DELL'ARTE DEL DIALOGO 2B2S<£©a&S(5> Voi mi pregate, pad* molto reverendo, nelle vostre lettere, eh' io vo- glia darvi alcuno ammaestramento: e i chiedete, se non m'inganno, dello scrivere i dialoghi, perchè son quelle medesime nelle quali m'av- visate d' aver ricevuti quelli della poesia toscana e della pace. E se propriamente ragionale, io non posso compiacervi, perchè tanto a me disdioevol sarebbe la persona di maestro, quanto a voi quella di sco- lare: né rifiutandola io temo di poterne esser biasimato, come Giotto, perch'agli ricusò convenevole onore: io non accetto ufficio non conve- niente. Bla se volete onorarmi con questo nome, e ammaestramento chiamate l' opinione» io la scriverò; perchè niuna cosa debbo tenervi ce- lata, la qual possa giovar agli altri, oppure a me stesso'; ed allora sti- merò buone le mie ragioni» che dal vostro giudicjo saran confermate. E se -delle regola avviene quel che delie leggi : siccome altre leggi hanno i Genovesi diverse da quelle oV Veneziani o de/ Ragusei, oasi potreb- bero avere altri precetti nell'artificio del bene scrivere» Ma io non gli voglio dar questo nome, nò voi gliele scrivete in fronte ; perciocché io l'ho raccolte in un'operetta assai breve per assomigliar alcuni dottori cortigiani, i quali' non potendo sostener persona così grave, vestono di corto. E a' in questo abito potranno sensa fastidio esser lette dagli amid ' e da parenti, non v' incresca di leggere. 392 dall'arte del dialogo Nell'imitazione o s'imitano l' azioni degli uomini o i ragionamenti: e quantunque poche operazioni si facciano alla mutola, e pochi discorsi senza operazione, almeno dell' intelletto, nondimeno assai diverse giu- dico quelle da questi : e degli speculativi è proprio il discorrere, sicco- me degli attivi l'operare. Due sàran dunque i primi generi dell'imi- tazione: l'un dell'azione, nel quale son rassomigliati gli operanti: l' altro delle parole, nel quale sono introdotti i ragionanti. E. 1 primo genere si divide in altri, che sono la tragedia e la commedia, ciascuna delle quali patisce alcune divisioni: e '1 secondo si può divider pari- mente. Ed Aristide un de' più famosi Greci, i quali scrissero e non parlarono, così parve che gli dividesse, dicendo che Platone avea comi- camente rappresentato Ippia, Prodico, Protagora, Gorgia, Eutedemo, Bonisidoro, Agatone, Cinesia e gli altri: e ch'egli medesimo chiama le sue leggi tragedia, e si confessa ottimo tragico. Ma tra' moderni v*è chi gli divide altramente, facendone tre specie: l'una delle quali può montare in palco, e si può nominare rappresentativa, perciocché in essa vi siano persone introdotte a ragionare cioè in alto, com' è usanza di farsi nelle commedie e nelle tragedie: e simil maniera è tenuta da Platone nei suoi Ragionamenti, e da Luciano ne' suoi; ma un'altra ce n' è, che non può montare in palco, perciocché conservando- 1' autore la" sua persona, come isterico narra quel che disse il tale e '1 cotale: e questi due ragionamenti si possono domandare istorici o narrativi, e tali sono per- lo più quelli di Cicerone. E c'è ancora la terza maniera ed è di quelli, che son mescolati della prima e della seconda maniera, conservando l'autore la sua prima persona, e narrando come istorio): e poi introducendo a favellar tyafiarix&s come s'usa <fi far nelle tra- gedie e nelle commedie: e può e non montare in palco, cioè non può montarvi, in quanto l' autore conserva la sua persona ed è come 1* isto- rico: e può montarvi in quanto s'introducono le persone rappresenta- tivamente a favellare: e Cicerone fece alcuni ragionamenti sì fatti. E quantunque questa- divisione sia tolta dagli antichi e paia diversa dal- l' altra, nondimeno l'intenzione forse è l'istessa; perchè la tragedia si divide in quella che si dice tragedia propriamente, e nell'altra nella qual parla il poeta: e tragedia sì fatta compose Omero. E questa divi- stone perchè è fatta in due membri, è più perfetta; nondimeno i àia- Ioghi sono stati detti tragici e comici per similitudine, perchè le trage- die e le commedie propriamente sono l'imitazione dell'azione; però tragici si posson chiamar sopra tutti gli altri il Critone e 1 Fedone: dell'arte del dialogo 303 Dell' un de' quali Socrate condannato alla morte, ricusa di f uggirsene con gli amici: nell'altro dopo lunga deputazione dell' immortalità del- l'anima bee il veleno. E comico è il convito nel quale Aristofane è impedito dal rutto nel favellare; ed Alcibiade ubriaco si mescola fra i convitati. Ma il Menesseno par misto di queste due specie: perciocché Socrate battuto dalla maestra Aspasia è persona comica; ma lodando i morti ateniesi innalza il dialogo all' altezza della tragedia. Pur questi medesimi dialoghi non son vere tragedie, ovvero commedie; perchè nell' une e nelT altre le quistioai e i ragionamenti son descritti per l'azione; ma ne' dialoghi l'azione è quasi giunta de' ragionamenti : e 8' altri la rimovesse, il dialogo non perderebbe la sua l'orma. Dunque in lui queste differenze sono accidentali piuttosto che • altramente ; ma le proprie si terranno dal ragionamento jslesso e da' problemi in lui contenuti, cioè dalle cose ragionate, non sol dal modo di ragionare. Per eh' i ragionamenti sono o di cose che appartengono alla contempla- zione, oppur di quelle che son convenevoli all' azione * e negli uni sono i problemi intenti all' elezione e alla fuga, negli altri quelli che riguar- dano la scienza, e là verità; laonde alcuni dialoghi debbono esser detti civili e costumati,, altri speculativi. E '1 soggetto degli uni e degli altri; o sarà la quistione infinita, come se la virtù si possa insegnare; o la finita che debba far Socrate condannato alla morte. E perciocché gran parte de' platonici dialoghi sono speculativi e quasi in tutti la quistione è infinita, non pare che lor si convenga la scena in modo alcuno, né meno agli altri che son de' costumi, perchè son pieni d' altissime spe- culazioni. Anzi piuttosto non si conviene ad alcun dialogo, se non forse per rispetto dell'elocuzione, la quale alcuna volta pare istrionica, sic- come disse il Falereo, awengachè nella scena si rappresenti l'azione o atto dal quale son denominate le favole e le rappresentazioni dramma-* tiche. Ma nel dialogo principalmente s' imita il ^ragionamento il qual non ha bisogno di palco: e quantunque vi fosse recitato qualche dia- logo di Platone, l'usanza fu ritrovata dopo lui senza necessità. Perchè se in alcuni luoghi l'elocuzione pare accomodata all'istrione, come nell'Eri- demo, può leggersi dallo scrittore medesimo, ed aiutarsi colla pronuncia. Né egli conviene ancora il verso, come hanno detto, mala prosa ; perciocché la prosa è parlar conveniente allo speculativo e all' uomo civile, il qual ra- gioni degli uffici e delle virtù. E i sillogismi, e l'induzioni, e gli entimemi e gli esempi non potrebbono esser convenevolmente fatti in versi. E se leggiamo alcun dialogo in versi, come è l'amicizia bandita di Ciro 30* dell'aste del dialogo predentissimo, non stimeremo lodevole per questa cagione, ma per al* tra: e diremo, che il dialogo- sia imitazione di ragionamento scritto in prosa senza rappresentazione per giovamento degli uomini civili e spe- culativi : e ne porremo due specie, 1' una contemplativa, e Y altra co- stumata : e 1 soggetto nella prima specie sarà la quistione infinita o la finita : e quale è la invola nel poema, tale è nel dialogo la qui- stione : e dico la sua forma, e quasi Y anima. Però se una è la favola, uno dovrebbe essere il soggetto, del quale si propongono i problemi. E nel dialogo sono oltre di ciò T altre parti, cioè la sentenza^ e '1 costume ,* e Y elocuzione ; ma trattiamo prima della prima. Dico adunque, che la quistione si forma della dimanda e della risposta; e perchè 1 dimandare s'appartiene particolarmente al dialettico, par, che lo scrivere il dialogo sia impresa di lui : ma '1 dia- lettico non dee richieder più cose d' uno, oppur una cosa di molti ; perchè se altri rispondesse non sarebbe una V affermitene o la ne- gazione: e non chiamo una cosa quella, ch'ha un nome solo se non si fa una cosa di quelle: come l'uomo è animai con dne piedi e mansueto : ma di tutte questo si fa una sola cosa ; ma del- l' esser bianco e dell'essere uomo e del camminare, come dice Ari- stotile, non se ne fa uno; però s' alcuno affermasse qualche cosa, non sarebbe, una affermazione ; ma una voce, e molte l' affermazio- ni. Se dunque l'interrogazione dialettica ò una dimanda della ri- sposta, ovvero della proposizione, ovvero dell'altra parto della con- tradizione: e la proposizione è una parte della contradizione , a que- ste cose non sarà una risposta, né una dimanda. Ma se al dimostrativo non s' appartiene il dimandare, a lui non converrà di scriver dialo- go. E par, che Aristotile assai chiaramente faccia questa differenza nel primo delle prime risoluzioni fra la proposizkm dimostrativa e la dialettica, dicendo, che la dimostrativa prende l'altra parte della contradizione; perciocché 'colui, il qual dimostra, non dimanda, ma piglia ; ma la dialettica è dimanda della contradlzione. Nondimeno nel primo delle posteriori egli dice, che s' è il medesimo l' interro- gazione sillogistica e la proposizione : e le proposizioni si fanno in cia- scuna scienza, ancora si posson fare le dimando. Laonde io raccolgo, che si posson fare i dialoghi nell'aritmetica, nella geometria, nella musica e nell' astronomia e nella morale e nella naturale e netta divina filosofia, e in tutte F arti e in tutte le scienze si posson fu le richieste e conseguentemente i dialoghi. E se oggi fossero in looe dell'arte del dialogo 395 i dialoghi scritti da Aristotile, non ce ne sarebbe perawentura dubbio alcuno. Ma leggendo quei di Platone, i quali son pieni di proposi- zioni appartenenti a tutte le scienze, potremo chiaramente conoscere lMstcsso; nondimeno siccome il dimandare è 'proprio al dialettico, così a lui si conviene il dialogo più; che a tutti gli altri. Laonde Aristotele nel- capitolo seguente . pare, che faccia differenza fra le ma- tematiche e ì dialoghi, dicendo, che se fosse impossibile mostrar dal falso il vero, 'sarebbe facile il risolvere, perchè, si convertirebbono di necessità ; ma si convertono più quelle, che son nelle matemati- che, perchè non ricevono alcuno accidente, e in ciò son differenti da quelle, che son ne' dialoghi : e dialoghi chiama i parlari dialetti- ci, i quali son composti della dimanda e della risposta. Al dialet- tico dunque converrà principalmente di scrivere il dialogo, o a co- lui, che vuol rassomigliarsi. E '1 dialogo sarà imitazione d' una di- sputa dialettica. Va perchè quattro sono i generi delle dispute, il dottrinale, il dialettico, il tentativo e il contenzioso, l'altre dispute ancora si possono imitare ne' dialoghi : e forse in quelli d' Aristotele erano tutte quattro; ma in quelli di Platone si troverebbono simil- mente, perchè Socrate per via d' ammaestramento e d' esortazione parla con Alcibiade, con Fedro e con Fedone : e come dialettico disputa con Zenone, e con Parmenide;. e come tale riprova Ippia, Gorgia, Trasimaco e gli altri sofisti e talora gli tenta ; mq i sofisti son contenutosi, e vaghi di gloria, come appare nell' Eutiemo, detto altramente il Litigioso. Nondimeno questi quattro generi non sono così partitamente distinti dagli interpreti di Platone i quali pongono tre mdftUre di dialoghi ; l' una, nella quale Socrate esorta i giova- netti * nelP altra riprova i sofisti ; la terza è mescolata dell' una e dell' altra, la qua! senza dubbio è più soave per la mescolanza. Ma chi volesse scriver dialoghi secondo la dottrina ó? Aristotele e arric- chir di questo ornamento le scuole peripatetiche, potrebbe scriverli in tutte quattro le maniere. Ma principalmente son lodevoli le due prime, la dottrinale e la dialettica, l'artificio della quale consiste principalmente nella dimanda usata con mollo artificio di Socrate ne* libri di Platone, come appare nel primo dialogo nel quale Socrate richiede ad Ipparco quel, che sia la cupidigia del guadagno ; e in tutti gli altri simiglianlt, non eccettuando quelli, ne' quali sotto la per- sona di forestiero ateniese dà le nuove leggi d' una città : e 'n quelli di Senofonte ancora con arte molto simile Socrate chiede a Critobulo 396 dell'arte del dialogo se l'economia è nome di scienza, come la medicina e l'architettura. E nel Tirreno Simonide a Jerone, che differenza aia fra la vita reale e la privata: e dalla risposta, eh' è fatta, prendono occasione d'in- segnare. Ma da questo artificio si dipartì M. Tullio, Il quale nelle partizioni oratorie pone la dimanda in bocca, non di quel, eh' insegna, ma di colui, ch'impara: ed egli medesimo ci dimostra la diversità fra i Greci, e i Latini in quelle parole di Cicerone: figlinolo, tuo) dunque eh' io ti dimandi scambievolmente in lingua Latina di quelle cose medesime, delle quali tu mi suoli addomandare nella Greca or- dinatamente ? Laonde pare, che la dimanda, fatta dal discepolo, 6ia derivata da Cicerone, e l' artificio sia proprio de' Romani, il quale s' usò dal Possevino e da altri nella dottrina peripatetica, perchè forse è più facile ; ma è non così lodevole, né fu, eh' io mi ricordi, usata dagli antichi. E per questa ragione M . Tullio nelle Quistioni Tusca- lane più s' avvicina all' arte de' Greci ; perciocch' egli comandava, che alcun de' suoi famigliari ponesse quello, che gli pareva, ed egli contraddiceva alla conclusione in questo modo. Auditore. La morte mi pare esser male. M. A quelli che son morti o a quelli eh' han da morire P La quale è vecchia e Socratica ragione di disputar cantra l' altrui opinione. Tuttavolta il por la conclusione ha dello scolasti- co: e però dice d'aver poste ne' cinque libri le scuole de' cinque gior- ni. Tanto potè l' amor della filosofia in un vecchio Senator Romano, Padre della patria, il qual quistionava secondo il costume de' Greci forse per ingannar se stesso in questo modo e consolarsi nella servi- tù. Ma non si dimenticò ne' libri dell' oratore di quel, eh' era con- venevole a' Romani Senatori ; laonde Crasso e Antonio in altra maniera introduce a favellare. Ma fra tutti i dialoghi Greci, lodevorrssimi sono que' di Platone ; perciocché superano gli altri d'arte, di sottilità, d'acume, e d'eleganza e di varietà di concetti e d'ornamento di parole. E pel secando- luogo son quei di Senofonte; e quei di Luciano nel terso. Ma Cicerone è primo fra' Latini, il quale volle forse assomigliarsi a Platone: nondi- meno nelle quistioni, e nelle dispute alcuna volta è più simile agli ora- tori, che a' dialettici; ma nel secondo luogo non so, che se gli avvi- cini, o chi possa paragonare a' Greci. E nella nostra lingua coloro, che hanno scritto dialoghi, per la maggior parte hanno seguita la ma- niera meno artificiosa : nella quale dimanda quegli, che vuole Impa- rare, non quel, che riprova. E se alcuno s'è dipartito da questo modo di scrivere, merita lode maggiore: e tanto basti della prima parie, dell'arte del dialogo 397 che è la quistione. Ma perchè, come abbianv detto, il dialogo è imi- tazione del ragionamento, e il dialogo dialettico imitazione della di- sputa , è necessario, che i ragionanti e i disputanti abbiano qualche opinione delle cose disputate, e qualche costume, il qual si manifesta alcuna volta nel disputare. Da quelli derivano l'altre due parti nel dialogo, io dico la sentenza, e il costume: e lo scrittore del dialogo deve imitarlo non altramente, che faccia il poeta ; perchè egli è quasi mezzo fra il poeta e ri dialettico. E niun meglio l'imitò, e meglio l'espresse di Platone, che, descrisse nella persona di Socrate il costu- me d'un uomo dabbene, che ammaestra la gioventù, e risveglia gli ingegni taidl e raffrena i precipitosi, e richiama gli erranti, e riprova la falsità de' sofisti, e confonde l'insolenza e la vanità, amator del giusto e del vero, magnanimo, non che. mansueto nel tollerar l'in- giurie, intrepido nella guerra, costante nella morte. Ma in quella d'Ip- pia, e di Gorgia, e d'Eutidemo, e degli altri sì fatti si descrivono gli avari, e ambiziosi, e amatori di gloria, i quali non hanno vera scienza d'alcuna cosa, ma parlano per opinione. In quella di Menoue e di Grifone descrive il buon padre e il buon amico: e in quella d'Al- cibiade, di Fedro, e di Carmide i costumi de' nobili giovani son de- scritti maravigliosamente. Oltra queste parti del dialogo ci sono le di- gressioni, come nel poema gli episodj : e tale è quella d' Eaco, e di Minos, e di Radamanto nel Gorgia , e quella di Teut demone degli Egizi nel Fedro, d'Ero Panfilio ne' dialoghi della Repubblica. Ma per- chè abbastanza s'è ragionato del soggetto del dialogo, e della sentenza, e de' costumi di coloro, che sono introdotti a favellare; resta, che parliamo dell'ultima parte, la quale è l'elocuzione: e se crediamo ad Artemone, che ricopiò l'epistole d'Aristotele, bisogna scriver col medesimo stilo il dialogo e l'epìstola, perchè il dialogo è quasi una sua parte. Ma Demetrio Falereo dice, che il dialogo è imitazione "del ragionare all'improvviso; ma l'epistola si scrive, e si manda in dono in qualche modo ; però dee esser fatta e polita con maggiore studio. Tultavolta nò Platone, ne M. Tullio pare, che sempre avessero que- sta considerazione; perchè ne' dialoghi l'elocuzione dell'uno e del- l'altro non è meno ornata, che quella dell'epistole: e in tutti gli altri ornamenti i dialoghi paiono superiori. E ciò non par fatto senza molta ragione ; conciossiacosaché i dialoghi di Platone e di M. Tullio sono imi- tazione de' migliori: e nell'imitazioni sì fatte, le persone e le cose imi- tate debbono piuttosto accrescere che diminuire, come ci insegna De- Vol. II. 34 398 dell'arte del dialogo metrio medesimo, il qual vuole, che la magnificenza sia nelle cose, se il parlare è del cielo o della terra. Oltre di ciò laddov/egli parla od periodo ne fa tre generi : il primo isterico, il secondo dialogico» il teno oratorio: e vuole, che ristorico sia nel meno dell'uno e dell'altro, non molto ritondo, né molto rimesso: ma la forma dell'oratorio sia contorta e circolare: e quella del dialogico più semplice dell'istoria) in guisa che appena dimostri d' esser periodo. I quali ammaestramenti sono stati meglio osservati da' Greci, che, da M. Tullio, che imitò Pla- tone solamente; perchè egli così nel periodo, come in tiascun'-altra parte, ricercò la grandezza più dr Senofonte e degli altri. Laonde usa le metafore pericolosamente in luogo delle Immagini, che sono osate da Senofonte: e somiglia colui, 11 quale cammina in luogo, dove è peri- colo di Bdrucciolare, compiacendo a se medesimo, e avendo molto ar- dire, siccome è proprio delle nature sublimi ; talché fu detto di lai, ch'egli molto s'innalzava sovra il parlar pedestre: e che il suo par- lare non era in tutto, simile al verso, né in tutto simile alla prosa : e ch'egli usava l'ingegno non altramente, che i re facciano la podestà: e insomma niun ornamento di parole, niun color rettorico, ninn lume d'orazione par, che sia rifiutato da Platone. Ma s'in alcuna parte del dialogo dobbiamo aver risguardo agli avvertimenti di Demetrio, è in quella, nella qual si disputa , perchè in lei si conviene la purità, e la simplicità dell'elocuzione, e '1 soverchio ornamento par che impedisca gli argomenti, e che rintuzzi, per così dire, l'acume, e la sottilità. Ma l' altre parti debbono essere ornate con maggior diligenza : e dovendo lo scrittore del dialogo assomigliare i poeti nell'espressione, e nel per le cose innanzi agli occhi, Platone meglio di ciascuno ce le fa quasi vedere, il qual nel Protagora parlando d' Ippocrate, che s' era arrossito, essendo ancora di notte, soggiunge: Già appariva la luce, onde il color pareva esser veduto e la chiarezza, die evidenza è chiamata dai La- tini, nasce dalla cura usata nel parlare, essersi ricordato, che Ippo- crate era da lui veduto di notte. E nel medesimo dialogo leggiamo con maraviglioso diletto, che l'eunuco portinaio, perchè i sofisti gli erano venuti a noia, serra con ambe le mani la porta a Socrate e al com- pagno : e appena l' apre, udendo, che non erano di loro. E ci piace il passeggiar di Protagora e degli altri, che passeggiando con tanto or- dine ascoltavano il ragionare : e ci par vedere lppia seder nel trono, e Prodico giacere avviluppato. E con piacer incredibile leggiamo simil- mente che due giovanetti appoggiati sovra il gomito descrivessero ccr- dell'arte del dialogo 399 3!i, e altre inclinazioni della sfera : e che Socrate pur col gomito, di- mandasse, di chi ragionavano. Né con minor espressione ci pone in- nanzi agli occhi Garmide e gli amici : e quasi veggiamo gli estremi, che sedevano da questa parte e da quella, l'uno cadere e l'altro es- ser costretto a levarsi. Ma sopra tutte le cose c'empie di compassione e di maraviglia il venir di Garmide alla prigione innanzi al giorno, e l'aspettar, che si destasse Socrate, condannato alla morte: e poi, che il medesimo raccolga la gamba, la quale era stata legata, e grattan- dosi discorra del dolore e del piacere, l'estremità de' quali son con- giunte insieme : e distendendosi, e postosi a sedere sovra la lettiera dia principio a maggiore e più alta contemplazione. E nel medesimo dialogo tempera il dolore, quando scherza colle belle chiome di Fedone, le quali dovevano il giorno tagliarsi : e nella descrizione parimente è maravi- glioso. E se leggiamo i ragionamenti di Socrate sotto il platano, e quelli del forestiero ateniese all'ombra degli alberi frondosi, mentre col La- cedemonio e col Gandiano vanno all' antro di Giove, ci par di vedere, e ascoltare quello, che leggiamo. Queste son le perfezioni di Platone, veramente maravigliose: le quali, sebben saranno considerate, non ci rimarrà dubbio alcuno, che lo scrittore del dialogo non sia imitatore, o quasi mezzo fra il poeta e il dialettico. Àbbiam dunque, che il dia- logo sia imitazione di ragionamento , fatto in prosa per giovamento de- gli uomini civili e speculativi, per la qual cagione egli non ha bisogno di scena o di palco : e che due sian le specie, l' una nel soggetto della quale sono i problemi, che risguardano l'elezione e la fuga: l'altra speculativa, la qual prende per subietto quistione, jche appartiene alla verità e alla scienza; e nell'una e nell'altra non imita splamente la disputa, ma il costume di coloro, che disputano, con elocuzioni in al- cune parti piene di ornamento, in altre di purità, come par, che si con- venga alla materia.
Sunday, April 10, 2022
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