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Monday, September 27, 2021

Grice ed Amico

  L’incipit del nostro “Amico” Gli anni ’30 del XVI secolo costituiscono una profonda frattura in astronomia tra il “prima” e il “dopo”. Gli studi condotti nei due millenni precedenti vanno in direzione del geocentrismo, da Copernico in poi l’astronomia procederà verso soluzioni differenti e l’individuazione del sistema eliocentrico ne sarà lo snodo fondamentale. Ma fino a quel momento, tutto ciò che costituisce “il prima” parte da Eudosso, Aristotele e Tolomeo. A Vienna, Georg Purbach, circa un secolo prima di Amico, è il primo a tentare la fusione tra Aristotele e Tolomeo. Il bavarese, studente alla Università di Vienna, osservando il Cielo notturno, si accorge degli errori contenuti nelle Tavole astronomiche alfonsine112. Decide quindi di recarsi in Italia, per consultare direttamente i manoscritti greci antichi nell’arduo tentativo di redigere delle nuove tavole astronomiche più affidabili di quelle alfonsine, allora d’uso comune in tutta Europa. Durante il soggiorno nella penisola, Purbach insegnerà per qualche anno nell’università di Padova. Tornato a Vienna, diviene, giovanissimo, lettore d’astronomia presso la stessa università che lo aveva visto studente tra i più promettenti. Nella capitale austriaca, il bavarese prima affina la capacità di calcolo computando una tavola dei seni per ogni minuto primo, quindi redige la sua unica opera scritta, dal titolo Theoricae novae planetarium destinato a divenire un ottimo manuale universitario, stampato e ristampato più volte per oltre un secolo113. 112 Queste tavole sono chiamate alfonsine perché erano le tradizionali Tabulae tolemaiche, ma corrette ed aggiornate da astronomi cristiani ed ebrei, a Toledo, ancora nel XIII secolo, per incarico affidato da Alfonso X di Castiglia. 113 F. Piperno, Ioannis Baptistae Amici..., cit.  83  Dal punto di vista tecnico, il testo contiene l’innovazione di svuotare le sfere omocentriche e di aumentare lo spazio tra di esse in modo tale da far posto agli eccentrici e agli epicicli tolemaici. Purbach aveva poi deciso di ritornare a Padova per mettere a punto le sue nuove tavole astronomiche, completandone il controllo attraverso la discussione con gli aristotelici veneti ed il confronto con i manoscritti originali raccolti nelle biblioteche italiane. Ma qualche settimana prima di lasciare Vienna per Venezia, muore a soli trentotto anni. Purbach è il primo a tentare la fusione tra il sistema del modo omocentrico e quello matematico degli epicicli, ovvero tra astronomia e astrologia. Dopo di lui, vi saranno due italiani che rileveranno l’impresa, entrambi formatisi nello Studio patavino: il cosentino Giovan Battista Amici, e il veronese Girolamo Fracastoro, di ben trenta anni più anziano del calabrese. Pochi anni prima la pubblicazione del capolavoro copernicano, sia assiste a una fioritura di testi dati alle stampe ove le speculazioni sulle sfere omocentriche sono sempre e ancora in primo piano. I campi della scienza sono ancora troppo giovani per avere strumentazioni sofisticate e la fisica, in alcuni casi, viene dedotta, assumendo, forse presuntuosamente, il carattere di verità. Ma qualcosa si muove. La scienza e la strumentazione progrediscono e gli studiosi stanno procedendo in un processo senza soluzione di continuità che culminerà nel “metodo scientifico”. Nella diatriba si inserisce il citato Fracastoro, nel 1535, che scrive nella presentazione dedicata a papa Paolo III: “Voi certamente non ignorate che coloro che si professano astronomi hanno sempre trovato grandi difficoltà nel rendere ragione dei moti apparenti che presentano gli astri. Infatti si offrono loro due vie per spiegarli: l’una procede mediante l’aiuto di quelle orbite che sono dette omocentriche, l’altra per mezzo di quelle che sono chiamate eccentriche. Ciascuna di queste due vie ha i suoi rischi, ciascuna ha i suoi scogli. Coloro che fanno uso delle orbite omocentriche non arrivano a spiegare i fenomeni. Coloro che fanno uso degli eccentrici sembrano, per la verità, spiegarli meglio, ma l’opinione che si formano di questi corpi divini è indegna e, per così dire, empia. Essi attribuiscono loro delle situazioni e delle figure che non convengono alla natura dei cieli. Noi sappiamo che Eudosso e Callippo, i quali tra gli antichi hanno tentato di spiegare i fenomeni per mezzo delle orbite omocentriche, sono stati ingannati più volte in conseguenza di questa difficoltà. Ipparco è stato uno dei primi che preferirono ammettere le orbite eccentriche piuttosto che restare ingannati dai fenomeni. 84  Tolomeo lo ha seguito e, subito dopo, quasi tutti gli astronomi sono stati trascinati da Tolomeo nella stessa direzione. Ma contro questi astronomi o, almeno, contro l’ipotesi degli eccentrici di cui facevano uso, la filosofia tutta intera ha sollevato continue proteste. Ma che dico la filosofia? È piuttosto la natura e le stesse orbite celesti che hanno protestato senza tregua. Finora non è stato possibile rintracciare un solo filosofo che acconsentisse ad affermare l’esistenza di queste sfere mostruose in mezzo a corpi divini e perfetti”114. Ci si accorge, con decisione, l’ambito della scienza entro il quale si muovo scienziati, astronomi, astrologi e medici del tempo. La conoscenza maggiore dei classici ha portato una sorta di involuzione del pensiero, rientrato nell’ottica di quanto già affermato in passato, senza apportare grandi e significative migliorie. Da questo punto, invece, pur rientrando nella materia nota a tutti, sarà proprio il giovane cosentino a dare una ventata di innovazione in senso ovviamente relativo.  114 Girolamo Fracastoro, Homocentricorum, sive de stellis, liber unus, Venetiis 1535, presentazione. 85  5. Vita e studi di Giovan Battista Amico Giovan Battista Amico è un giovane astronomo cosentino, prematuramente scomparso, ucciso in quel di Padova a soli 27 anni. Della sua biografia si conosce veramente poco: agli esigui dati certi si contrappongono notizie fantasiose e di provenienza dubbia115. Tra i primi a dare informazioni sulla sua vita c’è Gabriele Barrio. Nella seconda metà del XVI secolo vede la luce il poderoso lavoro sulla storia delle città della Calabria di Gabriele Barrio, rigorosamente scritto in lingua latina. La prima edizione data alle stampe del De antiquitate et situ Calabriae, è quella del 1571, il risultato non soddisfa lo stesso autore, il quale decide di emendare quella versione, ma la morte, avvenuta dopo il 1577, impedisce la prosecuzione di revisione dell’opera. Qualche anno dopo e prima del 1588, Sertorio Quattromani inserisce nell’opera postille esplicative. Per arrivare alla pubblicazione definitiva bisogna attendere sino al 1737, quando Tommaso Aceti, dopo un lungo e laborioso lavoro durato oltre dieci anni, tra il 1714 e il 1726, completa l’elaborato con aggiunte e note116. Di Amico si legge una sorta di epitaffio nel capitolo VII dedicato a “Uomini di Cosenza eccelsi per santità, dottrina e dignità”: 115 Per una disamina riguardo le informazioni frutto più di fantasia di qualche erudito locale che di sostanza di fonti cfr. Matteo Dalena, tesi di Laurea, Università di Firenze. 116 Thomae Aceti, Accademici Consentini, et Vaticanae Basilicae clerici beneficiati in Gabrielis Barrii Francicani De Antiquitate & situ Calabriae Libros Quinque, Nunc primum ex autographo restitutos ac per Capita distributos, Prolegomeni, Additiones, & Notae. Quibus accesserunt animadversiones Sartorii Quattrimani Patricii Consentini, Romae MDCCXXXVII, ex Typographia S. Michaelis ad Ripam Sumtibus Hieronymi Mainardi, come cita il frontespizio di una delle copie in possesso della Biblioteca Civica di Cosenza (Fondo Salfi), gentilmente messami a disposizione.  86  “Vi fu anche Giovanni Battista Amico, che descrisse i moti dei corpi celesti secondo i precetti dei Peripatetici, cosa invano tentata per tanti secoli dagli antichissimi filosofi e matematici, e se non fosse stato colpito da morte immatura avrebbe affrontato fatiche maggiori. Morì a ventisette anni”117. Aceti, nelle note, aggiunge l’epigrafe di Padova, addirittura meno lapidaria del conciso inciso di Barrio: “A Padova si legge di lui nel Monumento delle epigrafi d’Italia: A Giovanni Battista Amico, cosentino, il quale, avendo percorso felicemente le discipline tutte di tutte le arti liberali con mirabile ingegno, solerte operosità, incredibile passione, in latino, greco ed ebraico, fu ucciso da sicario ignoto. Fu ucciso, come si ritiene, dalla invidia delle lettere e della virtù. 1538 – Le virtù che ad altri portarono premi e vita perenne, per costui solo furono causa di uccisione”. Davide Andreotti, nella sua Storia dei Cosentini, cita il nostro nell’elenco dei componenti della giovane Accademia telesiana, presieduta dal grande filosofo bruzio: “Vi fiorì Giovan Battista Amico, nato in Cosenza nel 1511 – educato all’Università di Padova – cultore delle latine, greche ed ebraiche lettere – e conoscitore sveltissimo delle fisiche ed astronomiche scienze. Scrisse costui seguendo le teoriche peripatetiche: De motu corporum coelestium, descrivendo tutti i movimenti de’ corpi celesti senza ricorrere, secondo che narra l’Aquino nel discorso in morte del Telesio, per spiegarli a que’ movimenti denominati dagli astrologi eccentrici ed epicicli, inventati dagli astronomi tolemaici, quando vollero conciliare la loro opinione della solidità de’ cieli co’ moti de’ corpi celesti. Morì egli in Padova, ucciso il 1538 in età di anni ventisette, e non appartenne alla citata Accademia, che nel solo anno 1537, epoca in cui per affari di famiglia dimorò un anno in Cosenza. La sua opera va così intitolata – Ioannis Baptistae Amici – De Motu Corporum coelestium”. Le notizie ricalcano, con qualche elemento in più, quelle già incontrate nell’opera del Barrio. Pochi dunque i ragguagli che si possono ricavare: abbastanza poco è noto sulla sua genesi: nato a Cosenza nel 1511, morto nel 1938 a Padova, dove ha studiato, esperto nelle lingue colte, greco, latino, ebraico, specializzato in fisica e astronomia, ucciso da mano ignota, forse proprio per le sue capacità intellettuali. Capacità, queste che lo hanno portato, a soli ventisei anni, a essere membro della appena sorta accademia 117 G. Barrio, Antichità e luoghi della Calabria, aggiunte e note di Tommaso Aceti, osservazioni di Sartorio Quattromani, Roma 1737, trad. it. di Erasmo A. Mancuso, Brenner, Cosenza 1979, pp. 192-193.  87  presieduta dal ben più noto filosofo Bernardino Telesio, “illustre cosentino”, sebbene per un solo anno. La sua presenza in Accademia è quasi casuale, essendo rientrato nella città Bruzia solo quell’anno per “affari di famiglia” dei quali non abbiamo ulteriori cenni. Al rientro nelle Venezie, trovò immaturamente la morte. Quali informazioni possiamo estrapolare e spremere dalle fonti è veramente poca roba. Il gentilizio è di origine incerta: il cognome è variamente declinato, Amico, Amici o d’Amico118, in quanto nel latino medievale, nel titolo di un testo di utilizza il genitivo per quanto concerne il cognome dell’autore. Pertanto si presume che “Amici” sia genitivo di “Amico”, mentre “Amici” sia la mera ripetizione, e “d’Amico” la traduzione italiana del caso genitivo latino. Per questo motivo , in questa sede si utilizza la forma più semplice. Di certo la famiglia aveva una sua importanza nel contesto della “città libera” di Cosenza119, potendo permettersi, sia pur con enormi sacrifici, il mantenimento di un proprio membro agli studi in una città, di fama e retaggio culturale ottimi, ma così lontana. I sacrifici si posso ben immaginare, mancando, nella crescita di Giovanni Battista, il padre, essendo prematuramente morto prima della sua nascita. L’assenza del capo famiglia, nel contesto del XVI secolo, società di fatto a carattere patriarcale, non ha sicuramente giovato nell’ambito dell’economia familiare, essendo assente proprio il fulcro stesso dell’istituzione. Ciò nonostante si può supporre un sicuro benessere, in quanto, anche in assenza del padre, un giovane rampollo di famiglia di ottimati poté permettersi gli studi lontani da casa. Nulla si conosce riguardo la sua formazione cosentina. Di certo, grazie a qualche insegnante, nel corso degli studi del trivio, avrà conosciuto i filosofi citati nella prima parte del presente lavoro: l’ambiente, dopotutto, è quello emerso dal retaggio glorioso della Mégale Hellàs, ove gli studi della filosofia, della scienza, della medicina e dell’astronomia erano, per così dire, all’ “avanguardia”. E anche dopo lo iato medievale 118 L. Piovan, Giovanni Battista Amico, Bernardino Telesio, Giovan Battista Doria: documenti e postille, in “Quaderni per la storia dell’Università di Padova” 40 2007, p. 154. Dreyer, Boquet e Taton utilizzano la forma Amici, ma è presente anche la forma De’ Amici. 119 È a tutti noto che la città di Cosenza non subì mai vassallaggi tipici dell’infeudazione.  88  e la parentesi araba, nuovi impulsi e ritorni agli antichi studi erano senza dubbio all’attenzione della koiné culturale cosentina. Ne è esempio lo stesso Barrio: nella sua monumentale opera, i riferimenti storici sono in primo piano, così anche è per Fiore e Marafioti, nonché per lo stesso Quattromani120. Una ricostruzione “culturale” amiciana, estremamente verosimile si deve a Franco Piperno, il quale ha scritto: “[... ] Le arti del trivio, grammatica, retorica e dialettica, portati a termine nella città brettia gli avevano assicurato la conoscenza attiva e passiva delle tre lingue sapienziali, aramaico, greco e latino; dopo tutto questo, era partito alla volta del Veneto, di Padova in particolare, per completare, in quella prestigiosa Università, gli studi delle arti del quadrivio, geometria, aritmetica, astronomia e musica, in vista di intraprendere poi, presumibilmente, un curriculum professionale per conseguire il dottorato in medicina [...]; a quei tempi l’astronomia era insegnata in funzione della astrologia e questa a sua volta svolgeva un ruolo ancillare a fronte della medicina, arte che praticava la diagnostica delle malattie e ritmava l’attività di cura secondo il variare delle configurazioni degli astri nel cielo notturno; insomma la medicina era profondamente intrecciata con il sapere astronomico in una sorta di ‘astroiatria’”121. Sono conosciuti però i maestri con i quali il giovane Amico ebbe modo di formarsi. È egli stesso a dichiararlo, nella lettera in dedica al Cardinale Niccolò Ridolfi, introduzione alla sua opera. Questi sono tutti nomi che fanno parte del gotha scientifico- culturale dell’ambiente universitario patavino e non solo. Tra i maestri Amico annovera Federico Delfino, Marco Antonio de’ Passeri, detto Genua, Vincenzo Madio. Delfino è il più celebre insegnante di astronomia e matematica. Tra i suoi allievi, divenuti a loro volta famosi, si ricordano, oltre a Telesio e Amico, Girolamo Contarini, Alessandro Piccolomini e Girolamo Fracastoro. Genua ricopriva, in quel lasso di tempo, la cattedra di filosofia naturale, è stato l’autore di un commento al De anima. A lui si deve l’introduzione di Amico agli aspetti più esoterici e raffinati dell’Aristotele autentico 120 Sull’ambiente culturale cosentino del periodo cfr. L. De Rose, Cosenza “faro splendidissimo di cultura”. L’Atene della Calabria e i Brettii raccontati da Gabriele Barrio, in G. Masi (a cura di), Tra Calabria e Mezzogiorno. Studi storici in memoria di Tobia Cornacchioli, ICSAIC, Pellegrini Editore, Cosenza 2007, pp. 31-63. 121 F. Piperno, Ioannis Baptistae Amici..., cit.  89  greco; mentre il Madio o Maggi, che a sua volta aveva scritto un commento alla Poetica, era già divenuto l’interprete più autorevole della tradizione aristotelica latina, a lui, ritenuto il “massimo rappresentante peripatetico” si rivolgerà il Telesio, nel 1563, per un giudizio sulla propria opera122. Quando G.B. Amico, il cosentino, nella veste di studente fuori sede123, arriva a Padova, la sua vita si dipana in due diverse settrici: da un lato la vita universitaria, con i suoi lustri, gli studi i professori, dall’altro la realtà quotidiana, fatta di privazioni (di affetti, di soldi), di solitudine124. Non avendo fonti documentate che diano certezze a qualunque ipotesi passibile di verosimiglianza, si deve necessariamente concentrare l’attenzione sul percorso di studi dell’Amico, percorso, forse, neanche compiuto sino in fondo, non essendo stata reperita in alcun modo una pergamena a suo nome125. La breve opera di Amico si incastona nell’ambiente padovano, ricco di stimoli e personaggi, dimenticata dopo la prematura scomparsa dell’autore, che “tanta parte avrebbe avuto nella genesi della scienza moderna”126. L’Università patavina vive, ormai da tempo, la rifioritura della corrente aristotelica, sia per quanto concerne l’astronomia che per le altre scienze della natura – in questo, Padova e il Veneto si contrappongono a Firenze e alla Toscana dove è affermata, senza cesura, una adesione esclusiva al platonismo pitagorizzante. Certo, altre città in Europa, coi loro Atenei, hanno già imboccato la strada che riporta ad Aristotele; si pensi, ad 122 Cfr. M. Di Bono, Le sfere omocentriche..., cit., p. 53. 123 K. M. Pataturk, Opere inedite perché non stampate, né scritte e neppure pensate, 11/II-67, Valle Giulia, Roma, 1968. 124 Franco Piperno annota tristi particolari di un immaginario quotidiano padovano del giovane cosentino, ricostruito da Pataturk, non credibile e privo di fonti documentarie: “L’autore, il più autorevole tra gli storici ponterandoti dell’astronomia [Pataturk n.d.A.], afferma che il giovane Amico, durante i lunghi e umidi inverni patavini, usasse lasciar dormire in casa, accanto a sé, sul letto, schiena contro schiena, il suo cane, un massiccio pastore della Sila Grande, che aveva condotto con sé dalle Calabrie – come per proteggersi dalla emarginazione anomica che, ieri come oggi, s’accompagna alla miseria di studente fuori sede, meridionale e squattrinato, in terra veneta. Il particolare può apparire irrilevante, anzi fatuo; e trattandosi di una fonte incerta perché irreperibile conviene lasciarlo cadere; noi abbiamo scelto di farne uso, perché questa confidenza tra Amico ed il cane sarà considerata una prova per avvalorare una leggenda metropolitana che identifica il cosentino con il castigliano Ruy Faleiro, l’astronomo che, su richiesta del vicentino Pigafetta, aveva sciolto l’enigma del giorno perduto dai marinai della spedizione di Magellano”. Cfr. F. Piperno, Le imprese di Pigafetta, www. UNICAL/ variazioni sul tempo. 125 Il nome di Amico (e in alcuna declinazione) non appare negli Acta Graduum Academicorum Gymnasii Patavicini ab anno 1501 ad annum 1550. Index nominum cum aliis actibus praemissis, a cura di Elda Martellozzo Forin, Antenore, Padova 1982. 126 M. Di Bono, Le sfere omocentriche..., cit., pp. 11-12.  90  esempio, a Basilea, Norimberga, Praga, Cracovia e la stessa Parigi. Ma, sebbene questi centri culturali abbiano conseguito risultati ragguardevoli e anche maggiori, nessuno di essi può “stare a confronto, sul piano della varietà di approcci, alla comprensione di Aristotele che si manifesta a Padova e nel Veneto”127. L’Ateneo patavino è campo fertile per l’educazione di astronomi (astrologi), medici e filosofi naturali, nella limitrofa Venezia sorgono, dopo la scoperta della stampa, gli impianti artigianali per l’editoria, che permette a tutti coloro che sono in grado di leggere e ovviamente alle persone istruite “di entrare in contatto diretto tanto con il pensiero dei classici quanto con l’elaborazione teoretica allo stato nascente dei contemporanei – non a caso, sarà nella città lagunare che verranno pubblicate, nel biennio 1536-37, le prime due edizioni dell’Opusculum, malgrado che il suo giovane autore fosse, a tutti gli effetti, un perfetto sconosciuto”128. Il ventiquattrenne cosentino approfitta del particolare contesto storico e, convinto dagli amici Cipriano Pallavicini e Giovan Battista Aurio, quasi certamente a proprie spese, presenta il suo lavoro ai tipografi Giovanni Patavino e Venturino Roffinelli, i quali, appunto, lo propongono in carta stampata129. La ristampa del volumetto, con aggiunte e correzioni, è tangibile prova dell’interesse che suscita l’argomento e di come è stato affrontato dal giovane autore. La Repubblica marinara di Venezia interpreta così il ruolo di collegamento tra le grandi civiltà mediterranee, latina, bizantina e araba; divenendo, per dirla con De Bono, il centro di riferimento obbligato tanto per i commerci librari quanto per i saperi astronomici130. 127 C.B. Schimitt, L’aristotelismo nel Veneto e le origini della scienza moderna, in L. Olivieri (a cura di) “Aristotelismo veneto e scienza moderna”, Antenore, Padova, 1983, p. 103. F. Piperno, Ioannis Baptistae Amici..., cit. 128 F. Piovan, Giovanni Battista Amico, pp. 155-60. L’autore documenta come il filosofo cosentino Bernardino Telesio, a Padova nel 1538, si assunse l’onere dell’eredità debitoria di Giovan Battista Amico, saldando una pendenza di venti scudi veneti a favore di un certo Giovanni Battista Doria, d’origine genovese e ritenuto per pregiudizio dedito all’usura. L’entità della somma è tale da supporre che Amico abbia impiegato i venti scudi per pagare il tipografo veneziano che aveva stampato nel 1536 e ristampato l’anno seguente, il suo Opusculum. 129 Cfr. M. Di Bono, Le sfere omocentriche..., cit. p. 11. 130 Resta insuperato il citato lavoro di Braudel riguardo l’importanza della Serenissima quale coacervo di culture, orientale, mediterranea e del Nord Europa.  91  Limitandoci qui solo ai testi d’astronomia editi a Venezia o nel Veneto, vi sono molte editiones principes degli autori dell’antichità: Arato, Manilio, Aristarco, Proclo, Macrobio, Igino, Marziano Cappella e così via. L’Almagesto di Tolomeo viene stampato, una prima volta nel 1515, recuperando dall’epoca medievale, una vecchia traduzione dall’arabo in latino a cura di Gerardo da Cremona; una seconda volta nel 1528, sempre nella traduzione latina ma questa volta, ormai in pieno Rinascimento, dall’originale greco, per opera di Luca Gaurico. L’editoria veneta degli inizi del secolo XVI non trascura certo le opere astronomiche più recenti o contemporanee: vedono infatti la luce i testi di Alcabizio, Purbach, Bate di Malines, Sacrobosco, Regiomontano e così via131. L’aristotelismo veneto non è una nicchia per accademici, ma una sorta di ideologia filosofica che impregna di sé tanto la comunità dei colti quanto l’attività produttiva. Si ricordi che a Venezia esisteva allora un artigianato altamente qualificato che costruiva le lenti per i presbiti, usando le leggi dell’ottica geometrica riformulate dai peripatetici arabi. Questa trasversalità rende l’Ateneo patavino una tappa prestigiosa per i curricula dei più grandi filosofi naturali che insegnano astronomia; e di conseguenza a Padova convergeranno molti tra i più dotati studenti di astrologia, matematica e medicina, non solo dall’Italia ma da tutta Europa.  131 Cfr. M. Di Bono, Le sfere omocentriche..., cit., p. 48. 92  6. L’astronomia del De Motibus corporum coelestium iuxta principia peripatetica sine eccentrici et epicicli di Amico Un anno dopo la stampa de Gli omocentrici di Fracastoro132, Giovan Battista Amico pubblica il suo opuscolo su medesimo tema. Che i due astronomi siano debitori alle teorie di Eudosso è lo stesso astronomo cosentino a dichiararlo nei suoi scritti: “Tra gli antichi alcuni si sono sforzati di unire l’astrologia alla filosofia naturale, altri , al contrario, hanno cercato di separare queste due scienze. Infatti, Eudosso, Callippo e Aristotele hanno cercato di ricondurre tutti i movimenti non uniformi, che i corpi celesti ci presentano, a dei collegamenti tra le orbite omocentriche riconoscibili in natura; Tolomeo, all’opposto, e coloro che hanno seguito il suo metodo hanno voluto, andando contro la natura delle cose, ridurle ad eccentrici ed epicicli”. “Gli astronomi attribuiscono i fenomeni che percepiamo, quando osserviamo i corpi superiori, agli eccentrici e a quelle sferette che vengono chiamate epicicli. Ma la loro riduzione di tutti questi effetti a tali cause è pessima. D’altra parte, non ci si deve meravigliare se hanno errato in tale riduzione, poiché, come afferma Aristotele nel primo libro degli Analitici Secondi, ogni soluzione diventa difficile allorché coloro che hanno la pretesa di averla trovata fanno uso di principi falsi. Dunque, se la natura non conosce né eccentrici né epicicli, secondo la giusta espressione di Averroè, sarà bene che anche noi rifiutiamo tali orbite. Noi lo faremo tanto più volentieri in quanto gli astronomi attribuiscono agli epicicli e agli eccentrici certi movimenti che chiamano inclinazioni, riflessioni o deviazioni, che non possono convenire in alcun modo, almeno a mio parere, alla quinta essenza”133. “In quest’opera, forse, non si troverà nulla di completo, ma riterrò di aver fatto abbastanza se riuscirò a eccitare gli spiriti più illustri al desiderio di rendere più chiara questa spiegazione” (Ep. ad card. Nicolaum Rodulphum). 132 Girolamo Fracastoro, Homocentricorum, sive de stellis, liber unus, Venetiis 1535. 133 Giovanni Battista D’Amico, De motibus corporum coelestium iuxta principia peripatetica sine eccentris et epicicli, Venetiis 1536, cap. 1 e cap. VII.  93   Fig. 32. Frontespizio dell’esemplare conservato nella Biblioteca Nazionale di Napoli. Prima edizione del De Motibus corporum coelestium iuxta principia peripatetica sine eccentrici et epicyclis di G.B. D’Amico, Venezia 1536 94  Nella dedica al Cardinale, il cosentino Amico avverte, con umiltà, l’intento dei suoi studi, confessando, in pratica, la gratitudine che deve a chi lo ha preceduto: i classici greci e latini e i trasmettitori arabi. Nei primi sei capitoli dell’opuscolo, secondo la tradizione, egli compone un breve excursus delle dottrine astronomiche di Eudosso, Callippo e Aristotele, concludendo che l’osservazione millenaria della volta celeste non autorizza a pensare che la natura sia costretta a muoversi per epicicli ed eccentrici. Dal settimo capitolo inizia a declinare le proprie teorie riguardo l’assetto cosmico. Amici, per primo, opera un vero e proprio pensiero critico riguardo le teorie antiche, e sebbene rimanga entro lo stretto cerchio di esse, promuove nuove formulazioni. Il cosentino dimostra dapprima che se vi sono due sfere omocentriche contigue i rispettivi assi perpendicolari tra di loro e se i poli della sfera esterna si muovono da una parte e dall’altra rispetto alla posizione media; se accade tutto questo, allora si vede facilmente che la sfera interna ora accelera ora ritarda. Subito dopo osserva che se i poli delle due sfere formano, più in generale, un angolo di n° gradi e l’uno ruota in verso contrario rispetto all’altro con velocità doppia, allora il movimento complessivo sarà una oscillazione su un arco di 4n° (Fig. 33) – in questo calcolo così elegante il nostro giovane Amico rivela quanto il suo talento debba, nella sua formazione accademica,alla geometria alessandrina rielaborata dagli arabi134.  134 F. Piperno, Ioannis Baptistae Amici..., cit. 95   Fig. 33 Introdotta questa innovazione nel sistema eudossiano, il giovane astronomo può concludere che sono sufficienti quattro sfere per ricostruire i movimenti apparenti del Sole; mentre per i sei pianeti – la Luna secondo la tradizione viene considerata tale — ne occorrono di più. 96  Si evidenzia pertanto una aggiunta di sfere che renda possibile la “salvezza dei fenomeni”, a discapito di un complicazione che già è palese ai tempi di Aristotele, che comporta un numero di sfere aumentato a ottantanove, come risulta evidente nella tabella (3) seguente:      Tabella 3 EUDOSSO Saturno 4 Giove 4 Marte 4 Venere 4 Mercurio 4 Sole 3 Luna 3 CALLIPPO 4 4 4 +1 =5 4 +1 =5 4 +1 =5 3 +2 =5 3 +2 =5 ARISTOTELE AMICO 4 +3 =7 16 4 +3 =7 16 5 +4 =9 16 5 +4 =9 13 5 +4 =9 13 5 +4 =9 4                                    5 55 89 11      26 33      Di conseguenza, il subito solleva una obiezione decisiva alla teoria tolemaica: la Luna di certo non si muove su un epiciclo giacché, se così fosse, non potrebbe mostrare, osservata dalla Terra, la stessa faccia, come invece a noi tutti capita di costatare — secondo la fisica aristotelica un corpo che compia una rivoluzione attorno ad un centro deve rivolgere a quest’ultimo sempre il medesimo lato (Fig. 34). cosentino passa ad esaminare nel dettaglio l’orbita lunare; e 97   Fig. 34 Formulata così l’obiezione, il giovane astronomo si affretta a generalizzarne la portata: anche gli altri pianeti non possono muoversi su epicicli dal momento che i pianeti, corpi intrisi di divina perfezione, devono dipanare i loro percorsi in forme perfettamente analoghe e altrettanto pregne della succitata perfezione sublime. Quattro sfere vengono quindi assegnate a ogni pianeta, in grado di svolgere il ruolo previsto, nella teoria tolemaica, per gli epicicli. La sfera più esterna, detta d’accesso, ha i suoi poli nel piano dell’orbita planetaria e si muove da Nord a Sud con la stessa 98  velocità con la quale si muoverebbe il corrispondente epiciclo tolemaico. La sfera successiva, più interna, presenta dei poli che distano da quelli della prima di un quarto del diametro dell’epiciclo. Codesta sfera adiacente si muove in direzione contraria alla prima ma a velocità doppia. La terza sfera, ancora più interna, detta di recesso, i cui poli giacciono sull’orbita planetaria, si muove da Sud a Nord. Infine, la quarta sfera, la più interna, ha il suo asse a perpendicolo rispetto al piano dell’orbita planetaria e ospita, incastonato, il pianeta su un suo cerchio massimo. La composizione dei diversi movimenti delle quattro sfere dà luogo, di solito, al moto progressivo annuale del pianeta, da Ovest verso Est; come, di tanto in tanto a quello retrogrado, da Est verso Ovest. Solo la Luna, per via della alta velocità della sua quarta sfera, presenterà unicamente il moto progressivo,sia pure appesantito, di tempo in tempo, da un certo ritardo (Fig. 35). Fig. 35.  99  Dopo avere così ricostruito qualitativamente, senza l’uso degli epicicli, tanto la regressione dei pianeti quanto il ritardo della Luna, il giovane astronomo affronta il problema ben più intricato di dar conto della variazioni della durata del moto regressivo planetario e del ritardo lunare. Questo insoluto è risolto con l’attribuzione a ogni pianeta di altre tre sfere poste tra la sfera d’accesso e quella di recesso già introdotte, in modo che venga opportunamente variato l’arco percorso durante il moto retrogrado. Inoltre, per prevenire lo spostamento della posizione planetaria verso latitudine più alte di quelle osservate, introduce altre tre sfere – portando così a dieci il numero totale di sfere per pianeta; e come se ancora non bastasse, per la Luna aggiunge una undicesima sfera destinata a spiegare il moto ciclico della linea dei nodi lunari, l’antico Saros dei babilonesi che si ripete ogni diciotto anni circa135. Malgrado l’evidente complessità del sistema del mondo così costruito, il cosentino si rende perfettamente conto che dieci sfere a pianeta non sono ancora sufficienti a dar conto di tutti i movimenti celesti reperiti lungo i millenni dagli astronomi; e aggiunge così altre sfere, portando alla fine a sedici quelle relative a Saturno, Giove e Marte, mentre per Venere e Mercurio ne basteranno, si fa per dire, solo tredici. L’astronomo inoltre ritiene, non certo a torto, che per procedere a d una previsione numerica, attraverso il suo sistema del mondo, delle posizioni e dei movimenti dei corpi celesti occorre fissare con maggiore precisioni le inclinazioni reciproche degli assi delle diverse sfere; e per far questo si richiedono ulteriori minuziose osservazioni dei sei pianeti e del Sole. Quanto alle stelle fisse, quelle incastonate nell’ottava sfera, bisogna che quest’ultima, oltre alla rotazione diurna sia affetta anche da un altro movimento, chiamato trepidazione, che ricostruisca la lenta precessione degli equinozi – il che, secondo la fisica aristotelica, può avvenire solo dall’esterno ovvero deve esistere una nona sfera che trasmette all’ottava il moto che emana dal motore immobile (Fig. 36)136. 135 Ibidem. 136 Ibidem.  100    Fig. 36 Si noti che Amico non confronta la sua teoria con le osservazioni astronomiche più recenti, bensì ne fa di sue e si tratta di osservazioni del tutto innovative. Il suo programma è quello di ritrovare tutti i risultati dell’astronomia tolemaica usando il sistema omocentrico piuttosto che gli eccentrici e gli epicicli. Non si pone il problema della correttezza sperimentale delle misure ereditate dalla tradizione medievale. Inoltre l’astronomo cosentino non si rende affatto conto che il suo sistema, pur intendendo fare salva la fisica peripatetica, in realtà le va decisamente contro. La capacità che ha il sistema omocentrico di ricostruire, sommando moti circolari, il movimento rettilineo dei pianeti nella fase di retrogradazione, testimonia che tra cerchio 101  e retta non v’è quella differenza cosmologica affermata dalla fisica peripatetica, secondo cui nel senso che il cerchio appartiene alla perfezione del mondo sopralunare mentre la retta è partecipe del mondo sub lunare, della imperfezione terrestre137. Bisogna aggiungere ancora che l’Amico è del tutto consapevole delle obiezioni alle quali va incontro il sistema omocentrico. La prima si riferisce al fenomeno della variazione del diametro e della luminosità apparente dei sette pianeti; per esempio, la Luna si mostra più grande in quadratura che alle sizigie, il Sole ha dimensioni maggiori d’inverno che in estate, Marte presenta una luminosità variabile con la posizione sulla fascia zodiacale. Questi fenomeni, infatti, sembravano indicare che la distanza Terra- Pianeta fosse variabile; e questo era una obiezione fatale al sistema omocentrico, che richiede appunto una simmetria sferica ovvero la conservazione della distanza. Amici si confronta con questa questione e la risolve spiegando come il fenomeno sia dovuto alla contingenza che l’etere frapposto. tra la Terra ed il Pianeta osservato, non ha una densità uniforme. È necessario indagare questa spiegazione in dettaglio, giacché, malgrado si sia rivelata erronea, contiene un tratto essenziale della nuova fisica, quella basata sull’esperimento e non sull’esperienza. Amici, a Padova ha confidenza con gli artigiani degli opifici i veneziani – dove si lavorano le lenti per correggere miopia e presbiopia – e sa che un oggetto guardato attraverso la lente appare più grande in ragione diretta allo spessore della lente stessa. Egli, quindi generalizza la verità di questo esperimento all’universo nella sua interezza, ponendo alla teoria basi di “ottica empirica”. Di conseguenza i pianeti osservati dalla terra, malgrado si tengano sempre alla stessa distanza, ci appaiono più grandi quando, lungo lo zodiaco, si trovano in un punto nel quale l’etere è più denso. Analogamente la Luna si mostrerà più grande alle quadrature piuttosto che alle sizigie perché in queste ultime il suo forte splendore dirada l’etere che la circonda, sicché noi la vediamo come attraverso una lente più sottile che alle quadrature138. L’altra obiezione è più di senso comune ma non per questo meno significativa. Il sistema omocentrico, rivisitato da Amici, resta notevolmente macchinoso. Esso, come 137 Ibidem. 138 Ibidem.  102  mostrato nella tabella numero 3, richiede un numero di sfere nettamente superiore tanto di quello aristotelico quanto dei deferenti tanto degli epicicli tolemaici. Il giovane astronomo, però, rigetta l’obiezione affermando che egli cerca di ricostruire il cosmo così come realmente è, riproducendolo per similitudine su scala ridotta; ed è meno interessato ad un modello che rende sì più facile i alcoli ma comporta movimenti fisicamente inammissibili. Altrimenti detto, il cosentino, pur destreggiandosi assai bene con la geometria solida, si riconosce nella schiera degli “astronomi philosophi” intenti a conoscere la realtà del mondo e non in quella degli “astronomi matematici” indaffarati a formulare previsioni astronomiche quando non astrologiche, sulla base del computo139. L’Opusculum si presenta come un trattato moderno, nel senso che il criterio di verità è assicurato dalla corrispondenza tra realtà fenomenica e proposizioni della teoria, e non già, come nella teologia medievale, tra fenomeni e parole della Sacra Scrittura o, andando ancora più a ritroso nel tempo, l’interdipendenza tra teorie scientifiche e filosofico/religiose del mondo antico. Nel mondo amiciano e del secolo della Rinascita Dio è una ipotesi di cui si può fare a meno, e non si trova nell’opuscolo una benché minima citazione biblica. La separazione tra scienza e fede, così tipica della modernità, afferma Franco Piperno, è stata già totalmente interiorizzata dall’astronomo cosentino140. L’Opusculum di Amici, come già detto, aveva vissuto una stampa e una ristampa a Venezia, nel 1536 prima e nel 1538 poi, presso lo stesso editore. E ancora una terza, postuma, questa volta a Parigi nel 1540, a cura di Guillaume Postel, un intellettuale cosmopolita qualche po’ enigmatico, in bilico tra profezie millenaristiche e rigore scientifico – miscela non insolita per l’epoca. Tre edizioni di rilievo europeo nel giro di pochi anni e poi uno stato di latenza, quasi catalettico141; si pensi che il suo libro non sarà citato nella letteratura astronomica fino al 1905, quando Dreyer, nella sua classica storia della cosmologia, gli renderà 139 Ibidem. 140 Ibidem. 141 Amico non scompare del tutto dalle fonti letterarie. Il suo nome, assieme a una sintesi dell’Opusculum appare in molti testi di storia locale (citati in queste note), dal finire del XVI secolo fino al novecento, quando si ricomincerà ad occuparsi di lui in quanto astronomo: cfr. M. Di Bono, Le sfere omocentriche..., cit., pp. 11-17.  103  onore, dedicando all’astronomo nato a Cosenza un intero paragrafo, volto alla rivalutazione della figura e dell’opera di Amici142. La ragione del lungo silenzio che avvolgerà per secoli il nome dell’astronomo cosentino è dovuta al trionfo dell’astronomia copernicana in Europa. Infatti, appena solo cinque anni dopo l’assassinio di Giovan Battista Amico, uscirà, nel 1543, dai torchi di una tipografia di Norimberga, il De Revolutionibus di Nicolaus Copernicus, al secolo Niklas Koppernigk, canonico della cattedrale di Frauenburg, ben più noto con il nome latinizzato143. La diffusione del De Revolutionibus sarà capillare in tutta Europa, e le copie del libro saranno rieditate all’infinito è in atto la pacifica rivoluzione scientifica, meglio nota come rivoluzione copernicana144. Scrive Piperno: “L’elaborazione del pensiero astronomico subisce uno spiazzamento; lo scontro per l’egemonia teoretica non avverrà più tra peripatetici e tolemaici, bensì tra questi ultimi ed i copernicani. Prima si confrontavano due sistemi del modo, entrambi geocentrici e geostatici, che si riferivano alla stessa fisica; ora la competizione va svolgendosi tra il sistema geocentrico argomentato con la fisica aristotelica e quello eliocentrico bisognoso di una nuova fisica. In questo quadro, il libretto di Amico sembra avere imboccato la giusta strada ma in direzione sbagliata. In effetti, il giovane cosentino ha posto la domanda decisiva per risolvere la crisi che agli inizi del XVI secolo attanaglia il sapere astronomico: come riunificare l’astrologia matematica con la filosofia naturale o astronomia? La questione è quella giusta, ma la risposta – massaggiare il cuore ormai esausto d’ Aristotele – s’è rivelata troppo macchinosa; e dunque erronea. 142 J. L. E. Dreyer, A History of astronomy..., cit. Oltre a questo testo che descrive a grandi linee il sistema amiciano, va ricordato l’articolo tecnico di N. M. Swerdlow, Aristotelian Planetary Theory in the Renaissance: Giovanni Battista Amico’s Homocentric Spheres, in “Journal of Astronomy”, 3,1972, pp. 36.48; e ancora l’importante saggio di Di Bono e i lavori di F. Piperno, qui ampiamente citati. 143 Nato a Thorn, sulle rive della Vistola, terra incognita contesa tra l’Ordine dei Cavalieri Teutonici e il Regno di Polonia; anche lui, come Amico, giunto a Padova, per studiare astronomia e medicina. 144 Mi piace ricordare che ben diciotto secoli prima Aristarco di Samo ha messo in atto la teoria eliocentrica. Copernico, anche lui, si è mosso, in qualche modo, guardando indietro: con l’abissale differenza che i tempi sono ormai maturi. Sulle accuse di empietà mosse ad Aristarco cfr. L. De Rose, Le ragioni dell’etica nei confronti della scienza. Tre esempi in epoca antica, in F. Garritano, E. Sergio (a c. di), Scienza ed etica, «Ou. Riflessioni e provocazioni», n° 13, fasc. 1/2002, pp. 63-67.  104  Eppure, sarà proprio quella ricomposizione, cercata e non trovata da G. B. Amico, a dar luogo alla scienza moderna e quindi alla modernità tout-court – poco più di mezzo secolo dopo, per opera del Galilei, toscano tutt’altro che aristotelico, piuttosto intriso di neo platonismo”145. Giovan Battista, astronomo talentato, è morto giovanissimo, ucciso forse senza una ragione, prima di poter portare a compimento il suo destino, forse perché “caro agli Dei”, come vuole la sapienza antica. Non è dato sapere quale sarebbe stata l’evoluzione del pensiero di Amico, il suo destino intellettuale, il suo karma scientifico, se fosse vissuto abbastanza, soltanto pochi anni ancora, da imbattersi nel De Revolutionibus di Copernico. Le cose non sono andate così; e un giovane dal destino incompiuto, ma dall’indiscutibile intelligenza ha potuto solo tentare di dare un senso a teorie che valgono solo dal punto di vista dell’osservatore. Questo è un mondo antico..., come direbbe Leopardi spazzato via “ a guisa di una mera illusione dalla rivoluzione astronomica prima e dalla mentalità moderna dopo”146.  145 F. Piperno, Ioannis Baptistae Amici..., cit. 146 G. Leopardi, Storia dell’Astronomia, in F. Piperno (a cura di), Arcavacata, Centro Editoriale UNICAL, 2001, p. 18.

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