Antonino
(Roma).
Filosofo. – marc’aurelio: antonino -- Grice: “Some call him Aurelio, but I call
him Antonino, since the first time his thing was published in Latin, his thing
was under ‘M. Antonini,’ no clue about the Aurelius!” -- Grice: “I once
suggested to Strawson that he should write a dissertation on a comparison of
Barberini’s and Xylander’s translation of Marcus Aurelius; you see, he was a
Roman who philosophised in Greek; and he was translated to Latin only in the
1550s; and into Italian a century later! Sir Peter responded: “I guess you want
me to detect all the misimplicata!’ ‘Misimpiegato,’ I replied!” -- - «Solo il presente ci è tolto, dato che solo questo
abbiamo.» (Marco Aurelio, Pensieri, II, 14) Marco Aurelio Antonino
Augusto (in latino: Marcus Aurelius Antoninus Augustus; nelle epigrafi:
IMP·CAES·M·AVREL·ANTONINVS·AVG[22]. Meglio conosciuto semplicemente come Marco
Aurelio, è stato un imperatore, filosofo e scrittore romano. Su indicazione
dell'imperatore Adriano, fu adottato nel 138 dal futuro suocero e zio acquisito
Antonino Pio che lo nominò erede al trono imperiale. Nato come Marco
Annio Catilio Severo[24][25] (Marcus Annius Catilius Severus), divenne Marco
Annio Vero (Marcus Annius Verus), che era il nome di suo padre, al momento del
matrimonio con la propria cugina Faustina, figlia di Antonino, e assunse quindi
il nome di Marco Aurelio Cesare, figlio dell'Augusto (Marcus Aurelius Caesar
Augusti filius) durante l'impero di Antonino stesso.[26] Marco Aurelio fu
imperatore dal 161 sino alla sua morte, avvenuta per malattia nel 180 a Sirmio
secondo il contemporaneo Tertulliano[20] o presso Vindobona. Mantenne la
coreggenza dell'impero assieme a Lucio Vero, suo fratello adottivo nonché suo
genero, anch'egli adottato da Antonino Pio. Dal 177, morto Lucio Vero, associò
al trono suo figlio Commodo.[27] È considerato dalla storiografia tradizionale
come un sovrano illuminato, il quinto dei cosiddetti "buoni imperatori"
menzionati da Edward Gibbon. Il suo regno fu tuttavia funestato da conflitti
bellici (guerre partiche e marcomanniche), da carestie e pestilenze. Marco
Aurelio è ricordato anche come importante filosofo stoico, autore dei Colloqui
con sé stesso (Τὰ εἰς ἑαυτόν nell'originale in greco). Alcuni imperatori
successivi utilizzarono il nome "Marco Aurelio" per accreditare un
inesistente legame familiare con lui. Busto dell'imperatore Marco Aurelio
(Musei Capitolini, Roma). Nome originaleImperator Caesar Marcus Aurelius
Antoninus Augustus Tribunicia potestas9 anni (da solo), 6 con Lucio Vero, 4 con
Commodo e 15 con Antonino Pio per un totale di 34 volte: la prima volta (I) dal
1º dicembre del 147, rinnovata annualmente al 10 dicembre di ogni anno[1]
Cognomina ex virtute Armeniacus nel 164, Medicus e Parthicus Maximus, Germanicus,
Sarmaticus. TitoliPater Patriae dal 166 Salutatio imperatoria10 volte:[1] I (al
momento della assunzione del potere imperiale) nel 161, (II) nel 163,[11] (III)
165,[12] (IV) 166, (V) 167,[13] (VI) 171,[14] (VII) 174,[15] (VIII) 175,[16]
(IX) 177[17] e (X) 179.[1] Nascita26 aprile 121[18] Roma Morte17 marzo 180
Sirmio o Vindobona (attuale Vienna) PredecessoreAntonino Pio SuccessoreCommodo
ConiugeFaustina minore FigliDomizia Faustina Aurelia Tito Aurelio Antonino Tito
Elio Aurelio Lucilla Annia Aurelia Galeria Faustina Tito Elio Antonino Fadilla
Annia Cornificia Faustina minore Commodo Tito Aurelio Fulvio Antonino Marco
Annio Vero Cesare Vibia Aurelia Sabina Adriano Un altro figlio di cui non si
conosce il nome nato dopo Tito Elio Antonino GensAnnia DinastiaAntonini
PadreMarco Annio Vero adottivo: Antonino Pio MadreDomizia Lucilla Consolato3
volte: nel 140, 145 e 161. Le principali fonti per la vita e il ruolo di Marco
Aurelio sono frammentarie e spesso inaffidabili. Il gruppo più importante è
rappresentato dalle biografie contenute nella Historia Augusta, composte in
epoca successiva al IV secolo.[34] Le biografie derivate principalmente da
fonti ormai perdute (come Mario Massimo), ma anche da Eutropio e Aurelio
Vittore, ovvero quelle di Marco Aurelio, Adriano, Antonino Pio e Lucio Vero,
sono ritenute accurate e affidabili.[34] Di Frontone, maestro di retorica di
Marco e di vari funzionari di Antonino Pio, si conservano una serie di
manoscritti irregolari, che coprono il periodo che va dal 138 al 166. Nei
Colloqui con sé stesso Marco offre una finestra sulla sua vita interiore, ma
gran parte dei libri risultano senza riferimenti cronologici e con pochi
accenni al mondo esterno.[35] La più attendibile fra le fonti del periodo
è Cassio Dione, Egli scrisse una storia di Roma dalla sua fondazione al 229,
chiamata Historia romana.[36] Altre fonti letterarie e giuridiche, come gli
scritti del medico Galeno, le orazioni di Elio Aristide e le costituzioni
imperiali dello stesso Marco Aurelio forniscono ulteriori informazioni sul
contesto storico e sociale in cui visse l'imperatore. Epigrafi e monete possono
integrarle, così come i numerosi reperti archeologici. La sua famiglia e di
origine romana, ma stabilita da tempo a Ucubi (Colonia Claritas Iulia Ucubi), una
piccola cittadina. Essa salì alla ribalta alla fine del I secolo, quando il suo
bisnonno, Marco Annio Vero, fu senatore e forse pretore. Il nonno, anch'egli di
nome Marco Annio Vero, fu elevato al rango di patrizio. Il terzo Marco Annio
Vero, cioè suo padre, sposa Domizia Lucilla. Lucilla maggiore, la di lei nonna
materna, eredita una grande fortuna, tra cui una fabbrica di mattoni (figlina)
a Roma, attività alquanto redditizia in un'epoca in cui la città era
interessata da una notevole espansione edilizia. La famiglia della madre e di
rango consolare, mentre quella del padre vanta addirittura una discendenza da
Numa Pompilio. Busto di Marco Aurelio giovane uomo, Museo Archeologico
Nazionale di Napoli, collezione Farnese. Il busto (fino al collo) è un rifacimento
moderno. Nacque da Vero e Lucilla il sesto giorno prima delle calende di
maggio, l'anno del secondo consolato di suo nonno Marco Annio Vero,
corrispondente all'anno 874 dalla fondazione di Roma. La sorella, Annia
Cornificia Faustina, nacque probabilmente nel 122 o nel 123. Il padre Annio
Vero muore giovane, durante la sua pretura, quando Marco ha solo tre anni.
Anche se difficilmente può averlo conosciuto, scrisse nelle sue Meditazioni che
ha imparato modestia e virilità dal ricordo di suo padre e dalla sua
reputazione postuma. Lucilla non si risposa più. La madre di Marco, come da
usanza della nobilitas, trascorse poco tempo col figlio, affidandolo alle cure delle
domestiche. Ciononostante, Marco accredita a sua madre l'insegnamento della
pietà religiosa, la semplicità nella dieta e come evitare le vie dei ricchi. Nelle
sue lettere Marco fa frequente e affettuoso riferimento alla madre,
manifestandole la sua gratitudine, nonostante mia madre fosse condannata a
morire giovane, trascorse i suoi ultimi anni di vita con me. Dopo la morte del padre,
anda a stare dal nonno paterno Marco Annio Vero. Ma anche Lucio Catilio Severo,
descritto come il bisnonno materno di Marco (probabilmente il patrigno o padre
adottivo di Lucilla maggiore), partecipa alla sua istruzione. Crebbe nella casa
dei suoi genitori, sul Celio, dove era nato, in un quartiere che avrebbe
affettuosamente ricordato come il mio Celio. E una zona esclusiva, con pochi
edifici pubblici e molte domus nobiliari fra cui il palazzo del nonno,
adiacente al Laterano, dove Marco avrebbe trascorso gran parte della sua
infanzia. Marco era riconoscente al nonno per avergli insegnato a tener lontano
il brutto carattere, ma era anche grato agli eventi che gli evitarono di vivere
nella stessa casa con la concubina presa dal nonno dopo la morte della moglie,
Rupilia Faustina. Evidentemente questa donna o qualcuno del suo seguito potevano
costituire una tentazione per Marco. La sua istruzione avvenne in casa, in
linea con le tendenze aristocratiche del tempo. Uno dei suoi maestri, Diogneto,
si dimostrò particolarmente influente, introducendo Marco a una visione
filosofica della vita e insegnandogli l'uso della ragione. Per volere di
Diogneto, prese a praticare le abitudini proprie dei filosofi e a utilizzarne
l'abbigliamento, come il ruvido mantello greco. Altri tutores, Trosio Apro, Tuticio
Proculo edAlessandro di Cotieno, descritto come un importante letterato (il
principale studioso omerico del suo tempo), continuarono a occuparsi della sua
istruzione. Deve ad Alessandro la sua formazione nello stile letterario,
rilevabile in molti passi dei Colloqui con sé stesso. Adriano, convalescente
nella sua villa di Tivoli dopo aver rischiato di morire per un'emorragia,
scelse Lucio Ceionio Commodo (conosciuto poi come Lucio Elio Cesare) come suo
successore, adottandolo contro la volontà delle persone a lui vicine. Lucio
però si ammalò e morì, costringendo il princeps Adriano a indicare un nuovo
successore, quando la scelta cadde su Aurelio Antonino, il genero di Marco
Annio Vero che il giorno successivo, dopo essere stato attentamente esaminato,
fu accettato dal Senato e adottato col nome di Tito Elio Cesare Antonino. A sua
volta, come da disposizioni dello stesso princeps, Antonino adotta Marco,
allora diciassettenne, e il giovane Lucio Commodo, figlio dello scomparso Lucio
Elio Vero. Da questo momento Marco muta il suo nome in Marco Elio Aurelio Vero
e Lucio in Lucio Elio Aurelio Commodo. Rimase sconcertato quando seppe che
Adriano lo aveva adottato come nipote. Solo con riluttanza passò dalla casa di
sua madre sul Celio a quella privata di Adriano, che si ritiene non fosse
ancora la casa di Tiberio, come veniva chiamata la residenza imperiale sul
Palatino). Adriano chiese in Senato che Marco fosse esentato dalla legge che
richiedeva il venticinquesimo anno compiuto per il candidato alla carica di
questore. Il Senato acconsentì e Marco divenne prima questore, ricevette quindi
l'imperium proconsulare maius nel 139-140[62] e il consolato nel 140, a soli
diciotto anni.[63] L'adozione facilitò il percorso della sua ascesa sociale:
egli sarebbe verosimilmente divenuto prima triumvir monetalis (responsabile
delle emissioni monetali imperiali) e in seguito tribunus militum in una
legione. Marco probabilmente avrebbe preferito viaggiare e approfondire gli
studi. Il suo biografo attesta che il suo carattere rimase inalterato: mostrava
ancora lo stesso rispetto per i rapporti come aveva quando era un cittadino
comune ed era così parsimonioso e attento dei suoi beni come lo era stato
quando viveva in una abitazione privata.[64] La salute di Adriano
peggiorò al punto da fargli desiderare la morte, tentando anche il suicidio,
impeditogli dal successore Antonino.[66] L'imperatore, gravemente malato,
lasciò Roma per la sua residenza estiva, una villa a Baiae, località balneare
sulla costa campana, ove morì infine di edema polmonare il 10 luglio del 138.
La successione di Antonino era ormai stabilita e non presentava appigli per
eventuali colpi di mano. Per il suo comportamento, rispettoso dell'ordine
senatorio e delle nuove regole, Antonino fu insignito dell'appellativo
"Pio".[25][67] Governo con Antonino Pio (139-161)
L'adozione (Monumento dei Parti, oggi presso il Museo di Efeso di Vienna):
Antonino Pio (al centro) con Lucio Vero di sette anni (a destra) e Marco
Aurelio di diciassette anni (a sinistra, alle spalle). All'estrema destra,
sembra esserci Adriano. Magnifying glass icon mgx2.svgEtà antonina. Subito dopo
la morte di Adriano, Antonino pregò la moglie Faustina di accertarsi se Marco
fosse disposto a modificare i suoi precedenti accordi matrimoniali. Marco
acconsentì a sciogliere la promessa fatta a Ceionia Fabia e a fidanzarsi con
Faustina minore, la loro giovane e bella figlia, inizialmente promessa a
Lucio.[68] Marco ricoprì il suo primo consolato nel 140, con Antonino come
collega. In qualità di erede designato, fu quindi nominato princeps iuventutis,
il comandante dell'ordine equestre. Assunse il titolo di Cesare,[69] divenendo
Marco Elio Aurelio Vero Cesare, ma in seguito si schermì dal prendere troppo
sul serio l'incarico.[70] Su invito del Senato, Marco venne inserito
contemporaneamente nei principali collegi sacerdotali, tra i quali figuravano i
pontifices, gli augures, i quindecemviri sacris faciundis e i septemviri
epulones. Antonino gli chiese di prendere la residenza nella Domus Tiberiana,
uno dei palazzi imperiali sul Palatino. Marco avrebbe avuto difficoltà a
conciliare la vita di corte con le sue aspirazioni filosofiche, anche se ammirò
sempre e profondamente Antonino come un uomo giusto, esempio di condotta
integerrima.[72] Marco si convinse che la vita serena a corte doveva essere un
obiettivo raggiungibile, dove la vita è possibile, allora è possibile vivere
una vita giusta, la vita è possibile in un palazzo, per cui è possibile vivere
la vita proprio in un palazzo[73][74] affermò, trovandolo comunque di difficile
attuazione. Nei Colloqui con sé stesso Marco sembrava criticarsi per aver
abusato della vita di corte di fronte alla società.[74][75] Come
questore, Marco sembra abbia ricoperto un ruolo amministrativo secondario: i
compiti erano la lettura delle lettere imperiali al Senato, quando Antonino era
assente, e più in generale quello di essere una sorta di segretario privato del
princeps. I suoi compiti come console furono invece più significativi,
presiedendo le riunioni che avevano un ruolo importante nelle funzioni
amministrative del corpo statale. Si sentiva assorbito dal lavoro d'ufficio e
se ne lamentò con il suo tutore Frontone: Sono senza fiato a causa di dover
dettare quasi trenta lettere. Egli era stato, nelle parole del suo biografo,
preparato per governare lo Stato. Il 1º gennaio 145, Marco venne nominato
console per la seconda volta, a soli ventiquattro anni.[77] Una lettera di
Frontone esortava Marco a dormire molto in modo che potrai entrare in Senato
con un buon colorito e leggere il discorso con una voce forte. Marco si era
lamentato di una malattia in una lettera precedente: Per quanto riguarda la mia
forza essa è migliorata, sto cominciando a guarire e non vi è alcuna traccia di
dolore nel mio petto, ma riguardo l'ulcera [...] sto facendo un trattamento e
faccio attenzione a non fare nulla che interferisca con esso. Marco era di
salute cagionevole: lo storico romano Cassio Dione, scrivendo dei suoi ultimi
anni, lo elogiò per essersi comportato a dovere, nonostante le numerose
malattie.[79] Matrimonio con Faustina Busto di Faustina Minore,
Louvre, Parigi. Nell'aprile del 145 Marco sposò la quattordicenne Faustina,
come era stato programmato sin dal 138. Secondo il diritto romano, per far sì
che il matrimonio potesse aver luogo, fu necessario che Antonino liberasse
ufficialmente uno dei due figli dalla sua autorità paterna; in caso contrario
Marco, in quanto figlio adottivo di Antonino, avrebbe sposato sua sorella. Poco
si sa della cerimonia stessa. Vennero coniate delle monete con le immagini
degli sposi e di Antonino, che avrebbe officiato la cerimonia come pontifex
maximus. Nelle lettere rimanenti Marco non fa esplicito riferimento al
matrimonio, durato trentun anni, e accenna solo raramente a Faustina.[81]
Formazione oratoria e filosofica (136-147) Magnifying glass icon
mgx2.svgPensiero di Marco Aurelio § Formazione filosofica e rapporto con i
maestri. Dopo aver indossato la toga virilis nel 136 iniziò probabilmente la
sua formazione oratoria. Aveva tre maestri di greco, tra cui Erode Attico, e
uno di latino, Marco Cornelio Frontone, che Marco ricorda spesso come suo
maestro di stile e di vita nei Colloqui con sé stesso. Frontone e Attico erano
gli oratori più stimati dell'epoca, ma divennero suoi precettori solo dopo la
sua adozione da parte di Antonino, nel 138. La preponderanza dei tutores greci
indica l'importanza di quella lingua per l'aristocrazia di Roma. Questa era
l'età della seconda sofistica, una rinascita della letteratura greca. Sebbene
istruito a Roma, Marco userà il greco per scrivere i suoi pensieri più profondi
nei Colloqui con sé stesso. Erode era un uomo molto ricco e discusso, forse il
più ricco d'Oriente e mal sopportava gli stoici, ma era un abile oratore e
sofista; Marco, che sarebbe diventato proprio uno stoico, non lo ricorda
affatto nei suoi Colloqui, nonostante si fossero incontrati molte volte nel
corso dei decenni successivi. Quinto Giunio Rustico in un disegno riportato nel
Crabbes Historical Dictionary, edizione 1825. Busto di Erode Attico in
marmo, risalente al II secolo d.C. e conservato al Museo del Louvre di Parigi.
Frontone godeva di grande reputazione: nel mondo consapevolmente antiquato
della letteratura latina era considerato, come oratore, secondo solo a
Cicerone, una fama che oggi, in base ai pochi frammenti rimasti, può lasciare
meravigliati.[85] Non correva una gran simpatia fra Frontone ed Erode; eppure i
due seppero in ultimo far scorrere una vena di reciproca cortesia e gentilezza,
grazie anche a Marco.[86] Frontone non divenne insegnante a tempo pieno
di Marco e continuò la sua carriera di avvocato. Una causa famosa lo portò in
contrasto con Erode, che era il principale accusatore di Tiberio Claudio
Demostrato, un notabile ateniese difeso proprio da Frontone. L'esito del
processo è ignoto, ma Marco riuscì a far riconciliare i due. All'età di
venticinque anni Marco cominciò a disamorarsi degli studi in giurisprudenza,
mostrando segnali di un diffuso malessere. Era stanco dei suoi esercizi e di
prendere posizione in dibattiti immaginari.[88] In ogni caso, l'istruzione
formale di Marco era ormai finita. Aveva mantenuto con i suoi insegnanti buoni
rapporti e continuava a seguirli con devozione, anche se la lunga istruzione
ebbe negative influenze sulla sua salute.[89] Quando Marco era giovane Frontone
lo aveva messo in guardia contro lo studio della filosofia, disapprovando come
una deviazione giovanile le sue lezioni con Apollonio di Calcide.[90] Pur se
Apollonio potrebbe aver introdotto Marco alla filosofia stoica, sarebbe stato
Quinto Giunio Rustico, il vero successore di Seneca, ad aver esercitato la
maggior influenza sul ragazzo. Marco s'ispirò anche ad Epitteto di Ierapoli, le
cui letture fu proprio Rustico a suggerire.[91] Nascite e morti nella
famiglia. Il 30 novembre 147 Faustina diede alla luce una bambina di nome
Domizia Faustina Aurelia. Era solo la prima di almeno quattordici figli (tra
cui due coppie di gemelli) che Faustina avrebbe partorito nei successivi
ventitré anni.[92] Il giorno successivo, 1º dicembre, Antonino Pio attribuì a
Marco il potere tribunizio, mentre l'imperium, cioè l'autorità sugli eserciti e
sulle province imperiali, potrebbe essergli già stato conferito. Il potere
tribunizio conferiva a Marco il diritto di proporre un provvedimento con
prelazione sul Senato e sullo stesso Antonino. Questi poteri gli furono
rinnovati, insieme ad Antonino, il 10 dicembre.[1][93] La prima menzione
di Domizia nelle lettere di Marco ne rivela la salute malferma.[94] Lui e
Faustina furono molto occupati nella cura della bambina, che sarebbe morta poi
nel 151.[92][95][96] Nel 149 nacquero a Faustina due gemelli, celebrati
da una moneta con cornucopie incrociate sotto i busti dei due bambini e la
scritta "felicità dei tempi" (temporum felicitas). Essi però non
sopravvissero a lungo. Tito Aurelio Antonino e T. Elio Aurelio, questi i nomi
ricavati dagli epitaffi, morirono molto presto (entro la fine del 149) e furono
sepolti nel mausoleo di Adriano.[92][96] Lo stesso Marco scrisse: Uno prega:
«che io non debba perdere mio figlio!»; ma tu devi pregare: «che io non tema di
perderlo!»[97] Marco Aurelio: aureo FAUSTINA MINOR RIC III
682-808351FAVSTINA AVGVSTA, busto con drappeggioFECVNDITA-TI AVGVSTAE, la
Fecunditas (fertilità) seduta, con un bambino sulle ginocchia e altri due in
piedi AV (7,37 g); 161 circa Il 7 marzo del 150 nacque una bambina, Annia
Aurelia Galeria Lucilla, cui seguì Annia Aurelia Galeria Faustina, che sembra
sia nata non più tardi del 153 (un altro figlio, Tito Elio Antonino, viene
citato dalle fonti nel 152). Una moneta celebra la fertilità dell'Augusta
(FECVNDITAS), raffigurando due bambine e un bambino (Lucilla, Faustina e
Antonino, appunto).[98] Il maschio non sopravvisse a lungo, considerando che
sulle monete del 156 erano raffigurate solo le due femmine. Egli potrebbe
essere morto nel 152, lo stesso anno in cui mancò la sorella di Marco,
Cornificia.[92][96] Un settimo figlio nacque e morì poco dopo tra la fine
del 157 e gli inizi del 158, come risulta da una lettera di Marco, datata 28
marzo del 158. Nel 159 e 160 Faustina diede alla luce altre due figlie: Fadilla
e Cornificia, che portavano i nomi delle defunte sorelle di Faustina e di
Marco.[99] Altri figli nacquero in seguito, oltre a Commodo e al gemello di
questi, Fulvio Antonino. Si trattava di Marco Annio Vero Cesare, Vibia Aurelia
Sabina e Adriano, che morì anche lui giovanissimo.[92][100] Ultimi anni
di Antonino (152-161) Nel 152 Lucio divenne questore all'età di ventitré anni,
due anni prima dell'età legale (Marco aveva ricoperto lo stesso incarico a soli
diciassette anni).[63] Nel 154 ottenne il consolato all'età di venticinque,
sette anni prima dell'età legale. Lucio non aveva altri titoli onorifici,
tranne quello di figlio dell'Augusto. Aveva una personalità molto diversa da
Marco: amava l'attività sportiva di ogni genere, in particolare la caccia e la
lotta, e aveva evidente piacere ad assistere ai giochi circensi e alle lotte
dei gladiatori. Non si sposò fino al 164. Antonino Pio non condivideva i suoi
stessi interessi: desiderava mantenere Lucio in famiglia, ma non era sicuro di
potergli dare gloria e potere.[101] Come si nota dalle statue di questo
periodo, Marco cominciò a portare la barba (oltre ai tipici capelli arricciati
dell'età antonina), proseguendo la moda iniziata da Adriano,[102] seguita da
Antonino e che durò a lungo, sostituendo il tradizionale aspetto dell'uomo
romano, completamente sbarbato.[103] Nel 156 Antonino Pio compì settanta
anni. Godeva ancora di un discreto stato di salute, seppure avesse difficoltà a
stare eretto senza utilizzare dei sostegni. Il ruolo di Marco andò via via
crescendo, in particolare quando il prefetto del pretorio Gavio Massimo, che
per quasi vent'anni era risultato di fondamentale importanza con i suoi
consigli su come governare, morì tra il 156 e il 157. Il suo successore, Gavio
Tattio Massimo, sembra non avesse lo stesso peso politico presso il princeps e
poi non durò a lungo.[104] Nel 161 Marco e Lucio furono designati consoli
insieme, forse perché il padre adottivo sentiva avvicinarsi la fine che infatti
giunse nei primi mesi dello stesso anno.[105][106] Secondo i racconti della
Historia Augusta l'imperatore, che si trovava nella sua tenuta di Lorium, due
giorni prima di morire aveva fatto indigestione, vomitò e fu colto da febbre.
Aggravatosi il giorno successivo, il 7 marzo 161, convocò il consiglio
imperiale (compresi i prefetti del pretorio Furio Vittorino e Sesto Cornelio
Repentino) e passò tutti i suoi poteri a Marco, ordinando che la statua d'oro
della Fortuna, che era nella camera da letto degli imperatori, fosse portata da
Marco. Diede quindi la parola d'ordine al tribuno di guardia, «equanimità», poi
si girò, come per andare a dormire, e morì all'età di settantacinque
anni.[105][107] Principato (161-180) Ascesa alla porpora imperiale
Magnifying glass icon mgx2.svgDinastia degli Antonini.Dopo la morte di Antonino
Pio, Marco Aurelio era di fatto unico princeps dell'Impero. Il Senato gli
avrebbe presto concesso il titolo di Augusto e di imperator, oltre a quello di
Pontifex Maximus, sacerdote a capo dei culti ufficiali della religione romana.
Sembra che Marco dimostrasse, almeno inizialmente, tutta la sua riluttanza a
farsi carico del potere imperiale, poiché il suo biografo scrive che fu
"costretto dal Senato ad assumere la direzione della Res publica dopo la
morte di Pio". Egli deve aver avuto una vera e propria paura del potere
imperiale (horror imperii), considerando la sua predilezione per la vita
filosofica, ma sapeva, da stoico qual era, quello che doveva fare e come farlo.
Governo imperiale con Lucio (161-169) Anche se nei Colloqui con sé stesso non
sembra mostrare affetto personale per Adriano, Marco lo rispettò molto e
presumibilmente ritenne suo dovere metterne in atto i piani di successione. E
così, anche se il Senato voleva confermare solo lui, egli rifiutò di entrare in
carica senza che Lucio ricevesse gli stessi onori: alla fine il Senato fu
costretto ad accettare e insignì Lucio Vero del titolo di Augustus. Marco
divenne, nella titolatura ufficiale, Imperatore Cesare Marco Aurelio Antonino
Augusto mentre Lucio, assumendo il nome di famiglia di Marco, Vero, e
rinunciando al suo cognomen di Commodo, divenne Imperatore Cesare Lucio Aurelio
Vero Augusto. Per la prima volta Roma veniva governata da due imperatori
contemporaneamente.[109] Fin dalla sua ascesa al principato, Marco
ottenne dal Senato che Lucio Vero gli fosse associato su un piano di parità
(diarchia),[62][69] con gli stessi titoli, ad eccezione del pontificato massimo
che non si poteva condividere. La formula era innovativa: per la prima volta
alla testa dell'impero vi era una collegialità e una parità totale tra i due
principes. In teoria i due fratelli ebbero gli stessi poteri, in realtà Marco
conservò una preminenza che Vero mai contestò. Le ragioni pratiche di questa
collegialità, voluta da Adriano forse per onorare la memoria di Lucio Elio,
adottandone il figlio, e al tempo stesso lasciare l'impero a Marco Aurelio di
cui aveva capito le grandi qualità, non sono completamente chiare.[111] A
dispetto della loro uguaglianza nominale, Marco ebbe maggior auctoritas di
Lucio Vero. Fu console una volta di più, avendo condiviso la carica già con
Antonino Pio, e fu il solo a divenire Pontifex Maximus. E questo fu chiaro a
tutti. L'imperatore più anziano deteneva un comando superiore al fratello più
giovane: Vero obbedì a Marco... come il tenente obbedisce a un proconsole o un
governatore obbedisce all'imperatore. Subito dopo la conferma del Senato, gli
imperatori procedettero alla cerimonia di insediamento presso i Castra
Praetoria, l'accampamento della guardia pretoriana. Lucio affrontò le truppe
schierate, che acclamarono la coppia di imperatores. Poi, come ogni nuovo
imperatore, da Claudio in poi, Lucio promise alle truppe un donativo speciale,
che fu il doppio di quelli passati: 20.000 sesterzi (5.000 denari) pro capite
ai pretoriani, e in proporzione agli altri militari dell'esercito.[113] In
cambio della donazione, pari a diversi anni di stipendium, le truppe giurarono
fedeltà ai due imperatori. La cerimonia non del tutto necessaria, considerando
che l'ascesa di Marco era stata pacifica e incontrastata, costituì comunque una
valida assicurazione contro possibili rivolte da parte dei militari.[109] In
seguito a questi eventi sembra che la moneta d'argento, il denario, cominciò un
lento processo di svalutazione, che portò sia alla riduzione del suo peso che
del suo titolo (% di argento presente nella lega), che passò dall'89% dell'epoca
di Traiano al 79%. Il funerale di Antonino fu celebrato in modo che lo spirito
potesse ascendere agli dèi, come era tradizione. Il corpo venne posto su una
pira. Lucio e Marco divinizzarono il padre adottivo attraverso un sacerdozio
preposto al suo culto, con il consenso del Senato. Secondo le sue ultime
volontà, il patrimonio di Antonino non passò direttamente a Marco,[116] ma a
Faustina, che in quel momento era incinta di tre mesi. Durante la gravidanza
sognò di dare vita a due serpenti, uno più agguerrito rispetto
all'altro.[117][118] Il 31 agosto a Lanuvium nacquero infatti due gemelli: Tito
Aurelio Fulvio Antonino e Commodo, che poi sarebbe succeduto al padre come
imperatore. A parte il fatto che i gemelli erano nati lo stesso giorno di
Caligola, i presagi sembra fossero favorevoli, e gli astrologi trassero auspici
positivi per i due neonati. Le nascite furono celebrate sulla monetazione
imperiale. Statua equestre di Marco Aurelio (Equus Marci Aurelii Antonini), in
bronzo, situata al Campidoglio (copia moderna non fedele dell'originale che si
trova ai Musei capitolini) Subito dopo l'adozione, Marco promise come sposa a
Lucio la figlia undicenne, Lucilla, nonostante fosse formalmente suo zio.[120]
Alle celebrazioni dell'evento, furono donate delle somme per i bambini poveri,
come aveva fatto in precedenza Antonino Pio quando volle commemorare la moglie
scomparsa. I sovrani divennero popolari tra la gente di Roma.[118] Gli
imperatori concessero piena libertà di parola, come dimostra il fatto che un
noto commediografo, un certo Marullus, poté criticarli senza subire ritorsioni.
In ogni altro momento, sotto qualsiasi altro imperatore, sarebbe stato
giustiziato. Ma era un periodo di pace e di clemenza e il biografo riporta che
Nessuno rimpiangeva i modi miti di Pio. Marco Aurelio sostituì vari funzionari
dell'impero: Sesto Cecilio Crescenzio Volusiano, responsabile della
corrispondenza imperiale, con Tito Vario Clemente, un provinciale, originario
del Norico, che aveva prestato servizio militare nella guerra in Mauretania e
in seguito aveva servito come Procurator Augusti in cinque differenti province.
Costituiva l'uomo adatto per affrontare un periodo di emergenza militare.[122]
Lucio Volusio Meciano, che era stato uno degli insegnanti di Marco Aurelio, era
governatore della prefettura d'Egitto. Marco lo nominò senatore, poi prefetto
della tesoreria (Praefectus aerarii Saturni) e poco dopo ottenne anche il
consolato.[123] Il figlio adottivo di Frontone, Gaio Aufidio Vittorino, padre
dei futuri consoli di età severiana Gaio Aufidio Vittorino[124] e Marco Aufidio
Frontone, venne nominato governatore della Germania superiore. Non appena la
notizia dell'ascesa imperiale dei suoi allievi lo raggiunse, Frontone lasciò la
sua casa di Cirta e il 28 marzo rientrò nella sua residenza romana. Inviò una
nota al liberto imperiale Charilas, chiedendo di potersi mettere in contatto
con gli imperatori poiché, disse in seguito, non aveva osato scrivere direttamente
agli imperatori. L'insegnante si dimostrò immensamente orgoglioso dei suoi
allievi. Egli, ripensando al discorso tenuto per l'ascesa al consolato del 143,
elogiò Marco con queste parole: C'era allora una straordinaria capacità
naturale in te, perfezionata ora in eccellenza, il grano che cresceva è ora un
raccolto maturo. Lucio era invece meno stimato dallo stesso precettore, i suoi
interessi erano di livello inferiore. Annia Lucilla, figlia di Marco e moglie
di Lucio Vero Il primo periodo di regno procedette senza intoppi, così che
Marco Aurelio poté dedicarsi alla filosofia e alla ricerca dell'affetto
popolare. Ben presto, però, nuove preoccupazioni avrebbero significato la fine
della Felicitas temporum, che il conio del 161 aveva con disinvoltura
proclamato.[127] Nell'autunno del 161, il Tevere esondò dalle sue sponde,
devastando alcune comunità italiche e gran parte di Roma. Annegarono molti
animali, lasciando la città in preda alla carestia. «Marco e Lucio affrontarono
personalmente questi disastri» e le comunità italiche colpite dalla carestia
furono aiutate, permettendo loro di rifornirsi del grano della
capitale.[127][128] In altri tempi di carestia, gli imperatori avevano tenuto
le comunità italiche fuori dai granai romani.[129] Gli insegnamenti di
Frontone continuarono nei primi anni di regno di Marco. Frontone riteneva che,
visto il ruolo ricoperto da Marco, le lezioni fossero più importanti oggi di
quanto non fossero mai state prima. Riteneva che Marco desiderasse riacquistare
l'eloquenza di una volta, eloquenza per la quale aveva per un certo periodo di
tempo perso interesse.[130] Frontone ricordò nuovamente al suo allievo
l'antitesi tra il suo ruolo e le sue aspirazioni filosofiche: Supponiamo,
Cesare, che tu possa raggiungere la saggezza di Cleante e Zenone, eppure,
contro la tua volontà, tu non possa comunque avere la mantella di lana del
filosofo. I primi giorni di regno di Marco furono i più felici della vita
di Frontone: il suo allievo era amato dal popolo di Roma, era un ottimo
imperatore, uno studente appassionato, e, forse più importante, eloquente come
lui voleva. Marco diede prova di grande abilità retorica nel suo discorso al
Senato dopo un terremoto avvenuto a Cizico. Aveva trasmesso il dramma del
disastro, e il senato era stato intimorito: improvvisamente la mente degli
ascoltatori era più violentemente agitata durante il discorso, che la città
durante il terremoto". E Frontone ne fu enormemente
soddisfatto.[130] Politica interna: l'amministrazione dello stato In
politica interna, Marco Aurelio si comportò, come già Augusto, Nerva e Traiano,
da princeps senatus, cioè "primo tra i senatori" e non da monarca
assoluto, rivelandosi rispettoso delle prerogative del Senato, consentendogli
di discutere e di decidere sui principali affari di Stato, come le
dichiarazioni di guerra alle popolazioni ostili o le stipule dei trattati, come
anche sulle nomine alle magistrature.[131] Avviò anche una politica tendente a
valorizzare le altre categorie sociali: ai provinciali fu reso possibile
raggiungere le più alte cariche dell'amministrazione statale. Né ricchezza, né
illustri antenati influenzarono il giudizio di Marco, ma solo il merito
personale. Egli concesse cariche a persone che riconosceva come illustri
eruditi e filosofi, senza guardare alla loro condizione di nascita.[132]
L'assetto amministrativo introdotto da Augusto quasi centocinquant'anni prima,
che fino a quel momento aveva preservato l'Impero anche quando si erano
succeduti imperatori dissoluti come Caligola e Nerone, oppure in occasione della
guerra civile del 69, era imponente e la sua classe dirigente cominciava ad
acquisire piena consapevolezza del proprio potere. Marco istituì l'anagrafe:
ogni cittadino romano aveva l'obbligo di registrare i propri figli entro trenta
giorni dalla loro nascita; colpì l'usura, regolarizzò le vendite pubbliche[134]
e distrusse tutti i libelli diffamatori che circolavano su molte persone.[135]
Proibì i processi pubblici prima che fossero raccolte prove certe, garantì ai
senatori l'antica immunità dalle condanne capitali, a meno che ci fossero prove
certe e una condanna ufficiale.[132] Impiegò il denaro non in splendide
architetture, ma in opere di ricostruzione estremamente necessarie, o in
migliorie della rete stradale, da cui dipendeva la difesa dell'impero e il
progresso del commercio, o in fortezze, accampamenti e città.Egli non amava
particolarmente i giochi gladiatorii e gli spettacoli cruenti del circo, ma li
indiceva e li frequentava solo se non poteva esimersi; più tardi formò unità
militari ausiliarie di gladiatori a supporto delle legioni del nord, ma dovette
richiamarli per il malcontento del popolo che, nonostante le economie
necessarie a causa della guerra, reclamava il suo divertimento.[137] Non riuscì
a realizzare i suoi ideali stoici di eguaglianza e libertà perché l'esigenza di
controllare le finanze locali portò alla formazione di una classe burocratica
che presto volle arrogarsi diritti e privilegi e che si costituì quale classe
chiusa. Marco Aurelio Pontefice Massimo Trascorse, inoltre, molto
tempo del suo regno a difendere le frontiere.[138] Tra le altre leggi
proibì la tortura per i cittadini eminenti, prima e dopo la condanna, poi per
tutti i cittadini liberi, come era stato in epoca repubblicana.[139] Restò
valida per gli schiavi, ma solo se non si trovavano altre prove.[140] Venne
comunque proibito di vendere uno schiavo per utilizzarlo nei combattimenti
contro le belve.[141] Nei processi da lui presieduti cercò sempre la
massima giustizia ed equità per tutti, anche quando doveva emettere una
condanna secondo le leggi.[142] Marco e Lucio stabilirono ad esempio la non
punibilità di un figlio che avesse ucciso un genitore in un momento di follia,
materializzando così un primo concetto di infermità mentale.[143] Come molti
imperatori, Marco trascorse la maggior parte del suo tempo ad affrontare
questioni di diritto come petizioni e controversie, prendendosi molta cura
nella teoria e nella pratica della legislazione. Avvocati di professione lo
definirono un «imperatore versato nella legge» e, come sosteneva il grande
Emilio Papiniano, «molto prudente e coscienziosamente giusto».[144] Egli mostrò
uno spiccato interesse in tre aree del diritto: l'affrancamento degli schiavi,
la tutela degli orfani e dei minori, e la scelta dei consiglieri cittadini
(decuriones). Rivalutò la moneta da lui svalutata, ma due anni dopo tornò sui
suoi passi a causa della grave crisi militare che l'impero stava affrontando a
causa delle guerre marcomanniche.[145] E mentre il fratello Lucio era
impegnato in Oriente contro i Parti, Marco era impegnato a Roma in questioni
familiari. La prozia Vibia Matidia era morta e sul suo testamento pendeva una
disputa legale, dato che il suo ingente patrimonio aveva attratto l'attenzione
di molte persone. Alcuni dei suoi clientes erano riusciti a farsi includere nel
suo testamento attraverso vari codicilli. Tuttavia, le sue volontà non potevano
essere riconosciute come valide, poiché in contrasto con la lex Falcidia:
Matidia aveva infatti assegnato più di tre quarti del suo patrimonio non alla
propria familia ma a gente estranea, fra cui un gran numero di suoi clientes.
Marco si trovò così in una posizione imbarazzante, dato che Matidia non aveva
mai confermato la validità dei documenti, anche se sul letto di morte alcuni
dei sedicenti eredi avevano colto l'opportunità per farli convalidare. Frontone
esortò Marco a portare avanti le rivendicazioni della famiglia ma quest'ultimo,
studiato attentamente il caso, preferì che fosse il fratello a prendere la
decisione finale.[146] Benché a Roma vigessero la tortura e la pena di
morte, applicate con facilità soprattutto nei confronti di schiavi e stranieri,
la normativa di molti imperatori "illuminati" cercò di ridurre il
numero di reati punibili con pene severe, come in passato aveva già fatto Tito.
Per Marco anche gli schiavi andavano trattati come persone, seppure
subordinate, e non come oggetti,[149] evitando quindi ogni crudeltà e
rispettandone la dignità, a differenza dei cristiani che spesso non si
pronunciavano a favore della classe servile.[150] Alcuni critici tuttavia
temevano che il movimento filosofico-giuridico legato alla politica di
affrancamento degli Antonini, se non fosse stato profondamente ancorato al
sistema economico romano, basato principalmente sulla schiavitù, avrebbe portato
all'abolizione de facto dell'istituto servile entro un secolo, ed avrebbe
comportato gravi ripercussioni economiche. Marco mostrò un grande
interessamento affinché a ogni schiavo fosse data la possibilità di
riguadagnare la propria libertà, qualora il padrone avesse espresso la propria
disponibilità a restituirgliela. Si racconta, infatti, che in una causa di
manomissione, portata alla sua attenzione dall'amico Aufidio Vittorino, e
citata in seguito dai giuristi come un precedente decisivo, egli favorì uno
schiavo. Coerente con lo stoicismo, filosofia contraria alla schiavitù, emanò
numerose norme favorevoli alla classe servile, estendendo le leggi già
promulgate dai suoi predecessori, a partire da Traiano, e ribadendo per esempio
il concetto di diritto di asilo per gli schiavi fuggitivi (che potevano essere
puniti e uccisi in ogni modo dal padrone) garantendo loro l'immunità finché si
trovassero presso qualsiasi tempio o qualsiasi statua
dell'imperatore.[152] Politica estera Guerra partica (161/2-166) Magnifying
glass icon mgx2.svgCampagne partiche di Lucio Vero. Sul letto di morte,
Antonino Pio aveva espresso la sua collera nei confronti di alcuni re clienti,
che il Birley interpreta fossero quelli posti lungo i confini orientali.[153]
Il cambio al vertice dell'Impero romano sembra infatti abbia incoraggiato
Vologese IV di Partia ad aggredire, nella seconda metà del 161, il Regno
d'Armenia, alleato dell'Impero romano, nominando un re fantoccio a lui gradito,
Pacoro III, un arsacide come lui. L'Impero dei Parti, sconfitto e parzialmente
sottomesso da Traiano quasi cinquant'anni prima (114-116), era così tornato a
rinnovare i suoi attacchi alle province orientali romane dagli antichi
territori dell'Impero persiano.[154][156] Il governatore della Cappadocia,
Marco Sedazio Severiano, convinto che avrebbe potuto sconfiggere i Parti
facilmente,[157] condusse una delle sue legioni in Armenia, ma a Elegia fu
sconfitto e preferì suicidarsi, mentre l'intera legione veniva completamente
distrutta.[154][158] E mentre tutto ciò accadeva in Oriente, nuove
minacce si profilavano lungo le frontiere settentrionali della Britannia e del
limes germanico-retico, dove i Catti dei monti Taunus erano penetrati negli
Agri Decumates.[154] Sembra che Marco non fosse pronto ad affrontare simili
problematiche poiché, come ricorda il suo biografo, non aveva potuto maturare
un'adeguata esperienza militare, avendo trascorso l'intero periodo del regno di
Antonino Pio in Italia e non nelle province, al contrario dei suoi
predecessori, come Traiano o Adriano.[122] Scena di guerra tra
Romani e Parti, sul Monumento dei Parti a Efeso, celebrativo delle vittorie di
Lucio Vero e Marco Aurelio contro Vologese IV. Poco dopo giunse la notizia che
anche l'esercito del governatore provinciale della Siria era stato sconfitto
dai Parti e che si stava ritirando disordinatamente. Era quindi necessario
intervenire con grande rapidità, anche nella scelta dei migliori ufficiali da
inviare lungo quel settore dell'Impero così strategicamente importante. Marco
pose a capo della spedizione (expeditio parthica) il fratello Lucio perché,
come suggerisce Cassio Dione, era robusto e più giovane del fratello Marco, più
adatto all'attività militare.[159] Il Birley suggerisce che Marco volesse
spingere Lucio ad abbandonare la vita dissoluta che conduceva e a capire i suoi
doveri. In ogni caso, il Senato diede il suo assenso, e nell'estate del 162
Lucio partì, lasciando Marco Aurelio a Roma, perché la città ha chiesto la presenza
di un imperatore. Era però necessario affiancare a Lucio un adeguato staff
militare (comitatus), ampio e ricco di esperienza, e che comprendesse anche uno
dei due prefetti del pretorio: il prescelto fu Tito Furio Vittorino.[161]
I rinforzi vennero inviati da numerose province imperiali fino alla frontiera
partica.[162] Frattanto Marco si ritirò per quattro giorni a Alsium, una nota
località turistica sulle coste dell'Etruria, ma le numerose preoccupazioni gli
impedirono di rilassarsi. Egli scrisse allora all'amico Frontone, dicendogli
che avrebbe evitato di descrivergli nei particolari quello che stava facendo a
Alsium, perché sapeva che sarebbe stato rimproverato. Frontone rispose
ironicamente e lo incoraggiò a riposare, prendendo esempio dai suoi
predecessori: Antonino era stato un appassionato di palaestra, di pesca e di
teatro, Marco trascorreva invece gran parte delle sue notti insonni a risolvere
questioni giudiziarie. Dai loro scambi epistolari sappiamo che Marco non riuscì
a mettere in pratica i consigli di Frontone poiché ho doveri che incombono su
di me che difficilmente possono essere delegati e rimandati, adducendo la sua
devozione al dovere. Conclude informandosi della salute dell'amico e
salutandolo addio mio ottimo maestro, uomo dal cuore buono.[163] Frontone
rispose qualche tempo dopo, inviando all'amico una selezione di letture e, per
rimediare al suo disagio per lo svolgimento della guerra contro i Parti, una
lunga e meditata lettera, piena di riferimenti storici, indicata, nelle
edizioni moderne sulle opere di Frontone, De bello Parthico (Sulla guerra
partica). Frontone scrive che, anche se in passato Roma aveva subito pesanti
sconfitte, alla fine i Romani avevano sempre prevalso sui loro nemici: Sempre e
ovunque [Marte] ha cambiato le nostre difficoltà in successi e i nostri terrori
in trionfi.[164] Il teatro delle campagne militari orientali di
Lucio Vero Intanto Lucio, partito dall'Italia e giunto dopo un lungo viaggio in
Siria, fece di Antiochia il suo "quartier generale", trascorrendo gli
inverni a Laodicea e le estati a Daphne.[165] Durante la guerra, nel
periodo autunnale/invernale del 163 o del 164, Lucio andò a Efeso per sposarsi
con Lucilla, secondo quanto stabilito da Marco, nonostante circolassero voci
sulle sue amanti, in particolare su una certa Panthea, donna di umili origini.
Lucilla aveva circa quindici anni e venne accompagnata dalla madre Faustina,
insieme a uno zio di Lucio, Marco Vettuleno Civica Barbaro, nominato per
l'occasione comes Augusti. Marco che avrebbe voluto accompagnare la figlia fino
a Smirne, in realtà non andò oltre Brindisi. Una volta tornato a Roma, inviò
istruzioni specifiche ai governatori provinciali affinché non preparassero
alcun ricevimento ufficiale.[166][167] La capitale armena Artaxata, venne
presa nel 163 e alla fine di quello stesso anno Lucio assunse il titolo di
Armeniacus, pur non avendo mai partecipato direttamente alle operazioni
militari, mentre Marco si rifiutò di accettare l'appellativo fino all'anno
successivo. Al contrario, quando Lucio venne acclamato imperator, anche Marco
accettò la sua seconda salutatio imperatoria.[168][169] Nel 164 le armate
romane si attestarono stabilmente in Armenia e l'ex console di origine emesana,
Gaio Giulio Soemo, venne incoronato re tributario d'Armenia,[170] con l'assenso
di Marco. Vide le armate romane entrare vittoriose in Mesopotamia, dove posero
sul trono il re vassallo Manno. Avidio Cassio raggiunse le metropoli gemelle
della Mesopotamia: Seleucia, sulla riva destra del Tigri, e Ctesifonte su
quella sinistra. Entrambe le città vennero occupate e date alle fiamme.[173]
Cassio, nonostante la penuria di rifornimenti e i primi effetti della peste
contratta a Seleucia, riuscì a riportare indietro e in buon ordine la sua
armata vittoriosa. Lucio venne così acclamato Parthicus Maximus, mentre insieme
a Marco venne salutato nuovamente imperator, ottenendo la sua seconda
acclamazione imperiale.[173] Nel 166 ancora Avidio Cassio invase il paese dei
Medi, al di là del Tigri, permettendo a Lucio di fregiarsi del titolo
vittorioso di Medicus, mentre Marco otteneva la IV salutatio imperatoria e il
titolo di Parthicus Maximus.[174][175] I Parti si ritirarono nei loro
territori, a oriente della Mesopotamia. Marco sapeva di dover ascrivere il
maggior merito della vittoria finale allo staff militare del fratello Lucio.
Tra i comandanti romani si distinse Gaio Avidio Cassio, legatus legionis della
III Gallica, una delle legioni siriane. Al ritorno dalla campagna, a Lucio
venne tributato un trionfo (12 ottobre del 166). La parata risultò insolita
perché comprendeva i due imperatori, i loro figli e le figlie nubili, come una
grande festa di famiglia. Nell'occasione Marco elevò i due figli, Commodo di
cinque anni e Marco Annio Vero di tre al rango di Cesare (il gemello di
Commodo, Fulvio Antonino, era morto l'anno precedente).[176] Scambi
commerciali con l'Oriente Magnifying glass icon mgx2.svgRelazioni diplomatiche
sino-romane. Proprio durante la guerra partica Marco potrebbe aver favorito
l'apertura di nuove vie commerciali con l'Estremo Oriente. Si ricorda, infatti,
negli annali del "Celeste impero", un'ambasceria inviata presso
l'Imperatore cinese della dinastia Han, Huandi (nel 166), nella quale i Cinesi
chiamarono l'imperatore romano col nome di Ngan-touen o Antoun. Ciò sembra
confermare che tale ambasceria (forse composta da soli mercanti), sia giunta in
Estremo Oriente proprio durante il regno di Marco Aurelio o del suo
predecessore, Antonino Pio, in quanto Antoun equivarrebbe in lingua cinese al
nome latino della famiglia imperiale degli "Anto[u]n-ini". Statua di
Marco Aurelio in uniforme militare (Museo del Louvre, Parigi). Marcomanni
e Sarmati nel 178 Il figlio adottivo di Frontone, Gaio Aufidio Vittorino, venne
inviato, dal 162 al 166, a governare la provincia della Germania superiore, ove
si trasferì con l'intera famiglia (a parte un figlio che rimase a Roma con i
nonni). La situazione lungo la frontiera settentrionale si presentava
estremamente difficile. Una postazione lungo gli Agri Decumati era stata
distrutta e sembra che molte delle popolazioni dell'Europa centrale e
settentrionale fossero in fermento. Regnava, inoltre, molta corruzione tra gli
ufficiali romani: Vittorino fu costretto, infatti, a chiedere le dimissioni di
un legatus legionis che aveva preso tangenti[27][178][179] e numerosi governatori
esperti vennero sostituiti da amici e parenti della famiglia imperiale. Le
tribù germaniche e altri popoli nomadi avevano iniziato le prime incursioni
lungo i confini settentrionali romani, in particolare in Gallia e sul Danubio.
Questo nuovo slancio verso occidente era causato dalle pressioni che subivano a
loro volta dalle tribù germaniche più orientali e settentrionali. Una prima
invasione di Catti nella Germania superiore era stata respinta nel 162.[179]
Molto più pericolosa fu l'invasione del 166, quando i Marcomanni della Boemia,
clienti dell'impero romano dal 19 (ma ribelli sotto Domiziano, che vi scatenò
contro un'offensiva), attraversarono il Danubio, insieme a Longobardi e altre
tribù germaniche. Contemporaneamente, i Sarmati Iazigi attaccarono i territori
compresi tra il Danubio e il fiume Tibisco. Secondo la Historia Augusta,
conclusa la guerra partica, scoppiava così quella contro i Marcomanni, una
coalizione di natura militare, composta da una decina di popolazioni germaniche
e sarmatiche (dai Marcomanni propriamente detti della Moravia, ai Quadi della
Slovacchia, dalle popolazioni vandaliche dell'area carpatica, agli Iazigi della
piana del Tibisco, fino ai Buri di stirpe suebica del Banato). Era la naturale
conseguenza di una serie di forti agitazioni interne e dei continui flussi
migratori che avevano ormai modificato gli equilibri con il vicino Impero
romano. Questi popoli erano alla ricerca di nuovi territori dove insediarsi,
sia in conseguenza della forte spinta che subivano da altre popolazioni, sia
per il continuo aumento demografico della Germania Magna. Erano, inoltre,
attratti dalle ricchezze e dalla vita agiata del mondo romano.[182] In
quel periodo la frontiera danubiana non poteva contare su buona parte dei suoi
effettivi, sia perché molte legioni avevano dovuto destinare consistenti
distaccamenti alla guerra partica, sia perché la grave epidemia di peste aveva
falcidiato numerosi reparti. Tale epidemia avrebbe causato una catastrofe
demografica prolungatasi per oltre un ventennio e paragonabile a quella causata
dalla peste nera. Nel 166/167 avvenne il primo scontro lungo il limes
pannonicus ad opera di poche bande di predoni longobardi e osii che, grazie al
sollecito intervento delle truppe di confine, furono prontamente respinte. La
pace stipulata con le limitrofe popolazioni germaniche a nord del Danubio fu
gestita direttamente dagli stessi imperatori, Marco e Lucio, ormai diffidenti
nei confronti dei barbari aggressori, recatisi pertanto fino alla lontana
fortezza legionaria di Carnunto (nel 168).[184] Al ritorno dalla campagna
partica l'esercito portò con sé una terribile pestilenza, in seguito conosciuta
come la "peste antonina" o "peste di Galeno", che si
diffuse a partire dalle fine del 165 per quasi un ventennio, mietendo milioni
di vittime e riducendo drasticamente la popolazione dell'Impero romano. Qualche
anno dopo la malattia, una pandemia che oggi si ritiene potesse invece essere
vaiolo o morbillo,[185] avrebbe finito per reclamare la vita dei due imperatori
stessi. La malattia scoppiò di nuovo, nove anni più tardi, secondo Dione, e
causò fino a 2.000 morti al giorno a Roma, infettando fino a un quarto
dell'intera popolazione. I decessi totali sono stati stimati in cinque milioni.
La colonna di Marco Aurelio o colonna antonina, fatta costruire dal figlio
Commodo Dopo che la morte colse Lucio agli inizi del 169 (secondo la Historia
Augusta in seguito ad un attacco apoplettico che lo colpì non molto distante da
Aquileia,[187] mentre autori moderni sostengono che il decesso, forse causato
dalla stessa peste, sopraggiunse mentre era impegnato in nuove manovre militari
lungo il limes danubiano),[184] Marco Aurelio si trovò ad affrontare da solo i
barbari ribelli e con decisione, piuttosto che imporre nuove tasse ai provinciali,
organizzò una vendita all'asta nel Foro di Traiano degli oggetti preziosi
appartenenti al patrimonio imperiale, tra cui coppe d'oro e di cristallo,
vasellame regale, vesti di seta, trapunte d'oro appartenuti anche all'augusta
moglie, oltre a una raccolta di gemme trovata in un forziere di Adriano. In
quell'anno Marco diede alla figlia Lucilla, rimasta vedova di Vero, un nuovo
marito, il fedele Claudio Pompeiano, un militare esperto e affidabile, premiato
in seguito con il consolato, nel 173. Marco avrebbe voluto associarlo al trono,
al posto dello scomparso Lucio Vero, conferendogli perlomeno il titolo di
Cesare, ma egli rifiutò sempre la porpora imperiale.[189] Frattanto lungo
il fronte settentrionale, i Romani subirono un paio di pesanti sconfitte contro
le popolazioni di Quadi e Marcomanni le quali, una volta penetrate lungo la via
dell'ambra e attraversate le Alpi, devastarono Opitergium (Oderzo) e
assediarono Aquileia, il cuore della Venetia, la principale città romana del
nord-est dell'Italia.[27][190] Questo evento provocò un'enorme impressione: era
dai tempi di Mario che una popolazione barbara non assediava dei centri del
nord Italia.[192] Contemporaneamente la popolazione dei Costoboci,
proveniente dalla zona dei Carpazi orientali, aveva invaso la Mesia e la
Macedonia, spingendosi fino in Grecia, dove riuscì a saccheggiare il santuario
di Eleusi. Dopo una lunga lotta, Marco riuscì a respingere gli invasori.
Numerosi barbari germanici vennero allora stabiliti nelle regioni di frontiera
come la Dacia, le due Pannonie, le due Germanie e la stessa Italia. E sebbene
ciò non costituisse una novità, Marco si adoperò per creare sulla riva sinistra
del Danubio, tra l'odierna Repubblica Ceca e l'Ungheria, due nuove province di
frontiera chiamate Sarmazia e Marcomannia. Quelli che erano stati insediati a
Ravenna si ribellarono e riuscirono a impadronirsi della città. Per questo
motivo, Marco non portò mai più nessun altro barbaro in Italia, e mise al bando
quelli che qui si erano stabili ti in precedenza.[193] Il
miracolo della pioggia. Marco fu così costretto a combattere una lunga ed
estenuante guerra contro le popolazioni barbariche del Nord, prima
respingendole e "ripulendo" i territori della Gallia Cisalpina, del
Norico e della Rezia (170-171), poi contrattaccando con una massiccia offensiva
in territorio germanico (172-173) e sarmatico (174-175), in scontri
prolungatisi per diversi anni.[194] L'imperatore, in seguito a questi
conflitti, poté fregiarsi dei cognomina Germanicus (172) e Sarmaticus (175), ma
contestualmente abbandonò ufficialmente i titoli Armeniaco, Medico e Partico,
che non volle più tenere dopo la morte di Lucio Vero, giacché andava a
quest'ultimo il merito del loro conseguimento;[195] tuttavia egli, per via
dell'impegno profuso lungo il fronte pannonico, non riuscirà più a far ritorno
a Roma. Dione e gli altri biografi raccontano anche alcuni episodi
particolari della guerra, come il cosiddetto miracolo della pioggia,
rappresentato anche nella scena XVI sulla colonna di Marco Aurelio.[196] I
Romani, circondati dai Quadi in territorio nemico, si salvarono a stento da un
possibile nuovo disastro. L'evento fu utilizzato dagli apologeti cristiani per
sostenere che non sarebbero state le preghiere dell'imperatore a ottenere la
pioggia in favore dei soldati romani assetati, ma quelle di alcuni legionari di
fede cristiana.[197] Sempre nel 172-173 scoppiò una violenta rivolta in
Egitto, guidata dal sacerdote Isidoro, che arrivò a minacciare la stessa città
di Alessandria. L'intervento di Gaio Avidio Cassio e le discordie interne ai
rivoltosi portarono alla fine del conflitto entro breve tempo[198].
Rivolta di Cassio (175) Magnifying glass icon mgx2.svgAvidio Cassio § La
ribellione. Nel 175, mentre preparava una nuova campagna contro le popolazioni
della piana del Tibisco, l'imperatore fu raggiunto dalla notizia che il
governatore della Siria, Avidio Cassio, uno dei migliori comandanti militari
romani, alla falsa notizia della sua morte, si era autoproclamato imperatore.
Secondo quanto ci tramandano sia Cassio Dione che la Historia Augusta, Avidio
Cassio accettò la porpora imperiale per volere di Faustina, poiché la stessa
credeva che Marco stesse per morire e temeva che l'impero potesse cadere nelle
mani di qualcun altro, visto che Commodo era ancora troppo giovane. Cassio
venne acclamato imperator dalla Legio III Gallica mentre la gran parte delle
province orientali, escluse Cappadocia e Bitinia, si schieravano a fianco dei
ribelli. All'inizio Marco cercò di tenere segreta la notizia
dell'usurpazione, ma quando fu costretto a renderla pubblica, di fronte
all'agitazione dei soldati si rivolse loro con un discorso (adlocutio)
rivelando di voler evitare inutili spargimenti di sangue tra Romani. Ma dopo
soli tre mesi, quando la notizia della morte di Marco si rivelò ufficialmente
falsa, il Senato romano proclamò Cassio hostis publicus, nemico dello stato e
del popolo romano e Avidio fu ucciso dai suoi stessi soldati. La testa
dell'usurpatore fu portata a Marco, come testimonianza dell'uccisione, ma l'imperatore,
che avrebbe voluto dimostrargli il suo perdono e salvarlo, non esultò, al
contrario esclamò: Mi è stata tolta un'occasione di clemenza: la clemenza,
infatti, dà soprattutto prestigio all'imperatore romano agli occhi dei popoli.
Io però risparmierò i suoi figli, il genero e la moglie, lasciando metà del
patrimonio paterno ai figli di Avidio Cassio, e donando una grande quantità di
oro, di argento e di gemme alla figlia.[200] Viaggio in Oriente (175-176)
Marco Aurelio: aureo[201] MARCUS AURELIUS RIC III 357-159422M ANTONINVS AVG
GERM SARM, testa laureata con corazza e paludamentumTR P XXX IMP VIII COS III,
la Felicitas con caduceo e scettro AV (7,33 g); coniato nel 176 Nell'ultimo
decennio di regno, mentre si trovava lungo i confini settentrionali imperiali,
Marco scrisse i Colloqui con sé stesso, tornando di rado a Roma. Insieme alla
moglie Faustina, al figlio Commodo, al seguito composto dai comites del
consilium principis e a un ingente esercito, Marco visitò le province orientali
nel 175-176.[202] Partito da Sirmio nel luglio del 175, dopo essere passato per
Bisanzio, Nicomedia, Prusias ad Hypium e per Ancyra, giunse a Tarso, sostando
in Cilicia dove, secondo Dione, molti si erano schierati dalla parte di Avidio.
Poco dopo aver passato la località di Tanya, Faustina morì in circostanze poco
chiare in un villaggio di nome Halala, sito in Cappadocia ai piedi dei Monti
Tauri. Cassio Dione riporta alcune versioni sulla morte dell'Augusta: una prima
ipotizza il suicidio, motivato dall'aver stretto accordi per la successione con
Avidio Cassio; una seconda chiama in causa la gotta; una terza vedrebbe
Faustina morire di parto dopo un'ennesima gravidanza all'età di quarantacinque
anni. Dopo la morte venne divinizzata ufficialmente con degne cerimonie a Roma,
per volere del Senato. L'Augusta, che aveva spesso accompagnato il marito in
guerra, era stata la prima delle imperatrici romane a essere insignita del
titolo di mater castrorum.[204] Halala, il villaggio dove era morta, venne
rinominato "Faustinopolis". In suo onore furono istituiti collegi di
sacerdotesse e create le puellae Faustinianae, in ricordo dell'istituzione
benefica sorta in memoria della madre, la moglie di Antonino Pio, istituzione
che si occupava di fanciulle orfane della penisola italica.[204] Le fonti
antiche, in contrasto coi Ricordi di Marco Aurelio, spesso accusarono Faustina
di dissolutezza e di aver ripetutamente tradito il marito, con marinai e
gladiatori, tanto che da una di queste relazioni sarebbe nato Commodo, secondo
una diceria riportata dal biografo della Historia Augusta.[205] Dopo
questa ennesima disgrazia famigliare, il princeps ripartì per la Siria, forse
fermandosi a visitare la città di Antiochia (che si era schierata con Cassio),
perdonandone i suoi abitanti, e qui potrebbe avervi svernato, incontrando
alcuni personaggi locali come il patriarca Giuda I. Riprese, quindi, il suo
viaggio per giungere nell'estate nel 176 in Egitto, dove ricevette una delegazione
dei Parti. Nel viaggio di ritorno dall'Oriente, dopo essersi imbarcato per
l'Asia Minore, passò per Efeso, poi Smirne (dove incontrò Elio Aristide) e, da
ultimo, Atene, dove il filosofo cinico Zenone aveva fondato la scuola stoica,
sotto il famoso portico dipinto, dichiarandosi "protettore della
filosofia".[207][208] Istituì quattro cattedre permanenti di studio,
finanziandole, una per ogni principale scuola filosofica: platonici,
aristotelici, epicurei e stoici.[209] In Grecia prese parte anche ai riti dei
misteri eleusini.[210][211] Durante il tragitto lungo l'Asia Minore e la tappa
a Atene si rivolsero a Marco Aurelio e a Commodo anche alcuni padri apologisti
cristiani.[202] Decise di associare al trono imperiale il figlio
Commodo,[212] l'unico maschio superstite tra i suoi figli (dopo la morte del
giovane Marco Vero Cesare e quella di alcuni nipoti), nominandolo Augusto e
concedendogli la tribunicia potestas e l'imperium,[213] benché avesse nei
confronti del figlio alcune perplessità.[214] Marco celebrò, quindi, il
matrimonio di Commodo con Bruzia Crispina.[215] A Roma, si dedicò ad
amministrare la giustizia, cercando di riparare a torti e abusi del passato;
dispose la celebrazione di giochi circensi, mettendo però un limite di spesa a
quelli gladiatorii.[216] Il 23 dicembre del 176, Marco, che aveva battuto le
popolazioni germaniche e sarmatiche a nord del medio corso del Danubio, ottenne
per decreto del Senato romano il trionfo insieme al figlio Commodo, da poco
nominato Augusto. In suo onore venne eretta una statua equestre, tuttora
custodita nel Palazzo dei Conservatori.[217] Offensiva finale in
Marcomannia e Sarmatia (177-180) L'impero romano alla fine del regno di
Marco Aurelio, nel 180 L'apparente tregua sottoscritta con le popolazioni
germaniche, in particolare Marcomanni, Quadi e Iazigi, durò però solo un paio
d'anni, fino al 177. Il 3 agosto del 178 Marco fu infatti costretto a marciare
ancora una volta verso la frontiera danubiana, a seguito di una nuova
sollevazione dei Marcomanni. Non sarebbe mai più tornato a Roma. Egli fece
della fortezza legionaria di Brigetio il suo nuovo quartier generale e da qui
condusse l'ultima campagna nella primavera successiva del 179, che aveva come
obiettivo quello di occupare stabilmente parte della Germania Magna
(Marcomannia) e della Sarmatia.[219] Si racconta infatti che: «I Quadi
essendo poco disposti a sopportare la presenza di forti romani costruiti nel
loro territorio tentarono di migrare tutti insieme verso le terre dei Semnoni.
Ma Marco Aurelio Antonino che ebbe queste informazioni in anticipo della loro
intenzione di partire per altri territori, decise di chiudere loro tutte le vie
di fuga, impedendo la loro partenza.» (Cassio Dione, 72, 20.2.) Dopo una
vittoria decisiva nel 178, il piano per annettere la Moravia e la Slovacchia
occidentale (Marcomannia), per porre fine una volta per tutte alle incursioni
germaniche, sembrava avviato al successo, ma venne abbandonato dopo che Marco
Aurelio si ammalò gravemente nel 180, forse anch'egli colpito dalla peste che
affliggeva l'impero da anni.[220] La sua salute, da sempre fragile e in
costante declino, sembra lo costringesse a fare uso anche di oppio per
alleviare il dolore persistente che lo affliggeva da anni allo stomaco, rimedio
prescritto dallo stesso Galeno.[221] Morte (180) Eugène Delacroix,
Ultime parole dell'imperatore Marco Aurelio, una rappresentazione moderna della
morte di Marco: l'imperatore, al centro, siede a letto, circondato da amici e
dignitari, e stringe il braccio di Commodo (a destra), vestito di rosso,
sbarbato e abbigliato in maniera orientaleggiante, con orecchini e una corona,
e che appare distante e poco interessato. «Uomo, sei stato cittadino in questa
grande città: che ti importa se per cinque anni o per cento? Quel che è secondo
le leggi ha per ognuno pari valore. Che c'è di grave allora se dalla città ti
espelle non un tiranno o un giudice ingiusto, ma la natura che ti ci aveva
introdotto? (...) A stabilire che il dramma è completo infatti è chi allora fu
responsabile della composizione, ora del dissolvimento; tu invece non sei
responsabile né dell'una né dell'altro. Quindi parti sereno: chi ti congeda è
sereno.» (Marco Aurelio, 12.36.) Marco Aurelio morì il 17 marzo 180, a
circa cinquantanove anni, secondo Aurelio Vittore nella città-accampamento di
Vindobona (Vienna).[19] Secondo invece quanto riferisce Tertulliano, uno
storico e apologeta cristiano suo contemporaneo, sarebbe invece deceduto sul
fronte sarmatico, non molto distante da Sirmio (odierna Sremska Mitrovica,
nell'attuale Serbia),[20] che fungeva da quartier generale invernale delle sue
truppe, in vista dell'ultimo assalto. Il Birley ritiene infatti che Marco
potrebbe essere morto a Bononia sul Danubio (che per assonanza ricorda la
località di Vindobona), venti miglia a nord di Sirmio. Iniziando a stare male,
chiamò Commodo al capezzale e gli chiese per prima cosa di concludere
onorevolmente la guerra, affinché non sembrasse che lui avesse
"tradito" la Res publica. Il figlio promise che se ne sarebbe fatto
carico, ma che gli interessava prima di tutto la salute del padre. Chiese
pertanto di poter aspettare pochi giorni prima di partire. Marco, sentendo che
i suoi giorni erano alla fine e il dovere compiuto, accettò da stoico una morte
onorevole, astenendosi dal mangiare e bere, e aggravando così la malattia per
permettergli di morire il più rapidamente possibile. Il sesto giorno, chiamati
gli amici e deridendo le cose umane disse loro: perché piangete per me e non
pensate piuttosto alla pestilenza e alla morte comune?[223] Se vi allontanerete
da me, vi dico, precedendovi, statemi bene. Mentre anche i soldati si
disperavano per lui, alla domanda su a chi affidasse il figlio, rispose ai
subordinati: a voi, se ne sarà degno, e agli dèi immortali. Nel settimo giorno
si aggravò e ammise brevemente solo il figlio alla sua presenza, ma quasi subito
lo mandò via, per non contagiarlo. Uscito Commodo, coprì il capo come se
volesse dormire, come il padre Antonino Pio, e quella notte morì.[224] Cassio
Dione aggiunge che la morte avvenne "non a causa della malattia per cui
stava ancora soffrendo, ma a causa dei medici che, come ho chiaramente sentito,
volevano favorire l'ascesa di Commodo", anche se secondo il Birley,
"è inutile avanzare ipotesi".[225] Successione Commodo,
figlio e successore di Marco Aurelio, raffigurato come Ercole Officiato il
funerale, venne cremato, e fu immediatamente divinizzato, mentre le sue ceneri
furono portate a Roma e deposte nel mausoleo di Adriano, che divenne così il
sepolcro di famiglia da Adriano a Commodo e, forse, anche per alcuni imperatori
successivi, finché, nel 410, il sacco visigoto della città lo danneggiò
gravemente. Le sue campagne vittoriose contro Germani e Sarmati furono
commemorate con la costruzione della Colonna Aureliana e di un
tempio.[226] Marco Aurelio aveva stabilito che a succedergli fosse il
figlio Commodo, che già aveva nominato Cesare nel 166 e poi Augusto
(co-imperatore) nel 177. Questa decisione, che mise di fatto fine alla serie
dei cosiddetti "imperatori adottivi", venne fortemente criticata
dagli storici successivi, poiché Commodo non solo era estraneo alla politica e
all'ambiente militare, ma fu inoltre descritto, già in giovane età, come
estremamente egoista e con gravi problemi psichici, appassionato in maniera
eccessiva di giochi gladiatorii (a cui lui stesso prendeva parte), passione ereditata
dalla madre. Marco Aurelio riteneva, a torto, che il figlio avrebbe
abbandonato quel genere di vita così poco adatto a un princeps, assumendosi le
necessarie responsabilità nel governare un Impero come quello romano, ma così
non fu. A conclusione del principato di Marco Aurelio, Cassio Dione scrisse un
elogio all'imperatore, pur descrivendo il passaggio a Commodo con dolore e
rammarico: «[Marco] non ebbe la fortuna che meritava, perché non era
fisicamente forte e poiché dovette affrontare, per la durata del suo regno,
numerose difficoltà. Proprio per questo motivo lo ammiro maggiormente, in
quanto egli, in mezzo a difficoltà insolite e straordinarie, non solo
sopravvisse ma salvò l'impero. Solo una cosa lo rese infelice, il fatto che,
dopo aver dato l'educazione migliore possibile al figlio, questi deluse le sue
aspettative. Questa materia deve essere il nostro prossimo argomento, dato che
da quel periodo dei Romani deriva oggi la nostra storia, decaduta da un regno
d'oro a uno di ferro e ruggine.» (Cassio Dione, 72, 36.3-4.) Carattere e
pensiero filosofico Magnifying glass icon mgx2.svgColloqui con sé stesso,
Pensiero di Marco Aurelio e Letteratura greca alto imperiale. Statua
equestre di Marco Aurelio (Roma, Musei capitolini) Marco Aurelio fu l'ultimo
grande esponente dello Stoicismo.[228] Tra il 170 e il 180, Marco scrisse i
Colloqui con sé stesso, come esercizio per il proprio orientamento e
auto-miglioramento.[228] Il titolo è stata un'aggiunta postuma, originariamente
Marco intitolò l'opera A se stesso, ma non si sa se avesse intenzione di
renderla pubblica. Il libro è considerato uno dei capolavori letterari e
filosofici di tutti i tempi.[228] «Sii come il promontorio contro cui si
infrangono incessantemente i flutti: resta immobile e intorno ad esso si placa
il ribollire delle acque. «Me sventurato, mi è capitato questo». Niente
affatto! Semmai: «Me fortunato, perché anche se mi è capitato questo resisto
senza provar dolore, senza farmi spezzare dal presente e senza temere il
futuro». Infatti una cosa simile sarebbe potuta accadere a tutti, ma non tutti
avrebbero saputo resistere senza cedere al dolore. Allora perché vedere in
quello una sfortuna anziché in questo una fortuna?» (Marco Aurelio,
4.49.) Politica religiosa e atteggiamento nei confronti dei cristiani
Magnifying glass icon mgx2.svgPersecuzione dei cristiani sotto Marco Aurelio.
Sebbene Marco abbia da sempre seguito la linea indulgente degli imperatori
Adriano e Antonino Pio, che continuò nei confronti dei culti ammessi, è
elencato tra gli imperatori persecutori dei cristiani. Molti disordini si
verificarono sotto il regno di Marco Aurelio, segnato da epidemie, carestie e
invasioni e più volte le folle diedero la caccia ai cristiani, ritenuti
responsabili di tutto (per aver causato la collera degli dèi, avendoli negati),
e i martiri furono numerosi. Marco Aurelio, personalmente, non mostrò esplicito
disprezzo per i cristiani, né li considerò un vero pericolo, ma piuttosto dei
fanatici.[229][230] Monetazione imperiale del periodo Magnifying glass
icon mgx2.svgMonetazione degli Antonini. Marco Aurelio nella cultura Magnifying
glass icon mgx2.svgMarco Aurelio nell'eredità storica culturale. Il prototipo
di statua equestre è senza alcun dubbio la statua equestre di Marco Aurelio. In
precedenza l’opera bronzea si trovava nella piazza del Campidoglio a Roma,
prima di essere sostituita da una copia e trasferita nell’adiacente Palazzo dei
Conservatori.Note Scarre 1995,113. AE 1998, 1622; AE 1998, 1625, AE
1998, 1626; AE 1966, 517. AE 1897, 124.
RIC, Marcus Aurelius, III, 92, 142 e 198; AMN-43/44-203; AE 1999, 1103;
MIR, 18, 88-4/30; RSC 469. AE 1975, 785;
AE 2001, 2154; AE 1998, 1626; AE 1997, 1332.
Historia Augusta, Marcus Aurelius, 12.9.
Cassio Dione, 71, 3.5. AE 1961, 318; AE 2006, 1837. RIC, Marcus Aurelius, III, 357, 1054 e 1184;
MIR, 18, 370-6/37; Banti, 64. RIC,
Marcus Aurelius, III, 1188; MIR, 18, 372a-19/50; Cohen, 170. AE 2000, 1537, AE 1986, 528. CIL VIII, 14435, AE 1992, 1184. CIL VIII, 24103, CIL VIII, 26248, AE 1912, 47,
AE 2004, 1695. CIL VIII, 26249, CIL
VIII, 17972, CIL VIII, 4209. CIL VIII,
17869. CIL III, 6578. CIL VIII, 26250. Birley 1990,60. Aurelio Vittore, De
Caesaribus, 16. Tertulliano, 25. Grant 1996,27. Testo per esteso dell'epigrafe: Imperator
Caesar Marcus Aurelius Antoninus Augustus.
Il luogo della morte è incerto tra Sirmio o Vindobona: Tertulliano, 25:
(LA) «[...] cum M. Aurelio apud Sirmium rei publicae exempto die sexto decimo
Kalendarum Aprilium [...]» «essendo stato Marco Aurelio strappato allo
Stato a Sirmio il 17 marzo.» Aurelio Vittore, De Caesaribus, 16.14: (LA)
«Ita anno imperii octavo decimoque aevi validior Vendobonae interiit, maximo
gemitu mortalium omnium» «Il diciottesimo anno del suo governo, tra grandi
lamenti, il più forte e più grande di tutti gli uomini morì a Vindobona»
Riportato invece così in Aurelio Vittore, Epitome de Caesaribus, 16.12
(compendio, più tardo, della stessa opera di Vittore, attribuita a lui stesso,
ma con molta incertezza): (LA) «Ipse vitae anno quinquagesimo nono apud
Bendobonam morbo consumptus est» «Egli stesso, nel cinquantanovesimo anno
della sua vita, venne consumato da una malattia a Vindobona.» Historia Augusta, Marcus Aurelius, 1.9;
McLynn 2009,24. Cassio Dione, 69, 21.1.
Asse della zecca di Roma antica (del 151-152), RIC, III, 1308a
(Antoninus Pius); BMCRE,1917; Cohen, Cassio Dione, 72, 11.3-5. Machiavelli 1531, I.10. Gibbon 1776-1789, capitolo I: Estensione e
forza militare dell'Impero nel secolo degli Antonini; in particolare I.78, in
cui l'autore descrive il buon governo degli imperatori adottivi; inoltre,273
nota 4 del testo disponibile su Google libri, in cui usa l'espressione
"good emperors". Cassio Dione, 72, 14.3-4. Il libro completo,
che parla dell'epidemia avvenuta sotto Marco Aurelio, è andato perduto; questa
nuova epidemia fu la più grave che lo storico avesse mai visto, a quanto narra
nella "vita di Marco Aurelio".
Historia Augusta, Marcus Aurelius, 12.13, 17.1-2 e 22.1-8. Renan 1937.
Tra questi vi furono: Marco Aurelio Probo (CIL XI, 1178), Marco Aurelio
Mario (imperatore nelle Gallie), Marco Aurelio Caro e Marco Aurelio Carino (CIL
VIII, 10956), oltre a due imperatori suoi omonimi, Caracalla (AE 1911, 56) ed
Eliogabalo (il cui nome imperiale ufficiale era "Marco Aurelio Antonino";
CIL VI, 40677 e AE 1990, 469) e che furono i primi, pur non appartenendo alla
dinastia antonina, ad usare il suo nome. Questi ultimi due, in particolare,
come già il padre di Caracalla, Settimio Severo, che aveva riabilitato la
memoria di Commodo, divinizzandolo e rimuovendo la damnatio memoriae imposta
dal Senato, e dato al figlio il nome di Marco Aurelio, cercavano un
collegamento diretto con gli Antonini al fine di nobilitare le loro origini
africane e asiatiche, quindi provinciali. Inoltre, una delle mogli di
Eliogabalo era una nipote di Marco Aurelio stesso, Annia Faustina. Il nome
Marco Aurelio divenne, quindi, un nome di famiglia dei Severi e, come «Cesare»,
«Augusto» e, più tardi, «Flavio», venne utilizzato come prenome imperiale da
molti altri. Birley 1990,317-318.
Birley 1990,269 ss. Birley
1990,316. Birley 1990,313-319. CIL II, 656 (p 696). Birley 1990,31. Historia Augusta, Marcus Aurelius,
1.2-1.4. Birley 1990,32-34. McLynn 2009,14. Birley 1990,34.
Historia Augusta, Marcus Aurelius, 1.5.
Historia Augusta, Marcus Aurelius, 1.
Poiché suo fratello Marco Annio Libone è stato console nel 128 e
difficilmente potrebbe essere stato pretore più tardi del 126, Annio Vero deve
essere stato a sua volta pretore prima di questa data, verosimilmente, appunto,
nel 124. Birley 1990,34-35; Marco
Aurelio, 1.2 Birley 1990,36-37; Tacito,
Dialogus de oratoribus, 28-29; Marco Aurelio, 5.4. Marco Aurelio, 1.3. Birley 1990,40; Marco Aurelio, 1.17.7. Birley 1990,35; Historia Augusta, Marcus
Aurelius, 2.1; Marco Aurelio, 1.14.
Birley 1990,39; Marco Aurelio, 1.1.
Marco Aurelio, 1.17; Birley 1990,39.
Marco Aurelio, 1.4. Marco
Aurelio, 1.6. Norelli,75 nota 1. Marco Aurelio, 1.6; Birley 1990,43. Marco Aurelio, 1.10 e 1.12; Birley
1990,46. Birley 1990,51-52. Guido Clemente 2008,629-630. Birley 1990,55 ss. Guido Clemente
2008,630. Birley 1990,69. Birley
1987,38-42. Birley 1990,50-51; Cassio
Dione, 69, 22.4; Historia Augusta, Hadrianus, 25.5-6 Cassio Dione, 69, 22.1-4; Historia Augusta,
Hadrianus, 24.8-13. Birley 1990,63-66;
Grant 1996,12. Birley 1990,63.
Mazzarino 1973,328. Marco Aurelio, 6.30:
"Bada di non cesarizzarti, di non impregnarti con la porpora: succede
infatti". Historia Augusta, Marcus
Aurelius, 6.5; Birley 1990,67-68. Marco
Aurelio, 1.16. Marco Aurelio,
5.16. Birley 1990,68. Marco
Aurelio, 8.9. Historia Augusta, Marcus
Aurelius, 2.4 e 3.6. Birley
1990,108. Frontone, Ad Marcum Caesarem
4.8 (trad. da Haines 1.184 ss.). Cassio
Dione, 71, 36.3. Grant 1996,24. Birley 1990,110-111. Marco Aurelio, 1.11. Historia Augusta, Marcus Aurelius, 2.4;
Cameron 1967,347. Aulo Gellio, 9, 2.1–7
e 19.12; Birley 1990,76-78. Birley
1990,65-67; molti critici moderni hanno avuto dubbi per l'ammirazione dei
contemporanei. Filologi di fama espressero numerose critiche: Barthold Georg
Niebuhr, lo descrisse "frivolo", Samuel Adrian Naber lo trovò
"disprezzabile" (Champlin 1980, capp. 1-2); altri lo hanno definito
"pedante e noioso", scrivendo che le sue lettere non offrono né
l'analisi politica di un Cicerone né l'introspezione di un Plinio (Mellor 1982
commentando Champlin 1980); una ricerca prosopografica degli anni '80 ha
riabilitato, almeno in parte, la sua reputazione, cfr. ad esempio, sempre
Mellor 1982 su Champlin 1980. Birley
1990,88 ss. Birley 1990,78. Birley 1990,113. Birley 1990,114 ss. Birley 1990,83 ss.; Marco Aurelio, 1.8. Marco ricorda Epitteto come una guida
spirituale, facendo spesso riferimento alle sue Diatribe e al Manuale come ad
esempio in Marco Aurelio, 11.34, dove lo cita e ne commenta alcune
massime. Birley 1990,336-339.
Birley 1990,126 ss. Champlin
1980,174 n. 12. Frontone, Ad Marcum
Caesarem 4.11 (trad. da Haines 1.202 ss.). Birley 1990,130-132. Marco Aurelio, 9.40. RIC, III 682
(Aurelius); MIR, 18, 13-2a; Calicó, 2055 (moneta illustrata); BMCRE,399
note. Inscriptiones Graecae ad Res
Romanas pertinentes, 4.1399, tradotta da Birley 1990,140. Birley 1990,205 e 339. Historia Augusta, Lucius Verus, 2.9-11 e
3.4-7; Birley 1990,132-133. Forse in
omaggio ai filosofi greci o a causa di una cicatrice (cfr. Melani, Fontanella e
Cecconi,58). Bianchi Bandinelli e
Torelli 1976, scheda 131 (ritratti di Adriano).
Birley 1990,137-138. Birley 1990,140. Cassio Dione, 71, 33.4-5. Historia Augusta, Antoninus Pius,
12.4-8. Birley 1990,142; Historia
Augusta, Pertinax, 13.1 e 15.8 Birley 1990,142-143. Historia Augusta, Lucius Verus, 4.2. Historia Augusta, Marcus Aurelius, 15-16. Historia Augusta, Lucius Verus, 3.8; Birley
2000,156 Historia Augusta, Marcus
Aurelius, 7.9. Savio 2001,331. Historia Augusta, Marcus Aurelius, 7.10-11;
Historia Augusta, Antoninus Pius, 12.8; Birley 1990,144-145. Historia Augusta, Marcus Aurelius, 19.1-2;
Birley 1990,145. Historia Augusta,
Commodus, 1.2. Birley 1990,145-147.
Birley 1990,145-146 cita Mattingly 1940, Marcus Aurelius and Lucius
Verus, nos. 155 ss.; 949 ss. Cassio
Dione, 71.1, 3; 73.4.4–5. Historia
Augusta, Marcus Aurelius, 8.1. Birley 1990,150. Historia Augusta, Marcus Aurelius, 8.8;
Birley 1990,151 cita Eck 1995,65 ss. Vittorino
minore fu console assieme al nipote di Marco Aurelio, Tiberio Claudio Severo
Proculo nel 200 (AE 1996, 1163 e CIL III, 8237). Birley cita Frontone, Ad Verum Imperator 1.3.2 (trad.
da Haines 1.298 ss.). Frontone, Ad
Antoninum Imperator 4.2.3 (trad. da Haines 1.302 ss.). Birley 1990,148
ss. Historia Augusta, Marcus Aurelius,
8.4-5. Birley 1987,278. Birley
1990,158 ss. Historia Augusta, Marcus
Aurelius, 8-10 e 12. Historia Augusta, Marcus Aurelius, 10. Pulleyblank 1999. Historia Augusta, Marcus Aurelius, 9.
Historia Augusta, Marcus Aurelius, 11.
La grandiosa colonna di Marco Aurelio di fronte a Palazzo Chigi (alta 42
m) fu eretta per ricordare proprio le vittorie sul fronte germanico-sarmatico
del Danubio. La colonna era sormontata da una statua dell'Imperatore, dove ora
è posta quella di san Paolo, così come accadde per la colonna di Traiano, dove
venne posizionata una statua di san Pietro in sostituzione di quella
dell'Optimus princeps), in Coarelli 2008,42-43.
Historia Augusta, Marcus Aurelius, 17 e 23. Renan 1937,21-23. Eusebio, 5.1.77. Codice Giustinianeo, Digesto, 1, 18, 13. Codice Giustinianeo, Digesto, XVIII,
1,42. Historia Augusta, Marcus Aurelius,
24.1-3. Codice Giustinianeo, Digesto,
XLVIII, 9, 9, 2. Codice Giustinianeo,
Digesto, XXXI, 67.10: «Item Marcus imperator […] et ideo princeps
providentissimus et iuris religiosissimus cum fideicommissi verba cessare
animadverteret, eum sermonem pro fideicommisso rescripsit accipiendum». Birley 1990,165 ss.; Millar 1993,6 e ss. Vedi
anche Millar 1967,9-19 Frontone, Ad
Antoninum Imperator 2.1-2 (trad. da Haines 2.94); Birley 1990,164; Champlin
1980,134. Historia Augusta, 24.1-3. Svetonio, Titus, 8 e 9. Casadei e Mattarelli 2009,107-108. Bloch 1947.
Renan 1937,336-337. Birley 1990,170-172. Historia Augusta, Antoninus Pius, 12.7;
Birley 1990,148. Birley 1990,149.
Mazzarino 1973,335 ss. Frontone,
De Feriis Alsiensibus 4 (trad. da Haines 2.19); Frontone, De bello Parthico 1-2
(trad. da Haines 2.21-23); e 10 (trad. da Haines 2.31); Guido Clemente
2008,633. Luciano di Samosata,
Alessandro, 27. Cassio Dione, 71, 2.1;
Luciano di Samosata, 21; 24-25 Cassio
Dione, 71, 2.1. Historia Augusta, Marcus
Aurelius, 8.9. Birley 1990,151-154. Birley 1990,154-155. Champlin 1980,134; Frontone, De Feriis
Alsiensibus 4 (trad. da Haines 2.19); Birley 1990,156-157. Frontone, De bello Parthico 10 (trad. da
Haines 2.31); Birley 2000,150-164; Birley 1990,157. Historia Augusta, Lucius Verus, 9; Historia
Augusta, Marcus Aurelius, 9.4; Birley 1990,159.
Historia Augusta, Marcus Aurelius, 9.4-6; Historia Augusta, Lucius
Verus, 7.7; Birley 1990,162. Birley 2000,163. Historia Augusta, Marcus Aurelius, 9.1;
Historia Augusta, Lucius Verus, 7.1-2; Frontone, Ad Verum Imperator 2.3 (trad.
da Haines 2.133); Birley 1990,159; Mattingly 1940, Marcus Aurelius and Lucius
Verus, 233 e ss.. Birley 2000,162.
Farrokh 2007,165; RIC, III, Antoninus Pius to Commodus, n. 511-513255 e
n. 1370-1375322. Birley 1990,163. Mattingly 1940, Marcus Aurelius and Lucius
Verus, nos. 261ff.; 300 ff. Birley 1990,174. ILS 1098; Birley 1990,179-180; Mattingly
1940, Marcus Aurelius and Lucius Verus,401 ss.. Birley 2000,164. Birley 1990,183. Birley 1990,180; Pulleyblank 1999; Mazzarino
1973,338 ss.. Frontone, De nepote amisso
2 (trad. da Haines 2.222); Frontone, Ad Verum Imperator 2.9-10 (trad. da Haines
2.232 ss.) Birley 1990,164-165.
Lucio Dasumio Tullio Tusco, un lontano parente di Adriano, fu inviato in
Pannonia superiore, per sostituire l'esperto Marco Nonio Macrino. La Pannonia
inferiore venne affidata al poco conosciuto Tiberio Aterio Saturnino. M.
Servilio Fabiano Massimo venne trasferito dalla Mesia inferiore a quella
Superiore quando Iallio Basso si era recato ad Antiochia di Siria da Lucio
Vero. La Mesia inferiore venne allora affidata al figlio, Marco Ponzio Leliano.
La Dacia venne divisa in tre distretti, governati da un senatore pretoriano e
da due procuratori. La pace non poteva durare a lungo, la Pannonia inferiore
disponeva di una sola legione, ad Aquinco. Cfr. Alföldy 1977, Moesia
Inferior,232 ss.; Moesia Superior,234 ss.; Pannonia Superior,236 ss.; Dacia,
245 ss.; Pannonia Inferior,251. Birley
1990,189. Southern 2001,203-206. Ruffolo 2004,84. Birley 1990,
194-197. Stathakopoulos 2004,95. Birley 1990,186-187. Historia Augusta, Marcus Aurelius, 14.8;
Historia Augusta, Lucius Verus, 9.11.
Historia Augusta, Marcus Aurelius, 17.4.
Cassio Dione, 72-2, 3; 73-4,5 e 20,1; 74-3, 1,2. Birley 1990,207; Alföldy 1977, Moesia
Inferior,232 ss.; Moesia Superior,234 ss.; Pannonia Superior,236 ss.; Dacia,245
ss.; Pannonia Inferior,251. Cassio
Dione, 72, 3.1. Questa invasione avvenne
secondo Birley 1990,184-186, 194-196 e 207-208 ed altri studiosi moderni
(Brizzi e Sigurani 2010,393-394 e 398) nel 170.
Birley 1990,208-213. Guido
Clemente 2008,635. Kneissl 1969,206-207.
Infatti i cognomina Armeniaco, Medico e Partico sono assenti nella
documentazione di carattere ufficiale posteriori al 172, come ad esempio i
diplomi militari: nello specifico si veda, ad esempio, AE 1990, 1023 o AE 1987,
843 (entrambi del 179). Historia
Augusta, Marcus Aurelius, 24.4.
Tertulliano, 5, 6. Michael Grant,
The Antonines. The Roman Empire in Transition, Routledge, 1994,50. Birley 1990,230-231. Cassio Dione, 72, 27-29; Historia Augusta,
Marcus Aurelius, 26.10-12. RIC, Marcus
Aurelius, 357 corr. (no P P); MIR,18, 322-2/35; Calicó, 2017; BMCRE,674.
Astarita 1983,155-162. Birley
1990,239-240. Historia Augusta, Marcus Aurelius, 26.3-9. Historia Augusta, Marcus Aurelius, 19.1-8 e
26.3-9. Ammiano, 22, 5.5; Historia
Augusta, Marcus Aurelius, 25 e 26; Birley 1990,241 ss.. Historia Augusta, Marcus Aurelius, 1.1 e
27.1-7. Cassio Dione, 71, 1.1. Birley 1990,243-244. IG II2 3620
Historia Augusta, Marcus Aurelius, 27.1.
Historia Augusta, Commodus, 12.4.
Historia Augusta, Marcus Aurelius, 27.5.
Historia Augusta, Marcus Aurelius, 27.11-12. Historia Augusta, Marcus Aurelius, 27.8; Cassio
Dione, 71.31.1 Historia Augusta, Marcus
Aurelius, 27.6. Historia Augusta,
Commodus, 12.5; Historia Augusta, Marcus Aurelius, 16.1-2 e 17.3. Historia Augusta, Commodus, 12.6. Birley 1990,259-261. Guido Clemente 2008,636. Cassio Dione, 72, 36; Grimal 2004,228. Birley 1990,264. citato in Antonio de Guevara, Vita, gesti,
costumi, discorsi, lettere, di Marco Aurelio imperatore, Venezia, 1557,80. Historia Augusta, Marcus Aurelius, 28. Cassio Dione, 72, 33.4; Birley Cassio Dione,
72, 36.3-4. Erodiano, Commodo, I, 13.1;
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and Information (CSLI), Università di Stanford. PredecessoreImperatore romanoSuccessoreProject
Rome logo Clear.png Antonino Pio161–180 (con Lucio Vero, dal 177 con
Commodo)CommodoPredecessoreConsole romanoSuccessoreConsul et lictores.png Gaio
Bruttio Presente Lucio Fulvio Rustico II140Marco Peduceo Stloga PriscinoI con
Imperatore Cesare Tito Elio Adriano Antonino Augusto Pio IIcon Imperatore
Cesare Tito Elio Adriano Antonino Augusto Pio IIIcon Tito Enio SeveroTito
Statilio Massimo145 Gneo Claudio Severo Arabiano II con Lucio Edio Rufo
Lolliano Avitocon Imperatore Cesare Tito Elio Adriano Antonino Augusto Pio
IVcon Sesto Erucio Claro IIAppio Annio Atilio Bradua161Quinto Giunio Rustico
IIIII con Tito Clodio Vibio Varocon Lucio Elio Aurelio Commodo IIcon Lucio
Tizio Plauzio AquilinoMarco Aurelio Campagne partiche di Lucio Vero Guerre marcomanniche
Imperatori adottivi Imperatori romani e relative linee di successione Stoicismo.
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Categorie: Imperatori romaniFilosofi romaniScrittori romani Nati il 26
aprile Morti il 17 marzoNati a Roma Morti a Sirmio Aforisti romani Dinastia
antoniniana Consoli imperiali romani Stoici Annii Auguri Sepolti a Castel
Sant'Angelo Marco Aurelio Persone legate ai Misteri eleusini. Italian
philosopherone of the most important onesVide his letters to his tutor Frontino
-- Marcus Aurelius, Roman emperor (from 161) and philosopher. Author of twelve
books of Meditations (Greek title, To Himself), Marcus Aurelius is principally
interesting in the history of Stoic philosophy (of which he was a diligent
student) for his ethical self-portrait. Except for the first book, detailing
his gratitude to his family, friends, and teachers, the aphorisms are arranged
in no order; many were written in camp during military campaigns. They reflect
both the Old Stoa and the more eclectic views of Posidonius, with whom he holds
that involvement in public affairs is a moral duty. Marcus, in accord with
Stoicism, considers immortality doubtful; happiness lies in patient acceptance
of the will of the panentheistic Stoic God, the material soul of a material
universe. Anger, like all emotions, is forbidden the Stoic emperor: he exhorts
himself to compassion for the weak and evil among his subjects. “Do not be
turned into ‘Caesar,’ or dyed by the purple: for that happens”. “It is the
privilege of a human being to love even those who stumble”. Sayings like these,
rather than technical arguments, give the book its place in literary history. Ab avo meo Vero didici placidis esse moribus et iram
abstinens. Ex estimatione parentis mei cius recordatione ad verecundiam et VIRO
dignos mores usus sum. Matre in studio pietatis erga deos isberalitategimitatus.
Præterea in abstinendo anno perpetrandis modo sed et cogitandis flagitiis. Tum
in frugalitate victus, ab opulentia comitante luxu remotissima. A pro-avo id
habui ut ne in publicos ludos comcarem sed bonis præceptoribus domimex uterer,
intellige regnullis hac in re parcendum sumptib. Ab educatore, ne auriga Praginus,
aut Venetus, neuc palmularius aut scutarius fierem. Ab eodem tolerare labores,
esse contentus parvo, operari, non immiscere mc multis negociis, haud facile
calumniam admittere, didici. A Diogneto, tudium in res inanes non conferre,
fidem abrogare iisque de incantationibus, de monug pfligationib. acid
genusalii reb pitigiatores et impostores referent. Nec animi causa coturnices
alere, aut fi milium rerum studio et cupiditate teneri. Ite libere dicta ferre
æquo animo, PHILOSOPHIAE ME ADDICERE, audire primo Bacchiu, deinde Tandasidem
ac Marcianum, scriber dialogos puerili etate grabatu, pellem, aliağ ad greca
disciplinam pertinentia, usurpare. RUSTICI monitu in ea deveni cogitatione,
mores meos correctione ac cultu opus habere. Non esse imitandos sophistas, non
esse instituendas de contemplationibus scriptiones ne que oratiunculas
adhortatorias declamandum neq speciem VIRI exercitiis dediti, ac laboriosi
ostentandam. Ad hæc rhetorica, poetica ed atrologia abstinendum, domincuesticu,
negaliis huius modi rebutendum. Epistolas scribendas simpliciter, quomodo
ipsius ad matrem meam est epistola Sinueſſam missa. In super placabilitatem este
et in alloquio facilitatem exhibendam iis qui stomachu nobis moverint, aut aliquid
deliquerít, simulatqii redire adofficium volint. Diligenter etiam legendum, nec
omnino considerationem accuratam satis putandum, ne æceleriter adsentiendum
loquacite LOQUACITER CONVERSANTIBUS. Commentarios Epicteti legendos, quorum et
e domo sua mihi copiam fecit. Apollonius medocuit ut libertatem secta rer,
certamg constantiam, negalio un quam, ne minimum quidem, quam ad rectam
rationem respicerem ac semper mei similis essem in gravibus doloribus a
missione prolis, morbis diuturnis. Uc quem in vivo exemplo evidenter
contemplarer, posse eundem et durissimum esse et remissum quam maxime. Tum
etiam ut in percipienda doctrina menon morosum præberem sed circumspicerem de
homine qui palam experientiam et in tradendis scientijs facultatem mia nimum
suorum bonorum putaret. Præterea modum beneficia utiis videntur ab amicis
accipiendi ne vel accepta ea nos viliores redderent vel stupidem ne gligerenturato
permitterent. In Sexto de præhemdi comitatem et exemplum domo ad arbitrium
patris familias institute, vivem di secundum naturam, gravitatem nion simulatam,
ing consulendo amicorum commodis sagacitatem, facilitatem erga privatos, mores
omnibus accomodatos. Quo fiebat, ut eius consuetudo omni adulatione suavior
ipseos codem tempore in summa apud cos quibus cum agebat veneratione esset.
Porro autem expedicam viam acrationem inveniendi et disponendi præcepta ad usum
vitæ necessaria. item quod nequc iræ neo alius cuius animi commotio nis ullum
indicium dabat, sed simul et quam maxime affectibus vacuus et humanissimi erat
ingenii. In codem honc stam famam finciactatione. Multa rumorerum scientiam
citra ostentationem. Alexandrum Grammaticum obseruabam ab increpationibus sibi
tempera re, neque ignominiose castigare si quis barbarum, lolocum, aut absonum
quippiam protulisset sed civiliter id modo o dicendum fuerat, pronunciare.
Perinde ac si respondens vel suam sententiam interponeret, aut rationem re ipsa
non verbo cum altero conferret. Aut omni no alia quadam solerti et occulta correctione
idem efficiebat. A FRONTONE didici ut scirem quæ consequeretur tyranidem
invidia quæ varietas simulatione. Et quod omnino qui nobis patria icidicunt in
humaniores quodammodo fint reliquis. Ab Alexando Platonico, ne crebro neve nil
necessitate coactus cuiquam dicerem scriberemúeme esse occupatum ne ve
identidem impendetia negocia prætendendo debita familiaribus officia
detrectare, A CATULO, ne parvi facerem li quid amicus conquereretur, etiam et
nulla id ab eo fieretratione. Sed anniterer eum in pristinam gratiam rcducere. Item
ut summa animi contentione præceptorum laudem prædicarem. Uti de Domitio et Athenodoto
traditum est. Ut yliberos vere diligere. A fratre meo SEVERO amore familiarić
et ucritatis iustitiæ. Per eundem cognovi Thrasea, Helvidium, CATONEM, Dionem,
BRUTUM. Idem mihi autor fuit ut animo conciperem formam reipublicam in qua
æquis legibus codemý iure omnia administrarent, ac regni, cui nihil cf afet
libertate subditorum antiquius. Eun dem observans curis esse vacuum, constantiam
in honore PHILOSOPHIAE habendo, beneficentiam et liberalitatem perpetuam
servare, bene sperare ac de amicorum in amore certo libipolliceri, aq bus animo
elſet factus alieno idiis non occultum ferre. Nec amicis eius opus esse ut de
ipsius voluntate coniectura facerent sed eam apertam elle. Maximus adhortatus
me est, ut suo exemplo me ipsum regerem, neq ulla in re præcipitarem, animo
bono cùm aliis in calibus, tum in morbis essem. Ut moribus ut erer temperatis, blandis,
ac gravibus ut quæ instituissem expedite necma gnacum molestia perficere.
Dicebat libi verba facienti aut a genti quic quam nemine non fidem habuisse ex
animi ipsum sententia loqui vel agree. Nullius rei admiratione se obstupuisse
nunquam aut seſsi nasse, aut cunctatum fuisse, nec trepidasse neq mæstitiæ, neo
gaudii nimium fuisse, neqz iracundum neq suspiciosum sed beneficum, placabilem,
veracm, magis có Itantia erroris secura o erratorum correc ioné præ se tulille.
Neminem fuisse, afe 1 abipfo conteptum, aut ipso pstantiorem putaret.
Liberaliter quoß facetum fuisse. Patris notavi humanitatem et inijs quæ semel
essent accuratem deliberata, pmansionem vanægloriæ et eorumque putant, ne que
sunt tim honoru contemptu, tudium laborum, assiduitatem. Libenter audiebat cos,
qaliqd reip. utile poterant adducere. In tribuendo unicuip dignitate suu firmiter
pſeuerabat, pitusubi intendendum et ſet, ubi remittedum. AMORES ADOESCENTU lorú
coercebat, utilitati publicæ, oes cogitationes intendebat. Amicis sec uncce nan
dı, autiter faciendi necessitate remittebat etque necessitate aliqua impediti
cum non conitati fuerant, cunde fempirfum inveniebant.In consiliis accurateqd
conducere possetīqrebat, ac conftanter, nec ob uiis quibusg cogitationik.
contento fine consultandi faciebat.Amicitiam conservabat, neq vel satietaté
amicorum capiebat, ne ad eosparandos furore aliquo ferebat. In oib.reb. ola sua
i se repogta habebat, læto vultu. Longe futura puidebat. Arq et minima antem
pparabat, idý citra tumultum. Acclamationes, oems adulationem compescebat. Quæ
ad magistratum erant necessaria, semper custodiebat, sumptus procura bat, ncq
detrectabat dcijsreb, causam dicere. Deos citra superstitionem cole þat,
homines ne demerebatur, ncquc auram popularem captabat. In omnib, his sobrius,
costans, nusquam ineptus, aut novitatis studiosus. Has porrò res, quæ ad vitę
commoditatem aliquid conducunt, quas fortuna suppeditat, liberaliter, fimulý
sincfastu tractabat, ita ut & liadeffent, haud solicite iis uteretur, nec
defidcraret, li deeflent.Nemo fuit, quieum aut sophistam, aut vernam, aut
hominem de schola esse diceret. Sed VIRUM MATURUM, absolutum, adulatione superiorem,
qui et seipsum regere, et ali ospoflet, Iam PHILOSOPHIAM VERAM profitentes in
honore habens, reliquis nihil exprobravit. Cæterum in consuctudi ne familiari commodus
gratiosuso extra fastidium erat. Corpus suum moderate curabat, non ut qui vitæ CUPIDUS,
aut cuiforme elegantia curæ esset, non tamen interim negligenter. Itag suæ
diligentiæ causa paucissimis medicorum pharmacis et fomentis opus habuit. Id in
co praeclarissimum fuit, quod facultate alicuius rei præditis concedebat abso
invidia, utoratoriæ, historiæ, legum, consuetudinum, aliorum gid genus. Quin
etiam ut gloriam iis rebusquibus excellebant, adipiscerentur, operam suam ipsis
navabat. Eccum ageret omnia secundum instituta maiorum, ne hoc ipsum quidem
studebat consequi, ut videretur a maioribus accepta obserualle. Ad hæc non erat
vagus aut levis sed locise et negociis iisdem soleba timmorari. Post intentissimos
capitis dolores, recens at que alaçer ad consueta opera redibat. Praeterea
pauca ad modum habebat arcana et hæc quoq tantum derebus publicis. Prudens
porroerat, moderatus cum in spectaculis exhibendis, tumin operum extructionibus
congiariis et aliis huius modi negotiis. Guippe vir ed ex usu foret potius,
quam quem gloria fa &tum sequeretur, reputans. Non utebatur alieno tempore
balneis, non erat ædificandi CUPIDUS, non de ciborum, non vestium texturæ aut infacturæ,
non formæ corporis elegantia anxius. Comitatus ei e prædio qui eum ab inferiori
casa deduceret. Inter Lanuvinos ple rung Tusculano publicano utebatur, etiam
deprecante. Omnino in eius moribus nihil in erat in humanum, nihil in
verecundum, nihil procax, ne quod dicitur ad sudorem usque. Sed omnia ita
apta et concinna ut li per otium
cogitata fuissent, compositem, placidem, firmiter et sibi in vicem convenienter.
Ac commodari posset ei id quod de Socrate memoratur, quod et abstinere potuerit,et
frui reb.istis, quibus et carere ple rio per infirmitatem & in fruendo
continere se nequeunt: at temperare fibi ab utroque uitio pofle et sobrium
permanere, id VERO VIRI eft animo integroinui conspræditi: quod ille in morbo
maximi præstitit.A diis bonos avos, bonos parentes, bonam sororem, bonos praeceptores,
familiares, necessarios, amicos bonos accepi feren omnia bona: tum g in nullum
eorum quicquam deliqui, quam quam ita affectus, ut, si occasio incidisset, utiq
aliquid tale admisissem verum beneficio deorum evenit, neresita caderent, ut
hoc in me depræhenderetur. Id quoque iis acceptum refero, quod non diutius apud
concubinam avisum educatus, quodad PUBERTATEM CASTUS perveni, neque ante eam
VIR sum factus sed tempus expectavi. Quod principi et patri subditus fui, qui
erat omnem mihi superbiam excussurus, oftenfurúsque pofle eum qui in aula vivat
et ftipatoribus carere & vestibus pictis et facibus, ftatuisý certi
generis, reliquo ğluxu: Sed licercei proximum privato homini habitum ſumere:
imò verò eum splendorem eos, qui principes rempub.gerere velint, demissio, res
segnioresg efficere. Itemque eum fratrem sum nactus, qui moribus fuis me ad
curam mei ipsius habendam posset excitate, honore autemet amore in me suo delectare . Quod hberi mi hi
neque indole, neque corpore pravinati sunt. Quodmagnos in rhetorica, poetica,
reliquisg studijs progressus non feci, qme fortassis planem detinuissét, si me
feliciter pficeresenlitlem. Quod mature cos a quibus sum enu tritus in
dignitate constitui, quod mihi videbantur cupere, quodg id iuvenib. Adhuc praestiti,
neo diu cas future spela cavi. Quod Apollonium, RUSTICUM, Maximum cognovi. Quod
perspicueat ą sæpe numero naturalem vitam cum ani momeo reputavi, qualisnam ea
esset: nimirum quodad deos attineret & co rum munera, cogitationcsoninde
conceptas, nihil iam obstarc, quin aut secundum naturam viverem, aut non. Atque
boc quidem fore mca culpa, qui deûm monitus,actantùm non præcepta non
obferuaffem . Quòd in cali uita mcum corpus tandiu durauit.Quòdncquecú
Benedicta,nc cumThcodoto rem ha bui , fed & pofteàamore cócitus, rcctæ
rationi parui. QuòdRuſtico fæpiusin dignatus,nihil prætercà admiferim, cu ius mepæniterepotuiſſet.
Quòd ma ter, cum esset adhuciu venis moritura, reliquos tamen vitæ suæ annos
mocum exegit. Quod quotiescung pauperi ali cui, aut alias indigenti opitulari
statuissem, nunquam audivi, pecuniam mihi 110 non esse, unde id facere et quod
mininum quam usu ucnit, ut alterius ope indigerem . Quod uxorem ita obsequentem,
mei AMANTEM ac limplicem habui. Quod alumni quibus liberos meos credere idonei
non defuere. Quod in somnis cum alia mihi remedia funtdata tum contra sanguinis
ex creationem ac contra vertiginem, hocg Caietę. SicutChrękę. cuğanimü ad PHILOSOPHIA
adiunxič ſem, nó incidi in sophistam aliqué, aut scriptore, vel a SYLLOGISMOS diflol
uere doceret, aut meteora traderet. Olahực deorum auxilio, forcuna indigent.
Hec in Quadis ad Granuam. Solobatis sibi prædicere, erit ut incidam in curiosum,
ingratum, contumeliosum dolosum, invidum,
DISSOCIABILEM. Omnia hęcijs euenc runt ignoratione bonorum et malorum. Ego
vero, quinaturam boni perspectam habeo, quòdhoncstum fit, & mali, quod
turpc,ipfamg .eius qui peccat natura, quod mihi lit cognata non quia ciul dem
carnis efs aut feminis sed mentis et divinem particulæ particeps a nullo cocum
lædi pollum. Nequccnimiamo V turpitudinem aliquam quisquam con ijciec. Ei porrò
quod mihi cognatum est, negira scipossum, neque insensus esse: ute nim unus
alterum iuvaret in suo opere, eo nati sumus, ut manus, ut pedes, ut palpebræ,
ut superiorum inferiorum o dentium ordines. quare contra natura est, ut in
vicem nobis repugnemus: atqui succensere at a verfari se invicem ,id quidem est
repugnare. Quidquid ego sum, idomne constat caruncula, animula et mente.
Proinde missos fac libros, neß stude, non enim licet. Quin tu, ut mox vitam cum
morte commutaturus,cor pussperne, quod est tabus, ossicula et reticulí
muliebris instar plexus nervorum, venarum arteriarum. Animaquog considera,
qualis ea sit. SPIRITUS nimirum , ne que is idem semper, sed qui in horasali us
efflatur, alius ſorbetur. Restat tertia pars, principatum obtinens. Proindelic
tecum reputa. Senex es? Ne patere hanc principem partem ulcerius feruire, necß
alieno impetu raptari, neq fatú uel præ sensi niquem fer, vel im pedes
subterfuge. Res decorum plenæ sunt prudentiæ. Fortuitæ aut non carent natura,
complexude corum quæ a prudentia administratur. Inde omnia fluunt:necessitas
etiam accedit,et totius universi cuius tu pars es utilitas. Porrò autem quòd
natura univerſi fert, quod quem ad eam facit conservandam, id bonum est unicui
vis univerli particulæ. Conseruant autem mundum, quemadmodum elementorum, ita
& exipsis concretarum rerum mutations .Hec sufficiant tibi, ac sem per
præceptorum locum habcant. Librorum verò Gitim proijce, ne murmurans moriare
sed vere placatus, at ex animo gratiam diis agens. A Emento quandiu hactenus ea
diftuleris, ac quoties prorogato tibi à diis tempore, co non ususlis. Certè
aliqua do te animadvertere oportet, cuius mundi pars sis et à quo mundi gubernatore
de fluxcris. Tum finem præscripti tibi temporis futurum. Quodquidem tempus G
ocio sus intra parietes consumpseris, elabet, nequeredibit unquam tibi
defuncto. Singulis horis animo in id incumbe ut fortiter, quemadmodum ROMANO ET
VIRO CONVENIT id quod præ manibus est, per agas, accurata & non fi &ta
gravitate, humanitate, liberalitate, iustictia g adhi bitis .Interea animum
tuum ab omnib aliis cogitationib. abduc: quodita fict, si unum quodlibet
negotium, eorum quæ in vita tua exequenda cibi fintpo stremum elfe iudicans, ita
conficias, ut ne quid vanitatis, affectuum a conglio avertentium, simulationis,
AMORE SUI, aut earum rerum quæ fato quodam ei negotio adiunctæ sunt improbationis
admittat. Cernis, quam pauca Gint ea, quorum có pos vitam felicem ac diuinæ
similem ui uerc homo potest? nam ea qui adferuarit, ab eo dijnihilultrà
exigunt. Ignominia te ipsum affice anime, contemnete ipsum inquam ut enim
honore te ipsum afficias, non tibi præterea tempus suppetet. Vita enim unicuiqueid
præbet. Quæ tibi propemodum iam exacta eſt. Nonigitur te ipsum venerare sed
felicitatem tuam aliorum in animis reposita habe. Non patere ab ijs quæ
extrinfecus accidunt, te circúagi,ſed otium tibipa raut boni aliquid
addiſcas,ac uagari de fine.Eft & alter declinandus error : nó . nulli enim
actibus uitæ ſuæ'confecti de lirant,quòdfcopum nullum habent,ad qué omnes ſuos
conatus & cogitatio nes dirigant. Haud temere quisquam repertus est infelix
ea de causa quod non inquireret quid aliorum animis accideret. Qui ucrò luiiplius
animi motib. non obsequitur, necessario miser est. Horum semper oportet
recordari, quæ sit uniuerli natura, quæ mea, quomodóque hæc ad illam lit affecta,
qualis pars ca cuius totius Git : adhæc neminem esse qui obstet, quo minus semper
ea, quæ naturæ cuius tu pars es Gintconfentanca et agas et dicas. THEOPHRASTUS
in comparatione peccatorum, ubi ostendit communiorem ea inter se conferendi
rationem, PHILOSOPHICE, inquit, ea quæ per cupiditatem conmittuntur peccata,
graviora esse iis quem periram. Et enim iratus videtur cum dolore quodam et
occulte correptus animo a recta ratio ne divertere. Qui vero per cupiditatem
peccat, victus a voluptate, intemperantior altero censetur, magilý EFFEMINATUS.
Recte igitur, & ut PHILOSOPHO diagnum erat. In maiori esse culpa pronunciavit
cui voluptas, quam cui dolor peccandi fuisset causa: ac omnino hic ante læsus,
& propter doloré iratus, ille sponte sua ad delinquendum cupiditatis
explendæ causa fertur. Omnia tibi ita et agenda sunt et dicenda et cogitanda,
ut Giam nunc vitam in exitu esse arbitreris. Cæterum e vivis discedere, si
quidem dii sunt, nihil habet incommode. Neque enim ii te aliquo malo sunt
affecturi. Sin autem, vuel non sunt dii, uc!res humanas non curant, quid atti
nebatui vere in mundo deum, ac prouidenti z uacuo? Enim vero et sunt dii et
rerum humanarum curam gerunt et ut ne homo in ea, quæ re vera sunt mala, incideret,
id quidem in eius potestate posuerunt. In reliquis rebusliquid mali inesset,
utique & hinc ei prospexissent, ne omni noin malum incideret. Quod uerò
hominem deteriorem non efficit, quonam id modo uitam eius poflet
redderepeiorem? Et quidem um niuerli natura nunquam neg perigno rationem ,ncg
fciens quidem , non ua lens autem cauere autemědare illa, tan tum errorem
admiſerit,neque imbecil licatis,nequeinſcitiæ caula, ut bona & mala bonis
maliſque hominibus promiscuem & ex æquo accidant. Atqui mors et uita ,
honor et ignominia, dolor et voluptas, opes et paupertas, omnibus hæc uniuersa
eadem ratione hominibus cum bonis tum malis contingunt, ſuntg neque honesta, neque
turpia: ergo neque bona quidem, neque mala. Quam celeriter omnia aboletur, in
müdo quidem corpora, in quo autem etiam corum memoria. Omnia quæ sub sensum
cadut, ac præsertim ea, quæ vel voluptate alliciu ut, vel dolore terrent, vel
faste suo clara sunt, quam vilia sunt ca omnia et contemptione digna, quam
sordida, obnoxia interitui et mortua? Intelligentiæ est, indagare quidnam
sintii, quorum opiniones et voces gloria. Quidnam estmors? Certe si quis ea per
se intueatur, cogitatio neg omnia ab ea separet, quæ ciinesse videntur, isi am
nihil aliud existimabic esse mortem, quam opus naturæ. At verò PUER EST, qqui
nature aliquod opus formidat. Et quidem mors non opus solum est naturæ sed et
prodest ei. Qoónam modo Deus hominem attingis et qua hominis parte ?preterea
quomodo affe citur eo tactu pars illa? Nihil miserius cít eo, qui omnia
circulando scrutatur, et quod aiunt ea etiam quæ ſunt infra terram rimatur, coniecturağ
ea quæ in aliorum animis eueniant inquirit, neg ſentit ſufficere,utſuu quiſq
quiin ipſo ineſt genium obferuet, eumlegitimè colat.Colitur autem, fi quis
ſeiplum ab animi perturbationib.à vanitate,ab in dignatione eorum caufa quæ à
diis aut hominibus aguntur concepta,uacuum conseruet. Quæ enim dijagút,
virtutis causa honorem quæ ab hominibus, cognationis nomine AMOREM merentur:
nonnunquam etiam miserationem, ratione ignorationis eorum quæ bona aut mala
ſunt. qui sane defectus non uilior eſt eo, quo ne inter album et nigrum discernere
poſsimus, impediunt. Quòdf tria annorum millia tibi vivenda forent, insuperg
triginta alia, tamen recordandum tibi est, neminem aliam ab ea quam vivit uitam
deponere, negaliam dep nere quam eam quam vivit. Itagidem est longissimum
spatium cum eo quod est brevissimum. nam quod praesens eſt, id omnibus idem est,
quanquã id quod perijt, non fitidem, atqid quodamitti temporis punctum eſſe apparet. Ete nimncß
præteritum aliquis,neß futu rum quicquã amittere poteft:qui enim id ei
adimatur, quod ne habet quidem. Duo itag hæc memoria ſunt tenenda, Vnum ,omnia
ab æterno eſſe ciufdé for mæ, atq circulo reuolui,nequedifferre quicquam,
eadémne cétum aliquis, aut ducentis annis , an uerò infinito videat tempore.
Alterum, quodis qui diutif sime uixit, & is qui celerrimem moritur, tantundem
amittunt: eo enim tantum priuantur, quod præsens est, quando id etiam solùm
habent: quod autem non habet, neid ne deperditur quidem, Universa elle ſita in
opinione. Quod patet ex his quæ cum Monimo Cynico sunt disputata. Perſpicua
autem eft c ius quod dictum eſt utilitas, fi quis ea tenus eius fuauitatem
admittat, quate nus ueritati congruit. Anima hominis contumelia se ipsam multis
modis afficit. Primo, quum quantum in se ipsa Gitum eſt,abſceſſus quidam, &
qua fulcus mundi fit.Abſcedit autem à na tura, quando ea quæ fiunt, iniquo fere
animo: cuius quidem naturæ una in par e reliquæ singulorum naturæ omnes
continentur. Deinde, quum hominem aliquem auerlatur, aut lædendi causa
adversatur: hoc est iratorum. Tertiò, quum uoluptati aut dolori ſuccum bit.
Quartò, quum fimulat, fidéquc aliquid autfacit aut loquitur. Quin to , quum
fiquam actionem aut cona. tum ad nullum certum scopum diri git,fed fruftrà
quicquam,nulláque con fequentia agit: quum oporteat etiam minima quæg ad certum
finem referri. Finis autem animantiratis eprædi to propoftus eft utrationem
atque Le gem ciuitatis uetuſtiſsimæ fequatur. Humanæ quidem uitæ tempus,momë
tum eft, natura fluxa ,fenſus obſcurus: totius corporis temperamétum putrc
fcitfacilè ,animauaga eſt, fortuna quæ fit, difficile eſt colligere ,
famaincerta eſt. Atque ut ſummam rei dicam , o mnia quæ ad corpus pertinent,
fluuij naturam habent, quæ ad animā,inſom nij & fumi:uita bellum eſt, &
peregri natio , fama poſt mortem ,obliuio eft. b4 Quid ergo eſt quòd tutò hominem por
fitdeducere? PHILOSOPHIA. Ea verò in hoc conſiſtit,utgenium quiin te est, incontaminatum
conferues,atqz illeſum , la uoluptatibuſ & doloribus fuperiore: ut nihil
fruſtrà,nihilfictè aut falſò agas: nihil cures, agátne quicquam alius,aut
omittat.Præterea,ut ea quæ accidūt,fa tóue eueniunt, ita accipias, tanquã inde
miſſa,unde tu quoqueneris.Poftremò, utplacıdo morté animoexpectes,quip penihil
aliud ,quàm diffolutionem ele métorum eorum ,ex quibus unūquod libet animal
concretum eſt. Iam Gipfis elementis nihil mali euenit continenti bus iſtis
mutationibus, quibus ipfain ter ſe alia identidem in alia uertuntur, quænam
causa est, cur de mutatione universi corporis, dissolutionéque fini ſtrum
quicquam suspicari debeamus? Cum ea fecúdum naturam fiat. nihil vero malum est,
quodnatura cuenit. Hæc Carnunti disputata. qonhoc tantum est considerandum,
singulis diebus vitam cossumi, parcég eius ſubinde minorérelinqui: fed &
hoc cogitandum ,getſiquis diutius lit uictu rus,incertum tamen eſt,lítne
fuppedita tura eadem intelligentia ad cognoſcen das res, & cótemplationé,
cuiusfiniseft peritia rerü diuinarű at humanarum, Etenim & delirare
ceperithomo,fpira bit quidé nihilominus, nutrietur,imagi nabitur,appetet,reliquasgid
genus fa cultates retinebit: ca vero uis , quaſe i plo uti queat , rationes
officii ſubduce re accuratas, quæ animo pręcepitin or dinem collocare, de
coipſo an iam tem pus fit uitam relinquendi delibcrare, ac fi quæ alia sunt, ad
quæ obcunda ratione probè exercitata opuseft, ea inquã uis iam antè extincta
eft.Feftinandum eſti gitur,nonidcò ſolú, quòd fubinde moc b s ti propiores fimus, fed &quia rerum in
telligentia nos ante exitum uitæ deſti tuit.Id quoß observandum, ca quę appendicis
quafi loco adhæréthis quæ na tura fiunt,haberenonnihil gratiæ & o
blectationis.Viquum panis pinlitur,ui demusquaſdam particulaseius rumpi: quod
ipſum etli quodãmodo accidit præter inſtitutú piſtoriæ artis, habet ta
mennónihil decoris,appetitumg cibi ſuo quodā'modo excitat. Ficus quog quú
maximè maturæſunt, fatiſcút, itém Oliuis maturiſsimis quiddam putredi
niproximum ,pulcritudinem peculiaré addunt. Iam ſpicas deorſum le flecten tes,
leonis ſupercilium , fpumam apro rú ex ore effluentem ,multa eiuſmodi alia
fiquis ſeorſim confideret,intelliget ca ctGlongèabſuntà pulchritudine,tas men
quia rebus naturalibus inhærent, & eas conſequuntur,co &ornatum his
adferre , & delectare. Quam obrem qui attentiùs ea quæin rerum natura fi
untmente contemplatus fuerit , nihil pon eleganter eſſe factum putabit , e tiam
corum quæ appendicis loco res naturales conſequuntur . Itaque ue ros belluarum
rictus haud minori cum uoluptate afpiciet, quàm quos picto res & figuli
effingunt: uetulæ etiam & ſenis maturam ætatem , puerorúmque amori aptum
florem caſtis oculis in tuebitur: multaque alia cernet, non a. pud omnes fidem
inuenientia , ſed a pud eos folùm , qui naturam , ciúſque opera rectè
intelligit. Hippocrates quummultosſanaſſet morbo,ipſemor bo deceffit. Chaldæi
multis finem ui tæ prædixerunt:poſtipfos etiam fatum arripuit, Alexander,
Pompeius, & C . Cesar, quum totas urbes toties deleuiſ ſent, commiſſó
queprælio multa cqui. tum peditúmque millia cecidiſſent, i pli quoque tandem
uita exceſſerunt. Heracletus, multa denatura rerum, & incédio finem
uniuerfo allaturo quum diſputaffet, ipſe intercutc aqua disten , tus, ftercore
bubulo oblitus mortem obijt. Democritum pediculi, Socra. tem cicuta abſumplit.
Quorſum hæc? Ingreſſus es uitam , nauigaſti, uc & us cs: diſcede. Quod fi abcundum
eſtin aliam uitã , equidem neibi quidő erit quicquã dijs uacuum :lin omnisſen
fus adiinet,nó iam præterea dolores ac uoluptates ferēdæ,neg feruiédum uaſi
tantò deteriori. Quinimo quod ſeruit, id fupererit,nimirum més &genius: cú
uas illud terra fit , & tabus.Proinde reli quum uitæ tépusne abſume de
alijs co gitando, nifi ad commune aliquod co modum id referatur: alioquin enim
in terim ab alio negotio detineberis.Nam cogitare,quid hic uelille agat, quamob
rem , quid loquatur, quid cogitet, quid moliatur automnino de alijs effe folici
tum, id uerò efficitur euagemur,neque obferuemus eam quæ principatú in no bis
obtinet partem .Itaq;in ſerie cogita tionú declinanda eſt uanitas, omniúş
maximè curiofitas, & malitia.Adſuefa cere teipfum debes, ut de his tantùm
re bus cogites , de quibus fi quis te fubitò interroget quid nunc mediteris,
confe ftim liberè pofsis refpondere , hocaut boc:nimirum ut ftatim
conſtet,cogita tiones tuas eſſe ſimplices,placidas,con fentaneas animali
fociato alijs , ac negligenti earum quæ ad uoluptatéoble & ationemúefaciant
cogitationum ,ua cuo contentionis, inuidiæ, fufpitionis, aliorúmue, quæ ſi te
animoagitaffefaf fus eſſes,pudore ſuffundi oportuiſſet. Virad hunc modum
compoſitus, non eft cur diutiusexpectet nomen eius, qui in optimorum Gii
numero. Eft cnim fa cerdos quafi, &adminiſter deûm , uti turg eo,
quodinipſo tãquam ſacrario eſt pofitum . Id autem hominé præſtat purum à
uoluptatibus, inuiolatú à do Ioribus,intactum à libidine, inſciumo mnis
malitię, certatorem maximi certa minis (ne fcilicet ullus cum affectus de
ijciat altè tinctum iuſtitia ,ex animo có tentum ijs quæ eueniunt, fatóuedeſti
nata ipfi funt, non sæpe,ncg niſi magna & publica neceſsitate urgente, de
alio rum dictis,factis, aut cogitationib.me ditantem : ſolis enim ijs quæ in ipſo
ſunt ad agendum intentuseſt, ac quæ à fato uniucrſi ipfi ſunt deſtinata,
continenter conſiderat. Nam illa cenſet honeſta & pulcra: quæ uerò fibi
obtigerunt, cabo Dacſſe perſuaſum habet: quippe uniufs cuius factű & constat
aliunde, & fecü aliud adfert.Meminit etiam oia ratione prædica eſſe interſe
cognata, eſſeſ ,ho minis naturæ cóueniens, ut omniūho minú curā gerat :
exiſtimationem auté non ab omnibus hominibus petédam, sed ijs tantùm, qui
naturæ conuenienter vivunt. Qui uerò aliter uiuunt, hi quales ſe domi &
extra ædes,noctu at que interdiu gerant,ac quibus fc homi nibus admiſccant,
perpetuò memoria tenet : ab his igitur laudariſe nihil cu rat, quum ij ne fibi
quidem ipfis pro . bentur. Ne inuitus accedas ad agen dum, neque cotus humaniimmemor,
neque non bene cogitata re, neque pa tere te retrahi:nein cogitationibustuis
aftutiam ſecteris,nequeuerbolusfis ,ne que multa negocia ſuſcipias. Enimue ro
Deus qui in te ineſt, præfit'tibi,ma ſculo animanti , ſeni, ciui,Romano, ac
principi, qui ſeita comparauerit, ut ad abitum inſtructus expecter quando re
ceptui ex hac uita canat. Neiuramen toindigeas, néue hominis alicuius teſti
monio , Hilari eſto uultu, ac qui exter " A nominiſterio poſsit carere.,
eám quam alij ſuppeditent quietc. Rectú elle expe dit te, nó quilapſus ſe
erigat. Si quid in uita humanainuenis potius iuſtitia ,uc ritate , temperantia
, fortitudine,autfi quid aliud melius eſt, quàm animum tuum eſſe ſeipſo
contentum, quatenus præſtat ut fecundum rectam rationem agas: ſi, inquam, in
fato , & ijs quæ abfo tuo delectu tibi ſunt deſtinata inucnis aliquid his
quæ dixi præſtabilius, caut fruaris toto animo incumbe.Sin co qui in te eft
collocatus genio nihil præftan tius inuenis, qui & appetitus fibijpfi
fubiecit, & uifa examinat, &à perſua fionibus ſenſuum ut dicebat
Socrates scipsum abduxit, féque Dco ſubmißt et pro hominibus procurat: fi hoc
inferiora omnia , & uiliora de prehendis, nulli alteri rei locum con cede,
nefemel ad eam inclinans , poft hac proprium illum tuum bonum præ ferre omnibus
rebus nequeas. Nes fas enim eft ullam aliam diuera generis rem bono
rationcprædito, & effe &tri ci opponi : ut laudem popularem, principatum,
divitias, voluptatum perceptionem: hæc omnia,quel parùm te iis accómodare uiſum
fuerit,confeftim præualent, & à recta uia abducunt. Tu uerò , inquam ,
fimpliciter ac liberè id quod eſt meliuselige,eiginhære :me lius autem eſt id
quod conducit. At hocipſú fi ea ratione fitutile, quatenus métem habes, serva: lin
quatenus es ani mal,repudia, & iudicium integrum reti ne. Id modo cura, ne
quid , p tuo como do amplectaris, quòd pofsit aliquando tecompelleread
fallendum fidem ,pro dendam uerecundiam, odium alicuius, fufpitiones,
imprecandum, ſimulandú, appetendúmue aliquid, quod parietes & uelamenta
degideret. Etenim quimé tiacgenio fuo, & facris uirtutis eius pri mas
defert, is tragediam nullam exci tat,nongemet,nó ſolitudinis,nófrequé tiæ
hominum indigebit: plerung uiuet nekappetés quicquā, neqfugiens.diú ne aparuo
téporis {patio incluſa cor pori animautatur, nihil omnino cura bit:nam etli
continuo migrandum fit ,i . ta facile diffoluétur ut fi ad aliam quan dam
functionem uerecundè ac decen ter obeundam ſe conferat. Id unum fi per
uniuerſam uitam obſerues,ut cogi caciones tuæ ſíper lint de ijs rebus quæ ad
ſocietatem ciuilem nato animali, ei que rationis compoti cóueniant , nihil
unquam in animodeprauatú, nihil puc rulentum , nihil contaminatú ,nihilſug .
gillatú invenies Ncą uerò fatum uitá imperfectam adhuc abrūpit, quemadmo dum dici
poſſet de tragãdo fabula no . dum peracta diſccdéte.)præterea nihil feruile,
nihilfucatum ,nihil alligatum, nihil abſciſſum , nihil obnoxium ,nihil
occulcum. Venerare facultatem cogita trice : in co.n.ſuntoía , ut pars cui prin
cipatum obtinés nihil unquam animo concipiat quod fit naturæ inconueni ens, aut
conſtitutionianimalis ratione præditi.Illiusautem conſtitutionis eſt munus,ut à
temeritate alieni, coétui hu mano adiuncti, dijsý obſequentes li mus. Proinde
omnibus proie & is, hæc modo pauca comprchende, acmemo ria tene, gunufquifq
tantùm , id quod præſens eittemporis punctum uiuit: reliquum uitæ aut iam exactum
,autin in certo politum est. Exiguū ſanè tempus quod uiuit quil:perexiguus
etiãter ræ, in quo uiuitur,angulus:etia longiſsi ma poſt obicú fama, cxiguum
cft , quæ &ipſaper ſucceſsionem cóſeruaturho múculorum mox moriturorum ,
acne ſe quidem ipfos cognoſcentium , nedů cum ,quiiampridem fato conceſsit. Ad
dendum his quæ commemoraui præce ptis unum , nempe eius quæquouis tem pore
animo noftro cogitanda accidit rei, definitionem ſeu deſcriptioné effe
faciendam,quo tecúipſe differerepof fis, quęnam lit eiusnuda &abomnibus
alijs ſeparata natura , ac qualis: tú quod proprium eius nomen, quæ item appel
laciones eorum , è quibus ipfa confiata eſt , & in quæ diſſoluet. Nihil
enim per indeaninum magnitudine extollit, ac uia & uerè poſſe lingula,quæ
in hacui. ta nobis occurrunt, examinare, atß eo modo ſemper intueri,utunà
deprehen datur, cuinam uniuerli parti unuquod. que uſui ſit, quo in precio
habendúra tione cum iplius.uniucra , cú hominis, 14 qui ded quiciuis cſt
ſupremæ ciuitatis, ac cuius quaſi domus lunt reliquæ ciuitates . Quid eft,
quibusex elementis concres tum . & quandiu fert natura cius ut per maneat
id, quòd modò cogitatione ani momco attulit?quaporrò uirtuteadid uſus
cric?ſcilicetmanſuetudine, ortitu dine, ueritate, fide, ſimplicitatc , ea qua
totus ex me aprus fum , cęteris?de lingu lis ergo dicédum . Hoc divinitus
venit, hoc faci connexio, casus $ aut fortuna attulit,hoc pfectum eſt à cognato
mco & focio ,ignaro quidem quænam effet cius natura: ego autem & noui,
& cofc cundum legem ſocietatis naturalem u toræquo animo,iuſté ,limulgin mc
dijs rebus coniecturam facio ut unicui que ſuum ut dignum eſt tribuam. Sirea
&am rationem fequens, id quodinſtat agas diligéter,firmiter,æquo animo,nc quc
inftituto negotio alia admiſccas, ſcd cuum geniumGincerum conſerues, perinde ac
fi iam is dimittendus tibieſ let, atqita ſi perſeucres nihil expectás, nihil
fugiens,fed eo quod ſecúdum na turam agis, & heroica in dictis factiſas ueritate
cótérus, bene uiues. Nemo aut eſt, quihocimpedire poſsit.Quéadmo dum mediciad
ſubita malacuranda,in promptu ſua inſtrumenta habent, at ferramenta : fictu ad
res diuinashuman nalý præcepta inſtructa habe,atos para ta :omniaş etiam
minimaita age,ut mc mineris hæc duo genera interfe eflc có nexa. Neg enim rem
ullam humanárc ctè perfeceris,niſi ſimulcam ad deosre feras:neq contrà. Non
erra amplius. Non eniin commentarios leges tuos, neque priscorum ROMANORUM et
græcorum acta, excerptas ex libris, quæ tibijpfi in ſenectute utenda
repoſuiſti. Itaqad fi nem propera,uanaló (pes miſlas faciés, tibiipfi opem fer,
fiquidé(dum licet )tui rationem habesullam . Neſciunt quàm multa fignificet
uocabulum furari, ſerc re, emere,quieſcere, uidere quid sit agendum. Quorum
hocnon oculis cernitur, ſed alio uiſu.Corporis ſuntſenſus, ani miappetitus,
mentis praecepta. Imaginari aliquid , & uiſum concipere,nobis cu pecoribus
eſt communc.Moueriappe titus explendi cauſa ,id quidé & belluis contingit
et ANDROGYNIS et Phalaridi et NERONI. Porrò mentem ducé habere ad ea quæ
apparent eſſe officij, corum etiá eſt, qui deos eſſe negant, qui patria
deſerunt, qui fimulac fores clauſere,ni hil non turpe perpetrant. Si igitur
reli qua his quæ dixinius omnibus funtcó munia,reliquum ſanè eft aliquid, quòd
proprium lit uiri boni: nempe æquo a nimo ferre ca quęaccidunt,fatog eie
ueniút, in pectore collocatum genium non commouere, neg turba uiſorum
perturbare,ſed quietum ſeruare, cique decenter tanquam Deo obſequi: nihil à
ueritate alienum loqui,nihil præteriu ftitiam agere. Quòd fi nemohominum credat
eum fimpliciter, uerecundè , ac tranquillo animo uiuere, tamdnneque ſuccenſebit
cuiquam, nez deflecter à femita ad finem uitæ ducente:ad quem finem uenire
debet homo purus, quie tus, ac diffolutu facilis, & qui nulla ui coactus
ultrò ſuo ſc faro accommodauerit. VAE in nobis ineſt pars prī cipatum tenens,
ea di ſecun dum natura fe habeat, ita ad ea quæ accidunt comparata cit,ut
quouis tépore facile ad id quod poſsibile eft &conceditur ſe adiungat.
Neg.n. materiã aliquä fibi ppria ſubic ctá habet, fed ut cum exceptione qua
dam'ad ea fertur, quę propofita ſunt,ita id quod offertur ei, pro materia sua
accipit. Quemadmodúignis, quiijs quæ inciduntpręualet,à quibus exiguus ly chnus
fuiffet extinctus: at copiofiori gnis ſtatim ea quæ ipG iniecta lunt, Gibi
accommodat,ato conſumir,atg ex ijs ipfis augetur.Nihil agendú fruſtrà,ne
aliter, quàm ſecundum contemplatio nem, qua artisdefectus compleatur.Se ceflus
uulgò quærunt hominibus,rura, litto ra,montes: tu quoq ſoles maximè cadeliderare.
Atqui id planèeft rudiữ & &
abiectæ ſortis hominum. Tibi qua cúq uiſum fuerit hora licet in teipſum
recedere:nuſquam enim neg tranquil lior, nec maioris otii ſeceſsus homini
datur, quàm adanimum ſuum : præſer cim ei qui intus ea habet, in quæ aſpici
ens,ftatim ſummam animi tranquillita tem reperit :bene nimirumomnibus in tus
compofitis.Cótinenter igitur te eò recipe,ac teipfum renoua. Breuia auté fint
quædam , & elementorú uicem ob tinentia, quæ tibiſtatim occurrant, om nig
te molcftia liberent, & remittent nihil indignè ferentem corum ad quæ
reuerteris. Quid enim fersindignè ?nú hominüimprobitatem ?Reputa tecü,i ta eſle
ſtatuendum,ratione prędita ani.. mantia unum effe alterius caulanatum : tum
æquanimitatem parté cflciuftitiæ : item non ſua cos peccare uolütate:quá multi
exercitisinimicitijs, odijs, ſuſpi tionibus, confoſsi perierunt,ac in cine
remreda & ifunt:ita & deſinetádem . At molcftú tibi eft fatum tuum ? in
mētem reuoca quomodo uniuerfi partes difti xerit uel prouidentia ,uel
atomiillę,uel quodcungillud fuit, ex quo
demóftra tum eft,múduminſtar ciuitatis effe. At quæ corpus attingūt,ca te
afficiūt?cogi ta intellectú, cu femel feipfum college rit,ſuamý uim perfpexerit
non permi ſceri Spiritui leniter aut aſperè moto: præterea quæ de uoluptate
& dolore auditu perceperis,repete, atqillis adfé tire. Sed forlitan
gloriola teſolicitúte net?refpice quá celerrimè omnia obli uione delcantur,quod
fit chaos infiniti utrinæ æui,quá inanis famæfonus, quã ta inconftantia
&incertitudo opinio num humanarum, quàm arcto includā tur hæc omnia loco.
Quippe punctum eſt terra,at huius iplius quàm perexi guus angulus habitai? quot
uerò ſunt in ca ipſa, aut quales illi , qui.tefint lau daturi?Proindememento in
hanc (quã demonſtraui,particulam tui recedere; idó præcipue cura,ne cupiditate
traha ris,fedliber mane,relợita intuere,ut VIRUM UT HOMINEM UT CIVEM UT ANIMAL
MORTALE conucnit. Cæterùm ex his quæ tibi infpicienti quàm maximèin promptu
cffe debcãt, duo funt:alterú ,gresipfæ animā non contingut , ſed extra eam fic matæ
perſiſtunt.Perturbationes tátùm ex internis opinionib.naſcunt. Alterú, goía hæc
quæ cernis, statim mutabun tur, nec crunt amplius perpetuog.com gita, quoriam
eorú mutationib.ipfe in terfueris.Mundus quidérerum in uari as fubinde formas
mutatio eſt, uita in o pinione confiftit. Si intelligentia eſſe pręditu
,hominibusnobis inter nos eſt comune, erit &ratio , ob quam illud no bis
adeft cómunis: ſin hæc, etiam ratio quæ præcipit quid agendum fit,quido
mittendum , communis eric omnium: proinde &lcx. Quód Gita habet,ciues
ſumus: crgo ciuitatis alicuius partici pes. Quo reliquit, múdú ciuitatis loco
eſſe : cuius.n. alius ciuitatis dicere pof fimus cómunionéeffehumano generi?
utruita ex hac cómuni ciuitate nobis eſſe capacib, intelligentiæ, utiratione,
& legi, datú est, an aliunde? Utenim ter renæ mihià cesra aliqua particulæ
sunt tributæ & humorab alio quodā elemento, ités ſpiritus,calor, &
ignca natura, ſuis fingula à fótib. admcderiuataſūt, puso nihil enim eſt ,quod non alicunde &uc niat
, & aliquò abcat .) ita & intelligétia nobis aliunde data eſt . Mors ,
perinde acuita ,arcanum cftnaturæ opus , ex ijſ dem elemétis in eadé confufio
& mix tio.Deniq non est eares, cuius pudere aliquem debeat: neque enim eſt
contra caufas animalis mente donati, ncg có tra eius ſtructuræ rationem. Hæcita
, hiſq de caufis fiút neceffariò. Quod qui fieri nolit ,perinde faciat , acli
ficum ar borem fucco uelit carere . Omnino au tem memineris ,intra breuiſsimum
tem lo pòſt , ne nomen quidem ucftrum ſu pererit. Tolle opinionem , fimul etiam
de accepto damno abolebitur cogita tio :hacý ſublata , ipſum etiam danum non
crit. Quod hominéſeipfo deterio rem efficere nó poteft , id neg uită eius
pciorem reddit ,ncg lædit ,nec extrin Tecus , neg intrīſecus . Natura
utilitatis hoc neccſſariò fccit , ut quicquid acci dat ,iufte accidat : quod,
fi diligenter observes, ita haberc inuenies : atq hocdi co ,non tantùm caufarum
consequentia ita fieri, fed etiam ratione iuſtitiæ , & ab aliquo, g tribuat
unicuip dignita te ſuū . Itaq ,uti coepiſti,obferuare hoc perge, & quicquid
facies, hoc modo a ge,adhibitabonitate , quo modo uerè bonus intelligitur:idgin
omnibus tuis obſerua actionibus. Nonita tibi fentić dum eſt, quemadmodú is
quiiniuriá fa cit , uel iple fétit,uelte cxiſtimare uult: ſed resipfæ quid uerè
lint,perſpice.Sem per hçc duoin promptu habenda ſunt: alterú,utea tãtùm agas,
quod ratio cius partis, quæregnum in te, & poteſtatem
obtinetlegislatoris,te hortat, idý pros pter hominum utilitaté. Alterum , ut fi
quis adfit, qui te corrigere, & ab aliqua opinionc deducereuelit, ſententiamu
tes :modò ut ea mutatio fidé mereatur iuſtitiæ autpublicę utilitatis,aliúſuchu
iufmodi cauſa, nóuoluptatisgloriæúc gratia facta eſſe. Ratione præditus es: cur
ca non uteris ? quid enim prætcrca deſideras, ca ſuum obeuntc officium ? Scis
te, utparté , interiturű in co, quod te produxit universo: imò potius facta
mutationc allumcris ad mcntem cam quæcſtreliquarum origo.Multa thuris grana
eidem aræ impolita, unum altes ro priusignicorripit, ſed nihil intereſt. Intra
decimum diem , Deus uideberis ijs ,qui te nuncbeſtiam & fimiam putát:
fiquidem ad præcepta &ueneratione métis reflectas,ne & cogites uitam
tibi in immenſos annos prorogatum iri. Mors imminet, ergo dum uiuis, & li
cet,bonus ut ſis cura.Quantum otij lu cratur, quinon uidet quid proximus di
catsagat, aut cogitet, ſed tantùm quid ipfe agat, curato ut hoc iuftú fit &
fas. At quifecundum Agathonem fortèbo numno circunfpicit nigrosmores , fed
propofitamlineam recto ,non uago cur fu tenet. Quifamæ poftmortem cupidi tate
ducitur,non cogitat quenlibetco Tum, quiipfius mentionem fint facturi, mox
ipfum etiam moriturum : deinde itidem eum quihuic ſuccedit, idő.co uſcs, dum
omnis memoria per attoni. tosinanifama,extinctoſý homines p pagatu aboleatur.
Quinetiam fingeim mortales fore eos, qui tui recordentur, immortalemg tuifutură
memoriam .. quid ergoid adte,ne dicam ,mortuum ? quid ueluiuo tibilaus
proderit?nifi ra tionecuiuſdam difpenfationis: omitte enim nunc naturæ munus,
huic tempo ri non conucnicns, & de quo fuo loco erit differendum . Omne
quod pul chrum eſt,ex ſeipſo tale cſt , atquc in ſc ipſo abſoluitur ,nullámque
ſui partem habetlaudem . Ideoid quod laudatur, co ipfoncß peius fit, neq
melius. Idý ctiam deijs intelligiuolo, quęcómuni ori nominc pulcraaut bona dicuntur,
ut quæ ex materia fiunt, &artis opera . Id autem quod rcuera bonum eft, noa
magis alia quadam re opus adid, ut fit bonum, habet, quàm lex, ueritas, cran
quillitas animi,uerecundia :quid horú uelli laudetur bonum fit, uel uitupera
tione corrumpitur? Smaragdus quidé niſ laudetur, debonitate ſua aliquid a
mittit? quid aurum ,ebur,purpura,cul ter ,floſculus,arbuſcula? Si permanent
animi , quomodo cosab æterno capit aer : & quomodo terra abęuo uſquchu
matorum corpora recipit? Quemad modum hîc corpora quum aliquádiu in terra
delituere,mutantur,diſsipatag fpacium alijs cadaueribus præbent:fic animæ in
aérem ſubuectę,quum aliquá diu ibiperftiterunt,mutantur, fundun turg, &ad
menté omnium aliarum ge nitricem adiungunt , eağ ratione alijs aduentantibus
locum cedunt. Hocrea fpóderi poteſt, pofito animas eſſc cor poribus
ſuperſtites. Neq uerò tantùm multitudo ſepultorum eo modo cor porum
confideranda eſt: ſed & corum quæ quotidie comeduntur à nobis, &
beftijs animalium et fic quodammo do ſepeliuntur magno numero, acni hilominus
fuppedicat ſpatium alijs, p pter corum in fanguinem , aërem , calo
remgmutationem. Ratio autem ucri tatis conſtat, ſimateria & caufæ inqui
rantur.Non eſt uagandum ,fed in omni appetitu iuſticię ratio habenda:omnig in
cogitatione,certitudinis.Quicquid tibi,ô Naturarerum , conuenit, id omne
mihiconuenit,nihilſ mihi uelimmatu rum eſt,ueltardú , quod tibi ſit tépeſti uum
:oéid fructum meum puto , quod tuæ ferunthoræ .Ex tcfunt, &in una to omnia,
ac in te unam omnia redeunt, Quidam dixit, ô chara Cecropis urbs. ego autem de
tccur non dicam , ô cha ra Dei urbs ? Pauca age , inquit, fi tibi tranquillitas
animi curæ eſt. Nihil co plus cnofert, quàm ea quæ neceffe eft, agere , &
quæ ratio animalis ad ciui lem ſocietatem nati, ac quo ca modo dcligit. Id enim
non modò rede a gendo, fed & paucaagendo animi tran quillitatem parit. Nam
ex his, quæ plurima &agimus & loquimur,fi quis ca quæ non ſunt
neceffaria tollat, is &maiori otio utetur, & pauciores per turbationes
experietur. Itaque lingu . lis in rebus circunfpiciendum , ne quid non
neceſſarium agamus: acnon mo dò actioncs, fed & cogitationes inuti les funt
uitandæ. ita cnim fict, ut nea . &tiones quidem fuperuacaneæ conſe
quantur.Facpericulum ,ut tibiboniui uita quadret:eius inquam ,qui fato fibi deſtinata
æquo fert animo, contentus eſtiuſtis ſuis actibus, & placidoftatu:ui diſti
illa ,hæc quoqueintuere.Non per turbatcipfum , fed fimplex efto.Si quis U MAwy
peccat, fibijpfi peccat. Tibili quidbom ni obtigit, ab initio tibiid fato tuo
fuit deſtinatum . Omnino autem breuis quum sit uita , curandum ut præſens
tempus lucreris rectam rationem & iu ftitiam ſequutus: ac in remiſsionibus
animi ſobrius fis . Aut compofitus eſt certo ordine mundus, aut cófuſo quæ ram
rerum temerè mixtarum , mundus tamen . An quum in te ipſo poſsitor dolocum
habere, uniuerſum nullo or dine conſtare dicemus? præſertim om nibus in co
rebus ita digeſtis, diffufis, atque inter fe affectis . Mores nigri uocantur
mores effæminati, duri , fe ri, pecorum aut infantium fimiles, ſto lidi,fucati,fcurriles,cauponarij,tyran
nici. Si peregrinus in mūdo habetur, quæin mundo funt , non cognofcit: haud
minus peregrinus erit , qui ea quæ fiunt:non cognofcit: exul, quiciuilem
rationem fugit: cæcus, quiintelligen tiæ oculos clauſos habet: pauper, qui alio
indiget , nequein fe habet omnia quæ ad uitam conducunt . Abſceſſus,ſiuculcus
mundi-eſt , qui ſe à communis naturæ ratione feiungit ,in dignè ferendo ea quæ
cueniunt:(caeń quæ te produxitnatura, omnia pfert.) fruſtum à ciuitate
amputatum , quiſu am animam à communi & unica om nium ratione præditorum
méte reſcin dit. Alius line toga philoſophatur,ali us abfg libro ,alius
feminudus,panes ſe non haberè,& tamen ingſtere rectæ rationi
dictitans,alius ſe diſciplinis ſuis non alere , & tamen perfeuerare profi
tens.Tu artem quam didiciſti,dilige, in cağacquieſce. Reliquam vitæ partem :
ita exige, ut q cx animo dijs omnia tua commiſeris,negullius te hominisuel
ſeruum uel tyrannum conſtituas. CóGidera ſuerbigratia) quęVeſpaſia nitēpore
euenerint: inuenies homines tum nuptias contraxiſſe, liberos aluiſ
ſeægrotaſſe,diem ſuum obijffe, bellige raſſe ,feſtos dies egiſſe, negociatos
fuif ſe,agricultură exercuiſſe,adulatosfuif ſc,præfractos ſe geſsiſle, suspicionibus
indulgfie, inſidias feciſſe,quoſdami uo tis mortem uocaſſe,alios quiritatos de
præſentererum ſtatu,amalle, theſauros d TU collegiſſe,conſulatus et regna
expetiif fe.Nonne corum omnium uitaiå aboli ta eſt ?Rurfus ad ætatem Traiani
defcé . de: invenies eadem omnia , atque cius quo ætatis hominesmortuoseſſe,eo
dem modo ſi etiam reliquas ætates et gentes totas conlideres, uidebis quàm
multicú ad ſummú cótendiſſent,paulò poſt ceciderint, & in elementa reſoluti
fint.Præſertim uerò hi memoria recole di ſunt,quos ipfe cognouiſti uana affc
Etantes , cum agere fecundum id ad quod natura erant facti , cizinhærere,
&eo contenti effc ceflarent.Id quoque opuseftmeminiffe,in unaquauis actio
necantum uerfandum ,quantum digni tas cius & modus permitcunt:ita fiet,ut
non diutius quum par litreb.exiguisim moratus, nullú faſtidiú cótrahas. Vlita
ta quondā uocabula, nuncinterpreta tionis loco funt: ita et corum quifuerút
olim celeberrimi, nunc quodammodo ſunt glossæ, ut Camillus, Cæso,Volcſus, Leonnatus,
cum paulò post SCIPIO, CATO, inde AUGUSTUS, ADRIANUS, ANTONINUS. Ist hus :
omnia enim hæc euanida ſunt, & mox in fabulam abeunt: mox obliuio. nc oí a
obruuntur.Ato hocdicodeijs, qui ad miraculü ufo clari erant : relig enim
fimulato animam efflarunt, obscuri, & ignoti facti ſunt. Quáquá quid eſt
omnino,cuius fit memoria lempiter ħa? Omnia füntinanía. Quid eftigitur, in qd
Geſtudio incúbendú? Vnicú hoć, ut cogitationes antiuftæ , actiones ſo cietatem
humanam refpiciant , ratio te punő fallat,itag lis alo affcctus,ut quæ
cúqaccidút,catanğneceſſaria,nota,ab codé principio & fonte promanantia, approbes.
Vltrò te fato ſubmitte, pate regid teijs quæ ei uiſum fuerit reb.de ſtinare:oia
in diéfunt, cúid recordat alicuius, túid, cius fit mentio . Nunquá nó con dera
, oía permutationes fieri, neq uniuerſi naturæ quicquã eſſe ulita tius,ĝres
mutare, & innouare. Omnia em quæ in natura ſubliſtűt,femina qua G ſunt
corum , quæ cxillisſunt naſcitus ra ; eftautem nimium rudis hominis exi Ntimare
ea cătùm ſemina cfTe, quæ in cer ram aut matricem deijciuntur. IM lam
morieris,neque in pofterumeris is quinunces,fimplex, perturbationu
uacuus,nihilſuſpicans extrinfecus tibi poffe damni afferri, omnib . benignus,
prudentiam in eo tantum utiuſtè agas poſiram cenſens. Intuere aliorum principem
partem, acquænam fugiant,quæ ſequanturpru dentes. Tuum quidem malum non eſt in
al terius animo pofitú,neg in conuerlio neulla aut mutatione cæli. Vbi ergo? in
opinione demalistua. Nihiligitur malum eſleiudica , & omniabenehabc
bunt.Quòd li corpus, quod animo tuo eft proximum ,fecetur,uratur,ſuppure
tur,putreſcat,tamen ea pars , quæ iudi care de his debet, quietaGt:hoceft,exi
ftimet nihil effe neque bonum ,neque malum ,quod exæquo poteft bono at que malo
accidere:nam quod'ei qui ſe cundum naturam uiuit, exæquo acci dit, id neque
fecundum , neque contra naturam eft, Aſsiduè tecum cogita,mundum eſſe animal
quoddam unum,unam naturā, uno animo præditum, quomodo om nia ad eius fenfum
unicum rcferantur, omnia ab co unico appetitu mouétea gantur, ac omnes res
omnium rerum caufæ aliqua ex parte fint,tum quis ca rum inter fe contextus
& ordo. Animula es , quæ cadauer geſtat: ut Epictetus dicebat. His qin
mutatione funt, nihil eſtma lum: utnequebonum quicquã his qui è mutatione
exiftunt. Aeuum , fluctus quidam eſtrapidus carum quefiunt rerü :fimulcnim unum
quodß & apparet &præterit, &aliud ſubſequitur, moxitem aliud
ſuccedet. Omne quod nobis accidit , ita conſue tum eſt, & notum , ut roſa
uere, fructus æftate. Eadem eſtratio morbi, mortis, calumniæ, inſdiarum, omniumg
eorü, quæ ſtultis uel gaudium, uel triſtitiam afferunt. Quæ ſubſequuntur
ſubinde, ca præcedentibus rite ſuccedunt.Non enim numerus tantum certus eft
eorü, àfolaneceſsitate dependens:fed & có fentanca corum inter ſe
colligatio. ac quemadmodum certo ordine resinter fe ſunt coaptatæ, ita quæ
fiunt,non ſuc ccfsionem nudam ,fed mirabilemctiam quandam inter fe coniun
&tionem etne ceſsitudinem oftendunt. Dictum Hera cleti ſemper eſtmemoria
tenédum :ter ræmortem fcilicer eſſe aquam ,aquæ ac rem ,aêrisigné,idý uiciſsim
. Eius quo quc exemplum recolendum ,quineſcie bet quorſum iter duceret, Et quod
cum rationc quæ uniuerſum admini ſtrat, continenter conſuetudinem ha bentes ,
tamen ab ea diſcrepant: itag in quæ quotidie incidunt, ca noua ipfis &
peregrina uidentur. Non tanquam ſi dormiremus, agendum nobis eſt & lo
quendum: in fomnis enim tantum uide murnobissgere aut dicere. Nequeimi tádi
ſunt nobis pueri , qà parentib.fuis * hucé,nudè, Gicutaccepimus,Quéadmo dulias
tibi Dcorūdiceret, moriendum tibi aut cras, aut ad diētertiú : nojā ma
gnopètertiú dié craftino pferres,nifi a nimielies oio abiectiſsimi.quátú emeſt
interuallum? Eodēmodoiudicanon in magno effe fouédú difcrimine,poſtmil lenos
acaonos, anuçrò çras decedas. Crebrò reputa , quàm multi medici fint mortui,
qui ſæpenumero ægrotos inſpi cientes ſupercilia contraxerint : quot
Mathematici, qui alijs exitú è uita præ dicédo ſeiactauerint:quotphilofophi,
quide morte & immortalitate multa alleruiſſent:quotre bellica laudati, qui
multos occiderant : quot tyranni, qui magna cum inſolentia tanquamimmor tales
poteſtate luauſi crant:quot urbes mortuę( utita dică)ſunt,Helico, Pom
peij,Herculanú,& aliæ innumeræ .Col lige etiam ,quos tuipſc noftiunum poſt
alium ,cuius funus curaffet mortuos:Et quod heri fuit piſcis ,cras critfalfamen
tum, aut cinis. Momentancum itagté pus à natura eſſe conſtitutum , conſide randum
eft æquoſ animo è uita abeun dum:perinde ac Goliua maturitaté co ſecuca G
decidat,arboréqipfam tulit ac genuit ,collaudet, & gratiasagat. Simi lis
elle debespromontorij, adquod al fiduè fluctus alliduntur : ipſum autem
perfiftit,utcunque undęæftuantes cir cùm ferátur.Diceret aliquis: infęlicem
mé,cuiboçacciderit:quinimòfelicem t me, quihunc cafum fine dolore perfe ram ,
& nec præſentibus frangar, necfu tura extimeſcam.Nam unicuiqtaleąd potuit
accidere: at non cuiuſuis craç,li ne dolore cum caſum excipere. Curigi tur
illud potius infortunio, quam hoc felicitati adſcribis? autcuridinfelicita tem
hominis appellas,in quo nihil mali palla eſt hominis natura? an uerò dam num
tibi humanæ naturæ uideri poteſt id, quod non eſt contra uoluntatem naturæ
çius? Quid ergo? Numcaſus ifte ef ficere poterit, quominusfis iuſtus, magnaminus,temperans,prudens,
circum fpectus,tutus ab errore,uerecundus, li ber?autadimereomnino quicquam co
rum ,quçhominis naturę funt propria? Proinde quoțies inciderit quicquam, quod
ad dolorem te prouocet, recor dare huius præcepti,non illud informado nium eſſe
appellandum ,fedfelicitati tri buendum , quòd id fortiter feran Eft quidem
ignobile,præſenstamen ad contemnendam mortem auxilium , memoria repeterc eos,
qui uitam inlon giſsimum extraxerc tempus. Quid enim hi 57 1 hi amplius
consecuti sunt, quàmij, qui immaturamorte ſuntabrepti? Vtique ipfi etiam
defuncti iacent , Cadicianus, Fabius,Iulianus,Lepidus, alijſ corum fimiles, q
cúmultosextuliſſent,ipfidein de elati ſunt.Omninoeņexiguū eſt ſpa çium, időper
quotlabores,inter quos, &quali in corpuſculo exigendum ?Ne igiturmortem
prore difficili accipe. In tuere cius quod retro eſtæui uaſtiratë, & eius
quod reſtat ,immenſam longitu dinem :in tanto tempore quid præſtat is qui tres
ætatcs, ci qui uixit triduum ? Semper breuiorem uiamingrederc: brevissima autem
est ea, quamnatura præ ſcripſit. Itag in omni & fermone & a . &
ioncidfectare, quòd eſtrosiſsimum . Hocpropoſitum laboribus ,militia, çura rei
familiaris, & folicitudi neliberat. Anè cum grauatim à fom no ſurgis, in
promptu tibi ſitcogitare,tead humanum opusfaciendum ſurgere.lca que ergo dices)
grauatè acccdo ad agé da ea, quorum cauſa natusſum, ac pro ter quæ in huncueni
mundum? scilicet in hocfactus,utdecumbesin lectome ipſum calefaciam ?Atquihoc
iucundi dius eft. Ergónead uoluptatem natus es, nonad agendum ?nonuides plantu
las, palierculos, formicas,arcaneas, a pes, lingula hæc luo intenta officio :
tu uerò ea quæ funt hominis obire recu ſas,nc ad id te confers, quod naturæ tuæ
conuenit? At uerò quiete opus eſt. Sane: fed & huic ,modü ftatuit natura,
pinde,utedédi,bibédig: atqui tu ultra modú &laq gfatis é, pcedis:n reb.uc
rò agedis intro moduſubliſtis. Fit hoc cò , qateipſum nó diligis:alioqn eń
& natura tua, cius voluntate diligeres.Et cnim alij qui ſuas artes amāt,
operibus fuis ita incumbunt, ut neque balneorü nog cibi curá habeant. Tu naturm
tua non tanti facis, quanti aut tornator, aut histrio suam artem, quanti avarus
argentum , &inanis gloriæ cupidus glo riolam. Hi enim quarum rerum ftudio
tenentur,dum eas augere poſsint, cibų &fomnum poftponunt. At tibi actio nes
ad ſocietatem ſpectanteshumanam uiliores uidentur', 'minorig opera di gnæ ?Quàm
facile eft omnem cogitatio nem quæ animo aut perturbationem af ferat,aut
nóconueniat, reijcere, & delc re, ſtatimg effc in fumma animi tran
quillitate? Omnem fermonem & actionemque fit fecundum naturam, dignam te
iudi . ca:nca te auertat ab ijs reprehenfioare fermones aliorum ca consequentes.
Sed fi quid fa & o dictúue pulchrumeft,idte neindignum putes. Alij cnim
aliam ra fionem ,alios appetitus fequuntur :ad quos tibi non eit refpiciendum
,fed re Cta via cò pergendum,quò &tua,& comunis omnium ducitnatura:
utriuf que autem una eademg eſtuia per ca quæ funt fecundumnaturam progre:
dior,donec morte finiam: expirans qui dem eam, quá inſpiro quotidie animā,
cadens uerò in terram, ex qua &femen meum pater, & fanguinem
mater,&lac nutrix collegit: quæmeterratot iam an nos'quotidie alit cibo ac
potu, quamc calcantem fert, ac totmodisipla abu tentem. Auſteritatem tuam ut
admirêturno est. Sit fanè, at multa alia ad quæ tc non eflenatura aptum, dicere
non po tes.Eaigitur profert, quętota funtin te: integritatem, grauitatem
,laborum tole rantiam, uoluptatum abftinentiam ,ani mum ſua ſorte contentum,
pauca defi derantem ,placidum ,liberum, àcurioſi tate & nugis alienum, altitudine
prædi tum.Nonſentis,quam multa poſsisprę ftare, de quibusnulla eſt excufatio na
turæ ad ea non aptæ : & taméadhucfpó te tua inferius manes. Quid? Ante natura
parum beneinſtructa cogit indigna ri,cúctari, adulari, corpuſculum tuum
incuſare, tuam ſortem improbare,leuć eſſe, animouagari:nonmehercle,fed his
omnibus iampridem ut liberareris malis,in tua fuit poteſtate.Hoc tantum erat
uitij, quod tardioris ingenij, ac qui non facilè affequeretur ea quæ traderé
tur,exiſtimari poteras: Sed &hoc exer citationeerat corrigendum ,neſubinde
cogitares de tua tarditate, néue ca de lectateris. Eorum qui bene alijs
faciút,triaſune genera:primum corum , quiſtatim exhi bito beneficio , ſtatim
etiam quam ſint meriti gratiam reputant. Alterum co rum , quiid quidem non
faciunt,ta conſcij quid fecerint,debitorem ſeiam habere cogitant.Tertij
quodammodò ne hocipfum quidem quod fecere,no runt:uiti ſimiles, quæ uuam cum
protu lit , ut femel ſuum deditfructum , nihil præterea quærit. Equus
ficucurrit , canis fi uenatus eſt,apis fi mel fecit ,fatis eſt. Homo auté l
benè fecit,non reuocatur, ſed ad ali ud negocium tranſit, quemadmodum uitis,ut
rurſum fuo tempore uuam producat . In his nc igitur eſſe debent, quæ aliquomodo
fine conſequentiaid faciunt?equidem .ſed hocipſum debet confequi. Propriū cnim
eft (inquit) ani malis legeſociati,ut ſentiatle et societatis causa egiſſe
&ut uelit omninoid eû qui ſocietatis eft ciuſdem, sentire. Verum clt quod
dicis: quod autem nunc dici tur, excipe . Proptereà ex eorum numc ro
eris,quorüantè feci mentionem. Hi enim uerifimilitudine quadam proba bili
abducuntur. Quòdh intelligereuis quidná litid, quod diximus,netimcas, ne obid
actio aliqua ſocietati hominü inferuiés tibi Gt omittêda.Athenienlių
erathocuotu:plue,pluuiã ò chare lu piterin agros & cáposAthenienſes de
mitte. Enimuerò aut nihil eft optandū, aut omnino fimpliciter, &
liberalitcr. Quod dicimus Aeſculapium huice quitationé , illi lotioné in
frigida,alteri utnudispedib.ambulet, iniúxiſſe :nihil aliud eft cú dicim°,
natura uniuerfi huic hoimorbú, defectú autamiſsionémen
brialicui'impofuit.Náutilliccum dici mus iniunxiſſe,intelligit.AEſculapium HUO
O unam rem ad alterāordinafic, uerbigra tia ,camrem reſpectum habere ad fanita
té:ica hicidqunicuiqaccidec, rationé babet & rcfpectumad fatū.Ita enim hęc
nobis accidere & cógruere dicimus, ut opificesquadratoslapides in muris aut
Pyramidibus extruendis congruere a lerunt , quippe certa cos collocation ne
inter ſe componétes. Omnino enim una quædam eſt harmonia: atg ut uni uerG huius
corpus ex omnib.corporib . eſt compactum , ita ex omnib.caufis Fa tum ſuprema
cauſa conſtat.Id quod di co,etiam rudiſsimi intelligút homiues: dicút enim
,hocſors cius tulit,hoceica ratimpolitú.Accipiamusergo hæcita, utilla quæ
Acſculapius impofuit: nā & in illis multa ſunt aſpera, quæ tamen fpc
ſanitatis ferimus.Tibi crgò corú quęcó munis naturatibiiniúxerit perfectio ,fi
milis ſanitati iudicet:atqita æquo ſuſci peanimo oía quæ fiút( ctiāli gd durius
uidcat. ) quoniã adidducunt, quod ra tioncmúdić fanicas,népeadfelicitaté.
Nihileſ accidiſſet tibi, nifi in réuniuer Gita ect:ncq cnim una quæuis natura i
quicquam fert,ſed id modò, quod re fpcctum
adid quod ab ea adminiſtratur, habcat. Quare duæ ſunt rationes,cur ea que tibicueniunt,
çquodebeas animoferre. Vna, quiaſors tua ficferebat, & tibi de ſtinata
erant ab antiquiſsimacauſa fata li habentiaad te certum reſpectum.Al teras quòd
ca faciunt adprofectum , & perfe &tionem , ac permanentiam eius,
quòduniuerfo praecſt. Totum enim muti latur,fi etianminimam partem conti
nuitatis & coherentieutmembrorum , ita etiamcaufarum difcindas. Id autem
quantum intc eft,facis , quotiesea quæ tibi obtigerút,moleſtèfers,ac quodam
modo tollis. Faftidire,animumdeſpondere,ac de terrerinódebes, fi nó ubiq tibi
fuccef ſusrefpondet,fecundum recta præcep ta agere fingula cupienti :ſed
fruſtratus conatu,cum redintegrare, & æquo ani mopleraq humanaferre : neque
debet te eius,ad quod redis ,poenitere.Nequc tibi eſt ad philofophiam tanquam
ad pædagogum redeundum :Sed utſolent qui ex oculis laborant,ad ſpongiam &
ouum, alij ad cataplaſma &perfufioné confugere.Ita enim nó opuserit tibi o.
ſtendi,utrectęrationiobedias:ſed in ca ipſe acquieſces. Memento philofophiam ca
tantum poſcere, quæ natura etiam tua exigit: tu aút aliud quippiam
uolebas.Vtrum uc rò horum blandius'eft an nonhocpa eto dccipit uoluptas ? Vide
gratior no gt magnamitas, libertas, simplicitas,æ quanimitas, fanctitas? Quid
enim ipſa prudentia Git acceptius,ubicùm animo tuoreputes facultatem quæ
ſcientiam certam , & certis conſequentijs nixam habet,nuſquamlabi, &
ubiq ſucceſſum habere? Res quidem ipfæ in tanta quodam modo uerſantur obfcuritate,
ut philo fophorú plerifcb & ijs no ignobilibus, omnino pcipipoſſe nihil
uifum fit:Stoi ci tamé poflc percipi, ſed planè difficul ter,cenſucrunt.Eft
omnis noſtra aſſé lo talis, utfalli & mutati poſsit:quis c nim ſenó pofle
errare dixerit ? Trasfer itag cogitationes ad ipfas res fubice & as ,acuide quàm breues , uilesø Gne, quæ
ctiam à cinædo, fcorto ,autprædo ne poſsint teneri.Inde tranG ad mores corum,
quibuscum uitam degis , inter quos uix eſt etiam gratiofifsimum per ferrc,ne
dicam , quod uix ſeipſum quis perpeti pofsit. Tanta igitur in caligigine,
sordibus, tātoo rerum, temporis, motuumý, & rerum quæ mouentur flu xu , non
uideo quid lit effe in honore, aut obferuantia hominum. Contrà præ ftat feipfum
confirmare, acmortemræ quo animo expectare,ncqmoram indi gnè ferre, fed in his
modo acquieſcere duobus: uno, quòd nihil mihi accidet, quod nó fitſecundum naturam
uniuer fi:alterum , quòd licet mihi, nihil agere quod contra Deum geniumg fit
meú demo em ad hocme cópellere poteft. Subinde hoc teipſuminterroga: quam adrem
nunc utoranimo meo? at & exa mina teipfum :ea pars, quam principem uocant,
quomodo núc habet?cuiusaío prçditus ſum ? num pueri, num ADOESCENTIS, num
mulierculæ , num tyranni, num iumenti,num feræ? Qualia fint illa, quæ uulgò
bona ha bentur, etiam hinc euidens fiat.Sienim animo concipias ca quæ ſunt
reipfa bo na, utprudentia, ut temperantia,utiu fticia ,ut fortitudo,hisiam antè
reputa tis, nihil porrò audies nominari bonú, quod nófub hæc referatur. Quæ
uerò uulgus hominum bona putat ,ca qui an tè mente conceperunt,fimulatq nomi
nari audiút,perfacilè accipiút,perinde ut liquidà Comico appolice di& ú
eft. Hæc eſt fere uulgi de differentia bo norum opinatio :alioquin enim haud co
peruentum eſſet, ut uera bona auer ſarent,diuitiarū aút, voluptatis aut glo riæ
métionéita admitterét, utſcitè ato urbanè dicta.Progredere ergò,acinter
roga,(intne in honore habendaet in bo nis ducenda hæc, quæ fi animo tuoima
ginatus fueris,aptè quis dicere poſsit, cum quiiſta poſsideat,propterhác co
piam ncubi quidem cacec habere. Ex forma & materia conſto : ho. rum uerò
neutrum in nihil uertetur, ut neque ex nihilo extitit. Ergo om nis mci pars
permutationem redigetur in aliquam mundi partem, atqhæcrur fus in aliam
uniuerli portioné tranſibir, ido ad infinitum uſ. Huiufmodi auté mutatione
& ipfe extici, & parétes mei, ide in infinitum uſo retrò eunti licet
dicere:quãquam certis alioquin circui tibusmundusadminiftratur. Ratio et
rationalis ars, facultates funt abiipfæ ſufficientes,fuisg operib.
Progrediunturàſuo principio, acper gunt ad finem propoſitum :habent a &
tiones earum à uiæ cuiinGftuntilleno men apud gręcos, utfine netoptásons:nos
rectas effectiones dicere poſſumus.Ho rum nihil de homine dicipoteſt,neque enim
ei conucnit, ea ratione, qua homo eft : Non hæchomo,ncgiplius natura
profitetur:non eſt ca in humana natura perfectio.Proindein externis rebusnc
quaquam erit finis homini cóftitutus, nepid bonum , quod finem illumabfol
uit:Alioquin hominis partes non fuif ſét,ut eosdeſpiceret,nem laudedignus,
quiſeita parat,utillis non indigeat:no que qui illis rebus abſtinct, bonus dici
mercrctur, fiquidem cæ bona ellent Nunc uerò tanto quiſ melioreſt, quá to
magisſeipſum ab illis rebusabſtinet. Talis erit intellectus tuus, qualia ſunt
ca,de quibus ſubinde cogitas : nam à ui bis fcu cogitationibus illis animus im
buitur.Inficeigitur eum adliduitatehu iuſmodi cogitationum , qualesſunt:ubi
cunqueuiuere,ibietiam bene uiuere li cet :uiuere autem licet in aula, ergo etiã
bene uïvere licet in aula. ltem alicuius rei caufa fingula ſunt facta cui ucrò
gra tia unúquodgfa & ú eft,adid fert, ado aút fert in eo finis eius é
poſitus: ubi ue ro finis ,ibi ét bonú unicuiq. Ergo finis animanti ratione
prędito ppolituseft, focictas, natos cnim nos effe ad eājiam pridem eft
demonſtratum . An uerò non euidens eſt, deteriora præftantiorum ,rurſumýex his
unum alterius caufa effe.Præftantuerò inani mis animata,atq inter hæcipfa, ca
quæ rationem habent. Ioſani eſt,ſectari impoſsibilia. At fic ri non
poteft,quinmaliſuomore agāt. Nihil cuiquam accidit,nifi ita Natu rá deſtinarit.
Id quod alius iniquè fert, e bas wal
wide ولا bus alteri accidit, qui fiue ignorationc cius caſus,ſineut
magnanimitatem oftédat, cóftantiā tuetur,atqillæſus manet.Ini quú cſtigitur
admittere,utinſcitia et o pinio prudētiäſupent. Etenim res ipfæ
animúnequaqattingunt, non intrātad eu,ncg mouere, ncq uertere poffunt.
Solusipſe ſeipſum ciet, ac quale iudicia umtulerit, talia ea quæ accidere,
fiunt. Alia róeſumma nobis eſt necefsitu . do cũ hoíe
cóftituta,quaeibenefacere, eumý ferre iubemur :cú aúcimpedire conant noſtras
actiones , nó magis ad nos attinet, ộ Sol, uétus:beſtiæ. Ato hi qdé impedire
effectú aliquãdo pofsint: animi uero appetitioné, & affectum no
qucunt,quiahæcexceptioné habét , & conuerlionem.Ná omneid quodimpe dimento
fuit effectioni,id animus ad ca quæ præcellerút,cóuertit, atßcomo do id ,quod
inſtituto operi,uiccoßinitę obftitit,ei iam confert aliquid . Id quodin múdo
eft præftantiſsimū, cole. Eit aútid, qd oíbusreb.utitur,oía gubernat.
Similiterid quoßhonora, q in te elt primú: nimirú illi alteri cogna tum, cesa
üles DO Pe quatum ,quòd & cæteris quæ in teſuntom nibus utitur, & tuam
uitam regit. Quod civitati nullum affert detri mentum ,idnc ciui quidé nocet. Hæcre
gula recoléda tibič, quotieſcúq telæ ſum aliquâ eſſe cogitas.Sin ciuitas dam no
affecta cft, ei qui ítulit,ſuccéferenó debes. Quid neglectú eft?Sæpenumero
códdera, ệ celeriter oía quæ & funt & fi unt, abripiãtur &
cuanefcát. Etenim & ipfęnaturę amnisinſtarin adſiduo funt fluxu , &
cffectiones cótinétib.mutatio nibus obnoxiæ , & cauſarúinfinitæ ſunt
uices:denią nihilferè perſiat, aut ſui fi mile durat.lā & pręteriti, &
uenturiçuí infinita é, in qua oſaabolentur,uaftitas, Quî ergo ſtultitiæ nó
damnet, qin hoc tā cxiguo téporis articulo ſupbit,appe tit,autmoleſtia fe
affectú quiritaf. Vni uerfæ rerú naturęrecordare, cuiusmini . mã parté
tenes:totius zui,cui' breue & mométaneútibi éattributúſpacium :fa ti ,
cuius perexigua ad te portio ptinet . Peccatalius qs aduerſummc uiderit, ſuā
habet affectioné, ſuum a &um. Ego in præſentia id habeo, quod me habere i t
c & C a & 1 uult cómunis natura: agogid qd'age remeiubetmea natura .
Pars animitui princeps neinucrtatur ullo uelleui uel alpero carnis motu , neg
admittat per fuafones quçinmembrisoriuntur, Sed circumſcribatcas. Quòd fi ex
ratione alterius conſenſusad intelligentiam ef ferútur,nimirum quatennsea cum
cor pore copulata eft, tum quidem ſenſui, cum is a natura proficiſcatur,
reluctan dum non eft: opinioniautem mali aut . boniadfentiremensnon debet.
Viuendum eſt cum dijs.Vitam ucrò cum dijs agit, qui continenterijs ſuum animum
oftendit probātem ea quę ipli fatum tribuit, agentemg ea quægenio placerent:
quem lupiterſuæ quandam particulā naturæ unicuiæ prælidé, du coşdedit, nimirú
mente atæ rationé. Neiraſcaris ei qui hircú olet, autcui aia fætet; nihil, n.ad
teidcmaliredibit, Alæ iplius, & osita ſunt affecta,utne ceflc ùthæcmala
conſequi, Rationc,inquis, præditus eſt homo, ac fi scrutari uclit , intelligere
poteſt quainre delinquat.Benereshabet. Proinde tu, qui & ipfe præditus es
ratione, mentem eiustuæ mentis motu cxcita, doce, commonefac: li enim obtempe
rat tibi, fanabis eum , negira opuserit. Nonita hic uiuendú eſt tibi,ut Tra
gedo autſcorto qui egrediés uiuere co gitat. Quòd li tibinon cóccditur,tunc
uita excedere, ita quidé,ut qnihil mali patiatur,acfumiinitar abeat, Quid hoc
rei eſſeputas? Dum uerò nihilme tale abducit,liber permaneo ,neq mequif quam
prohibet agere ,ut uolo, uolo au. tem ,ut naturæ animantis ratione predi ti,
& ad certum nati conuenit, Mens quæ mundum gubernat, ſocic tatisrationcm
habuit:itag & inferiora præftantiorumcaufa effecit,& pręſtan tiorum
unum alteri ſubdidit. Videt , ut ſubiecerit , cóiunxerit,ac unicuiq ſecu dú
dignitaté ſuú tribuerit,ea quęlunt pręſtátiſsima,mutuo cófenfu deuíxerit.
Quomodo uſus es hactenus dijs, pa rentibus, fratrib. uxore, liberis, docto
ribus, alumnis,amicis,familiaribus, fa mulis? an in huncuſquediem in nemi nem
horrcū uerbóuefuiſti iniurius! Reminiſcere étą ſupaueris , actolc raueris : tum
fabulam uitæ tibiiam pera tam,teş tuo miniſterio defunctum ef ſe. Quàm multa
uidiſti pulcra? quot uo luptates quotdolores deſpexiſti? quot peruerfis
hominib. æquúte præbuiſti? Quamobré animi artis & diſciplinæ uacuiarte
& fcientia præditum confun dunt? quem uerò animum arte & ſcien tia
præditum uocas?cum ,qui principi um & finem cognoſcet,et mentem , quç per
uniuerfam rerum natură penetrat, acper omnes fæculorum curſus defini tos atq;
ftatosmundum gubernat. lãiá cinis eris, &oſſa nuda, nihil öter
nomé(liquidéid ſupererit) tui reſtabit. Noméautnihil eftõſonitus. Atea quæ
magniin uita precij habent,uana ſunt, putrida, cxigua, atą inſtar catellorum
mordicantiŭ, aut pucrorü inquietorů, quimodò rident,mox plorant. Cæterű
fides,pudor,iufticia, & ueritas. Climatib . tcrræ cæld petiere relictis.
Quid ergò reſtat, te hîc detineat? fen Gliane tam fluxa, torý mutationib .
cxpofita ?an ſenſus, obſcuri, & qui facilè decipiantur?animula ipſa, quæ
cft ex halatio à ſanguine? gloria inter huiuf modi homines, inanis illa ? Quid
ergo aliud operiris,niſiuelextinctionem ,uel translationem ,idý æquo animo?Quid
interim dum eam occafio adducit ,tibi fuffi ciet?Quid aliud, quàm deos uene
rari &collaudare,hominibus beneface re,eos &ferre, & ijs
abftinere:quæ cx tra tuæ carunculæ & animulæ ſunt po fata fines,ea
meminiſſenex poſſeſsióis, nco poteſtatis tuæ eſſe? Semper potcs uti
ſecundisſucceſsibus, Gredtæ uiæ in Giſtere uis,duo hæc obferuare, quæ di uinæ
menti communia funtcum homi nis , omnisg ratione præditi aſalis ani mo: unum,
non poſle te ab alio impedi ri:alterum ,iniuſta uoluntate & actione | bonum
eſſe collocatum, cumý ad fino efle appetitionesdirigendas: Si hocneg mca
fitmalicia,ncqactio eſtàmeaproficiſcensmalicia:nequcco munitatidāno eſt, quid
folicitus deco ſum ?querò dānúě cómunis focictatis ? Non debemus nos
cogitationib.om ninoabripiédos præbere, fed opitulari quátum eius fieri poteſt,
& dignum eſt, etiam li in medio lit defectus:ncqueid pro damno ducere.ca
enim cófuetudo mala eſt. Sed quemadmodū ſenex di ſcedens rhombum alumni
poſcebat, memorrhombú cffc.ita etiam hic: quo niam bonú aliquid fiatin roſtris.
Heus homo,oblitus es, adhæc lint? lanè: Sed ca,in quibushiſtudiú
ponát.Propterea tu quoqs ſtultus es fa & us? Aliquando uteung
relictus,factusſum felix. Felici tas auteſt, utbonam tibiipfifortem uendices :
id eft ,boni motus ani mi,bonæ appetitiones,bonæ actiones. Aturauniuerfi ſuo
guberna tori obedies eft, acbene có polita: quæ uerò cam guber nat mens,nulláin
ſeipſa ha betmalè agendicauſam : quippenihilei ineft uitij,nc peccat,nc ab ea
quic quam læditur: omnia uerò fecundum cam fiuntatßperficiuntur. Nullo ponein
diſcrimine,algenſne, an calens, dormiturićsan ſomni fatur, malian benè
audiens,moriens an aliud quid agens id facias , quod te decet: quando mors etiã
una eft carum a & tio num , quæ ad uitam referuntur. Sufficit igitur ea
etiam imminente, id quodin ſtat,benè collocare. Intrò refpice.Nullius rei nequepro
pria qualitas,neqid quod cidebetur, te fallat. Omnia quæſubiccta ſunt,celerrimè
mutantur, & autin halitum refoluun tur, fiquidem fit compacta corum ſub
ftantia,aut diſsipantur. Mens uniuerli gubernatrixſcit quó ſe habeat, quid
agat, & quá habeatma teriam ſubiectam . Vlcilcédi ratio optima eſt,ne
ſimilis fias cius, qui iniuriam fecit. Unohocte oblecta, inguno hocac. Quieſce,
ut ab una ſocietatis humanæ tuendęcauſa ſuſcepta actione,ad aliam tranfeas, dei
memor. Princeps hominis pars eſt ea, quæſe ipfam excitat atą cict, feğz talem,
qualem vult,efficit,præſtatý ut ea quæ eue niunt talia, qualiaipſa uult , fibi
uidean tur. 04 Omnia fecundú naturā uniuerG fiúc: negenim poſſunt fieri fecundú
ali ali quam ,ſiue extrinfecus circumdantem, fiue incluſam ,fiue foris
ſuſpenſam . Vniuerſum aut confufio quædam eſt, & cótextus fortuitus rerum
iterum àſé diuellendarum & diſsipandarú: aut unitionc ordine , &
prudétia conſtat. Si prius illud uerum eſt, quid eft,curcu pia inani huic
colluuiei & mixeuræim. morari? quid aliud expetendum ,quàm ut in terram
utcungredigar? quid per turbor?quicquid egero,tamen difsipa tio mc corripiet.
Sin altero mó res ha bet, uencroreú, animoſ conftári ſum , &
gubernantimundum confido . Cum te rerum præſentium ſtatus nó nihil
perturbat,celeriterad teredi,neg ultràquàm neceſſe é , à modoeius quá
inftituiſti cantilenæ difcede.Nam co fa cilius harmoniam tueberis, ſi continen
ter ad eam reuertaris. Sitibi Amul &nouerca, & mater effet, illam
quidem coleres, &tamen crebrò ad matrem te recipercs. Eadem eſtribi ratio
aulę & PHILOSOPHIæ . Quarc ad hanc sæpe numero revertere, & in hacac
quiefce, quæ efficit,ut &res aulicæ tibi tolerabiles uidcantur, & tu
duminijs ucrſaris,ferri queas. Quid cogitandum est de cibis & id genus
rebus ? hoc eſſe piſcis ca dauer , illud auis , aut porci: item Fa lernum ,
ſuccum eflc exiguum uuulz purpuram capillos elle ouiculæ, modi. co teſtudinis
fanguine imbutos: tum coitum ,inteſtini parui affrictioné, mu ciğ excretionem
non fine cóuulấone. Cogitationes hæ præclarę ſunt: nam ré ipfam
attingunt,acpertranſeüt, ut qua lis cafit ,cerni poſsit.His per omnem ui tam
utendum eft:aclicubiresquàmma ximè uidetur comprobatu digna,tegu mentis cſt
nudanda, ut & eius in cófpe dum ueniat uilitas,& id,quo fe oftenta bat,
ei adimai. Etenim fucus impoſtor eſt callidiſsimus,ac tummaximèin frau dem
inducit,cum quis maximèfe res ſe rias & dignas tractare putat. Videigit,
quid de Xenocrate ipſo Crates dicat: Pleraq, inquit,corum , quæ uulgus ad
miratur , fi fub habitu aunatura conti nerent, ad latiſsimè patentia genera ré
uocabat,utlapides,ut ligna,ficus, uites, oleas.Quęſubarctiorib.aliquanto , ad
animata ,utgreges,arméta.Si qua paulò plº haberćt gratiæ ,hęcad eareducebac a
cópræhédútur fub ala róe prędita,nó quidé uniuerſali,ſed quatenus artes tra ctat
, aut alias facultates: aut ipſa per fc . au L fcæſtimabat, ut:quidnam
cſſct,poſside remultamancipia.Qui uerò animūra •• tione præditum cû omnibus
ſuis facul tatibus,ciuilis coetus ſtudio uenerat, reliquarum is rerum nullam
curat. Sed omnibus poſtpoſitisſuum animum ita affectum ,atgita fe mouentem, ut
ratio ni & ciuili ſocietati cögruit,conſeruat: ijs quiſunt eiufdem generis
, utiden præftent,auxilio eſt. Quædam iam fiút, quædā mox exiſtent, quin
&cius quod fic, pars iam nuncaliqua euanuit. flu xus, & alterationes
continenter mundű renouất : quemadmodum infinitum æ uum temporis adſiduolapſu
nouü ſub indereddit.In hocita @ flumine quifná ca quæ præterferút, ac
quibusinfiftere nonpoſsit, honore aliquo dignetur?is quidem perinde lit ,acli
quis unum de præteruolátibus paſſerculis diligerein cipiat,atisiamè conſpectu
cius abica rit.Itafe & uita uniufcuiufque hominis habet,ut halitus a
fanguine ſublatus,& aër inſpiratus. Quale.n.eft quod femel animāattrahimus,
& efflamus,id quod identidemfacimus,tale ctiam eſt , quòd f ac ad all a .
ba omnem reſpirádi facultatem , quam hc ri aut nudius tertius nati accepimus,
eò reddimus unde accepimus.Quod uege tamurmoreſtirpium ,reſpiramusmore pecudú,
& ferarú , quòduitsafficimur, quòd appetitionis cauſa mouemur , q
congregamur, quòd nutrimur,omnia hæcnonmaioriſunt in pretio ponéda, quàm quòd
excernimus cibirecremé ta. Quid igitur honore dignü est? num plauſus?nequaquá.
Ergo nelaus quidé populi,quænihil eft aliud quãplauſus 1 nguarú.Sublata igit
etiâ gloriola, quid reſtat, quod ſuſpiciamus & ueneremur? equidéhoccenſeo
,ut quemadmodú fa ciiinſtructiś à natura fumus,ita mouca mur.Eò nos etiam
diligentia opificum , &artes ducût. Ois.n. ars huc collimat, utid quod
paratú eft,aptü fit & idoneu adopus , cuius operis cauſa paratú eft. Idé
querit uinitor,idé qui pullos equo rum domat,idé qui canes educat. Ergo
&inſtitutio primęætatis & doctrina co contédunt:isý finiseſt,quem
expetere debeas. Húc córecutus,nihileft in alijs rebus quod ſis tibi
quæliturus. Quòd fi pergas ES pergas alia eciã expetere , nec liber cris, neg
tibi ſufficies ipſe, negeris affectuú uacuus:neceſſariò.n.inuidebis,æmula beris
,liniſtra ſuſpicaberisdehis , quiilla tibi adimere poſsúc ,infidiaberis ijs ,
qui ? id quodmagni fit à tepoſsidét.Oino.n. necesse est cu esse aio pturbato,
qiſta de fiderat :fępe etiá deos incufare . Quiuc rò mente ſuam reuereturato
colitis & fibi ip , probabitur, & cum cætu homi num bencei conueniet ,
cúmque dijs conſentier ,id eft,laudabit quæcunque ij diftribuunt &
ordinauerunt. Infrà , ſuper , atque circum te motus ſunt elc métorum . Motus
uerò uirtutisin eorú nullo eft,fed diuiniore quadá , & adin telligendum
difficili'uia procedit . Vide quid aganthomines. Eos qui eodem cú iplis
uiuúttépore, laudare nolūt:ipfi uerò à pofteritate laudari magnü exiſti mant
:nimirúabijs quos ne uiderunt, neq uidebūtunqua.Id uerò haud mul tò aliud eft,
quàm ſi dolerét , non à prio ris etiá ætatishominib. felaudatos esse. Non, li
quid allegintelligétia tua neqs , id daullopoile apprehendi homine exiſti 0 co
ert as f 2ti ma: Sed quicquid homo poreft, quic quid ei conuenit, id &
tibiconcediiu dica.ln palæſtra fi quis unguibus aduer farium
laniauit,autcapiteincuſſo ferijt, nonindignamur, ncq;offendinjur,nco inſidiarum
fufpectum habemus : caue mus quidem nobis abeo ,non ut abho ſte, ncquc Gniſtrum
quid de eo ſuſpica mur,tantùm placidè cum declinamus. Id fieri debetetiam in
reliquis uitæ partibus, ucidem de alijsſentianus, quod de ijs, cum quibus
collucamur:poflu muscnim (utdixi) citra fufpitionem & odiűabijscauere,
& cosuitace. Si quis meredarguere poteft, & demonftrare, quòdnon recte
ſentiam ,aut agam,læto animo fentétiam mutabo :ucritatem.n . quæro, quæ nemini
unquam dáno fuit; damnum autem facit,quiin crrorc & i gnorationcſua pmanct.
Ego, quodcft mci officij, ago, cætera menonauellúc. Autenim anima,autrationc
carent,aut uiæ ignara errant. Animantia rationis expertia,tú omnes ciuſmodi res
& fub . iccta,magno & liberali animo ſunt ufur panda
tibi,ncmpcrationeprædito. Hominibus uerò, ut ipſis quogmentcin ſtructis rationeſocietatis
habita utere. Inomdisciònegocio deos comproca rc:neos ſolicitusefto,quantum
tempo ris fpatium tibi adagendum detur:fuffi ciúteoim ucitres huiuſmodi horæ.
Ale xander Macedo ,agaloß eius , mortui in idem ſuptredacti: autenim aſſumpti
ſunt ad mentēmundicam, qua fati ſunt reliquorum animi , aut diſsipati ſuntin
atomos, unus perinde atgalter. Cum animo tuo conlidera,quàm multa uni co
temporis momento fiantin uniuſcu iuſ @ noftrûm ,cùm animo, tum corpo re :ita
fict,utnó mireris, quòdlógè plu ra, imò uerò omnia quæ in mundohoc fiunt,fimul
extent. Si quis à te quærat, quomodo fitnomen Antoniniſcriben dum: nónne
fingulatim omnes literas proferres? Quid ergo fi qui iraſcuntur, num uiciſsim
tu quoque ſtomachabc ris?nó potius numerum inibis placidè ; Ingularum rerú ?
Itac ctiam hîçmemé to luis omnc officium quibuſdam con ſtare numeris: quos li
imperturbatos ſeruaueris, ncq indignatibus alijs ipfo com Spro MIUS. quog
indigneris,recta uiaid quod pro pofuifti,perficies. Inhumanum effe ui
detur,hominem impedire, ne ad ea fera turquæ ei utilia & cognata uidetur.
At quiid tu ne faciant prohibes quodam modo,dūiniquo animo fers cos delin
quere.Ferútur enim utiqueadid, quod naturæ fuæ coniunctum , & utile putāt.
Sed res nó ita habet . IditaB oftéde eis, & & doce citra indignationé.Morsfinem
imponit ſenſuum motus, & cogitation num officijs ,animúģàcorporismini- situ
ſterio liberat. Turpe aút eft in hac uita, in qua corpus tuũlabori nỏ fuccubit
animú tuú elāgueſcere.Videne à pręfé tiſtatu deiectus obruaris. Poteft.n.hoc
fieri.Itaq; cóferua teipfum Gmplice, bo ne núintegrū,graué,apertū ,iuſtitiæ
ſtudio fum ,piúerga deos, benignú, humanú, ad officiunituendúforté,annitere
utta lite lispermaneas, qualetefacere uoluit phi c loſophia.ucnerare
dcos,ſalaté homini busaffer. Breue eſt uitæ in terra degen dæ tempus,omniſg
eius fructus, ſancta animi conftitatio , & actiones commu- beri pitati
hominum utiles .Omniautdecet Anto SE maig Sophie Antonini diſcipulum.age. Quæ
fuerit eius in agendo fecundum rationem fir mitas, quæ ubiqueæqualitas, quæ ſan
ctitas, memento : quæ uultusferenitas, accomitas . Quantus ille gloriæ con
temptor, quod eius in percipičdis reb. ſtudium , quum nihil prętermitteret,ni
fi prius accuratèperſpexiſſet,ac cogno uiffet.Vt tulerit iniuftè ipfum repræhé.
dentes, neque conuitium his repoſuc rit:ut nihilproperatè aut cupidèaggrel fus
fit: ut calumnias nó admiſerit, ut di ligens fueritmorum actionúmque exa
minator:non obtrectator,conmeticu loſus , non ſufpitioſus, non fophifta. Quàm
paucisfuerit contentus , ut do moleco, ueſte, cibo,famulatu :quàm tolerans
laborum ,quàm lenianimo: ut tempusnequeadueſperam propter ui ctustenuitaté
egerit,ita ut neexcernere niſi coſueta hora opus ei effet.Queeius in amicitia
fuerit conftantia , &æqua bilitas : quomodo tulerit cos, qui ipfius fententia
liberè impugnarent,gauilulý fuerit,fi quis melius aliquid oſtêderet. Qua ille
deos religione coluerit citra ſuperſtitionem ,recordare, ut iibi quo quc ultima
hora perinde atque is fuit re ¿ te tibi coſcio adueniat. Expergiſcere, &
tcipſumreuocafomnog diſcuſſo co gitans quæ te inſomnia perturbarint,ui gilās ea
intuere,utilla inſpexiſti, Ex cor pufculo & anima con to . Corpuſculo
nihilintereſt interres , neque enim po teft difcrimen ftatucre. Rationiautem
inter ca diſcrimen habetur, quæ nóſunt ipfius actiones: has uerò oés in ſua ha
bet poteſtate. Quod ipſum tantùm eſt de præſentibusaccipiendum ,præteritę enim
& futurę animi actiones,ipſe quo que nullum habentiam diſcrimen.Ma
nuiacpedi,dum ſuum agunt officium , nullus eſtpræter naturam labor.ita ho mini
quoqueea agenti quæ ipfius ſunt partium , nullus eſt præter naturam la bor:ergo
nę malum quidé.Quotuolua ptatibus,acquantis frui contigit latro nibus, cinædis,
parricidis , tyrannis ? Nonnc uidos ut qui ſordidas profiten . tur artes, uſque
ad certum finem ſe pri uatis hominibus accómodent? nihilom minus tamčſuæ artis
rationcm retinét, nab ea decedere uolunt. Nónne aútturpeft, fi architectus
&medicus magis lux artis rationé reuercatur,quá ſuam homo , quæ quidé ei
eſt cum deo communis? Aga& Europa, anguli ſunt mandi: uniuerſum mare,
guttamundi: Athos, glebula mundi : omne inſtans tempus,púctum cſt æternitatis.
Omnia funtparua,mobilia,interituiobiecta: 0 mnia inde ueniunt , profecta à
principe uniuerfi,aut per conſequétiam . Etenim rictus lconis, lethalia uenena,
omniaos maleficia ,ut ſpina, cænú, pulcrarum & bonarum rerum ſunt
additaméta, Non igitur ea aliena ab eo quod colisimagi nare,ſed fontem omnium
rerum confi dera. Qui preſentia cernit,omnia uidit, quæ ab æterno fuerunt,
& in infinitum uſg erunt, Omnia enim ſunt eiuſdem generis, &
conformia.Sæpenumero co gita de omnium in hoc universorerum connexu, mutuag
affectionc, Quodá cnim modo omnia inuicem ſunt impli cata ,ca ratione amica
mutuò. Aliud enim ex alio confequitur,propter con fantem motum, ac conſpirationem
& fs unitionem (ut ita dicam )ſubeſſe. Quib. negotijs addictus es ſorte
tua, his teac commoda : & quibus tehominib.fatū adiûxit, cos amore,idig
uero ,proſeque re.Organa, inſtrumenta, uaſa, quumid agunt,cuius gratia funt
adornata, bene habent et quidéis qui ea parauit, abeſt abipfis.At in his quæ
natura continen tur,remanet, intuſý eſt uis ea paratrix. Ita tanto magis
honoranda eſt, &exi ftimandū, li ſecundum cius uoluntatem agere perſeueres,
oía tibifecundum mé tem eſſe:idéo de alijs hoíbus oíbusin tellige . Quodcu
exijsreb.quæ extra te ,negin tua uolútate ſunt pofitæ ,tibi Ppofueris,boniuel
malinoie, id, fi uel utmalú tibi cótingat , uelfi, cú pbono ducas,adipiſcinon
poſsis , efficiet ut & deos incufes , & odio habeas homines quiin cauſa
ſūt,aut eo certe noíe ſuſpe cti habét, g uelmalú hochabeas,uelbo no
careas.Propterhác rerú differentia, quam ipfi ftatuimus , fituc multa pecce
mus. Quod fi ſola ea, quæ in nobis ſunt pofita,bona&mala tractaremus,nihil
cauſęreſtaret,ne aut Deú incufaremus, aut cú hoíbusinimicitias ſuſciperemus. Oés
ad eúde finé & effectú agimus: pars ſciétes, & certo ordine,pars
inſcij. Qué admodú & dormiétes.Heracletus nifal 1 lor dixit eſſe
operarios,qui adiuuétlua opera hæc quæ in múdo fiút. Alius aút alia róneid opus
adiuuat :ſupuacanea opera eft eius qrephédit, & reniticonat ijs quæ fiút,
ea reſcīdere:nā & hocuti tur múdus. Proide animum aduerte, in quorú tute
numero reputes. Nã admi niſtratorhuius uniuerd, utiq teutetre &è , &
accipiet te inter cooperarios.Tu vero ne ſis huiuſmodieorú pars, qualis eſtinfabula
uilis ille et ridiculus versus, cuius mentioné Chrysippus facit. Sólne pluuiæ
munia obire cupit,aut Aeſcula pius terræ frugé ferētis? Quid ucròfyde ra, anno
diuerſa quidélingulis eſt actio, quętnadcómune opus cóferat?Quod fide me &
his quęmihieuenire debue rút, dij cófultauerüt, rectè nimirú mihi confuluerút.
Nam Deum fine confilio agentemnccogitarequidem facile eft: quæautem fuiſſet
cauſa , propter quam malè mibi confultum uoluiſſet? Quid inde ad deos , &
ad uniuerſum ( cuius maximè habentróné fru & usredijſſet ? Sin de me
priuato nihil conſultauerüt, ac deuniuerſo utigrationes duxerunt, ex quo quum
ea conſequutur que mihi cueniunt,non debet mc eoruinpcenite re.Sanède nulla re
eos confilium inire, impiū eſt credere : autneſacrificãdum , neprecandum
,neiurandum quidé, ne que quicquam corum faciendum ,quæ fingula tanquam cum
preſentibus & u nà uiuentibusdijs agimus. Sed tamen fi nihil illi de nobis
ftatuerüt,licet mihi dcmeipfo cóGliú capere, ac demea uti litate deliberare.
Vtile aút eſt unicuig id, quod eſt naturæ eius & conſtructio ni cófentaneú
. Atnatura mea rationis eft cópos, & ciuili cætui accommoda ta. Ciuitas
mihi eſt & patria,quatenus quidem ATNONINUS SUM, ROMA. :quate
nushomo,mūdus:hçcigit tantùm mihi funt utilia , quæ his ciuitatibus condu cunt.
Quælingulis cucniút,ca profunt uniuerſo : id eratfatis ſcire. Sed &hoc
addendum, quòd fi animaduertere uc lis ,ubig uidebis: quæ homini, autalijs
hominibus * Sed nuncuocabulumu tilis accipiamus latius, ut etiam medijs rebus pateat..
Quæ in theatro aut fimili bus locis uides,ca quum ſemper eadem ſpectentur,
& uniformia, fpe & aculiſa tictatem afferunt. Idctiam de tota uita
ſentiendum . Omnia enim fuperiora & inferiora eadem funt, & exijſdem
cauſis excitcrunt.quouſ igitur?Adliduooís generis homines conlidera, qui ex om
nis generis profeſsionibus & nationi busmortuiſunt:ita ut ctiam ufque ad
Philiſtioncm, Phoebum et Origanio nem deſcendas. Hic fanè cogitandum , idem
euenturú nobis,quodaccidit tot cloquentibusoratoribus,totgrauibus philofophis:
Heracleto, Pythagoræ, Socrati,tot Heroibus prius,deinde tot du cibus, tyrannis:
tum Eudoxo,Hippar cho, Archimedi, alijs acutis ingenijs, magnanimis,laborioſis,
callidis, contu macibus,his ipfis ,qui caducam hanc & & in dies
durantcm uitam hominūſub ſannarút,utMenippo &fimilibus.Hos omnes cogitandum
eft dudú eſfemor tuos:quid auté maliinde habent?Quid hi, quorumne extant quidem
nomina? Vnumhocſummi cſt pretij, ueritate iuſtitia feruata,mendacib . &
iniurijsho minibus placidú uiuere. Cùm teipfum oblectare uis , cogita virtutes
corú qui uiuunttecum : ftrenuitatem eius, illius uerecundiam, aut liberalitaté,
aut aliud quippiam.Nihil enim eſt,quòd tantam afferatlætitiam , quantam
limilitudines uirtutum in eorum quibuſcú uiuimus moribus expreſſæ,ac fefe
cófertim offe rentes cófpectui.itaqz in promtu haben dæ.Noniniquè fers, tot
libras te appen dere, &non trecentas: ita etiã quòdan norum certum , &
conon maiorem ui ues numerum, indignari non debes.Etc nim ut corporis tanram,
quanta cibi eſt tributa,portionem probas: ita &de té pore tibi ſentiendum
eft. Annitendum eft nobis, ut perſuadeamusijs cum qui bus agimus: lin minus,
etiam illis inuitis id agendú eft,quod iuftitiæ ratio iubet. Quod li quis ui te
impediat,tranfi adę quanimitatem, eo impediméto ad al terius uirtutis
opusabutere:memor, tc cú exceptione quadaíftituere actioné, negca
appeterc,quęfieri nequeat.Itaq is füitimpetus animi tui , cui ſatiſfiat, ii id,
cuius caufa citatuses, cóſequat. Glo rięcupidus, alienā actioné pluo bono
reputat.uoluptuarius affectioné,quai ple afficit:méte uerò pręditus, ſuã actio
né.Licet etiá nihil de hisexiſtimare.ipſe .n.res nó funt eius naturæ, ut
iudiciú no ſtrúefaciat. Adſuefac te, ut alio docéte cogitationes nó aliò
diuertas,fed totus animo diceris fisintétus. Quodalucari nó pdeſt,id ncapiquidé
pdeſt. Sinau tæ malè gubernét, aut no rectè curétur ægroti,dicúr:alius erat
quærendus,cui mecómitterē: aut quo hic faluté naui gātib. uelægrotis ſanitaté
afferet? Quá multiiam unà cũhis, quibuſcúin mun dum uenerüt, ex múdo exceſſerút
?Mor bo regio laboratib.melamarú uidetur: morfis àrabida beſtia , aqua eft
timori: pueris fphęrula pulcra cft. Quid ergo i raſcor? aut tibi minor uis
uidetur elle fal Gitatis, q bilis apudictericũ, aut ueneni apud morſum à
rabioſo animali.Nemo prohibebit, quin fecundú rationé tuæ naturęuiuas:nec tibi
quicqua accidet, quod fit cótrarónéuniuerg .Qualcsfút illi, quibus cupimus
placere, aut ppter qd, g cis ſuperlis,autper quasactiones? quàm celeriter æuum
omnia abſcon . dat: imò quàm multa iam nunc occultauit? eſtmalicia ?id, quod iệpenumero
uidiſti.Et quic quid omnino acciderit, ex peditin promptu te habere hanc
rcgula, ſæpeid effe à te uifum . Om nino fi ſuperiora &inferiora animore
petas,inuenies omnia cadem eſſe, quo rum plenæ ſuntpriſcæ ,mediæ ,recéteró
hiſtoriæ ,& urbes, & domus :nihilnouú eft ,omnia uſitata & breui
durātia tem pore.Neque uerò alia ratione extingui poſluntopiniones, quàm
cogitacioni bus quæ ijs respondent, abolitis : quas quidem ut continéter
reſuſcites , in tua cft pofitum poteſtate. Poſſum de re oblata exiſtimare, id
quod oportet : li hoc poflum , quid eſt cur animo pertur ber?Quæ ſuntextra
mentem meam, ni hil omnino ad cam attinét. Hoc modo affectus,rectus eris.
Reviviscere potes: nam fi res quas antè uidiſti, rursus apud animum tuum
contempleris , exactam uitæ partem qualirepetes. Inane pompa ſtudium , fabulæ
ſceöi tægreges,armenta,uelitationcs,oſsicu lumcatello proiectum ,auteſca in
piſci nám iniecta,formicarūlaborcs,& one: rum geſtationes,murium
perterritorü diſcurſus, Gimulacra ncruis tracta ut le moucát. In his igit
oportetanimo pla cido, &non elato confiftere, & intelli gere,tanto
unumquem dignum eſſe, quâto ea in quibus ftudium fuú is po ſuit . In oratione
ſingula uerba, inijs quæ fiunt, lingulęappetitiones ſuntant maduertendę: ato
hic ftatim uiden dú,quam ad finem cæ referantur; illic quidfignificent:
Sufficitne intellectus meus ad hanc rem, an ſccus? Quòd G fufficit,utoř cô ad
rem propogtam tanquam inſtrume to mihiab uniuerli naturaconcello Sin g. contrà
, aut eam rem alteri cuidam, qui melius id poſsit , perficiendam relin
quo,præfertim fi alioquin id agere offi cium meúnó iubet:autipfe perago pro
uirilimea,adſcito mihi auxiliario,cuius opera mca'mensid efficerepoſsit ,quod
in præſentia fitcommodum , & focieta ti hominum conducat. Quàm multi
quondam fucre cele bres, quorum nunc fama eft obliuioni tradita? quàm
multietiam horum , qui iſtos celebrauerunt , è medio funt fub lati?) Ne ducas
tibi pudori, li cuius auxilio uſus es.Propofitúeftenim tibiid agere, quod fit
tuarum partium : perinde ac militiin oppugnatione muroru. Quid ergò faceres, li
tu claudicans folus con ſcendere propugnaculum nequires: ab alio
adiutus,pofles? Ne te perturbent futura. Nam fi ita uſus erit, peruenies ad ea
eadem inftru ctus ratione, qua nunc in præfentibus uteris . Omnia inter ſe ſunt
complexa ſacro nodo és i nodo neg quicquam ab altero eſ alie ñum , ordincenim
omnia certo funt dif polta , unum eundem mundum ex ornent. Mundus ex omnibus
conſtat unus , unusqueper omnia diffufus est d Deus, una natura,unalex,unaratio
cô munis omnibus ratione præditis ani mantibus, una ucritas:Siquidem etuna eſt
perfectio eorum quę eiuſdem funt ni generis , eiufdemó participia rationis ui
animantium .. Omneid quodmateria conſtat, ce lerrimè in uniuerlo abolei: omois
cau io fa, celerrimè in rationem uniuerfi adlus mitur:omnium rerum memoria quàm
20 primùm æuoconfunditur. id Ratione prædito animali cadem a. EEtio &
fecundum naturam eſt, & fccun dum rationcm. Rectus,an qui erigatur? Quam
ra. Itationem in unitis & compactis corpori bus habent membra , eatn
obtinent ra tione prædita animalia in diullia, præ parata ad unam quandam
actionem. Hæc cò magis animum tuum tanget, ſi crebro tibiipfi dicas : pars fum
cius, quodeſtex ratione præditis conflatū , corporis:Si autem propter elementum
R.dicas te eſfc partem , nondum ex ani mo diligis homines, nondum ex bene
ficentia delectationcm capis, quam ue rè apprehendat animustuus,adhucde cori
tantùm cauſa ita agis , non ut in te ipfumbeneficium conferens. Sanèalijsquęcun
& accidant,corum eft, fi uelint, ca culparc.Ego quidem re bus mihi
contingentibus, niſi in malis eas ducam, nihillædor:& licet mihi ea non
putaremala. Quicquid alij loquantur & faciant, mc quidem oportet ellebonum
:haud aliter,gliaurū uel ſmaragdus,uelI pur pura ſemperita diceret, quicquid
alij dicant, aut faciant, ſmaragdum eſſe o. portet,me colorem ſeruare mcum.
Mensipſa ſeipſam nó perturbat,hoc cſt ,non afert fibiipfiullam cupiditaté
autmctum.Si quid aliud eſt, quod pof fit cam terrere aut dolorem afferre, fa
ciat ſanè: ipſa quidé per ſenulla opinio. nc libihosmotus affert. Corpuſculum
ucrò uerò ipſum curet , ne quid patiatur dis cato, ſi quid patitur.Animonullus
me tus dolor,aut opinio horum accidere pót.negem ci ſunthabitusad hęc. Per le
omnimetu mcns uacat , niſ feipfam deftituat:ita &perturbationis, & im
pedimenti exors. Felicitas eft bonus dæmo, ſeu bonü. Quid igiturtu hic agis
phantafia ? ubi, unde ueniſti, non enim te opushabeo. Sed uenifti fecundum
priftinam con fuetudinem : non tibiſüccéſco, faltem abi , Siquis mutationem
timct,is cogitet able ea nihil fieri poffe , ncque eſte ca quicquam naturæ
uniuerli amicius.An tu lauare poffes, nifi ligna mutarentur? aut ali,nifi
nutrimétomutato ?autquid nam aliud utile poteft abf @ mutationc fieri ?Non ergo
uides etiam tuimutatio nem carum limilem eſſe ,ac perinde nc ceffariam uniucrü
naturæ. Per uniuer ſam naturam:tanquam per torrcntem , tranfeunt omnia
corpora,uniuerſo ipa cognata, & eius opcrum adiutoria, uti et nostra invicem
luntmembra. Quot Chrysippos, Socrates et Epictetos xuí iamn deglutijt. Idem de
omnire & homi ne tibiad animum accidet. Vnum hocmeſolicitumtenet,ne ad
faciam , quodhominis conſtitutio aut nolit factum ,aut alio modo, uel tempo re
factum velit. Propediem erit, ut et tu omnium re rum obliviſcaris,& nulla
Gtuſquam tui memoria. Proprium hominieſt,ut etiam cos di Jigat,qui peccant.
Fiethocl in menté tibi ueniat, elle cos tibi cognatos , im prudétia, &
inuitos peccare,paulò pòſt & te, & illum qui peccauit,moriturum ; idý
potiſsimum ,nó lælum te ab co.no enim eius peccato tua mens deterior, quàm
fuerat,facta eſt, Natura mundi , ex uniuerſitatetaną ècera modò equum
finxit,moxco con fuſo , materia iſta ad fabricam arboris ulacſt,deinde ad
homunculi, inde ada . liarum rerum.Harum ſingulæ quá bre uiísimo duraruntſpacio
. Atquiarcula utlicompingatur,nihil eftmali:ita neli diffoluatur quidé. Irati
uultus oío eft cótra natyrä,quádo fæpius immoriedi fit prętextus,aut ad extremú
extinctus eſt ,ut oſo inflammarinópotuerit.Hoc ipfo intelligere labora, irá à
ratione effe alienam . Nam fi etiã ſenſus peccati nul lus erit, quæ erit
uiuendi cauſa? Quæcung uides, ea iam iam à guber natrice mundi natura in alias,
rurſuso & deinceps in alias mutabit formas:ut femper recens fit mundus. Si
quís aliquid contra te deliquerit, ftatim cogita quánam boni uel malio pinionc
pcccauerit:id.n.fi cernas, miſc reberis eius,acneobmiraberis,neq ira fceris.Nam
autipſeidé,quodis,bonum putas, aut aliud quidda eiuſdé generis: venia ergo
danda: Sin tu secus de bonis et malis iudicas, cò placabilioreris ei qui falsus.
Non deijs quæ abſunt, tanquam de præfentibus cogitandum eſt:fed præſentium ea
quæ ſunt aptiſsi ma, deligenda funt,illorumg caulame moria repetendū ,quánam
rõefuiſſenç quærenda fiquidem abfuiffent.Caueta men præſentia adeò probes, ut
etiam in honore ca habeas,ac fi quãdo abſint,p turberis.Intra teipſum uertere. Hæceſt
natura mentis,utiuſtè agens, in hocg acquieſcés,nihil extra fe quærat, Aufer
uiſå inhibemotum ncruorú, cir cunſcribe inſtans tempus,cognoſceid quod
uclţibi,uel alij accidat, diuide fubiectum in materiam &formam , co. gita
de poſtrema hora, Quod peccatú eſt, ibi ceſſat , ubi pec cațum ſubliſtit,
Intendenduseſtanimus ijs quæ dicuntur,mente penetrandum in causas et effectus,
Exorna teipfum fimplicitate& uere cúdia, coś, ut quæ ſunt medio inter uir
tutem & uitium loco, in nullo ponas di fcrįmịne, Diligehumanum genus, obſe
quereDeq:is enim aitomnia fieri certa lege. Quod fi diuina ſunt etiam elemen
ta. Sațiseſt meminiſſę,hæc omnia certa lege conſtare,aut admodú paucaſecus,
Mors é auţ diſsipatio ,qui indiuidua rum particularum ſecretio ,aut exinani
tia,autextinctio, aut migratio , Dolorli fitintolerabilis, mortem af,
fert:diuturnus ferri poteſt,interimga. nimus ſuam retinet tranquillitatem ,ne
que fit deterior. At partes dolorç con fectæ, ipsæ quæratur,fiquidem poflunt.
Honinum opiniones de gloria intue cil re, quales Gint, quid propolitụm habc
cidant,quid fugiant, Lide Viß in littore maris arenæ cumuli Co- alij
ſuperaliosappulg ,prioresoccultát, įta in uita quo priora à ſubſequenti bus
celeriter abſconduntur. Platonicũ .Quiigituranimocſt præ unditus alto et
cognitioné habet omnis temporis, omnisg naturæ ,an tu cúpu er tas exiſtimarç,
quòd hominis uita ma - gnum ſit aliquid ?Nequaquam ,reſpon sc ditille. Ergo
,inquam nemortem qui B: dem in malisille reputabit? Minimè Era uerò,
Antiſthenicum ,Regium eftmalè au dire, çum bene feçeris. Turpe eſt uulta co
obſequi intellectuiſco componercita uutisiubeat,cumipfeintellectusſeipſum non
componatat ornet. Namrebus iraſci,nihilfanè expedit: Iram curăt enim noſtram
nihil.Dijslę. tiignaris, & nobis gaudia doncs. Frugiferam uti fpicam mcæ
uitæ mc tam.* At hoc quidem effe, illud nona then Lam LIK trCurl be Quod ſi dij
me , libcross ncgligunt, Ratio eft & huic. Meum enim est bbene efle et
iustitia. Non una lugere, Deg tremere. Platonica. Ego autem haudiniuria hoc
retule. rim.Non rectè dicis, ô homo,liputas ef ſe uel uitam uel morté aliquo in
diſcri mine ponendam ciuiro, qui uel alicu ius fit precij:acnon id potius unum
có fiderare cum inter agendum ,iuſténcan iniuftè agat, & eáne fintuiri boni
anue rò fecus.Reienim ueritas, & Athenien ſes, ita habet, ut quo quis loco
ſeipſum conſtituerit,exiſtimansita optimum el fe,aut cum ita Gtoptimum ,cò
colloca tus fuerit, ibi (mea quidem ſententia ) perGftere debeat, ac quoduis
pericu lum ſubire,neg mortem , uelullam alia rem turpitudine grauioré ducere.
Sed heus tu ,uide,ne animimagnitudo,cibo pum aliud quidpiam ſint, quam ferua
re, & feruari. Neque enim conceden dum eſt,eum reuera uirum diçimereri, qui
quantocuný tempore uiuendum, acquc rationem uitæ habendamputat: Sed 1 leo sel
gar, CO all 1 WC 1 ef Sed eum , qui dehis cura deo commife la, credens
mulieribus , non pofle fa tum ab ullo euitari , id consderandum porrò ducat,
quánam rationetempus uitæ conceſſum fibi quàm optimè exi , Curſus liderum
conſiderareexpedit, quali eos comitaremur , & elementorú mutuæ mutationes
crebrò cogitandæ . Hæ enim cogitationes uitæ humilis for des abſtergent. Bene
eſt à Platonchoc dictum.Etiam cùm de hominibus loq. mur , intuendum est in pes
terrenas . Etc nim qui memoria altius repetierit ho minú cógregationes
,exercitus,agricul turas,nuptias ,pacta ,ortus,interitus,iu 1. diciorum turbas
, uaftitates regionum , varias. Barbarorum gentes , ferias , lu dus, nundinas ,
in ſumma, qui colluui cm illarum , & ex contrarijs compol tum præteritorum
aceruum , tantas 191 imperiorum mutationes recoluerit, is ecià futurā præuiderc
poterit. Quippe et candem hæc habent cum præteritis for mam , nem alio
possuptmo fieri, Itaçćç Cu alia edbo en idem eſt, quadraginta, an decies milių
ſpacio annorum uitam humanam exa mines, nihil enim amplius uidebis. Exterra
enim nata in terramredacta funt:quæucrògenus traxeruntcælitus, redicre ad
æthercúpolü: fiuehæc quæ dissolutio complexuum , quibus ato miiunguntur, sive
elementorum passio nis expertium dissipacio. Cibis, potug, & magicis adeo
artibus Avertimus currum, & mortis fugi mus uiam. Flantem diuinitus auram
Opus eft tolerarclaboribus, Luctu, lachrymisg calentibus. Est aliquis te
peritior luctæ :quid tú? at rófocietatis humanę ſtudioſior eſt, non uerecundior
, non ita commodè fert ca quæ accidunt, nó ita mitis homi num peccatis. Vbicung
poteft aliquid perfici,fecun dum cómuné dijs & hominibusratio ncm, ibi
nihil eftmali.Nam ubi utilita tem conſequi licet actionis, quære&a uia
proccdit fecundum conſtitutioné i hominis,ibinon cft uerendum nequid fubfit tog
fubfit damni. Vbig & femper in tuacſt manupofitum ,ut ca quæin præfentia di
biacciderunt, & approbes piè, & cúbo minibus quicccum lint,iuftè agas,
&ui ſa oblata artificiofe examinesne, quid non facis perceptum admittatur.
Noli aliorum mentes circumſpicere, ſed cò recta intuere, quò te natura ducit,
cùm uniuerli, per ea quæ tibieueniunt,tum tua per ca quæ tibi ad agendum ſunt
propoGta. Id autem unicuiq ad agen dum proponitur, quod eft eius conſti tutioni
conſentaneum. Porrò ita con ſtituta ſunt & comparata fingula: reli qua
quidem omnia corum cauſa, quæ mente ſunt prædita,nimirumdeteriora pręſtātiorum
cauſa, rationcautem pro ditorum unum alterius caufa factú cft. Primas igitur
inter partes ex quibus ho mo conſtat , ca pars obtinct, que fo cietatcm
humanamreſpicit:alteras,ca, fibi à perſuaſionibus corporeisillo
abſtinet.Rationccnim & intellectu prę ditimotusproprium eſt ,ſeipſum circa
ſcribere, &nco ſenſitiuæ,ncqueappe titiuçmotioniſuccumbere:harumem utrag
ctiam brutorum cft. 1 qua Atintelle&iua principatum obtine re, neq ab illis
regiuult:neciniuria, quig pecuius natura ferat ,ut omnibus reli quis ipſa
utatur. Tertiú eſt ,uacuitas te meritatis & erroris. Quibus intéta pars
princeps,rectà progrediat, ſuis cóiéta. Tanquam mortuo, &qui hactenus
tantùm uitæ uſura fuerit cóceſſa, quod ſupereſt uiuendum tibi crit fecundum
naturam ,tanquam ex abundanti. Tu ſolus ca diligens , quæ tibi fatum iniunxit ,
co contentus efto . Quid enim magis congruum, quàm ut ſingula cue niunt,ftatim
cosante oculos habere, & cum eadem ipfis cucniffent, indignati
ſunt,nouitatem rei mirati, &repræhen derunt ea. Vbinuncijſunt?nufquam .
Quid attinet te corum fimilem effe uel le ? acnon potius alijs fuum morem rc
linquere , ipfein hoc effe, utrebustuis bene uraris? Idý poteris præftare, nec
deeritmateria , modò animaduerte , & ftude , uttibiipliin omnibus actionib
. uidearis honeftatem confecutus. Vtri ufgz uerò actionum finis recordandum
cft.Intrò reſpice:intuseft fons boni,ſem per ſcaturiens,fiquidem femper fodias.
Corpus conftare,acneq motu, ncg habitu diffolutum effe debet. Sicutem mens
efficit, ut vultus Gt compolitus & aptus , ita detoto corpore uttale Gt
annitendú eſt. Omnia hæc curandu é, ut ne oftétationis caula Gimulata fint.
Vivendi ars palæſtricæ cft, quòd ſal tatoriæ fimilior,eò quòdipfa quo cu
rat,utad ea quæ incidūt,neq; ancè lune præcognita,parata fit, & à caſu
tutum hominem feruet. Adliduò inquire,qualesij fint, quos teftimonium de te
ferreuis, ac quæ co rum fint mentes.Ita nco cos qui inuo luntariè
peccantculpabis,nee teſtimo nijegebis,fiinipfosfontes infpicias,un
deijopinionesfuas,appetitiones hau ſerunt:Omnis animus, inquit illc , non ſua
ſponte priuatur ueritatc : idem sentiendum de iustitia, temperantia, benignitate,
omnibusý limilibus.Atnecef ſariū eſt quâ maxime, id te nunquã nó meminiflc:ita.
n. erga oés crismitior. Dcomni dolorein própru fit tibi co gitare, cum ncg
turpem efle, neqmen tégubernątricem reddere deccriorem feras. Id quog recordare,multa
cú ea quippe hæcnegrationc materiæ , nem ſocietatis humanędamnum accipit. In
maiori autem dolorum numero etiam Epicuri dictum prodeſt,eum ncg into lcrabilem
eſſe,ncg æternum. fiquidem finium recorderis,ac non preiudicium in * dem
habeantcum dolore naturam , ta men occultèmodò moleſta eſſe :ut dor miturire,
eſtum ferre,nauſeare:quorum aliquod li moleftè fers, dic tibiipfi,te dolori
ſuccumbere. Vide neita afficiaris contra inhuma nos, ut homines contra homines.
Vnde nobis conſtat Socratem fuiffc illuſtrem , &meliori conſtitutionc præ
ditum? Non enim ſatis eſt eum clariori morte occubuifle ,aut peritiùs cum So
phiſtis diſputalic , & patientiùs in frigo re pernoctalle, & Salaminium
abdu cere iuſſus,fortiter rcpugnaſſe, acíuijs maieſtatem uultus præ ſe tuliſſe,dequo
maximè dubitari poteſt an uerú id fuc rit. Sed hocconſiderandum eſt, quo ani mo
fuerit Socratcs,an potuerit conten tus efle, Siiuſtumfc hominibus præbe ret, ac
pium erga deos, annequç teme rè ob aliorum maliciam litindignatus, nec ullius
inſcitiæ ſubferuiuerit, an ni hil corum quæli uniuerſi natura attri buiſſet,
tanquam peregrinū autintole rabile acceperit, nunquám ne affecti bus carnis
conſentientem mentempræ buerit. Non ita confudit omnia natura,ut no liceat
circúfcribere ſeipſum , & quæ ſont propria cuix, caipfum in ſua reti nere
poteftatc.Admodum cnim poſsi bile eſt,ut quis diuinus uir fiat,acă ne mine
cognoſcatur. Hụius ſemper me mento:atqhuius etiam , quòduita bca ta in
pauciſsimis rebus eft pofita. Nog guia deſperattice Dialecticú autPhyl cum
futurum ,iccirco etiã liberú ,pudi cum ,fociabilem ,deog obedientem to fieri
poſſe. In maximaapimi uoluptate licețui uere, tutum ab omni ui,utcung omnes quæ
uolunt contranos clamitent:etia li corporeæ huius molis membra å ferig
laniétur.Quid enim obſtat,quominus intcrim meas ſeipfam conſeruet in tran hic
10 5 quillitate,uero de rebus præfentibus iudicio , & uſu corú quæ
ſuntpræma. nibusexpedito : ita quidem ut iudiciú rei fubicctæ dicat : fanè cu
natura tua họces,etfi aliud uideris :urg ulus dicat rei oblatæ : Ego te
quærebam . Semper cnim id quod adeſt, materia mihi eſt exercendæ uirtutis
rationalis & ciuilis, omninog uirtutis humanę aut diuinç. Omni enim id
quodaccidit,deo eft aut homini familiare,ncgnouum, ncgin fractabile,ſed
conſuctum & tractabile. Perfectio morú hocpręſtat,ut omne diétanquá
ſupremūagas,nihil tremas. nihiltorpeas,nihil Gmules.Dij, cu Gar immortales,
tamen non indignè ferút, quodin tam diuturno zuo ſemper om nino tot improbos
homincs perferre debeant: quinimo illorum curam fum mamgerunc. Tuautem qui
iamiam cef fabisuiuere,defperas,idg unus è numc romalorum.Ridiculumeft te non
fuge rc tuáipfiusmaliciam , id quod potes, aliorum uelle fugere, quodnonconce
ditur tibi. Quicquid rationalis&ciuilis tua uis inuc vn . ich inuenerit nc rationi cóſentancū,ncq
ad focietatem conducens , id rectè ca indignum iudicabis. situ benè alicui
feciſti, & cſt, quià to beneficium acceperit, quid præter hæc duo
tertiumaliquid requiris ftultorü more,ut & uidearis bcnè feciflc , &
gra tiam recipias. Nemo defatigatur accipi endo aliquid utile. Atqui utile tibi
cita tcſecundum naturam aliquid agere: nc igitur dum alij prodes , dcfatigare
tibi aliquid boni parando. Vniuerfi natura olim ad mundum fa bricandum fe
contulit:nunc autem uck omnia quæ fiunt, confequétia fiút ſua, , uel ctiá in
præcipuis corum, ad quæ fa mundi gubernatrix natura confert, ra tioninullum
locum efle & cóGlio, tené dumeft. Hoc, & memoria tencas, multis in
rebus animo ut his tranquilliori cffi ciet. hs 1 'D quoqad minuendamglo riæ
cupiditatem facit, quòd non licet tibi adhuc totam uitam ,quæàprima tuaæta te
fuit,philofophicè uiuere: fed cumul tis alijs , cum uerò tibi ipli manifeſtum
eſt factum ,teproculà philoſophia abef fea Gonturbatæ igitur funt tuæ ratio
nes.cumaço ipfeiam nomen philofo phi facilèpoſsis adipiſci, & tuum inſti
tutum repugnet. Siitaque uerè perfpe xiſtį, in quo litrespofita, omitte curare
quis habearis:fatis autem fit tibi fireli quú uitæ arbitrio naturæexigas. Quid
ca uelit , cogita , hinc te nihil diuellat. Expertus enim es circum quotres ua
gatus,nufquam uitam beatam inuene ris:nonin ratiocinationibus, non in di uitijs
,non in gloria, nonin uoluptate, nullibi.Vbi uero eſt ?in agendo ea, quæ
hominis natura requirit.Quomodo ita aget? Si eahabeatdogmata,à quibus có ſentạneæ
appetitiones &actiones ueni ant.Quęſunt illa?debonis& malis.Sci
licetNihil , effebonühomini, quod nó reddit iuftum ,temperantcm ,fortem , li
beralem :nihilmalum ,niſi quod horum contrarium efficiat. In omni actione à
teipfo quere, qua lis ca tibi Gt. Nec poenitentia eiusmoue re:parum abeſt, ut
moriaris , &omnia è medio fint. Quid prætcrca requiro , li præſens a
&tio animalis eſt mente prædi ti,ſocietatis hominum ftudiofi et deo
æqualis. Alexander, Caius, et Pompeius, quid hiad Diogenem, Heraclitum, vel
Socratem? Hi enim nouerant res, earum cau ſas,materias :ita erant ipſarum
mentes. inſtructę.Ibiuerò, quibusin rebuseſſet prudentia, & feruitus.
Nihilominus cadem facicnt,eciam litute ruperis. Primum cſt hoc,neperturberis:om
nia ſecundum uniuerli naturam eucni unt:paulò pòft,nuſquam eris,ficut núc Adrianus
& Auguſtus. Deinde in rem ipfam intucre,eamg cólidera,recorda tusoz debcrc
tc eſſebonum uirú , acad hominis natura uelit , ageid quod pro pofitum eſt
cóftanter, aciuſtiſsimetúc te egiſſe puta:modòplacidè,uerecúdè, & citra
ſimulationem cgeris. Vniuerli naturehoc agit,ut quæ hoc modo habcnt,aliòmutet,
& exuno lo coin alium res transferat: Omnia con Itant mutationibus, neß
quicquã mc tue: nihil enim noui,omnia uſitata cue niunt, & æqualiter
diſpenſantur.Cæte fum unaquęg natura,firccta uia ingro diatur,fibiipfi
fufficit.Natura autem in tellectiuaid facit, G'in cogitationibus, id
obſeruet,ne falſo,aut obfcuro aftipu letur: impetus animi ad eas folum actio
ncs dirigat, quæ faciunt ad ſocietatem hominum : catantum appetat & uitat,
quæ in nobis funt pofita: omnia quæ à communi natura tribuuntur grata ha
beat.Hiuius enim pars eſt,bcutnatura fi lij,naturæ ftirpis pars eſt: nifiquod
hæc eſt eius naturæ quę & ſenſu & intelle Au carcas,impedirepoſsit:Hominjsną gratis non iraſci. tura,pars eſt naturæ quæ
impedirinon poſsit,intelligat,& iuita fit:liquidem æ qualiter , &
pdignitate uniuscuiuſuis tempora,ſubſtantiam ,actionem , & eué ta diuidit.
Congdera autem æqualitaté că inuenturum te fifingulas res exami nes : finunam
cum uniucrGs conferas, non item. Atqui licetlibidinem arcerc,uolup tatibus
&doloribus ſuperiorem eſſe, item gloriola: licet ctiam ſtupidis & in
Nemo te audiat uitam aulică repræ hendere,ac ne tu quidem teipfum. Penitentia
eſt repræhenlo quędam fui ipfius,propter bonü aliquod dimif ſum :bonú uerò
,oportet utile effe, ideo qúe ciºcura é haběda uiro bono & ho neſto.At
nullus talis pænitentia ducc turobneglectam aliquam uoluptatem , ergo
uoluptasncqin bonis eft, ncoin utilibus numeranda. Resita expédendæ ſunt.Quid é
hocp ſc, & fua,ppria cóftitutionc? ģei° ſubită tia &materia , quæ
forma?quod eius in mundo officiú ,ac quandiu permanet? Si difficulterà fomno expgiſcaris,
reminiſcere conſentaneum eſſe tuæ conſti tutioni , & naturæ humanæ, ut
aliquid agas quod coetui humano pſit. Atdor mire,etiam brutis eſt communc. Quod
autem unicuiq ſecundum naturam eſt , id & magisproprium ei eſt, &
cognati us, adde etiam gratius. Hoc aſsiduo & quibuſcũæ incidétibus
cogitationib, li fieri pofsit, in promptu habendum . Si de natura, affectibus,aut
alijs reb. diſputare cum aliquo libet,ftatim teip fum antè interroga: Quænã is
ſentit de bonis &malis.Nam opiniones de uolu ptate & dolore, eorumg
efficientibus, de honore, ignominia, morte, uita. Non debet mihinouum aut mirum
uideri , li quæ res hoc aut hoc modo a gát: cogitabo em, ita opus efle fieri. Co
gitabo, licut turpe fit uelle me in mira culum raperefificus fructum ſuum pro
ducat, ita etiam, fi mundus ea proferat, quorum eft ferax: etiam medico &
gu bernatori turpe fit mirari uelle , li quis febricitaret, aut fi aduerſus
uentus exi Iteret. Memento mutare ſententiam , & re aệ &
èmonentiobſequi,perindeeffe libe ri. Tua enim adio fecundum tui animi impetum
fit atque iudicium , tuamo mentem. Siin tua eſt poteſtate,cur facis? linin
alterius,quid repræhendis? atomósne, an Deuni? quorum utrungeſt cum inſa nia
coniunctum.Nihiligitur repræhen dédum.Nam fi potes,uel eum qui cau ſa
eſt,corrige,ucl,fi prius nequis,rem ip fam : lin neutrum ,quid iamtibi profuit
repræhēdiffe? atqnihil fruſtra faciédű. Quod moritur,non excidit è mun do :nam
ut conftat, & mutatur , ita etiã diffoluiturin elementa, quẹtibifunt cũ
mundo communia.atq hæc ipfa ctiam mutantur,negindignè ferunt. Vnum . quodgeſtad
certum finem factum , ut uitis,equus.quid mirum? etiam ſol, & reliqui dij
pofluntdicere,cuius rei cau fa facti funt. Tu ucrò cuius cauſa ? num uolupta
tis? uide an hocferat intellectus. Natura confilium inijt de uniuſcuiuſ
quereitam finc,quàm initio & duratio nc. Si quis pilam inſublimçiacier,
quid h nam ea uelcûm effertur, uclcum defert, aut cadit quid bonimaliucpatit
?Quid bullæ boni accidit fi conſtet,autmaligi diffoluatur ? Idem de lucerna
poſsisin telligere. Cogita quidfiat corpuſculo Genelcat, ægrotet,fi ſcortetura
Breuis uita cft & laudantis, & cius q laudatur , cius quimentionem
facit,& eius, cuius mentio fit:prçterca fit hocin angulo portionis mundi,
acncque ibi quidem omnes contentiunt, imò nelie bi quidem ipfi quifqua. Tota
ucrò ter ra punctumeft. Animum aduerte ſubicctæ opinio. ni,actioniaut di&to.
Meritò hçcpatcris, malles uerò cras bonus fieri quàm ho dic. Siquid ergo , id
ita fit à me, ut ad benefaciendumhominib.referatur.Ac cidit mihi aliqd
,referoidad Dcos, om niumg rerum fontem ,& originé,à qua omnia inter ſe
connexa dependent. Lauare,quæ tibires uidetur? Oleum, sudor, sordes, aqua, ſtigmenta:
omniaab ominanda.Ita fe omnis pars mundi, om nisgres ſubiecta habet. Lucilla
Verum, deinde Lucilla fecü da Vini, 127 da Maximum.Secunda Diotimum,Fau Itinam
, Antoninus hæc omnia. Cęterű Adrianum , inde Celer. * Vbi ucro auſte ri illi
&uates , & inflaci ? ut ex auſteris Charax, et Demetrius Platonicus,
Eudemon, & fi qui alij tales. Omnia in diem durant.iampridem mortui
ſunt:quorú dam ne minimo quidem tempore dura uit mcmoria: quidam fabula facti
ſunt: ponnulli etiam c fabulis jam cuanue rűt.Idigiimemoriatenédú, g necelſeç
rit autdiſsipari tuâmixturā, autextin guianimulă,autmutari,ctaliò trasferri.
Læticia hois é, ut faciat quæciſuntp pria.Propria aút cius funt:beneuolétia
crgaſuũ genus,cótéptusmotuúq ſunt in lenGb.diftin &tio inter uiſa pbabilia,
cótéplatio naturæ uniuerfi, & corúqſe cundú că fiút.Itě tres refpeétus:unus
ad cauſam pximā,alter ad diuină çaufam , à quaoíaoíbus cueniüt,tertius ad cose
nobiſcü uiuút. Doloraut corporima lus é:ergo ipfum id pnúcict,autalo.Scd animuspoteft
fuam tranquillitatem & ferenitatcm conferuarc, ncc dolorem pro malo ducere.
Omnc enim iudici ým, omnis impecus,appetitio , & inclinatio intus
eſt:ncq.ci dolorquicquam mali affert. Quare omnia uila tolle ex animo,
Continenter te ipſum admone:Núc in mea cft poteſtate,ut in animo hocni
hilfitmaliciæ ,nihil cupiditatis, nihil. cu multus: accum omnia ita cernam, uti
funt, fingulis utor pro ipsorum dignitate. Hoc tibi licere,memineris fecúdum
naturam. Loquere & in ſenatu, & cum quibus cunghominibus compofitè.Sana
ora tione non eſt apertè femper utendum . Aula Augufti,uxor,filia,ncpotes,po
ſteri,ſoror,Agrippa,cognati,proping, amici,ſoror, Agrippa,cognati, propinqui,
amici, Areus Mæcenas, niedici, sacerdotes: omnino totam aulam mors
abripuit.Deinde etiam accede, ubinon unusmodò eſt mortuus homo.Defecit tota
Pompeiorum gens:hincmonimen tis etiam inſcribi uidemus,fuiſſe aliqué cius
familiæ ultimum . Quàm anxij uc rò fuere maiores cius, ut aliquě ſuccel forem
relinquerent : & tam neceffe eft aliquem efle ultimum. Vita componenda est
ita, ut conftet uniuſcuiuſ actionis ratio. Quarum li unaquęg ſuum , quantum
cius fieri po teſtpræſtet officium , contentus fis :at queid quominusfiat,nemo
tibi obfta re poterit.Sedobftabit,inquis, aliquid extrinſecus. Nihil quidem ,
quodiufti ciæ ,modcſtię &prudentiæ impedimen tolt. Atqui fortaſsis
aliquiduim agen dihabens impediet? quin tu id impedi menti boni conſule , fico
ftatim facto tranfitu adid quo conceditur moderá to ,alia emergertibi adio ,
quæ ad cam, de qua loquimur, conſtitutionem qua dret.Accipiendumline faſtu,
dimitten dum cum facilitate, Si quando uidiftimanum abſciſlam , uelpedem
,capútuc amputatum alicu biſcorâmă corporciacere,cogita ei ſe adfimilarc pro
uirilifuahunc, qui im pá bat ea quæipli eueniunt,ſeg à commu ni ſocietate
feiungit,aut agit aliquid ab čaalienum , Ita tu te ipſum ab unitione Dáturali
abrupiſti,cuius eraspars narº: nücuerò teipſum abfcidiſti.Id uerò fei tum eft,
quòd iterum tibilicetei adiun gi:id quod
nulli alij parti deus concef fit, ut ſeparata & auulla rurſum inoleſce ret
toti.Hicmihi bonitatem conlidera, quæ homini tantum honoris detulit. Nam &
initiò iplius in manu pofuit,ac à toto auelleretur: & deinde, ut auulfus
redier,iterug cócreſcerco locü partis recuperarepoſſet , dedir.Nãquéadmo
dugngulç ferè rationis cópotes naturą ab ea cæteras facultatcs , ita nos quoß
hanc ab ipſa accepimus. quemadmo dumenim ipſa omne id quod obftat &
rcfiftit,cóuertit, & fato fubijcit, ſuam partcm efficit:ita animal rationc
prædi tum poteft omne impedimentum pro ſua materia accipere,coğuti adid, qd
intenderat. Note cogitatio totiusuitæ confuna dat: neq animum aducrte ijs ,quæ
mul ta uidentur dolorem poffe afferre.Sed ſingulis rebus oblatis à te ipfo
quæro, quid náca in rc Gtintolerabile:id cnim pudebit te fateri.Deindememineris,ne
que præterita tibi , ncquefutura ullam afferremoleſtiam , fed præſentia tantű .
Achæc cxtenuantur,& fuis ca limiti, bus, determines , cogitationem tuam
redarguas,fi ca tam cxiguæ reinó Grfo rendæ. Num iam domini tumulo adfident
Panthca, autPergamus? Num Adriani fepulchro Chabrias & Diotimus?ridi culum
hoc. Quid verò G adGderent, ſentiréntne illi ? autuoluptatem cape Tent,
fiquidem ſentirent? aut fi cam ce piſſent, an coimmortales eſſentreddi te?
Nónnchis quoquefatum fuit ,ut ſencs &uetulæ priùs ficrent, inde mo scrétur
? Quidautem illi poftmodò fa ciét , his mortuis? Oia hæc fætida funt, &
tabus in facco . Si acutèuidere potes,afpiccetquàm fapientiſsimè
iudica,inquitille. In conſtitutionc animantis mente præditi nullam
inueniouirtutem quæ iuſticiam cxpellat: Sed quæ uolupra . tem cijciat,uidco
continentiam . Si tuam opinionem detrahas ab ea quod uidetur dolorem afferrc,
ipfe in tutiſsimo es collocatus.Quisipſe? Ratio.Verùm ego , inquies, non ſumra
tio.Efto.Proinde ratio ſeipſamnedolo re afficiat:Si quid aliudin te eſt quodlæ
datur,ipſum de fe iudicet. Cùm impedit fomnus aut appetitus, idmalú accidit
uegetatrici animæ: quæ &alia ratione offenditur. Ita fi mensim pediatur
,fitcum damno mente prædi tę naturę.Hæcoía ad te tranſfer.Dolor, uoluptas,attinguntte?Si
uiſus impedia tur quominuscernat,impedituriã fen ſus. Quòd fi abſos exceptione
aliquid appetis,iamid cú rationis capacis par tis incommodo fit :lin
communetibi p poſitum eſt, neg læſus es, nec impedi tus. Mentis quidem proprias
actiones nihil aliud impedire poteft:nonenimac tingitur ab igni ferro ,tyráno
,autcalum nia ,aut alia ulla talire . Sphæra cum fit ,rotunda manet. Indignum
eſt, me mihi ipfi dolorem afferre,quinullum unquam aliúlubens læferim. Alijs
aliæ res læticiam afferunt:mihi, fi pars mei princeps fana ſit, ne auerſe tur
quenquam uel hominem, uel humanum calum :Sed omnia placidis afpici at oculis ,
omnia accipiat, ijsý utatur uti dignum est. Difce præsens tempus tibiip,
gratificari. Qui commendationem pofterita tis magis curant,nó reputant dos horú
Similes futuros,quosnuncægrè ferunt, argipä сcia mortales. Porrò quid om nino
tua intercít, a talibusi) uocibuste cantent,autita de te fèntiant. Tolle mc,
& ponc quocung uoluc tis, ibi enim utar genio mcopropicio.i. cótéto,&
habeat ſe &agar naturæ mica confequenter. Id uerò an dignum eft,ut malè
props tereàhabeatanimusmeus, ac feipfo de terius ?abicctus, appetens,
anxius;per . territus? Ecquid co dignum inueniam ? Homini dihilaccidere poteft
quod nó fit humanum, nccboui,uiti,ſaxo quic quam, quod nonlit confentaneumcius
naturæ . Quòd fi unicuigid contifigit; quod & cófuetum eſt,&
naturale,quid eft cur indigneris? nihiliticoletabile ci bicommunisadfert
natura. Sin propter cttrancam aliquam ré perturbaris: nó A illa tibi,fed tuum
de ea iudicium , molc ſtiã affert : id uerò ut abolcás , in tua eſt poteſtate.
Quòd fi quid eorú quæ in te ſunt, te moleſtat, quis eſt qui prohibe
at,ncopinionem emendes? Similiter Gi doles te hocnon agere,prodeft cogi
tare,curnon potius agasaliquid , quàm doleas: ſin aliquod potétiusobſtat,no li
dolere, cùm nófiat tua culpa,neagas. At uidetur ujuendum non elle ,nig hoc
agatur: placidus ergo uitam relinque: quádo &is qui agit,moritur æquusim
pedientibus. Memento partem tui principem ſu perari non poffe, cum in ſe collecta
fc ipsa contenta est, neque quicquam pre ter uoluntatem agat, etiam fi
noninftru eta ratione pugnam conferat. Quid er gò fier, li étà rõe parata,
circúſpectè de reb.iudicet.Itaqmés ab affećtibus libe ta,arx é:
nihil.n.munitius homo habet, quò refugiés fuperari nópót.Id qui nó
uidit,indoctus est: qui uidit, ncq eòrc fugit, infortunatus. Siqd uiſa aut
cogitationes tibi renú. ciāt,caue aliquid cu addas. Renunciacú 'cit, eft
,aliquem tibi malè dixiſſe. Eftoid al latum ,non taméid quo $ ,cflc teleſum.
Video puerú ægrotare:uideo, sed g inpericulo Gt,non uideo, Ad hunc modú ſemper
ingifte primis uilis, nihilipfein tus adijce:ita nihil mali erit.Imòhocad
1.dc,noſlete omnia quæ in mundo cuc niunt. Cucumis amarus cit ,omitte cum: uc i
pres in uia ſunt, declina cas :ncq uerò dicas, Cúrnam hæcin mundo sunt facta. Ridereris
enim ab homine naturæ rerű indagatore, haudſecus quàm à fabro aut futore,
damnares quòdinofficina ramenta & reſecamenta operum uide : res.Atquihi ca
poſſunt aliquo abijce re: uniuerli natura nihil extra fe habet. Verùm hocin
cius arte potiſsimùm mirari decet, q cùm ſeipſam circumſcri pâffet, omnia quæ
in ſe habet, quæ ob noxia corruptioni,ſeniog , & nulli ele uſus uideantur ,
in ſeipſam tranſmutat, rurfus ex his alia noua efficit: ita utne que fubftãtiá extra
ſe requirat, neqlo cum ,quò uiliores res eijciat.Contenta eſtigitur ſuoloco,materia:&
arte. Neqin rebus agendis flu & uandum eſt, ncqucin communi uita turbandú ,
ncquecogitatiouibus uagandum , nego omnino animus contrahendus, aut fü bito
impetu efferendus,ncg uita occu pationibus inanibus attcrenda.Cædes
peragunthomines , mactant,exccran tur: quid hęc poffunt,quominus mens tua
permancat pura, prudens,modeſta, iufta? Quemadmodum fi quis limpido &
dulcifontiaſsiſtens, eiconuicium fa ciat:illa quidem ob id non ceſſat purā
aquam ſcaturire: quin &fi quis lurum, aut ftercus inijciat,tamen ſtatim
illa dif fipabit atą eluet,ncgabijs obturabit. Quid ergo agendum , ut fontemper
en nem habeas,non ciſternam? Compone te ipſum ,ut fis ad oés horas liber, man
fuctus,fimplex ,uerecundus. Qui neſcit effe mundum, neſcit ubi ür. Qui neſcit,
cuius rei cauſa fit natus, ncß quis ipſefit ,neq; omnino mundú cflefcit.Quorum
alterutrum cui decft, is cuius gratia extiterit,dicere ncqucat. Vter uerò tibi
elegantior uidetur, isą plaudentium fugit laudem ,anilli, qui ac negubi,nequc
qui fint,cognoſcunt, Laudari cupis ab hic , & feipfum ſpa cio unius horæter
execrat?placere uis homini, qui ne fibi quidem ipfe proba tur?nifi is
probeturlibiipa ,qui ferè om nium eorum , quæ egerit,poenitétia cor ripitur.
Non iam tantùm unà ſpirandus eſt circumfuſus aër, fed & confentiendum cum
méte quæ uniuerfa complectitur. Haud em minus uis intellectrix omni ci, quod
cam trahere poteſt,circumfu fa eft, quam ſpiritus ſpirare uolenti. Generatim
malicia mundo non ob eft:inſpccie auté,nihil lædit proximu: Soli ci obeltcui
& conceflum eſt , ut cũ primüita uolucrit,liberari ea poſſit. Non magis ad
meam uoluntas alie na pertinet, quam uel anima eius , uel caro.Nam etfi maximè
uerum eft, una noftrûm cffc alterius cauſa natū , tamé principes noftrum partes
,ſuum quæli. bet dominium obtinct.Etenim curalte rius malicia,mihieſſer malo?
cum non Elit uiſum Deo,ut in alterius Gt potefta te, cſſemeinfelicemSol
diffufus effe uidetur? atæ omni. no quidem fufus eſt, non tame effuſus, Fulio
enim eius,cxtenſio.Itaq & fulgo res eius, quos nos radios,actinas ab ex
tendendo Græci dicunt. Quod autem Git natura radij,uidere eſt, fi inſpiciaslu
men ſolis per anguſtum in umbrofam donum immiffum . Recta enim im mittitur,
& diuiditur ad obiectum foli dum corpus, quòd aërem intercipit :ibi ucrò
permanct,ncq decidit. Ita &intel lectum fundiac difundi, non tamen ef fundi
oportet: quippe utextendatur,ne quc ui & temerario impetu ad obiecta
impedimenta impingat:ne concidat, fed perftet , & illuftretid, à quo acci
pitur, id quidem , quòd eum transmit tet,ſplendore ſeipſum priuabit . Qui
mortem metuit, aut amiſsioně ſenſuum timet , aut diuerfum fenfum , Quod&
amitượt ſenſum ,nihilutig ma lifenriet; lin alium ſenſum adipiſcetur, aliud
erit animal, neg amittetuitam . Homines unus alteri cauſa natifunt,
Diſccigitur,aut fer, Aliterjaculú,alitermens fertur.Hæc enim etâ cauta ſit,
&in deliberatione uerſetur, rectà tamen fertur.ingredi in principem
cuiuſuis partem: præbet au tem etiam alij unicuique ingredi in ſu am
principalem partem. Viiniuſtè agit, impietatis reus eſt. Etenim cùm uni uer
natura ratione prędi ta animantia eò effecerit ut quantum eius dignum eft,unum
alteri profit,noceatautem ne quaquam : qui uoluntatem cius præua ricat, impius
utißeſtin omniú dcorú primam .Acqui mentitur,etiam impic tatisin candem dcam
fefe obligat. Na tura enim uniuerfi,corúcſt natura,quæ funt:hęc autem omnia
interfecognata funt . Porrò autem cadem Veritas dicituf,uerorųý primaeft caufa.
Quii. tagſtudiò mentitur, cò quod decipit, impius eſt: quinon dedica opera,eò ,
p ab uniuerh natura diſcrepat , &quòd præter decorum agit, repugnās uniuer,
b naturæ :repugnatenim ei, quiin con frariam partem à ueris deflectit, prætop
quam iplius natura ferat, quęcioccalio nes præbuit, quibus neglectis non pót
jam uera à fallis diſcernere. Impietatis reus is quoque eſt, qui uoluptates tan
, quam bonum appetit, dolorem utma, lum fugit.Hic enim peceſſe eſt ſæpenu merà
incufet communem natura,quae ſi ça aliquid præter dignitatem bonis malísue
tribuerit:ppterca, quod fæpe mal¡ uoluptatibus fruuntur,cag.quib . efficiútur
eæ ,poſsidet:boniuero dolo re afficiunt, & in caufas dolorişincidūt. Jam
qui dolorem metuit mețuet aliquá do aliquid eorum ,quçinmundo fient: įd uerò
impium eſt.Rurfus qui uolupta tem confectatur,non abftinebit fe ab in juſticia
:id uerò palàm impietas eít, O portet autě ad ea ,quæ natura in utraq partem
æqualia effecit (nca cnim utra que feciffet,niſi ad utranæ partem exx quoſe
babuilſet)eum qui naturam uult lequi ducem, fimiliter æqualiter eſſe ef fectum
,Ita & qui dolores & uoluptates, mortem & uitam ,gloriam &
ignomini am ,quibusæqualirationcutitur natu 14, nonin eodem ponitmomento, pro
culdubiò impiè agit. Quod auté dixi, Naturam communcm ijs exæquo uti, ita
intelligendú eſt,qdea cueniút in u traque parté conſequentia quadam, iu xta
antiquum prouidentiæ impetum , quo illa ab aliquo principio ſe ad res i ta
diſponendas contulit,complexa ra ționes quaſdam corum quæ ellent futu ra ,
deſtinatis quibusdam facultatib . ex quibus nafcerentur ſubicctæ , muta ţiones,
& fucceflus eorum, Gratiofius quidem crat, hominem mendacij, fimulationis,
luxus & ſuper biæ omnis inexpertum mori: ſecunda (aiunt)nauigațio
eft,fatietate horum af fcctum antemigrareè uita quàm illa ui tia probare. Nondum
ne tene experien tia quidem docuit,utpeſtem fugias? Pestis enim eft ca
intellectus corruptio, lo gè magis, quàm aëris quædam intempe' ries ifta
&mutatio. Hæc enim animali peftis eft,quatenus uiuitillud : hæcho minum,
qua ratione ſunt homines. Mortem non contemne, boni camć conſule, quippe
remexijs unā,quasna turadecreuit.Qualcenim eftiuueneſco re, ſeneſcere, augerc, uigerc,
dentes, barbam, canos ferre, liberos crcare, uterű ferre, parere, reliquæ $
naturales effe ctioncs, quas tempora uiteadferút, tale eft etrādiffolui.
'Hominis ita ßrationc utentis cft,mortem ncggraucm ,ncquc uiolentam , neg
contemnendam rem exiſtimarc,fed operiri eam , tanquam u nam è naturalibus
actionibus:perinde atque nunc expectas, quando fætus ex utero tuçuxoris edatur,
ita expectanda etiam hora, quaanimula tua ex hocre ceptaculo excidat. Quodfi
rudequidé, ſed taméquod corattingere poſsit,do cumentum accipis,omninò ut
facile fo ras mortem efficiet, fi cogites, quales ij fint à quibus diſcedas,
& à quorum morum litanimus tuus ſeparandus col luuica luuie. Iraſci quidé
ijs qui tecum uiuút, nequaquam debes, ſed corum curā gc rere,ijsý placidum te
prebere:Cogitan dum tamē tibi eſt,te ab hominibusnon idem tecum fentientib .
diſcedere. Hoc enim unam erat,quod poterat retinere in uita', G fuiffet homini
datum uiuere cum ijs,quieademſentirent:Núc uides quàm laborioſa fitinter unà
uiuentes diffenfio ,ita ut dicas:ô mors, uenicele riùs,ne quádo ipſe quog
meiipfius ob liuiſcar. Quipeccat,abiipfi peccat: quiiniuftè agit, & biipfi
iniuftè agit, ſco malum efficiens ipſum ,lædit. Sæpenu merò iniuriam facitis
qui nihil agit, nó is modò quiagit. SiadGt certa de rebus fententia, & a
ctio ſocietatem humanam ſpectans, & animus ita affe & us,ut boni
cóſulat om nia quæ accidunt præter id quod eſt à cauſa profectum: hæcli adfint,
ſuficiút ad opiniones tollendas, Gftendum im petum animi, extinguendum appetitú
, &habendum paratam apudſeſc parté principalem . Vna uita brutis animantibus
eft dis tributa:unamens, rationem adeptis. Qucmadmodum una eſt terrenorú ter ra,
& unam lucem uidemus , unum aêre trahimus. quæcáqucuidendi & uiuédi uim
habcmus. Quæ commune aliquid habent,con tendút ad id quod eft eiufdem generis.
Omne terrenum ad terramuchit ,omnc item humidum, aut aërcum ad ſuum iti dem
genus,ita ut neceſſe fituiea inde in tercludi.Ignis furſum effertur, propter
clemétarem igncm: omniuerò hic igni aliquid eſtparatum utinflammctur,ita ut
omnis materia paulò ficcior facilè i gnem concipiat,quia minus eft in eius
temperic id quod inflammationě pro hibeatItag & omnc, id quod commu nis
mentis eſtparticeps, limiliter ad co gnatum ſuum contendit:atq etiam am plius.
Quanto enim eſt alijs rebus præ Itantius, tanto ¶țius ut cómiſcea tur
cum co quod eiufdemcſt generis. I taquc apudipla ſtatim bruta inuenta ſunt
examina, greges,pullorum educa tiones, atq id genusquali amores.Ani macnim iam
in his eſt, ido quod ea in unum conduceret, apud præftantioré partem
reperitur:id quodin plantis,la pidibus &lignis nó inuenitur.Atapud ratione
õdita animalia,ciuitatcs funt,ct amiciciç, & domus, & concilia:ingbel
lo pacta & induciæ. Apudpræſtátiora, etiam ex diuerfis modis unitio quædá
conftat, ut apud aftra adcò aſcenſus ad fuperiora conſenſum etiam in de iua dis
cfficere potuit. Atqui apud catan tùm, quæ mentem habent,obliuio mu tui ſtudij
& conſenſus reperitur, & hic modònon uidetur quomodò adſe in uicem
affluant.Quanquam etiam fi fu giant homincs hanc coniun &tioncm ,ca men ab
ea corripiuncur, naturanimirú præualente. Vidcbis autem id quoddi co, li animum
aducrtas. Facilius cnim inuenies tcrrcum aliquid nulli terreno adiunctum , quàm
hominem ab homini bus auulſum . Fructumfert &homo,& deus,&mú
dus,fuo unumquodą temporc : quòd lconfuetum cſtin uite, ut luum fru & ű,
nullum communem ferat, tamen ratio fructumfert &communem &propriú, naſcunturg
ex eo alia quædam eiuſmo di, qualis est ratio.
Peccataliquis.Sipotes,meliusillum doce:fin uerò, meminerismanſuetudi nem
tibipropterea datam : nam & ipli dij illis ſunt clementes, qui& nonnul
lis ad conſequendam fanitatem diuiti as, &gloriam ,auxilium ferüt:adeò funt
benigni. Id & tibi licet, neque impedit quiſquam Labora, non ut miſer, nec
ut qui uel miſericordia ,uellaudé conlequi ſtude as:idunum tibi fit propoſitum
agere ſe cundum ciuilem rationcm . Hodie omni me periculo exemi,imò uerò omnia
quæ uidebantur mala cie ci: nihil enim extrà erat,fed omniaintus in opinione
mea. Omnia hæc, quæ in caducis funt, fa miliaria iam mihifecit experientia:du
ratione autem ſunt diurna, materia for dida,omniatalia, qualia erat etiã apud
illos, quosſepeliuimus. Resipfæ extrafores ſtát,nihilipfæ de feipfisnorūt, neß
pnunciát. Quid igit deijs pronunciat?ratio. Negidperſua fione, fionc,ſed
actione diſtinguit bonum & malum ciuilis animalis ratione prædi ti: ſicut
ncßuirtusneg uitiú in perſua fione, fed actione. Lapidi in altum coniecto nihil
mali accidit fi dccidat,ncg bonum , quòdin ſublime effertur. Introſpice corum
animos, & uidebis quosij iudices timcant, & ut hi ſeipfos iudicent.
Omniafunt in mutatione,ac tuipſe quog in perpetua alteratione, ac quo dammodo corruptione.
Quin & totus mundus. Alterius peccatum ibi eſtre linquendum, ut firactionis
defcctus,ap petitus,opinionis quics,ac quaſi mors. nihil mali. Tranfi nunc ad
ætates , ut puericiam , adoleſcentiam ,iuucatutem ,ſenectam: horum omnium
mutatio eft mors.aun quid mali?Trág deinde ad uită ſub auo acam ,ſub matre, ſub
patre: quinetiã ali as multas mutationes & fines inucni cs, quære ex
teipso, an quid mali Git?Ad cundemmodum eſt etiam totius tuz ui sæ finis, quies,acmutatio.
Perpende mentem tuam ,uniuerfi,ac proximi:tuam ,ut ea iuſtam reddas.uni uerfi
ut recorderc cuius pars fis: proxi mi, ut uidcas fitnein ca igooratio ,an uc rò
incellcctus. Simul intelliges te factú ad explédum ciuile corpus,atqita om nem
actionem tuam facere ad uitam ci uilem complendam.Etenim quecúquc tua actio nó
ad focictatem humanam , tanquam finem uel propinquum uel remotum refertur ,illa
uerò uitam inter polat,& unitatem eius foluit; turbaso ciet,ficut in populo
cam plebs ſeceſsio nem facit. Abhac concordantia. Pue . rorumirę,ludicra ſpiritus
qui cadauera geſtant:ut co efficacius accidatidquod eſtin Necya. Vade
adqualitatem cauſa , čamgå materia ſecretam confidera, tum quàm diu permanerc
omnino pofsit ca pro pria qualitas. Paffus esinnumera, eò quod non có tentus
fuiſti cua mente agere ca,ad quæ crat facta.Sed hæc fatis. Cum te alius
repræhendit aut, odit, aut aliquid talcpronunciat,afpicecorú animulas: intra,
& uide quales Gint.Cer nes nihil eſſe tibi laborandú, ut hocuel illud ij de
teiudicent. Bene quidem ijs uelle debes: Datura em amicifunt, eos dij omni
ratione iuuant,perinſomnia, uaticinia.Hæc quidem de quibus ijcer tant ,
circulus ſunt rerum mundanaa rum, quæ ſurſum deorſumgab unoz uoin alterum
uoluuntur. Aut ad fingulas res uniuerſi intelle ctus ſe applicat, quod fi
eftita, id , quò ca ſe applicat:approba. Aut ſemcltan tum impetüfecitipfa més,
reliqua om nia conſequéter fiunt.* Et quid unum alicui. Quodam enim modoAtomi.
Omninò autem , que Deus fit, recte omnia habent : ſiue temerè ſunt omnia; i
nunquid & tu ? lam nosomnesterra occultabit :poſt ipfa quogmutabitur: &
res deindealię item in infinitum mutabuntur.Enimuc ro qui fluctusmutationum
& motuum confiderabit, earumg celeritatem , is omnia mortalia contemnet.
Torrentis inſtar cauſa uniuerſi rapit omnia. lam ó ipſa iſta ciuilia quàm ſuntuilia?
& quàm k uidenturhomunciones iſti philoſophi cè agentes,pleni eſſe muci?
Quid facien dum ? quod nuncnatura poſcit,cò con tende îi liceat , neqcura ,an
fit aliquis mortalium hoccogniturus.Neo Plato nis remp. ſpera: Sed
contentuseſto ,G uel minimum procedat:hứcqueipſum ſucceſſum cogita quàm non fit
exi guus . Mutat aliquis illorum ſuum placitum ? atquiline horum mutatio ne
quid eſt, quàm feruitus gementium, &perſuaſos ſe eſle ſimulantium. Vade
nunc & Alexandrum, &Philippum , & DemetriumPhalereum mihi dic, Vide
rint an ſcierint quid communis uolue ritnatura, & an leipfos ſub diſciplina
te nuerint.Quod ſi tragicè tantùm ſeſe o tentarunt,nemo me damnauit , ut co gar
eos imitari.Opus philoſophiæ ſim-, plex eft , & uerecundum.Nolimeaddu cere
ad faſtú, qui præſeferat grauitaté. Supernè contemplari infinitaarmen
ta,ſacrificia ,omnis generis diuitias , in tempeſtatibus & ferenitate: quæ
facta funt,cum ijs nata, quæitem deceſſerút. Conſidera etiam uitam eorum qui
ante te,& qui poſt te uiuét: horú ét, qui hodie apud Barbarosuiuút: @multico
rum ne nomen quidem tuum sciant, mul ti ſtatim obliuiſcentur, mulu cũ te núc
laudent, ftatim ſunt culpaturi . Deniz quam res nullius momehti lit memoria aut
gloria , aut aliquid tale. Vacuitas perturbationum in his quæ ab extrinſe ca
cauſa accidunt , iuſticia in ijs , quarū actionum tu es cauſa : hoc eft impe
tus animi , & actio , quæ finem habe at ſocietatem humanam : id enim eft
tuæ naturæ conſentaneum . Multa fup uacanea ex hisq te perturbát,precidere
potes,q tota in tua ſunt opinione fità, multūý laxitatis et ſpacij tibi
acqrere. Torūmundū alo cócipe,tuuğæuú per pēde, tú celeré lingularú rerú
mutatio . né.breue.f.efſe tēpus ab ortu ad interi.. túid uerò q huncfequit ,idó
pillú prę ceſsit,infinitú. Oía quę uides,celerrime interibút: hi quo ,quieorú
interitú ui dent, ipfi quog mox peribunt. Qui decrepita lenecta moritur, idem
ferer cum co, quiimmaturamorte cadit. Quænam ſunt eorum mentes , quib. rebus
ſtudent,quæ habent in honore, quæ amant?iudicate nudas ipforum in tueri
animas.Cum uituperando obeſſc, aut prodeſſe laudando ſe putant, quæ cítilla
opinio? Amiſsio uitæ nihil eft aliud quàm mu tatio: hacautem delectatur natura
uni uerfi, fecundum quam omnia fiunt rc te. Abæternoreseiuſdem formæ natæ ſunt,
licg eritin infinitum . Quid ergo dicis omnia facta, & futura male. Ergo
nullus inter totdeos repertus eſt, qui ca corrigeret,ſed damnatuseſt mundus ut
perpetuis malis conflictetur. Vide quàm putris ſit omniú rerum materia ,aqua,
puluis,oſsicula,fætor: rurſus calli terræ ,marmora:fęces, aurű & argentum
:crines,ueſtis,fanguis, pur pura,omnia reliqua eiuſdemmodi. Eti am quæ fpiritu
conſtant, alio modo ta lia, atq ex hisin hæcmutantur. Satis miſeræ uitæ eft,
& murmuris, & &imitationis? Quid perturbaris? quid in hisnoui?Qui
terret te ?nú formala ſpicc cã.nú materia ? afpiceilla. Extra hæc nihil eft.
Quin &iam crga deos ſim pliciot &melior esfaćtus. Idem eft Gue tribus
hæc, live centum annis ea diſcas. Si peccauit , malum apud ipſum eſt: fortaſsis
autem non peccauit. Aut ab una aliqua mente tanquam onteomnia progrediuntur,
quæ cor poribus accidunt:proinde pars non de bet euentis totiusfuccenfere.
Autato miſunt omnia,confufio , & diſsipatio ; quid ergò perturbaris?Menti
tuæ dicis . Mortuus es ?perijſti, efferatus es , ſimu las, cs in cætu, aleris?
Aut nihil poffunt dij, aut aliquid. Si nihil ,cur non compræcaris eos?Sin pol
ſunt,cur non magis etiam pecis ut dét tibi, ne quid horum metuas, autexpe
tas,ncque magis doleas ſi abſit,quam ſi adfit.Omnino cnim li poſſunt adiuua
reij homines , etiam in hoc poterunt. Fortè dices,Dcusea in meapoſuit pote
ftate.Efto . Nónne crgo præſtatteijs ģ in tua ſunt poteſtate uti libere, quàm
de · ijs quæ non ſuntin tua man u pofita,ſo icitum eflc , animo feruili & abiecto
9 3 k 3 Quis autem tibi dixit , deos non in his etiam, quæ penes
nosſunt,auxilium ad ferre?Incipe ergo precari de his, et uide bis.Precat alius
, ut cum aliqua cubet: tu petę , ne eius rei appetitustibioriat. Alius petit,
ut certa releuetur, tu, neca leuari tibi op' ft.Alius,ne amittat filiú : tu , ne
idipfum metuas. Omninò adhuc modum uota concipe, & quid fitfutu rum uide.
Epicurus ait fibicum ægrotaret, nul la fuiffe de corporis affectione cum ſu is
colloquia ,fed decaufis rerum natura lium præcedentibus diſputatum conti
nenter.Eı rei ſe intentum , mentem ha buifſe perturbationum uacuam, ut quę
motuum corpuſculi nullam partem ac ciperet, ſuum bonum cuftodiens,idea qúe ſe
ne medicum quidem qui appli caret pharmaca adhibuiffe; Sed uitam benè
habuiſſe.Tuquod is in morbo po tuit,hoc liquid alterius rei incidat,ob ſerua.
Vt eniin non defiftere à philoſo phia propter quæuis negocia, neg cũ quouis
uulgari homine nugari,omnib, Sectis é cómunc.lic in omniactione cie b h ti incumbendum
ſoli, q ppoſitum eſt,in ftrumétog quoadidutimur. Si cui? impudentia offenderis,ftatim
percótare teipfum , an poſsit fieri, ut nulli fint in múdo impudétes.nó pótaūt
hoc fieri: neigitpoſtula id qd herinequit :alio quin ipse quoß un'eris
eximpudétib. ijs, quos effe in mundo oportet. Idem de uerſuto
,infideli,omnidenim quocú quemó uitiofo in próptu ſit tibi cogita re.Ná
firecorderis neceſſarioid genus hominú efle , fingulos æquioré te prebe bis.Id
quoq utileé,ftatimcogitare,quá homini natura uirtuté cótraid pecca tú
dederit.Remediū.n.tribuit, cotra in gratos manſuetudiné,cótra aliud uitiū,
aliud pharmacũ. Olo aút licet tibi in ui am reducere eu qui errauit: nā oís q
pec cat, cò errat, pàppofito aberrat. Denique quid inde tibidamniallatú é:inue
nies quidénullú eorú quib.iraſceris, tale quippiam fecisse, quomés tua fit futu
ra deterior:atquiin hocunico fitú crat, ut malú tibi atg dánú accideret . Quid
verò malum aut novum accidit, fi indoctus į homo agit suo modo: uide ne tu
tibiip c 2 0 k 4 ſe potius ſisrepræfendis, quinon præ fenferis fore, utisi: a
peccarct. Eenim anſam tibi omnino præbuit ut cogita res, confentaneum eſſe utis
ita pecca ret.Ac tamen eius oblitus,miraris eum deliquiſſe? Maximè ucrò fi cui
infi delitatis uel ingratitudinis cauſa ſuce cenſes, intra te conuertere.
Proculdu bio enim à te peccatum eſt, fi eum ita affectum iudicauifti fidem
feruaturum : aucl beneficium conferens,non eo có tentus fuiſti quod dederis ,
neque fru - & tum teipſa ex actione capere cogitaui ſti. Quid enim aliud
requiris, cum ho mini bene facis?non cibi ſatis eſt ,te tuæ naturæ conuenienter
egiſſe, ſed & mer cedé inſup defideras, perinde ac fimer çede oculus
poſcat,quia uiderit,autpe des ppter grellus. Quéadmodú enim hæc ad certūfiné
facta ſunt,ita ut ſecun dúfuam conſtitutioné atą naturam ſi egerint, fuum finem
adepta ſciamus:ita homo adbeneficentiam natus , & quid beneficij cótulerit,
aut aliud quid ege rit ,quod ſocietati humanæ conducat, fecitid ,cuiusgratia
eſt factus, conſecu tus cft id, quod ad eum pertinebat. Ris aliquando , ô
anima, bona, simplex, unica , & nuda, ſplendidior corpo re tibi circumiceto
. Gu ſtabis olim amoris affo ctum :plɔna eris,nullius indigens , nihil
deliderans ncg animati neque inanimi ad fruitiones uoluptatum :ncqtempus
requires : quo diutius fruare,neq locũ, regionem , aut aèris commoditatem , nec
hominum conuenientiam .Sed có tenta eris præfenti ſtatu , dele & aberis
omnibus quæ cruntin promptu, tibig ipfi perſuadebis,omnia tibiadeſſe,om nia
cuareétè habere,omnia à Dijs tibial lata,probabisquæcúq ijs probabunt, ac quæ
tibi ad perfe&ti animalis ſalu tem dabunt,quod bonum eft, iuſtum , honeſtum
,omnia generat at continet & ample &titur, quæ diſſoluuntur cò, ut alia
exiplis exiftant. Eris aliquando ta lis, utita cum Deo & hominibus uiuas,
utne quid in ijs repræhendas, neg ab illis damneris.Obferuaquid natura tua
requirar , quippe qui tātùm à natura gu berneris :id deinde fac &admitte ,
nifi tuanatura,qua animales, cò fiat deteri or.Secundo loco animaduertédumeſt,
qd animalis natura quæin te eft, requi rat:idgo mne omittendum eſt, nifide
terius tit habitura ea natura , ob quam rationis particeps diceris: nempe ciui
lis , & rationalis. His uſus regulis, nihil ages fuperuacancum . Omni quod
tibi euenit , aut ita euc nit,ut tu laturuses , aut ſecus.Si como do, quo tuid
ferre potes , non fer ægrè, fcd utnatura tua te docet: fin cótrà , no litamen
indignari, etenim ipſum peri bit.Enimuerò memento cam eſſe tuam naturam ,ut
omnia feras ca,quæ an into lerabilia iudicare uelis nécne, in tua eſt fitum
poteſtate,ſecundum uiſa, qua id tibi prodeſſe aut conuenirc ducis. Siquis
errat; docercillum debes benigne, & oftendere quid non animaduer
terit.Siidneſcis,teipfumaccuſa,imò ne teipſum quidem. Quidquid tibieuenit, id
omne abę. terno tibi deſtinatum eſt,atą à conne xu caufarum fataliter tributum
. Nam &quod tu es, et quæ tibi cueniút, ab æ terno dependent. Siue ex
impartilibus corpuſculis, fi uc natura mundus conftat, id primum conſtat,eflcte
partem totius quòd à na ra gubernatur.Deinde,coniunctionem tibi quandam eſſe
cum eiuſdemgeneris partibus.Horum memor,quatenus par tem me eſſe totius fentio,
nihilægrè fe ram eorum , quæ à toto mihi tribuútur. Parti enim nihil poteft
nocere, quod to ti prodeſt. At totum nihil habet, quod nóip6 profit.Id , cùm
omnibu set có mune naturis , tú Vniuerſi naturæ hoc accedit, quod ne ab ulla
quidemextrin feca cauſa poteſt cogi, ut aliquid fibi dá nofum producat.
Quatenus uerò mihi cognatio quædam eſt cum partib . quę funt eiuſdem generis ,
nihil agam quod non refpiciat communitatem , imà ſemper ad communem utilitatem
diri gammeas actiones, & à contrario auer tam.Hisita conſtitutis ,necefle
eſt uitá proſperos habere ſucceſſus: ficut & ci uis uitam profperam
intelligeres,proce dentis per actiones ciuibus utiles , boniş consulentis
quæcung ei civitas tribueret. Omnes partes mundi interire necef farium eſt, hoceft,
alterari. Quod fi hoc etiam malumipfis fit ,nónne uniuerfum malè poſsit
perdurare, partibus ad inte ritum, &alterationem cóparatis. Vtrú enim
natura inſtituitſuas partesmalè af ficere,malog obnoxia, & quidéneceſ
ſariò,efficere?aut perimprudentia hoc admifit ? Vtrung quidem non eft ueri li
mile.Quin etiam ratione Natura omiſ ſa, ipfarum rerum naturam confideret, item
ridiculum erit hóc. Simul enim di cere, quod mundi partes à natura factæ ſintad
mutationes et carummutatio ncs quafi contra naturam euenientes mirari aut
indignè ferre, abſurdum ſit: præſertim cum fingula ex quibus ſunt conflata, in
ea etiam diffoluantur. Aut enim diſcretio fit clementorum, cx qui bus concretæ
ſunt res, aut mutatio, ſoli di quidem in terram ,aèrci autem in ae rem, ita ut
hæc quoß aſſumantur in Ra tionem uniuerfi, fiuehoc certis conuer fionibus
inflammabitur, fiue perpetuis uicibus renouatur. Solidas autem &ae reas
partesnon opinare ab ortu te habc re : omnia iſta heri & nudiustertius ex
alimento et inspirato aêre affluxerunt: hæcgmutanti, non id quod ex utero
matris attulifti. Poneaut,hocte admo dum adiungere propriæ qualitati:nihil
rcuera,puto ,adid quod dicitur. Cùm fumpferis tibiipfinomina hęc,
bonus,uerecundus,uerax, intelligens, prudens,alti animi,caucne quando ifta
nomina,amittas,alijsg camutes. Celc riter ea aſo repete, acrecordarcnole in
telligentis indicari ſcientia dc fingulis rebus percipiendi, & eú, qui
cogitatio nibus alienis non occupetur: pruden tis uerò, uoluntariam
approbationem corum , quæ communis natura tribuc rit :altitudine animi,mentis
intentioné & ſublimitatem , ſupraleues & duros motus carnis, gloriam
,mortem , aliasg res elatæ. Siigitur teipſum dignum his nominibus
præftiteris,non id appetés, utab alijs ita appelleris,alius eris,alião
ingredieris uitam . Nam talem te porrò elle,qualis hactenus fuifti,hoceftin hac
uita raptari &inquinari, nimis ſtupidi eft hominis, & VITAM AMANTIS,
fimiliso eorum , qui in pugna aduerfusferas fe meſi ſunt. Hicnim pleniuulnerum
& ta bi,tamen hortantur, ut in craftinum fer ucntur,iterum pugnaturi
aduerſus eof dem ungues & dentes. Itaq te paucisi ſtis nominibus accommoda,
ac,& qui dem pofsis,ea tuere, perinde at hin In ſulas quaſdam fortunatas
commigral ſes.Sin teinferiorem ijs eſſe ſentis, fece de audacter in angulum aliquem
,utibi uictoriam obtineas: aut omnino è uita abi, non iratus,ſed Gimplici &
libero ani mo, atæ uerecundo, cùm id unum in ui ta egeris,uteo modo difcedas.
Vt auté memoriam illorú nominum retincas, haud exiguú tibi ad feret adiumentú,
ſi recorderis deorum , atß eos nolle fe adulari,fcd hocuelle, ut ratione prædita
animalia, ipforum quàm fimilima ef ficiantur. Ficus,canis,apis,ſuum quoduis
offi ciumfacit: idem eft &hominis partiú. Mimus , bellú,
terror,ſtupor,ſeruitus: hæc quotidic delebút facra illa tua pla cita, quæè contemplatione
naturæ rc rum hauſta circumfers. Omnia autem, ita ſuntinfpicienda
&agenda,ut & cir cumſtantijs fimul ſatisfiat, & cognitio inactioné
uertatur,ferueturó animicó ſtátia ex earūſciétia accepta.* Ignorat, non tñ cft
abfcóditú Quãdo capies fru &tum fimplicitatis?qñ grauitatis? quan do
cognitionis fingularum rerum ? quæ : nimirum fiteius natura, quis in mundo
locus, quandiu ferat eius natura ut du ret , quibus ex rebus conflata fit, quis
eam poſsit poſsidere,quis dare autadi Aranca, ſi muſcamceperit, exultat: alius
G leporem, aut piſciculum ,aut fu cm , aut urſum , autfarmatas ,nónne hi ſunt
prædones? Si opiniones exami ncs, quomodo unumin alterum tranf mere. mutetur,uiam
ac rationem contempla di parabis.Continenter autem hucani mum aduerte, teý huic
parti adlucfac: nihil eſt enim quòd perinde animum magnum efficiat.Corpus enim
exue, in telligensgiamiam te ex hominibus di ſcedentem ifta omnia deſerturum
,torů teipſum da iufticiæin actionib . tuis ſer uandæ, in reliquis quę
eneniuntrerum naturæ totum te cómitte: quid alij uel fentiant de te, uel agant
contra te, ne ad mentem quidem tibi tuam accidat. Duobushis contentus eſto , ut
& iuftè agas in præſentia , & id quod nunc tibi obtigit,boniconſulas.
Omnes alias oc cupationes,omnia ſtudiamiſſafac ,huic modò intentus,ut rectà
ſecundum lege ingrediaris, deum ſequens. Quis lituſusderebus tanquam ſuſpe Etis
deliberādis hinc patet. Si quid age dum fit,uideasą id elle ex uſu, firmiter cò
procedendum. Sın id nonintelligis, inhibendaactio , & optimis utendum confiliarijs.Quòd
G alia his aduerſa oc currant,progrediendum eft iuxta præ fentes
occaliones,animo ci quodiuftú uidetur intento . Optimum enim eſt cú áttingere
ſcopum . Quietus fimul, & ad motus facilis, fi mul & lætus , &
conftans eftis, qui ra-. tionem ubiq fequitur ducem. Interroga ex teipfoftatim
à fomno ex pergefactus,nū tua interſit, fi quæ iuſta funt & reétè habent ,
in aliorum fint poteſtate?Nihilintereſt. Nunquid oblicus es, illi qui aliorum
fermonibus & laudibusfeiactant,qua les in lecto fint,quales inméta quid ? a
gant ,quæ fugiant, quæ confectentur? quæ furentur,quærapiant? non quidé manibus
& pedibus, ſed precioſiſsima ipforum parte,qua acquiri poteſt ( ſi qs
uelit) fides, uerecundia,ueritas,lex,bo nusgnius . Omnia danti & recipienti
naturæ p bè inſtitutus & uerecundus dicit : Da quicquid uis , aufer
quicquid uis . Ne que hocaudacia elatus dicit , fedeio bediens, camś probans.
Vitæ cxigua reſtat pars :uiue tanquá inmonte. Nihilem refert hîc ne fisuel
illic,modò ſcias te ubig in mundo, tan quam in urbe eſſc. Videant, inquirant
hominemhomi nes uerum ac fecundum naturam uiué tem.Sinon ferunt eum ,
occidant:præ ftat'enimhoc,quàm illo modo uiuere, Noniam præçerea
tibidiſputandum eſt, qualísnam ſit uir bonus: fed curan dum, ut fis uir bonus.
Subinde tibi ante oculos pone æuũ totum , & uniuerſam natura:cogita, uc res
ſingulæ ratione ſubſtantiæ nuclei fint oliuarum ,temporis,tenebri cóuer lio
:1dý de ſingulis rebusindaga .Quem admodum exiam diffoluátur, finto in
mutatione ac qualiputrefactione & dil ſipatione: utunumquodą ſuam ucluti
mortem habeat.Quiſuntilli, qui nunc comedunt,dormiunt,coêunt,uentrem
purgant?cum quiimperant alijs, ſuper biunt,indignantur,inferiores increpát?
quibusilli paulò antè feruierunt, & qui bus de caulis?quieruntpaulò pòft?
Vnicuiqid prodeft, quod naturau niuerG fert,atx co quidem tépore, quo ca fert.
Expetit quidem pluuiam terra: expetit autem uenerandus æther cum eſt repletus
nubibus in terram decide re,ita & mūdusid agere cupit,quod fit: dico
itaqmundo,meei adſentiri. Itag & hocfit, & dicitur fieri, quod mundus
uultita fieri.Authic uiuis, & te adſuefe ciſti, aut aliò te confers, &
hoc uoluiſti: aut defunctus tuo munere moreris. Nihil eſt præter hæc. Bono ergo
esa nimo. Semper fit euidens , hoc efſe agrú : 1 & quomodo omnia funt
hieijs qui in ſummo luntmóte,autin littore , autu . biuis. Omnino enim inuenies
Platonis illud, ftabulo in monte abditus : & ba lare. Quid eſt mens mca ?
ad quid nunc ea utor?Eſtne aliquid mentis uacuum ? cftne aliquid à comunitate
diuullum ? num affixum & admixtum carni , ut il ludunàmutetur? Qui dominum
ſuum fugit, fugitiuus eſt.Lex autem dominus eft. Ergo qui cótra legem agit,
fugitiuus eſt. Acdolo-, rem aliquis,iram , aut metumconcipit, propter aliquid
eorum quod facūeſt, uçlât , uel fict ſecundum uoluntatem & eiusqui
uniuerſum gubernat.Hic uerò lex eſt tribuens ſuum unicuif. Ergo 13 qui hoc modo
timet, dolet , aut irafcit, & fugitiuuseft.Pater ſemine in uterú ma: 94
tris dimillo abijt. Inde ſuccedés alia cau ſa agit, & abſoluit facum
,animaduerten dum eſt ex quo quid efficiatur. Rurſus cibus per fauces
dimittetur,deindealia cauſaluccedens,ſenſum ,appetitum ,ui tam
,robur,omniaģiſta aliaefficit.Ita ea, quæ in tanta occultatione fiunt, co
Gderanda ſunt, facultasģita conſiderá da eft ,ut& eam quæ deorſum , &
eam quæ ſurſum uergit uidemus, non ocu lis quidem corporeis , fed haud minus
tamenperſpicuè. Alsiduò conſiderandumeſt,quomo do omniahęcſint,qualia
fuerint,aclint bulæ atqfcenæ earundem in ſpeciem rerum , quasuelexperientia
uidiſti, uel exantiquahiſtoria cognouiſti,ut,aulá Adriani,totam Antonij aulam
,totam Philippi aulam ,Alexandri,CroG.Om nia enimhæc, talia erant. Tantú per
alios animo tibi finge cũ, quialicuius rei caufa doletautindigna tur,fimilem
efle porcello qui mactatur, & calcitrat at grunnit, Similisetiã ei qui
gemitin lectulo ſolustacitè alliga tionem noftram . & quod ſolianimali
ratione prędito datum eſt ut rebusque cueniütfpóte obſequat. Olo aut ſequi
eas,oíbusé neceſſariū.In fingulis reb. rereexteipfo debes , fitnemors mala,
proptereà quòd ea re te fit fpoliatura. Cuni alicuiusoffenderis peccato,fta tim
ad te reuertere , ac cogita quain fi milire tu pecces: ut,Quòd argetum ,uo
luptatem ,gloriolam in bonisducas. Id iram mox obliuione delebit : accedat
autem & hoc,uteum inuitum peccare ſcias. Quid uerò faceret coactus? Tu; li
potes,efficene cogatur, Cùm Satyronem uides,Socratium ti bifinge conſpectu
dari:cùm Eutychen, Hymenem ,uel Euphratem ceruis,Euty chionem ,Syluanum
,Alciphronem ,uel Trophæiferum imaginare:Xenophon . te uiſo , Critonem aut
Scuerum: denis ſingulis aliquem priorum certa ratio ne limilem oppone.
Simuluerò tibi ad animum accidat,Vbinamfuntilli ? nusquam ,autubicung. Ita
nunquam non cernes res humanas fumum ellc & uani tatem.Maximè fi recorderis
id quod ſe mel mutatum eſt, nihil fore in infinito tépore . Tu aut in quo
tempore es ? aut qui non ſufficit tibi, breue hoc honeſte exigere?quam materiam
, o ſubiectum fugis? Quid enim ſunthęcoia,nifi ex ercitia rationis quæ accuratè
perfpexiç naturam earum quæ in uița occurrunt rerum . Perduraigitur, dum eas
res tibị familiares reddas: Quéadmodú ualid ventriculus oía fibi effiçit
familiaria : & ignis ſplendidus quidad ei inijcias, fla mã ex co
&fulgore edit. Nulli liccat uerè dicere,nó efſe te fimplicé et bonu: sedmentiatur,
quicúq hocde te ſentit. Id uerò omne penes te eſt:quis enim pa
hibeat,nelisbonus&fimplex ? Tibimo ftet ſententia ,nó uiuere,nifi talis ſis
:ne que enim patiturratio te niâ talem . Quid Git, quod poſsit de propoſita
materia rectiſsimè dici, uel agi, conſide ra:quicquid erit,facere tibi uel
dicere li cet,nemine obſtate:neo prætēdete im pediri.Nexprius deſine
ſolicitudiné, ita ſis affectus,ut qďuoluptuarijs ſunt deliciæ, id tibi fit
actio in ſubiecta & ob lata materia , humanæ cóftitutioni co
ſentanea.Oé.n.id qdlicet tibi agere ſe cundú natură, p uoluptatehabendú é:
licet aút ubią .Nam cylindro quidem non datur,ut quouis loco feraturſuo ,p prio
motu, ut negaquæ, neg igni,ne alijs, quęànaturaautanima rationis ex
pertereguntur:multa enim ſunt quęob ſtent eis, & intercipiant.Mensautem, ſi
ueratio per omnia quæ reſiſtunt perge re poteſt ſecundum ſuam natura & uo
luntatem.Hanc facultatem anteoculos tuos ponens, g mens per omnia poſsit ferri,
ficut ignis ſurſum , lapis deorſum , cylindrus per decliue,nihilpræterea re
quire.Reliquaimpedimenta aut corpo reiſuntcadaueris,autpræteropinioné, ipfius
métisremiſsionénó lædunt,ne que ullú afferunt malū :Alioquin is qui
impediret,malus confeftim fieret. Na reliquæ res omnes ita ſunt compara tæ ut
fi qd eis maliaccidat,ftatim dete riores fiåt.At hîc, a oío dicédüeſt,meli or
etiam fit homo , maiorique dignus į aude,fi rectè utatur ijs quæ occurrunt.
Omninò autem memoria tenendum eſt,ei qui natura ciuis eſt,nihil poſſe no
cumenti accidere, quod nonidem ciui tati noceat.Atqui huic nihilnocet,nifi quod
obfit legi.Eorum uerò , quæ incó moda autinfortunia uocant , nihillegi officit
:ergo neg ciuitati,ncg ciui. Qui morſus eſt à ueris dogmatibus, ei ad
recordationem uacuitatis dolorú & metusſufficiet uel minimum . quale illud:
Sternit humi uentus folia. Haud aliter genus humanum . Foliorum uerò rationem
obtinent &liberi tui , &ij homines qui acclamát &
collaudantita,utfidem mereri uide antur, aut contrà execrantur,aut tacitè
repræhendunt & fubfannant. Foliorú rationem obtinent et hi, qui famam po
ſteritatis excipient.Hęcenimomniana fcuntur tempore ueris :pòſt animus ea
deijcit: inde alia ipſorum in locum ſyla ua producit.Breuitas uerò téporis om
nibus eſt communis. Tu autem omnia perinde atque æterna fugis aut appetis,
paulò pòft moriturus:& cum quite ef feret,alius lugebit. Sani oculi eft
,omnia uiſlia cernere, & non uiridia tantum uelle, quòd faci unt ij, qui vitio
aliquo oculorum laborant.Idem de sano auditu et olfactusentiendum, utriqomnia
fui generis senli lia esse promptè appræhendenda: qua ratione etiam uentriculus
ad omne a limétum paratus debet effe ,inſtar mo læ , quæ ad quæcunque molienda
para ta eſt.Proinde & més ſana parata debet eſſe ad omniaquæ occurrunt. Sed
ea ģ hoc tantum curat, ut liberi fint ſalui, ut ab omnib.laudentur eius
actiones, ocu lo fimilis eft uiridia, autdenti tenuia tan tum uolenti. Nemo eft
adeò felix, cui mortuo non Gintadftituri quidam , qui malú quod ei obtigiſle
putatur , haud malè lit con ſulturus:probus,dicent, & fapiens crat: nónne
ad extremum aliquis dicet fe cum , Etipfe aliquando reſpirabo-ab
hocpædagogo.Nulliquidem noſtrum erat grauis,fed feng tamen clam nos ab
coſperni. Hæc de bono uiro dicentur . ant. Nobis quàm multa ſunt alia, ppter
quæ multi ſunt, qliberari à nobis cupi Hæcmoriens li cogites, cò facili us
diſcedes hinc , reputans te ex ea uita abire , ex quaijipli q ei' ſunt
participes, quorum gratia táta certaminafuftinui, precatus ſum ,pcuraui,meuolüt
migra re,fortaſſe aliquid meamorte alleuatio nis fperátes. Quidé,curdiutius hic
mo rari quæras? Nihilo tn minus benignus illis diſcede,morem tuum ſeruans, ami
cus,beneuolus,propicius:negutis qui abripiatur,ſed quibenemoritur,animu la
facilè ſe foluente è corpufculo. Eo modo & ab his diſcedendum eſt, quib.
nos natura accommodauit & mifcuit. Difloluitnunc? diffoluor et à familias
ribus abducor, non reluctans, non vim patiens. est enim et hoc unum corum, quç
fiunt secundum naturam. Asvesce, utin omni re teipsum per con teris. Hçustu
quorſum hocrefert? A teipso facinitium , teg primo examina, Memento facultatem
motricem corporis intus latere. Hæc est facundia, hæcuita, hoc est, ut ita
dicam, homo. Nunquam circumiecta vasa animo tibi propone et instrumenta hæc
tibi afficta. Similia enini sunt dolabræ, cotantum differentia, quod adnata
funt. Alioquin sine causa, quæ ea movet et continet, haud maio ri sunt usui, quàm
radius te xtrici, calamus scriptori, flagellum auriga. Aec propria sunt animi
ratione præditi. Se ipsum videt, se ipsum componit feipfumtalé, quale vult,
efficit, fru &tus quosfert, ipfepercipit,(Erenim plantarú fructus, atg
etiam animalium , alij percipiunt.) fuum finem conſequitur, quicung ui tæ fit
terminus: nó utin ſaltatione, & a gendis fabulis,alijs id genus rebus fit,
ut fi quid offendatur,tota actio fiat irri ta : fed is animus omni in parte,
ubicuß depræhendatur, id quod oblatum eſt,e fedum & nullius rei indigum
reddit, ita ut dicere poſsit ſeſuum habere.Con plectitur pręterea totum mundum,
eiſ inanc circundatum ,figuram eius, infini tatem qui , certis conuerlionibus
con Itantem regenerationem uniucrſarum rerum contemplatur. Inde cognoscit, ncgnouum
aliquid pofteris cuen turú,nem eos qui ante nos fuere,quica amplius
nobisuidiffe:fed quod is qui è quadraginta annorú,fi méte utaturferè oía
præcerita &fucura uidet in reb.eiul demformę.Hecquoß eifunt propria,
amorproximi,ucritas,uerecundia, utni hil feipſa præſtantius ducat,quod qui dem
ei cum Lege eſt commune,itaut ai hilinterfitinterreciam rationem , &ra
tionem iufticiæ . Cantilenam iucundam ,faltationem , & pancratium
contemnes, Siuocélua uè fonantem diuidas in fingulos fonos, ata ſeorlim de
fingulis ex teipfo quæ ras an ab co patiarete uinci:pudorcpro fe & ò
afficieris.Idem dereliquis fuomo do intellige.Deniqin omnib .illis quæ nonfunt
uirtus, nec à uirtute profici ſcuntur, memento ad partes corum re fpicere, diuifiones
illa in cótemptum adducere : ids in uſum totius uitæ eft transferendum . Qualis
eſt aia quęparata fit, fiiamde beat à corpore ſolui, & uel extingui,ucl
diſsipari,uelconſtare.Vtautem licpara ta ſit , à peculiari iudicio uenit: non
ut fimpliciter mortem aliquis ſubcatid Chriſtiani faciunt,fed bene ſubductisra
tionibus & cum grauitate, ita ut & alte ri hoclincuerború cxaggeratione
per, fuadere poſsis. Egi aliquid ad ſocietatem humana códucens: ergò utilitatem
ſum cóſecu tus.Id femp occurrat, nequnquādebt. Quã tenes arte?Bonuseſſe. Quánam
fic hocratione? Si contempler , partim na tură uniuerâ partimhominis ſtructurā.
Initiò Tragoediæ prolatæ ſunt, quæ monerent de ijs quæaccidere homini bus
ſolent, eam eſſe.rerum naturam , ut liceueniant.At uerò quib . in ſceną
delectabamini, curijſdem offendimini in maioreuitæ humanæ theatro ? Vide . ris
quidem ,quod ita hæcdebuerint per fici,quodý ea feruntetiam ij, qniclama
uerunt. Id Cithoron. Et fanè quædam utiliter à poëtis dicuntur , quale eſtil
ludin primis. : Quod li dijmenegligút , &liberos, Rationem habet illud.item
. Nam reb. iraſciſanènihil expedit. Frugiferam utiſpicam meæ uitæ me tam. aliag
id genus. Poft Tragedia uetus Comædia illata eſt,libertatédiſci plinæ
accommodatam habens, cazip fa haud inutiliter nos monens, ne faſtu
extolleremur. Cuius fimile aliquid etiã Diogenes uſurpauit. Poſthas &media
quædã comedia & ad extremú noua aſſumptæ ſunt, haud alium ob finem , a ad
ſtudiú artis imitando oftentandæ . Dici enim & ab hisipfis quædam utilia,
nonignoratur: fed tota huius poëſeos & fabularum ,ſcriptionis intentio qué
nam finem reſpicit? Quomodoeuidens fit,non eſſe aliud uitæ propofitú ita có
modú ad philofophádū,ut eftid, quod núc tenes?Ramusà pximoamputari ra monó pót,
an & à tota arborere fecet: fic homo etiã ab uno auullus hoie,nó pornó écà
toto excidiſſe cætu. Itagra mum quidem alius aliquis, homo feip ſum à proximo
feparat, cum eum odit aut auerfatur:ignorat uerò étà tota ciui li ſocietate
ſecadéroeabrumpitur. Ve runtamé hoc habemus munere louis, hác ſocietaté cóftituit,ut
rurſum adcre ſcere pximo, & explere totú poſsimus: Ettamen ſi hæcauullio
fæpius admitta tur ,efficie,ut uniriiterum at coaleſce rehaud facile pofsit id
quod erat auul fum :tum uerò , quòdfatent plátatores, non eadem eſt ratio rami
qui ab initio floruit cum arbore,manfitgin ea ,&e. ius qui amputatus;rurſus
deinde eſt in fitus. Oportet igitur in eadem arborc elle, etfi nonidem cum
omnibus ſentias. Qui tibi ſecundum rectam rationem procedenti impedimento
funt,ut auer tere teà recta actionenópoffunt,ica ne que tua erga ipſos
beneuolentia depel lantte:utrobiß teipſum eundem ferua, utnon modò iniudicado
cóftantia, & agédo , fed &aduerſus eosqte phibere conantur, aut aliâs
indignantur,māſue tudiné tuearis . Haudem minusinfirmi eſt illis iraſci , ô
defiftere ab actione, & concideremetu perculſum : utrunque eft eius qui
ordinem ſuú delerit , quod alter mctu facit,alter odio cognati fibi,
&amicinatura. Nulla natura arte inferior eſt: quip PC cùm artes fint naturæ
imitatrices. Quodſi eſt,utiq naturaomnium perfe & tiſsima &omnia
compræhendens, ar tium folertiæ nequaquam cedet. Porro omnes artes præftantiorú
gra tia faciunt uiliora:ergo & cómunis na tura. Acoz hic eſt ortusiuſticiæ:
ab hac reliquæ uirtutes dependent:non enim conitabitiuſticia,ſi uelrebus ſuapte
na tura neqz bonis nec malis nimium tri buamus,uel temerarij,ucl errori procli
ues erimus: Non ueniunt ad teres eę, quarum fu ga uel appetitu perturbaris,fed
tu quo dam modo ad eas accedis :iudiciumita la que deijs quieſcat,ita
etipfçquieſcent, & & ne ſequeris eas,neg fugies. Animus globo
ſimiliseſt , figuræ æ quabilis, quandones effertie, negcó trahit,ſed
luminefulget, quo in omnib. & rebusueritatem cernit,& in ſe quoque
Contemnorab aliquo : uiderit. ego ibi curabo ,nequid contemptu dignum a gam
autloquar.Oditmealiquis: uide ip rit.Ego quidem omnibus ſum placidus ces
&beneuolus,atco ipſo promptus ad ne ch ere cm que ipſo. 100 god m oftendēdos
alijs ſuos errores: neß hoc exprobrādi cauſa, aut ut patientiam o ftentem meam
, fed ingenuè & pro bè. Quantus erat Phocion, nifi idip ſum præ ſe
tuliffet. Intus enim omnia oportetrectèhabere, & à dijs conſpici hominem
nullam rem indignè ferenté, autquiritantem . Quid enim mihi mali accidit,fi
alius id agit, quod eſt naturæ tuæ commodum? nó accipies id quod nuncnaturæ uniuerfi
eſt opportunum, cum ſis homo eò deftinatus,ut commu ni utilitati inſeruias? Qui
contemnunt fe mutuò , ijdem mutuò ſe demerentur: & qui mutuò de primatu
contendunt, mutuò libi con cedunt. Quam putiduseſt, & fallusille , qui
dicit : Statui fimpliciter tecum agere. Quid agis ? non erat hoc præfari opus:
ipla reshocoftendet.Statim ipſo in uul · tuinſcriptus debet efTe fermo,acftatim
ex iplis oculisapparere : Quemadmo dúex afpectu amatores ſenlum ſui ama
fij.ſtatim cognoſcunt.Omninò uir bo nus & fimplex hircoli debet aliquld fi mile
habere, ut qui ei adeft, uelit, nolit, tń cius fimplicitate depræhendat. One
tatio aut ſimplicitatis, infidiæ ſunt te étæ :neq uerò quicộ turpius eftfubdo
lis acinfidis congreſsib .Hocoím maxi mè fugito. Bonus,fimplex& manſuelº
uir ,hæc oíaí oculis habet, ncg calatét, Rectiſsimè uiuédi facultas é in tuo
aío pofita,nimirú ut res neg bonas ne quemalas,in nullo ponas diſcrimine. Id
fet, & unamquamlibet eorum conté pleris diuiſim , & rationetotius,memor
nullam earúin animis noſtris de ſe poſ fe excitare opinionē, negadnos ueni re:
ſed ipſas quidé quieſcere,nosautem effe, q deijsiudicia faciamus apudnos,
easýnobis quali depingamus:cú liceat tñ autoío no depingereillas, aut fihoc oío
ſit admiſſum ſtatim delere. Exigui temporis attétio hæc eſt, indefinis erit
uitæ .Quid obftas,quo minus hęcrectè habeant ?Quęli ſuntſecundú naturam,
gaudeillis, & erútfacilia :ſincótra natu ram ,quære quid fit tibi fecundum
natu ram ,atpid contéde , & figloriacareat. Ignoſcedūé.n.oīci, ſuuğrit
bonum. Videunde uenerint omnia , ex quib. conſtent,in quod mutentur,qualia fint
inde futura ,tum nihilmalicis accidere . Primùm , quis mihi ad eos reſpectus.
Nati fumusinuicéun ' alcerius gratia.A lia autem ratione natus fum utipfisprę
ſim , ficut aries gregi, aut taurus ar mento . Rem altius repetc. Sinó conſtat
mú dus ex atomis , utią natura cum guber nat. Quod fi detur, utiq deteriora præ
ftantiorumgratiafunt: hæcuerò, unum propter alterum . Deinde, quales illi ſunt
in menſa ,le cto ,alibi?Maxime autem quib . illi funt neceſſariò
opinionibusaddicti, & qua to cum faſtu aguntſua. Tertium eft . Sircctè
faciunt hæc, nó eſt indignè ferendum : ſinfecus, at non ſponte,ledignoratione
peccant. Omnis enim anima invita privatur cum veritate, tum eo, ut possit cum
uno quoli betut eſt dignum ,uiuere. Itaque dolo reafficiútur,li iniuſti,
ingrati, auari,om ninoſiniurij erga aliosdicantur. Quartum eſt.Ipfequoginmultis
delinquis, es ipſorum ſimilis:ac tametG quibuſdam peccatis abſtines, tamen ha
bitum ea faciendihabes, ac uel metus, uel gloriolæ conſectandem causa, aut
aliud ob malum, abstines similibus peccatis. Quintunc hoc quidem ſatis ſcis, an
peccent. Quædam enim ordinc fiút. Omnino autem multa experiri opusē, antè quàm
certum aliquid dealiorum actionibus ſtatuas. Sextum.ut maximèſtomacheris,ta men
uita hominum eftmométanca, ac paulò pòſtomncsmorimur. Septimum.Non actiones
ipforúno bis moleſtiam exhibent, cùmeæfint in ipforum animis : fednoftræ
opinioncs. Itaq tolle uoluntatem iudicandi de rc aliqua tanquam mala : limul
ſuſtuleris iram .Quomodo, inquies,tollam? Sire putes,non eſſerem
turpem.Namnig.fo la turpitudomalum eſſet,tu quogne ceffariò multis modis
peccares,ficres latro, & omnia tentares. Octauum.Multò grauiora adferunt
dolor & ira ,quam obaliorum pecca : ta concipimus, quam ipla illa , ob quæ
m 3 raſc imtur & dolemus. Nouú manſuetudo , li genuina fit, no adſcititia
aut fucata,inuictač. Quid uerò uel extremæ libidinis homo tibi faciet, fi
conſtantermanſuetudinem fer ues, acl res ita ferat , placidè eum hor teris ac
doceas eo ipſo tempore , uacás huic reitum , cùm is te lædere nititur. Si
dicas,Noli fili, ad alias res nati ſumº: ego quidem non lædar,ſed tu: ido eia
pertè & integrè oftendas, neque apes, ullum aliud eorum quæad cætű apta
funt natura animalium ita agere. Oportet autem neque irridendi,neque
conuitiandi caufa hocfacere,fed aman ter, atq ita ut ne cor mordeatur, néue
ccio abuti uidearis , acne quis adftans mirctur,fed ut cum ſolo, ita loqui de
bes, etiam fi alijadlint. Horum nouem capitulorum memento, tanquam a Musis li
ea dono accepiſſes. Acincipe tan dem homo efle, dum uiuis . Tam vero cavendum
ne irascaris eis, quam ne aduleris. Utrunque enim a societate est alienum et
damnosum . In promptu tibi fit ira accedente, non iram esse VIRI, fed man ſuetudinem:
id ut humanius, ita & VIRILUS EST, requiritgrobur, nervos et fortitudinem:
quænon ſunt apud indignan tes & morolos.Nam quanto proping or
eftmanſuetudouacuitati affcctuum , tanto & potentia: acquemadmodum dolor,in
impotétes cadit, fic & ira. Uter que enim uulnus accepit, &herbápor
rexit. Quod fi lubet , etiam decimum à duce Muſarum donum accipe:nempe, Inſani
eſſe ,uellene praui homines pec cent.qui enim hocpetit, id petit, quod fieri nó
pót.Alijs uerò cócedere ut fint mali, modònein tepeccent, ingrati eſt, et
tyranni. Quatuor potiſsimum motus animi continenter ſuntobferuandi, ac, fi eos deprehenderis,
inhibendi. Primò, ut dicas. Hæc cogitatio non erat neceflaria. Alterum
,hocfacit ad ſocietatis diſſolu tionem.Tertium, hoc non ex te dices: nam non à
le dicere, inter abfurdiſsima eft reputandum . Quartum : tibiipa ex probra ,
eſſe hoceius, quidiuiniorelui parte uincatur, & cedat ignobiliori &
mortali parti , corpori ſcilicet &eius craſsis uoluptatibus. Aêreū, &
oésigneęparticulæ quęcó miſtæ ſunt tuo temperamto, cth natu ra ſurſum
efferantur,tamen ut obediãt ordini uniuerli,ab ipſa mixtione conti
nentur.Similiter omne terrçumin te, & humidum,cùm natura ſua deorſum fe
rantur, tamen in ſublimimanét, non in fuo naturaliloco. Adcò elementa uni verſo
obtemperant, aca quò deſtinen tur per uim, manent, donec diſſolutio . nis
rurſum canat claſsicum.Nonnc igi tur iniquum lit, ſolam tuam rationem nolle
obedire,ſuumglocú indigne fer re.Etquidem nihil ei uiolentum impo nịtur: ea
modò, quæ eius naturæ conue niunt. Et tamen ea non ſuſtinet, fedin contrarium
fertur.Motusenim adiniu fticiam ,luxuriem iram ,dolores, & me tus, nihil
aliud eft,quàm ſeceſsio à naru ra: & cùmanimusaliquid corum quęc ueniunt
indignèfert, tunc quoqueluú locum deſerit. Etenim ad ęqualitatem & pietatem
cóftructuseſt haud minus, quàm adiuſticiam : quia & hæ (pecies funt
uirtutum ,quibus benè defenditur focietas humana, imò etiam antiquio resiplis
iuſtis actionibus. Quinon eundem per omnem uitam propofitum habet fcopum , is
unus & idem eſſe,p totā uitam nequit.Non fa tis eſt, id quod diximus, niG
& hocad datur, qualem eſſe oporteat eú fcopú. Quemadmodum enim non eſt
Gmilis de bonis utcunqueplurium opinio ,ſed quæ eſt certorum quorundam commu
nis:ita & ſcopus ciuilis, & communita tem reſpiciens eſt ſtatuendus,
Adhuc qui oés fuos animi impetus direxerit, omnes actiones ſimiles reddet,cogmo
ſemper ſuieșit fimilis, Murem montanum, et dameſticum huiusý pauorem &
fugam , Socrates, & uulgi opiniones,Lamias uocabat,puerorum terriçulamenta.
Lacedæmonij peregrinis ſub umbră fede adugnabāt in ſpectaculis, ipli quo uis
loco fedebant, Socrates Perdiccæ quærenticur nő ad ipfum ueniret,refpondit:nc
turpiſsi mointeritu peream.hoceft,ne benefi cio affectus, idnon poſsim
compenſaa re. In Epheliorum literis crat hocprz ceptum, quod iubebat quotidie
remi nilci alicuius ex antiquis, qui uirtutem coluiffent. Pythagorei manè nos
coelum afpice se iubebant,ut recordemur eorum ,qui femper fuum officium
præſtant: ité or dinis,puritatis, & fimplicitatis nudæ:a ftris cnim nullum
eft uelamentum . Memento qualis fuerit Socrates > củ pellem præcingeret, cùm
Xáthippe uc fte fumpta procefsit:acquæ dixerit fo cijs Socrates pudorc
affectis, ac recede tibus, cum uiderent eúin iſto ornatu . Núquàm fcribere
&legere alios do. cebis: nih ipſe prius didiceris: id multò magis inuita
eſt præſtandum.Seruus es, ratione cares.tú charũ cor mihi rifum fuftulit.
Virtuti grauibus facient conui cia urbis . Infani eſt, ficus hyeme quærere.Tale
eft puericiam quærere præteritam . Epictetus puerum oſculatus, interi us cum eo
fe collocutum dixit. Fortaſsis cras mortem obibis. Abo minaris hoc : nihil
dictu graue cft, ingt, quod aliquod opusnaturæ defignat:ni ſi abominere , quod
fpicæ'metuntur: Vua primùm cruda,deinde matura fit, pòſt palla:hæc omnia rei
ſuntmutatio nesnonin nihilum, ſed in id quodiam non eft. Nemo ut dicebat
Epectetus latro eſt uoluntatis.Ars autem , aitidem , in ueniéda eft in
adſentiedo, utgimpetus animiferuentur,ita uthabeátautadiun ctam exceptionem,
spectét societatem et dignitatem. Cupiditate omnino abſtinendum çít, neque
inclinandum ad ea quæ non ſunt penes nos. Itaq , inquit,non de leuire,ſed de in
. fania certatur,nibSocrates dixit.Vultis ne compotes rationis animos habere,
aut non ?uolumus. Cuiuſmodi, bonos ne an prauos ?ſanos. Cur ergo nó quæritis?
Quia habemus. Quid igitur conton ditis? Mnia ista, quæ per circui tus temporum
adipiſcio ptas,iam nunc habere potes, nifi tibiipfi invides: hoceft, Siomneid
gpręte. rijt ,omittast,uturum prouidentię com mittas,id modò quod præſens eſt
,diri gens ad ſanctitatem & iuſtitiam : alte ram , ut boni conſulas ca quæ
tibi fatū tribuit etenimid natura tibi attulit alteram , ut liberè ac fine
ambagibus ueri tatem loquaris,agasok ſecundum lege, & ut dignum eſt. Non
impediat autem teneg aliena malitia ,aeg opinio ,ncß vox,nequc fenſus
circundare tibi car nis.Id enim curet, quod afficitur. Itaq jamio exitu cùm
fis,tantummentem tu am ,idç quod eſt in te diuinum ,uenera beris:neo morrem
metues,fed nequan do uiuere non fecundum naturam incipias. Sichomo eris dignus
mundo quite protulit,nec amplius cris tan quam peregrinus patria tua , admirans
ca quæ quotidie eueniunt,ncg de hac uclillare dependebis. Videt dcus omnia
mentesnudas à ua lis materialibus & corticibus iftis repurgamentis.Sola
enim fua intelllige tia ſola ifta cótingit, quæ abipſohucde fluxerút ac
deriuata funt. Quodipfum tu quoque li facere afucſcas,magna cx parte efficies,
ne ita circútrahare. Qui cnim nó aſpicit carncm circumicctam , occupaturin
ueſte, domo,gloria, relia quisg exterioribus ac quali tabernacu lo contemplando.
Tria ſunt ex quibus conſtas:corpus, anima, mens. Priora duo tátum ea ratio ne
tua funt, quòd corum curam geris: Tercium folum ucrè tuum est, quod si separes
à te. Quæalii dicunt aut faciunt aut quetuipſe,aut ģte futura pturbát, aut quæ
corpori tibi circundato, uela nimulæunànatæ præter cuam uolunta tem accidunt ,
ac quæfluctusexterna . rum rerum uoluit :Ita ut intellectus ab illis rebus, quæ
fato una sunt, exemptus libera apud feipfam uitā uiuat, agensiu Ita,probás
euéta, dicens uera, fi inquam remoueas à menteres quæ ci conſenſu quodam naturæ
adhærent, itemģfutu rum & præteritum tempus , efficies ex tcipfo globú,
qualis illcEmpedocleus. Sefolo exultās,totus ceres atqz rotú dus:Diſces id tátú
uiuereg uiuis, hocé. in præsentia.I ta fiet, ut ad fine ufo ui tæ tibi
ſupereſt, pofsis abſque petürba tionibus generosè,& geniū tuú pbás atq amās
exigere. Sæpenumeròmihi mirari ſubijt,quidnãeſſet rei , q homi nes cùm feipfos
magis ĝ quenquam ali um diligat, iñ ſuam de ſeſe exiſtimatio nem minoris ducant
quàm aliorum . Quòd fi quis Deus,aut prudens præ ceptor mandet, ne quid homo
apud fe ipſum cogitet animóue concipiat, nisi id statim lit prolaturus, certè
ne unum quidem diemid coleret: adeòmagis ue remur, quid proximus de nobis fit
exi stimaturus, qusm quid ipsi nos. Qui fit , quod Dij , cum oía pulchrè &
humaniter ordinauerint , hoc unu neglexerint,quod nonnullos homines apprime
bonos, acin quos in plurimus ſuam erga deum pictatem quaſi teſſeris fecerunt
teſtatam ,unuinig lele familia res multis pijs actionibus et facrificijs
effecerunt, femel fato functos nonredu cunt,fedomnia extingui finunt. Idaute
Gita é,ſcias deos aliterinſtituturos fuif fe,& aliter fieri
expediuiſſet.Nam fieraj iuſtum , erat utiq etiam poſsibile: ac di erat secundum
naturam, certe naturaid tulisset. Quod ergò res nó ita habet Si tamen non ita
habet,id tibi faciatfidem non fuiſſe ex uſu, ut aliter quàm eft fie ret.Vides
enim ipſe quoquete, dúhoc fcrutaris, cum Deodeiure diſceptarc. Atqui non
hocmodo cũ dijs colloque remur , nili cos optimos eſle &iuſtiſsi mos
putaremus.Si autem tales funt, ni hil certè in rerum difpenfione iniuftè
accontra rationem neglectumpręteric runt. Ad sue facte ad ea etiam, de qbus de
ſperas.Etenim læua manus, cum adalia obeunda ſitinhabilis ,propterca q non
conſueuit: tamen frænumfortius quàm dextra continet. Qualete
corripiecmorscorpore et ani mo ?Conlidera uaftitatem æui quod an te & poft
te est, brevitatem vitæ, materiæ imbecillitatem. Causas ipsas ab integumentis
nudas inspice. Quo referantur actiones vide. Quid dolor, voluptas, mors,
gloria, quis sibi ipsi occupationum sit causa.Neminem ab alioimpediri, omnia
opinionibus constare. In uſu placitorum Gimilem oportetel ſe pancratiaftæ , nó
gladiatori:hic enim enſem quo utit li deponit, interficitur, alter verò manum semper
habet paratam, camg ut ex uſu eſt conuertit. Huiuſmodi res conſiderandæ ſunt,
diuiſione earum facta in materiam , formam et respectum. Quanta est potentia
hominis? Cui licet nihil aliud facere, qid ,quoddeus sit laudaturus et amplecti
omnia quæ ei Deusobtulerit. Quodad naturam conſequitur,eius cauſa dei non ſunt
culpandi, nam nex volentes ,neg inuiti peccant nec hoíes. Quamridiculus clt
& perigrinus, qui ratur ca quæ in vita fiunt. Omnia funt aut neceffitas
fatalis,at que ordo ineuitabilis, autprouidentia placabilis : aut confufio
inanis & nul lum habés pręfectum .Quòdfi eft necef fitas ineuitabilis, quid
reluctaris? fin p uidentia quę admittit placationcm, dignum præbe teipſum
diuino auxilio. Sin confufio eft, cui præſtnemo,conté tus eſto , gin tanto
rerum fluctuipſe in te habes mentem : quòd ſi te abripiat æftus,abripiat ſanè
corpuſculú, animu: lam ,acreliqua:mentem quidemnó ab ripiet. Quaſi uerò lumen
candela tanti ſperluceat dum extinguatur, ne @ splendorem amittat: Veritas
autem in te et iustitia et temperantia ante obitum tuú extingui debeat. Siquis
deſe opinionem peccati præ beat, cogita:ecqd nofti, finepeccatú ? ac fi
peccauit:quid ſiipſe ſeipſum dam net , ide perindeeſt ac ſuum ipfius lædere
oculum. Qui autem prauos pecca renon uult eius limiliseft, quinon uult ficum in
ſuo fructu fuccum ferre, infantes plorare , equum hinnire: acli quz ſunt alia
neceſſaria.Quid enim aliud faceret, quihuncfibi habitum contraxit. Si igitur
trux eſt, cura eum morbum. Sinon conuenit,neagas:& non eſt uc rum ,ne
dicas. Tui animi motusita Gint compoſiti,ut omnia circunfpicias.Co gita , quid
fit quod cogitationem tibi commouet: idğ excute dividendo in causam, materiam,
respectum, tempus, intra quod ea resdesinet. Senti vel tan dem, elle aliquid in
te præſtantius ac di uinius quam ca ſunt, quæ affectus ciét, ac quæ te mouent.
Quid enim est intellectus? nummetus, nu suspicio, num CUPIDITAS, num aliquid
aliud tale? Primò cogita nihilfruſtra eſſe agen dum, neq quod non aliquò
referatur: deinde, ut non aliò ĝad ſocietatehuma nā referatur. Paulo post
nusquam eris, nec quicquam eorum quæ núc cernis nco quisq eorû q núc uiuunt.
Omnia cnim nata ſuntitaut mutétur, vertatur et pereant , ut in eorum locum alia
na ſcantur. Omnia opinione cóſtát:hęc aúteſtin tua poteſtate. Tolle igit,cu lu
bet,opinioné,eritộtibi tanĝ pronto riú præteruecto oía ſerena, & linus flu
etibusuacans. Nulla, quçcung ca fic actio malú aliquid patitur,fi ſuo tempo re
definat : icutnesis, qui agit, ca róc aliquid mali accipit. Itidem & corpus
omnium in uniuerſum actionú , quod eſt uita,li ſuo tempore deſinat,nihilma li
ea rationcpatitur :neqisquioppor tunè finem facit ſeriei iftiactionú,malú aliqd'
fecit. Tepusucrò debitum et terminum natura costituit. Aliquamdo et privatim
utin senectute. Oio aut univerli natura. Cuius quidem partib.mutatis, fem
perrecens & uigesmundus perdurat. Seper uerò id pulchrū é & fpecioſum ,
o códucit uniuerſo.Finisita g uitæ, în gulis mala quidẻ có nó pót.gene cúnố fit
turpis : quippe necuolútate ènoftra depédens,&àfocietate nó aliena. Bona
aútfit: cú & opportune fiat reſpectu u niuerli , & profit,
&diuinitus accidat. His cogitatis , tria hæcin ,pmptu habe. Primúut in
agendo cures, ne quid fru Itra agas, aut fecus quàna ipſa iuſtitia e giflet:in
rebus extrinſecus accidentib. easfortunæ nutu ,aut puidétiæ obtigif fe :quarú
neutra éīcuſanda. Secundum, qua le unum quodlibetam privatioe fuéritufa dum
animam accepit ,indeý,donccca reddidit :ex quibus conflatum fit et in quæ
diffoluatur. Tertium ,ſurſum elato animo humanas res intuere , earumý
multiplicem uarietatem : quàm multa circùm in aëre & inætheréhabitét:caſ te
uiſurum , quoties in ſublime attolla ris: utſintomnia.unius ſpeciei , &
breui tempore durent. Hisne superbimus? Eijce opinionem , & faluus es .
nemo id prohibebit. Rem aliquam moleftè ferés, oblitus es omnia fieri fecundum
uniuerfi natu rā; &quod peccatum fit alienum :præ terea omnia ita ut nuncfiunt,
femper fa eta effe , & futura,núcý fieri ubiq :item quæ homini fit cũ
uniuerſo genere ho minú coniunctio:nó ea ſanguinis autſe minis,fed mentis
communicatio. Obli tus es etiam mentem uniuſcuiuſg eflc Deum et inde fluxiſſe:
nihil cuiĝpro prium effe, ſed illinc & fætum , &cor puſculú & ipſam
animulā ueniſſe.Obli t'es oía uerſariin opinione, gid tm qd
præſenseít,unuſquitg uiuit, & amittit. Crebrò apud animú tuú recole cose
certis de rebus nimium sunt indignati, qui maxima gloria,calamitate, inimicitia,
aliáue quacüq fortuna effloruerút. Deinde quære, ubi nam sintista. Nempe fumus
sunt, & cinis et fermo. Aut ne hoc ipsum quidem. Simulad mentem tibi
accidat, qualia Gntomnia. Ut Fabius Cattullinus rure, Lucius Lupus in hor tis
obijt, Stertinius Baijs, Tiberius Caprei, Velius Rufus Et omnino opinionis
cauſa diſcrimě inrebus indifferentibus ftatutum.Tum quàm uile fit omne quod
reliſtit. Item quanto magis fit philofophięconfenta neum , in data materia
tueri iuftitiam , modeſtia ,ac fimpliciterdijs obſequi.Fa ftus enim qui
ſuperbiæ uacuitatem o ſtentando exercetur , omnium eſt gravissimus. Qui quærit
cur Deos colas, quomo do eos uideris, aut elle deprehenderis, ei reſpondebis,
primùm efle cos uigles: deinde absqz hocſit, tamen animam me am cum non uideam
,nihilominusma gnifacio:ita Deosquoq ex uiribus co rum quas identidem percipio
,cùm eſſe intelligo,tum ueneror. In cò ſita eſt uitæ falus, ut fingulas res
totas intuea ris, quid in iis formæ sit, quid materiæ: toto ało ageut iufta
agas et vera dicas: Quid enim superest, q ut fruaris uita bo nis bona
annectédo,ita ut minimú ſpa cium intermittas. Vnú eftlumenſolis, ét
fiintercipiaturparietibus, muris,alijs innumeris rebus. Vnaeſt communis na
tura,etſi certo modo affectis corporib. infinitis diſtincta.Vna anima, et si
naturis in numeris,proprijs circúſcriptio nibus diſtributa uideatur. Una
étmens, etsi discreta uideat.Reliquæ proinde di ctorum partes,tanquam ſpiritus
& ſub iecta inſenſata, & inuicé nihilcóiunctio nis habentia, tamen ipfa
quoqà mente & eius potentia continentur.Atpecu liariter intellectuseiuſdem
generis ad iungit ſe naturis, neo a societate divellitur. Quid quæris? Ut vivas?
Id est sentire,appetere,creſcere,deſinere, loqui, cogitare. Quid horú
deſideratu dignu eft? Quod Guilia sunt oia hæc,ad extrc mú te cófer, népe ut
fequaris rationem &Deú ducem. Sed utrum huic instituto pugnat, ægrè ferre
aliquid , an uerò morsid abolet? Quanta pars immenſi infiniti ę ui attributa
eſt unicuiq? celeriterea in æternitate euaneſcit. Quanta pars universi? Quantas
est univers? quantula in glebula terræ repis? Hæc omnia tecum cogitans, nihil
animo magnum conci pe, hoc tantum , ut ductu naturæ agas, &feras quæ
communis fert natura. Id cura, quomodomens tua ſeipſa utatur. In hocenim ſunt
omnia. Cætera fine à uoluntate dependeant,quc ſccus, mor tua ſunt, fumus. Id
maximè ad contemptum mortis facit, phi ét ,qui dolore in malis, &uo luptaté
in bonis duxerüt, tamen ea dei fpexerunt. Quiid tantùmboninom nc dignatur, quod
eft opportunum , ac cui perinde eſt pluresne an pauciores fecundum rectam
rationem præftiterit actiones,negin aliquo ponit diſcrimi ne,lógioréné an
brcuiori tempore mű dum contempletur, ei mors nequaqua eſt terrori. Heustu
,ciuisfuiſtiin hac ma gna urbe, adattinet,utrú quinquénio? Etenim quod secundum
leges, id omni bus est æquum. Quid ergo grave accidit, si te urbe emittit
dominus. Non is quidem iniustus iudex, sed natura quæ te introduxit; perinde ac
fi prætorhi ſtrionem emitrate theatro, in quod cum introduxerit. Quod fi is
dicat, fenon quinque, sed tres modo actus recital fe, recte dicet. Atvero in vita
tres actus fabulam implet. Finem enim is determinat, qui et concretionis olim
fuit et nunc est dissolutionis autor. Tuneutrius es causa. Discedeigitur æquo
animo. Nam. &is qui te dimittit, propicius tibi est. Riconosco da
Vero, mio avolo, la piacevolezza de’ costumi e'l non adirarmi. Dalla
riputazione e ricordanza di mio padre una modestia virile. Dalla madre la pietà
verso gl'iddii, la prontezza nel donare ed il contenerini non solo dall'on prar
male, ma dal fermarmi cicziandio col pensiero. Ancora la semplicità nelle
vivande é l'esser lontano dal vivere dovizioso. Appresi dal bisavolo di non
frequentare le pubbliche ragunanze e di valermi in casa di buoni maestri, col
conoscere che in questo è di mestiere lo spendere senza risparmio. Dall'Aio di
non parteggiare ne co' prasiani, ne co' veneziani, ne co' palmulari, ne con gli
scutari. Ditrava gliar volontieri, d'abbisognar di poco, d'operare da me
medesimo, ne di troppo infaccendarmi, e difficilmente ammetter le calunnie. Da
DIOGNETO di non perdermi in cose vane e non prestar fede a ciò, chei
prestigiatori e gli stregoni dell'inicantare e discacciare le demonia e di
altre cose tali si vantano. Di non nutricare coturnici, ne perdersi circa si
fatti trattenimenti. Di sopportare l'altrui libertà del parlare, D'ESSERMI
FATTO DOMESTICA LA FILOSOFIA, l'haver udito primieramente. Bacchio, appresso
Tandaſide, Marciano. L'haver composto nell'era puerile dialoghi e di
contentarmi di uni letticciuolo, e di pelle e di tutti altre cose alla greca.
Da Rustico di formar in me concetto che i miei costumi habbiano bisogno di
correzione, e di coltura. E di non divertirmi all'imitazione de' sofisti. E di
non comporre sopra MATERIE SPECULATIVE e di distendere orazioncine efore
tative, overo con altrui stupore ostentare di esser huoino di A 2 vita rigorosa
e benefico. Di lasciarla Rettorica, la Poetica e l'elegante parlare. E no andar
con l'abito solenne per casa ed usar si fatte cose. E discriver letteruzze
semplicemente, come da lui medesimo fu scritto da Sinoefla a mia madre. Di
rendermi senza indugio reconciliabile . có quelli, che danno qualche diſguſtoso
commettono qual che errore, ſubito ch'e'volef . ſero ritornare al buono: Nel la
lettura non contentarmi di paſſarla ſuperficialmente , ma con accuratezza : Di
non effer inconſiderato in dar 1 aſſenſo a ciarle , e che leg geſli i Commentarij
d'Epit teto , prouedendomid'vne. ſemplare di quelli , ch'egli teneua in caſa.
Da Apollonio , il proce der con franchezza , c con vna ferma coſtanza ſenza va
cillare , e non rimirare ad al ître por grande che foſſe, che alla ragione ; e
l'eſſer ſempre il medeſimo ne' dolori più a cerbi, nella perdita della pro le ,
e nelle lunghe malattie . Dal viuo eſemplo di lui rico nobbi che può l'huomo
eſſer fiſo , e inficmemente rimer ſo . Era egli non tedioſo nello fpiegare;e
ſcorgeuafi vn huo. mio, che riputaua ben chiara mente l'infima delle ſue doti
la pratica , e ſpedita maniera dello ſpiegare i Theoremi . Da lui ancora
imparai come biſogni riceuer dagli amici le grazie , ſenza rimanerne perciò
oppreffo,nemeno co me inſenſato ſprezzarle. Da Seſtola piaceuolezza el'eſempio
d'vna.caſa guida ta con carità: Il proponimen to di viuere fecondo natura: Vna
grauità ſenz'affettazio ne:L'inueſtigare attentamen te il guſto degli amici: Il
tollerare gl'idioti, e quelli, che opinano ſenza conſiderazio ne:L'effer con tutti
confacce uole, ficchè la sua conversazione aggradiua aſſai più di qualſivoglia
anche luſinghe uole adulazione; ed era in quello ſteſſo tempo ſomma mente
riyeriro da quelli , che feco erano: E di più yna ap prenſiua nell'inuentare,e
diſ porre con buon ordine le maffime neceſſarie al viuere . Non moſtraua mai
alcun fe gno ne dira,ne d'altro affetto maera aſfai lontano da tutte le
passioni; ed inſieme eglice lebraua, e lodaua gli altri, ma ſenza ecceſſo ; ed
era di gran sapere senza ostentazione. Da Aleſſandro Gramatico, il non
ilgridare, ne riprén dere ingiurioſamente , ſe al cuno cometteſſe Barbariſmo, o
Solleciſmo, o altro,chenon bene fonaua ; ma con bella maniera ſuggerire quel
tanto appunto , che ſi douea dire , apportandolo per cagione di riſpoſta , di confermamento
, o di conſiderazione ſopra la coſa ſteſſa, non ſopra la paro la, o con
qualch'altro manie roſo , e coperto auuertimento , 9 Da Frontone imparai qual
ſia il tirannico liuore, la frode, e la doppiezza;e come tutti quelli chiamati
da noi Patrizi ſieno in certa manie . m A 4 ra disamorati. Da Aleſſandro il
Plato nico ,non iſpeſſo, ne ſenza ne ceflità il dire , o fcriuere ad alcuno di
non hauer punto di reſpiro; e per tal modo ſpeſſo eſentarſi dalle conuenienze
che per l'affetto ſono douute a quelli, che con noi viuono ſotto preteſto , che
li negozi ciaſſediano. Da CATULO di non havere in poca stima le querele de gli
amicisancorchè foffero ir ragioneuoli ; maprocurare di ritornarli nel solito
stato ; CO , sì ancora di celebrar di cuo re li precettori;le quali coſe fi
rammentano di Domizio, e di Athenodoto : Finalmente di amare con vero affetto i
figli uoli. Dal mio fratello Vero l'affezione verso i domeſtici ; l'amor della
verità e della giuſtizia . E per fuo mezzo hebbi notizia di Traſca,Elui dio, Catone,
Dione, e Bruto ; c mi formai nell'immagina zione vn reggimento di Re pubblica ,
con leggi eguali a ciaſcuno , e di vn Regno, che antepone ſopra tutte le coſe
la libertà de' ſudditi . Dal medeſimo appreſi la negli genza difeſteiro, e la
coſtan za nel pregiar la Filoſofia , anteponcndola a ciaſcun'al tra coſa; e la
beneficenza , e la liberalità , non mai intermef fa : Lo ſperar ſemprebene, e
la aſicurarmi di eſſer amato da gli amici . Non taceua , la fciando di fare la
correzione a coloro , che conoſceua la meritaffero , ſicchè a quelli , A 5 che
gli crano caduti di gra zia non lo teneua celato . E non biſognaua alli ſuoi
ami ci conghietturare intorno a quello , ch'eglivoleua, o non voleua , ma la di
lui volontà era apertamente paleſe . 13 Fu eſortazione di Malli mo eſſer padron
di ſe ſteſſo ; non laſciarſi aggirare in coſa alcuna , ed eſſer di buon ani mo
in tutti gli altri accidenti, ancora nelle malattie. Esser ben aggiuſtato ne'
coſtumi, foane e onoreuole e ſenza querimonia efecutore delle coſe propoſteli.
E che tutti credeſſero ,ch'e'parlaſſe come fentiua ; e che nel fare in nul la
male operaffe. Di niente ſi marauigliaua terriua: in niuna coſa era fret
toloſo, o tardo, o perplesso , i ne s'at accdioso o si faceva befe fe , o vero
era collerico , o ſoſpettoſo ; ma benefi co, e indulgente, e verace; e pareua
ch'e'foſſe piùtoſtoret to per natura, che corretto periſtudio.Ne giammai alcu.
no fi teneua da luidiſprezza to , ne manco preſumeua di ftimarſi di lui
migliore , e ſe fu faceto fu con modo. Appresi dal Padre la manſuetudine e la
stabilità nelle cofe già con eſamina mento deliberare: Dinon ef fer
vanaglorioſo negli ono ri di apparenza ; maamatore della fatica, operando di
con tinuo: É di eſſer pronto ad v dir quelli , che hanno da fuggerir coſe per vtile
comu ne: Iin mutabile in dare a cia ſcuno quello , che ſecondo il A 6 proprio
merito gli era douu to; ed eſſer diſcreto ad vſar il rigore,come la
moderazione, doue biſognaffe.Non era egli diſtratto con l'affetto: verſo dc
giouani, ma al pubblico totalmente intento. Non merteua gli amici in neceſſità
che feco cenaffero ; ne biſo gnaua che lontano peregri nafiero per lui; però lo
troua uano l'iſteſſo quelli , che per qualchenccefſità erano rima Ai indietro :
Era ricercatore ne'conſigli eſquiſito ,e fermo. Non s'attaccaua ad ogni ſuf
ficicntc indagazione delle opinioni che gli occorreua no. Attento era a
conferuarſi gli amici ; de quali mai non fi attediaua , ne pazzamente amavali :
E fi contentaua d ? ogni coſa con volto ſerenoa . L’antiuedendo , e preordinando
di lontano , eziandio le coſe minime ſenza ſtrepito . Non voleua ſentirſi
d'attorno ne acclamazioni, ne adulazioni. Tenendo in buona guardia le cose
necessarie al principato, era ſempre prouueduto di ciò che a quello faceua
meſtiere, ſopportandocon pazienza ſe diqueſti, e ſimili rigori ve niſlé
tacciato. Non era ſuper ftizioſo circa gl'Iddij , ne quanto agli huomini troppo
popolare,cattando l'aura del la plebe; ma in tutto attento, e ſodo , non
dimenticando mai il conueneuole. E quelle coſe che conferiſcono in qualche modo
agli agi della vita delle quali la fortuna gli tera ſtata liberale ;vfaua ad vn
' ora ſenza faſto , e iſchiettezza , dimodo ch'egli godeua indifferentemête del
le preſenti , non bramando ciò chenon haueua . Non vi fu alcuno ; che diceſſe
di lui che fosse Sofista, o Caſalingo o pedante ; mavn perſonag gio
maturo,perfetto ,ſuperio . re alle adulazioni , capace a gouernar ſe ſteſſo e
gli altri ; ed oltre ciò onoraua quelli , che veramente eranoFiloſofi; tuttauia
non dileggiava gli altri.Era di più nelle conuer fazioni huomo compagncuo le,
egrazioſo, peròfenza te dio.Del proprio corpo tene ua cura quanto conueniua ,
non come huomo del tutto dedito a prolungare la vita , o per fare il bello ,
però ne meno con traſcuraggine , ma in maniera tale, che col propio riguardo
aſſai rade vol. te haueſſe biſogno di medi camenti , o al di fuori epitçi
marſi. E ſpezialmente cedeua ſenza inuidia a que’tali, ch'e rano dotati di
qualche facul tà , come a dire , o di ben lare , o dinotizia per via d'if toria,
foſſe di leggi, o foſſe di coſtumi, o di altre fi fatte co ſe; anzi ſtudiauaſi
che ciaſcu ņo ſecondo il proprio talen to acquiſtaſſe nome , e credia to . E
facendo ogni coſa ſe condo gl'inſtituti de'maggio . ri,non perciò veniua ad
appa fire rigido guardatore dell' antichità, non efſendo amico di muouerſi
leggiermente , ſuariare,ma di diinorare ſem pre ne'medeſimi luoghi, ed affari .
E dopo i paroliſmidem dolori di teſta tornania ſubito freſco , e vigoroſo alle
ſue ſoli te operazioni.Egli non hauea ua di molti arcani , ma po chiſſimi ,
molto radi, e queſti ſolamente circa gli affari del comune . Andaua con pru
denza , e miſura nel conce dere gli ſpettacoli, nelle fab briche pubbliche, e
congia rij , e ſimili opere , fi come colui, che riguardava a quel to , che
conueniuà di fare e non alla gloria , che dal te coſe fatte ne era per ri
fultare : Non vſaua bagni fuor di tempo ,non era vago di edificarc, non
inuentore di viuande, ne di teſſiture, etine ture di drappi, ne ambizio fo di
ſeruirù di bella preſen za . A Lorio ýſaua la tonica cheſe gli prouuedcua dalla
balla villa , e così sſana ordinariamente per Lanuuio : ma nel Tuſculano per
ſoprauue fta yn tabarro ; e di tal licen za ne faceua come ſcuſa . Era inſomma
tale il ſuo tenor di viuere, non diſguſteuolc, non iinmodefto , non eccedente
nelle ſue azioni , ne comeſi dice in prouerbio , Infino al ſudore ; ma tutte le
coſe fue ſi annouerauano così ben dif poſte , come ſe foſſero fatte a bellagio
, placidamente, or dinatamente, con ogni vigo re , e conſonanza fra diloro .
Onde a propoſito di lui ſi po teua dire , ciò che di Socrate ſi racconta
ch'egli poteua aſtenerſi, e goderſi di quelle coſe, delle quali molti, e ncll?
aftenerſi s' indeboliſcono , e nel goderle ſi moſtrano in temperanti. Ma l'eſfer
padro 3 nic di ſe , e lo ſtar ſaldo , e ſo brio nell'vno , e nell'altro , è da
huomo , che ha l'animo ben aggiuſtato , ed inuitto , come ſi vide nella
malattia di Maſſimo. Dagl'Iddij riconoſco l'haucr hauuto buoni auoli, buoni
genitori , buona ſorel la , buoniprecettori, buoni dimeſtici , parenti, amici ,
e quaſi ogni coſa buona : che, niun di loro inconfiderata mente io offendeſfi ,
benchè con tal natural diſpoſizione', che ſe foſſe venuto il caſo , io vi farei
traboccato . Tuttauia per grazia degl'Iddij non ſe gui tal combinamento di co
le , che ſi diſcopriſſe queſta mia inclinazione: E che io no foſſi più lunga
mente alleua to appreſſo la concubiņa di mio auolo , come dell'hauer conferuata
immacolata la mia pubertà; e che io non mi riſentiſsi d'eſſer in età virile
prima del tempo, anzi in ol tre d'hauer indugiato dopo che io peruenni a
quell'età : L'effereſtato ſoggetto ad vn Principe padre , il quale era per
farmi por giù ogni altcri gia, e per farmi appréderc che ſi può viuere in Corte
ſenza che ſieno necaffarie le guardie , le veſti ſegnalate , le cerimonie delle
fiaccole, e delle ſtatue, o altro ſimile ap parato ; ma che ſia lecito il
trattarſi sù l'andare di priua to,ne quindi auuilirſi , o de primerli per far
quello , che conuiene ad vn Principe in riguardo del pubblico go uerno · Ancora
d ' efformi tocco in forte vn fratello tae le , che poteua co’ſuoi coſtu. mi
eccitare in me vn eſatta cura di me ſteſſo , mentre in- : fieme con l'onore , e
con l'a more mi ricreaua : D'hauer hauuto figliuoli d'indole non tralignante,
ne di corpicciyo lo mal fatti: Che io non fa ceſſi maggiori progreſſi nella
Rettorica , e nella Poctica, o in fi fatti ſtudij , ne'quali for fe mi ſarei
troppo ſuagato, ſe mi fofſi auuiſto che in quelli felicemente m' auanzaua : Che
io preueniſſi di colloca re nelle dignità i miei edu catori , concioffiecoſa
che mi pareua eli lo defiaſſero , non nutrendoli di ſperan za , come che
cffendo ano cora giouani poteſſero al pettare quello che poſcia io era per fare
: Parimente d'ha uer io conoſciuto Apollonio, Ruſtico , e Maſsimo : Che ſo
uente , e chiaramente mi li presétaſse nell'immaginazio nc la forma della vita
c011 ueniente alla natura . Onde', per quanto appartiene agli Iddij per le
ammonizioni,as ) iuti, ed iſpirazioni da eſsi co partitemi, non vi è ſtata coſa
, che mi tolga il viuere rego lato alla natura , o che'l man camento non
proceda al tronde , che permia colpa, e per non offeruare io gli au uertimenti,
de'quali fui da lo ro come addottrinato : Che: il corpo mio fia durato nella
ſorte divita , che io ho menato: Di non mieſſer non ſolo accoſtato ne a Benedet
ta , ne a Theodoto ; mache ancora dopo dalle paffioni ' amore ho conferuato la
men te fana : Che ſpeffe volte tro uandomi adirato con Ruſtico io no fia
traſcorſo tantoltre , che me ne habbia hauuto a pétire:E che giacchè mia ma dre
era per morir giouane, io viuuto ſia cô eſſa inſieme ne glivltimi anni
ſuoi.Ogni vol ta che io habbia voluto fou uenire il pouero ,o qualunque altro
biſognoſo, non vdij mai che i denari , co’quali poteffi ciò fare mi mancaffero
; ne mai accadde tal’vrgenza, che io da altri gli accattaffı. D’ hauer
conuerfato con vna moglie tanto riuerente , tan .. to amoroſa, e tanto ſchietta
: Che ho haluto buona forte negli educatori per li figliuo li: Che in
ſognomifieno ſtati fuggeriti molti rimedij, prin cipalmente quello allo ſputo
del fangue, e quello alla ver tigine; di ciò hebbi la grazia in Gaeta ed anco
in Chre fa: Che, eſſendomi io dato al l'acquiſto della Filoſofia, non
m'abbattei in qualcheSofiſta; ne conſumai il tépo in iſqua dernare ſcartafacci,
ne in or dire , e ſoluere fillogiſini ; ne mi ſmarrij tra le quiſtioni
meteorologiche . Queſte co fe tutte riconoſco dall'aiuto degl'Iddij, e dalla
loro for tuna ; dimorando io nel pacſe de' Quadi preſſo il fiu me Granua. Di bel
mattino ho così da predire a me ſteſſo: E’faci le che io m'incontri in tale ,
che ſia o importuno , o diſ grazioſo, o proteruo, o malizioso o invidioso , o
nemico di ogni comunanza . Tutti queſti difetti prouennero in eſsi
dall'ignoranza del bene', e del malc ; ma hauendo io notizia della natura del
be ne, che è l'eſfer'oneſto ; e del male, che porta al no oneſto ; ed eſſendomi
inſiememente nota la natura di chi nel male pecca , poſciachè egliè a me ,
cõgiunto no tanto per la ſimi. gliáza del ſangue, e della ge nerazione, quanto
per la mé te , la quale è comeporzione, della diuinità , ne ho da trar re
conſeguenza ,che non pof lo rimaner leſo da alcuno de detti
difettuoſi;concioffiecofa che niuno mi auuilupperà cô le ſue ſconueneuolezze; e
non ho da ſdegnarmi con chi è a me congiunto neodiarlo , im perocchè ſiamo
fatti a fin di cooperare, come li piedi , le mani, le palpebre, e de i den
til'ordine di ſopra con quel di ſotto . Il contrariarſi dun que l’yno all'altro
è contro all'iſteſſa natura , e l'adirarſi , e lodiarſi è vn contrapporſi. Tutto
quell'eſſer mio ſi ri ſolue ad vn pezzo di carnuc cia , ad vno ſpiritello , ed
al la parte ſuperiore , ch'è la mente.Laſcia da parte i libri, ne coſa alcuna
ti diſtragga . Ciò non t'è permeſſo: ma co me sul'orlo della morte ſprez za
quella carnuccia, che con ſiſte in ſanguuccio, oſſetti, ed in vna teflitura
tramata di nerui, venette , ed arterie . Conſidera ancora che ſia lo ſpirito ?
aura che mai non ri mane ľifteffa ; ma ognora B fuori ſi ſpira , e reſpirando
di nuouo li attrae.La detta terza parte dunque di noi è quella, che ci gouerna
, circa della quale così hai da diſcorrere , Se' vecchio non hai da com portare
che queſta più viua in servaggio. E che ſia più per violenza ſtraſcinata dall'
im peto , ch'è alieno dall'huma na comunicazione ; e che non fi prenda più
faſtidio di quello, che cagioni il fato al preſente, o in auuenire . L ' opere
degl'Iddij tutte fon ri piene di prouidenza; e quelle della fortuna non ſono
ſenza concorfo della natura , o del la coordinazione , ed intrec ciamento delle
coſe guidate dalla prouidenza. Quindi tut to ſcaturiſce. Aggiugni anco ra, che
così èneceffario , conferendo all' vniuerfo Mondo, del quale tu se porzione e
ad ogni parte della natura è buo no quello che porta la comu ne natura ; e ciò
che s'affà al la di lei conferuazione - Però con feruano il Mondo così le
mutazioni degli elementi,co . me quelle de compoſti. Que Ite coſe a te ſieno
ſufficienti , e perpetui decreti . Caccia ľ auidità de'libri per non mori re
fufurrando , ma con vera placidezza , ringraziando di tutto cuoregl'Idddij . Ammcntati
da quan to tempo in quà se? andato differendo queſte co ſe; e quante volte de
termini, a te aſſegnati da gl'Iddij , non ti ſe’valuto.Biſogna vnavolta che tu
riconoſca di qualMon do ſij parte ; e da qual Rettor del Mondo deriui : E come
ti è ſtato circonſcritto yn termi ne di tempo , il quale, ſe tu ben non te ne
varrai per tran quillarti , trapaſſerà, e tu con esso, leſſo;ne ritornerà più .
2 Sta totalmente, e in ogni tempo intento, come conuie ne ad yn Romano d'animo
forte , e maſchio , ad ele guire quello , che hai tra ma no , con attenta , e
non affet tata grauità , con humanità con libertà, con giuſtizia, con dar poſa
a te ſteſſo, rimo uendo ogni altra immagina zione ; E allora la rimouerai ,
quando facendo qualche a zione riputerai eſer l'vltima della tua vita , lontana
però da ogni temerità , e da ogni appaſſionata auuerſione alla retta ragione ,
dalla diſſimu lazione e dall'amor di te ſteſ ſo , e da qualſiuoglia diſpia
cenza alle coſe a te per fatali tà congiunte . Tu vedi quan te poche ſiento
quelle coſe , le quali poffedendo , potrà vno viuere felice , e diuina vita ;
poſciachè gl'Iddij niente di più domanderanno a colui , che queſte tali coſe
oſſerua 3. Rimprouera, o anima,rim , prouera a te ſteſſa , come t'è ſcorſo il
tempo per propria mente honorarti, eſſendo che la vita comunemente ſe'n fugge
;ela tua è già quaſi su I'vltimo, riponendo la tua fe licità nell'opinione
degli ani mialtrui . 4 Perchè fe diſtratto dagli ac . cidenti ch'eſtrinſecamente
di foprauuengono? Proccura del l'ozio a te ſteſſo , per appren dere qualche
bene ; e ceſſa da aggirar la mente. Inoltre hai da guardarti da vn'altro ſua .
ria mento : Imperocchè alcu , ni quaſi delirano con le loro aziani : cioè
quelli , che tra uagliano aſſai nella vita , ne hanno fine certo , doue indi
rizzino ogni inclinazione , e tutta quanta la loro imma ginazione . $ Non fi
vedrà facilmente alcuno eſſer infelice , perchè non comprende quel, che ſe gua
negli animi altrui: ma è Forza cheinfelici fieno quelli che non offeruano i moui
menti del proprio animo. Egli èmeſtiere che ti ri cordi fempre delle coſe ſe
guenti: Qual fia la natura de principij vniuerfali, e quale la propria ; ecome
ſi riferiſca quefta a quella , equal parte ellaſia, e di qual vniuerfo : E
cheniitno impediſce , che tu del continuo non facci, e non dichile cofe
congruealla na B · til tura , della quale tu ſe'parte. Filosoficamente diſcor
re Theofraſto intorno al far comparazione de'peccati , fe condo che più
comunemente fi vſa tal paragonc , afferendo efſer più graui quelli ,che per la
concupiſcibile fi commer tono , di quelli, che per l'ira fcibile . Imperocchè
l'adirato con qualche dolore, e occulto raggricchiamento dell'animo pare che ſi
diſcoſti dalla ra gione; doue quegli, che pec ca per la concupiſcenza , vin to
dal piacere , dimoſtra che in certo modo più da intem perante ,e più da
effeminato fdruccioli nel peccato. Retta mente dunque, e da filoſofo proferì,
maggior colpa incora rere chi pecca con piacere , che qucgli, che pecca con dia
ſpiacere : E in ſoinma l’ynos" aſſomiglia più a colui che per innanzi
habbia ricevuto qual che ingiuria , e che, forzato dal dolore, entra in
collera;l altro ſpontaneamente fi muor ue all'operare ingiuſtamente , portato a
ciò fare dalla con cupiſcibile. 8 In tal modo hai da con durre P opere , ei
penſieri , come tu foſſi in punto per vſcir di vita . Ne il dipartirti dagli
huomini ti ha dapeſa re; poſciachè, eſſendoci gl'I & dij , quefti non
poſſono mai indurre al male;fe poi gl'Iddij non ci foſſero , o nonhaueffen ro
alcun penſiero delle coſe humane , che mi giouerà di viuere in yn Mondo manche
: uole degl'Iddij , e doue mans chi la prouidenza ?Ma e gl'Id BS dij cifono ,
ea cura loro ſono le coſe humane; e acciocchè lº huomo non cadetle in quello
che veramente è male , il tut to ripoſero nel ſuo volere . Nell'altre coſe , ſe
vi fofle del male , haurebbero pure in torno a queſto prouueduto , a cagione
che niuno mai vi pericolaffe. E in vero quello che non può render la perfo na
peggiore , come potrà far peggiorela vita ſua ?La natura dell' vniuerfo ne
ignorante mente , ne ſcientemente , ma per non poterle preferuare,ne
taddirizzare le haurà trafcura te Ella certamente non com miſe sì enormepeccato
, oper mancanza del potere , odel fapere, che i beni, eimali ac cadano
vgualmente , e indif ferentemente agli huomini buoni, e a imaluagi ;giacche la
morte e fæ vita la gloria e'l disonore , il trauaglio e I pia cere la ricchezza
e la pouertà ; e così fatte coſe auuengono vgualmente agli huomini si buoni ,
si cattiui, non hauen do elleno in ſe nedell'oneſto ne del difoneſto; dunque
non portano feca ne bene , ne male O come il tutto ben pre fto
ſuamiſce!NelMondo i pro prij corpi , e dopo anche col tempo le memorie di effi
fi dileguano . Di tal condizio ne fonotutte le coſe ſenſibilis e ſingolarmente
quelle, che adefcano col piacere', o che atterriſcono col tranaglio , o per lo
faſto ſono applætrdite , quanto fonovili,diſpregevo Li, fordide , e facili acorrom
B 6 perſi,e già boccheggianti ? 10 Tocca alla facultà intel lettuale
l'auuertire , che coſa fieno quelli, nelle opinioni, e voci de'quali fi
conftituiſce la gloria : Che coſa ſia il morire; il quale, fe alcuno il contem
pla per ſe ſteſio ſolamente ; e conla diſgiunzione della con : fiderazione ne ſepari
tutte l? immaginazioni, che con effo vengono rappreſentate, com prenderà non
eſſer altro , che yn opera di natura : Onde da fanciulletto è l'atterrirſi ad
vi opera della natura ; e pure il morire non ſolo è opera + zione della natura
, ma molto a quella conferente: Come s? vniſce l'huomo a Dio ; e con qual parte
di ſe , e con qua ! maniera ancora tal particella dell'huomo all' ora è affetta
e diſpoſta. II Niuno è più miſerabile di
colui che s'aggira per tut to a rintracciare ogni coſa, e Va razzolando
comecolui dice fin nelle viſcere della terra ; e an cora va cercando per con
ghietture quello , ch'è negli animi altrui, non accorgen doſi che gli ſarebbe a
baſtan za di paſſarfela bene col ſuo genio , e riuerentemente ſe condarlo ,
eſſendo dentro di lui . Queſta offeruanza però conſiſte nel preferuarlo puro
dalle paſſioni, dall'eſſerarro gante, dalli diſguſti,che ſi pi gliano per
quello che venga da gl'Iddij, o dagli huominis concioſliecoſa checiò, che vi:
ene dagľ Iddij per la virtù s ? ha da venerare;quello cheda: gli huomini, s’ha
da amare per la congiunzione della natura: anzi alle volte in yn certo mar do
fono degni di compaſſione , per non conofcere il bene , e il male; ne queſta
ignoranza è minore dell? offüfcazione di poter diſcernere il bianco dal nero. Eziandio
che tre mila anni ti rimaneffero a viuere e di più altrettante decine di
migliaia' , nondimeno ricor dati che niuno perde altra vita, che quella ,
cħeviue', ne altraviue;che quella cheper . de .. Al medeſimo dunque fi riduce
così la vita funghiffima, comela breuiffima . Perchè quello , ch'è preſente , a
tutti & vguafe,benchè quello , ch'è perduto, a tuttinon è va guale ; ecosì
quello, che & perde , pare chefiavn attimo folo. Imperocchène il paffatoy, neil
futuro da niuno ſi perde; concioſliecofa che quelloche non ſi ha , come può
eſſere tolto da veruno? Però dique ſte due coſe è da ricordarſi : l'vna, che
dall'eternită tutte le cofe fono ſtate ſimili , vol. tandoſi in giro , e non
v'è niu na differenza, ſe per cento , o per dugento anni, o pure per tempo
indeterminato vedrai le medefime coſe : La ſecon da è, che colui, che lunghiſſi
mamente ville, come quegli , che preſtiſfimo muore, refta no pareggiati nella
perdita , mentre non vengono a rima ner priui, chedelpreſente , il quale ſolo
hanno, eciò, che non fiha, non ſi perde. Ogni coſa ſta nell'opia nione, il che
appariſce mani feſto dalli diſcorſi con Monimo Cinico . E chiaro farà l've tile
di queſti diſcorſi, ſe da quelli ſe ne coglierà il midol lo della verità. Oltraggia
ſe ſteſſa l'ani ma dell'huomo:Primieramen te allora che, quanto è per 0 pera
fua , diuenta yn’apofte ma , o ghianduccia delmon do;mentre che chiunque mal
volentieri prende quello , che il tempo porta , è vn ' diſtacs camento della
natura, in par te della quale le nature di cia . fchedun degli altri ficonten
gono:Secondariamente ,quan. do ſi ha auuerſione a qualche huomo , o ſe gli
opponeper danneggiarlo , come fanno que', che ſi adirano : Nel ter żo luogo
tratta male fe me deſimaallora , che ſi arrende al piacere , o al dolore : Nel
quarto, oue diſſimulando fina tamente,e ſenza verità, qual che coſa fa , o
dice: Nel quin to , quando non indirizza l' azioni fue , eiſuoi moti à niun
ſegno; ma opera a cafo , e ſenza congruenza ; effendo neceſſario che ancora le
coſe minutiſſime habbiano rela zione al lor fine. Ora il fine degli animali
ragioneuoli è di ſeguire la ragione, e la leg ge della Città , e dell'anti
chiſſimo gouerno. Il tempo dell' humana vita è vn punto : la ſoſtanza
fluſſibile : il ſenſo caliginoſo: e la coagulazione di tutto il corpo facile a
putrefarſi:lani moyn continuo rigiro: la for tuna difficile a conghietturarm
fi: la fama vna incertezza E per recare
le inolte parole in vna : tutte le coſe corporali vna corrente, quelle dell'ani
ma vn ſogno , e vn fuina d'ac qua: la vita yna guerra , e vor pellegrinaggio di
vn viandan . te : e la famapoftuma farà di menticanza . Checofà è dun que , che
pofſa fare durare 1 huomo Una sola la
Filosofia ; e queſta conſiſte nel con feruare l'interno genio inno cente e
ſenza taccia ,ſuperio re a ' piaceri , e a ' dolori; che niente operi
temerariamente , ne con bugiane con finzione: e che non habbia biſogno , che
altri faccia , o non faccia . In oltre , che ben ricetia ciò , che auuieneso
impoſto gli ſias come di là tutto auuenga , donde egli medeſimo è ve nuto; e
ſopra tutto cheaſpetti la morte con animno ſërena , non : nonla confiderando ,
che co mevn diſcioglimento degli clementi, de'quali qualſiuo glia animale fi
compone. E ſe agl'iſteſſi elementinon è ma. lala mutazione continua ,che ſi fa
di ciaſcuno di eſli in vn altro , per qual ragione hafli a temere la mutazione,
e il di fcioglimento di tutti inſie me , giacchè è conforme al la natura e niente
è male , eſſendo conforme ad effa ? Fin qui a Carnuto. Ccoveredt gde jeunesse
eos POS. Non è ſolamente da confiderare che la vitaſi va di giorno in giorno
conſumando ; e che di eſſa ne rimanc il meno ; ma quel lo ancora fi vuole andar
ri penſando , che quantunque yno viueffe eziandio d'au uantaggio , pur reſta
quegli incerto ſe ſia per durargli la mente habile alla buona in telligenza
degli affari , e di quella ſpeculazione , che ri chiede nel trattare le coſe
humane , e diuine: Imperoc „chè fe comincierà perauuen . zura l'huomo a
delirare , non perciò gli mancheran forze , ne il reſpiro , ne la facultà del
nudrirſi, ne l'immaginatiua , ne gli appetiti ,ne ſimili altre potenzc; ma
s’eſtinguerà ben ſi affatto in lui quella del po terſi di ſe ſteſſo valere , e
di perfettamente adempiere le parti del ſuo miniſtero, e di chiaramente
ſpiegare i con cetti dell'animo , e di confi derare altrui , fe tal volta debba
a ſe medeſimo dare la morte ; e tutti finalmente quci ſimiglianti affari, i
quali per ben riſoluere richiedel vn perfetto , e raffinato di ſcorſo.E'dunque
da non iſtar fone a bada , non ſolo perchè la morte ſempre più s'appref ſa , ma
perchè in oltre il ra ziocinio , e l ' intelletto noi fpeffe volte abbandonano
innanzi alla morte. E'ancora da oſſeruare,che tuttociò, che alle coſe già dal
la natura prodotte ſoprattuie ne , aggiugne loro yn certo che di bellezza , edi
grazia ; comeper eſemplo, quando il pane ſi cuioce , infrangonfi, e in varie
guiſe apronfi four? eſſo alcune particelle di cro ſta , che fuor della creden,
za , ed arte del fornaio co sì ſcrepolate con particolar compiacimento muouono
P appetito. Così a i fichi, quan dogià ben maturi rompeſi la camicia ; e
allylive ſtagiona te , mentre principiano a pu trefarſi , fi viene ad accreſcere
in tal particolare alletta mento: le ſpighe , che per lo pelo s' inchinano , il
ſopraci glio del Lione, la baua, chc1 Cignale ſchiumando getta dal grifo , e
altre coſe , delle quali , ſe ciaſcuna riguardaſi da per fe , appariſce lontana
da ogni bellczza ,per lo effe re all'opere della natura con giunte, recano a
queſte orna mento , e agli animi deri guardanti diletto ; Ondechi ha l'affetto
e la conſiderazio ne intenta intorno a ciò, che vien prodotto nell' vniuerſo ,
quafi niente troverà anco nel le cofe, che a quelle addiuen gono, come
neceſſarie pendi ci , che con qualche buona grazia non le veda congiu gnerfi. E
così i veri digrignan ti grifi de viui animali non con ininor piacere rimirerà
, che quelli, che con iſcherzo dalla pittura, e dal rilieuo ſo no
rappreſentati; e vn certo vigorc , e vna certa maturità d'vna vecchia , o d'vn
vec chio , non che la venuſtà de? fanciulletti , potrà con ben purgata viſta
rimirare; e mol te ſimili cofe , che non ad ogn’vno ſaranno accette ; ma ſolo a
colui , che finceramen te ne'ſegreti,e nell'opere del la natura ſi ſarà
internato . 3 Hippocrate , che haueua fanati molti infermi', amma latoſi egli
ſe nemorì : I Cal-, dei a molti prediſſero le mor ti , ed eſſi poſcia furono
dall : ora fatale portati via : Aler ſandro , Pompeo, e Caio Ce fare , hauendo
intiere Città del tutto , e tante volte di ſtrutte , e tagliate a pezzi in
battaglia molte decine di migliaia d'huomini tra fanti , e caualieri, eſſi
ancora alla fi ne vſcirono di vita : Heracli to , dopo hauer con diſcorſo
naturale trattato dell'incen dio del Mondo , gonfio le vi ſcere d'acqua ,
rauuolto in iſterco bouino, finì i ſuoi gior ni : Democrito da i pidoc chi ,
Socrate da altri vermi reſtarono eſtinti. A che quc ſti racconti ? Entraſti in
bar ca, nauigafti,approdaſti: Eſci fuora , e ſcendi; ſe pervn'al tra vita , iui
ancora faranno gl'Iddij , eſſendo quclli per tutto " ; ſe reſterai
ſenz'alcun ſenſo , ceſſerai d'eſſere.ratte nuto tra i trauagli, ed i piace ri ,
e di feruire ad vn vaſel letto tanto inferiore, quanto la porzione è ſuperiore
a quello , a cui ella ferue . Poi chè queſta è la mente , e il genio , doue
quello terra , e putredine . 4 Non conſumare queila parte di vita, che ti
riinane nel darti inipaccio,o penſiero de? fatti altrui, quando quelli non
riguardino all vtile comune; altrimente tu reſterai impac ciato in coſa da te
aliena, ro fiſticando , che faccia il tale , cd a qual fine , e che dica , o
penſi, o macchini, e altre co ſe ſimili, le quali ci fanno de uiare dall'
offeruanza della parte , ch'è la propria di cia fcuno reggitrice . Concioffie
coſa che biſogni nel diuilare ľ immaginazione , sfuggire ogni penſiero
intempeſtiuo , e vano , e molto più quello , che habbia del vizioſo e del
maluagio : Alucfare ancora vuolſi ſe ſteſſo a penſare ſolo a quelli
particolari,de' quali, chi all'improuiſo t’interro gaſſe , che penſi tu adeſſo
? tu polla con franchezza riſpon dere , ſenza interporre tempo di mezzo ,
queſto , e queſto ; dalle quali riſpoſte ſubito manifeſtamente appariſca che i
penſieri tutti ſono in te ſchietti , manſueti , come conuiene a i viuenti per
l'hu mana comunicazione ; e che, tu non ſei applicato ' a i piace ri , ne a
qualſifia voluttuoſa immaginazione , non alle conteſc , non all'inuidia , o a i
ſoſpetti, o ad altro , per lo che tu ti hauefli da arroſſire , diſcoprendo
quello , che tu couaui per auuentura nell' C 2 animo . Giacchè vna perſona,
così coſtituita , è quaſi vno degli ottimi , qual facerdo te , e miniſtro
degl'Iddij,ſer uendoſi di quello, che den tro di lui riſiede Queſto ren de
l'huomo illibato e libero da i piaceri , illeſo da ogni trauaglio , intatto da
ogni ingiuria e ſenza vn mini mo ſentore di malizia , cam pione del maggior
combat timento , da non eſſer ab battuto da paſſione alcu na , intinto nella
giuſtizia in fino all'intimo , che con tut to l'animo ben riceue quanto auuiene
, e quanto per defti no gli venga compartito : Non iſpeſſo ne, fuori che in
grandi neceſſità , e che ſpet tano all' vtile comune , ri flettente a quello ,
che altri ſi dica , o faccia , o penſi, ſolo da vn canto intento a ' proprij
affari , e dall'altro continu a mente attento a ciò, che per le contingenze
dell' vniuefo a lui tocchi; acciocchè s'in duſtrij di rendere quelli di bella
oneſtà compiuti , queſto reputi colmo d'ogni vtile e d'ogni bene. Concior
ſiecoſa che , quanto a ciaſcu no viene dal fato deſtinato , fia portabile , e
del bene ſeco portante . Ed egli tenga a mente , che a lui effcr dee fa
migliare tutto quello che ha del ragioneuole, e che la natura dell'huomo
richiede, e che dee applicare alla cura di qualunque ſi ſia degli aleri huomini
. Però non ha a vo ler dipendere dall' opinione così d'ognuno , ma ſolo di C 3 coloro,
che viuono conforme alla natura ; e dee offcruare quali ſieno quelli , che
diuer famente viuono ilmodo, che tengono in caſa , e fuori , il giorno, e la
notte, e quali , e con quali conuerſando ſi me ſcolino; Eper ciò non ſi ha ď
hauer in alcun grado la lode di coſtoro , che ne meno fe fteſli contentano. Non
opererai come con tro tua voglia , ne come ſcor dato del bene comune , ne ſenz'
hauer prima ventilato efattamente l'affare, ne ritro fo ; ne attenderai con
bellet ti di vago dire a vanamente liſciare i tuoi concetti , non effendo
ciarlone , ne troppo faccendiero . Iddio , ch'è in te , preſieda al tuo viuere
da perſona virile , e nell'età auanzata , e di vita politica , e da nato
Romano, e chema neggia gouerno . Sta in mo do tale apparecchiato e diſ poſto
che alla prima chiama ta tu ſij pronto di ſtaccarti da i viui fi intero , che
ti fia data credenza ſenza tuoi giura menti , o teſtimonianze al trui.
Queſt'vno non manchi , ch'è tal ſerenità nell'animo , che non occorrono
conforti efterni, ne di effere tranquil lato per opera d'altri: s'ha dunque ad
cſſer per ſe ſteſſo retto , e non raddirizzato . 6 Se nella vita humana tu
trouerai alcuna coſa migliore della giuſtizia , della verità , della temperanza
, della for tezza , e in fomma fe altro meglio , che l'eſſer l'opera zione
della tua mente sufficiente a ſe ſteſſa , acciò ca gioni , che tu operi ſecondo
la retta ragione, e in ciò, che non può dipendere dal pro prio tuo conſiglio ,
al fato tu ti accomodi : ſe meglio dico di ciò tu truoui , od iſcopri ,a quello
volgiti con tutto l'a nimo, e godi dell'ottimo , che haurai ritrouato . Ma fe
nulla t'appariſce , che ſia inigliore dell'iſteſſo genio , che in te riſiede ,
il quale habbia ſotto meſſi a ſe ſteſſo i proprij mori de'tuoiappetiti, ed
eſamini le coſe. immaginate , e che dalle perſuaſioni, o alletta mcnti de'
ſenſi, come Socrate dicea , ſia diſtratto , e con 1 affetto attento agli
huomini , fi fia fubordinato agl'Iddij : Se di queſto trouerai eſſere ogni
altra coſa inferiore , e più vile , non dar luogo nclla mente tua ad altra cofa
veru na , alla quale vna volta che tu o propendendo , o decli nando aderifli ,
ſareſti ferma mente impedito a poter libe ramente preferire ad ogn'al tro il
ſingolare , e proprio tuo bene ; non eſſendo giuſto che al bene ragioneuole e
operatiuo ſi contrapponga qualſiuoglia altro , che ſia in diuerſo genere , come
fareb be l'applauſo della moltitudi ne, o la dignità , o le ric chezze , o il
godimento de piaceri;tutte coſe le quali ha. uendo apparcnza , ancorchè in
minimo , di adattarſi a noi, repentemente preuarranno , e ci rapiranno . Ondeio
ti di co , attienti fchiettamente , e francamente al meglio ; e С aderiſci a
quellos e il meglio è quello , che a'te è di profit to ; però ſe ſi confà , come
a perſona ragioneuole , queſto riſerbati ; ma ſe ſolo , come. ad animal viuente
, riggetta lo , e ſenza gonfiartene,cuſto diſci il fologiudicio , per po ter
formare vn eſame certo , e ſicuro . Non iſtimare giam mai , che ſia coſa
conferente a te ſteſſo quella, che tal vol ta forzeratti a traſgredire la fede
, mancarc all honore , odiare alcuno , ſoſpettare maledire , fintulare , ed
ambi re qualche coſa, laquale hab bia biſogno di naſcondimen to di muri , e di
velami . Im perocchè chi ſtima fopra tut to la propria ſua mente , e il genio ,
e l'operazioni della ſua virtù , quegli non fa azione da tragedia , non pia gne
, non hannà biſogno di Itar folitario , ne della com pagnia di molti . Esquel
che più importa , viuerà ſenza de fiderare , e ſenza sfuggire co fa alcuna ; ne
farà molto ca fo , ſe dell'anima circondata dal corpo ſe ne ſeruirà per più
lungo , o per più breue tempo : acciocchè qual ora s'haueſſe a dipartire , così
franco ſe ne vada , come ha ueffe a disbrigarfi di qualche affare , che gli
conueniffe efe guire con decoro , e con ogni modeſtia : ofſeruando queſto folo
puntualmente per tutta la vita , che i fuoi penſieri s. aggirino attorno
qualche co fa , che ſia propria de viuen ti razionali , e ciuili . 7 Nella
mente di perſona C 6 ben aggiuſtata , e purgata non trouerai niente di guaſto ,
niente di marciume , o che v'habbia fatto ſaccaia . Simil. inente . non
troncherà il fato la vita di coſtui imperfetta , come ſi direbbe dell'Iſtrione
, fe ,auanti di finire , e compire il Drạmma,gli vditori all'im prouiſo
piantaſſe . Di più non trouerai nulla di feruilc , ne di affettato , ne di
appicci cante , ne di diſciolto che habbia biſogno d' eſſer corretto ,
ncd'eſſer ricoper ne to. Habbi in venerazione la facultà , che forma l'appren
ſione , dependendo da queſta il tutto ;acciocchè niuna opi nione s' inſeriſca
nella tua mente , che non confcnta colla natura , e colla coſtituzione di
viuente razionale : E queſta profeſſi di non cor rerc alla cieca, e che l'huomo
fi confaccia con gli huomini , e verſo gl’Iddij ſia offequiolo. Rigettate
dunque tutt'altre coſe , imprimiti ſolo queſte poche , e ſpesſo rammenta ti che
da ciaſcuno ſi viue il ſolo momento preſente, il re fto l'ha gia viuuto , o
gliè af fatto ignoto . Piccola adun que è l'età di ciaſcuno : Pic colo è il
cantoncino della terra, dove ſi viue , e piccola , benchè lungi s'eſtenda , è a
' poſtuni la fama , proceden do queſta dalla ſucceſſione di homicciuoli , che
preſto ſe ne vanno a morire , i quali non conoſcono le ſteſſi , non che colui ,
il qual di già lungo tcmpo morì. A'già eſpoſti auvertimenti s'aggiunga ancora
di far ſem pre vna diffinizione , o de : ſcrizione di quello , che vie ne
dall’iinmaginatiua rappre fentato acciocchè qual'è nudamente nella propria ſo
ſtanza , e il tutto per tutte le parti diſtintamente , tu rico noſchi,e ſia a
te ſteſſo eſpreſ ſo. e paleſato qual ſia il ſuo proprio nome , e i nomi di
quelle parti , delle quali è compoſto , e nelle quali ſi ri foluerà . Perchè
non è cofa , che a ſolleuare la generoſità dell'animo ſia più poſſente ; quanto
l'eſaminare con me todo , e verità ciaſcuna coſa che può accadere nella vita ':
c riguardarla del continuo in tal modo , che tu comprenda inſieme a qual Mondo
, qual vſo porgano , che poſto tena gano in riguardo dell’yniuer fo , e quale
in riguardo dell' huomozil quale è cittadino di quclla ſopraniſlıma Cittade di
cui le altre ſono come.abi. tazioni di famiglie : Che co fa ſia , o di quali
principij ſia compoſto , e quanto tempo fia per durare quello , che al preſente
m’imprime tale im inaginazione ; e qual virtù in torno quello s'habbia da vla
re : come a dire della manſue tudine , delle fortezza , della verità , della
fede, della ſchiet tezza della contentezza, del la propria ſorte , e d'altre fi
mili. Per lo che biſogna dire di ciaſcheduna coſa : Queſto viene da Dio : ma
queſto per fatale ordinazione, e conneſ fione delle coſe del Mondo , 3 o per una
tale congiuntura , e fortuna: E queſto altro pro cede da vn tuo proſſimo , e
congiunto , e teco conuer fante , ignaro di quello , che a lui pernatura ſi
conuiene . Ma io che lo ſo m’auuaglio d' effo , fecondo le leggi naturali della
comunicazione , con af fetto benigno , e giuſtizia ; e inſieme nelle coſe
indifferen ti , o mezzane mi ſtudio d' andar conghietturando , qual ftima a
quelle habbiaſi a da re . Se tu , della retta ragione feguace , opererai quello
che haurai dauanti ſtudiofa mente, validamente , placi damente , e non mirando
ad altro che all'intrapreſo nego zio , anzi conferuerai il tuo genio puro , e
conſtante , co me ſe già ti abbiſognaſſo di renderlo : Se dunque queſto
offeru.crai , a niente altro at tendendo , niente fuggendo ; ma nell'operazione
, che hai tra le mani , conformandoti alla natura , e contentandoti d'eſprimere
con verità eroica tutto ciò , che a dire intra prendi , tu viucrai felice . In
vero non v'ha chi ti potra quefto impedire . u Comei Maeſtri del cu rare hanno
ſempre alla mano gli ſtrumenti , e i ferri per ogni inopinata cura così habbi
tu pronti i decreti a ri conoſcere per mezzo d'effi le coſe diuine e l'humane ,
in tutto ciò, che, quantunque mi nimushaurai da operare ; ben ricordcuole come
queſte fia no amendue tra di loro con giunte , non potendo far nulla , che
appartenga agli huo mini, che per mera corriſpon denza al Cielojne per lo con
trario . 12 Non andar più vagan do, mentre non haurai più da leggere i tuoi
libretti di me morie , ne i fatti degli an tichi Romani , e Greci , ne le
raccolte , che hai eſtratte da varij ſcrittori , le quali riſer bate t'haueui
per la vecchia ia . Affrettati adunque ver ſo la fine , e abbandonando , mentre
che t'è lecito , le va ne ſperanze , porgi ogni aiu to a te ſtello , ſe tu fe'a
cuore a te medeſimo . 13 Gli huomini volgari non fanno quanti ſignificati hab
biano le voci rubate, femina re , comperare , ripoſare ; ne fanno diſcernere
quello , che s'ha da operare : il chenon ſi fa con la viſta degli occhi, macon
altra perſpicacia. Habbiamo il corpo, l'a nima , c la mente : Al corpo
appartengono i ſenſi, allani ma gli apperiti, alla merite i decreti . Si
formano le imma ginazioni ancora dagli ani inali bruti ; ma il laſciarli trarre
dagl'imperi degli ap petiti a guiſa di pupazzi tira ti con cordicelle, è cofa
da beſtie , e da effeminaci , e d ' yn Falaride , ed'vn Nerone . L'applicarela
reggitrice men : te all' apparenti conuenienze è ancora di coloro , i quali non
tengono , che ci ſiano gl’Iddij , e che alle occaſioni abbandonano cziandio la
pa tria , e che quando han chiu te le porte , fanno di tutto. Se dunque l'altre
coſe ſono comuni alli già detti , reſta proprio dell'huomo dabbene l'amare, e
abbracciare ciò che a lui auuenga , e che dal fato gli fia compartito , come il
non rimeſcolare , e confon dere il genio , che nel mezzo del petto riſiede , ne
pertur barlo colla moltitudine dell' immaginazioni : ma conſer varlo placido , e
come a vn Dio , decenteinente portar gli riuerenza , ed oſſequio. Non
proferendo mai parola, che tutta yera non ſia ;ne fuo ri del giuſto facendo
cofa al cuna . Se poi tutti gli huomi ni non crederanno , ch'egli fchicttamente
, e oneſtamen te , e tranquillamente ſe ne viua , non però fi crucсerà con chi
che ſia di loro ; ne vſcirà mai dal dritto ſentiero , che lo conduce al fine
della vita , al quale fa di meſtiere giugnerepuro,quieto, c pron to a
diſcioglierſi, e acco- - modarſi di buona vo glia al proprio de ſtino. Nell
interno che domina in noi quando ſi confor ma alla natura , reſta sì indif
ferente a tutti gli auueni menti , che ſenza ripugnanza ſempre prontamente ſi
tra fporta a ciò; ch'è poſſibile , e conceduto ; Imperocchè non s'obbliga a
materia deterininata ; ma è facile verſo ciò , che gli venga propoſto , ben che
con qualche eccezione ; e quello , che in luogo dell eſcluſo è introdotto,
s'appro pria come ſua materia , in guiſa del fuoco , quando nel le coſe , che
incontra predo mina ; dalle quali vna picco la lucernctta verrebbe e ſtinta,la
doue vna gran fiam ma trasforma in ſe preſta mente tutto quello , che in
nanzile è poſto , e lo conſu ma , e di quell'iſteſſo diuiene maggiore 2
Niun'opera ſi faccia a ca ſo , ne altrimente ſi eſegui ſca , ſe non conforme
agli ammaeſtramenti di perfezio ne dell'arte . 3 Proccurano le perſone di
ritirarſi nelle campagne,alla -50 he 9 or it 71 za 2 . e 01 marina , e ne'
monti , e an co tu queſti ſe' ſtato partico larmente ſolito d'amaro ; e queſta
è coſa ordinarijfſima agl'idioti; eſſendo a te lecito in qualſifia tempo, che
ti pia cerà , ritirarti in te ſteſſo . Ne c'è luogo per l'huomo di più quiete ,
e più lontano dalle faccende , per ritirarſi di quello del proprio animo ;
particolarmente ſe haurà in ſe formato tali concetti, che in quelli
internandoti pron tamente rimanga in vna to tale tranquillità . Ne altro dico
eſſere queſta calma che l'animo ben compoſto : Ritirati dunque ad oraad o ra ,
e rinnuoua te ſteſſo . Si eno però breui , è ordinati que' ricordi , i quali ad
vn tratto fouuenendoti, ſaran no ſufficienti a liberarti dio gni moleftia , e
di rimetterti nelle tue operazioni ; alle quali ſenz' annoiarti farai ri torno
. Poſciachè di qual co ſa pigti tu noia ? forſe della maluagità degli huomini ?
Rammentati di quel decreto, che i viuenti ragioneuoli ſo no prodotti a pro \
vno dell'altro ; e che il medeſimo ſofferire è part e della giuſti zia
dell'huomo: e che quelli, che delinquono , no'l fanno di buona voglia ; e
quanti dopo hauere eſercitato l'oſti lità , i ſoſpetti, e gli odij, e
trafittiſi ľ .yn l'altro , ſono morti e diſteſi ridotti in cene, re ? quietati
dunque vna vol ta . Ma tu non t'appaghi di quello , che dall' vniuerſo ti è
ſtato diſtribuito . Richiama : D però nella memoria la pro porzione diſgiugnéte
, che ci è , o la prouidenza, o gli atomi, o anco altre coſe , donde ben fi
conchiude che il Mondo è in guiſa di ordinata Città. Se poi t'aggrauono le coſe
cor poree , tu quì confidera che la mente , dopo che vna vol ta ſi ſarà in ſe
ſteſſa raccolta , e haurà riconoſciuta la pro pria dignità , non ſi meſco ſerà
con iſpirito , che venga ad eller morbidamente, o ru uidamente agitato . Aggiu
gnidi più tutto quello , che del dolore , e del piacere tu hai vdito , e l'hai
approuato. Mala gloricota ti diſtrarrà ? Da vno ſguardo , come pre fto va il
tutto in dimenti canza , e nel chaos dell'euo da amendue le parti immen fo , e
nella vanità d ' yn rim bombo : e quanto mutabili , e ſenza giudicio fono
quelli, che di noi poſſono formar concetto , e in quanto poco luogo tutto ciò
li circonſcri ue ; mentre tutta la terra è yn punto , e di queſta non è che yn
cantoncello la noſtra abitabile ; e quanti, e quali fono quelli , che ſieno per
lo darti . Ricordati dunque di ritirarti in quella particella di te ſteſſo ; e ſopra
tutto di non ti diftrarre , e di non far refiftenza ; ma fij. franco, e ri
guarda l'opere da perſona vi rile , da huomo, da Cittadi. no , da viuente
mortalc . Ma tra i ricordi più pronti e ſpe diti , i quali hai da conſide rare
, fieno queſti due. L'yno, che le coſe iftcffe non s'at D 2 taccano all'anima ,
ma ſtan no al di fuori immobili ; e che le turbazioni deriuano ſolo
dall'opinione interna : l' altro è , che quanto vedi , queſto non iftarà guari
a mu tarſi, e più non ci ſarà; e con fidera a quante mutazioni già tu ti ſe
trouato, e di con tinuo tieni a mente , che il Mondo ſta nell'alterazione , la
vita nell'opinione . 4 Se l'intelletto è comune, comune ancora è la ragione ,
mediante la quale noi ſiamo ragionevoli. E ſe è vero que ſto , eziandio la
ragione, che comanda quello , che ſi deb ba , e che non ſi debba ope rare ,
ſarà coinune . E ſe è cosi , ſarà comune la legge ; il che ammettendoſi , verre
mo noi ad eſſer Cittadini ; donde è, che hauremo da par ticipare di qualche
Cittadi nanza ; e conſeguentemente reſta il Mondo eſſere come vna Città .
Concio ffiecofa che dirà alcuno : qual'altra Cittadinanza fitruoua fi co mune ,
della quale tutto il genere humano partecipi ? E da queſta comune Città deriua
l'iſteſſo effer noſtro in: tellertilo, e ragineuole, e le gale. O se quindi non
ès-don de è perciocchèſi come quel lo , che è di terreſtre in me , da qualche
terra a me ſi com , parte , el eſſere vmido da vn altro elemento , e l'eſſere
fpiritale da qualche ſcaturi gine di ciò , e'l caldo , e l'i gneo da qualche
altra pro pria ſorgente ; imperocchè nulla prouiene dal nulla, co D3 me ne meno
ritorna in quel che non è così anche l'intel lettiuo da qualche luogo fi
comparte . 5 Tale è la morte , quale è la generazione , e ſono degli arcani
della natura ; queſta è miſtura degli elementi, e quel. la è diſcioglimento
ne'mede fimi : In ſomma non ſe n'hà d'hauer vergogna , poichè non è contra la
conuenienza del viuente intellettuale , ne repugna alla ragione della di lui
conſtituzione , 6 La natura porta che queſte cofe da tali ca gioni nafcano
neceſſaria mente ; il che , ſe ad alcuno non piacerà , vorrà che'l frutto del
fico non habbia lattificio . Quello in tutto , e per tutto rimanga nella mente,
che tra breuiſſimo tempo tu , e quel tale vi morrete , e tra poco non ci ſarà ,
ne pu re il voſtro nome . Leua via l'opinione , che ſarà tolta la querela , che
dice , IO SO NO STATO OFFESO , leua queſto dire : IO SONO STA TO OFFESO , e
verrà tolta l'offeſa . Quello , che non fa peggiore in ſe l'iſteſſo huo mo ,
non renderà peggiore la di lui propria vita; e ne in ternamente , ne efternamen
te l'offenderà . 7 La natura ad operare in tal modo per lo comune vti le fu
neceſſitata . E ciò , che auuiene , giuſtamente auuie ne : il che ſe
attentamente of feruerai , trouerai eſſer vero ; ne per ſola conſeguenza di co
, che è queſto, ma perchè D4 così vuole il giuſto ; venen do da colui , il
quale ſecon do il proprio merito , diſtri buiſce a ciaſcuno il ſuo .Of ſerua
dunque tu queſto , co me hai dato principio ; e nel fare qualunque coſa ado
pera con qucfta oſſeruazio ne, e con lefſere huomo dab bene; ina di quella
maniera , come s'intende propriamen te l'hucmo dabbene . Tutto ciò oſſerua in
ogni tua ope razione . 8 Non farai concetto del le cofe fecondo il giudicio di
chi t'oltraggia ; ne come e quali eſſo vuole che tu le giudichi ; ma
conſiderale , quali eſſe veracemente ſono . 9 Debbonfi ſempre hauer in pronto
queſti due punti: primieramente di non operare in modo diuerſo da quello che la
ragione, Rcina, e leg gislatrice per l'vtile degli huomini fuggeriſce ; ſecon
dariamente d'effer facile a mutarti di parere , ſe qual cuno fi corregga , e
rimuoua da qualche opinione ; però queſto rimouimento s'ha ſempre d'appoggiare
alla perſuaſione , che porti del giuſto ,o del ben comune, O di coſe ſu queſto
andare,non per compiacimento , ouero per apparenza di gloria . Hai tu la
ragione ? la tengo : Per chè dunque non te ne ſeruia Che vuoi cu altro , che
que ſta , mentre ella fa quello , che è proprio di lei ? 10 Come parte di
queſto vniuerſo già ſe'ſtato conftitu ito , così tornando a chi t'ha DS fat 82
LIBRO QVARTO fatto , diſparirai, o più toſtoy con qualche mutazione, fa rai
ripoſto nella ragione fe minále di quello . Di molte granella d'incenso su
Piſteffo altare vna cade prima dellº: altre , purchè ſi conſumi mula la importa
. Tra dieci giorni tu parerai vn Dio a quelli alli quali ora ſembri vna be ftia
; e yna ſcimia , fe ritorni a ri pigliare i decreti, e la vene mazione della
ragione. Non fare i conti come fe hauefli ancora a viuere più migliaia d'anni.
Il debito fatalc fou raſta , mentre viui,mentre ti è permeſſo diuenta buono ..
II Quanto di quiere d'ani mo guadagna chi non bada a quello , che'l vicino
diſſe, o fece , o pensò , ma ben fi ſolo a quello , ch' egli ſteſſo fa, acciocchè
l'opera ſua ſia giuſta , e pia ? , nericercando va ſe altri ſia di buoni , o
rei coſtumi , ma corre a dirittu ra per la linea , ſenza punto da efla
ſcoſtarſi ? I2 Chi dietro alla fama apoſtuma ſe ne va,come ſtor dito , non
conſidera come cia fcuno di quelli , che di lui li rammenteranno , anch ' egli
preſto ſe ne baſirà , e così di nuouo quegli ancora , chea queſto ſuccedera,
finchè ogni memoria , per mezzo di huo mini, parte ſtupiditi, parte già morti
continuata ſi ſpen ga .Mapreſupponi tu , che quelli che terranno di te me moria
fieno immortali , e la memoria rimanga immorta le ? ciò che gioua a te 2 ne ora
parlo di quando tu fa D 6 rai nh ada Te ef 1 rai estinto, ma del preſente
mentre tu viui. Che è la lo de ſe non certamente yn tal condeſcendimento d'huomi
ni . Tralaſcia dunque , come inopportuni i doni della na tura , mentre che
dipendo no dal giudicio d'altri . Del reſto tutto quello , che in qualſiuoglia
maniera è buo no per ſe ſteſſo è buono , e in ſe ſteſſo fi riſtrigne; ne tra le
fue parti annouera la lode ; onde non diuiene ne miglio re , ne peggiore. il
lodato . Queſto dico ancora di ciò , che volgarmente ſi chiama buono : quali
ſono le coſe , che o per la materia , o per l' operazione dell'arte tali fi
ftimano . Ed in vero quello , che è realmente buono , di che ha biſogno di nulla
più certamente che la legge , di nulla più che la verità , di nulla più , che
la buona mente , che la modeſtia Quale di queſte per lo eſſer lodata diuiene
buona, o bia-, fimata ſi corrompe ? forſe di uenta peggiore lo ſineralduc .
cio, ſe non è lodato? non di rafli il medeſimo dell'oro , . dell'auorio , della
porpora , del pugnaletto , del fiorelli no, dell'arbuſcello ? 13 Se l'anime
ſempre du rano , come fin dall' eternità le può contenere in ſe l'aria ? e come
la terra i corpi rac chiudere de' ſepolti di tanti ſecoli: Poichenell'iſteſſo
mo. do, che la mutazione, e la re ſoluzione di queſti danno luogo ad altri
cadaueri,dopo eſſer per qualche tépo quag. giuſo ſtati, così l'anime poi chè
ſono ſtate traggettate nell'aria , e trattenuteuifi al quanto , fi tramutano ,
e ſi ſtruggono, e s'abbruciano, ri tornando nella ragione ſemio nale del
tuttoje in tal modo fanno luogo ad altre , che appreſſo vengono a ricongiu
gnerſi. A queſto ſi riſponde, che ſuppoſto che l'anime du rino , biſogna non
ſolo con cepire la moltitudine de'cor pi così ſepolti, ma quella an cora degli
animali , che cia fcun giorno da noize da altri animali ſi mangiano ; poichè
quanto numero le ne confu ma, ecosì in yn certo modo ſi ſeppelliſce nelle
viſcere di quelli , che ſe ne cibano de tuttauia capono in questo luogo per la
traſmutazione in in ſangue , in aria , e in fuo CO. Qualeè intorno a que ſto la
notizia della verità il . diuiderſi in materiale , e cau-, ſale. Non fi vuole
andar con aggiramenti vagando, ma in ogni appetizione dell'animo deefi
aſſegnare il giuſto ; ed in ogniimmaginazione con feruare quello , che ſi è
compreso. Tutto quello, che a cé , o Mondo , è conueniente , a me ancora ſta
bene . Nulla è a me acerbo , o tardivo, che a te ſia ſtagionato; ogni coſa ,
che portano le tue ſtagioni, è a me frutto . O natura , da te deriua il tutto ,
in te è il tutto , e a te il tutto ritorna . Diffe colui ; Amata Città di Ci
tropese tu non dirai,Amata Cit tà di Gione? Intrigati di poco , diſſe , se tu
vuoi ſtare coll' animo quiero Non è miglior cola , che far ſolo ciò , che è
neceſſario , e quello , che la ragione all ' huomo,nato per la vita ciui le ,
detta , e nel modo , che lo detta. Imperocchè queſto non folamente reca la tran
quillità , che dal ben fare procede; ma quella ancora , che dal poco operare.ti
au uiene. Concioſliecoſa che; fe la maggior parte di quello che ſi dice, o lifa
, non eſſen do di neceſſitade , alcuno ri ciderà , egli ſe ne ſtarà int maggior
ozio,c meno ſturba to. Perciò biſogna in ciaſcu na coſa in particolare ricor
darſi che forſe ella ſi è vna di quelle , che non lon neceſſa rie . Biſogna in
oltre non ſo lo toglier vią l'azioni , che non ſon tanto neceſſarie, ma ancora
l'iſteffe immagina zioni, perchè così non ſegui ranno azioni ſuperfluc. Fa
prova, come ti rie fca la vita d'vn huomo dab bene, cioè, cheſi contenta di ciò
, che dall' Vniuerſo gli vien aſſegnato, che ſi ſoddis fa del proprio operare
giu ſtamente , e della ſua man fuera diſpoſizione.Hai confi derato queſto.2
rimira queſt altro ; non ti turbare , habbi l'animo tuo aperto. Chi pec ca,
contro di fe pecca. Ti au uenne qualche bene ? Dal principio dell' vniuerſo ti
fu ciò deſtinatose intrecciato in ſieme ognaltro auuenimena to.In ſomma la vita
è breue. Vuolſi guadagnare il preſen te gote con feguire la retta ragio ne, e
la giuſtizia. Sta attento di non rilaſſarti. 18 O il Mondo è vna bel la
ordinanza,o'vn meſcuglio confuſo , tuttauia & Mondo. Ora ſe in te ſteſſo
qualche Mondo,cioè,comeper efem plo,vna venuſtà può conſiſte . re , haurà poi
da eſſer yn'im monda ſconuenenza neli'yni. uerfo , mentre in effo tutte le cofe
fi vedono così diſtinte , c dilatate , con effer inſieme reciprocamente affette
? 19 Ci ſono coſtumi negri , coſtumi effeminati , ferrigni, ferini, e diquelli,
che ſono fimili a'brutali , e a ' fanciul leſchi, inſenſati , affettati ,
buffoneſchi, tauernieri , e ti rannici. Se fireputa pellegri no nel Mondochi
non faciò : che in eſſo ſi truoua , molto o più pellegrino è colui , che ignora
ciò , che in eſſo ſi fac cia. Fuggitiuo farà chi fugge 0 dalla ragione ciuile ,
è cieco chi ha chiuſo l'occhio dell' intelletto , mendico chi ha neceffità
d'altri, e non ha ap " preſſo di ſe tutto quanto gli è neceſſario per vſo della
vi ta. Eyna apoſtema del mondo, chi ſi diparte, e fi difrom pe dalla ragione
della comu ne natura , non accomodan dofi agli auuenimenti ; men tre gli
produce quella mede fima , che ha te ancora pro dotto.E vna ſtracciatura del la
Città , chi diſtacca la pro i pria anima dalla mente r & ei gioneuole, che
è vna . 20. Ci è chi filoſofa ſenza tonica , e chi ſenza libro , vn' altro
mezz'ignudo. Non ho del pane, diffe, e nonmipar to dalla ragione. Io non ho il
cibo degl'inſegnamenti , e pur in eſſi perſcuero : Affe zionati all'articella ,
che im paraſti , e in quella acqueta ti.Mena il reſto della vita tua con
riporre negl'Iddij la cura d'ogni tuo affare , e ciò con tutto l'animo : e
dhuomo, che viua,non ti fare ,ne tiran i no , ne fchiauo . 21 Conſidera, verbi
gratia, i tempi di Veſpaſiano , tu vi vedrai tutte queſte medefi me coſe , cioè
huomini, e far .nozze, ed educar figliuoli, ed ammalati, e morienti, e com
battenti, e feſteggiantise mer. catanti, e agricoltori , e adu latori, e
arrogantemente par Janti, e ſoſpettoſi, e infidiatori , e deſideranti la morte
, e delle coſe , che ſuccedeuano ha lamentantiſi, e innamorati, e at intenti ad
ammaſſar teſori, e e ambizioſi di Conſolati , e di 1 Regni; tutti fparirono, e
della loro vita già non vi rcſta 1 nulla . Appreffo traſportati all'età di
Traiano ; di nuouo I rimirerai tutte le medeſime cofc , e pur la vita di quelli
non ci è più.Similmente con ſidera altri ſegnalati inter ualli de' tempi e
delle intere nazioni; e offerua,come tanti, e tanti allora gonfiati l' vno *
contro l'altro ,dilì a poco ca e dettero , c fi dileguarono ne gli elementi .
Specialmente B t'hai da rammentare di quel li, che tu ſteſſo hai conoſcill ti ,
che vanamente affannati hanno tralaſciato d' operare conforme alla propria diſpo fizione , e
d'aderire tenace mente a quella , e di quclla foddisfarli . E neceſſario an
cora di rammentarti,che l'ap plicazione in ciaſcuna azio ne ha la ſua propria
conue nienza , e proporzione; per chè così tu non ti dorrai; ſe tu non più di
quello chepor ta il pregio in queſte coſe minori, ſarai occupato. 22 Le voci già
correnti , ora fono diſufate , e richie dono chioſe ; così i nomi di quelli già
tanto celebri fono in yn certo modo al preſente fimilia derte voci: tale è Ca
millo, Cefone, Volefo ,Leon .nato; e poco appreffo Scipio ne ; e Catone ; dopo
anco Auguſto , c indi Adriano , e Antonino ; perchè ogni coſa ſua Ct colla 211
ap 10 16 ber Ol ſuaniſce , e tofto paſſa in fa uoleggiamenti, cben preſto
dentro d' yna totale obbli uione reſta ingoiata.E queſto dico di quelli , che a
maraui glia yna volta riſplenderono; poichè gli altri nell'iſteſſo lo ro
fpirare reſtarono ignoti, e niuno più ne domanda . Che coſa è dunque queſta
eterna memoria ? Tutto vanità . In torno a che dunque s'ha da porreil noſtro
ſtudio in que ſto ſolo ; che la mente ſia giu ſta , l'azione diretta al co mun
bene,tale la ragione che mai non reſti ingannatå, el animo così diſpoſto, che
ciò, che gliaccada, abbracci, co me foſſe a lui neceſſario , e co me famigliare
, e come dall' ifteflo comun principio , e fonte deriuato . Di buon ani til zie
id 700 DITI OP ON DC1 او و mo gettati nelle braccia del fato ; permettendogli
che e inuolga in quelle coſe , che a lui parrà. Il tutto va a giorni, e chi
rammenta, e'l rammen tato . Mcdita del continuo , come tutto ciò, che ſi fa a
per mezzo delle mutazioni fi fa; e auuezzati a conſiderare , che nulla ama così
la natura del l' vniuerſo , come di mutare gli entie far delle coſe nuo ue a
quelle aſſomiglianti . Perchè in vn certo modo o gni coſa, che è, ſemenza è di
quella , che da eſſa s'ha da produrre; e tu t'immagini ef ſer ſoli ſemi quelli,
che ſi traſ mettono nella terra , o nell' vtero. Coteſti fono penſieri da
perſona molto idiota. Già ſei all' orlo detta morte e ancora non se' diue hel
nen ZIO pe TI che can de nuto ſchierto , e libero dalle rei perturbazioni, da’ſoſpettid'
eſſere dagli eſterni leſo , ne bi placido inuerfo tutti;ne ſtimi la prudenza
eſſere il ſolo giu ftamente operare. 24 Rimira la mente con ducitrice degli
altri , e ciò, che veramente fuggano ,e fe de guano i prudenti. Il tuo ma le
non conſiſte nella mente d'altri , o ne' riuolgimenti, o variazione
dell'ambiente Doue dunque la doue tu hai l'opinionede'tuoimali . Per di ciò non
opinare queſto , che il tutto andrà bene; ancor chè il corpicciuolo , che a f
quello è propinquo ,fi ſeghi,fi abbruci , marciſca , ſi putre faccia ; purchè
rimanga quie ta la particella , la quale for ma l'immaginazione di que dit + C.
ef E Ite ſte coſe , cioè che non giudi chi eſſer ne bene , ne male ciò , che
può accadere , tanto all'huomo dabbene , quanto al cartiuo , Concioſliecoſa che
quello , che ſimilmente auuiene a chi viue , ſecondo la natura , e a chi viue
diuer ſamente , non è ne ſecondo la natura , ne contro di essa. Conſidera del
continuo il mondo come un' animale, composto d’una sostanza e di un'anima, e
come all ynico ſenſo di quello tutte le coſe ſi riportino, e come con vn'im
peto il tutto operi, e come tutte le coſe tra fe di tutto quello che ſi produce
, ſon co . muni cagioni;e quale ſia l'in trecciamento, ola teflitura. Sei
un'animuccia , che porta un cadauero ; diceua Epitteto. A quelli , che ora ſono
ali nella mutazione , niente è di male, come niente è di bene a quelli , che
nella mutazio ne ſuffiſtono . 28 L'euo è come un fiume, e come yna corrente
violen ta delle coſe , che ſi fanno, perchè, ſubito che ciaſcuna di quelle
compariſce, è rapi ta , e altra ne compariſce , e queſta ancora ſi traſporterà.
Ogni accidente è così ſolito , e famigliare, come nella pri mauera la roſa , c
nella ſtate i frutti . perciocchè tale è la malattia, la morte la maledi cenza
, l'inſidie , e ciò che rallegra i pazzi, o gli contri fta . Quello , che
proſegue, ſempre ſi connette accon ciamente agli anteceden ti . poichè non è
vna nume 1 orazione di coſe tra loro dif crete, e ſuſſiſtenti per necef ſità
ſolamente di calculo; ma èyna congiunzione, ſecondo la ragione; e come ſono
coor dinate, e ben congiunte tut . te le coſe che eſiſtono , così quelle, che
ſifanno non han no vna ſemplice ſucceſſione, ma dimoſtrano vna certa ma
rauiglioſa famigliarità, che è tra di loro. 29 Habbiaſi ſempre a men te quel
detto di Heraclito ; La morte della terra eſſere quando diuenta acqua ; e la
morte dell' ac qua, quando diventa aria ;come del l'aria, quando fuoco , e così
per l'oppoſito . E ancora da ri cordarſi di colui, al quale era ignoto,doue la
ſtrada condu ceſſe; e di quelli, che ſpecial mente , e del continuo con uerſano
con la ragione , la quale ogni coſa amminiſtra, e nondimeno da quella dif
ſentono , e che quelle coſe , nelle quali ogni dis’abbat tono , a loro paiono
ſtranie re. e che non biſogna fare , e fauellare in guiſa quafi di
dormienti,perchèallora anoi ſembra difare , e di dire ; ne fi hanno da imitare
i fanciul li , i quali dicono con ſempli cità : Così habbiamo appreſo dai
noftri maggiori . « 30 Se alcuno degl' Iddij ti diceffe , che hai da morire la
domane,o al più lungo por domane , non molto ti im portarebbe, che foſſe più to
ito domane, che poſdomar nc, ſe non le d'animoin eſtre mo tralignante. Imperocchè
E 3 quanto ſi è l'interuallo d'vn giorno cosìno iſtimare gran coſa le fia più
toſto dopo moltiſſimi anni che domane. Ripenſa contimamente teco medeſimo;
quanti medici ſon morti, che ſpeſſo hanno le ci glia inarcate ſopra de i ma
lati ? quanti matematici, che come yn gran caſo le morti d'altri prediffero 2
quanti Fi loſofi dopo mille , e mille contefe della morte , e dell' inmortalità
? quanti prodi in armi , che molti vcciſero ? quanti tiranni,checon gran de
preſunzione della loro po teſtà ſopra l'anime ſi feruiro no , quaſi chenon
foffero e glino ancora mortali ? quan te Città ſono , per così dire, affatto
morte ? Elice , Pom pei , Erculano , e altre innu nie merabili . Traſcorri
ancora quanti hai tu conoſcuti l'yno appreſſo l ' altro morti . Que gli dopo
hauer fatto i fune rali dell'altro , ha ſteſo egli morendo le gambe , e dopo
lui yn'altro . Tutto ciò in bre de tempo . In ſomma ſempre fono da conſiderare
tutte le coſe humane,come d'vn gior no , e di prézzo viliffimo: ieri vn pochin
di mocci,domanc falſume, o ceneri . E perciò queſto momento di tempo paffalo
viuendo , ſecondo la natura , e muori tranquillo , come l'vliua , che fatta ben
matura cade laudando la ſua producitrice,e rendendo gra zie all'albero , dal
quale fpuntò. 31 Sij ſimile a vn promon torio , nel quale inceffante E 4 mente
l'onde s'infrangono; e nulladimeno egli ſta ſaldo, e intorno a lui fi
abbonacciano gli orgogli dell’acque . Infe . lice me , perche ciò mi è au
uenuto ! anzi al contrario, me ſelice , che eſſendomiciò accaduto , me ne ſto
ſenz'al cun dolore , nedal prefente offeſo , ne temendo l'auueni re . imperciocchè
queſto po teua ad ogni altro accadere , manon ognuno l'haurebbe ſopportato
ſenza dolerſi.Per chè adunque più toſto quello infelicità che queſto felicità
farà da noi giudicato ? echia mi tu a pieno infelicità dell' huomo corefto ,
che non è difauentura alla natura hu mana ? E diſauucntura della natura humana
pare a te, che ſia quello , che non è contra ilvo il volere di lei ? Quello che
ella voglia , l'hai tu appreſo ? Non é impediſce dunque queſto accidente, che
tu non ſij giuſto , magnànimo, tem perato , prudente , conſidera to ,,verace ,
modeſto , libero , con le altre qualità , le quali efſendo preſenti , la natura
humana gode ogni ſuo pro prio . Quanto al rimanente ricordati , ogni volta che
al. cuna coſa t' induce ad attri ſtarti, di valerti di queſta ſen tenza . Che
queſto , che t'è accaduto non ti è d'infelici tà , ma di felicità , foppor
tandolo generoſamente . 32 Per certo è volgare aiu to , ma tuttauia efficace,
per diſprezzar la morte , il ri membrarſi di quelli , i quali, attaccati al viuere
, lungo Es : tempo durarono.Che hebbe, ro più queſti di quelli, che in eri
acerba morirono ?Giacor ciono ſenza dubbio in qual che luogo Cadiciano, Fabio ,
Giuliano , Lepido , e altri fi mili, i quali , dopo hauer fat ti i funerali a
molti, eglino ancora furono poſcia ſepolti. Finalinente ci è poco d'inter
ftizio , il quale con quante moleſtie , e con quali ſten ti , e in qual
corpicciuolo vien ſofferto ? Dunque non ne far gran conto į rimira però
indietro all'immenſità dell'euo , e a te dauuanti yn altro infinito . In
queſto, che differenza è tra vno morto a capo di tre giorni,e d'vn Ne ſtore di
tre ſecoli ? 33 Per la ſcortatoia corri ſempre , e quella via , che ſi conforma
alla natura , è la fcortatoia ſaluteuole ; Però dì , e fa ogni coſa nella ma
niera più ſalateuole . Impe r occhè queſto propofito libe ra dalle fatiche
, da i com battimenti , da ogni ſimula zione , e da ogni oſtentazione . Vando
dal ſonno neghittofamente la mattina ti fue gli , habbi in pronto . lo mi
fueglio all'opera dell'huomo; ancora dunque ripugnanza fento , ſe io vo a fare
quello pere , alle quali ſon nato , e per le qualiſono ſtato intro dotto nel
Mondo forſe ſono ſtato ordinato, acciò tra piu macciuoli giacendo io mi
riſcaldi? Maciò è di maggior guſto. Dunque a pigliarti gu ito, e in ſomma non
al fare ne all'operazioni ſei nato ? non vedile pianterelle, i paſ ferotti, le
formiche, i ragnis l'api comecooperano all' or namento delMondo, e tu non
vorrai fare quello , che ſpet ta all'huomo e non accorri a ciò , ch'è conforme
alla nå tura tua ? Ma biſogna pure ripoſarti. Biſogna.Ed in que ſto la natura
aſſegnò lemiſu re ; e diedele ancora , ed al mangiare , ed al bere; e non
dimeno tu pafli oltre alla mi fura , e oltre alla ſufficienza . Non però così
nell'opere; ma affai meno di quello ſi puote; concioffiecoſa che tu non a mi te
ſtello , che quando ciò foffe , amereſti la natura , e'l di leivolere . Altri,
che amano le loro arti, ſi conſumano ne’lauorij di quelle ſenza go der de
bagni, e ſtando digiu ni . Tu fai men conto della tua natura , che il tornitore
non fa dell'arte del tornire, o il ſaltatore dell'arte del fal tare , o l'auaro
dell'argento , o il vanagloriofo della glo rietta ; e quando queſti s'af
fezzionano a cotalicofe, alle qnali ſono inclinati, abban donano più preſto ilmangia
re , e il dormite , che il laſciar d'accreſcerle . E a te l'azioni fpettanti
alla comunicazione humana appariſcono di più baſſo pregio , e men degne ď
accuratezza. Quanto è facile lo ſcace ciare,elo fcancellare ogni turbolenta
immaginazione , onon conueniente , e ſubito metterli in iſtato d'ogni tran
quillità ? Reputa te ſteſſo de gno d'ogni diſcorſo , e d'ogni azione, che lia
conforme alla natura , ne ti ritragga il ri chiamo d'alcuni, o il biaſimo, che
ne ſegue ; masſe farà coſa oneſta da operare, o da dire, non te ne ſtimerai
indegno . Imperocchè hanno quel li la propria loromente , e v fano della
propria inclina zione , alle quali tú non hai da riguardare , ma dei cam minare
per la diritta , ſegui tando così la propria comela comunenatura , delle quali
amendue èvna via. Io cammi. nando me ne vo per le coſe, che ſono ſecondo la
natura , finchè cadendo io mi ripoſe rò, e ſpirando in quello ,don de ciaſcun
giorno reſpiro , e si cadendo in quello , donde il ſemuccio da mio padre, e il
fanguuccio da mia madre , e il lattuccio dalla inia nutri ce furonoraccolti; e
del qua le per tanti anni ogni di mi paſco , e m’abbeuero, che mi foftiene
mentre lo calco , e dello ſteſſo in tanti modi in '. abuſo. 3 Non hanno in
chemara uigliarſi della tua acutezza fia così . Ci fono molte altre coſe ,delle
quali non puoi ne gare , che in te non ſia l'abi lità Mettidunque in opera
quelle , che ſono tutte a tua. diſpoſizione, l'eſſere ſincero ,
grauie,tollerante della fatica , non amico del piacere , non, quereloſo della tua
forte , biſognofa di poco , placidos libero,moderato, serio, e magnifico. Non
t'accorgi quan te coſe tu hai poter di fare, per le quali tu non hai prete ſto
, che la tua natura non fia atta , o abile ; nondimeno di propria elezione te
ne reſti, comedappoco al diſotto ? forſe inetto per natural diſpo ſizione ſe
neceſſitato a inor morare, ad eſſere tenace , ad adulare , ad incolpare il cor
picciuolo , o a luſingarlo , ad effere vano, ed a cotanto nel l'animo agitarti
d'eſſer natu ralmente inetto, e dappoco ? Non per gl' Iddij . Ma però già vn
pezzo fa di tutte que Ite coſe tu eri da te ſteſſo pof ſente a libcrarti.E
ſolamente , ſe però è così,poteui ellerac cuſato come più tardo , e du ro ad
apprendere. Ed in que ſto ancora ti doueui eſercitare , non trasuolando altroue
con la mente , ne godendo della pigrizia . 4. Euni chi, quando ha vſa to
qualche amoreuolezza in riguardo d'alcuno, glie lo di chiara incontanente per
gra zia : eď emui ancora chi, ſe non vſa ſeco tal prontezza in ri conoſcerla ,
nondimeno ap preſſo di ſe penſa , quanto quegli li ſia debitore, e cono ſce
molto bene quello , che egli haoperato . Fuui ancora chi in vncerto modo non co
noſce quello cheha operato ; ma è fimile alla vite,laquale , prodotto il
grappolo,null’al tro di più richiede , dopo ha uer yna volta dato il ſuo frut
to . Il cauallo , cheha corſo il cane,che ha cacciato; l'ape , che ha lauorato
il mele ; 1 * huoc huomo , che ha ben opcrato , non cerca acclamazioni, ma
procede ad yn altr'opera, co me la vite torna a produrre dinuouo alla ſtagione
vn al tro grappolo. Fra queſti dun que biſogna in un certo mo do eſſere, come
chi ſenza ba dare opera ? fi per certo. Nul ladimeno a queſto iſteſſo s'ha da
badare . Perciocchè , dirà alcuno , è proprio del comu nicatiuo che s'auuegga
d'o perare , conformealla comu nicazione; ma perciò ſi vuole, per gl'Iddi, che
anco quegli a chi fi comunica , fe n'accor ga . E'veriffimo coteſto , che tu
dì, ma ſe tu non compren di quello , che'ora ſi dice , farai per tanto vnodi
qnelli, de'quali ſopra s'è fatta men zione: concio ffiecoſa che ancora quelli
da certo probabi le diſcorſo'fi diftraggono, ma ſe tu vorrai comprendere quale
vna volta fia quello , che s'è detto, non temere; ne perciò laſcia d'operare
per beneficio comune . -5 Erano le preghiere degli Atenieſi: Pioni,pioui, ocaro
Gion u éjsopra i campise gli orti degli A tenieſi . Però o non biſogna pregare
, o farlo con iſchiet tezza, e con libertà. 6. A quello, che comune mente ſi
dice : Eſculapio ba oi dinqto a queſti il canalcare , o il lauarli con acqua
fredda, d'andar a piedi ſcalzi;è fimile anco queſto che la natura dell?
vniuerſo ha ordinato a quegli la malattia , o la ſtor piatura , o qualche
perdita , o altro ſu queſto andare: poi chè nella parola , Ha ordinato, vi è vn
tal ſenſo , che coſti tuiſce queſto in ordine a que ſto , come per riferirſi
alla fa nità , e così qui quello , che accade a ciaſcheduno, è con ſtituito per
relazione al deſti no . E però diciamo queſte coſe conuenirſi nel modo , che
gli artefici dicono le pietre quadrate per le mura , e per le piramidi
conuenirſi tra di loro in tale commetti tura combaciandoſi . Perchè in fatti
l'armonia è viia , e ' fi come da tutti i corpi ſi viene a compirc vn tal
corpo, che è il Mondo , così di tutte le cagioni vien ad eſſer il fato vna tai
cagione compita . Comprendono ciò , che dico anco le genti affatto idiote.
imperocchè così fauellano. Queſto huyenne a colui, dun que queſto a colui douea
ar rivare ; e ciò era dal fato or dito a queſto . Prendiamo dunque ſi queſte
coſe , co inc quelle , ſecondo che Eſculapio ordinò - Perchè molte coſe in vero
in fc ſter ſe ſono aſpre , e nientediine . no noi l'abbracciamo per la ſperanza
della ſanità. Penſa alle coſe , che per la comune natura auuengono , la perfe
zione , e il compimento effe re , come a te la ſanità. E così tuto quello , che
vien dato ,benchè ti paia vn po co più aſpro ", abbraccialo , perchè
conferiſce alla ſanità del Mondo , c agli proſperi auuenimenti , e beneficenza
di Gioue. Concioſliecoſa che queſti non produſſe mai coſa alcuna , fe non per
giouare all'vniuerſo ; giacchè qualſifia natura non produce niente , che non
ſia congruo al go uernato da lei.Però biſogna che per due ragioni tu amio gni
qualunque coſa ti auuie ne . Quanto all'vna, perchè per te ſi fece, e a te
s'ordinò , e a te in certo modo attiene, deſtinato da ſourane , e anti chiſime
cagioni. Quanto all' altra , perchè al reggimento dell' voiuerfo ancora quel
particolare,che a ciaſcuno au uiene, è cagione del progreſ ſo , e della
perfezione, come anche in verità dell'iſtella per inanenza . Perciocchè ſi ſtor
pia l'integrità del tutto , fe qualſifia particella tu tronche rai della
conneſſione e conti nuanza ,così delle parti come delle cagioni ; e , per
quanto è in te , lo tronchi , quando non ben lo riceui , ed in vn certo modo lo
toglivia. Non s'ha da maledire , non da ſmarrirſi,nc ſtomacar fi , ſe volendo
tu operare , ſe condo la rettitudine de'pre cetti , in ciaſcuno di quelli non
ti rieſce ; ma ancorchè ſij abbattuto , torna di bel nuouo ad eſſi , e ad
abbrac ciarli nelle coſe , che hanno maggiormente dell'humani tà ; e
affezionatia quell'azio -ne , alla quale tu riedi. Nc ſi ha da tornare alla
filoſofia , nel modo, che ſi fa al pedan te , ma come glinfermi d'oc chi
ricorrono alle ſpugnette e all'youo, o come altri all' impiaſtro, e altri al
lauamen to. Imperocchècosi non ostenterai d' eller lignoreg giato dalla
ragione, ma di ri poſare totalmente in eſſa. Ri cordati , che la Filoſofia ſolo
vuole quello ,che la tua natu ra vuole:ma che tu hai voglia d'altro diucrſo dal
voler della natura . Qual coſa ha più di queſte deldiletteuolc? poichè il
piacere non ingan na egli noi per mezzo di quelle ? ma tu conſidera , ſe più
diletto dia la magnani-, mità, la franchezza , la ſchiet tezza, l'equità, la
ſantimonia . E qual coſa vi è , che ſia più diletteuole della prudenza ,
quandoben conſidererai,che ſia il non fallire , e l'eſſer ben docile in tutto
quello , che tocca alla facoltà dell'inten dere, e del ſapere ? 8 Sono le coſe
in yo certo F modo così ricoperte , che a non pochi Filoſofi, e queſti non
ignobili . parue che del tutto fieno incomprenſibili. Anzi agl'iſteſſi Stoici
ſembra rono difficili a comprenderſi. Ed eſſendo ogni noſtro aſſen ſo ſoggetto
a cadere , e mu tarſi, in che luogo dunque fa rà l' immutabile ? Riuolgiti però
col penſiero a queſte co ſe preſenti;e cöſidera quanto ſieno momentanee , e di
po ca ſtima : ch' elle poſſono ef ſere poſſedute da vn zanze ro , da vna
meretrice , da vn aſſaſſino . Dopo queſto tra paſſa a i coſtumi di quelli che
teco viuono , tra quali anco il più da te gradito, malage uolmente da te vien
compor tato , per non dir che l'huo mo appena comporta ſe ſtesso. In queſta
perciò caligine e immondizia, e in tal Auſli bilità della ſoſtanza del tem po,
del moto, e di tutto quel, che ſi muoue, non potrà im maginarſi qual ſia quello
che poſſa eſſer degno affatto di ſtima, e d'affetto . Dall'altro canto però
biſogna confor tarſi ad aſpettare il natural diſcioglimento , e non dolerſi del
rattenimento , ma ac quietarſi in queſte due ſole coſe: L'yna ſi è, che nulla
mi auuerrà , che non ſia confor me alla natura dell' vniuerſo; e l'altra , che
ſta in mio pote re di non operare contro il mio Dio , e genio :'concioſ fiecoſa
che niuno ci forzi a traſgredir queſto. A che finalmente mi va glio ora dell'anima
mia? Ad ogni momento ho da in terrogaré me ſteſſo , e ricer care che ſi fa
adeſſo da quel la porzione , che reggitri ce viene chiamata ? Di chi dunque
preſentemente porto l'anima? per auuentura d'vn : bambolino, o d'vn fanciullo
forſe dyna donnicciuola , d'vn tiranno, o d'vn giumen to, o d'una fiera? Quali
ficno i beni , che alla moltitudine paiono tali; lo potrai quindi comprende
re;poſciachè ſe vno concepi fce nell'animo efferui alcuni veramente beni, come
a dire la prudenza , la temperanza la giuſtizia , la fortezzá , chii haurà con
la conſiderazione concepito queſte tali cöfe, non potrà più dar luogo ad
alcun'altra , che a queſto bene non ſi conformi . Ma ſe nella mente ſi faran
concepi te quelle , che con faccia di bene agli più piacciono , da rà luogo , e
facilmente rice uerà il detto del comico.Co sì fin il volgo immagina ſimil
differenza ;perchè altrimen te quel detto non offende rebbe , e non ſarebbe con
if degno mal preſo. Per lo con trario l' ammettiamo come propriamente detto,
quando cade ſopra delle ricchezz e, e de cominodi per lo luffo , e per la pompa
. Paſſa più ol e interroga , ſe queſte coſe hai da pregiare , e ſtima re,quando
di eſſe li truoua ef ſer detto con gaiezza , e gra zia , che al poſſeditor di
det te coſe per la gran copia manca doue egli yoti il triſto facco. Sono ſtato
compoſto di cauſa , e di materia, e ne l'vna, ne l'altra fi dilegucrà nel nul.
la; giacchè di nulla non fu prodotta . Dunque ognimia parte mutandoli rientrerà
in qualche parte del Mondo ; e di nuouo queſta in vn'altra parte del Mondo ſi
traſmute rà , e così in infinito . Per mezzo di queſta mutazione ed io ſon
venuto , ed i miei genitori; e così retrogradan do in vn altro infinito . Ne ci
e chi proibiſca di così parlare , ancorchè per peri odi terminati la macchina
mondiale ſi regga. La ragione, e l'iſteſs'ar te ragioneuole ſono facultà a ſe
medefime , e alle opere loro proprie ſufficienti. Muo uonli dunque dal loro proprio
principio ; e camminano dirittamente al propoſto fine. Per lo che ſi dicono
rettifica zioni così nomate queſte azioni a ſignificar la rettitu dine del
ſopraddetto cam mino . Neſſuna di queſte co ſe è da dir, che ſia dell'huomo la
quale non conuenga all' huomo , come huomo , ne ſi richiedono dall'huomo , ne
quelle profeſſa la natura del l'huomo , ne ſono perfezioni della natura humana
. Non è dunque ne meno il fine dellº huomo ripoſto in quelle , ne meno il bene
, che è il compimento di quel fine . Se pure qualche cofa di queſte foſſe
conferente all'huomo , non gli apparterrebbe ne il diſpregiarla, ne il contrariar
la : ne farebbe da lodarſi chi si moſtraſſe non hauer biſo gno di elle , anzi
chi ſtudiaf fe priuarſi d'alcune di quelle, non ſarebbe buono , mentre quelle
foffero buone . Ora però quanto più l'huomo ſi leua queſte coſe dattorno , 0
altre ſimili ; o permette , che ſe gli leuino , tanto più buo no è. Tale farà
la tua mente quali ſaranno le coſe , che ſpeſſe volte ti ſono paſſate per la
fantaſia :reſtando l'ani ma colorata dall'immagina zione . Immergila dunque in
fi fatte continuate immagi nazioni ; delle quali yna ſi è quella che doue ſi
puòviuere, iui ſi può anco viuer bene: ma nella Corte ſi può viucre , a dunque
nella Corte puoſſi feuza dubbio ben viuere . E dinuouo queſt' altrà , che cia
ſcheduna, coſa a qualche co ſa è diſpoſta , e dou' è di ſpoſta ſi porta , e
doue fi porta conſiſte il ſuo fine , e doue è il fine , iuiè l'vtile , e il
bene di ciaſcuno . Sicchè il bene del viucnte ragion euo le è la comunanza ; e
men tre teftè s'è dimoſtrato che perla comunanza ſiamo nati, non è euidente,
che l'inferior bene per lo meglio è fat to , come vn meglio per l'al tro
meglio?ma migliori deg! inanimati ſono gli animati, e degli animati li
ragioneuoli. E da furioſo il profe guir le coſe impoſſibili : ma impoſſibile è
che i cattiui non facciano alcune tali co fe . Niente auuiene a niuno , che non
gli ſia ſtato dato a portare dalla natura ; ma le medeſime coſe ſuccedono a gli
altri, i quali o non com prendono l'accaduto loro , o per oſtentar la magnanimi
tà , non ſi muouono dal lor fefto , e lieti ſe ne ſtanno Onde ſtrano parrà che
l'in gnoranza , e la propria com piacenza fieno più poſſenti della prudenza .
Le coſe per fe fteffe in niun modo tocca -no l'anima ; anzi non hanno in quella
l'introito , ne poſſo no piegarla, o muouerla . El la ſola riuolge , e muoue ſe
ſteſſa : e le coſe , che le fo prauuengono fono tali, qua ſi ella ſe ne forma i
giudicij . 15 Per vn altra ragione la natura degli huomini è a noi
famigliariſſima , in quanto che noi dobbiamo far loro del bene , e tollerarli ;
in quanto poi alcuni relifto no all'operazioni , che a noi conuengono , l'huomo
a me diuiene come vna coſa del le indifferenti non meno del fole , del vento ,
delle beſtie. Da queſti ſi può impee dire qualche operazione; ma non ſi può
dare impedimen to , ne all'appetizione, ne al la diſpoſizione , a cagion della
eccezione , e del ri. uolgimento.Conciosfiecoſa che la mente riuolge , e tra
muta in coſa a ſe proporzio . nata tutto quello , che all? operare le da
impedimento , e quello , che ratterrebbe l'o pera , l'iſteſſo diuiene opera , e
quello che innanzi era oſta colo al cammino , ſe le fa . cammino. Di tutto
quello , ch'è nel Mondo tu venera l' otti mo; e que to è quello , che ,
feruendoſi del tutto , il tut to gouerna . E così parimen te di quello, ch'è in
te, onora l'ottimo,hauendo queſto fin golar relazione a quello ..
Concioſliecoſa che , eſſendo in te , fi vale delle coſe tue, eſotto il di lui
gouerno è condotta la tua vita. Quello , che non è di danno alla Città , non
nuo ce al Cittadino.Applica que fta regola in ogni occorrenza in cui tu reputi
d'eſſer offeſo. Se da queſto la Città non ri ceue nocumento , ne io lo ri ceuo
; e fe la Citrà riceueffe nocumento , non biſogna , che tu t'adiri contra chi
l'ha daneggiatta . Ma moſtra in che egli ha traueduto. Conſidera ben fouente la
preſtezza,con la quale li por tino via , e ſi fottragghino tutte le coſe , che
ſono , e ſi van facendo; poſciachè la ſo ſtanza a guiſa d'yn fiume è in
continuo fluſſo , eľ opera zioni in non intermeſſe mu tazioni, e le cagioni
ſogget te ad infinite riuolte . Nec è quaſi coſa alcuna, che falda ftia , e che
non ſia vicina ad yn'immenſità infinita , sì del paſſato ,come del futuro,ncl
la quale il tutto ſpariſce.Co me dunque non è pazzo chi di queſte coſe ſi
gonfia,o fe ne trauaglia,o ſi querela dicoſa, che per iſpazio di tempoan , che
pochiſſimolo conturba 2 Ricordati della ſoſtanza vni uerſale, della quale tu
partecipi per vna minima parte , e del vniuerfal tempo,del qua le vn breue
ſpazio , o momen to te n'è aſſegnato ; e nella ſerie fatale che parte fai ? Alcuno
pecca : che impor ta queſto a me ? Egli ſe lo ve drà. Egli ha la propria diſpo
ſizione , la propria operazio ne. Io al prefente ho quello , chela natura
comune vuole , ch'io adcfſo m’habbia , e fo quello , che la mia propria natura
vuole , che io adeſſo faccia. 18 La reggitrice , e domi, nante porzione della
tua ani maſia immutabile, e inarren . deuole a i moti della carne, o morbidi, o
aſpri che ſi fieno; ne vi ſi rimeſcoli,ma conten ga ſe ſteſſa , e confini
quegli affetti dentro i ſuoi meinbri. Quando poi per vn'altra ſim patia ſi
rinnalzaſſero alla mente , per effer ella vnita al corpo , ſtante l'eſſer il
ſen ſo connaturale , non haſli a contraſtare con violenza, pe rò la mente
reggitrice da ſe ſteſſa non v'aggiunga l'opi nione inrorno al bene, o al male. S'ha
da viuere con gli Iddij . Viue con gl'Iddij chi loro fuela continuamente la fua
anima effer contenta del diſtribuitole , ed operando tutto quello, che vuole il
ge nio , dato a ciaſcuno da Gio ue per preſidente, e rettore , come parte a ſe
medeſimo preſa, e queſto è la mente , e la ragione di ciaſcuno. 20 Non ti adiri
tu con co Jui,al quale puton l'aſcelle? E con quegli altresì,che man da fuor
dalla bocca fetente fiatore ? che ti farà coſtui ? Egli ha vna bocca ſi fatta ,
e l'aſcelle di tal condizione : Forza è , che ſimili eſalazioni eſcano da
ſimili parti ; Mal huomo , mi dirà alcuno , ha la ragione , e può s' egli au
uerte conſiderare in che egli difetti . Buon prò ti faccia . Dunque per hauer
tu ancora la ragione rifueglia la ſua ra gioneuole diſpoſizione con la tua ,
inſegnali aminoniſci lo. Perchè fe quello t'aſcol-. terà , lo riſanerai, e ſarà
fu perflua ogni collera . 21 Non fare ne da rappre fentante tragico;ne da mere
trice : Nella maniera che tu diſegni vſcir di vita , così ti lece ora di vivere?
<a quando non te lo permetteſſero , allora eſci di vita , ma però , come da
niuno infortunio abbattuto ,ma quaſi tu dichi : Qui c'è del fumo, e io me ne
vado . Ti par queſto gran coſa ? mentre nient'altro mi fa vſci re rimango con
la libertà , e niuno mi vieterà di far quel lo , che io vorrò . Vorrò però
quello , ch'è conueniente al la natura dell'huomo ragio neuole, e nato per la
vita cos mune . 22 La inente dell'yniuerſo è comunicatiua ; e perciò hafat te
le coſe peggiori in ordine alle migliori , e le più princi pali tra di loro
ſcambieuol mente compoſe • Vedi come le ſubordinò , come inſieme le ordinò , e
come quello che cra conueniente detre a cia ſcuna e le più principali con
reciproca concordia con giunſe? 23 Come ti ſei portato fin ora con gl'Iddij,
con i geni ( tori , co fratelli , con la mo glie , con i figliuoli , co * pre
cettori,co'nutricatori, amici, domeſtici , e ferui ? hai tu fin ora oltraggiato
alcuno di - loro , o in fatti , o in parole ? -Ricordati di più per qualico fe
ſe paſſato , e quali ſe ſtato fufficiente a tollerare,e come di già per te è
adempita la • ſtoria della vita, ed è finito il miniſterio.E quante coſe bel le
hai vedute ? e quanti pia -ceri , e dolori hai diſprezza ti? quante coſe d'
apparente gloria hai neglette ? a quanti fconoſcenti ti dimoſtraſti benigno? Per
qual cagione l’ani me ſenz'arte, e fenza ſcienza conturbano il perito nell'ar
te , e l'erudito ? quale dun que farà l'anima perita nell' arte , ed erudita
nelle ſcicn • ze ? quella , che ha notizia del principio , e del fine ; e di
quella ragione , che pene trando ogni ſoſtanza dell' vniuerſo , per tutta l'età
, fe condo i periodi ordinaci,reg . ge il tutto . 25 Or or tu farai cenere , é
carcame, ' o ſolamente no 1 me,ma ne pur nome , ridu cendoſi il nome in vn poco
di ſtrepito , e di riſonanza; e certamente quelle coſe , che in queſta vita s '
hanno in i grandeſtima , ſono vane,pu tride , ſcarſe , e in guiſa dica gnolini,
che ſi mordono, e di 2 putti , che contendono , e ri dono, e ad vn tratto
paſſano al pianto. Ma la fede, la mo deſtia, la giuſtizia, e la verità Da
ilarghi ſpazi della terra alCielo s? innalzarono . Che coſa adunque qui ti
rattienca ſe le coſe ſenſibili, ſono faci liffime a mutarſi , e non ſon
conſiſtenti , e gli organi del fenſo oſcuri , e facili a ri ceuere falſe
impreſſioni, e l' iſteſſa animuccia del ſangue yna eſalazione , l'acquiſtar
gloria appreſſo queſti tali è vanità . Che dunque aſpetti? Aſpetta placido o la
eſtin zione , o la traportazione . E finchè il teinpo arriui di que ſto , che coſa
a te farà ſuffi ciente che altro ſe non il ri uerire gl’Iddij, e lodarli, e be
neficare gli huomini, sopportarli e aftenerſi da quelli ? E quanto coſe ſono
fuori del confine della carnuccia dello ſpiritello ricordati, che non ſono tre
, ne ſotto il tlio comando. 26. Potrai profpcrarti per. fempre, e ben
incamminarti, e con buon ordine apprende dre, e operare. Queſte due co ſe ſono
comuni così all'ani ma di Dio , come a quella de gli huomini', e d'ogni ra
gioneuole viuente , cioè di non poter eſſere impedito da che che altro fi fia ,
e di porre nella giuſta affezione, e azio ne il ſuo bene; e in queſto ri
ftrignere ogni ſuo deliderio. -27 Se ne queſto è malizia naia , ne meno
l'operazione procede dalla mia malizia , ne il comune viene offero, perchè di ciò
mi trauaglio ? e qual è il danno del comune? Non ti laſciar così totalmen te
rapire dalle immaginazio ni, ma aiutati quanto puoi , e conforme alla
conuenienza; e ancorchè nelle coſe mezza ne ſieno diffettoſi, non iftima re
perciò, che queſto ſia dan no;perchè auuiene da mala conſuetudine . Ma come yn
vecchio andandoſene richie deua la trottola del ſuo allies uo , ricordandoſi
che al fine era vna trottola , così tu quì, o huomo, quando hai fatto ne’roſt
ri qualche coſa di bel lo , non ti ricordi , che coſa queſto fia ? me ne
ricordo . Ma quello è pregiato da co loro ; perciò dunque hai an che tu da
impazzare? Impaz zauo già vna volta ſoprap preſo , douunque io foſſi , ed ero
fortunato; e l'oſſer fortu nato , conſiſte nel dare a ſe hafteſſo vna buona
forte : le buone ſorti ſono i buoni mo uimenti dell'animo , le buo ne
inclinazioni , le buone azioni. La sostanzia dell'universo è ben ubbidiente e
maneggieuole. E pur la ragione , che la reg ge , non ha in ſe cagione al cuna
di mal fare; perchè non ha malizia , ne opera malamente , ne da eſſa coſa
alcuna riceue leſione ; ma il tutto conforme a quella fi fa e s'affina. Sia a te indiffcrente d'operare quello , che
ſi conuiene ; ſe tu ti ſenti freddo o caldo o pur ſonnacchioſo o fazio di dormire
o fc di te bene, o male ſi parli o tu ftij ſulmorire o in qualche altra azione,
mentre pure quello è vno degli atti vitali per i quali noi finiamo. Baſta .
dunque, e in queſto ben disponi il negozio preſente. Guarda al di dentro, ac
ciocchè ne la propria qualità , ne il merito di coſa alcuna fenz ' auuedertene
ti scappi . Tutto ciò, che hai dinanzi affai presto si cambierà , o di
leguandofi, se la sostanzia consiste per via d'vnione, o dissipandoſi La mente
reggitrice conosce bene con che disposizione e che cosa e in qual materia opera
. s Belliſſimo modo di ven dicarſi con chi t'offcfe , è il non aſſomigliarſi a
lui . In vna ſola cofa hai da godere , e d’acquetarti , cioè di paf ſare da vn
atto conueniente alla comunità humana ad vn altra azione , pur conuenien te
alla medeſima , con ricor darti , che ci è Dio . 6 La facultà reggitrice è
quella , che ſe ſteſſa eccita , e volge , e forma ſe ſteſſa in quella guiſa ,
che ella voglia, e tutto ciò,cheauuiene ſi rap preſenta , quale più le piace. Ciaſcuna
coſa ſi condu ce a fine conforme la natura dell'vniuerfo , e non ſecondo altra
natura, che ſi fia, o eſte riormente ambiente , o al di dentro riſerrata ,
ouero al di fuori ſeparata . Il mondo o è vn imbro glio , e auuiluppamento , e
diſſipazione , ouero vnione , eordine , c prouidenza : Se i primi , per qual
cagione deſidero io di conuerfare con queſta maſſa confufa , e cotal
nieſcolanza ? a che m applico io ad altro , che ad eſſere per qualche modo ter
ra ? che ſto a perturbarmi ? Concioſliecoſa che qualun que coſa io mi faccia la
dif ſipazione al ſicuro m'arriue rà: ma ſe è l'altro detto in fe . condo luogo,
io riueriſco co lui , che il tutto diſpone, e in lui m’acqueto e confido. Quando
gli anuenimen ti eſtranei ti violentano per qualche verſo a perturbarti ,
prontamente ritorna in te ſteſſo ; e non vſcire dal tenore , e concerto più
diquello, che la neceſſità ti ſpigne. Im perocchè cóſeruerai più con fonanza,
ſe toſto in eſſa ti ri metterai . Se inſieme tu ha uelli la matrigna, e la
madre, tu quella feruireſti , e niente dimeno del continuio alla madre fareſti
ritorno . Non altro a te è ora la Corte , e la Filoſofia : a queſta ſpeſſo ri
torna, e in eſſa acquetati, per mezzo della quale le cofe , che in quella
occorrono , ti parranno più tollerabili , e tu nell' iſteſſe coſe farai da
tollerare. 10 O comeè bene formar ſi nell'immaginatiua intorno alle viuande , e
altre cole ſi mili comeſtibili : che queſto ſia cadauero d'yn peſce,quel
l'altro cadauero d'vn' vccello d'un porcello . Simil mente , che il falerno ſia
pic cola gocciola d’yn grappo lino d'vua , e lo ſcarlatto pe luzzi di pecorella
intinta col fanguuccio di vna conchi glia . Così ancora nelle coſe intorno al
congiugnimento carnale , che fia vn diletico dell'inteſtino , e conqualche
conuulfione yna egeſtione di yn moccino.Ora come queſti fimili conceputi
penſieripe netrano je toccano il fon dodelle coſe in modo , che ſi vedano talis
quali elle fono in queſta maniera biſogna ſeruirſi di queſti in tutta la vita ,
e doue le coſe paiono più degne di fede , dinudarz le , e riguardar la loro
viltà e ſuilupparie dalla pompa , con la quale foſſero poſte in G 3 alterigia.Poichè
l'apparenza è vnagrande ingannatrice e maſſime quando tu penſi di trattare le
coſe ferie , allora più che mai t'affaſcini . Mira dunque a quel , che diſſe
Cratete di Senocrate . Il più delle coſe , che la inolti tudine degli huomini
ammi ra , ſi riduce generalmente a quelle , che hanno dalla na tura le forme, o
dall'arte fon loro aggiunte ; per cfemplo , le pietre , le legne , i fichi, le
viti , e gli oliui , e quelle , che vengono ſtimate da huo mini alquanto più
moderati, fi riducono alle coſe animate, ome a dire, gregge , ar menti : ma
quelle , che ſono pregiate da perſone di più garbo, ſono le dotate d'a nima
ragioneuole , non già di quell'anima , che è dell' vniuerfale , ma di quella ,
che fi val dell'arte , o altri mente come con ingegno penetra , o per dirlo
ſempli cemente tutto tiene ſogget to , in guiſa d'una quantità diſchiaui. Però
chi dell'ani ma ragioneuole, vniuerfale , e ciuile fa conto , non bada a nient'altro
, ma ſopra il tutto conferua la propria anima di ſpoſta , e ſemouente ragione
uolmcnte , e alla comunica zione humana , é con l'vni uerfale , ch'è del
medeſimo genere, coopera . II Alcune coſe s'auanza no al lor facimento , e
altre s'auanzano al lordisfaci mento ; e di quello , cheſi va facendo, vna
parte già è ſpas rita . I corſi delle coſe , e l'al G 4 te terazioni
continuamentc ri nouellano l'infinita eternità , cd il Mondo ; nella maniera ,
che il corſo non mai man cante del tempo lo rende ſempre recente . E chi è que
gli , che in queſta corrente poſſa affezionarſi ad alcuna di quelle coſe , che
via traf ſcorrono , mentre in quella non può arreſtarſi a queſti fa + rebbe in
guiſa d'vno, che ſi metteſſe ad amare vn paſie rotto di quelli , che col volo
trapaſſano, dopo che già dal. la viſta foffe fcappato . La vi ta di ciaſcheduno
è come lo ſuaporamento del ſangue , e'l reſpirardell'aria . Poichè. qual'è
l'attrarre dell'aria , e il renderla, che del continuo ciaſcuno fa, tale è ogni
fa cultà reſpiratiua , che ieri , o ieri 1 ieri l'altro nafcendo fi rice uè , e
l’ha da irimandare là , donde primafu colta . 12 Stimabil coſa non è , ne
l'efferc fuentolati , come le piante , ne il reſpirare ,come le beſtie , e le
fieregne il riceue re l'impreſſioni nell'immagi nazione , ne l'effer tirato dal
l'impėto delle paſſioni, ne lº adunarfi inſieme,ne l'alimen tarſi ; poichè
queſto è il me deſimo , che lo ſcaricar il fo prauanzo dell'alimento . Di che
s'haurà da far conto de lo sbattimento delle mani ? Non già . Dunque ne meno
dell'applaufo delle lingue ; poichè gli applaufi , ele ladi della moltitudine
altro non fono , che ſtrepito di lingue . Mentre tu dunquc leui via queſta
glorietta che ci riina G 5 ne da pregiare ? Io per me re puto ,che ſia il
muouerſi, e com tenerſi fecondo la propria conſtituzione là;doue gli ftu dij,e
l'arti conducono.Poichè ogni arte ha queſto per mira, che quello, che appreſta
, lia abile all'opera , per la quale è diſegnato . Queſto pure ri cerca il
lauoratore della vi gna , ed il cozzone de' pule dri, e’lcanattiere . E ledu
cazione de' fanciulli, e glin. ſegnamenti a che altro s'in dirizzano ? Qui
dunque con ſiſte il pregio , e , ſe ciò ti ſta rà bene , di niente altro ti
curerai. Cheſe non ti quie ti , e ſtimeraipiù altre coſe , allora non goderai
della li bertà , ne ſarai ſufficiente a te ſteſſo , ne immune dalle paſſioni ;
conciofficcola che ti D ti ſarà di meſtiere d'eſercitar Pinuidia , e
l'emulazione , e'l ſoſpetto verſo quelli , che habbiano potere di priuarti
delle dette cofe ; e anco di macchinar contro quelli » che le da te ftimate
poſſiedo no . Onninamente è neceſſa rio che ſi conturbi chi ďal cuna di dette
coſe è biſogno fo , e che in oltre ſpeſſo faccia doglienza degl' Iddij . Ma chi
la ſua propria mente ris ueriſce , e pregia , compiace rà a ſe ſteſſo , e a
quelli , che fecocomunicano s'adatterà , e fi conformerà con gl'Iddij, cioè
loderà quanto eſli defti nano , e diſtribuiſcono. Le moſſe degli elemen ti ſono
in giù, in fu , e in giro: però il monimento dellavirtù non confifte in niuna
di que G 6 ſtę ; + R ng ſte ;ma come
coſa più diuina , per via malageuole a cõpren dere felicemente s'auanza. Che è
quello, che fan no glihuomini ? ricuſano di lodare coloro , che nel me deſimo
tempo , e inſieme con effi viuono, e poi queſti iſteſ fi fanno gran conto
d'eſſer lodati da’ poſteri , i quali ne mai conobbero , ne mai vec dranno ; ed
è quaſi lo ſteſſo , che fe tu ti doleſli , che da gli antepaſſati in lode tua non
foſſe ſtato mai parlato. Non perchèate ſteſſo quello fia difficile a confe
guire, hai d'apprendere ,che Via impoſſibile all'haomo; ma ſe queſto all'huomo
è pofſi bile , e conuencuole , Itima che anco tu lo poſſi arriuare. 16 Negli
eſercizij corpo rali 1 DIMARCO rali , ſe vno con l'vnghie graffia , o vrtando
il capo ha urà fatto piaga , non perciò glie la ſegnamo , ne ce n'of fendiamo ,
ne ombra ne prendiamo come d'inſidia tore ; ancorchè ci guardiamo da lui , non
, come da nimi co , ne con ſoſpetto , ma piaceuolmente ſcanſandoci. Queſto
medeſimo s'vſi da noi ancora nell'altre parti , che reſtano della vita noſtra,
do ue ci affatichiamo aſſai , co me contro quelli , che con noi s'eſercitano;
perchè vn può , come ho detto , fcan fargli ſenza ſoſpetto , e odio . 17 Se
alcuno potrà cor reggermi , o moſtrarmi, che io dalretto m’abbaglio con
l'opinione , e con l'opere , di buona voglia mimuterò , essendo in me brama
della vee rità , la quale non nocque mai ad alcuno: ma egli vien leſo dal
proprio errore , e dalla ſua ignoranza , nella quale egli perſiſte.Io fo quel
lo , ch'appartiene al mio of ficio ; l'altre coſe non mi di ſtraggono , perchè
ſono ina nimate , o irragioneuoli , o che errano , e non ricono ſcono la ſtrada
. De viuenti irragioneuoli , e vniuerfal mente di tutte le coſe , e dem
ſoggetti tu come ragioneuo le ſeruitene con grandezza d'animo, e franchezza ,
giac chè ragione non hanno; ma degli huomini , perchè eſ hanno la ragione,
ſeruitene nel modo , checonuiene alla focietà humana. E ſopra tutto inuoca
gl'Iddij, e non ti pi 1 gliar penadi quanto tempo tu haida porre in queſta o
pera , perchè tre fole ore fo no baſteuoli. Alessandro Macedone , e 'l ſuo
mulattiere , ora che ſon morti , ſono in tutto ri dotti al medeſimo . Auue
gnachè o ſono aſſunti nell' iſteſſe ſeminali ragioni del Mondo 20 parimente
ſono difperfi ne gli atomi. 19. Conſidera quante coſes. dell'animo , o del
corpo in yn momento di tempo in qualſiuoglia di noi tutte in ſieme fi facciano
; ed in tal guifa non ti marauiglierai , fe molte più coſe , anzi tutto quello
, che ſi fà , in queſt vno , c yniuerfo , che noi chiamamo Mondo , parinen te
ſufliſtano.in 2Se alcuno t'interro ga , come fi ſcriua il nome & ANTONINO ,
proferirai tu appuntatamente ciaſcu-. na delle lettere ? Che dun que s'egli
entrerà in colles ra ,entrerai ancor tu in collera? Anzi più toſto profe guendo
non conterai tu ad vna ad vna con piaceuolezza le lettere ? Però queſto ti ri
durrai nella memoria , che ciò , che è conueniente , da alcuni numeri riceue il
ſuo compimento.Queſti biſogna offeruare , e ſenza turbarſi, ne ſdegnarſi contro
quelli , che prendeſſero Idegno , ter minar la faccenda per lo pro prio
cammino. E' come yna crudeltà il non permettere agli huomi ni che ſi diano a
far quello , che pare a loro s'adatti , e conuenga . Il che in vn certo modo tu
vieti loro di fare , quando, peccando eſſi, tu ti diſguſti, e ti ſdegni;
auuegna chè allora ſon portati a quel lo come a coſa, a loro conuc niente, e
profitteuole. Ma la cofa , mi dirai , non va così . Dunque tu inſtruiſcili , e
ciò dimoſtra loro ſenza alterarti. 22 La morte fa cellare l' impreſſioni, che
da i ſenſi si cagionano . , le commozioni violente per l'affezioni, co me
ancora gli aggiramenti mentali , e ogni ſeruitù ver ſo della carne .
Diſdiceuole coſa è , che in quella ſorte di vita, nella quale il corpo non
s'infiacchiſce , l'anima prima del corpo s'infieuoliſca. Guarda di non inccfa rirti
, per non intriderti , che così fuole auucnire . Però conferua in te ſteſſo la
ſchiettezza, la probità, l'inte grità ,la conueneuelezza, l'in genuità ,
l'amore del giuſto , la pietà , la piaceuol ezza , l'humanità, la fermezza nell
operare cofe comuenienti . Sforzati di mantenerti tale , quale fu l'intento
della Filo ſofia di formarci . Venera gľ Iddij , protegi gli huomini. Breue è
la vita , e l' vnico frutto del viuer in terra è vna ſanta compoſtura d'ani mo,
ed il far opere indirizza te al comun bene degli altri . In ſomma fa ogni coſa
da vero allieuo di ANTONINO, Rio cordati , come cgli ſempre ſtaua in vn retto
tuono d'o perare ſecondo la ragione dell’vguaglianza ſua in tutte le coſe della
ſantità , della ſerenità della faccia della foauità , del diſprezzo della
vanagloria , e dell'attenzio ne nell'apprender gli affari . E come egli non
haurebbe trapaſſato coſa alcuna , ſe prima non l'haueſſe ben co noſciuta , e
perfettamente confiderata ; e come egli comportaua quelli', che di eſſo a torto
ſi lamentauano , ſenza ridolerſi diloro ; e co ine in coſa alcuna non s'af
frettaua , c non ammetteua calunnie ; ne de' coſtumi, o dell'azioni era curiofo
fpia tore , ne rinfacciatore , non timido non ſoſpettoſo , non ſofifta ; ecome
conten tauaſi del poco sì nell'abi tare , sì net dormire , sì pel 0 e veſtire,
sì nel mangiare , si nella ſeruitù ; come, pronto trauagliaua volontieri nel le
fatiche, e con longanimi tà ; e in qual modo fe la paf ſaua fin alla ſera con
leggier riſtoro ; non hauendo biſo gno fuor delle ore conſue te delle folite
egeſtioni. In oltre conſidera la fermezza di lui fenza niuna variazio ne
nell'amicizie ; e la tol leranza' di chi liberamente contradicena a’fuoi
pareri, e't godimento , fe venina da al tri moſtrata cofa migliore ; e come era
, religioſo ſenza fuperſtizione : acciocchè nel l'vltinio punto della tua vita
ti truoui con fi buon co noſcimento di te fteffo , me'anuenne a lui . 24
Riſuegliati e richiama te fter D fteſlo , e di nuouo fuori del fon no conſidera
che i ſogni ti perturbauano, Torna riſuc gliato a rimirare queſte coſe humane,
come miraui quelli. 25 Son compoſto di cor picciuolo , e d'anima . Al
corpicciuolo dunque ogni coſa è vna , poichè egli non può farui differenza ; maall?
intendimento tutto quello è indifferente , che non è del le ſue proprie
operazioni Ora le ſue operazioni tutte ſono nel di lui potere; e fra queſte,
quelle che al preſen te folo maneggia : mentre quelle dell'auuenire , o quel le
del paſſato anche eſſe già a lui ſono indifferenti. Non è fuor di natura la
fatica alla mano , e al piede, finchè il piede fa quello, che ha da fare il
piede , e la ma no quello , che la mano. Co sì ancora all'huomo , come huomo ,
non è fuor di natu ra la fatica quando opera quello , che ſi ſpetta all’huo mo
; c ſe ciò a lui non è fuor di natura , non gli ſta male . Quanti piaceri ſi
goderono i maſnadieri, i zanzeri , i par ricidi, i tiranni ? Non confi deri
come i mecanici artiſti infino agl'idioti in vn certo modo s' accomodano
nientedimeno ſoſtengono la regola della loro arte , ne comportano , che da
quella ſi manchi , Non farà coſa ſconueneuole , che l'archi tetto , o il medico
riſpettino più la ragione della propria arte, che l'huomo la ſua , la quale gli
è comune con gli Iddij? L'Asia , l'Europa ſono angoli del Mondo : tutto ľ
Oceano vna gocciola del Mondo : il monte Atho una zollerella del Mondo : ogni
tempo , che corre yn punto dell'eternità . Tutte ſon coſe piccolc , facili a
mutarſi , che preſto fuaniſcono là , donde procedono , deriuando tutte dal
comun direttore . Sicchè il grifo del Leone , e'l vele no , e ogni maleficio
,come le ſpine, ela mota , ſono giun te forucnute da quelle coſe degne , e
buonc . Dunque queſte coſe non reputar alie , ne da quello , che tu riueriſci,
ma riuolgi nella tua mente il fonte di tutte le coſe . 28 Chi vede le coſe pre
fenti , l'ha vedute tutte , fieno quelle , che furono per tutti i ſe 70 12 lle
of chi in ori ſecoli , o quelle , che per gli infiniti ſaranno;eſſendo tutte
dell'iſteſſo genere , e confor mità . Conſidera bene ſpeſſo la congiunzione di
tutte le coſe mondane,e l'abitudine; o il riſpetto , che vna ha con l'altra ;
giacchè in certo mo do tra ſe tutte le coſe ſono intrecciate, e così tra di
loro , ſecondo queſto , ſi affeziona no , poichè vna ſeguita l'al tra, o ſiaſi
per lo moto loca le , o per la coſpirazione, o per l'vnione della ſoſtanzia. Adatta
te ſteſſo a que' negozij; che ci ſono toccati in forte , ea quelli huomini,
co’quali ſei deſtinato d'eſſere, poni affetto, ma di vero cuo re.
Gl'iſtrumenti, gli arneſi, e ognivaſo, ſe a quello , ache è stato ordinato
s'accomoda, è buono ; ancorchè quegli', che lo fabbricò no vi ſia più. Ma di
quelle coſe , che ſotto la natura ſi contengono den tro vi è ; eperſeuera la
facult tà che le diſpoſe . Perciò tanto più deeſi quella vene rare; e ſtimare ,
perchè ſe tu opererai , e ti gouernerai conforme al voler di quella , il tutto
ti riuſcirà , ſecondo la tua intenzione ; così an cora ad ognuno le cofe - rie
ſcono , fecondo la mente di lui . 30 Quando fuor di quello , che cade ſotto la
tua elezio ne hai a te ſteſſo preſuppoſto o bene , o male', è neceffa . rio ,
ſecondo l'auuenimento di detto male' , o miſauueni mento di detto bene , lan H mentarti
degl'Iddij , e anco ra odiar ' gli huomini , che ſieno ſtati cagione , o che a
te ſieno ſoſpetti, come che poteſſero eſſer cagione di detti miſauuenimenti , o
au uenimenti . E per queſta dif. ferenza verremo pure a peca car molto . Ma ſe
folo giudi chiamo le coſe buone , o cattiue , che ſono in noftro potere , non
ci rimane niuna cagione , ne di dolerci di Dio , ne di contro gli huo mini con
oſtil ſedizione op porci - 31 Tutti cooperiamo a compiere l'iſteſſo ouraggio ,
alcuni ſapendo , e compren dendolo alcuni ſenza ſaper lo . E quindi, al mio
parere , Heraclito chiama operarij, e cooperarij nel facimento di tutto quello
, che nel Mondo ſi fajanco da'dormienti.Altri in altro modo coopera , e molto
largamente ancora quegli , che ſi querela, e que gli , che ſi sforza d'opporſi
, e di diſtrugger le coſe ,che ſi fanno : concioffiecoſa che , di ciò hebbe
meſtiere ilMon do . Reſta dunque , che tu intenda tra quali di queſti tutti
annoueri ; poichè l’ ordinator del tutto in ogni maniera ſi ſeruirà bene di te
, e ti riceuerà in qualche parte di quelli , che cooperano , 0 poſſono operare
; ma tu fa di non hauer tal parte , quale nel dramavn vile , e ridico lo verſo
mentouato da Cri ſippo . Forſe che'l sol ambiſce far da pioggia ? ed Eſculapio
da terra fruttifera ? Non vedi com 3 li H 2 me ciaſcuna ſtella, quantun que
dall'altre diuerfa , nien tediineno al facimento di vna , e iſteſſa coſa concor
re 32 Se dunquegl'Iddij han no deliberato dime, e delle coſe , che a me ſono
per au uenire , la deliberazione non farà , ſe non buona : hauena do in fe
repugnanza il penſar yn Dio ſenzaconſiglio . Qual cagione lo mouerebbe a far mi
del male ? Poſciachè a los ro , e all'vniuerſo , del quale hanno ſpezial
promuidenza, da ciò che ne riſulterebbe ? ma ſe intorno a me non de liberarono
, certamente in torno dell' vniuerfo hanno deliberato , per cui conſe guenza
eſſendo queſti auue nimenti ordinati , debbo ab bracciarli, ed eſſer contento .
Se poi di nulla ſi pigliano cura , il che è empio a crede Te , non
facrifichiamo noi ? non porghiamo preghiere ? non giuriamo ? e non faccia mo altre
coſe , le quali tutte agl' Iddij , come ſe foſſero prefenti , e conuerſaſſero
con noi ; indirizziąmo ? E ſean cora niente in riguardo no ftro deliberano ,
farà lecito ch'io pigli deliberazione di me ftcflojie la mia riſoluzio nenon
farà altro , che intor no a quello , che mi torna 'bene ;maquello torna bene a
ciaſcheduno', che è fecon do la ſua conſtituzione , e nåtura . Ora la mia
natura è ragioneuole , c cittadineſca . La Città , e la patria è a me Roma, in
quanto ſon ma in quanto ſon huo . mo è il Mondo . Dunque quelle coſe , che a
queſte Cittadi ſono d'vtile , quelle fole ſono a mebuone . Quel lo , che a
ciaſcuno auuiene, conferiſce al' tutto . Queſto doueua effer fufficientes ma
ancora di più quello in ogni maniera con perfpicacia of feruerai , che ciò ,
che acca de conferente all'huomo , anche agli altri huomini conferiſce . Ma al
preſente s'intenda queſta parola Eup Os pov nelle coſe mezzane in ſenſo comune
al bene , e al male . 33 Come quanto ti ſi rap preſenta nella faccia del
Theatro , o di ſimili luoghi , fe in vn modoſempre ſi ve de , e non mai cambi
l'aſpetto, diuiene ſazieuole alla vi fta , l'iſtella apprenſione ſi fa negli
auuenimenti per tutta la vita . Poichè ſottoſopra tutte le coſe ſono le medeſi
me , e dalle medeſine ca gioni . Sin doue dunque ? Conſidera del continuo tuto
te le ſorti d' huomini , e ď ogni ſorte di profeſſione , e di tutte le nazioni,
quei che fono morti, con arriuare fi no a Filiſtione , Febo , e Ori ganione .
Paffa adeſſo ad al tre nazioni . Colà hauemo da tragettare , doue traget tarono
tanti graui oratori, tanti venerandi Filoſofi . He. raclito , Pitagora ,
Socrate , tanti Eroi primieramente, e poi tanti condottieri , e ti ranni: e
appreſſo a loro Eu doſſo, Hipparco, Archimede, e altri di perſpicace ingegno,
magnanimi , amatori della fatica , Scaltriti , arroganti : e quelli ancora ,
che di que fta vita humana caduca, e giornaliera ſi ferono beffe come Menippo,
e ſimili. Tut ti queſti conſidera che già yn pezzo fa giacciono . Ora che male
è a loro queſto , e che male a quelli ancora , che in tutto ſono ſenza niuna no
minata ? Vna coſa iui è dc gna di ſtima , il viucr tran quillamente con li
bugiardi , e gl'ingiuſti , vſando la veri , tà ,e la giuſtizia . 34. Quando tu
vogli ralle grarti, riuolgil'animo all’ec cellenze di quei : , ché teco viuono
: come a dire all'atti uità di quegli , alla modeſtia di queſti , alla
liberalità d ? vno e così ad altra virtù di qualche altro . Non ci effen , do
cofa , che tanto rallegri , quanto le ſomiglianze delle virtudi alviuo rilucenti
nelli coftumi de contemporaneiig le quali tutte in vn tratto in fieme a noi
rappreſentano. Per lo cheper quanto è pof fibile , le hai d ' hauer ſempre alle
mano . 435 Forſi tu ti duoli , che fei ſolamente di tante libbre, e non di
trecento di Nell' iſtefla maniera , che fino a tanti anni prolungherai la vita
, e non più . Perchè co me della ſoſtanzia corporea in quanto the determinata e
acquieti, così fa ancora del tempo . 36. Sforciamoci di render gli huomini
capaci: però o pereremo ancora qualche cofà contra guſto loro, quan do la
ragione del giuſto così richieda.E ſe qualcuno vſan doti violenzati si oppone ,
trapaſſa alla placidezza fen za dolerti; e dell'impedimen to feruitene per
vn'altra, vir tù ; e ricordati che tu deſideri le coſe con dell'eccettuazio ne
, non appetendocofe im . poflibili. Che coſa dunque appetiſco ? quel certo defi
derio regolato ; e queſto tu ottieniquando , arriua quel lo , che primo, e
principal mente viene deſiderato . 37 L'amator della gloria dall'opere d'altri
ſi perſuade il proprio bene ; quegli , che ama la voluttà , dalle ſue pafſioni
: ma chi ha ceruello , dalla propria operazione! E' in tuo potere ſopra ciò non
formarne opinione , e non perturbarti nell'animo. concioſliecoſa che niuna co
fa ha vna natural poffanza ſopra i noſtri giudicij . ! ? 39 Auuezzate ſteſſo ad
apo plicare attentamente a quel le coſe , che da vn'altro fo no dette ; e più
che puoi in ternâtinell'animo di chi fta parlandoti . 40 Quello, che non è gio
. neuoleallo fciame , ne' meno gioua alla pecchia . 41 Se i marinari parlaffe
Fo male del loro piloto , 0 gli ammalari del loro media co , forſe per ciò ad
altro ar tenderebbono, che all'opera re , quegli per la ſaluezza de' nauiganti,
e queſti per la fanità di quei , che fi ciira no? Quanti fon già morti diquelli,
che meco ſon en trati nel Mondo ? -43. Aglitterici pare ilme-, le amaro : e a '
morſi da ani mal rabbioſo l'acqua è di terrore : e alli putti è coſa bella il
palloncino . A che dunque io m'adiro ? forſi.pa re a te , che habbia minor
forza quello , che falſamen te s'apprende , di quello cheha la bile
nell'itterico , o'l veleno nell'arrabbiato a Non t'impedirà perſona , che tu
non viua ſecondo la condizione della tua natu rà: e niente t'amierrà fuori
della ragione della natura dell’vniuerfo .. 44 Quali ſono quelli , alli quali
ſi deſidcra d'andar a verſo, e per qualiauuenimen , ti , e con quali opere ? 0
quanto preſto i ſecoli ogni coſa copriranno , e quante han di già ricoperte!
Che coſa è la mal nagità? è quello , che ſpeſſo hai veduto ; e ad ognicoſa ,
che ti ſoprauuenga , prontamente rappreſon tati, eſſer lo ſteſſo , che ſpef fo
hai veduto . Vniucrſala mente nelle coſe ſuperiori , ed inferiori , trouerai le
me deſime, delle quali ſono pie nele Storie antiche , e quelle di mezzo tempo,
e lemoder ne , e ora ne ſono piene le cittadi , e le caſe . Non ci è niente di
nuouo, tutto è vſa to , e di corta durata . :) 2 I dogmi , in qual' altra
maniera ſi potranno in te cancellare ſe l'immagina zioni., che a quelli ſono
con formi non ſi eſtinguono , le quali, a te ſta di continua menté rauuiuare?
Reſta in mio poter di fare intorno a ciò quel concetto , che ſi conuiene: e ſe
ſta nel poter mio , a chemi turbo ? Quel lo , ch'è fuori della mia men te , non
ha che fare in modo alcuno con la medeſima mente . Queſtoſia il tuo ſen timento
, e cositu ſei retto . 3 Pofciache in tua balia è il ritornare in vita,
riconoſci le coſe nel modo , che le hai già vedute ; perchè in ciò conſiſte il
ritornare in vita : Tali ſono la vana curioſità delle pompe , le rappreſen
tazioni nelle fecne , i bran chi d'animali , le mandre, i giuochi d'arme ; vn
ofſetto gettato a cagnolini; i minuz žoli di pane buttati nel viua io de' pefci
, i trauagli , e il vettureggiare delle formi che, le corfe in quà se'n là de
toperti ſpauentati , i bam bocei, a " quali ſi fanno far de moti con
cordićelle . Bi fogna dunque tra queſte coſe fermarſi con animo tranquil lo , e
ſenza ſtrepito : e confe guentemente apprendere , che tanto ciaſcun vale,quan
to vagliono le coſe , intorno alle quali s'affanna . 4 E' neceſſario attendere
nel parlare parola per parola a quello , che ſi dice : e nell' operare ad ogni
moto : e nel l'vno riguardare ſubito a qual fine ſi rapporti ; e nell? altro
oſſeruare quello , che venga ſignificato 5 E' ſufficiente il mio intel letto per
queſto , o non è ? s' egli è ſufficiente io me ne vaglio come d'inſtrumento
datomi dalla natura dell'yni uerſo nell'opcrare ; se non è ſufficiente , o io
cedo l'ope ra a chi poffa meglio di me condurla a fine, ſe non foſſe a me
ſteſſo ſpettante , o vero la fo come poffo , feruendomi dell'aiuto di quegli,
che può cooperando col mio intellet to effettuare quelloche ſia di preſente
opportuno , e vtile alla comunione humana:per ciocchè ciò che fo, o da per 3 2
3 ine 186 LIBRO SETTÍMO me ſolo , o con altri, dee ſolo indirizzarſi a quello
ch'è pro ficuo , e più proporzionato al comune . Quanti , che ſom mamente
furono celebrati , di già ſono paſſati nell'obbli uione ? E quanti, che li cele
brarono già tempo fa , ſono ſpariti a Non ti vergognar d effere aiutato; poichè
ti con uiene operare quello, che ti appartiene , come ad vn ſol dato
nell'affalto d'vna mura glia . Che dunque fareſti , ſe azzopppato non poteffi
ſolo aſcendere fu i merli, e con yn altro poteſſi farlo ? 6 Quello, che ha da
auueni re non ti ſgomenti, perchè giugnerai a quello , fe ſarà di vopo ,
fornito dell'iſteſſa ra ; gione , della quale tu ora ti ferui in ciò , che t'è
preſente. olo bro gal ]l DO ď ti -7 Tutte le coſe ſono tra di loro auuinte , ed
il nodo è fa cro , e quaſi' niuna è all'altra ſtraniera . Concioffiecofa che
tra fc fono ordinatamente diſpoſte, e adornano l'iſteſſo Mondo , poichè di
tutte le coſe queſto è vno , e Dio è vno per tutto , vna la natura , e yna la
legge , vna la ragio ne comune a tutti i viuenti intellettuali , e la verità
yna, doue pure vna è la perfezio ne di quelli, che ſono dell' iſteſſo genere, e
di quei, che della medeſima ragione par ticipano. Ogni coſa materia le
preſtamente va a ſuanire nella ſoſtanzia dell'vniuerfo : e ogni
cagione'efficiente pre ſtamente è aſſorbita dalla ragione vniuerſale . I ſecoli
ancora dentro di fe ſeppelli ſcono lo ni. che id at to s ſcono preſtamente la
mc moria di ciaſcheduno, s,is :: 8 L'animal ragioneuole ha la medeſima
opcrazionéry fe condo la natura se ſecondo la ragione , o retto , o raddi
rizzato . 9. Con qual? abitudine fi riguardano i membrivnitid vn corpo con tale
fi confans no gli enti ragioneuoli, ben chè diſuniti, PER HAVER DISPOSIZIONE A
CONCORRERE IN UNA COOPERAZIONE. E maggior mente ti s'imprimerà l'intelligenza
di queſto , ſe ſpeffe fiate diraia te ſteffo « Io ſono membro di queſto , aduna
mento di razionali . Ma ſe col mutamento d'yna lettera dip'sno , cioè membro,
farai fe'egos, che fuona parte, non di cuore porterai amore agli huo INC die a
re ſteſſo . id -11 huomini , ene anche tu non ti compiacerai fenz hauere altro
fine della beneficienza f operando per 'mera conue polo nienza , e non come per
far beneficio . 10 Accada ciò che ſi vuole i d'eſteriori arucnimenti ſopra a
coloro , che poſſono patir queſti accidenti, e quelli pa tendo ſi querelino
pure à lor e voglia : che quanto a me , ſe io non -reputo che ſia male
l'auuenuto accidente ,non ne reſto lefo : ora da me dipen de il non reputarlo.
II Qualunque coſa altri ſi faccia, o ſi dica, tocca a med eſſer huomo dabbene:non
al trimente, che ſe l'oroj ouero lo ſmeraldo , o la porporaco si delcontinuo
diceſse ; Che che altri ſi faccia , o dica ; a na or el file 7110 Nad fe -em
are di col me 1POC fuc da са ) ſim bil vie La 011 me tocca d ' eſſere ſmeraldo,
e di ritenere il mio proprio colore. 12 La porzione , che è in noi
reggitrice,non è a ſe ſteſ ſa moleſta , cioè à dire , ella non s'atterriſce ne
s'affige con la cupidigia , e ſe altri è poſſente d'atterrirla , ò di
contriftarla, lo faccia . Certo è cheda per ſe ſteſſa con l'ap prenſione non fi
riuolgerà a tali commouimenti . Alcor , picciuolo ſi laſci il penſiero , che
non patiſca coſa alcuna , ſe potrà; e ſe patiſce lo dica. Però l'animuccia, che
teme, e s'attriſta , e riceuc total mente l'apprenſione , niente patirà ; concioffiecofa
che non procederà mai al giudi cio di coſe ſimili . 13 Quanto a ſe ſteſſa la
por qu Id nd CC n A 0 porzione in noi
réggitrice è fuori d'ognibiſogno, ſepure da ſe ſteſſa ella non ſi fabbri ca la
neceſsità , e nella mede fima maniera è imperturba bile, ed incapace d'impedi
mento , fe da ſe ſteſſa non vien perturbata, o impedita. La felicità è il buon
genio, o l'iſteſſo bene. Che dunque quì fai o fantaſia ? deh pergľ Iddij,
vattene comevenifti , nonho vopo di te.Seivenuta conforme all'antica vfanza:
non m'adiro teco ; ma vatte ne vna volta . 14 Alcuno ha paura della
tramutazione ; e qual coſa può eſſere ſenza tramutazio ne , e quale è più di
lei ami ca , o domeſtica alla natura dell'yniuerfo ? Ti potreſti tu lauare, ſe
le legne non ſi tra 2 1 21 -2 al che d 1 mil 1mutaſsero ? ti potreſti nutri re,
ſe i camangiari non ſi tra mutaſſero ? che altro fi com pierebbe di neceſſario
ſenza la mutazione?Non vedi dun que come ancora il tuo tra mutarti è
confacerole, e pa rimenre neceſſario alla natu ra dell'yniuerſo ?. Per l'effen
za di queſto trapaſſano quaſi per yn torrente tutti i cor pi connaturali; e
cooperanti con l'yniuerfo , almodo che le parti noſtre tra di loro cooperano.
QuantiChriſippi, quanti Socrati , quantiEpit teti il tempo s'è inghiottito? l'iſteſſo
in fatti ti ſouuenga di qualunque huomo, e di qua lunque coſa . Vna coſa fola
cruciandomi mi ſcontorce, cioè, che io non forſe faccia quello, che la
conſtituzione dell'huomo non vuole , o nel la maniera , che non vuole , o come
al preſente non vuole . Tra poco tu ti ſcorderai di tutti, e tra poco tutti ſi
ſcor deranno di te. 15 Proprio è dell'huomo amare anco quelli, che erra no;e
queſto ſi fa, ſe nel mede ſimo tempo ti ſouuerrà , che quelli , che peccano ,
ſono a te congiunti ; e che o per ignoranza , o non volendo, peccano; e come
tra breuil ſimo tempo , e tu , e quellive n'andrete: e ſopra tutto per chè non
ti ha leſo , mentre la porzione tua principale non l'ha deteriorata più che per
linnanzi ella ſi foſſe. 16 La natura dell' vniuerfo dall'eſſenza vniuerfale,
come ha ora formato vn ca : 3 . da cera , 194 LIBRO SETTIMO caualluccio , e
poi, quello di ftruggendo, ſe n'è valuta per materia d ' yn albero di poi d'vn
homicciuolo , e appref lo per qualch' altra coſa ; e ciaſcuna di queſte ha
durato per cortiffimo ſpazio . Non reca al caffettino molcftia if diſcomporlo ,
ficome non gliela recò ne meno il fabbricarlo. La ſdegnoſa torbidez za del
volto è oltre modo fuordel naturale; perchè fa fpeſſe fiate ſuanire la gratia
di quello , ouero alla fine in guifa l'eſtingue , ch'ella non poſla giammai più
ràuuiuarſi: Dunque, per queſto iſteſſo sforzati di apprendere che quello è
fuori della ragione ; poſciachè, ſe il riſentimento contra il peccare fi perde,
a che gioua il viuere ? 18 Le coſe , che tu vedi , tutto tra poco le muterà la
natura , che gouerna il tutto ; e dall'eſſere di queſte pro durrà altre cofe ,
come di nuouo altre dall' effenza di quelle , acciocchè il Mondo di continuo ſi
conferui in giouentù . 19 Quando vn commerta errore contro di re , toſto conſidera
, che coſa egli pec Cando s'immaginò di bene , o dimale : perchè,conoſcen do
queſto , lo compatirai , ſenza marauigliarti, o adi Tarti . Pofciache o
formerai l'isteſſo concetto del bene ch' eſſo formò , o altro ſimi le a quello
concepirai , on de fia neceſſario perdonar gli . Ma quando anco tu non 1 3 2 I
2 facefli lifteffo concetto del bene, o delmale , ti renderai più facilmente
benigno ver fo colui , che ha traueduto . 20 Non s'hanno da conſi derare le
coſe aſſenti nel ino do di quelle , che ora ſono : ma fi dee ſcegliere delle
preſenti le più abili , e ricor darſi con quanto ſtudio quc fte fi
cercherebbono , fe non foſſero preſenti. Però è inſic me da guardare cheper
trop. po gradirle non ti auuezzi a ſtimarle vantaggioſamente ., a ſegno tale , che,
ſe ti inan caffero , te ne turbaſſi . 1.21 Raccogliti in te mede mo. La parte
ragioncuole , e principale , è di tal natura , ch'è ſufficiente a ſe ſteffa ,
quando giuſtamente opera ; e in ciò truoua la sua quiere. Scancella
l'immaginazione, arreſta la violenza delle par fioni , circonfcriui il prefente
del tempo , riconoſci quello, che auuiene così a te , come ad altri : diftingui
, e partiſci quello , che ti ſta fra mano nelle fue cagionimateriali, e
caufali: figurati l'vltima ora : laſcia l'errore comineffo a quello , e dove fu
l'errore . 22 L'animo dec ftar appli cato a quanto ſi dice ; e la mente dee
internarſi nelle coſe operate, e negli operan ti : Abbelliſci te ſteffo colla
ſemplicità, è vergogna , e coll indifferenza , ch'è in mezzo tra la virtù, e'l
vizio . Ama il genere humano, con formati con Dio . Quegli diſſe, ogni coſa
eſſer ordina ta con legge certa , ma gli I 3 elementi ſoli muouerſi con
mouimento incerto , e for tuito . Baſta hauer nella me moria tutte le coſe
eſſere rc golate con legge fiſſa , c po chiffime andare a caſo .. 23 Intorno
alla morte : 0 è diſipazione , o atomi, o euacuazione , o eſtinzione, o
trapaſſo . Intorno al dolore : fe non è ſoffribile porta via ſe fi allunga nõ è
inſoffribile; e l'animo nel formare i con cetti conferua la ſua pro pria
tranquillità , e la parte ſuperiore non peggiora: le parti affitre dal dolore ,
ſe poſſono,palefino il loro ſen timento . Intorno alla glo ria : riguarda gli
animi di co loro , quali ſieno, e qualico fe abborriſchino, e qualiap petiſchino
: e come l'arene de i lidi , che vna ſopra l'al tra venendo a ſoprapporſi
naſcondono le prime, fimil mente nel noſtro viuere le coſe antecedenti ſono
dalle foprauuenute ben preſto ca cellate . 24 Da Platone. Penſi tu dunque , che
quegli, che ha penfieri da magnanimo colla fpeculazione d'ogni tempo , e d'ogni
ſoſtanzia faccia gran concetto del viuere dell'huo po ? Non può eſſer che ſia ,
riſpoſe . Dunque ne queſti potrà reputare che ſia male la morte . Non per certo
. Detto di Antiftene. E' coſa da Re operar bene, e riceuer ne biaſimo . E '
ſconuenelio le , che'l noſtro volto obbe diſca , e ſi regoli, e s'abbel liſca ,
come la noſtra mente I 4 or 200 LIBRO SETTIMO ordina , e che queſta per fe
medeſima non ſi regoli, ne ſi abbelliſca . Se con le cofe diſdegnar ti vuoi Che
non curan diſdegno, il tutto è vano . A i Numi da cui morte va lon tano
Diaſiallegreza ,e diaſi pur'a noi. Che ſi tronchi la vita , come ſuole Matura
Spiga , e un viua, e un ' altro mora Che di me cura , e de' miei figli 'ancora
Non ſi prendan gl'Iddij, ragion il vuole . 26 Da Platone . Io riſpon derei con
giuſta riſpoſta . Che tu , o huomo , non ben diſcorri, ſe penſi douere fti mar
coſa di gran momento il viuere , o il morire dell huomo, per poco ch'effo va
glia , e non più toſto queſto folo Di MARCO ANTONÍNO 20r o dal folo confiderare
, cioè , ſe quando opera , operi coſe giuſte , o non giufte e da huo mo buono ,
o cattiuo . Così il vero ſta , o citta dini d ' Athene : fe alcuno reputando il
poſto cfler otti mo vi ſi collocherà Principe vi farà collocato , "
conuiene , come a me pare , ch'iui ſi fermi , anco che vi foſſc pericolo , non
facendo conto ne della morte d'altro , fuori che della brut tezza . Ma poni
cura , o galant huomo , ſe altra coſa è l'effer buono , e generoſo , che'l faluare
altri , e faluare ſe Ateffo · Concioffiecoſa che non è da deſiderarſi dall '
huomo veramente prodc la vita lunga ,ne dee ftare appiccicato al yiuere , ma
rimet terſi intorno a tutto ciò in Dio , credendo alle donne , che neſſuno può
ſcanſare il fato ; e in conſeguenza qui ha da premere in qual ma niera poſſa
impiegare , per ottimamente viuere , il tem po , che gli reſta da viuere. Offerua
il corſo delle ſtelle , comeſe tu giraffi in compagnia loro e confide ra del
continuo le vicende uoli tramutazioni degli ele menti ; perchè coll' appren
fioni di queſte coſe fi purifi cano l'immondizie della vi ta terrena . Bene ne
i diſcorſi dell'huomo fu da Platone af ſerito che ſi debbono con templar le
coſe terrene, co me da alto in baſſo , le con greghe , gli eſerciti , i lano ri
et is 20 90 7.1 her III le in ri de'campi, i congiugnimen ti de' parentadi , i
diſciogli menti, le nafcite , le morti , gli ſtrepiti de' tribunali , i paefi
diſertati, le varietà del te genti barbare , le feſte , i pianti , imercati,il
rimeſco famento del tutto, e l'abbel limento del Mondo per le coſe tra di loro
contrarie. Riuedi conſideratamen te le coſe dianzi ſuccedute : le tante
mutazioni degl'Im perij. E lecito ancora preue dere le coſe future: perchè a
tutti i modi hauranno l' iſteffa ſomiglianza , c non trauſeranno mai dall'
ordine di quelle, che al preſente ſi fanno . Quindi auuione che il miſurar la
vita humana con anni quaranta non ſia diffe rent e dal miſurarla con an 1 fir 1
0 I 6 ni 204ni diecimila . Perchè qual coſa vedrai tu di più ? Vanno indietro
le coſe, e ciò che diede La terra in terra , e nel celefte templo Ciò che venne
dall'etera ſen riede Ouero queſta è , yna riſolu zione degl'intrecciamenti de
gli atomised vna diſſipazione degli elementi, che non ſog giacciono à paſſione.
Con beuande,con cibi,e con magia Della morte cerchiam ſuolger la via . Conuien
Soffrir con ftenti , e ad occhi afciutti Il vento,ch'a noiSpira dagl'Iddi 29
Rieſce vno più di te de ftro nella lotta per atterrare gli altri : ma non ſia
più co municatiuo , non più riſpet toſo , non più compofto ne gli accidenti ,
non più benigno verso gli abbagliamenti de ' profſimi. 30.: Douc , ſecondo
l'inten dimento comune agl’Iddij , e agli huomini,ſi può condurre vn'opera à
fine , iui non è del male : auuegnachè doue è le cito di trouar l'vtile per l'o
perazione , che proſpera mente s’auanza , e non trali gna dalla ſua
diſpoſizione , iuinon s'ha da ſoſpettar di danno . In ogni luogo , e in ogni
tempo ſta in re il pren der a grado , con la douuta pietà , quello , che preſente
mente accade , e di portarti con glihuomini , li quali con te conuiuono ,
giuſtamente , ed eſaminare efattamente quello , che fi rappreſenta
all'immaginazione ; accioc chè non vi fubentri qualche coſa , che non ſia per
prima bene compreſa . 31 Non inueftigare ciò che ad altri paſſa per la men te ,
ma riguarda diritta mente à quello , a che la natura ti conduce, o ſia quel la
dell'vniuerfo , per le coſe che ti accadono , ouero la tua , per l'azioni , che
da te dependono . Ora quellos? haurà a fare da ciaſcuno, che conſeguentemente
corriſpo de alla ſua diſpoſizione . Per rò tutte l'altre coſe ſono diſm poſte
per quelli , che ſono ragioneuoli , come in ogni altra l'inferiori in riguardo
delle migliori, e le ragioner. uoli l'vna per l'altra.Dunque il primo e principale
nella: diſpoſizione dell'huomo ſi è Veſſere COMMUNICATIVO. Secondariamente non
arrenderſi alle corporali inclinazioni . Concioſliecoſa che proprio del
mouimiento ragioneuo le , e . intellettuale è dicir confcriuer fc fteffo , e
non laſciarſi ſottomettere da mo. ti ſenſuali, o impetuolis poi chè tanto gli
yni , quanto gli altri hanno del beſtiale . Ma la intellettiua vuol la
preininenza, e non eſſere do minata da quelli : e a ragio ne ; perchè è fatta
per feruir ſi di tutti quelli. Il terzo nel la ragioneuole conſtruzione , è di
non trauedere , nc d'ef ſer ſoppiantato. A queſte co ſe dunque applicata la men
te proceda a dirittura , e co si conſeguirà quello , ch'è fuo proprio . 32 Come
tu non hauefli havuto a uiuere , che fin ora , e già foffi morto , queſto fo
pra più che c'è dato diuiuere , dourai viuerlo fecondo la natura , folamente
contento di quello , che ti auuenga , e che ti è deſtinato dal fato, imperocchè
qual coſa ti può efferpiù couveniente ? 33 In ogni accidente vo glionfi hauere
auanti agli oc chiquellija' quali occorſero cafi fimili , e che poi fi dole
uano, e ſembrado loro ftrano fi lamentauano . Doue dun que ſono eglino ora ? in
niun fuogo. Vorrai tu dunque fare altrettanto ? Perchè non la fci gli altrui
rigui alli rigi ranti, e rigirati ?: e non te ne ftai tutto intento come ti
habbi da ſeruire di tali acci denti ? Te ne feruirai dunque bene , e quelli ti
ſerui ranno per materia. In ogni coſa , che farai; non hai da applicare ad
altro , ne altro proccurare , che d'effer a te Iteffo buono . Nell' yno , e
-nell'altro ( fia di ciò , che hai da ſcanſare , o ſia di ciò , che hai da fare
) ricordati che'l foggetto dell'operazione è indifferente . 34 Con perſpicacia
rimira dentro te ſteſſo , che la fonte del benc è dentro di te , la quale non
ceſſerà mai di ſca turire , ſe tu di continuo la terrai ſcanata . 35 Il corpo
ha da ſtar fiffo , e non ſi ſtorcere , o fia nel moto , o fia nella poſtura .
Perchè nel modo , che l'ani mo imprime vn certo che nella faccia , ferbandola
ſe 7 1 Il ria , e ben compoſta , al trettanto ſi dee ricercare che ſegua
intieramente nel corpo ; e tutte queſte coſe s'hanno da offeruare fcirza
affettazione . Il noſtro modo di viuere è più da affomi gliarſi alla Paleſtra ,
o lotta , che all'Orcheſtra , o al ballo; douendo alle coſeche ſopra uuengono ,
e non ſono pre ucdute trouarſi appareccħia to , e fermo pernon cadere. Giammai
non laſcerai d'eſaminare quali ſieno quel li , dalli quali tu brami le te
ſtimonianze , e quali l'inten zionidella loro mentc: per chè ne accuſerai
quelli , i quali peccano inuolontaria mente , ne ricercherai la lo ro
teftimonianza , fc rimire rai da qual fonte ſcaturiſco no 10 a ,al ercare ate
ni € fcuzi mode allomis Torta ballo lopera t no le loro opinioni, e i loro
appetiti. Niun'anima , diſſe que gli , di ſua fpontanea elezio ne ſi priua
della verità. L'i ſteſſo s'ha da dire intorno al la giuſtizia , alla
temperanza, alla benignità, e a tutte le ſi mili.Però è fommamente ne ceffario
di non mai ſcordar d'ognuno ſarai più benigno. In ogni coſa penoſa, che ti
ſucceda , ti fouuenga prontamente che quella non ha bruttezza , ne può
peggiorare la mente in noi reggitrice ; poichè non le nuoce , nene in quanto è
ragio neuole , ne in quanto è co municatiua ; e nella maggior parte de dolori
ti venga in mente quello d'Epicuro ; Che to pre cchia dere ulcera quel let
inter : per Uli, / taria a lo mit rico no 2 I 2Che non è intollerabile , o non
è eterno ; ricordandoti però di laſciarlo ne' ſuoi termini fen za aggiugnerui
altro con la tua opinione . Ancora quel lo hai da hauer a mente , che molte
coſe , che partecipa 110 propriamente del dolore, copertaméte ci trauagliano :
come è l'hauer ſonnolenza , lo fmaniar di caldo , il patir faſtio di ſtomaco '
. Quando dunquc alcuna diqueſte coſe maltolenticri ſopporti, con feffa a te
fteffo d' ellerti arre ſo al dolore. Auuerti di non hauere tal volta quell'
auuerſione agl'inhumani, che gl'inhu manihanno agli huomini . 40 Donde
argomentiamo, che Socrate foffe illuſtre , e di diſpoſizione d'animo migliore?
Mentre non baſta , che haueffe vna morte delle più glorioſe, c più acutamen te
co ' Sofiſti diſputaſſe più ſofferentemente ſopra'l ghiaccio pernottaſſe , e co
mandato a condurre quel Salaminio , più d'ogni altro generoſamente fi moſtraſſe
renitente , e che per le ſtrade andaſſe con graue contegno . Intorno a che era
aſſai da in ueftigare le così era vera mente . Maquello è neceffa rio
conſiderare , qual ' animo s'haueſſe Socrate , e ſe egli po teſſe appagarſi
d'effer giuſto inuerſo gl’huomini , e fanto inuerſo gļIddij,nő iſdegnan doſi
temerariamente contro la malizia , ne punto feruen do all'ignoranza d'alcuno ,
ne accettando come ſtranie Fit Ho fe je . Te ne ng€ ra uc PC PE ra alcuna cofa
datagli dall' vniuerſo , o ſopportandola come intollerabilc: në hauef ſe mai
acconſentito , c piega to l'animo alle paſſioni della carnuccia. La natura non
in fi corporò talmente il compó fto , quaſi che l'huomo non poſſariſtrignere ,
e regolar ſe lo medeſimo e far le ſue proprie VE coſe foggiaceré a ſe feflo .
41 Può eſſere facilmente , in che vn diuenga huomo diri no , e non fia
conoſciuto da alcuno . Ricordati ſempre di queſto : e in oltre di quello , 1
che ?l viucre felicemente conſiſte in pochiſſime coſe . E non perchè habbi tu
per duto la ſperanza d' eſſere Dialettico , o Fiſico, ti ſtime rai rigettato
dal poter eſſer libero , pudico , comunicati uO. E I uo , e oſsequente a Dio .
42 Senza alcuna violenza potrai trapaſſare la vita in vna piena giocondità , an
corchè tutti ſtrepitino ,come fi voglino, ancorchè le belue ſtrappino i
membricciuoli di queſta mafsa , che t'è cres ſciuta addoſſo , perchè , che
vieta in tutte queſte coſe ala l'animo di conferuar ſe ſteſso in tranquillità ,
e nel giudi cio vero delli circonſtanti accidenti , e collyſo pronto i delle
coſe preſenzialmente ayuemute : in modo che poſsa il giudicio ſentenziare ſopra
è quello , che vien accadendo: queſto fe' in ſoſtanza , ben chè lecondo
l'opinione , al tro appariſci; e l'vſo poſsa di re all'accidente : tu fe' quel
lo , ch'io cercaua . Perchè fem - 01 te elle est sempre quello , ch'è preſen te
, ferue per materia della virtù ragioneuole , e ciuile; e inſomma è materia
dell'ar te dell'huomo,ouero di Dio. Laonde tutto quello , che auuiene ſi fà
famigliare a Dio o all'huomo; e non è coſa nuoua , ne intrattabile , ma conoſciuta
, e maneggieuo le . 43 La perfezione de'coſtu mi porta feco queſto ; ch? ogni
giorno ſi trapaſſi come fe foffe l'vltimo , non ſi com mouendo a coſa alcuna ,
ne con iftordimento , ne con fi mulazione 44 GI'Iddij eſsendo immor tålicnon
hanno a male , che in tanti ſecoli ſia a tutti lo to neceſsario comportare ta
li , e tanti fcelerati , anzi han Q b f Uella bile ar Dio. che Dio cola m2 Cuo
hanno in oltre di quelli vna total cura ; e tu che ſtai già per mancare ti
ſtracchi, non oſtante che tu ſij vno degli ſcelerati ? è da riderſenc ; tu non
fuggi la tua propria mal uagità , il che è poſſibile , ę fuggi quella
deglialtri, il che t'è impoffibile . 45 Quello , che la facultà ragioneuole , e
ciuile truoua , non fecondo l'intelletto , ne ſecondo la ſocietà , con buon
dettame lo giudica più viledi fe ftefla . 46 Quando tu hai benéfica to , e vi
altro ha riceuuto il beneficio , oltre di queſto che terza cofa
pretendi,comefan no i pazzi , di parer d'hauer fatto bene , e d'hauer a rice
uere il contracambio ? niuno s'affatica, mentre riceue vtili K tå , oſtur ch 9
come COM 2, ne ont 7mor s che tti lo are ta anzi 9 Tantà , e mentre l'vtile è
azione ſecondo la natura ; non ti af, fannar dunque riceuendo yti lità in
quello che tu ſe'di gio uamento agli altri . La natura dell’yniuerlo per
proprio inſtinto venne alla fabbrica del Mondo , donde è che ora tutto ciò ,
che ſi va facendo, procede in ſeguime to di quello ; ouero le coſe
principaliffime , alle quali la mente reggitrice del Mondo ha:vna particolar
inclinazio ne, ſono ſenza ragion prodot te . Se tu ciò a memoria ha urai, ti
renderà più tranquillo in molte coſe , Fine del Libro Settimo. LI IMO 219 è
azione non tia4 ndowe 'digia erloper e alla Ponde fi va imé coff lila 1 do 1 10
ota 1 Vello ancora è gio ueuole contro la vanagloria , con fiderare , che non
iſta più in tuo potere l'eſſer viuuto tutta la vita , o almeno la paſſata dopo
la giouentù , filoſofica mente: ma a molti altri , e a te medeſimo hai dato a
co nofcere , che tu ſeben lonta no dalla Filoſofia. Dunque ti truoui
imbrogliato : perchè K 2 1 1 # oramai non ti è più facile.d ' acquiſtare ſtima
di Filoſofo , ſenza che ti è contraria ancor ra la tua profeſſione. Se adun que
tu penetraſti veramente fin doue conſiſte ľaffare , non ti curar quale tú habbi
da ef ſer riputato , ma baſtiti ſe tu il reſto menerai della vita,fe cõdo il
dertame della tua na : tura . Conſidera dunque quel lo ,ch'eſſa ſivoglia, ne
altroiti diſtragga : perciocchè hai già prouato per quantecoſe ſe'i to vagando
, ne mai in niuna hai trouato il ben viuere , ne nel fillogizzare , ne nella
ric chezza, ne nella gloria,nenei piaceri, ne in che ſi fia . Don ue dunque
farà ? nell'operare ciò , che richiede l'iſteffa na tura humana. Come dunque
queſto li eſeguirà ? quand'v no faciled Elofoto ta anch eader zmente y101 dach
fetu 2,fe na no haurà nell'animo fermati queidogmi, dalli quali han no origine
gliappetiti , elo pere. E quali ſono queſti do gmi? quelli, che appartengo no
ai beni , e a i mali, come nulla eſſer bene all'huomo , che non lo renda giuſto,
tem peratoforte, liberale, enulla male, ſe non quello, che ope ra il contrario
delle coſe ſud dette , 2 In ogni operazione in terroga così te ſteſſo : in qual
maniera queſtaa me fi confà ? forfe appreffo non ine ne pen . cirò a Di qui ' a
poco io farò porto , e ogni coſa fuanirà . Che coſa di più ricerco, ſe no che
l'azione preſente cõuen ga ad animale ragioneuole , e comunicatiuo , e che
nella legge ſi conformi con Dio? Alessandro, Caiose Pom. peio , che coſa ſono
appetto a Diogene , Heraclito , e so crate ? Queſti penetrarono le coſe, e le
cagioni,e le materie , e tali erano le menti loro : ma quelli a quanti haueuano
da prouedere ? a quanti haueua no da ſeruire ? 4 Ancorchè tu crepaffi
tutttauolta gli huomini fará no l'iſteſſe coſe . Al bel primo non ti ſtare a
turbare ; poichè tutte le cole, fuccedono fe condo la natura dell'vniuerſo ; e
tra poco tempo tu farai nič te ; ed in niun luogo , come non é Adriano, ne
Auguſto . Appreſſo fiſſandoti nell'opera ſteſſa, conſiderala , ed inſieme
riducendoti a memoria che ti biſogna eſſere huomo dab bene, e ciò che la natura
del l'huomo richiede , fa ciò , che tu ti proponeſti con inuaria bile fermezza
, e parla come giuſtiflimo ti parrà ; però con placidezza e con rispetto e
senza ſimulazione. Questa é della natura dell'uniuerso l'opera e'l ministero.
Le cose che ſono qui traſportar colà , tramutarle leuarle di quà, ed iui
riporle . Ogni coſa è mutazione , non però sì , che s'habbia da te mcre di
nouità , andando il tutto ſecondo il conſueto ; anzi le diſtribuzioni delle co
fe fono eguali . Ogni natura ſi ſoddisfàdi ſe ſteſſa , s'ella cà. mina per la
propria via . E la natura ragioneuole cammina bene, quando nelle immagi nazioni
non conſente al falfo, o all'incerto ; e negli appetiti, quando alle ſole opere
co munali gli dirizza ; e nellide fiderij, e nelle auuerſioni, qua do le
reſtrigne a quelle coſe fole , che ſtanno in noſtro ar bitrio ; e abbraccia
volentie ri tutto quello , che dalla na tura comune le vien datos poichè è
parte di quella , co me la natura della foglia è parte della natura della pian
ta , ſe non che iui la natura della foglia è parte di natura , che è ſenza
ſenſo , e ſenza ra gione, e che ſi può impedire : doue la natura dell'huomo è
parte della natura ad impedi mento non ſoggiacente , in tellettuale , e giufta
; mentre eſſa , ſecondo l'egualità , ei meriti, diſtribuiſce a ciaſcuno i
compartimenti de' tempi , delle ſoſtanzie della cagione, dell'operazione, e delle con tingenze. "
Anuertiperò ,che non trouerai in niuna coſa , conſideratele ad vna ad vna ,
queſta vguaglianza pari ad vn tutto ;maſi bene accumulata mente , conferendo il
tutto dell'vne col tutto dell'altre . 6 Non te conceduto di poter leggere,maè
in tuio po tere il non far delle ingiurie , -il vincere i piaceri , e idolori,
l'effer ſuperiore alla glorietta: di più ,il non alterarti contro de i
difenfati , e degļingrati : anzi tè conceduto l'hauere etiandio cura di loro .
7 Niuno ti oda querelarti del viuer nella Corte, neme no di quello, che tocca a
te. 8 Il pentimento è vna tal riprenſione di te ſteſſo per yn ytile traſcurato
. Ora il bene de' efſere qualche vtile , e de eſſere procurato.dall'huomo
dabbene, e di buoni coſtumi. Ma neſſuno huomo dabbene, e bene accoſtumato haurà
pen. timento di hauer traſcurato qualche piacere. Non è dun que coſa vtile , ne
buona il piacere . 9 Che cofa è queſto ſecon do te ſteſſo nellapropria con
ftituzione ? Quale è il ſuo ſo ſtanziale , e materiale ? Quale è il ſuo caufale
? A che ferue nel Mondo ? E quanto tempo fulliſterà ? 10 Quando ti ſuegli con
di fguſto dal ſonno ricordati ciò etſer conforme alla tua conſtituzione , e
fecondo la condizione naturale dell'huo . mo di produrre operazione a prò dell
humana focietà : dove il dormire è comune an cora agli animali irragiuneuo. li.
Quello perù , ch'è naturale ad ognvno , quello è più pro prio , e più comodo ,
ed è più giocondo . II Continuamente , ed in ogni immaginazione , giuſta tua
poffa , eſamina la ſua na tura, ricerca le fue paſſioni, e dialetticamete
intorno a quel. la diſcorri . In chiunque t'ab batti , prontamente diſcorri
dentro di te ; Queſti che maf fime può hauere intorno al bene, e intorno almale
?. Im perocchè , fe ha tali , e tali maſſime intorno al piacere, e al dolore, e
le cagioni dell’y -no , e dell'altro , intorno alla gloria , all'ignominia ,
alla morte, e alla vita, non mi ma rauiglierò , ne mi parrà coſa K 6 ſtrana ,
s'egli opera tali coſe; e mi rammenterò , che quegli è violentato ad operare in
fi mile maniera . Rammentati , che come è coſa difdiceuole lo ſtimare ſtrano ,
che'l fico produca fichi così che'l Mon do produca quelle coſe, delle quali è
fecondo . E ſimilmen te ancora farebbe vergogna al medico , ed al piloto il pa
rer loro ſtrauaganza , ſe viene ad yno la febbre , e fe il ven to ſoffia in
contrario . 12 Ricordati , che tanto il mutarſi quanto il conformar fi a chi ti
corregge, non ti to glie l'eſſer libero ; perciocchè l'azione è tua , e ſecondo
il tuo appetito , e giudicio , co me anco conforme al tuo in, tendimento, ſi
riduce a fine . 13 Se depende da te, pers ché in chè lo fai ? ſe depende da al
tri , di che ti lamenti ? degli atomi, o degl'Iddij ? mentre così l'vna , come
l'altra è paz zia . Non dei querelarti d'al cuno : perchè ſe è in tuo po tere
queſto , correggi l'iſteſſa azione ; ma ſe quello non tuo potere , a che gioua
il do lerti, giacché non conuiene far coſa alcuna inuano ? 14 Ciò che morì non
caſca fuori del Mondo :ſe reſta dun que qui , e qui fi muta , anco qui ſi
riſolue nelle coſe pro prie , le quali ſono elementi del Mondo, e tuoi; e
queſti pure ſoggiacciono a mutazio ni, nc fi qucrelano. Ciò che è, per qualche
coſa è fatto , come a dire il ca uallo, la vite.Di che ti maraui. gli ? Il Sole
pure dirà , per qual'effetto ſon fatto , e così gli altr’Iddij . Tu dunque per
qual coſa per pigliarti piace re ? conſidera ſe l'intclletto lo comporta. La
natura s'ha preſo pen fiero diciaſcuno , non meno del fine , che del principio
, e della durata dellavita. 17 Quando alcuno tira in alto vna palla, che di
bene ne riporta fa palla quando va balzata in alto , o che di male quando
fcende, e quando ca de in terra ? E che di bene n'auuiene alla bolla dell'ac
qua , ſe dura in eſſere , e che di male, ſe fi dilegua. In que ſta guiſa puoi
ancora diſcor rere della lucerna . Riuolta il corpo, e vedi quale è , e in
uecchiandoſi , quale diuiene , o pure cadendo in infermità , o dap o dappoi che s'ha preſo i ſuoi guſti carnali .
18 E ' di breuc durata echi loda , e chi vien lodato: il men touato , e chi lo
mentoua.Ag giugniui , che ciò ſuccede in yn cantone di queſta regione, ne in
quello ancora tutti ſono del medeſino ſentimento ; ne pur yno è ſempre del
medeſi mo con ſe ſtcffo.E tutta la ter ra è finalmente yn punto . 19. Applica
l'animo a quel lo che ti ſi appreſenta, o al de. creto, o all'operazione , oal
fignificato . Giuſtamente que ſto patiſci, perchè vuoi diffe rire a domane a
diuenirc huo . mo dabbene , più roſto ch'er ſerlo oggi? 20 S'io fo coſa alcuna,
la fo riferendola a bencficio d'huo. mini . Se m'auuiene qualche ? l 1 P cofil
232coſa la riceuo , riferendola al.. tresì agl Iddij , e al forte d'or gni coſà
, dal quale tutto ciò che auuiene inſiemederiua. Che ti pare che ſia il la
uarſi ? olio , fudore , fucidu , me, acqua', ſtrofinacci , coſe tutte
difpiaceuoli: I ale èogni parte della vita, e tutto quel lo,che a noi fotto ſta
. 22 Lucilla ſeppelli Vero , appreſſo morì Lucilla. Secon da fepellìMaflimo,
appreſſo morì Seconda . Epitinchanó Diotimo, appreſſoEpitincha no . Antonino
ſeppellà Fauſti na', appreſſo morìAntonino . In tal modo cammina ogni cofa .
Celere ſeppellì Adria no , appreſſo morì Celere . Quelli anco d'acuto ſpirito,
o indouini; o fuperbi, doue ho ra ſono ? come Charace, De me A1- J to 2 ole gali el 0 1 metrio il Platonico
, Eude mone , e altri ſimili d'acuto ſpirito tutte le coſe ſono tran. ſitorie
in yn giorno , e di già morte , e mancate : alcuni ne meno per poco rcſtarono
nel la memoria : altri trapaſſaro no in fauole ; altri già dall'i ſteſſe fauole
ſcancellati, Quel lo dunque non è da ſcordarſi, che biſogna o diſſiparli queſta
tua compoſizioncella, o eſtin guerſi lo ſpiritello , o traſpor tarſi, e altroue
riporſi. - 23 La conſolazione dell' huomo conſiſte nell' operare ciò , che
appartiene all’huo mo ; e appartienſi all'huomo il voler bene a quello , che
gli è ſimile per natura : ſprez zare i moti delfenſo , diſcer ner le probabili
apparenze , contemplar la natura dell'y Olli" ello 300 ha 710 on te ho DP
niwer niuerſo , e tutto ciò , che in quella ſi produce . Tre fono le abitudini
, l'vna alla ca gione,che circoncigne, l'altra alla cauſa diuina , dalla qua le
il tutto a tutti deriua , la terza a quelli, che con noi vi uono . 24. Il
dolore o è male del corpo , el corpo ſia quello , che lo paleſi , o è
dell'animo : ma l'animo ha in ſua balia il conſeruar la propria tranquil lità,
e ſerenità, e di non rcpu tar , che quello fia male . Per chè ogni giudicio , e
inclinac zione, e appetizione , e de clinamento ſta nel didentro e da indi non
afcende male neſſuno . 25 Scancella l'immagina zioni del continuo dicendo a te
fteffo : Ora è in mio potere, che in 10 tra 12 10 vi del 09 70: che in
queſt'anima non hab bia luogo alcuna maluagità , ne la cupidigia , ne qualſiuo
glia turbolenza : ma cono fcendo ciaſcuna coſa , fecon do il ſuo eſſere , mi
ſerua di ciaſcuna per quanto vale. Ri cordati di queſta facultà a te conceduta
dalla natura . 26 Parla nel Scnato , e con ciaſcun'altro in particolare co
decoro , e non con troppa li fciatura , ma vſa vn modo fa no di parlare . 27 La
Corte d'Auguſto , la moglie , la figlia , i nepoti, i defcendenti; la ſorella,
Agrip pasi parenti,ifamigliari, gli a mici, Ario ,Mecenate , i Me dici , i
Sacerdoti, tutta quel la Corte è fuanita con la mor. te . Mettiti poi a
conſiderare altre famiglie,nelle quali non trouerai la morte d'vn huo mo ſolo ,
ma di tutte , come dei Pompeij . Mancò quella, e ne' fepolcri iſteffi leggiamo
chi fu Byltimo di quella gen te : come anco. quello , che viene ſcolpito
ne'monumen ti , vltimo della ſua gente . Conſidera poi quanto fi tra uagliarono
i loro antenati , di laſciar yni fucceſſore , e pure fu di neceſſità , che alcuno
for ſe l'vltimo , e qui parimente conſidera la fine di tutta quel. la gente .
28. S'ha collazioni ad vna ad yna a compor la vita ; e ſe ciaſcuna vi ha la ſua
parte , Thuomote nºha đa content - re; e che quella non habbia il ſuo
pienoaſufficienza , niuno lo potrà impedire.Se poi s'op- ' poneſſe qualche cofa
eftra nea ?1€ lagi 110 11 Pr di 24 nea ? niente al certo s'oppor rà al giuſto,
modefto , e confi derato . Ma forſe qualche al tra operazione l'impedirà?Pc rò
ſe tu prendi a grado l'iſteſ fo impedimento , e trapaſſe rai coll'animo ben
aggiuſtato a quello, che ti vien dato ti ſi furrogherà vn'altra operazioa ne,
che quadri a quella com poſizione d'animo di cui ora ſi parla, che veramente
firice na ſenza fato , e fi laſci pure con facilità 29 Se mai vedeſti vga ma
no, o vn piede troncati, avna tefta dal reſto del corpo reci fa in qualche
luogo giacere ; a queſti ſimile per quanto a il Luiſta ſi rendechiunque ricu fa
le coſe ch’auuengono , e ſe ftetſo quafi tronca , o fa quel ſa lo, chenon ſi
confaccia al be ne of Tele nd f noto iF ne degli altri , col diucller i in
certo modo dall' vnione della natura; mentre tu effen do nato parte di cffa ,
da te ſteſſo te ne fe'reciſo , ma qui cade in acconcio il dire , che in tuo
potere ſta di ritornarti a riunire : il che Dio a niuna altra parte ha
conceduto, che ſegregata ,e reciſa , di nuouo fi tornaffe a congiugnere. Però
confidera la fouranz bontà , che tanto onore conceffe all' huomo . Poichè nel
principio poſe inſuo potere il non di uel'crſi dal corpo intero , e dopo
diuelto, il ritornare, ed il ricongiugnerſised il ricupe rare il poſto di
parte. 30 Come ciafcuno de'ragio . neuoli ottenne dalla natura tutte l'altre
facultà quaſi qua to è capace la condizione del. boz fa € 1옙 li
ragioneuoli, così ancora da lei riceuemmo queſta facultà , la quale è, che in
quel modo , che quella tutto ciò , che le reſiſte , e le oſta, lo conuerte , e
rimette nel fato, e lo fa ſua parte , così l'animal ragione uole può d'ogni
impedimen to farſi propria materia, e ben vſar di quello , a che ella per
iſtinto e portata . 31 Non ti confonda l'imma ginazione di tutta la vita Non
iſtare a ghiribizzare pen ſando quanti, e quali trauagli poſſano ſoprauuenirti;
ma in qualunque delle coſe , che ti ſi preſentino,interroga te ſtefa ſo : in
queſto fatto ,che ci è d'incomportabile , che ci è d ' intolerabile ?
Concioſliecofaa che t'arroſſirai di confeſſarlo . Appreſſo ricorda a te ſteſſo
, che 7 ge 10 14 fel 2 t C a C che ne il futuro,ne quello che è paſſato
t'aggraua , ma ſem pre quello che è preſente ; é queſto ſiſminuiſce,ſe diſtinta
mente lo ſeparerai, e la men te tua riprenderai, ch'ella non fia baſtante a
reſiſtere a que ſto ſolo . 32 Forſe aſſiſte per ancora al ſepolcro del ſuo
Signore Panthea , o Pergamo ? o pure a quello di Adriano Cabria , o Diotimo ? E
' da riderſene , E ſe aſſiſteſſero , ne haureb. bono ſentimento ? E ſe ne ha
uefíero ſentimento , haureb bono godimento di queſto E ſe haueſſero godimento,
fa rebbono diuenuti per queſto immortali ? Non portò il f to , che ancora
queſti prima diueniſſero vecchi, e vecchie, ed appreſſo moriſſero ? Che dun il
762 en 101 JUICE Con 701 dunque erano perfare quelli, dopo che queſti foffero
mor ti 2 Il tuttoè puzza , e mar cia in yn ſacco . 33 Se tu haiacuta viſta ,
adoprala , difle quegli ſauia mente , nel giudicare . 34 Non vedo , che nella
conſtruzione dell'animal ra gioneuole ſia virtù alcuna re pugnante
allagiuſtizia : ma fi bene vedo cffer repugnante al piacere la virtù della con
tinenza . 35 Sea quello chepare ap porti a te meſtizia , detrarrai la tua
apprenſione, tu ſteſſo ti ſe’poſto in ſicuro . Chi è quel tu ſteffo ? la
ragione. Ma io non ſono la ragione. Così fia: dunque la ragione non tra uagli
ſe ſteſſa . Maſe qualche altra coſa in te patiſce del L male 16 han Foi [ um 10
The male, ella medefima ne formi il fuo
concetto 1123 ). L'impedimento del fen ſo è male della natura vitale , e
ſimilmente è male della na tura vitale l'impedimento del l'appetito : ed ecci
eziandio vn altro parimente impedi mento , e male della conftitu . zione
vegetatiuas. Così duna que l'impedimento dellamé te è male della natura intel
lettiua ; applica : tutte queſte coſe a te ſteſſo . Il dolore, e ? I piacereti
co muotono ? il ſenſo fę n'auuer . drà . Nell'apperire ti ſi poſe oſtacólo ſe
tu ti folli moffo fenza ſottraimento , e rifertias allora farebbe male delura :
gioneuole ;mia fe tu lo riceuí, come coſa comune tu non fe'dannificato , ne
impedito , po es el Bio di tu né ele poſciache nigni altra cola ſuo le impedire
le coſe proprie della mente : perchè in quieta la ne fuoco , ne ferro , ne ti
ranno , ne maledicenza , ne altra coſa del Mondo può pe netrare :che cheſi
faccia della palla, eſſa ſempre rimane tony da.:' 37 E' coſa indegna il mole
ſtar me ſteſſo , mentre a niun ? altro mai di proprio volere ho dato moleftia
Altre coſe cagionano allegrezza in altri; io m'allegro , ſe la mia facul tà
guidatrice ſtarà fana , la quale non habbia auuerſione ad alcuno huomo, ne adal
cuna coſa di quelle , che fuc cedono agli huomini , mail tutto rimiri con occhi
placi di; e riceua ciaſcuno , e dieſſo fi ferua,fecondo il ſuo pregio. L 2 38
Ve có LIF CA Mo It This 700 TO : Vedi di ſpendere a tuo prò queſto tempo
preſente . Coloro , che più affettano la fama apoftuma , non conſidc rano , che
quelli , da’quali la ſperano ', faranno tali , quali al preſente ſono coloro ,
che a lor non piacciono, poichè eſſi ancora ſono mortali. In ſom ma che
t'importa , ſe quelli con tali, o tali voci ftrepitino, o habbiano di te queſta
, o quella opinione ? 39 Prendimise gettami do ue vuoi : poichè iui ancora
trouerò il mio genio buono , e propizio , cioè a dire a me ſufficiente , purchè
habbia e operi quello , che è confor me alla propria fua condizio ne . 40 E'
forſe coſa che meriti, cheper eſſa s'incommodi l'animo mio , e peggiori ſe ſteſ
ſo con auuilirſi , appctire , confonderſi , e ſgomentarſi ? E che trouerai, che
tanto ine riti ? Non può auuenire coſa a vn huomo, che non ſia acci dente , che
non habbia dell? humano ; ne al bue che non ſia accidente , che egli non habbia
del bue ; ne alla vite , che non ſia della vite ; ne alla pietra , che non ſia
proprio della pietra . Se accade dun que a ciaſcuno quello , che è folito , e
connaturale, perchè t'attriſti ? mentre non è intol lerabile quello, che la
natura comune a te contribuiſce . E ſe ti pigli moleſtia per qual che coſa
eſtranea , non certo efla ti moleſta ,mail tuo giudi cio intorno a quella . E
pure il cancellar quello depende da L 3 te. E ſe ti trauaglia qualche cofa
nella diſpoſizione del tuo animo , chi è quegli , che ti vieta di rettificare
il tuo concetto Con tutto ciò ſe tu ti affanni , perchè non operi tu ciò , che
a te pare ben fat to ? Perchè più toſto non ope ri , che contriſtarti ? Mavna
coſa più valeuole mi oſta Dunque non ti affannare; poi chè non proccde da te la
ca gione del non operare . Ma non par che conuenga di più viuere, fe ciò non fi
fa . Dùn que placidamente finifti la vita : mentre ancora quegli fa qualche
coſa , che muore benigno eziandio verſo colo ro ; che gli fanno oſtacolo 41
Oſſerua , che la princi pal parte dell'huomo refta ineſpugnabile , quando in ſe
Iter ko fel he UNO ſteſſa ritirandoſi di ſe ſi con tenta non facendo quello che
effa non vuole, ancorché ſi metta in battaglia ſenza la. iuto della ragione .
Che dun queſarà , quando coll'aiuto della ragione prudentemen te giudicherà
qualche coſa ? Per queſto la mente libera delle paſſioni è come vn'alta rocca ,
giacchè l'huomo non ha coſa più forte , nella quale ritiraro rimanga poi ſempre
incípugnabile 2 Chì dunque queſto no comprende è igno rante : chi l'ha comprefo
, non ſe ne vale,difgraziato. 42 Niente di più ſuggeri fci a te ſteffo di
quello , che portarlo Ic mere priine ap prenſioni. T'è ſtato riferto , che il
tale dice malc di te ; queſto è vn rapporto . Ma L 4 che tu ſij ſtato, offeſo ,
non ſi contiene nel rapporto . Veg gio , che il figliolino è am malato , queſto
ilvedo , ma che ſia in pericolo nol vedo già. Dunque reſta ſempre ne gli primi
apprendimenti della immaginazione , e non v'ag. giugnere dentro da te ſteſſo
niente d'autantaggio : e così niente ti ſopragiugne ; anzi aggiugni , che non
ti viene nuoua qualunque coſa , che nel Mondo accade . Il cóco mero è amaro ,
laſcialo ; le fpine ſono nella ſtrada , ſchi fale , baſta ; non iſtar a fog
giugnere: e perchè queſte co fe ſono ſtate fatte nelMondo concioffiecoſa che ſi
burle rebbe di te ogn'huomo, che fia inueſtigatore della natura: come appunto
ſareſti derifo da of 12 do De le SI da vn fabbro , o da yn coiaio , ſe tu li
condennafſi , per ve dere nella ſua bottega fca muzzoli , e ritagli delle coſe
, che effi lauorano. E pure que gli hanno doue gittar queſte coſé ; il che non
può fare fuori di ſe la natura dell'vni. uerſo : maciò che recamara uiglia di
queſta ſua arte è, che circonſcritta in ſe ſteſſa , quan to dentro di fe fi
corrompe , e s'inuecchia , e appariſce non eſſer più ad alcun yſo , tutto in ſe
ſteſſa tramuta , e di nuo uo di quelli forma cole recen tizin tal guiſa ,
ch'ella non ri cerca ſoſtanzia eftrinfeca , ne ha biſogno di luogo per git
tarui le coſe più corrotte . Così le ſono baſteuoli la ſua regione , la ſua
materia , e la propria arte . Dzi De TC O le Dj D D? 7 0 L 5 43 Non andar
vacillando nelle azioni; e nelli congreſi non far confufione . Nelle
immaginazioni non andar ya. gandojne in modo alcuno con Panimo o angoſcioſo, o
trop po impetuoſo, non accupare ja vita in fouerchie faccende. Se ammazzano ,
fe mandano a fil difpada , fe con efecra zioni infeftano , che nuocono quefte
coſe al conſeruarti Ja mente pura , prudente, contes nente , e giuſta ? fiati
per e fcmplo : le vno auuicinatofi ad vna fonte di dolce; c limpi da acqua,a
quella diceſſe del le ingiurie,non perciò ceffereb be di porger l'acqua da bere
, e fe ancora vi gettafle del fan go , ' e dello ſterco , immanti nente ella lo
ſegregherebbe , e diffiperebbe , e in neſſun modo Llande agreb Nelli dara 1000
Otrop CINK cord ndan Mocht OCOMO artil СОЛь modo fe n'imbratterebbe .. Come
farai dınque per hauer vna fontana ſempre viua ; e non vn pozzo d'acqua fta
gnante ? Merci te ſteſſo ad ognora in libertà , ſtando con l'aniino trãquillo,
ſchiet to , e modeſto . 44 Chì non sa , che coſa ſia il Mondo , non fa doue
egli fia.E chi non ſa a che fine egli medelino fia ſtato fatto , non få ne
qual'egli fi lia ,ne che co. fa ſia il Mondo . A chi manca vna di queſte coſe ,
non può dire a che fine egli fia fatto Chi dunque pare a te , che ftia più
contento , quegli, che fugge le lodi degliadulatoris o quelli, che nonfanno
doue, o quali eſli fi fiano Ti com piaci d'effer lodaro da vnos che tre volte
l'ora maledice Del & zarob limpi edel flerech berty bhe cfiun do L 6 se ſteſſo
? Vuoi piacere ad huomo, che ne pure ſoddisfà a ſe ſteffodroddisfà a ſe mede
ſimo quegli, che in tutte quafi le azioni, alle quali pon ma no, ſi pente? 45
Auuerti per l'auuenire non ſolo di reſpirare nell'am biente dell'aria , ma
ancora di conformare i tuoi penſieri con l'intelletto , che tutte le coſe
contiene . Concioffieco fache non meno queſta facul tà intellettuale fi
diffonde, ed entra in quello che la puòat trarre , che quella dell'aria in
quello , che può reſpirare . 46. Generalmente la mali zia non danneggia il
Mondo ; e quella che riſguarda il par ticolare , non fa danno ad vn altro , ma
a quel folo e noci ua , al quale ancora è conce duto read Idishi med quafi ma
enie l'am ncora ofieri tele eco cu duto di libcrarſene , qualun que volta egli
ſia pronto a volerlo. Al mio arbitrio è indift ferente egualmente l'arbitrio
del proſſimo , ficome anco il fuo fpiritello , e la carnuccia : Imperciocchè fe
bene ſiamo fatti principalmente l'vno per l'altro , niétcdimcno ciaſcuna delle
menti noftre ha il fuo dominio particolare ; altri mente ſeguirebbe, che la ma
lizia del profſimo foſſe il mio male , coſa che non è piaciu ta a Dio , acciò
non dependa da altri il far il mio ſtato in felice. Il Sole par, che fià dif
fuſo , c veramente per tutto fi fpande , ma non però con queſto Ipandimento fi
fparge , e perde; perchè queſta ſua ef fuſio Ged at iain ali doi par yn ci ce
fuſione è vn diſtendimento': che però gli ſplendori ſuoi , o raggi ſi chiamano
in Greco con parola , che viene dallo diftenderk . Ma quale sia la natura di
queſto raggio , tu la potrai conoſcere,fe riguardila luce del sole penetrata
per qualche feſſura in vna ofcura ftanza imperocchéciò ſi fa di rettamente , e
quaſi vien diui fose ſquarciato da ogni corpo folidojin cui s'incontri no am *
mettente più oltre l'aria : e qui ſi ferma,nc inciampa, ne cade. Tal effuſione
, e diffuſione del eſſere della mente , non ell çuamento, ma diſtendimento ;
ficche agl'impedimenti chein. contro le ſi parano non violen. temcntene
temerariamente re fifta , mà refti ſtabile , e illumi. ni ciò che la riceue.
Imperoc chè llo be 1 ih pier lill chè
priua fe ſteſſo di luce, quegli , che non l' ammets te . 49 Chi teme la morte,
o te me la perdita de'fenſi, o qual che altra forte di ſenſo , ſe non haurà
niun fenſo , non fentirà male alcuno . Se poſſederà vn'altra ſorte di ſenſo ,
farà yn altro animante , e non reſterà di viuere . 50 Gli huomini ſono fatti
P'yno per l'altro ; Dunque in ſegna, o ſoffriſci. Altrimente la faetta , al
trimente ſcorre l'intelletto . Ma l'intelletto e quando cau tamente procede , e
quando alla conſiderazione ſi volge , non meno ſi porta per diritto , ed al
berſaglio . 52 S'ha da penetrare den tro alla mente di ciaſcuno e per DO 1] Te
te } 0 re e permetter altresì ad ognu no di penetrare dentro la pro pria tua
mente. Chi fa ingiuſtizia fa vn atto d'empietà . Im perocchè , hauendo la
natura dell' vniuerfo fabbricato gli animali ragionevoli , vno a prò dell'altro
, acciocchè , ſe condo il douere , vno gioui all'altro , e in niuna guiſa gli
muoca , chi traſgrediſce tal decreto di queſta , commette manifeſta empietà
contro il nume' antichiſſiino tra gľ Id dij. Concioffiecofache la natura dell'
vniuerſo è natura di enti , e gli enti hanno vna coral fratellanza con tutte
l'altre coſe eſiſtenti. Di più queſt' iſteſſa fi noma verità , ed è prima
cagione di tutte le cofe vere . Onde chi ſponta neamente mentiſce è empio in
quanto con l'inganno fa in . giuſtizia, come ancora chi in uolontariamente
mentiſce, in quanto difcorda dalla natura dell'vniuerfo, e in quanto ca gion
deformità , ripugnando alla natura del Monda . Im; perocchè ripugna quegli, che
per ſe ſteſſo è portato alla contrarietà delle coſe vere : giacchè haueua
innanzirice uuto dalla natura alcuni in ſtinti, i quali poi eſſo traſcu rando ,
non può ora diſcerne re le coſe falſe dalle vore . E pure chi ſegue i piaceri,
come coſa buona , e fugge il traua glio , comemale, commette empietà. Perchè è
neceſſario, che coftui fi quereli ſpeſſe vol te della comune natura , qua fi
ch'ella faccia diſtribuzioni di beni a traſcurati , ed a fol leciti contra il
lor merito ; effendo che fouente i traſcu rati fieno di piaceri abbon danti, e
di quelle coſe ond'ef fi deriuano ; ed i ſolleciti al l'incontro fieno da
dolori op preſli , e cadano in quelle co fe , che dolore cagionano • In oltre
chi teme i dolori , ha urà ancora in orrore qualchu na di quelle coſe , che
hanno da ſucceder nel Mondo ; e ciò fimilmente ha dell'empietà . chi va dietro
a’piaceri, non s'afterrà dal far'ingiuſtizia , e qucſto Lira Ck Ho che all te:
Ice FCH E re queſto è chiaramente empie tà . Biſogna, che a quelle co ſe , alle
quali la natura comu ne egualmente ſi porta ( per chènon haurebbefatta l'vna, e
l'altra , fe all'vna, e all'altra di queſte coſe indifferenti non foffe ftata
vgualmente pro penfa ) quelli , che vogliono eſſere ſeguaci della natura ,
hauendo i medeſimi ſenti menti , con eſſa ſiano vgual mente affetti. Dunquc chi
a' dolori , ed a'piaceri , o alla morte, e alla vita , o alla glo ria , e al
diſonore , delle quali egualmente fi vale la natura dell'vniuerſo , non è per
fe ſteſſo parimente affetto, chia ra cofa è , che fia empio . Io però dico
valerſi di queſti v gualmente la natura comune, in luogo di dire , che auuengono
vgualmente per certa conſeguenza alle coſe , che ſi fanno, o che vanno ſucceden
do conforme allancico im pulſo della prouidenza , col quale ſi moſſe ſin dal
princi pio ad ordinare queſta bella macchina mondiale, hauendo concepute alcune
ragioni del. le coſe future , e determinate le facultà feconde dell'eſi ſtenze
, delle traſmutazioni, e di fimili fuccedimenti . 2 Migliore , e più deſidera
bil coſa certamenteper l'huo mo ſarebbe ch'egli da quefta vita partiſſe digiuno
affatto ; così dire ,del mentire, del ſimulare , del luſſo , e della fu perbia
: defiderabile dopo ciò ( quaſi come vna ſeconda men profpera nauigazione)
ſareb be , che almeno vno già fazio 1:22 il alla to ali UTA per f j 10 j” 19 21
di queſte coſe ,voleſſe più to fto morendo fpirare , che nel la prauità
continuare viuen do" . E non t'inſegna ancora l'eſperienza a fuggire dalla
peſte ? e la corruttela dell'a niina è aſſai peggior peſte a riſpetto di
quella, che dall intemperie , e mutazione del l'aria , che d'intorno fi fpande,
e fpira : poichè queſta peſte è degli animali in quanto fo no animati : e
quella è degli huomini in quanto fono huo mini . 3 Non diſprezzar la morte , ma
fija quella ben affctto , ef ſendo ancor eſſa yria delle co ſe ; che la natura
richiede ; poichè quale è la giouentù ; la vecchiaia , il creſcere , l'in
uigorire , il naſcere de’denti , la barba , i canuti , il genera re100 nel ICP
1000 dali ell Mei de ant re figliuoli, portargli nel ven tre , e partorirgli, e
altre ope re naturali., le quali prodịco, no le ſtagioni della tuavita , tale è
ancora il diffoluerfi . Dunque queſto è da huomo, che ben ſi ſerue della
ragione ne ſuperficialmente, ne impet tuoſamente, ne ſuperbamente fiporta verſo
la morte ;, ina l'attende come yn'opera del la natura . Nel inodo che tu ora ,
aſpetti o cheſca il fe to del ventre ditua moglic , .com hai da caſpetar l'ora
, nella quale la tua animuccia diqueſto ricettacolo eſca ca dendo . E fe vuoi
ancora vn conforto cordiale , benchè volgareztirenderàſoprammo do prontoalla
morte l'appli cazione alle coſe preſenta nec , dalle quali douraieſſere ſe A oto
des Tak ler jed Simi Jä Teni Nem If feparato , e a'coſtumi di colo ro , con i
quali non t'haurai più da meſcolare : tuttavia con quelli non s'ha da rompe re
, ma ſtudiare di curarli , e placidamente ſoffrirli . Onde hai da rammentarti,
che que ſta ſegregazione s'ha da fare da huomini, i quali non han no teco
glifteſli ſentimeriti : mentre queſto folo potrebbe ſeruirci di contrappeſo,e
rite nerci in vita , ſe ne foſſe con ceduto il conuiuere con quel li; che
haueſſero gl'iſteſifen timenti . Ma tu- ora vedi quanto malageuole ſia il con
uiuere in tanta diffonanza de' conuiuenti . Sicché ſi può di re : Sollecita o
morte a veni re , accioché io non arriui a fcordarmi vna volta di me ſteffo . 4
Chi rola aurai mpe afait har caini ebbe
4 Chi péccas contro le ſtefi ſo pecca • Chi opera ingiu ftamentega ſe medeſimo
nuô ce , rendendo maluagio ſe ſteſſo ; è ingiuſto ſpeſſe volte , non ſolo chi
opera alcuna co fa , ma ancora quegli , che nonfa qualche coſa . 5 Baſta la
preſente opinio ne apprenſiua, e la preſente operazione comunicatiua , e la
preſence diſpoſizione, che fi compiace d'ogni coſa , che da principiocauſante
prouen . ga; per iſcancellar l'immagi nazione arreſtar l'impeto de gli affetti,
temprare gli appe titieper mantenere nella ſua facultà la parte principale . 6
Fra i bruti viuenti è diui:. ſå vnà fòl'anima: c tra i viuen . ti ragioneuoli è
compartita vn’animà intellettuale : fico. M me COlle auch Tere vad COll ade bel
oni qili? mi me a tutte le coſe terreftri è vna ſola terra , e tutti quanti
habbiamo facultà di vedere e facultà diviuere, con vna lu cc vediamo , c d'yn
aria re ſpiriamo. Tutti quelli , che partecipano d' vna coſa co mune a quella,
che è del me deſimo genere, anſiofaniente fi portano . Ogni coſa terrc ſtre
inchina alla terra . Tutto l'ymido va inſieme ſcorren do,ogniaereo ſimilmente :
ſic chè biſogna diuidergli a for za . Il fuoco s'erge a cagione del fuoco
elementare . Tutto il fuoco , ch'è quà giù, è così pronto ad ardere con l'elc
mentare, come ogni materia le alquanto più ſecco è facile ad accenderſi
pereſſere meno abbondante di quello , che impediſce l'accenderſi. Dun que letes re CO me In 170 za que tutto quello che
è parte cipe della comune natura in tellettuale , corre ſimilmente verſo il ſuo
connaturale, anzi più ;: perchè quanto è meglio degli altri, tanto è più diſpo
fto à miſchiarſi inſieme col ſuo famigliare - Anticameji te dunque furono tra i
bruti inuentati gli fciami, le greg ge > i pollai , e quaſi ynioni
d'affetti; imperciocchè ancor? efli hanno animais ecosi la virtù congregatiua
tra i min gliori ſpicca maggiormente , il che non è nell'erbe , non è ne faffi
, non è ne’tegni. Ma tra gli animali ragioneuoli fi truouano leRepubbliche;lean
micizie , le famiglie leraunan ze , e in tempo di guerra le paci, e le tregue .
Anzi nelle coſe piùveccellenti, benchè M 2 ell fit 01 DINE TTO OSİ [ 7110 Fle
70 7e tra ſe lontane, in qualchemo do vi è vnione , come a dire, tra le ſtelle
, così il deſiderio d'auanzarſi al meglio ha po tuto operare la ſimpatia ezian.
dio tra le coſe diſtanti. Vedi dunque quello che ora ſi fa . Perchè foli
gl'intellettuali ſi ſono ſcordati del conſenti mento, e dell'affetto tra loro ;
e queſto concorrimento in effi ſolamente non ſi vede; e nien tedimeno, ancorchè
fuggano, reſtano accerchiati , e preſi, poichè la natura in ciò pre uale . E
vedrai queſto, che di co , offeruando, che più preſto trouerai qualche coſa
terre ftre non congiunta ad altra terreſtre , che vn'huomo dall' altr'huomo
totalmente diſ giunto . 7 Producon fruttto e l'huomo dire deria apo 2126 Vedi
fifa. alii enti. oro; mo, e Dio e il Mondo; e ſi pro duce ciaſcun frutto nelle
ſue proprie ſtagioni ; e ſe la con ſuetudine principalmente ſi ferue di queſto
modo di dire nelle vitije altre ſimili piante, cið poco importa : però la ra
gione produce il frutto si proprio , come il comune; e da quella fi propagano
altre tali cofe , della condizione delle quali è ancora l'iſteffa ragione . 8
Se tu puoi , inſegna ſem pre il meglio a quelli, che er rano ; e ſe non puoi,
ricordati che per ciò fare t'è ſtata data l'amoreuolezza , e che gl'Id dij ſon
amoreuoli verſo que? tali , e tanto ſon benigni in alcune coſe ,ch'e'dan loro
aiu to per la ſanità ,per le ricchez ze, e per la gloria . E queſto a neft
viera 2110 vrela pre edi ceſto erre Ultra dall ' dile 10 M 3 te lice , o ſeno ,
dichiara , chi te lo vieta ? 9 Trauaglia , non come vn tapino, ne meno a fine
di pro cacciarti compaſſione, o mara. uiglia : ma vn folo fia il tuo fine di
muouerti , e di fermar ti , fecondo che la ragione ci uile richiede . 10 Oggi
vſcij d'ogni mole ftia , anzi ſcacciai fuori tutte le moleſtie; poichè quelle
non erano eſterne , ma couauano dentro nelle opinioni . 11 Tutte queſte coſe
fami gliari per l'yſo di vn fol dì quanto al tempo , fordide per la materia ,
ſono ora tutte le medeſime, quali furono a tem po diquelli , che habbiamo
ſepolti. 12 Le coſe ſtanno in ſe ſteſ ſe fuori , per così dire , delle por ch
meni dipro mara il 2016 Amal onec 1270 tutte porte , е da per ſe medeſime ,
niente fanno del ſuo eſſere , e niente a noi fanno apparire . Che dunque è
quello , che le diſcuopre? la ragione . Non nella perſuaſione , ma nella
operazione conſiſte il bene ,e'l male dell'animal ragionclio le ciuile: ſicome
ancora la vir tù , e’lvizio di queſto non è nella perſuafione , ma nell'o
perazione.Alla pietra fcaglia ta non ſuccede male ſe caſca , ne bene ,
tirandoſi in alto . 13 Entra più addentro nelle menti degli huamini, cſcor
gerai quali giudici tu tcma , e quali ſieno elli giudici intorno a fe ſtelli .
14 Tutte le coſe ſtanno in continua mutazione, e tu ſtef fo in vna continua
alterazio nc , c in vn certo modo cor jenon Lidlo fami Cold de pe urtel atem
bilam ' efter dell corruzione, e così ancora tut to il Mondo . 15 L'errore d’yn
altro biſo gna laſciarlo doue è . 16 Il finire della operazio ne , il ceffare
dell'appetito , e dell'apprenſione , e quaſi la loro inorte , e nulla nuoce :
Fa ora paſſaggio all'età,qual'è la pucrile , alladolcfcenza,al la giouentù ,
alla vecchiaia . Ogni ſcambiamento di cia ſcuna di queſte è morte . E per ciò
ne auuiene danno ? Paſ. fa adeſſo ricercando il tempo, che ſe’viuuto fotto
l'auolo ; appreſſo, quello , cheſotto la madre, dopo ſotto il padre , e
trouando altre molte diuerſi tà, mutazioni , e termini , di manda a te
medefimo, ſe ve alcun' nocumento . Dunque fimilmente pe manco nel finire , nel
ceſſare , e nel mutarfi del total tuo viuere . 17 Rifletti alla propria tua
mente, e a quella dellyniuer fo , e a quella d'altri; alla tua per farla giuſta
, a quella del I'vniuerſo per rainmentarti di chi ſei parte, a quella d'altri per
conoſcere , le viene da ignoranza , o da animo deli berato ; e nell'iſteſſo
tempo fa tua ragione , che colui e a te congiunto.Sicome tu ſe'ſtato fatto per
dar compimento al la conſtituzione d’yn corpo ciuile , così ogni tua azione
compia la vita ciuile , Dun que qualſiuoglia tua amone , che non iſtà in tal
modo che o proſſimamente, o remo tamente non ſi riferiſca a quc. ſto comun fine
, quella fcon certa la vita , ne le permette , che continui l'iſteſſa ; ed è di
M 5 più fedizioſa , quale è colui nel popolo , il quale diſtrae il fuo partito
da fimile concor dia . 18 Riffc , e giuochi di figlio letti , e ſpiritelli
foftenenti cadaueri ; acciocchè con più efficacia fi rapprefenti il Dra ma del
martorio. Applica alla qualità del la cagione ; c conſiderala aftratta dalla
matcria , dopo preferiui il tempo , in cuitale , è tal coſa in particolare ſia
per più lungamente durare . : 20 Haiſofferto mille coſe per eſſerti nö
ſoddisfatto del la tua mente operante quello , in ordine a cui ella fu fatta :
ma queſto baſti . 21 Quando alcuno ti biafi ma , o t'odia , o con ſomiglian
ticoncctri di te ſparla, rifletti all'animucce di cotoro pene tra 1 nione ? 3
tra dentro , e ſcorgi quali quel. le filiano. Vedrai, che non bi ſogna
trauagliarti per l'opi ch'elli hanno dite , ma è neceffario voler loro be ne,
ftante che, ſecondo la na tura, foto amici, e gl’ladij in ogni manicra li
foccorrono con fogni, e vaticinij, ancora in quelle coſe , nelle qualief fi
difſentono . 22 Queſti fono i rivolgi menti fotto e fopra del Mon do , da vn
ſecolo all'altro. . E la mente dell' vniuerſo oli applica alli particolari , e
fe ciò è , riceir volentieri ciò che quella ti porta : ouero, ſe vna volta
dette la molla , e l'al tre coſe camminano per con ſeguenza , e come vna è
nell' altra; perchè queſti in qual che maniera o ſono atomi, a M 6 corpi 276
LIBRO NONO corpi indiuiſibili : e in fom ma, ſe ci è alcun Dio , ogni coſa ſta
bene : ſe il tutto è a caſo , e tu non le'a caſo? Fra poco la terra naſcon derà
tutti noi ; appreſſo anco ra eſſa fi muterà , e quelle co fc, in cui eſſa s'è
mutata, in in finito fi muteranno , e quelle di bel nuouo fi cambieranno in
infinito . Perciò chi conſi dera queſti maroſi delle mu tazioni, e alterazioni,
e la ve locità di quelle , diſprezzerà ogni coſa caduca. La caufa vniuerfale è
vn torrente , che rapiſce il tut to . Quanto vilc e ancora queſta politicheria
, e queſte faccende humane , ſe filoſo ficamente vno le conſidera , quanto ſono
piene di mocci ? O huomo fa yna volta quello che ora la natura richie de . Se
ti da facultà accorriui, e non riguardare fe alcuno ſe n'accorge : ne hauere
fperan-. za di vedere la Repubblica di Platone : ma contentati ſe la cofa,
ancorchè mcnomiffima , ti rieſce profitteuole , e l'eſito di quella conſidera
non come coſa piccola. Imperocchè chì mutcrà i loro deliberamenti ? e ſenza la
mutazione delli de. liberamenti , che altro farà che yna feruitù di lamentoſi ,
e di fimulanti di obbedire in Ora paffa auanti. Raccontami d'Aleſſandro , di
Filippo, e di Demetrio il Falereo:vedran no eſſi ſe conobbero quel lo , che
voleua la natura vni uerfale , e ſe inſtruirono bene ſe ſteſſi , o fe pure
fecero da recitanti di Tragedia , Niu j -1 no m'ha condannato ad imi tarli:
l'opere da Filoſofo fona fincerità , e modeftia ; non mi traſportare alla faftoſa
graui tà . 25 Conſidera per lo paſſato gregge d'Armenti fenza nu mero,
innumerabili ſacrificij e nauigazioni d'ogni forte, e nelle procelle , e nelle
bonac ce ; e diuerſità di coſe , che fi fanno , che inſiemefi fanno , e che ſi
disfanno . Conſidera ancora la vita già viuuta ſot to d'altri , e quella, che
dopo te s'haurà da viuere, e quella, che oggidi fra barbare genti ſi viue . E
quanti vifono, che non ſanno ne manco il tuo nome ? Quanti pure prefto fe lo
ſcorderanno? E quanti , che ora ti lodano, di qui a po . co t’incolperanno . E
coine non è da fare ftima , ne della gloria , nc d'altro tal, qual a fia . Sij
tu imperturbabile in torno a quello, che da cagio ne eſtrinfeca ti auuiene ,
ela giuſtizia fia nelle operazioni, delle quali tu ſela cagione, cioè a dire ,
che habbiano i moti dell'animo , ele aziciri da terminare nell'operare conforme
al ben comune, co me quello, che a te appartie ne , fecondo la natura.1 526
Molte coſe fuperflue , che ti trauagliano , puoirife gare , le quali ſono
ripoſte to talmente nella tua opinione : e così yn molto ampio cam po a te
ftcffo dilaterai. 27 Concepifci nella tua mē te l ' vniuerfo Mondo , e va
conſiderando il ſecolo , nel quale ſci ; e medita la preſta mutazione di
ciaſcuna cofa ; e particolarmente come è bre. ue il tempo dalla naſcita al
diſcioglimento; quanto è im menſo quello , che è ſtato a uanti al naſcere ; e
come pa rimente infinito è quello, che ha da ſeguire dopo il diſcio glimento .
Tutte le coſe, che tu vedi periranno preſtiſſima mente , e quelli, che al pre
fente le rimirano perire , pre ftiffimamente anch'eglino pe. riranno . E quegli
, che nella decrepità fi muore , paſſerà a Atato pari con quegli , che muore
immaturamente . 28 Quali ſono le menti di coloro , e a quali coſe atteſe rose
per quali cagioni le ama no , ele onorano ? Reputa 11!. de l'animucce di queſti
tali ; perchè hanno apparenza di C nuocere , mentre biaſimano , e di giouare
,mentre lodano . O quanto è vana queſta im maginazione ! 29 Il perire non è
altro che mutazione : e di queſta gode la natura vniuerfale , in con formità
della quale tutte le coſe bene ſi fanno . Ab eter no tutte le coſe ſono ſtate
dell'iſtetfa forma, e così in in finito altre coſe ſaranno. Per chè dunque tu
dì , che tutte le coſc fatte , e tutte quelle , che ſi faranno ſempre faranno
mali? E tra tanti Iddij non mai s'è trouato niuno di tanto va lore , che
poteſſe vna volta correggere queſte coſe ? ma è ſtato condennato il Mondo ad
eſſere coſtretto da mali che mai non ceffano ? 30 La putredine della materia,
che è ſoggetta a ciaſcu na coſa, è acqua, poluere, of ficelli,immondezza , o
pur cal li della terra , come i marmi ; o feccia,comeè l'oro , e l'ar gento; o
peli, come la veſte ; o ſangue, come la porpora , e tutte le altre cofe fimili
. Elo fpiritello ,benchè altro , è tale, e di queſto in altre cofe ſi tra
finuta . 31 Sc'viuato affai in queſta vita trauaglioſa, di mormora rione, e
alla ſciiniatica. A che ti perturbiè che ci è di nuouoa che ti fa attonito .
Lacaufiri, guardala. O forſe la nateriale riguarda quella , fuori di que fte
non è cofa veruna: mna vna volta inuerfo gPIddij diuieni e migliore , e più
piaceuole . 32 Il medefimo è , che tu habbi conoſciutoqueſte coſe per CH sof cz. mi te ; o 2,6 Elo tra per cent'anni
, o per tre . 33 Se quegli peccò, egli ha ilmale , ma forſe non peccò . 34
Certamente, come in yn corpo , da vna fonte intellet tuale tutte le coſe
deriuanose non biſogna , che la parte fi quereli delle coſe fatte a pro del
tutto ; ouero fonoatomi, e nient'altro : ouero yn me ſcuglio , e diſſipazione ,
che ti conturbi dunque? Alla men . te tu dì ſe'morta, fe’perdutå , ſe'rigettata
, ti congreghi , e a modo di armenti ti pafci ? 35 O gl’Iddij non poſſono far
niente , o lo poſſono. Se non poſſono a che li preghi? ma ſe poſſono , perchè
più preſto loro non dimandi , che ti concedino di non temere coſa alcuna, che
ſi ſia di queſte, ne di bramare quella , ne di do clie 012 che 2012 VII CITI
leer le dolerti di qualſiuoglia di effe più toſto , perchè eſſe non ſi habbiano
, che acciò fi hab biano.Imperocchè,ſe nel tut to poſſono foccorrere agli
huomini , poſſono ancora in torno a queſte coſe giouare . Ma forſe dirai.
Poſero gl'Id dij queſte coſe in mio potere. Non è dunque meglio valerſi con
libertà di quello, che de pende da te , che laſciarti di ſtrarre con feruitù ,
e baſſezza intorno a quello , che da te non depende ? Machi ti diſſe , che gli
Iddij non aiutano in quelle coſe , che ſono in no ſtro potere ? Comincia dun
que a pregargli intorno di effe e vedrai. Prega il tale diccn. do: come potrò
io godere co . lei ? tu anzi dì; come potrò io non deſiderar di goderla ? vn
altre dichi 11001 Thebe elcut e agli Ora in Quare 8 !!!! Orere valení hede
altro: come mi libererò io da colui ? tu dì: come non haurò biſogno di
priuarmene? vn al. tro : come non perderò il fi gliolino ? tu dì : come non
temerò di perderlo ? In ſom ma in queſta maniera indirizza le tue preghiere, c
conſidera che ne ſuccede. 36 Dice Epicuro : Nella malattia i ſuoi diſcorſi non
ef ſere ſtati intorno alli pati menti del corpicciuolo i ne meno con quelli ,
chelo viſi tauano hauer di coſe ſimili fa . uellato : ma hauer ragionato
filoſofando ſopra la naturą delle coſe premeditate; tutto intento a queſto ,
cioè, come. partecipando la mente di co tali mozioni , ch'erano nella
carnuccia, ſteſſe imperturbabi. le conſeruando il proprio be ortida lezza dar
idilli 110 i in no dur dielli dicas reca troi tre ne. Ne hauer dato occa
fiorea' medici, che ſi vantaſſero d'ha uer operato qualche coſa, ma che
contuttociò ſe n'andaua tirando'auanti la vita tran quillamente,e bene.Il
medeſi. mosch'egli fece in quella ma lattia, tu hai da fare, ſe ti ſen . tiffi
male, o ſe ti trouaſſi in al. tro trauaglio . Poichè il non partirſi
dallaFiloſofia in qual fiuoglia cofa , che vada acca dendo ; e il non applicare
alle bagattelle degl'idioti' , e fofi fti è comune diqualſiuoglia fetta , è di
ſtar fiffo ſolo nella coſa, che al preſente l'huomo fase nello ſtrumento permez
zo del quale ſi opera :" ) 37 Se vienioffeſo dalla sfac. tiạtezza di
alcuno, ſubito in : terroga te fteſfo : Può forſe il Mondo eſſere ſenza sfacciati
non 0 ca fara ' cobs vanda ta tra ētiles trinal non può . Non ricercare dunque
l'impoſſibile : poſcia chè queſti è yno di quelli sfacciati, i quali è
neceſſario, che ſieno nel Mondo. L'ifter ſo ſia del macchinante, e del
l'infedele , e di qualſiuoglia vizioſo. Habbi qucſto ſempre in pronto ; Quando
ancora ti ricorderai eſſere impollibile , che tal forte di gente non ſia, tu
ſarai più placido iuuerfo ciaſcuno di eſſi . Sarà pari mente gioueuole il
conſidera. re ſubito qual virtù habbia dato la natura all ' huomo contra di
queſto vizio : men tre ha dato , come antidoto contra l'ingratitudine, lc mã ,
ſuetudine , come contra d'vn altro qualche altra virtù . E ſopra tutto t'è
lecito di diſin gannare chi errò . Ora ogni aqual 1107 ve all chat uoghi JOMO
m.cz sfac it feil nii 10 ,no,che erra , Si deuia da quel, che gli fu propoſto ,
e va va gando . E poi in che ſe'ſtato danneggiato ? poſčiachè tro uerai ,, che
niuno di coloro , contro de'quali tu ſei eſacer bato , habbia operató tal fat
to,dal quale la tua inenté po teiſe cffere peggiorata ; men tre in queſto è
ogni ſuſſiſten zadel tuo dannose malé.Che đi male , o di ſtrano è ſtato fatto ,
ſe vn'ignorante opera da ignorantc ?Guarda,che tu non habbi più toſto a ripren
dere te ſteſſo del non hauer hauuto riguardo , ch'egli for: fe per commettere
tal man camento ; done tu haueui i motiui della ragione à conſi derare, ch'era
veriſimile; che quegli in tal modopeccaſſe : E nientedimeno ſcordato ti maAtato
170 1001 opo per ter marauigli, ch'egli fia caduto? quel principalmente quãdo
tu l'ac. the cuſi, come d'infedele , o d'in . grato, rifetti in te ſteſſo :con
cioſliecoſache più che manis oros feſtamente l'errore é tuo , ſe credeſti , che
yno sin tal mort fue do diſpoſto , e haueſſe ad of feruare, la fede ; e ſe
facen dogli delle grazie , non le haidate coinpitamente, ne in che modo da
riceuere dall'iſteſſa tua azione tutto il frutto ſu bito . Perchè qual coſa più
deſideri , che di hauerbenefi cato vn'huomo? e ciò non ti baſta, che tu hai
operato coſa conforme alla tua natura ? e di quefto ricerchi lamercede ? come
ſe l'occhio domandafle la ricompenfa , perchè vede , ei piedi perchè camminano
. E fi come queſti membri ſo N no 7210 Toy tell for 2014 alf che Te ! 2 ho
farti a queſto effetto , e ſe condo la loro conſtituzione operando si ne
ritraggono quello che è loro proprio : così l'huomo dalla natura pro dotto
benefico , quando be nefica , o nelle coſe mezzane coopera, ha operato, ſecondo
la fua condizione , e ottiene quello , che a lui ſpetta . Fine del Libro Nono .
LI 10 291 180 ,CH tituziar TAGION propri cura on do be 70272 cond l’Anima ſarai
tu mai Ovna volta buona, e ſemplice , e vna , e quda, più ſplendida del corpo ,
che ti circonda guſterai tu giammai della diſpoſizioneamicabile e caritatiua
quando farai pienamente fornita,e von bi. fognofa, e di niente altro de
fideroſa , e di niente o ani mato , o inanimato anida, per N 2 prender piaceri
? ne di temo Po , nel quale più lungamen te habbi da fruire : ne di luo go , o
paeſe, o buona tempe. rie d'aria : ne d'huomini au uenenti ; ma ti compiacerai
del preſente ſtato , e goderai di tutte le coſe a te preſenti , e inſieme
perſuaderai a te Itefla , che tutto ciò , che ti fia dauanti , tutto bene ti
ſtia , e che dagl'Iddij a te venga , e ti parrà bene tutto quello , che a loro
piacerà', e quello , che da loro ſi concederà s'in riguardo della ſalute , e
con ſeruazione d'vn animal per ferto, buono, e giuſto , ebel los é quello ,
chetutte le co fe genera; contiene, circon da , e abbraccia , le quali fi
diſſoluono , generando altre cofe fimili . Sarai dunque finalmente talc , che
tu ſij atta à viuere in cittadinanza con gl’Iddij, e con gli huoinini in modo
che tu non c'habbi da dolere di quelli in coſa alcu na , ne quelli t'habbiano a
condannare . 2 Oſſerua quello, che la na tura tua richiede in quanto dalla mera
natura vien diret to : poſcia fa quello , cab ) braccialo , fe la natura tua ,
7 come diviuente , per queſto non ſia da peggiorare • Ha urai daoferitare
appreffo ,che 1 coſa richieda la natura tua , come di viuénte, e tutto ciò f
hai da riceuere , ſe da queſto la natura tua come quella d'un animal
ragioneuole , , nó fia perdiucnirne peggiore, e'l ragioneuole, nell'iſteſſo
tempo ancora ciuile . Ditali 01 N 3 regole ſeruendoti non andar cercando altro
curioſamente . 3 Tutto ciò , che e ' auuie ne, o in modo ti fuccede che ſij per
natura abile a com portarlo , o pure a non com portarlo . Se dunque t'accade
nella maniera , che puoi fof. ferirlo , non l'haucre a male ma
ſopportalo,fecondo chefe naturalmente idoneo'; fe poi non fe'idoneo per
fofferirlo , aðn ti diſguſtare: perciocchè, confumando té , confumerà fe
parimente . Niente dimet no ricordati , che tu ' se fatto per fofferirc
ognicoſa ; ' eche ſia in potere della tua opinio ne di farla tollerabile ,
cfof. feribile, fecondo il concerto che farai, che quello ti con feriſca , o
che ti conuenga ſofferirlo . 4 SC Ja | 4
Se qualchuna erra man fueramente s'ha da inſtruire , e moſtrargli quello ,
ch'hab , bia traucduto . Però ſe ciò non ti rieſce , la colpa è di te ſteffo ,
anzi ne meno di te ſteſſo . 5 Qualunque coſa c'auuie ne , queſta ab eterno ti
ſi prc . paraua , e l'intralciamento delle cauſe fin dall'eternità fi
aggomitolaua inſieme con Peffer tuo , e con quelli au venimenti. 6 O fieno gli
atomi , o ſia la natura , ftabiliſcafi primie ramente che io ſon parte
dell'yniuerfo , che la natura gouerna ; appreffo, che io ho vna famigliarità in
vn certo modo con le parti della me deſima forte; pofciachè ricor dandomi di
queſte coſe , in quan 40 TO ON ng N quanto io ſon parte,non pren derò a male
coſa alcuna , che venga compartita dall'vni uerlo : concioffiecofache ni ente ,
che conferiſca all'vni. uerfale può nuocere alla par te :imperocche non vi è
coſa , che all'vniucrfo non conferi ſca.E ciò hanno comune tutte le nature ; e
quella del Mondo ha queſto di più , che da niu na cagione eſtrinſeca può ef
ſere forzata a produrre cofa alcuna a ſe nociua ; e ſecondo quella ricordanza ,
che io fon parte di talvniuerfo, mi com piacerò ditutto ciò , che au uiene ; e
ſecondo che io ho fi fatta famigliarità colle parti , della medeſima forte ,
non o pererò coſa , che non ſia co municatiua con queſte , ma più toſto porrò
mira alle parti della medeſima forte , e condurrò ogni mia inclina zione
all'vtile del comune , e dal contrario me ne ritrarrò Queſte cofe così da te
con dotte , ne ſegue neceffaria mente, che ci traſcorra la vi ta felice,quale
ſtimereſti quel. la d'vn citttadino , che gui daſſe il ſuo viuere in azioni
vtili a i cittadini , c.abbrac ciaſſe tutto quello , che dalla città a lui
determinato viene. 7 A tutte le parti dell'vni uerſo , quelle dico , che il
Mondo contiene , è di necel ſità il corromperſi ,cioè a di re, l'alterarſi, ma
ſe aggiungo, ciò , che loro è necellario , el fere dannoſo, non ſi gouerne
rebbe bene l'yniucrfo , eſſen do le parti di lui nell'altere zione diſpoſte a
corromperſi in diuerſe maniere Diremo N dun 5 298 LIBRO DECIMO dunque, o che la
natura ftef- . ſa intraprendeſſe a fabbricare il male alle ſue parti , e le fa
ceffe fuggette al male , e che di neceſſità caſcaſſero a far il male , o'che
inconſiderata mente non s'accorgeſſe , che le faceffe tali : ma ne I'vno' , ne
l'altro certamente è da credere . E ſe qualcheduno laſciando da yn canto la nas
voleſſe dir , ch'effe ſom no così nate , quanto ſarebbe ridicolo nell'iſteſſo
tempo il dire , che la naſcita loro le porta , come parti dellyni uerſo ,alle
mutazioni, e in ſieme marauigliarſi, e hauer ciò a male , come ſe auuenifs ſe
fuori della natura dell'yni. uerfo ? Tanto più , che la dif ſoluzione vien
fatta in quel le coſe , delle quali ciaſcuna è com DI MARCO ANTONINO 299 è
compoſta , e conſiſte . Im perocchè , o è diſgregazione degli elementi ,
dequali le coſe eran permiſchiate , o conuerſione del folido nel terreſtre ; o
dello ſpirituale nell'acreo , in modo , che queſte coſe fi ritornino nella
ragione dell'vniuerfo : o è che dopo più periodi di temu ро ſe ne vada in fuoco
, o po re con perpetue viciffitudini fi rinnuoui. E queſto folido , e queſto
ſpiritale , non t'im maginar , che fia dalla prima naſcita , perchè tutto
queſto l'altro giorno , o al più tre di fa dall'alimento ; e dall'aria attratta
riceuè l'accreſcimen to . Dunque queſto , che ri ceuè fi muta, non quello che
la madre partori; e,fupponi, che - quello ti riduce affai N 6 vicino alle
qualità del ſug getto particolare , che a ri ſpettodi quello , che ora fi dice
, ſecondo la mia opinio , ncé nicnte . 8 Quelli titoli , che ti se poſto
dibuono , di modeſto , di verace , d'accorto , dipru dente , di magnanimo , au
uerti che giammai non ti ſi cambino, e,ſe li perdi , ſolle citamente torna a
ripigliarli . Ricordati, che col nome d'ac corto ti ſi ſignifica l'attenzio ne,
che tu deiporre per com prendere diſtintamente ciaf cuna coſa ſenza
abbarbagliar. ti la mente : con quel di pru dente , la ſpontanea approua zione
delle coſe , che dalla natura comune vengono di Itribuite: con quel di magna.
nimo , l'alcanzamento della particella del fenno ſopra i moti della carne ,
ſieno aſpri, o morbidi , intorno alla glo rietta , intorno al morire , o a coſe
si farte . Se dunque tra queſti nomiriſtrigni te ſteſſo , e di riceuer queſti
titolida al tri non ambirai , farai yn al tro , e darai principio a dif ferente
vita . Concioſliecofa che il proſeguire d'eſſer come finora ſe'ſtato , e
ſtraſcinarti in tal vita , e imbrattarti , è da troppo inſenſato , e da in
namorato del viuere , e da fi mile a quelli che, combatten do colle beſtie,
reſtano ſmoz zicati , i quali,pieni di ferite , e di marciumi, ſi raccoman dano
ad eſſere riſerbati fin ål giorno ſeguente,per rigettar fi di nuouo , così come
ſono alle medefime'vnghie , e zan ne. Interna dunque te fteffo nella
confiderazione di queſti pochinomi, e ſe puoi man tenerti in quelli,fermati,
qua fi traſportato a ſtanziar' inal cuna dell'Iſole Fortunate.Ma fe t'accorgi
chetu ſcappi fuo. ra , e non reſti ſuperiorez riti. rati con ardimento in qual
che cantone , doue fignoreg gerai, quero in tutto eper tut to eſci di vita ,
non iſdegnan doti, ma con ſemplicità , li bertà , e modeftia ; mentre non hai
pretefo altro in queſta vita che di cosi vſcirne . A conſeruarti peròla memo
ria di queſti titoli grande mente t'aiuterà il rammentar. ti degl'Iddij ; e
come quelli non vogliono eſſere adulati , ma chei ragioneuoli tutti so
afſomiglino a loro . E come ! 1 il fico fa quello , che appar tiene al fico ,
e'l cane opera da cane , e l'ape da ape , così Phuomo da huomo . 9 Il giullare,
la guerra, lo , sbigottimento, il terrore , la feruicù ſcancelleranno coti
dianamente da te que' ſacri decreti,che tu eſaminator del la natura ti fe'nella
mente tra ſmeffo coll'immaginazione . Però abbiſogna conſiderare il tutto , e
operare in modo che inſieme s'habbia da adempie re quello, che la congiuntura
porta, e che nell'iſteſſo tempo ciò che s'è fpeculato ſi metta in opera ; e la
franchezza , che s'acquiſta dalla ſcienza in torno a ciaſcuna coſa , fi con
ferui occulta sì , ma non - for terrata . Dunque quando go derai della ſemplicità
? quai do della grauità d e quando della notizia di ciaſcuna coſa in
particolare, quale ſecondo la ſua ſoſtanzia ella fi fia , e qual luogo habbia
nel Mon do , e per quanto debba du rare , e di quali coſe ſia com poſta , e
chifia' per hauerla , e chi fienoquelli che poſſono darla , e ritoglierla a ·
10 Il ragnetto grandemen te s'infuperbiſce per hauer predato vna moſca : ma vna
perſona pervn leprotto, altri per vn'alice prefa nella rete , e altri per i
porcaftri , . vn'al tro per g’orſie altri per i Sar . mati. Non faranno queſti
la droni fe eſaminerai i conce pimenti della mente loro ? 11 Seruiti del metodo
fpe culatiuo , oſſeruando , come tutte le coſe in fe RECIPROCAMENTE fi
trafinutano , e di con . tinuo ſta applicato,e intorno a queſta parte
eſercitati ; im perocchè niuna coſa ti cagio nerà altrettanto la magnani mità .
Del corpo ſi Spogliò . E conſiderando , come ben pre ſto partendo dagli
huomini, gli biſognerà laſciar'il tutto , ſottopoſe intieramente ſe ſteſ ſo
alla rettitudine ' , nell'ope rar quello , che da luidepen de , e alla natura
dell'vniuer ſo negli altri accidenti . Ma che dica alcun di lui , ouero creda ,
o faccia contro di lui , ne pur colla mente vi bada : contento di queſte due
coſe , dell'operare giuſtamente ciò che al preſente opera ; e di compiacerſi di
quello , che a lui preſentemente vien diſtri buito , e libero da ogn'altra occupazione
, e ſtudio , non altro vuole che paſſarſela dirittamente in vigor della legge e
ſeguir Dio ,che a dia rittura cammina . Perchè hai da vſare il ſoſpetto ,
quando ti è lecito di conſiderare quel che ſi dee operare e fe lo conoſci ,
proſeguirai in quel lo dibonariamente , e fenza mai voltarti indietro : ma fe
tu non lo conoſci , trattieni il giudicio , e feraiti di confi glieri ottimi.
Se poi ii ſucce dono in contrario di queſto altre coſe , cammina pruden temente
fecondo l'occaſioni , che ti s'offerifcono,adcrendo al giuſto, che fecondo
l'appa renza ti fi porge innanzi: per chè è boniffima coſa arriuare a quello,
nel quale il non ac certare ſia caduta . Quegli , che in tutto ſegue la ragione
è inſiememente agile, e poſa to , e vnitamente viuace, e co Itante . 12 Subito
che dal forno ſe fuegliato interroga te fteffo , ſe hauratti a importare , che
quello che è giuſto é, retto , da qualch'altro fi efeguiſca ? Non t'haurà a
importäre . Ti fe'forſe ſcordato, che queſti , i quali ſi vanagloriano nelle
lodi, e ne biafimialtrui , tali ſono nel letto , e tali nella menfa : e quali
coſc fanno , quali fuggono , quali ambi fcono , quali naſcondono quali
rapiſcono', non con le mani, o'con i piedi , ma con la digniffima parte di loro
, colla quale ,volendo jacqui ftar potevano la fede, la mo deſtia , la verità ,
la legge, e'l buon genio . 13 Il ben diſciplinato , e modefto,dice alla
natura,che da il tutto , e riceue: Da ciò che vroi,ritogli ciò chevuoi:ne
queſto dirà con tracotanza , ma con pura obbedienza pienezza di gratitudine
verſo quella . 14 Poco è quello che ti re ſta ;paſſalo come tu ſteſſi in vn
monte : imperocchè niente importa che qui , o lì fi ftia , quando doinunque fi
fia , s'ha da viuere nel Mondo , come in vna Città . Veggano , eri conoſcano
gli huomini yn huomo vero , che viua con forme alla natura . Se non lo
ſopportano , l’ýccidino: per chèqueſto èmeglio che viuer nella maniera di
quelli. !! 15 Tu non timpiegherai più tutto in difcorrere qual fia, l'huomo
dabbene , ma proccurerai d'eſſer tale . 16 Conſidera del continuo tutto l'euo e
la ſoſtanzia vni uerſa ; e comeognicoſa par ticolare riſpetto alla ſuſtan zia è
come vn granello di mi glio ; e riſpettoal tempo vn roteare di trapano : e
appli. candoti a ciaſcuna delle coſe prelenti, conſiderala già nel disfacimento
, e nellamuta zione , e comenella putrefa zione,o diſlipazioncs o ſecon do che
ciaſcuna coſa è ſtata fatta in ordine al finire. Con. ſidera quali fono quelli
, che, mangiano,che dormono, che attendono alla generazione , che mandano fuori
gli cſere menti , t. altre coſe fimili : appreſſo quelli cheſignoreg : giano
gli huomini , e s'inſu perbiſcono , o li ſdegnano , e come fuperiori inſultano
, e pure poco innanzi a quanti feruiuano , e per quali occa fioni, e di quì a
poco in che fi ridurranno 17 Ad ognuno conferiſce quello , che apporta a ciaſcu
no la natura dell'vniuerfos, e allora conferiſce quando ella l'apporta . La
terra ama-cer. tamente la pioggia, amaque ftaianco l'almo etera , amai
Mondod’eſeguire quelloche ha da effere lo dico dun que al Mondo : '10 ti Tono
compagno nell' amore . Non fi fa ancora queſto se fi dice ; che s'ama di far
quefto ; 0 quello 18 O quà tu viui , e a queſta vita fei di già accoftumato , o
elci di effa, e ciò era quello , che tu voleui , e hai finito l'officio tuo ;
fuori di queſto non c'è altro . Dunque ita di buon animo . 19 Habbi ſempre per
cui dente , che ogni luogo è fi mile ad vna campagna, e che tutte le coſe
rieſcono le me. deſime a chi ſtia fopra ad vn alto monte , o sul lido del mare
, o douunque ti piaccia . Perchè chiaramente incon trerai da pertutto quello
che diſie Platone : la greggia Ata torniata di fiepi? ful monte 501 Che coſa è
in me la mérite mia 2 e quale ora io la fac cio ? Ache di quella di pré fente
mi ſerito a forfe, che è qualche coſa vacua d'ogni in telligenza ? forſe è
qualche cofa diſciolta, e diſtratta dalp accomunamento di forfu qualche coſa
liquefatta,e me ſchiata nella carnuccia ,ſicchè habbia da commutarſi con quella
? 20 Chi fugge dal padrone chiamafi feruo fuggitiuo: la legge è la padrona,
echi ope ra contro la legge , é fuggiti. uo . E inſieme , chi ſi da alla
malinconia , o alla collera , o al timore , per qualche coſa delle ordinate ,
che già ſon fatte , o fi fanno , o ſono per farſi da quello, che governa il
tutto , che è legge, così det ta dal diſtribuire a ciaſchedu no quello , che
gli vienę. Chi dunque fi daal timore; o alla malinconia , oall'ira è feruo
fuggitiuo 21 Depofto che alcuno ha lo ſperma nell'utero , fi dipar tegte
appreſſo , qualch'altra cagione raccogliendolo , lo perfeziona , e compie il
feto : di qual materia ? è quale è ? ſimilmente tramiſe l'alimento per la gola
, e poi qualche altra cagione raccogliendolo, produce il ſentimento, l'ap
petito , la vita , e la robuſtez za , e altre coſe ( c quante , c quali ? )
Biſogna dunque, che tu contempli quelle co fe , che ſotto tal copertura ſi
fanno, e in queſta manicra ri conoſcere la facultà come noi vediamo, c quella
cheaggra ua , e quella cheſolleua, non con gli occhi, ma non meno
euidentemente. 22 Del continuo conſidera , come tutte le coſe ſono tali , quali
ora ſi fanno, e già ſono ſtate; e conſidera quelle , che ſono per eſſere , erappreſen
O tatele auanti agli occhi come intiere fauole , e ſcene , cun forme alle coſe
le quali o per tua eſperienza , o per antichi racconti ti fono note . Verbi
gratia tutta la Corte di Adria no, tutta la Corte di Antoni no, tutta la Corte
di Filippo , di Aleſſandro , di Crefo , poi chè tutte quelle erano l'iſteſ fe ,
che queſte , variando ſolo ne'perſonaggi. 23 Immaginati , che que gli, il quale
per qualſivoglia coſa ſi rammarica , e s'afflige, è fimile ad vn porcello , che
fi macella calcitrante , e gru gnente ; ne è diuerfo chì pian. ge ſolo ſopra il
letto con ſi lenzio la noſtra dappocaggi ne ; e immaginati , che al fo lo
animal ragioneuole è con ccduto d'accomodarſi volon ta hi vol이 blo
tariamente agli accidenti , e l' accomodarli ſemplicemen te è a tutti
neceffario. 24 In ciaſcuna delle coſe , bi che tu operi applicando a parte a
parte la mente, in tcrroga te ſteſſo , le la morte 01 pare terribile a cagione
, che habbiamo a reſtare priui di e quella tal cofa . 25 Subito, che tu ti
offendi per l'altrui peccare ,, rientran do in te ſteſo , fa tua ragione, 111
ſe in caſo fimilcru erri : come a dire giudicando, che ſia co fa buona la
moneta , il piace re , e la glorietta , e altre co ſe sì fatte. Perciocchè con
fi qneſta conſiderazione preſta mente ſmorzerai la collera , venendoti inſieme
in mente , che colui opera forzatamen te . Che ha egli dunque da fare? ſe è in
tuo potere , libe ralo dalla violenza. Vedendo Satirione, vno de Socratici ,
immaginati o Eutichete , o Himene : e ve dendo Eufrate , immaginati di vedere
Eutichione , o Sil uano : e vedendo Alcifrone , di vedere Tropeoforo ; e ve
dendo Senofonte , immagi nati Critone , o Seuero : e ri mirando te ſteſſo ,
immagina ti qualcheduno de ' Ceſari , e in ciaſcun altro qualche coſa {imile a
proporzione . Ap preſſo ti ſouuenga , doue ſo -no dunque quelli? o in nilt no ,
o in qualſiuoglia luogo . Così di continuo vedrai le coſe humaneeffer fummo, vn
nulla ; maſſime fe eandrai rammentando , che il mu tato vna volta per tutta
l'infinità de'ſecoli non tornerà ad accadere . E tu quanto tem po ſtarai a
mutarti ? perchè dunque queſto breue tempo non ti baſta per degnamente paſſarlo
? qual materia, e qual foggetto abborriſci ? che al tro ſono tutte queſte coſe
, che eſercizij della ragione, la quale accuratamente ha con fiderato , e
diſcorſo ſopra la natura di quello , che è nella vita? Perſiſti dunque finchè
tu ti renda famigliare queſti , in guiſa d'vn gagliardo ſtoma co che ognicofa
abbraccia , e come il chiaro fuoco di qua lunque coſa , che tu gli butti dentro
ne forma fiamına , e fplendore . 27 Non poſſa alcun veritie ro dire di te , che
tu non se {chietto , o huomo dabbene 72 el ܛ ܬܨܝܬ Il Do
le ai 0 3 .ma mentiſca chiunque di te ha fimile opinione . E rutto queſto è in
tuo potere . Per chè chi t'impediſce , che non fij huomo dabbene , c ſchiet to
? A te folo ſta lo ftatuire di non voler viuer più , ſe tik pon farai tale :
imperocche non comporta la ragione , che tu non ſij tale . 28 Che coſa è , che
ſi pora fa intorno a queſta materia rettiſſimamente operare , je dire ?
qualunque coſa queſta fia è lecito di farla , e dirla , e non metter préteſto
d'effe re impedito . Non prima cef ſerai di lamentárti , che tu ſij ridotto a
queſto , che quale è agli huomini voluttuoſi il luſſo , queſto è a te l'operare
nella ſoggetta , e ſommini Itrata materia , conneniente alla conſtituzione
humana Imperocchè s'ha da concepi re perdelicia tutto quello , che farà lecito
d'operare con forme alla propria natura , e queſto è lecito in ogni luogo.
Perchè al cilindro non è con ceduto di portarſi per qualſi uoglia luogo col
proprio mo. to , come ne meno all'acqnas ne al fuoco , ne ad altre coſe , le
quali ſono rette dalla na tura, o dall'anima irragione uole ; eſſendo molti li
rat tenimenti , e gli oſtacoli:ma la mente , e la ragione può . penetrare
pertutti gl'impedi menti, ſecondo la ſua natura , e a ſuo beneplacito . Queſta
facultà , poſta che tu te Phai innanzi gli occhi , fecondo la quale la ragione
potrà portar fi per tutto , come il fuoco in 04 alto , come la pietra al baſſo
, come il cilindro per dio , nicnt'altro ricerca. Per chè gli altri impedimenti
che. procedono o dal corpo , ch'è yn cadauero , o ſenza l'opi nione , e
inchinamento dell' iſteffa ragione , non fanno . leſione, ne apportano danno
alcuno , altrimente a yn trat toil patiente di quello diuer rebbe cattiuo :
perciocche in tutti gli altri apparatid'opera, quel danno , che ad alcuno
auuiene rende peggiore quel lo , che lo patiſce . Ma quì , le è lecito il dirlo
, ſi fa l'huo. mo migliore , e più degno di lode , ſeruendoſi rettamente di
queſti incontri . In ſomma ricordati, che a colui, il quale è per natura
cittadino , nien te nuoce , che alla Città non 1 nuoca: e a queſta non fa dan
no chi alla legge non fa dan no . E niuna di queſte , che chiamano difgrazie
offende la legge . Quello dunque che non offende la legge , non offende ne la
Città , ne il cittadino , - 29 A quello che gia è toc co da veri dogmi , è fuficien
te ogni piccoliffimo, e ordi nario incontro per ricordarli di sbandire ogni
dolore , e ti more . Quale è queſto ? Delle foglie altre il vento a terra
abbatte, Altre produce il verdegiante bosco ; Quando la primauera fa ritorno.
Cosi ſuccede alla natura lumana', Che mentre Spriiita l’vil , l'altro ; dien em
. Fogliucce fono i tuoi figlio lini : fogliucce ancora que fti , alle
acclamazioni de qua 70 ol 70. di ite yle 00 05 322 quali ſi da tanto credito ,
e che parlano bene del fatto tuo ; o pure per lo contrario quelli , che
maledicono , o tacitamente biafimano , o di leggiano:fogliucce ſimilmen te ſono
quelli, i quali aderi ranno alla tua fama dopo la tua morte . Perchè tutte que
fte coſe naſcono al tempo della primavera, dopo il ven to le butta a terra , e
appref fola felua in luogo loro altre produce. La breuità del tem po'è a tutti
comune. Ma tu ogni coſa fuggi, e appetiſci tutte le coſe , quafi chefoffero per
eſſer perpetue. Tra poco tu ferrerai gli occhi , e vn al tro piangerà quello ,
che ben preſto ti porterà alla ſepoltu . 30 L'occhio fano è dime ra . Itie ftiere
, che veda tutte le coſe viſibili ; e non dire : Amo ve dere il verde , che
queſto è perchi patiſce di viſta ; e l'v dito fano , o l'odorato biſo gna , che
ſieno pronti a tutte le coſe da vdirſi, e da odorar fi ; e lo ſtomaco ſano a
tutte le cofe , che nudriſcono : pa rimente , come yna macina dee eſfer
ammannita per tuta te le coſe da macinare , nell' ifteſſo modo la mente ſana
dee effer difpoſta a tutti gli auuenimenti ; maquella , che dice : Sieno faluii
figliolini , e tut ti lodino quello, che io farò ; fono occhio , che cerca il
verde , o denti , che cercano il tenc ro . · 31 Niuno è talmente feli . ce ,
che qualcuno di quelli , che ſi truouano alla ſua morte O 6 non ſia per godere di
qucl . cattivo accidente . Era egli di valore , era fauio ? non fa rà alla fine
chi del medeſimo fra feſteffo dica ? reſpireremo pur una volta da queſto
pedante , Non era faſtidioſo con alcuni di noi, ma io m'accorſi , che
tacitamente ci riprendeua . E queſto d'vn huo mo di valore;main noi quan te
altre coſe ci ſono , per le quali molti bramano liberarſi da noi ? queſto
dunque confi dererai nel punto del morire ; e meno trauaglioſo ti riuſcirà
diſcorrendo come ſegue. Da quella vita io parto , dalla quale quelli , che meco
co municano , e per li quali ho trauagliato intante cofe , ho pregato , m'ho
preſo tanti penſieri, quegl'iſteſſi deſide rano ich DO 100 Ilo son O le rano ,
che io me ne vada, fpe randone facilmente da que ſto qualche ſollieuo . Chi
dunque non saccomoderà a non far più lunga dimora in queſte parti? Non partirai
per ciò da quelli men verſo foro benigno ; majconſeruando il proprio tenore ,
amoreuole , beneuolo , e propizio : e non come ſe foſli per forza ſtrap pato ,
ma come a quegli, che felicemente trapaſſa , facil mente l'animuccia ſi
diſtacca dalcorpo , così biſogna , che fi faccia queſta ſeparazione. dalle coſe
preſenti ; giacchè la natura con quelle ci vnì , e congiunte . Doue ora ti diſ
giugne ? mi diſgiungo perciò, come da famigliari, non già con renitenza ,ma
fpontanea mente ; poichè queſto anco rfi [ rà 12 y 0 0 ti ra è vna delle coſe
conformi alla natura . 32 In tutti gli atti , che da ciaſcuno ſi fanno , cerca
d'af fuefarti, per quanto c'è poſsi bile, di ricercar dentro di te: Il tale fa
quefto , per qual ca gione ? comincia però da te medeſimo , e printieramente
eſamina te fteſso . Ricordati , che , comequelle cordicine , che tirano i
bambocci , non appaiono , così quello , che t'addolora , è dentro nafco fto .
Quello è la perfuafiga , quello è la vita , quello , ſe conuiene cosi dirlo , è
l'huo mo .Non fantaſticar dunque di quello , chea guiſa di vafo ti circonda, e
di queſti inſtru mengucci , che attorno a te fono formati; poichè queſti ſono
ſimili all'aſcia , folo in 1 1 ciò diffcrenti , che ſono con naturali . Mentre
ſenza la ca gione , che gli muoue , e rat ticne , non è maggior l'vtile , che
da queſti membri s'ha , di quello , che ne ha la teſli trice dalla fpola, gli
ſcrittori dalla penna , e dalla fruſta i ! cocchicro. E proprietà dell'anima
ragioneuole ſono , il ri mirare ſe ſteſſa, ſe ſteſſa minu tamente ricercare,
fare fe fter ſa quale più a lei piace:il frut to,ch'ella produce lo produce a
ſe ſteſſa ( giacchèi frutti del. le piante , e ſimilmente quelli degli animali
, altri godono ) in qualunque luogo le ſoprau uenga il termine della vita ,
arriua ella al fuo proprio fine: non come ne i balli , e nelle
rappreſentazioni, e in fimili coſe , nelle quali, ſe qualche impedimento
s'intrapone,tut ta l'azione rimane imperfetta : ma ella in qualſiuoglia parte,
e douunque s'interrompa ,ren de tutto quello che ſe le pro pone innanzi
perfetto , e non biſognoſo di coſa alcuna; ſic chè può dire ; lo poſſiedo il
mio . In oltre , traſcorre per tutto il Mondo , e per lo va cuo, ch'è intorno
ad eſſo , e al la di lui figura : ella s'eſtende nell'infinità de'ſecoli ,
eleri generazioni di tutte le coſe , che a certi giri de' tempi ſi fanno ,
comprende, intende , e diuiſa , che niente più di nuouo ſono per vedere i po
ſteri , e niente di più videro i . noftri aſtepaſſati: ma in certo modo chi
haurà quaranta an ni, s'ha fior d'ingegno, haurà veduto tutte le coſe paffare ,
future , per la ſomiglianza tra effe. Di più è proprio del l'anima ragionevole
amare il proſſimo, effer verace , mo deſta , e non iftimare niuna co . ſa più
di ſe ſteſſa . Il che è proa prio ancor della legge . In queſta maniera tra
laretta ra giòne , e tra la ragione del la giuſtizia non è differen za . 2
Sprezzerai il canto Infin gheuole , il faltare , e'l pan crazio , cioè l'eſercizio
degli atleri : ſe tu ſpartirai la voce armoniofain ciaſcuno de'tuor ni, e in
qualſiuoglia di quelli interroga te fteffo : Se da quel lo tu refti vinto ;
perchè in ve ro te ne vergognerai . Nell' eſercizio del ſaltare farai l'i
ſteſſo a proporzione, a cia ſcun moto, egefto; il medefi mointorno al pancrazio
. In ſomma, in tutto quello , che e fuori della virtù , o da quel la non deriua
, ricordati di traſcorrerlo a parte a parte; e con la diuiſione di quelle ver
rai a vilipenderlo . E queſto l'hai da traſportare allvſodi tutta la vita 3
Quale è l'anima , che ſta pronta, fe già bifognaffe , a fcioglierſi dal corpo ,
o eſtin guerſi , o diſliparfi , o a rima nerui ? pronta , dico , ma che tal
prontezza prouenga da vn particolare diſcernimento di mente ,non da vna
nudacapar. bietà , comeè quella de'Chri ſtiani , mi conprudente diſ corſo , e
maturità da poter ciò perfuadere ad altri ſenza tragica impreſione, 4 Operai
qualche cofa ap partenente al comune ? Dun que n'ho ritratto dell'vtile .
Queſto ſia fempre alla mano in ogni occorrenza,fenza mai traſcurarlo. Qual'è il
tuome ſtiere ? l'eſſer buono ; ma que fto non ſi fa bene, ſe non per mezzo
delle fpeculazioni, e maſſime, o intorno la natura . dell'vniucrfo , oltero
intorno la propria conſtituzione della huomo. 5. Al principio furono in
trodotte le Tragedie , per rammemotar agli huomini gli accidenti ; e che queſti
così naturalmente, loro fogliono auuenire . E acciocchè quelle coſe , che ſu le
ſcene vi ricre aſſero l'animo , non vi contri- , ftal ila NO jai 76 il Her e
ftaffero nella ſcena maggio re , Perchè vedete eſſer così neceſſario che queſte
coſe in cotal modo ſi terminino ; e così le comportano quelli, che eſclamano:Oh
CitheroneE fi dicono alcune coſe vtil mente da quelli , che com pongono ii
Drami , quale è particolarmente quella . Che di me cura , ne de’mieifigli uoli
. Non ſi prendan gl'Iddi ragion il vuole E parimente Che con le coſe diſdegnar
non lice . E Cheſi mieta la vita,come ſuole Matura spiga . 119 e altre coſe
ſimili. Pure dopo la Tragedia fu introdotta l'antica Commedia hauente vna
libertà di maeſtreuol 10 2 Blo cer li si 0 mente correggere , rammen tando non
inutilmente col fuo retto parlare la modera zione del faſto ; al quale me
defimo fine in qualche modo Diogene ſe ne valeua . Dopo queſta conſidera quale
è la Commcdia mezzana ; e ap preſſo la nuoua , a che fine fu poſta in vſo , o
come a poco a poco per l'arte , e applica zione dell'imitare ſubcntrò ; mentre
ſi ſa, che anco da que TE fte fi dicono alcunecoſe gio fe ueuoli; ma
l'vniuerſale inten to di tal forte di poeſia , o rappreſentazione mimica a qual
ſegno hebbe la mira ? C 6 Come truouafi euidente non ci eſſer altro modo di vi
PE vere tanto a propoſito per fi po loſofare di queſto, nel quale VE tu se'di
preſente ? to ta 7 II zenu co TIE • H 0 - Mode 7 Il ramo non ſi può ſchian tare
dal vicino ramo , ſe non fi diſtacca inſieme da tutta la pianta ; cosìyn huomo
non ſi può difceuerare da vn altro huomo, ſe non ſi ſepara dalla comunione . Il
ramo dunque Jo diuide vn altro , ma l'huo mo li ſegrega da per ſe ſteſſo dal
proſſimo, con odiarlo , e renderſigli auuerſo. Però non ſi auuede , come dalla
gene rale cittadinanza ha ſeparato ſe ſteſſo E nulladimeno quella è yn dono
particolare di Gioue il quale ha conſtitui to queſta comunicazione . Concioffiecolache
è lecito di nuouo ricongiugnerſi col proſſimo , e dinuouo incor porarſi colla
perfezione dell' vniuerſo ; ma ſe ſimile ſepa razione fi fpeſſeggia , fi rende
ľu più niC di le ds .81 tra tutduqunat più dificile il riunirſi , e'l tor nar a
rallignarſi . In ſomma il ramo , che da principio ger minò con l'altro , e como
conſpirando conſiſte , non é fimile a quello , che dopo il taglio vn altra
volta è ſtato inneſtato . Il che pur dicono gliagricoltori . Biſogna effe re
dell'iſteſſo germoglio , ma non dell'iſteſſa lembianza . 8 Quelli , che ad
impedirti ti ſi frappongono , quando tu cammini conformealla retta ragione , ſi
come non ti po - tranno trauolgere dalla fana operazione , così non t'han no da
ritirare dalla buona vo lontà verſo di loro : ma cuſto diſci te ſteſſo
egualmentenel I'vno , e nell'altro ; ne folo colcoſtante giudicio , ecol
l'azione , ma col portarti per9 all anttö ting allaOr? allo tejla -1 man zumail
coloro , che ſtudiano d'impe manſuetamente ancora verſo 1 tor ger COM 1100 opo
il Stato , ma d . dirti dirri , o in altro modo ti mo leſtano Imperocchè così è
da animo iinpotente lo sde gnarſi contro di quelli comeil tralaſciar di
operare, e abbat cono i tuto arrenderſi. Perchè amen. effe due abbandonano il
poſto , queſti intimorito , quegli alie nato dal congiunto , camico per natura
, 9 Niuna natura è inferiore retta all'arte ; concio liecofache le arti imitano
le nature . Sc pe Cana rò queſto è , la natura perfet tiffima tra tutte
l'altre, e che il tutto abbraccia , non cederà Ao alla più atificioſa induſtria
. Ora da tutte le arti in ordine alle coſe migliori ſi fanno le
inferiori.Dunque anco dal la natura comune ; donde é , P che Jo tu ipo han vo
nel ! olo 04 arti ſo & 11 re M che
da quella deriua la giu ſtizia , e da queſta poi tutte le virtù hanno la ſua
ſufiften za . Perchè non ſi conferucrà il giuſto, fe o alle coſe di mez zo
troppo attribuirem'o , o fa remo facili a prender errore , ead cſſer temcrarij
, e muta bili . 10 Se non vengono a te le coſe , delle quali il proſegui mento
, o la fuga ri perturba 110 , ma tu in certo inodo a quelle ti conduci , dunque
il giudicio intorno ad eſſe s'ac quieri , e quelle rimanghino immote, e tu non
ſarai vedu to , neappetirle , ne fuggirle. La sfera dell'anima è luminosa ,
quando ella non ſi eſtende fuori a qualche co fa , ne dentro ſi ritira , o fr
conſtipa , ma riſplende con P d d . a 0 fc PE 9 mi ch ch quel a Giv tutti
Tilter TUOTI Legii proccurerò di eſſer manſueto , quel lume, col quale ſcorge
la verità di tutte le coſe , e quella , che è in lei medesima .Mi fprezzerà
talvno ? ſe n'accorgerà cgli . Io mi guarderò bene , che niſſuno mi truoui o
opcrare, o parla re coſa degna di diſprezzo Miodierà ? guardiſi egli. Io mez ot
TOTE , MUT tele urb.2 do 1 quei rhino reche e di eſſer di buon volere verſo di
ognuno , e con queſto me deſimo ancora pronto a farlo accorgere detfuo
trauedere , non per modo di rinfacciare , o di far moſtra della mia fof.
ferenza ; ma con ingenuità , e probità , nell'iſteſſo modo di quel Focione, ſe
pure non fi mulaua. Perchè così biſogna, che ſieno le coſe interiori , e che
l'huomo ſia veduto dag! P 2 Iddij irle 1.2 € 1101 CO 0 h C011 I iddij , così
diſpoſto a non ri ceucre coſa alcuna con iſde . gno , con querele . Poſcia. chè
di che danno è a te , ſe tu fteſſo fai al presére quello, che e proprio della
tua natura ? non accetterai tu ciò , che ora è opportuno alla natura dell'
vniucrlo , o huomo ordinato per far qucllo , che conferiſce al comune 13 Quelli
, che l'vn l'altro fi difprezzano , l'un l'altro fi luſingano : e quelli , che
cer cano diſoprauanzar l’yn l'al tro , l'vn all'altro ſi ſottomci tono. Quanto
rancido , e non ſincero èil dire: Miſono propoſto di portarmi teco
ſchiettamente. Che fai , o huomo ? non è di me ftiere far queſto prologo :
apparirà da per ſe . Nella fron E ; 1 ?
1 B o e fronte iſtekla dce eſſere ſcrit ta la voce . Quello , che hai dentro ,
ſubito viene eſpref fo negli occhi , come nel lo ſguardo degli amanti il tutto
fubitamente conoſce Pamato . Tale inſomma biſo gna , che ſia il fincero, e buo
no , che ſappia vn poco di ca prino; acciocchè chi ſe gli ac coſta ,
nell'iſteſſo primo in contro voglia , o non voglia , al fiuto lo riconoſca .
L'affet tazione della femplicità è vn ferro traditore . Niuna coſa è più
brutta, che l'amicizia lu pina . Fuggila più di ogni al tra . Gli occhi del
buono del ſemplice, del manfueto han no queſto chenicite in quel li ſi naſconde
. 15 La facultà di vinere ot timamente è poſta nell’anima. Se pur le coſe
indifferen ti le piglia indifferentemente : e le prenderà indifferente merte ,
ſe ciafcuna di quelle contemplerà ſeparatamente , e con riguardo al tutto ricor
dandoſi , che niuna di quelle può formae in noi l'opinione di ſe ſteſſa , ne a
noi venire : ma quelle ſtanno ferme,e noi fiamo quelli , che formiamo i giudici
di quelle , come in noi dipignendole ; mentre è lecito laſciar di dipigaerle ,
è lecito ancora,ſe furtivamente s'infinuaffcr, o di ſubito ſcan cellarle. Che
queſta attenzio ne ſarà per corto tempo , e appreffo terminerà la vita . E che
difficultà ci è in ben pi gliar queſte coſe concioſie cofache ſe ſono ſecondo
la naturai , habbile care , e ti 8 a I rega antes cate uck Ente; ca uelle vant
1 enoi moi ne if färanno facili; ſe ſono contro la natura , cerca quello , che
ſia ſecondo la tua natura , e intorno a queſto ſtudiati , an corchè ſia ſenza
gloria , eſſen đo da vſare indulgenza con chi cerca il proprio bene . 16.
Conſidera donde ciaſcu na coſa è venuta , e di quali fubbietti ciaſcuna
conſiſta , e in quali ſi muti , e mutandoſi quale ſarà , c come non ſog opere
di giacerà a dannoniuno. E pri ma qualabitudine ſia in me verſo di quelli ,
eſſendo che ſiamo nati vno a prò dell'al tro ; e ſecondo vn altra 'ragio ne ſon
fatto per preſedere a quelli , come ariete al greg : ge , o toro all'armento .
Poida queſto paſſa a raziocinar più alto ', che ſe non è vn concor fo diatomi,
è la natura , che: legi ente car 210 ! 1,1 7.€pl매 Slicet
ndo ed P4 il tutto regge; e ſe ciò è, l'infe. riori coſe ſono fatte per le mi
gliori , e queſte l'vna per l'altra. Secondo offerua , quali ſie no nella menfa
, quali nel letticciuolo , e in altri luo ghi, ma ſpezialmente quali neceſſità
apportino loro i dog mi , che effi fi ſono profiſſi, e con quanta preſunzione
met tino in opera quegl' ifteffi lo ro decreti. Per terzo . Se quelli retta mente
queſte coſe operano , non è da diſpiacerci; ma fe non rettamente , chiara co fa
è , che operano per for za , o per ignoranza ; perchè ogni anima dimala ſua
voglia reſta priua come del vero ,co sì di comportarſi con ciaſcu no fecondo la
ſua conucneuo lezza ; e perciò prendono a ma , afe ml 12 fit re 110 cal 105 et FO male
l'eſſer chiamati ingiuſti, ingrati,auari,e al tutto procli ui al peccarecótra
de proſſimi. In quarto luogo . Che tu ancora fai di molti errori , e come yn
aftro di loro pecchi; ſe da alcuni errori ti aſtieni , tuttauia hai l'abito di
com mettergli , quantuinquc per cagione di tinore , o di glo ria , o d'altro
ſimile vizio tu ti rattenghi da si fatti crrori . Per Quinto . Che manco hai
ben penetrato , ſe errano: auuenendo molte volte , che lo fanno
diſpenſatiuamente; c in ſomma è neceffario d'ap prendere molte coſe auanti di
pronunciare aſſeuerante mente delle azionialtrui. Per feſto.Che quando fuor di
miſura tir ti degni,o da im pazienzia fei prcfo ,fouuenga DI H ľ ¿ 2 P 5 tia
346 [ f fi ti , che la vita humana è mo montanea; e che tra poco tut ti ſtaremo
diſteſi . Settimo. Che non ſono l'o perazioni loro ', che ci pertur bano ;
imperocchè eſſe ſono nelle menti di quelli , ma ben sì i noſtri apprendimenti.
Deponili dunque, e conten tati di laſciarne il giudicio , come di coſa a te
graue ; e la collera farà ſùanita . Or bene in qual maniera li deporrò ?
diſcorrendo ;che non té inter. venuto niente di diſdicevo le ; poichè ſe non
foſſe fe nori quel ſolo ', ch'è diſdice uole ,male', néceſſario fareb be, che
tu in molti modi pec cafſi , diuenendo ladro , e af fatro ſcelerato . Qttauo.
Quanto fono coſe più graui quelle , che apport tano C t t C te al more f per le
30 tano per cagionc loro i cor rucci, e languſtie dell'animo, che non ſono le
coſe i, quali ci contriftiamo, c adi riamocon quelli. Nono . Che la
manſuetudine.è inuincibile, quando ſia fincera , e non affettata fimulata. Che
ti farà vno per fouerchieuoliſſimo , che cgli fi fia: , ſe tu perfeueri
d'eſſere con lui piaceuolc ? E , ſe così t'auueniffe, placidamente l'aer
uertirai ' , e meglio l'inſegne rai' , attendendo a ciò quieta mente in
quell'iſteſſo tempo ni che colui fi ftudia di fare a re il male , dicendogli tu
:: Non figliuolo , noi ſiamoprodottiat altre coſe . Io non rimarrà l'offeſo ,
ma tu bon fi ,figliuolo ; e con de ſtrezza e fommariamente gli moſtrerai , che
la cofa paf P 6 ſa cosi . E che ne le api ciò fanno , ne niuno di quegli
animali , che per lor natu ra inſieme ſi congregano E però di biſogno , che ciò
ſi faccia lontano dall'irriſione , o dall'improperio ; ma ami cheuolmente , e
ſenza mor dergli l'animo , e non come nelle ſcuole , ne acciocchè altri,
chepreſente ſia , faccia delle marauiglie , ma a ſolo a ſolo , quantunque
alcuni altri vi ficno intorno . Queſti noue capitoli tiengli a mente , come
doni a te fatti dalle Muſe: e yna volta, men. tre se'in vita , da principio ad
eſſer huomo . Però biſogna guardarſi egualmente , come di non adirarti contro
quelli, così di non adularli ; perchè l'vno , e l'altro ſono contro l'hu D.
l'humana comunione , e tira no al danno . Ti ſia in pronto, mentre ti traſporta
la collera, che non è da prode huomo l'adirarſi; ma la placidezza , e la
manſuetudine , quanto più fono da huomo , tanto più hanno del maſchio ; poichè.
queſti partecipa più della for tezza , e della neruoſità, e det vigore , ma non
già chi è ſdegnofo , e diſamoreuole. Perché quanto più queſtoè proprio della
tranquillità dell' animo , altrettanto è ancora del vigore. E come la triſtez
za è de deboli , così è la col lera . Poſciachègli vni , e gli altri ſono
feriti, e ſi arrendo no . E ſe ti piace, dal principe delle muse riccuiancora
que ſto Decimo dono : Che è da furioſo il non volere j , che i cit 350 1
cattiui pecchino , concioffie colache in ciò fi pretenda l'impoſſibile .Ora il
concede re, che verſo gli altri ſieno tali , e il volere , che contro di te non
pecchino", è cofa da : huomo- ftolido , c.da tiranno. S'ha del continuo da
of ſeruare', eſfer principalmente quattro i moti dell'anima . E quando tu li
ſcoprirai , gli hai da ſcancellare; dicendo fra te ſteſſo ſopra ciaſcuno .
Queſta immaginazione non è necef-. ſaria: Queſto diſcioglie la co -- munanza :
Queſto non lo di rai di capo tuo ;perché il non dirlo da fenno, reputalo tra le
coſe ſtrauagantiſſime : II quarto è , che tu a te ſteſſo rimprouererai queſto
eſſere yn dare per vinta la portione più diuina , che in te è, e fot to و in te
è , bench cometterla alla parte più i gnobile,e mortale del corpo, e alle
ſuematcriali voluttà . 18 Il tuo ſpiritello , e tutto quello d'igncos che è in
te miſchiato ,diſua natura tende 1 in alto' , nondimeno per ob bedire
all'ordinanza dell'vni uerſo dentro del miſto ficon tiene . Ancora' , tutto
quanto di terreſtre , e d'humido , che tuttauia refta ſollevato', e ſta non
ſecondo il natural ſuo ſito. Così gli elementi ancora obbediſcono alle cofe vni
verfali , quando , douunque fieno traſportati, reſtano per forza,finchè dinuouo
lorven. ga fignificata la facultà di di fciorli . Dunque non è egli mal fatto
che la ſola tua par ce intellettuale ſia dura all'obbedire, e che ſdegni la ſua
re gione ? e pure non ſe le ordi na niente di violento , ma ſo lo quello , che
é ſecondo la natura fua ; tuttauia non vi s'accomoda, ma corre al con trario .
Concioffiecofache on gni commozione verſo l'in giuſtizie, le lafciuie , i ran
cori, c i terrori non è altro che vna riuolta contro la natura . E quando la
mente piglia mal volentieri qualche coſa di quelle , cheauuengono ,allo ra
abbandona il ſuo poſto ; giacchè quella è fata diſpoſta all'equanimità , e pietà
verſo gl’Iddij , non meno , che alla giuſtizia ; perchè queſte ſono d'yna tal
forte , che tendono alla buona comunanza , e fo no più antiche delle iſtelle
opere giuſte. A cui non è ſempre vno, e'l medeſimo fine della vira , non può
eſſer vno, e'l medeſi mo per tutto il tempo della fua vita .Ma non baſta
quefto, che s'è detto , ſe non aggiu gni à quello , quale dee effere queſto
fine. Imperocchè co me non è ſimile l'apprendi mento di tutte le coſe, che in
qualſiuoglia modoalli più pa iono buone, ma di quelle di vna tal forte , cioè
di quelle, che ſon volte al comune, così anco il fine dee eſſere diretto alla
vita comune , e ciuile . Perchè chi a queſto indirizza - tutti i proprij
appetiti, rende rà vniformi tutte le azioni, ed egli in tal modo farà ſempre il
medeſimo 20.Conſidera il topo nion tagnolo , el domeſtico , e la 4 Vand S vana
paura , e fuga di queſto . Così l'opinioni del volgo chia. maua Socrate lamie ,
e spaventacchi de'putti. I Lacedemonij negli ſpettacoli poneuano i fora ſtieri
ne ſedili all'ombra ; effi ſedeuano doue a forte loro toccaua .. 22. Socrate
riſpondendo a Perdicca , perchè non andaua da lui, diſfc ; Acciò io. non
periſca di così infame morte ; mentre non po teſſi corriſpondere alla grazia ,
che riceueſji. Tra gli ſcrittide gli E feij taua vn auuertimento y che ſpeſſe
volte ſi ricordaſſero di qualcheduno degli anti chi, i quali haueſſero
eſſerci-. tato la virtù. I pitagorici ordinavano, che di mattino si
riguardatſe: ili 8 po fe BE il Cielo ; acciocchè ſempre ci ricordaſſimo di
quelli , che ſempre ſimilmente , e nell'i ſteifa maniera compiono l'o pere loro
e dell'ordine, e del la purità , e difuelamento; im perocchè niun velo hanno le
feller 25 Ti fouuenga quale cra Socrate cinto d'vna pelle , quando Santippe
coperta del la di lui veſte vſcila fuori di caſa ; e' rammentati quello , che
diffé Socrate alli compa. gni, che fi vergognauano , e ſi ritirauano , quando
lo vidde ro in tal'abito : 26 Non far il maeſtro di fcriuere, e leggere ad
altri, in nanzi che ſij ammacſtrato ciò è da oſſeruare molto più nella vita .
Seruo tu Lei peròparlar non dei. Allora io di buon cuo re me ne riſto Rampognan
la virtù con aſpri det ti . 27 E' da pazzo domandar i fichi l'imerno . Tale è
chì quando non è più tempo d'ha: uerne , deſidera yn figlioli no . Epitteto
ammoniua quc gli, che baciaua il figliolino , che diceſſe tra di fe: domanefor
fi morrà . Sono parole di mal augurio coteſte ? Non è , di ceua cglig parlar di
male au gurio vſar parole ſignificanti qualch' opera conforme alla natura :
altrimente il mietere le ſpighe, ſarebbe yn cattivo augurio , L'vua è prima
agre ſto , poi matura , e poi paſla. Ogni coſa foggiace a mu tarſi , non nel
non eſſere , ma in quello , che di preſente non è. Detto è d'Epitetto , che
Ninno è ladro della volonti . Vn arte , diſſe egli,s'ha da ritro uare
d'aggiuſtar gli affenfi , e in materia degli appetiti biſo gna conſeruare
l'attenzione , acciocchè ſieno con eccezio ne , e che s'indirizzino al be. ne
comune, e ſecondo la con ueneuolezza e totalmente aſtenerſi dall' auide voglie e
non iſchifare coſa alcuna , che non ſia in noſtro arbitrio. Non è dunque ,
diſſe egli , la conteſa intorno ad vna coſa ordinaria ; ma intorno all'ef fer
pazzo , o ſauio . Diceua Socrate , che anime volete ha uere, de'ragioncuoli, o
degl'ir. ragioncuoli de'ragioneuoli. Di quali ragioneuoli, de’lani, o
de’deprauati ? de'fani . Per chè dunque non le cercate ? perché le habbiamo
:dunque a'che contraſtate , e diſcor date ? Fine del Libro Vndecimo , CO b pa
te fa fa PI all ace Vie LI 359 INO cercarei curse dike op. G là fta in tuo
potere di poſſeder tutte quelle coſe , alle quali anſioſamente bramafti con
aggiramenti di peruenire , ſe tu non inuidij a te ſteſſo : cioè a dire, ſe tu
non farai più caſo di tutto il paf fato , e 1 futuro laſcerai alla pronuidenza,e'l
preſente ſolo bu indirizzerai alla ſantità , e alla giuſtizia . Alla ſantità ,
acciò tu ami quello , che ti vien deſtinato ; concioffieco C1 facció 0 li fache
la natura ha portato quello a te , comc te a quel to . Ma alla giuſtizia
liberamente fuori d'auuilup pamenti tu dica parlando la verità, c operi ſecondo
la leg fi ge , e la conueneuolezza . E non ti ſia d'impedimento ne l'altrui
maluagità , ne l'opi nione , ne le ciarle , ne meno ti il ſenſo della carnuccia
teco connutrita . Però , chi pati- re. ſce , cipenſi . Se tu dunque tú quando
in qualſiuoglia tem po t'approſſimi all’yſcita, ab bandonando tutte l'altre co
ſe , folo ſtimerai la tua mente, e quello , che di diuino è in te; e non
temerai il ceſſar vna volta dal viucre , ma il non haper cominciato giammai a
viuere ſecondo la natura , ſa rai huomo degno del Mondo, che le TOLE to mi che
wani DI110 ne Oi 70 c0 ti chet ha generato , e nonſarai più foreſtiere nella
patria , e non ti marauiglierai,come di coſe inopinate, di quelle, che alla
giornata auuengono ,'e finiraidi rimaner ſoſpeſo per queſta, o per quell'altra
co fa . 2 Iddio ſcorge tuttelemen. ti diſpogliate de’yaſi materia li , delle
corteccie e lordu re. Poichè con la ſua ſola vir tù intellettuale attigne quel
le coſe , che da eſſo ſcaturi rono , e deriuarono in queſte eofe materiali . Il
che,ſe tu ti auuezzerai di fare , ti liberc rai da molti ſpafimi. Percioc chè
chiriguardo non haalle carnucce chelo circondano,fi tratterrà forfi a badare al
ve ſtito alla caſa , alla gloria, é a fimili abbigliamentie arredi? Tre ſono le
coſe , delle qualitu fe conpofto, 'il cor picciololo fpiritello, vela mente .
Di queſte le prime duefono cue , finche ta dilo To habbi cora. La terza fo la è
propria rerire, tua . Setu fequeſtrerai da te , cioè dalla tua confiderazione
in tutte quelle coſe che alla faccia no , o dicano , e quelle ,'che Tu
hai-detto e fatro , e que te ,'che ,comefe falfero per auucnire, ti-
boiterbhojne quelle ancora cheper lo cort picciuolo , che ti circondala per
Minneſtæto " piritello tohi tro tua vogliati fuccedchos de quelle, che
intenten einer hohen mente con vina contratttváre tiğine ſi rivolgonoi, fieche;
rendendo la potenza santé fertuale efente delle cofejohe fono inſieme fatali,
pura , eili ibera viuerà in fe fteſfa', ope rando : le cofe " giufte , te
rice uendo volentieri gli auueni menti, e proferendo la veri tà : Se tu
ſeparerai, dicdi, da quefta potenzaquefte. cofend elfæaderentiper graditimpa
zia, edaltempo, quelleche hanno da auuenire appreffo.. pilepaffate,
etiformerairale, qualeè la palla sfericadiem pedocle ; Chestutta titanda guide
della-poluere, ch'attornojpelte rigiza, attenderai ſolo alviuere , the gu viui,
cioè al preſente, e po tmisfio alla morte viuendo trapalaretuttoquello che ti
reſta imperturbato gencroſa mente si emanſuetamente, fet condo il tuo genio.
Speffo miſonimarauiglia TO :, come ciaſcuno più di tut Q :2 ti ti ami ſe
ſteſſo; e come non dimeno tenga in minor conto l'opinione propria intorno a ſe
medeſimo , di quella degli altri. Se dunque Dio ſoprau uenendo , o vn macſtro
pru dente , comandi ad alcuno , che nulla dentro dife penfi, o diſcorra , che
ſubito l'ha conceputo, non lo palefi, non lo razterrebbe ne pure per vn giorno.
Cosìpiù temiamo di quello , che i proſſimi giudi cano di noi, che di quello,
che noi medeſimi giudichia mo. : 5 Come farà mai , cheha uendo ordinato il
tutto gl'Id dij bene, e con carità verſo l'huomo , queſto folo habbia no
traſcurato ,che alcuni degli huomini, e molto buonije che colla diuinità hāno
tenuto co me 01 700 011 22 TU 101 olis ha On di me ſpeſſi commercij, e
che ſouentemente per l'opere fan te , e ſacrificij ſi ſono reſi à quella
famigliari, queſti, vna volta morti , non ſi facciano ritornare , ma rimangano
del tutto eſtinti ? Queſto , ſe pu re così ſta , tu hai da ſapere , che fc altrimente
biſognaſſe , che foffe ; l'haurebbero fat to . Concioffiecoſa che ſe era giuſto
, era poſſibile, e ſe era ſecondo la natura , l'haureb be prodotto la natura .
Dal non eſſer così , ſe così non è , tu ti hai da perſuadere non eſſere ſtato
neceſſario , che al trimente fi faceſſe . Imperoc chè tu ſteſſo t'auuedi , che
ciò ricercando , tu entri a con tendere in giudicio con Dio . Ma noi non
diſcorreremmoco sì con gl’Iddij , ſe ottimi , e Q 3 giufillimi non foſſero . E
ſe così è , nicnte ingiuſtamente hanno traſcurato , e irragio nevolmente
negletto nellab Tellimento dell'vniuerſo .. 6 Afſucfatti ancora a quel le coſe
, delle quali non bene ſperi.Imperocchè la mano fi miltia inabile per non
eſſere aylata all'altre coſe , reggeil freno più fortemente , che la deſtra , e
queſto perchè vi s'e ZUL Czzata . :: 7: Penſa quale biſogna , che tú ti
truoui,e del corpo,e del Panima, ſopraggiunto che fą rai dalla morte : la
breuità della vita , la vaſtità de'ſecoli ayanti , e dopo , la debolez za
d'ogoi materia . Content pla ſpogliate d'ognicorteccia le caufalità , le
relazioni dold' opere ; che fią la fatica , che'l piacere , che la morte ,
chela gloria : chi ſia a ſe ſteſſo cagio ne deltrauaglio , e coine niu nofią
impeditodaaltrise che ognicoſa lia opinione. & Nell'vſo delle tue maffime è
neceffario , che tų fij, limi le non all'accoltellatore , ma al combattente
maneſcamen . te con le pugną. Concioſſie cofache quegli, ſe pone giù la 1pada,
della quale ſi ſerue, re fta vcciſo , ma queſti ſempre ha la mano , nę gli biſogna
nient'altro , che ſerrarla . 9. Di queſta fatta s'hanno a riguardar le coſe ,
diuidendo ke in materia , forma , e rela zione Quanto potere hą l'huomo a non
faraltro , faluo quello, che Dio ſia per gradi re , e riceuere tutto quello ,
che Dio gli diſtribuiſca , con Q 4 forme all'ordine della natu ra . To Non s'ha
da querelarſi degl'Idij, mentre non ſono , nevolendo, ne non volendo, ſoggetti
ad errori ; ne meno ſono da áccufare gli huomi ni ; perchè non peccano , fe non
contra voglia , Diniuno dunque s'hanno da far quere le . 11 Quanto è ridicolo,
e ftra niero chi s'ammira di qualſi uoglia coſa , che nella vita occorre! Oviè
la neceſſità fatale, e ordinazione inuiolabile , o prouuidenza piegheuole , o
confuſione temeraria ſenza gouerno . Se è neceflità iné witabile , a che ti
contraponi? ſe è prouvidenza che ammet tc eſſer piegata , fa degno te ſteffo
del fuſſidio diuino : ſe è confuſione ſenza reggimen to , rallegrati , chein
queſta tempefta tu medeſimo hai in te ſteſſo per gouernatrice qualche mente : e
ſe la tem peſta t'aggira , fia traportata la carnuccia , lo ſpiritello , e
l'altre coſe , ma la mente non farà traportata . Il lume della lucerna , finché
fi ſpenga , 'ri luce sì , e non perde lo ſplen. dore : ma la verità , che è in
te , e la giuſtizia, e la tempe ranza , anticipatamente s'e ſtingueranno? Dove
l'immaginazione concepiſca , che vno ha peca cato , rifletterò donde ho,che
queſto fia peccato , e ſe que gli peccò, ſe fi fia egli reſo reo per quell'atto
? perchè ciò ſa rebbe quali vn lacerarſi il proprio volto. Poſcia rifletti, che
chì non vuole , che'l cattivo, pecchi; è da raſſomigliarſi ad VCO , che voglia
, che l'arbo re de i fichi non produca il lattificio , e i bambini non
piangano, ei cauallinon ani triſching, e altre coſe taliche feguono di
neceſſità . Pero , che coſa ha da fare , hauen do contratto " va cotal mal
abito ? Dunque , ſe ti ſenti da ciò , riſanalo. Se non conuiene , non do fare .
Se non è vero , non lo dire, ma l'appetito dia fox , to dite per conſiderare il
gut to che è quello , che fa im preſſione nella tua immaginas zione , e
diſcutilo , diuidenz dolo nel formale , nel mate , riale nella relazione neltem
po , dentro al quale quello ha da Vis petto ? forſe cupidigia a forfe da
finiie. Riconoſci una vol ta , che in ce è vna coſa più eccellente , e più
diuina di quelle , che te paffioni in te cagionano. E in ſomma,quan te cofefono
,che in qràge in la in guiſa d'un bamboccio con de cordicelle ti abburattano .
Che’çoſà è ora il mio penfie rodforfe timore ? forfe for . cofa alia fimile :
15 Primieramente penfais che niente è a caso e niente, senza relazione .
Secondaria mente chea niun altro fine , che a quello della focictà fi riduc.
Che non molto dopo niūno in niun loco farai, ne pur cofa alcuna fari di tutte
quelle , che orá vedi , ne al cuno di quello che ora : vi -91 I Qo NOuono ;
conciofficcofache tut te le coſe ſono nate per mu tarſi , trasformarſi , e
perire , acciò altre per ſucceſſione ſe guano. Ogni cosa è opinione,e queſta
depende da te . Togli dunque, quando tu vuoi, Po pinione; e , come chi volge al
ridoſſo d'vn promontorio trouerai ferenità ferma di tutte le coſe , e vn ſeno
tran quillo . : -18 Vna , e qualſiuoglia fi fia operazione che a ſuo tem po
finiſce , nonpariſce danno niuno , perchè finì ; ne l'ope rator di quella , per
hauer fi nito , patiſce mal alcuno . In ſimil modo dunque il ſiſte ma, o
fabbrica ditutte l'ope razioni, che è la vita , ſe in qualche tempo finiſce ,
non rice etut or me erine Quel one, Togh oila ageal torio ma Stra / di riceue
alcun danno , percioca chè fini; ne quegli , che in tal tempo terminò queſta
ſerie , fu malamente trattato . Il tempo , e'l termine fono dále la natura
conſtituiti , talvolta dalla propria ,come nella vec chiaia; ma generalmente
dal I'vniuerſale , le cui parti con tinuamente mutandoſi , reſta tutto il Mondo
ſempre nouel . lo , e vigoroſo . Tutto ciò del continuo è buono , e oppor tuno
, che all'yniuerfo.confe riſce . Dunque il finir del vi uere a chiunque tocchi
, non è coſa cattiua , perchè non è vergognofa , come non de pende dal noſtro
volere , ne contraria al comun bene del l'yniuerſo . Anzi è buono quando è
opportuno , e con ferente all' vniucrſo , e con quel elial tem dan l'ope verf
olfille 12 l'ope ſe i non . lo 1 quello è inheme portato Concioffiecofache è
portato da Dio quegli , che fi perta vnitamente con Dio , e a quel le ifteffe
cofe collintendimen to fi conduce. ! 19. Queſte tre coſe hanno da cflere fempre
in pronto.. Primieramente in ciò , che tu fai, non fia niente inuano , ne
altrimente fi facciay.che felis fefla giuſtizia haveſſe,opera to : ma nelle
cofe , che anlı uengono di fuori , mentre quelle o fono procedurea ca fo , o
fecondo la prouuidenza non s ' ha da querelarſidel ca fe , ne accufare la
prouuiden za Secondariamente qual cofa faccia ciafcuro dal non effene , fino
all'animazione , e dall'animazione , fino al ren dimento dell'anima, e da qua.
li coſe da fatto l'adunamento, e in quali il diſcioglimentos Terzo come ſe
ſoprad'yu’ers minenza follcuato tu rimiral G le coſe humane', e dopo ha. ụer
compreſa, la lor gran va rietà inſiemeconoſcelli quan to ci ſia dell'abitato, e
nel l'acre , e nell'etera , e çoine quante volte cu foffi cosi fol leuato ,
vedreſti le medeſime, l'iſteſſa ſpecie, la breue dura ta . Ed in queſte éla
noſtra ſu perbia , 29. Gitta fuori l' opinio ne, ſarai ſaluo. Chi dunque
e’impediſce il gittarla. Quando perqualche co ſa ti prendi diſguſto,ti ſe (cor
dato , che ogni coſa li fa', le condo la natura yniuerſale , che quel peccato è
d'altri. E oltre queſto , che tutto ciò , che pure , che ſi fa,cosìſempre's'è
fatto, e li farà, e di preſente ſi fa per tutto: ancora , quanta è la co
gnazione dell'huomo con l'o niuerſo human genere ; per chè non è la comunione
del fanguccio, ò della poca ſe menza ; ma della mente . Ti fcordaſti che la
mente di ciaſcheduno è Dio , e che da lui ſcaturì, non eſſendoui coſa alcuna
propria di niuno , anzi il figliolino, e'l corpic ciuolo , e l'iſteſſo
ſpiritello in di vennero . E ancora ti ſcor daſti, che ogni coſa è opinio ne, e
parimente, che ciaſche duno il preſente ſolo viue, e che queſto ſolo ſi-perde.
Del continuo riuolgi nell'animo quelli , che per qualche coſa li corrucciarono,
e quelli, che in grandiſſime glorie , o calamità , o inimicia zie , o in alcuni
altri auueni menti li ſegnalarono . Dopo medita , doue fono al preſente tut te
queſte coſe?in fummosin cenc re, c fauole, e ne meno favole . Tiſouuenga di
tutto queſto ', cioè, come furono Fabio Ca tullino in Villa , e Lucio Lupo, e
Stertinio a Baia, e Tiberio a Caprise à Velia Rutfo ; e in ſomma di chi ha fatto
con l'apprenſione gran caſo di qualunque ſia cofa : ecome ſia di vil prezzo
turto , che in tentamente appreſe , e finala mente quanto più foffe da Fi
loſofo nella materia toccata gli, portarſi da giuſto , e da fa uio e da
oſſequioſo ſchietta méteagl'Iddij. Imperocchè la ſuperbia , che ſotto velo di
umiltà ſi naſconde è la più 1 1 intolerabile daograbra. Agudligiche dimanda
nosperchè vonsrigť Iddijacat me turgli habbiyechutia e dom de tu habbi appreſo
, che vi frenoPrimieramente riſpon derai , che ſono vihbili agli occhi , e poi
a benchè io, non habbia veduta la mia anima, tuttauia l'onoro . Così dun. que è
degl'Iddij, la potéza de' quali mentre ogni giorno io pruqyosda queſto
comprendo, che ciſono, e gli venero. La faluezza della vitą confiſte , che ciaſcuno
riguar di che cofa fia il tutto, il ma teriale , il formale , che con tutto
l'animo faccia il giuſto , dica il vero. Che reſta altro , che goder della vita
, aggiu gnendo vn ben fatto all'altro, ficche ne pur fi perda vn brer uir i
uiſſimo ſpazio di tempo ? Il lume del Sole, è yno a benchè venga interrotto
dal: 0 le pareti, da imonti ,edaal tre mille coſe.Vna è la ſoſtan , zia comune
, ancorchè ſia di partita tra migliaia di corpi, qualificati dalle loro proprie
tà . Vna è l'anima con tutto che ſi diſtribuiſca a mille , e mille nature con
ſingolari cir confcrizioni. Una è l'anima All'intelligente, ſe beneappari |
ſce, chefi diuida:; l'altre parti dunque delle cose dette: s, com! me gli
ſpiriti, ei subbietti; so no senza senso , ne famigliar mente si uniscono
insieme. Questi nondimeno contiene la mentevniuerſale e poila propensione, che
alcongiugnerd gli spinſe. Ma l'intelletto pro priamente propende all'iſteſs fo
fuo genere, è s’yniſce , ne fi può fradicare l'affetto al ben comune. Che
cerchi? Di campare? o'pur di ſentire,di appetire,di creſcere, e poſcia di
terminare? Di valersi della voce di di fcorrere con la mente? Qual cosa di
queſte ti pare degna d'eſſere deſiderata Male que ſte yna ad vna non ſono da
frezzare, portati alla conclu fione d'offequiare la ragione,e Dio. Ma li fa
contro alla ſti ' ma di queſte cotrammaricar fi di rimaner perla morte pri uo
d'alcune di queſte. Quanta parte dell'im menfä, e infinita durata a cia. founo
é compartita? poichè ben prestissimo si dilegua nell' eternità. Quanta parte di
tutta la sostanzia? Quanta parte di tutta l'anima? In quanta zolletta di tutta
la terra fer pendo tu vai? A tutte coteſte coſe applicando l'animo, non
t'immaginare niente di grande, o queſto ſolo , she tu operi, come la tua
natural ti conduce, e ſoffri come la natura vniuerſale portage comeliva. le di
ſe ſteſſa la parte tua reg gitrice; polciachè in cioil tutto consiste. Tutte le
altre cose, o sieno nel tuo arbitrib.no fuori di quello. Sono cadaveri, e
fummo: om.svisli! Efficacissimo è il rifletter re, per eccitarci al diſprezzo
della morte, che quelli anco ra, che stimano eſſere il bene nella voluttà, e'l
male nel dolore, nondimeno quella disprezzarono. Achi quel so. Lo che è
opportuno è beneje a chì tanto è l'haver molte a zioni fatte. Secondo la ragione
retta, quanto poche. Ie a chì noniinportacontemplare il mondo in maggiore , o
mi nor ſpazio di tempo ,neman .co la morte è terribile. O huomo fofti cittadino
in que ſta gran Città che ti fa te per cinque anni mentre quello; che è
conforme alle leggi ad ognuno è dellifteſſo peso . Perchè dunque ti ègraine, fe
dalla città cti manda via non il tiranno , o vn ingiuſto giudice, ma da natura
, che vi t'introdulfezliccome dalla ſee , na licenzialfe va scomico il capo
della truppai che l'han keua, condotto . Peròtu dii, nonvappreſentaiji cinque:
at ti, ma ſolo tre. Tu dibeneze a propoſito : mentre chenella vita anche tre
atti compiono tutto il drama. Concioffieco fache quegli impone il termine, dove
habbia da finire, che allora ordinò l'adunamento, cora fa lo scioglimento, nel
li quali tu non ci hai hauuto parte. Vattene dunque placido. Poichè quegli che
ti licenzia, è placido. Dal mio avolo, Vero, la gentilezza del costume, e il
non adirarmi. Dalla fama e dalla memoria del mio genitore, l’esser
verecondo e maschio. Dalla madre, l’esser pio, il donar volentieri, l’astenermi
non solo dal fare il male ma anche dal venirne in pensiero. [Ancora,
l’esser Sottintendi, come nei paragrafi seguenti, il verbo ‘imparai’,
ovvero ‘riconosco’, nel senso di iono riconoscente ili aver ricevuto
chessia, cosa, o esempio di qualsivoglia cosa o virtù), o altra
espressione che riempia acconciamente le ellissi. ‘Maschio’: intendi
forte costante, non molle ed effeminate], frugale nel vitto e alienissimo dall’usanze
dei ricchi. Dal mio bisavolo il non essere andato alle pubbliche
scuole, l’avere avuto di buoni maestri per casa e il conoscere che
in siffatte cose non si vuol guardare alla spesa. Dal mio aio: il
non essere stato nè di parte prasina nè di parte veneta, nè parmulario, nè
scuta- [Il bisavolo paterno di Antonino e Aunio Vero. Il bisavolo
materno e Catilio Severo. Non è chiaro di quale dei due si parli nel
testo. Intendi: la scola elementare. Poiché ognun sa che Antonino frequenta assiduamente
come ‘scolaro’ le varie ‘scuole’ dei fìlosofi a Roma. Non si conosce il nome
dell’aio] [elio morendo lascia grande desiderio di sè in Antonino. Sono i
colori che distingueno i due grandi partiti degli aunghi del circo,
che non sono piccola parte nella storia delle follie dell’impero.
Nunc favent panno, pannum amant,’ disse energicamente Plinio il giovane,
IX, 6. Lucio Vero, collega d’Antonino, la pensava altrimenti, secondo le
parole di Capitolino. Rio]. Il reggere alla fatica, l’aver bisogno di poco, il
saper fare da me, il non intromettermi nelle faccende altrui e il non
porger facilmente orecchio ai delatori. Da Diogneto imparai il non
occuparmi d’inezie, il non dar fede a ciò che i magi e i
fattucchieri dicono intorno alle malie, allo scongiurare gli spiriti e
altre cose di tal fatta, il non avere atteso a nutrir quaglie nè essermi
dilettato di simili cose, il patire ehe altri mi parli francamente.
[Parmularius e il gladiatore armato di un piccolo scudo di cuoio
detto ‘parma’ o parmula, e ‘scutarius’ quegli che porta lo ‘scutum’, grande
e lungo. Questo Diogneto era non solamente filosofo, ma anche pittore, secondo
Capitolino, ed avea dato intorno a quest' arte alcune lezioni ad
Antonino. Si allude ad un giuoco dei romani aveano prego dai Greci,. Si
faceano combattere fra loro questi uccelli, o dai casi del combattimento
si traevano presage]. L’ESSERMI DATO ALLA FILOSOFIA. L’avere udito
primieramente Bacchio, poi Tandaride e Marciano. L’avere scritto dialoghi da
ragazzo. L’ avere voluto il lettuccio con la pelle sopravi e le altre cose
che vanno appresso nella educazione greca. Da Rustico: l’esser venuto
in pensiero che i miei costumi avean bisogno di correzione e di
coltura. Il non essermi sviato dietro ad un’ambizione di sofista, o
scrivendo su materie speculative, o declamando orazioncelle esortatorie, o
facendo, per dar nell’occhio altrui, 1’uomo austero e benefico e l’avere
abbandonato la rettorica e la poetica e il bel favellare, e il non
passeggiare togato per casa e altre tali cose e lo scriver le lettere
semplicemente [Era uno stoico come quell’altro romano fatto uccidere da
Domiziano per aver lodato Trasea Peto] e naturalmente, come quella
ch’egli scrisse da la citta di Sinuessa a mia madre, e il non serbar
rancore verso le persone che si son, meco adirate e m’ hanno offeso e
rappacificarmi volentieri con loro tosto eh’ elle si voglion ricredere, e e il
leggere con attenzione e non contentarmi di capire così air ingrosso, nè
assentire troppo di leggieri a quel che i circostanti dicono, e lo
avere avuto contezza dei ‘Ricordi’ d’Epitteto che Rustico mi dona di
suo proprio moto. Da Apollonio: la libertà dell’animo e la fermezza nel
proposito senza dar mai nulla al caso, il non guardare ad altro mai,
nè anche per poco, che alla ragione, l’esser sempre uguale, nei sommi
dolori, nella perdita del figlio, nelle lunghe malattie, l’aver veduto ad
evidenza nel vivo esempio di lui siccome può la stessa persona essere
gagliardissima ad un’ ora e rimessa e il non impazientarsi nello spiegare
e l’aver conosciuto un uomo che manifestamente tene pel minimo de’ suoi pregi
la pratica e la facilità ch’egli ha del comunicare altrui la scienza, e l’avere
imparato come convenga liceverc fivelli che il volgo chiama benefizi dagli
amici, senza diventai, e loro divoto per ciò nè per altra parte,
lasciando correre la ('osa senza saperne grado. Da Sesto:
l’amorevolezza e l’esempio del governare da buon padre una casa e il
concetto di vivere “secondo natura” e la gravità non affettata, e l’indagare
con sollecitudine quello di die gli amici hanno uopo, e il sopportare
gl’ignoranti e il sapersi adattare a Nello spiegare. [Intendi: nel dare
altrui tutte le spiegazioni di die possa aver d’nopo per ben capire
le cose]. [Intendi: senza diventar loro obbligato in modo che nìccia alla
Ina libertà] tutti per modo ch’il CONVERSARE
con esso lui era più dolce cosa che l’adulare di chicchessia ed e egli nondimeno
in quello stesso punto ed appo quelle stesse persone in venerazione
grandissima, e la chiarezza di mente e la sagacità con cui trovava ed ordinava
le verità filosofiche necessarie alla vita, e il non aver dato mai
indizio di collera nè d’altra passione, ma essere stato ad un’ ora il più
impassibile uomo ed il più tenero, e il dir volentieri liene d’altrui,
senza menar remore per ciò, e la molta dottrina senza che
paresse. Da Alessandro: il non isgridare e il non riprendere ingiuriosamente
chi faccia un barbarismo o un solecismo o un cattivo accozzamento di
suoni, parlando; ma profferire destramente ciò che quegl’avrebbe dovuto
dire, per modo di risposta, o di conferma, o come volendo esaminar
con esso la cosa, non già la parola, o per qualsivoglia *altro modo
di suggerimento indiretto* [IMPLICATURA], garbatamente. Da Frontone:
quanta invidia, quanta malizia, quanta simulazione, sia nella tirannide. E
siccome questi da noi chiamati ‘patrizi’ son cattivi padri anzi che
no. Da Alessandro, il platonico: il non dir sovente nè senza necessità a
nessuno, nè scriver per lettera, ch’io sono occupato, nè contrarre r abito di
disimpegnarmi in tal modo dei doveri verso le persone con le quali
io vivo, allegando per iscusa le faccende. Da Catulo: il non tener
poco conto delle doglianze di un amico, quand’ anche si dolga fuor di
ragione. [Secondo Filostrato e un segretario di Antonino]. [Cinna Catulo,
filosofo stoico, menzionato da Capitolino] ma anzi sforzarmi di ricondurlo
alle maniere di prima, e il parlar bene e volonterosamente dei
maestri, come si narra di Domizio e di Atenodoto, e l’amar i figli con vero
affetto. Dal mio fratello, Severo, l’affezione ai dimestici, l’amor
del vero e del giusto, l’avere, per mezzo di lui, avuto contezza di
Trasea, d’Elvidio, di Catone Uticense, di Dione, di Marco Bruto, ed essere
venuto in pensiero di un reggimento civile dove la legge sia una per tutti
e pari i [Neppure l’eruditissimo e diligentissimo Qataker potè
chiarire chi fosse questo Severo che Antonino chiama fratello. A tutto quello
che ci è dimestico] [Una delle più illustri vittime della crudeltà di Nerone] [Genero
di Trasea, esiliato da Nerone]. [L'illustre stoico Catone Uticense] [L' amico
di Platone, l’avversario di Dionigi tiranno di Siracusa, la cui vita fu scritta
da Plutarco] [Marco Bruto, la cui vita fu pure scritta da Plutarco] diritti
di ciascheduno, e di un governo regio che sovra ad ogni altra cosa tenga
conto della libertà dei governati. Ancora quel suo tenor costante ed
uniforme nel culto della filosofia e la beneficenza e il far parte
altrui volentieri e senza rispar- mio delle proprie sostanze; e lo sperar
bene; e l’aver fede nell’amicizia degli amici e quel suo non infìngersi con le
persone quando disapprova alcuna cosa in loro; e il non aver mai avuto
bisogno gl’amici di lui di andare indovinando che cosa egli volesse o non
volesse, sendo l’animo di lui sempre aperto. Da Claudio Màssimo: il
contener sè medesimo, e non lasciarsi andare in nulla malgrado suo,
l’esser di buon animo nelle malattie e negli altri casi avversi e
quella temperatezza di costume, soave ad un tempo e [Clandio
Massimo filosofo stoico] dignitoso e l’eseguir prontamente senza
querimonia qualunque cosa gli accadesse di dover fare e la credenza che
tutti avevano di lui, ch’egli pensas tutto che dicee fa a lìn di
bene tutto che fa; e il non istupir di nulla, non isgomentarsi di nulla,
non esser mai nè frettoloso nò tardo, nè imbarazzato, nè sfiduciato, nè
infingardo, nè ripentito del consiglio preso, nè sospettoso e il
beneficare e il perdonar volentieri, e l’esser veritiero e il parer piuttosto
uomo per natura incontaminato che non per arte emendato e siccome nessuno fu
mai che o si credesse dispregiato da lui, o ardisse riputar sè
migliore di lui; e quel suo piacevoleggiare a proposito. Da mio padre
adottivo: l’imperatore Antonino Pio]: l’esser bonario, e irremovibilmente fermo
nondimeno nei partiti pi'esi dopo accurata disamina, il non trar vanità
da quelli che il volgo chiama onori, l’amore al lavoro e l’assiduita;
il dare ascolto a chiunque avesse da proporre qualche cosa di utile
al comune; il non lasciare che nessuna considerazione lo distornasse
dal retribuire a ciascuno secondo il merito, il conoscere dove bisognasse esser
rigido e dove indulgente, L’AVER POSTO FINE AGL’AMORI DE’ RAGAZZI e il
sentire modestamente di sè e volere stare ad uno stesso ragguaglio con
gl’altri, il permettere agli amici di non cenar punto con lui, e di non
accompagnarlo nei viaggi, e lo accoglier con gli stessi modi di prima chi
per qualche sua bisogna non lo avea potuto seguire; e la diligenza e la
persistenza con che esamina le cose nei consigli, non come
quell’altro di cui è stato detto che tòsto lascia la deliberazione
contentandosi dei primi pensieri che gli furon venuti, e il conservar gli
amici, non recandosi a fastidio nessuno, nè incapricciandosi di nessuno; e il
sopperire a sè stesso, sempre; e la serenità del volto; e l’antivederei
da lontano e pral ovvedere senza scliifiltà anche alle rnenome cose e
l’aver dato bando alle acclamazioni e alle adulazioni d’ogni genere e
il tenere allestito sempre quanto era necessario per le occorrenze
dello stato, moderando le spese e sopportando di buon animo la
taccia che alcuni gli davano per ciò, e l’essere alieno e dalla
superstizione verso gli dei e dalla piagenteria verso gli uomini, non curandosi
di acquistar grazia appo il popolo o con le larghezze, o con le1 Luogo intricato.
Nota due modi condannevoli e vani: di acquistar grazia appo gli Dei, con
pratiche superstiziose; appo gli nomini, con l’andar loro a genio e
secondarli anche a costo del dovere lusinglie, o con lo imitare i
modi di quello] ma sobrio in ogni cosa e saldo, e non mai altro che
dilicato e gentile e osservatore della convenienza e del costume
stabilito, 0 il servirsi seifza boria e senza scrupolo di tutte quelle cose che
conferiscono agli agi della vita, delle quali la fortuna è larga a’ suoi
pari, per modo che delle presenti ei si giova senza farne casa e le
assenti non desidera; e siccome nessuno avria mai detto di lui
ch’egli fosse un sofista o un dileggino o un pedante, ma sibbene un uom
maturo, perfetto, nemico dell’adulazione, capace a governar sè medesimo
ed altri. Eri inoltre quel suo onorare i filosofi veri e non fare
scherno de’ falsi, non lasciandosi nulla dimeno facilmente ingannare da
loro e il conversare sciolto, e quella
sua grazia Come tanti imperatori die It) avevano preceduto. che non
ristuccava; e il tener cura del proprio corpo, non tanta da parer tenero
deliavita, o damerino, nè tanto poca da parere trascurato, ma quanta
basta per non avere quasi punto bisogno di medicine o simili cose. E sovratutto
quel suo cedere senza invidia a chi avesse acquistato abilità in qualche
cosa, come nell’eloquenza o nella conoscenza delle leggi e
dei costumi de’ popoli, e altro di cotal fatta e lo adoprarsi insieme
con essi perchè ottenessero fama, ciascuno nell’arte in che
primeggia e quel suo fare ogni cosa secondo gl’institnti d’ maggiori,
senza dare a divedere che avesse nessuno intento particolare, nè anche quello
di volere conservare essi institnti. Ancora il non esser nè randagio
nè avventato, ma continuar volentieri a star nel medesimo luogo e ad
occuparsi delle medesime cose; e dopo passati gli accessi del dolor
di capo, ritornar iU^teu Aurelio. fresco e vigoroso ai lavori
solidi; e il non aver di molti segreti, ma anzi pochissimi, e di
rado, e solamente nelle cose di stato; e la prudenza e la misuratezza
nel dare spettacoli, nell’ intraprendere opere pubbliche, nel far
distribuzioni ai soldati, e simili cose; siccome uomo che riguardava a
quello che conveniva fare, e non alla fama che gli sarebbe venuta dalle cose
fatte. Non al bagno fuor d’ora, non la smania del fabbricare, non
ricercatezza nel cibo o nella tessitura de’ panni o tintura, o
nell’appariscenza de’ servi. La toga dalla villa inferiore e da quelle di
Lanuvio il più sovente; i modi che tenne col pubblicano in Tusculo,
che supplica; e altre sue simili maniere. Nulla di men che umano,
nulla d’ immisericorde, nulla di violento, nè, come direbbe taluno,
siìw al su- dove; tutte le cose di lui, pensate, distintamente
avvertite, con pacatezza, con ordine, con vigore, e d’accordo le une con le
altre, come se le avesse premeditate per ozio. Ed a lui si potrebbe
applicare ciò che VIEN DETTO DI SOCRATE, che egli poteva e astenersi e
godere colà dove a gran parte degli uomini manca la forza per 1’uno e
la temperanza per l’altro. E il saper reggere con fortezza e con sobrietà
ad ambedue non appartiene se non a colui che ha l’animo sano ed invitto,
quale egli il dimostrò nella malattia di Massimo. Dagli dei: l’avere avuto
buoni avoli, buoni genitori, buona sorella, buoni maestri,
domestici, congiunti, amici, tutti, a un dipresso, buoni. E il non
avere offeso mai nessun di loro, benché talmente disposto di 1 Claudio
Massimo menzionato] natura, che io l’avrei fatto forse, ove fosse venuto
il caso: ma per bontà degli dei non incontra mai tal concorso di
cose che mi ponesse a repentaglio. Il non essere statò più lungamente
allevato appresso la concubina del mio avolo; l’avere serbato nel fior
degli anni la purezza del costume e non aver dato saggio di età virile
prima del tempo, anzi avere soprastato anche più in là, l’essere stato
sottoposto ad un principe e padre il quale doveva sgombrar da me ogni
sorta di boria e farmica pace come egli si può vivere in corte e non aver
bisogno nè di guardie nè di vesti screziate nè di fiaccole nè di statue,
come s’usa, nè d’altre simili pompe; ma anzi, che egli v’ha un modo
di ristrignersi quasi alla ondizione di private e non perder nulla
però nè della dignità nè del nerbo necessario al trattar le cose dello
stato, l’essermi tocco in sorte il fratello ch’io ho il quale se è
d’incitamento a me co’ suoi costumi, ad invigilare sui miei, mi
consola nondimeno e mi rallegra con la riverenza e con l’amore ch’egli
mi porta, l’avere avuto figli nè ottusi d’ ingegno nè contraffatti
di corpo, il non aver fatto maggiori progressi nella rettorica nè nella
poetica nè nelle altre arti, dove sarei forse rimasto allacciato s’ io mi
fossi accorto ch’io vi riusciva, l’eessermi sbrigato di costituire in dignità i
miei educatori, come parve a me ch’essi bramassero
e non avere indugiato con la speranza del potere far cotesto di poi,
sendo essi ancor giovani, l’avere conosciuto Apollonio, Rustico, Massimo.
Lo aver concepito chiaramente e più volte qual sia la vita [Lucio Vero
fratello per adozione, uomo in vero viziosissimo, più assai, probabilmente,
che non fosse noto ad Antonino; ma devotissimo e affezionatissimo a Ini] secondo
natura: s'i che per gli dei non manca, nè per aiuti e suggerimenti ed
ispirazioni loro, ch’io non vivessi a quel modo; manca bensì por
me, il quale non osservai gli avvisi e, sto per dire, gli insegnamenti
che essi mi dano, l’aver potuto reggere della persona durante cotanto
tempo in cotal vita. Il non aver avuto a fare ne con Benedetta nè
con TEODOTO e che di poi, CADUTO novamente nella PASSION D’AMORE passion
d’amore, io abbia potuto guarirne. Che, essendomi adirato più volte con
Rustico, io non abbia fatto nulla di che avessi poi a pentirmi;
che, dovendo mia madre morir giovane, abbia nondimeno vissuto con me gli
ultimi suoi anni; e che, ogni volta eh io volli soccorrere alcuno, o
povero o altrimenti bisognoso, non mi fu mai detto ch’io non avessi
danari per farlo e il non essermi trovato mai io medesimo in
simigliante occorrenza, da dovere aver ricorso ad altri, l’avere la moglie
ch’io ho, così docile, così amorevole, così alla buona; il non
essermi mancato acconci educatori pe’ miei figli, l’essermi stati dati rimedi
in sogno, e, fra gli altri, contro lo sputo di sangue e contro le
vertigini, e il non essere caduto nelle mani di un qualche sofista,
quando io venni in desiderio della filosofia, nè essermi posto a far lo
scrittore, o a risolver sillogismi, o a speculare sui fenomeni del cielo.
Le quali cose tutte richiedono l’aiuta degli dei e della fortuna.
Fra i Quadi, ulle sponde del Or amia. A FauRtiiia non dovè esser
diffìcile il celare coir astuzia o colla fìnta tenerezza! [Suoi
pessimi portamenti ad un nomo di sì poco sospettosa natura qual era
Antonino, massime verso dii mostravagli affeziono]. Al mattino, fa’ che tu
dica a te stesso. Avrò da fare con un curioso, con un ingrato, con un
soperchiatore, con un furbo, con un invidioso, con un insociale. Tutti
questi difetti han per causa la ignoranza dei beni e dei mali. Ma
io, il quale conosco la natura del bene, e so ch’egli è l’onesto; e
quella del male, e so cb’egli è l’inonesto; e quella di lui
medesimo che pecca, e so ch’egli è mio congiunto; non perch’egli
sia d’ uno stesso sangue o d’uno stesso seme con me, ma perchè
partecipa «r una stessa mente e d’ una stessa origine divina. Io
non posso ricever danno da nessun di loro. Giacché nessuno mi farà
incappar mai nell’inonesto malgrado mio; nè adirarmi posso col mio congiunto,
nè diventargli inimico; perchè NOI SIAM NATI PER COOPERARE L’UN COLL’ALTRO, siccome
i piedi, siccome le mani, siccome le palpebre, siccome i denti di sopra e
i denti di sotto. E però l’andare a ritroso l’ un dell’altro è cosa contro
natura, ed è uno andare a ritroso lo adirarsi l’un coll’altro
e l’aversi in dispetto. Questo checchessia, che io mi sono, è un
composto di carni, di fiato, e della parte sovrana. Lascia stare i
libri; non travagliartene più; non ne hai più il tempo. Ma, come quegli
che sei presso a morire, metti le carni in non cale; elle non sono
altro che sangue, ossicini, e una rezza, per così dire, di nervi, di vene
[La parte sovrana, cioè la ragione o la mente e d’arterie. Vedi anche il
fiato che cos’è: imvento; e non sempre il medesimo, ma di continuo
rigettato e rinnovellato. Rimane la parte sovrana. A questa hai da
badare. Tu sei vecchio. Non lasciare che ella serva più oltre. Non
lasciare che ella sia tirata più oltre, quasi fantoccino, da
appetizioni insociali; non lasciare che ella contraddica più oltre al destino,
0 crucciandosi delle cose presenti o respignendo da sè le cose
avvenire. Le opere degli dei sono ripiene di provvidenza. Le opere
della fortuna non sono infuori della natura, cioè di quella
coordinazione e connessione di cause cui la provvidenza governa. Tutto
scaturisce di là. Aggiugni che quanto è, di necessità è, ed è utile all’ universo
di che tu sei parte. Ora, ad ogni parte della natura è buono ciò che porta
la natura comune e che è sostentativo di quella. E sostentano il mondo,
siccome le mutazioni degli elementi, cosi ancora le mutazioni dei
composti di essi elementi. Queste cose ti bastino, queste sieno sempre
mai le tue ferme credenze. E caccia via quella tua sete di libri,
affinchè tu non muoia morando, ma sereno e ringraziando gli dei
sinceramente e di cuore. Ricordati da quanto tempo tu vai differendo
queste cose, e quante volte, avendo ricevuto opportunità dagli dei,
non te ne sei valuto. E convien pure che tu riconosca una volta di
qual mondo fai parte e da quale reggitor del mondo sei emanato; e siccome
un tempo ti è prefìsso, del quale se tu non fai uso per acquistare la
tranquillità dell’ animo, egli passerà, e tu passerai, e non sarà
più. per ritornare. Sii sempre INTENTO AD OPERAR GAGLIARDAMENTE DA ROMANO
E DA MASCHIO QUAL SEI, quel che hai por le mani, con serietà diligente e
non punto affettata, con amorevolezza, con libertà, con integrità; e
sgom-bra l’animo tuo da ogni altra cui*a. Lo sgombrerai, se farai ciascuna
tua azione come se fosse l’ultima della tua vita, scevra affatto di
leggerezza, e di avversione appassionata ai consigli della ragione, e di
doppiezza, e di amor proprio, e di scontentezza per le cose
condestinate ab eterno con te. Vedi quanto poco ci vuole perchè altri
possa vivere una vita avventurosa e accetta agli dei! Chè di fatti
gli dei non richiederanno nulla più da chi osserva cotesto. Disonorati
su, disonorati, o anima; d’onorarti poi, non ti rimarrà più tempo. Perchè
tanto di bene ha ciascheduno, quanto la sua vita glie ne arreca; e
tu hai pressoché consumato la tua, non già rispettando. Con/’ala/ia, disse
CICERONE usando anch’egli una voce ignota sinallora ai latini. 2t)
te medesima, ma riponendo nelle anime altrui la tua felicità. Se’
tu svagato dalle impressioni del di fuori? Concedi agio a te stesso
di imparare alcun che di buono, o cessa dall’errare qua e là. Ornai
anche hai da guardarti da un secondo svagamento. Perchè vaneggiano anche
con le azioni gli uomini stanchi della vita e non aventi uno scopo a
cui dirigano ogni loro sforzo ed ogni lor pensiero qualunque. Per non
avere avvertito ciò che succede nell’anima d’un altro, di rado
l’uomo fu mai veduto infelice, ma chi non avverte i moti dell’ anima
propria, è infelice di necessità. Queste ione conviene avere a mente
sempre. Quale è la natura dell’universo e quale la mia. Qual relazione ha
questa con quella. Qual parte è del tutto e di qual tutto. E come
nessuno può impedirti dal far sempre E DIRE ciò che è consentaneo alla
natura di che sei parte. Filosoficamente Teofrasto, nel paragone
ch’ei fa dei peccati, secondo che volgarmente si suole, afferrna esser
più gravi le colpe che si commettono PER CONCUPISCENZA che non quelle che si commettono PER
IRA. Imperocché non senza un certo dolore e raggricchiamento segreto
deir animo mostra l’uomo adirato ch’egli si torca dalla ragione; laddove
CHI PECCA PER CONCUSPISCENZA, VINTO DAL PIACERE, sembra, in un certo modo, più
intemperante e più EFFEMINTATO nel fallo. Rettamente adunque e con molta
filosofia dice egl’essere maggiore la colpa di chi PECCA CON PIACERE che non di
chi pecca con dolore. Ed infine,’ uno rassomiglia piuttosto a
persona ingiustamente [volgarmeutu: detto por opposiziono al dettato
stoico, essere i peccati uguali. olTesa, che il dolore abbia sforzato a
sdegnarsi. Ma l’altro si muove spontaneo e da per sè all’ingiustizia, recandosi
PER CONCUPISCENZA a far
checchessia. Convien pensare ed operare ogni cosa come se tu dovessi
uscir di vita in quell’ ora. Uscir di vita, se ci sono gli Dei, non è
punto cosa tremenda. Da che non è possibile ch’essi ti vogliano fare
incappar nel male e se non ci sono, o se non curano le cose umane, a
che vivere in un mondo orbo di provvidenza e d’Iddei? Ma e ci sono
gl’iddei, e si piglian cura dell’uomo; e perch’egli non inciampasse
nei mali veri, posero in arbitrio di lui la cosa; dei rimanenti se alcun
fosse male, a quello ancora avrian provveduto, sì che potesse
ognuno guardarsene. Ma quello che non fa peggiore l’uomo, come farebbe
peggiore la vita dell’uomo? Oltre che la natura dell’ universo non saria stata
mai trascurata A TAL SEGNO non, perdi ella non sapesse; non, perchè
sapendo non potesse); non saria mai, dico, nè per impotenza nè per
disavvedutezza incorsa in tanto errore da lasciare che i beni e i mali
toccassero del pari e senza differenza nessuna ai buoni ed ai
tristi. E pur noi veggiamo che la morte e la vita, la gloria e l’infamia,
il dolore e il piacere, le ricchezze o la povertà, cose tutte che non sono
nè oneste nè inoneste, toccano senza differenza ai tristi ed ai buoni.
Adunque, nè benf olle sono nè mali. Come tosto svanisce e va a
per- dersi ogni cosa, nel vortice del mon- do i corpi, e nello
avvicendarsi del tempo la memoria di quelli! quali sono tutte le
cose sensibili, e mas- simamente quelle clic adescano col piacere o
atterriscono col dolore o sono dalla vanità degli uomini celebrate!
quanto son vili, dispregevoli, sucide, corrottibili, morte! questo
è . da considerare per una facoltà intel- lettiva: che cosa son
coloro le opi- nioni dei quali e le voci distribui- scono la fama ;
che cosa è il morire ; e siccome, chi lo considera solo da per sè,
separandolo con la mente da tutto ciò che la fantasia v’ ha aggiunto, non
se ne fa più concetto se non come di operazione della natura : ora
il temere un’ operazione della na- tura è cosa da fanciullo. E
questa non solo è operazione della natura, ma operazione utile a
quella. In che maniera 1’ uomo comunica con Dio, e per qual parte
di sè; e come disposta debb’ essere allora questa parte dell’
uomo. Non v’ ha misero al pari di colui che va esplorando in giro
ogni cosa, come disse quell’ altro, anche le cose di sotterra, e
vuol penetrare, per via di congetture, ciò che sta nell’ animo del
vicino, senza accor- gersi che gli basterebbe pure tenersi accanto
al genio che è in- lui, e servir quello di cuore. Servire il genio che è
in noi,' vuol dire mantenerlo netto di passione, di operar teme-
rario, e di scontentezza per cosa che venga dagli Dei o dagli uomini.
Per- chè quel che viene dagli Dei è ve- nerabile, per la virtù eh’
è in loro : quel che vien dagli uomini è ami- chevole, per la
parentela che abbiam con loro; e talvolta anche compas- 1 sionevole
per l’ ignoranza in che ' sono de’ beni e dei mali ; cecità non
minore di quella che impedisce di scernere il bianco dal nero. Quand’
anche tu avessi a vivere tre migliaia d’ anni ed altrettante
diecine di migliaia, sovvengati non- dimeno che r uomo non perde
altra vita che quella eh’ egli vive, nè vive ' Inteudi la
ragione. altra vita che quella ch’egli perde. Ad uno stesso
fine adunque riescono e la più lunga vita e la più breve. Perchè il
presente è uguale per tutti, se bene non è uguale lo spazio di vita
insino allora trascorso; e così appare che il tempo che l’ uom perde
è un momento indivisibile. Nè il pas- sato di fatti nè il futuro non
può perdere egli mai; come perdere ciò che non ha ? Di questi due
punti adunque ti hai da ricordare; l’uno, che il mondo va
eternalmente sem- pre ad un modo, ravvolgendosi come in un cerchio,
e che non v’ ha dif- ferenza dal vedere le stesse cose per cento
anni al vederle per dugehto o per la infinità dei secoli; l’ altro,
che ugual vita perde e chi muor decrepito e chi muore'per
tempissimo ; perchè il presente è la sola vita che venga lor tolta,
essendo la sola che ciascun d’ essi abbia, e nessuno non potendo
perdere quel che non ha. Siccome tutto è opinione. È noto il detto di
Monimo il cinico. E nota anche V utilità di quello, chi ne colga il
midollo per insino ai confini del vero. L’anima umana fa onta a sè
stessa, primieramente quando ella ; diventa, per quanto sta in lei,
come chi dicesse un apostema o tumore del mondo, ritraendosi da
quello co- me fan gli umori guasti dal corpo. Perchè il crucciarsi di un
accidente qualunque è un ritrarsi dalla natura univei-sale, dentro
alla quale son contenute, siccome parti di quella, tutte le nature
degli altri. In secondo luogo, quando ha avversione a un [Diceva
che] [Ogni nostra opinione è fumo e boria. “Apostema” in greco vuol dire ad un
tempo ed apostema e ritiramento. È solenne agli stoici il torre
esempi, nelle cose morali, dalla natura fisica, siccome quella in cui
è contenuta, secondo loro, ancho la natura morale. qualche uomo, od
anche se gli volge contro per nuocergli, come le anime degli
adirati. In terzo luogo ella fa onta a sè stessa quando si lascia
vin- cere dal piacere o dal dolore. Quarto, quando ella s’ infinge
ed opera o parla con simulazione e contro la verità. Quinto, quando
ella non in- dirizza a nessuno scopo una qualche sua azione o una
qualche sua deter- minazione di volontà, ma opera a caso e senza
sapere che cosa si fac- cia; laddove nè anche le minime cose non
(iovrian farsi mai se non con rela- zione al fine. E il fine degli
animali ra- gionevoli è il conformai'si alla ragione e legge della
più antica fra le città e le repubbliche e della più veneranda. Della
vita umana, la durata è un punto; la materia, fluente; il senso,
tenebre ; la compagine di tutto il corpo , corruzione ; l’anima,*
un La città e repubblica del mondo. Per anima qui non s' intendo
certamente ap^gintrsi perpetuo; la fortuna, cosa mala a prevedere;
la fama, cosa senza giudizio. E a dirla in breve, ciò che riguarda
il corpo, è un torrente; ciò che riguarda l’ anima, so- gno e fumo ; la
vita tutta intera, guerra e pellegrinaggio; e la rino- manza che le
vien dopo, oblio. Che i adunque v’ ha a cui tu ti possa atte- nere?
Sola ed unica una cosa; la filosofia. E questa consiste nel custo-
dire per tal modo il genio interno, eh’ egli non riceva nè onta nè
danno, sia superiore al piacere e alla pena, non operi nulla a
caso, nè infìnta- mente 0 con animo d’ ingannare, nè abbia bisogno
mai che altri faccia o non faccia checchessia; inoltre ac- cetti
ogni avvenimento a lui desti- r anima ragionevole, nè la mente, o
la parte sovrana, o il genio interno menzionato nelle , linee
segnenti; ma solamente il principio della vita animale [Una distinzione è fatta
distinzione fra corpo, anima e mente. nato siccome cosa che gli viene
di colà d’ onde è venuto egli stesso ; sovra tutto poi, aspetti la
morte con mente serena, siccome nulla più che dissoluzione degli
elementi onde ogni animale è composto; ai. quali se non è grave lo
essere trasmutati di conti- nuo r uno nell’ altro, per qual ca-
gione si avrà ella a temere la tras- mutazione e la dissoluzione d’
essi tutti in una volta? Ella è cosa se- condo natura; e nulla che
sia se- condo natura non è mai un male. Tn Carnvnto, Non
solamonte è da considerare che la vita si va consumando ogni dì, e che
sempre ce ne riman meno, ma eziandio che egli è incerto, ove ancor l’uomo
viva lungamente, s’egli avrà sempre vigor 'di mente che basti per la
intelligenza degli affari e la contemplazione che ha per iseopo la
conoscenza delle cose divine ed umane. Perchè, quan- do egli
incominci a vaneggiare, non cesserà però, egli è vero, nè di tra-
spirare, nè di nudrirsi, nè di avere immaginazioni, nè appetiti, nè altre cose
di tal fatta; ma valersi di sè stesso, ma avvertire distintamente
tutti i numeri * del dovere, ma chia- rire i propri concetti, ma, quel
che importerebbe allora, deliberare se sia già tempo per lui di
andatene,® e quante altre cose richieggono una raziocinativa molto
bene esercitata, cotesto non potrà egli più, chè la facoltà sarà
spenta anzi tempo. Con- viene adunque affrettJirsi, non sola- mente
perchè ci facciamo ognora più vicini alla morte , ma ancora perchè
cessano in noi anzi il finir della vita la intelligenza e la com-
prensione delle cose. È degno pure d’ osservazione che anche quelle
cose le quali sono un mero accompagnamento necessario [‘Onesto’
chiamano gli stoici il perfetto bene per lo avere esso tutti i numeri che
la natura richiede.] [Secondo gli stoici non dovea rimanere in vita
r nomo che non potea più adempire gli uffici d’uomo] d’ ima operazione
della natura hanno un non so che di grazioso e di dilettevole. Per
esempio, cocen- dosi il pane, si screpola in certi luo- ghi. Or
bene, anche quelle così fatte screpolature che stan là, per così
dire, fuori dell’ intenzione del for- naio, hanno un certo garbo o
muo- vono r appetito in un certo modo lor proprio. Ancora i fichi,
quando sono ben maturi, si aprono. E nelle ulive lasciate lunga
pezza in su V al- bero, quello stesso essere già vicine a
corrompersi, aggiugne al frutto una certa bellezza particolare. E
le spighe che s’ inchinano, e la guar- datura del leone, e la
schiuma che esce fuori di bocca al cinghiale, e molte altre cose le
quali, considerate da per sè, sono lontane da ogni bellezza, nondimeno,
perch’ elle accom- pagnano necessariamente un’ opera della natura,
aggiungono a quella ornamento e dilettano altrui. Di maniera che, chi
avesse altezza d’ in- gegno e considerasse ad una ad una le cose
che accadono nell’ universo mondo, nessuna ne troverebbe per
avventura, anche di quelle che sono mera conseguenza- necessaria
delle altre, la quale non gli paresse farsi con una certa grazia.
Costui vedreb- be la gola spalancata d’ una fièra viva con non meno
piacere che quando gli scultori o i pittori glie la fan vedere
imitata; e nelle vecchiarelle e nei vecchi scorgerebbe un certo che
di finito e di maturo non meno piacevole ai casti occhi di lui che
là venustà dei fanciulli ; e molte altre cose gl’ incontrerebbe di
vedere, che non fan senso in tutti, ma solamente in chi s’ è
veramente addimesticato con la natura e con le opere di
quella. Ippocrate cura di molti ammalati. Poi s’ammala egli stesso,
e muore. I caldei predicono a molti la morte, e poi venne anche per
loro la morte. Alessandro e Pompeo e Giulio Caio Cesare, i quali
distrussero dalle fondamenta le tante città, e tagliarono a pezzi in
giornata campale le tante migliaia di cavalli e di fanti, usceno poi
anch’essi di vita, alla fine. Eraclito, dopo avere con tanta sapienza e
ragioni naturali discorso intorno alla conflagrazione del mondo, gonfiatosegli
d’acqua il corpo, coperto di letame se ne muore. DEMOCRITO e spento da’
pidocchi, SOCRATE da pidocchi d’ un’ altra sorta. Che è ciò? Ti se’
imbarcato, hai navigato, sei giunto; esci di nave. Se per andare ad un’altra
vita, nessun luogo è vuoto di iddii, e nè anche [Diogene Laerzio
narra che Democrito mori di vecchiaia. LUCREZIO, che nscì spontaneamente
di vita, perchè sente il suo spirito indebolirsi per effetto degli
anni. Non trovasi nota alcuna tradizione che concordi con ciò che
qui dice Antonino] quello dove vai; se per rimanere senza
sentimento, avrai finito di soffrire i dolori E I PIACERI e di dovere andare a
versi ad un vaso che è di tanto inferiore a quel che gli serve. Perchè
l’ uno è mente e genio, e l’altro è terra e sangue. Non consumare
quella porzione che ti rimane di vita nel pensare ai fatti altrui,
ogni volta che tu noi faccia con un fine di comune utilità. Cioè nello
andar fantasticando che cosa opera il tale e per qual cagione, e che
dice, e che pensa, e che macchina, e somiglianti cose, le quali tutte ti
fan deviare dalla custodia della tua parte sovrana. Conviene adunque
guardarsi, nella succession dei pensieri, dall’ozioso e dal vano, ma
molto ancora^più dal curioso e dal maligno; ed avvezzar sè stesso a
pensar solo tali cose che, quando altri, all’improvviso ti
domandasse, che pensi ora? Tu possa risponder tosto e senza tema.
Questo, o quest’altro. Onde appaia subito manifestamente non avervi nulla in
te che non sia schietto e benevolo, nulla che non convenga ad
animai socievole; il quale non si compiace nelle immaginazioni di
piacere o di godimento qual eh’ ei sia, o di gaiti o d’invidia o di
sospetto, o di qua- lunque altra cosa ti facesse arrossire quando
tu avessi a confessare che l'avevi in mente. Un uomo di tal fatta,
il quale non indugia d’ oggi in domani a por sè nel novero degli
ottimi, è come un sacerdote e un ministro degli Dei, devoto, non
meno che agli altri, a quello che ha il suo tempio in lui medesimo;
per virtù del quale l’ uomo diventa inconta- minabile ad ogni
jiiacere, invulne- rabile ad ogni dolore, inviolabile ad ogni
ingiuria, insensibile ad ogni malizia, sostenitore in campo della
massima fra le imprese, quella del non essere abbattuto da nessuna
passione, imbevuto di giustizia in- sino al fondo, disposto ad
accogliere con tutta r anima quanto accàSe e gli vien destinato, e
non occupan- tesi se non di rado nè mai senza una grande e pubblica
necessità, di CIÒ che altri fa o dice o pensa ; perch’ egli non ha altre
azioni in sua balìa che le proprie, e pensa conti- nuamente alle
cose che il fato del- r universo gli arreca; per far si che le
prime sieno oneste, siccome ha fede che le seconde sien buone ;
quando la sorte attribuita all’ uomo procede dalla stessa causa che l’
uo- mo e concorre insieme con 1’ uomo ad un medesimo fine. Sa
inoltre che tutti gli esseri ragionevoli han pa- rentela fra loro;
che è quindi con- forme alla natura dell’ uomo il tener cura di
tutti ; benché non sia da far conto deir opinione di tutti, ma solo
di coloro che vivono secondo natura. Quanto a quelli che vivono
altra- mente, egli tien sempre a memoria che sorta cT uomini sono,
e quali, e in casa e fuor di casa, e di notte e di giorno, si
dimostrano, e con quali praticano; non ha quindi in pregio nessuno
la lode che gli può venire da tallente, la quale nè anche a sè stessa
non piace. 5. Non operar mai nè contro al tuo volere, nè
senza relazione al bene della società, nè senza avere esaminato la
cosa, nò con renitenza ; non adornare con isquisitezza di frasi il
tuo pensiero: non esser uomo nè di molte parole, nè di molte
faccen- de.' Ancora, fa’ che il Dio tuo in- terno abbia a governare
in te un animale maschio, attempato, citta- dino, romano,
imperatore, apparec- chiato di tutto punto, siccome quegli che non
aspetta ornai se non il suono Di molte faccende in cattivo senso,
come chi dicesse faccendone, o faccendiere. della tromba* per uscir della
vita, e non occorre sforzarlovi nè col giu- ramento, nè con la
testimonianza (f altr’uomo ; nel lieto aspetto del quale ben si
scorge non avere egli bisogno nè dell’ aiuto che vien dal di fuori,
nè della tranquillità che gli altri procurano. Conviene adunque
esser ritto in piedi già, e non riz- zarui solamente. Se tu trovi
qualche cosa di meglio nella vita dell’ uomo che la giustizia, che la verità,
che la temperanza. che la fortezza, e, in una pa- rola, che quella
disposizione della mente per cui ella si appaga di sè medesima
nelle cose die ti fa ope- rare secondo la retta ragione,, e del
fato, nelle cose che senza parteci- pazione della tua volontà ti vengono
distribuite; se, dico, tu trovi alcun che di meglio che questo, a
quello 1 Similitudine tolta dagli ordini della milizia appo i
Romani. voiti con tutta l’ anima e godine siccome di cosa che hai
ritrovato esser l’ottima. Ma se nulla ti si presenta di meglio che il
genio stesso tuo interno, quando si è fatto signore de’ propri
moti, e rivoca ad esame le proprie immaginazioni, e si è sot-
tratto^ come dice SOCRATE, dalle passioni del senso, e vive
sottomesso . agli Dei e pigliandosi cura degli uomini. Se, a paragone di
questa, tutte . le rimanenti cose ti paion picciole e vili, non dar
più luogo appresso te a nessuna altra, alla quale una volta che tu
ti sentissi propendere, più non potresti senza repugnanza preferire
a tutti quel bene che è proprio di te ed è il tuo; perchè al bene
j’azionale ed efficiente non vien contrapposto impunemente mai
nulla che sia di natura diversa, come le lodi della moltitudine, o il comandare,
o i piaceri del senso ; tutte queste cose, per poco che le si
paiano Ò1 adattare,' ti sopralfamio in un attimo
e ti strascinano. Or tu, dico io, sce- gli schiettamente e liberamente
il meglio, e a quello ti attieni. — Ma il meglio è l’utile. Se
l’utile all’uomo in quanto è ragionevole, bene sta, quello procura: se l’
utile all’ uo mo in quanto animale, dillo su aper- tamente e vivi di poi
senza boria nò fasto, secondo quella determinazio- ne. Ma bada,
ve’, che non ti inganni nell’ esame. Non riguardare giammai come i
[Par ch’Antonino alluda qui alla teoria dell’adattare le nozioni generali
alle cose particolari, o, del concetto alla rappresentazione, che è ciò
in che consisto il giudizio]. Dillo spiattellatamente, se ardisci,
senza avvolgerti in parole coperte: e ammetti poi tutte le
conseguenze di quel tuo detto: cioè, vivi poi da animale mero e puro,
senza in- gerirti a parlare nè di moralità nè di virtù nè di
giustizia, nè d* altro simile, che in quel caso sarebbero un vano fasto
di parole. E provocazione al senso intimo dell'uomo. Utile a te nulla che sia
per isforzarti un dì a violar la fede, abbandonare il pudore,
odiare alcuno sospettare, maledire, simulare, desiderar cosa j che
abbia bisogno di pareti e di ve- lame . Chi ha posto innanzi ad
ogni altra cosa la sua mente e genio, e il culto della virtù eh’ è
propria di quello, non fa tragedie, non geme, non ha bisogno di
solitudine, non di frequenza d’ uomini; quel che più impoita, vive
senza ricercar nulla nè fuggire; abbia ad esser lungo o , abbia ad
esser corto Tintèrv^allo di tempo durante il quale sarà conte- nuta
nel corpo l’ anima con che egli lia a fare,' non se ne piglia nè
an- clic il minimo pensiero; e quando Con che egli ha a fare. Non
veggo che cosa abbia voluto dire l’ornato. [Il senso letterale del
testo è: sia lungo o sia breve il tempo, eh' egli avrà a far uso dell'
ani- ma contenuta nel corpo. Il che, parrai, equi- vale a dire: sia
lungo, o sia breve il tempo ch'egli ha a vivere. L’è giunta l’ora dello
sgombrare, cosi spiccio se ne va, come se imprendesse un’ altra qualunque
di quelle azioni che si possono con verecondia e con dignità
operare; da questo solo guardandosi per tutta la vita, , che veruno
dei moti della sua men- te non sia mai men che convene- vole ad
animale intelligente o sociabile. Nella mente dell’ uom castigato e
puro non troverai nulla di marcio, nè tampoco nulla di contaminato
o che paia sano al di fuori e noi sia. La vita di lui, a
qualsivoglia ora lo sorprenda la morte, non è mai imperfetta, come tu
diresti quella tragedia d’onde un attore si fosso riti- rato prima d’
aver condotto a fine la sua parte. Ancora non è in lui nulla di
villano, nè nulla di artata- mente gentile; nulla che il leghi alle
cose esteriori nè nulla che lo separi da quelle; nulla onde egli sia palesemente
ripreso,' nè nulla che covi addentro nascosto. Abbi in rispetto la
facoltà giudicativa.^ Per lei sta che non si ge- neri nella tua parte
sovrana nessuna opinione che non sia consona alla natura o al fine
per che 1’ uomo è ordinato. Ed essa promette la infallibilità, e l’amicizia
con gli uomini e l’ubbidienza agli Dei. Messe adunque da banda
tutte le altre cose, queste poche sole abbi in mente; ed ancora
ricordati che i r uomo non vive altro tempo che questo presente,
cioè un attimo; il rimanente o lo ha vissuto o non sa se il vivrà.
Picciola cosa pertanto è [Intendi: nulla che appaia manifestamente
vizioso. Ossia la virtù del non cadere in errore ; che vien definita da Zenone la
scienza del quando conviene assentire ad i un' apparenza, e quando no.
Questa accompagna sempre il giudizio comprensivo, che è il criterio della
verità appo gli stoici. 0 Digitizedh, Cnoi^li: il tempo che
l’ uom vive, picciola cosa rangoletto della terra dov’egli vive. Picciola
cosa la fama anche la più lunga eh’ egli lascerà dietro sè, e
questa tramandantesi per succes- sione d’ omiciattoli in
omiciattoli, morti quasi appena nati, ed ignari anche di sè
medesimi, non che di colui il quale moriva è già gran pezza.
li. Agli avvertimenti dati sin qui s’ aggiunga ancora quest’ uno,
di de- finir sempre o descrivere l’oggetto che cade sotto al tuo
senso, si che tu lo scorga a parte a parte distin- tamente e tutt’
insieme quale egli è nella sua essenza nudo, e dir teco stesso il
nome proprio di quello e il nome delle cose di che è compo- sto e in
che s’ ha da risolvere. Perchè non v’ ha nulla che sublimi cotanto
l’animo quanto il potere arguire per la diritta via e con verità ciascuna
delle cose che incontrano nella vita, e saperle vedere per ino» do
da conoscere nello stesso tempo di qual uso sendo questa tal cosa
al mondo, e a qual mondo, qual valore ha rispetto al tutto e quale
rispetto air uomo, che è cittadino della suprema fra le città,
della quale le altre città sono' come al- trettante famiglie. Che
cosa è, e di che cosa è composto, e quanto tempo è por duiare ij
cesto che fa impres- sione ora sul mio senso; di che virtù s’ ha da
far uso con esso, per esem- pio, della mansuetudine, della for-
tezza, della veracità, della fede, della semplicità, della frugalità, o
simili. Però, intorno a ciascuna cosa, con- vien dire : questa mi
viene da Dio. Questa dalla sorte, dalla complica- zione delle cause
condestinate, e so- miglianti cose; quest’ altra dal mio consorto,
dal mio congiunto, dal partecipe d’ una stessa società con me, il
quale ignora nondimenò ciò che è secondo natura per lui. Ma
10 non lo ignoro ; e però mi governo con lui secondo la legge
naturale della società, con benevolenza e giu- stizia; e ad uno
stesso tempo ho riguardo, nelle cose mezzane,' al valore di
ciascheduna. Se tu operi secondo la retta ragione quel che hai fra
mano, stu- diosamente, c vigorosamente, placi- damente, e non t’
occupi d’ altra cosa tra via, ma conservi puro ed intatto 11
genio tuo, come se tu dovessi già rassegnarlo ; se a lui ti tieni
stret- Si chiamai! còse mezzane appo gli stoici quelle che
non sono nè ben nè male, cioè nè virtù nè vizio. Le quali, comecché
da per sè non meritino d' esser cercato nè fug- gite, si accettano
nondimeno o si rigettano per r aiuto o disainto che elle possono
ar- recare alla vita secondo natura. Quelle che arrecan più aiuto,
han più valore: quelle che più disainto, più disvalore. Di questò
ha da tener conto il savio, ed accettare, quando gli è data la scelga,
quelle che han più valore, o che han meno disvalore. 0. Sottintendi
« a chi tol diede. » to, nulla aspettando, da nulla rifug- gendo,
contentandoti dell’ azion tua presente secondo natura e della eroi-
ca verità d’ ogni cosa che tu dica: felicemente vivrai. Ora non v’
ha nessuno' che ti possa questo impedire. Come i medici han pronti
sem- pre i loro ferri e strumenti per le cure inopinate, così abbi
tu alla mano i principi! * per la cognizione delle cose divine ed
umane; e non far nulla mai, per poco che sia, senza ricordarti del
legame che unisce queste con quelle. Perchè nulla di umano farai tu
bene se non lo ri- ferirai al divino, e viceversa. Non andar più
vagando; per- chè non sei per rileggere oramai nè i tuoi ricordi,
hè le azioni degli an- tichi romani e greci, nè gli estratti Punti
fondamentali di credenza, cre- denze prime, dommi : decreta .appo
Cicerone. d’ autori che riserbavi per la vec- chiaia. Studiati dunque d’
arrivare al fine, e poste da banda le spe- ranze vane, soccorri a
te stesso, se pur ti cale di te, mentre che il puoi. 15. Non
sanno * quanti significati abbiano le parole rubare, seminare,
comperare, riposare, veder quel che sia da fare, il che non si reca
ad effetto con gli occhi, ma con un’al- tra sorta di vista. Corpo,
anima, mente ; del corpo son le sensazioni, deh’ anima le ap-
petizioni, della mente le credenze.^ Ricevere impressioni nella
fantasia è cosa anche da giumento; esser mosso da appetiti è cosa
anche da fiera, anche da androgino, anche da Falaride, anche da
Nerone; avere per iscorta la mente a quello che ci pare nostro
ufficio, è cosa anche I Sottintendi c gli nomini del volgo. Dommi,
decréta. 0. Intendi, a quello che ci par eg$ere noda chi non crede
che v’ abbiano Dei, da chi abbandona la patria, da chi fa, quando
ha chiuso le porte, ogni opera nefanda. Se adunque tutte queste
cose abbiam comuni cogli anzidetti, resta che sia proprio dell’
uomo dabbene lo amare ed ab- bracciare gli accidenti ad esso con-
destinati e guardarsi dal macchiare e turbare con immaginazioni
sconce il genio che risiede nel petto di lui, ma conservarlo
propizio, seguendolo modestamente* come un Iddio, non dicendo mai
nulla che sia contro al vero, nè dicendo *mai nulla che sia contro
al giusto. Che se nissuno ttro interene. Questo è il significato
generale della parola ufficio appo gli stoici. Solo allor quando le si
aggingne l'epiteto di perfetto denota essa il dovere^ che è come V
intereae iublime dell' uomo. Noto questo perchè alcuni degli interpreti,
e per ultimo anche il Corai, hanno maravigliosamente scompaginato -
e interpolato questo passo; frantendendolo. V. Diog. Laerz.; Stobeo ;
Cic. de Officiùt otc. degli uomini non gli vuol credere eh’ egli
viva con semplicità, con ve- recondia, e di buon animo ; nè s’adira
egli contro costoro, nè si svia dalla strada che conduce al fine della
yita. al quale si vuol giunger puro, tran- quillo, spedito, e
conformato di vo- lontà col proprio destino. La parte che dentro di
noi re- gna,* quando è nel suo stato natu- rale, ha tal
disposizione verso gli accidenti, che senza difficoltà si rivolge sempre
al possibile e al dato. Perch’ella non ama nessuna mate- ria
determinata ; ma si porta con eccezione* a quello che si ha pro- posto,
e quando alcun che se le viene ad attraversare per via, ella si fa
di quello stesso materia ; come il fuoco, quando s’ impadronisce
delle I La parte sovrana o dominante. [Eccezione : vocabolo
stoico. Indica limitazione del proponimento al possibile]. Farò la tal
cosa, se non sarò impedito] cose die incontra, dalle quali una picciola
lampana sarebbe spenta. Ma lo splendido fuoco assimila a sè tosto ogni
cosa che se gli butti dentro, e la consuma, e per quella stessa
s’in- nalza più in su. 2. Nessuna azione sia fatta a
caso mai, nè altrimente che secondo una delle regole costitutive
dell’arte. Van cercando ritiri, alla campa- gna, alla marina, sui monti;
e tu stesso suoli desiderare siffatti luoghi. Ma cotesto è da uomo
ignorantissi- mo, potendo tu, a quell’ ora che tu vuoi, ritirairti
in te stesso. Perchè * Ad ogni caso della vita corrispondo
una virtù da esercitare (vedi sopra, III, 11, e più abbasso, IX, 11, 42):
ed ogni virtù è appo gli stoici nna scienza nello stesso tempo ed un’
arte: parlo delle virtù pro- priamente dette. Come scienza quindi e
come arte consta di certo proposizioni o re- gole, ciascuna delle quali è
parte integrante di quella, e tutto insieme" la costituiscono. Ogni
ufficio consta di corti numeri. inroRDi.
«4 in nessuno altro luogo si ritira l’ uomo con più tranquillità e
con meno brighe che nell’ anima sua ; massi- mamente chi ci ha
dentro tanto alti oggetti di contemplazione che il solo affacciarsi
a loro procaccia tosto ogni sorta di agevolezza. Quan- do dico
agevolezza, non voglio dir altro che buon ordine. Concedi adun- que
sovente a te questo ritiro e rin- novella quivi te stesso. Breve
sia r espressione ed elementare la forma di quelle verità contemplative
che avran forza di rasserenare al primo incontro V anima tua c.
rimandarti senza corruccio alle cose alle quali ritorni. Perchè, di
che cosa ti coi'- rucci? Della malizia degli uomini? Rammentati di
quella sentenza, che gli esseri ragionevoli son fatti gli uni per
gli altri; che il sofferire è parte della giustizia; che malgrado
loro peccano ; che tanti si son già inimi- cati, sospettati,
odiati, perseguitatisi a morte, i
quali ora sono spenti, son fatti cenere; e te ne darai pace. 0 ti
crucci tu di quella parte che a te Vien compartita dell’ universale
de- stino? Rinnovella il dilemma. 0 è la provvidenza o son gli
atomi,' op- pure gli argomenti con che s’ è di- mostrato che il
mondo è come una città. Ma forse tu ti contristi delle affezioni
del corpo? Pensa che non han più nulla che fare con la mente i moti
o sieno soavi o sieno aspri del senso, ogni volta che questa s’ è .
raccolta in sè medesima ed ha cono- sciuto la sua propria potenza; al
che potrai aggiugnere quelle altre cose che intorno al piacere e al
dolore hai apparato ed accettato per vere. 0 sarà forse T
amor di gloria quello che ti turba? Considera come è ratto Si
allude al sistema atomistico di- Epicuro, il quale ne- gava la
previdenza, e attribuiva il mondo e tutti i fenomeni del mondo ad una
causa non intelligente. l’oblio d'ogni cosa, interminato dal - runa
parte e dall’ altra* il caos della età, vana cosa il rumore,
mutabile, e inconsiderato chi in apparenza ti‘ esalta, angusto il
luogo dove è cir- coscritto il suo dire. Perchè tutta la t.erra' è
un punto: e qual parte di essa è l’angoletto che tu abiti? e quivi
ancora quanti avrai lodatori, e quali? D’or innanzi adunque sov-
vengati di ritirarti in questa tua vil- letta di te medesimo; e sopra
tutto, non. t' affannare, non t’agitare, ma sii libero e vedi le
cose da uomo, da ‘ maschio, da cittadino, da mortale. Ed abbi in
pronto, fra le verità alle quali dovrai far ricprso, queste due
principalmente: 1’ una, che le cose non arrivano sino all’ anima,
anzi stanno al di fuori immobili;* e i turbamenti nascono dalla
sola opinione [A parte ante e a parte pott come dice la scuola. 0.
nione, che è dentro. L’ altra, che quanto tu vedi già già si muta e
più non è quel desso ; e rivolgi in mente ciascuna delle mutazioni
alle quali tu stesso sei inten'enuto. Il mondo^ alterazione. La
vita, opinione. Se la intelligenza ci è comune a tutti, anche la
ragione per cui siam ragionevoli ci è comune; se cotesto è, anche
la ragione imperativa di ciò che si dee fare o non fare ci è comune;
adunque anche la legge ò comune; aifunque siam concittadi- ni ;
adunque partecipiamo tutti ad una specie di reggimento civile ;
adunque il mondo è come una città. Perchè qual altro direm noi che sia
quel reggimento civile di cui tutto il genere umano partecipa? Di
colà, da quella città comune, viene a noi r intelligenza, la
ragione, la legge, o d’ onde verrebbon esse? perchè, siccome quanto
v’ ha in me di terreo viene da una certa terra di cui fa parte; e
quanto v’ ha in me d’umido, da un altro elemento; e quanto v’ha di
caldo e d’ igneo, da una certa sorgente propria (nulla venendo mai
dal nulla nè ritornando nel nulla); così anche la intelligenza dee
venire da qualche cosa. 5. La morte è come la nascita,
un mistero della natura; composizione e risoluzione di certi
elementi in quegli elementi medesimi. Ad ogni modo non è cosa di
che 1’ uomo debba arrossire ; perchè non è cosa che repugni alla
natura dell’ animale intellettivo o disconsegua* al prin- cipio della
formazione di quello. 6. Tali cose debbono di necessità farsi
in tal modo da questi tali; chi le vuole altrimente, vuole che il
fico non abbia lattificcio. Del tutto, sov- vengati che in
brevissimo tempo e * Intendi ripugni, non aia conforme. !'•
tu e costui sarete morti: e che, poco dopo, non rimarrà più di voi
nè an- che il nome. Togli via r opinione, ed è tolto via il «
sono stato offeso : » togli via il « sono stato offeso, » ed è tolta
via r offesa. Quello che non fa peggiore l’uomo non fa nè anche
peggiore la vita di lui, nè le nuoce, nè esternamente nè
internamente. È necessitata dall’ utile ‘ la na- tura a far cotesto.
Siccome ogni cosa che accade, giustamente accade; il che, se tu
osserverai con attenzione, troverai 1 Comune. Più letteralmente : «
È necessitata la na- tura deir utile a far cotesto.» La natura deir
utile, cioè il principio sostanziale dell’utile (chè vuol esser presa
sostanzialmente in questo luogo la voce natura), il quale
evolvendosi, come ragion seminale, successivamente nel tempo, fa che ogni cosa
sia bene. Perchè non conviene dimenticar mai che, appo gli stoici,
l'utile non è altro che il bene. sempre vero: non solamente, dico,
secondo l’ordine di conseguenza, ma ancora secondo l’ordine di giustizia;
come se le cose procedessero da tale che distribuisse a ciascuno secondo
il merito. Osserva adunque, come hai cominciato ; ed ogni cosa che
tu fai, falla con questa condizione, che tu sia uom dabbene, nel
vero signifi- cato della parola dabbene. Questo carattere conserva
in ogni tua azione. Non concepir le cose quali le giudica colui che
fa ingiuria, o quali egli vuole che tu le giudichi; ma vedile quali
sono in realtà. Conviene esser sempre pronto a queste due cose ;
fai' solamente quello che la ragion dell’ arte regia e legislativa
ti suggerisce per 1’ uti- lità degli uomini ; e cangiar partito,
quando altri viene a raddrizzarti e rimuoverti da una qualche falsa
opi- nione. Ma questo cangiamento dee farsi sempre per un qualche
motivo plausibile, come di giustizia, o d’ utilità comune, o somigliante
; e non mai perchè la cosa ti piaccia o sia per arrecarti
gloria. Hai la ragione? Si. Che dunque non 1’ adoperi? Perchè,
se essa fa quanto le spetta, che ti resta a desiderare? Sei venuto
al mondo qual parte ; disparirai dentro al tuo generatore. 0, piuttosto, ti
raccoglierai nella ragion seminale di lui, per via di mutazione. Molti
grani d’ incenso su uno stesso altare: l’uno è caduto prima e l’altro
dopo. È lo stesso. Tra dieci giorni parrai un Dio a coloro, ai
quali pari ora una bestia e una scimmia, se fai ritorno ai prin-
cipii e al culto della ragione. Non come se tu avessi a vi- vere
molte migliaia d’ anni. La morte ti sovrasta: mentre vivi, mentre ti
è dato, fa’ che tu sia uom dabbene. Di quante brighe si libera
chi non bada a quello che ha detto il vi- cino, o ha fatto, o ha
pensato, ma solo a quello eh’ egli stesso fa, affinchè r opera sua
sia giusta, e santa, e qual si richiede dall’ uomo dabbene !
Non andar guatando attorno i neri costumi, ma corrér diritto in
sulla linea senza volgersi a destra nè a manca. Chi vive abbagliato
dal pensiero di lasciar fama dopo morte, non considera come ciascun
di quelli che si ricordano di lui morrà tosto aneli’ egli, e poi
ancora chi sarà a costui succeduto, sinattantochè, pas- sando da
abbagliato in abbagliato e da morente in morente, venga a spe-
gnersi affatto ogni memoria. Ma sup- poni anche immortale chi s’ ha a
ri- cordare di te, ed immortale la fama ; che fa ssi abbia, e
nessuno non potendo perdere quel che non ha. Siccome tutto è
opinione. È « noto il detto di Monimo il cinico.
E nota anche V utilità di quello, chi ne colga il midollo per insino
ai confini del vero. L’anima umana fa onta a sè stessa,
primieramente quando ella ; diventa, per quanto sta in lei, come
chi dicesse un apostema o tumore del mondo, ritraendosi da quello
co- me fan gli umori guasti dal corpo. Perchè il crucciarsi di un
accidente qualunque è un ritrarsi dalla natura univei-sale, dentro
alla quale son contenute, siccome parti di quella, tutte le nature
degli altri. In secondo luogo, quando ha avversione a un *
Diceva che «Ogni nostra opinione è fumo e boria. Apostema in greco
vuol dire ad un tempo ed apostema e ritiramento. È solenne agli
stoici il torre esempi, nelle cose morali, dalla natura fisica, siccome
quella in cui è contenuta, secondo loro, ancho la natura morale. qualche
uomo, od anche se gli volge contro per nuocergli, come le anime
degli adirati. In terzo luogo ella fa onta a sè stessa quando si lascia
vin- cere dal piacere o dal dolore. Quarto, quando ella s’ infinge
ed opera o parla con simulazione e contro la verità. Quinto, quando
ella non in- dirizza a nessuno scopo una qualche sua azione o una
qualche sua determinazione di volontà, ma opera a caso e senza sapere che
cosa si fac- cia; laddove nè anche le minime cose non (iovrian
farsi mai se non con rela- zione al fine. E il fine degli animali ragionevoli
è il conformai'si alla ragione e legge della più antica fra le città
e le repubbliche e della più veneranda. Della vita umana, la durata
è un punto; la materia, fluente; il senso, tenebre ; la compagine
di tutto il corpo , corruzione ; 1’ anima,* un * La città e
repubblica del mondo. Per anima qui non s' intendo certamente
ap^gintrsi perpetuo; la fortuna, cosa mala a prevedere; la fama,
cosa senza giudizio. E a dirla in breve, ciò che riguarda il corpo,
è un tor- rente ; ciò che riguarda l’ anima, so- gno e fumo ; la
vita tutta intera, guerra e pellegrinaggio; e la rino- manza che le
vien dopo, oblio. Che i adunque v’ ha a cui tu ti possa atte- nere?
Sola ed unica una cosa; la filosofia. E questa consiste nel custo-
dire per tal modo il genio interno, eh’ egli non riceva nè onta nè
danno, sia superiore al piacere e alla pena, non operi nulla a
caso, nè infìnta- mente 0 con animo d’ ingannare, nè abbia bisogno
mai che altri faccia o non faccia checchessia; inoltre ac- cetti ogni
avvenimento a lui desti- r anima ragionevole, nè la mente, o la
parte sovrana, o il genio interno menzionato nelle , linee
segnenti; ma solamente il principio ’ della vita animale. Vedi il § 16
del lib. Ili | dei Bicordi, ove è fatta distinzione fra corpo,
anima c mente. P. I nato siccome cosa che gli viene di colà
d’ onde è venuto egli stesso ; sovra tutto poi, aspetti la morte
con mente serena, siccome nulla più che dissoluzione degli elementi
onde ogni animale è composto; ai. quali se non è grave lo essere
trasmutati di conti- nuo r uno nell’ altro, per qual ca- gione si
avrà ella a temere la tras- mutazione e la dissoluzione d’ essi
tutti in una volta? Ella è cosa secondo natura; e nulla che sia se- condo
natura non è mai un male. Tn Carnvnto, Non solamonte è da
considerare che la vita si va consumando ogni dì, e che sempre ce ne
riman meno, ma eziandio che egli è in- certo, ove ancor 1’ uomo
viva lunga- mente, s’egli avrà sempre vigor 'di mente che basti per
la intelligenza degli affari e la contemplazione che ha per iseopo
la conoscenza delle cose divine ed umane. Perchè, quan- do egli
incominci a vaneggiare,* non cesserà però, egli è vero, nè di tra-
spirare, nè di nudrirsi, nè di avere immaginazioni, nè appetiti, nè altre cose
di tal fatta; ma valersi di sè stesso, ma avvertire distintamente
tutti i numeri * del dovere, ma chia- rire i propri concetti, ma, quel
che importerebbe allora, deliberare se sia già tempo per lui di
andatene,® e quante altre cose richieggono una raziocinativa molto
bene esercitata, cotesto non potrà egli più, chè la facoltà sarà
spenta anzi tempo. Con- viene adunque affrettJirsi, non sola- mente
perchè ci facciamo ognora più vicini alla morte , ma ancora perchè
cessano in noi anzi il finir della vita la intelligenza e la com-
prensione delle cose. 2. È degno pure d’ osservazione che
anche quelle cose le quali sono un mero accompagnamento neces-
[“Onesto” chiamano (gli stoici) il perfetto bene per lo avere esso
tutti i numeri che la natura richiede. Secondo gli stoici non dovea
rimanere in vita r nomo che non potea più adempire gli uffici
d’uomo, 0. ] sario d’ ima operazione della natura hanno un non so
che di grazioso e di dilettevole. Per esempio, cocen- dosi il pane,
si screpola in certi luo- ghi. Or bene, anche quelle così fatte
screpolature che stan là, per così dire, fuori dell’ intenzione del
for- naio, hanno un certo garbo o muo- vono r appetito in un certo
modo lor proprio. Ancora i fichi, quando sono ben maturi, si
aprono. E nelle ulive lasciate lunga pezza in su V al- bero, quello
stesso essere già vicine a corrompersi, aggiugne al frutto una
certa bellezza particolare. E le spighe che s’ inchinano, e la
guar- datura del leone, e la schiuma che esce fuori di bocca al
cinghiale, e molte altre cose le quali, considerate da per sè, sono
lontane da ogni bel- lezza, nondimeno, perch’ elle accom- pagnano
necessariamente un’ opera della natura, aggiungono a quella ornamento
e dilettano altrui. Di maniera che, chi avesse altezza d’ in- gegno e
considerasse ad una ad una le cose che accadono nell’ universo
mondo, nessuna ne troverebbe per avventura, anche di quelle che
sono mera conseguenza- necessaria delle altre, la quale non gli
paresse farsi con una certa grazia. Costui vedreb- be la gola
spalancata d’ una fièra viva con non meno piacere che quando gli
scultori o i pittori glie la fan vedere imitata; e nelle
vecchiarelle e nei vecchi scorgerebbe un certo che di finito e di
maturo non meno piacevole ai casti occhi di lui che là venustà dei
fanciulli ; e molte altre cose gl’ incontrerebbe di vedere, che non
fan senso in tutti, ma solamente in chi s’ è veramente
addimesticato con la natura e con le opere di quella. Ippocrate
curò di molti ammalati, e poi s’ ammalò egli stesso e muore. I caldei
predissero a molti la morte, e poi venne anche per loro la morte.
Alessandro e Pompeo e Caio Cesare, i quali distrussero dalle
fondamenta le tante città, e taglia- rono a pezzi in giornata campale
le tante migliaia di cavalli e di fanti, uscirono poi anch’ essi di
vita, alla fine. Eraclito, dopo avere con tanta sapienza e ragioni
naturali discorso intorno alla conflagrazione del mondo, gonfiatosegli
d’acqua il corpo, coperto di letame se ne morì. De- mocrito fu
spento da’ pidocchi ; ' So- crate da pidocchi d’ un’ altra sorta.
Che è ciò? Ti se’ imbarcato, hai na- vigato, sei giunto; esci di nave.
Se per andare ad un’ altra vita, nessun luogo è vuoto di Iddii, e
nè anche [Diogene Laerzio narra che Democrito mori di vecchiaia;
Lncrezio, che nscì spontaneamente di vita, perchè sentiva il suo spirito
indebolirsi per effetto degli anni. Non trovasi nell' antichità a noi
nota alcuna tradizione che concordi con ciò che qni dice Antonino.
P. quello dove vai ; se per rimanere senza sentimento, avrai
Unito di sof- frire i dolori e i piaceri, e di dovere andare a
versi ad un vaso che è di tanto inferiore a quel che gli serve.
Perchè l’ uno è mente e genio, e r altro è terra e sangue. Non
consumare quella porzione che ti rimane di vita nel pensare ai
fatti altrui, ogni volta che * tu noi faccia con un fine di comune
utilità; cioè nello andar fantasticando che cosa opera il tale e
per qual cagione, e che dice, e che pensa, e che mac- china, e
somiglianti cose, le quali tutte ti fan deviare dalla custodia
della tua parte sovrana. Conviene adunque guardarsi, nella
succession dei pensieri, dall’ ozioso e dal vano, ma molto
ancora^più dal curioso e dal maligno; ed avvezzar sè stesso a
pensar solo tali cose che, quando altri, all’ improvviso ti
domandasse, che pensi ora? tu possa risponder tosto e senza tema:
questo, o que- st’ altro ; onde appaia subito mani- festamente non
avervi nulla in te che non sia schietto e benevolo, nulla che non
convenga ad animai socievole; il quale non si compiace nelle
immaginazioni di piacere^ o di godimento qual eh’ ei sia, o di
gaiti o d’invidia o di sospetto, o di qua- lunque altra cosa ti
facesse arrossire quando tu avessi a confessare che l'avevi in mente.
Un uomo di tal fatta, il quale non indugia d’ oggi in domani a por
sè nel novero degli ottimi, è come un sacerdote e un ministro degli
Dei, devoto, non meno che agli altri, a quello che ha il suo tempio
in lui medesimo; per virtù del quale l’ uomo diventa inconta-
minabile ad ogni jiiacere, invulne- rabile ad ogni dolore, inviolabile
ad ogni ingiuria, insensibile ad ogni malizia, sostenitore in campo
della massima fra le imprese, quella del non essere abbattuto da
nessuna passione, imbevuto di giustizia in- sino al fondo, disposto
ad accogliere con tutta r anima quanto accàSe e gli vien destinato,
e non occupan- tesi se non di rado nè mai senza una grande e
pubblica necessità, di CIÒ che altri fa o dice o pensa ; per- ch’
egli non ha altre azioni in sua balìa che le proprie, e pensa
conti- nuamente alle cose che il fato del- r universo gli arreca;
per far si che le prime sieno oneste, siccome ha fede che le
seconde sien buone ; quando la sorte attribuita all’ uomo procede
dalla stessa causa che l’ uo- mo e concorre insieme con 1’ uomo ad
un medesimo fine. Sa inoltre che tutti gli esseri ragionevoli han
pa- rentela fra loro; che è quindi con- forme alla natura dell’
uomo il tener cura di tutti ; benché non sia da far conto deir
opinione di tutti, ma solo di coloro che vivono secondo natura.
Quanto a quelli che vivono altra- mente, egli tien sempre a
memoria che sorta cT uomini sono, e quali, e in casa e fuor di
casa, e di notte e di giorno, si dimostrano, e con quali praticano;
non ha quindi in pregio nessuno la lode che gli può venire da
tallente, la quale nè anche a sè stessa non piace. 5. Non
operar mai nè contro al tuo volere, nè senza relazione al bene
della società, nè senza avere esaminato la cosa, nò con renitenza ;
non adornare con isquisitezza di frasi il tuo pensiero: non esser uomo
nè di molte parole, nè di molte faccen- de.' Ancora, fa’ che il Dio
tuo in- terno abbia a governare in te un animale maschio, attempato,
citta- dino, romano, imperatore, apparec- chiato di tutto punto,
siccome quegli che non aspetta ornai se non il suono [Di
molte faccende in cattivo senso, come chi dicesse faccendone, o
faccendiere. della tromba* per uscir della vita, e non occorre
sforzarlovi nè col giu- ramento, nè con la testimonianza (f altr’
uomo ; nel lieto aspetto del quale ben si scorge non avere egli
bisogno nè dell’ aiuto che vien dal di fuori, nè della tranquillità che
gli altri procurano. Conviene adunque esser ritto in piedi già, e
non riz- zarui solamente. 6. Se tu trovi qualche cosa di me-
• glio nella vita dell’ uomo che la giu- stizia, che la verità, che
la tempe- ranza. che la fortezza, e, in una pa- rola, che quella
disposizione della mente per cui ella si appaga di sè medesima
nelle cose die ti fa ope- rare secondo la retta ragione,, e del
fato, nelle cose che senza parteci- pazione della tua volontà ti
vengono distribuite; se, dico, tu trovi alcun che di meglio che
questo, a quello 1 Similitudine tolta dagli ordini della
milizia appo i Romani. 0. .Virco \urcIio. rivolgiti con tutta l’
anima e godine siccome di cosa che hai ritrovato esser V ottima. Ma
se nulla ti si pre- senta di meglio che il genio stesso tuo
interno, quando si è fatto signore de’ propri moti, e rivoca ad
esame le proprie immaginazioni, e si è sot- tratto^ come diceva
Socrate, dalle passioni del senso, e vive sottomesso . agli Dei e
pigliandosi cura degli uo- mini ; se, a paragone di questa, tutte .
le rimanenti cose ti paion picciole e vili, non dar più luogo
appresso te a nessuna altra, alla quale una volta che tu ti
sentissi propendere, più non potresti senza repugnanza preferire a
tutti quel bene che è pro- prio di te ed è il tuo; perchè al bene
j’azionale ed efficiente (3) non vien contrapposto impunemente mai
nulla che sia di natura diversa, come le lodi della moltitudine, o il
co- mandare, o i piaceri del senso ; tutte queste cose, per poco
che le si paiano adattare,' ti sopralfamio in un attimo e ti strascinano.
Or tu, dico io, scegli schiettamente e liberamente il meglio, e a quello
ti attieni. — Ma il meglio è l’utile. Se l’utile al- r uomo in
quanto è ragionevole, bene sta, quello procura: se l’ utile all’
uo- mo in quanto animale, dillo su aper- tamente® e vivi di poi
senza boria nò fasto, secondo quella determinazio- ne. Ma bada,
ve’, che non ti inganni nell’ esame. Non riguardare giammai
come i [Par che Antonino alluda qui alla teoria dello
adattare le nozioni generali alle cose particolari, o, come diremmo noi,
del con- cetto alla rappresentazione, che è ciò in che consisto il
giudizio. Dillo spiattellatamente, se ardisci, senza avvolgerti in parole
coperte: e ammetti poi tutte le conseguenze di quel tuo detto:
cioè, vivi poi da animale mero e puro, senza in- gerirti a parlare
nè di moralità nè di virtù nè di giustizia, nè d* altro simile, che
in quel caso sarebbero un vano fasto di pa- role. E provocazione al
senso intimo dell'uo-mo. Utile a te nulla che sia per isforzarti un dì a
violar la fede, abbandonare il pudore, odiare alcuno^ sospettare,
maledire, simulare, desiderar cosa j che abbia bisogno di pareti e di
ve- lame . Chi ha posto innanzi ad ogni altra cosa la sua mente e
genio, e il culto della virtù eh’ è propria di quello, non fa
tragedie, non geme, non ha bisogno di solitudine, non di frequenza
d’ uomini; quel che più impoita, vive senza ricercar nulla nè
fuggire; abbia ad esser lungo o , abbia ad esser corto Tintèrv^allo
di tempo durante il quale sarà conte- nuta nel corpo l’ anima con
che egli lia a fare,' non se ne piglia nè an- clic il minimo
pensiero; e quando [Con che egli ha a fare. Non veggo che
cosa abbia voluto dire V Ornato. Il senso letterale del testo è: sia
lungo o sia breve il tempo, eh' egli avrà a far uso dell' ani- ma
contenuta nel corpo. Il che, parrai, equi- vale a dire: sia lungo, o sia
breve il tempo ch'egli ha a vivere. è giunta V ora dello sgombrare,
cosi spiccio se ne va, come se impren- desse un’ altra qualunque di
quelle azioni che si possono con verecondia e con dignità operare;
da questo solo guardandosi per tutta la vita, , che veruno dei moti
della sua men- te non sia mai men che convene- vole ad animale intelligente
o so- ciabile. Nella mente dell’ uom castigato e puro non
troverai nulla di marcio, nè tampoco nulla di contaminato o che
paia sano al di fuori e noi sia. La vita di lui, a qualsivoglia ora
lo sorprenda la morte, non è mai im- perfetta, come tu diresti
quella tra- gedia d’onde un attore si fosso riti- rato prima d’
aver condotto a fine la sua parte. Ancora non è in lui nulla di
villano, nè nulla di artata- mente gentile; nulla che il leghi alle
cose esteriori nè nulla che lo separi da quelle; nulla onde egli
sia palesemente ripreso,' nè nulla che covi addentro nascosto.
Abbi in rispetto la facoltà giu- dicativa.^ Per lei sta che non si
ge- neri nella tua parte sovrana nessuna opinione che non sia
consona alla natura o al fine per che 1’ uomo è ordinato. Ed essa
promette la infal- libilità,* e l’amicizia con gli uomini e r
ubbidienza agli Dei. 10. Messe adunque da banda tutte le
altre cose, queste poche sole abbi in mente; ed ancora ricordati che
i r uomo non vive altro tempo che questo presente, cioè un attimo;
il rimanente o lo ha vissuto o non sa se il vivrà. Picciola cosa
pertanto è 1 Intendi: nulla che appaia manifesta- mente
vizioso. P. ' 2 Ossia la virtù del non cadere in er- rore ;
che vien definita da Zenono « la scienza del quando conviene assentire ad
i un' apparenza, e quando no. > Questa ac- compagna sempre il
giudizio comprensivo, che è il criterio della verità appo g-li
stoici. 0. Digitizedh, Cnoi^li: il tempo che l’ uom
vive, picciola cosa rangoletto della terra dov’egli vive ; picciola
cosa la fama anche la più lunga eh’ egli lascerà dietro sè, e questa
tramandantesi per succes- sione d’ omiciattoli in omiciattoli, morti
quasi appena nati, ed ignari anche di sè medesimi, non che di colui
il quale moriva è già gran pezza. li. Agli avvertimenti dati
sin qui s’ aggiunga ancora quest’ uno, di de- finir sempre o
descrivere l’oggetto che cade sotto al tuo senso, si che tu lo
scorga a parte a parte distin- tamente e tutt’ insieme quale egli è
nella sua essenza nudo, e dir teco stesso il nome proprio di quello
e il nome delle cose di che è compo- sto e in che s’ ha da
risolvere. Per- chè non v’ ha nulla che sublimi cotanto l’animo
quanto il potere ar- guire per la diritta via e con verità ciascuna
delle cose che incontrano nella vita, e saperle vedere per ino» do
da conoscere nello stesso tempo di qual uso sendo questa tal cosa
al mondo, e a qual mondo, qual valore ha rispetto al tutto e quale
rispetto air uomo, che è cittadino della suprema fra le città, della
quale le altre città sono' come al- trettante famiglie. Che cosa è, e
di che cosa è composto, e quanto tempo è por duiare ij cesto che fa
impres- sione ora sul mio senso; di che virtù s’ ha da far uso con
esso, per esem- pio, della mansuetudine, della for- tezza, della
veracità, della fede, della semplicità, della frugalità, o simili.
Però, intorno a ciascuna cosa, con- vien dire : questa mi viene da Dio
; questa dalla sorte, dalla complica- zione delle cause
condestinate, e so- miglianti cose; quest’ altra dal mio consorto,
dal mio congiunto, dal partecipe d’ una stessa società con me, il
quale ignora nondimenò ciò che è secondo natura per lui. Ma
10 non lo ignoro ; e però mi governo con lui secondo la legge
naturale della società, con benevolenza e giu- stizia; e ad uno
stesso tempo ho riguardo, nelle cose mezzane,' al valore di
ciascheduna. Se tu operi secondo la retta ragione quel che hai fra
mano, stu- diosamente, c vigorosamente, placi- damente, e non t’
occupi d’ altra cosa tra via, ma conservi puro ed intatto 11
genio tuo, come se tu dovessi già rassegnarlo ; * se a lui ti tieni
stret- Si chiamai! còse mezzane appo gli stoici quelle che non sono
nè ben nè male, cioè nè virtù nè vizio. Le quali, comecché da per
sè non meritino d' esser cercato nè fug- gite, si accettano nondimeno o
si rigettano per r aiuto o disainto che elle possono ar- recare
alla vita secondo natura. Quelle che arrecan più aiuto, han più valore:
quelle che più disainto, più disvalore. Di questò ha da tener conto
il savio, ed accettare, quando gli è data la scelga, quelle che han
più valore, o che han meno disvalore. 0. ^ Sottintendi « a chi tol
diede. » to, nulla aspettando, da nulla rifug- gendo, contentandoti dell’
azion tua presente secondo natura e della eroi- ca verità d’ ogni
cosa che tu dica: felicemente vivrai. Ora non v’ ha nessuno' che ti
possa questo impedire. Come i medici han pronti sem- pre i loro
ferri e strumenti per le cure inopinate, così abbi tu alla mano i
principi! * per la cognizione delle cose divine ed umane; e non far
nulla mai, per poco che sia, senza ricordarti del legame che unisce
queste con quelle. Perchè nulla di umano farai tu bene se non lo
ri- ferirai al divino, e viceversa. Non andar più vagando;
per- chè non sei per rileggere oramai nè i tuoi ricordi, hè le
azioni degli an- tichi romani e greci, nè gli estratti *
Punti fondamentali di credenza, cre- denze prime, dommi : decreta .appo
Cicerone. d’ autori che riserbavi per la vec- chiaia. Studiati dunque d’
arrivare al fine, e poste da banda le spe- ranze vane, soccorri a
te stesso, se pur ti cale di te, mentre che il puoi. 15. Non
sanno * quanti significati abbiano le parole rubare, seminare,
comperare, riposare, veder quel che sia da fare, il che non si reca
ad effetto con gli occhi, ma con un’al- tra sorta di vista. Corpo,
anima, mente ; del corpo son le sensazioni, deh’ anima le ap-
petizioni, della mente le credenze.^ Ricevere impressioni nella
fantasia è cosa anche da giumento; esser mosso da appetiti è cosa
anche da fiera, anche da androgino, anche da Falaride, anche da
Nerone; avere per iscorta la mente a quello che ci pare nostro
ufficio,* è cosa anche I Sottintendi c gli nomini del volgo. »
0. ^ Dommi, decréta. Intendi, a quello che ci par eg$ere noda chi non
crede che v’ abbiano Dei, da chi abbandona la patria, da chi fa,
quando ha chiuso le porte, ogni opera nefanda. Se adunque tutte
queste cose abbiam comuni cogli anzidetti, resta che sia proprio
dell’ uomo dabbene lo amare ed ab- bracciare gli accidenti ad esso
con- destinati e guardarsi dal macchiare e turbare con
immaginazioni sconce il genio che risiede nel petto di lui, ma
conservarlo propizio, seguendolo modestamente* come un Iddio, non
dicendo mai nulla che sia contro al vero, nè dicendo *mai nulla che
sia contro al giusto. Che se nissuno ttro interene. Questo è il
significato gene- rale della parola ufficio appo gli stoici. Solo
allor quando le si aggingne l'epiteto di perfetto denota essa il dovere^
che è come V intereae iublime dell' uomo. Noto questo perchè alcuni
degli interpreti, e per ultimo anche il Corai, hanno
maravigliosamente scompaginato - e interpolato questo passo;
frantendendolo. Diog. Laerz.; Stobeo ; Cic. de Officiùt otc. 0.
degli uomini non gli vuol credere eh’ egli viva con semplicità,
con ve- recondia, e di buon animo ; nè s’adira egli contro costoro,
nè si svia dalla strada che conduce al fine della yita. al quale si
vuol giunger puro, tran- quillo, spedito, e conformato di vo- lontà
col proprio destino. La parte che dentro di noi re- gna,* quando è
nel suo stato natu- rale, ha tal disposizione verso gli accidenti,
che senza difficoltà si ri- volge sempre al possibile e al dato.
Perch’ella non ama nessuna mate- ria determinata ; ma si porta con
eccezione* a quello che si ha pro- posto, e quando alcun che se le
viene ad attraversare per via, ella si fa di quello stesso materia ;
come il fuoco, quando s’ impadronisce delle I La parte
sovrana o dominante. ^.Eccezione : vocabolo stoico. Indica
limi- tazione del proponimento al possibile. Farò la tal cosa, se
non sarò impedito. cose die incontra, dalle quali una picciola lampana
sarebbe spenta ; ma lo splendido fuoco assimila a sè tosto ogni
cosa che se gli butti dentro, e la consuma, e per quella stessa s’innalza
più in su. [Nessuna azione sia fatta a caso mai, nè
altrimente che secondo una delle regole costitutive dell’arte.*
3. Van cercando ritiri, alla campa- gna, alla marina, sui monti; e
tu stesso suoli desiderare siffatti luoghi. Ma cotesto è da uomo
ignorantissi- mo, potendo tu, a quell’ ora che tu vuoi, ritirairti
in te stesso. Perchè * Ad ogni caso della vita corrispondo
una virtù da esercitare (vedi sopra, III, 11, e più abbasso, IX, 11, 42):
ed ogni virtù è appo gli stoici nna scienza nello stesso tempo ed
un’ arte: parlo delle virtù pro- priamente dette. Come scienza quindi
e come arte consta di certo proposizioni o re- gole, ciascuna delle
quali è parte integrante di quella, e tutto insieme" la costituiscono. Ogni
ufficio consta di corti nu meri. 0.
inroRDi. «4 in nessuno altro luogo
si ritira V uo- mo con più tranquillità e con meno brighe che nell’
anima sua ; massi- mamente chi ci ha dentro tanto alti oggetti di contemplazione
che il solo affacciarsi a loro procaccia tosto ogni sorta di
agevolezza. Quan- do dico agevolezza, non voglio dir altro che buon
ordine. Concedi adun- que sovente a te questo ritiro e rin- novella
quivi te stesso. Breve sia r espressione ed elementare la forma di
quelle verità contemplative che avran forza di rasserenare al primo
incontro V anima tua c. rimandarti senza corruccio alle cose alle
quali ritorni. Perchè, di che cosa ti coi'- rucci? Della malizia
degli uomini? Rammentati di quella sentenza, che gli esseri
ragionevoli son fatti gli uni per gli altri; che il sofferire è
parte della giustizia; che malgrado loro peccano ; che tanti si son
già inimi- cati, sospettati, odiati, ^perseguitatisi LIBRO
QOARTO. 65 a morte, i quali ora sono spenti, son fatti
cenere; e te ne darai pace. 0 ti crucci tu di quella parte che a te
Vien compartita dell’ universale de- stino? Rinnovella il dilemma. 0
è la provvidenza o son gli atomi,' op- pure gli argomenti con che
s’ è di- mostrato che il mondo è come una città. Ma forse tu ti
contristi delle affezioni del corpo? Pensa che non han più nulla
che fare con la mente i moti o sieno soavi o sieno aspri del senso,
ogni volta che questa s’ è . raccolta in sè medesima ed ha cono-
sciuto la sua propria potenza; al che potrai aggiugnere quelle altre
cose che intorno al piacere e al dolore hai apparato ed accettato
per vere. 0 sarà forse T amor di gloria quello che ti turba?
Considera come è ratto [Si allude al sistema atomistico
d’Epicuro, il quale nega la previdenza, e attribuisce il mondo e tutti i
fenomeni del mondo ad una causa non intelligente.. l’oblio d'ogni cosa,
interminato dal - runa parte e dall’ altra* il caos della età, vana
cosa il rumore, mutabile, e inconsiderato chi in apparenza ti‘
esalta, angusto il luogo dove è cir- coscritto il suo dire. Perchè tutta
la t.erra' è un punto: e qual parte di essa è l’angoletto che tu
abiti? e quivi ancora quanti avrai lodatori, e quali? D’or innanzi
adunque sovvengati di ritirarti in questa tua vil- letta di te medesimo;
e sopra tutto, non. t' affannare, non t’agitare, ma sii libero e
vedi le cose da uomo, da ‘ maschio, da cittadino, da mortale. Ed
abbi in pronto, fra le verità alle quali dovrai far ricprso, queste
due principalmente. L’una, che le cose non arrivano sino all’anima,
anzi stanno al di fuori immobili e
i turbamenti nascono dalla sola opinione [A parte ante e a parte
pott come dice la scuola], che è dentro. L’ altra, che quanto tu
vedi già già si muta e più non è quel desso ; e rivolgi in mente
ciascuna delle mutazioni alle quali tu stesso sei inten'enuto. Il mondo,
alterazione. La vita, opinione. Se la intelligenza ci è comune a
tutti, anche la ragione per cui siam ragionevoli ci è comune; se
cotesto è, anche la ragione impera- tiva di ciò che si dee fare o non
fare ci è comune; adunque anche la legge ò comune; aifunque siam
concittadini ; adunque partecipiamo tutti ad una specie di reggimento
civile ; adunque il mondo è come una città. Perchè qual altro direm
noi che sia quel reggimento civile di cui tutto il genere umano
partecipa? Di colà, da quella città comune, viene a noi r
intelligenza, la ragione, la legge, o d’ onde verrebbon esse? Perchè,
siccome quanto v’ha in me di terreo viene da una certa terra di cui
fa parte; e quanto v’ ha in me d’umido, da un altro elemento; e
quanto v’ha di caldo e d’ igneo, da una certa sorgente propria
(nulla venendo mai dal nulla nè ritornando nel nulla); così anche
la intelligenza dee venire da qualche cosa. 5. La morte è
come la nascita, un mistero della natura; composizione e
risoluzione di certi elementi in quegli elementi medesimi. Ad ogni
modo non è cosa di che 1’ uomo debba arrossire ; perchè non è cosa
che repugni alla natura dell’ animale intellettivo o disconsegua* al
prin- cipio della formazione di quello. 6. Tali cose debbono
di necessità farsi in tal modo da questi tali; chi le vuole
altrimente, vuole che il fico non abbia lattificcio. Del tutto,
sov- vengati che in brevissimo tempo e * Intendi ripugni,
non aia conforme. !'• tu e costui sarete morti: e che, poco
dopo, non rimarrà più di voi nè an- che il nome. Togli via r
opinione, ed è tolto via il « sono stato offeso : » togli via il «
sono stato offeso, » ed è tolta via r offesa. 8. Quello che
non fa peggiore l’ uo- mo non fa nè anche peggiore la vita di lui,
nè le nuoce, nè esternamente nè internamente. È necessitata dall’
utile ‘ la natura a far cotesto. Siccome ogni cosa che accade,
giustamente accade; il che, se tu osserverai con attenzione,
troverai [Comune. Più letteralmente: « È necessitata la na-
tura deir utile a far cotesto.» La natura deir utile, cioè il principio
sostanziale dell’utile (chè vuol esser presa sostanzialmente in questo
luogo la voce natura), il quale evolvendosi, come ragion seminale,
succes- sivamente nel tempo, fa che ogni cosa sia bene. Perchè non
conviene dimenticar mai che, appo gli stoici, l'utile non è altro che
il bene. 0. Digilized by sempre vero: non solamente, dico,
secondo l’ ordine di conseguenza, ma ancora secondo 1’ ordine di
giustizia; come se le cose procedessero da tale che distribuisse a
ciascuno secondo il merito. Osserva adunque, come hai cominciato ;
ed ogni cosa che tu fai, falla con questa condizione, che tu sia
uom dabbene, nel vero signifi- cato della parola dabbene. Questo
carattere conserva in ogni tua azione. Non concepir le cose quali le
giudica colui che fa ingiuria, o quali egli vuole che tu le giudichi; ma
vedile quali sono in realtà. Conviene esser sempre pronto a queste
due cose ; fai' solamente quello che la ragion dell’ arte regia e
legislativa ti suggerisce per 1’ uti- lità degli uomini ; e cangiar
partito, quando altri viene a raddrizzarti e rimuoverti da una
qualche falsa opi- nione. Ma questo cangiamento dee farsi sempre
per un qualche motivo plausibile, come di giustizia, o d’ utilità comune,
o somigliante ; e non mai perchè la cosa ti piaccia o sia per
arrecarti gloria. Hai la ragione? Si. Che dunque non 1’ adoperi?
Perchè, se essa fa quanto le spetta, che ti resta a desiderare? Sei
venuto al mondo qual par- te ; disparirai dentro al tuo generatore. 0,
piuttosto, ti raccoglierai nella ragion seminale di lui, per via di
mutazione. Molti grani d’ incenso su uno stesso altare: l’uno è
caduto prima e l’altro dopo. È lo stesso. 16. Tra dieci
giorni parrai un Dio a coloro, ai quali pari ora una bestia e una
scimmia, se fai ritorno ai prin- cipii e al culto della ragione. Non
come se tu avessi a vi- vere molte migliaia d’ anni. La morte ti
sovrasta: mentre vivi, mentre ti è dato, fa’ che tu sia uom
dabbene. Di quante brighe si libera chi non bada a quello che ha
detto il vi- cino, o ha fatto, o ha pensato, ma solo a quello eh’
egli stesso fa, affinchè r opera sua sia giusta, e santa, e qual si
richiede dall’ uomo dabbene ! Non andar guatando attorno i
neri costumi, ma corrér diritto in sulla linea senza volgersi a destra
nè a manca. Chi vive abbagliato dal pensiero di lasciar fama dopo
morte, non considera come ciascun di quelli che si ricordano di lui
morrà tosto aneli’ egli, e poi ancora chi sarà a costui succeduto,
sinattantochè, pas- sando da abbagliato in abbagliato e da morente
in morente, venga a spegnersi affatto ogni memoria. Ma sup- poni anche
immortale chi s’ ha a ri- cordare di te, ed immortale la fama ; che
fa egli a te cotesto? E non dico. a te quando sarai morto, ma
a te mentre sei vivo: che è la lode, se ^lon forse talora un mezzo
per una qualche dispensazione? (4) Lascia sta- re ora, che sarebbe
inopportuna, la considerazione dello essere secondo natura o no e
cosa quindi che non ha pregio se non per rispetto d’ una qualche
altra. — Tutto che è bello, qual che egli sia, è bello da per sè,
ha il termine della sua bellezza den- tro di sè, nè annovera tra le sue
parti la lode, e lodato, non diventa nè peg- giore, nè migliore.
Dico, anche i belli volgari, le cose belle per materia o per lavoro
artificioso (perchè, in quanto al bello per essenza, ha egli mai
bisogno di lode alcuna? No, niente più che la legge, niente più che
la verità, niente più che la be- nevolenza o la verecondia). Quale
di esse è bella per venir lodata o perde per venir biasimata? Lo
smeraldo diventa egli peggiore, se non si loda? E l’oro, l’avorio,
la poi^pora, una cetra, una spada; un fiorellino, un arboscello? Se le anime sussistono dopo morte, come
può, dalla eternità in qua, contenerle in sè l’aria? E come
contiene la terra i corpi che da tanti secoli vi sono seppelliti?
Perchè nell’ istesso modo che questi, dopo essersi conservati alcun
tratto di tempo, col mutarsi di poi e col dis- solversi dan luogo
ad altri cadaveri : cosi le anime che passano nell’ aria, soffermatevisi
un certo tempo, si mu- tano si struggono e accendono, e ve- nendo
accolte nella ragion seminale dell’universo, fan luogo alle altre
che lor vengono appresso. Questo si può rispondere nella ipotesi
che le anime sussistono dopo morte. E convien recarsi a mente il
numero non solo dei corpi seppelliti a questo modo, ma anche di
quelli che ogni di e da noi e dagli altri animali si mangiano;
perchè quanti se ne consuma egli e se ne seppellisce, per così
dire, nei corpi di coloro che se ne cibano ! E pur nondimeno li cape
uno stesso luogo, pel convertirsi, eh’ essi fanno, in sangue, pel
trasmutarsi loro in aria od in fuoco. Come giugnere, intorno
a ciò, alla cognizione del vero? Col distinguere in materia ed in
causa. Non isviarti ; ma fa’ sì che ogni atto della tua volontà
rappresenti il giusto e che ogni tuo giudizio serbi il carattere di
comprensivo. Tutto a me conviene quel che a te conviene, o mondo.
Non è im- matura per me nè tardiva nessuna cosa che sia opportuna
per te. Tutto è frutto per me quel che portano le tue stagioni, o
natura. Da te viene. 0il tutto, in te è il tutto, a te ritorna il tutto.
— Queir altro dice: 0 amica città di Cecrope ! ‘ e tu non dirai : 0
amica città di Giove? 24. « Fa’ poche cose » dice colui, se vuoi
viver contento. Non era me- glio il dire, fa’ le cose che son ne-
cessarie, quelle che vuol la ragione d’ un animai socievole, e a quel
modo ch’ella le vuole? Cosi acquisterai la contentezza non solo che
nasce dal far bene le cose, ma quella ancora dell’ averne a far
poche. Perchè, se dalle cose che diciamo e facciamo lu tronchi via
le non necessarie, che sono il maggior numero, assai più agio ti
rimarrà ed assai brighe avrai meno. Quindi, ad ogni cosa che sei
per fare, domanderai a te stesso: Non è questa una di quelle che
non [Aristofane, nella commedia de' Conta- dini. 0.
2 Democrito, in un frammento conserva- toci dallo Stobeo. sono
necessarie? E conviene tron- car via, non solo le azioni che non
son necessarie, ma anche i pensieri ; perchè in questo modo non avrai
nè anche più* a temere che azioni so- verchie li seguano.
Fa’ un po’ il saggio dei come ti riesce la vita dell’ uomo
dab- bene, dell’ uomo che accetta con pia- cere ogni cosa che gli venga
com- partita dal tutto ed a cui basta che r azion sua propria sia
giusta e la disposizione dell’ animo suo bene- vola. Hai tu veduto
quelle cose? Vedi anco queste. Non turbar te medesimo. Fa’ che tu sia
semplice. Pecca egli, un tale? A sè medesimo pecca. T’ è accaduto
qualche cosa? Bene sta; ab eterno era stato destinato per te,
destinato insieme con te, tutto ciò che ti accade. Al postutto, breve
è la vita: conviene far guadagno del [seguendo la ragione ed
il giusto] Sii in te anche quando ti ricrei. il mondo o è
ordinato da una mente, o è un accozzamento fortuito di cose, venute
d’ ogni parte, sì, ma non di meno ordinate. 0 credi tu che possa
avervi un cotal ordine in te e che nell’ universo alberghi il
disordine? massimamente quando ci vedi, le cose cosi distinte le une dal-
r altre, così mescolate le une con r altre e cosi intimamente
collegate tutte insieme col vincolo di reciproca dipendenza?
28. Neri costumi, eiremminati co- stumi, costumi duri, brutali,
pecorini, puerili, infingardi, falsi, buffo- neschi, taverneschi,
tirannéschi. 29. Se è uno estraneo nel mondo chi non sa che
cosa c’ è nel mondo, non è meno un estraneo chi non sa che cosa vi
si fa; un fuoruscito chi esce fuori della ragion civile ; un cieco
chi chiude gli occhi della men- te ; un mendico chi abbisogna d’
al- trui e non ha in sè quanto gli fa d’uopo alla vita: un
apostema' del mondo chi si separa é allontana dalla ragione della
natura comune, avendo a male ciò che accade; perchè quella te lo
arreca la quale arrecò te* me- desimo ancora; una smozzicatura di
città chi distacca la propria anima dall’ anima comune degli esseri in-
telligenti, che è una. Chi filosofa senza tunica, e chi senza libro.
Quest’altro, mezzo ignudo. Non ho pane, die’ egli, e pure sto fermo nella
ragione. Ed io non ho il cibo della dottrina, e pur ci sto fermo
anch’io. Ama l’arte che hai apparato; in essa ti acqueta ; e vivi il
rimanente della tua vita come quegli che ha accomandato le cose sue
con tutta l’anima agli Dei, e che di nessun uomo non vuol essere ne
tiranno nè servo. Figurati, per esempio, i tempi di
Vespasiano; vedrai le stesse cose che adesso: uomini che
s'accasano, che educan figli, che s’ammalano, che muoiono, che fan
guerra, che fan festa, che mercatano, che coltivan la terra, che
adulano, che presumon di sè, che sospettano, che tendono insi- die,
che desideran la morte di alcuno, che mormorano del presente , che
fanno all’amore, che ammassan te- sori, che voglion diventar
consoli, diventar principi. Or tutta quell età è sparita. Passa ai
tempi di Traiano] le stesse cose di nuovo. Quella età è spenta anch’
essa. Considera nello stesso modo le altre generazioni d’ uo- mini
e le nazioni tutte intere, e vedi quanti si travagliarono e
straziarono per morir poi poco stante e risol- versi negli
elementi. Massimamente ricorderai coloro i quali hai veduto a’ tuoi
di aiTaticarsi per cose da nulla e trascurare quello per che eran
nati, dove era da attendere a questo uni- camente e non cercare altra
cosa. Qui è pur necessario il rammen- tarti che a ciascuna
azione corri- sponde un certo valore ^ e un grado di applicazione
proporzionato.* Per- chè allora solamente eviterai il rin-
crescimento e la noia, quando non ti occuperai più di quel che
conven- ga, nelle cose da poco. 33. Le voci che altre volte
erano in uso, or sono antiquate; così an- [Termine stoico. Un
grado di applicazione (dovutale per parte deir uomo) proporzionato al
valore, cioè air importanza di essa. E vuol dire che dobbiamo
attendere e applicarci a ciascuna azione secondo il valore o l'
importanza di essa azione, cioè molto a quelle che hanuo un gran
valore, e meno a quelle che ne hanno un minore; e fra due di valore
ineguale, attendere piuttosto alla più importante, che alla meno
importante. che i nomi di coloro che una volta furon celebri, or sono,
per cosi dire, antiquati; Cammillo, Cesene, Voleso, Leonnato ; e
poco dopo, Scipione, Catone ; poscia Augusto, poscia Adriano c Antonino.
Incerti e favolosi presto diventano; presto ancora son sepolti
nell’ oblio universale. Parlo di co- loro che in un qualche modo
furon chiari e ammirati ; perchè, quanto agli altri, appena han
reso l’ ultimo soffio. «Nessun ne parla più, nessun ne chiede. Ma
che è ella poi, alla fin fine, la. eternità del nome? Vanità pura. Che
è dunque quello a cui dobbiamo seriamente badare? Questo solo : che
le_ nostre intenzioni sien giuste; le azioni, utili alla so- cietà;
le parole, non mai menzogne- re; e r animo, disposto ad accettare
tutto che accade, siccome cosa ne- cessaria, siccome cosa amica,
sicco- me cosa derivante dallo stesso prin- cipio e dallo stesso
fonte che noi. Volontario i’ abbandona nelle mani del Fato,
lasciando eh’ egli ti destini a quelle cose eh’ ei vuole. E il
ricordante e il ricordato, ambidue han la vita d’ un giorno. Osserva
di continuo coipe ogni cosa nasce per via di mutazione ; ed
avvezzati a pensare che nulla ama tanto la natura dell’universo,
quanto di mutar le cose che esistono e farne dell’ altre simili.
Perchè ogni cosa che esiste è seme, in un certo modo, di quella che
per essa esisterà. Ma tu ti immagini come semi quelli so- lamente
che si gittano nella terra 0 nell’utero. Cotesto è da uomo rozzo assai. Or
ora moirai, e non sei giunto per anche ad esser semplice, nè im-
perturbato, nè senza sospetto che le cose esterne ti possano nuocere,
nè sereno inverso tutti, nè a riporre la prudenza nel solo operar
con giu- stizia, Guarda alle menti di costoro, e
dei prudenti fra loro; quali cose fuggono, e quali cercano!
39. Nella mente d’ un altro non istà il tuo male; nè tampoco in un
i qualche cambiamento o alterazione di quello che ti circonda.
Dove sta egli adunque? In quella
parte di te, che giudica intorno ai mali. Quella parte adunque non
giudichi, e tutto andrà bene. Ancorché la cosa a lei più vicina, io
voglio dire il corpo, sia tagliata, sia abbruciata, marcisca,
infracidisca, stiasi nondimeno quieta la pjirte che giudica di siffatti
acci- denti; cioè giudichi non esser nè j male nè bene ciò che può
accadere ! ugualmente al tristo ed al buono. Perchè quello che
accade ugual- ^ mente e a chi vive contro natura e a chi vive
secondo quella, non è cosa nè secondo natura nè contro. Avvezzati a
considerare il mon- do come un animale unico, avente un corpo unico
ed un’ anima unica ; e come ad un senso unico, che è il senso di
lui, ogni cosa risponda; come con un impulso unico - ogni cosa
operi ; come ogni cosa concorra alla produzione d’ogni cosa; e qual
sia la connessione e il concatena- mento di tutte. Sei una
animuccia che porta un cadavero, come diceva Epitteto. Non è punto
un male il venire a mutazione, come non è punto un. bene F esser nato da
mutazione. L’età è come un fiume di cose che accadono, e una corrente
rovi- nosa; ' appena vedi 1’ una, ed è già passata ed un’ altra
passa, ed un’al- tra passerà. Tutto quel che accade è cosa
tanto solita e tanto familiare quanto le rose nella primavera e le frutta
[Intendi rapidissima e non cagione di rovine , il che sarebbe nn
disordine nel mondo, che è 1' ordine per eccellenza. sa nella
state ; nè son da riguardare altramente la malattia, la’ morte, le
calunnie, le insidie, e tutto quello che allegra o attrista gli
sciocchi. Nella successione dei casi, quelli che seguitano han
sempre re- lazione di parentela con quelli ché li han preceduti.
Perchè non è già quivi come un novero di cose indi- pendenti r una
dall' altra, cui la sola necessità * insieme costringa, ma sibbene
una connessione ragionevo- le ; e come negli enti si ravvisa una
coordinazione armonica degli uni con gli altri, cosi negli accidenti
si manifesta, non già semplicemente la successione, ma un certo
modo di parentela mai'aviglioso. 4C. Abbi a mente ognora il
detto di Eraclito ; che la morte della terra è il diventar acqua,
la morte del- r acqua è il diventare aria, la morte I
Intendi «necessità esterna.» dell’ aria il diventar fuoco e viceversa.*
Ricordati ancora di colui che non sa dove inette la via;* e sicco-
me la ragione con la quale gli uo- mini conversano il più
assiduamente, e che governa ogni cosa, è quella per r appunto con
che essi non van d’ accordo ; e le cose in che s’ imbat- tono ogni
dì, son quelle che ad essi paiono più strane. E siccome non conviene
fare nè dire a guisa di dormienti; perchè anche dormendo ci par di fare e
di dire; nè come fan- ciulli che van dietro ai lor padri, cioè
nudamente e semplicemente a quel modo che abbiamo appreso.
47. Come se un Dio ti avesse detto che domani sarai morto, o
posdomani 1 Pasfio famoso di Eraclito, rammentato da Diog.
Laorzio, Plutarco, Massimo Tirio, Clem. Aless. Filone, ecc., allegati
tutti dal Gataker a questo luogo. 0. ^ Anche questo, come i
seguenti, pare un detto di Eraclito. Vi fa allusione, credo, Marco
nostro al lib. VI, § 22. 0. al più, tu non ti cureresti gran
fatto dell’ avere a morire posdomani piut- tosto che domani, ove tu
non sia il più codardo degli uomini; perchè, quanto sarebbe il
divario? così non ti paia nè anche gran fatto l’avere a morire
piuttosto in capo a molte diecine d’anni che domani. 48.
Pensa di continuo quanti me- dici son morti, che sovente in su gli
ammalati le ciglia aggrottarono ; quanti astrologi, che la morte
altrui, come un gran caso, predissero; quan- ti filosofi, che
intorno alla morte o alla immortalità migliaia di discorsi fecero ;
quanti prodi, che molti am- mazzarono; quanti tiranni, che con
orribil ferocia, quasi non avessero essi mai a morire, la podestà in
sulle vite esercitarono; quante città tutte intere, per dir così,
son morte. Elice, Pompei, Ercolano, altre senza fine. Rammemora ancora
quanti hai conosciuto, l’ un dopo V altro : questi fece a colui la
sepoltura, e poi morì egli, e queir altro la fece a lui; tutto ciò
in breve. La somma è, che le cose umane son da riguardare come di
nessuna durata nè pregio; un po’ di moccio, ieri ; mummia o ceneri,
doma- ni. E quindi, questo attimo presente di tempo, si vuol
passarlo conforme la natura richiede, e finirsela in pace; come
oliva matura che cada, benedicendo la terra che la portò, e
ringraziando l’ albero da cui fu ge- nerata. 49. Sii simile
ad un promontorio, contro al quale incessantemente s’in- frangono
fonde, e quegli sta saldo, e s’ abbonacciano intorno a lui i
gorgogli dell’ acque. -- Sventurato me, che la tal cosa ra’ è
accadu- ta. — Anzi, avventurato, che, la tal cosa essendomi
accaduta, me ne sto nondimeno senza cruccio, nè ango- sciato del
presente nè pauroso del- f avvenire. Ad ogni altro poteva accadere ; ma
ogni altro non l’avria senza angoscia sopportata. Perchè adunque
sarà quello una sventura piuttosto che questo una ventura.* E poi,
chiami tu. sventura per l’ uo- mo quello che non defrauda punto la
natura dell’ uomo? E ti par egli che defraudi la natura dell’ uomo
quello che non va contro al volere di quella? E che? il volere
della natura tu il sai; forse che questo accidente ti impedirà
dall’ esser giu- sto, magnanimo, temperante, pru- dente, cauto,
veritiero, verecondo, libero, fornito, in somma, di tutte quelle
doti che. unite insieme appa- gano e soddisfano intieramente la
natura dell’ uomo. Sovvengati adun- que, ogni volta che una qualche
cosa ti contristerà, di ricoiTere a 1 Cioè a dire: c perchè
chiameresti dun- que sventura V esserti accaduta la tal cosa,
piuttosto che chiamare avventura felice r aver tu saputo sopportarla con
impertur- bata costanza? » questo pensiero: che non solamen- te
essa non è sventura, ma anzi il sopportarla da forte. è una buona
ventura. Volgare aiuto, sì, ma nondi- meno efficace per disprezzar
la morte è il rimembrar coloro che durarono lentamente vivendo sino
all’ età più decrepita. Che hanno essi ora di più che gli spenti di
morte immatura? Kcco, son buttati là in un qualche canto essi pure
e Cadiciano e Fabio e Giuliano e Lepido e quanti altri ve n’ebbe di
cotal fatta, i quali accompagnarono molti alla tomba, e poi ci furono
accompagnati essi alla fine. Breve, ad ogni modo, è l’in- tervallo
che l’uom vive, e questo breve, tra quali cose, con quali uo- mini,
in qual corpicciuolo conviene stentarlo! Non farne adunque gran
caso. Vedi, dietro a te, una eternità senza fondo, e un’altra eternità
in- nanzi a te : posto così in mezzo, che divario fai tu ,da una vita
di tre giorni ad una di tre secoli? Fa’ che tu vada sempre per
la più corta via. E la più corta via è la via secondo natura.
Seguirai quin- di, in ogni cosa che tu abbia da fare o da dire, il
più sano partito. Que- sto proponimento ti libera dai tra- vagli,
dai combattimenti interni, e da ogni sorta di dispensazioni* e
d’astuzie. Al mattino, quando con difficoltà ti svegli, abbi in
pronto questo pen- siero: Mi sveglio all’ufficio d’uomo; come
adunque m’ incresce, s’ io vo a far quello per che son nato e in
grazia di che sono stato messo al mondo? 0 sono io stato fbrmato
forse per riscaldarmi giacendo in sul letto? Ma quest© mi dà più
gusto. Per pigliarti gusto adunque sei nato? e non anzi per
operare? per essere attivo? Non vedi le pian- te, le passere, le
formiche, i ragni, [Intendi: cO il fine a cui nacqui è for-
se di giacermi a godere questo tepore del letto?» le pecchie, far ciascheduna l’
ufficio suo, concorrer, ciascheduna all’ordi- namento di quel mondo
che le è proprio? E tu non vuoi-far T ufficio d’uomo? non intendi a
quello che è secondo natura per te? Ma è necessario poi anche il riposo. È
necessario, è vero; ma la natura vi ha posto un limite ; ve n’ ha
posto anche al mangiare ed al bere; e tu nondimeno varchi quei
limiti, vai al di là del bisogno; quando si tratta di fare, poi, la
è un’altra cosa, tu stai sempre al di qua del possi- bile. Gli è
perchè tu non ami te .stesso. Se tu amassi te stesso, ame- resti
anche* la natura tua, e la vo- lontà di lei.* Gli artisti, che
amano l’arte loro, si consumano in sui la- vori di quella,
dimenticando il ba- gno ed il cibo : ma tu, fai men caso della tua natura
che il tornitore del [Intendi agire, operare, essere attivo, e non
infingardo] torniare, che il ballerino del ballare, che r avaro della
moneta, che il va- nitoso della gloriuzza. Quando la passione ha
preso. piede in costoro, lascian piuttosto di mangiare e di bere
che di attendere ad avanzare la cosa a che son portati.- E a te, le
azioni sociali paiono esse cosa di men pregio, cosa men degna di applicazione?
Come è facile il respingere e il cancellare ogni
immaginazione turbolenta o disconvenevole, e tro- varsi tosto in
piena calma! Reputa degna di te ogni parola ed azione che sia secondo
natura; e non ti persuada il biasimo od il garrire che ne seguirà
di taluni ; ma, se è onesto il farla o il dirla, credi eh’ ella è
anche cosa da te. Perchè quei tali hanno una mente lor pro- pria
per guida, ed operano per una lor propria volontà; alle quali tu
non badare, ma va’ innanzi per la diritta, seguendo la natura
comune e la tua. La via dell* una e dell’ al- tra è una sola.
4. Vo per la carriera delle cose secondo natura, sino a tanto che
cadendo io trovi requie ; esalando lo spirito in quello di che ogni
giorno respiro; giacendo su quello di che mio padre raccolse il
seme, mia ma- dre il sangue, la balia il latte; di che da cotanti
anni mi pascolo e mi abbevero, che sopporta me il quale lo calpesto
e in tanti e sì vari modi lo adopro.* 5. Non s’ ammirerà la prontezza
del tuo ingegno. E sia. Molte altre Intendi: «Vo per la via per cui
vanno tutte le cose che sono secondo natura, in- sino a che cadendo
io trovi requie; esa- lando lo spirito in quest' aria che ogni giorno
respiro, per essere sepolto in que- sta terra onde mio padre raccolse il
seme dell* esser mio, mia madre il sangue, la ba- lia il latte;
dalla quale da tanti anni io traggo di che nutrirmi e abbeverarmi,
che mi sostiene mentre ora la calco coi piedi 0 ne uso ed abuso in
tanti modi.» P. cose ei sono, delle quali non puoi dire, la natura
non mi ci ha dato disposizione. In quelle adunque ti esercita, le
quali dipendono intera- mente da te : la sincerità, la gravità, r
amore al lavoro, l’ indifferenza al piacere, la rassegnazione, la
fruga- lità, la mansuetudine, la libertà dello spirito, r
incuriosità, la serietà, la generosità. Non vedi quante cose puoi
acquistare, dove certo non ha luogo la scusa dello esserci disadat-
to, e tralasci per colpa tua? 0 è ella forse la tua mala disposizione
natu- rale quella che ti sforza a mormo- rare, a star neghittoso, a
piaggiare, ad accagionare il corpo, a lusingare, a millantare, a
passare per tanti e tanti turbamenti dell’animo? No, per gli Dei !
Da lungo tempo tu potevi esser libero da tutto cotesto ; ma solo
avevi a cuore, se pur l’avevi, di non farti scorgere per uno ottuso
e di poca penetrativa! E questo [Antonino ancora si vuol correggere col
por mente alle cose, e non istar sopra pensiero, nè compiacerti
nella tua propria infingardaggine. V’ ha chi, quando ha prestato
un rpialclie servigio ad alcuno, è pronto anche a domandargliene il
contrac- cambio. Un altro non domanda con- traccambio veramente, ma
riguarda colui come suo debitore nel suo se- greto,, e sa quello
che lia fatto. Un terzo poi, non sa, per cosi dire, nè anclie
quello che ha fatto, ma so- miglia ad una vite che ha portato un
grappolo, e non cerca nulla più in là, messo eh’ ella ha fuoià il
frutto a lei proprio. Il cavallo die ha ga- loppato, il cane che
lia ormato, l’ape che ha fatto il miele, e cosi Tuomo 1
Intonili: e questo t/t/'cf/o ancora si vuol nondimeno correggere, quello
cioè dell’ es- sere ottuso e di poca penetrativa. Il testo in
questo luogo, e nelle linee che precedo- no, è molto ellittico e poco
chiaro, e diversamente spiegato dagli interpreti. che ha prestato un servigio,
non Lschiamazza,' ma passa atl altro, co- me passa la vite a portar
di nuovo un grappolo d’ uva nella stagione. — S’ha egli adunque ad
essere un di coloro che fanno il bene, per così dire, senza
saperlo? Sì Ma convien pure che 1’ uom sappia quello che fa : sendo
proprio dell’ animai sociabile il conoscere ch’egli opera so- cialmente,
e, per Giove, il votere che anche colui, con chi egli ha a fare, lo
conosca. Tu di’ il vero: ma non. pigli pel lor verso lo mie parole;
quindi sarai anche tu un di coloro di che ho fatto menzione quassù.
Perchè anche essi son tratti in errore da una qualche apparenza di ragione.
Ma se vorrai intendere che cosa è quello eh’ io dico, vivi si- curo
che non avrai a lasciare indie- tro nessuna azione sociale per
questo. Cioè non dee schiamazzare, ma passuire ad altro ecc. Preghiera
degli A.teniesi: «Pio- vi, piovi, o amico Giove, sui campi degli
Ateniesi e sui prati. )> 0 non s’ha da pregare, o così alla
buona s’ ha da pregare e con libertà di parole. Come s’ usa di dire,
Esculapio ordinò a colui il cavalcare, o il ba- gnarsi nell’ acqua
fredda, o l’andare a piè nudi, si dice del pari, e con locuzione
non diversa, la natura or- dinò a colui una malattia, una stor-
piatura, una perdita, o altro simile. In quella prima frase, di fatti,
la parola « ordinò » vuol dire assegnò la tal cosa a colui siccome
correla- tiva alla salute; e in questa, i casi che avvengono all’
uomo gli sono as- segnati, in un certo modo, come correlativi al
destino. Così ancora si dice « i casi (die avvengono a come son
dette dagli artefici « avvenii*si » le pietre quadre nelle mura o
nelle piramidi quando elle s* adattano l’ una air altra secondo un
disegno deter- minato. Perchè del tutto l’armonia è una. E siccome
di tutti i corpi presi insieme è composto il gran corpo del mondo,
cosi di tutte le c,ause prese insieme è composta la gran causa del
fato. Intendono ciò eh’ io voglio dire anche i più rozzi, quando
dicono : * ella è toccata a lui. Adunque ella andava a lui, adunque
era ordinata per lui. Riceviamo per- tanto gli ordinamenti della natura
come facciamo quei d’Esculapio. Anche in questi v’ ha molto dell’ amaro,
e pur gli accettiamo di buon grado per la speranza della sanità. Or
be- ne, r adempimento di ciò che la natura ha voluto sia lo stesso
per te che la tua sanità. Accetta di buon grado, per dura che ti paia,
ogni cosa che accade,- pensando che ella conferisce alla sanità del
mondo e [Vale a dire: « itiostrauo di intendere....» quando dicono
ecc. al buon successo dei disegni di Giove. Perchè ella non sarebbe
venuta a qualcheduno, se non fosse conve- nuta al tutto: sendo
questo il pro- prio d’ogni natura, e poni anche la più infima, che
quanto ella arreca sia sempre acconcio al governato da iei. Per due
ragioni adunque dèi tu aver caro ciò che accade: Tuna, che questo
accade a te, è ordinato per te, ha attinenza in un certo modo con
te, essendo stato conde- stinato di lassù con te dalla più an- tica
delle cause e dalla più veneran- da; l’altra, che quanto tocca in
sorte a ciascuno, concorre, come causa par- ticolare, alla
prosperità, alla perfe- zione, e, sto per dire, alla perma- nenza
istessa del reggitore del tutto. Perchè diventa mozzo l’intero
quando tu tronchi via un minimo che, sia dalla continuità delle
parti, sia dalla concatenazione delle cause. E tu lo tronchi,- per
quanto sta in te, e lo distruggi, per così dire, quando ti corrucci
di quel di’ è accaduto. Non dèi indispettirti, nè per- derti d’
animo, nè impazientirti teco stesso, se la non ti riesce cosi per
be- ne ogni volta il governarti secondo i retti principii in quello
che tu fai; ma, uscito di via, ritornarci; quando la maggior parte
delle tue azioni sono passabilmente degne d’un uo- mo,
contentartene; ed amare quello a che ritorni ; ritornando alla
filosofia, non come ad un pedagogo, ma come un eh’ abbia mal
d’occhi alla spugna ed all’ uovo, un altro al cataplasma 0 alla
doccia. Così non ti darà più fastidio il dovere ubbidire alla ra-
gione, ma anzi troverai in quella il riposo. E ricordati che la
filosofia vuole quello solamente -che la tua natura vuole; e che
sei tu quegli il quale volevi altro, che non era se- condo natura. Ma
pure, che v’ha egli di piii liisingliiero? E il piacere, non t’ inganna
egli appunto perchè è lusinghiero? Ma vedi se non fossero cosa più
lusinghiera la magnanimità, la libertà, la sempli- cità, la
bonarietà, la santità. Quanto alla prudenza poi, v’ ha egli cosa
più lusinghiera di quella? se tu badi allo andar esente da ogni
fallo e all' avere a seconda ogni cosa, che è il proprio della virtù
comprensiva e intellettiva? Le cose stanno immerse, per cosi dire,
dentro a un buio tanto folto, che a filosofi non pochi, e non dei
più volgari, elle son parate del tutto incomprensibili. E gli
stoici essi medesimi tengono che elle sieno - comprensibili sì, ma
difficilmente: e che ogni nostro assentimento sia mal certo;*
perchè, dove è fuomo [Questa ed altri Inoghi dei Ricordi provano che
gli Stoici dopo Crisippo venivan.<»i facondo sempre più scettici, ed
aveano essi medesimi il sentimento della debolezza scientìfica della loro
scuola. che non si sia mai ricreduto? Prendi quindi a considerare gli og-
getti in sè stessi; come poco dura- no, come poco valgono, come
possono - cader nelle mani d’ un bagascione, d’ una cortigiana, d’
un malandri- no. “- Passa ai costumi degli uomini con chi tu
vivi; il più gentile dei quali appena si può tollerare, per non
dire che appena v’ ha fra loro chi possa tollerar sè medesimo. In
tanta caligine adunque, in tanto lez- zo, in un tal flusso continuo e
della materia e del tempo, e del moto e di quanto è in moto, qual
cosa v’ ab- bia mai che meriti la nostra stima, o anche pur solo la
nostra premura, io noi so immaginare nè vedere. Che anzi ci bisogna
confortar noi medesimi con 1’ aspettativa della dis- soluzion naturale,
e non adirarci dell’indugio, ma acquietarci in que- ste sole due
cose : T una, che nulla mi può accadere che non sia secondo la
natura dell’ universo ; l’ altra, che è in mia potestà il non far
nulla contro il Dio e il Genio mio. Perchè nissuno y’ ha che mi
possa sforzare mai ad offenderlo. il. Che uso fo io ora della
mia anima? cpiesta interrogazione con- vien fare a sè medesimo in
ogni circostanza, ed esaminar sè stesso, che v’ ha egli ora in
quella parte di me la quale è detta sovrana? e che sorta d’ anima è
ella ora la mia? Non è un’ anima di fanciullo? o di gio- vinetto? o
di donnicciuola? di tiran- no? di giumento? di fiera.* 12
Quali sieno quelli die al volgo })aion beni, tu il potrai conoscere
anche da questo. Chi ha preconce- pito nella mente, qual bene,
alcuna di quelle cose che sono un bene davvero, come, per esempio,
la prudenza, la temperanza, la giustizia. la fortezza, non può,
sincliè un tal concetto gli dura, pre^star più orec- chio a chi
venga a dire in sulla scena, «Tanta ho di ben dovizia .... eco. I
perchè questo ripugnerà al bene al (juale egli pensa. Ma chi ha
precon- cepito alcun dei beni volgari, ascol- terà ed accoglierà
con piacere sic- come arrecato a proposito, quello che il comico
dice. Così persino il volgo s’ accorge della differenza. Altrimenti non
rigetterebbe nell' un .de’ casi quel motto, che accoglie poi,’
siccome calzante e faceto, nell’altro, quando lo vede applicato alle ricchezze
o a quelle altre cose che fo- mentano la effemminatezza o l’am-
bizione. Fàtti innanzi adunque e domanda se si hanno da stimare e
1 Verso di tm autor comico, che dovea esser famigerato in sul
teatro a quei tem- pi; il senso del quale, benché Tautore noi citi
intero, appare dall' ultime linee di que- sto paragrafo] da
riguardar come beni quelle cose rispetto alle quali può molto
accon- ciamente venir soggiunto, che al possessor loro, per la
soverchia ab- bondanza, non riman più luogo ove fare i suoi
agi. 13. Sono un composto di causa e di materia. Ora nè
questa nè quella non è per ridursi a nulla mai; co- me neppure non
è venuta dal nulla. Adunque ciascuna parte di me di- venterà per
via di mutazione una qiìalche parte del mondo, e quella poi ancora
un’ altra parte del mon- do, e così all’ infinito. Da una simi-
gliante mutazione ho avuto io resi- stenza, e la ebbero i miei genitori,
e così risalendo, sino ad un^altro in- finito; perchè nulla osta
che si fa- velli a questo modo, quand’ anche vogliamo stabilire che
il mondo si regga a periodi determinati.' 1 Allusione alla c
conflagrazione del mondo » domma Eraolitico, la quale doveva accadere. La
ragione e V arte ragionativa sono facoltà che si contentano uni-
camente di sè medesime e delle operazioni lor proprie. Piglian le
mosse dal principio peculiare a loro ; vanno dirittamente al fine
proposto; ondechè son nomate catortosi le azioni di cotal sorta,
significando col nome la rettitudine della via. Non è da dire che
sia dell’uo- mo nessuna di quelle cose che non ispettano all' uomo
in quanto uomo. Non sono punto requisiti dell’uomo, nè le promette
la natura dell’ uo- a certi tempi, e distruggersi allora
tutto r ordine esistente delle cose, per dar luogo ad un nuovo. Fu
accettato dagli stoici ante- riori, modificato e cangiato dai posteriori
: tra i quali non volle decider nulla Antonino. Vedi X, 7: . . .
«por essere consumato ivi dal fuoco, se T universo va soggetto a
con- flagrazioni periodiche, o per servire con vicenda perpetua al
rinnovamento di lui s'egli dura eterno o incorrotto. Beota effectio appo
Cicerone, lib. Ili de Fin., cui vedi. Ciò che in questo § è no-
mato catortoei è l'aziono conforme al dovere, ed è voce solenne alla scuola.
lYio o attende complemento da quel- le. Adunque non istà nè anche
in loro 11 fine dell’uomo, nè iLbene. per conseguenza, che è parte
inte- grante del fine. Ancora, se alcuna di queste coso spettasse
all’ uomo, non ispetterebbe a lui il dispregiarle o r opporsi ad
esse ; nè sarebbe lo- devole chi mostrasse non averne bisogno; nè
sarebbe buono chi se ne disdice alcuna, se buone elle fossero,
f^ppure, quanto più Tuoino si priva di queste cotali cose, o so-
stiene d’ esserne privato, tanto più buono è tenuto.' IG.
Quali saranno i tuoi pensieri abituali, tale sarà la tua mente:
perché si tigne dai pensieri la men- te.^ Tignila adunque con l’
abitudine ' Dunque queste cotali cose non sono veri beni per
l' uomo in quanto è uomo, cioè ragionevole. [Questa conclusione è sott'
intesa]. [Demostene più di una volta nelle sue Filipj iche disse che
quali sono le azioni in (li pensieri come questo, per esempio:
Dove si può vivere, quivi si può anche ben vivere. Nella corte si
può vivere; adunque anclie nella corti; si può ben vivere. K come
quest’ altro: Una cosa eh’ ò fatta a contem- plazione d' un’ altra, è
fatta per qucl- r altra; se è fatta per quell’ altra, a quella ò
portata; se a quella c por- tata, quivi è il suo fine; se quivi è
il suo fine, quivi è anche il suo utile e il suo bene. Adunque il bene
del- r animai ragionevole è la comunità; sendo dimostrato già da
lunga pezza che per la comunità siam nati> O non era evidente
forse, che gli es- seri men degni son fatti a contem- plazione dei
più degni, e i più de- gni, a contemplazione gli uni degli altri?
che gli esseri animati son più degni che gli inanimati, e i ragio-
nevoli più degni che gli animati? cui sogliono versare gli uomini,
tali soglio- no pur essere i sentimenti deU’animo loro, Andar dietro all’
impossibile è cosa da stolto. Ora è impossibile che i malvagi non
facciano cose di questa sorta. Nulla accade a nessuno, che egli non
sia nato per sopportare. Le stesse cose accadono a un altro, il
quale, o ignorando eh’ elle sieiio accadute, o volendo dar a divedere
grandezza d’ animo, sta inaltérabile e non se ne duole. Tristo a noi,
se la ignoranza o il rispetto umano avran più forza che la
prudenza. Le cose, per sè stesse, non toccano l’ anima punto; nè
hanno accesso all’ anima; nè posson volger r anima nè muoverla. Si
volge ella e si muove da per sè sola; e quali sono i giudizi di che
ella si reputa degna, tali ella fa che sieno per lei gli oggetti
che le stan presso. Cioè, quali io le vedo fare a costui, ora. Cioè a
dire: «quali sono i giudizi che Per un riguardo, l’ uomo è
di quelle cose che ci toccano il più strettamente, in quanto
convien far del bene agli uomini e sopportarli; ma in quanto si
oppongono alcuni alle azioni debite, diventa per me cosa indifferente
1’ uomo, non meno che il sole, non meno che il vento, non meno che
le bestie. Dalle quali cose può benissimo venir impedita una
qualche azione; ma la volontà, ma la disposizione interna non in-
contrano impedimento mai, per l’ ec- cezione ‘ con che l’anima
accompagna i suoi conati e pel rimovere, eh’ ella fa, l’ostacolo.
Perchè l’anima ha facoltà di rivolgere al suo scopo ogni cosa che
s’ opponga alla attività di lei; e serve quindi ad un’ azione ciò
che impediva quella certa azione, e ella stima degno di sè il fare
delle cose esteriori, cotali ella fa che per lei sieno le dette
cose. diventa una via ciò che le sbarrava quella certa via. Di
quanto v’ lia al mondo, onora r eccellentissimo. L’ eccellentissimo
ò quello che si vale di tutto il resto e che tutto il resto governa. E
così ancora, di quanto v’ ha in te, onora l’eccellentissimo. L’eccellentissimo
in te è quello che v’ ha in te di congenere a quel primo. Di fatti
esso si vale in te di tutto il resto, e da esso è governata la tua
vita. Quello che non offende la città, non offende il cittadino. Ad
ogni pensiero di offesa che ti paia aver ricevuto applica questa
regola; se la città non è offesa da costui, non sono offeso nè
anche io. Che se la città è offesa, non conviene adirarsi, ma
insegnare ‘ a chi l’ha offesa dove sta il mancamento. * Do il
mio pieno voto alla correzione dello Schultz, preceduto dal Gatakero,
ben- ché questi non sapesse così bono porro al suo luogo le pardo
scadute. Considera sovente la rapidità con die passa e si dilegua
tutto quello che esiste e che nasce. Per- chè la materia, a guisa
d’ un fiume, è in un flusso perpetuo; le azioni, in uno
avvicendarsi continuo ; le cause, in mille determinazioni di-
verse; nulla, per cosi dire, che stia; e questo infinito che presso
presso t’incalza, del passato e del futuro, è un abisso dentro al
quale si spro- fonda ogni cosa. Come adunque non è uno stolto chi,
fra questi termini, si gonfia, o si travaglia, o guaisce, per cosa
che minimamente il mo- lesti, come s’ ella avesse pure a du- rare
un buon tratto di tempo? Pensa a tutta quanta la materia, della quale per
una minima parte partecipi; e a tutta quanta la età, della quale un
breve e momen- taneo intervallo ti è assegnato; e all’ universale
destino, del quale che parte aliquota sei? /Ucuno pecca. A me che
fa? Tocca a lui il pensarci; sua è la volontà, sua 1’ azione. Io ho
adesso quel che la natura comune vuol che adesso io abbia, e fo
quello che la natura mia propria vuol che adesso io faccia. La parte
sovrana e dominante deir anima tua stia salda ai moti della carne,
o sien piacevoli o in- grati, e non vi partecipi, ma circo- scriva
sè stessa e tenga confinate nelle membra quelle passioni. Che se
elle penetrano ciò nondimeno sino alla mente, per la simpatia in-
volontaria che han fra loro le parti d’ uno stesso tutto ; allora, al
senso, che è cosa naturale, non -si vuol tentar di resistere; ma si
guardi la parte sovrana dallo aggiungervi del suo r opinione che
quello sia un bene od un male. Vivere con gli Dei. E que- gli
vive con gli Dei, il quale di con- tinuo appresenta loro T anima
sua disposta di tal maniera che élla si contenti di quanto le vien
distribui- to e faccia quanto vuole il Genio cui Giove distaccò da
sè stesso e diede a lei per reggitore e per guida.* Questo è la
mente e la ragione di ciascheduno. T’adiri tu con quello che
sa di caprino? T’adiri tu con quello a cui pute la bocca? Che vuoi
tu che ci faccia? Egli ha la bocca a quel modo, egli ha le ascelle
a quel modo, di necessità debbono uscirne esala- zioni a quel modo.
Ma, odo chi dice, r uomo ha la ragione, e può scorgere,
rillettendo, in che pecca. — Egregiamente. E anche tu, dunque, hai
la ragione ; eccita, con la disposi- zione razionale, in lui la disposizione
razionale; ammaestralo; ammonisci- lo. Perchè, s’egli ti ascolta, lo
gua- rirai, e non c’ è più uopo di collera. 28. ' Nè eroe di
tragedia, nè putta. Come fai conto di vivere uscito di qua,^ puoi vivere
in quello stesso modo anche qua. Che se non tei permettono, allora
esci pur anche <lalla vita: ma come quegli a cui non incontra
nulla di male. C’è del fumo qua, io me ne vado. Perchè stimi questo
gran cosa? Ma sin- [Queste parole nella vulgata stanno alla
fine del § precedente; ma, se non sono cor- rotte, debbono essere
separate e formare da por sè sole un paragrafo. 2 Cioè, non
camminar sui trampoli, e non istrascinartì per terra: non tanto alto
da parer gonfio o affettato, non tanto basso da muovere a schifo
altrui. Cioè, dalla corto. Allude, secondo che ci avverte il Gata- kero,
al proverbio :« tre esserle cose che ci caccian fuori dì casa; il fumo,
il pioverci dal tetto, e la moglie astiosa.» Vuol dun- que che r
uomo esca di vita con quella in- differenza con che uscirebbe dalla
camera dove vi avesse fumo. tantoché nulla di somigliante non mi
sforza a partire, me ne rimango libero, e nessuno m’ impedirà dal
fare le cose eh’ io vorrò ; e vorrò se- condo la natura d’un animai ragio-
nevole e sociabile. La mente dell’ universo ama la comunanza.
Perciò ha fatto gli esseri men degni in grazia dei più degni, e i
più degni ha conciliato gli uni con gli altri. Tu vedi come essa gli
ha subordinati, coordinati, dato a cia- scuno secondo il suo grado,
e ridotto a mutuo consenso i primi tra loro. Come ti sei portato
sinora con gli Dei, co’ genitori, coi fratelli, con la moglie, coi
figli, coi maestri, co- gli educatori, con gli amici, coi fa-
migliari, co’ servi; se, riguardo a tutti, puoi dire insino ad ora:
« Nè d’ opre mai nè di parole oltraggio A nullo io fea.*
» ' Omero, Odiss. Kanimenta per quali traversie sei passato e
quali hai avuto la forza di tollerare : e siccome è piena ornai per
te la storia della vita e termi- nato r incarico. Che cosa s’ è potuto
scorgere in te di bello; quanti piaceri e quanti dolori hai dispre-
giato ; quante occasioni di gloria hai negletto ; a quanti sconoscenti ti
sei dimostrato amorevole. Forse tutto il paragrafo sarà più chiaro,
e il pensiero di Antonino meno ambigua- mente espresso se diremo : <
Qual fosti infino ad ora verso gli Iddii, i parenti, i fratelli, la
moglie, i figlinoli, i maestri, gli educatori, gli amici, i servi? Puoi
tu dire, rispetto a tutti: nè d'opra mai, ni di parole oltraggio a
nullo io /«a ? De' passati tuoi casi e delle passate fortune, quante
hai saputo tollerare da uomo? Conchiuso per te oramai è il dramma
della vita, finita la parte che ti era assegnata. Ebbene, quante sono
le buone azioni che di te puoi ric-ordare? Quanti piaceri, quanti
dolori hai saputo disprezzare? quante cose stimate gloriose, * non
curare? a quanti ingrati essere bene- fico e amorevole?» In questo
paragrafo il Pierron ed altri dei migliori interpreti pre- sero
alcuni grossi granchi ; 1' Ornato intese Per qual cagione certe
anime inesperte ed ignare confondono esse una esperimentata e
sapiente? — Qual è dunque l’ anima esperimen- tata e sapiente?
Quella che sa il prin- cipio ed il fine, e conosce la ragione che
penetra la materia delle cose e governa, secondo cicli determinati,
per tutta la eternità 1’ universo. Oramai sei cenere, e schele-
tro, e un nome, o nè anco un no- me; e il nome è strepito e
rimbombo mero. Le cose di che si fa gran conto nella vita son
vuote, fracide, picciòle, cagnolini che si mordono, fanciullini
astiosi che ridono e poco stante guaiscono. E la fede, e la ve-
recondia, é la giustizia, e la verità, oc Air Olimpo, la terra
abbandonando Dalle vie spaziose.* » meglio di tutti ; ma
troppo fedele alla let- tera del testo, non fu chiaro abbastanza nello
esprimerne il senso. Esiodo, opere e giorni, v. 195. Sottin- Che
dunque ti può trattenere qui ancora? quando le cose sensibili sono
senza costanza nè sussistenza; gli organi del senso, ottusi- e pronti
a impressionarsi del falso; l’animuc- cfa * tua stessa, non altro
che una esalazione del sangue ; e 1’ aver fama appo cotali, cosa
del tutto vuota. Che dunque aspetti? Con pazienza il tuo qual eh’
ei sia o spegnimento 0 traslocamento. Ed intanto che quel- lo
viene, che cosa ti basta? Che altro, se non venerar gli Dei e bene-
dirli, beneficar gli uomini e soppor- tarli e astenerti con loro,^
ricordan- doti che quanto è fuor dei limiti del tuo corpicciuolo e
della tua aniinuc- cia non è nè in tuo potere nè tuo? tendi
un verbo, recaronsi o altro che più ti piaccia. P. t Per
antniuccta, intende* spesso Antonino il principio animale mero, comune
anche ai bruti, vedi la nota (6) in fino del volume. Cioè nelle tue
relazioni con loro. Tu puoi prosperar sempre, giacché puoi andar per la
diritta sempre, giacché puoi giudicare di- rittamente sempre ed
operare. Due proprietà son queste, comuni al- l’anima e di Dio ' e
dell’ uomo e d’ogni animai ragionevole: il non potere essere
impedito da altrui, e lo avere il proprio bene interamen- te
riposto nella disposizione interna e nella azione conforme alla
giu- stizia, senza che il desiderio arrivi più oltre. Comuni
all'anima e di Dio e dell'uomo. Secondo il concetto stoico Iddio ora un
corpo o un essere vivente ed eterno, non simile all' uomo, ma composto
tuttavia, come rnomo. d’anima e di corpo. L’unità del corpo divino
coll’anima divina ora per essi il mondo, e quindi si accordavano a
dire che Dio è il mondo, cioè la materia, dotata di una certa qualità e
forma, colla forza attiva in essa immanente. L'anima di Dio sarebbe
dunque questa forza attiva immanente nel mondo, cioè nel corpo divino. Se
cotesto non è malizia mia, ' nè azione procedente da malizia mia,
' nè riceve danno la società, perchè me ne do io fastidio? — E qual
dan- no per la società v’ ha egli? Non lasciarti portar via
dalla immaginazione al primo incontro; porgi aiuto altrui, sì, a
tuo potere e secondo l’ importanza .del caso, qiiand’ anche lo
scapito non sia se non di cose mezzane ; * ma guardati • dall’
immaginare che sia un danno. Perchè è una cattiva abitudine. Co- me
quel vecchio che nel partirsi domandava la trottola del suo allie-
vo, sapendo bene che ella era solo una trottola: così hai da fare
anche tu * sui rostri. L’uomo, hai tu dimenticato che
cose son queste? No. Mma costoro ne fanno gran caso. E per questo hai da
diventare stolto anche tu ? ® Dovunque il colga la morte,
uomo avventurato. E avventurato vuol dire che ha dato buona ventura a sè
stesso ; e buona ventura sono i buoni moti dell’ ani- mo, le buone
volontà, le buone azioni. La materia delle cose è ar-
rendevole e piglia volentieri ogni forma. E la ragione che 1’
ammini- stra non ha in sè nessuna causa di mal fare, non avendo
malizia, e non fa (juindi male a nulla, nè nulla è dannificato da
lei. Ed ogni cosa av- viene ed ha compimento per essa. Non ti
curare che tu stia al freddo o che tu stia al caldo, quando fai il
tuo dovere; che tu caschi di sonno 0 che tu abbia a sufficienza
dormito ; che te ne venga biasimo o che te ne venga lode ; che tu
muoia, o che tu attenda ad un’ altra azione qualunque. Perchè ella
è anche una delle azioni pertinenti alla vita, quella per cui si
muore; e basta anche quivi, per conseguenza, ben disporre del
presente. 3. Vedi addentro; nè la qualità propria di nessuna
cosa nè il valore ti sfugga. Tutti gli oggetti in brevissimo
tempo si mutano; ed o avvampe- ranno, se la materia è unificata, o
si disperderanno. 5. La ragione governatrice sa bene
con qual intenzione e che cosa opera, e su qual materia. 6.
Il miglior modo di vendicarsi d’ una ingiuria è il non rassomigliare
a chi r ha fatta. D’ una sola cosa prendi piacere, è di quella ti
soddisfa; del passare dall’ una azion sociale all’ altra azion
sociale,* ricordandoti di Dio. < Intendi per aziono sociale una
aziono utile alla comunità dogli uomini, e qual si conviene ad un
animalo socievole qual è r uomo. La parte sovrana è quella che
eccita e volge sè medesima; che fa sè quale ella vuole,* e fa parere
a sè quali ella vuole tutte le cose che aw^engono. 9.
Secondo la natura dell’ universo ogni cosa si fa; non potendosi
fare secondo una qualche altra natura la (piale 0 conterrebbe in sè
quella, o sarebbe contenuta in quella, o sta- rebbe separata al di
fuori di quella.* 10. 0 confusion d’ ogni cosa, ac-
cozzamento d’atomi, e disperdimen- to; o unità nel tutto, ordine,
prov- videnza. Se- il primo supposto ha luogo, come desidero io di
rimanere [Cioè che ha il potere di modificare sè stessa come ella
vuole. Se contenesse in sè la prima, non sa- rebbe più questa la natura
universale, ma r altra; se fosse contenuta in essa, quel che si
farebbe secondo lei sarebbe fatto, a fortiori, secondo l' altra: e se
stesse sepa- rata al di fuori, ci sarebbe qualche cosa fuori dell*
universo, il che è assurdo. più .a lungo in un guazzabuglio di quella
fatta e lordume? Che altro mi debbe star a cuore che il « diven-
tare terra a qualunque modo? » E di che mi turbo io? Verrà il
disperdi- mento a me, checché io mi faccia. Ma se è vero il secondo,
adoro il reggitore dell’universo, e in lui sto fermo e
confido. Quando vieni sforzato punto punto dalle circostanti cose a
tur- barti, rientra subitamente in te stes- so, e non istar fuori
del ritmo ’ pili di quello che la necessità ti costringa. Perchè ti
farai più valente nella misura col ritornare ad essa di con-
tinuo. 12. Se tu avessi la matrigna e la madre nel tempo
istesso, alla prima faresti onore, ma torneresti pur non- dimeno
sempre accanto alla madre. Cotali son per te la corte e la filo-
[Paragona la vita alla mimica. 0. Ifarco Aurelio sofia: torna
sovente alla seconda e in essa ti riposa, la quale fa a te
sopportabil la corte, e te sopportabile in quella. Come ti fai concetto di
tale o tal altra vivanda, dicendo teco stesso: è un cadavero di
pesce, è un cadavero d’ uccello o di porco ; e del falerno, è succo
di grappoletti d’uva; e della porpora, son peluzzi di pecora intinti
nel sangue d’ una conchiglia; e del congiugnimento, è attrito di
membrane ed escrezione di moccio con un po’ di spasmo ; come tu
giudichi allora, penetrando col concetto sino alle cose esse mede-
sime e rappresentandole nella es- senza loro quali sono; così hai
da fare in tutte le occorrenze della vita; e quando le cose ti si
fanno innanzi con molta appariscenza, denudarle, e scorgerne la
bassezza, tolto che avrai d' intorno a loro la pompa onde si fan
magnifiche. Imperocché gran madre illusioni è la boria; e quando tu
credi più fermamente eh’ elle sieno serie le cose a cui attendi, allora
sei più affascinato. Vedi che cosa dice Cratete di Senocrate
stesso.’ Le cose che il volgo apprezza sono per la maggior parte di
estremo genere ed infimo, di quelle cioè che dall’ abito (0) o
dalla natura son go- vernate : pietre, legni, fichi, viti, ulivi,
(rii uomini un po’men rozzi tengono in pregio quelle che son
governate dall’anima: greggio, per esempio, e mandre. Gli uomini
ancor più còlti, quelle che son governate dall’anima ragionevole;
non tuttavia in quanto è universale, ma in quanto è arti- ficiosa
o, come che sia, ingegnosa. 1 StìTiocrate tu discepolo di Platone,
e famoso per P austerità del suo carattere, (guanto al Cratete qui
menzionato, ignorasi ^se fosse il filosofo Cratete di Atene, oppure
il cinico di Tebe; come ignorasi pariraentn qual fosse il detto a cui si
acceuna in que- sto luogo. P. Digilized by Google
1 m2 ricordi. V od anche senza relazione a
nulla, ' come il possedere semplicemente una moltitudine di
schiavi.* Quegli poi che fa stima dell’anima ragione- vole
universale e sociale, non si cura delle altre cose più punto; ma si
studia di consolidare in istati ed in moti conformi alla ragione e
volti al bene della società 1’ anima sua, ed aiuta il suo congenere a
far lo stesso. Una cosa s’affretta a nascere, iin’ altra a
venir meno, e di quella stessa che nasce ima qualche parte è già
spenta; il flusso e l’alterazione ringiovaniscono ad ogni ora il
mondo, come lo scorrere non interrotto del tempo fa sempre nuova 1’
eternità. Tn tal fiumana di cose che vengono e passano, che v’ ha
egli che altri 1 Intendi che costoro ameranno possedere* nn
gran numero di schiavi come i detti pocanzi ameranno possedere nna mandra
numerosa. debba aver caro, quando ,su nulla può' far fondamento? Gli è
come se imprendesse ad amare uno degli uc- celletti che volano, e
quegli è già sparito via. La vita di ciascheduno è non
al- trimenti che una esalazione del san- gue o una respirazione
dell’aria. Pei> chè non v’ lia differenza, che tu tragga • a te
l’aria una volta e la renda, il che tu fai tuttodì, o che tu renda
tutta insieme colà d’ onde l’ hai tratta la facoltà respiratrice che ieri
o ier l’altro nascendo acquistavi. 16. Non il traspirare,
come le piante, è degno di stima, non il re- spirare, come i
giumenti e le bere, non il. ricevere impressioni nella fantasia,
non Tesser mosso dagli ap- petiti, non l’adunarsi in branco, non il
nutricarsi ; cosa non dissimile dal mandar fuori il soverchiò del
nutri- mento. Che è degno di stima adun- que? lo strepito? No. K per
conseguenza nè anche lo strepito delle lingue. Ora le acclamazioni del
volgo non sono altro che strepito delle lingue. Anche la gloriuzza
hai posto adunque da banda. Che rimane, che s«i degno di stima? Il
muoversi, pare a me, e il ristarsi * secondo il prin- cipio della
propria costituzione, al che conducono ancora le arti e le culture
diverse. Perché ogni arte ha questo per iscopo, che il formato da
lei sia acconcio alPopra per la quale è formato ; e il vignaiuolo che
coltiva la vite, e il cavallerizzo, e il canat- tiere, cercano pur
questo. E le educazioni, e le scuòle, a che tendono ? Questo adunque è il
degno di stima. E se questo vien condotto a bene, non occorre
procacciar più altro. — Non finisci di stimare ancora molte altre
cose?* Nè libero adunque sarai 1 L'operare e il non operare.
0. ^ Cioè, non cesserai dallo avere in pre- gio molte altre
cose? tu mai, nè bastevole a te, nè
im- passibile ; perchè ti sarà mestieri invidiare, ingelosire,
sospettare chi ti può tórre le cose che stimi, mac- chinar contro a
chi le ha; in fine, conturbato convien che sia chi d’ alcuna di
quelle è privo, ed ol- tracciò, che mormori contro agli Dei bene'
spesso; laddove la riverenza della propria mente e la stima ti farà
accetto a te medesimo, accomo - devole agli uomini e consonante
agli Dei,* io voglio dire, contento di tutto che essi
distribuiscono e di tutto che hanno ordinato. Air insù, all’ ingiù,
a cerchio intorno, son le mosse degli elementi. La virtù non si
muove in nessuna ^ cDi modo che ciascheduno che procac- cia
di desiderare e fuggire solamente quello che è da essere desiderato e fuggito,
pro- caccia al tempo medesimo di esser pio.» (Epitteto, Manuale,
traduz. di G. Leopardi. Vedi tutto questo capitolo del Manuale. di
queste guise, ma in una certa sua più divina, e per via mal
compren- . sibile procedendo va di bene in meglio. Che cosa è mai
quel che fanno ! Ai loro contemporanei, che insieme con essi
vivono, non voglion dar lode ; ed essi medesimi poi agognano di
aver lode dai posteri i quali non videro mai, nè vedranno. Gli è
come se tu ti dolessi del ' non aver lode anche da’ tuoi
antenati. Non ogni volta che una cosa è malagevole a te, hai da
credere però eh’ ella sia impossibile all’uomo ; anzi, ogni volta
ch’ella è possibile all’ uomo e dimestica, credi eh’ ella è
conseguibile anco da te. Nell’ esercizio della lotta al- . cuno
talora ci graffia, o venendoci addosso ci percote malamente col
1 Merico Casaabono cita qui, siccome un bel comento a questo §, il
cap. XXVIII del libro di Giobbe, che vuol leggersi tutto intero. capo.
Ma noi diamo a divedere, e non ce ne tenghiamo olfesi, nè stiamo in
apprensione di lui quindi innanzi, come se ci insidiasse ; ce ne
guardia- mo, sì, ma non come da nemico, nè con. animo sospettoso;
lo scansiamo con piacevolezza. Questo medesimo s’ha da fare in
tutte le altre parti della vita: molte cose lasciar correre, come
tra persone che lottano. Per- ch’egli si può, come ho detto, schi-
vare altrui, e non averlo però a so- spetto nè odiarlo.Se altri mi può
convincere e far capace eh’ io penso ed opero non rettamente, di
buon grado son per ricredermi; perchè io cerco la verità, la quale
non noeque mai a nessuno. Nuoce bensì altrui il li- manere nell’
inganno e nell’ ignoranza propria. Quanto a me, io fo 1’ ufficio mio; le
altre cose non me ne distolgono ; perchè o sono inanimate, o irragionevoli,
o vanno errate e non conoscon la via. 23. Gli animali
irragionevoli e le cose in generale a te sottoposte, quando esse
non han la ragione e tu r hai, usa senza riguardi altera- mente;
gli uomini, che han la ra- gione, usa come vuol la legge di com-
pagnia. In ogni cosa poi, invoca gli Dei. E non curarti del più o
men tempo che tu durerai a far cotesto : perchè bastano anche tre
sole ore cotali. 24. Alessandro il Macedone e il
mulattiere di lui si ridussero, moren- do, alla medesima stregua.
Perchè, o furon ricevuti ambidue nelle stesse ragioni seminali del
mondo,' o si dispersero del pari in atomi. Pensa quante cose, in un
medesimo istante, dentro a ciascuno * Nel caso che sia vero il
sìsteina ato- mistico di Epicuro. di noi han luogo, relative al
corpo nello stesso tempo ed all’ anima ; e non istupirai che molte
più, anzi tutte quelle che avvengono, coesi- stano simultanee in
quel tutto ed uno a cui diamo il nome di mondo. Se
qualcheduno ti domanda come si scriva il nome d’ Antonino,
proferirai tu forse con isforzo di voce ogni sillaba? E se quegli
s’adira, t’adirerai alla tua volta anche tu? Non annovererai tu
piuttosto, pa- catamente procedendo, l’una dopo l’altra le lettere?
Cosi hai da fare anche adesso. Ricordati che ogni ufficio* consta
di certi numeri; col- r osservare i quali, e non col tur- barti, e
non coll’ adirarti con chi s’adira, arriverai direttamente al fine
, proposto. 27. Come è crudele il non per- mettere agli
uomini che seguano quel che sembra a loro convenevole ed utile? E tu
noi permetti, in un certo modo, quando ti corrucci del loro
fallire. Perchè del tutto e’ non vi si indifcono se non in quanto
il credono convenevole ed utile a loro. Ma non è così. Dunque
ammae- strali e falli capaci, senza corruc- ciarti. 28.
La morte è una pausa alla im- pressione dei sensi, allo stimolo
degli appetiti, al discorrer della mente èd alla servitù verso la
carne. È un vituperio che in quella vita dove non ti s’è stancato
ancora il còrpo, ti si sia stancata innanzi tempo r anima. Bada
a non incesarirti,* a non imbrattarti; chè cosi suole avvenii-e.
Conservati adunque semplice, buono, ^ Intendi : sebbene tu sia
stato adottato nella famiglia dei Cesari, bada a non t«cc- sarirli,
cioè cadere nei costumi viziosi di molti dei Cesari o imperatori che. ti
hanno, preceduto. intemerato, grave, ingenuo, amico del giusto,
pio, mansueto, amorevo- le, saldo nell’ adempire al tuo ufficio.
Combatti per mantenerti tale, quale ti ha voluto fare la filosofìa.
Venera gli Dei, fa’del bene agli uomini. Breve è la vita; e l’unico
frutto di questa esistenza terrena è la santa disposi- zione deir
animo e 1’ opere indiriz- zate al comun bene. Ogni cosa da vero
discepolo di Antonino:* quel suo vigor costante in ciò che operava
secondo ragione, e 1’ umor sempre uguale, e la santità della
condotta, e la serenità del volto, e la soavità dei modi, e il
dispregio della vana gloria, e l’ ardore nel voler compren- der le
cose'; e come non avrebbe lasciato andar nulla mai, ch’egli non
avesse ben bene considerato in prima e chiarito; e come sopportava
quelli che si dolevano di lui ingiustamente, < Antonino
Pio, suo padre di adozione. senza ridolersi egli di loro; come non faceva
mai nulla in furia ; come non dava adito ai delatori; come era
diligente esploratore dei costumi e delle azioni, non maldicente nè
te- mente i rumori, non sospettoso, non sofistico; come si
contentava di poco, in materia . d’ abitazione, per esempio, di
letto, di vestito, di cibo, di servidori; come era operoso, lon-
ganime, e di tal tempra da poter durare in uno stesso luogo sino
alla sera, senza aver uopo, per la fruga- lità del vitto, nè anche di
uscire ai bisogni del corpo fuor dell’ ora con- sueta; e la
costanza e il tenor sempre uguale nelle amicizie ; e il sopportare
che altri contraddicesse con libertà di parole al suo parere, e
rallegrai’si quando glien era mostro un migliore ; e come era
religioso senza supersti- zione; affinchè, con una buona coscienza pari
alla, sua, tu incontri come egli incontrò l’ultima ora. Esci dall’
ebrezza, ritorna in te; e cacciato via il sonno, e veduto ch’eran
sogni quelli che ti turba- vano, risvegliati una seconda volta, e
guarda le cose della vita come tu guardavi quelle altre. Son composto di
un corpicciuolo e d’un’ anima. Al corpicciuolo tutte le cose sono
indilferenti; non potendo egli nè manco far differenza. Air anima
sono indifferenti tutte Qui r Ornato volea fare una nota, come è
indicato nel manoscritto, ma non la fece. Verosimilmente egli volea
gìnstiiicare e il- Instrare la sna interpretazione di questo luogo,
alquanto diversa da quella degli altri interpreti. La traduzione letterale
di tutto il § è cEsci d'ebrezza, richiama te stesso; e cacciato via
il sonno, e veduto che eran sogni quelli che ti turbavano, desto
una seconda volta, guarda queste cose, co- me tu guardasti quelle altre. Intendi anima razionale, la quale per
gli Stoici non era altro che ragione e vo- lontà, esclusa la sensibilità
appartenente solo airantmwccta, mero principio animale comune anche
ai bruti. quelle che non sono azioni di lei. E quelle che sono azioni di
lei, stantìo tutte in balia di lei. E di queste an- cora, quelle sole
che riguardano il presente. Perchè le azioni future e le passate
sono pure indififerenti per lei. Il lavoro non è cosa contro
natura nè per la mano nè pel piede, sintantoché il piede fa le cose
del piede, e la mano le cose della mano. . Quindi non è nè anche
cosa contro natura per V uomo, in quanto uomo, fìnch’egli fa le
cose dell’uomo. E se non è cosa contro natura per lui, non è nè
anche per lui un male. Quanti piaceri non godono i malandrini, i
bagascioni, i parricidi, i tiranni? Non vedi come gli artisti mec-
* canici condiscendono bene in .qual- Sottintendi ; € hanno
importanza per lei. che cosa agli imperiti, ma non seguitai! meno
però la ragione del- l’arte, e da quella non si vogliono
distaccare? Non è ella una vergogna che l’architetto e il medico
abbiano più rispetto per la ragion dell’ arte loro propria, che l’
uomo per la sua, la quale egli ha in comune con gli dei? L’Asia e l’Europa son cantucci del
mondo; tutto il mare, una goc- ciola del mondo ; l’ Athos, una
zolletta del mondo ; ciascuno degl’istanti pre- senti del tempo, un
punto dell’ eter- nità. Tutto è piccola cosa, mutabile, peritura.
Tutto vien di colà, da quella mente comune, o voluto da lei, o per
concomitanza.* E quindi la gola del leone, e il veleno, ed ogni cosa
ma- lefica, come le spine ed il loto, sono un accompagnamento e
quasi una produzion necessaria di quanto v’ha d’eccelso e di bello.
'Non immaginai ti adunque che sien cose aliene da quello che tu
veneri; ma pensa alla sorgente del tutto. Chi ha veduto le cose d’
adesso, ha veduto tutte le cose, quante per gl’ infiniti secoli
furono e per gli jiltri infiniti saranno ; perch’ elle son tutte d'
uno stesso genere e d’ uno stesso coloi'e. Considera sovente la
concate- nazione di tutte le cose nel mondo e la relazione dell’
una all’altra. Per- di’ elle son tutte intrecciate, dirò così, r
una colf altra, e tutte, per (piesto motivo, amiche l’ una del-
l’altra. Di fatti all’ una vien sempre dietro 1’ altra ; del che è
cagione iJ moto tonico e consenso di tutte e r unità della rnateiia
prima. Alle cose che ti sono date in sorte, ti devi adattare; e gli
uomini, coi quali hai comune la sorte, li devi amai'e, ma amar veramente.
Uno strumento, un ordigno, un arnese qualunque, se è atto, a tutto
quello per che è stato formato, va bene; ancorché non ci sia più
chi r ha formato. Ma negli esseri governati dalla natura è
immanente dentro e continua la virtù che li formò; per lo che
conviene ancor più venerarla, e stimare .che, ove secondo il voler
di quella tu viva, sia per riuscirti secondo il tuo in- tento ogni
cosa. E questo ò quello che succede all’ universo, che gli riesce
secondo il suo intento ogni cosa. il. Quale che sia la cosa
dove tu riponi il tuo bene o il tuo male, s’ ella è una di quelle
che non di- pendono dalla tua volontà, di neces- sità debbe
accadere che, incorrendo tu in quel male, o non conseguendo quel
bene, tu accusi gli Dei, e che tu odii inoltre gli uomini, i quali
ti saran causa, o i quali tu sospetterai avere ad esserti causa del
non conseguir 1’ uno o dell’ incorrer nel- l’altro; e molte
iniquità, certo, com- mettiam noi, per non essere indif- ferenti a
siffatte cose. Ma se noi tenghiamo per beni o per mali quelle cose
soltanto che dipendono da noi, nessuna causa rimane più nè di ac-
cusare Iddio, nè di stare in ostilità verso l’uomo. ANBEDUE COOPERIAMO AD
UN MEDESIMO FINE. Gl’uniscienti e intelligenti, gl’altri alla cieca; per
modo che anche i dormienti, come disse Eraclito, se non erro,
lavorano e COOPERANO a ciò che si fa nel mondo. L’ uno ci lavora in una
guisa, l’altro in un’altra; e ancorché senza suo prò, ci lavora e
coopera anche colui che si va querelando e fa prova ' Vedi il
§ 16 di questo medesimo libro. Con questo § finisce il volgarizzamento
del- r Ornato, e col § seguente incomincia il volgarizzamento rifatto da
me. di resìstere e distruggere l’opera altrui: perchè anche di questi
ha bisogno il mondo. Rimane dunque che tu vegga nel novero di quali
tu ti vuoi porre : perchè chi governa il tutto, saprìi ben valersi
di te in ogni modo, ricevendoti in questa o in queir altra banda
de’ suoi lavora- tori e cooperatori. Se non che hai da badare che
tu non sia tal parte della brigata, qual è del dramma quel povero e
ridicolo verso di cui parla Crisippo. Il sole vuol egli fare le
veci della pioggia? o Esculapio quelle di Cerere? E gli astri non
hanno essi i loro uffici diversi, ciascuno il suo, 1
Plutarco {de comm. adv. Stoicot) cita le parole di Crisippo, alle quali
allude Anto- nino: «In quel modo che le commedie hanno talvolta dei
versi ridicoli e facezie che non hanno alcun valore in sè, ma giovano
non- dimeno all'effetto generale del poema; pa- rimente il vizio è
certamente riprovevole in sè, ma non è inutile a tutto il rimanente
delle cose.» ma COOPERANTI AMBI AD UN MEDESIMO FINE? Se gli Dei hanno
deliberato intorno a me ed alle cose che deb- bono incontrarmi,
hanno bene deli- berato e provveduto : perchè un Dio senza senno e
improvvido non pos- siamo neppure immaginare. E farmi del male, per
qual motivo l’ avreb- bero essi voluto? Qual pio ne sa- rebbe
venuto ad essi o al tutto di che prendono sì gran cura? Che se non
hanno deliberato intorno a me in particolare, essi hanno al certo
deliberato universalmente intorno a tutto il complesso delle cose.
Io debbo quindi accettare e aver caro tutto che mi accade, come
conse- guenza necessaria di quella loro ge- nerale determinazione.
Che se poi non pensano nè provvedono a nulla (è una empietà il
crederlo ; o vera- mente non facciam più sacrifici, nè preghiere,
nè alcuna di quelle cose che suppongono presenti gli Dei e viventi
con noi); ’ se, dico non pen- sano nè provvedono in. alcun modo a
niuna delle cose mie; posso io almeno pensare e provvedere a me
stesso: e mio primo pensiero debbe essere di conoscere in che
consiste Futile mio. Ora egli è utile ad un essere qualsivoglia ciò
chcs è con- forme alla costituzione e natura di lui. La mia
costituzione è ragione- vole e socievole: la mia società e la mia
patria, come Antonino, è Ro- ma; come uomo, è il mondo. Ciò solo
adunque che giova a queste due patrie, ò utile a me. Ciò che
avviene a ciascheduno, è utile al tutto. Questo solo basta. Ma tu osserverai
ancora, so tu ci badi, che per F ordinario ciò che succede ad un
uomo, è utile an- cora agli altri uomini. Intendo ora ^
Intendi: «che suppongono la presenza J e la provvidenza divina.» r utile nel senso volgare, cioè attri-
buendo utilità alle cose medie. Quello effetto che fanno in te gli
spettacoli degli anfiteatri e di simili luoghi, chè per essere sem-
pre le medesime cose, ti rechi a noia il vederle, quello effetto
me- desimo facciano in te tutte le cose della vita: perchè esse
sono, dalla cima al fondo, sempre le stesse, e nate sempre dalle
stesse. K fino a quando adunque? Non cessare di
rappresentarti al pensiero uomini’ trapassati di ogni fatta 0 di
ogni sorta di condizioni, discendendo anche a Filistione, a Febo e
a Origanione;* passa di poi ad altri generi di viventi. Colà dob- I
Conferisci III, li, o la nota ivi. P. * Vi fu un Filistione poeta
comico, con- temporaneo di Socrate; vi fu ancora un Filistione di
Locri, il quale era medico, e da alcuni creduto autore dei libri
sulla dieta che fanno parte della collezione ip- pocratica. Quanto
a Febo e Origanione ci sono al tutto incogniti. biamo andare anche noi
dove sono iti tanti valenti oratori, tanti gravi filosofi,
Eraclito, Pitagora, Socrate; tanti eroi prima di loro, tanti capi-
tani dopo, tanti tiranni; e insieme con loro Eudosso,* Ipparco,*
Archi- mede, altri acuti ingegni, uomini magnanimi, laboriosi,
scaltri, arro- ganti, beffardi, schernitori di questa povera vita
di un giorno, siccome fu Menippo,* ed altri simili a lui. Pensa che
tutti costoro sono spenti. II celebro matematico discepolo di Pla- tone,
il cui sistema è esposto nel XII della Metafisica di Aristotele ; e che
insieme cou Speusippo assorbì tutto il Platonismo nella teoria dei
numeri. A lui si applica, non meno che a Speusippo,!' osservazione di
Ari- stotele: «la matematica è divenuta tutta la filosofia del
nostro tempo. [Matematico contemporaneo di Tolomeo Filadelfo, nato in
Nicea] [Filosofi» cinico nato a Gadara, dal quale un certo genere di
satiro che furono dette Menippee: orasi beffato dei filosofi e
delio loro dispute scrivendo con uno spirito e una vena
inesauribile, che gli fu invidiata, come pare, anche da Luciano. da gran
tempo. Ora che male per essi? che male per coloro dei quali non
resta pure il nome? Solo una cosa è qui da avere in gran pregio : r
osservar sempre la veracità e la giustizia, comportandoci benevol-
mente anche verso i bugiardi e gli ingiusti. 48. Quando
vorrai rallegrare te stesso, rappresentati al pensiero le migliori
qualità degli uomini coi quali tu vivi: per esempio, l’ope- rosità
efficace di questo, la vere- condia di quello, la liberalità di
quel- r altro, e cosi via via. Perciocché non è cosa che tanto
rallegri, quan- to le sembianze della virtù espres- se nei costumi
delle persone colle quali viviamo, e quanto più esser possa,
accumulate e frequenti. Vuoi- si dunque averle pronte alla me-
moria. 49. Ti quereli tu del pesare solo cotante libbre e non
tre cento? Così non ti querelare dello aver a vivere solo tanti anni
e non più. Come ti tieni per pago e lieto della quantità di materia
che ti fu assegnata, così accontentati del tempo. Fa’ prova di
persuaderli ; ma non lasciar di operare anchh mal- grado loro,
quando ragione di giu- stizia il richieda. Che se altri ti
impedisce colla forza, volgiti alla rassegnazione, e serba la
serenità dell’anima, facendo uso di quello impedimento per l’
esercizio di un’al- tra virtù.* E ricordati che tu vuoi
condizionalmente,* e che non si ri- chiede da te r impossibile. Ora
che si richiede adunque? Una cotale de- terminazione di volontà. E
questa [ La volontà giusta è solo scopo e ter- mine di sè
medesima, sia o non sia ella efficace, cioè a dire, sia o non sia
seguita dall' effetto esteriore, il che dipende dalle circostanze
esterne. tu l’hai: il fine a cui sei venuto nel mondo è conseguito. L’ambizioso
ripone il ben suo nell’ azione altrui; il voluttuoso nelle proprie
passioni ; ' il savio nella sua propria azione. Io posso astenermi
dal fare concetto alcuno intorno a ciò, e non turbarmene 1’ anima.
Non le cose, ma noi siamo gli autori dei nostri giudizi.
53. Fa’ di avvezzarti ad ascoltare senza distrazioni ciò che altri
dice, e ad entrare quanto più puoi nel- l’animo di chi
favella. Ciò che non giova allo sciame, non giova neppure alla
pecchia. Quando i naviganti mormorano contro al nocchiero, o
gli infermi. Meno stoicamente direbbesi nel soddisfacimento delle proprie
passioni, » cioè nel piacere procurato da questo soddisfaci- mento.
Perchè il piacere stesso è per gli Stoici una passione, un patire e non
un agire dell' anima. Di contro al medico,' qual motivo può
moverli a ciò se non se il modo con che il medico e il nocchiero
procacciano la sanità e la salvezza loro? 56. Quanti di
coloro, coi quali io venni al mondo, se ne sono già andati! Agli
itterici sembra amaro il miele, l’acqua è spaventevole al- r idrofobo,
pel fanciullo è bellissimi una palla. A che dunque mi adiro? Stimi
tu men potente una falsa opi- nione che la bile nell’itterico, o il
veleno nell’idrofobo? Niuno può recarti impedimento al vivere
secondo la legge della tua natura; nulla accaderti contro la legge della
natura comune. Che è il vizio? è ciò che tu spesso hai veduto. E ad
ogni acci- dente che t’ intervenga abbi apparecchiato questo pensiero,
che è cosa da te spesso veduta. Su e giù, a dritta e a manca
troverai pur sem- pre le stesse cose, di che sono piene le antiche
storie, le mezzane e le moderne; di che ora son piene le città e le
case. Nulla di nuovo : tutto consueto e di poca durata. La fede nei
domini come può venir meno se non se collo spegnersi di quei
pensieri che sogliono ali- mentarla? i quali sta in te jl ride-
«^tar di continuo. Posso pensare di una cosa quel che ne debbo pensare
: se questo è in mia facoltà, a che mi turbo? Ciò che è fuori
ilella mia mente, non ha nulla che fare colla mia mente. Fa’ di
essere cosi dispo- sto e sei ritto. Il risorgere sta in poter tuo :
vedi di nuovo le cose a quel modo che tu le vedevi: sarà il tuo
risorgimento.' 3. Pompe, trionfi, vani apparati, drammi che
si recitano in sulla sce- na, greggi, armenti umani, scara- mucce,
ossicciuolo gittate al cagno- lino, tozzo di pane ai pesci nel
vivaio, affanni e lavorar di formiche,, discor- rimenti qua e là di
topi spaventati, fantoccini mossi da un filo. È mestieri assistere
a codeste cose con viso benevolo e non burbero, ma non però dimenticare
che tanto vale cia- Pare che ad Antonino in un momento di sconforto
sombrasse aver perduta la fede nei domrai della filosofia. E si conforta
a ri- cuperarla. Bello e profondo paragrafo, stoi- camente
considerato. scuno quanto vaglion le cose cui dà le sue cure. Conviene
por mente parola per parola a ciò che si dice, e atto per atto a
ciò che si fa. E veder tosto nell’ una cosa qual è lo scopo ; nel-
l’altra, qual è il significato. 5. Basta, o non basta il mio
in- gegno a proccurare questo effetto? Se basta, io ne fo uso come
di uno stromento che la natura dell’ universo mi diede. Se non basta,
ove non osti il dover mio, lascio fare r opera a chi può condurla a
fine meglio di me; ovvero io la fo co- me posso, giovandomi
dell’aiuto di tale, che possa, scorto dal mio pro- prio consiglio,
recare ad effetto ciò che è utile ed opportuno alla co- munità.
Perchè questo deve esser sempre il fine di ciò che io faccia, sia
da per me solo, sia coll’aiuto altrui: l’utile e il convenevole al
comune. 6. Quanti lodatissimi sono già stati dati all’oblio!
e quanti che li loda- rono sono scomparsi, già è gran tempo!
7. Non ti vergognare dell’essere aiutato. Tu ci sei per fare quello
che tocca a te, come un soldato ad una battaglia murale. Ora se tu,
offeso in una gamba, non potessi solo salire in sui merli, e ti
venisse fatto col- r aiuto di un compagno? Non ti mettere affanno
delle cose future. Tu arriverai ad esso, se il dovrai, recando teco
quella mede- sima ragione di che fai uso nelle cose presenti.
D, Tutte le cose sono reciproca- mente collegate fra loro; sacro è
il legame che le unisce, e niuna cosa può dirsi estranea ad
un’altra. Esse sono tutte coordinate insieme e con- corrono ad
ornare lo stesso mondo. Perchè uno è il mondo che è formato di esse
tutte, uno Iddio che penetra tutto, una la materia prima, una la
legge, una la ragione comune a tutti t?li esseri intellettivi, una la
verità: . essendo pur anche una sola la perfezione di tutti gli esseri
congeneri e partecipi della stessa ragione. Presto svanisce ogni
corpo, risolvendosi nella sostanza universale ; presto svanisce ogni causa,
rientran- do nella ragione universale; e la memoria di ciascheduna
cosa è presto inghiottita nell’abisso del tempo. Per l’animale
ragionevole, la stessa azione che è secondo natura, è anche secondo
ragione. Se non sei ritto, dirizzati. Quella relazione che hanno
fra loro le membra del corpo nell’ ani- ' male individuo,
hanno fra loro gli esseri intelligenti nel corpo collet- tivo della
società: tutti sono fatti per cooperare insieme ad uno scopo comune. E
per meglio ricordartene avrai cura di ripetere . spesso a te
medesimo: io sono un membro del sistema degli esseri intelligenti.
Ma se tu di’ solamente : io sono una parte, tu non ami ancora di
cuore gli uomini ; il beneficarli non è ancora per te cosa che per
se me- desima ti diletti e ti contenti : tu il fai tuttavia per
pretto dovere, non perchè tu senta di beneficare ad un tempo te
stesso. Accada che vuole al di fuori a quelle parti che possono
ricevere nocumento da cotali accidenti : se ne dorranno esse che
patiscono,’ se il vogliono. Quanto si è a me, ove io non faccia
concetto di siffatti ac- cidenti come di un male, non ne ricevo
nocumento veruno. E sta in mia facoltà il non fare cotali concetti. Che
che altri faccia o dica, a ine conviene essere uomo dabbene: per appunto
come se V oro, o la porpora, o lo smeraldo dicesse : che che altri
faccia o dica, a me conviene essere smeraldo, e avere il mio pro-
prio colore. 16. (7) La parte sovrana non dà mai noia a sè
stessa, vale a dire, non è mai cagione nè di tristezza, nè di
timore, nè di concupiscenze a sè stessa. Se altro v’ ha che possa moverla
a ciò, vi si adoperi. Quanto a lei, operando razionalmente, non
sarà mai a sè stessa cagione di cotai moti. Provveda il corpo, se può,
al non avere a soffrire; e se soffre, lo dica. Quanto si è
all’animuccia, nella (filale veramente cade la tristezza e il
terrore, basterà solo che la parte ove si formano i giudizi* del
terribile [Animuccia ; intendi il principio della
&dìoi&1o e del tristo, non dia luogo a quelli: essa
animuccia non ha attitudine a formare giudizi cotali. La parte sovrana,
considerata in sè, non ha mai manco di nulla, ove ella non venga
meno a sè stessa: e similmente non è mai turbata nè impedita, ove
non turbi o impedisca ella sè medesima. Beatitudine vuol dire
buon genio, vuol dire mente buona. Che fai dunque tu qui, o
immaginazione? Va’ via, te ne prego per gli Dei, vat- tene come sei
venuta: non ho bisogno di te. Tu sei venuta secondo l’usanza tua
vecchia. Non mi adiro teco ; ma vattene. 18. V’ha chi teme il
mutamento? Ma che può farsi mai senza muta- mento e trasformazione?
E che v’ha di più caro, di più proprio e consueto alla natura
dell’universo? E puoi tu stesso prendere un bagno se le legna non
si trasformano? puoi tu nutrirti, se non si trasformano i cibi? E
v’ha egli alcuna delle altre cose necessarie alla vita che possa
elfettuarsi senza trasformazione? Non vedi tu dunque che il dovere
tu ancora essere tras- formato, va del pari con tutte le altre
trasformazioni,, ed è parimente necessario alla natura dell*
universo? 19. Per entro la sostanza dell' uni- verso, come
per entro a un torrente, passano tutti i corpi connaturati a
(jiiello, siccome sono connaturate a noi, e cooperano con noi le
nostre membra. Quanti Crisippi ha già inghiottiti il tempo, quanti
Socrati, quanti Epitteti! Lo stesso sovvengati (l* ogni altro uomo,
o cosa qualsi- voglia. 20. Una sola cosa mi turba : la
tema di far cosa che la natura dell’ uomo non voglia, o come essa
non voglia, o quando essa non voglia. 21. Presto avrai tutto
obliato, e presto ancora sarai obliato da tutti. È proprio dell’
uomo l’ amare anche colui che ci offende. Il che ti verrà fatto se
tu penserai che egli è pur tuo congiunto,^ che ha peccato per
ignoranza e suo malgrado, che fra poco sarete morti ambidue, e so-
pra tutto che egli non ti ha nociuto: perchè non fece peggiore che
olla prima si fosse la tua parte sovrana. La materia comune di tutte
le cose è nelle mani della natura universale, come la cera in quelle
dello scultore.^ Ora ella ne fa un cavallo, poi, rifusa la materia
del cavallo, ne fa uso alla produzione di un albero, poi a quella
di un omiciattolo, poi a quella di qualche altra cosa, e ciascuna
di queste cose dura un brevissimo spazio di tempo. Ma e'non è oggi
più tremendo pel forzierino r essere sconficcato e disfatto, che
non fu ieri 1’ esser fatto. Il quale si serve di essa cera per fare
i modelli delle sue statue. II livore in sul viso è cosa contro natura,
da che spesso vi al- tera anche il colore che naturalmente 10
abbellisce, e che alla fine vi si spegne in modo da non potervisi
più ravvivare. Questo ti provi che è cosa eziandio contro ragione:
perchè se anche la coscienza del peccare si perde, qual motivo di
più vivere? Tutte le cose che vedi, già già le viene mutando la natura
reggitrice del tutto, la quale ne farà altre della materia loro, e
poi altre della ma- teria di queste, affinchè il mondo sia sempre
giovane. Quando altri ti offende in che che sia, considera
tosto qual cosa egli abbia dovuto estimare come un bene o come un
male perchè fosse così mosso ad offenderti. La qual cosa scorto che
tu abbia, tu avrai compassione airuomo,*e cesserai dal maravigliarti
e dallo adirarti. Perdiè o tu stesso stimerai tuttavia come un bene
o come un male quella medesima cosa od altra somigliante ; e allora
gli si vuol perdonare; o tu farai altra estimazione ch’egli non
fece, e più facilmente benigno sarai a chi travide malgrado suo. Non
pensare alle cose che tu ancora non hai come se tu gȈ le avessi.
^Ma facendo piuttosto il no- vero delle più comode tra quelle che
liai, sovvengati quale studio porresti in procacciarle se tu non le
avessi. Bada nondimeno che questo tuo averle in grado non ti venga
avvez- zando a stimarle in modo da turbar- tene poi quando elle ti
mancassero. 28. Ravvolgiti in te stesso. La parte sovrana e
ragionevole dell’ uomo ha natura tale che basta a sè quando agisce
rettamente e sa trovare in ciò la sua quiete. 29. Cancella le
immaginazioni, raffrena gli appetiti, circoscrivi il pre- sente del
tempo. Conosci ciò che accade a te e ad altrui. Dividi e ri- solvi
ne’ suoi elementi, la parte causale c la parte materiale, ogni
oggetto di appetizione o di aver- sione. Pensa all’ ultima ora.
Lascia stare il peccato altrui colà dove ò nato. no.
Segui col pensiero le altrui parole. Penetra coll’ acume della
mente nelle cose che si fanno e nel- r animo di coloro che le
fanno. 31. Adornati di verecondia, di sem- plicità e di
indifferenza verso tutte le cose che non sono nè virtù nè vizio.
Ama il genere umano : obbe- disci a Dio (9). Tutto le cose, disse
colui, si fanno secondo una legge immutabile. 0 gli Dei, o gli atomi. Ma
basta il ricordare che tutto si fa [Cioè a dire : o v' ha una
provvidenza divina, o non v' ha, secondo il sistema ato- mistico di
Epicuro. secondo una legge. Ma troppo è anche il poco già detto.
Quanto alla morte, o e.ssa à un disperdimento, se la vita ò
un accozzamento fortuito di atomi o altra aggregazione qualsiasi
(10) ; ovvero essa è uno spegnimento, ovvero un
traslocamento. 33. Quanto al dolore, se è intol- lerabile, ti
uccide; se dura, è tollera- bile : e la mente conserva la sua tran-
quillità se si raccoglie in sè stessa: e la parte dominante non si è
fatta peggiore. Quanto alle parti che sono offese dal dolore, ce lo
dicano se il possono. Quanto alla gloria, vedi le menti loro,
quali cose fuggono e quali cose ricercano. E ancora, che a quel
modo stesso che gli strati di arena novel- lamente gittati in sul
lido ricoprono i precedenti; similmente nella vita le cose nuove
ricoprono, sovrappo- nendosi, per così dire, ad esse, e fanno
dimenticare quelle a cui succedono. Di Platone: Ad uomo di eccelsa
mente, al quale sia dato di abbracciar col pensiero tutta la serie
dei tempi e l’ università degli esseri, credi tu che la vita sia per
sembrare un gran che? Impossibile, disse quegli. E la morte, per
conseguenza. non sarà punto stimata da lui una tremenda cosa. — No certo.
» Di Antistene: Operar bene ed essere lacerate è cosa da
re. È vergogna che il volto ubbidisca
alla mente e si componga ed assesti come ella vuole; e che la mente
poi non sappia comporre e«l assestar sè medesima. Contro le cose lo
adirarsi è vano, Ch'esse non se ne curano. 1 Fiat. Rep. lib. VI. P.
2 Lacerato, intendi, dai maldicenti. Plutarco negli Apoftegmi attribuisce
questo detto ad Alessandro. P. 3 Tratto dal Bellorofonte,
tragedia per- duta di Euripide. E gli immortali e noi di te fa lieti. Mieter
la vita Come spica matura, e morir l' uno, E viver T
altro. Sedimeuède’niieiglilddii non curano, Ciò pure ha sua
ragione. Che il bene e il dritto è dalla mia. Non pianger con altrui nè
esultare. (Di Platone). A chi mi favellasse
in colai guisa, potrei con giu- stizia rispondere: Tu erri dal
vero, o amico, se tu credi che un nonio di qualche vaglia debba,
quando im- prende a far che che sia, computare le probabilità dello
avere a morire 0 a vivere ; e non piuttosto conside- rare
unicamente se ciò ch’egli im- t Nel testo è un verso esametro, ma
igno- rasi onde 1' abbia tratto Antonino. P. 2 Due versi
dell' Isipile, tragedia perduta di Euripide. II primo di questi due versi
è citato anche al § 6 del lib. XI, come verso di un tragico ; ma il
nome del poeta non è noto. Di Aristofane negli Acarnesi. P. 5 I §§
44 e 45 sono tratti dall’ Apologia di Socrate; il § 46 dal Gorgia] prende
a fare sia giusto od ingiusto, se azione da uomo dabbene, o da tristo.
Perchè così è veramente, o Ateniesi : quale che sia il posto che altri
scelse nell’ordinanza, giudicatolo il migliore, o in che sia stato
collocato dal capitano; egli vi dee perseverare, secondo che mi
pare, e sostenervi tut- ti i pericoli, non avendo in conto di nulla
la morte ne altro checchessia, in paragone della disonestà e vergo-
gna che sarebbe lo abbandonarlo. Ma bada bene, o valentuomo,
che altra cosa non sia la gentilezza, d’animo e la virtù, ed altra il
pro- cacciare salvezza asèe ad altrui; e che ufficio deir uomo,
dico chi voglia essere uomo veramente, non sia per avventura,
anziché lo ingegnarsi di campar lungo tempo avendo cara sopra ogni
altra cosa la vita, il ri- mettersene piuttosto a Dio; e pre-
stando fede a ciò che dicono le fem- mine. essere inevitabile il destino
di ciascheduno, studiare il modo di vi- vere, il più virtuosamente
ch’ei può. quel tempo che ha a vivere. Contemplai’e il giro degli
astri accompagnandoli, per cosi dire, nel loro corso; e ripensare
di continuo al perpetuo tramutarsi degli elemen- ti da una in altra
forma. Cotali pen- sieri purgano 1’ anima dalle lordure di questa
vita terrestre. 48. Bello è quel luogo di Platone: « Chi
ragiona* degli uomini, deve an- che osservare, come da un’ alta ve-
detta, tutte queste cose terrene : adunanze popolari, eserciti
campeg- gianti, agriculture, nozze, divorzi, nascimenti',’ morti,
strepiti di tribu- nali, contrade inabitate, varietà di nazioni,
feste, lutti, mercati, e que- sto miscuglio di tutti i contrari, e
l’ordine di questo miscuglio di che si compone il mondo. Questo brano di
Platone non si trova nelle opere che ci rimangono di lui. E’ giova il
rimembrare le cose che furono prima di noi: tanti mu- tamenti,
tanti e sì grandi rivolgi- menti di stati. Puoi anche conside- rare
le cose che seguiranno in futuro, perchè esse saranno pur sempre
ti’ un taglio, e non è possibile che escano mai del tenore usato
infino ad ora. Onde che tanto vale il ri- cercare gli eventi di che
si compone il vivere umano ^ in un periodo di t^uarant’ anni,
quanto in uno di dieci mila. Che potresti trovare di più? E questo. Ciò
die fu terreo torna alla terra ; Ciò die d’ etereo seme è
germoglio. Del deio etereo torna allo sfere. Che vuol dir ciò?
Separazione degli atomi terrei che erano insieme ag- gregati, e
somigliante separazione degli elementi attivi.^ ^ Intendi il
vivere dell' umanità, o non deir individuo umano. Gli elementi attivi
erano, secondo gli dE con cibi il torrente e con bevande £ con
incanti di stornar proccnra Perchè a morte noi tragga. Con quel
vento Che Dio ne manda navigar ci è d'uopo, £ non spargere
inutile lamento.» Pili valente nella lotta, ma non piò devoto al
ben comune, non piò verecondo, non piò indulgente e piò benevolo
verso il prossimo che ha peccato. Ogni volta che può condursi
a fine una impresa secondo i precetti della ragione comune agli Dei
e agli uomini, non hai nulla da temere: perchè dove sta in te lo
avvantag- giarti coir esercizio libero della tua operosità,
procedendo secondo la costituzione dell’ uomo, quivi non è luogo a
timore di avere a soffrire alcun danno. stoici, Paria e il
fuoco, con che intende- vano il freddo e il caldo; i passivi, la
terra e l’acqua. In ogni luogo e in ogni tempo è in tua facoltà lo
acconciarti di buon grado e con pia rassegnazione all’ evento che
ti occorre ; e il por- tarti con rettitudine verso gli uomini coi
quali ti trovi; e il vegliare dili- gentemente con quelli spedienti
che tu sai sopra ogni tuo pensiero pre- sente, affinchè non v’entri
inavver- titamente nulla che tu non abbia perfettamente
compreso. 55. Non andare investigando in qual modo credano di
doversi go- vernare gli altri,* ma guarda dritto ^ Non andare
investigando gli al- tri. Intendo: non curarti di ciò che le
menti degli altri approvano o disapprovano; bada dirittamente a ciò
che approva la tua. Noto questo perchè altri non creda essere il
qui detto da Antonino cosa contraria a ciò che disse in molti altri
luoghi, e segnatamente nell’ Vili, 61: entrare nella parte sovrana
di ognuno. Le sono due cose diverse. In quanto al tuo operare, non
badare a ciò che le menti degli altri prescrivono, bada a ciò che
prescri- ve la tua. In quanto ai giudizi che tu fai degli altri,
entra il più che puoi nelle menti loro, per vedere quai motivi li spingano.
allo scopo verso il quale ti scorge la natura universale per mezzo
degli eventi che essa ti manda ; e la tua propria natura per mezzo
dei doveri che essa ti impone. E dovere di cia- scheduno sono
quelle azioni che cor- rispondono al fine pel quale è stato
formato. Ora gli esseri non ragio- nevoli sono stati formati per gli
es- seri ragionevoli (come universal- mente tutte le cose che hanno
minor valore, per quelle che ne hanno un maggiore); e gli esseri
ragionevoli, gli imi per gli altri. Primo dovere adunque dell’
uomo, in conseguenza della sua costituzione, è di cooperare al bene
di tutti i suoi simili. Il se- condo è lo star saldo contro gli ap-
petiti e le affezioni del corpo : essendo proprio della forza razionate e
intel- lettiva il serbarsi pura e distinta, circonvallando, come a
dire, sè stes- sa,* e noh essere vinta mai dalla t Vale a dire che
non deve ammettere in forza sia sensitiva sia appetitiva. Per- chè
queste due forze sono animale- sche, e sopra di esse quella vuole
aver primato e signoria, e non la- sciarsi signoreggiare da esse. E
con ragione: quella essendo fatta per servirsi di queste. Terzo
dovere del- r uomo \i è il procedere cautamente ne’ suoi giudizi,
per non cadere in errore. A queste cose applicandosi la parte tua
sovrana, compia per la diritta via il suo corso; ed ha tutto ciò
che le spetta. Come se tu avessi dovuto mo- rire testé e fornito già
tutto il corso della tua vita; vivi secondo natuia (piei giorni che
ti rimangono, con- siderandoli come un soprappiù che tu non avessi
sperato.’ se alcuna mistura di elementi estranei alla sua
natura, . e apparir quindi distinta con taglio nettissimo da tutto ciò
che ha na- tura diversa dalla sua. [A quel modo che se ci trovassimo
al punto della Cari ti sieno quelli eventi soltanto che t’ incontrano, e
sono quindi come a dire contesti insieme collo stame della tua vita. Che
potresti desiderare di più accomodato a te? Ad ogni accidente che ti
occorre abbiti davanti agli occhi coloro ai quali incontrarono le stesse
cose; ed essi se ne adirarono, parve loro strano, se ne
querelarono. Ora dove sono coloro? In niun luogo. Perchè vuoi tu
dunque rassomigliar loro? e non lasci piuttosto a chi li vuole quei
moti alieni da te, e non badi unicamente all’ uso che devi fare
deir accidente intervenuto? Perchè tu ne farai buon uso, e ti sarà
nuova materia a virtuosamente operare, solo che tu intenda ad esser
uomo morte senza speranza di riaverci e consi- derassimo la
nostra vita trascorsa; ci dor- remmo di averla male impiegata, e
vor- remmo caldamente impiegarla meglio per l’avvenire, scampando;
cosi dobbiamo vo- lere ora ec. dabbene agli occhi tuoi propri, sia
qual si voglia la cosa che tu faccia ; e ti sovvenga di queste due
verità: im- portare assai quale sia l’ azione, e non importare nulla
in che cada razione. Guarda dentro di te. Ivi è la fonte del bene, la
quale non sarà esausta mai, solo che tu ci vada scavando di
continuo. 60. Anche il corpo, e nel cammi- nare e nello
stare, serbi un contegno egualmente alieno dalla avventatezza e dalla
mollezza. Imperocché siccome l’anima si rivela nel volto, imprimendovi un certo
che di assennato e di composto; così ella dee rivelarsi anche nel
rimanente del corpo. Ma ciò vuoisi fare naturalmente, senza che vi
appaia studio nè affettazione. La volontà giusta è per gli Stoici
solo scopo e termine di sè medesima, sia, o non sia ella efficace,
cioè a dire sia o non sia seguita dall' effetto esteriore, il che
dipende dalle circostanze esterne. La virtù sola è huona.essa sola
basta alla beatitudino. L’arte del vivei e virtuosamente rassomiglia
piuttosto all’arte della lotta che a quella della danza, in quanto
bisogna essere apparecchiati ad ogni accidente non preveduto, e
saldi per non cadere. Non cessare di recarti a mente le qualità di
coloro dai quali vorre- sti essere lodato, e quelle delle menti
loro. Così non ti avverrà di trascor- rere all’ ira contro uomini che
fallano malgrado loro, nè ti curerai dell’es- sere da loro lodato o
biasimato, ve- dendo qual sia la fonte onde moiVono i giudizi loro
e le loro azioni. Non per sua elezione, dicea quegli, ma sempre
malgrado suo, è l’anima umana priva del vero.' E [La sentenza
è di Platone, ed è citata anche da Epitteto (Dissert.), il quale nomina T
autore. Nel Sofista parti- colarmente, Platone intende a provare
che r ignoranza è sempre involontaria, e che sempre malgrado suo è
1’ uomo privo della cognizione dèi vero. parimente malgrado suo è priva
della giustizia, della temperanza, della mansuetudine e di tutte le
altre cose cotali. Sommamente importa che tu r abbi sempre a mente
: sarai più mite c be_nigno inverso di ognuno. Oi. In ogni
caso di dolore abbi apparecchiato questo pensiero, che non è cosa
disonesta, non tale da far peggiore la mente che ti gover- na:
perocché non le nuoce nè in quanto ella è ragionevole, nè in quan-
to ella è socievole. Nel maggior nu- mero dei casi troverai soccorso efficace
anche in quel detto di Epicuro: il dolore non esser mai nè intollerabile
nè di lunga durata, solo che tu non lo ingrandisca colla tua im-
maginativa, nia lo vegga ne' limiti suoi naturali. Avverti ancora
che molte cose ci muovono ad atti di impazienza senza quasi che vi
ponghiaino mente, le quali non sono pur altro che dolore: siccome
lo aver sonno quando vorremmo veglia- re, r essere travagliati dal
caldo, o r avere inappetenza. Ora quando tu sostieni malvolentieri
alcuna di que- ste cotali cose, di’ a te medesimo che tu hai ceduto
al dolore.* 65. Bada a non comportarti mai verso i disumani,
come i disumani si comportano verso gli altri uomini. Come sappiamo
noi che Telauge, quanto alle disposizioni dell’animo, non soprastasse a
Socrate? [Intendi che non basta reggere ai dolori gravi, ma conviene
saper vincere anche i leggieri: coi quali sovente non ci pigliani
briga di combattere, perchè la loro piccio- Iczza fa che non ci badiamo;
o ci troviamo vinti senza accorgercene. In quei casi, dico r
autore, di’ a te stesso: « ho ceduto al do- lore: » qnasi volendo, col
rammentare quel nome, che è il vero, faro a sò stesso parere più
gravo il caso,o destare cosi la sua attenzione. [Filosofo del quale Eschine
Socratico diede il nome ad uno de' suoi dialoghi]. Imperocché non basta che la morte di
Socrate sia stata più famosa, nè eh’ egli abbia fatto prova di mag-
giore sagacità nel disputar coi sofisti, di maggiore fortezza col pas-
sare la notte in sul ghiaccio, di più nobile coraggio col disobbedire
al comando di andare a prendere quel- r uomo di Salamina,' nè eh’
egli camminasse per le vie con altero contegno : la qual cosa
sarebbe mas- simamente da considerare quando fosse vera. Ma
vorrebbesi vedere quale intimamente fosse l’animo di Socrate. Se
egli potea contentarsi dell’ esser giusto verso gli uomini e [Quest’
nomo chiamavasi Leone e posse- dea grandi ricchezze. Delle quali i
trenta tiranni sperando poter fare lor preda, avea- no comandato a
Socrate che andasèe, ac- compagnato da altri quattro, ad
arrestarlo. Socrate, con pericolo della sua vita, disub- bidì al
comando. Questo fatto è ricorda- to nell’ Apologia di Platone, da
Eschine il Socratico, da Diogene Laerzio e da Epitteto. santo verso gli
Dei se non gli accadesse mai di adirarsi ciecamente contro il vizio, nè
di servire all’altrui ignoranza, nè di accogliere come strana o
incomoda o intollerabile veruna delle cose che gli venivano
compartite dal tutto,* nè di lasciare che la mente sua partecipasse delle
affezioni della carne. Cioè [8’ egli riponeva in ciò solo, nella santità
e nella giustizia, la sua felicità, Renza nulla desiderare di più. Da
queste parole di Antonino non bassi ad inferire che egli particolarmente
dubi- tasse della grandezza mórale di Socrate; ma esse vogliono
piuttosto esser prese in un senso generale, servendosi Antonino del
no- me illustre di Socrate, come di un esempio, por avvertire
quanto sia malagevole il giu- dicare del valore morale degli uomini
da alcune loro azioni esteriori, sieno buone o sieno cattive; e
come l’eccellenza morale non consista solamente nel compiere este-
riormente qualche grande atto di virtù, ma richiegga inoltre tutte quelle
disposizioni intime e abituali di cui fa la rassegna. Detto di Fociono. La
mente non fu dalla natura mescolata per modo e confusa in- sieme
col corpo che essa non possa distinguersi da esso e come a dire circonvallare
sò medesima, ed eser- citare libera signoria sopra ciò che è ‘suo;
sendo che possa darsi benis- simo che un uomo sia sommamen- te
buono, e che nissùno il vegga.' Questo abbiti a mente, e ancora,
che in pochissime cose consiste il vivere Ecco come intendo io
questo luogo: Noi conosciamo altrui dalle azioni e dalle parole, quindi sempre
per qualche organo corporeo, quindi dal corpo. Ora può benissimo immaginarsi
il caso che un uomo moralmente eccellente sia posto in tali condizioni, o per
malattia, o per estrema povertà, 0 altra forza esteriore, da non poter
usare in verun modo del corpo per compiere alcuno di quelli atti che sono
la manifestazione esteriore delle disposizioni virtuose deir animo. In
questo caso esse non potranno essere conosciute. E però quando Antonino
dice: «esercitare libera signoria sopra ciò che è suo, non vuol dire
sopra il corpo, ma sulle facoltà stesse della mente. felice. E per ciò
che tu abbia dispe- rato di dover essere mai eccellente nella
dialettica o nella fìsica, non disperare medesimamente di dover
esser libero, e verecondo, e socievole, e obbediente a Dio. Vivere non
vinto da alcuna forza esteriore e colla più grande contentezza
d’animo, ancora che tutti gli uomini schiamazzino a posta loro
contro di te, e le fiere mettano in brani le membra di codesta
conge- riedi carne e d’ ossa che ti è venuta crescendo intorno; sì'
tu lo puoi. E che v’ ha in fatti in tutti questi co [tali casi, che possa
impedire la mente tua dal serbarsi mai sempre imperturbata, dal fare
sempre giusta estimazione delle cose circostanti e uso ragionevole degli
accidenti che intervengono? Per tal modo che la tua facoltà giudicativa
dica all’ oggetto presente: « secondo T opinione tu sei altra cosa;
ma Tessere tuo vero, è cotale. E la tua facoltà operativa dica
immantinente all’ accidente in- tervenuto: « te appunto io cercava:
perchè io non ho altro intento che di operare razionalmente e
socievole mente, e tutto che accada me ne porge occasione, tutto
può essere materia ad esercitare questa virtù, quest’ arte umana e
divina. Perchè qualsiasi cosa che intervenga, ha qualche relazione di
convenienza o con Dio 0 con l’uomo, e può questi acconciarvisi, e non è
mai nuova nè dif- ficile, ma sempre nota e consueta, e facile 1’ uso
che hassene a fare. Perfettamente costumato è co- lui il quale vive
ciascun giorno come se quello fosse l’ ultimo. Non mai affannosamente
operoso, non neghittoso, non infinto mai. Gli Dei che sono
immortali, non indispettiscono d’ avere del continuo a tollerare, e per
tanta durata di tempo, tanti e cotali dappochi: ed oltre a ciò
prendono ogni cura di loro. E tu che oramai sei per finire, tu
rinneghi la pazienza, e quando sei tu medesimo uno di quel novero? È cosa
da ridere che l’uomo non voglia fuggire la propria malizia, il che
è possibile ; e voglia poi fug- gire la malizia degli altri, il che
è impossibile. Tutto ciò che la ragione speculativa e civile non
vede essere ragionevole e socievole, è da lei giu- dicato inferiore a sè
stessa. 73. Quando tu hai fatto del bene, ed altri abbia
ricevuto quel bene: ' che vai tu cercando, come gli stolti,
una terza cosa di più, cioè che si sappia aver tu fatto del bene, o
che te ne sia reso il contraccambio? Nissuno si stanca del
ricevere giovamento ; ed è a giovamento no- [Cioè del novero
di quei dappochi, anche per la ragione appunto che tu non sai tol-
lerarli, come sarebbe tuo dovere di fare. stro e d’ altrui ogni azione
conforme alla natura. Non istancarti dunque di giovare a te
medesimo col gio- vare ad altrui. La natura universale
produsse il mondo. Ora o tutte le cose che succedono nel mondo sono
conformi alla intenzione di quella; ovvero sa- rebbero
sragionevoli, cioè dilformi dalla detta intenzione, anche talune
delle cose principali che si fanno pel ministero particolare della mente
che governa il mondo. In molti casi sarai più tranquillo, se avrai questo
a mente. A ritrarti dal vano amore della gloria gioverà anche il
considerare come non è più in poter tuo il fare che tu sia vissuto
da filosofo tutta la tua vita, cioè insino dalla giova- nezza: clìè
anzi molti si ricordano di un tempo, e te ne ricordi benis- simo tu
stesso, nel quale tu eri lon- tano dalla filosofia. Sicché tu sei
contaminato: non è dunque più facil cosa per te V acquistar
rinomanza di filosofo, al che si oppone anche la condizione del tuo
stato. E però, se tu hai veramente scorto dove batta il punto,
lascerai da banda il pen- siero deir opinione che altri sia per avere
di te, e ti contenterai di vivere conforme alla tua natura quel rimanente
di vita che ti è concedu- to. Pensa' adunque che cosa vuole la tua
natura, e niuna altra cura ti distragga da ciò. Perchè tu sai bene
di quante altre cose hai voluto fare esperimento, e in nissuna di esse
hai trovato la beatitudine : non nei sillo- gismi, non nelle
ricchezze, non nella gloria, non nel godimento dei piace- ri, in
niun luogo, insomma. Dove sta essa adunque? nel fare ciò che
richie- de la natura dell’ uomo. E come farai tu cotesto? Lo farai,
se avrai credenze che sieno produttrici di quelle azioni. Quali
credenze? Quelle intorno ai beni ed ai mali : non essere bene per
Tuomo veruna cosa che non lo faccia essere giusto, temperante, forte e
libero ; nò male veruna cosa che non lo faccia essere il
contrario.» * Cioè non lo contamini dei vizi oppo- sti alle
dette virtù. Ad ogni tuo atto interroga te medesimo : che relazione ha
esso con me? Non avrò io da pentirme- ne? Ancora un poco e son
morto, e tutto è finito. Se ciò che fo ora, è conforme alla natura
di un essere intelligente, socievole e isonomo a Dio,' che cerco io
di più? Alessandro, Caio, Pompeo, che furono rispetto a
Diogene, ad Eraclito, a Socrate? Questi conobbero le cose, e le cause e
la materia loro; e la parte sovrana era in essi vera- mente
sovrana:’ ma quelli, che cosa ' Isonomo a Dio. Il lettore cui non
piacesse questo ellenismo, legga: «avente le stesse leggi che
Iddio. » Ma le espressioni isonomo, isonomia paionmi degne di essere
accettato anche nelle buone scritture italiane non meno che
isocrono, autonomo, autonomia, antino- mia ed altre simili. E parmi anche
che iso- nomo esprima qui T idea del testo meglio che qualunque
espressione italiana gli si potesse sostituire. Giulio Cesare. seppero
prevedere ? e di quante non furono schiavi? Credi pure che non
cesseranno di fare le' medesime cose quando pure tu avessi a
scoppiare predicando il contrario. In primo luogo non turbarti ;
perchè ogni cosa succede secondo la natura dell' universo : e tra breve
tu non ci sarai più in nissun luogo, siccome non ci sono più. nè
Adriano nè Augusto. Di poi affisando lo sguar- do nella cosa,* vedi
che è: e ram- mentando che ti bisogna essere uomo dabbene e quello
che richiede la natura dell’ uomo, fallo senza guardarti indietro,
e favella ciò che a te sembra esser giusto, ponendo mente soltanto
che questo tu fac- cia e dica sempre con amorevolez- za, con
verecondia e senza simulazione. Intendi la co»a che ti turba. Questa
faccenda ha la natura deH’universo : trasportare colà le cose che
sono qui, cangiarle, tramutarle da uno in altro luogo. Tutto è mutazione
; non però in modo che s’ ab- bia a temere nulla di nuovo.' Tutto è
cosa solita, ed anche tutto è distribuito egualmente. Ogni natura
qualsiasi è con- tenta di sè, quando procede libera nella propria
via. E la natura ra- gionevole procede libera nella sua via, quando
non- assente ad alcuna rappresentazione- falsa od oscura, quando
indirizza i suoi sforzi verso le sole cose che sono utili al comune,
quando nqn ischifa, nè ap- petisce se non cose che sono in nostro potere,
quando si accomoda (Secondo una correzione del Gataker, ac- cettata
dal Goral, vorrebbesi piuttosto tra- durre: «il tutto non è che un giro;
onde che non v' ha nulla di nuovo da temere. di buon grado ad ogni cosa
che le venga compartita dalla natura comune. Perchè essa è parte di
questa, a (juel modo stesso che la natura della foglia è parte
della natura della pianta: se non che la natura della foglia è
parte di ima natura senza senso e senza ragione, e che può essere
impedita; dove che la natura deir uomo è parte di una natura che
non è sottoposta a ricevere impedi- mento ed è intelligente e giusta
; poiché distribuisce egualmente, e secondo i meriti di
ciascheduno, i tempi, la sostanza, la causa, razio- ne, gli
accidenti. La quale egualità di disti ’buzione potrai osservai'e se
tu paragm. r^rai non già separatamen- te r una cosa di questo con l’
una cosa di quello, ma complessivamente tutte le cose di questo con
tutte quelle di quell’ altro. Non puoi leggere ; ma repri-
mere ì moti insolentì dell’ animo, tu il puoi: ma non lasciarti
signoreg- giare nè dal piacere nè dal dolo- re, tu il puoi: ma
essere disprez- zatore della gloriuzza, tu il puoi: ma non adirarti
contro gli stolti e gli ingrati, ed anche pigliar cura di loro,
questo ancora tu il puoi. •Fa’ che ninno t’ oda più quind’ in-
nanzi querelarti della vita in corte nè della tua. Il pentirsi è,
come altri direb- be, un rampognare se stesso dello aver trascurato
qualche cosa di utile. Ora il bene conviene di necessità che sia
qualche cosa di utile, e però l’uomo onesto deve averne gran cura. Ma r
uomo onesto non si pentirà mai dello aver trascurato un piacere.
Adunque il piacere non è nè un bene, nè cosa utile. Che è questa
cosa considerata t Sottintendi: e questa è la ragione per cui
r uomo onesto si pente di aver trascu- rato di far del bene. in se stessa
e nell’ essere suo pro- prio? che v’ ha in essa di sostanziale e di
materiale? che v’ ha di causale? òhe fa essa nel mondo ? quanto
tempo è per durare? Quando peni a riscuoterti dal sonno,
sovvengati essere particolar- mente conforme all’ esser tuo e alla
natura dell’ uomo il fare opere socievoli; dove che il dormire ti è comune
cogli animali irragionevoli. Ora ciò che è più particolarmente
conforme alla nostra natura, è anche più particolarmente accomodato
a noi, più facile e ancora più giocon- do a fare. Non ommetter
in verun caso «li esaminare, per quanto è pos- sibile, ogni cosa,
facendo uso de- gli ammaestramenti della fisica, di ([uelli dell’
etica e di quelli della logica. Divisioni principali della filosofia appo
gli stoici: ^<tca, etica, logica. Antonino In chiunque tu ti
avvenga, di’ ' tosto a te medesimo: che opinioni ha costui
intorno ai beni ed ai mali? Perchè se egli ha intorno al piacere e
al dolore e alle cose che sono pro- duttrici deir uno o dell’ altro, e
in- torno alla gloria e all’ infamia, alla morte e alla vita, certe
cotali opi- nioni, non mi parrà rnaraviglioso nè strano che faccia
certe cotali cose: e mi ricorderò sempre lui essere sforzato ad
operare in tal guisa. Ricordati che siccome è da vuol dire: esamiua
ogni oggetto; rife- rendolo alla natura generale, e vedendo, secondo i
precetti della fisica, elio relazione ha col tutto; 2» riferendolo a te
stesso, in quanto sei capace di felicità (la quale per gli stoici
non può mai andare disgiunta dalla virtù ed è sostanzialmente
identica con essa), e vedendo a che cosa ti giova, secondo i
precetti dell' etica ; 3° parago- nando il giudìzio che tu ne fai con
altri giudizi anteriori, e vedendo se non ìstà in contraddizione
con quelli; esaminando inoltre le conseguenze che si possono dedurre
da questo giudizio: tutto ciò secondo i precetti della logica. stolto il
maravigliarsi che la ficaia produca il fico, così è il
maravigliarsi che il mondo produca quelle cose che è destinato a
produrre; non al- trimenti che stolti sarebbero quel medico e quel
pilota i quali si ma- ravigliassero che altri avesse la febbre e che il
vento fosse contrario. Non dimenticare essere da uomo libero anche
il mutar parere e seguire il consiglio di chi propone un avviso
migliore del tuo: perchè - egli è pur sempre tua l’ azione che tu
fai coir esercizio della tua volon- tà, della tua facoltà giudicativa,
e secondo il tuo intendimento. Se la cosa sta in poter tuo, perchè
la fai?' se sta in potere altrui, di chi ti lagni? degli atomi o degli
Dei? e di questi e di quelli il [Pare che Antouino voglia dire; Se
sta in te il fare o non fare nna cosa, o T im- pedire che si faccia
da altri, perchè la fai, 0 lasci che ai faccia per dolertene poi? lagnarsi
è pazzia. Non occorre la- gnarsi di nissuno. Perchè se il puoi, hai
a correggere 1’ uomo ; se non puoi l’uomo, hai a correggere la cosa;
e se anche questa non puoi, il lagnarti a che giova? Non vuoisi far
nulla a caso e senza scopo. Fuori del mondo non può ca- dere
chi muore. E se riman quivi,* quivi anche e non altrove si trasfor-
ma e -si risolve ne’ suoi principi!, che sono gli elementi del mondo e
tuoi. E questi ancora si trasmutano d’una in altra forma, e non
mormorano. Non è cosa che non sia nata ad un certo fine: il cavallo
, la vite ecc. Qual meraviglia? anche il sole dirà: io nacqui ad un
certo fine : e similmente gli altri Iddii. E tu a che sei nato? a
darti bel tempo? vedi se ciò concorda col concetto che tu fai dell’
uomo. Non meno che il cominciare Cioè nel mondo. e crescere delle cose la
natura ha in mira il loro decrescere e finire, non altrimenti che
il giocatore che gitta la palla.* Ora c^ual bene per questa il
salire o il discendere, od anche il cadere a terra? e qual bene per
la bolla d’aria il formarsi e qual male il dileguarsi? il medesimo puoi
dire della lucerna. Arrovescialo codesto corpo e vedi qual è: e qual
diventa invec- chiando, e ammalandosi e depra- vandosi.*
Di corta vita sono e il laudante e il laudato, il ricordante e il
ricor- dato; ed anche ciò accade in un * Il qual giocatore
non lancia la palla perchè abbia solo ad andare in alto, ma an-
cora perchè abbia a discendere. La quale si accende, arde e si spegne, 0
tutto è naturale egualmente. P. S Àrrove$ ciato codc«lo corpo.
Intendi: met- tendo coir immaginazione al di fuori ciò che sta al
di dentro. Depravandosi coll’ abuso dei piaceri sen- suali. angolo di
questa contrada, nè quivi pure sono tutti d’ accordo, e v’ ha tale
che non è neppure d’accordo con sè medesimo: e tutta la terra non è
poi altro che un punto. Applicati all’ oggetto, o al domma, o all’
azione, o al signifi- cato.* È tua colpa se questo ti accade
: tu vuoi piuttosto diventare domani che essere oggi uomo
dabbene. 23. Fo io una cosa? La fo riferen- dola al bene
degli uomini. Mi ac- cade una cosa? La ricevo riferen- dola agli Dei
e alla fonte di tutte le cose, dalla quale procedono in- Cioè fa'
che la tua attenzione sia sem- pre rivolta ad una di queste quattro
cose: o all'oggetto su che tu operi, esaminando che è in realtà: o
al domma o credenza per virtù della quale tu operi, esaminando se
ella è vera; o all’azione tua stessa, esami- nando se tu la fai come vuoi
farla; o al significato delle parole, cioè riferendo il particolare
al generale, per capire l’essenza della cosa significata. sieme conserte
le une colle altre tutte le. cose che accadono. Che ti pare che sia il
lavarsi? olio, sudore, sudiciume, acqua fec- ciosa, cose tutte
stomachevoli. Tali sono tutte le singole parti della vita, tutti
^li oggetti esteriori. Lucilla fe il corrotto a Vero, poi altri a Lucilla;
Seconda a Mas- simo, poi altri a Seconda; Epitin- cano a Diotiino,
poi altri a Epitin- cano; Antonino a Faustina, poi altri ad
Antonino; Celere ad Adriano, poi altri a Celere. Sempre e in tutto
il medesimo tenore. E quei belli spiriti, quelli antiveditori dell’
avve- nire, quei burbanzosi dove sono egli- no? Come per esempio,
fra i belli spiriti, Carace, Demetrio il Platonico, Eudemone e
simili? Tutti sono vissuti un giorno, tutti son morti da lunga pezza; di
alcuni non si è fatta più menzione nè anche per un poco ; altri sono
passati nelle favole, e alcuni di essi scomparvero già anche dalle favole
! Sovvengati dunque come bisognerà pure che o si dissolva co- desto
tuo composto, o si spenga codesto tuo spirito vitale, o sia tramu- tato
altrove e vengagli assegnato un altro posto. È letizia dell’ uomo il
fare ciò che è proprio dell’ uomo. E proprio dell’ uomo è il voler
bene a’ suoi congeneri , disprezzare i moti del senso, distinguere
fra le rappresen- tazioni quelle che sono degne di fede, contemplare
la natura dell’universo e le cose che conformemente a quella si
producono. Tre relazioni : l’ una colla causa circostante; l’altra
colla causa divi- na, dalla quale procede tutto che accade ad
ognuno ; la terza cogli uomini che vivono con noi. 28. 0 il
dolore è un male pel corpo : e se questo è, il corpo ce lo dica ; 0 è un
male per V anima : ma questa ha in poter suo il conservar sempre la
sua calma e serenità, e il non fare concetto del dolore come di un
male. Imperocché ogni giudi- zio, ogni volizione, ogni appetizione
' o avversione qualsivoglia è un atto del tuo principio interno, e
niun male può salire insino ad esso. Rimovi da te le false rappre-
sentazioni dicendo continuamente a te stesso : ora sta in poter mio
il fare che in questa mia anima non sia veruna malizia, veruna
concupi- scenza , veruna perturbazione , in somma; e vedendo le
cose nel vero esser loro, fare uso di ciascheduna secondo il valore
di essa. 30. Nel senato e con chicchessia parla
compostamente, fuggendo il ' Conferisci il § 41 di questo libro
alla fine. soverchio delle parole, e il tuo ra- ’gionare sia senza
orpello. .Corte di Augusto : moglie, figlia, nipoti,
progenitori, sorelle. Agrippa, congiunti, famigliari, amici. Ario,
Mecenate, medici, sacrificatori : tutta una corte che è morta. Procedi
in- nanzi e considera il venir meno non delle persone ad una ad
una, ma, per esempio, della famiglia Pompeia: e quella scritta che
si legge sui sepolcri : (cT ultimo della sua schiatta ; w e pensa quanto
s’ ebbero a trava- gliare gli antenati di colui perchè non mancasse
loro un successore.. Nondimeno è pur forza che qualche- duno sia r
ultimo, ed ecco allora la morte di una intera prosapia. Colla bontà
delle singole azioni vuoisi procacciare di ben comporre la vita
(13); e se ciascuna di esse, per quanto è possibile, fa quelli ef-
fetti che dee fare, ti basti. Nè ciò può essere impedito mai da
checchessia. Sorgerà qualche impedi- mento esteriore. Ninno impedimento
che. possa toglierti di operar giustamente, temperantemente, razionalmente. Tale
0 tale altra opera potrà essere impedita. Ma se tu ac- cetti di
buon animo quello impedi- mento, e passi alacremente a far buon uso
della nuova occasione che ti vien data, ecco posta nella serie
degli atti di che si compone la vita, in luogo di quella che ti avevi
pro- posta, un’ altra azione la quale non è meno acconcia a quella
buona composizione della vita di che si favella. 33. Ricevi senza boria,
lascia an- dare senza ripugnanza. Vedesti mai una mano tronca.
t Cioè i beni della fortuna. Gli è come se dicesse: Non tenerti
per da più, quando la fortuna ti viene a trovare; non tenerti per
da meno, quando ella se ne va. o un piede, o una testa giacenti lungi dal
corpo onde furono recisi? Cotale si rende, per quanto sta in lui,
chi ripugna ad accomodarsi r ciò che accade, e si separa a questo
modo dalla società comune, o fa qualche atto contrario al bene di
quella. Tu te ne stai là gittate in un canto, fuori dell’ unione
naturale degli esseri. Perchè tu eri nato parte di quella, e te ne
sei spiccato. Se non che tu puoi sempre rappiccar- viti di nuovo,
usando della facoltà a te concessa da Dio, e non concessa a veruna
altra parte di checchessia, che spiccata una volta dall’ intero
potesse rappiccarvisi.Evedi di quanta eccellenza volle Iddio adornare
la costituzione dell'uomo: chè, primie- ramente, egli pose in
potestà di lui il non separarsi punto dal tutto ; e poi il
rapprendersi e compigliarsi di nuovo con quello, quando se ne fosse
spiccato, e riprendere il suo posto e le condizioni sue come parte aderente
qual era da prima. 35. Dalla natura degli intelligenti ha
ricevuto ciascuno di noi,’ come tutte le altre facoltà (e sono
tante quasi e tali, quante e quali quella medesima ne avea
ricevute*), e così anche quest’ una: che a somiglianza di lei, la
quale volge e dispone nella serie del fato, facendone cosa sua e
quasi parte di sè medesima, tutto che a lei si venga ad attraversare e
a resisterle; così può T animai ra- gionevole far cosa sua di ogni
im- pedimento, pigliandone materia al suo operare e all’ esercizio
della propria virtù ; sia pur qualsivoglia la cosa nella quale
venisse impe- dito (14). 36. Non ti turbi il pensiero,
quale [Intendi: in qnanto siani ragionevoli]. [Sottintendi: da chi è maggioro
di lei. sia per essere tutta la tua vita, e non darti pena e sconforto
coll’an- dare fantafticando quanti e quali travagli avrai forse
ancora a soste- nere : ma ad ogni caso presente in- terroga te
stesso col dire: che v’ha in ciò d’impossibile a sopportare? Perchè
avrai vergogna di rispondere affermando che v’ abbia alcun che di
tale. E poi ricorda a te medesi- mo, non essere mai nè il futuro nè
il passato quello che ti grava, ma pur sempre solo il presente. E
que- sto presente s’ impicciolisce assai quando tu il consideri ne’
suoi pro- pri confini, chiedendo poi alla tua mente, se anche così
impicciolito ella non sia buona da sopportarlo. Pantea o Pergamo stansi
forse tuttavia seduti presso alla tomba di Vero? o Cauria e
Diotiino presso a quella di Adriano? è follia il chie- derlo. Ma
quando pure stessero tut- tavia colà seduti, forse che ai loro signori
ne giungerebbe notizia? e quando ciò fosse, forse che ne avreb-
bero diletto? e quando ne avessero, sarebbero Pantea e Pergamo e Caiirio
e Diotimo immortali? non era egli destino che anche questi invec-
chiassero e poi morissero? e morti che fossero, che rimarrebbe a
fare ai loro signori ? fetore è tutto cotesto, e marciume in un
sacco. Se hai la vista acuta, dice egli, ' adoprala, giudicando
saviamente delle cose. Una virtù che si opponga alla giustizia non veggo
nella costituzio- ne deir animai ragionevole ; ma una che si
opponga al piacere veggo io bene: la temperanza. Togli via il tuo concetto
in- 1 Epitteto. P. Intendi: se hai P ingegno sottile,
fa' che la tna condotta il dimostri, cioè non contentarti di dire
le belle cose, falle. Dai giudizi dipendono, secondo gli stoici,
ne- cessariamente le azioni. torno alle cose che sembrano darti
noia, e tu ti troverai al sicuro. Ma chi è questo tu a cui favelli? La
ragione. Ma io non sono ragione. Sta bene. La ragione non dia dunque noia
a se stessa. E se poi v’ ha altro in te che si dolga, faccia egli
concetto di quel suo dolore. Un male per la natura anima- le è r
impedimento del senso. Ancora un male per lei è ciò che può impedire la
soddisfazione dell’appetito. Medesimamente v’ hanno im- pedimenti alla
natura vegetale, e sono quindi un male per essa. Adun- (jue ciò'che
può recare impedimento alla mente è un male per la natura
intellettiva. Fa’ l’ applicazione di que- sto ragionamento a te stesso.
Il do- lore ti tocca o il piacere? lascia che ci badi il senso.
Qualche ostacolo è sorto ad impedire un effetto da te voluto? se tu
volesti senza la debita riserva, questo invero fu un male per te, in
quanto sei animale ragio- nevole. Ma se fu una appetizione nel
significato comune, tu non hai ricevuto nocumento nè impedimento
alcuno. Perocché tutto che è pro- prio della mente non può essere
impedito che da lei stessa; non è dato nè a fuoco, nè a ferro, nè a
tiranno, nè a maldicenza il giun- gere insino ad essa: quando si è
fatta sferica, permane liscia e rotonda. Allusione ad alcuni versi d’Empedocle,
il quale considerava la sfera come la più perfetta delle figure ;
onde che appo Orazio la rotondità potè anche essere immagine a
significare l’eccellenza morale, Sat. II, 7; «Quisnara igitur
liber? Sapiens, sibique imperiosus: Quera neque pauperies, neque
mors, neque vincula ter- reni: Responsare cupidinibus, contemnere
bonores Fortis, et in seipso totus teres, atque rotundus: etc. » Ai quali
versi di Orazio alludeva pur forse Antonino in que- sto luogo.
Anche a Dante piacque una figura geometrica come immagine di una
virtù morale quando disse: < Ben tetragono ai colpi di ventura. Non
debbo, io, che non ho mai voluto contristare altrui, voler con-
tristare me stesso. Chi piglia piacere ad una cosa, chi ad un’
altra. A me fa piacere se ho una mente sana, che non abbia
avversione a verun uomo, nè a ve- runa delle cose che sogliono
acca- dere all’ uomo, ma guardi ed accetti ogni cosa con sereno
occhio, facendo uso di ciascheduna secondo il valore di essa.
44. Pigliati questo tempo presente: chi vuol piuttosto darsi
pensiero della fama che lascerà dopo sè, non considera che i
posteri saranno tali tuttavia quali sono i contemporanei eh’ egli
ha in fastidio, e mortali essi pure. A te che rileva al postutto
che dalle bocche loro s’ oda echeggiare tale piuttosto o tal altro
suono, e che essi abbiano di te tale piuttosto o tale altra
opinione? Toglimi di qua e gittami dove vuoi. Colà ancora* avrò meco
il mio genio propizio, vale a dire pago di sè medesimo, quando le
disposizioni . sue sieno conformi alla sua propria natura.
Ciò * vale il pregio che la mia ani- ma se ne turbi e voglia farsi
peg- giore di sè, essere travagliata da desiderii e timori,
sconfortata, im- miserita? E qual cosa troverai tu ' che lo
valga? 4G. Air uomo non può nulla ac- cadere che non sia un
accidente umano, nè al bue che non sia acci- dente’ proprio del
bue, nè alla vite che non sia accidente proprio della vite, nè alla
pietra che non sia ac- cidente proprio della pietra. Ora se a
ciascheduno accade quello che è solito accadergli e gli è
connatura- * Intendi: colà ancora dove mi avrai git- tato, e
dove-che sia, avrò meco ec. Intendi : ciò che ora mi accade, o chec- ché
altro di somigliante. le, a che ti crucceresti? la natura comune non può
arrecarti nulla che tu non sia fatto per tollerare. Se ti attristi
per alcuna cosa esteriore, non è la cosa esteriore quella che ti
turba, ma si il giudizio che tu ne fai. E lo annullare quel
giudizio sta in te. Se ti attristi per alcun che del tuo stato
interiore, chi ti impedisce che tu non raddrizzi l’opinione onde deriva
quel tuo stato? Che se ti attristi perchè non fai tale o tal altra
cosa che ti par buona, chè non ti volgi al farla anzi che
attristarti? — Ma sorse osta- colo più potente di me. Non attristarti
adunque se tua non è la colpa del non fare. Ma non porta il pre-
gio di vivere, se questo non posso fare. Esci dunque pacatamente di
vita (dacché muore anche colui cui vien fatta la cosa che imprende),
o con animo benevolo verso chi ti ha contrariato. Sovvengati
come divenga ines- pugnabile la parte sovrana dell’ uomo quando
rinchiusa in sè stessa non abbia altro proponimento'che di non
lasciarsi indurre a far cosa che essa non voglia, anche nei òasi in'
che quel suo ostinarsi a non volere fosse fuor di ragione. Ora che
non sarà quando la sua risoluzione proceda da sano e ben ponderato
consiglio? La mente scevra da passioni è dun- que una eccelsa rócca,
nè 1’ uomo ha luogo più validamente munito ove raccogliersi per non
esser vinto mai. Chi non conosce questo- rifu- gio, è un ignorante
; chi lo conosce e non vi ricovera, è uno sciagurato. 49. Non
dire tu a te stesso più che non siati annunciato dalla per- cezione
immediata. Ti si annuncia che il tale sparla di te. Questo ti si
annuncia ; ma che tu ne riceva no- cumento, non ti è annunciato.
Vedo che il figliuolo è ammalato. Questo veggo io ; ma ch’egli sia
in pericolo non vedo. Fa’ dunque di attenerti sempre a ciò che ti
dice la perce- zione immediata, non aggiungendovi nulla del tuo, e
così non ti accadrà nulla mai.' Anzi aggiiignivi pur qual- che
cosa, e siano le riflessioni di un uomo che conosce le relazioni e
le con»lizioni vere di tutte lé cose che accadono nel mondo. Il
cocomero è amaro? non man- giarlo. V’hanno sterpi nella via? fa di
non inciamparvi. Tanto ti basti. Non farti a dire: che bisogno ci
avea anche di cotali cose nel mondo? perchè ne avresti le beffe
dell’ uomo versato nella scienza della natura, come avresti quelle
del legnaiuolo Nulla di male, intendi, perchè tutto quello che sarà
oggetto immediato della percezione, senza alcuna aggiunta del tuo,
non sarà mai gran male. Cioè che tutto che accade è nell' ordine della
natura, e vuol essere accettato di buon grado. e del calzolaio se ti
facessi a biasi- marli del trovarsi trucioli e ritagli nelle loro
botteghe.' E nondimeno per costoro v’ha luogo ove gittarli fuori
delle loro officineT mentre la natura dell’ universo non ha fuori dell’
universo alcun luogo. Ma questo è appunto il mirabile dell’ arte di
costei, che essendo essa circo- scritta da quei limiti che ella
pose a sè stessa, tutto ciò che nella sua officina sembra guasto,
vieto, non più utile a nulla, ella riprende in sè stessa e ne fa
materia alla pro- duzione di cose nuove. Perchè ella non vuole aver
bisogno mai nè di estranea materia, nè di luogo este- riore ove
gittare il vietume, e a lei basta il suo proprio luogo, la sua propria
materia e l’arte sua propria. Fa’ di non essere molle o negligente nell’
operare, non confuso nel favellare, non vagante qua e là senza
scopo nel pensare; fuggi, in quanto si è agli affetti, lo
scoramento e la subitanea gioia, e nel tenore della vita lo
impigliarti in troppe faccende. Ammazzano, tagliano a pezzi, fanno
imprecazioni. Che vale tutto questo ad impedire che la tua mente
non si conservi pura, assen- nata, temperante e giusta? Se alcu- no
fattosi vicino ad una fontana lim- pida e dolce si ponesse a
maledirla, forse che da quella cesserebbe di scaturire acqua
potabile? Vi gittasse ancor dentro fango e sterco, essa lo avrebbe
sciolto ed espulso in poco d’ ora, e non ne rimarrebbe conta-
minata. Come avrai tu dunque in te una fontana limpida e perenne, e
non un pozzo? Col non cessare di rivendicarti in libertà,
serbandoti sempre mansueto, schietto e verecondo. Chi non sa che
cosa è il mondo, non sa dove sia egli stesso. E chi non sa a che il
mondo e stato fatto, non sa nò qual sia egli stesso, nè
" che cosa sia il mondo.* E chi ignoia r una di queste due
cose, non può neppur dire a che fine egli stesso sia nato. Ora che
ti pare di colui che ambisce esser lodato da tali che non sanno nè
dove essi sono, nè quali essi sono?^ 53. Vuoi tu essere
lodato dall’uo- mo che tre volte all’ora maledice se stesso? Vuoi
tu piacere all uomo il quale non piace egli stesso a sè medesimo?
Piace egli a se medesimo chi si ripente quasi di ogni cosa die va
facendo? Oramai non ti basti' più sola- E chi non so o che il
mondo ..... nè che cosa sto il mondo. StiU" interpretazione di
questo luogo diversamente inteso dagli interpreti, si può vedere la nota
nell' edi-zione di Torino. [Intendi quali ^ieno le loro condizioni. mente il
respirare* con l’aria* che ti circonda, ma fa’ eziandio di pen-
sare e di volere con l’ intelligenza universale* che in sè contiene
ogni cosa. Perchè la potenza intellettiva si diffonde e penetra per
ogni dove, chi voglia attingere da essa, non [Respirare: intendi
vivere la vita sensitiva per mezzo della respirazione. Il verbo “respirare”
e il corrispondente nel testo hanno nelle dne lingue rispettive oltre al
senso proprio, quello di vivere. [Con “l’aria”: intendi coll’ aiuto e
cooperazione dell’aria, conformemente - alla na- tura di essa aria, e
insieme con essa; chè essa pure vive è spira, o respira. La preposizione
con e la corrispondente in greco esprìmono nelle due lingue rispettive,
oltre alla relazione di compagnia, quella ancora di conformità,
aiuto reciproco o COOPERAZIONE', esprimono ancora il rapporto di causa sia
istrumentale, sia materiale. Tutte queste rela- zioni di compagnia,
conformità, aiuto e causa materiale, vogliono intendersi come
simul- taneamente espresse, confuse insieme in una idea complessa,
nelle dette preposizioni, così in questa come nella frase seguente. Coll’intelligenza universale : intendi
coir aiuto di ossa, conformemente ad essa e insieme con essa. meno che l’aria
rispetto a chi la aspira. Il vizio, universalmente, non nuoce al
mondo; e singolarmente, non nuoce ad altrui. Nuoce solo a colui al
quale è dato di potersene liberare al primo momento che il voglia. Alla
mia volontà la volontà del vicino ò cosa tanto indifferente quanto
la anim uccia di lui e il cor- picciuolo di lui. Perchè, sebbene
siam nati tutti gli uni per gli altri, la parte sovrana di ciascuno di
noi ha nondimeno il suo proprio domi- nio separato; altrimenti la
malvagità del vicino potrebbe essere un male per me. Il che non fu
voluto da Dio, affinchè non fosse in potestà altrui il far me
infelice. Il sole sembra versarsi per ogni dove, e effettivamente si
diffonde ' Cioè alPuomo vizioso, che può cessare di esser
tale tosto che il voglia. da tutti i lati, ma non però si effon- de.*
Quel suo diftbndersi è uno esten- dersi: e però gli splendori di lui
si chiamano actines (raggi) da ecteine- sthai (estendersi).* Tu
puoi vedere che cosa è un raggio guardando la luce del sole che
penetra per un piccol buco in una camera oscura: ella si allunga in
diritta linea e va come ad applicarsi sul corpo opaco qual siasi,
che le si fa incontro e intercetta 1’ aria al di là.* Quivi si
ferma senza sdrucciolare giù nè ca- dere. Cosi dee pure diffondersi
la mente, non effondersi, ma esten- dersi ; e quando s’ appresenta
un ostacolo, applicarvisi senza violenza nè urto, nè tampoco cader
giù, ma Non si versa fuori in modo eh' egli ab- bandoni il luogo
onde parte la sua luce. [Falsa etimologia, simile a tante altre che puoi
incontrare presso' gli antichi. Vale a dire intercetta come corpo opaco
il passaggio della luce agli strati d' aria che sono al di là. star ferma
e- illuminare 1’ obb ietto che la riceve. Che se questo non vorrà
trasmettere la luce, tal sia di lui se rimarrà privo di essa.Chi teme la
morte, teme o di non dover più aver sentimento, o di dover avere un
sentimento diverso dal presente. Ma se tu non avrai più sentimento, non
sentirai verun male; e se tu avrai un sentimento diverso, sarai un
animale diverso, e non avrai cessato di vivere. Gli uomini sono nati
gli uni per gli altri. Ammaestrali dunque, o sopportali. Altro
è il moto della freccia, altro quello della mente. Perchè la mente
anche quando procede cautamente e s’ aggira* nel deliberare, va 1
Intendi: non vorrà lasciarsi penetrare da essa luce, dandole passaggio nelle
parti più interne. Cioè illuminato solo esteriormente, ma al buio
nell' interno. nondimeno per la diritta via verso Io scopo.
61. Entrare nella parte sovrana di ciascheduno, e far sì che
ognuno possa penetrare nella parte sovrana di noi medesimi. Chi fa
ingiuria ad altrui, è reo d’ empietà. Perchè la natura univer- sale
avendo fatto gli animali ragio- nevoli gli uni per gli altri,
affinchè r uno giovi air altro, secondo il merito, e non gli noccia; il
trasgre- dire le intenzioni di lei, è manife- stamente un peccare
contro la più veneranda fra le Dee. Chi mente, è pur reo di quel
medesimo peccato. Perchè la natura universale è natura degli enti,
e gli enti hanno relazione di parentela con tutti gli esistenti. [Secondo
il merito; frase stoica. Di tutti gl'interpreti anteriori all’ornato il Kmtz è
il solo che intendesse bene Oltre che ella è nomata la
verità, ed è la causa prima di tutti i very. E però *chi MENTE CON
INTENZIONE*, è reo verso di lei, in quanto fa torto ad altrui
ingannando; e chi mente senza intenzione,' in quanto che ad ogni
modo discorda dalla natura universale, e turba V ordine andan- do a
ritroso della natura del mon- do ; * perchè va a ritroso di essa
non senza sua colpa anche colui che insciente va a ritroso del vero;
sendo che non per altro che per non aver profittato di quelli
indirizzi e sussidi di cui gli fu prov- vida la natura, non è egli più
in grado di distinguere il vero dal falso. Ancora è reo di empietà
chi segue il piacere come un bene e schifa il dolore come un male.
Perchè non questo luogo, ancora che un po' troppo pla-
tonicamente. Vedi la nota dell' Ornato nel- l'edizione di Torino. Cioè
per ignoranza, o a caso. P. * Che è l'ordine per eccellenza. può
essere che costui non mormori spesso contro la natura comune, quasi ’
ella non abbia riguardo al merito nelle dispensazioni che va
facendo ai buoni ed ai tristi, veg- gendosi spesso i tristi vivere
nei piaceri e nella abbondanza di tutte le cose che li procurano,
quando i buoni cadono nel dolore e van sog- getti a tutti gli
accidenti che ne sono cagione. Oltre che chi teme il dolore, temerà
pure talvolta alcune delle cose che sono per accadere nel mondo: il
che è già da per sè cosa empia;* e chi va in cerca del piacere non
si asterrà dal far torto agli altri. Del resto, chi viiol seguire
la natura, dee consentire colla natura [Epitteto, Manuale XXXII, 4.
« Di modo che ciascuno che procacci di desiderare e fuggire solamente
quello che è da essere desiderato e fuggito, procaccia al tempo
medesimo di esser pio » (traduz. di G. Leopardi). Cfr. Manuale. ed essere
indifferente rispetto a tutte quelle cose rispetto alle quali ella
si dimostra indifferente col far che suc- cedano egualmente nel
mondo. K • però chi non fa eguale stima del dolore e del piacere,
della morte e della vita, dell’ infamia e della gloria, delle quali cose
fa uso egual- mente la natura universale, è mani- festamente reo di
empietà : dico che la natura ne fa uso egualmente, vo- lendo
significare che sono accidenti a cui sono deipari sottoposti
secondo la legge di anteriorità e posteriorità,' tutti gli esseri
che nascono e si suc- cedono gli uni agli altri per conseguenza
necessaria di .quello impulso primordiale con cui la previdenza
concependo in sè certe ragioni del futuro,* e determinando virtù
gene- ratrici di esistenze, di cangiamenti 1 Abbiamo seguito
l' emenda^siono del Ce- rai. Ragioni seminali. e di successioni conformi
a quelle,' diè principio a questo ordinamento di cose.
2. Certo meglio era per te serbarti puro di menzogna e di ogni
sorta di finzione e di boria sino al punto della tua dipartenza
dagli nomini. Ora il partire nauseato di queste cose è, dopo
quello, il miglior par- tito che ti rimanga. 0 hai tu forse
deliberato di marcir sempre nel vizio, e r esperienza stessa non ti
persua- de ancora a fuggire dalla peste? Perchè è peste la
corruzione della mente ancor più che lo infettarsi c corrompersi di
quest’ aria che ne circonda. L’ una è peste degli ani- mali in
quanto sono animali ; l’altro è peste degli uomini in quanto sono
uomini. 3. Non disprezzare la morte, ma accettala di buon
grado, siccome Conformi a quelle ragioni seminali. quella che è una delle
cose che la natura vuole. Perchè quale è il giun- gere alla
adolescenza, alla vecchiaia, il crescere, il giungere alla
virilità, il mettere i denti e la barba, il ge- nerare figliuoli,
portarli, partorirli, e tutti gli altri effetti che arrecano le
stagioni della vita, tale è ancorji il dissolversi. Appartiensi dunque
ad uomo assennato il non procedere alla cieca colla morte, nè all’
avventata nè con superbia, ma aspettarla come uno dei tanti effetti
naturali: come aspetti l’ora che dall’utero della mo- glie esca il
feto, a quello stesso modo aspetta l' ora in che l’ anima tua
uscirà di codesto suo invoglio. Che se ti è bisogno anche di uno
em- piastro da idiota il quale s’ applichi al cuore,' ti gioverà il
considerare Che se ti è bisogno anche appli- chi al cuore. Le
parole del testo, chi ben le intenda, non sono, a parer mìo, senza
una certa ironia. Perchè a far riguardare quali sieno le cose onde t’ hai
a dipartire, e gli umori degli uomini tra i quali l’anima tua non
sarà più impigliata. Non che tu abbia a re- carteli a noia, chè
anzi hai da averne cura e sopportarli con amore ; ma potrai
ricordare che non sei per di- partirti da uomini che la pensino
come te. Perchè, se ci avesse cosa con indifferenza la morte, la
ragione specu- lativa data già innanzi dovrebbe, secondo l’autore,
bastare al filosofo, al quale non dovrebbero abbisognare argomenti che
ai indirizzino alla sensibilità, e che Antonino chiama “empiastri
da idiota che s’ applicano al cuore”. Ornato traduce questo luogo come
segue: Che se vuoi inoltre uno espediente da nomo materiale che ti
muova sensibilmente:» notando al margine: c anzi tutto conveniva far
capire il senso, e qui era maggior fedeltà il la- sciare la
lettera. Il primo mezzo, dice An- tonino, era da filosofo: questo secondo
da illetterato: e però quello era speculativo, questo pratico. Ma
vedi se puoi dir meglio, chè sono scontento assai. » Per dir meglio
io ho stimato che fosse da conservare il linguaggio figurato e l'ironia
del testo, non tanto difficile poi a capire anche nella traduzione. che
dovesse affezionarci alla vita, questa sarebbe fuor di dubbio; lo
averla a passare con chi sente e giudica come noi. Chi pecca, pecca
a suo danno : chi commette ingiustizia, fa ingiuria a sè medesimo,
facendo sè malva- gio. 5. È ingiusto soventi volte non
solo chi fa, ma ancora chi non fa. Se il giudizio che tu fai nel
momento presente è vero ; se l’azione che tu fai nel momento presente
si riferisce al ben comune ; se la disposizione in che sei nel momento
pre- sente è di accettare di buon grado quanto avviene per virtù
della causa esteriore ; non ti abbisogna più altro. Togli via
le false immagina- zioni ; contieni i moti dell’ animo ; spegni i
desiderii troppo accesi ; fa’ che la mente sia padrona di sè. Una è
l’anima distribuita fra tutti gli animali irragionevoli; una la
ragione compartita a tutti i ra- gionevoli come una è la terra di
tutte le cose terree, una la luce per cui veggiamo, ed una 1 aiia che respiriamo
tutti quanti abbiamo vista! e respiro. Tutte le cose che hanno
alcun che di comune fra loro, tendono l’una verso dell’altra. Il
terreo tende verso la terra, V umido s ac- costa all’umido, l’aereo
all’aereo. Il fuoco va in su per cagione del fuoco elementare
; e quaggiù è così pronto ad unirsi con altro fuoco, che ogni
materia un po’ secca s accende di leggieri per lo esservi mescolata
dentro minor quantità di ciò che impedisce l’unione, h sunilmente
ciò che partecipa della natura intellettiva tende verso il suo congene-
re, e con più forza eziandio : perchè quanto ha più eccellenza delle
altre cose, tanto ha maggiore inclinazione ad unirsi con chi ha
somigliante natum, e a confondersi con esso. E però tu trovi appo
gli animali privi di ragione sciami, mandre, nidiate, e come chi dicesse
amori: sono già anime in essi, e la virtù unitiva, più intensa nel
più perfet- to, vi si manifesta quale non è an- cora nelle piante,
nelle pietre o nei legni. Ed appo i ragionevoli tu vedi città,
amicizie, famiglie, radunanze pubbliche; e anco nelle guerre patti
e tregue. E appo gli esseri ancora più eccellenti l’unione ha luogo
in certo modo anche fra i disgiunti e lontani, come puoi vedere
negli astri.' Cosi un più alto grado di eccellenza può generare
scambievole corrispon-. Molti degli Dei popolari riferivano gli stoici ai
gran corpi celesti, al sole, alla luna, alle stelle. Gli Dei medesimi
non sono pure, agli occhi degli stoici, ciascnno per sò medesimo; ma
tutti sono per tutti, per la loro comunità, pel Dio supremo, pel mondo ecdexiza
negli esseri anche a mal grado della distanza che è tra mezzo. Ma
vedi ora a che siamo : soli i ragio- nevoli sembrano talora aver
posto in oblio la loro qualità che li chiama ad unirsi reciprocamente
gli uni cogli altri, e quivi solo pare che non si trovi sempre
concorso reciproco. Nondimeno con tutto che essi fug- gano a poter
loro, e’ sono da ogni parte arrestati ; chè la natura è. più
potente di loro. Tu vedrai manifesto (j nello che io dico, se tu saprai
osservare. Perchè ti verrà più agevolmente fatto di trovar terra scompa-
gnata dalla terra, che non uomo scompagnato dall’ uomo. Porta il suo
frutto anche l’ uomo, ed anche Dio, ed anche il mon- do: e ogni cosa
nella sua stagione porta il suo frutto. Che se l’uso ap- plica
questo modo di dire propria- mente alla vite e alle altre cose di
simil fatta, non monta nulla. La ragione poi porta un frutto c per gli
altri e per sè stessa,* e nascono da lei cose che hanno natura e qualità
simili alle sue proprie. Se tu il puoi, fa’ che si ricre- da ; se
non puoi, sovvengati che la benignità ti è stata data per questo.*
Anche gli Dei sono benigni a questi tali ; e in certe cose eziandio li
aiu- tano, come a conservare e ricuperare la sanità, ad acquistare fama
e ricchezza: cotanto sono essi amorevoli. Il medesimo puoi fare .tu
an- cora ; o veramente di’ chi ti impedisce che tu noi faccia. Lavora
non già come un ta- pino nè come chi voglia farsi com- miscrare o
ammirare ; ma intendi a ciò solamente: operare e astenerti. Cioè per
tollerare amorevolmente an- che chi erra e non vuole o non può
ricredersi. Intendi « agire o non agire, » frase solenne appo gli stoici, non
traducibile. secondo che la ragion civile * richiede. Oggi sono uscito d’
ogni mia noia, 0 per dir più vero, ho cacciato fuori ogni mia noia,
perchè non era fuori di me, ma dentro, nelle mie opinioni. Sion
tutte cose, in quanto al numero delle volte che si sono ripetute,
consuete ; in quanto alla durata, transitorie ; in quanto alla
materia, sordide. Tutte sono ora quali erano al tempo di coloro che
abbiam sep- pelliti. Le cose stan fuori dell’ uscio, ^
dapersè, nulla sapendo disè, nè giu- dicando. Chi è dunque che
giudica intorno a loro? la parte sovrana. Intendi il bene della società. Intendi
fuori di noi, e non hanno adito a noi nè potenza di turbarci, se noi
non apriamo loro l’uscio, facendo stima di loro disuguale al vero.
Ho creduto di dover con- servare l'espressione figurata del testo
greco. Cioè la ragione. Non nella passione, ma nella razione sta il bene e il male dell’animai
ragionevole e socievole; come non istà nella passione ma nell’
azione la virtù di lui e il vizio. Alla pietra scagliata in
aria non è punto un male lo andare in giù, nè un bene lo andare in
su. Penetra nell’interno delle menti loro, e vedrai che gente è
quella di cui tu temi il giudizio, e che sorta di giudici sono
anche verso di sè medesimi. L’esistenza delle cose è un passare
incessante da una in altra forma. E tu stesso non perduri un
istante nel medesimo stato, ma ti vai di continuo alterando e come
a dire dissolvendoti. E
l’universo parimente. Cioè iniqui anche verso sè stessi, non
che verso gli altri; dannando essi la lo(o parte sovrana a servire alla
inferiore. Il fallo altrui coiivien lasciarlo dov’è. Il finire di una
azione, il cessare di una volontà o di un pensiero e, per così dire, il
morir loro, non è punto un male. Considera ora le diverse età: l’infanzia,
L’ADOLESCENZA, la giovinezza, la vecchiaia. Il cessare di quella che precede
per dar luogo a quella che segue, è ancora, come a dire, una morte. È
egli un male? Passa a considerare la vita che vivesti sotto 1’
avolo, poi quella sotto la madre, e rammenta ancora molte altre
diversità di stati, e mutamenti dall’ uno in un altro, e ces- sazioni ; e
interroga te stesso; è egli cotesto un male? Adunque nò anco
il cessare e concludersi della vita, nè il totale mutamento di essa
non è punto un male. Cioè in chi n’è autore, il quale non
nuoce che a sè medesimo. Bada alla tua parte sovrana, a quella dell’
universo, a quella di costui. Alla tua, per ridurla giusta ed
imparziale ; a quella dell’ uni- verso, per non dimenticare di che
sei parte; a quella di costui, per chiarire s’ egli operò per ignoranza
ovvero con intenzione, e ricor- dati ad un tempo che egli ti è
congiunto. Come tu medesimo sei parte del corpo sociale, così anche
ciascuna delle tue azioni è parte inte- grante della vita di quello.
Adunque se una qualsivoglia di esse non ha per iscopo, o immediato
o mediato, il bene della società, ella turba la vita comune
rompendone l’ unità, ed è sediziosa come è sedizioso chi parteggia
in una città e guasta, per quanto è in lui, la comune concordia. Sdegni
fanciulleschi, bambo- late, animucce che portano cadaveri, cose che
rappresentano al vivo ciò che narra Omero delle anime degli spenti.
Considera la qualità della causa, e separando quella dalla materia,
fa’ di contemplarla distintamente in sè stessa; di poi vedi anche e
circoscrivi distintamente entro i suoi confini il tempo che, al
sommo, possa cotal cosa per la natura sua durare. Hai sofferto mille
travagli per non aver voluto appagarti unicamente del far quello a
che sei stato ordinato: ma basti. Quando altri ti lacera o ti odia,
o che schiamazzano contro di te, come fanno ora, pensa alle
animucce Farla di tutte le cose di questo mondo. L’Odissea, lib. XI,
discesa di Ulisse all’Inferno. Intendi: per non aver riposto unica- mente
il tuo bene nel far quello ohe ec.Come schiamazzano ora ; relativo a
qualche caso particolare. di questi tali, penetra loro addentro e osserva che
uomini sono. Ve- drai che non ti conviene il dar;(:i briga perchè
essi abbiano di te piut- tosto tale che tale altra opinione. Hai
nondimeno a voler loro bene : chè sono per natura amici tuoi. IC
anche gli Dei non lasciano di giovar loro in ogni modo, per mezzo
di sogni, di oracoli, sebbene in quelle cose soltanto che da
costoro si pregiano. Cotale è il perpetuo giro delle cose mondiali ;
all’ insù all’ ingiù, d’ età in età. 0 la mente dell’ uni- verso
determina con atti particolari di volontà ciascuna cosa ; e se que-
sto è, tu hai da ricevere con amore il voluto da lei : o ella ha voluto e
determinato una volta per sempre, o tutto pende e procede da quella determinazione
; e allora a che il ri- calcitrare? Egli è, in certo modo, come se
non ci avesse altro che atomi e indivisibili. Al postutto, o egli v’
ha un Dio intelligente e provvido, e tutto sta bene ; o le cose si
governano dal caso ; e tu almeno non governare a caso te stesso.
Oramai la terra ci ricoprirà tutti quanti siamo ; e poi anche la terra si
trasfor- merà; e poi si trasformerà quello ancora in che si sarà
trasformata la terra ; e quest’ altro ancora di nuovo, air
infinito. Davvero chi ripensa a un cotale incalzarsi di mutamenti e
di moti e alla rapidità con che si suc- cedono, non può essere che al
tutto non disprezzi ogni cosa mortale. La causa universale è un
tor- rente che trae seco ogni cosa. E que- sti omicciuoli che al
parer loro ma- neggiano secondo filosofia gli affari «li Stato,
come son piccioli! Veri bimbi in culla.* 0 uomo, attendi a Letteralmento
: « pieni ,di moccio, moc- ciosi, » cioè « bimbi col moccio al
naso. far quello, che che sia, che la natura richiede da te nel
momento presente, e non andar guardando at- torno se altri il
saprà. Non isperare la repubblica di Platone, e sii contento ad ogni po’
di progresso che tu vegga ; pensando che anche il ridurre questo ad-
effetto non è pic- cola cosa. Perchè le opinioni degli uomini chi
può mutarle? E senza correggere le opinioni, che puoi tu avere se
non ischiavi che gemono e s’infingono di obbedire ? Or va’, non
istar più ad allegarmi Alessandro, Filippo, Demetrio Falereo. Buon
per loro, se conobbero che cosa vuol la natura comune, e seppero
raffrenare e governar sè medesimi. Che se operarono solo per parere,'
nissuno ha moT'oeuXy direbbero i Francesi. Dal novero di
questi bimbi non pare che Antonino in- tendesse escludere sè medesimo.
P. t Fare il bene per amor del bene piutto- sto che della
lode, voler essere piuttosto che parere ottimo, è il tratto più
essenziale condannato me ad imitarli. Semplice e modesta è l’opera
della filosofia. Non indurmi ad ostentazione di gravità. Contempla, come
da un’ alta vetta, mandre infinite d’uomini, usi di religione
innumerevoli, e un na- vigar da ogni banda, in tempesta, in
bonaccia, e diversità di nascenti, di conviventi, di morenti ; pensa
an- cora alla vita che si vivea per lo addietro, e a quella che si
vivrà dopo te, e a quella che tra le nazioni barbare si vive ora, e
quanti v’ ha che di te ignorano anche il nome, dì un gran
carattere morale, dipinto da Eschilo con tre versi sublimi nei Sette
a Tebe parlando di Amfiarao, in parte fran- tesi dal Belletti; e la
cui traduzione let- terale, per quanto è possibile, sarebbe : « non
sembrare, ma essere ottimo ei vuole, fa- cendo fruttificare il fertile
terreno della sua mente, ove germinano gli assennati pen- sieri. »
P. * Bellissimo e nobilissimo paragrafo ! quanti
insegnamenti, e per quanti, si com- pendiano in esso! P e quanti che sono
per dimenticarlo in breve, e quanti che ti lodano forse ora, e ti
biasimeranno tantosto: e come non è da fare stima nè della
ricordanza, nè della gloria, nè di ve- runa cosa quaggiù. Imperturbabilità
rispetto alle cose che procedono dalle cause este- riori;
rettitudine nelle cose di che tu stesso sei causa : vale a dire, determinazioni
ed azioni non aventi altro fine che sè medesime, cioè d’o- perare
socievolmente, siccome cosa che è secondo la tua natura. 32.
Fra le cose che ti molestano, molte le quali hanno sede nella tua
opinione, tu puoi sgombrare da te, o darai cosi campo ed agio a te
stesso. Fa’ di abbracciar colla mente l’uni- verso mondo, e
concepir nel pensie- ro r eternità dei secoli, e considera la
rapida trasformazione di ciascuna cosa particolare, e quanto è
breve l’intervallo dalla nascita alla dissoluzione, e infinito il tempo
che precedet- te la nascita, e infinito del pari quello che terrà dietro
alla dissoluzione. Tutte le cose che tu vedi si tlissolverannò tra
breve, e coloro che le vedranno dissolversi, si dissolveranno tra breve
anch’essi. E chi morrà d'estrema vecchiezza, si tro- verà ad un
medesimo ragguaglio con chi mori anzi tempo. Che menti son quelle di
co- storo ! e per che motivi amano e onorano altrui! abbi in uso
diveder nude le loro animucce. Quando si credono nuocere
biasimando, o giovare lodando, che vanità! Una perdita di che che sia non è
altro che una trasformazione. Edi ' questo si compiace la natura dell’universo,
conforme alla quale tutto I Intendi: « qual vanissimo errore! »
Per- chè la lode e il biasimo di chi che sia noii aggiunge e non
toglie nulla al valor vero degli uomini o dello cose. si fa bene. Per
secoli innumerevoli le cose si sono fatte a questo modo, e
continueranno a farsi' a questo modo per altri secoli innumerevoli. Che
dirai dunque? Che sempre sensi fatte male, e che continueranno a
farsi male per l’avvenire? Or nis- suno dunque s’ è mai trovato fra
co- tanti Iddìi, il quale avesse potestà <li correggere tutto
questo? E il mon- do è egli condannato a mali che non avranno mai
fine? Vedi il marcio della materia che sottosta alle cose: acqua, polvere,
ossicini, sudiciume. Il marmo, callosità della terra; l’oro e r
argento, capomorto di quella ; la veste, peli ; la porpora, sangue
: cosi di tutto il rimanente. E la ma- teria organica vivente,
altrettale : di La conclusione è che le perdite, i mu- tamenti, e
tante coso allo quali il^ volgo dà il nome di mali, non sono mali veri. quei
medesimi ingredienti si com- pone, e in quelli si risolve. Abbastanza
hai tapinato, abba- stanza hai mormorato, abbastanza hai fatto la
scimmia. Che ti turba? Che t’interviene di nuovo? Che è ciò che ti
trae dal senno? La causa? vedila. La materia? vedi la materia. Da
queste cose in fuori non v’ ha nulla. Ma anche fa’ di essere più
pio verso gli Dei e più semplice. Lo stare a veder queste
cose tre o cento anni è tutt’uno. 38. Se egli ha peccato, in
lui sta il male. Ma forse non ha peccato. 0 da una sola fonte
intelligen- te, come in corpo organato procedono tutte le cose ; e se ciò
è, non appartiensi alla parte il querelarsi di ciò che fassi ad
utilità comune del tutto ; o sono gli atomi. E tutto che esiste,
accozzamento del caso, vien dissipato dal caso. A che dun- que ti
turbi? Di’ alla parte sovrana : sei tu morta? sei tu fradicia ? sei
tu altra cosa che te? sei tu imbestiata? sei tu giumento ? sei tu
pecora? gli Dei non possono far
nul- la, o possono. Se non possono ; a che li preghi? Ma se
possono, che non li preghi piuttosto perchè ti concedano di non
temere nè deside- rare alcuna di queste cose, nè di rattristarti
per esse, anzi che pre- garli che tu possa ottenerle o evi- tarle?
perchè ad ogni modo, se e’ pos- sono aiutare gli uomini, debbono
poterli aiutare anche in questo. Dirai forse : cotesto gli Dei hanno
posto in mia facoltà. 0, non è dunque meglio valerti con altezza d’
animo indipendente di ciò che sta in poter tuo, anzi c he affannarti
abbiettamente e servilmente per ciò che non dipende da te? E poi chi ti
ha detto che gli Dei non ci aiutino anche nelle cose che stanno in
poter no- stro? provati di pregarli, e vedrai. Altri prega : fa’
che io possa giacere con colei. E tu prega: fa’ che io non desideri
di giacere con colei. Altri : fa’ che io mi possa liberare dal
tale. E tu: fa’ che io. .non abbia bisogno li liberarmi dal tale.
Altri ancora : fa’ che io non perda il figliuolo. E tu: fa’ che io
non tema di perderlo. In somma raddrizza cosi le tue pre- ghiere, e
sta’ a vedere che ne segue. 4L Dice Epicuro : « Ammalato, io
non facea mai parola delle affezioni del mio corpicciuolo nè d’altre
co- tali cose, quali sogliono essere quelle di che amano gli
infermi inti’atte- nersi con coloro che li vengono a visitare. Ma
attendeva tuttavia a ra- gionare intorno ai punti principali della filosofia
naturale, soprasUmdo ad investigare e dimostrare ciò ap-
punto : come possa V anima, ancora che partecipe dei moti del
corpo, serbarsi nondimeno imperturbata, e conservare in sè quel
bene che è proprio di lei: nè dava, aggiunge egli, materia ai
medici d’insupei- bire, come se facessero gran che : chè la mia
vita, anche in quello stato, non era senza calma e giocon- dità. »
Ora fa’ tu altrettanto, sia, ponghiamo caso, che tu ammali, o t’
intervenga qualsivoglia altra mo- lestia: perchè"' il dover serbar
fede alla filosofia in ogni congiuntura qualsiasi, e non delirare
con lo stolto e con l’ignaro, è precetto comune a tutte le
sètte. Bada unicamente a ciò che tu fai nel momento presente,
e all’ istro- rnento con che il fai. Quando ti senti offeso dall’impudenza
di alcuno, interroga tosto te n'iedesimo : ò egli possibile che non
ci abbia impudenti nel mondo? Non è. Non voler dunque l’impos-
sibile : questo è uno di quelli impu- denti che di necessità hanno ad essorci.
Lo stesso hai da dirti e del furbo e del disleale, e di qualunque
altro vizioso che pecchi in qualsi- voglia modo. Perchè
ricordandoti essere impossibile che tal sorta di gente non sia, tu
ti farai più mite verso ciascuno. Giova ancora il pen- sare subito.
Qual virtù ha dato all’uomo la natura contro questo peccato'? Ha dato, per modo
di eseni- [Intendi: tosto che ci sentiamo offesi por tale 0
tal altro fatto biasimevole di chicchessia. Intendi : contro al sentirsi offeso
da questo peccato del vicino. Perchè colle stesse parole in altro
luogo potrebbesi anche si- gnificare: qual virtù diede all'uomo la
na- tura .per combattere in sè medesimo questo peccato e serbarne
puro sè stesso. pio, contro all’ ingrato la mansuotu- dino, 0 contro a
ciascuno altro vizio, altre virtù. Ad ogni modo tu puoi far prova
di ravviare quel traviato; perchè chi fallisce, fallisce Io scopo a
cui mirava, ed è quindi traviato.' E ancora tu hai a pensare qual
danno te ne viene : eli è troverai nissuno di costoro, contro ai
quali ti adiri, aver fatto cosa per cui la mente tua sia. per
divenir peggiore. Ed ogni tuo male, ogni tuo danno, ben sai, non
poter essere altrove che in quella. E poi che male ci ha, o che v’
ha egli di strano se l’indotto fa cose da indotto?- Vedi piuttosto
che tu non abbia a rampognar te medesimo, il quale non hai aspettato
da colui tal sorta di fallo. Perchè a te la ragione porgeva
argomenti a pre- vedere che costui fallirebbe probabilmente in quella
guisa; ’ e tu non badasti, ed ora ti vai maravigliando eh’ egli abbia
fallito. Massimamente (juando parratti aver rimproveri a fare a un
disleale, a un ingrato, fa’ che tu rivolga contro te medesimo r
accusa : sendo manifestamente tuo r errore se hai creduto che un
uomo in cotale disposizione d’animo fosse ' per mantenere la fede;
o,se facendo tu del bene ad altrui, non l’hai fatto senza un
rispetto al mondo ad altra cosa che al bene che volevi fare, nè con
r intento di avere a raccogliere immediatamente e unicamente dal
fatto stesso dello aver compiuta una buona azione, tutto ed intero il
frutto di essa.^ Nel vero quando tu hai beneficato un uomo, che
vuoi tu an- cora di più?^ Non ti basta aver fatto II saggio, diceano
gli stoici, avrà amici, ma li amerà per utile loro, e non di sè stesso. un’azione
che è conforme alla tua natura, e vuoi inoltre ima mercede, come se
gli occhi avessero ad esser pagati perchè vedono, e i piedi perchè
camminano? Perchè siccome queste membra furono così confor- mate
affinchè avessero a fare cotali uffici, e quando hanno fatto i servigi a
che furono ordinate, hanno ricevuto tutto ciò che è dovuto loro;
cosi l’uomo, per 'natura benefico, quando ha operato alcun che di
bene, o semplicemente aiutato altrui nelle cose medie, ha fatto
quello a che è stato ordinato ed ha ricevuto tutto quello che gli è
dovuto. E quando mai, o anima, sarai tu buona, o schietta, ed una, e
ignuda, e più appariscente ' del corpo che ti (àrconda? Quando gusterai
tu di quello stato che è tutto dilezione ed amore? Quando sarai tu
fornita di tutto punto, non mancante di nulla, non agognando nè
desiderando nissuna cosa, sia animata o sia ina- nimata, per
pigliarne diletto ? nè tempo perchè il diletto più duri? nè ' luogo
od opportunità di paese o di clima, nè conformità d’uomini che ti
vadano a genio? ma sarai paga 1 Intendi visibile, chè questo senso
ha pure il vocabolo appariscente. del tuo stato presente, facendo
piacer tuo di tutte le cose presenti, e per- suadendo a te stessa
che tu hai tutto e che tutto va bene, e che tutto li viene dagli
Dei e tutto andrà bene, checché piaccia ad essi d’ inviarti per la
salute di quello animale per- fetto e buono e giusto e bello, il
quale genera tutte le cose, e tutte le contiene ed abbraccia e riceve
al- lorché si dissolvono per la riprodu- zione di altre
simiglianti? Quando mai sarai tale che, vivendo in una società con
gli' Dei e con gli uomi- ni, non ti accada mai né di dolerti di
loro, né di essere condannato da loro? Vedi quello che richiede la
tua natura in quanto sei governato dalla sola natura,’ e fàllo o
accettalo ogni volta che non sia per patirne danno la tua natura
d’animale; Di poi os- Cioè a dire in
quanto soi organismo viventi. serva quel che richiede la tua na- tura d’
animale , e questo ancora ri- duci ad atto ogni volta che non sia
per patirne danno la tua natura razionale. Ma il razionale importa, qual
conseguenza immediata, il so- cievole. Metti in pratica queste re-
gole, e non darti pensiero più d’altro. Checché ti accada, è o non è
comportabile alla tua natura. Se è, non hai motivo di crucciartene,
ma Adunque Antonino, come già gli stoici antichi, come i fllosofl
moderni (vedi particolarmente Burdach, Antropologia), tre diverse nature, o per
dire più propriamente, tre diversi gradi simultanei di vita distin-
gueva nell' uomo : la vita plastica o vegeta- tiva, la vita animale, e la
vita razionale. Quanto al principio unico, o moltiplico di queste
tre vite, le idee degli stoici erano confuse. E Antonino errava lungi dal
vero quando diceva, parlando della vita plastica o vegetativa,
questa essere « governata dalla sola natura, » se con ciò intendea che
a produrne, o a spiegarne tutti i fenomeni bastassero quelle leg^
che i moderni chia- mano « leggi generali della natura. attendi a portartelo
in pace, essendo tu nato a ciò. Se non è, ancora non crucciartene ;
perchè verrà meno come prima ti avrà consunto. Ma sovvengati che
sei tale per natura da poter tollerare tutto ciò che sta in potere
della tua mente di rendere tollerabile col persuaderti che ti giovi
0 sia dover tuo il tollerarlo. Se falla, correggilo amorevol- mente,
e mostragli in che ha falla- to. Se noi puoi, incolpane te stesso,
o veramente nè anche te stesso. Qualunque accidente ti occorra, egli ti
era da secoli innumerevoli predestinato, e la serie fatale delle cause *
avea connesso insieme quello accidente colla tua esistenza.
6. Atomi, o nature, quale che fosse dei due (19), io pongo per
fermo in primo luogo che io sono parte di ^ Concatenazione
delle cause, o serie delle cause è appo gli stoici la definizione
stessa del fato. un tutto governato da una natura; e- in secondo
luogo che io ho rela- zione di affinità con tutte le parti a ine
congeneri. Avendo ferme nel- r animo queste due cose, in quanto io sono
parte, non avrò a grave nulla di ciò che mi viene compartito dal
tutto, non essendo nocevole alla parte quello che al tutto è
giovevo- le ; nè potendo il tutto aver nulla in sè che non
conferisca al bene di lui ; primieramente perchè questa è proprietà
generale di tutte le na- ture, e poi perchè la natura del- r
universo ha questo ancora di più, che non è càusa alcuna esteriore
da cui possa essere necessitata a pro- durre mai cosa la quale sia
per nuo- cerle. Ricordandomi adunque che io sono parte di un tutto
cotale, avrò caro ogni cosa che avvenga. E in quanto ho relazione
di affinità colle parti a me congeneri, attenderò a non far nulla
mai che non si riferisca a quelle ; ma anzi mirando sem- pre a» miei
simili, rivolgerò tutte le mie forze a procacciare il ben co- mune,
e mi asterrò da tutto che possa ridondare in altrui danno. E così
governandomi' non può essere che la vita non abbia un corso fe-
lice ; come felice stimeresti il corso della vita del cittadino il quale
pro- cedesse d’ una in altra opera giove- vole ai suoi compagni di
patria, e avesse caro tutto quello che fosse voluto dal
comune. Alle parti del tutto, quante per natura contengonsi nell’
universo, è necessità il corrompersi: questo sia •detto per significare
lo alterarsi di esse. Il quale alterarsi se fosse per natura un
male, come è una neces- sità, poco felici sarebbero le condi- zioni
del tutto, le parti di lui es- sendo, come a dire, avute in odio da
chi governa, e da lui fatte tali da doversi chi in uno, chi in
altro modo corrompere. Dove converrebbe dire o che la natura avesse'
voluto nuocere ella stessa alle proprie sue parti (20),
sottoponendole al male, e facendole tali che dovessero neces-
sariamente incappare ' nel male, o che ciò sia avvenuto senza che
sia stato voluto nè avvertito da lei. Delle quali cose nè V una nè
1’ altra ò da credere. Che se taluno, messa da canto la natura,
presumesse espli- care il nodo affermando le cose essere nate a ciò,
non sarà punto meno strano il dire essere le parti del tutto nate
ai mutamenti, e ad un tempo il maravigliarsi e dolersi quan- do
questi mutamenti si compiono: massimamente quando noi veggiamo che
esse risolvonsi sempre in quei medesimi elementi di che è compo-
sta ciascuna. Avvegnaché la corru- zione o dissoluzione delle cose
altro non possa essere e non sia in ef- fetto che una disgregazione
e dispersione di quegli elementi, del cui ag- gregato esse si compongono,
o vo- gliam dire un ritorno al terreo di I ciò che v’ ha in esse di
solido, e al- r aereo di ciò che v’ha in esse di vitale,' di modo
che la ragione se- minale dell’universo riprenda di nuo- vo in sè
questi elementi, perchè al- r ultimo sieho consunti dal fuoco, se r
universo è sottoposto a conflagra- zioni periodiche,^ o servano con
per- petua vicenda al continuo rinnovel- lamento di lui, se egli
dura eterno ed incorrotto.* E questo solido e que- sto vitale non
darti già a credere I che sia quello che tu avesti dalla madre
nascendo : perchè ieri, e ier r altro è venuto ad aggregarsi in te [Ricorda
siccome appo gli stoici la vita consiste nella respirazione, e quindi T
es- senza di quella è 1' aria. Opinione degli stoici più antichi:
Ze- none, Cleante, Crisippo. Opinione di molti stoici posteriori: Zenone
da Tarso, Boeto, Posidouiu, Panezio. e tiai cibi, e (-l’aria die hai respi
rata. Questo adunque che ti si è assrefiato ora si trasforma, e non
oo o più. quello che partoriva la madre. Fa’ che tu vi
sottoponga col pensiero quel che ti lega sì strettamente a ([ueste
tali e tali altre cose, le quali sono un nulla, cred’ io, jrispetto
a quello di che io ragiono Avendo tu imposto a te mede- simo questi
nomi di buono, di mc- ciosto, di veritiero, di assennato, di,
consenziente, di magnanimo, fa’ che non abbiansi a mutare nei loro
con- trari ; e ove mai ti accadesse di per- dere quelli, fa’ che tu
non tardi a ri- cuperarli. E ricordati che con la pa- rola
assennata, tu volevi significare r attenzione discernitiva a
ciascuna cosa presente, e il non pensare ad altro in quel mentre. Con
la parola consenziente, l’accettazione volontaria di quanto ti viene
compartito dalla natura comune; e con la parola ma( filammo, la
elevazione dello spirito al di sopra di ogni moto soave o insoave della
carne, e al di sopra I della gloriuzza, della morte c di si- mili
cose. Se adunque tu ti assicu- rerai il possesso di quei nomi senza
bramare che ti vengano dati da al- trui, sarai un alti ò uomo ed
entrerai in ima vita nuova. Percìiè il conti- nuare ad essere per
lo innanzi quale sei stato infino ad ora, e il continuare a voltolarti
fra le brutture e I Je angosce di una vita cotale, troppo è da uomo
stupido e codardo, simile a quei bestiari ' mezzo rosi dalle fiere,
i quali pieni di ferite e con- taminati di sangue e di loto, pre-
gano pure di essere conservati infine al domani, ancora che
.consapevoli di dover essere di nuovo esposti, conci in quel modo,
alle medesi- Cosi chiamavano i Romani quelli accoltollatori che negli
spettacoli combatte- vano contro le fiere. me unghie e ai medesimi
denti. Gittati adunque con animo delibe- rato in su quei pochi
nomi, e se puoi tenertivi saldo ed eretto, tien- tivi, non
altrimenti che se tu fossi venuto ad abitare in qualche isola
fortunata ; se ti accorgi che tu vi tentenni, e non possa vincere
la prova, vattene animoso in qualche cantuccio ove tu sia certo di
vincer- la ; od anche esci al tutto di vita, senza adirarti, ma
semplicemente, liberamente, modestamente contento di aver fatto
pure una cosa nella vita: Tesserne uscito in cotal modo.* E al
farti ricordare di quei nomi gio- verà non poco il ricordarti degli
Dei, i quali non vogliono essere adulati ; * ma bensì che tutti gli
esseri ragio- nevoli facciano di assomigliarsi a Epitteto,
Manuale. La pietà verso gli Dei consiste massimanientG in avere
sane e rette opinioni intorno a quelli (traduz. del Leopardi). loro, e che il fico faccia le cose che
s’appartengono al fico, il cane quelle che si appartengono al cane, e Tuomo
quelle che s’appartengono all’ uomo. Il teatro, la guerra, lo
sbigot- timento, la torpidezza, la servilità andranno in te
cancellando di giorno in giorno quelle sante massime, le quali tu
apprendi bensì colla imma- ginativa e confidi alla memoria, ma
senza dar loro fondamento nè fer- marle colla considerazione del
tut- to 022) . Egli ti bisogna vedere le cose e fare in modo che e
il particolare che è intorno a te, sia bene osser- vato, e la
relazione di quello al tutto sia contemplata, e quella compia-
cenza di sè medesimo che nasce dalla scienza di ciascuna cosa si
con- servi nell’ interno tuo, segreta, ma non celata. Altrimenti
quando godrai i frutti della semplicità? quando quelli della
gravità e sodezza ? quan- do quelli della conoscenza di ciascuna cosa, quale
ella è per essenza, che posto occupa nel mondo, quanto tempo è per
sussistere, di che è composta, in quali obbietti si può trovare, e
chi sono coloro che possono darla o toglierla. Il ragno superbisce se ha
preso una mosca ; altri, se un lepratto ; altri, se un’ acciuga;
altri, se un cinghiale o un orso; altri, se fece prigioni alcuni
Sarmati. Non sono dunque assassini costoro se tu con- sideri i principii
che li movono? Fa’ che tu impari il modo ac- concio di contemplare
come tutte le cose si mutano le ime nelle altre, e attendi senza
ristare a questa parte della filosofìa, e vienti esercitando in
essa. Perchè nuli’ altro è che tanto innalzi 1’ animo. Chi è
assiduo in questa contemplazione si spoglia, sto quasi per dire,
del corpo, e con- siderando siccome in poco d’ ora gli converrà
lasciare tutte le cose di qua e partirsi dagli uomini, non at- tende
più ad altro che a conformarsi alla. giustizia e alla natura dell’ uni-
verso in tutto che egli fa o patisce. Che dirà un tale, che opinione
avrà di lui 0 che farà contro di lui uìi tal altro, egli non se ne
dà un pen- siero al mondo, pago e contento di queste sole due cose
; se egli fa con giustizia ciò che egli fa nel mo- mento presente,
e s’ egli ha caro qualsiasi cosa presentemente gli ac- cada. Tutte
le altre cure e negozi lascia andare, e d’ altro non gli calo che
di camminare perla diritUivia, tenendo dietro a chi sempre cam-
mina per la diritta via, a Dio. A che il sospetto quando tu puoi
ricercare che cosa è da fare nella congiuntura presente? Che se tu
il vedi, mettiti a ciò, e va’ in- nanzi alacremente per quella via,
senza guardarti dietro ; se noi vedi, sospendi il giud^io, e aiutati
del consiglio degli ottimi. Se insorgono ostacoli al compiere quello
che hai deliberato, governati razionalmente secondo la nuova
occasione che si presenta,* attenendoti sempre a quel- lo che ti
par giusto. Perchè questa è r ottima cosa da conseguire, sendo che
lo scostarsi dalla giustizia è un decadere dalla natura umana. Egli
è un certo che di lento e posato e insieme di mobile ed alacre, di
ilare e sereno e insieme di serio e grave, colui che segue la
ragione in ogni cosa. Appena riscosso dal sonno chiedi a te
medesimo se ti impor- terà che da altri anzi che da te si faccia
quello che sta bene ed è giusto. Non te ne importerà : o avre- sti
tu dimenticato quali sono costoro che superbiscono nel farsi
dispensa- M t Cioè volgi l'ostacolo a profitto, servendoti
di Ini come di nuova materia ad azione. tori della lode e del biasimo,
quali nel letto, quali a mensa; e quali cose facciano e quali
fuggano, a quali intendano, e quali rubino e quali rapiscano ' non
colle mani o coi pie- di: ma colla parte più nobile di loro, la quale
può diventare, solo ch’ella il voglia, fede, verecondia, verità,
legge, buon genio. Alla natura che dà e ritoglie tutte le cose, 1’ uomo
bene instituito e modesto dice : « Da’ quello che vuoi, togli
quello che vuoi, o natura. E questo dice
non già con baldanza orgogliosa, ma con intimo senso di alfettuosa
obbedienza verso di lei. Appo gli stoici imà virtù è la parte so-
vrana deir anima talmente modificata. [‘Natura’ per gli stoici è lo stesso
che ‘Dio’. vedi il § 7 di questo libro colla no- ta (20). Queste
parole di Marcaurelio corri- spondono perfettamente a quelle di
Giobbe: Dominui dedita Dominus abstulit, osserva qui bouissimo il
Pierron. Poco^ è questo che ti rimane a vivere. Vivi dunque come in
sulla montagna. Perchè a qui, o colà, nulla monta, se, dove che tu
sii, tu vivi sempre nel mondo come in una città. E veggano e
conoscano pure* gli uomini un uomo davvero, il quale vive secondo
natura. Se noi possono tollerare, uccidanlo. Meglio questo che
vivere com’ essi fanno.* 1(». Non è più tempo di far parola
intorno a ciò che deve essere Tiiomo dabbene, ma di incominciare ad
esserlo. Il pensiero del tempo universo e della materia universa ti
sia del continuo presente, e che tutte le cose particolari sono,
rispetto a que- sta, un granello di miglio, e rispetto a quello, un
batter d’ occhiò. Considerando ciascuno degli obbietti che offronsi alla
tua osser- Letteralmente: un volger di trapano. vazione, fa’ di
rappresentartelo come già in atto di dissolversi e trasfor- marsi;
d’ infradiciare, per esempio, o dileguarsi in fumo, o altro,
secondo il genere di morte a cui nacque. Vedili quando mangiano,
quan- do dormono, quando usano con fem- mina, quando sono al cesso,
o fanno altre cose tali. Vedili poi (piando stanno in sussiego o
fan cipiglio, quando van tronfi e pettoruti, o s'adi- rano,
rabbuffano altrui con alterigia. E poco innanzi servivano pure come
schiavi a tante cose, e per quali motivi ! E poco dopo ritorneranno
a quelle medesime cose. Giova a ciascuno ciò che ar- reca a
ciascuno la natura comune. Ed allora giova, quando essa lo arreca.
La terra ama la pioggia; e l’ama ancora 1’etere venerando. E il
mondo ama far quello che è per accadere. Dico adunque al mondo: Io amo
con te. E non dicesi egli parimenti che una tal cosa ama accadere? 0 tu vivi qua, e ci sei già avvezzo ; 0 vai
fuori, e questo tu desi- deravi ; 0 muori, ed hai finito il tuo
compito. Fuori di questi tre casi non v’ ha altro. Adunque stattene di
buona voglia. Abbiti sempre per certo che quel tuo vivere in
villa non è punto diverso da questo, e che tutte son qui le cose
come in sulla cima del monte, o sulla spiaggia del mare, o dove che
tu voglia. Perchè ti si pa- rerà davanti a bella prima il detto di
Platone : « Egli sta nella reggia come in una capanna sul monte, mugnendo
l’armento. Che è in questo istante la mia parte sovrana ? e quale la fo
io ? A che Tadop ro io? Non è ella per av- 8Ìde«nd^‘°R
sognando o deventura vuota di ragione? Non è ella separata, divelta dalla
comunità? Non è ella cosi congiunta, conglu- tinata col corpo, da
doverne seguire tutti i moti?* 25. Chi fugge dal suo signore,
è servo fuggitivo. Ma la legge * è si- gnora: chi trasgredisce la
legge, è dunque un servo fuggitivo. E simil- mente chi s’ attrista,
o teme, o non vorrebbe che fosse accaduta o acca- desse 0 fosse per
accadere alcuna qualsivoglia di quelle cose che ha ordinato il
reggitore di ogni cosa, cioè la legge distributrice di quello che
tocca a ciascheduno. Adunque Bene rammenta qnì ìi Gataker ciò che
Platone avea già .detto nel Fedone: «Cia- scun piacere e ciascun dolore,
non altri- menti che un chiodo confìgge l'anima al corpo e con esso
la unifica per modo che ella, accetta per vero tutto che è
affermato dal corpo. La legge di cui qui parla Antonino è la legge
universale, quella della natura, di Dio. chi teme, o s’ attrista, o s’
adira, è nn servo fuggitivo. 2(ì. Chi introdusse il seme
nella matrice, se ne va ; un’ altra causa sottentra immantinente, e
lavora e conduce a termine il feto. Qual cosa e da quale? Ancora,
egli manda giù il cibo per la gola : e tosto un’ altra causa
sottentrando produce senso, moto, vita, vigore, eccetera. Quante e
quali cose? Queste maraviglie, che si compiono sotto un velo si
impe- netrabile, sianti spesso subbietto di contemplazione, e sappi
fare concetto della potenza operatrice di ({uelle, come facciamo
della causa che fa gravitare i corpi o li spinge in al- to, la
quale non vediamo cogli occhi, ma non però meno certamente. Non
dimenticare che tutte queste cose, che ora si fanno, si sono fatte
prima d’ ora: e pensa* che si faranno per l’avvenire. Pònti da-
vanti agli occhi quanti drammi o scene vedesti tu stesso, o leggesti
nelle antiche storie : come, verbi- grazia, tutta intera la Corte di
Adrian no, tutta intera quella di Antonino, tutta intera quella di
Filippo, di Alessandro, di Creso: perchè erano tutte la stessa cosa
che adesso, solamente erano diversi gli attori. Fa’ ragione che colui il
quale si attrista d’ alcuna cosa, o l’ ha a male, non è punto
dissomigliante dal porcellino percosso dal ferro del sagrifìcatore,
il quale ricalcitra e grida. Non altro concetto hai da farti di chi
lamenta solitario sul suo lettuccio le catene che ne stringono. E pensa
come al solo animale ragionevole è dato seguire volontario gli eventi :
che in quanto al se- guirli ad ogni modo, è forza di ne- cessità
per tutti. 1 Lettuccio è qui come chi dicesse il canapè su
cui l’uomo lavora e studia. Cosi, bene il Casaubono. Considera
segregatamente in sè stessa ciascuna delle cose che vai facendo, e
interroga te medesimo se la morte è un male perchè ti priverà del potere
di farla. Quando per l’ altrui fallo ti senti montare la collera,
rivolgiti tosto sopra te stesso ed esamina in qual cosa simile a
quella tu pecchi : stimando, per esempio, che le ricchezze siano un bene,
o il piacere, o la gloria; secondo il genere del- l’altrui peccato
che ti sprona all’ira. Perchè se tu badi a ciò, presto cesserà la tua
collera. E ancora con- sidererai che colui è forzato.* E in vero
che farebbe egli? Ovvero, se tu il puoi, rimovi da lui ciò che lo
sforza. Cioè a dire, rimovi dalla sua mente l’errore, il falso giudizio;
perchè gli stoici deriTavano interamente il bene morale dal
giudizio razionale, e riferivano quindi uni- camente alla luce della
ragione le risoln- [Veggendo Satirione, immagina di vedere
Socratico o Imene : veggendo Eufrate, immagina Eutichione 0 Silvano :
quando vedi Alcifrone, immagina Tropeoforo. Qquando vedi Senofonte,
immagina Oritene o Severo; e in te stesso figurati di ve- dere
qualcheduno dei Cesari ; e così via via. Poi ti occorra alla mente
: ora dove sono costoro? In nissun luogo, 0 chi sa dove. Di questa
maniera tu verrai avvezzandoti a consi- derare le cose umane come un
fumo ed un nulla : massimamente se ti rammenterai come ciò che fu
mu- tato una volta, non riprenderà mai più quella forma in tutto il
tempo infinito. E tu in qual tempo? Che non ti basta adunque il
passare co- zioni virtuose della volontà: secondo essi il
giudizio determina la volontà necessariamente. Intendi: se gli altri non ci
ritornano mai più, ti credi tu di averci a ritornare tu solo? 0, stumatamente
questo poco che ti è dato ? Da qual materia d’ azione, da quale
impresa rifuggi? Tutte queste cose che ti accadono, sono esse altro
che occasioni di esercizio alla ra- gione, la quale abbia
diligentemen- te, e come si addice allo studioso della natura,
considerate le cose che avvengono nella vita? Rimanti adun- que
finché tu abbia assimilato a te medesimo ancor questo,' come il
valente stomaco assimila a sè tutti i cibi, come lo splendido fuoco
fa fiamma e luce di tutto che tu getti in esso. Nissuno sia
veritiero il quale dica di te che non sei sempli- ce e schietto, che non
sei uomo dabbene: ma menta chiunque fac- cia di te un tal giudizio.
E tutto ciò sta in poter tuo. Perchè chi è • Intendi: ciò che
ora ti è dato per ma- teria di azione f frase solenne ad Antonino. quegli
che ti possa impedire che tu non sii schietto e dabbene? Solo che tu
abbia fermo nell’ animo di non voler più vivere quando tu non sii
tale. Nè la ragione il vorrebbe. Che è ciò che in questa occa- sione
che mi è data si può fare o dire per lo meglio? Checché egli sia, è
in mia facoltà il farlo, o il dirlo. Non iscusarti col dire che ne sei im-
pedito. Non prima cesserai dai lamenti che non sii fatto tale, che r
operare conforme air istituzione tua in (jualsivoglia caso non sia
per te la stessa cosa che è pel sen- suale la voluttà. Perocché ciò
ap- punto vuoisi dall’ uomo avere in conto di vero godimento.
L’operare. In questa occasione - in qualsivoglia caso.» Chi preferisse la
frase stoica dica: « in questa materia — in qualunque materia a te
sottoposta » come disse Ornato. A me parve troppo alieno dall’ uso, ed anche
poco chiaro in italiano. conformemente alla propria natura. E questo può
egli in ogni caso. Al cilindro in tutti i casi non è dato potersi
muovere in quella forma di moto che gli è propria, nè all’acqua, nè
al fuoco, nè a nissuna delle cose che sono governate o da natura inanimata,
0 da anima irrazionale : molti sono gli impedimenti che loro si
frappongono, molte le resistenze. Ma la mente, la ragione può
seguire, solo che il voglia, la sua propria via vincendo tutti gli
ostacoli. Questo potere e agevolezza che ha la ragione di seguire la sua
via in tutte le direzioni, all’alto, al basso, per 10
declive, come il fuoco, la pietra, il cilindro, pònti davanti agli
occhi, e non cercare più oltre. Tutti gli ostacoli che tu puoi
incontrare non hanno relazione se non se al corpo che è cosa morta
; o veramente, se non sottentra l’ opinione, e se la mente non
cede, non possono nuocere nè far male veruno. Altrimenti chi ne patisse,
dovrebbe eziandio pa- tire deterioramento, come veggiamo di tutte
le altre produzioni sia della natura sia dell’ arte ; le quali
tutte trovansi deteriorate ove incolga loro alcun male ; ma, qui al
contrario, r uomo, se ho a dirlo, si fa migliore e più degno d’
encomio, quando fa retto uso degli accidenti, quali essi sieno, che
gli incontrano. In som- ma ricordati che non offende il ve- ro
cittadino ciò che non offende la città; che non offende la città
ciò che non offende la legge; e che nissuna di tutte queste così
dette avversità offende la legge. E se non offende la legge, non
of- fende adunque nè la città nè il citadino. A colui che fu ben
penetrato dalle vere credenze, basta il più breve detto, anche di
quelli che sono a tutti i più noti, a sgombrargli dall’animo la tristezza
o il timore. Per esempio. Quali sono le foglie, e tali sono Le
schiatte degli umani. Quelle il vento A terra sparge, ed altre ne
produce La germogliante selva a primavera. Cosi le schiatte
degli umani : questa Or nasce, or quella muore. Foglie sono i tuoi figliuoli,
foglie tutti costoro che ti acclamano, e schiamazzano sì forte da far
credere che dicano il vero ; foglie questi altri che altamente ti
maledicono, o ti vilipen- dono e lacerano in segreto. Foglie sono
ancora quelli che ricorderanno il tuo nome dopo la tua morte. Tutte
queste cose spuntano fuori alla verde stagione, poi fi vento le sparge
a terra, e(i altre in loro vece ne ri- produce' la germofjliante
selva. Il durar poco è comune a tutte. Ma tu le fuggi 0 le cerchi
come se aves- sero a durar sempre. Ancora un poco e chiuderai gli
occhi; e a quello che ti comporrà sul rogo, altri farà il
corrotto. 35. L’ occhio sano deve essere dis- posto a vedere
tutto ciò che è vi- sibile, e non dire: io voglio vedere solamente
il verde ; perchè ciò è da occhio ammalato. L’ orecchio sano e r
odorato debbono essere disposti a udire tutti i suoni e a sentire
tutti gli odori. E lo stomaco sano deve essere preparato a digerire
tutti i cibi, non altrimenti che la macina è pronta a macinare
tutto quello che ella fu fatta per macinare. E così pure la mente
sana deve essere pronta ad accettare tutto quello che accade. Colui
il quale dice : « sieno salvi i figliuoli » e « tutti lodino le mie
azioni » è come 1’ occhio che vuol vedere solamente il verde, o
come i denti che vogliono masticare sol cose tenere. 36.
Nissuno è tanto avventurato che al suo morire non sia per avere intorno
a sè chi si rallegrerà del male che gli incontra. Savio e dab- ben
uomo sia stato ; non mancherà all’ ultimo chi in sè stesso dirà. Respireremo
una volta da questo pedagogo. A nissuno di noi diede noia con
rampogne, è vero; ma ci siam pure avveduti che in cuor suo ci
condannava. » Questo si dirà del- r uom savio. E di noi, quante
altre cose possono fare a molti desiderare che ce ne andiamo! A
questo pen- serai quando sarai per morire, e la tua partenza ti
verrà fatta più facile. Ragionerai teco stesso: me ne vo da questa
vita, dalla quale questi miei concittadini, pei quali ho in essa
tanti travagli sostenuto, tante preghiere fatto, tante cure avuto,
vogliono ora essi medesimi. eh’ io me ne vada, sperando forse che
debba seguirne loro qualche profitto. Chi dunqu e potrebbe
desiderare d’avere a starci più lungamente? Non per questo partirai
tu men benevolo verso di quelli, ma, serbando inai- terato il
costume e 1’ indole tua, amico loro tuttavia qual fosti, pro- pizio
e amorevole a tutti, e non però mesto nè ripugnante. Ma co- me
veggiamo in chi muore di fa- cile morte V anima soavemente scio-
gliersi dal corpo, cosi conviene che si faccia la tua separazione da
co- loro. Perchè la natura ti avea pure congiunto e complicato con
essi. Ora me ne disgiunge? Ed io mi lascio disgiungere come da
amici e carissimi congiunti, non però turbato nè ripugnante, ma
tranquillo e di mio buon grado. Perchè anche questa è una delle cose
volute dalla natura. A ciascuna cosa che tu vegga fare a
chicchessia, vienti avvezzando, per quanto è possibile, a
ricercare, ragionando teco medesimo : costui a che riferisce quello
che sta facendo? E incomincia da te, esami- nando te stesso il
primo. 38. Ricordati che chi dà V impulso e muove, per cosi
dire, le fila del fantoccino, è il celato nel di dentro. Quello è
il dicitore che persuade, t|uello è la vita, quello è, se vogliam
dire il vero, V uomo propriamente. Guardati dal figurartelo come
una sola cosa con esso il vaso le cui pa- reti lo circondano, o con
questi in- gegni che songli cresciuti intorno.* Questi somigliano
alla scure ; se non che gli sono per natura aderenti. Si
capisce facilmente che per ingegni bassi qui ad in- tendere ordigni, cioè
gli organi e le mem- bra del corpo. Gli Inglesi e i Francesi presero
dai classici Italiani questa parola ingegno con questo senso, e dicono
quelli engine e questi engin ; come ne presero tante altre
bellissime o utilissime dello quali si servono quotidianamente ; e di
tali ancora che noi abbiamo interamente dimen- ticato: e per
significar poi quelle cose di cui abbiamo dimenticato i nomi italiani,
an- diamo ad accattar vocaboli dai forestieri, E in effetto, allontanata
la causa che li muove, non è uso alcuno di essi pili che non sia
della spola, senza la mano, al tesserandolo, nè della penna allo
scrittore, nè della frusta al cocchiere. È proprio deir anima
razionale' il veder sè medesima; il conoscere partitamente sè
medesima ; il far sè meilesima quale ella vuole: il cogliere essa
medesima il frutto che ella produce, laddove i frutti delle piante
e i portati degli animali sono colti da altrui; il giugnere sempre
allo scopo che è proprio di lei, in qualsivoglia punto arrivi il
termine della vita : perchè 1’ azione di lei, in qualsiasi momento
ne sia arrestato il corso, non rimane imperfetta, co- J
Razionale per distinguerla da quella dei bruti, che dagli stoici è chiamata
anima semplicemente. me nelle rappresentazioni sceniche o nel hallo, o in
simili cose; ma anzi in qualsivoglia istante, in qual- sivoglia
luogo le sopravvenga la mor- te, ella compie nondimeno intera-
mente, e in modo soddisfacente a sè stessa, quanto si avea proposto
(28), e può dir sempre: io ho tutto il mio. Ancora ella va
spaziando colla speculazione per tutto il mondo e il vuoto che lo
circonda, e contempla la forma di quello, e si estende nella
infinità dei secoli, e abbraccia col pensiero i rinascimenti periodici
della università delle cose; e contemplan- doli si fa capace che
non rimane da vedere nulla di nuovo ai nostri po- steri, siccome
nulla di più videro i nostri antichi ; chè anzi 1’ uomo giunto
all’età di quaranf anni, per poco che abbia di buon discorso, ha
1 Tutto il mondo : intendi ciò che noi di- remmo tntto il creato.
Ma l'idea di crea- zione era aliena dagli stoici. in certo modo veduto e
conosciuto tutto ciò che fu e tutto ciò che sarà per la somiglianza
che hanno le cose fra loro. Ancora è proprio del- r anima razionale
l’ amore del pros- simo, la veracità e la verecondia, e il non anteporre
nulla a sè mede- sima: * il che è proprio eziandio della legge.
Onde segue che la retta ra- gione e la ragione di giustizia sono
una sola cosa. I canti aggradevoli e le danze e gli esercizi
ginnastici ti cadranno Bene avverte qui il Gataker come an-che la legge
cristiana ci prescrive di non avere a nulla maggior rispetto che alla propria
anima (confer. s. Matt. Evang. XVI, 26; s. Marco Vili, 36). E san
Gregorio Nazian- zeno: c nulla, disse, è più prezioso a ciascuno
che la propria anima» riproducendo quasi nella sua prosa il verso 301 dell’Alceste
di Euripide. [Esercizi ginnastici, letteralmente il pancrazio.
Ognuno sa che i romani per mezzo della ginnastica voleano esercitata la
forza del corpo con signiftcazione di leggiadria. E quindi i giuochi
ginnastici erano pur uno degli spettacoli più graditi ad un popolo,
in disprezzo, se tu dividi, per esempio, la cantilena melodiosa in ciascuno
dei suoni di che ella si compone, e ad uno ad uno considerandoli, domandi a te
stesso, è egli questo quel che mi vince? » perchè ne avrai
vergogna. E similmente in- torno alla danza, considerando sepa-
ratamente ciascuno dei moti, cia- scuno degli atteggiamenti; e così
per gli esercizi ginnastici. E gene- ralmente in tutto ciò che non
è virtù, o che non procede da virtù, i sovvengati di ricorrere alla
divisione delle cose nelle parti loro (29), si che divise a quel
modo elle ti cadano in dispregio. Fa’ l’ applicazione di ciò anche
alla vita intera. Quale debba essere 1’ anima in tutto r ordine
della cui vita regnava sovranamente l'idea della bellezza. Cioè, dividi
la vita umana in tante pic- cole porzioni, per disprezzarla tutta
insieme. Sottintendi ronsi'lera, o ricordati. apparecchiata a sciogliersi, ove
oc- corra, immantinente dal corpo, a spe- gnersi o a dissiparsi, o
ad entrare in una nuova condizione di esistenza. E questa disposizione
proceda da giudizio particolare della mente, non da sola pervicacia
di volontà, come nei Cristiani; sia scevra da ogni tragica
ostentazione, non però senza dignità, da poter anche persuadere gli
altri.* 4. Ho io fatto qualche cosa che giovi alla società?
Adunque ho gio- * 0 ad entrare eiUtenta ; letteralmente: 0 a
perdurare. Ornato traduce: o a rimanere ancora dopo morte Non mi piacque,
ma la mia versione, che svolge il pensiero dell’ autore, ha un
coloro troppo moderno. P. ^ I Cristiani erano ancora
comunemente mal conosciuti, e creduti settari fanatici, nemici
dell’ impero. P. 8 Cioè a dire; sia tale, non solo intimamente. ma anche
pe’ suoi caratteri esteriori, da poter persuadere altrui che essa
procede da ben ponderato giudizio,* nòn da codardia 0 vanità o da
intemperata esaltazione o concitazione di mente. vate a me stesso.' Questo pensiero ti
occorra sempre pronto alla mente, e ti conforti a perseverare.
5. Qual è r arte tua? L’ esser buono. E quest’ arte come altrimenti
s’acqui- sta, se non per le buone dottrine, le une intorno alla
natura dell’uni- verso, le altre intorno alla costituzione propria dell’
uomo? Da prima fu istituita la tragedia a ricordare i casi che
sogliono av- venire e come essi sieno così fatti per natura, e ad
avvertirci nel medesimo tempo essere una contrad- dizione il pigliarne
diletto quando •li vediamo sulla scena del teatro e dolercene poi
quando accadono sopra una scena maggiore. Voi vedete di *
Sono le parole di' Salomone, Prov. XI, 17: « Benefacit sibi ipsi vir
beneficus.» Epitteto svolgo il medesimo concetto, dis- sert. I, 19;
Seneca, epist. 48, disse: «Non potest beate degere qui se tantum
intuetur, qui omnia ad utilitates suas couvertit: al- teri viVas
oportet, si vis tibi vivere.» fatti
essere pur forza che 1’ azione si compia a quel modo (30), e che
deb- bono ad ogni modo soffrirlo anche coloro che esclamano : « 0
Citerone, ahi lasso.* w E invero alcune cose diconsi utilmente
dagli autori di tra- gedie siccome questa: Che se gli
Iddìi Di me nè de’ miei tigli non han cura, Ragion pur
anco a ciò li move. E quest’ altra. Contro alle cose lo adirarsi è vano.
» E ancora quest’ altra: € Mieter la vita
Come spiga matura -» E le altre di cotal fatta.
Dopo la tragedia fu introdotta hi t Parole di Edipo. Vedi
Sofocle, Edipo re, vers. 1391. Ecco, secondo la traduzione del
Belletti, i tre versi che formano il periodo intero di cui quelle parole
sono il comin- ciamonto: Oh Citeron! perchè raccormi? o
tosto Perchè morte non darmi, ond' io giammai L'origin mia non
rivelassi al mondo! vecchia commedia, la quale, con quella sua libertà,
facesse come da aio al popolo, e con quel suo chia- mare le cose
coi nomi loro, ne ri- cordasse agli uomini la vanità: i quali modi
assunse poi Diogene ezian- dio ad un fine somigliante. Dopo la
vecchia, quale sia stata la mezzana commedia, ed ultimamente poi la
nuova, e quale scopo abbia questa, che a poco^a poco si è ridotta
ad , essere puro artificio di imitazione, lascio a te il
considerare. Che anche da costoro si dicano alcune cose utili, non
è da negare : ma l’ inten- zione generale di un tal genere di
poesia e di composizioni drammati- che, qual è ella mai? 7.
Come vedi tu chiaro nissun’ al- tra setta' essere così acconcia al
1 Setta, intendo della setta illosodca in che Marco vivea, e non
dello stato o- con- dizione sociale. 0. Ho qualche dubbio, e
parrai che il 3iou filosofare, come quella in che sei
ora? 8. Un ramo spiccato da un altro ramo non può non
essere separato dalla pianta intera. Parimente un uomo diviso da un
altro uomo è sca- duto dalla società intera degli uo- mini. Il ramo
vien divelto per mano d’altri. L’uomo si separa egli stesso dal suo
vicino, quando egli l’ odia, quando lo ha in dispetto; e non s’
avvede eh’ egli si distacca ad un , tempo dalla intera comunità. Se
non che, per dono di Giove autore dplla comunità, può ciascuno di
noi che siasi distaccato dal prossimo, riap- ÙTTóOeo'.y
potrebbe anche voler dire qualche cosa che non fosse nè la condizione
sociale-y nè la setta filosofica^ ma bensi il modo e r ordine ili
vita adottato da Antonino nella condizione sociale in cui vivea: e cosi
l’in- tesero anche il Gatakero e lo Schultz, i quali_ tradussero
vitee genus. Ma siccome rOrriato pare che fosse ben fermo in quella
sua opinione, ho conservato la sua parola fetta. P, piccarvisi e
farsi di nuovo parte in- tegrante del tutto. Vero è che quando ciò accade
più volte, più diffìcile diviene la riunione o il ristabili- mento
a suo luogo della parte stac- cata. E ad ogni modo egli è diverso
il ramo che crebbe da principio in- sieme cogli altri e sempre
rimase unito con essi, dal ramo che vi fu innestato dopo esserne
stato divelto: checche ne dicano i giardinieri, fa un albero solo
cogli altri rami, ma non un solo disegno. La vegetazione è una, ma la
forma non è una. Questo potrebbe dirsi di un ramo di pe- sco, p.
es,, che fosse innestato in quello di un noce ; ma quando un ramo del
uoco che ne fosse stato spiccato fosse innestato in un altro ramo
del noce medesimo, sarebbe una la vegetazione cd una ancora la
forma. Mi è anco sospetto quello ófJioJoyjjiaTetv parlandosi di
piante. Io propendo a credere, coi migliori critici, questo luogo
corrotto o manchevole nel testo. Alcuni di quest' ulti- ma frase
fanno un paragrafo separato: e remato stesso non era ben risoluto. Chiunque
voglia avversarti in cosa che tu faccia secondo la retta ragione,
siccome non avrà forza dà distoglierti dall’ azione incominciata,
cosi ancora non ti riinova dal sen- timento di benevolenza che devi
avere per lui : ma fa’ che tu ti serbi co- stante nel giudicare e
nell’ operar rettamente, e ad un tempo amore- vole verso chi cerca
di impedirti o in qualsivoglia modo ripugni a ciò che tu fai.
Perchè non sarebbe mi- nore fiacchezza lo adirarti contro questi
tali, che il ritrarti dall’ im- presa e dar luogo per paura;
essendo egualmente disertore chi teine e fugge dall’ ordinanza, e
chi s’ allon- tana dal congiunto e dall’ amico suo naturale.
IO. Non è natura alcuna la quale sia da meno dell’ arte che ne è imi-
tatrice ; nè la più perfetta fra le na- ture, quella che comprende in
sè tutte le nature, può essere da meno di un’ arte qualsivoglia. Ora
le arti tutte fanno le parti inen nobili di ciascuna delle opere
loro per amore delle più nobili;' adunque anche la natura comune.
Quindi ha origine la giustizia, e da questa procedono tutte le
altre virtù. Perchè mal potrà conservarsi giusto colui, il quale o
non sarà indiflerente verso le cose medie, o si lascierà facilmente
in- gannare dalle apparenze, o sarà pre- Come, per esempio, un pittore
farà ciò che pone nel fondo di un suo quadro per dare maggior
risalto a ciò che ne è il sog- getto principale. E (la questa procedono
tutte le altre virtù. Intendo che dallo aver la natura voluto che
si osservasse la giustizia, procedette che essa natura istituisse le
altre virtù; quelle cioè di cui parla poco dopò ; le quali sono
necessarie alla pratica della giustizia e fu- rono dalla natura istituite
per amore di essa giustizia, còme un artefice fa le parti men
nobili di una sua opera per amore delle più nobili. Ricordi il lettore
che appo gli stoici posteriori parte sovrana della filosofia • era
la morale : la logica, anche per gli stoici antichi, era subordinata alla
morale. cipitoso nel giudicare, o mal fermo
nel giudizio fatto. Non le cose, il cui desiderio o timore ti turba,
vengono alla volta tua; ma tu in certo modo vai alla volta loro.'
Ora fa’ che il tuo giudi- zio intorno a quelle stia cheto, e quelle
rimarransi quete del pari, e tu non sarai veduto desiderar nulla nè
temere. La sfera dell’anima ha la forma che è propria di lei, quando
ella nè si estende al di fuori verso checchessia, nè si ritrae al di
dentro, nè si dissipa, nè si accascia,* ma splende di una luce per
la quale ella vede la verità che è nell’ universo e quella che è in
lei. Un tale mi disprezza? Tal
sia di lui. A me basta parlare e operare Inteudi che l' anima è
nello stato con- forme a natura, quando ella non ha nè de- siderio,
nè timore, nè piacere, nè dolore. in modo che nissun mio detto o fatto
meriti disprezzo. Mi odierà? Tal sia di lui. Quanto si è a me, io mi
ser- berò mansueto e benevolo verso ognu- no, pronto a chiarire
dell’ error suo anche colui che mi odia, non con parole di
rimprovero nè ostentando pazienza, ma cortesemente e con sin- cera
amorevólezza, come Focione so- lea fare (31), supposto che non
s’infin- gesse. Perchè la mansuetudine vuol essere interna, sì che
gli Dei veggano in te un uomo disposto a non ricevere nulla con isdegno
nè a ma- lincuore. Qual malej in fatti, per te, se tu fai ora quel
che s’ addice alla tua natura e ricevi ciòcche ora è giu- dicato
opportuno dalla natura uni- versale, tu uomo ordinato a questo fine
che sempre si faccia il comun bene, sia qualsivoglia lo strumento
per cui si faccia? Si disprezzano l’un l’altro, e si vanno
piaggiando l’un 1’altro. L'uno vuol essere da pii» che l’altro, e s’
inchinano 1’uno all’ altro scawi- bievolmente. Che fradiciume e che
doppiez- za non è il dir di taluno : a Io ho deliberato di trattar
teco schietta- mente. » 0 uomo che fai? Non è bisogno' di questo
preambolo. Alla prova si vedrà. Sulla fronte conviene ti si legga
immantinente ciò che tu di’, perchè è cosa di tal natura che tosto
si manifesta negli occhi, come nello sguardo dell’ amante ogni cosa
conosce immantinente l’ amato. L’uo- mo schietto e buono dev’ essere
come chi sa di caprino, sì che al solo ac- costarsegli altri il
senta, voglia o non voglia. La schiettezza simulata è un’ arme da traditore.
Non è cosa più turpe che l’amicizia del lupo. L’ amicizia del lupo
espressione proverbiale presso i romani, ed era allusione a quella favola
di Esopo, nella quale i lupi persuadono le pecore a dar loro i cani
come ostaggi, e ad accettare alcuni giovani lupi A tutto
potere fuggi cotesto. Alfuom dabbene, all’ uomo schietto, all’ uom
benevolo sono appariscenti negli oc- chi tjuelle qìialità loro, e non è
bisogno di parole a manifestarle. Vivere beatamente è cosa che sta
in potere dell’anima, solo ch’ella voglia essere indifferente verso
le cose indifferenti. E questo le suc- cederà se ella considererà
ciascheduna di esse nelle sue parti e nelle sue relazioni col tutto, non
dimen- ticando che nissuna di esse viene alla volta nostra nè ci
sforza a fare di lei tale o tal altro concetto ; ma • anzi elle si
stanno tutte immobili dove sono, e noi siamo quelli che facciamo i.
giudizi intorno ad esse, e li scriviamo, per così dire, dentro di
noi, potendo non farlo; e ancora. come gaardiatii in luogo di
quelli; e divo- rano poi le infelici che lascìaronsi gabbare dalle
belle parole e dalle belle promesse. Cioè le cose fuori di noi. quando ciò ne
venga fatto inavver- titamente e senza avvedercene, po- tendoli
cancellare immediatamente e rammentando inoltre che pocd^ha a durare
questa fatica di considerare le cose in tal modo, e saremo poi
fuori della vita per sempre. E che v’ha poi di tanto arduo in esse?
Se sono secondo natura, pigliane piacere, e ti diverranno facili ; se
sono contro natura, vedi tu che cosa è secondo la tua natura, e a
quello attendi, ancora che sia senza gloria. È sempre degno di
scusa chi va in traccia del proprio bene. Donde sia venuta
ciascuna cosa, di che elementi sia composta, ed in che si
trasformi, e qual divenga trasformata, e siccome non è per soffrire alcun
male per la trasformazione. E in primo luogo,* quale rela-
[Sottintendi: Considera] [Sottintendido considerare, o altra zione
io abbiaceli essi^ e come siam nati gli uni per gli altri, ed io,
per altri rispetti sono nato per essere loro guida, come l’ariete
della greggia e il toro deir armento. Risali più in alto: se gli atomi
non sono, la natura è quella che governa l’uni- verso ; e se questo
è, gli esseri meno perfetti sono nati pei più perfetti, e questi
gli uni per gli altri. Quali essi sono a mensa, a letto, negli altri
momenti della vita. E massimamente a che sorta di azioni siano necessitati
per le credenze che essi hanno, e con quanta presun- zione di
sapere fanno essi ciò che fanno. Che se essi fanno ciò a buon
diritto, e’ non ti bisogna avertelo a male ; se a torto, essi il fanno
indubitatamente malgrado loro, non sa- pendo quel che si fanno.
Perciocché frase cotale ; e cosi al principio di ciascuno
degli otto capi seguenti. siccome è involontaria negli uomini la
privazione del vero, così involon- tario è ancora il non portarsi
verso altrui secondo le norme del giusto: il che provano collo
adirarsi quando sono chiamati ingiusti, ingrati, cu- pidi dello
altrui, o rei di qualsivo- glia colpa verso il vicino. Che tu ancora
pecchi non di rado, e sei pur uno del numero loro; e se da certi
peccati ti astieni, hai nondimeno la disposizione a com- metterli,
benché, sia per difetto di audacia, sia per vanità o per altro cotal
vizio, tu noi faccia. Ancora, che tu non sai di certa scienza che
essi pecchino: perchè molte azioni, che paiono malvage si fanno
talora a fin di bene o per meno male: e ad ogni modo è me- stieri
sapere di molte cose a poter sentenziare convenientemente sulle
azioni altrui. 6® Quando senti che sìa per occuparti r ira od anche
solo l’ impazienza ; che la vita umana dura un mo- mento, e poi saremo
tutti sotterra. Che non sono le azioni loro quelle che ti turbano,
standosi quelle nei loro autori, ma bensì le nostre opinioni.
Adunque togli via, sappi rimovere da te il concetto che tu fai di
quelle, e l’ ira se ne andrà parimente. E come rimovere quel
concetto ? Col considerare che le azioni altrui non hanno nulla di
dis- onesto per te. Che se il male tutto non consistesse nella sola
disonestà dell’agente, di necessità peccheresti tu ancora, e
saresti tu pure assas- sino, e macchiato di ribalderie d’ogni
forma. Siccome le ire, i rammarichi intorno a siffatte cose
arrecano seco troppo più gravi danni che non siano quelli di che ci
adiriamo e ramma- richiamo. Che r amorevolezza è
sempre vittoriosa, quando sia schietta, e non sia una affettazione o
una parte che tu reciti. E in vero che ti può egli fare 1’ uomo il
più iracondo e inso- lente, se tu ti mostri a lui tuttavia
amorevole e se, venendo il caso, tu lo ammonisci cortesemente e
cerchi di farlo ricredere in quel tempo me- desimo che egli intende
ad offen- derti? — «No, figliuol mio; noi siamo nati ad altro. A me
tu non nuoci; a te bensì, figliuol mio. E gli dimostri e fai toccar con
mano che la cosa sta COSI universalmente; e come nè le pecchie si
comportano in quella guisa, nè alcun altro ani- male che sia nato a
vivere in co- munanza. Le quali cose vogliono es- ser dette senza
ombra alcuna di ironia nè di rimprovero, ma bensì con amorevolezza,
e senza amaritu- dine alcuna nell’animo; nè ancora come si
direbbero da un maestro in iscuola, nè per farsi ammirare dai
circostanti; ma da solo a solo, e se v’ha altri presente, *
Di questi nove capi fa’ che tu ti ricordi come se tu li avessi
ricevuti in dono dalle muse; e incomincia pure una volta ad esser
uomo men- tre hai vita.* E’ ti conviene ad un tempo guardarti dallo
adulare gli uomini non mejio che dallo adirarti contro di essi:
perchè le sono cose egualmente antisociali e nocive. Quando ti
sentirai provocato all’ira, ti occorra alla mente questo pen-
siero: non esser punto cosa virile lo adirarsi ; ma anzi la pacatezza,
la mansuetudine, siccome sono cose più umane, così sono anche più
vi- rili ; e che la costanza, il vigore, la fortezza sono nel
mansueto, non in [Ornato collo Schultz, anzi più riso- Intamento
che lo Schultz, stimò che qui il testo fosse manchevole. Seneca, De ira, 111,43, disse. Humanitatem
colamns, dnm inter homines snmus. »
chi si adira o s’impazientisce. Per- chè più quegli si avvicina
alla im- passibilità, tanto più partecipa della forza; laddove l’
ira, siccome il do- lore, è propria del debole : lo adirato e lo
addolorato furono egualmente piagati e ambidue cedettero egual-
mente. E un decimo ricordo ancora ri- «
cevi, se vuoi, dal Musagete: * essere da pazzo il volere che i
malvagi non pecchino, perch’ egli è un voler l’im- possibile. Il
voler poi che essi por- tinsi da pari loro verso tutti gli altri e
noi facciano con te, è da stolto e da tiranno. Contro quattro specie di
de- terminazioni* della parte tua prin- cipale ti bisogna sopra
tutto stare in guardia, e tosto che una ti venga >
Conduttor delle muse, o Apollo, o se vuoi. Ercole. Piuttosto quello che
questo. Vedi il Gatakero. nsieri, moti, determinazioni, volon-
avvertita, cancellarla, ragionando teco medesimo intorno a ciascuna
di esse in questa guisa : Intorno a quelle della prima specie :
questo pensiero non è necessario. Intorno a quelle -della seconda :
questo pen- siero tende a sciogliere la società. Intorno a quelle
della terza : tu stai ora per dire cose che intimamente non credi:
e il dir cose che inti- mamente non credonsi è da essere annoverato
fra le massime assurdi- tà. Intorno a quelle finalmente del- la
quarta specie, rampognerai te medesimo dicendo: tu lasciasti che
fosse vinta la parte più divina di te, e sottoposta a quella che è
men nobile e mortale, cioè a di- re al corpo e ai grossi piaceri di
quello. Quattro cose da prevenire od allontanare. Pensieri inutili oziosi. Volontà
od azioni ingiuste, dove sono anche compresi i moti di
irascibilità; Quanto è in te di aereo e di igneo, benché abbia
naturale ten- denza ad innalzarsi, acconciandosi nondimeno
all’ordinamento del tutto si rimane quaggiù nel tuo corpo. E similmente
le parti terree é le acquo- | se, benché tendano naturalmente allo
' ingiù, tengonsi non pertanto solle- vate ed erette in una forma
che non é loro naturale : tanto anche gli ele- menti sono
obbedienti alla legge dell’ universo, e facendo forza a sé medesimi
serbano costantemente il posto in che furono collocati, finché da
quella medesima legge sia dato il segno dello scioglimento. Ora non
é egli singolarmente strano che sola la parte intelligente dell’ esser
tuo non voglia obbedire e si rammarichi del posto che le fu
assegnato? e pure nulla di violento le è coman- 3® Disaccordo
della mente e delle parole; cioè falsità voluta, o non avvertita. Moti di
concupiscenza. dato, ma cose soltanto che sono se- condo la natura di
lei. Con tutto ciò non vi si vuole acconciare, e vuole andare a
ritroso. Perchè le ingiu- stizie, le dissolutezze, 1’ ira, la tri-
stezza, il timore, sonò tutti moti a ritroso della natura. E ancora
allor- quando r anima non s’ acconcia di buon grado agli
avvenimenti, ella abbandona il suo posto, essendo ella stata
instituita alla santità, alla pietà,* non meno che alla giustizia,
poiché quelle non meno di questa fanno parte della sociabilità :
chè anzi gli atti di giustizia succedono piuttosto (-he non
precedano a quelli della pietà e della santità. Intendi la pietà
religiosa, o la pietà verso Dio o la natura, che è tutt’uno presso
gli stoici, e non dimenticare che il rasse- gnarsi volentieri a tutti i
casi esteriori, è atto religioso appo gli stoici. Cioè Tnomo ha relazioni
con Dio prima che con gli nomini, e le sue relazioni con questi
hanno per fondamento le sne rela- zioni con quello. Chi non ha sempre il
medesimo proposito, il medesimo istituto di vita, non può essere in tutta
la vita il medesimo uomo. Ma ciò non basta se non aggiungi ancora
quale esser debba questo proposito o isti- tuto di vita. Perchè
siccome non di tutti quelli che al volgo paiono beni è invariabile
negli uomini il giudizio, ma di quelli soltanto che sono univer-
sali e comuni; ' così lo scopo comune e civile dell’ umana famiglia, è
quello che l’uomo dee proporre a sè stesso. Colui adunque il quale indirizzerà
a questo scopo comune l’esercizio di tutte le sue facoltà, quegli
farà che tutte le sue azioni sieno fra loro somiglianti, e per tal
guisa sarà egli costantemente il medesimo uomo. Intendi che T idea
del bene privato varia nella stessa persona, secondo che varia la
sensibilità; laddove l'idea del bene pubblico è costante e invariabile,
siccome quella che dipende solo dalla ragione, la quale non varia. Rammenta
il topo di monta- gna e il topo di casa, e lo spavento - di questo
e il correre precipitoso.' Socrate chiamava befane le
credenze del volgo, spauracchi di fanciulli. I Lacedemoni nella loro
solen- nità ponevano pei forestieri i sedili all’ ombra, ed essi
sedevano dovun- que. 25. A Perdicca, che gii chiedea
perchè non andasse a lui, Socrate rispondea : « per non morire di
pes- sima morte » cioè a dire, « per non ridurmi alla condizione di
non poter ricambiare beneficii eh’ io avessi ricevuti. Nelle lettere degli Epicurei era una
esortazione all’ aver sempre pre- sente al pensiero alcuno di
quelli antichi che praticarono la virtù. 27. I Pitagorici
prescriveano che [Gli interpreti allegano Orazio, sat. VI, lib. II.
Ma riscontra in Esopo, fav. 301. Ogni
giorno di buon mattino si do- vesse volgere gli sguardi al Cielo,
affinchè per la contemplazione di quelli esseri che sempre
percorrono le medesime vie e sempre compiono a un modo il loro
ufficio, l’ uomo avesse ad ìfver sempre vivo in sè il pensiero
dell’ordine, della purità e della nudità.' Perchè le stelle non hanno
velo che le ricovera. Qual fu a vedere Socrate cinto di una pelliccia,
allorché uscì fuori Santippe colla veste di lui ; e le cose che
egli disse agli amici i quali arrossivano e si ritraevano indietro,
vedendolo assettato in quel modo.* 29. Nell’arte dello scrivere nè
in quella del leggere non puoi essere maestro se prima non fosti
discepo- Il diligentissimo ed ernditissimo Gatalcer non seppe
egli pnre trovare qual fosse il caso particolare della vita di Socrate, e
il detto di Ini, ai quali fa qui allusione Antonino. Meno amcora lo
potrai nell’arte (Iella vita. Sei servo, a te concesso favellar
non è. Ed il mio cor ne rise. E la virtute Àccuseran con rigido
parole. Pazzo* chi vuole aver fìchf di verno ; pazzo ancora chi
desidera aver iigliolanza quando non è più tempo da ciò. Quando
tu baci un tuo figliuo- lo, esortava Epitteto, fa' che tu dica teco
medesimo : domani sarà forse morto. Cattivi augurii, cote- sti. Nulla
è cattivo augurio di ciò che accenna ad un effetto naturale. Agresto,
uva, zibibbo, tutte ' Nei testo è un verso iambico di auto-
re incognito a noi. È la fine del verso 413, lib. I dell'Odissea.
Nel testo è un verso esametro che ha qualche somiglianza con un
verso di Esiodo mutazioni ; non dall’ essere al non essere, ma dall’
essere ciò che è all’ essere ciò che ora non è. Assassini della
volontà non ci sono ; sentenza di Epitteto. Diceva ancora (Epitteto)
do- vensi procacciare V arte dello assen- tire ; stare all’ erta
coi moti della volontà, affinchè tutti sieno condi- zionali, sempre
indirizzati ad un fine, al bene universale, sempre propor- zionati
in intensità al valore intrin- seco delle cose; astenerci in tutto
dalla appetizione, e non dare luogo mai all’ avversione per cose che
non sieno in nostra potestà. Piccolo adunque, diceva egli, non
è il frutto della vittoria o il danno della sconfìtta ; ma l’ esser
savio, o r esser pazzo. 39. Socrate dicea: che volete voi!
1 Vuol dire Antonino che il libero eser- cizio della volontà non
può esserci tolto da nìssuna forza esteriore. avere anime di animali
ragionevoli, 0 di irragionevoli? Di ragionevoli. Di quali
ragionevoli? di sani o di corrotti? Di sani. Perchè dunque non le
cercate? Perchè già le abbiamo. Perchè dunque batta- gliate fra voi
e siete discordi? Anche il Gataker non potè trovare da quale opera
socratica abbia tratto Antonino questa argomentazione: ma moltissimi
scritti della scuola socratica non abbiamo più noi, i quali esistevano
ai tempi di Marco nostro. Tutte quelle
cose, alle quali tu . studi di pervenire per mille andiri- vieni,
tu puoi avere immediatamente, se tu non vuoi male a te stesso. E
ciò sarà, se tu metti da banda il pas- sato e lasci alla Provvidenza la
cura del futuro, e attendi solo ad usare il presente, secondo le
norme della santità e della giustizia: della san- tità, coir
accettare volonterosamente i casi tutti che ti intervengono, es-
sendo essi dalla natura prodotti per te, e tu per essi; della giustìzia,
col dire liberamente e senza am- bagi la verità e far ciò che è
con- forme alla legge e alla dignità delle l'ose,’ non
lasciandoti frastornare mai nè da malizia altrui, nè da opinione,
nè da discorso di chi che sia, nè da affezione veruna di quel
corpicciuolo che ti è venuto crescendo all’ intor- no : sta a lui
che è il paziente a pen- sarci. Or dunque, prossimo o lontano sia
per essere il termine della tua vita, se tu, deposto ogni altro
pen- siero, non attenderai che ad onorare la parte principale e
divina dell’ os- sei’ tuo, e tuo solo timore sarà, non già di dover
cessare quando che sia di vivere, ma di non aver per anco
incominciato a vivere secondo natu- ra; tu sarai uomo degno del
mondo che ti ha generato, non sarai più [Le prescrizioni della
l^igge sono gene- rali ; la dignità delle cose esteriori serve di
guida nell' applicazione della legge. Ta altro modo si potea dire : « ciò
che è confor- me alla legge nelle circostanze particolari in che
ti’ trovi.» Ma quello è più stoica- mente detto. Per dignità delle cose
intendi il loro va- lore ret»tivo. straniero nella tua
patria, non ti maraviglierai più di ciò che accade tutto dì come di
cosa insolita; non sarai più dipendente da chi nè da che che
sia. Iddio vede tutte le menti de- nudate di questi vasi materiali e
in- volucri e sudiciumi. Quelle solo egli attinge colla pura sua
intelligenza, le quali da lui scaturite sono deri-^ vate in essi.
Se ti avvezzi a far tu pure il medesimo, tu avrai meno di molte
distrazioni e perturbazioni. Perchè chi non guarda all’ involucro
della carne, si lascierà egli turbare o distrarre alla vista dell’abito,
o delle case, o della riputazione, o di altri cosi fatti involucri
e addobbi? Di tre cose sei composto: il corpicciuolo, il soffio
vitale e la mente. Delle quali le due prime non sono tue se non in
quanto tu hai a prenderne cura; la terza, questa sola è tua
veramente. Laonde se tu rimovi da te, o per dir più proprio dal tuo
pensiero, tutte le cose che altri fa e dice in presente, e le pas-
sate che tu facesti e dicesti, e le future delle quali 1’ aspqttamento
ti turba, e quelle che riferendosi al corpo onde sei circondato e
al soffio vitale congenito con esso, sono in te involontarie, e
quelle che il vor- tice di fuori va agitando intorno a te, si che
pura e sciolta da ogni esterna fatalità la potenza intellet- tiva
se ne viva libera da sè, ope- rando il giusto, avendo caro ogni
evento qualsiasi, e dicendo il vero; se, dico, tu rimovi da codesta
parte dell’ esser tuo tutto ciò che presen- temente le sta come a
dire appiccato per mezzo dello appetito sensitivo, e tutto r
avvenire e tutto il passa- to, e ti fai siccome quella di
Empedocle da GIRGENTU ri tonda Sfera che posa e in suo posar
s’ appaga, e attendi solo a vivere quel tempo che vivi, cioè il presente;
ti verrà fatto di passare tranquillamente, nobilmente e in pace col genio
tuo, quello che ti rimane ancora insino al morire. Soventi
volte mi sono maravi- gliato che ciascuno arai sè stesso più che
non arai qualunque altro uomo, e faccia poi minor conto dei propri
giudizi intorno a sè medesimo, che di quelli degli altri.' Per- chè se a
taluno fosse da un Dio che gli apparisse, o da qualche savio
maestro comandato che non pen- sasse e non volgesse nulla in mente
che tosto, appena ne fosse conscio ' Anche i Pitagorici, benché non
ne fa- cessero nn precetto assoluto, raccomanda- vano che ciascuno
avesse massimamente rispetto a sè medesimo, cioè ai propri giudizi intorno
a sè stesso. Tra i versi dorati at- tribuiti a Pitagora, ecco la
traduzione di quello che compendiosamente esprime la detta
raccomandazione. Più che di chiunque altro abbi vergogna di te ste.««so. » a sè stesso, noi manifestasse; noi sosterrebbe
pure un solo giorno. Tanto abbiamo noi maggiore rispetto a ciò che
di noi potrà pensare il vicino, che a ciò che ne pensiamo noi
stessi. Come mai avendo gli Dei propizi all’uomo ottimamente
ordinato ogni cosa, questo solo lasciarono passare inavvertito, che
anco i mi- gliori fra gli uomini, quelli i quali entrarono, sto per
dire, in più stretta alleanza colla divinità, e per la pietà e
santità loro vissero in più intimo commercio con essa, quando una volta
sian morti, non abbiano più mai a rivivere, ma sieno spenti per
sempre? Se tale è veramente la condizione di tutti gli uomini indi-
stintamente, abbi per indubitato, che ove avesse dovuto essere
altrimenti, avrebbero gli Dei altrimenti ordinato : perchè se un ordine
diverso fosse stato giusto, sarebbe anche Stato possibile ; e se
fosse stato secondo natura, la natura lo avrebbe recato ad effetto. Ora
dal non essere le cose in questi termini, supposto che veramente
non sieno, tu hai a trarre argomento che non dovea essere altrimenti da
quello che è. Per- chè tu vedi pure che mentre tu vai facendo
queste investigazioni, tu . disputi del diritto con Dio; la qual
cosa non faremmo con gli Dei, se essi non fossero ottimi e giustissimi
; e tali essendo, non possono aver mai tollerato nè lasciato
correre inavvertitamente nell’ ordinamento del tutto, nulla che
fosse ingiusto 0 irragionevole. Vienti esercitando anche in
ciò a che tu credi aver poca attitudine. La mano sinistra, la quale
per difetto di esercizio è disadatta ad altri uffici, tiene il freno più
saldamente che noi faccia la destra, perchè a ciò fu
esercitata. In che stato debba essere l’uo- mo, e rispetto al corpo
e rispetto all’ anima, al sopraggiungere della morte ; ' la brevità
della vita, l’abisso del tempo passato e del tempo avvenire, la debolezza
di tutta la materia. Osservare le cause denudate della loro
corteccia; il fine delle azioni; che sia il dolore, che il pia-
cere, che la morte, che la gloria; chi sia quegli che è cagione di tra-
vagli a sè stesso; siccome nissuno è mai impedito da altrui; che
tutto è opinione. Nel far uso dei precetti della filosofia, fa’ di
rassomigliare piutto- sto al pugillatore che al gladiatore ; perchè
questi, lasciata cadere la spada, vien morto ; ma quegli ha la
destra sempre, e non gli è mestieri d’altro che di chiudere e
scagliare il pugno. Sottintendi: contidera. Vedere quali sono le
cose in sè stesse, risolvendole nei loro elementi, la materia, la
causa, il fine. Che potere ha l’uomo ! di non fare se non ciò
solamente che Iddio sia per approvare, e di accettare tutto che
Iddio sia per inviargli. Ciò che è conforme alla natura. Non ti dolere
degli Dei, perchè gli Dei non peccano nè volon- tariamente nè
involontariamente; nè degli uomini, perchè gli uomini non peccano
mai se non malgrado loro. Di nessuno dunque ti devi doere. Quanto è
mai ridicoloso e nuo- vo colui che si maraviglia di al- cuna delle
-cose che accadono nella vita! In tutte le edizioni che io conosco
si incomincia con questa frase il paragrafo se- guente; ma non si
fa alt^o che guastarvi il senso. O necessità fatale e ordine di
cose impreteribile, o‘ provvidenza esorabile, o confusione a caso e
senza governo. Se necessità inflessibile *, a che resisti? Se
provvidenza esora- bile ; fa’ che tu sia degno dell’ aiuto divino.
Se confusione senza governo; pur beato che in tanta tempesta tu hai
dentro di te una mente gover- natrice. Che se la bufera ti rapisce
seco, rapisca a sua posta il corpicciuolo e la parte animale di te e
cotali altre cose; non potrà rapir seco la mente. Che ? il lume
della lampada, fmch’ ella non si estingue, risplende e non perde
della sua luce; e in te, prima che la vita si spegneranno la
verità, la giustizia, la temperanza? Quando altri ti dà materia a
supporre che egli abbia permeato, di’ teco stesso : come so io che
ciò sia un peccato? E se è peccato, ch’egli non siasi già
condannato da per sè? il che h come nn graffìarsi il pro- prio
volto. ' Pensa ancora che il non volere che il dappoco erri, è un
non volere che il fico acerbo abbia lattifìcìo, che i bambini vagiscano,
che il cavallo annitrisca, ed altri simili effetti naturali e
necessari. E che può egli fare in cotale disposizione? Se tu sei da
tanto, incomincia a curar quella. Se non è giusto, noi fare; se non
è vero, noi dire : perchè la tua volontà è libera. Esaminare in
ogni incontro che è la cosa che fa impressione in te, ed esplicarla
distinguendovi la causa, la materia, il tempo entro il quale avrà a
cessare. Seneca, De ira. Nulla maior pccna neqnìtiie est-, quiim quod
sibi displicet. Con questo paragrafo finisco Pinterpro' taziono lasciata
dalPOrnato, la quale, tran- ne i luoghi indicati, io ho fodcljnonto
.seguita noi mio volgarizzamento dal § 42 del lib. VI,
Accorgiti finalmente che tu hai in te stesso alcun che di più
potente, di più divino che non sia ciò da cui si generano gli
affetti e che al tutto ti trac qua e là come per ima fu- nicella.
Che è ora la mia mente? Non è ella timore? Sospetto ? Cupi- dità, 0
altra cosa cotale? Primieramente nulla si faccia a caso, nè senza
uno scopo. Poi, nulla sia riferito ad altro fine che a quello universale
e civile di tutta l’umanità. Che in breve tu non sarai più, nè
alcuna delle cose che vedi, nè alcuno di quelli che ora vivono.
Per- chè ogni cosa nacque per alterarsi, mutarsi o morire, affinchè
altre pos- sano nascere secondo T ordine di successione.
fin qni. Quanto all' interpretazione dei pa- ragrafi che seguono,
l'Ornato lasciò sola- mente due otre note delle quali sarà parlato
al loro luogo. Che tutto è opinione, e questa è in poter tuo. Adunque
togli via, quando ti piaccia, l’opinione, e come navigante che
appena superato il passo di un promontorio, trovasi in acque
tranquille; così tu ti troverai in perfetta calma e, come a dire,
entrato in un seno non agitati) da .alcun flutto. 23. Una
azione qualsivoglia, quando cessa a suo tempo, non patisce al- cun
male per la cessazione. Ancora r autore dell’ azione, per la
medesi- ma cessazione, non patisce alcun male. Medesimamente il
complesso, 0 vogliasi dire la serie di tutte le azioni, che è
quanto dire la vita, quando cessa a suo tempo, non pa- tisce alcun
male per la cessazione, , nè ancora chi cessa da questa serie
di azioni, soffre per ciò alcun male. Il tempo proprio poi è
determinato dalla natura: talvolta dalla natura .particolare,
quando avviene nella vecchiezza, ma ad ogni modo dalla natura dell’ universo:
le cui parti trasformandosi e rinnovandosi del continuo, ne segue
che sempre nuovo e sempre giovane si conserva nella sua totalità il
mondo. E bello sem- pre e tempestivo è ciò che profitta al tutto.
Adunque la cessazione della vita non è un male all’ uomo indi-
viduo, poiché non è cosa disonesta, come quella che non dipende
dal- r arbitrio di lui, nè ripugna al fine universale e sociale
della umanità; ed è in sé stessa un bene, perchè è tempestiva e
profittevole al tutto e armonizzante con esso. E similmente è divino
r uomo che è mosso nella medesima direzione e verso i mede- simi
fini che Iddio, ed ha caro di essere mosso verso questi fini e in questa
medesima direzione. Tutto questo periodo è nel testo gre- co oscurissimo
e diversamente inteso dai comontatori. Chi è grecista vegga nella Queste
tre cose non dimenticare. In primo luogo, per rispetto a ciò che tu fai,
che nulla sia fatto a caso nè altrimenti che si farebbe dalla
giustizia in persona; e per rispetto agli avvenimenti esteriori,
sieno essi effetti del caso o della Provvidenza, che non vuoisi mai
nè incolpare il caso, nè mormorare con- tro la Provvidenza. In
secondo luo- go, qual sia ciascun vivente dal mo- mento della
fecondazione sino a quello della animazione, e da quello della
animazione fino a quello in cui cessa la vita,' e di che elementi
sia nota a questo paragrafo nell' edizione di To- rino le
ragioni della nostra interpretazione diversa da tntte le precedenti. Bene
ricorda qui Gatakero com'egli era opinione degli stoici il feto non
essere animato fino al momento in cui ^sce dal seno materno. Fino a
quel momento essi consideravanlo come parte del corpo della
iinadre, come un ramo vegetante sul tronco dell'albero a cui appartiene.
Abbiamo ve- duto (vedi la nota (26) in fine del volnme) composto e
in quali sia per risol- versi. In terzo luogo, che se tu levato in
altissima parte vedessi di là tutte le cose umane e la grande
varietà loro, e vedessi ad un’ ora quanta sia la moltitudine degli es-
seri aerei ed eterei che popolano gli spazi all’ intorno; per
quante volte che tu venissi cosi levato in alto, vedresti pur
sempre le medesime cose, la somiglianza ^ che sempre hanno fra loro e la
breve durata di tutte. Di cotali cose insu- perbisci?
25. Espelli da te T opinione, e sei salvo. Chi dunque ti impedisce
que- sta espulsione ? 26. Quando stai di mala voglia
per cagione di qualsisia cosa o persona, tu dimentichi che tutto
succede se- come gli stoici fossero ignoranti di anato- mia:
lo erano ancora più di fisiologia. Intendi le succedenti rispetto allo
antecedenti. condo la natura dell’ imiverso ; che l’altrui colpa è male
altrui; e inol- tre che le cose che avvengono sono sempre. avvenute
e sempre avver- ranno, e avvengono ora in ogni luogo al modo stesso; e
ancora tu di- mentichi quanto intima sia la pa- rentela che ha
ciascun uomo con tutta la famiglia umana : perocché non di sangue o
di seme, ma è co-^ munanza di mente. Tu dimentichi ancora che la mente
di ciascun uomo è divina e da Dio scaturita; che nulla è proprio di
nissuno, ma e il figlio- lino, e il corpicciuolo e Tanimuccia
stessa, tutto venne da quello. Tu di- mentichi finalmente che tutto è
opi- nione ; che ciascuno vive solo il mo- mento presente, e perde
solo il momento presente. 27. Recati spesso al pensiero
co- loro i quali di alcun che fieramente adiraronsi, coloro che per
grandis- simi onori, o sventure, o inimicizie, o altre fortune quali
si fossero, di- vennero illustri ; poi- chiedi a te stesso; ora
dove sono? Fumo, ce- nere, languido romore di” fama, o neppur
questo. Poi ti occorrano alla mente tutti questi cotali ; Fabio Ca-
tullinOjin villa, Lucio Lupo negli .orti, Stertinio a Baia, Tiberio nel-
r isola di Capri, Rufo a Velia, e, per dire in somma, tutte queste
diverse inclinazioni verso checchessia gene- rate dall’ opinione; e
quanto sieno di poco pregio in sè medesime tutte queste cose che
con tanto studio si ricercano; e quanto sia più da filo- sofo il
saper far buon uso delle cir- costanze qualunque esse sieno, o per
dir più proprio, della materia quale ci è data, serbandoci sempre giusti,
temperanti e con semplicità obbedienti a Dio. Perchè 1’orgoglio dell’umiltà è
di tutti il più abbomi- nevple. A colóro che ti chiedono
dove tu iibbia veduto gli Dei e donde avuto certa otizia dell’ esser
loro, perchè tu abbia a venerarli -/rispondi primieramente. Anche
alla vista sono percettibili. E poi. Nè ancora la mia mente veggo io, e
nondimeno io l’ho in onore: e così da quelli effetti che mi rivelano la
loro potenza argomentando che essi sono, venero io gli Dei. »
29. Salvezza di tutta la vita è il vedere ciascuna cosa quale sia
in sè stessa, quale la materia di essa, quale la ' causa ; e
attendere con tutta r anima a operare il giusto e a dire il vero.
Poi, che ti rimane a faie, se non se godere della vita, facendo
senza ristare che un bene succeda Opportunamente avverto qui il
Gatakero come Antonino potesse, stoicamente, dire benissimo, gli
Dei essere visibili anche al- r occhio, poiché il mondo
primieramente era per essi il Dio supremo; e poi fra gli Dei
generati essi veneravano il sole, gli astri, gli elementi eo.
immediatamente ad un altro, non lasciando fra due neppure un menomo
intervallo? Una è la luco del sole, ancora che divisa all’ infinito da
pareti, da •monti, da altri obbietti innumerevoli. Una è la materia
comune, ancora che divisa in una moltitudine innu- merevole di
corpi, ciascuno dei quali ha le proprie qualità. Una è la vita, ancora
che distribuita in una molti- tudine innumerevole di nature particolari.
Una è r anima intelligente, ' ancora che sembri divisa in tante
unità. Ora tutte le altre cose sopra- scritte, esseri organici viventi ed
es- seri privi di vita; non hanno comunanza. [Intendi: Quando tu sia ben
risolato di non attendere ad altro chò ad operare il giusto e a
dire il vero, non avrai più briga alcuna, e non avrai che a godere della
vita; il qual godimento consiste appunto nel dire il vero e praticare
la giustizia; e il godi- mento .sarà continuo, se tu non cessi un
momento dalle azioni virtuose che sono il vero bene. nanzà fra loro nè
corrispondenza alcuna di sensibilità, sebbene anche ad esse il
respirare e il gravitare verso un centro sia a tutte comune.’ Ma
alla mente è proprio il tendere verso ciò che le è congenere, e con
• esso ella si unisce, nè può essere esclusa da lei questa
corrispondenza di affetti e di sensi. Che brami? Campare? Non
questo. Che dunque? Aver sensazioni, moto, incremento, appetiti? Far uso
della facoltà della parola, di quella del raziocinio? E che di tutto
ciò ti sembra degno da desiderare ? Se ciascuna di queste cose ti sembra
dunque in sè poco prege- vole, volgiti à quella che sola rima- ne,
al seguire la ragione e Dio. Ma a questo culto ripugna eh’ e’ ti
gravi * Il testo in questo luogo è certamente corrotto. Chi '
vuol vedere come sia stato emendato e quindi interpretato dair
Ornato in una lunga sua nota, ricorra all' Adizione di Torino] il
dover essere per la morte escluso dalle cose dette dianzi. Qual
particella del tempo infinito fu assegnata a ciascuno? Tosto perderassi
nell’eternità. Qual particella di tutfii la materia? Qual particella di tutta
l’anima? Sopra qual particella di tutta la .terra ti vai strascicando?
Questi pensieri ti ricordino che non hai a fare gran caso di nulla, fuori
l’operare se- condo che la natura ti guida, e tol- lerare tuttociò
che la natura comune ti arreca. 33. Che uso fa di sè stessa
la mente? Questo è il tutto per te. Tutto il rimanente, sia o non
sia sottoposto alla tua volontà, è per te cadavere e fumo.
34. A farti disprezzare la morte gioverà il pensare come anche coloro
che ebbero il piacere per un bene e il dolore per un male, non di
meno la disprezzarono. A colui al quale ciò solo che è tempestivo è
un bene, poco importandogli il maggiore o minor numero di azioni virtuose
che saràgli concesso di compiere, a colui, dico, la morte non ha nulla di
pauroso. L’ uomo, facesti le tue parti di cittadino in questa grande
città. Che rileva a te se per cinque o solo tre anni ? Ciò che è
secondo la legge, è giusto ed equo per tutti. Come puoi dunque
rammaricarti se sei rimandato, non da un tiranno, non da un giudice
iniquo, ma dalla natura che ti avea introdotto, non altrimenti che un
attore è rimandato dalla scena dal direttore della commedia che ve
lo avea chiamato? Ma io non ho recitato i cinque atti. Bene dicesti. Ma
nella vita anche tre atti bastano a compiere il dramma. Perciocché chi ne
determina il fine, è quel medesimo che allora fu autore della
plasmazione, cd ora ò della dissoluzione. Tu non fosti autore nè dell’
una nè dell’altra. Vattene dunque in pace e contento, chè quegli ancóra
che ti accommiata è contento e propizio. Aurelio. Keywords. Refs.:
Luigi Speranza, "Grice, Marc'Aurelio e
Frontino,” per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice,
Liguria, Italia.
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