facias , quod te decet: quando mors etiã una eft carum a & tio num , quæ ad uitam referuntur. Sufficit igitur ea etiam imminente, id quodin ſtat,benè collocare. Intrò refpice.Nullius rei nequepro pria qualitas,neqid quod cidebetur, te fallat. Omnia quæſubiccta ſunt,celerrimè mutantur, & autin halitum refoluun tur, fiquidem fit compacta corum ſub ftantia,aut diſsipantur. Mens uniuerli gubernatrixſcit quó ſe habeat, quid agat, & quá habeatma teriam ſubiectam . Vlcilcédi ratio optima eſt,ne ſimilis fias cius, qui iniuriam fecit. Unohocte oblecta, inguno hocac. Quieſce, ut ab una ſocietatis humanæ tuendęcauſa ſuſcepta actione,ad aliam tranfeas, dei memor. Princeps hominis pars eſt ea, quæſe ipfam excitat atą cict, feğz talem, qualem vult,efficit,præſtatý ut ea quæ eue niunt talia, qualiaipſa uult , fibi uidean tur. 04 Omnia fecundú naturā uniuerG fiúc: negenim poſſunt fieri fecundú ali ali quam ,ſiue extrinfecus circumdantem, fiue incluſam ,fiue foris ſuſpenſam . Vniuerſum aut confufio quædam eſt, & cótextus fortuitus rerum iterum àſé diuellendarum & diſsipandarú: aut unitionc ordine , & prudétia conſtat. Si prius illud uerum eſt, quid eft,curcu pia inani huic colluuiei & mixeuræim. morari? quid aliud expetendum ,quàm ut in terram utcungredigar? quid per turbor?quicquid egero,tamen difsipa tio mc corripiet. Sin altero mó res ha bet, uencroreú, animoſ conftári ſum , & gubernantimundum confido . Cum te rerum præſentium ſtatus nó nihil perturbat,celeriterad teredi,neg ultràquàm neceſſe é , à modoeius quá inftituiſti cantilenæ difcede.Nam co fa cilius harmoniam tueberis, ſi continen ter ad eam reuertaris. Sitibi Amul &nouerca, & mater effet, illam quidem coleres, &tamen crebrò ad matrem te recipercs. Eadem eſtribi ratio aulę & PHILOSOPHIæ . Quarc ad hanc sæpe numero revertere, & in hacac quiefce, quæ efficit,ut &res aulicæ tibi tolerabiles uidcantur, & tu duminijs ucrſaris,ferri queas. Quid cogitandum est de cibis & id genus rebus ? hoc eſſe piſcis ca dauer , illud auis , aut porci: item Fa lernum , ſuccum eflc exiguum uuulz purpuram capillos elle ouiculæ, modi. co teſtudinis fanguine imbutos: tum coitum ,inteſtini parui affrictioné, mu ciğ excretionem non fine cóuulấone. Cogitationes hæ præclarę ſunt: nam ré ipfam attingunt,acpertranſeüt, ut qua lis cafit ,cerni poſsit.His per omnem ui tam utendum eft:aclicubiresquàmma ximè uidetur comprobatu digna,tegu mentis cſt nudanda, ut & eius in cófpe dum ueniat uilitas,& id,quo fe oftenta bat, ei adimai. Etenim fucus impoſtor eſt callidiſsimus,ac tummaximèin frau dem inducit,cum quis maximèfe res ſe rias & dignas tractare putat. Videigit, quid de Xenocrate ipſo Crates dicat: Pleraq, inquit,corum , quæ uulgus ad miratur , fi fub habitu aunatura conti nerent, ad latiſsimè patentia genera ré uocabat,utlapides,ut ligna,ficus, uites, oleas.Quęſubarctiorib.aliquanto , ad animata ,utgreges,arméta.Si qua paulò plº haberćt gratiæ ,hęcad eareducebac a cópræhédútur fub ala róe prędita,nó quidé uniuerſali,ſed quatenus artes tra ctat , aut alias facultates: aut ipſa per fc . au L fcæſtimabat, ut:quidnam cſſct,poſside remultamancipia.Qui uerò animūra •• tione præditum cû omnibus ſuis facul tatibus,ciuilis coetus ſtudio uenerat, reliquarum is rerum nullam curat. Sed omnibus poſtpoſitisſuum animum ita affectum ,atgita fe mouentem, ut ratio ni & ciuili ſocietati cögruit,conſeruat: ijs quiſunt eiufdem generis , utiden præftent,auxilio eſt. Quædam iam fiút, quædā mox exiſtent, quin &cius quod fic, pars iam nuncaliqua euanuit. flu xus, & alterationes continenter mundű renouất : quemadmodum infinitum æ uum temporis adſiduolapſu nouü ſub indereddit.In hocita @ flumine quifná ca quæ præterferút, ac quibusinfiftere nonpoſsit, honore aliquo dignetur?is quidem perinde lit ,acli quis unum de præteruolátibus paſſerculis diligerein cipiat,atisiamè conſpectu cius abica rit.Itafe & uita uniufcuiufque hominis habet,ut halitus a fanguine ſublatus,& aër inſpiratus. Quale.n.eft quod femel animāattrahimus, & efflamus,id quod identidemfacimus,tale ctiam eſt , quòd f ac ad all a . ba omnem reſpirádi facultatem , quam hc ri aut nudius tertius nati accepimus, eò reddimus unde accepimus.Quod uege tamurmoreſtirpium ,reſpiramusmore pecudú, & ferarú , quòduitsafficimur, quòd appetitionis cauſa mouemur , q congregamur, quòd nutrimur,omnia hæcnonmaioriſunt in pretio ponéda, quàm quòd excernimus cibirecremé ta. Quid igitur honore dignü est? num plauſus?nequaquá. Ergo nelaus quidé populi,quænihil eft aliud quãplauſus 1 nguarú.Sublata igit etiâ gloriola, quid reſtat, quod ſuſpiciamus & ueneremur? equidéhoccenſeo ,ut quemadmodú fa ciiinſtructiś à natura fumus,ita mouca mur.Eò nos etiam diligentia opificum , &artes ducût. Ois.n. ars huc collimat, utid quod paratú eft,aptü fit & idoneu adopus , cuius operis cauſa paratú eft. Idé querit uinitor,idé qui pullos equo rum domat,idé qui canes educat. Ergo &inſtitutio primęætatis & doctrina co contédunt:isý finiseſt,quem expetere debeas. Húc córecutus,nihileft in alijs rebus quod ſis tibi quæliturus. Quòd fi pergas ES pergas alia eciã expetere , nec liber cris, neg tibi ſufficies ipſe, negeris affectuú uacuus:neceſſariò.n.inuidebis,æmula beris ,liniſtra ſuſpicaberisdehis , quiilla tibi adimere poſsúc ,infidiaberis ijs , qui ? id quodmagni fit à tepoſsidét.Oino.n. necesse est cu esse aio pturbato, qiſta de fiderat :fępe etiá deos incufare . Quiuc rò mente ſuam reuereturato colitis & fibi ip , probabitur, & cum cætu homi num bencei conueniet , cúmque dijs conſentier ,id eft,laudabit quæcunque ij diftribuunt & ordinauerunt. Infrà , ſuper , atque circum te motus ſunt elc métorum . Motus uerò uirtutisin eorú nullo eft,fed diuiniore quadá , & adin telligendum difficili'uia procedit . Vide quid aganthomines. Eos qui eodem cú iplis uiuúttépore, laudare nolūt:ipfi uerò à pofteritate laudari magnü exiſti mant :nimirúabijs quos ne uiderunt, neq uidebūtunqua.Id uerò haud mul tò aliud eft, quàm ſi dolerét , non à prio ris etiá ætatishominib. felaudatos esse. Non, li quid allegintelligétia tua neqs , id daullopoile apprehendi homine exiſti 0 co ert as f 2ti ma: Sed quicquid homo poreft, quic quid ei conuenit, id & tibiconcediiu dica.ln palæſtra fi quis unguibus aduer farium laniauit,autcapiteincuſſo ferijt, nonindignamur, ncq;offendinjur,nco inſidiarum fufpectum habemus : caue mus quidem nobis abeo ,non ut abho ſte, ncquc Gniſtrum quid de eo ſuſpica mur,tantùm placidè cum declinamus. Id fieri debetetiam in reliquis uitæ partibus, ucidem de alijsſentianus, quod de ijs, cum quibus collucamur:poflu muscnim (utdixi) citra fufpitionem & odiűabijscauere, & cosuitace. Si quis meredarguere poteft, & demonftrare, quòdnon recte ſentiam ,aut agam,læto animo fentétiam mutabo :ucritatem.n . quæro, quæ nemini unquam dáno fuit; damnum autem facit,quiin crrorc & i gnorationcſua pmanct. Ego, quodcft mci officij, ago, cætera menonauellúc. Autenim anima,autrationc carent,aut uiæ ignara errant. Animantia rationis expertia,tú omnes ciuſmodi res & fub . iccta,magno & liberali animo ſunt ufur panda tibi,ncmpcrationeprædito. Hominibus uerò, ut ipſis quogmentcin ſtructis rationeſocietatis habita utere. Inomdisciònegocio deos comproca rc:neos ſolicitusefto,quantum tempo ris fpatium tibi adagendum detur:fuffi ciúteoim ucitres huiuſmodi horæ. Ale xander Macedo ,agaloß eius , mortui in idem ſuptredacti: autenim aſſumpti ſunt ad mentēmundicam, qua fati ſunt reliquorum animi , aut diſsipati ſuntin atomos, unus perinde atgalter. Cum animo tuo conlidera,quàm multa uni co temporis momento fiantin uniuſcu iuſ @ noftrûm ,cùm animo, tum corpo re :ita fict,utnó mireris, quòdlógè plu ra, imò uerò omnia quæ in mundohoc fiunt,fimul extent. Si quis à te quærat, quomodo fitnomen Antoniniſcriben dum: nónne fingulatim omnes literas proferres? Quid ergo fi qui iraſcuntur, num uiciſsim tu quoque ſtomachabc ris?nó potius numerum inibis placidè ; Ingularum rerú ? Itac ctiam hîçmemé to luis omnc officium quibuſdam con ſtare numeris: quos li imperturbatos ſeruaueris, ncq indignatibus alijs ipfo com Spro MIUS. quog indigneris,recta uiaid quod pro pofuifti,perficies. Inhumanum effe ui detur,hominem impedire, ne ad ea fera turquæ ei utilia & cognata uidetur. At quiid tu ne faciant prohibes quodam modo,dūiniquo animo fers cos delin quere.Ferútur enim utiqueadid, quod naturæ fuæ coniunctum , & utile putāt. Sed res nó ita habet . IditaB oftéde eis, & & doce citra indignationé.Morsfinem imponit ſenſuum motus, & cogitation num officijs ,animúģàcorporismini- situ ſterio liberat. Turpe aút eft in hac uita, in qua corpus tuũlabori nỏ fuccubit animú tuú elāgueſcere.Videne à pręfé tiſtatu deiectus obruaris. Poteft.n.hoc fieri.Itaq; cóferua teipfum Gmplice, bo ne núintegrū,graué,apertū ,iuſtitiæ ſtudio fum ,piúerga deos, benignú, humanú, ad officiunituendúforté,annitere utta lite lispermaneas, qualetefacere uoluit phi c loſophia.ucnerare dcos,ſalaté homini busaffer. Breue eſt uitæ in terra degen dæ tempus,omniſg eius fructus, ſancta animi conftitatio , & actiones commu- beri pitati hominum utiles .Omniautdecet Anto SE maig Sophie Antonini diſcipulum.age. Quæ fuerit eius in agendo fecundum rationem fir mitas, quæ ubiqueæqualitas, quæ ſan ctitas, memento : quæ uultusferenitas, accomitas . Quantus ille gloriæ con temptor, quod eius in percipičdis reb. ſtudium , quum nihil prętermitteret,ni fi prius accuratèperſpexiſſet,ac cogno uiffet.Vt tulerit iniuftè ipfum repræhé. dentes, neque conuitium his repoſuc rit:ut nihilproperatè aut cupidèaggrel fus fit: ut calumnias nó admiſerit, ut di ligens fueritmorum actionúmque exa minator:non obtrectator,conmeticu loſus , non ſufpitioſus, non fophifta. Quàm paucisfuerit contentus , ut do moleco, ueſte, cibo,famulatu :quàm tolerans laborum ,quàm lenianimo: ut tempusnequeadueſperam propter ui ctustenuitaté egerit,ita ut neexcernere niſi coſueta hora opus ei effet.Queeius in amicitia fuerit conftantia , &æqua bilitas : quomodo tulerit cos, qui ipfius fententia liberè impugnarent,gauilulý fuerit,fi quis melius aliquid oſtêderet. Qua ille deos religione coluerit citra ſuperſtitionem ,recordare, ut iibi quo quc ultima hora perinde atque is fuit re ¿ te tibi coſcio adueniat. Expergiſcere, & tcipſumreuocafomnog diſcuſſo co gitans quæ te inſomnia perturbarint,ui gilās ea intuere,utilla inſpexiſti, Ex cor pufculo & anima con to . Corpuſculo nihilintereſt interres , neque enim po teft difcrimen ftatucre. Rationiautem inter ca diſcrimen habetur, quæ nóſunt ipfius actiones: has uerò oés in ſua ha bet poteſtate. Quod ipſum tantùm eſt de præſentibusaccipiendum ,præteritę enim & futurę animi actiones,ipſe quo que nullum habentiam diſcrimen.Ma nuiacpedi,dum ſuum agunt officium , nullus eſtpræter naturam labor.ita ho mini quoqueea agenti quæ ipfius ſunt partium , nullus eſt præter naturam la bor:ergo nę malum quidé.Quotuolua ptatibus,acquantis frui contigit latro nibus, cinædis, parricidis , tyrannis ? Nonnc uidos ut qui ſordidas profiten . tur artes, uſque ad certum finem ſe pri uatis hominibus accómodent? nihilom minus tamčſuæ artis rationcm retinét, nab ea decedere uolunt. Nónne aútturpeft, fi architectus &medicus magis lux artis rationé reuercatur,quá ſuam homo , quæ quidé ei eſt cum deo communis? Aga& Europa, anguli ſunt mandi: uniuerſum mare, guttamundi: Athos, glebula mundi : omne inſtans tempus,púctum cſt æternitatis. Omnia funtparua,mobilia,interituiobiecta: 0 mnia inde ueniunt , profecta à principe uniuerfi,aut per conſequétiam . Etenim rictus lconis, lethalia uenena, omniaos maleficia ,ut ſpina, cænú, pulcrarum & bonarum rerum ſunt additaméta, Non igitur ea aliena ab eo quod colisimagi nare,ſed fontem omnium rerum confi dera. Qui preſentia cernit,omnia uidit, quæ ab æterno fuerunt, & in infinitum uſg erunt, Omnia enim ſunt eiuſdem generis, & conformia.Sæpenumero co gita de omnium in hoc universorerum connexu, mutuag affectionc, Quodá cnim modo omnia inuicem ſunt impli cata ,ca ratione amica mutuò. Aliud enim ex alio confequitur,propter con fantem motum, ac conſpirationem & fs unitionem (ut ita dicam )ſubeſſe. Quib. negotijs addictus es ſorte tua, his teac commoda : & quibus tehominib.fatū adiûxit, cos amore,idig uero ,proſeque re.Organa, inſtrumenta, uaſa, quumid agunt,cuius gratia funt adornata, bene habent et quidéis qui ea parauit, abeſt abipfis.At in his quæ natura continen tur,remanet, intuſý eſt uis ea paratrix. Ita tanto magis honoranda eſt, &exi ftimandū, li ſecundum cius uoluntatem agere perſeueres, oía tibifecundum mé tem eſſe:idéo de alijs hoíbus oíbusin tellige . Quodcu exijsreb.quæ extra te ,negin tua uolútate ſunt pofitæ ,tibi Ppofueris,boniuel malinoie, id, fi uel utmalú tibi cótingat , uelfi, cú pbono ducas,adipiſcinon poſsis , efficiet ut & deos incufes , & odio habeas homines quiin cauſa ſūt,aut eo certe noíe ſuſpe cti habét, g uelmalú hochabeas,uelbo no careas.Propterhác rerú differentia, quam ipfi ftatuimus , fituc multa pecce mus. Quod fi ſola ea, quæ in nobis ſunt pofita,bona&mala tractaremus,nihil cauſęreſtaret,ne aut Deú incufaremus, aut cú hoíbusinimicitias ſuſciperemus. Oés ad eúde finé & effectú agimus: pars ſciétes, & certo ordine,pars inſcij. Qué admodú & dormiétes.Heracletus nifal 1 lor dixit eſſe operarios,qui adiuuétlua opera hæc quæ in múdo fiút. Alius aút alia róneid opus adiuuat :ſupuacanea opera eft eius qrephédit, & reniticonat ijs quæ fiút, ea reſcīdere:nā & hocuti tur múdus. Proide animum aduerte, in quorú tute numero reputes. Nã admi niſtratorhuius uniuerd, utiq teutetre &è , & accipiet te inter cooperarios.Tu vero ne ſis huiuſmodieorú pars, qualis eſtinfabula uilis ille et ridiculus versus, cuius mentioné Chrysippus facit. Sólne pluuiæ munia obire cupit,aut Aeſcula pius terræ frugé ferētis? Quid ucròfyde ra, anno diuerſa quidélingulis eſt actio, quętnadcómune opus cóferat?Quod fide me & his quęmihieuenire debue rút, dij cófultauerüt, rectè nimirú mihi confuluerút. Nam Deum fine confilio agentemnccogitarequidem facile eft: quæautem fuiſſet cauſa , propter quam malè mibi confultum uoluiſſet? Quid inde ad deos , & ad uniuerſum ( cuius maximè habentróné fru & usredijſſet ? Sin de me priuato nihil conſultauerüt, ac deuniuerſo utigrationes duxerunt, ex quo quum ea conſequutur que mihi cueniunt,non debet mc eoruinpcenite re.Sanède nulla re eos confilium inire, impiū eſt credere : autneſacrificãdum , neprecandum ,neiurandum quidé, ne que quicquam corum faciendum ,quæ fingula tanquam cum preſentibus & u nà uiuentibusdijs agimus. Sed tamen fi nihil illi de nobis ftatuerüt,licet mihi dcmeipfo cóGliú capere, ac demea uti litate deliberare. Vtile aút eſt unicuig id, quod eſt naturæ eius & conſtructio ni cófentaneú . Atnatura mea rationis eft cópos, & ciuili cætui accommoda ta. Ciuitas mihi eſt & patria,quatenus quidem ATNONINUS SUM, ROMA. :quate nushomo,mūdus:hçcigit tantùm mihi funt utilia , quæ his ciuitatibus condu cunt. Quælingulis cucniút,ca profunt uniuerſo : id eratfatis ſcire. Sed &hoc addendum, quòd fi animaduertere uc lis ,ubig uidebis: quæ homini, autalijs hominibus * Sed nuncuocabulumu tilis accipiamus latius, ut etiam medijs rebus pateat.. Quæ in theatro aut fimili bus locis uides,ca quum ſemper eadem ſpectentur, & uniformia, fpe & aculiſa tictatem afferunt. Idctiam de tota uita ſentiendum . Omnia enim fuperiora & inferiora eadem funt, & exijſdem cauſis excitcrunt.quouſ igitur?Adliduooís generis homines conlidera, qui ex om nis generis profeſsionibus & nationi busmortuiſunt:ita ut ctiam ufque ad Philiſtioncm, Phoebum et Origanio nem deſcendas. Hic fanè cogitandum , idem euenturú nobis,quodaccidit tot cloquentibusoratoribus,totgrauibus philofophis: Heracleto, Pythagoræ, Socrati,tot Heroibus prius,deinde tot du cibus, tyrannis: tum Eudoxo,Hippar cho, Archimedi, alijs acutis ingenijs, magnanimis,laborioſis, callidis, contu macibus,his ipfis ,qui caducam hanc & & in dies durantcm uitam hominūſub ſannarút,utMenippo &fimilibus.Hos omnes cogitandum eft dudú eſfemor tuos:quid auté maliinde habent?Quid hi, quorumne extant quidem nomina? Vnumhocſummi cſt pretij, ueritate iuſtitia feruata,mendacib . & iniurijsho minibus placidú uiuere. Cùm teipfum oblectare uis , cogita virtutes corú qui uiuunttecum : ftrenuitatem eius, illius uerecundiam, aut liberalitaté, aut aliud quippiam.Nihil enim eſt,quòd tantam afferatlætitiam , quantam limilitudines uirtutum in eorum quibuſcú uiuimus moribus expreſſæ,ac fefe cófertim offe rentes cófpectui.itaqz in promtu haben dæ.Noniniquè fers, tot libras te appen dere, &non trecentas: ita etiã quòdan norum certum , & conon maiorem ui ues numerum, indignari non debes.Etc nim ut corporis tanram, quanta cibi eſt tributa,portionem probas: ita &de té pore tibi ſentiendum eft. Annitendum eft nobis, ut perſuadeamusijs cum qui bus agimus: lin minus, etiam illis inuitis id agendú eft,quod iuftitiæ ratio iubet. Quod li quis ui te impediat,tranfi adę quanimitatem, eo impediméto ad al terius uirtutis opusabutere:memor, tc cú exceptione quadaíftituere actioné, negca appeterc,quęfieri nequeat.Itaq is füitimpetus animi tui , cui ſatiſfiat, ii id, cuius caufa citatuses, cóſequat. Glo rięcupidus, alienā actioné pluo bono reputat.uoluptuarius affectioné,quai ple afficit:méte uerò pręditus, ſuã actio né.Licet etiá nihil de hisexiſtimare.ipſe .n.res nó funt eius naturæ, ut iudiciú no ſtrúefaciat. Adſuefac te, ut alio docéte cogitationes nó aliò diuertas,fed totus animo diceris fisintétus. Quodalucari nó pdeſt,id ncapiquidé pdeſt. Sinau tæ malè gubernét, aut no rectè curétur ægroti,dicúr:alius erat quærendus,cui mecómitterē: aut quo hic faluté naui gātib. uelægrotis ſanitaté afferet? Quá multiiam unà cũhis, quibuſcúin mun dum uenerüt, ex múdo exceſſerút ?Mor bo regio laboratib.melamarú uidetur: morfis àrabida beſtia , aqua eft timori: pueris fphęrula pulcra cft. Quid ergo i raſcor? aut tibi minor uis uidetur elle fal Gitatis, q bilis apudictericũ, aut ueneni apud morſum à rabioſo animali.Nemo prohibebit, quin fecundú rationé tuæ naturęuiuas:nec tibi quicqua accidet, quod fit cótrarónéuniuerg .Qualcsfút illi, quibus cupimus placere, aut ppter qd, g cis ſuperlis,autper quasactiones? quàm celeriter æuum omnia abſcon . dat: imò quàm multa iam nunc occultauit? eſtmalicia ?id, quod iệpenumero uidiſti.Et quic quid omnino acciderit, ex peditin promptu te habere hanc rcgula, ſæpeid effe à te uifum . Om nino fi ſuperiora &inferiora animore petas,inuenies omnia cadem eſſe, quo rum plenæ ſuntpriſcæ ,mediæ ,recéteró hiſtoriæ ,& urbes, & domus :nihilnouú eft ,omnia uſitata & breui durātia tem pore.Neque uerò alia ratione extingui poſluntopiniones, quàm cogitacioni bus quæ ijs respondent, abolitis : quas quidem ut continéter reſuſcites , in tua cft pofitum poteſtate. Poſſum de re oblata exiſtimare, id quod oportet : li hoc poflum , quid eſt cur animo pertur ber?Quæ ſuntextra mentem meam, ni hil omnino ad cam attinét. Hoc modo affectus,rectus eris. Reviviscere potes: nam fi res quas antè uidiſti, rursus apud animum tuum contempleris , exactam uitæ partem qualirepetes. Inane pompa ſtudium , fabulæ ſceöi tægreges,armenta,uelitationcs,oſsicu lumcatello proiectum ,auteſca in piſci nám iniecta,formicarūlaborcs,& one: rum geſtationes,murium perterritorü diſcurſus, Gimulacra ncruis tracta ut le moucát. In his igit oportetanimo pla cido, &non elato confiftere, & intelli gere,tanto unumquem dignum eſſe, quâto ea in quibus ftudium fuú is po ſuit . In oratione ſingula uerba, inijs quæ fiunt, lingulęappetitiones ſuntant maduertendę: ato hic ftatim uiden dú,quam ad finem cæ referantur; illic quidfignificent: Sufficitne intellectus meus ad hanc rem, an ſccus? Quòd G fufficit,utoř cô ad rem propogtam tanquam inſtrume to mihiab uniuerli naturaconcello Sin g. contrà , aut eam rem alteri cuidam, qui melius id poſsit , perficiendam relin quo,præfertim fi alioquin id agere offi cium meúnó iubet:autipfe perago pro uirilimea,adſcito mihi auxiliario,cuius opera mca'mensid efficerepoſsit ,quod in præſentia fitcommodum , & focieta ti hominum conducat. Quàm multi quondam fucre cele bres, quorum nunc fama eft obliuioni tradita? quàm multietiam horum , qui iſtos celebrauerunt , è medio funt fub lati?) Ne ducas tibi pudori, li cuius auxilio uſus es.Propofitúeftenim tibiid agere, quod fit tuarum partium : perinde ac militiin oppugnatione muroru. Quid ergò faceres, li tu claudicans folus con ſcendere propugnaculum nequires: ab alio adiutus,pofles? Ne te perturbent futura. Nam fi ita uſus erit, peruenies ad ea eadem inftru ctus ratione, qua nunc in præfentibus uteris . Omnia inter ſe ſunt complexa ſacro nodo és i nodo neg quicquam ab altero eſ alie ñum , ordincenim omnia certo funt dif polta , unum eundem mundum ex ornent. Mundus ex omnibus conſtat unus , unusqueper omnia diffufus est d Deus, una natura,unalex,unaratio cô munis omnibus ratione præditis ani mantibus, una ucritas:Siquidem etuna eſt perfectio eorum quę eiuſdem funt ni generis , eiufdemó participia rationis ui animantium .. Omneid quodmateria conſtat, ce lerrimè in uniuerlo abolei: omois cau io fa, celerrimè in rationem uniuerfi adlus mitur:omnium rerum memoria quàm 20 primùm æuoconfunditur. id Ratione prædito animali cadem a. EEtio & fecundum naturam eſt, & fccun dum rationcm. Rectus,an qui erigatur? Quam ra. Itationem in unitis & compactis corpori bus habent membra , eatn obtinent ra tione prædita animalia in diullia, præ parata ad unam quandam actionem. Hæc cò magis animum tuum tanget, ſi crebro tibiipfi dicas : pars fum cius, quodeſtex ratione præditis conflatū , corporis:Si autem propter elementum R.dicas te eſfc partem , nondum ex ani mo diligis homines, nondum ex bene ficentia delectationcm capis, quam ue rè apprehendat animustuus,adhucde cori tantùm cauſa ita agis , non ut in te ipfumbeneficium conferens. Sanèalijsquęcun & accidant,corum eft, fi uelint, ca culparc.Ego quidem re bus mihi contingentibus, niſi in malis eas ducam, nihillædor:& licet mihi ea non putaremala. Quicquid alij loquantur & faciant, mc quidem oportet ellebonum :haud aliter,gliaurū uel ſmaragdus,uelI pur pura ſemperita diceret, quicquid alij dicant, aut faciant, ſmaragdum eſſe o. portet,me colorem ſeruare mcum. Mensipſa ſeipſam nó perturbat,hoc cſt ,non afert fibiipfiullam cupiditaté autmctum.Si quid aliud eſt, quod pof fit cam terrere aut dolorem afferre, fa ciat ſanè: ipſa quidé per ſenulla opinio. nc libihosmotus affert. Corpuſculum ucrò uerò ipſum curet , ne quid patiatur dis cato, ſi quid patitur.Animonullus me tus dolor,aut opinio horum accidere pót.negem ci ſunthabitusad hęc. Per le omnimetu mcns uacat , niſ feipfam deftituat:ita &perturbationis, & im pedimenti exors. Felicitas eft bonus dæmo, ſeu bonü. Quid igiturtu hic agis phantafia ? ubi, unde ueniſti, non enim te opushabeo. Sed uenifti fecundum priftinam con fuetudinem : non tibiſüccéſco, faltem abi , Siquis mutationem timct,is cogitet able ea nihil fieri poffe , ncque eſte ca quicquam naturæ uniuerli amicius.An tu lauare poffes, nifi ligna mutarentur? aut ali,nifi nutrimétomutato ?autquid nam aliud utile poteft abf @ mutationc fieri ?Non ergo uides etiam tuimutatio nem carum limilem eſſe ,ac perinde nc ceffariam uniucrü naturæ. Per uniuer ſam naturam:tanquam per torrcntem , tranfeunt omnia corpora,uniuerſo ipa cognata, & eius opcrum adiutoria, uti et nostra invicem luntmembra. Quot Chrysippos, Socrates et Epictetos xuí iamn deglutijt. Idem de omnire & homi ne tibiad animum accidet. Vnum hocmeſolicitumtenet,ne ad faciam , quodhominis conſtitutio aut nolit factum ,aut alio modo, uel tempo re factum velit. Propediem erit, ut et tu omnium re rum obliviſcaris,& nulla Gtuſquam tui memoria. Proprium hominieſt,ut etiam cos di Jigat,qui peccant. Fiethocl in menté tibi ueniat, elle cos tibi cognatos , im prudétia, & inuitos peccare,paulò pòſt & te, & illum qui peccauit,moriturum ; idý potiſsimum ,nó lælum te ab co.no enim eius peccato tua mens deterior, quàm fuerat,facta eſt, Natura mundi , ex uniuerſitatetaną ècera modò equum finxit,moxco con fuſo , materia iſta ad fabricam arboris ulacſt,deinde ad homunculi, inde ada . liarum rerum.Harum ſingulæ quá bre uiísimo duraruntſpacio . Atquiarcula utlicompingatur,nihil eftmali:ita neli diffoluatur quidé. Irati uultus oío eft cótra natyrä,quádo fæpius immoriedi fit prętextus,aut ad extremú extinctus eſt ,ut oſo inflammarinópotuerit.Hoc ipfo intelligere labora, irá à ratione effe alienam . Nam fi etiã ſenſus peccati nul lus erit, quæ erit uiuendi cauſa? Quæcung uides, ea iam iam à guber natrice mundi natura in alias, rurſuso & deinceps in alias mutabit formas:ut femper recens fit mundus. Si quís aliquid contra te deliquerit, ftatim cogita quánam boni uel malio pinionc pcccauerit:id.n.fi cernas, miſc reberis eius,acneobmiraberis,neq ira fceris.Nam autipſeidé,quodis,bonum putas, aut aliud quidda eiuſdé generis: venia ergo danda: Sin tu secus de bonis et malis iudicas, cò placabilioreris ei qui falsus. Non deijs quæ abſunt, tanquam de præfentibus cogitandum eſt:fed præſentium ea quæ ſunt aptiſsi ma, deligenda funt,illorumg caulame moria repetendū ,quánam rõefuiſſenç quærenda fiquidem abfuiffent.Caueta men præſentia adeò probes, ut etiam in honore ca habeas,ac fi quãdo abſint,p turberis.Intra teipſum uertere. Hæceſt natura mentis,utiuſtè agens, in hocg acquieſcés,nihil extra fe quærat, Aufer uiſå inhibemotum ncruorú, cir cunſcribe inſtans tempus,cognoſceid quod uclţibi,uel alij accidat, diuide fubiectum in materiam &formam , co. gita de poſtrema hora, Quod peccatú eſt, ibi ceſſat , ubi pec cațum ſubliſtit, Intendenduseſtanimus ijs quæ dicuntur,mente penetrandum in causas et effectus, Exorna teipfum fimplicitate& uere cúdia, coś, ut quæ ſunt medio inter uir tutem & uitium loco, in nullo ponas di fcrįmịne, Diligehumanum genus, obſe quereDeq:is enim aitomnia fieri certa lege. Quod fi diuina ſunt etiam elemen ta. Sațiseſt meminiſſę,hæc omnia certa lege conſtare,aut admodú paucaſecus, Mors é auţ diſsipatio ,qui indiuidua rum particularum ſecretio ,aut exinani tia,autextinctio, aut migratio , Dolorli fitintolerabilis, mortem af, fert:diuturnus ferri poteſt,interimga. nimus ſuam retinet tranquillitatem ,ne que fit deterior. At partes dolorç con fectæ, ipsæ quæratur,fiquidem poflunt. Honinum opiniones de gloria intue cil re, quales Gint, quid propolitụm habc cidant,quid fugiant, Lide Viß in littore maris arenæ cumuli Co- alij ſuperaliosappulg ,prioresoccultát, įta in uita quo priora à ſubſequenti bus celeriter abſconduntur. Platonicũ .Quiigituranimocſt præ unditus alto et cognitioné habet omnis temporis, omnisg naturæ ,an tu cúpu er tas exiſtimarç, quòd hominis uita ma - gnum ſit aliquid ?Nequaquam ,reſpon sc ditille. Ergo ,inquam nemortem qui B: dem in malisille reputabit? Minimè Era uerò, Antiſthenicum ,Regium eftmalè au dire, çum bene feçeris. Turpe eſt uulta co obſequi intellectuiſco componercita uutisiubeat,cumipfeintellectusſeipſum non componatat ornet. Namrebus iraſci,nihilfanè expedit: Iram curăt enim noſtram nihil.Dijslę. tiignaris, & nobis gaudia doncs. Frugiferam uti fpicam mcæ uitæ mc tam.* At hoc quidem effe, illud nona then Lam LIK trCurl be Quod ſi dij me , libcross ncgligunt, Ratio eft & huic. Meum enim est bbene efle et iustitia. Non una lugere, Deg tremere. Platonica. Ego autem haudiniuria hoc retule. rim.Non rectè dicis, ô homo,liputas ef ſe uel uitam uel morté aliquo in diſcri mine ponendam ciuiro, qui uel alicu ius fit precij:acnon id potius unum có fiderare cum inter agendum ,iuſténcan iniuftè agat, & eáne fintuiri boni anue rò fecus.Reienim ueritas, & Athenien ſes, ita habet, ut quo quis loco ſeipſum conſtituerit,exiſtimansita optimum el fe,aut cum ita Gtoptimum ,cò colloca tus fuerit, ibi (mea quidem ſententia ) perGftere debeat, ac quoduis pericu lum ſubire,neg mortem , uelullam alia rem turpitudine grauioré ducere. Sed heus tu ,uide,ne animimagnitudo,cibo pum aliud quidpiam ſint, quam ferua re, & feruari. Neque enim conceden dum eſt,eum reuera uirum diçimereri, qui quantocuný tempore uiuendum, acquc rationem uitæ habendamputat: Sed 1 leo sel gar, CO all 1 WC 1 ef Sed eum , qui dehis cura deo commife la, credens mulieribus , non pofle fa tum ab ullo euitari , id consderandum porrò ducat, quánam rationetempus uitæ conceſſum fibi quàm optimè exi , Curſus liderum conſiderareexpedit, quali eos comitaremur , & elementorú mutuæ mutationes crebrò cogitandæ . Hæ enim cogitationes uitæ humilis for des abſtergent. Bene eſt à Platonchoc dictum.Etiam cùm de hominibus loq. mur , intuendum est in pes terrenas . Etc nim qui memoria altius repetierit ho minú cógregationes ,exercitus,agricul turas,nuptias ,pacta ,ortus,interitus,iu 1. diciorum turbas , uaftitates regionum , varias. Barbarorum gentes , ferias , lu dus, nundinas , in ſumma, qui colluui cm illarum , & ex contrarijs compol tum præteritorum aceruum , tantas 191 imperiorum mutationes recoluerit, is ecià futurā præuiderc poterit. Quippe et candem hæc habent cum præteritis for mam , nem alio possuptmo fieri, Itaçćç Cu alia edbo en idem eſt, quadraginta, an decies milių ſpacio annorum uitam humanam exa mines, nihil enim amplius uidebis. Exterra enim nata in terramredacta funt:quæucrògenus traxeruntcælitus, redicre ad æthercúpolü: fiuehæc quæ dissolutio complexuum , quibus ato miiunguntur, sive elementorum passio nis expertium dissipacio. Cibis, potug, & magicis adeo artibus Avertimus currum, & mortis fugi mus uiam. Flantem diuinitus auram Opus eft tolerarclaboribus, Luctu, lachrymisg calentibus. Est aliquis te peritior luctæ :quid tú? at rófocietatis humanę ſtudioſior eſt, non uerecundior , non ita commodè fert ca quæ accidunt, nó ita mitis homi num peccatis. Vbicung poteft aliquid perfici,fecun dum cómuné dijs & hominibusratio ncm, ibi nihil eftmali.Nam ubi utilita tem conſequi licet actionis, quære&a uia proccdit fecundum conſtitutioné i hominis,ibinon cft uerendum nequid fubfit tog fubfit damni. Vbig & femper in tuacſt manupofitum ,ut ca quæin præfentia di biacciderunt, & approbes piè, & cúbo minibus quicccum lint,iuftè agas, &ui ſa oblata artificiofe examinesne, quid non facis perceptum admittatur. Noli aliorum mentes circumſpicere, ſed cò recta intuere, quò te natura ducit, cùm uniuerli, per ea quæ tibieueniunt,tum tua per ca quæ tibi ad agendum ſunt propoGta. Id autem unicuiq ad agen dum proponitur, quod eft eius conſti tutioni conſentaneum. Porrò ita con ſtituta ſunt & comparata fingula: reli qua quidem omnia corum cauſa, quæ mente ſunt prædita,nimirumdeteriora pręſtātiorum cauſa, rationcautem pro ditorum unum alterius caufa factú cft. Primas igitur inter partes ex quibus ho mo conſtat , ca pars obtinct, que fo cietatcm humanamreſpicit:alteras,ca, fibi à perſuaſionibus corporeisillo abſtinet.Rationccnim & intellectu prę ditimotusproprium eſt ,ſeipſum circa ſcribere, &nco ſenſitiuæ,ncqueappe titiuçmotioniſuccumbere:harumem utrag ctiam brutorum cft. 1 qua Atintelle&iua principatum obtine re, neq ab illis regiuult:neciniuria, quig pecuius natura ferat ,ut omnibus reli quis ipſa utatur. Tertiú eſt ,uacuitas te meritatis & erroris. Quibus intéta pars princeps,rectà progrediat, ſuis cóiéta. Tanquam mortuo, &qui hactenus tantùm uitæ uſura fuerit cóceſſa, quod ſupereſt uiuendum tibi crit fecundum naturam ,tanquam ex abundanti. Tu ſolus ca diligens , quæ tibi fatum iniunxit , co contentus efto . Quid enim magis congruum, quàm ut ſingula cue niunt,ftatim cosante oculos habere, & cum eadem ipfis cucniffent, indignati ſunt,nouitatem rei mirati, &repræhen derunt ea. Vbinuncijſunt?nufquam . Quid attinet te corum fimilem effe uel le ? acnon potius alijs fuum morem rc linquere , ipfein hoc effe, utrebustuis bene uraris? Idý poteris præftare, nec deeritmateria , modò animaduerte , & ftude , uttibiipliin omnibus actionib . uidearis honeftatem confecutus. Vtri ufgz uerò actionum finis recordandum cft.Intrò reſpice:intuseft fons boni,ſem per ſcaturiens,fiquidem femper fodias. Corpus conftare,acneq motu, ncg habitu diffolutum effe debet. Sicutem mens efficit, ut vultus Gt compolitus & aptus , ita detoto corpore uttale Gt annitendú eſt. Omnia hæc curandu é, ut ne oftétationis caula Gimulata fint. Vivendi ars palæſtricæ cft, quòd ſal tatoriæ fimilior,eò quòdipfa quo cu rat,utad ea quæ incidūt,neq; ancè lune præcognita,parata fit, & à caſu tutum hominem feruet. Adliduò inquire,qualesij fint, quos teftimonium de te ferreuis, ac quæ co rum fint mentes.Ita nco cos qui inuo luntariè peccantculpabis,nee teſtimo nijegebis,fiinipfosfontes infpicias,un deijopinionesfuas,appetitiones hau ſerunt:Omnis animus, inquit illc , non ſua ſponte priuatur ueritatc : idem sentiendum de iustitia, temperantia, benignitate, omnibusý limilibus.Atnecef ſariū eſt quâ maxime, id te nunquã nó meminiflc:ita. n. erga oés crismitior. Dcomni dolorein própru fit tibi co gitare, cum ncg turpem efle, neqmen tégubernątricem reddere deccriorem feras. Id quog recordare,multa cú ea quippe hæcnegrationc materiæ , nem ſocietatis humanędamnum accipit. In maiori autem dolorum numero etiam Epicuri dictum prodeſt,eum ncg into lcrabilem eſſe,ncg æternum. fiquidem finium recorderis,ac non preiudicium in * dem habeantcum dolore naturam , ta men occultèmodò moleſta eſſe :ut dor miturire, eſtum ferre,nauſeare:quorum aliquod li moleftè fers, dic tibiipfi,te dolori ſuccumbere. Vide neita afficiaris contra inhuma nos, ut homines contra homines. Vnde nobis conſtat Socratem fuiffc illuſtrem , &meliori conſtitutionc præ ditum? Non enim ſatis eſt eum clariori morte occubuifle ,aut peritiùs cum So phiſtis diſputalic , & patientiùs in frigo re pernoctalle, & Salaminium abdu cere iuſſus,fortiter rcpugnaſſe, acíuijs maieſtatem uultus præ ſe tuliſſe,dequo maximè dubitari poteſt an uerú id fuc rit. Sed hocconſiderandum eſt, quo ani mo fuerit Socratcs,an potuerit conten tus efle, Siiuſtumfc hominibus præbe ret, ac pium erga deos, annequç teme rè ob aliorum maliciam litindignatus, nec ullius inſcitiæ ſubferuiuerit, an ni hil corum quæli uniuerſi natura attri buiſſet, tanquam peregrinū autintole rabile acceperit, nunquám ne affecti bus carnis conſentientem mentempræ buerit. Non ita confudit omnia natura,ut no liceat circúfcribere ſeipſum , & quæ ſont propria cuix, caipfum in ſua reti nere poteftatc.Admodum cnim poſsi bile eſt,ut quis diuinus uir fiat,acă ne mine cognoſcatur. Hụius ſemper me mento:atqhuius etiam , quòduita bca ta in pauciſsimis rebus eft pofita. Nog guia deſperattice Dialecticú autPhyl cum futurum ,iccirco etiã liberú ,pudi cum ,fociabilem ,deog obedientem to fieri poſſe. In maximaapimi uoluptate licețui uere, tutum ab omni ui,utcung omnes quæ uolunt contranos clamitent:etia li corporeæ huius molis membra å ferig laniétur.Quid enim obſtat,quominus intcrim meas ſeipfam conſeruet in tran hic 10 5 quillitate,uero de rebus præfentibus iudicio , & uſu corú quæ ſuntpræma. nibusexpedito : ita quidem ut iudiciú rei fubicctæ dicat : fanè cu natura tua họces,etfi aliud uideris :urg ulus dicat rei oblatæ : Ego te quærebam . Semper cnim id quod adeſt, materia mihi eſt exercendæ uirtutis rationalis & ciuilis, omninog uirtutis humanę aut diuinç. Omni enim id quodaccidit,deo eft aut homini familiare,ncgnouum, ncgin fractabile,ſed conſuctum & tractabile. Perfectio morú hocpręſtat,ut omne diétanquá ſupremūagas,nihil tremas. nihiltorpeas,nihil Gmules.Dij, cu Gar immortales, tamen non indignè ferút, quodin tam diuturno zuo ſemper om nino tot improbos homincs perferre debeant: quinimo illorum curam fum mamgerunc. Tuautem qui iamiam cef fabisuiuere,defperas,idg unus è numc romalorum.Ridiculumeft te non fuge rc tuáipfiusmaliciam , id quod potes, aliorum uelle fugere, quodnonconce ditur tibi. Quicquid rationalis&ciuilis tua uis inuc  vn . ich inuenerit nc rationi cóſentancū,ncq ad focietatem conducens , id rectè ca indignum iudicabis. situ benè alicui feciſti, & cſt, quià to beneficium acceperit, quid præter hæc duo tertiumaliquid requiris ftultorü more,ut & uidearis bcnè feciflc , & gra tiam recipias. Nemo defatigatur accipi endo aliquid utile. Atqui utile tibi cita tcſecundum naturam aliquid agere: nc igitur dum alij prodes , dcfatigare tibi aliquid boni parando. Vniuerfi natura olim ad mundum fa bricandum fe contulit:nunc autem uck omnia quæ fiunt, confequétia fiút ſua, , uel ctiá in præcipuis corum, ad quæ fa mundi gubernatrix natura confert, ra tioninullum locum efle & cóGlio, tené dumeft. Hoc, & memoria tencas, multis in rebus animo ut his tranquilliori cffi ciet. hs 1 'D quoqad minuendamglo riæ cupiditatem facit, quòd non licet tibi adhuc totam uitam ,quæàprima tuaæta te fuit,philofophicè uiuere: fed cumul tis alijs , cum uerò tibi ipli manifeſtum eſt factum ,teproculà philoſophia abef fea Gonturbatæ igitur funt tuæ ratio nes.cumaço ipfeiam nomen philofo phi facilèpoſsis adipiſci, & tuum inſti tutum repugnet. Siitaque uerè perfpe xiſtį, in quo litrespofita, omitte curare quis habearis:fatis autem fit tibi fireli quú uitæ arbitrio naturæexigas. Quid ca uelit , cogita , hinc te nihil diuellat. Expertus enim es circum quotres ua gatus,nufquam uitam beatam inuene ris:nonin ratiocinationibus, non in di uitijs ,non in gloria, nonin uoluptate, nullibi.Vbi uero eſt ?in agendo ea, quæ hominis natura requirit.Quomodo ita aget? Si eahabeatdogmata,à quibus có ſentạneæ appetitiones &actiones ueni ant.Quęſunt illa?debonis& malis.Sci licetNihil , effebonühomini, quod nó reddit iuftum ,temperantcm ,fortem , li beralem :nihilmalum ,niſi quod horum contrarium efficiat. In omni actione à teipfo quere, qua lis ca tibi Gt. Nec poenitentia eiusmoue re:parum abeſt, ut moriaris , &omnia è medio fint. Quid prætcrca requiro , li præſens a &tio animalis eſt mente prædi ti,ſocietatis hominum ftudiofi et deo æqualis. Alexander, Caius, et Pompeius, quid hiad Diogenem, Heraclitum, vel Socratem? Hi enim nouerant res, earum cau ſas,materias :ita erant ipſarum mentes. inſtructę.Ibiuerò, quibusin rebuseſſet prudentia, & feruitus. Nihilominus cadem facicnt,eciam litute ruperis. Primum cſt hoc,neperturberis:om nia ſecundum uniuerli naturam eucni unt:paulò pòft,nuſquam eris,ficut núc Adrianus & Auguſtus. Deinde in rem ipfam intucre,eamg cólidera,recorda tusoz debcrc tc eſſebonum uirú , acad hominis natura uelit , ageid quod pro pofitum eſt cóftanter, aciuſtiſsimetúc te egiſſe puta:modòplacidè,uerecúdè, & citra ſimulationem cgeris. Vniuerli naturehoc agit,ut quæ hoc modo habcnt,aliòmutet, & exuno lo coin alium res transferat: Omnia con Itant mutationibus, neß quicquã mc tue: nihil enim noui,omnia uſitata cue niunt, & æqualiter diſpenſantur.Cæte fum unaquęg natura,firccta uia ingro diatur,fibiipfi fufficit.Natura autem in tellectiuaid facit, G'in cogitationibus, id obſeruet,ne falſo,aut obfcuro aftipu letur: impetus animi ad eas folum actio ncs dirigat, quæ faciunt ad ſocietatem hominum : catantum appetat & uitat, quæ in nobis funt pofita: omnia quæ à communi natura tribuuntur grata ha beat.Hiuius enim pars eſt,bcutnatura fi lij,naturæ ftirpis pars eſt: nifiquod hæc eſt eius naturæ quę & ſenſu & intelle Au carcas,impedirepoſsit:Hominjsną  gratis non iraſci. tura,pars eſt naturæ quæ impedirinon poſsit,intelligat,& iuita fit:liquidem æ qualiter , & pdignitate uniuscuiuſuis tempora,ſubſtantiam ,actionem , & eué ta diuidit. Congdera autem æqualitaté că inuenturum te fifingulas res exami nes : finunam cum uniucrGs conferas, non item. Atqui licetlibidinem arcerc,uolup tatibus &doloribus ſuperiorem eſſe, item gloriola: licet ctiam ſtupidis & in Nemo te audiat uitam aulică repræ hendere,ac ne tu quidem teipfum. Penitentia eſt repræhenlo quędam fui ipfius,propter bonü aliquod dimif ſum :bonú uerò ,oportet utile effe, ideo qúe ciºcura é haběda uiro bono & ho neſto.At nullus talis pænitentia ducc turobneglectam aliquam uoluptatem , ergo uoluptasncqin bonis eft, ncoin utilibus numeranda. Resita expédendæ ſunt.Quid é hocp ſc, & fua,ppria cóftitutionc? ģei° ſubită tia &materia , quæ forma?quod eius in mundo officiú ,ac quandiu permanet? Si difficulterà fomno expgiſcaris, reminiſcere conſentaneum eſſe tuæ conſti tutioni , & naturæ humanæ, ut aliquid agas quod coetui humano pſit. Atdor mire,etiam brutis eſt communc. Quod autem unicuiq ſecundum naturam eſt , id & magisproprium ei eſt, & cognati us, adde etiam gratius. Hoc aſsiduo & quibuſcũæ incidétibus cogitationib, li fieri pofsit, in promptu habendum . Si de natura, affectibus,aut alijs reb. diſputare cum aliquo libet,ftatim teip fum antè interroga: Quænã is ſentit de bonis &malis.Nam opiniones de uolu ptate & dolore, eorumg efficientibus, de honore, ignominia, morte, uita. Non debet mihinouum aut mirum uideri , li quæ res hoc aut hoc modo a gát: cogitabo em, ita opus efle fieri. Co gitabo, licut turpe fit uelle me in mira culum raperefificus fructum ſuum pro ducat, ita etiam, fi mundus ea proferat, quorum eft ferax: etiam medico & gu bernatori turpe fit mirari uelle , li quis febricitaret, aut fi aduerſus uentus exi Iteret. Memento mutare ſententiam , & re aệ & èmonentiobſequi,perindeeffe libe ri. Tua enim adio fecundum tui animi impetum fit atque iudicium , tuamo mentem. Siin tua eſt poteſtate,cur facis? linin alterius,quid repræhendis? atomósne, an Deuni? quorum utrungeſt cum inſa nia coniunctum.Nihiligitur repræhen dédum.Nam fi potes,uel eum qui cau ſa eſt,corrige,ucl,fi prius nequis,rem ip fam : lin neutrum ,quid iamtibi profuit repræhēdiffe? atqnihil fruſtra faciédű. Quod moritur,non excidit è mun do :nam ut conftat, & mutatur , ita etiã diffoluiturin elementa, quẹtibifunt cũ mundo communia.atq hæc ipfa ctiam mutantur,negindignè ferunt. Vnum . quodgeſtad certum finem factum , ut uitis,equus.quid mirum? etiam ſol, & reliqui dij pofluntdicere,cuius rei cau fa facti funt. Tu ucrò cuius cauſa ? num uolupta tis? uide an hocferat intellectus. Natura confilium inijt de uniuſcuiuſ quereitam finc,quàm initio & duratio nc. Si quis pilam inſublimçiacier, quid h nam ea uelcûm effertur, uclcum defert, aut cadit quid bonimaliucpatit ?Quid bullæ boni accidit fi conſtet,autmaligi diffoluatur ? Idem de lucerna poſsisin telligere. Cogita quidfiat corpuſculo Genelcat, ægrotet,fi ſcortetura Breuis uita cft & laudantis, & cius q laudatur , cius quimentionem facit,& eius, cuius mentio fit:prçterca fit hocin angulo portionis mundi, acncque ibi quidem omnes contentiunt, imò nelie bi quidem ipfi quifqua. Tota ucrò ter ra punctumeft. Animum aduerte ſubicctæ opinio. ni,actioniaut di&to. Meritò hçcpatcris, malles uerò cras bonus fieri quàm ho dic. Siquid ergo , id ita fit à me, ut ad benefaciendumhominib.referatur.Ac cidit mihi aliqd ,referoidad Dcos, om niumg rerum fontem ,& originé,à qua omnia inter ſe connexa dependent. Lauare,quæ tibires uidetur? Oleum, sudor, sordes, aqua, ſtigmenta: omniaab ominanda.Ita fe omnis pars mundi, om nisgres ſubiecta habet. Lucilla Verum, deinde Lucilla fecü da Vini, 127 da Maximum.Secunda Diotimum,Fau Itinam , Antoninus hæc omnia. Cęterű Adrianum , inde Celer. * Vbi ucro auſte ri illi &uates , & inflaci ? ut ex auſteris Charax, et Demetrius Platonicus, Eudemon, & fi qui alij tales. Omnia in diem durant.iampridem mortui ſunt:quorú dam ne minimo quidem tempore dura uit mcmoria: quidam fabula facti ſunt: ponnulli etiam c fabulis jam cuanue rűt.Idigiimemoriatenédú, g necelſeç rit autdiſsipari tuâmixturā, autextin guianimulă,autmutari,ctaliò trasferri. Læticia hois é, ut faciat quæciſuntp pria.Propria aút cius funt:beneuolétia crgaſuũ genus,cótéptusmotuúq ſunt in lenGb.diftin &tio inter uiſa pbabilia, cótéplatio naturæ uniuerfi, & corúqſe cundú că fiút.Itě tres refpeétus:unus ad cauſam pximā,alter ad diuină çaufam , à quaoíaoíbus cueniüt,tertius ad cose nobiſcü uiuút. Doloraut corporima lus é:ergo ipfum id pnúcict,autalo.Scd animuspoteft fuam tranquillitatem & ferenitatcm conferuarc, ncc dolorem pro malo ducere. Omnc enim iudici ým, omnis impecus,appetitio , & inclinatio intus eſt:ncq.ci dolorquicquam mali affert. Quare omnia uila tolle ex animo, Continenter te ipſum admone:Núc in mea cft poteſtate,ut in animo hocni hilfitmaliciæ ,nihil cupiditatis, nihil. cu multus: accum omnia ita cernam, uti funt, fingulis utor pro ipsorum dignitate. Hoc tibi licere,memineris fecúdum naturam. Loquere & in ſenatu, & cum quibus cunghominibus compofitè.Sana ora tione non eſt apertè femper utendum . Aula Augufti,uxor,filia,ncpotes,po ſteri,ſoror,Agrippa,cognati,proping, amici,ſoror, Agrippa,cognati, propinqui, amici, Areus Mæcenas, niedici, sacerdotes: omnino totam aulam mors abripuit.Deinde etiam accede, ubinon unusmodò eſt mortuus homo.Defecit tota Pompeiorum gens:hincmonimen tis etiam inſcribi uidemus,fuiſſe aliqué cius familiæ ultimum . Quàm anxij uc rò fuere maiores cius, ut aliquě ſuccel forem relinquerent : & tam neceffe eft aliquem efle ultimum. Vita componenda est ita, ut conftet uniuſcuiuſ actionis ratio. Quarum li unaquęg ſuum , quantum cius fieri po teſtpræſtet officium , contentus fis :at queid quominusfiat,nemo tibi obfta re poterit.Sedobftabit,inquis, aliquid extrinſecus. Nihil quidem , quodiufti ciæ ,modcſtię &prudentiæ impedimen tolt. Atqui fortaſsis aliquiduim agen dihabens impediet? quin tu id impedi menti boni conſule , fico ftatim facto tranfitu adid quo conceditur moderá to ,alia emergertibi adio , quæ ad cam, de qua loquimur, conſtitutionem qua dret.Accipiendumline faſtu, dimitten dum cum facilitate, Si quando uidiftimanum abſciſlam , uelpedem ,capútuc amputatum alicu biſcorâmă corporciacere,cogita ei ſe adfimilarc pro uirilifuahunc, qui im pá bat ea quæipli eueniunt,ſeg à commu ni ſocietate feiungit,aut agit aliquid ab čaalienum , Ita tu te ipſum ab unitione Dáturali abrupiſti,cuius eraspars narº: nücuerò teipſum abfcidiſti.Id uerò fei tum eft, quòd iterum tibilicetei adiun  gi:id quod nulli alij parti deus concef fit, ut ſeparata & auulla rurſum inoleſce ret toti.Hicmihi bonitatem conlidera, quæ homini tantum honoris detulit. Nam & initiò iplius in manu pofuit,ac à toto auelleretur: & deinde, ut auulfus redier,iterug cócreſcerco locü partis recuperarepoſſet , dedir.Nãquéadmo dugngulç ferè rationis cópotes naturą ab ea cæteras facultatcs , ita nos quoß hanc ab ipſa accepimus. quemadmo dumenim ipſa omne id quod obftat & rcfiftit,cóuertit, & fato fubijcit, ſuam partcm efficit:ita animal rationc prædi tum poteft omne impedimentum pro ſua materia accipere,coğuti adid, qd intenderat. Note cogitatio totiusuitæ confuna dat: neq animum aducrte ijs ,quæ mul ta uidentur dolorem poffe afferre.Sed ſingulis rebus oblatis à te ipfo quæro, quid náca in rc Gtintolerabile:id cnim pudebit te fateri.Deindememineris,ne que præterita tibi , ncquefutura ullam afferremoleſtiam , fed præſentia tantű . Achæc cxtenuantur,& fuis ca limiti, bus, determines , cogitationem tuam redarguas,fi ca tam cxiguæ reinó Grfo rendæ. Num iam domini tumulo adfident Panthca, autPergamus? Num Adriani fepulchro Chabrias & Diotimus?ridi culum hoc. Quid verò G adGderent, ſentiréntne illi ? autuoluptatem cape Tent, fiquidem ſentirent? aut fi cam ce piſſent, an coimmortales eſſentreddi te? Nónnchis quoquefatum fuit ,ut ſencs &uetulæ priùs ficrent, inde mo scrétur ? Quidautem illi poftmodò fa ciét , his mortuis? Oia hæc fætida funt, & tabus in facco . Si acutèuidere potes,afpiccetquàm fapientiſsimè iudica,inquitille. In conſtitutionc animantis mente præditi nullam inueniouirtutem quæ iuſticiam cxpellat: Sed quæ uolupra . tem cijciat,uidco continentiam . Si tuam opinionem detrahas ab ea quod uidetur dolorem afferrc, ipfe in tutiſsimo es collocatus.Quisipſe? Ratio.Verùm ego , inquies, non ſumra tio.Efto.Proinde ratio ſeipſamnedolo re afficiat:Si quid aliudin te eſt quodlæ datur,ipſum de fe iudicet. Cùm impedit fomnus aut appetitus, idmalú accidit uegetatrici animæ: quæ &alia ratione offenditur. Ita fi mensim pediatur ,fitcum damno mente prædi tę naturę.Hæcoía ad te tranſfer.Dolor, uoluptas,attinguntte?Si uiſus impedia tur quominuscernat,impedituriã fen ſus. Quòd fi abſos exceptione aliquid appetis,iamid cú rationis capacis par tis incommodo fit :lin communetibi p poſitum eſt, neg læſus es, nec impedi tus. Mentis quidem proprias actiones nihil aliud impedire poteft:nonenimac tingitur ab igni ferro ,tyráno ,autcalum nia ,aut alia ulla talire . Sphæra cum fit ,rotunda manet. Indignum eſt, me mihi ipfi dolorem afferre,quinullum unquam aliúlubens læferim. Alijs aliæ res læticiam afferunt:mihi, fi pars mei princeps fana ſit, ne auerſe tur quenquam uel hominem, uel humanum calum :Sed omnia placidis afpici at oculis , omnia accipiat, ijsý utatur uti dignum est. Difce præsens tempus tibiip, gratificari. Qui commendationem pofterita tis magis curant,nó reputant dos horú Similes futuros,quosnuncægrè ferunt, argipä сcia mortales. Porrò quid om nino tua intercít, a talibusi) uocibuste cantent,autita de te fèntiant. Tolle mc, & ponc quocung uoluc tis, ibi enim utar genio mcopropicio.i. cótéto,& habeat ſe &agar naturæ mica confequenter. Id uerò an dignum eft,ut malè props tereàhabeatanimusmeus, ac feipfo de terius ?abicctus, appetens, anxius;per . territus? Ecquid co dignum inueniam ? Homini dihilaccidere poteft quod nó fit humanum, nccboui,uiti,ſaxo quic quam, quod nonlit confentaneumcius naturæ . Quòd fi unicuigid contifigit; quod & cófuetum eſt,& naturale,quid eft cur indigneris? nihiliticoletabile ci bicommunisadfert natura. Sin propter cttrancam aliquam ré perturbaris: nó A illa tibi,fed tuum de ea iudicium , molc ſtiã affert : id uerò ut abolcás , in tua eſt poteſtate. Quòd fi quid eorú quæ in te ſunt, te moleſtat, quis eſt qui prohibe at,ncopinionem emendes? Similiter Gi doles te hocnon agere,prodeft cogi tare,curnon potius agasaliquid , quàm doleas: ſin aliquod potétiusobſtat,no li dolere, cùm nófiat tua culpa,neagas. At uidetur ujuendum non elle ,nig hoc agatur: placidus ergo uitam relinque: quádo &is qui agit,moritur æquusim pedientibus. Memento partem tui principem ſu perari non poffe, cum in ſe collecta fc ipsa contenta est, neque quicquam pre ter uoluntatem agat, etiam fi noninftru eta ratione pugnam conferat. Quid er gò fier, li étà rõe parata, circúſpectè de reb.iudicet.Itaqmés ab affećtibus libe ta,arx é: nihil.n.munitius homo habet, quò refugiés fuperari nópót.Id qui nó uidit,indoctus est: qui uidit, ncq eòrc fugit, infortunatus. Siqd uiſa aut cogitationes tibi renú. ciāt,caue aliquid cu addas. Renunciacú 'cit, eft ,aliquem tibi malè dixiſſe. Eftoid al latum ,non taméid quo $ ,cflc teleſum. Video puerú ægrotare:uideo, sed g inpericulo Gt,non uideo, Ad hunc modú ſemper ingifte primis uilis, nihilipfein tus adijce:ita nihil mali erit.Imòhocad 1.dc,noſlete omnia quæ in mundo cuc niunt. Cucumis amarus cit ,omitte cum: uc i pres in uia ſunt, declina cas :ncq uerò dicas, Cúrnam hæcin mundo sunt facta. Ridereris enim ab homine naturæ rerű indagatore, haudſecus quàm à fabro aut futore, damnares quòdinofficina ramenta & reſecamenta operum uide : res.Atquihi ca poſſunt aliquo abijce re: uniuerli natura nihil extra fe habet. Verùm hocin cius arte potiſsimùm mirari decet, q cùm ſeipſam circumſcri pâffet, omnia quæ in ſe habet, quæ ob noxia corruptioni,ſeniog , & nulli ele uſus uideantur , in ſeipſam tranſmutat, rurfus ex his alia noua efficit: ita utne que fubftãtiá extra ſe requirat, neqlo cum ,quò uiliores res eijciat.Contenta eſtigitur ſuoloco,materia:& arte. Neqin rebus agendis flu & uandum eſt, ncqucin communi uita turbandú , ncquecogitatiouibus uagandum , nego omnino animus contrahendus, aut fü bito impetu efferendus,ncg uita occu pationibus inanibus attcrenda.Cædes peragunthomines , mactant,exccran tur: quid hęc poffunt,quominus mens tua permancat pura, prudens,modeſta, iufta? Quemadmodum fi quis limpido & dulcifontiaſsiſtens, eiconuicium fa ciat:illa quidem ob id non ceſſat purā aquam ſcaturire: quin &fi quis lurum, aut ftercus inijciat,tamen ſtatim illa dif fipabit atą eluet,ncgabijs obturabit. Quid ergo agendum , ut fontemper en nem habeas,non ciſternam? Compone te ipſum ,ut fis ad oés horas liber, man fuctus,fimplex ,uerecundus. Qui neſcit effe mundum, neſcit ubi ür. Qui neſcit, cuius rei cauſa fit natus, ncß quis ipſefit ,neq; omnino mundú cflefcit.Quorum alterutrum cui decft, is cuius gratia extiterit,dicere ncqucat. Vter uerò tibi elegantior uidetur, isą plaudentium fugit laudem ,anilli, qui ac negubi,nequc qui fint,cognoſcunt, Laudari cupis ab hic , & feipfum ſpa cio unius horæter execrat?placere uis homini, qui ne fibi quidem ipfe proba tur?nifi is probeturlibiipa ,qui ferè om nium eorum , quæ egerit,poenitétia cor ripitur. Non iam tantùm unà ſpirandus eſt circumfuſus aër, fed & confentiendum cum méte quæ uniuerfa complectitur. Haud em minus uis intellectrix omni ci, quod cam trahere poteſt,circumfu fa eft, quam ſpiritus ſpirare uolenti. Generatim malicia mundo non ob eft:inſpccie auté,nihil lædit proximu: Soli ci obeltcui & conceflum eſt , ut cũ primüita uolucrit,liberari ea poſſit. Non magis ad meam uoluntas alie na pertinet, quam uel anima eius , uel caro.Nam etfi maximè uerum eft, una noftrûm cffc alterius cauſa natū , tamé principes noftrum partes ,ſuum quæli. bet dominium obtinct.Etenim curalte rius malicia,mihieſſer malo? cum non Elit uiſum Deo,ut in alterius Gt potefta te, cſſemeinfelicemSol diffufus effe uidetur? atæ omni. no quidem fufus eſt, non tame effuſus, Fulio enim eius,cxtenſio.Itaq & fulgo res eius, quos nos radios,actinas ab ex tendendo Græci dicunt. Quod autem Git natura radij,uidere eſt, fi inſpiciaslu men ſolis per anguſtum in umbrofam donum immiffum . Recta enim im mittitur, & diuiditur ad obiectum foli dum corpus, quòd aërem intercipit :ibi ucrò permanct,ncq decidit. Ita &intel lectum fundiac difundi, non tamen ef fundi oportet: quippe utextendatur,ne quc ui & temerario impetu ad obiecta impedimenta impingat:ne concidat, fed perftet , & illuftretid, à quo acci pitur, id quidem , quòd eum transmit tet,ſplendore ſeipſum priuabit . Qui mortem metuit, aut amiſsioně ſenſuum timet , aut diuerfum fenfum , Quod& amitượt ſenſum ,nihilutig ma lifenriet; lin alium ſenſum adipiſcetur, aliud erit animal, neg amittetuitam . Homines unus alteri cauſa natifunt, Diſccigitur,aut fer, Aliterjaculú,alitermens fertur.Hæc enim etâ cauta ſit, &in deliberatione uerſetur, rectà tamen fertur.ingredi in principem cuiuſuis partem: præbet au tem etiam alij unicuique ingredi in ſu am principalem partem. Viiniuſtè agit, impietatis reus eſt. Etenim cùm uni uer natura ratione prędi ta animantia eò effecerit ut quantum eius dignum eft,unum alteri profit,noceatautem ne quaquam : qui uoluntatem cius præua ricat, impius utißeſtin omniú dcorú primam .Acqui mentitur,etiam impic tatisin candem dcam fefe obligat. Na tura enim uniuerfi,corúcſt natura,quæ funt:hęc autem omnia interfecognata funt . Porrò autem cadem Veritas dicituf,uerorųý primaeft caufa. Quii. tagſtudiò mentitur, cò quod decipit, impius eſt: quinon dedica opera,eò , p ab uniuerh natura diſcrepat , &quòd præter decorum agit, repugnās uniuer, b naturæ :repugnatenim ei, quiin con frariam partem à ueris deflectit, prætop quam iplius natura ferat, quęcioccalio nes præbuit, quibus neglectis non pót jam uera à fallis diſcernere. Impietatis reus is quoque eſt, qui uoluptates tan , quam bonum appetit, dolorem utma, lum fugit.Hic enim peceſſe eſt ſæpenu merà incufet communem natura,quae ſi ça aliquid præter dignitatem bonis malísue tribuerit:ppterca, quod fæpe mal¡ uoluptatibus fruuntur,cag.quib . efficiútur eæ ,poſsidet:boniuero dolo re afficiunt, & in caufas dolorişincidūt. Jam qui dolorem metuit mețuet aliquá do aliquid eorum ,quçinmundo fient: įd uerò impium eſt.Rurfus qui uolupta tem confectatur,non abftinebit fe ab in juſticia :id uerò palàm impietas eít, O portet autě ad ea ,quæ natura in utraq partem æqualia effecit (nca cnim utra que feciffet,niſi ad utranæ partem exx quoſe babuilſet)eum qui naturam uult lequi ducem, fimiliter æqualiter eſſe ef fectum ,Ita & qui dolores & uoluptates, mortem & uitam ,gloriam & ignomini am ,quibusæqualirationcutitur natu 14, nonin eodem ponitmomento, pro culdubiò impiè agit. Quod auté dixi, Naturam communcm ijs exæquo uti, ita intelligendú eſt,qdea cueniút in u traque parté conſequentia quadam, iu xta antiquum prouidentiæ impetum , quo illa ab aliquo principio ſe ad res i ta diſponendas contulit,complexa ra ționes quaſdam corum quæ ellent futu ra , deſtinatis quibusdam facultatib . ex quibus nafcerentur ſubicctæ , muta ţiones, & fucceflus eorum, Gratiofius quidem crat, hominem mendacij, fimulationis, luxus & ſuper biæ omnis inexpertum mori: ſecunda (aiunt)nauigațio eft,fatietate horum af fcctum antemigrareè uita quàm illa ui tia probare. Nondum ne tene experien tia quidem docuit,utpeſtem fugias? Pestis enim eft ca intellectus corruptio, lo gè magis, quàm aëris quædam intempe' ries ifta &mutatio. Hæc enim animali peftis eft,quatenus uiuitillud : hæcho minum, qua ratione ſunt homines. Mortem non contemne, boni camć conſule, quippe remexijs unā,quasna turadecreuit.Qualcenim eftiuueneſco re, ſeneſcere, augerc, uigerc, dentes, barbam, canos ferre, liberos crcare, uterű ferre, parere, reliquæ $ naturales effe ctioncs, quas tempora uiteadferút, tale eft etrādiffolui. 'Hominis ita ßrationc utentis cft,mortem ncggraucm ,ncquc uiolentam , neg contemnendam rem exiſtimarc,fed operiri eam , tanquam u nam è naturalibus actionibus:perinde atque nunc expectas, quando fætus ex utero tuçuxoris edatur, ita expectanda etiam hora, quaanimula tua ex hocre ceptaculo excidat. Quodfi rudequidé, ſed taméquod corattingere poſsit,do cumentum accipis,omninò ut facile fo ras mortem efficiet, fi cogites, quales ij fint à quibus diſcedas, & à quorum morum litanimus tuus ſeparandus col luuica luuie. Iraſci quidé ijs qui tecum uiuút, nequaquam debes, ſed corum curā gc rere,ijsý placidum te prebere:Cogitan dum tamē tibi eſt,te ab hominibusnon idem tecum fentientib . diſcedere. Hoc enim unam erat,quod poterat retinere in uita', G fuiffet homini datum uiuere cum ijs,quieademſentirent:Núc uides quàm laborioſa fitinter unà uiuentes diffenfio ,ita ut dicas:ô mors, uenicele riùs,ne quádo ipſe quog meiipfius ob liuiſcar. Quipeccat,abiipfi peccat: quiiniuftè agit, & biipfi iniuftè agit, ſco malum efficiens ipſum ,lædit. Sæpenu merò iniuriam facitis qui nihil agit, nó is modò quiagit. SiadGt certa de rebus fententia, & a ctio ſocietatem humanam ſpectans, & animus ita affe & us,ut boni cóſulat om nia quæ accidunt præter id quod eſt à cauſa profectum: hæcli adfint, ſuficiút ad opiniones tollendas, Gftendum im petum animi, extinguendum appetitú , &habendum paratam apudſeſc parté principalem . Vna uita brutis animantibus eft dis tributa:unamens, rationem adeptis. Qucmadmodum una eſt terrenorú ter ra, & unam lucem uidemus , unum aêre trahimus. quæcáqucuidendi & uiuédi uim habcmus. Quæ commune aliquid habent,con tendút ad id quod eft eiufdem generis. Omne terrenum ad terramuchit ,omnc item humidum, aut aërcum ad ſuum iti dem genus,ita ut neceſſe fituiea inde in tercludi.Ignis furſum effertur, propter clemétarem igncm: omniuerò hic igni aliquid eſtparatum utinflammctur,ita ut omnis materia paulò ficcior facilè i gnem concipiat,quia minus eft in eius temperic id quod inflammationě pro hibeatItag & omnc, id quod commu nis mentis eſtparticeps, limiliter ad co gnatum ſuum contendit:atq etiam am plius. Quanto enim eſt alijs rebus præ Itantius, tanto &parațius ut cómiſcea tur cum co quod eiufdemcſt generis. I taquc apudipla ſtatim bruta inuenta ſunt examina, greges,pullorum educa tiones, atq id genusquali amores.Ani macnim iam in his eſt, ido quod ea in unum conduceret, apud præftantioré partem reperitur:id quodin plantis,la pidibus &lignis nó inuenitur.Atapud ratione õdita animalia,ciuitatcs funt,ct amiciciç, & domus, & concilia:ingbel lo pacta & induciæ. Apudpræſtátiora, etiam ex diuerfis modis unitio quædá conftat, ut apud aftra adcò aſcenſus ad fuperiora conſenſum etiam in de iua dis cfficere potuit. Atqui apud catan tùm, quæ mentem habent,obliuio mu tui ſtudij & conſenſus reperitur, & hic modònon uidetur quomodò adſe in uicem affluant.Quanquam etiam fi fu giant homincs hanc coniun &tioncm ,ca men ab ea corripiuncur, naturanimirú præualente. Vidcbis autem id quoddi co, li animum aducrtas. Facilius cnim inuenies tcrrcum aliquid nulli terreno adiunctum , quàm hominem ab homini bus auulſum . Fructumfert &homo,& deus,&mú dus,fuo unumquodą temporc : quòd lconfuetum cſtin uite, ut luum fru & ű, nullum communem ferat, tamen ratio fructumfert &communem &propriú, naſcunturg ex eo alia quædam eiuſmo di, qualis est ratio. Peccataliquis.Sipotes,meliusillum doce:fin uerò, meminerismanſuetudi nem tibipropterea datam : nam & ipli dij illis ſunt clementes, qui& nonnul lis ad conſequendam fanitatem diuiti as, &gloriam ,auxilium ferüt:adeò funt benigni. Id & tibi licet, neque impedit quiſquam Labora, non ut miſer, nec ut qui uel miſericordia ,uellaudé conlequi ſtude as:idunum tibi fit propoſitum agere ſe cundum ciuilem rationcm . Hodie omni me periculo exemi,imò uerò omnia quæ uidebantur mala cie ci: nihil enim extrà erat,fed omniaintus in opinione mea. Omnia hæc, quæ in caducis funt, fa miliaria iam mihifecit experientia:du ratione autem ſunt diurna, materia for dida,omniatalia, qualia erat etiã apud illos, quosſepeliuimus. Resipfæ extrafores ſtát,nihilipfæ de feipfisnorūt, neß pnunciát. Quid igit deijs pronunciat?ratio. Negidperſua fione, fionc,ſed actione diſtinguit bonum & malum ciuilis animalis ratione prædi ti: ſicut ncßuirtusneg uitiú in perſua fione, fed actione. Lapidi in altum coniecto nihil mali accidit fi dccidat,ncg bonum , quòdin ſublime effertur. Introſpice corum animos, & uidebis quosij iudices timcant, & ut hi ſeipfos iudicent. Omniafunt in mutatione,ac tuipſe quog in perpetua alteratione, ac quo dammodo corruptione. Quin & totus mundus. Alterius peccatum ibi eſtre linquendum, ut firactionis defcctus,ap petitus,opinionis quics,ac quaſi mors. nihil mali. Tranfi nunc ad ætates , ut puericiam , adoleſcentiam ,iuucatutem ,ſenectam: horum omnium mutatio eft mors.aun quid mali?Trág deinde ad uită ſub auo acam ,ſub matre, ſub patre: quinetiã ali as multas mutationes & fines inucni cs, quære ex teipso, an quid mali Git?Ad cundemmodum eſt etiam totius tuz ui sæ finis, quies,acmutatio. Perpende mentem tuam ,uniuerfi,ac proximi:tuam ,ut ea iuſtam reddas.uni uerfi ut recorderc cuius pars fis: proxi mi, ut uidcas fitnein ca igooratio ,an uc rò incellcctus. Simul intelliges te factú ad explédum ciuile corpus,atqita om nem actionem tuam facere ad uitam ci uilem complendam.Etenim quecúquc tua actio nó ad focictatem humanam , tanquam finem uel propinquum uel remotum refertur ,illa uerò uitam inter polat,& unitatem eius foluit; turbaso ciet,ficut in populo cam plebs ſeceſsio nem facit. Abhac concordantia. Pue . rorumirę,ludicra ſpiritus qui cadauera geſtant:ut co efficacius accidatidquod eſtin Necya. Vade adqualitatem cauſa , čamgå materia ſecretam confidera, tum quàm diu permanerc omnino pofsit ca pro pria qualitas. Paffus esinnumera, eò quod non có tentus fuiſti cua mente agere ca,ad quæ crat facta.Sed hæc fatis. Cum te alius repræhendit aut, odit, aut aliquid talcpronunciat,afpicecorú animulas: intra, & uide quales Gint.Cer nes nihil eſſe tibi laborandú, ut hocuel illud ij de teiudicent. Bene quidem ijs uelle debes: Datura em amicifunt, eos dij omni ratione iuuant,perinſomnia, uaticinia.Hæc quidem de quibus ijcer tant , circulus ſunt rerum mundanaa rum, quæ ſurſum deorſumgab unoz uoin alterum uoluuntur. Aut ad fingulas res uniuerſi intelle ctus ſe applicat, quod fi eftita, id , quò ca ſe applicat:approba. Aut ſemcltan tum impetüfecitipfa més, reliqua om nia conſequéter fiunt.* Et quid unum alicui. Quodam enim modoAtomi. Omninò autem , que Deus fit, recte omnia habent : ſiue temerè ſunt omnia; i nunquid & tu ? lam nosomnesterra occultabit :poſt ipfa quogmutabitur: & res deindealię item in infinitum mutabuntur.Enimuc ro qui fluctusmutationum & motuum confiderabit, earumg celeritatem , is omnia mortalia contemnet. Torrentis inſtar cauſa uniuerſi rapit omnia. lam ó ipſa iſta ciuilia quàm ſuntuilia? & quàm k uidenturhomunciones iſti philoſophi cè agentes,pleni eſſe muci? Quid facien dum ? quod nuncnatura poſcit,cò con tende îi liceat , neqcura ,an fit aliquis mortalium hoccogniturus.Neo Plato nis remp. ſpera: Sed contentuseſto ,G uel minimum procedat:hứcqueipſum ſucceſſum cogita quàm non fit exi guus . Mutat aliquis illorum ſuum placitum ? atquiline horum mutatio ne quid eſt, quàm feruitus gementium, &perſuaſos ſe eſle ſimulantium. Vade nunc & Alexandrum, &Philippum , & DemetriumPhalereum mihi dic, Vide rint an ſcierint quid communis uolue ritnatura, & an leipfos ſub diſciplina te nuerint.Quod ſi tragicè tantùm ſeſe o tentarunt,nemo me damnauit , ut co gar eos imitari.Opus philoſophiæ ſim-, plex eft , & uerecundum.Nolimeaddu cere ad faſtú, qui præſeferat grauitaté. Supernè contemplari infinitaarmen ta,ſacrificia ,omnis generis diuitias , in tempeſtatibus & ferenitate: quæ facta funt,cum ijs nata, quæitem deceſſerút. Conſidera etiam uitam eorum qui ante te,& qui poſt te uiuét: horú ét, qui hodie apud Barbarosuiuút: @multico rum ne nomen quidem tuum sciant, mul ti ſtatim obliuiſcentur, mulu cũ te núc laudent, ftatim ſunt culpaturi . Deniz quam res nullius momehti lit memoria aut gloria , aut aliquid tale. Vacuitas perturbationum in his quæ ab extrinſe ca cauſa accidunt , iuſticia in ijs , quarū actionum tu es cauſa : hoc eft impe tus animi , & actio , quæ finem habe at ſocietatem humanam : id enim eft tuæ naturæ conſentaneum . Multa fup uacanea ex hisq te perturbát,precidere potes,q tota in tua ſunt opinione fità, multūý laxitatis et ſpacij tibi acqrere. Torūmundū alo cócipe,tuuğæuú per pēde, tú celeré lingularú rerú mutatio . né.breue.f.efſe tēpus ab ortu ad interi.. túid uerò q huncfequit ,idó pillú prę ceſsit,infinitú. Oía quę uides,celerrime interibút: hi quo ,quieorú interitú ui dent, ipfi quog mox peribunt. Qui decrepita lenecta moritur, idem ferer cum co, quiimmaturamorte cadit. Quænam ſunt eorum mentes , quib. rebus ſtudent,quæ habent in honore, quæ amant?iudicate nudas ipforum in tueri animas.Cum uituperando obeſſc, aut prodeſſe laudando ſe putant, quæ cítilla opinio? Amiſsio uitæ nihil eft aliud quàm mu tatio: hacautem delectatur natura uni uerfi, fecundum quam omnia fiunt rc te. Abæternoreseiuſdem formæ natæ ſunt, licg eritin infinitum . Quid ergo dicis omnia facta, & futura male. Ergo nullus inter totdeos repertus eſt, qui ca corrigeret,ſed damnatuseſt mundus ut perpetuis malis conflictetur. Vide quàm putris ſit omniú rerum materia ,aqua, puluis,oſsicula,fætor: rurſus calli terræ ,marmora:fęces, aurű & argentum :crines,ueſtis,fanguis, pur pura,omnia reliqua eiuſdemmodi. Eti am quæ fpiritu conſtant, alio modo ta lia, atq ex hisin hæcmutantur. Satis miſeræ uitæ eft, & murmuris, & &imitationis? Quid perturbaris? quid in hisnoui?Qui terret te ?nú formala ſpicc cã.nú materia ? afpiceilla. Extra hæc nihil eft. Quin &iam crga deos ſim pliciot &melior esfaćtus. Idem eft Gue tribus hæc, live centum annis ea diſcas. Si peccauit , malum apud ipſum eſt: fortaſsis autem non peccauit. Aut ab una aliqua mente tanquam onteomnia progrediuntur, quæ cor poribus accidunt:proinde pars non de bet euentis totiusfuccenfere. Autato miſunt omnia,confufio , & diſsipatio ; quid ergò perturbaris?Menti tuæ dicis . Mortuus es ?perijſti, efferatus es , ſimu las, cs in cætu, aleris? Aut nihil poffunt dij, aut aliquid. Si nihil ,cur non compræcaris eos?Sin pol ſunt,cur non magis etiam pecis ut dét tibi, ne quid horum metuas, autexpe tas,ncque magis doleas ſi abſit,quam ſi adfit.Omnino cnim li poſſunt adiuua reij homines , etiam in hoc poterunt. Fortè dices,Dcusea in meapoſuit pote ftate.Efto . Nónne crgo præſtatteijs ģ in tua ſunt poteſtate uti libere, quàm de · ijs quæ non ſuntin tua man u pofita,ſo icitum eflc , animo feruili & abiecto 9 3 k 3 Quis autem tibi dixit , deos non in his etiam, quæ penes nosſunt,auxilium ad ferre?Incipe ergo precari de his, et uide bis.Precat alius , ut cum aliqua cubet: tu petę , ne eius rei appetitustibioriat. Alius petit, ut certa releuetur, tu, neca leuari tibi op' ft.Alius,ne amittat filiú : tu , ne idipfum metuas. Omninò adhuc modum uota concipe, & quid fitfutu rum uide. Epicurus ait fibicum ægrotaret, nul la fuiffe de corporis affectione cum ſu is colloquia ,fed decaufis rerum natura lium præcedentibus diſputatum conti nenter.Eı rei ſe intentum , mentem ha buifſe perturbationum uacuam, ut quę motuum corpuſculi nullam partem ac ciperet, ſuum bonum cuftodiens,idea qúe ſe ne medicum quidem qui appli caret pharmaca adhibuiffe; Sed uitam benè habuiſſe.Tuquod is in morbo po tuit,hoc liquid alterius rei incidat,ob ſerua. Vt eniin non defiftere à philoſo phia propter quæuis negocia, neg cũ quouis uulgari homine nugari,omnib, Sectis é cómunc.lic in omniactione cie b h ti incumbendum ſoli, q ppoſitum eſt,in ftrumétog quoadidutimur. Si cui? impudentia offenderis,ftatim percótare teipfum , an poſsit fieri, ut nulli fint in múdo impudétes.nó pótaūt hoc fieri: neigitpoſtula id qd herinequit :alio quin ipse quoß un'eris eximpudétib. ijs, quos effe in mundo oportet. Idem de uerſuto ,infideli,omnidenim quocú quemó uitiofo in próptu ſit tibi cogita re.Ná firecorderis neceſſarioid genus hominú efle , fingulos æquioré te prebe bis.Id quoq utileé,ftatimcogitare,quá homini natura uirtuté cótraid pecca tú dederit.Remediū.n.tribuit, cotra in gratos manſuetudiné,cótra aliud uitiū, aliud pharmacũ. Olo aút licet tibi in ui am reducere eu qui errauit: nā oís q pec cat, cò errat, pàppofito aberrat. Denique quid inde tibidamniallatú é:inue nies quidénullú eorú quib.iraſceris, tale quippiam fecisse, quomés tua fit futu ra deterior:atquiin hocunico fitú crat, ut malú tibi atg dánú accideret . Quid verò malum aut novum accidit, fi indoctus į homo agit suo modo: uide ne tu tibiip c 2 0 k 4 ſe potius ſisrepræfendis, quinon præ fenferis fore, utisi: a peccarct. Eenim anſam tibi omnino præbuit ut cogita res, confentaneum eſſe utis ita pecca ret.Ac tamen eius oblitus,miraris eum deliquiſſe? Maximè ucrò fi cui infi delitatis uel ingratitudinis cauſa ſuce cenſes, intra te conuertere. Proculdu bio enim à te peccatum eſt, fi eum ita affectum iudicauifti fidem feruaturum : aucl beneficium conferens,non eo có tentus fuiſti quod dederis , neque fru - & tum teipſa ex actione capere cogitaui ſti. Quid enim aliud requiris, cum ho mini bene facis?non cibi ſatis eſt ,te tuæ naturæ conuenienter egiſſe, ſed & mer cedé inſup defideras, perinde ac fimer çede oculus poſcat,quia uiderit,autpe des ppter grellus. Quéadmodú enim hæc ad certūfiné facta ſunt,ita ut ſecun dúfuam conſtitutioné atą naturam ſi egerint, fuum finem adepta ſciamus:ita homo adbeneficentiam natus , & quid beneficij cótulerit, aut aliud quid ege rit ,quod ſocietati humanæ conducat, fecitid ,cuiusgratia eſt factus, conſecu tus cft id, quod ad eum pertinebat. Ris aliquando , ô anima, bona, simplex, unica , & nuda, ſplendidior corpo re tibi circumiceto . Gu ſtabis olim amoris affo ctum :plɔna eris,nullius indigens , nihil deliderans ncg animati neque inanimi ad fruitiones uoluptatum :ncqtempus requires : quo diutius fruare,neq locũ, regionem , aut aèris commoditatem , nec hominum conuenientiam .Sed có tenta eris præfenti ſtatu , dele & aberis omnibus quæ cruntin promptu, tibig ipfi perſuadebis,omnia tibiadeſſe,om nia cuareétè habere,omnia à Dijs tibial lata,probabisquæcúq ijs probabunt, ac quæ tibi ad perfe&ti animalis ſalu tem dabunt,quod bonum eft, iuſtum , honeſtum ,omnia generat at continet & ample &titur, quæ diſſoluuntur cò, ut alia exiplis exiftant. Eris aliquando ta lis, utita cum Deo & hominibus uiuas, utne quid in ijs repræhendas, neg ab illis damneris.Obferuaquid natura tua requirar , quippe qui tātùm à natura gu berneris :id deinde fac &admitte , nifi tuanatura,qua animales, cò fiat deteri or.Secundo loco animaduertédumeſt, qd animalis natura quæin te eft, requi rat:idgo mne omittendum eſt, nifide terius tit habitura ea natura , ob quam rationis particeps diceris: nempe ciui lis , & rationalis. His uſus regulis, nihil ages fuperuacancum . Omni quod tibi euenit , aut ita euc nit,ut tu laturuses , aut ſecus.Si como do, quo tuid ferre potes , non fer ægrè, fcd utnatura tua te docet: fin cótrà , no litamen indignari, etenim ipſum peri bit.Enimuerò memento cam eſſe tuam naturam ,ut omnia feras ca,quæ an into lerabilia iudicare uelis nécne, in tua eſt fitum poteſtate,ſecundum uiſa, qua id tibi prodeſſe aut conuenirc ducis. Siquis errat; docercillum debes benigne, & oftendere quid non animaduer terit.Siidneſcis,teipfumaccuſa,imò ne teipſum quidem. Quidquid tibieuenit, id omne abę. terno tibi deſtinatum eſt,atą à conne xu caufarum fataliter tributum . Nam &quod tu es, et quæ tibi cueniút, ab æ terno dependent. Siue ex impartilibus corpuſculis, fi uc natura mundus conftat, id primum conſtat,eflcte partem totius quòd à na ra gubernatur.Deinde,coniunctionem tibi quandam eſſe cum eiuſdemgeneris partibus.Horum memor,quatenus par tem me eſſe totius fentio, nihilægrè fe ram eorum , quæ à toto mihi tribuútur. Parti enim nihil poteft nocere, quod to ti prodeſt. At totum nihil habet, quod nóip6 profit.Id , cùm omnibu set có mune naturis , tú Vniuerſi naturæ hoc accedit, quod ne ab ulla quidemextrin feca cauſa poteſt cogi, ut aliquid fibi dá nofum producat. Quatenus uerò mihi cognatio quædam eſt cum partib . quę funt eiuſdem generis , nihil agam quod non refpiciat communitatem , imà ſemper ad communem utilitatem diri gammeas actiones, & à contrario auer tam.Hisita conſtitutis ,necefle eſt uitá proſperos habere ſucceſſus: ficut & ci uis uitam profperam intelligeres,proce dentis per actiones ciuibus utiles , boniş consulentis quæcung ei civitas tribueret. Omnes partes mundi interire necef farium eſt, hoceft, alterari. Quod fi hoc etiam malumipfis fit ,nónne uniuerfum malè poſsit perdurare, partibus ad inte ritum, &alterationem cóparatis. Vtrú enim natura inſtituitſuas partesmalè af ficere,malog obnoxia, & quidéneceſ ſariò,efficere?aut perimprudentia hoc admifit ? Vtrung quidem non eft ueri li mile.Quin etiam ratione Natura omiſ ſa, ipfarum rerum naturam confideret, item ridiculum erit hóc. Simul enim di cere, quod mundi partes à natura factæ ſintad mutationes et carummutatio ncs quafi contra naturam euenientes mirari aut indignè ferre, abſurdum ſit: præſertim cum fingula ex quibus ſunt conflata, in ea etiam diffoluantur. Aut enim diſcretio fit clementorum, cx qui bus concretæ ſunt res, aut mutatio, ſoli di quidem in terram ,aèrci autem in ae rem, ita ut hæc quoß aſſumantur in Ra tionem uniuerfi, fiuehoc certis conuer fionibus inflammabitur, fiue perpetuis uicibus renouatur. Solidas autem &ae reas partesnon opinare ab ortu te habc re : omnia iſta heri & nudiustertius ex alimento et inspirato aêre affluxerunt: hæcgmutanti, non id quod ex utero matris attulifti. Poneaut,hocte admo dum adiungere propriæ qualitati:nihil rcuera,puto ,adid quod dicitur. Cùm fumpferis tibiipfinomina hęc, bonus,uerecundus,uerax, intelligens, prudens,alti animi,caucne quando ifta nomina,amittas,alijsg camutes. Celc riter ea aſo repete, acrecordarcnole in telligentis indicari ſcientia dc fingulis rebus percipiendi, & eú, qui cogitatio nibus alienis non occupetur: pruden tis uerò, uoluntariam approbationem corum , quæ communis natura tribuc rit :altitudine animi,mentis intentioné & ſublimitatem , ſupraleues & duros motus carnis, gloriam ,mortem , aliasg res elatæ. Siigitur teipſum dignum his nominibus præftiteris,non id appetés, utab alijs ita appelleris,alius eris,alião ingredieris uitam . Nam talem te porrò elle,qualis hactenus fuifti,hoceftin hac uita raptari &inquinari, nimis ſtupidi eft hominis, & VITAM AMANTIS, fimiliso eorum , qui in pugna aduerfusferas fe meſi ſunt. Hicnim pleniuulnerum & ta bi,tamen hortantur, ut in craftinum fer ucntur,iterum pugnaturi aduerſus eof dem ungues & dentes. Itaq te paucisi ſtis nominibus accommoda, ac,& qui dem pofsis,ea tuere, perinde at hin In ſulas quaſdam fortunatas commigral ſes.Sin teinferiorem ijs eſſe ſentis, fece de audacter in angulum aliquem ,utibi uictoriam obtineas: aut omnino è uita abi, non iratus,ſed Gimplici & libero ani mo, atæ uerecundo, cùm id unum in ui ta egeris,uteo modo difcedas. Vt auté memoriam illorú nominum retincas, haud exiguú tibi ad feret adiumentú, ſi recorderis deorum , atß eos nolle fe adulari,fcd hocuelle, ut ratione prædita animalia, ipforum quàm fimilima ef ficiantur. Ficus,canis,apis,ſuum quoduis offi ciumfacit: idem eft &hominis partiú. Mimus , bellú, terror,ſtupor,ſeruitus: hæc quotidic delebút facra illa tua pla cita, quæè contemplatione naturæ rc rum hauſta circumfers. Omnia autem, ita ſuntinfpicienda &agenda,ut & cir cumſtantijs fimul ſatisfiat, & cognitio inactioné uertatur,ferueturó animicó ſtátia ex earūſciétia accepta.* Ignorat, non tñ cft abfcóditú Quãdo capies fru &tum fimplicitatis?qñ grauitatis? quan do cognitionis fingularum rerum ? quæ : nimirum fiteius natura, quis in mundo locus, quandiu ferat eius natura ut du ret , quibus ex rebus conflata fit, quis eam poſsit poſsidere,quis dare autadi Aranca, ſi muſcamceperit, exultat: alius G leporem, aut piſciculum ,aut fu cm , aut urſum , autfarmatas ,nónne hi ſunt prædones? Si opiniones exami ncs, quomodo unumin alterum tranf mere. mutetur,uiam ac rationem contempla di parabis.Continenter autem hucani mum aduerte, teý huic parti adlucfac: nihil eſt enim quòd perinde animum magnum efficiat.Corpus enim exue, in telligensgiamiam te ex hominibus di ſcedentem ifta omnia deſerturum ,torů teipſum da iufticiæin actionib . tuis ſer uandæ, in reliquis quę eneniuntrerum naturæ totum te cómitte: quid alij uel fentiant de te, uel agant contra te, ne ad mentem quidem tibi tuam accidat. Duobushis contentus eſto , ut & iuftè agas in præſentia , & id quod nunc tibi obtigit,boniconſulas. Omnes alias oc cupationes,omnia ſtudiamiſſafac ,huic modò intentus,ut rectà ſecundum lege ingrediaris, deum ſequens. Quis lituſusderebus tanquam ſuſpe Etis deliberādis hinc patet. Si quid age dum fit,uideasą id elle ex uſu, firmiter cò procedendum. Sın id nonintelligis, inhibendaactio , & optimis utendum confiliarijs.Quòd G alia his aduerſa oc currant,progrediendum eft iuxta præ fentes occaliones,animo ci quodiuftú uidetur intento . Optimum enim eſt cú áttingere ſcopum . Quietus fimul, & ad motus facilis, fi mul & lætus , & conftans eftis, qui ra-. tionem ubiq fequitur ducem. Interroga ex teipfoftatim à fomno ex pergefactus,nū tua interſit, fi quæ iuſta funt & reétè habent , in aliorum fint poteſtate?Nihilintereſt. Nunquid oblicus es, illi qui aliorum fermonibus & laudibusfeiactant,qua les in lecto fint,quales inméta quid ? a gant ,quæ fugiant, quæ confectentur? quæ furentur,quærapiant? non quidé manibus & pedibus, ſed precioſiſsima ipforum parte,qua acquiri poteſt ( ſi qs uelit) fides, uerecundia,ueritas,lex,bo nusgnius . Omnia danti & recipienti naturæ p bè inſtitutus & uerecundus dicit : Da quicquid uis , aufer quicquid uis . Ne que hocaudacia elatus dicit , fedeio bediens, camś probans. Vitæ cxigua reſtat pars :uiue tanquá inmonte. Nihilem refert hîc ne fisuel illic,modò ſcias te ubig in mundo, tan quam in urbe eſſc. Videant, inquirant hominemhomi nes uerum ac fecundum naturam uiué tem.Sinon ferunt eum , occidant:præ ftat'enimhoc,quàm illo modo uiuere, Noniam præçerea tibidiſputandum eſt, qualísnam ſit uir bonus: fed curan dum, ut fis uir bonus. Subinde tibi ante oculos pone æuũ totum , & uniuerſam natura:cogita, uc res ſingulæ ratione ſubſtantiæ nuclei fint oliuarum ,temporis,tenebri cóuer lio :1dý de ſingulis rebusindaga .Quem admodum exiam diffoluátur, finto in mutatione ac qualiputrefactione & dil ſipatione: utunumquodą ſuam ucluti mortem habeat.Quiſuntilli, qui nunc comedunt,dormiunt,coêunt,uentrem purgant?cum quiimperant alijs, ſuper biunt,indignantur,inferiores increpát? quibusilli paulò antè feruierunt, & qui bus de caulis?quieruntpaulò pòft? Vnicuiqid prodeft, quod naturau niuerG fert,atx co quidem tépore, quo ca fert. Expetit quidem pluuiam terra: expetit autem uenerandus æther cum eſt repletus nubibus in terram decide re,ita & mūdusid agere cupit,quod fit: dico itaqmundo,meei adſentiri. Itag & hocfit, & dicitur fieri, quod mundus uultita fieri.Authic uiuis, & te adſuefe ciſti, aut aliò te confers, & hoc uoluiſti: aut defunctus tuo munere moreris. Nihil eſt præter hæc. Bono ergo esa nimo. Semper fit euidens , hoc efſe agrú : 1 & quomodo omnia funt hieijs qui in ſummo luntmóte,autin littore , autu . biuis. Omnino enim inuenies Platonis illud, ftabulo in monte abditus : & ba lare. Quid eſt mens mca ? ad quid nunc ea utor?Eſtne aliquid mentis uacuum ? cftne aliquid à comunitate diuullum ? num affixum & admixtum carni , ut il ludunàmutetur? Qui dominum ſuum fugit, fugitiuus eſt.Lex autem dominus eft. Ergo qui cótra legem agit, fugitiuus eſt. Acdolo-, rem aliquis,iram , aut metumconcipit, propter aliquid eorum quod facūeſt, uçlât , uel fict ſecundum uoluntatem & eiusqui uniuerſum gubernat.Hic uerò lex eſt tribuens ſuum unicuif. Ergo 13 qui hoc modo timet, dolet , aut irafcit, & fugitiuuseft.Pater ſemine in uterú ma: 94 tris dimillo abijt. Inde ſuccedés alia cau ſa agit, & abſoluit facum ,animaduerten dum eſt ex quo quid efficiatur. Rurſus cibus per fauces dimittetur,deindealia cauſaluccedens,ſenſum ,appetitum ,ui tam ,robur,omniaģiſta aliaefficit.Ita ea, quæ in tanta occultatione fiunt, co Gderanda ſunt, facultasģita conſiderá da eft ,ut& eam quæ deorſum , & eam quæ ſurſum uergit uidemus, non ocu lis quidem corporeis , fed haud minus tamenperſpicuè. Alsiduò conſiderandumeſt,quomo do omniahęcſint,qualia fuerint,aclint bulæ atqfcenæ earundem in ſpeciem rerum , quasuelexperientia uidiſti, uel exantiquahiſtoria cognouiſti,ut,aulá Adriani,totam Antonij aulam ,totam Philippi aulam ,Alexandri,CroG.Om nia enimhæc, talia erant. Tantú per alios animo tibi finge cũ, quialicuius rei caufa doletautindigna tur,fimilem efle porcello qui mactatur, & calcitrat at grunnit, Similisetiã ei qui gemitin lectulo ſolustacitè alliga tionem noftram . & quod ſolianimali ratione prędito datum eſt ut rebusque cueniütfpóte obſequat. Olo aut ſequi eas,oíbusé neceſſariū.In fingulis reb. rereexteipfo debes , fitnemors mala, proptereà quòd ea re te fit fpoliatura. Cuni alicuiusoffenderis peccato,fta tim ad te reuertere , ac cogita quain fi milire tu pecces: ut,Quòd argetum ,uo luptatem ,gloriolam in bonisducas. Id iram mox obliuione delebit : accedat autem & hoc,uteum inuitum peccare ſcias. Quid uerò faceret coactus? Tu; li potes,efficene cogatur, Cùm Satyronem uides,Socratium ti bifinge conſpectu dari:cùm Eutychen, Hymenem ,uel Euphratem ceruis,Euty chionem ,Syluanum ,Alciphronem ,uel Trophæiferum imaginare:Xenophon . te uiſo , Critonem aut Scuerum: denis ſingulis aliquem priorum certa ratio ne limilem oppone. Simuluerò tibi ad animum accidat,Vbinamfuntilli ? nusquam ,autubicung. Ita nunquam non cernes res humanas fumum ellc & uani tatem.Maximè fi recorderis id quod ſe mel mutatum eſt, nihil fore in infinito tépore . Tu aut in quo tempore es ? aut qui non ſufficit tibi, breue hoc honeſte exigere?quam materiam , o ſubiectum fugis? Quid enim ſunthęcoia,nifi ex ercitia rationis quæ accuratè perfpexiç naturam earum quæ in uița occurrunt rerum . Perduraigitur, dum eas res tibị familiares reddas: Quéadmodú ualid ventriculus oía fibi effiçit familiaria : & ignis ſplendidus quidad ei inijcias, fla mã ex co &fulgore edit. Nulli liccat uerè dicere,nó efſe te fimplicé et bonu: sedmentiatur, quicúq hocde te ſentit. Id uerò omne penes te eſt:quis enim pa hibeat,nelisbonus&fimplex ? Tibimo ftet ſententia ,nó uiuere,nifi talis ſis :ne que enim patiturratio te niâ talem . Quid Git, quod poſsit de propoſita materia rectiſsimè dici, uel agi, conſide ra:quicquid erit,facere tibi uel dicere li cet,nemine obſtate:neo prætēdete im pediri.Nexprius deſine ſolicitudiné, ita ſis affectus,ut qďuoluptuarijs ſunt deliciæ, id tibi fit actio in ſubiecta & ob lata materia , humanæ cóftitutioni co ſentanea.Oé.n.id qdlicet tibi agere ſe cundú natură, p uoluptatehabendú é: licet aút ubią .Nam cylindro quidem non datur,ut quouis loco feraturſuo ,p prio motu, ut negaquæ, neg igni,ne alijs, quęànaturaautanima rationis ex pertereguntur:multa enim ſunt quęob ſtent eis, & intercipiant.Mensautem, ſi ueratio per omnia quæ reſiſtunt perge re poteſt ſecundum ſuam natura & uo luntatem.Hanc facultatem anteoculos tuos ponens, g mens per omnia poſsit ferri, ficut ignis ſurſum , lapis deorſum , cylindrus per decliue,nihilpræterea re quire.Reliquaimpedimenta aut corpo reiſuntcadaueris,autpræteropinioné, ipfius métisremiſsionénó lædunt,ne que ullú afferunt malū :Alioquin is qui impediret,malus confeftim fieret. Na reliquæ res omnes ita ſunt compara tæ ut fi qd eis maliaccidat,ftatim dete riores fiåt.At hîc, a oío dicédüeſt,meli or etiam fit homo , maiorique dignus į aude,fi rectè utatur ijs quæ occurrunt. Omninò autem memoria tenendum eſt,ei qui natura ciuis eſt,nihil poſſe no cumenti accidere, quod nonidem ciui tati noceat.Atqui huic nihilnocet,nifi quod obfit legi.Eorum uerò , quæ incó moda autinfortunia uocant , nihillegi officit :ergo neg ciuitati,ncg ciui. Qui morſus eſt à ueris dogmatibus, ei ad recordationem uacuitatis dolorú & metusſufficiet uel minimum . quale illud: Sternit humi uentus folia. Haud aliter genus humanum . Foliorum uerò rationem obtinent &liberi tui , &ij homines qui acclamát & collaudantita,utfidem mereri uide antur, aut contrà execrantur,aut tacitè repræhendunt & fubfannant. Foliorú rationem obtinent et hi, qui famam po ſteritatis excipient.Hęcenimomniana fcuntur tempore ueris :pòſt animus ea deijcit: inde alia ipſorum in locum ſyla ua producit.Breuitas uerò téporis om nibus eſt communis. Tu autem omnia perinde atque æterna fugis aut appetis, paulò pòft moriturus:& cum quite ef feret,alius lugebit. Sani oculi eft ,omnia uiſlia cernere, & non uiridia tantum uelle, quòd faci unt ij, qui vitio aliquo oculorum laborant.Idem de sano auditu et olfactusentiendum, utriqomnia fui generis senli lia esse promptè appræhendenda: qua ratione etiam uentriculus ad omne a limétum paratus debet effe ,inſtar mo læ , quæ ad quæcunque molienda para ta eſt.Proinde & més ſana parata debet eſſe ad omniaquæ occurrunt. Sed ea ģ hoc tantum curat, ut liberi fint ſalui, ut ab omnib.laudentur eius actiones, ocu lo fimilis eft uiridia, autdenti tenuia tan tum uolenti. Nemo eft adeò felix, cui mortuo non Gintadftituri quidam , qui malú quod ei obtigiſle putatur , haud malè lit con ſulturus:probus,dicent, & fapiens crat: nónne ad extremum aliquis dicet fe cum , Etipfe aliquando reſpirabo-ab hocpædagogo.Nulliquidem noſtrum erat grauis,fed feng tamen clam nos ab coſperni. Hæc de bono uiro dicentur . ant. Nobis quàm multa ſunt alia, ppter quæ multi ſunt, qliberari à nobis cupi Hæcmoriens li cogites, cò facili us diſcedes hinc , reputans te ex ea uita abire , ex quaijipli q ei' ſunt participes, quorum gratia táta certaminafuftinui, precatus ſum ,pcuraui,meuolüt migra re,fortaſſe aliquid meamorte alleuatio nis fperátes. Quidé,curdiutius hic mo rari quæras? Nihilo tn minus benignus illis diſcede,morem tuum ſeruans, ami cus,beneuolus,propicius:negutis qui abripiatur,ſed quibenemoritur,animu la facilè ſe foluente è corpufculo. Eo modo & ab his diſcedendum eſt, quib. nos natura accommodauit & mifcuit. Difloluitnunc? diffoluor et à familias ribus abducor, non reluctans, non vim patiens. est enim et hoc unum corum, quç fiunt secundum naturam. Asvesce, utin omni re teipsum per con teris. Hçustu quorſum hocrefert? A teipso facinitium , teg primo examina, Memento facultatem motricem corporis intus latere. Hæc est facundia, hæcuita, hoc est, ut ita dicam, homo. Nunquam circumiecta vasa animo tibi propone et instrumenta hæc tibi afficta. Similia enini sunt dolabræ, cotantum differentia, quod adnata funt. Alioquin sine causa, quæ ea movet et continet, haud maio ri sunt usui, quàm radius te xtrici, calamus scriptori, flagellum auriga. Aec propria sunt animi ratione præditi. Se ipsum videt, se ipsum componit feipfumtalé, quale vult, efficit, fru &tus quosfert, ipfepercipit,(Erenim plantarú fructus, atg etiam animalium , alij percipiunt.) fuum finem conſequitur, quicung ui tæ fit terminus: nó utin ſaltatione, & a gendis fabulis,alijs id genus rebus fit, ut fi quid offendatur,tota actio fiat irri ta : fed is animus omni in parte, ubicuß depræhendatur, id quod oblatum eſt,e fedum & nullius rei indigum reddit, ita ut dicere poſsit ſeſuum habere.Con plectitur pręterea totum mundum, eiſ inanc circundatum ,figuram eius, infini tatem qui , certis conuerlionibus con Itantem regenerationem uniucrſarum rerum contemplatur. Inde cognoscit, ncgnouum aliquid pofteris cuen turú,nem eos qui ante nos fuere,quica amplius nobisuidiffe:fed quod is qui è quadraginta annorú,fi méte utaturferè oía præcerita &fucura uidet in reb.eiul demformę.Hecquoß eifunt propria, amorproximi,ucritas,uerecundia, utni hil feipſa præſtantius ducat,quod qui dem ei cum Lege eſt commune,itaut ai hilinterfitinterreciam rationem , &ra tionem iufticiæ . Cantilenam iucundam ,faltationem , & pancratium contemnes, Siuocélua uè fonantem diuidas in fingulos fonos, ata ſeorlim de fingulis ex teipfo quæ ras an ab co patiarete uinci:pudorcpro fe & ò afficieris.Idem dereliquis fuomo do intellige.Deniqin omnib .illis quæ nonfunt uirtus, nec à uirtute profici ſcuntur, memento ad partes corum re fpicere, diuifiones illa in cótemptum adducere : ids in uſum totius uitæ eft transferendum . Qualis eſt aia quęparata fit, fiiamde beat à corpore ſolui, & uel extingui,ucl diſsipari,uelconſtare.Vtautem licpara ta ſit , à peculiari iudicio uenit: non ut fimpliciter mortem aliquis ſubcatid Chriſtiani faciunt,fed bene ſubductisra tionibus & cum grauitate, ita ut & alte ri hoclincuerború cxaggeratione per, fuadere poſsis. Egi aliquid ad ſocietatem humana códucens: ergò utilitatem ſum cóſecu tus.Id femp occurrat, nequnquādebt. Quã tenes arte?Bonuseſſe. Quánam fic hocratione? Si contempler , partim na tură uniuerâ partimhominis ſtructurā. Initiò Tragoediæ prolatæ ſunt, quæ monerent de ijs quæaccidere homini bus ſolent, eam eſſe.rerum naturam , ut liceueniant.At uerò quib . in ſceną delectabamini, curijſdem offendimini in maioreuitæ humanæ theatro ? Vide . ris quidem ,quod ita hæcdebuerint per fici,quodý ea feruntetiam ij, qniclama uerunt. Id Cithoron. Et fanè quædam utiliter à poëtis dicuntur , quale eſtil ludin primis. : Quod li dijmenegligút , &liberos, Rationem habet illud.item . Nam reb. iraſciſanènihil expedit. Frugiferam utiſpicam meæ uitæ me tam. aliag id genus. Poft Tragedia uetus Comædia illata eſt,libertatédiſci plinæ accommodatam habens, cazip fa haud inutiliter nos monens, ne faſtu extolleremur. Cuius fimile aliquid etiã Diogenes uſurpauit. Poſthas &media quædã comedia & ad extremú noua aſſumptæ ſunt, haud alium ob finem , a ad ſtudiú artis imitando oftentandæ . Dici enim & ab hisipfis quædam utilia, nonignoratur: fed tota huius poëſeos & fabularum ,ſcriptionis intentio qué nam finem reſpicit? Quomodoeuidens fit,non eſſe aliud uitæ propofitú ita có modú ad philofophádū,ut eftid, quod núc tenes?Ramusà pximoamputari ra monó pót, an & à tota arborere fecet: fic homo etiã ab uno auullus hoie,nó pornó écà toto excidiſſe cætu. Itagra mum quidem alius aliquis, homo feip ſum à proximo feparat, cum eum odit aut auerfatur:ignorat uerò étà tota ciui li ſocietate ſecadéroeabrumpitur. Ve runtamé hoc habemus munere louis, hác ſocietaté cóftituit,ut rurſum adcre ſcere pximo, & explere totú poſsimus: Ettamen ſi hæcauullio fæpius admitta tur ,efficie,ut uniriiterum at coaleſce rehaud facile pofsit id quod erat auul fum :tum uerò , quòdfatent plátatores, non eadem eſt ratio rami qui ab initio floruit cum arbore,manfitgin ea ,&e. ius qui amputatus;rurſus deinde eſt in fitus. Oportet igitur in eadem arborc elle, etfi nonidem cum omnibus ſentias. Qui tibi ſecundum rectam rationem procedenti impedimento funt,ut auer tere teà recta actionenópoffunt,ica ne que tua erga ipſos beneuolentia depel lantte:utrobiß teipſum eundem ferua, utnon modò iniudicado cóftantia, & agédo , fed &aduerſus eosqte phibere conantur, aut aliâs indignantur,māſue tudiné tuearis . Haudem minusinfirmi eſt illis iraſci , ô defiftere ab actione, & concideremetu perculſum : utrunque eft eius qui ordinem ſuú delerit , quod alter mctu facit,alter odio cognati fibi, &amicinatura. Nulla natura arte inferior eſt: quip PC cùm artes fint naturæ imitatrices. Quodſi eſt,utiq naturaomnium perfe & tiſsima &omnia compræhendens, ar tium folertiæ nequaquam cedet. Porro omnes artes præftantiorú gra tia faciunt uiliora:ergo & cómunis na tura. Acoz hic eſt ortusiuſticiæ: ab hac reliquæ uirtutes dependent:non enim conitabitiuſticia,ſi uelrebus ſuapte na tura neqz bonis nec malis nimium tri buamus,uel temerarij,ucl errori procli ues erimus: Non ueniunt ad teres eę, quarum fu ga uel appetitu perturbaris,fed tu quo dam modo ad eas accedis :iudiciumita la que deijs quieſcat,ita etipfçquieſcent, & & ne ſequeris eas,neg fugies. Animus globo ſimiliseſt , figuræ æ quabilis, quandones effertie, negcó trahit,ſed luminefulget, quo in omnib. & rebusueritatem cernit,& in ſe quoque Contemnorab aliquo : uiderit. ego ibi curabo ,nequid contemptu dignum a gam autloquar.Oditmealiquis: uide ip rit.Ego quidem omnibus ſum placidus ces &beneuolus,atco ipſo promptus ad ne ch ere cm que ipſo. 100 god m oftendēdos alijs ſuos errores: neß hoc exprobrādi cauſa, aut ut patientiam o ftentem meam , fed ingenuè & pro bè. Quantus erat Phocion, nifi idip ſum præ ſe tuliffet. Intus enim omnia oportetrectèhabere, & à dijs conſpici hominem nullam rem indignè ferenté, autquiritantem . Quid enim mihi mali accidit,fi alius id agit, quod eſt naturæ tuæ commodum? nó accipies id quod nuncnaturæ uniuerfi eſt opportunum, cum ſis homo eò deftinatus,ut commu ni utilitati inſeruias? Qui contemnunt fe mutuò , ijdem mutuò ſe demerentur: & qui mutuò de primatu contendunt, mutuò libi con cedunt. Quam putiduseſt, & fallusille , qui dicit : Statui fimpliciter tecum agere. Quid agis ? non erat hoc præfari opus: ipla reshocoftendet.Statim ipſo in uul · tuinſcriptus debet efTe fermo,acftatim ex iplis oculisapparere : Quemadmo dúex afpectu amatores ſenlum ſui ama fij.ſtatim cognoſcunt.Omninò uir bo nus & fimplex hircoli debet aliquld fi mile habere, ut qui ei adeft, uelit, nolit, tń cius fimplicitate depræhendat. One tatio aut ſimplicitatis, infidiæ ſunt te étæ :neq uerò quicộ turpius eftfubdo lis acinfidis congreſsib .Hocoím maxi mè fugito. Bonus,fimplex& manſuelº uir ,hæc oíaí oculis habet, ncg calatét, Rectiſsimè uiuédi facultas é in tuo aío pofita,nimirú ut res neg bonas ne quemalas,in nullo ponas diſcrimine. Id fet, & unamquamlibet eorum conté pleris diuiſim , & rationetotius,memor nullam earúin animis noſtris de ſe poſ fe excitare opinionē, negadnos ueni re: ſed ipſas quidé quieſcere,nosautem effe, q deijsiudicia faciamus apudnos, easýnobis quali depingamus:cú liceat tñ autoío no depingereillas, aut fihoc oío ſit admiſſum ſtatim delere. Exigui temporis attétio hæc eſt, indefinis erit uitæ .Quid obftas,quo minus hęcrectè habeant ?Quęli ſuntſecundú naturam, gaudeillis, & erútfacilia :ſincótra natu ram ,quære quid fit tibi fecundum natu ram ,atpid contéde , & figloriacareat. Ignoſcedūé.n.oīci, ſuuğrit bonum. Videunde uenerint omnia , ex quib. conſtent,in quod mutentur,qualia fint inde futura ,tum nihilmalicis accidere . Primùm , quis mihi ad eos reſpectus. Nati fumusinuicéun ' alcerius gratia.A lia autem ratione natus fum utipfisprę ſim , ficut aries gregi, aut taurus ar mento . Rem altius repetc. Sinó conſtat mú dus ex atomis , utią natura cum guber nat. Quod fi detur, utiq deteriora præ ftantiorumgratiafunt: hæcuerò, unum propter alterum . Deinde, quales illi ſunt in menſa ,le cto ,alibi?Maxime autem quib . illi funt neceſſariò opinionibusaddicti, & qua to cum faſtu aguntſua. Tertium eft . Sircctè faciunt hæc, nó eſt indignè ferendum : ſinfecus, at non ſponte,ledignoratione peccant. Omnis enim anima invita privatur cum veritate, tum eo, ut possit cum uno quoli betut eſt dignum ,uiuere. Itaque dolo reafficiútur,li iniuſti, ingrati, auari,om ninoſiniurij erga aliosdicantur. Quartum eſt.Ipfequoginmultis delinquis, es ipſorum ſimilis:ac tametG quibuſdam peccatis abſtines, tamen ha bitum ea faciendihabes, ac uel metus, uel gloriolæ conſectandem causa, aut aliud ob malum, abstines similibus peccatis. Quintunc hoc quidem ſatis ſcis, an peccent. Quædam enim ordinc fiút. Omnino autem multa experiri opusē, antè quàm certum aliquid dealiorum actionibus ſtatuas. Sextum.ut maximèſtomacheris,ta men uita hominum eftmométanca, ac paulò pòſtomncsmorimur. Septimum.Non actiones ipforúno bis moleſtiam exhibent, cùmeæfint in ipforum animis : fednoftræ opinioncs. Itaq tolle uoluntatem iudicandi de rc aliqua tanquam mala : limul ſuſtuleris iram .Quomodo, inquies,tollam? Sire putes,non eſſerem turpem.Namnig.fo la turpitudomalum eſſet,tu quogne ceffariò multis modis peccares,ficres latro, & omnia tentares. Octauum.Multò grauiora adferunt dolor & ira ,quam obaliorum pecca : ta concipimus, quam ipla illa , ob quæ m 3 raſc imtur & dolemus. Nouú manſuetudo , li genuina fit, no adſcititia aut fucata,inuictač. Quid uerò uel extremæ libidinis homo tibi faciet, fi conſtantermanſuetudinem fer ues, acl res ita ferat , placidè eum hor teris ac doceas eo ipſo tempore , uacás huic reitum , cùm is te lædere nititur. Si dicas,Noli fili, ad alias res nati ſumº: ego quidem non lædar,ſed tu: ido eia pertè & integrè oftendas, neque apes, ullum aliud eorum quæad cætű apta funt natura animalium ita agere. Oportet autem neque irridendi,neque conuitiandi caufa hocfacere,fed aman ter, atq ita ut ne cor mordeatur, néue ccio abuti uidearis , acne quis adftans mirctur,fed ut cum ſolo, ita loqui de bes, etiam fi alijadlint. Horum nouem capitulorum memento, tanquam a Musis li ea dono accepiſſes. Acincipe tan dem homo efle, dum uiuis . Tam vero cavendum ne irascaris eis, quam ne aduleris. Utrunque enim a societate est alienum et damnosum . In promptu tibi fit ira accedente, non iram esse VIRI, fed man ſuetudinem: id ut humanius, ita & VIRILUS EST, requiritgrobur, nervos et fortitudinem: quænon ſunt apud indignan tes & morolos.Nam quanto proping or eftmanſuetudouacuitati affcctuum , tanto & potentia: acquemadmodum dolor,in impotétes cadit, fic & ira. Uter que enim uulnus accepit, &herbápor rexit. Quod fi lubet , etiam decimum à duce Muſarum donum accipe:nempe, Inſani eſſe ,uellene praui homines pec cent.qui enim hocpetit, id petit, quod fieri nó pót.Alijs uerò cócedere ut fint mali, modònein tepeccent, ingrati eſt, et tyranni. Quatuor potiſsimum motus animi continenter ſuntobferuandi, ac, fi eos deprehenderis, inhibendi. Primò, ut dicas. Hæc cogitatio non erat neceflaria. Alterum ,hocfacit ad ſocietatis diſſolu tionem.Tertium, hoc non ex te dices: nam non à le dicere, inter abfurdiſsima eft reputandum . Quartum : tibiipa ex probra , eſſe hoceius, quidiuiniorelui parte uincatur, & cedat ignobiliori & mortali parti , corpori ſcilicet &eius craſsis uoluptatibus. Aêreū, & oésigneęparticulæ quęcó miſtæ ſunt tuo temperamto, cth natu ra ſurſum efferantur,tamen ut obediãt ordini uniuerli,ab ipſa mixtione conti nentur.Similiter omne terrçumin te, & humidum,cùm natura ſua deorſum fe rantur, tamen in ſublimimanét, non in fuo naturaliloco. Adcò elementa uni verſo obtemperant, aca quò deſtinen tur per uim, manent, donec diſſolutio . nis rurſum canat claſsicum.Nonnc igi tur iniquum lit, ſolam tuam rationem nolle obedire,ſuumglocú indigne fer re.Etquidem nihil ei uiolentum impo nịtur: ea modò, quæ eius naturæ conue niunt. Et tamen ea non ſuſtinet, fedin contrarium fertur.Motusenim adiniu fticiam ,luxuriem iram ,dolores, & me tus, nihil aliud eft,quàm ſeceſsio à naru ra: & cùmanimusaliquid corum quęc ueniunt indignèfert, tunc quoqueluú locum deſerit. Etenim ad ęqualitatem & pietatem cóftructuseſt haud minus, quàm adiuſticiam : quia & hæ (pecies funt uirtutum ,quibus benè defenditur focietas humana, imò etiam antiquio resiplis iuſtis actionibus. Quinon eundem per omnem uitam propofitum habet fcopum , is unus & idem eſſe,p totā uitam nequit.Non fa tis eſt, id quod diximus, niG & hocad datur, qualem eſſe oporteat eú fcopú. Quemadmodum enim non eſt Gmilis de bonis utcunqueplurium opinio ,ſed quæ eſt certorum quorundam commu nis:ita & ſcopus ciuilis, & communita tem reſpiciens eſt ſtatuendus, Adhuc qui oés fuos animi impetus direxerit, omnes actiones ſimiles reddet,cogmo ſemper ſuieșit fimilis, Murem montanum, et dameſticum huiusý pauorem & fugam , Socrates, & uulgi opiniones,Lamias uocabat,puerorum terriçulamenta. Lacedæmonij peregrinis ſub umbră fede adugnabāt in ſpectaculis, ipli quo uis loco fedebant, Socrates Perdiccæ quærenticur nő ad ipfum ueniret,refpondit:nc turpiſsi mointeritu peream.hoceft,ne benefi cio affectus, idnon poſsim compenſaa re. In Epheliorum literis crat hocprz ceptum, quod iubebat quotidie remi nilci alicuius ex antiquis, qui uirtutem coluiffent. Pythagorei manè nos coelum afpice se iubebant,ut recordemur eorum ,qui femper fuum officium præſtant: ité or dinis,puritatis, & fimplicitatis nudæ:a ftris cnim nullum eft uelamentum . Memento qualis fuerit Socrates > củ pellem præcingeret, cùm Xáthippe uc fte fumpta procefsit:acquæ dixerit fo cijs Socrates pudorc affectis, ac recede tibus, cum uiderent eúin iſto ornatu . Núquàm fcribere &legere alios do. cebis: nih ipſe prius didiceris: id multò magis inuita eſt præſtandum.Seruus es, ratione cares.tú charũ cor mihi rifum fuftulit. Virtuti grauibus facient conui cia urbis . Infani eſt, ficus hyeme quærere.Tale eft puericiam quærere præteritam . Epictetus puerum oſculatus, interi us cum eo fe collocutum dixit. Fortaſsis cras mortem obibis. Abo minaris hoc : nihil dictu graue cft, ingt, quod aliquod opusnaturæ defignat:ni ſi abominere , quod fpicæ'metuntur: Vua primùm cruda,deinde matura fit, pòſt palla:hæc omnia rei ſuntmutatio nesnonin nihilum, ſed in id quodiam non eft. Nemo ut dicebat Epectetus latro eſt uoluntatis.Ars autem , aitidem , in ueniéda eft in adſentiedo, utgimpetus animiferuentur,ita uthabeátautadiun ctam exceptionem, spectét societatem et dignitatem. Cupiditate omnino abſtinendum çít, neque inclinandum ad ea quæ non ſunt penes nos. Itaq , inquit,non de leuire,ſed de in . fania certatur,nibSocrates dixit.Vultis ne compotes rationis animos habere, aut non ?uolumus. Cuiuſmodi, bonos ne an prauos ?ſanos. Cur ergo nó quæritis? Quia habemus. Quid igitur conton ditis? Mnia ista, quæ per circui tus temporum adipiſcio ptas,iam nunc habere potes, nifi tibiipfi invides: hoceft, Siomneid gpręte. rijt ,omittast,uturum prouidentię com mittas,id modò quod præſens eſt ,diri gens ad ſanctitatem & iuſtitiam : alte ram , ut boni conſulas ca quæ tibi fatū tribuit etenimid natura tibi attulit alteram , ut liberè ac fine ambagibus ueri tatem loquaris,agasok ſecundum lege, & ut dignum eſt. Non impediat autem teneg aliena malitia ,aeg opinio ,ncß vox,nequc fenſus circundare tibi car nis.Id enim curet, quod afficitur. Itaq jamio exitu cùm fis,tantummentem tu am ,idç quod eſt in te diuinum ,uenera beris:neo morrem metues,fed nequan do uiuere non fecundum naturam incipias. Sichomo eris dignus mundo quite protulit,nec amplius cris tan quam peregrinus patria tua , admirans ca quæ quotidie eueniunt,ncg de hac uclillare dependebis. Videt dcus omnia mentesnudas à ua lis materialibus & corticibus iftis repurgamentis.Sola enim fua intelllige tia ſola ifta cótingit, quæ abipſohucde fluxerút ac deriuata funt. Quodipfum tu quoque li facere afucſcas,magna cx parte efficies, ne ita circútrahare. Qui cnim nó aſpicit carncm circumicctam , occupaturin ueſte, domo,gloria, relia quisg exterioribus ac quali tabernacu lo contemplando. Tria ſunt ex quibus conſtas:corpus, anima, mens. Priora duo tátum ea ratio ne tua funt, quòd corum curam geris: Tercium folum ucrè tuum est, quod si separes à te. Quæalii dicunt aut faciunt aut quetuipſe,aut ģte futura pturbát, aut quæ corpori tibi circundato, uela nimulæunànatæ præter cuam uolunta tem accidunt , ac quæfluctusexterna . rum rerum uoluit :Ita ut intellectus ab illis rebus, quæ fato una sunt, exemptus libera apud feipfam uitā uiuat, agensiu Ita,probás euéta, dicens uera, fi inquam remoueas à menteres quæ ci conſenſu quodam naturæ adhærent, itemģfutu rum & præteritum tempus , efficies ex tcipfo globú, qualis illcEmpedocleus. Sefolo exultās,totus ceres atqz rotú dus:Diſces id tátú uiuereg uiuis, hocé. in præsentia.I ta fiet, ut ad fine ufo ui tæ tibi ſupereſt, pofsis abſque petürba tionibus generosè,& geniū tuú pbás atq amās exigere. Sæpenumeròmihi mirari ſubijt,quidnãeſſet rei , q homi nes cùm feipfos magis ĝ quenquam ali um diligat, iñ ſuam de ſeſe exiſtimatio nem minoris ducant quàm aliorum . Quòd fi quis Deus,aut prudens præ ceptor mandet, ne quid homo apud fe ipſum cogitet animóue concipiat, nisi id statim lit prolaturus, certè ne unum quidem diemid coleret: adeòmagis ue remur, quid proximus de nobis fit exi stimaturus, qusm quid ipsi nos. Qui fit , quod Dij , cum oía pulchrè & humaniter ordinauerint , hoc unu neglexerint,quod nonnullos homines apprime bonos, acin quos in plurimus ſuam erga deum pictatem quaſi teſſeris fecerunt teſtatam ,unuinig lele familia res multis pijs actionibus et facrificijs effecerunt, femel fato functos nonredu cunt,fedomnia extingui finunt. Idaute Gita é,ſcias deos aliterinſtituturos fuif fe,& aliter fieri expediuiſſet.Nam fieraj iuſtum , erat utiq etiam poſsibile: ac di erat secundum naturam, certe naturaid tulisset. Quod ergò res nó ita habet Si tamen non ita habet,id tibi faciatfidem non fuiſſe ex uſu, ut aliter quàm eft fie ret.Vides enim ipſe quoquete, dúhoc fcrutaris, cum Deodeiure diſceptarc. Atqui non hocmodo cũ dijs colloque remur , nili cos optimos eſle &iuſtiſsi mos putaremus.Si autem tales funt, ni hil certè in rerum difpenfione iniuftè accontra rationem neglectumpręteric runt. Ad sue facte ad ea etiam, de qbus de ſperas.Etenim læua manus, cum adalia obeunda ſitinhabilis ,propterca q non conſueuit: tamen frænumfortius quàm dextra continet. Qualete corripiecmorscorpore et ani mo ?Conlidera uaftitatem æui quod an te & poft te est, brevitatem vitæ, materiæ imbecillitatem. Causas ipsas ab integumentis nudas inspice. Quo referantur actiones vide. Quid dolor, voluptas, mors, gloria, quis sibi ipsi occupationum sit causa.Neminem ab alioimpediri, omnia opinionibus constare. In uſu placitorum Gimilem oportetel ſe pancratiaftæ , nó gladiatori:hic enim enſem quo utit li deponit, interficitur, alter verò manum semper habet paratam, camg ut ex uſu eſt conuertit. Huiuſmodi res conſiderandæ ſunt, diuiſione earum facta in materiam , formam et respectum. Quanta est potentia hominis? Cui licet nihil aliud facere, qid ,quoddeus sit laudaturus et amplecti omnia quæ ei Deusobtulerit. Quodad naturam conſequitur,eius cauſa dei non ſunt culpandi, nam nex volentes ,neg inuiti peccant nec hoíes. Quamridiculus clt & perigrinus, qui ratur ca quæ in vita fiunt. Omnia funt aut neceffitas fatalis,at que ordo ineuitabilis, autprouidentia placabilis : aut confufio inanis & nul lum habés pręfectum .Quòdfi eft necef fitas ineuitabilis, quid reluctaris? fin p uidentia quę admittit placationcm, dignum præbe teipſum diuino auxilio. Sin confufio eft, cui præſtnemo,conté tus eſto , gin tanto rerum fluctuipſe in te habes mentem : quòd ſi te abripiat æftus,abripiat ſanè corpuſculú, animu: lam ,acreliqua:mentem quidemnó ab ripiet. Quaſi uerò lumen candela tanti ſperluceat dum extinguatur, ne @ splendorem amittat: Veritas autem in te et iustitia et temperantia ante obitum tuú extingui debeat. Siquis deſe opinionem peccati præ beat, cogita:ecqd nofti, finepeccatú ? ac fi peccauit:quid ſiipſe ſeipſum dam net , ide perindeeſt ac ſuum ipfius lædere oculum. Qui autem prauos pecca renon uult eius limiliseft, quinon uult ficum in ſuo fructu fuccum ferre, infantes plorare , equum hinnire: acli quz ſunt alia neceſſaria.Quid enim aliud faceret, quihuncfibi habitum contraxit. Si igitur trux eſt, cura eum morbum. Sinon conuenit,neagas:& non eſt uc rum ,ne dicas. Tui animi motusita Gint compoſiti,ut omnia circunfpicias.Co gita , quid fit quod cogitationem tibi commouet: idğ excute dividendo in causam, materiam, respectum, tempus, intra quod ea resdesinet. Senti vel tan dem, elle aliquid in te præſtantius ac di uinius quam ca ſunt, quæ affectus ciét, ac quæ te mouent. Quid enim est intellectus? nummetus, nu suspicio, num CUPIDITAS, num aliquid aliud tale? Primò cogita nihilfruſtra eſſe agen dum, neq quod non aliquò referatur: deinde, ut non aliò ĝad ſocietatehuma nā referatur. Paulo post nusquam eris, nec quicquam eorum quæ núc cernis nco quisq eorû q núc uiuunt. Omnia cnim nata ſuntitaut mutétur, vertatur et pereant , ut in eorum locum alia na ſcantur. Omnia opinione cóſtát:hęc aúteſtin tua poteſtate. Tolle igit,cu lu bet,opinioné,eritộtibi tanĝ pronto riú præteruecto oía ſerena, & linus flu etibusuacans. Nulla, quçcung ca fic actio malú aliquid patitur,fi ſuo tempo re definat : icutnesis, qui agit, ca róc aliquid mali accipit. Itidem & corpus omnium in uniuerſum actionú , quod eſt uita,li ſuo tempore deſinat,nihilma li ea rationcpatitur :neqisquioppor tunè finem facit ſeriei iftiactionú,malú aliqd' fecit. Tepusucrò debitum et terminum natura costituit. Aliquamdo et privatim utin senectute. Oio aut univerli natura. Cuius quidem partib.mutatis, fem perrecens & uigesmundus perdurat. Seper uerò id pulchrū é & fpecioſum , o códucit uniuerſo.Finisita g uitæ, în gulis mala quidẻ có nó pót.gene cúnố fit turpis : quippe necuolútate ènoftra depédens,&àfocietate nó aliena. Bona aútfit: cú & opportune fiat reſpectu u niuerli , & profit, &diuinitus accidat. His cogitatis , tria hæcin ,pmptu habe. Primúut in agendo cures, ne quid fru Itra agas, aut fecus quàna ipſa iuſtitia e giflet:in rebus extrinſecus accidentib. easfortunæ nutu ,aut puidétiæ obtigif fe :quarú neutra éīcuſanda. Secundum, qua le unum quodlibetam privatioe fuéritufa dum animam accepit ,indeý,donccca reddidit :ex quibus conflatum fit et in quæ diffoluatur. Tertium ,ſurſum elato animo humanas res intuere , earumý multiplicem uarietatem : quàm multa circùm in aëre & inætheréhabitét:caſ te uiſurum , quoties in ſublime attolla ris: utſintomnia.unius ſpeciei , & breui tempore durent. Hisne superbimus? Eijce opinionem , & faluus es . nemo id prohibebit. Rem aliquam moleftè ferés, oblitus es omnia fieri fecundum uniuerfi natu rā; &quod peccatum fit alienum :præ terea omnia ita ut nuncfiunt, femper fa eta effe , & futura,núcý fieri ubiq :item quæ homini fit cũ uniuerſo genere ho minú coniunctio:nó ea ſanguinis autſe minis,fed mentis communicatio. Obli tus es etiam mentem uniuſcuiuſg eflc Deum et inde fluxiſſe: nihil cuiĝpro prium effe, ſed illinc & fætum , &cor puſculú & ipſam animulā ueniſſe.Obli t'es oía uerſariin opinione, gid tm qd præſenseít,unuſquitg uiuit, & amittit. Crebrò apud animú tuú recole cose certis de rebus nimium sunt indignati, qui maxima gloria,calamitate, inimicitia, aliáue quacüq fortuna effloruerút. Deinde quære, ubi nam sintista. Nempe fumus sunt, & cinis et fermo. Aut ne hoc ipsum quidem. Simulad mentem tibi accidat, qualia Gntomnia. Ut Fabius Cattullinus rure, Lucius Lupus in hor tis obijt, Stertinius Baijs, Tiberius Caprei, Velius Rufus Et omnino opinionis cauſa diſcrimě inrebus indifferentibus ftatutum.Tum quàm uile fit omne quod reliſtit. Item quanto magis fit philofophięconfenta neum , in data materia tueri iuftitiam , modeſtia ,ac fimpliciterdijs obſequi.Fa ftus enim qui ſuperbiæ uacuitatem o ſtentando exercetur , omnium eſt gravissimus. Qui quærit cur Deos colas, quomo do eos uideris, aut elle deprehenderis, ei reſpondebis, primùm efle cos uigles: deinde absqz hocſit, tamen animam me am cum non uideam ,nihilominusma gnifacio:ita Deosquoq ex uiribus co rum quas identidem percipio ,cùm eſſe intelligo,tum ueneror. In cò ſita eſt uitæ falus, ut fingulas res totas intuea ris, quid in iis formæ sit, quid materiæ: toto ało ageut iufta agas et vera dicas: Quid enim superest, q ut fruaris uita bo nis bona annectédo,ita ut minimú ſpa cium intermittas. Vnú eftlumenſolis, ét fiintercipiaturparietibus, muris,alijs innumeris rebus. Vnaeſt communis na tura,etſi certo modo affectis corporib. infinitis diſtincta.Vna anima, et si naturis in numeris,proprijs circúſcriptio nibus diſtributa uideatur. Una étmens, etsi discreta uideat.Reliquæ proinde di ctorum partes,tanquam ſpiritus & ſub iecta inſenſata, & inuicé nihilcóiunctio nis habentia, tamen ipfa quoqà mente & eius potentia continentur.Atpecu liariter intellectuseiuſdem generis ad iungit ſe naturis, neo a societate divellitur. Quid quæris? Ut vivas? Id est sentire,appetere,creſcere,deſinere, loqui, cogitare. Quid horú deſideratu dignu eft? Quod Guilia sunt oia hæc,ad extrc mú te cófer, népe ut fequaris rationem &Deú ducem. Sed utrum huic instituto pugnat, ægrè ferre aliquid , an uerò morsid abolet? Quanta pars immenſi infiniti ę ui attributa eſt unicuiq? celeriterea in æternitate euaneſcit. Quanta pars universi? Quantas est univers? quantula in glebula terræ repis? Hæc omnia tecum cogitans, nihil animo magnum conci pe, hoc tantum , ut ductu naturæ agas, &feras quæ communis fert natura. Id cura, quomodomens tua ſeipſa utatur. In hocenim ſunt omnia. Cætera fine à uoluntate dependeant,quc ſccus, mor tua ſunt, fumus. Id maximè ad contemptum mortis facit, phi ét ,qui dolore in malis, &uo luptaté in bonis duxerüt, tamen ea dei fpexerunt. Quiid tantùmboninom nc dignatur, quod eft opportunum , ac cui perinde eſt pluresne an pauciores fecundum rectam rationem præftiterit actiones,negin aliquo ponit diſcrimi ne,lógioréné an brcuiori tempore mű dum contempletur, ei mors nequaqua eſt terrori. Heustu ,ciuisfuiſtiin hac ma gna urbe, adattinet,utrú quinquénio? Etenim quod secundum leges, id omni bus est æquum. Quid ergo grave accidit, si te urbe emittit dominus. Non is quidem iniustus iudex, sed natura quæ te introduxit; perinde ac fi prætorhi ſtrionem emitrate theatro, in quod cum introduxerit. Quod fi is dicat, fenon quinque, sed tres modo actus recital fe, recte dicet. Atvero in vita tres actus fabulam implet. Finem enim is determinat, qui et concretionis olim fuit et nunc est dissolutionis autor. Tuneutrius es causa. Discedeigitur æquo animo. Nam. &is qui te dimittit, propicius tibi est. Riconosco da Vero, mio avolo, la piacevolezza de’ costumi e'l non adirarmi. Dalla riputazione e ricordanza di mio padre una modestia virile. Dalla madre la pietà verso gl'iddii, la prontezza nel donare ed il contenerini non solo dall'on prar male, ma dal fermarmi cicziandio col pensiero. Ancora la semplicità nelle vivande é l'esser lontano dal vivere dovizioso. Appresi dal bisavolo di non frequentare le pubbliche ragunanze e di valermi in casa di buoni maestri, col conoscere che in questo è di mestiere lo spendere senza risparmio. Dall'Aio di non parteggiare ne co' prasiani, ne co' veneziani, ne co' palmulari, ne con gli scutari. Ditrava gliar volontieri, d'abbisognar di poco, d'operare da me medesimo, ne di troppo infaccendarmi, e difficilmente ammetter le calunnie. Da DIOGNETO di non perdermi in cose vane e non prestar fede a ciò, chei prestigiatori e gli stregoni dell'inicantare e discacciare le demonia e di altre cose tali si vantano. Di non nutricare coturnici, ne perdersi circa si fatti trattenimenti. Di sopportare l'altrui libertà del parlare, D'ESSERMI FATTO DOMESTICA LA FILOSOFIA, l'haver udito primieramente. Bacchio, appresso Tandaſide, Marciano. L'haver composto nell'era puerile dialoghi e di contentarmi di uni letticciuolo, e di pelle e di tutti altre cose alla greca. Da Rustico di formar in me concetto che i miei costumi habbiano bisogno di correzione, e di coltura. E di non divertirmi all'imitazione de' sofisti. E di non comporre sopra MATERIE SPECULATIVE e di distendere orazioncine efore tative, overo con altrui stupore ostentare di esser huoino di A 2 vita rigorosa e benefico. Di lasciarla Rettorica, la Poetica e l'elegante parlare. E no andar con l'abito solenne per casa ed usar si fatte cose. E discriver letteruzze semplicemente, come da lui medesimo fu scritto da Sinoefla a mia madre. Di rendermi senza indugio reconciliabile . có quelli, che danno qualche diſguſtoso commettono qual che errore, ſubito ch'e'volef . ſero ritornare al buono: Nel la lettura non contentarmi di paſſarla ſuperficialmente , ma con accuratezza : Di non effer inconſiderato in dar 1 aſſenſo a ciarle , e che leg geſli i Commentarij d'Epit teto , prouedendomid'vne. ſemplare di quelli , ch'egli teneua in caſa. Da Apollonio , il proce der con franchezza , c con vna ferma coſtanza ſenza va cillare , e non rimirare ad al ître por grande che foſſe, che alla ragione ; e l'eſſer ſempre il medeſimo ne' dolori più a cerbi, nella perdita della pro le , e nelle lunghe malattie . Dal viuo eſemplo di lui rico nobbi che può l'huomo eſſer fiſo , e inficmemente rimer ſo . Era egli non tedioſo nello fpiegare;e ſcorgeuafi vn huo. mio, che riputaua ben chiara mente l'infima delle ſue doti la pratica , e ſpedita maniera dello ſpiegare i Theoremi . Da lui ancora imparai come biſogni riceuer dagli amici le grazie , ſenza rimanerne perciò oppreffo,nemeno co me inſenſato ſprezzarle. Da Seſtola piaceuolezza el'eſempio d'vna.caſa guida ta con carità: Il proponimen to di viuere fecondo natura: Vna grauità ſenz'affettazio ne:L'inueſtigare attentamen te il guſto degli amici: Il tollerare gl'idioti, e quelli, che opinano ſenza conſiderazio ne:L'effer con tutti confacce uole, ficchè la sua conversazione aggradiua aſſai più di qualſivoglia anche luſinghe uole adulazione; ed era in quello ſteſſo tempo ſomma mente riyeriro da quelli , che feco erano: E di più yna ap prenſiua nell'inuentare,e diſ porre con buon ordine le maffime neceſſarie al viuere . Non moſtraua mai alcun fe gno ne dira,ne d'altro affetto maera aſfai lontano da tutte le passioni; ed inſieme eglice lebraua, e lodaua gli altri, ma ſenza ecceſſo ; ed era di gran sapere senza ostentazione. Da Aleſſandro Gramatico, il non ilgridare, ne riprén dere ingiurioſamente , ſe al cuno cometteſſe Barbariſmo, o Solleciſmo, o altro,chenon bene fonaua ; ma con bella maniera ſuggerire quel tanto appunto , che ſi douea dire , apportandolo per cagione di riſpoſta , di confermamento , o di conſiderazione ſopra la coſa ſteſſa, non ſopra la paro la, o con qualch'altro manie roſo , e coperto auuertimento , 9 Da Frontone imparai qual ſia il tirannico liuore, la frode, e la doppiezza;e come tutti quelli chiamati da noi Patrizi ſieno in certa manie . m A 4 ra disamorati. Da Aleſſandro il Plato nico ,non iſpeſſo, ne ſenza ne ceflità il dire , o fcriuere ad alcuno di non hauer punto di reſpiro; e per tal modo ſpeſſo eſentarſi dalle conuenienze che per l'affetto ſono douute a quelli, che con noi viuono ſotto preteſto , che li negozi ciaſſediano. Da CATULO di non havere in poca stima le querele de gli amicisancorchè foffero ir ragioneuoli ; maprocurare di ritornarli nel solito stato ; CO , sì ancora di celebrar di cuo re li precettori;le quali coſe fi rammentano di Domizio, e di Athenodoto : Finalmente di amare con vero affetto i figli uoli. Dal mio fratello Vero l'affezione verso i domeſtici ; l'amor della verità e della giuſtizia . E per fuo mezzo hebbi notizia di Traſca,Elui dio, Catone, Dione, e Bruto ; c mi formai nell'immagina zione vn reggimento di Re pubblica , con leggi eguali a ciaſcuno , e di vn Regno, che antepone ſopra tutte le coſe la libertà de' ſudditi . Dal medeſimo appreſi la negli genza difeſteiro, e la coſtan za nel pregiar la Filoſofia , anteponcndola a ciaſcun'al tra coſa; e la beneficenza , e la liberalità , non mai intermef fa : Lo ſperar ſemprebene, e la aſicurarmi di eſſer amato da gli amici . Non taceua , la fciando di fare la correzione a coloro , che conoſceua la meritaffero , ſicchè a quelli , A 5 che gli crano caduti di gra zia non lo teneua celato . E non biſognaua alli ſuoi ami ci conghietturare intorno a quello , ch'eglivoleua, o non voleua , ma la di lui volontà era apertamente paleſe . 13 Fu eſortazione di Malli mo eſſer padron di ſe ſteſſo ; non laſciarſi aggirare in coſa alcuna , ed eſſer di buon ani mo in tutti gli altri accidenti, ancora nelle malattie. Esser ben aggiuſtato ne' coſtumi, foane e onoreuole e ſenza querimonia efecutore delle coſe propoſteli. E che tutti credeſſero ,ch'e'parlaſſe come fentiua ; e che nel fare in nul la male operaffe. Di niente ſi marauigliaua terriua: in niuna coſa era fret toloſo, o tardo, o perplesso , i ne s'at accdioso o si faceva befe fe , o vero era collerico , o ſoſpettoſo ; ma benefi co, e indulgente, e verace; e pareua ch'e'foſſe piùtoſtoret to per natura, che corretto periſtudio.Ne giammai alcu. no fi teneua da luidiſprezza to , ne manco preſumeua di ftimarſi di lui migliore , e ſe fu faceto fu con modo. Appresi dal Padre la manſuetudine e la stabilità nelle cofe già con eſamina mento deliberare: Dinon ef fer vanaglorioſo negli ono ri di apparenza ; maamatore della fatica, operando di con tinuo: É di eſſer pronto ad v dir quelli , che hanno da fuggerir coſe per vtile comu ne: Iin mutabile in dare a cia ſcuno quello , che ſecondo il A 6 proprio merito gli era douu to; ed eſſer diſcreto ad vſar il rigore,come la moderazione, doue biſognaffe.Non era egli diſtratto con l'affetto: verſo dc giouani, ma al pubblico totalmente intento. Non merteua gli amici in neceſſità che feco cenaffero ; ne biſo gnaua che lontano peregri nafiero per lui; però lo troua uano l'iſteſſo quelli , che per qualchenccefſità erano rima Ai indietro : Era ricercatore ne'conſigli eſquiſito ,e fermo. Non s'attaccaua ad ogni ſuf ficicntc indagazione delle opinioni che gli occorreua no. Attento era a conferuarſi gli amici ; de quali mai non fi attediaua , ne pazzamente amavali : E fi contentaua d ? ogni coſa con volto ſerenoa . L’antiuedendo , e preordinando di lontano , eziandio le coſe minime ſenza ſtrepito . Non voleua ſentirſi d'attorno ne acclamazioni, ne adulazioni. Tenendo in buona guardia le cose necessarie al principato, era ſempre prouueduto di ciò che a quello faceua meſtiere, ſopportandocon pazienza ſe diqueſti, e ſimili rigori ve niſlé tacciato. Non era ſuper ftizioſo circa gl'Iddij , ne quanto agli huomini troppo popolare,cattando l'aura del la plebe; ma in tutto attento, e ſodo , non dimenticando mai il conueneuole. E quelle coſe che conferiſcono in qualche modo agli agi della vita delle quali la fortuna gli tera ſtata liberale ;vfaua ad vn ' ora ſenza faſto , e iſchiettezza , dimodo ch'egli godeua indifferentemête del le preſenti , non bramando ciò chenon haueua . Non vi fu alcuno ; che diceſſe di lui che fosse Sofista, o Caſalingo o pedante ; mavn perſonag gio maturo,perfetto ,ſuperio . re alle adulazioni , capace a gouernar ſe ſteſſo e gli altri ; ed oltre ciò onoraua quelli , che veramente eranoFiloſofi; tuttauia non dileggiava gli altri.Era di più nelle conuer fazioni huomo compagncuo le, egrazioſo, peròfenza te dio.Del proprio corpo tene ua cura quanto conueniua , non come huomo del tutto dedito a prolungare la vita , o per fare il bello , però ne meno con traſcuraggine , ma in maniera tale, che col propio riguardo aſſai rade vol. te haueſſe biſogno di medi camenti , o al di fuori epitçi marſi. E ſpezialmente cedeua ſenza inuidia a que’tali, ch'e rano dotati di qualche facul tà , come a dire , o di ben lare , o dinotizia per via d'if toria, foſſe di leggi, o foſſe di coſtumi, o di altre fi fatte co ſe; anzi ſtudiauaſi che ciaſcu ņo ſecondo il proprio talen to acquiſtaſſe nome , e credia to . E facendo ogni coſa ſe condo gl'inſtituti de'maggio . ri,non perciò veniua ad appa fire rigido guardatore dell' antichità, non efſendo amico di muouerſi leggiermente , ſuariare,ma di diinorare ſem pre ne'medeſimi luoghi, ed affari . E dopo i paroliſmidem dolori di teſta tornania ſubito freſco , e vigoroſo alle ſue ſoli te operazioni.Egli non hauea ua di molti arcani , ma po chiſſimi , molto radi, e queſti ſolamente circa gli affari del comune . Andaua con pru denza , e miſura nel conce dere gli ſpettacoli, nelle fab briche pubbliche, e congia rij , e ſimili opere , fi come colui, che riguardava a quel to , che conueniuà di fare e non alla gloria , che dal te coſe fatte ne era per ri fultare : Non vſaua bagni fuor di tempo ,non era vago di edificarc, non inuentore di viuande, ne di teſſiture, etine ture di drappi, ne ambizio fo di ſeruirù di bella preſen za . A Lorio ýſaua la tonica cheſe gli prouuedcua dalla balla villa , e così sſana ordinariamente per Lanuuio : ma nel Tuſculano per ſoprauue fta yn tabarro ; e di tal licen za ne faceua come ſcuſa . Era inſomma tale il ſuo tenor di viuere, non diſguſteuolc, non iinmodefto , non eccedente nelle ſue azioni , ne comeſi dice in prouerbio , Infino al ſudore ; ma tutte le coſe fue ſi annouerauano così ben dif poſte , come ſe foſſero fatte a bellagio , placidamente, or dinatamente, con ogni vigo re , e conſonanza fra diloro . Onde a propoſito di lui ſi po teua dire , ciò che di Socrate ſi racconta ch'egli poteua aſtenerſi, e goderſi di quelle coſe, delle quali molti, e ncll? aftenerſi s' indeboliſcono , e nel goderle ſi moſtrano in temperanti. Ma l'eſfer padro 3 nic di ſe , e lo ſtar ſaldo , e ſo brio nell'vno , e nell'altro , è da huomo , che ha l'animo ben aggiuſtato , ed inuitto , come ſi vide nella malattia di Maſſimo. Dagl'Iddij riconoſco l'haucr hauuto buoni auoli, buoni genitori , buona ſorel la , buoniprecettori, buoni dimeſtici , parenti, amici , e quaſi ogni coſa buona : che, niun di loro inconfiderata mente io offendeſfi , benchè con tal natural diſpoſizione', che ſe foſſe venuto il caſo , io vi farei traboccato . Tuttauia per grazia degl'Iddij non ſe gui tal combinamento di co le , che ſi diſcopriſſe queſta mia inclinazione: E che io no foſſi più lunga mente alleua to appreſſo la concubiņa di mio auolo , come dell'hauer conferuata immacolata la mia pubertà; e che io non mi riſentiſsi d'eſſer in età virile prima del tempo, anzi in ol tre d'hauer indugiato dopo che io peruenni a quell'età : L'effereſtato ſoggetto ad vn Principe padre , il quale era per farmi por giù ogni altcri gia, e per farmi appréderc che ſi può viuere in Corte ſenza che ſieno necaffarie le guardie , le veſti ſegnalate , le cerimonie delle fiaccole, e delle ſtatue, o altro ſimile ap parato ; ma che ſia lecito il trattarſi sù l'andare di priua to,ne quindi auuilirſi , o de primerli per far quello , che conuiene ad vn Principe in riguardo del pubblico go uerno · Ancora d ' efformi tocco in forte vn fratello tae le , che poteua co’ſuoi coſtu. mi eccitare in me vn eſatta cura di me ſteſſo , mentre in- : fieme con l'onore , e con l'a more mi ricreaua : D'hauer hauuto figliuoli d'indole non tralignante, ne di corpicciyo lo mal fatti: Che io non fa ceſſi maggiori progreſſi nella Rettorica , e nella Poctica, o in fi fatti ſtudij , ne'quali for fe mi ſarei troppo ſuagato, ſe mi fofſi auuiſto che in quelli felicemente m' auanzaua : Che io preueniſſi di colloca re nelle dignità i miei edu catori , concioffiecoſa che mi pareua eli lo defiaſſero , non nutrendoli di ſperan za , come che cffendo ano cora giouani poteſſero al pettare quello che poſcia io era per fare : Parimente d'ha uer io conoſciuto Apollonio, Ruſtico , e Maſsimo : Che ſo uente , e chiaramente mi li presétaſse nell'immaginazio nc la forma della vita c011 ueniente alla natura . Onde', per quanto appartiene agli Iddij per le ammonizioni,as ) iuti, ed iſpirazioni da eſsi co partitemi, non vi è ſtata coſa , che mi tolga il viuere rego lato alla natura , o che'l man camento non proceda al tronde , che permia colpa, e per non offeruare io gli au uertimenti, de'quali fui da lo ro come addottrinato : Che: il corpo mio fia durato nella ſorte divita , che io ho menato: Di non mieſſer non ſolo accoſtato ne a Benedet ta , ne a Theodoto ; mache ancora dopo dalle paffioni ' amore ho conferuato la men te fana : Che ſpeffe volte tro uandomi adirato con Ruſtico io no fia traſcorſo tantoltre , che me ne habbia hauuto a pétire:E che giacchè mia ma dre era per morir giouane, io viuuto ſia cô eſſa inſieme ne glivltimi anni ſuoi.Ogni vol ta che io habbia voluto fou uenire il pouero ,o qualunque altro biſognoſo, non vdij mai che i denari , co’quali poteffi ciò fare mi mancaffero ; ne mai accadde tal’vrgenza, che io da altri gli accattaffı. D’ hauer conuerfato con vna moglie tanto riuerente , tan .. to amoroſa, e tanto ſchietta : Che ho haluto buona forte negli educatori per li figliuo li: Che in ſognomifieno ſtati fuggeriti molti rimedij, prin cipalmente quello allo ſputo del fangue, e quello alla ver tigine; di ciò hebbi la grazia in Gaeta ed anco in Chre fa: Che, eſſendomi io dato al l'acquiſto della Filoſofia, non m'abbattei in qualcheSofiſta; ne conſumai il tépo in iſqua dernare ſcartafacci, ne in or dire , e ſoluere fillogiſini ; ne mi ſmarrij tra le quiſtioni meteorologiche . Queſte co fe tutte riconoſco dall'aiuto degl'Iddij, e dalla loro for tuna ; dimorando io nel pacſe de' Quadi preſſo il fiu me Granua. Di bel mattino ho così da predire a me ſteſſo: E’faci le che io m'incontri in tale , che ſia o importuno , o diſ grazioſo, o proteruo, o malizioso o invidioso , o nemico di ogni comunanza . Tutti queſti difetti prouennero in eſsi dall'ignoranza del bene', e del malc ; ma hauendo io notizia della natura del be ne, che è l'eſfer'oneſto ; e del male, che porta al no oneſto ; ed eſſendomi inſiememente nota la natura di chi nel male pecca , poſciachè egliè a me , cõgiunto no tanto per la ſimi. gliáza del ſangue, e della ge nerazione, quanto per la mé te , la quale è comeporzione, della diuinità , ne ho da trar re conſeguenza ,che non pof lo rimaner leſo da alcuno de detti difettuoſi;concioffiecofa che niuno mi auuilupperà cô le ſue ſconueneuolezze; e non ho da ſdegnarmi con chi è a me congiunto neodiarlo , im perocchè ſiamo fatti a fin di cooperare, come li piedi , le mani, le palpebre, e de i den til'ordine di ſopra con quel di ſotto . Il contrariarſi dun que l’yno all'altro è contro all'iſteſſa natura , e l'adirarſi , e lodiarſi è vn contrapporſi. Tutto quell'eſſer mio ſi ri ſolue ad vn pezzo di carnuc cia , ad vno ſpiritello , ed al la parte ſuperiore , ch'è la mente.Laſcia da parte i libri, ne coſa alcuna ti diſtragga . Ciò non t'è permeſſo: ma co me sul'orlo della morte ſprez za quella carnuccia, che con ſiſte in ſanguuccio, oſſetti, ed in vna teflitura tramata di nerui, venette , ed arterie . Conſidera ancora che ſia lo ſpirito ? aura che mai non ri mane ľifteffa ; ma ognora B fuori ſi ſpira , e reſpirando di nuouo li attrae.La detta terza parte dunque di noi è quella, che ci gouerna , circa della quale così hai da diſcorrere , Se' vecchio non hai da com portare che queſta più viua in servaggio. E che ſia più per violenza ſtraſcinata dall' im peto , ch'è alieno dall'huma na comunicazione ; e che non fi prenda più faſtidio di quello, che cagioni il fato al preſente, o in auuenire . L ' opere degl'Iddij tutte fon ri piene di prouidenza; e quelle della fortuna non ſono ſenza concorfo della natura , o del la coordinazione , ed intrec ciamento delle coſe guidate dalla prouidenza. Quindi tut to ſcaturiſce. Aggiugni anco ra, che così èneceffario , conferendo all' vniuerfo Mondo, del quale tu se porzione e ad ogni parte della natura è buo no quello che porta la comu ne natura ; e ciò che s'affà al la di lei conferuazione - Però con feruano il Mondo così le mutazioni degli elementi,co . me quelle de compoſti. Que Ite coſe a te ſieno ſufficienti , e perpetui decreti . Caccia ľ auidità de'libri per non mori re fufurrando , ma con vera placidezza , ringraziando di tutto cuoregl'Idddij . Ammcntati da quan to tempo in quà se? andato differendo queſte co ſe; e quante volte de termini, a te aſſegnati da gl'Iddij , non ti ſe’valuto.Biſogna vnavolta che tu riconoſca di qualMon do ſij parte ; e da qual Rettor del Mondo deriui : E come ti è ſtato circonſcritto yn termi ne di tempo , il quale, ſe tu ben non te ne varrai per tran quillarti , trapaſſerà, e tu con esso, leſſo;ne ritornerà più . 2 Sta totalmente, e in ogni tempo intento, come conuie ne ad yn Romano d'animo forte , e maſchio , ad ele guire quello , che hai tra ma no , con attenta , e non affet tata grauità , con humanità con libertà, con giuſtizia, con dar poſa a te ſteſſo, rimo uendo ogni altra immagina zione ; E allora la rimouerai , quando facendo qualche a zione riputerai eſer l'vltima della tua vita , lontana però da ogni temerità , e da ogni appaſſionata auuerſione alla retta ragione , dalla diſſimu lazione e dall'amor di te ſteſ ſo , e da qualſiuoglia diſpia cenza alle coſe a te per fatali tà congiunte . Tu vedi quan te poche ſiento quelle coſe , le quali poffedendo , potrà vno viuere felice , e diuina vita ; poſciachè gl'Iddij niente di più domanderanno a colui , che queſte tali coſe oſſerua 3. Rimprouera, o anima,rim , prouera a te ſteſſa , come t'è ſcorſo il tempo per propria mente honorarti, eſſendo che la vita comunemente ſe'n fugge ;ela tua è già quaſi su I'vltimo, riponendo la tua fe licità nell'opinione degli ani mialtrui . 4 Perchè fe diſtratto dagli ac . cidenti ch'eſtrinſecamente di foprauuengono? Proccura del l'ozio a te ſteſſo , per appren dere qualche bene ; e ceſſa da aggirar la mente. Inoltre hai da guardarti da vn'altro ſua . ria mento : Imperocchè alcu , ni quaſi delirano con le loro aziani : cioè quelli , che tra uagliano aſſai nella vita , ne hanno fine certo , doue indi rizzino ogni inclinazione , e tutta quanta la loro imma ginazione . $ Non fi vedrà facilmente alcuno eſſer infelice , perchè non comprende quel, che ſe gua negli animi altrui: ma è Forza cheinfelici fieno quelli che non offeruano i moui menti del proprio animo. Egli èmeſtiere che ti ri cordi fempre delle coſe ſe guenti: Qual fia la natura de principij vniuerfali, e quale la propria ; ecome ſi riferiſca quefta a quella , equal parte ellaſia, e di qual vniuerfo : E cheniitno impediſce , che tu del continuo non facci, e non dichile cofe congruealla na B · til tura , della quale tu ſe'parte. Filosoficamente diſcor re Theofraſto intorno al far comparazione de'peccati , fe condo che più comunemente fi vſa tal paragonc , afferendo efſer più graui quelli ,che per la concupiſcibile fi commer tono , di quelli, che per l'ira fcibile . Imperocchè l'adirato con qualche dolore, e occulto raggricchiamento dell'animo pare che ſi diſcoſti dalla ra gione; doue quegli, che pec ca per la concupiſcenza , vin to dal piacere , dimoſtra che in certo modo più da intem perante ,e più da effeminato fdruccioli nel peccato. Retta mente dunque, e da filoſofo proferì, maggior colpa incora rere chi pecca con piacere , che qucgli, che pecca con dia ſpiacere : E in ſoinma l’ynos" aſſomiglia più a colui che per innanzi habbia ricevuto qual che ingiuria , e che, forzato dal dolore, entra in collera;l altro ſpontaneamente fi muor ue all'operare ingiuſtamente , portato a ciò fare dalla con cupiſcibile. 8 In tal modo hai da con durre P opere , ei penſieri , come tu foſſi in punto per vſcir di vita . Ne il dipartirti dagli huomini ti ha dapeſa re; poſciachè, eſſendoci gl'I & dij , quefti non poſſono mai indurre al male;fe poi gl'Iddij non ci foſſero , o nonhaueffen ro alcun penſiero delle coſe humane , che mi giouerà di viuere in yn Mondo manche : uole degl'Iddij , e doue mans chi la prouidenza ?Ma e gl'Id BS dij cifono , ea cura loro ſono le coſe humane; e acciocchè lº huomo non cadetle in quello che veramente è male , il tut to ripoſero nel ſuo volere . Nell'altre coſe , ſe vi fofle del male , haurebbero pure in torno a queſto prouueduto , a cagione che niuno mai vi pericolaffe. E in vero quello che non può render la perfo na peggiore , come potrà far peggiorela vita ſua ?La natura dell' vniuerfo ne ignorante mente , ne ſcientemente , ma per non poterle preferuare,ne taddirizzare le haurà trafcura te Ella certamente non com miſe sì enormepeccato , oper mancanza del potere , odel fapere, che i beni, eimali ac cadano vgualmente , e indif ferentemente agli huomini buoni, e a imaluagi ;giacche la morte e fæ vita la gloria e'l disonore , il trauaglio e I pia cere la ricchezza e la pouertà ; e così fatte coſe auuengono vgualmente agli huomini si buoni , si cattiui, non hauen do elleno in ſe nedell'oneſto ne del difoneſto; dunque non portano feca ne bene , ne male O come il tutto ben pre fto ſuamiſce!NelMondo i pro prij corpi , e dopo anche col tempo le memorie di effi fi dileguano . Di tal condizio ne fonotutte le coſe ſenſibilis e ſingolarmente quelle, che adefcano col piacere', o che atterriſcono col tranaglio , o per lo faſto ſono applætrdite , quanto fonovili,diſpregevo Li, fordide , e facili acorrom B 6 perſi,e già boccheggianti ? 10 Tocca alla facultà intel lettuale l'auuertire , che coſa fieno quelli, nelle opinioni, e voci de'quali fi conftituiſce la gloria : Che coſa ſia il morire; il quale, fe alcuno il contem pla per ſe ſteſio ſolamente ; e conla diſgiunzione della con : fiderazione ne ſepari tutte l? immaginazioni, che con effo vengono rappreſentate, com prenderà non eſſer altro , che yn opera di natura : Onde da fanciulletto è l'atterrirſi ad vi opera della natura ; e pure il morire non ſolo è opera + zione della natura , ma molto a quella conferente: Come s? vniſce l'huomo a Dio ; e con qual parte di ſe , e con qua ! maniera ancora tal particella dell'huomo all' ora è affetta e diſpoſta.  II Niuno è più miſerabile di colui che s'aggira per tut to a rintracciare ogni coſa, e Va razzolando comecolui dice fin nelle viſcere della terra ; e an cora va cercando per con ghietture quello , ch'è negli animi altrui, non accorgen doſi che gli ſarebbe a baſtan za di paſſarfela bene col ſuo genio , e riuerentemente ſe condarlo , eſſendo dentro di lui . Queſta offeruanza però conſiſte nel preferuarlo puro dalle paſſioni, dall'eſſerarro gante, dalli diſguſti,che ſi pi gliano per quello che venga da gl'Iddij, o dagli huominis concioſliecoſa checiò, che vi: ene dagľ Iddij per la virtù s ? ha da venerare;quello cheda: gli huomini, s’ha da amare per la congiunzione della natura: anzi alle volte in yn certo mar do fono degni di compaſſione , per non conofcere il bene , e il male; ne queſta ignoranza è minore dell? offüfcazione di poter diſcernere il bianco dal nero. Eziandio che tre mila anni ti rimaneffero a viuere e di più altrettante decine di migliaia' , nondimeno ricor dati che niuno perde altra vita, che quella , cħeviue', ne altraviue;che quella cheper . de .. Al medeſimo dunque fi riduce così la vita funghiffima, comela breuiffima . Perchè quello , ch'è preſente , a tutti & vguafe,benchè quello , ch'è perduto, a tuttinon è va guale ; ecosì quello, che & perde , pare chefiavn attimo folo. Imperocchène il paffatoy, neil futuro da niuno ſi perde; concioſliecofa che quelloche non ſi ha , come può eſſere tolto da veruno? Però dique ſte due coſe è da ricordarſi : l'vna, che dall'eternită tutte le cofe fono ſtate ſimili , vol. tandoſi in giro , e non v'è niu na differenza, ſe per cento , o per dugento anni, o pure per tempo indeterminato vedrai le medefime coſe : La ſecon da è, che colui, che lunghiſſi mamente ville, come quegli , che preſtiſfimo muore, refta no pareggiati nella perdita , mentre non vengono a rima ner priui, chedelpreſente , il quale ſolo hanno, eciò, che non fiha, non ſi perde. Ogni coſa ſta nell'opia nione, il che appariſce mani feſto dalli diſcorſi con Monimo Cinico . E chiaro farà l've tile di queſti diſcorſi, ſe da quelli ſe ne coglierà il midol lo della verità. Oltraggia ſe ſteſſa l'ani ma dell'huomo:Primieramen te allora che, quanto è per 0 pera fua , diuenta yn’apofte ma , o ghianduccia delmon do;mentre che chiunque mal volentieri prende quello , che il tempo porta , è vn ' diſtacs camento della natura, in par te della quale le nature di cia . fchedun degli altri ficonten gono:Secondariamente ,quan. do ſi ha auuerſione a qualche huomo , o ſe gli opponeper danneggiarlo , come fanno que', che ſi adirano : Nel ter żo luogo tratta male fe me deſimaallora , che ſi arrende al piacere , o al dolore : Nel quarto, oue diſſimulando fina tamente,e ſenza verità, qual che coſa fa , o dice: Nel quin to , quando non indirizza l' azioni fue , eiſuoi moti à niun ſegno; ma opera a cafo , e ſenza congruenza ; effendo neceſſario che ancora le coſe minutiſſime habbiano rela zione al lor fine. Ora il fine degli animali ragioneuoli è di ſeguire la ragione, e la leg ge della Città , e dell'anti chiſſimo gouerno. Il tempo dell' humana vita è vn punto : la ſoſtanza fluſſibile : il ſenſo caliginoſo: e la coagulazione di tutto il corpo facile a putrefarſi:lani moyn continuo rigiro: la for tuna difficile a conghietturarm fi: la fama vna incertezza  E per recare le inolte parole in vna : tutte le coſe corporali vna corrente, quelle dell'ani ma vn ſogno , e vn fuina d'ac qua: la vita yna guerra , e vor pellegrinaggio di vn viandan . te : e la famapoftuma farà di menticanza . Checofà è dun que , che pofſa fare durare 1 huomo Una sola  la Filosofia ; e queſta conſiſte nel con feruare l'interno genio inno cente e ſenza taccia ,ſuperio re a ' piaceri , e a ' dolori; che niente operi temerariamente , ne con bugiane con finzione: e che non habbia biſogno , che altri faccia , o non faccia . In oltre , che ben ricetia ciò , che auuieneso impoſto gli ſias come di là tutto auuenga , donde egli medeſimo è ve nuto; e ſopra tutto cheaſpetti la morte con animno ſërena , non : nonla confiderando , che co mevn diſcioglimento degli clementi, de'quali qualſiuo glia animale fi compone. E ſe agl'iſteſſi elementinon è ma. lala mutazione continua ,che ſi fa di ciaſcuno di eſli in vn altro , per qual ragione hafli a temere la mutazione, e il di fcioglimento di tutti inſie me , giacchè è conforme al la natura e niente è male , eſſendo conforme ad effa ? Fin qui a Carnuto. Ccoveredt gde jeunesse eos POS. Non è ſolamente da confiderare che la vitaſi va di giorno in giorno conſumando ; e che di eſſa ne rimanc il meno ; ma quel lo ancora fi vuole andar ri penſando , che quantunque yno viueffe eziandio d'au uantaggio , pur reſta quegli incerto ſe ſia per durargli la mente habile alla buona in telligenza degli affari , e di quella ſpeculazione , che ri chiede nel trattare le coſe humane , e diuine: Imperoc „chè fe comincierà perauuen . zura l'huomo a delirare , non perciò gli mancheran forze , ne il reſpiro , ne la facultà del nudrirſi, ne l'immaginatiua , ne gli appetiti ,ne ſimili altre potenzc; ma s’eſtinguerà ben ſi affatto in lui quella del po terſi di ſe ſteſſo valere , e di perfettamente adempiere le parti del ſuo miniſtero, e di chiaramente ſpiegare i con cetti dell'animo , e di confi derare altrui , fe tal volta debba a ſe medeſimo dare la morte ; e tutti finalmente quci ſimiglianti affari, i quali per ben riſoluere richiedel vn perfetto , e raffinato di ſcorſo.E'dunque da non iſtar fone a bada , non ſolo perchè la morte ſempre più s'appref ſa , ma perchè in oltre il ra ziocinio , e l ' intelletto noi fpeffe volte abbandonano innanzi alla morte. E'ancora da oſſeruare,che tuttociò, che alle coſe già dal la natura prodotte ſoprattuie ne , aggiugne loro yn certo che di bellezza , edi grazia ; comeper eſemplo, quando il pane ſi cuioce , infrangonfi, e in varie guiſe apronfi four? eſſo alcune particelle di cro ſta , che fuor della creden, za , ed arte del fornaio co sì ſcrepolate con particolar compiacimento muouono P appetito. Così a i fichi, quan dogià ben maturi rompeſi la camicia ; e allylive ſtagiona te , mentre principiano a pu trefarſi , fi viene ad accreſcere in tal particolare alletta mento: le ſpighe , che per lo pelo s' inchinano , il ſopraci glio del Lione, la baua, chc1 Cignale ſchiumando getta dal grifo , e altre coſe , delle quali , ſe ciaſcuna riguardaſi da per fe , appariſce lontana da ogni bellczza ,per lo effe re all'opere della natura con giunte, recano a queſte orna mento , e agli animi deri guardanti diletto ; Ondechi ha l'affetto e la conſiderazio ne intenta intorno a ciò, che vien prodotto nell' vniuerſo , quafi niente troverà anco nel le cofe, che a quelle addiuen gono, come neceſſarie pendi ci , che con qualche buona grazia non le veda congiu gnerfi. E così i veri digrignan ti grifi de viui animali non con ininor piacere rimirerà , che quelli, che con iſcherzo dalla pittura, e dal rilieuo ſo no rappreſentati; e vn certo vigorc , e vna certa maturità d'vna vecchia , o d'vn vec chio , non che la venuſtà de? fanciulletti , potrà con ben purgata viſta rimirare; e mol te ſimili cofe , che non ad ogn’vno ſaranno accette ; ma ſolo a colui , che finceramen te ne'ſegreti,e nell'opere del la natura ſi ſarà internato . 3 Hippocrate , che haueua fanati molti infermi', amma latoſi egli ſe nemorì : I Cal-, dei a molti prediſſero le mor ti , ed eſſi poſcia furono dall : ora fatale portati via : Aler ſandro , Pompeo, e Caio Ce fare , hauendo intiere Città del tutto , e tante volte di ſtrutte , e tagliate a pezzi in battaglia molte decine di migliaia d'huomini tra fanti , e caualieri, eſſi ancora alla fi ne vſcirono di vita : Heracli to , dopo hauer con diſcorſo naturale trattato dell'incen dio del Mondo , gonfio le vi ſcere d'acqua , rauuolto in iſterco bouino, finì i ſuoi gior ni : Democrito da i pidoc chi , Socrate da altri vermi reſtarono eſtinti. A che quc ſti racconti ? Entraſti in bar ca, nauigafti,approdaſti: Eſci fuora , e ſcendi; ſe pervn'al tra vita , iui ancora faranno gl'Iddij , eſſendo quclli per tutto " ; ſe reſterai ſenz'alcun ſenſo , ceſſerai d'eſſere.ratte nuto tra i trauagli, ed i piace ri , e di feruire ad vn vaſel letto tanto inferiore, quanto la porzione è ſuperiore a quello , a cui ella ferue . Poi chè queſta è la mente , e il genio , doue quello terra , e putredine . 4 Non conſumare queila parte di vita, che ti riinane nel darti inipaccio,o penſiero de? fatti altrui, quando quelli non riguardino all vtile comune; altrimente tu reſterai impac ciato in coſa da te aliena, ro fiſticando , che faccia il tale , cd a qual fine , e che dica , o penſi, o macchini, e altre co ſe ſimili, le quali ci fanno de uiare dall' offeruanza della parte , ch'è la propria di cia fcuno reggitrice . Concioffie coſa che biſogni nel diuilare ľ immaginazione , sfuggire ogni penſiero intempeſtiuo , e vano , e molto più quello , che habbia del vizioſo e del maluagio : Alucfare ancora vuolſi ſe ſteſſo a penſare ſolo a quelli particolari,de' quali, chi all'improuiſo t’interro gaſſe , che penſi tu adeſſo ? tu polla con franchezza riſpon dere , ſenza interporre tempo di mezzo , queſto , e queſto ; dalle quali riſpoſte ſubito manifeſtamente appariſca che i penſieri tutti ſono in te ſchietti , manſueti , come conuiene a i viuenti per l'hu mana comunicazione ; e che, tu non ſei applicato ' a i piace ri , ne a qualſifia voluttuoſa immaginazione , non alle conteſc , non all'inuidia , o a i ſoſpetti, o ad altro , per lo che tu ti hauefli da arroſſire , diſcoprendo quello , che tu couaui per auuentura nell' C 2 animo . Giacchè vna perſona, così coſtituita , è quaſi vno degli ottimi , qual facerdo te , e miniſtro degl'Iddij,ſer uendoſi di quello, che den tro di lui riſiede Queſto ren de l'huomo illibato e libero da i piaceri , illeſo da ogni trauaglio , intatto da ogni ingiuria e ſenza vn mini mo ſentore di malizia , cam pione del maggior combat timento , da non eſſer ab battuto da paſſione alcu na , intinto nella giuſtizia in fino all'intimo , che con tut to l'animo ben riceue quanto auuiene , e quanto per defti no gli venga compartito : Non iſpeſſo ne, fuori che in grandi neceſſità , e che ſpet tano all' vtile comune , ri flettente a quello , che altri ſi dica , o faccia , o penſi, ſolo da vn canto intento a ' proprij affari , e dall'altro continu a mente attento a ciò, che per le contingenze dell' vniuefo a lui tocchi; acciocchè s'in duſtrij di rendere quelli di bella oneſtà compiuti , queſto reputi colmo d'ogni vtile e d'ogni bene. Concior ſiecoſa che , quanto a ciaſcu no viene dal fato deſtinato , fia portabile , e del bene ſeco portante . Ed egli tenga a mente , che a lui effcr dee fa migliare tutto quello che ha del ragioneuole, e che la natura dell'huomo richiede, e che dee applicare alla cura di qualunque ſi ſia degli aleri huomini . Però non ha a vo ler dipendere dall' opinione così d'ognuno , ma ſolo di C 3 coloro, che viuono conforme alla natura ; e dee offcruare quali ſieno quelli , che diuer famente viuono ilmodo, che tengono in caſa , e fuori , il giorno, e la notte, e quali , e con quali conuerſando ſi me ſcolino; Eper ciò non ſi ha ď hauer in alcun grado la lode di coſtoro , che ne meno fe fteſli contentano. Non opererai come con tro tua voglia , ne come ſcor dato del bene comune , ne ſenz' hauer prima ventilato efattamente l'affare, ne ritro fo ; ne attenderai con bellet ti di vago dire a vanamente liſciare i tuoi concetti , non effendo ciarlone , ne troppo faccendiero . Iddio , ch'è in te , preſieda al tuo viuere da perſona virile , e nell'età auanzata , e di vita politica , e da nato Romano, e chema neggia gouerno . Sta in mo do tale apparecchiato e diſ poſto che alla prima chiama ta tu ſij pronto di ſtaccarti da i viui fi intero , che ti fia data credenza ſenza tuoi giura menti , o teſtimonianze al trui. Queſt'vno non manchi , ch'è tal ſerenità nell'animo , che non occorrono conforti efterni, ne di effere tranquil lato per opera d'altri: s'ha dunque ad cſſer per ſe ſteſſo retto , e non raddirizzato . 6 Se nella vita humana tu trouerai alcuna coſa migliore della giuſtizia , della verità , della temperanza , della for tezza , e in fomma fe altro meglio , che l'eſſer l'opera zione della tua mente sufficiente a ſe ſteſſa , acciò ca gioni , che tu operi ſecondo la retta ragione, e in ciò, che non può dipendere dal pro prio tuo conſiglio , al fato tu ti accomodi : ſe meglio dico di ciò tu truoui , od iſcopri ,a quello volgiti con tutto l'a nimo, e godi dell'ottimo , che haurai ritrouato . Ma fe nulla t'appariſce , che ſia inigliore dell'iſteſſo genio , che in te riſiede , il quale habbia ſotto meſſi a ſe ſteſſo i proprij mori de'tuoiappetiti, ed eſamini le coſe. immaginate , e che dalle perſuaſioni, o alletta mcnti de' ſenſi, come Socrate dicea , ſia diſtratto , e con 1 affetto attento agli huomini , fi fia fubordinato agl'Iddij : Se di queſto trouerai eſſere ogni altra coſa inferiore , e più vile , non dar luogo nclla mente tua ad altra cofa veru na , alla quale vna volta che tu o propendendo , o decli nando aderifli , ſareſti ferma mente impedito a poter libe ramente preferire ad ogn'al tro il ſingolare , e proprio tuo bene ; non eſſendo giuſto che al bene ragioneuole e operatiuo ſi contrapponga qualſiuoglia altro , che ſia in diuerſo genere , come fareb be l'applauſo della moltitudi ne, o la dignità , o le ric chezze , o il godimento de piaceri;tutte coſe le quali ha. uendo apparcnza , ancorchè in minimo , di adattarſi a noi, repentemente preuarranno , e ci rapiranno . Ondeio ti di co , attienti fchiettamente , e francamente al meglio ; e С aderiſci a quellos e il meglio è quello , che a'te è di profit to ; però ſe ſi confà , come a perſona ragioneuole , queſto riſerbati ; ma ſe ſolo , come. ad animal viuente , riggetta lo , e ſenza gonfiartene,cuſto diſci il fologiudicio , per po ter formare vn eſame certo , e ſicuro . Non iſtimare giam mai , che ſia coſa conferente a te ſteſſo quella, che tal vol ta forzeratti a traſgredire la fede , mancarc all honore , odiare alcuno , ſoſpettare maledire , fintulare , ed ambi re qualche coſa, laquale hab bia biſogno di naſcondimen to di muri , e di velami . Im perocchè chi ſtima fopra tut to la propria ſua mente , e il genio , e l'operazioni della ſua virtù , quegli non fa azione da tragedia , non pia gne , non hannà biſogno di Itar folitario , ne della com pagnia di molti . Esquel che più importa , viuerà ſenza de fiderare , e ſenza sfuggire co fa alcuna ; ne farà molto ca fo , ſe dell'anima circondata dal corpo ſe ne ſeruirà per più lungo , o per più breue tempo : acciocchè qual ora s'haueſſe a dipartire , così franco ſe ne vada , come ha ueffe a disbrigarfi di qualche affare , che gli conueniffe efe guire con decoro , e con ogni modeſtia : ofſeruando queſto folo puntualmente per tutta la vita , che i fuoi penſieri s. aggirino attorno qualche co fa , che ſia propria de viuen ti razionali , e ciuili . 7 Nella mente di perſona C 6 ben aggiuſtata , e purgata non trouerai niente di guaſto , niente di marciume , o che v'habbia fatto ſaccaia . Simil. inente . non troncherà il fato la vita di coſtui imperfetta , come ſi direbbe dell'Iſtrione , fe ,auanti di finire , e compire il Drạmma,gli vditori all'im prouiſo piantaſſe . Di più non trouerai nulla di feruilc , ne di affettato , ne di appicci cante , ne di diſciolto che habbia biſogno d' eſſer corretto , ncd'eſſer ricoper ne to. Habbi in venerazione la facultà , che forma l'appren ſione , dependendo da queſta il tutto ;acciocchè niuna opi nione s' inſeriſca nella tua mente , che non confcnta colla natura , e colla coſtituzione di viuente razionale : E queſta profeſſi di non cor rerc alla cieca, e che l'huomo fi confaccia con gli huomini , e verſo gl’Iddij ſia offequiolo. Rigettate dunque tutt'altre coſe , imprimiti ſolo queſte poche , e ſpesſo rammenta ti che da ciaſcuno ſi viue il ſolo momento preſente, il re fto l'ha gia viuuto , o gliè af fatto ignoto . Piccola adun que è l'età di ciaſcuno : Pic colo è il cantoncino della terra, dove ſi viue , e piccola , benchè lungi s'eſtenda , è a ' poſtuni la fama , proceden do queſta dalla ſucceſſione di homicciuoli , che preſto ſe ne vanno a morire , i quali non conoſcono le ſteſſi , non che colui , il qual di già lungo tcmpo morì. A'già eſpoſti auvertimenti s'aggiunga ancora di far ſem pre vna diffinizione , o de : ſcrizione di quello , che vie ne dall’iinmaginatiua rappre fentato acciocchè qual'è nudamente nella propria ſo ſtanza , e il tutto per tutte le parti diſtintamente , tu rico noſchi,e ſia a te ſteſſo eſpreſ ſo. e paleſato qual ſia il ſuo proprio nome , e i nomi di quelle parti , delle quali è compoſto , e nelle quali ſi ri foluerà . Perchè non è cofa , che a ſolleuare la generoſità dell'animo ſia più poſſente ; quanto l'eſaminare con me todo , e verità ciaſcuna coſa che può accadere nella vita ': c riguardarla del continuo in tal modo , che tu comprenda inſieme a qual Mondo , qual vſo porgano , che poſto tena gano in riguardo dell’yniuer fo , e quale in riguardo dell' huomozil quale è cittadino di quclla ſopraniſlıma Cittade di cui le altre ſono come.abi. tazioni di famiglie : Che co fa ſia , o di quali principij ſia compoſto , e quanto tempo fia per durare quello , che al preſente m’imprime tale im inaginazione ; e qual virtù in torno quello s'habbia da vla re : come a dire della manſue tudine , delle fortezza , della verità , della fede, della ſchiet tezza della contentezza, del la propria ſorte , e d'altre fi mili. Per lo che biſogna dire di ciaſcheduna coſa : Queſto viene da Dio : ma queſto per fatale ordinazione, e conneſ fione delle coſe del Mondo , 3 o per una tale congiuntura , e fortuna: E queſto altro pro cede da vn tuo proſſimo , e congiunto , e teco conuer fante , ignaro di quello , che a lui pernatura ſi conuiene . Ma io che lo ſo m’auuaglio d' effo , fecondo le leggi naturali della comunicazione , con af fetto benigno , e giuſtizia ; e inſieme nelle coſe indifferen ti , o mezzane mi ſtudio d' andar conghietturando , qual ftima a quelle habbiaſi a da re . Se tu , della retta ragione feguace , opererai quello che haurai dauanti ſtudiofa mente, validamente , placi damente , e non mirando ad altro che all'intrapreſo nego zio , anzi conferuerai il tuo genio puro , e conſtante , co me ſe già ti abbiſognaſſo di renderlo : Se dunque queſto offeru.crai , a niente altro at tendendo , niente fuggendo ; ma nell'operazione , che hai tra le mani , conformandoti alla natura , e contentandoti d'eſprimere con verità eroica tutto ciò , che a dire intra prendi , tu viucrai felice . In vero non v'ha chi ti potra quefto impedire . u Comei Maeſtri del cu rare hanno ſempre alla mano gli ſtrumenti , e i ferri per ogni inopinata cura così habbi tu pronti i decreti a ri conoſcere per mezzo d'effi le coſe diuine e l'humane , in tutto ciò, che, quantunque mi nimushaurai da operare ; ben ricordcuole come queſte fia no amendue tra di loro con giunte , non potendo far nulla , che appartenga agli huo mini, che per mera corriſpon denza al Cielojne per lo con trario . 12 Non andar più vagan do, mentre non haurai più da leggere i tuoi libretti di me morie , ne i fatti degli an tichi Romani , e Greci , ne le raccolte , che hai eſtratte da varij ſcrittori , le quali riſer bate t'haueui per la vecchia ia . Affrettati adunque ver ſo la fine , e abbandonando , mentre che t'è lecito , le va ne ſperanze , porgi ogni aiu to a te ſtello , ſe tu fe'a cuore a te medeſimo . 13 Gli huomini volgari non fanno quanti ſignificati hab biano le voci rubate, femina re , comperare , ripoſare ; ne fanno diſcernere quello , che s'ha da operare : il chenon ſi fa con la viſta degli occhi, macon altra perſpicacia. Habbiamo il corpo, l'a nima , c la mente : Al corpo appartengono i ſenſi, allani ma gli apperiti, alla merite i decreti . Si formano le imma ginazioni ancora dagli ani inali bruti ; ma il laſciarli trarre dagl'imperi degli ap petiti a guiſa di pupazzi tira ti con cordicelle, è cofa da beſtie , e da effeminaci , e d ' yn Falaride , ed'vn Nerone . L'applicarela reggitrice men : te all' apparenti conuenienze è ancora di coloro , i quali non tengono , che ci ſiano gl’Iddij , e che alle occaſioni abbandonano cziandio la pa tria , e che quando han chiu te le porte , fanno di tutto. Se dunque l'altre coſe ſono comuni alli già detti , reſta proprio dell'huomo dabbene l'amare, e abbracciare ciò che a lui auuenga , e che dal fato gli fia compartito , come il non rimeſcolare , e confon dere il genio , che nel mezzo del petto riſiede , ne pertur barlo colla moltitudine dell' immaginazioni : ma conſer varlo placido , e come a vn Dio , decenteinente portar gli riuerenza , ed oſſequio. Non proferendo mai parola, che tutta yera non ſia ;ne fuo ri del giuſto facendo cofa al cuna . Se poi tutti gli huomi ni non crederanno , ch'egli fchicttamente , e oneſtamen te , e tranquillamente ſe ne viua , non però fi crucсerà con chi che ſia di loro ; ne vſcirà mai dal dritto ſentiero , che lo conduce al fine della vita , al quale fa di meſtiere giugnerepuro,quieto, c pron to a diſcioglierſi, e acco- - modarſi di buona vo glia al proprio de ſtino. Nell interno che domina in noi quando ſi confor ma alla natura , reſta sì indif ferente a tutti gli auueni menti , che ſenza ripugnanza ſempre prontamente ſi tra fporta a ciò; ch'è poſſibile , e conceduto ; Imperocchè non s'obbliga a materia deterininata ; ma è facile verſo ciò , che gli venga propoſto , ben che con qualche eccezione ; e quello , che in luogo dell eſcluſo è introdotto, s'appro pria come ſua materia , in guiſa del fuoco , quando nel le coſe , che incontra predo mina ; dalle quali vna picco la lucernctta verrebbe e ſtinta,la doue vna gran fiam ma trasforma in ſe preſta mente tutto quello , che in nanzile è poſto , e lo conſu ma , e di quell'iſteſſo diuiene maggiore 2 Niun'opera ſi faccia a ca ſo , ne altrimente ſi eſegui ſca , ſe non conforme agli ammaeſtramenti di perfezio ne dell'arte . 3 Proccurano le perſone di ritirarſi nelle campagne,alla -50 he 9 or it 71 za 2 . e 01 marina , e ne' monti , e an co tu queſti ſe' ſtato partico larmente ſolito d'amaro ; e queſta è coſa ordinarijfſima agl'idioti; eſſendo a te lecito in qualſifia tempo, che ti pia cerà , ritirarti in te ſteſſo . Ne c'è luogo per l'huomo di più quiete , e più lontano dalle faccende , per ritirarſi di quello del proprio animo ; particolarmente ſe haurà in ſe formato tali concetti, che in quelli internandoti pron tamente rimanga in vna to tale tranquillità . Ne altro dico eſſere queſta calma che l'animo ben compoſto : Ritirati dunque ad oraad o ra , e rinnuoua te ſteſſo . Si eno però breui , è ordinati que' ricordi , i quali ad vn tratto fouuenendoti, ſaran no ſufficienti a liberarti dio gni moleftia , e di rimetterti nelle tue operazioni ; alle quali ſenz' annoiarti farai ri torno . Poſciachè di qual co ſa pigti tu noia ? forſe della maluagità degli huomini ? Rammentati di quel decreto, che i viuenti ragioneuoli ſo no prodotti a pro \ vno dell'altro ; e che il medeſimo ſofferire è part e della giuſti zia dell'huomo: e che quelli, che delinquono , no'l fanno di buona voglia ; e quanti dopo hauere eſercitato l'oſti lità , i ſoſpetti, e gli odij, e trafittiſi ľ .yn l'altro , ſono morti e diſteſi ridotti in cene, re ? quietati dunque vna vol ta . Ma tu non t'appaghi di quello , che dall' vniuerſo ti è ſtato diſtribuito . Richiama : D però nella memoria la pro porzione diſgiugnéte , che ci è , o la prouidenza, o gli atomi, o anco altre coſe , donde ben fi conchiude che il Mondo è in guiſa di ordinata Città. Se poi t'aggrauono le coſe cor poree , tu quì confidera che la mente , dopo che vna vol ta ſi ſarà in ſe ſteſſa raccolta , e haurà riconoſciuta la pro pria dignità , non ſi meſco ſerà con iſpirito , che venga ad eller morbidamente, o ru uidamente agitato . Aggiu gnidi più tutto quello , che del dolore , e del piacere tu hai vdito , e l'hai approuato. Mala gloricota ti diſtrarrà ? Da vno ſguardo , come pre fto va il tutto in dimenti canza , e nel chaos dell'euo da amendue le parti immen fo , e nella vanità d ' yn rim bombo : e quanto mutabili , e ſenza giudicio fono quelli, che di noi poſſono formar concetto , e in quanto poco luogo tutto ciò li circonſcri ue ; mentre tutta la terra è yn punto , e di queſta non è che yn cantoncello la noſtra abitabile ; e quanti, e quali fono quelli , che ſieno per lo darti . Ricordati dunque di ritirarti in quella particella di te ſteſſo ; e ſopra tutto di non ti diftrarre , e di non far refiftenza ; ma fij. franco, e ri guarda l'opere da perſona vi rile , da huomo, da Cittadi. no , da viuente mortalc . Ma tra i ricordi più pronti e ſpe diti , i quali hai da conſide rare , fieno queſti due. L'yno, che le coſe iftcffe non s'at D 2 taccano all'anima , ma ſtan no al di fuori immobili ; e che le turbazioni deriuano ſolo dall'opinione interna : l' altro è , che quanto vedi , queſto non iftarà guari a mu tarſi, e più non ci ſarà; e con fidera a quante mutazioni già tu ti ſe trouato, e di con tinuo tieni a mente , che il Mondo ſta nell'alterazione , la vita nell'opinione . 4 Se l'intelletto è comune, comune ancora è la ragione , mediante la quale noi ſiamo ragionevoli. E ſe è vero que ſto , eziandio la ragione, che comanda quello , che ſi deb ba , e che non ſi debba ope rare , ſarà coinune . E ſe è cosi , ſarà comune la legge ; il che ammettendoſi , verre mo noi ad eſſer Cittadini ; donde è, che hauremo da par ticipare di qualche Cittadi nanza ; e conſeguentemente reſta il Mondo eſſere come vna Città . Concio ffiecofa che dirà alcuno : qual'altra Cittadinanza fitruoua fi co mune , della quale tutto il genere humano partecipi ? E da queſta comune Città deriua l'iſteſſo effer noſtro in: tellertilo, e ragineuole, e le gale. O se quindi non ès-don de è perciocchèſi come quel lo , che è di terreſtre in me , da qualche terra a me ſi com , parte , el eſſere vmido da vn altro elemento , e l'eſſere fpiritale da qualche ſcaturi gine di ciò , e'l caldo , e l'i gneo da qualche altra pro pria ſorgente ; imperocchè nulla prouiene dal nulla, co D3 me ne meno ritorna in quel che non è così anche l'intel lettiuo da qualche luogo fi comparte . 5 Tale è la morte , quale è la generazione , e ſono degli arcani della natura ; queſta è miſtura degli elementi, e quel. la è diſcioglimento ne'mede fimi : In ſomma non ſe n'hà d'hauer vergogna , poichè non è contra la conuenienza del viuente intellettuale , ne repugna alla ragione della di lui conſtituzione , 6 La natura porta che queſte cofe da tali ca gioni nafcano neceſſaria mente ; il che , ſe ad alcuno non piacerà , vorrà che'l frutto del fico non habbia lattificio . Quello in tutto , e per tutto rimanga nella mente, che tra breuiſſimo tempo tu , e quel tale vi morrete , e tra poco non ci ſarà , ne pu re il voſtro nome . Leua via l'opinione , che ſarà tolta la querela , che dice , IO SO NO STATO OFFESO , leua queſto dire : IO SONO STA TO OFFESO , e verrà tolta l'offeſa . Quello , che non fa peggiore in ſe l'iſteſſo huo mo , non renderà peggiore la di lui propria vita; e ne in ternamente , ne efternamen te l'offenderà . 7 La natura ad operare in tal modo per lo comune vti le fu neceſſitata . E ciò , che auuiene , giuſtamente auuie ne : il che ſe attentamente of feruerai , trouerai eſſer vero ; ne per ſola conſeguenza di co , che è queſto, ma perchè D4 così vuole il giuſto ; venen do da colui , il quale ſecon do il proprio merito , diſtri buiſce a ciaſcuno il ſuo .Of ſerua dunque tu queſto , co me hai dato principio ; e nel fare qualunque coſa ado pera con qucfta oſſeruazio ne, e con lefſere huomo dab bene; ina di quella maniera , come s'intende propriamen te l'hucmo dabbene . Tutto ciò oſſerua in ogni tua ope razione . 8 Non farai concetto del le cofe fecondo il giudicio di chi t'oltraggia ; ne come e quali eſſo vuole che tu le giudichi ; ma conſiderale , quali eſſe veracemente ſono . 9 Debbonfi ſempre hauer in pronto queſti due punti: primieramente di non operare in modo diuerſo da quello che la ragione, Rcina, e leg gislatrice per l'vtile degli huomini fuggeriſce ; ſecon dariamente d'effer facile a mutarti di parere , ſe qual cuno fi corregga , e rimuoua da qualche opinione ; però queſto rimouimento s'ha ſempre d'appoggiare alla perſuaſione , che porti del giuſto ,o del ben comune, O di coſe ſu queſto andare,non per compiacimento , ouero per apparenza di gloria . Hai tu la ragione ? la tengo : Per chè dunque non te ne ſeruia Che vuoi cu altro , che que ſta , mentre ella fa quello , che è proprio di lei ? 10 Come parte di queſto vniuerſo già ſe'ſtato conftitu ito , così tornando a chi t'ha DS fat 82 LIBRO QVARTO fatto , diſparirai, o più toſtoy con qualche mutazione, fa rai ripoſto nella ragione fe minále di quello . Di molte granella d'incenso su Piſteffo altare vna cade prima dellº: altre , purchè ſi conſumi mula la importa . Tra dieci giorni tu parerai vn Dio a quelli alli quali ora ſembri vna be ftia ; e yna ſcimia , fe ritorni a ri pigliare i decreti, e la vene mazione della ragione. Non fare i conti come fe hauefli ancora a viuere più migliaia d'anni. Il debito fatalc fou raſta , mentre viui,mentre ti è permeſſo diuenta buono .. II Quanto di quiere d'ani mo guadagna chi non bada a quello , che'l vicino diſſe, o fece , o pensò , ma ben fi ſolo a quello , ch' egli ſteſſo fa, acciocchè l'opera ſua ſia giuſta , e pia ? , nericercando va ſe altri ſia di buoni , o rei coſtumi , ma corre a dirittu ra per la linea , ſenza punto da efla ſcoſtarſi ? I2 Chi dietro alla fama apoſtuma ſe ne va,come ſtor dito , non conſidera come cia fcuno di quelli , che di lui li rammenteranno , anch ' egli preſto ſe ne baſirà , e così di nuouo quegli ancora , chea queſto ſuccedera, finchè ogni memoria , per mezzo di huo mini, parte ſtupiditi, parte già morti continuata ſi ſpen ga .Mapreſupponi tu , che quelli che terranno di te me moria fieno immortali , e la memoria rimanga immorta le ? ciò che gioua a te 2 ne ora parlo di quando tu fa D 6 rai nh ada Te ef 1 rai estinto, ma del preſente mentre tu viui. Che è la lo de ſe non certamente yn tal condeſcendimento d'huomi ni . Tralaſcia dunque , come inopportuni i doni della na tura , mentre che dipendo no dal giudicio d'altri . Del reſto tutto quello , che in qualſiuoglia maniera è buo no per ſe ſteſſo è buono , e in ſe ſteſſo fi riſtrigne; ne tra le fue parti annouera la lode ; onde non diuiene ne miglio re , ne peggiore. il lodato . Queſto dico ancora di ciò , che volgarmente ſi chiama buono : quali ſono le coſe , che o per la materia , o per l' operazione dell'arte tali fi ftimano . Ed in vero quello , che è realmente buono , di che ha biſogno di nulla più certamente che la legge , di nulla più che la verità , di nulla più , che la buona mente , che la modeſtia Quale di queſte per lo eſſer lodata diuiene buona, o bia-, fimata ſi corrompe ? forſe di uenta peggiore lo ſineralduc . cio, ſe non è lodato? non di rafli il medeſimo dell'oro , . dell'auorio , della porpora , del pugnaletto , del fiorelli no, dell'arbuſcello ? 13 Se l'anime ſempre du rano , come fin dall' eternità le può contenere in ſe l'aria ? e come la terra i corpi rac chiudere de' ſepolti di tanti ſecoli: Poichenell'iſteſſo mo. do, che la mutazione, e la re ſoluzione di queſti danno luogo ad altri cadaueri,dopo eſſer per qualche tépo quag. giuſo ſtati, così l'anime poi chè ſono ſtate traggettate nell'aria , e trattenuteuifi al quanto , fi tramutano , e ſi ſtruggono, e s'abbruciano, ri tornando nella ragione ſemio nale del tuttoje in tal modo fanno luogo ad altre , che appreſſo vengono a ricongiu gnerſi. A queſto ſi riſponde, che ſuppoſto che l'anime du rino , biſogna non ſolo con cepire la moltitudine de'cor pi così ſepolti, ma quella an cora degli animali , che cia fcun giorno da noize da altri animali ſi mangiano ; poichè quanto numero le ne confu ma, ecosì in yn certo modo ſi ſeppelliſce nelle viſcere di quelli , che ſe ne cibano de tuttauia capono in questo luogo per la traſmutazione in in ſangue , in aria , e in fuo CO. Qualeè intorno a que ſto la notizia della verità il . diuiderſi in materiale , e cau-, ſale. Non fi vuole andar con aggiramenti vagando, ma in ogni appetizione dell'animo deefi aſſegnare il giuſto ; ed in ogniimmaginazione con feruare quello , che ſi è compreso. Tutto quello, che a cé , o Mondo , è conueniente , a me ancora ſta bene . Nulla è a me acerbo , o tardivo, che a te ſia ſtagionato; ogni coſa , che portano le tue ſtagioni, è a me frutto . O natura , da te deriua il tutto , in te è il tutto , e a te il tutto ritorna . Diffe colui ; Amata Città di Ci tropese tu non dirai,Amata Cit tà di Gione? Intrigati di poco , diſſe , se tu vuoi ſtare coll' animo quiero Non è miglior cola , che far ſolo ciò , che è neceſſario , e quello , che la ragione all ' huomo,nato per la vita ciui le , detta , e nel modo , che lo detta. Imperocchè queſto non folamente reca la tran quillità , che dal ben fare procede; ma quella ancora , che dal poco operare.ti au uiene. Concioſliecoſa che; fe la maggior parte di quello che ſi dice, o lifa , non eſſen do di neceſſitade , alcuno ri ciderà , egli ſe ne ſtarà int maggior ozio,c meno ſturba to. Perciò biſogna in ciaſcu na coſa in particolare ricor darſi che forſe ella ſi è vna di quelle , che non lon neceſſa rie . Biſogna in oltre non ſo lo toglier vią l'azioni , che non ſon tanto neceſſarie, ma ancora l'iſteffe immagina zioni, perchè così non ſegui ranno azioni ſuperfluc. Fa prova, come ti rie fca la vita d'vn huomo dab bene, cioè, cheſi contenta di ciò , che dall' Vniuerſo gli vien aſſegnato, che ſi ſoddis fa del proprio operare giu ſtamente , e della ſua man fuera diſpoſizione.Hai confi derato queſto.2 rimira queſt altro ; non ti turbare , habbi l'animo tuo aperto. Chi pec ca, contro di fe pecca. Ti au uenne qualche bene ? Dal principio dell' vniuerſo ti fu ciò deſtinatose intrecciato in ſieme ognaltro auuenimena to.In ſomma la vita è breue. Vuolſi guadagnare il preſen te gote con feguire la retta ragio ne, e la giuſtizia. Sta attento di non rilaſſarti. 18 O il Mondo è vna bel la ordinanza,o'vn meſcuglio confuſo , tuttauia & Mondo. Ora ſe in te ſteſſo qualche Mondo,cioè,comeper efem plo,vna venuſtà può conſiſte . re , haurà poi da eſſer yn'im monda ſconuenenza neli'yni. uerfo , mentre in effo tutte le cofe fi vedono così diſtinte , c dilatate , con effer inſieme reciprocamente affette ? 19 Ci ſono coſtumi negri , coſtumi effeminati , ferrigni, ferini, e diquelli, che ſono fimili a'brutali , e a ' fanciul leſchi, inſenſati , affettati , buffoneſchi, tauernieri , e ti rannici. Se fireputa pellegri no nel Mondochi non faciò : che in eſſo ſi truoua , molto o più pellegrino è colui , che ignora ciò , che in eſſo ſi fac cia. Fuggitiuo farà chi fugge 0 dalla ragione ciuile , è cieco chi ha chiuſo l'occhio dell' intelletto , mendico chi ha neceffità d'altri, e non ha ap " preſſo di ſe tutto quanto gli è neceſſario per vſo della vi ta. Eyna apoſtema del mondo, chi ſi diparte, e fi difrom pe dalla ragione della comu ne natura , non accomodan dofi agli auuenimenti ; men tre gli produce quella mede fima , che ha te ancora pro dotto.E vna ſtracciatura del la Città , chi diſtacca la pro i pria anima dalla mente r & ei gioneuole, che è vna . 20. Ci è chi filoſofa ſenza tonica , e chi ſenza libro , vn' altro mezz'ignudo. Non ho del pane, diffe, e nonmipar to dalla ragione. Io non ho il cibo degl'inſegnamenti , e pur in eſſi perſcuero : Affe zionati all'articella , che im paraſti , e in quella acqueta ti.Mena il reſto della vita tua con riporre negl'Iddij la cura d'ogni tuo affare , e ciò con tutto l'animo : e dhuomo, che viua,non ti fare ,ne tiran i no , ne fchiauo . 21 Conſidera, verbi gratia, i tempi di Veſpaſiano , tu vi vedrai tutte queſte medefi me coſe , cioè huomini, e far .nozze, ed educar figliuoli, ed ammalati, e morienti, e com battenti, e feſteggiantise mer. catanti, e agricoltori , e adu latori, e arrogantemente par Janti, e ſoſpettoſi, e infidiatori , e deſideranti la morte , e delle coſe , che ſuccedeuano ha lamentantiſi, e innamorati, e at intenti ad ammaſſar teſori, e e ambizioſi di Conſolati , e di 1 Regni; tutti fparirono, e della loro vita già non vi rcſta 1 nulla . Appreffo traſportati all'età di Traiano ; di nuouo I rimirerai tutte le medeſime cofc , e pur la vita di quelli non ci è più.Similmente con ſidera altri ſegnalati inter ualli de' tempi e delle intere nazioni; e offerua,come tanti, e tanti allora gonfiati l' vno * contro l'altro ,dilì a poco ca e dettero , c fi dileguarono ne gli elementi . Specialmente B t'hai da rammentare di quel li, che tu ſteſſo hai conoſcill ti , che vanamente affannati hanno tralaſciato d' operare  conforme alla propria diſpo fizione , e d'aderire tenace mente a quella , e di quclla foddisfarli . E neceſſario an cora di rammentarti,che l'ap plicazione in ciaſcuna azio ne ha la ſua propria conue nienza , e proporzione; per chè così tu non ti dorrai; ſe tu non più di quello chepor ta il pregio in queſte coſe minori, ſarai occupato. 22 Le voci già correnti , ora fono diſufate , e richie dono chioſe ; così i nomi di quelli già tanto celebri fono in yn certo modo al preſente fimilia derte voci: tale è Ca millo, Cefone, Volefo ,Leon .nato; e poco appreffo Scipio ne ; e Catone ; dopo anco Auguſto , c indi Adriano , e Antonino ; perchè ogni coſa ſua Ct colla 211 ap 10 16 ber Ol ſuaniſce , e tofto paſſa in fa uoleggiamenti, cben preſto dentro d' yna totale obbli uione reſta ingoiata.E queſto dico di quelli , che a maraui glia yna volta riſplenderono; poichè gli altri nell'iſteſſo lo ro fpirare reſtarono ignoti, e niuno più ne domanda . Che coſa è dunque queſta eterna memoria ? Tutto vanità . In torno a che dunque s'ha da porreil noſtro ſtudio in que ſto ſolo ; che la mente ſia giu ſta , l'azione diretta al co mun bene,tale la ragione che mai non reſti ingannatå, el animo così diſpoſto, che ciò, che gliaccada, abbracci, co me foſſe a lui neceſſario , e co me famigliare , e come dall' ifteflo comun principio , e fonte deriuato . Di buon ani til zie id 700 DITI OP ON DC1 او و mo gettati nelle braccia del fato ; permettendogli che e inuolga in quelle coſe , che a lui parrà. Il tutto va a giorni, e chi rammenta, e'l rammen tato . Mcdita del continuo , come tutto ciò, che ſi fa a per mezzo delle mutazioni fi fa; e auuezzati a conſiderare , che nulla ama così la natura del l' vniuerſo , come di mutare gli entie far delle coſe nuo ue a quelle aſſomiglianti . Perchè in vn certo modo o gni coſa, che è, ſemenza è di quella , che da eſſa s'ha da produrre; e tu t'immagini ef ſer ſoli ſemi quelli, che ſi traſ mettono nella terra , o nell' vtero. Coteſti fono penſieri da perſona molto idiota. Già ſei all' orlo detta morte e ancora non se' diue hel nen ZIO pe TI che can de nuto ſchierto , e libero dalle rei perturbazioni, da’ſoſpettid' eſſere dagli eſterni leſo , ne bi placido inuerfo tutti;ne ſtimi la prudenza eſſere il ſolo giu ftamente operare. 24 Rimira la mente con ducitrice degli altri , e ciò, che veramente fuggano ,e fe de guano i prudenti. Il tuo ma le non conſiſte nella mente d'altri , o ne' riuolgimenti, o variazione dell'ambiente Doue dunque la doue tu hai l'opinionede'tuoimali . Per di ciò non opinare queſto , che il tutto andrà bene; ancor chè il corpicciuolo , che a f quello è propinquo ,fi ſeghi,fi abbruci , marciſca , ſi putre faccia ; purchè rimanga quie ta la particella , la quale for ma l'immaginazione di que dit + C. ef E Ite ſte coſe , cioè che non giudi chi eſſer ne bene , ne male ciò , che può accadere , tanto all'huomo dabbene , quanto al cartiuo , Concioſliecoſa che quello , che ſimilmente auuiene a chi viue , ſecondo la natura , e a chi viue diuer ſamente , non è ne ſecondo la natura , ne contro di essa. Conſidera del continuo il mondo come un' animale, composto d’una sostanza e di un'anima, e come all ynico ſenſo di quello tutte le coſe ſi riportino, e come con vn'im peto il tutto operi, e come tutte le coſe tra fe di tutto quello che ſi produce , ſon co . muni cagioni;e quale ſia l'in trecciamento, ola teflitura. Sei un'animuccia , che porta un cadauero ; diceua Epitteto. A quelli , che ora ſono ali nella mutazione , niente è di male, come niente è di bene a quelli , che nella mutazio ne ſuffiſtono . 28 L'euo è come un fiume, e come yna corrente violen ta delle coſe , che ſi fanno, perchè, ſubito che ciaſcuna di quelle compariſce, è rapi ta , e altra ne compariſce , e queſta ancora ſi traſporterà. Ogni accidente è così ſolito , e famigliare, come nella pri mauera la roſa , c nella ſtate i frutti . perciocchè tale è la malattia, la morte la maledi cenza , l'inſidie , e ciò che rallegra i pazzi, o gli contri fta . Quello , che proſegue, ſempre ſi connette accon ciamente agli anteceden ti . poichè non è vna nume 1 orazione di coſe tra loro dif crete, e ſuſſiſtenti per necef ſità ſolamente di calculo; ma èyna congiunzione, ſecondo la ragione; e come ſono coor dinate, e ben congiunte tut . te le coſe che eſiſtono , così quelle, che ſifanno non han no vna ſemplice ſucceſſione, ma dimoſtrano vna certa ma rauiglioſa famigliarità, che è tra di loro. 29 Habbiaſi ſempre a men te quel detto di Heraclito ; La morte della terra eſſere quando diuenta acqua ; e la morte dell' ac qua, quando diventa aria ;come del l'aria, quando fuoco , e così per l'oppoſito . E ancora da ri cordarſi di colui, al quale era ignoto,doue la ſtrada condu ceſſe; e di quelli, che ſpecial mente , e del continuo con uerſano con la ragione , la quale ogni coſa amminiſtra, e nondimeno da quella dif ſentono , e che quelle coſe , nelle quali ogni dis’abbat tono , a loro paiono ſtranie re. e che non biſogna fare , e fauellare in guiſa quafi di dormienti,perchèallora anoi ſembra difare , e di dire ; ne fi hanno da imitare i fanciul li , i quali dicono con ſempli cità : Così habbiamo appreſo dai noftri maggiori . « 30 Se alcuno degl' Iddij ti diceffe , che hai da morire la domane,o al più lungo por domane , non molto ti im portarebbe, che foſſe più to ito domane, che poſdomar nc, ſe non le d'animoin eſtre mo tralignante. Imperocchè E 3 quanto ſi è l'interuallo d'vn giorno cosìno iſtimare gran coſa le fia più toſto dopo moltiſſimi anni che domane. Ripenſa contimamente teco medeſimo; quanti medici ſon morti, che ſpeſſo hanno le ci glia inarcate ſopra de i ma lati ? quanti matematici, che come yn gran caſo le morti d'altri prediffero 2 quanti Fi loſofi dopo mille , e mille contefe della morte , e dell' inmortalità ? quanti prodi in armi , che molti vcciſero ? quanti tiranni,checon gran de preſunzione della loro po teſtà ſopra l'anime ſi feruiro no , quaſi chenon foffero e glino ancora mortali ? quan te Città ſono , per così dire, affatto morte ? Elice , Pom pei , Erculano , e altre innu nie merabili . Traſcorri ancora quanti hai tu conoſcuti l'yno appreſſo l ' altro morti . Que gli dopo hauer fatto i fune rali dell'altro , ha ſteſo egli morendo le gambe , e dopo lui yn'altro . Tutto ciò in bre de tempo . In ſomma ſempre fono da conſiderare tutte le coſe humane,come d'vn gior no , e di prézzo viliffimo: ieri vn pochin di mocci,domanc falſume, o ceneri . E perciò queſto momento di tempo paffalo viuendo , ſecondo la natura , e muori tranquillo , come l'vliua , che fatta ben matura cade laudando la ſua producitrice,e rendendo gra zie all'albero , dal quale fpuntò. 31 Sij ſimile a vn promon torio , nel quale inceffante E 4 mente l'onde s'infrangono; e nulladimeno egli ſta ſaldo, e intorno a lui fi abbonacciano gli orgogli dell’acque . Infe . lice me , perche ciò mi è au uenuto ! anzi al contrario, me ſelice , che eſſendomiciò accaduto , me ne ſto ſenz'al cun dolore , nedal prefente offeſo , ne temendo l'auueni re . imperciocchè queſto po teua ad ogni altro accadere , manon ognuno l'haurebbe ſopportato ſenza dolerſi.Per chè adunque più toſto quello infelicità che queſto felicità farà da noi giudicato ? echia mi tu a pieno infelicità dell' huomo corefto , che non è difauentura alla natura hu mana ? E diſauucntura della natura humana pare a te, che ſia quello , che non è contra ilvo il volere di lei ? Quello che ella voglia , l'hai tu appreſo ? Non é impediſce dunque queſto accidente, che tu non ſij giuſto , magnànimo, tem perato , prudente , conſidera to ,,verace , modeſto , libero , con le altre qualità , le quali efſendo preſenti , la natura humana gode ogni ſuo pro prio . Quanto al rimanente ricordati , ogni volta che al. cuna coſa t' induce ad attri ſtarti, di valerti di queſta ſen tenza . Che queſto , che t'è accaduto non ti è d'infelici tà , ma di felicità , foppor tandolo generoſamente . 32 Per certo è volgare aiu to , ma tuttauia efficace, per diſprezzar la morte , il ri membrarſi di quelli , i quali, attaccati al viuere , lungo Es : tempo durarono.Che hebbe, ro più queſti di quelli, che in eri acerba morirono ?Giacor ciono ſenza dubbio in qual che luogo Cadiciano, Fabio , Giuliano , Lepido , e altri fi mili, i quali , dopo hauer fat ti i funerali a molti, eglino ancora furono poſcia ſepolti. Finalinente ci è poco d'inter ftizio , il quale con quante moleſtie , e con quali ſten ti , e in qual corpicciuolo vien ſofferto ? Dunque non ne far gran conto į rimira però indietro all'immenſità dell'euo , e a te dauuanti yn altro infinito . In queſto, che differenza è tra vno morto a capo di tre giorni,e d'vn Ne ſtore di tre ſecoli ? 33 Per la ſcortatoia corri ſempre , e quella via , che ſi conforma alla natura , è la fcortatoia ſaluteuole ; Però dì , e fa ogni coſa nella ma niera più ſalateuole . Impe r occhè queſto propofito libe ra dalle fatiche , da i com battimenti , da ogni ſimula zione , e da ogni oſtentazione . Vando dal ſonno neghittofamente la mattina ti fue gli , habbi in pronto . lo mi fueglio all'opera dell'huomo; ancora dunque ripugnanza fento , ſe io vo a fare quello pere , alle quali ſon nato , e per le qualiſono ſtato intro dotto nel Mondo forſe ſono ſtato ordinato, acciò tra piu macciuoli giacendo io mi riſcaldi? Maciò è di maggior guſto. Dunque a pigliarti gu ito, e in ſomma non al fare ne all'operazioni ſei nato ? non vedile pianterelle, i paſ ferotti, le formiche, i ragnis l'api comecooperano all' or namento delMondo, e tu non vorrai fare quello , che ſpet ta all'huomo e non accorri a ciò , ch'è conforme alla nå tura tua ? Ma biſogna pure ripoſarti. Biſogna.Ed in que ſto la natura aſſegnò lemiſu re ; e diedele ancora , ed al mangiare , ed al bere; e non dimeno tu pafli oltre alla mi fura , e oltre alla ſufficienza . Non però così nell'opere; ma affai meno di quello ſi puote; concioffiecoſa che tu non a mi te ſtello , che quando ciò foffe , amereſti la natura , e'l di leivolere . Altri, che amano le loro arti, ſi conſumano ne’lauorij di quelle ſenza go der de bagni, e ſtando digiu ni . Tu fai men conto della tua natura , che il tornitore non fa dell'arte del tornire, o il ſaltatore dell'arte del fal tare , o l'auaro dell'argento , o il vanagloriofo della glo rietta ; e quando queſti s'af fezzionano a cotalicofe, alle qnali ſono inclinati, abban donano più preſto ilmangia re , e il dormite , che il laſciar d'accreſcerle . E a te l'azioni fpettanti alla comunicazione humana appariſcono di più baſſo pregio , e men degne ď accuratezza. Quanto è facile lo ſcace ciare,elo fcancellare ogni turbolenta immaginazione , onon conueniente , e ſubito metterli in iſtato d'ogni tran quillità ? Reputa te ſteſſo de gno d'ogni diſcorſo , e d'ogni azione, che lia conforme alla natura , ne ti ritragga il ri chiamo d'alcuni, o il biaſimo, che ne ſegue ; masſe farà coſa oneſta da operare, o da dire, non te ne ſtimerai indegno . Imperocchè hanno quel li la propria loromente , e v fano della propria inclina zione , alle quali tú non hai da riguardare , ma dei cam minare per la diritta , ſegui tando così la propria comela comunenatura , delle quali amendue èvna via. Io cammi. nando me ne vo per le coſe, che ſono ſecondo la natura , finchè cadendo io mi ripoſe rò, e ſpirando in quello ,don de ciaſcun giorno reſpiro , e si cadendo in quello , donde il ſemuccio da mio padre, e il fanguuccio da mia madre , e il lattuccio dalla inia nutri ce furonoraccolti; e del qua le per tanti anni ogni di mi paſco , e m’abbeuero, che mi foftiene mentre lo calco , e dello ſteſſo in tanti modi in '. abuſo. 3 Non hanno in chemara uigliarſi della tua acutezza fia così . Ci fono molte altre coſe ,delle quali non puoi ne gare , che in te non ſia l'abi lità Mettidunque in opera quelle , che ſono tutte a tua. diſpoſizione, l'eſſere ſincero , grauie,tollerante della fatica , non amico del piacere , non, quereloſo della tua forte , biſognofa di poco , placidos libero,moderato, serio, e magnifico. Non t'accorgi quan te coſe tu hai poter di fare, per le quali tu non hai prete ſto , che la tua natura non fia atta , o abile ; nondimeno di propria elezione te ne reſti, comedappoco al diſotto ? forſe inetto per natural diſpo ſizione ſe neceſſitato a inor morare, ad eſſere tenace , ad adulare , ad incolpare il cor picciuolo , o a luſingarlo , ad effere vano, ed a cotanto nel l'animo agitarti d'eſſer natu ralmente inetto, e dappoco ? Non per gl' Iddij . Ma però già vn pezzo fa di tutte que Ite coſe tu eri da te ſteſſo pof ſente a libcrarti.E ſolamente , ſe però è così,poteui ellerac cuſato come più tardo , e du ro ad apprendere. Ed in que ſto ancora ti doueui eſercitare , non trasuolando altroue con la mente , ne godendo della pigrizia . 4. Euni chi, quando ha vſa to qualche amoreuolezza in riguardo d'alcuno, glie lo di chiara incontanente per gra zia : eď emui ancora chi, ſe non vſa ſeco tal prontezza in ri conoſcerla , nondimeno ap preſſo di ſe penſa , quanto quegli li ſia debitore, e cono ſce molto bene quello , che egli haoperato . Fuui ancora chi in vncerto modo non co noſce quello cheha operato ; ma è fimile alla vite,laquale , prodotto il grappolo,null’al tro di più richiede , dopo ha uer yna volta dato il ſuo frut to . Il cauallo , cheha corſo il cane,che ha cacciato; l'ape , che ha lauorato il mele ; 1 * huoc huomo , che ha ben opcrato , non cerca acclamazioni, ma procede ad yn altr'opera, co me la vite torna a produrre dinuouo alla ſtagione vn al tro grappolo. Fra queſti dun que biſogna in un certo mo do eſſere, come chi ſenza ba dare opera ? fi per certo. Nul ladimeno a queſto iſteſſo s'ha da badare . Perciocchè , dirà alcuno , è proprio del comu nicatiuo che s'auuegga d'o perare , conformealla comu nicazione; ma perciò ſi vuole, per gl'Iddi, che anco quegli a chi fi comunica , fe n'accor ga . E'veriffimo coteſto , che tu dì, ma ſe tu non compren di quello , che'ora ſi dice , farai per tanto vnodi qnelli, de'quali ſopra s'è fatta men zione: concio ffiecoſa che ancora quelli da certo probabi le diſcorſo'fi diftraggono, ma ſe tu vorrai comprendere quale vna volta fia quello , che s'è detto, non temere; ne perciò laſcia d'operare per beneficio comune . -5 Erano le preghiere degli Atenieſi: Pioni,pioui, ocaro Gion u éjsopra i campise gli orti degli A tenieſi . Però o non biſogna pregare , o farlo con iſchiet tezza, e con libertà. 6. A quello, che comune mente ſi dice : Eſculapio ba oi dinqto a queſti il canalcare , o il lauarli con acqua fredda, d'andar a piedi ſcalzi;è fimile anco queſto che la natura dell? vniuerſo ha ordinato a quegli la malattia , o la ſtor piatura , o qualche perdita , o altro ſu queſto andare: poi chè nella parola , Ha ordinato, vi è vn tal ſenſo , che coſti tuiſce queſto in ordine a que ſto , come per riferirſi alla fa nità , e così qui quello , che accade a ciaſcheduno, è con ſtituito per relazione al deſti no . E però diciamo queſte coſe conuenirſi nel modo , che gli artefici dicono le pietre quadrate per le mura , e per le piramidi conuenirſi tra di loro in tale commetti tura combaciandoſi . Perchè in fatti l'armonia è viia , e ' fi come da tutti i corpi ſi viene a compirc vn tal corpo, che è il Mondo , così di tutte le cagioni vien ad eſſer il fato vna tai cagione compita . Comprendono ciò , che dico anco le genti affatto idiote. imperocchè così fauellano. Queſto huyenne a colui, dun que queſto a colui douea ar rivare ; e ciò era dal fato or dito a queſto . Prendiamo dunque ſi queſte coſe , co inc quelle , ſecondo che Eſculapio ordinò - Perchè molte coſe in vero in fc ſter ſe ſono aſpre , e nientediine . no noi l'abbracciamo per la ſperanza della ſanità. Penſa alle coſe , che per la comune natura auuengono , la perfe zione , e il compimento effe re , come a te la ſanità. E così tuto quello , che vien dato ,benchè ti paia vn po co più aſpro ", abbraccialo , perchè conferiſce alla ſanità del Mondo , c agli proſperi auuenimenti , e beneficenza di Gioue. Concioſliecoſa che queſti non produſſe mai coſa alcuna , fe non per giouare all'vniuerſo ; giacchè qualſifia natura non produce niente , che non ſia congruo al go uernato da lei.Però biſogna che per due ragioni tu amio gni qualunque coſa ti auuie ne . Quanto all'vna, perchè per te ſi fece, e a te s'ordinò , e a te in certo modo attiene, deſtinato da ſourane , e anti chiſime cagioni. Quanto all' altra , perchè al reggimento dell' voiuerfo ancora quel particolare,che a ciaſcuno au uiene, è cagione del progreſ ſo , e della perfezione, come anche in verità dell'iſtella per inanenza . Perciocchè ſi ſtor pia l'integrità del tutto , fe qualſifia particella tu tronche rai della conneſſione e conti nuanza ,così delle parti come delle cagioni ; e , per quanto è in te , lo tronchi , quando non ben lo riceui , ed in vn certo modo lo toglivia. Non s'ha da maledire , non da ſmarrirſi,nc ſtomacar fi , ſe volendo tu operare , ſe condo la rettitudine de'pre cetti , in ciaſcuno di quelli non ti rieſce ; ma ancorchè ſij abbattuto , torna di bel nuouo ad eſſi , e ad abbrac ciarli nelle coſe , che hanno maggiormente dell'humani tà ; e affezionatia quell'azio -ne , alla quale tu riedi. Nc ſi ha da tornare alla filoſofia , nel modo, che ſi fa al pedan te , ma come glinfermi d'oc chi ricorrono alle ſpugnette e all'youo, o come altri all' impiaſtro, e altri al lauamen to. Imperocchècosi non ostenterai d' eller lignoreg giato dalla ragione, ma di ri poſare totalmente in eſſa. Ri cordati , che la Filoſofia ſolo vuole quello ,che la tua natu ra vuole:ma che tu hai voglia d'altro diucrſo dal voler della natura . Qual coſa ha più di queſte deldiletteuolc? poichè il piacere non ingan na egli noi per mezzo di quelle ? ma tu conſidera , ſe più diletto dia la magnani-, mità, la franchezza , la ſchiet tezza, l'equità, la ſantimonia . E qual coſa vi è , che ſia più diletteuole della prudenza , quandoben conſidererai,che ſia il non fallire , e l'eſſer ben docile in tutto quello , che tocca alla facoltà dell'inten dere, e del ſapere ? 8 Sono le coſe in yo certo F modo così ricoperte , che a non pochi Filoſofi, e queſti non ignobili . parue che del tutto fieno incomprenſibili. Anzi agl'iſteſſi Stoici ſembra rono difficili a comprenderſi. Ed eſſendo ogni noſtro aſſen ſo ſoggetto a cadere , e mu tarſi, in che luogo dunque fa rà l' immutabile ? Riuolgiti però col penſiero a queſte co ſe preſenti;e cöſidera quanto ſieno momentanee , e di po ca ſtima : ch' elle poſſono ef ſere poſſedute da vn zanze ro , da vna meretrice , da vn aſſaſſino . Dopo queſto tra paſſa a i coſtumi di quelli che teco viuono , tra quali anco il più da te gradito, malage uolmente da te vien compor tato , per non dir che l'huo mo appena comporta ſe ſtesso. In queſta perciò caligine e immondizia, e in tal Auſli bilità della ſoſtanza del tem po, del moto, e di tutto quel, che ſi muoue, non potrà im maginarſi qual ſia quello che poſſa eſſer degno affatto di ſtima, e d'affetto . Dall'altro canto però biſogna confor tarſi ad aſpettare il natural diſcioglimento , e non dolerſi del rattenimento , ma ac quietarſi in queſte due ſole coſe: L'yna ſi è, che nulla mi auuerrà , che non ſia confor me alla natura dell' vniuerſo; e l'altra , che ſta in mio pote re di non operare contro il mio Dio , e genio :'concioſ fiecoſa che niuno ci forzi a traſgredir queſto. A che finalmente mi va glio ora dell'anima mia? Ad ogni momento ho da in terrogaré me ſteſſo , e ricer care che ſi fa adeſſo da quel la porzione , che reggitri ce viene chiamata ? Di chi dunque preſentemente porto l'anima? per auuentura d'vn : bambolino, o d'vn fanciullo forſe dyna donnicciuola , d'vn tiranno, o d'vn giumen to, o d'una fiera? Quali ficno i beni , che alla moltitudine paiono tali; lo potrai quindi comprende re;poſciachè ſe vno concepi fce nell'animo efferui alcuni veramente beni, come a dire la prudenza , la temperanza la giuſtizia , la fortezzá , chii haurà con la conſiderazione concepito queſte tali cöfe, non potrà più dar luogo ad alcun'altra , che a queſto bene non ſi conformi . Ma ſe nella mente ſi faran concepi te quelle , che con faccia di bene agli più piacciono , da rà luogo , e facilmente rice uerà il detto del comico.Co sì fin il volgo immagina ſimil differenza ;perchè altrimen te quel detto non offende rebbe , e non ſarebbe con if degno mal preſo. Per lo con trario l' ammettiamo come propriamente detto, quando cade ſopra delle ricchezz e, e de cominodi per lo luffo , e per la pompa . Paſſa più ol e interroga , ſe queſte coſe hai da pregiare , e ſtima re,quando di eſſe li truoua ef ſer detto con gaiezza , e gra zia , che al poſſeditor di det te coſe per la gran copia manca doue egli yoti il triſto facco. Sono ſtato compoſto di cauſa , e di materia, e ne l'vna, ne l'altra fi dilegucrà nel nul. la; giacchè di nulla non fu prodotta . Dunque ognimia parte mutandoli rientrerà in qualche parte del Mondo ; e di nuouo queſta in vn'altra parte del Mondo ſi traſmute rà , e così in infinito . Per mezzo di queſta mutazione ed io ſon venuto , ed i miei genitori; e così retrogradan do in vn altro infinito . Ne ci e chi proibiſca di così parlare , ancorchè per peri odi terminati la macchina mondiale ſi regga. La ragione, e l'iſteſs'ar te ragioneuole ſono facultà a ſe medefime , e alle opere loro proprie ſufficienti. Muo uonli dunque dal loro proprio principio ; e camminano dirittamente al propoſto fine. Per lo che ſi dicono rettifica zioni così nomate queſte azioni a ſignificar la rettitu dine del ſopraddetto cam mino . Neſſuna di queſte co ſe è da dir, che ſia dell'huomo la quale non conuenga all' huomo , come huomo , ne ſi richiedono dall'huomo , ne quelle profeſſa la natura del l'huomo , ne ſono perfezioni della natura humana . Non è dunque ne meno il fine dellº huomo ripoſto in quelle , ne meno il bene , che è il compimento di quel fine . Se pure qualche cofa di queſte foſſe conferente all'huomo , non gli apparterrebbe ne il diſpregiarla, ne il contrariar la : ne farebbe da lodarſi chi si moſtraſſe non hauer biſo gno di elle , anzi chi ſtudiaf fe priuarſi d'alcune di quelle, non ſarebbe buono , mentre quelle foffero buone . Ora però quanto più l'huomo ſi leua queſte coſe dattorno , 0 altre ſimili ; o permette , che ſe gli leuino , tanto più buo no è. Tale farà la tua mente quali ſaranno le coſe , che ſpeſſe volte ti ſono paſſate per la fantaſia :reſtando l'ani ma colorata dall'immagina zione . Immergila dunque in fi fatte continuate immagi nazioni ; delle quali yna ſi è quella che doue ſi puòviuere, iui ſi può anco viuer bene: ma nella Corte ſi può viucre , a dunque nella Corte puoſſi feuza dubbio ben viuere . E dinuouo queſt' altrà , che cia ſcheduna, coſa a qualche co ſa è diſpoſta , e dou' è di ſpoſta ſi porta , e doue fi porta conſiſte il ſuo fine , e doue è il fine , iuiè l'vtile , e il bene di ciaſcuno . Sicchè il bene del viucnte ragion euo le è la comunanza ; e men tre teftè s'è dimoſtrato che perla comunanza ſiamo nati, non è euidente, che l'inferior bene per lo meglio è fat to , come vn meglio per l'al tro meglio?ma migliori deg! inanimati ſono gli animati, e degli animati li ragioneuoli. E da furioſo il profe guir le coſe impoſſibili : ma impoſſibile è che i cattiui non facciano alcune tali co fe . Niente auuiene a niuno , che non gli ſia ſtato dato a portare dalla natura ; ma le medeſime coſe ſuccedono a gli altri, i quali o non com prendono l'accaduto loro , o per oſtentar la magnanimi tà , non ſi muouono dal lor fefto , e lieti ſe ne ſtanno Onde ſtrano parrà che l'in gnoranza , e la propria com piacenza fieno più poſſenti della prudenza . Le coſe per fe fteffe in niun modo tocca -no l'anima ; anzi non hanno in quella l'introito , ne poſſo no piegarla, o muouerla . El la ſola riuolge , e muoue ſe ſteſſa : e le coſe , che le fo prauuengono fono tali, qua ſi ella ſe ne forma i giudicij . 15 Per vn altra ragione la natura degli huomini è a noi famigliariſſima , in quanto che noi dobbiamo far loro del bene , e tollerarli ; in quanto poi alcuni relifto no all'operazioni , che a noi conuengono , l'huomo a me diuiene come vna coſa del le indifferenti non meno del fole , del vento , delle beſtie. Da queſti ſi può impee dire qualche operazione; ma non ſi può dare impedimen to , ne all'appetizione, ne al la diſpoſizione , a cagion della eccezione , e del ri. uolgimento.Conciosfiecoſa che la mente riuolge , e tra muta in coſa a ſe proporzio . nata tutto quello , che all? operare le da impedimento , e quello , che ratterrebbe l'o pera , l'iſteſſo diuiene opera , e quello che innanzi era oſta colo al cammino , ſe le fa . cammino. Di tutto quello , ch'è nel Mondo tu venera l' otti mo; e que to è quello , che , feruendoſi del tutto , il tut to gouerna . E così parimen te di quello, ch'è in te, onora l'ottimo,hauendo queſto fin golar relazione a quello .. Concioſliecoſa che , eſſendo in te , fi vale delle coſe tue, eſotto il di lui gouerno è condotta la tua vita. Quello , che non è di danno alla Città , non nuo ce al Cittadino.Applica que fta regola in ogni occorrenza in cui tu reputi d'eſſer offeſo. Se da queſto la Città non ri ceue nocumento , ne io lo ri ceuo ; e fe la Citrà riceueffe nocumento , non biſogna , che tu t'adiri contra chi l'ha daneggiatta . Ma moſtra in che egli ha traueduto. Conſidera ben fouente la preſtezza,con la quale li por tino via , e ſi fottragghino tutte le coſe , che ſono , e ſi van facendo; poſciachè la ſo ſtanza a guiſa d'yn fiume è in continuo fluſſo , eľ opera zioni in non intermeſſe mu tazioni, e le cagioni ſogget te ad infinite riuolte . Nec è quaſi coſa alcuna, che falda ftia , e che non ſia vicina ad yn'immenſità infinita , sì del paſſato ,come del futuro,ncl la quale il tutto ſpariſce.Co me dunque non è pazzo chi di queſte coſe ſi gonfia,o fe ne trauaglia,o ſi querela dicoſa, che per iſpazio di tempoan , che pochiſſimolo conturba 2 Ricordati della ſoſtanza vni uerſale, della quale tu partecipi per vna minima parte , e del vniuerfal tempo,del qua le vn breue ſpazio , o momen to te n'è aſſegnato ; e nella ſerie fatale che parte fai ? Alcuno pecca : che impor ta queſto a me ? Egli ſe lo ve drà. Egli ha la propria diſpo ſizione , la propria operazio ne. Io al prefente ho quello , chela natura comune vuole , ch'io adcfſo m’habbia , e fo quello , che la mia propria natura vuole , che io adeſſo faccia. 18 La reggitrice , e domi, nante porzione della tua ani maſia immutabile, e inarren . deuole a i moti della carne, o morbidi, o aſpri che ſi fieno; ne vi ſi rimeſcoli,ma conten ga ſe ſteſſa , e confini quegli affetti dentro i ſuoi meinbri. Quando poi per vn'altra ſim patia ſi rinnalzaſſero alla mente , per effer ella vnita al corpo , ſtante l'eſſer il ſen ſo connaturale , non haſli a contraſtare con violenza, pe rò la mente reggitrice da ſe ſteſſa non v'aggiunga l'opi nione inrorno al bene, o al male. S'ha da viuere con gli Iddij . Viue con gl'Iddij chi loro fuela continuamente la fua anima effer contenta del diſtribuitole , ed operando tutto quello, che vuole il ge nio , dato a ciaſcuno da Gio ue per preſidente, e rettore , come parte a ſe medeſimo preſa, e queſto è la mente , e la ragione di ciaſcuno. 20 Non ti adiri tu con co Jui,al quale puton l'aſcelle? E con quegli altresì,che man da fuor dalla bocca fetente fiatore ? che ti farà coſtui ? Egli ha vna bocca ſi fatta , e l'aſcelle di tal condizione : Forza è , che ſimili eſalazioni eſcano da ſimili parti ; Mal huomo , mi dirà alcuno , ha la ragione , e può s' egli au uerte conſiderare in che egli difetti . Buon prò ti faccia . Dunque per hauer tu ancora la ragione rifueglia la ſua ra gioneuole diſpoſizione con la tua , inſegnali aminoniſci lo. Perchè fe quello t'aſcol-. terà , lo riſanerai, e ſarà fu perflua ogni collera . 21 Non fare ne da rappre fentante tragico;ne da mere trice : Nella maniera che tu diſegni vſcir di vita , così ti lece ora di vivere? <a quando non te lo permetteſſero , allora eſci di vita , ma però , come da niuno infortunio abbattuto ,ma quaſi tu dichi : Qui c'è del fumo, e io me ne vado . Ti par queſto gran coſa ? mentre nient'altro mi fa vſci re rimango con la libertà , e niuno mi vieterà di far quel lo , che io vorrò . Vorrò però quello , ch'è conueniente al la natura dell'huomo ragio neuole, e nato per la vita cos mune . 22 La inente dell'yniuerſo è comunicatiua ; e perciò hafat te le coſe peggiori in ordine alle migliori , e le più princi pali tra di loro ſcambieuol mente compoſe • Vedi come le ſubordinò , come inſieme le ordinò , e come quello che cra conueniente detre a cia ſcuna e le più principali con reciproca concordia con giunſe? 23 Come ti ſei portato fin ora con gl'Iddij, con i geni ( tori , co fratelli , con la mo glie , con i figliuoli , co * pre cettori,co'nutricatori, amici, domeſtici , e ferui ? hai tu fin ora oltraggiato alcuno di - loro , o in fatti , o in parole ? -Ricordati di più per qualico fe ſe paſſato , e quali ſe ſtato fufficiente a tollerare,e come di già per te è adempita la • ſtoria della vita, ed è finito il miniſterio.E quante coſe bel le hai vedute ? e quanti pia -ceri , e dolori hai diſprezza ti? quante coſe d' apparente gloria hai neglette ? a quanti fconoſcenti ti dimoſtraſti benigno? Per qual cagione l’ani me ſenz'arte, e fenza ſcienza conturbano il perito nell'ar te , e l'erudito ? quale dun que farà l'anima perita nell' arte , ed erudita nelle ſcicn • ze ? quella , che ha notizia del principio , e del fine ; e di quella ragione , che pene trando ogni ſoſtanza dell' vniuerſo , per tutta l'età , fe condo i periodi ordinaci,reg . ge il tutto . 25 Or or tu farai cenere , é carcame, ' o ſolamente no 1 me,ma ne pur nome , ridu cendoſi il nome in vn poco di ſtrepito , e di riſonanza; e certamente quelle coſe , che in queſta vita s ' hanno in i grandeſtima , ſono vane,pu tride , ſcarſe , e in guiſa dica gnolini, che ſi mordono, e di 2 putti , che contendono , e ri dono, e ad vn tratto paſſano al pianto. Ma la fede, la mo deſtia, la giuſtizia, e la verità Da ilarghi ſpazi della terra alCielo s? innalzarono . Che coſa adunque qui ti rattienca ſe le coſe ſenſibili, ſono faci liffime a mutarſi , e non ſon conſiſtenti , e gli organi del fenſo oſcuri , e facili a ri ceuere falſe impreſſioni, e l' iſteſſa animuccia del ſangue yna eſalazione , l'acquiſtar gloria appreſſo queſti tali è vanità . Che dunque aſpetti? Aſpetta placido o la eſtin zione , o la traportazione . E finchè il teinpo arriui di que ſto , che coſa a te farà ſuffi ciente che altro ſe non il ri uerire gl’Iddij, e lodarli, e be neficare gli huomini, sopportarli e aftenerſi da quelli ? E quanto coſe ſono fuori del confine della carnuccia dello ſpiritello ricordati, che non ſono tre , ne ſotto il tlio comando. 26. Potrai profpcrarti per. fempre, e ben incamminarti, e con buon ordine apprende dre, e operare. Queſte due co ſe ſono comuni così all'ani ma di Dio , come a quella de gli huomini', e d'ogni ra gioneuole viuente , cioè di non poter eſſere impedito da che che altro fi fia , e di porre nella giuſta affezione, e azio ne il ſuo bene; e in queſto ri ftrignere ogni ſuo deliderio. -27 Se ne queſto è malizia naia , ne meno l'operazione procede dalla mia malizia , ne il comune viene offero, perchè di ciò mi trauaglio ? e qual è il danno del comune? Non ti laſciar così totalmen te rapire dalle immaginazio ni, ma aiutati quanto puoi , e conforme alla conuenienza; e ancorchè nelle coſe mezza ne ſieno diffettoſi, non iftima re perciò, che queſto ſia dan no;perchè auuiene da mala conſuetudine . Ma come yn vecchio andandoſene richie deua la trottola del ſuo allies uo , ricordandoſi che al fine era vna trottola , così tu quì, o huomo, quando hai fatto ne’roſt ri qualche coſa di bel lo , non ti ricordi , che coſa queſto fia ? me ne ricordo . Ma quello è pregiato da co loro ; perciò dunque hai an che tu da impazzare? Impaz zauo già vna volta ſoprap preſo , douunque io foſſi , ed ero fortunato; e l'oſſer fortu nato , conſiſte nel dare a ſe hafteſſo vna buona forte : le buone ſorti ſono i buoni mo uimenti dell'animo , le buo ne inclinazioni , le buone azioni. La sostanzia dell'universo è ben ubbidiente e maneggieuole. E pur la ragione , che la reg ge , non ha in ſe cagione al cuna di mal fare; perchè non ha malizia , ne opera malamente , ne da eſſa coſa alcuna riceue leſione ; ma il tutto conforme a quella fi fa e s'affina.  Sia a te indiffcrente d'operare quello , che ſi conuiene ; ſe tu ti ſenti freddo o caldo o pur ſonnacchioſo o fazio di dormire o fc di te bene, o male ſi parli o tu ftij ſulmorire o in qualche altra azione, mentre pure quello è vno degli atti vitali per i quali noi finiamo. Baſta . dunque, e in queſto ben disponi il negozio preſente. Guarda al di dentro, ac ciocchè ne la propria qualità , ne il merito di coſa alcuna fenz ' auuedertene ti scappi . Tutto ciò, che hai dinanzi affai presto si cambierà , o di leguandofi, se la sostanzia consiste per via d'vnione, o dissipandoſi La mente reggitrice conosce bene con che disposizione e che cosa e in qual materia opera . s Belliſſimo modo di ven dicarſi con chi t'offcfe , è il non aſſomigliarſi a lui . In vna ſola cofa hai da godere , e d’acquetarti , cioè di paf ſare da vn atto conueniente alla comunità humana ad vn altra azione , pur conuenien te alla medeſima , con ricor darti , che ci è Dio . 6 La facultà reggitrice è quella , che ſe ſteſſa eccita , e volge , e forma ſe ſteſſa in quella guiſa , che ella voglia, e tutto ciò,cheauuiene ſi rap preſenta , quale più le piace. Ciaſcuna coſa ſi condu ce a fine conforme la natura dell'vniuerfo , e non ſecondo altra natura, che ſi fia, o eſte riormente ambiente , o al di dentro riſerrata , ouero al di fuori ſeparata . Il mondo o è vn imbro glio , e auuiluppamento , e diſſipazione , ouero vnione , eordine , c prouidenza : Se i primi , per qual cagione deſidero io di conuerfare con queſta maſſa confufa , e cotal nieſcolanza ? a che m applico io ad altro , che ad eſſere per qualche modo ter ra ? che ſto a perturbarmi ? Concioſliecoſa che qualun que coſa io mi faccia la dif ſipazione al ſicuro m'arriue rà: ma ſe è l'altro detto in fe . condo luogo, io riueriſco co lui , che il tutto diſpone, e in lui m’acqueto e confido. Quando gli anuenimen ti eſtranei ti violentano per qualche verſo a perturbarti , prontamente ritorna in te ſteſſo ; e non vſcire dal tenore , e concerto più diquello, che la neceſſità ti ſpigne. Im perocchè cóſeruerai più con fonanza, ſe toſto in eſſa ti ri metterai . Se inſieme tu ha uelli la matrigna, e la madre, tu quella feruireſti , e niente dimeno del continuio alla madre fareſti ritorno . Non altro a te è ora la Corte , e la Filoſofia : a queſta ſpeſſo ri torna, e in eſſa acquetati, per mezzo della quale le cofe , che in quella occorrono , ti parranno più tollerabili , e tu nell' iſteſſe coſe farai da tollerare. 10 O comeè bene formar ſi nell'immaginatiua intorno alle viuande , e altre cole ſi mili comeſtibili : che queſto ſia cadauero d'yn peſce,quel l'altro cadauero d'vn' vccello d'un porcello . Simil mente , che il falerno ſia pic cola gocciola d’yn grappo lino d'vua , e lo ſcarlatto pe luzzi di pecorella intinta col fanguuccio di vna conchi glia . Così ancora nelle coſe intorno al congiugnimento carnale , che fia vn diletico dell'inteſtino , e conqualche conuulfione yna egeſtione di yn moccino.Ora come queſti fimili conceputi penſieripe netrano je toccano il fon dodelle coſe in modo , che ſi vedano talis quali elle fono in queſta maniera biſogna ſeruirſi di queſti in tutta la vita , e doue le coſe paiono più degne di fede , dinudarz le , e riguardar la loro viltà e ſuilupparie dalla pompa , con la quale foſſero poſte in G 3 alterigia.Poichè l'apparenza è vnagrande ingannatrice e maſſime quando tu penſi di trattare le coſe ferie , allora più che mai t'affaſcini . Mira dunque a quel , che diſſe Cratete di Senocrate . Il più delle coſe , che la inolti tudine degli huomini ammi ra , ſi riduce generalmente a quelle , che hanno dalla na tura le forme, o dall'arte fon loro aggiunte ; per cfemplo , le pietre , le legne , i fichi, le viti , e gli oliui , e quelle , che vengono ſtimate da huo mini alquanto più moderati, fi riducono alle coſe animate, ome a dire, gregge , ar menti : ma quelle , che ſono pregiate da perſone di più garbo, ſono le dotate d'a nima ragioneuole , non già di quell'anima , che è dell' vniuerfale , ma di quella , che fi val dell'arte , o altri mente come con ingegno penetra , o per dirlo ſempli cemente tutto tiene ſogget to , in guiſa d'una quantità diſchiaui. Però chi dell'ani ma ragioneuole, vniuerfale , e ciuile fa conto , non bada a nient'altro , ma ſopra il tutto conferua la propria anima di ſpoſta , e ſemouente ragione uolmcnte , e alla comunica zione humana , é con l'vni uerfale , ch'è del medeſimo genere, coopera . II Alcune coſe s'auanza no al lor facimento , e altre s'auanzano al lordisfaci mento ; e di quello , cheſi va facendo, vna parte già è ſpas rita . I corſi delle coſe , e l'al G 4 te terazioni continuamentc ri nouellano l'infinita eternità , cd il Mondo ; nella maniera , che il corſo non mai man cante del tempo lo rende ſempre recente . E chi è que gli , che in queſta corrente poſſa affezionarſi ad alcuna di quelle coſe , che via traf ſcorrono , mentre in quella non può arreſtarſi a queſti fa + rebbe in guiſa d'vno, che ſi metteſſe ad amare vn paſie rotto di quelli , che col volo trapaſſano, dopo che già dal. la viſta foffe fcappato . La vi ta di ciaſcheduno è come lo ſuaporamento del ſangue , e'l reſpirardell'aria . Poichè. qual'è l'attrarre dell'aria , e il renderla, che del continuo ciaſcuno fa, tale è ogni fa cultà reſpiratiua , che ieri , o ieri 1 ieri l'altro nafcendo fi rice uè , e l’ha da irimandare là , donde primafu colta . 12 Stimabil coſa non è , ne l'efferc fuentolati , come le piante , ne il reſpirare ,come le beſtie , e le fieregne il riceue re l'impreſſioni nell'immagi nazione , ne l'effer tirato dal l'impėto delle paſſioni, ne lº adunarfi inſieme,ne l'alimen tarſi ; poichè queſto è il me deſimo , che lo ſcaricar il fo prauanzo dell'alimento . Di che s'haurà da far conto de lo sbattimento delle mani ? Non già . Dunque ne meno dell'applaufo delle lingue ; poichè gli applaufi , ele ladi della moltitudine altro non fono , che ſtrepito di lingue . Mentre tu dunquc leui via queſta glorietta che ci riina G 5 ne da pregiare ? Io per me re puto ,che ſia il muouerſi, e com tenerſi fecondo la propria conſtituzione là;doue gli ftu dij,e l'arti conducono.Poichè ogni arte ha queſto per mira, che quello, che appreſta , lia abile all'opera , per la quale è diſegnato . Queſto pure ri cerca il lauoratore della vi gna , ed il cozzone de' pule dri, e’lcanattiere . E ledu cazione de' fanciulli, e glin. ſegnamenti a che altro s'in dirizzano ? Qui dunque con ſiſte il pregio , e , ſe ciò ti ſta rà bene , di niente altro ti curerai. Cheſe non ti quie ti , e ſtimeraipiù altre coſe , allora non goderai della li bertà , ne ſarai ſufficiente a te ſteſſo , ne immune dalle paſſioni ; conciofficcola che ti D ti ſarà di meſtiere d'eſercitar Pinuidia , e l'emulazione , e'l ſoſpetto verſo quelli , che habbiano potere di priuarti delle dette cofe ; e anco di macchinar contro quelli » che le da te ftimate poſſiedo no . Onninamente è neceſſa rio che ſi conturbi chi ďal cuna di dette coſe è biſogno fo , e che in oltre ſpeſſo faccia doglienza degl' Iddij . Ma chi la ſua propria mente ris ueriſce , e pregia , compiace rà a ſe ſteſſo , e a quelli , che fecocomunicano s'adatterà , e fi conformerà con gl'Iddij, cioè loderà quanto eſli defti nano , e diſtribuiſcono. Le moſſe degli elemen ti ſono in giù, in fu , e in giro: però il monimento dellavirtù non confifte in niuna di que G 6 ſtę ; + R ng  ſte ;ma come coſa più diuina , per via malageuole a cõpren dere felicemente s'auanza. Che è quello, che fan no glihuomini ? ricuſano di lodare coloro , che nel me deſimo tempo , e inſieme con effi viuono, e poi queſti iſteſ fi fanno gran conto d'eſſer lodati da’ poſteri , i quali ne mai conobbero , ne mai vec dranno ; ed è quaſi lo ſteſſo , che fe tu ti doleſli , che da gli antepaſſati in lode tua non foſſe ſtato mai parlato. Non perchèate ſteſſo quello fia difficile a confe guire, hai d'apprendere ,che Via impoſſibile all'haomo; ma ſe queſto all'huomo è pofſi bile , e conuencuole , Itima che anco tu lo poſſi arriuare. 16 Negli eſercizij corpo rali 1 DIMARCO rali , ſe vno con l'vnghie graffia , o vrtando il capo ha urà fatto piaga , non perciò glie la ſegnamo , ne ce n'of fendiamo , ne ombra ne prendiamo come d'inſidia tore ; ancorchè ci guardiamo da lui , non , come da nimi co , ne con ſoſpetto , ma piaceuolmente ſcanſandoci. Queſto medeſimo s'vſi da noi ancora nell'altre parti , che reſtano della vita noſtra, do ue ci affatichiamo aſſai , co me contro quelli , che con noi s'eſercitano; perchè vn può , come ho detto , fcan fargli ſenza ſoſpetto , e odio . 17 Se alcuno potrà cor reggermi , o moſtrarmi, che io dalretto m’abbaglio con l'opinione , e con l'opere , di buona voglia mimuterò , essendo in me brama della vee rità , la quale non nocque mai ad alcuno: ma egli vien leſo dal proprio errore , e dalla ſua ignoranza , nella quale egli perſiſte.Io fo quel lo , ch'appartiene al mio of ficio ; l'altre coſe non mi di ſtraggono , perchè ſono ina nimate , o irragioneuoli , o che errano , e non ricono ſcono la ſtrada . De viuenti irragioneuoli , e vniuerfal mente di tutte le coſe , e dem ſoggetti tu come ragioneuo le ſeruitene con grandezza d'animo, e franchezza , giac chè ragione non hanno; ma degli huomini , perchè eſ hanno la ragione, ſeruitene nel modo , checonuiene alla focietà humana. E ſopra tutto inuoca gl'Iddij, e non ti pi 1 gliar penadi quanto tempo tu haida porre in queſta o pera , perchè tre fole ore fo no baſteuoli. Alessandro Macedone , e 'l ſuo mulattiere , ora che ſon morti , ſono in tutto ri dotti al medeſimo . Auue gnachè o ſono aſſunti nell' iſteſſe ſeminali ragioni del Mondo 20 parimente ſono difperfi ne gli atomi. 19. Conſidera quante coſes. dell'animo , o del corpo in yn momento di tempo in qualſiuoglia di noi tutte in ſieme fi facciano ; ed in tal guifa non ti marauiglierai , fe molte più coſe , anzi tutto quello , che ſi fà , in queſt vno , c yniuerfo , che noi chiamamo Mondo , parinen te ſufliſtano.in 2Se alcuno t'interro ga , come fi ſcriua il nome & ANTONINO , proferirai tu appuntatamente ciaſcu-. na delle lettere ? Che dun que s'egli entrerà in colles ra ,entrerai ancor tu in collera? Anzi più toſto profe guendo non conterai tu ad vna ad vna con piaceuolezza le lettere ? Però queſto ti ri durrai nella memoria , che ciò , che è conueniente , da alcuni numeri riceue il ſuo compimento.Queſti biſogna offeruare , e ſenza turbarſi, ne ſdegnarſi contro quelli , che prendeſſero Idegno , ter minar la faccenda per lo pro prio cammino. E' come yna crudeltà il non permettere agli huomi ni che ſi diano a far quello , che pare a loro s'adatti , e conuenga . Il che in vn certo modo tu vieti loro di fare , quando, peccando eſſi, tu ti diſguſti, e ti ſdegni; auuegna chè allora ſon portati a quel lo come a coſa, a loro conuc niente, e profitteuole. Ma la cofa , mi dirai , non va così . Dunque tu inſtruiſcili , e ciò dimoſtra loro ſenza alterarti. 22 La morte fa cellare l' impreſſioni, che da i ſenſi si cagionano . , le commozioni violente per l'affezioni, co me ancora gli aggiramenti mentali , e ogni ſeruitù ver ſo della carne . Diſdiceuole coſa è , che in quella ſorte di vita, nella quale il corpo non s'infiacchiſce , l'anima prima del corpo s'infieuoliſca. Guarda di non inccfa rirti , per non intriderti , che così fuole auucnire . Però conferua in te ſteſſo la ſchiettezza, la probità, l'inte grità ,la conueneuelezza, l'in genuità , l'amore del giuſto , la pietà , la piaceuol ezza , l'humanità, la fermezza nell operare cofe comuenienti . Sforzati di mantenerti tale , quale fu l'intento della Filo ſofia di formarci . Venera gľ Iddij , protegi gli huomini. Breue è la vita , e l' vnico frutto del viuer in terra è vna ſanta compoſtura d'ani mo, ed il far opere indirizza te al comun bene degli altri . In ſomma fa ogni coſa da vero allieuo di ANTONINO, Rio cordati , come cgli ſempre ſtaua in vn retto tuono d'o perare ſecondo la ragione dell’vguaglianza ſua in tutte le coſe della ſantità , della ſerenità della faccia della foauità , del diſprezzo della vanagloria , e dell'attenzio ne nell'apprender gli affari . E come egli non haurebbe trapaſſato coſa alcuna , ſe prima non l'haueſſe ben co noſciuta , e perfettamente confiderata ; e come egli comportaua quelli', che di eſſo a torto ſi lamentauano , ſenza ridolerſi diloro ; e co ine in coſa alcuna non s'af frettaua , c non ammetteua calunnie ; ne de' coſtumi, o dell'azioni era curiofo fpia tore , ne rinfacciatore , non timido non ſoſpettoſo , non ſofifta ; ecome conten tauaſi del poco sì nell'abi tare , sì net dormire , sì pel 0 e veſtire, sì nel mangiare , si nella ſeruitù ; come, pronto trauagliaua volontieri nel le fatiche, e con longanimi tà ; e in qual modo fe la paf ſaua fin alla ſera con leggier riſtoro ; non hauendo biſo gno fuor delle ore conſue te delle folite egeſtioni. In oltre conſidera la fermezza di lui fenza niuna variazio ne nell'amicizie ; e la tol leranza' di chi liberamente contradicena a’fuoi pareri, e't godimento , fe venina da al tri moſtrata cofa migliore ; e come era , religioſo ſenza fuperſtizione : acciocchè nel l'vltinio punto della tua vita ti truoui con fi buon co noſcimento di te fteffo , me'anuenne a lui . 24 Riſuegliati e richiama te fter D fteſlo , e di nuouo fuori del fon no conſidera che i ſogni ti perturbauano, Torna riſuc gliato a rimirare queſte coſe humane, come miraui quelli. 25 Son compoſto di cor picciuolo , e d'anima . Al corpicciuolo dunque ogni coſa è vna , poichè egli non può farui differenza ; maall? intendimento tutto quello è indifferente , che non è del le ſue proprie operazioni Ora le ſue operazioni tutte ſono nel di lui potere; e fra queſte, quelle che al preſen te folo maneggia : mentre quelle dell'auuenire , o quel le del paſſato anche eſſe già a lui ſono indifferenti. Non è fuor di natura la fatica alla mano , e al piede, finchè il piede fa quello, che ha da fare il piede , e la ma no quello , che la mano. Co sì ancora all'huomo , come huomo , non è fuor di natu ra la fatica quando opera quello , che ſi ſpetta all’huo mo ; c ſe ciò a lui non è fuor di natura , non gli ſta male . Quanti piaceri ſi goderono i maſnadieri, i zanzeri , i par ricidi, i tiranni ? Non confi deri come i mecanici artiſti infino agl'idioti in vn certo modo s' accomodano nientedimeno ſoſtengono la regola della loro arte , ne comportano , che da quella ſi manchi , Non farà coſa ſconueneuole , che l'archi tetto , o il medico riſpettino più la ragione della propria arte, che l'huomo la ſua , la quale gli è comune con gli Iddij? L'Asia , l'Europa ſono angoli del Mondo : tutto ľ Oceano vna gocciola del Mondo : il monte Atho una zollerella del Mondo : ogni tempo , che corre yn punto dell'eternità . Tutte ſon coſe piccolc , facili a mutarſi , che preſto fuaniſcono là , donde procedono , deriuando tutte dal comun direttore . Sicchè il grifo del Leone , e'l vele no , e ogni maleficio ,come le ſpine, ela mota , ſono giun te forucnute da quelle coſe degne , e buonc . Dunque queſte coſe non reputar alie , ne da quello , che tu riueriſci, ma riuolgi nella tua mente il fonte di tutte le coſe . 28 Chi vede le coſe pre fenti , l'ha vedute tutte , fieno quelle , che furono per tutti i ſe 70 12 lle of chi in ori ſecoli , o quelle , che per gli infiniti ſaranno;eſſendo tutte dell'iſteſſo genere , e confor mità . Conſidera bene ſpeſſo la congiunzione di tutte le coſe mondane,e l'abitudine; o il riſpetto , che vna ha con l'altra ; giacchè in certo mo do tra ſe tutte le coſe ſono intrecciate, e così tra di loro , ſecondo queſto , ſi affeziona no , poichè vna ſeguita l'al tra, o ſiaſi per lo moto loca le , o per la coſpirazione, o per l'vnione della ſoſtanzia. Adatta te ſteſſo a que' negozij; che ci ſono toccati in forte , ea quelli huomini, co’quali ſei deſtinato d'eſſere, poni affetto, ma di vero cuo re. Gl'iſtrumenti, gli arneſi, e ognivaſo, ſe a quello , ache è stato ordinato s'accomoda, è buono ; ancorchè quegli', che lo fabbricò no vi ſia più. Ma di quelle coſe , che ſotto la natura ſi contengono den tro vi è ; eperſeuera la facult tà che le diſpoſe . Perciò tanto più deeſi quella vene rare; e ſtimare , perchè ſe tu opererai , e ti gouernerai conforme al voler di quella , il tutto ti riuſcirà , ſecondo la tua intenzione ; così an cora ad ognuno le cofe - rie ſcono , fecondo la mente di lui . 30 Quando fuor di quello , che cade ſotto la tua elezio ne hai a te ſteſſo preſuppoſto o bene , o male', è neceffa . rio , ſecondo l'auuenimento di detto male' , o miſauueni mento di detto bene , lan H mentarti degl'Iddij , e anco ra odiar ' gli huomini , che ſieno ſtati cagione , o che a te ſieno ſoſpetti, come che poteſſero eſſer cagione di detti miſauuenimenti , o au uenimenti . E per queſta dif. ferenza verremo pure a peca car molto . Ma ſe folo giudi chiamo le coſe buone , o cattiue , che ſono in noftro potere , non ci rimane niuna cagione , ne di dolerci di Dio , ne di contro gli huo mini con oſtil ſedizione op porci - 31 Tutti cooperiamo a compiere l'iſteſſo ouraggio , alcuni ſapendo , e compren dendolo alcuni ſenza ſaper lo . E quindi, al mio parere , Heraclito chiama operarij, e cooperarij nel facimento di tutto quello , che nel Mondo ſi fajanco da'dormienti.Altri in altro modo coopera , e molto largamente ancora quegli , che ſi querela, e que gli , che ſi sforza d'opporſi , e di diſtrugger le coſe ,che ſi fanno : concioffiecoſa che , di ciò hebbe meſtiere ilMon do . Reſta dunque , che tu intenda tra quali di queſti tutti annoueri ; poichè l’ ordinator del tutto in ogni maniera ſi ſeruirà bene di te , e ti riceuerà in qualche parte di quelli , che cooperano , 0 poſſono operare ; ma tu fa di non hauer tal parte , quale nel dramavn vile , e ridico lo verſo mentouato da Cri ſippo . Forſe che'l sol ambiſce far da pioggia ? ed Eſculapio da terra fruttifera ? Non vedi com 3 li H 2 me ciaſcuna ſtella, quantun que dall'altre diuerfa , nien tediineno al facimento di vna , e iſteſſa coſa concor re 32 Se dunquegl'Iddij han no deliberato dime, e delle coſe , che a me ſono per au uenire , la deliberazione non farà , ſe non buona : hauena do in fe repugnanza il penſar yn Dio ſenzaconſiglio . Qual cagione lo mouerebbe a far mi del male ? Poſciachè a los ro , e all'vniuerſo , del quale hanno ſpezial promuidenza, da ciò che ne riſulterebbe ? ma ſe intorno a me non de liberarono , certamente in torno dell' vniuerfo hanno deliberato , per cui conſe guenza eſſendo queſti auue nimenti ordinati , debbo ab bracciarli, ed eſſer contento . Se poi di nulla ſi pigliano cura , il che è empio a crede Te , non facrifichiamo noi ? non porghiamo preghiere ? non giuriamo ? e non faccia mo altre coſe , le quali tutte agl' Iddij , come ſe foſſero prefenti , e conuerſaſſero con noi ; indirizziąmo ? E ſean cora niente in riguardo no ftro deliberano , farà lecito ch'io pigli deliberazione di me ftcflojie la mia riſoluzio nenon farà altro , che intor no a quello , che mi torna 'bene ;maquello torna bene a ciaſcheduno', che è fecon do la ſua conſtituzione , e nåtura . Ora la mia natura è ragioneuole , c cittadineſca . La Città , e la patria è a me Roma, in quanto ſon ma in quanto ſon huo . mo è il Mondo . Dunque quelle coſe , che a queſte Cittadi ſono d'vtile , quelle fole ſono a mebuone . Quel lo , che a ciaſcuno auuiene, conferiſce al' tutto . Queſto doueua effer fufficientes ma ancora di più quello in ogni maniera con perfpicacia of feruerai , che ciò , che acca de conferente all'huomo , anche agli altri huomini conferiſce . Ma al preſente s'intenda queſta parola Eup Os pov nelle coſe mezzane in ſenſo comune al bene , e al male . 33 Come quanto ti ſi rap preſenta nella faccia del Theatro , o di ſimili luoghi , fe in vn modoſempre ſi ve de , e non mai cambi l'aſpetto, diuiene ſazieuole alla vi fta , l'iſtella apprenſione ſi fa negli auuenimenti per tutta la vita . Poichè ſottoſopra tutte le coſe ſono le medeſi me , e dalle medeſine ca gioni . Sin doue dunque ? Conſidera del continuo tuto te le ſorti d' huomini , e ď ogni ſorte di profeſſione , e di tutte le nazioni, quei che fono morti, con arriuare fi no a Filiſtione , Febo , e Ori ganione . Paffa adeſſo ad al tre nazioni . Colà hauemo da tragettare , doue traget tarono tanti graui oratori, tanti venerandi Filoſofi . He. raclito , Pitagora , Socrate , tanti Eroi primieramente, e poi tanti condottieri , e ti ranni: e appreſſo a loro Eu doſſo, Hipparco, Archimede, e altri di perſpicace ingegno, magnanimi , amatori della fatica , Scaltriti , arroganti : e quelli ancora , che di que fta vita humana caduca, e giornaliera ſi ferono beffe come Menippo, e ſimili. Tut ti queſti conſidera che già yn pezzo fa giacciono . Ora che male è a loro queſto , e che male a quelli ancora , che in tutto ſono ſenza niuna no minata ? Vna coſa iui è dc gna di ſtima , il viucr tran quillamente con li bugiardi , e gl'ingiuſti , vſando la veri , tà ,e la giuſtizia . 34. Quando tu vogli ralle grarti, riuolgil'animo all’ec cellenze di quei : , ché teco viuono : come a dire all'atti uità di quegli , alla modeſtia di queſti , alla liberalità d ? vno e così ad altra virtù di qualche altro . Non ci effen , do cofa , che tanto rallegri , quanto le ſomiglianze delle virtudi alviuo rilucenti nelli coftumi de contemporaneiig le quali tutte in vn tratto in fieme a noi rappreſentano. Per lo cheper quanto è pof fibile , le hai d ' hauer ſempre alle mano . 435 Forſi tu ti duoli , che fei ſolamente di tante libbre, e non di trecento di Nell' iſtefla maniera , che fino a tanti anni prolungherai la vita , e non più . Perchè co me della ſoſtanzia corporea in quanto the determinata e acquieti, così fa ancora del tempo . 36. Sforciamoci di render gli huomini capaci: però o pereremo ancora qualche cofà contra guſto loro, quan do la ragione del giuſto così richieda.E ſe qualcuno vſan doti violenzati si oppone , trapaſſa alla placidezza fen za dolerti; e dell'impedimen to feruitene per vn'altra, vir tù ; e ricordati che tu deſideri le coſe con dell'eccettuazio ne , non appetendocofe im . poflibili. Che coſa dunque appetiſco ? quel certo defi derio regolato ; e queſto tu ottieniquando , arriua quel lo , che primo, e principal mente viene deſiderato . 37 L'amator della gloria dall'opere d'altri ſi perſuade il proprio bene ; quegli , che ama la voluttà , dalle ſue pafſioni : ma chi ha ceruello , dalla propria operazione! E' in tuo potere ſopra ciò non formarne opinione , e non perturbarti nell'animo. concioſliecoſa che niuna co fa ha vna natural poffanza ſopra i noſtri giudicij . ! ? 39 Auuezzate ſteſſo ad apo plicare attentamente a quel le coſe , che da vn'altro fo no dette ; e più che puoi in ternâtinell'animo di chi fta parlandoti . 40 Quello, che non è gio . neuoleallo fciame , ne' meno gioua alla pecchia . 41 Se i marinari parlaffe Fo male del loro piloto , 0 gli ammalari del loro media co , forſe per ciò ad altro ar tenderebbono, che all'opera re , quegli per la ſaluezza de' nauiganti, e queſti per la fanità di quei , che fi ciira no? Quanti fon già morti diquelli, che meco ſon en trati nel Mondo ? -43. Aglitterici pare ilme-, le amaro : e a ' morſi da ani mal rabbioſo l'acqua è di terrore : e alli putti è coſa bella il palloncino . A che dunque io m'adiro ? forſi.pa re a te , che habbia minor forza quello , che falſamen te s'apprende , di quello cheha la bile nell'itterico , o'l veleno nell'arrabbiato a Non t'impedirà perſona , che tu non viua ſecondo la condizione della tua natu rà: e niente t'amierrà fuori della ragione della natura dell’vniuerfo .. 44 Quali ſono quelli , alli quali ſi deſidcra d'andar a verſo, e per qualiauuenimen , ti , e con quali opere ? 0 quanto preſto i ſecoli ogni coſa copriranno , e quante han di già ricoperte! Che coſa è la mal nagità? è quello , che ſpeſſo hai veduto ; e ad ognicoſa , che ti ſoprauuenga , prontamente rappreſon tati, eſſer lo ſteſſo , che ſpef fo hai veduto . Vniucrſala mente nelle coſe ſuperiori , ed inferiori , trouerai le me deſime, delle quali ſono pie nele Storie antiche , e quelle di mezzo tempo, e lemoder ne , e ora ne ſono piene le cittadi , e le caſe . Non ci è niente di nuouo, tutto è vſa to , e di corta durata . :) 2 I dogmi , in qual' altra maniera ſi potranno in te cancellare ſe l'immagina zioni., che a quelli ſono con formi non ſi eſtinguono , le quali, a te ſta di continua menté rauuiuare? Reſta in mio poter di fare intorno a ciò quel concetto , che ſi conuiene: e ſe ſta nel poter mio , a chemi turbo ? Quel lo , ch'è fuori della mia men te , non ha che fare in modo alcuno con la medeſima mente . Queſtoſia il tuo ſen timento , e cositu ſei retto . 3 Pofciache in tua balia è il ritornare in vita, riconoſci le coſe nel modo , che le hai già vedute ; perchè in ciò conſiſte il ritornare in vita : Tali ſono la vana curioſità delle pompe , le rappreſen tazioni nelle fecne , i bran chi d'animali , le mandre, i giuochi d'arme ; vn ofſetto gettato a cagnolini; i minuz žoli di pane buttati nel viua io de' pefci , i trauagli , e il vettureggiare delle formi che, le corfe in quà se'n là de toperti ſpauentati , i bam bocei, a " quali ſi fanno far de moti con cordićelle . Bi fogna dunque tra queſte coſe fermarſi con animo tranquil lo , e ſenza ſtrepito : e confe guentemente apprendere , che tanto ciaſcun vale,quan to vagliono le coſe , intorno alle quali s'affanna . 4 E' neceſſario attendere nel parlare parola per parola a quello , che ſi dice : e nell' operare ad ogni moto : e nel l'vno riguardare ſubito a qual fine ſi rapporti ; e nell? altro oſſeruare quello , che venga ſignificato 5 E' ſufficiente il mio intel letto per queſto , o non è ? s' egli è ſufficiente io me ne vaglio come d'inſtrumento datomi dalla natura dell'yni uerſo nell'opcrare ; se non è ſufficiente , o io cedo l'ope ra a chi poffa meglio di me condurla a fine, ſe non foſſe a me ſteſſo ſpettante , o vero la fo come poffo , feruendomi dell'aiuto di quegli, che può cooperando col mio intellet to effettuare quelloche ſia di preſente opportuno , e vtile alla comunione humana:per ciocchè ciò che fo, o da per 3 2 3 ine 186 LIBRO SETTÍMO me ſolo , o con altri, dee ſolo indirizzarſi a quello ch'è pro ficuo , e più proporzionato al comune . Quanti , che ſom mamente furono celebrati , di già ſono paſſati nell'obbli uione ? E quanti, che li cele brarono già tempo fa , ſono ſpariti a Non ti vergognar d effere aiutato; poichè ti con uiene operare quello, che ti appartiene , come ad vn ſol dato nell'affalto d'vna mura glia . Che dunque fareſti , ſe azzopppato non poteffi ſolo aſcendere fu i merli, e con yn altro poteſſi farlo ? 6 Quello, che ha da auueni re non ti ſgomenti, perchè giugnerai a quello , fe ſarà di vopo , fornito dell'iſteſſa ra ; gione , della quale tu ora ti ferui in ciò , che t'è preſente. olo bro gal ]l DO ď ti -7 Tutte le coſe ſono tra di loro auuinte , ed il nodo è fa cro , e quaſi' niuna è all'altra ſtraniera . Concioffiecofa che tra fc fono ordinatamente diſpoſte, e adornano l'iſteſſo Mondo , poichè di tutte le coſe queſto è vno , e Dio è vno per tutto , vna la natura , e yna la legge , vna la ragio ne comune a tutti i viuenti intellettuali , e la verità yna, doue pure vna è la perfezio ne di quelli, che ſono dell' iſteſſo genere, e di quei, che della medeſima ragione par ticipano. Ogni coſa materia le preſtamente va a ſuanire nella ſoſtanzia dell'vniuerfo : e ogni cagione'efficiente pre ſtamente è aſſorbita dalla ragione vniuerſale . I ſecoli ancora dentro di fe ſeppelli ſcono lo ni. che id at to s ſcono preſtamente la mc moria di ciaſcheduno, s,is :: 8 L'animal ragioneuole ha la medeſima opcrazionéry fe condo la natura se ſecondo la ragione , o retto , o raddi rizzato . 9. Con qual? abitudine fi riguardano i membrivnitid vn corpo con tale fi confans no gli enti ragioneuoli, ben chè diſuniti, PER HAVER DISPOSIZIONE A CONCORRERE IN UNA COOPERAZIONE. E maggior mente ti s'imprimerà l'intelligenza di queſto , ſe ſpeffe fiate diraia te ſteffo « Io ſono membro di queſto , aduna mento di razionali . Ma ſe col mutamento d'yna lettera dip'sno , cioè membro, farai fe'egos, che fuona parte, non di cuore porterai amore agli huo INC die a re ſteſſo . id -11 huomini , ene anche tu non ti compiacerai fenz hauere altro fine della beneficienza f operando per 'mera conue polo nienza , e non come per far beneficio . 10 Accada ciò che ſi vuole i d'eſteriori arucnimenti ſopra a coloro , che poſſono patir queſti accidenti, e quelli pa tendo ſi querelino pure à lor e voglia : che quanto a me , ſe io non -reputo che ſia male l'auuenuto accidente ,non ne reſto lefo : ora da me dipen de il non reputarlo. II Qualunque coſa altri ſi faccia, o ſi dica, tocca a med eſſer huomo dabbene:non al trimente, che ſe l'oroj ouero lo ſmeraldo , o la porporaco si delcontinuo diceſse ; Che che altri ſi faccia , o dica ; a na or el file 7110 Nad fe -em are di col me 1POC fuc da са ) ſim bil vie La 011 me tocca d ' eſſere ſmeraldo, e di ritenere il mio proprio colore. 12 La porzione , che è in noi reggitrice,non è a ſe ſteſ ſa moleſta , cioè à dire , ella non s'atterriſce ne s'affige con la cupidigia , e ſe altri è poſſente d'atterrirla , ò di contriftarla, lo faccia . Certo è cheda per ſe ſteſſa con l'ap prenſione non fi riuolgerà a tali commouimenti . Alcor , picciuolo ſi laſci il penſiero , che non patiſca coſa alcuna , ſe potrà; e ſe patiſce lo dica. Però l'animuccia, che teme, e s'attriſta , e riceuc total mente l'apprenſione , niente patirà ; concioffiecofa che non procederà mai al giudi cio di coſe ſimili . 13 Quanto a ſe ſteſſa la por qu Id nd CC n  A 0 porzione in noi réggitrice è fuori d'ognibiſogno, ſepure da ſe ſteſſa ella non ſi fabbri ca la neceſsità , e nella mede fima maniera è imperturba bile, ed incapace d'impedi mento , fe da ſe ſteſſa non vien perturbata, o impedita. La felicità è il buon genio, o l'iſteſſo bene. Che dunque quì fai o fantaſia ? deh pergľ Iddij, vattene comevenifti , nonho vopo di te.Seivenuta conforme all'antica vfanza: non m'adiro teco ; ma vatte ne vna volta . 14 Alcuno ha paura della tramutazione ; e qual coſa può eſſere ſenza tramutazio ne , e quale è più di lei ami ca , o domeſtica alla natura dell'yniuerfo ? Ti potreſti tu lauare, ſe le legne non ſi tra 2 1 21 -2 al che d 1 mil 1mutaſsero ? ti potreſti nutri re, ſe i camangiari non ſi tra mutaſſero ? che altro fi com pierebbe di neceſſario ſenza la mutazione?Non vedi dun que come ancora il tuo tra mutarti è confacerole, e pa rimenre neceſſario alla natu ra dell'yniuerſo ?. Per l'effen za di queſto trapaſſano quaſi per yn torrente tutti i cor pi connaturali; e cooperanti con l'yniuerfo , almodo che le parti noſtre tra di loro cooperano. QuantiChriſippi, quanti Socrati , quantiEpit teti il tempo s'è inghiottito? l'iſteſſo in fatti ti ſouuenga di qualunque huomo, e di qua lunque coſa . Vna coſa fola cruciandomi mi ſcontorce, cioè, che io non forſe faccia quello, che la conſtituzione dell'huomo non vuole , o nel la maniera , che non vuole , o come al preſente non vuole . Tra poco tu ti ſcorderai di tutti, e tra poco tutti ſi ſcor deranno di te. 15 Proprio è dell'huomo amare anco quelli, che erra no;e queſto ſi fa, ſe nel mede ſimo tempo ti ſouuerrà , che quelli , che peccano , ſono a te congiunti ; e che o per ignoranza , o non volendo, peccano; e come tra breuil ſimo tempo , e tu , e quellive n'andrete: e ſopra tutto per chè non ti ha leſo , mentre la porzione tua principale non l'ha deteriorata più che per linnanzi ella ſi foſſe. 16 La natura dell' vniuerfo dall'eſſenza vniuerfale, come ha ora formato vn ca : 3 . da cera , 194 LIBRO SETTIMO caualluccio , e poi, quello di ftruggendo, ſe n'è valuta per materia d ' yn albero di poi d'vn homicciuolo , e appref lo per qualch' altra coſa ; e ciaſcuna di queſte ha durato per cortiffimo ſpazio . Non reca al caffettino molcftia if diſcomporlo , ficome non gliela recò ne meno il fabbricarlo. La ſdegnoſa torbidez za del volto è oltre modo fuordel naturale; perchè fa fpeſſe fiate ſuanire la gratia di quello , ouero alla fine in guifa l'eſtingue , ch'ella non poſla giammai più ràuuiuarſi: Dunque, per queſto iſteſſo sforzati di apprendere che quello è fuori della ragione ; poſciachè, ſe il riſentimento contra il peccare fi perde, a che gioua il viuere ? 18 Le coſe , che tu vedi , tutto tra poco le muterà la natura , che gouerna il tutto ; e dall'eſſere di queſte pro durrà altre cofe , come di nuouo altre dall' effenza di quelle , acciocchè il Mondo di continuo ſi conferui in giouentù . 19 Quando vn commerta errore contro di re , toſto conſidera , che coſa egli pec Cando s'immaginò di bene , o dimale : perchè,conoſcen do queſto , lo compatirai , ſenza marauigliarti, o adi Tarti . Pofciache o formerai l'isteſſo concetto del bene ch' eſſo formò , o altro ſimi le a quello concepirai , on de fia neceſſario perdonar gli . Ma quando anco tu non 1 3 2 I 2 facefli lifteffo concetto del bene, o delmale , ti renderai più facilmente benigno ver fo colui , che ha traueduto . 20 Non s'hanno da conſi derare le coſe aſſenti nel ino do di quelle , che ora ſono : ma fi dee ſcegliere delle preſenti le più abili , e ricor darſi con quanto ſtudio quc fte fi cercherebbono , fe non foſſero preſenti. Però è inſic me da guardare cheper trop. po gradirle non ti auuezzi a ſtimarle vantaggioſamente ., a ſegno tale , che, ſe ti inan caffero , te ne turbaſſi . 1.21 Raccogliti in te mede mo. La parte ragioncuole , e principale , è di tal natura , ch'è ſufficiente a ſe ſteffa , quando giuſtamente opera ; e in ciò truoua la sua quiere. Scancella l'immaginazione, arreſta la violenza delle par fioni , circonfcriui il prefente del tempo , riconoſci quello, che auuiene così a te , come ad altri : diftingui , e partiſci quello , che ti ſta fra mano nelle fue cagionimateriali, e caufali: figurati l'vltima ora : laſcia l'errore comineffo a quello , e dove fu l'errore . 22 L'animo dec ftar appli cato a quanto ſi dice ; e la mente dee internarſi nelle coſe operate, e negli operan ti : Abbelliſci te ſteffo colla ſemplicità, è vergogna , e coll indifferenza , ch'è in mezzo tra la virtù, e'l vizio . Ama il genere humano, con formati con Dio . Quegli diſſe, ogni coſa eſſer ordina ta con legge certa , ma gli I 3 elementi ſoli muouerſi con mouimento incerto , e for tuito . Baſta hauer nella me moria tutte le coſe eſſere rc golate con legge fiſſa , c po chiffime andare a caſo .. 23 Intorno alla morte : 0 è diſipazione , o atomi, o euacuazione , o eſtinzione, o trapaſſo . Intorno al dolore : fe non è ſoffribile porta via ſe fi allunga nõ è inſoffribile; e l'animo nel formare i con cetti conferua la ſua pro pria tranquillità , e la parte ſuperiore non peggiora: le parti affitre dal dolore , ſe poſſono,palefino il loro ſen timento . Intorno alla glo ria : riguarda gli animi di co loro , quali ſieno, e qualico fe abborriſchino, e qualiap petiſchino : e come l'arene de i lidi , che vna ſopra l'al tra venendo a ſoprapporſi naſcondono le prime, fimil mente nel noſtro viuere le coſe antecedenti ſono dalle foprauuenute ben preſto ca cellate . 24 Da Platone. Penſi tu dunque , che quegli, che ha penfieri da magnanimo colla fpeculazione d'ogni tempo , e d'ogni ſoſtanzia faccia gran concetto del viuere dell'huo po ? Non può eſſer che ſia , riſpoſe . Dunque ne queſti potrà reputare che ſia male la morte . Non per certo . Detto di Antiftene. E' coſa da Re operar bene, e riceuer ne biaſimo . E ' ſconuenelio le , che'l noſtro volto obbe diſca , e ſi regoli, e s'abbel liſca , come la noſtra mente I 4 or 200 LIBRO SETTIMO ordina , e che queſta per fe medeſima non ſi regoli, ne ſi abbelliſca . Se con le cofe diſdegnar ti vuoi Che non curan diſdegno, il tutto è vano . A i Numi da cui morte va lon tano Diaſiallegreza ,e diaſi pur'a noi. Che ſi tronchi la vita , come ſuole Matura Spiga , e un viua, e un ' altro mora Che di me cura , e de' miei figli 'ancora Non ſi prendan gl'Iddij, ragion il vuole . 26 Da Platone . Io riſpon derei con giuſta riſpoſta . Che tu , o huomo , non ben diſcorri, ſe penſi douere fti mar coſa di gran momento il viuere , o il morire dell huomo, per poco ch'effo va glia , e non più toſto queſto folo Di MARCO ANTONÍNO 20r o dal folo confiderare , cioè , ſe quando opera , operi coſe giuſte , o non giufte e da huo mo buono , o cattiuo . Così il vero ſta , o citta dini d ' Athene : fe alcuno reputando il poſto cfler otti mo vi ſi collocherà Principe vi farà collocato , " conuiene , come a me pare , ch'iui ſi fermi , anco che vi foſſc pericolo , non facendo conto ne della morte d'altro , fuori che della brut tezza . Ma poni cura , o galant huomo , ſe altra coſa è l'effer buono , e generoſo , che'l faluare altri , e faluare ſe Ateffo · Concioffiecoſa che non è da deſiderarſi dall ' huomo veramente prodc la vita lunga ,ne dee ftare appiccicato al yiuere , ma rimet terſi intorno a tutto ciò in Dio , credendo alle donne , che neſſuno può ſcanſare il fato ; e in conſeguenza qui ha da premere in qual ma niera poſſa impiegare , per ottimamente viuere , il tem po , che gli reſta da viuere. Offerua il corſo delle ſtelle , comeſe tu giraffi in compagnia loro e confide ra del continuo le vicende uoli tramutazioni degli ele menti ; perchè coll' appren fioni di queſte coſe fi purifi cano l'immondizie della vi ta terrena . Bene ne i diſcorſi dell'huomo fu da Platone af ſerito che ſi debbono con templar le coſe terrene, co me da alto in baſſo , le con greghe , gli eſerciti , i lano ri et is 20 90 7.1 her III le in ri de'campi, i congiugnimen ti de' parentadi , i diſciogli menti, le nafcite , le morti , gli ſtrepiti de' tribunali , i paefi diſertati, le varietà del te genti barbare , le feſte , i pianti , imercati,il rimeſco famento del tutto, e l'abbel limento del Mondo per le coſe tra di loro contrarie. Riuedi conſideratamen te le coſe dianzi ſuccedute : le tante mutazioni degl'Im perij. E lecito ancora preue dere le coſe future: perchè a tutti i modi hauranno l' iſteffa ſomiglianza , c non trauſeranno mai dall' ordine di quelle, che al preſente ſi fanno . Quindi auuione che il miſurar la vita humana con anni quaranta non ſia diffe rent e dal miſurarla con an 1 fir 1 0 I 6 ni 204ni diecimila . Perchè qual coſa vedrai tu di più ? Vanno indietro le coſe, e ciò che diede La terra in terra , e nel celefte templo Ciò che venne dall'etera ſen riede Ouero queſta è , yna riſolu zione degl'intrecciamenti de gli atomised vna diſſipazione degli elementi, che non ſog giacciono à paſſione. Con beuande,con cibi,e con magia Della morte cerchiam ſuolger la via . Conuien Soffrir con ftenti , e ad occhi afciutti Il vento,ch'a noiSpira dagl'Iddi 29 Rieſce vno più di te de ftro nella lotta per atterrare gli altri : ma non ſia più co municatiuo , non più riſpet toſo , non più compofto ne gli accidenti , non più benigno verso gli abbagliamenti de ' profſimi. 30.: Douc , ſecondo l'inten dimento comune agl’Iddij , e agli huomini,ſi può condurre vn'opera à fine , iui non è del male : auuegnachè doue è le cito di trouar l'vtile per l'o perazione , che proſpera mente s’auanza , e non trali gna dalla ſua diſpoſizione , iuinon s'ha da ſoſpettar di danno . In ogni luogo , e in ogni tempo ſta in re il pren der a grado , con la douuta pietà , quello , che preſente mente accade , e di portarti con glihuomini , li quali con te conuiuono , giuſtamente , ed eſaminare efattamente quello , che fi rappreſenta all'immaginazione ; accioc chè non vi fubentri qualche coſa , che non ſia per prima bene compreſa . 31 Non inueftigare ciò che ad altri paſſa per la men te , ma riguarda diritta mente à quello , a che la natura ti conduce, o ſia quel la dell'vniuerfo , per le coſe che ti accadono , ouero la tua , per l'azioni , che da te dependono . Ora quellos? haurà a fare da ciaſcuno, che conſeguentemente corriſpo de alla ſua diſpoſizione . Per rò tutte l'altre coſe ſono diſm poſte per quelli , che ſono ragioneuoli , come in ogni altra l'inferiori in riguardo delle migliori, e le ragioner. uoli l'vna per l'altra.Dunque il primo e principale nella: diſpoſizione dell'huomo ſi è Veſſere COMMUNICATIVO. Secondariamente non arrenderſi alle corporali inclinazioni . Concioſliecoſa che proprio del mouimiento ragioneuo le , e . intellettuale è dicir confcriuer fc fteffo , e non laſciarſi ſottomettere da mo. ti ſenſuali, o impetuolis poi chè tanto gli yni , quanto gli altri hanno del beſtiale . Ma la intellettiua vuol la preininenza, e non eſſere do minata da quelli : e a ragio ne ; perchè è fatta per feruir ſi di tutti quelli. Il terzo nel la ragioneuole conſtruzione , è di non trauedere , nc d'ef ſer ſoppiantato. A queſte co ſe dunque applicata la men te proceda a dirittura , e co si conſeguirà quello , ch'è fuo proprio . 32 Come tu non hauefli havuto a uiuere , che fin ora , e già foffi morto , queſto fo pra più che c'è dato diuiuere , dourai viuerlo fecondo la natura , folamente contento di quello , che ti auuenga , e che ti è deſtinato dal fato, imperocchè qual coſa ti può efferpiù couveniente ? 33 In ogni accidente vo glionfi hauere auanti agli oc chiquellija' quali occorſero cafi fimili , e che poi fi dole uano, e ſembrado loro ftrano fi lamentauano . Doue dun que ſono eglino ora ? in niun fuogo. Vorrai tu dunque fare altrettanto ? Perchè non la fci gli altrui rigui alli rigi ranti, e rigirati ?: e non te ne ftai tutto intento come ti habbi da ſeruire di tali acci denti ? Te ne feruirai dunque bene , e quelli ti ſerui ranno per materia. In ogni coſa , che farai; non hai da applicare ad altro , ne altro proccurare , che d'effer a te Iteffo buono . Nell' yno , e -nell'altro ( fia di ciò , che hai da ſcanſare , o ſia di ciò , che hai da fare ) ricordati che'l foggetto dell'operazione è indifferente . 34 Con perſpicacia rimira dentro te ſteſſo , che la fonte del benc è dentro di te , la quale non ceſſerà mai di ſca turire , ſe tu di continuo la terrai ſcanata . 35 Il corpo ha da ſtar fiffo , e non ſi ſtorcere , o fia nel moto , o fia nella poſtura . Perchè nel modo , che l'ani mo imprime vn certo che nella faccia , ferbandola ſe 7 1 Il ria , e ben compoſta , al trettanto ſi dee ricercare che ſegua intieramente nel corpo ; e tutte queſte coſe s'hanno da offeruare fcirza affettazione . Il noſtro modo di viuere è più da affomi gliarſi alla Paleſtra , o lotta , che all'Orcheſtra , o al ballo; douendo alle coſeche ſopra uuengono , e non ſono pre ucdute trouarſi appareccħia to , e fermo pernon cadere. Giammai non laſcerai d'eſaminare quali ſieno quel li , dalli quali tu brami le te ſtimonianze , e quali l'inten zionidella loro mentc: per chè ne accuſerai quelli , i quali peccano inuolontaria mente , ne ricercherai la lo ro teftimonianza , fc rimire rai da qual fonte ſcaturiſco no 10 a ,al ercare ate ni € fcuzi mode allomis Torta ballo lopera t no le loro opinioni, e i loro appetiti. Niun'anima , diſſe que gli , di ſua fpontanea elezio ne ſi priua della verità. L'i ſteſſo s'ha da dire intorno al la giuſtizia , alla temperanza, alla benignità, e a tutte le ſi mili.Però è fommamente ne ceffario di non mai ſcordar d'ognuno ſarai più benigno. In ogni coſa penoſa, che ti ſucceda , ti fouuenga prontamente che quella non ha bruttezza , ne può peggiorare la mente in noi reggitrice ; poichè non le nuoce , nene in quanto è ragio neuole , ne in quanto è co municatiua ; e nella maggior parte de dolori ti venga in mente quello d'Epicuro ; Che to pre cchia dere ulcera quel let inter : per Uli, / taria a lo mit rico no 2 I 2Che non è intollerabile , o non è eterno ; ricordandoti però di laſciarlo ne' ſuoi termini fen za aggiugnerui altro con la tua opinione . Ancora quel lo hai da hauer a mente , che molte coſe , che partecipa 110 propriamente del dolore, copertaméte ci trauagliano : come è l'hauer ſonnolenza , lo fmaniar di caldo , il patir faſtio di ſtomaco ' . Quando dunquc alcuna diqueſte coſe maltolenticri ſopporti, con feffa a te fteffo d' ellerti arre ſo al dolore. Auuerti di non hauere tal volta quell' auuerſione agl'inhumani, che gl'inhu manihanno agli huomini . 40 Donde argomentiamo, che Socrate foffe illuſtre , e di diſpoſizione d'animo migliore? Mentre non baſta , che haueffe vna morte delle più glorioſe, c più acutamen te co ' Sofiſti diſputaſſe più ſofferentemente ſopra'l ghiaccio pernottaſſe , e co mandato a condurre quel Salaminio , più d'ogni altro generoſamente fi moſtraſſe renitente , e che per le ſtrade andaſſe con graue contegno . Intorno a che era aſſai da in ueftigare le così era vera mente . Maquello è neceffa rio conſiderare , qual ' animo s'haueſſe Socrate , e ſe egli po teſſe appagarſi d'effer giuſto inuerſo gl’huomini , e fanto inuerſo gļIddij,nő iſdegnan doſi temerariamente contro la malizia , ne punto feruen do all'ignoranza d'alcuno , ne accettando come ſtranie Fit Ho fe je . Te ne ng€ ra uc PC PE ra alcuna cofa datagli dall' vniuerſo , o ſopportandola come intollerabilc: në hauef ſe mai acconſentito , c piega to l'animo alle paſſioni della carnuccia. La natura non in fi corporò talmente il compó fto , quaſi che l'huomo non poſſariſtrignere , e regolar ſe lo medeſimo e far le ſue proprie VE coſe foggiaceré a ſe feflo . 41 Può eſſere facilmente , in che vn diuenga huomo diri no , e non fia conoſciuto da alcuno . Ricordati ſempre di queſto : e in oltre di quello , 1 che ?l viucre felicemente conſiſte in pochiſſime coſe . E non perchè habbi tu per duto la ſperanza d' eſſere Dialettico , o Fiſico, ti ſtime rai rigettato dal poter eſſer libero , pudico , comunicati uO. E I uo , e oſsequente a Dio . 42 Senza alcuna violenza potrai trapaſſare la vita in vna piena giocondità , an corchè tutti ſtrepitino ,come fi voglino, ancorchè le belue ſtrappino i membricciuoli di queſta mafsa , che t'è cres ſciuta addoſſo , perchè , che vieta in tutte queſte coſe ala l'animo di conferuar ſe ſteſso in tranquillità , e nel giudi cio vero delli circonſtanti accidenti , e collyſo pronto i delle coſe preſenzialmente ayuemute : in modo che poſsa il giudicio ſentenziare ſopra è quello , che vien accadendo: queſto fe' in ſoſtanza , ben chè lecondo l'opinione , al tro appariſci; e l'vſo poſsa di re all'accidente : tu fe' quel lo , ch'io cercaua . Perchè fem - 01 te elle est sempre quello , ch'è preſen te , ferue per materia della virtù ragioneuole , e ciuile; e inſomma è materia dell'ar te dell'huomo,ouero di Dio. Laonde tutto quello , che auuiene ſi fà famigliare a Dio o all'huomo; e non è coſa nuoua , ne intrattabile , ma conoſciuta , e maneggieuo le . 43 La perfezione de'coſtu mi porta feco queſto ; ch? ogni giorno ſi trapaſſi come fe foffe l'vltimo , non ſi com mouendo a coſa alcuna , ne con iftordimento , ne con fi mulazione 44 GI'Iddij eſsendo immor tålicnon hanno a male , che in tanti ſecoli ſia a tutti lo to neceſsario comportare ta li , e tanti fcelerati , anzi han Q b f Uella bile ar Dio. che Dio cola m2 Cuo hanno in oltre di quelli vna total cura ; e tu che ſtai già per mancare ti ſtracchi, non oſtante che tu ſij vno degli ſcelerati ? è da riderſenc ; tu non fuggi la tua propria mal uagità , il che è poſſibile , ę fuggi quella deglialtri, il che t'è impoffibile . 45 Quello , che la facultà ragioneuole , e ciuile truoua , non fecondo l'intelletto , ne ſecondo la ſocietà , con buon dettame lo giudica più viledi fe ftefla . 46 Quando tu hai benéfica to , e vi altro ha riceuuto il beneficio , oltre di queſto che terza cofa pretendi,comefan no i pazzi , di parer d'hauer fatto bene , e d'hauer a rice uere il contracambio ? niuno s'affatica, mentre riceue vtili K tå , oſtur ch 9 come COM 2, ne ont 7mor s che tti lo are ta anzi 9 Tantà , e mentre l'vtile è azione ſecondo la natura ; non ti af, fannar dunque riceuendo yti lità in quello che tu ſe'di gio uamento agli altri . La natura dell’yniuerlo per proprio inſtinto venne alla fabbrica del Mondo , donde è che ora tutto ciò , che ſi va facendo, procede in ſeguime to di quello ; ouero le coſe principaliffime , alle quali la mente reggitrice del Mondo ha:vna particolar inclinazio ne, ſono ſenza ragion prodot te . Se tu ciò a memoria ha urai, ti renderà più tranquillo in molte coſe , Fine del Libro Settimo. LI IMO 219 è azione non tia4 ndowe 'digia erloper e alla Ponde fi va imé coff lila 1 do 1 10 ota 1 Vello ancora è gio ueuole contro la vanagloria , con fiderare , che non iſta più in tuo potere l'eſſer viuuto tutta la vita , o almeno la paſſata dopo la giouentù , filoſofica mente: ma a molti altri , e a te medeſimo hai dato a co nofcere , che tu ſeben lonta no dalla Filoſofia. Dunque ti truoui imbrogliato : perchè K 2 1 1 # oramai non ti è più facile.d ' acquiſtare ſtima di Filoſofo , ſenza che ti è contraria ancor ra la tua profeſſione. Se adun que tu penetraſti veramente fin doue conſiſte ľaffare , non ti curar quale tú habbi da ef ſer riputato , ma baſtiti ſe tu il reſto menerai della vita,fe cõdo il dertame della tua na : tura . Conſidera dunque quel lo ,ch'eſſa ſivoglia, ne altroiti diſtragga : perciocchè hai già prouato per quantecoſe ſe'i to vagando , ne mai in niuna hai trouato il ben viuere , ne nel fillogizzare , ne nella ric chezza, ne nella gloria,nenei piaceri, ne in che ſi fia . Don ue dunque farà ? nell'operare ciò , che richiede l'iſteffa na tura humana. Come dunque queſto li eſeguirà ? quand'v no faciled Elofoto ta anch eader zmente y101 dach fetu 2,fe na no haurà nell'animo fermati queidogmi, dalli quali han no origine gliappetiti , elo pere. E quali ſono queſti do gmi? quelli, che appartengo no ai beni , e a i mali, come nulla eſſer bene all'huomo , che non lo renda giuſto, tem peratoforte, liberale, enulla male, ſe non quello, che ope ra il contrario delle coſe ſud dette , 2 In ogni operazione in terroga così te ſteſſo : in qual maniera queſtaa me fi confà ? forfe appreffo non ine ne pen . cirò a Di qui ' a poco io farò porto , e ogni coſa fuanirà . Che coſa di più ricerco, ſe no che l'azione preſente cõuen ga ad animale ragioneuole , e comunicatiuo , e che nella legge ſi conformi con Dio? Alessandro, Caiose Pom. peio , che coſa ſono appetto a Diogene , Heraclito , e so crate ? Queſti penetrarono le coſe, e le cagioni,e le materie , e tali erano le menti loro : ma quelli a quanti haueuano da prouedere ? a quanti haueua no da ſeruire ? 4 Ancorchè tu crepaffi tutttauolta gli huomini fará no l'iſteſſe coſe . Al bel primo non ti ſtare a turbare ; poichè tutte le cole, fuccedono fe condo la natura dell'vniuerſo ; e tra poco tempo tu farai nič te ; ed in niun luogo , come non é Adriano, ne Auguſto . Appreſſo fiſſandoti nell'opera ſteſſa, conſiderala , ed inſieme riducendoti a memoria che ti biſogna eſſere huomo dab bene, e ciò che la natura del l'huomo richiede , fa ciò , che tu ti proponeſti con inuaria bile fermezza , e parla come giuſtiflimo ti parrà ; però con placidezza e con rispetto e senza ſimulazione. Questa é della natura dell'uniuerso l'opera e'l ministero. Le cose che ſono qui traſportar colà , tramutarle leuarle di quà, ed iui riporle . Ogni coſa è mutazione , non però sì , che s'habbia da te mcre di nouità , andando il tutto ſecondo il conſueto ; anzi le diſtribuzioni delle co fe fono eguali . Ogni natura ſi ſoddisfàdi ſe ſteſſa , s'ella cà. mina per la propria via . E la natura ragioneuole cammina bene, quando nelle immagi nazioni non conſente al falfo, o all'incerto ; e negli appetiti, quando alle ſole opere co munali gli dirizza ; e nellide fiderij, e nelle auuerſioni, qua do le reſtrigne a quelle coſe fole , che ſtanno in noſtro ar bitrio ; e abbraccia volentie ri tutto quello , che dalla na tura comune le vien datos poichè è parte di quella , co me la natura della foglia è parte della natura della pian ta , ſe non che iui la natura della foglia è parte di natura , che è ſenza ſenſo , e ſenza ra gione, e che ſi può impedire : doue la natura dell'huomo è parte della natura ad impedi mento non ſoggiacente , in tellettuale , e giufta ; mentre eſſa , ſecondo l'egualità , ei meriti, diſtribuiſce a ciaſcuno i compartimenti de' tempi , delle ſoſtanzie della cagione,  dell'operazione, e delle con tingenze. " Anuertiperò ,che non trouerai in niuna coſa , conſideratele ad vna ad vna , queſta vguaglianza pari ad vn tutto ;maſi bene accumulata mente , conferendo il tutto dell'vne col tutto dell'altre . 6 Non te conceduto di poter leggere,maè in tuio po tere il non far delle ingiurie , -il vincere i piaceri , e idolori, l'effer ſuperiore alla glorietta: di più ,il non alterarti contro de i difenfati , e degļingrati : anzi tè conceduto l'hauere etiandio cura di loro . 7 Niuno ti oda querelarti del viuer nella Corte, neme no di quello, che tocca a te. 8 Il pentimento è vna tal riprenſione di te ſteſſo per yn ytile traſcurato . Ora il bene de' efſere qualche vtile , e de eſſere procurato.dall'huomo dabbene, e di buoni coſtumi. Ma neſſuno huomo dabbene, e bene accoſtumato haurà pen. timento di hauer traſcurato qualche piacere. Non è dun que coſa vtile , ne buona il piacere . 9 Che cofa è queſto ſecon do te ſteſſo nellapropria con ftituzione ? Quale è il ſuo ſo ſtanziale , e materiale ? Quale è il ſuo caufale ? A che ferue nel Mondo ? E quanto tempo fulliſterà ? 10 Quando ti ſuegli con di fguſto dal ſonno ricordati ciò etſer conforme alla tua conſtituzione , e fecondo la condizione naturale dell'huo . mo di produrre operazione a prò dell humana focietà : dove il dormire è comune an cora agli animali irragiuneuo. li. Quello perù , ch'è naturale ad ognvno , quello è più pro prio , e più comodo , ed è più giocondo . II Continuamente , ed in ogni immaginazione , giuſta tua poffa , eſamina la ſua na tura, ricerca le fue paſſioni, e dialetticamete intorno a quel. la diſcorri . In chiunque t'ab batti , prontamente diſcorri dentro di te ; Queſti che maf fime può hauere intorno al bene, e intorno almale ?. Im perocchè , fe ha tali , e tali maſſime intorno al piacere, e al dolore, e le cagioni dell’y -no , e dell'altro , intorno alla gloria , all'ignominia , alla morte, e alla vita, non mi ma rauiglierò , ne mi parrà coſa K 6 ſtrana , s'egli opera tali coſe; e mi rammenterò , che quegli è violentato ad operare in fi mile maniera . Rammentati , che come è coſa difdiceuole lo ſtimare ſtrano , che'l fico produca fichi così che'l Mon do produca quelle coſe, delle quali è fecondo . E ſimilmen te ancora farebbe vergogna al medico , ed al piloto il pa rer loro ſtrauaganza , ſe viene ad yno la febbre , e fe il ven to ſoffia in contrario . 12 Ricordati , che tanto il mutarſi quanto il conformar fi a chi ti corregge, non ti to glie l'eſſer libero ; perciocchè l'azione è tua , e ſecondo il tuo appetito , e giudicio , co me anco conforme al tuo in, tendimento, ſi riduce a fine . 13 Se depende da te, pers ché in chè lo fai ? ſe depende da al tri , di che ti lamenti ? degli atomi, o degl'Iddij ? mentre così l'vna , come l'altra è paz zia . Non dei querelarti d'al cuno : perchè ſe è in tuo po tere queſto , correggi l'iſteſſa azione ; ma ſe quello non tuo potere , a che gioua il do lerti, giacché non conuiene far coſa alcuna inuano ? 14 Ciò che morì non caſca fuori del Mondo :ſe reſta dun que qui , e qui fi muta , anco qui ſi riſolue nelle coſe pro prie , le quali ſono elementi del Mondo, e tuoi; e queſti pure ſoggiacciono a mutazio ni, nc fi qucrelano. Ciò che è, per qualche coſa è fatto , come a dire il ca uallo, la vite.Di che ti maraui. gli ? Il Sole pure dirà , per qual'effetto ſon fatto , e così gli altr’Iddij . Tu dunque per qual coſa per pigliarti piace re ? conſidera ſe l'intclletto lo comporta. La natura s'ha preſo pen fiero diciaſcuno , non meno del fine , che del principio , e della durata dellavita. 17 Quando alcuno tira in alto vna palla, che di bene ne riporta fa palla quando va balzata in alto , o che di male quando fcende, e quando ca de in terra ? E che di bene n'auuiene alla bolla dell'ac qua , ſe dura in eſſere , e che di male, ſe fi dilegua. In que ſta guiſa puoi ancora diſcor rere della lucerna . Riuolta il corpo, e vedi quale è , e in uecchiandoſi , quale diuiene , o pure cadendo in infermità , o dap  o dappoi che s'ha preſo i ſuoi guſti carnali . 18 E ' di breuc durata echi loda , e chi vien lodato: il men touato , e chi lo mentoua.Ag giugniui , che ciò ſuccede in yn cantone di queſta regione, ne in quello ancora tutti ſono del medeſino ſentimento ; ne pur yno è ſempre del medeſi mo con ſe ſtcffo.E tutta la ter ra è finalmente yn punto . 19. Applica l'animo a quel lo che ti ſi appreſenta, o al de. creto, o all'operazione , oal fignificato . Giuſtamente que ſto patiſci, perchè vuoi diffe rire a domane a diuenirc huo . mo dabbene , più roſto ch'er ſerlo oggi? 20 S'io fo coſa alcuna, la fo riferendola a bencficio d'huo. mini . Se m'auuiene qualche ? l 1 P cofil 232coſa la riceuo , riferendola al.. tresì agl Iddij , e al forte d'or gni coſà , dal quale tutto ciò che auuiene inſiemederiua. Che ti pare che ſia il la uarſi ? olio , fudore , fucidu , me, acqua', ſtrofinacci , coſe tutte difpiaceuoli: I ale èogni parte della vita, e tutto quel lo,che a noi fotto ſta . 22 Lucilla ſeppelli Vero , appreſſo morì Lucilla. Secon da fepellìMaflimo, appreſſo morì Seconda . Epitinchanó Diotimo, appreſſoEpitincha no . Antonino ſeppellà Fauſti na', appreſſo morìAntonino . In tal modo cammina ogni cofa . Celere ſeppellì Adria no , appreſſo morì Celere . Quelli anco d'acuto ſpirito, o indouini; o fuperbi, doue ho ra ſono ? come Charace, De me  A1- J to 2 ole gali el 0 1 metrio il Platonico , Eude mone , e altri ſimili d'acuto ſpirito tutte le coſe ſono tran. ſitorie in yn giorno , e di già morte , e mancate : alcuni ne meno per poco rcſtarono nel la memoria : altri trapaſſaro no in fauole ; altri già dall'i ſteſſe fauole ſcancellati, Quel lo dunque non è da ſcordarſi, che biſogna o diſſiparli queſta tua compoſizioncella, o eſtin guerſi lo ſpiritello , o traſpor tarſi, e altroue riporſi. - 23 La conſolazione dell' huomo conſiſte nell' operare ciò , che appartiene all’huo mo ; e appartienſi all'huomo il voler bene a quello , che gli è ſimile per natura : ſprez zare i moti delfenſo , diſcer ner le probabili apparenze , contemplar la natura dell'y Olli" ello 300 ha 710 on te ho DP niwer niuerſo , e tutto ciò , che in quella ſi produce . Tre fono le abitudini , l'vna alla ca gione,che circoncigne, l'altra alla cauſa diuina , dalla qua le il tutto a tutti deriua , la terza a quelli, che con noi vi uono . 24. Il dolore o è male del corpo , el corpo ſia quello , che lo paleſi , o è dell'animo : ma l'animo ha in ſua balia il conſeruar la propria tranquil lità, e ſerenità, e di non rcpu tar , che quello fia male . Per chè ogni giudicio , e inclinac zione, e appetizione , e de clinamento ſta nel didentro e da indi non afcende male neſſuno . 25 Scancella l'immagina zioni del continuo dicendo a te fteffo : Ora è in mio potere, che in 10 tra 12 10 vi del 09 70: che in queſt'anima non hab bia luogo alcuna maluagità , ne la cupidigia , ne qualſiuo glia turbolenza : ma cono fcendo ciaſcuna coſa , fecon do il ſuo eſſere , mi ſerua di ciaſcuna per quanto vale. Ri cordati di queſta facultà a te conceduta dalla natura . 26 Parla nel Scnato , e con ciaſcun'altro in particolare co decoro , e non con troppa li fciatura , ma vſa vn modo fa no di parlare . 27 La Corte d'Auguſto , la moglie , la figlia , i nepoti, i defcendenti; la ſorella, Agrip pasi parenti,ifamigliari, gli a mici, Ario ,Mecenate , i Me dici , i Sacerdoti, tutta quel la Corte è fuanita con la mor. te . Mettiti poi a conſiderare altre famiglie,nelle quali non trouerai la morte d'vn huo mo ſolo , ma di tutte , come dei Pompeij . Mancò quella, e ne' fepolcri iſteffi leggiamo chi fu Byltimo di quella gen te : come anco. quello , che viene ſcolpito ne'monumen ti , vltimo della ſua gente . Conſidera poi quanto fi tra uagliarono i loro antenati , di laſciar yni fucceſſore , e pure fu di neceſſità , che alcuno for ſe l'vltimo , e qui parimente conſidera la fine di tutta quel. la gente . 28. S'ha collazioni ad vna ad yna a compor la vita ; e ſe ciaſcuna vi ha la ſua parte , Thuomote nºha đa content - re; e che quella non habbia il ſuo pienoaſufficienza , niuno lo potrà impedire.Se poi s'op- ' poneſſe qualche cofa eftra nea ?1€ lagi 110 11 Pr di 24 nea ? niente al certo s'oppor rà al giuſto, modefto , e confi derato . Ma forſe qualche al tra operazione l'impedirà?Pc rò ſe tu prendi a grado l'iſteſ fo impedimento , e trapaſſe rai coll'animo ben aggiuſtato a quello, che ti vien dato ti ſi furrogherà vn'altra operazioa ne, che quadri a quella com poſizione d'animo di cui ora ſi parla, che veramente firice na ſenza fato , e fi laſci pure con facilità 29 Se mai vedeſti vga ma no, o vn piede troncati, avna tefta dal reſto del corpo reci fa in qualche luogo giacere ; a queſti ſimile per quanto a il Luiſta ſi rendechiunque ricu fa le coſe ch’auuengono , e ſe ftetſo quafi tronca , o fa quel ſa lo, chenon ſi confaccia al be ne of Tele nd f noto iF ne degli altri , col diucller i in certo modo dall' vnione della natura; mentre tu effen do nato parte di cffa , da te ſteſſo te ne fe'reciſo , ma qui cade in acconcio il dire , che in tuo potere ſta di ritornarti a riunire : il che Dio a niuna altra parte ha conceduto, che ſegregata ,e reciſa , di nuouo fi tornaffe a congiugnere. Però confidera la fouranz bontà , che tanto onore conceffe all' huomo . Poichè nel principio poſe inſuo potere il non di uel'crſi dal corpo intero , e dopo diuelto, il ritornare, ed il ricongiugnerſised il ricupe rare il poſto di parte. 30 Come ciafcuno de'ragio . neuoli ottenne dalla natura tutte l'altre facultà quaſi qua to è capace la condizione del. boz fa  € 1 li ragioneuoli, così ancora da lei riceuemmo queſta facultà , la quale è, che in quel modo , che quella tutto ciò , che le reſiſte , e le oſta, lo conuerte , e rimette nel fato, e lo fa ſua parte , così l'animal ragione uole può d'ogni impedimen to farſi propria materia, e ben vſar di quello , a che ella per iſtinto e portata . 31 Non ti confonda l'imma ginazione di tutta la vita Non iſtare a ghiribizzare pen ſando quanti, e quali trauagli poſſano ſoprauuenirti; ma in qualunque delle coſe , che ti ſi preſentino,interroga te ſtefa ſo : in queſto fatto ,che ci è d'incomportabile , che ci è d ' intolerabile ? Concioſliecofaa che t'arroſſirai di confeſſarlo . Appreſſo ricorda a te ſteſſo , che 7 ge 10 14 fel 2 t C a C che ne il futuro,ne quello che è paſſato t'aggraua , ma ſem pre quello che è preſente ; é queſto ſiſminuiſce,ſe diſtinta mente lo ſeparerai, e la men te tua riprenderai, ch'ella non fia baſtante a reſiſtere a que ſto ſolo . 32 Forſe aſſiſte per ancora al ſepolcro del ſuo Signore Panthea , o Pergamo ? o pure a quello di Adriano Cabria , o Diotimo ? E ' da riderſene , E ſe aſſiſteſſero , ne haureb. bono ſentimento ? E ſe ne ha uefíero ſentimento , haureb bono godimento di queſto E ſe haueſſero godimento, fa rebbono diuenuti per queſto immortali ? Non portò il f to , che ancora queſti prima diueniſſero vecchi, e vecchie, ed appreſſo moriſſero ? Che dun il 762 en 101 JUICE Con 701 dunque erano perfare quelli, dopo che queſti foffero mor ti 2 Il tuttoè puzza , e mar cia in yn ſacco . 33 Se tu haiacuta viſta , adoprala , difle quegli ſauia mente , nel giudicare . 34 Non vedo , che nella conſtruzione dell'animal ra gioneuole ſia virtù alcuna re pugnante allagiuſtizia : ma fi bene vedo cffer repugnante al piacere la virtù della con tinenza . 35 Sea quello chepare ap porti a te meſtizia , detrarrai la tua apprenſione, tu ſteſſo ti ſe’poſto in ſicuro . Chi è quel tu ſteffo ? la ragione. Ma io non ſono la ragione. Così fia: dunque la ragione non tra uagli ſe ſteſſa . Maſe qualche altra coſa in te patiſce del L male 16 han Foi [ um 10 The  male, ella medefima ne formi il fuo concetto 1123 ). L'impedimento del fen ſo è male della natura vitale , e ſimilmente è male della na tura vitale l'impedimento del l'appetito : ed ecci eziandio vn altro parimente impedi mento , e male della conftitu . zione vegetatiuas. Così duna que l'impedimento dellamé te è male della natura intel lettiua ; applica : tutte queſte coſe a te ſteſſo . Il dolore, e ? I piacereti co muotono ? il ſenſo fę n'auuer . drà . Nell'apperire ti ſi poſe oſtacólo ſe tu ti folli moffo fenza ſottraimento , e rifertias allora farebbe male delura : gioneuole ;mia fe tu lo riceuí, come coſa comune tu non fe'dannificato , ne impedito , po es el Bio di tu né ele poſciache nigni altra cola ſuo le impedire le coſe proprie della mente : perchè in quieta la ne fuoco , ne ferro , ne ti ranno , ne maledicenza , ne altra coſa del Mondo può pe netrare :che cheſi faccia della palla, eſſa ſempre rimane tony da.:' 37 E' coſa indegna il mole ſtar me ſteſſo , mentre a niun ? altro mai di proprio volere ho dato moleftia Altre coſe cagionano allegrezza in altri; io m'allegro , ſe la mia facul tà guidatrice ſtarà fana , la quale non habbia auuerſione ad alcuno huomo, ne adal cuna coſa di quelle , che fuc cedono agli huomini , mail tutto rimiri con occhi placi di; e riceua ciaſcuno , e dieſſo fi ferua,fecondo il ſuo pregio. L 2 38 Ve có LIF CA Mo It This 700 TO : Vedi di ſpendere a tuo prò queſto tempo preſente . Coloro , che più affettano la fama apoftuma , non conſidc rano , che quelli , da’quali la ſperano ', faranno tali , quali al preſente ſono coloro , che a lor non piacciono, poichè eſſi ancora ſono mortali. In ſom ma che t'importa , ſe quelli con tali, o tali voci ftrepitino, o habbiano di te queſta , o quella opinione ? 39 Prendimise gettami do ue vuoi : poichè iui ancora trouerò il mio genio buono , e propizio , cioè a dire a me ſufficiente , purchè habbia e operi quello , che è confor me alla propria fua condizio ne . 40 E' forſe coſa che meriti, cheper eſſa s'incommodi l'animo mio , e peggiori ſe ſteſ ſo con auuilirſi , appctire , confonderſi , e ſgomentarſi ? E che trouerai, che tanto ine riti ? Non può auuenire coſa a vn huomo, che non ſia acci dente , che non habbia dell? humano ; ne al bue che non ſia accidente , che egli non habbia del bue ; ne alla vite , che non ſia della vite ; ne alla pietra , che non ſia proprio della pietra . Se accade dun que a ciaſcuno quello , che è folito , e connaturale, perchè t'attriſti ? mentre non è intol lerabile quello, che la natura comune a te contribuiſce . E ſe ti pigli moleſtia per qual che coſa eſtranea , non certo efla ti moleſta ,mail tuo giudi cio intorno a quella . E pure il cancellar quello depende da L 3 te. E ſe ti trauaglia qualche cofa nella diſpoſizione del tuo animo , chi è quegli , che ti vieta di rettificare il tuo concetto Con tutto ciò ſe tu ti affanni , perchè non operi tu ciò , che a te pare ben fat to ? Perchè più toſto non ope ri , che contriſtarti ? Mavna coſa più valeuole mi oſta Dunque non ti affannare; poi chè non proccde da te la ca gione del non operare . Ma non par che conuenga di più viuere, fe ciò non fi fa . Dùn que placidamente finifti la vita : mentre ancora quegli fa qualche coſa , che muore benigno eziandio verſo colo ro ; che gli fanno oſtacolo 41 Oſſerua , che la princi pal parte dell'huomo refta ineſpugnabile , quando in ſe Iter ko fel he UNO ſteſſa ritirandoſi di ſe ſi con tenta non facendo quello che effa non vuole, ancorché ſi metta in battaglia ſenza la. iuto della ragione . Che dun queſarà , quando coll'aiuto della ragione prudentemen te giudicherà qualche coſa ? Per queſto la mente libera delle paſſioni è come vn'alta rocca , giacchè l'huomo non ha coſa più forte , nella quale ritiraro rimanga poi ſempre incípugnabile 2 Chì dunque queſto no comprende è igno rante : chi l'ha comprefo , non ſe ne vale,difgraziato. 42 Niente di più ſuggeri fci a te ſteffo di quello , che portarlo Ic mere priine ap prenſioni. T'è ſtato riferto , che il tale dice malc di te ; queſto è vn rapporto . Ma L 4 che tu ſij ſtato, offeſo , non ſi contiene nel rapporto . Veg gio , che il figliolino è am malato , queſto ilvedo , ma che ſia in pericolo nol vedo già. Dunque reſta ſempre ne gli primi apprendimenti della immaginazione , e non v'ag. giugnere dentro da te ſteſſo niente d'autantaggio : e così niente ti ſopragiugne ; anzi aggiugni , che non ti viene nuoua qualunque coſa , che nel Mondo accade . Il cóco mero è amaro , laſcialo ; le fpine ſono nella ſtrada , ſchi fale , baſta ; non iſtar a fog giugnere: e perchè queſte co fe ſono ſtate fatte nelMondo concioffiecoſa che ſi burle rebbe di te ogn'huomo, che fia inueſtigatore della natura: come appunto ſareſti derifo da of 12 do De le SI da vn fabbro , o da yn coiaio , ſe tu li condennafſi , per ve dere nella ſua bottega fca muzzoli , e ritagli delle coſe , che effi lauorano. E pure que gli hanno doue gittar queſte coſé ; il che non può fare fuori di ſe la natura dell'vni. uerſo : maciò che recamara uiglia di queſta ſua arte è, che circonſcritta in ſe ſteſſa , quan to dentro di fe fi corrompe , e s'inuecchia , e appariſce non eſſer più ad alcun yſo , tutto in ſe ſteſſa tramuta , e di nuo uo di quelli forma cole recen tizin tal guiſa , ch'ella non ri cerca ſoſtanzia eftrinfeca , ne ha biſogno di luogo per git tarui le coſe più corrotte . Così le ſono baſteuoli la ſua regione , la ſua materia , e la propria arte . Dzi De TC O le Dj D D? 7 0 L 5 43 Non andar vacillando nelle azioni; e nelli congreſi non far confufione . Nelle immaginazioni non andar ya. gandojne in modo alcuno con Panimo o angoſcioſo, o trop po impetuoſo, non accupare ja vita in fouerchie faccende. Se ammazzano , fe mandano a fil difpada , fe con efecra zioni infeftano , che nuocono quefte coſe al conſeruarti Ja mente pura , prudente, contes nente , e giuſta ? fiati per e fcmplo : le vno auuicinatofi ad vna fonte di dolce; c limpi da acqua,a quella diceſſe del le ingiurie,non perciò ceffereb be di porger l'acqua da bere , e fe ancora vi gettafle del fan go , ' e dello ſterco , immanti nente ella lo ſegregherebbe , e diffiperebbe , e in neſſun modo Llande agreb Nelli dara 1000 Otrop CINK cord ndan Mocht OCOMO artil СОЛь modo fe n'imbratterebbe .. Come farai dınque per hauer vna fontana ſempre viua ; e non vn pozzo d'acqua fta gnante ? Merci te ſteſſo ad ognora in libertà , ſtando con l'aniino trãquillo, ſchiet to , e modeſto . 44 Chì non sa , che coſa ſia il Mondo , non fa doue egli fia.E chi non ſa a che fine egli medelino fia ſtato fatto , non få ne qual'egli fi lia ,ne che co. fa ſia il Mondo . A chi manca vna di queſte coſe , non può dire a che fine egli fia fatto Chi dunque pare a te , che ftia più contento , quegli, che fugge le lodi degliadulatoris o quelli, che nonfanno doue, o quali eſli fi fiano Ti com piaci d'effer lodaro da vnos che tre volte l'ora maledice Del & zarob limpi edel flerech berty bhe cfiun do L 6 se ſteſſo ? Vuoi piacere ad huomo, che ne pure ſoddisfà a ſe ſteffodroddisfà a ſe mede ſimo quegli, che in tutte quafi le azioni, alle quali pon ma no, ſi pente? 45 Auuerti per l'auuenire non ſolo di reſpirare nell'am biente dell'aria , ma ancora di conformare i tuoi penſieri con l'intelletto , che tutte le coſe contiene . Concioffieco fache non meno queſta facul tà intellettuale fi diffonde, ed entra in quello che la puòat trarre , che quella dell'aria in quello , che può reſpirare . 46. Generalmente la mali zia non danneggia il Mondo ; e quella che riſguarda il par ticolare , non fa danno ad vn altro , ma a quel folo e noci ua , al quale ancora è conce duto read Idishi med quafi ma enie l'am ncora ofieri tele eco cu duto di libcrarſene , qualun que volta egli ſia pronto a volerlo. Al mio arbitrio è indift ferente egualmente l'arbitrio del proſſimo , ficome anco il fuo fpiritello , e la carnuccia : Imperciocchè fe bene ſiamo fatti principalmente l'vno per l'altro , niétcdimcno ciaſcuna delle menti noftre ha il fuo dominio particolare ; altri mente ſeguirebbe, che la ma lizia del profſimo foſſe il mio male , coſa che non è piaciu ta a Dio , acciò non dependa da altri il far il mio ſtato in felice. Il Sole par, che fià dif fuſo , c veramente per tutto fi fpande , ma non però con queſto Ipandimento fi fparge , e perde; perchè queſta ſua ef fuſio Ged at iain ali doi par yn ci ce fuſione è vn diſtendimento': che però gli ſplendori ſuoi , o raggi ſi chiamano in Greco con parola , che viene dallo diftenderk . Ma quale sia la natura di queſto raggio , tu la potrai conoſcere,fe riguardila luce del sole penetrata per qualche feſſura in vna ofcura ftanza imperocchéciò ſi fa di rettamente , e quaſi vien diui fose ſquarciato da ogni corpo folidojin cui s'incontri no am * mettente più oltre l'aria : e qui ſi ferma,nc inciampa, ne cade. Tal effuſione , e diffuſione del eſſere della mente , non ell çuamento, ma diſtendimento ; ficche agl'impedimenti chein. contro le ſi parano non violen. temcntene temerariamente re fifta , mà refti ſtabile , e illumi. ni ciò che la riceue. Imperoc chè  llo be 1 ih pier lill chè priua fe ſteſſo di luce, quegli , che non l' ammets te . 49 Chi teme la morte, o te me la perdita de'fenſi, o qual che altra forte di ſenſo , ſe non haurà niun fenſo , non fentirà male alcuno . Se poſſederà vn'altra ſorte di ſenſo , farà yn altro animante , e non reſterà di viuere . 50 Gli huomini ſono fatti P'yno per l'altro ; Dunque in ſegna, o ſoffriſci. Altrimente la faetta , al trimente ſcorre l'intelletto . Ma l'intelletto e quando cau tamente procede , e quando alla conſiderazione ſi volge , non meno ſi porta per diritto , ed al berſaglio . 52 S'ha da penetrare den tro alla mente di ciaſcuno e per DO 1] Te te } 0 re e permetter altresì ad ognu no di penetrare dentro la pro pria tua mente. Chi fa ingiuſtizia fa vn atto d'empietà . Im perocchè , hauendo la natura dell' vniuerfo fabbricato gli animali ragionevoli , vno a prò dell'altro , acciocchè , ſe condo il douere , vno gioui all'altro , e in niuna guiſa gli muoca , chi traſgrediſce tal decreto di queſta , commette manifeſta empietà contro il nume' antichiſſiino tra gľ Id dij. Concioffiecofache la natura dell' vniuerſo è natura di enti , e gli enti hanno vna coral fratellanza con tutte l'altre coſe eſiſtenti. Di più queſt' iſteſſa fi noma verità , ed è prima cagione di tutte le cofe vere . Onde chi ſponta neamente mentiſce è empio in quanto con l'inganno fa in . giuſtizia, come ancora chi in uolontariamente mentiſce, in quanto difcorda dalla natura dell'vniuerfo, e in quanto ca gion deformità , ripugnando alla natura del Monda . Im; perocchè ripugna quegli, che per ſe ſteſſo è portato alla contrarietà delle coſe vere : giacchè haueua innanzirice uuto dalla natura alcuni in ſtinti, i quali poi eſſo traſcu rando , non può ora diſcerne re le coſe falſe dalle vore . E pure chi ſegue i piaceri, come coſa buona , e fugge il traua glio , comemale, commette empietà. Perchè è neceſſario, che coftui fi quereli ſpeſſe vol te della comune natura , qua fi ch'ella faccia diſtribuzioni di beni a traſcurati , ed a fol leciti contra il lor merito ; effendo che fouente i traſcu rati fieno di piaceri abbon danti, e di quelle coſe ond'ef fi deriuano ; ed i ſolleciti al l'incontro fieno da dolori op preſli , e cadano in quelle co fe , che dolore cagionano • In oltre chi teme i dolori , ha urà ancora in orrore qualchu na di quelle coſe , che hanno da ſucceder nel Mondo ; e ciò fimilmente ha dell'empietà . chi va dietro a’piaceri, non s'afterrà dal far'ingiuſtizia , e qucſto Lira Ck Ho che all te: Ice FCH E re queſto è chiaramente empie tà . Biſogna, che a quelle co ſe , alle quali la natura comu ne egualmente ſi porta ( per chènon haurebbefatta l'vna, e l'altra , fe all'vna, e all'altra di queſte coſe indifferenti non foffe ftata vgualmente pro penfa ) quelli , che vogliono eſſere ſeguaci della natura , hauendo i medeſimi ſenti menti , con eſſa ſiano vgual mente affetti. Dunquc chi a' dolori , ed a'piaceri , o alla morte, e alla vita , o alla glo ria , e al diſonore , delle quali egualmente fi vale la natura dell'vniuerſo , non è per fe ſteſſo parimente affetto, chia ra cofa è , che fia empio . Io però dico valerſi di queſti v gualmente la natura comune, in luogo di dire , che auuengono vgualmente per certa conſeguenza alle coſe , che ſi fanno, o che vanno ſucceden do conforme allancico im pulſo della prouidenza , col quale ſi moſſe ſin dal princi pio ad ordinare queſta bella macchina mondiale, hauendo concepute alcune ragioni del. le coſe future , e determinate le facultà feconde dell'eſi ſtenze , delle traſmutazioni, e di fimili fuccedimenti . 2 Migliore , e più deſidera bil coſa certamenteper l'huo mo ſarebbe ch'egli da quefta vita partiſſe digiuno affatto ; così dire ,del mentire, del ſimulare , del luſſo , e della fu perbia : defiderabile dopo ciò ( quaſi come vna ſeconda men profpera nauigazione) ſareb be , che almeno vno già fazio 1:22 il alla to ali UTA per f j 10 j” 19 21 di queſte coſe ,voleſſe più to fto morendo fpirare , che nel la prauità continuare viuen do" . E non t'inſegna ancora l'eſperienza a fuggire dalla peſte ? e la corruttela dell'a niina è aſſai peggior peſte a riſpetto di quella, che dall intemperie , e mutazione del l'aria , che d'intorno fi fpande, e fpira : poichè queſta peſte è degli animali in quanto fo no animati : e quella è degli huomini in quanto fono huo mini . 3 Non diſprezzar la morte , ma fija quella ben affctto , ef ſendo ancor eſſa yria delle co ſe ; che la natura richiede ; poichè quale è la giouentù ; la vecchiaia , il creſcere , l'in uigorire , il naſcere de’denti , la barba , i canuti , il genera re100 nel ICP 1000 dali ell Mei de ant re figliuoli, portargli nel ven tre , e partorirgli, e altre ope re naturali., le quali prodịco, no le ſtagioni della tuavita , tale è ancora il diffoluerfi . Dunque queſto è da huomo, che ben ſi ſerue della ragione ne ſuperficialmente, ne impet tuoſamente, ne ſuperbamente fiporta verſo la morte ;, ina l'attende come yn'opera del la natura . Nel inodo che tu ora , aſpetti o cheſca il fe to del ventre ditua moglic , .com hai da caſpetar l'ora , nella quale la tua animuccia diqueſto ricettacolo eſca ca dendo . E fe vuoi ancora vn conforto cordiale , benchè volgareztirenderàſoprammo do prontoalla morte l'appli cazione alle coſe preſenta nec , dalle quali douraieſſere ſe A oto des Tak ler jed Simi Jä Teni Nem If feparato , e a'coſtumi di colo ro , con i quali non t'haurai più da meſcolare : tuttavia con quelli non s'ha da rompe re , ma ſtudiare di curarli , e placidamente ſoffrirli . Onde hai da rammentarti, che que ſta ſegregazione s'ha da fare da huomini, i quali non han no teco glifteſli ſentimeriti : mentre queſto folo potrebbe ſeruirci di contrappeſo,e rite nerci in vita , ſe ne foſſe con ceduto il conuiuere con quel li; che haueſſero gl'iſteſifen timenti . Ma tu- ora vedi quanto malageuole ſia il con uiuere in tanta diffonanza de' conuiuenti . Sicché ſi può di re : Sollecita o morte a veni re , accioché io non arriui a fcordarmi vna volta di me ſteffo . 4 Chi  rola aurai mpe afait har caini ebbe 4 Chi péccas contro le ſtefi ſo pecca • Chi opera ingiu ftamentega ſe medeſimo nuô ce , rendendo maluagio ſe ſteſſo ; è ingiuſto ſpeſſe volte , non ſolo chi opera alcuna co fa , ma ancora quegli , che nonfa qualche coſa . 5 Baſta la preſente opinio ne apprenſiua, e la preſente operazione comunicatiua , e la preſence diſpoſizione, che fi compiace d'ogni coſa , che da principiocauſante prouen . ga; per iſcancellar l'immagi nazione arreſtar l'impeto de gli affetti, temprare gli appe titieper mantenere nella ſua facultà la parte principale . 6 Fra i bruti viuenti è diui:. ſå vnà fòl'anima: c tra i viuen . ti ragioneuoli è compartita vn’animà intellettuale : fico. M me COlle auch Tere vad COll ade bel oni qili? mi me a tutte le coſe terreftri è vna ſola terra , e tutti quanti habbiamo facultà di vedere e facultà diviuere, con vna lu cc vediamo , c d'yn aria re ſpiriamo. Tutti quelli , che partecipano d' vna coſa co mune a quella, che è del me deſimo genere, anſiofaniente fi portano . Ogni coſa terrc ſtre inchina alla terra . Tutto l'ymido va inſieme ſcorren do,ogniaereo ſimilmente : ſic chè biſogna diuidergli a for za . Il fuoco s'erge a cagione del fuoco elementare . Tutto il fuoco , ch'è quà giù, è così pronto ad ardere con l'elc mentare, come ogni materia le alquanto più ſecco è facile ad accenderſi pereſſere meno abbondante di quello , che impediſce l'accenderſi. Dun que  letes re CO me In 170 za que tutto quello che è parte cipe della comune natura in tellettuale , corre ſimilmente verſo il ſuo connaturale, anzi più ;: perchè quanto è meglio degli altri, tanto è più diſpo fto à miſchiarſi inſieme col ſuo famigliare - Anticameji te dunque furono tra i bruti inuentati gli fciami, le greg ge > i pollai , e quaſi ynioni d'affetti; imperciocchè ancor? efli hanno animais ecosi la virtù congregatiua tra i min gliori ſpicca maggiormente , il che non è nell'erbe , non è ne faffi , non è ne’tegni. Ma tra gli animali ragioneuoli fi truouano leRepubbliche;lean micizie , le famiglie leraunan ze , e in tempo di guerra le paci, e le tregue . Anzi nelle coſe piùveccellenti, benchè M 2 ell fit 01 DINE TTO OSİ [ 7110 Fle 70 7e tra ſe lontane, in qualchemo do vi è vnione , come a dire, tra le ſtelle , così il deſiderio d'auanzarſi al meglio ha po tuto operare la ſimpatia ezian. dio tra le coſe diſtanti. Vedi dunque quello che ora ſi fa . Perchè foli gl'intellettuali ſi ſono ſcordati del conſenti mento, e dell'affetto tra loro ; e queſto concorrimento in effi ſolamente non ſi vede; e nien tedimeno, ancorchè fuggano, reſtano accerchiati , e preſi, poichè la natura in ciò pre uale . E vedrai queſto, che di co , offeruando, che più preſto trouerai qualche coſa terre ftre non congiunta ad altra terreſtre , che vn'huomo dall' altr'huomo totalmente diſ giunto . 7 Producon fruttto e l'huomo dire deria apo 2126 Vedi fifa. alii enti. oro; mo, e Dio e il Mondo; e ſi pro duce ciaſcun frutto nelle ſue proprie ſtagioni ; e ſe la con ſuetudine principalmente ſi ferue di queſto modo di dire nelle vitije altre ſimili piante, cið poco importa : però la ra gione produce il frutto si proprio , come il comune; e da quella fi propagano altre tali cofe , della condizione delle quali è ancora l'iſteffa ragione . 8 Se tu puoi , inſegna ſem pre il meglio a quelli, che er rano ; e ſe non puoi, ricordati che per ciò fare t'è ſtata data l'amoreuolezza , e che gl'Id dij ſon amoreuoli verſo que? tali , e tanto ſon benigni in alcune coſe ,ch'e'dan loro aiu to per la ſanità ,per le ricchez ze, e per la gloria . E queſto a neft viera 2110 vrela pre edi ceſto erre Ultra dall ' dile 10 M 3 te lice , o ſeno , dichiara , chi te lo vieta ? 9 Trauaglia , non come vn tapino, ne meno a fine di pro cacciarti compaſſione, o mara. uiglia : ma vn folo fia il tuo fine di muouerti , e di fermar ti , fecondo che la ragione ci uile richiede . 10 Oggi vſcij d'ogni mole ftia , anzi ſcacciai fuori tutte le moleſtie; poichè quelle non erano eſterne , ma couauano dentro nelle opinioni . 11 Tutte queſte coſe fami gliari per l'yſo di vn fol dì quanto al tempo , fordide per la materia , ſono ora tutte le medeſime, quali furono a tem po diquelli , che habbiamo ſepolti. 12 Le coſe ſtanno in ſe ſteſ ſe fuori , per così dire , delle por ch meni dipro mara il 2016 Amal onec 1270 tutte porte , е da per ſe medeſime , niente fanno del ſuo eſſere , e niente a noi fanno apparire . Che dunque è quello , che le diſcuopre? la ragione . Non nella perſuaſione , ma nella operazione conſiſte il bene ,e'l male dell'animal ragionclio le ciuile: ſicome ancora la vir tù , e’lvizio di queſto non è nella perſuafione , ma nell'o perazione.Alla pietra fcaglia ta non ſuccede male ſe caſca , ne bene , tirandoſi in alto . 13 Entra più addentro nelle menti degli huamini, cſcor gerai quali giudici tu tcma , e quali ſieno elli giudici intorno a fe ſtelli . 14 Tutte le coſe ſtanno in continua mutazione, e tu ſtef fo in vna continua alterazio nc , c in vn certo modo cor jenon Lidlo fami Cold de pe urtel atem bilam ' efter dell corruzione, e così ancora tut to il Mondo . 15 L'errore d’yn altro biſo gna laſciarlo doue è . 16 Il finire della operazio ne , il ceffare dell'appetito , e dell'apprenſione , e quaſi la loro inorte , e nulla nuoce : Fa ora paſſaggio all'età,qual'è la pucrile , alladolcfcenza,al la giouentù , alla vecchiaia . Ogni ſcambiamento di cia ſcuna di queſte è morte . E per ciò ne auuiene danno ? Paſ. fa adeſſo ricercando il tempo, che ſe’viuuto fotto l'auolo ; appreſſo, quello , cheſotto la madre, dopo ſotto il padre , e trouando altre molte diuerſi tà, mutazioni , e termini , di manda a te medefimo, ſe ve alcun' nocumento . Dunque fimilmente pe manco nel finire , nel ceſſare , e nel mutarfi del total tuo viuere . 17 Rifletti alla propria tua mente, e a quella dellyniuer fo , e a quella d'altri; alla tua per farla giuſta , a quella del I'vniuerſo per rainmentarti di chi ſei parte, a quella d'altri per conoſcere , le viene da ignoranza , o da animo deli berato ; e nell'iſteſſo tempo fa tua ragione , che colui e a te congiunto.Sicome tu ſe'ſtato fatto per dar compimento al la conſtituzione d’yn corpo ciuile , così ogni tua azione compia la vita ciuile , Dun que qualſiuoglia tua amone , che non iſtà in tal modo che o proſſimamente, o remo tamente non ſi riferiſca a quc. ſto comun fine , quella fcon certa la vita , ne le permette , che continui l'iſteſſa ; ed è di M 5 più fedizioſa , quale è colui nel popolo , il quale diſtrae il fuo partito da fimile concor dia . 18 Riffc , e giuochi di figlio letti , e ſpiritelli foftenenti cadaueri ; acciocchè con più efficacia fi rapprefenti il Dra ma del martorio. Applica alla qualità del la cagione ; c conſiderala aftratta dalla matcria , dopo preferiui il tempo , in cuitale , è tal coſa in particolare ſia per più lungamente durare . : 20 Haiſofferto mille coſe per eſſerti nö ſoddisfatto del la tua mente operante quello , in ordine a cui ella fu fatta : ma queſto baſti . 21 Quando alcuno ti biafi ma , o t'odia , o con ſomiglian ticoncctri di te ſparla, rifletti all'animucce di cotoro pene tra 1 nione ? 3 tra dentro , e ſcorgi quali quel. le filiano. Vedrai, che non bi ſogna trauagliarti per l'opi ch'elli hanno dite , ma è neceffario voler loro be ne, ftante che, ſecondo la na tura, foto amici, e gl’ladij in ogni manicra li foccorrono con fogni, e vaticinij, ancora in quelle coſe , nelle qualief fi difſentono . 22 Queſti fono i rivolgi menti fotto e fopra del Mon do , da vn ſecolo all'altro. . E la mente dell' vniuerſo oli applica alli particolari , e fe ciò è , riceir volentieri ciò che quella ti porta : ouero, ſe vna volta dette la molla , e l'al tre coſe camminano per con ſeguenza , e come vna è nell' altra; perchè queſti in qual che maniera o ſono atomi, a M 6 corpi 276 LIBRO NONO corpi indiuiſibili : e in fom ma, ſe ci è alcun Dio , ogni coſa ſta bene : ſe il tutto è a caſo , e tu non le'a caſo? Fra poco la terra naſcon derà tutti noi ; appreſſo anco ra eſſa fi muterà , e quelle co fc, in cui eſſa s'è mutata, in in finito fi muteranno , e quelle di bel nuouo fi cambieranno in infinito . Perciò chi conſi dera queſti maroſi delle mu tazioni, e alterazioni, e la ve locità di quelle , diſprezzerà ogni coſa caduca. La caufa vniuerfale è vn torrente , che rapiſce il tut to . Quanto vilc e ancora queſta politicheria , e queſte faccende humane , ſe filoſo ficamente vno le conſidera , quanto ſono piene di mocci ? O huomo fa yna volta quello che ora la natura richie de . Se ti da facultà accorriui, e non riguardare fe alcuno ſe n'accorge : ne hauere fperan-. za di vedere la Repubblica di Platone : ma contentati ſe la cofa, ancorchè mcnomiffima , ti rieſce profitteuole , e l'eſito di quella conſidera non come coſa piccola. Imperocchè chì mutcrà i loro deliberamenti ? e ſenza la mutazione delli de. liberamenti , che altro farà che yna feruitù di lamentoſi , e di fimulanti di obbedire in Ora paffa auanti. Raccontami d'Aleſſandro , di Filippo, e di Demetrio il Falereo:vedran no eſſi ſe conobbero quel lo , che voleua la natura vni uerfale , e ſe inſtruirono bene ſe ſteſſi , o fe pure fecero da recitanti di Tragedia , Niu j -1 no m'ha condannato ad imi tarli: l'opere da Filoſofo fona fincerità , e modeftia ; non mi traſportare alla faftoſa graui tà . 25 Conſidera per lo paſſato gregge d'Armenti fenza nu mero, innumerabili ſacrificij e nauigazioni d'ogni forte, e nelle procelle , e nelle bonac ce ; e diuerſità di coſe , che fi fanno , che inſiemefi fanno , e che ſi disfanno . Conſidera ancora la vita già viuuta ſot to d'altri , e quella, che dopo te s'haurà da viuere, e quella, che oggidi fra barbare genti ſi viue . E quanti vifono, che non ſanno ne manco il tuo nome ? Quanti pure prefto fe lo ſcorderanno? E quanti , che ora ti lodano, di qui a po . co t’incolperanno . E coine non è da fare ftima , ne della gloria , nc d'altro tal, qual a fia . Sij tu imperturbabile in torno a quello, che da cagio ne eſtrinfeca ti auuiene , ela giuſtizia fia nelle operazioni, delle quali tu ſela cagione, cioè a dire , che habbiano i moti dell'animo , ele aziciri da terminare nell'operare conforme al ben comune, co me quello, che a te appartie ne , fecondo la natura.1 526 Molte coſe fuperflue , che ti trauagliano , puoirife gare , le quali ſono ripoſte to talmente nella tua opinione : e così yn molto ampio cam po a te ftcffo dilaterai. 27 Concepifci nella tua mē te l ' vniuerfo Mondo , e va conſiderando il ſecolo , nel quale ſci ; e medita la preſta mutazione di ciaſcuna cofa ; e particolarmente come è bre. ue il tempo dalla naſcita al diſcioglimento; quanto è im menſo quello , che è ſtato a uanti al naſcere ; e come pa rimente infinito è quello, che ha da ſeguire dopo il diſcio glimento . Tutte le coſe, che tu vedi periranno preſtiſſima mente , e quelli, che al pre fente le rimirano perire , pre ftiffimamente anch'eglino pe. riranno . E quegli , che nella decrepità fi muore , paſſerà a Atato pari con quegli , che muore immaturamente . 28 Quali ſono le menti di coloro , e a quali coſe atteſe rose per quali cagioni le ama no , ele onorano ? Reputa 11!. de l'animucce di queſti tali ; perchè hanno apparenza di C nuocere , mentre biaſimano , e di giouare ,mentre lodano . O quanto è vana queſta im maginazione ! 29 Il perire non è altro che mutazione : e di queſta gode la natura vniuerfale , in con formità della quale tutte le coſe bene ſi fanno . Ab eter no tutte le coſe ſono ſtate dell'iſtetfa forma, e così in in finito altre coſe ſaranno. Per chè dunque tu dì , che tutte le coſc fatte , e tutte quelle , che ſi faranno ſempre faranno mali? E tra tanti Iddij non mai s'è trouato niuno di tanto va lore , che poteſſe vna volta correggere queſte coſe ? ma è ſtato condennato il Mondo ad eſſere coſtretto da mali che mai non ceffano ? 30 La putredine della materia, che è ſoggetta a ciaſcu na coſa, è acqua, poluere, of ficelli,immondezza , o pur cal li della terra , come i marmi ; o feccia,comeè l'oro , e l'ar gento; o peli, come la veſte ; o ſangue, come la porpora , e tutte le altre cofe fimili . Elo fpiritello ,benchè altro , è tale, e di queſto in altre cofe ſi tra finuta . 31 Sc'viuato affai in queſta vita trauaglioſa, di mormora rione, e alla ſciiniatica. A che ti perturbiè che ci è di nuouoa che ti fa attonito . Lacaufiri, guardala. O forſe la nateriale riguarda quella , fuori di que fte non è cofa veruna: mna vna volta inuerfo gPIddij diuieni e migliore , e più piaceuole . 32 Il medefimo è , che tu habbi conoſciutoqueſte coſe per  CH sof cz. mi te ; o 2,6 Elo tra per cent'anni , o per tre . 33 Se quegli peccò, egli ha ilmale , ma forſe non peccò . 34 Certamente, come in yn corpo , da vna fonte intellet tuale tutte le coſe deriuanose non biſogna , che la parte fi quereli delle coſe fatte a pro del tutto ; ouero fonoatomi, e nient'altro : ouero yn me ſcuglio , e diſſipazione , che ti conturbi dunque? Alla men . te tu dì ſe'morta, fe’perdutå , ſe'rigettata , ti congreghi , e a modo di armenti ti pafci ? 35 O gl’Iddij non poſſono far niente , o lo poſſono. Se non poſſono a che li preghi? ma ſe poſſono , perchè più preſto loro non dimandi , che ti concedino di non temere coſa alcuna, che ſi ſia di queſte, ne di bramare quella , ne di do clie 012 che 2012 VII CITI leer le dolerti di qualſiuoglia di effe più toſto , perchè eſſe non ſi habbiano , che acciò fi hab biano.Imperocchè,ſe nel tut to poſſono foccorrere agli huomini , poſſono ancora in torno a queſte coſe giouare . Ma forſe dirai. Poſero gl'Id dij queſte coſe in mio potere. Non è dunque meglio valerſi con libertà di quello, che de pende da te , che laſciarti di ſtrarre con feruitù , e baſſezza intorno a quello , che da te non depende ? Machi ti diſſe , che gli Iddij non aiutano in quelle coſe , che ſono in no ſtro potere ? Comincia dun que a pregargli intorno di effe e vedrai. Prega il tale diccn. do: come potrò io godere co . lei ? tu anzi dì; come potrò io non deſiderar di goderla ? vn altre dichi 11001 Thebe elcut e agli Ora in Quare 8 !!!! Orere valení hede altro: come mi libererò io da colui ? tu dì: come non haurò biſogno di priuarmene? vn al. tro : come non perderò il fi gliolino ? tu dì : come non temerò di perderlo ? In ſom ma in queſta maniera indirizza le tue preghiere, c conſidera che ne ſuccede. 36 Dice Epicuro : Nella malattia i ſuoi diſcorſi non ef ſere ſtati intorno alli pati menti del corpicciuolo i ne meno con quelli , chelo viſi tauano hauer di coſe ſimili fa . uellato : ma hauer ragionato filoſofando ſopra la naturą delle coſe premeditate; tutto intento a queſto , cioè, come. partecipando la mente di co tali mozioni , ch'erano nella carnuccia, ſteſſe imperturbabi. le conſeruando il proprio be ortida lezza dar idilli 110 i in no dur dielli dicas reca troi tre ne. Ne hauer dato occa fiorea' medici, che ſi vantaſſero d'ha uer operato qualche coſa, ma che contuttociò ſe n'andaua tirando'auanti la vita tran quillamente,e bene.Il medeſi. mosch'egli fece in quella ma lattia, tu hai da fare, ſe ti ſen . tiffi male, o ſe ti trouaſſi in al. tro trauaglio . Poichè il non partirſi dallaFiloſofia in qual fiuoglia cofa , che vada acca dendo ; e il non applicare alle bagattelle degl'idioti' , e fofi fti è comune diqualſiuoglia fetta , è di ſtar fiffo ſolo nella coſa, che al preſente l'huomo fase nello ſtrumento permez zo del quale ſi opera :" ) 37 Se vienioffeſo dalla sfac. tiạtezza di alcuno, ſubito in : terroga te fteſfo : Può forſe il Mondo eſſere ſenza sfacciati non 0 ca fara ' cobs vanda ta tra ētiles trinal non può . Non ricercare dunque l'impoſſibile : poſcia chè queſti è yno di quelli sfacciati, i quali è neceſſario, che ſieno nel Mondo. L'ifter ſo ſia del macchinante, e del l'infedele , e di qualſiuoglia vizioſo. Habbi qucſto ſempre in pronto ; Quando ancora ti ricorderai eſſere impollibile , che tal forte di gente non ſia, tu ſarai più placido iuuerfo ciaſcuno di eſſi . Sarà pari mente gioueuole il conſidera. re ſubito qual virtù habbia dato la natura all ' huomo contra di queſto vizio : men tre ha dato , come antidoto contra l'ingratitudine, lc mã , ſuetudine , come contra d'vn altro qualche altra virtù . E ſopra tutto t'è lecito di diſin gannare chi errò . Ora ogni aqual 1107 ve all chat uoghi JOMO m.cz sfac it feil nii 10 ,no,che erra , Si deuia da quel, che gli fu propoſto , e va va gando . E poi in che ſe'ſtato danneggiato ? poſčiachè tro uerai ,, che niuno di coloro , contro de'quali tu ſei eſacer bato , habbia operató tal fat to,dal quale la tua inenté po teiſe cffere peggiorata ; men tre in queſto è ogni ſuſſiſten zadel tuo dannose malé.Che đi male , o di ſtrano è ſtato fatto , ſe vn'ignorante opera da ignorantc ?Guarda,che tu non habbi più toſto a ripren dere te ſteſſo del non hauer hauuto riguardo , ch'egli for: fe per commettere tal man camento ; done tu haueui i motiui della ragione à conſi derare, ch'era veriſimile; che quegli in tal modopeccaſſe : E nientedimeno ſcordato ti maAtato 170 1001 opo per ter marauigli, ch'egli fia caduto? quel principalmente quãdo tu l'ac. the cuſi, come d'infedele , o d'in . grato, rifetti in te ſteſſo :con cioſliecoſache più che manis oros feſtamente l'errore é tuo , ſe credeſti , che yno sin tal mort fue do diſpoſto , e haueſſe ad of feruare, la fede ; e ſe facen dogli delle grazie , non le haidate coinpitamente, ne in che modo da riceuere dall'iſteſſa tua azione tutto il frutto ſu bito . Perchè qual coſa più deſideri , che di hauerbenefi cato vn'huomo? e ciò non ti baſta, che tu hai operato coſa conforme alla tua natura ? e di quefto ricerchi lamercede ? come ſe l'occhio domandafle la ricompenfa , perchè vede , ei piedi perchè camminano . E fi come queſti membri ſo N no 7210 Toy tell for 2014 alf che Te ! 2 ho farti a queſto effetto , e ſe condo la loro conſtituzione operando si ne ritraggono quello che è loro proprio : così l'huomo dalla natura pro dotto benefico , quando be nefica , o nelle coſe mezzane coopera, ha operato, ſecondo la fua condizione , e ottiene quello , che a lui ſpetta . Fine del Libro Nono . LI 10 291 180 ,CH tituziar TAGION propri cura on do be 70272 cond l’Anima ſarai tu mai Ovna volta buona, e ſemplice , e vna , e quda, più ſplendida del corpo , che ti circonda guſterai tu giammai della diſpoſizioneamicabile e caritatiua quando farai pienamente fornita,e von bi. fognofa, e di niente altro de fideroſa , e di niente o ani mato , o inanimato anida, per N 2 prender piaceri ? ne di temo Po , nel quale più lungamen te habbi da fruire : ne di luo go , o paeſe, o buona tempe. rie d'aria : ne d'huomini au uenenti ; ma ti compiacerai del preſente ſtato , e goderai di tutte le coſe a te preſenti , e inſieme perſuaderai a te Itefla , che tutto ciò , che ti fia dauanti , tutto bene ti ſtia , e che dagl'Iddij a te venga , e ti parrà bene tutto quello , che a loro piacerà', e quello , che da loro ſi concederà s'in riguardo della ſalute , e con ſeruazione d'vn animal per ferto, buono, e giuſto , ebel los é quello , chetutte le co fe genera; contiene, circon da , e abbraccia , le quali fi diſſoluono , generando altre cofe fimili . Sarai dunque finalmente talc , che tu ſij atta à viuere in cittadinanza con gl’Iddij, e con gli huoinini in modo che tu non c'habbi da dolere di quelli in coſa alcu na , ne quelli t'habbiano a condannare . 2 Oſſerua quello, che la na tura tua richiede in quanto dalla mera natura vien diret to : poſcia fa quello , cab ) braccialo , fe la natura tua , 7 come diviuente , per queſto non ſia da peggiorare • Ha urai daoferitare appreffo ,che 1 coſa richieda la natura tua , come di viuénte, e tutto ciò f hai da riceuere , ſe da queſto la natura tua come quella d'un animal ragioneuole , , nó fia perdiucnirne peggiore, e'l ragioneuole, nell'iſteſſo tempo ancora ciuile . Ditali 01 N 3 regole ſeruendoti non andar cercando altro curioſamente . 3 Tutto ciò , che e ' auuie ne, o in modo ti fuccede che ſij per natura abile a com portarlo , o pure a non com portarlo . Se dunque t'accade nella maniera , che puoi fof. ferirlo , non l'haucre a male ma ſopportalo,fecondo chefe naturalmente idoneo'; fe poi non fe'idoneo per fofferirlo , aðn ti diſguſtare: perciocchè, confumando té , confumerà fe parimente . Niente dimet no ricordati , che tu ' se fatto per fofferirc ognicoſa ; ' eche ſia in potere della tua opinio ne di farla tollerabile , cfof. feribile, fecondo il concerto che farai, che quello ti con feriſca , o che ti conuenga ſofferirlo . 4 SC  Ja | 4 Se qualchuna erra man fueramente s'ha da inſtruire , e moſtrargli quello , ch'hab , bia traucduto . Però ſe ciò non ti rieſce , la colpa è di te ſteffo , anzi ne meno di te ſteſſo . 5 Qualunque coſa c'auuie ne , queſta ab eterno ti ſi prc . paraua , e l'intralciamento delle cauſe fin dall'eternità fi aggomitolaua inſieme con Peffer tuo , e con quelli au venimenti. 6 O fieno gli atomi , o ſia la natura , ftabiliſcafi primie ramente che io ſon parte dell'yniuerfo , che la natura gouerna ; appreffo, che io ho vna famigliarità in vn certo modo con le parti della me deſima forte; pofciachè ricor dandomi di queſte coſe , in quan 40 TO ON ng N quanto io ſon parte,non pren derò a male coſa alcuna , che venga compartita dall'vni uerlo : concioffiecofache ni ente , che conferiſca all'vni. uerfale può nuocere alla par te :imperocche non vi è coſa , che all'vniucrfo non conferi ſca.E ciò hanno comune tutte le nature ; e quella del Mondo ha queſto di più , che da niu na cagione eſtrinſeca può ef ſere forzata a produrre cofa alcuna a ſe nociua ; e ſecondo quella ricordanza , che io fon parte di talvniuerfo, mi com piacerò ditutto ciò , che au uiene ; e ſecondo che io ho fi fatta famigliarità colle parti , della medeſima forte , non o pererò coſa , che non ſia co municatiua con queſte , ma più toſto porrò mira alle parti della medeſima forte , e condurrò ogni mia inclina zione all'vtile del comune , e dal contrario me ne ritrarrò Queſte cofe così da te con dotte , ne ſegue neceffaria mente, che ci traſcorra la vi ta felice,quale ſtimereſti quel. la d'vn citttadino , che gui daſſe il ſuo viuere in azioni vtili a i cittadini , c.abbrac ciaſſe tutto quello , che dalla città a lui determinato viene. 7 A tutte le parti dell'vni uerſo , quelle dico , che il Mondo contiene , è di necel ſità il corromperſi ,cioè a di re, l'alterarſi, ma ſe aggiungo, ciò , che loro è necellario , el fere dannoſo, non ſi gouerne rebbe bene l'yniucrfo , eſſen do le parti di lui nell'altere zione diſpoſte a corromperſi in diuerſe maniere Diremo N dun 5 298 LIBRO DECIMO dunque, o che la natura ftef- . ſa intraprendeſſe a fabbricare il male alle ſue parti , e le fa ceffe fuggette al male , e che di neceſſità caſcaſſero a far il male , o'che inconſiderata mente non s'accorgeſſe , che le faceffe tali : ma ne I'vno' , ne l'altro certamente è da credere . E ſe qualcheduno laſciando da yn canto la nas voleſſe dir , ch'effe ſom no così nate , quanto ſarebbe ridicolo nell'iſteſſo tempo il dire , che la naſcita loro le porta , come parti dellyni uerſo ,alle mutazioni, e in ſieme marauigliarſi, e hauer ciò a male , come ſe auuenifs ſe fuori della natura dell'yni. uerfo ? Tanto più , che la dif ſoluzione vien fatta in quel le coſe , delle quali ciaſcuna è com DI MARCO ANTONINO 299 è compoſta , e conſiſte . Im perocchè , o è diſgregazione degli elementi , dequali le coſe eran permiſchiate , o conuerſione del folido nel terreſtre ; o dello ſpirituale nell'acreo , in modo , che queſte coſe fi ritornino nella ragione dell'vniuerfo : o è che dopo più periodi di temu ро ſe ne vada in fuoco , o po re con perpetue viciffitudini fi rinnuoui. E queſto folido , e queſto ſpiritale , non t'im maginar , che fia dalla prima naſcita , perchè tutto queſto l'altro giorno , o al più tre di fa dall'alimento ; e dall'aria attratta riceuè l'accreſcimen to . Dunque queſto , che ri ceuè fi muta, non quello che la madre partori; e,fupponi, che - quello ti riduce affai N 6 vicino alle qualità del ſug getto particolare , che a ri ſpettodi quello , che ora fi dice , ſecondo la mia opinio , ncé nicnte . 8 Quelli titoli , che ti se poſto dibuono , di modeſto , di verace , d'accorto , dipru dente , di magnanimo , au uerti che giammai non ti ſi cambino, e,ſe li perdi , ſolle citamente torna a ripigliarli . Ricordati, che col nome d'ac corto ti ſi ſignifica l'attenzio ne, che tu deiporre per com prendere diſtintamente ciaf cuna coſa ſenza abbarbagliar. ti la mente : con quel di pru dente , la ſpontanea approua zione delle coſe , che dalla natura comune vengono di Itribuite: con quel di magna. nimo , l'alcanzamento della particella del fenno ſopra i moti della carne , ſieno aſpri, o morbidi , intorno alla glo rietta , intorno al morire , o a coſe si farte . Se dunque tra queſti nomiriſtrigni te ſteſſo , e di riceuer queſti titolida al tri non ambirai , farai yn al tro , e darai principio a dif ferente vita . Concioſliecofa che il proſeguire d'eſſer come finora ſe'ſtato , e ſtraſcinarti in tal vita , e imbrattarti , è da troppo inſenſato , e da in namorato del viuere , e da fi mile a quelli che, combatten do colle beſtie, reſtano ſmoz zicati , i quali,pieni di ferite , e di marciumi, ſi raccoman dano ad eſſere riſerbati fin ål giorno ſeguente,per rigettar fi di nuouo , così come ſono alle medefime'vnghie , e zan ne. Interna dunque te fteffo nella confiderazione di queſti pochinomi, e ſe puoi man tenerti in quelli,fermati, qua fi traſportato a ſtanziar' inal cuna dell'Iſole Fortunate.Ma fe t'accorgi chetu ſcappi fuo. ra , e non reſti ſuperiorez riti. rati con ardimento in qual che cantone , doue fignoreg gerai, quero in tutto eper tut to eſci di vita , non iſdegnan doti, ma con ſemplicità , li bertà , e modeftia ; mentre non hai pretefo altro in queſta vita che di cosi vſcirne . A conſeruarti peròla memo ria di queſti titoli grande mente t'aiuterà il rammentar. ti degl'Iddij ; e come quelli non vogliono eſſere adulati , ma chei ragioneuoli tutti so afſomiglino a loro . E come ! 1 il fico fa quello , che appar tiene al fico , e'l cane opera da cane , e l'ape da ape , così Phuomo da huomo . 9 Il giullare, la guerra, lo , sbigottimento, il terrore , la feruicù ſcancelleranno coti dianamente da te que' ſacri decreti,che tu eſaminator del la natura ti fe'nella mente tra ſmeffo coll'immaginazione . Però abbiſogna conſiderare il tutto , e operare in modo che inſieme s'habbia da adempie re quello, che la congiuntura porta, e che nell'iſteſſo tempo ciò che s'è fpeculato ſi metta in opera ; e la franchezza , che s'acquiſta dalla ſcienza in torno a ciaſcuna coſa , fi con ferui occulta sì , ma non - for terrata . Dunque quando go derai della ſemplicità ? quai do della grauità d e quando della notizia di ciaſcuna coſa in particolare, quale ſecondo la ſua ſoſtanzia ella fi fia , e qual luogo habbia nel Mon do , e per quanto debba du rare , e di quali coſe ſia com poſta , e chifia' per hauerla , e chi fienoquelli che poſſono darla , e ritoglierla a · 10 Il ragnetto grandemen te s'infuperbiſce per hauer predato vna moſca : ma vna perſona pervn leprotto, altri per vn'alice prefa nella rete , e altri per i porcaftri , . vn'al tro per g’orſie altri per i Sar . mati. Non faranno queſti la droni fe eſaminerai i conce pimenti della mente loro ? 11 Seruiti del metodo fpe culatiuo , oſſeruando , come tutte le coſe in fe RECIPROCAMENTE fi trafinutano , e di con . tinuo ſta applicato,e intorno a queſta parte eſercitati ; im perocchè niuna coſa ti cagio nerà altrettanto la magnani mità . Del corpo ſi Spogliò . E conſiderando , come ben pre ſto partendo dagli huomini, gli biſognerà laſciar'il tutto , ſottopoſe intieramente ſe ſteſ ſo alla rettitudine ' , nell'ope rar quello , che da luidepen de , e alla natura dell'vniuer ſo negli altri accidenti . Ma che dica alcun di lui , ouero creda , o faccia contro di lui , ne pur colla mente vi bada : contento di queſte due coſe , dell'operare giuſtamente ciò che al preſente opera ; e di compiacerſi di quello , che a lui preſentemente vien diſtri buito , e libero da ogn'altra occupazione , e ſtudio , non altro vuole che paſſarſela dirittamente in vigor della legge e ſeguir Dio ,che a dia rittura cammina . Perchè hai da vſare il ſoſpetto , quando ti è lecito di conſiderare quel che ſi dee operare e fe lo conoſci , proſeguirai in quel lo dibonariamente , e fenza mai voltarti indietro : ma fe tu non lo conoſci , trattieni il giudicio , e feraiti di confi glieri ottimi. Se poi ii ſucce dono in contrario di queſto altre coſe , cammina pruden temente fecondo l'occaſioni , che ti s'offerifcono,adcrendo al giuſto, che fecondo l'appa renza ti fi porge innanzi: per chè è boniffima coſa arriuare a quello, nel quale il non ac certare ſia caduta . Quegli , che in tutto ſegue la ragione è inſiememente agile, e poſa to , e vnitamente viuace, e co Itante . 12 Subito che dal forno ſe fuegliato interroga te fteffo , ſe hauratti a importare , che quello che è giuſto é, retto , da qualch'altro fi efeguiſca ? Non t'haurà a importäre . Ti fe'forſe ſcordato, che queſti , i quali ſi vanagloriano nelle lodi, e ne biafimialtrui , tali ſono nel letto , e tali nella menfa : e quali coſc fanno , quali fuggono , quali ambi fcono , quali naſcondono quali rapiſcono', non con le mani, o'con i piedi , ma con la digniffima parte di loro , colla quale ,volendo jacqui ftar potevano la fede, la mo deſtia , la verità , la legge, e'l buon genio . 13 Il ben diſciplinato , e modefto,dice alla natura,che da il tutto , e riceue: Da ciò che vroi,ritogli ciò chevuoi:ne queſto dirà con tracotanza , ma con pura obbedienza pienezza di gratitudine verſo quella . 14 Poco è quello che ti re ſta ;paſſalo come tu ſteſſi in vn monte : imperocchè niente importa che qui , o lì fi ftia , quando doinunque fi fia , s'ha da viuere nel Mondo , come in vna Città . Veggano , eri conoſcano gli huomini yn huomo vero , che viua con forme alla natura . Se non lo ſopportano , l’ýccidino: per chèqueſto èmeglio che viuer nella maniera di quelli. !! 15 Tu non timpiegherai più tutto in difcorrere qual fia, l'huomo dabbene , ma proccurerai d'eſſer tale . 16 Conſidera del continuo tutto l'euo e la ſoſtanzia vni uerſa ; e comeognicoſa par ticolare riſpetto alla ſuſtan zia è come vn granello di mi glio ; e riſpettoal tempo vn roteare di trapano : e appli. candoti a ciaſcuna delle coſe prelenti, conſiderala già nel disfacimento , e nellamuta zione , e comenella putrefa zione,o diſlipazioncs o ſecon do che ciaſcuna coſa è ſtata fatta in ordine al finire. Con. ſidera quali fono quelli , che, mangiano,che dormono, che attendono alla generazione , che mandano fuori gli cſere menti , t. altre coſe fimili : appreſſo quelli cheſignoreg : giano gli huomini , e s'inſu perbiſcono , o li ſdegnano , e come fuperiori inſultano , e pure poco innanzi a quanti feruiuano , e per quali occa fioni, e di quì a poco in che fi ridurranno 17 Ad ognuno conferiſce quello , che apporta a ciaſcu no la natura dell'vniuerfos, e allora conferiſce quando ella l'apporta . La terra ama-cer. tamente la pioggia, amaque ftaianco l'almo etera , amai Mondod’eſeguire quelloche ha da effere lo dico dun que al Mondo : '10 ti Tono compagno nell' amore . Non fi fa ancora queſto se fi dice ; che s'ama di far quefto ; 0 quello 18 O quà tu viui , e a queſta vita fei di già accoftumato , o elci di effa, e ciò era quello , che tu voleui , e hai finito l'officio tuo ; fuori di queſto non c'è altro . Dunque ita di buon animo . 19 Habbi ſempre per cui dente , che ogni luogo è fi mile ad vna campagna, e che tutte le coſe rieſcono le me. deſime a chi ſtia fopra ad vn alto monte , o sul lido del mare , o douunque ti piaccia . Perchè chiaramente incon trerai da pertutto quello che diſie Platone : la greggia Ata torniata di fiepi? ful monte 501 Che coſa è in me la mérite mia 2 e quale ora io la fac cio ? Ache di quella di pré fente mi ſerito a forfe, che è qualche coſa vacua d'ogni in telligenza ? forſe è qualche cofa diſciolta, e diſtratta dalp accomunamento di forfu qualche coſa liquefatta,e me ſchiata nella carnuccia ,ſicchè habbia da commutarſi con quella ? 20 Chi fugge dal padrone chiamafi feruo fuggitiuo: la legge è la padrona, echi ope ra contro la legge , é fuggiti. uo . E inſieme , chi ſi da alla malinconia , o alla collera , o al timore , per qualche coſa delle ordinate , che già ſon fatte , o fi fanno , o ſono per farſi da quello, che governa il tutto , che è legge, così det ta dal diſtribuire a ciaſchedu no quello , che gli vienę. Chi dunque fi daal timore; o alla malinconia , oall'ira è feruo fuggitiuo 21 Depofto che alcuno ha lo ſperma nell'utero , fi dipar tegte appreſſo , qualch'altra cagione raccogliendolo , lo perfeziona , e compie il feto : di qual materia ? è quale è ? ſimilmente tramiſe l'alimento per la gola , e poi qualche altra cagione raccogliendolo, produce il ſentimento, l'ap petito , la vita , e la robuſtez za , e altre coſe ( c quante , c quali ? ) Biſogna dunque, che tu contempli quelle co fe , che ſotto tal copertura ſi fanno, e in queſta manicra ri conoſcere la facultà come noi vediamo, c quella cheaggra ua , e quella cheſolleua, non con gli occhi, ma non meno euidentemente. 22 Del continuo conſidera , come tutte le coſe ſono tali , quali ora ſi fanno, e già ſono ſtate; e conſidera quelle , che ſono per eſſere , erappreſen O tatele auanti agli occhi come intiere fauole , e ſcene , cun forme alle coſe le quali o per tua eſperienza , o per antichi racconti ti fono note . Verbi gratia tutta la Corte di Adria no, tutta la Corte di Antoni no, tutta la Corte di Filippo , di Aleſſandro , di Crefo , poi chè tutte quelle erano l'iſteſ fe , che queſte , variando ſolo ne'perſonaggi. 23 Immaginati , che que gli, il quale per qualſivoglia coſa ſi rammarica , e s'afflige, è fimile ad vn porcello , che fi macella calcitrante , e gru gnente ; ne è diuerfo chì pian. ge ſolo ſopra il letto con ſi lenzio la noſtra dappocaggi ne ; e immaginati , che al fo lo animal ragioneuole è con ccduto d'accomodarſi volon ta  hi vol blo tariamente agli accidenti , e l' accomodarli ſemplicemen te è a tutti neceffario. 24 In ciaſcuna delle coſe , bi che tu operi applicando a parte a parte la mente, in tcrroga te ſteſſo , le la morte 01 pare terribile a cagione , che habbiamo a reſtare priui di e quella tal cofa . 25 Subito, che tu ti offendi per l'altrui peccare ,, rientran do in te ſteſo , fa tua ragione, 111 ſe in caſo fimilcru erri : come a dire giudicando, che ſia co fa buona la moneta , il piace re , e la glorietta , e altre co ſe sì fatte. Perciocchè con fi qneſta conſiderazione preſta mente ſmorzerai la collera , venendoti inſieme in mente , che colui opera forzatamen te . Che ha egli dunque da fare? ſe è in tuo potere , libe ralo dalla violenza. Vedendo Satirione, vno de Socratici , immaginati o Eutichete , o Himene : e ve dendo Eufrate , immaginati di vedere Eutichione , o Sil uano : e vedendo Alcifrone , di vedere Tropeoforo ; e ve dendo Senofonte , immagi nati Critone , o Seuero : e ri mirando te ſteſſo , immagina ti qualcheduno de ' Ceſari , e in ciaſcun altro qualche coſa {imile a proporzione . Ap preſſo ti ſouuenga , doue ſo -no dunque quelli? o in nilt no , o in qualſiuoglia luogo . Così di continuo vedrai le coſe humaneeffer fummo, vn nulla ; maſſime fe eandrai rammentando , che il mu tato vna volta per tutta l'infinità de'ſecoli non tornerà ad accadere . E tu quanto tem po ſtarai a mutarti ? perchè dunque queſto breue tempo non ti baſta per degnamente paſſarlo ? qual materia, e qual foggetto abborriſci ? che al tro ſono tutte queſte coſe , che eſercizij della ragione, la quale accuratamente ha con fiderato , e diſcorſo ſopra la natura di quello , che è nella vita? Perſiſti dunque finchè tu ti renda famigliare queſti , in guiſa d'vn gagliardo ſtoma co che ognicofa abbraccia , e come il chiaro fuoco di qua lunque coſa , che tu gli butti dentro ne forma fiamına , e fplendore . 27 Non poſſa alcun veritie ro dire di te , che tu non se {chietto , o huomo dabbene 72 el ܛ ܬܨܝܬ Il Do le ai 0 3 .ma mentiſca chiunque di te ha fimile opinione . E rutto queſto è in tuo potere . Per chè chi t'impediſce , che non fij huomo dabbene , c ſchiet to ? A te folo ſta lo ftatuire di non voler viuer più , ſe tik pon farai tale : imperocche non comporta la ragione , che tu non ſij tale . 28 Che coſa è , che ſi pora fa intorno a queſta materia rettiſſimamente operare , je dire ? qualunque coſa queſta fia è lecito di farla , e dirla , e non metter préteſto d'effe re impedito . Non prima cef ſerai di lamentárti , che tu ſij ridotto a queſto , che quale è agli huomini voluttuoſi il luſſo , queſto è a te l'operare nella ſoggetta , e ſommini Itrata materia , conneniente alla conſtituzione humana Imperocchè s'ha da concepi re perdelicia tutto quello , che farà lecito d'operare con forme alla propria natura , e queſto è lecito in ogni luogo. Perchè al cilindro non è con ceduto di portarſi per qualſi uoglia luogo col proprio mo. to , come ne meno all'acqnas ne al fuoco , ne ad altre coſe , le quali ſono rette dalla na tura, o dall'anima irragione uole ; eſſendo molti li rat tenimenti , e gli oſtacoli:ma la mente , e la ragione può . penetrare pertutti gl'impedi menti, ſecondo la ſua natura , e a ſuo beneplacito . Queſta facultà , poſta che tu te Phai innanzi gli occhi , fecondo la quale la ragione potrà portar fi per tutto , come il fuoco in 04 alto , come la pietra al baſſo , come il cilindro per dio , nicnt'altro ricerca. Per chè gli altri impedimenti che. procedono o dal corpo , ch'è yn cadauero , o ſenza l'opi nione , e inchinamento dell' iſteffa ragione , non fanno . leſione, ne apportano danno alcuno , altrimente a yn trat toil patiente di quello diuer rebbe cattiuo : perciocche in tutti gli altri apparatid'opera, quel danno , che ad alcuno auuiene rende peggiore quel lo , che lo patiſce . Ma quì , le è lecito il dirlo , ſi fa l'huo. mo migliore , e più degno di lode , ſeruendoſi rettamente di queſti incontri . In ſomma ricordati, che a colui, il quale è per natura cittadino , nien te nuoce , che alla Città non 1 nuoca: e a queſta non fa dan no chi alla legge non fa dan no . E niuna di queſte , che chiamano difgrazie offende la legge . Quello dunque che non offende la legge , non offende ne la Città , ne il cittadino , - 29 A quello che gia è toc co da veri dogmi , è fuficien te ogni piccoliffimo, e ordi nario incontro per ricordarli di sbandire ogni dolore , e ti more . Quale è queſto ? Delle foglie altre il vento a terra abbatte, Altre produce il verdegiante bosco ; Quando la primauera fa ritorno. Cosi ſuccede alla natura lumana', Che mentre Spriiita l’vil , l'altro ; dien em . Fogliucce fono i tuoi figlio lini : fogliucce ancora que fti , alle acclamazioni de qua 70 ol 70. di ite yle 00 05 322 quali ſi da tanto credito , e che parlano bene del fatto tuo ; o pure per lo contrario quelli , che maledicono , o tacitamente biafimano , o di leggiano:fogliucce ſimilmen te ſono quelli, i quali aderi ranno alla tua fama dopo la tua morte . Perchè tutte que fte coſe naſcono al tempo della primavera, dopo il ven to le butta a terra , e appref fola felua in luogo loro altre produce. La breuità del tem po'è a tutti comune. Ma tu ogni coſa fuggi, e appetiſci tutte le coſe , quafi chefoffero per eſſer perpetue. Tra poco tu ferrerai gli occhi , e vn al tro piangerà quello , che ben preſto ti porterà alla ſepoltu . 30 L'occhio fano è dime ra . Itie ftiere , che veda tutte le coſe viſibili ; e non dire : Amo ve dere il verde , che queſto è perchi patiſce di viſta ; e l'v dito fano , o l'odorato biſo gna , che ſieno pronti a tutte le coſe da vdirſi, e da odorar fi ; e lo ſtomaco ſano a tutte le cofe , che nudriſcono : pa rimente , come yna macina dee eſfer ammannita per tuta te le coſe da macinare , nell' ifteſſo modo la mente ſana dee effer difpoſta a tutti gli auuenimenti ; maquella , che dice : Sieno faluii figliolini , e tut ti lodino quello, che io farò ; fono occhio , che cerca il verde , o denti , che cercano il tenc ro . · 31 Niuno è talmente feli . ce , che qualcuno di quelli , che ſi truouano alla ſua morte O 6 non ſia per godere di qucl . cattivo accidente . Era egli di valore , era fauio ? non fa rà alla fine chi del medeſimo fra feſteffo dica ? reſpireremo pur una volta da queſto pedante , Non era faſtidioſo con alcuni di noi, ma io m'accorſi , che tacitamente ci riprendeua . E queſto d'vn huo mo di valore;main noi quan te altre coſe ci ſono , per le quali molti bramano liberarſi da noi ? queſto dunque confi dererai nel punto del morire ; e meno trauaglioſo ti riuſcirà diſcorrendo come ſegue. Da quella vita io parto , dalla quale quelli , che meco co municano , e per li quali ho trauagliato intante cofe , ho pregato , m'ho preſo tanti penſieri, quegl'iſteſſi deſide rano ich DO 100 Ilo son O le rano , che io me ne vada, fpe randone facilmente da que ſto qualche ſollieuo . Chi dunque non saccomoderà a non far più lunga dimora in queſte parti? Non partirai per ciò da quelli men verſo foro benigno ; majconſeruando il proprio tenore , amoreuole , beneuolo , e propizio : e non come ſe foſli per forza ſtrap pato , ma come a quegli, che felicemente trapaſſa , facil mente l'animuccia ſi diſtacca dalcorpo , così biſogna , che fi faccia queſta ſeparazione. dalle coſe preſenti ; giacchè la natura con quelle ci vnì , e congiunte . Doue ora ti diſ giugne ? mi diſgiungo perciò, come da famigliari, non già con renitenza ,ma fpontanea mente ; poichè queſto anco rfi [ rà 12 y 0 0 ti ra è vna delle coſe conformi alla natura . 32 In tutti gli atti , che da ciaſcuno ſi fanno , cerca d'af fuefarti, per quanto c'è poſsi bile, di ricercar dentro di te: Il tale fa quefto , per qual ca gione ? comincia però da te medeſimo , e printieramente eſamina te fteſso . Ricordati , che , comequelle cordicine , che tirano i bambocci , non appaiono , così quello , che t'addolora , è dentro nafco fto . Quello è la perfuafiga , quello è la vita , quello , ſe conuiene cosi dirlo , è l'huo mo .Non fantaſticar dunque di quello , chea guiſa di vafo ti circonda, e di queſti inſtru mengucci , che attorno a te fono formati; poichè queſti ſono ſimili all'aſcia , folo in 1 1 ciò diffcrenti , che ſono con naturali . Mentre ſenza la ca gione , che gli muoue , e rat ticne , non è maggior l'vtile , che da queſti membri s'ha , di quello , che ne ha la teſli trice dalla fpola, gli ſcrittori dalla penna , e dalla fruſta i ! cocchicro. E proprietà dell'anima ragioneuole ſono , il ri mirare ſe ſteſſa, ſe ſteſſa minu tamente ricercare, fare fe fter ſa quale più a lei piace:il frut to,ch'ella produce lo produce a ſe ſteſſa ( giacchèi frutti del. le piante , e ſimilmente quelli degli animali , altri godono ) in qualunque luogo le ſoprau uenga il termine della vita , arriua ella al fuo proprio fine: non come ne i balli , e nelle rappreſentazioni, e in fimili coſe , nelle quali, ſe qualche impedimento s'intrapone,tut ta l'azione rimane imperfetta : ma ella in qualſiuoglia parte, e douunque s'interrompa ,ren de tutto quello che ſe le pro pone innanzi perfetto , e non biſognoſo di coſa alcuna; ſic chè può dire ; lo poſſiedo il mio . In oltre , traſcorre per tutto il Mondo , e per lo va cuo, ch'è intorno ad eſſo , e al la di lui figura : ella s'eſtende nell'infinità de'ſecoli , eleri generazioni di tutte le coſe , che a certi giri de' tempi ſi fanno , comprende, intende , e diuiſa , che niente più di nuouo ſono per vedere i po ſteri , e niente di più videro i . noftri aſtepaſſati: ma in certo modo chi haurà quaranta an ni, s'ha fior d'ingegno, haurà veduto tutte le coſe paffare , future , per la ſomiglianza tra effe. Di più è proprio del l'anima ragionevole amare il proſſimo, effer verace , mo deſta , e non iftimare niuna co . ſa più di ſe ſteſſa . Il che è proa prio ancor della legge . In queſta maniera tra laretta ra giòne , e tra la ragione del la giuſtizia non è differen za . 2 Sprezzerai il canto Infin gheuole , il faltare , e'l pan crazio , cioè l'eſercizio degli atleri : ſe tu ſpartirai la voce armoniofain ciaſcuno de'tuor ni, e in qualſiuoglia di quelli interroga te fteffo : Se da quel lo tu refti vinto ; perchè in ve ro te ne vergognerai . Nell' eſercizio del ſaltare farai l'i ſteſſo a proporzione, a cia ſcun moto, egefto; il medefi mointorno al pancrazio . In ſomma, in tutto quello , che e fuori della virtù , o da quel la non deriua , ricordati di traſcorrerlo a parte a parte; e con la diuiſione di quelle ver rai a vilipenderlo . E queſto l'hai da traſportare allvſodi tutta la vita 3 Quale è l'anima , che ſta pronta, fe già bifognaffe , a fcioglierſi dal corpo , o eſtin guerſi , o diſliparfi , o a rima nerui ? pronta , dico , ma che tal prontezza prouenga da vn particolare diſcernimento di mente ,non da vna nudacapar. bietà , comeè quella de'Chri ſtiani , mi conprudente diſ corſo , e maturità da poter ciò perfuadere ad altri ſenza tragica impreſione, 4 Operai qualche cofa ap partenente al comune ? Dun que n'ho ritratto dell'vtile . Queſto ſia fempre alla mano in ogni occorrenza,fenza mai traſcurarlo. Qual'è il tuome ſtiere ? l'eſſer buono ; ma que fto non ſi fa bene, ſe non per mezzo delle fpeculazioni, e maſſime, o intorno la natura . dell'vniucrfo , oltero intorno la propria conſtituzione della huomo. 5. Al principio furono in trodotte le Tragedie , per rammemotar agli huomini gli accidenti ; e che queſti così naturalmente, loro fogliono auuenire . E acciocchè quelle coſe , che ſu le ſcene vi ricre aſſero l'animo , non vi contri- , ftal ila NO jai 76 il Her e ftaffero nella ſcena maggio re , Perchè vedete eſſer così neceſſario che queſte coſe in cotal modo ſi terminino ; e così le comportano quelli, che eſclamano:Oh CitheroneE fi dicono alcune coſe vtil mente da quelli , che com pongono ii Drami , quale è particolarmente quella . Che di me cura , ne de’mieifigli uoli . Non ſi prendan gl'Iddi ragion il vuole E parimente Che con le coſe diſdegnar non lice . E Cheſi mieta la vita,come ſuole Matura spiga . 119 e altre coſe ſimili. Pure dopo la Tragedia fu introdotta l'antica Commedia hauente vna libertà di maeſtreuol 10 2 Blo cer li si 0 mente correggere , rammen tando non inutilmente col fuo retto parlare la modera zione del faſto ; al quale me defimo fine in qualche modo Diogene ſe ne valeua . Dopo queſta conſidera quale è la Commcdia mezzana ; e ap preſſo la nuoua , a che fine fu poſta in vſo , o come a poco a poco per l'arte , e applica zione dell'imitare ſubcntrò ; mentre ſi ſa, che anco da que TE fte fi dicono alcunecoſe gio fe ueuoli; ma l'vniuerſale inten to di tal forte di poeſia , o rappreſentazione mimica a qual ſegno hebbe la mira ? C 6 Come truouafi euidente non ci eſſer altro modo di vi PE vere tanto a propoſito per fi po loſofare di queſto, nel quale VE tu se'di preſente ? to ta 7 II zenu co TIE • H 0 - Mode 7 Il ramo non ſi può ſchian tare dal vicino ramo , ſe non fi diſtacca inſieme da tutta la pianta ; cosìyn huomo non ſi può difceuerare da vn altro huomo, ſe non ſi ſepara dalla comunione . Il ramo dunque Jo diuide vn altro , ma l'huo mo li ſegrega da per ſe ſteſſo dal proſſimo, con odiarlo , e renderſigli auuerſo. Però non ſi auuede , come dalla gene rale cittadinanza ha ſeparato ſe ſteſſo E nulladimeno quella è yn dono particolare di Gioue il quale ha conſtitui to queſta comunicazione . Concioffiecolache è lecito di nuouo ricongiugnerſi col proſſimo , e dinuouo incor porarſi colla perfezione dell' vniuerſo ; ma ſe ſimile ſepa razione fi fpeſſeggia , fi rende ľu più niC di le ds .81 tra tutduqunat più dificile il riunirſi , e'l tor nar a rallignarſi . In ſomma il ramo , che da principio ger minò con l'altro , e como conſpirando conſiſte , non é fimile a quello , che dopo il taglio vn altra volta è ſtato inneſtato . Il che pur dicono gliagricoltori . Biſogna effe re dell'iſteſſo germoglio , ma non dell'iſteſſa lembianza . 8 Quelli , che ad impedirti ti ſi frappongono , quando tu cammini conformealla retta ragione , ſi come non ti po - tranno trauolgere dalla fana operazione , così non t'han no da ritirare dalla buona vo lontà verſo di loro : ma cuſto diſci te ſteſſo egualmentenel I'vno , e nell'altro ; ne folo colcoſtante giudicio , ecol l'azione , ma col portarti per9 all anttö ting allaOr? allo tejla -1 man zumail coloro , che ſtudiano d'impe manſuetamente ancora verſo 1 tor ger COM 1100 opo il Stato , ma d . dirti dirri , o in altro modo ti mo leſtano Imperocchè così è da animo iinpotente lo sde gnarſi contro di quelli comeil tralaſciar di operare, e abbat cono i tuto arrenderſi. Perchè amen. effe due abbandonano il poſto , queſti intimorito , quegli alie nato dal congiunto , camico per natura , 9 Niuna natura è inferiore retta all'arte ; concio liecofache le arti imitano le nature . Sc pe Cana rò queſto è , la natura perfet tiffima tra tutte l'altre, e che il tutto abbraccia , non cederà Ao alla più atificioſa induſtria . Ora da tutte le arti in ordine alle coſe migliori ſi fanno le inferiori.Dunque anco dal la natura comune ; donde é , P che Jo tu ipo han vo nel ! olo 04 arti  ſo & 11 re M che da quella deriua la giu ſtizia , e da queſta poi tutte le virtù hanno la ſua ſufiften za . Perchè non ſi conferucrà il giuſto, fe o alle coſe di mez zo troppo attribuirem'o , o fa remo facili a prender errore , ead cſſer temcrarij , e muta bili . 10 Se non vengono a te le coſe , delle quali il proſegui mento , o la fuga ri perturba 110 , ma tu in certo inodo a quelle ti conduci , dunque il giudicio intorno ad eſſe s'ac quieri , e quelle rimanghino immote, e tu non ſarai vedu to , neappetirle , ne fuggirle. La sfera dell'anima è luminosa , quando ella non ſi eſtende fuori a qualche co fa , ne dentro ſi ritira , o fr conſtipa , ma riſplende con P d d . a 0 fc PE 9 mi ch ch quel a Giv tutti Tilter TUOTI Legii proccurerò di eſſer manſueto , quel lume, col quale ſcorge la verità di tutte le coſe , e quella , che è in lei medesima .Mi fprezzerà talvno ? ſe n'accorgerà cgli . Io mi guarderò bene , che niſſuno mi truoui o opcrare, o parla re coſa degna di diſprezzo Miodierà ? guardiſi egli. Io mez ot TOTE , MUT tele urb.2 do 1 quei rhino reche e di eſſer di buon volere verſo di ognuno , e con queſto me deſimo ancora pronto a farlo accorgere detfuo trauedere , non per modo di rinfacciare , o di far moſtra della mia fof. ferenza ; ma con ingenuità , e probità , nell'iſteſſo modo di quel Focione, ſe pure non fi mulaua. Perchè così biſogna, che ſieno le coſe interiori , e che l'huomo ſia veduto dag! P 2 Iddij irle 1.2 € 1101 CO 0 h C011 I iddij , così diſpoſto a non ri ceucre coſa alcuna con iſde . gno , con querele . Poſcia. chè di che danno è a te , ſe tu fteſſo fai al presére quello, che e proprio della tua natura ? non accetterai tu ciò , che ora è opportuno alla natura dell' vniucrlo , o huomo ordinato per far qucllo , che conferiſce al comune 13 Quelli , che l'vn l'altro fi difprezzano , l'un l'altro fi luſingano : e quelli , che cer cano diſoprauanzar l’yn l'al tro , l'vn all'altro ſi ſottomci tono. Quanto rancido , e non ſincero èil dire: Miſono propoſto di portarmi teco ſchiettamente. Che fai , o huomo ? non è di me ftiere far queſto prologo : apparirà da per ſe . Nella fron  E ; 1 ? 1 B o e fronte iſtekla dce eſſere ſcrit ta la voce . Quello , che hai dentro , ſubito viene eſpref fo negli occhi , come nel lo ſguardo degli amanti il tutto fubitamente conoſce Pamato . Tale inſomma biſo gna , che ſia il fincero, e buo no , che ſappia vn poco di ca prino; acciocchè chi ſe gli ac coſta , nell'iſteſſo primo in contro voglia , o non voglia , al fiuto lo riconoſca . L'affet tazione della femplicità è vn ferro traditore . Niuna coſa è più brutta, che l'amicizia lu pina . Fuggila più di ogni al tra . Gli occhi del buono del ſemplice, del manfueto han no queſto chenicite in quel li ſi naſconde . 15 La facultà di vinere ot timamente è poſta nell’anima. Se pur le coſe indifferen ti le piglia indifferentemente : e le prenderà indifferente merte , ſe ciafcuna di quelle contemplerà ſeparatamente , e con riguardo al tutto ricor dandoſi , che niuna di quelle può formae in noi l'opinione di ſe ſteſſa , ne a noi venire : ma quelle ſtanno ferme,e noi fiamo quelli , che formiamo i giudici di quelle , come in noi dipignendole ; mentre è lecito laſciar di dipigaerle , è lecito ancora,ſe furtivamente s'infinuaffcr, o di ſubito ſcan cellarle. Che queſta attenzio ne ſarà per corto tempo , e appreffo terminerà la vita . E che difficultà ci è in ben pi gliar queſte coſe concioſie cofache ſe ſono ſecondo la naturai , habbile care , e ti 8 a I rega antes cate uck Ente; ca uelle vant 1 enoi moi ne if färanno facili; ſe ſono contro la natura , cerca quello , che ſia ſecondo la tua natura , e intorno a queſto ſtudiati , an corchè ſia ſenza gloria , eſſen đo da vſare indulgenza con chi cerca il proprio bene . 16. Conſidera donde ciaſcu na coſa è venuta , e di quali fubbietti ciaſcuna conſiſta , e in quali ſi muti , e mutandoſi quale ſarà , c come non ſog opere di giacerà a dannoniuno. E pri ma qualabitudine ſia in me verſo di quelli , eſſendo che ſiamo nati vno a prò dell'al tro ; e ſecondo vn altra 'ragio ne ſon fatto per preſedere a quelli , come ariete al greg : ge , o toro all'armento . Poida queſto paſſa a raziocinar più alto ', che ſe non è vn concor fo diatomi, è la natura , che: legi ente car 210 ! 1,1 7.€pl Slicet ndo ed P4 il tutto regge; e ſe ciò è, l'infe. riori coſe ſono fatte per le mi gliori , e queſte l'vna per l'altra. Secondo offerua , quali ſie no nella menfa , quali nel letticciuolo , e in altri luo ghi, ma ſpezialmente quali neceſſità apportino loro i dog mi , che effi fi ſono profiſſi, e con quanta preſunzione met tino in opera quegl' ifteffi lo ro decreti. Per terzo . Se quelli retta mente queſte coſe operano , non è da diſpiacerci; ma fe non rettamente , chiara co fa è , che operano per for za , o per ignoranza ; perchè ogni anima dimala ſua voglia reſta priua come del vero ,co sì di comportarſi con ciaſcu no fecondo la ſua conucneuo lezza ; e perciò prendono a ma  , afe ml 12 fit re 110 cal 105 et FO male l'eſſer chiamati ingiuſti, ingrati,auari,e al tutto procli ui al peccarecótra de proſſimi. In quarto luogo . Che tu ancora fai di molti errori , e come yn aftro di loro pecchi; ſe da alcuni errori ti aſtieni , tuttauia hai l'abito di com mettergli , quantuinquc per cagione di tinore , o di glo ria , o d'altro ſimile vizio tu ti rattenghi da si fatti crrori . Per Quinto . Che manco hai ben penetrato , ſe errano: auuenendo molte volte , che lo fanno diſpenſatiuamente; c in ſomma è neceffario d'ap prendere molte coſe auanti di pronunciare aſſeuerante mente delle azionialtrui. Per feſto.Che quando fuor di miſura tir ti degni,o da im pazienzia fei prcfo ,fouuenga DI H ľ ¿ 2 P 5 tia 346 [ f fi ti , che la vita humana è mo montanea; e che tra poco tut ti ſtaremo diſteſi . Settimo. Che non ſono l'o perazioni loro ', che ci pertur bano ; imperocchè eſſe ſono nelle menti di quelli , ma ben sì i noſtri apprendimenti. Deponili dunque, e conten tati di laſciarne il giudicio , come di coſa a te graue ; e la collera farà ſùanita . Or bene in qual maniera li deporrò ? diſcorrendo ;che non té inter. venuto niente di diſdicevo le ; poichè ſe non foſſe fe nori quel ſolo ', ch'è diſdice uole ,male', néceſſario fareb be, che tu in molti modi pec cafſi , diuenendo ladro , e af fatro ſcelerato . Qttauo. Quanto fono coſe più graui quelle , che apport tano C t t C te al more f per le 30 tano per cagionc loro i cor rucci, e languſtie dell'animo, che non ſono le coſe i, quali ci contriftiamo, c adi riamocon quelli. Nono . Che la manſuetudine.è inuincibile, quando ſia fincera , e non affettata fimulata. Che ti farà vno per fouerchieuoliſſimo , che cgli fi fia: , ſe tu perfeueri d'eſſere con lui piaceuolc ? E , ſe così t'auueniffe, placidamente l'aer uertirai ' , e meglio l'inſegne rai' , attendendo a ciò quieta mente in quell'iſteſſo tempo ni che colui fi ftudia di fare a re il male , dicendogli tu :: Non figliuolo , noi ſiamoprodottiat altre coſe . Io non rimarrà l'offeſo , ma tu bon fi ,figliuolo ; e con de ſtrezza e fommariamente gli moſtrerai , che la cofa paf P 6 ſa cosi . E che ne le api ciò fanno , ne niuno di quegli animali , che per lor natu ra inſieme ſi congregano E però di biſogno , che ciò ſi faccia lontano dall'irriſione , o dall'improperio ; ma ami cheuolmente , e ſenza mor dergli l'animo , e non come nelle ſcuole , ne acciocchè altri, chepreſente ſia , faccia delle marauiglie , ma a ſolo a ſolo , quantunque alcuni altri vi ficno intorno . Queſti noue capitoli tiengli a mente , come doni a te fatti dalle Muſe: e yna volta, men. tre se'in vita , da principio ad eſſer huomo . Però biſogna guardarſi egualmente , come di non adirarti contro quelli, così di non adularli ; perchè l'vno , e l'altro ſono contro l'hu D. l'humana comunione , e tira no al danno . Ti ſia in pronto, mentre ti traſporta la collera, che non è da prode huomo l'adirarſi; ma la placidezza , e la manſuetudine , quanto più fono da huomo , tanto più hanno del maſchio ; poichè. queſti partecipa più della for tezza , e della neruoſità, e det vigore , ma non già chi è ſdegnofo , e diſamoreuole. Perché quanto più queſtoè proprio della tranquillità dell' animo , altrettanto è ancora del vigore. E come la triſtez za è de deboli , così è la col lera . Poſciachègli vni , e gli altri ſono feriti, e ſi arrendo no . E ſe ti piace, dal principe delle muse riccuiancora que ſto Decimo dono : Che è da furioſo il non volere j , che i cit 350 1 cattiui pecchino , concioffie colache in ciò fi pretenda l'impoſſibile .Ora il concede re, che verſo gli altri ſieno tali , e il volere , che contro di te non pecchino", è cofa da : huomo- ftolido , c.da tiranno. S'ha del continuo da of ſeruare', eſfer principalmente quattro i moti dell'anima . E quando tu li ſcoprirai , gli hai da ſcancellare; dicendo fra te ſteſſo ſopra ciaſcuno . Queſta immaginazione non è necef-. ſaria: Queſto diſcioglie la co -- munanza : Queſto non lo di rai di capo tuo ;perché il non dirlo da fenno, reputalo tra le coſe ſtrauagantiſſime : II quarto è , che tu a te ſteſſo rimprouererai queſto eſſere yn dare per vinta la portione più diuina , che in te è, e fot to و in te è , bench cometterla alla parte più i gnobile,e mortale del corpo, e alle ſuematcriali voluttà . 18 Il tuo ſpiritello , e tutto quello d'igncos che è in te miſchiato ,diſua natura tende 1 in alto' , nondimeno per ob bedire all'ordinanza dell'vni uerſo dentro del miſto ficon tiene . Ancora' , tutto quanto di terreſtre , e d'humido , che tuttauia refta ſollevato', e ſta non ſecondo il natural ſuo ſito. Così gli elementi ancora obbediſcono alle cofe vni verfali , quando , douunque fieno traſportati, reſtano per forza,finchè dinuouo lorven. ga fignificata la facultà di di fciorli . Dunque non è egli mal fatto che la ſola tua par ce intellettuale ſia dura all'obbedire, e che ſdegni la ſua re gione ? e pure non ſe le ordi na niente di violento , ma ſo lo quello , che é ſecondo la natura fua ; tuttauia non vi s'accomoda, ma corre al con trario . Concioffiecofache on gni commozione verſo l'in giuſtizie, le lafciuie , i ran cori, c i terrori non è altro che vna riuolta contro la natura . E quando la mente piglia mal volentieri qualche coſa di quelle , cheauuengono ,allo ra abbandona il ſuo poſto ; giacchè quella è fata diſpoſta all'equanimità , e pietà verſo gl’Iddij , non meno , che alla giuſtizia ; perchè queſte ſono d'yna tal forte , che tendono alla buona comunanza , e fo no più antiche delle iſtelle opere giuſte. A cui non è ſempre vno, e'l medeſimo fine della vira , non può eſſer vno, e'l medeſi mo per tutto il tempo della fua vita .Ma non baſta quefto, che s'è detto , ſe non aggiu gni à quello , quale dee effere queſto fine. Imperocchè co me non è ſimile l'apprendi mento di tutte le coſe, che in qualſiuoglia modoalli più pa iono buone, ma di quelle di vna tal forte , cioè di quelle, che ſon volte al comune, così anco il fine dee eſſere diretto alla vita comune , e ciuile . Perchè chi a queſto indirizza - tutti i proprij appetiti, rende rà vniformi tutte le azioni, ed egli in tal modo farà ſempre il medeſimo 20.Conſidera il topo nion tagnolo , el domeſtico , e la 4 Vand S vana paura , e fuga di queſto . Così l'opinioni del volgo chia. maua Socrate lamie , e spaventacchi de'putti. I Lacedemonij negli ſpettacoli poneuano i fora ſtieri ne ſedili all'ombra ; effi ſedeuano doue a forte loro toccaua .. 22. Socrate riſpondendo a Perdicca , perchè non andaua da lui, diſfc ; Acciò io. non periſca di così infame morte ; mentre non po teſſi corriſpondere alla grazia , che riceueſji. Tra gli ſcrittide gli E feij taua vn auuertimento y che ſpeſſe volte ſi ricordaſſero di qualcheduno degli anti chi, i quali haueſſero eſſerci-. tato la virtù. I pitagorici ordinavano, che di mattino si riguardatſe: ili 8 po fe BE il Cielo ; acciocchè ſempre ci ricordaſſimo di quelli , che ſempre ſimilmente , e nell'i ſteifa maniera compiono l'o pere loro e dell'ordine, e del la purità , e difuelamento; im perocchè niun velo hanno le feller 25 Ti fouuenga quale cra Socrate cinto d'vna pelle , quando Santippe coperta del la di lui veſte vſcila fuori di caſa ; e' rammentati quello , che diffé Socrate alli compa. gni, che fi vergognauano , e ſi ritirauano , quando lo vidde ro in tal'abito : 26 Non far il maeſtro di fcriuere, e leggere ad altri, in nanzi che ſij ammacſtrato ciò è da oſſeruare molto più nella vita . Seruo tu Lei peròparlar non dei. Allora io di buon cuo re me ne riſto Rampognan la virtù con aſpri det ti . 27 E' da pazzo domandar i fichi l'imerno . Tale è chì quando non è più tempo d'ha: uerne , deſidera yn figlioli no . Epitteto ammoniua quc gli, che baciaua il figliolino , che diceſſe tra di fe: domanefor fi morrà . Sono parole di mal augurio coteſte ? Non è , di ceua cglig parlar di male au gurio vſar parole ſignificanti qualch' opera conforme alla natura : altrimente il mietere le ſpighe, ſarebbe yn cattivo augurio , L'vua è prima agre ſto , poi matura , e poi paſla. Ogni coſa foggiace a mu tarſi , non nel non eſſere , ma in quello , che di preſente non è. Detto è d'Epitetto , che Ninno è ladro della volonti . Vn arte , diſſe egli,s'ha da ritro uare d'aggiuſtar gli affenfi , e in materia degli appetiti biſo gna conſeruare l'attenzione , acciocchè ſieno con eccezio ne , e che s'indirizzino al be. ne comune, e ſecondo la con ueneuolezza e totalmente aſtenerſi dall' auide voglie e non iſchifare coſa alcuna , che non ſia in noſtro arbitrio. Non è dunque , diſſe egli , la conteſa intorno ad vna coſa ordinaria ; ma intorno all'ef fer pazzo , o ſauio . Diceua Socrate , che anime volete ha uere, de'ragioncuoli, o degl'ir. ragioncuoli de'ragioneuoli. Di quali ragioneuoli, de’lani, o de’deprauati ? de'fani . Per chè dunque non le cercate ? perché le habbiamo :dunque a'che contraſtate , e diſcor date ? Fine del Libro Vndecimo , CO b pa te fa fa PI all ace Vie LI 359 INO cercarei curse dike op. G là fta in tuo potere di poſſeder tutte quelle coſe , alle quali anſioſamente bramafti con aggiramenti di peruenire , ſe tu non inuidij a te ſteſſo : cioè a dire, ſe tu non farai più caſo di tutto il paf fato , e 1 futuro laſcerai alla pronuidenza,e'l preſente ſolo bu indirizzerai alla ſantità , e alla giuſtizia . Alla ſantità , acciò tu ami quello , che ti vien deſtinato ; concioffieco C1 facció 0 li fache la natura ha portato quello a te , comc te a quel to . Ma alla giuſtizia liberamente fuori d'auuilup pamenti tu dica parlando la verità, c operi ſecondo la leg fi ge , e la conueneuolezza . E non ti ſia d'impedimento ne l'altrui maluagità , ne l'opi nione , ne le ciarle , ne meno ti il ſenſo della carnuccia teco connutrita . Però , chi pati- re. ſce , cipenſi . Se tu dunque tú quando in qualſiuoglia tem po t'approſſimi all’yſcita, ab bandonando tutte l'altre co ſe , folo ſtimerai la tua mente, e quello , che di diuino è in te; e non temerai il ceſſar vna volta dal viucre , ma il non haper cominciato giammai a viuere ſecondo la natura , ſa rai huomo degno del Mondo, che le TOLE to mi che wani DI110 ne Oi 70 c0 ti chet ha generato , e nonſarai più foreſtiere nella patria , e non ti marauiglierai,come di coſe inopinate, di quelle, che alla giornata auuengono ,'e finiraidi rimaner ſoſpeſo per queſta, o per quell'altra co fa . 2 Iddio ſcorge tuttelemen. ti diſpogliate de’yaſi materia li , delle corteccie e lordu re. Poichè con la ſua ſola vir tù intellettuale attigne quel le coſe , che da eſſo ſcaturi rono , e deriuarono in queſte eofe materiali . Il che,ſe tu ti auuezzerai di fare , ti liberc rai da molti ſpafimi. Percioc chè chiriguardo non haalle carnucce chelo circondano,fi tratterrà forfi a badare al ve ſtito alla caſa , alla gloria, é a fimili abbigliamentie arredi? Tre ſono le coſe , delle qualitu fe conpofto, 'il cor picciololo fpiritello, vela mente . Di queſte le prime duefono cue , finche ta dilo To habbi cora. La terza fo la è propria rerire, tua . Setu fequeſtrerai da te , cioè dalla tua confiderazione in tutte quelle coſe che alla faccia no , o dicano , e quelle ,'che Tu hai-detto e fatro , e que te ,'che ,comefe falfero per auucnire, ti- boiterbhojne quelle ancora cheper lo cort picciuolo , che ti circondala per Minneſtæto " piritello tohi tro tua vogliati fuccedchos de quelle, che intenten einer hohen mente con vina contratttváre tiğine ſi rivolgonoi, fieche; rendendo la potenza santé fertuale efente delle cofejohe fono inſieme fatali, pura , eili ibera viuerà in fe fteſfa', ope rando : le cofe " giufte , te rice uendo volentieri gli auueni menti, e proferendo la veri tà : Se tu ſeparerai, dicdi, da quefta potenzaquefte. cofend elfæaderentiper graditimpa zia, edaltempo, quelleche hanno da auuenire appreffo.. pilepaffate, etiformerairale, qualeè la palla sfericadiem pedocle ; Chestutta titanda guide della-poluere, ch'attornojpelte rigiza, attenderai ſolo alviuere , the gu viui, cioè al preſente, e po tmisfio alla morte viuendo trapalaretuttoquello che ti reſta imperturbato gencroſa mente si emanſuetamente, fet condo il tuo genio. Speffo miſonimarauiglia TO :, come ciaſcuno più di tut Q :2 ti  ti ami ſe ſteſſo; e come non dimeno tenga in minor conto l'opinione propria intorno a ſe medeſimo , di quella degli altri. Se dunque Dio ſoprau uenendo , o vn macſtro pru dente , comandi ad alcuno , che nulla dentro dife penfi, o diſcorra , che ſubito l'ha conceputo, non lo palefi, non lo razterrebbe ne pure per vn giorno. Cosìpiù temiamo di quello , che i proſſimi giudi cano di noi, che di quello, che noi medeſimi giudichia mo. : 5 Come farà mai , cheha uendo ordinato il tutto gl'Id dij bene, e con carità verſo l'huomo , queſto folo habbia no traſcurato ,che alcuni degli huomini, e molto buonije che colla diuinità hāno tenuto co me  01 700 011 22 TU 101 olis ha On di me ſpeſſi commercij, e che ſouentemente per l'opere fan te , e ſacrificij ſi ſono reſi à quella famigliari, queſti, vna volta morti , non ſi facciano ritornare , ma rimangano del tutto eſtinti ? Queſto , ſe pu re così ſta , tu hai da ſapere , che fc altrimente biſognaſſe , che foffe ; l'haurebbero fat to . Concioffiecoſa che ſe era giuſto , era poſſibile, e ſe era ſecondo la natura , l'haureb be prodotto la natura . Dal non eſſer così , ſe così non è , tu ti hai da perſuadere non eſſere ſtato neceſſario , che al trimente fi faceſſe . Imperoc chè tu ſteſſo t'auuedi , che ciò ricercando , tu entri a con tendere in giudicio con Dio . Ma noi non diſcorreremmoco sì con gl’Iddij , ſe ottimi , e Q 3 giufillimi non foſſero . E ſe così è , nicnte ingiuſtamente hanno traſcurato , e irragio nevolmente negletto nellab Tellimento dell'vniuerſo .. 6 Afſucfatti ancora a quel le coſe , delle quali non bene ſperi.Imperocchè la mano fi miltia inabile per non eſſere aylata all'altre coſe , reggeil freno più fortemente , che la deſtra , e queſto perchè vi s'e ZUL Czzata . :: 7: Penſa quale biſogna , che tú ti truoui,e del corpo,e del Panima, ſopraggiunto che fą rai dalla morte : la breuità della vita , la vaſtità de'ſecoli ayanti , e dopo , la debolez za d'ogoi materia . Content pla ſpogliate d'ognicorteccia le caufalità , le relazioni dold' opere ; che fią la fatica , che'l piacere , che la morte , chela gloria : chi ſia a ſe ſteſſo cagio ne deltrauaglio , e coine niu nofią impeditodaaltrise che ognicoſa lia opinione. & Nell'vſo delle tue maffime è neceffario , che tų fij, limi le non all'accoltellatore , ma al combattente maneſcamen . te con le pugną. Concioſſie cofache quegli, ſe pone giù la 1pada, della quale ſi ſerue, re fta vcciſo , ma queſti ſempre ha la mano , nę gli biſogna nient'altro , che ſerrarla . 9. Di queſta fatta s'hanno a riguardar le coſe , diuidendo ke in materia , forma , e rela zione Quanto potere hą l'huomo a non faraltro , faluo quello, che Dio ſia per gradi re , e riceuere tutto quello , che Dio gli diſtribuiſca , con Q 4 forme all'ordine della natu ra . To Non s'ha da querelarſi degl'Idij, mentre non ſono , nevolendo, ne non volendo, ſoggetti ad errori ; ne meno ſono da áccufare gli huomi ni ; perchè non peccano , fe non contra voglia , Diniuno dunque s'hanno da far quere le . 11 Quanto è ridicolo, e ftra niero chi s'ammira di qualſi uoglia coſa , che nella vita occorre! Oviè la neceſſità fatale, e ordinazione inuiolabile , o prouuidenza piegheuole , o confuſione temeraria ſenza gouerno . Se è neceflità iné witabile , a che ti contraponi? ſe è prouvidenza che ammet tc eſſer piegata , fa degno te ſteffo del fuſſidio diuino : ſe è confuſione ſenza reggimen to , rallegrati , chein queſta tempefta tu medeſimo hai in te ſteſſo per gouernatrice qualche mente : e ſe la tem peſta t'aggira , fia traportata la carnuccia , lo ſpiritello , e l'altre coſe , ma la mente non farà traportata . Il lume della lucerna , finché fi ſpenga , 'ri luce sì , e non perde lo ſplen. dore : ma la verità , che è in te , e la giuſtizia, e la tempe ranza , anticipatamente s'e ſtingueranno? Dove l'immaginazione concepiſca , che vno ha peca cato , rifletterò donde ho,che queſto fia peccato , e ſe que gli peccò, ſe fi fia egli reſo reo per quell'atto ? perchè ciò ſa rebbe quali vn lacerarſi il proprio volto. Poſcia rifletti, che chì non vuole , che'l cattivo, pecchi; è da raſſomigliarſi ad VCO , che voglia , che l'arbo re de i fichi non produca il lattificio , e i bambini non piangano, ei cauallinon ani triſching, e altre coſe taliche feguono di neceſſità . Pero , che coſa ha da fare , hauen do contratto " va cotal mal abito ? Dunque , ſe ti ſenti da ciò , riſanalo. Se non conuiene , non do fare . Se non è vero , non lo dire, ma l'appetito dia fox , to dite per conſiderare il gut to che è quello , che fa im preſſione nella tua immaginas zione , e diſcutilo , diuidenz dolo nel formale , nel mate , riale nella relazione neltem po , dentro al quale quello ha da Vis petto ? forſe cupidigia a forfe da finiie. Riconoſci una vol ta , che in ce è vna coſa più eccellente , e più diuina di quelle , che te paffioni in te cagionano. E in ſomma,quan te cofefono ,che in qràge in la in guiſa d'un bamboccio con de cordicelle ti abburattano . Che’çoſà è ora il mio penfie rodforfe timore ? forfe for . cofa alia fimile : 15 Primieramente penfais che niente è a caso e niente, senza relazione . Secondaria mente chea niun altro fine , che a quello della focictà fi riduc. Che non molto dopo niūno in niun loco farai, ne pur cofa alcuna fari di tutte quelle , che orá vedi , ne al cuno di quello che ora : vi -91 I Qo NOuono ; conciofficcofache tut te le coſe ſono nate per mu tarſi , trasformarſi , e perire , acciò altre per ſucceſſione ſe guano. Ogni cosa è opinione,e queſta depende da te . Togli dunque, quando tu vuoi, Po pinione; e , come chi volge al ridoſſo d'vn promontorio trouerai ferenità ferma di tutte le coſe , e vn ſeno tran quillo . : -18 Vna , e qualſiuoglia fi fia operazione che a ſuo tem po finiſce , nonpariſce danno niuno , perchè finì ; ne l'ope rator di quella , per hauer fi nito , patiſce mal alcuno . In ſimil modo dunque il ſiſte ma, o fabbrica ditutte l'ope razioni, che è la vita , ſe in qualche tempo finiſce , non rice etut or me erine Quel one, Togh oila ageal torio ma Stra / di riceue alcun danno , percioca chè fini; ne quegli , che in tal tempo terminò queſta ſerie , fu malamente trattato . Il tempo , e'l termine fono dále la natura conſtituiti , talvolta dalla propria ,come nella vec chiaia; ma generalmente dal I'vniuerſale , le cui parti con tinuamente mutandoſi , reſta tutto il Mondo ſempre nouel . lo , e vigoroſo . Tutto ciò del continuo è buono , e oppor tuno , che all'yniuerfo.confe riſce . Dunque il finir del vi uere a chiunque tocchi , non è coſa cattiua , perchè non è vergognofa , come non de pende dal noſtro volere , ne contraria al comun bene del l'yniuerſo . Anzi è buono quando è opportuno , e con ferente all' vniucrſo , e con quel elial tem dan l'ope verf olfille 12 l'ope ſe i non . lo 1 quello è inheme portato Concioffiecofache è portato da Dio quegli , che fi perta vnitamente con Dio , e a quel le ifteffe cofe collintendimen to fi conduce. ! 19. Queſte tre coſe hanno da cflere fempre in pronto.. Primieramente in ciò , che tu fai, non fia niente inuano , ne altrimente fi facciay.che felis fefla giuſtizia haveſſe,opera to : ma nelle cofe , che anlı uengono di fuori , mentre quelle o fono procedurea ca fo , o fecondo la prouuidenza non s ' ha da querelarſidel ca fe , ne accufare la prouuiden za Secondariamente qual cofa faccia ciafcuro dal non effene , fino all'animazione , e dall'animazione , fino al ren dimento dell'anima, e da qua. li coſe da fatto l'adunamento, e in quali il diſcioglimentos Terzo come ſe ſoprad'yu’ers minenza follcuato tu rimiral G le coſe humane', e dopo ha. ụer compreſa, la lor gran va rietà inſiemeconoſcelli quan to ci ſia dell'abitato, e nel l'acre , e nell'etera , e çoine quante volte cu foffi cosi fol leuato , vedreſti le medeſime, l'iſteſſa ſpecie, la breue dura ta . Ed in queſte éla noſtra ſu perbia , 29. Gitta fuori l' opinio ne, ſarai ſaluo. Chi dunque e’impediſce il gittarla. Quando perqualche co ſa ti prendi diſguſto,ti ſe (cor dato , che ogni coſa li fa', le condo la natura yniuerſale , che quel peccato è d'altri. E oltre queſto , che tutto ciò , che pure , che ſi fa,cosìſempre's'è fatto, e li farà, e di preſente ſi fa per tutto: ancora , quanta è la co gnazione dell'huomo con l'o niuerſo human genere ; per chè non è la comunione del fanguccio, ò della poca ſe menza ; ma della mente . Ti fcordaſti che la mente di ciaſcheduno è Dio , e che da lui ſcaturì, non eſſendoui coſa alcuna propria di niuno , anzi il figliolino, e'l corpic ciuolo , e l'iſteſſo ſpiritello in di vennero . E ancora ti ſcor daſti, che ogni coſa è opinio ne, e parimente, che ciaſche duno il preſente ſolo viue, e che queſto ſolo ſi-perde. Del continuo riuolgi nell'animo quelli , che per qualche coſa li corrucciarono, e quelli, che in grandiſſime glorie , o calamità , o inimicia zie , o in alcuni altri auueni menti li ſegnalarono . Dopo medita , doue fono al preſente tut te queſte coſe?in fummosin cenc re, c fauole, e ne meno favole . Tiſouuenga di tutto queſto ', cioè, come furono Fabio Ca tullino in Villa , e Lucio Lupo, e Stertinio a Baia, e Tiberio a Caprise à Velia Rutfo ; e in ſomma di chi ha fatto con l'apprenſione gran caſo di qualunque ſia cofa : ecome ſia di vil prezzo turto , che in tentamente appreſe , e finala mente quanto più foffe da Fi loſofo nella materia toccata gli, portarſi da giuſto , e da fa uio e da oſſequioſo ſchietta méteagl'Iddij. Imperocchè la ſuperbia , che ſotto velo di umiltà ſi naſconde è la più 1 1 intolerabile daograbra. Agudligiche dimanda nosperchè vonsrigť Iddijacat me turgli habbiyechutia e dom de tu habbi appreſo , che vi frenoPrimieramente riſpon derai , che ſono vihbili agli occhi , e poi a benchè io, non habbia veduta la mia anima, tuttauia l'onoro . Così dun. que è degl'Iddij, la potéza de' quali mentre ogni giorno io pruqyosda queſto comprendo, che ciſono, e gli venero. La faluezza della vitą confiſte , che ciaſcuno riguar di che cofa fia il tutto, il ma teriale , il formale , che con tutto l'animo faccia il giuſto , dica il vero. Che reſta altro , che goder della vita , aggiu gnendo vn ben fatto all'altro, ficche ne pur fi perda vn brer uir i uiſſimo ſpazio di tempo ? Il lume del Sole, è yno a benchè venga interrotto dal: 0 le pareti, da imonti ,edaal tre mille coſe.Vna è la ſoſtan , zia comune , ancorchè ſia di partita tra migliaia di corpi, qualificati dalle loro proprie tà . Vna è l'anima con tutto che ſi diſtribuiſca a mille , e mille nature con ſingolari cir confcrizioni. Una è l'anima All'intelligente, ſe beneappari | ſce, chefi diuida:; l'altre parti dunque delle cose dette: s, com! me gli ſpiriti, ei subbietti; so no senza senso , ne famigliar mente si uniscono insieme. Questi nondimeno contiene la mentevniuerſale e poila propensione, che alcongiugnerd gli spinſe. Ma l'intelletto pro priamente propende all'iſteſs fo fuo genere, è s’yniſce , ne fi può fradicare l'affetto al ben comune. Che cerchi? Di campare? o'pur di ſentire,di appetire,di creſcere, e poſcia di terminare? Di valersi della voce di di fcorrere con la mente? Qual cosa di queſte ti pare degna d'eſſere deſiderata Male que ſte yna ad vna non ſono da frezzare, portati alla conclu fione d'offequiare la ragione,e Dio. Ma li fa contro alla ſti ' ma di queſte cotrammaricar fi di rimaner perla morte pri uo d'alcune di queſte. Quanta parte dell'im menfä, e infinita durata a cia. founo é compartita? poichè ben prestissimo si dilegua nell' eternità. Quanta parte di tutta la sostanzia? Quanta parte di tutta l'anima? In quanta zolletta di tutta la terra fer pendo tu vai? A tutte coteſte coſe applicando l'animo, non t'immaginare niente di grande, o queſto ſolo , she tu operi, come la tua natural ti conduce, e ſoffri come la natura vniuerſale portage comeliva. le di ſe ſteſſa la parte tua reg gitrice; polciachè in cioil tutto consiste. Tutte le altre cose, o sieno nel tuo arbitrib.no fuori di quello. Sono cadaveri, e fummo: om.svisli! Efficacissimo è il rifletter re, per eccitarci al diſprezzo della morte, che quelli anco ra, che stimano eſſere il bene nella voluttà, e'l male nel dolore, nondimeno quella disprezzarono. Achi quel so. Lo che è opportuno è beneje a chì tanto è l'haver molte a zioni fatte. Secondo la ragione retta, quanto poche. Ie a chì noniinportacontemplare il mondo in maggiore , o mi nor ſpazio di tempo ,neman .co la morte è terribile. O huomo fofti cittadino in que ſta gran Città che ti fa te per cinque anni mentre quello; che è conforme alle leggi ad ognuno è dellifteſſo peso . Perchè dunque ti ègraine, fe dalla città cti manda via non il tiranno , o vn ingiuſto giudice, ma da natura , che vi t'introdulfezliccome dalla ſee , na licenzialfe va scomico il capo della truppai che l'han keua, condotto . Peròtu dii, nonvappreſentaiji cinque: at ti, ma ſolo tre. Tu dibeneze a propoſito : mentre chenella vita anche tre atti compiono tutto il drama. Concioffieco fache quegli impone il termine, dove habbia da finire, che allora ordinò l'adunamento, cora fa lo scioglimento, nel li quali tu non ci hai hauuto parte. Vattene dunque placido. Poichè quegli che ti licenzia, è placido. Dal mio avolo, Vero, la gentilezza del costume, e il non adirarmi. Dalla fama e dalla memoria del  mio genitore, l’esser verecondo e  maschio. Dalla madre, l’esser pio, il donar volentieri, l’astenermi non solo  dal fare il male ma anche dal venirne in pensiero. [Ancora, l’esser  Sottintendi, come nei paragrafi seguenti,  il verbo ‘imparai’, ovvero ‘riconosco’, nel senso di iono riconoscente ili aver ricevuto chessia, cosa, o esempio di qualsivoglia cosa o virtù), o altra espressione che riempia  acconciamente le ellissi. ‘Maschio’: intendi forte costante, non molle ed effeminate], frugale nel vitto e alienissimo dall’usanze dei ricchi. Dal mio bisavolo il non essere andato alle pubbliche scuole, l’avere avuto di buoni maestri per casa e  il conoscere che in siffatte cose non  si vuol guardare alla spesa. Dal mio aio: il non essere stato nè di parte prasina nè di parte veneta, nè parmulario, nè scuta-    [Il bisavolo paterno di Antonino e Aunio Vero. Il bisavolo materno e Catilio Severo. Non è  chiaro di quale dei due si parli nel testo. Intendi: la scola elementare. Poiché ognun sa che Antonino frequenta assiduamente come ‘scolaro’ le varie ‘scuole’ dei fìlosofi a Roma. Non si conosce il nome dell’aio] [elio morendo lascia grande desiderio di sè in Antonino. Sono i colori che distingueno i due  grandi partiti degli aunghi del circo, che  non sono piccola parte nella storia delle follie dell’impero. Nunc favent panno, pannum amant,’ disse energicamente Plinio il  giovane, IX, 6. Lucio Vero, collega d’Antonino, la pensava altrimenti, secondo le  parole di Capitolino. Rio]. Il reggere alla fatica, l’aver bisogno di poco, il saper fare da me, il non intromettermi nelle faccende altrui e il non porger facilmente orecchio ai delatori. Da Diogneto imparai il non occuparmi d’inezie, il non dar fede a ciò che  i magi e i fattucchieri dicono intorno alle malie, allo scongiurare gli spiriti e altre cose di tal fatta, il non avere atteso a nutrir quaglie nè essermi dilettato di simili cose, il  patire ehe altri mi parli francamente.    [Parmularius e il gladiatore  armato di un piccolo scudo di cuoio detto ‘parma’ o parmula, e ‘scutarius’ quegli che porta lo ‘scutum’, grande e lungo. Questo Diogneto era non solamente filosofo, ma anche pittore, secondo Capitolino, ed avea dato intorno a quest' arte alcune  lezioni ad Antonino. Si allude ad un giuoco dei romani  aveano prego dai Greci,. Si faceano combattere fra loro questi uccelli, o dai casi del combattimento si traevano presage]. L’ESSERMI DATO ALLA FILOSOFIA. L’avere udito primieramente Bacchio, poi Tandaride e Marciano. L’avere scritto dialoghi da ragazzo. L’ avere voluto il lettuccio con la pelle sopravi e le altre cose che vanno appresso nella educazione greca. Da Rustico: l’esser venuto in  pensiero che i miei costumi avean bisogno di correzione e di coltura. Il  non essermi sviato dietro ad un’ambizione di sofista, o scrivendo su materie speculative, o declamando orazioncelle esortatorie, o facendo, per dar nell’occhio altrui, 1’uomo austero e benefico e l’avere abbandonato la rettorica e la poetica e il bel favellare, e il non passeggiare togato per casa e altre tali cose e lo scriver le lettere semplicemente [Era uno stoico come quell’altro romano fatto uccidere da Domiziano per aver  lodato Trasea Peto] e naturalmente, come quella ch’egli scrisse da la citta di Sinuessa a mia madre, e il non serbar rancore verso le persone che si son, meco adirate e m’ hanno offeso e rappacificarmi volentieri con loro tosto eh’ elle si voglion ricredere, e e il leggere con attenzione e non contentarmi di capire così air ingrosso, nè assentire troppo di leggieri a quel che i circostanti dicono, e lo avere avuto contezza  dei ‘Ricordi’ d’Epitteto che Rustico mi dona di suo proprio moto. Da Apollonio: la libertà dell’animo e la fermezza nel proposito senza dar mai nulla al caso, il non  guardare ad altro mai, nè anche per poco, che alla ragione, l’esser sempre uguale, nei sommi dolori, nella perdita del figlio, nelle lunghe malattie, l’aver veduto ad evidenza nel vivo esempio di lui siccome può  la stessa persona essere gagliardissima ad un’ ora e rimessa e il non impazientarsi nello spiegare e l’aver conosciuto un uomo che manifestamente tene pel minimo de’ suoi  pregi la pratica e la facilità ch’egli ha del comunicare altrui la scienza, e l’avere imparato come convenga liceverc fivelli che il volgo chiama benefizi dagli amici, senza  diventai, e loro divoto per ciò nè per altra parte, lasciando correre la  ('osa senza saperne grado. Da Sesto: l’amorevolezza e l’esempio del governare da buon padre una casa e il concetto di vivere “secondo natura” e la gravità non affettata, e l’indagare con sollecitudine quello di die gli amici  hanno uopo, e il sopportare gl’ignoranti e il sapersi adattare a  Nello spiegare. [Intendi: nel dare altrui  tutte le spiegazioni di die possa aver d’nopo per ben capire le cose]. [Intendi: senza diventar loro obbligato in modo che nìccia alla Ina libertà]  tutti per modo ch’il CONVERSARE con esso lui era più dolce cosa che l’adulare di chicchessia ed e egli nondimeno in quello stesso punto ed  appo quelle stesse persone in venerazione grandissima, e la chiarezza  di mente e la sagacità con cui trovava ed ordinava le verità filosofiche necessarie alla vita, e il non aver dato mai indizio di collera nè d’altra passione, ma essere stato ad un’ ora il più impassibile uomo ed il più tenero, e il dir volentieri liene d’altrui, senza menar remore per ciò, e la molta dottrina senza  che paresse.  Da Alessandro: il non isgridare e il non riprendere ingiuriosamente chi faccia un barbarismo o un solecismo o un cattivo accozzamento di suoni, parlando; ma  profferire destramente ciò che quegl’avrebbe dovuto dire, per modo di risposta, o di conferma, o come volendo esaminar con esso la cosa, non già la parola, o per qualsivoglia *altro modo di suggerimento indiretto* [IMPLICATURA], garbatamente. Da Frontone: quanta invidia, quanta malizia, quanta simulazione, sia nella tirannide. E siccome questi da noi chiamati ‘patrizi’ son cattivi padri anzi che no. Da Alessandro, il platonico: il non dir sovente nè senza necessità a nessuno, nè scriver per lettera, ch’io sono occupato, nè contrarre r abito di disimpegnarmi in  tal modo dei doveri verso le persone con le quali io vivo, allegando per iscusa le faccende. Da Catulo: il non tener poco conto delle doglianze di un amico, quand’ anche si dolga fuor di ragione. [Secondo Filostrato e un segretario di  Antonino]. [Cinna Catulo, filosofo stoico, menzionato da Capitolino] ma anzi sforzarmi di ricondurlo alle  maniere di prima, e il parlar bene e volonterosamente dei maestri, come si narra di Domizio e di Atenodoto, e l’amar i figli con vero affetto. Dal mio fratello, Severo, l’affezione ai dimestici, l’amor del vero e del giusto, l’avere, per mezzo  di lui, avuto contezza di Trasea, d’Elvidio, di Catone Uticense, di Dione, di Marco Bruto, ed essere venuto in pensiero di un reggimento civile dove la legge sia una per tutti e pari i [Neppure l’eruditissimo e diligentissimo  Qataker potè chiarire chi fosse questo Severo che Antonino chiama fratello. A tutto quello che ci è dimestico] [Una delle più illustri vittime della crudeltà di Nerone] [Genero di Trasea, esiliato da Nerone]. [L'illustre stoico Catone Uticense] [L' amico di Platone, l’avversario di Dionigi tiranno di Siracusa, la cui vita fu scritta da Plutarco] [Marco Bruto, la cui vita fu pure scritta da Plutarco] diritti di ciascheduno, e di un governo regio che sovra ad ogni altra cosa tenga conto della libertà dei governati. Ancora quel suo tenor costante ed uniforme nel culto della filosofia e la beneficenza e il far  parte altrui volentieri e senza rispar-  mio delle proprie sostanze; e lo sperar bene; e l’aver fede nell’amicizia degli amici e quel suo non infìngersi con le persone quando disapprova alcuna cosa in loro; e il  non aver mai avuto bisogno gl’amici di lui di andare indovinando che cosa egli volesse o non volesse, sendo l’animo di lui sempre aperto. Da Claudio Màssimo: il contener sè medesimo, e non lasciarsi andare in nulla malgrado suo, l’esser di buon  animo nelle malattie e negli altri casi avversi e quella temperatezza  di costume, soave ad un tempo e  [Clandio Massimo filosofo stoico] dignitoso e l’eseguir prontamente senza querimonia qualunque cosa gli accadesse di dover fare e la credenza che tutti avevano di lui, ch’egli  pensas tutto che dicee fa a  lìn di bene tutto che fa; e il non istupir di nulla, non isgomentarsi di nulla, non esser mai nè frettoloso nò tardo, nè imbarazzato, nè sfiduciato, nè infingardo, nè ripentito del consiglio preso, nè sospettoso e il  beneficare e il perdonar volentieri, e l’esser veritiero e il parer  piuttosto uomo per natura incontaminato che non per arte emendato e siccome nessuno fu mai che o si credesse dispregiato da lui, o ardisse riputar sè migliore di lui; e quel suo piacevoleggiare a proposito. Da mio padre adottivo: l’imperatore Antonino Pio]: l’esser bonario, e irremovibilmente fermo nondimeno nei partiti pi'esi dopo accurata disamina, il non trar vanità da  quelli che il volgo chiama onori, l’amore al lavoro e l’assiduita; il  dare ascolto a chiunque avesse da  proporre qualche cosa di utile al comune; il non lasciare che nessuna considerazione lo distornasse dal retribuire a ciascuno secondo il merito, il conoscere dove bisognasse esser rigido e dove indulgente, L’AVER POSTO FINE AGL’AMORI DE’ RAGAZZI e il  sentire modestamente di sè e volere stare ad uno stesso ragguaglio con gl’altri, il permettere agli amici di non cenar punto con lui, e di non accompagnarlo nei viaggi, e lo accoglier con gli stessi modi di prima chi per qualche sua bisogna non lo avea potuto seguire; e la diligenza e la persistenza con che esamina le cose  nei consigli, non come quell’altro di cui è stato detto che tòsto lascia la deliberazione contentandosi dei primi pensieri che gli furon venuti, e il conservar gli amici, non recandosi a fastidio nessuno, nè incapricciandosi di nessuno; e il sopperire  a sè stesso, sempre; e la serenità del volto; e l’antivederei da lontano e pral ovvedere senza scliifiltà anche alle rnenome cose e l’aver dato bando alle acclamazioni e alle adulazioni d’ogni genere e il tenere allestito  sempre quanto era necessario per le  occorrenze dello stato, moderando le spese e sopportando di buon animo  la taccia che alcuni gli davano per ciò, e l’essere alieno e dalla superstizione verso gli dei e dalla piagenteria verso gli uomini, non curandosi di acquistar grazia appo il  popolo o con le larghezze, o con le1 Luogo intricato. Nota due modi condannevoli e vani: di  acquistar grazia appo gli Dei, con pratiche  superstiziose; appo gli nomini, con l’andar loro a genio e secondarli anche a costo del  dovere lusinglie, o con lo imitare i modi  di quello] ma sobrio in ogni cosa e saldo, e non mai altro che dilicato e gentile e osservatore della convenienza e del costume stabilito, 0 il servirsi seifza boria e senza scrupolo di tutte quelle cose che conferiscono agli agi della vita, delle quali la fortuna è larga a’ suoi pari, per modo che delle presenti ei si giova senza farne casa e le assenti non desidera; e siccome nessuno  avria mai detto di lui ch’egli fosse un sofista o un dileggino o un pedante, ma sibbene un uom maturo,  perfetto, nemico dell’adulazione, capace a governar sè medesimo ed altri. Eri inoltre quel suo onorare i filosofi veri e non fare scherno de’ falsi, non lasciandosi nulla dimeno facilmente ingannare da loro  e il conversare sciolto, e quella sua grazia Come tanti imperatori die It) avevano  preceduto. che non ristuccava; e il tener cura  del proprio corpo, non tanta da parer tenero deliavita, o damerino, nè tanto poca da parere trascurato, ma quanta  basta per non avere quasi punto bisogno di medicine o simili cose. E sovratutto quel suo cedere senza invidia a chi avesse acquistato abilità in qualche cosa, come nell’eloquenza o nella conoscenza delle leggi e dei costumi de’ popoli, e altro di cotal fatta e lo adoprarsi insieme con essi  perchè ottenessero fama, ciascuno nell’arte in che primeggia e quel  suo fare ogni cosa secondo gl’institnti d’ maggiori, senza dare a divedere che avesse nessuno intento particolare, nè anche quello di volere conservare essi institnti. Ancora il  non esser nè randagio nè avventato, ma continuar volentieri a star nel medesimo luogo e ad occuparsi delle  medesime cose; e dopo passati gli  accessi del dolor di capo, ritornar   iU^teu Aurelio. fresco e vigoroso ai lavori solidi; e il non aver di molti segreti, ma anzi pochissimi, e di rado, e solamente  nelle cose di stato; e la prudenza e la misuratezza nel dare spettacoli, nell’ intraprendere opere pubbliche, nel far distribuzioni ai soldati, e simili cose; siccome uomo che riguardava a quello che conveniva fare, e non alla fama che gli sarebbe venuta dalle cose fatte. Non al bagno fuor d’ora, non la smania del fabbricare, non ricercatezza nel cibo o nella tessitura de’ panni o tintura, o nell’appariscenza de’ servi. La toga dalla villa inferiore e da quelle di  Lanuvio il più sovente; i modi che tenne col pubblicano in Tusculo, che supplica; e altre sue simili maniere. Nulla di men che umano, nulla d’ immisericorde, nulla di violento, nè, come direbbe taluno, siìw al su-   dove; tutte le cose di lui, pensate, distintamente avvertite, con pacatezza, con ordine, con vigore, e d’accordo le une con le altre, come se  le avesse premeditate per ozio. Ed  a lui si potrebbe applicare ciò che VIEN DETTO DI SOCRATE, che egli poteva e astenersi e godere colà dove a gran parte degli uomini manca la forza per 1’uno e la temperanza per l’altro. E il saper reggere con fortezza e con sobrietà ad ambedue non  appartiene se non a colui che ha  l’animo sano ed invitto, quale egli il dimostrò nella malattia di Massimo. Dagli dei: l’avere avuto buoni  avoli, buoni genitori, buona sorella,  buoni maestri, domestici, congiunti, amici, tutti, a un dipresso, buoni. E il non avere offeso mai nessun di loro, benché talmente disposto di 1 Claudio Massimo menzionato] natura, che io l’avrei fatto forse, ove fosse venuto il caso: ma per  bontà degli dei non incontra mai tal concorso di cose che mi ponesse a  repentaglio. Il non essere statò più lungamente allevato appresso la concubina del mio avolo; l’avere serbato nel fior degli anni la purezza del costume e non aver dato saggio di età virile prima del tempo, anzi avere soprastato anche più in là, l’essere  stato sottoposto ad un principe e padre il quale doveva sgombrar da me ogni sorta di boria e farmica pace come egli si può vivere in corte  e non aver bisogno nè di guardie nè di vesti screziate nè di fiaccole nè di statue, come s’usa, nè d’altre  simili pompe; ma anzi, che egli v’ha un modo di ristrignersi quasi alla  ondizione di private e non perder  nulla però nè della dignità nè del nerbo necessario al trattar le cose dello stato, l’essermi tocco in sorte il fratello ch’io ho il quale se è  d’incitamento a me co’ suoi costumi, ad invigilare sui miei, mi consola  nondimeno e mi rallegra con la riverenza e con l’amore ch’egli mi  porta, l’avere avuto figli nè ottusi d’ ingegno nè contraffatti di corpo, il non aver fatto maggiori progressi  nella rettorica nè nella poetica nè  nelle altre arti, dove sarei forse rimasto allacciato s’ io mi fossi accorto ch’io vi riusciva, l’eessermi sbrigato di costituire in dignità i miei educatori, come parve a me ch’essi  bramassero e non avere indugiato con  la speranza del potere far cotesto di poi, sendo essi ancor giovani, l’avere conosciuto Apollonio, Rustico, Massimo. Lo aver concepito chiaramente e più volte qual sia la vita  [Lucio Vero fratello per adozione, uomo  in vero viziosissimo, più assai, probabilmente, che non fosse noto ad Antonino; ma devotissimo e affezionatissimo a Ini] secondo natura: s'i che per gli dei non manca, nè per aiuti e suggerimenti ed ispirazioni loro, ch’io non  vivessi a quel modo; manca bensì  por me, il quale non osservai gli  avvisi e, sto per dire, gli insegnamenti che essi mi dano, l’aver potuto reggere della persona durante cotanto tempo in cotal vita. Il non  aver avuto a fare ne con Benedetta  nè con TEODOTO e che di poi, CADUTO novamente nella PASSION D’AMORE passion d’amore, io abbia potuto guarirne. Che, essendomi adirato più volte con Rustico,  io non abbia fatto nulla di che avessi  poi a pentirmi; che, dovendo mia  madre morir giovane, abbia nondimeno vissuto con me gli ultimi suoi anni; e che, ogni volta eh io volli soccorrere alcuno, o povero o  altrimenti bisognoso, non mi fu mai  detto ch’io non avessi danari per  farlo e il non essermi trovato mai  io medesimo in simigliante occorrenza, da dovere aver ricorso ad altri, l’avere la moglie ch’io ho, così docile, così amorevole, così alla buona; il non essermi mancato acconci educatori pe’ miei figli, l’essermi stati dati rimedi in sogno, e, fra gli altri, contro lo sputo di sangue e contro le vertigini, e il non  essere caduto nelle mani di un qualche sofista, quando io venni in desiderio della filosofia, nè essermi posto a far lo scrittore, o a risolver sillogismi, o a speculare sui fenomeni del  cielo. Le quali cose tutte richiedono  l’aiuta degli dei e della fortuna.  Fra i Quadi,  ulle sponde del Or amia. A FauRtiiia non dovè esser diffìcile il celare coir astuzia o colla fìnta tenerezza! [Suoi pessimi portamenti ad un nomo di sì  poco sospettosa natura qual era Antonino, massime verso dii mostravagli affeziono]. Al mattino, fa’ che tu dica a te stesso. Avrò da fare con un curioso, con un ingrato, con un soperchiatore, con un furbo, con un invidioso, con un insociale. Tutti questi difetti han per causa la ignoranza dei beni  e dei mali. Ma io, il quale conosco la natura del bene, e so ch’egli è l’onesto; e quella del male, e so  cb’egli è l’inonesto; e quella di lui  medesimo che pecca, e so ch’egli è  mio congiunto; non perch’egli sia d’ uno stesso sangue o d’uno stesso seme con me, ma perchè partecipa  «r una stessa mente e d’ una stessa  origine divina. Io non posso ricever danno da nessun di loro. Giacché  nessuno mi farà incappar mai nell’inonesto malgrado mio; nè adirarmi posso col mio congiunto, nè diventargli inimico; perchè NOI SIAM NATI PER COOPERARE L’UN COLL’ALTRO, siccome i piedi, siccome le mani, siccome le palpebre, siccome i denti di sopra e i denti di sotto. E però l’andare a ritroso l’ un dell’altro è cosa contro natura, ed è uno andare a ritroso lo adirarsi l’un coll’altro e l’aversi in dispetto. Questo checchessia, che io mi sono, è un composto di carni, di fiato, e della parte sovrana. Lascia  stare i libri; non travagliartene più;  non ne hai più il tempo. Ma, come quegli che sei presso a morire, metti le carni in non cale; elle non sono  altro che sangue, ossicini, e una rezza, per così dire, di nervi, di vene  [La parte sovrana, cioè la ragione o la  mente e d’arterie. Vedi anche il fiato che  cos’è: imvento; e non sempre il  medesimo, ma di continuo rigettato  e rinnovellato. Rimane la parte sovrana. A questa hai da badare. Tu sei vecchio. Non lasciare che ella serva più oltre. Non lasciare che ella sia tirata più oltre, quasi fantoccino, da appetizioni insociali; non lasciare  che ella contraddica più oltre al destino, 0 crucciandosi delle cose presenti o respignendo da sè le cose  avvenire. Le opere degli dei sono ripiene di  provvidenza. Le opere della fortuna  non sono infuori della natura, cioè  di quella coordinazione e connessione di cause cui la provvidenza  governa. Tutto scaturisce di là. Aggiugni che quanto è, di necessità è, ed è utile all’ universo di che tu sei parte. Ora, ad ogni parte della natura è buono ciò che porta la natura comune e che è sostentativo di quella. E sostentano il mondo, siccome  le mutazioni degli elementi, cosi ancora le mutazioni dei composti di essi  elementi. Queste cose ti bastino, queste sieno sempre mai le tue ferme credenze. E caccia via quella tua sete di libri, affinchè tu non muoia morando, ma sereno e ringraziando gli dei sinceramente e di cuore. Ricordati da quanto tempo tu vai differendo queste cose, e quante volte, avendo ricevuto opportunità  dagli dei, non te ne sei valuto. E convien pure che tu riconosca una  volta di qual mondo fai parte e da quale reggitor del mondo sei emanato; e siccome un tempo ti è prefìsso, del quale se tu non fai uso per  acquistare la tranquillità dell’ animo, egli passerà, e tu passerai, e non sarà  più. per ritornare. Sii sempre INTENTO AD OPERAR GAGLIARDAMENTE DA ROMANO E DA MASCHIO QUAL SEI, quel che hai por le mani, con serietà diligente e non punto affettata, con amorevolezza, con libertà, con integrità; e sgom-bra l’animo tuo da ogni altra cui*a. Lo sgombrerai, se farai ciascuna tua azione come se fosse l’ultima della tua vita, scevra affatto di leggerezza, e di avversione appassionata ai consigli della ragione, e di doppiezza, e di amor proprio, e di scontentezza  per le cose condestinate ab eterno con te. Vedi quanto poco ci vuole perchè altri possa vivere una vita  avventurosa e accetta agli dei! Chè  di fatti gli dei non richiederanno  nulla più da chi osserva cotesto. Disonorati su, disonorati, o anima; d’onorarti poi, non ti rimarrà  più tempo. Perchè tanto di bene ha ciascheduno, quanto la sua vita glie  ne arreca; e tu hai pressoché consumato la tua, non già rispettando. Con/’ala/ia, disse CICERONE usando anch’egli una voce ignota sinallora ai latini. 2t)   te medesima, ma riponendo nelle  anime altrui la tua felicità. Se’ tu svagato dalle impressioni  del di fuori? Concedi agio a te stesso  di imparare alcun che di buono, o cessa dall’errare qua e là. Ornai anche hai da guardarti da un  secondo svagamento. Perchè vaneggiano anche con le azioni gli uomini  stanchi della vita e non aventi uno scopo a cui dirigano ogni loro sforzo  ed ogni lor pensiero qualunque. Per non avere avvertito ciò che  succede nell’anima d’un altro, di  rado l’uomo fu mai veduto infelice, ma chi non avverte i moti dell’ anima  propria, è infelice di necessità. Queste ione conviene avere a  mente sempre. Quale è la natura dell’universo e quale la mia. Qual relazione ha questa con quella. Qual parte è del tutto e di qual tutto. E come nessuno può impedirti dal far sempre E DIRE ciò che è consentaneo alla natura di che sei parte.  Filosoficamente Teofrasto, nel  paragone ch’ei fa dei peccati, secondo che volgarmente si suole,  afferrna esser più gravi le colpe che  si commettono PER CONCUPISCENZA  che  non quelle che si commettono PER IRA. Imperocché non senza un certo dolore e raggricchiamento segreto  deir animo mostra l’uomo adirato ch’egli si torca dalla ragione; laddove CHI PECCA PER CONCUSPISCENZA, VINTO DAL PIACERE, sembra, in un certo modo, più intemperante e più EFFEMINTATO nel fallo. Rettamente adunque e con molta filosofia dice egl’essere maggiore la colpa di chi PECCA CON PIACERE che non di chi pecca con  dolore. Ed infine,’ uno rassomiglia  piuttosto a persona ingiustamente  [volgarmeutu: detto por opposiziono al dettato stoico, essere i peccati uguali. olTesa, che il dolore abbia sforzato a  sdegnarsi. Ma l’altro si muove spontaneo e da per sè all’ingiustizia, recandosi PER CONCUPISCENZA  a far checchessia. Convien pensare ed operare  ogni cosa come se tu dovessi uscir di vita in quell’ ora. Uscir di vita, se ci sono gli Dei, non è punto cosa tremenda. Da che non è possibile ch’essi ti vogliano fare incappar nel male e se non ci sono, o se non  curano le cose umane, a che vivere  in un mondo orbo di provvidenza e d’Iddei? Ma e ci sono gl’iddei, e si  piglian cura dell’uomo; e perch’egli  non inciampasse nei mali veri, posero in arbitrio di lui la cosa; dei  rimanenti se alcun fosse male, a  quello ancora avrian provveduto, sì  che potesse ognuno guardarsene. Ma  quello che non fa peggiore l’uomo,  come farebbe peggiore la vita dell’uomo? Oltre che la natura dell’ universo non saria stata mai trascurata A TAL SEGNO non, perdi ella non sapesse; non, perchè sapendo non potesse); non saria mai, dico, nè per  impotenza nè per disavvedutezza incorsa in tanto errore da lasciare che  i beni e i mali toccassero del pari  e senza differenza nessuna ai buoni  ed ai tristi. E pur noi veggiamo che  la morte e la vita, la gloria e l’infamia, il dolore e il piacere, le ricchezze o la povertà, cose tutte che  non sono nè oneste nè inoneste, toccano senza differenza ai tristi ed ai  buoni. Adunque, nè benf olle sono  nè mali. Come tosto svanisce e va a per-  dersi ogni cosa, nel vortice del mon-  do i corpi, e nello avvicendarsi del  tempo la memoria di quelli! quali  sono tutte le cose sensibili, e mas-  simamente quelle clic adescano col  piacere o atterriscono col dolore o  sono dalla vanità degli uomini celebrate! quanto son vili, dispregevoli,  sucide, corrottibili, morte! questo è  . da considerare per una facoltà intel-  lettiva: che cosa son coloro le opi-  nioni dei quali e le voci distribui-  scono la fama ; che cosa è il morire ;  e siccome, chi lo considera solo da  per sè, separandolo con la mente da  tutto ciò che la fantasia v’ ha aggiunto, non se ne fa più concetto se  non come di operazione della natura :  ora il temere un’ operazione della na-  tura è cosa da fanciullo. E questa  non solo è operazione della natura,  ma operazione utile a quella. In  che maniera 1’ uomo comunica con  Dio, e per qual parte di sè; e come  disposta debb’ essere allora questa  parte dell’ uomo. Non v’ ha misero al pari di  colui che va esplorando in giro ogni  cosa, come disse quell’ altro, anche  le cose di sotterra, e vuol penetrare,  per via di congetture, ciò che sta nell’ animo del vicino, senza accor-  gersi che gli basterebbe pure tenersi  accanto al genio che è in- lui, e servir quello di cuore. Servire il genio  che è in noi,' vuol dire mantenerlo  netto di passione, di operar teme-  rario, e di scontentezza per cosa che  venga dagli Dei o dagli uomini. Per-  chè quel che viene dagli Dei è ve-  nerabile, per la virtù eh’ è in loro :  quel che vien dagli uomini è ami-  chevole, per la parentela che abbiam  con loro; e talvolta anche compas- 1  sionevole per l’ ignoranza in che '  sono de’ beni e dei mali ; cecità non  minore di quella che impedisce di  scernere il bianco dal nero.  Quand’ anche tu avessi a vivere  tre migliaia d’ anni ed altrettante  diecine di migliaia, sovvengati non-  dimeno che r uomo non perde altra  vita che quella eh’ egli vive, nè vive    ' Inteudi la ragione.   altra vita che quella ch’egli perde.  Ad uno stesso fine adunque riescono  e la più lunga vita e la più breve.  Perchè il presente è uguale per tutti,  se bene non è uguale lo spazio di  vita insino allora trascorso; e così  appare che il tempo che l’ uom perde  è un momento indivisibile. Nè il pas-  sato di fatti nè il futuro non può  perdere egli mai; come perdere ciò  che non ha ? Di questi due punti  adunque ti hai da ricordare; l’uno,  che il mondo va eternalmente sem-  pre ad un modo, ravvolgendosi come  in un cerchio, e che non v’ ha dif-  ferenza dal vedere le stesse cose per  cento anni al vederle per dugehto o  per la infinità dei secoli; l’ altro, che  ugual vita perde e chi muor decrepito  e chi muore'per tempissimo ; perchè  il presente è la sola vita che venga  lor tolta, essendo la sola che ciascun  d’ essi abbia, e nessuno non potendo  perdere quel che non ha. Siccome tutto è opinione. È noto il detto di Monimo il cinico. E  nota anche V utilità di quello, chi ne  colga il midollo per insino ai confini  del vero. L’anima umana fa onta a sè  stessa, primieramente quando ella ;  diventa, per quanto sta in lei, come  chi dicesse un apostema o tumore  del mondo, ritraendosi da quello co-  me fan gli umori guasti dal corpo. Perchè il crucciarsi di un accidente  qualunque è un ritrarsi dalla natura  univei-sale, dentro alla quale son  contenute, siccome parti di quella,  tutte le nature degli altri. In secondo  luogo, quando ha avversione a un  [Diceva che] [Ogni nostra opinione è fumo e boria. “Apostema” in greco vuol dire ad un tempo  ed apostema e ritiramento. È solenne agli  stoici il torre esempi, nelle cose morali,  dalla natura fisica, siccome quella in cui è  contenuta, secondo loro, ancho la natura  morale. qualche uomo, od anche se gli volge  contro per nuocergli, come le anime  degli adirati. In terzo luogo ella fa  onta a sè stessa quando si lascia vin-  cere dal piacere o dal dolore. Quarto,  quando ella s’ infinge ed opera o  parla con simulazione e contro la  verità. Quinto, quando ella non in-  dirizza a nessuno scopo una qualche  sua azione o una qualche sua deter-  minazione di volontà, ma opera a  caso e senza sapere che cosa si fac-  cia; laddove nè anche le minime cose  non (iovrian farsi mai se non con rela-  zione al fine. E il fine degli animali ra-  gionevoli è il conformai'si alla ragione  e legge della più antica fra le città e  le repubbliche e della più veneranda. Della vita umana, la durata è  un punto; la materia, fluente; il  senso, tenebre ; la compagine di tutto  il corpo , corruzione ; l’anima,* un   La città e repubblica del mondo. Per anima qui non s' intendo certamente  ap^gintrsi perpetuo; la fortuna, cosa  mala a prevedere; la fama, cosa  senza giudizio. E a dirla in breve, ciò che riguarda il corpo, è un torrente; ciò che riguarda l’ anima, so-  gno e fumo ; la vita tutta intera,  guerra e pellegrinaggio; e la rino-  manza che le vien dopo, oblio. Che i  adunque v’ ha a cui tu ti possa atte-  nere? Sola ed unica una cosa; la  filosofia. E questa consiste nel custo-  dire per tal modo il genio interno,  eh’ egli non riceva nè onta nè danno,  sia superiore al piacere e alla pena,  non operi nulla a caso, nè infìnta-  mente 0 con animo d’ ingannare, nè  abbia bisogno mai che altri faccia o  non faccia checchessia; inoltre ac-  cetti ogni avvenimento a lui desti-   r anima ragionevole, nè la mente, o la parte  sovrana, o il genio interno menzionato nelle ,  linee segnenti; ma solamente il principio della vita animale [Una distinzione è fatta distinzione fra corpo, anima e mente. nato siccome cosa che gli viene di  colà d’ onde è venuto egli stesso ;  sovra tutto poi, aspetti la morte con  mente serena, siccome nulla più che  dissoluzione degli elementi onde ogni  animale è composto; ai. quali se non  è grave lo essere trasmutati di conti-  nuo r uno nell’ altro, per qual ca-  gione si avrà ella a temere la tras-  mutazione e la dissoluzione d’ essi  tutti in una volta? Ella è cosa se-  condo natura; e nulla che sia se-  condo natura non è mai un male. Tn Carnvnto,  Non solamonte è da considerare che la vita si va consumando  ogni dì, e che sempre ce ne riman  meno, ma eziandio che egli è incerto, ove ancor l’uomo viva lungamente, s’egli avrà sempre vigor 'di  mente che basti per la intelligenza  degli affari e la contemplazione che  ha per iseopo la conoscenza delle  cose divine ed umane. Perchè, quan-  do egli incominci a vaneggiare, non  cesserà però, egli è vero, nè di tra-  spirare, nè di nudrirsi, nè di avere  immaginazioni, nè appetiti, nè altre cose di tal fatta; ma valersi di sè  stesso, ma avvertire distintamente  tutti i numeri * del dovere, ma chia-  rire i propri concetti, ma, quel che  importerebbe allora, deliberare se  sia già tempo per lui di andatene,®  e quante altre cose richieggono una  raziocinativa molto bene esercitata,  cotesto non potrà egli più, chè la  facoltà sarà spenta anzi tempo. Con-  viene adunque affrettJirsi, non sola-  mente perchè ci facciamo ognora  più vicini alla morte , ma ancora  perchè cessano in noi anzi il finir  della vita la intelligenza e la com-  prensione delle cose. È degno pure d’ osservazione  che anche quelle cose le quali sono  un mero accompagnamento necessario  [‘Onesto’ chiamano gli stoici il perfetto  bene per lo avere esso tutti i numeri che la  natura richiede.] [Secondo gli stoici non dovea rimanere  in vita r nomo che non potea più adempire  gli uffici d’uomo] d’ ima operazione della natura  hanno un non so che di grazioso e  di dilettevole. Per esempio, cocen-  dosi il pane, si screpola in certi luo-  ghi. Or bene, anche quelle così fatte  screpolature che stan là, per così  dire, fuori dell’ intenzione del for-  naio, hanno un certo garbo o muo-  vono r appetito in un certo modo  lor proprio. Ancora i fichi, quando  sono ben maturi, si aprono. E nelle  ulive lasciate lunga pezza in su V al-  bero, quello stesso essere già vicine  a corrompersi, aggiugne al frutto  una certa bellezza particolare. E le  spighe che s’ inchinano, e la guar-  datura del leone, e la schiuma che  esce fuori di bocca al cinghiale, e  molte altre cose le quali, considerate  da per sè, sono lontane da ogni bellezza, nondimeno, perch’ elle accom-  pagnano necessariamente un’ opera  della natura, aggiungono a quella  ornamento e dilettano altrui. Di maniera che, chi avesse altezza d’ in-  gegno e considerasse ad una ad una  le cose che accadono nell’ universo  mondo, nessuna ne troverebbe per  avventura, anche di quelle che sono  mera conseguenza- necessaria delle  altre, la quale non gli paresse farsi  con una certa grazia. Costui vedreb-  be la gola spalancata d’ una fièra viva  con non meno piacere che quando  gli scultori o i pittori glie la fan  vedere imitata; e nelle vecchiarelle  e nei vecchi scorgerebbe un certo  che di finito e di maturo non meno  piacevole ai casti occhi di lui che  là venustà dei fanciulli ; e molte altre  cose gl’ incontrerebbe di vedere, che  non fan senso in tutti, ma solamente  in chi s’ è veramente addimesticato  con la natura e con le opere di  quella. Ippocrate cura di molti ammalati. Poi s’ammala egli stesso, e muore. I caldei predicono a molti la morte, e poi venne anche per loro  la morte. Alessandro e Pompeo e Giulio Caio Cesare, i quali distrussero dalle fondamenta le tante città, e tagliarono a pezzi in giornata campale le tante migliaia di cavalli e di fanti, usceno poi anch’essi di vita, alla  fine. Eraclito, dopo avere con tanta sapienza e ragioni naturali discorso intorno alla conflagrazione del mondo, gonfiatosegli d’acqua il corpo,  coperto di letame se ne muore. DEMOCRITO e spento da’ pidocchi, SOCRATE da pidocchi d’ un’ altra sorta. Che è ciò? Ti se’ imbarcato, hai navigato, sei giunto; esci di nave. Se  per andare ad un’altra vita, nessun  luogo è vuoto di iddii, e nè anche [Diogene Laerzio narra che Democrito  mori di vecchiaia. LUCREZIO, che nscì spontaneamente di vita, perchè sente il suo  spirito indebolirsi per effetto degli anni. Non trovasi nota alcuna  tradizione che concordi con ciò che qui dice Antonino] quello dove vai; se per rimanere  senza sentimento, avrai finito di soffrire i dolori E I PIACERI e di dovere andare a versi ad un vaso che è di  tanto inferiore a quel che gli serve. Perchè l’ uno è mente e genio, e l’altro è terra e sangue. Non consumare quella porzione  che ti rimane di vita nel pensare ai  fatti altrui, ogni volta che tu noi  faccia con un fine di comune utilità. Cioè nello andar fantasticando che cosa opera il tale e per qual cagione, e che dice, e che pensa, e che macchina, e somiglianti cose, le quali  tutte ti fan deviare dalla custodia  della tua parte sovrana. Conviene adunque guardarsi, nella succession  dei pensieri, dall’ozioso e dal vano, ma molto ancora^più dal curioso e dal maligno; ed avvezzar sè stesso a pensar solo tali cose che, quando  altri, all’improvviso ti domandasse, che pensi ora? Tu possa risponder tosto e senza tema. Questo, o quest’altro. Onde appaia subito manifestamente non avervi nulla in te  che non sia schietto e benevolo,  nulla che non convenga ad animai  socievole; il quale non si compiace  nelle immaginazioni di piacere o di  godimento qual eh’ ei sia, o di gaiti  o d’invidia o di sospetto, o di qua-  lunque altra cosa ti facesse arrossire  quando tu avessi a confessare che  l'avevi in mente. Un uomo di tal  fatta, il quale non indugia d’ oggi in  domani a por sè nel novero degli  ottimi, è come un sacerdote e un  ministro degli Dei, devoto, non meno  che agli altri, a quello che ha il suo  tempio in lui medesimo; per virtù  del quale l’ uomo diventa inconta-  minabile ad ogni jiiacere, invulne-  rabile ad ogni dolore, inviolabile ad  ogni ingiuria, insensibile ad ogni  malizia, sostenitore in campo della  massima fra le imprese, quella del non essere abbattuto da nessuna  passione, imbevuto di giustizia in-  sino al fondo, disposto ad accogliere  con tutta r anima quanto accàSe e  gli vien destinato, e non occupan-  tesi se non di rado nè mai senza  una grande e pubblica necessità, di  CIÒ che altri fa o dice o pensa ; perch’ egli non ha altre azioni in sua  balìa che le proprie, e pensa conti-  nuamente alle cose che il fato del-  r universo gli arreca; per far si che  le prime sieno oneste, siccome ha  fede che le seconde sien buone ;  quando la sorte attribuita all’ uomo  procede dalla stessa causa che l’ uo-  mo e concorre insieme con 1’ uomo  ad un medesimo fine. Sa inoltre che  tutti gli esseri ragionevoli han pa-  rentela fra loro; che è quindi con-  forme alla natura dell’ uomo il tener  cura di tutti ; benché non sia da far  conto deir opinione di tutti, ma solo  di coloro che vivono secondo natura. Quanto a quelli che vivono altra-  mente, egli tien sempre a memoria  che sorta cT uomini sono, e quali, e  in casa e fuor di casa, e di notte e di  giorno, si dimostrano, e con quali  praticano; non ha quindi in pregio  nessuno la lode che gli può venire  da tallente, la quale nè anche a sè  stessa non piace.   5. Non operar mai nè contro al  tuo volere, nè senza relazione al  bene della società, nè senza avere  esaminato la cosa, nò con renitenza ;  non adornare con isquisitezza di frasi  il tuo pensiero: non esser uomo nè  di molte parole, nè di molte faccen-  de.' Ancora, fa’ che il Dio tuo in-  terno abbia a governare in te un  animale maschio, attempato, citta-  dino, romano, imperatore, apparec-  chiato di tutto punto, siccome quegli  che non aspetta ornai se non il suono Di molte faccende in cattivo senso, come  chi dicesse faccendone, o faccendiere. della tromba* per uscir della vita,  e non occorre sforzarlovi nè col giu-  ramento, nè con la testimonianza  (f altr’uomo ; nel lieto aspetto del  quale ben si scorge non avere egli  bisogno nè dell’ aiuto che vien dal  di fuori, nè della tranquillità che gli  altri procurano. Conviene adunque  esser ritto in piedi già, e non riz-  zarui solamente. Se tu trovi qualche cosa di meglio nella vita dell’ uomo che la giustizia, che la verità, che la temperanza. che la fortezza, e, in una pa-  rola, che quella disposizione della  mente per cui ella si appaga di sè  medesima nelle cose die ti fa ope-  rare secondo la retta ragione,, e del  fato, nelle cose che senza parteci-  pazione della tua volontà ti vengono  distribuite; se, dico, tu trovi alcun  che di meglio che questo, a quello   1 Similitudine tolta dagli ordini della  milizia appo i Romani. voiti con tutta l’ anima e godine  siccome di cosa che hai ritrovato  esser l’ottima. Ma se nulla ti si presenta di meglio che il genio stesso  tuo interno, quando si è fatto signore  de’ propri moti, e rivoca ad esame  le proprie immaginazioni, e si è sot-  tratto^ come dice SOCRATE, dalle  passioni del senso, e vive sottomesso  . agli Dei e pigliandosi cura degli uomini. Se, a paragone di questa, tutte  . le rimanenti cose ti paion picciole  e vili, non dar più luogo appresso  te a nessuna altra, alla quale una  volta che tu ti sentissi propendere,  più non potresti senza repugnanza  preferire a tutti quel bene che è proprio di te ed è il tuo; perchè al  bene j’azionale ed efficiente non  vien contrapposto impunemente mai  nulla che sia di natura diversa, come  le lodi della moltitudine, o il comandare, o i piaceri del senso ; tutte  queste cose, per poco che le si paiano   Ò1   adattare,' ti sopralfamio in un attimo  e ti strascinano. Or tu, dico io, sce-  gli schiettamente e liberamente il  meglio, e a quello ti attieni. — Ma  il meglio è l’utile. Se l’utile all’uomo in quanto è ragionevole, bene  sta, quello procura: se l’ utile all’ uo mo in quanto animale, dillo su aper-  tamente e vivi di poi senza boria nò  fasto, secondo quella determinazio-  ne. Ma bada, ve’, che non ti inganni  nell’ esame. Non riguardare giammai come i [Par ch’Antonino alluda qui alla teoria dell’adattare le nozioni generali alle cose  particolari, o, del concetto alla rappresentazione, che è ciò in che  consisto il giudizio]. Dillo spiattellatamente, se ardisci, senza  avvolgerti in parole coperte: e ammetti poi  tutte le conseguenze di quel tuo detto: cioè,  vivi poi da animale mero e puro, senza in-  gerirti a parlare nè di moralità nè di virtù  nè di giustizia, nè d* altro simile, che in  quel caso sarebbero un vano fasto di parole. E provocazione al senso intimo dell'uomo. Utile a te nulla che sia per isforzarti  un dì a violar la fede, abbandonare  il pudore, odiare alcuno sospettare,  maledire, simulare, desiderar cosa j  che abbia bisogno di pareti e di ve-  lame . Chi ha posto innanzi ad ogni  altra cosa la sua mente e genio, e  il culto della virtù eh’ è propria di  quello, non fa tragedie, non geme,  non ha bisogno di solitudine, non  di frequenza d’ uomini; quel che più  impoita, vive senza ricercar nulla  nè fuggire; abbia ad esser lungo o ,  abbia ad esser corto Tintèrv^allo di  tempo durante il quale sarà conte-  nuta nel corpo l’ anima con che egli  lia a fare,' non se ne piglia nè an-  clic il minimo pensiero; e quando Con che egli ha a fare. Non veggo che  cosa abbia voluto dire l’ornato. [Il senso letterale del testo è: sia lungo o sia breve  il tempo, eh' egli avrà a far uso dell' ani-  ma contenuta nel corpo. Il che, parrai, equi-  vale a dire: sia lungo, o sia breve il tempo  ch'egli ha a vivere. L’è giunta l’ora dello sgombrare, cosi  spiccio se ne va, come se imprendesse un’ altra qualunque di quelle  azioni che si possono con verecondia  e con dignità operare; da questo  solo guardandosi per tutta la vita, ,  che veruno dei moti della sua men-  te non sia mai men che convene-  vole ad animale intelligente o sociabile.  Nella mente dell’ uom castigato  e puro non troverai nulla di marcio,  nè tampoco nulla di contaminato o  che paia sano al di fuori e noi sia.  La vita di lui, a qualsivoglia ora lo  sorprenda la morte, non è mai imperfetta, come tu diresti quella tragedia d’onde un attore si fosso riti-  rato prima d’ aver condotto a fine  la sua parte. Ancora non è in lui  nulla di villano, nè nulla di artata-  mente gentile; nulla che il leghi  alle cose esteriori nè nulla che lo  separi da quelle; nulla onde egli sia palesemente ripreso,' nè nulla che  covi addentro nascosto.  Abbi in rispetto la facoltà giudicativa.^ Per lei sta che non si ge-  neri nella tua parte sovrana nessuna  opinione che non sia consona alla  natura o al fine per che 1’ uomo è  ordinato. Ed essa promette la infallibilità, e l’amicizia con gli uomini  e l’ubbidienza agli Dei. Messe adunque da banda tutte  le altre cose, queste poche sole abbi  in mente; ed ancora ricordati che i  r uomo non vive altro tempo che  questo presente, cioè un attimo; il  rimanente o lo ha vissuto o non sa  se il vivrà. Picciola cosa pertanto è  [Intendi: nulla che appaia manifestamente vizioso. Ossia la virtù del non cadere in errore ; che vien definita da Zenone la  scienza del quando conviene assentire ad i  un' apparenza, e quando no. Questa accompagna sempre il giudizio comprensivo,  che è il criterio della verità appo gli  stoici. 0 Digitizedh, Cnoi^li:    il tempo che l’ uom vive, picciola cosa rangoletto della terra dov’egli vive. Picciola cosa la fama anche la  più lunga eh’ egli lascerà dietro sè,  e questa tramandantesi per succes-  sione d’ omiciattoli in omiciattoli,  morti quasi appena nati, ed ignari  anche di sè medesimi, non che di  colui il quale moriva è già gran  pezza.   li. Agli avvertimenti dati sin qui  s’ aggiunga ancora quest’ uno, di de-  finir sempre o descrivere l’oggetto  che cade sotto al tuo senso, si che  tu lo scorga a parte a parte distin-  tamente e tutt’ insieme quale egli è  nella sua essenza nudo, e dir teco  stesso il nome proprio di quello e  il nome delle cose di che è compo-  sto e in che s’ ha da risolvere. Perchè non v’ ha nulla che sublimi  cotanto l’animo quanto il potere arguire per la diritta via e con verità  ciascuna delle cose che incontrano  nella vita, e saperle vedere per ino»  do da conoscere nello stesso tempo  di qual uso sendo questa tal cosa  al mondo, e a qual mondo, qual  valore ha rispetto al tutto e quale  rispetto air uomo, che è cittadino  della suprema fra le città, della  quale le altre città sono' come al-  trettante famiglie. Che cosa è, e di  che cosa è composto, e quanto tempo  è por duiare ij cesto che fa impres-  sione ora sul mio senso; di che virtù  s’ ha da far uso con esso, per esem-  pio, della mansuetudine, della for-  tezza, della veracità, della fede, della  semplicità, della frugalità, o simili.  Però, intorno a ciascuna cosa, con-  vien dire : questa mi viene da Dio. Questa dalla sorte, dalla complica-  zione delle cause condestinate, e so-  miglianti cose; quest’ altra dal mio  consorto, dal mio congiunto, dal  partecipe d’ una stessa società con  me, il quale ignora nondimenò ciò  che è secondo natura per lui. Ma   10 non lo ignoro ; e però mi governo  con lui secondo la legge naturale  della società, con benevolenza e giu-  stizia; e ad uno stesso tempo ho  riguardo, nelle cose mezzane,' al  valore di ciascheduna. Se tu operi secondo la retta  ragione quel che hai fra mano, stu-  diosamente, c vigorosamente, placi-  damente, e non t’ occupi d’ altra cosa  tra via, ma conservi puro ed intatto   11 genio tuo, come se tu dovessi già  rassegnarlo ; se a lui ti tieni stret-   Si chiamai! còse mezzane appo gli stoici  quelle che non sono nè ben nè male, cioè  nè virtù nè vizio. Le quali, comecché da  per sè non meritino d' esser cercato nè fug-  gite, si accettano nondimeno o si rigettano  per r aiuto o disainto che elle possono ar-  recare alla vita secondo natura. Quelle che  arrecan più aiuto, han più valore: quelle  che più disainto, più disvalore. Di questò  ha da tener conto il savio, ed accettare,  quando gli è data la scelga, quelle che han  più valore, o che han meno disvalore. 0.  Sottintendi « a chi tol diede. » to, nulla aspettando, da nulla rifug-  gendo, contentandoti dell’ azion tua  presente secondo natura e della eroi-  ca verità d’ ogni cosa che tu dica:  felicemente vivrai. Ora non v’ ha  nessuno' che ti possa questo impedire. Come i medici han pronti sem-  pre i loro ferri e strumenti per le  cure inopinate, così abbi tu alla mano  i principi! * per la cognizione delle  cose divine ed umane; e non far  nulla mai, per poco che sia, senza  ricordarti del legame che unisce  queste con quelle. Perchè nulla di  umano farai tu bene se non lo ri-  ferirai al divino, e viceversa. Non andar più vagando; per-  chè non sei per rileggere oramai nè  i tuoi ricordi, hè le azioni degli an-  tichi romani e greci, nè gli estratti  Punti fondamentali di credenza, cre-  denze prime, dommi : decreta .appo Cicerone. d’ autori che riserbavi per la vec-  chiaia. Studiati dunque d’ arrivare  al fine, e poste da banda le spe-  ranze vane, soccorri a te stesso, se  pur ti cale di te, mentre che il puoi.   15. Non sanno * quanti significati  abbiano le parole rubare, seminare,  comperare, riposare, veder quel che  sia da fare, il che non si reca ad  effetto con gli occhi, ma con un’al-  tra sorta di vista. Corpo, anima, mente ; del corpo  son le sensazioni, deh’ anima le ap-  petizioni, della mente le credenze.^  Ricevere impressioni nella fantasia  è cosa anche da giumento; esser  mosso da appetiti è cosa anche da  fiera, anche da androgino, anche  da Falaride, anche da Nerone; avere  per iscorta la mente a quello che  ci pare nostro ufficio, è cosa anche    I Sottintendi c gli nomini del volgo. Dommi, decréta. 0.   Intendi, a quello che ci par eg$ere noda chi non crede che v’ abbiano  Dei, da chi abbandona la patria, da  chi fa, quando ha chiuso le porte,  ogni opera nefanda. Se adunque  tutte queste cose abbiam comuni  cogli anzidetti, resta che sia proprio  dell’ uomo dabbene lo amare ed ab-  bracciare gli accidenti ad esso con-  destinati e guardarsi dal macchiare  e turbare con immaginazioni sconce  il genio che risiede nel petto di lui,  ma conservarlo propizio, seguendolo  modestamente* come un Iddio, non  dicendo mai nulla che sia contro  al vero, nè dicendo *mai nulla che  sia contro al giusto. Che se nissuno    ttro interene. Questo è il significato generale della parola ufficio appo gli stoici. Solo allor quando le si aggingne l'epiteto di  perfetto denota essa il dovere^ che è come  V intereae iublime dell' uomo. Noto questo  perchè alcuni degli interpreti, e per ultimo  anche il Corai, hanno maravigliosamente  scompaginato - e interpolato questo passo;  frantendendolo. V. Diog. Laerz.; Stobeo ; Cic.  de Officiùt otc. degli uomini non gli vuol credere  eh’ egli viva con semplicità, con ve-  recondia, e di buon animo ; nè s’adira  egli contro costoro, nè si svia dalla  strada che conduce al fine della yita.  al quale si vuol giunger puro, tran-  quillo, spedito, e conformato di vo-  lontà col proprio destino. La parte che dentro di noi re-  gna,* quando è nel suo stato natu-  rale, ha tal disposizione verso gli  accidenti, che senza difficoltà si rivolge sempre al possibile e al dato.  Perch’ella non ama nessuna mate-  ria determinata ; ma si porta con  eccezione* a quello che si ha pro-  posto, e quando alcun che se le  viene ad attraversare per via, ella  si fa di quello stesso materia ; come  il fuoco, quando s’ impadronisce delle   I La parte sovrana o dominante.  [Eccezione : vocabolo stoico. Indica limitazione del proponimento al possibile]. Farò  la tal cosa, se non sarò impedito] cose die incontra, dalle quali una  picciola lampana sarebbe spenta. Ma lo splendido fuoco assimila a sè tosto ogni cosa che se gli butti dentro, e  la consuma, e per quella stessa s’in-  nalza più in su.   2. Nessuna azione sia fatta a caso  mai, nè altrimente che secondo una  delle regole costitutive dell’arte. Van cercando ritiri, alla campa-  gna, alla marina, sui monti; e tu  stesso suoli desiderare siffatti luoghi.  Ma cotesto è da uomo ignorantissi-  mo, potendo tu, a quell’ ora che tu  vuoi, ritirairti in te stesso. Perchè   * Ad ogni caso della vita corrispondo  una virtù da esercitare (vedi sopra, III, 11,  e più abbasso, IX, 11, 42): ed ogni virtù è  appo gli stoici nna scienza nello stesso  tempo ed un’ arte: parlo delle virtù pro-  priamente dette. Come scienza quindi e  come arte consta di certo proposizioni o re-  gole, ciascuna delle quali è parte integrante  di quella, e tutto insieme" la costituiscono. Ogni ufficio consta di corti numeri.      inroRDi.    «4   in nessuno altro luogo si ritira l’ uomo con più tranquillità e con meno  brighe che nell’ anima sua ; massi-  mamente chi ci ha dentro tanto  alti oggetti di contemplazione che  il solo affacciarsi a loro procaccia  tosto ogni sorta di agevolezza. Quan-  do dico agevolezza, non voglio dir  altro che buon ordine. Concedi adun-  que sovente a te questo ritiro e rin-  novella quivi te stesso. Breve sia  r espressione ed elementare la forma  di quelle verità contemplative che  avran forza di rasserenare al primo  incontro V anima tua c. rimandarti  senza corruccio alle cose alle quali  ritorni. Perchè, di che cosa ti coi'-  rucci? Della malizia degli uomini?  Rammentati di quella sentenza, che  gli esseri ragionevoli son fatti gli uni  per gli altri; che il sofferire è parte  della giustizia; che malgrado loro  peccano ; che tanti si son già inimi-  cati, sospettati, odiati,  perseguitatisi  a morte, i quali ora sono spenti, son  fatti cenere; e te ne darai pace. 0  ti crucci tu di quella parte che a te  Vien compartita dell’ universale de-  stino? Rinnovella il dilemma. 0 è  la provvidenza o son gli atomi,' op-  pure gli argomenti con che s’ è di-  mostrato che il mondo è come una  città. Ma forse tu ti contristi delle  affezioni del corpo? Pensa che non  han più nulla che fare con la mente  i moti o sieno soavi o sieno aspri  del senso, ogni volta che questa s’ è .  raccolta in sè medesima ed ha cono-  sciuto la sua propria potenza; al che  potrai aggiugnere quelle altre cose  che intorno al piacere e al dolore  hai apparato ed accettato per vere.   0 sarà forse T amor di gloria quello  che ti turba? Considera come è ratto   Si allude al  sistema atomistico di- Epicuro, il quale ne-  gava la previdenza, e attribuiva il mondo e  tutti i fenomeni del mondo ad una causa  non intelligente. l’oblio d'ogni cosa, interminato dal -  runa parte e dall’ altra* il caos della  età, vana cosa il rumore, mutabile,  e inconsiderato chi in apparenza ti‘  esalta, angusto il luogo dove è cir-  coscritto il suo dire. Perchè tutta la  t.erra' è un punto: e qual parte di  essa è l’angoletto che tu abiti? e  quivi ancora quanti avrai lodatori, e  quali? D’or innanzi adunque sov-  vengati di ritirarti in questa tua vil-  letta di te medesimo; e sopra tutto,  non. t' affannare, non t’agitare, ma  sii libero e vedi le cose da uomo, da ‘  maschio, da cittadino, da mortale.  Ed abbi in pronto, fra le verità alle  quali dovrai far ricprso, queste due  principalmente: 1’ una, che le cose  non arrivano sino all’ anima, anzi  stanno al di fuori immobili;* e i  turbamenti nascono dalla sola opinione [A parte ante e a parte pott come dice  la scuola. 0.   nione, che è dentro. L’ altra, che  quanto tu vedi già già si muta e più  non è quel desso ; e rivolgi in mente  ciascuna delle mutazioni alle quali  tu stesso sei inten'enuto. Il mondo^ alterazione. La vita, opinione.  Se la intelligenza ci è comune  a tutti, anche la ragione per cui  siam ragionevoli ci è comune; se  cotesto è, anche la ragione imperativa di ciò che si dee fare o non fare  ci è comune; adunque anche la legge  ò comune; aifunque siam concittadi-  ni ; adunque partecipiamo tutti ad  una specie di reggimento civile ;  adunque il mondo è come una città.  Perchè qual altro direm noi che sia  quel reggimento civile di cui tutto  il genere umano partecipa? Di colà,  da quella città comune, viene a noi  r intelligenza, la ragione, la legge,  o d’ onde verrebbon esse? perchè,  siccome quanto v’ ha in me di terreo viene da una certa terra di cui fa  parte; e quanto v’ ha in me d’umido,  da un altro elemento; e quanto v’ha  di caldo e d’ igneo, da una certa  sorgente propria (nulla venendo mai  dal nulla nè ritornando nel nulla);  così anche la intelligenza dee venire  da qualche cosa.   5. La morte è come la nascita, un  mistero della natura; composizione  e risoluzione di certi elementi in  quegli elementi medesimi. Ad ogni  modo non è cosa di che 1’ uomo  debba arrossire ; perchè non è cosa  che repugni alla natura dell’ animale  intellettivo o disconsegua* al prin-  cipio della formazione di quello.   6. Tali cose debbono di necessità  farsi in tal modo da questi tali; chi  le vuole altrimente, vuole che il fico  non abbia lattificcio. Del tutto, sov-  vengati che in brevissimo tempo e    * Intendi ripugni, non aia conforme. !'•   tu e costui sarete morti: e che, poco  dopo, non rimarrà più di voi nè an-  che il nome. Togli via r opinione, ed è tolto  via il « sono stato offeso : » togli via  il « sono stato offeso, » ed è tolta via  r offesa.  Quello che non fa peggiore l’uomo non fa nè anche peggiore la vita  di lui, nè le nuoce, nè esternamente  nè internamente. È necessitata dall’ utile ‘ la na-  tura a far cotesto. Siccome ogni cosa che accade,  giustamente accade; il che, se tu  osserverai con attenzione, troverai   1 Comune. Più letteralmente : « È necessitata la na-  tura deir utile a far cotesto.» La natura  deir utile, cioè il principio sostanziale dell’utile (chè vuol esser presa sostanzialmente  in questo luogo la voce natura), il quale  evolvendosi, come ragion seminale, successivamente nel tempo, fa che ogni cosa sia  bene. Perchè non conviene dimenticar mai  che, appo gli stoici, l'utile non è altro che  il bene. sempre vero: non solamente, dico,  secondo l’ordine di conseguenza, ma  ancora secondo l’ordine di giustizia;  come se le cose procedessero da tale  che distribuisse a ciascuno secondo il  merito. Osserva adunque, come hai  cominciato ; ed ogni cosa che tu fai,  falla con questa condizione, che tu  sia uom dabbene, nel vero signifi-  cato della parola dabbene. Questo  carattere conserva in ogni tua azione. Non concepir le cose quali le  giudica colui che fa ingiuria, o quali  egli vuole che tu le giudichi; ma  vedile quali sono in realtà. Conviene esser sempre pronto  a queste due cose ; fai' solamente  quello che la ragion dell’ arte regia  e legislativa ti suggerisce per 1’ uti-  lità degli uomini ; e cangiar partito,  quando altri viene a raddrizzarti e  rimuoverti da una qualche falsa opi-  nione. Ma questo cangiamento dee  farsi sempre per un qualche motivo plausibile, come di giustizia, o  d’ utilità comune, o somigliante ; e  non mai perchè la cosa ti piaccia o  sia per arrecarti gloria. Hai la ragione? Si. Che  dunque non 1’ adoperi? Perchè, se  essa fa quanto le spetta, che ti resta  a desiderare? Sei venuto al mondo qual parte ; disparirai dentro al tuo generatore. 0, piuttosto, ti raccoglierai nella  ragion seminale di lui, per via di mutazione. Molti grani d’ incenso su uno  stesso altare: l’uno è caduto prima  e l’altro dopo. È lo stesso.  Tra dieci giorni parrai un Dio  a coloro, ai quali pari ora una bestia  e una scimmia, se fai ritorno ai prin-  cipii e al culto della ragione.  Non come se tu avessi a vi-  vere molte migliaia d’ anni. La morte  ti sovrasta: mentre vivi, mentre ti è  dato, fa’ che tu sia uom dabbene.  Di quante brighe si libera chi  non bada a quello che ha detto il vi-  cino, o ha fatto, o ha pensato, ma solo  a quello eh’ egli stesso fa, affinchè  r opera sua sia giusta, e santa, e  qual si richiede dall’ uomo dabbene !   Non andar guatando attorno i neri  costumi, ma corrér diritto in sulla  linea senza volgersi a destra nè a  manca. Chi vive abbagliato dal  pensiero di lasciar fama dopo morte,  non considera come ciascun di quelli  che si ricordano di lui morrà tosto  aneli’ egli, e poi ancora chi sarà a  costui succeduto, sinattantochè, pas-  sando da abbagliato in abbagliato e  da morente in morente, venga a spe-  gnersi affatto ogni memoria. Ma sup-  poni anche immortale chi s’ ha a ri-  cordare di te, ed immortale la fama ;  che fa ssi abbia, e nessuno non potendo  perdere quel che non ha. Siccome tutto è opinione. È   «   noto il detto di Monimo il cinico. E  nota anche V utilità di quello, chi ne  colga il midollo per insino ai confini  del vero. L’anima umana fa onta a sè  stessa, primieramente quando ella ;  diventa, per quanto sta in lei, come  chi dicesse un apostema o tumore  del mondo, ritraendosi da quello co-  me fan gli umori guasti dal corpo. Perchè il crucciarsi di un accidente  qualunque è un ritrarsi dalla natura  univei-sale, dentro alla quale son  contenute, siccome parti di quella,  tutte le nature degli altri. In secondo  luogo, quando ha avversione a un   * Diceva che   «Ogni nostra opinione è fumo e boria. Apostema in greco vuol dire ad un tempo  ed apostema e ritiramento. È solenne agli  stoici il torre esempi, nelle cose morali,  dalla natura fisica, siccome quella in cui è  contenuta, secondo loro, ancho la natura  morale. qualche uomo, od anche se gli volge  contro per nuocergli, come le anime  degli adirati. In terzo luogo ella fa  onta a sè stessa quando si lascia vin-  cere dal piacere o dal dolore. Quarto,  quando ella s’ infinge ed opera o  parla con simulazione e contro la  verità. Quinto, quando ella non in-  dirizza a nessuno scopo una qualche  sua azione o una qualche sua determinazione di volontà, ma opera a  caso e senza sapere che cosa si fac-  cia; laddove nè anche le minime cose  non (iovrian farsi mai se non con rela-  zione al fine. E il fine degli animali ragionevoli è il conformai'si alla ragione  e legge della più antica fra le città e le repubbliche e della più veneranda. Della vita umana, la durata è  un punto; la materia, fluente; il  senso, tenebre ; la compagine di tutto  il corpo , corruzione ; 1’ anima,* un   * La città e repubblica del mondo. Per anima qui non s' intendo certamente   ap^gintrsi perpetuo; la fortuna, cosa  mala a prevedere; la fama, cosa  senza giudizio. E a dirla in breve,  ciò che riguarda il corpo, è un tor-  rente ; ciò che riguarda l’ anima, so-  gno e fumo ; la vita tutta intera,  guerra e pellegrinaggio; e la rino-  manza che le vien dopo, oblio. Che i  adunque v’ ha a cui tu ti possa atte-  nere? Sola ed unica una cosa; la  filosofia. E questa consiste nel custo-  dire per tal modo il genio interno,  eh’ egli non riceva nè onta nè danno,  sia superiore al piacere e alla pena,  non operi nulla a caso, nè infìnta-  mente 0 con animo d’ ingannare, nè  abbia bisogno mai che altri faccia o  non faccia checchessia; inoltre ac-  cetti ogni avvenimento a lui desti-   r anima ragionevole, nè la mente, o la parte  sovrana, o il genio interno menzionato nelle ,  linee segnenti; ma solamente il principio ’  della vita animale. Vedi il § 16 del lib. Ili |  dei Bicordi, ove è fatta distinzione fra corpo,  anima c mente. P. I    nato siccome cosa che gli viene di  colà d’ onde è venuto egli stesso ;  sovra tutto poi, aspetti la morte con  mente serena, siccome nulla più che  dissoluzione degli elementi onde ogni  animale è composto; ai. quali se non  è grave lo essere trasmutati di conti-  nuo r uno nell’ altro, per qual ca-  gione si avrà ella a temere la tras-  mutazione e la dissoluzione d’ essi  tutti in una volta? Ella è cosa secondo natura; e nulla che sia se-  condo natura non è mai un male.  Tn Carnvnto,   Non solamonte è da considerare che la vita si va consumando  ogni dì, e che sempre ce ne riman  meno, ma eziandio che egli è in-  certo, ove ancor 1’ uomo viva lunga-  mente, s’egli avrà sempre vigor 'di  mente che basti per la intelligenza  degli affari e la contemplazione che  ha per iseopo la conoscenza delle  cose divine ed umane. Perchè, quan-  do egli incominci a vaneggiare,* non  cesserà però, egli è vero, nè di tra-  spirare, nè di nudrirsi, nè di avere  immaginazioni, nè appetiti, nè altre cose di tal fatta; ma valersi di sè  stesso, ma avvertire distintamente  tutti i numeri * del dovere, ma chia-  rire i propri concetti, ma, quel che  importerebbe allora, deliberare se  sia già tempo per lui di andatene,®  e quante altre cose richieggono una  raziocinativa molto bene esercitata,  cotesto non potrà egli più, chè la  facoltà sarà spenta anzi tempo. Con-  viene adunque affrettJirsi, non sola-  mente perchè ci facciamo ognora  più vicini alla morte , ma ancora  perchè cessano in noi anzi il finir  della vita la intelligenza e la com-  prensione delle cose.   2. È degno pure d’ osservazione  che anche quelle cose le quali sono  un mero accompagnamento neces-   [“Onesto” chiamano (gli stoici) il perfetto  bene per lo avere esso tutti i numeri che la  natura richiede. Secondo gli stoici non dovea rimanere  in vita r nomo che non potea più adempire  gli uffici d’uomo, 0. ] sario d’ ima operazione della natura  hanno un non so che di grazioso e  di dilettevole. Per esempio, cocen-  dosi il pane, si screpola in certi luo-  ghi. Or bene, anche quelle così fatte  screpolature che stan là, per così  dire, fuori dell’ intenzione del for-  naio, hanno un certo garbo o muo-  vono r appetito in un certo modo  lor proprio. Ancora i fichi, quando  sono ben maturi, si aprono. E nelle  ulive lasciate lunga pezza in su V al-  bero, quello stesso essere già vicine  a corrompersi, aggiugne al frutto  una certa bellezza particolare. E le  spighe che s’ inchinano, e la guar-  datura del leone, e la schiuma che  esce fuori di bocca al cinghiale, e  molte altre cose le quali, considerate  da per sè, sono lontane da ogni bel-  lezza, nondimeno, perch’ elle accom-  pagnano necessariamente un’ opera  della natura, aggiungono a quella  ornamento e dilettano altrui. Di maniera che, chi avesse altezza d’ in-  gegno e considerasse ad una ad una  le cose che accadono nell’ universo  mondo, nessuna ne troverebbe per  avventura, anche di quelle che sono  mera conseguenza- necessaria delle  altre, la quale non gli paresse farsi  con una certa grazia. Costui vedreb-  be la gola spalancata d’ una fièra viva  con non meno piacere che quando  gli scultori o i pittori glie la fan  vedere imitata; e nelle vecchiarelle  e nei vecchi scorgerebbe un certo  che di finito e di maturo non meno  piacevole ai casti occhi di lui che  là venustà dei fanciulli ; e molte altre  cose gl’ incontrerebbe di vedere, che  non fan senso in tutti, ma solamente  in chi s’ è veramente addimesticato  con la natura e con le opere di  quella.  Ippocrate curò di molti ammalati, e poi s’ ammalò egli stesso e  muore. I caldei predissero a molti la morte, e poi venne anche per loro  la morte. Alessandro e Pompeo e  Caio Cesare, i quali distrussero dalle  fondamenta le tante città, e taglia-  rono a pezzi in giornata campale le  tante migliaia di cavalli e di fanti,  uscirono poi anch’ essi di vita, alla  fine. Eraclito, dopo avere con tanta  sapienza e ragioni naturali discorso  intorno alla conflagrazione del mondo, gonfiatosegli d’acqua il corpo,  coperto di letame se ne morì. De-  mocrito fu spento da’ pidocchi ; ' So-  crate da pidocchi d’ un’ altra sorta.  Che è ciò? Ti se’ imbarcato, hai na-  vigato, sei giunto; esci di nave. Se  per andare ad un’ altra vita, nessun  luogo è vuoto di Iddii, e nè anche   [Diogene Laerzio narra che Democrito  mori di vecchiaia; Lncrezio, che nscì spontaneamente di vita, perchè sentiva il suo  spirito indebolirsi per effetto degli anni.  Non trovasi nell' antichità a noi nota alcuna  tradizione che concordi con ciò che qni dice  Antonino. P.    quello dove vai ; se per rimanere  senza sentimento, avrai Unito di sof-  frire i dolori e i piaceri, e di dovere  andare a versi ad un vaso che è di  tanto inferiore a quel che gli serve.  Perchè l’ uno è mente e genio, e  r altro è terra e sangue. Non consumare quella porzione  che ti rimane di vita nel pensare ai  fatti altrui, ogni volta che * tu noi  faccia con un fine di comune utilità;  cioè nello andar fantasticando che  cosa opera il tale e per qual cagione,  e che dice, e che pensa, e che mac-  china, e somiglianti cose, le quali  tutte ti fan deviare dalla custodia  della tua parte sovrana. Conviene  adunque guardarsi, nella succession  dei pensieri, dall’ ozioso e dal vano,  ma molto ancora^più dal curioso e  dal maligno; ed avvezzar sè stesso  a pensar solo tali cose che, quando  altri, all’ improvviso ti domandasse,  che pensi ora? tu possa risponder tosto e senza tema: questo, o que-  st’ altro ; onde appaia subito mani-  festamente non avervi nulla in te  che non sia schietto e benevolo,  nulla che non convenga ad animai  socievole; il quale non si compiace  nelle immaginazioni di piacere^ o di  godimento qual eh’ ei sia, o di gaiti  o d’invidia o di sospetto, o di qua-  lunque altra cosa ti facesse arrossire  quando tu avessi a confessare che  l'avevi in mente. Un uomo di tal  fatta, il quale non indugia d’ oggi in  domani a por sè nel novero degli  ottimi, è come un sacerdote e un  ministro degli Dei, devoto, non meno  che agli altri, a quello che ha il suo  tempio in lui medesimo; per virtù  del quale l’ uomo diventa inconta-  minabile ad ogni jiiacere, invulne-  rabile ad ogni dolore, inviolabile ad  ogni ingiuria, insensibile ad ogni  malizia, sostenitore in campo della  massima fra le imprese, quella del non essere abbattuto da nessuna  passione, imbevuto di giustizia in-  sino al fondo, disposto ad accogliere  con tutta r anima quanto accàSe e  gli vien destinato, e non occupan-  tesi se non di rado nè mai senza  una grande e pubblica necessità, di  CIÒ che altri fa o dice o pensa ; per-  ch’ egli non ha altre azioni in sua  balìa che le proprie, e pensa conti-  nuamente alle cose che il fato del-  r universo gli arreca; per far si che  le prime sieno oneste, siccome ha  fede che le seconde sien buone ;  quando la sorte attribuita all’ uomo  procede dalla stessa causa che l’ uo-  mo e concorre insieme con 1’ uomo  ad un medesimo fine. Sa inoltre che  tutti gli esseri ragionevoli han pa-  rentela fra loro; che è quindi con-  forme alla natura dell’ uomo il tener  cura di tutti ; benché non sia da far  conto deir opinione di tutti, ma solo  di coloro che vivono secondo natura.   Quanto a quelli che vivono altra-  mente, egli tien sempre a memoria  che sorta cT uomini sono, e quali, e  in casa e fuor di casa, e di notte e di  giorno, si dimostrano, e con quali  praticano; non ha quindi in pregio  nessuno la lode che gli può venire  da tallente, la quale nè anche a sè  stessa non piace.   5. Non operar mai nè contro al  tuo volere, nè senza relazione al  bene della società, nè senza avere  esaminato la cosa, nò con renitenza ;  non adornare con isquisitezza di frasi  il tuo pensiero: non esser uomo nè  di molte parole, nè di molte faccen-  de.' Ancora, fa’ che il Dio tuo in-  terno abbia a governare in te un  animale maschio, attempato, citta-  dino, romano, imperatore, apparec-  chiato di tutto punto, siccome quegli  che non aspetta ornai se non il suono   [Di molte faccende in cattivo senso, come  chi dicesse faccendone, o faccendiere. della tromba* per uscir della vita,  e non occorre sforzarlovi nè col giu-  ramento, nè con la testimonianza  (f altr’ uomo ; nel lieto aspetto del  quale ben si scorge non avere egli  bisogno nè dell’ aiuto che vien dal  di fuori, nè della tranquillità che gli  altri procurano. Conviene adunque  esser ritto in piedi già, e non riz-  zarui solamente.   6. Se tu trovi qualche cosa di me- •  glio nella vita dell’ uomo che la giu-  stizia, che la verità, che la tempe-  ranza. che la fortezza, e, in una pa-  rola, che quella disposizione della  mente per cui ella si appaga di sè  medesima nelle cose die ti fa ope-  rare secondo la retta ragione,, e del  fato, nelle cose che senza parteci-  pazione della tua volontà ti vengono  distribuite; se, dico, tu trovi alcun  che di meglio che questo, a quello   1 Similitudine tolta dagli ordini della  milizia appo i Romani. 0.   .Virco \urcIio. rivolgiti con tutta l’ anima e godine  siccome di cosa che hai ritrovato  esser V ottima. Ma se nulla ti si pre-  senta di meglio che il genio stesso  tuo interno, quando si è fatto signore  de’ propri moti, e rivoca ad esame  le proprie immaginazioni, e si è sot-  tratto^ come diceva Socrate, dalle  passioni del senso, e vive sottomesso  . agli Dei e pigliandosi cura degli uo-  mini ; se, a paragone di questa, tutte  . le rimanenti cose ti paion picciole  e vili, non dar più luogo appresso  te a nessuna altra, alla quale una  volta che tu ti sentissi propendere,  più non potresti senza repugnanza  preferire a tutti quel bene che è pro-  prio di te ed è il tuo; perchè al  bene j’azionale ed efficiente (3) non  vien contrapposto impunemente mai  nulla che sia di natura diversa, come  le lodi della moltitudine, o il co-  mandare, o i piaceri del senso ; tutte  queste cose, per poco che le si paiano adattare,' ti sopralfamio in un attimo  e ti strascinano. Or tu, dico io, scegli schiettamente e liberamente il  meglio, e a quello ti attieni. — Ma  il meglio è l’utile. Se l’utile al-  r uomo in quanto è ragionevole, bene  sta, quello procura: se l’ utile all’ uo-  mo in quanto animale, dillo su aper-  tamente® e vivi di poi senza boria nò  fasto, secondo quella determinazio-  ne. Ma bada, ve’, che non ti inganni  nell’ esame.  Non riguardare giammai come    i [Par che Antonino alluda qui alla teoria  dello adattare le nozioni generali alle cose  particolari, o, come diremmo noi, del con-  cetto alla rappresentazione, che è ciò in che  consisto il giudizio. Dillo spiattellatamente, se ardisci, senza  avvolgerti in parole coperte: e ammetti poi  tutte le conseguenze di quel tuo detto: cioè,  vivi poi da animale mero e puro, senza in-  gerirti a parlare nè di moralità nè di virtù  nè di giustizia, nè d* altro simile, che in  quel caso sarebbero un vano fasto di pa-  role. E provocazione al senso intimo dell'uo-mo. Utile a te nulla che sia per isforzarti  un dì a violar la fede, abbandonare  il pudore, odiare alcuno^ sospettare,  maledire, simulare, desiderar cosa j  che abbia bisogno di pareti e di ve-  lame . Chi ha posto innanzi ad ogni  altra cosa la sua mente e genio, e  il culto della virtù eh’ è propria di  quello, non fa tragedie, non geme,  non ha bisogno di solitudine, non  di frequenza d’ uomini; quel che più  impoita, vive senza ricercar nulla  nè fuggire; abbia ad esser lungo o ,  abbia ad esser corto Tintèrv^allo di  tempo durante il quale sarà conte-  nuta nel corpo l’ anima con che egli  lia a fare,' non se ne piglia nè an-  clic il minimo pensiero; e quando   [Con che egli ha a fare. Non veggo che  cosa abbia voluto dire V Ornato. Il senso  letterale del testo è: sia lungo o sia breve  il tempo, eh' egli avrà a far uso dell' ani-  ma contenuta nel corpo. Il che, parrai, equi-  vale a dire: sia lungo, o sia breve il tempo  ch'egli ha a vivere. è giunta V ora dello sgombrare, cosi  spiccio se ne va, come se impren-  desse un’ altra qualunque di quelle  azioni che si possono con verecondia  e con dignità operare; da questo  solo guardandosi per tutta la vita, ,  che veruno dei moti della sua men-  te non sia mai men che convene-  vole ad animale intelligente o so-  ciabile. Nella mente dell’ uom castigato  e puro non troverai nulla di marcio,  nè tampoco nulla di contaminato o  che paia sano al di fuori e noi sia.  La vita di lui, a qualsivoglia ora lo  sorprenda la morte, non è mai im-  perfetta, come tu diresti quella tra-  gedia d’onde un attore si fosso riti-  rato prima d’ aver condotto a fine  la sua parte. Ancora non è in lui  nulla di villano, nè nulla di artata-  mente gentile; nulla che il leghi  alle cose esteriori nè nulla che lo  separi da quelle; nulla onde egli sia palesemente ripreso,' nè nulla che  covi addentro nascosto.  Abbi in rispetto la facoltà giu-  dicativa.^ Per lei sta che non si ge-  neri nella tua parte sovrana nessuna  opinione che non sia consona alla  natura o al fine per che 1’ uomo è  ordinato. Ed essa promette la infal-  libilità,* e l’amicizia con gli uomini  e r ubbidienza agli Dei.   10. Messe adunque da banda tutte  le altre cose, queste poche sole abbi  in mente; ed ancora ricordati che i  r uomo non vive altro tempo che  questo presente, cioè un attimo; il  rimanente o lo ha vissuto o non sa  se il vivrà. Picciola cosa pertanto è   1 Intendi: nulla che appaia manifesta-  mente vizioso. P. '   2 Ossia la virtù del non cadere in er-  rore ; che vien definita da Zenono « la  scienza del quando conviene assentire ad i  un' apparenza, e quando no. > Questa ac-  compagna sempre il giudizio comprensivo,  che è il criterio della verità appo g-li  stoici. 0.    Digitizedh, Cnoi^li:   il tempo che l’ uom vive, picciola  cosa rangoletto della terra dov’egli  vive ; picciola cosa la fama anche la  più lunga eh’ egli lascerà dietro sè,  e questa tramandantesi per succes- sione d’ omiciattoli in omiciattoli,  morti quasi appena nati, ed ignari  anche di sè medesimi, non che di  colui il quale moriva è già gran  pezza.   li. Agli avvertimenti dati sin qui  s’ aggiunga ancora quest’ uno, di de-  finir sempre o descrivere l’oggetto  che cade sotto al tuo senso, si che  tu lo scorga a parte a parte distin-  tamente e tutt’ insieme quale egli è  nella sua essenza nudo, e dir teco  stesso il nome proprio di quello e  il nome delle cose di che è compo-  sto e in che s’ ha da risolvere. Per-  chè non v’ ha nulla che sublimi  cotanto l’animo quanto il potere ar-  guire per la diritta via e con verità  ciascuna delle cose che incontrano nella vita, e saperle vedere per ino»  do da conoscere nello stesso tempo  di qual uso sendo questa tal cosa  al mondo, e a qual mondo, qual  valore ha rispetto al tutto e quale  rispetto air uomo, che è cittadino  della suprema fra le città, della  quale le altre città sono' come al-  trettante famiglie. Che cosa è, e di  che cosa è composto, e quanto tempo  è por duiare ij cesto che fa impres-  sione ora sul mio senso; di che virtù  s’ ha da far uso con esso, per esem-  pio, della mansuetudine, della for-  tezza, della veracità, della fede, della  semplicità, della frugalità, o simili.  Però, intorno a ciascuna cosa, con-  vien dire : questa mi viene da Dio ;  questa dalla sorte, dalla complica-  zione delle cause condestinate, e so-  miglianti cose; quest’ altra dal mio  consorto, dal mio congiunto, dal  partecipe d’ una stessa società con  me, il quale ignora nondimenò ciò  che è secondo natura per lui. Ma   10 non lo ignoro ; e però mi governo  con lui secondo la legge naturale  della società, con benevolenza e giu-  stizia; e ad uno stesso tempo ho  riguardo, nelle cose mezzane,' al  valore di ciascheduna. Se tu operi secondo la retta  ragione quel che hai fra mano, stu-  diosamente, c vigorosamente, placi-  damente, e non t’ occupi d’ altra cosa  tra via, ma conservi puro ed intatto   11 genio tuo, come se tu dovessi già  rassegnarlo ; * se a lui ti tieni stret-  Si chiamai! còse mezzane appo gli stoici  quelle che non sono nè ben nè male, cioè  nè virtù nè vizio. Le quali, comecché da  per sè non meritino d' esser cercato nè fug-  gite, si accettano nondimeno o si rigettano  per r aiuto o disainto che elle possono ar-  recare alla vita secondo natura. Quelle che  arrecan più aiuto, han più valore: quelle  che più disainto, più disvalore. Di questò  ha da tener conto il savio, ed accettare,  quando gli è data la scelga, quelle che han  più valore, o che han meno disvalore. 0.   ^ Sottintendi « a chi tol diede. » to, nulla aspettando, da nulla rifug-  gendo, contentandoti dell’ azion tua  presente secondo natura e della eroi-  ca verità d’ ogni cosa che tu dica:  felicemente vivrai. Ora non v’ ha  nessuno' che ti possa questo impedire. Come i medici han pronti sem-  pre i loro ferri e strumenti per le  cure inopinate, così abbi tu alla mano  i principi! * per la cognizione delle  cose divine ed umane; e non far  nulla mai, per poco che sia, senza  ricordarti del legame che unisce  queste con quelle. Perchè nulla di  umano farai tu bene se non lo ri-  ferirai al divino, e viceversa. Non andar più vagando; per-  chè non sei per rileggere oramai nè  i tuoi ricordi, hè le azioni degli an-  tichi romani e greci, nè gli estratti   * Punti fondamentali di credenza, cre-  denze prime, dommi : decreta .appo Cicerone. d’ autori che riserbavi per la vec-  chiaia. Studiati dunque d’ arrivare  al fine, e poste da banda le spe-  ranze vane, soccorri a te stesso, se  pur ti cale di te, mentre che il puoi.   15. Non sanno * quanti significati  abbiano le parole rubare, seminare,  comperare, riposare, veder quel che  sia da fare, il che non si reca ad  effetto con gli occhi, ma con un’al-  tra sorta di vista. Corpo, anima, mente ; del corpo  son le sensazioni, deh’ anima le ap-  petizioni, della mente le credenze.^  Ricevere impressioni nella fantasia  è cosa anche da giumento; esser  mosso da appetiti è cosa anche da  fiera, anche da androgino, anche  da Falaride, anche da Nerone; avere  per iscorta la mente a quello che  ci pare nostro ufficio,* è cosa anche    I Sottintendi c gli nomini del volgo. » 0.  ^ Dommi, decréta. Intendi, a quello che ci par eg$ere noda chi non crede che v’ abbiano  Dei, da chi abbandona la patria, da  chi fa, quando ha chiuso le porte,  ogni opera nefanda. Se adunque  tutte queste cose abbiam comuni  cogli anzidetti, resta che sia proprio  dell’ uomo dabbene lo amare ed ab-  bracciare gli accidenti ad esso con-  destinati e guardarsi dal macchiare  e turbare con immaginazioni sconce  il genio che risiede nel petto di lui,  ma conservarlo propizio, seguendolo  modestamente* come un Iddio, non  dicendo mai nulla che sia contro  al vero, nè dicendo *mai nulla che  sia contro al giusto. Che se nissuno    ttro interene. Questo è il significato gene-  rale della parola ufficio appo gli stoici. Solo  allor quando le si aggingne l'epiteto di  perfetto denota essa il dovere^ che è come  V intereae iublime dell' uomo. Noto questo  perchè alcuni degli interpreti, e per ultimo  anche il Corai, hanno maravigliosamente  scompaginato - e interpolato questo passo;  frantendendolo. Diog. Laerz.; Stobeo ; Cic.  de Officiùt otc. 0.    degli uomini non gli vuol credere  eh’ egli viva con semplicità, con ve-  recondia, e di buon animo ; nè s’adira  egli contro costoro, nè si svia dalla  strada che conduce al fine della yita.  al quale si vuol giunger puro, tran-  quillo, spedito, e conformato di vo-  lontà col proprio destino.  La parte che dentro di noi re-  gna,* quando è nel suo stato natu-  rale, ha tal disposizione verso gli  accidenti, che senza difficoltà si ri-  volge sempre al possibile e al dato.  Perch’ella non ama nessuna mate-  ria determinata ; ma si porta con  eccezione* a quello che si ha pro-  posto, e quando alcun che se le  viene ad attraversare per via, ella  si fa di quello stesso materia ; come  il fuoco, quando s’ impadronisce delle   I La parte sovrana o dominante.   ^.Eccezione : vocabolo stoico. Indica limi-  tazione del proponimento al possibile. Farò  la tal cosa, se non sarò impedito. cose die incontra, dalle quali una  picciola lampana sarebbe spenta ; ma  lo splendido fuoco assimila a sè tosto  ogni cosa che se gli butti dentro, e  la consuma, e per quella stessa s’innalza più in su.   [Nessuna azione sia fatta a caso  mai, nè altrimente che secondo una  delle regole costitutive dell’arte.*   3. Van cercando ritiri, alla campa-  gna, alla marina, sui monti; e tu  stesso suoli desiderare siffatti luoghi.  Ma cotesto è da uomo ignorantissi-  mo, potendo tu, a quell’ ora che tu  vuoi, ritirairti in te stesso. Perchè   * Ad ogni caso della vita corrispondo  una virtù da esercitare (vedi sopra, III, 11,  e più abbasso, IX, 11, 42): ed ogni virtù è  appo gli stoici nna scienza nello stesso  tempo ed un’ arte: parlo delle virtù pro-  priamente dette. Come scienza quindi e  come arte consta di certo proposizioni o re-  gole, ciascuna delle quali è parte integrante  di quella, e tutto insieme" la costituiscono. Ogni ufficio consta di corti nu meri. 0.      inroRDi.    «4   in nessuno altro luogo si ritira V uo-  mo con più tranquillità e con meno  brighe che nell’ anima sua ; massi-  mamente chi ci ha dentro tanto  alti oggetti di contemplazione che  il solo affacciarsi a loro procaccia  tosto ogni sorta di agevolezza. Quan-  do dico agevolezza, non voglio dir  altro che buon ordine. Concedi adun-  que sovente a te questo ritiro e rin-  novella quivi te stesso. Breve sia  r espressione ed elementare la forma  di quelle verità contemplative che  avran forza di rasserenare al primo  incontro V anima tua c. rimandarti  senza corruccio alle cose alle quali  ritorni. Perchè, di che cosa ti coi'-  rucci? Della malizia degli uomini?  Rammentati di quella sentenza, che  gli esseri ragionevoli son fatti gli uni  per gli altri; che il sofferire è parte  della giustizia; che malgrado loro  peccano ; che tanti si son già inimi-  cati, sospettati, odiati, ^perseguitatisi    LIBRO QOARTO. 65   a morte, i quali ora sono spenti, son  fatti cenere; e te ne darai pace. 0  ti crucci tu di quella parte che a te  Vien compartita dell’ universale de-  stino? Rinnovella il dilemma. 0 è  la provvidenza o son gli atomi,' op-  pure gli argomenti con che s’ è di-  mostrato che il mondo è come una  città. Ma forse tu ti contristi delle  affezioni del corpo? Pensa che non  han più nulla che fare con la mente  i moti o sieno soavi o sieno aspri  del senso, ogni volta che questa s’ è .  raccolta in sè medesima ed ha cono-  sciuto la sua propria potenza; al che  potrai aggiugnere quelle altre cose  che intorno al piacere e al dolore  hai apparato ed accettato per vere.   0 sarà forse T amor di gloria quello  che ti turba? Considera come è ratto   [Si allude al  sistema atomistico d’Epicuro, il quale nega la previdenza, e attribuisce il mondo e tutti i fenomeni del mondo ad una causa  non intelligente.. l’oblio d'ogni cosa, interminato dal -  runa parte e dall’ altra* il caos della  età, vana cosa il rumore, mutabile,  e inconsiderato chi in apparenza ti‘  esalta, angusto il luogo dove è cir-  coscritto il suo dire. Perchè tutta la  t.erra' è un punto: e qual parte di  essa è l’angoletto che tu abiti? e  quivi ancora quanti avrai lodatori, e  quali? D’or innanzi adunque sovvengati di ritirarti in questa tua vil-  letta di te medesimo; e sopra tutto,  non. t' affannare, non t’agitare, ma  sii libero e vedi le cose da uomo, da ‘  maschio, da cittadino, da mortale.  Ed abbi in pronto, fra le verità alle  quali dovrai far ricprso, queste due  principalmente. L’una, che le cose  non arrivano sino all’anima, anzi  stanno al di fuori immobili  e i  turbamenti nascono dalla sola opinione [A parte ante e a parte pott come dice  la scuola], che è dentro. L’ altra, che  quanto tu vedi già già si muta e più  non è quel desso ; e rivolgi in mente  ciascuna delle mutazioni alle quali  tu stesso sei inten'enuto. Il mondo, alterazione. La vita, opinione. Se la intelligenza ci è comune  a tutti, anche la ragione per cui  siam ragionevoli ci è comune; se  cotesto è, anche la ragione impera-  tiva di ciò che si dee fare o non fare  ci è comune; adunque anche la legge  ò comune; aifunque siam concittadini ; adunque partecipiamo tutti ad  una specie di reggimento civile ;  adunque il mondo è come una città. Perchè qual altro direm noi che sia  quel reggimento civile di cui tutto  il genere umano partecipa? Di colà,  da quella città comune, viene a noi  r intelligenza, la ragione, la legge,  o d’ onde verrebbon esse? Perchè,  siccome quanto v’ha in me di terreo viene da una certa terra di cui fa  parte; e quanto v’ ha in me d’umido,  da un altro elemento; e quanto v’ha  di caldo e d’ igneo, da una certa  sorgente propria (nulla venendo mai  dal nulla nè ritornando nel nulla);  così anche la intelligenza dee venire  da qualche cosa.   5. La morte è come la nascita, un  mistero della natura; composizione  e risoluzione di certi elementi in  quegli elementi medesimi. Ad ogni  modo non è cosa di che 1’ uomo  debba arrossire ; perchè non è cosa  che repugni alla natura dell’ animale  intellettivo o disconsegua* al prin-  cipio della formazione di quello.   6. Tali cose debbono di necessità  farsi in tal modo da questi tali; chi  le vuole altrimente, vuole che il fico  non abbia lattificcio. Del tutto, sov-  vengati che in brevissimo tempo e    * Intendi ripugni, non aia conforme. !'•    tu e costui sarete morti: e che, poco  dopo, non rimarrà più di voi nè an-  che il nome. Togli via r opinione, ed è tolto  via il « sono stato offeso : » togli via  il « sono stato offeso, » ed è tolta via  r offesa.   8. Quello che non fa peggiore l’ uo-  mo non fa nè anche peggiore la vita  di lui, nè le nuoce, nè esternamente  nè internamente. È necessitata dall’ utile ‘ la natura a far cotesto. Siccome ogni cosa che accade,  giustamente accade; il che, se tu  osserverai con attenzione, troverai   [Comune. Più letteralmente: « È necessitata la na-  tura deir utile a far cotesto.» La natura  deir utile, cioè il principio sostanziale dell’utile (chè vuol esser presa sostanzialmente  in questo luogo la voce natura), il quale  evolvendosi, come ragion seminale, succes-  sivamente nel tempo, fa che ogni cosa sia  bene. Perchè non conviene dimenticar mai  che, appo gli stoici, l'utile non è altro che  il bene. 0.    Digilized by sempre vero: non solamente, dico,  secondo l’ ordine di conseguenza, ma  ancora secondo 1’ ordine di giustizia;  come se le cose procedessero da tale  che distribuisse a ciascuno secondo il  merito. Osserva adunque, come hai  cominciato ; ed ogni cosa che tu fai,  falla con questa condizione, che tu  sia uom dabbene, nel vero signifi-  cato della parola dabbene. Questo  carattere conserva in ogni tua azione. Non concepir le cose quali le  giudica colui che fa ingiuria, o quali  egli vuole che tu le giudichi; ma  vedile quali sono in realtà. Conviene esser sempre pronto  a queste due cose ; fai' solamente  quello che la ragion dell’ arte regia  e legislativa ti suggerisce per 1’ uti-  lità degli uomini ; e cangiar partito,  quando altri viene a raddrizzarti e  rimuoverti da una qualche falsa opi-  nione. Ma questo cangiamento dee  farsi sempre per un qualche motivo plausibile, come di giustizia, o  d’ utilità comune, o somigliante ; e  non mai perchè la cosa ti piaccia o  sia per arrecarti gloria.  Hai la ragione? Si. Che  dunque non 1’ adoperi? Perchè, se  essa fa quanto le spetta, che ti resta  a desiderare? Sei venuto al mondo qual par-  te ; disparirai dentro al tuo generatore. 0, piuttosto, ti raccoglierai nella  ragion seminale di lui, per via di mutazione. Molti grani d’ incenso su uno  stesso altare: l’uno è caduto prima  e l’altro dopo. È lo stesso.   16. Tra dieci giorni parrai un Dio  a coloro, ai quali pari ora una bestia  e una scimmia, se fai ritorno ai prin-  cipii e al culto della ragione. Non come se tu avessi a vi-  vere molte migliaia d’ anni. La morte  ti sovrasta: mentre vivi, mentre ti è  dato, fa’ che tu sia uom dabbene. Di quante brighe si libera chi  non bada a quello che ha detto il vi-  cino, o ha fatto, o ha pensato, ma solo  a quello eh’ egli stesso fa, affinchè  r opera sua sia giusta, e santa, e  qual si richiede dall’ uomo dabbene !   Non andar guatando attorno i neri  costumi, ma corrér diritto in sulla  linea senza volgersi a destra nè a  manca. Chi vive abbagliato dal  pensiero di lasciar fama dopo morte,  non considera come ciascun di quelli  che si ricordano di lui morrà tosto  aneli’ egli, e poi ancora chi sarà a  costui succeduto, sinattantochè, pas-  sando da abbagliato in abbagliato e  da morente in morente, venga a spegnersi affatto ogni memoria. Ma sup-  poni anche immortale chi s’ ha a ri-  cordare di te, ed immortale la fama ;  che fa egli a te cotesto? E non dico.   a te quando sarai morto, ma a te  mentre sei vivo: che è la lode, se  ^lon forse talora un mezzo per una  qualche dispensazione? (4) Lascia sta-  re ora, che sarebbe inopportuna, la  considerazione dello essere secondo  natura o no e cosa quindi che non  ha pregio se non per rispetto d’ una  qualche altra. — Tutto che è bello,  qual che egli sia, è bello da per sè,  ha il termine della sua bellezza den-  tro di sè, nè annovera tra le sue parti  la lode, e lodato, non diventa nè peg-  giore, nè migliore. Dico, anche i belli  volgari, le cose belle per materia o  per lavoro artificioso (perchè, in  quanto al bello per essenza, ha egli  mai bisogno di lode alcuna? No,  niente più che la legge, niente più  che la verità, niente più che la be-  nevolenza o la verecondia). Quale di  esse è bella per venir lodata o perde  per venir biasimata? Lo smeraldo  diventa egli peggiore, se non si loda?  E l’oro, l’avorio, la poi^pora, una cetra, una spada; un fiorellino, un arboscello?  Se le anime sussistono dopo  morte, come può, dalla eternità in  qua, contenerle in sè l’aria? E  come contiene la terra i corpi che  da tanti secoli vi sono seppelliti?  Perchè nell’ istesso modo che questi,  dopo essersi conservati alcun tratto  di tempo, col mutarsi di poi e col dis-  solversi dan luogo ad altri cadaveri :  cosi le anime che passano nell’ aria,  soffermatevisi un certo tempo, si mu-  tano si struggono e accendono, e ve-  nendo accolte nella ragion seminale  dell’universo, fan luogo alle altre che  lor vengono appresso. Questo si può  rispondere nella ipotesi che le anime  sussistono dopo morte. E convien  recarsi a mente il numero non solo  dei corpi seppelliti a questo modo,  ma anche di quelli che ogni di e da  noi e dagli altri animali si mangiano;   perchè quanti se ne consuma egli e  se ne seppellisce, per così dire, nei  corpi di coloro che se ne cibano ! E  pur nondimeno li cape uno stesso  luogo, pel convertirsi, eh’ essi fanno,  in sangue, pel trasmutarsi loro in  aria od in fuoco.   Come giugnere, intorno a ciò, alla  cognizione del vero? Col distinguere  in materia ed in causa. Non isviarti ; ma fa’ sì che ogni  atto della tua volontà rappresenti il  giusto e che ogni tuo giudizio serbi  il carattere di comprensivo.  Tutto a me conviene quel che  a te conviene, o mondo. Non è im-  matura per me nè tardiva nessuna  cosa che sia opportuna per te. Tutto  è frutto per me quel che portano le  tue stagioni, o natura. Da te viene. 0il tutto, in te è il tutto, a te ritorna  il tutto. — Queir altro dice: 0 amica  città di Cecrope ! ‘ e tu non dirai :  0 amica città di Giove?   24. « Fa’ poche cose » dice colui, se vuoi viver contento. Non era me-  glio il dire, fa’ le cose che son ne-  cessarie, quelle che vuol la ragione  d’ un animai socievole, e a quel modo  ch’ella le vuole? Cosi acquisterai la  contentezza non solo che nasce dal  far bene le cose, ma quella ancora  dell’ averne a far poche. Perchè, se  dalle cose che diciamo e facciamo lu  tronchi via le non necessarie, che  sono il maggior numero, assai più  agio ti rimarrà ed assai brighe avrai  meno. Quindi, ad ogni cosa che sei  per fare, domanderai a te stesso:  Non è questa una di quelle che non   [Aristofane, nella commedia de' Conta-  dini. 0.   2 Democrito, in un frammento conserva-  toci dallo Stobeo. sono necessarie? E conviene tron-  car via, non solo le azioni che non  son necessarie, ma anche i pensieri ;  perchè in questo modo non avrai nè  anche più* a temere che azioni so-  verchie li seguano.   Fa’ un po’ il saggio dei  come ti riesce la vita dell’ uomo dab-  bene, dell’ uomo che accetta con pia-  cere ogni cosa che gli venga com-  partita dal tutto ed a cui basta che  r azion sua propria sia giusta e la  disposizione dell’ animo suo bene-  vola. Hai tu veduto quelle cose? Vedi  anco queste. Non turbar te medesimo. Fa’ che tu sia semplice. Pecca  egli, un tale? A sè medesimo pecca.  T’ è accaduto qualche cosa? Bene sta;  ab eterno era stato destinato per te,  destinato insieme con te, tutto ciò  che ti accade. Al postutto, breve è  la vita: conviene far guadagno del   [seguendo la ragione ed il  giusto] Sii in te anche quando ti ricrei.  il mondo o è ordinato da una  mente, o è un accozzamento fortuito  di cose, venute d’ ogni parte, sì, ma  non di meno ordinate. 0 credi tu  che possa avervi un cotal ordine in  te e che nell’ universo alberghi il  disordine? massimamente quando ci  vedi, le cose cosi distinte le une dal-  r altre, così mescolate le une con  r altre e cosi intimamente collegate  tutte insieme col vincolo di reciproca  dipendenza?   28. Neri costumi, eiremminati co-  stumi, costumi duri, brutali, pecorini, puerili, infingardi, falsi, buffo-  neschi, taverneschi, tirannéschi.   29. Se è uno estraneo nel mondo  chi non sa che cosa c’ è nel mondo,  non è meno un estraneo chi non sa  che cosa vi si fa; un fuoruscito chi  esce fuori della ragion civile ; un cieco chi chiude gli occhi della men-  te ; un mendico chi abbisogna d’ al-  trui e non ha in sè quanto gli fa  d’uopo alla vita: un apostema' del  mondo chi si separa é allontana dalla  ragione della natura comune, avendo  a male ciò che accade; perchè quella  te lo arreca la quale arrecò te* me-  desimo ancora; una smozzicatura di  città chi distacca la propria anima  dall’ anima comune degli esseri in-  telligenti, che è una.  Chi filosofa senza tunica, e chi  senza libro. Quest’altro, mezzo ignudo. Non ho pane, die’ egli, e pure  sto fermo nella ragione. Ed io non  ho il cibo della dottrina, e pur ci sto fermo anch’io. Ama l’arte che hai apparato;  in essa ti acqueta ; e vivi il rimanente  della tua vita come quegli che ha  accomandato le cose sue con tutta l’anima agli Dei, e che di nessun  uomo non vuol essere ne tiranno nè  servo. Figurati, per esempio, i tempi  di Vespasiano; vedrai le stesse cose  che adesso: uomini che s'accasano,  che educan figli, che s’ammalano,  che muoiono, che fan guerra, che fan  festa, che mercatano, che coltivan la  terra, che adulano, che presumon di  sè, che sospettano, che tendono insi-  die, che desideran la morte di alcuno,  che mormorano del presente , che  fanno all’amore, che ammassan te-  sori, che voglion diventar consoli,  diventar principi. Or tutta quell età  è sparita. Passa ai tempi di Traiano] le stesse cose di nuovo. Quella età  è spenta anch’ essa. Considera nello  stesso modo le altre generazioni d’ uo-  mini e le nazioni tutte intere, e vedi  quanti si travagliarono e straziarono  per morir poi poco stante e risol-  versi negli elementi. Massimamente ricorderai coloro i quali hai veduto  a’ tuoi di aiTaticarsi per cose da nulla  e trascurare quello per che eran nati,  dove era da attendere a questo uni-  camente e non cercare altra cosa.   Qui è pur necessario il rammen-  tarti che a ciascuna azione corri-  sponde un certo valore ^ e un grado  di applicazione proporzionato.* Per-  chè allora solamente eviterai il rin-  crescimento e la noia, quando non  ti occuperai più di quel che conven-  ga, nelle cose da poco.   33. Le voci che altre volte erano  in uso, or sono antiquate; così an-   [Termine stoico. Un grado di applicazione (dovutale per  parte deir uomo) proporzionato al valore,  cioè air importanza di essa. E vuol dire che  dobbiamo attendere e applicarci a ciascuna  azione secondo il valore o l' importanza di  essa azione, cioè molto a quelle che hanuo  un gran valore, e meno a quelle che ne hanno  un minore; e fra due di valore ineguale,  attendere piuttosto alla più importante, che  alla meno importante. che i nomi di coloro che una volta  furon celebri, or sono, per cosi dire,  antiquati; Cammillo, Cesene, Voleso,  Leonnato ; e poco dopo, Scipione, Catone ; poscia Augusto, poscia Adriano  c Antonino. Incerti e favolosi presto  diventano; presto ancora son sepolti  nell’ oblio universale. Parlo di co-  loro che in un qualche modo furon  chiari e ammirati ; perchè, quanto  agli altri, appena han reso l’ ultimo  soffio. «Nessun ne parla più, nessun  ne chiede. Ma che è ella poi,  alla fin fine, la. eternità del nome? Vanità pura. Che è dunque quello  a cui dobbiamo seriamente badare?  Questo solo : che le_ nostre intenzioni  sien giuste; le azioni, utili alla so-  cietà; le parole, non mai menzogne-  re; e r animo, disposto ad accettare  tutto che accade, siccome cosa ne-  cessaria, siccome cosa amica, sicco-  me cosa derivante dallo stesso prin-  cipio e dallo stesso fonte che noi. Volontario i’ abbandona nelle  mani del Fato, lasciando eh’ egli ti  destini a quelle cose eh’ ei vuole.  E il ricordante e il ricordato,  ambidue han la vita d’ un giorno.  Osserva di continuo coipe ogni  cosa nasce per via di mutazione ; ed  avvezzati a pensare che nulla ama  tanto la natura dell’universo, quanto  di mutar le cose che esistono e farne  dell’ altre simili. Perchè ogni cosa  che esiste è seme, in un certo modo,  di quella che per essa esisterà. Ma  tu ti immagini come semi quelli so-  lamente che si gittano nella terra  0 nell’utero. Cotesto è da uomo rozzo  assai. Or ora moirai, e non sei giunto  per anche ad esser semplice, nè im-  perturbato, nè senza sospetto che le  cose esterne ti possano nuocere, nè  sereno inverso tutti, nè a riporre la  prudenza nel solo operar con giu-  stizia,     Guarda alle menti di costoro,  e dei prudenti fra loro; quali cose  fuggono, e quali cercano!   39. Nella mente d’ un altro non  istà il tuo male; nè tampoco in un i  qualche cambiamento o alterazione   di quello che ti circonda. Dove sta  egli adunque?  In quella parte di  te, che giudica intorno ai mali. Quella  parte adunque non giudichi, e tutto  andrà bene. Ancorché la cosa a lei  più vicina, io voglio dire il corpo,  sia tagliata, sia abbruciata, marcisca,  infracidisca, stiasi nondimeno quieta  la pjirte che giudica di siffatti acci-  denti; cioè giudichi non esser nè j  male nè bene ciò che può accadere !  ugualmente al tristo ed al buono.  Perchè quello che accade ugual- ^  mente e a chi vive contro natura e  a chi vive secondo quella, non è cosa  nè secondo natura nè contro. Avvezzati a considerare il mon-  do come un animale unico, avente  un corpo unico ed un’ anima unica ;  e come ad un senso unico, che è il  senso di lui, ogni cosa risponda;  come con un impulso unico - ogni  cosa operi ; come ogni cosa concorra  alla produzione d’ogni cosa; e qual  sia la connessione e il concatena-  mento di tutte.   Sei una animuccia che porta  un cadavero, come diceva Epitteto.  Non è punto un male il venire a mutazione, come non è punto  un. bene F esser nato da mutazione. L’età è come un fiume di cose  che accadono, e una corrente rovi-  nosa; ' appena vedi 1’ una, ed è già  passata ed un’ altra passa, ed un’al-  tra passerà. Tutto quel che accade è cosa  tanto solita e tanto familiare quanto  le rose nella primavera e le frutta  [Intendi rapidissima e non cagione di  rovine , il che sarebbe nn disordine nel mondo,  che è 1' ordine per eccellenza. sa   nella state ; nè son da riguardare  altramente la malattia, la’ morte, le  calunnie, le insidie, e tutto quello  che allegra o attrista gli sciocchi. Nella successione dei casi,  quelli che seguitano han sempre re-  lazione di parentela con quelli ché  li han preceduti. Perchè non è già  quivi come un novero di cose indi-  pendenti r una dall' altra, cui la sola  necessità * insieme costringa, ma  sibbene una connessione ragionevo-  le ; e come negli enti si ravvisa una  coordinazione armonica degli uni  con gli altri, cosi negli accidenti si  manifesta, non già semplicemente  la successione, ma un certo modo  di parentela mai'aviglioso.   4C. Abbi a mente ognora il detto  di Eraclito ; che la morte della terra  è il diventar acqua, la morte del-  r acqua è il diventare aria, la morte    I Intendi «necessità esterna.» dell’ aria il diventar fuoco e viceversa.* Ricordati ancora di colui che  non sa dove inette la via;* e sicco-  me la ragione con la quale gli uo-  mini conversano il più assiduamente,  e che governa ogni cosa, è quella  per r appunto con che essi non van  d’ accordo ; e le cose in che s’ imbat-  tono ogni dì, son quelle che ad essi  paiono più strane. E siccome non  conviene fare nè dire a guisa di dormienti; perchè anche dormendo ci  par di fare e di dire; nè come fan-  ciulli che van dietro ai lor padri,  cioè nudamente e semplicemente a  quel modo che abbiamo appreso.   47. Come se un Dio ti avesse detto  che domani sarai morto, o posdomani    1 Pasfio famoso di Eraclito, rammentato  da Diog. Laorzio, Plutarco, Massimo Tirio,  Clem. Aless. Filone, ecc., allegati tutti dal  Gataker a questo luogo. 0.   ^ Anche questo, come i seguenti, pare un  detto di Eraclito. Vi fa allusione, credo,  Marco nostro al lib. VI, § 22. 0.    al più, tu non ti cureresti gran fatto  dell’ avere a morire posdomani piut-  tosto che domani, ove tu non sia il  più codardo degli uomini; perchè,  quanto sarebbe il divario? così non  ti paia nè anche gran fatto l’avere  a morire piuttosto in capo a molte  diecine d’anni che domani.   48. Pensa di continuo quanti me-  dici son morti, che sovente in su  gli ammalati le ciglia aggrottarono ;  quanti astrologi, che la morte altrui,  come un gran caso, predissero; quan-  ti filosofi, che intorno alla morte o  alla immortalità migliaia di discorsi  fecero ; quanti prodi, che molti am-  mazzarono; quanti tiranni, che con  orribil ferocia, quasi non avessero  essi mai a morire, la podestà in sulle  vite esercitarono; quante città tutte  intere, per dir così, son morte. Elice, Pompei, Ercolano, altre senza  fine. Rammemora ancora quanti hai  conosciuto, l’ un dopo V altro : questi  fece a colui la sepoltura, e poi morì  egli, e queir altro la fece a lui; tutto  ciò in breve. La somma è, che le  cose umane son da riguardare come  di nessuna durata nè pregio; un po’ di  moccio, ieri ; mummia o ceneri, doma-  ni. E quindi, questo attimo presente  di tempo, si vuol passarlo conforme  la natura richiede, e finirsela in  pace; come oliva matura che cada,  benedicendo la terra che la portò,  e ringraziando l’ albero da cui fu ge-  nerata.   49. Sii simile ad un promontorio,  contro al quale incessantemente s’in-  frangono fonde, e quegli sta saldo,  e s’ abbonacciano intorno a lui i  gorgogli dell’ acque. -- Sventurato  me, che la tal cosa ra’ è accadu-  ta. — Anzi, avventurato, che, la tal  cosa essendomi accaduta, me ne sto  nondimeno senza cruccio, nè ango-  sciato del presente nè pauroso del-  f avvenire. Ad ogni altro poteva accadere ; ma ogni altro non l’avria  senza angoscia sopportata. Perchè  adunque sarà quello una sventura  piuttosto che questo una ventura.*  E poi, chiami tu. sventura per l’ uo-  mo quello che non defrauda punto  la natura dell’ uomo? E ti par egli  che defraudi la natura dell’ uomo  quello che non va contro al volere  di quella? E che? il volere della  natura tu il sai; forse che questo  accidente ti impedirà dall’ esser giu-  sto, magnanimo, temperante, pru-  dente, cauto, veritiero, verecondo,  libero, fornito, in somma, di tutte  quelle doti che. unite insieme appa-  gano e soddisfano intieramente la  natura dell’ uomo. Sovvengati adun-  que, ogni volta che una qualche  cosa ti contristerà, di ricoiTere a   1 Cioè a dire: c perchè chiameresti dun-  que sventura V esserti accaduta la tal cosa,  piuttosto che chiamare avventura felice  r aver tu saputo sopportarla con impertur-  bata costanza? » questo pensiero: che non solamen-  te essa non è sventura, ma anzi  il sopportarla da forte. è una buona  ventura.  Volgare aiuto, sì, ma nondi-  meno efficace per disprezzar la morte  è il rimembrar coloro che durarono  lentamente vivendo sino all’ età più  decrepita. Che hanno essi ora di più  che gli spenti di morte immatura?  Kcco, son buttati là in un qualche  canto essi pure e Cadiciano e Fabio  e Giuliano e Lepido e quanti altri  ve n’ebbe di cotal fatta, i quali accompagnarono molti alla tomba, e  poi ci furono accompagnati essi alla  fine. Breve, ad ogni modo, è l’in-  tervallo che l’uom vive, e questo  breve, tra quali cose, con quali uo-  mini, in qual corpicciuolo conviene  stentarlo! Non farne adunque gran  caso. Vedi, dietro a te, una eternità  senza fondo, e un’altra eternità in-  nanzi a te : posto così in mezzo, che  divario fai tu ,da una vita di tre  giorni ad una di tre secoli?  Fa’ che tu vada sempre per la  più corta via. E la più corta via è  la via secondo natura. Seguirai quin-  di, in ogni cosa che tu abbia da fare  o da dire, il più sano partito. Que-  sto proponimento ti libera dai tra-  vagli, dai combattimenti interni, e  da ogni sorta di dispensazioni* e  d’astuzie. Al mattino, quando con difficoltà  ti svegli, abbi in pronto questo pen-  siero: Mi sveglio all’ufficio d’uomo;  come adunque m’ incresce, s’ io vo  a far quello per che son nato e in  grazia di che sono stato messo al  mondo? 0 sono io stato fbrmato  forse per riscaldarmi giacendo in  sul letto? Ma quest© mi dà più  gusto. Per pigliarti gusto adunque  sei nato? e non anzi per operare?  per essere attivo? Non vedi le pian-  te, le passere, le formiche, i ragni,   [Intendi: cO il fine a cui nacqui è for-  se di giacermi a godere questo tepore del  letto?»   le pecchie, far ciascheduna l’ ufficio  suo, concorrer, ciascheduna all’ordi-  namento di quel mondo che le è  proprio? E tu non vuoi-far T ufficio  d’uomo? non intendi a quello che  è secondo natura per te?  Ma è  necessario poi anche il riposo. È  necessario, è vero; ma la natura vi  ha posto un limite ; ve n’ ha posto  anche al mangiare ed al bere; e tu  nondimeno varchi quei limiti, vai al  di là del bisogno; quando si tratta  di fare, poi, la è un’altra cosa, tu  stai sempre al di qua del possi-  bile. Gli è perchè tu non ami te  .stesso. Se tu amassi te stesso, ame-  resti anche* la natura tua, e la vo-  lontà di lei.* Gli artisti, che amano  l’arte loro, si consumano in sui la-  vori di quella, dimenticando il ba-  gno ed il cibo : ma tu, fai men caso  della tua natura che il tornitore del  [Intendi agire, operare, essere attivo, e  non infingardo] torniare, che il ballerino del ballare,  che r avaro della moneta, che il va-  nitoso della gloriuzza. Quando la  passione ha preso. piede in costoro,  lascian piuttosto di mangiare e di  bere che di attendere ad avanzare  la cosa a che son portati.- E a te,  le azioni sociali paiono esse cosa di  men pregio, cosa men degna di applicazione?   Come è facile il respingere e  il cancellare ogni immaginazione  turbolenta o disconvenevole, e tro-  varsi tosto in piena calma! Reputa degna di te ogni parola  ed azione che sia secondo natura;  e non ti persuada il biasimo od il  garrire che ne seguirà di taluni ; ma,  se è onesto il farla o il dirla, credi  eh’ ella è anche cosa da te. Perchè  quei tali hanno una mente lor pro-  pria per guida, ed operano per una  lor propria volontà; alle quali tu  non badare, ma va’ innanzi per la  diritta, seguendo la natura comune  e la tua. La via dell* una e dell’ al-  tra è una sola.   4. Vo per la carriera delle cose  secondo natura, sino a tanto che  cadendo io trovi requie ; esalando lo  spirito in quello di che ogni giorno  respiro; giacendo su quello di che  mio padre raccolse il seme, mia ma-  dre il sangue, la balia il latte; di  che da cotanti anni mi pascolo e mi  abbevero, che sopporta me il quale  lo calpesto e in tanti e sì vari modi  lo adopro.*   5. Non s’ ammirerà la prontezza  del tuo ingegno. E sia. Molte altre  Intendi: «Vo per la via per cui vanno  tutte le cose che sono secondo natura, in-  sino a che cadendo io trovi requie; esa-  lando lo spirito in quest' aria che ogni  giorno respiro, per essere sepolto in que-  sta terra onde mio padre raccolse il seme  dell* esser mio, mia madre il sangue, la ba-  lia il latte; dalla quale da tanti anni io  traggo di che nutrirmi e abbeverarmi, che  mi sostiene mentre ora la calco coi piedi  0 ne uso ed abuso in tanti modi.» P.  cose ei sono, delle quali non puoi  dire, la natura non mi ci ha dato  disposizione. In quelle adunque ti  esercita, le quali dipendono intera-  mente da te : la sincerità, la gravità,  r amore al lavoro, l’ indifferenza al  piacere, la rassegnazione, la fruga-  lità, la mansuetudine, la libertà dello  spirito, r incuriosità, la serietà, la  generosità. Non vedi quante cose  puoi acquistare, dove certo non ha  luogo la scusa dello esserci disadat-  to, e tralasci per colpa tua? 0 è ella  forse la tua mala disposizione natu-  rale quella che ti sforza a mormo-  rare, a star neghittoso, a piaggiare,  ad accagionare il corpo, a lusingare,  a millantare, a passare per tanti e  tanti turbamenti dell’animo? No, per  gli Dei ! Da lungo tempo tu potevi  esser libero da tutto cotesto ; ma  solo avevi a cuore, se pur l’avevi,  di non farti scorgere per uno ottuso  e di poca penetrativa! E questo [Antonino ancora si vuol correggere col por  mente alle cose, e non istar sopra  pensiero, nè compiacerti nella tua  propria infingardaggine.  V’ ha chi, quando ha prestato un  rpialclie servigio ad alcuno, è pronto  anche a domandargliene il contrac-  cambio. Un altro non domanda con-  traccambio veramente, ma riguarda  colui come suo debitore nel suo se-  greto,, e sa quello che lia fatto. Un  terzo poi, non sa, per cosi dire, nè  anclie quello che ha fatto, ma so-  miglia ad una vite che ha portato  un grappolo, e non cerca nulla più  in là, messo eh’ ella ha fuoià il frutto  a lei proprio. Il cavallo die ha ga-  loppato, il cane che lia ormato, l’ape  che ha fatto il miele, e cosi Tuomo   1 Intonili: e questo t/t/'cf/o ancora si vuol  nondimeno correggere, quello cioè dell’ es-  sere ottuso e di poca penetrativa. Il testo  in questo luogo, e nelle linee che precedo-  no, è molto ellittico e poco chiaro, e diversamente spiegato dagli interpreti. che ha prestato un servigio, non  Lschiamazza,' ma passa atl altro, co-  me passa la vite a portar di nuovo un  grappolo d’ uva nella stagione. — S’ha  egli adunque ad essere un di coloro  che fanno il bene, per così dire,  senza saperlo? Sì Ma convien  pure che 1’ uom sappia quello che  fa : sendo proprio dell’ animai sociabile il conoscere ch’egli opera so-  cialmente, e, per Giove, il votere  che anche colui, con chi egli ha a  fare, lo conosca. Tu di’ il vero:  ma non. pigli pel lor verso lo mie  parole; quindi sarai anche tu un di  coloro di che ho fatto menzione  quassù. Perchè anche essi son tratti  in errore da una qualche apparenza  di ragione. Ma se vorrai intendere  che cosa è quello eh’ io dico, vivi si-  curo che non avrai a lasciare indie-  tro nessuna azione sociale per questo.  Cioè non dee schiamazzare, ma passuire  ad altro ecc. Preghiera degli A.teniesi: «Pio-  vi, piovi, o amico Giove, sui campi  degli Ateniesi e sui prati. )> 0 non  s’ha da pregare, o così alla buona  s’ ha da pregare e con libertà di parole. Come s’ usa di dire, Esculapio  ordinò a colui il cavalcare, o il ba-  gnarsi nell’ acqua fredda, o l’andare  a piè nudi, si dice del pari, e con  locuzione non diversa, la natura or-  dinò a colui una malattia, una stor-  piatura, una perdita, o altro simile.  In quella prima frase, di fatti, la  parola « ordinò » vuol dire assegnò  la tal cosa a colui siccome correla-  tiva alla salute; e in questa, i casi  che avvengono all’ uomo gli sono as-  segnati, in un certo modo, come  correlativi al destino. Così ancora si  dice « i casi (die avvengono a come  son dette dagli artefici « avvenii*si »  le pietre quadre nelle mura o nelle  piramidi quando elle s* adattano l’ una air altra secondo un disegno deter-  minato. Perchè del tutto l’armonia  è una. E siccome di tutti i corpi  presi insieme è composto il gran  corpo del mondo, cosi di tutte le  c,ause prese insieme è composta la  gran causa del fato. Intendono ciò  eh’ io voglio dire anche i più rozzi,  quando dicono : * ella è toccata a lui.  Adunque ella andava a lui, adunque  era ordinata per lui. Riceviamo per-  tanto gli ordinamenti della natura  come facciamo quei d’Esculapio. Anche in questi v’ ha molto dell’ amaro,  e pur gli accettiamo di buon grado  per la speranza della sanità. Or be-  ne, r adempimento di ciò che la  natura ha voluto sia lo stesso per te  che la tua sanità. Accetta di buon  grado, per dura che ti paia, ogni  cosa che accade,- pensando che ella  conferisce alla sanità del mondo e  [Vale a dire: « itiostrauo di intendere....»  quando dicono ecc. al buon successo dei disegni di Giove. Perchè ella non sarebbe venuta  a qualcheduno, se non fosse conve-  nuta al tutto: sendo questo il pro-  prio d’ogni natura, e poni anche la  più infima, che quanto ella arreca  sia sempre acconcio al governato da  iei. Per due ragioni adunque dèi  tu aver caro ciò che accade: Tuna,  che questo accade a te, è ordinato  per te, ha attinenza in un certo  modo con te, essendo stato conde-  stinato di lassù con te dalla più an-  tica delle cause e dalla più veneran-  da; l’altra, che quanto tocca in sorte  a ciascuno, concorre, come causa par-  ticolare, alla prosperità, alla perfe-  zione, e, sto per dire, alla perma-  nenza istessa del reggitore del tutto.  Perchè diventa mozzo l’intero quando  tu tronchi via un minimo che, sia  dalla continuità delle parti, sia dalla  concatenazione delle cause. E tu lo  tronchi,- per quanto sta in te, e lo distruggi, per così dire, quando ti  corrucci di quel di’ è accaduto.  Non dèi indispettirti, nè per-  derti d’ animo, nè impazientirti teco  stesso, se la non ti riesce cosi per be-  ne ogni volta il governarti secondo i  retti principii in quello che tu fai;  ma, uscito di via, ritornarci; quando  la maggior parte delle tue azioni  sono passabilmente degne d’un uo-  mo, contentartene; ed amare quello  a che ritorni ; ritornando alla filosofia,  non come ad un pedagogo, ma come  un eh’ abbia mal d’occhi alla spugna  ed all’ uovo, un altro al cataplasma  0 alla doccia. Così non ti darà più  fastidio il dovere ubbidire alla ra-  gione, ma anzi troverai in quella il  riposo. E ricordati che la filosofia  vuole quello solamente -che la tua  natura vuole; e che sei tu quegli il  quale volevi altro, che non era se-  condo natura. Ma pure, che v’ha  egli di piii liisingliiero? E il piacere, non t’ inganna egli appunto  perchè è lusinghiero? Ma vedi se  non fossero cosa più lusinghiera la  magnanimità, la libertà, la sempli-  cità, la bonarietà, la santità. Quanto  alla prudenza poi, v’ ha egli cosa più  lusinghiera di quella? se tu badi allo  andar esente da ogni fallo e all' avere  a seconda ogni cosa, che è il proprio della virtù comprensiva e intellettiva?  Le cose stanno immerse, per  cosi dire, dentro a un buio tanto  folto, che a filosofi non pochi, e non  dei più volgari, elle son parate del  tutto incomprensibili. E gli stoici  essi medesimi tengono che elle sieno -  comprensibili sì, ma difficilmente:  e che ogni nostro assentimento sia  mal certo;* perchè, dove è fuomo [Questa ed altri Inoghi dei Ricordi provano che gli Stoici dopo Crisippo venivan.<»i  facondo sempre più scettici, ed aveano essi  medesimi il sentimento della debolezza scientìfica della loro scuola. che non si sia mai ricreduto? Prendi quindi a considerare gli og-  getti in sè stessi; come poco dura-  no, come poco valgono, come possono  - cader nelle mani d’ un bagascione,  d’ una cortigiana, d’ un malandri-  no. “- Passa ai costumi degli uomini  con chi tu vivi; il più gentile dei  quali appena si può tollerare, per  non dire che appena v’ ha fra loro  chi possa tollerar sè medesimo. In  tanta caligine adunque, in tanto lez-  zo, in un tal flusso continuo e della  materia e del tempo, e del moto e  di quanto è in moto, qual cosa v’ ab-  bia mai che meriti la nostra stima,  o anche pur solo la nostra premura,  io noi so immaginare nè vedere.  Che anzi ci bisogna confortar noi  medesimi con 1’ aspettativa della dis-  soluzion naturale, e non adirarci  dell’indugio, ma acquietarci in que-  ste sole due cose : T una, che nulla  mi può accadere che non sia secondo la natura dell’ universo ; l’ altra, che  è in mia potestà il non far nulla  contro il Dio e il Genio mio. Perchè  nissuno y’ ha che mi possa sforzare  mai ad offenderlo.   il. Che uso fo io ora della mia  anima? cpiesta interrogazione con-  vien fare a sè medesimo in ogni  circostanza, ed esaminar sè stesso,  che v’ ha egli ora in quella parte di  me la quale è detta sovrana? e che  sorta d’ anima è ella ora la mia? Non  è un’ anima di fanciullo? o di gio-  vinetto? o di donnicciuola? di tiran-  no? di giumento? di fiera.*   12 Quali sieno quelli die al volgo  })aion beni, tu il potrai conoscere  anche da questo. Chi ha preconce-  pito nella mente, qual bene, alcuna  di quelle cose che sono un bene  davvero, come, per esempio, la prudenza, la temperanza, la giustizia.    la fortezza, non può, sincliè un tal  concetto gli dura, pre^star più orec-  chio a chi venga a dire in sulla scena,   «Tanta ho di ben dovizia .... eco. I   perchè questo ripugnerà al bene al  (juale egli pensa. Ma chi ha precon-  cepito alcun dei beni volgari, ascol-  terà ed accoglierà con piacere sic-  come arrecato a proposito, quello  che il comico dice. Così persino il  volgo s’ accorge della differenza. Altrimenti non rigetterebbe nell' un  .de’ casi quel motto, che accoglie poi,’  siccome calzante e faceto, nell’altro,  quando lo vede applicato alle ricchezze o a quelle altre cose che fo-  mentano la effemminatezza o l’am-  bizione. Fàtti innanzi adunque e  domanda se si hanno da stimare e   1 Verso di tm autor comico, che dovea  esser famigerato in sul teatro a quei tem-  pi; il senso del quale, benché Tautore noi  citi intero, appare dall' ultime linee di que-  sto paragrafo]  da riguardar come beni quelle cose  rispetto alle quali può molto accon-  ciamente venir soggiunto, che al  possessor loro, per la soverchia ab-  bondanza, non riman più luogo ove  fare i suoi agi.   13. Sono un composto di causa e  di materia. Ora nè questa nè quella  non è per ridursi a nulla mai; co-  me neppure non è venuta dal nulla.  Adunque ciascuna parte di me di-  venterà per via di mutazione una  qiìalche parte del mondo, e quella  poi ancora un’ altra parte del mon-  do, e così all’ infinito. Da una simi-  gliante mutazione ho avuto io resi-  stenza, e la ebbero i miei genitori, e  così risalendo, sino ad un^altro in-  finito; perchè nulla osta che si fa-  velli a questo modo, quand’ anche  vogliamo stabilire che il mondo si  regga a periodi determinati.'   1 Allusione alla c conflagrazione del mondo »  domma Eraolitico, la quale doveva accadere. La ragione e V arte ragionativa  sono facoltà che si contentano uni-  camente di sè medesime e delle  operazioni lor proprie. Piglian le  mosse dal principio peculiare a loro ;  vanno dirittamente al fine proposto;  ondechè son nomate catortosi le  azioni di cotal sorta, significando col  nome la rettitudine della via. Non è da dire che sia dell’uo-  mo nessuna di quelle cose che non  ispettano all' uomo in quanto uomo.  Non sono punto requisiti dell’uomo,  nè le promette la natura dell’ uo-   a certi tempi, e distruggersi allora tutto  r ordine esistente delle cose, per dar luogo  ad un nuovo. Fu accettato dagli stoici ante-  riori, modificato e cangiato dai posteriori :  tra i quali non volle decider nulla Antonino.  Vedi X, 7: . . . «por essere consumato ivi  dal fuoco, se T universo va soggetto a con-  flagrazioni periodiche, o per servire con  vicenda perpetua al rinnovamento di lui  s'egli dura eterno o incorrotto. Beota effectio appo Cicerone, lib. Ili de  Fin., cui vedi. Ciò che in questo § è no-  mato catortoei è l'aziono conforme al dovere,  ed è voce solenne alla scuola.  lYio o attende complemento da quel-  le. Adunque non istà nè anche in  loro 11 fine dell’uomo, nè iLbene.  per conseguenza, che è parte inte-  grante del fine. Ancora, se alcuna  di queste coso spettasse all’ uomo,  non ispetterebbe a lui il dispregiarle  o r opporsi ad esse ; nè sarebbe lo-  devole chi mostrasse non averne  bisogno; nè sarebbe buono chi se  ne disdice alcuna, se buone elle  fossero, f^ppure, quanto più Tuoino  si priva di queste cotali cose, o so-  stiene d’ esserne privato, tanto più  buono è tenuto.'   IG. Quali saranno i tuoi pensieri  abituali, tale sarà la tua mente:  perché si tigne dai pensieri la men-  te.^ Tignila adunque con l’ abitudine   ' Dunque queste cotali cose non sono veri  beni per l' uomo in quanto è uomo, cioè ragionevole. [Questa conclusione è sott' intesa]. [Demostene più di una volta nelle sue  Filipj iche disse che quali sono le azioni in    (li pensieri come questo, per esempio: Dove si può vivere, quivi si può  anche ben vivere. Nella corte si può  vivere; adunque anclie nella corti;  si può ben vivere. K come quest’ altro: Una cosa eh’ ò fatta a contem-  plazione d' un’ altra, è fatta per qucl-  r altra; se è fatta per quell’ altra, a  quella ò portata; se a quella c por-  tata, quivi è il suo fine; se quivi è  il suo fine, quivi è anche il suo utile  e il suo bene. Adunque il bene del-  r animai ragionevole è la comunità;  sendo dimostrato già da lunga pezza  che per la comunità siam nati> O  non era evidente forse, che gli es-  seri men degni son fatti a contem-  plazione dei più degni, e i più de-  gni, a contemplazione gli uni degli  altri? che gli esseri animati son più  degni che gli inanimati, e i ragio-  nevoli più degni che gli animati?   cui sogliono versare gli uomini, tali soglio-  no pur essere i sentimenti deU’animo loro, Andar dietro all’ impossibile è  cosa da stolto. Ora è impossibile  che i malvagi non facciano cose di  questa sorta. Nulla accade a nessuno, che  egli non sia nato per sopportare.  Le stesse cose accadono a un altro,  il quale, o ignorando eh’ elle sieiio  accadute, o volendo dar a divedere  grandezza d’ animo, sta inaltérabile  e non se ne duole. Tristo a noi, se  la ignoranza o il rispetto umano  avran più forza che la prudenza. Le cose, per sè stesse, non  toccano l’ anima punto; nè hanno  accesso all’ anima; nè posson volger  r anima nè muoverla. Si volge ella  e si muove da per sè sola; e quali  sono i giudizi di che ella si reputa  degna, tali ella fa che sieno per lei  gli oggetti che le stan presso. Cioè, quali io le vedo fare a costui,  ora. Cioè a dire: «quali sono i giudizi che    Per un riguardo, l’ uomo è di  quelle cose che ci toccano il più  strettamente, in quanto convien far  del bene agli uomini e sopportarli;  ma in quanto si oppongono alcuni  alle azioni debite, diventa per me  cosa indifferente 1’ uomo, non meno  che il sole, non meno che il vento,  non meno che le bestie. Dalle quali  cose può benissimo venir impedita  una qualche azione; ma la volontà,  ma la disposizione interna non in-  contrano impedimento mai, per l’ ec-  cezione ‘ con che l’anima accompagna  i suoi conati e pel rimovere, eh’ ella  fa, l’ostacolo. Perchè l’anima ha  facoltà di rivolgere al suo scopo ogni  cosa che s’ opponga alla attività di  lei; e serve quindi ad un’ azione ciò  che impediva quella certa azione, e   ella stima degno di sè il fare delle cose  esteriori, cotali ella fa che per lei sieno le  dette cose. diventa una via ciò che le sbarrava  quella certa via.  Di quanto v’ lia al mondo, onora  r eccellentissimo. L’ eccellentissimo  ò quello che si vale di tutto il resto  e che tutto il resto governa. E così  ancora, di quanto v’ ha in te, onora  l’eccellentissimo. L’eccellentissimo  in te è quello che v’ ha in te di  congenere a quel primo. Di fatti esso  si vale in te di tutto il resto, e da  esso è governata la tua vita. Quello che non offende la città,  non offende il cittadino. Ad ogni  pensiero di offesa che ti paia aver  ricevuto applica questa regola; se la  città non è offesa da costui, non  sono offeso nè anche io. Che se la  città è offesa, non conviene adirarsi,  ma insegnare ‘ a chi l’ha offesa  dove sta il mancamento.   * Do il mio pieno voto alla correzione  dello Schultz, preceduto dal Gatakero, ben-  ché questi non sapesse così bono porro al  suo luogo le pardo scadute. Considera sovente la rapidità  con die passa e si dilegua tutto  quello che esiste e che nasce. Per-  chè la materia, a guisa d’ un fiume,  è in un flusso perpetuo; le azioni,  in uno avvicendarsi continuo ; le  cause, in mille determinazioni di-  verse; nulla, per cosi dire, che stia;  e questo infinito che presso presso  t’incalza, del passato e del futuro,  è un abisso dentro al quale si spro-  fonda ogni cosa. Come adunque non  è uno stolto chi, fra questi termini,  si gonfia, o si travaglia, o guaisce,  per cosa che minimamente il mo-  lesti, come s’ ella avesse pure a du-  rare un buon tratto di tempo? Pensa a tutta quanta la materia, della quale per una minima  parte partecipi; e a tutta quanta la  età, della quale un breve e momen-  taneo intervallo ti è assegnato; e  all’ universale destino, del quale che  parte aliquota sei?  /Ucuno pecca. A me che fa?  Tocca a lui il pensarci; sua è la  volontà, sua 1’ azione. Io ho adesso  quel che la natura comune vuol che  adesso io abbia, e fo quello che la  natura mia propria vuol che adesso  io faccia. La parte sovrana e dominante  deir anima tua stia salda ai moti  della carne, o sien piacevoli o in-  grati, e non vi partecipi, ma circo-  scriva sè stessa e tenga confinate  nelle membra quelle passioni. Che  se elle penetrano ciò nondimeno  sino alla mente, per la simpatia in-  volontaria che han fra loro le parti  d’ uno stesso tutto ; allora, al senso,  che è cosa naturale, non -si vuol  tentar di resistere; ma si guardi la  parte sovrana dallo aggiungervi del  suo r opinione che quello sia un  bene od un male.  Vivere con gli Dei. E que-  gli vive con gli Dei, il quale di con-  tinuo appresenta loro T anima sua  disposta di tal maniera che élla si  contenti di quanto le vien distribui-  to e faccia quanto vuole il Genio cui  Giove distaccò da sè stesso e diede  a lei per reggitore e per guida.*  Questo è la mente e la ragione di  ciascheduno.  T’adiri tu con quello che sa  di caprino? T’adiri tu con quello a  cui pute la bocca? Che vuoi tu che  ci faccia? Egli ha la bocca a quel  modo, egli ha le ascelle a quel modo,  di necessità debbono uscirne esala-  zioni a quel modo. Ma, odo chi  dice, r uomo ha la ragione, e può  scorgere, rillettendo, in che pecca. —  Egregiamente. E anche tu, dunque,  hai la ragione ; eccita, con la disposi-  zione razionale, in lui la disposizione  razionale; ammaestralo; ammonisci-  lo. Perchè, s’egli ti ascolta, lo gua-  rirai, e non c’ è più uopo di collera.   28. ' Nè eroe di tragedia, nè putta. Come fai conto di vivere uscito  di qua,^ puoi vivere in quello stesso  modo anche qua. Che se non tei  permettono, allora esci pur anche  <lalla vita: ma come quegli a cui  non incontra nulla di male. C’è del  fumo qua, io me ne vado. Perchè  stimi questo gran cosa? Ma sin-   [Queste parole nella vulgata stanno alla  fine del § precedente; ma, se non sono cor-  rotte, debbono essere separate e formare da  por sè sole un paragrafo.   2 Cioè, non camminar sui trampoli, e non  istrascinartì per terra: non tanto alto da  parer gonfio o affettato, non tanto basso da  muovere a schifo altrui. Cioè, dalla corto. Allude, secondo che ci avverte il Gata-  kero, al proverbio :« tre esserle cose che ci  caccian fuori dì casa; il fumo, il pioverci  dal tetto, e la moglie astiosa.» Vuol dun-  que che r uomo esca di vita con quella in-  differenza con che uscirebbe dalla camera  dove vi avesse fumo. tantoché nulla di somigliante non  mi sforza a partire, me ne rimango  libero, e nessuno m’ impedirà dal  fare le cose eh’ io vorrò ; e vorrò se-  condo la natura d’un animai ragio-  nevole e sociabile.  La mente dell’ universo ama la  comunanza. Perciò ha fatto gli esseri  men degni in grazia dei più degni,  e i più degni ha conciliato gli uni con  gli altri. Tu vedi come essa gli ha  subordinati, coordinati, dato a cia-  scuno secondo il suo grado, e ridotto  a mutuo consenso i primi tra loro. Come ti sei portato sinora con  gli Dei, co’ genitori, coi fratelli, con  la moglie, coi figli, coi maestri, co-  gli educatori, con gli amici, coi fa-  migliari, co’ servi; se, riguardo a  tutti, puoi dire insino ad ora:   « Nè d’ opre mai nè di parole oltraggio   A nullo io fea.* »   ' Omero, Odiss. Kanimenta per quali traversie sei  passato e quali hai avuto la forza  di tollerare : e siccome è piena ornai  per te la storia della vita e termi-  nato r incarico. Che cosa s’ è potuto scorgere in te di bello; quanti  piaceri e quanti dolori hai dispre-  giato ; quante occasioni di gloria hai  negletto ; a quanti sconoscenti ti sei  dimostrato amorevole. Forse tutto il paragrafo sarà più chiaro,  e il pensiero di Antonino meno ambigua-  mente espresso se diremo : < Qual fosti  infino ad ora verso gli Iddii, i parenti, i  fratelli, la moglie, i figlinoli, i maestri, gli  educatori, gli amici, i servi? Puoi tu dire,  rispetto a tutti: nè d'opra mai, ni di parole  oltraggio a nullo io /«a ? De' passati tuoi  casi e delle passate fortune, quante hai  saputo tollerare da uomo? Conchiuso per te  oramai è il dramma della vita, finita la parte  che ti era assegnata. Ebbene, quante sono le  buone azioni che di te puoi ric-ordare?  Quanti piaceri, quanti dolori hai saputo  disprezzare? quante cose stimate gloriose,  * non curare? a quanti ingrati essere bene-  fico e amorevole?» In questo paragrafo il  Pierron ed altri dei migliori interpreti pre-  sero alcuni grossi granchi ; 1' Ornato intese   Per qual cagione certe anime  inesperte ed ignare confondono esse  una esperimentata e sapiente? —  Qual è dunque l’ anima esperimen-  tata e sapiente? Quella che sa il prin-  cipio ed il fine, e conosce la ragione  che penetra la materia delle cose e  governa, secondo cicli determinati,  per tutta la eternità 1’ universo.  Oramai sei cenere, e schele-  tro, e un nome, o nè anco un no-  me; e il nome è strepito e rimbombo  mero. Le cose di che si fa gran  conto nella vita son vuote, fracide,  picciòle, cagnolini che si mordono,  fanciullini astiosi che ridono e poco  stante guaiscono. E la fede, e la ve-  recondia, é la giustizia, e la verità,   oc Air Olimpo, la terra abbandonando  Dalle vie spaziose.* »    meglio di tutti ; ma troppo fedele alla let-  tera del testo, non fu chiaro abbastanza  nello esprimerne il senso. Esiodo, opere e giorni, v. 195. Sottin-   Che dunque ti può trattenere qui  ancora? quando le cose sensibili sono  senza costanza nè sussistenza; gli  organi del senso, ottusi- e pronti a  impressionarsi del falso; l’animuc-  cfa * tua stessa, non altro che una  esalazione del sangue ; e 1’ aver fama  appo cotali, cosa del tutto vuota.  Che dunque aspetti? Con pazienza  il tuo qual eh’ ei sia o spegnimento  0 traslocamento. Ed intanto che quel-  lo viene, che cosa ti basta? Che  altro, se non venerar gli Dei e bene-  dirli, beneficar gli uomini e soppor-  tarli e astenerti con loro,^ ricordan-  doti che quanto è fuor dei limiti del  tuo corpicciuolo e della tua aniinuc-  cia non è nè in tuo potere nè tuo?    tendi un verbo, recaronsi o altro che più  ti piaccia. P.   t Per antniuccta, intende* spesso Antonino  il principio animale mero, comune anche ai  bruti, vedi la nota (6) in fino del volume. Cioè nelle tue relazioni con loro. Tu puoi prosperar sempre,  giacché puoi andar per la diritta  sempre, giacché puoi giudicare di-  rittamente sempre ed operare. Due  proprietà son queste, comuni al-  l’anima e di Dio ' e dell’ uomo e  d’ogni animai ragionevole: il non  potere essere impedito da altrui, e  lo avere il proprio bene interamen-  te riposto nella disposizione interna  e nella azione conforme alla giu-  stizia, senza che il desiderio arrivi  più oltre. Comuni all'anima e di Dio e dell'uomo. Secondo il concetto stoico Iddio ora  un corpo o un essere vivente ed eterno,  non simile all' uomo, ma composto tuttavia,  come rnomo. d’anima e di corpo. L’unità  del corpo divino coll’anima divina ora per  essi il mondo, e quindi si accordavano a  dire che Dio è il mondo, cioè la materia,  dotata di una certa qualità e forma, colla  forza attiva in essa immanente. L'anima  di Dio sarebbe dunque questa forza attiva  immanente nel mondo, cioè nel corpo divino. Se cotesto non è malizia mia,   ' nè azione procedente da malizia mia, '  nè riceve danno la società, perchè  me ne do io fastidio? — E qual dan-  no per la società v’ ha egli? Non lasciarti portar via dalla  immaginazione al primo incontro;  porgi aiuto altrui, sì, a tuo potere  e secondo l’ importanza .del caso,  qiiand’ anche lo scapito non sia se  non di cose mezzane ; * ma guardati •  dall’ immaginare che sia un danno.  Perchè è una cattiva abitudine. Co-  me quel vecchio che nel partirsi  domandava la trottola del suo allie-  vo, sapendo bene che ella era solo  una trottola: così hai da fare anche   tu * sui rostri. L’uomo, hai tu  dimenticato che cose son queste? No. Mma costoro ne fanno gran caso. E per questo hai da diventare  stolto anche tu ? ® Dovunque il   colga la morte, uomo avventurato. E avventurato vuol dire che ha dato  buona ventura a sè stesso ; e buona  ventura sono i buoni moti dell’ ani-  mo, le buone volontà, le buone  azioni. La materia delle cose è ar-  rendevole e piglia volentieri ogni  forma. E la ragione che 1’ ammini-  stra non ha in sè nessuna causa di  mal fare, non avendo malizia, e non  fa (juindi male a nulla, nè nulla è  dannificato da lei. Ed ogni cosa av-  viene ed ha compimento per essa.  Non ti curare che tu stia al  freddo o che tu stia al caldo, quando  fai il tuo dovere; che tu caschi di  sonno 0 che tu abbia a sufficienza  dormito ; che te ne venga biasimo o  che te ne venga lode ; che tu muoia,  o che tu attenda ad un’ altra azione  qualunque. Perchè ella è anche una delle azioni pertinenti alla vita,  quella per cui si muore; e basta  anche quivi, per conseguenza, ben  disporre del presente.   3. Vedi addentro; nè la qualità  propria di nessuna cosa nè il valore  ti sfugga.  Tutti gli oggetti in brevissimo  tempo si mutano; ed o avvampe-  ranno, se la materia è unificata, o si  disperderanno.   5. La ragione governatrice sa bene  con qual intenzione e che cosa opera,  e su qual materia.   6. Il miglior modo di vendicarsi  d’ una ingiuria è il non rassomigliare  a chi r ha fatta. D’ una sola cosa prendi piacere,  è di quella ti soddisfa; del passare  dall’ una azion sociale all’ altra azion  sociale,* ricordandoti di Dio.   < Intendi per aziono sociale una aziono  utile alla comunità dogli uomini, e qual si  conviene ad un animalo socievole qual è  r uomo. La parte sovrana è quella che  eccita e volge sè medesima; che fa  sè quale ella vuole,* e fa parere a  sè quali ella vuole tutte le cose che  aw^engono.   9. Secondo la natura dell’ universo  ogni cosa si fa; non potendosi fare  secondo una qualche altra natura la  (piale 0 conterrebbe in sè quella, o  sarebbe contenuta in quella, o sta-  rebbe separata al di fuori di quella.*   10. 0 confusion d’ ogni cosa, ac-  cozzamento d’atomi, e disperdimen-  to; o unità nel tutto, ordine, prov-  videnza. Se- il primo supposto ha  luogo, come desidero io di rimanere [Cioè che ha il potere di modificare sè  stessa come ella vuole. Se contenesse in sè la prima, non sa-  rebbe più questa la natura universale, ma  r altra; se fosse contenuta in essa, quel  che si farebbe secondo lei sarebbe fatto, a  fortiori, secondo l' altra: e se stesse sepa-  rata al di fuori, ci sarebbe qualche cosa  fuori dell* universo, il che è assurdo. più .a lungo in un guazzabuglio di  quella fatta e lordume? Che altro  mi debbe star a cuore che il « diven-  tare terra a qualunque modo? » E di  che mi turbo io? Verrà il disperdi-  mento a me, checché io mi faccia. Ma se è vero il secondo, adoro il  reggitore dell’universo, e in lui sto  fermo e confido. Quando vieni sforzato punto  punto dalle circostanti cose a tur-  barti, rientra subitamente in te stes-  so, e non istar fuori del ritmo ’ pili  di quello che la necessità ti costringa.  Perchè ti farai più valente nella  misura col ritornare ad essa di con-  tinuo.   12. Se tu avessi la matrigna e la  madre nel tempo istesso, alla prima  faresti onore, ma torneresti pur non-  dimeno sempre accanto alla madre.  Cotali son per te la corte e la filo-    [Paragona la vita alla mimica. 0.  Ifarco Aurelio sofia: torna sovente alla seconda e  in essa ti riposa, la quale fa a te  sopportabil la corte, e te sopportabile in quella. Come ti fai concetto di tale  o tal altra vivanda, dicendo teco  stesso: è un cadavero di pesce, è  un cadavero d’ uccello o di porco ;  e del falerno, è succo di grappoletti  d’uva; e della porpora, son peluzzi  di pecora intinti nel sangue d’ una  conchiglia; e del congiugnimento, è  attrito di membrane ed escrezione di  moccio con un po’ di spasmo ; come  tu giudichi allora, penetrando col  concetto sino alle cose esse mede-  sime e rappresentandole nella es-  senza loro quali sono; così hai da  fare in tutte le occorrenze della vita;  e quando le cose ti si fanno innanzi  con molta appariscenza, denudarle,  e scorgerne la bassezza, tolto che  avrai d' intorno a loro la pompa onde  si fan magnifiche. Imperocché gran  madre illusioni è la boria; e quando  tu credi più fermamente eh’ elle sieno  serie le cose a cui attendi, allora sei  più affascinato. Vedi che cosa dice Cratete di Senocrate stesso.’  Le cose che il volgo apprezza  sono per la maggior parte di estremo  genere ed infimo, di quelle cioè che  dall’ abito (0) o dalla natura son go-  vernate : pietre, legni, fichi, viti, ulivi,  (rii uomini un po’men rozzi tengono  in pregio quelle che son governate  dall’anima: greggio, per esempio, e  mandre. Gli uomini ancor più còlti,  quelle che son governate dall’anima  ragionevole; non tuttavia in quanto  è universale, ma in quanto è arti-  ficiosa o, come che sia, ingegnosa.    1 StìTiocrate tu discepolo di Platone, e  famoso per P austerità del suo carattere,  (guanto al Cratete qui menzionato, ignorasi  ^se fosse il filosofo Cratete di Atene, oppure  il cinico di Tebe; come ignorasi pariraentn  qual fosse il detto a cui si acceuna in que-  sto luogo. P.    Digilized by Google     1 m2 ricordi.   V   od anche senza relazione a nulla, '  come il possedere semplicemente  una moltitudine di schiavi.* Quegli  poi che fa stima dell’anima ragione-  vole universale e sociale, non si  cura delle altre cose più punto; ma  si studia di consolidare in istati ed  in moti conformi alla ragione e  volti al bene della società 1’ anima  sua, ed aiuta il suo congenere a far  lo stesso. Una cosa s’affretta a nascere,  iin’ altra a venir meno, e di quella  stessa che nasce ima qualche parte  è già spenta; il flusso e l’alterazione  ringiovaniscono ad ogni ora il mondo,  come lo scorrere non interrotto del  tempo fa sempre nuova 1’ eternità.  Tn tal fiumana di cose che vengono  e passano, che v’ ha egli che altri   1 Intendi che costoro ameranno possedere*  nn gran numero di schiavi come i detti  pocanzi ameranno possedere nna mandra  numerosa. debba aver caro, quando ,su nulla  può' far fondamento? Gli è come se  imprendesse ad amare uno degli uc-  celletti che volano, e quegli è già  sparito via.   La vita di ciascheduno è non al-  trimenti che una esalazione del san-  gue o una respirazione dell’aria. Pei>  chè non v’ lia differenza, che tu tragga •  a te l’aria una volta e la renda, il  che tu fai tuttodì, o che tu renda  tutta insieme colà d’ onde l’ hai tratta  la facoltà respiratrice che ieri o ier  l’altro nascendo acquistavi.   16. Non il traspirare, come le  piante, è degno di stima, non il re-  spirare, come i giumenti e le bere,  non il. ricevere impressioni nella  fantasia, non Tesser mosso dagli ap-  petiti, non l’adunarsi in branco, non  il nutricarsi ; cosa non dissimile dal  mandar fuori il soverchiò del nutri-  mento. Che è degno di stima adun-  que? lo strepito? No. K per conseguenza nè anche lo strepito delle  lingue. Ora le acclamazioni del volgo  non sono altro che strepito delle  lingue. Anche la gloriuzza hai posto  adunque da banda. Che rimane, che  s«i degno di stima? Il muoversi, pare  a me, e il ristarsi * secondo il prin-  cipio della propria costituzione, al  che conducono ancora le arti e le  culture diverse. Perché ogni arte ha  questo per iscopo, che il formato da  lei sia acconcio alPopra per la quale  è formato ; e il vignaiuolo che coltiva  la vite, e il cavallerizzo, e il canat-  tiere, cercano pur questo. E le educazioni, e le scuòle, a che tendono ?  Questo adunque è il degno di stima.  E se questo vien condotto a bene,  non occorre procacciar più altro. —  Non finisci di stimare ancora molte  altre cose?* Nè libero adunque sarai   1 L'operare e il non operare. 0.   ^ Cioè, non cesserai dallo avere in pre-  gio molte altre cose?  tu mai, nè bastevole a te, nè im-  passibile ; perchè ti sarà mestieri  invidiare, ingelosire, sospettare chi  ti può tórre le cose che stimi, mac-  chinar contro a chi le ha; in fine,  conturbato convien che sia chi  d’ alcuna di quelle è privo, ed ol-  tracciò, che mormori contro agli Dei  bene' spesso; laddove la riverenza  della propria mente e la stima ti  farà accetto a te medesimo, accomo -  devole agli uomini e consonante agli  Dei,* io voglio dire, contento di tutto  che essi distribuiscono e di tutto che  hanno ordinato.  Air insù, all’ ingiù, a cerchio  intorno, son le mosse degli elementi.  La virtù non si muove in nessuna   ^ cDi modo che ciascheduno che procac-  cia di desiderare e fuggire solamente quello  che è da essere desiderato e fuggito, pro-  caccia al tempo medesimo di esser pio.»  (Epitteto, Manuale, traduz. di  G. Leopardi. Vedi tutto questo capitolo del  Manuale. di queste guise, ma in una certa sua  più divina, e per via mal compren-  . sibile procedendo va di bene in  meglio. Che cosa è mai quel che fanno !  Ai loro contemporanei, che insieme  con essi vivono, non voglion dar lode ;  ed essi medesimi poi agognano di aver  lode dai posteri i quali non videro  mai, nè vedranno. Gli è come se tu  ti dolessi del ' non aver lode anche  da’ tuoi antenati.  Non ogni volta che una cosa  è malagevole a te, hai da credere  però eh’ ella sia impossibile all’uomo ;  anzi, ogni volta ch’ella è possibile  all’ uomo e dimestica, credi eh’ ella  è conseguibile anco da te.  Nell’ esercizio della lotta al-  . cuno talora ci graffia, o venendoci  addosso ci percote malamente col   1 Merico Casaabono cita qui, siccome  un bel comento a questo §, il cap. XXVIII  del libro di Giobbe, che vuol leggersi tutto  intero. capo. Ma noi diamo a divedere, e  non ce ne tenghiamo olfesi, nè stiamo  in apprensione di lui quindi innanzi,  come se ci insidiasse ; ce ne guardia-  mo, sì, ma non come da nemico, nè  con. animo sospettoso; lo scansiamo  con piacevolezza. Questo medesimo  s’ha da fare in tutte le altre parti  della vita: molte cose lasciar correre,  come tra persone che lottano. Per-  ch’egli si può, come ho detto, schi-  vare altrui, e non averlo però a so-  spetto nè odiarlo.Se altri mi può convincere  e far capace eh’ io penso ed opero  non rettamente, di buon grado son  per ricredermi; perchè io cerco la  verità, la quale non noeque mai a  nessuno. Nuoce bensì altrui il li-  manere nell’ inganno e nell’ ignoranza propria. Quanto a me, io fo 1’ ufficio mio;  le altre cose non me ne distolgono ;  perchè o sono inanimate, o irragionevoli, o vanno errate e non conoscon  la via.   23. Gli animali irragionevoli e le  cose in generale a te sottoposte,  quando esse non han la ragione e  tu r hai, usa senza riguardi altera-  mente; gli uomini, che han la ra-  gione, usa come vuol la legge di com-  pagnia. In ogni cosa poi, invoca gli  Dei. E non curarti del più o men  tempo che tu durerai a far cotesto :  perchè bastano anche tre sole ore  cotali.   24. Alessandro il Macedone e il  mulattiere di lui si ridussero, moren-  do, alla medesima stregua. Perchè,  o furon ricevuti ambidue nelle stesse  ragioni seminali del mondo,' o si  dispersero del pari in atomi. Pensa quante cose, in un  medesimo istante, dentro a ciascuno   * Nel caso che sia vero il sìsteina ato-  mistico di Epicuro. di noi han luogo, relative al corpo  nello stesso tempo ed all’ anima ; e  non istupirai che molte più, anzi  tutte quelle che avvengono, coesi-  stano simultanee in quel tutto ed  uno a cui diamo il nome di mondo.   Se qualcheduno ti domanda  come si scriva il nome d’ Antonino,  proferirai tu forse con isforzo di voce  ogni sillaba? E se quegli s’adira,  t’adirerai alla tua volta anche tu?  Non annovererai tu piuttosto, pa-  catamente procedendo, l’una dopo  l’altra le lettere? Cosi hai da fare  anche adesso. Ricordati che ogni  ufficio* consta di certi numeri; col-  r osservare i quali, e non col tur-  barti, e non coll’ adirarti con chi  s’adira, arriverai direttamente al fine ,  proposto.   27. Come è crudele il non per-  mettere agli uomini che seguano quel che sembra a loro convenevole  ed utile? E tu noi permetti, in un  certo modo, quando ti corrucci del  loro fallire. Perchè del tutto e’ non  vi si indifcono se non in quanto il  credono convenevole ed utile a loro.  Ma non è così. Dunque ammae-  strali e falli capaci, senza corruc-  ciarti.   28. La morte è una pausa alla im-  pressione dei sensi, allo stimolo degli  appetiti, al discorrer della mente èd  alla servitù verso la carne.  È un vituperio che in quella  vita dove non ti s’è stancato ancora  il còrpo, ti si sia stancata innanzi  tempo r anima.  Bada a non incesarirti,* a non  imbrattarti; chè cosi suole avvenii-e.  Conservati adunque semplice, buono,   ^ Intendi : sebbene tu sia stato adottato  nella famiglia dei Cesari, bada a non t«cc-  sarirli, cioè cadere nei costumi viziosi di  molti dei Cesari o imperatori che. ti hanno,  preceduto. intemerato, grave, ingenuo, amico  del giusto, pio, mansueto, amorevo-  le, saldo nell’ adempire al tuo ufficio.  Combatti per mantenerti tale, quale  ti ha voluto fare la filosofìa. Venera  gli Dei, fa’del bene agli uomini. Breve  è la vita; e l’unico frutto di questa  esistenza terrena è la santa disposi-  zione deir animo e 1’ opere indiriz-  zate al comun bene. Ogni cosa da  vero discepolo di Antonino:* quel  suo vigor costante in ciò che operava  secondo ragione, e 1’ umor sempre  uguale, e la santità della condotta,  e la serenità del volto, e la soavità  dei modi, e il dispregio della vana  gloria, e l’ ardore nel voler compren-  der le cose'; e come non avrebbe  lasciato andar nulla mai, ch’egli non  avesse ben bene considerato in prima  e chiarito; e come sopportava quelli  che si dolevano di lui ingiustamente,   < Antonino Pio, suo padre di adozione. senza ridolersi egli di loro; come  non faceva mai nulla in furia ; come  non dava adito ai delatori; come era  diligente esploratore dei costumi e  delle azioni, non maldicente nè te-  mente i rumori, non sospettoso,  non sofistico; come si contentava di  poco, in materia . d’ abitazione, per  esempio, di letto, di vestito, di cibo,  di servidori; come era operoso, lon-  ganime, e di tal tempra da poter  durare in uno stesso luogo sino alla  sera, senza aver uopo, per la fruga-  lità del vitto, nè anche di uscire ai  bisogni del corpo fuor dell’ ora con-  sueta; e la costanza e il tenor sempre  uguale nelle amicizie ; e il sopportare  che altri contraddicesse con libertà  di parole al suo parere, e rallegrai’si  quando glien era mostro un migliore ;  e come era religioso senza supersti-  zione; affinchè, con una buona coscienza pari alla, sua, tu incontri  come egli incontrò l’ultima ora. Esci dall’ ebrezza, ritorna in  te; e cacciato via il sonno, e veduto  ch’eran sogni quelli che ti turba-  vano, risvegliati una seconda volta,  e guarda le cose della vita come tu  guardavi quelle altre. Son composto di un corpicciuolo e d’un’ anima. Al corpicciuolo  tutte le cose sono indilferenti; non  potendo egli nè manco far differenza.  Air anima sono indifferenti tutte  Qui r Ornato volea fare una nota, come  è indicato nel manoscritto, ma non la fece.  Verosimilmente egli volea gìnstiiicare e il-  Instrare la sna interpretazione di questo  luogo, alquanto diversa da quella degli altri interpreti. La traduzione letterale di  tutto il § è cEsci d'ebrezza, richiama te  stesso; e cacciato via il sonno, e veduto che  eran sogni quelli che ti turbavano, desto  una seconda volta, guarda queste cose, co-  me tu guardasti quelle altre.  Intendi anima razionale, la quale per  gli Stoici non era altro che ragione e vo-  lontà, esclusa la sensibilità appartenente  solo airantmwccta, mero principio animale  comune anche ai bruti. quelle che non sono azioni di lei. E  quelle che sono azioni di lei, stantìo  tutte in balia di lei. E di queste an-  cora, quelle sole che riguardano il  presente. Perchè le azioni future  e le passate sono pure indififerenti  per lei. Il lavoro non è cosa contro  natura nè per la mano nè pel piede,  sintantoché il piede fa le cose del  piede, e la mano le cose della mano. .  Quindi non è nè anche cosa contro  natura per V uomo, in quanto uomo,  fìnch’egli fa le cose dell’uomo. E  se non è cosa contro natura per lui,  non è nè anche per lui un male. Quanti piaceri non godono i  malandrini, i bagascioni, i parricidi,  i tiranni? Non vedi come gli artisti mec- *  canici condiscendono bene in .qual-  Sottintendi ; € hanno importanza per  lei. che cosa agli imperiti, ma non  seguitai! meno però la ragione del-  l’arte, e da quella non si vogliono  distaccare? Non è ella una vergogna  che l’architetto e il medico abbiano  più rispetto per la ragion dell’ arte  loro propria, che l’ uomo per la sua, la quale egli ha in comune con gli dei?   L’Asia e l’Europa son cantucci  del mondo; tutto il mare, una goc-  ciola del mondo ; l’ Athos, una zolletta  del mondo ; ciascuno degl’istanti pre-  senti del tempo, un punto dell’ eter-  nità. Tutto è piccola cosa, mutabile,  peritura. Tutto vien di colà, da quella  mente comune, o voluto da lei, o per  concomitanza.* E quindi la gola del  leone, e il veleno, ed ogni cosa ma-  lefica, come le spine ed il loto, sono  un accompagnamento e quasi una  produzion necessaria di quanto v’ha d’eccelso e di bello. 'Non immaginai ti  adunque che sien cose aliene da  quello che tu veneri; ma pensa alla  sorgente del tutto. Chi ha veduto le cose d’ adesso,  ha veduto tutte le cose, quante per  gl’ infiniti secoli furono e per gli  jiltri infiniti saranno ; perch’ elle son  tutte d' uno stesso genere e d’ uno  stesso coloi'e.  Considera sovente la concate-  nazione di tutte le cose nel mondo  e la relazione dell’ una all’altra. Per-  di’ elle son tutte intrecciate, dirò  così, r una colf altra, e tutte, per  (piesto motivo, amiche l’ una del-  l’altra. Di fatti all’ una vien sempre  dietro 1’ altra ; del che è cagione iJ  moto tonico e consenso di tutte e  r unità della rnateiia prima.  Alle cose che ti sono date in  sorte, ti devi adattare; e gli uomini,  coi quali hai comune la sorte, li devi  amai'e, ma amar veramente. Uno strumento, un ordigno,  un arnese qualunque, se è atto, a  tutto quello per che è stato formato,  va bene; ancorché non ci sia più  chi r ha formato. Ma negli esseri  governati dalla natura è immanente  dentro e continua la virtù che li  formò; per lo che conviene ancor  più venerarla, e stimare .che, ove  secondo il voler di quella tu viva,  sia per riuscirti secondo il tuo in-  tento ogni cosa. E questo ò quello  che succede all’ universo, che gli  riesce secondo il suo intento ogni  cosa.   il. Quale che sia la cosa dove tu  riponi il tuo bene o il tuo male,  s’ ella è una di quelle che non di-  pendono dalla tua volontà, di neces-  sità debbe accadere che, incorrendo  tu in quel male, o non conseguendo  quel bene, tu accusi gli Dei, e che  tu odii inoltre gli uomini, i quali ti  saran causa, o i quali tu sospetterai avere ad esserti causa del non  conseguir 1’ uno o dell’ incorrer nel-  l’altro; e molte iniquità, certo, com-  mettiam noi, per non essere indif-  ferenti a siffatte cose. Ma se noi  tenghiamo per beni o per mali quelle  cose soltanto che dipendono da noi,  nessuna causa rimane più nè di ac-  cusare Iddio, nè di stare in ostilità  verso l’uomo. ANBEDUE COOPERIAMO AD UN MEDESIMO FINE. Gl’uniscienti e intelligenti, gl’altri alla cieca; per modo che anche i dormienti, come disse  Eraclito, se non erro, lavorano e  COOPERANO a ciò che si fa nel mondo. L’ uno ci lavora in una guisa, l’altro in un’altra; e ancorché senza  suo prò, ci lavora e coopera anche  colui che si va querelando e fa prova   ' Vedi il § 16 di questo medesimo libro.  Con questo § finisce il volgarizzamento del-  r Ornato, e col § seguente incomincia il volgarizzamento rifatto da me. di resìstere e distruggere l’opera  altrui: perchè anche di questi ha  bisogno il mondo. Rimane dunque  che tu vegga nel novero di quali tu  ti vuoi porre : perchè chi governa  il tutto, saprìi ben valersi di te in  ogni modo, ricevendoti in questa o  in queir altra banda de’ suoi lavora-  tori e cooperatori. Se non che hai  da badare che tu non sia tal parte  della brigata, qual è del dramma  quel povero e ridicolo verso di cui  parla Crisippo. Il sole vuol egli fare le veci  della pioggia? o Esculapio quelle di  Cerere? E gli astri non hanno essi  i loro uffici diversi, ciascuno il suo,    1 Plutarco {de comm. adv. Stoicot) cita le  parole di Crisippo, alle quali allude Anto-  nino: «In quel modo che le commedie hanno  talvolta dei versi ridicoli e facezie che non  hanno alcun valore in sè, ma giovano non-  dimeno all'effetto generale del poema; pa-  rimente il vizio è certamente riprovevole  in sè, ma non è inutile a tutto il rimanente  delle cose.» ma COOPERANTI AMBI AD UN MEDESIMO FINE?  Se gli Dei hanno deliberato  intorno a me ed alle cose che deb-  bono incontrarmi, hanno bene deli-  berato e provveduto : perchè un Dio  senza senno e improvvido non pos-  siamo neppure immaginare. E farmi  del male, per qual motivo l’ avreb-  bero essi voluto? Qual pio ne sa-  rebbe venuto ad essi o al tutto di  che prendono sì gran cura? Che se  non hanno deliberato intorno a me  in particolare, essi hanno al certo  deliberato universalmente intorno a  tutto il complesso delle cose. Io  debbo quindi accettare e aver caro  tutto che mi accade, come conse-  guenza necessaria di quella loro ge-  nerale determinazione. Che se poi  non pensano nè provvedono a nulla  (è una empietà il crederlo ; o vera-  mente non facciam più sacrifici, nè  preghiere, nè alcuna di quelle cose che suppongono presenti gli Dei e  viventi con noi); ’ se, dico non pen-  sano nè provvedono in. alcun modo  a niuna delle cose mie; posso io  almeno pensare e provvedere a me  stesso: e mio primo pensiero debbe  essere di conoscere in che consiste  Futile mio. Ora egli è utile ad un  essere qualsivoglia ciò chcs è con-  forme alla costituzione e natura di  lui. La mia costituzione è ragione-  vole e socievole: la mia società e  la mia patria, come Antonino, è Ro-  ma; come uomo, è il mondo. Ciò  solo adunque che giova a queste  due patrie, ò utile a me.  Ciò che avviene a ciascheduno, è utile al tutto. Questo solo basta. Ma tu osserverai ancora, so  tu ci badi, che per F ordinario ciò  che succede ad un uomo, è utile an-  cora agli altri uomini. Intendo ora   ^ Intendi: «che suppongono la presenza J  e la provvidenza divina.»  r utile nel senso volgare, cioè attri-  buendo utilità alle cose medie. Quello effetto che fanno in te  gli spettacoli degli anfiteatri e di  simili luoghi, chè per essere sem-  pre le medesime cose, ti rechi a  noia il vederle, quello effetto me-  desimo facciano in te tutte le cose  della vita: perchè esse sono, dalla  cima al fondo, sempre le stesse, e  nate sempre dalle stesse. K fino a  quando adunque?  Non cessare di rappresentarti  al pensiero uomini’ trapassati di ogni  fatta 0 di ogni sorta di condizioni,  discendendo anche a Filistione, a  Febo e a Origanione;* passa di poi  ad altri generi di viventi. Colà dob-   I Conferisci III, li, o la nota ivi. P.   * Vi fu un Filistione poeta comico, con-  temporaneo di Socrate; vi fu ancora un  Filistione di Locri, il quale era medico, e  da alcuni creduto autore dei libri sulla  dieta che fanno parte della collezione ip-  pocratica. Quanto a Febo e Origanione ci  sono al tutto incogniti. biamo andare anche noi dove sono  iti tanti valenti oratori, tanti gravi  filosofi, Eraclito, Pitagora, Socrate;  tanti eroi prima di loro, tanti capi-  tani dopo, tanti tiranni; e insieme  con loro Eudosso,* Ipparco,* Archi-  mede, altri acuti ingegni, uomini  magnanimi, laboriosi, scaltri, arro-  ganti, beffardi, schernitori di questa  povera vita di un giorno, siccome  fu Menippo,* ed altri simili a lui.  Pensa che tutti costoro sono spenti. II celebro matematico discepolo di Pla-  tone, il cui sistema è esposto nel XII della  Metafisica di Aristotele ; e che insieme cou  Speusippo assorbì tutto il Platonismo nella  teoria dei numeri. A lui si applica, non  meno che a Speusippo,!' osservazione di Ari-  stotele: «la matematica è divenuta tutta  la filosofia del nostro tempo. [Matematico contemporaneo di Tolomeo  Filadelfo, nato in Nicea] [Filosofi» cinico nato a Gadara, dal quale  un certo genere di satiro che furono dette  Menippee: orasi beffato dei filosofi e delio  loro dispute scrivendo con uno spirito e  una vena inesauribile, che gli fu invidiata,  come pare, anche da Luciano. da gran tempo. Ora che male per  essi? che male per coloro dei quali  non resta pure il nome? Solo una  cosa è qui da avere in gran pregio :  r osservar sempre la veracità e la  giustizia, comportandoci benevol-  mente anche verso i bugiardi e gli  ingiusti.   48. Quando vorrai rallegrare te  stesso, rappresentati al pensiero le  migliori qualità degli uomini coi  quali tu vivi: per esempio, l’ope-  rosità efficace di questo, la vere-  condia di quello, la liberalità di quel-  r altro, e cosi via via. Perciocché  non è cosa che tanto rallegri, quan-  to le sembianze della virtù espres-  se nei costumi delle persone colle  quali viviamo, e quanto più esser  possa, accumulate e frequenti. Vuoi-  si dunque averle pronte alla me-  moria.   49. Ti quereli tu del pesare solo  cotante libbre e non tre cento? Così non ti querelare dello aver a vivere  solo tanti anni e non più. Come ti  tieni per pago e lieto della quantità  di materia che ti fu assegnata, così  accontentati del tempo. Fa’ prova di persuaderli ; ma  non lasciar di operare anchh mal-  grado loro, quando ragione di giu-  stizia il richieda. Che se altri ti  impedisce colla forza, volgiti alla  rassegnazione, e serba la serenità  dell’anima, facendo uso di quello  impedimento per l’ esercizio di un’al-  tra virtù.* E ricordati che tu vuoi  condizionalmente,* e che non si ri-  chiede da te r impossibile. Ora che  si richiede adunque? Una cotale de-  terminazione di volontà. E questa  [ La volontà giusta è solo scopo e ter-  mine di sè medesima, sia o non sia ella  efficace, cioè a dire, sia o non sia seguita  dall' effetto esteriore, il che dipende dalle  circostanze esterne. tu l’hai: il fine a cui sei venuto  nel mondo è conseguito. L’ambizioso ripone il ben suo  nell’ azione altrui; il voluttuoso nelle  proprie passioni ; ' il savio nella sua  propria azione. Io posso astenermi dal fare  concetto alcuno intorno a ciò, e non  turbarmene 1’ anima. Non le cose,  ma noi siamo gli autori dei nostri  giudizi.   53. Fa’ di avvezzarti ad ascoltare  senza distrazioni ciò che altri dice,  e ad entrare quanto più puoi nel-  l’animo di chi favella. Ciò che non giova allo sciame,  non giova neppure alla pecchia. Quando i naviganti mormorano   contro al nocchiero, o gli infermi. Meno stoicamente direbbesi nel soddisfacimento delle proprie passioni, » cioè  nel piacere procurato da questo soddisfaci-  mento. Perchè il piacere stesso è per gli  Stoici una passione, un patire e non un  agire dell' anima. Di  contro al medico,' qual motivo può  moverli a ciò se non se il modo  con che il medico e il nocchiero  procacciano la sanità e la salvezza  loro?   56. Quanti di coloro, coi quali io  venni al mondo, se ne sono già andati!  Agli itterici sembra amaro il  miele, l’acqua è spaventevole al-  r idrofobo, pel fanciullo è bellissimi  una palla. A che dunque mi adiro?  Stimi tu men potente una falsa opi-  nione che la bile nell’itterico, o il  veleno nell’idrofobo?  Niuno può recarti impedimento  al vivere secondo la legge della tua  natura; nulla accaderti contro la  legge della natura comune. Che è il vizio? è ciò che tu  spesso hai veduto. E ad ogni acci-  dente che t’ intervenga abbi apparecchiato questo pensiero, che è cosa  da te spesso veduta. Su e giù, a  dritta e a manca troverai pur sem-  pre le stesse cose, di che sono piene  le antiche storie, le mezzane e le  moderne; di che ora son piene le  città e le case. Nulla di nuovo : tutto  consueto e di poca durata. La fede nei domini come può  venir meno se non se collo spegnersi  di quei pensieri che sogliono ali-  mentarla? i quali sta in te jl ride-  «^tar di continuo. Posso pensare di una cosa quel che ne debbo pensare :  se questo è in mia facoltà, a che  mi turbo? Ciò che è fuori ilella mia  mente, non ha nulla che fare colla  mia mente. Fa’ di essere cosi dispo-  sto e sei ritto. Il risorgere sta in  poter tuo : vedi di nuovo le cose a  quel modo che tu le vedevi: sarà il  tuo risorgimento.'   3. Pompe, trionfi, vani apparati,  drammi che si recitano in sulla sce-  na, greggi, armenti umani, scara-  mucce, ossicciuolo gittate al cagno-  lino, tozzo di pane ai pesci nel vivaio,  affanni e lavorar di formiche,, discor-  rimenti qua e là di topi spaventati,  fantoccini mossi da un filo. È mestieri  assistere a codeste cose con viso  benevolo e non burbero, ma non  però dimenticare che tanto vale cia-  Pare che ad Antonino in un momento di  sconforto sombrasse aver perduta la fede  nei domrai della filosofia. E si conforta a ri-  cuperarla. Bello e profondo paragrafo, stoi-  camente considerato. scuno quanto vaglion le cose cui dà  le sue cure. Conviene por mente parola per  parola a ciò che si dice, e atto per  atto a ciò che si fa. E veder tosto  nell’ una cosa qual è lo scopo ; nel-  l’altra, qual è il significato.   5. Basta, o non basta il mio in-  gegno a proccurare questo effetto?  Se basta, io ne fo uso come di uno  stromento che la natura dell’ universo mi diede. Se non basta, ove  non osti il dover mio, lascio fare  r opera a chi può condurla a fine  meglio di me; ovvero io la fo co-  me posso, giovandomi dell’aiuto di  tale, che possa, scorto dal mio pro-  prio consiglio, recare ad effetto ciò  che è utile ed opportuno alla co-  munità. Perchè questo deve esser  sempre il fine di ciò che io faccia,  sia da per me solo, sia coll’aiuto altrui: l’utile e il convenevole al  comune.   6. Quanti lodatissimi sono già stati  dati all’oblio! e quanti che li loda-  rono sono scomparsi, già è gran  tempo!   7. Non ti vergognare dell’essere  aiutato. Tu ci sei per fare quello che  tocca a te, come un soldato ad una  battaglia murale. Ora se tu, offeso  in una gamba, non potessi solo salire  in sui merli, e ti venisse fatto col-  r aiuto di un compagno? Non ti mettere affanno delle cose  future. Tu arriverai ad esso, se il  dovrai, recando teco quella mede-  sima ragione di che fai uso nelle  cose presenti.   D, Tutte le cose sono reciproca-  mente collegate fra loro; sacro è il  legame che le unisce, e niuna cosa  può dirsi estranea ad un’altra. Esse  sono tutte coordinate insieme e con-  corrono ad ornare lo stesso mondo. Perchè uno è il mondo che è formato  di esse tutte, uno Iddio che penetra  tutto, una la materia prima, una la  legge, una la ragione comune a tutti  t?li esseri intellettivi, una la verità: .  essendo pur anche una sola la perfezione di tutti gli esseri congeneri  e partecipi della stessa ragione. Presto svanisce ogni corpo, risolvendosi nella sostanza universale ;  presto svanisce ogni causa, rientran-  do nella ragione universale; e la  memoria di ciascheduna cosa è presto  inghiottita nell’abisso del tempo. Per l’animale ragionevole, la  stessa azione che è secondo natura,  è anche secondo ragione.  Se non sei ritto, dirizzati. Quella relazione che hanno fra   loro le membra del corpo nell’ ani- '  male individuo, hanno fra loro gli  esseri intelligenti nel corpo collet-  tivo della società: tutti sono fatti per  cooperare insieme ad uno scopo comune. E per meglio ricordartene  avrai cura di ripetere . spesso a te  medesimo: io sono un membro del  sistema degli esseri intelligenti. Ma  se tu di’ solamente : io sono una  parte, tu non ami ancora di cuore  gli uomini ; il beneficarli non è  ancora per te cosa che per se me-  desima ti diletti e ti contenti : tu il  fai tuttavia per pretto dovere, non  perchè tu senta di beneficare ad un  tempo te stesso.  Accada che vuole al di fuori a  quelle parti che possono ricevere  nocumento da cotali accidenti : se  ne dorranno esse che patiscono,’ se  il vogliono. Quanto si è a me, ove  io non faccia concetto di siffatti ac-  cidenti come di un male, non ne  ricevo nocumento veruno. E sta in  mia facoltà il non fare cotali concetti. Che che altri faccia o dica, a  ine conviene essere uomo dabbene:  per appunto come se V oro, o la  porpora, o lo smeraldo dicesse : che  che altri faccia o dica, a me conviene  essere smeraldo, e avere il mio pro-  prio colore.   16. (7) La parte sovrana non dà  mai noia a sè stessa, vale a dire, non  è mai cagione nè di tristezza, nè di  timore, nè di concupiscenze a sè  stessa. Se altro v’ ha che possa moverla a ciò, vi si adoperi. Quanto a  lei, operando razionalmente, non  sarà mai a sè stessa cagione di cotai  moti. Provveda il corpo, se può, al  non avere a soffrire; e se soffre, lo  dica. Quanto si è all’animuccia, nella  (filale veramente cade la tristezza e  il terrore, basterà solo che la parte  ove si formano i giudizi* del terribile   [Animuccia ; intendi il principio della  &dìoi&1o   e del tristo, non dia luogo a quelli:  essa animuccia non ha attitudine a  formare giudizi cotali. La parte sovrana, considerata in sè, non ha mai  manco di nulla, ove ella non venga  meno a sè stessa: e similmente non  è mai turbata nè impedita, ove non  turbi o impedisca ella sè medesima. Beatitudine vuol dire buon  genio, vuol dire mente buona. Che  fai dunque tu qui, o immaginazione?  Va’ via, te ne prego per gli Dei, vat-  tene come sei venuta: non ho bisogno  di te. Tu sei venuta secondo l’usanza  tua vecchia. Non mi adiro teco ; ma  vattene.   18. V’ha chi teme il mutamento?  Ma che può farsi mai senza muta-  mento e trasformazione? E che v’ha  di più caro, di più proprio e consueto  alla natura dell’universo? E puoi tu  stesso prendere un bagno se le legna  non si trasformano? puoi tu nutrirti,  se non si trasformano i cibi? E v’ha egli alcuna delle altre cose necessarie  alla vita che possa elfettuarsi senza  trasformazione? Non vedi tu dunque  che il dovere tu ancora essere tras-  formato, va del pari con tutte le  altre trasformazioni,, ed è parimente  necessario alla natura dell* universo?   19. Per entro la sostanza dell' uni-  verso, come per entro a un torrente,  passano tutti i corpi connaturati a  (jiiello, siccome sono connaturate a  noi, e cooperano con noi le nostre  membra. Quanti Crisippi ha già inghiottiti il tempo, quanti Socrati,  quanti Epitteti! Lo stesso sovvengati  (l* ogni altro uomo, o cosa qualsi-  voglia.   20. Una sola cosa mi turba : la tema  di far cosa che la natura dell’ uomo  non voglia, o come essa non voglia,  o quando essa non voglia.   21. Presto avrai tutto obliato, e  presto ancora sarai obliato da tutti. È proprio dell’ uomo l’ amare anche colui che ci offende. Il che ti  verrà fatto se tu penserai che egli è  pur tuo congiunto,^ che ha peccato  per ignoranza e suo malgrado, che  fra poco sarete morti ambidue, e so-  pra tutto che egli non ti ha nociuto:  perchè non fece peggiore che olla  prima si fosse la tua parte sovrana. La materia comune di tutte le  cose è nelle mani della natura universale, come la cera in quelle dello  scultore.^ Ora ella ne fa un cavallo,  poi, rifusa la materia del cavallo, ne  fa uso alla produzione di un albero,  poi a quella di un omiciattolo, poi  a quella di qualche altra cosa, e  ciascuna di queste cose dura un  brevissimo spazio di tempo. Ma e'non  è oggi più tremendo pel forzierino  r essere sconficcato e disfatto, che  non fu ieri 1’ esser fatto. Il quale si serve di essa cera per fare  i modelli delle sue statue. II livore in sul viso è cosa  contro natura, da che spesso vi al-  tera anche il colore che naturalmente   10 abbellisce, e che alla fine vi si  spegne in modo da non potervisi più  ravvivare. Questo ti provi che è cosa  eziandio contro ragione: perchè se  anche la coscienza del peccare si  perde, qual motivo di più vivere? Tutte le cose che vedi, già già  le viene mutando la natura reggitrice  del tutto, la quale ne farà altre della  materia loro, e poi altre della ma-  teria di queste, affinchè il mondo  sia sempre giovane.   Quando altri ti offende in che  che sia, considera tosto qual cosa  egli abbia dovuto estimare come un  bene o come un male perchè fosse  così mosso ad offenderti. La qual  cosa scorto che tu abbia, tu avrai  compassione airuomo,*e cesserai dal maravigliarti e dallo adirarti. Perdiè  o tu stesso stimerai tuttavia come  un bene o come un male quella  medesima cosa od altra somigliante ;  e allora gli si vuol perdonare; o tu  farai altra estimazione ch’egli non  fece, e più facilmente benigno sarai  a chi travide malgrado suo.  Non pensare alle cose che tu  ancora non hai come se tu g»à le  avessi. ^Ma facendo piuttosto il no-  vero delle più comode tra quelle che  liai, sovvengati quale studio porresti  in procacciarle se tu non le avessi.  Bada nondimeno che questo tuo  averle in grado non ti venga avvez-  zando a stimarle in modo da turbar-  tene poi quando elle ti mancassero.   28. Ravvolgiti in te stesso. La parte  sovrana e ragionevole dell’ uomo ha  natura tale che basta a sè quando  agisce rettamente e sa trovare in  ciò la sua quiete.   29. Cancella le immaginazioni, raffrena gli appetiti, circoscrivi il pre-  sente del tempo. Conosci ciò che  accade a te e ad altrui. Dividi e ri-  solvi ne’ suoi elementi, la parte  causale c la parte materiale, ogni  oggetto di appetizione o di aver-  sione. Pensa all’ ultima ora. Lascia  stare il peccato altrui colà dove ò  nato.   no. Segui col pensiero le altrui  parole. Penetra coll’ acume della  mente nelle cose che si fanno e nel-  r animo di coloro che le fanno.   31. Adornati di verecondia, di sem-  plicità e di indifferenza verso tutte  le cose che non sono nè virtù nè  vizio. Ama il genere umano : obbe-  disci a Dio (9). Tutto le cose, disse  colui, si fanno secondo una legge  immutabile. 0 gli Dei, o gli atomi. Ma basta il ricordare che tutto si fa   [Cioè a dire : o v' ha una provvidenza  divina, o non v' ha, secondo il sistema ato-  mistico di Epicuro. secondo una legge. Ma troppo è anche  il poco già detto.   Quanto alla morte, o e.ssa à  un disperdimento, se la vita ò un  accozzamento fortuito di atomi o altra  aggregazione qualsiasi (10) ; ovvero  essa è uno spegnimento, ovvero un  traslocamento.   33. Quanto al dolore, se è intol-  lerabile, ti uccide; se dura, è tollera-  bile : e la mente conserva la sua tran-  quillità se si raccoglie in sè stessa:  e la parte dominante non si è fatta  peggiore. Quanto alle parti che sono  offese dal dolore, ce lo dicano se il  possono. Quanto alla gloria, vedi le menti  loro, quali cose fuggono e quali cose  ricercano. E ancora, che a quel modo  stesso che gli strati di arena novel-  lamente gittati in sul lido ricoprono  i precedenti; similmente nella vita  le cose nuove ricoprono, sovrappo-  nendosi, per così dire, ad esse, e fanno dimenticare quelle a cui succedono.   Di Platone: Ad uomo di  eccelsa mente, al quale sia dato di  abbracciar col pensiero tutta la serie  dei tempi e l’ università degli esseri,  credi tu che la vita sia per sembrare  un gran che? Impossibile, disse  quegli. E la morte, per conseguenza. non sarà punto stimata da  lui una tremenda cosa. — No certo. »   Di Antistene: Operar bene  ed essere lacerate è cosa da re.  È vergogna che il volto ubbidisca alla mente e si componga ed  assesti come ella vuole; e che la  mente poi non sappia comporre e«l  assestar sè medesima.  Contro le cose lo adirarsi è vano,  Ch'esse non se ne curano. 1 Fiat. Rep. lib. VI. P.   2 Lacerato, intendi, dai maldicenti. Plutarco negli Apoftegmi attribuisce questo  detto ad Alessandro. P.   3 Tratto dal Bellorofonte, tragedia per-  duta di Euripide. E gli immortali e noi di te fa lieti. Mieter la vita   Come spica matura, e morir l' uno,   E viver T altro. Sedimeuède’niieiglilddii non curano,   Ciò pure ha sua ragione. Che il bene e il dritto è dalla mia. Non pianger con altrui nè esultare.  (Di Platone). A chi mi favellasse in colai guisa, potrei con giu-  stizia rispondere: Tu erri dal vero,  o amico, se tu credi che un nonio  di qualche vaglia debba, quando im-  prende a far che che sia, computare  le probabilità dello avere a morire  0 a vivere ; e non piuttosto conside-  rare unicamente se ciò ch’egli im-   t Nel testo è un verso esametro, ma igno-  rasi onde 1' abbia tratto Antonino. P.   2 Due versi dell' Isipile, tragedia perduta  di Euripide. II primo di questi due versi è citato  anche al § 6 del lib. XI, come verso di un  tragico ; ma il nome del poeta non è noto. Di Aristofane negli Acarnesi. P.   5 I §§ 44 e 45 sono tratti dall’ Apologia  di Socrate; il § 46 dal Gorgia] prende a fare sia giusto od ingiusto, se  azione da uomo dabbene, o da tristo.   Perchè così è veramente, o  Ateniesi : quale che sia il posto che altri scelse nell’ordinanza, giudicatolo  il migliore, o in che sia stato collocato  dal capitano; egli vi dee perseverare,  secondo che mi pare, e sostenervi tut-  ti i pericoli, non avendo in conto di  nulla la morte ne altro checchessia,  in paragone della disonestà e vergo-  gna che sarebbe lo abbandonarlo.   Ma bada bene, o valentuomo,  che altra cosa non sia la gentilezza,  d’animo e la virtù, ed altra il pro-  cacciare salvezza asèe ad altrui; e  che ufficio deir uomo, dico chi voglia  essere uomo veramente, non sia per  avventura, anziché lo ingegnarsi di  campar lungo tempo avendo cara  sopra ogni altra cosa la vita, il ri-  mettersene piuttosto a Dio; e pre-  stando fede a ciò che dicono le fem-  mine. essere inevitabile il destino di ciascheduno, studiare il modo di vi-  vere, il più virtuosamente ch’ei può.  quel tempo che ha a vivere. Contemplai’e il giro degli astri  accompagnandoli, per cosi dire, nel  loro corso; e ripensare di continuo  al perpetuo tramutarsi degli elemen-  ti da una in altra forma. Cotali pen-  sieri purgano 1’ anima dalle lordure  di questa vita terrestre.   48. Bello è quel luogo di Platone:  « Chi ragiona* degli uomini, deve an-  che osservare, come da un’ alta ve-  detta, tutte queste cose terrene :  adunanze popolari, eserciti campeg-  gianti, agriculture, nozze, divorzi,  nascimenti',’ morti, strepiti di tribu-  nali, contrade inabitate, varietà di  nazioni, feste, lutti, mercati, e que-  sto miscuglio di tutti i contrari, e  l’ordine di questo miscuglio di che  si compone il mondo. Questo brano di Platone non si trova  nelle opere che ci rimangono di lui. E’ giova il rimembrare le cose  che furono prima di noi: tanti mu-  tamenti, tanti e sì grandi rivolgi-  menti di stati. Puoi anche conside-  rare le cose che seguiranno in futuro,  perchè esse saranno pur sempre  ti’ un taglio, e non è possibile che  escano mai del tenore usato infino  ad ora. Onde che tanto vale il ri-  cercare gli eventi di che si compone  il vivere umano ^ in un periodo di  t^uarant’ anni, quanto in uno di dieci  mila. Che potresti trovare di più? E questo. Ciò die fu terreo torna alla terra ;   Ciò die d’ etereo seme è germoglio.   Del deio etereo torna allo sfere. Che vuol dir ciò? Separazione degli  atomi terrei che erano insieme ag-  gregati, e somigliante separazione  degli elementi attivi.^   ^ Intendi il vivere dell' umanità, o non  deir individuo umano. Gli elementi attivi erano, secondo gli  dE con cibi il torrente e con bevande  £ con incanti di stornar proccnra  Perchè a morte noi tragga. Con quel vento   Che Dio ne manda navigar ci è d'uopo,  £ non spargere inutile lamento.»  Pili valente nella lotta, ma  non piò devoto al ben comune, non  piò verecondo, non piò indulgente  e piò benevolo verso il prossimo  che ha peccato. Ogni volta che può condursi a  fine una impresa secondo i precetti  della ragione comune agli Dei e agli  uomini, non hai nulla da temere:  perchè dove sta in te lo avvantag-  giarti coir esercizio libero della tua  operosità, procedendo secondo la  costituzione dell’ uomo, quivi non è  luogo a timore di avere a soffrire  alcun danno.   stoici, Paria e il fuoco, con che intende-  vano il freddo e il caldo; i passivi, la terra  e l’acqua. In ogni luogo e in ogni tempo  è in tua facoltà lo acconciarti di  buon grado e con pia rassegnazione  all’ evento che ti occorre ; e il por-  tarti con rettitudine verso gli uomini  coi quali ti trovi; e il vegliare dili-  gentemente con quelli spedienti che  tu sai sopra ogni tuo pensiero pre-  sente, affinchè non v’entri inavver-  titamente nulla che tu non abbia  perfettamente compreso.   55. Non andare investigando in  qual modo credano di doversi go-  vernare gli altri,* ma guarda dritto   ^ Non andare investigando gli al-   tri. Intendo: non curarti di ciò che le menti  degli altri approvano o disapprovano; bada  dirittamente a ciò che approva la tua. Noto  questo perchè altri non creda essere il qui  detto da Antonino cosa contraria a ciò che  disse in molti altri luoghi, e segnatamente  nell’ Vili, 61: entrare nella parte sovrana di  ognuno. Le sono due cose diverse. In quanto  al tuo operare, non badare a ciò che le menti  degli altri prescrivono, bada a ciò che prescri-  ve la tua. In quanto ai giudizi che tu fai degli  altri, entra il più che puoi nelle menti loro,  per vedere quai motivi li spingano. allo scopo verso il quale ti scorge  la natura universale per mezzo degli  eventi che essa ti manda ; e la tua  propria natura per mezzo dei doveri  che essa ti impone. E dovere di cia-  scheduno sono quelle azioni che cor-  rispondono al fine pel quale è stato  formato. Ora gli esseri non ragio-  nevoli sono stati formati per gli es-  seri ragionevoli (come universal-  mente tutte le cose che hanno minor  valore, per quelle che ne hanno un  maggiore); e gli esseri ragionevoli,  gli imi per gli altri. Primo dovere  adunque dell’ uomo, in conseguenza  della sua costituzione, è di cooperare  al bene di tutti i suoi simili. Il se-  condo è lo star saldo contro gli ap-  petiti e le affezioni del corpo : essendo  proprio della forza razionate e intel-  lettiva il serbarsi pura e distinta,  circonvallando, come a dire, sè stes-  sa,* e noh essere vinta mai dalla  t Vale a dire che non deve ammettere in forza sia sensitiva sia appetitiva. Per-  chè queste due forze sono animale-  sche, e sopra di esse quella vuole  aver primato e signoria, e non la-  sciarsi signoreggiare da esse. E con  ragione: quella essendo fatta per  servirsi di queste. Terzo dovere del-  r uomo \i è il procedere cautamente  ne’ suoi giudizi, per non cadere in  errore. A queste cose applicandosi  la parte tua sovrana, compia per la  diritta via il suo corso; ed ha tutto  ciò che le spetta. Come se tu avessi dovuto mo-  rire testé e fornito già tutto il corso  della tua vita; vivi secondo natuia  (piei giorni che ti rimangono, con-  siderandoli come un soprappiù che  tu non avessi sperato.’   se alcuna mistura di elementi estranei alla  sua natura, . e apparir quindi distinta con  taglio nettissimo da tutto ciò che ha na-  tura diversa dalla sua. [A  quel modo che se ci trovassimo al punto della Cari ti sieno quelli eventi soltanto che t’ incontrano, e sono quindi come a dire contesti insieme collo  stame della tua vita. Che potresti  desiderare di più accomodato a te? Ad ogni accidente che ti occorre abbiti davanti agli occhi coloro  ai quali incontrarono le stesse cose;  ed essi se ne adirarono, parve loro  strano, se ne querelarono. Ora dove  sono coloro? In niun luogo. Perchè  vuoi tu dunque rassomigliar loro? e  non lasci piuttosto a chi li vuole  quei moti alieni da te, e non badi  unicamente all’ uso che devi fare  deir accidente intervenuto? Perchè  tu ne farai buon uso, e ti sarà nuova  materia a virtuosamente operare,  solo che tu intenda ad esser uomo   morte senza speranza di riaverci e consi-  derassimo la nostra vita trascorsa; ci dor-  remmo di averla male impiegata, e vor-  remmo caldamente impiegarla meglio per  l’avvenire, scampando; cosi dobbiamo vo-  lere ora ec. dabbene agli occhi tuoi propri, sia  qual si voglia la cosa che tu faccia ; e  ti sovvenga di queste due verità: im-  portare assai quale sia l’ azione, e non importare nulla in che cada razione. Guarda dentro di te. Ivi è la  fonte del bene, la quale non sarà  esausta mai, solo che tu ci vada  scavando di continuo.   60. Anche il corpo, e nel cammi-  nare e nello stare, serbi un contegno  egualmente alieno dalla avventatezza  e dalla mollezza. Imperocché siccome l’anima si rivela nel volto, imprimendovi un certo che di assennato  e di composto; così ella dee rivelarsi  anche nel rimanente del corpo. Ma  ciò vuoisi fare naturalmente, senza  che vi appaia studio nè affettazione.  La volontà giusta è per gli Stoici solo  scopo e termine di sè medesima, sia, o non  sia ella efficace, cioè a dire sia o non sia  seguita dall' effetto esteriore, il che dipende  dalle circostanze esterne. La virtù sola è  huona.essa sola basta alla beatitudino. L’arte del vivei e virtuosamente  rassomiglia piuttosto all’arte della  lotta che a quella della danza, in  quanto bisogna essere apparecchiati  ad ogni accidente non preveduto, e  saldi per non cadere. Non cessare di recarti a mente  le qualità di coloro dai quali vorre-  sti essere lodato, e quelle delle menti  loro. Così non ti avverrà di trascor-  rere all’ ira contro uomini che fallano  malgrado loro, nè ti curerai dell’es-  sere da loro lodato o biasimato, ve-  dendo qual sia la fonte onde moiVono  i giudizi loro e le loro azioni. Non per sua elezione, dicea  quegli, ma sempre malgrado suo, è  l’anima umana priva del vero.' E   [La sentenza è di Platone, ed è citata anche da Epitteto (Dissert.),  il quale nomina T autore. Nel Sofista parti-  colarmente, Platone intende a provare che  r ignoranza è sempre involontaria, e che  sempre malgrado suo è 1’ uomo privo della  cognizione dèi vero. parimente malgrado suo è priva della  giustizia, della temperanza, della  mansuetudine e di tutte le altre cose  cotali. Sommamente importa che tu  r abbi sempre a mente : sarai più  mite c be_nigno inverso di ognuno.   Oi. In ogni caso di dolore abbi  apparecchiato questo pensiero, che  non è cosa disonesta, non tale da  far peggiore la mente che ti gover-  na: perocché non le nuoce nè in  quanto ella è ragionevole, nè in quan-  to ella è socievole. Nel maggior nu-  mero dei casi troverai soccorso efficace anche in quel detto di Epicuro:  il dolore non esser mai nè intollerabile nè di lunga durata, solo che  tu non lo ingrandisca colla tua im-  maginativa, nia lo vegga ne' limiti  suoi naturali. Avverti ancora che  molte cose ci muovono ad atti di  impazienza senza quasi che vi ponghiaino mente, le quali non sono  pur altro che dolore: siccome lo  aver sonno quando vorremmo veglia-  re, r essere travagliati dal caldo, o  r avere inappetenza. Ora quando tu  sostieni malvolentieri alcuna di que-  ste cotali cose, di’ a te medesimo  che tu hai ceduto al dolore.*   65. Bada a non comportarti mai  verso i disumani, come i disumani si  comportano verso gli altri uomini. Come sappiamo noi che Telauge, quanto alle disposizioni dell’animo, non soprastasse a Socrate? [Intendi che non basta reggere ai dolori  gravi, ma conviene saper vincere anche i  leggieri: coi quali sovente non ci pigliani  briga di combattere, perchè la loro piccio-  Iczza fa che non ci badiamo; o ci troviamo  vinti senza accorgercene. In quei casi, dico  r autore, di’ a te stesso: « ho ceduto al do-  lore: » qnasi volendo, col rammentare quel  nome, che è il vero, faro a sò stesso parere  più gravo il caso,o destare cosi la sua attenzione. [Filosofo del quale Eschine Socratico  diede il nome ad uno de' suoi dialoghi].  Imperocché non basta che la morte  di Socrate sia stata più famosa, nè  eh’ egli abbia fatto prova di mag-  giore sagacità nel disputar coi sofisti, di maggiore fortezza col pas-  sare la notte in sul ghiaccio, di più  nobile coraggio col disobbedire al  comando di andare a prendere quel-  r uomo di Salamina,' nè eh’ egli  camminasse per le vie con altero  contegno : la qual cosa sarebbe mas-  simamente da considerare quando  fosse vera. Ma vorrebbesi vedere  quale intimamente fosse l’animo di  Socrate. Se egli potea contentarsi  dell’ esser giusto verso gli uomini e  [Quest’ nomo chiamavasi Leone e posse-  dea grandi ricchezze. Delle quali i trenta  tiranni sperando poter fare lor preda, avea-  no comandato a Socrate che andasèe, ac-  compagnato da altri quattro, ad arrestarlo.  Socrate, con pericolo della sua vita, disub-  bidì al comando. Questo fatto è ricorda-  to nell’ Apologia di Platone, da Eschine  il Socratico, da Diogene Laerzio e da Epitteto. santo verso gli Dei se non gli accadesse mai di adirarsi ciecamente  contro il vizio, nè di servire all’altrui  ignoranza, nè di accogliere come  strana o incomoda o intollerabile  veruna delle cose che gli venivano  compartite dal tutto,* nè di lasciare  che la mente sua partecipasse delle  affezioni della carne. Cioè [8’ egli riponeva in ciò solo, nella  santità e nella giustizia, la sua felicità,  Renza nulla desiderare di più. Da queste parole di Antonino non bassi  ad inferire che egli particolarmente dubi-  tasse della grandezza mórale di Socrate;  ma esse vogliono piuttosto esser prese in un  senso generale, servendosi Antonino del no-  me illustre di Socrate, come di un esempio,  por avvertire quanto sia malagevole il giu-  dicare del valore morale degli uomini da  alcune loro azioni esteriori, sieno buone o  sieno cattive; e come l’eccellenza morale  non consista solamente nel compiere este-  riormente qualche grande atto di virtù, ma  richiegga inoltre tutte quelle disposizioni  intime e abituali di cui fa la rassegna. Detto di Fociono. La mente non fu dalla natura  mescolata per modo e confusa in-  sieme col corpo che essa non possa  distinguersi da esso e come a dire circonvallare sò medesima, ed eser-  citare libera signoria sopra ciò che  è ‘suo; sendo che possa darsi benis-  simo che un uomo sia sommamen-  te buono, e che nissùno il vegga.'  Questo abbiti a mente, e ancora, che  in pochissime cose consiste il vivere Ecco come intendo io questo luogo: Noi  conosciamo altrui dalle azioni e dalle parole, quindi sempre per qualche organo corporeo, quindi dal corpo. Ora può benissimo  immaginarsi il caso che un uomo moralmente eccellente sia posto in tali condizioni, o per malattia, o per estrema povertà,  0 altra forza esteriore, da non poter usare  in verun modo del corpo per compiere alcuno di quelli atti che sono la manifestazione esteriore delle disposizioni virtuose  deir animo. In questo caso esse non potranno essere conosciute. E però quando  Antonino dice: «esercitare libera signoria  sopra ciò che è suo, non vuol dire sopra  il corpo, ma sulle facoltà stesse della mente. felice. E per ciò che tu abbia dispe-  rato di dover essere mai eccellente  nella dialettica o nella fìsica, non  disperare medesimamente di dover  esser libero, e verecondo, e socievole, e obbediente a Dio. Vivere non vinto da alcuna  forza esteriore e colla più grande  contentezza d’animo, ancora che tutti  gli uomini schiamazzino a posta loro  contro di te, e le fiere mettano in  brani le membra di codesta conge-  riedi carne e d’ ossa che ti è venuta  crescendo intorno; sì' tu lo puoi. E  che v’ ha in fatti in tutti questi co [tali casi, che possa impedire la mente  tua dal serbarsi mai sempre imperturbata, dal fare sempre giusta estimazione delle cose circostanti e uso  ragionevole degli accidenti che intervengono? Per tal modo che la tua  facoltà giudicativa dica all’ oggetto  presente: « secondo T opinione tu sei  altra cosa; ma Tessere tuo vero, è  cotale. E la tua facoltà operativa  dica immantinente all’ accidente in-  tervenuto: « te appunto io cercava:  perchè io non ho altro intento che  di operare razionalmente e socievole  mente, e tutto che accada me ne  porge occasione, tutto può essere  materia ad esercitare questa virtù,  quest’ arte umana e divina. Perchè  qualsiasi cosa che intervenga, ha qualche relazione di convenienza o con  Dio 0 con l’uomo, e può questi acconciarvisi, e non è mai nuova nè dif-  ficile, ma sempre nota e consueta, e facile 1’ uso che hassene a fare. Perfettamente costumato è co-  lui il quale vive ciascun giorno come se quello fosse l’ ultimo. Non mai  affannosamente operoso, non neghittoso, non infinto mai.  Gli Dei che sono immortali,  non indispettiscono d’ avere del continuo a tollerare, e per tanta durata  di tempo, tanti e cotali dappochi: ed oltre a ciò prendono ogni cura di  loro. E tu che oramai sei per finire,  tu rinneghi la pazienza, e quando sei  tu medesimo uno di quel novero? È cosa da ridere che l’uomo  non voglia fuggire la propria malizia,  il che è possibile ; e voglia poi fug-  gire la malizia degli altri, il che è  impossibile. Tutto ciò che la ragione speculativa e civile non vede essere ragionevole e socievole, è da lei giu-  dicato inferiore a sè stessa.   73. Quando tu hai fatto del bene,  ed altri abbia ricevuto quel bene:   ' che vai tu cercando, come gli stolti,  una terza cosa di più, cioè che si  sappia aver tu fatto del bene, o che  te ne sia reso il contraccambio?  Nissuno si stanca del ricevere giovamento ; ed è a giovamento no-   [Cioè del novero di quei dappochi, anche  per la ragione appunto che tu non sai tol-  lerarli, come sarebbe tuo dovere di fare. stro e d’ altrui ogni azione conforme  alla natura. Non istancarti dunque  di giovare a te medesimo col gio-  vare ad altrui. La natura universale produsse  il mondo. Ora o tutte le cose che  succedono nel mondo sono conformi  alla intenzione di quella; ovvero sa-  rebbero sragionevoli, cioè dilformi  dalla detta intenzione, anche talune  delle cose principali che si fanno  pel ministero particolare della mente  che governa il mondo. In molti casi  sarai più tranquillo, se avrai questo  a mente. A ritrarti dal vano amore della  gloria gioverà anche il considerare  come non è più in poter tuo il fare  che tu sia vissuto da filosofo tutta  la tua vita, cioè insino dalla giova-  nezza: clìè anzi molti si ricordano  di un tempo, e te ne ricordi benis-  simo tu stesso, nel quale tu eri lon-  tano dalla filosofia. Sicché tu sei  contaminato: non è dunque più facil  cosa per te V acquistar rinomanza  di filosofo, al che si oppone anche  la condizione del tuo stato. E però,  se tu hai veramente scorto dove batta  il punto, lascerai da banda il pen-  siero deir opinione che altri sia per avere di te, e ti contenterai di vivere conforme alla tua natura quel  rimanente di vita che ti è concedu-  to. Pensa' adunque che cosa vuole  la tua natura, e niuna altra cura ti  distragga da ciò. Perchè tu sai bene  di quante altre cose hai voluto fare  esperimento, e in nissuna di esse hai  trovato la beatitudine : non nei sillo-  gismi, non nelle ricchezze, non nella  gloria, non nel godimento dei piace-  ri, in niun luogo, insomma. Dove sta  essa adunque? nel fare ciò che richie-  de la natura dell’ uomo. E come farai  tu cotesto? Lo farai, se avrai credenze  che sieno produttrici di quelle azioni.  Quali credenze? Quelle intorno ai  beni ed ai mali : non essere bene per  Tuomo veruna cosa che non lo faccia essere giusto, temperante, forte  e libero ; nò male veruna cosa che  non lo faccia essere il contrario.»   * Cioè non lo contamini dei vizi oppo-  sti alle dette virtù. Ad ogni tuo atto interroga te  medesimo : che relazione ha esso  con me? Non avrò io da pentirme-  ne? Ancora un poco e son morto, e  tutto è finito. Se ciò che fo ora, è  conforme alla natura di un essere  intelligente, socievole e isonomo a  Dio,' che cerco io di più?   Alessandro, Caio, Pompeo, che  furono rispetto a Diogene, ad Eraclito, a Socrate? Questi conobbero  le cose, e le cause e la materia loro;  e la parte sovrana era in essi vera-  mente sovrana:’ ma quelli, che cosa   ' Isonomo a Dio. Il lettore cui non piacesse  questo ellenismo, legga: «avente le stesse  leggi che Iddio. » Ma le espressioni isonomo,  isonomia paionmi degne di essere accettato  anche nelle buone scritture italiane non meno  che isocrono, autonomo, autonomia, antino-  mia ed altre simili. E parmi anche che iso-  nomo esprima qui T idea del testo meglio che  qualunque espressione italiana gli si potesse  sostituire. Giulio Cesare. seppero prevedere ? e di quante non  furono schiavi? Credi pure che non cesseranno  di fare le' medesime cose quando  pure tu avessi a scoppiare predicando il contrario. In primo luogo non turbarti ;  perchè ogni cosa succede secondo la  natura dell' universo : e tra breve tu  non ci sarai più in nissun luogo,  siccome non ci sono più. nè Adriano  nè Augusto. Di poi affisando lo sguar-  do nella cosa,* vedi che è: e ram-  mentando che ti bisogna essere  uomo dabbene e quello che richiede  la natura dell’ uomo, fallo senza  guardarti indietro, e favella ciò che  a te sembra esser giusto, ponendo  mente soltanto che questo tu fac-  cia e dica sempre con amorevolez-  za, con verecondia e senza simulazione. Intendi la co»a che ti turba. Questa faccenda ha la natura  deH’universo : trasportare colà le cose  che sono qui, cangiarle, tramutarle  da uno in altro luogo. Tutto è mutazione ; non però in modo che s’ ab-  bia a temere nulla di nuovo.' Tutto  è cosa solita, ed anche tutto è distribuito egualmente. Ogni natura qualsiasi è con-  tenta di sè, quando procede libera  nella propria via. E la natura ra-  gionevole procede libera nella sua  via, quando non- assente ad alcuna  rappresentazione- falsa od oscura,  quando indirizza i suoi sforzi verso  le sole cose che sono utili al comune, quando nqn ischifa, nè ap-  petisce se non cose che sono in  nostro potere, quando si accomoda  (Secondo una correzione del Gataker, ac-  cettata dal Goral, vorrebbesi piuttosto tra-  durre: «il tutto non è che un giro; onde  che non v' ha nulla di nuovo da temere. di buon grado ad ogni cosa che le  venga compartita dalla natura comune. Perchè essa è parte di questa, a  (juel modo stesso che la natura della  foglia è parte della natura della  pianta: se non che la natura della  foglia è parte di ima natura senza  senso e senza ragione, e che può  essere impedita; dove che la natura  deir uomo è parte di una natura che  non è sottoposta a ricevere impedi-  mento ed è intelligente e giusta ;  poiché distribuisce egualmente, e  secondo i meriti di ciascheduno, i  tempi, la sostanza, la causa, razio-  ne, gli accidenti. La quale egualità  di disti ’buzione potrai osservai'e se  tu paragm. r^rai non già separatamen-  te r una cosa di questo con l’ una  cosa di quello, ma complessivamente  tutte le cose di questo con tutte  quelle di quell’ altro. Non puoi leggere ; ma repri-  mere ì moti insolentì dell’ animo, tu il puoi: ma non lasciarti signoreg-  giare nè dal piacere nè dal dolo-  re, tu il puoi: ma essere disprez-  zatore della gloriuzza, tu il puoi:  ma non adirarti contro gli stolti e  gli ingrati, ed anche pigliar cura  di loro, questo ancora tu il puoi.  •Fa’ che ninno t’ oda più quind’ in-  nanzi querelarti della vita in corte  nè della tua.  Il pentirsi è, come altri direb-  be, un rampognare se stesso dello  aver trascurato qualche cosa di utile.  Ora il bene conviene di necessità  che sia qualche cosa di utile, e però  l’uomo onesto deve averne gran cura. Ma r uomo onesto non si pentirà mai  dello aver trascurato un piacere.  Adunque il piacere non è nè un bene,  nè cosa utile.  Che è questa cosa considerata   t Sottintendi: e questa è la ragione per  cui r uomo onesto si pente di aver trascu-  rato di far del bene. in se stessa e nell’ essere suo pro-  prio? che v’ ha in essa di sostanziale  e di materiale? che v’ ha di causale?  òhe fa essa nel mondo ? quanto tempo  è per durare? Quando peni a riscuoterti dal  sonno, sovvengati essere particolar-  mente conforme all’ esser tuo e alla  natura dell’ uomo il fare opere socievoli; dove che il dormire ti è comune cogli animali irragionevoli.  Ora ciò che è più particolarmente  conforme alla nostra natura, è anche  più particolarmente accomodato a  noi, più facile e ancora più giocon-  do a fare. Non ommetter in verun caso  «li esaminare, per quanto è pos-  sibile, ogni cosa, facendo uso de-  gli ammaestramenti della fisica, di  ([uelli dell’ etica e di quelli della logica. Divisioni principali della filosofia appo  gli stoici: ^<tca, etica, logica. Antonino    In chiunque tu ti avvenga, di’  ' tosto a te medesimo: che opinioni   ha costui intorno ai beni ed ai mali?  Perchè se egli ha intorno al piacere  e al dolore e alle cose che sono pro-  duttrici deir uno o dell’ altro, e in-  torno alla gloria e all’ infamia, alla  morte e alla vita, certe cotali opi-  nioni, non mi parrà rnaraviglioso nè  strano che faccia certe cotali cose:  e mi ricorderò sempre lui essere  sforzato ad operare in tal guisa.  Ricordati che siccome è da vuol dire: esamiua ogni oggetto; rife-  rendolo alla natura generale, e vedendo, secondo i precetti della fisica, elio relazione  ha col tutto; 2» riferendolo a te stesso, in  quanto sei capace di felicità (la quale per  gli stoici non può mai andare disgiunta  dalla virtù ed è sostanzialmente identica  con essa), e vedendo a che cosa ti giova,  secondo i precetti dell' etica ; 3° parago-  nando il giudìzio che tu ne fai con altri  giudizi anteriori, e vedendo se non ìstà in  contraddizione con quelli; esaminando inoltre  le conseguenze che si possono dedurre da  questo giudizio: tutto ciò secondo i precetti della logica. stolto il maravigliarsi che la ficaia  produca il fico, così è il maravigliarsi  che il mondo produca quelle cose  che è destinato a produrre; non al-  trimenti che stolti sarebbero quel  medico e quel pilota i quali si ma-  ravigliassero che altri avesse la febbre e che il vento fosse contrario. Non dimenticare essere da  uomo libero anche il mutar parere  e seguire il consiglio di chi propone  un avviso migliore del tuo: perchè -  egli è pur sempre tua l’ azione che  tu fai coir esercizio della tua volon-  tà, della tua facoltà giudicativa, e  secondo il tuo intendimento. Se la cosa sta in poter tuo, perchè la fai?' se sta in potere altrui, di chi ti lagni? degli atomi o  degli Dei? e di questi e di quelli il   [Pare che Antouino voglia dire; Se sta  in te il fare o non fare nna cosa, o T im-  pedire che si faccia da altri, perchè la fai,  0 lasci che ai faccia per dolertene poi? lagnarsi è pazzia. Non occorre la-  gnarsi di nissuno. Perchè se il puoi,  hai a correggere 1’ uomo ; se non puoi  l’uomo, hai a correggere la cosa; e  se anche questa non puoi, il lagnarti  a che giova? Non vuoisi far nulla a  caso e senza scopo. Fuori del mondo non può ca-  dere chi muore. E se riman quivi,*  quivi anche e non altrove si trasfor-  ma e -si risolve ne’ suoi principi!, che  sono gli elementi del mondo e tuoi.  E questi ancora si trasmutano d’una  in altra forma, e non mormorano.  Non è cosa che non sia nata  ad un certo fine: il cavallo , la  vite ecc. Qual meraviglia? anche il  sole dirà: io nacqui ad un certo fine :  e similmente gli altri Iddii. E tu a  che sei nato? a darti bel tempo?  vedi se ciò concorda col concetto  che tu fai dell’ uomo. Non meno che il cominciare  Cioè nel mondo. e crescere delle cose la natura ha  in mira il loro decrescere e finire,  non altrimenti che il giocatore che  gitta la palla.* Ora c^ual bene per  questa il salire o il discendere, od  anche il cadere a terra? e qual bene  per la bolla d’aria il formarsi e qual  male il dileguarsi? il medesimo puoi  dire della lucerna. Arrovescialo codesto corpo e vedi qual è: e qual diventa invec-  chiando, e ammalandosi e depra-  vandosi.*   Di corta vita sono e il laudante  e il laudato, il ricordante e il ricor-  dato; ed anche ciò accade in un   * Il qual giocatore non lancia la palla  perchè abbia solo ad andare in alto, ma an-  cora perchè abbia a discendere. La quale si accende, arde e si spegne,  0 tutto è naturale egualmente. P.   S Àrrove$ ciato codc«lo corpo. Intendi: met-  tendo coir immaginazione al di fuori ciò  che sta al di dentro. Depravandosi coll’ abuso dei piaceri sen-  suali. angolo di questa contrada, nè quivi  pure sono tutti d’ accordo, e v’ ha  tale che non è neppure d’accordo  con sè medesimo: e tutta la terra  non è poi altro che un punto. Applicati all’ oggetto, o al  domma, o all’ azione, o al signifi-  cato.*   È tua colpa se questo ti accade :  tu vuoi piuttosto diventare domani  che essere oggi uomo dabbene.   23. Fo io una cosa? La fo riferen-  dola al bene degli uomini. Mi ac-  cade una cosa? La ricevo riferen-  dola agli Dei e alla fonte di tutte  le cose, dalla quale procedono in-  Cioè fa' che la tua attenzione sia sem-  pre rivolta ad una di queste quattro cose:  o all'oggetto su che tu operi, esaminando  che è in realtà: o al domma o credenza per  virtù della quale tu operi, esaminando se  ella è vera; o all’azione tua stessa, esami-  nando se tu la fai come vuoi farla; o al  significato delle parole, cioè riferendo il  particolare al generale, per capire l’essenza  della cosa significata. sieme conserte le une colle altre  tutte le. cose che accadono. Che ti pare che sia il lavarsi?  olio, sudore, sudiciume, acqua fec-  ciosa, cose tutte stomachevoli. Tali  sono tutte le singole parti della vita,  tutti ^li oggetti esteriori. Lucilla fe il corrotto a Vero,  poi altri a Lucilla; Seconda a Mas-  simo, poi altri a Seconda; Epitin-  cano a Diotiino, poi altri a Epitin-  cano; Antonino a Faustina, poi altri  ad Antonino; Celere ad Adriano,  poi altri a Celere. Sempre e in tutto  il medesimo tenore. E quei belli  spiriti, quelli antiveditori dell’ avve-  nire, quei burbanzosi dove sono egli-  no? Come per esempio, fra i belli  spiriti, Carace, Demetrio il Platonico,  Eudemone e simili? Tutti sono vissuti un giorno, tutti son morti da  lunga pezza; di alcuni non si è fatta  più menzione nè anche per un poco ;  altri sono passati nelle favole, e alcuni di essi scomparvero già anche  dalle favole ! Sovvengati dunque come  bisognerà pure che o si dissolva co-  desto tuo composto, o si spenga codesto tuo spirito vitale, o sia tramu-  tato altrove e vengagli assegnato un  altro posto. È letizia dell’ uomo il fare ciò  che è proprio dell’ uomo. E proprio  dell’ uomo è il voler bene a’ suoi congeneri , disprezzare i moti del  senso, distinguere fra le rappresen-  tazioni quelle che sono degne di  fede, contemplare la natura dell’universo e le cose che conformemente  a quella si producono. Tre relazioni : l’ una colla causa  circostante; l’altra colla causa divi-  na, dalla quale procede tutto che  accade ad ognuno ; la terza cogli  uomini che vivono con noi.   28. 0 il dolore è un male pel corpo : e se questo è, il corpo ce lo  dica ; 0 è un male per V anima : ma  questa ha in poter suo il conservar  sempre la sua calma e serenità, e  il non fare concetto del dolore come  di un male. Imperocché ogni giudi-  zio, ogni volizione, ogni appetizione '  o avversione qualsivoglia è un atto  del tuo principio interno, e niun male  può salire insino ad esso. Rimovi da te le false rappre-  sentazioni dicendo continuamente a  te stesso : ora sta in poter mio il  fare che in questa mia anima non  sia veruna malizia, veruna concupi-  scenza , veruna perturbazione , in  somma; e vedendo le cose nel vero  esser loro, fare uso di ciascheduna  secondo il valore di essa.   30. Nel senato e con chicchessia  parla compostamente, fuggendo il    ' Conferisci il § 41 di questo libro alla  fine. soverchio delle parole, e il tuo ra-  ’gionare sia senza orpello.   .Corte di Augusto : moglie, figlia,  nipoti, progenitori, sorelle. Agrippa,  congiunti, famigliari, amici. Ario,  Mecenate, medici, sacrificatori : tutta  una corte che è morta. Procedi in-  nanzi e considera il venir meno non  delle persone ad una ad una, ma,  per esempio, della famiglia Pompeia:  e quella scritta che si legge sui sepolcri : (cT ultimo della sua schiatta ; w  e pensa quanto s’ ebbero a trava-  gliare gli antenati di colui perchè  non mancasse loro un successore..  Nondimeno è pur forza che qualche-  duno sia r ultimo, ed ecco allora la  morte di una intera prosapia. Colla bontà delle singole azioni  vuoisi procacciare di ben comporre  la vita (13); e se ciascuna di esse,  per quanto è possibile, fa quelli ef-  fetti che dee fare, ti basti. Nè ciò  può essere impedito mai da checchessia. Sorgerà qualche impedi-  mento esteriore. Ninno impedimento  che. possa toglierti di operar giustamente, temperantemente, razionalmente. Tale 0 tale altra opera  potrà essere impedita. Ma se tu ac-  cetti di buon animo quello impedi-  mento, e passi alacremente a far  buon uso della nuova occasione che  ti vien data, ecco posta nella serie  degli atti di che si compone la vita,  in luogo di quella che ti avevi pro-  posta, un’ altra azione la quale non  è meno acconcia a quella buona  composizione della vita di che si favella. 33. Ricevi senza boria, lascia an-  dare senza ripugnanza. Vedesti mai una mano tronca.    t Cioè i beni della fortuna. Gli è come  se dicesse: Non tenerti per da più, quando  la fortuna ti viene a trovare; non tenerti  per da meno, quando ella se ne va. o un piede, o una testa giacenti  lungi dal corpo onde furono recisi?  Cotale si rende, per quanto sta in  lui, chi ripugna ad accomodarsi r  ciò che accade, e si separa a questo  modo dalla società comune, o fa  qualche atto contrario al bene di  quella. Tu te ne stai là gittate in un  canto, fuori dell’ unione naturale  degli esseri. Perchè tu eri nato parte  di quella, e te ne sei spiccato. Se  non che tu puoi sempre rappiccar-  viti di nuovo, usando della facoltà a  te concessa da Dio, e non concessa  a veruna altra parte di checchessia,  che spiccata una volta dall’ intero  potesse rappiccarvisi.Evedi di quanta  eccellenza volle Iddio adornare la  costituzione dell'uomo: chè, primie-  ramente, egli pose in potestà di lui  il non separarsi punto dal tutto ; e  poi il rapprendersi e compigliarsi di  nuovo con quello, quando se ne fosse  spiccato, e riprendere il suo posto e le condizioni sue come parte aderente qual era da prima.   35. Dalla natura degli intelligenti  ha ricevuto ciascuno di noi,’ come  tutte le altre facoltà (e sono tante  quasi e tali, quante e quali quella  medesima ne avea ricevute*), e così  anche quest’ una: che a somiglianza  di lei, la quale volge e dispone nella  serie del fato, facendone cosa sua e  quasi parte di sè medesima, tutto  che a lei si venga ad attraversare e  a resisterle; così può T animai ra-  gionevole far cosa sua di ogni im-  pedimento, pigliandone materia al  suo operare e all’ esercizio della  propria virtù ; sia pur qualsivoglia  la cosa nella quale venisse impe-  dito (14).   36. Non ti turbi il pensiero, quale [Intendi: in qnanto siani ragionevoli]. [Sottintendi: da chi è maggioro di lei. sia per essere tutta la tua vita, e  non darti pena e sconforto coll’an-  dare fantafticando quanti e quali  travagli avrai forse ancora a soste-  nere : ma ad ogni caso presente in-  terroga te stesso col dire: che v’ha  in ciò d’impossibile a sopportare?  Perchè avrai vergogna di rispondere  affermando che v’ abbia alcun che  di tale. E poi ricorda a te medesi-  mo, non essere mai nè il futuro nè  il passato quello che ti grava, ma  pur sempre solo il presente. E que-  sto presente s’ impicciolisce assai  quando tu il consideri ne’ suoi pro-  pri confini, chiedendo poi alla tua  mente, se anche così impicciolito  ella non sia buona da sopportarlo. Pantea o Pergamo stansi forse  tuttavia seduti presso alla tomba di  Vero? o Cauria e Diotiino presso a  quella di Adriano? è follia il chie-  derlo. Ma quando pure stessero tut-  tavia colà seduti, forse che ai loro signori ne giungerebbe notizia? e  quando ciò fosse, forse che ne avreb-  bero diletto? e quando ne avessero,  sarebbero Pantea e Pergamo e Caiirio e Diotimo immortali? non era  egli destino che anche questi invec-  chiassero e poi morissero? e morti  che fossero, che rimarrebbe a fare  ai loro signori ? fetore è tutto cotesto, e marciume in un sacco. Se hai la vista acuta, dice egli, '  adoprala, giudicando saviamente delle cose. Una virtù che si opponga alla  giustizia non veggo nella costituzio-  ne deir animai ragionevole ; ma una  che si opponga al piacere veggo io  bene: la temperanza. Togli via il tuo concetto in-   1 Epitteto. P.  Intendi: se hai P ingegno sottile, fa'  che la tna condotta il dimostri, cioè non  contentarti di dire le belle cose, falle. Dai  giudizi dipendono, secondo gli stoici, ne-  cessariamente le azioni. torno alle cose che sembrano darti  noia, e tu ti troverai al sicuro. Ma  chi è questo tu a cui favelli? La  ragione. Ma io non sono ragione. Sta bene. La ragione non dia  dunque noia a se stessa. E se poi  v’ ha altro in te che si dolga, faccia  egli concetto di quel suo dolore. Un male per la natura anima-  le è r impedimento del senso. Ancora un male per lei è ciò che può  impedire la soddisfazione dell’appetito. Medesimamente v’ hanno im-  pedimenti alla natura vegetale, e  sono quindi un male per essa. Adun-  (jue ciò'che può recare impedimento  alla mente è un male per la natura  intellettiva. Fa’ l’ applicazione di que-  sto ragionamento a te stesso. Il do-  lore ti tocca o il piacere? lascia che  ci badi il senso. Qualche ostacolo è  sorto ad impedire un effetto da te  voluto? se tu volesti senza la debita  riserva, questo invero fu un male per te, in quanto sei animale ragio-  nevole. Ma se fu una appetizione  nel significato comune, tu non hai  ricevuto nocumento nè impedimento  alcuno. Perocché tutto che è pro-  prio della mente non può essere  impedito che da lei stessa; non  è dato nè a fuoco, nè a ferro, nè  a tiranno, nè a maldicenza il giun-  gere insino ad essa: quando si è  fatta sferica, permane liscia e rotonda. Allusione ad alcuni versi d’Empedocle, il quale considerava la  sfera come la più perfetta delle figure ; onde  che appo Orazio la rotondità potè anche  essere immagine a significare l’eccellenza  morale, Sat. II, 7; «Quisnara igitur liber?  Sapiens, sibique imperiosus: Quera neque  pauperies, neque mors, neque vincula ter-  reni: Responsare cupidinibus, contemnere  bonores Fortis, et in seipso totus teres,  atque rotundus: etc. » Ai quali versi di  Orazio alludeva pur forse Antonino in que-  sto luogo. Anche a Dante piacque una figura  geometrica come immagine di una virtù  morale quando disse: < Ben tetragono ai  colpi di ventura. Non debbo, io, che non ho mai  voluto contristare altrui, voler con-  tristare me stesso. Chi piglia piacere ad una cosa,  chi ad un’ altra. A me fa piacere se  ho una mente sana, che non abbia  avversione a verun uomo, nè a ve-  runa delle cose che sogliono acca-  dere all’ uomo, ma guardi ed accetti  ogni cosa con sereno occhio, facendo  uso di ciascheduna secondo il valore  di essa.   44. Pigliati questo tempo presente:  chi vuol piuttosto darsi pensiero  della fama che lascerà dopo sè, non  considera che i posteri saranno tali  tuttavia quali sono i contemporanei  eh’ egli ha in fastidio, e mortali essi  pure. A te che rileva al postutto che  dalle bocche loro s’ oda echeggiare  tale piuttosto o tal altro suono, e  che essi abbiano di te tale piuttosto  o tale altra opinione? Toglimi di qua e gittami dove vuoi. Colà ancora* avrò meco il mio  genio propizio, vale a dire pago di  sè medesimo, quando le disposizioni .  sue sieno conformi alla sua propria  natura.   Ciò * vale il pregio che la mia ani-  ma se ne turbi e voglia farsi peg-  giore di sè, essere travagliata da  desiderii e timori, sconfortata, im-  miserita? E qual cosa troverai tu '  che lo valga?   4G. Air uomo non può nulla ac-  cadere che non sia un accidente  umano, nè al bue che non sia acci-  dente’ proprio del bue, nè alla vite  che non sia accidente proprio della  vite, nè alla pietra che non sia ac-  cidente proprio della pietra. Ora se  a ciascheduno accade quello che è  solito accadergli e gli è connatura-   * Intendi: colà ancora dove mi avrai git-  tato, e dove-che sia, avrò meco ec. Intendi : ciò che ora mi accade, o chec-  ché altro di somigliante. le, a che ti crucceresti? la natura  comune non può arrecarti nulla che  tu non sia fatto per tollerare. Se ti attristi per alcuna cosa  esteriore, non è la cosa esteriore  quella che ti turba, ma si il giudizio  che tu ne fai. E lo annullare quel  giudizio sta in te. Se ti attristi per  alcun che del tuo stato interiore,  chi ti impedisce che tu non raddrizzi l’opinione onde deriva quel  tuo stato? Che se ti attristi perchè  non fai tale o tal altra cosa che ti  par buona, chè non ti volgi al farla  anzi che attristarti? — Ma sorse osta-  colo più potente di me. Non attristarti adunque se tua non è la colpa  del non fare. Ma non porta il pre-  gio di vivere, se questo non posso fare. Esci dunque pacatamente di  vita (dacché muore anche colui cui  vien fatta la cosa che imprende), o  con animo benevolo verso chi ti ha  contrariato. Sovvengati come divenga ines-  pugnabile la parte sovrana dell’ uomo  quando rinchiusa in sè stessa non  abbia altro proponimento'che di non  lasciarsi indurre a far cosa che essa  non voglia, anche nei òasi in' che  quel suo ostinarsi a non volere fosse  fuor di ragione. Ora che non sarà  quando la sua risoluzione proceda  da sano e ben ponderato consiglio?  La mente scevra da passioni è dun-  que una eccelsa rócca, nè 1’ uomo  ha luogo più validamente munito  ove raccogliersi per non esser vinto  mai. Chi non conosce questo- rifu-  gio, è un ignorante ; chi lo conosce  e non vi ricovera, è uno sciagurato.   49. Non dire tu a te stesso più  che non siati annunciato dalla per-  cezione immediata. Ti si annuncia  che il tale sparla di te. Questo ti si  annuncia ; ma che tu ne riceva no-  cumento, non ti è annunciato. Vedo  che il figliuolo è ammalato. Questo veggo io ; ma ch’egli sia in pericolo  non vedo. Fa’ dunque di attenerti  sempre a ciò che ti dice la perce-  zione immediata, non aggiungendovi  nulla del tuo, e così non ti accadrà  nulla mai.' Anzi aggiiignivi pur qual-  che cosa, e siano le riflessioni di un  uomo che conosce le relazioni e le  con»lizioni vere di tutte lé cose che  accadono nel mondo. Il cocomero è amaro? non man-  giarlo. V’hanno sterpi nella via? fa  di non inciamparvi. Tanto ti basti.  Non farti a dire: che bisogno ci avea  anche di cotali cose nel mondo?  perchè ne avresti le beffe dell’ uomo  versato nella scienza della natura,  come avresti quelle del legnaiuolo Nulla di male, intendi, perchè tutto  quello che sarà oggetto immediato della  percezione, senza alcuna aggiunta del tuo,  non sarà mai gran male. Cioè che tutto che accade è nell' ordine  della natura, e vuol essere accettato di  buon grado. e del calzolaio se ti facessi a biasi-  marli del trovarsi trucioli e ritagli  nelle loro botteghe.' E nondimeno  per costoro v’ha luogo ove gittarli  fuori delle loro officineT mentre la  natura dell’ universo non ha fuori  dell’ universo alcun luogo. Ma questo è appunto il mirabile dell’ arte  di costei, che essendo essa circo-  scritta da quei limiti che ella pose  a sè stessa, tutto ciò che nella sua  officina sembra guasto, vieto, non  più utile a nulla, ella riprende in  sè stessa e ne fa materia alla pro-  duzione di cose nuove. Perchè ella  non vuole aver bisogno mai nè di  estranea materia, nè di luogo este-  riore ove gittare il vietume, e a  lei basta il suo proprio luogo, la  sua propria materia e l’arte sua propria.  Fa’ di non essere molle o negligente nell’ operare, non confuso  nel favellare, non vagante qua e là  senza scopo nel pensare; fuggi, in  quanto si è agli affetti, lo scoramento  e la subitanea gioia, e nel tenore  della vita lo impigliarti in troppe  faccende. Ammazzano, tagliano a  pezzi, fanno imprecazioni. Che vale  tutto questo ad impedire che la tua  mente non si conservi pura, assen-  nata, temperante e giusta? Se alcu-  no fattosi vicino ad una fontana lim-  pida e dolce si ponesse a maledirla,  forse che da quella cesserebbe di  scaturire acqua potabile? Vi gittasse  ancor dentro fango e sterco, essa lo  avrebbe sciolto ed espulso in poco  d’ ora, e non ne rimarrebbe conta-  minata. Come avrai tu dunque in te  una fontana limpida e perenne, e  non un pozzo? Col non cessare di  rivendicarti in libertà, serbandoti  sempre mansueto, schietto e verecondo. Chi non sa che cosa è il mondo,  non sa dove sia egli stesso. E chi  non sa a che il mondo e stato fatto,  non sa nò qual sia egli stesso, nè   " che cosa sia il mondo.* E chi ignoia  r una di queste due cose, non può  neppur dire a che fine egli stesso  sia nato. Ora che ti pare di colui  che ambisce esser lodato da tali che  non sanno nè dove essi sono, nè   quali essi sono?^   53. Vuoi tu essere lodato dall’uo-  mo che tre volte all’ora maledice  se stesso? Vuoi tu piacere all uomo  il quale non piace egli stesso a sè  medesimo? Piace egli a se medesimo  chi si ripente quasi di ogni cosa die  va facendo? Oramai non ti basti' più sola-   E chi non so o che il mondo ..... nè  che cosa sto il mondo. StiU" interpretazione  di questo luogo diversamente inteso dagli  interpreti, si può vedere la nota nell' edi-zione di Torino. [Intendi quali ^ieno le loro condizioni. mente il respirare* con l’aria* che  ti circonda, ma fa’ eziandio di pen-  sare e di volere con l’ intelligenza  universale* che in sè contiene ogni  cosa. Perchè la potenza intellettiva  si diffonde e penetra per ogni dove,  chi voglia attingere da essa, non   [Respirare: intendi vivere la vita sensitiva per mezzo della respirazione. Il verbo “respirare” e il corrispondente nel testo hanno  nelle dne lingue rispettive oltre al senso proprio, quello di vivere. [Con “l’aria”: intendi coll’ aiuto e cooperazione dell’aria, conformemente - alla na-  tura di essa aria, e insieme con essa; chè  essa pure vive è spira, o respira. La preposizione con e la corrispondente in greco esprìmono nelle due lingue rispettive, oltre  alla relazione di compagnia, quella ancora di conformità, aiuto reciproco o COOPERAZIONE', esprimono ancora il rapporto di causa sia istrumentale, sia materiale. Tutte queste rela-  zioni di compagnia, conformità, aiuto e causa  materiale, vogliono intendersi come simul-  taneamente espresse, confuse insieme in una  idea complessa, nelle dette preposizioni, così  in questa come nella frase seguente.  Coll’intelligenza universale : intendi  coir aiuto di ossa, conformemente ad essa e  insieme con essa. meno che l’aria rispetto a chi la  aspira. Il vizio, universalmente, non  nuoce al mondo; e singolarmente,  non nuoce ad altrui. Nuoce solo a  colui al quale è dato di potersene  liberare al primo momento che il  voglia. Alla mia volontà la volontà  del vicino ò cosa tanto indifferente  quanto la anim uccia di lui e il cor-  picciuolo di lui. Perchè, sebbene  siam nati tutti gli uni per gli altri,  la parte sovrana di ciascuno di noi  ha nondimeno il suo proprio domi-  nio separato; altrimenti la malvagità  del vicino potrebbe essere un male  per me. Il che non fu voluto da Dio,  affinchè non fosse in potestà altrui  il far me infelice. Il sole sembra versarsi per  ogni dove, e effettivamente si diffonde   ' Cioè alPuomo vizioso, che può cessare  di esser tale tosto che il voglia. da tutti i lati, ma non però si effon-  de.* Quel suo diftbndersi è uno esten-  dersi: e però gli splendori di lui si  chiamano actines (raggi) da ecteine-  sthai (estendersi).* Tu puoi vedere  che cosa è un raggio guardando la  luce del sole che penetra per un  piccol buco in una camera oscura:  ella si allunga in diritta linea e va  come ad applicarsi sul corpo opaco  qual siasi, che le si fa incontro e  intercetta 1’ aria al di là.* Quivi si  ferma senza sdrucciolare giù nè ca-  dere. Cosi dee pure diffondersi la  mente, non effondersi, ma esten-  dersi ; e quando s’ appresenta un  ostacolo, applicarvisi senza violenza  nè urto, nè tampoco cader giù, ma Non si versa fuori in modo eh' egli ab-  bandoni il luogo onde parte la sua luce. [Falsa etimologia, simile a tante altre  che puoi incontrare presso' gli antichi. Vale a dire intercetta come corpo opaco  il passaggio della luce agli strati d' aria  che sono al di là. star ferma e- illuminare 1’ obb ietto  che la riceve. Che se questo non  vorrà trasmettere la luce, tal sia  di lui se rimarrà privo di essa.Chi teme la morte, teme o di  non dover più aver sentimento, o  di dover avere un sentimento diverso dal presente. Ma se tu non avrai  più sentimento, non sentirai verun  male; e se tu avrai un sentimento  diverso, sarai un animale diverso, e  non avrai cessato di vivere. Gli uomini sono nati gli uni  per gli altri. Ammaestrali dunque,  o sopportali.  Altro è il moto della freccia,  altro quello della mente. Perchè la  mente anche quando procede cautamente e s’ aggira* nel deliberare, va   1 Intendi: non vorrà lasciarsi penetrare  da essa luce, dandole passaggio nelle parti  più interne. Cioè illuminato solo esteriormente, ma  al buio nell' interno. nondimeno per la diritta via verso  Io scopo.   61. Entrare nella parte sovrana  di ciascheduno, e far sì che ognuno  possa penetrare nella parte sovrana  di noi medesimi. Chi fa ingiuria ad altrui, è reo  d’ empietà. Perchè la natura univer-  sale avendo fatto gli animali ragio-  nevoli gli uni per gli altri, affinchè  r uno giovi air altro, secondo il merito, e non gli noccia; il trasgre-  dire le intenzioni di lei, è manife-  stamente un peccare contro la più  veneranda fra le Dee. Chi mente, è  pur reo di quel medesimo peccato.  Perchè la natura universale è natura  degli enti, e gli enti hanno relazione  di parentela con tutti gli esistenti. [Secondo il merito; frase stoica. Di tutti gl'interpreti anteriori all’ornato il Kmtz è il solo che intendesse bene   Oltre che ella è nomata la verità,  ed è la causa prima di tutti i very. E però *chi MENTE CON INTENZIONE*, è  reo verso di lei, in quanto fa torto  ad altrui ingannando; e chi mente  senza intenzione,' in quanto che ad  ogni modo discorda dalla natura  universale, e turba V ordine andan-  do a ritroso della natura del mon-  do ; * perchè va a ritroso di essa  non senza sua colpa anche colui  che insciente va a ritroso del vero; sendo che non per altro che  per non aver profittato di quelli  indirizzi e sussidi di cui gli fu prov-  vida la natura, non è egli più in  grado di distinguere il vero dal falso.  Ancora è reo di empietà chi segue  il piacere come un bene e schifa il  dolore come un male. Perchè non   questo luogo, ancora che un po' troppo pla-  tonicamente. Vedi la nota dell' Ornato nel-  l'edizione di Torino. Cioè per ignoranza, o a caso. P.   * Che è l'ordine per eccellenza. può essere che costui non mormori  spesso contro la natura comune, quasi ’ ella non abbia riguardo al  merito nelle dispensazioni che va  facendo ai buoni ed ai tristi, veg-  gendosi spesso i tristi vivere nei  piaceri e nella abbondanza di tutte  le cose che li procurano, quando i  buoni cadono nel dolore e van sog-  getti a tutti gli accidenti che ne  sono cagione. Oltre che chi teme il  dolore, temerà pure talvolta alcune  delle cose che sono per accadere  nel mondo: il che è già da per sè  cosa empia;* e chi va in cerca del  piacere non si asterrà dal far torto  agli altri. Del resto, chi viiol seguire  la natura, dee consentire colla natura [Epitteto, Manuale XXXII, 4.   « Di modo che ciascuno che procacci di  desiderare e fuggire solamente quello che è  da essere desiderato e fuggito, procaccia al  tempo medesimo di esser pio » (traduz. di  G. Leopardi). Cfr. Manuale. ed essere indifferente rispetto a tutte  quelle cose rispetto alle quali ella si  dimostra indifferente col far che suc-  cedano egualmente nel mondo. K •  però chi non fa eguale stima del  dolore e del piacere, della morte e  della vita, dell’ infamia e della gloria, delle quali cose fa uso egual-  mente la natura universale, è mani-  festamente reo di empietà : dico che  la natura ne fa uso egualmente, vo-  lendo significare che sono accidenti  a cui sono deipari sottoposti secondo  la legge di anteriorità e posteriorità,'  tutti gli esseri che nascono e si suc-  cedono gli uni agli altri per conseguenza necessaria di .quello impulso  primordiale con cui la previdenza  concependo in sè certe ragioni del  futuro,* e determinando virtù gene-  ratrici di esistenze, di cangiamenti   1 Abbiamo seguito l' emenda^siono del Ce-  rai. Ragioni seminali. e di successioni conformi a quelle,'  diè principio a questo ordinamento  di cose.   2. Certo meglio era per te serbarti  puro di menzogna e di ogni sorta di  finzione e di boria sino al punto  della tua dipartenza dagli nomini.  Ora il partire nauseato di queste  cose è, dopo quello, il miglior par-  tito che ti rimanga. 0 hai tu forse  deliberato di marcir sempre nel vizio,  e r esperienza stessa non ti persua-  de ancora a fuggire dalla peste?  Perchè è peste la corruzione della  mente ancor più che lo infettarsi c  corrompersi di quest’ aria che ne  circonda. L’ una è peste degli ani-  mali in quanto sono animali ; l’altro  è peste degli uomini in quanto sono  uomini.   3. Non disprezzare la morte, ma  accettala di buon grado, siccome  Conformi a quelle ragioni seminali. quella che è una delle cose che la  natura vuole. Perchè quale è il giun-  gere alla adolescenza, alla vecchiaia,  il crescere, il giungere alla virilità,  il mettere i denti e la barba, il ge-  nerare figliuoli, portarli, partorirli,  e tutti gli altri effetti che arrecano  le stagioni della vita, tale è ancorji  il dissolversi. Appartiensi dunque ad  uomo assennato il non procedere alla  cieca colla morte, nè all’ avventata  nè con superbia, ma aspettarla come  uno dei tanti effetti naturali: come  aspetti l’ora che dall’utero della mo-  glie esca il feto, a quello stesso modo  aspetta l' ora in che l’ anima tua  uscirà di codesto suo invoglio. Che  se ti è bisogno anche di uno em-  piastro da idiota il quale s’ applichi  al cuore,' ti gioverà il considerare  Che se ti è bisogno anche appli-   chi al cuore. Le parole del testo, chi ben  le intenda, non sono, a parer mìo, senza  una certa ironia. Perchè a far riguardare quali sieno le cose onde t’ hai a  dipartire, e gli umori degli uomini  tra i quali l’anima tua non sarà più  impigliata. Non che tu abbia a re-  carteli a noia, chè anzi hai da averne  cura e sopportarli con amore ; ma  potrai ricordare che non sei per di-  partirti da uomini che la pensino  come te. Perchè, se ci avesse cosa   con indifferenza la morte, la ragione specu-  lativa data già innanzi dovrebbe, secondo l’autore, bastare al filosofo, al quale non  dovrebbero abbisognare argomenti che ai  indirizzino alla sensibilità, e che Antonino  chiama “empiastri da idiota che s’ applicano al cuore”. Ornato traduce  questo luogo come segue: Che se vuoi  inoltre uno espediente da nomo materiale  che ti muova sensibilmente:» notando al margine: c anzi tutto conveniva far capire  il senso, e qui era maggior fedeltà il la-  sciare la lettera. Il primo mezzo, dice An-  tonino, era da filosofo: questo secondo da  illetterato: e però quello era speculativo,  questo pratico. Ma vedi se puoi dir meglio,  chè sono scontento assai. » Per dir meglio  io ho stimato che fosse da conservare il  linguaggio figurato e l'ironia del testo, non  tanto difficile poi a capire anche nella traduzione. che dovesse affezionarci alla vita,  questa sarebbe fuor di dubbio; lo  averla a passare con chi sente e  giudica come noi.  Chi pecca, pecca a suo danno :  chi commette ingiustizia, fa ingiuria  a sè medesimo, facendo sè malva-  gio.   5. È ingiusto soventi volte non  solo chi fa, ma ancora chi non fa.  Se il giudizio che tu fai nel  momento presente è vero ; se l’azione  che tu fai nel momento presente si  riferisce al ben comune ; se la disposizione in che sei nel momento pre-  sente è di accettare di buon grado  quanto avviene per virtù della causa  esteriore ; non ti abbisogna più  altro. Togli via le false immagina-  zioni ; contieni i moti dell’ animo ;  spegni i desiderii troppo accesi ; fa’  che la mente sia padrona di sè. Una è l’anima distribuita fra tutti gli animali irragionevoli; una  la ragione compartita a tutti i ra-  gionevoli come una è la terra di  tutte le cose terree, una la luce per  cui veggiamo, ed una 1 aiia che respiriamo tutti quanti abbiamo vista! e respiro.  Tutte le cose che hanno alcun  che di comune fra loro, tendono  l’una verso dell’altra. Il terreo  tende verso la terra, V umido s ac-  costa all’umido, l’aereo all’aereo.   Il fuoco va in su per cagione del  fuoco elementare ; e quaggiù è così  pronto ad unirsi con altro fuoco, che  ogni materia un po’ secca s accende  di leggieri per lo esservi mescolata  dentro minor quantità di ciò che  impedisce l’unione, h sunilmente  ciò che partecipa della natura intellettiva tende verso il suo congene-  re, e con più forza eziandio : perchè  quanto ha più eccellenza delle altre  cose, tanto ha maggiore inclinazione ad unirsi con chi ha somigliante  natum, e a confondersi con esso. E però tu trovi appo gli animali  privi di ragione sciami, mandre, nidiate, e come chi dicesse amori:  sono già anime in essi, e la virtù  unitiva, più intensa nel più perfet-  to, vi si manifesta quale non è an-  cora nelle piante, nelle pietre o nei  legni. Ed appo i ragionevoli tu vedi  città, amicizie, famiglie, radunanze  pubbliche; e anco nelle guerre patti  e tregue. E appo gli esseri ancora  più eccellenti l’unione ha luogo in  certo modo anche fra i disgiunti e  lontani, come puoi vedere negli astri.'  Cosi un più alto grado di eccellenza  può generare scambievole corrispon-. Molti degli  Dei popolari riferivano gli stoici ai gran  corpi celesti, al sole, alla luna, alle stelle.  Gli Dei medesimi non sono pure, agli occhi degli stoici, ciascnno per sò medesimo;  ma tutti sono per tutti, per la loro comunità, pel Dio supremo, pel mondo ecdexiza negli esseri anche a mal grado  della distanza che è tra mezzo. Ma  vedi ora a che siamo : soli i ragio-  nevoli sembrano talora aver posto  in oblio la loro qualità che li chiama  ad unirsi reciprocamente gli uni cogli altri, e quivi solo pare che non si  trovi sempre concorso reciproco.  Nondimeno con tutto che essi fug-  gano a poter loro, e’ sono da ogni  parte arrestati ; chè la natura è. più  potente di loro. Tu vedrai manifesto  (j nello che io dico, se tu saprai osservare. Perchè ti verrà più agevolmente fatto di trovar terra scompa-  gnata dalla terra, che non uomo  scompagnato dall’ uomo. Porta il suo frutto anche l’ uomo, ed anche Dio, ed anche il mon-  do: e ogni cosa nella sua stagione  porta il suo frutto. Che se l’uso ap-  plica questo modo di dire propria-  mente alla vite e alle altre cose di  simil fatta, non monta nulla. La ragione poi porta un frutto c per gli  altri e per sè stessa,* e nascono da  lei cose che hanno natura e qualità  simili alle sue proprie. Se tu il puoi, fa’ che si ricre-  da ; se non puoi, sovvengati che la  benignità ti è stata data per questo.*  Anche gli Dei sono benigni a questi  tali ; e in certe cose eziandio li aiu-  tano, come a conservare e ricuperare la sanità, ad acquistare fama e  ricchezza: cotanto sono essi amorevoli. Il medesimo puoi fare .tu an-  cora ; o veramente di’ chi ti impedisce che tu noi faccia. Lavora non già come un ta-  pino nè come chi voglia farsi com-  miscrare o ammirare ; ma intendi a  ciò solamente: operare e astenerti. Cioè per tollerare amorevolmente an-  che chi erra e non vuole o non può ricredersi. Intendi « agire o non agire, » frase solenne appo gli stoici, non traducibile. secondo che la ragion civile * richiede. Oggi sono uscito d’ ogni mia  noia, 0 per dir più vero, ho cacciato  fuori ogni mia noia, perchè non era  fuori di me, ma dentro, nelle mie  opinioni. Sion tutte cose, in quanto al  numero delle volte che si sono ripetute, consuete ; in quanto alla durata,  transitorie ; in quanto alla materia,  sordide. Tutte sono ora quali erano  al tempo di coloro che abbiam sep-  pelliti.  Le cose stan fuori dell’ uscio, ^  dapersè, nulla sapendo disè, nè giu-  dicando. Chi è dunque che giudica  intorno a loro? la parte sovrana. Intendi il bene della società. Intendi fuori di noi, e non hanno adito  a noi nè potenza di turbarci, se noi non  apriamo loro l’uscio, facendo stima di loro  disuguale al vero. Ho creduto di dover con-  servare l'espressione figurata del testo greco. Cioè la ragione. Non nella passione, ma nella  razione sta il bene e il male dell’animai ragionevole e socievole;  come non istà nella passione ma  nell’ azione la virtù di lui e il vizio. Alla pietra scagliata in aria  non è punto un male lo andare in  giù, nè un bene lo andare in su.  Penetra nell’interno delle menti  loro, e vedrai che gente è quella di  cui tu temi il giudizio, e che sorta  di giudici sono anche verso di sè medesimi. L’esistenza delle cose è un  passare incessante da una in altra  forma. E tu stesso non perduri un  istante nel medesimo stato, ma ti  vai di continuo alterando e come a  dire dissolvendoti.  E l’universo  parimente. Cioè iniqui anche verso sè stessi, non  che verso gli altri; dannando essi la lo(o  parte sovrana a servire alla inferiore. Il fallo altrui coiivien lasciarlo  dov’è. Il finire di una azione, il cessare di una volontà o di un pensiero  e, per così dire, il morir loro, non  è punto un male. Considera ora le  diverse età: l’infanzia, L’ADOLESCENZA, la giovinezza, la vecchiaia. Il cessare di quella che precede per dar  luogo a quella che segue, è ancora, come a dire, una morte. È egli un  male? Passa a considerare la vita  che vivesti sotto 1’ avolo, poi quella  sotto la madre, e rammenta ancora  molte altre diversità di stati, e mutamenti dall’ uno in un altro, e ces-  sazioni ; e interroga te stesso; è egli  cotesto un male? Adunque nò anco   il cessare e concludersi della vita,  nè il totale mutamento di essa non  è punto un male. Cioè in chi n’è autore, il quale non  nuoce che a sè medesimo. Bada alla tua parte sovrana,  a quella dell’ universo, a quella di  costui. Alla tua, per ridurla giusta  ed imparziale ; a quella dell’ uni-  verso, per non dimenticare di che  sei parte; a quella di costui, per  chiarire s’ egli operò per ignoranza ovvero con intenzione, e ricor-  dati ad un tempo che egli ti è congiunto. Come tu medesimo sei parte  del corpo sociale, così anche ciascuna delle tue azioni è parte inte-  grante della vita di quello. Adunque  se una qualsivoglia di esse non ha  per iscopo, o immediato o mediato,  il bene della società, ella turba la  vita comune rompendone l’ unità,  ed è sediziosa come è sedizioso chi  parteggia in una città e guasta,  per quanto è in lui, la comune concordia. Sdegni fanciulleschi, bambo-  late, animucce che portano cadaveri, cose che rappresentano al vivo  ciò che narra Omero delle anime  degli spenti. Considera la qualità della causa,  e separando quella dalla materia, fa’  di contemplarla distintamente in sè  stessa; di poi vedi anche e circoscrivi  distintamente entro i suoi confini il  tempo che, al sommo, possa cotal  cosa per la natura sua durare. Hai sofferto mille travagli per  non aver voluto appagarti unicamente  del far quello a che sei stato ordinato: ma basti. Quando altri ti lacera o ti odia,  o che schiamazzano contro di te,  come fanno ora, pensa alle animucce Farla di tutte le cose di questo mondo. L’Odissea, lib. XI, discesa di Ulisse all’Inferno. Intendi: per non aver riposto unica-  mente il tuo bene nel far quello ohe ec.Come schiamazzano ora ; relativo a  qualche caso particolare. di questi tali, penetra loro addentro e osserva che uomini sono. Ve-  drai che non ti conviene il dar;(:i  briga perchè essi abbiano di te piut-  tosto tale che tale altra opinione.  Hai nondimeno a voler loro bene :  chè sono per natura amici tuoi. IC  anche gli Dei non lasciano di giovar  loro in ogni modo, per mezzo di  sogni, di oracoli, sebbene in quelle  cose soltanto che da costoro si pregiano. Cotale è il perpetuo giro delle  cose mondiali ; all’ insù all’ ingiù,  d’ età in età. 0 la mente dell’ uni-  verso determina con atti particolari  di volontà ciascuna cosa ; e se que-  sto è, tu hai da ricevere con amore  il voluto da lei : o ella ha voluto e  determinato una volta per sempre, o  tutto pende e procede da quella determinazione ; e allora a che il ri-  calcitrare? Egli è, in certo modo,  come se non ci avesse altro che atomi e indivisibili. Al postutto, o  egli v’ ha un Dio intelligente e provvido, e tutto sta bene ; o le cose si  governano dal caso ; e tu almeno non  governare a caso te stesso. Oramai  la terra ci ricoprirà tutti quanti siamo ; e poi anche la terra si trasfor-  merà; e poi si trasformerà quello  ancora in che si sarà trasformata la  terra ; e quest’ altro ancora di nuovo,  air infinito. Davvero chi ripensa a  un cotale incalzarsi di mutamenti e  di moti e alla rapidità con che si suc-  cedono, non può essere che al tutto  non disprezzi ogni cosa mortale. La causa universale è un tor-  rente che trae seco ogni cosa. E que-  sti omicciuoli che al parer loro ma-  neggiano secondo filosofia gli affari  «li Stato, come son piccioli! Veri  bimbi in culla.* 0 uomo, attendi a  Letteralmento : « pieni ,di moccio, moc-  ciosi, » cioè « bimbi col moccio al naso.  far quello, che che sia, che la natura richiede da te nel momento  presente, e non andar guardando at-  torno se altri il saprà. Non isperare  la repubblica di Platone, e sii contento ad ogni po’ di progresso che  tu vegga ; pensando che anche il ridurre questo ad- effetto non è pic-  cola cosa. Perchè le opinioni degli  uomini chi può mutarle? E senza  correggere le opinioni, che puoi tu  avere se non ischiavi che gemono e  s’infingono di obbedire ? Or va’, non  istar più ad allegarmi Alessandro,  Filippo, Demetrio Falereo. Buon per loro, se conobbero che cosa vuol la  natura comune, e seppero raffrenare  e governar sè medesimi. Che se operarono solo per parere,' nissuno ha   moT'oeuXy direbbero i Francesi. Dal novero  di questi bimbi non pare che Antonino in-  tendesse escludere sè medesimo. P.   t Fare il bene per amor del bene piutto-  sto che della lode, voler essere piuttosto  che parere ottimo, è il tratto più essenziale condannato me ad imitarli. Semplice  e modesta è l’opera della filosofia.  Non indurmi ad ostentazione di gravità. Contempla, come da un’ alta  vetta, mandre infinite d’uomini, usi  di religione innumerevoli, e un na-  vigar da ogni banda, in tempesta,  in bonaccia, e diversità di nascenti,  di conviventi, di morenti ; pensa an-  cora alla vita che si vivea per lo  addietro, e a quella che si vivrà dopo  te, e a quella che tra le nazioni  barbare si vive ora, e quanti v’ ha  che di te ignorano anche il nome,   dì un gran carattere morale, dipinto da  Eschilo con tre versi sublimi nei Sette a  Tebe parlando di Amfiarao, in parte fran-  tesi dal Belletti; e la cui traduzione let-  terale, per quanto è possibile, sarebbe : « non  sembrare, ma essere ottimo ei vuole, fa-  cendo fruttificare il fertile terreno della  sua mente, ove germinano gli assennati pen-  sieri. » P.   * Bellissimo e nobilissimo paragrafo !  quanti insegnamenti, e per quanti, si com-  pendiano in esso! P e quanti che sono per dimenticarlo  in breve, e quanti che ti lodano  forse ora, e ti biasimeranno tantosto:  e come non è da fare stima nè della  ricordanza, nè della gloria, nè di ve-  runa cosa quaggiù.  Imperturbabilità rispetto alle  cose che procedono dalle cause este-  riori; rettitudine nelle cose di che  tu stesso sei causa : vale a dire, determinazioni ed azioni non aventi  altro fine che sè medesime, cioè d’o-  perare socievolmente, siccome cosa  che è secondo la tua natura.   32. Fra le cose che ti molestano,  molte le quali hanno sede nella tua  opinione, tu puoi sgombrare da te, o  darai cosi campo ed agio a te stesso.   Fa’ di abbracciar colla mente l’uni-  verso mondo, e concepir nel pensie-  ro r eternità dei secoli, e considera  la rapida trasformazione di ciascuna  cosa particolare, e quanto è breve  l’intervallo dalla nascita alla dissoluzione, e infinito il tempo che precedet-  te la nascita, e infinito del pari quello  che terrà dietro alla dissoluzione.  Tutte le cose che tu vedi si  tlissolverannò tra breve, e coloro che  le vedranno dissolversi, si dissolveranno tra breve anch’essi. E chi  morrà d'estrema vecchiezza, si tro-  verà ad un medesimo ragguaglio  con chi mori anzi tempo. Che menti son quelle di co-  storo ! e per che motivi amano e  onorano altrui! abbi in uso diveder  nude le loro animucce. Quando si  credono nuocere biasimando, o giovare lodando, che vanità! Una perdita di che che sia non è altro che una trasformazione. Edi '  questo si compiace la natura dell’universo, conforme alla quale tutto   I Intendi: « qual vanissimo errore! » Per-  chè la lode e il biasimo di chi che sia noii  aggiunge e non toglie nulla al valor vero  degli uomini o dello cose. si fa bene. Per secoli innumerevoli  le cose si sono fatte a questo modo,  e continueranno a farsi' a questo  modo per altri secoli innumerevoli. Che dirai dunque? Che sempre sensi  fatte male, e che continueranno a  farsi male per l’avvenire? Or nis-  suno dunque s’ è mai trovato fra co-  tanti Iddìi, il quale avesse potestà  <li correggere tutto questo? E il mon-  do è egli condannato a mali che  non avranno mai fine? Vedi il marcio della materia  che sottosta alle cose: acqua, polvere, ossicini, sudiciume. Il  marmo, callosità della terra; l’oro  e r argento, capomorto di quella ;  la veste, peli ; la porpora, sangue :  cosi di tutto il rimanente. E la ma-  teria organica vivente, altrettale : di  La conclusione è che le perdite, i mu-  tamenti, e tante coso allo quali il^ volgo  dà il nome di mali, non sono mali veri. quei medesimi ingredienti si com-  pone, e in quelli si risolve.  Abbastanza hai tapinato, abba-  stanza hai mormorato, abbastanza  hai fatto la scimmia. Che ti turba?  Che t’interviene di nuovo? Che è  ciò che ti trae dal senno? La causa?  vedila. La materia? vedi la materia.  Da queste cose in fuori non v’ ha  nulla. Ma anche fa’ di essere più pio  verso gli Dei e più semplice.   Lo stare a veder queste cose tre  o cento anni è tutt’uno.   38. Se egli ha peccato, in lui sta  il male. Ma forse non ha peccato. 0 da una sola fonte intelligen-  te, come in corpo organato procedono tutte le cose ; e se ciò è, non  appartiensi alla parte il querelarsi  di ciò che fassi ad utilità comune  del tutto ; o sono gli atomi. E tutto che esiste, accozzamento del caso,  vien dissipato dal caso. A che dun-  que ti turbi?   Di’ alla parte sovrana : sei tu morta? sei tu fradicia ? sei tu altra cosa  che te? sei tu imbestiata? sei tu  giumento ? sei tu pecora?  gli Dei non possono far nul-  la, o possono. Se non possono ; a  che li preghi? Ma se possono, che  non li preghi piuttosto perchè ti  concedano di non temere nè deside-  rare alcuna di queste cose, nè di  rattristarti per esse, anzi che pre-  garli che tu possa ottenerle o evi-  tarle? perchè ad ogni modo, se e’ pos-  sono aiutare gli uomini, debbono  poterli aiutare anche in questo. Dirai forse : cotesto gli Dei hanno posto  in mia facoltà. 0, non è dunque  meglio valerti con altezza d’ animo  indipendente di ciò che sta in poter  tuo, anzi c he affannarti abbiettamente e servilmente per ciò che non  dipende da te? E poi chi ti ha detto  che gli Dei non ci aiutino anche  nelle cose che stanno in poter no-  stro? provati di pregarli, e vedrai.  Altri prega : fa’ che io possa giacere  con colei. E tu prega: fa’ che io non  desideri di giacere con colei. Altri :  fa’ che io mi possa liberare dal tale. E tu: fa’ che io. .non abbia bisogno li liberarmi dal tale. Altri ancora :  fa’ che io non perda il figliuolo. E  tu: fa’ che io non tema di perderlo.  In somma raddrizza cosi le tue pre-  ghiere, e sta’ a vedere che ne segue.   4L Dice Epicuro : « Ammalato, io  non facea mai parola delle affezioni  del mio corpicciuolo nè d’altre co-  tali cose, quali sogliono essere quelle  di che amano gli infermi inti’atte-  nersi con coloro che li vengono a  visitare. Ma attendeva tuttavia a ra-  gionare intorno ai punti principali  della filosofia naturale, soprasUmdo   ad investigare e dimostrare ciò ap-  punto : come possa V anima, ancora  che partecipe dei moti del corpo,  serbarsi nondimeno imperturbata, e  conservare in sè quel bene che è  proprio di lei: nè dava, aggiunge  egli, materia ai medici d’insupei-  bire, come se facessero gran che :  chè la mia vita, anche in quello  stato, non era senza calma e giocon-  dità. » Ora fa’ tu altrettanto, sia,  ponghiamo caso, che tu ammali, o  t’ intervenga qualsivoglia altra mo-  lestia: perchè"' il dover serbar fede  alla filosofia in ogni congiuntura  qualsiasi, e non delirare con lo stolto  e con l’ignaro, è precetto comune  a tutte le sètte.   Bada unicamente a ciò che tu fai  nel momento presente, e all’ istro-  rnento con che il fai. Quando ti senti offeso dall’impudenza di alcuno, interroga tosto  te n'iedesimo : ò egli possibile che  non ci abbia impudenti nel mondo?  Non è. Non voler dunque l’impos-  sibile : questo è uno di quelli impu-  denti che di necessità hanno ad essorci. Lo stesso hai da dirti e del  furbo e del disleale, e di qualunque  altro vizioso che pecchi in qualsi-  voglia modo. Perchè ricordandoti  essere impossibile che tal sorta di  gente non sia, tu ti farai più mite  verso ciascuno. Giova ancora il pen-  sare subito. Qual virtù ha dato all’uomo la natura contro questo peccato'? Ha dato, per modo di eseni-   [Intendi: tosto che ci sentiamo offesi por  tale 0 tal altro fatto biasimevole di chicchessia. Intendi : contro al sentirsi offeso da  questo peccato del vicino. Perchè colle stesse  parole in altro luogo potrebbesi anche si-  gnificare: qual virtù diede all'uomo la na-  tura .per combattere in sè medesimo questo  peccato e serbarne puro sè stesso. pio, contro all’ ingrato la mansuotu-  dino, 0 contro a ciascuno altro vizio,  altre virtù. Ad ogni modo tu puoi  far prova di ravviare quel traviato;  perchè chi fallisce, fallisce Io scopo  a cui mirava, ed è quindi traviato.'  E ancora tu hai a pensare qual danno  te ne viene : eli è troverai nissuno  di costoro, contro ai quali ti adiri,  aver fatto cosa per cui la mente tua  sia. per divenir peggiore. Ed ogni tuo  male, ogni tuo danno, ben sai, non  poter essere altrove che in quella.  E poi che male ci ha, o che v’ ha  egli di strano se l’indotto fa cose  da indotto?- Vedi piuttosto che tu  non abbia a rampognar te medesimo, il quale non hai aspettato da  colui tal sorta di fallo. Perchè a te  la ragione porgeva argomenti a pre-  vedere che costui fallirebbe probabilmente in quella guisa; ’ e tu non  badasti, ed ora ti vai maravigliando  eh’ egli abbia fallito. Massimamente  (juando parratti aver rimproveri a  fare a un disleale, a un ingrato, fa’  che tu rivolga contro te medesimo  r accusa : sendo manifestamente tuo  r errore se hai creduto che un uomo  in cotale disposizione d’animo fosse  ' per mantenere la fede; o,se facendo  tu del bene ad altrui, non l’hai fatto  senza un rispetto al mondo ad altra  cosa che al bene che volevi fare, nè  con r intento di avere a raccogliere  immediatamente e unicamente dal  fatto stesso dello aver compiuta una  buona azione, tutto ed intero il frutto  di essa.^ Nel vero quando tu hai  beneficato un uomo, che vuoi tu an-  cora di più?^ Non ti basta aver fatto II saggio, diceano gli stoici, avrà amici, ma li amerà per utile loro, e non di sè  stesso. un’azione che è conforme alla tua  natura, e vuoi inoltre ima mercede,  come se gli occhi avessero ad esser  pagati perchè vedono, e i piedi perchè camminano? Perchè siccome  queste membra furono così confor-  mate affinchè avessero a fare cotali  uffici, e quando hanno fatto i servigi a che furono ordinate, hanno  ricevuto tutto ciò che è dovuto loro;  cosi l’uomo, per 'natura benefico,  quando ha operato alcun che di bene, o semplicemente aiutato altrui nelle cose medie, ha fatto quello a che  è stato ordinato ed ha ricevuto tutto  quello che gli è dovuto. E quando mai, o anima, sarai  tu buona, o schietta, ed una, e ignuda, e più appariscente ' del corpo  che ti (àrconda? Quando gusterai tu  di quello stato che è tutto dilezione  ed amore? Quando sarai tu fornita  di tutto punto, non mancante di  nulla, non agognando nè desiderando  nissuna cosa, sia animata o sia ina-  nimata, per pigliarne diletto ? nè  tempo perchè il diletto più duri? nè '  luogo od opportunità di paese o di  clima, nè conformità d’uomini che  ti vadano a genio? ma sarai paga   1 Intendi visibile, chè questo senso ha  pure il vocabolo appariscente. del tuo stato presente, facendo piacer  tuo di tutte le cose presenti, e per-  suadendo a te stessa che tu hai tutto  e che tutto va bene, e che tutto li  viene dagli Dei e tutto andrà bene,  checché piaccia ad essi d’ inviarti  per la salute di quello animale per-  fetto e buono e giusto e bello, il  quale genera tutte le cose, e tutte  le contiene ed abbraccia e riceve al-  lorché si dissolvono per la riprodu-  zione di altre simiglianti? Quando  mai sarai tale che, vivendo in una  società con gli' Dei e con gli uomi-  ni, non ti accada mai né di dolerti  di loro, né di essere condannato da  loro? Vedi quello che richiede la tua  natura in quanto sei governato dalla  sola natura,’ e fàllo o accettalo ogni  volta che non sia per patirne danno  la tua natura d’animale; Di poi os-  Cioè a dire in quanto soi organismo viventi. serva quel che richiede la tua na-  tura d’ animale , e questo ancora ri-  duci ad atto ogni volta che non sia  per patirne danno la tua natura razionale. Ma il razionale importa,  qual conseguenza immediata, il so-  cievole. Metti in pratica queste re-  gole, e non darti pensiero più d’altro. Checché ti accada, è o non è  comportabile alla tua natura. Se è,  non hai motivo di crucciartene, ma  Adunque Antonino, come già gli stoici  antichi, come i fllosofl moderni (vedi particolarmente Burdach, Antropologia), tre diverse nature, o per dire più propriamente,  tre diversi gradi simultanei di vita distin-  gueva nell' uomo : la vita plastica o vegeta-  tiva, la vita animale, e la vita razionale.  Quanto al principio unico, o moltiplico di  queste tre vite, le idee degli stoici erano  confuse. E Antonino errava lungi dal vero  quando diceva, parlando della vita plastica  o vegetativa, questa essere « governata dalla  sola natura, » se con ciò intendea che a  produrne, o a spiegarne tutti i fenomeni  bastassero quelle leg^ che i moderni chia-  mano « leggi generali della natura. attendi a portartelo in pace, essendo  tu nato a ciò. Se non è, ancora non  crucciartene ; perchè verrà meno  come prima ti avrà consunto. Ma  sovvengati che sei tale per natura  da poter tollerare tutto ciò che sta  in potere della tua mente di rendere  tollerabile col persuaderti che ti  giovi 0 sia dover tuo il tollerarlo. Se falla, correggilo amorevol-  mente, e mostragli in che ha falla-  to. Se noi puoi, incolpane te stesso,  o veramente nè anche te stesso. Qualunque accidente ti occorra, egli ti era da secoli innumerevoli predestinato, e la serie fatale  delle cause * avea connesso insieme  quello accidente colla tua esistenza.   6. Atomi, o nature, quale che fosse  dei due (19), io pongo per fermo  in primo luogo che io sono parte di   ^ Concatenazione delle cause, o serie delle  cause è appo gli stoici la definizione stessa  del fato. un tutto governato da una natura;  e- in secondo luogo che io ho rela-  zione di affinità con tutte le parti a  ine congeneri. Avendo ferme nel-  r animo queste due cose, in quanto  io sono parte, non avrò a grave nulla  di ciò che mi viene compartito dal  tutto, non essendo nocevole alla  parte quello che al tutto è giovevo-  le ; nè potendo il tutto aver nulla in  sè che non conferisca al bene di  lui ; primieramente perchè questa è  proprietà generale di tutte le na-  ture, e poi perchè la natura del-  r universo ha questo ancora di più,  che non è càusa alcuna esteriore da  cui possa essere necessitata a pro-  durre mai cosa la quale sia per nuo-  cerle. Ricordandomi adunque che io  sono parte di un tutto cotale, avrò  caro ogni cosa che avvenga. E in  quanto ho relazione di affinità colle  parti a me congeneri, attenderò a  non far nulla mai che non si riferisca a quelle ; ma anzi mirando sem-  pre a» miei simili, rivolgerò tutte le  mie forze a procacciare il ben co-  mune, e mi asterrò da tutto che  possa ridondare in altrui danno. E  così governandomi' non può essere  che la vita non abbia un corso fe-  lice ; come felice stimeresti il corso  della vita del cittadino il quale pro-  cedesse d’ una in altra opera giove-  vole ai suoi compagni di patria, e  avesse caro tutto quello che fosse  voluto dal comune. Alle parti del tutto, quante per  natura contengonsi nell’ universo, è  necessità il corrompersi: questo sia  •detto per significare lo alterarsi di  esse. Il quale alterarsi se fosse per  natura un male, come è una neces-  sità, poco felici sarebbero le condi-  zioni del tutto, le parti di lui es-  sendo, come a dire, avute in odio  da chi governa, e da lui fatte tali  da doversi chi in uno, chi in altro modo corrompere. Dove converrebbe  dire o che la natura avesse' voluto  nuocere ella stessa alle proprie sue  parti (20), sottoponendole al male, e  facendole tali che dovessero neces-  sariamente incappare ' nel male, o  che ciò sia avvenuto senza che sia  stato voluto nè avvertito da lei. Delle  quali cose nè V una nè 1’ altra ò da  credere. Che se taluno, messa da  canto la natura, presumesse espli-  care il nodo affermando le cose essere  nate a ciò, non sarà punto meno  strano il dire essere le parti del  tutto nate ai mutamenti, e ad un  tempo il maravigliarsi e dolersi quan-  do questi mutamenti si compiono:  massimamente quando noi veggiamo  che esse risolvonsi sempre in quei  medesimi elementi di che è compo-  sta ciascuna. Avvegnaché la corru-  zione o dissoluzione delle cose altro  non possa essere e non sia in ef-  fetto che una disgregazione e dispersione di quegli elementi, del cui ag-  gregato esse si compongono, o vo-  gliam dire un ritorno al terreo di  I ciò che v’ ha in esse di solido, e al-  r aereo di ciò che v’ha in esse di  vitale,' di modo che la ragione se-  minale dell’universo riprenda di nuo-  vo in sè questi elementi, perchè al-  r ultimo sieho consunti dal fuoco, se  r universo è sottoposto a conflagra-  zioni periodiche,^ o servano con per-  petua vicenda al continuo rinnovel-  lamento di lui, se egli dura eterno  ed incorrotto.* E questo solido e que-  sto vitale non darti già a credere  I che sia quello che tu avesti dalla  madre nascendo : perchè ieri, e ier  r altro è venuto ad aggregarsi in te [Ricorda siccome appo gli stoici la vita  consiste nella respirazione, e quindi T es-  senza di quella è 1' aria. Opinione degli stoici più antichi: Ze-  none, Cleante, Crisippo. Opinione di molti stoici posteriori: Zenone da Tarso, Boeto, Posidouiu, Panezio. e tiai cibi, e (-l’aria die hai respi rata. Questo adunque che ti si è  assrefiato ora si trasforma, e non   oo o   più. quello che partoriva la madre.  Fa’ che tu vi sottoponga col pensiero  quel che ti lega sì strettamente a  ([ueste tali e tali altre cose, le quali  sono un nulla, cred’ io, jrispetto a  quello di che io ragiono Avendo tu imposto a te mede-  simo questi nomi di buono, di mc-  ciosto, di veritiero, di assennato, di,  consenziente, di magnanimo, fa’ che  non abbiansi a mutare nei loro con-  trari ; e ove mai ti accadesse di per-  dere quelli, fa’ che tu non tardi a ri-  cuperarli. E ricordati che con la pa-  rola assennata, tu volevi significare  r attenzione discernitiva a ciascuna  cosa presente, e il non pensare ad  altro in quel mentre. Con la parola  consenziente, l’accettazione volontaria di quanto ti viene compartito  dalla natura comune; e con la parola ma( filammo, la elevazione dello  spirito al di sopra di ogni moto soave  o insoave della carne, e al di sopra  I della gloriuzza, della morte c di si-  mili cose. Se adunque tu ti assicu-  rerai il possesso di quei nomi senza  bramare che ti vengano dati da al-  trui, sarai un alti ò uomo ed entrerai  in ima vita nuova. Percìiè il conti-  nuare ad essere per lo innanzi quale  sei stato infino ad ora, e il continuare a voltolarti fra le brutture e  I Je angosce di una vita cotale, troppo  è da uomo stupido e codardo, simile  a quei bestiari ' mezzo rosi dalle  fiere, i quali pieni di ferite e con-  taminati di sangue e di loto, pre-  gano pure di essere conservati infine  al domani, ancora che .consapevoli  di dover essere di nuovo esposti,  conci in quel modo, alle medesi-  Cosi chiamavano i Romani quelli accoltollatori che negli spettacoli combatte-  vano contro le fiere. me unghie e ai medesimi denti.  Gittati adunque con animo delibe-  rato in su quei pochi nomi, e se  puoi tenertivi saldo ed eretto, tien-  tivi, non altrimenti che se tu fossi  venuto ad abitare in qualche isola  fortunata ; se ti accorgi che tu vi  tentenni, e non possa vincere la  prova, vattene animoso in qualche  cantuccio ove tu sia certo di vincer-  la ; od anche esci al tutto di vita,  senza adirarti, ma semplicemente,  liberamente, modestamente contento  di aver fatto pure una cosa nella  vita: Tesserne uscito in cotal modo.*  E al farti ricordare di quei nomi gio-  verà non poco il ricordarti degli Dei,  i quali non vogliono essere adulati ; *  ma bensì che tutti gli esseri ragio-  nevoli facciano di assomigliarsi a   Epitteto, Manuale. La pietà  verso gli Dei consiste massimanientG in  avere sane e rette opinioni intorno a quelli (traduz. del Leopardi).  loro, e che il fico faccia le cose che  s’appartengono al fico, il cane quelle  che si appartengono al cane, e Tuomo  quelle che s’appartengono all’ uomo.  Il teatro, la guerra, lo sbigot-  timento, la torpidezza, la servilità  andranno in te cancellando di giorno  in giorno quelle sante massime, le  quali tu apprendi bensì colla imma-  ginativa e confidi alla memoria, ma  senza dar loro fondamento nè fer-  marle colla considerazione del tut-  to 022) . Egli ti bisogna vedere le cose  e fare in modo che e il particolare  che è intorno a te, sia bene osser-  vato, e la relazione di quello al tutto  sia contemplata, e quella compia-  cenza di sè medesimo che nasce  dalla scienza di ciascuna cosa si con-  servi nell’ interno tuo, segreta, ma  non celata. Altrimenti quando godrai  i frutti della semplicità? quando  quelli della gravità e sodezza ? quan-  do quelli della conoscenza di ciascuna cosa, quale ella è per essenza, che posto occupa nel mondo,  quanto tempo è per sussistere, di  che è composta, in quali obbietti si  può trovare, e chi sono coloro che  possono darla o toglierla. Il ragno superbisce se ha preso  una mosca ; altri, se un lepratto ;  altri, se un’ acciuga; altri, se un  cinghiale o un orso; altri, se fece  prigioni alcuni Sarmati. Non sono  dunque assassini costoro se tu con-  sideri i principii che li movono?  Fa’ che tu impari il modo ac-  concio di contemplare come tutte le  cose si mutano le ime nelle altre,  e attendi senza ristare a questa parte  della filosofìa, e vienti esercitando  in essa. Perchè nuli’ altro è che  tanto innalzi 1’ animo. Chi è assiduo  in questa contemplazione si spoglia,  sto quasi per dire, del corpo, e con-  siderando siccome in poco d’ ora gli  converrà lasciare tutte le cose di qua e partirsi dagli uomini, non at-  tende più ad altro che a conformarsi  alla. giustizia e alla natura dell’ uni-  verso in tutto che egli fa o patisce.  Che dirà un tale, che opinione avrà  di lui 0 che farà contro di lui uìi  tal altro, egli non se ne dà un pen-  siero al mondo, pago e contento di  queste sole due cose ; se egli fa con  giustizia ciò che egli fa nel mo-  mento presente, e s’ egli ha caro  qualsiasi cosa presentemente gli ac-  cada. Tutte le altre cure e negozi  lascia andare, e d’ altro non gli calo  che di camminare perla diritUivia,  tenendo dietro a chi sempre cam-  mina per la diritta via, a Dio. A che il sospetto quando tu  puoi ricercare che cosa è da fare  nella congiuntura presente? Che se  tu il vedi, mettiti a ciò, e va’ in-  nanzi alacremente per quella via,  senza guardarti dietro ; se noi vedi,  sospendi il giud^io, e aiutati del consiglio degli ottimi. Se insorgono  ostacoli al compiere quello che hai  deliberato, governati razionalmente  secondo la nuova occasione che si  presenta,* attenendoti sempre a quel-  lo che ti par giusto. Perchè questa  è r ottima cosa da conseguire, sendo  che lo scostarsi dalla giustizia è un  decadere dalla natura umana. Egli  è un certo che di lento e posato e  insieme di mobile ed alacre, di ilare  e sereno e insieme di serio e grave,  colui che segue la ragione in ogni  cosa. Appena riscosso dal sonno  chiedi a te medesimo se ti impor-  terà che da altri anzi che da te  si faccia quello che sta bene ed è  giusto. Non te ne importerà : o avre-  sti tu dimenticato quali sono costoro  che superbiscono nel farsi dispensa-   M   t Cioè volgi l'ostacolo a profitto, servendoti di Ini come di nuova materia ad  azione. tori della lode e del biasimo, quali  nel letto, quali a mensa; e quali  cose facciano e quali fuggano, a quali  intendano, e quali rubino e quali  rapiscano ' non colle mani o coi pie-  di: ma colla parte più nobile di loro,  la quale può diventare, solo ch’ella  il voglia, fede, verecondia, verità,  legge, buon genio. Alla natura che dà e ritoglie  tutte le cose, 1’ uomo bene instituito  e modesto dice : « Da’ quello che vuoi,  togli quello che vuoi, o natura.  E questo dice non già con baldanza  orgogliosa, ma con intimo senso di  alfettuosa obbedienza verso di lei. Appo gli stoici imà virtù è la parte so-  vrana deir anima talmente modificata. [‘Natura’ per gli stoici è lo stesso che ‘Dio’. vedi il § 7 di questo libro colla no-  ta (20). Queste parole di Marcaurelio corri-  spondono perfettamente a quelle di Giobbe:  Dominui dedita Dominus abstulit, osserva  qui bouissimo il Pierron. Poco^ è questo che ti rimane  a vivere. Vivi dunque come in sulla  montagna. Perchè a qui, o colà,  nulla monta, se, dove che tu sii, tu  vivi sempre nel mondo come in una  città. E veggano e conoscano pure*  gli uomini un uomo davvero, il quale  vive secondo natura. Se noi possono  tollerare, uccidanlo. Meglio questo  che vivere com’ essi fanno.*   1(». Non è più tempo di far parola  intorno a ciò che deve essere Tiiomo  dabbene, ma di incominciare ad esserlo.  Il pensiero del tempo universo  e della materia universa ti sia del  continuo presente, e che tutte le  cose particolari sono, rispetto a que-  sta, un granello di miglio, e rispetto  a quello, un batter d’ occhiò. Considerando ciascuno degli  obbietti che offronsi alla tua osser-  Letteralmente: un volger di trapano. vazione, fa’ di rappresentartelo come  già in atto di dissolversi e trasfor-  marsi; d’ infradiciare, per esempio,  o dileguarsi in fumo, o altro, secondo  il genere di morte a cui nacque. Vedili quando mangiano, quan-  do dormono, quando usano con fem-  mina, quando sono al cesso, o fanno  altre cose tali. Vedili poi (piando  stanno in sussiego o fan cipiglio,  quando van tronfi e pettoruti, o s'adi-  rano, rabbuffano altrui con alterigia.  E poco innanzi servivano pure come  schiavi a tante cose, e per quali  motivi ! E poco dopo ritorneranno  a quelle medesime cose.  Giova a ciascuno ciò che ar-  reca a ciascuno la natura comune.  Ed allora giova, quando essa lo arreca.   La terra ama la pioggia; e l’ama ancora 1’etere venerando. E il mondo ama far quello che è  per accadere. Dico adunque al mondo: Io amo con te. E non dicesi egli  parimenti che una tal cosa ama accadere?  0 tu vivi qua, e ci sei già avvezzo ; 0 vai fuori, e questo tu desi-  deravi ; 0 muori, ed hai finito il tuo  compito. Fuori di questi tre casi non  v’ ha altro. Adunque stattene di buona  voglia.  Abbiti sempre per certo che  quel tuo vivere in villa non è punto  diverso da questo, e che tutte son  qui le cose come in sulla cima del  monte, o sulla spiaggia del mare, o  dove che tu voglia. Perchè ti si pa-  rerà davanti a bella prima il detto  di Platone : « Egli sta nella reggia  come in una capanna sul monte,  mugnendo l’armento. Che è in questo istante la mia  parte sovrana ? e quale la fo io ? A  che Tadop ro io? Non è ella per av-   8Ìde«nd^‘°R sognando o deventura vuota di ragione? Non è ella  separata, divelta dalla comunità?  Non è ella cosi congiunta, conglu-  tinata col corpo, da doverne seguire  tutti i moti?*   25. Chi fugge dal suo signore, è  servo fuggitivo. Ma la legge * è si-  gnora: chi trasgredisce la legge, è  dunque un servo fuggitivo. E simil-  mente chi s’ attrista, o teme, o non  vorrebbe che fosse accaduta o acca-  desse 0 fosse per accadere alcuna  qualsivoglia di quelle cose che ha  ordinato il reggitore di ogni cosa,  cioè la legge distributrice di quello  che tocca a ciascheduno. Adunque  Bene rammenta qnì ìi Gataker ciò che  Platone avea già .detto nel Fedone: «Cia-  scun piacere e ciascun dolore, non altri-  menti che un chiodo confìgge l'anima al  corpo e con esso la unifica per modo che  ella, accetta per vero tutto che è affermato  dal corpo. La legge di cui qui parla Antonino è la  legge universale, quella della natura, di  Dio. chi teme, o s’ attrista, o s’ adira, è  nn servo fuggitivo.   2(ì. Chi introdusse il seme nella  matrice, se ne va ; un’ altra causa  sottentra immantinente, e lavora e  conduce a termine il feto. Qual cosa  e da quale? Ancora, egli manda giù  il cibo per la gola : e tosto un’ altra  causa sottentrando produce senso,  moto, vita, vigore, eccetera. Quante  e quali cose? Queste maraviglie, che  si compiono sotto un velo si impe-  netrabile, sianti spesso subbietto di  contemplazione, e sappi fare  concetto della potenza operatrice di  ({uelle, come facciamo della causa che  fa gravitare i corpi o li spinge in al-  to, la quale non vediamo cogli occhi,  ma non però meno certamente. Non dimenticare che tutte  queste cose, che ora si fanno, si  sono fatte prima d’ ora: e pensa* che  si faranno per l’avvenire. Pònti da-  vanti agli occhi quanti drammi o scene vedesti tu stesso, o leggesti  nelle antiche storie : come, verbi-  grazia, tutta intera la Corte di Adrian  no, tutta intera quella di Antonino,  tutta intera quella di Filippo, di  Alessandro, di Creso: perchè erano  tutte la stessa cosa che adesso, solamente erano diversi gli attori.  Fa’ ragione che colui il quale  si attrista d’ alcuna cosa, o l’ ha a  male, non è punto dissomigliante  dal porcellino percosso dal ferro del  sagrifìcatore, il quale ricalcitra e  grida. Non altro concetto hai da  farti di chi lamenta solitario sul suo  lettuccio le catene che ne stringono. E pensa come al solo animale  ragionevole è dato seguire volontario gli eventi : che in quanto al se-  guirli ad ogni modo, è forza di ne-  cessità per tutti.   1 Lettuccio è qui come chi dicesse il  canapè su cui l’uomo lavora e studia. Cosi,  bene il Casaubono. Considera segregatamente in  sè stessa ciascuna delle cose che vai  facendo, e interroga te medesimo se  la morte è un male perchè ti priverà del potere di farla. Quando per l’ altrui fallo ti  senti montare la collera, rivolgiti  tosto sopra te stesso ed esamina in  qual cosa simile a quella tu pecchi :  stimando, per esempio, che le ricchezze siano un bene, o il piacere,  o la gloria; secondo il genere del-  l’altrui peccato che ti sprona all’ira. Perchè se tu badi a ciò, presto  cesserà la tua collera. E ancora con-  sidererai che colui è forzato.* E in  vero che farebbe egli? Ovvero, se tu  il puoi, rimovi da lui ciò che lo  sforza. Cioè a dire, rimovi dalla sua mente  l’errore, il falso giudizio; perchè gli stoici  deriTavano interamente il bene morale dal  giudizio razionale, e riferivano quindi uni-  camente alla luce della ragione le risoln-    [Veggendo Satirione, immagina  di vedere Socratico o Imene : veggendo Eufrate, immagina Eutichione  0 Silvano : quando vedi Alcifrone,  immagina Tropeoforo. Qquando vedi  Senofonte, immagina Oritene o Severo; e in te stesso figurati di ve-  dere qualcheduno dei Cesari ; e così  via via. Poi ti occorra alla mente :  ora dove sono costoro? In nissun  luogo, 0 chi sa dove. Di questa maniera tu verrai avvezzandoti a consi-  derare le cose umane come un fumo  ed un nulla : massimamente se ti  rammenterai come ciò che fu mu-  tato una volta, non riprenderà mai  più quella forma in tutto il tempo  infinito. E tu in qual tempo? Che  non ti basta adunque il passare co-   zioni virtuose della volontà: secondo essi il  giudizio determina la volontà necessariamente. Intendi: se gli altri non ci ritornano  mai più, ti credi tu di averci a ritornare  tu solo? 0, stumatamente questo poco che ti è  dato ? Da qual materia d’ azione, da  quale impresa rifuggi? Tutte queste  cose che ti accadono, sono esse altro  che occasioni di esercizio alla ra-  gione, la quale abbia diligentemen-  te, e come si addice allo studioso  della natura, considerate le cose che  avvengono nella vita? Rimanti adun-  que finché tu abbia assimilato a te  medesimo ancor questo,' come il  valente stomaco assimila a sè tutti  i cibi, come lo splendido fuoco fa  fiamma e luce di tutto che tu getti  in esso. Nissuno sia veritiero il quale dica di te che non sei sempli-  ce e schietto, che non sei uomo  dabbene: ma menta chiunque fac-  cia di te un tal giudizio. E tutto  ciò sta in poter tuo. Perchè chi è   • Intendi: ciò che ora ti è dato per ma-  teria di azione f frase solenne ad Antonino. quegli che ti possa impedire che  tu non sii schietto e dabbene? Solo che tu abbia fermo nell’ animo  di non voler più vivere quando tu  non sii tale. Nè la ragione il vorrebbe. Che è ciò che in questa occa-  sione che mi è data si può fare o  dire per lo meglio? Checché egli sia,  è in mia facoltà il farlo, o il dirlo.  Non iscusarti col dire che ne sei im-  pedito. Non prima cesserai dai lamenti che non sii fatto tale, che  r operare conforme air istituzione  tua in (jualsivoglia caso non sia  per te la stessa cosa che è pel sen-  suale la voluttà. Perocché ciò ap-  punto vuoisi dall’ uomo avere in  conto di vero godimento. L’operare. In questa occasione - in qualsivoglia  caso.» Chi preferisse la frase stoica dica:  « in questa materia — in qualunque materia a te sottoposta » come disse Ornato.  A me parve troppo alieno dall’ uso, ed anche poco chiaro in italiano. conformemente alla propria natura.  E questo può egli in ogni caso. Al  cilindro in tutti i casi non è dato  potersi muovere in quella forma di  moto che gli è propria, nè all’acqua,  nè al fuoco, nè a nissuna delle cose  che sono governate o da natura inanimata, 0 da anima irrazionale : molti  sono gli impedimenti che loro si  frappongono, molte le resistenze. Ma  la mente, la ragione può seguire,  solo che il voglia, la sua propria via  vincendo tutti gli ostacoli. Questo  potere e agevolezza che ha la ragione di seguire la sua via in tutte  le direzioni, all’alto, al basso, per   10 declive, come il fuoco, la pietra, il cilindro, pònti davanti agli occhi,  e non cercare più oltre. Tutti gli  ostacoli che tu puoi incontrare non  hanno relazione se non se al corpo  che è cosa morta ; o veramente, se  non sottentra l’ opinione, e se la  mente non cede, non possono nuocere nè far male veruno. Altrimenti  chi ne patisse, dovrebbe eziandio pa-  tire deterioramento, come veggiamo  di tutte le altre produzioni sia della  natura sia dell’ arte ; le quali tutte  trovansi deteriorate ove incolga loro  alcun male ; ma, qui al contrario,  r uomo, se ho a dirlo, si fa migliore  e più degno d’ encomio, quando fa  retto uso degli accidenti, quali essi  sieno, che gli incontrano. In som-  ma ricordati che non offende il ve-  ro cittadino ciò che non offende  la città; che non offende la città  ciò che non offende la legge; e  che nissuna di tutte queste così  dette avversità offende la legge. E  se non offende la legge, non of-  fende adunque nè la città nè il citadino.  A colui che fu ben penetrato  dalle vere credenze, basta il più breve  detto, anche di quelli che sono a  tutti i più noti, a sgombrargli dall’animo la tristezza o il timore. Per  esempio. Quali sono le foglie, e tali sono  Le schiatte degli umani. Quelle il vento  A terra sparge, ed altre ne produce  La germogliante selva a primavera.   Cosi le schiatte degli umani : questa Or nasce, or quella muore. Foglie sono i tuoi figliuoli, foglie tutti  costoro che ti acclamano, e schiamazzano sì forte da far credere che  dicano il vero ; foglie questi altri che  altamente ti maledicono, o ti vilipen-  dono e lacerano in segreto. Foglie  sono ancora quelli che ricorderanno  il tuo nome dopo la tua morte. Tutte  queste cose spuntano fuori alla verde  stagione, poi fi vento le sparge a  terra, e(i altre in loro vece ne ri-  produce' la germofjliante selva. Il  durar poco è comune a tutte. Ma tu  le fuggi 0 le cerchi come se aves-  sero a durar sempre. Ancora un poco  e chiuderai gli occhi; e a quello che ti comporrà sul rogo, altri farà il  corrotto.   35. L’ occhio sano deve essere dis-  posto a vedere tutto ciò che è vi-  sibile, e non dire: io voglio vedere  solamente il verde ; perchè ciò è da  occhio ammalato. L’ orecchio sano  e r odorato debbono essere disposti  a udire tutti i suoni e a sentire tutti  gli odori. E lo stomaco sano deve  essere preparato a digerire tutti i  cibi, non altrimenti che la macina è  pronta a macinare tutto quello che  ella fu fatta per macinare. E così  pure la mente sana deve essere  pronta ad accettare tutto quello che  accade. Colui il quale dice : « sieno  salvi i figliuoli » e « tutti lodino le  mie azioni » è come 1’ occhio che  vuol vedere solamente il verde, o  come i denti che vogliono masticare  sol cose tenere.   36. Nissuno è tanto avventurato  che al suo morire non sia per avere intorno a sè chi si rallegrerà del  male che gli incontra. Savio e dab-  ben uomo sia stato ; non mancherà  all’ ultimo chi in sè stesso dirà. Respireremo una volta da questo  pedagogo. A nissuno di noi diede  noia con rampogne, è vero; ma ci  siam pure avveduti che in cuor suo  ci condannava. » Questo si dirà del-  r uom savio. E di noi, quante altre  cose possono fare a molti desiderare  che ce ne andiamo! A questo pen-  serai quando sarai per morire, e la  tua partenza ti verrà fatta più facile.  Ragionerai teco stesso: me ne vo  da questa vita, dalla quale questi  miei concittadini, pei quali ho in  essa tanti travagli sostenuto, tante  preghiere fatto, tante cure avuto,  vogliono ora essi medesimi. eh’ io me  ne vada, sperando forse che debba  seguirne loro qualche profitto. Chi  dunqu e potrebbe desiderare d’avere  a starci più lungamente? Non per questo partirai tu men benevolo  verso di quelli, ma, serbando inai-  terato il costume e 1’ indole tua,  amico loro tuttavia qual fosti, pro-  pizio e amorevole a tutti, e non  però mesto nè ripugnante. Ma co-  me veggiamo in chi muore di fa-  cile morte V anima soavemente scio-  gliersi dal corpo, cosi conviene che  si faccia la tua separazione da co-  loro. Perchè la natura ti avea pure  congiunto e complicato con essi. Ora me ne disgiunge? Ed io mi  lascio disgiungere come da amici  e carissimi congiunti, non però turbato nè ripugnante, ma tranquillo  e di mio buon grado. Perchè anche  questa è una delle cose volute dalla  natura.  A ciascuna cosa che tu vegga  fare a chicchessia, vienti avvezzando,  per quanto è possibile, a ricercare,  ragionando teco medesimo : costui  a che riferisce quello che sta facendo? E incomincia da te, esami-  nando te stesso il primo.   38. Ricordati che chi dà V impulso  e muove, per cosi dire, le fila del  fantoccino, è il celato nel di dentro.  Quello è il dicitore che persuade,  t|uello è la vita, quello è, se vogliam  dire il vero, V uomo propriamente.  Guardati dal figurartelo come una  sola cosa con esso il vaso le cui pa-  reti lo circondano, o con questi in-  gegni che songli cresciuti intorno.*  Questi somigliano alla scure ; se non  che gli sono per natura aderenti.   Si capisce facilmente che per ingegni bassi qui ad in-  tendere ordigni, cioè gli organi e le mem-  bra del corpo. Gli Inglesi e i Francesi  presero dai classici Italiani questa parola  ingegno con questo senso, e dicono quelli  engine e questi engin ; come ne presero  tante altre bellissime o utilissime dello  quali si servono quotidianamente ; e di tali  ancora che noi abbiamo interamente dimen-  ticato: e per significar poi quelle cose di  cui abbiamo dimenticato i nomi italiani, an-  diamo ad accattar vocaboli dai forestieri, E in effetto, allontanata la causa che  li muove, non è uso alcuno di essi  pili che non sia della spola, senza  la mano, al tesserandolo, nè della  penna allo scrittore, nè della frusta  al cocchiere. È proprio deir anima razionale'  il veder sè medesima; il conoscere  partitamente sè medesima ; il far sè  meilesima quale ella vuole: il cogliere essa medesima il frutto che  ella produce, laddove i frutti delle  piante e i portati degli animali sono  colti da altrui; il giugnere sempre  allo scopo che è proprio di lei, in  qualsivoglia punto arrivi il termine  della vita : perchè 1’ azione di lei, in  qualsiasi momento ne sia arrestato  il corso, non rimane imperfetta, co-   J Razionale per distinguerla da quella  dei bruti, che dagli stoici è chiamata anima semplicemente. me nelle rappresentazioni sceniche  o nel hallo, o in simili cose; ma  anzi in qualsivoglia istante, in qual-  sivoglia luogo le sopravvenga la mor-  te, ella compie nondimeno intera-  mente, e in modo soddisfacente a sè  stessa, quanto si avea proposto (28),  e può dir sempre: io ho tutto il mio.  Ancora ella va spaziando colla speculazione per tutto il mondo e il  vuoto che lo circonda, e contempla  la forma di quello, e si estende nella  infinità dei secoli, e abbraccia col  pensiero i rinascimenti periodici della  università delle cose; e contemplan-  doli si fa capace che non rimane da  vedere nulla di nuovo ai nostri po-  steri, siccome nulla di più videro i  nostri antichi ; chè anzi 1’ uomo  giunto all’età di quaranf anni, per  poco che abbia di buon discorso, ha   1 Tutto il mondo : intendi ciò che noi di-  remmo tntto il creato. Ma l'idea di crea-  zione era aliena dagli stoici. in certo modo veduto e conosciuto  tutto ciò che fu e tutto ciò che sarà  per la somiglianza che hanno le  cose fra loro. Ancora è proprio del-  r anima razionale l’ amore del pros-  simo, la veracità e la verecondia, e  il non anteporre nulla a sè mede-  sima: * il che è proprio eziandio della  legge. Onde segue che la retta ra-  gione e la ragione di giustizia sono  una sola cosa.  I canti aggradevoli e le danze  e gli esercizi ginnastici ti cadranno  Bene avverte qui il Gataker come an-che la legge cristiana ci prescrive di non  avere a nulla maggior rispetto che alla propria anima (confer. s. Matt. Evang. XVI, 26;  s. Marco Vili, 36). E san Gregorio Nazian-  zeno: c nulla, disse, è più prezioso a ciascuno  che la propria anima» riproducendo quasi  nella sua prosa il verso 301 dell’Alceste di  Euripide. [Esercizi ginnastici, letteralmente il  pancrazio. Ognuno sa che i romani per mezzo  della ginnastica voleano esercitata la forza del corpo con signiftcazione di leggiadria. E quindi i giuochi ginnastici erano pur uno  degli spettacoli più graditi ad un popolo,   in disprezzo, se tu dividi, per esempio, la cantilena melodiosa in ciascuno dei suoni di che ella si compone, e ad uno ad uno considerandoli, domandi a te stesso, è egli  questo quel che mi vince? » perchè  ne avrai vergogna. E similmente in-  torno alla danza, considerando sepa-  ratamente ciascuno dei moti, cia-  scuno degli atteggiamenti; e così  per gli esercizi ginnastici. E gene-  ralmente in tutto ciò che non è  virtù, o che non procede da virtù, i  sovvengati di ricorrere alla divisione  delle cose nelle parti loro (29), si che  divise a quel modo elle ti cadano in  dispregio. Fa’ l’ applicazione di ciò  anche alla vita intera. Quale debba essere 1’ anima   in tutto r ordine della cui vita regnava  sovranamente l'idea della bellezza. Cioè, dividi la vita umana in tante pic-  cole porzioni, per disprezzarla tutta insieme. Sottintendi ronsi'lera, o ricordati. apparecchiata a sciogliersi, ove oc-  corra, immantinente dal corpo, a spe-  gnersi o a dissiparsi, o ad entrare in  una nuova condizione di esistenza. E questa disposizione proceda da  giudizio particolare della mente, non  da sola pervicacia di volontà, come nei Cristiani; sia scevra da ogni  tragica ostentazione, non però senza  dignità, da poter anche persuadere  gli altri.*   4. Ho io fatto qualche cosa che  giovi alla società? Adunque ho gio-   * 0 ad entrare eiUtenta ; letteralmente: 0 a perdurare. Ornato traduce: o a rimanere ancora dopo morte  Non mi piacque, ma la mia versione, che  svolge il pensiero dell’ autore, ha un coloro  troppo moderno. P.   ^ I Cristiani erano ancora comunemente  mal conosciuti, e creduti settari fanatici,  nemici dell’ impero. P.   8 Cioè a dire; sia tale, non solo intimamente. ma anche pe’ suoi caratteri esteriori,  da poter persuadere altrui che essa procede  da ben ponderato giudizio,* nòn da codardia  0 vanità o da intemperata esaltazione o  concitazione di mente.  vate a me stesso.' Questo pensiero  ti occorra sempre pronto alla mente,  e ti conforti a perseverare.   5. Qual è r arte tua? L’ esser buono.  E quest’ arte come altrimenti s’acqui-  sta, se non per le buone dottrine,  le une intorno alla natura dell’uni-  verso, le altre intorno alla costituzione propria dell’ uomo?  Da prima fu istituita la tragedia  a ricordare i casi che sogliono av-  venire e come essi sieno così fatti  per natura, e ad avvertirci nel medesimo tempo essere una contrad-  dizione il pigliarne diletto quando  •li vediamo sulla scena del teatro e  dolercene poi quando accadono sopra  una scena maggiore. Voi vedete di   * Sono le parole di' Salomone, Prov. XI,  17: « Benefacit sibi ipsi vir beneficus.»  Epitteto svolgo il medesimo concetto, dis-  sert. I, 19; Seneca, epist. 48, disse: «Non  potest beate degere qui se tantum intuetur,  qui omnia ad utilitates suas couvertit: al-  teri viVas oportet, si vis tibi vivere.»  fatti essere pur forza che 1’ azione si  compia a quel modo (30), e che deb-  bono ad ogni modo soffrirlo anche  coloro che esclamano : « 0 Citerone,  ahi lasso.* w E invero alcune cose  diconsi utilmente dagli autori di tra-  gedie siccome questa:   Che se gli Iddìi   Di me nè de’ miei tigli non han cura,   Ragion pur anco a ciò li move. E quest’ altra. Contro alle cose lo adirarsi è vano. »   E ancora quest’ altra:   € Mieter la vita   Come spiga matura -»   E le altre di cotal fatta.   Dopo la tragedia fu introdotta hi   t Parole di Edipo. Vedi Sofocle, Edipo re,  vers. 1391. Ecco, secondo la traduzione del  Belletti, i tre versi che formano il periodo  intero di cui quelle parole sono il comin-  ciamonto:   Oh Citeron! perchè raccormi? o tosto  Perchè morte non darmi, ond' io giammai  L'origin mia non rivelassi al mondo! vecchia commedia, la quale, con  quella sua libertà, facesse come da  aio al popolo, e con quel suo chia-  mare le cose coi nomi loro, ne ri-  cordasse agli uomini la vanità: i  quali modi assunse poi Diogene ezian-  dio ad un fine somigliante. Dopo la  vecchia, quale sia stata la mezzana  commedia, ed ultimamente poi la  nuova, e quale scopo abbia questa,  che a poco^a poco si è ridotta ad  , essere puro artificio di imitazione,  lascio a te il considerare. Che anche  da costoro si dicano alcune cose  utili, non è da negare : ma l’ inten-  zione generale di un tal genere di  poesia e di composizioni drammati-  che, qual è ella mai?   7. Come vedi tu chiaro nissun’ al-  tra setta' essere così acconcia al    1 Setta, intendo della setta illosodca in  che Marco vivea, e non dello stato o- con-  dizione sociale. 0.   Ho qualche dubbio, e parrai che il 3iou    filosofare, come quella in che sei   ora?   8. Un ramo spiccato da un altro  ramo non può non essere separato  dalla pianta intera. Parimente un  uomo diviso da un altro uomo è sca-  duto dalla società intera degli uo-  mini. Il ramo vien divelto per mano  d’altri. L’uomo si separa egli stesso  dal suo vicino, quando egli l’ odia,  quando lo ha in dispetto; e non  s’ avvede eh’ egli si distacca ad un ,  tempo dalla intera comunità. Se non  che, per dono di Giove autore dplla  comunità, può ciascuno di noi che  siasi distaccato dal prossimo, riap-   ÙTTóOeo'.y potrebbe anche voler dire qualche  cosa che non fosse nè la condizione sociale-y  nè la setta filosofica^ ma bensi il modo e  r ordine ili vita adottato da Antonino nella  condizione sociale in cui vivea: e cosi l’in-  tesero anche il Gatakero e lo Schultz, i  quali_ tradussero vitee genus. Ma siccome  rOrriato pare che fosse ben fermo in quella  sua opinione, ho conservato la sua parola  fetta. P, piccarvisi e farsi di nuovo parte in-  tegrante del tutto. Vero è che quando ciò accade più volte, più diffìcile  diviene la riunione o il ristabili-  mento a suo luogo della parte stac-  cata. E ad ogni modo egli è diverso  il ramo che crebbe da principio in-  sieme cogli altri e sempre rimase  unito con essi, dal ramo che vi fu  innestato dopo esserne stato divelto:  checche ne dicano i giardinieri, fa  un albero solo cogli altri rami, ma  non un solo disegno. La vegetazione è una, ma la forma non  è una. Questo potrebbe dirsi di un ramo di pe-  sco, p. es,, che fosse innestato in quello di  un noce ; ma quando un ramo del uoco che  ne fosse stato spiccato fosse innestato in  un altro ramo del noce medesimo, sarebbe  una la vegetazione cd una ancora la forma.  Mi è anco sospetto quello ófJioJoyjjiaTetv  parlandosi di piante. Io propendo a credere,  coi migliori critici, questo luogo corrotto o  manchevole nel testo. Alcuni di quest' ulti-  ma frase fanno un paragrafo separato: e  remato stesso non era ben risoluto. Chiunque voglia avversarti in  cosa che tu faccia secondo la retta  ragione, siccome non avrà forza dà  distoglierti dall’ azione incominciata,  cosi ancora non ti riinova dal sen-  timento di benevolenza che devi avere  per lui : ma fa’ che tu ti serbi co-  stante nel giudicare e nell’ operar  rettamente, e ad un tempo amore-  vole verso chi cerca di impedirti o  in qualsivoglia modo ripugni a ciò  che tu fai. Perchè non sarebbe mi-  nore fiacchezza lo adirarti contro  questi tali, che il ritrarti dall’ im-  presa e dar luogo per paura; essendo  egualmente disertore chi teine e  fugge dall’ ordinanza, e chi s’ allon-  tana dal congiunto e dall’ amico suo  naturale.   IO. Non è natura alcuna la quale  sia da meno dell’ arte che ne è imi-  tatrice ; nè la più perfetta fra le na-  ture, quella che comprende in sè  tutte le nature, può essere da meno di un’ arte qualsivoglia. Ora le arti  tutte fanno le parti inen nobili di  ciascuna delle opere loro per amore  delle più nobili;' adunque anche la  natura comune. Quindi ha origine la  giustizia, e da questa procedono tutte  le altre virtù. Perchè mal potrà  conservarsi giusto colui, il quale o  non sarà indiflerente verso le cose  medie, o si lascierà facilmente in-  gannare dalle apparenze, o sarà pre-  Come, per esempio, un pittore farà ciò  che pone nel fondo di un suo quadro per  dare maggior risalto a ciò che ne è il sog-  getto principale. E (la questa procedono tutte le altre virtù.  Intendo che dallo aver la natura voluto che  si osservasse la giustizia, procedette che  essa natura istituisse le altre virtù; quelle  cioè di cui parla poco dopò ; le quali sono  necessarie alla pratica della giustizia e fu-  rono dalla natura istituite per amore di  essa giustizia, còme un artefice fa le parti  men nobili di una sua opera per amore delle  più nobili. Ricordi il lettore che appo gli  stoici posteriori parte sovrana della filosofia •  era la morale : la logica, anche per gli stoici  antichi, era subordinata alla morale.  cipitoso nel giudicare, o mal fermo  nel giudizio fatto. Non le cose, il cui desiderio  o timore ti turba, vengono alla volta  tua; ma tu in certo modo vai alla  volta loro.' Ora fa’ che il tuo giudi-  zio intorno a quelle stia cheto, e  quelle rimarransi quete del pari, e  tu non sarai veduto desiderar nulla  nè temere.  La sfera dell’anima ha la forma che è propria di lei, quando ella  nè si estende al di fuori verso checchessia, nè si ritrae al di dentro, nè  si dissipa, nè si accascia,* ma splende  di una luce per la quale ella vede  la verità che è nell’ universo e quella  che è in lei.  Un tale mi disprezza?  Tal sia  di lui. A me basta parlare e operare Inteudi che l' anima è nello stato con-  forme a natura, quando ella non ha nè de-  siderio, nè timore, nè piacere, nè dolore. in modo che nissun mio detto o fatto  meriti disprezzo. Mi odierà? Tal sia  di lui. Quanto si è a me, io mi ser-  berò mansueto e benevolo verso ognu-  no, pronto a chiarire dell’ error suo  anche colui che mi odia, non con  parole di rimprovero nè ostentando  pazienza, ma cortesemente e con sin-  cera amorevólezza, come Focione so-  lea fare (31), supposto che non s’infin-  gesse. Perchè la mansuetudine vuol  essere interna, sì che gli Dei veggano in te un uomo disposto a non  ricevere nulla con isdegno nè a ma-  lincuore. Qual malej in fatti, per te,  se tu fai ora quel che s’ addice alla  tua natura e ricevi ciòcche ora è giu-  dicato opportuno dalla natura uni-  versale, tu uomo ordinato a questo  fine che sempre si faccia il comun  bene, sia qualsivoglia lo strumento  per cui si faccia? Si disprezzano l’un l’altro, e  si vanno piaggiando l’un 1’altro. L'uno vuol essere da pii» che l’altro,  e s’ inchinano 1’uno all’ altro scawi-  bievolmente. Che fradiciume e che doppiez-  za non è il dir di taluno : a Io ho  deliberato di trattar teco schietta-  mente. » 0 uomo che fai? Non è  bisogno' di questo preambolo. Alla  prova si vedrà. Sulla fronte conviene  ti si legga immantinente ciò che tu  di’, perchè è cosa di tal natura che  tosto si manifesta negli occhi, come  nello sguardo dell’ amante ogni cosa  conosce immantinente l’ amato. L’uo-  mo schietto e buono dev’ essere come  chi sa di caprino, sì che al solo ac-  costarsegli altri il senta, voglia o  non voglia. La schiettezza simulata  è un’ arme da traditore. Non è cosa  più turpe che l’amicizia del lupo. L’ amicizia del lupo espressione proverbiale presso i romani, ed era allusione a  quella favola di Esopo, nella quale i lupi  persuadono le pecore a dar loro i cani come  ostaggi, e ad accettare alcuni giovani lupi   A tutto potere fuggi cotesto. Alfuom  dabbene, all’ uomo schietto, all’ uom  benevolo sono appariscenti negli oc-  chi tjuelle qìialità loro, e non è bisogno di parole a manifestarle. Vivere beatamente è cosa che  sta in potere dell’anima, solo ch’ella  voglia essere indifferente verso le  cose indifferenti. E questo le suc-  cederà se ella considererà ciascheduna di esse nelle sue parti e nelle  sue relazioni col tutto, non dimen-  ticando che nissuna di esse viene  alla volta nostra nè ci sforza a fare  di lei tale o tal altro concetto ; ma •  anzi elle si stanno tutte immobili  dove sono, e noi siamo quelli che  facciamo i. giudizi intorno ad esse,  e li scriviamo, per così dire, dentro  di noi, potendo non farlo; e ancora.    come gaardiatii in luogo di quelli; e divo-  rano poi le infelici che lascìaronsi gabbare  dalle belle parole e dalle belle promesse. Cioè le cose fuori di noi. quando ciò ne venga fatto inavver-  titamente e senza avvedercene, po-  tendoli cancellare immediatamente e rammentando inoltre che pocd^ha  a durare questa fatica di considerare  le cose in tal modo, e saremo poi  fuori della vita per sempre. E che  v’ha poi di tanto arduo in esse? Se  sono secondo natura, pigliane piacere, e ti diverranno facili ; se sono  contro natura, vedi tu che cosa è  secondo la tua natura, e a quello  attendi, ancora che sia senza gloria.  È sempre degno di scusa chi va in  traccia del proprio bene. Donde sia venuta ciascuna  cosa, di che elementi sia composta,  ed in che si trasformi, e qual divenga trasformata, e siccome non è  per soffrire alcun male per la trasformazione. E in primo luogo,* quale rela-   [Sottintendi: Considera] [Sottintendido considerare, o altra  zione io abbiaceli essi^ e come siam  nati gli uni per gli altri, ed io, per  altri rispetti sono nato per essere  loro guida, come l’ariete della greggia e il toro deir armento. Risali più  in alto: se gli atomi non sono, la  natura è quella che governa l’uni-  verso ; e se questo è, gli esseri meno  perfetti sono nati pei più perfetti, e  questi gli uni per gli altri. Quali essi sono a mensa, a letto,  negli altri momenti della vita. E massimamente a che sorta di azioni siano necessitati per le credenze che  essi hanno, e con quanta presun-  zione di sapere fanno essi ciò che  fanno. Che se essi fanno ciò a buon  diritto, e’ non ti bisogna avertelo a  male ; se a torto, essi il fanno indubitatamente malgrado loro, non sa-  pendo quel che si fanno. Perciocché   frase cotale ; e cosi al principio di ciascuno  degli otto capi seguenti. siccome è involontaria negli uomini  la privazione del vero, così involon-  tario è ancora il non portarsi verso  altrui secondo le norme del giusto:  il che provano collo adirarsi quando  sono chiamati ingiusti, ingrati, cu-  pidi dello altrui, o rei di qualsivo-  glia colpa verso il vicino. Che tu ancora pecchi non di  rado, e sei pur uno del numero loro;  e se da certi peccati ti astieni, hai  nondimeno la disposizione a com-  metterli, benché, sia per difetto di  audacia, sia per vanità o per altro  cotal vizio, tu noi faccia. Ancora, che tu non sai di certa  scienza che essi pecchino: perchè  molte azioni, che paiono malvage  si fanno talora a fin di bene o per  meno male: e ad ogni modo è me-  stieri sapere di molte cose a poter  sentenziare convenientemente sulle  azioni altrui.   6® Quando senti che sìa per occuparti r ira od anche solo l’ impazienza ; che la vita umana dura un mo-  mento, e poi saremo tutti sotterra. Che non sono le azioni loro  quelle che ti turbano, standosi quelle  nei loro autori, ma bensì le nostre  opinioni. Adunque togli via, sappi  rimovere da te il concetto che tu  fai di quelle, e l’ ira se ne andrà  parimente. E come rimovere quel  concetto ? Col considerare che le  azioni altrui non hanno nulla di dis-  onesto per te. Che se il male tutto  non consistesse nella sola disonestà  dell’agente, di necessità peccheresti  tu ancora, e saresti tu pure assas-  sino, e macchiato di ribalderie d’ogni  forma.  Siccome le ire, i rammarichi  intorno a siffatte cose arrecano seco  troppo più gravi danni che non siano  quelli di che ci adiriamo e ramma-  richiamo. Che r amorevolezza è sempre vittoriosa, quando sia schietta, e non  sia una affettazione o una parte che  tu reciti. E in vero che ti può egli  fare 1’ uomo il più iracondo e inso-  lente, se tu ti mostri a lui tuttavia  amorevole e se, venendo il caso, tu  lo ammonisci cortesemente e cerchi  di farlo ricredere in quel tempo me-  desimo che egli intende ad offen-  derti? — «No, figliuol mio; noi  siamo nati ad altro. A me tu non  nuoci; a te bensì, figliuol mio. E gli dimostri e fai toccar con mano  che la cosa sta COSI universalmente;  e come nè le pecchie si comportano  in quella guisa, nè alcun altro ani-  male che sia nato a vivere in co-  munanza. Le quali cose vogliono es-  ser dette senza ombra alcuna di  ironia nè di rimprovero, ma bensì  con amorevolezza, e senza amaritu-  dine alcuna nell’animo; nè ancora  come si direbbero da un maestro in  iscuola, nè per farsi ammirare dai  circostanti; ma da solo a solo, e se  v’ha altri presente, *   Di questi nove capi fa’ che tu ti  ricordi come se tu li avessi ricevuti  in dono dalle muse; e incomincia  pure una volta ad esser uomo men-  tre hai vita.* E’ ti conviene ad un  tempo guardarti dallo adulare gli  uomini non mejio che dallo adirarti  contro di essi: perchè le sono cose  egualmente antisociali e nocive.  Quando ti sentirai provocato all’ira,  ti occorra alla mente questo pen-  siero: non esser punto cosa virile  lo adirarsi ; ma anzi la pacatezza, la  mansuetudine, siccome sono cose  più umane, così sono anche più vi-  rili ; e che la costanza, il vigore, la  fortezza sono nel mansueto, non in  [Ornato collo Schultz, anzi più riso-  Intamento che lo Schultz, stimò che qui il  testo fosse manchevole.  Seneca, De ira, 111,43,  disse. Humanitatem colamns, dnm inter  homines snmus. »  chi si adira o s’impazientisce. Per-  chè più quegli si avvicina alla im-  passibilità, tanto più partecipa della  forza; laddove l’ ira, siccome il do-  lore, è propria del debole : lo adirato  e lo addolorato furono egualmente  piagati e ambidue cedettero egual-  mente.   E un decimo ricordo ancora ri-   «   cevi, se vuoi, dal Musagete: * essere  da pazzo il volere che i malvagi non  pecchino, perch’ egli è un voler l’im-  possibile. Il voler poi che essi por-  tinsi da pari loro verso tutti gli altri  e noi facciano con te, è da stolto e da tiranno. Contro quattro specie di de-  terminazioni* della parte tua prin-  cipale ti bisogna sopra tutto stare in  guardia, e tosto che una ti venga   > Conduttor delle muse, o Apollo, o se  vuoi. Ercole. Piuttosto quello che questo. Vedi il Gatakero. nsieri, moti, determinazioni, volon-   avvertita, cancellarla, ragionando teco medesimo intorno a ciascuna di  esse in questa guisa : Intorno a  quelle della prima specie : questo  pensiero non è necessario. Intorno  a quelle -della seconda : questo pen-  siero tende a sciogliere la società.  Intorno a quelle della terza : tu stai  ora per dire cose che intimamente  non credi: e il dir cose che inti-  mamente non credonsi è da essere  annoverato fra le massime assurdi-  tà. Intorno a quelle finalmente del-  la quarta specie, rampognerai te  medesimo dicendo: tu lasciasti che  fosse vinta la parte più divina di  te, e sottoposta a quella che è  men nobile e mortale, cioè a di-  re al corpo e ai grossi piaceri di  quello. Quattro cose da prevenire od allontanare. Pensieri inutili oziosi. Volontà od azioni ingiuste, dove sono  anche compresi i moti di irascibilità;  Quanto è in te di aereo e di  igneo, benché abbia naturale ten-  denza ad innalzarsi, acconciandosi  nondimeno all’ordinamento del tutto  si rimane quaggiù nel tuo corpo. E similmente le parti terree é le acquo- |  se, benché tendano naturalmente allo '  ingiù, tengonsi non pertanto solle-  vate ed erette in una forma che non  é loro naturale : tanto anche gli ele-  menti sono obbedienti alla legge  dell’ universo, e facendo forza a sé  medesimi serbano costantemente il  posto in che furono collocati, finché  da quella medesima legge sia dato  il segno dello scioglimento. Ora non  é egli singolarmente strano che sola  la parte intelligente dell’ esser tuo  non voglia obbedire e si rammarichi  del posto che le fu assegnato? e  pure nulla di violento le è coman-   3® Disaccordo della mente e delle parole;  cioè falsità voluta, o non avvertita. Moti di concupiscenza. dato, ma cose soltanto che sono se-  condo la natura di lei. Con tutto ciò  non vi si vuole acconciare, e vuole  andare a ritroso. Perchè le ingiu-  stizie, le dissolutezze, 1’ ira, la tri-  stezza, il timore, sonò tutti moti a  ritroso della natura. E ancora allor-  quando r anima non s’ acconcia di  buon grado agli avvenimenti, ella  abbandona il suo posto, essendo ella  stata instituita alla santità, alla  pietà,* non meno che alla giustizia,  poiché quelle non meno di questa  fanno parte della sociabilità : chè  anzi gli atti di giustizia succedono  piuttosto (-he non precedano a quelli  della pietà e della santità. Intendi la pietà religiosa, o la pietà  verso Dio o la natura, che è tutt’uno presso  gli stoici, e non dimenticare che il rasse-  gnarsi volentieri a tutti i casi esteriori, è  atto religioso appo gli stoici. Cioè Tnomo ha relazioni con Dio prima  che con gli nomini, e le sue relazioni con  questi hanno per fondamento le sne rela-  zioni con quello. Chi non ha sempre il medesimo proposito, il medesimo istituto  di vita, non può essere in tutta la  vita il medesimo uomo. Ma ciò non  basta se non aggiungi ancora quale  esser debba questo proposito o isti-  tuto di vita. Perchè siccome non di  tutti quelli che al volgo paiono beni  è invariabile negli uomini il giudizio,  ma di quelli soltanto che sono univer-  sali e comuni; ' così lo scopo comune  e civile dell’ umana famiglia, è quello  che l’uomo dee proporre a sè stesso.  Colui adunque il quale indirizzerà a  questo scopo comune l’esercizio di  tutte le sue facoltà, quegli farà che  tutte le sue azioni sieno fra loro  somiglianti, e per tal guisa sarà egli  costantemente il medesimo uomo. Intendi che T idea del bene privato varia  nella stessa persona, secondo che varia la  sensibilità; laddove l'idea del bene pubblico  è costante e invariabile, siccome quella che  dipende solo dalla ragione, la quale non  varia. Rammenta il topo di monta-  gna e il topo di casa, e lo spavento -  di questo e il correre precipitoso.'   Socrate chiamava befane le  credenze del volgo, spauracchi di  fanciulli. I Lacedemoni nella loro solen-  nità ponevano pei forestieri i sedili  all’ ombra, ed essi sedevano dovun-  que.   25. A Perdicca, che gii chiedea  perchè non andasse a lui, Socrate  rispondea : « per non morire di pes-  sima morte » cioè a dire, « per non  ridurmi alla condizione di non poter  ricambiare beneficii eh’ io avessi ricevuti.  Nelle lettere degli Epicurei era  una esortazione all’ aver sempre pre-  sente al pensiero alcuno di quelli  antichi che praticarono la virtù.   27. I Pitagorici prescriveano che  [Gli interpreti allegano Orazio, sat. VI,  lib. II. Ma riscontra in Esopo, fav. 301.  Ogni giorno di buon mattino si do-  vesse volgere gli sguardi al Cielo,  affinchè per la contemplazione di  quelli esseri che sempre percorrono  le medesime vie e sempre compiono  a un modo il loro ufficio, l’ uomo  avesse ad ìfver sempre vivo in sè il  pensiero dell’ordine, della purità e  della nudità.' Perchè le stelle non  hanno velo che le ricovera. Qual fu a vedere Socrate cinto di una pelliccia, allorché uscì fuori  Santippe colla veste di lui ; e le  cose che egli disse agli amici i quali  arrossivano e si ritraevano indietro,  vedendolo assettato in quel modo.*   29. Nell’arte dello scrivere nè in  quella del leggere non puoi essere  maestro se prima non fosti discepo-   Il diligentissimo ed ernditissimo Gatalcer  non seppe egli pnre trovare qual fosse il  caso particolare della vita di Socrate, e il  detto di Ini, ai quali fa qui allusione Antonino. Meno amcora lo potrai nell’arte  (Iella vita.   Sei servo, a te concesso  favellar non è. Ed il mio cor ne rise. E la virtute   Àccuseran con rigido parole. Pazzo* chi vuole aver fìchf di  verno ; pazzo ancora chi desidera  aver iigliolanza quando non è più  tempo da ciò.  Quando tu baci un tuo figliuo-  lo, esortava Epitteto, fa' che tu dica  teco medesimo : domani sarà forse  morto. Cattivi augurii, cote-  sti. Nulla è cattivo augurio di ciò  che accenna ad un effetto naturale. Agresto, uva, zibibbo, tutte   ' Nei testo è un verso iambico di auto-  re incognito a noi. È la fine del verso 413, lib. I  dell'Odissea.  Nel testo è un verso esametro che ha  qualche somiglianza con un verso di Esiodo mutazioni ; non dall’ essere al non  essere, ma dall’ essere ciò che è  all’ essere ciò che ora non è.  Assassini della volontà non ci  sono ; sentenza di Epitteto. Diceva ancora (Epitteto) do-  vensi procacciare V arte dello assen-  tire ; stare all’ erta coi moti della  volontà, affinchè tutti sieno condi-  zionali, sempre indirizzati ad un fine,  al bene universale, sempre propor-  zionati in intensità al valore intrin-  seco delle cose; astenerci in tutto  dalla appetizione, e non dare luogo  mai all’ avversione per cose che non  sieno in nostra potestà. Piccolo adunque, diceva egli,  non è il frutto della vittoria o il  danno della sconfìtta ; ma l’ esser  savio, o r esser pazzo.   39. Socrate dicea: che volete voi!   1 Vuol dire Antonino che il libero eser-  cizio della volontà non può esserci tolto da  nìssuna forza esteriore. avere anime di animali ragionevoli,   0 di irragionevoli? Di ragionevoli. Di quali ragionevoli? di sani o di  corrotti? Di sani. Perchè dunque non le cercate? Perchè già  le abbiamo. Perchè dunque batta-  gliate fra voi e siete discordi? Anche il Gataker non potè trovare da  quale opera socratica abbia tratto Antonino  questa argomentazione: ma moltissimi scritti  della scuola socratica non abbiamo più noi, i quali esistevano ai tempi di Marco nostro.  Tutte quelle cose, alle quali tu  . studi di pervenire per mille andiri-  vieni, tu puoi avere immediatamente,  se tu non vuoi male a te stesso. E  ciò sarà, se tu metti da banda il pas-  sato e lasci alla Provvidenza la cura  del futuro, e attendi solo ad usare  il presente, secondo le norme della  santità e della giustizia: della san-  tità, coir accettare volonterosamente  i casi tutti che ti intervengono, es-  sendo essi dalla natura prodotti per  te, e tu per essi; della giustìzia,  col dire liberamente e senza am-  bagi la verità e far ciò che è con-  forme alla legge e alla dignità delle    l'ose,’ non lasciandoti frastornare mai  nè da malizia altrui, nè da opinione,  nè da discorso di chi che sia, nè da  affezione veruna di quel corpicciuolo  che ti è venuto crescendo all’ intor-  no : sta a lui che è il paziente a pen-  sarci. Or dunque, prossimo o lontano  sia per essere il termine della tua  vita, se tu, deposto ogni altro pen-  siero, non attenderai che ad onorare  la parte principale e divina dell’ os-  sei’ tuo, e tuo solo timore sarà, non  già di dover cessare quando che sia  di vivere, ma di non aver per anco  incominciato a vivere secondo natu-  ra; tu sarai uomo degno del mondo  che ti ha generato, non sarai più  [Le prescrizioni della l^igge sono gene-  rali ; la dignità delle cose esteriori serve  di guida nell' applicazione della legge. Ta  altro modo si potea dire : « ciò che è confor-  me alla legge nelle circostanze particolari  in che ti’ trovi.» Ma quello è più stoica-  mente detto. Per dignità delle cose intendi il loro va-  lore ret»tivo.     straniero nella tua patria, non ti  maraviglierai più di ciò che accade  tutto dì come di cosa insolita; non  sarai più dipendente da chi nè da  che che sia. Iddio vede tutte le menti de-  nudate di questi vasi materiali e in-  volucri e sudiciumi. Quelle solo egli  attinge colla pura sua intelligenza,  le quali da lui scaturite sono deri-^  vate in essi. Se ti avvezzi a far tu  pure il medesimo, tu avrai meno di  molte distrazioni e perturbazioni.  Perchè chi non guarda all’ involucro  della carne, si lascierà egli turbare  o distrarre alla vista dell’abito, o  delle case, o della riputazione, o di  altri cosi fatti involucri e addobbi?  Di tre cose sei composto: il  corpicciuolo, il soffio vitale e la  mente. Delle quali le due prime non  sono tue se non in quanto tu hai a  prenderne cura; la terza, questa  sola è tua veramente. Laonde se tu rimovi da te, o per dir più proprio  dal tuo pensiero, tutte le cose che  altri fa e dice in presente, e le pas-  sate che tu facesti e dicesti, e le  future delle quali 1’ aspqttamento ti  turba, e quelle che riferendosi al  corpo onde sei circondato e al soffio  vitale congenito con esso, sono in  te involontarie, e quelle che il vor-  tice di fuori va agitando intorno a  te, si che pura e sciolta da ogni  esterna fatalità la potenza intellet-  tiva se ne viva libera da sè, ope-  rando il giusto, avendo caro ogni  evento qualsiasi, e dicendo il vero;  se, dico, tu rimovi da codesta parte  dell’ esser tuo tutto ciò che presen-  temente le sta come a dire appiccato  per mezzo dello appetito sensitivo,  e tutto r avvenire e tutto il passa-  to, e ti fai siccome quella di Empedocle da GIRGENTU ri tonda   Sfera che posa e in suo posar s’ appaga, e attendi solo a vivere quel tempo  che vivi, cioè il presente; ti verrà  fatto di passare tranquillamente, nobilmente e in pace col genio tuo,  quello che ti rimane ancora insino  al morire. Soventi volte mi sono maravi-  gliato che ciascuno arai sè stesso  più che non arai qualunque altro  uomo, e faccia poi minor conto dei  propri giudizi intorno a sè medesimo, che di quelli degli altri.' Per-  chè se a taluno fosse da un Dio che  gli apparisse, o da qualche savio  maestro comandato che non pen-  sasse e non volgesse nulla in mente  che tosto, appena ne fosse conscio   ' Anche i Pitagorici, benché non ne fa-  cessero nn precetto assoluto, raccomanda-  vano che ciascuno avesse massimamente rispetto a sè medesimo, cioè ai propri giudizi  intorno a sè stesso. Tra i versi dorati at-  tribuiti a Pitagora, ecco la traduzione di  quello che compendiosamente esprime la  detta raccomandazione. Più che di chiunque altro abbi vergogna di te ste.««so. »  a sè stesso, noi manifestasse; noi  sosterrebbe pure un solo giorno.  Tanto abbiamo noi maggiore rispetto  a ciò che di noi potrà pensare il vicino, che a ciò che ne pensiamo  noi stessi. Come mai avendo gli Dei propizi all’uomo ottimamente ordinato ogni cosa, questo solo lasciarono  passare inavvertito, che anco i mi-  gliori fra gli uomini, quelli i quali  entrarono, sto per dire, in più stretta  alleanza colla divinità, e per la pietà  e santità loro vissero in più intimo  commercio con essa, quando una  volta sian morti, non abbiano più  mai a rivivere, ma sieno spenti  per sempre? Se tale è veramente la  condizione di tutti gli uomini indi-  stintamente, abbi per indubitato, che  ove avesse dovuto essere altrimenti,  avrebbero gli Dei altrimenti ordinato : perchè se un ordine diverso  fosse stato giusto, sarebbe anche Stato possibile ; e se fosse stato secondo natura, la natura lo avrebbe  recato ad effetto. Ora dal non essere  le cose in questi termini, supposto  che veramente non sieno, tu hai a  trarre argomento che non dovea essere altrimenti da quello che è. Per-  chè tu vedi pure che mentre tu  vai facendo queste investigazioni, tu .  disputi del diritto con Dio; la qual  cosa non faremmo con gli Dei, se  essi non fossero ottimi e giustissimi ;  e tali essendo, non possono aver  mai tollerato nè lasciato correre  inavvertitamente nell’ ordinamento  del tutto, nulla che fosse ingiusto  0 irragionevole.  Vienti esercitando anche in ciò  a che tu credi aver poca attitudine.  La mano sinistra, la quale per difetto di esercizio è disadatta ad altri  uffici, tiene il freno più saldamente  che noi faccia la destra, perchè a  ciò fu esercitata.  In che stato debba essere l’uo-  mo, e rispetto al corpo e rispetto  all’ anima, al sopraggiungere della  morte ; ' la brevità della vita, l’abisso  del tempo passato e del tempo avvenire, la debolezza di tutta la materia. Osservare le cause denudate  della loro corteccia; il fine delle  azioni; che sia il dolore, che il pia-  cere, che la morte, che la gloria;  chi sia quegli che è cagione di tra-  vagli a sè stesso; siccome nissuno  è mai impedito da altrui; che tutto  è opinione. Nel far uso dei precetti della  filosofia, fa’ di rassomigliare piutto-  sto al pugillatore che al gladiatore ;  perchè questi, lasciata cadere la  spada, vien morto ; ma quegli ha la  destra sempre, e non gli è mestieri  d’altro che di chiudere e scagliare  il pugno. Sottintendi: contidera. Vedere quali sono le cose  in sè stesse, risolvendole nei loro  elementi, la materia, la causa, il  fine.  Che potere ha l’uomo ! di non  fare se non ciò solamente che Iddio  sia per approvare, e di accettare  tutto che Iddio sia per inviargli. Ciò che è conforme alla natura. Non ti dolere degli Dei, perchè gli Dei non peccano nè volon-  tariamente nè involontariamente;  nè degli uomini, perchè gli uomini  non peccano mai se non malgrado  loro. Di nessuno dunque ti devi doere.  Quanto è mai ridicoloso e nuo-  vo colui che si maraviglia di al-  cuna delle -cose che accadono nella  vita! In tutte le edizioni che io conosco si  incomincia con questa frase il paragrafo se-  guente; ma non si fa alt^o che guastarvi  il senso. O necessità fatale e ordine di  cose impreteribile, o‘ provvidenza  esorabile, o confusione a caso e senza  governo. Se necessità inflessibile *, a  che resisti? Se provvidenza esora-  bile ; fa’ che tu sia degno dell’ aiuto  divino. Se confusione senza governo;  pur beato che in tanta tempesta tu  hai dentro di te una mente gover-  natrice. Che se la bufera ti rapisce  seco, rapisca a sua posta il corpicciuolo e la parte animale di te e  cotali altre cose; non potrà rapir  seco la mente.  Che ? il lume della lampada,  fmch’ ella non si estingue, risplende  e non perde della sua luce; e in te,  prima che la vita si spegneranno la  verità, la giustizia, la temperanza?  Quando altri ti dà materia a  supporre che egli abbia permeato,  di’ teco stesso : come so io che ciò  sia un peccato? E se è peccato, ch’egli  non siasi già condannato da per sè? il che h come nn graffìarsi il pro-  prio volto. ' Pensa ancora che il non  volere che il dappoco erri, è un non  volere che il fico acerbo abbia lattifìcìo, che i bambini vagiscano, che  il cavallo annitrisca, ed altri simili  effetti naturali e necessari. E che  può egli fare in cotale disposizione?  Se tu sei da tanto, incomincia a curar quella.  Se non è giusto, noi fare; se  non è vero, noi dire : perchè la tua  volontà è libera.  Esaminare in ogni incontro  che è la cosa che fa impressione in  te, ed esplicarla distinguendovi la  causa, la materia, il tempo entro il  quale avrà a cessare. Seneca, De ira. Nulla maior  pccna neqnìtiie est-, quiim quod sibi displicet. Con questo paragrafo finisco Pinterpro'  taziono lasciata dalPOrnato, la quale, tran-  ne i luoghi indicati, io ho fodcljnonto .seguita  noi mio volgarizzamento dal § 42 del lib. VI,    Accorgiti finalmente che tu hai  in te stesso alcun che di più potente,  di più divino che non sia ciò da cui  si generano gli affetti e che al tutto  ti trac qua e là come per ima fu-  nicella. Che è ora la mia mente?  Non è ella timore? Sospetto ? Cupi-  dità, 0 altra cosa cotale?  Primieramente nulla si faccia  a caso, nè senza uno scopo. Poi,  nulla sia riferito ad altro fine che a  quello universale e civile di tutta l’umanità. Che in breve tu non sarai più,  nè alcuna delle cose che vedi, nè  alcuno di quelli che ora vivono. Per-  chè ogni cosa nacque per alterarsi,  mutarsi o morire, affinchè altre pos-  sano nascere secondo T ordine di  successione.    fin qni. Quanto all' interpretazione dei pa-  ragrafi che seguono, l'Ornato lasciò sola-  mente due otre note delle quali sarà parlato  al loro luogo. Che tutto è opinione, e questa  è in poter tuo. Adunque togli via,  quando ti piaccia, l’opinione, e come  navigante che appena superato il  passo di un promontorio, trovasi in  acque tranquille; così tu ti troverai  in perfetta calma e, come a dire,  entrato in un seno non agitati) da  .alcun flutto.   23. Una azione qualsivoglia, quando  cessa a suo tempo, non patisce al-  cun male per la cessazione. Ancora  r autore dell’ azione, per la medesi-  ma cessazione, non patisce alcun  male. Medesimamente il complesso,  0 vogliasi dire la serie di tutte le  azioni, che è quanto dire la vita,  quando cessa a suo tempo, non pa-  tisce alcun male per la cessazione,   , nè ancora chi cessa da questa serie  di azioni, soffre per ciò alcun male.  Il tempo proprio poi è determinato  dalla natura: talvolta dalla natura  .particolare, quando avviene nella vecchiezza, ma ad ogni modo dalla  natura dell’ universo: le cui parti  trasformandosi e rinnovandosi del  continuo, ne segue che sempre nuovo  e sempre giovane si conserva nella  sua totalità il mondo. E bello sem-  pre e tempestivo è ciò che profitta  al tutto. Adunque la cessazione della  vita non è un male all’ uomo indi-  viduo, poiché non è cosa disonesta,  come quella che non dipende dal-  r arbitrio di lui, nè ripugna al fine  universale e sociale della umanità;  ed è in sé stessa un bene, perchè è  tempestiva e profittevole al tutto e  armonizzante con esso. E similmente  è divino r uomo che è mosso nella  medesima direzione e verso i mede-  simi fini che Iddio, ed ha caro di  essere mosso verso questi fini e in  questa medesima direzione. Tutto questo periodo è nel testo gre-  co oscurissimo e diversamente inteso dai  comontatori. Chi è grecista vegga nella  Queste tre cose non dimenticare. In primo luogo, per rispetto a  ciò che tu fai, che nulla sia fatto a  caso nè altrimenti che si farebbe  dalla giustizia in persona; e per  rispetto agli avvenimenti esteriori,  sieno essi effetti del caso o della  Provvidenza, che non vuoisi mai nè  incolpare il caso, nè mormorare con-  tro la Provvidenza. In secondo luo-  go, qual sia ciascun vivente dal mo-  mento della fecondazione sino a  quello della animazione, e da quello  della animazione fino a quello in cui  cessa la vita,' e di che elementi sia    nota a questo paragrafo nell' edizione di To-  rino le ragioni della nostra interpretazione  diversa da tntte le precedenti. Bene ricorda qui Gatakero com'egli  era opinione degli stoici il feto non essere  animato fino al momento in cui ^sce dal  seno materno. Fino a quel momento essi  consideravanlo come parte del corpo della  iinadre, come un ramo vegetante sul tronco  dell'albero a cui appartiene. Abbiamo ve-  duto (vedi la nota (26) in fine del volnme)  composto e in quali sia per risol-  versi. In terzo luogo, che se tu levato in altissima parte vedessi di là  tutte le cose umane e la grande  varietà loro, e vedessi ad un’ ora  quanta sia la moltitudine degli es-  seri aerei ed eterei che popolano  gli spazi all’ intorno; per quante  volte che tu venissi cosi levato in  alto, vedresti pur sempre le medesime cose, la somiglianza ^ che  sempre hanno fra loro e la breve  durata di tutte. Di cotali cose insu-  perbisci?   25. Espelli da te T opinione, e sei  salvo. Chi dunque ti impedisce que-  sta espulsione ?   26. Quando stai di mala voglia per  cagione di qualsisia cosa o persona,  tu dimentichi che tutto succede se-    come gli stoici fossero ignoranti di anato-  mia: lo erano ancora più di fisiologia. Intendi le succedenti rispetto allo antecedenti. condo la natura dell’ imiverso ; che  l’altrui colpa è male altrui; e inol-  tre che le cose che avvengono sono  sempre. avvenute e sempre avver-  ranno, e avvengono ora in ogni luogo al modo stesso; e ancora tu di-  mentichi quanto intima sia la pa-  rentela che ha ciascun uomo con  tutta la famiglia umana : perocché  non di sangue o di seme, ma è co-^  munanza di mente. Tu dimentichi  ancora che la mente di ciascun uomo  è divina e da Dio scaturita; che nulla  è proprio di nissuno, ma e il figlio-  lino, e il corpicciuolo e Tanimuccia  stessa, tutto venne da quello. Tu di-  mentichi finalmente che tutto è opi-  nione ; che ciascuno vive solo il mo-  mento presente, e perde solo il  momento presente.   27. Recati spesso al pensiero co-  loro i quali di alcun che fieramente  adiraronsi, coloro che per grandis-  simi onori, o sventure, o inimicizie, o altre fortune quali si fossero, di-  vennero illustri ; poi- chiedi a te  stesso; ora dove sono? Fumo, ce-  nere, languido romore di” fama, o  neppur questo. Poi ti occorrano alla  mente tutti questi cotali ; Fabio Ca-  tullinOjin villa, Lucio Lupo negli  .orti, Stertinio a Baia, Tiberio nel-  r isola di Capri, Rufo a Velia, e, per  dire in somma, tutte queste diverse  inclinazioni verso checchessia gene-  rate dall’ opinione; e quanto sieno  di poco pregio in sè medesime tutte  queste cose che con tanto studio si  ricercano; e quanto sia più da filo-  sofo il saper far buon uso delle cir-  costanze qualunque esse sieno, o per  dir più proprio, della materia quale ci è data, serbandoci sempre giusti,  temperanti e con semplicità obbedienti a Dio. Perchè 1’orgoglio dell’umiltà è di tutti il più abbomi-  nevple. A colóro che ti chiedono dove tu iibbia veduto gli Dei e donde  avuto certa otizia dell’ esser loro,  perchè tu abbia a venerarli -/rispondi  primieramente. Anche alla vista  sono percettibili. E poi. Nè ancora la mia mente veggo io, e nondimeno io l’ho in onore: e così da  quelli effetti che mi rivelano la loro  potenza argomentando che essi sono,  venero io gli Dei. »   29. Salvezza di tutta la vita è il  vedere ciascuna cosa quale sia in sè  stessa, quale la materia di essa, quale  la ' causa ; e attendere con tutta  r anima a operare il giusto e a dire  il vero. Poi, che ti rimane a faie, se  non se godere della vita, facendo  senza ristare che un bene succeda Opportunamente avverto qui il Gatakero  come Antonino potesse, stoicamente, dire  benissimo, gli Dei essere visibili anche al-  r occhio, poiché il mondo primieramente  era per essi il Dio supremo; e poi fra gli  Dei generati essi veneravano il sole, gli  astri, gli elementi eo.  immediatamente ad un altro, non  lasciando fra due neppure un menomo intervallo? Una è la luco del sole, ancora  che divisa all’ infinito da pareti, da  •monti, da altri obbietti innumerevoli.  Una è la materia comune, ancora  che divisa in una moltitudine innu-  merevole di corpi, ciascuno dei quali  ha le proprie qualità. Una è la vita,  ancora che distribuita in una molti-  tudine innumerevole di nature particolari. Una è r anima intelligente, '  ancora che sembri divisa in tante  unità. Ora tutte le altre cose sopra-  scritte, esseri organici viventi ed es-  seri privi di vita; non hanno comunanza. [Intendi: Quando tu sia ben risolato di  non attendere ad altro chò ad operare il  giusto e a dire il vero, non avrai più briga  alcuna, e non avrai che a godere della vita;  il qual godimento consiste appunto nel dire  il vero e praticare la giustizia; e il godi-  mento .sarà continuo, se tu non cessi un  momento dalle azioni virtuose che sono il  vero bene. nanzà fra loro nè corrispondenza  alcuna di sensibilità, sebbene anche  ad esse il respirare e il gravitare  verso un centro sia a tutte comune.’  Ma alla mente è proprio il tendere  verso ciò che le è congenere, e con •  esso ella si unisce, nè può essere  esclusa da lei questa corrispondenza  di affetti e di sensi. Che brami? Campare? Non  questo. Che dunque? Aver sensazioni, moto, incremento, appetiti? Far uso della facoltà della parola, di quella del raziocinio? E che  di tutto ciò ti sembra degno da desiderare ? Se ciascuna di queste cose  ti sembra dunque in sè poco prege-  vole, volgiti à quella che sola rima-  ne, al seguire la ragione e Dio. Ma  a questo culto ripugna eh’ e’ ti gravi   * Il testo in questo luogo è certamente  corrotto. Chi ' vuol vedere come sia stato  emendato e quindi interpretato dair Ornato  in una lunga sua nota, ricorra all' Adizione  di Torino] il dover essere per la morte escluso dalle cose dette dianzi. Qual particella del tempo infinito fu assegnata a ciascuno? Tosto  perderassi nell’eternità. Qual particella di tutfii la materia? Qual particella di tutta l’anima? Sopra qual  particella di tutta la .terra ti vai  strascicando? Questi pensieri ti ricordino che non hai a fare gran  caso di nulla, fuori l’operare se-  condo che la natura ti guida, e tol-  lerare tuttociò che la natura comune  ti arreca.   33. Che uso fa di sè stessa la  mente? Questo è il tutto per te.  Tutto il rimanente, sia o non sia  sottoposto alla tua volontà, è per te  cadavere e fumo.   34. A farti disprezzare la morte  gioverà il pensare come anche coloro che ebbero il piacere per un  bene e il dolore per un male, non  di meno la disprezzarono. A colui al quale ciò solo che  è tempestivo è un bene, poco importandogli il maggiore o minor  numero di azioni virtuose che saràgli concesso di compiere, a colui, dico, la morte non ha nulla di  pauroso. L’ uomo, facesti le tue parti di  cittadino in questa grande città. Che  rileva a te se per cinque o solo tre anni ? Ciò che è secondo la legge, è  giusto ed equo per tutti. Come puoi  dunque rammaricarti se sei rimandato, non da un tiranno, non da un  giudice iniquo, ma dalla natura che ti avea introdotto, non altrimenti che un attore è rimandato dalla scena  dal direttore della commedia che ve  lo avea chiamato? Ma io non ho  recitato i cinque atti. Bene dicesti. Ma nella vita anche tre atti bastano a compiere il dramma. Perciocché chi ne determina il fine, è  quel medesimo che allora fu autore  della plasmazione, cd ora ò della  dissoluzione. Tu non fosti autore nè dell’ una nè dell’altra. Vattene dunque in pace e contento, chè quegli  ancóra che ti accommiata è contento e propizio. Aurelio. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, "Grice, Marc'Aurelio e Frontino,” per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.

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