"StgvvU nni EMILIO COSTA Qti^/^ LA FILOSOFIA GRECA NELLA GIURISPRUDENZA ROMANA PKOLUSIONE A UN CORSO LIBERO D'ISTITUZIONI DI DIRITTO ROMANO nell'università di PARMA LETTA IL XIT DICEMBRE MDCCCLXXXXI PARMA CASA EDITRICE LUIGI BATTEI V -^ .y ->v_r^'--^ -.'%/*-''■ •^'"-'"^'-■-^ /-^^ /■ r* >• ,- 1892 ì ^ BIBLIOTECA LDCÌm" 3960 ■N 1.» d- «rd. /// / -N V ^h^vcH^t^ . *^y t^^ t^ì'y^ <>r%Y^ LA FILOSOFIA GRECA NELLA GIURISPRUDENZA ROMANA Signori, La mia parola augurale al corso libero d'istituzioni di diritto romano, a cui oggi m' accingo, consentite che sia, quale il sentimento vivo e sincero dell'anima la ri- chiede. Sia d' omaggio a' miei Maestri, ai quali ritomo qui con ossequio immutato; sia di saluto fraterno agli stu- denti, a cui mi presento, e da cui mi bramo accolto, quale compagno di studi, fiducioso di trar lena, pel compimento del mio assunto, più che dall' ingegno troppo scarso ed inesperto, dal loro consentimento amichevole, dallo scambio fra noi , vivo e continuo, d' affetto fraterno. Da questo scambio io trarrò buon augurio alla carriera d'insegnante, verso la quale muovo oggi con trepidanza il primo passo, e alla quale volsi e volgo ogni mio studio, guardando alla meta con assiduità ferma di volere: del quale io non certo dovrò dolermi, se, per debole ingegno o per avversa fortuna, quella dovesse per avventura sfuggirmi. E però consentite che, muovendo il primo passo per questa via, io qui ricordi l'assidua e amorosa intelligenza di cure del Maestro illu- stre che ad essa mi guidava, e di cui ognuno ricorda e r alta vigoria del pensiero, nutrito da corredo mirabile di 8 LA FILOSOFIA GRECA studi vari e profondi, e la bontà pura, ideale dell' anima, onde qui, come ovunque, conquise d'affetto reverente maestri e discepoli. Consentite che a Giuseppe Brini io mandi un saluto, coU'affetto il più riconoscente e devoto di discepolo e di fratello. . Invoco ora, o Signori, la vostra attenzione indulgente sopra un tema, che, per sé, non parmi inopportuno a trat- tarsi al principio d'un corso d'istituzioni di diritto romano: se e quanto abbiano avuto d'influenza sulla giurisprudenza in Roma le scuole filosofiche greche. Perchè, come in tal corso deve studiarsi per rapidi tratti tutto 1' organamento del diritto privato e i singoli istituti di esso, così è con- veniente ed opportuno esaminare e valutare quali elementi sul delinearsi e conformarsi di quelli ebbero efficacia, e quanto debba attribuirsene a ciascuno. La ricerca può tal- volta, è vero, rasentare e quasi toccare il campo della storia del diritto romano, che si volle dalle istituzioni dis- giunta; ma tali contatti non fa duopo osservare come in punti non pochi e non lievi siano inevitabili, per quanto si voglia lasciare al corso d' istituzioni il carattere più prettamente dommatico. Che invero troppo spesso non può trascurarsi, per lo studio preciso e compiuto degli istituti all'ultimo momento giustinianeo, uno sguardo alla loro ori- gine e alla vita secolare che precede quel momento: origine € vita di cui alla cattedra di storia vuoisi riserbata la ri- cerca più diretta e diffusa. n tema eh' io prescelgo è arduo ; di più esso entra buon tratto in un campo che non è il mio , nel quale io m' avanzo peritoso, con un corredo scarso di studi e invocando l'indulgenza di chi coltivi di proposito la storia della filo- sofia, e qui segnatamente del pensatore illustre, che è onore di questa nostra Facoltà giuridica alla quale presiede (*). AU'arduezza del tema se ne aggiunge la vastità: talché il (*) Il Prof, Icilio Vanni. ^"^V NELLA giurisprudenza: ROMANA . 9 tempo riserbato a discorrerne congiurerà colle deboli forze del disserente a renderne imperfetta per più lati la tratta- zione; la quale afifaticò in lavori appositi e in trattati ge- nerali d' antichità e di diritto romano, uno stuolo nume- roso di scrittori, fra cui non pochi valenti (1), dal Cujacio in poi, e che fu pur di recente ripresa anche in Italia: fra altri, da un uomo, il cui nome segna una gloria e un lutto eterno perle scienze romanistiche: Guido Padelletti (2). . Io non certo presumo esaurirla, ma solo mi propongo riassumerla per larghi tratti, valendomi e delle altrui ri- cerche e di quelle ch'io venni compiendo direttamente sulle fonti, procedendo dunque con modestia d'intenti: d'una cosa però sopra ogni altra curandomi: di quella serena impar- zialità di giudizio, che in temi di questo genere, che toc- cano da vicino le varie credenze filosofiche individuali, è facile troppo lo smarrire. Che invero non ci mancheranno, nel procedere in questo tema, esempi di aberrazioni stra- nissime, a cui, privi di quella, uomini, pur valorosi, riu- scirono. ^ E innanzi tutto vuoisi qui delineare per cenni la storia delle varie scuole filosofiche che tennero in Roma il campo: storia per verità ben nota ad ognuno; ma pure non inutile forse a richiamarsi qui , in brevi tratti , perchè tosto se ne colgano quegli elementi, che sono essenziali nella trattazione del nostro tema (3). Solo però dall' epoca di Cicerone tali cenni debbon prender le mosse. Che, se può accogliersi che coi nomi di Socrate, e in ispecie di Platone e d'Aristotele, giungesse già prima in Roma una qualche eco delle loro dot- trine, questa dovè riuscir ben fievole e inefficace, mentre tanto saldo e fiero durava tuttavia in Roma quello spirito anti- filosofico, per cui va famoso Catone , e da cui fu destata l'implacabile ironia di Ennio. Le dottrine filosofiche di Pla- tone e d'Aristotele penetrano, benché solo frammentaria- mente e indirettamente, coli' insegnamento di Panezio ; al quale V aver abbracciato lo stoicismo non tolse di seguirle 10 LA FILOSOFIA GRECA e propugnarle in taluni punti. Ma 1' efficacia di lui è però come maestro di stoiche dottrine, nelle quali ebbe disce- poli autorevoli e numerosi, e fra essi giureconsulti di grido: corrispondendo quelle, pel largo svolgimento che davano alla morale, con pratici e austeri intenti, .alla natura del genio romano. Nel quale per contrario mal poteva svilup- parsi il germe dell' elevato idealismo dei platonici; così come non poteva averne favore la poca praticità diretta delle dottrine peripatetiche, già entrate in Soma coi libri di Aristotele arrecativi da Siila, colla diifusione curatane da Andronico da Eodi e da Tirannione ; ne molto di più potevano avervi efficacia le dottrine della nuova accademia, propugnate da Filone di Larisse e da Antioco. Cicerone, pur abbracciando sostanzialmente lo stoicismo, coglie e assimila, secondo quella che fu pure la tendenza di Panezio, e rimase tendenza della filosofia romana in generale, quasi da ogni altra scuola taluni de' principii che meglio vi corrispondessero al genio romano. Solo combatte in- vece Tepicureisrao, forte allora, e ancor più poco appresso: il quale dura buon tratto allato alla scuola stoica, fino a che nel primo secolo dell' era cristiana, perde ten-eno ri- spetto a questa, che sopra ogni altra in Roma ha vittoria pressoché incontrastata. E, come Cicerone assimila principii estranei allo stoicismo, altrettanto ne rigetta ciò eh' era in questo di troppo rigido, e però praticamente ineffica<^e. Ptr lui, ad esempio, contrariamente agli stoici, non è immeri- tevole di pregio il moderato godimento {De sen.^ 14); se il bene morale sta al disopra d'ogni altro, esso non è tuttavia il solo bene possibile e apprezzabile ; se è vero che il do- lore dev' essere dal saggio virilmente tollerato , non è per questo men vero ch'esso sia un male (Tusc, II, 18; II, 13). Per tal modo, con quest' opera e di assimilazione e insieme di selezione. Cicerone procaccia il germe delle dot- trine filosofiche elaborate più tardi. La distinzione dell' a- nima e del corpo, il concetto sereno della morte come di NELLA GIURISPRUDENZA ROMANA 11 *■ ^ — m^ — ■ ■■ ■■^■■■-■■■^■^ -—■,■■- — ■-■■,■ ■ — ■■ -_■ — — ■■ ■ M ■■ .. — --- ■■ Il - l■■^■■ — Hiiitamento e incominciamento d'una nuova vita, il legame di origine e finalità comune che unisce tutti gli uomini e che impone a tutti l'obbligo di fratellevole aiuto, che trovano trattazione più diffusa negli scritti di Seneca, e poi di Marco Aurelio, son già delineati, chiaramente in Ci- cerone (cfr. De rep., VI, 17; Ttisc, I, SI; De off., Ili, 6; De leg,, I, 23) (1). Dopo Cicerone, frammezzo alle lotte combattute dagli epicurei, fra i quali risplende il genio sovrano di Lucrezio, e mentre pure dalle file dei cinici partono le satire aspre ed argute di Varrone, Q. Sestio prosegue, benché intinto di pitagorismo, le tradizioni degli stoici: raccolte poi da Fabiano e piti tardi da Attalo, a cui die' gloria l'esser maestro di Seneca. La tendenza eclettica, che si ha ognora in tutto questo sviluppo, ci si presenta più che mai viva e spiccata in Seneca, già inclinevolo al pitagorismo, ammiratore di Platone, né sdegnoso di citare Demetrio cinico ed Epicuro. E in punti sostanziali egli dissente dagli stoici. Signi- ficantissimo é un esempio, che già da altri fu notato e il- lustrato (6). Per gli stoici non può aversi diversità di natura fra ciò che chiamasi anima e il corpo. Seneca se- para i due elementi e finisce per creare una specie di an- tagonismo, che spiega la vita. Il corpo é la prigione dell' anima, un peso che la rattiene verso la terra. Finché è unita al corpo, sta come avvinta in ceppi (Ep., 65, 22); essa, per conservare la sua forza e la sua libertà, lotta di continuo contro la carne (ibid.). Questa distinzione, così precisa, del corpo e dell' anima é estranea al vero sistema stoico e Seneca è indotto da questa a conseguenze che anche più si allontanano dalle dottrine de' suoi maestri. Secondo essi l'anima muore, dopo che il mondo sarà di- strutto per mezzo del fuoco. Seneca, esitante su questo punto, dopo aver detto a Marcia che tutto annienta e strugge la morte ( Com, ad Marc, 19, 5 ), le descrive I' anima del figlio, salente al cielo, a lato di Catone e dei Scipioni {ibid., 12 Lk FILOSOFIA GRECA 25): e scrive altrove senz'altro esser T anima eterna e im- mortale (Ep,, 57, 9). Distacco certo notevole, ma nel quale troppo volle vedersi oltre il vero, col dar vita air omai sfatata leggenda che Seneca si ascrivesse alle sette cri- stiane (6). Seneca riprende con nuova energia V indirizzo morale di cui già erano i germi in Cicerone: a questo solo rivol- gendo ogni suo sforzo. Egli non si cura delle discussioni teoriche sul massimo bene, non formula dogmi; ma segna le norme morali, fin pei rapporti più minuti della vita. Dopo Seneca il movimento filosofico prosegue. E dopo la nube che parve oscurare, sotto i regni di Vespasiano e di Domiziano, la fortuna dei filosofi, questa rifulge poco appresso più che mai splendida. Plutarco vien cogliendo nella morale, anche con più ampia libertà eclettica le regole sostanziali dello stoicismo, togliendo a questo però la rigi- dità ch'era in Seneca: e benché inclinando verso il plato- nismo, col far presiedere alla vi' a un Dio primo, sotto il quale stanno Dei di secondo grado, a cui rimangon dietro, a lor volta, i genii mediatori, giusta il concetto platonico, fra Dio e gli umani. E a quello che potè chiamarsi l'impero dei filosofi, sotto Marco Aurelio, si gittano le basi nel regno d'Adriano. È a questo tempo che la lotta secolare dell' ellenismo con- tro il romanesimo finisce colla vittoria completa di quello. Sì che a Eoma accorrono da ogni parte del mondo greco filosofi e retori, desiderati ed onorati: e l'ateniese Demo- nace può paragonare Apollonio, che muove co' suoi disce- poli da Atene alla città eterna, ad un argonauta, che vola al rapimento del vello d'oro (Luciano, Bem.y 31) (7). È à quel tempo che la filosofia compie in Koma un passo gigantesco con Epitteto. Questi prosegue la dottrina stoica, benché con certa tendenza verso il cinismo: fissandovi es- senzialmente il pensiero subbiettivo come principio e cri- terio della verità, e però riducendo a formale il mondo e- Vt NELLA GIURISPRUDENZA ROMANA 13 steriore. Non dunque dolori, ma fantasie di dolori; onde la inalterabile fortezza e il disprezzo severo d' ogni bene u- mano. E il pensiero d' Epitteto, continuato e propugnato stre- nuamente da Flavio Arriano, germoglia più tardi nel sereno ingegno di Marco Aurelio, che, elevando come ad eccelso ideale, il concetto della vita secondo natura, deducendone, come conseguenze necessarie, le leggi più pure della carità umana, chiude gloriosamente il ciclo degli stoici in Bonla. Appressa solo qualche bagliore raro e scarso traluce fra le tenebre che si vengono da ogni lato addensando. Lo stoi- cismo non fa più un passo. Non vale la filosofia dei così detti platonici eruditi, già prima coltivata, allato allo stoi- cismo, da Favorino, da Massimo di Tiro e da Alcinoo, a git- tare alcun germe fruttifero. E le dottrine troppo idealistiche dei neoplatonici, formulate con nuovo vigore da Plotino, in sul principio del terzo secolo, rimangono il culto inefficace di qualche anima solitaria. Già da questi cenni, benché così rapidi e incompleti, traluce, o Signori, una singolare coincidenza. I momenti essenziali per la storia della filosofia in Roma coincidono coi momenti essenziali per la storia della giurisprudenza. Il genio eclettico di Cicerone dà in Eoma inizio efficace agli studi della filosofia, air incirca nel tempo, in cui ( scorse tre generazioni da quando lo specchio di Gneo Flavio sottraeva l'arte del diritto all'arcano monopolio pontificale e l'insegnamento tentato dal pontefice plebeo Coruncanio of- friva i germi, raccolti e rudemente elaborati da Sesto Elio) Q. Mucio Scevola gitta pure co' suoi 18 libri iuris civilis i fondamenti sistematici del diritto. E, al principio dell' e- poca augustea, la filosofia, segnatamente stoica, fiorisce per r insegnamento di Sestio , al tempo stesso in cui 1' ere- dità gimidica, tramandata dall' era repubblicana è rac- colta dall' intelletto sovrano di Labeone , che inizia per la giurisprudenza 1' età delle sue glorie più fulgide e insupe- 14 LA FILOSOFIA GRECA rate. Età che si continua, con isplendore ognor più vivo, fino a Salvie Giuliano, che colla fissazione deir editto per- petuo, compendia il tesoro elaborato con continuità mera- vigliosa dal secolo d'Augusto al secolo d'Adriano; nel quale appunto si vien preparando quello che si disse a buon dritto rimpero dei filosofi. Questa coincidenza di tempo non deve indurre in noi nessun preconcetto che valga a sviarci dal sereno esame del nostro tema. Ma noi dobbiamo tuttavia notarla, perchè molto soccorso potrà veoin^ene per spiegazioni .e raffronti nel seguito delle nostre ricerche. Ed entrando omai neir esame del tema, ricerchiamo se nei principii che regolano i vari istituti e rapporti v'abbia alcuno degli elementi filosofici , che sommariamente siamo venuti seguendo. Ne vi spiaccia clie sopra tutto e' intrat- teniamo in quest' ufficio modesto e paziente di semplice constatazione e che riserbiamo a più tardi alcune conside- razioni d' ordine generale, che da questa potranno emer- gere (8). Consideriamo tosto i requisiti essenziali al soggetto del diritto: V esistenza fisica e i tre status : essenzialmente lo status di libertà. Fra le regole spettanti all' esistenza fìsica V influenza degli stoici ci si presenta spiccata nel concetto teorico di cui è cenno specialmente in un testo d'Ulpiano, per cui si considera il feto tuttora entro le viscere materne come parte di queste ( mulieris portio vel viscerum: Ulp., fr. 1 § 1 D. 25, 4 e prima Papiniano, fr. 9 §. 1 D. 35, 2 — homo non recte faisse dicitur). E però tosto da osser- varsi come questa considerazione astratta, tolta manife- stamente dagli stoici (Plut., Plac. pML, V, 14, 2: \iripoq eivai Ttig x(X7Tpòq) rimanga in pratica lettera morta. Perchè, logicamente, dal considerarsi il feto parte delle viscere materne, verrebbe che, fino al momento del suo stac- carsene e del suo passaggio ad esistenza di per sé stante, v\ \ NELLA GIURISPRUDENZA ROMANA 15 esso non dovesse dar luogo ad alcun apposito rapporto giu- ridico; mentre, contrariamente, stan di fronte a tal concetto la legge di Numa che proibisce di seppellire la donna morta incinta, prima di averne estratto il feto (fr. 2 D. 12, 8), le pene contro il procurato aborto, il divieto di Adriano di eseguire la sentenza di morte contro la con- dannata incinta ( fr. 18 D. 1, 5), la tutela al ventre pregnante, risalente fino a prima delle XII tavole , e la honorum possessio , che a nome di quello potè chie- dersi; istituti e rapporti intesi tutti alla protezione di un soggetto di diritti sperato , e dentro altro soggetto. Onde pure la risposta affermativa alla questione , che tut- tavia parve necessario propoiTe : se il figlio, nato- dalla madre exsecto venire , abbia diritto di succedere ad essa (Ulp., fr. 1 §. 5 D. 38, 17 ) e il considerarsi come un essere già esistente il feto entro lo viscere materne, benché non ancora a sé stante: ciò secondo la verità eterna e pre- cisa delle cose. ( Cfr. Giul., 37 dig,^ fr. 18 D. 36, 2: Is cui ita legafum est, qìmndoque liberos habuerit, si prae- gnatc uxore relieta decesserit, intelligitur expleta conditione dccessisse et legatum valere, si tamcn posthuììius natus fuerit; Ter. Clem., lib, 11 ad leg. lui. et Pap., fr. 153 D. 50, 16: IntellegendiiS est mortis tempore fuisse qui in utero relictus est\ Celso, 16 dig.y fr. 187 D. 50, 17; Ulp. 19 ad Sab., fr. 20 D. 36,1). Espressamente si fa risalire ad Ippocrate la regola che assegna il tempo di 7 mesi, come termine minimo della gestazione (Ulp., fr. 3 §. 12 D. 38,16; Paolo, fr. 1*2 D. 1, 5): Ma, per sé, la necessità di segnare un termine mi- nimo, sufficiente di regola alla gestazione, si affermò per motivi esclusivamente sociali e giuridici, e ne porse occasione la legge Giulia : e la fissazione di quello ai 7 mesi, giusta la teoria d' Ippocrate, ha un'importanza del tutto formale. Più importante è per noi l'accoglimento della teoria di Eraclito e degli stoici, che fissa a 14 anni la pubertà ; 16 LA FILOSOFIA GRECA (Plut., Flac, pML, V, 24,1; Macrobio, Somn. Scijp., G; Saturn., VII, 7): accoglimento che ha una grande impor- tanza pel suo significato giuridico. Esso invero segna un passo verso quella precisione sicura di linee, onde il diritto, progredendo, abbisogna, e, anche più, include un ricono- scimento fine e delicato del diritto al pudore. Che ciò io avverta qui, anziché più tardi, non maravigli; giacche non posso veramente propormi un ordine rigoroso, e mi è forza lasciare che il discorso trascorra a' vari punti, a cui le fonti che man mano si offrono, gli porgono il destro. Ne che tale felicissima alata della scuola dei Procu- leiani, nella quale si volle ravvisare più precisa e più pro- fonda rinfluenza dello stoicismo (9), sia dovuta veramente a tale influenza, anziché alla considerazione obiettiva, spre- giudicata delle necessità avanzantesi del diiitto (10), parmi possa sostenersi con alcun serio argomento. Se influenza vi si ebbe, essa fu tutta nella fissazione formale del termine al quattordicesimo anno, anziché al dodicesimo o al quin- dicesimo, come altrimenti avrebbe potuto aversi: ma roma- namente giuridico fu il senso che fé* avvertire la necessità di quella regola netta e certa e fé' accoglierla trionfalmente. Proseguendo in tali traccie formali, l'influenza greca parmi possa avvertirsi anche nella considerazione del parto trigemino, in caso di gravidanza della madre (Plut., Pìcce. pML^ V, 10,4), che ha gravi effetti per l'aspettativa dei diritti spettanti ai possibili nascituri, fino all' avvenimento del parto, e che nelle fonti ci si presenta risalente a Sa- bino e a Cassio (Giul., fr. 8 §. 1() 1). 40, 7; Gaio, fr. 7 pr. D. 34,5; Paolo, fr. 28 §.4 D. 5,1; Id., fr. 3 D. 5,4). Ma ben altra influenza, sostanziale e diretta, della fi- losofla greca, si sostenne per un tema, che qui dovrà trat- tenerci alquanto: la schiavitù. È da tale influenza che si volle determinato l' affermarsi con moto continuo , dallo scorcio della repubblica al secolo degli Antonini, di un' in- tima contraddizione nel concetto di schiavo (11). E s' ad I i NELLA GIURISPRUDENZA ROMANA 17 _^ 1 duce la dichiarazione tradizionale dei giuristi di questo pe- riodo essere la schiavitù contro natura, la protezione che è accordiata man mano alla vita e air integrità personale dello schiavo contro le eccessive sevizie dei padroni (Gellio, Noci. Att, V, 14; Eliano, Be an,, VII, 48; Gaio, fr. 1 §. 2 D. 1,6; Ulp., fr. 2 D. eod, Modestino, fr. 11 §. 2 D. 48,8) al cui arbitrio lo schiavo è sottratto, per esser sottoposto, in caso ch'egli delinqua, ad appositi magisti'ati, e a procedimento, non sostanzialmente difforme da quello che vale pei liberi (Pomp., fr. 15 D. 12,4; Ulp., fr. 12 D. 2,1; fr. 3 §. 1 D. 29,5; Venul., fr. 12 §. 3 D. 48,2), r indipendente attività patrimoniale che si riconosce agli schiavi col peculio, ( quasi patrimonium Uberi hominis: Paolo, fr. 47 §. 6 D. 15,1); s' adduce il favor lihertatis^ che inspira in molteplici casi le larghezze con cui si risol- vono le dubbie questioni di stato e s' effettuano i giudizi liberali (Lege Iimia Petronia si dissonantes pares iudicum existant sententiae prò libertate prommciari iussuni: Ermog., fr. 24 D. 40,1; e. d' Ant. Pio, presso Paolo, fr. 38 §. 1 D. 42,1; Ulp., fr. 3 §. 1 D. 2,12), s'eseguiscono le ma- nomissioni, ordinate per atto d'ultima volontà (Giul., fr. 9 §. 1 D. 33,5; fr. 4 pr. D. 40,2; fr. 16 D. 40,4; fr. 17 §. 3 D. eod.; presso Paolo, fr. 20 §. 3 D. 40,7; Valente, fr. 87, D. 35,1; Giavoleno, fr. 37 D. 31; Gaio, fr. 88 D. 35,1; S. C. sotto Adriano, in Scevola, fr. 83 (84)§. 1 D. 28,5; rescr. di M. Aurelio, in Marciano, fr. 51 pr. D. 28,5, e in Mod., fr. 45 D. 40,4, cost. dello stesso in Ulp., fr. 2 D. 40,5; Meciano, fr. 32 §. 5 I). 35,2; fr. 35 I). 40,5; Pomp., fr. 4 §. 2 D. 40,4; fr. 5 D. eod.; fr. 20 I). 50,17 ; Marcello, fr. 3 i. f. D. 28,4 ; fr. 34 D. 35,2; Scevola, fr. 48 §. 1 D. 28,6; fr. 29 D. 40,4; presso Mar- ciano, fr. 50 D. 40,5; Papin., fr. 23 pr. D. 40,5; Paolo, fr. 28 D. 5,2; fr. 40 §. 1 D. 29,1; fr. 14 pr. D. 31; fr. 96 §. 1 I). 35,1 ; fr. 33 D. 35,2; fr. 36 pr. D. eod. ; fr. 10 §. 1 D. 40,4; fr. 179 D. 50,17; Ulp., fr. 711). 29,2; 9 18 LA FILOSOFIA GRECA fr. 29 D. 29,4 ; fr. 1 D. 40,4 ; fr. 24 §. 10 D. 40,5) e in ispecie per fedecommesso, alla cui esecuzione provveggono già sotto Traiano, e poi sotto Adriano e Commodo, appositi Senatoconsulti {SS. GC. Bubriano, Dasumiano^ Artici^ Ulano, Vitrasiano, Iunciano)\ s' adduce V ingenuità che si vuole accordata al nato dalla schiava, che godette della libertà fra il momento del concepimento e quello del parto (Marciano, fr. 5 §. 3 D. 1,5), o che, ordinatane la libertà per fedecommesso, non fu manomessa indebitamente, per mora deirerede (rescr. di Marco Aurelio e Vero e di Ca- RACALLA in Ulp., fr. 1 §. 1 D. 38,16; Ulp. fr. 1 §. 3 D. 38,17; fr. 2 §. 3 D. eod.; fr. 26 §. 1 D. 40,5; MARcaNO, fr. 53 pr. D. eod.), fosse pure casuale (rescr. di Ant. Pio e di Severo e Carac. in Ulp., fr. 26 §§. 1,2, 3D. 40,5; MoDEST., fr. 13 D. 40,5); il concetto che afferma la libertà inalienabile (Costantino, c. 6 C. 4,8) e la regola che nega comprendersi nell'usufrutto il parto della schiava (Cic, De fin., I, 4; Gaio, fr. 28 §. 1 D. 22,1: Ulp., fr. 68 pr. D. 7,1). Fermiamoci su quest'ultimo punto È famosa la disputa, a cui quella regola die luogo ai tempi di Cicerone, fra Scevola, Manilio e Bruto, ed è pur notissimo come la propugnasse vittoriosamente quest'ultimo, adducendo essere assurdo il computare fra i frutti l'uomo, mentre ogni frutto che rechi la natura è destinato all'uomo. La qual ragione è riferita da Gaio e da Ulpiano ( Gaio, fr. 28 §. 1 D. 22,1; Ulp., fr. 68 pr. §. 1 D. 7,1), ed è tratta genuinamente dalla teoria stoica, secondo la quale l'uomo si considera come signore dell'universo (Cic, De off., I, 7; De nat. Deor., II, 62; De fin., Ili, 20). Ma altrove, (fr. 27 pr. D. 5,3) Ulpiano stesso adduce a fondamento di questa regola un motivo tutto economico: non valutarsi come frutto il parto della schiava, perchè lo scopo econo- mico, pel quale si tengon schiave, non è quello di procac- ciarsene i parti « non temere ancillae eim rei causa com- parantur ut pariant » , ossia perchè i parti della schiava non costituiscono il frutto economicamente normale di essa. NELLA GIURISPRUDENZA ROMANA 19 • a^M^»^—— ^^ ■ w^iM ■— ii^. .1 ■ ■■■ I ■ ■ ■ ■ ■■■■■,■■■ ■ I ■ I ■ tf ■ ■ ■^^^^i^ E due fatti inducono a ritenere che sia appunto questa la ragion vera che determinò quella regola : la mancanza, cioè, di un'industria di allevamento di schiavi e la parifi- cazione del parto della schiava ad ogni altro frutto, per qualsivoglia rapporto, all' infuori delF usufrutto. Che la re- gola, determinata da questa ragione economica, si volesse poi anche giustificare con un concetto preso agli stoici, non può recar maraviglia, quando si pensi come in altri punti non pochi la vernice d'una forma filosofica copra un rapporto determinato essenzialmente da principii tutt' altro che filosofici. E questa nostra osservazione si riconnette a un altro lato importante del tema: al freno imposto alle sevizie dei padroni: nel quale volle ravvisarsi pur tanto di stoica in- fluenza. È essenziale la giustificazione datane da un noto testo di Gaio: doversi inibire al padrone di far malo uso delle cose sue, allo stesso modo che ciò si vieta al prodigo {Inst^ I, 53): regola dunque che ci si presenta pure deter- minata non da altro, che dalla considerazione tutta econo- mica del regolare uso della proprietà. Ed è parimente una necessità di natura economica, di raflforzare, cioè, Y attività dello schiavo colla molla del suo proprio interesse individuale, quella che determina il riconoscimento del peculio, quale patrimonio di fatto del servo, distinto dal patrimonio del padrone; la cui funzione ha per ogni lato dell'evoluzione della schiavitù importanza essenziale. Però codesto elemento economico, che fu magistralmente seguito dal Pernice nel suo classico libro su Labeone (12), e che, pei lati che accennammo, resulta da attestazioni pre- cise delle fonti, non basterebbe a spiegare per sé il ricono- scimento graduale negli schiavi di altri molteplici diritti e rapporti attinentisi alla personalità, e l' affermarsi di un vero e proprio sistema giuridico che per essi si crea, del tutto analogamente al sistema che regola istituti e rapporti 20 LA FILOSOFIA GRECA fra liberi. Un altro elemento sostanziale concorre a dar vita e riconoscimento positivo a quel sistema pei rapporti più svariati. Questo elemento altro non è che la forza della natura. Forza, che neirantica convivenza a famiglia regolava nel fatto, quasi inconsciamente, i rapporti della schiavitù ; ma che, più tardi, «comparsa la prisca semplice costituzione della familia, ordinate quasi ad esercito, gerarchicamente, le migliaia di schiavi tratti a Roma dai popoli vinti, fé' assurgere e fissò a rapporto di diritto quello eh' era dap^ prima mero e tacito fatto: affermando nello schiavo la con- trapposizione del concetto di uomo, di fronte a quello di res. Gli attributi nello schiavo di ente intelligente e con- sciente s' impongono air organismo del diritto, pel quale lo schiavo dovrebbe parificarsi a una res, ad una merx. Ul- piano, trattando della prestazione dei legati imposti all' e- rede, e dei casi in cui l' erede può essere ammesso a pre- stare, invece della res legata, Vaestimatio di essa, distingue il legato di una res da quello di uno schiavo, valuta i motivi in cui più probabile in questo può riuscire la pre* stazione dell' aestùnatio, ed esce coli' affermazione alia est condicio ìiominum alia ceterarum rerum (Ulp., fr. 71 §. 4 D. 30). Quest'affermazione, o Signori, coglie e sintetizza l'urto intimo e graduale, di cui la storia della schiavitù in Eoma porge traccio continue ed eloquenti, e per cui pur riesce infine ad imporsi nella coscienza giuridica e sociale il riconosci- mento nello schiavo degli attributi essenziali della personalità umana. Tali, l'efficacia del patto adietto alla vendita di una schiava di non prostituirla : efficacia che include il ricono* scimento del diritto all'onore (decr. di Vespas., presso Mod., fr. 7 pr. D. 37,14; Pomp., fr. 34 pr. D. 21,2; Papin., fr. 6 pr. D. 18,7 ; Paolo, fr. 7 D. 40,8 ; Aless. Sey., c. 1 C. 4,56); r azione d' ingiurie per offese allo schiavo, com^ misurata secondo il grado d' onorabilità di questo : ( Ulp., fr. 15 §. 44 D. 47,10); 1' ammissibilità di un giiidizio di 4 à NELLA GIURISPRUDENZA ROMANA 21 K calunnia a cagione dello schiavo, che subì per fatto altrui ingiusto giudizio (Papin., fr. 9 D. 3,6); la valutazione della misericordia usata verso di esso, per misurare la responsa- bilità di chi ebbe a procacciarne la fuga (Ulp., fr. 7 §. 7 D. 4,3) il riconoscimento della famiglia servile, nella quale con sforzo di finzioni giuridiche si riesce a dar certa con- figurazione a rapporti patrimoniali, a somiglianza di quelli che intercedono nella famiglia dei liberi ( Ulp., fr. 39 \D. 23,3 ; Paolo., fr. 27 D. 16,3), e persino il riconoscimento nello schiavo di rapporti d'indole religiosa (Labeone, presso Ulp., fr. 13 §. 22 D. 19,1; Ulp., fr. 2 pr. D. 11,7). Che pure sulle conquiste compiute dagli schiavi con- tribuiscano considerazioni d' ordine pubblico e di sicurezza pubblica (13) , son ben lungi dal negare : non par dubbio, ad esempio, che sia determinata sopratutto da esse la legge Petronia. !Aia questa pure (appena occorre avvertirlo) non è che una conseguenza, benché coatta, dell 'affer man tesi per- sonalità degli schiavi. Ne tuttavia che le stesse dottrine stoiche, col loro e- levato concetto della personalità umana, abbian per qualche lato favorita o affrettata quell'evoluzione, non <\serei negare: (nò può invero trascurarsi il fatto che il momento più in- tenso di essa cade appunto sotto gli Antonini). Ciò che parrai invece dover negare si è che quelle dottrine vi ab- biano avuta una influenza immediata , essenziale ; talché senza di esse si avesse ognora a disconoscere nello schiavo ogni attributo della personalità. Su altri istituti e rapporti attinenti alle persone non ci abbisogna lungo discorso. Non occorre, per verità, confu- tare lo strano concetto che influenza di stoicismo sia nel- l'attenuamento della patria potestà, e nella liberazione delle donne dalla tutela agnatizia (14); fatti determinati entrambi dal trasmutarsi della funzione e natura politica della fa- milia; trasmutarsi, che pure ci spiega Tavanzantesi preva- lenza del vincolo di sangue sul rapporto civile d'agnazione; 1 » 22 LA FILOSOFIA GRECA che ha poi eifetti importanti, in ispecie neir ordine delle successioni; e pur ci spiega T evoluzione dell' essenza prisca dell'eredità familiare (comprendente, cioè, il complesso di di- ritti politici e religiosi inerenti alla domus familiaqtte) verso r eredità patrimoniale. Concetto , che , accennato in istudi recenti ed egregi (16), forse non si presenta tuttavia immeritevole di trattazione nuova ed apposita e d' investi- gazione minuta nelle fonti. Ne mi fermo su di un punto, sul quale non si peritò d' insistere qualche sostenitore deir influenza stoica sulla giurisprudenza romana: il puro ed elevato concetto del matrimonio, tramandatoci dai giu- reconsulti, e in ispecie esplicantesi nella tarda definizione di Modestino (16). Basta osservare che quel concetto è in Roma tradi- zionale, fin dalla sua più antica e genuina costituzione e che vi si esplica allora dalle stesse forme, con che il ma- trimonio si compie, e che, inerente dapprima solo al ma- trimonio curri manu, nel quale è veramente la divini et Immani iuris cornunicatio, esso s'atteggiò poi, per forza di tradizione sul matrimonio libero, prevalso su quello, e tra- luce idealmente nei tempi stessi , in cui il matrimonio era di fatto quale ce lo tratteggiano con foschi colori Giovenale e Marziale. Occorre qui invece, fra i diritti attinentisi alle persone, accennare ad alcuni altri, nei quali si ravvisò V influenza filosofica, e segnatamente dello stoicismo. Che, per quanto tocca il diritto alla vita, e l'afferma- zione negativa di questo, i romani non abbiano riguardato con deciso isfavore il suicidio, come mezzo estremo di sal- vaguardia a mali maggiori; e ciò molto innanzi al tempo in cui la filosofia greca divenne nota in Roma, resulta dalla natura del carattere romano e dell' ideale eh' esso prefiggeva alla vita, dalla stessa aureola di gloria onde fu recinta la memoria di Lucrezia, di Catone e di Bruto (17). Né dunque può pensarsi ad alcuna influenza stoica, se ve- NELLA GIURISPRUDENZA ROMANA 23 ^ - - _ Il I I ' ■■ I I . . -^ ^ diamo i giuristi non considerar come dannata la memoria del suicida. Ma singolarissima è poi la specialità contem- plata nel testo che per consueto si adduce. In esso si ri- feriscono rescritti di Adriano e d'Antonino Pio, i quali, consi- derando il caso, in cui persona accusata di delitto capitale, prima d' esser sottoposta al giudizio, ponga fine a' suoi giorni taedio vifae vel doìoris impatientia, dichiarano non incorsi con ciò nella confisca i beni di quella. Si ha poi nel caso proposto ad Adriano che il suicida era accusato d' aver ucciso il figlio; (^ Adriano, con sentimento delicata- mente umano, dichiara doversi presumere che non per ti- mor della pena , ma per dolore del figlio perduto, V accu- sato sia volontariamente uscito di vita ( Marciano, fr. 3 §§. 4-5 D. 48,21); non potendosi ad ogni modo ritenere per se il suicidio deir accusato equivalente a confessione di reità a condanna : come poi Papiniano con lucidissima veduta dichiarò e sostenne ( Ibid,, pr. ; cfr. fr. 29 pr. D. 29,1 ; Paolo, fr. 45 §. 2 D. 49,14 ). Mentre poi è chiaro che, all' inversa, il suicidio che 1' accusato volle af- frontare non per altro che per timor della pena e ob con-^ scientiam cnminis, non salva dalla confisca il patrimonio di lui, che si considera quale dannato o confesso (Ulp., fr. 6 §. 7 D. 28,3; fr. 11 §. 3 D. 3, 2). Il che davvero s'intende come logico sviluppo, senza che nulla v'appaia di influenza o reminiscenza filosofica, se pure essa non voglia ve- dersi nel ricordo ai filosofi, come a coloro che si uccidono taedio vitae,,. vel iactationis (fr. 6 §. 7 D. 28,3). E qui pure, a proposito del diritto naturale alla vita, si avverte il riconoscimento di tal diritto nello schiavo, là dove è detto da Ulpiano esser lecito etiam scrms fiatu-* raliter in sunm corpus saevire (Ulp., fr. 9 §. 7 D. 15,1): di fronte al qual diritto affermato perle schiavo, sta l'ob- bligo in lui di rifondere col suo peculio al padrone le spese che ha sostenute per curarlo dalle ferite infertesi tentando d' uccidersi ; talché quel diritto si riduce praticamente ad una curiosa ed amara irrisione. 24 LA FILOSOFIA GRECA E tocco di un altro fra i diritti personali: quello alla religiosità, al quale s'attiene lo sfavore con cui si riguardò dai giuristi, conformemente agli stoici, il giuramento (Pa- piN., fr. 25 §. 1 D. 13,5; Ulp., fr. 7 §. 16 D. 2,14), e in ispecie la condicio iurisitirmidi, apposta a una libe- ralità per atto mortis causa ( Labeone, in Giav., fr. 62 pr. D. 29,2 ; Giuliano, fr. 26 D. 28,7; Marcello, fr. 20 D. 35,1 ; Ulp., fr. 8 §. 5 D. 28,7). Il generale divieto della condicio iurisiurandi è anteriore a Labeone e poste- riore a Cicerone (18), e coincide per tempo col fiorire della filosofia stoica. E F opinione ch'esso sia determinato da in- fluenze di questa parrebbe tanto più attendibile, in quanto siamo qui in tema di religiosità, dove l'istituzione filosofica ebbe veramente, in sullo scorcio della repubblica e a' primi tempi dell'impero, efficacia non lieve e assai diffusa. Se- nonchè non so astenermi dal proporre una mia modesta osservazione. Lo sfavore pel giuramento non è già soltanto negli stoici, ma risale fino tra le scuole presocratiche, a quella di Elea, e al fondatore stesso di essa, a Senocrate, che nel giuramento ravvisava un riprovevole privilegio per l'empietà (Arisi., Bhet, I, 15) (19). Forse quello sfavore, che nello spirito greco si manifesta cosi da antico, era pure in origine nello spirito romano , e durava nel patrimonio d'idee e di tradizioni, che, specialmente in materia di reli- gione, i due popoli ritrassero dal ceppo comune? Il che solo accenno, pur non volendovi troppo insistere, perchè non paia amor di sistema. E, lasciando omai d' altri rapporti di minore impor- tanza, pure del tutto formali, come, per ciò che attiensi alla salute, la definizione del morbo, di habitus cor- poris contra naturam (Sab., fr. 1 §. 9 D. 21,1 e in Gellio, Noci. Att^lY, 2. cfr. fehris: Giul., fr. 60 D. 42,1) evi- dentemente tolta dallo stoicismo; il concetto del furiosus, che, come privo di mente, stoicamente è detto suus fion est (Ulp., fr. 7 §. 9 D. 42,4), passiamo senz'altro alle cose e ai diritti su di esse. NELLA GIURISPRUDENZA ROMANA 25 La triplico partizione delle cose, che ci riferisce Pom- ponio nel lib. 30 ad Sah. (fr. 30 D. 41,3): F una com- prendente quod contìnetur uno spirita, graece yivwjxsvov; l'altra che abbraccia qiiod ex contingentihus hoc est j)ÌU' rihus interse coherentibus constat, quod atiVTQjAjjievov, e una terza dei corpora pUira non solata^ ma uni nomini su- hiecta, resultanti ex disfantibiis, b T applicazione precisa e genuina della distinzione stoica. Al frammento di Pomponio fauno riscontro testi di Plutarco, Fraec. coniug., 34 ; di Sesto Empirico, Adi\ Math,, VII, 102; IX, 7S; di Seneca J^at. qiiaest., II, 2 ; Epist., 102,6 ; e di Achille Tazio, Isag, in plten. Arati, 14 (20). Che dunque per essa i giuristi abbiano formalmente attinto dai filosofi non v' ha dubbio. Il ricordo formale dei filosofi si ha persino nella esemplificazione consueta nei giuristi delle cose appartenenti a ciascuna di quelle tre categorie. Ma se ci facciamo a ricercarne le pratiche applicazioni, tosto ci avvediamo come altri principi, del tutto indipen- denti da essa, intei-vengano. E, invero, il diverso modo con cui si ammette il possesso e l'usucapione, segnatamente per le res comiexae e le universitates ex distantibus: la regola che il possesso di una res connexa implica il possesso delle cose singole da cui risulta composta, come parti, non come cose a se stanti, e distinte individualmente, si spiega col concetto tutto romano del requisito A^' animus nel possesso. Il quale, dovendosi rivolgere alla res connexa nella sua essenza, non si concepiva che contemporanea- mente si rivolgesse alle parti singole di quella; onde ap- punto la inammissibilità di un contemporaneo possesso del- l' intiero e delle parti, e la impossibilità di acquistare un diritto sulle parti, in forza del possesso della res conmxa resultante dalla loro unione. Il che ha segnatamente ef- fetti importanti per la teoria deirusucapione. Mentre poi, per quanto tocca in ispecie le regole del possesso e deirusucapione dei tigna onde resulta composto 26 lA FILOSOFIA GRECA un edifizio, concorre anche il riguardo tutto civile che in- spirava la lex (le Ugno iuncto (Venuleio, fr. 8 D. 43,24; GiAVOLENO, fr. 23 pr. D. 41,3; Gaio, fr. 7 §. 11 D. 41,1; Paolo, fr. 23 §. 7 D. 6,1; Ulp., fr. 7 §. 1 D. 10,4) (21). Meno ancora può trarsi dalla distinzione fatta dai giu- risti delle cose corporali e incorporali. Se per questa, fra il concetto dei giuristi e quello dei filosofi, può esservi so- miglianza, essa è del tutto apparente. Le cose incorporali dei filosofi, come essenzialmente il tempo e il vacuo, non hanno nulla di comune colle cose che son chiamate incor- porali dai giuristi per la loro funzione sociale e giuridica, e che hanno sempre in sé per contenuto cose corporali, e ciò secondo un concetto che ci si presenta tradizionale e risalente: in modo sopra tutto preciso e spiccato nella he- reditas (Pomponio, fr. 37 D. 29,2; fr. 119 D. 50,16; Gaio, Inst, II, 14; fr. 1 §. 1 D. 1,8; Apric, fr. 208 D. 50,16; Papin., fr. 50 pr. D. 5,3; Ulp., fr. 178 §. 1 D. 50,16; fr. 3 §. 1 D. 37,1; Paolo, fr. 4 D. 5,3): e segnatamente, con mirabile evidenza, nel concetto e nelle regole delF^^t*- capio prò herede (Gaio, II, 54). E di questo concetto àeìVheredifas, res corporaUs, che ha per contenuto normale appunto cose corporali, è assai notevole come un filosofo stoico parli come di inutile sot- tigliezza, deridendo i giuristi che raccolsero (Seneca, De h&n. VI, 5): e offrendoci con ciò, come fu avvertito (22), ricordo certo e perenne della differenza sostanziale che correva, a proposito di quella partizione, fra il pensiero dei filosofi e quello dei giuristi. Certo, fra i cor para, la distinzione di quelli che ra- tione vel anima carente da quelli che careni ratione non anima o di entrambe, è rivestita di forma stoica : ma è necessario ch'io soggiunga che sotto di essa sta un con- cetto tanto primitivo, che davvero non occorreva rivestirlo del lusso d' una veste filosofica ? Un tema, sul quale insistettero con particolare predi- y NELLA GIURISPRUDENZA ROMANA 27 ■■ Il .-.^ M ■ -■■ ■ . .■■■■■■ ■-■ -*- -■---■ ■-— -..Il ■ — ^ — ■■^l■■■■■- ■ » lezione tutti i sostenitori dell'influenza stoica, è quello che riguarda, tra i modi d' acquisto della proprietà, la specifi- cazione. L'opera diretta che qui esercitò, pel riconoscimento del lavoro umano di fronte alla materia, la scuola dei Pro- culeiaDÌ, porse pure argomento per ravvisare una partico- lare inclinazione di quella verso lo stoicismo: in contrap- posto anche qui alla scuola de' Sabioiani (23). Quasiché, a spiegare il riconoscimento del lavoro umano non dovesse bastare una considerazione positiva di natura tutta econo- mica: la normale preminenza di valore della nuova specie sopra la materia prima, preminenza che doveva imporsi al concetto proculeiano, ognora così acuto e vivo e libero, di fronte all'ossequio tradizionale della proprietà, che pur con- tinuava un preminente riguardo al proprietario della materia. Le fonti, a cui ci si richiama, pel rapporto inverso alla specificazione, appunto la riduzione della species alla materia, confortano questo concetto. Si riferiscono invero per consueto due testi d'Ulpiano, nei quali questi asserisce sembrar scomparsa la cosa, di cui sia mutata la forma, benché ne duri la materia (fr. 13 §. 1 D. 50,16), e mu- tata forma prope interemit suhsiantia rei (fr. 10 §. 9 D. 10,4): espressamente ciò giustificandosi da Ulpiano stesso, proprio col criterio economico qmniam plerumque plus est in manu prctio qtuim in re. E Paolo soggiunge, adducendo r opinione e di Labeone e di Sabino, che abest la tabula picta^ quando ne sia rasa la pittura, o il vestito quando è scucito, perché appunto earuni rerum pretium non in sub- stantia sed in arte sit positum (Paolo, fr. 14 pr. D. 50,16). E, partendo da tal concetto, ben s'intende come, all'inversa, si considerasse economicamente del tutto nuova la cosa for- mata per mezzo del lavoro sopra materia già esistente, e come Proculo e Nerva potesser dire, secondo quello che Gaio ricorda, che dopo subita l'opera dello specificatore, essa non potesse più considerarsi come appartenente al proprietario della materia (Gaio, fr. 7 §. 7 D. 41,1; cfr. Paolo, fr. 3 §. 21 D. 41,2 (24). 28 LA FILOSOFIA GKKCA Né in tema di materia o sabstantia e species, per r efrore che intervenga su questa o su quella nel con- tratto di compra vendita, parmi che molto si possa trarre dalle fonti, per un'essenziale influenza dello stoicismo. Nel noto passo d' Ulpiano ( fr. 9 §. 2 D. 18,1 ) si rife- risce come Marcello ritenesse sussistente la compra vendita, anche quando, per errore, si fosse dato aceto, invece del vino dedotto in contratto e rame per oro e piombo per argento; ciò giustificandosi da Marcello stesso colla ragione che sul corpus intervenne il consenso, ed errore vi fu solo nella materia. Ulpiano consente per V aceto, perchè qui la so- stanza, r oùjta (appunto secondo il linguaggio stoico) è quella dedotta in contratto ; mentre vi ha scambio sostan- ziale di tale oùjt'a nel caso del rame dato per oro e del piombo per argento. Talché la preoccupazione erronea che nel concetto di Marcello sembra ingenerare la reminiscenza stoica, scompare in Ulpiano, che ne prescinde recisamente, applicando nel modo più concetto le regole sull' eiTore nel- Toggetto del contratto, non importa poi ch'esso errore verta in corpore o invece in stibstantia. Lo stesso testo vivissimo d' Alfeno ( fr. 76 D. 5,1) che riproduce, secondo la fisica e degli epicurei (Lucrezio, Nat. rer. V) e degli stoici (Seneca, Ep. 58 ; Plut. Comm. nat. 39; Antonino, II, 17; V, 33), la mutazione continua della materia, ricordando come il corpo formato da questa sia sempre lo stesso, per quanto si vengano ognora mu- tando via via le particelle che lo compongono, e applica questo principio air organismo di un jiidicium, che rimane il medesimo col mutarsi de' suoi membri, ritrae in sostanza un concetto eh' era genetico in Soma, essenzialmente per la persona giuridica del populus. E la fisica stoica si ri- duceva dunque solo ad illustrare con veste scientifica ciò che ben prima s'era nella pratica ravvisato. Influenza di stoicismo si sostenne in un preteso sfavore alle usure, che si volle dedun-e da parole di Papiniano che NELLA GIURISPRUDENZA ROMANA 29 usura non natura pervenif ( fr. 62 pr. D. 6,1 ): quasiché non fosse risalente e tradizionale il concetto che distiogue dai frutti naturali i frutti civili, e in materia d'usura non si avesse in Koma, fin da antico, un'assidua, quanto sterile attività legislativa. Ma basti ornai anche sul tema delle cose, intorno al quale però non voglio astenermi dall' offrirvi esempio di taluna di quelle aberrazioni, alle quali accennai essere per- venuti scrittori egregi, per passione ch'essi posero nell'esame di questo tema. Scelgo la teoria del Laferrière, secondo la quale la regola che richiede i due requisiti dell' animus e del corpus^ per l'acquisto del possesso e della proprietà per occupazione, riuscirebbe determinata dal concetto fondamen- tale degli stoici, che distingue nell' uomo 1' elemento spiri- tuale dall' elemento corporeo: come analogapaente sarebbe determinata da questo la necessità della tradizione pel tra- sferimento della proprietà (25). E d'altre taccio, già essendo queste esempio eloquente, come presentantesi sotto un nome scientificamente onorato e sotto l'insegna gloriosa dell'Istituto di Francia. Dovrei ora, o Signori, accennarvi a tutto il sistema romano delle obbligazioni, al mutamento eh' esso più spe- cialmente subisce dal rigoroso formalesimo, verso 1' appli- cazione più agile e diretta della volontà; mentre pur tutto il diritto vien ravvivato da raffronti e adattamenti vitali di elementi nuovi ed estranei coi prischi ed indigeni, e ri- cordare come questo sia una conseguenza immediata de' nuovi orizzonti' che omai ha la vita e il commercio di Eoma e delle influenze straniere così continue e multiformi? E come, a sua volta, il moto potente e continuo di Koma verso l'universalità, e 1' alito vivificatore che ne deriva sul diritto, consegua direttamente dalle nuove condizioni poli- tiche ed economiche? Che questo moto grandioso e continuo corrispondesse alle dottrine stoiche, per le quali tutto il mondo è una 30 LA FILOSOFIA GRECA grande città, non può negarsi. Che per quello riuscisse ad esse più agevole l'aver diffusione è pur certo. Ne che per tal modo esse abbiano anche cooperato con quello, talora forse per via inconscia, allo svolgimento di taluni istituti e l'apporti , come ad esempio della schiavitù , di rapporti relativi alla religiosità e simili, non vorrei disdire. Ma chi penserebbe sul serio, solo per un istante, che il moto di Roma verso V universalità derivi dallo stoicismo, da alcun'altra delle scuole filosofiche greche ? E che però da filosofie greche consegua mediatamente tutta la trasfor- mazione del diritto? Non però se parmi di dover negare ogni influenza es- senziale della filosofia greca , e in ispecie stoica, sullo svi- luppo della giurisprudenza romana, air infuori di quelle in- fluenze concomitanti con altri elementi che teste toccammo, sopra singoli rapporti, e delle influenze formali che si ven- nero annoverando sin qui , voglio io disdire 1' efficacia che la conoscenza della filosofia greca ebbe dal secolo di Cice- rone in poi, sempre formalmente, ma pur in campo più ge- nerale e importante, nel dar struttura di ars al itis civile, ( « quae rem dissolutam divulsamque conglutinaret et ra- tione quadam constringeret »: Cic, de orat I, 42) (26): imprimendo con ciò nuova forza e nuovo sviluppo a facoltà e a tendenze ch'erano in Roma native. 11 che non tolse tuttavia che, ricevuto tale avviamento nella costruzione logica, la giurisprudenza procedesse poi da sé, indipendente dalla filosofia, elaborando essenzialmente i rapporti pratici della vita, aborrente da ideali astrazioni. E dove la reminiscenza filosofica, cessando d'essere formale intacca la sostanza giuridica, si ha un fluttuar vago d'idee incerte e confuse, un' indeterminatezza di linee, che fa e- loquente contrasto colla precisione perfetta, sicura, ond'è in Roma esempio mirabile tutto l'organismo del diritto. Voi intendete, o Signori, ch'io accénno al im naturale. Fra il concetto d'Ulpiano che lo designa emanazione della NELLA GIURISPRUDENZA ROMANA 31 ragione diffusa neir universo, e quello di Paolo che vi rav- visa un' ideale tendenza verso V aequwn bonum , o quello di Gaio che lo riaccosta al ius gentium, quale dettato dalla universa ratio; fra i più diversi significati ed applicazioni di naturalis ratio, di naturalis, di ìiaturaìiter, che occorrono nelle fonti, o connessi ad uno di quei tre concetti, od o- scillanti fra Tuno e Taltro, o indipendenti da ognuno (27), lo studioso procede incertamente. Né certo sta a me, ne io presumo di portar giudizio sulle varie costruzioni che modernamente si tentarono del ifàs naturale, concepito, o conforme alle dottrine greche e- laborate in Boma dalla filosofia accademico stoica, come coscienza insita nella umana natura di un diritto uni- versale, e però del tutto distinto dal ius geniium (28), 0, invece, obiettivamente, come ordine naturale contrapposto airordine civile, come dettato dalla ratio (29), o, di nuovo subbiettivamente, quale concezione dovuta all' idea greca del diritto dettato dalla ragione naturale a tutto il genere umano, atteggiatasi in Eoma sul ius gentium e fusasi poi con esso, per esplicarsi poi praticamente n^Waequita^, che è la forza che s'avanza via via nell'editto pretorio e gra- datamente vi prevale (30); o invece senz' altro come deri- vazione e sviluppo dello stesso ius gentium (31). A me basta notare sol questo: quanto d'indeterminato e d'incerto rimanga tuttavia in ciascuna di quelle costru- zioni, e come, s' io non erro, non sia riuscito ad alcuno, benché ingegni forti e coltissimi vi si accingessero (32), di dimostrare che il concetto vago ed astratto del ius naturOfle scese ad applicazioni pratiche e concrete. Né certo maggior pregio di linee precise e spiccate o d' importanza diretta e sostanziale per 1' organico sviluppo del diritto ci presentano nel titolo de iustitia et iure le definizioni astratte, tolte a prestito dagli stoici, di giustizia e di giurisprudenza, e i tre famosi precetti del diritto. L' artificiosa inutilità di tali concetti, tratti più o meno ! 32 LA FILOSOFIA GRECA fedelmente dalla filosofìa greca, spicca in guisa vivissima nelle definizioni di legge ; nelle quali, attraverso a vaghe reminiscenze di Demostene e di Crisippo, ricompare il con catto, romanamente vero, di coìnmwiìs rei ptiblicae sponsio. \ La gloria del diritto era dunque riserbata a Eoma; la quale, per opera secolare ed esclusiva del suo genio, af- fidava ai venturi, con eccellenza insuperata, le leggi eterne dell'umana vita giuridica. Se v' ha ricordo, o Signori, che debba infiammare e scuotere i diretti continuatori del sangue e del pensiero la- tino, è il ricordo di quella gloria. In questa Università che ha tradizioni nobili e antiche, proseguite degnamente dal maestro provetto, cui circonda qui da olti-e cinque lustri reverenza aifettuosa di discepoli (*), e dall'altro insegnante che coi lavori acuti e geniali, come coir insegnamento ef- ficace, onora in Italia le discipline romanistiche (**), quella gloria infiammi e riscuota noi pure, o compagni. E com'essa ravviva e ravvivei-à ognora in me le deboli forze, altrettanto sia come fuoco sacro ai vostri giovani e ardimentosi intel- letti. (*) Il Prof, Achille Cattanei. (♦*) Il Prof. Silvio P erozzi. NOTE. (1) Un elenco molto accurato dei lavori appositi scritti sul nostro tema trovasi nella classica opera deli' Hi ldenb band, Gesch. u. System der Rechts und Siaatsphilos., Leipzig, 1860, I, §. 141, pag. 593, D. 3. Lo riporto qui, con alcune aggiunte e avvertenze bibliografiche, che contrassegno collocandole fra parentesi. Indico con asterisco i la- vori che non potei procacciarmi: Malquytius, De vera non simnìnL<i iurisc, phiL, Paris., 1626 [ristampalo nella Triga ìibelL rariss., Halae Magdeburg, 1727, pagg. 11 e segg.]; Paìjaninus Gaudextius, .2>^ j>/i27o«. ap. Bom. in. et progr. Pisis, 1643, e. 42-3^ pagg. 104-6; | Buaxdes 7->e, vera non simulata iurisc. phih, Francof. 1626; opuscolo che noto benché certamente privo di valore, solo per amor di completezza, e seguendo in ciò V e- sempio dello stesso Hildenbrand, che giustamente tien conto nel suo elenco anche di lavori senza pregio, come p. e. quelli compresi nella raccolta dello Slevogt] ; Scuilier, Manud. pliilos. moraliii ad ver, nec simnl. pini., len., 1696;BonMER, Dephilos, iurisc, stoica^ Halle, 1701 [ristampato nel volume J)e sectis et philos. iurisc. opusc.^ coli, recogn. et praef. et elog. Ictor. rem. ac progr. de disp. fori aiixit Slevootius, lenae, 1724]; Buddeus, De errar, stoic, negli Anal. Imt. phiL, Hai., 170G; Voss, De falsis Ictor. ratiocin. ex parte occas. philos. stoicae enntis, Harderov., 1709; Ev. Otto, De stoica vet. Ictor. philos.: Id , De vera non simulata philosoph. Ictor. j nel voi. cit. dello Slevogt; Herjng, De stoica velt. Roman, philos., ibidem; [Kunholt, Semicenturid comparai, verae et simul. iurisc. phil., Lipsiae, 1718, che trovo citato dall' Eckardt, Herm. duriSj *Lips., 1750, cap. 4]; Slevogt, De sectis et philosophia Icfo- 3 34 NOTE runif len., 1724; *£ggerde8. De stole, Ictor. roman. eìusqiie historia et ratioìie, Kostoch, 1727: Hofscaxn, De diàUctica vett, Ictor., Francof., 1735, ne' suoi Melemata ad pandectas; Schaumburg, De iurisprud. ceti. Ictor. stoica tractatiis, hoc est succincta demotutr. iuriscon- sultos roman. non vita solum sed etiam doc trina stoicam philoso- phiam esse profes>ios, lenae, 1745; *Pauli, De utilitatibus quas attulit philos. ad iurisprud. ronianani, Lips., 1753; Meister, De plùìos. Ictor. Roman, stoica in doctrina de corpor. eorumque par- tibus, Gott., 1756 [e neW Opusc. Syll., I, n, 10]; VanHoogwerf, De car. tur. Boni, partibus stoam redolentibus, Traj ad Bhen., 1760, e nell'OsLRiCH, Thes. noe. voi. Ili, tom. 2, pagg. 63 e segg. ; Boers^ De antropoì. Ictor. Roman, quatenus stoica est, Lugd. Bat. , 1766 [*Terpstra, De philos., cet. iurtsc, Francof., 1767, che trovo citato dall*HoLT, Hist. tur. rom. lineam., Leod., 1830] *Ortloff, Ueber den Eiufluss der stoischen Philosophie auf das rom.Recht.,^ìàng., 1797; *Vax Vollenhoven, De exigua vi quam philosophia graeca habuìt in effórmanda iurisprudentia romana, Amstelod., 1834; Ea- TJEN, Hat die stoische Philos. bedeutenden Einfluss auf die rom. juristischen Schriften gehabt? Kiel, 1839, ristampato nei lahrb. di Sell, in, pagg. 66 e segg.; [Trevisani, Lo stoicismo coìisìderato in relazione colla gìurisprud.'» roìnana, nella Gazzetta dei tribunali, VI, 1851, pagg. 821 e segg.; VII, 1852, pagg. 7 e segg. ]; Voigt, lus natur. bon. ti. Aequum, Leipzig, 1856-75, I '^§. 49-51 pagg. 250-66; [Xaferrière, Memoire concernant V influence du stoicisme sur la doctrine des iurisc. romains, nelle Mevi. de V Acad. des scienc. mor. et politiques, X, 1860, pagg. 579-685. Fra noi usciva nel 1876 il lavoro dottissimo del MoRIA^'I, La filosofia del diritto nel pensiero dei giureconsulti romani, Firenze, 1876. Sono ancora a no- tarsi, benché tocchino solo punti speciali del tema: Eherton, sulla terminologia stoica nel dir. romano, nella Quaterly RevieWj III, n. 9, 1887, di cui dà un sunto G. Pacciiìoxj, néìV Ardi, ginr., XXXVTII, fase. 1-2; Lecrivain, Le terme stoicien verecundia dans la langue des Dig., nella Nouvelle revue hist. de droit frane, et drang., XIV, 1890, pagg. 487-9]. Trattano pure del nostro argomento, benché non di proposito, i seguenti: [Hopperus, lur. civil. lib. sex, Lovan., 1555, pagg. 554 e segg.] CuiAcio, Observ.y 56,40; Merillio, Obsero.,\, 8; Turnebo, Advers., Aurei., 1604, Vili, 20, pag. 151; Lipsius, Manud. ad stoic. philos..^ nelle Opera.^ Antverpiae, 1737, IV, 473; Io., Physiol. stoic., nelle Opera, IV, 542; Kamos, Tribonianus, Lugd. Bat., 1728, pag. 249 e segg. [Bodeus, Observat. et elem. phil. instrumentalis, Halae Sax., 1732, cap. II §. 27, pag. 308, cap. IV g. 14, pag. 470]; Ma- 'Jìp: NOTE 3 SCOTIO, De sectis Sahinian et Proculeian, in iure civili, [ Lipsiae^ 1728], Alld., 1740; Eokhardt, Ilerm. luris, Lips., 1750, e. 4; Walch, Opp.^ I, p. 237 [Gravina, De ortu et progr, iur. civ., Napoli, 1757, I, 35-6; Brucker, Hist. crii, philos., Lipsiae, 1766, II, pagg. 15 e segg.; G. B. Bon, praef. al Leibnitz, Opusc. ad iur. peri., nel Leib- NiTZ, Oper«, Genevae, 1768, IV, p. d, pag. 5, n. 1; Eineccio, Antiq. rom., Venet., 1792, lib. 2 e 3, pagg. 17, 30-1, 191 e segg.] ; Vico, Scienza nova, cap. 4; *Welcker, Die letzten Grilnde von Recht Staat u. Stafe, Giessen, 1813, pag. 492, 500, 522, 578; *Id., Uni- versa! u. Jurist. poh Encyclopadie, Stuttgart, 1829, pagg. 70 e segg., 556 e segg.; Veder, Hist, phil. jur. ap. veti,, 319; Zimmern, Gesch. des rum. Privatr. I^ pagg. 23 e segg.; Pcchta, Cursus der Instit, 2 Aufl., pagg. 472 e segg.; Ahrens, Iur. Encyclop., pag. 303, n. 2; 360, n. 1; [Girard, Hist, du droit rom., Paris Aix, 1841, pagg. 180 e segg.; OzANAM, Il paganesimo e il cristianesimo nel quinto secolo, trad. Car- raresi, Firenze, 1857, 1, pagg. 163 e segg.; Voigt, Aeìius und Sabinus- sijst , pagg.' 19 e segg.; Ianet, Hist. de la science polit., 2 ed., Paris, 1872, I, pag. 281 ; Sumner Maine, Ancien droit, .trad. frane , Paris, 1874, cap. 3 pagg. 51-5, 64, cap. 4, pagg. 70 e sogg. ; Conti, Storia della fdosofia^ Firenze, 1876, I, pagg. 401 e segg. ; Renan, Marc Aurèle, 2 ed., Paris, 1882, pagg. 22-3 ; Gregorovius, Der Kaiser Hadrian, 2 Aufl., Stuttgart, 1884, pagg. 296 e segg.; Hofmann, Der Verfall der rom. Rechtswiss., nei Krit. stud. im róm. Bechte, Wien, 1885, pag. 9; Ferrini, Storia delle fonti del dir. rom., Milano, 1885, pagg. 30-1, 100-1 ; Id., note al Gluck, trad. italiana, voi. I, pagg. 64-5. ; Krììgeii, Gesch. der Quell. u. Litteratur des rom. Rechts, Leipzig, 1888, pagg. 45 e segg., 127 e segg.; Carle, La vita del di- ritto, 2 ed., Torino, 1890, pagg. 153 e segg.]. (2) Padelletti^ Roma nella storta del diritto, neir Arch. gim\, XII, nota 2 pagg. 210 e segg. (3) Per la storia della filosofia in Roma, e per ciò che riguarda in ispecie le sue attinenze al diritto, cfr. principalmente: Hildenbrand, op. cit. I, pagg. 523 e segg. (4) Cfr. sulla filosofia di Cicerone: Ritter, Hist. de la philos, trad. frane. Tissot, IV, pagg. 121 e segg.; Hildenbrand, op. cit., I, pagg. 537 e segg., Branbis, Gesch. der Entiv. der griech. Philos, Berlin, 1862-4, II, pagg. 249 e segg ; Boissusr, La relig. romaine d* Auguste aux Antonins, Paris, 1878, I, pagg. 4 e segg. (5) BoissiER, op. cit., I, pagg. 14 e segg. (6) Leggenda, alla quale porsero principale argomento i punti di contatto che le dottrine di Seneca presentano con quelle cristiane, in, ispecie Ruir immortalità dell' anima, sulla provvidenza, e sui doveri di 3^) NOTE carità (punti toccati con molta diligenza da Fleury, S. Paul et Se- nèque, Paris, 1853). Altro argomento estrinseco è la simpatia che mo- strano per Seneca i Padri della chiesa: Seiuca noster: Tertull., De ,an,, 20; Hieron., De vir. ili, 12; Io., Adv. lovin., 1,49; Lxct. , Inst. div.y IV, 24. E S. Agostino nota che Seneca non nominò forse i cri- stiani per non lodarli « cantra suae patriae veterem consuetudine tn », né riprenderli « cantra propriam forsan volunlatem »: Auc, De civ. dei, VI, 11. Il tèrzo argomento dell' amicizia di Seneca con S. Paolo si fondava sopra una grossolana falsificazione delle Kpistolae Senecae ad Paullum. Ricca è la letteratura riguardante questo argomento, che ha un'importanza assai notevole pel tema che tocca direttamente dei rap- porti della morale stoica colla cristiana. Cfr. principalmente, oltre Topera or accennata del Fleury: Boissier, op. cit., II, pagg. 46 e segg., e nella Revue des deux mondes, XCII (1871) pagg. 40-71; Aubkrtjn, Senèque et Si. Paul^ Paris, 1869; Bau», Seneca ti, Paulus: das VerMltn. des Stoiciwius zum Ghriat. n. den Schrift. Senecas, neWHe't- delherg. Zeitschr. f. iviss. Theol, I, 1858 p. 161-246; 441-70; e Abh. zur (reseli, d. alt. PhiL, heratisg. v. Zeller, Leipzig, 1876, pagg. 377-480; 'Westerburg, Der Ursprung der Saga das Seneca^ christì. gewes. sei, Berlin 1881. Tutto il contrario si sostenne dall'EcKHARD in un curioso opuscolo, di cui basta riportare il titolo perchè se ne com- prenda lo scopo: Obserc. sistens L. A, Senecam in relig. Christian, iniuriosum, mella Misceli. Lipsiens., Lipsiae, 1706-22, IX, p. 90-107. (7) GuEGOROvius, op. cit j pagg. 315-7; Renan, op. cit., pag. 35. (8) I rapporti che verrò enumerando furono notati, quali dall'uno quali dall'altro degli scrittori che s'occuparono del nostro tema: quali in uno quali in altro senso. Io non ho creduto di dover per ciascuno di essi avvertire da chi fu notato, da chi omesso. Saiebbe inutile pel lettore, al quale ciò che preme sopratutto si è di aver qui, come in un quadro, il risultato complessivo delle questioni: quadro eh' io mi studiai di delineare colla maggior cura e fedeltà che mi fu possibile. (9) Otto a Boekelen, op. cit., pagg. 24 e segg. Contrariamente Eckhard, op. cit.,; Merillio, obs. I, 27 pag. 260. (10) Brini, Delle due sette dei giureconsulti romani^ Bologna, 1890, pag. 19. (11) Malquytius, op. cit.y pagg. 54-5; Gibbon, Hist. de la dee. de Temp. rom., I, pagg. 128-31; Eckhard, op, cit., pag. 245; Laperrière, op. cit, pagg. 606-7; Renan, op. cit., pag. 605; Wjllelms, Droit pubi, rom., 5 ed., Paris, 1884, pag. 136. (12) Pernice, M. A. Labeo, Halle, 1873-8, I, pagg. 113 e segg. Cfr. anche Padelletti noWArch. giur., XIF, pag. 213. NOTE 37 (13) PucHTA, Inst. l 212, II, pag. 83. (14) Lafehiuère, op. cit.t pagg. 613 e segg. (15) Cfr. SciALOJA, nel Bull. deìVist. di dir. rom., 1890, III, pagg. 176-7; BoNFANTE, L'origine deìVìiereditas e dei legati nel dir. sìACcess. romano, Del cit. Bullettino, IV, 1891, pagg. 97-144. (16) Lafeuuièue, op. city pagg. 621-8. (17) Il Trevisani, op. cit., nella Gazz. dei 2'rib., VI, 821 e segg. sostiene che i romani ebbero ognora in gran sfavore il soicidio. Ri- corda che costituiva vizio redibitorio per lo schiavo il suo tentativo di suicidio, anteriore alla vendita; ma davvero non occorre osservare come ciò sia spiegato chiaramente dalla considerazione economica verso il padrone (fr. 1 l 1, fr. 23 l 3 D. 21,1). E il. tentativo di suicidio punito per rescr. di Adriano nel soldato, non è spiegato ab- bastanza da considerazioni di ordine pubblico e dalle necessità della disciplina militare? Cfr. in questo senso: Ferii ini, Dir. pen. rom., nel 'Tratt. teor. prat. del Cogliolo, I, 18f^8, pagg. 28-9. (18) Ferrini, Teoria dei leg. e fedecomm,, Milano, 1889, p. 346-9. T:oiT(xioLi yi] T:XaYYjvat TrpoxaXijaiTO. Cfr. Keller, Die philos. der Griechen in ihr. geschichll. En- tivicklung, 4 Aufl., Leipzig, 1876-9, I, pag. 503. (20) Ravaisson, Mem. sur le stoicisme, nelle Meni, des inst. imper. de France ; Acad. des inscr. et beli, lettr.^ XXI, 1857, pag. 29 ; GorpERT, Ueber einheitl. zusammeìvgesetz. u. gesammt. Sachen, Halle, 1871, pagg. 7-13. (21) Fu oggetto di dispute gravi il fr. 30 §. 1 D. 41,3: Pomp., 30 ad Sab.: Labeo lìbris epistularuui ait si is, cui ad tegularum vel columnarum usucapionem decem dies superessent, in aedifìcium eas coniecisset, nihilo minus cum usucapturum, si aedifìcium possedisset. quid ergo in bis quae non quidem implicantur rebus soli, sed mobilia permanent, ut in anulo gemma? in quo veruni est et aurum et gem- mam possideri et usucapì, cum utrumque maneat integrum. In esso alcuni scrittori ravvisarono un' eccezione utilitatis causa alla regola generale formulata nei testi succitati, per la quale ecce- zione si ammetterebbe il proseguimento deirusucapione delle tegole e delle colonne, anche pel tempo in cui perdono la loro individua na- tura, coir entrare a far parte della res connexa^ edifizio. Così Wind- scheid, Pand , 6 Aufl., I §. 152, pag. 495, n. 6; Pampaloni, La legge delle XII Tav. de tigno iunclo, Bologna, 1883, estr. dair^rc^. giur., pag. 162. 38 NOTE ■ — ■- - ■ ^ - ■ ■ ■ ■ — ' — — ■ III II » .— — ■ - ■ ■ ^^ Altri, invece, si sforzò di ricercarvi lo stesso senso dei testi citati^ col dare al nihilominus il sifirnifìcato di non. Così Kjeiiulf, Civilr., pagg. 276 e segg ; Uxterholzxkii. Verjà'hrungfilehre hearh. v, Schirmer, I, 153 »ì segg.; SINTE^'Is, uell' Arcìi, f. civiì, Prax., XX, pagg. 75 e segg., e System, I, pagg. 449-52. Altri ancora cercò in vario modo di togliere al testo valore sre- nerale, limitandone la i)ortata alla specialità in esso contemplata. E però, intese che vi si trattasse di tegole e di colonne non incorporato ' solidamente alFedifìzio: (Savigny, Besitz, pag. 269; Randa, Besitz, pag. 429); che la regola formulata nel testo valesse soltanto pel caso in cui l'incorporazione delle tegole e delle colonne nell'edifizio avvenisse quando questo già era compiuto, quando cioè, per tal modo, Teventual^ distacco di esse non urta contro la ratio della legge de tigno iuncta « ne urbe ruinis deformetur » (Scheurl, Ziir Lelire vom rum. B'e^ sitZf §. 23); oppure valesse solo trattandosi di mobili incorporati al- Tedifizio, ma non parti essenziali di questo ( Ruggieri, Il possesso^ §. 196). Sempre in questa tendenza di limitare il valore del testo, negando ad esso portata generale, altri scrittori intesero restrittiva- mente il termine dei decem dies, in esso formulato, in applicazione della massima romana di non tener conto dei minima ( Thibaut nel- YArch, f. civ. Prax., VII, pagg. 79 e segg.; Puchta, KÌ, civ. Schrift.^ pagg. 422 e segg.; Pape, Zeitschr. f. CiviJr. ii, Proc. N. F. XIV, p. 211); spiegarono la sentenza del testo colla impossibilità dell' ir- surpatio dei materiali nei 10 giorni mancanti, per la ragione chf , oc- correndo un termine di almeno 10 giorni dalla editio actionis per giungere alla litis contestatio^ se si agiva qando mancavano 10 soli giorni ad usucapire, la ì'ei vindicatio non serviva a rendere innocua r usucapione ( Savigny, Besitz, pagg. 269 e segg. ; Eisele, lahrh. /I Bogrn., N. F. XIII, pagg. 4*^0 e segg.); o finalmente intesero che nel testo fosse contemplato il solo caso di unione delle tegole e delle co- lonne ad un edificio incompiuto e che la legge de tigno iuncto non impedisse di staccamele, per essere 1' unione recente di 10 giorni (Meischeider, Besitz u. Besilzschntz, ?. 19). Codeste varie interpretazioni e spiegazioni sono riassunte dal WiNDSCHEiD, op. cit. 1. cit., c, più complctamento, dal Pe rozzi, Sui possesso di parti di cosa^ negli Studi giur. e stor.per VVIII cenfen. delV Università di Bologna, Roma, 1888, pagg. 275 e segg., il qualo confuta ciascuna di esse, per giungere alla conclusione che le tegole e le colonne incorporate all'edifizio sì posseggono e s'usucapiscono non perse, a parte, ma solo in conseguenza del possesso e dell'usucapione dell'intero, a differenza della gemma e dell' anello che si posseggono e s'usucapiscono per se. NOTE 39 ^ ■ ■■■ ■ — — n — ■ ■ • ' - ■ ■ ■■ ■ (23) Hering, op, cit, pag. 411; Eckhaud, op. cit , pag. 260; La- rERiuÈRE, op. cit., pagg. 63-5; Moriani, op. cit., pagg. 54 e segg. (24) Cfr. Trevisani, op. cit., nella Gazz. dei trib., VII, pag. 7. (25) Laperrière, op. cit,, pagg. 635 e segg. (26) DiRKSEN, Ueheì' Cicero' s unlergegangene Schri/t: De iure civili in arte redigendo, nelle philol. u. Philos. Ahhandl. der k. Aka- demie der Wissensch. zu Berlin, 1842, pagg. 177 e segg ; Hjljen- BRAND, op. cit., %. 130, pagg. 556 e segg.; Voigt, Aelivs und Sa- hinussìjst.., pagg- 19 e segg. Si connette a questa influenza formale d' ordine generale la ri- cerca delle etimologie, comune ai giuristi, segnatamente dopo Labeone. Qui Timitazione degli stoici fu riconosciuta quasi da tutti che ebbero ad occuparsi del nostro tema. Cfr. da ultimo Lersch, Die Sprach- philosoph, der Alien, parte 3. Senonchè, nonostante gli sforzi di un re- cente accurato lavoro (Ceci, Le etimologie dei' giureconsulti romani, Torino, 1892 ) persisto nel credere che suU' indole e sul valore delle ricerche etimologiche dei giuristi rimanga saldo tuttavia il giudizio severo ch'ebbe a formularne il Pernice, M. A. Laheo, I, pag. 27. (27) Si veggano i testi raccolti ed elaborati, non occorre dire con quale diligenza- e acutezza, dal Voigt, Ius. natur, §. 49, I, pagg. 244 e segg. (28) MoRiANi, op. cit., pagg. 80 e segg. (29) Ratio derivazione dall'indiano rita e ratum, ordinamento dell'universo e della natura terrestre, comprese le cose umane. Così Leist, Civ. Stad., l, 1854, pag. 33; III, 1859, pagg. 3 e segg.; Ka- turalis ratio und Natur der Saclie, 1860; Civ. Stud,, IV, 1877, pagg. 1 e segg.; Gracco ital. Rechtsgesch., Iena, 1884, g. 32, pagg. 199 e seguenti. (30) SuMNER Maine, Ancien droit, cap. 3, pagg. 45-46, 51-56; Etudes sur Vane, droit., pagg. 162-3. (31) HiLDENBRAND, op. Cit., §§. 1334, pagg. 566 e segg. (32) Cfr. da ultimo l'acuta ricostruzione del Brini, Ius naturale, Bologna, 1889. FINE. X DEL MEDESIMO AUTORE: La condizione patrimoniale del coniage superstite nel diritto romano classico^ Bologna, Fava e Gara- gnani, 1889 . . . , . - . . . L. 4 Il diritto privato romano nelle comedie di Plauto j Torino, Fratelli Bocca, 1890 » 10 Le azioni exercitoria e institoria nel diritto romano, Parma, Battei, 1892 » 3 l' .
Wednesday, April 27, 2022
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