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Is Grice the greatest philosopher that ever lived?

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Wednesday, April 6, 2022

GRICE E DIANO

 IL CONVITO.   ATOLLODOllO E UN AMICO.   I. - Apollpdóro. Credo di nonSmotto, P- 172  ispondere alla vostra no ues^ < . Galero, uno dei   Srm^STiTp.lWo.0 (1), o M -   Èd io mi fermai e aspettai. „i ie poc’anzi   ti di 'raccontarmi la    « “ - - ™  pensiero filosofico greco, fu tntt ^ ” C ; u raorto ad maestro, o, stando a  più fieli o devoti seguaci (l a Kliano, no ricopri o voleva   un aneddoto riferitoci da t>10tcl “ teUo - Quanto allo scherzo, dm   ricoprirne il cadavere col ' >r0I ’ ? “ t f, ò moUo discusso in ohe consista.   Apollodoro rileva nelle pardo doli arpico, . cominciato dal ehm-   Forse, oltreché nel tono nome Matteo o ohe tosso   marie Falere». < So un amico nostre. clm gr _ ^ ^ Vcllotrl \ anziché   nato a Vellotri noi comin^assimo col olila ar^ lnl uno scherzo, sol-rat -  ‘ Matteo ’, por farlo voltale, P ■ ..... allusione a uualcunu delle suo uua-  tutto se col chiamarlo cosi si taccs ““ u 0 i luogo . Noi nou sappiamo.  Uhi. «he si solesse attribuire «gla al«tan rlpuUv ,iono o di elio genere:   se 1 Falerosl avessero unniche loi partlooi^ > ^ , (Bonghl) . E none,   a ogni modo anche sonza^uesto loA^y^ mM , naro „ i marinai   mi paro, Impossibile olio, cssoni t . e u uca t 1L , la ciunlitìl di Valoroso   rìi^ol qu alcuno, formano un   emlecflfilllitbo.          — 16 —    conversazione tra Agatone (1) e Socrate e Alcibiade (2)  e gb Xi, che allora presero parte al banchetto c che  discorsi intorno all’amore ri si fossero temiti. Me ne  accennò un tale che ne aveva udito da_Fenice di Filippo (3)  è aggiunse che anche tu ne eri informato; ma non seppe  dirmi nulla di preciso. Raccontamela tu dunque. Nes-  M mo più di te è tenuto a riferire i discorsi del tuo amico.  E prima di tutto, mi chiese, dimmi: a quella conversa¬  zione eri tu presente o no!   Ed io: Si vede bene che quel tale che te la raccontò  non ti deve aver raccontato nulla di preciso, se credi che  quella conversazione, di cui mi chiedi, abbia avuto luogo  così di recente, che anch’io avessi potuto assistervi.   Ed egli: Difatti lo credevo, rispose.   E come, dissi, Glaucone? (4). Non sai che da molti  anni Agatone non è più venuto tra noi; e che da quando  frequento assiduamente Socrate e mi studio di seguire  giorno per giorno ciò che egli dice o fa, non sono ancora  tre anni? Prima andavo errando a caso di qua e di là,  e pure illudendomi di fare qualcosa, ero il più infelice  degli uomini, non meno che non sia ora tu, perchè pen¬  savo che bisognasse occuparsi di qualunque altra cosa  piuttosto che di filosofìa.   Ed egli: Smetti di canzonare e dimmi quando ebbe  luogo quella conversazione.   Quando — e noi eravamo ancora dei ragazzi —  Agatone vinse il premio per la sua prima tragedia, nel    li) Agatone, Ilglio di TisAmeno, ora nativo di Atene, clic tra il -10!)  c il 1117 a. C. egli lasciò i»cr andare a vivere nella corte di Archelao di Mace¬  donia. il cui splendore lo attirava. Bollo, elegante e ricco, fu scolaro di  I ròdico e di Gorgia, dai riunii apprese Io siile protonaionoso e retorico ed  ebbe imimi"^^ di celebri»* per il successo del suo drama. intitolato  . , S ,, m0 : nel n " al ° ,,sclva dagli argomenti tradizionali e dalla via  c lr U tavn imEfa,l 1>r ? <l0OeSSOrl - ““ ** 11 “>P«tto Umusi muliebre   .oZir» a 7ì:^T a V" m V0,t0 bCT8UC "° al mm>i ™»'e.   contempi,rana. Nel Ilo aveva forse poco pii, di tronfanni.   ed u n, o d stilò lm ‘ tUB dW ° ! " Kli ò ta-PP- noto come generalo   Òvevu ,”t,!,.n„?ò ° ? n " e0 aVYennt0 11 Mochetti. («0 a. C.), egli   $ «n ^ potonzft pouuoa -   Altro ignoto, da non confondere con Glaucone, fratello di Platone.       , omo seguente a quello in cui egli coi suoi coreuti celebrò  fsacrifico ^^"nolti anni or sono, a quanto pare.  Ma^te’chi té la che ne parlò   ; &r-ra   tota», ote ri» “XeK «il» ™» « * *»   alla, conveisazioue, 1»« “ Tutta™, interroga,   amanti di feociatc a q 1 udifce da Aristodemo,   anche Socrate su qualcuna delle aveva riferito,   eda lui ebbi la conferma d#ò che 1 a L a   Perchè dunque non t afte apposta   via, che s’ha a percorrere lino alla citta,   per discorrere e per udire. di que i discorsi,   Così cammin facendo, rapo « impreparato;   sicché, come ho detto a prmcn|, nO|Soim V   c se volete che io li ripeta anche a voi, ecconn^   ricchi e dediti ai guadagni, , ' d : j ar   "Scesa e i^’f^nS'prSSmente anche voi   dai canto vostro penserete di me che sono' u ?.^Ton lò  e credo che voi crediate il vero; io pero di voi non   Sei sempre lo stesso, Apoilodoro: non fai che  dir male di te c degli altri, e ai tuoi «echi siamo, mi  pare, tutti degl’infelici, all’mhion di So f so¬   dando da te. Perchè ti chiamino tenero (3), non so,    (1) Da questa indicazione si desume elio il banchetto avrebbe avuto  ,U0 %“ e ÌH—. anch’egli uno scolare di Scorato.   Cidatonoo, si faoova, sembra, notare per la sua smania c m   anche in corte abitudini di vita, come, per esempio, in quella d andar sempi   et) Tutti i testi, a cominciare dai piìi antichi, danno qui |j.a).axo;   • mollo • tenero ', lezione respinta dalla maggior l'arto degli editori, elle  hanno accolta invece la correzione |iavixó? ‘ pazzo \ ‘ turioso ’, occorrente    2 Piatone — Convito.         ir» eai soniDre cosi! «xccrbo ■ con tc  ma corto ncll ° ,[ U ' fuo rchè con Socrate,   stesso e con gli alt , dunqu e indiscutibile che,   se j^nso così^'di^mè e di^voi, io debba essere un pazzo   e un insensato? nena 0 ra di leticare   ,, r 1,™5» A Fa° SS» 4«* « “ “ “ bbl " , °   Hsrtósfssis-rr » £t   meglio che io mi pori « M .1 »■*»*« .1,.  capo, come a me lo fece Aristodemo.   ,1 - Egli dunque mi disse (1) di avere incontrato  Socrate cbe usciva dal bagno e calzava delle pantofole  cosa che suol fare (2) di rado, e dovergli chiesto, dove   s'incamminasse cosi rimbellito. .   E l'altro: A cena da Agatone. Ieri mi sottrassi al  banchetto della vittoria, per paura della folla. Ma pro¬  misi che oggi non sarei mancato. E mi Ron fatto bello  appunto per presentarmi bello ad un bello. Ma tu, gli  dimandò, come ti senti disposto a venire a un banchetto  non invitato?    in parecchi cod«l. La lezione più antica, ripristinata dal Burnet, nonché  dallo Schoenc nella sua revisione dell’edizione dell’Hug, era già stata  difesa dal Ilfìckert, e con buone ragioni. Ciò che sappiamo dal ‘ Fe¬  done’, in cui Apollodoro c’ò dipinto come un carattere impressiona¬  bilissimo, clic passava facilmente dal riso al pianto c viceversa, e che  negli ultimi istanti di Socrate si abbandonò a così incompostc manife¬  stazioni di doloro da provocare un richiamo del maestro, accenna, mi  pare, piuttosto a un uomo d’indole molle, che ad un furioso o pazzo. Nò  la risposta d*Apollodoro, nella quale h’ò voluto veder la conferma della  lezione |iotyiy.Ó£, ò una prova addirittura decisiva, giacché, osserva il  RUekert, non dici haec, ut éxplanelur caussa cognominis, sed indignantis  verbo, esse, conccdcntls, ni fit per indignalionem, atquc in maim augentis id  quod arnione diadi. Qui quii in rcprchciuliseet nimiam aeveritatem, hoc ipsum,  niininm ceso, arripicna, acerbe rcapondel: concedo, manifestimi est , me qui  uliter sentilim atquc vos, debcrc insanire atquc delirare.   (1) Da questo * disse ’ (IcpY)) dipendo nel testo tutta la narrazióne  d*Apollodoro, che nel greco ha la forma d’uria oratio obliqua.   (2) Qui nel testo c’è sTtoóei ‘ faceva ’ in conformità dell’uso greco»  che adopera l’imperfetto per significare uno stato clic dura tuttora nel   -presente, àia poiché il racconto si suppone fatto, mentre Socrate è ancora  in vita, ho sostituito il presente all’imperfetto.        Per me, rispose Aristodemo, sono ai tuoi ordini.   Ebbene, riprese, seguimi, affinchè, mutati 1 termini,  la si faccia finita col vecchio proverbio, mostrando cn  anche dei buoni ai conviti vanno non invita  i buoni. Omero però, se non mi sbaglio, non si conten  di farla finita con esso, ma volle anche fargli oltraggio,  perchè dopo d'averci rappresentato Agamennone come  singolarmente prode in guerra, e Menelao come un f ia ( * °  guerriero, al sacrifizio ed al banchetto, offerto < a  Agamennone, fa che intervenga non invitato Menelao,  un dammeno alla mensa d’un uomo che valeva di piu U fi   E l'altro nell’udir ciò: Ho paura anch’io, Socrate, di  non essere quel che tu dici, ma piuttosto, secondo Omero,  quel dappoco che va, non invitato, al banchetto d un  sapiente. Del resto, dacché vuoi condurmici, preparati a  giustificare la mia presenza, perchè io per me non diro  d’esserci andato senza invito, ma in vitato da te.   In due andando per' via (2), riprese, « consi¬  glieremo su quel che ci converrà di dire. Per ora  andiamo.   E scambiate queste parole, s’avviarono. Socrate cam¬  minava immerso in qualche pensiero, e rimaneva indietro;  e poiché egli si fermava ad attenderlo, gli disse d andai  pure innanzi. Giunto a casa d'Agatone trovò la poi tu,  spalancata, e lì, disse, gli capitò una cosa da ridere.    (1) C’ù nella risposta, ili Socrate un ginoco «li parole che non e ^pos¬  sibile rendere in italiano. 11 proverbio era. pare. BsAfflv sin Batta; taotv  aOxóuatot avallo! . dogi-inferiori ai conviti vanno non invitati i buoni-  O anello meglio . dei vili (o dei deboli) ai conviti vanno non invitati i torti ..  Sdorato, gtuòcando sulla somiglianza elle, a parto l’aceento, e'e tra aYaddW  •del Paoni ’ o ’A T <*W•AY'M-nm ‘ad Agatone' ri f.1 il proverbio in  modo che esso si presti a (Uro tanto . dei Inumi ai conviti vanno i buoni  non invitati -, quanto • da Agatone ai corniti vanno i buoni non invitati ».  E si noti elio anche II nomo ’Ay ec&MV corrispondo suppergiù a ‘ Oinobono '.  Quanto ad Omero poi Socrate, celiando, immagina cito il poeta nel tìngere*  (/(. Il 108) clic Menelao 4 flocco guerriero ’ vada non invitato alla mensa  d’un prode conto Agamennone, abbia voluto addirittura fare oltraggio (ti  proverbio, che egli, invertendone gli estremi, avrebbe implicitamente  (giacché al proverbio In Omero non s’accenna né punto né poco) rifuggiate  io quest "altra forma àralfiSv Èro Baita; taoiv aùti|iatoi Bs’Aoi • dei forti  ai conviti vanno non invitati i vili   (2) Allusione a un luogo omerico: cf. II. X ’224.         — 20 —    - Giacché gli si lece subì*. 'J ?^stateti a mema>ano  ione-e lo condusse dove g< 1 ’ Come Agatone lo   quasi sul punto di niet ^“ in buon punto   ^e: Oh! Aristodemo f *£’ y g£i per altro, rimet-  pcr cenare con noi. il -■■■ rcai per invitarti senza   ZSJtì Sin Ma e»m} * »»» « hri biotto   Socrate? mi volsi indietro, ma non   •r in nessun luooo che Socrate mi seguisse, e dissi:   “ “S ,2 *•»*. a. lai q«i >11»»-   Ed hai fatto benone. Ma dov’è Socrate?   Un momento fa mi seguiva; ma ora dov è. Sono io   mire sorpreso di non vederlo.   Va subito a cercarlo, ragazzo, disse Agatone, e in¬  troducilo qui. E tu, Aristodemo, prendi posto a lato ad  Erissimaco (1).    IH. — E mentre un servo gli lavava i piedi, perchè  potesse sdraiarsi, un altro entrò dicendo: Questo Socrate  s’è ritratto nel vestibolo d una casa qui accanto, e sta  li fermo. Io l’ho chiamato, ma non ha intenzione d’entrare.   Strano!, disse Agatone; corri dunque a chiamarlo, e  non smettere, finché non si muova.   No, no. diceva d’aver soggiunto Aristodemo. Lascia¬  telo stare. Egli l’ha quest’abitudine. Certe volte si tira  da parte e riman fermo dove gli capita. Verrà ben presto,  ritengo. Voti lo disturbate; lasciatelo stare.   Facciamo pure cosi, se codesto è il tuo avviso, disse  Agatone. E voi, ragazzi, dateci da mangiare a noi altri,  e imbanditeci tutto quel elio vi pare. Non c’è nessuno  che vi sorvegli: è una bega che non mi son mai presa.  Fate conto che ci abbiate voi invitati a cena, me e questi  altri, e trattateci in modo da meritare i nostri elogi.   Dopo ciò,'diceva, si misero a desinare, ma Socrate  non compariva. Agatone aveva ordinato più volte che    fi) lirlssùuaco, figlio d'Aedmeno, ora, conio il padre, un modico litui  noto in Alene.    — 21    s’andasse a rilevarlo, ma egli non l’aveva permesso.  Finalmente, men tardi però che non fosse nelle sue. altitu¬  dini. ma tuttavia quando la cena era già a mezzo,  Socrate entrò. E Agatone, che occupava 1 ultimo posto,  per caso da solo: Vien qua, Socrate, disse; sdraiati  accanto a me, affinchè al tuo contatto m’avvantaggi  anch’io di quel pensiero sapiente di cui ti sei arricchito  nel vestibolo. Perchè gli è certo che 1 hai trovato e lo J  possiedi: chè- prima non ti saresti mosso.   Socrate si mise a sedere e rispose: Sarebbe, Agatone,  una gran bella cosa, se la sapienza fosse cosiffatt a, che  potesse scorrere dal più ripieno nel più vuoto di noi.  al solo toccarci a vicenda, come l’acqua nei bicehien,  che a traverso un fìl di lana scorre da uno più colmo in  un altro più vuoto! Se lo stesso avviene anche della  sapienza, son io che devo far gran conto d essere accanto  a te, giacché penso che, mercè tua, mi riempirò di molta .  e squisita sapienza. La mia non può essere che povera  cosa o anche di dubbio valore, come un sogno;, ma la  tua è luminosa e destinata ad un grande avvenire, dal  momento che da te, giovane ancora, ha sfolgorato poco  fa di così viva e chiara luce davanti agli occhi di piu  che trentamila Elleni.   Sei un gran canzonatore, Socrate, disse Agatone. Ma  di questa faccenda della sapienza discuteremo fra poco  tu ed io, e, ne prenderemo a giudice Dióniso (1), Per ora  pensa a mangiare.   IY. — Dopo di ciò, raccontava Aristodemo, Socrate 176  si sdraiò, e finito che ebbero di cenare, lui e gli altri,  fecero lo libazioni, cantarono un inno in onore del dio,  adempirono tutte le pratiche di rito (2), e quindi si vol¬    ai Dióniso, il dio della poesia di'amatloa, por un poeta tragico era il  miglior giudico al quale potesse appellarsi.   (2) Questo cori inolilo orano: 1° i convitati bevono un sorso di vino  puro In onoro del ‘ dèmone buono * [del buon genio]; 2° i servi sparecchiano;  3° o portano acqua ^crollò i convitati si lavino le inani una seconda volta  (la prima volta l’han fatto prima di mettersi a cona); 4° distribuiscono  ancora corone ed unguenti; 5° poi si fanno lo libazioni di vino temperato»  pi prima a Zeus Olimpio (o alla Sanità), la seconda agli Eroi, la terza a      • n \ oli ora fu il primo a prender la  s ero al bere. iei< c he regola terremo nel   parola e: Orsù, disse amie . , pel , me V1 c011 .   bere per aggravarci > « g ^h P rabtiso di ieri,  fesso che mi sente■ e CO sì forse la più parte   e h0 bisogno d un po^ Y P edete dunque come si possa   bere°con^la'maggior discrezione ^ossibUe^   «*>. 'U“, «   Acumeno. Ed ora non ho bisogno, che d udire come si  1 in f orz e per bere un. altro solo di voi, Agatone.   no davvero, non me la sento neppnr io, rispose   CO "¥a'nto meglio per noi, mi pare, disse Erisstamco per  me . per Aristodemo; per Fedro e per questi altri, se ma  cedete il campo voi che siete dei bevitori a tutta prova,  giacché noi siamo sempre debolissimi. Quanto a Sociat %  egli fa eccezione: si trova a posto in un caso e nell altro,  e gli sarà indifferente comunque si beva. Bacche, dunque,  nessuno dei presenti è disposto a bere rii molto, non vi  rincrescerà, spero, ch’io vi dica la verità a proposito  dell’ubriacarsi. Dalla pratica della medicina ho cavato  questa convinzione: che per gli uomini è dannoso 1 abuso  del vino: e di mia volontà non eccederei mai nel bere,  nè lo consiglierei ad un altro, soprattutto se si risente  ancora della sbornia del giorno prima.   Per me non c'è caso, prese a dire Fedro da Mirri¬  li unte (3); io lui l’abitudine di seguire i tuoi consigli,  specie quando parli di medicina; ina ora, se hanno giu¬  dizio, faranno così anche gli altri.    Zeus salvatore. I/ultiina tazza cho ai beveva a questo si diceva la ‘ por-  lotta *.; 0 spesso alle libazioni seguiva una musica di Munti c un brucia¬   mento d’incensi; 7° con la prima libazione s’accompagnava il canto di un  inno religioso. (Dal Bonghi).   (1) Doveva esscro un ammiratore di rotori e sofisti, ma è noto soprat¬  tutto come amante d’Agatonc*.   (2) Aristofane, è superfluo dirlo, è il famoso comediografo.   (3) Su Fodro v. la nota alla mia versione del Fedro.     jp£ijÌMpM      h'.    — 23 —   Udito ciò, tutti convennero che non si dovesse far  del bere il passatempo di quella riunione, ma che ognuno  bevesse quanto e come gli accomodava.   y. _ Poiché è stata accolta la mia proposta, che   ognuno beva quanto gli accomoda, disse Erissimaco, c  che non ci sia nessun obbligo, ne faccio ancora un al in¬  aurila di mandar via la suonatrice di flauto entrata dianzi,  perchè suoni per conto suo o, se vuole, per le donne cu  casa, e che noi oggi si passi il tempo a conversare fra no.   E voglio anche, se me lo permettete, proporvi U tema   discorsi. ìtì   Tutti consentirono e lo esortarono a farne fa. 1  posta. E comincerò, riprese Erissimaco, come la ^ e '  lanippe ’ di Euripide (1): Miei non son questi detti  che m’accingo a pronunziare, ma di Fedro qui pi  sente. Non passa occasione infatti eh egli non mi up •  indignato: «Ma Erissimaco, non è enorme, che mentre  poeti han cantato inni e peani in onore degli alto d ,  di Eros, un così antico e possente iddio, neppui u _  tanti poeti, che ci sono stati, abbia mai composto un  eloo-io’f E se poi vuoi guardare ai buoni sofisti, essi ha  Sto in prosa le lodi di Éracles e di altri, come quel  valentuomo di Predico (2)... E questo «ite, esorpren¬  dente; ma c’è di peggio. A me proprio una ^oha accadde  dibattermi in un libro d’un sapiente, m cui si facevano  sperticate lodi del sale pei vantaggi che reca, E puoi  vedere parecchie altre cose simili celebrate con lode...  Spender tanta cura intorno a siffatti argomenti, e pii  Eros non esserci nessuno fin oggi, che abbia osato lai ne  un degno elogio: a tal punto è trascurato un cosi grande  Iddio- ) - E in ciò’, secondo me, Fedro ha ben ragione.   10 dunque, oltre che desidero .li pagare il mio contributo  a costui e fargli cosa grata, ritengo che questo sia per  noi qui radunati proprio il momento .li adornai e di lodi   11 dio. E se così pare anche a voi, ecco trovato torse un    (1) Cf. N.vuoic, Trita- Or. Fratjmm.' tramili. 181, 1>. a l.   (2) è „ueUo elio si trova riferito In sunto da Senofontei nei Momo-  rubili ’ 11 21, 1 sgg., o elio fu tradotto dal Loop®!! col tlt. ' I*.reale .        buon argomento di conversazione. In sostanza io pro-  onlo che ciascuno ili noi. per turno a destra, dica le   Foladi Eros, come può meglio, e sia il primo ladro,  non Tolo perchè egli occupa il primo posto, ma anche  uerchè egli è il padre del discorso.   ^Nessuno, Erissimaco, disse Socrate, voterà contro la  proposta, Nè potrei certo oppormi» io, che di¬  chiaro di non esser competente in altro che m cose  d’amore: nè vi si opporranno Agatone e Pausatila e  tanto meno Aristofane, la cui vita è tutta cosi pro¬  fondamente devota a Dioniso ed Afrodite, o qualche  altro di quelli che vedo qui presenti. Senza dubbio,  la partita non è uguale per noi che siamo negli ultimi  posti: ma se quelli che ci precedono parleranno esau¬  rientemente e bene, noi saremo sodisfatti. Dunque, con  buona fortuna, inauguri Fedro la serie dei discorsi e  pronunzi l'elogio di Eros.   A queste parole anche gli altri fecero eco e npetet-  178 tero l'invito di Socrate. Ma di tutto ciò che ognuno disse,  nè Aristodemo si rammentava con precisione, nè io, dal  canto mio, di tutto quello che egli mi riferì. Vi dirò per  altro le cose più degne di ricordo e i discorsi, che mi  parvero tali, di ciascuno.    VI. — Come dunque dicevo, stando al racconto  d’Aristodemo, Ferirò fu il primo a parlare e cominciò sup¬  pergiù a questo modo: Eros è un grande iddio e ammi¬  rabile tra gli uomini e tra gli dei, oltreché per tante altre  ragioni, soprattutto per la sua origine. Perchè l’essere  tra gli antichi iddìi antichissimo è cagion d’onore, di¬  ceva, e ne abbiamo la prova. Difatti genitori di Eros nè  vi sono, nè si rammentano da verun prosatore o poeta ;  anzi Esiodo dice (1) che dapprima fu il caos,    ma dopo   Oea dall’ampio seno, saldissima, eterna di tutto  sede ed Eros ;    (1) Cf. Theog. 116 agg.    — 25    e con Esiodo s’accorda Acusilao (1) noU'afferniaro che  dopo il Caos si generassero questi due, Gea ed Eros.  E Parmenide dice della generazione che    infra gl’iddìi tutti Eros concepì per il primo (2).    E così da molte parti si consente che Eros fu tra gli  antichi antichissimo. E perchè antichissimo, è cagione a  noi dei più grandi beni. Io infatti non so dire qual maggior  bene possa esservi per chi entri appena nell’età dell'ado¬  lescenza d’un amante buono, e per l’amante d’nn fan¬  ciullo amato. Giacche ciò che agli uomini deve servir di  guida per tutta la vita, se vogliono nobilmente vivere,  questo non valgono ad ispirarlo altrettanto bene nè la  comunanza di sangue, nè gli onori, nè la ricchezza, ne  alcun’altra cosa, quanto l’amore. E che è mai questo .  La vergogna per ciò che è brutto, l’ambizione per ciò  che ò bello, senza le quali nè ad uno Stato, nè ad un  privato è possibile operare grandi c nobili opere. Ebbene  io affermo che un uomo che ami, se fosse sorpreso in  atto di commettere qualcosa di brutto o di soffrirla da  un altro senza reagire per vigliaccheria, non s affligge¬  rebbe tanto ad esser visto nè da suo padre, nè dai com¬  pagni, nè da nessun altro, quanto dal suo diletto fanciullo.  Così del pari vediamo che anche 1 amato si vergogna  soprattutto degli amanti, ove sia sorpreso a commettere  qualcosa di brutto. Se dunque ci fosso modo d avere uno  Stato o un esercito composto damanti e damati, non  potrebbe esserci per la loro città miglior governo ì  costoro, perciocché «'asterrebbero da ogni cosa turpe e  gareggiherò di virtù fra loro (3); e combattendo gb    171»    (1) Acusilao d’Argo ora uu logografo contemporaneo delle guerre  persiane, autore di ' Genealogie \   (2) Questo Torso faceva parto del poema llspì cpoactofi Sulla  natura > del grande Hlosofo di Elea, fiorito tra la fino del vi e il principio  del v s. a. 0. Cf. Dirla, Forsokr. P P- 1U2. 13.   (3) Lottoralmento: So dunque si trovasse modo ohe oi fosso uno stato  O un esercito d’amnuti o d’amati, non potrebbero governar meglio la  propria citta, elio astenendosi da tutto lo cose brutte e gareggiando fra  loro eoe.     _ 26 —   £ sLo non possa animare d’un divino coraggio cosi  da renderlo pari all'uomo più di sua natura vaio .roso>. E  QU el che Omero dice (1): avere un dio ispnato  l'ardire in taluni eroi, questo appunto per virtù propiia  Eros l’effettua negli amanti.    YII. _ Ed .infatti solo quelli che amano son pront i   a morire in cambio d’un altro; nè soltanto gli uomini,  ma anche le donne. E di questo ci offre, a noi Elioni,  una testimonianza bastevole la figliuola di Pelia, Alcé-  stide (2). che fu sola a voler dare la propria ruta in  cambio di quella del marito,, sebbene questi avesse e  padre e madre tuttora viventi. Ma costoro per virtù  d’amore ella li sopravanzo tanto nell affetto, da farli  apparire degli estranei al figliuolo e legati a lui unicamente  di nome. E per aver fatto ciò parve non solo agli uomini,  ina anche agli dei che avesse fatto cosa tanto bella, che  quantunque molti avesser compiuto molte belle azioni,  a ben pochi gli dei concessero questo premio, di richia¬  marne l'anima dall’Ade; ma quella di lei la richiamarono,  ammirati di ciò ch’ella aveva fatto; tanto altamente ono¬  rano anco gl’iddii un amore profondo e virtuoso! Invece  rimandarmi via dall’Ade a mani vuote Orfeo d’Eagro,  dopo (riavergli mostrato il fantasima della moglie, pei' la  quale egli 'era sceso laggiù, senza per altro dargli la donna,  perchè parve loro circi mancasse di coraggio, da quel  citaredo ch’egli era, e non gli bastasse l’animo d’affron¬  tare per amore la morte, come Alcéstide, ma s’ingegnasse  da vivo di penetrare nell’Ade. E però lo punirono, fa -    (1) h un modo <11 dire elio ricorro più volto nei poemi muorici.   (2) l.u devozione di questo, eroina verso 11 marito forma il soggetto  (Cuna tragedia d’Euripidc, intitolata appunto ‘ Alcéstide      dolo morire per mano di donne. Al contrario, onora¬  rono Achille, il tiglio di Tétide, e gli assegnarono un posto  nell’isole dei beati, perchè, sebbene avvertito dalla madre  ohe sarebbe morto come .avesse ucciso Ettore, laddove.   ciò non avesse fatto, ritornato a casa, vi sarebbe  finito di vecchiezza; egli, bramoso di correre alla riscossa  dell’amante Patroclo e vendicarlo, osò non solo di morire  ner lui ma di soprammorire a lui estinto. Ond anche, gli >  dei compresi di viva ammirazione, gli concessero un  onore addirittura segnalato, (lacchè aveva mostrato di  tenere in così alto pregio l’amante. Ed Esclnlo vaneggia,  oliando afferma che Achille era l'amante di Patroclo (1).  Achille era più bello non solo di Patroclo, ma (li tutti  quanti gli altri eroi, ed era ancora imberbe, e per giunta  più movane di molto, come dice Omero. Gli e che in  realtà, se gli dei onorano singolarmente questa virtù  dell’amare, essi tuttavia ammirano e pregiano e ricom¬  pensano più largamente la devozione dell amato pei  l'amante, che non quella dell’amante per ornato  L’amante infatti è qualcosa di più divino dell amato,  perchè posseduto dal dio. E perciò appunto gli dei ono¬  rarono Achille a preferenza d’Aleéstide, assegnandoci  un posto nell’isole dei beati. .   Per conto mio, adunque, concludo che Eios e t a  gli dei il più antico, il più augusto, il piu capace di  rendere virtuosi e felici gli uomini, così in vita come m  morte.   Vili. — Questo a un dipresso, disse Aristodemo, il  discorso di Fedro. Altri ne seguirono (lei quali non si  rammentava bene e che omise, e passo al discorso di  Pansaaia, che parlò così: A me pare che non ci si sta pn>-  pitocon chiarezza il tema del discorso, quando se detto,  così senz’altro, di pronunziare 1 elogio di Eros. s.e Eios  non fosse che un solo, via, la cosa potrebbe andare, ( ìa  ecco, esso, non è un solo, e non essendo un solo, e più    (1) Accenno iul una traspaia perduta-, intitolata ‘I Mirmldom ,  nella quale talune espressioni allettilo» d'Achille erano da alcun, mterpro-  tate conio qui si complaco d‘interpretarle I«edro.       — 28 —    criusfo che si fissi in precedenza quale sabbia a lodare,  fo dmu e mi proverò a rimetter le cose a> posto, a due  aual è l’Eros che merita lode, c poi a   pronunziarne 'ì’elogio in maniera degna del mime. Tutti   infatti sappiamo che Afrodite non è senza Eros. Se Afro¬  dite fosse una sola, non ci sarebbe che un solo Eros;  rail poiché di Afroditi ce n’è due, due devono essere di  necessità anche gli Erotes. E come non sono due le dee.  L’ima è più antica, non ha madre, e figliuola d Ulano,  e però è detta Urania [o celeste]; l’altra è più giovane,  figliuola di Zeus e di Dione e la chiamiamo Pan demos   10 volgare]. Ne consegue perciò clic l'Eros, collabora-  lore di questa, si chiami a buon diritto Pandemos [o  volgare] e l'altro Uranio [o celeste]. E se giusto è elle  tutti gli dei si lodino, è pur necessario provarsi a dire  le qualità toccate in aorte a ciascuno dei due. Perché  d'ogni nostro atto può affermarsi questo: che esso di   181 per sé non è nè hello uè brutto. Per esempio, ciò che ora  Tioi facciamo: bere, cantare, discorrere, nessuna di queste  cose è di per sè bella, ma nel fatto divien tale, secondo   11 modo come si fa. Fatta bene e rettamente diventa  bella; non rettamente, brutta. E così anche l’amare ed  Eros non è tutto bello e degno d’esser lodato, ma solo  quello clic nobilmente spinge ad amare.    IX. — L’Eros quindi, collaboratore delTAfrodite vol¬  gare, è veramente volgare, ed opera come gli vien fatto; e  questo è l’Eros che amano gli uomini di animo basso,  fòsforo innanzi l utto amano non meno le donno che i fan¬  ciulli, e poi, pur di quelli che amano, i corpi a preferenza  delle anime, e poi ancora i meno intelligenti che possano,  giacché essi non mirano ad altro, che a sodisfarsi, non  importa se bellamente o no. Onde accade loro ili fare  come capita, nello stesso modo il bene e nello stesso  modo il contrario. Perocché quest/Eros trae anche ori¬  gine dalla dea elio è ben più giovane dell’altra e che  dal modo, onde fu generata, partecipa di femmina e di  maschio. L’altro invece é dell’Afrodite celeste, la quale  1,1 P r 'mo luogo non partecipa di femmina, ma solo di  maschio — ed è questo l’amore dei giovanetti _ e poi      — 29 —    intica pura (fogni lascivia.. Onde al maschio  * pl '‘;! 8Ì volgono gl’ispirati da questo amore, perchè  ;UJP u io-ono quél che è per natura più forte e piu Intel-  f 11 :: ; -Ed anche nello stesso amor pei fanciulli è pos-   u • ■ discernere quei che sono sinceramente mossi da  ' S nesto amore. Giacché essi non amano i fanciulli, se non  ? andò questi comincino a dar segni d’intelligenza, cioè  òn lo simulare sul volto della prima lanugine. Coloro  infatti 'che cominciano ad amare da quel momento, si  mostrali disposti, secondo me, a legarsi per tutta la vita  "Giovanotto amato e a viver con esso m comune, non  oi-r dopoché l'abbian tratto in inganno per averlo .sor¬  preso nella sua inesperienza giovanile, a ridersi di lui e  orrore ad altri amori. Converrebbe anzi che una le^ge  vietasse l’amare i fanciulli, affinchè un grande studio non  si spendesse in cosa d’esito incerto, perchè incerta e la  riuscita dei fanciulli, dove vada a riuscire, quanto a vizio  e virtù d’animo e di corpo. Questa legge, è vero, 1 buoni  se la impongono spontaneamente a sè medesimi; nondi¬  meno sarebbe necessario che a ciò codesti amanti vo ¬  gali fossero anche costretti, come, per quanto è possi¬  bile, li costringiamo ad astenersi daU'amare le donne di  libera condizione. Poiché sono essi appunto che hanno  anche disonorato l’amore, tanto che alcuni osali di dire  che è brutta cosa compiacere agli amanti. E dicon cosi,  perchè hanno dinanzi agli occhi costoro, e vedon di  questi il procedere intempestivo ed ingiusto, laddov e non  c’è cosa che, fatta con decoro e in conformità del co¬  stume. possa giustamente meritar biasimo.   E certo qual sia nelle altre città la norma (1) enea  l’amore, è facile intendere, chò il concetto ne è semplice.  Ma da noi e a Lacedemone essa è varia. Così nell'Elide,  tra’Beoti e dove non son punto esperti nel dire, e senz altio  ammesso come bello il compiacere agli amanti; e nes-    182    (1) Il testo lui fini la pacala vó|io? ‘ leggoelio compiendo cosi In  legge Boritta, la leggo in senso ristretto, corno l’oplnlou pubblica, la con¬  suetudine, lu nonna, il costumo. Io l’ho tradotta di solito così, ma anello in  qualche caso, nel quale in questo disoorso di Pausania mi son valso della  parola ‘ legge * s’intende olio a questa parola va dato il significato più.  largo cho ha nel greco.       — 30 —    im0 sia giovane o vecchio, oserebbe tacciarlo di  turpe affinché, credo, non incontrino difficoltà nel per¬  suadentigiovani per via di ragionamenti metta come  sono al parlare. Per contro m molti luoghi della Ionia e  in altri paesi, soggetti ai barbari, la cosa e ritenuta  senz'altro quale una bruttura. Pei barbari, infatti, a  camion delle tirannidi, è brutto questo, non meli che lo  studio della sapienza e della ginnastica, perocché, credo,  non conviene ai governanti che allignino alti sensi nei  (invernati e si stringano indissolubili amicizie e intimità,  che, tra tanti altri, è il più meraviglioso effetto, che si  compiace di produrre l'amore. E ciò anche i nostri tiranni  sperimentaron col fatto, cliè l’amore di Aristogitone e  l'amicizia d'Annodio (1), divenuta salda, abbatterono la    loro signoria. E, così, dov’è considerata brutta cosa com¬  piacere agli amanti, ciò si deve alla malizia dei legis¬  latori, alla prepotenza dei dominanti e alla viltà dei sog¬  getti; e dove invece fu senz'alcuna eccezione considerata  come cosa bella, alla pigrizia d’animo di chi fece la legge.   Da noi al contrario la consuetudine è assai più bella,  sebbene, come ho detto, non sia, agevole penetrarne lo  spirito. — X. — Chi consideri infatti come sia opinion co¬  mune che allumare di soppiatto sia preferibile l’amare  palesemente e soprattutto i più generosi e i migliori, per  quanto mori leggiadri d’aspetto, e come per converso  l’amante abbia da tutti mirabile incoraggiamento ad  amare, non come chi faccia qualcosa di brutto, e sia  tenuto in gran conto chi conquista e deriso chi si lascia  sfuggire la preda, e come nel tentar di siffatte conquiste  i nostri costumi abbian concesso all’amante d’aver lode,  anche se l'accia cose sbalorditive e tali, che se uno osasse  farlo per correr dietro a qualunque altro oggetto e per  183 conseguire qualunque altro scopo, aH’infuori di questo,  ne raccoglierebbe i maggiori biasimi... (2) se, ad esempio,  per ottener danari da qualcuno o un pubblico ufficio o    (1) Ad Armodlo c Artotogitone, 1 famosi tirannicidi, l’opinione colmino  degli Ateniesi attribuiva la cacciata dei Plsistratldi.   Cd) Qui il lesto ha <ptXoooiplas ’ da parto della lllosolln ’. clic la maggior  l'arto dogli editori, compreso il Burnct, s’accordami u considerare corno  un aggiuuta arbitraria o orrore dei copiati.         . 31 —   disiasi altro potere uno s ^J^ e Uc e   con gli amati gli amputi, ^ ^ menti e dormono  ° e <rano e supplicano eg ;. rosi delle servitù quali   Suanzi alle porte e serron ™ dal fare BÌ ffatte cose   nessun servo; ei saiebbe nnp^^ ^ ^ rin{accer eb-    ei    ' iurp n u Mi uni "li rinfaccereb-  e da amici e ila uenuci, cu fiU'^. )f) ammonirebbero e  bere adulazioni e aU ' a .nmnte che faccia tutte   arrossirebbero di ess - 11 fe permesso dal costume   queste cose s’accresce grazia, de> £attì oltre¬   di farle senza biasimo, ‘ ^ che almeno a quanto  modo belli. E quel eh è pmj gU dei perdonano   si dice, se anche „i eHt o amoroso, sosten-   di spergiurare perche ‘ e gU nomini han   "ono, non esiste (1). corae la legge di qui   fatto lecita ogni lieenz^ c * credere che nella   dice. Da questo lato, dunque, t (> l’amare e il   città nostra si stmii una P b . padrii preponendo  compiacere agli amanti. <1 p lascian discorrere con  dei pedagoghi agli amai , nedagogo, e eoe-   tanei e compagm h vitupera ,^ì vituperano n on son   qualcosa di simile, * ne upur biasimati dai pai  d'altronde nè trattenuti 11 "insto... chi badi per   anziani, come que che non <■ “ be la s i ritenga qui   l'opposto a tutto ciò, p fecondo me, invece, la   la più brutta cosa del mondo. comc s ’è   cosa sta a questo nioi o. ^ J bella nè brutta;   detto in principio, noi 1 ge bruttamente.   I mpure stabile, come colui clic - co», «mw  stabile. Giacché insieme con lo sfiorire < ^   corpo , che egli amava, v asse no via a volo (2), eliso    (!) È un modo proverbiale olio negli scrittori greci ricorro sotto varie  formo.   (2) Reminiscenza omerica; cf. 71. n Tl«         — 32 —    norando tanti discorsi e promesse. Ma chi ama l’indole  buona riman costante per la vita, come colui che s’è  isi attaccato a cosa stabile. E costoro appunto il nostro  costume vuol mettere a prova bene e bellamente, e che  agli uni si compiaccia, dagli altri si frigga. E però appunto  gli im i esorta a dar la caccia, gli altri a fuggire, istituendo  una gara e mettendo a prova di qual mai sorta sia  l’amante e di quale l’amato. E così, per questo motivo,  in primo luogo il lasciarsi accalappiare subito è ritenuto  brutto, affinchè ci sia di mezzo del tempo, il quale può,  sembra, metter bellamente a prova la maggior parte  delle cose; e poi l'essere accalappiato dal danaro e dalla  potenza politica è brutto, sia elle uno, maltrattato, si  avvilisca e non resista, sia che, beneficato di danari o  agevolato nelle faccende pubbliche, non disprezzi. Che  nessuna di tali cose par che sia nè ferma nè stabile; senza  due che non può neppur nascere da esse una generosa  amicizia. Sicché, secondo il nostro costume, una sola  via rimane, se all’amante deve bellamente compiacere  l’amato. È infatti legge per noi che, siccome per gli  amanti il servii’ volentieri qualunque servitù agli amati  non è, come s’è visto, nè adulazione nè vergogna, così  appunto anche un’altra servitù sola volontaria rimane  non vergognosa, e questa è quella che ha per oggetto la  virtù. — XI. — Perocché presso di noi è ammesso che,  ove qualcuno voglia servire un altro, stimando di poter  divenire per via di quello migliore o in sapienza o in  qualsiasi altra parte di virtù, questa servitù volontaria  non è dal canto suo brutta, e non è nemmeno adulazione,  (inde conviene che queste due leggi convergano insieme  al medesimo segno, e quella che ha per oggetto l’amor  dei fanciulli e quella che ha per oggetto l’amore della  sapienza e d’ogni altra virtù, se dovrà riuscire a bene il  compiacere dell’amato all’amante. Perchè, quando s'in¬  contrino l’amante e l’amato, ciascuno recando la propria  ( gge, 1 uno che nel prestare qualsiasi servigio al giova-  nelio che gli ha compiaciuto, glielo presti secondo giu-  , K lzia ’ * altro che nel concedere qualsiasi favore a chi  o li nde sapiente e buono, glielo conceda secondo giu-  ■ s izia, e 1 uno, potente di senno e d’ogni altra virtù,        — 33 —    ,. n . i-altro bisognoso di educazione e d’ogni altra  1U ‘ ne acquisti; allora, queste leggi convergendo   S Tmedésimo segno, in questo caso soltanto accade che  nel So òhe l’amato compiaccia, all’amante-, m ogni  sia n0 B in questo caso anche il trovarsi ingannato  In è punto brutto; in tutti gli altri, si sia o no ingan-  i norta vergogna. B cosi, se qualcuno a un amante,  nat P r l ricco in vista della ricchezza avesse com-  st S e si trovasse poi ingannato e non ne cavasse  danari perchè l’amante s’è scoperto povero, non sarebbe  d '' ( ,ùesto men brutto, dappoiché un amato siffatto  P per quel ch’è in lui, che in vista del danaro   ri kz ‘ srjtfsc   ramante, divenir migliore, si '"ciò   nonostante^l’inganno^bello, perchèa^e qj^per ciò   SSfJS ^ H   fÌT5| l r^tSenté bello' compiacere per   "Sefò l’amore S&i   di gran pregio e l’amato a porre ogni   sono    TLSJL * «»•   ■*£#   m’insegnano a lare di si , ‘ Vvist0 [. ine . Senoncliè   vuto. diceva Azistodemo pa aie ^stob m()tiv0 ,   costui, o per aver mangiato tiojjo P ^ [Uscor .   era stato coltoinetto a destra di lui. c’era il medico   iSSSXmA Eri»»», «.co» » «c « «*>—   (1) Vaio a lUro l sofisti c i rotori.   :i Platone — Convito.           subito di questo singhiozzo, o di parlare invece mia,  finche non mi sia cessato.   Ed Erissimaco: Ma farò runa cosa e l’altra, rispose.  Io parlerò ora per te. e quando ti sarà cessato il sin¬  ghiozzo, parlerai tu invece mia. E mentre io patio, se,  trattenendo a lungo il respiro, il singhiozzo vorrà andar¬  sene. < tanto di guadagnato >; se no, fa dei gargarismi  con l’acqua. Che se poi fosse addirittura ostinato, prendi  qualche cosa da solleticarti le narici e cerca di starnutire.  Basta che faccia così una o due volte, e cesserà per osti¬    nato che sia. .   Affrettati dunque a parlare, disse Aristofane; io se¬  guirò i tuoi suggerimenti.    XII. — Ed Erissinmco disse: Orbene, dal momento  che Pausante,, dopo d aver preso bene le mosse per il  ,K6 suo discorso, non l'ha compiuto a dovere, credo che a  me convenga di provarmi a completare il suo discorso.  Che Eros sia doppio, pare a me che egli abbia fatto benis¬  simo a distinguere; però che esso non sia soltanto negli  animi umani rispetto alle belle persone, ma che abbia  molti altri obietti e sia' in altri, nei corpi di tutti gli  animali e nelle piante della terra e, per dirlo in una  parola, in lutti gli esseri, credo d'averlo imparato (bilia  medicina, dalla nostra arte, com’egli sia un dio grande  e meraviglioso, ed estenda il suo potere su tutte le cose  umane e divine. E eomincerò, partendo, dalla medicina,  anche per rendere omaggio all’arte. Infatti te natura dei  corpi ha questo doppio Eros, giacché la sanità del corpo  e la malattia sono, per consenso unanime, cosa diversa  e dissimile; e il dissimile desidera ed ama cose dissimili.  Altro, dunque, è l’amore che risiede nel sano, altro quello  che risiede nel malato. Ed appunto, come Pausante di¬  ceva or ora, clic è bello compiacere ai buoni tra gii uomini,  ma brutto ai dissoluti, così anche negli stessi corpi è  bello e, conviene compiacere a ciò che v'è di buono e di  sano in ciascun corpo — ed è ciò a cui si dà nome di  medicina — ma' brutto compiacere a ciò che v’è di  cattivo e di morbóso, e si deve negare a questo ogni  favore, se si vuol essere un medico esperto. Perchè la        — :sr>     medicina, in sostanza, è la scienza delle tendenze amo¬  rose del corpo a riempirsi e a vuotarsi; e ohi sa distin¬  guere in esse l’amor bello dal brutto, costui sarà il pili  acuto medico; e chi ù capace di produrre tal mutamento,  che i corpi acquistino l'mi amore in cambio dell'altro, e  in quelli, nei quali non sia amore e dovrebbe esserci,  sappia farlo nascere e da quelli nei quali sia e non  dovrebbe >, espellerlo, questi potrà esser davvero un  medico abile. Occorre infatti che egli possegga la capa  cita, di metter d’accordo gli elementi più avversi, esi¬  stenti nel corpo, e procurare che si amino l'un l'altro.   K avversissimi sono gli elementi affatto contrari, il freddo  e il caldo, l'amaro e il dolce, il secco e l’umido, <■ via  dicendo. TC perchè seppe.ispirare in essi amore e con¬  cordia, Àsclépio (1), il nostro capostipite, come affermano   i nostri poeti, ed io credo, fondò la nostra scienza, ha  medicina, dunque, dicevo, è governata tutta intera da  questo dio; e al pari di essa anche la ginnastica e l’agricol¬  tura. Quanto alla musica poi è chiarissimo a chiunque W  voglia appena riflettervi, che il caso è affatto identico,  c quest o forse volle dire anche Eraclito, sebbene egli non  lo esprima in forma perspicua. L'uno, egli dico, discor¬  dando con sè medesimo si accorda, come ar¬  monia d’arco c di lira (2). È difatti un vero assurdo  affermare clic l’armonia discordi o risulti da cose tuttora  discordi. Ma forse egli voleva appunto dir questo: che  essa nasce da cose per l’innanzi discordi, l’acuto e il  grave; ma che in seguito si sono accordate per opera del-  l’arte musicale, giacche non è in alcun modo possibile, clic  dall’acuto e dal grave, tuttora discordi, nasca armonia.    (1) Asciò pio o Esoulapìo ora un eroe-modico divenuto piti tardi un  ilio-modico. 1 suoi discendenti, gli Asolcpiadl. tra cui Krlssimaco pone se  medesimo, dovevano essere in origino limi gente congiunta da legami di  sangue, in cui era tradizionale la cognizione e la pratica della medicina.  1 j0 famiglie di Asclepindi più celebri orano Quelle di Cos, a cui apparteneva,  il grande lppoerate, e di ('nido. Ma in tempi più recenti tutti i medici,  compiacendosi di far risalire al <Uo la propria genealogia, presero indistin¬  tamente il nomo d’Asolopiadì.   (•>) (’f. DllCl-s, Vorqokr. V p. S7, .*>1.       — 36 —    „ ; n certo ino rio con¬  che è consonanza, e consonanz^ da cose discordanti,  senso, e U consenso non può ^ ^ discorda e non   tinche discordino; e d altra P Così, per esempio,   consente nOn può coautore ai ■ ^ da cose clic   anche il ritmo nas f ^^ consentirono poi. E in tutte  discordavano prima, ma ci dalla me dicma, qui e   queste cose il consenso, come 0 concor dia vicen-   ! osto dalla musica, che v ispm ‘ la scienza delle   devote. E però la — Soffia e’di ritmo. Nella *  tendenze amorose m tatto e dell armonia   composizione, considerata discernere le tendenze   e del ritmo non e punto dime oliando occorra   amorose, nè ,ulvi c'6 Mggg't’SflB. con gli  servirsi del ritmo e dell. c h e chiamiamo   uomini, o clic si compong cbe s’adoperino   ‘ melopea ’ [creazione musicale] - ° ™ t _ ed è ciò  acconciamente melodie • e metri gn ■ ® usioa i e ] — qui.  ohe vien detto ‘ slbi ie artefice. E qui   te¬  mati, e affinchè diventino pm costumati q^rni _   lo sono ancora, Insogna compuie p^ros celeste,   volgare - e questo, a coloro, a cui si somministri, s ha da  sonnninistr .re con molta Cautela, affinché se ne colga il  piacere) 18 ma non ingeneri alcuna intemperata mm  nell’arte nostra vai molto sapersi giovale dei desideri  eccitati da una buona cucina in modo che, senza pro¬  curarsi una malattia, se ne goda il piacere. Cosi, dunque,  e nella musica e nella medicina e in tutte le altre cose,  umane e divine, si deve, per quanto si può, aver riguardo  a ciascuno di questi due Erotes, perche ci sono.    188 XIII. — Poiché anche la costituzione delle stagioni del¬  l’anno è piena di tutti e due questi amori; e quando gli  elementi, dei quali dianzi parlavo, il caldo e il freddo, il  secco e Tumido, si trovino in una scambievole e ben rego¬  lata relazione d’amore e s’accordino e si temperino saggia¬  mente, essi vengono apportatori d’nna buona annata e    — 37 —    di buona salute, cosi agli uomini, corno agli altri ammali  e alle piante, e non soglion produrre alcun danno. .Ma  quando invece, l’Eros compagno dell’intemperanza pre¬  valga nelle stagioni dell’anno, egli suol corrompere '•  danneggiare molte cose. E da tali cause derivano di  solito e pestilenze e tante altre malattie diverse e negli  animali e nelle piante. Infatti e le brinate e la grandine  e la ruggine dei cereali sono il frutto della sopercliieria  e della sregolatezza vicendevole di cosiffatte tendenze  erotiche, la cui scienza rispetto al moto degli astri e  alle stagioni dell’anno prende nome di astronomia. Inolt re  tutti i sacrifizi e quei riti a cui presiede l'arte divina¬  toria — ossia la scambievole comunione tra gli dei e gl'  uomini — non vertono intorno ad altro, se non intorno  alla preservazione ed alla cura di Eros. Giacche ogni  forma d’empietà suol nascere, ove non si compiaccia al¬  l’Eros ordinato e non gli si renda onore e venerazione  in ogni cosa, ma si tenga in pregio quell altro, cosi nei  rapporti coi genitori, vivi e morti, come nei rapporti  con oli dei. Ed appunto osservare siffatti amon (1)  curarli è il compito della divinazione, e la divinazione  è a sua volta, operatrice d’amicizia tra gh elei e gu  uomini, perchè sa discernere, tra le inchnaziom ainc^se  deo-li uomini, quante tendano alla giustizia e alla pietà,  "l'osi ogni Eros ha un potere esteso e grande, anzi,  iu una parola, universale, ma quello che, e Pi'esso 'li noi  e presso gli dei, trova il proprio compimento nel buie  con temperanza e giustizia, questo ha il maggmr potere  e ci assicura ogni felicità, sicché si possa viveic in pace  fra noi ed essere anche amici di quelli che son ungimii   di noi, degli dei. . , ,   Porse, in questo elogio di Eros, anche io ho trala¬  sciato molte cose, ma non l’ho fatto apposta. Se per  altro c’è qualcosa ch’io abbia omesso, tocca a te, A  stofane, di supplirvi. Ma se invece ti frulla per il capo  di elogiare altrimenti il dio, fa pure a tuo modo, che  anche il tuo singhiozzo è cessato.    (1) Leggo qui Iponas-     — 3S —    :3 P=   ^V5=Hf Bsfc = - s   S 8 Sf 3£ iV'l".-» •■" t“ d '""   « caso che ti sfugga qualche cosa da lai   -f sawst.*#>r n ;" ’yffes   conto ch'io non abbia detto ciò che ho detto. E non  stare a farmi la guardia, perchè temo di tee> non g.  cose da far ridere — questa sarebbe una fortuna,  SpSaSl fleto mm H«». - ma Ufc te *•   1 " d Bravo. Aristofane! hai tirato il sasso e nascondi  la mano (1). Ma bada a’ casi tuoi e parla come chi lui da  render conto delle proprie parole. Quanto a me, se mi  pare, ti lascerò in pace.    Xiv._Comunque, caro Erissimaco, disse Aristofane.   io mi propongo di parlare in modo diverso da te e da  Pausania. Io penso che gii uomini non abbiali sentito  nè punto nè poco la potenza di Eros, perche, se la sen¬  tissero. gli dedicherebbero i maggiori tempi ed altari e  gli offrirebbero i maggiori sacrifizi, cosa che ora non  fanno per nulla, mentre è ciò clic si dovrebbe fare a  preferenza di tutto. Eros è infatti tra gli dei il più amico  degli uomini, perchè è il loro protettore e il medico di quei  mali, la cui guarigione sarebbe per il genere umano la  maggiore delle felicità, lo dunque mi studierò d’esporvi  la. potenza di lui, e voi ne sarete maestri agli altri. Ma,  innanzi tutto, occorre che impariate quale sia la natura  umana e le sue vicende non liete. Giacché la nostra na¬    ni Il tosto ilice: hai tirato il colpo e ora ricusi di svignartela, modo  proverbialo anch’esso.       \ — 39 —   tura non era un tempo la stessa (li oggi, ina tuli altra.   In origine c’eran tre sessi umani, non due, maschio <•  femmina soltanto, come ora, ma ce n era un terzo, clic  mrtecipava dell’uno e dell’altro e che, scomparso oggidì,  sopravvive appena nel nome. C’era allora un terzo sesso.,  l’andrògino, che di fatto e di nome aveva del maschio  e della femmina, e questo non esiste piu. fuorché nel  nome che suona un oltraggio. Inoltre ogni uomo aveva  una figura rotonda, dorso e fianchi tutt'intorno, quattro  braccia, gambe di numero pari alle braccia, su un collo  cilindrico due visi, perfettamente simili tra loro, un unica I-  testa su questi due rósi, posti l’uno in s|so con ramo  all’altro, quattro orecchie, doppie F (ta e ut l  resto come si può supporre da ciò che s e detto, i ari  minava anche ritto come ora, in qualunque direzion _  volesse- e quando si mettevano a correre, quei uost  progenitori, come i giocolieri che a gambe per aria an  delle capriole a ruota, essi, appoggiandosi sui loro otto  arti si muovevano rapidamente, tacendo la.ruota. I ^  poi eran tre e cosiffatti per questa ragione: «esso   maschile traeva origine dal sole il J!; rt eripà   e lrindrórino dalla luna, perche anche questa paitccipa  del itle e della terra. La loro figura dunque era rotonda  e cofano^ il modo di muoversi, appunto^perchi- «m,l  ai loro genitori. Avevano vigore e gagl ardia tel i 1   c„,o -o». a;   numi.   XV - A mesto p*H> « s» «#rt «#?  consiglio ,,, ciò che ^ « «" "Jggg;   Non sapevan risolversi ad uccido c * N i  la razza) fulminandoli, come i giganti, perche cosi saie -    ( 1 ) Oto «1 Eflolto orano i duo glovonissluil “^“^lonutoto'ùcr  llKliuoU di Aloco, olio dopo dover nca . (H ul)onl t,„ por opera di Erniosi  tredici mesi in uu gran vaso ali von i o. . all * 0sBa tentarono di dare la   . . .. “   essi Omero accenna in 11. V sgg.» Or. -      — 40 —    „ero venuti a privarsi degli onori e dei sacriti/., umani;  ^potevano tollerare che ne facessero d og... sorta, B  analmente Zeus, dopo matura riflessione, disse: « C redo di  e -ovato la via. affinchè gli uomini continuino  "a esistere, ma, divenuti più deboli, smettano la loro  tracotanza. Segherò ». disse, « ciascun di loro m due, e  S mentre saranno pii. deboli, ci saranno ad un tempo  S utili, perchè diverranno più numerosi. E cammine¬  ranno ritti su due gambe. Chè, ove poi seguitino a inso¬  lentire e non vogliano starsene in pace, li segherò », disse,   , ili nuovo in due, cosicché cammineranno su una gamba  sola, a saltelloni (1). » Dette queste parole, venne segando  eli uomini in due, come quelli che tagliali le sorbe per  metterle in conserva, o quelli elio dividon le uova coi  capelli. E a misura clic ne segava uno, ordinava ad  Apollo di girargli la faccia e la metà del collo dalla parte  del taglio, acciocché l'uomo,' avendo sotto gli occhi il  proprio taglio, fosse più modesto; e medicargli le altre  ferite. B Apollo girava a ciascuno la faccia in senso  opposto, e tirando d’ogni parte la pelle verso quello ohe  ora chiamiamo ventre, come le borse a- nodo scorsoio,  lasciandovi appena una boccuccia, la legava nel mezzo  del ventre, in (pie! punto preciso che chiamano ombelico.   Itti Spianava poi tutte le altre grinze, che orati molte, e  rassettava le costole, servendosi d’uno strumento sup¬  pergiù simile a quello che adoperano i calzolai per spia¬  nare sulla forma le rughe del cuoio; ma ne lasciò poche  nel ventre e intorno all’ombelico, ricordo dell’antica pena.  Orbene, poiché la creatura umana fu divisa, in due, cia¬  scuna metà presa dal desiderio dell’altra, le andava in¬  contro, e gittandole le braccia intorno e avviticchiandosi  scambievolmente, nella brama di rinsaldarsi in un unico  corpo, tnorivan di fame e d’inerzia, perchè l’una non  voleva far nulla senza dell’altra. B quando l’una delle    (I) Il greco ha àoxop.ià£<ms<; cho vuol dire propriamente ' saltumlo  sminuire' (àox4f). • I.'espressione 6 tolta ila un giuoco contadinesco del¬  l'Attica. 1 contadini dulia pollo dui hocco saorllloato a indulso facevano  un otre olio riempivano di vino o ungevano d’olio. Su di usso saltavano con  una sola gamba altornaUvamcnlo, o vinceva old sapova roggorvlsl. * (Unir).       — 41 —    nielli moriva e l’altra sopravviveva, quella che soprav¬  viveva andava in cerca d'un'altra metà e le si avvin¬  ghiava, sia clic s’imbattesse nella metà d’una donna in-  IL quella appunto elle ora chiamiamo donna —  sia che nella metà d’un uomo; e così morivano. Mosso  pertanto a compassiono. Zeus no escogita un'altra: tra¬  sporta le loro pudende nella parte anteriore — lino a  quel momento anche queste le avevano avute al difuori,  c generavano e partorivano non tra loro, ma in terra,  come le cicale... gliele trasportò dunque così, sul davanti,  e per tal mezzo rese possibile la generazione fra loro, per  mezzo ilei maschio nella femmina, con questo line, che  nell’amplesso, ove un maschio s’incontrasse in una fem¬  mina, generassero e si perpetuasse la specie; ma. ove  invece un maschio s’imbattesse in un maschio, provas¬  sero sazietà dello stare insieme e smettessero e si vol¬  gessero ad operare e attendessero agli altri doveri della  vita. Cosicché fin da quel momento l’amore vicendevole  è innato negli nomini: esso ci riconduce al nostro essere  primitivo, si sforza di fare di due creature una sola e di  risanare così la natura umana.    XVI _O'imn di noi, in conclusione, è una con tre¬   mala d'uomo, in quanto che è tagliato come le sogliole,  è due di uno; c però cerca sempre la propria contromarca.  Quanti sono una fotta di quel sesso comune, che « loia  si diceva andrògino, annui le donne, e la maggmi p.  dogli adulteri soli nati da esso; e cosi pure le donne.  sU truggon per gli uomini, e le adultere provengo., da   , u eS e m.aL4 T»l* <!»* 1 ‘“'i   una fetta di donna, non corron dietro agli o, un uà  sono piuttosto inclinate alle donne; e ^ questo  appartengono le tribadi. Ma quanti sono una fe la li  maschio, danno la caccia al maschio; e 1 ! ut ' u ' ’ S01 " \ r)j  coni, fanciulli, conio parte d’un uiasciuo jpu o gli  uomini e godono a giacere e a starsene abbracciata con  gli uomini; e questi sono tra i fanciulli e tra po'anett  i migliori, perchè i piè v ' r '*' di hno na u . •  mancali di quelli clic li chiamano inipudent. ina uien  liscino. Perchè essi non lo fanno per impudenza, ma pei    192     — 42 —    baldanza. per coraggio, per virilità d animo, giacché .si  attaccano a ciò che è simile a sé. Ed ecco vene ima prova  decisiva: costoro, a tempo debito, sono 1 soli che ne¬  gano uomini davvero, adatti alla vita politica. E per¬  venuti all'età virile, mettono amore al fanciulli; e al  matrimonio e alla procreazione dei figliuoli non si vol¬  gono per inclinazione naturale, ma costretti dalla legge,  chi* anzi per conto loro soli ben contenti di viver sempre  gli uni con gli altri, da scapoli. Per ciò chi è così fatto,  diventa un amante di fanciulli o un amato, perche desi¬  dera sempre ciò che gli è congenere. E quando poi 1 amante  dei fanciulli e chiunque altro s’incontra in quella sua  propria metà d'un tempo, allora son presi d’un amicizia,  d'un intimità, d'un amore meraviglioso, senza volersi se¬  parare gli uni dagli altri, per così dire, nemmeno un  istante. E quelli che vivono insieme tutta la vita son  questi, che non saprebbero neppur dire che cosa vogliono  che avvenga loro all’uno per opera dell’altro, giacché  nessuno può credere che ciò che desiderano sia l'uso dei  piaceri amorosi, quasi che in questo debba cercarsi la  ragione per cui provano un così vivo diletto a stare in¬  sieme; ma è evidente che c’è qualche altra cosa che  l'anima di ciascun di loro desidera, qualche altra  cosa che non sa esprimere, ma che sente vagamente e a  cui accenna per vie coperte. E se ad essi nel momento,  in cui giacciono insieme, si presentasse Efesto coi suoi  strumenti alla mano e chiedesse loro: « Che volete, o  uomini, che avvenga di voi. alFuno per opera dell’altro 1 ? »  e mentre e’ sono tuttora indecisi, soggiungesse: « Desi¬  derale voi, non è vero? soprattutto essere nello stessis¬  simo luogo l’uno con l’altro in modo da non separarvi  mai né notte nè giorno? Ebbene, se è questo elio desi¬  derate, io voglio rifondervi e riplasmarvi in un’unica  natura, sicché di due diventiate uno, e finché vivrete,  viviate tutti e due in comune, come un essere solo, e  anche da morti, laggiù nell’Ade, non siate, invece di due,  elle un morto solo... Guardate se è questo che amate e se  vi basta di conseguir questo... » a udir ciò sappiamo bene  che nessuno, proprio nessuno, risponderebbe di no, nò  mostrerebbe d'aver mai desiderato altro, ma crederebbe      _ 43 —    103    nllit0 precisamente quello che egli desiderava da  tlavei i sentirsi unito e fuso con l’amato, e dive-   tanto ten i solo> e la ragione è appunto questa:   “ ot0 , eri in origine la nostra natura, e che eravamo  Cb teii 'Ebbene, al desiderio e alla caccia dell’intero si da   n ° U p,-ima "dunque, come dico, eravamo uno; ma ora per  , ..... nequizia siamo stati separati di casa dalla mano   ’ìV’rno còme gli Arcadi da quella dei Lacedemoni (1).   .... ’ ltra che a non essere ossequenti verso gli dei. .   h . 'incontro a venir segati daccapo, e a dover an-  d.,re intorno come le figure scolpite a bassorilievo sulle  Se spaccati per il mezzo dei nasi, divenuti come dei  dirti’tagliati in due (2). Ma perciò conviene che ognuno  esorti ogni altro alla pietà verso gli dei, affinché si evitino  : m; di e si conseguano i beni, tenendo presente che Eros  è nostra guida e nostro duce. A lui nessuno vada conilo  __ c o-n va contro chiunque venga m uggia agli dei _  nerchè divenuti amici del dio e vivendo in buoni termini  con lui. troveremo e incontreremo ì nostri propri amati, il  ora capita a pochi. E non sospetti Erissimaco, mettendo  L caiSonatura ì mio discorso, che io alluda a Pausami,  cd Agatone — oliò forse anche essi sono di quelli, e tutti  c due maschi per natura - ma dico avendo di mira  tutti e uomini e donne, che m questo modo il genere  nostro troverebbe la sua felicità, se  all’amore, e ciascun di noi, ritornato nell antica natii a,  s’imbattesse nel proprio amato. E se poi qne  meglio, ne segue di necessità che di quanto oiaè  nostro potere, il meglio sia ciò che piu vi si avvmuia,  e ciò è rincontrarsi in un amato fatto secondo d piopno   “7" Aristofane accenna, secondo roplnUm.Mplfc £   del 3S5 a. C. Gli Spartani, vinta Mautinea in Alca , silaggi,   della città o la sciolsero, com’era precedutomene, ci sarebbe   Tenuto conto elio il banchetto avrebbe avuto’ “ wlt0j è n " u è impos-   qui un anacronismo. Ma rnUnsiouo non 6 do . .inlln storia   sibilo cho si accenni a qualche altro avvenimento ante,toro della   arcadica. * . „ uim mota, conservata   (2) l dadi talvolta si tagliavano in due, c ua.ci tessera, di rico¬   da duo persone legate da vincoli di ospitalità, seivna  noscimeuto por loro o per lo loro famìglio.       — 44 —     che nel presente ^maggiori affidamenti   nel proprio; e per 1 prota jftà verso gli -lei,   ^ -i. ei render,   feUei e beati. v è p lu io discorso intorno   altri due, Agatone e Socrate.   XVII - Farò a modo tuo, disse Erissimaco. perchè  il tuo discorso l'ho ascoltato con piacere. E se non sapessi  che Socrate e Agatone sono addirittura dei maestri m  cose d’amore, avrei gran paura clie non doves ®.® 10 ,  vaisi a corto d’argomenti, tante cose si son dette e cosi  svariate. Tuttavia ho fiducia in loro.   1 E Socrate: Ah, sì, Erissimaco, perche tu te la sei  cavata egregiamente. Ma se fossi dove ora son io, o  meglio, dove sarò, quando Agatone avrà parlato da par  suo, temeresti anche di più. e saresti su tutte le spine,   còme son ora io. ,   Ammaliarmi (1) vuoi,- Socrate, disse Agatone, affinché  io mi turbi, immaginandomi che il teatro deva essere in  grande aspettazione, ch'io parli bene.   Mio caro, dovrei esser proprio uno smemorato, rispose  Socrate, se dopo di aver visto con quanto coraggio e con  quanta sufficenza salisti sul palco insieme con gli attori  e guardasti in faccia un teatro così affollato, in pro¬  cinto di dare alla scena i tuoi componimenti (2),.senza    (1) * Vantarsi muove l’Invidia degli uomini; ma l’invidia ha il mal¬  occhio e può ammaliare e turbare senz’altro la persona Invidiata. Sonouohò  anche la lodo esagerata d’un altro (Socrato aveva lodato Agatone) può  suscitare contro costui l’invidia con tutto lo suo tristi conseguenze. • (Hug).   (2) Da questo pasqo si concludo clic il poeta insieme col suol attori  prima della recita si presentava in forma solenne al pubblico. E sembra  del pari elio egli presentasse anche il Coro col suo corego. Questa ceri¬  monia, detta Ttpoaywv ‘ preludio ’ o ' preparazione al certame ’ drainatico.     —- 45    .«s ’rr^zk »s«   f ”' iS *S Vuko <l<™« to P“™ '’“ ,,,   »»»>“ * ™“ £Z?X~*. **? *T;   Sarei, Agatone, «pnrtese So bene elio a   se io pensassi di te sag gi, saresti più in   imbatterti m atan- la folla . Ma, bada, probabil-   pensiero per loio e 1 1 buon conto, lì anche   ne elici 1 ?   fi* So »»« avresti vergogno, ove « ,.eresse .11   fare qualcosa di male? Affatone, disse,   Ma Fedro, interrompendo: .Mio de i   se gli rispondi, Socrate noi > ^ < basta d’aver   resto, qualunque cosa *qui avven & * ^ )( q dovane.   :tis: «i? Jgs» -~f *n s* ss   avrà saldato il suo conto col dio, alloia   ''""“'"of'VSto; rispose «M e so,, qui pronto  . „’Z, "ó,, 5 monebe.it ,»i Mft. » >»,.vem,»e  spesso con Socrate.   XV1II _ Or dunque io vo’ in prima dire come io  deva dire, e poscia dire. Che tutti quelli, i quali han pal¬  late precedentemente, non hanno, parmi, encomiato  dio, bensì la felicità degli uomini Ivan messa m nlu  pei beni, de’ quali il dio 6 ad essi cagione. Ma qual sia    avveniva ncU’Odeon. teatro fatto costruirò da Pericle, e doveva, com’ò  ^supporre. attirare la curiositi! del gran pubblico, ohe «-interessava  così vivamente agli spettacoli teatrali.     — 46 —     egli è il più giovane (legl’iddii. E una gran prova con  porge <*' medesimo fuggendo di fuga la vecchiezza. che  pure è così veloce: la ci raggiunge più presto che non  dovria! E questa Eros per natura la detesta e non le  si accosta nemmen da lungi. Egli sta e resta sempre coi  giovani, poiché ben dice l'antico adagio che sciupio  simile con simile s’accompagna (1). Ed io, pur  consentendo con Fedro in molte altre cose, in questo non  consento: che Eros sia più vecchio di Crono e di Già-  peto (2); affermo anzi ch'egli è tra’ numi il più giovane,  e sempre giovane; e le vecchie storie che Esiodo e Par¬  menide (3) ci ricantano dcgl’iddii, a’ tempi d Ananke,  [della Necessità] e non di Eros, risalgono, posto pure che  quelli ei contino il vero. Imperocché non ci sarieno state  né evirazioni, né ceppi, né tante altre violenze reciproche,  se Eros fosse stato tra loro; ma amicizia e paco, come ora,  dacché Eros regna sugli iddìi. Egli è dunque giovane, e  perdippiù delicato. E ci vorria un poeta quale Omero per  mettere in luce la delicatezza del dio. Omero infatti dice  che Ale è dea e delicata — e delicati almeno dovevano  essere i suoi piedi — dicendo egli di lei:   son delicati i piedi, oliò sovra il suolo non mai   muovesi, ma sul capo ella degli uomini incedo (4).     MlK modo proverbialo e allusione ,i nn verso omorlco; cf. Od. XVII ì IS.  ( ") Ulro modo proverbiale per impennare alla nifi renn.l.i ....Hoi.n;.    Minare alla più remota antichità.  Mille abbia ipii in melile Agatone,     inc sembra che della delicatezza di lei una bella  ,-ovu sia che ella non cammina sul duro, ma sul tenero,  r -incile noi (li questa medesima prova ci varremo per  dimostrare di Eros circuii è delicato, dappoiché e' non  cammina sulla terra, nè sui cxanii, che non sono davvero  tèneri, ma in quel che vita di più tenero al mondo e  cammina e s’annida. Egli infatti e nei costumi e negli  ■mimi degl’iddìi e degli uomini pone sua stanza, e non  mica in tutti gli animi, ma ove mai s’imbatta iti qual-  cuno d'indole dura, se ne diparte; ma se tenero è, vi si  •umida. Or poiché adunque egli e co’ piedi e con ogni  parte del corpo tocca sempre quel che ve di più tenero  Jra le tenere cose, è giuocoforza che sia il piu delicato l. >  fri (d’iddii. Égli è così il più giovane e il più delicato-,  niu 1- per dippiù flessuoso di forma, che non gli sana  possibile insinuarsi dappertutto, nè penetrar tutta 1 anima,  entrandovi la prima volta senza lasciarsi sorprendalo t  uscendone, se duro e’ fosse. Del suo aspetto proporzio¬  nato e flessuoso, argomento grande è 1 avvenenza che  Eros per confession di tutti in grado eccelso possiedi.  chè tra disavvenenza ed Eros è guerra sempre, ha leg¬  giadria del colorito, il suo viver tra hon la sigillili.,  poiché in quel che fiorente non sia o sui n ’   o anima o qualsivoglia altra cosa, non risi, de L o . . a  ovunque sia un luogo e ben fiorito e fragranti, (pi 1  e risiede e rimane.   XIX _ Della beltà, adunque, del dio e questo o  bastante e ancora molto sopmvanzat .na; seguiia^m  ■lei]., v i r tù di Eros mi eonvien dopo no dm. lai <   ■ ' i . h ini che nè fa nò soffre ingiustizia, ni da   sano vanto (Il Pii CHI violenza.   Pio nè -1 dio nò da uomo nè ad uomo. Nè già p i ' «'li nzu   e so fre se qualcosa so.Vre - chè violenza noi tango, u   si concede a volente, le leggi, «fello Stato u D).   h-n elle è ('insto. E oltreché della giustizia c partecipa  della maggior temperanza. S’ammette infatti che lem-    in . Molatori» georgiana. evidóulomoilto una eluizioni'.    (Unir).     — 4S —    paranza sia il signoreggiar piaceri e desideri, e clic di  Eros verun piacere sia più potente. Or se meno potenti,  è ovvio che sien vinti da Eros, ed egli vinca; e vincendo  piaceri e desideri, Eros in sommo grado temperante esser  deve. E per fermo, quanto a coraggio, ad Eros neppur  Ares contrasta (1). poiché non Ares possiede Eros,  ma Eros Ares — amor d’Afrodite, come è fama — e  ehi possiede è più possente di chi è posseduto, e chi vince  l'iddio più valoroso di tutti gli altri, e’ dev’essere il più  valoroso di tutti.   Ho detto della giustizia, della temperanza, del co¬  raggio del dio; a dir mi rimane della sapienza, e per  quanto è possibile, m’ingegnerò di non fallire alla prova.  E in primo luogo, perchè dal canto mio anch’io renda  alla nostra arte omaggio, come alla sua Erissimaco, poeta  è l'iddio, sapiente così, da render anco gli altri poeti.  Ohè ognuno poeta diventa, quand’anche prima di  ogni Musa schivo (2), cui Eros tocchi. Della qual  virtù convienci usare a documento che Eros, a dir breve,  è poeta valente in qualsivoglia genere di creazione che  attenga alle Muse, dappoiché quel che non si ha o non  si sa. nemmeno ad altri non si può dare o insegnare.  E invero la creazion degli animali tutti chi niegherà che  sia sapienza di Eros, mercè la quale tutti gli animali e  nascono e si generano! E quanto alla pratica delle arti,  non sappiam noi forse che colui, al quale questo iddio  sia divenuto maestro, famoso diviene ed illustre; e chi  per converso da Eros non sia stato mai tocco, rimansi  oscuro! L’arti del saettare, del curare e del divinare  ritrovò Apollo, scorto dal desiderio e dall’amore, sicché  anch’egli dir si può scolare d’Eros. E alle Muse fu maestro  dell’arte musicale, ad Efesto di quella dei metalli, ad  Atena del tessere, a Zeus di governar numi e mor¬  tali (3). Laonde anche nelle faccende degl’iddii si mise  ordine, poiché vi si fu generato Eros, amore evidente-    (1) Da uu verso del ‘Tlesto ’ di Sofocle; cf. Nauck, Tran. Or.  Fraomm.* framin. 235 p. 180.   (2) Da un verso della ‘Stonoboa’ d’Eurlpido; cf. Naucic, Tran.  Or. Fraumm.* framm. 063 p. 569.   (3) Verso giambico probabilmente d’un tragico.        — 49 —   meniti; di bellezza — che del brutto non è amore —  laddove per l’innanzi, come da principio ho detto, molte  e terribili cose, a quanto si narra, fra' numi awemano,  pr x c i ie vi regnava Ananlce. Ma dappoiché questo iddio  ebbe nascimento, dall’amore per le cose belle ogni bene  nrovenne e agli iddìi e agli uomini.   1 E così panni, Fedro, che Eros, essendo egli per il  minio bellissimo e ottimo, sia dipoi agli altri cagione di  Stri cosiffatti doni. Ed ei mi salta in mente di aggiunger  qualcosa in versi, dicendo che questi è colia il quale   ivice tra gli uomini reca, nell' ampio mare bonaccia  calma, riposo ai venti; nel duolo conforto di sonno.   Questi (Fogni sentimento ci vuota che ci strania, d ogai  sentimento ci empie che ci affratella; tali e tonti convegni  lri istituito per ravvicinarci, nelle solennità, ne con. n  sacìihzi facendosi nostra guida; di mitezza ispiratore di  rustichezza espulsore; prodigo di benevolenza, avaro  malevolenza; propizio, buono; spettabile ai sapienti, vene¬  rabile agl’iddii; segno d’invidia per chi noi possiede, cu*  Sosa di chi il possiede; di voluttà, di mollezza di del -  catezza, di grazie, di desio, di brama padre; cmant^dc  buoni non curante dei tristi; nei travagli, mu pin^n  nelle brame, nei discorsi timoniere, soldato, commilitone ( )   « xr„“fr!ito-VSlso * ...io .<*>   L, i» A « •>»«”. *" ir*-. — u "   si poteva, di misurata serietà temperato.   XX. - Quando Agatone ebbe fluito, diceva.Ariate-  demo, lutti i presenti proruppero ni applausi, lasciai   ,n Vò * snidato' nò 'marinalo - equivalgono a iitlPiWQS d» 1 tosto,  a llanco il’un altro ’.    198    •1 Platone — Convito.        — 50 —    intendere che il giovane aveva discorso in maniera, degna-  di sé e del dio. Al che Socrate, volgendosi ad Erisslmaco:  O figliuolo d’Actìmeno, disse, ti pare che poco fa io te¬  messi d'un timore da non temere, o non fossi piuttosto  profeta, quando dicevo quel che dicevo poc’anzi: che  Agatone avrebbe parlato mirabilmente, ed io mi sarei  trovato in impaccio?   Per un verso, sì, rispose Erissimaco, lo riconosco, sei  stato profeta, che Agatone avrebbe parlato bene; ma  quanto a-1 tuo impaccio, via, non ci credo.   E come mai, beato uomo, riprese Socrate, non dovrei  trovarmi ìd impaccio io e chiunque altro sul punto di  parlare dopo la recita d’un discorso così bello e così varia  mente adorno? Certo non tutti i punti sono stati egual¬  mente stupendi; ma, nella chiusa chi di noi non è rimasto  addirittura intontito dalla bellezza delle parole e delle  frasi? Per me, considerato che non potrò dir nulla che s’av¬  vicini appena per bellezza a ciò che egli ha detto, quasi  quasi per vergogna me ne sarei scappato, se avessi potuto.  Il suo discorso infatti mi ha richiamato alla mente Gorgia,  tanto che m’è occorso quel che dice Omero: ho temuto,  cioè, che alla fine Agatone nel discorrere non scaraven¬  tasse contro il mio discorso la testa di Gorgia (1), par¬  latore da far paura, e mi pietrificasse, ammutolendomi.  E mi sono accorto allora quanto ero stato ridicolo,  allorché avevo preso con voi l’impegno di fare a mia  volta l’elogio di Eros e dichiarato d’esser competente in  cose d’amore io, e lo vedo, che non so nemmeno come  s’ha da fare l’elogio d’una cosa qualunque. Giacché  io, nella mia dappocaggine, ritenevo che nell’elogio di  qualsiasi cosa non si dovesse dire che il vero e che  questo dovesse essere il fondo del discorso, salvo a sce¬  gliere Ira- le cose vere le più belle e metterle in mostra  nel miglior modo possibile. E presumevo assai di me  nella fiducia di parlar bene, convinto di saper la verità  sul modo di lodare qualsiasi cosa. Ma ora credo d’accor-    (1) Allusione a mi luogo dell” O di seca ’ (XI 032 sg.). Ulisse, sceso  nell’Ade, temo per un momento che Persofono non mandi contro di lui  la testa della Gòrgóne o Gorgo. Scherzo sulla somiglianza di nome tra Gorgo  e Gorgia, il famoso sofista.         — 51 —    germi che noti è questo il modo di lodar bene una cosa,  bensì l’attribuirle i maggiori e i più bei pregi possibili,  li abbia o no; se poi sono falsi, che importai Dev’essersi  infatti proposto, se non erro, che ciascun di noi finga di  pronunziare l’elogio d’Eros, non che lo pronunzi davvero.   E perciò appunto, credo, razzolando da ogni parte, avete  attribuito ogni pregio ad Eros e detto ch’egli è così e  così, e autore di tali e tanti beni, affinché appaia bellis- 199  simo ed ottimo, evidentemente a chi non sa — non  certo a chi sa — e cosi l’elogio assume un aspetto bello  e venerabile. Io, senza dubbio, ignoravo il modo di tesser  l'elogio, e, ignorandolo, presi impegno con voi che a mia  volta avrei anch’io lodato Eros. Ma la lingua promise,  la mente no (1). Dunque, addio elogio! Io non vi seguirò  su questa via — perchè non potrei — quésto è sicuro;  ma, comunque, la verità, se volete, ve la dirò, a modo  mio. senza gareggiare coi vostri discorsi, per non far  ridere a mie spese. Vedi, dunque, Ecdro, se mai anche  questa forma di discorso ti accomodi: sentir dire, la  verità intorno ad Eros con quelle parole e con quella  disposizione di frasi che mi verranno per le prime sulle  labbra.   Fedro e gli altri, raccontava Aristodemo, approvarono  che dicesse pure come gli pareva di dover dire, Ubera¬  mente. . . ,.   E allora, Socrate aggiunse, Fedro mio, permettimi di  rivolgere qualche interrogazioncella ad Agatone, affinchè,  ottenuto il suo assenso, io cominci a parlare.   Ma sì, rispose Fedro, te lo permetto; interroga pure.   E dopo ciò, continuava Aristodemo. Socrate cominciò  suppergiù a questo modo:   XXI. — Senza dubbio, mio caro Agatone, tu ti sei  aperta bene, secondo me, la via nel tuo discorso, dicendo  che ti conveniva prima mostrare quale è mai Eros, e  dopo lo opere di lui. E questo principio nr è piaciuto assai.  Orbene, via, poiché d’Eros, per tutto il resto, hai esposto  in forma bella e magnifica quale egli è, dimmi ancora    (1) Allusione ad un verso (612) famoso dell’ 4 Ippolito* di Euripide.        — 52 —    200    ,mosto- se eoli è tale che sia amor di qualcuno, di;qualche  v r»,7u«i F bada* non domando se è di madre o   £ Bros è eros di madre o di padre D - ma fa conto,  come Te a-proposito d’un padre io ti chiedessi proprio  questoT s’egli è padre di qualcuno o no. A volemu  risponder bene, mi diresti certo, che d padre è padre  d'nn figlio o dima figlia. O no 1   Ma certo, disse Agatone.   E non diresti altrettanto della madre?   E Alatone consentì egualmente.   Ancora, soggiunse Socrate, qualche altra risposta,  affinchè tu veda meglio ciò che desidero. Se ti chiedessi,  per esempio: E dimmi: un fratello, ili quanto fratello,  è fratello di qualcuno, o no?   Ma sì, rispose. ,, „ „   È fratello, non è vero, d’un fratello o d una sorella.   Appunto, disse.   Via, provati a dirmi anche dell’amore: Eros e amore  di qualche cosa o di nulla?   Di qualche cosa, senza dubbio.   Ebbene, questo ili che cosa tientelo dentro di te, ma  rammentatene, riprese Socrate. J?er ora dimmi soltanto,  se Eros, quello di cui è amore, lo desideri o no?    Ma si, rispose.   E ciò che egli desidera ed ama, lo desidera perche  lo ha o perchè non lo ha?   Perchè non lo ha, è naturale.   Rifletti, disse Socrate, se, più che naturale, non sia  addirittura necessario clic il desiderare sia un desiderare  ciò di cui si manca, o non desiderare, ove non si manchi.    (1) Poiché in epe)£ UVÓ£ ‘amor (li qualcuno’ o ‘di qualcosa’ il  •uve*? può aver valore tanto soggettivo, quanto oggottlvo Socrate chiarirà  con esempi che egli ha inteso darò a xtvó; il valore di genitivo oggettivo.  Ma siccome d’altro lato w Epitì£ xivòg potrebbe anche ossoro scambiato con  un genitivo d’origine (‘ Eros tìglio di qualcuno ’), Socrate vuole olirainaro  anche quest’altro equivoco. In sostanza egli, paro, vuol dir questo: Io ti do¬  mando, non già se Eros ò amato da qualcuno o ò figlio ili qualcuno, ma se  egli ama qualcuno o qualche cosa. Ma il luogo, non Tacilo, ò stato varia¬  mente discusso, e si può prestare audio a qualche altra Interpretazione.       — 53 —    Io almeno, Agatone mio, credo fermamente che, .sia addi¬  rittura necessario. E tal   Anch'io, disse.   Va bene. E per conseguenza può mai esserci qualcuno  che voglia essere grande, mentre è grande, c forte,  mentre è forte 1 ?   Non è possibile, dopo le nostre premesse.   Non può infatti essere manchevole di queste doti chi    già le possiede.   È vero.   Perchè, se chi è forte volesse esser forte, seguito So¬  crate e veloce chi è veloce, e sano chi è sano... poiché  forse qualcuno potrebbe credere che queste qualità e tutte  le altre simili coloro che son tali e le hanno, desiderino  ancora quello stesse cose che già hanno, insisto su questo  punto, affinchè non si sia tratti in inganno... si u  rifletti, caro Agatone, costoro devono per necessita avere  in quel momento ciascuna delle qualità che hanno. 1  vogliano o no; e queste olii mai potrebbe desiderarle?  Ma allorché qualcuno dice: « Io. essendo sano, Aesid  di esser sano, ed essendo ricco, desidero d esser ricco; e  desidero appunto queste cose che ho->, noi gh possiamo  rispondere: « Tu, amico, possedendo ricchezze, salute c  forza desideri di possedere queste cose anche m a" 1 ®-  perchè in questo momento, che tu lo voglia o no tu le  hai. Guarda dunque, se, quando tu dici: Desidero le cose  presenti, tu non voglia dire altro che questo: D^deio  che le cose che ora ho mi sieno conservate anche  tempo avvenire. » E potrebbe egli negarlo?   Al che Agatone rispose assentendo. •   Orbene, seguitò Socrate, e questo non e appunto annue  quel che non ancora si ha sotto mano, nè si possiede:  il voler conservare e possedere anche nell avvenne  medesime cose?   Certamente, disse. . .   E quindi costui ed ogni altro che desideri, di suit i.   ciò che non ha sotto mano e non possiede m quel mo¬  mento; e ciò che non ha, o che egli stesso non e e che gli  manca, questo è precisamente quello di cui è il desiderici  e l’amore?       — 54 —•    201    Niun dubbio, rispose. .   Suvvia dunque, disse Socrate, riassumiamo le nostre  conclusioni. Prima di tutto Eros è forse altro che amore  di certe cose, e poi amore di quelle cose, delle quali   soffra difetto?   Non è altro, rispose.   Di più ricordati di che cosa nel tuo discorso hai detto  che Eros fosse amore. Se vuoi, te lo rammenterò io.  Credo che tu abbia detto suppergiù cosi: che nelle fac¬  cende degli dei fu messo ordine mediante 1 amore del  bello, chè non può esserci amore del brutto. Non hai  detto suppergiù così?   Infatti, rispose Agatone, così ho detto.   E sta bene, amico mio, riprese Socrate. Ma se e cosi.  Eros non sarà altro che aurore di bellezza, non mai di  bruttezza?   Agatone rispose di sì.   O non s’è convenuto che quello di cui uno è manche¬  vole e che non ha, questo egli ama?   Certo, disse.   Dunque Eros è manchevole di bellezza e non l’ha?    Necessariamente, rispose.   Ma dunque? Ciò che è manchevole di bellezza e non  possiede punto bellezza, dirai che è bello?   Ah, no!   E se è così, continuerai a sostenere che Eros è bello?   E Agatone: Temo, Socrate, di non aver inteso nulla  di ciò che ho detto poc’anzi.   Eppure hai parlato splendidamente, Agatone mio.  Ma dimmi un’altra cosuccia: ciò che è buono, non  pare a te anche bello?   A me, sì.   Se per conseguenza Eros è manchevole di bel¬  lezza, e se bontà è bellezza, sarà anche manchevole  di bontà.   Per me, Socrate, non posso contradirti: sia puro come  tu dici.   Mio diletto Agatone, è la verità quella a cui non  puoi contradire, chè contradire a Socrate non è punto  diffìcile.        — 55 —    vxil — Ed ora lascerò in pace te, e vi riferirò su  VrnH li discorso che un giorno udii da una donna di Man-  tiuea Diotima (1), che in questo era sapiente, come in  tante' altre cose, e agli Ateniesi prima della peste suggerì  saer iflzi che ritardarono di dieci anni il male, e fu  "iella appunto che ammaestrò me pure in cose d’amore...  nuel discorso, dico, che ella mi tenne, procurerò di espor¬  celo movendo dai punti concordati tra me ed Aga¬  tone per conto mio, come posso. E bisogna natural¬  mente, Agatone, come tu hai aperto la via, chiarire per  mima cosa chi sia Eros e quale, e poi le opere di lui.   B mi pare che il modo più spiccio sia chiarirlo come  quella forestiera fece, interrogandomi. Suppergiù anche  io dicevo a lei delle cose simili a quelle che Agatone di¬  ceva a me poc’anzi: che Eros fosse un gran dio e fosse  amor di bellezza. Ma ella mi convinse del contrario con  quelle stesse ragioni con cui io ho convinto costui, dimo¬  strandomi che secondo il mio discorso Eros non e nè   bello nè buono. , „   Ed io: Come dici, Diotima? Eros e dunque brutto e   ^ Ed ella: Parla, ti prego, con reverenza, disse. O credi  che quello che non è bello, debba necessariamente esser   brutto?   Senza dubbio. . . on2   E allora anche quello che non è sapiente sarà gn  Tante? E non t’avvedi che c’è qualcosa di mezzo tra  sapienza e ignoranza?   E che cosa? , .   L’opinar rettamente, anche senza poterne rende < -  gione, non sai, disse, che non è nè sapore — perchè ciò    (1) È un personaggio; storino o addirittura fittalo» Il non esserci di  lei alcun ricordo o. per tacer d’altro, il nomo stesso, che vaio - onorata da  Zeus corno la patria Mantinoa, che paro alluda alla montica, a ”to divi¬  natoria escluderebbero la prima ipotesi. Ma, fu osservato, non potrebbe  esser IpTtóa in Atene alcuni anni prima della guerra del Peloponneso e  della pestilenza che afflisse la città, una sacerdotessa straulera <U molta  reputazione (comunque chiamata), che avesse suggerito agli Ateniesi del  sacrifizi o Intorno al oul nomo si fosse formata poi la leggenda, a cui accenna  Platone?        — 56 —-    israr»jsìs.' - * <- *. >'*»*”<» ■»   S£ opMm« ; un cbe .li mezzo t» «**»»» e . 6 „or,,»n.   Non Attingere dunque ciò die uon è bello ad esser  brutto nè ciò che non è buono ad esser cattivo. E cosi  aule Eros, poiché tu stesso convieni che non è ne buono  nè bello, non per questo devi credere che egli sia di neces-   shà brutto e cattivo, ma qualcosa di ^   Eppure, osservai, si conviene da tutti che egli   ^Da^tutti, vuoi dire, quelli che non sanno, o anche  quelli che sanno’?   Da tutti, senza eccezione, si capisce.   Ed ella, ridendo: E come mai, disse, Socrate, si po¬  trebbe convenire che egli sia un gran dio da quelli che  negan perfino che egli sia dio ?   E chi sono costoro? chiesi.   Uno sei .tu, rispose, ed una io.   Ed io: Ma come puoi affermar codesto?   Ed ella: Facilmente, rispose. Dimmi: non dici tu che  tutti gli dei sono beati e belli? O oseresti dire che qual¬  cuno degli dei non è nè bello nè beato?   Per Zeus, io no davvero, risposi.   E non chiami tu beati quelli che posseggono bontà  e bellezza?   Certamente.   E non hai ammesso che Eros, perchè manca di bontà  e di bellezza, desidera queste qualità, delle quali è man¬  chevole?   L’ho ammesso, è vero.   E come potrebbe essere un dio chi è privo di bellezza  e di bontà?   In nessun modo, mi pare.   Vedi dunque che tu pure ritieni che Eros non è un dio.    XXIII. — E cosi, dissi, che. cosa mai sarebbe Eros?  Un mortale?   Nemmen per idea.     un    che di mezzo tra il    2C    Ma allora, che cosa f  ( ’oine nel caso precedente,  t „le e rimmortale.   peroni tatto rii, * »   qmloooo « «-» « 11 *> » “W*-   I F chiesi, qual è il suo poterei . .   l’essere interprete e messaggero dagli uomnu agli  , ó ? daS dei agh nomini, degli uni recando le preginole   II nvifizi degli altri gli ordini e le ricompense dei *a-   e Stando nel mezzo degli uni e degli altri, lo riempie  eri iz , • , | trovi collegato in sè medesimo. Atti a-   “i’o/lÌ 3 S l’arte «Mi .   7T?.r.Sfy.nir oi tacrifltì, alle WriHtah   Sol ™tl g e egei rapporto eri ogni colavo   e a E Cl chS 0 8U0 padre, chiesi, e cln sua mato ^   La storia è un po’ lunga, a   rartela. Quando nacque .Afrodite, * di Metia [Sa-   banchetto, e tra gli altri anche ì ^l ^ occo   gacia], Poh» [ Ac ^® to ^'°“ mend icare, come avviene   sr-V? èrt»*   buttato a dormire. Allena Pema, n . ge a gìacere   povertà d’avere un hglmo ° < • h,’ Q E p PV questo   accanto a lui e divenne n t tl S cV Afrodite, perchè   appunto egli è anche seguace e >n perc hè da natura   «ito e bello, come generalmente si crede, e an     V     — 58 —   ilzo, senzatetto, uso a dormire sulla nuda  coperte, dinanzi alle porte, a cielo aperto,   * .. -, _l.vll.i no ri «11 n ini covi Q    tendere insidie ai belli e ai buoni, coraggioso, temerario,  impetuoso, cacciatore terribile, sempre occupato a pre¬  parar lacciuoli, avido d’intendere, ricco d espedienti, de¬  dito a filosofare per tutta la vita, ciurmadore, mago e  solista insuperabile. E di sua natura non è nè immortalo  nè mortale, ma a volte, nello stesso giorno, germoglia  e vive, quando tutto gli va a vele gonfie; a volte muoie  e poi, data la natura del padre, rivive daccapo, e spreca  sempre tutto quel che guadagna, sicché non è mai ne  povero nè ricco, e d'altro lato tiene il mezzo tra la sa¬  pienza e l'ignoranza. E s’intende: degli dei nessuno lilo-  204 soleggia o desidera di divenir sapiente —- perchè è già  tale — e se e'è altri sapiente,. non filosofeggia nem¬  meno. Ma, d’altronde, neppur gl’ignoranti filosofeg¬  giano o desiderano di diventar sapienti. Giacché proprio  questo è il guaio dell’ignoranza: che chi non è nè  ammodo nè saggio s'illude d’essere un uomo che basti  a sè medesimo. E chi non crede d’esser manchevole  non desidera nemmen per sogno quello di cui non crede  di mancare.   E chi. Diotima, diss’io, son quelli che si volgono alla  filosofia, se non sono nè i sapienti nè gl’ignoranti?   Codesto, rispose, dovrebbe esser manifesto perfino ad  un ragazzo: son quelli che tengono il mezzo tra gli uni  e gli altri; e tra questi è anche Eros. Perchè la sapienza  è tra Io cose più belle, ed Eros è amore del bello, sicché  necessariamente Eros deve aspirare alla sapienza, deve  esser filosofo, e come filosofo tenere il mezzo tra sapiente  e ignorante. E anche questo gli vien dalla nascita, giacché  egli è di padre sapiente e ricco, ma di madre nò sapiente  nè ricca. Questa, mio caro Socrate, è la natura del d謠 mone. Che tu poi fi fossi immaginato Eros come te lo  eri immaginato, nessuna meraviglia: tu avevi creduto,  se non m'inganno, a giudicarne da quel che dici, che  Eros fosse l’amato, non l’amante, e però penso che Eros  fi paresse bellissimo, perchè difatti ciò che è degno di      — 59 —    è il realmente bello, delicato, perfetto e tale da  aU '° rsi beato Ma l’amante ba tutt’altro aspetto, e pre¬  cisamente quello che t’ho ritratto.   _ Ed io dissi: Sia pure, ospite; che infin dei   conti'' tu ragioni bene. Ma se Eros è tale, che utile reca   agU CodTsto, ? disse, Socrate, mi proverò d’insegnartelo fra  lin00 intanto Eros è tale e nato a questo modo, ed e  di bellezza, come tu dici. Ora se qualcuno ci do¬  mandasse: « Che cosa vuol dire, Socrate e Diotima, Eros  di bellezza? » O più chiaramente: Chi ama ama il bello,   e che ama?   Ed io: Possederlo, risposi.   Ma, soggiunse, la tua risposta chiama quest altra do¬  manda: Che' ci guadagna chi possiede il bello !   Io dissi di non saper veramente che cosa nspondcie,   così, su due piedi, a questa domanda.   Ma riprese, fa conto che qualcuno, mutando 1 ter  mini, sostituisse bene a bello, e ti chiedesse: «Orsù, bo¬  ccate, chi ama ama il bene; e che ama? »   Possederlo, risposi. . , . ,   E che ci guadagna chi possiede il bene!   Ecco M’d»™Tn,l« Pi« «-*.**. « »   finisce qui, mi pare.   E onesto 1 desiderio e questo amore credi tu che sia  comune a tutti gli uomini e che tutti vogliano possec ei  sempre il bene? O come dici?   Così è, risposi: comune a. tiitti tti diciam o   E perché mai dunque, Sociale, non ,i   che amano, se poi tutti amali lo stesso ■  taluni diciamo che amano e d’altri no!   Me ne meraviglio anch’io, dissi. ,   No. non meravigliartene, soggiunse, pe ’ a   di aver preso a parte una delle specie d amore, diamo a       rme-sta il nome dell'intero, e la chiamiamo amore,  mentre per le altre ci serviamo di altri nomi.   Come sarebbe a dire? chiesi. ...... ,   Ecco per esempio: sai bene che pohsis, [ Iattura ,   ■ poesia ’] implica molti significati, giacché ogni opera¬  zione, la quale faccia che una cosa dal non essere  passi all’essere è poièsis, sicché le produzioni, attinenti  a tutte le arti, sono aneh esse poièseis , e i loro produttori  tutti poiètai.   È vero. . ,   E tuttavia, disse, sai pure che non si chiamano poteteli,  ‘poeti '. ma hanno altri nomi; e una particella sola, di¬  staccata da tutta la poièsis , quella che ha per oggetto  la musica e le composizioni metriche, è chiamata col  nome delimiterò. Soltanto questa infatti prende nome  di poesia, e poeti quelli che posseggono questa par¬  ticella della poièsis.   È vero, dissi.   E così, dunque, anche dell amore. La _ somma n è  ogni desiderio del bene e delTesser felice, il massimo  e ingannevole amore (1) d'ognuno. Ma di quelli che  vi si volgono per un’altra delle molte vie, o del guadagno  o della ginnastica o della filosofia, non si dice che amino,  nè son chiamati amanti, laddove coloro che tendono  a questa sola specie, e si consacrano ad essa, prendono  il nome del tutto, amoree amare e amanti.   Mi pare ohe tu dica il vero, risposi.   Eppure, seguitò, corre per le bocche un certo discorso:  che quelli i quali vanno in cerca della propria metà,  questi amano. Il mio discorso invece dice che 1 amore  non è nè della metà nè dell’intero, ove, amico mio, non  si creda di scorgere un bene, poiché gli uomini si lasciali  volentieri amputare e piedi e mani, sempre che paia ad  essi che le loro proprie membra non sieno più buone.  Giacché, secondo ine, non è il proprio quello che cia¬  scuno ha caro, se pure non si chiami proprio il bene    (1) Pare una citazione; ma la frano destò dot sospetti in parccclii in¬  terpreti, e fu addirittura considerata come un glossema dall’Hug o dal   Bonghi.      - 61 —    n male. Perchè io non vedo altra cosa che gli 206  uomini amino, all'infuori del bene. E tu?  r>,>v Zeus, e nemmeno io.   O dunque, possiamo affermare, così senz’altro, che  g li uomini amano il bene?   hTche?' r'iprès™non si deve anche soggiungere che essi  amano d’averlo con sè, il bene l   Tpcr dippiù, disse, non solo d’averlo, ma anche  d’averlo sempre?   Ssom Eque, concluse, l’amore è amore di aver   sempre il bene con sè.   Tu hai pienamente ragione, dissi.   XXV - Poiché l'amore è questo sempre   per imparare appunto codeste . partorire nel   * - 4et*?-sstiS?*.   gli uomini, Socrate, concipn etòi i a . nostra   secondo l’anima; e, S 1 ' 11 ' < partorire nel brutto   natura desidera di paidon ; m. nU) infn fti del¬  udi può; nel hello, Mi 1 fj?,p°ff rtl „. E questa è cosa  l'uomo c della donna \ mor talo, questo è immortale:  divina, e nel vivente, ^ ora è impossibile che   il concepimento c' a h* ‘ disarmonico è il brutto   ciò avvenga nel disaiic m . q iuvooc n bello. Sicché  rispetto a tutto i cl ’ dea de ua nascita e della morte]  Bellezza è Mona 1 » ’ . t0 ed a Ua generazione].   b srasr? &«*» *'      — 62 —    diventa gaia, e nella sua letizia s’effonde e partorisce e  genera. Ma quando al contrario s’appressa al brutto, si  abbuia, e nella sua tristezza si contrae, si volge indietro,  si raggomitola e non genera; ma, trattenendo in sè il  feto, si sente male. Donde appunto nella creatura, gra¬  vida e già smaniante di desiderio, l’ansia grande per ciò  che è bello, giacché esso libera ehi lo possiede dalle gravi  doghe del parto. Perchè, Socrate, l’amore non è amore  del bello, come tu pensi.   Ma e di che allora?   Di generare e partorire nel bello.   E sia, dissi.   Mon c’è dubbio, riprese. Ma perchè poi della genera¬  zione? Perchè la generazione è un sempregenerato e  immortale nel mortale. Sicché da ciò che s’è convenuto  segue necessariamente che l’amore è desiderio d’im-  207 mortalità nel bene, se è amore d’aver sempre il bene  con sè. E un’altra conseguenza necessaria di questo  ragionamento è che l’amore è anche amore dell’im¬  mortalità.   XXVI. -— Tutte queste cose ella m’insegnava ogni  volta che si ragionava d’amore. E un giorno mi chiese:  Che cosa mai, Socrate, credi tu che sia causa di codesto  amore e di codesto desiderio? O non senti che tenibile crisi  attraversino tutti gli animali, e terrestri e volatili, quando  senton desiderio di generare, ammalandosi tutti e strug¬  gendosi d’amore, prima, di mescolarsi insieme; poi, di  allevare la prole; e come sieno pronti per essa a combat¬  tere, i più deboli coi più forti, e a spender la propria vita  in difesa di quella e a soffrire essi la fame, pur di nutrire  i loro nati, e a fare qualunque altra cosa? Degli uomini,  tanto, si può credere che lo facciano per effetto d’un  ragionamento; ma e gli animali, che cosa può indurli a  questo prodigio d’amore? Sai dirmelo?   Ed io a risponder daccapo di non saperlo.   Ella ripigliò: E pensi, dunque, di poter divenire  esporto in cose d’amore, se non intendi questo?   Ma per questo appunto, Diotima, come dianzi di¬  cevo, vengo da te, perchè so d’aver bisogno di maestri.      — 63 —    Ala tu dimmene la cagione, e di queste e delle altre cose  relative all’amore.   Ebbene, se ritieni per fermo che 1 amore sia pei  tura amóre di quello di cui s’è convenuto più volte,  nn te ne meravigliare: Giacché qui si torna allo stesso  bscorso- la natura mortale cerca, per quanto può, di  essere sempre e immortale. E può esserlo soltanto per  està via per la generazione, cliè così lascia sempre  dono di sé qualcos’altro di nuovo in cambio del vecchio.  Poiché anche in quello spazio di tempo durante il quale  di ciascun animale si dice che è vivo e che e lo stesso...   „or esempio, d’un uomo, da bambino fino a che non  diventi vecchio, si dice che è il medesimo; eppure costui,  quantunque non conservi mai in sé stesso le stesse cose  tuttavia passa per essere il medesimo, pur rifacendosi  in parte incessantemente giovane, e m parte deperendo  e nei capelli e nelle carni e nelle ossa e nel sangue e  in tutto il corpo. E nonché per il corpo, ma anche per  l’anima, i modi, i costumi, le opinioni, i desideri, i pia¬  ceri i dolori, le paure, ciascuna di queste vane cose no  rimati punto la stessa in. ciascuno, ma talune nascono,   ■dire periscono. E, quel che è ben piu sorprendente, non  si le cognizioni, altre nascono, altre periscono m noi 208  e noi non siamo, nemmen rispetto alle cognizioni, semp  ghS, ma anche per ciascuna =   s’avvera lo stesso. Giacche ciò che si ^e meditare^  dice appunto della cognizione m quanto ^ ' ' 1 '   ticanza infatti è uscita di cognizione etemeMaage,   non con l’essere in tutto sempre lo stesso, come il <hvi ,  nuT col' 1 lasciare dopo di sé, in cambio di ciò che va via   , . nn ni cos’altro di nuovo che gli somiglia pei   e invecchia, qualcos altro | ocrat0) diss’ella,   ifmortaio partecipa dell’immortalità, sia corpo, sia checché  si voglia Ma l’immortale procede per altra via. Non  meravigliare dunque, se ogni essere per natura oncia i  proprio germoglio, giacché per desiderio d immortalità  siffatta cura ed amore s’ingenera in ogni creatura.        — 64 —    XXVII _ All’udire questo ragionamento ne rimasi   sorpreso, è dissi: Sia pure, sapientissima Diotima; ma è  tìoì realmente così?   Ed ella, come i perfetti sofisti (1): Abbilo per fermis-.  simo Socrate, rispose. Oliò, se vuoi guardare anche  all’amore degli uomini per la gloria, ove tu non tenga  presente ciò che ho detto, avresti motivo di meravigliarti  della loro stoltezza, riflettendo da quale ardore sien pos¬  seduti di divenir celebri e gloria procacciarsi ne’  secoli tutti immortale (2), e come perciò sieno  pronti a sfidare qualsiasi pericolo, anche più che per i  figli, e consumar sostanze e soffrire qualsiasi sofferenza  e far getto della propria vita. Poiché credi tu, disse, che  Alcéstide sarebbe morta in cambio di Admeto o Achille  soprammorto a Pàtroclo o Codro- vostro (3) premorto  per assicurare il regno ai figliuoli, se non avesser creduto  di lasciare quel ricordo di sé, che ora noi serbiamo di  loro'? Pi vuole ben altro! disse. Ma per conseguire virtù  immortale e siffatta fama gloriosa, tutti, a parer mio,  son pronti a qualsiasi cosa, e quanto migliori, tanto più,  perché amano l’immortale. Quelli dunque che son gra¬  vidi. disse, nel corpo, si volgono di preferenza alle donne,  e per questa via sono amorosi, procurandosi per mezzo  della generazione dei figliuoli, come pensano, immorta¬  lità, ricordo e beatitudine per tutto il tempo avvenire.   209 Coloro invece che son gravidi nell’anima... perchè, di¬  ceva, c’è pure di quelli che son gravidi nell’anima, ancor  più che nei corpi, di ciò che all’anima s’addice e di con¬  cepire e di partorire; e che cosa le s’addice? la saggezza  c le altre virtù; e di queste sono generatori i poeti tutti,  e degli artisti quanti son detti inventori. E tra le forme  di saggezza, disse, la più alta di gran lunga e la più bella    (1) L’osservazione di Socrate ai riferisco al tono di sicurezza, por- dir  cosi, cattedratico e dogmatico clic assumo Diotima, la quale di qui in poi  abbandona la conversazione familiare per pronunziare un discorso lungo  c filato.   (2) Dev’essere una citazione poetica. L’Hng osserva elio in questa  parte Diotima si compiace di versi o di forme poetiche.   (3) Codro ò il leggendario re clic andò volontariamente incontro alla  morte per salvare l’Attica dalla invasione dorica.       — 65 —   che s’occupa degli ordinamenti politici e donic-  Ò - q !, cui si dà nome di prudenza e di giustizia. E allor-  S Ì 1C1 ™>i uualcuno di costoro per esser divino (1) sia da  1 1 gravido nell’anima, e giunta l’età desideri oramai   vtnrire e generare, anche costui, credo, ricerca pre¬  murósamente quel bello nel quale possa generare, giacche  'e 1 brutto non vorrà generar mai. E quindi egli gravido  r 4 si compiace dei bei corpi piu che dei bratti, e  °e s’incontri in un’anima bella e generosa c d indole  mona si compiace vivamente d’un tale insieme e con  e òo egli è subito largo di discorsi intorno alla virtù e su  miei che dev’essere l’uomo dabbene e sul tenore di vita  che questi deve proporsi; e si dà a educarlo Perche, ,  credo a contatto della bella persona e nei colloqui con  essa egli partorisce e genera quello di cui da gran tempo  e ra 'gravido, ricordandosi di lei, presente o lontano, e  la prole egli alleva in comune con quella, cosicché uonnn  siffatti mantengon tra loro una comunanza assa P  intima che non quella che avrebbero per mento dei  figliuoli, e un’amicizia assai più salda, dacché ^  in comune dei figli più belli e piu mimo potinoli   •per sè preferirèbbe d’aver piuttosto di sillatti h ^ .   che quelli umani, guardando a Omero a Esu^ c  agli altri poeti insigni, invidioso dei nati ■_ l  lasciali di sè e che assicurano loro gioire ; uoi   immortale, perchè sono essi stessi inumatali, . •   disse, dei figliuoli come quelli che tediò Um 0  demone, salvatori di Lacedemone e,spù.c(  i-Eliade E da voi è anche onorato Soloiu pu lì   SmS«So o"«iÒff». ta’«ove..por  gli umani fin qui a nessuno.   XXVIII. - Sino a questo grado nei  Socrate forse avresti potuto iniziarti da b • Ma min  dottrinò perfette e contemplative, alle quali, ove si pio¬  li) Mantengo qui la lozione ilei oodd. 9-stos lov.    5 Platone — Convito.        — 6 fi —    ceda rettamente, quelle finora esposte servono di pre¬  parazione, non so se ne saresti capace, le le esporrò  dunque io, disse, e non trala scerò di metterci tutta la  mia buona volontà. E tu cerca di seguirmi, se ti riesce.  Perchè chi vuol incamminarsi per la via diritta a questa  impresa, deve da giovane andare verso i bei corpi, e  dapprima, se chi lo guida lo guida' dirittamente, amare  un sol colpo c generare in esso discorsi belli; e poi inten¬  dere che la bellezza in un qualunque corpo è sorella della  bellezza dim altro corpo; e se convien perseguire ciò ohe  è belio d'aspetto, sarebbe una grande stoltezza non sti¬  mare che una sola e identica sia la bellezza in tutti i  corpi. E inteso che abbia questo, divenire amante di  tutti i boi corpi, e calmare quei suoi ardori per uno solo,  spregiandoli o tenendoli a vile. E in seguito reputare clic,  la bellezza delle anime sia di maggior pregio clic la bel¬  lezza del corpo, sicché, ove uno sia bello dell’animo,  quand’anche poco leggiadro, se ne contenti e Io ami e  ne prenda curii e partorisca e cerchi ragionamenti sif¬  fatti, che valgano a render migliori i giovani, affinchè  sia dipoi costretto a considerare il bello clic è nelle, isti¬  tuzioni e nelle leggi, e riconoscere che esfjo è tutto con¬  genere a sè, e si persuada così che il hello corporeo non  è che piccola cosa. E dopo le istituzioni < In sua guida >  lo conduca più in alto, alle scienze, perché veda alla loro  volta la bellezza»delle scienze, e mirando all'ampia di¬  stesa del bello, non più, estasiandosi come uno schiavo,  davanti alla bellezza d'una singola cosa, d’un giovanetto  o (L’un uomo o d’una istituzione sola, e servendo sia una  abietta o meschina persona; ma volto al gran mare  della bellezza, e contemplandolo, partorisca molti e belli  e magnifici ragionamenti e pensieri in un amore sconfi¬  nalo di sapienza, fino a che, in questo rinvigorito e cre¬  sciuto, non s’elevi alla visione di queU’unica scienza, che  è scienza di cosiffatta bellezza.   E ora, continuava, la di aguzzare rocchio della mente  quanto più puoi. — XXIX.—Giacché colui che sia stalo  educato fin qui alle cose amorose, contemplando a grado  a grado e rettamente il bello, pervenuto al termine della  via d’amore scorgerà d’improvviso una bellezza di sua     mumluìi        — 07    natura stupenda, e precisamente quella, Socrate, per la  quale si eran durati tutti i travagli precedenti, quella che  innanzi tutto è eterna, che non diviene e non perisce, non zi 1  cresce e non scema; e poi, che non è bella per un verso e  brutta per un altro, nè a volte si a volte no, nè bella  rispetto a una cosa e brutta rispetto ad un’altra, nè qui  bella e lì brutta, o bella per alcuni e brutta per altri. Ne,  per dìppiù, la bellezza prenderà ai suoi occhi la forma  come (li volto o di mano o d’alcunchè di corporeo, nè d’un  discorso o d’una scienza o di qualcosa che sia in un altro, in  un animale, poniamo, o in terra o in cielo o dove che sia;  ma gli apparirà qual è in sè, uniforme sempre a sè  medesima, e tutte le altre cose belle, partecipi (Vessa in  tal modo, che, mentre queste altre e divengono e peri¬  scono, essa non divien punto nè maggioro nè minore, e  non soffre nulla. E quando alcuno per aver rettamente  amato i fanciulli, sollevandosi dalle cose di quaggiù,  prenda a contemplare quella bellezza, allora può dirsi  che abbia quasi toccato la meta. Perchè questo appunto  è sulla via d’amore procedere o esser guidato diritta-  mente da un altro: muovendo dalle belle persone di quaggiù  ascendere via via sempre più in alto, attratto dalla bel¬  lezza di lassù, quasi montandovi per una scala, da un  bel corpo a- due, e da due a- tutti i bei corpi, e da bei  corpi alle belle istituzioni e dalle istituzioni allo belle  scienze per finire dalle scienze a quella scienza che non  è scienza d’altro se non di quella bellezza appunto; e  pervenuto al termine, conosca quel che è il bello in se.   Questo, mio caro Socrate, se altro mai, diceva 1 ospite  di Mantinea, è il momento della vita degno per un uomo  d’esser vissuto, allorché egli può contemplare la bel¬  lezza in sè. Ed essa-, ove mai tu la veda., non ti parrà  comparabile nè con oro nè con vesti nè con quei bei  fanciulli e giovanetti, al cospetto dei quali rimani ora  sgomento e sei pronto, e tu e molti altri, guardando co¬  desti vostri amati c standovi con loro, se fosse possibile,  sempre, a non mangiare nè bere, ma soltanto a eontem-  plarveli e starci insieme. E che sarebbe, diceva, se a  qualcuno riuscisse di vedere il bello in sè,' sclùetto, puro,  sincero, non infarcito di carni umane e di colori e di    ->* Platone — Convito.       tante altre vanità mortali, ma potesse scorgere la divina  bellezza in sè medesima, uniforme? Creiti tu che sia  2I2 una vita da tenere a vile quella di chi possa guar¬  dare colà e contemplare con 1 intelletto (1) quella bel¬  lezza e starsi con essa? O non pensi, disse, che quivi  soltanto, a lui che vede la bellezza con quello per cui  essa è visibile, verrà fatto di partorire, non immagini  di virtù, perchè non è in contatto con immagini, ma  virtù vera, perchè in contatto col vero; e che, avendo  generato e nutrito virtù vera, a lui solo è concesso di  divenir caro agli dei, ed anche, se altri mai iu tale al    mondo, immortale?   Eccovi, Fedro e voi altri, quel che diceva Diotima, e  io ne fui persuaso; e, persuaso, mi adopero a persuadere  anche gli altri che per procacciare alla natura umana  un tanto acquisto non si può facilmente trovare un  collaboratore più valido d’Eros. E perciò appunto af¬  fermo che ogni uomo ha l’obbligo di rendere onore  ad Eros, e io stesso onoro e coltivo in modo speciale  le discipline amorose e vi esorto gli altri; ed ora e  sempre, per quanto è in me, encomio la possanza e la    fortezza di Eros.   Questo discorso, Fedro, ritienilo detto come un elogio  d’Eros, se credi; se no, chiamalo pure come ti piacerà  di chiamarlo.    XXX. — Poiché Socrate ebbe finito, tutti, raccontava  Aristodemo, gli rivolsero delle lodi, eccetto Aristofane,  che s’accingeva a dire nòti so che cosa, perchè Socrate,  nel parlare aveva alluso al discorso di lui, quando, a un  tratto, s’ode picchiare violentemente alla porta di strada  e insieme un gran chiasso, come d'i gente avvinazzata,  che usciva da un banchetto, e la voce d’una suonatrice  di flauto. Al che Agatone: Ragazzi, disse, andate a ve¬  dere; e se è qualcuno dei nostri, fatelo entrare; se no,  dite che s’è smesso di bere e stiamo già riposando. Ed,  ecco, un momento dopo, si sente noi vestibolo la voce    (1) Alla lettera: con quello con cui si convieno (contemplarlo), cioè  v(p * con la monte \      69     d’Alcibiade, ubriaco fradicio, che strepitava: Pov’ò Aga¬  tone? Menatemi da Agatone! Entrò, sorretto dalla suo-  natrice e da alcuni dei suoi compagni, e si fermò sulla  soglia dell’uscio. Aveva il capo ricinto d'una folta corona  di edera e di viole (1) e adorno d’una infinità di nastri.   E disse: Salute, amici! Vorrete compiacervi di dare un  posto per bere con voi a un ubriaco fradicio, o dob¬  biamo andar via subito dopo di aver incoronato Aga¬  tone, che è lo scopo per cui siamo qui? Ieri non mi riuscì  di venire, ma ora eccomi qui, col capo coperto di nastri,  per rieingerne dal mio il capo del più sapiente, del più  bello, lasciatemelo dire, tra gli uomini. Iriderete voi forse,  perchè sono ubriaco? Ebbene, ridete pure; ma io so di B3  dire la verità. Intanto ditemi senz’altro, se posso o no  entrare a queste condizioni. Siete pronti a bere con me,    o no?    Tutti in coro con alte grida gli risposero che entrasse    e si mettesse a giacere, e Agatone ve lo invitò. Egli venne    avanti condotto dai compagni, e poiché si veniva levando  que’ nastri per incoronarne l’ospite, non s’accorse di So¬  crate, che pure gli stava dinanzi agli occhi, ma si mise  a sedere accanto ad Agatone, tra questo e Socrate, il  quale, come l’aveva visto (2), s’ora tratto da parte. Sedu¬  tosi. abbracciò Agatone e gli cinse il capo.   È Agatone disse: Ragazzi, slacciate i sandali ad Alci-  biade, perchè possa sdraiarsi terzo fra noi.   Benissimo, disse Alcibiade; ma chi è questo nostro  terzo compagno? E ad un tempo, volgendo gli occhi, vide  Socrate, e vistolo diè un balzo, esclamando: Per Éraeles.  che roba è questa? Socrate qui? Àncora un agguato!  E hai preso questo posto per apparirmi, al solito, dinanzi,  dove meno me l’aspettavo? E ora, perchè sei qui? E  perchè poi ti sei messo a giacere proprio in questo posto?  Perchè non accanto ad Aristofane o a qualche altro, che  sia o voglia parere un burlone, ma tanto ti sei destreg-    (1) i Alclbiado voniva coronato, pcrchò usciva da uu altro banchetto.  Le corono, elio solovano essero di foglio di mirto, di pioppo bianco o di  odora intrecciato con roso o In Atene a proferonza con violo, si distribui¬  vano dal servi, quando, finita la cena, si passava a boro. * (Hug).   (2) Leggo (1)£ éxetvov xctxstfiev secondo il pap. d’Osslrinco.        ■ : i.i.-' ;        g iato da venirti a sdraiare accanto al più bèllo di quanti   SOn °B q Soc" Agatone, disse, guarda un po’ di difen¬  dermi. perchè l'amore per me di costui non un dà poco  a fare Dacché presi ad amarlo, non son pm padrone di  guardare o discorrere con nessun altra bella persona  senza che costui, roso dalla gelosia o daU invicha, non  faccia cose dell’altro mondo, e mi copra d insulti, e per  poco non mi metta le mani addosso. Guarda che anche  ora non ne faccia qualcuna delle sue. Metti pace tra noi,  o, se cerca d’aecopparmi, aiutami, perche io ho una  paura matta dei suoi furori e delle sue smanie amorose.   Pace tra me e te? ribattè Alcibiade; non è possibile.  Ma di questo ti castigherò in qualche altra occasione.  Per ora, Agatone, rendimi un po’ di codesti nastri, perche   10 ne ricinga il meraviglioso capo di costui qui, e non mi  accusi d’aver coronato te, e lui poi, che vince nei discorsi  tutti, e non solo ier l’altro, come te, ma sempre, non 1 ho  coronato. E così dicendo, prese alcuni nastri, ne cinse   11 capo di Socrate e si mise a giacere.    XXXI. — Dopo che si fu sdraiato, riprese: E che  amici? non siete in vena di bere? Io non posso permet¬  terlo; bisogna bere: è stato il nostro patto. Io scelgo a  re del bere, finché non avrete bevuto abbastanza, me  stesso. E Agatone faccia portare, se c’è, una gran tazza.  No, no, non occorre. Ragazzo, a me quel bigonciolò —  all s’eraaccorto che conteneva più di otto colili (1) —lo riempì  e bevve per il primo; poi ordinò clic si mescesse per So¬  crate, aggiungendo: Del resto, amici, con Socrate la mia  astuzia non attacca: si può farlo bere quanto si vuole,  non c’è caso che s’ubriachi.   Socrate, quando il ragazzo gli ebbe mesciuto, bevve.   Ma Erisslmaco disse: Che facciamo, Alcibiade? Tra¬  canneremo così un bicchiere sull’altro senza intramezzarvi  nè un discorso nè un canto, proprio come degli assetati?   Tì Alcibiade: Erissimaco, eccellente figlio d’eccellente  e sennatissimo padre, salute!    (1) La eotile equivaleva a circa un quarto eli litro.     E salute a te pure! rispose Erissimaco. Ma che dob¬  biamo fare!   Quel che tu ordini: a te bisogna obbedire,   Che certo un medico solo vai quanto molti uomini insieme.   Ordina dunque a tuo modo.   Ebbene, da’ retta, riprese Erissimaco. Prima della  tua venuta s’era fissato che ciascun di noi per turno a  destra pronunziasse un discorso, il meglio che si poteva,  su Eros, in elogio di questo dio. Tutti noialtri abbiamo  parlato. Tu che non hai parlato, ma hai bevuto, è giusto  che ne faccia imo tu pure. Dopo, imponi a Socrate quel  che ti piace, ed egli farà altrettanto per turno a destra  con gli altri.   Belle parole, Erissimaco! rispose Alcibiade. Ma non  ti pare che a mettere un ubriaco in gara di discorsi con  gente che ha la testa a posto, la partita non sia pari !   E dimmi pure, beato amico: ci credi tu a quel che Socrate  ha detto or ora di me? Non sai che è proprio il rovescio  di ciò che egli diceva? Giacche costui, se in presenza sua  mi permetterò di lodare un altro, dio o uomo che non  sia lui, non terrà a posto le mani.   Parla con più rispetto, disse Socrate.   Per Poseidone, riprese Alcibiade; non contradirmi.   Sai bene che in presenza tua non potrei lodare nessun  altro.   E tu fa' come vuoi, ripigliò Erissimaco: loda So'crate.   Come dici! Ti pare, Erissimaco, che convenga? Posso  dare addosso a quest’uomo e vendicarmi di lui sotto i  vostri occhi?   Ohe, giovanotto, che ti salta in niente? Con la scusa  di lodarmi vuoi mettermi alla berlina? O che vuoi fare?   Dirò la verità. Guarda però di lasciarmela dire.   Ma, certo, la verità te la laseerò dire, anzi voglio che  tu la dica.   Son pronto, riprese Alcibiade. E tu fa’ così: se non  dico la verità, interrompimi e dammi una smentita, che  di proposito non dirò nessuna bugia. Ma se salterò di 21  palo in frasca, come la memoria mi suggerisce, non te        72 —    ue sorprendere, giacché non è facile per chi è neUgnie  condizioni enumerare per filo e per seguo tutti 1 tiatti  della tua originalità (1).   XXXII. — Socrate, amici, comiucerò a lodarlo così,  per via di paragoni. Costui crederà forse ch’io voglia  farvi ridere alle sue spade; eppure il paragone mira a  rappresentarvelo qual è realmente, non a metterlo in  burla. Dico dunque ch’egli è similissimo a quei Sileni  esposti nelle botteghe degli scultori, che gli artisti raf¬  figurano con zampogne o flauti in mano e che, aperti  in (lue, mostrano nell’interno immagini di dei (2). Ili dico  per dippiù che somiglia al satiro Marsia (3). li/ che tu  sia nell’aspetto simile a quelli, neanche tu, boera te,  oseresti metterlo in dubbio. Che poi somigli anche nel  resto, stanimi ora a sentire. Sei un gran canzonatore;  o no ? Se lo neghi, , presenterò dei testimoni. E un flau¬  tista, no? Anzi più meraviglioso di Marsia. Questi, è  vero?, molceva gli uòmini per via di strumenti con la  potenza della sua bocca, e anche oggi chi suona le com¬  posizioni di lui — perchè già quelle che Olimpo suonava  appartengono senz’altro a Marsia, che gliele aveva inse¬  gnate... e a buon conto le sonato di lui, o che le esegua  un abile flautista o una flautista dappoco, per essere  opera divina, valgono da sole a soggiogarci e farci sen¬  tire (fili prega gli dei e chi aspira ad essere iniziato. Ma    (1) Il discorso, ohe Plutone la pronunziare ad Aloibiado, oltre ad essere  l’upplioozione pratica della toorlca bandita da Socrato, ohe ci ò cosi rap¬  presentato domo l’amanto perfetto o il tipo vivente del filosofo, è assiri  probabilmente anche nn'ahilo o splendida difesa di costili contro lo maligno  insinuazioni d'nn sofista. Pollerato, cho in un ili,olio contro Socrate doveva  aver presentato sotto una luco tutt’altro olio favorevole lo relazioni d’ami¬  cizia elio lutoroedovuno tra 11 maestro od Alclbiado.   (2) Questi Sileni orano, paro, una spedo d'armadi, riproducesti lo  fattozzo dei popolarissimi compagni di Dlóniso. e dovovano esseri, d’uno  certa capacita, so nell’intorno potevano contenoro parecchio statuette o  simulacri di numi. E 11 modo corno v'oeconna Aloibiado fa Intenderò ohe  dovessero essere assai noti o comuni !u Atene.   (3) Il satiro Murala, in origino un dio fluviale dell’Asia Minoro, inven¬  tore del flauto, flautista cccoUonte o maestro di Olimpo, a cui Alcibiade  accennerà fra poco, addò ad una gara musicalo Apollo olio suonava la cetra,  e, vinto dal dio, fu tratto fuori , della vagina dolio membra sue •.      — 73 —    tu tu sei (li tanto superiore a lui, che senza bisogno di  strumenti con semplici parole ottieni questo medesimo  effetto. Difatti noi, quando udiamo qualche altro ora¬  tore sia pure eccellente, pronunziare degli altri discorsi,  non'ce ne interessiamo, per così dire, nè punto nè poco.   Ma ove qualcuno oda te o qualche altro, e sia pure il  più inetto parlatore, che riferisca le tue parole, o che le  oda una donna o un uomo o un giovanetto, no siamo  rapiti ed esaltati. Ed io, amici, se non temessi di pas¬  sare per ubriaco sino alle midolla, vi direi, e giurerei,  che sorta d’effetti ho risentito dallo parole di costui e  ne, risento tuttora. Giacche a me, quando le odo, ben  più che agl’invasati d’un fluoro coribantico (1), il cuore  ini balza nel petto e mi sgorgali le lagrime ai discorsi  di costui; e anche a moltissimi altri vedo che capita lo  stesso. A udir Pericle e altri oratori di grido dicevo tra  me e me: parlano benissimo; ma non risentivo nulla di  simile, nè la mia anima era messa a soqquadro, nè mi  attristavo di menare una vita da schiavo. Ma sotto i  discorsi di questo Marsia ch’è qui, ho provato spesso  l’impressione che non valesse la pena di vivere, vivendo 216  come vivo. E questo, Socrate, non dirai che non sia  vero. E anche ora, non lo nego, ho coscienza che, a vo¬  lergli prestare orecchio, non potrei resistere, ma risentirei  gli°stessi effetti. Giacché egli mi obbliga a confessare che,  con tante delìcenze che ho, trascuro ancora me stesso  per occuparmi delle faccende degli Ateniesi. E por a  viva forza, come dallo Sirene-, tappandomi gli orecchi,  mi sottraggo, fuggendo, per non invecchiare seduto  accanto a costui. E soto davanti a quest uomo ho pro¬  vato quel sentimento, che nessuno sospetterebbe m me,  il sentimento della vergogna. Io, sì, ini vergogno soltanto  di costui. Perchè sento dentro di me di non potergli  contradiro, che non si debba fare quello a cui egli mi  esorta; ma poi, non appena m’allontano daini, ecco che  mi lascio vincere dalle lusinghe del favor popolare.    (1) I Gorlbntltl orano 1 sacerdoti della doa asiatica l’ibelu, elio o^si  'veneravano con nn colto orgiastico, nelle ani cerimonie erau presi da un  furore divino.        — 74 —    Sicché lo evito e lo fuggo; e ogni volta che lo vedo, mi  vergogno d’aver# dato ragione. E spesso vedrei volen¬  tieri ch’egli non è più tra gli uomini; eppure, se ciò avve¬  rse, son certo che me ne dorrei assai dippiù, sicché di  quest’uomo non so addirittura che farmi.   XXXIII._Dunque, dalle sonate di costui, di questo   satiro qui, e io e molti altri abbiamo provato questi  effetti. Ora statemi a sentire com’egli e simile, anche pei  altri versi, a quelli a cui lo paragonavo, e come e mera¬  viglioso il potere che possiede. Perche, siatene certi,  nessuno di voi lo conosce. Ma ve lo scoprirò io, dacché  mi ci son messo. Voi vedete che Socrate si strugge di  amore per i bei giovani, ed è sempre a loro dintorno,  e se ne mostra fuori di sé, e del resto ignora tutto e non  sa nulla. E non è da Sileno codesto? E come! Ma questa,  è l'apparenza, sotto cui s’è nascosto, come il Sileno scol¬  pito. Ma di dentro, aperto, indovinate voi, compagni  bevitori, di quanta temperanza è pieno? Sappiate che se  uno è bello, a lui non gliene importa nulla, ma lo disprezza,  quanto nessuno lo crederebbe; nè se è ricco, nè so ha  qualcuna di quelle dignità che costituiscono per la folla  il colmo della beatitudine. A tutti questi beni egli non  dà nessun valore, e nessuno a noi — ve lo dico io ■— e  passa tutta la vita a far dell’ironia e a scherzare alle  spalle degli altri. Ma quando fa sul serio ed è aperto,  non so se qualcuno ha visto i simulacri di dentro; ma io  li ho "visti una volta, e mi parvero così divini e aurei e  21? bellissimi e mirabili da dover fare senz’altro quel che  Socrate comanda. Infatti, credendolo preso davvero della  mia bellezza, stimai un guadagno e una fortuna mera¬  vigliosi che mi si offrisse il destro di far cosa grata a  Socrate e udire così tutto quello che egli sapeva, perchè  ero orgoglioso della mia bellezza, e in che modo! Con  questo in mente, mentre prima non ero solito di trovarmi  da solo a solo con lui, senza qualcuno che m’accompa¬  gnasse, d’allora in poi mandavo via il mio accompagna¬  tore e rimanevo solo con lui... giacché a voi devo dire  tutta la verità; ma voi state attenti, e se mentisco, tu,  Socrate, sbugiardami. — Dunque, amici, rimanevo con      —- 75 —    1ni solo a solo, e m’aspettavo eli egli mi tenesse subito  uel discorsi che un amante suol tenere con un amato  , rmattr’oeehi, e ne godevo. Eppure non avveniva nulla  m mesto: com’era solito, discorreva con me, e, trascorsa  tutta la giornata insieme, andava via. In seguito lo  invitai ad esercitarsi con me nella ginnastica e mi eserci¬  tavo con lui, illudendomi che così avrei raggiunto il mio  ‘ooo E infatti egli si esercitava e lottava con me, spesso  senz’alcun testimone. Ma che! non si faceva un passo.  Poiché nemmeno questa via spuntava, mi parve che con  nuest'uomo si dovesse venire ai ferri corti e non dargli  tregua dal momento che mi ci ero messo, ma vederci  chiaro in questa faccenda. Lo invitai così a cena con me,  tendendogli un tranello, proprio come un amante a un  amato. E sulle prime non volle neppure accettare; tut¬  tavia, in capo a qualche tempo, s’arrese. Quando venne  la prima volta, finita la cena, volle andarsene, e pei  allora, vergognandomi, lo lasciai Ubero. Ma un alti a y >  fatto il mio 'piano, poiché si finì di cenare, Scorsi con  lui sino' a notte inoltrata; e quando egli voleva andai  via, col pretesto che- fosse tardi, lo costrinsi a rimanere  Egli riposava nel letto dove aveva cenato, accanto a  mio, e nella stanza non dormiva nessun altro ah infuori  di noi. Ein qui il racconto è tale, che si può faie in p  senza d’ognuno-, ma di qui in avanti non im sentireste  parlare, se in primo luogo, come dice il proverbio il i ino  e senza fanciulli e con fanciulli, non fossi veri¬  tiero (1), e poi nascondervi un tratto cosi superbo di   Socrate, ora 'che son qui per farine  un’ingiustizia. Ma c’è'di più: io sento ancora 1 effetto eli  prova chi è morso da una vipera. Porche, dicono,  ì’ha sofferto non vuol parlare del proprioa  ai morsicati, come i soli che sappiano « smn chsposri a  compatire tutto quello che egli e giunto a fare e dire  sotto la, sferza del dolore. Sicché io, morso da tintura  più dolorosa e nel punto più doloroso ni cui si possa   (!) Da du^o luogo il provo.-t.io apparisco corno presente alla mente  il ’Aicibia.lo sotto lo ano formo, tra lo parecchie che so ne .-.coniano. .1.  oho £ ’ vi- e vorilA-, c olvo; xat *«ì8s C ™o   o fanciulli < sono > voritlorl ’.    218       esser morsi... ferito e morso nel cuore, e nell’anima, o  com’altro si voglia chiamare, dai discorsi filosofici che  son più cattivi d’una vipera, quando s’attaccano al¬  l’anima non ignobile d’un giovane, e gli fan dire e  fare qualsiasi cosa... E, del resto, in presenza d un Fedro,  d’un Agatone, d’un Erissimaco, d’un Pausania, d un  Aristodemo e d’un Aristofane... Socrate stesso a che- no¬  minarlo?... e txitti voi altri"? chè tutti siete posseduti dal  delirio e dal furore filosofico... e però tutti udrete, perchè  siete tutti in grado di compatire ciò ch’io feci allora e  vi dirò ora. Quanto a voi, servi, è se c’è altri pro¬  fano e rozzo, tiratevi delle porte ben grandi sui vostri  orecchi (1).   XXXIV. — Poiché, dunque, amici, fu spenta la lucerna  e i servi andarono a dormire, mi parve che non fosse il  caso di ricorrere a raggiri con lui, ma di spiattellargli  francamente quel che sentivo. E, scotendolo, gli chiesi:  Socrate, dormi?   No, non dormo, rispose.   Ebbene, sai che cosa ho risoluto?   E che cosa? mi chiese.   Tu sei, ritengo, il solo degno d’esser mio amante,  e vedo che esiti a farmene parola. Ora io la penso cosi:  credo che sia una grande stoltezza da parte mia non  compiacerti e in questo e in altro, se hai bisogno delle  mie sostanze o dei miei amici. Per me, quello che soprat¬  tutto mi preme è di divenire quanto migliore io possa;  e in ciò, credo, non potrei trovare un collaboratore più  valente di te. Sicché a non compiacere ad un nomo  come te mi vergognerei ben più agli occhi delle persone  di senno, che non a compiacerlo, agli occhi dei molti  e sciocchi. Egli mi stette a sentire, e poi con quella  sottile ironia, che gli è propria od abituale, mi rispose:  Parto Alcibiade, tu risichi realmente di non essere un  dappoco, se mai è vero ciò che dici di me, e se c’è in  me un potere, per il quale tu possa divenir migliore.  Tu avresti così scorto in me una bellezza irresistibile e    (1) La locuzione 6 tolta dal linguaggio del misteri.     — 77 —    ma molto superiore alla tua leggiadria. Cosicché,  11101 ’ scorgendola, tenti d’accomunarti con me e barat-  Mre beSa per bellezza, ti proponi di fare a mie spese  fca in (la ano tutt’altro che insignificante, anzi in lao„o   a-.o.!».™ 1. veri.» del teli» e  luisidi scambiare veramente ferro con oro (1). Ma, ~  beato- amico, rifletti meglio, se non t’inganni a partito  m conto mio. Bada: gli occhi della mente vanno di¬  ventando più acuti a misura che quelli del corpo per¬  dono del loro vigore, e tu sei ancora lontano da questo   momento. c iò, dissi: La mia idea è questa, e non   ho detto niente di diverso da quel che penso. Quanto  a te. considera quel che ti sembra il meglio nel tuo e nel   mio interesse. , ._   Ma sì, ben detto! rispose. Difatti non mancherà tempo  per ripensarci e fare quel che ci parrà meglio nell inte¬  resse di tutt’e due, così in questa, come in ogm altra   faC Orario, dopo d’aver detto e udito queste parole e  avergli tirato quelle frecciate, lo credetti ferito. E leva¬  tomi dal mio posto e senza più dargli tempo di dir nulla,  gli gettai addosso il mio mantello, proprio questo qui  — era anche allora d’inverno — e nn rannicchiai sotto  la mantellina logora di costui, e gettate le braccia al  collo di quest’uomo veramente divino e meraviglioso, me  ne stetti a giacere accanto a lui l’intera notte. E nem¬  meno in questo, Socrate, dirai che mentisco. Ebbene  nonostante che io avessi fatto tutto questo, egli si mos r  di tanto superiore e tenne così a vile e sprezzò tanto la  mia bellezza e la vilipese a tal punto — eppure io cre¬  devo che qualcosa valesse, o giudici, perche voi ora siete  mudici della superbia di Socrate... ebbene ve lo giuro  per tutti gli dei e per tutte le dee, dopo d’aver dormito  accanto a Socrate l’intera notte, mi levai, nò piu uè meno,  che come se avessi dormito con mio padre o con un mio  fratello maggiore.    (1) Allusione al cambio dello anni tra Glauoo e Diomede: et. II. VI  •231 sgR.       — 78 —    XXXV. — E dopo ciò, quale credete che fosse il mio  animo? Da un canto mi vedevo disprezzato, e dall'altro  ammiravo l'indole, la temperanza e la fortezza di costui,   10 che m’ero imbattuto iu un uomo tale, come non cre¬  devo mai di poter incontrare il simile per senno e per  forza d’animo. Cosicché non riuscivo nè ad adirarmi con  lui e rinunziare alla sua compagnia, nè a trovar la via  per attirarmelo. Ben.sapevo che al danaro egli era. da  ogni parte assai più invulnerabile che Aiace al ferro, e   11 solo mezzo, per cui credevo di poterlo prendere, m’era  sfuggito di mano. E così, a corto d’espedienti e asservito  da quest’uomo, come nessuno da nessun altro al mondo,  io gli giravo sempre dattorno.   Questi casi m'erano già seguiti, quando più tardi  facemmo insieme la campagna di Potidéa (1) ed eravamo  compagni di mensa. Ebbene, innanzi tutto, nelle fatiche  egli vinceva non solo me, ma anche tutti gli altri. Allorché,  220 in qualche luogo, come spesso capita in guerra, eravamo  costretti a patir la fame, gli altri, nel resistervi, appetto  a lui non valevano uno zero, mentre imi nei momenti  di scialo, era il solo che sapesse goderne, e senza esser  proclive al bere, quando v'era costretto, superava tutti,  e, cosa anche più sorprendente, non c’è nessuno che  abbia mai visto Socrate ubriaco. E di ciò penso che ne  avrete ben presto la prova. Quanto poi a sopportare il  freddo — e lassù i freddi sono terribili — faceva cose  inverosimili, e perfino a volte, mentre c’eran delle ge¬  late da non si dire, e tutti o non mettevano il naso  fuori o si coprivano fino alla cima dei capelli e calza¬  vano scarpe e «'avvolgevano le gambe in feltri e pel¬  licce, costui, con un tempaccio di quella sorta, se n'u¬  sciva coperto della sua, mantellina abituale, e scalzo  camminava sul ghiaccio meglio degli altri calzati, e i  soldati lo guardava]) di traverso, perchè pensavano che  egli li disprezzasse.    U) Politica, colonia di'Corinto nella penisola ili Pallone, erti, albata  tlegli Ateniesi. Ma noi 431 a. C., con l'aiuto dei Corinti o di Perdlccn re ili  Macedonia, si ribellò, e non fu ridotta all'obbedienza, se non dopo una cam-  . rogna o un assedio durati lino al 129 a. C.     - 79    XXXVI. _ E questi, non c’è che flire,    fatti.    Ma    quello -che poi fece e sostenne il fortissimo uomo (1)    ima volta, durante quella spedizione, mette conto  li-essere udito. Assorto in qualche pensiero stette in piedi  odo stesso posto a meditare sin dalle prime ore del  mattino, e poiché non ne veniva a capo, non si moveva,  ma rimaneva li fermo a meditare. Era già mezzodì, la  o-ente lo notava e diceva: rSocrate e li inchiodato a  Lunare da stamani per tempo. » Finalmente alcuni Ioni,  sopravvenuta la sera, dopo d'aver cenato — era d estate  — portaron fuori i loro pagliericci; e mentre si mette¬  vano a dormire al fresco, seguitavano a tenerlo d occino  per vedere, se ci fosse rimasto anche la notte. Ed egli  ci rimase fermo sino all’alba e allo spuntare del sole  poi fece la sua preghiera al sole e andò via.   Ora, se volete, nelle battaglie — perchè è giusto ren¬  dergli questo merito... quando avvenne quella battaglia,  in cui 1 generali dettero a me anche il premio del valore,  nessun altro mi trasse in salvo se non costui, clic non volle  abbandonarmi ferito, e salvò insieme e le mie armi e me  stesso. Ed io anche allora, Socrate, insistetti presso ì  generali, perchè il premio fosse attribuito a te, e in questo  non mi moverai rimprovero, nè dirai che mentisco, .a  poiché quelli, per riguardo alla mia condizione sociale,  volevano dare a me il premio, tu eri anche piu insistenti  dei generali, perchè l’avessi piuttosto io che tu. E ancora,  amici, degno di ammirazione fu il contegno di Socrate,  quando l’esercito si ritirò in fuga da Delio (2). Io cero  tra’ cavalieri, lui tra gli opliti. Nello scompiglio generale  egli S i ritirava insieme con Lachete (3). Io sopraggiungo,  e come li vedo, li esorto a farsi animo, e di coloro che non    il) È un verso omerico leggermente modificato; cf. Od. IV 212.   (2) La battaglia <11 Dello in Beozia, dove gli Ateniesi lurono sconfitti  dai Tolmuì, accadde noi 121 a. C.   (3) Era un bravo gonorate ateniese, di poco più vaccino di Scorato.  olio mori In battaglia nel US a. C. Da lui prose nomo uno doi dialoghi pia-  tonici.      — So¬    li abbandonerò. E qui ammirai Socrate anche più che  a Potidea — giacché io stesso avevo meno paura, perchè  stavo a cavallo — in prima, di quanto egli fosse supe--  riore a Lachete per la padronanza di sè, e poi mi pareva  — mi servo delle tue parole, Aristofane — che egli cam¬  minasse lì come qui, con aria spavalda, gittando  gli occhi a destra e a sinistra (1), squadrando  calmo amici e nemici e mostrando chiaro a tutti, anche  di lontano, che se qualcuno lo avesse toccato, egli si  sarebbe difeso con la maggiore bravura. E così se n’an¬  dava via con gran sicurezza, egli e l’amico. Perchè quelli  che in guerra mostran questo contegno, quasi quasi non  li toccano neppure, ma danno addosso a chi scappa a  gambe levate.   ('erto, di Socrate ci sarebbero da lodare molti altri  lati, e non meno ammirevoli. Però d’altre qualità si può  forse dir lo stesso anche per altri, ma quel non essere  simile a nessun altro uomo, così tra gli antichi come tra’  presenti, questo è soprattutto ammirevole. Ad Achille,  per esempio, possiamo paragonar Bràsida (2) e qualche  altro, e Pericle a Nestore e ad Antenore (3) — e ce n’ò  parecchi — e così potremmo trovare dei confronti per  altri. Ma un uomo che sia stato per originalità come  costui, e lui e i suoi discorsi, nessuno non lo troverebbe  nemmeno a un dipresso, per quanto cercasse, nè tra i  presenti, nè tra gli antichi, a meno che non lo paragoni  a quelli che dicevo, a nessun uomo, ma ai Sileni e ai  Satiri, lui e i suoi discorsi.   XXXVII. — Giacché, a proposito, anche questo ho  dimenticato di dirvi da principio, che anche i suoi discorsi  sono in tutto simili ai Sileni che s’aprono. Infatti, se uno  volesse prestare orecchio ai discorsi di Socrate, gli par-    (1) Allusione al v. 362 delle ‘Nuvole’.   (2) Brasida, morto giovanissimo nel 422 a. C. in una famosa bat¬  taglia, nella quale inflisse uno terribile rotta affli Ateniesi presso Anflpoli,  colonia attica sullo Strimone in Tracia da lui tolta ai suoi fondatori, fu  uno dei più eroici e maffnanimi generali spartani.   (3) Antenore, eroe troiano, che ai distingueva per la sua prudenza,  come per prudenza c valore si distingueva Nestore tra’ Greci.     — 81 —    rebbero addirittura ridicoli a prima giunta; tali sono le  parole e le frasi di cui si rivestono, pelle di satiro burlone:  non discorre che d’asini da soma e di fabbri e di calzolai  e di conciapelli, e par che dica sempre le st-esse cose con  le stesse parole, sicché qualunque persona ignorante e  sciocca può ridere dei discorsi di lui. Ma chi per caso li 222  veda aperti e vi s’addentri, prima di tutto li troverà i soli  discorsi che entro di sé abbiano una mente, e poi divi¬  nissimi e pieni d’innumerevoli simulacri di virtù, ten¬  denti ad altissimi fini, o, per dir meglio, tendenti a tutto  quello a cui deve mirare chiunque voglia essere un uomo  veramente ammodo.   Questo, amici, è il mio elogio di Socrate. E d’altronde,  mescolandovi anche le accuse, v’ho detto in che egli mi  offese. Del resto egli non s’è condotto a questo modo  soltanto con me, ma e con Càrmide di Glaucone (1) e  con Eutidemo di Diocle (2) e con moltissimi altri, dei  quali si fingeva l’amante, e ne divenne piuttosto 1 amato.   E perciò appunto avverto anche te, Agatone, di noli  lasciarti abbindolare da. costui, ma, ammaestrato dai  nostri casi, sta’ in guardia e non imparare, secondo il  proverbio, come uno sciocco, a proprie spese (3).   XXXVIII. — Quando Alcibiade finì di discorrere  tutti, al dire d’Aristodemo, scoppiarono in una grande  risata per la franchezza di lui, chè si mostrava tuttora  innamorato di Socrate. E Socrate osservò: Alcibiade, tu  non sei, mi pare, niente affatto ubriaco, altrimenti non  avresti potuto, rigirando con tanta abilità il tuo discorso,  nasconder lo scopo di tutto quello che hai detto, e che  hai poi accennato di straforo -in fine di esso, quasi che  non avessi parlato unicamente per questo: pei metter    (1) Càrmide ora zio di Platone dal lato materno. Nel dialogo intito¬  lato da lui cl 6 dipinto corno bello dolio persona e d’animo aperto agli studi  filosofici. Aristocratico o partigiano doll’orìstocrazia, cadde nel. combat-  tlmonto ia seguito al quale fu rovesciato il governo del Trenta tiranni.   (2) Eutidemo di Diodo ora un giovano ammiratore di Socrato da non  confonderò col solista omonimo da cui s’intitola un dialogo platonico.   (3) Aeoonno ad un proverbio olio troviamo gu\ sotto varie forme in  Omero e in Esiodo.       — S2 —    male tra ine e Agatone, perchè ti sei fitto in mente che  io devo amare te e nessun altro, e Agatone dev essere  amato da te e da nessun altro. Ma ti sei tradito, e tutti  hanno visto a che mira codesto tuo (trama satiresco e  silenico. Senonchè, caro Agatone, procuriamo che egli  non se ue giovi punto, ma fa’ in modo che nessuno metta  male tra me e te.   E Agatone: Socrate, in fede mia, hai ben ragione, mi  pare. E lo argomento dal fatto ch’egli s’è venuto a sdraiare  in mezzo tra me e te per tenerci separati. Ma non ne  caverà nulla, anzi io verrò a sdraiarmi accanto a te.   Benissimo, rispose Socrate, vieni qui, alla mia destra.   O Zeus, disse Alcibiade, che mi tocca di soffrire da  quest’uomo! Vuol sempre e ad ogni costo sopraffarmi,  ila, se non altro, mirabile uomo, lascia che Agatone resti  almeno fra noi due.   Impossibile, riprese Socrate. Tu hai lodato me, io,  a mia volta, devo lodare chi mi sta a destra. Se Agatone  si sdraierà dopo di te, non dovrà egli lodare nuovamente  me piuttosto che esser lodato da me? Ma via, non insi-  223 stero, divino amico, e non invidiare a questo giovane  le lodi che voglio farne, perchè sono impaziente di tes¬  serne l’elogio.   Ahi! Ahi! Alcibiade, disse Agatone. Non c’è verso  che io resti qui; cambierò posto ad ogni modo per avere  le lodi di Socrate.   Ed eccoci alle solite! Dov’è Socrate, è impossibile  che un altro goda delle belle persone. Vedete ora che  pretesto opportuno e plausibile ha saputo trovare, perchè  Agatone vada a mettersi accanto a lui!   XXXIX. — A questo punto, dunque, Agatone si  levò per andare a sdraiarsi a lato a Socrate. Ma, ad un  tratto, ima numerosa brigata di nottambuli avvinazzati  giunse davanti alla porta-, e trovatala aperta, perchè  qualcuno era uscito, si cacciò nella sala e prese posto  a tavola. Allora il chiasso divenne incredibile, e tutti,  senz’alcuna regola, furon costretti a bere disperatamente.  Erissimaco, Fedro e qualche altro, diceva Aristodemo,  andarmi via; egli fu preso dal sonno, e rimase un gran     perché le notti eran lunghe, ne S1  tratto a do ’ . « oa nto dei galli. E destatosi,   *-*• " TJu .o „ se no er.no andnft  «de elio h U ‘ ^tofane e Socrate rimanevano au-  soltanto Agatone, AJq ^ ^ verg0 destra, da   coni desti , So ’ ora te discorreva con loro. Di che   una gran donassero, Aristofane non ricordava —   Costi > c qonneòchiare, e prima cadde addormen  cominciarci <■■ ,, minutar del °iorno, Agatone.   iiiiSBESii   naia e «Topo, siiinmbrunire, tornò a casa a riposare.   uno dei   " aeiia oitu ° 8oelto   più tardi da Aristotele a sede della sua scuola.          rz„thvohro. Apologià, Crito, Phneilo (K. Bonghi) . . .1,. 2 50  l Mn t O i »e- 0 ; 0 I ? n ^ P 0 hnni sulla vita d, Platone . . . . . . . > 0 I»   '£..fed5sicr-.tè » n   " il Fellone • • • ent ,; r ii, curante H. Ottino ......... 1 20   ® e “*^®ffTni CÌr ° ‘ An “ b “ i ‘ “ •" K,l ”. SI; . . > 2 40   Libri IV, V, ' 1 .> 0 75   Li ber > Al Jri rimedia), curante H. Ottino.> H —   _ Institut.o Cyrt^C P c 1 q uìi i h (prossima pubblio a zwnt).   - 11 Gerone, e cor» Colon0i ourlHÌt e E. De March. . ®   Sofocle* “Tt? ì>e Marchi).   1 S°Cchtnie?curante S. ..    Traduzioni di Autori Latini.   „ V Enitalamio per le nozze ili 'fetide c l'eleo. Carme 1.X1V.   Catullo 0. v Ri ‘moento e traduzione poetica di 1. Gironi ... L. 1 20   'lesto latino, c.i J _ p 008ie scc lte voltate in prosa italiana, cor-   Catullo, libali»^ Vtoerzo i Se00 „da edizione. . . .. > . o0   redato di noto da/-.. „ uorro gallica e civile volg.,nauti da   CM ‘ te c-Ugoni SS bmg;.aifchc e sferiche per cura di G. Pinzi   _ commentari sulla guerra gallica ... ■.>   _ Commentari “ u R“XTett£e piti 'comunemente studiate negli istituti __  “""“•Soi."Traduzione di VzfcUhcorredata   - '■ ^TnSi’eJ'rivcdut’a'mi cmeUita suil’ediz. Tei.tiiicriuna da T. Gironi ( _   Dei Doveri (gli Uiìzi) .*.> ‘2 —   La Vecchiezza e l’Amicizia .• • • • * * a- x g Pollini . • • > 1 “  Scinione. Testo eversione pe cu » . . . . > l 20    8 -  5 50  5 —    - Il «agito cU^o^iono T^to e g-   - L’orazione a difesa di T. A., a Capitani ; traduz. e noto di Z. Canni >   Cornelio N. - De vite degli eqooULnn C 1 t ^ ^ note storiche, lllolo-   Fedri). — Favole voltate in lingua la"™! .1 . s , edizione . . . • >   gicl.e, geografiche e mitologici e da Atm rm^ Q ^ . . . >   - Le favole nuovo recate in v( ;^ 1 (la o. L. Mabil:   Livio T. — La Storia romana, tradotta na .>   l,ibri I-H riveduti da T. Gironi. .>   Libri XXl-XXIl id. . - • ’    l 20  1 —    da !.. Andreozzi. {In ristampa)- fji r0 „i. con note. >   1 Fasti; volgarizzamento poetico d. i. . .   Libri 1. II, Ut    £ UMli; . « , . • • >   Libri iv^V 1 ^ 1 vi • • • .• • ‘ tro ; nionotu. 'lesto latino e traduzione   to^A.-Trin»mmu8V\T* , ; • ‘.V sia,«nini *. >    4 -  4 50  4 50  l 80    2 20  2 20     "«uiBnao scoile; ioni»» w   Tibullo. Catullo e Properaio. a 0 . /   Vrtw.5-C? , S? , !h SSutS"., 1 . K«1J«   * «* Le imprese di AU-h-u» 1 poetico d. f. Girci,. e >   viratila p m 1,11 Buoolieu ; '•o'K,n,fAf“"' i r s ., lix | 0 n>- * .   .1 ; fllnlnma 0 dhltterpi ih    rtó di' opere e ani   Lm-iiif. (tradotta da Caro) coti not' • n ftr bone  gariz/iuneuti di Virgilio, u cura «li * .    voi-    l 20  6                       G. B PARAVIA & C.     Traduzioni di Autori Greci    Aaaertonle ed Anacreontiche. — Traduzione letterale con riguardo alla co-*   struzione-o brevi note per 01. Aurenghi: Edizióne espurgata . . L. 0.80  Demostene — Le tro Orazioni contro Filippo; traduzione letterale con ri- J._  guardo alla costruzione o note per Ol. Aurenghi . . . . . . > l 50   — Lo Olinticho; traduzione letterale italiana con riguardo alla costruzione   o note per 01. Auronghi.. . > 1 50   Kschllo. — Le Eumenidi, dramma. Traduzione letterale con riguardo   alla costruzione 0 uote di 01. Aurenghi.> 1 60   Esiodo. — Le opere e i giorni. Traduzione di C. Mazzoni ( jìroasima pub¬  blicazione).   filala. — Eo Orazioni contro Eratostene c contro Agorato; traduzione lct-   teralo con riguardo alla costruzione e note poi 01. Aurenghi . . > 1 50   _ j j0 Orazioni (XXIV e XXV): per un cittadino uccusuto di moueoligar-   chiche — Fer un invalido; traduzione letterale, coti riguardo alla co¬  struzione, e note di Ul. Aurenghi.0 90   Omero. — Canto VI dellTliado; colloquio di Ettore e di Andromaca. Tradu¬  zione letterale e noto per 01. Aurenghi.> 0 60   Iliade; canto I, La peste - L’ira. Trad. letterale e noto per 01. Auronghi > 0 60   — Odissea ; canto I, Concilio degli Dei - Esortazione di Atena a Telemaco.   Traduzione letterale e note per Ol. Auronghi . . 0 60   — L’Odissea tradotta da Pimientonte, con note di X. Festa.> 8 —   Platone». — I dialoghi. Nuovo volgarizz. di GL Me ini, con argoiuonti e note:    Il Olitone, ossia dello azioni l in ristampo,).   L’Eutitxom*, ossia del Santo.> 0 75   Apologia di Socrate.> 1 50   Il Fedone, OEsìa della immortalità dell’amiPft.> 3 50    Il r elione. Ubala uuiiu mimui imiia ucii ... . «   — Il Critone; traduzione letterale italiana con riguurdo alla costruzione    o noto per DI. Auronghi.> 0 75   — Apologia di Socrate; traduzione letterale, italiana con riguardo alla co¬   struzione e noto per 01. Aurenghi.v ...... » S —   r~ Il Fedro, Traduzione di E. Martini..> 5 50   — Il Convito. Traduzione di B. Martini .> b 50   Senofonte. — Anabasi 0 spedizione di Ciro, traduzione di F. Aaibrosoli > 3 —   ^ a    > 3 25   > 1 —  > l 60     Mollnori Mi —; Brani scelti di poemi omerici è dólPErieide nelle migliori   iitO/lllTt/ln! I Kt I ■ r. i\ 1-1 »    biuuufiiuin immilli! .. 1 Oi*j   “* Crestomazia degli autori grooi e latini nelle migliori traduz. italiane . > lo —;   Botiertl'G, —■ La eloquenza greca. Voi. I.>4 60   Vita ili Pericle — Epitomo, nigonmuto © noto Vita di Usila — Apologia  prr l uccisione di Eratostonn, argomento e noto — Orazione contro Erntostono,  argomento © noto *— Orazioni» contro AvÀrnth nmninanfi. 1» nnit> — vii» ft’Tsn,     ■AUMENTO    Prezzo L. 5,50 

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