ETRUSCO MUSE® CHIUSINO DAI SUOI POSSESSORI PUBBLICATO CON AGGIUNTA DI ALCUNI RAGIONAMENTI DEL PROF. DOMENICO VALERIANI E CON BREVI ESPOSIZIONI DEL CAV. ai© smagata PARTE PRIMA. POLIGRAFIA FIESOLANA MDCCCXXXIII. . . : - ■ ' ' , ? . A SUA ECCELLENZA IL SIG. MARCHESE ANGELO CHIGI LUOGOTENENTE GENERALE E GOVERNATORE DELLA CITTA’ E STATO DI SIENA CAVALIERE DELLA LEGION D’ ONORE DI FRANCIA CONSIGLIERE INTIMO ATTUALE DI STATO, FINANZE E GUERRA CIAMBELLANO DI S. A. IMP. E REALE IL GRANDUCA DI TOSCANA PRESIDENTE DELL’ ACCADEMIA DEI FISIOCRITICI E DELLA DEPUTAZIONE DEL PIO DEPOSITO DI MENDICITÀ’ CHE LO SPLENDORE DELLA FAMIGLIA NOBILISSIMA DA CUI DISCENDE CON TANTE EGREGIE DOTI SOSTIENE ED ACCRESCE E DELLE ARTI LIBERALI CULTORE E FAUTORE CALDISSIMO SI MOSTRA QUESTA RACCOLTA DI ETRUSCHI MONUMENTI CHIUSINI CANDIDAMENTE E CON GIOIA 0. D. C. GLI EDITORI P. B. C. C. F. S. C. A. M. P. F. D. ri si trova itna mirabile abbondanza di marmi finissimi con¬ sistenti in colonne antiche di granito nero e dell’ Elba e d’Egitto, di granito rosso del più compatto, di cipollino orientale, e d’altri marmi duri e fin anche di breccia d’ E- gitto, di che va ricca ed ornata la cattedrale, ove son po¬ ste in uso con antichissimi capitelli di gusto squisito. Anche sparsamente per la città s’incontrano in copia marmi duri o eretti in usi decorativi o depositati a parte e non ancora posti in opera. Non mancano monumenti di romana scultu¬ ra di raro pregio in basso e tondo rilievo, tra i quali splen¬ de un sarcofago colla caccia di Meleagro, ed una assai bella testa di Augusto nel palazzo episcopale, e nelle case P aolozzi. Le antiche iscrizioni lapidarie son pur frequenti per la città sparsamente. E poi sorprendente il numero dei sotterranei che s’incontrano sotto le fabbriche del paese, e sono per ordinario eseguiti di ben connesse pietre quadra¬ te assai grandi. Rieca è pure la città di avanzi di fabbri¬ che antiche romane, parte delle quali si giudicano bagni. Ed in vero non sembra che di tali pubblici comodi mancar do¬ vesse un paese, ove si trovano s or genti ab b ondantis s im e di acqua potabile, e delle quali non ha guari e stata fatta bel¬ la scoperta dal nobile sig. Flavio Paolozzi, in alcuni spa¬ ziosissimi sotterranei, da luì aperti, ove non ancora si è osato avanzarsi attesa la co nfu sione dei loro sentieri nu¬ merosi e feraci di sorgenti, che per via di canali antichi di piombo somministravano per quanto apparisce, acque ab¬ bondanti e perenni all' antica città. Ma ciò che maggiormente sprona la curiosità degli eru¬ diti è il visitare nel territorio di Chiusi gli etruschi se¬ polcreti, dove fu trovato quanto di più mirabile conserviamo nei nostri musei, mentre non senza una qualche almen lon¬ tana emulazione col famigerato sepolcro di Porsenna eretto un tempo in questa nostra patria, presero i suoi citladini etruschi l'esempio di rendere le lor tombe in vario modo as- PREFAZIONE ? J-Ja dovìzia dì antichi monumenti d’arte nell' etrusco cit¬ tà di Chiusi nostra patria, non ha guari trovati, e nei nostri musei custoditi, ci ha fatto sospettare che saremmo giusta¬ mente ripresi, qualora tal dovizia si tenessè fra noi mede¬ simi inosservata ed inutile all’ incremento della scienza ar¬ cheologica. A ciò credemmo sufficiente riparo di offrir li¬ bero accesso a chi volesse que’ monumenti osservar con a- gio nelle nostre private collezioni. Ma riflettendo poi che la più gran parte degli eruditi, cui non è dato il potersi reca¬ re personalmente a Chiusi, restavan privi del bene di co¬ noscere questo ramo speciale di etruschi monumenti: cosi a sodisfare anche questa numerosissima classe di eruditi, non crediamo che trovar si potesse miglior divisamento di quello da noi già compito, di far disegnare con fedeltà mas¬ sima i monumenti più ini ere s santi, che possediamo, e quin¬ di a nostre spese farli incidere in rame in dugento sedici tavole distribuiti , raccomandandone l'edizione al cavalier Francesco Inghirami. A tale nostro invito egli non solo ha cortesemente aderito c oli’ ine arie ar s ene per nostro conto, ma si è compiaciuto inoltre di venir più volte da Firenze a Chiusi per confrontare i disegni coi monumenti originali ,• e ci ha fatto inoltre il dono da noi gradito delle brevi in- terpetrazioni che abbiamo apposte a ciascun monumento ,• al che abbiamo aggiunto anche alcuni ragionamenti, donatici dall’egregio sig. prof. Valeriani nostro concittadino. Chi ha per le mani l’ opera che ora pubblichiamo, non creda già di conoscere, p e' suoi rami, tutti i monumenti an¬ tichi di Chiusi, mentre n’ è assai più dovizioso il paese. Qui ì ti dì quei di Tarqui ni a, fo rse perchè ne fu inventore un di-' verso architetto• Nell’annoverar che facciamo de monumenti antichi più insi¬ gni di nostra patria, non è da pretermettersi che in vicinan¬ za della città rèsta sotto una collina di tufo breccioso verso l Oriente un cimitero antico di cristiani, eh’è noto sotto la denominazione di Catacombe di s. Mus tio la Vergi¬ ne e Martire, inclita patrona della città e della diocesi- Questi sotterranei non solo servivano alla sepoltura de’ cri¬ stiani, e in specialità dei martiri, ma nel giorno di festa e nel natalizio dei Santi vi si raccoglievano per celebrarvi i divini misteri, ivi oravano, ivi stavano refugiati nel mag¬ gior impeto della persecuzione, a scansar la rabbia dei ti¬ ranni, come descrive un nostro concittadino che di tali sot¬ terranei h a ragiona to eruditissimamente, L'abbondanza delle cristiane iscrizioni che spettano a questorispettabile sot¬ terraneo, notante dal prelodato relatore, lo rendono anche più degno dell'attenzione d'ogni erudito. Il libretto che a memoria di ciò egli ha scritto con somma eleganza e dot¬ trina, dove si trova incisa inclusive la piant a dell 1 2 ampio sotterraneo, oltre le iscrizioni ivi adunate e illustrate ',e l’altro libretto di non inferior merito, scritto da vari eru¬ diti, circa il già nominato monumento sepolcrale del Pog- gio al-moro 1 , forma insieme colla presente opera l’ informa¬ zione di quanto crediamo ess er su ffidente ad erudire i cul¬ tori dell' archeologia circa le antichità osservabili di Chiu¬ si nostra patria. 1 Pastumi, Relazione di un antico cimitero di cristiani, in vicinanza della città di Chiusi con le iscri¬ zioni ivi trovate. Montepulciano 1 833 - 2 Sepolcro Etrusco Chiusino illustrato nelle sue epigrafi dal Prof. Gio. Batt. Vermigliolì, con l’aggiunta di una memoria del sig. Giuseppe del Rosso sulla parte architettonica dello stesso monumento ed una lettera del sig. Dolt. Francesco Orioli. Sta anche negli opuscoli del Vermigliolì ec. Voi. IV, Pe¬ rugia 182S, pag. 5 . VII sai magnifiche e ricche d' oggetti d'arte. Si è reso celebre fra gli altri l ipogeo situato in un possesso della g ra ridu¬ cale fattoria di Dolciano, il quale conserva in se stesso un antico modello rarissimo di fabbrica etrusco, perchè a dif¬ ferenza degli altri scavati nel tufo, questo vedesi edificato di travertini tagliati regolarmente, e situati senza cemen¬ to m volta arcuata di tutto sesto, e da varie urne cinerarie occupato, le quali hanno in fronte sculture vaghissime ed epigrafi etru s che, dalle quali resulta essere stato questo se¬ polcro a più famiglie comune. Altri non meno importanti ipogei scavati nel tufo si os¬ servano in varie pendici del monticello, sul quale era ed è tuttora la nostra città. In alcuni di essi, con animo di so¬ disfare Valtrui erudita e commendevole curiosità, i proprie¬ tari lasciarono in parte i monumenti meri facilmente amovi¬ bili, acciò sia noto come e con quali riti vi fossero deposi¬ tati fin da quando ve li posero gli Etruschi. Fra questi ipogei, mediante le nostre indagini fin ora sco¬ perti, due soli noi trovammo scavati regolarmente nel vivo tufo m guisa di camere e dipinti : l’uno aperto nel maggio del 1827 in un podere chiamato P o gg io-al-moro , l altro nel maggio del 1 8 3 3 in alt ro podere detto il C olle , le cui pit¬ ture son riportate in quest’ opera. Pare che lo stesso pittore li dipingesse ambedue, ma l’ ultimo aperto si conserva assai meglio, forse perchè l’adiacente suolo è men’ umido . I sog¬ getti quivi dipinti son pure i me des imi in amb edue gl’ ip 0 gei ; nòdi {feriscono granfatto, si nello stile, si. nel metodo del dipinto, e sì nel s og g ett o iv i Ir att ato dalle pitture dellegrottecornetane, che si altamente sono state encomiate . E probabile che in questi due sotterranei dipinti vi fossero depositati oggetti di prezzo ragguardevole, e perciò dagli stessi antichi deru¬ bati, perchè non vi è stato trovato quasi nulla, specialmente in quél sepolcro che l’ultimo è stato scoperto. È poi sin¬ golare, come i soffitti intagliati nel tufo sieno più elegan- lei il loro cognome anche gli altri re etruschi, cosi esprimendosi quel dotto ed ingegnoso poeta . Nomina videbis, modo namque Petulcius idem, Et modo sacrifico Clusius ore vocor. Questa già potentissima città, che fu detta Camars nella lingua dei nostri padri, ( il qual vocabolo però significa lo stesso che il più moderno Clusium, imperocché le dué voci ca, e mar, o mars, che lo compongono, vengono interpe- trate, chiuso dalle paludi ); Che la nominarono pure Chiamarle, e Camarsoli , Tito Livio, Eutropio , ed Antonio Sabellico, diede luogo a molte dispute fra gli eruditi per determinare se annoverar si dovesse fra le dodici antiche città etruschs, capi di origine-, ma le ragioni addotte in contrario non montano a nul¬ la di fronte all’ unanime consentimento di tutti i più accreditati scrittori antichi, e moderni, che lo affermano. Ed lo sorto persuaso che non manchino autorità bastanti a provare, che non solo ella fu una delle dodici città capi d’ origine, delle quali era composta la famosa, ed antichissima confederazione etnisca re¬ sidente a Fiesole, che risale per autorità di molti gravissimi scrittori, a 2o5o. an¬ ni circa prima dell era volgare, ma che avesse puranco l’ onore di tener lunga stagione lo scettro sii tutta l’Etruria, come lo afferma il dottissimo Dempstero, che sostiene avervelo ella tenuto per 5qo anni di seguito- Di fatti anche Virgilio, parlando di Chiusi -, nomina un suo re chiamato Osi- nio, la cui età è molto antica, essendo quello stesso che trovassi impegnalo nel¬ le guerre eli ebbe a sostenere il Frigio Enea in Italia, contro Turno, ed i Ru¬ llili , prima di stabilire i suoi penati in questa bella, e da tutte le straniere na¬ zioni ambita penisola. Ma anche molto avanti che quel Troiano quà navigasse, aveva avuti Chiusi i suoi regnanti, poiché si annovera Osinio trentesimo sesto * dei regi Etruschi. Ciò che basta a togliere l’onore della fondazione di tal città, a Tirreno, a Telemaco, e a Clusio . Che poi continuasse Chiusi a fiorire in potenza, ed in ricchezze, ed anzi Salisse ognora a maggior altezza nell' una e nelle altre, dai tempi troiani fino a quelli in cui fu scacciato dal trono Tarquinio Superbo, ne fanno chiara fede gli storici, ed. i poèti. Imperocché Tito Livio nel secondo libro della prima deca, narra che i Tarquinii espulsi da Roma, eransi rifugiati presso Larte Porsena re di Chiusi. Ed aggiunge lo stesso storico, al luogo citato, che giudicando quel va¬ loroso monarca nobilissima impresa per lui l’ includere quella metropoli nei suoi domimi, mosse a quella volta con poderoso esercito grandemente inanimito con¬ tro i Romani, ed avendo posto il campo sul Gianicolo, cinse la città et asse¬ dio, e tanta costernazione vi sparse, che mai prima d’ allora sì gran terrore aveva invaso il senato, ed il popolo romano . Cotanto formidabili erano in quel tempo le genti chiusine, e sì grande e temuto suonava per le terre italiche il nome di Porsena . DELL’ ANTICA CITTA DI CHIUSI RAGIONAMENTO DEL PROFESSORE li impresa malagevole assai quella di rintracciare le origini delle antichissime città italiche, i cui fondatori si perdono, per lo più, nel buio delle età favolose . E quanto furono esse più cospicue, e più potenti, per valor d'armi, e per senno dei loro abitanti, per sapienza, e per arti belle, tanto cresce la difficoltà di poterne rinvenire con sicurezza , e fissare i cominciamenti • Avvegnaché i poeti singolar¬ mente, seguiti poi dagli storici ancora, assumendosi l' incarico di celebrarne i pregi, e cantarne le lodi, pare che siansi fatto uno studio esclusivo di nasconderci il vero. Questa sorte pertanto è comune con molte altre anche alla nostra famo¬ sa Chiusi. Tuttavia, benché io non dissimuli a me stesso, che ben aspro e certamente il cammino, in che sono entrato , e tale forse ancora da non trarmene fuori senza pericolo di smarrirmi tra vìa -, pure non so astenermi, spintovi da quel caldo amor patrio, che mai non tace negli animi bennati, dallo scrivere alcuna cosa intorno alla città di Chiusi . E tanto più volentieri lo faccio, m quanto che pubblicandosi un'Opera ove non sono raccolti che antichi monumenti chiusini , non giudico disdicevole che vi si legga, cosa fosse nei vetusti tempi quella si splendida, e si rinomata città. Lasciando pertanto da parte , come, e quando cominciasse ella ad esistere, se Tirreno, o Telemaco ne ponesse le fondamenta, come pretesero alcuni scrittori, o sivvero Classo re degli Etruschi, che si vuole da altri che fosse figlio di un secondo Tirreno, e se ne riguarda come il fondatore esso pure, ( ed io lo direi meglio arnpliatore, e ristauralore della medesima, benché s’ ignori in qual secolo ciò avvenisse ) , egli è fuor d' ogni dubbio che questa città risale ad una remotissima origine . Lochè peraltro discoprire volendo, e stabilir con cer¬ tezza, sarebbe lo stesso che mettersi a navigare in un mar senza sponde. Per lo che, scenderò ad epoche meno lontane, e più certe, quando già la città di Chiusi teneva ampio dominio sull' antica Etruria. Mentre pare da un distico che si legge nel primo libro dei Fasti d Ovidio, che prendessero da Elr. Mas. Chius. Toni . I. 5 4 —- zo coll' uccisione del Console Lucio Cevìlio , e di 3 ooo soldati, furono dalla valida l'esistenza dei Chiusini obbligati ad abbandonarne l'impresa, e spingersi a sciogliere il freno ai loro furori contro Roma. Lo che narrasi da Lucio Floro nel primo libro della storia romana , e possono consultarsi ancora su questo pro¬ posito, Diodoro Siculo, e Polibio. Ne fa pure un cenno Plutarco nella vita di Numa Pompilio, e ne parla più a lungo in quella di Camillo . Anche la risposta , che lo storico di Cheronea fa pronunziare con barbara confidenza da Brenna condottiero dei Galli, agli ambasciatori romani, che s'erano a lui recati per chiedergli ragione a nome del Senato, del suo procedere verso i Chiusini, infestandone i possessi, disertando i campi, e minacciando la città, ne fa viepiù chiara testimonianza intorno alla celebrità, ed opulenza della me¬ desima, essendosi cosi espresso quél fiero conquistatore. Ci fanno manifesta in¬ giuria i Chiusini, come coloro che ambiscono di possedere una estensione di compagne, molto maggiore di quella che possono coltivare, e superbamente ri¬ cusano di concederne una porzione a noi forestieri , che siamo in gran nume¬ ro , e poveri. Circa la fertilità poi dell’ agro chiusino, leggasi Plinio libro 18°. capo 7 °, ove ne loda il frumento, cosi per la qualità sua, come per la quantità che ne produceva. E Marziale erasi prima di lui nell ottavo epigramma del i 3 .° libro espresso in tal guisa « Imbue plebejas clusinis pultibus ollas jj. Moltissime altre autorità di antichi scrittori avrei potuto raccogliere , onde mettere in più chiara luce, ed evidenza, la grandezza, e V opulenza della città di Chiusi iti remotissimi tempi, la potenza dei suoi re, il valoroso coraggio, e l'operosa industria dei Suoi abitanti, t libertà del suo territorio, e lo splen¬ dore che la rese tanto famosa per lunga serie di secoli ,• ma stimo che bastino le già riferite, ed i pochi cenni che ne ho dati, per farne concepire, a, chi vorrà leggere questo ragionamento, una giusta, e non umile idèa. Nè poteva d’altronde dilungarmici gran fatto, attesa V indole di quest' Opera, e la bre¬ vità della periferia , cui ho dovuto perciò ristringermi nel comporlo. Mi contenterò dunque di aggiungere, che venendo puranco ad epoche a noi più vicine, dopo lo smembramento dell impero romano per opera dei Longobardi, ebbe Chiusi, benché decaduta immensamente dall’ antico suo lustro, il titolo di Ducalo; leggendosi presso Anastasio bibliotecario in s. Zaccaria, verso l’an¬ no 742 dell’ era cristiana, che Liutprando mandò ad ossequiarlo il suo nipote Agiprando, 0 come leggesi in altro codice Adelprando, duca di Chiusi. Il qual fatto viene riferito egualmente dall’ autore dell’ Etruria Regale. Ed anche giunta la citta di Chiusi all estrema sua umiliazione, rimase ogno¬ ra città vescovile, come lo è tuttavia, e fregiata di assai privilegi . E si legge in un manoscritto che tratta di cose etnische, e conservasi nella libreria Rondoni JlcJlklh che circa l'anno 676 di nostra salute n' era vescovo un tal Teodosio. Ricavasi pc-i dal decreto di Gregorio, cap. 9.° delle costituzioni, che l' anno 3 II qual fatto confermano, oltre Polibio, Dionisio d’ Allea mas so , ed altri Storici, anche sant’ Agostino nella sua Città di Dio , Sidonio Apollinare, Chili- diano, Orazio Fiacco, Marziale, Tzétze , e molti altri. Nè parrà strana una si gran potenza dei chiusini, ed una tanta opulenza , a chiunque facciasi a riflettere ai magnifici e sontuosi edifizi, dei quali Chiusi adornavasi. E basterà riferire a questo proposito la descrizione del labennto fattovi costruire dallo stesso Porsena, perchè gli servisse di sepolcro, e che si legge in Plinio al capo decimo terzo del libro trentesimo sesto , ove riporta, co/n’ ei dice, le parole stesse di Marco V àrrone . Fu sepolto , scrive egli, questo monarca, sotto la città di Chiosi ove erasi fatta inalzare una tomba di larghe pietre quadrate, e compresa da quattro lati, o muri, ciascuno dei quali estendevasi per trecento piedi in lunghezza , aven¬ done cinquanta di altezza. Nell’ area interna di nove mila piedi, raggravasi un inestricabile laberinlo, nel quale chi si fosse introdotto senza un gomitolo di filo, non avrebbe potuto ritrovare la strada onde uscirne. Ergevansi poi sopra il vasto quadrato cinque piramidi, quattro negli angoli , ed una nel mezzo, larghe alla base, ciascuna setlantacinque piedi, ed alte centocinquanta. Slava nella cima dì ognuna di esse un grosso globo di bronzo, sovrappostovi un petaso, dal quale scendevano varie catene, cui vedevansi sospesi dei campanelli mobili, e sonanti quand’ erano agitati dal vento, come raccontasi pure del tempio di Do- dona. Sulla cima delle grandi piramidi ne sorgevano altre quattro alte cento piedi', sopra le quali era praticato un piano, ed in esso pure si alzavano altre cinque maggiori piramidi, che secondo gli annali degli Etruschi veduti da f ar¬ ro nc, erano tanto alte, quanto il rimanente dell’ edifizio . Ora domando io : a qual potenza, ed a quanta ricchezza doveva esser sa¬ lita la città di Chiusi, onde concepir potesse un suore , e condurre ad effetto la superba idea di fare erigere una fabbrica di questa sorte, per servirsene* di sepoltura , quando ancora si voglia credere esagerato un tal racconto ! E veramente, o esagerazione, o stranezza vi è certo, nella surriferita descrizione, giacché è più agevole il disegnare quelle piramidi sulla carta, come saviamen¬ te riflette anche il Pignotti, che il trovar la maniera di farle stare in piedi. Tuttavia però , benché debbasi ridurre la cosa a più ristretti, e più giu¬ sti limiti', conviene non pertanto ammettere, che la tomba di Porsena fosse una fabbrica sorprendentissima, e tale da superare di gran lunga quanto di più grandioso fece ammirare V umana vanità nei trascorsi tempi, o si ammira pu¬ re nei nostri, presso le altre nazioni, se non per altro per la singolarità della sua costruzione, e per la gigantesca sua mole-, poiché tal cose possono ingran¬ dirsi bensì dai narratori di esse, ma inventarsi non mai. Nè meno splendida è da credere che fosse la nostra città, nè inferiore la sua potenza 284 anni più tardi, quando scesero in Italia i Galli Senoni■ Avvegna¬ ché avendola quei barbari cinta d’ assedio, dopo aver battuti i Romani ad Arez- 5 iig8, il pontefice Innocenzo III scrisse al vescovo di Chiusi, benché se ne taccia il nome nel luogo donde ho tratta questa notizia. E finalmente narrano, il Surio tomo l\ , e 1 ‘ Usuando nel Martirologio, che il dì 3 di luglio, imperando Aureliano, vi conseguirono la palma del martirio i santi Mustiola cugina dell' imperator Claudio ed Ireneo diacono, i cui corpi so¬ no esposti alla venerazione dei fedeli nella stessa città 1 . i Non solamente gli antichi monarchi , ed i grandi Chiusini avevano le loro tombe gen¬ tilizie ; ma le private famiglie eziandio , e queste più c meno grandiose, a seconda del¬ la propria condizione e ricchezza, come ne fan fede tutti quegl ’ ipogei, che sortosi in buon numero dissepolti finora . E non di¬ spiacerà , cred ’ io , agli amatori delle cose etrusche , il sapere in qual modo discopronsi cotali sepolcreti . Nei trascorsi tempi era stato il solo caso l'au¬ tore di simili ritrovamenti , poiché ì conta¬ dini arando la terra si abbattevano di tempo in tempo in alcuno di essi, senza cercarne. Ma da varii anni a questa parte , la cosa ha cangiato d 3 aspetto e si è determinata la maniera di rinvenirli a colpo sicuro , ed eccone il metodo . Avendo osservato alcuni signori Chiusini, co¬ me , e dove erano situati gl ipogei discoperti dal caso, pensarono di fare dei tentativi, sag¬ giando il terreno , per discoprirne degli al¬ tri espressamente cercandoli , ove se ne ri¬ scontrasse del sovraimpostoj ed i primi saggi \ per essi sperimentati, sortirono un felicissi¬ mo effetto . Questi diedero loro animo a procedere ai secon¬ di , e quelli ai terzi , e così ad altri di ma¬ no in mano . Di modo che nel corso di pochi anni se ne scoprirono in tal quantità , che alcuni dei sullodati signori , come fra gli altri, Casuccini, e Sozzi, arricchirono , o formarono di pianta, ragguardevoli collez- zioni , di urne funebri , vasi , specchi mistici, idoli , sitale , scarabei, ed altre interessan¬ tissime anticaglie. Le quali collezioni si vanno pure di giorno in giorno aumentan¬ do , mediante i nuovi scavi che si continua¬ no sempre a fare con caldissimo amore di patria , e senza risparmio di spese. La qual cosa, se e lodevole in un governo, lo è mol¬ to più nella condizione privata . Che al nascimento del cristianesimo, ed al tem¬ po della propagazione di esso , fosse Chiu¬ si tuttavia una rispettabile città , e fra le prime ad abbracciare la fede evangelica, si deduca ancora da quanto sono per dire . Nelle catacombe che si trovano situate alla distanza di circa un mezzo miglio dalla cit¬ tà medesima , e delle quali fanno menzione, V Ughelli , il Boldetti , ed altri, essendosi di recente intraprese delle escavazioni , che si vanno proseguendo con ardore, sono stale riaperte molte strade, ove si è rinvenuto un numero considerevolissimo di sepolcri murati a più ordini , che saranno ben presto for¬ malmente aperti. Nei quali, se per mancan¬ za di autentiche non si potrà asserire con sicurezza che vi siano siati sepolti corpi di Santi Martiri , non può dubitarsi però che abbiano servito di tomba ad individui della primitiva cristianità . In alcuni di essi trovati discoperti si è osser¬ vato essere state deposle in ciascuno le ossa d{ due o tre individui : lo che mostra ad evidenza che fosse grande in quei tempi il nu¬ mero dei cristiani in Chiusi , venendo ciò infermato dall ’ essersi colà diretti dalla stessa Roma, diversi seguaci della nuova re¬ ligione , fra i quali la surriferita Vergine Mustiola, e dall 3 avervi spedito l* imperatol e Aureliano un suo Prefetto per nome Par¬ do A promano, affine di perseguitarvi i Cri¬ stiani -, e non pochi di essi vi subirono il martino , come t due santi nominati qui sopra . 8 le anime goduto dopo ch’elleno son separate dal corpo. Furon varie presso gli antichi le maniere di figurare un simile godimento, e noi vediamo frequentemente nelle pitture dei vasi fittili, e ne’bassirilievi alcune imbandite mense, i cui commensali starinosi lautamente bevendo a! suono di piacevoli strumenti, poiché prevaleva presso di loro la massima che il premio concesso alle anime beatificate era il godimento di una eterna ubriachezza. Al pari dissoluta sembra l’altra massima degli Etruschi i quali fanno consistere tal beatitudine nel libero consorzio di ogni senso, per cui si vedono replicatissime pitture nei vasi etruschi d’un satiro ed una menade, ai qual soggetto si dà nome di baccanale. Men dissoluta è 1’ im¬ magine del Chiusino scultore antico di quest’ara, ove al suono di variati stru¬ menti ci rappresenta una mimica danza, replicato soggetto nelle sculture più an¬ tiche di Chiusi a . Il rilievo di questa è bassissimo, al pari dell’antecedente, e il disegno è parimente un terzo del suo originale. TAVOLA VI. JSum. j. Tra le molte immaginette in bronzo che trovaronsi nelle terre degli Etruschi rappresentative della Speranza se ne incontrano alcune alate come la pre¬ sente. Le ragioni che mossero questi popoli ad ammettere le ali alla Speranza, son da me dichiarate nello spiegare i Monumenti etruschi, non meno che il si-' gnificato della veste che tiene scostata dal fianco K Qui soltanto ripeterò breve¬ mente, che gli Etruschi hanno spesso confuso la Speranza colla Nemesi, dando all’ una ed all’ altra le ali Ma la Speranza, a differenza di Nemesi, contrae la veste per aver più spedito il passo, onde mostrare con quanta ansietà 1’ attende chi spera 5 . La mano elevata suole averè altresì qualche simbolo o significato, ma di questa nulla diremo per esser guasta; e solo avvertiremo esser questo disegno uguale in grandezza al suo originale. JSum. 2 . Lo scarabeo rappresentato in questo num. 2 , ha una figura scolpita rozzamente al segno da mostrare una sola gamba, sebben sia nuda in tutto il corpo. Il petto è delineato in guisa che addita esser donna,- e qualora interpetrar si volesse quel che tiene in mano, direbbesi non impropriamente un pomo gra¬ nato, sicché il combinare con tutto ciò l’atto di stare assisa ci potrebbe far cre¬ der che fosse Euridice o Proserpina, entrambe dimoranti all’ inferno, dove figu¬ rasi assiso chi vi è destinato, per mostrar cred’ io la stanchezza di quella dimora. Così Teseo condannato all’ inferno fu non solo così rappresentato dagli Etruschi 6 , 1 Ivi, ser. i, 4i2. 5 Ivi, Ragionamento ìv , p. 17 5 , sq., e cap. u, 2 Micali, Monuments ant. pour l’ouvrage inlilulé p- 110. sq. l'Italie av. la dommation des Romains, pi. xvih, 6 Lanzi, Saggio di lingua etrusca, tom 11, tav. Vili, 3 Monum. Etruschi; ser. nij p. 202, sq. n. 2, p. lai» 4 Ivi, p. ao 5 . ETRUSCO 2D2IL2.1 S&TftiL2 TAVOLA I. Non vi è soggetto che abbia tanto occupato il genio degli artefici scultori nei monumenti ferali, quanto i Dioscuri. Noi vediatno soventi volte nei cassoni mortuali i simulacri di quei due giovani allegorici, posti simmetricamente alle due estremità delle cotriposizioni , senza che abbiano colle composizioni medesime nessuna connessione storica o favolosa ivi posti manifestamente non solo per ornamento, ma per allusione speciale al passaggio dalla vita alla morte, e nuovamente dalla morte alla vita’, come dicevasi dai Gentili che i Dio¬ scuri ebbero da Giove il vicendevole dono della immortalità 3 . Or poiché il pre¬ sente bassorilievo è in un’ara di quattro facce, ove da ognuna di esse ripetesi a guisa d’ornato il soggetto medesimo di due giovani equestri, e poiché questo monu¬ mento è stato ritrovato in una tomba sepolcrale, così non credo erronea 1’ in- terpetrazione ch'io dò a tal soggetto dei due Dioscuri, ripetuti simmetricamente per ogni faccia dell’ara. Il rilievo della scultura è bassissimo, eseguito in pietra tofacea, la quale si lavora con molta facilità per esser fragile. Il disegno è un terzo dell’ originale. TAVOLE li, III, IV, e V, È frequentissimo al pari dell’antecedente soggetto quello che l’osservatore trova in queste 4 Tavole distribuito, non altro ivi raffigurandosi che il gaudio mistico dal- i B. rii. del Mus. Borgia riportato dal Millin , Galler. Mythologique Pian, lxxx, n. 53o. Co¬ ri , Inscript. Antiq. in Etruriae urbi bus ex- iati., Pars ni, Tab. x. et xGxrti, 2 Inghirami, Monumenti Etruschi, Ser. n , p. 479» 62 7• 3 Ivi, ser. i, p. 55, ser. 11 , p. 627 , 477 • r nuovo negli oggetti ferali l’augurio di prosperità che i vivi facevano ai morti, nella fiducia che godessero una vita migliore *. L’ altezza di questo vaso è un terzo dell’ originale. tavola IX. Ecco un saggio dei tanti vasi di bronzo che si trovano a Chiusi. La grandez¬ za del disegno è pari a quella del suo originale , ed ha ornamenti siffatti, che non disdirebbero ad un’opera di fusoria dei migliori tempi dell arte; specialmente se consideriamo quel manubrio a cui si leggiadramente vien data la forma d un giovine in atto di riposo. TAVOLA X. Un altro genere d’ utensili tutto diverso dai fin qui esposti, occupa la Tav. X, ove pure è diverso in tutto lo stile del disegno che ne traccia la rappresen¬ tanza; talché sarei per dire che altri fossero gli artefici e la scuola di scultura, altra quella di plastica, altra quella di fusoria, altra quella gliptica, altra quella di grafito in Chiusi, e che tutte separatamente si vedono in queste dieci tavo¬ le. Nel presente disco manubriato di bronzo rappresentansi fuoi d ogni ub io i Dioscuri: soggetto ripetutissimo in simili oggetti, che perciò diconsi spec chi mistici; e su questi e su quelli ho scritto abbastanza, ragionando dei Menu menti etruschi *. Uno dei giovani colla mano portata in alto accenna il cielo, l’altro l’inferno col braccio al basso: attitudine che a meraviglia esprime 1 al tei - ila loro posizione, come dicemmo spiegando la tavola prima. Onde qui mi resta da notar brevemente, che questi mistici utensili si trovano tra i cadaveri come un amuleto relativo al transito delle anime da questa all’ altra vita. TAVOLA XI. Una gran parte di figure in bronzo quasi esattamente simili alla presente si trova in vari musei d’ Etruria ; e poiché io ne vidi alcune che sostenevano un gran disco con una incassatura al lembo di esso, così mi detti a credere che in an¬ tico siano stati specchi di toelette, il cui disco lucido era probabilmente incastra¬ to nella ghiera del disco di bronzo ade r ente alla anzidetta figura, che gli servi¬ va di manico 3 , e della grandezza di questo disegno, eh'è uguale al bronzo ar¬ chetipo. Non è dunque inverisimile che essendo questo un vero specchio da toe¬ lette, sia quel manico dal quale è retto, la figura di Veneie. 3 Ivi, tav. vii. g ma descritto in simile attitudine anche da Virgilio *. La stessa Euridice si vede rap¬ presentata all’inferno sedendo per terra, in atto d’esser liberata da Orfeo * 11 pomo granato nelle mani delle persone infernali è superstizione che usavasi anche tra gli Etruschi, rappresentati nei coperchi delle loro urne cinerarie 3 . Ma in tanta goffaggine chi decide? Num. 3. Lo scarabeo di questo num. sarà spiegato con altro d'ugual soggetto. TAVOLA VII. ' ‘ mrriensa varietà di forme che s’incontra nei vasi sepolcrali, ve ne son 1 • j C | 6 ^ 6r °® n ' r ‘o uar do meritano d'esser fatte conoscere coi rami per la H’ r t0 s ‘ n S°^ ar ‘ ta ; e per quanto non potremo in quest’opera dar ■ 0 °. °o nuna di esse, pure non sapremmo astenerci dal farne conoscere le più a™’- 3 ' H t0 r >r *. nc T a ^ menl:e riguardo alla utilità che queste nuove forme pos- caie a e aiti meccaniche, ed al miglioramento degli utensili domestici. t . . Pj ente ,n questa VII tavola figurato è di terra cotta di color rosso, si- rorrisn 3 m6nte sn P ra a ^ tr ' quattro vasetti insieme uniti al disotto, ed ai quali • . . n on° quattio fori nel recipiente maggiore praticati, onde potrebbero ntrodurvs. quattro diversi liquidi, come si vede chiaramente nel disegno supe- rate " 6 ^ ° recc liette c ^ e servono di manichi nel vaso di mezzo sono trafo- che ' C ° me Se V1 fo8Se P assa t a una cordicella per appendere tutta la macchinetta, per ques o aggiunto sembra essere stata di qualche uso. tavola Vili. annoverare preSeiUe è da re P u tarsi antichissimo, qualora non vogliasi mento eli occh' imi ^ tlV0 delIe antiche opere plastiche. I profili con gran ’ g a Ì a pert.ss,m. ne. volti che vi son modellati, e quei veli che hanno nera anche^nfll* *' mm< \ tnche Sono caratteristiche di grande antichità. La terra sa che tende al ern ° 6 tenuta P er mater ia di antica manifattura. La forma stes- Quegli animali m ° St ™ Ua 8:11810 non raffil)at ° dal progresso dell’arte. Ses^r r^ neOrHanOllC0r P°’ C0Ì1 ’ 6SSer S6nZa °^ tt0 "1*^ indicano tav XII eiarrh' T ™ tUr ‘ A j ma del significato loro dò cenno spiegando la mina in’ una « 6 ^ una leonessa o tigre che sia, con la coda che ter- sta sull’ fi A r Pe ’ f ebbeS ‘ quest animale riguardar per un mostro. Il gallo che , , ° e vaso e un au o ur ^° pel morto che fu cornane fra gli Etruschi e dei ,»], ho trattato anche altrove i. Solo ,ui r.m.L.o " i Virgil. Aeneid., lib. vi, y. 6iy. l Monum. etruschi cit , «er. vi, l,v. C5, n. i. Etr. Mas. Chiùs. Tom. I. 3 Ivi, ser. vi, lav. Ha, unni 4 Ivi, ser. i, p. 3 I0 . P- I#?. RAGIONAMENTO II SULLA LINGUA ETRUSCA O e egli è vero, come nessuno può dubitarne, che le lingue sono molto più antiche di tutti i monuménti delle nazioni, sarà vero del pari che lo studio delle medesime, e particolarmente lo studio comparativo, possa contribuire più di ogni altra cosa, a rintracciare con sicurezza le origini dei popoli, le loro affiliazioni, ed i loro mescolamenti, non meno che le divisioni, e successive riunioni di essi, e le varie peregrinazioni, cui sono i medesimi andati soggetti nel corso dei tempi. Ed infatti, chi non vede a primo colpo d'occhio, per esempio, osservando la gran somiglianza che passa fra i primitivi vocaboli della lingua samscritica, con altret¬ tanti dell antica persiana, della greca, della teutonica, della illìrica, e della la¬ tina, che tutte queste lingue, o debbono procedere in prima origine da un medesimo, fonte od esservi stato in epoche da noi lontanissime un mescolamento, o per emigra¬ zioni o per cagion di commercio, di tutti quei popoli che le parlarono ? Oltre di che, sarebbe veramente un voler andare a ritroso, pretendendo che possa dipendere dalla semplice casualità un lavoro così metafisico, e così profonda¬ mente pensato, quale è quello dei significamenti dati ai vocaboli di antichissime lìngue, e che furono parlate da popoli tanto lontani fra loro per geografica posi¬ zione e tanto differenti per indole, per costumi, e per usi religiosi, e civili, piuttosto che attribuirlo , o ad una sorgente comune, o ai mescolamenti dei varii popoli in remotissime età, per qualunque cagione, ed in qualsivoglia maniera siano questi avvenuti. Ciò premesso, e venendo a parlare più di proposito dell’ etrusco, dirò liberamente che non giungono a persuadérmi nè punto nè poco ì sistemi formati, e adottati finora dagli archeologi, intorno a questo antichissimo, e presso che del tutto perduto idioma, benché io professi una profondissima stima per ognuno di essi. E vaglia il vero, benché il Cori, ilMajfei, il Guarnacci, il Dernpstero, gli accademici di Cortona, ed il chiarissimo Abate Lanzi, abbiano fatto ogni loro sforzo per diradare le tenebre nelle quali giaceva involta la nazione etrusca, e piu ancora la sua lingua, e ci abbiano aperta colle opere loro una strada onde poter fate nuovi passi, e nuove scoperte in questa interessantissima parte della antiquaria, non possiamo tuttavia dissimulare, che le oscurità non siano peranche grandissime, e singolarmente intorno alla lingua, primo fondamento di tali studii, e unica face atta ad illuminare le nostre archeologiche indagini, sulla origine, sulla remotissima antichità, sui monumenti, e su qualunque vogliasi oggetto, nguar ante questa nazione perduta. E benché ancora, dopo quei celebri nomi- TAVOLA XII. 1 1 Nell' esporre questo pregevole vasetto di terra nera a quattro anse con coper¬ chio, mi fo pregio di riportare la notizia che annettono al disegno gli zelantis¬ simi editori di quest’ opera del Museo etrusco chiusino. « Si crede, essi dicono, che i vasi di questa terra non siali cotti, ma solamente disseccati al sole, poiché infondendovi dell’acqua li compenetra, e si disfanno. Cotal genere di vasi non si son trovati fin ora che a Chiusi e nei suoi contorni ». Questa è la loro avvertenza. L’ animale che vi si vede espresso è chimerico a rammentare i mostri caotici che precedettero l’ordine della natura. In dimostrar ciò non mi estendo, perchè abbastanza scrissi altrove onde far conoscere la frequenza di simili soggetti cosmo¬ gonici >, espressi dagli antichi nei monumenti sepolcrali. Avverte chi ha fatto eseguire’questa tavola, che sotto al vaso è copiato un ornato d’oro dalla parte anteriore, il doppio dell’ originale, e sotto è disegnata la parte posteriore di esso, della grandezza del monumento, ed aggiunge che le due sfingi rappresentatevi sondi un lavoro mirabilmente finito e minuto. ISCRIZIONI FUNEBRI ETRUSCHE Quanto saviamente dichiarasi dal eh. pr. Valeriani nel secondo suo dotto ra¬ gionamento che segue, mi dispensa dall’onere di spiegare le iscrizioni fu¬ nebri che trovansi nei cinerari etruschi di Chiusi, perche scritti in una lingua perduta. Tuttavia quel barlume che le moderne indagini dei dotti sopra di essa ci fan vedere, sarà posto a profitto dall' eruditissimo sig. prof. Vermigiioli il più meritamente accreditato in simile materia, onde in fine di quest’opera trovisi qual¬ che notizia di queste iscrizioni funebri chiusine, che ove lo concede lo spazio vi si distribuiscono, senz’ altro dirne per ora. \ V* : IHd-M 3 Pi -O J I- :ian 0qm v : Pi +i fì® 11 • A? 3 d-flq = i anq V >/ di. yfìMRY/\ IV. 33 =3 Dliaq => --1 Mti™ V V - , Mooum. Eu.. set. , p. 585 , 5 9 3 , set. m. P . 346, 36» >4 dì^ìosamcnte remota , dice il Pejleuttier nella sua storia dei Celti, gli antichi popoli di questo nome, o i Cello-Sciti, la cui lingua se non è primitiva in un senso assoluto, 10 è per lo meno relativamente a quasi tutte le lingue conosciute, sì furono sparsi da una parte nell Asia occidentale, e dall altra nell Europa, si estesero in quest ul¬ tima regione, gli uni al Settentrione, e gli altri lungo il Danubio. La posterità di questi poi rimontando quel fiume, pervenne in seguito alle sponde del Reno , le quali oltrepassò, e riempi delle sue numerose popolazioni tutto l’ intervallo che si estende dalle Alpi ai Pirenei, e ai due mari. Laonde ovunque la lingua dei Cel¬ ti mescolandosi agl’ idiomi indigeni, formò delle combinazioni, ov’ ella dominò sen¬ sibilmente . Ed anche in quei contorni che aveva trovati deserti, o dai quali aveva fatto scomparire gli abitanti, il celtico si conservò nella sua purità originale. Alcu¬ ni secoli dopo la popolazione sempre crescente di questi Celti, o Galli, li costrinse a passare i Pirenei, e le Alpi. In Italia, dopo avere occupato da prima tutto il paese posto al piede delle montagne, eglino si estesero di mano in mano, nel- l'Insubria, nell’Umbria, nel paese dei Sabini, in quello degli Etruschi, degli Osci, dei Sanniti, ed in tutto il resto della penisola al dì qua del Garigliano ■ Nel medesi¬ mo tempo alcune colonie greche approdarono all’ estremità orientale d’Italia, e vi formarono degli stabilimenti. Lasciami poi ben presto le sponde del mare , e spingendosi sempre avanti, incontrarono finalmente i Celti, che continuavano pure dal canto loro ad avanzarsi ancor essi • Dopo alcune guerre, poiché questo è sempre 11 primo caso dei due popoli che s incontrano j sì riunirono nell’ antico Lazio, e non vi formarono più che una sola società, che prese il nome di popolo lati¬ no. Allora le lingue delle due nazioni si mescolarono insieme, e si combinarono con quelle dei primitivi abitanti. Nè bisogna dimenticarsi di osservare che in quest' amalgama aveva il celtico un gran vantaggio . Il Greco, che non era allora, o a grandissima distanza, la lingua di Omero , di Platone, doveva dal canto suo il nascimento ad un miscuglio di mercatanti fenìci, d’ avventurieri di Frigia , di Macedonia e d’ llliria, e dì quegli antichi Celto-Sciti, che mentre i loro compatriotti si precipitarono in Europa, eransigettati sull' Asia occidentale, donde erano discesi in seguilo fino al paese che fu poi la Grecia. Eravi dunque del celtico alterato nel greco, che si combinava di nuovo col cel¬ tico. Dalla qual moltiplice combinazione nacque la lingua latina, che rozza nella origin sua. ripulita poi, e perfezionata col tempo, divenne in fine la lìngua di Teren¬ zio, di Cicerone, di Orazio, e di Virgilio. Ed è questa medesima lingua latina, che dopo un si bel regno terminato con un sì lungo e tristo tramonto, veniva ad amal¬ gamarsi ancora un’altra volta col celtico : sorgente comune dei barbari dialetti dei Goti, dei Lombardi, dei Franchi, e dei Germani, per divenire poco tempo do¬ po la lingua di Dante, di Petrarca, e di Boccaccio. Per tali considerazioni, e per* quelle già riferite in questo ragionamento, io credo che si debba battere un cammino diverso da quello che si è battuto finora dagli archeologi, nell’ investigazioni in¬ torno gli antichi Etruschi , ed al loro linguaggio. E non già perdi’ io abbia la i3 nati dì sopra, molta gratitudine dobbiamo avere ai Signori, Vermiglìolì, Zan- noni, Mleali. Orioli, Ciampi, e più particolarmente all’ infaticabile cav• In- giurami, per i tentativi che tutti questi hanno fatto, onde aggiungere dal canto loro nuovi lumi, affine di condurci vie più addentro nei penetrali delle cose etrusche, non ci siamo non pertanto finquì partiti, quanto alla lingua, dal punto dove era¬ vamo cinquanta, o sessanta anni, per non dire quasi un secolo addietro. Nè qui sarebbe per avventura fuor di proposito lo stabilirese la nazione etru¬ sco debbasi avere assolutamente nel numero delle perdute, e nel caso affermativo determinare il come, e il quando sia questo avvenuto, oppure considerare la dob¬ biamo come trasfusa nella romana , o combinata con tutte quelle che invasero a piu riprese V Italia. Ma siccome cotali ricerche mi farebbero deviar troppo dallo scopo che mi sono prefisso in questo discorso, e mi trarrebbero troppo in lungo, cosi le serbo ad altro tempo, e ad altro lavoro. E per istringermipiù dappresso al mio soggetto, dovremo noi riguardare la lingua etnisca, o come primigenia, e indi genia dell antica Etruna,o come proveniente da altro più vetusto idioma italico-, o sivvero come un composto di più dialetti stranieri, combinati coll’indigeno, quali sa¬ rebbero, il pelasgo, il lidio, il celtico, il greco antico, il traco-frigio, ed altri, qua por¬ tati a diverse epoche dalle varie colonie che si venneroa stabilire nelle nostre belle contrade. Riflettendo che tutti gli archeologi, i quali procacciarono di rischiarare questa materia oscurissima, hanno ben poco, o nulla concluso finora circa V i.n- tell/genza dell antica favella dei nostri padri, e quelli che pretesero di trarla dall’ Oriente senza alcun altro soccorso, e quelli che la vollero derivare dai Greci e i fautori dell antico latino $ pare che ne inviti la sana critica, e ne sproni il buon senso, a tentare un’ altra via, per vedere se si giungesse finalmente a scio¬ gliere questo famoso nodo gordiano. Ed io penso che giovandosi di quanto si può raccogliere di antichissimo italico , donde procede in gran parte il vècchio latino, non trascurando il greco , per le ragioni che svilupperò altrove, e ricorrendo pure ai dialetti annoverati qui sopra , si possa con sicurezza avanzare qualche passo, e forse ancora giungere a fissarne un compiuto alfabeto , e quindi a bén leggere, ed intendere, tutto quello che ci rimane di etrusco. Imperocché, sia che abbia ve¬ ramente esistito una lingua primitiva, della quale tutte le altre non siano che deriva¬ zioni, e prodotti, o sia che le diverse popolazioni umane siensi fatta da principio, ciascuna la sua lingua, e che per moltiplicate combinazioni, e dopo una lunga serie di secoli, questi diversi idiomi particolari siano venuti, per cosi dire, a fondersi in un idioma generale, che in seguito poi siasi diviso, e suddiviso di nuovo, in lingue, e in dialetti diversi, vi sono pochi argomenti più degni dell’ at¬ tenzione del filologo, e del filosofo ad un tempo, di queste formazioni, di queste se¬ parazioni e di queste riunioni dì linguaggi, che indicano le principali epoche della formazione, della separazione, e della riunione dei popoli. L’ idioma Latino che disparve al nascere dell' Italiano, era stato in una molto recondita antichità il prodotto di una simile rivoluzione. Quando ad un' epoca prò- i6 TAVOLA XIII. Porgiamo alla considerazione dello spettatore in questo disegno la più grande ur¬ na in marmo che siasi fin ora trovata nei moderni scavi di Chiusi, misurando in lunghezza circa 4 braccia. Ha nel cornicione superiore una lunga iscrizione etni¬ sca, ma disgraziatamente dipinta, e non conservata come desiderar si potrebbe per l'intelligenza compita, quantunque da quel che resta comprendesi essere un aggregato di nomi famigliari e nient'altro. Vi corrisponde la rappresentanza della scultura, ove si vede la moglie che dal marito congedasi, o questo da quella per girsene all’altra vita. Una Furia come addetta al ministero delle anime ’, ab¬ bracciando la donna par che indichi esser lei la defonta, e non 1’ uomo che il soggetto ivi appella. Infatti contiene il coperchio dell’urna una donna, come vedremo. Termina la composizione con altre due Furie, una delle quali è pronta a ricever l’anima alla porta infernale per dove passavasi quindi agli Elisi a ; e le altre cinque figure intermedie non altro significano a mio credere che parenti,e forse an¬ che estinti antenati, de’quali siansi voluti rammentare i nomi nella iscrizione. Forma questo bel monumento e rarissimo in Etruria uno dei principali ornamenti del Mu¬ seo Casuccini di Chiusi. * TAVOLA XIV. Ecco il coperchio in marmo dell’ urna già osservata nella Tavola antecedente. Quivi e una donna mutilata in parte, come esser sogliono le sculture sepolcrali visi¬ tate dai primitivi cristiani, ed in quella occasione depredati quei loro sepolcri; ma pure non sempre del tutto, e infatti si è trovato in Chiusi qualche ornamento d’oro uguale alla collana che riccamente scende sul petto di questa defonta, la quale è succinta , come esser sogliono le protome delle donne. Ha in mano un pomo gra¬ nato, conforme davansi a chi si portava all’ inferno. 3 . T A V O L A XV. Quando si volesse dare una interpetrazione a quest’oscuro soggetto in bassori¬ lievo, si potrebbe dire essere il giovane Astianatte genuflesso sul larario, in atto di venire immolato al furore di Pirro. Il monumento è un’urna di terra cotta non molto conservata. 1 Monum. Etr., ser. i, p. 191, 229. a Ivi, p. 177, »46. 3 Ivi, ser. 11, p. 229, a 3 o. i 5 stolta presunzione di credermi più perspicace, e più istrutto di quei dottissimi, che si affaticarono in clamo su questo istesso argomento-, ma solamente perchè il tentar nuove strade in materia cotanto astrusa, è permesso a chi che sia, partico¬ larmente quando tutte quelle tentate finora, non sono opportune a condurci a buon porto . E perché è pur vero che non di rado toccò in sorte ad uomini di mediocre ingegno e sapere, il discoprimento di ciò che rimase lungamente occul¬ to alle più profonde, e costanti ricerche di sapientissimi osservatori. Protesto peraltro ampiamente d’esser pronto ad abbandonare la mia opinione su questo proposito, quando i dotti me ne oppongano un’ altra più plausibile, e più idonea allo scopo cui è diretta. Essendo io scevro affatto di ogni particolare affezione per essa, ed alienissimo da qualunque spirito di sistema, nè altro cercando che la ve¬ rità . Avvegna che, una delle cause positive, anzi la principale, a mio credere, che abbia così ritardalo, ed impedito la scoperta del vero in questa materia, è stato senza dubbio lo spirito di sistema, portatovi da ciascuno di quegli archeologi, che vi eser¬ citarono con particolari indagini il proprio ingegno, ostinandosi, e forzandosi per ogni maniera, a derivare da un solo fonte la Unga etnisca. Idifatti, niente è più fu¬ nesto ai veri progressi delle scienze, nè più contrario al discoprimento della verità, di quello che lo sia uno spirito sistematico. Imperocché tutto allora si sconvolge, si contorce, si altera, anche senza avvedersene, per trarlo comunque al proprio si¬ stema, adattarcelo, e farlo a diritto o a torto, convenire con quello . Ma chi adopra in tal guisa, non và altrimenti in cerca del vero, e si affatica soltanto a rinvenire ciò che egli si è preventivamente immaginato di dover trovare. Cosi, tutti coloro i quali pretesero di far venire gli Etruschi da una colonia di Cananei, o di altri Orientali, crederono di vedere perfino la forma delle lettere etnische, in quella delle ebraiche, e più specialmente delle cosi dette sanimaritane, benché non ve ne fosse la minima idea. E t.enevansi tanto più sicuri del fatto loro, in quanto che usarono i nostri an¬ tichi padri condurre la loro scrittura da destra a sinistra , come gli Ebrei, i Samma- rilani,ed altri popoli dell’Oriente.ISè mancarono di viepiù confermarsi in tale opinio¬ ne, osservando alcune voci etrusche, simili, o provenienti dai dialetti semitici-, quasi che fossero queste argomento bastante a costituire la identità di origine dell' etru¬ sco con quelli, e non sapessero tutti ifilologi, che s’incontrano delle voci simili di suono, e di significato ancora, in quasi tutte le lingue conosciute, senza poter giungere a provare per questa via, che l una derivi con sicurezza dall' altra, e tutte da un fonte comune. Mentre sono tali somiglianze , ed analogìe, il prodotto di quei mescolamenti, dei quali ho parlato in principio. E con tanta maggiore facilità debbono essersi mischiate, e combinate non poche voci orientali all’ etrusche, per lo commercio singolarmente dei Fenici coi nostri antenati, in epoche da noi remotissi¬ me, come altrove si è detto-, insegnandoci concordemente gli antichi scrittori quanto in ciò valessero gli Etruschi, o Tirreni, e come signoreggiassero i due mavì che circondano Italia, cui diedero perfino il nome. i8 si vede nel manico è il sole, come io spiegherò meglio in seguito, e l'atto del¬ le mani e dei piedi che volgesi in alto, in basso e per ogni senso, è simbolo della ge¬ nerale influenza dei suoi raggi, cbe si spargono in giro TAVOLA XX. Gli ornamenti a bassorilievo che circondano questo vaso non hanno un signi¬ ficato diverso da quei che vedemmo alle Tavole Vili, XII, XIII, e XIX, ed è perciò inutile ripetere ulteriormente il già detto. TAVOLA XXI. M’ immagino che la figura qui espressa, e ripetuta più volte in molti vasi trovati nei sepolcri, possa esser Marte, il quale significar vi debba, che il tempo in cui domina quel pianeta è l’autunno, come in altri monumenti se ne vede l'in¬ dizio i 2 , e questo tempo vi si rammentava per la ricorrenza del suffragio delle anime 3 , al quale oggetto erano istituite feste ed offerte ; o forse rammentasi la deità degl’itali primitivi. TAVOLA XXII. Sono assai numerosi gl’ idoli femminili in bronzo di piccola dimensione pari al presente, eh’ io credo essere stati nominati comunemente dagli antichi gli Dei Lari, o Penati, o Geni tutelari, e Giunoni 4 , quando, come questa statuetta, erano femmine; e dice vasi che ogni donna aveva la sua Giunóne per protettrice 5 . TAVOLA XXIII. Il gusto dei Greci, come ricaviamo dalle opere loro trovate in Ercolano e Pompei, era d’inventare ornamenti per le suppellettili anche non attinenti al fa¬ sto ed al lusso, dove introducevano con molto genio ed ingegno animali ed uma¬ ne figure : genio che si propagò per l’Italia, come vediamo nelle opere di Chiu¬ si ,• di che abbiamo un bell’ esempio nei due manichi di bronzo incisi in questa XXHI Tavola, un de'quali ha un mascherone bizzarramente travisato con fo¬ gliami, fiori ed una barba assai schersosamente spartita. Bella è parimente l’im¬ magine dell’altro manubrio disegnato di faccia e di profilo, dove si vede un anima- i Monumenti etr., ser. 11, Tay. xc, pag. 762. 4 Monumenti etr., ser. 1, p. 279. % Ivi, ser. vi, tay. F2, num. 3 , p. 17 5 Yirgil. Aneid. 1 . ili, v. ifij , Ovid., fastor. xi 3 Ivi, ser. j, p. 1 47 » 5x2, 544 * y* 4 ^ 5 . TAVOLA XVI. 17 > ^ notabile che i coperchi delle urne in terra cotta sieno di miglior modello eh esser non sogliono quelli scolpiti in pietra N’ è chiaro esempio questa re- combente figura che servì di coperchio all’ urna precedentemente esposta. Ognun vede quanto il panneggiamento sia più ragionato nelle pieghe di quel che osser¬ vammo allaTav. XIV ove ne reputammo l’urna spettante a ricca matrona. Chi sa che il lusso de marmi non prevalesse in tempo della maggior decadenza delle arti ? TAVOLA XVII. La muliebre figura qui esposta fu eseguita in fragile pietra tofacea e trovata acefala in un sepolcro, colla particolarità che il collo è vuoto come anche il torso, ed è servito per deposito d umane ceneri e d J ossa cremate, che vi si trovarono al- 1 aprir della tomba, ove la statua era sepolta. Il significato non è facile a penetrarsi, ma dal pomo che ha in mano, e dall atto sedente, non sarebbe fuor di proposito il congetturarne che fosse una Proserpina, la quale riceve unitamente col suo con¬ sorte Plutone le anime che scendono al Tartaro. Difatti anche al Museo Pio de¬ mentino vedonsi que’ due numi sedenti a . TAVOLA XVIII. La singolarità dell’ esposto monumento esige che se ne mostri anche la parte avversa alla già veduta. Ivi più chiaramente si nota che a formarne il magnifico sedile concorrono i simulacri di due sfingi, le quali assai frequentemente s’incon¬ trano in monumenti ferali; poiché la sfinge reputavasi animale chimerico infer¬ nale 3 , e perciò attamente posti ad ornar la sedia della divinità che attende alle anime trapassate da questa all’ altra vita *. TAVOLA XIX. La frequenza dei volti velati che vedonsi ne’yasi di terra nera, come in questo, non lasciano luogo a porre in dubbio se siano o nò rappresentanze di larve o Lemuri, cioè delle anime 5 , ed il gallo che sovrasta al vaso, pare, come ho detto altrove 6 , indubitato simbolo del buon augurio di felicità nella futura vita, che a quelle anime predicevasi dai superstiti viventi. La figura con faccia larvata che 1 Monum, etr., ser. ni, p. 4 io, e ser. vi, Tav. 4 Ivi, ser. v, p. a;8. X 3 , n. 3, p. 3 a. 5 Ivi, ser. i, pag. ai, 52 . 2 Visconti, Mus. P. Clem. Voi. li. Tav- 1, a. 6 Ved. p. 9. 3 Monum. etr. «er. i, p. 582. Etr. Mas. Chius. Tom, I. 3 RAGIONAMENTO III SULL’ ALFABETO ETRUSCO -Uopo che gli uomini ebbero trovato coll’ uso naturale degli organi della parola, un mezzo facile di comunicare i loro pensieri ai presenti, cercarono, e trovarono in seguito, quello di parlare agli assenti, e di rammentare a se stes¬ si, ed altrui, ciò che era stato pensato, e detto da loro, e da altri, e ciò an¬ cora di che erano convenuti insieme. La prima cosa pertanto che si presentasse loro allo spirito in questa ricerca, furono le figure geroglifiche ; ma colai segni non erano abbastanza chiari, e precisi, nè abbastanza univoci, per adempire lo scopo che avevasi in mira, di fissare cioè la parola, e di farne un monumento più espressivo del marmo, e del bronzo. Il desiderio dunque, ed il bisogno di compiere questo disegno, fecero final¬ mente immaginare quei particolari segni, che noi chiamiamo lettere ognuna del¬ le quali fù destinata a notare uno dei suoni sémplici, che formano le parole', la riunione dei quali segni, è ciò che dicesi alfabeto. Volendo però risalire fino alla prima origine dì questo maraviglioso ritrovamento, rischieremo sempre di smarrirsi senza riparo, in un mare di oscurità, e d’incertezze, e circa V epoca in cui giunsero gli uomini ad un si nobile discoprimento, e circa la nazione che prima di ogni altra vi pervenne. Lasciando perciò da parte la ricerca di quello che io giudico moralmente impossibile a rinvenirsi, volgerò le mie indagini a cosa più certa, od almeno piu probabile, qual e la quistione, se gli Etruschi, od i Greci fossero i primi a far uso di una cosi bella, ed utile invenzione. E qui pure siamo costretti a navigare, presso che senza bussola, m un ampio pelago, sparso di profondis¬ simi vortici, d' orribili mostri, e di scogli assai pericolosi. Imperocché, se molti dotti sostennero, e sostengono tuttavia che i Greci so¬ no anteriori agli Etruschi nell’ uso dell’ alfabeto, e vengono riguardati come i maestri di essi, in qualsivoglia arte o scienza, non è per altra parte minore il numero, nè di minor momento V autorità di quelli, che citar si possono per sostenere il contrario. Perlochè io aderisco a questi ultimi, sembrandomi la loro opinione più ragionevole , e più giusta, ed i sostenitori di essa persuadendomi colle loro ragioni, ciò che non giungono a fare i propagatori del grecismo, ad onta ancora di tutte le parole greche, o grecizzanti, che s’ incontrano ad ogni pas¬ so in quasi tutti i monumenti etruschi, discoperti finqui, avvegnaché intorno a >9 le mostruoso, che per aver motivo d' essere attaccato al vaso figura di morderlo. Sotto è un Ercoletto giovane, che tiene la mano alzata, vibrando la clava in segno di recar danno e morte, ed ha cinti i lombi colla pelle di leone, simboleggiando di non curarsi della generazione ’, come è proprio d’Èrcole quando figura il sole iemale. Difatti rispetto ai viventi è il sole che loro apporta la vita coll’universale tepore della natura in primavera, e porta danni o morte col raffreddamento del tempo iemale. Qual simbolo può dunque esser più adattato a decorare un sepolcro, che quello dove rammentasi la vicendevole transizione dalla vita alla morte ? Lo scarabeo di cui si vede f impronta ha inciso un centauro con un fanciullo sul dorso, forse Chirone col giovane Achille che dicesi da taluno essere stato affi¬ dato a quel mostro per riceverne la puerile educazione 3 . TAVOLA XXIV. La rappresentanza di questo specchio mistico sarebbe forse difficile ad inter- petrarsi, qualora non fossene venuto a luce un altro di quasi ugual soggetto. In quello vedesi Giunone sedente in atto di porgere ad Ercole la mammella, perchè ne succhiasse il latte, il chè succede alla presenza di Mercurio 3 . Sappiamo infatti che Giove bramava che Ercole per ottenere l’immortalità, benché nato da mortai femmina, sorbisse almeno latte divino, onde per uno dei soliti inganni frequen¬ tissimi nella mitologia, Giunone gliel porse senza avvedersene 4 . Mercurio vi si crede introdotto, per attestare ad Ercole d’aver egli pure profittato di tale argu¬ zia, per entrar fra gli Dei, benché nato da Maia donna mortale . Qui non è espresso l’atto di Giunone per allattar Ercole, ma pur vi si vede Mercurio che si fa noto col suo cappello, e par che accenni d’ aver profittato egli stesso dell’espediente che suggerisce ad Ercole, il quale gli sta davanti. Ha la clava , in mano ed un piede elevato, indicando che salir deve all’ immortalità 3 per opera di Giunone 6 eh’ è fra loro. fli8v«q :ian8 j v :ioj vi. j a 11 y fi j 1 :i n tnq r = o 4 vii. 1 f\ il 8 4 Y d : fi m 3 4 t :42 vili. ■•-ifi n t v t :o 4 .• in i n q n o n lx - -4/nm-rfl4 itntnqfl .-4sa x. § Monumenti etr. ser. v, p. 3 a. 2 Galleria Omerica Tom. ii, Tav. cxxi, pag. 2,4. 3 Schiassi, De pateris ariliquor.ex schedis Blan¬ dirli Sermo ed epislolae tab. x. 4 Diodor., Sic. Bibliot. bist. lib. il, p. 198. 5 Mon. etr. ser.n, Tavv. lxxu, lxxìii, lxxiv, lxxv, 6 Zarinoni, Lettere di etrusca erudizione pubblicate dall’ Inghirami, Tom. 1, p *6. 22 pure in ogni tempo di tracciare nello stesso modo le loro scritture. E tutti, c/uesti ultimi specialmente, furono sempre uniformi in questo, ad eccezione degli Etiopi soli, e degli Abissini, che sebbene parlino, e scrivano un dialetto semi¬ tico, scrivono tuttavia da sinistra a destra, come gl’ Indiani, ed i segni delia¬ co alfabeto hanno un valore sillabico, come gli alfabeti indiani, ed anche il ti¬ betano , ciascuno dei quali segni porta seco, in certo modo incorporata una vocale , e forma una sillaba. Ciò che non accade in nessuno degli alfabeti europei, e neppure nel giorgiano, e nell 1 armeno, che vengono pure delineati da sinistra a destra. Laonde non pare poi tanto strana V opinione di quelli, i quali pensarono, che gli Etruschi propriamente detti, fossero discesi in prima orìgine da una colonia, o emigrazione asiatica. Ma di ciò altrove. E se i Persiani, ed i Turchi scrivono da destra a sinistra, benché la lin¬ gua dei primi venga dalle Indie, e quella dei secondi dalla Tartaria, ciò procede dall’ aver tanto gli uni, che gli altri adottato i caratteri arabici, ed al tempo stesso la religione del borano. Quindi tenendo in conto di cosa sacra i suddetti caratteri, non è da maravigliarsi nè punto nè poco, se essi non abbiano ardito dì alterarli, nè quanto alla primitiva lor forma, nè quanto alle maniere di rap¬ presentarli colla scrittura. Ché del resto ben diversi riscontratisi gli antichi carat¬ teri persiani chiamati zendici, e pelvici, come assai differenti ritrovatisi, e pel modo di scrìverli, e perla loro forma, ofigura, quelli dei Tartari. Ciò premesso o siano stati gli Etruschi i ritrovatori dell’alfabeto che porta il loro nome, o l’abbiano composto di più antichi alfabeti italici, o V abbiano derivato da al¬ trove, come pare dai nomi stessi che portano le lettere del medesimo, benché sia diffì¬ cilissimo, e forse impossibile a provarsi, per mancanza di documenti sicuri, il come, ed il quando abbiano ciò fatto-, è peraltro fuor d’ogni dubbio, che i Greci non lo comu¬ nicarono loro, e non furono per conseguenza i loro maestrì.Che anzi è da credere che sia accaduto tutto al contrario, e che gli Etruschi, nazione mitissima, e poten¬ tissima in età molto remote, e quando la Grecia era tuttora barbara, e selvaggia, 1’ abbiano comunicato ai Fenici per via di commercio, e che da quelli passasse ai Greci, se vogliamo ammettere ciò che sostengono quasi tutti gli antichi scrittori, cioè, che Cadmo facesse loro il dono del primo alfabeto. Del qual Cadmo scrive Plutarco nei Simposiaci iib. 9 quist. 5, che quel sapiente pose Z'aleph, o alpha per prima lettera del suo alfabeto, perchè cosi chiamasi il bue nella lingua dei Fenìci, il quale animale non è da stimarsi nè secondo nè terzo fra le cose neces¬ sarie all’ uomo ■ come pensò Esiodo. Circa poi al grecismo, che s’incontra nell’ etrusco, e nell’Etruria, e circa le arti greche, che vi si osservano, come ancora in altre parti dItalia, ne parlerò a lungo in un discorso, che tutto si aggirerà intorno a questa materia, esclusivamente da ogni altro oggetto. E proverò allora, che l’idioma degli antichi Etruschi è nel suo fondo tutt' altra cosa che greco; dimostrando ad un tempo, in qual modo, e 21 questo grecismo sian da dirsi alcune cose eli io riserbo ad un altro ragionamento. Ma ritornando al titolo del mio discorso, cosa è V alfabeto etrusco? É que¬ sto un prodotto indigeno dell’ antica Etruria, o sivvero vi fa trasportato da altra parte del mondo? E se qua venne da estranei lidi, chi fu mai quel be¬ nefico straniero , che fece all ’ Etruria un dono cosi prezioso ? Ed in questa supposizione, passò egli ai nostri antenati dall’ Oriente, oppure dall’ antica Gre¬ cia ? O si compose egli forse degli elementi di più antichi alfabeti italici, o di questi, e del pelasgo fra loro mescolati, e confusi ? E se vi fossero ragioni bastanti a dichiararlo prodotto indigeno, a quale epoca rimonterebbe l’ antichità sua , ed a quale ammettendo che sia frutto straniero , e per qual mezzo per¬ venne ai padri nostri ? A tutte queste quistiom, che possono opportunamente esser mosse intorno al tema che ho tra mano, io mi studierò di rispondere, quanto meglio e più con¬ cisamente per me si potrà, e come sarà possibile rispondere, in qusto breve ra¬ gionamento, m una materia cosi oscura, e difficile • E circa alla prima quistio- ne, l alfabeto etrusco, quale noi lo possediamo presentemente, non è certo una cosa diversa dall antico alfabeto greco, ma sono anzi talmente somiglianti fra loro, se tolgasi il rovesciamento delle lettere nell’ uno di essi, da doverli giudi¬ care al confronto, senza timore d’ ingannarsi, la stessa cosa-, sia diesi riguar¬ di la forma delle lettere, o si consideri l uso delle medesime, Nè giova opporre a questa asserzione, la maniera di scrivere degli Etruschi da destra a sinistra, avvegnaché usavano di fare lo stesso anche gli antichi Greci, prima dell’ età di Pronapide, che si pretende essere stato il maestro di Omero. Che anzi esser potrebbe credi io, una tale particolarità, un argomento favorevole agli Etruschi, per crederli i ritrovatori del loro alfabeto• Al che si aggiungerebbe forza non poca, considerando l antichità loro, più recondita assai di quella dei Greci. E più ancora verrebbe avvalorato, e confermato un tale argomento, che gli Etruschi, cioè, siano stati eglino stessi gli autori del loro alfabeto, riflettendo che i medesimi continuarono in ogni tempo a scrivere, ed anche sotto la domi¬ nazione dei Romani, da destra a sinistra-, lo che non avvenne dei Greci, iquali cangiarono metodo, e presero a condurre la loro scrittura da sinistra a destra. Ora è più ragionevole il credere, che il rovesciamento degli elementi alfabetici, e del modo di scrivere, siasi operato da chi l’apprese da altri, che da chi ne fù l inventore. E questo rovesciamento di scrittura presso i Greci, vuoisi fis¬ sare, come di sopra accennava, ai tempi omerici, o di Pronapide. A questo argomento però se ne potrebbe, per avventura, opporre un altro, di¬ cendo , ché giusto appunto perchè gli Etruschi scrissero sempre conducendo, e tracciando i caratteri da destra a sinistra, non debbono riguardarsi come i ritro¬ vatori del loro alfabeto, ma convien credere che lo abbiano ricevuto da qualcuno dei popoli asiatici, e particolarmente di quelli così detti semitici., ì quali usarono T-;,- I Per la qual cosa , mi pare che dopo tutto quello che ho detto finqui ', si possa rispondere alle questioni proposte in questo medesimo discorso, che V alfabeto etrusco non è venuto dal greco, ma bensì questo da quello j che desso non è pri¬ mitivamente indigeno dell’ antica Etruria, quanto ai suoi elementi, i quali furono quà portati da una emigrazione antica, in tempi tanto reconditi da non poterne fissar V epoca precisa, e che s’ ignora chi ne fosse il primo inventore, e chi lo portasse il primo fra noi. Sulla qual primitiva derivazione asiatica dell' alfa¬ beto etrusco, in età da noi remotissime , dettero un ragionamento a parte, che verrà pubblicato in seguito in quest’ opera stessa. Ciò peraltro non vuol già dire, che anche la lingua etnisca sia una lingua del tutto asiatica, come la giudicarono troppo leggermente alcuni filologi, sebbene asiatici si riscontrino l’ antico culto, e la maggior parte dei riti religiosi, e civili degli Etruschi. Or qui farebbe di mestieri combattere, e confutare tutte le opinioni contrarie ; nè io sarei alieno dal prendermi un tale assunto, se i limiti prescritti a questi ragio¬ namenti, nei quali non deve olt repassare , per l’indole dell' opera cui son destinati, la periferia di poche pagine di stampa per ognuno di essi, me lo concedessero. Non potendo ciò fare, nel modo che si converrebbe, mi ristringerò ad aggiungere quanto segue, e mi terrò per ora contento di questo. Il Cori, il Majfei, ed il Mazzocchi confrontando gli alfabeti punico, e celtibe- ro, o cantabro coll’etrusco, dicono che vi trovarono minore analogia, quanto alla forma dèlie lettere, che coll’ ebraico. Il Donati poi che fece la stessa cosa nei suoi Dittici seguitando le osservazioni , che avevano già fatte prima di lui a questo proposito, l’ Aquila , Teodozione e San Girolamo, scrive nell’ opera sua intorno alle iscrizioni, che quelle così dette Cizzie, sono riguardo ai caratteri, mollo si¬ mili alle etnische j e lo stesso dice ancora del marmo Sanvicense conservato in Osford, che vuoisi più antico della guerra troiana, e dei caratteri incisi sulla lamina bustrofeda di bronzo, riportata dal prelodato Majfei nella sua Critica Lapidaria, non meno che di quelli sulla colonnetta del Museo Nani di Venezia, giudicata pelasga-tirrena , benché fosse ritrovata a Mitilene . Questi monumenti, che si credono tutti scrìtti in greco antico, e per essere questo mollo simile all’ etrusco, specialmente circa la forma delle lettere, sono stati quelli che hanno fatto mettere in campo, o convalidare l' opinione di coloro, i quali pensarono che il greco antico, é l'etrusco fossero la stessa cosa, e che per giunta alla derrata, la lingua dei nostri antenati sia nata dal greco. Senza avere peraltro mai pensato a provare, che i Greci, ed il loro alfabeto fossero più antichi degli Etruschi. Il Gori,fra gli altri, stabili come un assioma, che la lingua etrusco era greca in non differiva da quella che nel dialetto, nella quale opinione fu seguito dal Lanzi, e da altri. Ne si avvidero, nè lui stesso , nè i suoi seguaci, che i Pelasghi, i lirrem, i Pladani, i Lidii, gli Arcadi, e gli Ausonìi, sono £3 perchè s J introdussero nell' etrusco, e nèll' Etruria propriamente detta, quel gre¬ cismo, e quelle arti. Che in quanto alla somiglianza, ed anche identità dei ca¬ ratteri etruschi, e greci antichi, sii di che fondarono finora il loro più valido argomento tutti gli archeologi fautori del grecismo, per asserire che l' etrusco , ed il greco antico sono in ultima analisi la medesima lingua, è il più frivolo, ed anche il più ridicolo ragionamento, che immaginar mai si possa, Avvegnaché, vale lo stesso che se io ragionassi cosi: gl’ Italiani, i Francesi, i Fiamminghi, gli Spagnuoli, i Polacchi, i Portoghesi, ed altri popoli d' Europa, come gl'in¬ glesi, i Dalmati, e gli Olandesi, si servono dello stesso alfabeto per iscrivere le loro lingue, dunque tutte quelle lingue sono la stessa cosa. Ma quante furono in antico le lettere dell’ alfabeto etrusco, poiché essendone stati pubblicati finora dagli antiquari fino a tredici, o quattordici, chi ne conta un numero maggiore, e chi minore ; ed il laborioso, e dotto abbate Lanzi ne ammette venti nel suo ? Si deve credere che fossero sempre in egual numero , oppure che venisse questo accresciuto a più riprese, e ad epoche diverse, come si narra essere avvenuto dal greco, il quale fù condotto fino al numero di ven¬ tiquattro lettere, benché non ne avesse che sedici nel suo principio ? E non sa¬ rebbe questa una ragione di più, onde confermare ciò che accennava poc anzi, che l’ alfabeto, cioè, facesse passaggio dagli Etruschi ai Fenici, e da questi ai Greci, osservandosi ancora che nessuno degli antichi alfabeti italici oltre¬ passò mai il numero di sedici lettere? Difatti nei piu antichi monumenti, fra i quali nessuno vorrà contradire che siano da riporsi gli atti dei fratelli Ar- vali, non se ne contano che sedici sole. Di più non trovandosi mai usato l o nelle epigrafi antiche veramente etni¬ sche , riscontrandosi questa lettera fra quelle degli altri monumenti italici pa¬ rimente antichi, come pure fra le prime sedici dell alfabeto greco, cosi detto cadrneo, sì può dubitare se gli Etruschi ne avessero neppur tante in prin¬ cipio, e cresce sempre più la probabilità della mia asserzione. Secondo t enciclopedico Plinio, le lettere dell alfabeto cadrneo furono le se¬ guenti . cioè: ab r a eikamnoiipstt. Alle quali poi ne aggiunse quattro Palamede, che sono, e 3 $ x. E finalmente Simonide lo accrebbe di altre quattro, cioè, zìi va. E pare anche ben naturale, come fù pure osservato dall’ erudito filologo francese Sig. Letronne, che quei primi sedici caratteri siano stati inventati avanti agli altri, perchè rappresentano i sedici tuoni elementari, o semplici, ché formar si possono colla bocca umana, sia per intuonazione, o per articolazione. Mentre gli altri caratteri aggiunti a questi, ed usati negli alfabeti dei differenti popoli, esprimono, o delle gradazioni di quei suoni prin¬ cipali , o la riunione eli più articolazioni in una sola . Di maniera che ognuno di essi può essere più, o meno esattamente decomposto nei primitivi suoni eh’ egli contiene . 26 Che s’è regola di sana critica di non prestar fede agli antichi poeti, in tutto ciò che narrano di sovrumano, e di misterioso, lo è del pari di rintracciare il vero anche in mezzo alla favola, che viene giustamente definita dai sapienti, il velo deila verità, e della storia. Ipoeti dell’ antichità, ché erano più istruiti di tutti gli uomini dell’età loro non inventarono, come si crede male a proposito, le fa¬ vole, ma bensì adornarono con finzioni la storia . Rimossele quali finzioni, è co¬ sa ben facile di rinvenire la verità, nei più notabili avvenimenti per essi nar¬ rati, e abbelliti. Cosi la pensava S. Agostino nel lib. della Città di Dio, al cap. i3. E ci av¬ verte il Vossio nell’ aureo suo trattato De fatione studiorum, che non si dicono favolose le antiche età, perchè sia falso ciò che di essici vien riferito dagli scrit-, tori, ma perchè la storia di quella ci è pervenuta insieme colle favole mista, e confusa. XI. XII. XIII. XIV. XV. XVI. XVII. XVIII. XJX. /u M : oj : ntriq r : oqflj v/r 3Hfl Jiiffl -1 = q/i j/r n# j a ■■ san/urn/Mq/i V/13 : q A : D l = irnoai 4 /ini AD Jfìlmq 3E : Am 34t : 44 -1V84flHMI3:3Hiq3®:q/1 4/mmq vo • IHltfl 4 14 : I ?434 : I \IA8 JAMAJll V A'! vq 1 : U434 .- A» n 33 XX. 4fl mif A4 : Al 3 f ■25 tutti popoli anteriori ai Greci, e che trovansi tutti amalgamati cogli Etruschi nelle età più lontane. Perlochè convien dire che siano gli Etruschi stessi, i quali portino diverse denominazioni, dalle diverse provincie dà loro abitate, nelle quali era divisa l’antica Etruria. E come oggi i Fiorentini, i Senesi, i Pisani, i Lucchesi, ì Magellani, i Casentinesi, e simili, sono tutti Toscani, cosi pure nei più reconditi tempi gli Umbri, gli Enotrl, gli Aborigeni, e tutti gli altri anno¬ verati di sopra, erano Etruschi. Silio Italico lib. a. 0 chiama Ausonia la Lombardia. Ed Eliano lib. 8.° del¬ la Varia istoria, crede che gli Ausoniifossero i primi abitatori di Italia-, men¬ tre Pirgilio nel io. 0 dell’ Eneide, li confonde con quelli che popolavano questa bella penisola sotto il regno di Saturno . Servio poi commentando un tal passo, dice che gli Ausonii furono sì dei primi popolatori cì Italia , ma non già i primi di tutti, nei soli. Ed ecco perchè alcuni scrittori hanno compreso sotto il nome di Ausonia tutta l’Italia. Ora tutti i surriferiti popoli, non esclusi neppure i Latini, che molti autori vo¬ gliono che fossero diversi, e dagl Italici propriamente detti, e dagli Etruschi, ripeto¬ no la loro prima origine da una colonia, o emigrazione qua venuta dall’Asia, in tem¬ pi forse al di là di quelli che da noi son detti storici. Lo che fu negato acre¬ mente da altri per la sola ragione di potere stabilire, che i Greci furono i primi coloni di Etruria, e che vi s’introdussero insieme con essi, le arti e le scienze, e perfino la cognizione dei segni alfabetici. Ma non potendosi negare, senza offen¬ dere il senso comune, che queste regioni erano popolate molti secoli prima che i Greci le conoscessero per via di commercio, e vi spedissero in seguito delle co¬ lonie, conviene di necessità ammettere, che i Greci non furono i primi abitatori d’Italia, e per conseguenza neppure di Etruria, e molto meno insegnarono loro a parlare. Quando peraltro non voglia credersi, ché i popoli italici, e gli Etru¬ schi, fossero tutti muti prima dell’ arrivo dei Greci fra loro. Laonde cade, e si an¬ nulla il sistema dei fautori del grecismo. Macrobio infatti ammette un diluvio, non già ai tempi di Deucalione, e di Ogi- ge, ma bensì a quello di Giano, ch’ei qualifica per primo re di tutta l'Italia. E Dionisio d’Alicarnasso, che è sempre in contradizione con se stesso, dopo avere scritto che i Pelasghi furono i primi popolatori d! Italia, che 5oo anni prima di Giano ne scacciarono i Siculi, e che gli Enotri eransi prima dei Siculi stabiliti nell’ Umbria, pretende poi di darci ad intendere, e farci credere, che Giano pre¬ cedesse la venuta di Enea in Italia di un solo secolo, e mezzo. Ma se il cosi detto secolo d’ oro, ossia il secolo della pace, e della giustizia, fu secondo Vir¬ gilio, ed altri scrittori antichi, quello in cui regnarono Saturno, e Giano, que¬ sto non può essere stato posteriore all’ età di Noè, e de'suoi figli, che dietro gli insegnamenti paterni, calcarono essi pure la via della giustizia, e coltivarono tutte le virtù sociali. Etr • Mas. Chius. Tom. I. 3 4 28 nemico se gli Dei, per suggerimento di Nettuno, non lo avessero voluto sal¬ vo 2 . Or non vedi qui pure Achille che tenendo lo scudo lungi da se, pone mano alla spada ? Non vedi il Tanato che quasi obbrobriato volge il tergo alla pugna col suo martello sugli omeri, per mostrare che morte non avea luogo in quel con¬ flitto, perchè ad ogni costo dovevasi Enea salvare alla gloria d’Italia? Questo dise¬ gno è una quarta parte del suo originale in marmo d’ alto rilievo. TAVOLA XXVIII. Qui si mostrano i due laterali scolpiti del cinerario che è nella Tavola antece¬ dente. Nell'uno e nell’altro sono rozzamente indicate due porte, che rappresen¬ tano, credo io, le infernali, alla custodia delle quali stan vigilanti due ministri del Tartaro. La figura femminile al num. 2 è visibilmente una Furia, come dichiaralo quella face che regge con ambe le mani; di che detti altri cenni 3 ; la virile col mar¬ tello sugli omeri è il Tanato, altrimenti detto Cliarun tra gli Etruschi \ e confuso col¬ l’Orco, ministro anch’egli di morte e d’inferno, che spesso incontrasi nei monumenti antichi d’Etruria 5 , e non già tra quei de J Greci, nè de’Romani cosi rappresentato. La testa eh e nel mezzo, serve per coperchio ad un vaso di terra cotta, di che dovrò trattare altrove; ora avverto che questa è la terza parte del suo originale : TAVOLA XXIX. Affinchè I’ urna cineraria già esposta si mostri compita, fa d’ uopo di non disgregarne il suo coperchio, dove si vede un seminudo recornbente con una pa¬ tera in mano, nell’attitudine stessa che vedonsi rappresentati gli Etruschi a men¬ sa. Nè la patera disdice a chi cena, mentre vedesi usata a convito dai commen¬ sali 6 . La veste che in parte copre il recornbente è detta sindone, pure usata ai conviti 7. La nudità della persona indica 1’apoteosi, di che altrove dò conto 8 . TAVOLA XXX. Il frammento di scultura segnato in questa tavola, è un tufo tenero, e del genere di quello notato nelle prime cinque tavole della presente collezione Chiu- sina. Orchi mai crederebbe, che nella tomba dove fu ritrovato non vi fossero gli altri frammenti, che ne componevano l’ara intiera? chi crederebbe che que¬ sta sorte di monumenti in tenera pietra arenaria si trovino quasi costante- 1 Id. v. a 85 , *8, Id. V. 2 ^ 3 , 294» 3 Ved. 1 * spiegazione della Tav. xm. 4 Monumenti elr. ser. i, p. a 34 - 5 Mono. etr. ser. i, p. 44 » 73 , 74, 264, 284. 6 Ivi, ser. vi, tav. F. num. 2 . 7 Ivi ser. i, p, 395. 8 Ivi ser. n,j>. 628. TAVOLA XXV. 27 Nelle urne di Volterra parventi ripetuto questo soggetto medesimo, ed ivi spie¬ gandolo, avventurai l’interpetrazione di un fatto tebano, del quale io stesso poco andai persuaso, nè ora saprei meglio dire. Vi suppongo Anfiarao nell’atto d’aver tagliata la testa di Menalippo, che Tideo, sebben ferito, aveva già ucciso; e gliela portò, per cui da Tideo medesimo fu commessa l’atrocità di aprir quel cranio, e divorarne le cervella. In ogni restante ancora son simili queste due sculture, sebbene men rozza l’urna di Chiusi ■. Questo disegno è una quarta parte del mo¬ numento originale di marmo in bassorilievo. TAVOLA XXVI. Quanto la frequenza delle rappresentanze di avvenimenti ferocie marziali, co¬ me quei della tavola antecedente, fan giudicare l’etrusca nazione d’umor malin¬ conico 3 , altrettanto voluttuosa e molle giudicar si dovrebbe dal presente grup¬ po che appartiene alla scultura antecedente, per esser quella un’urna cineraria, questa la di lei copertura . Credo per altro che l’uno e l’altro soggetto non dal¬ l’indole degli Etruschi abbia origine, ma da loro massime di religione, dove dicevasi che la vita era un irrequieto contrasto, e la morte conduceva ad un vero godimento, il quale non sapevasi esprimere che mediante la soddisfazione dei sensi 3 . TAVOLA XXVII. Mentre il fasto orientale sfoggiava in lusso degli abiti, l’eroismo dei Greci ca- ratterizzavasi col mostrarsi a nudo • Tra i guerrieri di questo bassorilievo ne vedi uno vestito , e in questo caso potrebb' esser troiano, e tra i Troiani credilo Enea, che soggiacque a mille peripezzie di grave cimento, senza però mai soccombe¬ re , perche gli Dei, per quel che ne dicono Omero \ e Virgilio 5 , avean desti¬ nato ch’egli regnar dovea sopra i superstiti Troiani, e sopra i figli dei figli, e sopra quei che appresso erano per venire da loro. Difatti racconta specialmente Omero che Achille, cosa strana ! si sgomentò nel combattere con Enea, e tenendo discosto da se lo scudo, cercava di sottrarsi ai colpi vibrati da quell’eroe 6 ; ma poiché questi a vicenda contrattosi colla persona, e copertosi collo scudo evitava l’assalto dell avversario ', come nel bassorilievo mirasi espressa la figura che ne occu¬ pa la parte media, Achille allora pose mano alla spada, ed avrebbe trucidato <il 1 Monum. etruschi, Ser. 1, Tav. lxxxiii, p. 666. 5 Virgil, Aeneid. ]. ni, y . 97, 98. 2 Ivi, p- 667. 6 Homer. Iliad. 1 . xx, v, 261, 26a. 3 Ivi, ser. v, spieg. della Tav. xlv. 7 Ibìd. 278. 4 Homer. Iliad. lib. xx, v. 307, 3 o 8 . 5o fu detta di lui consorte. Se consideriamo i due nomi spettanti ai due pianeti Ve¬ nere e Marte, potremo giudicare la figura terza per un Saturno, altro pianeta. Nè da ciò si allontanano i di lui attributi, poiché ad esso rompetesi, non solo quella barba prolissa che gli orna il mento, ma eziandio quelle fronde, e ger¬ mogli, o gemme di vegetabili che gli cuoprono il capo, attributi propri di sì an¬ tico nume, non meno che la spada falcata da lui sostenuta '. Queste tre deita e pianeti possono appellare all j oroscopo di un’ anima che nella stagione di pri¬ mavera passa agli Elisi, di che altrove do più esteso conto a . 11 vaso contiene altre tre figure che saranno spiegate nella Tavola seguente. TAVOLA XXXIV. Ecco le altre tre figure che vedonsi nel b. rii. del vaso esposto nella Tav. antecedente. L’interpetrazione dottissima scrittami di esse dal eh. sig. dott. Maggi, merita d’esser nota preferibilmente a qualunque mia congettura. Egli dichiara in quel mostro una Gorgone, o un Tanato: in quell’ uomo con testa ferina un Minotauro: nell’uomo alato che sta nel mezzo un Mercurio. La totalità della com¬ posizione credesi dal dotto interpetre allusiva al tempo nel quale facevansi le an¬ nuali commemorazioni delle anime. Quindi la figura larvata è da esso giudicata il Male personificato in un mostro, come fecero gli Egiziani del loro Tifone; mentre credevasi che prevalesse il male all’ entrare dell’ autunno . E questi nel tempo stesso il Charun degli Etruschi che fingevano orridamente larvato, e di te¬ sta grossa. Indicano quelle mal collocate sue ali che la morte raggiunge l’uomo ancorché fuggitivo da essa, di che l’interpetre dà ragioni che appagano. La se¬ conda figura è da esso dichiarata per quel Mercurio, che occupato nell’ uffizio di accompagnar le anime, ha deposti gli emblemi che lo distinguono per ministro dei numi. Giudica poi la terza mostruosa figura esser il Minotauro allusivo al centauro o centauri celesti, piuttosto che al figlio di Pasifae; e qui pure dà ra¬ gione in qual modo leghi la dottrina delle anime colle favole dei centauri autun¬ nali. Nota egli che il fiore sia un anemone significativo del sole passato ai se¬ gni inferiori, per cui sopravviene l’inverno, vale a dire il male che da ciò risente la natura, e quindi anche le anime come credevasi,- tantoché quel mostro con testa gorgonica rappresenta parimente il sole iemale. Gli uccelli sono, a tenore del di lui parere, siderei, anch’essi spettanti ai segni inferiori, e indicanti la via lattea che percorrevano le anime nel passaggio loro alle sfere celesti. Da ciò conclude che tutta la rappresentanza sia una spece di geroglifico significativo dell’autunno, cioè del tempo in cui le anime dovevan esser suffragate. Egli palesa d’ aver tratta questa interpetrazione dallq mie opere 3 . i Bianchini, Stor. universale,cap. li, §x ,p. 84 * >, pag. i8t, lettera al dott. Maggi, a Inghirami, Lettere di etnisca erudizione, Tom. 3 Lettere cit., p. 174, lettera del Dott. Maggi. 2 9 mente mutilati? Eppure è così; nè ciò farà tanta sorpresa, se consideriamo che anche i vasi fittili sepolcrali si trovano spesso rotti dagli antichi. Sarebbe forse ella mai una ferale cerimonia liturgica ? Qui osserviamo ancora un vasetto in pietra arenaria, tre quarti men grande del suo originale; ed è simile a quei che prima dicevansi lacrimatorii, e che ora si dicono unguentari 3 , perchè si vedono in mano di chi versa unguenti sul rogo 3 , nè questo è dei comuni per la gran somiglianza coi vasi egiziani dell’uso stesso. TAVOLA XXXI. Notiamo questi recipienti con volgar nome di bracieri, mentre per tali si tengono quei che sono atti a contener brace, ed insieme i vasi escari, e culi¬ nari. Ma l’originale qui copiato a metà di grandezza, non fu vero braciere, nè veri escari quei recipienti che vi si contengono, mentre l’uno e gli altri sono di fragile terra cruda, non atta a resistere l’effetto del fuoco . Io suppongo essere stati adoprali nei riti funebri i veri bracieri di bronzo detti anche borni, usati a bruciar vittime, e profumi. Quindi al termine della funebre cerimonia in luo¬ go di lasciar questi nel sepolcro, come lo esigeva il rigore del rito, altri bracieri di semplice figura, e formalità, perchè di terra non cotta, sostituivansi a quelli. Il pollo che vi si vede nel mezzo, è consueto simbolo di buon augurio, che vedemmo altrove 4 . Le varie teste che ornano l’utensile han pur esse il si¬ gnificato medesimo relativo alle anime, come in altre occasioni ho notato*. TAVOLA XXXII. Serve la tavola presente a mostrare qual fosse la forma esteriore del bra¬ ciere o escaria, o estia che dir si voglia, la quale vedemmo nella parte ante¬ riore disegnata nella tavola antecedente. Le sfingi e larve che vi si vedono ap¬ poste, sono analoghe all'uso ferale di questi monumenti 6 . TAVOLA XXXIII. Questo vaso ch’è una quarta parte dell’ariginale, è della solita pasta nera con ornati, e figure a bassorilievo i, le quali sono in questo disegno della loro naturai grandezza, e ne occupano tutto il corpo. Ivi son ripetute tre volte. La prima di esse figure indubitatamente è un Marte; e in conseguenza la donna che gli è dap¬ presso, quantunque priva di attributi, può credersi Venere, che nella mitologia 1 Museo Chiaramonii Tav. xxv. 5 Pollux. 1 . i, segm. 3 . 2 Paciaudi, Monuoi. peloponues. Voi. u, p. iSo 6 Motium. etr. ser. i, p. aao. 3 V e d. p. ij, 7 V’cd. la spiegazione della Tal. ini. 4 ivi. RAGIONAMENTO IV. SUL GRECISMO CHE S’INCONTRA NELL' ETRUSCO , SULLE ARTI GRECHE OSSERVATE IN ETRURIA, E SULL’ ORIENTALISMO CHE RIDONDA PER TUTTA ITALIA- Era involta l’origine degli Etruschi in ima impenetrabile oscurila fino dal tempo in cui scrivevano i più antichi storici che noi conosciamo. Lo che fa certamente gran maraviglia, quando si riflette all’ esteso dominio di quel popo¬ lo, sì celebre, e sì potente, che aveva una Casta sacerdotale, e possedeva tempo immemorabile un particolare alfabeto, ed era più avanzato nella civiltà di tutte le altre nazioni di Europa. E ciò molto prima dei Greci, pensino, e ne scrivano in contrario, i dotti compilatori della Rivis a Lungo. Tutto quello poi, che noi sappiamo della sua susseguente istoria, e c e e suìistituzioni, non ci è stato trasmesso che dalle nazioni contemporanee , giac¬ che gli scritti degli autori etruschi, sono periti da lunga età. E le loro iscriA ni scolpite sul marmo, e sul bronzo, non sono finora più intelligibdi per noi, i quello che lo siano i geroglifici egiziani. Ma se dunque la lingua etrusco, non è in prima origne la stessa che a greca antica, con piccola diversità di dialetto, come pretendevano, il Gori, e i suoi fautori, e più modernamente l industriosissimo Abbate Lanzi, e tutta la sua scuola. Se i Greci non furono i maestri degli Etruschi, in qual modo, riprendono quelli di contraria opinione , s J incontra cosi frequente il grecismo nell' etrusco, e si osservano cosi comunemente le arti greche in Etruria . ben rispondere a queste domande, sono da premettersi alcune considerazioni, che verrò qui brevemente esponendo. Ridonda in primo luogo, nell’ etrusco , il grecismo, per una ragione oppo¬ sta diametralmente a quella predicata , e diffusa fin qui dagli archeologi, cioè, perchè furono gli Etruschi ad un’ epoca assai recondita, i maestri dei Greci, i quali riceverono da essi, e dagli Egiziì, le prime nozioni della scrittura, per mezzo dei Fenici, come altrove accennammo. Questi elementi però non erano in prima origine prodotto indigeno della Etruria, ma v’ erano stati trasportati da una più antica emigrazione asiatica. _ . Osservansi poi, in secondo luogo, in ogni parte di Etruria, ed anche nel resto dell’ antica Italia, gli avanzi delle arti greche, perchè quella vivace, ed ingegnosa nazione, che aveva il talento e V attitudine di perfezionare , non me- 3 TAVOLA XXXV. Quando si trova nei monumenti Mercurio che ha sulle spalle un ariete, se gli dà il nome di Crioforo, e cosi nominavasi la di lui statua venerata in Lesbo, che avea scolpita Cakmide, a significare ch'era il dio dei pastori, come crede¬ va la plebe, mentre altri asserivano eh’ aveva liberato quei di Tanagra dalla peste, girando tre volte in forma espiatoria intorno alla città, con un montone sulle spalle. Ma il vero senso, benché mistico di quell’atto, è la congiunzione del sole col segno dell’Ariete, per cooperare allo sviluppo della generazione, median¬ te la quale son rivestite le anime d’utnana spoglia, per cui cred’io che talvolta il nume vien espresso con lubriche forme. Il religioso cerimoniale degl’idoli por¬ tava in fatti che l’ariete o lo stesso nume si rappresentasse nelle patere libato¬ rie per onorare i morti 1 . Questa pittura è nel mezzo d’ una tazza di ter¬ ra cotta, che ha di più il pregio d’essere scritta, ove peraltro non leggesi che un saluto di buon augurio ad Erilo Eprìo; K«)oe. tavola xxxvr. Di questa muliebre figura non mi occorre dir molto, per esser già nota mediante l'estese notizie e congetture che ne detti altrove ». Io la giudicai rap¬ presentativa della divinità presso gli Etruschi, giacché ne monumenti de'Greci non si trova mai, e la dissi una Nemesi Dea ch’ebbe origine in Asia, e per¬ ciò munita di pileo frigio, e di doppie ali, onde mostrare la velocità del suo corso, per cui le si vedono altresì le scarpe. Ha in mano un simbolo eh' io giudicai allusivo alla natura prolificante w*, »««•//>, mentre gli Etruschi tennero la narura e la divinità per una cosa medesima. La corona che l’attornia è di frassine, vegetabile sacro a Nemesi. Tutto il monumento, eh’è uguale in grandezza al suo originale, è un disco di bronzo assai frequente tra i monu¬ menti etruschi, lucido nella parte avversa, e manubriato in sembianza di specchio; e poiché se ne son trovati alquanti nelle ciste mistiche, ove Clemente Alessan¬ drino dice esservi stati riposti gli specchi unitamente ad altri simboli mistici, così li chiamai ordinariamente specchi mistici 3 . i Monumenti etr. ser. ti, p. 1 56 . a Ved. la ser. 11 , di quell’opera. 3 Ivi p. 109. 34 dispregiarsi l'etimologia , quanti 1 ella è sobria, e ragionata ,) comincerò da quelli delle lettere dell’ alfabeto . 1 quali non avendo alcun significamento in greco , e portandone uno analogo alla loro posizione,ofigura, o suono, negl’ idiomi asia¬ tici, è ben facile a comprendersi da chicchesia, che non dalla Grecia, ma dal- l’ Asia derivar debbono la propria origine. E vaglia il vero: Alpha , per esempio, significa principe, primo, principio, e sìmili, in più dialetti asiatici, e precisamente in quelli cosi detti semitici, nei quali si pronunzia aleph , o alepha, e per contrazione alpha, cui pare che fosse dato un tal nome per essere la prima lettera dell’ alfabeto, Beta, che viene da beth, betha, suono imitato dal belare delle pecore, e pe¬ rò sempre inalterabile nella sua naturale Semplicità, checche ne ciancino in con¬ trario i grammatici, i quali pretendono di farcelo pronunciare bita, ed anche più barbaramente vita, vale una sorta di casa, per la somiglianza che ha questa lettera colla casa stessa, nell’ Alfabeto semitico . Gamma viene da ghirnel, gamia, gamal, che vuol dire carnelo, ed imita col¬ la sua forma la gobba, o le gobbe di quell’ animale. Cosi delta deriva da da- leth, o deleth , deletha, e per sincope delta, e significa porta, cui somiglia pu¬ re nella figura. E cosi ancora epsilon fu presa dalla he semitica, e trae la sua denominazione dal suono che si manda fuori nel pronunziarla. La zeta, deriva dalla zain, quasi ziian, che vale un’ arme, perchè somiglia nella sua forma ad un dardo. E cosi percorrendo l’ intiero alfabeto. La quale opinione acquista una forza tanto maggiore, in quanto che si os¬ serva, che gl' ingegnosissimi Greci, non hanno neppure nella loro lingua, che è si ricca, un vocabolo indigeno per nominare la più bella, e la più maravi- gliosa di tutte le cose create, qual è il Sole. Imperocché la voce , elios, di cui si servono per nominarlo, non è altro chela pura semitica, el, o eloab, inflessa alla greca . E significando essa, fra le altre cose, anche Dio nel suo primitivo idio¬ ma, si vede il perchè si propagasse ancora in Grecia, come altrove il culto del Sole. A maggior conferma poi del mio assunto, ecco una serie di nomi, presi qua, è là senza scelta, ed appartenenti a cose assai diverse fra loro, come a dire, divinità , eroi, fiumi, monti, città, provincie, popoli, edifici!, e simili, i quali tutti sono evi¬ dentemente orientali, avendo nelle lingue asiatiche, un significato, mentre non ne contengono alcuno nei linguaggi degli altri paesi. Lo che viene a provare ad un tempo, che i Greci non sono i ritrovatori della loro mitologia, e che altro non hanno fatto che foggiare un infinito numoro di ridicoli Dei, prendendo per cose reali ì sim¬ boli degli Orientali, e le loro allegorie, e parabole . ti. facile infatti avvedersi, che Pale, la quale presiedeva alle feste rurali in Ita¬ lia, e Pallade, che mentre era la Dea della guerra, e delle arti, insegnava la conve¬ nevole cultura agli Ateniesi, non sono che un soggetto medesimo, sotto due nomi di¬ versi ; ì quali però vengono entrambi dalle voci semitiche, palai , e pillai, che signifi¬ cano, regolare i cittadini , e da pillali, che vuol dire ordine pubblico . 33 no che l'industria di farsi suoi gli altrui ritrovamenti, mandò a più riprese, come tutti sanno, colonie in Italia, le quali vi fecero pure lunga dimora. Queste colonie pertanto, riportarono nelle nostre contrade, più belle, e più gentili quelle arti mede¬ sime, che ne avevano prima trasportate, grossolane, e rozze alla terra natale, i loro predecessori. Ora, siccome andrebbe grandemente errato il giudizio di colui, che vedendo un italiano vestito alla parigina, o all’inglese, volesse inferirne, che quella foggia di vestimento sia invenzione italiana, cosi è di quelli, che tutto voglio¬ no attribuire ai Greci, perchè i monumenti che ci rimangono dei nostri antenati, sen¬ tono più, o meno del greco stile , e della greca maniera. Nè vale opporre, che mancandoci le autorità degli antichi scrittori, onde fian¬ cheggiarla, e provarla, fa d’uopo rigettare una tale opinione. Imperocché, ove sia¬ mo privi di monumenti scritti, che bastino a provare un assunto di questa specie, è giuoco forza ricorrere al senso comune, e farsi scudo del raziocinio ; i quali valgono m ultima conclusione più di qualunqué autorità degli scrittori, trattandosi dei non contemporanei. Ora questo senso comune, e questo raziocìnio, rafforzati da un gran nume¬ ro di nomi, ( oltre quelli dell alfabeto, e dei suoi elementi ), di fiumi, di montagne, di città, di provincie , di divinità, di eroi e simili, ci attestano altamente, e chiara¬ mente ci dicono, che dessi non possono esser venuti che dall’ Asia, perchè sono asiatici, e tutti ritrovano il loro significamento negli idiomi di quella parte di mondo. Ed essendo questi medesimi nomi per la maggior parte assai più antichi di tutti i monumenti, e di tutte le storie che finqui si conoscano , non si può negare di ammettere, che se asiatici non furono i primissimi abitatori di Italia, e per con¬ seguenza di Etruria, tali però debbono essere stati assolutamente, quelli che insegnarono agli Etruschi l’arte Ai scrivere, e ne volsero gl’intelletti alla cultura delle arti necessarie alla vita, e delle utili, e dilettevoli discipline. E perchè non paia ai nan dotti in tali materie, ed agli imperiti delle lingue orientali, che io mi tragga dalla propria Minerva siffatte opinioni, così contrarie alle già invalse, ed approvate dal maggior numero degli archeologi, che scrissero sull’ Etruria, e sugli Etruschi, è necessario che io venga esponendo, le opportune prove di quanto asserisco, ai miei lettori. Perlochè, senza veruna pretensione all' infallibilità delle mie asserzioni, eccomi pronto alla dimostrazione delle medesime. E tralasciando di riferire in questo ragionamento tutte le tra¬ dizioni, non mai interrotte dai tempii più reconditi fino all’ età nostra, le quali dicono essere stati gli antichi Etruschi nazione cultissirna, e potentissima, mi ristringerò a quella che c’istruisce aver eglino attinti i primi lumi della loro civiltà, da una colonia, o emigrazione proveniente dalle parti orientali, che furono la cuna del genere umano, e di ogni sapere •, e non già dai Greci, che erano a quei tempi, se pure esìstevano , del tutto incolti, e selvaggi. Venendo pertanto all’ etimologia dei suddetti nomi, ( che non è sempre da Etr. Mus. Chius. Tom. 1. ^ libio, e Tolomeo, dalbascuenze pitsà, equivalente a schiuma, perchè situata, secondo Rutilio, vicino al fiume Ausuro , e sull’ Arno, Quam cingunt geminis, Arnus, et Ausur aquis. Orvieto, chiamato Herbanum da Plinio, prende il nome dalle celtiche voci herd, e baun che vagliano terra alta. E di là scendendo verso Roma , incontrasi non lon¬ tano dal Tevere il lago Vadimone, o all’etrusca Vadimune, oggi lago di Bassano, alle cui acque attribuisce lo stesso Plinio, fra le altre qualità, vis qua fracta solidan* tur; la qual salutifera proprietà è significata dalla prima parte del suo nome, chea vateded equivale in celtico ad utile,proficuo,e simili. Angiunge poi lo scrittore medesi¬ mo che era quel lago riguardato come sacro, perchè sotto l immediata protezione di non so qual deità ; lo che viene espresso dalla seconda parte del nome ch’ei porta, cioè, mund, o più dolcemente mun che corrisponde difesa, protezione, e tutela. Trovavasi poi al mezzodì di tal lago Fescennio, luogo celebre per le sue osceni¬ tà , e le quali sono indicate dal nome, essendo gitisi’ appunto licenza, sfrenatezza , il significamento di quello ; e però ne cantarono, Orazio Fescennina per hunc inventa licentia morena, e Catullo, Ne diu taceat procax Fescennina licentia; Oltre di che, il celtico wels-hein, latinamente Fescennium, s’ interpetra bosco di Venere. Nomina Tito Livio, Fanum Voltumnae, oggi Viterbo , e credesi comunemente che questa Voltumna fosse una divinità. Difatti il Dempstero la reputa la prima fra tutte le etnische, e Banier V annovera frale campestri. Ma è da credere che Voltumna, venga dalle due voci volt e tun, e per questo il Fano prendesse il nome non già dalla divinità, ivi adorata, ma dal luogo ov’ era posto, poiché significa colle percosso dal fulmine,o colle fulminato. Cosi pure, Auno , famoso Ligure, ausiliare di Enea, quando venne a stabilirsi in Italia, e che trovasi descritto nell'undecimo libro dell’ Eneide, come paurosissimo nello scontro colla valorosa Camilla, significa precisamente pauroso, timido in lìn¬ gua armorìca, uno dei dialetti indo-scitici. E Cupavone, che andò pure col suo na¬ viglio in soccorso di Enea, si traduce capitano di mare, come Taro,,f ’interpetra gran fracasso, o che fà gran fracasso, rovinìo, o danno, ed ognuno di leggeri comprende, quanto ciò si convenga ad un tal fiume romorosissimo , e precipitoso . Iasio viene da iasesc, che vuol dire, longevo, antico, e ben corrisponde all’idea, che ce ne danno ipoeti, come Capi deriva da capasci, uomo libero, traendosi da ca- pasc, libertà. Laberinto procede da labiranta, che vuol dire torre, palazzo; Tritto- lemo da triptolem, che vale l’apertura dei solchi, Celeo da celi, vaso, ordigno, mas¬ serizia, e però disse Virgilio , Virgea preterea Celei, vilisque supellex . Palilie, ossia la festa degl’istituti, e delle leggi, derivada palilià, c he significa l’or¬ dine pubblico, o da peli], che vale moderatore/Iella cosa pubblica, il primo in Isaia, 55 Penati, è voce che deriva da penisi!, luogo interno, o intimo , e la cui radice è penàh, che vale penetrare; tutte le quali significazioni convengono benissimo a quel¬ le familiari divinità degli antichi Romani. E Levana deità latina essa pure, è la medesima che Lucina , la quale sostenta i nati di fresco, e deriva da Jevanàh, che vuol dir Luna. La Parca, non è cosi detta a non parcendo, come pretendono i Grammatici, e gli Etimologisti latini, ma bensì da parech, che vale rottura , perchè tronca essa il filo della vita; come Cerere, da gheres, spiga matura, e Cibele, da chebel partorire. Difatti quella prima è la dea delle messi, e viene riguardata la seconda come la madre di tutti gli Dei . Osservo il Passeri, che Venere, detta Venus dai Latini, era parola sconosciuta ai Greci, i quali esprimono questa pagana divinità, colle voci Sfpofarv, topo, Afroditi, o Afaodite, Kipris, Kitereia. E fu per lungo tempo ignota anche ai Romani, come attesta Macrobio nel primo libro dei Saturnali. Afferma poi Earrone che il no¬ tile di questa Dea , non conoscevasi fra gli stessi Romani, nè greco nè latino, neppure sotto ire. Ed aggiunge Pausatila nel suo primo libro, che era ignoto agli antichi Gre¬ ci, e che lo aveva trasportato fra loro Egeo dalla Fenicia, e dall’isola di Cipro. Gli Etruschi però conoscevano benissimo una tal Dea , eia chiamavano Vendra, come rilevasi da un antico specchio mistico . E la sua origine sente dì ebraico, avvegna¬ ché, ben-thara vuol dire figlia del mare perchè tbara significa umidità, dal qual vocabolo fecero i Grecite**, tharas figlio di Nettuno. Quindi furono dette Tbarso quasi tutte le città marittime, e tarsisc, il mare, il lido, un porto. Dalla stessa vo¬ ce ben, che si cangia spesso in ven, per le regioni a tutti note, furono composti mol¬ ti nomi di Dee, come quello della Bendit degli Sciti, di Bentasicima figlia di Net¬ tuno presso Filostrato, ed altri. Nè vennero da una sola parte, e nomi, e riti, e costumanze asiatiche in Etruria, ed in tutta Italia, ma per più e diverse vie: peri oche non da un solo linguaggio asiatico trar si debbono le spiegazioni dì questi nomi, ma da più, e diverse lingue, e dialetti di quella famosa contrada. Quindi tutti i celtici, e tutta la gran famiglia degl’ idio¬ mi così detti indo-scitici, possono esser messi utilmente a contribuzione, come altra volta accennammo per la retta intelligenza dell’ etrusco, e per interpelrare gli anti¬ chi monumenti del nostro paese-.Dal che viene a dimostrarsi , che il dotto, ed acuto padre Rardetti, non aveva poi tutti i torti, di che altri volle troppo leggermente ag¬ gravarlo . Ma riprendiamo la nostra disamina . Liguria, nome di quel tratto di paese, detto la riviera di Genova, fu cosi detta da Liguria voce bascuenze,che vuol dir soave. E si formarono probabilmente da questa, il verbo latino, ligurire, che significa mangiare soavemente, o mangia¬ re cose soavi, e il nome greco liguros che vale anche soave. Pisa, cosi chiamata , o per la figura dell’ antico suo porto, che si trarrebbe da pi* se ,che vale in dialetto lidio porto lunato, o se fu detta Pissa, come la chiamano Po - TAVOLA XXXVII. II nudo idoletto in bronzo che in questa Tav. si espone davanti e da tergo, nella grandezza medesima dell’originale, con altri similissimi a questo, sparsi pe'mu- sei, forma soggetto di mature, ma non per anche fruttifere riflessioni degli archeo¬ logi , che se per un lato vi ravvisano una gran somiglianza coi monumenti egiziani da far sospettare che sian idoli venuti d’Egitto in Etruria, atteso specialmente il costume e f acconciatura anteriore e posteriore de’capelli; dall’altra non concepi¬ scono come gli Etruschi abbian potuto ridursi a mendicare manifatture d’Egitto,men¬ ti'’ erano essi medesimi famigerati artefici; nè la storia ci addita in conto veruno un traffico simile tra le due sì disgregate contrade. È vero che Strabone veduti i lavori d’ambedue le indicate nazioni, li giudicò di un medesimo stile, simile a quello dei Greci antichi ma par ch’ei ciò riferisse allo stile dell’arte, e non al costume delle figure . In qualunque modo peraltro si volesse risolvere l’obiezione, qui non sarebbe luogo opportuno di estendervi. L’altro bronzo che rappresenta una fiera testa di lupo, servì probabilmente per ornato nel manubrio d’ un arme da taglio. TAVOLA XXXVIII. Ebbero gli antichi una singoiar cerimonia religiosa, alla quale davano il nome di Jettisternio, consistente in un convito che si faceva nel tempio, o nel sacro recinto, dove si apparecchiayano le mense ed i letti, perivi stendersi i devoti che lauta¬ mente mangiavano in onor degli Dei, ma vi si preparavano ancora altre mense ed altri letti, dove si deponevano le statue dei medesimi numi, a’quali porgevan vivan¬ de, come se fossero stati realmente Ior commensali =. È dunque probabile che il pre¬ sente rudere antico facesse parte d’un di que’Ietti che preparavansi per le statue, i quali si potevano usare a tal uopo di qualunque grandezza. L’ornato stesso di un seguito di figure tutte ugualmente recombenti, con tazze in mano, come stavasi a mensa, fan so¬ spettare delbanalogìa di rappresentanza coll’uso accennato del rudere, ch’èdi pietra arenaria, una terza parte maggiore del presente disegno. Lo stile a parer mio si mostra imitativo piuttosto che ingenuo d’un’ antichità non poco lontana. TAVOLA XXXIX. É già noto all osservatore il nome e 1’ uso di questo mobile, per le ta¬ vole antecedenti, al cui proposito dissi che \non veri foculi, ma figure di ì Monum. etr. ser. m, p. 4 oi. a Liv. 1 . v, § 1 3 . Laurent, de prond.et coena vet, c. zi, conviv. vet. c. 4 * 37 cap. 28 , il secondo in Giobbe cap. 3i. E Pamilie, festa che veniva dopo la raccolta, ed il cui significato e 1 uso moderato della lingua , da dove s introdusse presso i Gre¬ ci il costume di fare esclamare e rivolgere al popolo le parole «pi« yWoias tamnete glossas. cioè , troncate le lingue, astenetevi dal parlare, derivansi da pa-mul, la bocca circoncidere, o da pamylah, circoncisione della bocca. E siccome era questa una ottima lezione morale per rendere gli uomini sociabili, e felici, così tutte le piccole società dei congiunti, o d’altre persone che vivono insieme, furono dette fatniliae, e da noi famiglie. Camilla è voce pretta etrusca, dicono Servio, e Festo, e significa ministra degli Dei . Sia pur vero, ma in idioma orientale significa un tal nome, ciò che dissero i Latini serva a manu; o filia a rnanu , giacché cam vaia mano, ed bill figliolanza , come osservò Eccardo al titolo 23 della Legge Salica. E filia a manu, o serva a manu e una espressione convenientissima alle giovinette , che metter dovevano le mani in cento cose, essendo destinate a servire. Tarconte , autore secondo le favole di Tarquinia, fratello di Tirreno, o disceso da lui, che sopraintese a dodici città, il che non è bagattella ,fà secondo la verità storica un valoroso soldato, che avendo difesa la sua gente, venne denominato lo scu¬ do 5 tale essendo ilsignificamenlo del gallico tarcon, o dell’armorico targad. E finalmente, Tages , o Tagete , che narrano esser saltato fuori fanciullo, dalla terra che sfavasi arando, che fu alla nazione etrusca il primo maestro delVaruspicio, che il senatore Buonarroti lo ha creduto espresso nella tavola 45 fra le aggiunte al Dempstero, non può venire che dalla voce asfcia, tag, la quale significa giorno. E pare che gli Etruschi volessero fare intendere con questa figura, o parabola, che i giorni, p come noi diremmo il tempo, aveva loro insegnato l aruspicina, o l'arte di antiveder l avvenire. Avvegnaché di simile parlare figurato , sono ripiene le pagine degli scrittori sacri, e profani. Dei quali basterà nominar qui, tralasciando gli altri, David, Pindaro, Tullio, e Virgilio. E siccome dice lo stesso Pindaro che le ore avevano insegnato agli uomini molte delle antiche arti, così poteva secondo gli Etruschi, aver loro il giorno insegnato l aruspicina-, Imperocché scrive il prelodato Tullio, che opinionutn commenta del etdies, naturae iudicia confirmat; E Virgilio cantò, Turne, quod optanti, divum permittere nemo Auderet, rolvenda dies en attullit ultro. Domanderò ora ai dotti, se dopo la spiegazione da me data a tanti nomi dei quali potrebbe estendersene il numero per centinaia , e migliaia, sia possibile che una fortuita combinazione, possa rendere così ragionevolmente corrispondenti i loro significati, agli usi, ai tempi, ai luoghi, ed alle circostanze degli oggetti per essi indicati. 4 ° va spossato di forze; e incontro a lui, come narra Omero i Troiani e gli Achei si tagliano a vicenda gli scudi e le targhe i 2 ». Il berretto asiatico, del quale il recombente è coperto in questa tavola, mostra più manifestamente che altrove la sua qualità di Troiano, e perciò mi confermo nel crederlo Enea. Gli altri corpi che vedonsi rovesciati a terra, fan fede che il fatto accade in un campo di batta¬ glia; e nel tempo stesso più che bellezza, dà merito al monumento quella ric¬ chezza di lavoro, che ne’tempi dell' arte in decadenza preferivasi al bello, che n’è il vero pregio. TAVOLA XLII. La ricchezza colla quale vedemmo decorata di scultura l'urna cineraria in marmo, il cui disegno è stato presentato nella tavola antecedente , tre volte più piccolo della di lei grandezza, non potette appartenere che a persona qualificata e facoltosa. Ciò si verifica nell'osservarne il coperchio in questa tavola disegnato, sul quale riposa un giovine riccamente vestito, decorato di onorifiche insegne, quali sono principal¬ mente 1’ anello e la corona di alloro che ha in mano, il torque che gli orna il còllo , ed un ricco balteo che dall' omero sinistro gli scende al destro fianco. La corona che ha in capo non è di semplice onore, ma gli spetta come recombente a convito: posi¬ zione che viene affermata dalla tazza che ha in mano, come usa chi sta a mensa. TAVOLA XLIII. É stato ragionato dagli antichi di una guerra delle Amazzoni, la quale ha non poco del favoloso 3 , come lo prova inclusive la diversità colla quale è narrata, ma nella varietà della favola v’è gran concordia tra i mitologi per introdurvi i cavalli 4 . Or poiché veri combattimenti antichi a cavallo non si conoscono descritti dagli au¬ tori de’tempi omerici, o poco dopo, così non resta che quel delle Amazoni, o con gli Argonauti 5 , o con gli Ateniesi 6 , che incontrisi nei monumenti, come approvato tra le rappresentanze dell’antichità figurata. Dunque intendo di calcar le massime consuete spiegando il presente bassorilievo per un Amazone equestre, la quale com¬ batte con un militare a piedi, sia pur costui un eroe degli Argonauti seguaci di Erco¬ le, o un Ateniese del seguito di Teseo. La Furia con face in mano è spesso introdotta nei combattimenti anche dai tragici greci 7. L’urna cineraria in marmo originale misura quattro volte questo disegno. La semplicità dello stile caratterizza questo bas- i Iliad. cit., v, 45 1. a Inghirami Galleria omerica, Iliade Tav. lxxiv, Voi. i, p. 146 3 Monumenti etr. Ser. in, p. 23 1 4 Diodor. Sic. 1 . iv, cap. xvi. 5 Monum. etr. Ser. cit. p. 2 43 * 6 Ivi p. 234. 7 Ivi, Ser, 1. p. 269, 3 i 6 , 477 » 534 » 5 ^ 9 » 568 . 3 9 essi erano quei che si trovavano entro le tombe di Chiusi, perchè essendo di terra non cotta, potevan soltanto servir per figura in qualche sacra cerimo¬ nia 1 2 . Ecco pertanto in questo disegno uno de’ veri foculi, o thimiateri qualora questo braciere sia stato in uso per cuocer vittime, percb’è di bronzo, e per ciò capace a resistere all' azione del fuoco, siccome anche i vasi e gli al¬ tri arnesi da cucina, che vi si trovarono dentro. Anche la sua grandezza eh’è due terzi maggiore di questo disegno, attesta della capacità d’essere stato ado- prato. L’indefessa gentilesca superstizione ci fa supporre, che non a caso fosse un tale utensile ornato dal Capricorno, ripetuto nei quattro suoi angoli, mentre ogniun sa che quel celeste segno fu oroscopo di fortuna, che tennero per loro im¬ presa Cesare Augusto, l’imperatore Carlo V, e Cosimo I Granduca di Toscana 3 4 . Quell'animale vi sta dunque in luogo del gallo che vedemmo nell’altro foculo già rammentato 3 . TAVOLA 2L. La forma di questo foculo di terra nera e non cotta permette che se ne osservino distintamente i vasi da cucina e da tavola ivi contenuti. Le replicate teste d’ariete ivi affisse, nonlascian dubbio che il vaso non sia fatto espressamente per uso sacro, ed allusivo a Mercurio; il quale presedeva alle libazioni, come il mediatore delle preci che gli uomini porgevano ai numi 4. Oltredichè ci è noto, che alle anime, come anche ai numi infernali, facevasi olocauso d’un ariete di color nero 5 ; ed io vidi a questo proposito vari bassi altari nel museo etrusco di Volterra, ornati di teste d’agnelli, co¬ me il foculo qui esaminato. TAVOLA XLI. In un bassorilievo trovato a Chiusi, ove sembrommi di vedere il medesimo sog¬ getto che nel presente, all'occasione d’averlo dovuto spiegare, scrissi quanto appres¬ so. « Quando Venere e Apollo ebber sottratto Enea dalle furibonde armi del prode in guerra Diomede, allora Febo immaginò di lasciar combattere a sazietà i Troiani coi Greci, sostituendo ad Enea l’idolo, 9 1’ ombra di lui 6 . Questa poetica immagine del combattimento di due partiti per un fantasma, fu cara oltremodo agli Etruschi, mentre ne vediamo la rappresentanza in diversi dei lor cinerari, dove si osserva il simulacro d’Enea caduto a terra per la percossa del sasso gettatogli da Dio¬ mede, in atto di cercare una qualche difesa nella trista situazione in cui si tro- 1 Ved. Tav. xxxi, xxxn, p. 29. 5 Virg. Aeneid, 1 . vi. v- 2 4 L Varrò ap. Geli. 2 Inghirami, Im, e R. Palazzo Pitti, p. 88. !• iu, c. 11. 3 Ved. Tav. xxxi. 6 Ilomer Iliad. 1 . v, v. 449. 4 Monuin. etr: ser. n, p. 4 2 mostra in questa Tavola il disegno rappresentatovi, non potea meglio esprimere in esso un tale avvenimento, poiché dipinse Peleo qual destro giovine preparato alle nozze, in atto di tenere stretta la ritrosa Teti, che quasi è per coprirsi ’J volto col ve lo per l’onta di quell'atto. Peleo eseguì ciò per consiglio di Chirone divenuto il di lui suocero con quelle nozze. A lui davanti Peleo conduce la sposa, quasi che gli do¬ mandasse assenso della unione maritale, mentre il centauro coll’atto di stender la mano dimostra l’annuenza paterna dell’imeneo. È superfluo il sospettar ch’altra favola sia rappresentata in questa pittura fuor che quella di Peleo e Teti davanti a Chirone, mentre lo attestano le iscrizioni che vi si leggono setie teaes kipos, e quindi un no¬ me proprio di Nicostrato coll’aggiunto consueto nikoztpatos kaaos. Le figure qui ri¬ portate son alte la metà di quelle che vedonsi nella pittura del vaso originale, che ha fondo nero , con lettere dipinte in bianco appena visibili. TAVOLA XLVII. I vasi che han la forma come il presente sogliono avere altresì tre manichi, ed una sola fronte ornata a figure; questo a differenza degli altri è dipinto da due parti, una delle quali è descritta nella Tavola antecedente, f abra, che dir si potrebbe la parte opposta del vaso, a causa della inferiorità della esecuzione del disegno, è la qui delineata, ed il vaso tracciato sotto di essa è poco più della decima parte dell’origi¬ nale, in fondo nero con figure rosse. 11 vecchio calvo che sta nel mezzo a due donne in atto di correre o di ballare, è tema comunissimo anche ad altri vasi. Ma in uno di essi, per quanto appresi da S. E. il principe di Canino esimio possessore e cogni- tore di tali pitture, uno di essi, io diceva, manifesta con epigrafe il nome del vecchio Tindaro, dal che si dedurrebbe essere una delle donne la figlia Elena danzante con una delle sue compagne nel tempio di Diana, dove fu rapita da Teseo, e portata in Atene: tema che ora m’avvedo essere più chiaramente espresso nel vaso che io inserii nell’opera dei Monumenti Etruschi *, e che dissi allusivo al corso degli astri a , e che ora maggiormente confermo per la relazione di quel ballo e di quel ratto con la guerra dei Dioscuri onde riprender Elena, con altri simili tratti di quella favola, i quali non significano in sostanza che un continuo levare e tramontare degli astri 3 , e delle combinazioni loro con la luna: nome che in greco porta con poca varietà an¬ che Elena Selene da sto» la risplendente, e aiUn la luna *. TAVOLA XLVIII. La figura di questa Tavola è dipinta nella grandezza medesima in una tazza di terra cotta con giallastro colore su fondo nero, il cui aspetto ha tutti i segni del sati— 1 Ser. v. Tav. ix. 3 Ivi, ser. n, p. 4 g 8 . 2 Ivi, ser v, p. 87, li 4 , 4 Ivi, p. 567. sorilievo non distante dai buoni tempi dell’ arte; e se la figura equestre compa¬ risce alquanto piccola, fu condotto a sì ingrata licenza lo scultore nel volervi introdurre delle figure a piedi e a cavallo protratte ad un'altezza medesima, e che tutte empissero il fondo sul quale son collocate . TAVOLA XLIV. Prima di coricarsi a mensa usarono gl’italiani dei primi tempi di Roma di spo¬ gliarsi de'propri abiti, e prendere un manto che dissero veste cenatoria o sindone, colla quale in parte avvolgevansi e in parte potean restare a nudo, per aver le brac¬ cia più libere all’azione di prendere il cibo,- e così coperti dieevansi dai latini semi- amidi, ma quell’uso fu abbandonato e non tardi, ond’è che da Erodiano fu addotto come affettata imitazione delle antiche statue Di tal costume par che serbi memo¬ ria la figura della Tavola presente che giace sul coperchio,spettante all’urna in mar¬ mo che antecedentemente abbiamo veduta.Dell'iscrizione sarà dato conto a suo luogo. TAVOLA XLV. Il vaso che qui si mostra un terzo più piccolo dell' originale, è di que’soliti di terra nera che si trovano a Chiusi, nè potrassi mai supporre che siano d’altra fàbbrica fuori della chiusina, poiché oltre la terra nera e non cotta che vi si adopra- va più che in altre officine, hanno essi vasi certe forme, una delle quali è la pre¬ sente, che mostrano un carattere del tutto originale ed unico, sì nelle sagome, sì negli ornati. TAVOLA XLVI. Accenna Omero essere stata volontà degli Dei,che Peleo togliesse Teti per moglie, quantunque Dea; mentre quell’eroe non avrebbe volontariamente aspirato ad una unione sì eminente 3 . Apollodoro ne spiega più minutamente il successo, e dalla di lui narrazione par che abbia origine questa pittura. Era fama che Giove unitosi con Teti, da cui restò incinta d'Achille, ne procurasse 1’ imeneo posteriore con Peleo, quantunque mortale 3 . Quindi soggiunge Apollodoro, che il centauro Chirone con¬ sigliò Peleo ad impadronirsi della ninfa divina con sagace destrezza, nè lasciarla an¬ dare, per qualunque forma ch’ella avesse presa . La insidiò difatti Peleo, e quantun¬ que la Dea si trasformasse in acqua, in fuoco, ed in bestia feroce, egli ritennela finché non ebbe ripresa la di lei primiera forma di ninfa. Il pittore del vaso di cui si i Monum. Etr. ser, i, p. 3^6. 3 Scol. ap. Heine lliad. Iib. xm, v. 35o , Tom. v H-imer. lliad. lib. xxiv, v. 538. vi, p. 635. Elr. Mas . Chius. Torti. I . G ragionamento y SUGLI ETRUSCHI Disputarono lungamente frà loro gli scrittoli, come abbiamo accennalo, in¬ torno all’ origine degli Etruschi, e fabbricarono su questo soggetto tre sistemi di¬ versi. Volevano, per esempio, alcuni che eglino fossero un popolo uscito dalla Gre¬ cia, ed una colonia di Pelasghi, mentre sostenevano altri che erano Lidii, e veni nano dall’ Asia, ed altri finalmente affermavano essere i medesimi originarli di Italia. La quale ultima opinione è ragionevolissima, e noi la crediamo la vera. I moderni poi hanno superato gli antichi nel numero delle ipotesi, e dei sistemi-. Imperocché il Maffei,col Mazzocchi, ed il Guarnacci, li fanno venire dalla Fenicia, il Buonarroti dall' Egitto, il Pelloutier, il Bardetti, ed il Frerst, dai Celti. Li cre¬ de Guglielmo de Humboldt I anello di comunicazione frà i Latini, e gl’ Iben, lad¬ dove Niebuhr riguarda la Rezia come la primitiva lor sede. Ed in fine il Mailer suo discepolo, adottando un termine medio, ammette un popolo primitivo di Etruria, eh’ ei chiama Rase ni con Dionisio d Alicarnasso, e sulla cui origine lascia la qm- stione indecisa, benché creda d’ altronde, che questi Raseni si mescolassero coi Pe¬ lasghi, qua venuti colle loro colonie di Lidia. Ora questa moltitudine d’ipotesi antiche-, e moderne, da altra causa non possono cèrtamente procedere, che, oda troppa leggerezza, e precipitazione nell’ esaminare i monumenti dei nostri padri, o da impremeditato sistema in coloro, che ne presero a scrivere, o dal più nocivo di tutti i sistemi, V amore di parte. Per poco infatti che vi sifaccia attenzione, e si vogliano mettere alla prova, non è difficile a chicchesia di ac¬ corgersi, che q.essuna di quelle ipòtesi, e nessuno di quei sistemi, contiene elementi che bastino a diradare il buio che involge le cose etnische, ed a spiegare, anche probabil¬ mente i monumenti che ci rimangono di quella illustre nazione. Scegliendo peraltro da ciascuna di quelle ipotesi, e da ognuno di quei sistemi, ciò che vè di più ragionevole, e di più giusto, e formandone un insieme, vi si troverà, se il giudizio nostro non và errato, quanto fà di mestieri, per portar piena luce e spiegare con ogni chiarezza, e senza replica, tutto quello checi rimane di etrusco. Stabiliremo dunque frattanto, che furono gli Etruschi un popolo particolare d’Ita¬ lia, indigeno di questa bella penisola, che ebbe, com è naturale, una lingua sua pro¬ pria ; la quale non è la. Stessa che la greca antica,, come dimostrammo nel precedente ragionamento, e che anzi ne differisce mollissimo, anche per sentimento del prelodato Mailer. Col quale aggiungeremo, a conferma di quanta asseriamo, che inori>', dei loro 43 ro: orecchie ircine, barba prolissa,naso simo e coda di cavallo.L'otre vinaria ove stas¬ si assiso è pure suo speciale attributo. L’iscrizione letta come qui rappresentasi, poco giova ad intenderne il significato panaitios iupos kacos . Non oso farvi emenda, mentre non avendo io veduto il monumento, non posso nè asserire, nè porre in dubbio se questa sia la vera lezione. Quando non vogliasi azzardare il supposto che la terza lettera dell’ ultima voce sia nell’ originale un p, per cui avremmo due volte ripetuta la voce bello, come in altri esempi si vede, potremmo almeno pensare ad una omissione dell’asta che del c ne dovea formare unir, e la voce significativa di pernicioso potrebbe alludere al vino, quando n’è fatto abuso. Nè nieu dubbie si mostran le altre voci, a meno che vogliansi leggere ««<05 che sarebbe un saluto al dio Pan l’autore della universale natura. Ma tali dubbie iscrizioni debbonsi a mio parere consegnar colle stampe alle indagini di quelli ellenisti che in particolar modo si occupano dei vasi dipinti e scritti. Epigrafi tratte dal museo Oasuccini, come le altre venti già stampate, scolpite in urne di travertino, o segnate in urne di coccio. XXI. xxn. xxin. XXIV. xxv. VI :fì\u il AH : 43 :4flHfYf = fln-iq/iDvnas : ma : qd >- tv -7 bifidi) : dfiUfVf: V13M : lllfttqfi : 04 :4fi0qfl4 : dfidfVf : liHblqfi : 43 #filflfiOmfiq ; invddfi : O4 > /in fio XXVI. Doppia epigrafe 4fi Sopra il coperchio filfin8dV3 Nell’ orlo del coperchio Iffifliqa : ignqfiq : 04 XXVII. Jfi 1 -r fi sic om 131 : lantqfi : I O q fi 4 xxvin. fiinvi-nai : firmo filflfl031 6 * 46 il nome di quei nuovi coloni, e non quello dei primitivi alitanti. Imperocché , trovan¬ dosi, prosegue lo stesso Mailer, nella Tavole Euguhine, la parola Tursee, con quelle di Tuscom , e di Tuscer, è impossibile di non conchiudere, che dalla radice Tur si sono fot mali Tursicus, Turscus, e Tuscus, come dalla radice Qp, deriva- ronsi Opscus, ed Oscus; Di maniera che Tuprìvoi o Tv eP moi e Tusci, non sono che le forme asiatiche, ed italiche di un solo, e medesimo nome • Che del resto, un argomento per noi fortissimo, atto a dimostrare oltremodo remo¬ ta la civiltà degli Italioti, e singolarmente degli Etruschi, ricavasi pure da tutti que¬ gli antichi scrittori, i quali parlano della cosi detta Confederazione etnisca residen¬ te a Fiesole, e da tutti quei Gronólogisti, che ne fissano lo stabilimento a lobo anni prima dell’era volgare ; dei quali vedasi, fra gli altri, il Sìg. de Long-Champs, nei suoi Fasti universali. Lo che ci fa credere che gli abitanti dì questa regione, avessero già acquistale fino diallora, non ordinarie nozioni di politica teoria. Ed infatti, benché la voracità dèi secoli, e più ancora la feroce ambizione , e la crudele prepotenza romana , ci abbiano invidiate le storie etnische, ed anche la maggior parte dei monumenti di quel popolo celebratissimo ■ Benché la vanità sen¬ za limiti dei Greci, sia venuta, per giunta alla derrata, ad involgerne di puerili, e ridicole favole, perfino il nome, non che le azioni dei nostri antenati, per quella loro presunzione stoltissima , di far credere che tutte le altre nazioni del mondo, non fu¬ rono nulla , in paragone di loro ; esistono pure tuttavia in Etruria delle costruzioni, che gli eruditi chiamano Ciclopèe , perchè non hanno il carattere, nè fenicio, nè egi¬ zio, e che sono per conseguenza indìgene , le quali sfidano da quattro mila anni a questa parte,gl’insulti degli uomini e gli urti del tempo, e stanno a conferma di quanto asserimmo qui sopra, circa la suaccennata civiltà, e straordinaria potenza, ed energia degli Etruschi . E tali sono, fra le altre, le mura di Volterra, e di più altre città dell’ antica Etruria, le quali sono formate di enormi macigni, senza alcun cemento, resi fermi soltanto dal proprio peso- Mal epoca della colonizzazione, della quale parlammo di sopra, non si può fissa¬ re che per approssimazione. La quale peraltro credè il Mùller, già citato più volte, che coincida colla emigrazione dei popoli, e che fosse cagionala, e prodotta da quella, e se la ragiona cosi- Gli Umbri, dice egli, e lo ripetono pure i compilatori di Edimburgo, erano potenti nella contrada, di cui presero possesso i nuovi coloni. I quali ebbero a sostenere lunghe, e sanguinose guerre, prima di spossessarli delle trecento città, che eglino occuparono, al dire di Plinio lib. terzo, cap. decimo nono, nel paese che fu più tardi chiamato Etruria. E poi fuori di ogni dubbio che gli Etruschi si estesero dalla parte del Mez¬ zogiorno, fino alle sponde del Tevere, ed anche al di là nel Lazio, come lo prova il nome di Tusculo, o Tusculano. E dietro le tradizioni popolari, quello stesso Tarconte, al quale si attribuisce la fondazione delle dodici città di Etruria, con¬ dusse anche dodici colonie al di la degli Appennini, e vi gitlò le fondamenta di 45 Dei, non sono quelli che s' incontrano presso gli Elleni, e che trovatisi nelle dottrine dei Sacerdoti Etruschi, molti punti, affatto diversi dalla greca teologia. E ripeteremo ciò che altrove dicemmo, che la sorte, cioè, di questa nazione, pare che fosse quella di essere debitrice dei suoi primi progressi nella civiltà, non ad una tribù greca, o mezza greca, siccome crede lo stesso Mailer, e con esso lui i dotti compilatori della Rivista di Edimburgo ; ma bensì ad una emigrazione asiatica, più antica dei Greci medesimi come abbiamo assento, ed in parte ancora provato nel precedente ragionamento. Nè punto esiteremo d affirmar qui, che la lingua etnisca, o ella non fu mai scritta nella sua purità primitiva, e scevra di ogni mescolamento di stranieri vocaboli, o se pure lo fu in lontanissima età, non è fino a noi pervenuto alcun monumento scrit¬ to, il quale ce ne possa far fede. E ciò sosteniamo con tutta franchezza, perchè quelli conosciutifinqui, sono tutti composti, senza veruna eccezione, di un rnescuglio di vo¬ ci, prese ad imprestito, per la maggior parte, da ognuno di quegli antichissimi lin¬ guaggi, e dialetti, che nominammo nei ragionamenti già pubblicati in quest' opera stessa. Di che daremo una sicura prova in altro discorso a questo solo scopo diretto. Sul proposito però dell' essere, o non essere gli Etruschi una tribù greca , o mez¬ za greca, è molto curiosa la novelletta che vanno ripetendo, il prelodato Mùller, e con esso ancora i surriferiti Compilatori della Rivista edimburghese, ove dicono che i Toscani attribuivano eglino stessi, nelle loro nazionali leggende, la propria civiltà alla marittima città di Tarquinia, e nominatamente a Tarconle. I quali due nomi altro non sono, secondo essi , che due variazioni di Tirreni . Ma questa è una greca invenzione, ed anche di moderna data, in confronto della remota cultura degli Etruschi, ed è similissima a tante altre dello stesso calibro , dai medesimi Greci ac¬ creditate, e spacciate per fatti, intorno all’origine di tutte le più celebri nazioni del- l antichità . Ed aggiungono i medesimi autori, che sbarcarono precisamente a Tar¬ quinia , e colà stabilironsi da prima, quei terribili Pelasglii di Lidia, i quali porta¬ vano seco le arti, e le scienze, che avevano già apprese o nella patria loro , o nei loro viaggi -, credendo di poter cosi conciliare maggior fede al loro racconto circa la primitiva civiltà degli Etruschi. Al venir dunque di si fatti coloni, secondo quell' eruditissimo prussiano, e quei dotti inglesi, vide per la prima volta 'questo barbaro paése, degli uomini coperti di bronzo, equipaggiarsi a suono di tromba per la battaglia. Udì allora per la prima volta , l acuto squillo della tibia lido-frigia , accompagnare i sagrifizii, e fu testimo¬ ne della rapida corsa delle galere a cinquanta remi, Siccome però la tradizione passando poi di bocca in bocca , non conosceva più limiti, cosi tuttala gloria del nome toscano, anche quella che non apparteneva prò- priameiife ai coloid, si attaccò a Tarconte discepolo di Tagete, o d e ! tempo, come dicemmo nel precedente discorso, riguardandolo quale autore di urlerà novella, e migliore, nella storia di Etruria. Ed i popoli vicini, vale a dire , gli Umbri, ed i Latini ; diederq a questa nazione, che incominciò allora ad accrescersi, ed estèndersi 48 Nè credo che allia torlo il MiMer, attribuendo alla preminenza di questi ultimi sul mare inferiore, la mancanza delle colonie greche, sulla costa setten¬ trionale della Sicilia, ove al tempo di Tucidide, non eravi che Lnera. Il timo¬ re degli Etruschi, chiuse per lungo tempo ai Greci, il passaggio dello stretto di Reggio- E non avvenne che dopo V epoca in cui ebbero acquistata i Focesi una potenza navale, che fu dato loro di esplorare entrambi i mari. Ma la rivalità non tardò molto a manifestarsi frà i due popoli, i quali cércarono d'impadronirsi dell’ isola di Corsica . E gli Etruschi uniti ai Cartaginesi, disfecero i Focesi. Furono pero meno fortunati nelle loro guerre marittime coi Borii di Guido e di Rodi che avevano formalo uno stabilimento a Lipari. Finalmente 474 anni avanti Gesù Cristo, il popolo di Ciana in Campania, avendo dichiarata la guerra ai Tirreni, chiamò in suo soccorso Gerone tiranno di Siracusa , che li disfece completamente, e liberò, dice Pindaro nella prima Ode pizia, la Grecia dalia schiavitù. E difetti uno scudo di Bronzo trovato nelle rovine di Olimpia nel 1817 , porta questa iscrizione = Gerone, figlio di Dimmene, ed i Siracusani, hanno consacrato a Giove queste spoglie dei Tirreni vinti a Clima = . Ammesso pertanto che furono gli Etruschi un antichissimo popolo d’ Italia originario dello stesso paese, conchiuderemo questo breve ragionamento, colle riflessioni seguenti. L° Che di necessità ebbero essi, linguaggio, usi, Leggi, costumanze, arti, scienze, e religione loro particolari, e proprie, benché dovessero i primi progressi nella civil¬ tà ad una emigrazione asiatica, in un epoca quasi impossibile a stabilirsi con precisione. Il.° Che per conseguenza, fra le altre cose , che qui per brevità si tralasciano , i vasi dipinti di terra cotta, come quelli neri, ed altri, di qualunqueforma, e grandezza, siano essi aretini, o chiusini, o campani, sono genuinamenee etruschi, e non altro che etruschi. Benché sia piaciuto agli Archeologi di chiamarli vasi greci, e più mo¬ dernamente ancora italo-greci. Le quali denominazioni hanno dato loro quei dotti , perchè vi si scorgono, come pure nelle urne cinerarie, e nei sarcof agi, disegnate e di¬ pinte, o scolpite, a basso , e a gran rilievo, rappresentanze, o storie e favole greche; ovvero che tali divennero dopo essere state prima etnische, e perchè vi si leggono pa¬ role greche, o che alle greche somigliano. Come se non potessero essere nel mondo due diversi idiomi i quali abbiamo alcuni vocaboli comuni ad entrambi. Conforme fu sa¬ gacemente osservato, dal dotto, e perspicace sig. principe di Canino apag .20 del suo Museo Etrusco. Campani poi faron detti, eziandio tali vasi, perchè se ne fabbrica¬ vano . e se ne trovano nella Campania, che fu pure colonia etnisca, come si dicono chiusini, ed aretini, da Chiusi, e da Arezzo, ove esisterono speciali fabbriche dei medesimi ■ E sul proposito del sig. principe di Canino, sono assai dispiacente di non aver letto prima d’ora quel suo dotto e giudizioso lavoro, perchè avendovi riscontrate al- 47 altre dodici città. Lo che serve a trovare che l Etruria della valle del Pò, fu colonnizzata dall' Etruria del Mezzogiorno. La. medesima tradizione di dodici colonie, viene ripetuta sul proposito dello stabilimento degli Etruschi in Campania-, Ed il Miiller suppone che quelle co¬ lonie fossero realmente etnische, contro , l’opinione di Niebuhr suo maestro, il qua¬ le pensa che elleno fossero fondate dai Pelasghi Tirreni, confusi cogli Etruschi, a cagione dell’identità del nome. In ogni caso però, sembra allo stesso Miiller, che la popolazione etrusco della Campania, non debba essere stata molto considerabile, perchè vi prevalse il dia¬ letto Osco, e perchè non si è mai trovata in tutto quel tratto di paese, una sola iscrizione veramente etnisca . Laonde convien credere, prosegue egli, che quel fertilissimo paese, immerso nel lusso, e nella mollezza , esercitasse la sua fatale in¬ fluenza sugli Etruschi, che vi si erano stabiliti, mentre furono obbligali ad abban¬ donare il possesso delle ricche pianure di Capua ai Sanniti, colà discesi dalle loro montagne. Io non saprei qui sottoscrivermi all’opinione del dotto archeologo prussiano, sembrandomi troppo debole la ragione che egli adduce, per ìstabilire che fosse piccolo il numero dei coloni Etruschi della Campania, quella cioè del dialetto Osco rima¬ stovi dominante, poiché potrebb’ essere ciò avvenuto anche dall' avervi quegli ospiti soggiornato per breve tempo , oppure da un riguardo che poterono benissimo avere i Vincitori verso i vinti. Di che abbiamo avuto un esempio noi stessi nelle nostre contra¬ de al tempo dell’ Impero francese. E certamente gli Etruschi, non erano cosi feroci, come i Romani, i quali ebbero l’inumanissimo orgoglio di togliere perfino la lingua ai popoli che avevano l’infortunio di cadere sotto il loro giogo di ferro : ( checché ne cantino in contrario ifanatici loro lodatori .) E se è permesso di paragonare le grandi cose alle piccole, quando sono dello stesso genere , dirò in appoggio della mia supposizione, che anche i Chinesi soggiogati già da piti secoli dai Tatari Mant- sciu, hanno conservato, e conservano tuttavia dominante il proprio idioma, benché soggetti ad una dominazione straniera. Oltre di che, viene ad accrescersi la for¬ za del mio ragionamento , riflettendo che era ben facile, e naturale il conservare nel¬ la Campania il linguaggio del paese, altro non essendo il medesimo, che un dia¬ letto della lingua Etnisca. Sembra poi cosa provata , e da non controvertersi, che i Tirreni dopo il loro sta¬ bilimento in Italia, esercitassero per lungo tempo la pirateria, e che si rendes¬ sero così famosi nelle pianure della Grecia, ma è peraltro assai difficile a deci¬ dersi, se una tale accusa debba applicarsi a Tirreni del mare Egeo, oppure ai Tirreni Etruschi', I quali possedendo dei buoni porti sui due mari, conserva- ronsi la dominazione dell’uno, e dell' altro, e si resero formidabili, non solamen¬ te alle navi mercantili, colle loro corsare, ma eziandio alle altre potenze, coi loro navali armamenti. 5o TAVOLA XL1X. A molti sarà nuovo ed inatteso questo singoiar monumento,- ma non a chi ha scorsa la mia Opera su i Monumenti Etruschi ove alla ser. VI, e precisamente alla Tavola G5 ne ho dati a luce due inediti, nè finallora da nessun altro mostrati, In seguito si videro esibiti ripetutamente nelle Opere del eh. dot. Dorow '. Io dissi di quelli, come pur di questo ripeto, esser vasi di terra nera, al cui orifizio è soprap¬ posto per coperchio un capo umano, ed a suo luogo spiegai come que’recipienti do- vean simboleggiare il mondo, ed il capo sovrimpostovi la divinità che Io governa dall’ alto de’cieli \ Ma poiché questa specie di vasi trovasi nei sepolcri, cosi potremo credere che i soprimposti capi rappresentino deità speciali, cosicché se avrà barba un di essi, come quello che pubblicai altra volta 3, si potrà dire un Bacco infernale, mentre nel presente monumento dov’ è un capo imberbe, ed alcune protuberanze che dan segno di petto femminile ravviseremo una Proserpina. Se il vaso qui esposto avea ceneri umane, di che non posso giudicare dal solo disegno ch'io vedo di questi monumenti chiusini, in quel caso direbbesi che le braccia, avvingendone il recipiente, indicano il patrocinio che la divinità dovea prendere di quel morto ritornato nel ca¬ os della materia mondiale. Dico tuttociò brevemente perchè in queste materie mi sono esteso altrove abbastanza. Qui aggiungo l'osservazione che molti vasi uguali a questi, ma in pietre di varia specie trovatisi nei sepolcri egiziani e in gran parte an¬ che dipinti nei papiri, nelle casse e nelle pareti delle tombe; e dai capi che hannovi soprapposti di forme varie 4, si ravvisano per figure delle principali deità egiziane, Questo vaso in terra nera è due terzi più piccolo dell’ originale . TAVOLA L, È tuttavìa non risoluta questione se figure simili alla presente, cioè che abbiano lunga barba, corona in testa, abito lungo fino ai piedi un manto sugli omeri con vaso in mano, ed attorniate da sermenti d’edera o di vite, è questionabile, io diceva, se dir si debban figure di Bacco o d'un qualche di lui sacerdote.È altresì cosa degna d’osser¬ vazione che l’occhio qui eseguito, non come dalla natura umana si mostra, è poi di¬ segnato precisamente come si vede nelle figure de’ vasi di Grecia di Sicilia , e di tutta 1* Italia meridionale, ove trattisi di pitture che affettino qualche arcaismo nel loro stile, e specialmente ove le figure sono come qui di color nero sul fondo gialla- 1 Dorow , Voiage archeologique dans V a °cienne xbtrurie avec xvi Planches. 1 Voi. io 4 -° P- 46, Paris. 1829. Notizie intorno ad alcuni Vasi. Etruschi Pesaro 1828 in 8.°. 2 Monumenti Etruschi, ser. 11, p. 47 1 2 > ser. v f p. 490» ser - Vi* Tav. G 5 , p. 4 ^. 3 Ivi, ser. vi, Tav. G 5 num. 1, 3 . 4 Ivi * ser. vi, tav. N4, num. 1 , e P4. numm. 1 , 2. 49 cune opinioni, che mi paiono le più giuste, e ragionevoli in questa materia, e le quali si accordano con quelle da me emesse nei precedenti ragionamenti, mi sarei fatto un dovere di render nolo al Pubblico molto prima, quanta sodisfazione io ni abbia di trovarmi d'accordo con un uomo di tanto ingegno e di tanta dottrina . III. 0 Che si avvicina al delirio l'ostinarsi ancora a voler credere opere greche i suindicati vasi, perle sopra esposte ragioni, e perchè se ne rinvennero alcuni persi¬ no nell' Attica, ed in altre parli della Grecia, i quali sono peraltro in piccolissimo numero, in confronto a quelli discoperti in Etruria , e nelle altre parti d'Italia. Ed una tal foggia di ragionare, è simile a quella di chiunque osservando per T Italia, o in Francia dei lavori di porcellana della China, e del Giappone, pretendesse di sta¬ bilire, che quei lavori sono italici, o francesi, solo perchè si trovano in Francia, ed in Italia. IV. ° Che non è meno strano, per non dire assurdo il pretendere di togliere agli Etruschi l’ onore di tali manifatture, per farne dono ai Greci, perchè s‘ incontrano molti dei suddétti vasi che hanno elegantissima forma, e sono disegnati pure, e di¬ pinti con un gusto squisito. Quasiché gli Etruschi non avessero fatto che comparire sulla faccia del globo terrestre, e ne fossero subito scomparsi. Oppure, avendovi di¬ morato per lunga serie di secoli, lo che non hanno saputo negar loro neppure i più furiosi partigiani dei Greci, fossero stati poi forniti di tale, e tanta stupidità, da non saper migliorare, ed anche condurre a perfezione, le loro invenzioni, come fanno tutti i popoli del mondo V. ° Che non si vorrà sostenére finalménte, che le arti non pvesserò presso gli Etruschi, come presso tutte le incivilite nazioni, che le coltivarono, diverse epoche, cioè quella della primitiva rozzezza, qxiella del miglioramento, e quella della perfezione, come quelle del decadimento, e della successiva barbarie. Nè saprei addurre, per ri¬ vendicare questa usurpazione fatta dagli archeologi ai nostri padri, più bella prova, e più convinciente ragione dì quella prodotta dallo stesso signor Principe di Canino, apag. ig dell’opera citata qui sopra. Cioè, che i vasi dipinti non sono sicuramente greci perchè i Greci stessi non se ne sono vantati giammai. Ed è ben gloriosa per gli Etruschi una tele invenzione, conforme riflette pure il prelodalo scrittore, perchè fu¬ rono essi i primi ad iscoprire colla meditazione, e colle più profonde indagini, che per eternare le tradizioni dei popoli, più del marmo, e del bronzo, è valevole Iùmile terra cotta, perchè ella sola passa a traverso alla fuga dei secoli senza altera¬ zione veruna . XXIX. | XXX. | jflniiia : 3 n iq 3© ■ or 248v8 in gran travertino che serviva di porta ad un sepolcro amq&o : ofl janqoai Etr. Mus. Chiut. Tom. I. 7 52 ha sulle spalle, e come questo riferir si debbe all’autunno l'accennai spiegando altri vasi chiusini analoghi a questo TA VOLE LUI, LIV, LV, LVI. Le quattro tavv.LlII, LIV, LV, LVI sono impiegate a mostrare un bel monumen¬ to di pietra tofaceadella figura d’ut) cubo, della grandezza due volte maggiore del disegno qui ripetuto, e che mostra quattro lati scolpiti con figure a rilievo as¬ sai basso, come sono gli altri monumenti di simil natura trovati a Chiusi. Io non saprei dire se ara sia questa, oppure altare, o foculo, o base, o altr'oggetto qualunque, perchè non vedendone io che i disegni non posso da essi giudicar¬ ne con fondamento. Esaminiamone le sculture che si vedono in quattro lati del cubo. È fuori di dubbio che qui si tratta di riti funebri, e d'ultimi uffici di pie¬ tà resi ad un morto, che vedasi steso sul feretro alla Tavola LUI. Il fanciulletto eh’ è in piedi presso a quel letto di morte ha un tale atteggiamento di dolore, che non saprebbesi meglio immaginare dal più sagace dei nostri artisti, brattan¬ to c’insegna che tenevasi per atto di duolo il porre le mani al capo. Infatti nel quadro medesimo compariscono due altri astanti colle mani portate al capo ugual¬ mente, ma ben si ravvisa che l'atto è suggerito più da formalità che da quel vi¬ vo dolore che esprime il giovanetto probabilmente figlio dell’estinto, di cui qui si rappresentano l’esequie. Un simile atto, e da uomini similmente abbigliati, è pure nella pietra di memoria perugina da me pubblicata *, ove rappresentasi ugual¬ mente la funebre cerimonia che praticasi all’ occasione di un morto. Espressiva è parimente la prefica a capo al letto, in sembianza di strapparsi per dolore i capelli, mentre ì’uonio che al cadavere è più vicino, alza le mani probabilmente per espressione pure di dolore, mista però di sorpresa. Una figura eh’è ulti¬ ma nella composizione, suona le tibie con certa bocchetta che legavasi agli orec¬ chi o al capo in giro. Un tal suono in occasione di funebre cerimonia non cre¬ do che andasse esente da superstizione tuscanica, passata ai Romani ancora, men¬ tre credevasi di poter porre in fuga gli spettri coll'armonia della musica 1 2 3 , e così allontanare quelle malie dalle quali avevano opinione che le anime restas¬ sero consacrate alle deità infernali 4 : superstizione peraltro che manca nel mo¬ numento perugino indicato. Dietro al tibicine alla Tavola LIV vediamo quattro uomini armati di bastoni, che in mano di Etruschi non è improbabile che siano augurali, ancorché non 1 Lettere di etnisca erudizione. Tomo i. p. 190. e seguente Tav. xi. 2 Monumenti etruschi, ser. vi, tav. Za, e Lanzi Della Scultura degli antichi e vari suoi stili Tav. ìv. 3 Ved. Luciano pitato dal Ma ilei nella sua me¬ moria sulla religione dei Gentili nel morire ; Osservazioni letter. Tom. 1, art. ìx. 4 Tacito, Annali 1 . 1. ap, il Mafie! cit. p. 287 . 5i stro 1 2 . Una tale osservazione unitamente con altre può essere di non poco rilievo per indagare l’origine primitiva dell’ uso di porre siffatte stoviglie dentro i sepolcri. TAVOLA LI. A chi ha buon gusto peri lavori di metallo sarà gradevole il conoscere la forma singolare e del tutto nuova non men che bella di questo vasetto di bronzo, di¬ segnato nella grandezza medesima dell’originale. Apparentemente dovea contenere de’ liquidi, e perciò l’intelligente artefice operò per modo che tutto vicorrispondesse l’ornato. Ecco là un uccello aquatico sopra una pianta quadrifoglia palustre, il che serve di pomo al coperchio: ecco là una conchiglia lacustre che serve di borchia a! manico : ecco là infine i lunghi manichi formati in guisa di colli d’uccelli aquatici come del becco loro nel quale han termine si rav visa. TAVOLA Llf. Il vaso di terra cotta di color rosso che vedesi rappresentato nella parte superiore di questa LII Tavola, è già noto per la frequenza colla quale si trova nelle collezioni di simili antichi oggetti. Par che i Gentili 1’ usassero per lucerna; ed alternativamente colle lucerne trovasi difatti nei sepolcri, ma in esso valutavano anche la forma di barca e di recipiente, alludendolo a certa favola d'Èrcole eli’ebbe in dono del sole un vaso, col quale varcò l'Oceano. Come poi si applicasse al vaso qtìi esposto l’indicata favola è cosa inutile ch’io lo ripeta, dopo averne sufficientemente parlato nell’ opera de’Monumenti Etruschi % dove ne ho riportati alcuni di varie forme *. L’iscrizione che è sul manico suole indicare il figulo, o la fabbrica figulinaria. Il Vaso al disotto in questa medesima tavola è di que consueti chiusini di color nero sì nella superficie che nell’interna sua pasta. Questa qualità di vasi aver suole dei bassirilievi, che girano attorno ripetendosi ogni quattro o sei figure, perchè fatti colle stampe. Bisogna convenire della gran somiglianza tra quella manifattura, e le cose egiziane. Vedo nella prima figura femminile l’atto d’alzare un’uccello, così nelle figure egiziane dei calendari vediamo elevare per la testa, o calare al basso tenuti per la coda animali, che indicano il sorgere o calare abaco dei segni zodiacali. Dell’uomo che segue con bastone in mano io non saprei dir cosa che avesse inoppugna¬ bile sostegno. Ben potrò dire che a lui segue la chimera colla doppia testa di leone e di capra, ch’io mostrai altre volte 4 esser composto di segui celesti. E poi chiaro il centauro qual cacciatore, che porta la preda appesa al suo frassine che 1 Moni;memi etr. Ser. v. Tav. lv, p. 5i 2 Ser. li, p. 359, 36 i , 3 62. 3 Ivi ser. vi, Tav. E 4 , F^. 4 Monurn. etr. ser. w, p. 38 a. 54 TAVOLA LtX. Vogliamo credere che nella statuetta in bronzo qui rappresentata di naturai grandezza sia da riconoscersi una Minerva per 1’ usbergo del quale vedesi arma¬ ta? Del piccol mostro pure uguale in grandezza all’originale in bronzo, non fo parola, poiché probabilmente dagli editori di quest’opera ne saran pubblicati dei simili, ch’io vidi vari anni indietro a Chiusi. Il vaso è de’soliti che trovansi per tutta 1 Italia meridionale, con figure gial¬ lastre in campo nero, la cui gola soltanto a una pittura che vedremo nella ta¬ vola seguente, mentre è monocromo, ed ha tre manichi, d una forma essatta- mente ripetuta molte volte coi medesimi accessori nei ricchi scavi di Canino, e d’altre parti d’Italia. TAVOLA LX. Io non mi persuado come il mito delle Amazoni combattenti, sì ripetuto nei vasi fittili di tutta l’Italia, come si vede in questo, non abbia una qualche allu- sione religiosa, come ho supposto trattando altre volte questo medesimo soggetto. Si vedono in fatti sempre come qui le Amazoni a cavallo , ed i loro avversari sem¬ pre a piedi, ed in positure di soccombenti al conflitto, colle ginocchia piegate >. Eppure se alle favole che trattano delle Amazoni dovessimo ricorrere per Spie¬ garne il mito, noi le troveremmo sempre vinte o da Ercole, o da Teseo, o da Achille . Io non vedo in quel mito che 1’ allegorìa del contrasto e del dominio del tempo in cui si trattiene il sole nei segni inferiori del zodiaco, ma siccome troppo lungo sarebbe il mostrar qui di tale allegorìa lo sviluppo, così rimando chi legge ad altri miei scritti, ove trattai lungamente di questa materia a . Questa è la pittura del vaso, la cui forma vedemmo nella Tavola antecedente, e che vien riportata nella grandezza di due terzi del suo originale. xxxi. /uif/mDajmjaa xxxii. jfliDnaD : an/d-nit/ìi : Yfl xxxm. i/ìvjad anfl-uitfl'i ; or xxxiv. j/qnqai ; vJDfi : ofl XXXV, V433 : J lf d Galleria Omerica Tom ii,Tav cLxxxvni.p. 137. : VJlDfl : 31 : Vfl Veil. Mommi, etr. agli articoli A magoni. 53 abbiano la forma di lituo, come osservansi nel monumonto perugino. Infatti ad essi spettava il presagire che l’anima del defonto fosse passata in luogo di riposo; di che se non troviamo prove di antichi scrittori, certamente ne conosciamola pratica presso gli Etruschi, per mezzo del più volte citato monumento perugino, dove inclusive il vestiario di quegli auguri muniti di lituo è simile a quello di costoro che qui hanno in mano le verghe, eh' io dissi augurali. Dopo gli augu¬ ri vengono immediatamente nella Tavola LV le prefiche, donne prezzolate che a suono di tibia cantavano lamenti, e piangevano la perdita del morto ed in mo¬ do sconcio e forzato strappandosi le chiome e perquotendosi, mostravano cordo¬ glio di quella disgrazia. Quel che sia rappresentato nell’aggregato di figure della Tavola LVI non mi è possibile il dichiararlo nè mi è concesso d’ azzardare quelle congetture che può immaginare a suo grado ugualmente chi l'osserva. tavola evie Questo bronzo in tutto uguale al suo originale fu anticamente uno specchio dall’opposta parte, come lo attesta lo specular pulimento che vi si trova. Qui nel suo quasi insensibile concavo, invece di grafito ha soprapposta una lamina cesellata a bassorilievo, e in fondo una cerneria, forse adattata all'adesione del manico . lo vi ravviso Bacco, il quale ha sulle spalle una face, che tale vedrehhesi qua¬ lora fosse intiero il monumento, poiché ve ne sono altri esempi 3 . Egli si appog¬ gia ad un altro nume significativo della forza creatrice dalla quale dipende Bacco il demiurgo artefice del mondo, che il trae dal disordinato e tenebroso caos per virtù concessagli dal creatore, e vi porta luce con la sua face, non men che or¬ dine armonico, indicato da quella ninfa che precede i suoi passi , arpeggiando la lira: cosmogonica rappresentanza che in cento guise ripetesi nei monumenti an¬ tichi, e della quale ebbi luogo di trattare altrove 3 , TAVOLA LVIII. Sebben questa bella tazza sia di bronzo, pure se ne usavano dagli antichi anche di terra cotta d ugual forma e lavoro, come si vedono in Volterra nel museo del pubblico, ed in quello del Sig. Cinci. Il disegno qui esposto è soltanto un terzo minore del suo originale. Il pezzo aggiunto lateralmente fa vedere l’acconciatu¬ ra di testa ch’è dalla parte opposta del recipiente. i Fest. in sua voc. Lecil. Sat. xxn. » Monum. etr. ser. vi, Tav. Y, n. i. 3 Ivi, ser. ii, p. 563 , 564 , 6oo, 728, ser. v, p. 3 a,, ser. vi, Tav. Y, n. 1 . W' Principe di Canino, ed altri già se ne conoscevano, dissotterrati a diverse epoche, ed in luoghi diversi ■ . , .. Diodora Siculo poi descrive nel libro quinto, dietro Possidonio le mense degli Etruschi imbandite due volte al giorno, le loro drapperie ricamate , le loro coppe eli oro , e d’argento, e le loro falangi di schiavi. Al cui quadro aggiunge Ateneo nuovi tratti, e. mostrano chiaramente le figure giacenti nei sarcofagi, che gli aggiunti di pm- gues, ed obesi, dati dai Romani per isclierno agli Etruschi, non erano suggeriti dal¬ la malizia nazionale soltanto. E Roma prese ad imprestito dall'Etruria i combatti¬ menti dei gladiatori, benché sembri che l’uso orribile d’introdurli nei conviti, e nei banchetti, appartenga sopratutto agli Etruschi della Campania, e specialmente a quelli di Capua. ...... Altrìbuisconsi però agli antichi Etruschi anche alcune invenzioni nella musica, e singolarmente rapporto agli strumenti di essa, poiché non havvi autore, ch'io mi sap¬ pia, il quale pretenda che questa nazione abbia discoperto qualche modo particolare di tale scienza, benché le venga accordata in essa qualche celebrità , egualmente che nella plastica ; E non già come piace ai compilatori della rivista edimburghese , per¬ chè e Aino erano vicini ad un popolo, il quale essendo estraneo ai Greci, era costretto ad imprestar loro tuttociò che riguardava il miglioramento, o l'abbellimento della vi¬ ta pubblica, e privata , mentre avvenne appunto il contrario. Benché non si possa decidere dietro alcun monumento storico, se dovessero gli Etruschi a se medesimi, oppure al commercio che ebbero coi Greci, dopo che già le arti erano giunte ad un certo grado di perfezione fra loro, i successivi progressi, fatti dai medesimi nella scultura, e nella statuaria, pur tuttavia ciò che dicemmo in altro ragionamento intórno all’ anteriorità degli uni, o degli altri, rende quest'ultima sup¬ posizione molto probabile. Ma egli è però certo, che se questo rapporto esistè per qualche tempo fra gli Etruschi, ed i Greci, non fu mai dì una grande intimità. Lo stile toscano nelle arti presenta sempre qualche rassomiglianza con quello de¬ oli Egiziani-, E le opere più perfette di questa nazione , hanno tutta quella durez¬ za, e quella mancanza di vita, e di espressione, che qualificano la scultura greca, an¬ che prima che Fidia accendesse la sua immaginazione alle descrizioni omeriche di Giove, e di Minerva, e che avesse Prassitei e espresso col marmo l'ideale ch’egli si era fatto della bellezza. Lo che prova essere stati i Greci i perfezionatori, e non gl'in¬ ventori di quelle arti che si dicono belle ; E viepih si conferma che i medesimi furono in antichissimi tempi i discepoli degli Etruschi. non già i maestri, come pretendono i nostri grecomani. Al contrario, in tutta quella parte dell arie ove il meccanismo senza vero gemo può mungere alla perfezione, gli Etruschi non la cedono in verun modo ai Greci stessi, biella maggior loro raffinatezza. Ed un poeta Ateniese riferito da Ateneo nel primo libro dei Dipr.osqfisti, celebra le opere etnische in metallo, come le migliori m tal genere ; Facendo egli probabilmente allusione alle coppe, alle lampade, ai candela- RAGIONAMENTO VI. QUALI FOSSERO LA VITA POLITICA, E DOMESTICA, LA RELIGIONE ED IL GOVERNO DEGLI ETRUSCHI, E QUALI ARTI, EGLINO COLTIVASSERO PRINCIPALMENTE Ma chi pensasse il pone sieroso tema, E 1 omero mortai che se ne cerca, Noi hiasmerebbe, se sott’ esso trema. Caute Par. c. 23 - -— . ^-=-x jgj> — . ,— 1\ on è certamente agevole impresa quella di ritrarre i costumi domèstici di un po¬ polo, che non ha trasmesso alla posterità veruna immagine di se stesso nelle pro¬ duzioni letterarie. E tali appunto sono gli Etruschi, della cui prosperità nazionale pare che sia stata la primaria base l'agricoltura, che veniva si ben favorita dal loro suolo, e dal loro clima, e che sembra avere in ogni tempo fiorito in questo paese, quando i benefizii della natura non sono stati distrutti da un cattivo governo, o da una assurda Legislazione, Tuttavìa però , non ha mai goduto V Etruria centrale, come la Campania, di una spontanea fertilità ■ Fu d'uopo ognora che spiegassero i suoi abitanti la loro industria, e la loro destrezza, per adattare la cultura alle diverse qualità del terreno, che s incontrano in questo paese, e per arrestare le mondazioni del Pò nelle provinole che circondano l Adriatico, e che ne furono parte nei tempi antichi. I primitivi costumi degli Etruschi erano semplicissimi, se vogliamo credere al- 1‘ istoria, la quale ci dice che la conocchia di Tanaquilla fosse conservala lungo tempo a Roma nel tempio di Sanco ; E pare che un passaggio di Giovenale nella sa¬ tina sesia, ci mostri la stretta rassomiglianza che passava fra le virtù domestiche delle donne romane degli antichi tempi, e quelle delle donne etnische. Nè ciò desterà maraviglia a chi sappia, che i primi abitatori dì Roma, non eccettuato il suo fondatore, non furono altro che Etruschi, della cui energia, e del cui nazionale carattere, for¬ mano al parer mio una sufficiente prova, le grandi loro conquiste, la loro destrezza, ed il loro coraggio nella navigazione. Ma quando il commercio, e la conquista nelle parti meridionali d’Italia, ebbero condotto la ricchezza fra loro, gli Etruschi se ne impossessarono coll’avidità di un popolo mezzo barbaro ed il lusso invece d‘ introdurre fra essi il raffinamento, e l’ele¬ ganza delle maniere, non vi portò che un vano splendore, ed un gusto disordinato per ì sensuali piaceri, come rilevasi anche dalle pitture di alcuni vasi, delti male a propo¬ sto italo-greci, dei quali ne ha discoperti un gran numero nei suoi scavi il signor 58 La forma del governo etrusco, ove riunivansi l’ aristocrazia , ed il sacerdozio, im¬ pedì efficacemente al genio di quella nazione , di prendere lutto il suo naturale svi¬ luppamelo. Imperocché ai Lucomoni, ossia alla nobiltà ereditaria, aveva rivelato Tagete, ed il tempo, gli usi religiosi, che si dovevano osservare dal popolo, col potere di Applicarli nella maniera che paresse loro la piti propria aperpetuare il loro mono¬ polio esclusivo, e tirannico-, E per rapporto poi al potere civile, formavano questi medesimi Lucomoni il corpo governante di tutte le città di Elruria. Nei primi tempi si parla di re, non già dell’ intiero paese, ma bensì di stati separati, ed il cui potere- era senza dubbio limitatissimo da quello dell’ alta aristocrazia-, E questi re senza po¬ tere, spariscono ben presto intieramente, come più tardi nella stona greca, e romana-, Mentre che in Etruria , non sorge alcun ordine corrispondente ai plebei, per rappre¬ sentare V elemento popolare della Costituzione. E molto difficile di poter fissare con esattezza i privilegi del gran corpo della Casta potente-, Ed il Miiller inclina per l'opinione, e mi pare eli abbia dato nel segno,che icol¬ tivatorifossero i servi dei proprietarii del suolo, come furono in tempi a noi piu vicini i Penasti in Tessaglia, e gl Iloti a Sparta. É cosa certa difatti, che esistesse una classe simile in Etruria, ma non è però probabile eli ella comprendesse una gran parte della popolazione, non essendovi altro argomento, al quale appoggiare questa, ipotesi con¬ trastabilissima, se non quello che i clienti di Roma fossero servi dei Patrizn. Tuttavia però è fuori di ogni dubbio che l aristocrazia etrusco teneva gli ordini inferiori in una dipendenza politica, e che per questo non pervenne quella nazione, al grado di po¬ tenza, a cui avrebbe potuto giungere-, Ma la sua prosperità prova ad un tempo che non era governata neppure affatto tirannicamente. Non sembra nemmeno che l’agitas¬ se lo spirito della democrazia, fino al punto di risvegliar dei timori, ed eccitare la se¬ verità della casta governante ■ Le insurrezioni di cui parlano gli storici, sono attri¬ buite espressamente agli schiavi. Era l'antica Etruria fertile di grani, e particolarmente di quel farro che i Latini chiamarono far, ed anche odor, la cui farina forniva il puls, che noi diremmo polenta, o polenda e che era l’ordinario nutrimento degli abitanti di questa parte d’Italia. Il ferro delle sue miniere, e specialmente quello dell Isola d'Elba era celebre per la sua purità-, E forniva pure la stessa isola anche del rame per le monete, e perle opere di bronzo, tanto comuni fra gli Etruschi. È poi molto probabile, anche secondo il Miiller, che eglino facessero un commercio di ambra, che loro venisse dal Settentrione. Il precitato Miiller, che è come abbiamo detto uno degli Scolari di Niebuhr, và discutendo con moli acutezza nell’ opera sua, la natura dei rapporti che esisterono nei primi tempi di Roma, e fra i Romani, e gli Etruschi. E si accorda col suo maestro a preferire alla tradizione che fa di Servio Tullio unfiglio di schiavo I origine etrusco di quel principe , menzionato dalli Imperatore Claudio nel suo discorso sull’ammissio¬ ne dei provinciali nel Senato, il cui testo fu discoperto nel secolo decimo sesto in ta- 57 òn, ed ai tripodi, e simili, giacché discopronsigiornalménte alcune di tali opere egregiamente eseguite. Si spiega però facilmente la differenza che incontrasi fra le opere degli Etruschi, e quella dei Greci col carattere della religione dei due popoli. Imperocché la religione dei Greci conti Univa potentemente al perfezionamento delle arti plastiche, ove quella degli Etruschi, in ciò che le appartiene in proprio, non ha niente che risvegli, e che trasporti V immaginazione dell’ artista. Pare anzi che ella favorisse efficacemente una opinione, che noi ritroviamo del pari nella teologia dei popoli settentrionali, ed in quella degl’Indii, ed è questa: che gli Dei erano eglino stessi, come pure il sistema, al quale presiedevano , gli effetti di un potere che non iscorgevasi che a lunghi inter¬ valli nella produzione degli esseri, e che assorbiva tutto ciò che aveva crealo, per crearlo di nuovo. ’ 1 simboli di questo potere erano gli Dii involuti della teologia etnisca, i cui nomi rimanevano ignoti e non erano oggetto di un culto popolare, ma che Giove stesso con¬ sultava. Gli Du consenti poi, che erano dodici, sei di ogni sesso, presiedevano alt or¬ dine delle cose esistenti, e ricevevano degli omaggi, e dei sagrifizii. Manifestatasi la loro intervenzione negli affari umani, più che in altra maniera con presagi di grandi disgrazie, che dovevano essere allontanate con espiazioni sanguinose, e crudeli. Ma se da un Iato potè la moralità guadagnare qualche cosa dalla religione etrusco, che non corrispondeva in verun modo alla mitologia ridente, ma licenziosa dei Greci, la poesia e le arti dell altro, vi dovettero indubitatamente scapitare non poco . Lo stesso difetto d immaginazione viva e disinvolta caratterizzava la dottrina etrusco dell immortalità dell’anima.■ Il loro mondo sotterraneo, non era altroché un Tartaro senza Eliso . La superstizione non formò in nessuna parte del mondo, un sistema più completo che in Etrucia, senza eccettuarne neppure le Indie, e t Egitto Le regioni del cielo erano divise, e suddivise in modo che ogni prodigio poteva ave¬ re la sua spiegazione precìsa. Ifenomeni dell’atmosfera, il tuono soprattutto, ed i lampi, erano osservati, e classati comma minutezza, che avrebbe potuto fornire oli elementi, aduna vera scienza, se gli osservatorifossero stati veri filosofi, e non Sa¬ cerdoti. Ma nel fatto t osservazione di quei fenomeni, non servi ad altro che ad accrescere la servitù della moltitudine, a quelli che reclamavano la co'nu- zioné esclusiva dei mezzi coi quali potevano placarsi gli Dei sdegnati contro il genere umano . Non è necessario di avvertire, che la filosofia nel senso greco di questaparola, va¬ le a dire lo studio libero dell’uomo della natura, e della provvidenza, era ignota agli Etruschi, benché non si possano negar loro le cognizioni pratiche, col mezzo delle quali eseguivano le belle opere d'Architettura, e di Idraulica, che vengono ad essi attribuite dagli antichi scrittori, i quali parlano delle cose etnische senza prevenzio¬ ne veruna , e senza spirito di parìe . Elv. Mas. Chius. Tom I. 8 Go tavola lxi. Quanto sia malagevole scioglier l’enigma che nelle strane loro figure chiudono le pietre incise in forma di scarabei, ben potrebbero dirlo e il Caylus, e il D’Han- carville, ed altri chiarissimi ed eruditissimi ingegni che in vano vi si applicarono; e quantunque in gran parte non mostrino significato nessuno che ragionevol¬ mente si presti alle indagini dell’erudito, pur taluni, ancorché pochi, han con¬ trassegni da non permettere che siano annoverati tra i soggetti capricciosi insi¬ gnificanti e per conseguenza inesplicabili. Nello scarabeo di n. 1 ci guidano con qualche indizio 1 epigrafi, che sebbene sconce come le figure alle quali si vedono applicate, pure danno adito a ragionarvi sopra non senza qualche fondamento. Quantunque le lettere siano di forma etrusca, pure nèson disposte all’uso inverso come scrivevano gli Etruschi, nè presentano voci che dirsi possano etnische, ma ritengono un misto di paleografia, e glossologia, che par¬ tecipano dell'antico greco e dell’antico latino. Qualora non vi fosser lettere direbbesi che vi si vede Vulcano assiso sulla sua pesante incudine in atto di ascoltar le preghie¬ re della consorte sua Venere a prò d'Enea, come ne dà sospetto lo specchio femmini¬ le che tiene in mano, la donna è la libera di lei nudità. Che le lettere esprimenti pa¬ role tronche vi si conformino lo congetturo dal potervi leggere fex, quasi ephestus ch’era nome grecamente dato a Vulcano anche dagli antichi Latini. Segue 1 altro bisillabo vev, che se crediamo sformata l'ultima per una v, potremmo leg¬ gervi la voce Venus con poca difficoltà. Ed in vero quella barba, che in un mo¬ do sì sconcio si volle accennare all’uomo sedente, dà qualche idea del rozzo co¬ stume praticato dal marito di Ciprigna, che qui si vede contro a lui con assai studia¬ ta, sebben antica maniera d’acconciarsi la testa per viepiù sedurre il manto a compiacerla nell’ inchiesta delle armi pel figlio Enea : soggetto non raro nella glittografia, dove l’artefice Vulcano è sempre assiso, e Venere che incontro a lui si trattiene a pregarlo, sempre in piedi. Quando si voglia credere che la composizione incisa in questo scarabeo num. 2 abbia un qualche significato allegorico, e non sia stato fatto a solo oggetto di mostrare lo sgradevole assalto dato da un leone ad un cinghiale, potremo cre¬ dere che stiano i due animali a rammentare due precipue situazioni del sole nel cielo, dalle quali ne avviene il calor benefico dell'estate, e 1 importuno freddo nell’inverno. Infatti è il segno del Leone che domina in estate , e che abbatte colla forza dei raggi solari quei mali che alla natura cagiona 1 ingrato e sterile, inverno significato dal porco, di che ho^scrittu molto nel trattare dei Monumenti etruschi 1 . 1 Ved. ser. 111, p- 3 j 7 - vote eh bronzo a Lione ; Il quale pretende che il vero suo nome fosse Mastarna, e che foss e compagno di un capo dicosi detti Condottieri, o mercenarii toscani. Il fatto si è che la voce etrusco Mastarna, vale imbrattato, ossia di sordida origi¬ ne,^ corrisponde cosi a quanta ne dice la tradizione. Ma mentre JMebuhr si allontana intieramente dalla storia, supponendo che Tarquinio il vecchio fosse uno di quei Latini pnschi da ha immaginati, pensa il Mailer eh’ei fosse veramente etrusco, e che traesse il suo nome da Tarquinia, ( e lo pensiamo noi pure,) il cui dominio estendevasi allora dalla parte del mezzogiorno, fino alla città di Roma, che erane anche dipendente in quel tempo . I compilatoli della Rivista edimburghese non credono che questa opinione sia ba¬ sata sù fondamenti abbastanza solidi, benché paia loro più probabile di quelle di lebuhr, per sostituirla ai racconti della storia comune ; E non sanno comprendere neppure, come dei fatti accompagnati da circostanze sì ben precisate, quali sono quelle dell'esistenza di Servio Tullio, e deiTarquinii, del loro paese, e dello stato loro possano cangiarsi tutto ad un tratto in un simbolo di etnisca supremazia. Lo che peraltro non desterà nessuna maraviglia a chiunque sia meglio di loro istrutto delle antichità etnische, e conosca più a fondo che essi non conoscono, l’universalità dello spinto simbolico di quei remotissimi tempi. E comunque sia poi la cosa, checché si debba pensare eh tali supposizioni, il fatto vero si è che Roma fu conquistata dagli Etruschi sotto la condotta eli Porsetto re di Chiusi, come lo provò, sono già molti anni, Beau- foit, disvelando gli artifizii , sotto i quali avevano procuralo i Romani scrittori di nascondere questo colpo umiliante. Oltre di che, furono, come abbiamo già detto, anche i fondatori, ed i primi abitatori di Roma, una truppa dibanditi toscani. Ma circa ad un secolo dopo il regno di Porsena, vennero gli Etruschi umiliati essi pure dai Celti, e da altre barbare genti, che si resero padrone di tutto ciò che eglino possedevano sulla riva meridionale del Pò fino a Bologna, e che occuparono anche. Roma, benché temporanamente. I Romani però, vincitori dei Galli, e cosi più fonnidabih che mai, non tardarono molto a conquistare, e colonizzare quella parte i ’truna, che si estendeva al mezzogiorno della selva Ciminia; Ed anche laCam- pania eia caduta allora sotto il potere dei Sanniti, e tutte le provinole etnische al set¬ tentrione degli Apenninì, erano rimaste sotto la dominazione dei Galli. Tentarono indarno gli Etruschi, dopo la gran disfatta, che ebbero presso il Lago Va di mone, oggi di Bussano, di chiamare in loro soccorso i mercenarii Galli, poiché furono battuti di nuovo, perchè le loro temporarie confederazioni, non poterono oppor¬ re una efficace resistenza, contro la disciplina, che la vittoria aveva già organizzata nelle armate romane; Eia potenza di quel popolo celebre, e valoroso per sì lunga se¬ rie di secoli, rimase intieramente abbattuta,prima delle guerre di Pirro, e di Annibale. * 62 del cielo, di che ho trattato in altre mie opere '. Le colonne ed i vasi che son sepolcrali rammentano le ceneri degli avi, presso i quali fu ucciso l’infelice Lao- medonte assalito da Ercole nplia sua patria presso le lor ceneri. Questo disegno è una quinta parte della grandezza che ha 1’urna di marmo. TAVOLA LXIV. La rozzezza della scultura di quest’umetta in pietra tufacea che nel suo origi¬ nale è soltanto doppia di questo disegno, non permette ad ognuno di ravvisarvi il soggetto che a me sembra esservi espresso. Imperocché io vi scorgo nella fi¬ gura equestre un’Amazone, di che ho non lieve indizio nel berretto che le co¬ pre la fronte, e quindi in ogni restante della composizione, che non differisce dalle già esposte alle tavole XLIII, e LX.Qui v'èuna circostanza che ne scopre sempre più l’allusione a soggetto ferale, ed è 1’ albero significativo d’ombra, e privazione di luce : luogo insomma dove passano i mortali dopo il periodo vi¬ tale assegnato loro dalla natura in questa terra 3 . TAVOLA LXV. Un pregio singolare di questi bassirilievi di pietra tofacea è in qualche modo Tesser tutti chiusini, e d’uno stile che può dirsi unico in questo genere di antichissimi oggetti d'arte. Quel di Perugia ch’io riportai con esattezza alla Tav. Z 2 della ser. VI de’ Monumenti etruschi, è inferiore nell’esecuzione forse per difetto della cattiva scélta nella pietra eh'è molto più tenace di quella chiusina, e più assai porosa, ed a luoghi affatto spugnosa. L’originale di questo che abbiamo sott’oc- chio non è che per metà maggiore del suo disegno. Si vede assai chiaramente esservi rappresentata una processione religiosa. La prima figura che ha semplice manto, e non veste lunga è dunque un uomo che ha in mano una gran foglia, dalla quale argomento esser questa una pompa sacra, mentre in tali riti portavansi le foglie, e se ne danno persuadenti ragioni, ch’io esposi altrove 3 . Segue la figura di una donna che per essere assai danneggiata non se ne sa il destino, Do¬ po è una figura con bastone in mano,molte delle quali vedemmo già nelle tavole scor¬ se 4 . Ma siccome tien dalla sinistra mano un uovo , così potremo in qualche modo congetturare che la pompa della quale quel seguace fa parte sia espiatoria, e perciò analoga al defonto, presso al quale quest’ ara è stata trovata. Poco sappiamo di una tale superstizione, ma ci è noto che all'uovo, dedicandolo ad Ecate infernale, 1 Ingliirami, Monum. etr. ser. i, p. 5 g 5 , e Gal- leria Omerica Tom. n, tav. cxciv, p. j 54 * 2 Monumenti etr. ser. v, p. 44 l 2 * 3 Ivi, p. 254 , sq. 4 Ved. le tavole 11, lii, iv, V , xxxvni, lui , LIV, LV, Lvi. 6i TAVOLA LXII. L’Amorino qui espresso è copia d’un bronzo grande quanto il suo originale, eh’è d’una bellissima patina verde. Non saprei giudicare dal solo disegno, che m’è sottocchio, qual ne sia l’azione, e quale il significato di essa, onde mi limito ad osservare che l’acconciatura di testa, non meno che lo stile assai molle, e sì vistosamente lontano da quel rigido, che vedemmo nei già esaminati bassirilievi chiusini, mi fanno giudicare quest’idoletto per un opera eccellente degli Etruschi, allorché sottoposti ai Romani praticaron le arti ne’tempi di Adriano. TAVOLA LX11I. Leggendo lo storico Diodoro ho incontrato un avvenimento d’Èrcole, che mi sembra molto analogo a quanto si rappresenta in questo bassorilievo. Narra quello scrittore che tornato Ercole insieme cogli Argonauti alle spiagge troiane, ove avea lasciati in deposito a Laomedonte la vinta Esione ed i cavalli di Diomede, invia suo fratello Ifito, e Telamone a riprendere il deposito affidato a quel re; ma il perfido ne ricusa la restituzione, ed oltraggia i messaggi. Allora gli Argo¬ nauti muovono contro Laomedonte e contro i Troiani suoi sudditi, e dopo un vivo combattimento trionfano. Ercole sopra d’ogni altro fa prodigi di valore, ed uccide di sua propria mano il re Laomedonte ' . Tanto basti a ravvisar qui E avveni¬ mento or descritto . Ercole ha in mano la spada per uccidere il perfido Laomedonte che h». già ghermito pei capelli, nè può altrimenti evitare il colpo fatale di morte. La pelle di leone che si annoda sul di lui torace lo manifestano per Ercole, seb¬ bene usi spada e non clava. Laomedonte altresì fassi noto al berretto asiatico proprio dei Frigi e Troiani in modo speciale, come ripetuti esempi ne dò nella Galleria omerica 3 . Il bastone pastorale gli è posto in mano dall’ artista ad oggetto di aumentarne la distinzione, come spettante alla famiglia di Dardano, eh io dissi altrove 3 essere stata distinta per la sua occupazione di guardare gli armenti de suoi antenati, non meno che per la singolare bellezza della quale furono adorni i di lei componenti. Difatti qui Laomedonte si mostra bellissimo e delicatissimo, in pa¬ ragone del robusto Ercole, e dell’altro eroe eh’è degli argonauti combattenti in quella occasione con Ercole. Le due Furie con face rovesciata, ripetutissime nelle urne etnische, non hanno un positivo ed intrinseco rapporto col fatto. L'altare serve soltanto di espressio¬ ne per mostrare che il paziente altro scampo non ha che reclamare la protezione 1 Diod. Sic. Bibl. hist. c. l, p. 29J. 3 Galleria Omerica, Iliad-, Tom. 11, p. i 43 . 2 Voi, 1, Tav. xcv, p. 81. t : 4 le arche racchiudevano oggetti sacri di mistica rappresentanza, non visibili ad ogni profano. Il vaso dipinto con queste donne che staccano in giallastro su fondo ne¬ ro, fu, cred’io, venerando per gli oggetti contenuti nella cesta, piuttostochè per le donne che la portano. TAVOLA LXIX. Nell’interna e concava parte duna tazza di terra cotta vedesi dipinto con fon¬ do nero un sacrifizio, che mostra, cred’io l’atto del camillo, o vittimario di cuo¬ cer le carni della vittima sul fuoco acceso nell’ara o foculo, mentre il sacerdote che sembra di Bacco è pronto a farvi una libazione, versandovi parte della sacra bevanda. Dalla bassezza di quell’altare, pare che l’atto religioso fosse diretto al culto di Bacco stigio, che pregavasi perchè fosse favorevole ai morti; come difatti la tazza dov’è questa pittura fu posta come le altre in un sepolcro. TAVOLA LXX. È invero assai singolare il bronzo num. 1 che qui presentiamo in disegno nella dimensione del suo originale, come si può riscontrare nel privato e ricco museo del sig. capitano Sozzi di di Chiusi dov’esiste. Non è del tutto nuovo per altro; ed io vidi un idolo lungo due piedi e sottile nel museo di Volterra tutto nudo, e colle braccia aderenti al corpo, senza nessun emblema. Il Gori che lo illu¬ strò, gli dette nome di Lare domestico ridotto più grande e piu maestoso della specie umana, oppure un dei Lemuri che credevansi ministri del Genio malo, ossivvero lo stesso Genio malo, che da Plutarco si dice esser comparso a Bruto in aspetto più grande di quel ch’esser suole l’umana specie 4 . lo crederei che più convenientemente confermar si potesse esser quest’idolo chiusino un Lare dome¬ stico, forse anche Lemure, pei lumi che ce ne dà Plutarco, giacché Tesser vestito e l’aver patera in mano tanto converrebbe ad un Lare, quannto sconverrebbe ad un semplice Genio. Lo stesso Gori ha posti nella sua collezione altr’idoletti che hanno la qualità speciale d’esser più lunghi delle dimensioni spettanti all’umana specie, ma che l’espositore per bizzaria dichiarò con nomi speciali = , senza dar¬ ne sodisfacente ragione. I bronzi notati di numm. 2 e 3 sono le due estremità d’un manubrio di qual¬ che vaso usato probabilmente per sacri riti, come lo mostra la testa d’asino che ne compone la superior parte, mentre si tien per ovvia la notizia che questo 1 Plutarc. de animi tranquillitate, ap. Gori, Mus. Etrusc. Voi. i, Tab. cim, Voi. n, p. 23 i. 2 Gctì, Mus. etr. Tom, tab. v. 63 si attribuiva una virtù espiatoria 1 . La figura virile ultima non ha caratteristica veruna che la distingua. Da un lato, cred'io, di questo cippo o ara che sia, v’è un’auriga nell'atto di guidare il suo carro alla corsa : istituzione antichissima rammentata inclusive da Omero % fra gli onori compartiti da Achille all’ombra di Patroclo. TAVOLA LXVI. Sorprenderà gli archeologi la novità di questa lucerna fittile che porta effigia¬ to un centauro colle ali non più veduto, ch’io sappia. Ma cangerà la sorpresa in persuasione, tostochè richiamerà alla memoria quanto dissi altrove rapporto al¬ la composizione siderea di untai mostro; di che ripeto qui soltanto qualche leg¬ gierissimo cenno. Dissi pertanto che stando alle dottrine d’Ipparco, il Centauro si compone di un cacciatore, o per meglio dire della costellazione che in antico aveva il semplice nome di un dardo, e dell’alato cavallo sidereo che dicesi Pegaso 3 . E poiché questo rappresentasi per metà soltanto nel davanti, così inventarono di aggregare il restante del cavallo, o sia la posterior parte al cacciatore arciere. E siccome il Pegaso composto dal Centauro è figurato con ali, così non è fuor di proposito il trovare in questo arciere colla caccia in mano la posterior parte del cavallo Pegaso colle ali che formano il distintivo del destriere abitatore del Parnaso. TAVOLA LXVII. Il vaso rappresentato in questa Tavola due terzi più piccolo del suo origina¬ le è di terra cotta di naturai colore, a differenza d’altro simile qui pure esposto alla Tav. XL1X, eh' è di terra nera. E poi singolare in questo il veder le braccia staccate dal vaso e fermate con delle cuciture di fil di ferro agli orecchi o manichi di esso vaso, e pare che abbiano tenuto qualche cosa nelle mani che soglion esser traforate . Un indizio di barba rasata ce lo fanno credere un Bacco. Per ogni restante si legga quanto dissi alla Tav. XL1X. TAVOLA LXVIII. Fu costume frequentissimo nei sacri riti del gentilesimo l’introdurvi le fem¬ mine canefore, o cistofore ma specialmente in Etruria, e i monumenti ci mo¬ strano come un tal uso invalse qua nei tempi antichissimi, come Io mostra il famoso vaso d’argento di Chiusi da me riportato altrove 4 . Quelle ceste, o picco- i Suid. in VOC. Excctjjv. a Galleria Omerica Toni, n, lav. ccxvu # 3 Monumenti etr. ser. v^av. lyii, p* 561. 4 Ivi, ser. ih, Ragionamento vii. RAGIONAMENTO VII. SULLA VERA SITUAZIONE TOPOGRAFICA DI V1TULON1A ANTICHISSIMA SEDE DELL J IMPERO ETRUSCO. AffdS'v’tffzoufft yap y,<x.i nohU «c rirep av^pwirdi, A. A. . li ori aveva torto lo spiritoso, e bizzarro filosofo di Samosata, quando scriveva nel suo dialogo intitolato Caronte, che le città muoiono come gli uomini. Imperocché nel¬ la stessa guisa che si perde la memoria di moltissimi di questi, così perisce la ricor¬ danza di non poche di quelle. Nel cui numero è da riporsi con tante altre, la famosa Vitulonia , prima capitale dell’ Impero Etrusco, della quale sì scarsamente lasciaro¬ no scritto gli antichi, e sì vagamente , e con grande incertezza ne parlano i mo¬ derni. Trovasi infatti accennata dagli uni e dagli altri, quella già potentissi¬ ma, e ricca città, con molta dubbiezza, e circa la vera sua topografica situazione, e circa l’estensione del suo circuito, e perfino riguardo al modo di scriverne il nome . Avvegnaché Plinio, lib. 2 cap. io3, chiama Yvi ulonii, e Vetuloniensi i suoi abi¬ tanti, e Silio Italico nomina Vetulonia la città stessa , mentre avvi qualche altro au¬ tore, che la dice promiscuamente Vetulonio e Vetulonia. Quanto poi alla sua topografica situazione, pare anche dal passo del precitato Plinio, ch’ella fosse come era difatti, vicina al mare -, poiché sebbene al tempo di quello scrittore già più non esistesse da lunga data, nondimeno la memoria della sua situazione , e della sua grandezza sussisteva tuttavìa nella tradizione dei popoli etru¬ schi . Ed il Cluveno ,lib. ila colloca egli pure non lontano dal mare , e nelle vicinan¬ ze delle paludi caldane, confondendo però, per quanto mipare, le Caldane volterra¬ ne, o i Guadi volterrani, colle Caldane della Fiora, che sono tutt’altra cosa. Che sorgesse però nei contorni di quel pareggio, non è da mettersi in dubbio, giacché leggiamo in Dionisio di Alicarnasso, lib. 3, che al tempo di Tarquinio Pri¬ sco , quand’ egli guerreggiava contro i Latini, i Sabini, e gli Etruschi propriamente delti, fecero legaper andare contro il medesimo, le cinque popolazioni seguenti, cioè, i Chiusini, gli Aretini, i Volterrani, i Rosellani, ed i Vètuloniensi , che Plinio al già citato libro terzo nomina con ordine inverso. Nè senza ragione è da credere, che quei due gravissimi scrittori nominassero i popoli, piuttosto che le città dei medesimi, perchè Vitulonia era stata distrutta molli secoli prima della fondazione di Roma, come congettura il dottissimo Dempstero, il quale crede ancora giudiziosamente, che perciò si di rado ne abbiano gli autori fatta menzione. 65 quadrupede spettò a Bacco 1 o a Vulcano a . Nell'uno e nell’altro supposto converreb¬ be 1’ unione loro aiCabiri, che furon detti e figli di Vulcano 3 ,ed apportatori del culto di Bacco in Etruria E Una tale osservazione mi farebbe credere i Cabiri o Dioscuri quei due giovanetti sedenti e con berretto in testa, che trovansi nel- 1’ estremità inferiore del manubrio medesimo . E tanto piu me ne persuado , in quanto che molti bronzi ritrovati in Etruria hanno Bacco unito ai Cabiri 5 . Nè si allontana da questa congettura lo stesso lor gesto che addita il cielo, mentre stan¬ no coricati per terra, giacché tale additamento del cielo e della terra è lor pro¬ prio in molti antichi monumenti dell’arte 6 . TAVOLA LXXI. Il bronzo di questa Tavola veduto da due parti mi vien descritto di un la¬ voro squisitamente condotto per la sua esecuzione, al che si può aggiungere il pregio dell’arte che splende anche nella giusta, non men che bella proporzione della figuretta che qui si vede per metà maggiore del vero. Io la credo una di quelle Giunoni, o genii delle donne che tenevansi nei larari dal gentilesimo. TAVOLA LXXII. La pittura di questo vaso consiste in tre figure femminili, che avendo in ma¬ no delle aste armate di punte, corrono sfrontatamente luna presso l’altra. Così narra Euripide che Penteo al di lui ritorno in patria udì che la madre di lui con altre donne Tebane aveano abbandonato il proprio albergo, e n’eran gite sul mon¬ te Citerone a celebrar le feste di Bacco , piene di lascivo furore 7. XXXVI. ■ÌR<S>° 1 U : VI I q 3 : aìlflNS XXXVII. J/ìttq A J : ÌV1V : J33 XXXVIII. tfntnqf\ ■■ jmn/qo XXXIX. jfjvm/dn •• ©nq/i XL R13D J/ilflllV 1 Monutn. etr., sei:, u, p. 56. 2 Milli» , Peintures de Vases ani. , Tom. 2 3 , not. (6). 3 Monum. etr., ser. n, p. i52. 4 Ivi, p. 693, 713. Etr. Mus. Chius. Tarn. 1. 5 Ivi. Ved. la spiegazione delle Tavole txvvn i, p. e ixxvui. 6 Ivi, tav. xlÌx, e sua spiegazione. 7 Euripide nelle Baccanti atto primo scena iv in principio. 9 9 68 vono discorso anche intorno alle sue terme, ed al suo anfiteatro, celebrandone le ime , e 1‘ altro. Scrive La-Martiniere che le rovine dì questa città ritengono tuttavìa t antico no¬ me, e che si chiamano Vetulia,ree/ che concorda coll'Alberti-, e si legge in una nota del precitato Cluverio, che Vitulonia era situata fra Populonia, e la torre dì San Vin¬ cenzo, presso alle paludi caldane, ed il fiume Linceo, detto oggi la Cornia. La quale opinione pare appoggiata da quel passo del sullodato Plinio, lib. 3 . cap. 6; ove nomi¬ na insieme ì Tarquiniesi, i Tuscanesì, i Vetuloniensi, i Veientani, i Visentini, ed i Volterrani, cognominati etruschi, com’egli si esprime. Molte altre citazioni, ed altre notizie avrei potute raccogliere ed aggiunger qui, riguardanti la nostra Vitulonia, ma le ho tralasciate per brevità, e penso che siano anche troppe le già addotte, per dimostrare quanta confusione, e quanta incertezza si riscontri negli autori, ogni volta che ne fanno parola. Ad onta però di tanta confusione, e di tanta incertezza degli scrittori antichi, e moderni intorno a Vitulonia, per cui è sembrato ad alcuni archeologi , non solamente difficile ma eziandio impossibile di poterfissare, ove sorgesse un giorno quella primiti¬ va sede dell impero Etrusco, quandi esso estendevasi a tutta l Italia; io voglio non per- tanto tentare in questo ragionamento di stabilirlo. E voglio in questo tentativo mettere a profitto le belle, e ricche scoperte di vasi etruschi, e di altre anticaglie, fatte negli anni 1828, e 1829 dall'egregio signor prìncipe di Canino nelle sue terre di questo nome, e giovandomi ad un tempo dei lumi sparsi da quel chiarissimo scrittore, illu¬ strando gli uni , e le altre, e per cui viene ora meritamente lodato in questa materia, come il più benemerito promotore della gloria dei nostri padri. Tralasciando pertanto di rintracciare, lo che sarebbe ricerca inutile, e vana, se Vitulonia/bwe edificata da Tarconte, come pretendono alcuni autori, o dal celeste Ogige, il quale come vuole non so qual poeta, Itali® Tuscas pelago descendit ad oras, dove torreggiò Vitulonia, o finalmente lo fosse dagli Etruschi, regnando su di essi, come piace ad altri quello stesso Giano Velo che istituì, per quanto si dice, il culto di Vestà, e le Vestali nelle nostre contrade, diede il suo nome al Gianicolo, combattè per tre anni coi Celtiberi, e finalmente li vinse, e li sottomise alla sua dominazione: quello stesso infine, che consacrò , giusta le tradizioni, una gran selva a Crono nelle vicinanze appunto di Vitulonia, il cui nome potrebbesi interpetrare stagno, od acqua incostante, passerò in quella vece a determinarne subito la topografica situazione. Circa la quale io credo che non possa rivocarsi in dubbio, quanto il sullodato si¬ gnor principe di Canino ne ha detto nel primo volume del suo Museo etrusco , par¬ lando inparticolar modo della sua Necropoli; E sono persuaso che ella sorgesse ve¬ ramente nel luogo da lui supposto, e descritto. Bifalti la prodigiosa quantità di vasi etruschi di sommo pregio, e di somma bel¬ lezza, e nei quali sono rappresentate favole, o storie anteriori alla fondazione di Ro- 6 > Crede Ermolao Barbaro, che Orbetello occupi ora il sito dov era una volta Vilu- lonia, lo che non può essere. E VAlberti scrive che ai suoi tempi chiamavasi Veletta , o Vetulia, il luogo ove fu Vitulonia; laddove altri sostengono, che altro in oggi ella non sia ché un luogo deserto, distante tre miglia dal mare, fra Populonia, e Pisa. E nonmancano neppure di quelli che confondono Populonia stessa con Vitulonia, benché fossero per località, per età e per potenza paranco , l’una ben distinta dall' altra. Jf erudito Guarnacci poi, dice di non poter determinare neppur egli, ove giaces¬ se questa famosa, ed antichissima città, perché sì conosce, secondo lui, solamente il nome della medesima, ignorandosi però del tutto, a qual distanza precisa fosse ella situata da Volterra, e dal mare ■ Ma Annio da Viterbo nelle sue note agli Equi¬ voci, di Senofonte, afferma esservi un colle chiamato Vetuleto, e lo afferma con qual¬ che probabilità, per l’età sua, sul quale crede che fosse situata altre volte Vitulonia. E pensa che dopo la rovina di questa, gli restasse un tal nome. Il medesimo poi ne deriva Vetimologia del nome da due parole araniee , che verrebbero a significare, ca¬ po di molte città; ciò che non sarebbe disconvenevole a Vitulonia,- ed aggiungendo, quello che in molti altri scrittori si legge paranco, che essa godeva il privilegio di ammettere i forestieri alla cittadinanza volterrana , come ancora la privativa in età più remota, di dare i fasci, e le insegne reali, la qual cosa indica essere stata la me¬ desima al disopra di Votterrà. Non di meno il chiarissimo Passeri nel suo trattato della Numismatica etrusca ; la crede colonia dei Voltérrani, benché ciò non possa essere accaduto, se pure voglia¬ mo ammettere che avvenisse in alcun tempo, se non dopo la sua decadenza, e totale ro¬ vina, e dopo il successivo ingrandimento dell'altra. Mentre quando eraVitulonia nel suo pieno splendore, e capo di potente impero, è ben ragionevole il credere che succedesse tutto il contrario . Lo stesso Silio Italico, citato disopra, chiamò la nostra Vitulonia splendore della Meonia gente, alludendo probabilmente a quei Lidii che si dicevano venuti a stabi¬ lirsi in Etruria, e principalmente in quella regione-, e la disse ad un tempo inventrice dei Fasci, delle scuri, dei Littori, della Sedia Curale, e della pretesta, come pure le attribuisce il merito di avere adattata l'enea tromba agli usi guerrieri-, cantando nell’ ottavo libro delle guerre puniche. Meoniosque decus Vetuionia gentis, Bissenos hoec prima dedit precedere fasces, Et junxit totidem tacito terrore secures: Et princeps Tyrio vestem prsetexuit Ostro; Hasc altas eboris decoravit honore curuies , Heec eadem pugnas accendere protulit sere. Esistono infatti antiche medaglie, riferite dal prelodato Passeri, ed anche dal Guarnacci, coll epigrafe Vetiunia , e coll’ emblema della scure, o bipenne, insegna dei Magistrati etruschi, e precisamente di quella città. Ed alcuni gravi scrittori mo- 70 Messina, e fuori ancora dItalia per fiancheggiare le inaudite millanterie di quei me¬ desimi Greci, e loro forsennati seguaci, riprodurrò qui una opinione singolare, ma vera, e che mi pare che siastata sostenuta anche dal Vico ; e dirò che le Muse ebbe¬ ro origine in Italia, nell’infanzia, per cosi dire, del mondo. Ed aggiungerò, che da questa bella penisola emigrando, pèr quelle vicissitudini, che modificano , e fanno cangiar di aspetto continuamente a tutte le cose umane, passarono in Arcadia, colle prime colonie italiche di Pèlasghi Tirreni, che erano indigeni di questo de¬ lizioso paese, favorito in ogni tempo sopra di ogni altro dalla natura, per tutte le arti dilettevoli, e per tutti gli ameni studi. Ed andarono ad invadere, é popola¬ re la Grecia, e la Tracia, selvagge allora ed incolte, dove ebbero poi nome, e culto per opera di Anfilone , di Lino, d’Eumolpo, e d’ Orfeo, ma vi si erano condotte da prima coi sunnominati Pelasglii-Tirreni , pastori ad un tempo , e poeti. Da dove ritornarono più tardi in queste benedette contrade in compagnia di Evandro, e non ne partirono mai più-, ad onta di tutte le devastazioni e di tutti i flagelli, che vi portarono gli stranieri, i quali ne fecero in tutte le età il primo oggetto delle loro ambiziose conquiste . E persuaso come io sono , che Vitulonia dettasse in remotissime età le sue leggi agli Italioti, potentissimi allora sovra ogni altra nazione, da quei luoghi medesimi, nelle cui vicinanze riscontrasi la grande necropoli, discoperta \dal signor principe di Canino, come Roma le dettò loro, e all’ universo, in altri tempi, dall alto del Campidoglio, terminerò questo mio ragionamento, ripetendo con Virgilio, Purpureos spargain flores, animasque parentum His saltelli accumulem donis. Mà non voglio però dar fine al medesimo, senza rivolgere brevi parole al si¬ gnor compilatore dal Ballettino archeologico di Roma, per pregarlo col dovuto rispetto, a volersi compiacere di farmi comprendere cosa mai ha preteso di di¬ re, quando ha scròto a pag. 226, N" 12, del medesimo, con franchezza più che cattedratica ,■ « Contribuiscono ad illustrare qualunque parte delle antichità dell' Etruria le utilissime lettere d’ etnisca erudizione che si pubblicano dal ca¬ valiere Inghirami; siccome allo stesso tendono nel modo loro particolare, le ingegnose conghietture del signor Principe di Canino, é quelle di simil genere del professor Euleriani, premesse ai fascicoli del Museo chiusino » perchè seb¬ bene io confessi ingenuamente : che mi rifugge t animo alt idea, che debba venire un Oltramontano ad insegnare a noialtri Italiani, a conoscere le cose nostre, e quelle dei nostri padri, mi sarà tuttavia gratissimo di potergli ren¬ dere pubblica testimonianza di avere imparato qualche cosa da lui, come non poche me ne insegnarono altre volte, e di vario genere, ì Dempsteri, gli Acker- blad, gli Zoega, che qui nomino a titolo cìi onore, ed altri ancora che per bre¬ vità si tralasciano. e 9 ma, e vi si osservano costumi anti-romani ancor essi, dal medesimo dissotterrati nelle sue campagne della Cucumella, e Cannellocchio , mostra ad evidenza, che tanta ric¬ chezza di vasi dipinti, non poteva appartenere che alla Necropoli di una città gran¬ dissima ed opulentissima, e capo di potentissimo impero. Nè i tre ponti dallo stesso discoperti sulla Fiora cosi l uno all altro vicino, servir potevano ad altro che a mette¬ re in comunicazione fra loro le due parti di questa medesima città ; E questa non po¬ teva esser che V itulonia , se ben si voglia riflettere alla sua località, dietro quello che si legge negli scrittori antichi, e moderni, benché alquanto oscuramente, intorno alla situazione di quella metropoli. Che se qualche ultra-greco si ostinasse ancora a sostenere il contrario, è pregato a considerare un poco meglio i monumenti dei nostri antichi, e singolarmente quelli dissepolti nelle terre di Canino, ed anche a porre maggiore attenzione quandi egli legge le opere degli antichi, e son di parere , scorgerà facilmente timpossibilità di provare il suo assunto. In quanto poi al predicare la civiltà italica molto anteriore a quella della Gre¬ cia, noi non abbiamo fatto altro in ultima, analisi, che riprodurre quanto era sta¬ to opinato nello scorso secolo dai dottissimi archeologi, e filologi italiani, e stranieri, assai giudiziosi e non greco-mani, Dempstero, Buonarroti, Maffei, Cori, Guarnac- ci, Bocliart, Mazzocchi, Lami .Bourguet, ed altri ancora : E più modernamente dal¬ li eruditissimo poliglotta Acherblad, dall’illustre Gaetano Marini, e dal celebre Ennio Quirino Visconti, prodigio d’ingegno, e di dottrina, anche a giudizio dei più dotti Francesi. La quale opinione, propagata da tutti i surriferiti grandi uomini, che trovasi confermata nelle memorie dell'Accademia delle iscrizioni di Parigi, e che fu messa in piena luce da quella mente straordinaria del Vico, è poi quella stessa riprodotta, e commentata dal sullodato signor Principe di Canino, nei varii articoli del precitato primo volume del suo Museo etrusco, dopo che la riscontrò comprovata dai Monumenti da lui discoperti, negli scavi fatti eseguire nelle sue terre. Nè di poco momento è per me, onde viepiù confermarmi in questa opinione che mi è divenuta certezza, t autorii a del profondo archeologo romano Girolamo Amati , uomo di somma perspicacia, e dottrina, e nelle italiche antichità versatissimo, e che la sostiene egli pure . Che del resto la iattanza impudentissima dei Greci , è dei grecomani, circa la ci¬ viltà, e le arti italiche, non è nuova in queste contrade, sapendo ogni mediocre erudito, che per rintuzzarne soltanto la vanagloriosa ciarlataneria, pose mano Catone a scri¬ vere i suoi libri dèlie origini, e si mostrò grandemente sdegnato, perche nessuno si fosse alzatOkprima di lui a rigettar loro in faccia si nauseanti, e boriose pretensioni, e si grandi sciocchezze. Ora dunque, animato dal medesimo amor patrio, e stimolato da eguale sdegno, per le tante inezie che sf vanno ripetendo ogni giorno a piena bocca, dalli Alpi a Etr. Mus . Chius. Torri. /. 10 TAVOLA LXX 1 II. Quando Venere e Apollo sottrassero Enea, come inventa Omero alle furi¬ bonde armi del prode in guerra Diomede, allora Febo immaginò di lasciar com¬ battere a sazietà i Troiani coi Greci, sostituendo ad Enea l’idolo, o popolarmente parlando, l'ombra di lui. Questa poetica immagine del combattimento de’due par¬ titi per un vano fantasma fu cara oltremodo agli Etruschi, mentre ne vediamo la rappresentanza in molti de’lor cinerari, un de’quali eh’è in marmo, fu da me inserito nella serie che ho data de’monumenti omerici della Iliade 3 , similissimo a questo ch'è di terra cotta due terzi soltanto maggiore del presente disegno, men¬ tre quel di marmo è due terzi maggiore di questo modellato in creta. Vi si ve¬ de pertanto il simulacro d’Enea caduto a terra per la percossa del sasso getta¬ togli da Diomede, in atto di cercare una qualche difesa nella trista situazione in cui si trova, spossato di forze. Intorno a lui si tagliano a vicenda gli scudi e le targhe Troiani ed Achei. L’originale in terracotta era dipinto a vari colori, ma ora svaniti. L’ iscrizione è soltanto dipinta in color di porpora, e rammenta, come sapremo a suo luogo, il nome del morto, le cui ceneri chiudeva l’urnetta. TAVOLA LXXIV. Un licenzioso stuolo di baccanti si offre allo sguardo dell’.osservatore della tav. presente, e ci avverte esser questa la pittura d’un vasetto ch’è rappresentato alla tav. LXX 1 X num. 1, e frattanto si verifica la massima comunemente inval¬ sa per esperienza, che tre quarti dei vasi fittili dipinti hanno soggetti bacchici. Questo ha figure nere su fondo rosso ed è il vasetto originale tre volte mag¬ giore del disegno dato alla tav. suddetta. TAVOLA LXXV. La statuetta di Venere che orna quest' ago crinale grande al pari del pre¬ sente disegno è adattatissima a dar compimento ad un utensile di muliebre de¬ coro. È singolare il vedere nei Monumenti etruschi la Venere quasi sempre co¬ perta negligentemente in una sola gamba. Io vi ho spesso, ravvisato il velo del quale son coperte agli occhi della nostra penetrazione moltissime delle operazio¬ ni della natura: osservazione che dovette esser propria specialmente degli Etru¬ schi, i quali si magnificano come studiosi della filosofia naturale. Proporrei ancora il sospetto che l’ago crinale fosse un simbolo mistico, e per tal cagione posto nel i Iliade lib. v, v. 449*4^ l - 2 Tom. ì, Tav. lxxiv . 7 » Non credasi però mai da alcuno , che io ni" altlia la stolta pretensione di non essere criticato, ché anzi mi reputerò sempre ad onore ogni critica fatta a dovere, Ma quando venga questa in mal tempo, e con peggior garbo, met¬ terò sotto gli occhi di chi vorrà leggermi, il seguente epigramma. Censura sapiens, et doctus acutnine gaudet : Stultus at insano carpere dente solet. Ex tribus his titulis, quem vis, tibi delige lector: Sic sapiens, doctus, stultus et esse potes. XLI. VIDflDMU 433433 XLII. 4/mvfl4i •• flnoai ; qn-i XLEL ••••• -.43 : F\\F{- 1/1-1 : 43 XL1Y. 4 /ÌOq/ : i4 : 4/RttYf : intblq/d : 41 XLV. m3iifl4 ; ìi n/qi : 43H3vi : nnn o XLY1. •.•.•.lamvfliflm : finn o XLVII. ni asiaq'D : 4flim#ì4 : intn.q/a : 433 xLvm. 4/aifn/qi3i lantqfl = ioqfiN XLIX. ■ninni ■■ m Y 131 : 4An#isa : ianq3i : no L. 1 nxnn\ M3f : laUfVf : flitifl© ! Al disopra del copercìiio. a Siccome finisce il lembo del coperchio pare che abbiano continuata la parola al di sopra del coperchio della stessa urna. I 74 (lutto nell'arte, mentre qui la Furia infernale esce di sotto terra; come nel teatro. Se quest’uso non è molto antico, non potremo reputare antichissime neppure queste sculture ove tal uso è imitato. L’urna è due terzi più grande del presente disegno. TAVOLA LXXVIII. Il soggetto di questo rozzo vasetto non è che un baccanale. Il vecchio bar¬ bato e nudo rappresentar dovrebbe un satiro, mentre a centinaia s'incontrano i satiri nei vasi che trovansi nei sepolcri, e le lor mosse costantemente bizzarre, come acche la lor nudità costante, non permettono di separar questa virile figura dal coro satiresco di Bacco. Ma la rozzezza del lavoro accompagnato da negli¬ genza; fece dimenticare al pittore di aggiungere alla sua figura la coda equina che a’ satiri non manca mai. La donna eh’ è dalla faccia opposta del vasetto, non può essere per conseguenza che una baccante . I circoli che in buon numero si vedono attorno alle due figure sono un enigma finora inesplicato. La grandezza delle figure è uguale a quella dell’uomo barbato. La pittura è giallastra in fondo nero. TAVOLA LXXIX. I tre recipienti che occupano questa tavola son vasi con pitture in parte ne¬ re e in parte giallastre, che si mostrano separatamente dai loro vasi, e che ve¬ dremo in seguito coi respettivi loro richiami. Ma il vaso segnato di numero 2 ha soltanto una pittura a parte, l’altra di minor conto si vede qui in piccolo.Io vi ravviso due degli Efebi davanti al ginnasiarca, il quale ha verga in mano insegno che istrui¬ sce e comanda. Tali erano gli esercizi del ginnasio, dove la gioventù s’istruiva negli esercizi del corpo e dell’animo ; e gran parte delle pitture de’vasi han simil sog¬ getto nella parte opposta ad altra, che aver suole qualche rappresentanza mitolo¬ gica o simbolica, come in questo vaso, dove si vedrà Ercole accolto dal centauro Eolo. Queste favole cred’io avevano un senso misterioso, e la gioventù s’istrui¬ va nell’iutelligenza di quel senso non a tutti palese, per cui ne’ vasi comparisce nel tempo medesimo l’istruttore e 1 istruzione che rnostravansi con quelle pitture. TAVOLA LXXX. Questo, pare a me, eh’esser possa il momento in cui Ercole passando dal monte Foloe per andare a cercar del cinghiale d’Eriinanto, trattenutosi dal cen¬ tauro Folo figlio di Sileno e della ninfa Mitra, fu ricevuto nel modo il più ospi¬ tale che potevasi. Ercole ebbe desiderio di bere del vino. Folo ne avea soltanto in un vaso eh’era stato dato da Bacco ai centauri in comune, e perciò non ar¬ diva d’aprirlo. Ma Ercole incoraggillo a deporre ogni timore, ed apri egli stesso 7 ^ sepolcro dov' è stato trovato . Dissi altrove difatti, che si venerava in Roma l'ago crinale della Madre Idea custoditovi fra le cose fatali, da cui facevasi dipendere la stabile conservazione dell'impero ’. Le oreficerie degli Etruschi, di che presentiamo qui un saggio, esser so¬ gliono di uno squisito lavoro. I due pezzi superiori pare che siano stati usati a formare una collana, poiché di simili ornamenti vedonsi le belle collane scolpi¬ te al collo delle matrone che si trovano giacenti sopra i coperchi delle urne 3 . Ciò sia detto per disinganno di coloro che trovando nella Grecia altri ornamenti muliehri lavorati in oro con una perfezione e con un gusto simile a quei dei nostri Etruschi, ne dedussero che di Grecia si facesse smercio in Italia di tali bi¬ gotterie; ma poiché la forma dei due pezzi superiori trovasi ripetuta soltanto nelle sculture d'Elruria,e non in quelle di Grecia, così non abbiamo pruove che usas¬ sero tali ornamenti fuor dell’Etruria , nè che non si potessero quivi anche eseguire. TAVOLA LXXVI. Tra le infinite bizzarrie che vennero in testa ai figuli per variar le forme dei vasi, che servirono per ornar le ceneri dei sepolti, questa che presentiamo qui non è certamente delle men singolari. Il suo nome suol essere d' un ciato quando ha forma d’un corno potorio; ma in figura di gamba non avendone io mai in¬ contrati , per quanto abbia veduti moltissimi vasi sepolcrali, non saprei certamente quei che possa dirsene. La sua grandezza è due volte maggiore di questo dise¬ gno. È della solita terra nera di Chiusi, ed ha vernice nera assai lucida che lo cuopre d'uu color solo. In generale questi eran vasi da bere usati col rito, che dovevasi affatto votarne il recipiente, per cui non era necessario di tener questi vasi in piedi, ma suolevano star discenti sulla mensa. TAVOLA LXXVII. La tragica morte di Eteocle e Polinice è soggetto che fu caro agli antichi Toscani che lo elessero soventemente per ornarne i loro sepolcri. Qualche mossa, qualche ornato,lo stile medesimo della scultura, fan vedere che vi fu comunicazione tra la scuola di Volterra e quella di Chiusi. Il costume della Furia eh' è fra i due moribondi più che altro manifesta la probabilità di questa mia opinione; come si ri¬ scontra dai paragoni che posson farsene 3 . Altrove notai parimente 1 ’ uso teatrale di far comparire, non già dalle scene i soggetti infernali, ma dal palco medesi¬ mo, quasi che sorgessero di sotto terra ^. Un tal uso vedesi esattamente intro- 1 Monum. etr. , ser. li J p. 5o. 2 Ved. la Tavola xiv. 3 Monum. etr. ser. i, Tavv. lv , lxvii, lxxiv. 4 Ivi, p- 75, 355. 7 6 TAVOLA LXXXIII. II vasetto che primo si presenta in questa tavola è di terra nera, uguale in tutto al disegno. Le teste velate son così ripetute nei vasi sepolcrali chiusini, che io non dubito di confermare il già detto, nel supposto che siano indicative di larve Ci vien fatta peraltro notare 1 ’esattezza del lavoro, non meno che la per¬ fetta conservazione del monumento. Ai numm. 2, e 3 si osserva un anello d’ oro eh’ è in proprietà del sig. capi¬ tano Sozzi. Il lavoro, per quanto mi si elicerà finissimo e di grandezza in tutto eguale all’originale. È stato, per tanto riportato in doppia grandezza l'incavo che tien luogo di pietra anulare, perchè meglio si osservi lo stile elevato di quel lavoro. I due animali, il leone cioè e la sfinge potrebbero essere interpetrate pel pas¬ saggio del sole dal solstizio estivo all’autunno , mentre quel mostro con corpo di leone e testa e petto di donna non altro pare che indichi, sennonché il sole che uscito dal segno del Leone ardentissimo passa in quel della Vergine, ove co¬ mincia a perdere l’estiva sua forza, per cui si assomiglia a una femmina 1 2 3 . TAVOLA LXXXIV. La galante forma del vaso n. 1 non è comune fra quelle usate dai Greci . L’impasto della terra è tutto nero, ed in luogo di figure dipinte ha dei bassiri- lievi minutissimi, da’quali, come da una doppia fascia, è circondata la più larga parte di esso . In una delle nominate fasce al n. 3 stanno assisi due uomini con veste talare, in atto di voler dispensare delle corone, che ricevon coloro i quali stanno in piedi. Sotto alla lorsedia è un uccello, che secondo le moderne interpe- trazioni dei geroglifici egiziani, come dissi altrove ? , significa la casa dello spar¬ viere, eh’è pur simbolo della divinità; e in conseguenza la casa o regione del cielo, sul quale stabilite si vedono le figure sedenti del nostro bassorilievo. Por¬ gono esse dunque delle corone ai guerrieri, in premio di aver combattuto. Le sfingi nei sepolcri le ho sempre credute indizio del tempo nel quale passa il sole dai segni dell’ emisfero superiore a quello inferiore 4 , che dicevasi regno dei morti 5 , e per tal memoria credo esser poste le sfingi nella fascia num. 4 - Nel bassorii. n. 2 v’è un uomo sedente che ha in mano Io scettro, e ad esso presentasi un individuo munito di lancia che probabilmente significa un’anima che passando ad altra vita domanda il premio delle eroiche sue virtù' 6 , accennando non altro che il tempo di tal passaggio, come ho provato anche altrove? in quest’Opera. 1 Monum. etruschi, ser. i } p. 20. 2 Ivi , ser- i, Ved. la spiegai, della Tav. lxviii. 3 Lettere di etnisca erudizione Tom. 1 , p. 191 . 4 Monum etr. , ser. v, p. 590 : 5 Lettere cit. p. 189 . 6 Vedasi tutta la mia lettera scritta al dottor Mag¬ gi nel Tom. delle lettere, cit., p. 181 . 7 Ved. la pag. 5i , e 52 . ;5 quel vaso dov’era, come appunto si vede in questa pittura. I centauri tratti colà dall’odore del vino vennero in folla alla cantina del centauro Folo, armati di grosse pietre, un de quali è qui rappresentato in dietro ad Ercole in atto di scagliarliela ; e forse è Anchio , o Agrio che furono uccisi da Ercole, perchè i primi ardirono d’entrare in quella caverna 1 . Questa pittura con figure giallastre è inetà del suo originale. TAVOLA LXXXI. In questo bassorilievo ravviso Paride, il quale mentre viveva oscuro ed ignoto sul monte Ida tra i pastori, scendeva talvolta alla città di Troia, ove segnalavasi in tutti i giuochi e combattimenti che vi si facevano, ed in essi riportava la palma sopra ogni altro concorrente, inclusive sopra Ettore e su gli altri suoi fratelli, che sde¬ gnando d' esser vinti da un ignoto pastore meditarono di assalirlo ed ucciderlo. Ma Paride allora si dette a conoscere per loro fratello, e cosi fu salvo. Qui Pari¬ de è nudo come si compete ad un atleta, ed ha lunga palma sugli omeri, qual vincitore in competenza coi fratelli che invidiosi lo guardano, e meditano la di lui perdita, istigati a tanto misfattto dalle Furie infernali che loro si fanno dappresso. 11 ginocchio che Paride tiene sull’ara significala protezione divina eh’egl’ implora da Venere, come ho detto altre volte a , e 1 ’ ottiene; mentre Priamo suo padre, a cui si palesò, lo ristabilì nel suo rango 3 . Il disegno è una terza parte dell’originale. TAVOLA LXXXII. Chi mai trovar potrebbe in questo vaso un gusto greco? Anzi a rettamente parlare diremo esservi un fare eh'è tutt'altro che greco. L’ornamento del piede partecipa delle scannellature che sì frequenti ravvisiamo nelle opere dell'Egitto. In ogni restante v'è una originalità singolare. I mostruosi animali a bassorilie* vo che ne ornano il corpo son frequenti in questi vasi chiusini di terra nera, ed io li tengo sempre per quelli animali caotici che ad oggetto di rammentare la pili antica delle orientali cosmogonie ne ornarono i sepolcri, di che ragionai anche altrove L La donna che serve d'apice a! coperchio del vaso, in quanto al disegno non è molto dissimile da quelle dipinte in giro nel vaso della Tav. LXXII, come ancora in riguardo al costume dell’abbigliamento. Questo è dunque l’antico etrusco stile, o l imitazione di esso, come resulta dal paragone della indicata pittura pur tro¬ vata in Chiusi, ma di stile totalmente greco. Or s’io ripetessi qui pure, come ho detto altrove 5 , che i Greci lavorarono vasi in Etruria, e quindi anche i nazionali ma in uno stile del tutto differente, non ne avrei forse in simili esempi le prove? 1 Diodor. Sicul., iv, 12 . Nonn, Dionis. xiv, 379 . intit. l’Italia avanti il dominio de’Romani p.i 29 . 2 Monum elruschi, ser.[i,p. /{Q 3 i 4 ^ 5 , 1^628, 693. 4 Monum. etruschi ser. v, Tav. lx. 3 Ved.le mie Osser.sopra i raonum.ant.uniti all’op. 5 Ivi ser. v, Introduzione p. xxjx. ;8 droni perfino del tuono, e del fulmine, i quali peri loro sorprendenti, e terribili ef¬ fetti , somministrarono in ogni tempo e in ogni dove abbondante materia alla super¬ stiziosa credulità dei popoli ■ Giammai però, nè presso alcun’altra nazione, ebbe la scienza tonilruale, efulguraria tanti cultori, come presso gli antichi Etruschi, nè mai se ne fece altrove uno studio così costante, come nell’ Etruria propriamente detta, e con successo così, favorevole. Ma i sacerdoti etruschi, dopo avere immaginata una scienza profonda, e difficile, sui tuoni e sui fulmini, trovarono ancora il modo di renderla terribile e spaventevole al volgo della loro nazione. Imperocché, stabilita la distinzione tra ifulmini di consi¬ glio quelli di autorità e di decreto, tra i postulatorii, i monitorii, i confermatorii', gli ausiliarii, gli ospitalieri, ed i fallaci, i pestilenziali, i micidiali i minacciami, ed i rea¬ li, e simili, ne fabbricarono ancora una spece di Diario, ossia Rituale. Del quale, per darne una idea ai nostri lettori, ne riporteremo qui uno squarcio, tradotto in italiano. Questo Rituale adunque, o Diario tonitruale, e locale secondo la luna coni essi lo chiamavano, fu tratto, per quanto ne dicono le tradizioni, parola per parola, da Publio Nigidio Figlilo, dagli scritti sacri di Pagete ; Ed è riportato da Giovanni Lidio nel suo libro dei prodigi al cap. xxvu, pag. 101, dell edizione fattane a Parigi nel 182 5 ,per cura di Carlo Benedetto Tinse. Ecco in qual maniera si esprime il sullodato autore, al luogo citato, su tal pro¬ posito . Se egli è manifesto che gli antichi sapienti etruschi prendessero in ogni di¬ sciplina augurale per guida la luna, poiché secondo il corso di quella espongonsi qui appreso anche i segni tonitruali, e fulgorarli, rettamente farà chiunque si sce¬ glierà per duce in questa scienza le stazioni lunari, Laonde quinci dal cancro, e quindi dal novilunio, istituiremo la diurna cognizione dei tuoni, secondo i mesi lunari. Dalla quale passavano i Tusci, o sacerdoti etruschi ad insegnare le osservazioni locali, anche intorno ai luoghi percossi dal fulmine. E pare che il principale di tut fi i col¬ legi di questi Tusci risiedesse a Fiesole, leggendosi in Silio Italico Adfuit et sacris interpres fulminis alis, Faesula . Incominciando poi il Diario , o Rituale fulgurano, e tonitruale etrusco, dal pri¬ mo giorno lunare del mese di giugno, dice cosi. Se tuonerà nel'primo giorno della luna di giugno , vi sarei abbondanza di biade, eccettuato l'orzo, ed i corpi umani sa¬ ranno attaccati da perniciosi morbi ; E se tuonerà nèl secondo, le donne partoriran¬ no piu facilmente, ma peri ranno le greggi, e vi sarà abbondanza di pesci. Tuon andò poi nel terzo sara il caldo secchissimo per modo, che non solamente gli asciutti pro¬ dotti della terra, resteranno inariditi, ma si abbruceranno ancora gli umidi e i verdi. Laddove se tuonerà nel quarto, l’aria sarà talmente coperta, di nubi, e sì piovosa, che le biade periranno per la putrida umidità. Se tuonerà nel quinto giorno, sarà dinfausto presagio alla campagna, e si turbe¬ ranno tutti quelli, che presiedono ai villaggi, ed ai piccoli castelli, e borghi ; Se nel K RAGIONAMENTO Vili, E IX SULLA SCIENZA TONITRUJLE, E FVLGURARIA DEGLI ETRUSCHI rpày.[x«Tcc re Fai $u<rto> oyìav è?s7rovv;'7av ( oi Svpfavot ) sm' Aererò» 9 stai ra 7repe t»jv xepavvosxomav sarà to*vt&>v àv.S'peomav e^et^yacavro. Diod. Sic. lib. 5 , p. 3 l 6 . B^ovrat xaS' v7rvous ayyèXwv èics Xòyot, Astrampsycb. de Sonili. interp. F_Ja superstizione, il più funesto di tutti i flagelli che affliggessero mai, in qualun¬ que regione, ed in qualunque età, Ì umana specie, facendola gemere sotto il giogo più duro, e più pesante di quanti ne seppero immaginare, e fabbricare, la tirannide più scaltra, e il despotismo più sospettoso, mescolando ognora profanamente, per me¬ glio abbrutirla, ed opprimerla, il venerando nome di Dio, alle loro malvagità le più enormi, fu sempre, e presso tutti i popoli della terra, il maraviglioso ordigno, e l’ef¬ ficace strumento, onde si valsero gli astuti, ed i tristi, a danno dei semplici, e dei buoni, ed i potenti, é gl’ippocriti, per dominare i deboli, e farsi giuoco dei creduli- Questa Furia pertanto, esecranda, e crudele, la peggiore di quante ne racchiude nel suo seno lInferno, che ha percorso sotto varie vestimenta, e con diverso aspetto, tutta la superficie della terra, è quella che fece risuonare di strani ululati , e di que¬ rule grida le selve di Marsiglia, pei riti sanguinari di Teuta, le foreste di Norim¬ berga, per quelli d'Irmensul le montagne della Scandinavia, per placare l ira di Thor o la vendetta di Odino, e le pianure della Perside, onde rendersi propizio Ari- mane ; ed è pure quella medesima, che tinse di umano sangue le rive di Aulide , e della Tauride, fece scorrer vermigli itessalonìci torrenti, e quelli d Irlanda, acce¬ se gli orrendi roghi di Lisbona, e di Spagna, desolò le Americane contrade, e co¬ perse in una sola notte la Francia intiera, di spavento e dì lutto. Questa Furia spaventevole che prende tutte le forme, e che le varia poi in mille guise secondo i climi diversi, ed atteggiandosi ancora nel percorrere in ogni direzio¬ ne la terra, secondo le differenti passioni, e la varia indole dei popoli, ebbe anche presso gli antichi Etruschi, influenza grandissima, e prepotente dominio. Nè avrebbe, potuto accadere diversamente in una nazione, ove la casta sacerdotale, o i collegi dei Tusci, facevansi , come in Egitto, e nelle Indie Orientali, una privativa dell istru¬ zione, e di tutte le cognizioni letterarie e scientifiche . Ora questa medesima Erinni,invadendo l’antica Etruria, e facendone in cèrto modo suo nido, signoreggiò in singoiar guisa gli spiriti dei nostri antenati, prevalendosi anche presso di loro, di tutti gli strumenti opportuni al suo scopo. Laonde s impa- Etr. Mus . Chius. Tom. 7 . 11 ri 0 8o o/o dal fulmine aneli essi, come facevano i loro maestri. Quindi allorché esso partiva dall' Oriente, ed avendo toccato leggermente alcuno , ritornava da quella parte, era questo il segno di una perfetta felicità . Non traevasì peraltro nessun augurio del ful¬ mine, quandi esso altro non faceva che strepito. Quelli poi che sembravano promettere lene , o male, erano presi per contrassegni della protezione, o della collera di Dio . Laonde V erano fulmini di cattivo augurio , dei quali potevasi peraltro allontanare il presagio, come dipendeva dalla volontà degli uomini il procurarsi quello dei ful¬ mini di augurio favorevole , per mezzo di cerimonie religiose, e di offerte. Ve n era¬ no poi altri, di cui non era dato ai mortali di rimovere la minaccia, per via di al- cuna espiazione. Brasi introdotto pure fra i Romani, come insegnavasi in Etruria , che romoreg- giando il tuono dalla parte destra, annunziava sempre qualche cosa di felice, e che era di funesto presagio allorchéfacevasi sentire dalla parte sinistra. I luoghi colpiti dal fulmine divenivano sacri anche pei Romani, come tali divenivano per gli Etni¬ schi, e non era più permesso d!impiegarli ad usi profani. J i s inalzavano allora de¬ gli altari al dio Tonante, e gli Aruspici avevano cura di consacrarli col sagrifizio di una pecora, dal cui nome venivano detti bidentali. Anche gli alberi fulminati do¬ vevano essere purificati, ed una certa classe di sacerdoti delti strufertarii facevano in tale occorrenza un sacrifizio colla pasta cotta sotto la cenere. Se dobbiamo prestar fede a P ausonia gli abitanti della città di Seleucia adorava¬ no il fulmine, che eglino riguardavano come la loro divinità suprema. Cantavano inni in suo onore, ed il culto di esso era accompagnato da singolarissime cerimonie. Ma è da credersi che il fulmine altro non fosse , se non se il simbolo di Giove, che adoravano quegli idolatri come essendo il padrone degli Dei . Nella Mitologia erano i Ciclopi che fabbricavano entro la fucina dell’Etna i ful¬ mini al padre degli Dei, e servivansi per comporli, e temprarli delle seguenti mate¬ rie. Mescolavano insieme i terribili lampi, lo strepito spaventevole, le striscianti fiammé , lei collera di Giove s ed il terrore degli uomini. Il fulmine però non era l’attributo esclusivo di Giove. Nell’opera di Ralle in¬ titolata Ricerche sul culto di Bacco, stampata a Parigi nel 1824, domo primo pag. 61, si legge che Proserpina ingenerò Zagreo, cioè Bacco, colla testa ornata di cor¬ na, il quale da se solo, e senza veruno esterno aiuto, s inalzò al trono di suo padre, e trattò il fulmine colle mani ancora infantili. E nella descrizione delle pietre incise del gabinetto Stoscliiano parla il IVinkelmann, a pag. 234 , di una corniola, rap presentante Bacco con diversi attributi, ed un Satiro, ai piedi del quale vede si il ful¬ mine. Anche Luciano, e Nonno panopolita, come pure molti monumenti antichi an¬ no il fulmine per attributo a Bacco , Tutte le grandi divinità del paganesimo , avevano due caratteri distinti: Luna generale •, ed era quello del primo principio, dotato della forza, e della potenza uni- v ersale, e l’altro particolare, che ciascuna di quelle divinità riceveva dalle funzio- , 79 sesto s ingenererà un insetto nocino nelle mature biade, e se nel settimo regneranno dei morbi, senza però che ne molano molti, e le secche biade cresceranno, mentre s’ina - ridiranno le umide , e verdi, . Tuonarldo nel giorno ottavo sarà annunzio di grandi piogge, e della morte del frumento, nel nono significherà che dovranno perire le greggi per l'incursione dei lupi, e nel decimo che vi saranno frequenti morti, ma che tuttavia l'annata sarà fer¬ tile;Mentre se tuonerà nelVundecimo, annunzierà innocenti calori, e letizia alla re- pubblica , e se nel duodecimo accadeva lo stesso Quando tuona nel giorno decìmotèrzo, minaccia la rovina di un uomo prepotente, nel decimoquarto, indica che l’aria sarà eccessivamente calda, e non dimeno sarà lie¬ to il provento delle biade, con gran comodità di pesci fluviali, ma i corpi cadranno in languore; E se poi tuonerà nel decimoquinto i volatili saranno affetti da incomodi nell estate, e periranno le bestie natanti. Se nel decimo sesto giorno tuonerà, non solamente minaccia diminuzione dell'an¬ nona, ma anche guerra, e verrà tolto dimezzo un uomo floridissimo; Se tuonerà nel dectmo settimo, vi saranno calori grandissimi, e mortalità di topi, di talpe e di locu¬ ste i E non pertanto l’anno apporterà abbondanza e stragi al popolo romano. Tuonan¬ do nel decimottavo , minaccia calamità ai frutti, nel decimonono moriranno gli ani¬ mali nocivi agli stessi frutti, e nel ventesimo minaccia dissezioni al popolo romano. , Quando tuona nel ventunesimo giorno, indica penuria di vino, buon provento del¬ ie altre raccolte, e gran copia di pesci-, nel ventesimosecondo presagisce un calore dannoso, e nel ventesimoterzo dichiara letizia, allontanamento di mali, e fine di morti. E così nel ventesimoquarto annunzia abbondanza di tutte le cose, e nel vente¬ simo quinto significa che vi saranno guerre, e mali innumerevoli. Finalmente se tuonerà nel giorno vigesimo sesto , il freddo nuocerà alle biade, nel vigesimo settimo, i primati della repubblica avranno da temere di andare incontro a perigli per parte dei soldati, nel vigesimottavo, sarcivvi libertà di biade, mentre tuonando nel vigesimonono , le cose della città si troveranno in migliore stalo, e nel trentesimo, vi saranno per breve spazio di tempo spesse morti. E così di tulli gli altri mesi. Allafine poi dell’ultimo mese, a pag. i 55 viene osservato, che Nigidio oiu- dico che questo Diario tonitruale, non fosse generale, ma per la sola città di Roma. Nè ciò parra fuori di proposito , a chiunque facciasi a riflettere che i sacerdoti etru¬ schi, erano solili vendere a caro prezzo la loro scienza , a tutti quelli che ambivano di farne acquisto, e singolarmente ai Romani, che ebbero cominciamento da u na ciurma di banditi d Etruria, e ne divennero poi gli emuli, quindi i nemici, e final¬ mente i padroni, ed oppressori. Impararono però ben presto anche i Romani a fare la distinzione fra i fulmini lan¬ ciati il giorno, e quelli che lo erano nella notte-, E credevano che partissero i primi dalla mano di Giove, ed i secondi da quella di Summanno, la qual dottrina è tutta etnisca. Dopo questa distinzione, non tardarono molto a trarre ogni sorta di presa- m 82- p. e. gl' Iotorti, i quali sono quelli che tracciano cadendo una linea tortuosa, nei quali sono prima di tutto da ammirarsi,al dire di essi, la loro natura, e la difficol¬ tà di contemplarli ; Ed aggiungevasi dai medesimi libri, che non lutti producono i medesimi effetti, neppure quelli che vengono formati, secondo loro, dall' aria, e dal concorso delle nubi. E vi si trovano più altre osservazioni di questa, e di altra spe¬ cie, che sono pure riferite da Lidio a pag. 171, cap. 44 • Afferma anche Arduino che i Tusci attribuivano a noveDei la facoltà di scaglia¬ re i fulmini, e che ne distinguevano undici specie diverse j E per viepiù persuadersi che eglino riguardavano come cosa di grande importanza la scienza dei fulmini, leg¬ gasi anche Seneca, lib. 2.° cap. 32 , 33 , e seguenti, delle questioni naturali, ov’ egli descrive prolissamente tutta la lor dottrina, e tutta la loro scienza sui fulmini, ed an¬ che intorno alla divinazione per mezzo dei medesimi-. Lo che tocca pure Cicerone nel libro primo della divinazione. Censormo poi al capitolo xi, pag. 69 , De die natali, loda esso pure i libri rituali degli Etruschi. I medesimi Etruschi avevano eziandio alcune singolari opinioni per impedire che i fulmini cadessero in certi luoghi, piuttosto che in altri. E cosi, leggiamo nei Geo- ponìci, o scrittori delle cose rustiche, lib. 1 , cap. 16 , che sotterrando in un campo la pelle di un ippopotamo, ivi non cadrà il fulmine-, E nel lib. 8.°, cap. xi, è soggiun¬ to , con una sentenza di Zoroastro « affinchè nè i tuoni nè i fulmini facciano svanire i vini » dopo di che si prosegue cosi • Il ferro sovrapposto ai coperchi dei dogli , e delle botti, allontana qualunque danno possano cagionare ai vini i fulmini, e i tuoni. Osservazione la quale fa un poco ai calci colla buona fìsica, ma ciò non monta. Co¬ si la spacciavano i Tusci ! Certuni poi vi sovrapponevano alcuni rami di alloro , i quali dicevano essere giovevoli in ciò, per contrarietà di natura, e qui avevano ra¬ gione . Nei suddetti libri sacri, e rituali dei Tusci, incontratisi ancora altri nomi da ti ai fulmini, oltre quelli già riferiti in questo ragionamento. Imperocché altri ne chia¬ marono Fumidi, altri Candidi, altri Irruenti, ed altri Presteri,' E ciò dicevano essi di aver istituito, perchè producono diversi effetti. Quindi soggiungevano che gli Ardenti sono quelli che si dicono Presteri, e quelli senza fuoco son chiamati Tifoni, laddove i più languidi son detti Enifie. Diconsi poi Egide quelli che noi diremmo Prefratti, o rotti prima, i quali sono portati da un igneo globo • Donde avviene che V etnisca tradizione, mette le Egide intorno a Giove, quasi insinuando che l’aria è la causa cosi della procella, come del fulmine, e della concussione del tuono . Quando il fulmine romoreggiava fra il giorno, e la notte, solevano chiamarlo i Romani fulmen prevorsum , e dietro gl’insegnamenti degli Etruschi attribuivanlo a Giove, ed a Summanno. Gli Scandinavi, ed i Celti, abitanti delle parli settentrionali d’Europa',credevano che i rimbombi dei tuoni fossero cagionati dai colpi di clava, coi 1 È cosa degna di osservazione il vedere che gli Scandinavi, ed altri popoli del Setten¬ trione facessero essi pure uno studio par ¬ ticolare sui fulmini , sui baleni, e sui tuoni , e che avessero formato di ciò una scienza come gli antichi Etruschi, giacche rAnnua- 8i ni, alle quali l'aveva ridotta il sistema del politeismo. Elleno avevano per attributo il fulmine, sotto il primo rapporto, ed è ciò che si ritrova presso tutte le nazioni an¬ tiche. I libri degli Etruschi contenevano secondo Pliniolib. 2.° cap. 52 , nove Divi¬ nità che lanciavano i fulmini -,fEd attribuivano a Marte quelli che producevano de¬ gl' incendii. Eravi a Milon in Egitto, un tempio dedicato a Nettuno fulminante, per testi¬ monianza di Ateneo, lib. 8.° E Sidonio Apollinare chiama lo stesso Nettuno Giove Tridentifero, in questi versi, Sacra Tridentiferi lovis hic armenta profundo Pharnacis immergi! genitor,- Mentre Stazio nel primo libro dell' Achilleide, lo chiama ii secondo Giove. Apollo veniva spesso rappresentato, secondo il Golzio, colle ale ed il fulmine j. E si vede su molte medaglie romane colla testa coronata di lauro, ed il fulmine in mano. Sofocle nell’Edipo Tiranno, v. 47 J, e Plinio, lib. x, cap. 2. 0 , parlano pure di Marte fulminante, come si vede su diversi monumenti antichi. Vulcano lanciava aneli’esso il fulmine, secondo Virgilio, e Nonno nelle Dioni¬ siache, ed alcune medaglie dell isola di Samo, lo rappresentano cosi. Vedesi poi il Dio Pane col fulmine, su due piccole figure romane in bronzo, e ne parla Ateneo nell ’undecitno libro dei Dipnosofisti. Cibele si vede spesso rappresentata col fulmine, e lo portavano pure Minerva, e Giunone ,• E quest’ultima era collocata a Cartagine sopra un lione, tenendo il fulmi¬ ne sulla destra, e lo scettro sulla sinistra-, Mentre della prima dice Virgilio : Ipsa lovis rapidum jaculata e nubibiis ignem. Finalmente lanciava il fulmine lo stesso Amore -, E questo Amore Kspmvofofos, cioè laudante il fulmine, era scolpito sullo scudo di Alcibiade, secondo l’Epigramma 228 dell’Antologia greca . Molti poi sono i generi degli stessi fulmini. Insegnavano i Tusci, e lo riferisce anche Plinio, che quelli i quali vengono asciutti, non ardono, ma disperdono, e che gli umili non bruciano mainfoscano.Quindi ne annoveravano un terzo genere,chiama¬ to chiaro', i quali sono di una natura veramente mirabile, imperocché asciugano , p. e. le botti, piene di vino o di altro liquido, lasciandole intatte , e non iscorgendovisi alcun vestigio per ove le abbiano vuotate . Di più, l’oro, l'argento, ed il bronzo, ven¬ gono da tali fulmini liquefatti entro gli scrigni o nei sacchetti, ove suino riposti, senza arderli in verun modo, e neppure abbronzargli, ed anche senza guastare il si¬ gillo di cera col quale siano stati chiusi. Si racconta che Marcia principessa roma¬ na fu colpita da uno di questi fulmini, essendo gravida, il quale uccise il feto che ella portava, ed essa poi sopravvisse senza verun altro incommodo ; E narrasi anco¬ ra nel prodigi Catilinarii del Municipio Pompeiano,che Marco Erennio Decurione fu percosso da un fulmine in giorno perfettamente sereno. Oltre questi generi di fulmini, ì libri dei Tusci ne contenevano ancora altri, come, Etr. Mai. Chius. Tom. I. 12 84 trar nel cielo: opinioni uscite tutte quante dalle dipinture allegoriche delle antiche rivoluzioni del nostro globo. I Brasiliani, ad ogni scoppio di tuono, riguardano tremando il cielo, e sospiran¬ do ; E credono che sia il loro Agnian, o lo spirito maligno, che minacci di percuoter¬ li. Almeno cosi ci assicura il viaggìator Cereal. In Circassia, i piartele tuona, escono gli abitanti dai villaggi, e dalla città, e tutta la gioventù si mette, al dire di Taver- nier nei suoi viaggi, a ballare, e cantare in presenza dei vecchi. Le quali danze, e le quali cantilene, se non furono funebri, o guerriere nel loro principio, bisogna dire che la gioia di quei popoli sia fondata sull' idea che il tuono sia di un felice presagio. Idea conforme ancor questa a quella dei Persi, e di un gran numero di popoli antichi, ì quali credevano che il fulmine rendesse sacro tuttocio che toccava-, E ciò perchè presso i Magi era il fuoco temblèma della Divinità, conforme si può vedere eruditamente provato dal Signor La [fide, nell opera da lui composta sulla religione dei Persiani, cap. primo. Presso i sunnominati Circassi, un uomo ucciso dal fulmine è giudicato avere ri¬ cevuto da Dio un gran favore : E se il fulmine stesso è semplicemente caduto sulla sua casa, egli e tutta la sua famiglia sono nutriti per un anno a spese del pubblico . Era opinione degli antichi idolatri, che Giove punisse, non già con volgari ga- stighi, ma bensì fulminandoli, tutti gli spergiuri. E però si legge in Aristofane, nh. w Si i z* tw-wtmSt ~ h cioè « Imperocché Giove scaglia questo fulmine vera¬ mente mirabile, contro gli spergiuri . Ad onta però di queste popolari credenze, non mancavano tuttavìa di quelli, che le schernivano, e se ne ridevano di tutti i volgari ti¬ mori . Difatti Luciano, nel Timone, riprendendo timprudenza di alcuni uomini, che spergiuravano in dispregio dei Numi, subindicò il timore del fulmine dìcen o che que sta specie di mortali , temono più una lucerna spenta , che la caduta di uri fulmine , e di esserne colpiti. s™» w » «cuy»:. ™ ™ ^ 5 T0= «fawoo vale a dire: pertanto alcuni di quelli che spergiurano, temerebbe piuttosto una lucerna spenta, che Infiamma di quel fulmine domatore di tutte le cose. I Romani , che al dire di Cicerone, presero auspicia et sacra ab Ltruscis, e secon¬ do Valerio Massimo derivarono tutti i semi della religione dall Etruria, e noi ag¬ giungeremo francamente, anche ogni demento di civiltà , fecero passare un gran numero di etruschi Numi a Roma . Quindi provano con buone ragioni, ed autorità . il Dempstero, ed il Gori, che erano presso che infinite le divinità adorate dai nostri maggiori, e che la più gran parte presero domicilio in Roma. Laonde chiameremo temerarie, e stolte le critiche mosse da alcuni Archeologi più moderni, contro quei te alla prima percossa che hanno dal fulmime, non dispiacerà ai nasini lettori il vedere mes¬ cle nessuno animale è arso , o acceso dal te qui a confronto le supersituom tomtrual, r7 . > . ... P f u l vararle desìi Scandinavi, ed altri setten- fulmine , se non e morto, e simili. ejiu 0 uiun 5 t ■ j ] , . t j’ /-.p trionali con Quelle desìi cinlichi Etruschi sui' Lasciando ora da parte quanto siano tali os• inori un / & servazioni consentanee alla buona fìsica , 1 ° stesso proposito» 83 quali il loro Dio Thor percuoteva ì Giganti. Il qual linguaggio è lo stesso che quel¬ lo dei moderni Persiani, i quali credono che le stelle cadenti siano colpi di fulmini, che gli Angioli scagliano nelle altre regioni, contro i Demoni, che si forzano di rieri- rio tonitruale di quelli , ha molta somiglian¬ za col Diario fulgorale, e tonitruale di questi. Si legge infatti in Olao Magno, lib■ i, cap. 3i della sua storia delle genti, e della natura delle cose settentriouali , cne i tuoni di gennaio significano che i venti soffieranno con mag¬ gior gagliardia del solito, e che sorgeran¬ no le biade più dritte , e grandi. Quelli di febbraio annunziano una grande mortalità e singolarmente di quelli che vivono nella delizia. E quelli di Marzo indicano gagliar¬ di venti , e che vi dev’essere gran fertilità in quell anno , e straordinario strepito nei giudizii . Indicano i tuoni di aprile che cadrà una piog¬ gia conveniente elle biade 9 e che la campa¬ gna sara abbondante in tutto il corso del¬ l'anno, mentre quelli di maggio significano tutto il contrario, cioè, penuria di biade, ed una formidabile carestia di tutte le co¬ se. Presagiscono poi quelli di giugno una piu abbondante fertilità, benché predi cono al tempo stesso infermità spaventevoli. 1 tuoni di luglio annunziano abbondanza di frumenti , ma distruzione di legumi 9 e di frutti . Predicono quelli di agosto che gli uomini converseranno pacificamente fra to¬ ro 9 ma vi saranno malattie pericolose 9 E quelli di settembre denotano fertilità in quel- Ialino , nel quale però sovrastano guerra, sedizioni , e morti . 1 tuoni di ottobre sono qualificati coll’epiteto di portentosi, perche indicano grandi tem peste in mare , ed in terra ; quelli di novem¬ bre, benché raramente tuona in tal mese , promettono fertilità nell'anno seguente. E quelli finalmente di dicembre significano ab¬ bondanza di tutte le cose , ed una giocon¬ da conversazione degli uomini fra loro . Altre osservazioni dei settentrionali sui ful¬ mini , sui lampi, e sui tuoni portano quanto segue. Quando nell’estate per esempio, tuona più che non lampeggia, significa dover sof¬ fiar venti da quella parte, e per lo contra¬ rio se balena più che non tuona, deve cader molta pioggia. Quando lampeggia essendo il cielo sereno , vuol dire che vi saranno pioggie , e tuoni 9 e farà un tempo da inverno E tali co¬ se poi saranno gravissime, ed atrocissime quando questi lampi , e questi tuoni verranno da tutte le parti del cielo. Ma se balenerà soltanto dalla parte ciV Aquilone indicherà pioggia nel giorno seguente j E se i lampi verranno dal punto preciso del Settentrio¬ ne 9 soffieranno venti. Lampeggiando dalla, parte di Austro , di Coro 9 o f avonio , es¬ sendo serena la notte , significherà che de¬ vono venir pioggie, e venti da quelle mede¬ sime parti. Dicevano ancora i settentrionali, che i tuoni che scoppiano la mattina di buonora annunziano venti e quelli che si sentono nel mezzogiorno predicono una grossa pioggia . Aggiunge¬ vano poi essere imjjortantissimo il sapere da qua! parte vengono i fulmini , e dove si dirigono. Imperocché sono crudelissimi quel¬ li che partendosi dal settentrione vanno ver¬ so l Occaso , e sono di ottima natura quan¬ do ritornano finalmente a quelle parti dalle quali sono venuti , perche quando vengono da quella parte del cielo d’ond’ebbero ori¬ gine, e poi ritornano alla medesima, presa¬ giscono allora una somma felicità da quel¬ la parte di mondo 9 rimanendo però infelici tutte le altre . E finalmente altre curiose osservazioni aggiun¬ gevano intorno a quest’articolo , come, che la notte piu che il giorno lampeggia senza tuo¬ ni , che la natura ha dato il privilegio al- l’ uomo di essere rare volle ucciso dal ful¬ mine, e che se questo accade talvolta , è as¬ sai più conveniente, e pietoso ufficio il sot¬ terrare quel morto , che il bruciarlo . Che te ferite dei fulmini sono più fredde che tutte le altre, che le bestie moiono istantaneamen- 86 parla Cicerone nel primo della divinazione-, nè fa diuopo osservare il diverso inalzar¬ si della fiamma, o lo scrosciar della medesima, nè lo scoppiettar dell incenso, delle quali cose scrisse, secondo Stazio, un tal Tiresia, famosissimo augure etrusco. J\è occorre tampoco far menzione, per esaltare Tetnisca sapienza, di ciò che osserva fra gli altri Seneca , Uh. n, cap. 4 1 delle quistioni naturali , circa l avere i medesimi fatta anche la distinzione tra i fulmini prodotti nelle nubi, é nell'aria, d onde scende¬ vano in terra, e quelli che prodotti nella terra slanciavansi in alto, e verso le nubi medesime, giacché queste, e molte altre simili cose trovansi narrate, e raccolte da vari autori. Ma non sono però da passarsi sotto silenzio alcune memorie di Plinio, Ub, n, cap. 3 .°, ove narra distesamente in due capitoli, le opinioni degli Etruschi, appog¬ giate ad una ragionevole fiolosofia, circa lessenza, o la natura, e circa le diverse specie di fulmini da essi distinte. Conferma ivi quel sapientissimo scrittore ciò che abbiamo qui sopra accennato, che vengono cioè i fulmini, tanto dalle nubi, quanto dalla terra, ed assicura aneli esso, che trovavansi negli scritti etruschi, nove, o più probabilmente undici specie di fulmini, delle quali ì Romani loro figli, e discepoli, non ne avevano osservate, e mantenute che due. Il che viene a confermare sempre piu il detto di Cicerone, che quei superbi conquistatori, ed oppressori del mondo, ebbero dagli Etruschi non solamente lorigine, ed i riti religiosi, tutti quanti ne usarono mai, ma eziandio la civiltà. Egli osserva pertanto particolarmente, la diversa natura, e diversi singolarissimi effetti dei fulmini, che dal cielo provengono, e di quelli che dalla terra sono prodotti-, ed avverte ad un tempo, che queste osservazioni furono trasportate, e trascritte negli annali romani, aggiungendo inoltre che vi erano pure le maniere ed i riti per chiama¬ re i fulmini, ed impetrarli dal cielo, come fece forse Porsernia, che con un fulmine così ottenuto , ed accompagnato da un mostro chiamato Volta, devastò, come dicono, le campagne dei Volsinii. Ei dice di più, che in questa scienza era dottissimo Nu- ma Pompilio, e che avendolo poco bene imitato Tulio Ostilio , fu arso da un fulmi¬ ne-, E che per questo fra i diversi nomi che per l'etnisca disciplina furono dati a Gio¬ ve, di Statore, di Tonante , Feretrio, e simili, s'incontra pure quello di Elido, o Evocatore. E finalmente che si prevedono in tal guisa le cose future, benché sia te¬ merità il credere, che si possa comandare alla natura, o sforzarla . Il medesimo autore osserva poi, come il baleno sia piu veloce del fulmine , e del tuono , e come perciò il fulmine stesso debbasi prima vedere, che udire. Circa le qiiali osservazioni di Plinio intorno alla scienza tonitruale, e fuigurari a degli Etruschi, vi sarebbero da fare molte fisiche riflessioni, se l indole dell opera per la quale sono scritti questi ragionamenti, lo comportasse. E sul proposito di questa scienza etrusca, nella quale dice il sullodato Plinio essere stato peritissimo il re ISuma, ascoltisi anche Ino Livio, lib.t, il quale lo chiama non solamente dotto nelle arti peregrine, ma eziandio nella tetrica , e trista 85 due dottissimi scrittori ; Colle quali critiche pretendono di negare, che per esem¬ pio , un tal Nume, non abbia potuto aver culto in Etruria, perchè si cede adorato net Lazio, ed m Roma ,; Avvegnaché dovrebbe piuttosto aver luogo la congettura contra¬ ria, come saviamente rifletteva il sapientissimo Guarnacci . Imperocché, dovrebbe dedursi che se una tale divinità si vede adorata in Roma e nel Lazio, è ben ragionevole il credere, che abbia prima avuto culto in Etruria- quando si voglia riflettere, che una colonia etrusca erano i Latini, e che lo stesso fondatore dell Eterna Città, coi suoi primi abitanti, non furono altro come anche altrove accennammo, che una banda di fuorusciti Etruschi. c he se poi igrecomani, sottilizzando, ed ostinandosi ognora più a volere irrefra¬ gabili prove, e quasi ancora la fede di battesimo, come diceva il prelodato Guarnac- ci, che un tale idolo, od un tal monumento qualunque, sia veramente etrusco , e non greco, nè romano ; Oltre che si può risponder loro che queste prove intrinseche , non le hanno d’ordinario neppure le cose veramente greche, e romane, e che l'anti¬ quaria iti genere si aggira sulle asserzioni degli antichi autori, i quali ci hanno la¬ sciato scritto, dove i vani Numi, e i diversi riti abbiano avuto l’originario loro culto-, Si può ad essi aggiungere ancora che ve una probabilità, la quale confina colla cer¬ tezza, che dove un si gran numero d’idoli, di vasi ed altri monumenti di ogni manie¬ ra, sono stati trovati, siano stati pur lavorati. Ed essendo imedesimi stati dissotter¬ rati negli scavi etruschi, ed indicando una grandissima antichità, e mollo superiore alla civiltà greca, e romana , è irragionevole , ed assurdo il credere, che i soli Gre¬ ci , e Romani li abbiano dappertutto disseminati. Ed anche a ciò che dice il chiarissimo signor Vermigliali, il qlude pretende ( . E roga ime di Admeto e di Alceste) che i monumenti italici più sono antichi, e più grecizzino, ed al contrario latineggino maggiormente, quanto più si avvicinano all epoca del dominio romano in Etruria, come pure che gl’itali antichi spesso aspi- cassero, si può rispondere cosa che sarà di scandalo agli Archeologi pedanti i quali non sanno, o non vogliono trarsi fuori della traccia segnata dai loro prede¬ cessori abbiano essi fatto bene , o male. Ed è questa : ,o,m , ere l e osservazioni del sullodato filologo perugino, perchè la lingua greca è figlia della vetustissima etnisca in quanto alle sue radicali, benché ne differisca grandemente nelle infles- Stoni, édi Greci sono scolari degli antichi Etruschi, ossiano Pelasghi Tirreni, in¬ digeni d Italia, i quali andarono in remotissima età a colonizzare , e popolare la Tra¬ cia eia Grecia, come m altro ragionamento accennammo . In quanto poi alle aspira¬ zioni degl Itali antichi, procedono queste dall’orientalismo, che ridonda in ogni dove in Italia, e che vi fu introdotto in tempi da noi oltremodo lontani da una colonia orientale, coi primi elementi della civiltà, come pure asserimmo nel quarto di ave Sti ragionamenti medesimi. " e ~ Ma torniamo ai fulmini ed ai tuoni. Non occorre citar qui i libri fatali degli Etruschi , ricordati da Tito Livio, hi. V, nè i fulgorali, e gli aruspici, dei quali j3 Etr. Mus . Chius. Tom. J, 88 TAVOLA LXXXV. Chi mai oserebbe di qualificare l’avvenimento qui espresso, non vedendovisi che due militari pronti alle difese e alle offese, senza ravvisarvi ne 1 inimico, ne ogget¬ to veruno che sia motivo di questa loro disposizione al combattimento? Ma siccome questa pittura è nel mezzo d’una tazza, intorno alla quale sono altre figure giallastre, come questa, in fondo nero, così tenteremo di trarre da quellequalche argomento a cognizione di questa. TAVOLA LXXXVI. Un corpo esanime steso al suolo, presso cui stanno alcuni combattenti che ne scacciano altri in costume diverso, mi richiama alla mente l’avvenimento del corpo di Patroclo, contrastato fra i Greci e i Troiani,e finalmente ottenuto da quelli coll’espul¬ sione di questi '.Non vi sono caratteristiche assolutamente variate tra combattenti e combattenti, a dichiarar Greci gli uni, e Troiani gli altri,ma pure la totale nudità dei primi li fa credere eroi,che la Grecia rappresentar suole in tal guisa 2 ;mentre gli altri tre hanno in testa un berretto: uso asiatico e particolarmente dei Frigi 3 .Hanno essi pure nella clamide che indossano un segno d'abbigliamento, che raramente onon mai tra¬ scurasi nelle figure asiatiche, per quanto io abbia nei monumenti antichi osservato. L'uomo steso al suolo qual corpo morto, è altresì nudo del tutto, e inconseguenza spettante ai Greci, cqme difatti era Patroclo il caro amico di Achille, che fu ucciso in guerra da Ettore, secondo Omero l . Probabilmente anche i due guerrieri dipinti nel mezzo della patera, e che vedemmo nella tavola antecedente,son due Greci alla custo¬ dia e difesa del corpo di Patroclo, ch'è dipinto nel fregio della tazza medesima. Infatti essi vedonsi armati,ma nudi,giusta il costume greco eroico,siccome dicemmo. Qui le figure son ridotte un terzo più piccole di quelle che vedonsi nella tazza originale,ove sono di color giallastro in fondo nero. TAVOLA LXXXV 1 I. Qualora mi si conceda esser probabile la interpetrazione dell’antecedente rappre¬ sentanza della morte di Patroclo, e del contrasto tra i Greci e i Troiani, per ottenerne il cadavere, non mi sarà negata fiducia nella supposizione eh'io son per proporre, che in questa pittura, la qual fa seguito all’antecedente, vi siano espressi gli o- nori funebri che furon resi dall’amico Achille a quell’estinto eroe, e particolar- i Galleria oraer. Iliade, Voi. 11 , Tavole cxcix , 3 loghirami, MoDum. etr. ser. 11 , p. 45°- cc, cci, ccn. 4 Lib. xxn, v. 34 - a Plot., Vii. Alexand. I? disciplina de vecchi Sabini ( che erano Etruschi ), di che non vi è stata mai veruna cosa piu incorrotta, e veneranda. E dicendo che lo stesso Numa era dotto anche nei liti peregrini, si deve intender qui di quelli di Samotracia, che erano i idrici , e tri- sti dei Pelasghi, Tirreni, Etruschi ancor essi, come altrove dicemmo , e lo abbiamo ripetuto pocanzi; E che i Romani riguardavano come peregrini, perchè tali erano divenuti per loro, essendo in tempi da essi lontani, passati dagli Etruschi ai Samotraci . La scienza dei quali riti possedè Porsenna, e molto prima di lui anche Dardano, il quale portossi in Samotracia pel solo oggetto di conferire con quei sacerdoti, e per introdurre poi in Troia una religione del tutto ponforme a quella dei suoi antenati, che era l Etnisca. E si noti, che il medesimo Tito Livio, e tutti gli antichi scrittori ci fanno sapere che il più volte nominalo Numa Pompilio fu religiosissimo, e propa¬ gatore in Roma di ogni pia istituzione ; Ove non altro ei propagò certamente, che riti etruschi. Ed ecco una erudita chiacchierata sulla scienza tonitruale, e fulguraria degli Etruschi. La quale potrebbesi ancora condurre più a lungo, ed arricchire di più al¬ tre peregrine notizie su questa recondita disciplina, se non fosse il già detto più che abbastanza pel nostro scopo. Ma come e quando mai, e per quale sovrumana poten¬ za , andarono a mancare queste, e tante altre superstizioni, stabilite , ed inveterate nel mondo, radicatissime nei cuori degli uomini, e venerate, e temute in tutte le re¬ gioni della terra aliar conosciute? In qual modo cessarono i terrori e la paura, onde avevano saputo gli antichi sacerdoti, di concerto sempre cui Despoti, invadere gli spiriti dei mortali, tenuti ognora da essi, a bello studio nella cecità, nel timore e nel¬ la più profonda ignoranza con mille misteriose ambagi, e con mille disperate minac¬ ce? Scomparvero tutte queste tenebre, e caddero tutti questi arcani e portentosi ordi¬ gni, al comparire della luce Evangelica. Al comparire di quella legge, t unica fra quante ne vide l'universo, che introducesse la vera libertà, e la vera eguaglianza fra gli uomini. Al comparire di quella legge in somma, che mette, davanti a Dio, a livello del più temuto tiranno, e del più potente monarca, anche il più infimo del popolo . In urna di marmo LI. : flnoai ; qflj LII. • . • J3 : M : 43 un. fm \iflj : miai : janavi : armo LIV. . • : iaruv/Hflm ; f\nn o Nell’orlo d’un vaso cinerario di terra cotta LV, mtvfl Jtiat v/rji 9° TAVOLA XC. È questo idoletto in piccolo, quello che dissi esser l'altro, rappresentato più in grande, e con alquanta varietà nelle Tavole XLIX, e LXVII di questa raccol¬ ta, essendo il presente di grandezza simile al suo originale. Ma la di lui picco¬ lezza, e 1 non esser vuoto, non permette che si riconosca per un cinerario, sic¬ ché fu tenuto soltanto pel nume che riceve, abbraccia e protegge gli estinti, che nati dalla materia terrestre tornano dopo la morte in seno alla terra, o per meglio dire alla natura mondiale, della quale Bacco era il nume tutelare. E poiché mi si dice che piu d uno di tali idoletti si trovarono in uno stesso sepolcro, da ciò argomento che speciale fu nel sepolto la venerazione pel nume da questa im¬ magine rappresentato. Al numero 2 si vede un fregio in bassorilievo che ricorre in giro in un va¬ so dei consueti chiusini di terra nera, e non v’è differenza in misura tra l’ori¬ ginale e la copia. Il significato mi sembra lo stesso dei precedenti lavori di si- mil genere. Vedo ancor qui come altrove la Chimera, e credo che l’oggetto so¬ stenuto in mano dagli uomini sia, come nei calendari egiziani, lo Scorpione si¬ dereo. Aoterò di passaggio a tal proposito che il famoso torso egiziano in ba¬ salto, che un tempo fu del card. Borgia, pubblicato dal eh. Lenoir alla Tavola VI del forno [, num. g si vede come qui una figura con Io Scorpione tenu¬ to per la coda, e dietro a se v’è parimente il leone con la coda che termina in un serpe, e con la Capra sul dorso, nè spiegasi differentemente che pei segni delle celesti costellazioni. Si vuol peraltro che nella Capra sopra del Leone si ravvisi il trionfo del Capricorno sopra il Leone, e probabilmente i due serpen¬ ti che nel nostro bassorilievo si manifestano, saranno quei che dominano il cie¬ lo nel tempo dell'indicato trionfo. A tal proposito, gli astronomi osservano, che mentre il Capricorno comparisce al nostro Zenith, la Vergine si mostra sotto il segno dello Scorpione , o del domicilio di Marte 3 : e difatti sì nel monumento chiusino, che nell'egiziano comparisce una figura che ha in mano uno scorpio¬ ne, se non che nell'egiziano si mostra femminile quella figura, che qui per la sua nudità, par eh esser debba maschile, ma ciò non si manifesta con sufficiente chia¬ rezza. Che i cavalli abbian luogo in simile rappresentanza relativamente ai Ca¬ valli siderei, già me n espressi altrove abbastanza,, ove mostrai principalmente es¬ sere il cavallo sidereo un paranatellone del levare eliaco dello Scorpione J . 3 Lettere di etnisca erudizione . Tom. i, pag. i85. 1 Lenoir, Nouvelle explic. des hieroglyphes a ivi. Tom.i, p. io4- % mente il giuoco del pugilato col cesto, che Omero 1 * pone il secondo tra gli spettacoli dati in onore di Patroclo nel di lui funerale 3 4 . Nei vasi, che negli annali dell’istituto di corrispondenza archeologica si dicono panatenaici, vedonsi a lato dei combattenti, col cesto come qui, degli uomini coperti d'un manto con braccio scoperto, e dall'in- terpetre attamente chiamati rabdofori 3 , i quali assistendo a quel giuoco hanno in mano una verga biforcata, similissima a questa dei presenti i . Le due ultime nude figure una soccombente all’altra prevalente, ancorché senza cesti alle mani, mo¬ strano che i pittori aggiungevan talvolta delle figure e dei gruppi a capriccio, ad oggetto d'empir lo spazio che doveasi dipingere. Se però consultiamo i più mo¬ derni sentimenti degli archeologi, troveremo-ammessa pure l’ipotesi, che una fi¬ gura umana stesa per terra presso alcuni combattenti, ascrivere si debba, unica¬ mente ad alcuno dei contrasti gimnici, senza ricorrere al particolare avvenimen¬ to di Patroclo per isvilupparne il significato 5 . TAVOLA LXXXVIII. Un sacerdote di Bacco ed una Menade con dei vasi libatori formano il sog¬ getto di questa pittura, e son frequentissimi quanto altri mai nei vasi fittili di¬ pinti , onde potremo giustamente ripetere col Lanzi che di cento vasi tornati a luce, novanta contengono soggetti bacchici. È singolare il tirso eh’ entrambe le figure sostengono, mentre ha un'armilla che nei tirsi non è comune, ma nem¬ meno del tutto insolita, senza che per altro s’intenda qual n'era l'oggetto. TAVOLA LXXXIX. Nell’oscurità di questo soggetto non altro saprei ravvisarvi che il celebre gre¬ co Capaneo estinto sotto le mura di Tebe. Altrove pure narrai come questi van- tavasi che avrebbe presa Tebe, volesse Giove o non volesse, ma provocati gli Dei con tali bestemmie, ne accadde che mentre il primo dava la scalata, Giove non lasciò compier l’impresa, e con un fulmine Io precipitò dalla scala e lo uccise 6 . Or io noto che qui si vede una scala squarciata dal fulmine, un uomo rovescia¬ to che dall’alto cade a terra, e dietro a lui le mura forse di Tebe, dove stanno alla guardia militari tebani. Le altre figure si possono intendere pel restante del¬ l’esercito, eh’è spaventato, e stramazzato a terra per lo spavento del fulmine. L'urna in marmo è cinque volte maggiore di questo disegno. i Iliad. lib. xx.111,11. 65 a. a Galleria omerica Iliade Tom. u, p. 18*. 3 Voi. n, p. 218. 4 Ivi, lav. xxi, io, 6. xxu, 8. 6. 5 Gerhard, Annali dell’istituto di corrispondenza ardi. Tom. in. p. 54 Anno 18 3 i - 6 Monumenti etr. ser. i, Tav. tav. lxxxvil. # mv XLIV, e altrove, mentre altri sono come il presente eseguiti in forma di vasi con capricciosi ornamenti, rivestiti per lo piu da fogliami, e con iscrizioni latine, come pur qui si legge, indicando il nome di Lucio Aulo Carino. Io stesso nel¬ la mia dimora in Chiusi vidi molti monumenti e rottami di essi, di stile greco e romano e bellissimi. TAVOLA XCV. Nell’interno d’ una tazza di terra verniciata in nero, si vedono queste due figure di color giallastro; e sono, per quanto mi sembra, d'uno .stile perfet¬ tamente simile a gran parte di quelle pitture monocromate dei vasi italo-greci. Vi si rappresenta un suonatore con cetra e plettro , in atto di attendere dalla Vittoria il premio del suo valore, e credo che ciò alluda ai pregi morali dell’ani- ma, che negli estinti son premiati nella vita futura; e perciò soggetti simili ed analoghi a questo si trovano frequentemente dipinti nei monumenti che pone- vansi nei sepolcri, ma ora corrono altre opinioni. TAVOLA XCVI. Se aver vogliamo un esatto conto d’ogni figura eh’è in quest’ urna di mar¬ ino, il cui disegno qui è un ottava parte del suo originale, non saprei se potes¬ simo riescirvi con plausibile disimpegno. Ma se consideriamo che gli artisti ob¬ bligati a trattare nelle opere loro un qualche mitologico soggetto, eran poi costret¬ ti ad ornarne tutto lo spazio del marmo che formava il primario lato dell’urna sepolcrale, ancorché il soggetto da loro scelto non richiedesse tante figure, quante ne occorrevano ad ornare lo spazio determinato, noi troveremo irreprensibile lo artista che abbonda in figure, ancorché non richieste dal soggetto che tratta, co¬ me ne somministra un esempio assai chiaro il bassorilievo di questa Tavola. Io vi ravviso Ulisse in atto di adoprare il suo arco, il qual potea dalle sole sue ma¬ ni esser teso, ed uccide i proci di sua moglie Penelope, i quali dilapidavano le di lui sostanze. Egli ha un berretto appuntato, eh’ è la consueta causia che lo di¬ stingue come famoso viaggiatore del mare ’. Sta con un ginocchio sull’ara, mostran¬ dosi protetto dai numi 3 nella difficile impresa d’esterminare egli solo coll'aiu¬ to del figlio Telemaco i tanti suoi nemici. La colonnetta sulla quale solevansi tener degli idoli domestici, mostra ch’egli è già penetrato nell'interno della sua casa, mentre le colonne doriche vedute nella parte opposta danno indizio che lo avvenimento accade nella sua reggia. La forza ch’egli mostra di fare col braccio destro per tendere un arco, fa ben ravvisare ch’ei solo poteva piegarlo a forza. i Inghirami, Monum. etr. ser. 1Ì1, p. 19. % Ved. p. 6i, e sq. e Monum. etr. ser. 1, p. 353 . 9 * W' TAVOLA XCI. Qui si mostra nuovamente un ago, o spillo crinale in oro di un lavoro de¬ licatissimo, considerando che nel suo capo segnato num. 1, della misura stessa di questo disegno, vi è il lavoro che portato in grande, si vede al min. 2 , il cui ornato è di semplice bizzarrìa. Il monumento di numero 3 si rende assai singolare, per essere una di quelle solite fermezze che in luogo d esser di bron¬ zo, come se ne trovano a centinaia, è doro, e rarissima. Si è creduto da taluno che queste fermezze servissero a chiudere il cadavere nel lenzuolo d amianto dove bruciavasi, ed in tal guisa è stata trovata ragionevole l'indifferenza che tali fer¬ mezze siano in maggiore o minor numero in un sepolcro; e se questo è, noi reputeremo più che altri opulente il morto presso al quale è stata trovata questa fer¬ mezza d’oro. Il numero 4 è similmente d’oro, e credesi frammento d'una collana . TAVOLA XCII. II pregio di questo monumento consistendo principalmente nella iscrizione dalla quale è circondato, così attenderemo di conoscerne 1 interpetrazione per ope¬ ra del cultissimo Vermiglioli che unitamente alle altre del Museo chiusino, ce le pie- para per darcele tutte di seguito in quest’ opera stessa. TAVOLA XCII 1 . I Centauri, che nel calendario del gentilesimo, servirono a notare il tempo d’autunno, in cui celebravasi coi misteri la commemorazione dei morti -, hanno servito altresì d'ornamento adattato alle lor cassette cinerarie, come qui si ve¬ de, figurandovi uno di tali mostri che avendo rapita una delle donne invitate alle nozze d’Ippodamia la difende dai Lapiti, che vogliono rivendicarla . TAVOLA XCIV. II disegno del vaso che qui presentasi la metà più piccolo del suo originale in marmo statuario,ci fa sicuri che in Chiusi, dove stato trovato, fiorirono due scuole assai diverse di scultura; funa etnisca, 1 altra romana, giacche si trovano recipienti eseguiti per l’uso medesimo di riporre ceneri di umani cadaveri, gli uni in forma quadrangolare a modo di cassetta, con bassirilievi di figure e con etiu- sche iscrizioni, come ne abbiamo fatti vedere in quest opera alle Tavole XIII, 1 Inghiraroi, Mommi, etr aer. i, p. 1 47» ^44- 9 94 TAVOLA XCIX. Sa mai v’ha luogo all’interpetrazione di queste due statuette di bronzo num, i e 2, i cui disegni sono grandi quanto i loro originali, potrei avventurare che 1 una di a. i fosse d’Apollo laureato in fronte e con tazza in mano, comesi vede altrove nei vasi dipinti 'ri’altra n. 2. diMercurio conpetasoin testa,sostenendo con la sinistra ma¬ no una sacca o borsa ,ch’è propria di questo nume, come tutelare del commercio a . La corniola che qui mostriamo al num. 3 , ci fa istruiti quanto dagli antichi fosse apprezzato il gruppo delle tre Grazie, che vediamo ripetuto in un modo medesimo in tanti luoghi e in tanti tempi diversi. La dimensione della pietra è misurata dall'ellisse num. 4- TAVOLA C. Fu posto in ridicolo il Gori celebre antiquario di cose etrusche, perchè fat¬ ti disegnare una quantità d’idoletti in bronzo che si conservano nella R- Galle¬ ria di Firenze i * 3 , pretese dare a tutti loro un nome speciale , formandone una serie di etrusche divinità senza rammentarsi che soggiogati gli Etruschi, signo¬ reggiarono i Romani in questo nostro paese, ove introdussero colle lor colonie artisti e culti sacri tutti lor propri. Perch' io vada esente da simil taccia non mi costringa l'osservatore a dare un nome all’idoletto di bronzo che i sig." edi¬ tori del Museo chiusino han posto al num. ì, 2 della Tavola C, che nel dise¬ gno trasmessomi per la incisione trovo notato esser della grandezza medesima dell'originale come pure l’altro di num. 3 . È grave danno per la scienza antiquaria che dai collettori di antichi monu¬ menti non facciasi caso nessuno della maniera come questi si trovano sotterrati, dal che non pochi lumi trar si potrebbero per la storia dell’arte, non men che dei riti sacri presso gli antichi. N’è prova la figura che trovo disegnata al num. 3 di questa Tav., mentre si scorge di un arcaico stile ben diverso da quello che spet¬ ta alla figura superiore . Or se questi idoletti furon sepolti promiscuamente fra loro in un sepolcro medesimo, potremo frale supposizioni lecite ammettere che la figura di num. 3 sia eseguita ad imitazione dell’ antico stile , e contempora¬ neamente all'altra modellata certamente quando nell'arte era noto uno stile assai più perfetto . Dopo varie mie riflessioni sul significato di queste donne che in piccol bronzo trovansi frequenti negli scavi d’Etruria, restai perplesso nelle due i Tishbein, Pittare de’ Vasi antichi posseduti dal cav. Hamilton. Tom. i, Tav. 8, 9 . » Visconti, Museo Pio dementino Voi. 1, Tav. r. 3 Museum etr. exhiben» insigne veterum Etru- scorum monumenta aereis tabulis cc, edita et illustrata . 4 Maffei, Osservazioni letter Tom. ir , p. *61. 93 L uomo già rovesciato per terra, che vedasi nel sinistro Iato dell’urna rispetto al riguardante, fa conoscere già incorniciata la carnificina dei proci. 11 giovine che vibra la bipenne sopra un armato può significar Telemaco, il quale si presta in aiuto del padre alla strage di quei malvagi. La Furia infernale tra le colonne della reggia attamente manifesta il terrore di sì lugubre azione che scompiglia la casa reale d’Ulisse.I due combattenti al sinistro fianco di quell’eroe son figu¬ re, a mio credere, arbitrariamente dall'artista introdotte ad empire un vuoto che restava senz’esse nel suo bassorilievo, come ho detto poc’anzi, ed anche in occa¬ sione di spiegar la Tavola LXXXV1I. TAVOLA XCVII. Mi sia permesso di rimettere ad altro miglior Edipo, ch’io non sono, d’in- terpetrare qual fosse l’intenzione degli antichi Gentili nel rappresentare questo , come pure mill’ altri idoletti di bronzo, che trovansi nello scoprire antichi se¬ polcri. Io posso dire soltanto essermi noto che innumerabili erano gl’idoli dagli antichi tenuti nei larari come dissi poc’anzi 1 . Ma non so poi quel che signi¬ fichino gran parte di essi, come il presente, nè per quali superstizioni passasse¬ ro nei sepolcri, qualora non sieno stati considerati che per semplici bronzi at¬ ti a dissipare i maleficii 2 . TAVOLA XCVIII. L’Arpocrate fanciullo inetto e silente, perchè non compiutamente ben forma¬ to, significativo del sole ibernale, è il soggetto che in questa piccola statuetta uguale al suo originale in bronzo si rappresenta. Fu antichissimo in Egitto, e ne conserva nel fior di loto, che ha in capo, il segnale, ma introdotto a’tempi de’To- lomei fra i Greci e fra i Romani formossene una divinità pantea 3 con forme non altrimenti egiziane, fingendolo un Amore, perchè da questi nasce lo sviluppo della natura produttrice , per cui gli posero in mano il corno dell’abbondanza che attender dobbiamo dallo sviluppo del calor solare, passato il tempo d’inverno. Il vasetto di terra cotta è parimente rappresentato di misura uguale al suo originale, ed è dipinto a figure nericcie con fondo giallastro pendente al bian¬ co, o piuttosto d’un bianco abbagliato, ed è d’un genere che gli archeologi con¬ vengono di nominare maniera egiziana 4 , sì perchè vi si vedono strane figure sul gusto di quella nazione, e sì ancora perchè in Egitto si trovan similissimi a questi. i Ved. la Tavola uxi. a Monum. etr., ser. i, p. 3 i 6 . 3 Iablonski Pantheon Aegyptior. lib. u, cap. vi, Etr. Mus. Chius. Tom. 1. § 7* s q- 4 Gerhard, Annali dell istituto di corrispondenza archeologica voi. in, anno i 83 i, p. i4> *4 orecchi, piedi e coda di cavallo, con busto virile: aggregato non comune in Sìmili fantastiche figure, delle quali ebbi luogo di trattare estesamente altrove, dandole per simboli autunnali II vaso che ha in mano quel mostro non è che un emblema di più per indicare la stagione d’autunno, allorquando s’empiono tali olle di vino. La donna che gli è dappresso è una Tiade seguace di Bacco. II perchè poi la unione di queste due figure significasse il passaggio della razza umana dalla vi¬ ta rozza e disordinata, alla virtuosa e civile per opera di Bacco e dei suoi misteri, è argomento sul quale scrissi altrove abbastanza per darne il conveniente sviluppo a . Delle due figure , che qui sotto al num. 2 si vedono riportate nella misura di un quarto più piccole dell'originale, dipinte nella parte opposta di questo vaso, non saprei indovinarne il significato, tranne il supposto d'un’armatura da un giovane ottenuta nel passaggio all’ età virile i . Il disegno del vaso è ridotto alla grandezza di un quarto del suo originale . TAVOLA CIV. Questo mistico specchio non può spiegarsi che mediante l'osservazione di molti altri, nequali per ordinario si trovano insieme dei numi o eroi di opposta na¬ tura o potenza. Spesso vi sono espressi Dioscuri, la cui consueta combinazione fu da me assai esaminata in altre mie carte , ov’io li mostrava in sostanza 4 espres¬ sivi di due contrarie potenze, le quali concorrevano, secondo i Gentili alla for¬ mazione e conservazione del mondo 5 . Qui pure è Teti e Giunone perpetuamen¬ te nemiche fra loro, di che ho pure altrove ragionato 6 . Che la donna seduta sulla pistrice sia Teti lo mostra chiaro un frammento d una tazza etrusca, dove la fi¬ gura medesima ivi dipinta ne porta il nome scritto. Che la donna opposta sia Giunone lo prova Io scettro che impugna. tavola cv. Il manico doppio di bronzo qui espresso nella grandezza del suo originale num. 1 mostrasi attaccato da un lato ad una testa femminile di nessuna significazione, e dall altra ad una maschera scenica virile, nel che manifestasi quanto fossero vaghi gli Antichi di variare ornamenti, giacché non altro che il capriccio può a\erli dettati, come qui li mostriamo, per ornarne un vaso di bronzo. Possiamo frattanto tener per sicuro che gli artisti di Chiusi non furono di meno elevato genio degli ercolauesi nell’eseguir le opere loro metalliche. Del bronzo in figura di masche¬ ra di cui vedu qui il disegno n. 2 , nulla so dire ad istruzione di chi l’osserva. 4 Monumenti etr., ser. 11. 5 Plutatc. de Iside et Osir. in prineip. 6 Galleria omer. voi. 1, tav. xxxix. opinioni o di assegnar loro il nome di Speranza o quel di Giunone *, invocata dal femminil sesso in loro tutela. Ma chi non sa che la Speranza, e la Fortuna, os¬ sia la fiducia di migliorar sorte nel mondo, era l’oggetto primario del culto gen¬ tilesco d’Italia? 5 . TAVOLA CI. Il bassorilievo della Tavola presente è un’urna di marmo due terzi maggio- giore di questo disegno. Qui, a parer mio, si rappresentano i due strettissimi amici Oreste e Pilade nel pericoloso momento d’essere a Diana immolati, per l'uso barbaro ordinato da Toante in Tauri, che li stranieri a quel lido approdati dovevano essere immolati a Diana tutelare del luogo <. Varie tragedie si scrisse- sero dagli antichi su questo soggetto, taluna forse delle quali dichiarava Oreste d’età più avanzata che Pilade, o l’età di questo più avanzata di quella dell’altro, e perciò Pilade più prudente, per cui cred’io, qui è l’uno imberbe, l'altro, barbato. Le donne che vi si vedono sono le sacerdotesse di Diana, che vicine al di lei altare stanno con i coltelli pronte ad immolare li sconosciuti stranieri. Le teste umane posate sull’ara medesima vi son per indizio della consuetudine di quel barbaro sacrifizio. Per simil modo vedonsi tali teste pendenti ad un albero presso l’altare di Diana, ove pure Oreste e Pilade son condotti al crudo supplizio in un sarcofago del palazzo Accoramboni di Roma, e recato in luce dal Winkelmann . TAVOLA CII. Questa Pallade in bronzo della gradezza dell’originale è come ognun vede, d’un gusto squisito. Nè vorremo negare, che sia di toscanica officina , giacché è tro¬ vata a Chiusi, quantunque lo stile dell’arte ivi usato direbbesi comunemente gre¬ co , o del buon tempo romano. Oltre di che possiamo additar quest’idolo col ge¬ nerico nome di Lare, vale a dire un di quei che i Gentili tenevan chiusi per loro devozione in alcuni armadi delle lor case col nome di larari. E dicevansi anche patellari, come Plauto li appella 6 , perchè avevano, come il presente, e co¬ me altri riportati in quest’Opera i, piccole patere in mano, in segno di doman¬ dare ai devoti le prescritte libazioni agli Dei. TAVOLA CIII. Riconosco per un satiro il mostro dipinto nel vaso num. i, perchè vi si vedono 1 Ved. p. 8. 5 Antichi momim. inedit. N°. 1 44 * 2 Ved. p. 18. 65 . 6 PJautoap. Inghirami Monum etr. ser. il. p. 3 2* 3 Plinio. Nat. Hist. lib. n, cap. vii, § v, p* 73- 7 Ved. Tavv. un, lxx. 4 Euripide, Ifigenia in Tauri nell’argoin. greco. L opposto lato del vaso che porta l'antecedente pittura ha similmente dipin¬ te quattro figure ammantate, insegno, secondo alcuni 1 , di precettato silenzio, co¬ me sembra che non ricusi di ammettere modernamente uno de’ più attenti ed eruditi interpetri di tali stoviglie, 3 o secondo altri della palestra e del bagno 3 , e gli ultimi che ne scrissero, notarono in tal circostanza, che riguardo ai bagni è assai più comune il vedere i loro utensili posti per dare indizio della palestra, che il trovar particolari espressioni della loro struttura. Quindi argomenta che i gio¬ vani avviluppati nel manto e forniti degli arnesi atti al bagno si mostrino di là partirne onde recarsi alla palestra 4 . Io peraltro che soglio dare al significato di tali pitture maggiore importanza, mentre le vedo sì ripetute da tutto il pagane¬ simo, dove fu in uso il seppellir vasi coi morti-senza neppure distruggere l'opi¬ nione modernamente invalsa, che significhino esse unicamente il passaggio dei giovani dai bagno alla palestra, proporrei altresì l’opinione, a parer mio non re- pugnante, che il vedersi in mano degli efebi gli strigili che usavansi a purgar la cute da ogni sozzura dopo il bagno, denotasse l’uso delle virtù catartiche, me¬ diante le quali veniva un’ anima virtuosa a purgarsi d’ogni viziosa impurità, e far¬ si degna della celeste beatitudine. Erano infatti virtù somiglianti insinuate nei ginnasi dai precettori, che in segno di loro autorità non meno che della disci¬ plina dottrinale che da lor comunicavasi agl’iniziati, e del silenzio che loro impo- nevasi circa i precetti religiosi dati colla massima segretezza, tennero, come qui, un bastone in mano 5 . Io dunque vedo nel vaso in complesso, l’immagine della bea¬ titudine in quel convito eh'è daH’anterior parte di esso già esposta antecedente- mente, e la occulta e misteriosa via di conseguirla nel significato degli strigili che hanno in mano i giovani qui espressi davanti ai loro precettori, e inistago- ghi. Leggo nel disegno di questa incisione mandatami da Chiusi esser le figure, rosse in fondo nero la metà dell’originale. TAVOLA CVIII. Ho il piacere di dar termine alla prima parte di quest’opera sul Museo chiu¬ sino, con un monumento de'più interessanti che vi siano stati esibiti, sì per la perfezione del suo disegno, come anche per l’epigrafi, dalle quali vanno indicate le figure di deità che vi si contengono. Quest’ultima qualità che rende il mo¬ numento assai pregevole alla considerazione degli eruditi, voglio dire 1’ essere 3 Ivi, e Gerhard Rapporto intorno ai Vasi Voi- centi. Sta negli Annali dell’ istituto di corri» spondenza archeologica , voi. m, anno i83i r primo fascicolo, Monumenti, p. 4 Gerhard , 1. cit. 5 Monum. etr. ser. v, p. 3o. 97 TAVOLA CVI. Fin ora sanasi detto esser qui rappresentata un agape o cena funebre, col¬ la quale si terminavano gli estremi onori che rendevansi agli estinti qualificati, ed a così giudicare ne moveva per ordinario il trovar vasi con tali pitture vi¬ cini sempre ai cadaveri ‘.Per simile analogia solevasi dire ancora esser quel con¬ vito, accompagnato da piacevole melodia, una immagine del godimento riserba¬ to alle anime virtuose negli Elisi dopo la morte, come promettevasi agli iniziati nei misteri del paganesimo a . Ma nel momento attuale corre opinione che non altro in pitture tali debbasi ravvisare, se non che domestiche mense ed allegrez¬ za sociale, senza frammischiarne l'allusione a varun culto religioso 1 2 3 . Rifletto pe¬ raltro che sfio spiego nel metodo primitivo, cioè l'allegorico, la mensa priva di commestibili, posso ripeter, come dissi altrove, non esser l’anima suscettibile di pascolo materiale, essendo la sola mensa un sufficiente segnale del godimento 4 . Se il pittore ebbe in animo di rappresentarci con questa pittura non altro che una domestica cena, dirò che la composizione resta incompleta per mancanza dei cibi, indispensabili ad effettuare l’azione del mangiare. Spiegai altrove simbolicamente anche Patto, come è qui, ripetutissimo in al¬ tre pitture, di una tazza sostenuta da un commensale cori un sol dito 5 , ove dissi che a tenore d’ una dottrina platonica le anime che debbono scendere in questa terra si trovano in uno stato il più leggero possibile, e quindi situate nel¬ la più elevata parte del mondo; e conchiusi esserla tazza del recombente signi¬ ficativa del recipiente del nettare per uso de'numi alzata da lui per simbolo del- Panima sì per la sua elevatezza, e sì ancora per la leggerezza che mostra uel- l’esser sostenuta con un dito 6 . E qui mi giova il notare altresì che nessuno dei tre recombenti mostra di bere alle tazze da loro sostenute, nè v’ è alcun va¬ so da cui rilevisi essere state empite onde bere . Non ostante anche le moder¬ ne opinioni hanno tal peso che meritano considerazione, ed io mi son fatto un pregio di esporle qui non volendomi caricare del giudizio sulla preferenza delle une sulle altre. Leggo nel disegno di questa incisione mandatomi da Chiusi es¬ sere la metà de! suo originale, e le figure di colordi rosa. 1 Vermiglio!!, Lezioni elementari di archeologia Voi. i, lez. •vm, § 6, p. 126. Monum. etruschi ser. v, p. 4y8 . 2 Monum etruschi, ser. v, p. 898. 4 ^°* 3 Annali dell istituto di corrispondenza archeol. Voi. ili, anno i 83 i, Gerhard, Monumenti Rapporto intorno i vasi volcenti, p. 5y. Raf¬ faello Politi, descrizione di due vasi fittili gre¬ co siculi agrigentini i 83 r. Ved, bullettaio del¬ l’istituto di corrispondenza archeol. num. xi, 6. novembre 1 83 1. 4 Monumenti etruschi ser. v, p. .874. ò Milli», Peintur. de \ases ant. tot». 11. PI. 58 . 6 Monumenti etr. ser. v, p. 376. - W" . ■ ;.;;Y ; ' Iv i;. 1 1-i. 1 . ■ i ■ >. ■ -li ■■ • ir -':i [!T V C R flS i K R 11 B ■j, -*■ • ‘ * r ' :A f ■ t : : -i : .!■ V fi . ' t. £ ; > C f- v •; r. f- M 5 !,$ 1 C V 5 V V* . c se ? n 11 a . Egè ri) ■' ' ’ ~ : Z > . ■ ■ . ■' ■ ■ : ì • ' ■ ' ■ - ; :r ' \ - . . . • ' i:- ai* 99 scritto, mi costringe a tenermi in assai ristretti limiti nel ragionarne, poi¬ ché i nientissimi sigg. TÌ editori di quest'opera destinarono con savissima sceltala illustrazione della parte epigrafica di tali monumenti al prof. Vermiglioli esper¬ tissimo quanto altri mai di sì difficile scienza. A sodisfar dunque soltanto la sollecita curiosità di chi osserva il monumento qui esposto mi permetto di accennar di volo, esser questo uno specchio misti¬ co di que’tanti che trovatisi storiati nei sepolcri d’Etruria, e solamente lisci in quei della Magna-Greeia, ed in esso esservi quattro figure di deità cioè la Parca, Apollo, Venereletea o libitina, e Giunone; e presso le indicate persone i nomi lo¬ ro scritti in etrusco. /3DIVM moiran nome della Parca ripetuto in altri di que¬ sti manubriati dischi 1 * . V4-1/3 Aplun nome chiarissimo d’Apollo, ed altresì ri¬ petuto io vari specchi etruschi 3 . HVT34 Letun Venere letea o libitinia , o Proserpina, che il Gerhard ha così bene illustrata per una Dea infernale, non di¬ stinta però dalla luna 3 , per cui cred’io qui si vede connessa in amplesso con Apol¬ lo considerato come il sole. Ecco dunque per la prima volta incontrato negli specchi mistici il nome di quella donna che sì ripetutamente vi si vede rappre¬ sentata, e che per Venere libitina azzardai nominarla tal volta anche prima del¬ la presente ed importante scoperta 4 . In fine AH 4/3 0 Talna eh’è nome altresì ripetuto nei mistici dischi, e che io sostenni con lungo ragionamento esser signi¬ ficativo di Giunone 5 quantunque disgiunta dai consueti simboli di questa Dea, men¬ tre qui ha lo scettro che la •fanno indubitatamente conoscere per la regina degli Dei unitamente con Giove che n’era il supremo loro imperante. Ma una più sodisfacente interpetrazione dell'etrusche parole qui riferite debbesi attendere dall’erudito Ver¬ miglio]/', al quale, come io dissi disopra, è destinata. In urna figulina LVI. i flit a a = flnflo ) f\XF\Y\M LVH. AlAtlqAD : 1SUfflM : lOqfld In urna figulina lviii. CO -A < l#q vn : im : fìURO Idem LIX. | M433 : VfflDt : 33 r Ì433 : VA LX V-ÌV# : VD flitmao i Monumenti etruschi ser. 11, p. 389. a Ivi, p. a 84 - 3 Gerhard, Venere Proserpina illustrata, p. i 5 , e 76, ved. Nuora collezione d’opuscoli e notizie di scenze, lettere ed arti, pubb. dal cav. Fr. In- ghirami tom. iv, p. 536 , 4 Monum. etr. ser. 11, p. 44 <a, 744, e ser. v,p. 193. 5 Ivi p. Sol. FIXE DEL VOLUME PRIMO . „ >XIV A'JfVlI JILìXX 11IXXX làaBaHBBsasaasa XXXZ'/Z/. «♦- A'/AZY.Y (IX XUI rm ;_i lira vz. 7 ’ LII fC) i Ouj/ IsUcAenni. eli/ __ T £,J\ T. L/A' • ■* * :* :■ - ■3TT J ^ JCZ/Z z,Jirv: - T» z^rjrji-'. IXX3TT 'X tea T^reiir. ■'ir**:-Jàz-j:. amiBft'igwpcj &r. CJI. v ~ asrr
Tuesday, April 5, 2022
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