A Francesco e Nicola GABRIELE TURI Il fascismo e il consenso degli intellettuali IL MULINO Copyright © 1980 by Società editrice il Mulino, Bologna. ©0680 Introduzione Quando, circa dieci anni fa, ho iniziato le ricerche con- densate in questi saggi, testimonianze e giudizi storiogra- fici erano unanimi nel riflettere la nota negazione crociana dell’esistenza di una cultura fascista: un giudizio che, come ho indicato nel testo, trova ancora oggi il suo principale e: più autorevole sostenitore in Norberto Bobbio, ma che ritorna anche in protagonisti della lotta antifascista e in studiosi di altre « aree » politiche e culturali, come Giorgio Amendola e Alberto Asor Rosa. I motivi del persistere di questa negazione, in chi pur si è dedicato da tempo a inda- gare con severo impegno civile sulla « funzione politica della cultura », richiederebbero una ricerca apposita, che metterebbe probabilmente in luce, accanto alla fortuna del crocianesimo e alla diffidenza verso l’intellettuale-funzio- nario di supposta matrice fascista, o all’originaria riduttiva lettura di Gramsci ', una decisa sottovalutazione, su un piano pit generale, del peso del « fenomeno » fascista nella storia italiana. È forse quest’ultimo l’elemento che continua a opporre maggiore resistenza alla corretta impostazione di un’indagine su una stagione culturale che non si esauri nel ventennio, ma proiettò le sue ombre anche sul periodo postfascista: con un bilancio, si badi bene, che non può ridursi a distinguere « vera » e « falsa » cultura, o a chie- dersi quali prodotti di « vera » cultura promosse il fasci- smo. « Per affermare che il fascismo non aveva legami con la “cultura” è necessario adoperare il termine in modo pu- ramente valutativo, escludendo dal suo ambito tutto ciò che viene giudicato dannoso, oppure minimizzare sistema: 1 Su alcuni di questi temi un primo spunto di ricerca è stato fornito da ‘E. Galli della Loggia, Ideologie, classi e costume, in AA.VV., L'Italia contemporanea 1945-1975, a cura di V. Castronovo, Torino, ‘Einaudi; 1976, pp. 379-434. Il fascismo e il consenso degli intellettuali ticamente il numero di punti di contatto esistenti tra il regime ed i mondi dell’arte e della letteratura, della filosofia e della storiografia », ha opportunamente osservato Adrian Lyttelton ?; e la notazione potrebbe essere estesa ad altre discipline, come quelle giuridiche ed economiche, per con- siderare, accanto a ciò che di non caduco fu prodotto nel campo dell’alta cultura — oltre che nel terreno inesplorato della mentalità dei diversi strati sociali —, anche i « pen- sieri che non furono pit pensati » *. Ma a una valutazione complessiva di questa tematica è di ostacolo un giudizio simmetrico a quello crociano, teso a mettere in dubbio l’esistenza di ur fascismo italiano: in questo senso Renzo De Felice ha fatto veramente scuola presso quanti hanno avallato la tesi propria del fascismo, di possedere una ideo- logia non reazionaria, o hanno tratto spunto dalle doti intel- lettuali di Bottai per presentarlo come « un fascista cri- tico » ‘. Solo pochi studiosi hanno cominciato, in questi ultimi anni, a presentare un diverso approccio al problema, te- nendo presenti i nessi tra la cultura, l’ideologia e gli obiet- tivi politici del fascismo °, e sfuggendo quindi al rischio di esaminare le idee dei singoli intellettuali in modo separato dal contesto in cui operarono °: rischio di un genere bio- 2 A. Lyttelton, La conquista del potere. Il fascismo dal 1919 al 1929, Bari, Laterza, 1974, p. 609. 3 A. Momigliano, Gli studi italiani di storia greca e romana dal 1895 al 1939, in AA.VV., Cinquant'anni di vita intellettuale italiana 1896- 1946, scritti in onore di Benedetto Croce per il suo ottantesimo com- pleanno, a cura di C. Antoni e R. Mattioli, Napoli, Edizioni scientifiche italiane, 1950, vol. I, p. 106. 4 Cfr. E. Gentile, Le origini dell’ideologia fascista (1918-1925), Bari, Laterza, 1975, e G.B. Guerri, Giuseppe Bottai, un fascista critico, pre fazione di U. Alfassio Grimaldi, Milano, Feltrinelli, 1976. 5 Cosî L. Mangoni, L’interventismo della cultura. Intellettuali e riviste del fascismo, Bari, Laterza, 1974; A. Montenegro, Politica estera e organizzazione del consenso. Note sull’Istituto per gli studi di politica internazionale 1933-1943, in «Studi storici», XIX (1978), pp. 777-817; M. Isnenghi, Intellettuali militanti e intellettuali funzionari. Appunti sulla cultura fascista, Torino, Einaudi, 1979. 6 Né più produttiva appare una lettura solo apparentemente rove- sciata, come quella di un Cantimori tutto politico che niente ci dice sul suo « mestiere » di storico: cfr. M. Ciliberto, Intellettuali e fascismo. Saggio su Delio Cantimori, Bari, De Donato, 1977, e le puntuali osser- 6 Introduzione grafico che — pur sempre utile e auspicabile — anche nei suoi esempi migliori tende a « eroicizzare » alcune perso- nalità anticipando spesso nel tempo gli esiti della loro ri- cerca culturale e politica. Abbiamo quindi ritenuto neces- sario — ai fini di una lettura « politica », per quanto pos- sibile, della cultura e degli orientamenti dei suoi produttori nel ventennio — porre al centro dell’indagine le istituzioni culturali del regime, di cui l’Enciclopedia italiana è, per l’alta cultura, l’espressione pit significativa, in quanto momenti di aggregazione degli intellettuali di cui il fasci- smo voleva acquisire il consenso. Istituzioni culturali che non si limitano a una « gestione » puramente esterna della cultura preesistente ”, ma producono anche contenuti nuovi, mettendo in circolazione modi di pensare o temi di studio funzionali all’ideologia dominante. Con ciò non vogliamo negare che il fascismo recuperi motivi già presenti nell’Ita- lia liberale — come il nazionalismo o le tendenze corpo- rative —, secondo l’« ideologia eclettica » del Pnf, prima « organizzazione politica unificata » della borghesia ita- liana, pronta a raccogliere ogni « prestito » capace di raf- forzarla *: motivi che tuttavia la borghesia prefascista — a meno di non darle credito di una coerenza e di una « preveggenza » che non ci pare abbia av uto nel suo com- plesso ® — non era riuscita a connettere saldamente insieme in quella sorta di koiné che nel periodo fascista, se pur si avvale di apporti diversi, non è meno omogenea per gli obiettivi che si pone e per la continua interscambiabilità tra cultura e ideologia. Un «linguaggio » alla cui formula- vazioni di G. Santomassimo in « Italia contemporanea », XXX (1978), n. 131, pp. 89-91. ? In questo senso si esprime, oltre ad Asor Rosa (citato nel testo), A.L. de Castris, Gramsci e il problema dell’egemonia negli anni trenta, in « Lavoro critico », XIX (1980), in particolare p. 61 (il numero è dedicato a « Le culture del fascismo »). 8 P. Togliatti, Lezioni sul fascismo, prefazione di E. Ragionieri, Roma, Editori Riuniti, 1970, pp. 14-15, 19-58. 9 Su questo collegamento tra Italia liberale e fascismo insiste S. La- naro, Nazione e lavoro. Saggio sulla cultura borghese in Italia 1870-1925, Padova, Marsilio, 1979 (su cui cfr. gli interventi di R. Romanelli, M.L. o Toniolo in «Quaderni storici », XV (1980), n. 43, pp. 30-254). Il fascismo e il consenso degli intellettuali zione contribuiscono, in misura e con capacità di manovra insusitate, i cattolici. È appunto considerandone la parte- cipazione massiccia alle istituzioni del regime — dove i col- laboratori si confondono, soprattutto dopo il 1929, con i critici dell’idealismo e, qualche volta, del fascismo stes- 80 —, che è possibile cogliere un aspetto non secondario della « trasformazione della presenza cattolica in Italia, non più caratterizzata, come nel prefascismo, da un rapporto preminente col mondo contadino, ma profondamente inse- rita a tutti i livelli nella moderna società industriale » !° con un insieme di « scambi » culturali che, anche in una prospettiva di lungo periodo, ha un peso ben maggiore della riflessione più propriamente religiosa di quei gruppi élitari nei quali si è voluto cogliere il nucleo della classe dirigente democristiana " Un'indagine approfondita sulla politica culturale del regime ci pare preliminare anche per valutare quelli che .abbiamo chiamato i « limiti del consenso ». Solo partendo dalla considerazione dell’esistenza di una vasta rete di isti- tuzioni fasciste che producono e trasmettono cultura — contro la quale si infrangono i sogni di una cultura « al di sopra della mischia » propri di un Formiggini — è possi- bile impostare un discorso sulla cultura « sommersa » du- rante il ventennio e sui suoi sbocchi nel 1945 — e anche in questo caso, più che affidarci ai « lunghi viaggi » dei «singoli, che rischiano di ridursi a personali esami di co- scienza senza grande risonanza, abbiamo rivolto l’atten- zione ad altri centri di aggregazione degli intellettuali e di diffusione della cultura, le case editrici, pur senza essere stati in grado di fornite quei preziosi dati « materiali » 10 M.G. Rossi, La Chiesa e le organizzazioni religiose, in AA.VV., La Toscana nel regime fascista (1922-1939), Firenze, Olschki, 1971, vol. I, p. 363. 1! Come ha fatto, analizzando la Fuci e il Movimento laureati cat- tolici, R. Moro, La formazione della classe dirigente cattolica (1929- 1937), Bologna, il Mulino, 1979; contro una prima formulazione di questa tesi ha polemizzato Pietro Scoppola che però, per esaltare l’im- pronta di rinnovamento impressa da De Gasperi alla DC, ha ribaltato la sua tesi originaria sostenendo il « sostanziale consenso al regime », senza incrinature, dei cattolici (Le proposta politica di De Gasperi, Bologna, il Mulino, 1977, p. 27). 8 Introduzione: dell’azienda editoriale che sono stati pionieristicamente fatti oggetto di studio, per un altro periodo, da Marino Beren- go !. Il mancato riferimento alla forza condizionante delle istituzioni del regime è infatti all'origine sia di facili asso- luzioni di una cultura che sarebbe passata indenne « attra» verso $ il fascismo, sia di altrettanto gratuite reprimende contro l’incapacità di rinnovamento delle forze di sinistra dopo il 1945. Fra l’accusa al PCI di essersi fatto carico del- l’« ideologia della ricostruzione » — per cui si sopravva-' luta il significato dell’« inquietudine politica » de « Il Poli- tecnico » —, e la riproposizione crociana di una cultura che, sotto il fascismo, « si era chiusa su se stessa, rivendi- cando la propria “autonomia”: e da una tacita contratta: zione col potere aveva ottenuto il permesso di vivere e di svilupparsi nella sua (pseudo) separatezza » , vi è infatti uno iato profondo che non permette di spiegare storica- mente gli indubitabili ritardi registrabili dopo il 1945 nel rinnovamento culturale. Il processo di affrancamento degli intellettuali dalla cultura del regime fu in realtà assai complesso, anche quan- do passò attraverso la difesa dell'autonomia della cultura. Vi può essere stata, da un lato, l’« indifferenza di fronte alla politica » di molti intellettuali che è all’origine sia di un loro acritico allineamento al fascismo *, sia di un arroc- camento attorno alla tradizione accademica, che nelle Uni- versità trovò alcuni spazi per mantenersi separata dalla militanza politica richiesta dal fascismo, anche se col rischio di un progressivo inaridimento 5. D'altro canto, in un 12 M. Berengo, Intellettuali e librai nella Milano della Restaurazione, Torino, Einaudi, 1980. 13 Cosî R. Luperini, Gli intellettuali di sinistra e l'ideologia della rico- struzione nel dopoguerra, Roma, edizioni di « Ideologie », 1971, in parti- colare pp. 34-35 e 56. 14 Ne ha parlato N. Tranfaglia, Intellettuali e fascismo. Appunti per una storia da scrivere (1971), ora in Id., Dallo stato liberale al regime fascista. Problemi e ricerche, Milano, Feltrinelli, 1973, p. 123. 15 Cfr. G. Turi, Le istituzioni culturali del regime fascista durante la seconda guerra mondiale, in « Italia contemporanea », XXXII (1980), n. 138, pp. 16-23, e, con ottica diversa, B. Bongiovanni - F. Levi, L’univer- sità di Torino durante il fascismo. Le Facoltà umanistiche e il Politecnico, Torino, Giappichelli, 1976. Il fascismo e il consenso degli intellettuali periodo in cui, dopo il 3 gennaio 1925 e la soppressione completa della dialettica politica, il terreno culturale di- venne nel paese un importante termine di confronto per verificare anche l’esistenza di schieramenti tendenzialmente politici, la rivendicazione dell’autonomia della cultura co- stituî negli intellettuali più consapevoli uno strumento per segnare una rottura nei confronti del regime, in vista della ricostituzione di un rapporto nuovo fra politica e cultura: fu questo il senso della battaglia di Croce, di alcuni dei principali collaboratori di Giulio Einaudi — in un primo luogo Leone Ginzburg —, e di alcuni settori di ascendenza democratica, socialista e positivista — per altro ancora da indagare in tutte le loro ramificazioni —, che abbiamo esem- plificato nel gruppo raccolto attorno alla casa editrice For- miggini. Non bisogna tuttavia dimenticare che la cultura elabo- rata dagli intellettuali del fascismo impose un arretramento del punto di partenza di una battaglia culturale — e poli- tica — che nel campo degli « avversari » fu necessaria- mente sfumata, ma anche non priva di oscillazioni, con- traddizioni e riflussi — tanto che poté apparire anticon- formista la ripresa di motivi sostanzialmente non antite- tici al fascismo, come nel caso del liberismo di Luigi Einau- di —, e che perciò non può essere immediatamente classi- ficata nella categoria dell’antifascismo. Se è quindi possi- bile constatare « come tanta parte della “intelligenza” ita- liana sboccasse [...] nell’Italia postfascista senza che le tra- sformazioni di superficie corrispondessero a reali rinnova- menti di fondo » ', ciò è addebitabile, più che a uno zdano- vismo che in realtà non conculcò alcuna esistente « cultura rivoluzionaria » !”, al ben più drastico condizionamento 16 E. Garin, Intellettuali italiani del XX secolo, Roma, Editori Riu- niti, 1974, p. XVI. 17 Elementi contraddittori si mescolano a interessanti suggerimenti di ricerca nella testimonianza di Franco Fortini: « Quando si farà la storia dello stalinismo italiano e si documenterà la repressione avvenuta fra 1944 e 1948 ai danni di una cultura rivoluzionaria non conformista che, incerta e confusa, pur si veniva formando; e quando si chiarirà fino a qual punto la debolezza intellettuale degli usciti dal fascismo, cioè di noi stessi, abbia cospirato obiettivamente con talune debolezze morali e con 10 Introduzione operato da tempo dal fascismo: con il risultato che il pro- cesso di rinnovamento degli intellettuali italiani si presen- terà assai più lento delle trasformazioni politiche del paese. Non ci sentiamo tuttavia in grado di dare giudizi definitivi sulla controversa questione, anche in questo campo, rela- tiva alle continuità o alle rotture nella storia d’Italia. Ci preme aver indicato un approccio di ricerca che ci sembra fruttuoso, e auspicare che i risultati raggiunti stimolino ulteriori indagini e riflessioni. Primo a seguire e incoraggiare questa ricerca è stato Ernesto Ragionieri, il cui ricordo è difficilmente cancella- bile in chi ne ha conosciute e apprezzate le doti umane, intellettuali, politiche: a lui va il mio principale debito di riconoscenza, nella speranza di essere rimasto fedele, al- meno in parte, alla sua eccezionale lezione di rigore scien- tifico. Fra quanti hanno letto interamente o in parte il datti- loscritto, ‘aiutandomi con correzioni e suggerimenti, ringra- zio in particolare Eugenio Garin, Giorgio Mori, Marco Palla, Michele Ranchetti, Simonetta Soldani e Maurizio Torrini; e, con loro, i numerosi studenti e amici che hanno discusso la tematica di questa ricerca nei seminari tenuti presso l’Istituto di storia della Facoltà di Lettere e Filo- sofia di Firenze. Né posso dimenticare chi, regalandomi una stagione felice, ha reso più leggera la mia fatica. Il lavoro non sarebbe stato possibile senza la preziosa collaborazione del personale della Biblioteca nazionale di Firenze e di quanti mi hanno facilitato la consultazione di fondi archivistici: il prof. Vincenzo Cappelletti per l’Ar- chivio dell’Istituto dell’Enciclopedia italiana; il dott. Er- nesto Milano e il signor Nunzio Selmi per l'Archivio edito- riale Formiggini presso la Biblioteca estense di Modena; la politica culturale stalinista, polemizzando contro quest’ultima da destra e cioè da posizioni radical-liberali invece che da posizioni marziste, allora sarà possibile farsi un’idea meno mitica di certi tentativi, come quelli del neorealismo cinematografico, del “Politecnico”, ecc.» (Verifica dei poteri. Scritti di critica e di istituzioni letterarie, Milano, Garzanti, 1974?, pp. 144-145). 11 .Il fascismo e il consenso degli intellettuali il personale della Fondazione Luigi Einaudi; Giulio Einau- di, Corrado Vivanti e l’archivista Giovanni Gava per. i documenti della casa editrice Einaudi; la signora Lola Balbo che mi ha concesso la visione delle carte di Felice Balbo da lei tanto amorevolmente custodite, e il prof. Nor- berto Bobbio che ha messo a mia disposizione il suo archi- vio personale. Non è stata invece possibile la consultazione dell’Ar- chivio Giovanni Gentile, ancora in attesa di una sistema- zione che permetta l’accesso agli studiosi. In questo volume si riproducono, con alcune modi- fiche, i seguenti saggi: Il progetto dell’Enciclopedia ita- liana: l’organizzazione del consenso fra gli intellettuali, in « Studi storici », XIII (1972), pp. 93-152 (si limita a riprodurre la tematica di questo articolo, senza nulla aggiun- gere, la maggior parte — 6 capitoli su 7 — del volumetto di G. Lazzari, L’Enciclopedia Treccani. Intellettuali e po- tere durante il fascismo, Napoli, Liguori, 1977, tributario del mio saggio anche per le fonti); Ideologia e cultura del fascismo nello specchio dell’Enciclopedia italiana, in « Stu- di storici », XX (1979), pp. 157-211; l'introduzione alla ristampa non integrale di A.F. Formiggini, Trent'anni dopo. Storia della mia casa editrice, Modena, Ricardo Fran- co Levi editore, 1977, pp. V-XLIV. Il saggio I limiti del consenso: le origini della casa editrice Einaudi è inedi- to: per questo ho potuto utilizzare il contributo CNR n. 78.02685.09. 12 Ideologia e cultura del fascismo: l’« Enciclopedia italiana » 1. Il 3 gennaio 1925 e la ricerca del consenso « Opere come l’Ernciclopedia, cui [Gentile] dette co- si valido impulso, hanno nella vita di un tempo un peso singolare. E innanzi ad esse, e alla loro penetrazione pro- fonda, conviene chiedersi se, per avventura, taluni giudizi correnti non debbano essere rivisti e corretti » !. L’osser- vazione di Eugenio Garin, fatta per inciso in una ricostru- zione generale della filosofia italiana del 900, comportava una verifica dell'equazione crociana fascismo-anticultura e cultura-antifascismo, e quindi quel più attento riesame delle vicende culturali fra le due guerre, in stretto rapporto con l’obiettivo del regime di organizzare il consenso degli intel- lettuali, che attende ancora di essere compiuto sistematica- mente. Cosf non solo l’Enciclopedia italiana — utilizzata da studiosi stranieri come fonte sulla « dottrina filosofica del fascismo » ? o come espressione dell’orientamento preva- lente nella cultura italiana del ventennio? —, ma anche l’opera di Gentile teorico del « periodo di consolidamento » del fascismo — come lo ha definito Lukàcs ‘ con espressione ben pir corretta della generica formula di « filosofo del fascismo » —, sono rimaste avvolte in un silenzio che è già per se stesso elemento di riflessione sui profondi condi- zionamenti subiti a lungo dalla cultura italiana del secondo 1 E. Garin, Cronache di filosofia italiana 1900-1943. Quindici anni dopo 1945-1960, Bari, Laterza, 19663, p. 408. 2 S.A. Efirov, La filosofia borghese italiana del XX secolo, Firenze, Sansoni, 1970, pp. 38-39. 3 E.J. Hobsbawm, I/ contributo di Marx alla storiografia, in AA.VV, Marx vivo. La presenza di Karl Marx nel pensiero contemporaneo, Mi- lano, Mondadori, 1969, vol. I, pp. 376-377. 4 G. Lukàcs, La distruzione della ragione, Tortino, Einaudi, 1959, p. 19. 13 Il fascismo e il consenso degli intellettuali dopoguerra, che negli anni venti e nel fascismo, e nel giu- dizio che ne aveva dato Croce, hanno la loro origine 5. Il discorso sul pensiero e l’opera di Gentile nel ven- tennio, condotto in prevalenza da suoi allievi nel « Gior- nale critico della filosofia italiana » — con particolare luci- dità da Ugo Spirito,che ha ricostruito le tappe del suo di- stacco dal maestro come sviluppo degli stessi principi attua- listi* —, è rimasto limitato a un recupero agiografico o a un anacronistico rilancio, privo di prospettive storiografiche perché astratto dall’analisi del fascismo, in cui Spirito ha voluto individuare, con un giudizio che richiede di essere specificato — pensiamo in particolare al peso che ebbe anche sul piano culturale il connubio chiesa-regime —, « la ragione effettiva della crisi del neoidealismo italiano » ?: tale, quindi, da non consentire quell’esame della « perso- nalità di Gentile come promotore e organizzatore di alta cultura sul piano nazionale » cui pur aveva richiamato il gentiliano Bellezza ®. Le stesse Cronache di Garin, mosse dall’intento di considerare « uomini e dottrine [...] come espressioni di un tempo e, insieme, come forze che in un tempo agirono » ‘, e attente a non cadere nella troppo sche- 5 Il primo studio moderno con intenti di completezza è quello del- l'americano H. S. Harris, La filosofia sociale di Giovanni Gentile, Roma, Armando, 1973 (ediz. originale 1960), condotto però nella costante preoc- cupazione — come affermava l’autore nella prefazione all’edizione origi- nale — di vedere «how far his “actual idealism” can be disentangled from its Fascist connections », da cui discende il giudizio sull’« oggetti- vità » dell’Enciclopedia italiana (p. 266); per una confutazione della « critica a Gentile sulla linea liberale » condotta da Harris cfr. U. Cerroni, La filosofia politica di Giovanni Gentile, in « Società », XVII (1961), pp. 302-19. Per una ricostruzione storica della figura di Gentile nel dopo- guerra e nel periodo fascista sono di grande utilità gli accenni, non tanto incidentali, di R. Colapietra, Beredetto Croce e la politica italiana, Bari- Santo Spirito, Edizioni del centro librario, 1969-70, 2 voll., le osserva- zioni di A. Lo Schiavo, La filosofia politica di Giovanni Gentile, Roma, Armando, 1971, cap. 8, e, pur con alcuni accenti apologetici, M. di Lalla, Vita di Giovanni Gentile, Firenze, Sansoni, 1975. 6 U. Spirito, Giovanni Gentile, Firenze, Sansoni, 1969, in particolare l'articolo qui raccolto su Gentile nella prospettiva storica di oggi (1968). Di Spirito cfr. anche Memorie di un incosciente, Milano, Rusconi, 1977. 7 U. Spirito, Giovanni Gentile, cit., p. 251. 8 V. A. Bellezza, Rassegna degli studi gentiliani più recenti, in « Gior- nale di metafisica », X (1955), pp. 123-124. 9 E. Garin, Cronache, cit., p. XI. 14 L’Enciclopedia italiana matida antitesi Gentile-fascismo e Croce-antifascismo, non colgono compiutamente la funzione « mediatrice » degli intellettuali — lasciando spesso indeterminato il « tempo » nel quale operarono, come ha notato Cantimori auspican- doneluna specificazione: « la società, le classi, le università, le istituzioni in generale, i partiti, le tradizioni culturali locali oltre che quelle nazionali, ecc. » !" —, cosî che, anche nel periodo da noi considerato, in cui quella funzione fu particolarmente valorizzata dal fascismo, lasciano impreci- sati i condizionamenti del potere politico e gli stessi « de- biti » culturali di alcuni intellettuali. Per chiarire non solo l’utilizzazione ideologica di di- verse correnti culturali da parte del regime in vista della creazione de l consenso, ma anche in che misura e perché mutarono nel ventennio i contenuti culturali di varie disci- pline, accolti o tenuti ai margini o respinti dal fascismo — anche in questo campo l’Italia del 1945 non si troverà nelle stesse condizioni del periodo liberale —, lo studio del- l’Enciclopedia italiana può essere particolarmente fruttuo- so: per il momento in cui fu ideata e preparata (1925-29) e realizzata (1929-37) — quello dello Stato totalitario —, l’autorità dei suoi promotori — basti pensare a Gentile o a Volpe —, l’ampio ventaglio di collaboratori qualificati e il carattere ufficiale che le fu impresso fin dall’inizio, e in modo definitivo nel 1933, essa rappresenta lo strumento forse più importante, accanto alla scuola, della politica cul- turale del fascismo, e quindi un test assai significativo per valutarne gli effetti di lungo periodo, non riducibili all’ideo- logia o alla propaganda del regime, anche se con queste con- nessi. Ma solo tenendo presenti gli obiettivi politici del go- verno mussoliniano dopo il 3 gennaio 1925 e la decisa sconfitta, anche sul piano culturale, degli avversari liberali e socialisti, è possibile spiegare come a Gentile fu possibile dare avvio alla colossale impresa enciclopedica, e l'ampiezza delle adesioni da lui raccolte anche da parte di intellettuali non fascisti. Se ancora nel 1923, nell’articolo Forza e con- senso, Mussolini poteva porre l'accento unicamente sul pri- 10 D. Cantimori, Studi di storia, Torino, Einaudi, 1959, p. 760. 15 Il fascismo e il consenso degli intellettuali dopoguerra, che negli anni venti e nel fascismo, e nel giu- dizio che ne aveva dato Croce, hanno la loro origine *. Il discorso sul pensiero e l’opera di Gentile nel ven- tennio, condotto in prevalenza da suoi allievi nel « Gior- nale critico della filosofia italiana » — con particolare luci- dità da Ugo Spirito, che ha ricostruito le tappe del suo di- stacco dal maestro come sviluppo degli stessi principi attua- listif —, è rimasto limitato a un recupero agiografico o a un anacronistico rilancio, privo di prospettive storiografiche perché astratto dall’analisi del fascismo, in cui Spirito ha voluto individuare, con un giudizio che richiede di essere specificato — pensiamo in particolare al peso che ebbe anche sul piano culturale il connubio chiesa-regime —, « la ragione effettiva della crisi del neoidealismo italiano » ”: tale, quindi, da non consentire quell’esame della « perso- nalità di Gentile come promotore e organizzatore di alta cultura sul piano nazionale » cui pur aveva richiamato il gentiliano Bellezza ®. Le stesse Cronache di Garin, mosse dall’intento di considerare « uomini e dottrine [...] come espressioni di un tempo e, insieme, come forze che in un tempo agirono » ”, e attente a non cadere nella troppo sche- 5 Il primo studio moderno con intenti di completezza è quello del- l’americano H. S. Harris, La filosofia sociale di Giovanni Gentile, Roma, Armando, 1973 (ediz. originale 1960), condotto però nella costante preoc- cupazione — come affermava l’autore nella prefazione all’edizione origi- nale — di vedere «how far his “actual idealism” can be disentangled from its Fascist connections », da cui discende il giudizio sull’« oggetti- vità » dell’Exciclopedia italiana (p. 266); per una confutazione della « critica a Gentile sulla linea liberale » condotta da Harris cfr. U. Cerroni, La filosofia politica di Giovanni Gentile, in « Società », XVII (1961), pp. 302-19. Per una ricostruzione storica della figura di Gentile nel dopo- guerra e nel periodo fascista sono di grande utilità gli accenni, non tanto incidentali, di R. Colapietra, Beredetto Croce e la politica italiana, Bari- Santo Spirito, Edizioni del centro librario, 1969-70, 2 voll., le osserva- zioni di A. Lo Schiavo, La filosofia politica di Giovanni Gentile, Roma, Armando, 1971, cap. 8, e, pur con alcuni accenti apologetici, M. di Lalla, Vita di Giovanni Gentile, Firenze, Sansoni, 1975. 6 U. Spirito, Giovanni Gentile, Firenze, Sansoni, 1969, in particolare Particolo qui raccolto su Gentile nella prospettiva storica di oggi (1968). Di Spirito cfr. anche Memorie di un incosciente, Milano, Rusconi, 1977. 7 U. Spirito, Giovanni Gentile, cit., p. 251. 8 V.A. Bellezza, Rassegna degli studi gentiliani più recenti, in « Gior- nale di metafisica », X (1955), pp. 123-124. 9 E. Garin, Cronache, cit., p. XI. 14 L’Enciclopedia italiana matida antitesi Gentile-fascismo e Croce-antifascismo, non colgono compiutamente la funzione « mediatrice » degli intellettuali — lasciando spesso indeterminato il « tempo » nel quale operarono, come ha notato Cantimori auspican- done! una specificazione: « la società, le classi, le università, le istituzioni in generale, i partiti, le tradizioni culturali locali oltre che quelle nazionali, ecc. » !° —, cosî che, anche nel periodo da noi considerato, in cui quella funzione fu particolarmente valorizzata dal fascismo, lasciano impreci- sati i condizionamenti del potere politico e gli stessi « de- biti » culturali di alcuni intellettuali. Per chiarire non solo l’utilizzazione ideologica di di- verse correnti culturali da parte del regime in vista della creazione del consenso, ma anche in che misura e perché mutarono nel ventennio i contenuti culturali di varie disci- pline, accolti o tenuti ai margini o respinti dal fascismo — anche in questo campo l’Italia del 1945 non si troverà nelle stesse condizioni del periodo liberale —, lo studio del- l’Enciclopedia italiana può essere particolarmente fruttuo- so: per il momento in cui fu ideata e preparata (1925-29) e realizzata (1929-37) — quello dello Stato totalitario —, l’autorità dei suoi promotori — basti pensare a Gentile o a Volpe —, l’ampio ventaglio di collaboratori qualificati e il carattere ufficiale che le fu impresso fin dall’inizio, e in modo definitivo nel 1933, essa rappresenta lo strumento forse più importante, accanto alla scuola, della politica cul- turale del fascismo, e quindi un test assai significativo per valutarne gli effetti di lungo periodo, non riducibili all’ideo- logia o alla propaganda del regime, anche se con queste con- nessi. Ma solo tenendo presenti gli obiettivi politici del go- verno mussoliniano dopo il 3 gennaio 1925 e la decisa sconfitta, anche sul piano culturale, degli avversari liberali e socialisti, è possibile spiegare come a Gentile fu possibile dare avvio alla colossale impresa enciclopedica, e l'ampiezza delle adesioni da lui raccolte anche da parte di intellettuali non fascisti. Se ancora nel 1923, nell’articolo Forza e con- senso, Mussolini poteva porre l'accento unicamente sul pri- 10 D. Cantimori, Studi di storia, Torino, Einaudi, 1959, p. 760. 15 Il fascismo e il consenso degli intellettuali mo termine — poiché « il consenso è mutevole core le formazioni della sabbia in riva al mare. Non ci può essere sempre. Né mai può essere totale » ! —, dopo il 3 gennaio si fece strada una linea politica più articolata e di più lunga durata che, se affidava a Farinacci l’esecuzione del momento della forza e della coercizione — mantenendolo come neces- sario presupposto del consenso —, puntava, dopo la scon- fitta delle forze politiche avversarie, ad acquisire l'adesione, non solo passiva, di quegli intellettuali ormai senza partito, o incerti, la cultura dei quali avrebbe potuto costituire, in assenza di alternative politiche, un fronte di resistenza al regime. Non è un caso che all’inizio del 1925 uno degli esponenti del fascismo che più si impegneranno nel tenta- tivo di formare una nuova classe dirigente, Giuseppe Bot- tai, dichiarasse su « Critica fascista » che il Pnf doveva « rivedere la sua azione per conquistare il consenso » "; e, se pure la crisi conseguente al delitto Matteotti aveva visto le prime incrinature fra quegli intellettuali che non avevano ancora preso le distanze dal fascismo in quanto vedevano nella collaborazione di Gentile una garanzia non solo per le sorti della riforma della scuola, ma anche per quelle del paese — basti pensare al « pessimismo » che si fa strada in Omodeo ", o a quello che è stato chiamato l’« Aventino pedagogico » di Giuseppe Lombardo Radice ! —, la situa- zione si presentava favorevole al fascismo per il disorienta- mento ideologico che permeava le file degli intellettuali libe- rali e socialisti. Nel 1923, quando si apri fra questi intellet- tuali un vasto dibattito sulla sconfitta dello Stato liberale e del movimento operaio, mentre Gramsci accusava il sociali- smo di « non avere avuto una ideologia, non averla diffusa i ll In B. Mussolini, Scritti e discorsi, Milano, Hoepli, 1934, vol. III, p. 78. 12 G. Bottai, Arzo nuovo. Il partito e la sua funzione, in « Critica fascista », III (1925), n. 1, p.1. 1 Cfr. ad esempio la lettera di Omodeo a Gentile del 5 agosto 1924, in (5. Gentile - A. Omodeo, Carteggio, a cura di S. Giannantoni, Firenze, Sansoni, 1974, p. 316. 4 Cfr. U. Margiotta, Giuseppe Lombardo Radice. Tra attualità peda- sa ed irrisoluzione storica, Reggio Calabria, Edizioni parallelo, 1975, p. 323. 10 L'Enciclopedia italiana tra le masse » , quasi con le stesse parole Gobetti affermava che «i partiti d’opposizione non hanno alimentato alcuna grande ideologia, il socialismo non ha trapiantato Marx in Italia », per cui « il trionfo fascista si connette a queste con- dizioni di impreparazione » !, e Ugo Guido Mondolfo so- steneva che « da una ripresa di idealismo il nostro movi- mento non può che trarre nuova forza e nuovo impulso », o cercava di dimostrare che poteva « essere morale e van- taggiosa [...] quella che si chiama la collaborazione di classe » !”; più in generale, la discussione sul marxismo che si svolse nel 1923-26 su « Critica sociale », « Rivoluzione liberale » e « Quarto stato », rimase « condizionata più che mai dall’idealismo dominante, e non poco ancora, da quello più accentratamente soggettivistico, l’attualismo gen- tiliano » !*. Cosi, se ancora nel marzo del 1925 « Il Mondo », dopo aver negato l’esistenza di un « nesso tra le riforme genti- liane e le ideologie fasciste », poteva registrare il falli- mento del fascismo nel tentativo « di attrarre nella sua orbita uomini di studio e di dottrina, di circondarsi della cosî detta classe intellettuale » !', nell’ottobre dello stesso anno — dopo il Manifesto degli intellettuali fascisti del 21 aprile — Croce, pur osservando che il fascismo « non solo è indifferente alla letteratura e alla cultura, ma intimamente ostile, sentendo che dalla cultura e dal pensiero sono venuti i pericoli [...] all'ordine sociale », era costretto a notare gli afaccendamenti inutili e mal graditi di « un certo nu- mero » di intellettuali — e fra questi « parecchi nostri ex- compagni di studi ed ex-amici » — che si erano messi al servizio del fascismo in una situazione di « assoggettamento 15 A. Gramsci, Che fare? (1923), in Per la verità, Scritti 1913-1926, a cura di R. Martinelli, Roma, Editori Riuniti, 1974, p. 269. 16 P. Gobetti, La mostra cultura politica (1923), in Scritti politici a cura di P. Spriano, Torino, Einaudi, 1969, pp. 457, 459. 1? U. G. Mondolfo, Una battaglia per il socialismo, a cura di E. Bassi, Bologna, Tamari, 1971, pp. 177, 185. 1 C. Luporini, I/ meerxismo e la cultura italiana del Novecento, in Storia d’Italia, vol. V, I documenti, t. 2, Torino, Einaudi, 1973, p. 1604. 19 Il fascismo e la cultura, in « Il Mondo », 6 marzo 1925 (anonimo). 17 Il fascismo e il consenso degli intellettuali a ferrea disciplina » ?. A Croce sfuggiva tuttavia l'ampiezza e la qualità del fenomeno, in quanto era e rimarrà con- vinto che tra fascismo e cultura ci fosse un’opposizione in termini. Come partito medio, come idealità che richiede esperienze e meditazione, senso storico e senso delle cose complesse e com- plicate, e insomma finezza mentale e morale, il liberalismo, è il partito della cultura; e liberale fu il nostro Risorgimento, ne! quale cultura e amor di patria confluirono. Socialismo e autorita- rismo, invece, in quanto partiti estremi, ritengono non poco di astratto e di semplicistico, e perciò, come sono facilmente ricevuti dagli animi e dalle menti giovanili, cosi presentano i segni caratte- ristici della scarsa o unilaterale cultura 2!, aveva osservato Croce in un articolo del 12 marzo 1925 che gli era valso da parte di Gentile, teso a presentare il fascismo come « vero » liberalismo, l’appellativo di « schiet- to fascista senza camicia nera » 2. Si era alla vigilia della rottura politica tra Croce e Gentile, e il « partito della cultura » del primo era destinato a rimanere un program- ma per il futuro: « le sue preoccupazioni sono tutte volte al futuro », osservò Gobetti esaltandone l’antifascismo iden- tificato con « la ribellione dell’europeo e dell’uomo di cul- tura », e sottolineando « la differenza tra Gentile dogma- tico, autoritario, dittatore di provinciale infallibilità e Croce politico, capace di riflessione e di dubbio », detentore di « una chiara idea dello Stato, che è forza soltanto in quanto è consenso » *. Ma, se giustamente veniva colta in Croce la « separazione impossibile » tra politica e cultura *, due ele- menti sfuggivano agli osservatori contemporanei: la capacità dimostrata dal fascismo, e in particolare da Gentile, proprio Di B. Croce, Pagine sparse, Bari, Laterza, 19602, vol. II, pp. 498, 500- #" R. Croce, Liberalismo, in Cultura e vita morale. Intermezzi pole- mici, Wari, Laterza, 19553, pp. 285-286. 22 (:. Gentile, Il liberalismo di B. Croce (21 marzo 1925), in Che cosa è il fuvcismo, Discorsi e polemiche, Firenze, Vallecchi, 1925, p. 154. ' |. Gobetti, Croce oppositore (6 settembre 1925), in Scritti politici, cli RUN 876, 878, 880-881. (tr. È. Garin, Benedetto Croce o della « separazione impossibile » fra politica © cultura, in Intellettuali italiani del XX secolo, Roma, Edi- toni uniti, 1974, pp. 47-67. IK L'Enciclopedia italiana a partire dal 1925, di combinare forza e consenso nel dar vita a istituzioni tendenti a centralizzare e organizzare le più diverse energie culturali, e la tendenza di molti intellet- tuali — che facilitò l’opera di Gentile — a separare (a dif- ferenza di Croce) cultura e politica, nell’illusione di poter continuare a coltivare la prima, anche all’interno delle isti- tuzioni del regime, senza « contaminarla » politicamente. Esemplare in questo senso appare la vicenda dell’Enci- clopedia italiana: opera di intellettuali non alla opposi- zione, come gli enciclopedisti francesi, ma ceto dirigente al governo, nata subito sulla base di uno stretto rapporto di compenetrazione fra intellettuali e potere politico, pur senza rompere immediatamente, secondo l’impostazione gentiliana, con alcuni esponenti dello Stato liberale, la suzm- ma culturale del fascismo riusci a convogliare verso un unico fine — con la parziale eccezione dei cattolici, al tempo stesso collaboratori e critici — anche intellettuali che non si riconoscevano nel fascismo. Per questo è possibile indi- viduare nell’Enciclopedia, oltre che nella riforma della scuola, un eccezionale strumento di diffusione della « rico- struzione gentiliana della tradizione intellettuale italiana », di « una storia della cultura italiana che è stata capace di penetrare dovunque, che è presente nei luoghi più impen- sati, presso gli avversari più acerbi, raggiungendo sottil- mente una egemonia non esaurita » ®, capace di soprav- vivere al fascismo. 2. Il progetto di Martini e Formiggini La prima idea concreta * di una grande enciclopedia 2 Cosî Garin nell’introduzione a G. Gentile, Storia della filosofia italiana, Firenze, Sansoni, 1969, vol. I, p. LI. 2% «L'idea era in tantissimi e si agitava da un trentennio negli am- bienti editoriali italiani », ricorderà Formiggini nell’ottobre 1925 rispon- dendo all’ex ministro della P.I. Anile che gli aveva attribuito la pater- nità del progetto (« L’Italia che scrive », VIII (1925), n. 10, p. 198). Un accenno a un non lontano tentativo di Emilio Treves, Domenico Demarsico e Pietto Barbèra, in A. F. Formiggini, La ficozza filosofica del fascismo e la marcia sulla Leonardo. Libro edificante e sollazzevole, Roma, Formiggini, 1923, p. 182. 19 Il fascismo e il consenso degli intellettuali nazionale italiana fu concepita nell'immediato dopoguerra, in ambienti di interventisti culturalmente estranei all’idea- lismo imperante: cominciò a prospettarla nel 1919 ” Ferdi- nando Martini, coadiuvato dallo storico Mario Menghini, l’appassionato curatore dell’edizione nazionale degli Scritti mazziniani; ad essi si associerà alla fine del 1922, in un estremo tentativo di attuare il progetto, l’editore Formig- gini, dal 1918 attivissimo nell’organizzazione e nella pro- paganda della cultura italiana. Il progetto, riconosciuto pi tardi « punto di partenza » per l’enciclopedia gentiliana, non fu « cosa modesta come tutto ciò che si poteva concepire in quel tempo di smar- rimento politico », come cercherà di far credere Giovanni Treccani alludendo alla crisi della democrazia liberale pre- cedente la marcia su Roma e all’incertezza dei primi tempi del fascismo *: il momento in cui nacque e la personalità del promotore ne testimoniano l’ampiezza delle prospettive, anche se falli per essere rimasto su un piano puramente editoriale, privo di un generale criterio informatore — dal punto di vista culturale — ed esposto a quelle difficoltà finanziarie e politiche che Treccani e il fascismo faranno superare a Gentile. « Si tratta di dare all’Italia, che non l’ha, una Enciclo- pedia nazionale come l’hanno la Francia, l'Inghilterra, la Germania e persino la Spagna », scriveva Martini al fedele Alessandro Donati il 16 giugno 1920, appena insediato il ministero di Giolitti, suo principale obiettivo polemico assieme a Nitti e ai socialisti; « facciamo, per consolarci, qualcosa che vada al di là dei giorni che viviamo — tristis- simi giorni » ?. Dalla constatazione della inferiorità italiana 2? Cfr. Biblioteca nazionale centrale di Firenze (d’ora in avanti BNF), Fondo Martini, lettere di Menghini, e G. Treccani, Enciclopedia italiana Treccani. Idea esecuzione compimento, Milano, Bestetti, 1939, p. 11. 28 Discorso in occasione della presentazione al duce dell’ultimo volume dell’Enciclopedia italiana (d’ora in avanti E.I.), 26 ottobre 1937, in G. Treccani, Enciclopedia italiana Treccani. Idea esecuzione compimento, cit., p. 91. 2 F. Martini, Lettere (1860-1928), Milano, Mondadori, 1934, p. 560. Su Martini cfr., per un parziale tentativo d’interpretazione, la prefazione di G. De Rosa a F. Martini, Digrio 1914-1918, Milano, Mondadori, 1966. 20 L’Enciclopedia italiana nel campo dell’organizzazione della cultura rispetto ai mag- giori paesi europei, scaturisce la necessità, e la possibilità, di ovviarvi dopo la guerra vittoriosa. Necessità che non è solo espressione dell’orgoglio per la forza politica recente- mente acquistata dal paese, da tradursi nell’affermazione della cultura italiana davanti al mondo; essa indica anche un’opera preliminare ancora da compiere, indispensabile alla conservazione di quella forza: combattere i contrasti interni costruendo, come strumento unificante di egemonia, una cultura razionale. La fierezza per l’unità, indipendenza e sicurezza finalmente conseguite, e la coscienza che l’Ita- lia era arrivata, dopo secoli di asservimento, ad eguagliare le grandi potenze europee, si unî nel dopoguerra al tenta- tivo della disgregata classe dirigente liberale — timorosa di perdere le sue conquiste con l'avanzata delle masse po- polari organizzate e d’ispirazione neutralista, socialiste e cattoliche — di rafforzarsi egemonicamente; di qui l’impor- tanza che la battaglia culturale, prescelta anche dalle nuove forze antagoniste, rappresentò per la borghesia: l’insistenza sul significato nazionale o italiano della cultura « tradi- zionale » — esaltato dalla guerra — mirò a unificare e controllare, a difesa dell’ordine costituito, gli intellettuali in gran parte già individualmente politicizzati, spesso in senso conservatore, dal clima bellico ®. Il programma di « rivolgimento spirituale » sotto il segno dell’ordine e della disciplina gerarchica, su cui insistette il Gentile di Guerra e fede, di Dopo la vittoria e dei Discorsi di religione, e sostenuto da pi voci nelle pagine di « Politica » — programma critico del giolittismo come « malattia » ita- liana —, fu in questo senso solo la espressione pit artico- lata e coerente della borghesia reazionaria che si ricono- scerà nel fascismo, definito « sforzo rivoluzionario » da Gioacchino Volpe che lo contrapportà polemicamente a un'immagine di comodo del socialismo: « muoveva dalla % Ci limitiamo a segnalare E. Garin, Cronache, cit., cap. VIII, e, pet un quadro europeo, H. Stuart Hughes, Coscienza e società. Storia delle idee in Europa dal 1890 al 1930, Torino, Einaudi, 1967, capp. IX-X. Per un settore particolare cfr. M. Simonetti, Storici italiani e rivoluzionari in Russia, in « Il movimento di liberazione in Italia », XX (1968), pp. 35-82. 21 Il fascismo e il consenso degli intellettuali accettazione della guerra, anzi dall’esaltazione di quella guerra, e si alimentò di quelle energie morali, di quel senso di disciplina, di quella capacità di iniziativa, di quel coraggio e spirito combattivo che la guerra aveva educato nella gioventii italiana, nella borghesia italiana. Accettava o accettò ben presto i valori tradizionali della nazione italiana, cioè si nutri di sostanza italiana: condizione neces- saria per poter far presa su di essa, per poter avere la colla- borazione o anche solo la benevola neutralità delle forze migliori del paese » *. L’idea di una grande Enciclopedia nazionale, non sem- plice opera compilativa e divulgativa come le enciclopedie « popolari » prebelliche *, rientra in questo programma di rafforzamento della borghesia italiana, in linea con la ten: denza degli Stati moderni a darsi, dopo crisi di crescita e di ricostruzione, una rinnovata organizzazione culturale (si pensi, per fare un esempio contemporaneo anche se rife- rito ad un’esperienza opposta a quella italiana, alla Grande enciclopedia sovietica iniziata a Mosca nel 1926, l’anno stesso in cui il dibattito sui caratteri della cultura socialista vide prevalere i sostenitori della tesi della « cultura prole- taria » *). La disponibilità di Martini a questo programma 31 G. Volpe, Storia del movimento fascista, Milano, Ispi, 1939, p. 210. 3 Come l’Enciclopedia popolare illustrata (1896-99, 4 voll.) e la Grande enciclopedia popolare (1913-29, 22 voll.), entrambe di Sonzogno. Se la Britannica fu l’enciclopedia da emulare, modello du seguire per un’opera « nazionale » fu piuttosto il Touring Club Italiano fondato nel 1894, giudicato dall’E. I. « nettamente nazionale per la sua vasta pene- trazione in tutte le classi sociali » (44 vocerm): il suo Atlante Internazio- nale, iniziato nel 1927, fu utilizzato dall’E. I. in seguito ad apposito ac- cordo editoriale (cfr. anche R. Almagià, Una grande opera italiana di cultura, in « Educazione fascista », XI (1933), pp. 613-618). AIUT.C.I, si richiamarono Formiggini e Martini come modello per la Fondazione Leo- nardo (cfr. « L’Italia che scrive », III (1920), p. 33, e A.I°. Formiggini, op. cit., p. 120). Al carattere «essenzialmente nazionale », del ‘T.C.I. accenna Gramsci, Quaderni del carcere, edizione critica dell'Istituto Gramsci a cura di V. Gerratana, Torino, Einaudi, 1975, vol. II, p. 1055. 33 Sui caratteri generali del dibattito sulla cultura svoltosi in U.R.S.S. prima del 1934 cfr. l’introduzione di V. Strada a Rivoluzione e lettera tura. Il dibattito al 1° Congresso degli scrittori sovietici, Bari, Iuterza, 1967, in particolare p. XLI. « La storia dimostra che ogni classe ha creato la sua enciclopedia », aveva affermato Bogdanov nel 1918 proclamando la necessità: di preparare una Enciclopedia operaia (cfr. S. Fitzpatrick, Rivoluzione e cultura in Russia. Lunabarskij e il Commissariato del popolo 22 L’Enciclopedia italiana sarà testimoniata nel 1925 dalla sua presenza nel consiglio direttivo dell’Istituto Treccani che ne riprenderà l’idea, ma è rintracciabile anche in tutta la sua attività di uomo politico e di cultura: auspice della impresa libica cui attri- buiva « questo inapprezzabile rinnovamento nostro, questa concordia di popolo di cui l’Italia non ha esempio nella sua storia » *, nel 1914-15 la sua azione per l’intervento era stata determinante * tanto da guadagnargli l'appellativo di « grande apostolo di italianità », come lo chiamò Trec- cani in occasione della fondazione del suo Istituto *. Nel corso della guerra aveva però saputo cogliere la profonda spaccatura tra la classe dirigente liberale e le masse popolati affette dalla « tabe del materialismo » — « il popolo minuto non ha capito il perché della guerra: della patria sente più poco, tormentato com’è dalle aspirazioni a migliori condi- zioni sociali », annotava nel Diario il 7 ottobre 1918” —, che, a suo giudizio, nel 1919-20 Nitti e Giolitti non erano riusciti a colmare per debolezza verso gli « elementi tor- bidi » socialisti *. Nel dopoguerra si ripresentava il peri- colo che nel 1894, di fronte ai primi passi del movimento operaio organizzato, aveva spinto l’ex ministro della Pub- blica Istruzione a manifestare a Carducci i suoi dubbi sugli effetti del laicismo liberale: per l’istruzione 1917-1921, Roma, Editori Riuniti, 1976, pp. 121-122). L’E. I. giudica la Grande enciclopedia sovietica condotta secondo un cri- terio « rigorosamente bolscevico », e particolarmente curata nella. parte scientifica e tecnologica (alla voce Enciclopedia). Nel 1929, nella prefa- zione al vol. I dell’E. I., Gentile sottolineerà il « pregio delle vaste opere collettive, che danno disciplina agl'ingegni e forma concreta e definita al pensiero di un popolo » (p. XII). fr. il brano del discorso da 28 dicembre 1911 citato in B. Croce, dhe d’Italia dal 1871 al 1915, Bari, Laterza, 1956!!, p. 357. 35 Cfr. F. Martini, Diario 1914-1918, cit., e G. B. Gifuni, Lettere ine- dite di Martini a Salandra, in «L'’osservatore politico letterario », XIII (1967), n. 12, pp. 7-33. G. Treccani, op. cit., 37 Cfr. anche pp. XLVILI. Kirk del Diario, cit. Giustamente Isnenghi giudica Martini, fra i protagonisti politici, «uno dei più franchi o meno reticenti nel collezionare gli indizi di insubordinazione nel paese e di messa in crisi del rapporto tradizionale d’autorità » (Il mito della grande guerra da Marinetti a Malaparte, Bari, Laterza, 1970, p. 348). 38 Cfr. F. Martini, Lettere, cit., p. 569 (15 novembre 1920). 23 Il fascismo e il consenso degli intellettuali di ciò che il Quinet dice con grande efficacia di parole e dimostra con grande autorità di esempi, che cioè le rivoluzioni politiche, le quali non accompagnino un rinnovamento religioso, perdono di vista l’origine loro e i primi intenti e finiscono a scatenare ogni cattivo istinto delle plebi; di ciò io sono convinto da un pezzo. Ma dopo il male che woî, tutti noi, caro Giosuè, abbiamo fatto, siamo in grado di provvedere a’ rimedi? A chi predichiamo? Noi, borghesia volteriana, siam noi che abbiam fatto i miscredenti, intanto che il Papa custodiva i male credenti; ora alle plebi che chiedono la poule au pot, perché non credono più al di lè, ritor- neremo fuori a parlare di Dio, che ieri abbiamo negato? Non ci prestano fede... abbiam voluto distruggere e non abbiamo saputo nulla edificare. La scuola doveva, nelle chiacchiere de’ pedagoghi, sostituire la chiesa. Una bella sostituzione! ” La sua estromissione dal parlamento dopo quaranta- cinque anni — in seguito alle elezioni del 16 novembre 1919 —, e le agitazioni sociali culminate nell’occupazione delle fabbriche, convinsero Martini dell’impotenza del me- 39 Citato da F. Chabod, Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896, Bari, Laterza, 19653, pp. 286-287, da integrare però col discorso di Martini alla Camera del 18 febbraio 1908, contro l’introduzione del- l'insegnamento religioso nelle scuole elementari (« opporre una religione di classe alla lotta di classe», come vorrebbe «una borghesia sgomen- tata dalle minacce del proletariato », sarebbe come «trattenere coi fu- scelli la corsa delle locomotive »: citato da S. Cilibrizzi, Storia parla mentare politica e diplomatica d’Italia da Novara a Vittorio Veneto, vol. III, Milano-Genova-Roma-Napoli, Società editrice Dante Alighieri, 1929, p. 344). Ma sarebbe da studiare tutta la sua posizione sulla scuola, da prima del 1892-93 quando fu ministro della P.I. nel primo gabinetto Giolitti (su cui cfr. D. Bertoni Jovine, La scuola italiana dal 1870 ai giorni nostri, Roma, Editori Riuniti, 19672, pp. 76-78), a quando nel 1920 dichiarò a Filippo Crispolti di essere favorevole all'esame di stato per le scuole medie (Lettere, cit., p. 558). Né è da trascurare, nello scrit- tore, l’aristocratica « toscanità » della prosa, guidata da un provinciale buon senso, che si attirò i giudizi negativi di Croce (ora in La letteratura della nuova Italia. Saggi critici, Bari, Laterza, 1929, vol. III, pp. 317-334) e di Gobetti (ora in Scritti storici, letterari e filosofici, a cura di P. Spriano, Torino, Einaudi, 1969, pp. 534-535), da approfondire nel senso indicato da Asor Rosa (Scrittori e popolo. Il populismo nella letteratura contem- poranea, Roma, Samonà e Savelli, 19714, p. 62) che ha incluso Martini fra i rappresentanti di una fase «regionale », ma non per questo meno nazionale, del populismo; tenendo tuttavia presente la vicinanza di Mar- tini ad Ojetti, il cui libro Mio figlio ferroviere (Milano, Treves, 1922) fu giudicato dall’amico «la vera storia d’Italia, dalle ultime fucilate dei combattenti alle prime bastonate dei fascisti » (Lettere, cit., p. 582), e da Prezzolini « uno dei segni precursori della reazione al disordine e alla debolezza dei governi italiani parlamentari del dopoguerra » (La cultura italiana, Milano, Corbaccio, 19302, p. 298). 24 L’Enciclopedia italiana todo liberale a risolvere i problemi che il paese aveva ere- ditato dalla guerra, e lo spinsero a seguire Salandra nel cammino che lo portò nel ’24 ad aderire al fascismo “. Lo spirito di riscossa nazionale da cui si senti animata la borghesia liberale interventista nell’immediato dopo- guerra e, insieme, i pericoli oggettivi per i suoi propositi e la sua stessa posizione, condizionarono anche l’Ewciclopedia nazionale, nelle aspirazioni come nel fallimento. Per il suo progetto in 24 volumi — quello di Treccani ne prevederà all’inizio 32, diventati poi 36 — Martini ottenne il patro- cinio della Società italiana per il progresso delle scienze (S.I.P.S.), la maggiore organizzazione scientifica del paese che fino dal 1907 univa alla diffidenza per il neoidealismo una decisa impronta « nazionale » ‘; ma per quattro anni cercò invano di assicurargli un’adeguata copertura finan- ziaria. Menghini — interventista e antigiolittiano *, non nuovo ad imprese enciclopediche * —, che a Roma tenne i contatti con Volterra, Bonfante e Almagià — membri del consiglio direttivo della S.I.P.S. —, nel 1920 iniziò trat- tative con Bonaldo Stringher, direttore della Banca d’Italia e amministratore della S.I.P.S. fin dalla fondazione *. Nel % Cfr. F. Martini, Lettere, cit., per il 1919-24 (a p. 554 per le elezioni del 1919). Per la sua concordanza con Salandra nel giudizio sul fascismo cfr. anche R. De Felice, Mussolini il fascista, I. La conquista del potere La, Torino, Einaudi, 1966, p. 286, e G.B. Gifuni, art. cit., pp. -29. ._ % Cfr. F. Martini, Leztere, cit., p. 560. Sulla S.I.P.S. cfr. R. Almagià, La società italiana per il progetto delle scienze, in « L’Italia che scrive », IV (1921), pp. 239-240, e il breve cenno di L. Bulferetti, Gli studi di storia della scienza e della tecnica in Italia, in Nuove questioni di storia contemporanea, Milano, Matzorati, 1968, vol. I, p. 652. 4 Il 23 ottobre 1919 scriveva a Martini: «Il popolo, pur troppo, agisce male: ma come agir bene con l’esempio che ha di tanti malgo- verni? Cosa debbono pensare le madri dei cinquecentomila figli morti, quando sentono che la guerra si doveva evitare? »; cfr. anche, contro Giolitti, la lettera del 23 settembre 1920. Sulle stesse posizioni era Ales- sandro Donati, ad es. nelle lettere a Martini del 30 novembre 1919 e 12 giugno 1920 (BNF, Fondo Martini). 43 Aveva diretto l’Enciclopedia contemporanea illustrata edita da Val- lardi, Milano, 1911-17, 4 voll. (fra i collaboratori, Emilio Bodrero e Ro- «berto Paribeni). . % Per l’elenco delle cariche sociali della S.I.P.S. dal 1907 cfr. ad es. Atti della Società italiana per il progresso delle scienze. Undicesima riu- nione - Trieste - settembre 1921, Roma, Società italiana per il progresso 25 Il fascismo e il consenso degli intellettuali ’21, attenuatesi le difficoltà economiche dell’anno prece- dente, Stringher — che aveva cointeressato anche Pogliani della Banca Italiana di Sconto, Fenoglio della Commer- ciale e il finanziere Della Torre che controllava un’im- ponente catena editoriale — promise il suo appoggio *; fu incaricato della realizzazione l’editore Bemporad, mentre Menghini cominciò ad interpellare gli eventuali direttori dell'impresa fra cui, sembra, Gentile 4. Ma nell’autunno del ’22 le incertezze delle banche non erano ancora vinte — anche dopo la presentazione da parte di Bemporad di un progetto molto ridotto rispetto a quello originario —, per cui Martini accettò il consiglio di Stringher di affidare la realizzazione dell’enciclopedia a un gruppo editoriale da promuoversi attorno a un editore « di prima grandezza ». La scelta cadde su Angelo Fortunato Formiggini e sulla Fon- dazione Leonardo da lui creata: fu questa la via per la quale l’idea passerà a Gentile. I propositi culturali nazionali della Leonardo, analoghi a quelli di Martini che ne fu il primo presidente, si affiancavano a quelli dei numerosi istituti di propaganda culturale nati o nuovamente sviluppati nel dopoguerra, ma con un'impronta originaria — prima dei condizionamenti governativi e dell’intervento di Gentile — nettamente diversa dal deciso accento politico e nazionalistico che fin dall’inizio aveva avuto, ad esempio, la Dante Alighieri ‘ delle scienze, 1922. Nel 1920 si profilò il pericolo di una concorrenza al progetto di Martini, da parte di un editore di Bergamo, che sembra si fosse assicurata la collaborazione di Gentile, Chiovenda, Paribeni (BNF, Fondo Martini, lettere di Menghini, 25 giugno e 7 luglio 1920, e di Donati, 25 luglio 1920). 4 Per tutto l'andamento delle trattative cfr. le lettere di Menghini a Martini (loc. cit.). Sulle compartecipazioni editoriali di Pogliani, Fenoglio e Della Torre, utili notizie in V. Castronovo, La stampa italiana dall'Unità al fascismo, Bari, Laterza, 1970, ad indicem. 4 Menghini a Martini, 18 maggio 1921: «Passando per Firenze non potrebbe interrogare il Cadorna? Io potrei incaricarmi del Gentile: Mar- tini, Stringher, Volterra son già de’ nostri. Come fare per Marconi, Luz- zatti, Ciamician e Murri? » (BNF, Fondo Martini). Su Bemporad editore negli anni venti di « Critica sociale », cfr. A. Gramsci, Quaderni del car- cere, cit., vol. I, p. 321, e l'intervento di Piero Treves in La Toscana nel regime fascista (1922-1939), Firenze, Olschki, 1971, vol. II, pp. 423-424. 4 Sulla funzione di « grande milizia civile » svolta dalla Dante Ali- ghieri, fondata nel 1889 da Ruggero Bonghi, cfr. P. Barbèra, La « Dante 26 L’Enciclopedia italiana l'opera di Formiggini si rivolgeva soprattutto all’interno, in un tentativo di unificazione culturale che, iniziato nel 1918, con la rivista bibliografica « L’Italia che scrive », trovava in tutta la sua attività prebellica i motivi della sua estraneità all’idealismo e, dal 1923, dell’avversione per la « setta filosofica » gentiliana giudicata « tirannide dottri- nale » contraria alla manifestazione delle diverse correnti culturali * L’intento di sviluppare all’estero la conoscenza della cultura italiana aveva portato. Formiggini ad un incontro con le prospettive nazionalistiche degli organi statali pre- posti alla stampa e alla propaganda * e, su queste basi, alla creazione dell’Istituto per la propaganda della cultura ita- liana che, dopo aver ottenuto un sostegno anche da parte degli industriali, fu inaugurato ufficialmente a Roma nel marzo 1921 ed eretto in ente morale, col nome di Fon- dazione Leonardo, nel novembre dello stesso anno, con Alighieri », relazione storica al XXV Congresso (Trieste-Trento, 1919), Roma, Società nazionale Dante Alighieri, 1919, e Id., Quaderni di me- morie stampati ad usum delphini, Firenze, Barbèra, 1921, pp. 208 e 461-487, dove è anche una professione di fede di Barbèra, nel 1919 segre- tario del Consiglio centrale della Dante (« non son socialista, perché credo la essenza di tal dottrina contraria a natura e giustizia, e poiché essendo essa necessariamente internazionale è contraria al principio di nazionalità che è anch'esso legge di natura »: p. 220), conforme ai fini della Dante, nata a rinnovare il « pensiero della Patria » negli emigrati e nel proleta- riato che, « ansioso di migliorare le sue penose condizioni, sentî il bisogno di organizzarsi per le rivendicazioni dei suoi diritti e di allearsi al prole- tariato degli altri paesi con vincoli internazionali » (P. Barbèra, La « Dante Alighieri », cit., p. 3). Nel 1890 e 1910 fu consigliere della Società anche Martini (ibidem, p. 179). 4 A.F. Formiggini, La ficozza filosofica del fascismo, cit., p. 40. Sulla figura e l’opera di Formiggini cfr. in questo volume, pp. 151-192. 4 Nel 1918 Formiggini ottenne per le Guide bibliografiche il patro- cinio della Commissione per la propaganda del libro italiano all’estero, presieduta dal nazionalista Gallenga Stuart («L'Italia che scrive», I (1918), pp. 103-104), suscitando i dubbi di Gobetti sull’efficacia e l’impar- zialità culturale dell’iniziativa (ora in Scritti politici, cit., pp. 21-23); cfr. anche L. Tosi, Romeo A. Gallenga Stuart e la propaganda di guerra all’estero (1917-1918), in « Storia contemporanea », II (1971), pp. 519-542. Già nell’ottobre 1919 fu annunciata la costituzione dell’Istituto per la propaganda della cultura italiana — poi inaugurato nel ’21 — sotto la presidenza di Martini e Comandini (commissario per la propaganda all’In- terno) e, fra i consiglieri, il direttore del «Giornale d’Italia » Berga- “mini, Buonaiuti, Formiggini, Croce, Einaudi, Prezzolini (« L’Italia che ‘scrive », II (1919), p. 126; cfr. anche il frontespizio del n. 12). 27 Il fascismo e il consenso degli intellettuali Martini presidente, Orso M. Corbino vice-presidente, Gen- tile e Amedeo Giannini delegati rispettivamente del mini- stro della Pubblica istruzione e di quello degli Esteri, Ro- berto .Almagià e Giuseppe Chiovenda consiglieri, Formig- gini consigliere delegato alle pubblicazioni. I nuovi accordi e le nuove compagnie si dimostrarono subito pericolosi e condizionanti, tali da non permettere che l’ente svolgesse quel compito di « equilibrata armonizzazione di correnti opposte » che Formiggini sperava ereditasse dalla sua ri- vista. Il suo ideale di imparzialità si rivelò un’arma a doppio taglio, permettendo in questa fase che altri utilizzasse l’ini- ziativa per i propri fini. Già nel luglio 1921 il consiglio direttivo della Leonardo, dicendosi convinto che « la forza di espansione necessaria alla cultura italiana [...] non possa derivare da artificiali argomenti di propaganda [...], ma soltanto dal valore stesso della nostra cultura », affermava con linguaggio trasparentemente gentiliano che « creare la cultura è la prima condizione della sua propaganda; ma la cultura non esiste se non nello spirito che l’alimenta accogliendola e sentendola »; considerava quindi necessa- rio « organizzare un lavoro di propaganda interna diretto a ravvivare negli animi il concetto di quanto nella cultura italiana fu veramente originale e arrecò un contributo incontestabile al patrimonio spirituale dell'umanità », e affidava questo compito a una serie di conferenze tenute da Gentile, Croce, Vittorio Scialoia, Arturo Farinelli, Vitto- rio Rossi, Corrado Ricci. Era un chiaro rifiuto del pro- gramma culturale di Formiggini e della sua casa editrice. L’iniziativa di quest’ultimo divenne « impersonale », cioè « nazionale », come egli stesso dichiarò, e la Fondazione si propose, secondo le dichiarazioni di Martini, di « propa- gare il pensiero nazionale fra i popoli civili e ciò non con intenti imperialistici, ma unicamente col proposito di far sapere chi siamo e che cosa facciamo ». Ma in breve tempo Gentile, forte dell’appoggio governativo, riusci ad assu- mere il controllo della Fondazione — dal giugno ’22 pre- sieduta da Ivanoe Bonomi —, separandola progressiva- mente da « L'Italia che scrive », sull’esempio della quale — e utilizzando molti dei suoi collaboratori — modellerà 28 L’Enciclopedia italiana più tardi il « Leonardo » affidato nel ’25 a Prezzolini e poi a Russo. Il 21 febbraio 1923 l'assemblea sociale della Fon- dazione, manipolata da Gentile promotore della « marcia sulla Leonardo » — stando alle accuse di Formiggini® —, rovesciò il consiglio direttivo, che fu ristrutturato sotto la presidenza del nuovo ministro della Pubblica istruzione del primo gabinetto Mussolini 5. L’ente e il suo patrimonio saranno assorbiti nel ’25 dall’Istituto nazionale fascista di cultura”, mentre Formiggini continuerà ne « L'Italia che scrive » a inseguire ingenuamente il suo sogno di rispec- chiare, in una Italia in cui molte voci andavano ormai spen- gendosi, tutte le correnti della cultura nazionale *, senza comprendere come fosse ben diversa dall’opera di armoniz- zazione da lui auspicata la « volontà esplicita del Governo di assumere la diretta gestione di tutti gli organismi di propaganda nazionale » *. La parabola della Leonardo segnò il destino dell’Enci- clopedia nazionale progettata da Martini: proprio nella seduta del 21 ottobre 1922 che sanzionò — ad opera di Gentile — il definitivo distacco dell’Istituto da « L’Italia che scrive », Formiggini comunicò al consiglio direttivo della Leonardo di essere stato incaricato da « un gruppo di amici che facevano capo a Ferdinando Martini », rima- sto presidente onorario della Fondazione, di realizzare una Grande Enciclopedia Italica per « sodisfare la lunga attesa della Nazione e dar vita ad un’opera che, mercé una larga diffusione in Italia e nei centri culturali stranieri, giovi gagliardamente al progresso intellettuale del nostro Paese 5 Cfr. «L'Italia che scrive », I (1918), pp. 103-104; II (1919), p. 126; IV (1921), pp. 80-84, e n. 7, p. 148; V (1922), p. 15, p. 136 e p. 231; A.F. Formiggini, op. cit., pp. 103-123, 139-165, 225-237. 51 Con Gentile presidente e A. Giannini vice-presidente, erano con- siglieri R. Bottacchiari, G. Calabi, E. Codignola, E. Quirino Giglioli, F. I Massuero, G. Lombardo Radice, V. Rossi (« Leonardo », I (1925), n. l). 5 Cosî affermerà Formiggini, ancora in epoca fascista (Venticinque anni dopo, Roma, Formiggini, 19332, p. 32; cfr. anche Trent'anni dopo. Storia di una casa editrice, Amatrice, Formiggini, 1951, p. 88). 53 Ancora nel 1931, come attesta G. Salvemini, Scritti sul fascismo, Milano, Feltrinelli, 1966, vol. II, p. 580. % A.F. Formiggini, La ficozza filosofica del fascismo, cit., p. 267. 29 Il fascismo e il consenso degli intellettuali e al buon nome dell’Italia nel mondo ». Ritenendo impos- sibile ricalcare le orme della Britannica, Formiggini ridusse, come già aveva fatto Bemporad, il progetto originario di Martini — 18 invece di 24 volumi —, e ne affidò la rea- lizzazione a un costituendo consorzio editoriale librario (con la partecipazione anche dei maggiori periodici italiani), sempre sotto il patrocinio della Società italiana per il pro- gresso delle scienze. I redattori sarebbero stati scelti fra i membri di quest’ultima, dell’Accademia dei Lincei e della Leonardo, che avrebbero lavorato sotto la direzione non di un filosofo o di uno scienziato, ma di un tecnico, un « bi- bliografo e bibliotecario », per rendere la Grande Enciclo- pedia Italica, come voleva Formiggini, « specchio completo e obiettivo dello stato presente della nostra cultura », « opera espositiva e di coordinamento delle varie dot- trine »: era respinto il consiglio di Croce — di non fare opera eclettica, perché « una Enciclopedia deve avere un’a- nima sua, una sua coerenza » 5 —, condiviso anche da Gentile * Ma la « marcia sulla Leonardo » travolse Formiggini, che fu abbandonato da Martini”; questi continuerà a col. tivare la speranza di attuare l’enciclopedia, finché non con- fluî nell’iniziativa gentiliana *, mentre Formiggini, abban- donato il vecchio progetto ”, riuscirà a dare inizio a una nuova Enciclopedia delle Enciclopedie divisa per sog- 55 Ibidem, pp. 161, 179-212. 56 Nel 1925, all'annuncio dell’E.I., Formiggini scriverà che «il Gen- tile di oggi (l’ho detto) non è più quello di ieri. Egli allora era in piena armonia con Croce, il quale avrebbe voluto una enciclopedia, tutte le ‘pagine della quale concorressero ad uno stesso fine concettuale » (« L'Italia che scrive », VIII (1925), p. 66). ST Il 26 febbraio 1923 Menghini scriveva a Martini che «il trionfo «della tesi del Formiggini fu quello di Bemporad, e che non si tratta pit di una enciclopedia scientifica, ma di una a base Larousse », e conclu- deva: « appena potrò, vedrò il Gentile, a cui narrerò tutto: e spero inte- ressare il Governo alla impresa » (BNF, Fondo Martini). 58 F. Martini, Lettere, cit., pp. 599-600 (a Formiggini, 13 novembre 1923). 59 Cfr. A.F. Formiggini, Programma editoriale della collezione e L'Enciclopedia Italica, in «L'Italia che scrive», VII (1924), p. 82, e VIII (1925), p. 12. 30 L’Enciclopedia italiana getti ®: ma quando ormai l’idea della Enciclopedia italiana, ereditata da Gentile assieme alla Leonardo, era stata rilan- ciata dall’Istituto Treccani. 3. L'intervento di Treccani e Gentile Il progetto di Martini fu realizzato fuori del ristretto ambito editoriale in cui era stato confinato da Formiggini e con la forte impronta culturale di Gentile; ma il rapido successo dell’iniziativa « privata » di Treccani e Gentile fu reso possibile soprattutto dalla nuova realtà creata dal fa- scismo, che favori una stretta compenetrazione tra interessi politici industriali culturali, e fece sentire l’opera utile, anzi necessaria © alla cultura e alla forza dello Stato nel quadro di una più generale riorganizzazione del potere: il carattere « nazionale » dell’enciclopedia non si presentò più solo come aspirazione da raggiungere — espressione di italianità frutto di tutte le forze intellettuali del paese —, ma anche come conseguenza del « nuovo ordine » che si autodefiniva « nazionale ». Fu alla fine del 1924 che Gentile, presidente della Leonardo e, fino al giugno di quell’anno, ministro della Pubblica istruzione, riprese e sviluppò il progetto di Martini, trovando un pronto aiuto economico nel senatore Giovanni Treccani , la cui figura % Cosî annunciata nel novembre ’25 ne «L'Italia che scrive» (p. 206): «È noto che avevo studiato il piano di una Grande Enciclopedia Italica e che altri sta realizzando con grande abbondanza di mezzi quello che era stato il mio proposito. Mi si rimproverava allora di voler dare uno specchio fedele di tutte le correnti del pensiero degne di considerazione senza asservire l’opera ad una particolare tendenza: oggi ho la giusta soddisfazione di vedere che quel mio concetto è stato pienamente accolto. Le mutate condizioni della vita culturale italiana mi fanno però rime- ditare su quanto Benedetto Croce ebbe a dirmi in proposito: egli affer- mava che una Enciclopedia deve assolutamente avere un’anima sua pro- pria, ed io allora non vedevo quale delle tendenze spirituali avrebbe potuto imporsi come perno di tutto lo scibile: oggi mi apparisce ben chiaro e non dubbio quale debba essere il nucleo ideale di una simile impresa ». 6l L’E.I. è qualificata «necessaria » in tutti i discorsi di Treccani (Enciclopedia Italiana Treccani. Idea esecuzione compimento, cit.). 6 « Entrato io in Senato nel 1924, il sen. Gentile (al quale mi lega- vano rapporti di cordialità per la parte da lui avuta come Ministro della 31 Il fascismo e il consenso degli intellettuali di industriale-mecenate rappresenta il più ampio — e poli- ticamente nuovo — intervento dei grandi gruppi economici nell’attività editoriale. Nel 1898, alla morte di Alessandro Rossi — il prote- zionista considerato precursore dell’ideologia corporativa, cui Treccani dedicherà un significativo ritratto nell’Enciclo- pedia® —, era entrato nel Lanificio Rossi di cui divenne presidente, e nel 1911 operò come amministratore delegato il salvataggio del Cotonificio Valle Ticino, « intorno al quale sorsero altre aziende tessili, tutte basate sui principi, cari al Treccani, della divisione del lavoro e dell’indipendenza della funzione industriale, a tutti gli effetti giuridici ed economici, da quella commerciale, anche allo scopo di mettere le maestranze al riparo dai disastri eventuali della speculazione » “, ma soprattutto — come Treccani dichiarò nel settembre 1920 di fronte allo « spettro della rivoluzione leninista » apparso con l'occupazione delle fabbriche — allo scopo di raggiungere la « conciliazione sociale » spo- liticizzando gli operai, cooptati nella direzione di aziende « puramente industriali » — di tipo corporativistico —, private dei più vasti poteri decisionali delle aziende « pura- mente commerciali » ©. Presidente di numerose società tes- Pubblica Istruzione, — allora si diceva cost — al recupero della Bibbia di Borso d’Este) mi segnalò quel naufragato progetto, affinché io vedessi se avevo la possibilità di attuarlo », ricorderà nel 1938 Treccani (ibidem, p. 11). Il progetto prevedeva 32 volumi — diventati poi 36 — e un Dizio- nario biografico degli Italiani (ibidem, p. 22); furono spesi circa 15 mi- lioni per i soli collaboratori (ibidem, p. 92), e 100 per tutta l’opera di 25.000 copie (ibidem, p. 78). 63 Cfr. S. Lanaro, Nazionalismo e ideologia del blocco corporativo-pro- tezionista in Italia, in «Ideologie», I (1967), n. 2, pp. 36-93, e Id.,, Nazione e lavoro. Saggio sulla cultura borghese in Italia 1870-1925, Padova, Marsilio, 1979, 44 indicem. Di Rossi Treccani scriverà nell’E.I. che « considerava primo elemento di potenza e di ricchezza nazionale il capitale uomo, preparato con sentimenti cristiani alla collaborazione fra le classi sociali. Ebbe vivissima la coscienza dei doveri degl’imprenditori verso i dipendenti e considerò l’interesse dei proprietarî non disgiunto da quello degli operai e da quello della nazione » (ad voce): dove, pur fatte le dovute concessioni alla data di stesura della voce (1936), sono accennate le origini nazionaliste e cattoliche del corporativismo. % Cfr. l’anonima voce Treccani in E.I., e P. Rossi, Dall’Olona ai Ticino. Centocinquant’anni di vita cotoniera, Varese, La tipografica Va- rese, 1954, p. 122. 6 In modo che «l’operaio industrializzato perderebbe l’abito di far 32 L’Enciclopedia italiana sili, chimico-meccaniche, agricole — dal 1919 membro fondatore della società agricola italo-somala — ed editoriali, dopo il 1920 Treccani si prodigò in quell’opera di mece- natismo che, soprattutto con l’acquisto e il dono allo Stato, nel ’23, della Bibbia di Borso d’Este, gli valse nel ’24 la nomina a senatore *. Il mecenatismo di Treccani, e di altri industriali o finanzieri quali Riccardo Gualino, non era, come osservava Gramsci ”, disinteressato: le loro iniziative culturali erano illuminate autoprotezioni che, dichiarando paternalisticamente di favorire l’interesse generale na- zionale, aiutavano di fatto quello delle classi dirigenti e l'ordine sociale costituito. A Enciclopedia compiuta Trec- cani affermerà che si può contribuire al progresso delle lettere, delle scienze e delle arti, anche senza essere letterati, scienziati o artisti, proteggendo quelle e aiutando questi; e spetta specialmente a coloro che, in un deter- minato momento, detengono la ricchezza promuovere atti di gene rosità e di rischio, perché solo facendo compiere al capitale un'alta del lavoro una funzione politica, e questa eserciterebbe soltanto come cittadino e cioè all'infuori e al di sopra di quella che sarebbe la lotta economica. Tanto all’infuori e al di sopra, che un qualunque movente politico, in una eventuale lotta, non sarebbe possibile concepire se non attraverso a un tentativo criminale di sovvertimento sociale, o meglio a una aberrazione della coscienza operaia, la quale vorrebbe allora precipi- tare nel baratro di una eclissi storica la nazione e la società » (G. Trec- cani, Capitale e lavoro, in « Risorgimento », I (1920), n. 26, pp. 9-11; cfr. anche Id., Il diritto nuovo, in ibidem, n. 28, pp. 11-12). La rivista « Risorgimento », fondata nel ’20 da Treccani e diretta da G.G. Arriva- bene, e su cui scrisse anche Corradini, è definita dall'E.I. «di spiriti nettamente nazionali » (alla voce Treccani). 6 Per tutta la sua «attività culturale e benefica » cfr. G. Treccani, Enciclopedia Italiana Treccani. Come e da chi è stata fatta, Milano, Be- stetti, 1948, pp. 13-18 (tutto il volume è concepito come difesa dalle accuse di fascismo rivolte all’E.I. dopo la Liberazione). La nomina di Treccani a senatore, avvenuta nella « infornata » del 18 settembre 1924 (cfr. E. Rossi, Padroni del vapore e fascismo, Bari, Laterza, 1966, pp. 253, 264), era stata raccomandata da Gentile a Mussolini appena il 15 settembre (Archivio centrale dello Stato, Roma (d’ora in avanti ACS), Segreteria particolare del Duce, Carteggio riservato, b. 1, sottofasc. 2). 6 Quaderni del carcere, cit., vol. II, p. 1333. Accenni a Gualino — il fondatore della Snia-Viscosa e vice-presidente della Fiat che finanziò nel ’27-°28 le ricerche di Egidi e Chabod a Simancas — in AA.VV., lrn memoria di Pietro Egidi, Pinerolo, Unitipografica pinerolese, 1931, pp. 15, 36, G. Volpe, Storici e maestri, Firenze, Sansoni, 1967, p. 458, V. Castronovo, op. cit., passim. 33 Il fascismo e il consenso degli intellettuali funzione sociale, esso può essere benedetto anziché odiato. Gli industriali poi devono riconoscere che l’industria è debitrice di tutto alla scienza: del suo fondamento, del suo progresso, del suo divenire; e che la scienza, alimentando le applicazioni pratiche — cioè in definitiva l’industria e l’agricoltura — è largitrice di beni morali ed economici, che elevano la dignità del popolo e il suo tenore di vita ®. Frutto del rafforzamento e della concentrazione dell’in- dustria accelerati dalla guerra e dal fascismo ”, l’impresa della Enciclopedia testimonia la stretta compenetrazione dei gruppi di pressione economici — Treccani vi interessò anche il segretario dell’Associazione cotoniera Giuseppe Riva, e per la realizzazione dell’opera diverrà socio di Rizzoli, quindi di Tumminelli e Treves”? — con interessi politici e culturali, affermatasi su larga scala in Italia per la prima volta dopo la grande guerra, condizionando in modo mediato l’editoria — divenuta, come la definî Val- lecchi, « industria delle industrie »”" —, e immediato la stampa quotidiana ”. La libera iniziativa di Treccani poté cosî realizzare ciò che non era riuscito alla Banca d’Italia di Stringher. Altrettanto decisiva per la ripresa e l'ampliamento del vecchio progetto di Martini fu la coerente opera di otga- nizzazione culturale promossa da Gentile, che dopo l’espe- rienza bellica era venuto accentuando il valore politico della 6 Enciclopedia Italiana Treccani. Idea esecuzione compimento, cit., p. 12. 9 Cfr. G. Mori, Per una storia dell’industria italiana durante il fasci- smo (1971), ora in Il capitalismo industriale in Italia. Processo d'indu- strializzazione e storia d’Italia, Roma, Editori Riuniti, 1977, pp. 219-249. L’E.I. fu realizzata « con grande fede nella disciplina e produttività delle forze intellettuali italiane nonché nella resistenza dell'economia nazio- nale », affermò anche dopo la grande crisi Gentile (Tribolazioni di un enciclopedista. Come si distribuisce l'immortalità, in «Il Corriere della sera », 4 febbraio 1931, p. 3). ® Cfr. Enciclopedia Italiana Treccani. Idea esecuzione compimento, cit., pp. 15, 17, e U. Ojetti, I taccuini. 1914-1943, Firenze, Sansoni, 1954, pp. 165 e 178-180, che alla data 4 settembre ’25 parla anche di «trat- tative tra Fracchia e Treccani su un nuovo giornale letterario », proba- bilmente « La fiera letterapp. 13-18 (tutto il volume è concepito come difesa dalle accuse di fascismo rivolte all’E.I. dopo la Liberazione). La nomina di Treccani a senatore, avvenuta nella « infornata » del 18 settembre 1924 (cfr. E. Rossi, Padroni del vapore e fascismo, Bari, Laterza, 1966, pp. 253, 264), era stata raccomandata da Gentile a Mussolini appena il 15 settembre (Archivio centrale dello Stato, Roma (d’ora in avanti ACS), Segreteria particolare del Duce, Carteggio riservato, b. 1, sottofasc. 2). 6 Quaderni del carcere, cit., vol. II, p. 1333. Accenni a Gualino — il fondatore della Snia-Viscosa e vice-presidente della Fiat che finanziò nel ’27-°28 le ricerche di Egidi e Chabod a Simancas — in AA.VV., lrn memoria di Pietro Egidi, Pinerolo, Unitipografica pinerolese, 1931, pp. 15, 36, G. Volpe, Storici e maestri, Firenze, Sansoni, 1967, p. 458, V. Castronovo, op. cit., passim. 33 Il fascismo e il consenso degli intellettuali funzione sociale, esso può essere benedetto anziché odiato. Gli industriali poi devono riconoscere che l’industria è debitrice di tutto alla scienza: del suo fondamento, del suo progresso, del suo divenire; e che la scienza, alimentando le applicazioni pratiche — cioè in definitiva l’industria e l’agricoltura — è largitrice di beni morali ed economici, che elevano la dignità del popolo e il suo tenore di vita ®. Frutto del rafforzamento e della concentrazione dell’in- dustria accelerati dalla guerra e dal fascismo ”, l’impresa della Enciclopedia testimonia la stretta compenetrazione dei gruppi di pressione economici — Treccani vi interessò anche il segretario dell’Associazione cotoniera Giuseppe Riva, e per la realizzazione dell’opera diverrà socio di Rizzoli, quindi di Tumminelli e Treves”? — con interessi politici e culturali, affermatasi su larga scala in Italia per la prima volta dopo la grande guerra, condizionando in modo mediato l’editoria — divenuta, come la definî Val- lecchi, « industria delle industrie »”" —, e immediato la stampa quotidiana ”. La libera iniziativa di Treccani poté cosî realizzare ciò che non era riuscito alla Banca d’Italia di Stringher. Altrettanto decisiva per la ripresa e l'ampliamento del vecchio progetto di Martini fu la coerente opera di otga- nizzazione culturale promossa da Gentile, che dopo l’espe- rienza bellica era venuto accentuando il valore politico della 6 Enciclopedia Italiana Treccani. Idea esecuzione compimento, cit., p. 12. 9 Cfr. G. Mori, Per una storia dell’industria italiana durante il fasci- smo (1971), ora in Il capitalismo industriale in Italia. Processo d'indu- strializzazione e storia d’Italia, Roma, Editori Riuniti, 1977, pp. 219-249. L’E.I. fu realizzata « con grande fede nella disciplina e produttività delle forze intellettuali italiane nonché nella resistenza dell'economia nazio- nale », affermò anche dopo la grande crisi Gentile (Tribolazioni di un enciclopedista. Come si distribuisce l'immortalità, in «Il Corriere della sera », 4 febbraio 1931, p. 3). ® Cfr. Enciclopedia Italiana Treccani. Idea esecuzione compimento, cit., pp. 15, 17, e U. Ojetti, I taccuini. 1914-1943, Firenze, Sansoni, 1954, pp. 165 e 178-180, che alla data 4 settembre ’25 parla anche di «trat- tative tra Fracchia e Treccani su un nuovo giornale letterario », proba- bilmente « La fiera letteraria » che cominciò a uscire nel dicembre ’25. 7 A. Vallecchi, Ricordi e idee di un editore vivente, Firenze, Val lecchi, 1934, p. 184. i © Cfr. V. Castronovo, op. cit. 34 L’Enciclopedia italiana cultura, la critica alla scienza « spettatrice della vita » e all’arcadia, in vista della formazione di una nuova classe dirigente ”. La direzione gentiliana di Accademie e Istituti, di riviste e collane editoriali, il controllo di case editrici, affermatisi nel periodo fascista *, ebbero nel campo dell’alta cultura un’incidenza pari se non superiore, perché stabili per un quindicennio, alla stessa riforma della scuola nel settore educativo. Quando questa, nel 1925, cominciò ad essere svuotata dei suoi caratteri originari, Gentile iniziò proprio con l’Exciclopedia — e per mezzo del vasto potere di controllo su un gran numero di intellettuali da essa con- feritogli — ad esercitare una vasta egemonia culturale che induce a riconsiderare, nel quadro di tutta la cultura italiana del ventennio e del secondo dopoguerra, l’opera svolta da Croce attraverso « La Critica » e la Casa Laterza, opera su cui finora si è insistito in modo esclusivo e spesso pregiu- diziale, identificando polemicamente la cultura con l’anti- fascismo ”. Se la semplice somma numerica delle organiz- zazioni e degli intellettuali controllati materialmente da Gentile non è sufficiente, allo stato attuale degli studi, a 73 Fra gli innumerevoli esempi possibili, basti ricordare La moralità della scienza (del 1923), in Scritti pedagogici, III. La riforma della scuola in Italia, Milano-Roma, Treves-Treccani-Tumminelli, 19322, pp. 61-79; Che cosa è il fascismo, cit.; Fascismo e cultura, Milano, Treves, 1928; Origini e dottrina del fascismo, Roma, Istituto nazionale fascista di cul- tura, 19343, cap. X. Quello del « contatto organico tra l’“intelligenza” e le classi dirigenti » era allora il « problema sostanziale della cultura italiana » posto fin dall’inizio della rinascita idealistica, ma rimasto insoluto per la vittoria della «vecchia Italia », osservava Togliatti a proposito de coltura italiana di Prezzolini (Opere, a cura di E. Ragionieri, I, 1917-1926, Roma, Editori Riuniti, 1967, pp. 489-493). 7 Ricordiamo solo la Commissione Vinciana (dal 1924), la Leonardo e dal ’25 l’Istituto nazionale fascista di cultura, la Scuola Normale Supe- riore di Pisa (dal 1920), l’Istituto italiano di studi germanici (dal 1932), l'Istituto italiano per il medio ed estremo Oriente (dal 1933), la casa editrice Sansoni, le collane di Le Monnier, il « Giornale critico della filo- sofia italiana », « Educazione fascista » (cfr. ACS, Segreteria particolare del Duce, Carteggio riservato, b. 1, sottofasc. 2; V.A. Bellezza, Biblio- grafia degli scritti di G. Gentile, in Giovanni Gentile. La vita e il pen- siero, Firenze, Sansoni, 1950, vol. III, pp. 28-29 e M. di Lalla, Vita di Giovanni Gentile, Firenze, Sansoni, 1975). 75 Cosî E. Garin, La Casa Editrice Laterza e mezzo secolo di cultura italiana, ora in La cultura italiana tra '800 e ’900, Bari, Laterza, 1963, pp. 155-173, che pur avverte sempre la larga interdipendenza del pensiero crociano e gentiliano. 35 Il fascismo e il consenso degli intellettuali spodestare Croce dal suo trono di « papa laico » — ciò implicherebbe negare la persistenza dell’influenza crociana dopo il 1945 —, è da tener presente almeno l’importanza pratica delle iniziative gentiliane: prima e dopo il 1929 esse mirarono a coagulare attorno a un nucleo di tradizione na- zionale e fascista — e quindi contribuirono a far sopravvive- re nel quadro dell’ideologia eclettica del regime — vecchie e giovani forze intellettuali di varia origine operanti in campi diversi, filosofico, scientifico, economico ecc. È significativo che ancora nel 1935, quando le revisioni interne e gli attac- chi contro l’attualismo si erano in gran parte già consumati, un rapporto anonimo inviato a Mussolini presentasse Gen- tile come pericoloso inquisitore nel campo dell’organizza- zione culturale: Si va determinando nel campo dell’Editotia Italiana, special- mente attraverso le sovvenzioni dell’I.R.I., un accaparramento sempre più sensibile di case editrici da parte del Senatore Giovanni Gentile. Egli già dirige direttamente o indirettamente [...] le Case Edi- trici Lemonnier e Sansoni: le quali, a loro volta, dispongono delle case dell'Arte della Stampa e di Ariani in Firenze. Dirige l’Enci- clopedia Italiana e controlla, perciò, un esercito di collaboratori che debbono per forza di cose obbedirgli. Sono note le vicende delle case Treves e Tumminelli in cui Gentile era grande parte. Sano noti i rapporti con le altre case attraverso i contatti con allievi o amici, quali Carlini e Codignola. Può dirsi quindi che oggi è molto difficile fare uscire un libro di cultura politica e filosofica in Italia senza il visto di questo nuovo Sant’Ufficio di nuovo tipo. Si dice, inoltre, che presto la casa Bemporad sarà diretta dal Gentile, venendo cosî ad aumentare il numero delle case affiancate o asservite. Occorrerebbe vedere, con opportuni e delicati approcci, se non fosse il caso di studiare il modo di immettere nella vita della cul- tura fascista la Casa Laterza di Bari che per la sua reputazione potrebbe, una volta immessa nella vita del Regime, rappresentate un certo contrappeso all’attuale disquilibrdio di forze editoriali 74. 76 Rapporto anonimo pervenuto a Mussolini il 3 aprile 1935, in ACS, Segreteria particolare del Duce, Carteggio riservato, b. 1, sottofasc. 2; per l’accusa a Gentile di « estendere la sua egemonia culturale » attra- verso l’E.I. cfr. anche ibidem, b. 49, sottofasc. 1, rapporto del 9 dicem- bre 1932. « Gentile ha formato, più del Croce, una scuola; ed ha disce- poli entusiastici e fedeli, forse anche troppo; ed appare un animatore e 36 L'Enciclopedia italiana Documento di parte, certo, ma che — accanto ai limiti della opposizione crociana e alla spregiudicatezza ideologica del regime pronto a strumentalizzarla — indica solo per difetto i canali differenziati di diffusione culturale di Gentile e dei gentiliani. Nei primi anni del fascismo l’opera di Gentile fu fun- zionale alla necessità politica del regime di unificare e orga- nizzare le disperse forze della borghesia liberale. Soprat- tutto dopo l’unificazione col nazionalismo — pit attento ai problemi di politica culturale proprio perché da una tradi- zione culturale nazionale voleva trarre i motivi della sua collocazione nella storia italiana —, il fascismo accompagnò l’azione repressiva dello squadrismo con quell’opera di graduale allargamento del consenso — fatta di concessioni ai gruppi capitalistici e alle forze culturalmente egemoni — che gli permetterà di schiacciare le opposizioni; valido stru- mento fu dapprima la gentiliana riforma della scuola — con Fedele resa pDIS conforme alle istanze della borghesia e dei cattolici” —, poi, superata la crisi Matteotti e instau- rata la dittatura, l’opera di appropriazione di correnti cultu- rali diverse assegnata a Gentile, parallela a quella svolta contemporaneamente sul piano politico verso i fiancheg- giatori, e solo dopo il 1929 sostituita dalla ricerca dell’ap- poggio dei cattolici. Non è un caso che l’Istituto Giovanni Treccani per la pubblicazione dell’Enciclopedia Italiana fosse costituito il 18 febbraio 1925; all’indomani del 3 gennaio che, salutato con entusiasmo da Gentile ”, aveva segnato la fine dei go- verni di coalizione; appena il 12 febbraio Farinacci era diventato segretario del Pnf, carica che terrà fino al marzo direttore spirituale. Sostiene le sorti della sua scuola e dei suoi scolari con la fede di un uomo di parte », ricordava ancora nel 1930 Prezzolini (La cultura italiana, cit., p. 122). © Cfr. D. Bertoni Jovine, op. cit., p. 297, e T. Tomasi, Ideglismo e. fascismo nella scuola italiana, Firenze, È Nuova Italia, 1969, p. 87. 78 Gentile a Mussolini, 4 gennaio 1925: « Eccellente il discorso di ieri. Il paese tutto si sveglia e torna a Lei... La prego poi di ricordarsi che in questi giorni bisognerebbe dar forza ai Quindici, emanando il Decreto Reale » (copia in ACS, Segreteria particolare del Duce, Carteggio riser- vato, b. 1, sottofasc. 2). 37 Il fascismo e il consenso degli intellettuali 1926. Sebbene l’opera si assicurasse l’alto patronato del re” e fino al ’29 le dichiarazioni ufficiali di Treccani e Gen- tile non facessero quasi parola del fascismo, la sua data di nascita indica il peso determinante che nella sua realizza- zione ebbe l’avvento della dittatura. La segreteria Farinacci sembrerebbe contrastare con lo spirito informatore dell’ impresa; in realtà la linea estremista del fascismo, pur pole- mizzando — come vedremo — con l’iniziativa gentiliana, non riusci a condizionarla: anche in campo culturale le « due anime » del fascismo — « tradizionale » e « rivolu- zionaria » — trovarono ciascuna un proprio spazio e una propria funzione. Che la nascita dell’Enciclopedia e l’indi- rizzo da essa rappresentato non fossero casuali, frutto esclusivo di un’iniziativa individuale, ma rientrassero in un più vasto programma di politica culturale del regime, è dimostrato anche dal sorgere accanto ad essa — proprio nel 1925-26 — di numerosi altri istituti di alta cultura, quali, nel ’25, l’Istituto di studi romani di Galassi Paluzzi, l’Istituto nazionale fascista di cultura « erede » material- mente della Leonardo di Formiggini o delle varie Università popolari e affidato a Gentile, la Scuola di storia moderna e contemporanea di Volpe e, nel ’26, l'Accademia d’Italia ®°; tutte istituzioni rivolte, con programmi e su piani diversi, a promuovere studi e ricerche ispirati sempre al primato della civiltà romana e italiana nel mondo, con una funzione inter- na analoga a quella svolta, all’estero, da appositi organismi culturali che, in modo graduale e illuminato, miravano a orientare favorevolmente verso il fascismo l’opinione pub- blica ®, 79 Come appare dal Manifesto al pubblico del giugno ’25 (in G. Trec- cani, Enciclopedia Italiana Treccani. Idea esecuzione compimento, cit., p. 39). 80 Cfr. Ministero dell'Educazione Nazionale, Accademie e Istituti di cultura. Cenni storici, Roma, Palombi, 1938. Una prima ricerca è quella sul CNR di R. Maiocchi, Scienza, industria e fascismo (1923-1939), in « Società e storia », I (1978), pp. 281-315. Sulla figura di Volpe cfr. I. Cervelli, Gioacchino Volpe, Napoli, Guida, 1977, e, per qualche cenno sulla sua vasta opera di organizzazione degli studi storici nel periodo fascista, ancora da studiare, G. Turi, Il problema Voipe, in « Studi sto- rici », XIX (1978), pp. 183-186. B1 Cfr. D. Frezza Bicocchi, Propaganda fascista e comunità italiane in 38 L’Enciclopedia italiana 4. Lo « specchio fedele e completo della cultura scientifica italiana » Il governo facilitò economicamente la realizzazione della Enciclopedia, intervenendo nel 1928 — su sollecita- zione di Gentile — per l’accordo editoriale fra l’Istituto Treccani e il Touring Club Italiano che avrebbe dovuto fornire il corredo cartografico dell’opera, e costituendo nel 1933, come vedremo, l’ente nazionale Istituto dell’Enci- clopedia Italiana; e sempre il regime condizionò diretta- mente l’impresa, garantendone nel ’25 il controllo ecclesia- stico, e utilizzandola poi come canale di diffusione della sua ideologia, come nella voce Fascismzo del *32. Ma nel 1925-26 l’Enciclopedia si presentò come opera « nazio- nale », testimonianza di un primato italiano da rivendicare di fronte agli altri paesi, nel senso già indicato da Martini; solo nel ’29, con l’uscita del primo volume e in una diversa ‘situazione politica, il suo carattere « nazionale » sarà pre- cisato con l’istituzione del rapporto di continuità risorgi- mento-grande guerra-fascismo *. U.S.A.: la Casa Italiana della Columbia University, in « Studi storici », XI (1970), pp. 661-697. 82 Nel 1929 la prefazione al vol. I dell’E.I. ricorderà come « il mag- gior tentativo di una enciclopedia italiana fosse stato fatto in Italia negli anni forieri del Quarantotto, nel più vivo fermento della ridesta coscienza nazionale del popolo italiano », come «il disegno e il proposito della presente Enciclopedia siano maturati dopo la grande guerra in cui gli Italiani, per la prima volta dacché raccolti in unità nazionale, fecero espe- rimento di tutte le loro forze materiali e morali, e superarono la prova con una grande vittoria », e che « il clima che ha reso possibile un'opera come questa [...] è il nuovo spirito esploso con l'avvento del Fascismo » (E.I., vol. I, p. XII). E Treccani nel 1931: « Ad ogni movimento nazio- nale concluso, si è sempre sentito il bisogno di questo esame delle proprie possibilità culturali; anche Emanuele Filiberto, restaurato lo Stato, ideò un’Enciclopedia col nome di Teatro Universale, rimasta però allo stato di progetto; ed altrettanto fecero gli uomini del nostro Risorgimento, che ci diedero l’Enciclopedia Popolare Pomba, chiamata l’Enciclopedia del Ri- sorgimento, opera lodevole. Il grandioso movimento spirituale prodotto dalla guerra vittoriosa e dal Fascismo, non poteva rimanere sterile in questo campo » (G. Treccani, op. cit., p. 63). Negli stessi termini U. Bosco, Enciclopedia Italiana, in Panorami di realizzazioni del fascismo, VIII. Gli Istituti del Regime, Roma, Panorami di realizzazioni del fasci smo, 1941, p. 319. Già il Marifesto del giugno ’25 ricordava, oltre al clima della vittoria, il tentativo « fatto in Torino negli anni più maturi 39 Il fascismo e il consenso degli intellettuali L’insistenza sul significato « nazionale » dell’impresa — di cui solo pochi colsero gli equivoci, e il pericolo di una riduzione nazionalistica della cultura * — doveva dissolvere presso gli incerti o gli oppositori del fascismo o di Gentile il dubbio che l’opera fosse politicamente e culturalmente di parte: tutte le dichiarazioni di Treccani e Gentile — rispettivamente presidente dell’Istituto e direttore scien- tifico dell’Enciclopedia — sono ispirate a questa preoccu- pazione. L’atto costitutivo dell’Istituto auspicava che l’o- pera fosse « scritta con la collaborazione di quanti sono in Italia competenti in ogni ordine di scienze, lettere ed arti », .e « governata da un alto concetto di quello che è stato ed è il carattere ed il valore della civiltà italiana nel mondo, nonché dal desiderio e proposito che tutte le forze intel- lettuali della Nazione siano, per questo lavoro che interessa tutta la Nazione, messe a profitto », in modo che riuscisse « opera, cosî dal rispetto scientifico, come da quello nazio- nale, degna delle più nobili tradizioni del Popolo Italiano ». L’art. 4 si preoccupava di specificare che « l’Istituto s’in- spira bensi alla coscienza del glorioso passato del Popolo Italiano e degli alti destini a cui esso può e deve aspirare; ma è apolitico nel senso assoluto della parola » *. Anche il del Risorgimento nazionale, quando tutto lo spirito italiano senti pi urgente il bisogno del suo rinnovamento e di una vita più intensa » (in G. Treccani, Enciclopedia Italiana Treccani. Idea esecuzione compimento, «cit., p. 39). Sulla Nuova enciclopedia popolare del Pomba cfr. E. Bottasso, Le edizioni Pomba 1792-1849, Torino, Biblioteca civica, 1969, pp. 242-252. 83 Cosf l’articolo Nel mondo della coltura borghese. Una Enciclopedia, in « L'Unità », 20 maggio 1925 (lo pseudonimo dell’autore non è comple- tamente leggibile): «Gli uomini della dominante borghesia italiana... vorrebbero adesso nazionalizzare la internazionale della cultura », facendo «un grande monumento di dottrina indigena », mentre «una enciclo-«pedia, per servire degnamente alla scienza, deve essere opera vastissima «di cultura internazionale, enorme massa di parole e di voci che vanno distribuite fra quanti uomini dotti, nel mondo, possono più sicuramente «parlare su ciascuna di esse ». « Se si farà, sarà — pur troppo — un docu- mento di fragorose chiacchiere e di malfatte compilazioni », concludeva l’articolista esprimendo il dubbio sulla capacità del fascismo di realiz- zare «un’opera di tanta mole e di cosî universale sapete ». 84 In G. Treccani, Exciclopedia Italiana Treccani. Idea esecuzione compimento, cit., pp. 21-22. Sempre il 18 febbraio 1925 Treccani dichiarò: « La politica qui non c'entra, né deve entrarci: è il caso anzi di dire che . se la politica può dividere gli uomini, la scienza li deve tutti unire » (ibidem, p. 30): parole che ricordano quelle di Gentile nell’articolo Contro 40 L’Enciclopedia italiana’ Manifesto al pubblico del 26 giugno ’25 dichiarava l’im- parzialità scientifica e politica dell’Enciclopedia, quasi con' gli stessi termini già usati da Formiggini: A questa ENCICLOPEDIA che dovrà essere specchio fedele e completo della cultura scientifica italiana, saranno chiamati a collaborare tutti gli studiosi d’Italia; e dove sia opportuno non si tralascerà di invitare a fraterna collaborazione gli scrittori d’altri paesi più particolarmente versati, com’è naturale, nelle materie ri- guardanti le rispettive loro nazioni. Ma di quanti sono in Italia che abbiano in una disciplina e in uno speciale argomento una loro competenza, l’Istituto confida che nessuno vorrà negare il proprio contributo e il proprio nome a questo lavoro, che vuol essere opera nazionale superiore a tutti i partiti politici come a tutte le scuole, e potrà riuscire, per la sua complessità, la maggior prova intellettuale dell’Italia nuova 8. Le dichiarazioni di imparzialità convinsero Formiggini — che giudicava l’attualismo ormai privo di aggressività per aver esaurito la sua funzione * —, non chi vedeva, l’agnosticismo della scuola, del 10 maggio 1925: «la politica divide, e la scuola deve unire » (in Che cosa è il fascismo, cit., p. 164). 85 In G. Treccani, Enciclopedia Italiana Treccani. Idea esecuzione compimento, cit., p. 40. Cosî Volpe cercherà nel 1937 di sostenere l’obiet- tività dell’E.I.: «Se per Enciclopedia fascista si intende un’opera in cui ogni articolo, pagina, rigo sia coordinato e subordinato ad una determinata veduta filosofica e politica, questa nostra non è l’Enciclopedia del Fa- scismo: non è, come la Enciclopedia francese, la Enciclopedia dell’illu- minismo. La Enciclopedia italiana neppure se lo è proposto. Né, fra gli anni 1927-37, era forse possibile proporselo. Ma l’Enciclopedia presenta un quadro relativamente perfetto della vita del mondo, della scienza, della politica, dell’arte. E questo ha il suo valore per il Fascismo. L’Erciclo- pedia italiana, per quel tanto che può avere una veduta storico-filosofica, storico-politica, ha una veduta che perfettamente ingrana col Fascismo: la storia come movimento e divenire, la vita come lotta e, insieme, solida rietà di forze... L’Enciclopedia è un monumento all’Italia, in piena rispon- denza al pensiero e all'anima del Fascismo » (L’« Enciclopedia italiana » è compiuta, in « Nuova Antologia », 1 novembre 1937, p. 17: articolo rifuso, accentuando l’apoliticità dell’E.I., col titolo Giovanni Gentile e l’« Enciclopedia Italiana », in Giovanni Gentile. La vita e il pensiero, Firenze, Sansoni, 1948, vol. I, pp. 335-362). 8 « Ciò che il senatore Treccani e il senatore Gentile hanno detto circa gli spiriti che dovranno animare la grande impresa, pienamente mi soddisfa: i nomi dei collaboratori scelti sono gli stessi che io avrei scelto... Il Gentile d’oggi ha fatta sua ... la concezione formigginiana che una enci- clopedia nazionale deve essere il quadro completo dello spirito della nazione (cosî come dovrebbe essere la scuola) e non la espressione di una particolare tendenza » (« L'Italia che scrive », VIII (1925), p. 66). 41 Il fascismo e il consenso degli intellettuali al contrario, aumentare il pericolo di un’egemonia genti- liana. Adriano Tilgher, che sulle pagine de « Il Mondo » svolgeva in quei mesi una serrata polemica antiattualista, mise in guardia — senza tuttavia tener conto del com- plesso gioco politico e culturale condotto dal fascismo — contro l’« imperialismo intellettuale » di Gentile: « spi- rito chiuso, violento e settario, p ontificale e teologale », tabula rasa all’infuori di argomenti rinascimentali e risor- gimentali, cui avrebbe preferito, alla direzione dell’opera, Croce, o Chiappelli, Farinelli, Ojetti. L’Enciclopedia che uscirà dalle mani del senatore Gentile non sarà una Enciclopedia, ma un Index librorum et virorum ad majorem Actus Puri gloriam... Il senatore Gentile specula un po’ troppo sulla vigliaccheria intellettuale del nostro bel paese se crede che gli si lascerà compiere tranquillamente una simile impresa di annes- sione intellettuale... Se no, se [l'Enciclopedia] dovesse rimanere affidata al Gentile, credo che non troverà collaboratori disposti ad aiutarlo nella sua opera d’imperialismo intellettuale. E già so che più d’uno, richiesto, ha rifiutato di collaborare ®?. Le previsioni di Tilgher — di un’energica reazione con- tro l'impresa gentiliana da parte di « tutte le correnti intellettuali, gli indirizzi, i movimenti, le scuole, gli scrit- tori massacrati dalla ignoranza e dalla faziosità settaria del Gentile » — non si realizzarono. A critiche del genere — limitate a una polemica culturale scadente spesso sul piano personale — Treccani poté facilmente opporre la diversità di indirizzi rappresentata dai direttori di sezione dell’Enciclopedia; in occasione della loro prima riunione, il 4 aprile ’25, il presidente dell’Istituto si preoccupò di confutare attacchi esterni e diffidenze interne sull’opera ritenuta « dogmatica, settaria, faziosa », asserendo che Gentile è uomo di partito e di idee sf, ma è uomo leale e di fede. Tra lui e l’Istituto sono poi stati stabiliti patti ben chiari ed egli ha già dato prova, nella indicazione degli uomini, di aver tenuto fede a tali patti: basta uno sguardo alle persone qui presenti per convin- cersi dell’infondatezza di ogni accusa. 8 A. Tilgher, Giovanni Gentile e l'enciclopedia italiana, in «Il Mondo », 25 marzo 1925. 42 L’Enciclopedia italiana Del resto, Vi assicuro che io, che ho dato il mio nome a quest’ impresa, non permetterei mai ad alcuno di venir meno al concetto fondamentale, che molto chiaramente è espresso nell’atto costitutivo. Ma io ho fede nel Sen. Gentile: lo stesso suo carattere energico è garanzia di successo; la campagna ingiusta, iniziata contro di lui a proposito dell’Enciclopedia, cadrà non appena pubblicheremo i nomi dei collaboratori, i quali, italiani di sicura fede, rappresentano tutte le idee, tutte le scuole, tutte le tendenze [...] Tutti gli inter- pellati finora hanno aderito con parole confortanti e lusinghiere; se qualcuno fosse tentennante, bisogna illuminarlo, persuaderlo dell’ obiettività del lavoro e convincerlo a dare il suo nome, sia pure per una sola voce. Nessun nome di insigne studioso italiano deve mancare nell’En- ciclopedia, anche perché, dato il duplice scopo che io miro a rag- giungere — Enciclopedia come opera di valorizzazione della cultura nazionale e Fondazione per l'incremento degli studi con gli even- tuali profitti — non sarebbe simpatica la voluta assenza da parte di qualcuno *, A Bologna si era appena chiuso, il 30 marzo, il con- vegno sulle istituzioni fasciste di cultura in cui Gentile aveva presentato il fascismo come erede di tutta la storia italiana, rivolgendo un appello all’unità e alla conciliazione che avrebbe dovuto rafforzare, sul piano del consenso, la drastica conclusione della crisi Matteotti. Anche l’Enciclo- pedia viene indicata con insistenza come opera « nazio- nale », in cui ogni « italiano di sicura fede » avrebbe potuto conservare le sue opinioni culturali e politiche. Alcuni degli avversari del regime riconobbero in quei mesi il suo sforzo, ma anche la difficoltà, di acquisire l’appoggio degli intellettuali: cosî l’« Avanti! », per il quale, anche se « il mondo accademico italiano si è fascistizzato molto presto », « antifascista è la cultura, la vera cultura, quella disinte- ressata, quella cioè che ha sempre odiato le accademie, le chiacchiere, la rettorica, gli alalà » ®. « L'Unità » invece, ritenendo che anche ideologicamente « gli intendimenti fa- 8 G. Treccani, Enciclopedia Italiana Treccani. Idea esecuzione com- pimento, cit., p. 36. Da Ireneo ad Arpinati..., in « Avanti! », 2 aprile 1925, a proposito del discorso bolognese di Gentile del 30 marzo; cfr. anche Gl’intellettuali e Farinacci, in « Avanti! », 23 aprile 1925: «Fra il manifesto degli intellettuali del fascismo — leggi Gentile — e i discorsi di Farinacci, bisogna confessare che c’è pi intelligenza nei discorsi di Farinacci ». 43 «Il fascismo e il consenso degli intellettuali scisti di fascistizzare gli altri partiti socialdemocratici pos- ‘sono col tempo realizzarsi » — come affermava esaminando il Manifesto degli intellettuali del fascismo” —, coglieva proprio nell’Enciclopedia la capacità del regime di ottenere consensi fra gli intellettuali: « conosciamo bene quel che sia la spregiudicatezza scientifica dei sapienti del fascismo e quel che sia l’antifascismo della gente accademica [...] In tempi calamitosi per le pubbliche libertà uomini di scienza hanno talora opposto le loro proteste, gravi e sen- sibili, se anche rare o taciturne. Oggi non abbiamo di questi esempi in Italia, fra tanti uomini di dottrina che pure fanno professione di indipendenza o di avversione ai poteri domi- nanti » ”"; dove però, più che l'individuazione della forza del fascismo — che stava proprio allora organizzandosi co- me regime reazionario di massa —, vi è quella polemica contro gli aventiniani, che porterà ancora a negare ogni differenza fra le varie componenti della borghesia ”. L’imparzialità che l’Enciclopedia tendeva ad accreditare sotto l’etichetta « nazionale » era comunque strettamente condizionata dalla situazione reale del paese, e si traduceva in una « passività » di stampo prezzoliniano *: nello % Sintomi di decadenza. Un manifesto degli intellettuali fascisti, in « L'Unità », 21 aprile 1925. . 91 Nel mondo della coltura borghese. Una Enciclopedia, in « L'Unità », 20 maggio 1925. Divagazioni sull'ideologia del fascismo, in « L'Unità », 29 aprile 1926, a proposito della polemica Gentile-Interlandi sull’E.I., che esami- neremo: «Evidentemente differenze fra i gruppi borghesi non esistono nelle idee fondamentali, ma nel modo di fare. Il fascismo ha in tutti i modi l’energia di attrarre l’attuale borghesia: ecco i confini “tecnici” fra “pensiero” ed “azione” ». 93 Nell’organo della gentiliana Fondazione Leonardo, Prezzolini an- nunciò l’E.I. come «l’esame di stato della coltura italiana » e «lo sforzo dell’Italia nuova, in paragone degli altri paesi. Il programma è ottimo. Lo sforzo è il più nazionale che si sia tentato dopo l'unità italiana, ma l’Enciclopedia non sarà nazionalistica »; si sarebbero superate le enciclo- pedie straniere «se la scelta dei collaboratori, com'è stata quella dei direttori delle singole sezioni, sarà severa e non dipendente da criteri politici o di meno che serena volontà scientifica. Sarà un altro dei meriti di Giovanni Gentile verso la cultura italiana » (« Leonardo », I (1925), p. 88, redazionale); e, pubblicando le Avvertenze ai collaboratori dell’E.I.: « meglio di ogni altro documento, varranno a fare scompatire nel pub- blico ogni ombra di dubbio sul valore scientifico che l’Enciclopedia avrà, e a dissipare le voci malevoli che pretendevano l’Enciclopedia fosse 44 L’Enciclopedia italiana « specchio fedele e completo della cultura scientifica italia- na » poteva riflettersi solo, nel '25 ma ancor più dopo il ’26, la cultura e l'ideologia del blocco borghese chiamato a collaborare col regime nel momento in cui questo schiac- ciava le opposizioni. Era significativa, del resto, la presen- tazione « ufficiale » che dell’Enciclopedia dava nel marzo 1925 la rivista di Mussolini, « Gerarchia »: dopo aver af- fermato la necessità di « un’affermazione di intellettualità collettiva che rivelasse al mondo ciò che l’Italia era nel dominio del sapere universale », e che « in Italia non pos- sediamo ancora la nozione di quel sapere nazionale che in- vece posseggono e da secoli altre nazioni », l’autore dell’ar- ticolo auspicava che l’Enciclopedia, « libro di un popolo », fosse « libro politico, ma soprattutto libro di conquista », espressione dell’« intelligenza dominante » della collettività; essendo « giunta l’ora che il mondo la pensi anche all’ita- liana », compito dell’opera avrebbe dovuto essere quello di « chiamare a raccolta tutto quanto l’anima italiana ha in questo momento di lume e di ardimento e farlo collabo- rare a questa grande azione che se ben mossa può segnare il primo passo verso quel dominio intellettuale del mondo che noi da tanti secoli abbiamo perduto e può segnare, prima ancora, il definitivo sfrancamento italiano dalla col- tura straniera » *. 5. La « politica di conciliazione » di Gentile La componente tradizionalista del fascismo, rappre- sentata in primo luogo dai nazionalisti, cercò — come ricorderà Bottai che della necessità di conferire al regime una sua dignità culturale fu il principale sostenitore dalle pagine di « Critica fascista » e poi di « Primato » — di opera di parte, concepita con angusti criteri di scuola » (ibidem, pp. 161- 162). Nella seconda ediz. de La cultura italiana si limiterà a dire che V’E.I. « dovrà rappresentare la capacità della coltura italiana del dopo- guerra » (p. 210). % L. Venturini, La nuova e mirabile fatica italiana. L'Enciclopedia Nazionale, in « Gerarchia », IV (1925), pp. 172-174, 177. 45 Il fascismo e il consenso degli intellettuali costruirsi una sua Weltanschauung che fosse, da un lato, frutto della mediazione e del superamento delle diverse correnti di pensiero dalle quali o contro le quali il movi- mento fascista era sorto — «non rollandianamente 4% dessus de la mélée, ma con un suo impegno autonomo d’arbitro tra due mondi in lotta » —, dall’altro, valorizza- zione del primato storico-culturale italiano ®. Per questo era necessario, inizialmente, fare appello a tutti quanti erano disposti a collaborare con un regime che cercava di mostrarsi erede di una tradizione « nazionale »: si pensi alla presentazione di Croce « precursore del fascismo », o ai tentativi, non ultimo quello dell’Enciclopedia, di acca- parrarsene l'appoggio *. In quest'opera di assorbimento di intellettuali incerti, fiancheggiatori od oppositori, ana- loga a quella attuata in campo politico dagli ex nazionalisti Rocco e Federzoni, artefici della simbiosi organica del Pnf col vecchio Stato monarchico, il regime « si rivesti piuttosto dei panni del moderatore che dell’eversore » — per usare le parole di Bottai riferite a Mussolini —, « evitando i vuoti paurosi » ”, e nel 1923-26 poté quindi trovare uno strumento adatto in Gentile, la cui concezione dello Stato e della storia italiani ne sottolineavano — con motivazioni antitetiche a quelle che egli riteneva il naturalismo determi- nistico, conservatore e illiberale dei nazionalisti * — alcuni presunti elementi di continuità e sviluppo che facevano del fascismo il « vero liberalismo ». 95 G. Bottai, Vent'anni e un giorno (24 luglio 1943), Milano, Gar- zanti, 1949, p. 80. Di Bottai è da vedere tutta l’antologia di Scritti, Bo- logna, Cappelli, 1965 (dove è riportata, ad es., la conferenza del 27 marzo 1924 nella quale notò come «attraverso il Nazionalismo si avviasse il Fascismo a compiere il primo passo della sua rivoluzione intellettuale, inserendosi in una tradizione politica, che potrà essere discussa, ma non negata »: p. 55). Di uno «sforzo intellettualistico di tipo e di gusto crociano » da parte del gruppo di Bottai parla R. Colapietra, Benedetto Croce e la politica italiana, Bari-Santo Spirito, Edizioni del Centro librario, 1970, vol. II, p. 548. Sul « revisionismo » di Bottai, ma con una inaccet- tabile sopravvalutazione del suo ruolo «critico » all’interno del regime, cfr. G.B. Guerri, Giuseppe Bottai un fascista critico, Milano, Feltrinelli, 1976, e A.J. De Grand, Bottai e la cultura fascista, Bari, Laterza, 1978. % Cfr. R. Colapietra, op. cit., passim. G. Bottai, Vent'anni, cit., pp. 20-21. 8 G. Gentile, Origini e dottrina del fascismo, cit., pp. 44-47. 46 L’Enciclopedia italiana Nei numerosi interventi compiuti da Gentile nella prima metà del 1925 sui rapporti tra fascismo e cultura non vi sono né le contraddizioni che vi ravvisò Formiggini”, né la difesa dell’autonomia della cultura vista da Harris nella gentiliana « politica di conciliazione » !: comune a tutti è la necessità — già sostenuta a proposito del problema scolastico !" — di organizzare e legare al « nuovo ordine », indirizzandole se possibile verso esiti attualisti, tutte le forze culturali del paese, con la consapevolezza che ciò è possibile solo con la forza politica del fascismo. A Firenze, di fronte a un uditorio politicamente composito, Gentile sostenne l’8 marzo la possibilità che ognuno intendesse il fascismo a suo modo: « L’unità risulta da questa molte- plicità, da questa infinità di temperamenti e psicologie e sistemi di cultura e concezioni della vita. La forza del fascismo deriva da questa ricchissima inesauribile fonte d’ispirazioni e connessi bisogni ed energie spirituali. Ed esso si essiccherebbe e inaridirebbe nella monotonia mec- canica delle formule vuote se potesse definirsi e restrin- gersi negli articoli di un credo determinato » !”. Il giorno dopo, parlando all’Università fascista di Bologna di pros- sima inaugurazione, ribadî il suo concetto di libertà che si attua nello Stato come negazione dell’individualismo egoi- stico, e di fascismo come « ultima e più matura forma del nuovo concetto della libertà, figlia del secolo XIX » !©. Un appello ai liberali e uno ai fascisti, per far tutti partecipi di un unico processo storico sfociante nello Stato etico, rite- nuto « la forma suprema e la unità cosciente e possente di tutte le forze nazionali nel loro maggiore sviluppo suc- cessivo », che « deve rampollare dalla stessa realtà e perciò 99 « Gentile ha contraddetto a Roma ciò che aveva detto a Bologna, perché, affrontando qui un grande problema culturale, quello della ÉEnci- clopedia, ha dichiarato che intende di affratellare, formigginianamente, nella grande impresa tutti i competenti senza distinzione di scuole e di partiti » (« L'Italia che scrive », VIII (1925), p. 106). 100 ‘H. S. Harris, op. cit., p. 265. 101 Cfr. ad es. G. Gentile, Scritti pedagogici, III. La riforma della scuola in Italia, cit. 102 Che cosa è il fascismo, in Che cosa è il fascismo, cit., p. 10. 103 Libertà e liberalismo, cit., p. 91. 47 Il fascismo e il consenso degli intellettuali aderirvi; e da questa aderenza derivare la sua forza e la sua potenza » !*: sebbene criticato da Treccani per le pubbliche dichiarazioni di fascismo che avrebbero potuto pregiu- dicare l’impresa cui si erano accinti !5, Gentile svolgeva — anche se in maniera più scoperta riguardo al fine — le stesse idee poste a base dell’Enciclopedia. Cosî il 30 marzo, nel discorso di chiusura del conve- gno per le istituzioni fasciste di cultura — col quale Croce motivò il suo rifiuto di collaborare all’Enciclopedia — Gentile obiettò a Panunzio che « il Partito fascista ha un suo vasto contenuto ideale, senza bisogno di definire la sua dottrina e di fissare il suo sillabo », e sostenne la necessità di immettere il fascismo (critico degli intellettuali che stanno « alla finestra ») nella cultura, senza bisogno di promuovere una « cultura del fascismo », poiché « il no- x stro partito non è setta, né chiesuola. Il nostro partito vuol essere ... il popolo italiano »; nell’attesa, tanta parte del passato doveva essere rispettata e utilizzata: oggi nelle università dello Stato insegnano tanti vecchi uomini, a cui molto la nazione deve: tanti, che formarono la loro mente e l’animo loro quando nel cuore degl’italiani, degl’italiani giovani e della guerra, non s'era accesa la scintilla della nuova fede; e non c’inten- dono, e noi guardiamo ad essi con sospetto, ed essi verso di noi con un sorriso sulle labbra, con l’anima chiusa. Ebbene, questa è l’uni- versità italiana in gran parte: questa è la vecchia Italia, che noi non possiamo cancellare; che anzi dobbiamo pur rispettare 1°. 104 Che cosa è il fascismo, cit., p. 37. 05 Treccani a Tumminelli, 10 marzo 1925: «Non condivido il Suo ottimismo. La macchina v4 scossa affinché funzioni rapidamente. Vengo a sapere che non una delle lettere ai collaboratori è partita. Ma vi è di più: Ojetti ha scritto più volte a Gentile chiedendo schiarimenti e non ha mai avuto nemmeno un rigo di risposta. Ma che razza di modo di fare è questo? ... Le devo dire il vero che a me spiacciono le conferenze che Gentile va a tenere sul fascismo nelle varie città: l'enciclopedia non è, e non deve essere, di marca fascista... Mi sbaglierò, ma con Gentile non incominciamo bene: egli non si rende conto dell’enorme sacrificio e rischio mio e prende la cosa alla leggera. Dovrebbe aver capito, indipendente- mente dal contratto che ho firmato, che io non mi sono cacciato nell’im- presa per il gusto di buttar via quattrini » (ACS, Segreteria particolare del Duce, Carteggio riservato, b. 49, sottofasc. 1). 106 Il fascismo nella cultura, in Che cosa è il fascismo, cit., pp. 95, 99, 102, 104. 48 L’Enciclopedia italiana Nessuna concessione alla « barbarie » dell’estremismo fascista. Anche il Manifesto degli intellettuali del fasci- smo, frutto di quel convegno e pubblicato il 21 aprile, ebbe valore di documento politico anche perché fu, da parte di Gentile, « un ennesimo tentativo di aggancio all’idealismo, a tutto l’idealismo », compreso quello crociano, come ha osservato Colapietra !”, e presentò il fascismo come « ricon- sacrazione delle tradizioni e degli istituti che sono la co- stanza della civiltà, nel flusso e nella perennità delle tra- dizioni » !*. Anche in seguito Gentile riaffermerà la sua concezione dei rapporti fascismo-cultura. Nel discorso tenuto in Cam- pidoglio il 19 dicembre 1925 per l’inaugurazione dell’Isti- tuto nazionale fascista di cultura, in cui ricordò ai liberali la ben più drastica opera riformatrice attuata dal liberale De Sanctis nell’Università di Napoli (che due anni dopo sarà documentata da Luigi Russo), riprese e sviluppò motivi già affermati il 30 marzo ’25 '”, invitando a non discono- scere « una certa cultura strumentale, a norma della quale due più due farà sempre quattro, sia che si sommino ca- rezze sia che si sommino bastonate. E di questa cultura stru- mentale, che è mero sapere, organizzazione di cognizioni bene accertate, critica, erudizione, dottrina, non può essere il fascista a volersi disfare » !, Concetti ripetuti il 16 marzo 10 R. Colapietra; op. cif., vol. II, p. 557. 108 In E.R. Papa, Storia di due manifesti. Il fascismo e la cultura italiana, Milano, Feltrinelli, 1958, p. 64. 109 « Possiamo spogliarci di certe passioni della prima ora, e ricono- scere pertanto il valore nazionale cosi di certe forme di cultura, che a noi riescono false in quanto insufficienti, come di tanti uomini che non ebbero occhi né cuore per vedere in alto il segno a cui avrebbero dovuto guardare e trarre la gioventiî italiana, ma lavorarono pur seriamente, one- stamente, a recare in campo quelle pietre, con cui la giovane Italia ha cominciato a costruire il suo grande edifizio. Noi a quelle pietre — i non dirlo? — non possiamo, non vogliamo rinunziare »; ma il senso di questa apertura che Gentile raccomandava era chiarito più avanti: « Tran- sigenza che diverrà ogni giorno più facile, via via che, adempiuto il secondo termine, apparirà sempre più opportuno e più giusto il primo termine del grande monito romano: parcere subiectis et debellare superbos. Poiché non è lontano, se io non m’inganno, il giorno, in cui tutta l’Italia sarà fascista...» (Discorso inaugurale dell'Istituto Nazionale Fascista di cultura, in Fascismo e cultura, cit., pp. 60-62). 10 Ibidem, p. 60. 49 Il fascismo e il consenso degli intellettuali 1926 al Senato a proposito dell’Accademia d’Italia nata a « promuovere e coordinare il movimento intellettuale ita- liano » (« nessuna dittatura », assicurò !', come farà Mus- solini tre anni dopo, quando l'Accademia iniziò i suoi lavori !); ad essi Gentile rimarrà sempre fedele, indicando come forza del fascismo fosse la sua capacità di assorbire e superare la tradizione !5: lo stesso criterio seguito dalla Commissione dei Diciotto per lo studio delle riforme costi- tuzionali, da lui presieduta !‘. « Rispettare », utilizzare e organizzare intellettuali di vario orientamento politico e culturale era più difficile che inquadrare nell’apparato amministrativo dello Stato fascista la burocrazia di estrazione liberale; ma nel 1925 era opera 11 Ibidem, p. 130. 112 Nel discorso del 28 ottobre 1929 Per l'Accademia d'Italia Musso- lini indicava fra gli accademici « uomini di origini, di temperamenti, di scuole diverse; uomini rappresentativi di un dato momento sono al lato di uomini rappresentativi di un momento successivo, o attuale, o futuro. L’Accademia è necessariamente eclettica, perché non può essere mono- corde... Nell’Accademia è l’Italia con tutte le tradizioni del suo passato, le certezze del suo presente, le anticipazioni del suo avvenire » (in B. Mussolini, Scritti e discorsi dal 1929 al 1931, Milano, Hoepli, 1934, p. 113 Nel febbraio 1931 scriveva che « il Regime si viene pacificamente guadagnando gli animi nelle scuole, nelle università, nelle accademie, e in ogni libero campo di attività letteraria od artistica. Cresce insieme spon- taneamente l’interesse di esso per ogni forma di cultura nazionale, e si fa sempre più profonda la sua consapevolezza, che la sua forza, che è la forza e la potenza del popolo italiano, non si può consolidare senza l’ade- sione e la libera collaborazione delle più rappresentative intelligenze e di tutte le forze morali del Paese » (I/ fascismo e gli intellettuali, ora in Origini e dottrina del fascismo, cit., p. 71). Sempre nel 1931 affermava che il fascismo «è progresso in quanto è restaurazione: consolidamento delle basi per edificarvi su un solido edifizio, alto, nella luce. Ogni origi- nalità senza tradizione, come ogni spontaneità senza disciplina, è velleità sterile, non volontà virile » (Risorgimento e fascismo, ora in Memorie To e problemi della filosofia e della vita, Firenze, Sansoni, 1936, p. 120). 114 Nella relazione presentata il 5 luglio 1925 da Gentile a Mussolini, si affermava che la commissione « non ha pensato un solo momento che fosse... da sovvertire lo Stato italiano sorto dalla rivoluzione del Risor- gimento. E cosî ha creduto di rendersi fedele interprete dello spirito del fascismo, nato a costruire, non a distruggere » (Relazioni e proposte della Commissione per lo studio delle riforme costituzionali, Firenze, Le Mon- nier, 1932, pp. XVII-XVIII). Sul significato non eversore delle proposte della Commissione dei Diciotto, cfr. A. Aquarone, L'organizzazione dello Stato totalitario, Torino, Einaudi, 1965, pp. 55-56. 50 L’Enciclopedia italiana necessaria, non esistendo una « cultura del fascismo » !5. Né Volpe alla Scuola di storia moderna e contemporanea, né Gentile all’Enciclopedia, quindi, chiesero tessere di par- tito. Nel marzo 1929, quattro anni dopo la costituzione dell’Istituto Treccani, la prefazione al primo volume dell’ Enciclopedia — in cui è evidente la mano di Gentile — poteva già vantare i risultati raggiunti, smentendo le pre- visioni degli oppositori: Il clima che ha reso possibile un’opera come questa, alla quale non parve in passato possibile in Italia pensare, è il nuovo spirito esploso con l'avvento del Fascismo, che scosse idee e sentimenti e accese una passione inestinguibile di rinnovamento e di afferma- zione della potenza dell’Italia nel mondo... Il primo segno di questa crisi gagliarda di rinnovamento fu la radicale riforma della scuola compiuta nel 1923; alla quale seguirono molte altre riforme orga- niche, onde si venne trasformando la struttura dello Stato e si get- tarono le basi di una nuova vita nazionale demografica, economica, morale e religiosa [...] Mai, per nessuna opera, in Italia si unirono come per l’Enciclopedia Italiana migliaia di scrittori a collaborare con un disegno prestabilito, sotto una costante disciplina [...] E il fatto che tanti e si può quasi dire tutti gli studiosi d’ogni scuola e indirizzo, letterati, scienziati ed artisti, si siano per la prima volta accordati non in un’idea da vagheggiare, ma in un lavoro da ese- guire, e che a tutti chiedeva disinteresse e sacrificio, per lo meno d’altri lavori di maggior soddisfazione personale, questa grande morale concordia degli scrittori italiani è il primo e il non meno importante frutto che in vantaggio dell’alta educazione nazionale l’Enciclopedia potesse produrre [...] Affinché fosse possibile tale concordia [...] fin da principio la Direzione dell’Enciclopedia rico- nobbe l’opportunità di un ragionevole eclettismo e di una scrupolosa imparzialità. Un’opera non di rapida consultazione e volgarizzamento, come il Larousse, ma a carattere monografico come la Bri- tannica, non avrebbe potuto avere carattere impersonale, come voleva Treccani: l’ampiezza di una voce monografica 115 Nel settembre 1925 Formiggini osservava che l’E.I. «riuscirà la più antifascista delle enciclopedie fasciste, e ciò non per mancanza di buona volontà di render servizio al partito che gli ha dato ricchezze ed onori, ma perché [Gentile] si è accorto che se avesse voluto fare una Enciclopedia fascista avrebbe trovato come unico collaboratore volontario (e lo ammettiamo per pura e generosa ipotesi) l’on. Farinacci » (« L'Italia che scrive », VIII (1925), p. 184). 51 Il fascismo e il consenso degli intellettuali implicava una presa di posizione scientifica da parte di ogni autore. Ma la molteplicità e diversità di giudizi che ne derivava avrebbe dovuto essere ridotta a unità: l’unità che è il principio vitale di ogni libro vivo, pare esclusa per definizione da un'enciclopedia, che, per essere cosa seria, è di necessità opera a molte mani, e ognuno vi mette il suo pensiero, il suo stile, la sua anima. Ed è bene che cosî sia; e noi, per parte nostra, ci siamo studiati di fare che ognuno, entro certi limiti, restasse, come scrittore dell’Enciclopedia, lo scrittore che egli era. Il che per altro non abbiamo creduto che fosse per produrre l’effetto d’un coro selvaggio di voci stonate e discordi. Non c’è solamente l’anima del singolo. Nello stesso individuo c’è anche l’anima della sua famiglia, del suo popolo, del suo tempo; c’è il punto di vista e l'interesse spirituale che è suo come dei connazio- nali e dei coetanei che vivono la stessa vita e si sono formati nello stesso mondo spirituale. Da quest’anima più vasta, non meno reale dell’altra che varia da individuo a individuo, scaturisce l’u- nità di una scuola ben organizzata e diretta, e scaturisce l’unità di un’enciclopedia ben disegnata e condotta. Un’enciclopedia è infatti l’espressione del pensiero di un popolo e di un’epoca; e propriamente degli elementi positivi, vitali ed attivi di questo pensiero. Il quale evidentemente non consta della somma di tutte le idee di tutti gl’individui, dotti e indotti, consapevoli e ignari degl’ideali della nazione a cui appartengono e a cui sono indissolubilmente congiunti; ma si raccoglie in sistema dalle menti che dirigono e perciò rappresentano tutti... E il loro pensiero, presso ogni popolo, sbocca e si fonde nella coscienza nazionale, e in ogni periodo storico ha una forma e certi caratteri, ha un’individualità, in cui mille e mille voci si adunano in un grande concento. Con- cordia discors 16, Concordia non facilmente raggiungibile anche nel nuovo clima del fascismo, come ricorderà Gentile in termini meno idillici !”. Mezzo per attuarla, per ridurre a unità argomenti 116 E.I., I (1929), pp. XII-XIV. 117 Ricorderà « prime difficoltà e diffidenze, ostilità coperte e palesi » (Tribolazioni di un enciclopedista, cit.), e « battaglie » concluse « con la vittoria sempre della Direzione, ossia dell’Enciclopedia, e cioè di tutti. Ma, evidentemente, vittoria difficile» (Ancora delle tribolazioni di un enciclopedista. Come si taglia e si cuce il libro per tutti, «Il Corriere della sera », 11 febbraio 1931). Pincherle osservò nel vol. I « differenze di opinioni e di scuola, che spesso esplodono in battute polemiche, ora più ora meno abilmente dissimulate » (L’Enciclopedia italiana, in « La Cul- tura», I (1929), p. 287); e Bosco, redattore capo dell’E.I. dal 1933, ricorderà nel ’41: « Il primo compito fu quello della raccolta delle voci: 52 L'Enciclopedia italiana diversi e autori di vario orientamento, fu il criterio storico: affinché tale discorde concordia si stabilisca e conservi, occorre una regola che tutti gli scrittori capaci di contribuirvi mantenga nei limiti ciascuno del proprio carattere, non pure per la materia che coltivano, ma anche per l’indirizzo mentale con cui la coltivano, in guisa che tutti gli aspetti della cultura vengano a comporsi armonicamente in un quadro coerente, com'è nelle sue note principali il pensiero di un popolo e di un’epoca... Nessuna intolleranza, nessuna ombrost angustia di mente. A ogni avvenimento, a ogni dottrina, a ogni persona il suo merito e il posto in cui ciascuno per sua virtà s'è collocato. Perciò non dottrine esclusive, come sono per lo pi tutte le dottrine nelle menti di singoli; ma l’ordine piuttosto in cui le varie dottrine sono possibili, malgrado le loro divergenze, ciascuna con i suoi motivi, La stessa grande imparzialità della storia, in cui non c'è nulla che non abbia la sua ragion d’essere. La storia, in verità, suggerisce il metodo della trattazione che si conviene a una enciclopedia: la storia con la sua sovrana potenza conciliatrice delle più contrastanti esigenze dello spirito e degli aspetti più diversi del vero. Ogni concetto o istituto, ogni religione o dottrina, ogni mito o teoria, ogni popolo o schiatta esiste e vive nella sua storia, con la sua origine e col suo sviluppo. E nella storia si spezza ogni dommatismo [...] II metodo pertanto dell’Enciclopedia Italiana è il più largo me- todo storico, cosi in ogni singolo articolo come nel sistema generale. Grazie a questo metodo, la Direzione ha ambito di raccogliere in- torno a sé, assegnando a ciascuno la parte sua, gli scrittori della più varia mentalità... 118, compito dei più delicati, perché era in questa fase che si potevano concre- tare le fondamenta dell’edificio, e che si doveva decidere il carattere dell’Enciclopedia: dizionario di cose, o raccolta di monografie, o qualche cosa di mezzo? Non sono infatti mancate le divergenze: chi consultasse oggi i primi elenchi delle voci proposte da ognuno dei direttori di sezione e, poi stampati in forma di bozze, diffusi tra gli studiosi per raccogliere suggerimenti, troverebbe che molto è stato cambiato » (art. cif., p. 321). 118 E.I., I (1929), pp. XIV-XV. Già nelle Avvertenze ai collaboratori, pronte nel giugno 1925 (cfr. G. Treccani, Enciclopedia Italiana Treccani. Idea esecuzione compimento, cit., p. 37), si diceva: «I - Nella compila- zione degli articoli, anche se teorici e dottrinali, si avrà cura di attenersi a un’esposizione storica di quello che è stato pensato o si pensa dagli scrittori della materia meritevoli di considerazione; evitando al possibile ogni forma subbiettiva che dia rilievo alla persona di chi scrive e adope- rando uno stile semplice e sobrio. II - Sono dall’Enciclopedia bandite le polemiche. Ogni discussione vi dev'essere mantenuta nei termini di un dibattito di valori puramente ideali, con la cura più scrupolosa di mettere in luce anche le ragioni delle dottrine, che lo scrittore stimi più deboli » (ibidem, p. 42). « Il metodo seguito nella trattazione dell’Enciclopedia è quello storico, cosî in ogni singolo articolo come nel sistema generale », 53 Il fascismo e il consenso degli intellettuali I collaboratori, aggiungeva Gentile, « operando anch’ essi nella cultura dell’epoca, hanno nella loro stessa forma- zione spirituale la misura del giudizio »; ma avrebbero dovuto elaborare gli elementi « vivi e vitali » della cultura propria della « classe elevata e dirigente, la quale s'incontra e s’intende, in un dato tempo, sullo stesso terreno, in una comune vita intellettuale e morale » !’. Enciclopedia, quindi, figlia del proprio tempo !?, che come tale — av- vertirà Gentile nel °38 — avrebbe rispecchiato i progressi della scienza e i cambiamenti storici avvenuti nel corso della sua realizzazione !!. Nel ’25 l’asserita imparzialità dell’opera — corrispon- dente ad uno stretto legame con « un dato tempo » — comportava, accanto al « clima » del fascismo, il ricorso all’opera di intellettuali di varia estrazione culturale e, anche, di diverso orientamento politico: una sapiente azione di assorbimento, testimoniata dall’ampia scelta dei direttori di sezione e dei collaboratori, che spingerà Salvemini — incapace di comprendere i motivi se non addirittura le mani- festazioni della politica articolata del regime — a giudicare l’Enciclopedia « quasi esclusivamente opera di uomini ap- partenenti alla generazione maturata prima che il fascismo giungesse al potere », di cui Mussolini — aggiungeva semplicisticamente — si era « attribuita la maggior parte dei meriti » !2. avverte l'opuscolo di propaganda Enciclopedia Italiana pubblicata sotto l’alto patronato di S.M. il Re d’Italia Imperatore d'Etiopia, Roma, 1937, p. 6. Già nel vol. I Guido Calogero osservò il « carattere essenzialmente storicistico » delle voci giuridiche, economiche e politiche (« Nuovi studi di diritto, economia e politica », vol. II (1929), p. 154). 119 E.I.,I{1929), p. XV. 12 «L’Enciclopedia sarà il monumento della cultura dell’Italia di Vittorio Emanuele III e di Benito Mussolini », affermò Treccani il 10 gennaio 1931 (Enciclopedia Italiana Treccani. Idea esecuzione compi- mento, cit., p. 63); e l'opuscolo di propaganda sopra citato, p. 36: « L’En- ciclopedia è al tempo stesso documento fedele del periodo storico in cui è nata e contributo certo non ultimo alla formazione di quella cultura intensa, vitale, capace di espandersi e d’imporsi che dovrà essere la cul- tura italiana di domani». 121 E.I., Appendice I, pp. IX-X (ma già apparsa nel 1934: cfr. V.A. Bellezza, Bibliografia, cit., n. 1118). 12 «L’Enciclopedia Italiana, che è senza dubbio superiore a tutte le 54 L’Enciclopedia italiana 6. I collaboratori e le proteste del fascismo estremista Il consiglio direttivo dell’Enciclopedia costituiva, nel 1925-26, una specie di fronte nazionale, unendo — sotto la giunta di direzione composta da Treccani, Gentile e Tumminelli — il primo ideatore dell’opera, Martini; glorie (diversamente fortunate) della grande guerra come Cadorna e Thaon di Revel — quest’ultimo fino all’aprile ’25 ministro della Marina —, e De Stefani, fino al luglio ’25 ministro della Finanze; rappresentanti della tradizione liberale lontani dal fascismo quali Luigi Einaudi e Fran- cesco Ruffini — che dopo il ’26 non parteciparono più all'opera —, o cattolici come Gaetano De Sanctis; e, an- cora, Pietro Bonfante, Ugo Ojetti e Francesco Salata, ac- canto a Vittorio Grassi, Silvio Longhi, Ettore Marchia- fava !*. Nel comitato tecnico — composto dai direttori delle 48 sezioni e già formato all’inizio del ?25 — vi erano i maggiori rappresentanti della cultura italiana, da De San- ctis (Antichità classiche) a Raffaele Pettazzoni (Storia delle enciclopedie pubblicate dall’inizio di questo secolo, è opera di studiosi italiani la cui formazione aveva avuto luogo già prima dell’avvento di Mussolini. Poiché essa cominciò ad essere pubblicata nel 1929, Musso- lini se ne è attribuita la maggior parte dei meriti. In realtà, essa fu pro- gettata nel 1920-1921, quando, secondo la leggenda fascista, l’Italia era “alle prese col bolscevismo”. È il più gran monumento che si sia potuto erigere durante il regime fascista alle due generazioni di uomini che rico- struirono la cultura italiana durante il regime prefascista » (G. Salvemini, Il futuro degli intellettuali in Italia, art. del 1937, ora in Scritti sul fasci- smo, Milano, Feltrinelli, 1966, vol. II, p. 580). 183 Cfr. G. Treccani, Enciclopedia Italiana Treccani. Idea esecuzione compimento, cit., pp. 29, 37, 40. Einaudi (che nel ’19 era stato consigliere dell’Istituto di Formiggini) appare nel Manifesto e nel Primo elenco di collaboratori; Ruffini solo in quest’ultimo, anche come direttore, con Santi Romano, della sezione « Diritto pubblico ». Sulla partecipazione puramente decorativa di Martini cfr. le lettere di Gentile a lui, 27 gen- naio, 20 aprile, 1 maggio 1925 (BNF, Fondo Martini); per la diffidenza sua e dei suoi amici verso l’opera — nella cui preparazione non furono ascoltati —, la lettera di Menghini del 23 aprile ’25, e tutte quelle del '25 di Donati, che giudicava Gentile spirito « dogmatico » e « profonda- mente «ztiscientifico », dubitando che «la scienza italiana possa subor- dinarsi a quel vaniloquio sciagurato ch’egli chiama la sua filosofia » (ibi dem, 3 marzo ’25), ma riconoscendo che « l’idealismo è tanto “attualista” da trovar milioni che i positivisti non sapevano mettere assieme » (ibidem, 9 marzo ’23). 55 Il fascismo e il consenso degli intellettuali religioni), da Federico Enriques (Matematica) a Nicola Pende (Medicina), da Carlo Nallino (Letterature e civiltà orientali) a Santi Romano (Diritto pubblico) a Gioacchino Volpe (Storia medioevale e moderna). Ad essi era deman- data la scelta dei collaboratori e delle voci !* La consultazione dei collaboratori previsti iniziò subito dopo la costituzione dell’Istituto; nonostante la sua am- piezza, il 26 giugno ’25 Treccani poteva già annunciare che « gli uomini migliori che l’Italia vanta in tutti i campi del sapere hanno aderito con entusiasmo; i collaboratori sono già circa 1200 » !. In realtà, i rifiuti che possiamo documentare — ma significativi per le motivazioni poli- tiche — sono solo quelli di Croce e Silva. Il primo, inter- pellato, tramite Alessandro Casati, da Volpe — la cui fun- zione all’interno dell’Erciclopedia fu all’inizio probabil- mente più vasta di quella di direttore di una sezione storica, in linea con la funzione di primo piano da lui svolta, ac- canto a Gentile, nell’organizzazione della cultura durante il fascismo —, nella risposta preannunciò quel distacco da Gentile e dal regime che un mese dopo sarà reso definitivo dalla protesta contro il manifesto degli intellettuali fascisti: «come volete — scrisse a Volpe il 7 aprile — che io collabori a una Enciclopedia diretta da chi ha pur testé, a Bologna, osato proclamare che la cultura deve essere fascista? » !*. Motivi politici furone alla base anche del 14 Cfr. G. Treccani, Enciclopedia Italiana Treccani. Idea esecuzione compimento, cit., p. 35, e Primo elenco, cit., pp. 21-33. Tutto il lavoro di preparazione (scelta dei collaboratori e formazione dello schedario) terminò nel 1928 (G. Treccani, Racelonone Italiana Treccani. Come e da chi è stata fatta, cit., p. 24). Su una riunione di alcuni direttori di sezione per impostare il lavoro, cfr. la testimonianza di Ojetti del 27 settembre ’25 (I taccuini, cit., p. 183: « Gentile non conclude mai, chiede che i direttori si accordino »). Per i successivi rapporti di Ojetti con la Società Treves-Treccani-Tumminelli, editrice di « Pègaso » e « Dedalo », cfr. ACS, Segreteria particolare del Duce, Carteggio riservato, b. 8, sottofasc. 1. 15 G. Treccani, Enciclopedia Italiana Treccani. Idea esecuzione com- Dincato: cit., p. 37. B. Croce, Epistolario, Napoli, Istituto italiano per gli studi storici, a vol. I, p. 108. E a Casati, il 2 aprile 1925: « Dopo il discorso di G.[entile] a Bologna, credo che mi avrai dato ragione nel rifiuto che opposi a partecipare all’Enciclopedia. Come sarei potuto stare alla dipen- 56 L’Enciclopedia italiana rifiuto di Pietro Silva che, dopo aver inizialmente accettato di collaborare, l’11 giugno ’25 — cinque giorni dopo l’ar- resto del maestro Salvemini — scrisse a Gentile una lettera che rappresenta, come per l’autore che solo un anno dopo accetterà la redazione di voci importanti dell’Enciclopedia, le illusioni, le incertezze, le conversioni di tanti. Voglia consentirmi di ritirarmi dal gruppo dei collaboratori dell’ Enciclopedia. Nell’appello che Ella rivolse agli studiosi, quando la grande impresa fu decisa, suonava alta e nobile la parola della conciliazione degli spiriti nel campo degli studi e della scienza. E tale parola, che acquistava anche maggior valore perché pronun- ciata da Lei, mi persuase. Ma ora, purtroppo, la mia fiducia nella possibilità di tutte le forze in una impresa di scienza, è molto scossa per i fatti che stanno accadendo. Vedo arrestato Salvemini, il che significa l’inizio di persecuzioni agli intellettuali non fascisti. Vedo presentata una legge per la dispensa dei funzionari, che mira, come hanno rilevato l’on. Salandra e l’on. Volpe, a colpire la libertà di pensiero e l’integrità delle coscienze, anche in quel campo che Ella, nel Suo memorabile discorso inaugurale del 1921, voleva rimanesse libero a tutte le opi- nioni: il campo dell’insegnamento superiore. In tali condizioni, noi che da quella legge verremo colpiti, come possiamo rimanere a collaborare a un’opera di scienza, come possiamo continuare a credere che in tale opera le divergenze di pensiero e di partito verranno superate? Ecco perché le chiedo di rinunziare alla mia modesta opera. Son certo che Ella apprezzerà al giusto valore questo mio atto...1? Gentile dovette apprezzare piuttosto le pronte e nu- merose adesioni che assicurarono all'impresa l’appoggio dei principali rappresentanti della cultura italiana. Il Prizzo elenco di collaboratori dell’Enciclopedia Italiana, pubbli- cato nella primavera del 1926, ne annoverava 1.410, quasi la metà dei 3.266 che daranno il loro contributo a tutta l’opera fino al 1937 !*. Non appaiono ancora alcuni dei denza di un direttore, che ha quelle idee sulla cultura? » (Epistolario, Napoli, Istituto italiano per gli studi storici, 1969, vol. II, p. 89). 12? Archivio dell'Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma [d'ora in avanti AEI], Lettere, Silva. Su Silva storico e sui suoi rapporti col fasci- smo cfr. il ritratto che ne ha fatto nel 1954 Volpe (Storici e maestri, Firenze, Sansoni, 1967, pp. 97-101). 128 La data di pubblicazione del Prizzo elenco (non. indicata) si deduce dalle polemiche giornalistiche che suscitò, dell’aprile 1926. 57 Il fascismo e il consenso degli intellettuali futuri « pilastri » dell’Erciclopedia, come Alberto Pin- cherle, Antonino Pagliaro, Federico Enriques. Si leggono già, invece, i nomi di Antonio Aliotta e Armando Carlini, Giovanni Calò ed Ernesto Codignola, o di Romolo Cag- gese !?, Raffaele Ciasca, Federico Chabod, Antonio Banfi, Piero Calamandrei, Rodolfo Mondolfo, Vito Fazio Al- lmayer, Augusto Guzzo, e ancora tanti, da Arturo C. Jemolo a Luigi Russo, da Nino Cortese a Michelangelo Schipa, oltre ad alti esponenti del mondo cattolico, come i gesuiti Pietro Tacchi Venturi ed Enrico Rosa, e il fran- cescano Agostino Gemelli. Il Primo elenco registra anche il nome di quanti, dopo essere stati invitati e aver accettato, non collaboreranno all'opera. La maggioranza di essi è costituita da persone cul- turalmente poco rappresentative: accanto a professori di scuola media superiore o scarsamente noti professori uni- versitari, troviamo militari, professionisti, o non qualifi- cati cultori della materia. La loro cospicua scomparsa (487 sui 1.410 annunciati) dall’elenco finale degli effettivi colla- boratori, per essere sostituiti da studiosi pit qualificati, potrebbe indicare, da un lato, un aumento reale dei settori accademico e di ricerca, dall’altro, una maggiore progres- siva adesione da parte degli esponenti dell’alta cultura, dapprima diffidenti verso l’iniziativa gentiliana. Vi sono tuttavia, fra i collaboratori previsti dal Primzo elenco che poi non parteciperanno all’opera, anche perso- naggi la cui iniziale accettazione val la pena di essere sotto- 129 Il 12 giugno 1925 Caggese scriveva a Volpe, che lo aveva invitato a collaborare: « Niente pregiudiziali politiche, anche perché io sono com- pletamente fuori di ogni attività politica, ben sicuro come sono che è nostro primo dovere d’italiani non complicare in alcun modo una situa- zione non lieta. Vivo nella solitudine pivi assoluta, lavoro molto e, in confidenza, non potrei in alcun modo partecipare alle vicende politiche perché sono troppo indulgente e, ahimè!, ancor troppo sentimentale e bonario. Passare con i forti non posso perché non è lecito a noi, uomini di studio, dare lo spettacolo di voler “profittare” comunque; esaltare i cosi detti deboli non posso, perché moralmente sono proprio essi quelli che nell’immediato dopo-guerra hanno scatenata la guerra civile. Non mi resta che fare il buon cittadino che rispetta tutte le leggi del suo paese, e augurare che presto ritornino i saturnia regna!, e che i deputati si somi- glino [...]. Dunque, collaborerò volentieri, anche perché non vorrei dire di no proprio a te » (AEI, Lettere, Caggese). 58 L'Enciclopedia italiana lineata: non tanto le personalità politiche chiamate a dar lustro all’impresa, la cui adesione è una riprova — assieme alla presenza di uomini poco rappresentativi nel campo scientifico — del significato non strettamente culturale che l’Enciclopedia voleva avere !*, quanto liberali come Ales- sandro Casati e Olindo Malagodi, o uomini come Adelchi Baratono, Bernard Berenson, Santino Caramella, Ludovico Limentani. Pochissimi fin d’ora gli stranieri, conforme al criterio ispiratore dell’opera. La pubblicazione del Primzo elenco di collaboratori provocò le proteste del fascismo estremista. Su « Il Te- vere » da lui diretto il 25 aprile Telesio Interlandi, dopo aver approvato le dichiarazioni di imparzialità e apoliticità dell’Enciclopedia, affermava: Prima che l'Istituto Treccani, superiore a tutti i partiti politici s'è dichiarato il Fascismo, che è superiore allo stesso partito che fascista si intitola; appunto perché il partito fascista ha una fun- zione tattica contingente e mutevole, laddove il Fascismo è quella tale coscienza nazionale di cui più su si parlava. Cosî stando le cose, l'onorevole Consiglio direttivo dell’Istituto ha fatto bene ad espellere i partiti politici dall’Enciclopedia, ma benissimo avrebbe fatto ad accogliervi il Fascismo. È stato accolto il Fascismo, in un’opera che vuole essere il monumento culturale dell’età nostra e. alla quale attingeranno per i loro bisogni spirituali molte e molte genera- zioni di italiani e di stranieri?; vi erano ugualmente rappresentati, continuava Interlandi, fascismo e antifascismo, impersonato quest’ultimo da alme- no 90 firmatari del Manifesto degli intellettuali antifascisti, come Luigi Einaudi, o Santino Caramella in procinto di essere allontanato dalla scuola « per le sue prodezze al congresso dei filosofi »: era necessario fare a meno di simili collaboratori, per evitare un’enciclopedia « impar- ziale [...] in cui avrà posto l’esaltazione delle categorie democratiche e di quelle fasciste » !. 13 Giuseppe Belluzzo, Paolo Boselli, Ettore Ciccotti, Balbino Giu- liano, Giovanni Giuriati, Achille Loria, Gaetano Mosca, Antonio Salan- dra, Bonaldo Stringher, ecc. 131 Considerazioni sopra un elenco di enciclopedici, in «Il Tevere », 24-25 aprile 1926 (editoriale). 59 Il fascismo e il consenso degli intellettuali L’articolo di Interlandi, parzialmente ripreso da « La Tribuna » — che da poco si era fusa con « L’Idea Nazio- nale » ed era passata sotto la direzione del nazionalista Forges Davanzati '* —, dette modo a Gentile di precisare le sue idee sul rapporto cultura-fascismo: in una lettera aperta inviata il 28 aprile al direttore de « La Tribuna » affermò che, su questo problema, il Pnf aveva « ormai direttive precise », come dimostrava l’approvazione, da parte del duce e de «L’Idea Nazionale », del discorso gentiliano tenuto il 19 dicembre 1925 per l’inaugurazione dell’Istituto nazionale fascista di cultura. Il fascismo, obiet- tava a Interlandi, non è venuto a distruggere, ma a edificare [...] Intende bensî ani- mare tutta la vita nazionale di un’ardente passione politica, che è passione morale e religiosa di creazione di superiori valori; ma non tollera, non può tollerare che questa passione abbia a disperdersi e inaridire in vuote formule superstiziose, e in gare ein cacce di persone od esibizioni di tessere tante volte, ahimé, turpemente abu- sate e sfruttate! Quasi che l’Italia fascista da noi vagheggiata potesse essere quella che si avrebbe il giorno in cui i famosi quaranta milioni d’ogni sesso od età fossero iscritti tutti nel Partito. « Gli uomini da adoperare », quindi, dovevano essere « quelli che per attitudini e preparazione potranno più utilmente aiutarci nella realizzazione della nostra idea. Cosî ha fatto sempre Benito Mussolini con la sua sicura volontà realizzatrice. E chi fa della politica dove c’è da risolvere un problema tecnico, non fa politica, ma spro- positi »; io — continuava Gentile facendosi forte della sua posizione politica — mi riterrei indegno della tessera che il Partito Fascista mi offri 13 Polemizzando con Forges Davanzati critico del « culturalismo » (cfr. il suo Fascismo e cultura, Firenze, Bemporad, 1926), « Vita nova » — la rivista di Arpinati molto vicina a Gentile — affermava le carenze del nazionalismo in campo culturale, mentre « per fare della cultura bisogna sul serio mettersi al lavoro, e quindi in vece di parlare di essa da un punto di vista strettamente politico, cosa più saggia sarebbe indicare i mezzi valevoli per promuovere efficacemente un vero rinnovamento cul- turale », perché la cultura « deve essere la più grande forza del nostro regime » (Rusticus [Giuseppe Saitta], Politica e cultura, in « Vita nova », II (1926), p. 61). i 60 L’Enciclopedia italiana nel maggio del ’23, quando ravvisò in me uno dei precursori e un fascista che faceva sempre sul serio, se scoprissi in me una mentalità cosi gretta da non distinguere la politica dalla tecnica in un’opera che riuscirà un grande esame sostenuto dal pensiero e dal carattere degl’ Italiani innanzi a tutte le nazioni civili, la maggior parte delle quali ci precedette in questo arringo: se per gusto inopportuno di chiuder- mi nella rocca forte dei miei camerati, trascurassi di adoperare tutti gli elementi e tutte le forze che l’Italia può fornirmi alla costruzione di questo gran monumento nazionale [...] Questo, per me, è fasci- smo. È quel fascismo che può affermare con giusto orgoglio: ic non sono partito, ma sono l’Italia, È il fascismo che può e deve chiamare a raccolta per ogni impresa nazionale tutti gl’Italiani: anche quelli dell’anzizzazifesto. I quali, se risponderanno all’appello, non verranno (stia pur tranquillo Interlandi) per fare dell’antifa- scismo: verranno, almeno nell’Enciclopedia, a portare il contributo della loro competenza: a far della matematica o della chimica o della fisica, e insomma della scienza 193. La distinzione gentiliana di scienza e politica non con- vinse Croce !*, né, per ragioni opposte, Interlandi, il quale replicando a Gentile affermò che «in nome della com- petenza [...] oggi si affida a molti, a troppi competenti antifascisti, la compilazione d’un’opera che a parer nostro non dovrà essere solamente un monumento di tecnica, ma 133 L’Enciclopedia italiana e il fascismo, ora in Fascismo e cultura, cit., pp. 111-115. 13 Già il 27 aprile Croce scrisse a Casati: « Hai visto come [Gentile] tratta i collaboratori non fascisti? Hai visto che li considera apportatori di pietre al monumento culturale del fascismo? [...] io previdi chiaramente quello che sarebbe avvenuto, quando rifiutai l’adesione, che tu mi chie- devi, all’Enciclopedia » (Epistolario, cit., vol. II, p. 96). E nel maggio, in una recensione critica di un articolo di V. Arangio Ruiz su L'individuo e lo Stato, osservò come, « anche chi, in questi tempi, è andato incauta- mente predicando che scienza e politica sono tutt'uno e che la cultura dev'essere asservita a un partito o a una frazione, debba in fretta e furia, per salvare le proprie intraprese, tentar di ristabilire la differenza, come si è visto nei giorni scorsi, nelle discussioni levatesi a proposito di una certa “Enciclopedia” » (« La Critica », XXIV (1926), p. 183). In risposta a Croce, « Vita nova » difese tutta la concezione di Gentile sui rapporti scienza-politica, concludendo con l’identificazione gentiliana e fascista del partito con lo Stato: «Si dirà che l’intento [dell’E.I.] è politico perché la scienza, lî, vuol riuscire a un monumento nazionale, e il nazionalismo del Gentile è il fascismo? Ebbene il Croce, lui, ch’è cosî fino nelle distin- zioni quando gli fanno buon giuoco, sa benissimo che questo fascismo non è più un partito o una fazione. Egli sa benissimo, dunque, che è del tutto erroneo affermare che il Gentile sia andato predicando che la cul- tura debba essere asservita al fascismo inteso in quel senso » (Urbanus, Piccolezze di un grand’uomo, in « Vita nova », II (1926), n. 6, p. 57). 61 Il fascismo e il consenso degli intellettuali un monumento del nostro tempo che, se non erriamo, è tempo fascista [...] Se l’“Enciclopedia” i fascisti non la sanno fare, perché non sono “competenti”, ebbene, non la facciano; ne faremo a meno. Non perirà per questo né il Fascismo, né l’Italia » !9. Affermazione decisamente contestata da « La fiera letteraria » che il 2 maggio — pur ‘assicurando sulla scarsa libertà di movimento dei 90 fir- matari dell’antimanifesto, sottoposti come tutti i collabo- ratori al controllo dei direttori di sezione, e quindi dei « loro capi gerarchici » Treccani e Gentile, che « rispondono del loro operato dinanzi alla Nazione e al mondo » — difese la posizione gentiliana e la necessità di una vasta politica culturale da parte del fascismo: nessun Governo come l’attuale ha fatto dei problemi della cultura nazionale oggetto di tanti progetti e di cosî evidenti preoccupazioni. Una cosa è dunque polemizzare e altra cosa è agire. Cosi una cosa è criticare l’operato degli Enciclopedisti, e altra cosa è fare una Enciclopedia. Da questa specie di dilemma non si esce se non dichiarando, come qualcuno ha fatto, che qualora l’Enciclopediu Italiana non possa farsi senza il concorso dei novanta reprobi, è meglio che non si faccia. Ma non può sussistere una politica intel- lettuale o culturale di un grande partito fondata sopra simili para- dossi 1%, La polemica tra Interlandi e Gentile, tra il fascismo « rivoluzionario » e quello « tradizionalista », si concluse a favore di quest’ultimo. La lettera — provocata proba- bilmente dal primo articolo de « Il Tevere » — inviata il 7 maggio dal segretario particolare del duce, Chiavolini, al segretario del Pnf Turati, con « un elenco dei collabo- 135 I} senso del Fascismo e l’Enciclopedia, in « Il Tevere », 28-29 aprile 1926 (editoriale). 1% Gli attacchi contro l'Enciclopedia. Politica e Cultura, in « La fiera letteraria », 2 maggio 1926 (editoriale). Gli attacchi dovettero continuare, se il 18 settembre 1927 Ernesto Codignola avvertiva Gentile che i suoi avversari, ostili alla sua permanenza nel Consiglio superiore della Pub- blica istruzione, « potrebbero forse chiedere e ottenere anche il tuo ‘allontanamento dall’Istituto di Cultura e dall’Enciclopedia. Tutto questo sarebbe molto grave per te e per le nostre idealità comuni, ma sarebbe ‘ancora più grave per le ripercussioni che avrebbe nel paese, già troppo po Vem e perplesso in questo momento » (Archivio Ernesto Codignola, irenze). 62 L’Enciclopedia italiana ratori dell’Enciclopedia Treccani già firmatari del noto manifesto degli intellettuali aventiniani », non ebbe grande effetto, anche se ad essa — e non a un ripensamento dei collaboratori previsti — fosse da attribuire l’abbandono dell’Enciclopedia da parte di 23 (fra cui Einaudi e Ruf- fini) degli 85 intellettuali nominati '”. I principali colla- boratori « non fascisti » annunciati — cui altri se ne ag- giunsero —, firmatari o meno del contromanifesto crociano, parteciperanno all’opera, e tre firmatari, Carrara, De San- ctis e Levi della Vida, vi rimarranno anche dopo il rifiuto del giuramento fascista richiesto nel ’31 ai professori uni- versitari !*, Le polemiche del fascismo estremista contro l’Enci- clopedia cessarono nel 1926, quando proteste come quelle del contromanifesto o del VI Congresso nazionale di filo- sofia non ebbero più possibilità di sbocchi politici; « non c'è più un’opposizione antifascista; e tutti son pronti a servire il Regime, che è lo Stato », affermerà Gentile nel °29 invitando gli iscritti al Pnf ad « accettare la collabo- razione degli italiani capaci ed onesti, anche non fascisti »: « dal 1925 al 1929 anche l’Italia intellettuale ha fatto molto cammino, e l’antifascismo va buttato, finalmente, in soffit- ta » !*. Tuttavia, se l’opposizione politica era schiacciata, la stessa opera gentiliana di « conciliazione » stava diven- tando meno necessaria fin dal ’26, con l’inizio della costru- zione dello Stato totalitario. Ma l’Enciclopedia era ormai avviata, e poté continuare con la collaborazione di quanti — seppure in alcuni casi critici verso il suo direttore o verso il regime — avevano aderito all’impostazione « na- zionale » che Gentile aveva dato all'opera nel ’25!. 137 ACS, Segreteria particolare del Duce, Carteggio riservato, b. 49, sottofasc. 1. 138 Per i rapporti di De Sanctis e Levi Della Vida con Gentile e YE.I. cfr. G. De Sanctis, Ricordi della mia vita, Firenze, Le Monnier, 1970, e G. Levi Della Vida, Fantasmi ritrovati, Venezia, Neri Pozza, 1966. 139 G. Gentile, Fascismo e Università, in « Educazione fascista », VII (1929), pp.-613-614. 140 Volpe nega l’esistenza di contrasti politici fra i collaboratori, che erano «di ogni colore politico» (Giovanni Gentile, cit., p. 359); cosî Fortunato Pintor (che fu direttore della sezione « Biblioteche »), per il quale Gentile « raccolse intorno a sé e indirizzò ad un concorde e disci- 63 Il fascismo e il consenso degli intellettuali Discussioni o contrasti si trasferirono per il momento all’interno dell’Enciclopedia, nell’ambito delle scelte cultu- rali: il punto di maggior frizione — su cui ci soffermiamo perché essenziale alla comprensione dei condizionamenti esterni dell’opera — fu il settore religioso, dove Gentile dovette fronteggiare fin dal ’25 la pressione del mondo cattolico, che per acquistare un ruolo egemonico nella cultura italiana fu pronto a sfruttare la politica di riavvi- cinamento alla Chiesa promossa da Mussolini. 7. L’ipoteca cattolica Le dichiarazioni di imparzialità di Treccani e Gentile avevano trovato subito un esplicito correttivo nell’accet- tazione del controllo ecclesiastico. Nella prima riunione del consiglio direttivo dell’Istituto, il 26 giugno 1925, Trec- cani — dopo aver ricordato le incomprensioni e le critiche con cui l’iniziativa era stata accolta — aveva precisato: L’Enciclopedia nostra deve corrispondere ai sentimenti tradi- zionali degli Italiani e perciò, deve essere non solo patriottica, ma anche bene accetta alla Chiesa. Per raggiungere questo scopo, un ac- cordo è già intervenuto; Padre Pietro Tacchi Venturi, della Compa- gnia di Gesù, dirigerà la sezione per le materie ecclesiastiche e sotto la sua guida collaboreranno altri ecclesiastici, tra i quali Mons. Gramatica e Padre Rosa !4%. plinato lavoro migliaia di studiosi italiani e stranieri, di ogni credenza e di ogni scuola: accolti con uguale fiducia i dissenzienti dalla sua filosofia, gli avversari delle sue idee politiche » (Giovanni Gentile negli studi storici e letterari, in Giovanni Gentile. La vita e il pensiero, Firenze, Sansoni, 1950, vol. II, pp. 147-148). Più sfumata la testimonianza di Arnaldo Momigliano: se Giglioli, Fedele, Volpe e Gentile « non chiedevano, e nemmeno desideravano, che si diventasse fascisti [...] per lo stesso fatto di entrare nelle Università, nelle Scuole storiche e nella Enciclopedia, ci si inseriva in organismi fascisti, dove l'imbarazzo era costante e la cautela diventava abito. Il motto che Croce ci dava il pane spirituale e Gentile ci dava il pane materiale ricorse allora più di una volta in con- versazione. Una solidarietà implicita si stabiliva tra coloro che erano di sentimenti antifascisti alla Università o alla Enciclopedia » (Appunti su F. Chabod storico, in «Rivista storica italiana », LXXII (1960), pp. 643-644). 141 G. Treccani, Enciclopedia Italiana Treccani. Idea esecuzione com- pimento, cit., p. 38. Le Avvertenze ai collaboratori assegnavano agli argo- 64 L'Enciclopedia italiana La presenza stessa di ecclesiastici de « La Civiltà cat- tolica », in posizione privilegiata e non in nome del tanto invocato criterio della competenza, indica — prima ancora di poter esprimere un giudizio sulla sua efficacia — una forte incrinatura nell’impostazione gentiliana dell’opera. L’accordo di Treccani corrispondeva al processo di avvici- namento in atto fra Stato e Chiesa — il gesuita Tacchi Venturi fu in quel periodo trait-d’urzion fra Mussolini e il Vaticano !'* —, ma contrastava con la concezione « agoni- stica » dei rapporti fra i due poteri propria di Gentile, fedele alla formula cavouriana e contrario alla conciliazione di diritto '*. L’ingerenza della Chiesa, che proprio negli anni ’20 scagliò la sua offensiva in campo culturale contro l’idealismo come principale obiettivo da colpire, fu con- trastata ma, soprattutto dopo il ’29, sempre più subîta da Gentile. L'impostazione iniziale data all’Enciclopedia, per cui avrebbe dovuto registrare tutti gli indirizzi culturali e affidarsi ai competenti di ogni materia, fu — unita all’ac- cordo di Treccani — un’arma a doppio taglio di fronte alla organizzazione vasta e articolata della cultura cattolica che sotto la protezione « politica » dei gesuiti poteva ora utilizzare la capacità di penetrazione della neoscolastica, dal 1924 istituzionalmente rafforzata col riconoscimento statale della Cattolica di padre Gemelli '!#. Ma è anche menti religiosi il primo posto nel punto III: « Delle materie religiose e filosofiche, morali e politiche gli scrittori dell’Enciclopedia avran cura di parlare con rispetto assoluto dell’altrui pensiero e coscienza, in modo da consentire che all’Enciclopedia insieme collaborino uomini di ogni fede e di ogni dottrina che abbia un suo valore. A tutti i collaboratori dev’esser possibile incontrarsi sopra un medesimo terreno, dove ognuno, pur mantenendo, com'è necessario, i propri convincimenti, usi tuttavia un linguaggio che gli altri possano ascoltare. Tutti i collaboratori sentiranno che soltanto cosî l’Enciclopedia Italiana potrà riuscire, com'è suo propo- sito, un lavoro a cui partecipano tutte le forze vive della scienza e dell’ingegno italiano » (ibidem, p. 42). 14 Cfr. F. Margiotta Broglio, Italia e Santa Sede dalla grande guerra alla Conciliazione, Bari, Laterza, 1966, passim, e M. Scaduto S.]., Il P. Pietro Tacchi Venturi. 1861-1956, «La Civiltà cattolica », 107 (1956), vol. II, pp. 45-47. 143 Cfr. R. De Felice, Mussolini il fascista, II. L'organizzazione dello Stato fascista 1925-1929, Torino, Einaudi, 1968, pp. 405-407. 14 Cfr. C. Vasoli, I neoscolastici e la cultura italiana, ora in Tra cul- tura e ideologia, Milano, Lerici, 1961, pp. 419-457, e P. Rossi, La filosofia 65 Il fascismo e il consenso degli intellettuali vero che, nonostante le polemiche molto accese proprio con i neoscolastici, il « laicismo » gentiliano conteneva molte falle: l’importanza crescente assunta nella filosofia di Gen- tile da una religione ambiguamente intesa, dai Discorsi del 1920 su su fino alla voce enciclopedica del 1936 e alla con- ferenza del 1943 su La mia religione; la coscienza, matu- rata dopo la guerra, del « problema politico » della religione necessaria al rinnovamento della cultura da parte di uno Stato non più agnostico che, « senza combattere in nessun modo nessuna particolare forma religiosa, riconosca ed affermi il valore della religione com’essa vive attraverso tutte le forme » !9; il generico spirito « religioso » attri- buito ai « profeti » del Risorgimento (non solo Mazzini e Gioberti), sottolineando però — come per Capponi — « l'impossibilità di astrarre una indeterminata e vaga reli- giosità mistica dal complesso concreto della vita storica ita- liana, intimamente cattolica » !f: tutto ciò favoriva la trattazione di temi religiosi — in un’opera rivolta a valoriz- zare la civiltà romana e italiana —, e costituiva almeno la premessa per uno scontro duro e incerto nei risultati, fra l’attualismo che si considerava « vera religione », e le forze cattoliche chiamate a dare il loro contributo. Ma l’accordo citato da Treccani era destinato a far pendere la bilancia a favore di queste ultime, per cui è probabile che l’Enci- clopedia abbia assolto, nel campo dell’alta cultura, la stessa funzione favoreggiatrice del pensiero confessionale svolta dalla riforma scolastica nel settore dell’educazione elemen- tare (e poi media)”. neoscolastica e i suoi orientamenti storiografici, ora in Storia e filosofia. Saggi sulla storiografia filosofica, Torino, Einaudi, 1969, pp. 70-91. 145 Discorsi di religione, ora in La religione, Firenze, Sansoni, 1965, pp. 312-313. 16 Ibidem, p. 290. 147 Si pensi agli interventi di Gentile a difesa della riforma scolastica (Scritti pedagogici, III. La riforma della scuola in Italia, cit.), nei quali prevale, sull’idea del confronto fra pensiero laico e cattolico, il concetto dello Stato non agnostico ma educatore, per concludere che «in Italia, se lo Stato è coscienza attiva nazionale, coscienza dell’avvenire in fun- zione del passato, coscienza storica, esso è coscienza religiosa cattolica » (ibidem, pp. 198-199). Sul « laicismo » e la concezione gentiliana del catto- licesimo come elemento essenziale della tradizione nazionale italiana, cfr. 66 L'Enciclopedia italiana Gentile cercò di contrastare l’offensiva cattolica, come dimostrano l’organizzazione iniziale delle sezioni di argo- mento religioso e i loro successivi cambiamenti. La sezione « Materie ecclesiastiche » affidata a Tacchi Venturi, di cui aveva parlato Treccani il 26 giugno ’25, non compare nel Primo elenco di collaboratori dell'inizio del 26, quando le trattative col Vaticano segnavano il passo; appaiono invece quella di « Filosofia, Educazione e Religione » sotto la direzione di Gentile, conforme alla concezione per cui « la religione [...] solo idealmente è distinta dalla filosofia, laddove in realtà ogni religione è sempre una filosofia, e ogni filosofia, se degna del suo nome, è una religione » !*, la sezione « Geografia sacra » sotto la guida di mons. Luigi Gramatica, e quella di « Storia delle Religioni » con Raf- faele Pettazzoni, che fra i primi aveva introdotto stabil- mente in Italia la corrispondente disciplina, cui Gentile riconosceva, sia pur con alcune cautele, validità scientifica !9. Nel primo volume dell’Enciclopedia invece, uscito nel marzo 1929 subito dopo i Patti Lateranensi, la generica sezione « Materie ecclesiastiche » diretta da Tacchi Ven- turi (probabilmente non limitata all’agiografia sacra o alla liturgia) si affiancò a quelle già citate di Gramatica e Pet- tazzoni, alla sezione diretta da Gentile che assunse il titolo « Storia della Filosofia e Storia del Cristianesimo » dove, accanto alla significativa scomparsa della « Pedagogia » e della « Religione » (non sappiamo se come la prima assort- bita dalla « Filosofia » o dalle « Materie ecclesiastiche »), si registra il tentativo gentiliano di controllare — tramite Omodeo, come vedremo — la « Storia del Cristianesimo ». All’inizio del 1930 (vol. V) «Filosofia e pedagogia » e « Storia del cristianesimo » risultano distinte, entrambe sempre dirette da Gentile; ma poco dopo, nei primi mesi del 1931 (vol. XI), « Storia del cristianesimo » è scom- le osservazioni di A. Lo Schiavo, La religione nel pensiero di Giovanni Gentile, in « La Cultura », n.s., VI (1968), pp. 354-357. 18 Il carattere religioso dell’idealismo italiano, ora in La religione, cit., p. 439. 19 Cfr. ibidem, pp. 449454, la recensione del 1922 alla Storia delle religioni di G. Foot Moore. 67 Il fascismo e il consenso degli intellettuali parsa: assieme al ritiro di Omodeo, ciò può essere inter- pretato come un indebolimento della posizione gentiliana in questo settore, e un rafforzamento delle « Materie eccle- siastiche » di Tacchi Venturi. L'offensiva ecclesiastica è evidente anche nel campo dei collaboratori: mentre nel Prizzo elenco gli ecclesiastici so- no 34 (pari al 2,4% del totale dei collaboratori), di cui solo 5 gesuiti (di fronte a 13 francescani), nel I volume (1929) sono già nella percentuale in cui parteciperanno a tutta l’opera — oltre il 4%, di cui il 27% è formato di gesuiti che costituiscono il gruppo più numeroso; ap- paiono fin da ora i più eminenti: oltre a Tacchi Venturi, Carlo Bricarelli, Enrico Rosa e Alberto Vaccari — e, se si eccettuano Omodeo e Pincherle (storia del cristianesimo), egemonizzano gli argomenti religiosi (agiografia e storia della chiesa in particolare); accanto agli ecclesiastici, nel I volume appaiono anche professori di Istituti cattolici romani e della Cattolica — questi ultimi in numero di 6 — che, osservava « La Civiltà cattolica » del 21 dicembre 1929, « per sincerità di fede affidano chi consulti quest’o- pera » 1°, L'assalto cattolico all’Enciclopedia era cominciato meno di un mese dopo la costituzione dell’Istituto Treccani e prima ancora che fosse annunciato l’accordo intervenuto con le autorità ecclesiastiche: il 26 marzo ’25 padre Ago- stino Gemelli — fondatore della Cattolica e paladino della neoscolastica, e uno dei maggiori critici dell’attualismo — aveva offerto il contributo suo (gratuito) e dei suoi « amici » — proponedo per sé temi di psicologia !, di cui si occu- perà nell’Exciclopedia assieme all’altro argomento in cui era « competente », la Neoscolastica,' voce tutta impostata in senso anti-idealistico —, confutando coi fatti il giudizio negativo espresso politicamente su di lui e su tutta la cul- tura cattolica dal gentiliano Giuseppe Saitta!”. 150 [G. Busnelli], L’« Enciclopedia Italiana », in «La Civiltà catto- lica », 80 (1929), vol. IV, p. 538. 151 AEI, Lettere, Gemelli. 152 Rusticus [Giuseppe Saitta], L’Enciclopedia cattolica, in «Vita nova », II (1926), n. 4, p. 62: « L’infaticabile Padre Gemelli ha lanciato 68 L’Enciclopedia italiana: Gentile accettò la collaborazione di Gemelli e del gruppo neoscolastico, seguendo il criterio per cui l’opera doveva essere specchio fedele di tutte le correnti intellet- tuali del paese. A questo criterio si ispirò anche Adolfo Omodeo, cui Gentile affidò fin dall’inizio l’organizzazione del settore religioso da lui diretto. Lo storico del cristia- nesimo, le cui lettere e la cui nota vicenda personale sono guida illuminante per seguire il peso crescente assunto all’ interno dell’Enciclopedia da Tacchi Venturi e dagli ecclesia stici (soprattutto gesuiti), preparò elenchi di voci sull’e- sempio della Britazzica — cercando di impedire, con una trattazione storica degli argomenti, gli interventi dogmatici dei collaboratori cattolici * —, e assicurò il contributo di esponenti dei diversi indirizzi religiosi: gli allievi di Buoniaiuti con in testa Alberto Pincherle !*, e il gruppo l’idea di contrapporre alla enciclopedia “Treccani” diretta dal Gentile una enciclopedia cattolica. L’idea è buona, anzi ottima, e noi l’approviamo, perché cosi l’illustre frate che ha il merito di aver fondato un Istituto Universitario del Sacro Cuore, di cui ancora ignoriamo i risultati, dimo- strerà per l'ennesima volta che il pensiero cattolico nulla ha da dire di veramente nuovo nel dominio scientifico. Si fa presto a trovare i milioni, ma ciò che è difficile, difficile assai, è trovare le teste, e di teste colte, sapienti, con tutta la buona volontà, non ne scopriamo molte nel campo cattolico ». 153 Il 28 dicembre 1926 scriveva a Gentile: « Non sono riuscito a intendere bene il criterio secondo cui è stabilito lo sviluppo da dare alle singole voci. Noto che anche gli argomenti cattolici sono contenuti entro limiti molto pi ristretti che nell’E.B. [Enciclopedia Britannica]. Ciò non può dipendere dal fatto che sono aumentate le voci. Le voci aggiunte non mi pare che superino i nomi di teologi e pastori protestanti da me depennati l’anno scorso dagli elenchi dell’E.B. Può darsi che questo sia un criterio già fissato (di restringere gli argomenti di storia cristiana ed ecclesiastica). Badi però che c’è un pericolo, specialmente con la collabo- razione dei cattolici: di rendere questa parte dell’Enciclopedia completa- mente insignificante come i trattati e i manuali correnti nei seminari, che nessuno consulta. Massima obbiettività e pura esposizione dei problemi: sta bene. Ma quella gente non si contenta di questo. Vuole che i problemi siano ignorati, il che significa tradire lo scopo principale dell’Enciclopedia. È di ieri la condanna d’un manuale ortodossissimo di storia ecclesiastica corrente nei seminari, pel solo fatto che onestamente informava dei punti + Ag dei non ortodossi » (G. Gentile-A. Omodeo, Carteggio, cit., p. 369). 154 A Gentile, s.d. (ma 1925): « Ognuno del loro gruppo sceglierà le voci che meglio rispondono alla loro preparazione e le tratterà. Ciò non vincola menomamente l’atteggiamento che noi o essi crederemo o crede ranno di prendere in altre opere, negli apprezzamenti reciproci. L’Enci- 69 Il fascismo e il consenso degli intellettuali di « Bilychnis » per la storia del protestantesimo ‘5. Ma, fin dal 1926, le sue lettere a Gentile rivelano le pressioni e poi il deciso intervento censorio degli ecclesiastici, che alla fine del ’29, forti degli accordi dell’11 febbraio, co- stringeranno Omodeo ad abbandonare il lavoro all’Enciclo- pedia, dove sarà sostituito da Pincherle '*, Da questo momento i gesuiti predomineranno nel set- tore, e « La Civiltà cattolica », stendendo un bilancio dei primi tre volumi dell’opera, poteva profondersi in lodi, pur lamentando che parecchie voci fossero state affidate «a laici non solo, ma di sensi non cattolici, quali il Pincherle e l’Omodeo »: Una particolare menzione [...] merita il saggio consiglio preso dall’Istituto Treccani di affidare in avvenire la direzione della Sezione Materie ecclesiastiche e la compilazione degli articoli nei quali più facilmente possono trascorrere abbagli ed errori, ad ecclesiastici dell’uno e dell’altro clero, italiani e stranieri, uomini tutti di sicura dottrina nel campo della sacra letteratura. C'è dunque ragione di stare a buona speranza che per quel che riguarda direttamente la Chiesa, il dogma, la storia ecclesiastica, la liturgia e le altre parti della dottrina e della scienza cattolica, non s'incontreranno quei difetti, talora gravissimi, che scemano il valore e la stima di altre enciclopedie, compilate con troppa assoluta indi- pendenza, ignoranza o anche disprezzo del pensiero cristiano e cattolico. Oltracciò convien notare come i Direttori dell’Enciclopedia, sen. G. Gentile e dott. C. Tumminelli, insieme col Consiglio direttivo dell’Istituto Treccani, mentre lasciano agli scrittori la piena libertà d’esprimere il concetto cristiano e cattolico e il giudizio dei fatti secondo il criterio della soda indagine ecclesiastica, promettono di invigilare che anche in altri articoli indirettamente attinentisi alla religione cattolica e alle materie ecclesiastiche non vengano soste- nute o insinuate sentenze o critiche contrarie o malfondate !9?. Il giudizio dell’autorevole rivista suonava monito per il futuro, non solo per le voci di argomento religioso. L’effi- clopedia rifletterà obiettivamente la situazione presente della cultura ita- liana » (ibidem, p. 356). 155 A Gentile, 5 novembre 1925 (ibiderz, p. 345). 156 Cfr. ibidem, e A. Omodeo, Lettere 1910-1946, Torino, Einaudi, 1963, in particolare la lettera a Gentile del 4 dicembre 1929. 157 [G. Busnelli], art. cit., pp. 535-536. 70 L’Enciclopedia italiana cacia del controllo ecclesiastico, su cui esistono testimo- nianze di contemporanei '* e che sarà verificata più avanti, poggiava ormai sulla nuova situazione politica e culturale creata dalla Conciliazione. Con l’11 febbraio 1929 il contrasto fra cattolici e idea- listi si trasformò in aperta frattura, registrata immediata- mente dal VII Congresso di filosofia che vide lo scontro fra Gentile e Gemelli. Il pericolo dell’ingerenza cattolica fu avvertito subito da Gentile, che cercò di reagire attac- cando il dogmatismo neotomistico '? e sottolineando il carattere « religioso » dell’attualismo !9, La funzione da lui svolta nel ’23-’26 era tuttavia destinata a indebolirsi con la nuova alleanza stabilita dal regime, e l’Enciclopedia diverrà luogo di uno scontro sempre più duro con i catto- lici, nel '34 apertamente incoraggiati dalla messa all’indice delle opere di Croce e Gentile. Il quadro storico generale in cui nacque e fu realizzata l’idea dell’Enciclopedia — fin qui tracciato — ha contribui- to a spiegare le sue origini nel clima di riscossa nazionale del dopoguerra, e la funzione di assorbimento di intellet- tuali di diversa formazione da essa svolta nel 1925-26, e in vista della creazione dello Stato totalitario; cercheremo ora, attraverso la lettura interna dell’opera, di chiarire le scelte culturali operate, che non possono essere dedotte 158 Minimizzato da Volpe (arz. cit., pp. 344 e 360), il controllo eccle- siastico è invece ritenuto esteso a tutti gli argomenti da G. Calogero, Mussolini, la Conciliazione e il congresso filosofico del 1929, in « La Cul- tura », IV (1966), pp. 434-435, e testimoniato da G. Levi Della Vida, op. cit., pp. 234-238. 19 Cfr. ad es. le dichiarazioni di Gentile riportate in « Educazione fascista », VII (1929), p. 437. 16 Alla lettera del settembre ’28 con cui Giulio Salvadori rifiutò l’invito gentiliano di collaborare all’E.I., «opera dove la filosofia domi- nante nega Dio vivo e vero per adorare la divinità dell'uomo » (pubblicata postuma da A. Frateili, Vita e poesia di Giulio Salvadori, in « Pègaso », I (1929), p. 107; ora in Lettere di Giulio Salvadori scelte e ordinate da P.P. Trompeo e N. Vian, Firenze, Le Monnier, 1945, pp. 353-354), Gentile rispose qualificando « giudizi temerari: 1) che nella detta Enciclc- pedia domini una filosofia (che non è vero); 2) che la mia filosofia neghi Dio vivo e vero (che è falso); 3) che adori la divinità dell’uomo (che è un equivoco molto grosso)» (« Giornale critico della filosofia italiana », X (1929), p. 79). 71 Il fascismo e il consenso degli intellettuali meccanicamente dal rapporto col clima politico in cui ven- nero attuate, anche se di questo dovremo tenere conto. Centro di raccolta dei maggiori studiosi italiani, rappre- sentanti non solo nel ’25 — quando li uni la politica di « conciliazione » di Gentile — differenti indirizzi di pensiero !, l’Enciclopedia fu considerata allora come uno strumento capace di promuovere studi e ricerche in campi fin allora inesplorati dalla scienza italiana ‘*. Nell’impossi- bilità di controllare questa affermazione, ci limiteremo a verificare il giudizio di quanti vi hanno visto l’espressione di una cultura accademica impermeabile al fascismo, « po- sitiva », costituita di « fatti » e di informazioni, contro la quale polemizzeranno, in un ambiente sempre più chiuso alle moderne esperienze contemporanee, i nuovi mistici della fede cattolica o della « dottrina fascista » !9. 161 Sarebbe tuttavia da verificare l’accenno di Volpe (art. cit., p. 346) alla diminuzione del numero dei collaboratori per volume, che potrebbe indicare una maggiore progressiva uniformità di voci. 162 Cfr. ad es. Pincherle, per il quale l’E.I. « riproduce in sostanza lo stato odierno della cultura italiana, con i suoi pregi e anche, è naturale, con le sue deficienze: a riparare alle quali la preparazione di un'Enciclo- pedia è appunto stimolo efficace più di tanti discorsi » (art. cif., p. 287), e Gentile: «è già interessante vedere come quest’alta cultura italiana abbia avuto dall’Enciclopedia uno sprone e uno stimolo a misurarsi in campi finora trascurati [...]. L’Enciclopedia ha fatto sî che, p. es., ci siano ora degli storici italiani (e questo è un fatto nuovo) che si occupano di proposito di storia delle altre nazioni, dall'Europa all’Estremo Oriente. Non uno o due specialisti, ma parecchi, e, quel che più importa, giovani » (L’Enciclopedia Italiana, in « Rassegna italiana politica e letteraria », XIII (1930), p. 324). Tanto che Volpe potrà dire che l’E.I. «fu, per dieci anni, un gran porto di mare; fu la vera Universitas studiorum non di Roma o d'altra città ma di tutta Italia e, un poco, di tutta Europa. E un uomo di nome europeo, e pit che europeo, Gentile, ne era il Rector Magnificus, sempre presente, anche se non ingombrantemente presente » (art. cit., p. 359). ‘018 Di voci «partigiane ma dignitose » ha parlato G. Devoto (Ur ricordo, in « Il Corriere della sera », 4 gennaio 1972). Significativi il giu- dizio di Ireneo Speranza [don Giuseppe De Luca, uno dei principali collaboratori ecclesiastici dell’E.I.], Temzpo d'Enciclopedia?, in « Il Fron- tespizio », XI (1937), pp. 93-95 (« Chi domanda all’Enciclopedia il corso dei propri giorni e la regola della vita terrestre ed eterna? [...] L’Enci- clopedia è ormai cosa da positivisti »), e il modo in cui venne annunciato dalla stessa « Critica fascista » (XVI (1937-38), pp. 174-176) il Dizionario di politica del Pnf che sarà pubblicato nel 1940: « prezioso repertorio dottrinale, a base del quale non sarà tanto l'informazione quanto la valu- tazione di idee e fatti “dal punto di vista fascista”: opera, cioè, come ben 72 L’Enciclopedia italiana 8. Il controllo del regime A molti degli studiosi che hanno valutato complessi-. vamente i contenuti dell’Enciclopedia, emblematica delle vicende culturali del periodo fascista, è parso che in essa permanessero i valori di una cultura impermeabile al fa- scismo, sia per la presenza di eminenti personalità antifa- sciste, come Solari e Mondolfo, sia per l’ampiezza di settori ritenuti difficilmente influenzabili dall’ideologia del fasci- smo, e dal carattere puramente espositivo, come quelli geo- grafico e artistico. È il caso di Bobbio, per il quale l’opera è « indiscutibilmente la più grande rassegna che sia mai stata tentata sino ad oggi della cultura accademica del nostro pae- se », e « non è, se non in qualche frangia marginale, che ap- pare una stonatura, un’opera fascista », in quanto « tutto ciò. che vi fu di fascistico, anzi di “squisitamente” fascistico, nei trentasei volumi, fu concentrato nella voce Fascisnzo » !*: un’interpretazione che, mentre coglie nell’impresa la pre- senza di « tutto o quasi tutto lo stato maggiore della cultura. accademica post-fascista », tende a negare qualsiasi influenza dell’ideologia del fascismo sulla cultura, secondo la nota tesi crociana. Né si discosta molto dalla sostanza di questa interpreta- zione, pur con giudizio di valore rovesciato, Asor Rosa, che, attento a sottolineare la continuità del carattere di classe della cultura borghese prima e durante il fascismo, si li- mita — con Momigliano — a rimproverare agli intellettuali che parteciparono all’impresa che, « collaborando, si colla- borava inequivocabilmente ad un’opera del regime », osser- vando tuttavia che in questo caso « la fascistizzazione della cultura non comportò neanche un’“appropriazione” ideo- logica, come quella verificatasi nel campo della scuola, ma soltanto la gestione istituzionale di ampi settori d’intellet- sanno i collaboratori che vi attendono fervidamente, “di impostazione e di finalità politiche, e non di una pura e semplice enciclopedia cultu» rale” » (R. De Mattei, Cultura fascista e cultura dei fascisti). 14 N. Bobbio, La cultura e il fascismo, in AA.VV., Fascismo e società italiana, a cura di G. Quazza, Torino, Einaudi, 1973, pp. 215-16. 73 Il fascismo e il consenso degli intellettuali tuali di tendenze e opinioni diverse » !9. Solo Badaloni, cogliendo la novità rappresentata dal fascismo anche in cam- po culturale, ha avanzato l’ipotesi di un legame fra l’ideo- logia del regime reazionario di massa e la cultura di cui l’opera fu espressione, pur affermando che l’Enciclopedia « si caratterizza certamente per l’aspetto della continuità » rispetto alla tradizione precedente, assicurata dal ruolo svolto da Gentile !9, Un esame ravvicinato dell’opera permette in realtà di individuare, accanto ai forti condizionamenti politici del regime — divenuti espliciti nel 1933 con il riconoscimento ufficiale dell’iniziativa di Treccani — e alla elaborazione di una cultura propria del fascismo '”, l'impossibilità dei non molti intellettuali non allineati al regime di mantenersi autonomi all’interno di una istituzione fascista; e, infine, il carattere non univocamente gentiliano dell’opera, non tanto perché, come ha affermato Momigliano, Gentile si limitava in alcuni casi a dare ai collaboratori il pane mate- riale mentre Croce forniva quello spirituale, quanto perché, più in generale, l'impresa enciclopedica si pose come coro- namento di quel processo di selezione di una cultura di destra — su cui ha insistito Amendola !* — che si era venuta rafforzando a partire dall’età giolittiana, e, se vi fu un elemento non completamente omogeneo a questa cul- tura, esso non fu rappresentato dal liberalismo di Croce, bensî dalla componente cattolica che, potenziata nel 1929, 16 A. Asor Rosa, La cultura, in Storia d'Italia, IV, Dall'Unità a oggi, 2, Torino, Einaudi, 1975, p. 1483. 16 N, Badaloni-C. Muscetta, Labriola, Croce, Gentile, Bari, Laterza, 1977, pp. 59-61. 167 Sulla « cultura del fascismo » cfr. l’introduzione di E. Garin a Intel- lettuali italiani del XX secolo, Roma, Editori Riuniti, 1974, e la recen- sione di G. Amendola al volume di Garin (ora in Fascisazo e movimento operaio, Roma, Editori Riuniti, 1975, pp. 41-54). 168 G. Amendola, op. cit., pp. 41-54, che ha tuttavia negato l’esistenza di una cultura fascista: « Non c’è stata una cultura fascista. C'è stata una adesione politica degli intellettuali al fascismo, una accettazione del regime sulla base di posizioni culturali molto diverse [...]. Al fascismo aderi- scono positivisti e idealisti. Uomini di varie e contrastanti correnti arti- stiche mantengono, nel quadro politico fornito dal regime, le proprie posizioni culturali, e il regime lasciava correre » (Id., Intervista sull’anti- fascismo, a cura di P. Melograni, Bari, Laterza, 1976, pp. 148-149). 74 L’Enciclopedia italiana mirò a sostituirsi all’attualismo e al debole « laicismo » di Gentile. Definire idealistica l’Enciclopedia, come da più parti è stato fatto !’, è insufficiente a comprenderne la com- plessità e, probabilmente, la stessa capacità di durata nella cultura italiana. Per far ciò è necessario ricordare che l’opera di organizzazione del consenso intrapresa da Gen- tile nel 1925-26 fu integrata, non senza forti contrasti, dall'intervento cattolico: la constatazione acquista tutto il suo valore, ove si pensi che all’impresa furono interessati 3.266 collaboratori — « quel piccolo e rissoso e indisci- plinato mondo degli “intellettuali” — il più riottoso, indi- vidualista, disgregato — ha dato e dà da anni un esempio di adattamento al lavoro collettivo », ricorderà nel 1941 il revisore-capo Umberto Bosco !° —, e che, ad avvalorare (in positivo e in negativo) il giudizio di alcuni studiosi sulla continuità tra fascismo e postfascismo, l’Enciclopedia ha attraversato impunemente la caduta del regime per presen- tarsi ancora oggi, immutata nei contenuti dopo cinquanta anni dalla sua apparizione, come strumento di lavoro di studiosi e di studenti. Le Appendici che sono cominciate a uscire nel 1949 non hanno potuto modificare i contenuti generali dell’opera che, ristampata fotoliticamente nel 1949 mentre presidente dell’Istituto era diventato il cattolico Gaetano De Sanctis, non ha sentito il bisogno, a differenza dell’Enciclopedia britannica, di rinnovarsi col mutare della società, degli orientamenti politici e delle prospettive cul- ‘turali, attuando cosî, molto al di là delle sorti del regime al quale è legata la sua nascita, l’auspicio, formulato nel 1938 da Gentile, di veder prolungare la nostra vita in un’opera che continuerà ad essere ricer- cata e apprezzata dagl’Italiani per cui essa è stata specialmente pensata e compilata e per gli stranieri che noi ci lusinghiamo di 16 Essa fu qualificata un «enorme e informe cibreo idealistico-fa- scista » da Togliatti, Antonio Gramsci e don Benedetto (1947), ora in I corsivi di Roderigo, Bari, De Donato, 1976, p. 145. Di enciclopedia del- l’idealismo parlano P. Piovani, Il pensiero idealistico, in Storia d’Italia, V.I documenti, 2, Torino, Einaudi, 1973, p. 1580, e U. Spirito, Memzorie di un incosciente, Milano, Rusconi, 1977, pp. 52-56 (dove l’opera è consi- derata « una prosecuzione del fascismo »), e 126-134. 170 U. Bosco, Enciclopedia Italiana, cit., p. 321. 75 Il fascismo e il consenso degli intellettuali aver legati all'Italia con nuovi vincoli di simpatia e di stima, mentre l’Italia per l’azione potente d’un grande Uomo e d’una grande Idea risorgeva per la terza volta a imperiale potenza e riaffermava nel mondo la sua missione !7!, Il regime non si era limitato a condizionare dall’esterno l’opera, ma ne aveva facilitato la realizzazione facendo pro- pria l’iniziativa di Treccani. Le difficoltà economiche del- l’Istituto originario insorte già nel 1928 e aggravatesi con la grande crisi portarono nel 1931 ad una sua fusione nell’ente editoriale Treves-Treccani-Tumminelli, e infine all’inter- vento in prima persona del governo che, riconoscendo l’opera di interesse nazionale, con d.l. 24 giugno 1933 co- stituî, con il finanziamento di banche parastatali, l’Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani, sotto la presidenza di Guglielmo Marconi ‘2. A queste vicende editoriali si accompagnò un pit stretto controllo da parte del regime e l’abbandono della « poli- tica di conciliazione » perseguita da Gentile nel 1925-26; cosî, se ancora nel 1929 Gentile poteva riconoscere, nella prefazione al primo volume dell’opera, « l'opportunità di un ragionevole eclettismo e di una scrupolosa imparzia- lità », nel 1931, spentesi le « battaglie » che si erano svolte nella fase preparatoria — e di cui la vicenda di Omodeo è l'esempio più significativo —, il direttore dell’Enciclopedia notava che, « perduta per via qualche forza anche ingente, non fatta per questa disciplina indispensabile a un lavoro di questo genere, e formata ormai la famiglia, quale io la sento intorno a me, dei direttori e redattori, si tratta piut- tosto di scaramucce e di semplici avvisaglie » !?. Due anni dopo, intervistato all’indomani del d.l. 24 giugno 1933, Gentile marcava la differenza fra la situazione attuale e quella di otto anni prima, ricordando che nel 1925 WI E.I., Appendice I, 1938, p. XII. 172 Cfr. ACS, Presidenza del Consiglio dei Ministri, (1937-39), n. 1942, fasc. 3, 2-6; Ministero della cultura popolare, b. 158, fasc. 3, e G. Treccani, Enciclopedia Italiana Treccani. Come e da chi è stata fatta, cit., pp. 27-28. 13 G. Gentile, Ancora delle tribolazioni di un enciclopedista. Come d Dee e si cuce îl libro per tutti, in « Il Corriere della sera », 11 febbraio 76 L’Enciclopedia italiana la collaborazione alla Enciclopedia venne aperta a quanti avevano una fama sicura ed una competenza accertata nei vari rami delle lettere, delle arti e delle scienze. Forse fu un errore. Ma allora, mentre vivevano ancora i vecchi partiti, si pensava che la nostra Enciclopedia potesse fare opera di concordia, accogliendo uomini che, benché non fascisti, avevano accettato il programma dell’Isti- tuto che si inspirava alla coscienza del glorioso passato del popolo italiano e a quegli alti destini cui esso può e deve aspirare; « seguiremo fedelmente le direttive che il Duce ci ha impar- tito », concludeva rispondendo a una domanda sui propo- siti per l’avvenire !*. È naturale che « Il Tevere » non riprendesse le polemiche del 1926, ma si limitasse a notare come l’opera « per l'ampiezza del testo e per la profonda dottrina della compilazione » avesse assunto « il carattere di grande Enciclopedia nazionale » !*. Tanto pi che, a con- validarne l’aderenza al regime agli occhi di quanti vi ave- vano criticato uno spirito quanto meno afascista, meno di un anno prima della costituzione del nuovo Istituto sul- l’Enciclopedia era stata pubblicata la voce Fascismo firmata da Mussolini, subito presentata come la massima espres- sione della dottrina del fascismo. Non mancarono tuttavia, anche in questa fase, feroci attacchi all'opera da parte de « La Vita italiana » del raz- zista Giovanni Preziosi ‘ e de « Il Secolo fascista » di G. A. Fanelli ‘”, l’antigentiliano ben visto negli ambienti cat- tolici ‘* e autore nel 1933 del pamphlet Contra Gentiles nel quale sosteneva che nell’Exciclopedia «i gentiliani 174 Origini e finalità della monumentale opera, in «La Stampa», 1 luglio 1933. 175 Il nuovo atto costitutivo dell'Istituto dell’Enciclopedia italiana firmato alla presenza del Duce, in « Il Tevere », 3 luglio 1933. All’appa- rizione del vol. I il giornale aveva commentato: «quanto ai gesuiti, si può star tranquilli: giacché a curare, dell’Enciclopedia, la parte di cultura religiosa è stato propriamente padre Tacchi-Venturi » (Nel cantiere dell’En- ciclopedia, in « Il Tevere », 16-17 marzo 1929). 176 «La Vita italiana », maggio 1932, pp. 616-617; febbraio 1938, pp. 216-218; settembre 1938, p. 377; novembre 1938, p. 660. IT? Cfr. «Il Secolo fascista» del 1933 (1 maggio, pp. 139-40; 1-15 luglio, p. 245; 1-15 settembre, pp. 320-22) e del 1934 (1 aprile, pp. 132-133; 15 maggio, p. 177; 1 ottobre, pp. 334-335). 178 Cfr. ad es. la recensione di A. Bobbio a Contra Gentiles di Fanelli (« Studium », XXIX (1933), pp. 533-534). 77 Il fascismo e il consenso degli intellettuali hanno organizzato con una perfidia senza precedenti, la con- trorivoluzione, demolendo sistematicamente tutti i valori esaltati dal fascismo, mistificando e stravolgendo il signifi- cato delle sue istituzioni » !?. Ma furono voci minoritarie, espressione di divergenze ideologiche e culturali, non poli- tiche come nel 1926. Dubbi di natura politica, probabil- mente collegati a lotte di potere scatenatesi nel 1933 per il controllo dell’Istituto, furono avanzate solo in un rap- porto anonimo a Mussolini del 1 luglio 1933, secondo il quale fra i collaboratori dell’opera vi erano « parecchi anti- fascisti », e veniva lasciata « troppo mano libera ai compi- latori di cui son note le idee antifasciste »; ma Gentile poté replicare di essere stato « autorizzato esplicitamente » da Mussolini a mantenere le collaborazioni di Gaetano De Sanctis e di Giorgio Levi Della Vida, che avevano rifiutato il giuramento imposto ai professori universitari, e di eser- citare un ferreo controllo sulla redazione e sull’esecuzione di tutta l’opera: « Nella scelta dei collaboratori esterni posso assicurare che si tiene il massimo conto delle tendenze politiche degli scrittori scartando tutti gli antifascisti. Come posso altresi assicurare che nessun collaboratore, in nessuna materia, ha mano libera; e tutti gli articoli sono soggetti a rigorosa revisione » !. Nelle sue memorie, del resto, De Sanctis non si mostra cosciente del significato politico del- l’Enciclopedia e quindi della sua partecipazione !, mentre Levi Della Vida ricorderà di essere stato convinto a colla- borare — dopo un primo rifiuto — dalla promessa di non politicità dell’opera fatta da Gentile, pur riconoscendo che « senza dubbio non può non avvertirsi in alquante voci del- 179 G. A. Fanelli, Contra Gentiles. Mistificazioni dell’idealismo attuale nella rivoluzione fascista, Roma, Biblioteca del Secolo fascista, 1933, p. 96. Cfr. anche, per l’accusa mossa nel 1933 all’E.I. di aver « massacrato » la storia di Roma, L. Bortone, Mito e storia di Roma durante il fascismo, in « Palatino », XI (1967), pp. 407-408. 180 Cit. da R. De Felice, Mussolini il duce, I, Gli anni del consenso 1929-1936, Torino, Einaudi, 1974, pp. 107-108. 181 G. De Sanctis, Ricordi della mia vita, cit., p. 149. Scrivendo il 10 gennaio 1948 a Giuseppe Ricciotti, in qualità di presidente dell’Istituto, De Sanctis dirà di voler continuare l’Ernciclopedia «evitando peraltro, grazie al nuovo clima di libertà, quelle sia pur lievi concessioni che la prima edizione ha dovuto fare ai tempi » (AEI, Lettere, Ricciotti). 78 L'Enciclopedia italiana l’Enciclopedia il clima peculiare all’Italia di quel tempo, ma direi che ciò è fatto con una tal discrezione, colla preoccu- pazione, si direbbe, di non dar troppo nell’occhio: a ogni modo confesso che mi sentirei forse più in pace colla mia coscienza se avessi persistito nel rifiuto » !*. Ciò che emerge con chiarezza dalla vicenda dell’Enciclo- pedia è lo sforzo del regime, che appare in larga parte riu- scito, di organizzare il consenso degli intellettuali. Questa novità del fascismo era colta con difficoltà, all’inizio degli anni ’30, dagli antifascisti; più attenti ai problemi della cultura e degli intellettuali furono gli esponenti di Giustizia e Libertà, fra i quali Lionello Venturi, che nel 1934 affer- mava: Sono abbastanza noti i provvedimenti presi dal fascismo per orga- nizzare i corpi armati contro gli italiani oltre che contro gli stranieri, e gl’istituti finanziari ed economici a favore di pochi arrivati al po- tere. Ma non è ancora stato analizzato il successo del fascismo nel promuovere la cultura in Italia. Mussolini ha compreso l’importanza di una cultura foggiata a sostegno del regime, e, privo di ogni ideale da offrire come meta all’intelligenza, convinto che solo il denaro può interessare gli uomini, ha largheggiato di mezzi verso gl’intel- lettuali in un modo inconsueto in Italia !8, Ma anche gli esponenti di Giustizia e Libertà non coglievano il contenuto di classe di questa « nuova » cul- tura, e la capacità del regime — e poi dei cattolici — di improntarla delle proprie ideologie. Può quindi essere utile un sondaggio che, pur limitandosi a tre settori di voci del- l’Enciclopedia — politiche, storiche, religiose —, cerchi di valutare i contenuti culturali dell’opera nel più generale contesto politico in cui fu realizzata: non tanto per rila- sciare patenti di fascismo e di antifascismo a singoli colla- boratori, quanto per vedere se nei loro contributi emerges- sero o meno elementi funzionali all’ideologia che il fascismo veniva elaborando. Con ciò non si potrà ritenere esaurito, del resto, l’esame dell’opera, in cui ampio è l’apparato di voci illustrative (tecniche, geografiche e artistiche); anche 182 G. Levi Della Vida, Fantasmi ritrovati, cit., pp. 229-230. 183 N. Travi (L. Venturi), La cultura italiana sotto il fascismo, in « Quaderni di Giustizia e Libertà », giugno 1934, p. 47. 79 Il fascismo e il consenso degli intellettuali se un ulteriore approfondimento dovrà valutare fino a qual punto queste ultime possano essere considerate esposizioni asettiche, dal momento che, ad esempio, un geografo come Roberto Almagià, ben inserito nelle istituzioni culturali e negli organismi politici del regime — e direttore, con Re- nato Biasutti, della sezione « Geografia » dell’Enciclope- dia —, poteva affermare nel 1930 che le trenta pagine dedi- cate alla geografia dell'Albania costituivano uno « spazio non certo soverchio, relativamente alla importanza che questo paese ha oggi per l’Italia » !#. Resteranno fuori dalla nostra analisi, fra gli altri, due settori molto importanti, quello filosofico e quello scientifico. Il primo, com'è natu- rale, fu più direttamente controllato da Gentile, la cui in- fluenza è facilmente avvertibile; ma può essere interessante notare come in esso non manchino anche riferimenti all’at- tualità politica: la trattazione dell’Idealismzo (1933) offre ad esempio a Guido Calogero l’occasione per osservare che « dalla sinistra hegeliana muovevano quei pensatori che, come Marx, Engels e Lassalle, tradussero il dialettismo genetico dell’idealismo in un evoluzionismo naturalistico, condannando ogni spiegazione delle cose che non si rife- risse nudamente alle ferree leggi della natura e traman- dando tale fiero odio per ogni “ideologia” e “idealismo” fino ai giorni nostri, in quei paesi, come la Russia, che da essi hanno mutuato la concezione politica ». D'altro lato, Ugo Spirito considera come filosofia del fascismo, sia pur allusivamente, l’Attuzliszzo (1930), che « ha condotto alla definitiva negazione della filosofia come metafisica e alla sua identificazione con la storia e con la vita. Questo spiega come l’attualismo non sia rimasto un puro sistema filosofico, ma sia penetrato in tutti i campi della cultura e della vita politica, e abbia condotto a un profondo rinnovamento della coscienza nazionale ». 184 R. Almagià, La geografia nella Enciclopedia Italiana, in « Bollet- tino della R. Società geografica italiana », s. VI, VII (1930), p. 306. Cfr. già R. Biasutti-R. Almagià, Le geografia nella nuova Enciclopedia italiana, in Atti del X congresso geografico italiano, Milano, Capriolo e Massimino, 1927, vol. II, p. 679: «Particolari cure sono rivolte all’Italia, alle sue colonie, ed ai paesi che sono in più stretti rapporti col nostro ». 80 L’Enciclopedia italiana Nel settore scientifico, in particolare per quanto ri- guarda la storia della scienza — dove fu dato largo spazio al « genio » italiano —, si assiste invece a una « divisione del lavoro » tra studiosi non attualisti e gentiliani. Ugo Spirito aveva sostenuto, al Congresso filosofico del 1929, l’identificazione di filosofia e scienza, spingendo Gentile a riconoscere nel 1930 l’importanza della storia della scienza per la stessa ricerca scientifica ‘5; ed è proprio Spirito l’autore della voce Scienza (1936) nella quale, dopo aver tratteggiato storicamente il problema dell’unità o della di- stinzione tra scienza e filosofia, oppone a Croce, teorico del dualismo, il Gentile negatore di ogni distinzione tra concetti puri e concetti empirici, e rivendica a se stesso e ad Ar- naldo Volpicelli il merito di aver tentato di « dimostrare che la distinzione dialettica dei momenti, essendo impli- cita in ogni procedimento logico non può caratterizzare in concreto la differenza di determinate scienze empiriche e filosofiche, e che la distinzione di diversi gradi filosofici (naturalistico e idealistico) deve essere superata anche nel campo delle scienze particolari ». Il dualismo fu allora su- perato solo apparentemente, nonostante la volontà degli attualisti di impadronirsi della tematica scientifica da un punto di vista filosofico. Nel 1935 Federico Enriques, lo storico della scienza che dirigeva la sezione « Matematica », concludeva significativamente cosî una lettera a Gentile in cui illustrava le proprie idee sulla redazione della voce Scienza: « niente impedisce — se l’articolo Le apparirà manchevole — che sia integrato da un successivo articolo filosofico, nel senso che la parola ha per Lei, diverso dal mio » !*. Fu questo il criterio che, se non fu adottato per questa voce, guidò la redazione di molte altre di carattere storico-scientifico, che vennero suddivise in due parti: una 185 G. Gentile, Introduzione alla filosofia, Milano-Roma, Treves-Trec- cani-Tumminelli, 1933, pp. 197 e 202-204. A1 fatto che Gentile dette «una certa estensione » alle voci di storia della scienza nell’Enciclopedia accenna L. Bulferetti, Gli studi di storia della scienza e della tecnica in Italia, in Nuove questioni di storia contemporanea, Milano, Marzorati, 1968, "vol. I, p. 655. 186 AEI, Lettere, Enriques. 81 Il fascismo e il consenso degli intellettuali più propriamente scientifica, riservata a studiosi di forma- zione positivistica, e una filosofica, affidata ad attualisti, come nel caso di Galileo, scritta da Roberto Marcolongo e Vito Fazio Allmayer, o di Leonardo, dove accanto ai vari specialisti della multiforme attività dello scienziato volle apporre la sua firma lo stesso Gentile. 9. Le voci politiche e l’ideologia del fascismo L’esame delle principali voci di carattere politico con- ferma pienamente l’esistenza non solo di una ideologia, ma anche di una cultura fascista, attraverso la quale il re- gime cercò di costruirsi una legittimazione storica. Resta ancora da compiere una ricognizione degli studi di scienze politiche che si vennero elaborando in Italia tra le due guerre mondiali e che, non limitandosi a ricostruire le di- scussioni metodologiche sulla storia delle dottrine politi- che !”, sia attenta al legame con la tradizione inaugurata da Mosca, Pareto e Michels, e a quello tra elaborazione teo- rica e ricostruzione storica, al rapporto con la politica svi- luppata dallo Stato fascista e alle istituzioni in cui questi studi si concretizzarono, in un momento in cui, proprio a partire dal 1924, furono create le prime Facoltà di scienze politiche dalle quasi ci si attendeva la formazione di una nuova classe dirigente !'*. Le voci enciclopediche sono solo una spia della estrema ideologizzazione cui era soggetta questa tematica, e della fortuna della concezione gentiliana dello Stato, che più di quella di Croce cercò di affrontare il problema dell’emergere delle masse sulla scena politica nazionale !9, Non ci sembra di poter condividere l’opinione di Bob- 187 Cfr. ad es. S. Testoni, La storia delle dottrine politiche in un dibat- tito ancora attuale, in «Il Pensiero politico », IV (1971), pp. 306-380. 188 Un interessante tema di ricerca suggerisce in questo senso A. Mon- tenegro, Politica estera e organizzazione del consenso. Note sull’Istituto per gli studi di politica internazionale. 1933-1943, in « Studi Storici », XIX (1978), p. 781. 189 Cfr. le osservazioni di R. Racinaro, Intellettuali e fascismo, in « Critica marxista », XIII (1975), pp. 189-196. 82 L’Enciclopedia italiana bio che la presenza dell’ideologia fascista nell’Enciclopedia sia avvertibile solo nella voce Fascismo. Anche se già nel 1930 Treccani aveva potuto affermare, ringraziando Mus- solini per la promessa fatta a Gentile di collaborare per questa voce, che « l’Enciclopedia non poteva ottenere pit importante e significativo suggello del carattere suo, di opera italiana del regime » !”, la voce, scritta frettolosa- mente nei primi mesi del 1932 da Gentile per la prima parte (« Idee fondamentali ») e da Mussolini per la seconda (« Dottrina politica e sociale ») !", non è, all’interno del- l’opera, l’unica né, forse, la più articolata espressione del- l'ideologia e della cultura politica del regime. Uscita nello stesso anno in cui Croce pubblicava il manifesto del libera- lismo, la Storia d’Europa, quella che i contemporanei con- siderarono la summa dottrinale del fascismo colpisce infatti per la sua genericità, dovuta probabilmente anche alla vo- lontà di non dare appigli a quanti, all’interno del regime, cercavano di appropriarsene la dottrina. Se la « mano » di Gentile è indubitabile, come rilevarono subito i commenti degli antifascisti — « La Libertà » sottolineò nella voce la concezione dello Stato propria del « filosofo della Enciclo- pedia Treccani », mentre « Lo Stato operaio » colse nella prima parte dello scritto « la marca di fabbrica della ditta intitolata a Giovanni Gentile » !” —, non è meno signifi- cativo il fatto che i commentatori di parte fascista non des- sero un particolare rilievo alla influenza attualista, e ciò non solo per piaggeria verso Mussolini, che aveva firmato tutta la voce. Un accenno, sia pure sfumato, vi è solo in Bottai — più vicino al filosofo siciliano — il quale osservò che con la Dottrina del fascismo la cultura moderna era giunta « a 190 Treccani a Mussolini, 23 giugno 1930 (ACS, Segreteria particolare del Duce, Carteggio riservato, b. 49, sottofasc. 1). 191 Cfr. ibidem, sottofasc. 2, Segreteria particolare del Duce, Carteggio ordinario, n. 545-709, e la testimonianza di A. Iraci, Arpinati l'opposi- tore di Mussolini, Roma, Bulzoni, 1970, pp. 177-180. A parte questo caso, l’attribuzione di alcune voci non firmate si basa sulle lettere e sullo schedario per autori conservati presso l'Archivio dell’Enciclopedia italiana. 192 Il duce-filosofo e lo Stato fascista, in «La Libertà», 11 agosto 1932; A.D. (Ambrogio Donini), Il fascismo secondo Mussolini, in «Lo Stato operaio », VI (1932), p. 571. 83 Il fascismo e il consenso degli intellettuali quella critica del socialismo e del liberalismo, a quel senso realistico della storia e a quel pensiero idealistico, che sono stati, prima oscuramente ora chiaramente, i caposaldi del pensiero mussoliniano » !'*. Gli anti-gentiliani furono in- vece assai espliciti nel distinguere la dottrina del fascismo dall’attualismo: non solo, naturalmente, Fanelli '*, ma anche Carlo Costamagna, autore di parte della voce Corpo- razione: dopo aver affermato che « il fascismo, pur posse- dendo una dottrina, non può e non deve possedere una filosofia », perché « non esistono verità assolute, eterne e universali, fuori del dogma religioso per il credente », no- tava che « l’attivismo fascista è lo sforzo ad impadronirsi della realtà e a dominarla, e nulla ha di comune con quel- l’attualismo neo-hegeliano che, nell’illusione di assorbire e superare il razionalismo e il materialismo, coi soliti espe- dienti dell’astrazione, non ha saputo apprestare se non “una esercitazione di parole”, buona a giustificare qual- siasi comportamento pratico, ricadendo negli eccessi dialet- tici propri ad ogni filosofia delle epoche di decadenza » !* E particolare significato assume il commento della rivista ufficiale di Mussolini, « Gerarchia », che nell’ottobre 1932 sembra attaccare, oltre a Gentile, gli esiti « di sinistra » del gentiliano Ugo Spirito quali si erano manifestati, nel maggio 19 II secolo di Mussolini, in « Critica fascista », 15 agosto 1932, p 302. Bottai insisteva su una presentazione « di sinistra » della dottrina del fascismo: « nega l’ideologia marxista, ma accoglie il movimento operaio, dandogli un posto giuridico-politico nello Stato; nega l'ideologia demo- cratica, ma non intende restituire gli individui alla condizione di bruti privi di dignità spirituale, come sarebbe in uno Stato di polizia »; « La dottrina del fascismo, che non ignora né l’esperienza democratica né quella socialista, concepisce lo Stato come il sistema dei diritti-doveri degli indi- vidui organizzati per raggiungere i più alti fini etici della personalità umana (nella sua concretezza nazionale), e non può fare a meno di tendere verso una giustizia sociale che, in regime liberale, non poteva non essere calpestata. In questo senso se il nostro secolo, come dice Mussolini, sarà un secolo di destra, esso, proprio perché è il secolo dello Stato (se lo Stato non è, e non dev'essere, strumento della prepotenza dei pi forti), sarà un secolo di sinistra [...]. E l’organizzazione corporativa italiana ne è una prova ». Bottai sarà autore della voce Corporativismo nell’Appendice del 1938. 4 G.A. Fanelli, Contra Gentiles, cit., pp. 166, 170, 180 ss. 1 G: Costamagna, Pensiero ed azione, in «Lo Stato», III (1932), pp. 670-671. 84 L’Enciclopedia italiana precedente, al II Convegno di studi corporativi di Ferrara: la parola di Mussolini poneva fine, secondo la rivista, al tentativo delle varie correnti culturali italiane di mono- polizzare la dottrina del fascismo, la quale fu identificata anche con il benedetto, onnipresente liberalismo: sia con quello vero, che, partendo dal mito delle intangibili libertà individuali, si fermava allo stato come complesso di servizi utili e giungeva, al massimo, ad accettare un forte stato di polizia, guar- diano notturno dell’ordine pubblico; sia col liberalismo ancora pié vero, che dalla base della fantastica acrobazia dialettica della identità assoluta fra stato e individuo, finiva, logicamente, con l’iden- tificare la dottrina fascista con l’utopia comunista !%. Colpisce infatti, soprattutto nella parte sulla « Dottrina politica e sociale », che alle « istituzioni corporative » sia fatto solo un cenno assai rapido, nonostante che a partire dal 1929 l’elaborazione della dottrina corporativa fosse an- data molto avanti”, e nella voce si insista sul fatto che proprio dopo la crisi del 1929 « chi può risolvere le dram- matiche contraddizioni del capitalismo è lo Stato ». Il mo- tivo, suggerito da « Gerarchia », è reso esplicito da « Vita nova », la rivista del gentiliano Giuseppe Saitta, per il quale « dopo il mirabile articolo del Duce sulla dottrina del fascismo, pubblicato nell’Enciclopedia Treccani, discu- tere sulla struttura filosofica e politica della relazione Spi- rito al Convegno di studi corporativi, è non solo vano ma temerario », in quanto la corporazione proprietaria « ci riporterebbe pari pari all'esperienza bolscevica » !*. Nonostante queste prese di distanza — ma è da ricor- dare che anche Gentile precisò il suo pensiero rispetto a quello di Spirito —, risulta evidente la « marca di fab- brica » gentiliana della voce, anche se alcuni passi possono ricordare formulazioni di Rocco !: cosî nella dichiara- 1% F. Caparelli, La dottrina fascista nel decennale, in « Gerarchia », XII (1932), pp. 881-882. 197 Cfr. A. Aquarone, L'organizzazione dello Stato totalitario, cit., pp. 188 ss. 18 Noi, La corporazione proprietaria, in « Vita nova », VIII (1932), p. 2. 19 Cfr. ad es. il discorso del 30 agosto 1925 di A. Rocco, La dottrina 85 Il fascismo e il consenso degli intellettuali zione del carattere « assoluto » dello Stato e nell’afferma- zione della preminenza dello Stato sulla nazione — fatta in implicita polemica con i nazionalisti ®” —, che sarà ripe- tuta da Felice Battaglia in Nazione, e non sarà negata nella voce Nazionalismo di D'Andrea e Federzoni, preoccupati solo di dimostrare le origini antidemocratiche del naziona- lismo europeo, e contestare la primogenitura francese sul nazionalismo italiano di Corradini; o nel paragrafo sulla religione cattolica, in cui si dice che « il fascismo rispetta il Dio degli asceti, dei santi, degli eroi e anche il Dio cosi com'è visto e pregato dal cuore ingenuo e primitivo del popolo ». Pi accentuata che non in Gentile è invece la negazione dell’800 come «secolo » del liberalismo, che vide, al contrario, la vittoria di Napoleone III e di Bismarck « il quale non seppe mai dove stesse di casa la religione della libertà e di quali profeti si servisse », e, nel Risor- gimento italiano, l’apporto decisivo di Mazzini e Garibaldi, « che liberali non furono ». Ciò che comunque interessa rilevare, al di là della ricerca delle sue fonti teoriche, è il fatto che la voce, pur nella sua genericità, condensa quei capisaldi dell’ideologia del fascismo che circolarono ampiamente, negli anni ’30, negli scritti di studiosi di scienze politiche, di giuristi, sto- rici, economisti; né sarà da dimenticare che, oltre a essere diffusa e commentata in numerosissime edizioni, essa nella sua parte propriamente mussoliniana (« Dottrina politica e sociale »), fu premessa allo statuto del Pnf del 1938. Non vanno quindi considerate semplici enunciazioni propagan- distiche la.negazione del materialismo storico e della lotta di classe — con espressioni in cui Gramsci coglieva l’in- flusso di Loria ?! —, o quella del pacifismo — ribadita in Pacifismo di Giorgio del Vecchio —, l’affermazione della vocazione impetrialistica dell’Italia fascista, e la pretesa del fascismo di presentarsi come il superatore, e l’inveratore, politica del fascismo, in Scritti e discorsi politici, III, La formazione dello Stato fascista (1925-1934), Milano, Giuffrè, 1938, pp. 1093-1115. 20 Per una polemica esplicita cfr. G. Gentile, Origini e dottrina del fascismo, cit., pp. 44-45. 21: A. Gramsci, Quaderni del carcere, cit., p. 1145. 86 L’Enciclopedia italiana del liberalismo classico e del socialismo: un punto, que- st’ultimo, sul quale insisterà anche Volpe nella parte della voce dedicata alla storia del movimento fascista, in cui cercherà di dimostrare che, nell’età della « politica delle masse », il fascismo era l’erede genuino del socialismo: come il socialismo di Mussolini — che era specialmente una posi- zione di lotta — si aprî all’accettazione piena dei valori nazionali, cosf questi valori non misero troppo nell’ombra quel socialismo: il quale, respinto energicamente come partito, respinto anche come dottrina e come filosofia a fondo materialistico, rimase come senti- mento, rimase come simpatia per il mondo del lavoro, come aspi- razione a liberare le masse dal giogo del partito e dalla corruzione della politica, allo scopo di promuoverne l’autoeducazione, farne l'artefice diretto della propria fortuna, come del resto era nella con- cezione dei sindacalisti. Con questa mistificazione si completava cosî quella « soprastruttura ideologica » della borghesia italiana che, osservò « Lo Stato operaio », usava ora « nuovi e pit raf- finati mezzi di oppressione e di sfruttamento per consoli- dare il proprio dominio e prolungare la propria esisten- za» 2, Alle formulazioni di Fascismo si fa un rinvio non solo formale nelle principali voci politiche e politico-economi- che affidate a esponenti dell’attualismo come Felice Bat- taglia e Ugo Spirito. Battaglia, che negli anni ’30 fu uno degli animatori del dibattito sulla storia delle dottrine poli- tiche sviluppando la distinzione crociana fra teoria e prassi politica ?*, tanto da ritenere che « la storia delle dottrine politiche [non] debba direttamente servire alle nostre attuali finalità » ?*, dimostra in realtà, in voci come Demo- crazia, Partito, Stato, una stretta dipendenza dall’elabora- zione gentiliana e una precisa strumentalizzazione di questi concetti in funzione dell’ideologia fascista. Occupandosi della Demzocrazia (1931) nel periodo medievale e moderno, dopo aver sostenuto, sulla traccia degli studi di Ercole sui 2 Art. cit., p. 572. 25 S. Testoni, erf. cit., pp. 336-344. 2 F. Battaglia, Oggetto e metodo della storia delle dottrine politiche, in «Rivista storica italiana », s. V (1938), fasc. III, p. 30. 87 Il fascismo e il consenso degli intellettuali comuni e sulle signorie venete — che, come osserverà Chabod, anch'egli debitore di Ercole, influirono largamente sul pensiero storiografico fra le due guerre, con il loro « assillo di cercare, ad ogni costo, lo stato moderno già nel passato italiano » ?° —, che la signoria non è « negazione sic et simpliciter del principato popolare, ché anzi le sue origini in Italia derivano proprio dal popolo, di cui il tiranno si atteggia difensore contro le classi privilegiate », e dopo ‘aver osservato che « l'ideale di piena democrazia vagheggiato dal Rousseau era inattuabile, un regime di dei più che di uomini », Battaglia nota che anche nelle società moderne « la democrazia ha bisogno di alcuni presupposti senza i quali non solo non fiorisce, bensî decade e conrrompe i popoli ». Facendo sue le tesi espresse dal liberale inglese James Bryce in Democrazie moderne — un’opera tradotta in italiano proprio nel 1930-31 a cura del cattolico Luigi Degli Occhi, e che è nella sostanza una critica dei principi dell’89 * —, secondo le quali « la democrazia si sviluppa su un sostrato di diffuso benessere collettivo » e « fiorisce solo nei paesi abituati al governo locale », pur essendo in crisi anche in paesi evoluti come la Francia e gli Stati Uniti, Battaglia conclude che in Italia la democrazia intesa come pratica di autogoverno non ha avuto una tradizione e una linea. Lo stesso processo unitario ci spiega ciò. L’unificazione amministrativa imposta da Torino dopo il 1861 tolse in fondo la possibilità di quell’autogoverno locale che costituisce il fondamento della vera democrazia e inutile fu anche l’allargamento del suffragio, perché 25 F. Chabod, Gli studi di storia del Rinascimento, in AA.VV., Cin- uant'anni di vita intellettuale italiana 1896-1946. Scritti in onore di enedetto Croce per il suo ottantesimo anniversario, a cura di C. Antoni e R. Mattioli, Napoli, Edizioni scientifiche italiane, 1950, vol. I, p. 178. Per l’influenza di Ercole su Chabod, all’inizio della sua attività, cfr. S. Pizzetti, Federico Chabod storico delle Signorie, in « Nuova rivista sto- rica», Lu (1977), p. 564 e n. Sebbene la democrazia si sia diffusa, e quantunque nessun paese, che ha provata, dia dei segni di abbandonarla, noi non siamo autoriz- zati a ritenere, cogli uomini del 1789, che essa sia la forma di governo naturale, e, perciò, a lungo andare inevitabile » (J. Bryce, Democrazie mo- derne, Milano, Hoepli, 1931, vol. II, pp. 25-26). L'opera sarà ristampata da Mondadori, sempre a cura di L. Degli Occhi, nel 1949-1953. 88 L’Enciclopedia italiana c’è rappresentanza vera solo dove c’è coscienza, ciò che in Italia mancava [...; cosi] la democrazia italiana continuò la sua vita stentata e in fondo illiberale nel trasformismo, che palliava conati di dittature singole, finché si dimostrò impotente ad arginare un moto come il fascismo, in parte espresso da quelle stesse forze sindacalistiche che essa aveva ignorato. Parallela a questa svalutazione della democrazia con- dotta sul piano storico, è la negazione dell’esistenza di una vera e propria tirannia nelle moderne società di massa (Ti rannia e tirannicidio; da notare che nell’Exciclopedia manca la voce Dittatura: c’è solo Dittatore per l’età romana): infatti, spiega Battaglia, a parte che la pratica possibilità della tirannia è ognora più ridotta, oggi il sistema dei controlli giuridici e politici e la pressione dell’o- pinione pubblica sono tali che la figura del despota exercitio appare affatto letteraria, Le moderne dittature facendo appello al popolo, non solo per costituirsi attraverso i plebisciti i titoli giuridici del potere o per sanarli se difettosi, bensi anche per suffnagare del consenso nazionale ogni loro attività, appaiono poggiare sulle masse più che le stesse democrazie. Insomma i fenomeni e le teorie ac- cennate a proposito della tirannia hanno significato con riferimento a piccole società politiche e non agli enormi aggregati statali moderni. Mentre Alberto Maria Ghisalberti svaluta la funzione svolta dal Parlamento (1935) nella storia dell’Italia libe- rale — col fascismo invece « il parlamento, che si avvia a un'ulteriore riforma in senso corporativo, superiore alle pic- cole lotte d’un tempo, restituito alla sua naturale funzione, ha svolto attiva, proficua opera legislativa » —, e Arnaldo Volpicelli sviluppa una dura « critica del concetto di rap- presentanza » (Rappresentanza politica, 1936)”, che nella esposizione della storia del principio maggioritario Edoardo Ruffini non è in grado di controbilanciare ?*, Battaglia 207 Lo Stato in quanto « organizzazione totalitaria del corpo sociale », « non può né deve agire iure repraesentationis, ma iure proprio »; solo lo Stato corporativo fascista «si afferma e si attua sempre più come uno stato coincidente con la stessa e intera collettività nazionale corporati- vamente organizzata », « perciò appunto sarà davvero libero e generale ». Anche la prima parte della voce, scritta da Luigi Rossi, critica i vari sistemi di rappresentanza politica. Nella voce Maggioranza (1934) Edoardo Ruffini, autore nel 1927 89 Il fascismo e il consenso degli intellettuali svolge (Partito, 1935) la concezione del partito unico, che sembra legarsi in parte alla tendenza oligarchica rilevata dalla scienza come necessaria nel partito. Non rinnegando l’ampio fondamento democratico, esalta l’aristocrazia militante dei primi confessori dell’ idea e sublima religiosamente il capo (Duce, Fiihrer). Il partito divien stato; acquista rilievo giuridico, assurge personalità morale; è cosî composto, gentilianamente, il contrasto individuo- Stato: l’esperienza del fascismo e del nazismo non elimina la dialettica delle tendenze, sempre operosa nel gruppo nazionale unitariamente inteso. Appunto perché il partito unico s'identifica con lo stato, la dialettica non è fuori dallo stato e questo sopra di essa, indifferente, ma nello stato in quanto formazione etica, quindi nel partito in quanto, spiritualmente viva, si svolga, si tra- sformi arricchendo i suoi strumenti, i suoi organi, le sue funzioni. Elidere ogni varietà di motivi in un’instaurazione dogmatica di prin- cipi rigidi è vano sogno, ché oltre gli schemi irrompe la vita e il contrasto. Ciò non esclude che questa debba ricondursi nell’ambito totalitario dello stato, nell’unicità etica che questo rappresenta 29, Dove più esplicito e dispiegato è il debito di Battaglia verso Gentile, è nella voce Stato del 1936, riprodotta nel 1939 negli Scritti di teoria dello Stato, a testimonianza che l’influenza gentiliana non fu limitata entro i confini del- l’Enciclopedia”°. La storia dell'idea di Stato è ricostruita de Il principio maggioritario, si limita ad affermare che «il principio maggioritario ha avuto contro di sé nel secolo scorso tutti gli avversari delle istituzioni democratiche, i quali spesso commisero l'errore di col- pire il concetto tecnico giuridico di maggioranza quando volevano colpire quello generico politico di moltitudine, di massa, dal punto di vista aristocratico ». Questa voce ci sembra sopravvalutata in senso antifascista da S. Caprioli nella riproposizione di E. Ruffini, Il principio maggiori- tario, Milano, Adelphi, 1976, p. 129. Nei termini della concezione dello Stato assoluto è condotta anche la voce Reazione politica (1935), in cui Battaglia afferma che sia la rivo- luzione sia la reazione hanno «un motivo di verità. I! loro contrasto è la vita dello stato, che ha sempre in sé rivoluzione e reazione come libertà e autorità, diritto ideale e diritto positivo da riaffermare ». Sempre di Battaglia, ma più espositiva e con una nota polemica contro « gli assurdi del superuomo » e il razzismo affermatisi nella Germania nazista, è Politica (1935), rifusa in F. Battaglia, Lineamenti di storia delle dottrine politiche, Roma, Foro italiano, 1936, dove però la nota polemica ora accennata viene attenuata (p. 57). 210 In una lettera a Bosco del 19 novembre 1936 Battaglia dichiarava 90 L’Enciclopedia italiana in funzione della concezione attualista, difesa da Gentile nel 1931, contro le critiche dei cattolici, come una delle poche dottrine o « miti » elaborati dal fascismo ?. Cosi, all'affermazione che « senza l’inversione di valori operata inizialmente dal cristianesimo, non si sarebbe mai potuto addivenire all’idea di uno stato interiore ai soggetti, quale l’età moderna esige e svolge » ?, segue la critica del giusna- turalismo, che conosce l’individuo, astrazion fatta dai gruppi nei quali pur vive. La società nelle sue forme molteplici gli è estranea. Si spiega quindi come esso, liberale e indifferente, ritenendo nella tutela giuridica esaurito il suo compito, finisca per rivelarsi impotente a disciplinare la vita delle classi inferiori, allorquando queste nel sec. XIX comin- ciarono ad acquistare il senso della propria importanza. Donde ciò che si è detto «crisi dello stato », come l’esigenza di un'ulteriore integrazione, che, se nell’ordine pratico ha trovato la sua realtà solo di recente con il fascismo (v.), nell’ordine teorico già era stata proclamata necessaria da più di un autore come Fichte e Hegel (« avere riconosciuto la spiritualità dello stato è il suo grande merito. I suoi problemi ripren- derà al principio del secolo presente il neoidealismo italiano, rivivendoli in una esperienza affatto nuova »). Assai estesa è l’esposizione della concezione gentiliana dello Stato etico, tanto che Armando Carlini accuserà Battaglia di aver voluto accreditare la filosofia di Gentile come filosofia del Pnf, rivendicando invece l’originalità della dottrina fascista, non solo « integrazione » pratica di quella gentiliana 25; di avervi « messo le mani due volte come la Direzione desiderava » (AEI, Lettere, Battaglia). 2 G. Gentile, Ideologie correnti e critiche facili, in « Politica sociale », III (1931), p. 169: «Ci dicono statolatri. Dacché è venuta la moda del fascismo cattolico, frazione più o meno peticolosa ed eretica in seno al fascismo, taluno ci parla con grande compunzione della necessità di non lasciarsi attrarre dalla diabolica filosofia dello Stato etico ». 212 Uno spunto in questo senso era stato fornito nel 1916 da Gen- tile, I fondamenti della filosofia del diritto, Firenze, Sansoni, 1961, p. 15. Cfr. anche F. Battaglia, I/ corporativismo come essenza assoluta dello Stato, in « Archivio di studi corporativi », VI (1935), pp. 314-15 (che rinvia al capitolo sulla concezione cristiana dello Stato di G. Solari, Ts etica e filosofica dello Stato moderno, Torino, « L'Erma », 213 A. Carlini - F. Battaglia, Orientamenti, in « Critica fascista », XV (1937), pp. 237-240. 91 Il fascismo e il consenso degli intellettuali mai come ora, specialmente in Italia, lo stato è reale nell’intendi- mento speculativo. La filosofia non solo ne ha approfondito l’essenza ideale ma ha contribuito a potenziarlo nella sua funzione storica, promuovendone il sentimento nel popolo [...; e] l’uomo sociale, che la sua socialità dispiega nello stato, è vicino a Dio, certo di Dio ha l’animo preso e i divini comandamenti fa suoi per celebrarli ogni giorno; e Battaglia conclude la voce con l’esposizione della dottrina fascista — continui sono i rinvii a Fasciszzo —, nell’intento di dimostrare che lo Stato fascista non è teocratico o asso- lutista, che, « opponendosi a due posizioni tradizionali del pensiero politico, il giusnaturalismo liberale e il socialismo, da questi rileva i motivi non perituri e li trasvaluta », e che la « corporatività » è « la nota dominante dello stato fascista », nel quale «cittadino lavoratore e soldato si convertono assolutamente ». Nella delineazione di aspetti essenziali dell’ideologia e della cultura del fascismo spiccano, per alcuni accenti per- sonali, le voci di Ugo Spirito Economia politica (1932) e Liberalismo (1934), scritte nel periodo in cui più intensa fu la sua partecipazione al dibattito sul corporativismo, che fino al 1935 si collegò strettamente con la direzione, assieme ad Arnaldo Volpicelli, dei « Nuovi studi di diritto, economia e politica ». L’importanza di queste voci è evidenziata anche dal ruolo centrale avuto da Spirito nell’Enciclopedia, nella quale fu redattore per ben otto materie (filosofia, economia, statistica, finanza, diritto, storia del diritto, materie eccle- siastiche e, fino al 1931, storia del cristianesimo) ‘“, finché nel 1934 divenne segretario generale dell’opera, sempre in un rapporto strettissimo con Gentile ?*, ciò che dovette costituire un motivo di preoccupazione per quanti teme- vano che la sua concezione del corporativismo, quale si era espressa nel 1932 al convegno di Ferrara, influenzasse 214 Sulla collaborazione di Spirito all’Enciclopedia cfr. G. Santomas- simo, Ugo Spirito e il corporativismo, in «Studi storici », XIV (1973), p. 109 n. 215 Cfr. U. Spirito, Memorie, cit., p. 56. 92 L’Enciclopedia italiana gran parte dell’opera ?*. Echi della sua posizione si avver- tono in effetti in queste due voci, in cui Spirito, pur senza riprendere la proposta della « corporazione proprietaria », rivendica il « carattere pubblicistico della proprietà pri- vata » 2”. Nella parte storica delle voci l’autore svolge, più che una descrizione delle concezioni precedenti quella fascista, una serrata discussione con queste, diretta a condannare l’individualismo delle teorie fisiocratiche, liberali e socia- liste. Come quella fisiocratica — si dice in Economia poli- tica —, la scuola classica rimase « tutta informata dal prin- cipio individualistico e liberistico proprio dell’illumini- smo », e anche quando « l’economia nazionale o il socia- lismo affermavano la superiorità dell’ente nazione o classe o società su quello d’individuo, muovevano tuttavia dal presupposto illuministico e liberale che l’individuo parti- colare in qualche modo esistesse e avesse una realtà pro- pria diversa da quella dell’organismo di cui faceva parte, affermavano cioè una superiorità della nazione o della so- cietà sull’individuo o una subordinazione di questo a quelle, ma non giungevano a riconoscerne l’essenziale identità dia- lettica ». Solo in Italia il rinnovamento dell’economia poli- tica « ha raggiunto politicamente e scientificamente uno sviluppo d’importanza fondamentale. Proprio in Italia, in- fatti, la critica del pensiero illuministico era stata più peren- toriamente condotta e i suoi risultati erano stati più deci- sivi ”!8, Né le nuove affermazioni idealistiche erano state al margine della vita politica, ché anzi questa ne ha risen- tito fortemente l’influsso, giungendo ad affermazioni pra- 216 Cosf G. Preziosi, Ugo Spirito, in « La Vita italiana », maggio 1932, pp. 616-617. 217 È da ricordare che nel corso dei lavori preparatori del Codice civile del 1942 vastissimo fu il dibattito sulla « funzione sociale » della proprietà: uno dei suoi partecipanti più insigni fu Salvatore Pugliatti, di cui cfr. ad es. la raccolta di saggi La proprietà nel nuovo diritto, Milano, Giuffrè, 1964. 218 Gli economisti italiani del ’700 come Galiani, aveva notato Spi- rito, « anche quando più si discostano dalle teorie mercantilistiche e più decisamente concordano con i fisiocrati, non accettano senza riserva il dogmatismo individualistico e liberistico di questi ultimi e spesso fanno posto a considerazioni di carattere che potremmo già definire storicistico ». 93 Il fascismo e il consenso degli intellettuali tiche addirittura rivoluzionarie »: con la Carta del lavoro, ad esempio, « si dava il colpo di grazia al tradizionale libe- rismo individualistico. Affermato il carattere pubblicistico della proprietà privata, cadeva il fondamento dell’economia liberale (l’homo oeconomicus guidato dall’ofelimità), e ra- gione della vita economica diventava l’identità del fine sta- tale e del fine individuale ». In questa ultima formulazione si riflette il ripiegamento di Spirito rispetto alla sua primi- tiva proposta, che era decisamente accantonata, anche se in Mussolini continuò a manifestarsi « una comprensione dei vantaggi che il regime poteva trarre dal vigilato dispie- garsi di tendenze come quella impersonata da Ugo Spi- rito » ?*: nel 1934, presentando la terza edizione di Capita- lismo e corporativismo, Spirito affermava che « nessuno più ardisce di scandalizzarsi se si parla di crisi del capita- lismo e di trasformazione in senso pubblicistico della pro- prietà. Quell’economia programmatica, che allora non si sapeva scindere dal sistema bolscevico, è ormai accettata come propria dal corporativismo ». La fondazione dell’Iri dimostrava che « l'iniziativa privata non è più l’idolo in- tangibile »; « rimarrebbe la terribile formula della corpo- razione proprietaria, quella che ha generato tanto putiferio. Ebbene, lasciamola pure da parte e non ci pensiamo pit. Io per conto mio ci ho pensato su fino ad oggi e mi son convinto che, se si accetta tutto il resto, la corporazione proprietaria può addirittura sembrare sorpassata » ?®. Ana- loga a quella della voce del 1932, e tutta interna alla tema- tica gentiliana di individuo e Stato, è la conclusione di Libe- ralismo, di cui è posto fin dall’inizio il problema del suo sbocco nel corporativismo ?!. La concezione che colloca l’individuo al centro dell’uni- verso è seguita attraverso il Rinascimento e la Riforma, il razionalismo cartesiano che « è già il principio della demo- 219 G. Santomassimo, art. cit., p. 109. 22 U. Spirito, Capitalismo e corporativismo, terza edizione riveduta ed ampliata, Firenze, Sansoni, 1934, pp. XI-XIII. 21 La voce era già stata pubblicata in «Nuovi studi di diritto, eco- nomia e politica», VI (1933), pp. 285-299. Nella nota bibliografica Spirito giudica libri « sbagliati » la Storia del liberalismo europeo di De Ruggiero e la Storie d’Europa di Croce. 94 L’Enciclopedia italiana crazia del pensiero », la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino dove (art. 4) « è il nucleo dell’individua- lismo liberale e insieme il limite che il liberalismo non riuscirà mai a superare davvero », con l’affermazione del- l’antistatalismo e della proprietà privata. Conseguenza del liberalismo sono considerati il dualismo tra governanti e governati, che si manifesta attraverso l’istituto della rap- presentanza, « trionfo materialistico del numero », e la democrazia, che in Rousseau « mostra i suoi aspetti dete- riori, convertendosi nel suo contrario e generando, nella sete della libertà, la peggiore schiavità ». Le contraddizioni del liberalismo, sorte col riconoscimento della necessità di uno Stato e di un suo intervento soprattutto nel campo economico, impongono secondo Spirito « una revisione radicale del problema », e questa è individuata nella tradi- zione italiana di pensiero, ricostruita secondo l’ottica gen- tiliana, e nel corporativismo: I precedenti di tale revisione vanno ricercati nel pensiero ideali- stico, che fin dagli ultimi decenni del sec. XVIII comincia a contrap- porsi all’affermazione del pensiero illuministico, razionalistico ed em- iristico. Il pensiero del Rinascimento italiano, di un individualismo n più profondo e spirituale, per cui l’individuo stesso coincide con l’universale e l’universale in esso s’incentra, comincia a dare i suoi frutti migliori, in contrasto con l’astrattismo del pensiero franco-in- glese. Nei pubblicisti della nostra tradizione vichiana, nei filosofi dell’idealismo tedesco, negli spiritualisti italiani della prima metà dell'Ottocento, comincia a farsi strada un concetto di libertà politica, in cui il dualismo di libertà e autorità, e quindi di individuo e stato, è riconosciuto come il fondamento necessario della superiore sintesi in cui consiste la vera libertà. In particolare, da Spaventa a Gentile, la tradizione del pensiero italiano ed europeo viene determinata nelle sue linee essenziali, e in essa si ritrovano gli elementi della nuova e più profonda fede nella libertà, che avrà poi il suo sbocco nella rivoluzione fascista. Con il « corporativismo integrale » il fascismo si avvia infatti a risolvere, afferma Spirito, le antinomie del libe- ralismo: l’individuo « deve realizzare la sua libertà e la sua 95 Il fascismo e il consenso degli intellettuali iniziativa nella collaborazione, e riconoscere il carattere pubblicistico della proprietà », mentre « si svuotano cosî di contenuto tutti i concetti tradizionali del liberalismo individualistico e della democrazia », da quello di rappre- sentanza a quello di maggioranza, da quello di eguaglianza a quello di elettoralismo; « iniziativa privata e intervento statale, e in conseguenza il problema dei rispettivi limiti, diventano termini e problema senza significato ». Il corporativismo di Spirito sposta cosî l’accento sulla costruzione gerarchica dello Stato, e negli anni seguenti, dopo la chiusura dei « Nuovi studi » (1935), si ridurrà, in campo economico, alla difesa della « economia program- matica », in cui l'affermazione del « carattere pubblicistico della proprietà » — che come la proposta della « corpora- zione proprietaria » mostra di non collocarsi al di fuori della logica capitalistica — si precisa nella richiesta dell’in- tervento statale reso necessario dalla crisi del 1929 2, A scanso di equivoci, comunque, nel 1936 Fulvio Maroi ri- cordò nella voce Proprietà che « alcuni scrittori (U. Spirito, A. Volpicelli) hanno sostenuto che in regime fascista il lavoro non può produrre una proprietà privata perché l’in- dividuo, come tale, in regime corporativo non esiste, e che il sistema corporativo sboccherà nella corporazione pro- prietaria: questa concezione è però autorevolmente com- battuta », concludeva, rinviando alla nota su Individuo e Stato del 1932 nella quale Gentile — allora impegnato a redigere le « Idee fondamentali » della voce Fascismo —, a commento della posizione assunta da Spirito a Ferrara precisava che la socializzazione e statizzazione corporativa importa sempre un mar- gine individualistico, in cui il processo corporativo deve operare. In 22 Cfr., nell’Appendice del 1938, Autarchia, Capitalismo (tutta la voce è dedicata alla «crisi del capitalismo »), Economia programmatica. «I precedenti delle nuove teorie — scrive Spirito in quest’ultima voce — vanno ritrovati per una parte nei postulati del socialismo e per l’altra nelle indagini circa l’organizzazione scientifica del lavoro ». Sul « fordi- smo » di Spirito cfr. S. Lanaro, Appunti sul fascismo «di sinistra ». La ASA, corporativa di Ugo Spirito, in « Belfagor », XXVI (1971), pp. 576-599. 96 L'Enciclopedia italiana questo margine, ineliminabile, il rispetto dell’individuo è lo stesso rispetto della corporazione: l’autolimitazione conseguente dello Stato è la sua effettiva autorealizzazione. Lo Stato che inghiottisse davvero l'individuo, riuscirebbe un pallone destinato subito a sgonfiarsi. Il corporativismo, sente, sia pure confusamente, questo pericolo, anzi questo destino del comunismo; e se ne vuol distinguere non annul- lando quella sorgente di vita economica e morale che è nell’indi- viduo 28. Il timore che la posizione « di sinistra » di Spirito in- fluenzasse la trattazione delle materie economiche dell’Ew- ciclopedia, non aveva quindi ragion d’essere, come dimo- strano del resto le voci di Augusto Graziani — fra cui Bisogni, Capitale, Lavoro, Salario —, il quale nel 1930 aveva sostenuto che il Capitalismo e nel rispetto della produzione e in quello della distribuzione, mani- festa superiorità spiccata sugli altri sistemi che lo precedettero, e su tutti i sistemi imperniantisi sulla collettivizzazione dei mezzi produt- tivi, nei quali si urterebbe contro la fondamentale difficoltà dell’asse- gnazione rispettiva dei compiti e si dovrebbe ad ogni modo attuare una distribuzione che toglierebbe i maggiori impulsi all’operosità e all’accumulazione; se si aggiunge la forte coercizione, intollerabile in paesi avanzati di civiltà, si scorge come essi necessariamente addur- rebbero a decremento enorme di produzione e ad arresto di pro- gresso economico e sociale. Può essere infine interessante notare come, almeno nel- l’Enciclopedia, vi fosse negli anni 30 un’intensa corrispon- denza fra le formulazioni di questi studiosi di scienze poli- tiche e storico-economiche, e quelle di alcuni storici. Men- tre ad esempio Spirito svolgeva una critica a fondo del libe- ralismo, nella voce Borghesia (1930) Chabod avvalorava la pretesa del fascismo di presentarsi antiborghese, negando l’esistenza, nell’età contemporanea, di quella classe che del liberalismo aveva fatto la propria bandiera politica. Come il primo utilizza Gentile, il secondo riprende, con alcune correzioni, le osservazioni di Croce intese a distinguere « la borghesia in significato spirituale, la borghesia che è detta cosîf per metafora (e per non felice metafora) dalla bor- 23 G. Gentile, Individuo e Stato, in « Giornale critico della filosofia italiana », XIII (1932), pp. 314-315. 97 Il fascismo e il consenso degli intellettuali ghesia in senso economico, con la quale la prima si suole scambiare, e, peggio ancora, deplorevolmente contaminare, con danno non solo della storiografia ma del sano giudizio morale e politico » 24. Mentre Croce respinge i termini « borghese » e « borghesia » per indicare « una persona- lità spirituale intera, e, correlativamente, un’epoca storica, in cui tale formazione spirituale domini o predomini » ?°, Chabod — che in quegli anni fa sua la negazione ottoka- riana del criterio di classe nella storiografia ?*, e partecipa del largo interesse che circondò nell’Italia fra le due guerre, non solo fra gli studiosi cattolici, l’opera di sociologi come Weber e Sombart che in opposizione al marxismo avevano dato la « dimostrazione “scientifica” della priorità dello “spirituale” sul “materiale”, della religione sulla econo- mia » ?” — ritiene che « storia dello spirito borghese non è altro se non storia dello spirito moderno, che ha certo permeato di sé dapprima un certo ceto sociale, gli bomzines novi, contrapposti alla feudalità e ai chierici, e con ciò alle concezioni medievali; ma non è più oggi identificabile, sic et simpliciter, con un solo, determinato gruppo sociale. E se oggi ancora certi atteggiamenti spirituali e morali fonda- mentali paiono più strettamente connessi con “la bor- ghesia”, classe sociale; in effetto sfuggono al dominio di un’etichetta sociologica, e sono atteggiamenti anche di molti di coloro che combattono la borghesia in quanto ceto sociale ». A differenza di Croce, e pur distinguendo fra borghesia e capitalismo — nel primo ’800 « rimaneva, mal- 24 B. Croce, Di un equivoco concetto storico. La « borghesia » (1927), ora in Etica e politica, Bari, Laterza, 19673, p. 283. Cfr. A. Garosci, Sul concetto di «borghesia». Verifica storica di un saggio crociano, in Miscellanea Walter Maturi, Torino, Giappichelli, 1966, pp. 439-475. 225 B. Croce, op. cit., p. 269. 26 Cfr. S. Pizzetti, Federico Chabod storico delle Signorie, cit., pp. 577, 580-81. ZI È un'osservazione riferita a Weber da D. Cantimori nel 1948 (ora in Storici e storia, Torino, Einaudi, 1971, p. 51). L'etica protestante e lo spirito del capitalismo di Weber fu presentata nel 1932-33 nei « Nuovi studi » di Spirito e Volpicelli da E. Sestan, che vi notava una reazione al marxismo (cfr. l’introduzione di Sestan alla nuova edizione, Firenze, Sansoni, 1965, p. 43). Chabod recensi Der Bowrgeois di Sombart in « Rivista storica italiana », XLV (1928), pp. 51-52. 98 L’Enciclopedia italiana grado tutto, l’ideale della vita ordinata e scevra di troppo gravi turbamenti: onde i borghesi si trovarono fuori del trionfo pieno di quella stessa mentalità capitalistica, di cui pure avevano nei secoli precedenti costituito il prodro- mo » —, Chabod ammette quindi per l’età moderna l’esi- stenza di una « mentalità borghese », proiezione spirituale della borghesia come classe (idee di tolleranza religiosa e di libertà civile, ma anche, nel periodo della rivoluzione francese, idee « astratte, antistoriche — talora anche pue- rili »), ma ribadisce che di essa non è più possibile parlare nell’età contemporanea, nella quale siffatta mentalità non è più esclusiva della borghesia, come ceto sociale. Ché, anzi, proprio per l’influsso della borghesia — cioè del ceto socialmente, politicamente, culturalmente dominante nell’Euro- pa del sec. XIX — tale mentalità ha permeato largamente di sé parte della vecchia nobiltà, e specialmente gran parte degli strati inferiori della popolazione. Il lavoratore si è contrapposto al borghese, nell’Europa del sec. XIX: ma quanti punti di contatto tra la men- talità dell’uno e quella dell’altro: quale influsso del secondo sul primo! I miti di progresso e d’umanità, di fratellanza e d’uguaglianza, che ai borghesi del sec. XVIII avevano servito di arma contro le vecchie classi privilegiate, sono ritorti dagli agitatori socialisti del sec. XIX contro la borghesia stessa e divengono ancora arma di lotta, con altro bersaglio. Ma per ciò appunto quanta affinità tra gli uni e gli altri! La forma mentis del borghese ha permeato di sé assai pit ampio strato sociale; si è imposta, anche quando pareva combattuta; e, se prima aveva potuto costituire veramente la forma mentis carat- teristica d’un determinato ceto sociale, ora si dissolve come tale, perde le sue peculiarità « classiste ». Dove si evidenzia l’affinità con la conclusione della voce Borghesia scritta nel 1940 per il Dizionario di politica del Pnf da Salvatore Valitutti: « La società fascista che nello Stato totalitario ha la sua espressione ignora l’esistenza di ceti o classi a sé stanti e pertanto la parola “borghesia” è destituita di ogni significato attuale ». La voce di Chabod dimostra quindi come « la mistifi- cazione arrivasse, per forza di cose, fino alle sfere più rare- fatte di quella cultura che pure, soggettivamente, si rite- neva del tutto indipendente dai volgari messaggi rivolti 99 Il fascismo e il consenso degli intellettuali alla massa », secondo quanto ha osservato Badaloni ”*, e indica come molteplici fossero — in questo caso Weber e Sombart, e la stessa riflessione crociana — i contributi utilizzati per definire un’ideologia e una cultura del fasci- smo. 10. L’assimilazione dei « competenti »: Gioele Solari e Rodolfo Mondolfo Sempre nell’ambito delle voci politiche incontriamo due casi particolari, quelli degli antifascisti Gioele Solari e Rodolfo Mondolfo, utilizzati per le loro « competenze » specifiche — argomenti di filosofia del diritto, connessi con la tematica della libertà, il primo; storia del socialismo e del movimento operaio, il secondo —, e la cui presenza potrebbe confermare il giudizio di quanti hanno negato la connessione fra la « vera » cultura e il fascismo, ricavan- done, in particolare, una valutazione « assolutoria » nei confronti dell’Enciclopedia. Ci sembra tuttavia azzardato dedurre dalla presenza di antifascisti in un’opera collettiva il carattere oggettivamente antifascista della loro collabo- razione scritta, senza cercare di cogliere lo spazio dei loro contributi rispetto ad altri, e di approfondire gli eventuali punti di convergenza — o di non contraddizione — fra la loro produzione scientifica e quanto probabilmente lo stesso Gentile, in assenza di una specifica sezione dedicata alla « Politica », chiedeva loro. La partecipazione di Solari, il quale nel 1925 aveva accettato con entusiasmo di collaborare all’Enciclopedia, « che vuol essere espressione del pensiero italiano nei suoi più alti esponenti e nelle sue più alte manifestazioni » ??, pone forse più problemi di quella di Mondolfo. Solari è infatti impegnato, in quegli stessi anni, in un’importante ed equilibrata opera di delucidazione della concezione liberale dello Stato e dei concetti di liberalismo, costituzionalismo, 28 N. Badaloni - C. Muscetta, Labriola, Croce, Gentile, cit., p. 61. 29 Solari a Gentile, 2maggio 1925 (AEI, Leztere, Solari). 100 L’Enciclopedia italiana democrazia nelle dottrine politiche del secolo XVIII, che contrasta col metodo inquisitorio con cui questi erano esa- minati ad esempio da Spirito nell’Enciclopedia — « non è giusto fare il Rousseau responsabile della degenerazione in senso realistico e materialistico dell'ideale democratico », sembra rispondergli Solari ?° —; egli oppone nel 1931, alla valorizzazione de I/ concetto dello Stato in Hegel fatta da Gentile, la scoperta hegeliana della società civile — «la scoperta della società civile come concetto autonomo fu il grande merito di Hegel, maggiore di quello che solitamente gli si attribuisce di aver rinnovato il sentimento e la dignità dello Stato » ?! —, e confutando la concezione dello Stato corporativo espressa da Arnaldo Volpicelli osserva che il neoidealismo ha deviato dalla tradizione hegeliana (almeno quale io la intendo) circa la natura e i fini dello Stato. Il neo-hegelismo tende, a mio credete, verso un individualismo idealistico quando concepisce lo Stato non in sé e per sé, ma nelle forme e nei limiti dell’individuo concreto, singolo o associato che sia. Lo Stato è etico non perché vive in inte- riore homine, ma perché è esso stesso realtà e sostanza etica che non si concreta solo negli individui, ma progressivamente nella famiglia, nelle associazioni, nella nazione, nell’umanità 22. E tuttavia sarebbe necessario valutare come poté inse- 20 G. Solari, La formazione storica e filosofica dello Stato moderno, Torino, Giappichelli, 19622, p. 131. DI G. Solari, Il concetto di società civile in Hegel, in «Rivista di filosofia », XXII (1931), ora in La filosofia politica, a cura di L. Firpo, Bari, Laterza, 1974, vol. II, p. 254. Cfr. anche G. Solari, Lo Stato conse libertà, in « Rivista di filosofia », XXII (1931), p. 114: «come organo di valori universali e non solo di interessi nazionali o corporativi, lo Stato può dirsi anche storicamente etico, purché sia ben fermo che esso non è valore supremo e neppure esclusivo, che la sua eticità è misurata dal grado con cui realizza esteriormente, cioè coi mezzi imperfetti e limitati dal diritto, la socialità che è la forma concreta nella quale individui e popoli affermano la loro libertà ». Per una riflessione sulla società civile parallela a quella di Solari cfr. G. Zaccaria, L'itinerario politico di Giu- seppe Capograssi. Il problema del rapporto tra la società e lo Stato, in « da Pensinto politico », X (1977), pp. 390-418. 2 G. Solari, Stato corporativo e Stato etico (Lettera aperta al prof. A. Volpicelti in «Nuovi studi di diritto, economia e politica », III (1930), p. 119; cfr. anche la Risposta dl prof. Solari di A. Volpicelli, ibidem, pp. 121-125. 101 H fascismo e il consenso degli intellettuali rirsi nell'impresa diretta da Gentile la sua ricerca di una filo- sofia sociale del diritto, « fermissima sempre nel respin- gere l'egoismo implicito nelle varie dottrine individuali stiche, germogliate dal giusnaturalismo e dall’utilitarismo, ma impenetrabile altresi al materialismo dialettico mar- xiano » ?*, e vedere se ciò fu possibile solo per l’esistenza di comuni negazioni — l’individualismo e il marxismo —, o anche perché la sua riflessione, dopo aver abbandonato, all’inizio del secolo, i suoi presupposti positivistici (e ten- denzialmente filosocialisti), sviluppandosi come « idealismo sociale » trovò più che un semplice correttivo ** nel neo- idealismo italiano. In questa sede si può solo propendere per la prima ipotesi, constatando come nella maggior parte delle voci di Solari vi siano — con la messa in sordina del tema della società civile — forti scarti rispetto a quanto scriveva contemporaneamente fuori dell’Ewciclopedia, per cui esse non turbano l’immagine generale dello Stato for- nita dall'opera, anche se esprimono in maniera più equili- brata e problematica di quanto non facciano gli attualisti il problema dei rapporti fra diritti individuali, società e Stato. Una esplicita distinzione fra il proprio « idealismo so- ciale » e quello di Croce e di Gentile si ha solo in una delle prime voci, Filosofia del diritto, sottovoce di Diritto (1931): L’idealismo del Croce e del Gentile, fondandosi su una dialettica dello spirito individuale, portava logicamente a risolvere il diritto nell’attività utilitaria o in quella etica dello spirito. Legittima per- tanto deve apparire l’esigenza di cercare al diritto un fondamento suo proprio, d’intendere l’attività giuridica come attività autonoma dello spirito. Come espressione di questa esigenza fu in ogni tempo il diritto inteso come attività dell'uomo storico e sociale, come rela- 233 Cosî Firpo nella Introduzione a G. Solari, La filosofia politica, cit., p. XIII. 24 Bobbio non vede nel passaggio di Solari all’idealismo «un rivol- gimento dei suoi principi » (L'insegnamento di Gioele Solari (1949), ora in Italia civile, Manduria-Bari-Perugia, Lacaita, 1964, p. 179). Per una valutazione complessiva dell’opera di Solari cfr. anche AA.VV., Gioele Solari 1872-1952. Testimonianze e bibliografia nel centenario della nascita, Torino, Memorie dell’Accademia delle scienze, 1972, in particolare il saggio di Bobbio su Lo studio di Hegel. 102 L'Enciclopedia italiana zione, come proporzione personale e reale, come manifestazione della coscienza collettiva. In Italia la scuola giobertiana, rivissuta dal Carle nelle sue applicazioni al diritto, sostiene che in tal senso si affermò la costante tradizione del pensiero italiano. Il dogma della naziona- lità e socialità del diritto è incompatibile con l’idealismo economico e morale, l’uno e l’altro fondati sul presupposto che il diritto è atti- vità dello spirito individuale. Ma a liberare l’idealismo nazionale e sociale dagli elementi empirici e contingenti con i quali va congiunto, è necessario elaborare una dialettica dello spirito collettivo e ripren- dere la tradizione storico-romantica del periodo post-kantiano, la quale pose le condizioni di una concezione idealistica del diritto come espressione dell’Io sociale. Ma la posizione di Solari non ebbe poi modo di dispie- garsi. In alcune voci l’accento cade, come in quelle di Bat- taglia e di Spirito, sulla condanna delle teorie individua- listiche cui viene opposto il valore supremo dello Stato: mentre il Contrattualismo « tende logicamente a una teo- rica individualista dello stato », in modo da « giustificare cost l’estremo assolutismo, come l’estremo liberalismo », in Giustizia ci si sofferma sulla concezione di Hegel, per dire che in lui « la giustizia è libertà ma questa non esclude, anzi postula la necessità e la naturalità; essa si attua astrat- tamente nell’individuo e nei rapporti interindividuali, ma solo nello stato si afferma in forma concreta e universale »; in modo altrettanto conciso si sostiene che « eticità per Hegel è sinonimo di socialità, e questa è il risultato di un processo dialettico che culmina nello stato » (Naturale, diritto). Ma anche per Diritti di libertà, citata da Bobbio come esempio di antifascismo ‘°, è da notare che è solo una sottovoce di Libertà (1934) — affidata nei suoi termini generali, ed esclusivamente filosofici (per la bibliografia si rinvia a Etica), ad Augusto Guzzo, un attualista mosso da una forte esigenza religiosa, per il quale « la libertà è oggi considerata come la spiritualità stessa » —, e che in essa Solari non esprime un’opinione personale: pur partendo dall’affermazione che « condizione di sviluppo della perso- nalità è la libertà », vi espone infatti la teorica dei diritti di libertà elaborata da Locke e da Kant, e quindi la reazione 235 N. Bobbio, Le cultura e il fascismo, cit., p. 215. 103 .Hl fascismo e il consenso degli intellettuali da essa suscitata, prima con Hobbes, Spinoza e Rousseau, poi nel periodo postkantiano, fra gli altri da Hegel, che « poneva in rilievo il processo dialettico per cui la libertà astratta dell’individuo diventa reale nello stato ». Un discorso per certi versi analogo a quello di Solari può essere fatto per la collaborazione di Rodolfo Mondolfo, autore delle voci principali relative alla storia del socialismo e del movimento operaio. La scelta di quello che era stato l’animatore del dibattito sul marxismo riapertosi in Italia nel 1923-26, dopo la sconfitta del movimento operaio ad opera del fascismo “9, corrisponde anche in questo caso al criterio della « competenza », ma non appare in contraddi- zione con i motivi ispiratori dell’Enciclopedia: era lo stesso criterio che aveva suggerito a Bevione e a Salata di affidare a Bonomi la biografia di Bissolati, poi redatta nel 1930 dall’ex bissolatiano Angelo Cabrini, che aveva messo in risalto l'orientamento nazionale pit che quello socialista del biografato ?”. . Le voci di Mondolfo, che non sembra abbiano subîto censure *, sono lontane dal taglio anonimo, anche se cor- 2% Cfr. C. Luporini, Il marxismo e la cultura italiana del Novecento, in Storia d’Italia, V,I documenti, 2, Torino, Einaudi, 1973, pp. 1605-1606. 237 Bevione scriveva il 13 marzo 1928 a Salata, che dirigeva allora la sezione « Storia contemporanea »: «penso che qualcuno può scrivere l’articolo con ben maggiore ricchezza di dati e intima conoscenza del tema: ed è Bonomi [...] né obbiezioni potranno venire alla Direzione del- l’E.[nciclopedia] da alcuno per questo incarico, data la purezza e la sere- nità di Bonomi, da tutti riconosciuta ». « A Bonomi avevo pensato an- ch'io, fin da principio — scriveva Salata a Menghini il 14 marzo —. Ma allora mi era parso di dover evitare la scelta di un uomo cosî in vista nelle vicende politiche post-belliche. Ora il giudizio su Bonomi è — credo anche nelle altissime gerarchie del partito fascista — più calmo » (AFI, Lettere, Salata). Cabrini era stato cancellato nel 1929 dall’elenco dei « sovversivi » (cfr. la voce di A. Rosada in F. Andreucci - T. Detti, Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico 1853-1943, I, Roma, Editori Riuniti, 1975). ‘ ‘238 Il 3 luglio 1973 Mondolfo, da me interpellato sulla sua parteci- pazione all’Enciclopedia, rispondeva: « Per la mia collaborazione ho avuto solo rapporti diretti con Gentile, che era mio amico personale (come antico condiscepolo a Firenze) e che sempre rimase tale benché io polemizzassi con lui sin dal 1909 (a proposito di Feuerbach e Marx) e dal 1911 (a proposito di Giordano Bruno e Felice Tocco) [...]. Ciò non impedî che nel 1930 egli m'’invitasse a collaborare alla Enciclopedia proprio su un tema (Giordano Bruno) che era stato oggetto di una nostra polemica [...]. 104 L’Enciclopedia italiana retto, di voci come Exgels scritta da Manfredi Gravina, alto commissario per la Società delle Nazioni a Danzica, o da quello polemico del Marx di Augusto Graziani, che mette in rilievo le « censure gravi » cui andrebbe incontro ad esempio la teoria marxiana del valore; esse invece, mentre ambiscono ad avere un andamento espositivo ed obiettivo, riflettono al tempo stesso la concezione dell’autore de I/ materialismo storico in Federico Engels e di Sulle orme di Marx, per cui evidenziano, al di là della « competenza », la profonda consonanza di Mondolfo con l’impostazione idea- listica e gentiliana. Anche se queste voci rappresentano negli anni ’30, dopo la biografia di Labriola di Dal Pane e l'edizione Croce del 1938 de La concezione materialistica della storia di Labriola, l’esposizione più ampia della teoria e della prassi del socialismo e del comunismo, è quindi dif- ficile convenire con l’opinione di chi ha affermato che esse erano « le fonti più accessibili, senza suscitare sospetti, alle quali i giovani, che studiavano sul serio, potevano attingere per cercare una spiegazione e una giustificazione alle con- tinue denigrazioni che il fascismo faceva di quelle idee e dei loro movimenti » ?°. Per chi studiava sul serio dovette. avere maggiore efficacia la diretta riproposizione crociana di Labriola, che non la valutazione mondolfiana della con- cezione marxista e socialista, profondamente influenzata dalla lettura di Gentile, e scissa da una positiva considera- zione dei movimenti reali. Parlando dell’influenza di La- briola su Mondolfo, Garin ha osservato che in quest’ultimo. « l’equilibrio della filosofia della prassi è tanto insidiato in E debbo dire che né per questa né per le altre [voci] si limitò affatto la mia assoluta libertà di trattazione (unico limite fu quello dello spazio dispo- nibile), di giudizio e di espressione; né mai mi chiese o propose il minimo cambiamento, neppure di una virgola [...]. Credo pertanto di dover rico- noscere che Gentile si mantenne con me al di sopra dei dissensi politici e filosofici che ci dividevano, e credo che ispirò a criteri ed esigenze di carattere scientifico i rappotti con i collaboratori, nella sua direzione dell’impresa dell’Enciclopedia » 239 E. Bassi, Rodolfo Mondolfo nella vita e nel pensiero socialista, Bologna, Tamari, 1968, p. 50. Suggerimenti per una corretta lettura delle voci di Mondolfo ha fornito E. Garin, Mondolfo e la cultura italiana, in AA.VV,., Filosofia e marxismo nell'opera di Rodolfo Mondolfo, Firenze, La Nuova Italia, 1979, pp. 33-34. 105 Il fascismo e il consenso degli intellettuali direzione idealistica, da suscitare in lui una sintomatica in- terpretazione in senso deterministico della concezione del- l’autocritica delle cose, che, a parte l’espressione verbale, aveva ben altro valore » **. E non a caso nel 1931, ripro- ponendo sulle pagine della « Rivista di filosofia » la lettura mondolfiana del materialismo storico, Alessandro Levi os- servava che la « gnoseologia del calunniato materialismo storico coincide in alcuni punti fondamentali con quella di una delle più celebrate correnti dell’idealismo storico, cioè con la gnoseologia di Giambattista Vico », e, infine, che « il concetto marxistico della umwélzende Praxis sem- bra convenire con quella, che io chiamerei l’orientazione storicistica del liberalismo » ?. « Come non si conosce e non s’intende se non facendo (ripete Marx con Vico), cosi non si mutano le condizioni esteriori se non mutando se stessi, e reciprocamente non si muta se stessi se non mutan- do le condizioni del proprio vivere », afferma Mondolfo trat- tando del Muaterialismo storico — sottovoce di Materiali smo (1934) di Vito Fazio-Allmayer —, ribattezzato « con- cezione critico-pratica della storia » °°. Dopo aver opposto alle interpretazioni economicistiche quella di De Man, Mon- dolfo sottolinea infatti il carattere soggettivistico, e quasi vitalistico, ma non per questo meno deterministico, del materialismo storico: « Vita che è lotta, in cui né le forme e condizioni esistenti possono arrestare le forze vive che si volgono contro di esse, né le forze innovatrici possono operare se non tenendo conto delle forme e condizioni esi- stenti, sia pure per rovesciarle e superarle ». Ne risulta un’ accentuazione gradualistica del processo storico, che si rias- sume nella definizione di Sorel del materialismo storico come « consiglio di prudenza ai rivoluzionari ». Manifestazione della continuità della storia, che non 20 A, Labriola, La concezione materialistica della storia, a cura e con un'introduzione di E. Garin, Bari, Laterza, 1965, p. LXII. Nella voce Labriola (1933) Mondolfo scriveva: «C'è una dialettica della storia e autocritica delle cose; ma le cose sono la praxis stessa umana ». MI A. Levi, Um'interpretazione del materialismo storico, in «Rivista di filosofia », XXIII, 1931, pp. 118 e 131. 22 Anche Levi aveva considerato «sbagliato » il termine « materia- lismo storico » (arf. cif., p. 118). 106 L’Enciclopedia italiana conosce fratture rivoluzionarie — « nel progresso, che è incremento, non è il caso di andar cercando assoluti cangia- menti qualitativi ossia creazioni di novità assolute e senza precedenti », aveva affermato Mondolfo sulla base del pen- siero di Giordano Bruno, in discussione con Barbagallo ”* —, è la stessa storia del comunismo e del socialismo: i due termini sono dilatati cronologicamente fino a comprendere l’antichità. Ciò vale in primo luogo per il comunismo, che non è soltanto programma di rivendicazione e d’azione di una classe proletaria, ma si presenta nella storia anche come stato di fatto, dovuto sia alla primordialità indifferenziata della società umana, sia a necessità belliche (Lipari), sia ad ascetismo religioso che svaluta i beni terreni e reprime il desiderio del possesso individuale (es., comunità monastiche), e può anche essere un ideale etico-politico di società, che voglia eliminati gli interessi particolari fonte di conflitti, per la solidale ricerca del bene comune (come in utopie antiche e moderne) (Socialismo, 1936). Il comunismo, mentre « è in certe forme storiche estra- neo alle esigenze socialistiche di elevazione ed emancipa- zione di classi », nella società contemporanea « rappresenta la forma estrema del socialismo, che alle altre si oppone per il radicalismo dogmatico del suo programma, per la fede nell’efficacia risolutiva della violenza, per la decisione rivo- luzionaria della sua azione », e trova espressione nella « dottrina — più mista di bakuninismo, blanquismo e sin- dacalismo, che aderente al marxismo — professata dai socia- listi maggioritari » (Comunismo, 1931) 24. Ma anche per 2 R. Mondolfo, Razionalità e irrazionalità della storia. Per una visione realistica del problema del progresso, in «Nuova rivista storica », XIV (1930), p. 4. A proposito di Bruro (1930) Mondolfo scriveva a Gentile il 30 giugno 1929: «Vedrai dal manoscritto che le mie opinioni sulla distinzione delle fasi del pensiero bruniano, fatta dal Tocco, si sono modi- ficate per cedere il posto allo sforzo di coglierne l’unità e continuità, pur fra le contraddizioni ed oscillazioni » (AEI, Lettere, Mondolfo). 2% «La concezione critico-pratica del marxismo — concludeva la voce —, che per ogni esperimento storico domanda la maturità delle con- dizioni oggettive e soggettive, non risulta per ora smentita dall’esperienza, in favore della concezione blanquistica, che tutto riduceva alla conquista del potere. E le difficoltà, che rendono tempestoso il cammino della rivo- luzione bolscevica, non lasciano prevedere ancora a quale porto essa sia destinata ad approdare ». Per i giudizi di Mondolfo sulla Rivoluzione d’ottobre cfr. Studi sulla rivoluzione russa, Napoli, Morano, 1968. 107 Il fascismo e il consenso degli intellettuali il socialismo è necessario risalire all’antichità classica e al cristianesimo, « contro l'opinione dei non pochi studiosi che dichiarano il socialismo sviluppo esclusivamente mo- derno, prodotto della doppia rivoluzione — politica e in- dustriale — con cui nel sec. XVIII si passa dalla società feudale alla capitalistica » (Socialismo). Già prima della du- plice rivoluzione una tappa decisiva per lo sviluppo del socialismo e del comunismo moderni è costituita dal pen- siero degli illuministi, Montesquieu e Turgot in primo luogo ?°. E come nel 1926 l’elemento costitutivo del socia- lismo era individuato da Mondolfo nella buzzanitas, cioè nella « affermazione storica più vasta e universale di quella coscienza e dignità della persona umana in quanto tale, che è l’essenziale concetto di Rousseau, inspiratore degli im- mortali principi della rivoluzione francese » 2%, ora la sua essenza è vista in quella « esigenza morale di libertà, di affermazione e sviluppo della personalità umana nel lavo- ratore, che costituisce la forza viva e il valore etico del socialismo moderno, con le sue rivendicazioni di autonomia dei lavoratori e di eliminazione delle differenze di classe » (Socialismo). Scissa da una precisa identificazione con un movimento reale, la concezione socialista consiste in ultima analisi in una generica aspirazione alla giustizia che percorre, in forme diverse, tutta la storia dell'umanità: era una presentazione che, indipendentemente dalle intenzioni dell’autore, poteva trovare punti di convergenza, 0 quanto meno di confusione, con quella fatta dalla voce Fasciszzo, secondo la quale, col- pito il socialismo nei suoi due capisaldi del materialismo storico e della lotta di classe, « di esso non resta allora che 25 Sul rapporto di continuità-rottura fra illuminismo e storicismo cfr. quanto Mondolfo scrive nella voce Helvétius: « Osserverà Marx contro Owen, discepolo di Helvétius: “l’educatore stesso deve venire educato... Il coincidere del variare dell'ambiente e dell’attività umana può essere inteso razionalmente solo come praxis che si rovescia”, ossia come con- creto processo dialettico della storia, in cui di continuo l’effetto si con- verte in causa e l’uomo non è prodotto passivo, ma antitesi operosa alle condizioni esistenti. La contraddizione in cui Helvétius resta impigliato si risolve nello storicismo del secolo XIX ». 26 R. Mondolfo, Umanismo di Marx. Studi filosofici 1908-1966, intro- duzione di N. Bobbio, Torino, Einaudi, 1968, p. 272. 108 L’Enciclopedia italiana l'aspirazione sentimentale — antica come l’umanità — a una convivenza sociale nella quale siano alleviate le soffe- renze e i dolori della più umile gente ». Il socialismo come umanesimo universalistico, già affermato nel 1924 in pole- mica con Carlo Rosselli, fino ad accettare la trasformazione della lotta di classe in collaborazione di classe ?”, trova nel- l’Enciclopedia una delineazione concreta nella trattazione del movimento operaio italiano: « Lo smarrimento e la con- fusione sorgono [...] più gravi nell'immediato dopoguerra, per l’irruzione improvvisa di masse caotiche nelle organiz- zazioni a portarvi l’ondata dei malcontenti incomposti e la suggestione del mito russo: il rivoluzionarismo delle nuove reclute sopraffà d’un tratto i vecchi cauti condottieri. Ma questo sindacalismo rivoluzionario è presto sgominato dal- l'insorgente sindacalismo fascista; la nuova legislazione si avvia grado a grado a convertire il sindacalismo in corpo- rativismo, che al principio della lotta di classe sostituisce quello della solidarietà nazionale. Con la Carta del lavoro il corporativismo fascista afferma recisamente la dignità e la nobiltà del lavoro e l’importanza e i diritti della classe ope- raia ». I fini universali del movimento operaio si realizzano nel potenziamento della nazione: La stessa lotta contro il capitalismo avido di profitti è afferma- zione di un più alto concetto della ricchezza: non privilegio e domi- nio, rientrante nella sfera dell’arbitrio individuale, ma bene sociale che deve essere usato e volto a fini di utilità nazionale. E nell’atto stesso che le rivendicazioni operaie hanno portato a una limitazione dei profitti capitalistici, hanno anche impresso all’industria e all’agri- coltura un fecondo impulso di rinnovamento, che ha significato un accrescimento della produzione e, quindi, un elevamento generale 27 Cfr. R. Mondolfo, Ursanismo di Marx, cit., pp. 239-240. Sulla base di un ampio esame degli scritti di Mondolfo, G. Marramao ha affermato che « saranno proprio le categorie di “coscienza di classe” e di “rovescia- mento della prassi” i cardini teoretici della difesa ad oltranza della “colla- borazione” », e che «è sintomatico come il nostro autore trascorra dal concetto di “totalità della classe” [...] a quello di “collaborazione”, logica conseguenza politica dell’universalismo che si realizza progressivamente nella “coscienza di classe” » (Marxismo e revisionismo in Italia, dalla « Critica sociale » al dibattito sul leninismo, Bari, De Donato, 1971, pp. 279, 303). 109 Il fascismo e il consenso degli intellettuali delle possibilità e dei tenori di vita nazionali (Operaio movimento, 1935) 8, In questo modo le contraddizioni sociali si annullano, e ai fini della produzione e della distribuzione della ric- chezza nazionale il movimento operaio viene a svolgere una funzione analoga a quella delineata da Roberto Michels per Li LI (1933), di equilibrato rafforzamento di tutte e classi: È evidente, in realtà, che dall’impetialismo economico possono nascere, per le classi inferiori, vantaggi effettivi anche dal lato del consumo, qualora esso abbia per effetto l’incremento dell’importa- zione di materie di prima necessità [...] il cui buon mercato faccia calare i prezzi locali aumentando correlativamente la capacità d’ac- quisto dei salari e dei piccoli redditi. 11. Gentile, Volpe e il nazionalismo storiografico Se operiamo un’altra verifica nel settore storico, con particolare riguardo alla storia italiana moderna e con- temporanea, troviamo confermata l’impressione che il rap- porto fra gli intellettuali e le scelte politiche o politico-cul- turali del periodo fascista sia stato assai stretto e passasse attraverso mediazioni culturali che sono precedenti al fa- scismo ma che col fascismo si chiariscono, come nel caso di Volpe; e ciò vale anche per quegli intellettuali che, per abito scientifico o per temi studiati, sono stati considerati più lontani da una compromissione con l’ideologia del fa- scismo. Lo stesso Arnaldo Momigliano, che alle voci sto- 28 In Sindacalismo (1936) Mondolfo afferma: «Del sindacalismo rivoluzionario parve per un momento allo stesso Sorel figlia la rivoluzione dei Sovieti, coi consigli degli operai e contadini; ma ben presto è apparso evidente che tutto quanto il sistema sindacale è posto in essa sotto la ferrea direzione e dominazione dello stato. E nell’affermazione del valore supremo dello stato è agli antipodi del sindacalismo rivoluzionario anche il sindacalismo fascista, imitato poi dal socialnazionalismo tedesco. Nel concetto fascista rivive l’esigenza dei valori eroici, rivive il concetto di una società di produttori, in cui l’uomo è cittadino in quanto produttore; ma è respinta la lotta di classe: i sindacati di datori e prestatori di lavoro sono unificati nella corporazione, tutte le corporazioni nella nazione, la cui personalità morale si riassume nello stato ». 110 L’Enciclopedia italiana riche dell’Exciclopedia dette un larghissimo contributo e fu in stretto contatto con gli storici che vi lavoravano, ha parlato di un bilancio « in perdita » per tutto quel gruppo di storici, fatta eccezione per Cantimori e Chabod ?’: osser- vazione probabilmente troppo drastica, ma che invita ad un approccio alla storiografia del periodo fascista non solo in termini di pura storia delle idee; anche attenendosi a questo solo piano, comunque, da un esame di alcune voci vedremo che molteplici sono le influenze che agiscono su storici come Chabod e Maturi, per i quali le testimonianze e gli studi hanno finora valorizzato esclusivamente l’insegnamento di Croce. Non è infatti possibile non tener conto del quadro com- plessivo di cui fa parte lo stesso settore storico dell’Erciclo- pedia, cioè di quella vasta opera di organizzazione della cultura storica che si ebbe durante il fascismo e che attende ancora di essere studiata. Protagonista ne fu, per la storia moderna e contemporanea, Gioacchino Volpe, che riuscî a coinvolgere pienamente nei suoi programmi di lavoro anche storici che, come Carlo Morandi, all’inizio degli anni ’30 avevano già manifestato un diverso e autonomo orienta- mento culturale, e che sotto la sua guida, o negli istituti, nelle riviste e nelle collane da lui diretti, si dedicarono a una intensa attività di ricerca in campi diversi — per poi concentrarsi attorno alla storia della politica estera italiana, in un momento in cui l’imperialismo fascista esaltava la politica di potenza dello stato ?° —, risentendo in varia misura dell’« eclettismo » storiografico e di singoli giudizi di Volpe. Nel 1930, negando contro l’opinione di Maturi l’esistenza di una svolta nella storiografia italiana, Nicola Ottokar lamentava la persistenza dei « vecchi preconcetti della scuola giuridico-economica » (« È illusione credere che la formula del materialismo storico sia superata nella produzione storiografica odierna »), e indicava a modello Volpe, fin dall’inizio del secolo « sostanzialmente immune 29 A. Momigliano, Appunti su F. Chabod storico, cit., p. 645. 250 Cfr. le osservazioni di E. Ragionieri, Carlo Morandi, in « Belfagor », XXX (1975), pp. 684-691. li Il fascismo e il consenso degli intellettuali da questi semplicismi materialistici », perché « sembra che nel marxismo egli abbia soprattutto sentito la parte più profonda e pit feconda, vale a dire l’idea dell’unità e dell’in- terdipendenza, e non l’esagerazione delle antitesi e dei con- trasti che porta ad una visione isolatrice e materializza- trice » #!, Comunque si voglia giudicare la storiografia di Volpe, nel segno della continuità o del cambiamento ”*, nel periodo fascista essa si propose effettivamente come mo- dello di una storiografia « politica » di impronta nazionali- stica ed esaltatrice dello Stato-potenza, pur mantenendo alcuni « residui » del precedente interesse per la storia sociale. Essa ebbe modo di imporsi attraverso gli istituti storici di cui magna pars fu Volpe, impegnato fra l’altro a dissolvere anche istituzionalmente la storia del Risorgi- mento nella storia secolare della « nazione italiana » sorta col Medioevo, pur se a questo programma fece resistenza la Società nazionale per la storia del Risorgimento: la Scuola di storia moderna e contemporanea, collegata fin dalle origini, nel 1925, con il Comitato nazionale per la storia del Risorgimento, si propose infatti la pubblicazione delle fonti di storia italiana dal secolo XVI alla grande guerra, programma che fu fatto proprio dal Comitato sotto la direzione di Gentile nel 1932-34, per poi passare nel 1934 all’Istituto storico italiano per l’età moderna e con- temporanea che assorbi il Comitato *. Oggi infatti — scriveva Gentile nel 1933 riecheggiando Volpe — il quadro della storia del Risorgimento italiano, malgrado la super- stite specializzazione di alcuni suoi cultori, si slarga; e comprende non solo gli immediati antecedenti del secolo delle riforme, ma tutta la storia moderna d’Italia dal declinare di quella frammentaria vita comunale, che è il primo erompere della vita nazionale ancora in- 21 N. Ottokar, Osservazioni sulle condizioni presenti della storio- grafia in Italia, in « Civiltà moderna », II (1930), pp. 930, 933, 935. Inte- ressanti notazioni sul rapporto Volpe-materialismo storico anche in L. Volpicelli, Gioacchino Volpe, in « La Fiera letteraria », 17 marzo 1929. 82 Cfr. I. Cervelli, Gioacchino Volpe, cit., e le mie osservazioni in Il problema Volpe, cit. 23 Una prima riflessione su questa complessa rete organizzativa è stata fornita da S. Soldani, Risorgimento, ne Il mondo contemporaneo, I. Storia d’Italia, 3, Firenze, La Nuova Italia, 1978, pp. 1144-1146. 112 L’Enciclopedia italiana conscia e incurante della propria unità e ignara di ogni esigenza di organizzazione, fino alla formazione del regno d’Italia e alla prima grande prova della sua volontà e della sua potenza nella guerra mon- diale 2. Le sezioni enciclopediche su alcune delle cui voci ci sof- fermeremo, quella di « Storia medievale e moderna » di- retta da Volpe, e quella di « Storia del Risorgimento » diretta da Menghini — legato a Gentile anche per altre iniziative editoriali, come la collana « Studi e documenti di storia del Risorgimento » di Le Monnier —, si presentano come uno dei frutti di questa vasta opera di organizzazione culturale, e videro impegnati quasi tutti gli storici che prestavano la loro opera negli istituti di ricerca del regime. Con ciò non si vuol dire che questi intellettuali si ridussero a « funzionari » del regime”, ma solo indicare la loro relativa omogeneità raggiunta negli anni ’30 e la permea- bilità di molti di loro all’ideologia nazionalistica propagan- data dal fascismo — e che nell’Enciclopedia si manifestò nel larghissimo spazio concesso alla storia di Roma e a quella d’Italia —, pur nella varietà delle influenze sul piano del metodo e dei giudizi: per cui la presenza della lezione crociana non è di per sé un segno, in molti casi, di differenziazione ideologica dall’orientamento nazionalistico. Sul piano metodologico nell’Enciclopedia, come in quasi tutta la storiografia italiana del periodo, trionfa quella con- cezione idealistica, sia etico-politica alla Croce sia « reali- stica » alla Volpe, che negli anni ’20-'30 aveva trovato un elemento unificatore nel concetto di «classe politica ». « Sul concetto di classe politica — osservava Maturi nel 1930 —, inteso eticamente o realisticamente, sono tutti d’accordo: Croce e Gentile, Salvemini e Ottokar. Ad esso si riduce in fondo anche il concetto di nazione nel Volpe, 24 Prefazione di Gentile all’Annuario del Comitato nazionale per la storia del Risorgimento, Bologna, Zanichelli, 1933, pp. 67. Cfr. anche G. Gentile, Dal Comitato nazionale per la storia del Risorgimento dl R. Istituto storico italiano per l’età moderna e contemporanea. Relazione a S.E. il Ministro della Educazione nazionale, Sancasciano Val di Pesa, Stianti, 1937, p. 6. 25 Secondo quanto afferma invece M. Ciliberto, Intellettuali e fasci- smo. Saggio su Delio Cantimori, Bari, De Donato, 1977, ad es. a p. 15. 113 Il fascismo e il consenso degli intellettuali come si vede dal suo libro L'Italia in cammino, ove, al cen- tro della narrazione, è l’analisi dei ceti dirigenti del Risorgi- mento e della nuova Italia » #9. Non a caso alcuni anni dopo nella voce Storia (1936) Carlo Antoni annoverava fra i rinnovatori della storiografia italiana, accanto a Croce e Gentile, Mosca e Volpe. È indubitabile dunque che, al di là di scuole o di parti politiche, agli storici dell’Erciclopedia fosse ben presente anche la lezione di Croce, come testi- monia il fatto che nel 1928 Fausto Nicolini, incaricato di predisporre un piano di voci di storia della storiografia, si sentisse autorizzato a chiedere consiglio a Croce, « che nel- l’argomento è forse lo studioso più competente di Europa », e a proporre per sé una sottosezione di storia della storio- grafia, in modo che le voci « passerebbero sotto gli occhi di Benedetto » ?”. Ma non permette di cogliere la complessità delle influenze che si esercitarono sui maggiori storici ope- ranti fra le due guerre, ridurre tutto il problema alla que- stione del metodo e privilegiare quindi l’insegnamento di Croce, per affermare che l’attualismo gentiliano « nel campo degli studi storici non esercitava che un’influenza limitata, e in nessun modo tale da far sf che esso fosse accolto in prima persona dagli storici migliori della nuova generazione idealistica » #*. Se spesso, come nel caso di Maturi cui in particolare si ‘riferisce questa osservazione, il metodo è quello di Croce, scelte tematiche e singoli giudizi nad fonti diverse e talvolta contrastanti, e rinviano in molti casi, come vedremo, a Volpe e a Gentile. Volpe aveva del resto cercato di orientare il lavoro dei collaboratori della sua sezione suggerendo delle « Norme e criteri per la redazione degli articoli di storia medioevale e moderna », in cui invitava alla valorizzazione della storia italiana , ma richiamava anche la necessità — come già 26 W. Maturi, La crisi della storiografia politica italiana, in « Rivista storica italiana », XLVII (1930), p. 12. 21 AEI, Lettere, Nicolini (6 gennaio 1928). 28 Cosî M.L. Salvadori, Walter Maturi, in «Nuova rivista storica », LI (1967), p. 416. Per alcune considerazioni sugli interventi storiografici di Gentile cfr. A. Negri, L’interpretazione del Risorgimento di G. Gentile, in « Critica storica », n.s., X (1973), pp. 449-500. 259 «Non apologie, né propaganda, né polemiche. Tuttavia, poiché 114 L’Enciclopedia italiana aveva fatto nel Programma del 1922 per una storia d’Ita- lia — di combinare storia politica e storia sociale, atten- zione per lo Stato e per la vita economica ”*, e avvertiva di tener conto delle implicazioni politiche ed economiche della storia della Chiesa ?, Sembra che a queste indicazioni, in cui si intrecciavano le varie componenti della storiografia volpiana — se pur spicca l’accento posto sulla ricerca dello Stato anche nell’età comunale —, ci si sia attenuti in molti casi, ad esempio in alcune voci giudicate esemplari da Cha- bod nei primi volumi *°, come Amburgo di Gino Luzzatto, attento alla vita economica della città, o la Storia dell’Ame- rica latina di Gino Doria, dove l’autore si sofferma sulle caratteristiche della colonizzazione e sulla riduzione in schia- viti degli indios, senza nascondersi gli interessi economici dei missionari, che in taluni casi furono « pid spietati dei conquistatori ». Pi in generale, nelle voci dedicate agli Stati non italiani — che costituirono un banco di prova si tratta di una Enciclopedia Italiana, ai collaboratori incaricati di trattare la storia degli altri paesi si chiede che si compiacciano di dar rilievo a quella che può essere stata la ripercussione di avvenimenti e personaggi italiani su la vita dei paesi stessi ». Le « Norme » sono riprodotte in Le predisposizione del lavoro in una grande impresa scientifico-editoriale. L'Enciclopedia italiana dell'Istituto Giovanni Treccani, in « L'organizza- zione scientifica del lavoro », III (1928), p. 450. 20 «Gli articoli sugli Stati, piccoli o grandi, medioevali e moderni, non siano il quadro delle vicende dinastiche (apposite voci sono dedicate alle dinastie e famiglie regnanti), né il mero racconto degli avvenimenti politico-militari, ma presentino la storia politica, largamente intesa, di una nazione o popolo, ne mettano in luce la struttura economica e sociale e le vicende demografiche [...]. Un posto maggiore che non le altre opere simili l’Enciclopedia Italiana darà alla storia delle città, e in particolare di quelle italiane, specialmente nell’epoca in cui le città furono centri autonomi di energica vita, piccoli Stati di fatto, se anche giuridica- mente limitati. Quindi si devono presentare queste città nel loro nascere o rinascere medioevale e anche moderno, le forze sociali che in esse si raccolgono, la loro vita economica, le loro istituzioni, i personaggi più notevoli ». 261 «Negli articoli di Storia della Chiesa, che è quasi sempre anche storia civile e politica, sarà da tener conto dell’uno e dell’altro elemento, salvo i casi speciali in cui sarà espressamente avvertito che dell’elemento religioso debba trattare a parte un altro scrittore. Discorrendo di missio- nari, non si trascurino le finalità, i moventi e i riflessi culturali, econo- mici, spesso politici e nazionali della loro azione. Degli ordini monastici si metta in luce l’importanza civile ed economica... ». 262 « Archivio storico italiano », LKXXVII (1929), p. 323. 115 Il fascismo e il consenso degli intellettuali completamente nuovo per gli storici dell’Enciclopedia ? — si può osservare un’attenzione per i molteplici aspetti della loro storia e un notevole equilibrio di giudizio — come in Stati Uniti di Sestan e in URSS (anonima) —, anche se, quando ci si avvicina alle vicende contemporanee (e quindi soprattutto nell’Apperndice del 1938), si avverte l'influenza della propaganda politica del fascismo: ad esempio occu- pandosi della Francia del 1936 Carlo Morandi — che faceva cosî la sua prima esperienza di commentatore politico, nelle cui vesti sarà particolarmente attivo nel 1945 sulle pagine de « Il Mondo » — minimizzerà il significato dell’espe- rienza del Fronte popolare. Quando invece si tratta di valu- tare i momenti rivoluzionari o i punti cruciali del dibattito storiografico, si tende a tacere — è il caso della Comune di Parigi, cui è dedicato appena un accenno da Georges Bour- gin (« governo municipale di radicali e socialisti ») sotto la voce Parigi, storia”* —, o a evidenziare i motivi ideolo- gici nella ricostruzione storica, come nelle voci dedicate alla Rivoluzione francese e alla storia italiana. Appare naturale che il significato della Rivoluzione francese sia sottoposto a severa critica nell’Enciclopedia, data la diffusa polemica, da Croce al fascismo, contro i prin- cipi dell’89. Né stupisce, pur apparendo in un’opera scien- tifica, la rozzezza con la quale Francesco Ercole tratteggia la figura di Danton (« La sua crescente influenza sugli ele- menti più torbidi e inquieti del popolo parigino [...] era dovuta, non meno alle sue qualità fisiche, alla massiccia vigoria della persona, alla bruttezza suggestiva del volto butterato dal vaiolo, alla voce stentorea, che alla sugge- stione morale esercitata dalla sua consueta audacia di parole e di gesti »). Ciò che interessa notare è invece, da un lato, 23 Chabod giudicò l’Enciclopedia « mezzo e incentivo ad arricchire gli interessi della nostra cultura, ad ampliare lo sguardo dei nostri stu- diosi a determinare — sia pure in pochi uomini — volontà e proposito di affrontare, finalmente, problemi che non siano quelli soliti, cari alla nostra storiografia » (ibidem, p. 320). Cfr. anche Gentile, L'Enciclopedia Italiana, cit., p. 324. 24 Eppure Bourgin era autore di vari studi sulla Comune, dall’Histoire de la Commune del 1907 a Les premières journées de la Commune del 1928. 116 L'Enciclopedia italiana l'ampiezza dei giudizi negativi su di essa che sono fatti propri anche da Chabod — « Ma le idee, una volta messe in circolazione, sfuggono al controllo di chi le crea: e cosî fu che all’illuminismo, alienissimo dalle violente e aperte rivo- luzioni politiche e sociali, s’appellassero quelli che, poco più tardi, dovevano far sorgere il novus ordo: alquanto diverso, in verità, da quello auspicato dai filosofi, e gron- dante di sangue » (Illuminismo) —; e, dall’altro, la stretta interscambiabilità fra posizioni scientifiche e ideologiche, per cui tornano alla mente i contenuti di alcune voci poli- tiche. L'importanza della Rivoluzione francese nella storia europea non è certo disconosciuta da Alberto Maria Ghi- salberti che, dopo aver analizzato le differenti posizioni delle varie classi sociali nell’89, afferma che essa « recò a termine con la sua violenza l’opera condotta nei secoli dalla monarchia dell’antico regime e abbatté le sopravvivenze feudali e le disparità sociali, consacrò l’importanza e la forza della borghesia, accentuò e unificò il governo e l’ammini- strazione, accelerò il già iniziato trapasso della proprietà, rese uguali gli uomini davanti alla legge » (Frarcese, rivolu- zione, 1932). Anche nella voce Rivoluzione Emilio Crosa cita del resto la Rivoluzione francese accanto alla « rivolu- zione » fascista come « rinnovamento essenziale d’idee e di principi per cui, o direttamente o indirettamente, si pro- dussero trasformazioni politiche di suprema importanza ». Ma, come in Fascismo si era detto che « il fascismo è contro tutte le astrazioni individualistiche, a base materialistica, tipo sec. XVIII; ed è contro tutte le utopie e le innova- zioni giacobine », cosf Ghisalberti precisa subito la sua valu- tazione della Rivoluzione francese affermando che « mezzo secolo di dogmatismo ideologico prepara il dogmatismo democratico dei giacobini »; e, mentre alle critiche all’ordi- namento sociale fondato sulla proprietà mosse da Morelly o Brissot contrappone, come « più rivoluzionarie », le pro- poste dei fisiocratici, coglie il « difetto » della Dichiara- zione dei diritti nel fatto che « l’umanità è anteposta alla Francia, l’individuo alla società »: un giudizio che ricorda quello espresso da Spirito in Liberaliszzo, e che Ghisalberti ribadisce quando afferma che con la costituzione dell’anno 117 Il fascismo e il consenso degli intellettuali III, « figlia della paura », «la rivoluzione ha trovato la sua soluzione borghese e alla disuguaglianza del privilegio ha sostituito quella del censo, gettando cosi i germi di futuri conflitti sociali » S, Il giudizio limitativo dei principi dell’89 coinvolge na- turalmente l’illuminismo e i suoi esponenti, affacciandosi anche in Illuminismo (1933) di Chabod, che pur ne rico- nosce tutta l’importanza per la storia del progresso umano: « quello che non andò perduto — cosî conclude la voce — fu il nocciolo stesso dell’illuminismo e cioè l’aver fissato su basi puramente umane e razionali la vita dell’uomo e del- l’umanità. In questa concezione d’insieme — che corona e completa e sistema definitivamente le prime conquiste del Rinascimento italiano — è il valore ideale dell’illumini- smo ». Eppure Chabod insiste anche in altri passi sul col- legamento col Rinascimento italiano e, mentre sulla trac- cia di Philosophie der Aufklirung (1932) di Cassirer tra- scura l’opera dei pensatori sensisti, non nasconde la sua diffidenza per l’elemento che distinguerebbe l’illuminismo dal Rinascimento, cioè l’interesse dei philosophes per la dif- fusione universale della cultura, anche presso quella molti- tudine che doveva sentirsi facilmente e pienamente appagata dalla chiarezza e linearità delle idee che le venivano poste innanzi, da una filosofia che s’appellava alle leggi di una ragione molte volte identificabile col buon senso comune, e quindi di facilissima recezione, e che in nome di questa ragione-buon senso bandiva le sue crociate contro certa storia, vicina o remota: proprio come piace alle moltitudini, per le quali il senso storico rappresenta il più difficile e complicato del misteri, e proprio com’era necessario allora, dato il clima storico di quell’età 24, Ancora più evidente è il carattere ideologico della rico- struzione storiografica — per cui quest’ultima si trasforma nell’« apologia » che Volpe aveva invitato ad evitare — *5 Per trovare una valutazione complessiva della politica di Robe spierre bisogna ricorrere non alla voce dedicatagli da Francesco Lemmi, e ne fa il responsabile del « carnaio » del 1794, ma a Terrore di Maturi. 26 Anche l’opera di Federico II di Prussia è opposta da Chabod al « dottrinarismo astratto di un Giuseppe II ». 118 L’Enciclopedia italiana nella voce Italia (1933), scritta proprio da Volpe (dalla caduta dell'impero romano al 1713), da Rodolico (1713- 1861) e Ghisalberti (dall’Unità al fascismo). La voce non affronta esplicitamente, come è stato osservato ”, il pro- blema dell’unità della storia d’Italia, ma riproduce tuttavia la periodizzazione posta a base del Programma del 1922, che vedeva profilarsi la « nazione italiana » fin dall’alto Medioevo. In essa assai più marcato è però il motivo della continuità con la storia romana — alla quale, con la prei- storia, è dedicata la prima parte della voce —, in modo da far risaltare come l’Italia, culla della civiltà latina e sede della Chiesa cattolica, abbia avuto fin dall’antichità il privi- legio di essere il centro del mondo: è lo stesso Arnaldo Momigliano ad affermare che con la dissoluzione dell’im- pero romano l’Italia si avviò a una nuova sua storia. La quale continua bensi e non dimentica quella di Roma e del suo impero, anzi, con la Chiesa, che continua l’universalità dell'impero, mantiene la sua funzione di primato spirituale; ma solo dalla caduta dell'impero la storia italiana si svolge autonoma e con propri destini: la faticosa conquista d’una forma politica per l’unità nazionale del popolo italiano. L’anticipazione dell’esistenza di una coscienza nazionale e di una tradizione politica unitaria è in Volpe assai netta, anche rispetto a suoi giudizi precedenti: mentre nel 1922, nella prefazione al Medioevo italiano, egli coglieva nell’età comunale « uno dei momenti di più energica fecondità della storia d’Italia, anzi come l’inizio ricco e promettente di questa storia, segnato appunto dal sorgere dello Stato (Stato di città nel Nord e nel centro d’Italia, Stato monarchico e territoriale nel sud) e della borghesia italiana, e dal deli- neatsi di un popolo italiano che è creatura nuova e pur sente lo stimolo a crearsi una tradizione e trovarla in Roma » **, nella voce enciclopedica, dopo aver affermato che già « con Odoacre, si ha il restringersi alla sola penisola del senso politico della parola Italia », Volpe insiste — più 267 E. Sestan, Per la storia di un'idea storiografica: l'idea di una unità della storia italiana, in « Rivista storica italiana », LXII (1950), p. 195. 28 Ora in G. Volpe, Storici e maestri, cit., p. 224. 119 Il fascismo e il consenso degli intellettuali di quanto non avesse fatto Arrigo Solmi nel 1926? — sull’importanza del dominio longobardo che « fondò in Italia una tradizione politica di unità ». Tutta la storia successiva gli appare un progressivo disvelamento della coscienza nazionale, soprattutto a partire dal secolo XI c dalla nascita dei Comuni, e quindi con Dante e Cola di Rienzo, con la « crescente unificazione dello spirito ita- liano » promossa dall’Umanesimo, su su fino al ’600 visto come un momento del Risorgimento, « che è cosa del secolo XIX ed è cosa presente e immanente a tutta la storia ita- liana, dalla caduta di Roma e dalle invasioni in poi » — afferma Volpe che tendeva appunto a una d ilatazione e dissoluzione del concetto di Risorgimento —, finché all’ini- zio del ’700 a Vittorio Amedeo II appare chiaro « il fine ultimo della politica sabauda: che era quello di chiudere le porte d’Italia a francesi e tedeschi e rendersi signori col tempo di gran parte della penisola ». Accanto alla precoce affermazione di una coscienza nazionale, Volpe individua nel Comune e nel podestà « il delinearsi più netto di un ente, lo stato che nasce », e sottolinea in più punti, come aveva avvertito nel Programma per una storia d’Italia, la « funzione italiana e quasi nazionale che assolve il papa- to »: questa comincia ad apparire già al tempo di Carlo Magno, ritorna all’epoca di Federico II, per poi affermarsi con la Controriforma quando « il pontificato romano, nella lotta al protestantesimo, si mosse nella direzione segnata dallo spirito del popolo italiano », e l’Italia, « politicamente divisa, ma unita nella cultura, priva ancora come è di più intimi e propri centri, si appoggia, nel lento maturare della sua coscienza nazionale, al papato. Come aveva tratto nel suo cerchio ideale Roma antica, cosi ora Roma papale, nella quale vedeva, accanto a una funzione cattolica, anche una funzione nazionale e italiana ». Molti altri aspetti potrebbero essere sottolineati nella ricostruzione volpiana — come l’ampio rilievo dato alla rivolta antispagnola del 1647 —, mentre non mette conto 29 Cfr. A. Solmi, Discorsi sulla storia d’Italia, Firenze, La Nuova Italia, 19413, pp. 14-15. 120 L’Enciclopedia italiana soffermarsi sulle parti della voce redatte da Rodolico e Ghisalberti — improntate a una storiografia puramente événémentielle e aproblematica, in cui le preoccupazioni ideologiche si fanno via via prevalenti —, se non per rile- vare, nel primo, l’esaltazione del sanfedismo (« pagine di fierezza di popolo ») e della missione nazionale assolta da Carlo Alberto ancor prima del 1848, e, nel secondo, la caricatura del peggior Volpe de L'Italia in cammino che si conclude con una apologia del fascismo. Due contributi, questi, che non reggono il confronto con la narrazione vol- piana, capace in alcuni momenti di presentare la comples- sità del processo storico e di aprirsi alla considerazione di aspetti economici e sociali: con più forza nella connota- zione delle origini del Comune — già Ottokar aveva rile- vato come esso fosse « composto di elementi economica- mente e socialmente assai eterogenei » (Comzuze, 1931) —, ma anche nella valutazione delle basi sociali della Signoria, per cui Volpe accetta nelle linee generali la tesi di Ercole della sua origine « popolare » anche se poi opera delle dif- ferenziazioni fra Venezia e Firenze e tra le vatie fasi della storia fiorentina; ma sempre con un certo interesse per la correlazione tra storia politica e storia sociale, che manca invece in Giorgio Falco, il quale nella Signoria — un tema su cui si concentrò l’attenzione di gran parte della storio- grafia italiana tra le due guerre, in cerca dell’origine dello Stato moderno e di una nuova classe dirigente ”° — sotto- linea « la tendenza all’affermazione di potenti individua- lità » e la prefigurazione della futura storia d’Italia: il Principe di Machiavelli, infatti, « con la sua esaltazione della sovrana virt4 fondatrice di stato, liberatrice d’Italia, riassume i due motivi dell’età delle signorie: ciò che essa aveva prodotto, lo stato creazione dell’uomo; ciò che essa aveva invocato, la nazione, ed era il compito dell’avve- nire » 7, 20 Cfr. S. Pizzetti, Federico Chabod storico delle Signorie, cit., pp. 584-589. 2î1 « Se alla radice delle signorie sta, non di rado — afferma Falco —, un conflitto di natura sociale ed economica e se, com'è ovvio, gl’interessi economici hanno parte in maniera generica nell’origine e nello svolgi- 121 Il fascismo e il consenso degli intellettuali Se infine, in questo assai rapido e incompleto esame del settore di storia moderna e contemporanea, prendiamo in considerazione alcuni contributi di storia italiana di due intellettuali, come Chabod e Maturi, per i quali più spesso si è sottolineata l’ascendenza crociana, possiamo notare che nei loro giudizi essi sono largamente debitori di Volpe e di Gentile e quindi, almeno indirettamente, dell’impronta nazionalistica di questi ultimi; con ciò non si vuole espri- mere, com’è naturale, un giudizio generale sull’opera di Chabod e di Maturi nel periodo fascista — che dovrebbe tener conto ad esempio, per il primo, e per limitarsi all’Ex- ciclopedia, anche del contributo su Machiavelli, che nel suo rigore scientifico si contrappone alla presentazione deci- samente nazionalistica che ne aveva fatto Francesco Er- cole ?? —, ma solo contribuire a chiarire le caratteristiche complessive dell’Enciclopedia come manifestazione cultu- rale del fascismo. Accenti nazionalistici sono presenti, infatti, in Rimasci- mento (1936) di Chabod, che pur qui (come nella comuni- cazione del 1933 su Il Rinascimento nelle recenti interpre- tazioni)? si preoccupa di negare — in un periodo in cui assai accese, e non immuni da preconcetti ideologici, erano le controversie sulla periodizzazione — la continuità col Medioevo, contestando la tesi di quanti, come Thode e Burdach, hanno messo in luce « gli elementi storico-ideo- logici che ricollegano il trionfante movimento dei secoli XIV e XV ad aspirazioni, credenze, idee dell’età prece- dente », e di quanti, come Volpe, hanno operato un analogo allargamento del quadro cronologico mettendo in rilievo mento della nuova istituzione, caratteristica di essa, quando riesce a mettere radice, è essenzialmente l’affermazione e il trionfo di una volontà politica, una dissociazione dell’esercizio del potere dalle attività della produzione e dello scambio, dalle organizzazioni di arte e di classe, una soggezione lenta e progressiva di queste e di quelle agli scopi dell’uomo di governo, infine, dello stato » (Signorie e Principati, 1936). 272? Per alcune indicazioni sul dibattito su Machiavelli nel periodo fascista cfr. M. Ciliberto, Appunti per una storia della fortuna di Macbhia- velli in Italia: F. Ercole e L. Russo, in «Studi storici », X (1968), pp. 799-832. 273 Ora in F. Chabod, Scritti sul Rinascimento, Torino, Einaudi, 1967, pp. 5-23. 122 L'Enciclopedia italiana « gli elementi storico-pratici che collegano età dei comuni e Rinascimento tradizionale, [e] hanno prospettato il Rina- scimento come il moto stesso di ascesa del popolo italiano, nella sua coscienza di nazione, nella sua attività politica ed economica oltre che culturale e artistica, e hanno pertanto fatto tutt'uno fra Rinascimento e storia del popolo italiano a partire dal sec. XI ». In realtà il distacco da Volpe si manifesta soprattutto nella sostanziale esclusione degli aspetti politici ed economici rilevati da Volpe già in Bizan- tinismo e Rinascenza del 1905, e ancora nella voce Italia ”*, e nella caratterizzazione kulturgeschichtlich del periodo, per cui « se il Rinascimento è divenuto una categoria storica, lo è — al pari degli altri e simili concetti di Illuminismo e Romanticismo — nell’unico significato possibile, e cioè di un momento storico della vita spirituale europea, di un periodo filosofico, letterario, artistico, che si origina certo da una determinata realtà politica e sociale nuova, ma che, ad un certo momento, si dispiega per cosî dire in modo autonomo e, tratto da quella realtà il succo vivo di cui ali- mentarsi, lo elabora poi concettualmente e immaginativa- mente, ne fa un mondo a sé, mondo di idee di dottrine di creazioni artistiche che si dispiega sino ad esaurimento della sua interiore virtà ». Ma nella voce enciclopedica, a differenza della comunicazione del 1933, la distinzione iniziale tra il Rinascimento e il periodo precedente, affer- mata nell’analisi delle interpretazioni, è contraddetta quan- do Chabod passa a enucleare gli elementi costitutivi dell’ epoca. Mentre nega la tesi di un « rinnovamento spirituale europeo » che si sarebbe verificato in Francia e nei Paesi Bassi nei secoli XI-XIV, riprende il motivo della continuità e insiste sul carattere esclusivamente italiano e perfino nazionale del Rinascimento, preparato lentamente fin dal XII secolo, che vide in Italia lo sviluppo dei Comuni e della borghesia: 274 Nel Rinascimento, afferma Volpe, «è come se la società italiana, la borghesia italiana nata dalle città, celebri se stessa riuscita a essere, da nulla che era, tutto o quasi tutto; come se celebri la signoria e il signore, che era pur egli, a modo suo, creatura di quella borghesia e, a modo suo, attuava quell’ideale dell’uomo che si fa da sé » (Italia). 123 Il fascismo e il consenso degli intellettuali Fu la graduale conquista di un proprio mondo spirituale da parte di chi aveva, già prima, dato nuove basi alla propria attività pratica e alla propria vita quotidiana. Era infatti una società nuova, quella ch’era venuta affermandosi tra il secolo XII e il XIII nell’Italia, e specialmente nell’Italia settentrionale e centrale [...]. Come ceio sociale, era già ben robusto e capace quello che, con termine mo- derno, chiameremmo borghesia, ormai differenziato nettamente dai chierici e dai feudatari [...]. Questo gagliardo e irrompente fiotto di vita nuova trovava presso che subito una sua prima, grande espres- sione morale e spirituale, ma non sul terreno della cultura cosiddetta laica, bensf su terreno prettamente religioso [...] ora, all’inizio del secolo XIII, era la società italiana tutta quanta che appalesava le sue rinnovate esigenze di vita morale nel movimento francescano. Che era il grande apporto della nuova nazione italiana alla storia della religiosità europea... In questo recupero dell’interpretazione volpiana — anche Cantimori nel 1940, sul Dizionario di politica, aveva individuato nel Rinascimento la presenza di un « senti- mento nazionale unitario italiano » — il « trasferimento nell’ambito prettamente umano di idee che prima avevano trovato la loro ragion d’essere nella fede in Dio » è seguito nel suo lento cammino, che dal francescanesimo porta a Dante, a Cola di Rienzo ”°, a Petrarca e infine a Machia- velli, cioè attraverso « l’erompere delle nuove, giovani forze che danno vita alla nazione italiana », con una genealogia che richiama quella proposta da Gentile nella sua ricerca della « nazionalità » della filosofia ?*. Per converso, il tra- monto del Rinascimento si ha, afferma Chabod in un passo finale della voce in cui già Cantimori ha colto il ripiegare sul piano della storia nazionale dell’interesse precipuo dello storico valdostano per il fenomeno europeo e cosmopolitico del Rinascimento ””, 25 Cola di Rienzo fu oggetto di grande attenzione nel periodo fascista in quanto espressione — come afferma Falco nella voce a lui dedicata — lella « coscienza italiana ». 216 Cfr. le osservazioni di E. Garin in G. Gentile, Storia della filosofia italiana, Firenze, Sansoni, 1969, in particolare vol. I, p. 3. 2 D. Cantimori, Chabod storico della vita religiosa italiana del Cin- quecento (1960), ora in Storici e storia, cit., p. 327. Analizza la voce, come « caratterizzazione “spirituale” del Rinascimento », E. Sestan, Rina- scimento e crisi italiana del Cinquecento nel pensiero di Federico Chabod, in « Rivista storica italiana », LXXII (1960), pp. 676-679. 124 L’Enciclopedia italiana in stretta connessione con l’infiacchimento della vita italiana, con la iniziantesi decadenza politica ed economica, con il venir meno delle grandi speranze e della volontà d’azione, in una parola con il tra- monto delle forze creatrici che avevano dato alimento ed essere alla muova civiltà e ne avevano fatto l’espressione piena del vigoroso sorgere della nazione italiana. Pit precisa ancora è l’influenza di Volpe e di Gentile che — accanto a una forte sensibilità per il conflitto tra ethos e kratos su cui aveva attirato l’attenzione Meine- cke ?* —, si può riscontrare in alcune voci risorgimentali di Maturi, che pur Volpe giudicherà « liberale, liberalissimo, come in politica, cosi in storiografia, assai aperto alle in- fluenze di Benedetto Croce », e tra i suoi allievi « forse il più distaccato, nell’intimo, dal mondo del fascismo » ”° Tornando nel 1950 a valutare la sua celebre voce Risorgi- mento del 1936, Maturi la presentò come una decisa ri- sposta alla tesi nazionalistica ?; tuttavia, se è vero che in essa l’autore si opponeva alla dissoluzione del Risorgimento nella secolare storia italiana, non è sufficiente limitarsi a definirla una interpretazione « rigorosamente etico-politi- ca » senza precisarne le fonti ?. Assai netta appare infatti la sottolineatura delle origini autoctone del Risorgimento, 218 L’idea della ragion di Stato di Meinecke era stata fatta conoscere da Chabod in un articolo del 1927 (ora in Lezioni di metodo storico, a cura di L. Firpo, Bari, Laterza, 1969, pp. 257-78), mentre Cosmopolitismo e Stato nazionale era stato tradotto da La Nuova Italia nel 1930: sono testi probabilmente presenti a Maturi, che anche nelle voci enciclopediche avverte il contrasto tra politica e morale, tra Stato e idea di nazionalità, soprattutto nella Restaurazione, nella quale «si elaborano da un lato i concetti di stato forte e di potenza, dall'altro quelli di libertà e di civiltà » (Restaurazione, 1936). « L’opera degli Svizzeri e dei Tedeschi fu immensa per la formazione delle coscienze nazionali europee, ma fu opera essen- zialmente culturale: per fare trionfare in pratica il principio ci volevano diplomatici e rivoluzionari. Lo zar Alessandro fu il primo ad agitare l’idea della nazionalità » (Storia del principio di nazionalità, sottovoce di Nazione di Battaglia, 1934). 29 G. Volpe, Storici e maestri, cit., p. 489. 20 W. Maturi, Gli studi di storia moderna e contemporanea, in AA.VV., Cinquanta anni di vita intellettuale italiana, cit., vol. I, pp. 244- 45. La sua interpretazione è stata fatta propria da E. Sestan, Walter Matu- ri, in « Rivista storica italiana », LKXIII (1961), pp. 227-28 (l’articolo esa- mina anche le altre voci di Maturi), e da M.L. Salvadori, Walter Maturi, cit., pp. 441-443. 21 M.L. Salvadori, Walter Maturi, cit., p. 442. 125 Il fascismo e il consenso degli intellettuali sganciato da ogni rapporto con la Rivoluzione francese. « Ma, allora, avrebbero ragione gli storici francesi, che fanno ancora risalire alla rivoluzione francese il nostro Risorgimento? », si chiede Maturi una volta confutate le tesi sabaudista e diplomatica delle origini del Risorgimento: Ciò che distingue la nostra tesi da quella francese, rappresentata ancora dal Bourgin, è il valore che noi diamo all’epoca del dispotismo illuminato e al principio della lotta delle nazioni. Senza le riforme del Settecento, senza l’insoddisfazione dei nostri elementi regionali pit intelligenti verso lo stato regionale, senza lo stacco che l’opera rifor- matrice aveva posto in Italia tra minoranze sovvettitrici di vecchi ordini statali e masse meccanicamente attaccate a quegli istituti, la rivoluzione francese non si sarebbe potuta inserire tra le lotte poli- tiche e sociali italiane e non avrebbe trovato il germe fertile, il terreno fecondo. D'altro canto le grandi lotte settecentesche tra Francia e Inghilterra avevano insegnato agl’Italiani la fecondità delle lotte nazionali. Diversamente da quanto dirà nel saggio del 1942 su Partiti politici e correnti di pensiero nel Risorgimento ©, Maturi considera quindi il Risorgimento un movimento che affonda le sue radici nell’età delle riforme *. Anche Volpe, proprio nel 1936, aveva sottolineato i Principi di Risorgi- mento nel ’700 italiano ”*; ma il richiamo a Volpe si fa ancora più preciso quando Maturi coglie l'elemento propul- sore del Risorgimento in « un piemontese non conformi- sta », Alfieri — col quale « si afferma il primo presupposto d’una nazionalità: la volontà di essere uno stato-nazione » 282 In Problemi storici e orientamenti storiografici, raccolta di studi ‘a cura di E. Rota, Como, Cavalleri, 1942, pp. 837-876. 283 R. Romeo ha invece scritto: « Fermissimo, anzitutto, nel Maturi, il rifiuto delle posizioni nazionalistiche e, dunque, di ogni tesi sul carat- tere pre-risorgimentale del Settecento o peggio, sulla funzione “risorgi- mentale” dei Savoia fin dal 1748 o magari dal 1706; e nessuna adesione, «di conseguenza, al tentativo di negare il nesso Rivoluzione francese-Risor- gimento » (Walter Maturi storico della storiografia (1961) ora in L'Italia unita e la prima guerra mondiale, Bari, Laterza, 1978, p. 193). Il pen- siero riformatore fu giudicato astratto da Ettore Rota, fuorché in Italia, dove avrebbe avuto carattere «autonomo e nazionale » (Riforme, età delle, 1936). 24 « Rivista storica italiana », s. V, I (1936), pp. 1-34 (il tema del- l'articolo era stato anticipato da Volpe al Congresso per la storia del Risorgimento del 1935). 126 L’Enciclopedia italiana —, sulla base del celebre passo di Del principe e delle let- tere in cui si auspica che l’Italia, « inerme, divisa, avvilita, non libera, impotente », possa risorgere « virtuosa, magna- nima, libera e una »: lo stesso passo parafrasato da Volpe per dimostre che con Alfieri « il lento processo storico che da secoli veniva costruendo l’Italia diventa veramente coscienza e volontà » ?®. È questo un tema, del resto, che nell’Enciclopedia circola ampiamente, da Rodolico, che vede in Alfieri « i primi albori del Risorgimento nazionale » (Italia), a Manfredi Porena, per il quale il letterato piemon- tese « ebbe con maggior chiarezza di ogni altro suo precur- sore il concetto dell’unità politica d’Italia fondata sull’indi- pendenza e sulla libertà, e con maggior ardore e fiducia la profetò » (Alfieri, 1929). Ma le date e il linguaggio di queste voci ci suggeriscono che all’origine dell’interpreta- zione di Maturi non c’è soltanto Volpe; e se pensiamo alle: altre tappe della creazione del mito risorgimentale, tutte segnate da letterati, da Foscolo a Cuoco, ci accorgiamo che la matrice è il Gentile de L'eredità di Vittorio Alfieri, I profeti del Risorgimento italiano, Vincenzo Cuoco. Il Cuoco — scrive Maturi riprendendo la genealogia gentiliana della « nuova Italia » — accolse tutto l'insegnamento che si poteva cogliere dalla rivolta delle plebi italiane e predicò come dovere mo- rale l’opera di colmare l’abisso tra popolo e minoranze intellettuali. E un altro grande contributo portò il Cuoco al concetto di Risorgi- mento: il culto del Vico. Se Alfieri insegnò agl’Italiani ad agire in grande, Vico insegnò loro a pensare in grande; se con l’Alfieri l’Italia s’individuò come volontà di essere stato tra gli stati europei, col Vico acquistò coscienza di avere una propria personalità nella cultura europea. Dalla fusione delle dottrine di questi due grandi nacque la nuova Italia, pensante e operante con una sua particolare fisionomia. nel seno dell'Europa 26, 285 Ibidem, p. 32. Può essere curioso notare che, pur polemizzando con l’interpretazione autoctona di Gentile, anche Gobetti aveva visto in Alferi l’iniziatore di «un Risorgimento e un liberalismo che ben si può dire originale, e in cui si trovano le premesse della nuova cultura poli- tica italiana » (La filosofia politica di Vittorio Alfieri, tesi di laurea in filosofia del diritto discussa nel 1922 con Solari, ora in P. Gobetti, Scritti storici, letterari e filosofici, a cura di P. Spriano, con due note di F. Ven- turi e V. Strada, Torino, Einaudi, 1969, pp. 87 ss.). 286 Anche per Battaglia Cuoco aveva avuto il merito di mettere in circolazione Vico, in particolare «quella posizione storicistica, che in 127 Il fascismo e il consenso degli intellettuali Se quindi Maturi rifiuta la tesi sabaudistica e quella diplomatica delle origini del Risorgimento, è per costruirne un’immagine etico-politica che rinvia a Gentile, ma anche a Volpe. Non è del resto possibile dimenticare che non di vero e proprio antisabaudismo si tratta nel caso di Maturi, uno dei « patiti » del Piemonte ?”. Nell’ampia voce Savoia, sempre del 1936, il giudizio positivo sull’opera di riorga- nizzazione dello Stato di Emanuele Filiberto e di Carlo Emanuele I diventa entusiastico per il ’700 (« Da molte- plici punti di vista lo stato sabaudo nel Settecento appa- riva uno stato perfetto »), mentre Carlo Alberto è definito « un principe paterno modello » e la sua opera prima del 1848 è qualificata come nazionale; per cui sembra corretta la critica che di lf a poco, nel 1942, Cortese muoverà a Risorgimento di Maturi (« non crediamo che ci siano ele- menti che ci autorizzino a fare della classe politica piemon- tese della fine del Settecento la creatrice del mito del Risor- gimento nazionale ») 8. Un altro motivo che torna anche in alcune voci enciclo- pediche di Maturi, laureatosi in filosofia con Gentile con una tesi su De Maistre, è quello della religione e dei suoi rapporti col potere politico. Proprio nell’opera di De Mui- stre egli coglie « i primi germi di alcune eresie: del moder- nismo con i suoi accenni all’evoluzione dei dogmi e delle credenze religiose; del nazionalismo francese di Ch. Maur- ras con la sua eccessiva Politisierung della Chiesa nel Du a », e, più in generale, in Restaurazione (1936) nota che per rendere più docili le nuove generazioni e amalgamarle con le vecchie non si seppe pensare ad altro mezzo che all’educazione eccle- siastica e si commise l’errore di abbassare la Chiesa a instrumzentum regni in un’età di delicatissima sensibilità etico-religiosa, con l’unico parte si fonde con la filosofia antilluministica », e aggiungeva che « l’opera sua resta nei limiti della tradizione nazionale, che egli riconquistò alla filo- sofia ed elaborò con alta coscienza, tanto che al suo insegnamento si ricolle- garono gli uomini del Risorgimento: Mazzini e Gioberti stesso ». 27 D. Cantimori, Studi di storia, Torino, Einaudi, 1959, p. 835. 28 N. Cortese, Orientamenti storiografici intorno alle origini del Risor- gimento, in Problemi storici e orientamenti storiografici, cit., p. 759. 128 L’Enciclopedia italiana frutto di provocare per reazione la genesi del cattolicesimo liberale e d’insinuare con esso il nemico nella cittadella religiosa del passato. Queste affermazioni non sono tuttavia univoche, come dimostra — oltre alla valutazione positiva dei Patti late- ranensi (Romana questione) — il giudizio sul Neoguelfismo (1934), che trasformò in sentimento politico nazionale il sentimento politico locale, facendo confluire nella cultura nazionale le culture regionali, e quindi compî, sotto certi aspetti, un’opera d’educazione nazionale maggiore di quella di Mazzini, perché operava dal seno stesso delle vecchie formazioni statali italiane e ne produceva la crisi morale. Del neoguelfismo, restò, trasformandosi ed evolvendosi, il liberalismo nazionale o partito moderato col nuovo ideale d’Italia e casa Savoia, elaborato dalla storiografia piemontese; restò il cattolicesimo nazic- nale, che abbandonò le idee di riforma cattolica, si restrinse ad aspi- rare alla conciliazione tra il papato e la patria italiana e ha visto realizzato il suo sogno dalla nuova politica ecclesiastica di B. Musso- lini; restò l’ideale del primato, che è stato ripreso dal fascismo ?P. Dove in quel « si restrinse » traspare comunque una posizione laica, alla quale fa riscontro per alcuni aspetti il giudizio su Gioberti (1933) di Giuseppe Saitta, il direttore di « Vita nova » che ospitò, come vedremo, alcune critiche alle voci religiose dell’Enciclopedia: un Gioberti a propo- sito del quale, in linea con l’interpretazione gentiliana ?°, non si cita mai la funzione da lui assegnata al pontefice, ma è visto come l’esponente di una « visione laica e democra- tica » e « il maggior teorico del liberalismo, che è in anti- tesi col mazzinianesimo antimonarchico e col guelfismo dei conservatori che consigliavano il re ad una politica di mode- 29 Di De Sanctis (1931) Maturi evidenziò gentilianamente il fatto che, « vichiano, senti il valore della religione per il popolo, ma criticò fino in fondo il principio della libertà ecclesiastica e molto si adoperò, di con- serva col Mancini, per far mantenere nel sistema separatista italiano alcune cautele giurisdizionaliste. Comprese, invece, la funzione dialettica, altamente educativa per ambo le parti, d'un insegnamento religioso coesi- stente con quello laico ». 290 Gentile parla di «un incessante svolgimento del programma gio- bertiano verso quella concezione nettamente laica e democtatica, o in una parola, liberale dello Stato, innanzi alla quale i neoguelfi ricalcitrano » (I profeti del Risorgimento italiano, Firenze, Vallecchi, 1928?, p. 128). 129 Il fascismo e il consenso degli intellettuali razione e di prudenza, la quale si risolveva nella diserzione dalla causa nazionale », ed è esaltato per il suo « tentativo di conciliare la spiritualità dello stato con la spiritualità della chiesa ». 12. Le voci religiose: presenza e conflittualità dei cattolici Nel 1929 Giovanni Busnelli, un critico severo dell’ attualismo che troviamo fra i collaboratori dell’Enciclo- pedia, recensendo su « La Civiltà cattolica » i primi volumi dell’opera notava con compiacimento, come abbiamo visto, che i suoi direttori, « mentre lasciano agli scrittori la piena libertà d’esprimere il concetto cristiano e cattolico e il giu- dizio dei fatti secondo il criterio della soda indagine ecclesia- stica, promettono di invigilare che anche in altri articoli in- direttamente attinentisi alla religione cattolica e alle materie ecclesiastiche non vengano sostenute o insinuate sentenze o critiche contrarie o malfondate » ?*. Il giudizio rispecchiava il posto privilegiato riservato nell’Enciclopedia ai cattolici, l’unica voce organizzata non completamente omogenea con la cultura del fascismo quale era auspicata da Gentile, ma tale, per ampiezza e incisività, da caratterizzare nettamente l’opera nel suo complesso, che non può perciò essere quali- ficata solo come idealista o attualista. Questo aspetto non è stato messo nel dovuto rilievo dai testimoni di allora, nemmeno da quanti hanno ammesso la presenza della censura ecclesiastica ??; del resto nelle stesse ricostruzioni generali della cultura nel periodo fascista solo di recente — se prescindiamo dalle Cronache di Garin — è stato messo l'accento sull’intervento dei cattolici come componente es- 2) [G. Busnelli], L’« Enciclopedia Italiana », in «La Civiltà catto- lica », 80 (1929), vol. IV, p. 536. Busnelli aveva pubblicato nel 1926 I fondamenti dell’idealismo attuale esaminati. 29 Cosî G. Levi Della Vida, Fantasmi ritrovati, cit., pp. 234-38, e G. Calogero, Mussolini, la Conciliazione e il congresso filosofico del 1929, in «La Cultura », IV (1966), pp. 434-435. Sulla tematica affrontata in per pagine cfr. M. De Cristofaro, Le voci di argomento religioso nel- °Enciclopedia italiana, tesi di laurea presso la Facoltà di Lettere e Filo sofia di Firenze, anno acc. 1971-72. 130 L’Enciclopedia italiana senziale del regime, anche se in concorrenza con l’attuali- smo, soprattutto dopo il 1929 ??. Ma l’esistenza di una loro vasta organizzazione intellettuale e il loro incontro con altri settori conservatori della cultura laica sono forse rav- visabili già prima del Concordato. Proprio le vicende del- l’Enciclopedia fin dal 1925 suggeriscono infatti una prospet- tiva di più lungo periodo, capace di individuare le tappe decisive della « riconquista » cattolica anche in campo cul- turale — in un confronto continuo con la cultura laica con- temporanea — nell’iniziativa neoscolastica all’indomani della sconfitta del modernismo, nella prima guerra mondiale che offri ai cattolici numerosi spazi di intervento in tutti i settori della società, e nella soluzione della crisi Matteotti, in cui anche Pietro Scoppola ha visto l’origine di un regime clerico-fascista 4. Le osservazioni sul Concordato e sui neoscolastici svolte da Gramsci nel breve periodo che intercorre fra il 1929 e la messa all'indice delle opere di Croce e di Gentile nel 1934 ”*, possono probabilmente essere anticipate di alcuni anni, al momento in cui, nell'immediato dopoguerra, il celebre appello di Gemelli al « medioevalismo » — « Noi siamo medioevalisti; lo siamo perché riconosciamo che la cosî detta cultura moderna è il nemico pit fiero del Cristia- nesimo e perché riconosciamo che è vano parlare di adatta- menti, di penetrazione » ?° — diventa prospettiva concreta di attacco in tanti interventi di cattolici, fra cui spicca per 293 Cfr. L. Mangoni, Aspetti della cultura cattolica sotto il fascismo: la rivista « Il Frontespizio », in AA.VV., Modernismo, fascismo, comu- nismo, a cura di G. Rossini, Bologna, Il Mulino, 1972, pp. 363-417, Id., L’interventismo della cultura. Intellettuali e riviste del fascismo, Bari, Laterza, 1974, e P. Ranfagni, I clerico fascisti. Le riviste dell'Università Cattolica negli anni del regime, Firenze, Cooperativa editrice universitaria, 1975. Su un altro aspetto, non meno importante, cfr. S. Pivato, L’orga- nizzazione cattolica della cultura di massa durante il fascismo », in « Italia contemporanea », XXX (1978), pp. 3-5. 24 P. Scoppola, Sviluppi e differenti modalità della presenza cultu- rale e politica dei cattolici nelle vicende italiane dal 1870 ad oggi, in «Quaderni di azione sociale » (1976), p. 279. 295 A. Gramsci, Quaderni del carcere, cit., in particolare pp. 1114, 1218, 1250-1251, 2243. 2% L'articolo del 1914 è riprodotto in A. Gemelli, Idee e battaglie per la cultura cattolica, Milano, Vita e pensiero, 1940, pp. 1-32. 131 Il fascismo e il consenso degli intellettuali chiarezza l’invito rivolto da don Giuseppe De Luca allo stesso Gemelli il 2 dicembre 1919: Nelle nostre file s'è troppo indugiato sulla difesa. Che fanno oggi i cattolici studiosi se non difendere dagli attacchi dei nostri nemici? Perché non occupare noi primi le scienze, le lettere? Perché non dar neppure il motivo agli avversari? Pigliamo la cultura, e studia- mola e facciamola nostra: quali timori? [...]. Una università catto- lica, non una chiesuola; o meglio ancora dare degli elementi vigorosi e inserirli negli istituti laici 27. Negli anni ’20 si assiste infatti a uno sforzo cospicuo dei cattolici di organizzare una propria cultura per il clero e per il laicato: dal rilancio del tomismo prospettato dal- l’enciclica Studiorum ducem del 1923 — che troverà una espressione organizzativa nella costituzione Deus scientia- rum dominus del 1931 —, alle tante iniziative che — come l’Università cattolica o la fondazione nel 1925 della casa editrice Morcelliana — si ispirano al suggerimento di Ge- melli, secondo il quale « perché i cattolici italiani abbiano da esercitare una influenza culturale, quale la tradizione cattolica in Italia rende possibile, è necessario innanzitutto che i cattolici non siano reclutati solo nelle classi popolari, ma anche nelle classi elevate » ?* Già nel 1925 Gentile aveva cominciato ad avvertire il pericolo della concorrenza cattolica’, che diventerà sua preoccupazione costante dopo il 1929. Eppure proprio nel- l’Enciclopedia da lui diretta egli aveva dovuto accettare fin dall’inizio la presenza condizionante dei cattolici, fino a perdere ogni controllo sulle sezioni « Religione » e « Storia del cristianesimo », e a conferire uno spazio larghissimo a « Materie ecclesiastiche » di Tacchi Venturi e a « Geografia sacra » di Luigi Gramatica **. La vicenda di Omodeo, cui 21 Don Giuseppe De Luca et l’abbé dr Bremond (1929-1933), Roma, Edizioni di storia e letteratura, 1965, p 28 A, Gemelli, I/ compito colturale dei SE (1930), in Idee e bat- taglie, cit., p. 372. Ù 29 «Le università cattoliche dovrebbero, secondo loro, col tempo e col favore di Dio, sostituirsi interamente alle università laiche dello Stato » (discorso al Congresso di cultura fascista di Bologna, 30 marzo 1925, in G. Gentile, Che cosa è il fascismo, cit., p. 103). 300 Il 27 maggio 1925 mons. Luigi Gramatica, direttore della « Rivi- 132 L’Enciclopedia italiana inizialmente era stata affidata la « Storia del cristianesimo », è indicativa del tentativo di Gentile — affiancato da altri direttori di sezione — di contrastare l’offensiva ecclesia- stica, ma anche della sua sconfitta. La scelta di Omodeo da parte di Gentile era coerente all'impostazione critico-storica che la direzione avrebbe voluto dare alla trattazione di tutte le voci; ben note erano del resto le aspre critiche che da parte cattolica avevano accompagnato gli studi di Omodeo sul cristianesimo antico, come il Paolo di Tarso del 1922, giudicato dalla « Civiltà. cattolica » opera di un « compilatore di seconda o terza mano » *. La sua « rivendicazione della storia del cristia- nesimo e in genere della vita religiosa come storia etico- civile, come storia della società umana, da studiare, ricer- care e ricostruire prescindendo da preoccupazioni confes- sionali di ogni genere » *%, non era infatti tale da accatti- vargli le simpatie degli studiosi cattolici; la sua imposta- zione idealistica e storicistica era avversata anche da Buo- naiuti che, pur giudicando la Mistica giovannea del 1930 « un sensibile progresso sulla precedente produzione del- l’Omodeo », la considerava tuttavia «una mal digesta sta illustrata della esposizione missionaria vaticana », aveva chiesto a Gentile di affidargli la «Geografia sacra »: «Per Geografia Santa o Sacra io non intendo solo la Geografia Biblica o la descrizione dei paesi che immediatamente o mediatamente prepararono la diffusione del Cristia- nesimo; ma intendo parlare altresi di tutte le regioni o località del mondo in rapporto al governo della Chiesa e in quanto sono assegnate alla cosiddetta geografia sacra » (AEI, Lettere, Gramatica). Il 18 luglio 1926 Gaetano De Sanctis scrivendo ad Antonino Pagliaro, redattore della sezione « Antichità classiche », si dichiarava deluso dell’elenco di voci di « Geografia sacra »: « mi pare che non si tratti se non di geografia eccle- siastica, cioè l’indicare Stato per Stato le circoscrizioni ecclesiastiche, il numero dei preti e dei fedeli ecc. Invece sarebbe stato bene che la geografia sacra registrasse i centri importanti di culto, i luoghi di pelle grinaggio, i luoghi famosi nella storia evangelica o nella storia della Chiesa » (AEI, Lettere, De Sanctis). 301 Intorno a un libro su S. Paolo del prof. A. Omodeo, in «La Civiltà. cattolica », 75 (1924), vol. III, pp. 405-415, e vol. IV, pp. 30-41. Di «retorica romanzesca » era tacciato anche il volume di Omodeo su L’età moderna e contemporanea (Storicismo socialista e fantasie retoriche e modernistiche, in « La Civiltà cattolica », 82 (1931), vol. IV, p. 535). 302 D. Cantimori, Commemorazione di Adolfo Omodeo (1947), ora in Storici e storia, cit., p. 28. 133 Il fascismo e il consenso degli intellettuali accozzaglia di elementi eterogenei ed avventizi » ®*. Le preoccupazioni cattoliche erano giustificate anche dall’orien- tamento che Omodeo avrebbe voluto dare alla sezione enci- clopedica, puntando essenzialmente su collaboratori laici in modo da salvaguardare un approccio critico-storico ai pro- blemi. Il 5 novembre 1925 egli scriveva a Gentile che « molte voci, anche quelle di sapore strettamente ecclesia- stico non si possono neanche affidare a preti, senza il peri- colo di perdere l’informazione sugli studi critici e prote- stanti, e per converso non si possono affidare neppure a protestanti sia italiani che stranieri », pur aggiungendo che si sarebbe rivolto al gruppo di « Bilychnis » per la storia protestante e a Loisy per la storia della critica e la storia del canone ®*. Gentile approvava, ma lo avvertiva che, mentre la trat- tazione dei papi sarebbe spettata alla sezione diretta da Volpe, « dei Sanzi, salvo contrario avviso, penserei dare la cura ad ecclesiastici, con cui sono in trattative » *”. Largo restava comunque l’intervento dei laci nelle voci di storia religiosa ®*; le stesse voci riguardanti dottrine teologiche, riti e culti, aggiungeva Omodeo il 23 novembre 1925, « avrebbero bisogno d’una trattazione “laica” anche quando pare si riferiscano a concetti teologali o liturgici, pur, ben inteso, rispettando quelle norme di prudenza ed obiettività di cui abbiamo parlato » *”. Il piano delle voci e dei colla- boratori era completato nel dicembre 1925, e all’inizio del 1926 Omodeo poteva già presentare un abbozzo della voce Apostoli, che poi corresse seguendo il consiglio di Gentile 393 « Ricerche religiose », VI (1930), pp. 458-459. 3% G. Gentile-A. Omodeo, Carteggio, cit., pp. 345-46. 305 Ibidem, pp. 346-47 (9 novembre 1925); il 18 luglio 1926 Gentile scriveva che « l’altera pars [gli ecclesiastici] mi consegna in questi giorni tutte le sue proposte sulle materie ecclesiastiche » (ibidezz, p. 364). 306 L’11 novembre 1925 Omodeo prevedeva ad es. la partecipazione di Marchesi per la patristica latina, di Pasquali per quella greca, di Co- gnasso per la storia religiosa bizantina, L. F. Benedetto per il gianseni- smo francese, Rota e Rodolico per quello italiano, Macchioro per Lutero e la Riforma, Spampanato e Capasso per la Controriforma, e inoltre la partecipazione dei collaboratori di « Bilychnis », di S. Caramella e S. Minocchi (ibidem, pp. 348-351). 37 Ibidem, p. 352. 134 L’Enciclopedia italiana di « lasciare aperte alcune questioni; quantunque sia già molta la prudenza da te adoperata » **: cautele che non im- pediranno, una volta pubblicata, le critiche de « La Civiltà cattolica » ?°. Ma nell’aprile 1926, in coincidenza con la pubblica- zione del Primo elenco di collaboratori, a Omodeo era giunta voce di un veto del Vaticano alla sua partecipazione, tanto da suggerirgli il proposito di « tirarsi da parte » *°. Gentile continuò tuttavia a ricercare la collaborazione di Omodeo, finché il 14 febbraio 1929, solo tre giorni dopo il Concordato, intervenne per criticare varie voci, fra cui Apocalisse e Apocalittica, letteratura, perché « alcune frasi [...] danno come risolte definitivamente in senso che i cat- tolici non approvano, alcune questioni critiche, a proposito delle quali occorrerebbero almeno delle delucidazioni » La risposta di Omodeo, del 16 febbraio, è articolata nella difesa delle sue ragioni scientifiche, ma intransigente: L’obiettività d’un’enciclopedia, è una forma di buona creanza, ma non può offendere l’intima sostanza della scienza. Metter d’ac- cordo indirizzo critico e tesi cattolica è impresa disperata, come con- ciliare sistema tolemaico e sistema copernicano. La scienza ha il suo cursus, e un’enciclopedia deve riconoscerlo ed affermarlo. Io per conto mio nella scienza sono intransigente e non mi sento l’animo per concordati e compromessi [...]. Mi creda, professore, a dar retta ai preti si finisce a impazzire. Nella scienza erano sono e saranno capita mortua 32, 308 Ibidem, pp. 356-57, 368, 372. Per la «Storia delle religioni » Gentile aveva fatto preparare da Pincherle «le proposte dei collabora- tori da incaricare per le voci, che non conviene affidare alla redazione degli ecclesiastici. Escluso solo Buonaiuti » (ibidem, p. 377). 39 [G. Busnelli], art. cit., p. 536. 310 G. Gentile-A. Omodeo, Carteggio, cit., p. 365. Nel giugno 1927 anche Pincherle minacciò di abbandonare l’impresa facendo cosî, osser- vava Omodeo, «con un’impulsiva rinuncia, il gioco dei gesuiti che lui mostra di temere » (ibidem, pp. 376-378). 311 Ibidem, p. 419. Apocalittica letteratura di Omodeo non fu pub- blicata, e apparve a firma di padre Giuseppe Ricciotti, redattore di « Ma- terie ecclesiastiche ». Omodeo pubblicherà due voci su «Civiltà mo- derna » (II (1930), pp. 224-248, 992-1000: Le lettere dell’Apostolo Paolo alla Chiesa di Corinto e La lettera dell’Apostolo Paolo ai Colossesi). Sulla « mutilazione » di cui furono oggetto altre voci cfr. A. Omodeo, Lettere 1910-1946, cit., p. 455. 312 G. Gentile-A. Omodeo, Carzeggio, cit., pp. 420-423. 135 -Il fascismo e il consenso degli intellettuali Gentile cercò di dirottarlo su argomenti di storia civile, ma il 4 dicembre 1929 Omodeo dichiarava che non avrebbe continuato la collaborazione: « Son sicuro che anche nella storia civile non avrei maggior libertà che in quella reli- giosa, una volta ammesso il principio del controllo di una parte sul lavoro dell’altra »; se fosse stato possibile accor- darsi su « un principio di completa libertà », « io avrei lasciato liberi i preti di gabellare, come han fatto, Abramo quale personaggio storico, o di far l’apologia, se crede- ranno, del miracolo di S. Gennaro: a condizione che essi non avessero inquisito nei miei lavori. L’enciclopedia avrebbe fotografato la cultura italiana, in cui c'è P. Vac- cari, e c'è A. Omodeo » ?!. Cosî le voci di Omodeo restano una delle poche testi- monianze di trattazione critica dei problemi religiosi nel- l’Enciclopedia, in genere appiattiti dall’impostazione ‘dog- matica e apologetica degli autori cattolici. Ammiratore della scuola storica di Tubinga fondata da Ferdinand Chri- stian Baur — la cui opera era definita « uno dei maggiori monumenti dello storicismo hegeliano » —, Omodeo cercò di attenersi ad una esposizione obiettiva dei fatti e delle diverse interpretazioni, ma senza riuscire a nascondere la sua preferenza per i risultati dell’indagine critica rispetto alle affermazioni aproblematiche degli studiosi cattolici: in Apocalisse, ad esempio, dopo aver esposto l’opinione di quanti negavano l’apostolicità dello scritto concludeva che « in opposizione a questi indirizzi critici, il cattolicesimo si mantiene saldo nell’affermare l’apostolicità dell’opera — ormai abbandonata quasi da tutti nell’altro campo [...] — e nel ribadirne l’ispirazione divina, e l’esegesi spiritualiz- zante ». Rispetto a un giudizio del genere, si può notare un vero e proprio capovolgimento di segno nella voce, esecrata da Omodeo, in cui padre Eerembeemt aveva soste- nuto la storicità della figura di Abrarzo (1929) affermando la « insussistenza » delle teorie di chi la negava *“, o in 313 Ibidem, pp. 434-435. 314 « Abramo è un personaggio storico? Pei credenti, si; e sotto Abra- mo trovi un paragrafo dove sono oggettivamente esposti gli argomenti per la storicità di Abramo », osservò Ugo Ojetti, I primzi ser volumi del- 136 L’Enciclopedia italiana Deuteronomio (1931) — voce prima affidata a Omodeo e poi respinta dalla direzione dell’Enciclopedia —, in cui il. gesuita Tramontano avvalorava le tesi degli studiosi catto- lici che attribuivano l’ultimo libro del Pentateuco a Mosè, confutando recisamente quelle dei critici « acattolici » !5. Omodeo avrebbe dovuto trattare anche la storia della Chiesa dalle origini al concilio di Nicea, ma il 29 giugno 1929 egli aveva avanzato delle riserve per i limiti, molto ristretti, di libertà di parola che consente l’enciclo- pedia, Se per le voci bibliche io arrivo spesso a cavarmi d’impaccio esponendone il contenuto e narrando la storia della critica, per [questa] voce non è cosî. Non posso narrar la storia della chiesa, senza prender posizione, altrimenti la narrazione non procede. Nelle questioni spinose dell’origine dell’episcopato, del primato romano, della struttura dogmatico-disciplinare della chiesa, della prassi peni- tenziale, dei sacramenti ecc. non potrei non dare scandalo ai preti, divenuti cosî intolleranti 36, Subito dopo Gentile lo cavava d’« impaccio » affidan- done la stesura a don Giuseppe De Luca, che senza troppe preoccupazioni spiegava la rapida diffusione del cristiane- simo con i caratteri della dottrina stessa (« per tutti che sentissero lo stimolo di una vita non solamente animale, [la dottrina cristiana significava] la formula risolutiva della propria umanità in ciò che ha di buono e di cattivo, con la tecnica della propria cultura interiore »), giustificava l’im- piantarsi della gerarchia e del primato romano, e spiegava come « da contaminazioni e compromissioni della dottrina cristiana, consumate per opera di menti ansiose e irrequiete, nacquero le prime eresie ». Alla luce della vicenda di Omodeo è facile presumere che l’ingerenza degli ecclesiastici si sia estesa ben presto a l’Enciclopedia italiana, in « Il Corriere della sera », 5 agosto 1930. 315 In Pentateuco (1935) il gesuita Alberto Vaccari espose i motivi per cui «la scienza [può] trovare nel Pentateuco un buon nucleo auten- ticamente mosaico frammezzo ad accrescimenti d’età posteriore. Né pi sembra domandare la fede cattolica, quando vuol salva la sostanziale autenticità e integrità del Pentateuco, e lascia passare aggiunte, purché ispirate, e mutazioni accidentali posteriori a Mosé (v. il decr. della Com- missione biblica 27 giugno 1906) ». 316 G. Gentile-A. Omodeo, Carteggio, cit., pp. 426-427. 137 Il fascismo e il consenso degli intellettuali tutti i settori in cui erano presenti voci o riferimenti reli- giosi, vanificando l’impronta laicista che non solo Gentile e Volpe, ma anche, con particolare forza, Francesco Salata avrebbe voluto dare alla sezione « Storia contemporanea », di cui perderà la direzione nel corso della preparazione del- l’opera: « senza invadere il campo riservato alle sezioni “Filosofia, educazione, religione” e “Storia delle religio- ni” », scriveva Salata in un promemoria del 9 maggio 1926, ritengo che la parte prevalentemente politica della storia contempo- ranea delle religioni e specialmente della Chiesa cattolica, e quindi, ad esempio le voci personali dei papi, dei cardinali segretari di Stato, dei nunzi, quelle dei concili, di alcune istituzioni amministrative della Chiesa, di alcune dottrine politico-religiose ecc. trovino posto più proprio nella mia sezione. Per alcune voci relative alla Chiesa cattolica ciò non può mettersi in dubbio per il periodo precedente al 1870, ma anche per il periodo successivo è troppo chiara l’impor- tanza politica del papato non solo per l’Italia ma anche in tutta la politica internazionale, perché tali voci siano sottratte alla sezione che ha cura e responsabilità della storia politica di questo periodo 317, Ma, quando Salata avanzava queste pretese, la presenza dei cattolici tendeva già a dilatarsi all’interno dell’Enciclo- pedia, favorita dalla singolare concezione dell’obiettività propria di Gentile, consistente nel rivolgersi ai « compe- tenti », ma in ultima istanza ai diretti interessati *, Cosi le voci sui gesuiti furono attribuite prevalentemente a espo- nenti dell’ordine — con un cospicuo intervento di Tacchi Venturi —, Rosmini al rosminiano Caviglione, con l’inter- pretazione del quale Gentile aveva polemizzato nel 1906 *, Scolastica e S. Tommaso ai neoscolastici Francesco Pelster e Martin Grabmann, Neoscolastica a Gemelli, e a Niccoli, allievo di Buonaiuti, voci come Gioacchino da Fiore e Mo- dernismo. Il fatto che queste voci di storia religiosa fos- sero affidate a rappresentanti di vari indirizzi di pensiero 317 AFI, Lettere, Salata. 318 «Da Barnabiti particolarmente desidererei gli articoli relativi ai Barnabiti », aveva scritto il 18 aprile 1925 Gentile a padre Semeria (AEI, Lettere, Semeria). 39 G. Gentile, Storia della filosofia italiana, cit., vol. I, pp. 879-880. La voce fu riprodotta, assieme a quella Rosminiani, congregazione dei di Bozzetti, in « Rivista rosminiana », XXX (1936), pp. 163-170. 138 L’Enciclopedia italiana comportò l’esistenza di inflessioni diverse nel giudizio e nel taglio metodologico: ad esempio, presentando la figura di Gioacchino da Fiore (1933) Niccoli non solo riprese l’in- terpretazione che ne dava Buonaiuti in quegli stessi anni °° — « una delle figure più notevoli della spiritualità cristiana durante il Medioevo », la cui opera ha un « contenuto inti- mamente sovversivo nei riguardi della Chiesa ufficiale » —, ma si differenziò anche da altri autori spiegando in termini economici e politici la genesi della sua profezia sull’avvento della Chiesa della realtà spirituale sostituita a quella della gerarchia e dei simboli *?, Tuttavia, al di là di queste distin- zioni interne, l'intervento dei cattolici comportò, da un lato, la dilatazione dello spazio concesso alle voci religiose — come dimostra anche un rapido confronto tra l’Enciclopedia britannica e l’opera diretta da Gentile, in cui voci specifiche sono attribuite, ad esempio, a Concezione immacolata o a Comunione dei santi —; e, dall’altro, l’apologia del cattoli- cesimo più tradizionale, che non investe solo la storia della Chiesa medievale sulla quale la cultura cattolica vantava anche allora una ricca tradizione di studi — « il fascismo inquinò anche la storiografia medievalistica con un clerica- lismo nauseante nell’esaltazione in blocco di tutta la storia della Chiesa medievale (tutti i papi medievali vengono esaltati nell’Enciclopedia italiana) », ha osservato Gabriele Pepe ** —, ma riguarda tutti i periodi storici. Basti pensare alla voce su S. Gerzaro in cui il gesuita Romano Fausti sostiene la veridicità del miracolo, secondo quanto aveva 320 La voce ha molte assonanze, ad es., con E. Buonaiuti, Gioacchino da Fiore, in « Rivista storica italiana », XLVIII (1931), pp. 305-323. 321 « Gioacchino, con tutta probabilità servo della gleba per nascita, è giunto al suo riscatto e alla formulazione del suo messaggio attraverso l'iniziazione in una riforma monastica, quella cisterciense, di origine e caratteristiche squisitamente latine, la cui importanza sul terreno sociale come fattore di disgregazione dei superstiti istituti feudali — anche nell'Italia Meridionale — si palesa oggi sempre più evidente. Sarà infine necessario tener presente che il ciclo fattivo della vita di Gioacchino coincide con quello della maggior fortuna del regno normanno in Italia: tendenze, aspirazioni e crisi del quale, studi recenti hanno mostrato riflettentisi sulla complessa esperienza di Gioacchino ». 32 G. Pepe, Gli studi di storia medioevale, in AA.VV., Cinquant'anni di vita intellettuale italiana, cit., vol. I, p. 113. 139 Il fascismo e il consenso degli intellettuali previsto Omodeo, o allo sconcertante giudizio con cui Ro- berto Palmarocchi minimizza il ruolo di un personaggio « scomodo » come Savonarola, spiegandone la condanna: secondo alcuni essa ricade sui fiorentini, secondo altri sulla corte di Roma. È certo che il Savonarola stesso diede ai suoi nemici l’occa- sione di abbatterlo, immischiandosi e invischiandosi nelia politica e avallando con la sua autorità morale i fatti e i misfatti di una fazione. Ma la causa più profonda della sua caduta fu la sua illusione di arre- stare il cammino dei tempi, il suo sforzo d’impotre agl’italiani del quattrocento una concezione di vita ormai superata. In questo quadro non mancano tuttavia delle eccezioni, costituite non solo dagli interventi di Chabod e di Canti- mori su figure di protestanti e di eretici, ma anche da alcune voci di Pincherle e di Jemolo che affrontano tematiche più ampie di storia della Chiesa, con un’attenzione particolare ai collegamenti fra storia religiosa e storia politica. Questi evitano infatti di pronunciarsi sulle questioni propriamente teologiche seguendo la via proposta da Gentile quando, inviando a Jemolo delle istruzioni per la compilazione di voci di storia della Chiesa, osservava che « anche delle sin- gole controversie teologiche [...] sarà da rilevare il signi- ficato intimo, le azioni e reazioni sulla politica anche degli Stati, sull’organizzazione gerarchica, sulla pietà e le mani- festazioni del sentimento religioso, pit che non l’aspetto tecnicamente teologico e le singole fasi della disputa » ?. A un ambito di intervento laico sono infatti riconducibili le voci di Jemolo che, pur esprimendo un giudizio severo sul carattere « malevolo o petsecutore » del liberalismo ottocentesco che « non tollera i conventi, vuol spogliare la Chiesa dei suoi beni e sottometterne tutta la vita a un re- gime di polizia » (Chiesa), forni un’interpretazione del Ga/- licanismo (1932) che lo espose a interventi censori *, e 33 Gentile a Jemolo, 3 agosto 1928 (AEI, Lettere, Jemolo). 34 Lamentandosi con la direzione per le varianti apportate alla sua voce, il 22 giugno 1932 Jemolo osservava che « a mio avviso non risponde al vero nascondere la decadenza del gallicanismo nel settecento, e dargli parte prevalente in quel complesso fatto europeo che fu la soppressione della Compagnia di Gesti » (ibidem). E la decadenza del gallicanismo è riaffermata nella voce. 140 L’Enciclopedia italiana cercò di distinguere aspetti religiosi e aspetti politico-cultu- rali nella valutazione della Controriforma: Chi da un punto di vista strettamente religioso instauri raffronti tra lo spirito dei primi secoli del cristianesimo, quello della cristia- nità medievale, e quello della controriforma, potrà pur non prefe- rire quest’ultima età alle due precedenti. Ma è certo che la contro- riforma ebbe, accanto alle sue pagine sanguinose, pagine bellissime segnate dal rapido miglioramento del costume cattolico; fu una ricca sorgente d’iniziative religiose, di opere di carità e d’intraprese culturali, che a quasi quattro secoli di distanza sono ancora lungi dall’esaurirsi; soprattutto diede alla Chiesa un’intima struttura che, da quasi quattrocento anni, si palesa sempre meglio adatta a difen- derla contro ogni tentativo, esterno e interno, di disgregazione, con- tro ogni influenza perturbatrice che miri a deviarla dal suo cam- mino. Complesso e articolato appare anche il giudizio di Pin- cherle sulla Riforzz4, che su un piano religioso è « in asso- luta antitesi » con la teologia umanistica — « nulla più della libera critica è alieno dallo spirito di un Lutero »; Lutero è « un uomo nettamente di tipo medievale » —, mentre sul piano della storia politica e culturale essa « preannuncia veramente il mondo moderno » perché raf- forza l’assolutismo dei principi e costituisce, con il calvi- nismo, « il mondo ideale entro cui nacque e si sviluppò lo spirito capitalistico e, pertanto, il capitalismo moderno ». E assai distante da toni apologetici e dogmatici si dimostra Pincherle — accomunato da « Civiltà cattolica » a Omodeo come ugualmente « di sensi non cattolici » * — nella voce Cristianesimo (1929), in cui giudica con simpatia l’opera dello storicismo che aveva considerato il cristianesimo come fatto storico, osservando che « la mentalità storicistica ha nello stesso tempo distolto lo scienziato dall’identificare senz'altro il cosiddetto “cristianesimo di Ges” con quello praticato nel seno della sua particolare confessione e dal giudicare e condannare dogmaticamente; in questo stesso 35 [G. Busnelli], art. cit., p. 536. Mussolini si lamentò che alla voce Cristianesimo fossero dedicate solo 3 pagine, contro le 66 di Cotone (appunto ms., s.d., in ACS, Segreteria particolare del Duce, Carteggio riservato, b. 49, sottofasc. 1). 141 Il fascismo e il consenso degli intellettuali senso agiva il nuovo clima culturale, con la larga diffusione delle idee di tolleranza e di libertà religiosa ». Accanto a questi interventi, il tentativo di Gentile di salvaguardare la pretesa di obiettività dell’Enciclopedia è ravvisabile anche nella suddivisione di alcune delle voci maggiori tra autori cattolici da un lato, laici o attualisti dal- l’altro: è il caso ad esempio di Dio (1931), dove la dottrina cattolica è esposta dal gesuita Giuseppe Filograssi mentre « Dio nelle varie concezioni filosofiche » è opera di Antonio Banfi — per il quale « la pit totalitaria trasposizione in senso razionale dell’idea di Dio è quella compiuta da Hegel, per cui Dio è il processo eterno in cui l’idea — come prin- cipio razionale del mondo — giunge a coscienza della sua assoluta universalità e autonomia » —; e di Religione (1936) in cui il gesuita Enrico Rosa analizza il « concetto cattolico » che « raccoglie in sintesi, integra e chiarisce gli elementi di verità che si possono trovare sparsamente con- fusi anche nei concetti pagani o eterodossi », e Gentile in persona ne esamina l’aspetto filosofico per affermare la « universalità e indefettibilità della religione » — « la ne- cessità e l'universalità della religione sono la più efficace convalidazione del suo valore, e cioè della sua verità » — e per ribadire, contro materialisti e mistici, che « l’uomo che non si può concepire senza concepire Dio [è] l’uomo che attua l’esperienza della sua umanità, realizzando nella vita spirituale quella coscienza di sé ond’egli in fatti si distingue dalle cose ». Significativa è, già nel primo volume, anche la voce Agostino (1929) — il santo al quale nel 1930, nel 1500° della morte, saranno dedicati vari studi — riservata all’agostiniano Antonio Casamassa per la vita e le opere (e « La Civiltà cattolica » si esprimeva positivamente per questa parte), ad Augusto Guzzo per lo « sviluppo del pensiero » e ad Alberto Pincherle per la critica e le edi- zioni. Su di essa si soffermava nel 1931 la « Rivista di filo- sofia », che coglieva la « notevole sproporzione tra la parte che riguarda la vita e le opere (esattissima di certo, ma utile solo allo specialista) estesissima, e quella che riguarda il pensiero e le controversie critiche sui testi agostiniani, di interesse più universale, ma molto più breve, e soprattutto 142 L'Enciclopedia italiana alquanto disordinata e incompleta ». Dopo aver notato che la voce iniziava con la « strana dizione » « Agostino Aure- lio, santo », l’autore dell’articolo sosteneva che « manca del tutto la filosofia di Agostino, come manca la considera- zione filosofica della teologia agostiniana », e accusava di illecita lettura attualistica un passo in cui Guzzo affermava che nel De vera religione « si legge quel celebre appello: Noli foras ire; in te redi, in interiore bomine habitat veritas (De vera religione, 72), che non sarà più dimenticato né dalla mistica medievale e moderna, né da quante filosofie, nell’età moderna e contemporanea, riterranno di dover ri- chiamare l’uomo dalla dispersione del mondo esterno al rac- coglimento dell’analisi interiore ». Accusa non immotivata, se pensiamo che anche in Pedagogia Ernesto Codignola, trattando di Agostino, riprenderà lo stesso concetto, che Gentile stesso aveva contribuito a diffondere: L’intuizione religiosa della filiazione divina, approfondendosi e interiorizzandosi, diventa in Agostino un concetto speculativo, la prima affermazione filosofico-teologica della soggettività e immanenza del vero, con cui il cristianesimo tentava di svincolarsi, anche nel- l'ambito della speculazione, dall’antinomia che aveva alimentato lo scetticismo del tardo pensiero classico: ineliminabile individualità di ogni atto di conoscenza, ultra-individuale oggettività del vero. Noli foras ire, in te ipsum redi, in interiore bomine habitat veritas. Un’interpretazione alla quale la « Rivista di filosofia » poteva opporre che « per Agostino la veritas presente all’io è Dio stesso, oggetto rel soggetto, mentre ciò è alieno essen- zialmente dalla dottrina idealistica » °%. Tuttavia, nonostante questi accorgimenti, Gentile non poté impedire che nell’Enciclopedia fosse assai marcata l'impronta del cattolicesimo ortodosso e che, addirittura, in alcune voci i cattolici operassero un forte ridimensiona- mento, o una critica aperta, del neoidealismo italiano. Pa- dre Gemelli, dopo aver definito la Neoscolastica (1934) « la restaurazione del pensiero medievale nell’ambito della ci- viltà moderna, considerando il pensiero medievale non 3% G. Firenzi, Note sulla storia della filosofia medioevale, in « Rivista di filosofia », XXII (1931), p. 60. 143 Il fascismo e il consenso degli intellettuali come espressione transitoria di una civiltà, ma, quanto alla sostanza, come definitiva conquista della ragione umana nel campo della metafisica », ne accentuava il carattere antiidea- listico: « La restaurazione scolastica doveva in Italia affer- marsi non tanto in relazione al positivismo, quanto in rela- zione all’idealismo, che in Italia maturava con B. Croce e con G. Gentile. Ne sarà criticata la metafisica (immanenti- stica) e accettata invece quella valorizzazione della storia, che è caratteristica dell’idealismo stesso: non però come filosofia, sibbene come storia ». Sempre nel 1934 Niccoli difendeva il Modernismo contro i suoi critici, in primo luogo i rappresentanti di quella « filosofia che, negando possa conoscersi un reale fuori dell’uomo e del pensiero, non solo si è iscritta in falso contro quelli che erano stati in passato i cardini di ogni metafisica, ma ha scrollato le basi stesse della fede religiosa »; e l’allievo di Buonaiuti cercava di rafforzare la sua difesa opponendo il movimento modernista al socialismo e all’idealismo: Chi avesse accettato come dati di fatto incontrovertibili i risul- tati negativi ai quali la critica storica, filosofica e sociale affermava di essere giunta, non poteva avere che due alternative: o ripudiare net- tamente tutto il patrimonio religioso cattolico e cristiano, sia affer- mando di contro ai valori cristiani i nuovi valori sociali, sia conside rando il cristianesimo e il fatto religioso in genere come un momento ormai superato della vita dello spirito (fu questo in sostanza il punto di vista difeso dall’idealismo italiano); o affermare che il cattolice- simo si raccomanda a valori più alti, non toccati dai colpi portati dalla critica moderna all’interpretazione scolastica del cattolicesimo e quindi costruire su di essi una nuova apologetica, che mantenesse al cattolicesimo la sua efficacia fra gli uomini. E fu questo l’atteggia- mento assunto dal movimento modernista. Nel complesso, e tenuto conto di alcune assenze signi- ficative — come Clericalismo, che Carlo Morandi non ac- cettò ‘”, o Laicismo, voce che è invece presente, a firma di Walter Maturi, nel Dizionario di politica —, si comprende quindi la soddisfazione dimostrata per il settore religioso 327 Cfr. la lettera di Morandi del 19 settembre 1930 (AEI, Lettere, Morandi). 144 L'Enciclopedia italiana da « Civiltà cattolica » già nel 1929 **, quando pit forte era l’influenza di Gentile e di Omodeo, e, per converso, la preoccupazione di « Vita nova » del gentiliano Giuseppe Saitta che, prendendo spunto dalla critica della voce Adazzo di Giuseppe Ricciotti, allargava il discorso per lamentare « la intrusione nell’Enciclopedia di questa pseudo-scienza teologica »: I gesuiti sanno troppo bene a che cosa mirano, e qual forma ed estensione assumerà, nel loro campo, la sezione di materie ecclesia- stiche. La Bibbia intera e specialmente il Nuovo Testamento, le ori- gini del cristianesimo, la storia dei dogmi e della Chiesa, anzi dell: Chiese, tutto vi dovrà essere mostrato e rappresentato dal punto di vista cosiddetto cattolico, cioè teologico, in contrasto e negazione con la vera scienza storica del cristianesimo, quale si insegna nelle nostre scuole universitarie. È la teologia esclusa dalle università definitivamente con la legge del Concordato, che rientra, come unica scienza della religione, nella nostra coltura nazionale [...]. L’Enciclo- pedia avrebbe tutelato meglio i diritti della scienza e quelli della nazione, rimanendo italiana, come è il titolo semplicemente, senza resumer di voler anch’essere cattolica nel senso della Civiltà catto- ica. Le voci di carattere propriamente religioso, oggi svolte con dif- fusione anche eccessiva, potevano ridursi al puro necessario; ed entra quei limiti, avrebbero dovuto essere redatte da un punto di vista. EE scientifico, evitando di accettare i presupposti della teo- logia 39. Non solo i timori di « Vita nova » non erano infondati,. come abbiamo visto, ma possiamo supporre che molte altre sezioni, oltre quelle direttamente interessate alle que- stioni religiose, furono oggetto del controllo ecclesiastico. « Per la Questione Romana informati — scriveva Maturi a Morghen —, perché la mia polizia segreta mi ha avvertito: che essa con tutto il gruppo di voci romane è stata sottratta. alla giurisdizione della sezione storica » ®°, E il 2 aprile 1931 Fausto Nicolini scriveva a Gentile, a proposito della voce Giannone (1932), che si sarebbe posto da 328 Anche Gemelli notava nel 1930 che Gentile « ha chiamato a colla- borare all’Enciclopedia studiosi cattolici ed ha affidato loro la trattazione di delicati problemi religiosi » (L'Università cattolica e l’idealismo, in Idee e battaglie, cit., p. 391). . Rensis, Ancora dell’Enciclopedia Italiana, in «Vita nova», VI (1930), pp. 152-153. 3%0 AEI, Lettere, Maturi. 145 Il fascismo e il consenso degli intellettuali un punto di vista che non potrà piacere al certo a chi, nell’Enciclo- pedia, soprintende alle materie ecclesiastiche. Se dunque mi si pro- mette formalmente piena libertà di parola, e sopra tutto che la mia prosa, quale che essa sia, non sarà riveduta, corretta o attenuata in senso clericale, sono prontissimo a fare l’articolo [...]. Ma se codesta promessa formale non mi può essere fatta e mantenuta, anziché sotto- pormi all’alea di trovare (come accadde a Omodeo) stravolto e muti- lato il mio pensiero, preferisco rinunziare a scrivere l’articolo. Tu, che mi conosci, sai bene che non sono uomo da porti nell’imba- razzo facendo dell’anticlericalismo intempestivo. Ma, alla fin dei conti, debbo pur dire pane al pane e vino al vino, e presentare il Giannone quale egli fu, cioè quale un martire dell’anticurialismo. Non posso elogiare l'agguato di Vesnà come un’azione pulita o l’im- posta abiura e la dodicenne prigionia come atti di carità cristiana 33, Questi propositi non sembrano tuttavia essersi tradotti in pratica nella stesura della voce, dove le ultime vicissitu- dini di Giannone sono presentate in maniera anodina e, pur riconoscendo che l’Istoria civile del Regno di Napoli è stata per decenni la « bibbia dell’anticurialismo » — « un anti- curialismo lontano, nella lettera, dall’eterodossia, ma già volterriano nello spirito » —, si coglie in essa una « astratta e fantastica configurazione dello stato come bene assoluto, progresso, civiltà, forza generosa, e della chiesa come male, regresso, oscurantismo, malizia frodolenta ». Analogamente nella voce Romana questione (1936) Maturi, pur valutando assai positivamente la Legge delle guarentigie, concludeva l’esame dei rapporti tra Stato italiano e Chiesa elogiando i patti del 1929: Mussolini coronava con un concordato la sua nuova politica eccle- siastica, con l’ininzio della quale aveva scompigliato le file del partito popolare e assorbito nel fascismo il cattolicesimo nazionale; d’altra parte, nella politica estera egli tolse all’Italia una passività diplo- matica. Da parte della Chiesa il riconoscimento dello stato nazionale italiano s’inquadra nel riconoscimento di molti stati nazionali europei avvenuto coi concordati postbellici. Dove sono ripresi alcuni dei giudizi più favorevoli di parte fascista — anche per Volpe i patti erano tesi, per il fascismo, a « togliere una non piccola causa di nostra debo- 331 AEI, Lettere, Nicolini. 146 L’Enciclopedia italiana lezza internazionale » ®* —, senza tuttavia i timori, pur assai diffusi, che lo Stato potesse abdicare al suo spirito laico. I patti lateranensi dovettero del resto riflettersi pesan- temente sull’Enciclopedia, rafforzando il controllo ecclesia- stico e arrivando fino a minacciare l’esistenza di singole voci: Angelo Sraffa, che curava con Mariano D’Amelio la sottosezione « Diritto privato », giunse infatti a proporre la soppressione della voce Divorzio (1932), già in bozze, perché era «cosa estremamente delicata trattarla oggi a parte, date le interferenze con l'annullamento del matrimo- nio, che è diventato di fondamentale importanza di fronte al trattato del Laterano, ed alla estensione che dinanzi ai Tribunali ecclesiastici l'annullamento sta prendendo » **. La sua proposta non fu accolta e la voce rimase, a soste- nere però la particolarità dell’ordinamento italiano e a rico- noscere che « gli stessi contrattualisti a oltranza », cioè quanti erano favorevoli al divorzio, « compresi della serietà delle contrarie obiezioni, sono d’accordo nel ridurre a un piccolo numero di casi la facoltà di ricorrere al divorzio ». Dove non arrivò il diretto intervento ecclesiastico — padre Gemelli non scrisse la voce Psicanalisi, che nel 1932 si era offerto di fare e che a sua firma apparirà invece nel Dizionario di politica (« Distruttiva della religione, della quale nega ogni valore, nel dominio politico la psicoanalisi orienta le sue speranze verso il comunismo ») —, giunsero puntuali le critiche dell’organo dei gesuiti. Carlo Brica- relli, collaboratore della sezione artistica dell’Enciclopedia, intervenne sull’esposizione dell’arte medievale e moderna fatta in Arte (1929) da Julius von Schlosser, al quale Gen- tile aveva suggerito di « parlare dell’arte come conseguenza di bisogni materiali e spirituali delle varie fasi di civiltà, e quindi dei compiti e delle forme dell’arte in relazione alle mutate condizioni sociali, similmente, in un certo senso, a quanto ha fatto il Dvorak nel suo saggio sull’idealismo e 332 G. Volpe, Il patto di S. Giovanni în Laterano, in « Gerarchia », (1929), ora in Pagine risorgimentali, Roma, Volpe, 1967, vol. II, p. 284. 333 Sraffa a Spirito, 8 maggio 1931 (AEFI, Lettere, Sraffa). 147 Il fascismo e il consenso degli intellettuali naturalismo nell’arte gotica » **. « La tendenza di tutto ridurre all’umano, e nell’opera della Chiesa interpretare ogni cosa a uso d’intenti terreni propri, oppure a lei impo- sti per forza, è un altro preconcetto che turba anzi scon- volge addirittura il giudizio storico », osservava Bricarelli appuntando la sua critica, fra l’altro, su di un passo in cui Schlosser affermava che la crisi di questo cristianesimo primitivo cominciò nel secolo IV col suo riconoscimento ufficiale come religione di stato, sotto la forma universale del « cattolicismo ». L’al di qua reclamava oramai i suoi diritti. Il vecchio Impero, divenuto cristiano, rivestito di tutta la pompa della sua missione divina e di tutto il suo fasto, nella sua qualità di potenza protettrice della Chiesa, determinò anche il con- tenuto iconografico dell’arte che si rivela nei fastosi musaici parietali delle grandi basiliche post-costantiniane 85. Cosî Giovanni Busnelli criticava il giudizio su Leonardo (1933) dello storico della medicina Giuseppe Favaro — secondo il quale « di fronte alla rigida concezione teologica dell’origine del mondo, [Leonardo] non si peritava di con- futare il racconto biblico della genesi, la storia della terra creata da seimila anni e la leggenda del diluvio universa- le » —, sostenendo invece che « la fede e dottrina cattolica di Leonardo è fuori d’ogni dubbio e accusa, chi voglia scan- dagliarne senza preconcetti le espressioni »; e, passando a esaminare la parte della voce su Leonardo ‘filosofo — che Gentile considerava figlio dell’umanesimo e negava fosse un antesignano della filosofia sperimentale, perché in lui « il pensiero comincia dall’esperienza, ma per affrancarsene e tornare alla ragione » —, Busnelli affermava che in Leo- nardo l’appello all’esperienza sensibile era il frutto dell’in- segnamento dei peripatetici e degli scolastici, e che «la ragione che infusamente vive nella natura, come attuante la sua efficacia, non è, conforme alla dottrina dell’Aquinate, 3% Gentile a Schlosser, 11 ottobre 1928 (AEI, Lettere, Schlosser). La voce era introdotta da una parte redatta da Gentile (su cui cfr. le osser- vazioni di Croce in «La Critica », XXVIII (1930), pp. 365-367). 335 C. Bricarelli, L'arte nell’Enciclopedia Treccani, in «La Civiltà cattolica », 81 (1930), vol. II, p. 130. 148 L’Enciclopedia italiana la ragione umana, ma la divina » °*, Nel 1935 infine « La Civiltà cattolica », affermando recisamente che « ogni altra pedagogia, fuori della cattolica, è ampiamente divergente e dispersiva nei sistemi fino alla confusione babelica, e nei metodi è angusta, ristretta ed unilaterale », criticava che nella voce Pedagogia Codignola avesse interpretato ideali- sticamente, come evolutiva, la pedagogia cristiana, e all’uni- tarietà di questa opponeva la « babilonia di antitesi e con- trasti, di ideali e sistemi », imperante nel campo idealistico esaltato da Codignola, per il quale le opere di Gentile sul- l'educazione, « accanto a quelle del Croce sui problemi del- l'estetica e della storiografia, segnano il culmine cui si è sol- levata la speculazione contemporanea » *”. La durezza del- l’attacco, e l’ampiezza della difesa di Codignola compren- dente Croce, non necessaria per l'argomento trattato, pos- sono forse spiegarsi con la condanna da parte del S. Uf- ficio, avvenuta l’anno precedente, delle opere di Croce e di Gentile. Un documento anonimo del 2 luglio 1934 osserva- va come, secondo gli ambienti ecclesiastici, obiettivo princi- pale da colpire fosse Gentile: Si nota che la condanna in ordine cronologico è stata fatta prima per la opera del noto antifascista Croce, per poter poi giustificare anche la condanna delle opere del Gentile. Si aggiunge che oramai era inutile la condanna del Croce [...], cui la gioventii italiana è ben lungi dal ricorrere come un tempo, come ad un oracolo indiscutibile. Oggi la gioventù italiana ha altro da fare e, c’è da scommettere, che moltissimi giovani, delle classi più acerbe ignorano l’uomo, o, se non l’uomo, almeno la quasi totalità delle sue opere. Anche questa volta la Chiesa, volendo colpire uno — cioè il Gentile — è andata alla ricerca di un cadavere per poter avere un alibi, nel quale nessuno crede. Pi grave è la condanna di Giovanni Gentile, che in qualche centro è giudicata come una mossa contro le teoriche accettate dallo Stato fascista. Si indica come il principale postilatore di questa con- danna padre Gemelli 3*. 3% G. Busnelli, Leonardo da Vinci nel vol. XX dell’« Enciclopedia italiana », in « La Civiltà cattolica », 85 (1934), vol. II, pp. 66-70. 357 [M. Barbera], Intorso dl concetto della pedagogia cattolica, in « La Civiltà cattolica », 86 (1935), vol. III, pp. 247-250. 338 ACS, Segreteria particolare del Duce, Carteggio riservato, b. 1, sottofasc. 2. Anche «Giustizia e Libertà », dopo aver individuato in padre Gemelli l’ispiratore della condanna di Gentile, aggiungeva: « biso- 149 Il fascismo e il consenso degli intellettuali Molte osservazioni potrebbero farsi a questi giudizi, riprendendo le notazioni di Gramsci sulla diversa « popo- larità » delle filosofie di Croce e di Gentile. Appare proba- bile comunque che la condanna del 1934 colpisse più dura- mente Gentile, che in qualche caso aveva cercato un ac- cordo con i cattolici, coronando l’indebolimento della sua posizione interna al fascismo iniziato nel 1929. Consape- vole di questo fatto — di cui gli scontri avvenuti nell’Enci- clopedia erano stati una riprova —, nel 1936 Gentile con- cludeva un articolo su L’ideale della cultura e l’Italia pre- sente mettendo in guardia contro il « pericolo [...] che può derivare dalla restaurazione religiosa desiderata e promossa dal fascismo come corroboratrice della coscienza civile e delle morali istituzioni. Restaurazione, che in massima parte non poteva essere che un ritorno alle tradizioni cattoliche del popolo italiano, col rischio di riassoggettare la cultura nazionale a forme praticistiche e meccaniche d’una religio- sità esteriore, e a conseguenti limitazioni dell’interna libertà spirituale, dalle quali gl’italiani avevan durato secoli a ri- scattarsi » ?”, gna vendicarsi e fingere l’equità: sono messi all’Indice i libri non di Gentile soltanto ma anche di Croce. Croce sorride e Gentile si spaventa » (Preti e fascisti, 27 luglio 1934). 39 G. Gentile, Mezzorie italiane e problemi della filosofia e della vita, cit., p. 385. 150 A. F. Formiggini: un editore tra socialismo e fascismo 1. La parola, veicolo di « fraternità universale » « Né ferro, né piombo, né fuoco / posson salvare la Li- bertà, / ma la parola soltanto. / Questa il tiranno spegne per prima, / ma il silenzio dei morti / rimbomba nel cuore dei vivi »!. Cosî scriveva nel luglio del 1938, fra tante altre « epigrafi » messe a suggello della propria vita e a testimonianza degli ideali che l’avevano ispirata, Angelo Fortunato Formiggini, lucidamente deciso a chiudere con un sacrificio personale che servisse a « dimostrare l’assur- dità malvagia dei provvedimenti razzisti » — come scriveva alla moglie? — un’esistenza dedicata a perseguire, primo fra tutti, l’ideale della fratellanza universale attraverso la forza di convinzione della parola. Se la stampa del regime mantenne il più rigoroso silenzio sul suicidio dell’editore modenese, gettatosi dall’alto della Ghirlandina il 29 no- vembre 1938, impedendo cosî che Formiggini potesse rag- giungere lo scopo di richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica sulle leggi razziali, il suo gesto fu sottolineato dagli ambienti dell’antifascismo, non solo ebraico, che ne dettero l’annuncio: « Molti italiani d’Italia, costretti pur- troppo a mantenere l’incognito, amici e ammiratori di A. F. Formiggini Maestro Editore annunciano, straziati ma fieri, il Suo sublime sacrificio. Questo annuncio non ha potuto comparire sui giornali italiani, ove le leggi razziste impedi- scono persino di dar notizia dei decessi degli ebrei ». E il 9 dicembre 1938 « Giustizia e Libertà » annunciava in una corrispondenza dall’Italia l’atto di protesta di Formiggini, 1 A.F. Formiggini, Parole în libertà, Roma, Edizioni Roma, 1945, p. 106. 2 Ibidem, p. 116. 151 Il fascismo e il consenso degli intellettuali ricordando che egli « non era mai stato un conformista » e che « ogni suo piano, tendente alla difesa e alla elevazione della cultura italiana, aveva trovato nel fascismo una oppo- sizione aperta o una resistenza insidiosa » *. E ai « poste- ri », « perché gli orrori e le iniquità di oggi non abbiano a rinnovarsi mai più nel più lontano avvenire », Formiggini volle lasciare in eredità alcune sue Parole in libertà, testa- menti spirituali indirizzati ai familiari, ai concittadini mo- denesi, agli « ebrei d’Italia » e al tiranno in persona, tutti ispirati, più che da una chiara presa di coscienza politica, da una fede quasi religiosa nell’amore fra tutti gli uomini, secondo quella visione del mondo che egli aveva conden- sato nel motto arzor et labor vitast. Fra i « testamenti » del 1938 possiamo annoverare an- che il bilancio del suo lavoro editoriale, Trenta anni dopo, che, seppur scritto pensando alla pubblicazione, è signifi- cativamente considerato dall’autore il suo « canto del ci- gno », steso « a giuoco finito », quando un motivo di spe- ranza può essere visto solo « al di là della tormenta ». Ac- canto alla testimonianza delle proprie idee non poteva man- care quella della propria fatica, in un uomo in cui la scelta dell’attività editoriale si era saldata fin dall’inizio con il per- seguimento di obiettivi che non esiteremmo a definire etici prima ancora che culturali o politici, ma tali da divenire punto di riferimento di indirizzi di pensiero determinati ‘. A scrivere il bilancio dei trenta anni della casa editri- ce — e di sessanta anni della sua vita, compiuti proprio nel 1938 — Formiggini aveva pensato da tempo, fornendo via via parziali anticipazioni. Convinto che anche « lo scrit- 3 L'editore Formiggini si uccide a Modena per protestare contro il razzismo, in « Giustizia e Libertà », 9 dicembre 1938, p. 1 (e, per l’an- nuncio di morte, ibidermz, p. 2); cfr. anche R. De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, Torino, Einaudi, 1961, pp. 385-386, 491. censura fascista colpirà con particolare accanimento la produ- zione dell’editore modenese ed anche i libri della Biblioteca circolante da lui fondata a Roma nel 1921, di cui qualche volume è escluso dalla lettura per motivi politici — come il Capitale —; ma si atrivò perfino a impedire la diffusione di molti testi dei « Classici del ridere », come il Decamerone, o L'arte di amare di Ovidio (come si ricava dall’esemplare, conservato in BNF, della terza edizione del Catalogo della biblioteca circolante Formiggini, Roma, Formiggini, 1936). 152 A.F. Formiggini: un editore tra socialismo e fascismo tore più mediocre e più oscuro farà sempre cosa interes- sante scrivendo la propria autobiografia, specie se questa, anziché circoscriversi a fatti puramente personali (che avrebbero pur sempre un interesse umano e psicologico) si innesterà nella storia viva del suo tempo », già nel 1923 era stato spinto dal contrasto con Gentile a scrivere « una parte dell’opera » in un curioso volume che, oltre a pre- sentarci alcune fra le più interessanti iniziative dell’editore e il suo carattere caustico seppur non intransigente, costi- tuisce un efficace documento della « marcia » del fascismo alla conquista delle istituzioni culturali: « da quando ini- ziai la mia attività editoriale — scriveva proprio allora Formiggini — non ho mancato di raccogliere materiale per una autobiografia che avrebbe dovuto riuscire qualche cosa di mezzo fra le Memorie di un editore di Gaspero Barbèra e il Catalogo ragionato delle edizioni Barbèra, fusi insie- me » i. Nel modello indicato — e al quale Formiggini cercherà di mantenersi fedele in Trenta anni dopo come già in un pre- cedente, più conciso bilancio della sua attività editoriale * — non vi era certo la presunzione di avere svolto un’opera di promozione della cultura nazionale paragonabile a quella dei maggiori editori ottocenteschi, da Vieusseux a Pomba, da Barbèra a Le Monnier, ma pur sempre la consapevolezza di aver reso un « servizio » alla cultura del proprio paese, e di essere fra i pochi editori del suo tempo che, come i « grandi » dell’ottocento, riunissero nella propria persona le qualità dell’imprenditore e del principale animatore delle iniziative culturali della casa editrice. Quello che fu carat- terizzato, poco dopo aver tratteggiato i primi venticinque anni della sua attività, come « un editore che scrive » 7, non avrebbe condiviso l’opinione di un Luigi Russo, che 5 A.F. Formiggini, La ficozza filosofica del fascismo e la marcia sulla Leonardo. Libro edificante e sollazzevole, Roma, Formiggini, 1923, pp. 22, 28. 6 A.F. Formiggini, Venticinque anni dopo. 31 maggio 1908-31 maggio 1933, seconda edizione con prefazione di Giulio Bertoni, Roma, Formig- gini, 1933. ? D. Costantino, Smorfe e sorrisi. Scritti critici, Catania, Casa del libro, 1934, vol. II, pp. 23-38. 153 Il fascismo e il consenso degli intellettuali di una casa editrice non si fa storia. Da uomo « positivo » che vuole documentare il duro e contrastato lavoro da lui compiuto, Formiggini ci ha lasciato con i Trenta anni dopo una testimonianza d’eccezione, la cui lettura può risultare utile non solo per precisare il giudizio sulla cultura italiana del primo novecento — alla luce anche di vicende indivi- duali minori —, ma anche per riproporre il problema della storia delle case editrici, spesso disattesa perché considerata una classificazione forzata di prodotti culturali il cui « mar- chio di fabbrica » sarebbe dato solo dalla collocazione intel- lettuale dei singoli autori, uniti o in maniera casuale o da vincoli ideologici tanto stretti da vanificarne le differenze. Ma, come è stato giustamente osservato, « proprio per- ché luogo organizzato d’incontro di più generi di colla- boratori, e di più fattori e interessi, una casa editrice di tipo ancora “tradizionale” rispecchia orientamenti e programmi di gruppi di intellettuali che verificano sul piano dell’azione pubblica la loro consistenza, e dichiarano tutti i loro sottintesi nel punto in cui, mettendo in circolazione strumenti concreti come libri e riviste, si scontrano con poteri reali, economici e politici, in situazioni di fatto, per modificarle (o per accettarle e conservarle). Per questo la responsabilità di una casa editrice di “cultura”, a qualsiasi livello essa operi, è grandissima. Inserita in un tessuto so- ciale ed economico definito, è legata ad ambienti e istituti di istruzione, e di ricerca, per attingervi, ma anche per rea- gire su di essi, in una trama di rapporti la cui dialettica è necessario mettere in luce quando si voglia ricostruire il corso degli eventi di un determinato periodo storico » 5. È un campo, questo, per il quale assai scarse sono le nostre conoscenze, e non solo per la difficoltà a scendere concreta- mente su un terreno per tanti versi accidentato. In realtà, se in linea di massima può essere accettato il giudizio di Russo, che significato e valore di una casa editrice sono con- segnati nei suoi cataloghi, e che in alcuni casi, come in 8 E. Garin, Un capitolo di rilievo singolare, in 50 anni di attività editoriale (Venezia 1926-Firenze 1976): La Nuova Italia, Firenze, La Nuova Italia, 1976, pp. V-VI. 154 A.F. Formiggini: un editore tra socialismo e fascismo quello della Laterza, se ne può seguire la storia ripercor- rendo l’opera di organizzazione della cultura sviluppata da una personalità come Croce, è da respingere quel pregiu- dizio idealistico che, considerando il processo storico come germinazione di idee da idee o proclamando in astratto la separazione tra cultura e politica — fino a vedere la « pro- pria » produzione culturale come un sistema chiuso e per- fetto, per cui la storia reale può confondersi con una « cri- tica di se stessi », — esclude dall’oggetto privilegiato del suo interesse le istituzioni culturali. Non è un caso che proprio un’analisi che — come oggi si comincia a fare — abbia al suo centro il tema dell’orga- nizzazione della cultura e della sua diffusione, permette di articolare meglio nei tempi e nei modi, per quanto riguarda il novecento, il giudizio che il neoidealismo italiano dette di sé, e che ritroviamo facilmente ripetuto come un canone interpretativo indiscusso ’, sulla rottura netta da esso ope- rata all’inizio del secolo nei confronti delle « vecchie » cor- renti di pensiero, e sul suo deciso trionfo che non avrebbe lasciato spazio ad alcuna « sacca di resistenza » che non si ponesse in termini di « superamento » dell’idealismo stesso. In realtà ci sembra estremamente valida, tanto più ove la si riferisca non solo alla cultura di élite, ma anche al più vasto e intricato substrato ideale che percorre nei primi decenni di questo secolo tutti i settori della cultura ita- liana — riflettendo la « disgregazione sociale » del paese e, insieme, le contraddizioni o le resistenze che accompa- gnano la « rifondazione » dell’egemonia borghese —, l’os- servazione di Garin, per il quale una delle deformazioni prospettiche più diffuse, e più dannose per un’esatta comprensione delle vicende culturali italiane di questo secolo, è quella che proietta alle origini il risultato di una batta- glia — non solo « ideale » — che si concluse, almeno in una sua fase, intorno agli anni venti, dopo la prima guerra mondiale, con l’ascesa del fascismo. L’egemonia idealistica, piuttosto gentiliana che crociana, non era affatto affermata, e tanto meno scontata, prima della guerra libica [...]. Solo se ci si liberi fino in fondo dell’eredità 9 Cosî ancora A. Asor Rosa, La cultura, in Storia d’Italia, Torino, Einaudi, 1975, vol. IV, in particolare p. 1142. 155 Il fascismo e il consenso degli intellettuali del provvidenzialismo idealistico, col suo trionfalismo storiografico, sarà possibile evitare l’appiattimento uniforme di posizioni contra- stanti, e insieme una polemica sterile, forse interessata soltanto a simmetrici rovesciamenti !°, Per il periodo che dalla « svolta » del nuovo secolo arriva al fascismo le vicende delle case editrici, anche di quelle minori o comunque non in grado di « rappresentare un intero movimento d’idee » — come appariva a Gobetti la Treves, « simbolo [...] di tutta la vuotezza italiana » per il suo « eclettismo positivistico di cosî lunga e infausta durata e memoria » !" —, possono costituire una guida assai utile per disaggregare e ricomporre una trama culturale complessa, per stabilire accostamenti o distinzioni ideali o politiche altrimenti non sempre evidenti o per valutare la capacità di penetrazione e di orientamento di correnti di pensiero — non necessariamente lineari — in un pubblico colto che proprio nell’« età giolittiana » cresce enorme- mente e in parte si rinnova diversificandosi dal punto di vista sociale, con l’apparizione sulla scena di una « opinione pubblica » alla quale si richiede sempre più un consenso agli obiettivi politici perseguiti dalla classe dirigente. Aumentano per numero e tiratura i quotidiani, ci si rivolge a un più vasto pubblico « popolare » attraverso la scuola, i corsi organizzati dalle università popolari o le biblioteche circolanti, ma si assiste anche all’espandersi di una « classe media colta » che desidera legittimare sul piano culturale il peso politico cui aspira, o al tentativo della borghesia di affinare gli strumenti del suo dominio. Fra questi piani diversi esistono connessioni e influenze, nel quadro di una lotta per l’egemonia che vede un’ampia mobilitazione di forze; ed è ora, dopo la « crisi » di fine secolo e la « svolta » giolittiana, che alle case editrici accademiche e a quelle di orientamento « popolare » o dichiaratamente socialista — come Sonzogno e Nerbini !! — se ne affiancano nuove e pi 10 E. Garin, Intellettuali italiani del XX secolo, Roma, Editori Riu- niti, 1974, p. 96. ll P. Gobetti, La cultura e gli editori (1919), in Scritti storici, letterari e filosofici, a cura di P. Spriano, Torino, Einaudi, 1969, pp. 458-466. 12 Cfr. G. Tortorelli, Una casa editrice socialista nell'età giolittiana: 156 A.F. Formiggini: un editore tra socialismo e fascismo agguerrite, il cui interlocutore privilegiato è un pubblico colto e medio-colto in grado di acquistare libri e riviste: da Laterza (1901) a Ricciardi (1907) a Rizzoli (1909) a Mon- dadori (1911) a Vallecchi editore di « Lacerba ». In assenza di ricerche specifiche si comprende quindi l’importanza di testimonianze come quella di Formiggini che illustra, anche se solo parzialmente, le vicende di una casa editrice fondata nel 1908, negli stessi anni in cui videro la luce altre destinate ad acquistare un peso ben maggiore, ma allora di dimensioni ancora ridotte. L’unico testo a cui si possa in qualche modo avvicinare sono i Ricordi e idee di un editore vivente scritti nel 1934 da Attilio Vallecchi, che tuttavia, pur trovando concordanze significative nella difesa di una « cultura italiana » intesa come strumento di « rinnovamento nazionale », ripercorre lo stesso arco crono- logico con l’ottica del protagonista precursore vittorioso dell’ideologia fascista in cui l’editore fiorentino si vanta di aver contribuito a convogliare nazionalisti, sindacalisti rivo- luzionari, futuristi, vociani, cattolici. Secondo il proposito dell’autore, i Trenta anni dopo si presentano invece come una sorta di catalogo ragionato, in cui la personalità dell’editore è ridotta al minimo, e, a dif- ferenza del pamphlet del 1923, restano sullo sfondo anche i « tempi » in cui ha operato: spentasi la carica polemica di quindici anni prima suscitata dalle vicende della Leonardo e che si era manifestata in feroci attacchi antiattualisti (con alcuni spunti antifascisti), escluse espressamente le testimo- nianze morali che nel '38 Formiggini veniva consegnando ai suoi scritti privati, nel volume non appaiono nemmeno —- se non incidentalmente — i nomi dei « numi tutelari » della cultura italiana del primo novecento. Accanto alla difficoltà, ma anche al rifiuto di prendere nettamente posi- zione !, in questo silenzio si riflettono, più che i risultati di una parabola politica, alcuni limiti di fondo di un editore la Nerbini, in « Movimento operaio e socialista », n.s., III (1980), pp. 221-254. 13 Una testimonianza in questo senso in P. Trevisani, Le fucine dei libri. Gli editori italiani, Bologna, Barulli, 1935, p. 197. 157 Il fascismo e il consenso degli intellettuali che i contemporanei — Prezzolini in testa! — giudica- rono non tanto un uomo di cultura quanto un grande arti giano e propagandista del libro, e che per primo amava presentarsi come il sostenitore dei valori universali di una « cultura » senza ulteriori determinazioni, quasi al di sopra della mischia, ideale morale e religioso, più che politico. « Riconosco di avere avuto certe qualità che sono essen- ziali per rappresentare efficacemente un indirizzo, un pen- siero, per portare nella fucina intellettuale del paese un non inutile soffio di ossigeno », scrive Formiggini, ma sa- rebbe vano cercare di identificare questo indirizzo nell’am- bito della classificazione usuale delle correnti culturali ita- liane all’inizio del secolo. Per comprendere cosa questo fosse concretamente, o come fosse possibile che determi- nati indirizzi di pensiero, spesso confusi e intersecantisi tra loro, confluissero e si riconoscessero nella sua casa editrice, bisogna risalire ancora una volta ai motivi ispiratori della sua vita. « Il libro mi apparve allora, e mi è apparso poi sempre — scrive ricordando gli inizi della sua attività —, il vincolo delle intese, il vincolo del parallelo cammino verso mete elevate e concordi. Questa mia fede di fraternità universale, alla quale s’ispirò fin dagli inizi la mia attività editoriale, era già trionfante nel mio animo fin dalla prima giovinezza » 5, ed era una fede religiosamente sentita, se nel ’38 teneva a riaffermare — ponendo a coronamento della sua fatica la collana delle « Apologie delle religioni » — che suo intento era stato « non di insidiare le fedi senti- tamente professate, ma soltanto di divulgare l’intima essenza delle varie religioni, per affrettare quel mutuo rispetto e quella mutua comprensione fra gli uomini che condurranno l’umanità a quell’affratellamento universale che fu il car- dine massimo della dottrina del Cristo e che mi ostino a credere che sia la più alta e la più benefica di tutte le aspi- 14 G. Prezzolini, La cultura italiana, Milano, Corbaccio, 1930?, p. 225: Formiggini « ha particolarmente sviluppato, oltre le sue collezioni, il lato direi tecnico della propaganda libraria ». 55 A.F. Formiggini, Trenta anni dopo. Storia di una casa editrice, Amatrice, Formiggini, 1951, pp. 198 e 15. 158 A.F. Formiggini: un editore tra socialismo e fascismo razioni umane » !. Ma questo ideale di fratellanza non dovette essere poi tanto anonimo o neutrale, se nel periodo che dall’affermarsi del neoidealismo e dalla nascita de « La Voce » arriva fino al fascismo e alla « dittatura » gentiliana la casa editrice Formiggini poté rappresentare — riunendo soprattutto quanti nell’idealismo non si riconoscevano — un capitolo significativo e abbastanza determinato, anche se minore, della cultura italiana. Nato il 21 giugno 1878 a Modena, dove contrasse affetti e amicizie che — come quella con il futuro ministro della giustizia di Mussolini, Arrigo Solmi — lo accompa- gneranno nei successivi spostamenti della casa editrice, da Bologna (1908) a Modena (1909), quindi a Genova (1911) e infine a Roma (1916), Formiggini apparteneva a una famiglia ebraica di cui molti rami erano cattolici da genera- zioni remote; e in questa origine è forse da ricercarsi uno dei motivi della sua insistenza sulla necessaria unità tra ariani e semiti e sul tema della fratellanza universale. In gioventi aveva compiuto indagini di storia delle religioni, le quali — ricorderà con parole certo immodeste, ma che testimoniano di un clima culturale intensamente vissuto — « mi portarono ad affermare, su dati puramente giuridici ed etici, quella identità di origine degli ariani e dei semiti che l'Ascoli aveva già riconosciuto nello stretto campo della filologia e che gli scritti del Delitzsch, in Germania, sei anni dopo di me, con grande autorità confermarono » ”. Il suo interesse per questo campo di studi è infatti attestato dalla tesi di laurea in legge discussa a Modena nel 1901, dal titolo programmatico (La donna nella Thorà in raffronto col Mandva-Dbarma-Séstra. Contributo storico-giuridico ad un riavvicinamento tra la razza ariana e la semita), e da un intervento del 1902 nel quale Formiggini lamentava l’as- senza nel nostro paese di un « insegnamento critico » delle religioni nonostante gli sforzi di Gaetano Negri, David Ca- stelli, Raffaele Mariano, Alessandro Chiappelli e, soprat- tutto, di Baldassarre Labanca, pur avvertendo che il desi- 16 A.F. Formiggini, Parole in libertà, cit., pp. 137-138. 1 A.F. Formiggini, Parole in libertà, cit., p. 136. 159 Il fascismo e il consenso degli intellettuali derio di una ripresa degli studi storico-religiosi « non deve essere interpretato come l’efflorescenza di un sentimento nostalgico verso un passato mistico per me e per altri molti ‘ormai superato » !. Richiamandosi cosî alla concretezza degli ideali terreni — aliena, più che in uomini a lui vicini, come Ernesto Buonaiuti o Guglielmo Quadrotta, da asce- tismi medievali e da ogni forma di spiritualismo —, Formig- gini seguîf con interesse quel parziale sviluppo di una « scienza delle religioni » che si ebbe in Italia fra la fine dell’ottocento e l’inizio del nuovo secolo, ad opera inizial- mente di studiosi non cattolici e sulla base di quella « iden- tificazione fra idee teologiche e religiose e pensiero » che divenne « tradizionale negli studi storici italiani dai tempi del Tocco e del Labanca in poi » !. Frequentando i corsi di lettere e filosofia dell’università di Roma nel 1902-1903 (conseguirà poi la seconda laurea in filosofia morale a Bologna), Formiggini fu infatti attento soprattutto alle lezioni di storia del cristianesimo di La- banca, critico di ogni dogmatismo e — almeno nelle inten- zioni — del misticismo, in nome di un Dio concepito come ragione e coscienza ”. Meno avvertibile risulta la traccia dell’insegnamento romano di Antonio Labriola, anche se proprio alla trascri- zione di Formiggini dobbiamo la conoscenza del suo corso di filosofia della storia del 1902-1903 Sul materialismo sto- rico, e se fu proprio il futuro editore a portare il saluto degli universitari italiani alla salma del « buon Maestro » ?. I 18 La coltura religiosa in Italia, Modena, Forghieri e Pellequi, 1902. 19 D. Cantimori, Storici e storia, Torino, Einaudi, 1971, p. 320; un ‘accenno ai legami di Formiggini con Labanca e Quadrotta in P. Scoppola, Crisi modernista e rinnovamento cattolico in Italia, Bologna, il Mulino, 1961, in particolare pp. 35 e 317. 20 Cfr. le notazioni di G. Gentile, Storia della filosofia italiana, a cura di E. Garin, Firenze, Sansoni, 1969, vol. II, p. 218. 21 «Tu, buon Maestro, ti servivi della mia voce per trasmettere il tuo pensiero alla scuola » (« Corda Fratres », n.s., III (1904), n. 3, p. 113). Allieva di Labriola fu anche la moglie di Formiggini, Emilia Santa- maria, la cui tesi di laurea su Le idee pedagogiche di Leone Tolstoi fu pubblicata nel 1904 da Laterza con una breve prefazione di Labriola (ora in A. Labriola, Scritti politici 1886-1904, a cura di V. Gerratana, Bari, Laterza, 1970, pp. 508-509). 160 A.F. Formiggini: un editore tra socialismo e fascismo suoi « maestri » dell’università di Roma dovettero comun- que contribuire a rinsaldare quello spirito democratico — di matrice, ripetiamo, pit etico-religiosa che politica — al quale è improntata l’attività svolta da Formiggini, nel 1902-1904, come console e poi presidente della sezione ita- liana dell’associazione internazionale studentesca Corda Fratres, di stampo radical-massonico, che si proponeva di raggiungere amore e fratellanza fra tutti i popoli e le classi prescindendo dalla politica ”. All’interno dell’associazione Formiggini si batté infatti contro le tendenze che ne inter- pretavano le finalità in chiave nazionalistica, sviluppando le sue convinzioni soprattutto a proposito del movimento sionista: « secondo me, e vorrei che cosî fosse — scriveva nel 1903 a commento del sesto congresso sionista di Basi- lea —, molti di quelli che in Italia hanno aderito al sioni- smo, non furono spinti dal sentimento di solidarietà di razza, ma da quello molto più ampio e liberale di solidarietà umana. Per costoro non dovrebbero aderire al sionismo gli ebrei soltanto, ma anche tutti quelli che hanno il pensiero sufficientemente evoluto per riconoscere che ad ogni uomo, indipendentemente dalla razza cui appartenga e dalla fede che professi, deve esser riconosciuto il diritto alla vita ed alla dignità umana » ?. Concetti che saranno letteralmente ripresi nel '38 per negare ogni fondamento all’antisemiti- smo, che avrebbe potuto essere meglio combattuto e vinto ove il sionismo fosse rimasto una corrente umanitaria, senza trasformarsi in un movimento nazionalista inteso a « rico- struire la potenza politica d’Israele » *. Questo ideale etico-umanitario veniva ribadito da For- miggini, assieme a preoccupazioni per l’insorgere delle cor- renti irrazionalistiche e idealiste, in una recensione del 1907 a L’anarchia del modenese Ettore Zoccoli nella quale, dopo aver condiviso il giudizio dell’autore sulle « teorie immo- rali e antigiuridiche » degli anarchici, lo rimproverava di 22 Non era ancora un'associazione puramente « corpotativa », come apparirà negli anni venti a Giorgio Amendola (Una scelta di vita, Milano, Rizzoli, 1976, p. 94). 23. « Corda Fratres », n.s., II (1903), n. 1, p.9. 2% A.F. Formiggini, Parole in libertà, cit., pp. 50-52. 161 Il fascismo e il consenso degli intellettuali non aver mostrato « la efficacia, per quanto indiretta e non voluta, che ha avuto l’anarchia per sospingere l’umanità verso un’era di giustizia sociale, di libertà politica e reli- giosa e di universale affratellamento », e aggiungeva: Dobbiamo ad ogni modo auguratci che la crisi che sta attraver- sando il pensiero filosofico contemporaneo, il quale, mosso appunto dalla preoccupazione etica, si è già annunciato come una vivace rea- zione contro la filosofia della seconda metà del secolo XIX, si possa risolvere, non in un ritorno a forme mistiche, la cui inconsistenza è già stata provata dall’esperienza storica, ma in una confortante e serena consacrazione di una morale intesa come necessità imprescin- dibile della vita: necessità non d’ordine logico né d’ordine fisico, ma però tale da avere rispetto alla vita delle coscienze: quello stesso imperio assoluto che hanno le necessità logiche per il pensiero e le necessità fisiche per tutto l’ordine meraviglioso della natura 3. Dove sono espressi sinteticamente non solo la conce- zione ottimistica del progresso e l’ideale di conciliazione di quei « positivisti in crisi » che graviteranno attorno alla casa editrice di Formiggini, ma anche il senso di un assedio che si andava stringendo da parte degli idealisti. Ben diver- so, quasi contrapposto, era il giudizio sull'opera di Zoccoli formulato nel 1908 da Benedetto Croce, che la considerava moralistica (mentre « una teoria filosofica sarà esatta o sba- gliata, ma non mai morale o immorale ») e, da osservatore apparentemente distaccato, ne traeva spunto per notare nell’affermarsi di tendenze sindacaliste rivoluzionarie contro il riformismo socialista l’influenza dell’anarchismo, che « forse [...], considerato nel suo insieme, giova a mante- nere quel sentimento di scissione tra il proletariato e la borghesia, che i teorici del sindacalismo stimano indispen- sabile al progresso sociale » ; lo stesso Croce che proprio nel 1908, in un momento decisivo dello scontro col positi- vismo, bandiva dal vocabolario di « coloro i quali anelano a un risveglio della filosofia e della cultura, salutare alla patria italiana », i termini di « tolleranza » e « temperan- za », sinonimo, quest’ultimo, di « debolezza, incapacità di 3 « Rivista italiana di sociologia », XI (1907), pp. 337-338. % «La Critica », VI (1908), fasc. II, pp. 140-141. 162 A.F. Formiggini: un editore tra socialismo e fascismo sintesi, tendenza alla combinazione e conciliazione estrin- seca, che porta ad affermare cose tra loro ripugnanti, ha paura delle opinioni della gente volgare, cerca di non sve- gliare opposizioni, e rifugge dai partiti che richiedono riso- lutezza e responsabilità » 7. 2. Positivisti, modernisti, socialisti La fisionomia alla quale la casa editrice rimarrà sem- pre fedele venne definendosi nel giro di pochi anni, tan- to che già nel 1914 Serra, tracciando i caratteri distin- tivi dei due editori-tipo italiani, Laterza e Treves, espres- sione il primo del « libro di cultura » e, il secondo, di quello « di bella letteratura », ma con la tendenza sempre più marcata « a entrar nel campo della cultura », poteva anno- verare in quest’ultima categoria le edizioni Formiggini, di cui metteva in evidenza le « intenzioni brillanti » e « un certo decoro » ”. Notevole rilievo ebbero infatti anche le collane lette- rarie, significative di una scelta e di un gusto: i « Poeti ita- liani » si apre nel 1910 con le Odi di Massimo Bontempelli — uno degli autori pi cari a Formiggini, fino alla rottura scoppiata nel 1930? —, proprio in quell’anno schieratosi nella « polemica carducciana » con Ettore Romagnoli con- tro Croce e Prezzolini in difesa della critica di tipo lettera- rio contro quella di impianto filosofico, e annovera altri poeti che inseguono il modello del « grande artiere » di Carducci con accenti tenui ed eleganti, come Francesco Chiesa, Francesco Pastonchi e Severino Ferrari (ma c’è anche Pirandello, che ritornerà con Liolà); e grandissima fortuna ebbero i « Classici del ridere » — cui Formiggini af- fiancò la raccolta « Casa del ridere » — ”, che raccogliendo 2 B. Croce, Il risveglio filosofico e la cultura italiana, in Cultura e vita morale, Bari, Laterza, 19553, pp. 29-32. 2 _R. Serra, Le lettere, in Scritti letterari, morali e politici, a cura di M. Isnenghi, Torino, Einaudi, 1974, pp. 369-370. 2 Cfr. Bontempelleide, con interventi di Formiggini e Fernando Pa. lazzi, in «L’Italia che scrive », XIII (1930), p. 314. 3 Cfr. gli interventi di E. Manzini ed E. Milano in A. F. Formiggini 163 Il fascismo e il consenso degli intellettuali testi italiani e stranieri, riflettono l’utopistica speranza del- l’editore che l’« universale fusione di spiriti che deve essere la meta costante di ogni più alta manifestazione di civiltà, sarà affrettata di altrettanto di quanto l’affrettarono la mac- china a vapore e il telegrafo » ®. L’impronta culturale e ci- vile della casa editrice è data tuttavia dal largo spazio accor- dato ad argomenti filosofici, pedagogici e religiosi, con un orientamento che, se difficilmente può essere definito in positivo, può essere considerato schematicamente come espressione di gruppi non-idealisti. Positivisti e modernisti di varie venature, e spesso di orientamento politico socialista e socialisteggiante, contrad- distinsero le origini della casa editrice, che continuerà ad annoverarli tra i suoi collaboratori anche quando le convin- zioni di alcuni si vennero modificando sensibilmente (ma altri si aggiunsero, come Giuseppe Rensi e Adriano Tilgher, nel momento del loro distacco dall’idealismo). I nomi di Achille Loria e Alessandro Levi, di Emilia Formiggini San- tamaria e Giuseppe Tarozzi, di Ernesto Buonaiuti e Felice Momigliano, ricorrono con frequenza, anche per l’intero trentennio di vita delle edizioni Formiggini, a conferma di una scelta e di una adesione non casuali. Sui gruppi positivisti di questi anni, di filosofi e peda- gogisti in particolare, come sui vari filoni modernisti e sui loro esiti, sono state scritte pagine illuminanti che hanno colto gli itinerari di ciascuno sotto l'impatto del neoidea- lismo *. Restano tuttavia da verificare le convergenze e le alleanze che, contro lo stesso nemico, si stabilirono tra cor- renti e uomini per vari aspetti spesso culturalmente e politi- camente diversi e distanti, e che videro seguaci di Ardigò, neokantiani e fautori di un rinnovamento della chiesa — laici e religiosi, mistici e razionalisti — confluire insieme a combattere per la loro sopravvivenza, uniti solo, nel co- mune disorientamento, da condanne idealiste o pontificie. editore (1879-1938). Mostra documentaria, Modena, S.T.EM. Mucchi, 1980 5 A.F. Formiggini, Trenta anni dopo, cit., 2 E. Garin, Cronache di filosofia Sialiona: ‘1900. 1943, Bari, Laterza, 1966, capp. LV. 164 A. F. Formiggini: un editore tra socialismo e fascismo Di questi e altri accostamenti, come quello tra socialismo e religione in cui si impegnarono ad esempio Alfredo Poggi e Felice Momigliano, sono documento evidente proprio le edizioni Formiggini. E forse a molti collaboratori della casa editrice può essere esteso il giudizio che è stato espresso per Momigliano: « Profetismo, Mazzini, socialismo rima- sero per Felice tre nozioni difficilmente separabili. La puri- ficazione dell’ebraismo, il rinnovamento spirituale d’Italia e lo stabilimento della giustizia sociale in Europa erano nella sua mente tre aspetti di un problema solo » ®. Un vivo senso della nazionalità e un vago socialismo sconfi- nante nel populismo borghese e inteso come prosecuzione della democrazia risorgimentale sono infatti le caratteristi-. che di uno dei più assidui collaboratori di Formiggini, Ales- sandro Levi *, e si ritrovano in molte delle iniziative del- l’editore modenese. Nelle collane di saggistica si possono comunque indivi- duare tre filoni principali di interesse: quello religioso, pre- sente ovunque ma che per un certo periodo ebbe il suo posto privilegiato nella « Biblioteca di varia coltura » dove nel 1911 usci il Mosé e i libri mosaici dell’ex prete moderni- sta Salvatori Minocchi — in questo momento convinto che « il futuro cristianesimo ha da cercarsi nelle vie del sociali- smo » * —; quello pedagogico, che vide l’intervento assi- duo di Emilia Formiggini Santamaria con studi storici è didattici ispirati alle teorie di Fròbel ed ebbe un punto di riferimento costante — non solo nel 1910-1913 quando. fu pubblicata dall’editore modenese — nella « Rivista pe- dagogica », l’organo dell’Associazione nazionale per gli studi pedagogici fondato nel 1908 da Luigi Credaro e che, 33 A. Momigliano, Felice Momigliano 1866-1924, ora in Terzo contri- buto alla storia degli studi classici e del mondo antico, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 1966, p. 844. Di Poggi cfr. Socialismo e religione. Modena, Formiggini, 1911, e, sull’autore, la voce di M. Torrini in F. Andreucci - T. Detti, Il movimento operaio italiano. Dizionario biogra- fico 1853-1943, vol. IV, Roma, Editori Riuniti, 1978. % Cfr. le osservazioni di Piero Treves nel numero speciale di « Cri- tica sociale » dedicato a Levi (gennaio 1974, pp. 41-45). 35 Cit. da A. Agnoletto, Salvatore Minocchi, vita e opera (1869-1943); Brescia, Morcelliana, 1964, p. 191. 165 Il fascismo e il consenso degli intellettuali seppur influenzato dall’herbartismo del futuro ministro della pubblica istruzione, fu aperto ai collaboratori delle più varie tendenze (da Colozza a Calò, da Varisco alla Formig- gini Santamaria) *. Il terzo filone, e forse il più significativo perché comune denominatore anche degli altri, fu rappre- sentato da un generico interesse per i temi filosofici, mu- tuato dalla Società filosofica italiana e dalla « Rivista di filosofia » attenta, del resto, anche alle problematiche reli- giose e pedagogiche. L’inizio dell’attività di Formiggini è infatti stretta- mente connesso con la fase di riorganizzazione della Società filosofica italiana, di orientamento prevalentemente (anche se vagamente) positivista, apertasi nel settembre 1907 — in concomitanza con l’intensificarsi del programma culturale di Croce e di Gentile attorno alla casa editrice Laterza — con il congresso di Parma della società. In questa sede fu deliberata — in vista di « una degna affermazione dell’atti- vità filosofica italiana » al terzo congresso internazionale di filosofia di Heidelberg — la preparazione di quel Saggio di una bibliografia filosofica italiana che, compilato da Ales- sandro Levi con la collaborazione di Bernardino Varisco e, per la parte pedagogica, di Emilia Formiggini Santamaria, apparve nel 1908 per i tipi di Formiggini e fu giudicato da Gentile la prima manifestazione di « qualche cosa di con- creto e di utile agli studi di filosofia » da parte della Società filosofica ’. Il Saggio inaugurò la « Biblioteca di filosofia e di pedagogia » che accolse, oltre agli atti dei congressi della società, scritti della Formiggini Santamaria, I/ materialismo storico in Federico Engels di Rodolfo Mondolfo — di cui è possibile cogliere l'origine tormentata nelle lettere dell’au- tore all’editore * —, e altri testi in cui l'impronta antiidea- 3% Cfr. D. Bertoni Jovine, La scuola italiana dal 1870 ai giorni nostri, Roma, Editori Riuniti, 19672, pp. 109-112. 37 « La Critica », VII (1909), fasc. I, p. 69. 38 « Attendo presentemente a un lavoro su La filosofia del comunismo critico. Una parte di questo, I/ materialismo dialettico e il materialismo storico di F. Engels spero averla pronta entro brevissimo tempo », scri- veva Mondolfo il 18 aprile 1909 proponendone la pubblicazione. Ma ancora il 28 febbraio 1911 confessava: « La parte che ancora rimane per il termine del lavoro io l’avevo molto tempo addietro abbozzata e in 166 A.F. Formiggini: un editore tra socialismo e fascismo lista è, almeno prima della guerra, ben documentabile. Se meno precisamente definibile è la posizione di Ludovico Limentani, assertore del metodo positivo ma aperto alle istanze idealistiche, che pubblica due volumi (I presupposti formali dell'indagine etica del 1913, e La morale della sim- patia del 1914) in cui, come in tutta la sua opera, è filosofi- camente argomentato e approfondito l’ideale stesso di For- miggini, in quanto l’autore fa l’« esaltazione, sul piano poli- tico-sociale, del diritto ad esistere di ogni spinta ideale, che scenda a collaborare sul piano della concreta discussione con le altre idealità » *; assai netta è, nel 1913, la posizione di Erminio Troilo, seguace del pensiero ardigoiano e uno dei più continui collaboratori della casa editrice, che pre- sentando le Pagine scelte di Ardigò lancia un violento atto d’accusa contro idealisti e pragmatisti, in una difesa patetica di quella cultura positivista che stava scomparendo: « Sin- ceramente, — scriveva — chi scorra senza spirito di parte o di setta e senza quel vanissimo orgoglio di superfiloso- fismo che è oggi venuto di moda, e che infuria, talora con veri accessi di epilessia metafisica e pit spesso con inqua- lificabile volgarità, specialmente, si capisce, contro il posi- tivismo, le pagine che il Gentile e l’Orano, il Papini e, ultimo venuto, il De Ruggiero hanno, bontà loro, dedicato a Roberto Ardigò, dovrà convenire che non mai parzialità e superficialità, trivialità e accanimento hanno intessuto una trama di più fatue leggerezze e di più dolorose malizie, intorno ad un uomo e ad un pensatore che ha pur il diritto di vivere e di pensare; mentre quei critici stessi si svociano parte stesa in una forma però che, essendo stato poi da me modificato tutto il piano del lavoro, non può più affatto andare. È dunque da rifar da capo [...] bisogna che torni a rivivere il mio tema ». Finalmente 1°11 ottobre dello stesso anno poteva annunciare: «Ho scritto l’ultima car- tella »; ma i dubbi non erano finiti, se il 22 gennaio 1912, approfittando della necessità di cambiare il frontespizio del volume per il trasferimento dell'editore da Modena a Genova, Mondolfo suggeriva di togliere dal titolo « Il materialismo dialettico » lasciando le parole « Il materialismo storico », « che costituiscono la parte più importante e interessante del titolo ». (Archivio editoriale Formiggini presso la Biblioteca Estense di Modena [d”ora in avanti AF], Mondolfo). 39 E. Garin, I/ pensiero di Ludovico Limentani, in « Rivista di filo sofia », XXXVIII (1947), p. 199. In/ Il fascismo e il consenso degli intellettuali e si sbracciano ad osannare i pretenziosi ma altrettanto inconcludenti fra professori e conferenzieri di marca tedesca e anglo-americana, e francese, i cui nomi sono ormai sulle bocche di tutti; o i più ciarlatani, tipo Sorel; o pit insulsi tra gli affiliati nostrani della congrega hegelianoide » * Fuori collana apparvero altri testi filosofici, di particolare rilievo i primi due volumi degli Scritti di Carlo Michael- stidter (1912-1913); non andò in porto, invece, la pro- posta di Levi di pubblicare gli scritti di Vailati, avanzata subito dopo la morte di questi, nel luglio 1909 *. Questi contributi erano il frutto di un rapporto diretto con la « Rivista di filosofia », l’organo della Società filo- sofica italiana sorto nel 1909, sempre per i tipi di Formig- gini, dalla fusione della « Rivista di filosofia e scienze affini » di Giovanni Marchesini con la « Rivista filosofica » fondata da Carlo Cantoni; e che non si trattasse di un rap- porto puramente tecnico o commerciale, è dimostrato dalla notevole consonanza di accenti tra la rivista e tutta l’atti- vità della casa editrice. Non costituiamo una scuola; siamo una collezione d’uomini, unit: dal comune amore della verità, ma che non abbiamo tutti lo stesso concetto di quello che la verità sia [...]. Ma tutti siamo persuasi che, per arrivare a « conoscere la verità » e a « farla trionfare », la discus- sione seria de’ problemi, sotto ciascuno de’ loro aspetti, sia l’unico mezzo possibile: un mezzo che, prima o poi, ci farà conseguire il fine desiderato £: cosi dichiaravano nel 1909 i redattori della rivista criti- cando il programma della « Rivista di filosofia neo-scola- stica » che si diceva « espressione dei pensamenti di una scuola determinata ». Questo vago « amore della verità » era il segno, più che della « temperanza » combattuta da Croce e dai neoscolastici, di uno sbandamento e di una de- bolezza di fondo, appena mascherati da un ottimismo inge- nuo e perdente, data l’indeterminatezza del « fine » da rag- 4 R. Ardigò, Pagine scelte, a cura di E. Troilo, Genova, Formiggini, 1913, pp. PED 4 AF, 4 « n di filosofia », I (1909), n. 2, p. 151. 168 A. F. Formiggini: un editore tra socialismo e fascismo giungere: un « amore della verità » tale non solo da provo- care il rapido manifestarsi di contrasti interni alla redazione tra i due gruppi di Pavia e di Padova, ma anche da permet- tere che già nel 1910 padre Gemelli venisse accolto fra i membri della società. E tuttavia il programma dei fonda- tori, inteso a dare all’Italia « una rivista autorevole aperta ugualmente a tutte le opinioni e perciò adatta a chiarire le profonde ragioni ideali, da cui le scuole filosofiche trag- gono origine », introduceva subito sintomatiche puntualiz- zazioni: la patria nostra, risorta da cinquanta anni ad unità di nazione, vuole rivendicare le alte tradizioni del suo pensiero che informa tutta la cultura e la vita moderna. Infatti, dobbiamo costantemente ricordare che naturalismo ed umanismo, i due atteggiamenti fondamentali della speculazione euro- pea, sorgono ugualmente col rinascere degli studii per opera del genio italiano, universale e concreto; sicché tutta la filosofia posteriore può rannodarsi ai nomi di Galileo e di Vico, che ne simboleggiano gli spiriti. Da questi eroi tragga incitamento ed auspicio la nuova filosofia che deve ravvivare l’opera e la coscienza ideale degli italiani! In realtà, nonostante l’auspicio che sulle sue pagine « tutti gli indirizzi del pensiero filosofico trovassero libera espressione » ‘, e i passi compiuti in questo senso verso i circoli di filosofia di Roma e di Firenze di tendenze preva- lentemente idealistiche *, la rivista diretta da Faggi, Juval- ta, Levi, Marchesini, Vailati (sostituito dopo la morte da Calderoni e Troilo), Valli e Varisco — ai quali si aggiun- geranno in seguito Annibale Pastore (1917) e Buonaiuti (1918) — risultò voce di « positivisti » il cui eclettismo trovò un limite di fronte all’idealismo. Ci sembra assai valido — ed estensibile alla casa editrice — il giudizio di Santino Caramella, per il quale la rivista accoglieva 4 Ibidem, 1 (1909), n. 1, p.4. 4 I due circoli aderirono alla Società filosofica nel corso del 1909, ma nel gennaio 1910 quello di Firenze ritirò la propria adesione tramite il suo segretario Giovanni Amendola: fra il Circolo e la Società, dichia- rava, « non esiste affinità alcuna, né di scopo, né di tendenze, né di me- todi d’azione » (« Rivista di filosofia », II (1910), n. 1, p. 128). 169 Il fascismo e il consenso degli intellettuali tutti, « dal neopositivismo del Troilo all’hegelismo del Losacco, dal misticismo del Rensi al fichtismo del Til gher e del Ravà, dall’ardigioianesimo al neokantismo — e chi più ne ha più ne metta, ogni indirizzo poté salire in tri- buna. Ma non per questo cessava la intolleranza verso gli intolleranti di questa amorfa tolleranza: il Croce, il Gen- tile restarono sempre i maligni avversari che avevano gua- stato l’Eden filosofico: e specialmente i positivisti ebbero cura di non lasciar mai spegnere il fuoco della battaglia » *. Possiamo aggiungere, a integrazione del quadro solo in negativo fornito da Caramella, l’esplicita connessione di in- teressi filosofici e religiosi — ne è testimonianza anche l’in- gresso nella redazione di Buonaiuti, subito impegnato a confutare sulle pagine della rivista la pretesa gentiliana di individuare in Vico un precursore dell’attualismo 4 — e l'insistenza sul « genio italiano » che, pur senza assumere fin dall’inizio precisi connotati nazionalistici — come cer- cherà invece di far intendere Troilo nel 1918 —, era indice di una chiusura nei confronti del pensiero contem- poraneo non italiano. È un aspetto, questo, che risalta con forza ove si con- frontino i « Classici della filosofia moderna » che Croce ini- ziò nel 1907 per Laterza con l’Enciclopedia di Hegel, e l’iniziativa formigginiana dei « Filosofi italiani », la colle- zione promossa dalla Società filosofica italiana e diretta da Felice Tocco. Le differenze, naturalmente, non sono segnate solo da confini geografici, pur importanti. Il fatto è che, come riconosceva e paventava la stessa « Rivista di filoso- fia » *, il programma crociano si proponeva la valorizza- 45 S. Caramella, Le riviste filosofiche italiane nell'ultimo quarto di secolo, « La Cultura », IIl (1924), p. 552. # E. Buonaiuti, Il carattere storico della filosofia italiana, in « Rivista di filosofia », X (1918), pp. 58-60. 47 In « L'Italia che scrive », I (1918), p. 6. 48 Recensendo positivamente — per l’accesso diretto alle fonti che offrivano — i « Classici della filosofia moderna », Michele Losacco osser- vava: « È ben difficile «creare un movimento speculativo che lasci tracce profonde, se l’ambiente in cui si lavora non è sufficientemente preparato ad intenderlo; ne fu prova non dubbia l'indirizzo idealistico, promosso a Napoli da Bertrando Spaventa, e che non trovò il meritato seguito, perché si concentrò in alcuni pochi spiriti, solitari e incompresi. Ora ogni nuovo 170 A. F. Formiggini: un editore tra socialismo e fascismo zione di una linea di pensiero che assegnava all’Italia un ruolo centrale con Spaventa, De Sanctis, Labriola e Croce, ma era tanto pi forte in quanto riproposta attraverso una determinata lettura di Vico, di Kant e di Hegel, mentre Tocco si preoccupava di riportare alla luce soprattutto la filosofia della Rinascita [che] è nella maggior parte italiana, come italiano è quel movimento umanistico che la promosse. E questo periodo cosi arruffato della speculazione, che in mezzo al rifiorire della scienza e della medicina antica, in mezzo al ripullulare dell’an- tica magia alchimia ed astrologia prepara l’avvento della nuova scienza e della coscienza nuova, merita di essere studiato . Ben diversa da quella di Croce e Gentile fu anche la capacità di promozione della Società filosofica italiana: bastò la morte di Tocco, nel 1911, a impedire che avesse seguito, dopo i primi due volumi del De rerum natura di Telesio curati da Vincenzo Spampanato la proposta avan- zata in prima persona dall’editore modenese al terzo con- gresso della società (Roma, ottobre 1909), e da questa assunta in proprio con l’impegno del suo presidente di « dare ogni aiuto possibile », di « raccogliere in una accu- ratissima edizione i testi critici dei maggiori filosofi italiani, per rendere accessibili a tutti le opere meno agevolmente ostili e più importanti per la storia del pensiero nazio- nale » ”, e serio conato speculativo, come fu, per esempio, quello della Rinascenza, presuppone sempre lo studio e il riconoscimento delle migliori tradizioni filosofiche, e nazionali e straniere, da cui deve trarre la ragion d’essere e l’ispirazione » (« Rivista di filosofia », I (1909), n. 3, pp. 102-104). 4 Prefazione di Tocco al vol. I del De rerum natura di Telesio (Mo- dena, Formiggini, 1910). 5 Cfr. anche E. Garin, Per un'edizione dei filosofi italiani, in « Bol- lettino della Società filosofica italiana », n.s., ottobre-dicembre 1971, n. 77, p. 67. Perché la direzione dei « Filosofi italiani » fosse affidata a Tocco intervenne Croce, come si ricava dalle sue lettere a Formiggini e dal suo commento al congresso di Roma, in cui dichiarò « in piena liquidazione » il positivismo (ora in Pagine sparse, Bari, Laterza, 19602, vol. I, p. 330). Contro le « fauci ingorde » di Formiggini, che per l’edizione di Telesio avrebbe cumulato i contributi finanziari del Comitato telesiano di Cosenza e dello Stato, cfr. lo sfogo di Gentile nella lettera a Croce del 6 ottobre 1910 (G. Gentile, Lettere 4 Benedetto Croce, a cura di S. Giannantoni, vol. IV, Firenze, Sansoni, 1980, p. 58); I'8 gennaio 1911 Gentile scriveva a Croce degli « spropositi vergognosi » presenti nella prefazione di Spam- panato (ibidem, p. 80). 171 1 fascismo e il consenso degli intellettuali 3. Intenti divulgativi Accanto a una cultura in varia misura positivista che si organizza sul piano accademico che è proprio della « Rivista di filosofia » — e anche su questo terreno sarebbe da valutare la « resistenza » opposta dai positivisti al neo- idealismo, testimoniata dalle lagnanze ricorrenti nelle let- tere di Croce, Gentile, Omodeo —, è da segnalare la « vocazione » illuministica di questi gruppi a farsi educa- tori di masse le più larghe possibili. Se l’idealismo incontrò forti limiti ad una sua penetrazione o « traduzione » popo- lare, ciò non si dovette solo a sue carenze originarie o éli- tari rifiuti, ma anche all’esistenza di una cultura media o « popolare » resa impermeabile alla sua influenza da prece- denti incrostazioni di segno diverso o contrario, depositate lentamente — attraverso periodici, università popolari o certe collane, non solo di istruzione tecnica o di lettera- tura d’appendice — ad opera dei positivisti che avverti- vano « il dovere di divulgare tra il “popolo” quella scienza che consideravano parte integrante della realtà », fiduciosi « che individui appartenenti a ogni strato sociale potessero rispondere al richiamo illuminante e liberatore della verità, la stessa verità in cui essi credevano » " Alla divulgazione erano appunto rivolti, come altre iniziative contemporanee e sulle orme della « Biblioteca del popolo » di Sonzogno, i « Profili » di Formiggini, nati nel 1909 con l’intento di soddisfare « il più nobilmente possi- bile alla esigenza caratteristica del nostro tempo, di voler molto apprendere col minimo sforzo » *. E non a caso « Cri- tica sociale » la giudicava già nel 1910 una « utilissima colle- zione » ®. Alla tendenza allora predominante di dare una immagine del passato o del presente attraverso singole figure di protagonisti — gli « eroi » di cui parlava la « Rivi- sta di filosofia » nella sua pagina d’apertura, gli uomini sim- boli di un’epoca su cui era costruita la prima storia del 51 M.G. Rosada, Le università popolari in Italia 1900-1918, Roma, Editori Riuniti, 1975, p. 169. 2 A.F.F , Trenta anni dopo, cit., 53 V. Osimo, ‘arlo Porta, in « Critica i ; XX (1910), p. 368. 172 A. F. Formiggini: un editore tra socialismo e fascismo socialismo tentata da Angiolini e Ciacchi — si ispirarono numerose collezioni, la più nota ed aulica di tutte, ma di breve durata, quella dei « Contemporanei d’Italia » intra- presa nel 1909 da Ricciardi sotto la direzione di Prezzolini; ma fu soprattutto Formiggini a preoccuparsi di divulgare i suoi « Profili » attraverso le biblioteche popolari, « queste istituzioni — scriveva presentando la collana — che stanno ora sorgendo e moltiplicandosi e che saranno i focolai donde uscirà la dignità nuova e la nuova fortuna della patria », rivolgendosi in particolare al mondo della scuola*. E i « Profili » raggiunsero un pubblico per quei tempi molto va- sto: uno dei primi titoli, il Ges di Labanca, di cui nel 1918 fu stampata la terza edizione, solo nella prima (del 1910) ebbe una tiratura di 2.500 copie 5. Nel 1914, nel capitolo de Le lettere dedicato alla « critica letteraria », Serra faceva un bilancio delle collane comprendenti « l’essaî dedicato a una questione o a una figura », e annotava: Ne abbiamo parecchie: i Profili, i Contemporanei, gli Uomini d’Italia, i moderni, gli antichi e che so io. Ma o si sono arrestate, 0 han dato la solita roba; conferenze da una parte, e dall’altra tesi e avanzi di corsi scolastici, che non riescono a fare il libro. L’unica serie che va avanti bene è quella dei Profili; appunto perché il suo modulo, anche materialmente, modesto e facile da riempire, si im- pone alla personalità degli autori con una certa economia necessaria di notizie e di disegno, che non lascia posto a digressioni o erudi- zioni o analisi, come dicono, originali. Potrebbe parere un difetto; ed è, tra noi, una fortuna. Senza dire che anche in quei limiti si pos- sono ottenere cosette buone; per un esempio, l’Esiodo del Setti o il Bodoni del Barbera *. La mancanza di originalità di questa produzione non impediva tuttavia che essa avesse un taglio preciso per gli autori o i biografati prescelti. Anche se il criterio della % Illustrando sulla « Rivista di filosofia » un suo progetto sull’istitu- zione di biblioteche per gli studenti delle scuole medie, già accennato al congresso per le biblioteche popolati di Roma nel dicembre 1908, Gio- vanni Crocioni affermava: «Non vi mancheranno le opere d’arte, le vite di uomini insigni, le edizioni popolari; vi troveranno, ad esempio, luogo opportuno i Profili che il nostro coraggioso e geniale editore vien pub- blicando con fine gusto di arte » (I (1909), n. 3, p. 88). 55 AF, Labanca. 5% Serra, op. cit., p. 459 n. 173 Il fascismo e il consenso degli intellettuali competenza suggeri in un primo tempo a Formiggini di rivolgersi a Croce e poi a Gentile per il ritratto di Hegel, a Papini per quello di Sarpi o a Prezzolini per Baretti — contatti che non ebbero poi esito positivo —, gli autori dei « Profili » furono e rimarranno in maggioranza esponenti di ambienti positivisti o modernisti, e spesso « toccati » dal materialismo storico. Per i personaggi-chiave, dove le « di- gressioni » erano pit facili e significative, troviamo Achille Loria autore del Malthus del 1909 — « uno dei più ricer- cati della mia fortunata collezione », gli scriveva Formig- gini nel 1914” — che raggiunse nel 1923 la quarta edi- zione, dei ritratti di Marx (1916) e Ricardo (1926); Giu- seppe Tarozzi con Rousseau (1914), Ardigò (1928) e So- crate (1932) ed Erminio Troilo con Telesio (1910), Bruzo (1918) e Kaxt (1924); Baldassarre Labanca con Ges# di Nazareth (1910), Felice Momigliano con Tolstoi (1911) e Buonaiuti con una lunga serie di ritratti, dal 1917 al 1926: Sant'Agostino, San Girolamo, Sant'Ambrogio, San Tom- maso, San Paolo, Gest il Cristo (che sostituî il profilo di Labanca) e San Francesco; Corrado Barbagallo tracciò i profili di Giuliano l’Apostata (1912) e Tiberio (1922), mentre Concetto Marchesi delineò quelli di Marziale (1914), Giovenale e Petronio (1921). Alcune, poche « concessioni » del periodo fascista non alterarono le caratteristiche originarie della collezione, che accanto alle figure principali della letteratura italiana e stra- niera dava largo spazio — più di quanto ne concedessero la « Collana biografica universale » delle edizioni Quattrini di Firenze o i « Pensatori celebri » e i « Pensatori d’oggi » del- la milanese Athena — ad esponenti del pensiero filosofico- scientifico (Telesio, Bruno, Galileo, Newton, Lavoisier, Morgagni) e ai pensatori dell’ottocento cari alla genealogia positivistica e socialista (Malthus, Darwin, Marx, Lombro- so, Ardigò). Mentre per meglio esaltare la dottrina di Darwin l’au- tore del suo ritratto, il naturalista Alberto Alberti, rite- neva necessario fissare fin dall’inizio le fattezze del biogra- 5? AF, Loria. 174 A.F. Formiggini: un editore tra socialismo e fascismo fato (« cupola immensa il cranio. Dentro, un cervello che come quello di Volta e forse come quello di Leonardo, non pesava meno di due mila grammi »), convinto, in base a un ingenuo positivismo, che i tratti fisici « giovano a far intendere come per la larga, possente grandiosità del lavoro intellettuale compiuto da Darwin ben occorresse anche una struttura fisica non diversa ma più vigorosa di quella onde è congegnata la moltitudine degli uomini » *; l’autorevo- lezza delle biografie di Malthus e di Marx è affidata al loro autore, quell’Achille Loria tanto disprezzato da Labriola e da Gramsci, ma che rimane pur sempre, come è stato sotto- lineato di recente, « una figura rappresentativa dell’età del positivismo evoluzionistico e del nascente movimento socia- lista » alla quale si deve « la diffusione in Italia della no- zione di un’economia non immutabile, non governata da leg- gi esterne, ma mossa dalla lotta delle classi sociali e perciò suscettibile di evoluzione al di là dello stadio proprietario e capitalistico » ”. I giudizi e gli accostamenti di Loria non sono per questo meno disinvolti: la teoria della popola- zione di Malthus, « sorta quale teoria di regresso », se « de- bitamente svolta ed ampliata, si torce invece nella più radi- cale fra le teorie sociali. Dacché essa insegna che il flutto incessante della popolazione è il fermento irresistibile di distruzione delle forme sociali successive » 9; invece Marx, nonostante la « grandiosità michelangiolesca » del suo pen- siero, sta « di molto al disotto dei grandi maestri della scienza positiva »: « Se invero è mirabile e enorme que- sttuomo — notava Loria —, il quale riesce a contenere tutto un mondo fra le pieghe di un semplicissimo principio iniziale, e la cui vita non è pi che lo sviluppo di una equa- zione, che egli ha posta agli esordi — quanto più onesto, più leale, più scientifico il procedere di Darwin, il quale non pone principj aprioristici, ma accoglie senza preconcetti 5 A. Alberti, Carlo Darwin, Modena, Formiggini, 1909, pp. 7-8. 5? R. Faucci, Revisione del marxismo e teoria economica della pro- prietà in Italia, 1880-1900: Achille Loria (e gli altri), in « Quaderni fio- rentini », 5-6 (1976-1977), pp. 587-679. ® A. Loria, Malthus, Roma, Formiggini, 19193, p. 35. 175 Il fascismo e il consenso degli intellettuali i fenomeni nell’ordine di complessità progressiva che la vita stessa gli affaccia! » ©. La storia italiana recente era illustrata con un forte senso della nazionalità, accentuato dalla grande guerra, ma con tonalità democratiche: al ritratto dei fratelli Bandiera seguivano nel 1915-16 quello di Abba, e un Cavour di Romolo Murri che — presentato da una Lettera ai com- battenti del « capitano Formiggini » come « una potentis- sima sintesi » non solo delle concezioni dello statista pie- montese, « ma di tutte le correnti del pensiero collettivo che portarono al trionfo della idea nazionale » — si preoc- cupava di definire valore e limiti del realismo politico del biografato per dare sbalzo alla fede mazziniana (« solleci- tando, con il suo titanico ardimento, la storia ed i fatti, [Cavour] disperse, in parte, quel tesoro di energie spiri- tuali che Mazzini aveva preparato per pi lunga e pro- fonda e dolorosa opera [...] Cavour ha avuto ragione per il suo tempo, Mazzini torna ad aver ragione oggi ») ©. Elemento caratteristico della collezione formigginiana resta comunque l’ampio interesse per la storia religiosa, toccata sia attraverso le figure di Ges, di Savonarola £ e dei santi, sia per inciso nei profili degli imperatori romani che videro l’affermarsi del cristianesimo o nel ritratto dedi- cato a Tolstoj da Felice Momigliano. « Pi che l’editore, tu sei il critico degli autori tuoi », scriveva nel 1917 Marchesi a Formiggini *: e il rapporto dell’editore con gli autori di profili religiosi si rivela particolarmente stretto e franco, come nel caso di Labanca e di Buonaiuti; indice della sua diretta partecipazione è ad esempio l’affettuoso rimpro- 61 A, Loria, Carlo Marx, Genova, Formiggini, 1916, p. 61. i € R. Murri, Camillo di Cavour, Genova, Formiggini, 1915, pp. 6, 71, 73. 6 Rispetto al giudizio minimizzatore di cui sarà oggetto nell’Enciclo- pedia italiana, come abbiamo visto, Savonarola era eroicizzato nel 1912 da Alfredo Galletti come colui che «riconciliò la libertà colla religione, ravvivò negli animi il sentimento cristiano offuscato o pervertito, ordinò un governo libero e onesto sul fondamento della dignità morale », dimo- strandosi, con tutto ciò, « veramente italiano » (Gerolamo Savonarola, Roma, Formiggini, 1936, pp. 10-11). 4 AF, Marchesi. 176 A. F. Formiggini: un editore tra socialismo e fascismo vero mosso a quest’ultimo, che aveva sottolineato la con- tinuità tra ebraismo e cristianesimo: Mi sono letto il profilo del Cristo — gli scriveva il 26 marzo 1926, contemporaneamente all’uscita di Gesz il Cristo di Buonaiuti,. un titolo che Labanca aveva esplicitamente rifiutato per il suo Gesg di Nazareth — e ti confesso che non mi è piaciuto e che non piacerà. Non è il profilo del Cristo rispetto ai Farisei ma il profilo tuo ri- spetto a padre Gemelli e hai fatto senza volere un’apologia del fari- seismo che non la meritava e hai fatto del povero Cristo uno scoc- ciatore e tale forse non fu. Ho rimorso di aver fatto un corno al povero mio maestro Baldas- sarre Labanca, tu sai scrivere in modo meraviglioso, egli non sapeva scrivere ma nel suo ruvido libretto c’era pur qualche cosa che restava. in tasca a chi lo leggeva. Insomma se vieni ti parlerò di Dio, perché mi sento di poterti dare qualche utile consiglio ©. Per la loro destinazione e per lo stretto rapporto edi- tore-autori che rivelano, i « Profili » risultano quindi una guida utilissima per seguire le tematiche allora più largamen- te diffuse e gli orientamenti politici e culturali della casa edi- trice: dal giudizio formulato da Felice Momigliano su Tolstoj subito dopo la sua morte, nel 1911, che corrisponde a una diffusa « lettura » del romanziere e pensatore russo (« un distruttore ben pit radicale di Marx » 4), a quello di Francesco Losini del 1918, che al presunto carattere della rivoluzione d’ottobre — « suppellettile d’importazione » senza radici nella tradizione russa — oppone l’ammoni- mento del suo biografato, Turgenev, « a non prescindere: dalla nazionalità nella preparazione dell'avvenire della Rus- sia » ‘, fino ai mutamenti significativi che, da un’edizione all’altra, possono registrarsi nello stesso profilo. Come nel Telesio di Troilo, che nella prima edizione del 1910 si conclude con il rimprovero alla filosofia contemporanea di dare espressione al suo antiintellettualismo ricorrendo al pragmatismo — che è solo « un getto, un po’ morbido, del saldo profondo tronco antico » del « radicale empirismo 65 AF, Buonaiuti. 6 F. Momigliano, Leone Tolstoi, Modena, Formiggini, 1911, p. 61. 7 F. Losini, Ivan Turghenieff, Roma, Formiggini, 1918, pp. 11-12. 177 Il fascismo e il consenso degli intellettuali presocratico » —, laddove nella seconda edizione del 1924 termina affermando che vedere nel pensiero del cosentino l’avvio del processo che sfocierà nella dialettica trascenden- tale kantiana è « più legittimo che non fare di Bernardino Telesio qualché di simile ad un idealista assoluto » £. Anche in periodo fascista la collana cercò di mantenersi fedele all’ideale di « equilibrio » e di « conciliazione » di Formiggini: e se non mancarono concessioni alla retorica fascista, come nell’esaltazione del ricostruttore dello Stato sabaudo, Emanuele Filiberto, fatta nel 1928 da Pietro Silva, nel 1935 Alessandro Levi tracciava un profilo di Roma- gnosi, il « severo giudice dell’assolutismo » il quale nella Scienza delle costituzioni — ricordava Levi in pieno re- gime — aveva affermato che « la luce del vero e del giusto appartiene al genio onnipossente e beatificante della libertà, le tenebre dell’ignoranza appartengono al dèmone della tirannia, d’onde sorge la discordia e la distruzione degli Stati » 9. 4. Una cultura « al di sopra della mischia » Il breve e tormentato periodo del dopoguerra, fino al pieno affermarsi del fascismo, vide il massimo sviluppo del- l’iniziativa di Formiggini, e il suo tentativo di allargare l’ambito di intervento dall’editoria a più ambiziosi pro- grammi di organizzazione della cultura. Ma è proprio nel clima teso di questi anni, fortemente condizionato dal nazio- nalismo e poi dal fascismo, che egli subirà la più cocente delle sconfitte, la sconfitta di una utopia, di un ideale non ancorato a un preciso orientamento politico. Il « capitano » Formiggini aveva partecipato con entusiasmo alla guerra, «momento di doveroso lavoro per tutti », ricorderà la moglie ”. € E. Troilo, Bernardino Telesio, Modena, Formiggini, 1910, pp. 71-73; seconda edizione, Roma, Formiggini, 1924, p. 71. 9 A. Levi, Romagnosi, Roma, Formiggini, 1935, p. 93. 4 E. Formiggini Santamaria, La mia guerra, Roma, Formiggini, 1919, p. 26. 178 A. F. Formiggini: un editore tra socialismo e fascismo E la guerra non fece che rafforzare l’ideale di For- miggini di una « Europa nuova », « civile e fraterna », fondata sulla « comunione di cultura tra i popoli » ”, ma come presupposto per la sua piena realizzazione si fece sempre pit frequente in lui — come in tanti altri intellet- tuali di fronte alla prima grande vittoria dello stato ita- liano — la rivendicazione dei valori nazionali e patriottici (simboleggiati dai fregi classicheggianti di Adolfo De Ka- rolis, già illustratore di « Leonardo » ed « Hermes », con- tro il quale si scaglieranno in nome dello « spirito popola- resco » i giovani del « Selvaggio »). L’insistenza su questi ultimi farà ben presto relegare in secondo piano l’ideale originario, e si tradurrà in un servizio reso alle forze che con maggiore coerenza puntavano ad una « riscossa nazio- nale » della borghesia italiana. Un eclettismo culturale fiduciosamente perseguito (ma di rado realizzato) e la man- canza di un netto orientamento politico furono infatti i motivi della sostanziale debolezza — nonostante i successi iniziali — delle ambiziose iniziative concepite da Formig- gini al termine della guerra. Il suo sarà un destino analogo a quello della « Rivista di filosofia », che nel 1918 si apriva con un Programma di lavoro in cui Bernardino Varisco rin- correva l’ideale di una suprema « armonia » tra gli stati le classi e le singole « culture », fino a incontrare, per la sua genericità, il consenso di quel Gentile ? che poche pagine dopo, sulla stessa rivista, era duramente attaccato da Buo- naiuti. Frutto del modo col quale Formiggini avverti le lace- razioni prodotte dalla guerra in campo internazionale, e della volontà di difendere e rafforzare anche sul piano spiri- tuale l’unità nazionale pienamente conseguita sul terreno politico, sono il progetto, poi non attuato, di una colle- zione italiana di classici greci e latini — « i mostri classici » 7! A.F. Formiggini, Trenta anni dopo, cit., p. 49. Era una speranza formulata confusamente nel 1918 anche da Erminio Troilo, che pur non tralasciava l’occasione per lanciare una nuova accusa contro l’« idealismo assoluto, una vera e propria Metafisica di guerra » (La conflagrazione. E storia dello spirito contemporaneo, Roma, Formiggini, 1918, p. 6). 7 Cfr. G. Gentile, Guerra e fede, Napoli, Ricciardi, 1919, pp. 294-298. 179 Il fascismo e il consenso degli intellettuali per i quali doveva finire il « vassallaggio » nei confronti della Germania” — e, soprattutto, il mensile « L’Italia che scrive », forse la creatura più cara a Formiggini. Uscito nell’aprile 1918, « agli albori di una età nuova », il perio- dico nutriva, sotto le vesti di una semplice rivista biblio- grafica, ambizioni culturali più ampie, riproponendosi di « registrare nelle sue colonne un magnifico rifiorire degli studi nel nostro paese e di farsene eco diligente e fedele, a vantaggio di quanti, in Italia o fuori, apprezzano e vogliono conoscere il lavoro intellettuale degli italiani » *. La strut- tura agile e articolata che sarà presa a modello dal « Leo- nardo » e da « La Nuova Italia » — editoriale, profilo di un contemporaneo, inchieste su istituzioni culturali, recen- sioni, confidenze degli autori, spoglio di libri e articoli per argomento, « libri da fare », eccetera — fece ben presto affermare il mensile (che nei primi anni ebbe una tiratura non inferiore alle 10.000 copie, giungendo a toccare le 30.000 ”) come un esempio di quelle riviste-tipo che Gram- sci catalogherà nel genere « critico-storico-bibliografico »: legata all’attualità e a carattere divulgativo, rivolta a quel « lettore comune » al quale non basta dare « concetti » storici, ma occorre fornire « serie intiere di fatti specifici, molto individualizzati » ?. E proprio « Il grido del popo- lo » segnalò la « vivace, varia » rivista di Formiggini — « uno dei più giovani ed intelligenti industriali italiani del libro » — come quella che « prometteva di diventare un ottimo ed utilissimo strumento di cultura, quale in Italia non esisteva ancora, e la cui mancanza era uno dei segni delle manchevolezze intellettuali del nostro paese, della 73 A.F. Formiggini, Trenta anni dopo, cit., p. 52. Sulla funzione attri- buita ai classici di « mantenere vivo il senso di continuità col passato e nello stesso tempo contribuire a un compito di rinnovamento nazio- nale », richiama l’attenzione A. La Penna a proposito di una successiva iniziativa sansoniana (La Sansoni e gli studi sulle letterature classiche in Italia, in AA.VV., Testimonianze per un centenario. Contributi a una storia della cultura italiana 1873- 1973, Firenze, Sansoni, 1974, p. 109). 7 A.F. Formiggini, Trenta anni dopo, cit., p. 61. 75 A.F. Formiggini, La ficozza filosofica del fascismo, cit., pp. 55, 98. 7 A. Gramsci, Quaderni del carcere, edizione critica dell'Istituto Gramsci a cura di V. Gerratana, Torino, Einaudi, 1975, vol. I, pp. 26-27. 180 A. F. Formiggini: un editore tra socialismo e fascismo poca diffusione dei libri e quindi delle idee, della nostra spaventosa impreparazione spirituale » ”. Prefiggendosi il compito di « armonizzar le varie cor- renti della cultura nazionale » perché potessero concor- rere al fine comune della « valorizzazione nel mondo del- l’attività intellettuale italiana », Formiggini sostenne anche nel momento della sua sconfitta che « un giornale edito- riale nazionale non può essere che un giornale eclettico », contro il consiglio di Ettore Romagnoli di « avere un par- tito, essere con qualcuno o contro qualcuno » *. Ma, nono- stante l’idealizzazione della capacità unificante di una « cul- tura » al di sopra delle parti — nel marzo 1917 Formig- gini aveva offerto la condirezione della rivista a Prezzolini che stava per assumere un'iniziativa analoga, ma che rifiutò l'invito perché, rispondeva il 20 aprile successivo, « le nostre concezioni differiscono ancora troppo » ” —, le scelte de « L’Italia che scrive » furono fin dall’inizio precise: pedagogia con Emilia Formiggini Santamaria e filosofia con Tarozzi e Troilo, il quale nel 1918 dedica un ritratto ad Ardigò in cui riafferma la « funzione storica, tutt'altro che esaurita, del positivismo » con maggior convinzione di quanto non facesse nello stesso momento sulle pagine della « Rivista di filosofia »; storia con Pietro Silva autore nel 1918 di un commosso ritratto di Salvemini — « mazziniano per l’alto idealismo che informa la sua propaganda, e per la sua fede nel progressivo cammino dell’umanità verso la giustizia » ® —, con Barbagallo che traccia i profili di Gu- glielmo Ferrero e di Ettore Ciccotti e nel 1923 informa sulla « Nuova rivista storica » da lui diretta, Giorgio Falco ed Ersilio Michel. Un largo spazio è accordato agli argo- menti scientifici trattati da Aldo Mieli, Roberto Almagià, Sebastiano Timpanaro, Giovanni Vacca, e soprattutto ai problemi religiosi, ove l'intervento di Formiggini è spesso « Il grido del popolo », 6 aprile 1918. A.F. FOGnIEziol, La ficozza filosofica del fascismo, cit., p. 40. 36. 181 Il fascismo e il consenso degli intellettuali diretto ®, e di cui si occupano Nicola Turchi, Alberto Pin- cherle e con particolare frequenza, fino al 1926, Ernesto Buonaiuti, autore di rassegne su riviste di cultura religiosa e di inchieste su istituzioni culturali, di articoli sul neoto- mismo o sull’insegnamento della religione nella « nuova » scuola (1924), e di recensioni tanto sferzanti da essere ri- chiamato all'ordine dal direttore della rivista @. Ma è da notare anche, nel settore politico-culturale, la presenza dell’antigentiliano Adriano Tilgher, soprattutto dal 1926, e di un altro collaboratore de « Il Mondo » oltre che de « La Rivoluzione liberale », Mario Ferrara, autore dei ri- tratti di Turati, Treves e Salandra, e dal 1919 al 1924 quella di Prezzolini, che si segnala per la tempestività dei suoi interventi: nel maggio del 1920 illustra la grandezza di Croce e nel dicembre del 1922 vede in Gentile il crea- tore della « filosofia delle filosofie » e colui che « ha imme- desimato lo sviluppo della coscienza nazionale con lo svi- luppo della speculazione nazionale » *. Ma questa che For- miggini defini « l’apologia di Gentile che ha avuto più larga eco in tutto il mondo » *, non salverà l’editore mode- nese dall’attacco del nuovo ministro della pubblica istru- zione, verso il quale la rivista aveva mantenuto fino ad allora un critico distacco. 81 Presentando sul primo numero della rivista le recensioni alle « di- scipline critico religiose », affermava: « poiché la terribile prova spirituale che stiamo traversando impotrà, dopo la bufera [della guerra], una revi- sione immancabile dei valori su cui era poggiata la nostra vecchia vita etica, noi possiamo essere sicuri che le indagini consacrate a rintracciare il corso storico della vita cristiana nel mondo avranno una fioritura inspe- rata e diverranno fattore notevolissimo di una coltura veramente nazio- nale » (« L'Italia che scrive », I (1918), p. 10). 8 Il 17 ottobre 1921 Formiggini faceva rilevare a Buonaiuti che alcune sue recensioni « non rispondevano né per misura né per intona- zione a quell’ideale sereno a cui vorrei che si ispirasse “L’Italia che scrive”. Dovresti perciò, per non mettermi in un imbroglio spirituale, recensire quelle opere che si riferiscono alla storia del cristianesimo come scienza e tralasciare quelle che possono darti adito a sfogare i tuoi senti- menti politici o la tua passionalità religiosa » (AF, Buonaiuti). 83 « L'Italia che scrive », III (1920), pp. 69-70, e V (1922), p. 217. 8 A.F. Formiggini, La ficozza filosofica del fascismo, cit., p. 163. 182 A.F. Formiggini: un editore tra socialismo e fascismo 5. La sconfitta di un'illusione e una tenue « resistenza » Il programma de « L’Italia che scrive » di essere « spec- chio fedele della intellettualità italiana » si scontrò infatti con l’« intolleranza » gentiliana quando Formiggini cercò di fare della sua rivista il nucleo di un Istituto per la diffu- sione della cultura italiana. Alla fine del 1918 i suoi propo- siti si erano saldati con le prospettive nazionalistiche del sottosegretariato per la propaganda all’estero e la stampa presieduto da Romeo Gallenga Stuart: chiamato a far parte della commissione per la proganda del libro italiano all’este- ro — nell’ambito della quale propose la pubblicazione di Guide bibliografiche per materie dove uscirono, fra l’altro, la Geografia di Roberto Almagià e i Narratori di Luigi Russo —, Formiggini stabili i contatti politici necessari a lanciare un’impresa — l’Istituto per la propaganda della cultura italiana, poi Fondazione Leonardo — che doveva rappresentare « non l’ultimo atto dell’Italia in guerra, ma il primo dell’Italia che dopo una lunga guerra combattuta con onore vorrà, senza invidia delle altre nazioni, mettere in valore equamente il contributo non trascurabile e finora trascurato che essa ha portato, anche negli ultimi decenni, al progresso del sapere » *, Abbiamo visto come l’iniziativa passasse nelle mani di Gentile. Invano Formiggini lodò Croce per aver « denun- ciato la balordaggine di chi vorrebbe istituire una filosofia di stato » * e denunciò la « marcia sulla Leonardo » di Gentile, che assieme alla fondazione gli aveva sottratto l’idea di una Grande enciclopedia italica — l'editore mode- nese cercherà di realizzarla per suo conto con l’aiuto dei suoi collaboratori abituali e, in particolare, di Ernesto Buonaiuti . Mentre l’ente e il suo patrimonio erano desti- 85 A.F. Formiggini, Trenta anni dopo, cit., p. 91. 86 « L’Italia che scrive », VI (1923), p. 117. 87 Dalle lettere della seconda metà del ’25 Buonaiuti appare impe- gnato a redigere il piano generale della formigginiana Enciclopedia delle enciclopedie; ne usciranno soltanto i volumi I, Economia domestica; turismo-sport-giuochi e passatempi, Modena, Formiggini, 1930, e II, Peda- gogia, Modena, Formiggini, 1931, quest’ultimo coordinato da Emilia For- 183 Il fascismo e il consenso degli intellettuali nati ad essere assorbiti, nel ’25, nell’Istituto nazionale fascista di cultura, « rassegna mensile della coltura italiana pubblicata sotto gli auspici della Fondazione Leonardo » diventava, nel gennaio ’25, il « Leonardo » diretto da Prez- zolini — al quale l’anno successivo subentrerà Luigi Rus- so — ed esemplato su « L’Italia che scrive » « con un con- tornetto (si capisce) di 4ff0 puro, se no il cataclisma non avrebbe avuto ragion d’essere », osservava Formiggini * che ruppe con Prezzolini riaffermando in pubblico, e in una lettera privata a lui del 15 ottobre 1925, i propri ideali: Voialtri attualisti avete innegabile dottrina, robusto ingegno, e disponete della forza formidabile di quel partito che giudicaste cosî aspramente prima che esso subisse in pieno la vostra influenza nefa- sta. Voi godete ormai persino di una insperata agiatezza che non vi invidio. Io non ho né dottrina, né ingegno, né forza politica. Lavoro per passione e per una esasperata volontà di bene e il lavoro mi costa tutta la sostanza e mi costringe ad una vita sobria. Ma ho qualche cosina che voi non avete: il cuore. La parola « umanità » vi fa ridere, e sarà l’umanità a fregarvi®9. Dove, accanto a una profonda amarezza, è espressa tutta la carica etica di una battaglia culturale ma anche, nella confusione del giudizio sul fascismo, i limiti di una sua traduzione sul terreno politico. Nell’aprile 1925, trac- ciando un doloroso bilancio della sua sconfitta, Formiggini insisterà tuttavia in un invito alla conciliazione, con parole che richiamano l’insegnamento morale di Limentani: « so- prattutto di pace c’è bisogno oggi. Occorre che l’uomo ritrovi nell’uomo il proprio simile e che ciascuno rispetti nell’altrui dignità la propria » ®. Quella di Formiggini può essere considerata una vi- cenda esemplare, da un lato, dei modi e dei tempi con i quali il fascismo procedette all’accaparramento delle istitu- miggini Santamaria (fra i collaboratori, che gli conferirono un'impronta antiattualista, Calò, Credaro, R. Mondolfo, Tarozzi, Vartisco). 8 « L’Italia che scrive », VIII (1925), p. 34. 8 AF, Prezzolini. 9 «L'Italia che scrive », VIII (1925), p. 68. 184 A.F. Formiggini: un editore tra socialismo e fascismo zioni culturali esistenti per acquisire un consenso sempre più vasto e, dall’altro, delle reazioni degli intellettuali di fronte al tentativo fascista di utilizzarli. L’insidiosa « poli- tica di conciliazione » affidata dal fascismo a Gentile nel 1923-26, e la stessa dichiarata assenza di una « cultura fascista », aprirono facili varchi al consenso presso molti intellettuali senza precisa collocazione politica o portati a distinguere nettamente la politica dalla cultura e, spesso, a privilegiare quest’ultima per le loro scelte. Ma, proprio per questi stessi motivi, non sarebbe nem- meno corretto considerare come incondizionato il consenso cosî estorto, o vederlo come un blocco uniforme senza in- crinature fin dall’inizio, al cui interno non permanessero adesioni esteriori o ambigue capaci di ribaltarsi, attraverso maturazioni personali, dove il comportamento politico im- mediato era contraddetto dal legame con una cultura che voleva mantenersi in qualche modo autonoma. In questo quadro sono collocabili molti collaboratori della casa editrice e lo stesso Formiggini, che in nome del suo antico ideale di fratellanza pubblicò nel 1923 un pun- gente pamphlet antigentiliano nel quale il giovane cattolico Carlo Morandi riconosceva « il coraggio e la schiettezza di una difesa »”. Giustificando il proprio intervento pole- mico contro la « marcia sulla Leonardo », Formiggini scri- veva ne La ficozza filosofica del fascismo di avere « rea- gito per legittima ritorsione e per il pericolo d’ordine gene- rale che ci sarebbe per la cultura italiana se l’assurdo di una dittatura e di una tirannide dottrinale dovesse farsi piede nel nostro paese ». Ma i limiti della sua impostazione non si rivelano soltanto nella contrapposizione fra il ruolo di « armonizzatore » di varie correnti culturali, da lui im- personato, e quello di Gentile « capo partito » o nella ridu- zione dell’attualismo a una semplice « moda filosofica » dai larghi consensi e di Gentile a un « giocoliere di idee », bensi anche nel giudizio sulla filosofia gentiliana vista come « una fortuita e non felice escrescenza [“ficozza” in roma- 9 « Studium », XX (1924), pp. 39-40. 185 Il fascismo e il consenso degli intellettuali nesco] del fascismo » ”. La distinzione operata da Formig- gini è netta: da un lato gli attualisti, « sostanzialmente estranei ed equidistanti sia dal fascismo che dal naziona- lismo » che si sono assunti ix foto il « problema cultu- rale » di un movimento puramente politico *, dall’altro il fascismo che, come scriverà anche in seguito, « nelle sue prime manifestazioni, non negò affatto i diritti dell’uomo. Si annunciò come un ristabilimento energico dell’ordine sociale che era stato scosso. Nulla di strano che dei citta- dini liberi vedessero questo movimento con simpatia » *. « Il mescolare il sapere con la politica è per noi cosa delit- tuosa », affermò Formiggini motivando il suo rifiuto di sot- toscrivere il manifesto Croce, pur firmato da molti colla- boratori della casa editrice ”; l’unica condanna esplicita di fascismo e attualismo, uniti sul piano morale, fu formulata sulle pagine de « L’Italia che scrive » in occasione della crisi Matteotti, in un articolo significativamente intitolato La filosofia del manganello in cui, dopo aver ironizzato su Mussolini — « egli sa di filosofia e di pedagogia qualche cosa meno di una vacca spagnuola » — Formiggini affer- mava che per il fascismo la « delusione più amara fu quella di non aver potuto trovare una teoria morale che ne giu- stificasse i metodi e si comprende quanta riconoscenza sen- tisse per il moralista di professione che, applicando il suo visto: si manganelli agli atti violenti del fascismo, dava a questi una sanatoria di incalcolabile valore » *. In realtà, una sia pur tenue difesa dalla scaltra « politica di conciliazione » di Gentile e del fascismo verso gli intel- lettuali poteva essere consentita da iniziative che si propo- % A.F. Formiggini, La ficozza filosofica del fascismo, cit., pp. 40, 148, 168, 175, 177. Il libro del 1923 non ci sembra quindi, per la sua distinzio- ne tra politica e cultura, « uno dei primi e più caustici pamphlets contro il fascismo », come è apparso a R. De Felice (Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, cit., p. 487). 93 « L’Italia che scrive », VII (1924), p. 76. % A.F. Formiggini, Parole in libertà, cit., pp. 16-17. « Come è falso che gli ebrei costituiscano una razza, è anche falso [...] che abbiano una loro forma mentis che li renderebbe ostili congenitamente e irriducibil mente alle forme politiche cosi dette totalitarie » (ibidem, p. 16). 95 « L'Italia che scrive », VIII (1925), p. 126. 9% « L’Italia che scrive », VII (1924), p. 142. 186 A.F. Formiggini: un editore tra socialismo e fascismo nessero come apolitiche, ma fossero aperte a intellettuali accomunati dall’opposizione alla « filosofia del manganel- lo ». Fu questo il caso, denso di compromissioni e contrad- dizioni profonde, di Formiggini, che dopo la polemica anti- gentiliana sembra non desiderasse discostarsi dall’ideale di equidistanza e di « armonia » perseguito in passato. Nel 1924 cominciano ad apparire le « Apologie » che al posto delle religioni costituite intendevano valorizzare « il senti- mento religioso in astratto, come quello che può fare l’uma- nità migliore e più fraterna » ”, e che annoverarono, accanto a quelle dell’ebraismo di Dante Lattes e del cattolicesimo di Buonaiuti (provvista ancora dell’imprimatur ecclesiastico nella seconda edizione del ’24, poco prima della scomunica del marzo), quelle dell’ateismo di Giuseppe Rensi e del positivismo di Tarozzi, il quale affermava che « la poste- rità prossima e lontana non vedrà fra l’idealismo e il posi- tivismo, specialmente italiani, quella divergenza assoluta e totale che oggi apparisce per la violenza della polemica » *. Nella collana delle « Medaglie », brevi profili di contem- poranei, nel 1924, all’elogio di Mussolini (« una forza venu- ta nel momento storico opportuno ») scritto da Prezzolini ”, Alessandro Levi opponeva quello di Turati, esaltato — nonostante l’autore dichiarasse all’editore di essere stato « molto sobrio negli accenni all’ora presente » — per « la probità della sua coerenza, la coerenza della sua probità [...]. Con questa forza, che ignora, che sdegna i funambo- lismi di tutte le demagogie, ma ha il coraggio e la pazienza delle lunghe vigilie, non s’improvvisano più o meno effi- mere fortune o dittature personali, ma si squadra almen qualche pietra per costruzioni destinate alla storia » !°, Co- 9? A.F. Formiggini, Trenta anni dopo, cit., p. 124. Cfr. anche il giudizio di G. Levi Della Vida, Apologie religiose, in « La Cultura », III (1924), pp. 348-354. ® G. Tarozzi, Apologia del positivismo, Roma, Formiggini, 1926, p. 24. 9 G. Prezzolini, Benito Mussolini, Roma, Formiggini, 1925 (II ediz.), p. 33. 100 A. Levi, Turati, Roma, Formiggini, 1929, pp. 50-51. Levi si ado- però anche per la diffusione del volumetto: « duecento ne hanno prese — di “copie”, in attesa delle immancabili bastonature — gli eroici lavora- tori di Molinella, che riscattano col loro contegno di fierezza la vile acquie- 187 Il fascismo e il consenso degli intellettuali si, accanto al D'Annunzio di Antonio Bruers e allo Sturzo di Mario Ferrara, Prezzolini dedicava nel 1925 un ritratto ad Amendola che, nonostante l’elogio del suo coraggio « fino al rischio della vita » e le successive proteste di equa- nimità dell’autore !”, si rivelava impietoso e cinico: « co- stringendolo a tacere nel parlamento [...], restituendolo al giornalismo militante e all’opposizione attiva [il fasci- smo] gli ruppe quella specie di ingessamento parlamentare, che pareva averlo stretto e immobilizzato entro le formule e gli interessi di Montecitorio » !”. E nel 1927 la collana « Polemiche » presentava insieme alle Battaglie giornalisti che del « teorico del “governo dei migliori” », Mussolini, Je Invettive di Marat, il « teorico del “governo dei molti” ». Con questa sorta di do uf des si parlava comunque di uomini politici e personaggi storici invisi al fascismo, pur con quell’ambiguità che è la nota caratteristica anche di molti giudizi apparsi ne « L’Italia che scrive » a partire dal ’25. È sintomatico ad esempio che La libertà di Stuart Mill pubblicata da Gobetti con la prefazione di Luigi Einaudi sia segnalata nel luglio del 1925 come « opportuna non solo per gli avversari della libertà, ma per moltissimi dei suoi ditensori di oggi », o che, mentre nel settembre ’24 La rivoluzione liberale era giudicata « programma di ardi- mento morale della borghesia », « come un violento spa- lancar d’usci all’irrompere di una nuova coscienza prole- taria » — e il ritratto di Matteotti « una vita esemplare della Rivoluzione liberale » —, nell’annuncio della morte di Gobetti il giudizio sul « suo anelito di ritrovare e d’im- porre un fondamento etico al pensiero in tutte le sue espres- sioni » sia limitato da quello sulla sua cultura, costruita « su basi filosofiche e storicistiche un po’ astratte, per quanto profonde, che lo allontanarono dal veder la vita scenza del popolo italiano », scriveva a Formiggini il 16 febbraio 1925 (AF, Levi). 101 Prezzolini affermerà di aver scritto la biografia di Mussolini solo «a patto che il Formiggini ne pubblicasse anche una dell’Amendola » (G. Prezzolini, Amendola e « La Voce », Firenze, Sansoni, 1973, p. 296). 12 G. Prezzolini, Giovanni Amendola, Roma, Formiggini, 1925, pp. 39, 54. 188 A.F. Formiggini: un editore tra socialismo e fascismo nella sua complessa realtà effettiva e gliela fecero giudicare per schemi e teorie ». E in settori più strettamente cultu- rali, mentre nel 1926 Paolo Vita Finzi — divenuto colla- boratore assiduo del periodico — considerava interessante l’interpretazione marxista del marinismo fornita da Zino Zini in Poesia e verità, dal Mazzini e Bakunin di Nello Rosselli — col quale « finalmente anche in Italia si comin- cia a studiare seriamente il movimento operaio come fatto storico, all’infuori di ogni preoccupazione di propaganda politica » — si traeva motivo per mettere in luce « l’azione insidiosa di Carlo Marx » che si sarebbe servito dell’anar- chico russo per gettare « i primi germi malsani onde poi in Italia, unica tra le grandi nazioni, il socialismo nasceva e cresceva colorito di quell’antipatriottismo che doveva es- sergli fatale durante e dopo la grande guerra » !°. Analoga ambiguità è riscontrabile negli interventi — che richiede- rebbero tuttavia un discorso a parte — di alcuni collabo- ratori della rivista provenienti dalle file del socialismo. « Bisognerebbe poter seguire tutte queste recensioni di simili libri, specialmente se dovute a ex socialisti come l’Andriulli », notava Gramsci '* a proposito della recen- sione di quest’ultimo al volume di Bonomi su Bissolati, uscito a Milano presso ere ma originariamente propo- sto dall’autore a Formiggini !5 Ora la grande maggioranza dei giovani è sotto l’impressione re- cente della disfatta prima morale che politica del socialismo italiano — scriveva l’ex collaboratore de « La Difesa » Giuseppe Andriulli —, e con semplicistica generalizzazione pensa ad esso come ad una delle forme di maggiore aberrazione della vecchia Italia prebellica. Eppure, 103 «L'Italia che scrive », rispettivamente VIII (1925), p. 140; VII (1924), p. 185, e IX (1926), p. 60; IX (1926), p. 145; X (1827), p. 223. 04 A. Gramsci, op. cit., vol. I, p. 253. ts «Il libro è... purgatissimo — scriveva Bonomi il 2 settembre 1928 —. Il fascismo non esisteva ancora durante l’attività politica di Bissolati, il quale gode — non so se goda veramente...! — le simpatie fer- vidissime dei fascisti cremonesi e anche quelle del Duce che inaugurò con un discorso nel 1923 una lapide in memoria di lui ». Ma Formiggini, che già nel ’24 era stato l’editore di Ddl socialismo al fascismo di Bonomi, non aveva potuto accettare l'offerta anche se — gli scriveva — «un libro scritto da lei non può essere che interessantissimo e tale da non procurare fastidi a chi lo pubblicasse » (AF, Bonomi). 189 Il fascismo e il consenso degli intellettuali solo che si pensi come il socialismo italiano è stato la grande matrice di tutti i movimenti rinnovatori del tempo nostro — non esclusi né il nazionalismo né il fascismo — si sarà tratti a sospettare che ben altro fenomeno che non quello apparso nell’ultimo ventennio deve essere stato il partito socialista italiano, e che soprattutto esso deve essere stato una grande forza ideale se ebbe tanta virtà espansiva da diffondersi rapidamente non solo nelle classi operaie ma in una gio- ventù intellettuale generosa e disinteressata e da permeare di sé per un quarto di secolo la vita italiana. Dove l’antica milizia politica del recensore, approdato ciecamente alla « rivoluzione » fascista, è rivelata dal ri- chiamo alla « forza ideale » del partito — e non solo all’ef- ficacia pratica del movimento socialista, come nell’interpre- tazione di un Gioacchino Volpe — e dalla considerazione finale sul fatto che avrebbero letto il libro « con un senso di soddisfazione specialmente coloro che, avendo a quel socialismo consacrato i primi entusiasmi giovanili, anche dopo aver seguito opposte vie non sanno rinnegare la loro disinteressata giovinezza » !*. Apparentemente pit distac- cate, ma sempre puntuali e pronte a sottolineare il valore della persona umana, sono le recensioni di argomento filo- sofico e giuridico — con un interesse precipuo per i rap- porti Stato:chiesa — di un altro socialista, Alfredo Poggi, che da « Critica sociale » e dalla « Rivista di filosofia » passa in questi anni al gruppo di « Pietre », per poi rispun- tare come responsabile del partito socialista subito dopo 1°’8 settembre, e che collabora assiduamente a « L’Italia che scrive » dal 1927 al 1933, anno in cui fu denunciato e arrestato per antifascismo. E nel 1929, mentre Giuseppe Rensi, al termine del viaggio dal « socialismo idealista » allo scetticismo, insiste in un « profilo » di Spinoza sui limiti dello stato di fronte alla libertà di pensiero dei cit- tadini, sul suo « dovere di non comandare cose che urtino le leggi della natura umana » — al « coordinamento per- fetto di autorità e libertà, alla determinazione cioè della misura di libertà che l’autorità deve concedere appunto per poter essere e conservarsi autorità » quale indicata da Spinoza, « anche oggi potrebbe forse essere rivolto util- 106 « L'Italia che scrive », XII (1929), p. 158. 190 A.F. Formiggini: un editore tra socialismo e fascismo mente lo sguardo » !” —, sulla rivista faceva una fugace ma incisiva apparizione Paolo Milano con una recensione, giu- dicata « notevole e acuta » da Gramsci, che costitui una delle poche stroncature del Superamento del marxismo di De Man pubblicato da Laterza, di cui si metteva in luce lo psicologismo incapace di contrastare realmente il mar- xismo e di spiegare i fatti storici '!*. Sono pochi esempi che sarebbe errato sopravvalutare, considerata anche la sempre minore incisività della casa edi- trice, che di lî a poco accuserà duramente i contraccolpi della grande crisi. Essi indicano tuttavia, accanto a un’estre- ma confusione, la esistenza di dubbi e di una prima presa di distanza non solo culturale, nella quale certezze sempre coltivate si incontrano con altre maturate di recente. At- torno a Formiggini troviamo uomini emarginati dal fasci- smo, come prima erano stati emarginati dall’idealismo: anche attraverso questo canale passa quindi una cultura, seppure minore, che non si riconosce in quella ufficiale del regime. Le scelte di venti anni prima dimostrano una loro « tenuta » anche dopo l’avvento del fascismo, pur dovendo nascondersi tra le righe di una rivista bibliografica o sotto il più antico degli espedienti mimetici. Al linguaggio degli animali ricorre infatti un amico di vecchia data dell’editore modenese, forse il più caro, Concetto Marchesi. « Conosco le tue vicende: e perciò ti ho voluto bene », gli scrive Marchesi nel marzo del 1924. Le lettere dell’in- tellettuale comunista all'editore che ha sempre aborrito la politica gettano luce sull’antifascismo del primo e sull’iro- nico distacco dalla realtà del secondo, non alieno tuttavia dal gioco dell’allusione politica. Le Favole esopiche — « il tuo più che mio, Esopo », scrive il curatore — escono nel 1930 con una prefazione in cui Marchesi si « sbizzar- risce a capriccio; e non ci sarà niente da ridire perché siamo nel mondo fantastico delle bestie » !, inserendovi un ri- 107 G. Rensi, Spinoza, Roma, Formiggini, 1929, p. 99. 108 « L’Italia che scrive », XII (1929), pp. 269-270; Gramsci, op. cit., vol. I, p. 447. 10 AF, Marchesi (4 gennaio 1929 e 27 febbraio 1930). Per la figura politica di Marchesi cfr. la mia voce in F. Andreucci - T. Detti, Il movi 191 Il fascismo e il consenso degli intellettuali cordo autobiografico sul periodo del primo arresto, nel 1894, giovane studente socialista: ‘odiavo la macchina, l’ornamento civile del nostro tempo. La mac- china era per me, allora, lo strumento maledetto onde la ricchezza dei pochi si era impadronita di tutte le povere braccia della terra: era il vortice metallico in cui la miseria del mondo precipitava per farne uscire torrenti di oro e di sangue, a ristoro della superbia e dell’avarizia. Si chiariscono cosi in tutta la loro ironia, per acquistare valore di impegno civile, le parole con le quali Formiggini si rivolgeva al lettore nella nota che apre il volume: « se tu leggerai questa versione del magnifico Marchesi col sospetto che egli, nelle scabre sinuosità della sua prosa asciutta, vi abbia nascosto dentro se stesso, ti parrà di aver fra le mani un libro pericoloso e rivoluzionario » !°. mento operaio italiano. Dizionario biografico 1853-1943, vol. III, Roma, Editori Riuniti, 1977, ed E. Franceschini, Concetto Marchesi. Linee per l’interpretazione di un uomo inquieto, Padova, Antenore, 1978. 110 In una lettera del 18 dicembre 1938 Ernesto Rossi commentava dalla galera fascista la notizia del suicidio di Formiggini, con parole che ci sembra possano riassumere tutta la sua esperienza: « Pare ci sia una vera epidemia di suicidi. Quello che a me ha fatto più impressione è stato il suicidio del vecchio Formiggini [...]. Aveva fatto per l’incremento della cultura italiana più di quanto hanno fatto molti illustri personaggi, che si danno l’aria di Padri Eterni. Lui non aveva mai posato a Padre Eterno, ma le sue iniziative editoriali eran sempre intelligenti e di buon gusto. La collezione dei “Classici del ridere” era la migliore espressione della sua mentalità umanistica, europea, della sua serena saggezza sempre spumante di fine umorismo. M'era spiaciuto molto che, anche lui, si fosse adattato alle circostanze piiî di quanto gliel’avrebbero dovuto permettere la sua dignità e la sua condizione di “chierico” della cultura. Ma, insomma, non si può pretender troppo dagli uomini quando non trovan più in alcun luogo un po’ di terreno saldo su cui poggiare i piedi. E lui era vecchio [...] ed era sempre rimasto estraneo il più possibile alle lotte della politica, vivendo solo fra i suoi libri e per i suoi libri » (E. Rossi, Elogio Ft ia Lettere 1930-1943, a cura di M. Magini, Bari, Laterza, 1968, p. 454). : 192 I limiti del consenso: le origini della casa editrice Einaudi « Il futuro verrà da un lungo dolore e un lungo silenzio. Presuppone uno stato di tale ignoranza e smarrimento che sia umiltà, la scoperta in- somma di nuovi valori, un nuovo mondo » (Ce- sare Pavese, Il mestiere di vivere, 1936) 1. Iniziative editoriali negli anni 30 Il problema della formazione della cultura post-fa- scista, quale si venne elaborando non nell’antifascismo del- l'emigrazione, ma nell’Italia degli anni ’30 e a cavallo della seconda guerra mondiale, non è stato ancora affrontato con puntualità nell’ambito storiografico: siamo infatti in presenza di uno iato assai profondo fra le ricerche su intel- lettuali o riviste del ventennio, che culminano nell’espe- rienza di « Primato », e alcuni sondaggi sulla cosiddetta « ideologia della ricostruzione » del dopoguerra. Il mancato collegamento fra i due momenti si traduce, ovviamente, in carenze interpretative, che si manifestano in tesi troppo rigidamente contrapposte, sia che insistano — ma con sem- pre minore frequenza — sugli elementi di « rottura », sia che sottolineino, in negativo o in positivo, quelli di « continuità » tra fascismo e post-fascismo. La questione è certo assai complessa, ma non può essere risolta dando credito a improvvise « conversioni » di coscienze indivi. duali, né applicando — ad esempio — a Cantimori il nico- demismo da lui studiato negli eretici del ’500, né ricor- rendo alle categorie del « trasformismo » o del « popu- lismo » degli intellettuali, senza tener conto, in tutti questi casi, del rapporto dialettico fra la posizione degli intellet- tuali e le trasformazioni sociali e politiche del paese. La complessità del problema storiografico, è necessario riconoscerlo, corrisponde alla complessità del processo sto- rico reale, a un aspro scontro politico e culturale insieme 193 Il fascismo e il consenso degli intellettuali che non solo oppose fascisti e antifascisti, ma divise anche le varie correnti dell’antifascismo italiano, con quegli ele- menti di incertezza e di contraddizione di fronte all’ideali- smo che ricorderà anche Togliatti nel 1952 !. E, pur am- mettendo l’esistenza di differenziazioni culturali che si van- no manifestando nel corso degli anni ’30, in particolare con l’inizio della guerra di Spagna, non possiamo prescindere dal forte condizionamento, culturale e politico, esercitato dalle istituzioni del regime, che raggiunsero il punto pit alto di consenso, almeno formalmente, nei primi anni di guerra, quando vediamo Salvatorelli e Omodeo collaborare all’ISPI, o Cantimori al Dizionario di politica del Pnf ?. Se queste collaborazioni non significavano automaticamente, da un punto di vista soggettivo, adesione alla politica del regime, non bisogna tuttavia dimenticare che — come aveva osser- vato Volpe — il loro « colore » era dato, agli occhi dei let- tori e indipendentemente dai riposti pensieri degli intellet- tuali, non tanto dai contenuti, quanto dalla veste ufficiale in cui questi apparivano *. Spesso, inoltre, collaborare alle ini- ziative del regime poteva spiegarsi con l'illusione di una apo- liticità della cultura, la cui difesa può aver costituito per alcuni intellettuali una tappa importante per cominciare ad allontanarsi dal fascismo, senza essere, per questo, indice di un antifascismo già maturo politicamente. È infatti solo sotto la veste culturale che è possibile rinvenire, nell’Italia degli anni ’30, il tentativo di differenziarsi dall’ideologia del regime, anche se con il rischio, come osservò Marchesi a pro- posito dell’università, di chiudersi nella « indifferenza poli- 1 Cfr. il suo intervento alla commissione culturale nazionale del 3 aprile 1952, in P. Togliatti, Le politica culturale, a cura di L. Gruppi, Roma, Editori Riuniti, 1974, pp. 195-196. 2 Cfr. G. Turi, Le istituzioni culturali del regime fascista durante la seconda guerra mondiale, in « Italia contemporanea », XXXII (1980), n 138, pp. 3-23. 3 Nel 1933 Volpe rispose in fatti a Nello Rosselli, a proposito dei colla- boratori della « Rivista di storia europea » vagheggiata da quest’ultimo, che bisognava essere «ben certi che è la rivista a dar loro il colore desiderato, e non viceversa » (cit. in Nello Rosselli. Uno storico sotto il fascismo. Lettere e scritti vari (1929-1937), a cura di Z. Ciuffoletti, Fi- renze, La Nuova Italia, 1975, p. 131). 194 Le origini della casa editrice Einaudi tica e morale » ‘. Il significato politico di una scelta culturale va quindi verificato caso per caso, guardandosi dal tradurre immediatamente in consapevolezza politica una cultura che non si riconosce in quella ufficiale del fascismo. Per questo preferiamo parlare di « limiti del consenso » piuttosto che di « antifascismo »: termine — e categotia — che non è certo da escludere — e allora occorrerà precisarne meglio le caratteristiche —, ma che per singoli intellettuali o per imprese culturali collettive costrette a muoversi, come le case editrici, con estrema cautela sotto il regime, può pre- starsi a frettolose retrodatazioni di prese di coscienza che acquistarono spesso peso politico solo con la guerra o dopo il 25 luglio 1943, e che può comportare un giudizio altret- tanto generico del termine avalutativo di « afascista » troppo frequentemente usato per qualificare, come fosse una razza privilegiata, alcuni nuclei di cattolici. Queste cautele ci paiono necessarie anche nello studio di una casa editrice come quella di Giulio Einaudi che, centro di attrazione di aderenti a Giustizia e Libertà, di azionisti e poi di comunisti, all’indomani della Liberazione potrà vantare i maggiori meriti antifascisti, tanto da fian- cheggiare la politica del PCI che le affiderà la pubblicazione dei Quaderni gramsciani. È proprio per queste sue caratte- ristiche « di punta », comunemente accettate — tanto da farne ritenere meno interessante l’analisi, in quanto « anti- conformista » e « antifascista » fin dalla nascita, per la pre- senza di Cesare Pavese e di Leone Ginzburg® —, che la scelta di studiare questa casa editrice negli anni 30 e ’40 ci è parsa particolarmente significativa per verificare « al mas- simo », nei punti più alti, i limiti del consenso al regime, e gli elementi di continuità o di rottura tra fascismo e post- fascismo. Un'indagine del genere dovrebbe tener conto, oltre che dei condizionamenti oggettivi propri di un’azienda economica e di un’iniziativa culturale rivolta al pubblico 4 C. Marchesi, Fascismo e università (1945), ora in Umanesimo e co- munismo, a cura di M. Todaro-Faronda, Roma, Editori Riuniti, 1974, p. 326. 5 Cosî M. Isnenghi, Intellettuali militanti e intellettuali funzionari. Appunti sulla cultura fascista, Torino, Einaudi, 1979, p. 75. 195 Il fascismo e il consenso degli intellettuali sotto il regime fascista, e ai reali obiettivi che la casa edi- trice si riproponeva, anche del pubblico dei lettori, di cui purtroppo conosciamo solo la ristretta élite dei recensori, pur assai significativa, se pensiamo che fra i giudizi favore- voli alla produzione storiografica meno conformista di Einaudi spiccano quelli della « Nuova rivista storica » che negli anni ’30, sotto la direzione di Gino Luzzatto, veniva anch’essa configurandosi come centro di aggregazione di intellettuali operanti ai margini del regime. Gli obiettivi dell’editore torinese sono ricavabili, ma solo parzialmente, dal carteggio con i collaboratori, a differenza di Formig- gini, che fino al 1925 poteva esporre pubblicamente i suoi programmi e le sue proteste; per le testimonianze esterne le carenze sono invece comuni, anche se su Einaudi il ri- cordo di Ambrogio Donini — la sua attività editoriale, « appena agli inizi, si andava già orientando, tra difficoltà e persecuzioni di ogni genere, verso temi nazionali e interna. zionali atti a staccare l’Italia dal disastroso clima di provin- cialismo in cui si esaurivano le energie dei suoi giovani studiosi »” — concorda con il giudizio di Cantimori, che in lui vedrà l’inventore dell’« editore moderno » come « buon educatore » *. In assenza di un « campione » di lettori, bisognerà chiedersi, almeno fino alla caduta del fascismo, come un eventuale lettore poteva accogliere i messaggi culturali for- niti dalla casa editrice, e se questi erano traducibili politi. camente; tenere presente, inoltre, il panorama pi generale dell’editoria italiana, o almeno delle case editrici meno aderenti alla cultura ufficiale del regime, ove ciò sia possi- bile, data la mancanza quasi assoluta di studi, oltre che di testimonianze. Pur nella loro parzialità, anche queste ultime possono essere indicative di alcune linee di tendenza. Aldo Capitini ricorderà come, contrario a stabilire un difficile e pericoloso collegamento con gli antifascisti all’estero, egli 6 Sulla « Nuova rivista storica » cfr. A. Casali, Storici italiani tra le due guerre. La « Nuova rivista storica » 1917-1943, Napoli, Guida, 1980. 1 Prefazione a P. Robotti, La prova, Bari, Leonardo da Vinci, 1965, p. 9. ; 8 D. Cantimori, Conversando di storia, Bari, Laterza, 1967, p. 95. 196 Le origini della casa editrice Einaudi avesse sostenuto la necessità di alimentare la formazione ideologica dei giovani con i « libri disponibili » in Italia, e indicherà le case editrici più utili a questo scopo in Laterza, Einaudi e Guanda: e l’autore degli Elementi di un'espe- rienza religiosa (editi nel 1937 da Laterza), che fu in con-. tatto anche con Einaudi, citava fra i testi di Guanda — un editore particolarmente attento alla tematica religiosa — quelli di Martinetti, Tilgher e Rensi, espressione di un filone spiritualista, critico dell’ottimismo storicistico, che si rita- gliò un ampio spazio editoriale nella crisi di valori degli anni ’30°. Le iniziative a carattere religioso ebbero certo una mag- giore libertà di azione, come testimonia la fondazione della Morcelliana nel 1925 !°, ma probabilmente, a differenza della politica di stretto controllo usata nei confronti della stampa periodica, il fascismo lasciò un certo grado di autonomia a tutto il settore editoriale — che si rivolgeva a un pubblico più ristretto di quello dei lettori di quotidiani, e compor- tava quindi minori pericoli —, anche se nel 1926 fu costi-. tuita la Federazione nazionale fascista dell’industria edito- riale, il cui presidente, Franco Ciarlantini, lamentando nel 1929 la crisi del libro, inviterà il governo a misure di con- trollo sulle piccole iniziative private, e a un’opera di promo- zione economica e « morale »; ma la censura dei libri non fu condotta con criteri precisi, e rimase affidata alla discre- zionalità dei prefetti anche quando essa passò, nel 1935, dalla competenza del ministero dell’Interno a quella del ministero per la Stampa e la propaganda, mentre la Com-. missione per la bonifica libraria, istituita nel 1938, concen- trò la sua attenzione sui testi di autori ebrei !!. Ed è forse questa parziale autonomia che spiega come nel corso degli 9 A. Capitini, Antifascismo tra î giovani, Trapani, Célèbes, 1966, p. 100. 10 Cfr. AA.VV., Morcelliana 1925-1975. «Humanitas » 1946-1976, Brescia, Morcelliana, 1976. 1! Cfr. G. BaroneA. Petrucci, Primo: non leggere. Biblioteche e pub- blica lettura in Italia dal 1861 ai nostri giorni, Milano, Mazzotta, 1976, pp. 77-105. F. Ciarlantini, Vicende di libri e di autori, Milano, Ceschina, 1931, pp. 39-69, e Ph. V. Cannistraro, Le fabbrica del consenso. Fascismo e mass media, prefazione di R. De Felice, Bari, Laterza, 1975, pp. 116-119. 197 Il fascismo e il consenso degli intellettuali anni ’20 e ’30 tanti intellettuali tendano a divenire organiz- zatori di cultura attraverso l’editoria: accanto alle edizioni collegate a riviste, e agli effimeri tentativi di Domenico Petrini con la Bibliotheca editrice di Rieti o di Carlo Pelle- grini con la Taddei di Ferrara, vediamo che nel 1926 viene fondata da Elda Bossi e Giuseppe Maranini La Nuova Ita- lia, che nel 1930 passerà a Firenze sotto la direzione di Codignola, nel 1927 la Slavia dell’ex sindacalista rivoluzio- nario Alfredo Polledro, nel 1929 la casa editrice di Valen- tino Bompiani, formatosi alla Mondadori; e nel 1932, men- tre Gentile, già direttore di due collane, filosofica e storica, presso Le Monnier, assume la direzione della Sansoni tra- sformandone rapidamente il catalogo secondo il proprio orientamento culturale e politico !?, due intellettuali antifa- scisti di diversa matrice ideologica, Franco Antonicelli e Rodolfo Morandi, trovano nell’editoria uno strumento per tentare di allargare i sempre più stretti confini culturali del paese: il primo si associa con il tipografo Carlo Frassinelli per proporre testi della letteratura straniera contempora- nea, il secondo con l’editore Corticelli per far conoscere La rivoluzione francese di Mathiez o il Napoleone di Tarlè, e far riflettere sulle esperienze di nuove realtà politiche, come la Cina e l’Unione Sovietica . È in questo contesto che si colloca, alla fine del 1933, la fondazione della Einau- di da parte di un nucleo originariamente ben definito di intellettuali, molti dei quali aderenti a Giustizia e Libertà, la cui opera culturale ha quindi larvati risvolti politici, che imporrebbero un confronto puntuale con alcune delle case editrici che si sono presentate, all'indomani della Libera- zione, con una patente antifascista. 1 Cfr. AA.VV., Testimonianze per un centenario. Contributi a una storia della cultura italiana 1873-1973, Firenze, Sansoni, 1974. 13 Su Antonicelli editore — che nel 1942 fonderà la casa editrice De Silva (cfr. la sua testimonianza in « Rinascita », 6 dicembre 1974) — cfr. N. Bobbio, Trent'anni di storia della cultura a Torino (1920-1950), Torino, Cassa di Risparmio, 1977, pp. 60-63, e M. Fubini, Il mestiere del lette- rato, in AA.VV., Su Antonicelli, Torino, Centro Studi Piero Gobetti, 1975, pp. 26-28; un cenno all’attività editoriale di Rodolfo Morandi in A. Agosti, Rodolfo Morandi. Il pensiero e l’azione politica, Bari, Laterza, 1971, pp. 211-212. 198 Le origini della casa editrice Einaudi Le notizie di cui disponiamo sono però assai scarse e — promosse da occasioni celebrative o fornite dai diretti inte- ressati —, pur offrendo utili spunti interpretativi, avreb- bero bisogno di ulteriori approfondimenti. È il caso, ad esempio, di Laterza, de La Nuova Italia e di Bompiani. ‘ Nella casa editrice barese, durante il periodo della « difesa eroica » 1925-43, Croce — è stato scritto — « accolse anche chi era da lui lontano, e contribuf a preparare non pochi che, poi, scelsero posizioni a lui avverse. Sui libri che fece leggere agli italiani, con la collaborazione di Gio- vanni Laterza, si formarono cosi liberali come socialisti e comunisti, cosî idealisti come materialisti »; e, riprendendo il discorso, Garin ha individuato nelle opere uscite nel ven- tennio nella « Biblioteca di cultura moderna » l’accorta opera d’informazione unita alla difesa di una vocazione umana anteriore a ogni lotta o differenza di parte. Nei libri, a volte assai mediocri, di storici, filosofi, critici, economisti, offerti con una apertura eccezionale [...], c'è sotteso l’invito a non dimenticare mai quella dimensione umana che, pur nel divenire temporale e nelle dislocazioni spaziali, è capace di comprendere anche l’avversario. Che fu il valore di uno storicismo e di un umanismo tutt’affatto particolari, di una difesa della razionalità e della libertà, che in un’epoca intesa a celebrare l’hbomo bomini lupus ricordò costante- mente il senso dell’homo homini deus !8. Giudizio che andrebbe, a nostro parere, sfumato, in quanto, se accanto a Omodeo, Russo o De Ruggiero, Croce accolse un Rodolfo Morandi, la linea generale della casa editrice fu orientata in un senso ben determinato che non si apriva a tutti gli « avversari », come testimonia nel 1938 il commento crociano alla ristampa dei saggi di Labriola, 0, nel 1929-31, l'edizione de Il superamento del marxismo e La gioia del lavoro di De Man. Un discorso analogo può essere fatto per La Nuova Italia di Codignola: se è vero che fu centro di aggregazione di esponenti di rilievo del Partito d'Azione e che, col suo 14 E. Garin, La Casa editrice Laterza e mezzo secolo di cultura italiana (1961), ora in Id., La cultura italiana tra ‘800 e ’900. Studi e ricerche, Bari, Laterza, 1963, p. 170, e Id., Il mestiere di editore, prefazione al Catalogo generale delle edizioni Laterza 1978, p. XII. 199 Il fascismo e il consenso degli intellettuali « impegno, insieme, di socialismo, di liberalismo “rivolu- zionario”, di laicismo intransigente », contributi « all’orga- nizzazione del dissenso » !, è necessario tuttavia non anti- cipare un orientamento politico che si venne delineando, e manifestando, a fatica e non senza contraddizioni, se pen- siamo al persistente legame, ancora negli anni ’30, di Co- dignola con Vallecchi e con Gentile, o al settore pedagogico configurato in senso attualista e comunque condizionato dalla politica scolastica del regime '‘. Cosi Valentino Bompiani, ripercorrendo la storia della propria casa editrice, pur riconoscendo il suo iniziale « di- simpegno ideologico », valorizza giustamente la scoperta, alla fine degli anni ’30, della letteratura americana, con Uomini e topi di Steinbeck e Piccolo campo di Caldwell, tradotti rispettivamente da Pavese e Vittorini, due libri che « parlavano dell’uomo, della sua condizione e miserià, con diretto impegno sociale e politico » ”. Ma come non riflet- tere di fronte al fatto che, mentre la censura interveniva duramente e con particolare ottusità '" — come testimonia l'editore —, lo stesso Bompiani proponeva nel 1940 al Ministero della cultura popolare un accordo per lanciare una « Biblioteca essenziale dell’italiano », incentrata sui temi patria, religione, cultura, famiglia, fra i cui autori dovevano comparire Bottai, Bargellini e De Luca, costituita 15 E. Garin, Un capitolo di rilievo singolare, in 50 anni di attività editoriale (Venezia 1926-Firenze 1976): La Nuova Italia, Firenze, La Nuova Italia, 1976, p. XII; cfr. anche, oltre al ritratto di Ernesto Codi- gnola tracciato da Garin, Intellettuali italiani del XX. secolo, Roma, Edi- tori Riuniti, 1974, pp. 137-169, gli interventi di E. Garin, N. Bobbio e T. Codignola in occasione del cinquantenario della casa editrice, ne «Il Ponte », XXXII (1976), pp. 1318-1334. 16 Questi elementi sono ben messi in luce da S. Giusti, La ‘casa editrice La Nuova Italia 1926-1943, di prossima pubblicazione. . 17 V. Bompiani, Via privata, Milano, Mondadori, 1973, pp. 43, 143. 18 In un rapporto anonimo al duce del 26 giugno 1943 si diceva: « Proprio nei giorni dei massacri di Grosseto, di Sardegna e Sicilia, l’edi- tore Bompiani mette sfacciatamente fuori un “mattonissimo” intitolato “Americana”, antologia di scarso valore con prefazione di un accademico e traduzione di Vittorini; antologia condotta sui modelli dell’ebreo Lewis. E lo stesso Bompiani continua nelle stampe e ristampe di Cronin, Stein- ‘beck, ed altri, bolscevichi puri e in ogni caso perniciosissimi » (AGS, Ministero della cultura popolare, b. 27, fasc. 403). 200 Le origini della casa editrice Einaudi da « alcune centinaia di migliaia di volumetti » da diffon- dere nei centri con popolazione minore a 10.000 abitanti, distribuendoli ad esempio, « a partire dal Natale di Roma », « a tutti coloro che si sposano nel corso dell’anno, affer- mando cost il principio che non si deve costituire una fami- glia senza avere in casa quei pochi libri che diano a un cit- tadino italiano la conoscenza e la coscienza della sua Pa- tria »? ! Condizionamenti politici, autocensure, necessità econo- miche proprie di ogni casa editrice in quanto azienda indu- striale, costituiscono quindi il quadro entro il quale deve essere valutata anche l’opera della Einaudi, verificando puntualmente — senza stabilire schematiche equivalenze — la traducibilità politica dei suoi messaggi culturali. Con ciò non vogliamo disconoscere, in linea generale, quanto ha ricordato Giulio Einaudi — « il primo modo di sfidare il fascismo era quello di non parlarne mai, di fare come se non esistesse» ? —, anche se in qualche caso il fascismo si affaccia nella produzione della casa, né, quindi, negare la prospettiva in cui si muoveva l’editore, che era, come ha osservato Bobbio, « quella di offrire alla giovane cultura torinese lo strumento più adatto e meno pericoloso dati i tempi per esprimere la propria voce, e di non lasciare sva- nire nel nulla la grande esperienza gobettiana » ?. Si tratta piuttosto di misurare la possibilità o capacità di attuazione di questi propositi, di vedere se sono univoci o differen- ziati e contraddittori e, in questo caso, quali voci culturali politicamente significative predominano, e in quale periodo; verificare, infine, quali elementi di continuità o di rinno- vamento si manifestano fra gli anni ’30 e il periodo post- bellico. La decisione di Giulio Einaudi di fondare la casa edi- trice non è comprensibile se prescindiamo dall’ambiente torinese, sia quello rappresentato dalla Slavia di Alfredo 19 Ibidem. Alcuni testi furono pubblicati, come, nel 1941, la Storia della patria di Piero Operti. 2 Testimonianza scritta di Giulio Einaudi (Archivio della casa edi- trice Einaudi (d’ora in avanti AE), G. Einaudi). © N. Bobbio, Trent'anni di storia della cultura a Torino, cit., p. 66. 201 Il fascismo e il consenso degli intellettuali Polledro, che nella collana « Il genio russo » presentò per la prima volta in Italia traduzioni integrali — alcune opera di Leone Ginzburg — di Turgheniev, Gogol, Dostoevskij, Tolstoj e Cechov, da cui attingerà in parte la collana einau- diana dei « Narratori stranieri tradotti »; sia quello dei gobettiani, con in primo piano l’opera di educatore di Augusto Monti, ma anche con le iniziative culturali di Anto- nicelli, Ginzburg e Pavese, o con la pubblicazione de « La Cultura » passata sotto la direzione di Arrigo Cajumi. Un modello che Einaudi terrà presente fu la « Biblioteca euro- pea », diretta da Antonicelli, presso il tipografo Frassinelli, dal 1932 al 1935 — quando fu arrestato —, dove uscirono L’armata a cavallo di Babel, e, tradotti da Pavese, Moby Dick di Melville, Riso mero di Anderson e Dedalus di Joyce 2. Ispirandosi a Gobetti, « l’editore ideale » #, Anto- nicelli raccolse per primo le forze intellettuali torinesi che si erano formate sotto il magistero di Monti, ma in una pro- spettiva ancora liberale: « Al di là di Croce non vedevo. I marxisti non sapevo cosa fossero », ricorderà più tardi, rico- noscendo che le proprie convinzioni politiche erano matu- rate solo dopo la Liberazione *. Da un innesto tra crociana « religione della libertà » e tradizione gobettiana partiva anche Ginzburg, il quale ebbe gran parte nella fondazione della casa editrice Einaudi *. Ai numerosi interessi culturali — dalla letteratura russa alla storia — egli univa, a differenza di Antonicelli, un saldo impegno politico da quando aveva aderito, nel 1932, a Giustizia e Libertà. « Noi non crediamo utile ai fini della lotta antifascista che ci si debba sottoporre a una specie di rinuncia intellettuale », scriveva sul periodico del movi- mento clandestino, dove invitò ad approfondire « la pro- 2 Cfr. ibidem. 23 Cfr. P. Gobetti, L’editore ideale. Frammenti autobiografici con ico- RO ehe; a cura e con prefazione di F. Antonicelli, Milano, Scheiwiller, 24 F. Antonicelli, Le pratica della libertà. Documenti, discorsi, scritti politici 1929-1974. Con un ritratto critico di C. Stajano, Torino, Einaudi, 1976, pp. X-XI. 25 Cfr. l'importante introduzione di N. Bobbio a L. Ginzburg, Scritti, Torino, Einaudi, 1964. 202 Le origini della casa editrice Einaudi pria coscienza rivoluzionaria con la meditazione, lo studio, l’attività clandestina », a riflettere sulla visione gobettiana della rivoluzione russa e a studiare Cattaneo, scrisse assieme a Croce il famoso articolo contro la centralizzazione delle istituzioni culturali operata dal ministro dell’Educazione nazionale Francesco Ercole, e rivendicò come « principale ragion di vita » di Giustizia e Libertà « il lavoro, d’orga- nizzazione e di pensiero, che si compie in Italia sotto i suoi auspici » #. E della sua capacità di mobilitare altre intelli- genze dette atto nel dicembre 1934, pochi giorni dopo il suo arresto, « Giustizia e Libertà »: « È uno dei pochi, anzi dei pochissimi, che in regime legale di fascismo rie- scono ad avere un pensiero e un'influenza sul pensiero degli altri » 7. Mentre già nel 1930 Cajumi aveva pensato a una casa editrice espressione de « La Cultura » # — alla quale Ginzburg collaborava dal 1929 —, nel 1933 Ginzburg tenne contatti fra l’ambiente torinese ed esponenti dell’am- biente fiorentino tra loro vicini, Nello Rosselli e il gruppo di « Solaria ». Rosselli, che stava cercando di varare una « Rivista di storia europea » di cui Ginzburg avrebbe do- vuto essere gerente responsabile e coredattore, fu contat- tato per preparare un volume su Mazzini per la progettata « Biblioteca di cultura storica » ?; Alberto Carocci, il diret- tore di « Solaria » che per le difficili condizioni finanziarie della rivista stava già cercando l’appoggio di un editore per questa e le sue edizioni, entrò in rapporto, tramite Ginz- burg, con Giulio Einaudi che alla fine di novembre del 1933 — quando già, il 15 del mese, si era iscritto alla Camera di commercio di Torino come editore —, pur rifiu- 26 Ibidem, in particolare pp. 5, 16, 29. © Leone Ginzburg, « Giustizia e Libertà », 16 novembre 1934. ll Tribunale speciale che il 6 novembre 1934 lo condannò a quattro anni di reclusione, lo qualificò come « l’anima » di GL a Torino (ACS, Ministero della giustizia e degli affari di culto. Direzione generale per gli istituti di prevenzione e di pena, fasc. 46489). 2 «Ginzburg mi ha accennato a una Sua intenzione di formare una casa editrice “la Cultura” », scriveva Pavese a Cajumi il 27 settembre 1930 (C. Pavese, Lettere 1924-1944, a cura di L. Mondo, Torino, Einaudi, 1966, p. 241). 2 Cfr. Nello Rosselli. Uno storico sotto il fascismo, cit., in partico lare pp. 139 e 143-45, e AE, N. Rosselli. 203 TI fascismo e il consenso degli intellettuali tando la proposta di Carocci di trasformare « Solaria » in casa editrice, fece l’offerta, poi caduta, di rilevare la sola rivista, osservando che « qualche volta sarebbe bene trat- tare qualche argomento non puramente letterario, ma che presenti interesse dal punto di vista sociale contempora- neo » ”°: un’indicazione di lavoro che darà anche per « La Cultura », e che testimonia quella volontà di impegno civile che in quello stesso anno era avvertita anche da Carocci. La casa editrice Einaudi nasceva infatti proprio quando un decreto prefettizio del 1934 metteva fine a « Solaria », accusata di contenuto contrario alla morale per un numero che pubblicava una puntata de I garofano rosso di Vitto- rini: la rivista che si era rifugiata nella « repubblica delle lettere » accettando di convivere col fascismo, « nell’illu- sione di conservare intatta l’autentica superiorità dell’intel- ligenza borghese, l’eredità lasciata dall’attivismo barettiano e dall’attendismo rondiano », terminava la sua vita proprio quando cercava, nel 1933-34, di impegnarsi ideologica- mente, trasformandosi, come era nelle intenzioni di Carocci, in « rivista d’idee », e quindi di « discussione anche col fascismo » *. Forse non fu solo una coincidenza, se si pensa che gli intellettuali fiorentini si dimostrarono per il mo- mento incapaci, come gruppo, di trasformare la letteratura in impegno. Sarà quanto tenterà di fare quella che un rap- porto della polizia del marzo 1934 definiva « una nuova casa editrice torinese la quale avrà il compito di diffon- dere pubblicazioni antifasciste abilmente compilate e attor- no alle quali da ora in avanti si andranno raggruppando gli elementi antifascisti del mondo intellettuale », fra i quali si indicavano i senatori Francesco Ruffini e Luigi Della Torre, Luigi Einaudi e Nello Rosselli » *. « Che fisionomia ha que- 30 Lettere a Solaria, a cura di Giuliano Manacorda, Roma, Editori Riuniti, 1979, passizz, e, per la lettera di Einaudi a Carocci del 30 no- vembre 1933, p. 461. 31 G. Luti, Cronache letterarie tra le due guerre 1920-1940, Bari, TARA: 1966, in particolare pp. 96 e 127, e Lettere a Solaria, cit., p. I 32 Cit. in R. De Felice, Mussolini il duce, I. Gli anni del consenso 1929-1936, Torino, Einaudi, 1974, p. 115 n. Bottai, che durante la guerra 204 Le origini della casa editrice Einaudi sta Casa editrice? Quale programma si propone di svolgere? Quali sono le sue basi finanziarie? E tu fino a che punto ci sei interessato? », scriveva il 7 febbraio 1934 Rosselli a Ginzburg *: ad alcune di queste domande non saremo in grado di rispondere, in particolare a quella relativa al finan- ziamento della casa editrice, che provenne probabilmente da Luigi Einaudi, al quale è forse da attribuire anche una fun- zione di copertura politica all’iniziativa del figlio, come si può dedurre dalla marcata impronta conservatrice della prima collana, « Problemi contemporanei ». Ci limitere- mo perciò, anche in assenza, prima del 1945, di dati sulle tirature e sulle vendite, a una storia prevalentemente inter- na della casa editrice, dedicando tuttavia particolare atten- zione alle collane, ai volumi e ai temi culturali nei quali sia più facilmente ravvisabile un orientamento politico, nell’in- tento, indicato all’inizio, di verificare, oltre ai « limiti del consenso » al fascismo, se negli anni ’30 sono rinvenibili alcune delle matrici della cultura del dopoguerra. 2. L'ideologia conservatrice di Luigi Einaudi Le prime, cospicue forze della casa editrice furono raccolte tramite le due riviste di grande prestigio rilevate da Giulio Einaudi nel 1934, « La Riforma sociale » e « La Cultura » — mentre resta eccentrica rispetto al nostro discorso « La Rassegna musicale », che pur testimonia come fin dall’inizio l’editore cercasse spazi culturali differen- ziati. « La Cultura », da cui la nuova impresa editoriale riprese come proprio segno distintivo il simbolo dello struzzo, costitui — come vedremo —, nella sua pur breve esistenza in veste einaudiana, il collegamento dei giovani sarà in stretto contatto con l’ambiente della casa editrice, giudicando antifascista la posizione espressa dal crociano Francesco Flora in Civiltà del Novecento — pubblicato da Laterza nel 1933 —, osservava che « Laterza è, insieme con Giulio Finaudi della Riforma sociale, uno degli editori italiani, che ignora che siamo nell’anno XII dell’Era Fascista » (G. Bottai, Appelli all'uomo, in « Critica fascista », XII (1934), n. 1, p. 4). 3 Nello Rosselli. Uno storico sotto il fascismo, cit., p. 150. 205 Il fascismo e il consenso degli intellettuali allievi di Monti — fra cui Giulio Einaudi — con la tradi- zione gobettiana, ma solo in una più lunga prospettiva i suoi collaboratori e le sue curiosità culturali diverranno punto di riferimento per gli orientamenti della casa. In questa maggiore peso « politico » ebbe all’inizio, con « La Riforma sociale », il gruppo di liberisti che si raccoglievano attorno a Luigi Einaudi, nel quale si può forse ravvisare, se non l’ideatore, la forza decisiva per la nascita della casa editrice. È questo un elemento di conoscenza che pare confortato da alcuni documenti e anche da un semplice esa- me del catalogo editoriale, e che, finora trascurato dalle testimonianze, fornisce una caratterizzazione meno « prov- videnzialistica », in senso progressivo, dei primi passi della casa editrice. La rivista « La Riforma sociale » — suona un avviso di Luigi Einaudi databile al 1933 — allo scopo di contribuire alla illustra- zione dei problemi sociali ed economici e specialmente di quelli determinati dallo stato presente di crisi e dai piani di ricostruzione e di regolazione sia nei rapporti nazionali che internazionali, pubbli- cherà accanto ai fascicoli bimestrali, destinati ad ospitare studi di mole relativamente tenue, volumi atti a trattazioni più larghe, di circa 150 pagine e con una tiratura di 1.000 copie, dal carattere rigorosamente scientifico [...], tuttavia accessibile al pubblico colto in generale *. « Votrei preparare un piano di collaborazioni », scri- veva il 31 ottobre 1933, poco prima della fondazione della casa editrice, Luigi Einaudi ad Attilio Cabiati, l’amico fidato che inaugurerà nel 1934 la collana « Problemi contempo- ranei » e che si dimostrerà particolarmente attivo nel sug- gerire all'editore proposte di traduzioni *. « Problemi con- 3 L'avviso dattiloscritto si trova nell’Archivio della Fondazione Luigi Einaudi di Torino, sezione 2 (d’ora in avanti AFE), nel fasc. Croce. L’in- tervento di Luigi Einaudi nella casa editrice è testimoniato anche da una lettera che il figlio gli scrisse il 17 novembre 1942, inviandogli il progetto di un volume di Sismondi: « Per altri classici dell'economia, che pos- sono avere un interesse vivo anche in avvenire, ti sarò grato se mi vorrai favorire i testi originali con un breve giudizio » (AE, L. Einaudi). 35 AE, Cabiati. Sui suoi interessi, prevalentemente rivolti al mondo anglosassone, cfr. A. Cajumi, Ricordo di Attilio Cabiati, in « L'Industria », n.s. (1951), pp. 406-417. « Allorché capitò la faccenda del giuramento, si consultò con Francesco Ruffini e con Einaudi, e salvò il salvabile, ossia 206 Le origini della casa editrice Einaudi temporanei » nasce infatti come « Biblioteca della rivista “La Riforma sociale” », controllata e orientata personal mente da Luigi Einaudi fino al 1944, come la « Collezione di scritti inediti o rari di economisti » (1934), le « Opere di Luigi Einaudi », la « Collezione di opere scientifiche di economia e finanza » (1934) e la « Biblioteca di cultura eco- nomica » (1939); e, nel magro bilancio dei volumi pubbli- cati nei primi anni — solo con la guetra la casa editrice assumerà proporzioni ragguardevoli —, tutti i 9 titoli del 1934, e 9 su 11 nel 1935, sono testi economici di queste collezioni, che nel periodo 1934-44 rappresenteranno sem- pre un quarto di tutte le pubblicazioni — 55 su 212 titoli —, in cui spiccano, per il peso del loro messaggio cultu- tale e politico, i 35 volumi di « Problemi contemporanei ». La presenza di Luigi Einaudi aveva un altro punto di forza nella direzione della « Rivista di storia economica », pub- blicata per i tipi della casa editrice, cui fu permesso di con- tinuare — sotto un titolo apparentemente accademico e asettico — la battaglia liberista de « La Riforma sociale », soppressa nel 1935 perché coinvolta, solo editorialmente, negli arresti di Giulio Einaudi e dei suoi amici e collabora- tori appartenenti a GL, alcuni dei quali animatori de « La Cultura », alla quale la censura fascista non concesse possi- bilità di reincarnazione, sotto nessuna veste *. Appare quindi necessario analizzare l’ideologia del grup- po liberista quale si manifesta non solo nelle collane, ma anche nelle riviste dirette da Luigi Einaudi — e, in parte, ne « La Cultura » —, alla cui influenza è forse da attribuire lo stesso orientamento anglofilo di altre collane storiche o letterarie; non bisogna dimenticare, del resto, la profonda conoscenza del mondo britannico di colui che durante il difese in extremis le cattedre non ancora infestate dall’economia corpo rativa » (ibidem, p. 407). 36 Secondo Francesco A. Repaci, stretto collaboratore di Einaudi, la soppressione de «La Riforma sociale » sarebbe invece da addebitarsi alla sua battaglia anticorporativista (Ricordo di Luigi Einaudi attraverso alcune lettere, « Giornale degli economisti e annali di economia », n.s., XXXII (1973), p. 301); in realtà, come vedremo, la «Rivista di storia economica » non farà che riprendere la linea de « La Riforma sociale », senza per questo essere soppressa. 207 Il fascismo e il consenso degli intellettuali ventennio fu collaboratore stabile dell’« Economist ». La funzione culturale e politica svolta da Luigi Einaudi durante il periodo fascista resta ancora da studiare, e il tema non è di poco conto se si pensa che il « partito dei liberisti », « dopo aver conosciuto dalla fine dell’Ottocento una serie di sconfitte micidiali da cui sembrava non potesse pit risol- levarsi, riusci nel secondo dopoguerra a prendersi una cosî piena rivincita », riuscendo « a influenzare in misura deter- minante i programmi di ricostruzione e l’impostazione gene- rale della politica economica italiana dei governi di coali- zione successivi alla Liberazione » ’’. Funzione che Einaudi si ascriverà a merito nei suoi risvolti anticorporativisti *, ma che ebbe, più in generale, i suoi obiettivi polemici in tutte le ipotesi programmatrici o keynesiane che presero piede con la grande crisi — non è un caso che a tutto ciò egli facesse riferimento prospettando la pubblicazione di una biblioteca de « La Riforma sociale » —, e lo vide chiuso in una difesa ostinata della sua « quasi religiosa » fede nel liberismo, che gli impedî di individuare « la crisi economica del ventennio tra le guerre come una prova delle fallacie neoclassiche » ”, le quali saranno invece da lui ri- 37 Cosîf V. Castronovo nell'intervento in occasione della commemo- razione di Luigi Einaudi in occasione del centenario della nascita, in Annali della Fondazione Luigi Einaudi, vol. VIII, 1974, Torino, Fonda- zione Luigi Einaudi, 1975, p. 168. 3 «La scienza economica italiana non ha da vergognarsi di quel che fece durante il cinquantennio crociano. Carità di patria vuole si dimentichi quel che fu scritto di falso e di consapevolmente falso intorno al cosidetto corporativismo. Quegli errori sono riscattati dalla resistenza dei più », affermerà Einaudi ricordando « La Riforma sociale » e il « Giornale degli economisti » (La scienza economica. Reminiscenze, in Cinquant'anni di vita intellettuale italiana 1896-1946, cit., vol. II, p. 313). E ancora: la « Rivista di storia economica » «forse parve ai governanti del tempo meno fastidiosa a cagione della sua limitazione a cose passate. Ma già il Sismondi, in una lettera del 1835 al Brofferio aveva avvertito i vantaggi che la censura offre agli scrittori costringendoli ad essere avveduti nel dichiarare la verità invisa ai tiranni [...]. 1 saggi datati dal 1936 al 1941 agevolmente persuadono che il forzato velo storico non vietò mai a chi scrive di discutere problemi contemporanei » (L. Einaudi, Saggi biblio- grafici e storici intorno alle dottrine economiche, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 1953, p. VII). 39 M. De Cecco, La politica economica durante la ricostruzione 1945- 1951, in Italia 1943-1950. La ricostruzione, a cura di Stuart J. Woolf, Bari, Laterza, 1974, p. 291. 208 Le origini della casa editrice Einaudi prese e attuate dopo il 1945, come governatore della Banca d’Italia e come ministro del bilancio nel quarto e quinto governo De Gasperi nel 1947-48. Gli unici studi che hanno affrontato l’opera di Luigi Einaudi anche nel periodo fascista, compiuti in occasione del centenario della nascita, si sono preoccupati di ridurre la sua iniziale adesione al fascismo, fino al 1925, ad un « equivoco » destinato a dissiparsi quando la politica « li- beristica » di De Stefani sfociò nel vincolismo e nel corpo- rativismo ‘, o si sono limitati ad analizzarne le indicazioni per lo studio delle dottrine e dei fatti economici, senza cogliere i presupposti ideologici della sua posizione meto- dologica, o arrivando ad espungere volutamente dall’analisi le sue concezioni antisocialiste e antistataliste, in quanto: non sarebbero mai state da lui proposte come formule ‘. Per meglio comprendere la linea interpretativa della col- lana « Problemi contemporanei » è invece opportuno sof- fermarci su questi presupposti ideologici, per i quali l’atti- vità di Einaudi durante il fascismo ha punti di contatto, ma anche di differenziazione, con quella di Croce. Segui- remo i motivi di questa riflessione sulla storia e la politica economica fino al 1944, data l'omogeneità di questa tema- tica, che corre parallela con gli altri filoni di pensiero della casa editrice. È da rilevare in primo luogo che le indicazioni di Luigi Einaudi sul modo di fare storia economica sono esplicita- mente basate sulla preoccupazione di non privilegiare il fattore economico nella ricostruzione storica. Discutendo il programma di lavoro della « Rivista di storia economica » con Gino Luzzatto — il direttore della « Nuova rivista storica » che ribadiva ancora in quegli anni la validità della storiografia economico-giuridica —, egli sosteneva che allo 4 Cosî R. Romano nell’Introduzione a L. Einaudi, Scritti econormici,. storici e civili, a cura di R. Romano, Milano, Mondadori, 1973, pp. XXXILIOXVII. 4 Cfr., per il primo appunto, R. Romeo, Luigi Einaudi e la storia delle dottrine e dei fatti economici, e M. Abrate, Luigi Einaudi rivisitato, e, per il secondo, F. Caffè, Luigi Einaudi nel centenario della nascita, in Annali della Fondazione Luigi Einaudi, cit., pp. 121-141, 151-163, 39-51 (in particolare, per l’affermazione di Caffè, p. 47). 209 Il fascismo e il consenso degli intellettuali storico era necessario solo il « punto di vista » economico: « “Punto di vista” e non “prevalenza” né “specializzazio- e”. Non si diventa storici dell'economia dando, come fecero molti nel tempo verso il 1900, rilievo a certi fatti detti economici e mettendoli a fondamento delle spiegazioni da essi date di certe passate vicende umane. Cosi scrivendo, si fa buona (esistono, nonostante la cosa tenga del miraco- loso, persino buoni libri di storia informati al concetto materialistico della storia!) o cattiva storia politica, non storia economica » *. La storia economica non deve sup- porte che il fattore economico sia più importante degli altri, né accettare la tesi che le teorie economiche siano un mutevole frutto dei tempi, affermava, concludendo che per scrivere storia economica « fa d’uopo che lo scrittore abbia l’occhio od il senso economico » ‘. Di qui l'apprezzamento per la Storia economica e sociale dell'impero romano © Città carovaniere di Rostovzev — pubblicate rispettiva- mente da La Nuova Italia e da Laterza —, in quanto l’au- tore « ha visto che alla radice della storia non si trovano l'economia, la macchina, lo strumento tecnico, la terra arida o feconda, il denaro e simiglianti cose morte, si invece le 4 G. Luzzatto - L. Einaudi, Per un programma di lavoro, in « Rivista di storia economica », I (1936), p. 201. Luzzatto, che in una lettera a Einaudi del 5 novembre 1936 accettò in sostanza la sua opinione (AFE, Luzzatto), salutò con entusiasmo la nascita della «Rivista di storia economica », perché « può rappresentare per i giovani studiosi italiani di storia economica una guida ed uno stimolo, di cui si sentiva estre- mamente il bisogno, indirizzandoli nella scelta degli argomenti di ricerca, raddrizzando idee tradizionali errate, chiarendo idee confuse, creando soprattutto quel contatto fra scienza economica e ricerca storica, che fino- ra è in gran parte mancato » (« Nuova rivista storica », XX (1936), p. 282). A Luigi Dal Pane — dal quale non riuscirà tuttavia ad ottenere una collaborazione — Luigi Einaudi spiegò il 4 luglio 1936 il tipo di articoli desiderati: « 1) un problema teorico importante studiato da un econo- mista passato; 2) un problema di fatto interessante in sé, interessante per qualche attacco al presente, su cui l’esperienza di un tempo passato dice qualcosa di rilevante » (L. Dal Pane, Il mio carteggio con Luigi Einaudi, in Annali della Fondazione Einaudi, vol. VI, 1972, Torino, Fondazione Luigi Finaudi, 1973, p. 194). 43 L. Einaudi, Lo strumento economico nella interpretazione della storia, in « Rivista di storia economica », I (1936), pp. 155-156 (in discus- sione con Lucien Febvre}. Nello stesso senso cfr. T. Codignola, Esiste una «storia economica »?, in « Rivista di storia economica », II (1937), pp. 179-182. 210 Le origini della. casa editrice Einaudî idee che la classe politica si è fatta » #: dove è evidente la polemica contro quella « vulgatio » del materialismo sto- rico in cui Gramsci rinveniva uno specifico influsso loriano, presente anche nel commento a Economic planning and international order di Lionel Robbins, un autore quanto mai caro a Einaudi e alla casa editrice, lodato per la tesi che « la continuità della coesistenza di diverse nazioni del mondo è incompatibile con qualunque piano diverso da quello economico liberale », e che un piano è un fatto poli- tico: « È un capovolgere la storia cercare nell’economia la spiegazione degli avvenimenti politici, sociali, intellettuali. Bisogna invece cercare nella politica la spiegazione degli avvenimenti economici » 4. Gli esempi potrebbero moltipli- carsi, a testimoniare come l’assai vaga asserzione che allo storico economico necessiti, e sia sufficiente, « l’occhio od il senso economico », si connetta con la fede nel carattere assoluto ed eterno delle leggi economiche, con la polemica nei confronti del materialismo storico e del socialismo, e con la difesa del liberismo come vero liberalismo. Rispondendo a quanti parlavano di superamento delle teorie economiche, di quella ricardiana in particolare, Einaudi affermava che « una ideale storia delle dottrine economiche potrebbe semplicemente consistere nel ricordo che si facesse, nel trattare sistematicamente la dottrina oggi ricevuta, del debito da questa contratto verso le precedenti meno perfette formulazioni che via via la precedettero. Il legittimo uso della parola “superamento” implica l’accogli- mento contemporaneo dell’idea che nulla è superato, nulla è fuor del tempo presente ed ogni teoria che visse vive 4 L. Einaudi, Il valore economico del libro del Rostovzev, in «La Riforma sociale », XLI (1934), p. 336. Sulla conoscenza « da orecchiante » del materialismo storico da parte di Einaudi mediata da Croce e Loria, cfr. A. Gramsci, Quaderni del carcere, cit., vol. II, pp. 1289-1290. 45 L. Einaudi, Delle origini economiche della grande guerra, della crisi e delle diverse specie di piani, in «Rivista di storia economica», II (1937), p. 278. Il 30 novembre 1946 Giulio Einaudi scriverà a Robbins: «se durante la deprecabile ultima guerra Voi ricordavate con simpatia l’ambiente che faceva capo a mio padre, noi altri giovani durante quegli anni terribili non cessammo mai di guardare con venerazione e speranza alla Vostra Patria e ai suoi uomini più rappresentativi » (AE, Robbins). 241 Il fascismo e il consenso degli intellettuali ancora perfezionata ed affinata nella teoria attuale » ‘. L’in- sistente difesa di Ricardo, di Smith, di Francesco Ferrara o della massima di D’Argenson — « pour mieux gouverner, il faudrait gouverner moins » —, si accompagna a uno sprezzante giudizio su Keynes, nelle cui pagine si può tro- vare « la esposizione pi ingegnosa e raffinata che imma- ginar si possa di quella qualunque tesi egli, con pieno prov- visorio convincimento, sostenga in un dato momento » “£ all’assunzione a modello dei discorsi di Cavour, in quanto « mutano i problemi; ma l’arte dell’analizzarli criticamente con spirito non preoccupato damiti e da formule verbali, non muta » ‘; o, in polemica col corporativismo fascista — non molto frequente, tuttavia, sulla « Rivista di storia eco- nomica » —, all’esaltazione delle corporazioni medievali mai configuratesi come « caste chiuse »: « La lotta, il tu- multo, le inimicizie, le cacciate e l’esilio sono i segni distin- tivi di quell’epoca che poi fu voluta idealizzare come tesa verso la pace sociale. Ma, perché lottava, amava ed odiava, quell’epoca partori credenti artisti e poeti grandi; ma perché era un’epoca di rivolgimenti politici economici e sociali, essa creò ricchezza potenza arte e poesia ». Una difesa della necessità della lotta e del contrasto che non si traduce mai, però, nella comprensione delle novità del processo storico, cui l’ottuso conservatorismo di Einaudi oppone un’imma- gine statica della vita sociale, assai distante dalla stessa concezione crociana della storia etico-politica ” * L. Einaudi, Superamento, in « La Riforma sociale», XLI (1934), p. 315. 4 L. Einaudi, Una disputa a torto dimenticata fra autarcisti e liberisti, in «Rivista di storia economica », III (1938), p. 149. 4 Si riferisce ai s aggi di Keynes La fine del laisser faire e L’autarchia economica tradotti nella « Nuova collana di economisti stranieri ed ita- liani » diretta da G. Bottai e C. Arena (« Rivista di storia economica », II (1937), p. 374). Per una critica agli Essays in Bibliography di Keynes cfr. anche L. Einaudi, Della teoria dei lavori pubblici in Maltbus e del tipo delle sue profezie, in « La Riforma sociale », XLI (1934), pp. 221-227. 4 L. Einaudi, Una nuova edizione dei discorsi del conte di Cavour, in «La Riforma sociale », XLI (1934), p. 229 (a proposito dei Discorsi parlamentari di Cavour curati da Omodeo e Russo per La Nuova Italia). 5 L. Einaudi, Alba e tramonto delle corporazioni d'arti e mestieri, in « Rivista di storia economica », VI (1941), pp. 96-97. Einaudi « non riu- sciva ad afferrare i motivi del movimento storico », ha affermato L. Dal 212 Le origini della casa editrice Einaudi È del resto noto come, sul piano politico, il liberalismo di Einaudi non sia assimilabile a quello di Croce, tanto da spiegare — come vedremo dall’analisi di alcuni volumi della collana « Problemi contemporanei » — un maggior « possibilismo » del primo nei confronti del fascismo. E ciò, nonostante il rapporto personale e gli elementi di con- vergenza che legano i due intellettuali durante il regime. Ne è testimonianza la segnalazione simpatetica che sulla « Rivista di storia economica » Einaudi fa, in due occa- sioni, delle edizioni Laterza: valorizza ad esempio l’opera dei meridionalisti conservatori — Jacini, Turiello, Villari, Franchetti, Sonnino e Fortunato — analizzati da Enzo Ta- gliacozzo in Voci di realismo politico dopo il 1870; ap- prezza incondizionatamente — a differenza di Ginzburg ” — l’immagine fornita da Nicola Ottokar nella Breve storia della Russia, un paese la cui « tragedia » sarebbe stata quella di non aver mai avuto un ceto intermedio numeroso, ma solo padroni e servi, dove i primi erano una volta i nobili, ora la burocrazia sovietica ”. Sempre per « rendere testimonianza di onore all’editore colto e tenace, il quale in tempi volti ad altri problemi persegue un alto ideale di cultura », Einaudi segnala La concezione romana dell’im- pero di Ernest Barker, accogliendone la distinzione fra la rivoluzione francese, da cui « discendono lo stato napoleo- nico ed il comunismo economico », e la rivoluzione puri- tana inglese, da cui derivano « la libertà di coscienza e di Pane, Commemorazione di Luigi Einaudi, in Memorie dell’Accademia delle scienze dell’Istituto di Bologna, classe di scienze morali, s. V, vol. 10, 1962, p. 314; e Franco Venturi ha osservato che « la storia economica, quale egli fa concepî, non produsse in Italia quel rivolgimento, quella trasformazione profonda che compirono in varie forme altrove il marxismo, la scuola delle “Annales”, le moderne teorie dello sviluppo e la cliometria. Personalmente sono convinto che l’elemento conservatore presente nel pensiero di Einaudi agi da freno, da remora a questa rivoluzione storio- grafica. Riproporre a modello Le Play nel secolo XX era un paradosso » (in Annali della Fondazione Luigi Einaudi, vol. VIII, cit., p. 180). 51 Le osservazioni di Ottokar « sono giustapposte, e non concatenate, sf che l'avvento del bolscevismo può configurarglisi come una specie di cataclisma, che interrompa la continuità storica », notava ad esempio Ginzburg (« Nuova rivista storica » (1937), ora in Scritti, cit., p. 111). 5 L.E., Edizioni Laterza, in « Rivista di storia economica », II (1937), pp. 196-198. 213 Il fascismo e il consenso degli intellettuali pensiero, la società economica a tipo di concorrenza, l’unio- nismo operaio, il regime di discussione »; ma la « lettura più vantaggiosa » è per Einaudi la Storia d’Europa di Fisher, nella quale egli vede la dimostrazione dell’assenza di basi economiche nei diversi ordinamenti politici. Prende invece nettamente le distanze da un libro laterziano allora famoso in quanto espressione della crisi dei valori borghesi, Democrazia in crisi del laburista Harold J. Laski — un au- tore che la casa editrice accoglierà solo nel dopoguerra, men- tre nel 1936 Mario Einaudi lo aveva accusato di marxismo per l’opera The Rise of Liberalism —, in quanto « dalla pa- rificazione laskiana di “democrazia” ad “uguaglianza” vien fuori un’economia comunistica a tipo termitario » ”. Il liberalismo di Einaudi aveva infatti un minor respiro ideale di quello di Croce, come dimostra la discussione tra loro intercorsa negli anni ’30 e ’40 sui rapporti tra libe- rismo e liberalismo: mentre Croce, pur nella comune ri- pulsa del comunismo, negava la necessaria identità dei due termini, Einaudi sosteneva la loro inseparabilità, in quanto « l’idea della libertà vive, si, indipendente da quella norma pratica contingente che si chiamò liberismo economico; ma non si attua, non informa di sé la vita dei molti e dei più se non quando gli uomini, per la stessa ragione per cui vollero essere moralmente liberi, siano riusciti a creare tipi di orga- nizzazione economica adatti a quella vita libera » *. Data questa rigida identificazione — per cui la presa di distanza di Einaudi dal fascismo ha il suo motivo di fondo nella politica protezionista e corporativa del regime —, si com- prende come più numerosi e acri che ne « La Critica » siano gli attacchi antisocialisti nella « Rivista di storia economica », condotti in primo luogo dal suo direttore con accenti che dimostrano la carica politica, prima ancora 53 L. Einaudi, Ancora a proposito di edizioni e di alcuni libri editi da Giuseppe Laterza in Bari, in « Rivista di storia economica », III (1938), pp. 349-354; M. Einaudi, Di una interpretazione puramente economica del liberalismo, in « Rivista di storia economica », I (1936), p. 319. 5% L. Einaudi, Tema per gli storici dell'economia: dell’anacoretismo economico, in « Rivista di storia economica », II (1937), p. 195. I testi del dibattito sono raccolti in B. Croce, L. Einaudi, Liberismo e libera- lismo, a cura di P. Solari, Milano-Napoli, Ricciardi, 1957. 214 Le origini della casa editrice Einaudî che scientifica, dei suoi obiettivi. Ne è documento esem- plare, nel 1934, la recensione a Socialism's New Start, tra- duzione di un’opera di socialisti tedeschi nascosti dall’ano- nimato, critici dei partiti tedeschi socialdemocratico e co- munista accusati di aver consegnato le masse operaie al nazismo; con le minacce di simili « untorelli », scrive Einaudi, il regime hitleriano può dormire sonni tranquilli: I socialisti del continente europeo, sia quelli dei paesi come l’Italia, la Germania e l’Austria, nei quali essi sono stati spazzati via, sia quelli dei paesi come la Francia, nei quali si danno un gran da fare per farsi mandare a spasso, non hanno ancora capito che « il capitalismo » è una irrealtà, uno schema partorito dalla loro scarsa cultura storica e dalle loro rudimentali attitudini psicologiche; e quindi, essendo un meccanismo tecnico, una costruzione meramente amministrativa e contabile, può essere rivoluzionato o riplasmato pit o meno in meglio od in peggio, senza grandissime difficoltà. La società tollera chiacchiere socialistiche più o meno interessanti e consente talvolta che in nome di ideali socialistici si compiano ai margini sperimenti più o meno costosi intesi a tener quiete le molti- tudini. Ma le chiacchiere e gli sperimenti non devono andare oltre un certo segno; non devono toccare istituti che hanno nell’animo umano radici ben più profonde del capitalismo: la proprietà della terra, della casa, dell’opificio, il risparmio, la famiglia, la eredità, la tradizione, la religione. Responsabili della nascita dei regimi totalitari sareb- bero stati i socialisti, in quanto Blum in Francia, Stafford Cripps e Laski in Inghilterra appaiono a Einaudi « magni- fici alleati e profeti e sostenitori di nuovi regimi che, sorti in Italia si vanno estendendo, sotto forme variabilmente adattate alle diverse contrade, un po’ dappertutto » 5. Proprio riferendosi a questa recensione, e alla raccolta dei Nuovi saggi di Einaudi pubblicata nel 1937 dal figlio, « Giustizia e Libertà » — espressione del movimento nel quale si riconoscevano vari collaboratori della casa edi- trice — critica violentemente l’esponente liberista, nella cui opera non ravvisa né antifascismo, né liberalismo, né scienza, ma solo i frutti di un « liberale è /a page », lealista 55 L. Einaudi, Afforno ad una spiegazione della disfatta dei partiti socialistici, in « La Riforma sociale », XLI (1934), pp. 713-714. 215 Il fascismo e il consenso degli intellettuali verso il regime, mosso da « una meschina preoccupazione di antisocialismo, che non ha a che vedere con il bisogno di libertà che ogni uomo prova, ma semplicemente con un sentimento originario, più forte di qualunque ragionamento, di disprezzo per il salariato e per il lavoratore manuale che aspiri a dirigersi da solo ». Ispirato da un « velenoso » odio di classe — continua articolista —, Einaudi « arriva a sostenere la legittimità della reazione fascista, che non sarebbe l’avventura di un gruppo di spostati né rea- zione di privilegiati, ma la reazione legittima della so- cietà contro quei faccendoni dei socialisti che le impedi- vano di lavorare »; il suo «cieco conservatorismo » si spiega con la sua « sfiducia totale in qualunque tentativo di miglioramento, che tolga gli individui alla classe in cui essi sono costretti a vivere » ”. È del resto raro trovare nella seconda metà degli anni ’30, nella « Rivista di storia economica » o nei volumi della casa editrice ispirati da Luigi Einaudi, una coerente pole- mica nei confronti della politica economica del regime o dei testi economici proposti dal fascismo. La critica all’antiindi- vidualismo della Breve storia delle teorie economiche di Othmar Spann edita da Sansoni nel 1936 resta un caso isolato ”, mentre già nel 1934 Einaudi trova modo di lodare Bottai « promotore di iniziative feconde: come quella dei buoni libri informativi editi dalla scuola corporativa di Pisa », o la « Nuova collana di economisti » curata da Bottai e Arena, in cui apprezza in particolare la pubblica- zione dell’Economia del benessere di Arthur C. Pigou — « non conosco lettura più adatta a moltiplicar dubbi su qualsiasi provvedimento di politica sociale » — e gli scritti $% Magrini [Aldo Garosci], Liberalismo?, in «Giustizia e Libertà », 5 marzo 1937; per un altro attacco al « fascismo » di Luigi Einaudi cfr. La concezione filosofica del mondo, in ibidem, 1 aprile 1938. « Di rado compaiono operai — notava il corporativista Giuseppe Bruguier recen- sendo i Nuovi saggi —. Gli è che l’Finaudi, man mano che gli anni passano, mi pare si faccia sentimentalmente sempre più vicino, piuttosto che ai lavoratori delle calate del porto di Genova o alle maestranze delle officine di Torino, ai contadini delle sue belle terre piemontesi », osservati con « senso patriarcale » (« Leonardo », VIII (1937), p. 70). 5? L. Einaudi, Una storia universalistica dell'economia, in « Rivista di storia economica », I (1936), pp. 258-263. 216 Le origini della casa editrice Einaudi sulla tassazione di Wicksell, col quale Einaudi dichiara di trovarsi « in ottima compagnia nella tendenza a non pren- dere sul serio certi cosiddetti principî di ripartizione delle imposte chiamati dell’uguale, proporzionale o minimo sa- crificio ovverosia della capacità contributiva e simiglianti vacuità senza contenuto »: la « conquista definitiva teori- ca » di Wicksell è infatti che « non esiste un principio di giustizia tributaria » *. In una discussione in cui, accanto a nette differenziazioni, c’era posto per posizioni intermedie fra corporativismo e liberismo — tipica è la figura di Marco Fanno, collaboratore al tempo stesso della « Nuova collana di economisti » e della casa editrice Einaudi” —, ma anche per significativi incontri su questioni economiche di nodale importanza, Luigi Einaudi poteva tranquillamente combattere la teoria dell’imposta progressiva: cosî nel 1934 con la pubblicazione — preceduta da una sua prefazione ‘elogiativa dell’autore e dell’opera svolta dai liberisti italiani nel 1880-90 — dei Principi di economia finanziaria di De Viti De Marco, dalla quale Edoardo Giretti traeva spunto per un giudizio politico il cui elemento di distinzione dal fascismo era rappresentato da una /audatio temporis acti ©, 58 L. Einaudi, Del principio della ripartizione delle imposte (a pro- posito di una nuova collana di economisti), in « La Riforma sociale », XLI (1934), pp. 429-431, 435. 59 Cfr. A. Macchioro, Studi di storia del pensiero economico e altri saggi, Milano, Feltrinelli, 1970, pp. 644-45, e il carteggio Fanno-Finaudi in AFE, Fanno. : 6 «Lo storico che potrà un giorno, all’infuori delle passioni e dei rancori dell’età contemporanea, discutere ed esaminare a fondo oggetti- vamente e serenamente le cause che determinarono la crisi del 1922 e la caduta di un regime politico-parlamentare che del liberalismo cavour- riano aveva conservato soltanto il nome, ma non l’idea e la sostanza, dovrà riconoscere che l’unico tentativo serio e coerente, che si era fatto in Italia, allo scopo di prevenire la catastrofe di quel regime, da gran tempo preveduta, fu proprio quello del gruppo liberista, del quale il De Viti fu il capo e l’ispiratore più autorevole e più tenace », colui che aveva osservato che i liberisti, « avendo pur sempre di mira la difesa e il consolidamento dello Stato liberale democratico, avevano esercitato una critica intesa a creare nel paese una più elevata coscienza pubblica contro tutte le forme degenerative delle libertà individuali e del sistema rap- presentativo » (E. Giretti, Un uomo e un gruppo, in «La Cultura », XIII (1934), pp. 28-29). Con quest'opera De Viti De Marco « aveva dimostrato la natura autofaga dell’imposta progressiva », dità Einaudi, Miti e paradossi della giustizia tributaria, Torino, Einaudi, 1938, p. 197 n. 217 Il fascismo e il consenso degli intellettuali e, con particolare forza, nei Miti e paradossi della giustizia tributaria, dove il richiamo agli economisti classici si accom- pagna ad accenti moralistici che mal nascondono la sostanza antidemocratica del discorso: Giova — si chiedeva Einaudi — [...] togliere coll’imposta diffe- renziata a questi pochi [monopolisti] il guadagno di eccezione che essi temporaneamente lucrano? No; poiché è vero che quel lucro è ottenuto col vendere a più basso non a più alto prezzo dei concor- renti. Se si vuole accaparrare quel lucro a vantaggio della collettività non bisogna adoperare l’imposta, strumento stupidamente repressivo, ma l’emulazione gli onori la lode. Giova creare l'atmosfera nella quale il ricco giudichi se stesso disonorato e sia dall'opinione pub- blica considerato con spregio se non consacri in vita e in morte parte rilevante dei suoi redditi a scopi di pubblica utilità: a fondare e dotare scuole ospedali parchi stadi. Come ammoniva Adam Smith, « un grado assai consi- derevole di disuguaglianza sembra essere, ove si giudichi secondo l’esperienza universale dei popoli, un danno di pochissimo conto in paragone con un piccolissimo grado di incertezza ». La preferenza accordata alla « certezza » rispetto alla « giustizia » — per cui si richiamano anche gli scritti economici di Cattaneo — trova infine il suo natu- rale corrispettivo, sul piano politico, nella critica alla demo- crazia: « Chi, salvo gli egualitari, intenti ad aprire la via al governo dei plutocrati, mai seppe che lo stato ideale si confondesse con il governo del demo? Anche il governo di una minoranza può essere una approssimazione all’ideale, se la minoranza ha lo sguardo volto verso l’alto » ©; dove l’individualismo economico e l’antisocialismo ricordano gli aspetti più propagandistici dell’opera di Pareto, il cui Corso di economia politica apparirà nel 1943 nella « Col- lezione di opere scientifiche di economia e finanza ». Anche il richiamo a Cattaneo, sopra citato, si presenta in Luigi Einaudi nella linea di un discorso conservatore, difficilmente assimilabile all’interpretazione « illuministi ca » di un Salvemini o di un Gobetti e ben distante dalla caratterizzazione democratica che — come vedremo — ne ®! L. Einaudi, Miti e paradossi, cit., pp. 95, 239, 255. 218 Le origini della casa editrice Einaudi darà Spellanzon nel 1942. La raccolta dei Saggi di econo- mia rurale curata nel 1939 da Luigi Einaudi per la « Biblio- teca di cultura economica » ebbe tuttavia il merito di rinno- vare l’interesse attorno a una figura di cui l’idealismo si era sbarazzato rapidamente. « Corrente di vita giovanile », la rivista di fronda di Ernesto Treccani che prima dell’entrata in guerra dell’Italia pubblicherà il brano cattaneano Della milizia antica e moderna in cui la guerra ingiusta era consi- derata preludio di sconfitta, colse in Cattaneo un modello di serietà e di impegno ©, mentre su « Primato » Giansiro Ferrata, dopo aver ricordato che « la lotta politica fino al ’24 ha insistito su questo nome in tutti i toni possibili, cogliendone ogni impulso all’azione », oppose 1’« idealismo operativo » di Cattaneo a quello « descrittivo » di Vico privilegiato da Croce: « se in questi anni — concludeva all’inizio del 1940 —, come sembra vero e necessario, alcuni pregiudizi politici ed ideologici vanno scomparendo, dovremmo acquistare alla coltura d’oggi questo nome » £. La riproposizione che ne faceva Einaudi era però, anche se più puntuale, pit restrittiva, tesa a raccogliere da Cattaneo l'invito al sacrificio, alla « edificazione della terra colti- vata », e soprattutto il richiamo alla « certezza che gli uomini debbono possedere di godere essi i frutti del proprio lavoro », attuabile attraverso i « mirabili effetti » del cata- sto: « Mentre troppi dottrinari corrono dietro a false teo- riche di cosidetta giustizia tributaria e vorrebbero distrug- gere le più belle tradizioni finanziarie italiane, fa d’uopo 62 S. Pozzani, Quasi una introduzione, in «Corrente di vita giova- nile », 31 ottobre 1939: «al fondo della sua concezione politica ed economica stava il convincimento che solo a prezzo di fatiche e di sacrifici l’uomo può giungere a risultati positivi e fecondi {...] dalle pagine del Cattaneo emana l’incitamento a meditate preparazioni come base necessaria per affrontare la paziente e scrupolosa disamina dei problemi grossi e minuti della nostra vita nazionale ». Il passo di Cattaneo riportato si concludeva cosî: «Ma la vittoria stessa, destando la mera- viglia delle genti e l'imitazione, nel decorso eguaglia le sorti, e riduce il popolo stesso che aveva trascese le condizioni dell’equilibrio » (ibidem, 31 maggio 1940). Sulla rivista cfr. l'introduzione di Alfredo Luzi a Cor- rente di vita giovanile (1938-1940), Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1975. 63 G. Ferrata, Immagine di Cattaneo, in « Primato », I (1940), pp. 27, 29; cfr. anche Id., Caztareo, in « Oggi », 25 novembre 1939. 219 Il fascismo e il consenso degli intellettuali insistere energicamente sulla virti della imposta ripartita su basi destinate a non mutare per lungo tratto di tem- po » * Il Cattaneo einaudiano diventa quindi un’altra arma contro gli « egualitari » e i socialisti, contro i quali si schie- rano anche altri collaboratori della « Rivista di storia eco- nomica ». Si distingue fra questi il giovane allievo di Luigi Einaudi e Gioele Solari, Aldo Mautino, che nello studio su La formazione della filosofia politica di Benedetto Croce — pubblicato postumo da Einaudi nel 1941 dopo una « accu- rata revisione » dello stesso Croce — si farà partecipe espo- sitore della critica crociana al materialismo storico di La- briola e si schiererà con Luigi Einaudi nel sostenere l’iden- tità fra liberismo e liberalismo 9. Commentando la mono- grafia di Dal Pane su Labriola e i Saggi labrioliani ripro- posti da Croce nel 1938, Mautino osservava che la gran- dezza del cassinate « non si deve ricercare nel campo specu- lativo, bensi piuttosto in quello politico », in quanto gli sembrava che i Saggi tendessero «ad una svalutazione progressiva di quella medesima dottrina di cui si presen- tano come interpretazione e commento »: « una costante linea spirituale di svolgimento conduce in effetti a risol- vere l’opposizione persistente tra la necessità escatologica del comunismo e la libera volontà rivoluzionaria e, lascian- do da un canto la trascendenza economica, la dialettica della storia e la conseguente apocalissi comunistica, a far luogo all’azione, diretta ad instaurare per convincimento 4 C. Cattaneo, Saggi di economia rurale, a cura di L. Einaudi, Torino, Einaudi, 1939, p. 31; cfr. anche L.E., La terra è un edificio ed un arti: ficio, in « Rivista di storia economica », IV (1939), p. 246. Il richiamo di Einaudi a Cattaneo appare invece «illuminista » a N. Bobbio, Una flosofia militante. Studi su Carlo Cattaneo, Torino, Einaudi, 1971, PP. 200-201. 65 Cfr. le lettere di Giulio Einaudi a Croce del 16 e 23 dicembre 1940 (AF, Croce). « A suo agio il Mautino avrebbe potuto maggiormente far risaltare gli elementi della dottrina creduta morta da Croce in se stesso e rimasti al contrario vivi e fecondi. Se ciò non ha fatto gli è perché non aveva del materialismo storico, nelle sue affermazioni originali, e nei suoi più vitali ripensamenti, quella conoscenza che sarebbe stata necessaria », osservò F. D'Antonio, A proposito della « filosofia politica » crociana, in « Nuova rivista storica », XXV (1941), p. 333. 220 Le origini della casa editrice Einaudi morale, fuori da ogni attesa fatalistica, una nuova forma di vita più umana. Onde la conclusione ideale, a cui i Saggi medesimi sembrano rivolgersi, finisce per rinnegare quelle stesse strutture intellettuali di cui la passione politica aveva tentato di rivestirsi ». Fatta propria la negazione crociana del materialismo storico come filosofia, e affermato che nel campo speculativo il marxismo era stato superato da Croce e Sorel, Mautino notava tuttavia la « comprensione, profonda nel Labriola, del valore nazionale rappresentato dal movimento operaio. Questo rigido socialista sognava un’Italia attraverso di quello rigenerata e fatta più civile [...]. In questo augurio di una Italia nuova consiste una delle ragioni, e sicuramente non la minore, della “ perpetua giovinezza” che l’antico e recentissimo editore riconosce nell’opera del Labriola » £. Se in quest’ultima affermazione può apparire un’acquisizione di stampo nazionalistico del pensiero di Labriola, analoga a quella compiuta da Volpe nella prefazione alla monografia di Dal Pane, decisamente liquidatorio era il giudizio sul socialismo espresso da Mau- tino nella recensione delle memorie di organizzatori operai pubblicate da Laterza (Zibordi, Rigola, Riguzzi) e dalla collana dei « Problemi del lavoro » (Azimonti, Zanella, Bettinotti, Anzi, Rigola): staccato dal marxismo scienti- fico, « il socialismo fu soprattutto una convinzione mora- le », ma anche cosî le memorie dei suoi militanti, annotava Mautino, lasciano trasparire del grigiore spirituale. Pare che dopo tanto tre- pidar di speranze e divampare di passioni e avvicendarsi di illusioni e delusioni e travagliarsi e lottare, l’animo tendesse a volgersi di preferenza a faccende organizzative, e di miglioramenti economici, e di compromessi politici [...]. Ormai il vecchio socialismo moriva senza gloria; e anche questi suoi ultimi fedeli, guardando oggi al futuro, non sanno più ritrovare nei miti troppo facili della loro gio- venti motivi capaci di animarli e correggerli ancora , 6 A. Mautino, Intorno a un teorico del materialismo storico, in « Rivi- sta di storia economica », IIl (1938), pp. 332-334. 6 A. Mautino, Memorie di organizzatori operai italiani, in « Rivista di storia economica », IV (1939), p. 76. Recensendo il Concezto cristiano della proprietà di J. M. Palacio curato da Fanfani per le edizioni di Vita e pensiero, Mautino trovava modo di condannare anche il cattoli- 221 Il fascismo e il consenso degli intellettuali A sottolineare le carenze del socialismo e il primato del liberismo interveniva autorevolmente, nel 1940, Attilio Cabiati: notando come « da parecchi anni a questa parte il socialismo, che pareva “relegato in soffitta” », fosse venuto attirando l’attenzione di studiosi tedeschi ed anglo-ameri- cani, rivolti a vagliare « la possibilità teorica di un governo economico collettivista », affermava che tutti arrivavano alla conclusione che « qualunque sistema economico si adotti, ove esso miri a procurare col minimo dispendio di forze il massimo benessere della collettività, deve soddi- sfare a quello stesso sistema di equazioni, che in libera concorrenza garantiscono l’utilità massima ai singoli opera- tori sul mercato »; perciò solo lottando contro l’interven- tismo statale, concludeva Cabiati, « l'economia potrà rifio- rire, dimostrando coi fatti che l’azione privata, malgrado i propri difetti innegabili, supera senza paragone possibile qualsiasi forma di costituzione socialistica della società, che costituirebbe l’iperbole del burocratismo, coi suoi insosteni- bili difetti e con la formazione della peggiore oligarchia arri- vista » £. La battaglia antiprotezionistica dei liberisti raccolti at- torno a Luigi Einaudi, quale si rispecchia non solo nelle sue riviste, ma anche nei volumi di economia della casa editrice che ora esamineremo, aveva quindi un’impronta ideologica conservatrice e antisocialista che, se rappresenta solo una faccia dell’iniziativa culturale di Giulio Einaudi, è forse quella che meglio spiega la capacità di quest’ultimo di aprirsi degli spazi di manovra nelle maglie del regime. cesimo sociale in quanto, «al pari del socialismo democratico, la poli- tica cattolica si volge alla plebe con le lusinghe della benedizione pubblica e la promessa d’un paradiso nel cielo », facendosi sostenitrice dell’interventismo statale (Cattolicesimo e questione sociale, in « Rivista di storia economica », III (1938), pp. 79-80). 6 A. Cabiati, Intorno ad alcune recenti indagini sulla teoria pura del collettivismo, in « Rivista di storia economica », V (1940), pp. 73-74, 110 {prendeva in esame, fra gli altri, saggi di R. L. Hall e M. Dobb). 222 Le origini della casa editrice Einaud? 3. L’impronta liberista sulla casa editrice Di notevole interesse per valutare, non solo sul piano ideologico, il rapporto fra il gruppo di Luigi Einaudi e il regime è la collana « Problemi contemporanei », che per dieci anni — dalla fondazione della casa editrice al 1944 — riflette l'opinione dei liberisti sulla politica economica ita- liana e internazionale, con delle valutazioni che, passando quasi sotto silenzio gli indirizzi corporativi del fascismo, non sono tali da costituire, nella maggior parte dei casi, un terreno di scontro con gli economisti del regime. Il tema di maggior rilievo della collana è la crisi del 1929 e il New Deal rooseveltiano: un punto sul quale l’attenzione dedicata ai problemi monetari anche dai liberisti « per- mette loro di trovare un terreno di incontro con i corpora- tivisti, dati gli indirizzi della politica del regime in questo settore » ©, anche se, ovviamente, da parte fascista si cerca di assimilare l’esperimento di Roosevelt — in quanto inter- ventista — al corporativismo e di ricavarne quindi un’ulte- riore giustificazione di quest’ultimo come terza via tra capi- talismo e socialismo; mentre l’entourage di Luigi Einaudi, nonostante uno sforzo di documentazione, manifesta dure critiche nei confronti delle analisi catastrofiche della crisi e della politica del presidente americano. La posizione dei liberisti — accanto al gruppo einaudiano è da annoverare anche quello che si raccoglie attorno al « Giornale degli economisti » — giustifica « un giudizio di incomprensione e di mancanza di attrezzatura teorica idonea da parte di questi economisti rispetto ai problemi posti dalla crisi ame- ricana. È assente la coscienza del dramma di milioni di disoccupati e non esiste quel travaglio sull’adeguatezza dei propri strumenti teorici che caratterizza vari economisti americani. Vi è, soprattutto, una difesa della “scienza eco- nomica” e delle “leggi economiche” contro la politica eco- nomica e la politica in generale » ”. Mentre il governo ® M. Vaudagna, New Deal e corporativismo nelle riviste politiche ed economiche italiane, in G. Spini, G. G. Migone, M. Teodori, Italia e sno dalla grande guerra a oggi, Padova, Marsilio, 1976, p. 108. idem. 223 Il fascismo e il consenso degli intellettuali fascista accentuava l’intervento dello Stato nell’economia, i liberisti cercarono di ridimensionare la portata della crisi e di attribuirne le cause, in ultima istanza, alla politica pro- tezionistica promossa dai vari Stati dopo la prima guerra mondiale e, quindi, a « errori di uomini » allontanatisi dalle « leggi economiche ». Già nel 1931 Luigi Einaudi, svolgendo su « La Riforma sociale » delle « riflessioni in disordine » sulla crisi, aveva individuato nel crack del 1929 la manifestazione di quei « cicli brevi » che « sono dominati dagli errori degli uomi- ni » e, in quanto tali, facilmente superabili. L’insorgere di uno squilibrio fra domanda e offerta, una delle cause della crisi, era imputato moralisticamente a una deviazione dai modelli tradizionali di vita delle classi inferiori aspiranti a salire nella scala sociale. Se in Russia, osservava, « non è concepibile crisi » in quanto domanda e offerta coincide- vano « forzatamente » per l’intervento dello Stato soffoca- tore della libertà e delle aspirazioni individuali, il « mo- dello » americano, che faceva tendere ad un alto tenore di vita tutte le classi, era un elemento perturbatore dell’equi- librio fra produzione e distribuzione del reddito: di qui la convinzione che « la crisi via via si attenuerà a mano a mano che i nuovi ceti diventeranno vecchi e che il mare sociale in tempesta si acqueterà. Ogni classe ed ogni ceto ritornerà a poco a poco a pregiar se stesso, a vivere secondo i propri gusti fondamentali e tradizionali », in modo che « l’industria potrà assai meglio prevedere la domanda di beni da parte di una società » meno fluida, meno commossa da mutazioni e commistioni di ceti inetti a comprendersi a vicenda e furiosamente spinti ad imitare gli aspetti più ap- pariscenti della vita di ognuno di essi ». E, mentre negava la « novità» della crisi presente e confutava i suggerimenti di Keynes cosî come l’utilità di ogni piano economico, mosso dal terrore per il « gigantismo » industriale ribadiva il suo arcaico ideale di un mondo economico dominato dai piccoli produttori, che si illudeva di veder realizzato in Italia, dove « probabilmente il peso relativo della piccola impresa famigliare, pudicamente condotta fuori degli occhi curiosi degli statistici, è grandissimo, superiore a quanto 224 Le origini della casa editrice Einaudî si immagina dai più. Forse quel peso è crescente. Contro i piani internazionali, contro i consigli dei periti, la sanità fondamentale italiana ha reagito concentrandosi nella in- frangibile unità famigliare »: un ideale, il suo, che poteva incontrarsi con alcuni aspetti della dottrina sociale catto- lica e della propaganda ruralistica del regime ”. Analoga era la posizione di Attilio Cabiati, che in Crisi del liberismo o errori di uomini? accompagnava l’analisi dei fenomeni economici, sufficientemente articolata, con un fer- reo dogmatismo, affermando che « l’abbandono dei prin- cipi economici, messi in disparte in omaggio a vere o pre- sunte necessità politico-sociali, ha sviluppato nel mondo intero, come “naturale” conseguenza, una serie di disastri economici »; l’economia, aggiungeva ricordando Pareto e Barone, « è una scienza precisa la quale obbedisce a leggi naturali. Per cui sia che l’organizzazione economica resti abbandonata al self interest dei singoli, sia che venga data nelle mani dello stato sotto una forma qualsiasi, una condi- zione è necessaria: che i privati o il ministro della produ- zione agiscano secondo le leggi nazurali della scienza eco- nomica » ”. Si comprende quindi come la domanda formu- lata nel titolo del volume fosse puramente retorica, e come Cabiati considerasse la crisi, e i mezzi messi in atto da Roosevelt per superarla, come « errori di uomini », frutto cioè dell’indebita ingerenza della politica nell’economia. A sostegno di questa tesi viene proposta l’opera di uno dei più ‘autorevoli esponenti neo-classici della London School of Economics, Lionel Robbins, che agli insegnamenti di Mar- 7 L. Einaudi, Saggi, Torino, La Riforma sociale, 1933, parte II, pp. 228, 373, 377, 405-410, 515. Il 17 marzo 1939 Einaudi inviava a Mussolini una lettera in cui considerava la proposta di introdurre nel codice civile l’« indivisibilità dei fondi rustici» un freno alla piccola proprietà e allo sviluppo demografico del paese (ACS, Segreteria parti- colare del Duce, Carteggio ordinario, fasc. 528771, sottofasc. 2). 7 A. Cabiati, Crisi del liberismo o errori di uomini?, Torino, Einaudi, 1934, pp. 9-11. Contro «il ricorso all’immutabilità delle cosf dette leggi economiche, ripiego in cui si annida il falso presupposto della naturale armonia degli interessi », espresso in un altro volume di Cabiati (Il finanziamento di una grande guerra, Torino, Einaudi, 1941), si schierava A. Brucculeri, Ecomozzia bellica, in «La Civiltà cattolica », 92 (1941), vol. IV, p.. 456. 225 Il fascismo e il consenso degli intellettuali shall — cui si rifacevano, a Cambridge, pur con posizioni diverse, Pigou e Keynes — anteponeva quelli di Pareto, von Mises e Wicksteed. In Di chi la colpa della grande crisi? E la via di uscita Robbins, nei cui riguardi i liberisti italiani dimostravano una speciale venerazione, affermava che dopo la guerra « il raggruppamento delle imprese indu- striali in consorzi, l’accresciuta forza dei sindacati operai, il moltiplicarsi dei controlli governativi hanno creato una struttura economica che, quale che possa essere la sua supe- riorità etica od estetica, è certo assai meno capace di rapidi riadattamenti di quanto lo fosse il vecchio sistema pit aperto alla concorrenza ». E analizzando i provvedimenti dei vari governi — moneta manovrata e protezionismo — scorgeva il pericolo di uno scivolamento verso il socialismo, in parte già in via di realizzazione: Il carattere nettamente socialistico della politica economica in Inghilterra, e in tutto il mondo moderno, non è determinato dagli elementi obbiettivi della situazione, o dal fatto che le masse abbian deciso di riorganizzare socialisticamente la produzione. Se la politica economica ha questo carattere è perché uomini d’intelletto e di cul- tura hanno creato la teoria socialistica e hanno gradualmente conver- tito alle loro idee le masse ?3. Le stesse preoccupazioni per il « socialismo di Stato » paventato dai liberisti italiani ”* sono avvertibili nella rac- 7 L. Robbins, Di chi la colpa della grande crisi? E la via di uscita, prefazione di L. Einaudi, traduzione di S. Fenoaltea, Torino, Einaudi, 1935 (ediz. originale 1934, col titolo The Great Depression), pp. 10, 80, 219. Fenoaltea scriveva all’editore di aver fatto rivedere la traduzione da Luigi Einaudi, e di aver proposto l’opera « per il desiderio, e quasi per il dovere morale, che sentivo di far conoscere agli italiani questo libro cosi bello, cosî coraggioso, e così necessario » (AE, Fenoaltea). Su Robbins cfr. in italiano C. Napoleoni, I/ pensiero economico del ’900, Torino, Einaudi, 1976, pp. 35-43, e l’introduzione di V. Malagola Anziani a L. Robbins, La base economica dei conflitti di classe, Firenze, La Nuova Italia, 1980. 74 Il 13 aprile 1934 Vittorio Racca scriveva dagli Stati Uniti a Luigi Einaudi che « nelle riforme rivoluzionarie presidenziali americane si fa macchina indietro a tutto spiano; il paese, sia perchè vede che la recovery sta venendo in modo indiscutibile, sia perchè, come conse- guenza di ciò, si rifà coraggio, sia perchè si vede che quelle riforme ritardano, invece di favorire il ritorno della vita normale, non ne vuole più sapere di socialismo di Stato » (AFE, Racca). Già il discorso del 1° 226 Le origini della casa editrice Einaudi colta di saggi degli economisti di Harvard su I/ piano Roo- sevelt: gli autori, pur dichiarandosi « ben lungi dal credere che l’individualismo del secolo decimonono rappresenti l’apice della perfezione per tutti i tempi », si mostrano con- trari all’ingerenza della politica nell'economia e favorevoli a un laissez faire corretto in modo tale da impedire lo sfrut- tamento dell’uomo sull’uomo senza cadere nella soluzione socialista. Mentre per Joseph A. Schumpeter « l’unico carat- tere distintivo della presente crisi mondiale [...] è il fatto che i motivi extra-economici recitano la parte principale del dramma », Overton H. Taylor, trattando esplicitamente del « conflitto fra economia e politica », sostiene che « l’inte- resse economico effettivo di ogni gruppo o frazione di po- polo dev'essere riposto in una generale rinunzia o severissi- ma limitazione della “legislazione di classe” e della lotta per il potere e l’avvantaggiamento relativo, che vi sta alla base, salvo che qualche gruppo o classe possa realmente sperare di condurre a compimento una soluzione sociale secondo il modello marzistico »; tutto il suo ragionamento è cosi indirizzato a chiedere il ristabilimento dell’economia di mercato e a confutare i « nuovi radicali », privi di quel « realismo economico » il quale « deve riconoscere che, nella nostra presente situazione, l’interesse comune a una generale ripresa degli affari onesti, dell’agricoltura e del- l’occupazione operaia è massimamente minacciato dalla stra- tegia del potere e delle illusioni economiche delle classi mal- contente » * Il giudizio sul New Deal non è sostanzialmente modifi- cato da alcune note informative sulle riviste einaudiane o dal reportage giornalistico di Amerigo Ruggiero *, né dalla novembre 1934 in cui il segretario di Stato Cordell Hull si dichiarava disposto ad abbassare i dazi doganali, era salutato come L'atto di contri- zione degli Stati Uniti (« La Riforma sociale », XLI (1934), pp. 691-696). 7 J.A. Schumpeter, E. Chamberin, E. S. Mason, D. V. Brown, S.E. Harris, W.W. Leontiefi, O.H. Taylor, Il piano Roosevelt, traduzione di Mario De Bernardi, Torino, Einaudi, 1935 (ediz. originale 1934), pp. 12, 27, 144, 150, 153. 76 Cfr. M. Einaudi, Dopo un anno di governo di Roosevelt, «La Cultura », XIII (1934), pp. 66-67; V. Racca, Il «New Deal» roosevel- tiano: in che consiste, e Il «New Dedl» rooseveltiano: gli effetti, in «La Riforma sociale », XLI (1934), pp. 402-418, 555-573; A. Rug- 227 Il fascismo e il consenso degli intellettuali stessa pubblicazione di due opere di Henry A. Wallace, ministro dell’agricoltura dell’amministrazione Roosevelt, che pur dimostrano un intento informativo da parte della casa editrice. Presentando Che cosa vuole l'America? — libro nel quale Mussolini vide la conferma che anche gli Stati Uniti andavano « verso l’economia corporativa » —, Luigi Einaudi riconosceva per la prima volta che « il New Deal in fondo è un nobile tentativo di far qualcosa, non perché si sappia che quel qualcosa sarà fecondo di risultati vantaggiosi, ma perché urge il dovere di lottare contro la disperazione, di infondere coraggio, di impedire che milioni di uomini si rivoltino contro la società e distruggano, nel- l’impeto dell’ira, il risultato di tre secoli di sforzo labo- rioso »; ma si premurava al tempo stesso di mettere in evi- denza la « grande illusione » di Wallace 7, un « liberista » costretto dalla realtà della crisi ad ammettere il controllo statale sull'economia, nella speranza che la nuova epoca si persuadesse che « l’umanità possiede oggi tanta potenza mentale e spirituale e tanto dominio sulla natura da togliere per sempre ogni valore alla teoria della lotta per la vita e sostituirla con la legge più alta della cooperazione ». Wal. lace appariva infatti combattuto fra le necessità del mo- mento e le prospettive di più lungo periodo, prestandosi quindi anche a una lettura non distante dalla posizione dei liberisti italiani, preoccupati pur sempre delle tendenze monopolistiche del capitalismo contemporaneo: poiché l’an- tico sistema, affermava Wallace, « era il prodotto di un’avi- dità e di un opportunismo sfrenati », siamo stati costretti per forza a pensare in termini non di produ- zione e di commercio liberi, ma di produzione e di commercio pro- grammati dentro e tra le nazioni. Il rifiuto di Adam Smith a trac- ciare meschine piccole linee locali di confine attorno ai concetti di giero, L’America al bivio, Torino, Einaudi, 1934. Ruggiero pubblicherà nel 1937 presso Treves un volume sugli Italiani in America, lodato da «Gerarchia » perchè metteva in risalto «la grandiosa opera di va- lorizzazione dell’Italia intrapresa dal Fascismo » (XVII (1937), p. 222). TT H.A. Wallace, Che cosa vuole l’America?, introduzione di L. Einaudi, Torino, Einaudi, 1934 (ediz. originale 1934), p. 25 (Einaudi dichiara di averlo tradotto lui stesso: p. 12); L. Einaudi, La grande illusione di Wallace, in «La Cultura », XIII (1934), pp. 96-98. 228 Le origini della casa editrice Einaudi commercio e di civiltà può tuttavia ancora adesso giustamente inco- raggiare le menti ed i cuori a compiere sforzi più grandi. Un popolo libero sente vivacemente il dolore del nazionalismo, cioè del protezionismo e dell’isolamento economico *. An- che in Nuovi orizzonti, in cui pur si vide la proposizione di un programma « sostanzialmente identico al sistema corpo- rativo italiano » ?, Wallace osservava la necessità di « con- troliare quella parte del nostro individualismo che produce l’anarchia e la miseria diffusa », assicurando che « affidarsi a simili espedienti di redistribuzione del reddito e delle possibilità, non ci fa cadere nel socialismo e nel comunismo. E nemmeno costituisce il metodo dei pirati capitalistici della scuola economica neomanchesteriana »; ma affermava anche la temporaneità dei centrolli statali sull'economia, per concludere con una proposta conforme agli ideali del New Deal, ma difficilmente assimilabile a quelli del corpo- rativismo: La democrazia economica dovrebbe forse create i freni e i mezzi d’equilibrio che caratterizzano la democrazia politica, ma essa deve anche porre l’accento su un pronto ed attivo apprezzamento delle relazioni economiche mutevoli. La democrazia economica deve tro- varsi in posizione tale da resistere a sconsiderate pressioni politiche. Al tempo stesso, essa deve effettivamente rispondere ed essere pron- tamente ben disposta verso le necessità urgenti del popolo da cui sgorga il potere. La proposta da parte di Luigi Einaudi — che pur si preoccupava di premettervi sue « avvertenze » — di testi che non riflettevano soltanto le opinioni di liberisti, ma erano passibili anche di una lettura in senso corporativista, 78 H.A. Wallace, Che cosa vuole l’America?, cit., pp. 75, 100. F. Gazzetti osservava che «il lettore fascista avrà modo leggendo il libro di vedere che le più indovinate istituzioni americane sono state imitate da analoghe iniziative del Regime, persino le migrazioni interne!» {« Bibliografia fascista », X (1935), p. 495). 79 Cfr. la recensione di E. Corbino in «Nuova rivista storica », XIX (1935), p. 292. 80 H.A. Wallace, Nuovi orizzonti, traduzione di M. De Bernardi, Torino, Einaudi, 1935 (ediz. originale 1934, col titolo New Frontiers) pp. 25, 30, 244-245. 229 Il fascismo e il consenso degli intellettuali è indice della consapevolezza che il dibattito mondiale sulla crisi stava assumendo negli anni ’30 tendenze sempre pit decisamente anticapitalistiche, che in Italia avevano un qualche riscontro nelle tesi del « corporativismo di sini- stra » e dell’« economia programmatica », che ai suoi occhi apparivano, in quanto statalistiche, pericolosamente otien- tate verso il socialismo *. Di qui la presentazione, accanto a Wallace, di un autore « moderato » come Arthur C. Pigou, che quanto meno salvasse l’essenza del capitalismo e desse garanzie in senso antisocialista. In Capitalismo e socialismo il successore di Marshall nella cattedra di Cam- bridge, al termine dell’analisi di pregi e difetti dei due sistemi economici, proponeva di mantenere « la struttura generale del capitalismo » modificandola però gradualmente con interventi statali al fine di « ridurre le diseguaglianze più gravi nelle fortune e nelle occasioni di avanzamento che offendono la nostra presente civiltà » : la proposta non era certo tale da riscuotere pienamente le simpatie di Einaudi, per il quale Pigou « oggi sarebbe un “New Dealer” roose- veltiano negli Stati Uniti o un corporativista in Italia », e appariva ingenuo nell’assumere « come verità sacrosante le favole raccontate e rammostrate dai comunisti russi, consu- matissimi mistificatori, ai coniugi Webb, che sono forse stati nel campo scientifico la conquista più preziosa dei bolscevichi » — l’allusione era alla celebre opera sull’URSS che nel 1938 la casa editrice si rifiutò di tradurre —; ma l'intervento dell’economista inglese si giustificava come solido argine nei confronti dei detrattori del capitalismo: « gli studenti di Cambridge — affermava infatti Einaudi —-, sceltissimo fiore del paese reputato il più aristocratico del mondo, affettano oggi quasi tutti di essere comunisti. Il libretto di Pigou è una doccia fredda per codesti puri con- sequenziarii » ®. 81 Cfr. L. Dal Pane, Commemorazione di Luigi Finaudi, cit., p. 312. 82 A.C. Pigou, Capitalismo e socialismo. Critica dei due sistemi, tra- duzione di G. Borsa, Torino, Einaudi, 1939 (ediz. originale 1937), pp. 137-138. 83 Ibidem, pp. 2-4 (Avvertenza di L. Einaudi). La traduzione dell’ opera dei Webb, lodata da Umberto Calosso su « Giustizia e Libertà » 230 Le origini della casa editrice Einaudi Destinata a una maggiore risonanza e a ricevere il plauso dei recensori fascisti era la critica severa della società sovie- tica svolta da William H. Chamberlin in L'età del ferro della Russia, dove il titolo stava a indicare il periodo del primo piano quinquennale ma anche i metodi ferrei con cui era stato condotto. « Il libro è stato scritto prima delle recenti manifestazioni di terrorismo all’interno e di aiuto dato all’estero ai movimenti sovvertitori dell’ordine so- ciale — avvertiva nel 1937, nel corso della guerra di Spa- gna, l'editore italiano — [...]. Ma la potente analisi, tanto più spietata quanto più obbiettivamente contenuta, dell’ab- brutimento spirituale della Russia comunista, giustifica la resistenza che l'Europa oppone vittoriosamente alla propa- gazione del bolscevismo ». Con uno stile vivacissimo e con frequenti — ma scontati e logori — raffronti fra Stalin e Pietro il Grande, l’autore non si limitava a illustrare il pro- cesso di industrializzazione dell'URSS, ma dedicava ampio spazio al soffocamento delle libertà personali, civili e reli- giose, da parte dell’« autocrate della repubblica rossa », un paese in cui si poteva notare « il realizzarsi di una teoria fanatica che arreca grandi mutamenti di vita e di pensiero ed al tempo stesso condanna alla distruzione milioni di avversari », 0 « il risorgere in nuove forme, e sotto la ma- schera di frasi nuove, di tipiche antiche concezioni russe come il diritto assoluto dello stato a servirsi degli individui e distruggerli, se cosî vuole, per il raggiungimento dei suoi scopi ». E ciò senza che si fossero raggiunti apprezzabili risultati dal punto di vista economico, perché, « se con il grano, il caffè e il cotone distrutti si potrebbe idealmente formare una montagna come monumento alle follie e alle debolezze del capitalismo, una montagna non meno grande si potrebbe innalzare nell’URSS con tutte le merci che sono state sprecate e distrutte non volontariamente, ma per effetto di incuria e di inefficienza proprio quando la man- canza di viveri si faceva più acutamente sentire ». Di qui (7 febbraio 1936), era stata consigliata da Alessandro Schiavi a Giulio Finaudi, che il 18 febbraio 1938 gli rispondeva: « Ma non Le pare che gli Autori prendano troppo sul serio l’economia programmatica dei Sovieti? » (AE, Schiavi). 231 Il fascismo e il consenso degli intellettuali l'insegnamento di carattere generale che da questo, come da altri volumi della collana, poteva trarre il lettore: « L’esperimento russo ha dimostrato all’evidenza che l’eco- nomia programmatica non è una panacea, che nel funziona- mento di un sistema economico strettamente centralizzato e controllato dallo stato possono verificarsi errori non meno disastrosi delle deficienze e degli attriti di un sistema che funzioni senza il beneficio di un piano » *. Un giudizio che, se non poteva incontrare la piena approvazione dei liberisti, poneva sul tappeto un quesito al quale i corporativisti af- fermavano di aver già risposto, ma che al tempo stesso era riformulato come ancora irrisolto dalla rivista di Codignola « Civiltà moderna », secondo la quale « resta uno dei pro- blemi fondamentali del regime sovietico quello di trovare quanto individualismo sia necessario pel funzionamento d’un sistema collettivista, cosî come in altri paesi il pro- blema è quello di trovare quanto controllo collettivo debba istituirsi per far bene funzionare un sistema individuali- sta! » ®. i Il quesito verrà riproposto, addirittura con alcuni arre- tramenti teorici in senso liberista, nei volumi di economia pubblicati dalla casa editrice nel 1945-46. Non è quindi da stupirsi che nel 1944, dopo la caduta di Mussolini, appa- risse come ultimo titolo dei « Problemi contemporanei » curati da Luigi Einaudi un altro volume di Robbins, Le cause economiche della guerra, dove, più che la critica 3 W.H. Chamberlin, L'età del ferro in Russia, traduzione di S. Fenoaltea, Torino, Einaudi, 1937 (ediz. originale 1934), pp. 11-12, 21, 74, 76. « L'entusiasmo è un po’ gonfiato a causa delle circostanze, ma in fondo il libro si meritava una buona accoglienza », scriveva l’editore a Fenoaltea il 16 febbraio 1937 (AE, Fenoaltea). Chamberlin pubblicò anche, nel 1937, Collectivism, a False Utopia. 85 Recensione di A. Rapisardi Mirabelli, in «Civiltà moderna », IX (1937), p. 444. Per Felice Battaglia il libro mostrava « l’organiz- zazione concreta, in atto, del regime, la vita dolorosa di un popolo, che ignora ogni attributo della persona e si consuma in un tono assai basso di esistenza economica e morale, senza neppure supporre che altri possa realizzare forme più soddisfacenti » (« Rivista storica italiana », s. V, I (1936), p. 103); «libro di informazione onesta, spassionata », retto dall'idea che « alla dinastia degli zar sia subentrata una dinastia di fanatici sacerdoti marxisti», appariva al «Meridiano di Roma» (II, 24 gennaio 1937). . 232 Le origini della casa editrice Einaudi svolta dall’autore nei confronti della teoria leninista dell’im- perialismo e la sua proposta degli Stati Uniti d'Europa in quanto « non il capitalismo, ma l’organizzazione politica anarchica del mondo è il male principale della nostra civil- tà », interessa l’avvertenza dell’editore, che in Robbins vedeva l’esponente di quelle forze politiche e culturali « che intendono superare gli inconvenienti e le deficienze della moderna civiltà capitalistica senza apportare nessuna vera trasformazione strutturale, nessuna modificazione pro- fonda e rivoluzionaria all’attuale organizzazione sociale »; e, nella preoccupazione per il futuro, il lettore era invitato a « giudicare ogni forma di riformismo e la validità degli apporti, che possono ancora offrire le forze conservatrici nel nuovo mondo che si prepara » *. Mentre, nonostante questi limiti, nei testi dedicati agli aspetti internazionali della crisi poteva passare una polemica indiretta nei confronti della politica economica del regime, nei volumi della collana che affrontano i problemi econo- mici italiani è avvertibile, nel migliore dei casi, una cautela dettata dal timore della censura fascista. Già il 28 marzo 1931, scrivendo a Luigi Einaudi a proposito dei tagli rite- nuti necessari per un suo articolo, Edoardo Giretti affer- mava che « è molto mortificante di non sapere più quello che si può dire e quello che invece bisogna tacere; ma d’al- tra parte è anche giustissima la preoccupazione di conser- varci il mezzo di poter dire alcune delle cose che si pen- sano e che, forse, è ancora utile di far conoscere intorno a noi ». Sempre Giretti, parlando del volume scritto in colla- borazione col nipote Luciano su Il protezionismo e la crisi, che esprimeva giudizi sulla politica economica del regime, scriveva di aver « già fatto il possibile per non dire niente di più di quello che oggi si può dire, ma vi è sempre il peri- 86 L. Robbins, Le cause economiche della guerra, traduzione di E. Rossi, Torino, Einaudi, 1944 (ediz. originale 1939), p. 95. Il libro era stato proposto all’editore da Ernesto Rossi il 1° luglio 1942 (AE, Rossi). «È meraviglioso vedere come le menti degli economisti liberali inglesi siano aperte alle idee fondamentali del fascismo », come il corporativismo e il concetto dell’« ordine nuovo europeo antisovietico », affermerà f. p. [Felice Platone] recensendo il libro su « Rinascita » (II (1945), p. 191). 233 Il fascismo e il consenso degli intellettuali colo di non dimostrarsi abbastanza... reticenti » ”. Tutta- via, proprio questo volume è fra i più coraggiosi nella pole- mica: svolgeva, con frequenti citazioni da La condotta e gli effetti sociali della guerra italiana di Luigi Einaudi, una dura critica dei provvedimenti protezionistici, lodando le « coraggiose riforme » in senso liberista di De Stefani, il cui abbandono veniva giustificato con le « difficoltà inerenti al generale disordine delle relazioni internazionali, ed ai con- trasti tosto abilmente suscitati dai gruppi organizzati per la difesa dei loro particolari interessi minacciati ». Ma os- servava che l’isolamento economico, se poteva non danneg- giare paesi con ampio mercato interno, era un « assurdo » per l’Italia; in particolare Luciano Giretti, dopo aver affer- mato che « il raggiungimento dell’autarchia, portando natu- ralmente con sé la riduzione a zero delle esportazioni, fa- rebbe incontrare enormi perdite agli interessi produttivi dipendenti dai mercati mondiali », sosteneva la necessità di tornare al liberismo, pur con tutti i suoi limiti *. Polemico era anche il volume di De Viti De Marco che sosteneva l’erroneità della teoria secondo la quale la banca crea cre- dito, lodato da Einaudi che notava come « su questa teo- ria, se ben si rifletta, riposano quasi tutte le modernissime proposte le quali vorrebbero che la banca fosse la suprema regolatrice del credito e della attività industriale, la leva necessaria per risanare le crisi e far uscire il mondo dalla depressione » ® In altri volumi, invece, il giudizio sulla politica econo- 87 AFE, E. Giretti (lettere del 28 marzo 1931 e del 14 ottobre 1934). 88 E. e L. Giretti, Il protezionismo e la crisi, Torino, Einaudi, 1935, pp. 54-55, 77, 143; era necessario, si afferma, « tornare a quel libero scam- bio che, se non rende possibile un alto tenor di vita in un paese, dove le risorse naturali sono misere, il lavoro poco produttivo e gli impren- ditori poco geniali; se non impedisce il triste fenomeno della disoccu- pazione dovuta alle oscillazioni del ciclo economico; se non porta infine alla prosperità un popolo che per varie ragioni non può ottenerla, va almeno esente da tutti i mali che della protezione sono caratteristici, ed ha tuttavia influsso benefico nel far sf che ognuno sfrutti nel migliore dei modi il proprio lavoro, ottenendo la massima quantità di beni in cambio di quelli che egli stesso ha prodotto» (pp. 163-164). 8 A. De Viti De Marco, La funzione della banca. Introduzione allo studio dei problemi monetari e bancari contemporanei, Torino, Einaudi, 1934; recensione di L. Einaudi ne «La Cultura », XIII (1934), p. 136. 234 Le origini della casa editrice Einaudî mica del regime risulta più favorevole di quanto ci si sa- rebbe immaginato sulla base dell’impostazione liberista della collana. Alcuni si presentano come contributi alla solu- zione di problemi economici concreti, come La questione petrolifera italiana (1937) di Cesare Alimenti, che pur so- stiene l’insufficienza dell’autarchia basata sull’uso dei suc- cedanei del petrolio, o L'agricoltura italiana e l’autarchia (1938) il cui autore, il senatore Arturo Marescalchi, già sottosegretario all’agricoltura dal 1929 al 1935, espone una serie di consigli pratici per obbedire all’invito all’autar- chia alimentare rivolto da Mussolini nel discorso alle Cor- porazioni del 15 maggio 1937 ”. Meritevole di un premio dell’Accademia d’Italia è il volume sulle Sanzioni di Luigi Federici, teso a dimostrare che « la unità di spirito di idee di volontà che oggi noi possiamo vantare è — assieme al- l’ordinamento corporativo — la migliore forza posta al ser- vizio del paese per realizzare l’unità di azione necessaria per resistere e per spezzare il blocco » ”. Comprensivo verso i provvedimenti governativi culminati nella istituzione del- l’IRI si dimostra lo stesso Cabiati, osservando che « quando le classi industriali agricole e finanziarie di un paese recla- mano ad ogni difficoltà l’aiuto dello stato, è logico che que- sto, per ben amministrare il danaro pubblico, imponga loro la sua tutela e la sua sorveglianza » ”. E fino ad un’esalta- % Il 10 febbraio 1938 l’editore, annunciando a Marescalchi che il suo volume era pronto, scriveva: « Ho pensato che il volume potrebbe essere distribuito, a cura del Ministero dell’Agricoltura, alle Cattedre Ambu- lanti, Scuole agricole, biblioteche provinciali, ecc.» (AE, Marescalchi). 91 L. Federici, Sanzioni, Torino, Einaudi, 1935 (II ediz. 1936), p. 12; il 19 ottobre 1935 l’autore scriveva a Luigi Einaudi che avrebbe redatto il volumetto «secondo lo schema da Lei suggeritomi» (AFE, Federici). Federici, già allievo di Einaudi, era responsabile della pagina finanziaria de « L’Ambrosiano ». 9 A. Cabiati, Crisi del liberismo o errori di uomini?, cit., p. 173; dando notizia di un altro lavoro di Cabiati (Il finanziamento di una grande guerra, cit.), Luigi Einaudi affermava che l’autore «ammira la teoria germanica odierna, per cui la finanza è subordinata alla guerra ed il ministro delle finanze non fa neppure più parte del Comitato della politica economica; ma pone le condizioni ed i limiti dello sforzo che il paese può sostenere per la condotta della guerra. La teoria cosî continua- mente si rinnova, ma non rinnega, pure perfezionandole e adattandole alle nuove esperienze, le verità antiche » (« Rivista di storia economica », VI (1941), p. 146). 235 Il fascismo e il consenso degli intellettuali zione retorica della politica economica del regime si spin- geva Franco Ballarini, che non si limitava a lodare il di- scorso di Pesaro e tutta la politica monetaria del governo o l’istituzione dell’IRI, ma arrivava ad affermare che « in un mondo brancolante fra puro comunismo alla russa, super- capitalismo dei trusts o cartelli privati e capitalismo di Stato, la luce venne dall’Italia. Si chiamò corporativi- smo »”. Ancora più concretamente Francesco Repaci, uno dei più fedeli collaboratori di Luigi Einaudi, lodava il rior- dinamento della finanza locale attuato con il testo unico del 1931 e con la legge comunale e provinciale del 3 marzo 1934, specificando che la riduzione del 12% sulle retribu- zioni del personale era stato « elemento idoneo a miglio- rare la situazione finanziaria degli enti locali » *. La collana non si limitò quindi a una funzione di orientamento teorico generale, ma svolse anche una serie di interventi su temi concreti, negando quello che era stato un presupposto originario del suo ispiratore. Nel 1942, presentando l’Introduzione alla politica economica di Co- stantino Bresciani Turroni — che dopo la Liberazione avrà anch’egli un ruolo rilevante, come presidente del Banco di Roma —, Luigi Einaudi riconoscerà infatti che, dopo avere lungamente creduto anch’io che ufficio dell’economista non fosse di porre i fini al legislatore, bensi quello di ricordare, come lo schiavo assiso sul carro del trionfatore, che la Rupe Tarpea è vicina al Campidoglio, che cioè, qualunque sia il fine perseguito dal politico, i mezzi adoperati debbono essere sufficienti e congrui; oggi dubito e forse finirò col concludere che l'economista non possa distinguere il suo ufficio di critico dei mezzi da quello di dichiara- 9 F. Ballarini, Dal liberalismo al corporativismo, Torino, Einaudi, 1935, p. 131. A Marco Fanno, giudicato da Giuseppe Bruguier molto vicino all’ideologia corporativa (I/ corporativismo e gli economisti italiani, Firenze, Sansoni, 1936, pp. 57-59), e autore de I trasferimenti anormali dei capitali e le crisi (Torino, Einaudi, 1935), Luigi Einaudi chiese di scrivere «un volumetto di Economia Corporativa » (AFE, Fanno, 30 luglio 1934). % F.A. Repaci, Le finanze dei comuni, delle provincie e degli enti corporativi, Torino, Einaudi, 1936, p. 61. Come giustificazione dell’in- tervento italiano in guerra fu apprezzato dalla stampa fascista B. Minoletti, la marina mercantile e la seconda guerra mondiale, Torino, Einaudi, (na i Venta fascista », XIX (1940), p. 14, e «Leonardo», XII 1941), p. 62). 236 Le origini della casa editrice Einaudi tore di fini; che lo studio dei fini faccia parte della scienza allo stesso titolo dello studio dei mezzi, al quale gli economisti si restrin- 5 gono 9. La collana da lui diretta fino al 1944, se non giunse a « porte i fini al legislatore », in alcuni casi si fece portavoce di quest’ultimo. Ma la situazione cambierà drasticamente un anno dopo. Nell’ottobre del 1945, dal suo posto di governatore della Banca d’Italia, Luigi Einaudi proporrà al figlio di pubblicare una serie di volumi sui « Problemi ita- liani » scritti « nel modo pi oggettivo possibile » — con l’aiuto, per la raccolta dei dati, dell'Ufficio Studi della Banca — da autori di orientamento liberista, sotto la super- visione di Bresciani Turroni. Ma il nuovo indirizzo della casa editrice, che pur dimostrerà una certa fatica a supe- rare l'impostazione originaria sui problemi economici, non poteva più accettare le proposte di Luigi Einaudi: trince- randosi dietro il rifiuto dell’« obiettività » — che i liberisti non avevano certo rispettato — il consiglio editoriale gli rispose che intendeva « presentare al pubblico italiano non soltanto un materiale di studio e di lavoro, ma anche un’opi- nione ben definita, un orientamento costruttivo. Vogliamo quindi che l’aspetto strettamente economico di un proble- ma non sia scisso dal suo aspetto politico: perciò, se chie- diamo all’autore serietà e obiettività di documentazione, gli chiediamo anche di indicare la sua soluzione politica, che sarà proposta alla libera discussione del pubblico » *. E nella collana « Problemi italiani » appariranno i volumi di Dorso, Grifone, Sereni e Grieco. # C. Bresciani-Turroni, Introduzione alla politica economica, prefa- zione di L. Einaudi, Torino, Einaudi, 1942, pp. 15-16. A difesa del liberismo di Bresciani Turroni, e in polemica con un articolo di Guido Carli su «Civiltà fascista », cfr. anche L. Einaudi, Economia di mercato e capitalista servo sciocco, in «Rivista di storia economica», VIII (1943), pp. 38-46. Su Bresciani Turroni cfr. la voce di Amedeo Gambino in Dizionario biografico degli italiani, vol. XIV, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1972. 9% Lettera di Luigi Einaudi a Giulio del 31 ottobre 1945, e risposta a Luigi Einaudi del 7 novembre 1945 (AE, L. Einaudi). 237 Il fascismo e il consenso degli intellettuali 4. « La Cultura » e la tradizione gobettiana Le firme dei liberisti — da Luigi a Mario Einaudi, a Cabiati, Giretti e De Bernardi — compaiono anche su « La Cultura », a segnalare i volumi della collana « Pro- blemi contemporanei », ma non sono tali da caratterizzare la rivista, centro di esperienze culturali più avanzate, che ritroveremo in altre collane della casa editrice. Quando appare nel 1934 per i tipi di Giulio Einaudi, « La Cultura » si presenta completamente rinnovata rispetto alla serie di Cesare De Lollis e a quella che le era succeduta dal 1929 al 1933, con Ferdinando Neri e Arrigo Cajumi: nuova nella veste tipografica, vede alternarsi nel suo comitato direttivo, accanto a Cajumi e Pavese, Sergio Solmi, Franco Antoni- celli, Bruno Migliorini, Pietro Paolo Trompeo, Vittorio Santoli e Norberto Bobbio, a dimostrazione di un legame anche fisico con la precedente tradizione della rivista ma, al tempo stesso, della volontà di un cambiamento non solo generazionale. Mentre scompaiono molti collaboratori di De Lollis, assorbiti dalle iniziative culturali del regime — pensiamo ad esempio ad Alberto Pincherle, Giorgio Levi Della Vida, Guido Calogero, Umberto Bosco o Felice Bat- taglia, impegnati da Gentile nell’Enciclopedia italiana —, fra i nuovi appaiono vari allievi, al liceo D'Azeglio, di Augusto Monti, Zino Zini e Umberto Cosmo, che si rial- lacciano per questa via alla tradizione gobettiana, rivissuta politicamente, da alcuni, nella militanza tra le file di Giu- stizia e Libertà”. Novità si registrano anche nei contenuti — non più % Il 27 luglio 1935, riferendo al Ministero dell’interno sugli arresti del gruppo einaudiano come aderente a Giustizia e Libertà, il prefetto di Torino scriveva: «Detta setta si serviva a Torino dell’attività della “Casa Editrice Einaudi” la quale segnatamente con la pubblicazione della rivista pseudo letteraria “La Cultura” era riuscita a riunire una cerchia di intellettuali e di antifascisti ed a servirsi di redattori e collabotatori in maggior parte ostili al Regime Fascista e noti per aver svolto in pas- sato attiva propaganda contro il Fascismo »; e aggiungeva che Giulio Einaudi, « all’atto del suo arresto, non esitò a riconoscere la polarizza- zione intorno alla rivista ‘La Cultura’ di tutto il cosidetto ambiente antifascista torinese» (ACS, Casellario politico centrale, b. 1877, fasc. 52997). 238 Le origini della casa editrice Einaudi dibattiti sulla scuola o sulla religione, meno filosofia e più storia, interesse per i problemi contemporanei * —, pur nella continuità col passato, quale si manifesta nell’apertura europea — con una particolare attenzione per la cultura francese — e in una certa oscillazione fra crocianesimo e anticrocianesimo, anche se quest’ultimo fu presente in mi- sura maggiore. L’idealismo dei collaboratori della rivista einaudiana, infatti, « conobbe sfumature molto particolari, si atteggiò in forme proprie, cercò sempre, pit o meno luci- damente, il contatto con esperienze diverse » ”. Pi accen- tuata che nella critica estetica di De Lollis è, ad esempio, l’attenzione per il metodo filologico e per la collocazione del letterato nel suo tempo, come risulta dalle recensioni di Cajumi, di Santoli o di Piero Treves !®. E decisamente anticrociano è il direttore effettivo della rivista, Cajumi, che nel 1934 si scaglia con virulenza contro la critica idealistica rappresentata dai volumi laterziani di Luigi Russo, Elogio della polemica e Giovanni Verga, richiamandosi alla batta- glia contro la « critica filosofica » già condotta nel 1910 da erra: Fierissimi avversari del cattolicesimo temporale e delle sue pre- tese (tanto da assumere lo stesso tono stizzoso dei contradditori), ma conservatori con un soupgon di nazionalismo; riformatori per inse diar la loro filosofia nella scuola, ma poi estraniati dalla rivoluzione 98 Mario Praz, fedele agli interessi prevalentemente letterari della vecchia serie della rivista, il 1° febbraio 1934 annunciava le sue dimissioni da condirettore a Cajumi, che gli aveva indicato le novità della serie einaudiana: «Rivista mensile su due colonne, tipo Economist, articoli brevi ed attuali » (AE, Praz). Il 23 gennaio 1935 l’editore scriveva a Cabiati: «mi permetto di ricordarLe l’articolo sul piano Roosevelt. E cosi ci tireremmo un po’ fuori ogni tanto dalla solita zuppa di critica rita ed estetica di cui il pubblico non vuol più saperne » (AE, abiati). 9 G. Sasso, La « Cultura » nella storia della cultura italiana, in «La Cultura », XIV (1976) (numero speciale « Per i 70 anni di Guido Calo- gero »), p. 82. Un accenno a Cajumi e ai collaboratori de « La Cultura » come «un gruppo di intellettuali ben definito nella vita culturale ita- liana », in A. Gramsci, Quaderni del carcere, cit., vol. II, pp. 1332-33. 100 Recensendo Saffo e Pindaro di Gennaro Perrotta pubblicato da Laterza, Piero Treves riteneva necessario inquadrare i poeti nel loro tempo: «Qualcosa, dunque, vi è, in un poeta, oltre la sua poesia, che vale e che dura quanto e come la sua poesia » (Storia e poesia nella Grecia arcaica, in «La Cultura », XIV (1935), pp. 46-47). 239 Il fascismo e il consenso degli intellettuali in cammino; nemici tanto del letterato puro quanto di quello politi- cante, i seguaci dell’indirizzo propugnato dal Russo appaiono a un osservatore imparziale un curioso impasto di contraddizioni 10, Sul piano filosofico comincia a muoversi contro l’idea- lismo Eugenio Colorni, pur allievo del « mistico » Marti- netti e collaboratore della « Rivista di filosofia », già orien- tato politicamente verso il socialismo di Lelio Basso e di Rodolfo Morandi; la sua ricerca, incentrata intorno all’ana- lisi del pensiero leibniziano, ha modo di esprimersi sulla rivista in discussione con La spiritualità dell’essere e Leibniz del cattolico Giovanni Emanuele Bariè il quale, notava Colorni, si serviva di Leibniz « a scopi postkantiani e idealistici », accentuando « la concezione dell’essere come spiritualità »: era invece «una violenza che il pensiero postkantiano fa sul nostro potere d’interpretazione e di sviluppo, di considerare tutto ciò che non è materiale nel senso comune della parola, come necessariamente svolgen- tesi in forma di soggettività e di pensiero. Ora, proprio la novità di Leibniz consiste nell’escludere questa costrizione e nell’additare altre direzioni, diverse da quella gnoseo- logica » !2, Si manifestava cosi in Colorni, come è stato osservato, un « consapevole atto di rottura [....] nei riguardi di una tradizione spiritualistica di cui l’idealismo fu l’ul- tima incarnazione » !°, Non mancano, talvolta, anche dirette confutazioni della 101 A. Cajumi, La colpa è della critica?, in « La Cultura », XIII (1934), pp. 45-47; di questo articolo, dove vedeva «la condanna sommaria di tutto quello che si è fatto negli ultimi trent'anni », si lamentava Russo con Finaudi il 31 maggio 1934 (AE, Russo). Sull’insufficienza del « fiuto filosofico per separare la poesia dalla non poesia » cfr., dello stesso Cajumi, Gustave Lanson, in «La Cultura », XIV (1935), p. 19; contrario alla « sostituzione della critica filosofica alla storica » si dimo- stra anche Enrico Carrara recensendo Il! Quattrocento di Vittorio Rossi (« La Cultura », XIII (1934), p. 13). 102 E. Colorni, Leibniz e una sua recente interpretazione, in «La Cultura », XIV (1935), pp. 9-11. 108 Cosî N. Bobbio nell’Introduzione a E. Colorni, Scritti, Firenze, La Nuova Italia, 1975, p. VI. Per l’attività politica di Colorni cfr. la voce di E. Gencarelli in F. Andreucci - T. Detti, Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico 1853-1943, vol. II, Roma, Editori Riuniti, 1976, e il profilo, non privo di accenti agiografici, che gli ha dedicato Leo Solari, Eugenio Colorni. Ieri e oggi, Padova, Marsilio. 1980. 240 Le origini della casa editrice Einaud? cultura ufficiale, come quando, di fronte al metodo attualiz- zante proposto da Gentile ne La profezia di Dante, Um- berto Cosmo — il docente torinese che nel 1926 era stato costretto a dimettersi dall’insegnamento per l’« incompati- bilità » fra il suo pensiero e la politica del regime — osser- vava che « chi voglia comprendere Dante nella sua inte- rezza discorderà probabilmente da cotesti criteri », perché « l’infinità dello Stato, la potenza sua illimitata mi paiono concetti moderni che il teologo Dante non poteva formulare a se stesso » !*. Ma la più evidente linea distintiva della rivista dalla cultura del regime, cosi come da Croce, è ravvi- sabile nel netto richiamo ai valori dell’illuminismo negati dal pensiero idealistico, e rimasti ai margini anche dell’inte- resse de « La Cultura » di De Lollis. Se ne fanno interpreti soprattutto, oltre al Antonello Gerbi !5, Cajumi e Salvato- relli, anche se con accenti molto diversi. Per Cajumi la rivalutazione del ’700 doveva essere fatta a spese dell’hege- lismo e dei suoi seguaci, e ricollegando l’illuminismo all’in- dividualismo del Rinascimento — secondo la linea interpre- tativa esposta da Chabod nella voce IMuminismo dell’Enci- clopedia italiana —, attraverso il tramite del libertinismo: La nuova filosofia, sorta con facilità a cavalcioni di un positi- vismo sfiatato e vaniloquente, giudicava e mandava dall’alto del suo tedescheggiante idealismo, ed estranea alla cultura francese ed in- glese, contribuiva al vituperio. Marxisteggiando, i nostri filosofi pren- devano sotto le ali il Sorel, e covavano Bergson e Blondel. Per quei poveri sensisti ed illuministi, che disprezzo! [...]. Il male è che un ritorno al Settecento non può farsi senza rimandar prima in soffitta Marx, Hegel e compagnia, castigare la democrazia, dissipar l’equi- voco di certo neoliberalismo, non aver paura di passare per dei con- servatori e miscredenti vecchio stampo. 14 u.c. [U. Cosmo], Le profezia di Dante, in «La Cultura», XIV (1935), p. 16. Sulla sua figura cfr. la testimonianza di F. Antonicelli, Un professore antifascista: Umberto Cosmo, in AA.VV., Trent'anni di storia italiana (1915-1945). Lezioni con testimonianze presentate da F. Antonicelli, Torino, Einaudi, 1975?, pp. 87-90. 105 « L'entusiasmo, la buona fede, lo zelo gioioso di quel tempo calun- niato ci investono e sollevano », osservava Gerbi recensendo Les origines: intellectuelles de la Révolution Frangaise di Daniel Mornet (Idee del Set- tecento, in « La Cultura », XIII (1934), p. 41). 241 Il fascismo e il consenso degli intellettuali Ma i suoi accenti élitari si riscattavano in un sentito laicismo: per salvare l'Europa « malata, non solo politica- mente ed economicamente, ma, ciò ch'è più grave, nella sua cultura », era necessario identificare le origini della sua civiltà, che erano colte, alla luce de La crise de la con- science européenne di Paul Hazard — il volume sarà tra- dotto dalla casa editrice nel 1946 —, nell’Umanesimo e — aggiungeva Cajumi riecheggiando forse Gobetti — nella Riforma, dalla quale erano sorte « la libertà di coscienza, la discussione del cristianesimo, delle affermazioni ateistiche. Il peccato originale, l’origine unica delle razze sono battuti in breccia; s’affaccia l’idea di progresso. La politica si lai- cizza, e si democratizza, l’idea di Stato si disgiunge da quella feudalisticamente monarchica. Nasce una nuova economia, mercantile, capitalista » !”. Pi esplicita e avanzata che in Cajumi risulta, a propo- sito dell'Illuminismo, la coniugazione di giudizio storico e impegno civile in Salvatorelli: recensendo nel 1934 La polemica sul Medio Evo di Giorgio Falco — ma richia- mando anche la Philosophie der Aufklirung di Cassirer —, egli osservava che la valorizzazione del ’700 operata da Falco si inseriva « in un processo di pensiero in pieno corso e di importanza capitale, da cui usciranno ben altro che semplici revisioni storiografiche e storico-filosofiche, come ben altro che queste revisioni è uscito dalla svalutazione del ’700 proseguita dal Romanticismo in poi ». E, dopo aver ridimensionato la funzione del Papato e dell’Impero nella storia della società medievale, con accenti antinazi- sti — «ci si aggiungono, adesso, le strimpellature misti- cheggianti del Sacrum Imperium (vedano, gli strimpellatori teutonici, di accordarsi ora con l’altro misticismo razzista, quello che fa capo a Vitichindo e a Wotan) » —, Salvato- 106 A. Cajumi, La nascita della civiltà europea e I libertini del Seicento, in «La Cultura», XIV (1935), pp. 41-43 e 63-67. Negli stessi anni l’opera di Hazard era accostata da E. Cione alla Storia dell'età barocca di Croce, anche per il suo taglio etico-politico (« La Nuova Italia », VIII (1937), pp. 121-123). Sul significato dell’opera di Hazard, che insiste sul tema della «crisi» anche per il momento in cui fu scritta, cfr. G. Ricuperati, Paul Hazard, in « Belfagor », XXIII (1968), pp. 585-591, 242 Le origini della casa editrice Einaudi relli indicava lucidamente quello che poteva essere l’inse- gnamento dell’illuminismo: chi volesse con un solo termine riassumere le caratteristiche del per siero settecentesco, non potrebbe trovarne altro più adatto che quello di « umanità ». Ed ecco perché, nella necessità di un nuovo umane- simo per risolvere la crisi in cui il mondo civile si dibatte, il pen- siero del Settecento ritorna oggi a splendere più vivo che mai. Per fare, e non subire, la storia futura occorre giudicare quella passata e non stenderci sopra il polverino 19. Non meno significativo è in Salvatorelli il legame isti- tuito fra Risorgimento e Rivoluzione francese — analogo all’interpretazione espressa negli stessi anni da Aldo Fer- rari o da Baldo Peroni sulla « Nuova rivista storica » —, e la demistificazione della « leggenda » di Carlo Alberto !*: temi e giudizi che ritroveremo in alcune opere dello stesso Salvatorelli e di altri collaboratori di Giulio Einaudi. Attraverso il discorso culturale filtrava spesso anche un messaggio politico, che si fa talvolta esplicito sulle pagine della rivista, ma i cui toni pi avanzati sono di stampo liberale. Bobbio ha dato rilievo a due articoli « feroce- mente antisoreliani » di Salvatorelli, ricordando come Sorel fosse « uno dei numi tutelari del fascismo » !’; ma, mentre in uno l’autore rimane sul terreno puramente culturale della difesa dell’Illuminismo !*, solo nell’altro Salvatorelli espri- 107 L. Salvatorelli, Storiografia del Settecento, in «La Cultura », XIII (1934), pp. 3-5. 108 Cfr. L. Salvatorelli, Napoleone, in « La Cultura », XIII (1934), pp. 95-96, e la sua recensione a G. F.H. Berkeley, Italy in the making 1815- 1846, in cui Salvatorelli nega l’esistenza di una politica antiaustriaca di Carlo Alberto prima del 1845 (« La Cultura », XIII (1934), p. 131). Contrario alla tesi autoctona delle origini del Risorgimento, ma anche a quella che ne legava la nascita alla Rivoluzione francese, si dimostra invece Cajumi nella recensione a H. Bédarida - P. Hazard, L’influence francaise en Italie au dix-buitième siècle («La Cultura», XIII (1934), pp. 154-155), 10 N. Bobbio, Trent'anni di storia della cultura a Torino, cit., p. 69. 110 « Sorel è lo Spengler dell’anteguerra, e Spengler il Sorel del dopo- guerra [...]. L'opposizione di Spengler al secolo XVIII, reo di aver iniziato l’epoca del razionalismo, è tale e quale quella del Sorel, per cui la dottrina del progresso, fondamentale nell’epoca dell’enciclopedismo c dell’Aufklirung, non era se non la giustificazione ideale di una socictà datasi tutta alla gioia di vivere, e Diderot, Voltaire e simili non erano 244 Il fascismo e il consenso degli intellettuali me un giudizio politico attaccando Sorel in nome di quel mondo prefascista verso il quale abbiamo visto volgersi il rimpianto dei liberisti: Sorel infatti « non si rese mai conto delle realtà di primaria importanza su cui giocava, degli interessi sociali che rischiava di danneggiare, dei valori umani fondamentali che vilipendeva. Tutto questo, in un periodo storico che richiedeva la massima cautela per non contribuire, sia pure involontariamente, a scuotere le fon- damenta di una civiltà grandiosa, ma tutt’altro che conso- lidata » !!!. Un atteggiamento più arretrato, decisamente aristocratico, manifesta Cajumi che nel 1934, in polemica con un uomo politico non certo progressista come André Tardieu, notava in Francia «la progressiva e trionfante sostituzione della massa all’individuo, mediante la realizza- zione di democrazie nazionaliste, che tendono a mettersi ognora più nelle mani dello stato, contro la garanzia di un’assistenza economica e sociale sempre maggiore » !. Una posizione, questa, in linea con quella già esaminata dei liberisti; anche su « La Cultura », del resto, recensendo gli Orientamenti di Croce del 1934 Luigi Einaudi ne acco- glieva pienamente la « stroncatura da filosofi veri » nei con- fronti di Spengler e della teoria marxiana della base econo- mica della società !5; e lo stesso ex ordinovista Zino Zini, discutendo La crise européenne et la grande guerre di Pierre Renouvin, osservava che « nell’esame delle cause è messa abilmente in luce la sopravalutazione — diventata ormai quasi un luogo comune — che si ha l’abitudine di fare di quelle economiche » !. Né era segno di distinzione dal fascismo, nel 1934, la critica dell’ideologia nazionalso- cialista, assai diffusa nelle riviste del regime, e che ne « La Cultura » si manifesta nella stroncatura del Mein Karzpf stati che dei buffoni della aristocrazia » (L. Salvatorelli, Spengler e Sorel, in «La Cultura », XIV (1935), pp. 21-23, a proposito di Anzi decisivi di Spengler pubblicato da Bompiani). Ul L. Salvatorelli, I/ mito Sorel, in « La Cultura », XIII (1934), p. 63. 112 A. Cajumi, In punta di penna, in « La Cultura », XIII (1934), p. 30. 113 « La Cultura », XIII (1934), pp. 68-69. 114 Z. Zini, In margine a una storia della grande guerra, in «La Cultura », XIV (1935), pp. 26-29. Su di lui cfr., fra i vari interventi di G. Bergami, il suo ritratto in « Belfagor», XXVII (1972), pp. 678-703. 244 Le origini della casa editrice Einaudi di Hitler tradotto da Bompiani — libro pieno di contrad- dizioni e caratterizzato da una « spiccata innocenza intel- lettuale », scriveva Salvatorelli 5 —, o nella recensione di Luigi Emery a Friedrich der Grosse und die geistige Welt Frankreichs di Werner Langer, in cui si metteva in evidenza come l’autore dimostrasse l’influenza francese su Federico II di Prussia « contro l’aureola di santone del germanesimo della quale tardi agiografi vogliono citcon- dare lo spregiudicato Gran Re di Prussia. Dalla sua tomba nella Garnisonkirche di Potsdam “trasse gli auspici” con rito solenne il regime che presiede oggi alla vita della Ger- mania » 1°, Non sarebbe comunque produttivo ricercare in riviste o volumi pubblicati sotto il fascismo « segni » politici troppo discordanti dagli indirizzi del regime. L’analisi deve rimanere aderente ai temi culturali, per cogliere la manife- stazione di eventuali dissonanze o contraddizioni, aperture ideali o non meno significativi silenzi. Per questo ci sembra necessario soffermarci, sia pur brevemente, sul « letterato » Pavese, che con Ginzburg fu il principale collaboratore di Giulio Einaudi nei primi anni della sua attività editoriale e il legame pit consistente fra « La Cultura » e le iniziative della casa editrice. Nota è, come abbiamo visto, la mili- tanza politica di Ginzburg, che gli costò dapprima il car- cere — dal marzo 1934 al marzo 1936 — e, dall’11 giugno 1940 al 25 luglio 1943, il confino a Pizzoli presso L'Aquila; nonostante ciò, egli poté dedicare le sue cure, assieme a Pavese, alla « Biblioteca di cultura storica », ai « Narra- tori stranieri tradotti » e alla « Nuova raccolta di classici 115 «La Cultura », XIII (1934), p. 105. 116 L. Emety, Gallicanismo di Federico il Grande, in «La Cultura », XIII (1934), pp. 58-59; la tesi di Langer era del resto condivisa anche da Luigi Negri sulla « Rivista storica italiana », LII (1935), pp. 238-240. Recensendo Le civiltà d’Italia di Giovanni Vidari, Enrico De Michelis vi notava «un eccesso di sentimento nazionalistico », pur aggiungendo che l’opera era « ben lontana [...] da quelle fantasie di metafisica antro- po-etnica che, dopo un periodo di stasi apparente, son tornate oggi a predominare nella Germania di Hitler e che purtroppo costituiscono un pericolo non lieve per la pace e per la civiltà dell’Europa e del mondo » (« La Cultura », XIV (1936), p. 14). 245 Il fascismo e il consenso degli intellettuali italiani annotati » !”. Non ci restano tuttavia, al di là delle testimonianze, tracce consistenti della sua attività edito- riale, che invece è maggiormente documentabile — e fu probabilmente pi continua — per Pavese, confinato per più breve tempo, circa un anno, a Brancaleone Calabro. Parlare di Pavese, all’inizio degli anni ’30, significa soprattutto affrontare il suo interesse per la letteratura americana contemporanea, individuabile nelle traduzioni per Frassinelli e negli articoli su « La Cultura » — soprat- tutto prima del 1934 —, e destinato a esprimersi in nuove proposte di traduzione per la Einaudi. Il tema è stato af- frontato più volte, ma spesso con forzature ideologiche o con una insufficiente storicizzazione, tali da fornire un’im- magine deformata, e in genere riduttiva, della figura di Pavese !*. La differenza tra lui e Ginzburg, sul piano poli- tico, è marcata, e lo stesso Pavese ne era cosciente quando, coinvolto negli arresti del 1935, preparò il suo memoriale difensivo o scrisse dal confino ad Alberto Carocci — « Uni- co mio disinteresse — 4 aeterno e parlo colla mano sul cuore — la letteratura politica » !. Questa affermazione, tuttavia, non può essere assolutizzata, anche se trova con- ferma nelle più segrete pagine del diario, in cui la politica o è assente o è rifiutata. Infatti, pur non essendo « uomo d’azione » ‘°, già nei primi anni ’30 il suo impegno lette- rario, di traduttore commentatore poeta, ha una trasparente carica civile, se non propriamente politica. La scoperta della politica avverrà in lui, come in Giaime Pintor, solo con la Resistenza, ma l’attenzione per la narrativa americana indica da tempo il suo tentativo di uscire dagli angusti 117 Pavese appare «revisore» dei «Narratori stranieri tradotti » e dei «libri di carattere storico-letterario », nella lettera di Giulio Einaudi a lui del 27 aprile 1938 (C. Pavese, Lettere 1924-1944, a cura di L. Mondo, Torino, Einaudi, 1966, p. 537). 118 Tali caratteristiche hanno, rispettivamente, i lavoti di N. Catducci, Gli intellettuali e l'ideologia americana nell’Italia letteraria degli anni trenta, Manduria, Lacaita, 1973, e di A. Guiducci, I{ mito Pavese, Firenze, Vallecchi, 1967. 119 Lettera del 24 ottobre 1935; cfr. anche la lettera alla sorella del 26 luglio 1935 (C. Pavese, Lettere 1924-1944, cit., pp. 412, 454). 120 Cfr, D. Lajolo, Il « vizio assurdo ». Storia di Cesare Pavese, Milano, Mondadori, 1978, p. 133. 246 Le origini della casa editrice Einaudi limiti di una cultura nazionale provinciale e soffocante, spinto da un’« ansia di oggettività » che è stata messa giu- stamente in evidenza, e che lo allontana dall’ermetismo per sostanziare le poesie di Lavorare stanca della realtà popolare e contadina delle sue valli piemontesi !!, Come ricorderà dopo la Liberazione, la cultura americana divenne per noi qualcosa di molto serio e prezioso, divenne una sorta di grande laboratorio dove con altra libertà e altri mezzi si perseguiva lo stesso compito di creare un gusto uno stile un mondo moderni che, forse con minore immedia- tezza ma con altrettanta caparbia volontà, i migliori tra noi perse- guivano [...]. Ci si accorse, durante quegli anni di studio, che l’Ame- rica non era un altro paese, un z%ovo inizio della storia, ma soltanto il gigantesco teatro dove con maggiore franchezza che altrove veniva recitato il dramma di tutti !2. Nel modo in cui, già nel 1930, Pavese parlava degli scrittori americani in una lettera all'amico Chiuminatto, vi era una sorta di rovesciamento dell’ottica nazionalistica con la quale Prezzolini spiegava Come gli americani scopr:- rono l’Italia, e l'individuazione degli elementi del « dram- ma » comune ', In Sherwood Anderson Pavese coglieva quella realtà industriale che intimoriva Luigi Einaudi, «i centri fumosi e fragorosi, fattivi e ottimisti che il mondo conosce: Cleveland, Springfield, Detroit, Akron, Pittsburg, e, su tutti, gigantesca, la metropoli, Chicago. Le fabbriche inghiottono tutto ». Dos Passos presenta le contraddizioni e gli aspetti di « quotidiana tragedia » di questa società, 121 Cfr. E. Catalano, Cesare Pavese fra politica e ideologia, Bari, De Donato, 1976, passirmz. 122 C. Pavese, Ieri e oggi (1947), ora in La letteratura americana e altri saggi, Milano, Il Saggiatore, 1971, pp. 188-189. Sugli aspetti sociali del romanzo americano cui si rivolgeva l’attenzione di Pavese cfr. S. Perosa, Vie della narrativa americana. La «tradizione del nuovo » dal- l’Ottocento a oggi, Torino, Einaudi, 1980, in particolare cap. VIII. 123 Cfr. la recensione di Pavese a Prezzolini ne « La Cultura », XIII (1934), p. 14 e la lettera di Pavese ad Antonio Chiuminatto del 5 aprile 1930: «un buon libro europeo d’oggi è, in genere, interessante e vitale solo per la nazione che l’ha prodotto, laddove un buon libro americano parla a una folla più vasta, scaturendo, come scaturisce, da necessità più profonde e dicendo cose veramente nuove e non soltanto originali, come quelle che nel migliore dei casi produciamo noi» (C. Pavese, Lettere 1924-1944, cit., p. 190). 247 Il fascismo e il consenso degli intellettuali la « lotta ch’egli vede combattersi con coscienza di classe, nel nostro secolo, tra lavoro e capitale ». Attraverso Walt Whitman, « un gigante dalla camicia d’operaio aperta al collo e dalla barba dura », un poeta che tanta fortuna aveva avuto nei circoli socialisti, Pavese scopre che mentre un artista europeo, un antico, sosterrà che il segreto dell’arte è di costruire un mondo più o meno fantastico, di negare la realtà per sostituirla con un’altra magari più significativa, un americano delle generazioni recenti vi dirà che la sua aspirazione è tutta d' giungere alla natura vera delle cose, di vedere le cose con occhi ver- gini, di arrivare a quell’ultimzate grip of reality che solo è degno di esser conosciuto !%, Cost, attraverso l'America, è possibile la riscoperta della realtà della propria terra, espressa nel 1936 nelle poesie di Lavorare stanca. Dove era contenuto un messag- gio di speranza immediatamente colto da una comunista torinese, con due figli comunisti operanti nella clandestinità, Elvira Pajetta: Credevo che la poesia fosse morta — scriveva nel 1936 al mae- stro severo di Pavese, Augusto Monti, allora in galera —. Cosî siamo noi vecchi: quando non sappiamo più godere pensiamo volentieri che la gioia di vivere se ne sia partita dal mondo e quando la prosa quotidiana ha avuto ragione di noi giuriamo tranquillamente che la poesia è defunta. Ma se il Signor Pavese scrive dei versi, se li crede pi belli del mondo, se li stampa e li fa leggere — è certo che ho avuto torto e son felice di ricredermi 15. 5. Storiografia e impegno civile Giulio Einaudi seppe riprendersi abbastanza rapida- mente, non solo attraverso le iniziative del padre, dai duri colpi inferti dal regime, nei primi due anni di attività della casa editrice, ai suoi collaboratori e alle sue riviste. Prima della guerra, anche se i titoli pubblicati furono 124 Cfr. C. Pavese, La letteratura americana, cit., pp. 36, 119, 121, 138, 143. 125 ACS, Casellario politico centrale, b. 3790, fasc. 121672 (Cesare Pavese). 248 Le origini della casa editrice Einaudi pochi — ancora 8 nel 1937, arriveranno a 16 nel 1938 e a 24 nel 1939 —, egli riusci infatti a impostare quasi tutte le collane più importanti, che caratterizzeranno le sue edi- zioni fin dopo la Liberazione: la « Biblioteca di cultura storica » (1935), i « Saggi » (1937), i « Narratori stranieri tradotti » e la « Biblioteca di cultura scientifica » (1938), i « Poeti » e la « Nuova raccolta di classici italiani anno- tati » (1939). Nel 1941 la rivista « La Nuova Italia », espressione della casa editrice di Ernesto Codignola che stava prendendo sempre più le distanze dal fascismo, poteva lodare la consorella torinese che nel giro di pochi anni [...] ha messo fronde e radici, e saldamente stabilita nel mercato e nel pubblico, vanta ora una varietà e una ric- chezza di iniziative (opere di scienza, classici della nostra letteratura, una collezione storica, una di romanzi stranieri ecc.) che tutte concor- rono ad attuare il proposito orgoglioso di riuscire centro animatore di raccolta della più viva giovane e consapevole cultura italiana 12%. Già prima del 1940, infatti, le pubblicazioni dell’editore torinese sono tali da richiamare l’attenzione di intellettuali di rilievo, e da provocare in questi significative divisioni nei giudizi, nei quali è possibile intravedere schieramenti contrapposti non solo sul piano culturale; ed è per questo che ci sembra opportuno dedicare largo spazio alle nume- rose recensioni ai volumi della casa editrice. Nonostante la varietà dei temi affrontati dimostri una ricerca di sempre nuovi spazi culturali che può apparire talvolta confusa e tale da rischiare il pericolo dell’eclettismo, attraverso le collane in cui è pi facilmente ravvisabile un impegno civile — quella storica e i « Saggi » — è possibile seguire gli elementi di differenziazione dall’ideologia dei liberisti e il lento, faticoso distacco dalla cultura del regime. La « Biblioteca di cultura storica » è la collana i cui orientamenti appaiono pit definiti fin dall’inizio, nella ri- cerca di una valutazione della storia italiana che si diffe- renziasse da quella nazionalistica di Volpe e della sua scuola o dagli accenti sabaudistici presenti negli « Studi e docu- 126 «La Nuova Italia », XII (1941), p. 157. 249 Il fascismo e il consenso degli intellettuali menti di storia del Risorgimento » curati da Gentile e Menghini per Le Monnier, e nel tentativo, in un secondo tempo, di aprirsi alla storiografia straniera, in particolare quella anglosassone. Né è ravvisabile in questi anni, nel quadro della cultura storiografica che non si richiama diret- tamente o esclusivamente alle impostazioni di Volpe e di Gentile, un’altra collana storica che abbia la stessa consi- stenza e un uguale prestigio di quella einaudiana: questa ha alcuni punti di contatto con la « Biblioteca di cultura moderna » di Laterza e con i « Documenti di storia ita- liana » de La Nuova Italia — dove apparvero i Discorsi parlamentari di Cavour a cura di Adolfo Omodeo e Luigi Russo —, ma una ben maggiore capacità di svolgere una funzione civile, in quanto si indirizzava a un pubblico più ampio di quello degli specialisti, tenendo « la via di mezzo tra la dissertazione storica meramente accademica ed eru- dita e la storia romanzata », ciò che costituiva una novità per l’Italia !”. Dell’impostazione della « Biblioteca di cul- tura storica » si era occupato, prima dell’arresto, Ginzburg, che, come abbiamo visto, era in contatto con Nello Ros- selli; a questo si rivolgeva il 4 gennaio 1934 l'editore, chiedendogli un volume su Mazzini per la collana, « dedi- cata per ora ad illustrare uomini ed avvenimenti di storia italiana moderna », e che avrebbe dovuto essere inaugurata da uno studio su Cavour di Salvatorelli. In un primo tempo Rosselli accettò — «mi sorride che un mio libro esca sotto l’insegna di un nome che tengo in cosî alta stima », scriveva a Giulio Einaudi nel febbraio 1934 —, lasciando poi cadere la proposta, cosî come quella, avanzata dall’edi- tore nel 1935, di riprendere — sia pur ridimensionan- dolo — il suo progetto di una rivista storica, che Rosselli giudicò impraticabile per la difficoltà dei tempi": il 127 Cosi Enzo Tagliacozzo nella recensione al Mazzizi di Bonomi, in « Nuova rivista storica », XX (1936), p. 430. 128 Il 16 aprile 1935 Rosselli scriveva all’editore che « molte delle ragioni che m’indussero a rinunziare al progetto in grande della rivista sussistono anche per questo progetto minore [...]; metto in primo piano la mia personale situazione e la fifa generale. Anche metto in linea di conto la tendenza che oggi prevale, in alto, di dichiarare guerra a coltello alle riviste indipendenti (almeno a quelle storiche), per concentrare mezzi 250 Le origini della casa editrice Einaudi regime aveva infatti provveduto da poco a un rigido con- trollo degli istituti storici, mentre si annunciava, anche in questo campo, la « bonifica della cultura » di De Vecchi. La collana si inaugurò quindi con un’opera dell’« auto- re » per eccellenza di Einaudi in campo storico, Luigi Sal- vatorelli ‘’. Ne Il pensiero politico italiano dal 1700 al 1870 — che ebbe molta fortuna, testimoniata dalle nume- rose edizioni — Salvatorelli riprendeva una tematica già affrontata su « La Cultura », per dimostrare come il pen- siero politico italiano fosse nato nel 700, con quello « spi- rito di umanità » già presente in Muratori, nel quale « tro- viamo la nuova tavola di valori settecenteschi, tavola che ignora la grandezza e la trascendenza dello stato dominanti nella trattatistica anteriore, e destinata a risorgere con l’idealismo hegeliano »; sulla stessa linea si muove Beccaria, che « nega ogni concetto di un interesse, di un valore statale distinto e superiore all'interesse e al valore degli e appoggi su poche rivistone ufficiali. Sa che in questi giorni anche la torinese Rivista storica ha subito una radicale trasformazione (imposta) ed è passata al Volpe? Rebus sic stantibus, ho paura che la nostra rivista raccoglierebbe tutti nomi ingrati, e ben presto puzzerebbe. Inoltre per fare una rivista occorre un gruppo omogeneo di collaboratori abituali, 1) meglio di redattori. Intorno a me questo gruppo, ora come ora, non c'è; né io mi sentirei di far tutto da me. Le assicuro che questa mia riluttanza a imbarcarmi nell’i impresa deriva non già da scarso entusiasmo: l’entusiasmo in questo caso non mi difetterebbe davvero. Ma proprio perché sogno, un giorno, di dar vita a una bella e viva rivista di studi storici, esito a realiz- zare questo sogno in un momento cosî poco favorevole. Del resto, dovrò recarmi a Roma, fra poco; e lf tasterò di nuovo il terreno coi miei amici. Senza illusioni, però. Debbo proprio dirle che questa rinuncia tanto più mi costa da quando ho capito di poter contare su di Lei come editore? ». Il 3 aprile 1935 gli aveva scritto di aver parlato della rivista con Salvatorelli, che « vede molto di buon occhio il progetto ». Ancora nel 1937 Rosselli proporrà a Einaudi un volume su Montanelli (AE, Rosselli). Il 4 gennaio 1934 l’editore aveva scritto anche a Luigi Russo proponendogli, per la col- lana storica, « un volume di carattere sintetico sulle origini storiche e psi- cologiche della nostra guerra » (AE, Russo). 29 In contatto con Giustizia e Libertà, il 16 giugno 1937 Salvatorelli scrisse ad Amelia Rosselli che i suoi figli « vissero nobilmente dediti ad alti ideali, e sono caduti combattendo come il fratello che li precedette. La loro memoria rimarrà viva e alta in molti cuori» (ACS, Casellario politico centrale, b. 4549, fasc. 89789). Nel 1938-39 l’editore fu in contatto con un altro storico di formazione liberale, Nino Valeri, e ancora nell’agosto 1945 si dimostrerà interessato alla sua proposta di un volume su Filippo Maria Visconti (AE, Valeri). 251 Il fascismo e il consenso degli intellettuali individui componenti l’aggregato sociale », o Pietro Verri, per il quale « stati forti sono quelli in cui vi è libertà indi- viduale, stati deboli quelli dispotici ». E, mentre si accenna all'influenza della Rivoluzione francese sull’Italia — anche se l’unico « giacobino » preso in considerazione è Mel- chiorre Gioia —, la genealogia gentiliana dei « profeti del Risorgimento » è fortemente ridimensionata e corretta nei giudizi: in Alfieri si coglie, accanto all’anelito alla libertà politica, un chiaro « individualismo idealistico », e in Maz- zini l’importanza del problema sociale; si mette in risalto, prima del ’48, la superiorità politica di moderati come Balbo rispetto a Gioberti, e, in Cavour, il suo debito verso la Rivoluzione francese che ha fondato le libertà costitu- zionali e la teorizzazione della separazione Stato-Chiesa che lo statista piemontese profetizzava si sarebbe sempre più radicata — mentre « l’era del dopoguerra ha segnato finora una smentita alla profezia cavouriana ». Infine, dopo aver rilevato come le antinomie di Giuseppe Ferrari fra libertà e autorità e il suo abbozzo socialisteggiante di società futura fossero « miscele confuse ed informi », ma rispon- dessero a bisogni reali — « e conservano quindi ancora oggi il loro valore » —, il lavoro di Salvatorelli terminava coe- rentemente con l’inizio, con la figura di un autore caro agli einaudiani, Cattaneo, che « concludeva il ciclo del pen- siero politico italiano del Risorgimento. Lo concludeva ricongiungendosi alle idealità che avevano ispirato la co- scienza storica del Muratori, il riformismo giuridico del Bec- caria e del Filangieri, la critica economico-politica del Verri; lo concludeva riaffermando con meditata coscienza i valori di umanità e di progresso esaltati dal pensiero del Settecento, italiano ed europeo » !*. 130 L. Salvatorelli, I/ pensiero politico italiano dal 1700 al 1870, Torino, Einaudi, 1935, pp. 6, 11, 40, 67, 88, 130, 200, 217, 265, 303, 320, 350, 354. Giustamente Alessandro Galante Garrone ha osservato che, « nella complessiva valutazione salvatorelliana del Risorgimento, è data una preponderanza forse eccessiva agli aspetti dottrinali del pen- siero politico » (Risorgimento e Antirisorgimento negli scritti di Luigi Salvatorelli, in «Rivista storica italiana », LXXVIII (1966), p. 534). Sulla riscoperta dell’illuminismo italiano ne I/ pensiero politico concor- dano comunque Walter Maturi (Interpretazioni del Risorgimento. Lezioni 252 Le origini della casa editrice Einaudî Ingiusto appare quindi il commento di chi valutò cro- cianamente l’opera come « un tipico esempio di storio- grafia senza problema storico » ‘". Indicativi dell’esistenza di una precisa tesi interpretativa nel lavoro di Salvatorelli sono infatti, da un lato, i silenzi della « Rivista storica ita- liana » di Volpe e della « Rassegna storica del Risorgi- mento » di De Vecchi, cosi come la distorsione del ragio- namento dell’autore che appare sulla gentiliana « Leo- nardo » !“, e, dall’altro, il tono dei commenti suscitati nelle riviste meno conformiste. Sulla « Nuova rivista storica » si nota che Salvatorelli contrappone alla storia della ragion di Stato la storia dell’individualismo, e che « notevole è la ricostruzione del pensiero politico del Cavour, cosa che raramente suole esser fatta; preziose le notizie sull’illumi- nismo giovanile del Mazzini; il Cuoco ne guadagna e di- venta più modesto per la interpretazione riformistico-illu- ministica che di lui si fa (disincagliarsi dalle esumazioni idealistico-gentiliane è già un bel vantaggio!) » !*. Più cauti, ma improntati a simpatia per le idee dell’autore, sono i giudizi che compaiono sulle riviste di Codignola: Enzo Tagliacozzo si chiedeva, rilevando un limite messo in luce di storia della storiografia, prefazione di E. Sestan, Torino, Einaudi, 1962, p. 554) e Leo Valiani (Salvatorelli storico dell'Unità d’Italia e del fasci- smo, in « Rivista storica italiana », LXXXVI (1974), p. 726). Lionello Venturi scriveva invece a Salvatorelli il 26 aprile 1935: «I capitoli sul tardo Gioberti e su Cavour naturalmente mi hanno preso di pit, come quelli dove il pensiero ha più rapporti con la politica concreta [...]. Ma anche per Alfieri, il suo atteggiamento verso la rivoluzione, è cosf chiaro e mi era affatto sconosciuto [...]. Noto la tua convinzione sulla inferiorità del pensiero settecentesco. Hai ragione? Questo non so. Io sento diversamente » (ACS, Casellario politico centrale, b. 4549, fasc. 89789). Su Salvatorelli « educatore antifascista » nella Torino degli anni ?30 cfr. la testimonianza di Norberto Bobbio in G. Spadolini, Il mondo di Luigi Salvatorelli, con un’antologia di scritti di Salvatorelli e testimo- nianze di N. Bobbio, L. Valiani, A. Galante Garrone, L. Compagna, Fi- renze, Le Monnier, 1980, pp. 65-72. 131 Cosf Ezio Chichiarelli nella recensione alla seconda edizione (« La Nuova Italia », XIII (1942), p. 67). 13 « Troviamo i segni del nostro moderno concetto totalitario di poli- tica proprio in quel di solito disprezzato settecento », scriveva Raffaello Ramat (« Leonardo », VII (1936), p. 99). 133 Paolo Polese in « Nuova rivista storica », XX (1936), p. 449. Cri. tica è invece la recensione alla seconda edizione dell’opera di Enrico Guglielmino, sempre in « Nuova rivista storica », XXV (1941), pp. 571-575. 253 Il fascismo e il consenso degli intellettuali anche dalla storiografia, « se sia veramente possibile cogliere il senso delle dottrine politiche isolandole dal clima sto- rico che determina il loro sorgere », ma approvava le nota- zioni di Salvatorelli sul « fondo reazionario dell’ottimismo storicistico » e sulla « necessità di rivedere alcuni giudizi idealistici passati in giudicato e non più rimessi in discus- sione » ‘4; Paolo Treves invece, dopo aver notato che « è un certo vezzo attuale tentar di sminuire l’importanza del contributo francese pre e post-rivoluzionario alla specula- zione filosofico-politica italiana », affermava che il saggio dimostrava « quanto sia inutile la disputa recente sull’indi- pendenza o meno del pensiero italiano in quest'epoca, per- ché non si tratta di stabilire primati, che non esistono nella storia delle ideologie, ma di dimostrare invece come le idee prime tolte dal lavoro degli illuministi oltremontani fossero rivissute e concretate con la positiva esigenza della vita italiana, in una pit solida e netta visione storicistica » !°. L’impegno civile dimostrato da Salvatorelli ne Il pen- siero politico italiano — e riaffermato nella seconda edi- zione del 1941, in cui l’inclusione degli esponenti del pen- siero cattolico non modifica la « mentalità liberale » del- l’autore, come notava « La Civiltà cattolica » evidenziando il giudizio troppo severo su Monaldo Leopardi, Solaro della Margherita, il principe di Canosa e Spedalieri '* —, sembra attenuarsi nel Sommario della storia d’Italia. In esso Sal- vatorelli sviluppa quella personale interpretazione dell’unità della storia italiana che aveva espresso sinteticamente nel 1934, criticando la concezione politico-statuale di Croce e quella di Volpe che indicava nell’alto Medioevo il sorgere della nazione italiana — proprio « al momento in cui l’Ita- lia si risolve in una molteplicità di organismi autonomi », notava Salvatorelli —, per avvicinarsi alla tesi di Arrigo Solmi nell’individuazione di una « linea italica » presente nella penisola già prima della conquista romana, pur ve- dendo, a differenza di Solmi, delle soluzioni di continuità nell’affermarsi di quel « piano statale tendenzialmente uni- 134 « La Nuova Italia », VII (1936), p. 181. 135 « Civiltà moderna », VIII (1936), pp. 87-88. 1% «La Civiltà cattolica », 93 (1942), vol. II, p. 52. 254 Le origini della casa editrice Einaudi tario » che, interrotto dalle dominazioni longobarda e bizan- tina, riprende slancio fra il IX e l'XI secolo !*”. La sua atten- zione più « allo scomporsi e ricomporsi di un’unità politico- amministrativa che a una storia del popolo italiano », come notava Gabriele Pepe !*, si riflette anche nel Somzzario, nel quale comunque è difficile cogliere, dietro la fitta cronistoria dei fatti, dei giudizi caratterizzanti; questi si limitano ad alcune notazioni sulla diffusione popolare delle idee della Riforma o sull’influenza dell’Illuminismo francese, cui non segue però un collegamento tra la rivoluzione dell’89 e il Risorgimento; alla valutazione positiva sulla « epidemia di scioperi » del primo ’900, che « fu nell’insieme un fatto fisiologico e benefico, poiché una elevazione del tenor di vita delle classi operaie era urgente, e perfettamente possi- bile dato il grande incremento delle condizioni economi- che »; per terminare con una visione sorprendentemente limitativa dell’età giolittiana — «l’indirizzo di governo giolittiano fu, pur con empirismo opportunistico, sostan- zialmente liberale; ma non promosse una formazione orga- nica di partito, e venne a favorire in una certa misura la svalutazione del parlamento e l’autoritarismo personale » —, e con una forzata sospensione di giudizio sul fascismo !. Eppure il Sormzzzario, forse proprio per il suo taglio manua- listico e asettico, poteva presentarsi assai distante dalle retoriche deformazioni storiografiche del fascismo, e spin- gere Mario Vinciguerra — un intellettuale liberale già vicino a Gobetti e quindi a Luigi Einaudi — a vedere in Salvatorelli « l’uomo che potrebbe benissimo disegnare, se volesse, anche un programma politico » come Cesare Balbo nel suo Sormzzzario, ma che, « vivendo in un’epoca non di 137 L. Salvatorelli, L’unità della storia italiana, in « Pan », I-II (1933- 34), vol. I, pp. 357-372. 138 «La Nuova Italia », XII (1941), p. 17. Di importanza data da Salvatorelli al « popolo » parla invece A. Galante Garrone, Risorgimento e Antirisorgimento negli scritti di Luigi Salvatorelli, cit., p. 529. 139 L. Salvatorelli, Sommario della storia d'Italia dai tempi preistorici ai nostri giorni, Torino, Einaudi, 1938, pp. 635, 641. Nel 1940 il Som- mario fu tradotto in inglese, e nel 1941 in tedesco dalla casa editrice Junker di Berlino (ACS, Segreteria particolare del Duce, Carteggio ordi- nario, n. 527470). 255 Il fascismo e il consenso degli intellettuali aspettative, ma di travaglio mondiale, porta necessaria- mente nella storia uno spirito di revisione e di nuova siste- mazione » !9. Accoglienze analoghe non mancheranno nel 1942, come vedremo, a un’opera dalle caratteristiche simili a quelle del Sommario, il Profilo della storia d'Europa. Frattanto l’atti- vissimo Salvatorelli, che nel 1937 aveva pubblicato per l’ISPI La politica della Santa Sede dopo la guerra — lodata da « Gerarchia » per la « larga e seria preparazione » del- l’autore !! —, alla morte di Pio XI fa seguire immediata- mente, nel 1939, un primo bilancio del suo pontificato, ricco di penetranti osservazioni personali e ciò nonostante giudicato da « La Civiltà cattolica », pur con alcune riserve, fra tutti i libri su Pio XI « uno dei pit seri per copia di informazioni e per sufficiente oggettività di presentazio- ne » !£. In esso Salvatorelli, attento, come Omodeo, alle connessioni fra storia religiosa e storia politica, notava che nel dopoguerra erano stati «i turbamenti sociali, con il “pericolo bolscevico”, a rimettere in valore presso larghi ceti europei la Chiesa cattolica quale fattore di ordine e di conservazione sociale », con la conseguente tendenza degli Stati a cercare l'appoggio della Chiesa. È in questo clima che si sviluppa l’azione politica, non solo concordataria, di Pio XI, « Segretario di Stato di sé medesimo », che « ebbe come criterio direttivo di mettere al primo posto il raf- forzamento dell’influenza ecclesiastico-religiosa sulla socie- tà » facendo addirittura, come Bonifacio VIII, « della rega- lità di Cristo il titolo giuridico per il governo della Chiesa sul mondo » — e qui « La Civiltà cattolica » replicava 140 « Nuova rivista storica », XXIV (1940), p. 419 (cfr. anche E. Camurani, La Repubblica pene nelle lettere di Einaudi e Vinci- guerra (Contributo alla bibliografia di Vinciguerra), in Annali della Fon- dazione Luigi Einaudi, vol. XII, 1978, Torino, Fondazione Luigi Einaudi, 1979, pp. 519-520). Invece per Bruno Brunello, mentre il Sommario di Balbo «era tutto animato da una fede nei destini della patria », quello di Salvatorelli appariva « più un’esercitazione letteraria che il risultato di un’indagine appassionata » (« Rassegna storica del Risorgimento », XXVI (1939), p. 874). Il lavoro di Salvatorelli sarà considerato su « Primato » « molto preciso e concettoso » (I (1940), p. 15). 141 « Gerarchia », XVII (1937), p. 371. 142 « La Civiltà cattolica », 92 (1941), vol. IV, p. 217. 256 Le origini della casa editrice Einaudi che, al contrario, la politica concordataria aveva visto il pontefice « pronto a cessioni e a sacrifici, pur di tener gli Stati almeno in qualche modo uniti alla Chiesa » !* —; e, molto nettamente, Salvatorelli metteva in luce l’antisocia- lismo, il legame col fascismo, la lotta contro il Fronte popo- lare francese, l'appoggio alla guerra etiopica e a Franco, il possibilismo nei confronti della Germania nazista, come elementi caratterizzanti l’attività del papa, per concludere con l’appello a un « nuovo umanesimo » cristiano cui avreb- bero dovuto ispirarsi anche i laici !4. Il nome di Salvatorelli tornerà ancora nelle edizioni Einaudi, sempre con grande risonanza, durante la guerra. Prima di allora, un altro autore della casa che suscitò vasta eco fu Ivanoe Bonomi, che abbiamo già trovato, nel 1924, nel catalogo di Formiggini. Il suo Mazzini triumviro della Repubblica romana, pubblicato nel 1936 e ristampato nel 1940, incontrò, per la sua esaltazione di un personaggio storico eroicizzato dal fascismo, una favorevole accoglienza nelle riviste « ortodosse » !, ma poté prestarsi anche ad una lettura diversa, come era nelle intenzioni dell’autore: cosî Tagliacozzo mise in risalto, nell’opera, il fatto che « le preoccupazioni di politica estera e di carattere militare non impedirono al Triumvirato di dimostrare il suo inte- ressamento per i problemi sociali » !#; Aldo Ferrari, lo- dando il lavoro, ricordava che la qualità di uomo politico dell’autore, il « teorico pit chiaro equilibrato e sistematico della corrente riformista », era « non un ostacolo bensî un 14 Ibidem. 14 L. Salvatorelli, Pio XI e la sua eredità pontificale, Torino, Einaudi, 330° in particolare pp. 19, 57, 67, 86, 129, 157, 182, 185-86, 194, 209, 145 Cfr. ad esempio «Rassegna storica del Risorgimento », XXIV (1937), pp. 845-846; «Leonardo», VIII (1937), pp. 28-29; «Rivista storica italiana », s. V, I (1936), fasc. IV, pp. 101-103; « Meridiano di Roma », 3 gennaio e 31 gennaio 1937. 14 « Nuova rivista storica », XX (1936), p. 429; contemporaneamente ‘Tagliacozzo, recensendo il Labriola di Dal Pane, richiamava l’insegnamento di Labriola come « salutare » in un momento in cui si tendeva a « soprav- valutare quello che vien comunemente detto il “fattore morale” » (« La Nuova Italia », VII (1936), p. 261; cfr. anche E. Tagliacozzo, In memoria di Antonio Labriola nel trentennio della morte, in «La Nuova Italia », V (1934), pp. 402-406, e VI (1935), pp. 16-20). 257 Il fascismo e il consenso degli intellettuali aiuto » alla ricerca storica !'”; mentre il crociano Edmondo Cione opponeva l’esaltazione degli « autentici valori morali del Risorgimento » operata da Bonomi alla tendenza, imper- sonata da Luzio, ad « una strana “riabilitazione” dei varii personaggi del mondo reazionario e clericale e talora per- sino di quello poliziesco e brigantesco », e notava che « il dramma religioso dello spirito moderno rende di perenne attualità il pensiero del Mazzini », nel quale sono conte- nuti « i fondamentali principi della religiosità laica del pre- sente e dell’avvenire: la fede nel progresso storico, il valore educativo della libertà, l'esaltazione del senso del dovere e dello spirito di sacrificio, il senso della missione e della dignità personali » ‘4: un giudizio che assumeva tutto il suo significato se confrontato con quello de « La Civiltà catto- lica », che coglieva nell’opera un « profondo anticristiane- simo » spiegabile con la « mentalità di antico socialista » dell’autore !9, I contatti dell’editore con l’ex esponente del Partito Socialista Riformista continuarono, ma gli umori della cen- sura fascista, come quelli dei recensori, si dimostrarono mutevoli. « L’idea di avere un altro libro Suo, sulla storia politica del cinquantennio che precede la guerra mondiale, mi ha entusiasmato », scriveva Einaudi a Bonomi nel no- vembre 1938; il volume era pronto nel dicembre 1940 e, affermava l’autore, « esso non tocca periodi... pericolosi, ma certo illustra l’età liberale di cui ricorda le benemerenze ed i pregi ». Tuttavia, sebbene giudicata dall’editore opera « tutta permeata di patriottismo e basata su dati inoppu- gnabili », La politica italiana da Porta Pia a Vittorio Veneto non ottenne nel 1941 il visto della censura, e potrà essere pubblicata nella collana solo nel 1944, quando l’autore sarà presidente del consiglio. Sempre a Bonomi si rivolgeva Einaudi nel dicembre 1937, affermando che « alcune circo- stanze recenti mi pare abbiano reso nuovamente di attualità il Diario di guerra di Bissolati » !. Il volume, pubblicato 147 « La Nuova Italia », VIII (1937), p. 80. 14 « La Nuova Italia », X (1939), pp. 220, 222. 14 « La Civiltà cattolica », 89 (1930), vol. I, p. 269. 150 AE, Bonomi. Da notare che, dopo una seconda edizione nel 1940, 258 Le origini della casa editrice Einaudi nel 1935 in una collana subito abortita, « Ricordi e docu- menti di guerra », era stato in un primo tempo seque- strato !, ma non incontrò nemmeno le simpatie che « La Nuova Italia » aveva riservato a Bonomi: il recensore della rivista presentava infatti Bissolati come «uno spirito rivolto al passato, anziché un veggente delle mete future », preso da una « visione umanitaristica della guerra » che ren- deva il Diario « animato dall’innegabile patriottismo del- l’autore, ma anche da idee che compromisero la condotta. della guerra nei momenti decisivi » !*. Il tono della collana conobbe del resto anche aspre cadute, veri e propri compromessi col fascismo, come ne I rovesci più caratteristici degli eserciti nella guerra mon- diale 1914-18 — teso ad esaltare la capacità di ripresa delle forze militari italiane — del generale Ambrogio Bollati, direttore della « Rivista coloniale », autore anche, per la casa editrice, della Enciclopedia dei nostri combattimenti colo- niali, e, assieme al generale Giulio Del Bono, della Guerra di Spagna sino alla liberazione di Gijon, i cui toni antico- munisti furono apprezzati, fra gli altri, da Eugenio Passa- monti '*. Di impronta nettamente antidemocratica è anche il Massimo D'Azeglio politico e moralista di Paolo Ettore Santangelo, autore di altri mediocri studi risorgimentali: un volume che, accompagnato da un giudizio favorevole del- l’Accademia d’Italia, presenta fin dall’inizio le sue creden- Bonomi chiederà a Einaudi, nell'ottobre 1945, una terza edizione del Mazzini, perché « il libro usci in periodo fascista quando la sua diffusione trovava ostacoli d’ogni genere. Io poi terrei molto a diffondere quel mio libro che, in questa ora, avrebbe un significato di attualità » (ibidem). 151 Il Diario fu sequestrato nel giugno 1934 per le sue critiche all’ope- rato dei comandi militari (ACS, Segreteria particolare del Duce, Carteggio ordinario n. 528771, sottofasc. 1). Il 2 luglio 1934 Luigi Einaudi, dopo aver detto di essere stato lui a consegnare il manoscritto del Diario al figlio, chiese udienza a Mussolini (ACS, Segreteria particolare del Duce, Carteggio riservato, b. 70). 152 Carmelo Sgroi ne « La Nuova Italia », IX (1938), pp. 300-301. 153 « Rassegna storica del Risorgimento », XXVI (1939), pp. 258-260; cfr. anche « Leonardo », IX (1938), pp. 66-68. Il 25 gennaio 1938 l’editore scriveva a Del Bono di essere lieto che il volume sarebbe stato tradotto in tedesco (AE, Del Bono). Bollati e Del Bono saranno autori de La campagna germanica în Polonia, Roma, Unione editoriale d’Italia, 1940, e Bollati de L'Europa contro il bolscevismo, Roma, La Verità, 1942. 259 Il fascismo e il consenso degli intellettuali ziali metodologiche con la difesa della teoria élitaria — « sono le aristocrazie che dappertutto nella storia hanno fondato l’ordine nuovo, lo stato saldamente costruito » — e con la negazione di qualsiasi influenza del fattore econo- mico nel processo storico, sostenendo che l’idea di nazione « nasce molte volte come creatura puramente spirituale, non solo indipendentemente, ma anche in contrasto con precisi interessi materiali ». E mentre cerca di giustificare l’« intermittenza di temperamento » di Carlo Alberto, alla politica mazziniana « astratta » l’autore contrappone quella di D'Azeglio, del cui carattere « democratico » presenta un’immagine quanto mai singolare: L’Azeglio dunque respinge l’idea democratica, non solo nei casi di urgenza [...], ma anche come dottrina assoluta, che sarebbe as- surda in teoria e inattuabile in pratica. Egli è democratico in un senso superiore e più generale, in quanto non crede a privilegi di nascita e dà per compito allo stato di venir incontro ai bisogni del popolo, trattando tutti i cittadini su un piede di uguaglianza; è dunque democratico nel senso costituzionale, più nello spirito che nella lettera: la prassi democratica, essendo una specie di materia- lismo e prestandosi facilmente alle mistificazioni, gli è in genere sospetta 1%, Tuttavia, con l’apertura a tematiche non italiane — affrontate sempre con quel taglio narrativo che poteva ren- derne agevole la lettura anche ai non specialisti —, già prima della guerra la collana acquista un maggior peso cul- turale e civile. Se solo con l’opera di Louis Villat su La Rivoluzione francese e l’Impero napoleonico (1940) si raggiunge un solido impianto storiografico che sostanzia la narrazione dei fatti e in cui hanno largo posto, soprattutto nelle appendici sullo « stato attuale delle questioni », temi 15 P.E. Santangelo, Massimo D'Azeglio politico e moralista, Torino, Einaudi, 1937, pp. 16-17, 78, 99, 286. II 6 agosto 1937 Santangelo chie- deva all'editore di poter apportare alcune correzioni al lavoro, « dietro amichevole suggerimento di un alto personaggio dell’Accademia d’Italia » (AE, Santangelo). Luigi Bulferetti criticò la distinzione operata dall’autore nel Risorgimento, tra «idea astratta » di Mazzini e «azione politica » dei moderati (« Rivista storica italiana », s. V, III (1938), fasc. II, pp. n e « Rassegna storica del Risorgimento », XXV (1938), pp. 1584- 260 Le origini della casa editrice Einaudi economico-sociali — tanto che Carlo Morandi vi vede domi- nare, «e talvolta in modo troppo esclusivo », le tesi di Albert Mathiez '* —, si fa ricorso anche a storici non pro- fessionali, in grado tuttavia di esprimere un orientamentò politico. È il caso del Talleyrand di Alfred Duff Cooper, già ministro della guerra del gabinetto britannico, e quindi Primo Lord dell’Ammiragliato dal maggio 1937 all’ottobre 1938, quando, dopo Monaco, presentò le dimissioni per là sua politica contraria all’appeasemzent, ed esponente del gruppo dei « giovani conservatori » nella cui mentalità — avvertiva l’editore italiano — « si bilanciano una certa spre: giudicatezza d’idee e una tendenza al positivo e al concreto nell’applicazione alla vita vissuta ». Egli svolge, sotto le vesti di una biografia romanzata — in cui peraltro si preoc- cupa di affermare la necessità che «i cambiamenti nel metodo di governo siano graduali », e di notare che « gli uomini di estrema, a qualsiasi partito appartengano, diven- gono sempre germi di dissoluzione in un organismo poli- tico » —, un elogio della coerenza di Talleyrand nel porre « la nazione francese al di sopra degl’interessi particolari dei regimi che in un certo momento la governano », e pre- senta il diplomatico francese assertore di una politica di alleanze fra le potenze capace di portare all’unificazione europea: lo considera infatti, per usare le parole dell’editore che fa propria la tesi di Cooper, « come un uomo moderno, fors’anche come un nostro contemporaneo », poiché le sue idee « si riportano al problema della pacifica organizzazione dell’Europa che attende ancora una vera e sicura solu- zione » !*. Vinciguerra — che pur aveva curato l’opera — poteva affermare, da un punto di vista strettamente storio- grafico, che « non si può accettare neanche con riserve » la tesi « della modernità democratica e pacifista nella politica estera » di Talleyrand '”, ma dimostrava di non cogliere il 155 « Primato », I (1940), n. 5, p. 24 (siglato CM.). 15% A.D. Cooper, Talleyrand, a cura di M. Vinciguerra, Torino, Einau- di, 1937 (ediz. originale 1932), pp. VIII, X, 294. Cooper fu autore di Ceux qui osent répondre è Hitler, après Munich, Paris, Édinions Nantal, 1938. 157 « Nuova rivista storica », XXIV (1940), p. 99. 261 Il fascismo e il consenso degli intellettuali significato politico di un’opera apparsa in italiano in un anno cruciale per le sorti dell'Europa: messaggio che era assai esplicito, se da un’altra ottica ideologica il commen- tatore di « Leonardo » osservava che « la vita del grande diplomatico è pretesto a ribadire la concezione diremo cosi ufficiale della politica britannica improntata ad un conser- vatorismo pacifista di cui sarebbe garanzia imprescindibile una stretta intesa anglo-francese » !*. E ancora nel corso della guerra poteva essere accolto il messaggio di pace affidato al romanzo sul conflitto russo- giapponese di Frank Thiess, Tsushimza, tradotto nel 1938 sotto gli auspici dell'Ufficio storico della Marina e giunto nel 1945 all’ottava edizione, che prima dell’attacco all’ URSS suscitò accenti di umana comprensione anche sulle pagine di « Critica fascista »: 7 . Fra quel popolo russo di martiri grigi, nel cui seno covava la rivoluzione, e questo popolo giapponese di tenaci e sorridenti lavo- ratori, la simpatia umana del lettore, e fors’anche dell’autore, finisce col bilanciarsi: e non è forse senza un presago significato che il libro si chiuda con la visione luminosa del porto di Jokohama, in cui centinaia di piccoli russi e di bimbi giapponesi giocosamente s’incon- trano e si sorridono pur senza capirsi ancora!, 6. « Cultura della crisi » e spiritualismo Nella seconda metà degli anni ’30 uno dei messaggi più consistenti di cui comincia a farsi portatrice la casa editrice è tuttavia di altro tipo, e tale da prestarsi a letture diverse sul piano ideologico e politico. Si tratta di quel filo- ne spiritualista che si riallaccia alla « cultura della crisi » svi- luppatasi in Europa dopo il 1929 con svariate manifesta- zioni, da quelle politiche dei « non conformisti » francesi che potevano giocare « un ruolo oggettivamente pro fa- 158 Sergio Martinelli in « Leonardo », VIII (1937), p. 406; come « biografia romanzesca » l’opera era liquidata da Luigi Bulferetti (« Ras- segna storica del Risorgimento », XXV (1938), p. 1437). " ; G.A. Longo in « Critica fascista », XIX (1941), p. 119 (15 feb- raio). 262 Le origini della casa editrice Einaudi scista » ‘9, a quelle del mondo cattolico, assai più ambigue perché difficilmente si concretizzavano sul terreno politico, ma comunque decisamente anticomuniste e antidemocra- tiche — più ancora che antinaziste —, come nel caso dei cattolici italiani che individuavano nella Chiesa l’ultimo baluardo della civiltà, pur senza mettere in discussione il fascismo !. Anche in Italia questa ondata irrazionalistica, tesa a mettere in discussione i valori « materiali » della civiltà contemporanea, fu alimentata in particolare dagli ambienti cattolici, ma investî anche quelli laici, a indicare la presenza di un profondo disorientamento e la ricerca di nuove o antiche certezze: e l’insofferenza per l'ordine costi- tuito poteva seminare dubbi in un mondo politico, come quello italiano, in cui il fascismo sbandierava le sue inoppu- gnabili verità. Il pericolo era avvertito dal regime, se nel suo ambito si poteva parlare, a proposito della Kulturkrisis, di manifestazioni « patologiche » della cultura contempo- ranea, augurandosi che « allo storico futuro non abbiano a sfuggire le varie e numerose manifestazioni del genere: perderebbe con esse una delle più eloquenti testimonianze di quel singolare squilibrio logico e morale che imperversò in questi anni »!. Motivi spiritualeggianti, talvolta a sfondo religioso, sono presenti anche nelle edizioni di Giulio Einaudi, che fra gli scopi della sua iniziativa nel periodo fascista annovererà anche quello di « contrapporre all’ottimismo ufficiale un senso profondo e inquieto dei problemi del momento » !*; ed è significativo che negli stessi anni Guanda inaugurasse una collana di « Testi per una religione universale », e che perfino Laterza ne dedi- casse una agli « Studi religiosi, iniziatici ed esoterici », dove 10 Cfr. R. De Felice, Mussolini il duce, I. Gli anni del consenso 1929-1936, Torino, Einaudi, 1974, pp. 545-549. 161 Cfr. R. Moro, La formazione della classe dirigente cattolica (1929- 1937), Bologna, il Mulino, 1979, cap. IX. 1@ Cosi il « Meridiano di Roma » del 10 gennaio 1937, nella recen- sione a René Guénon, La crisi del mondo moderno, Milano, Hoepli, 1937 (con prefazione di J. Evola). Sui precedenti italiani di questa tematica cfr. E. Garin, Gli italiani e la crisi europea, in « Terzo programma » (1962), n. 3, pp. 168-176. 163 AE, G. Einaudi. 263 Il fascismo e il consenso degli intellettuali circolò il pensiero antroposofico di Rudolf Steiner che tanto colpi il giovane Eugenio Curiel '#, « Che il mondo attraver- si al presente un periodo di grave scompiglio, foriero di più fosche vicende per l’avvenire, non c’è alcun dubbio fra quanti hanno un uso passibilmente normale delle proprie ‘facoltà intellettuali », osservava nel 1938 padre Brucculeri su « La Civiltà cattolica » passando in rassegna alcuni libri .sulla «crisi odierna » !9: fra questi, La crisi della civiltà di: Johan Huizinga tradotto da Einaudi nel 1937, che ebbe una seconda edizione già l’anno successivo. 4. Il pampblet dello storico olandese, dal titolo originario Nelle ombre del domani, faceva esplicito riferimento alla crisi del ’29 cui era attribuita « la sensazione della minaccia di. un tramonto e del progressivo dissolversi della civiltà » icome mai si era avuta nel recente passato, se non all’inizio del secolo con « il pericolo di una rivoluzione sociale che il marxismo faceva balenare di tanto in tanto ». « Vedia- mo distintamente come quasi tutte le cose, che altra volta ci apparivano salde e sacre, si siano messe a vacillare: verità e. umanità, ragione e diritto », affermava accoratamente Huizinga, la cui analisi della crisi, cosî come le soluzioni «indicate, presentano elementi di ambiguità che danno ra- :gione delle letture diverse cui dette luogo. Da un lato si :scaglia contro il razzismo, contro Sorel « padre spirituale degli odierni regimi totalitari », contro le filosofie vitali- «stiche, la dottrina della « autonomia morale dello stato » e «quella dello « stato-potenza privo d’ogni freno »; dall’altro la sua critica non è meno dura nei confronti del marxismo, in quanto osserva che « né il secolo XVI né il principio dell'Ottocento vide mai minare con sistematica coerenza l’ordine e l’unità sociale mediante una dottrina quale quella dell’odio di classe e della lotta di classe », e a questa acco- muna « la dottrina della relatività della morale, insegnata ._. +16 Cfr. ora N. Briamonte, La vita e il pensiero di Eugenio Curiel, Milano, Feltrinelli, 1979, pp. 20-24. IS A, Brucculeri, La crisi odierna, in «La Civiltà cattolica », 89 (1938) vol. I, p. 326: accanto a Guénon e Huizinga esaminava Quel che o e quel che nasce del cattolico Daniel Rops (Brescia, Morcelliana, ‘264 Le origini della casa editrice Einaudi sia dal sistema scientifico del materialismo storico, come: dai sistemi psicologici che derivano da Freud »; accuse altrettanto dure sono lanciate contro il « superficiale razio:' nalismo del secolo XVIII », il cui « disastroso effetto » fu di « sradicare il concetto del servire dalla coscienza popo- lare », e contro il progresso in generale, aristocraticamente giudicato una «ingenua » illusione dell’800. Da questa analisi scaturiva la proposta di un « nuovo ascetismo » — di cui forse era un’eco parziale il « nuovo umanesimo » auspicato da Salvatorelli —, che « non sarà un ascetismo: della negazione del mondo per amore della salvezza celeste, ma del dominio di sé e di un’attenuata stima del potere e del godimento » !*: un invito che non poteva trovare d’ac- cordo « La Civiltà cattolica » che, pur approvando nelle linee generali la parte analitica del lavoro di Huizinga, obiettava come la ricerca di « certe verità eterne » non potesse fare a meno di chi ne era il depositario naturale; il papato, che con Pio XI si era dedicato « alla difesa della. nostra civiltà; quindi le sue proteste contro il bolscevismo, contro il nazismo, contro il governo tirannico del Messico, contro le nefandezze dei rossi nella Spagna » !”. Critiche globali al volumetto dello storico olandese provennero da ambienti culturali diversi: recensendone su: « Leonardo » l’edizione tedesca, Cantimori, forse già « se- mi-marxista » — come si dichiarerà più tardi —, ma co- munque attivamente impegnato nella difesa degli orien- tamenti politici del regime, lo considerò « lo sfogo di uno: spirito d’artista individualistico, liberaleggiante, contro questo mondo moderno, che non gli va », aggiungendo —: 16 J. Huizinga, La crisi della civiltà, Torino, Einaudi, 1937 (ediz. originale 1935), in particolare (citiamo dall’edizione einaudiana del 1962). pp. 4, 15, 25, 31, 40, 51-53, 63, 85, 97, 141, 153-154. Il 13 novembre 1937 Gherardo Casini, direttore generale per la stampa italiana, assicurava Luigi Einaudi di aver già provveduto ad assicurare la diffusione del saggio di Huizinga (AFE, Casini). Enzo Paci ha osservato che «l’ideale di salvezza che Huizinga propone alla civiltà contemporanea è un ideale etico-razionale nel quale rinascono in una specie di neogiusnaturalismo le vecchie idee di Grozio. Quest’ideale finisce per fondersi con una conce- zione cristiana del fine della vita » (Johan Huizinga, in « Terzo program- ma », (1962), n. 3, p. 167). 167 A. Brucculeri, La crisi odierna, cit., p. 330. 265 Il fascismo e il consenso degli intellettuali ma il passo sarà espunto dalla riproduzione di questo giu- dizio nell’introduzione che Cantimori farà alla nuova edi- zione einaudiana del 1962 — che « questa patetica laudatio temporis acti potrebbe anche interessarci, potrebbe essere utile a chi volesse rendersi conto dello stato d’animo di tanta parte della odierna cultura europea di fronte alla rivo- luzione sociale che in Europa si va compiendo, se non si mischiasse di politica, e a questo modo non irritasse il lettore di un paese cosî impegnato nella lotta politica e sociale di oggi come questa nostra Italia » '#. Analogo il giudizio espresso sulla « Nuova rivista storica » da Mario M. Rossi, che lo defini « lo sfogo pit o meno poetico di un laudator temporis acti, come in mille epoche già ne abbiamo uditi », e lo avvicinò a Dawson, ad Huxley e alle ultime teorie sulla morale di Bergson !. Anche i giovani di « Cor- rente » dichiararono di non consentire con la « speranza che la scienza possa divenire saggezza », in quanto « non dal sapere, ma dal concreto tumulto della vita nascono i pro- blemi e le soluzioni » ‘*, e quelli de « La Ruota », pur vedendo nel libro il « prodotto spontaneo di un cuore sin- cero », vi colsero « opinioni superate e irrigidimenti dottri- nari tutt'altro che accettabili » !, D'altro lato è interessante notare come, nell’ambito di un giudizio sostanzialmente positivo, in ambienti culturali opposti si cogliesse l’occa- sione per polemizzare con l’idealismo e lo storicismo cro- ciano: « La Civiltà cattolica » criticò infatti il « plauso della filosofia tedesca » fatto da Huizinga, che invece « avrebbe potuto rintracciare nelle costruzioni filosofiche alemanne, nel kantismo particolarmente e nell’hegeliani- smo, le scaturigini principali e remote della decadenza del pensiero, dello scetticismo morale, della autonomia della politica e della statolatria e di altrettali degenerazioni, contro le quali egli scrive delle pagine brillanti e quanto 168 « Leonardo », VII (1936), p. 383. 16 « Nuova rivista storica », XXIII (1939), p. 145. 170 G.M. Bertin, La crisi della cultura e il problema della scienza, in « Corrente di vita giovanile », 15 febbraio 1940. I7l M. Cesarini ne « La Ruota », II (1938), n. 1, p. 100 (era esami- nato anche H. Keyserling, La rivoluzione mondiale e la responsabilità dello spirito, Milano, Hoepli, 1935). 266 Le origini della casa editrice Einaudi mai proficue » !; e su « La Nuova Italia » Alfredo Parente, dopo aver giudicato il libro « altamente pregevole come sincera espressione di un vivo travaglio e di preoccupazioni e turbamenti che sono preoccupazioni e turbamenti dell’in- tera umanità presente », ne traeva spunto per affermare che « la ormai diffusa concezione idealistica, che il male e l’er- rore giustifica e redime nell’ordine della vita spirituale, e il congiunto ottimismo, che non indulge alla disperazione e ispira la più estrema fiducia nella vittoria definitiva del bene, possono essere un pretesto di fatalistica inoperosità nella coscienza degl’imbecilli e dei neghittosi, e un istru- mento di malizia nelle mani dei disonesti che da quella concezione filosofica credono di poter trarre la giustifica- zione e l’approvazione del loro qualsiasi operare »; e, dichiarandosi d’accordo con Huizinga nel veder conculcati i valori morali, si spingeva in un invito all’azione assai distante dalla proposta di un « nuovo ascetismo »: sappiamo che gli animi dotati della sensibilità morale dello scrittore olandese, silenziosi custodi pure in tempo di burrasca e di travolgi- menti dei valori dello spirito, son molti, nonostante le loro voci siano sommerse da un assai crudo e talora bestiale clamore dei popoli. Soltanto non bisogna adagiarsi e cullarsi in quella certezza, col rischio che il ritorno della serenità e della luce sia ritardato dal- l’opera di coloro, cui quella speranza non lusinga e altri meno eletti ideali stimolano o imbestialiscono !?3, « Ma l’autore non è né uno storico, né un politico, né filosofo: è, mi pare, un buon cattolico » che sorvola sui problemi della politica e dello Stato, scriveva a Giulio Finaudi, dopo aver letto Huizinga, il meridionalista di tra- dizione salveminiana Tommaso Fiore, invitando l’editore a «pubblicare storia in concreto » !*. Accenti spirituali- 172 A. Brucculeri, La crisi odierna, cit., p. 330. 173 « La Nuova Italia », IX (1938), pp. 324, 326. 174 AE, Fiore, 6 gennaio 1938; come esempio di « storia in concreto » il 26 dicembre 1937 Fiore aveva proposto la traduzione di Richard Freund, Watch Czechoslovakia! (1937): «Non è un libro antifascista e non si ‘può dire una difesa della democrazia (molto meno della Cecoslo- vacchia), ma si capisce che la difesa della democrazia è un sottinteso e le simpatie per la borghesia ceca e pel “Socrate di Praga” sono naturali e profonde ». Fiore, nel ’38, auspicava anche « manuali di geografia politica, fatti senza aridezza, in cui il senso politico sia profondo » (ibidem). 267 Il fascismo e il consenso degli intellettuali stici, di chiaro stampo cattolico, riappaiono invece ne La formazione dell’unità europea di Christopher Dawson. L’au- tore di Progress and Religion (1929), di cui « La Civiltà cattolica » aveva fatta propria « l'impressione di vedere già sorgere una nuova società, che disconoscerà ogni gerarchia di valori, ogni disciplina intellettuale, ogni tradizione sociale e religiosa, ma che vivrà per l’attimo presente in un caos fatto unicamente di sensazioni » !*, era stato già indicato da Mario M. Rossi, sulle pagine della « Nuova rivista storica », come uno degli artefici di quelle « sintesi storiche », « fon- date su una determinata dottrina filosofica o religiosa », che, sempre più frequenti « a mano a mano che l’Europa va dissolvendosi nel caos », « sono un prodotto di crisi e non dell’esame di una situazione solida e delineata » !*. Oppositore del progresso scientifico che gli appariva una religione laica « che ha voluto sostituire la vera unità cul- turale europea — il Cristianesimo », anche nel volume einaudiano Dawson considera la Chiesa elemento unificante della storia europea fra V e XI secolo, in linea con tutta la componente cattolica della « cultura della crisi », intenta a costruire « una filosofia della storia che tendeva a gettare ponti tra i secoli, ridotti ad attimi di un fluire storico di smisurato respiro attorno alla vita della Chiesa » !7. Dopo aver dichiarato, con toni spengleriani, che « Azio, come Maratona e Salamina, fu uno scontro dell’Oriente e dell’Occidente, una finale vittoria degli ideali europei di ordine e di libertà sopra il despotismo orientale » — un’af- fermazione che ritroveremo nelle pagine iniziali del Profilo della storia d’Europa di Salvatorelli e, ancora più puntual- mente, nel corso sulla Storia dell’idea di Europa tenuto nel 1943-44 da Chabod —, Dawson faceva una professione di fede storiografica e ideologica insieme, sostenendo che « l'influsso del cristianesimo sulla formazione dell’unità europea è un notevole esempio del modo come il corso dello sviluppo storico viene modificato e determinato dall’inter- 175 A. Brucculeri, La civiltà e le sue moderne involuzioni, in «La Civiltà cattolica », 90 (1939), vol. III, p. 120. 176 « Nuova rivista storica », XXI (1937), p. 449. 177 R. Moro, La formazione della classe dirigente cattolica, cit., p. 449. 268 Le origini della casa editrice Einaudi vento di nuovi influssi spirituali », in quanto esiste sempre nella storia « un elemento misterioso e inspiegabile, dovuto non solo all’influsso del caso o all’iniziativa del genio indi- viduale, ma anche alla potenza creatrice delle forze spiri- tuali ». Su questa base l’autore sviluppa il suo ragiona- mento, teso a dimostrare che la Chiesa non fu coinvolta nella caduta dell'impero di Occidente perché « era diven- tata una istituzione autonoma che possedeva il suo prin- cipio d’unità e i suoi propri organi d’autorità sociale. Essa era in grado di diventare contemporaneamente l’erede e rappresentante dell’antica cultura romana, e la maestra e la guida dei nuovi popoli barbarici »; cosi all’inizio del secolo VIII, quando l’invasione musulmana aprî un’« epoca di universale rovina e distruzione », « vennero gettate le fon- damenta della nuova Europa, da uomini come San Gregorio, che non avevano idea di edificare un nuovo ordine sociale, ma siccome il tempo stringeva, si travagliavano per la sal- vezza degli uomini in un mondo moribondo. E fu proprio quest’indifferenza per i risultati temporali che diede al papato l’energia di diventare, nella decadenza generale della civiltà europea, un centro di riorganizzazione delle forze della vita ». Al termine di questo processo, il secolo XI vide « l’incorporazione di tutta l’Europa occidentale nella cristianità », e l’inizio di « un moto di progresso che dura poi quasi senza interruzione fino ai tempi moderni »; la logica conclusione del volume era perciò un invito a proiettare nel futuro la tradizione culturale ricostruita in sede storica: Ai nostri giorni l'Europa è minacciata del crollo della cultura aristocratica e laica su cui era fondata la seconda fase della sua unità. Sentiamo di nuovo il bisogno di un'unità spirituale o almeno mo- rale [...]. Ma è bene ricordare che l’unità della nostra civiltà non poggia soltanto sulla cultura laica e sul progresso materiale degli ultimi quattro secoli. Ci sono in Europa tradizioni più profonde di queste, e dobbiamo risalire oltre l’umanesimo e oltre i trionfi super- ficiali della civiltà moderna, se vogliamo scoprire le fondamentali forze sociali e spirituali che hanno lavorato alla formazione del l’Europa 18, 178 Ch. Dawson, La formazione dell’unità europea dal secolo V all'XI, 2064) Il fascismo e il consenso degli intellettuali « Non ci manca che la preghiera a Notre-Dame de Lourdes, perché il Dawson ci appaia come un maresciallo Pétain della cultura », osservava sarcasticamente, nel 1940, il «libertino» Arrigo Cajumi, ormai distaccato dall’am- biente della casa editrice ‘, Ma sempre nel 1940, quando anche l’Italia era entrata in guerra, Mario Delle Piane riconosceva a Dawson il merito di aver fatto rivivere « un’epoca lontana ed oscura e, pur tuttavia, attualissima, oggi che si assiste, pare, alla lotta di due civiltà ed alla fine di una di esse», anche se aggiungeva, idealisticamente, che « la civiltà è una e imperitura, non essendo altro che il concretarsi dello sviluppo del libero spirito umano: cioè storia » !®. Più nettamente si esprimeva, pur mantenendosi sul piano della discussione storiografica, Gino Luzzatto, che alla storia delle idee di Dawson contrapponeva il Mao- metto e Carlomagno di Henry Pirenne — uscito da La- terza nel 1939 —, mosso « dall’osservazione di un fatto economico », e, giudicando « alquanto azzardato » il ragio- namento dello storico inglese, si chiedeva « se la mirabile fioritura della vita cittadina fra il XII ed il XV secolo non abbia avuto per la formazione della moderna civiltà europea un’importanza assai maggiore dei rapporti fra Chiesa ed Impero » 15. Il tema del contrasto fra civiltà materiale e aspirazioni spirituali, presente in Huizinga e Dawson, circola proble- maticamente anche nei romanzi dei « Narratori stranieri tradotti », in particolare in quelli di autori inglesi dell’età traduzione di C. Pavese, Torino, Einaudi, 1939 (ediz. originale 1932), in particolare pp. 8, 45, 188, 276-277, 282-283. Anche per Chabod ad opera del pensiero greco si era formata « una Europa che rappresenta lo spirito di “libertà”, contro il “dispotismo” asiatico » (Storia dell’idea d'Europa, a cura di E. Sestan ed A. Saitta, Bari, Laterza, 1961, p. 16). 17? A. Cajumi, Pensieri di un libertino, presentazione di V. Santoli, Torino, Einaudi, 1970, p. 183. 180 « Rivista storica italiana », s. V, V (1940), p. 425. Secondo Ga- briele Pepe, per Dawson il mondo europeo « sente più vivo il bisogno di un ordine culturale nuovo, fondato su un pivi intimo contatto con le civiltà dei popoli dell’Oriente e di tutto il restante mondo, che non rien- trano nei quadri della nostra tradizione culturale » (La nascita dell'Europa, in « Oggi », 24 febbraio 1940). 181 « Nuova rivista storica », XXIV (1940), pp. 262-264 (siglato G.). 270 Le origini della casa editrice Einaudi vittoriana la cui funzione, in questi anni di crisi di valori, può apparire analoga a quella svolta a cavallo del secolo dal Tolstoj fustigatore del « progresso meccanico » !. Di Walter Pater, fin allora conosciuto in Italia solo come « ca- poscuola di un estetismo immoralistico » che sarebbe emerso dai suoi studi sul Rinascimento, Einaudi presenta il romanzo del 1885 Mario l’epicureo, in cui l’autore in- tende « to show the necessity of religion », in un senso assai diverso dalla difesa della « religione laica » fatta nel 1882 dal Marc Aurèle di Renan. Il protagonista, la cui vi- cenda è ambientata ai tempi di Marco Aurelio — espres- sione di una civiltà « arida » paragonata da Pater a quella materialistica dell’800 —, abbraccia dapprima « un epicu- reismo elevato a disciplina morale, che ha per suo fine non il godimento, sia pure raffinato, ma la perfezione dell’es- sere intimo, “culto reso alla luce dell’intelletto” », per approdare infine al cristianesimo, come scrive la curatrice del volume: « Il cristianesimo fervido e sereno di quei primi tempi eroici, scevri di fanatismo, l’esultanza invulne- rabile dei credenti, la loro speranza serena, gli mostrano il sorgere di un’umanità dotata di quelle qualità morali di cui il mondo pagano è privo, ma che pure non rinnega l’amore alla vita e alla bellezza » !*. « Romanzo filosofico », lo qualificherà Beniamino Dal Fabbro recensendolo positi- vamente su « Primato », in cui tuttavia «il significato dottrinario sembra soverchiato da un senso religioso in- teso liricamente ». Lo stesso Dal Fabbro citava le edizioni einaudiane, entrambe del 1939, de La storia di Henry Esmond di Thackeray e del David Copperfield di Dickens tradotto da Pavese, per coglierne « la contemporaneità in ciò che fu chiamato il “compromesso vittoriano”, saggia mistura di borghesia e di cristianesimo, di calcolate ribel- lioni e di più comode acquiescenze » !*. Materia e spirito si oppongono e si confondono anche 182 Cfr. G. Turi, Aspetti dell’ideologia del Psi (1890-1910), in « Studi storici », XXI (1980), p. 85 n. 102. 183 W. Pater, Mario l’epicureo, traduzione di L. Storoni Mazzolani, Torino, Einaudi, 1939, pp. 9, 13-14. 184 « Primato », I (1940), n. 1, p. 14, e «Oggi», 4 novembre 1939. 271 Il fascismo e il consenso degli intellettuali in Cosi muore la carne di Samuel Butler, un romanzo in gran parte autobiografico ambientato nell’età vittoriana, in cui il curatore notava « la ricerca continua e affannosa di una fede, in grado di sostituire la religione tradizionale », e « l’ingenua fiducia accordata a ogni nuova teoria, la quale non tardava ad abbandonare i precisi limiti scientifici per confondersi in un alone religioso », la ribellione di Butler al positivismo e il suo invito agli uomini di liberarsi dal peccato e dal dolore amando « il vero dio » !*. Dal romanzo traeva spunto il liberalsocialista Vittorio Gabrieli per pre- sentare la figura dell’autore su « Civiltà moderna », e met- tere in luce che nell’età vittoriana, in un momento in cui « si accentua e si propaga il dissidio tra sentimento religioso e spirito scientifico, misticismo e razionalismo », nasceva in Butler, cosî come nel protagonista del romanzo, la satira della società, della scuola, della famiglia, della religione tradizionale, e il suo tentativo di conciliare la scienza con la religione: di qui, in lui, una «curiosa mescolanza di immanenza razionalistica e di spiritualità profonda e fan- tasia suggestiva », e, in contrasto con la visione materia- listica dell’universo fornita da Darwin, « l’affermazione dell’attività dello spirito sulla materia, della libertà umana, del progressivo scoprirsi d’un ordine nell’universo, un prin- cipio vitalistico ed una forza creativa, sostituendo cosî al meccanismo della selezione naturale una finalità, un dive- nire teleologico, che effettivamente collima con una conce- zione religiosa » !, In questo contesto si spiega come nel 1938 Aldo Capi- tini, esponente di un liberalsocialismo dalle forti venature religiose, si rivolgesse a Einaudi per proporgli la pubblica- zione dell’epistolario di Michelstaedter, un autore che Capitini « scopri » negli anni ’30 e che tanta influenza ebbe sui suoi Elementi di esperienza religiosa, cosi come 185 S. Butler, Cost more la carne, prefazione e traduzione di E. Gia- Dio, Torino, Einaudi, 1939, pp. VII, IX (citiamo dalla seconda edizione el 1943). 186 V. Gabrieli, Presentazione italiana di S. Butler, in « Civiltà moder- na », XII (1940), pp. 132, 134-135. Tommaso Landolfi coglieva invece nel romanzo « un'impressione di triste aridità » (« Oggi », 13 gennaio 1940). 272 Le origini della casa editrice Einaudî su altri intellettuali che negli anni fra le due guerre ne. ripresero la riflessione sulla « situazione » umana, sui valori della morale e della fratellanza; di lui, ricorderà Capitini, lo aveva colpito « l’antiretorica, quel tipo di esi- stenzialismo, che poteva divenire supremo impegno pratico, come poi mi è stato confermato dall’esame dell’epistolario manoscritto, dall’interesse che egli ebbe negli ultimi suoi anni per i Vangeli; insomma mi pareva esatto considerarlo. come la premessa di una tensione pratica etico-religiosa » !”. Carlo Michelstaedter — scriveva infatti a Einaudi — ha portato. nella cultura italiana un rigore insolito nell’esigenza dell’assoluto. Egli spicca in confronto di molti suoi coetanei della « Voce » che furono morbidi e, prima o poi, arrendevoli. L'elemento intransigente e tragico difetta troppo nella nostra spiritualità perché non ne sia desiderabile l’innesto. Le riserve sul pensiero e sulla decisione del Michelstaedter [morto suicida nel 1910] non spengono l’importanza che egli ha per quelli che oggi ascoltano voci perentorie e disperate per vincere la faciloneria. Cresce l’interesse per lui; sta diventando un punto di riferimento, anche per chi comprende che si deve andare oltre e ricostruire ma su serie rovine !88, Dubbi o disorientamenti, tendenze spiritualistiche ed esperienze religiose, anche se non univocamente contraddi- stinte, o recepite, sul piano civile, venivano cosî confe- rendo alla casa editrice la funzione di stimolo alla rifles- sione, a non affidarsi alle « certezze » del regime proprio nel momento in cui ci si avvicinava alla guerra. 7. Una cultura eclettica: i « Saggi » Dubbi e inviti alla riflessione si accompagnano tut- tavia, ancora in questi anni, alla difficoltà di attestarsi su una linea culturale ben definita, che si manifesta in una 187 A. Capitini, Antifascismo tra i giovani, cit., p. 53. Sulla fortuna di Michelstaedter tra le due guerre cfr. E. Garin, Intellettuali italiani del XX secolo, cit., pp. 102-103. 18 AE, Capitini (17 agosto 1938). L'editore propose invece a Capitini di scrivere un libro su Michelstaedter; nel 1938 Capitini propose anche Ends and means di Aldous Huxley (1937). 273 Il fascismo e il consenso degli intellettuali inquieta ricerca di « novità »: ne è testimonianza precipua la collana dei « Saggi », quella di maggiore diffusione, che affronta temi disparati secondo ottiche diverse, dimostrando talvolta l’insofferenza verso i canoni della cultura fascista ma, al tempo stesso, il persistere di un eclettismo che smorza i tentativi innovatori della casa editrice. I « Saggi » erano stati inaugurati nel 1937 da Voltaire politico dell’illuminismo di Raimondo Craveri, severamente giudicato da « Giustizia e Libertà » !° incapace di cogliere gli elementi caratteristici di un’opera che, in linea con l’interesse per il pensiero settecentesco de « La Cultura » e di Salvatorelli, si richiamava agli studi più recenti, in particolare a quelli di Dilthey e di Cassirer negatori della taccia di antistoricismo mossa al secolo XVIII, per svol- gere una critica trasparente dell’idealismo e della con- cezione attualista dello Stato: Le idées claires che l’illuminismo ha amato — osservava infatti l’autore —, giovano forse a riportatci in più spirabil aere di quello saturo di aberrazioni mentali mascherate di hegelismo ed ammantate di dialettica d’oggigiorno [...]. Il teorico del dispotismo illuminato diverrebbe ora il nemico d’ogni statolatria e d’ogni anarchia ed, in quanto fautore della tolleranza, l’avversario principe dello Stato provvidenzialmente onnipresente ed onniagente. Sul terreno teorico Voltaire scende in campo contro gli epigoni dell’hegelianismo !%. L’anno successivo appariva il Profilo di Augusto di Ettore Ciccotti, dove il rifiuto di ogni glorificazione e attua- lizzazione del personaggio biografato, proprio quando la sua figura era ufficialmente celebrata dal fascismo — alla ricerca di legittimazioni imperiali — in occasione del bimil- lenario della nascita dell’imperatore romano, appariva evidente fin dalle dichiarazioni metodologiche iniziali in 189 « Libro di eccellenti intenzioni, ma di esito abbastanza infelice [....] l’abuso di filosofia del Craveri lo porta a dedicare l’intero suo libro al sistema filosofico di Voltaire, che era cosa da trattare in quattro pagine [...]. Le sole cose sensate ci paiono essere le riflessioni sul despotismo illuminato, e il suo carattere apolitico, la indifferenza di Voltaire per lo Stato e il suo ottimismo per la libera attività nella società esistente » (« Giustizia e Libertà », 23 aprile 1937). 190 R. Craveri, Voltaire politico dell'illuminismo, Torino, Einaudi, 1937, pp. 13-14, 19. 274 Le origini della casa editrice Einaudî cui l’autore, riecheggiando, anche se in forma più blanda, gli interessi economico-sociali che ne avevano caratterizzato la produzione a cavallo del secolo, affermava che gli uomini dovevano essere collocati « in relazione all'ambiente e al tempo », « onde non si tratta di apoteosi o condanne, di glorificazioni od esecrazioni; e piuttosto, o meglio, di cercare di comprendere come e per quali vie e tra quale varia cooperazione e con quali effetti sociali gli eventi si svolsero e si conclusero, e con quali prospettive e signifi- cato »; ma si limitava in realtà ad una narrazione puramente cronachistica, in cui spicca un solo giudizio dal trasparente significato politico, che, ancora una volta, la « Nuova rivista storica » non mancava di rilevare: « Gli autocrati, d’ordinario, dovendo farsi perdonare la confiscata libertà e il potere assoluto, ricorrono a miraggi di conquiste, onde lampeggiano a’ soggetti beneficii spesso sognati od effimeri e al dominatore ancor più effimero prestigio: quindi la guerra » !. Distante dalla cultura idealistica era anche l’in- terpretazione psicanalitica proposta dallo psichiatra spa- gnolo Gregorio Marafion, che intendeva mettere in luce le qualità umane dello scrittore ginevrino Henry Amiel sulla base di una concezione relativistica della morale, secondo la quale « le cose non sono quasi mai assoluta- mente buone o cattive, e l’efficacia loro, positiva o negativa, dipende pi dall’orecchio di chi le ascolta che dal labbro di chi le pronuncia » !, Una linea diversa prevale invece nei saggi dedicati alla letteratura italiana, nonostante la presentazione della figura inquieta e non conformista di Tommaseo, di cui Raffaele Ciampini mette in luce, nel Diario intimo, il lace- 191 E, Ciccotti, Profilo di Augusto, Torino, Einaudi, 1938, pp. 13-14, 61-62; cfr. la recensione di Giovanni Costa in « Nuova rivista storica », XXII (1938), pp. 406-407. Cfr. anche M. Cagnetta, Antichisti e impero fascista, Bari, Dedalo, 1979, p. 133. Nel giugno 1938 Ciccotti propose all’editore la ristampa de La guerra e la pace nel mondo antico del 1901, ma Einaudi gli contropropose un saggio sui Gracchi (AE, Ciccotti). 192. G. Marafion, Arziel, o della timidezza, traduzione di M. F. Canella, Torino, Einaudi, 1938, (ediz. originale 1932), p. XV; Giansiro Ferrata osservò che il libro « manca, del tutto, di sensibilità poetica e psicolo- gica » (« Oggi », 7 ottobre 1939). 275 Il fascismo e il consenso degli intellettuali rante contrasto fra il richiamo dei sensi e quello della reli- gione, mentre, presentando la Cronichetta del Sessantasei dello scrittore dalmata, ne sottolinea, accanto all’attacca- mento alla Chiesa, la convinzione federalista, all’origine di quella «critica troppo spesso genialmente e perfida mente malevola » che investe in primo luogo i protagonisti « piemontesi » del processo di unificazione, Cavour e Vit- torio Emanuele ‘*, suscitando ovviamente lo sdegno della « Rassegna storica del Risorgimento » — «che giova il conoscere tanta ombra, quando alla storia si deve piuttosto chiedere tanta luce? » !*. Preoccupazione precipua dell’e- ditore appare comunque la difesa del crocianesimo, testi- moniata anche dal suo fitto carteggio con quel Luigi Russo che su « La Cultura » Cajumi aveva duramente stroncato !* Nella raccolta di saggi su Carducci di Tommaso Parodi, Antonicelli mette in evidenza la vicinanza dei giudizi espres- si dall’autore e da Croce, entrambi mossi dalla preoccu- pazione di distinguere l’uomo dall’artista, che in Parodi si esprime nella sufficienza con cui tratta l’interesse del poeta per la tecnica filologica, cosî come la sua fase « socialista » e anticlericale, per concludere che Carducci è « poco fe- lice [...] quando cerca argomento nella storia più recente, ove facilmente soverchiano in lui le passioni pratiche, e allora gli s’intorbida la serenità lirica, mancandogli lo sfondo epico della lontananza » !*. Il timore di non con- 19 N. Tommaseo, Diario intimo, a cura di R. Ciampini, Torino, Einaudi, 1938, e Id., Cronichetta del Sessantasei, a cura di R. Ciampini, Torino, Einaudi, 1939, pp. 49-50, 78: Tommaseo, osservava Ciampini, « vedeva e concepiva l’unità come una oppressione dal forte esercitata sul debole, come un soffocamento dei vari germi locali. Il Piemonte vincitore in Italia, gli appariva un arrogante dominatore: per lui, il Piemonte non vuole fare l’Italia, ma vuole conquistare a proprio profitto l’Italia ». 19 Piero Zama, in «Rassegna storica del Risorgimento », XXVII (1940), p. 1052. 195 Il 12 febbraio 1934 Russo proponeva una serie di volumi miscel- lanei sugli studi italiani del ’900: due sulla storia e la filologia (curati da lui), due sugli studi filosofici, giuridici ed economici (curati da De Rug- giero e Luigi Einaudi), uno sulle scienze naturali e matematiche (curato da Enriques); nel giugno 1937 accettava di scrivere un volume sul Per- siero politico di Vittorio Alfieri (AE, Russo). 1% T. Parodi, Giosue Carducci e la letteratura della nuova Italia, saggi raccolti da F. Antonicelli, Torino, Einaudi, 1939, pp. XI-XII, XVII XVIII, 8, 12, 81; recensendo il volume Enrico Falqui osservava che « un 276 Le origini della casa editrice Einaudi traddire Croce è ancora pit esplicito nella vicenda della pubblicazione dei saggi sugli Scrittori francesi dell’Otto- cento di De Lollis, un debito dovuto alla tradizione sulla quale si era formato il primo nucleo della casa editrice: Giulio Einaudi ne aveva inizialmente affidata la cura a Cajumi, raccomandandogli di evitare toni anticrociani tali da provocare una stroncatura da parte della « Critica »; ma l’ex direttore de « La Cultura » aveva dichiarato di non poter accettare la « censura crociana », aggiungendo che «le colpe e le ipocrisie crociane verso De Lollis (e non è solo parer mio, ma anche dei vecchi delollisiani come Trompeo) devono a/fine venire documentatamente in luce ». Dopo aver inutilmente proposto dei tagli alla prefazione di Cajumi per togliere gli « accenni più violenti all’idea- lismo e alla filosofia in genere », l’editore ne affidò quindi la cura al pi fidato Vittorio Santoli '”, che nell’introdu- zione dichiarava « decisivo » l’incontro di De Lollis con Croce, mettendo in luce, nel primo, il riconoscimento dell’insufficienza dell’indagine filologica secondo la quale « ogni poeta è l’età sua più qualche cosa che è tutto suo »; ‘e concludeva estendendo i legami fra Croce e De Lollis alle riviste da loro dirette: « della Cultura si può tranquilla- mente dire ch’essa, insieme alla Critica, è stata la rivista che più ha contribuito ad avviare la mentalità universitaria italiana dal tecnicismo all’umanesimo, da certe angustie pae- sane ad una universalità di sguardo nella quale era però sem- pre riconoscibile il tranquillo orgoglio d’essere “ah si! di gran signori” » !*. Ma, a testimoniare l’intersecarsi di linee diverse, nel 1939 la « Nuova raccolta di classici italiani an- notati » diretta da Santorre Debenedetti — costretto dalle leggi razziali ad abbandonare l’insegnamento universitario po’ pit di peso dato alla filologia nel giudizio sur un’opera letteraria e poetica conferirebbe alla critica idealistica quella aderenza al fatto arti- stico la quale, da ultimo, si risolve in una maggior comprensione dell’opera stessa » («Oggi », 17 giugno 1939). Nel ’39 Antonicelli accettava din Einaudi l’incarico di curare un'antologia della letteratura italiana in otto volumi (AE, Antonicelli). 197 AE, Cajumi (29 e 30 marzo, 9, 10 e 15 aprile 1938). 1% C. De Lollis, Scrittori francesi dell'Ottocento, con un saggio biogra fico di V. Santoli, Torino, Einaudi, 1938, pp. XVII, XXI, XXIII, XXX. 211 Il fascismo e il consenso degli intellettuali — si inaugurava con le Rizze di Dante commentate, in senso non certo crociano, da Gianfranco Contini, e che pur Luigi Russo giudicò « opera fondamentale » che « se- gna una data nella storia degli studi e delle interpretazioni dantesche » !°. Al tempo stesso, l’opera di sprovincializzazione della cultura italiana cui abbiamo già accennato a proposito della « Biblioteca di cultura storica », iniziava nel 1938 anche nei « Saggi »: l’Autobiografia di Alice Toklas di Gertrude Stein — un vivace affresco della cultura d’avanguardia europea dell’inizio del secolo, da Picasso a Matisse, da Henry James a Hemingway —, permetteva al traduttore, Pavese, di cogliere i debiti dell’autrice verso Walt Whitman nella « contemplazione ironica e insieme intenerita di un mondo reale, fuori d’ogni troppo compiaciuto interesse per i procedimenti dell’arte » e in « quel conturbante realismo della vita subconscia che resta a tutt’oggi il pit vitale contributo dell'America alla cultura » ?°, motivi non estra- nei alla ricerca stilistica dello scrittore piemontese. Nello stesso anno era inaugurata la collana « Narratori stranieri tradotti » in cui, scriveva l’editore, « dovrebbero entrare, oltre ai classici, solo scrittori universalmente riconosciuti come eccellenti » ?". Nata per impulso di Ginzburg — che con estremo puntiglio filologico ne seguirà le edizioni anche dal confino di Pizzoli — e con l’apporto di Pavese, la celebre collana dalla copertina azzurra offrî, sulle tracce della Slavia — da cui riprese alcuni titoli russi —”, traduzioni integrali di testi molti dei quali mai fin allora conosciuti in Italia nella loro completezza, ad opera di traduttori d’eccezione: accanto a Ginzburg e a Pavese, Ettore Lo Gatto, Alberto Spaini, Pietro Paolo Trompeo, Piero Jahier, Massimo Mila, Camillo Sbarbaro, per arri- vare, nel 1946, alla prima traduzione di Proust a cura di 19 Russo a Einaudi, 11 dicembre 1939 (AE, Russo). Sul direttore della collana cfr. ora L. De Vendittis, Santorre Debenedetti tra positivismo e idealismo, in « Studi piemontesi », VIII (1979), pp. 3-25. 20 Ora in C. Pavese, La /etteratura americana, cit., pp. 166-167. 201 Einaudi a Umberto Morra, 8 maggio 1939 (AE, Morra). 2 Cfr. AE, Polledro. 278 Le origini della casa editrice Einaudi Natalia Ginzburg. Il lettore italiano venne cosî a contatto soprattutto con i capolavori del romanzo psicologico otto- centesco, stimolo a riflessioni su vicende e passioni al di sopra delle contingenze storiche, non senza talvolta, attra- verso la guida delle introduzioni, riferimenti indiretti all'attualità. Gli interessi e i suggerimenti dei curatori sono ovvia- mente diversi: mentre Lo Gatto antepone nell’Oblòmov di Gonciaròv il valore artistico rispetto a quello sociale ?%, Pavese coglie in Tre esistenze della Stein « un primo esem- pio perfetto di quella che sarà ricerca costante della nar- rativa americana del nuovo secolo: un mondo fantastico che sia la realtà stessa, colta nel suo farsi espressivo », un giudizio non solo estetico che Mario Alicata puntualizzerà evidenziando la descrizione della provincia americana « nel- la sua grama miseria, nella sua disperata solitudine », per cui « il realismo metafisico della Stein sempre volutamente si nega ad ogni illuso sentimentalismo » ?*. Nei romanzi di Dostojevskij pubblicati durante la guerra Ginzburg mette invece in evidenza, pur accanto alle contraddizioni della « filosofia » dell’autore, il messaggio umano del prin- cipe Myskin, « assolutamente buono » e non per questo vinto, la cui figura anima « un libro consolante e vivifica- tore come pochi altri libri venuti dopo il Vangelo », e, nei Demoni, la critica di Dostoevskij — che restò tuttavia « lontano da ogni apologia dell’ordine esistente » — verso i risultati, e non verso le « ragioni » dei rivoluzionari contro la società, e, come tema dominante, l’inquieta ricerca della fede ?*. E, mentre nel 1942 è presentato come «la tra- gedia d’un Amleto americano » e una sofferta « polemica contro l'umanità » il Pierre o delle ambiguità di Melville, che Pratolini considera precursore di Meredith, James e Conrad, « una filza di nomi che potrebbe continuare, prove alla mano, fino a comprendere autori che respirano l’aria 23 I. Gonciaròv, Oblòmov, prefazione e traduzione di E. Lo Gatto, Torino, Einaudi, 1938 (II ediz. 1941), p. VII. 2% C. Pavese, La letteratura americana, cit., p. 169; recensione di Mario Alicata in « Leonardo », XI (1940), p. 174. 25 Ora in L. Ginzburg, Scritti, cit., pp. 240-241, 243, 248, 252, 255. 279 Il fascismo e il consenso degli intellettuali di questa lunga giornata di guerra, da una parte e dall’altra delle trincee » ?*, la difesa dei valori dell’uomo che trascen- dono sistemi politici o contingenze belliche, e la speranza di una fratellanza universale, traspaiono, sempre nel 1942, da Guerra e pace, dove « guerra è il mondo storico, pace il mondo umano », osserva Ginzburg, quel mondo umano che « interessa ed attrae particolarmente Tolstoj soprat- tutto perché egli è convinto che ogni uomo — di ieri, di oggi, di domani — valga un altro uomo », e che trova la sua esaltazione nel finale intimistico e famigliare del ro- manzo, dove è descritta « quella felicità che può far disto- gliere lo sguardo di un giusto da un uomo ucciso ingiu- stamente » 2”. « L’amore per la natura, i diritti del cuore, la gloria del sentimento », contrapposti alla « falsità della vita sociale », erano stati messi in luce nel primo volume della collana, I dolori del giovane Werther ®*; da Goethe si passa, con la caduta del fascismo, a Diderot, a Jacques il fatalista in cui Glauco Natoli identifica nel protagonista e nel padrone dei « personaggi reali, nei quali s’incarna la mortale polemica fra due classi destinate ad affrontarsi, nel fatale declino l’una, nell’irresistibile ascesa l’altra, che s’affrancherà sempre più d’ogni servile retaggio per recla- mare e raggiungere quella dignità umana, che troverà fra non molto la sua piena espressione nella dichiarazione dei diritti dell’uomo » °°. Il commento si farà infine ancora più esplicito nel 1945, sempre attraverso Diderot, di cui Fernanda Pivano sottolineerà « la passione politica dell’uo- mo che si pone di fronte a leggi costituite da un’autorità non riconosciuta e a norme imposte da una tradizione iste- rilita per abbatterle ed eliminare gli ostacoli al libero pen- 26 H. Melville, Pierre o delle ambiguità, prefazione e traduzione di L. Berti, Torino, Einaudi, 1941, pp. VII, IX; la recensione di Pratolini in « Primato », III (1942), pp. 287-288. 20 L. Ginzburg, Scritti, cit., pp. 285, 287. 28 W. Goethe, I dolori del giovane Werther, prefazione e traduzione di A. Spaini, Torino, Einaudi, 1938, p. VIII 20 D. Diderot, Jacques il fatalista e îl suo padrone, traduzione di G. Natoli, Torino, Einaudi, 1944, p. XV. 280 Le origini della casa editrice Einaudi siero, alla libera parola, alla libera morale, alla libera scienza » 7°, Attraverso i classici della letteratura universale pote- vano cosi passare messaggi emotivi capaci di « distrarre » il lettore dalla realtà della vita quotidiana, e sollecitarne la fantasia, la riflessione, la critica. Un raggio d’influenza più limitato ebbe ovviamente un’altra iniziativa della casa edi- trice, la « Biblioteca di cultura scientifica » avviata nel 1938, che trovò probabilmente un terreno di coltura già preparato nella Torino di Giuseppe Peano, e un animatore in Ludovico Geymonat: una collana che con i testi di De Broglie, Pavlov o Planck, riuscf a presentare, non senza contrasti ?!, una tematica che era rimasta estranea alla cultura idealistica, ma che ciò nonostante gli epigoni del positivismo avevano tenuto in vita; ad essa si affiancò, a partire dal 1940, la rivista « Il Saggiatore », dedicata alla divulgazione dell’attualità scientifica nei campi della ma- tematica, della biologia, della fisica — fino ai problemi dello sfruttamento dell’energia nucleare — e delle loro applicazioni tecniche, ma che solo in casi isolati si occupò dell’utilizzazione delle scoperte scientifiche a fini bellici, dimostrandosi severa custode dell’autonomia della scienza, fino a definire « ridicola » la condanna papale di Galileo 2. 210 D. Diderot, La religiosa, prefazione di F. Pivano, Torino, Einaudi, 1945, pp. VIII-IX. 211 Ad esempio il 14 novembre 1942 Geymonat inviò a Francesco Severi e Armando Carlini un memoriale per protestare contro il parere negativo dell’Accademia d’Italia alla traduzione di Die Grundlagen der Arithmetik di Gottlob Frege (AE, Geymonat). Dedica un breve cenno all'ambiente torinese di Peano C. Pogliano, Mondo accademico, intellet- tuali, professione sociale dall'Unità alla guerra mondiale, in AA.VV., Storia del movimento operaio, del socialismo e delle lotte sociali in Pie monte, diretta da A. Agosti e G.M. Bravo, vol. I. Dall'età preindustriale alla fine dell'Ottocento, Bari, De Donato, 1979, pp. 534-535. 212 M.G. Fracastoro, Nel 3° centenario della morte di Galileo Galilei, in « Il Saggiatore », II (1941), p. 313. La rivista era diretta da C. Fru- goni, F. P. Mazza, A. M. Olivo, F. Tricomi, G.C. Wick. 281 Il fascismo e il consenso degli intellettuali 8. La « svolta » della guerra e i collaboratori « romani » La seconda guerra mondiale rappresenta, per l’itine- rario culturale e politico di molti giovani intellettuali forma- tisi negli anni ’30, quella « svolta » in senso antifascista che spinse Bottai a tentare con « Primato » di recuperarne il consenso attorno alla guerra «italiana ». Il 1940 è una data periodizzante anche per la casa editrice, i cui inter- venti — se prescindiamo dalla continuazione della battaglia conservatrice dei liberisti — si modificano sensibilmente: si accentuano i contatti con la cultura europea e si rac- coglie attorno alla casa un numero crescente di intellettuali progressisti, cos che negli anni intercorrenti tra l’entrata in guerra dell’Italia e il 25 luglio 1943 si pongono concreta- mente, nelle realizzazioni o anche solo nei progetti — alcuni dei quali molto coraggiosi per allora — le premesse di gran parte delle iniziative editoriali del periodo postbellico. Uno dei punti nodali che è necessario mettere in luce, in questi anni, è il rapporto della casa editrice con Bottai e con l’operazione che questi si proponeva di svolgere attra- verso « Primato ». Giulio Einaudi ha ricordato che il nostro gruppo non solo non agî all’interno dello schieramento fascista, ma tentò di fare in proprio — e spesso con successo — quella stessa politica che il fascismo intendeva attuare con strumenti come « Primato ». Forme indirette di opposizione sf, com’era inevi- tabile a chi, producendo libri, doveva agire alla luce del giorno, e assumere di volta in volta una maschera, che fosse la più trasparente possibile; concessioni ideologiche al fascismo, o discussioni alla pari, mai 215, Queste parole rivelano una sopravvalutazione del ruolo di « opposizione » che sarebbe stato svolto da Bottai, e di conseguenza potrebbero essere assunte come prova di un pieno coinvolgimento della linea editoriale einaudiana nella fagocitante, proprio perché spregiudicata, prospettiva politi- ca del ministro fascista, diretta in realtà a imbrigliare ogni opposizione. Infatti, se « Primato » non può essere tutto 213 AE, G. Einaudi. 282 Le origini della casa editrice Einaudi risolto nella categoria « fascismo » ?!, e se è necessaria una sua lettura non univoca, che ne colga gli sviluppi nel corso della guerra #5, la rivista non poteva essere considerata, né dal fondatore né dai collaboratori, solo come il luogo della « difesa della cultura », essendo ben marcato il suo carattere militante e ben netto l’obiettivo di Bottai — come risulta anche dai suoi ricordi e dalle sue note di diario — di far sopravvivere il fascismo al « mussolinismo ». Non è quindi privo di ambiguità il fatto che, dopo essere entrato in contatto con Bottai proprio nel 1940, ancora nel 1942 Einaudi si rivolgesse a lui per proporgli di pubblicare presso la casa editrice una raccolta dei suoi interventi sull’arte e la cultura — « non può mancare tra i miei Saggi una presa di posizione nella polemica che ferve per l’intelligente modernità dell’arte italiana; e chi meglio di Voi può difendere questo partito in un libro? » —, e che nello stesso anno fosse in contatto con il redattore capo della rivista Giorgio Cabella, di cui pubblica il racconto Alloggio sul golfo (1942), oltre ad affidare la cura delle Memorie di Metternich al bottaiano Gherardo Casini, direttore generale per la stampa italiana ?!9. Tuttavia, nono- stante la presenza di elementi contraddittori, proprio nel rapporto con la casa editrice è possibile misurare lo scarto fra le intenzioni di Bottai e i risultati della sua politica, in quanto, soprattutto a partire dal 1941, alcuni dei nuovi collaboratori « romani » di Einaudi che scrivono su « Pri- mato » hanno già compiuto la scelta antifascista, e solle- citano l’editore a iniziative più avanzate che reclamizzano 214 E. Garin, Cronache di filosofia italiana, cit., p. 527. %5 Cfr. le osservazioni di Luisa Mangoni premesse all’antologia « Pri- mato » 1940-1943, Bari, De Donato, 1977. 216 AE, Bottai (13 gennaio 1942). Il 24 febbraio 1942 Alicata scriveva all'editore: « Vedrò domani Bottai per Primato, e gli chiederò ancora il suo volume di scritti culturali » (AE, Alicata). Già il 6 ottobre 1940 l'editore aveva chiesto a Bottai di segnalare « Il Saggiatore » « all’appo- sita commissione ministeriale affinché vengano sottoscritti alcuni abbona- menti per le Biblioteche degli Istituti di Istruzione tecnica »; 1°11 giugno 1942 ringraziava il ministro « per l’interessamento dimostrato a mio favore in merito alla carta ». Cfr. anche le lettere dell’editore a Cabella del 5 si 1942, e di Casini all’editore dell’8 giugno 1942 (AE, Cabella, asini). 283 Il fascismo e il consenso degli intellettuali sulla rivista, usata come strumento di discussione e di aper- tura culturale, consentendo cosî alla casa editrice di atte- starsi su posizioni che superano i confini del progetto bot- taiano. A dare nuova linfa vitale alla casa editrice contribuî infatti nel 1941, con l’apertura della sede romana, l’in- contro dell’originario nucleo torinese con quello romano di Mario Alicata, Giaime Pintor e Carlo Muscetta, tre gio- vani intellettuali che, pur con diversi orientamenti, avevano già tradotto politicamente, in senso antifascista, la loro rapida maturazione culturale; con i loro contatti, inoltre, essi allargarono il numero dei collaboratori di Einaudi, fra i quali comparvero, i che rima- sero ancora i più numerosi —, intellettuali già aderenti al partito comunista o che si venivano orientando verso di esso, ma tutti uniti nella comune lotta al fascismo, senza che si manifestassero fra di loro, almeno fino al 25 luglio 1943, contrasti di rilievo. Nell’aprile 1940 Alicata e Mu- scetta avevano contribuito a inaugurare la nuova serie de « La Ruota » — cui collaboravano anche Pintor e Pavese —, la rivista diretta da Mario Alberto Meschini che, sosti- tuendo il sottotitolo « mensile di politica e letteratura » con quello apparentemente più disimpegnato di « rivista mensile di letteratura e arte », assumeva in realtà la pro- spettiva di un’azione politica a più largo respiro ?”, nella convinzione, comune a tanti giovani intellettuali che davano vita o partecipavano a iniziative di fronda, di potersi sal- vare — ricorderà Pavese — con «un tuffo nella folla, un febbrone improvviso d’esperienze e d’interessi proletari e contadini, per cui la speciale e raffinata malattia che il fascismo c’iniettava, si risolvesse finalmente nell’umile e pratica salute di tutti » ?!". Mentre Muscetta era attestato su posizioni liberalsocialiste, già nel 1940 Alicata aveva superato l’originaria formazione crociana per abbracciare 2 Cfr. la testimonianza di Antonello Trombadori in M. Alicata, Lettere e taccuini di Regina Coeli, prefazione di G. Amendola, introdu- zione di A. Vittoria, Torino, Einaudi, 1977, p. XXXV. 218 C. Pavese, IÙ fascismo e la cultura 1945), ora in La letteratura americana, cit., p. 220. 284 Le origini della casa editrice Einaudî uno storicismo pit concreto maturato sulla conoscenza di De Sanctis e di Fortunato e sulle prime letture marziste, e aveva aderito al partito comunista segnalandosi subito per quell’intensa attività politica — tesa ad allacciare rap- porti con i liberalsocialisti e i cattolici comunisti — che ne provocò l’arresto alla fine del 1942 ?”. Ancora tutto « letterato » alto-borghese era invece Pintor, che tuttavia viene in contatto, nell'ambiente einaudiano, con il catto- lico Felice Balbo — « il cui influsso sul mio modo di pen- sare è stato decisivo », annoterà —, e viene maturando politicamente di fronte alla drammatica realtà della guerra: senza la guerra — ricorderà nell’ultima lettera al fratello — io sarei rimasto un intellettuale con interessi prevalentemente letterari [... .J: c’era in me un fondo troppo forte di gusti individuali, d’indifferenza e di spirito critico per sacrificare tutto questo a una fede collettiva. Soltanto la guerra ha risolto la situazione, travolgendo certi ostacoli, sgombrando il terreno da molti comodi ripari e mettendomi brutal- mente a contatto con un mondo inconciliabile 2° Pur avendo interessi ancora prevalentemente letterari, i tre « romani » parteciparono alla diverse iniziative di Ei- naudi: mentre alla fine del 1941 Pintor diviene « agente volante » della casa editrice, con « il compito di leggere libri, dare consigli, e girare in Italia £ soprattutto all’estero come rappresentante dell’editore » ?!, Alicata tiene i con- tatti col Ministero della cultura popolare per ottenere le autorizzazioni della censura, e arriva ad occuparsi di un problema che acquista importanza decisiva nel corso della guerra, quello dell’acquisto della carta. Inoltre, Alicata e 219 Cfr. l'introduzione di R. Martinelli a M. Alicata, Intellettuali e azione politica, a cura di R. Martinelli e R. Maini, Roma, Editori Riuniti, 1976, pp. XX-XXI, e C. Salinari-A. Reichlin-A. Tortorella-G. Amendola, Mario Alicata intellettuale e dirigente politico, Roma, Editori Riuniti, 1978. 290 Cfr. G. Pintor, Doppio diario 1936-1943, a cura di M. Serri, Torino, Einaudi, 1978, p. 111, e Id., Il sangue d'Europa (1939-1943), a cura di V. Gerratana, Torino, Einaudi, 1965, p. 186. Di « ambiguità » di Pintor ha parlato F. ‘Fortini, "Vicini e distanti. A proposito del « Doppio diario » È Cine Pintor, in «Quaderni piacentini », XVIII (1979), n. 70-71, pp. 221 G. Pintor, Doppio diario, cit., p. 161. 285 Il fascismo e il consenso degli intellettuali Muscetta aiutano anche dall’esterno l’attività di Einaudi collaborando a « Primato », su cui entrambi, con lo pseu- donimo rispettivamente di Don Ferrante e di Don Santi- gliano, segnalano con continuità le iniziative della casa editrice, coinvolgendo in questa opera di « propaganda » altri intellettuali, come Beniamino Dal Fabbro. Cosi nel 1941 Alicata, mentre si impegna con Einaudi per un saggio sulla letteratura contemporanea, assicura l’editore che ne segnalerà i volumi — « tutti, via via, più o meno larga- mente, nel mio Cotriere delle Lettere su Primato, dove cercherò di far fare puntualmente anche le recensioni » —, e nello stesso anno elogia sulla rivista di Bottai la « ricer- cata collana di narratori stranieri che Einaudi viene con grande accortezza riunendo. Poche opere, ma tutte ecce- zionali, tutte illuminatrici d’una personalità o d’un co- stume » “2. Analogamente Muscetta, rispondendo all’invito di Einaudi di fare pubblicità ai suoi volumi su « La Ruota » — cosa che farà regolarmente su « Primato » —, affer- mava di « aver seguito la sua attività editoriale con inte- resse affettuoso, e ogni libro [...] pubblicato mi ha recato un nuovo conforto a credere nei valori della cultura che non sono da difendere soltanto nel chiuso del nostro pen- satoio » 2, Con la collaborazione di questi tre intellettuali le tappe di sviluppo della casa editrice si accelerano, nelle vecchie e nelle nuove collane o nei progetti che non tro- vano attuazione immediata. Assieme a Pavese Alicata fu incaricato di curare la « Bi- blioteca dello Struzzo », la collana di narratori contempo- ranei che puntava soprattutto alla scoperta dei giovani: Dopo molte riflessioni — scriveva Einaudi ad Alicata all’inizio del 1941 — si è deliberato — e si attende la tua approvazione — 22 AE, Alicata (23 febbraio, 17 aprile e 1 giugno 1941); il 22 ottobre 1941 Alicata diviene collaboratore fisso, a 1.000 lire mensili; il 21 feb- braio 1942 informa l’editore di aver acquistato 248 risme di carta. Cfr. inoltre « Primato », II (1941), n. 8, p. 14. 23 AE, Muscetta (s.d.); io e Alicata — scriveva Muscetta all’editore il 20 febbraio 1941 — «ci auguriamo di poter collaborare attivamente ‘all’ardita opera di cultura che la tua casa svolge con spirito giovanile e con tenacia ». 286 Le origini della casa editrice Einaudî che la collezione debba accogliere romanzi brevi italiani e stranieri, di scrittori contemporanei e in genere « scoperti » da noi, dove, in via d’eccezione, e per alimentare la scarsa produzione italiana con- temporanea, si accoglierebbero libri dimenticati o rari, di indiscusso valore artistico, tipo Mio Carso di Slataper. Quanto agli stranieri... questo è il problema, ché escludendo gli americani e gli inglesi dob- biamo per ora limitare praticamente la scelta ai russi e ai tedeschi 24. In realtà fino al 1945, venuta meno con l’attacco all’URSS anche la possibilità di presentare la narrativa russa contemporanea, la collana si limitò a pubblicare testi italiani tesi tuttavia a quell’originale ricerca della realtà, sia pur non veristica, che contrassegna il primo volume apparso nel 1941, Paesi tuoi di Pavese. Pavese sollecitava infatti Ali- cata a « predicare l’arte narrativa, e soprattutto quella narrativa “come vita morale” che a voialtri ruotai deve essere in votis » 5: un invito cui Alicata, per i gusti già dimostrati nella sua intensa attività di recensore lettera- rio ?*, era particolarmente sensibile, e che, preoccupato di tenersi lontano « dalle piccole chiesuole di marca fioren- tina », raccolse assicurando alla casa editrice Le trincee di Quarantotti Gambini, Le donne fantastiche di Arrigo Benedetti e proponendo, fra gli altri titoli, Una città dî pianura di Giorgio Bassani, da lui già recensito su « La Ruota » quando era uscito in edizione privata di pochi esemplari sotto lo pseudonimo di Giacomo Marchi, e che era « passato per molte ragioni quasi sotto silenzio dalla critica », scriveva Alicata alludendo alle leggi razziali ??. 24 AE, Alicata (26 aprile 1941). 225 C. Pavese, Lettere 1924-1944, cit., p. 588 (28 aprile 1941). 226 Cfr. G. Tortorelli, Le formazione politica di un intellettuale comu- nista: Mario Alicata 1937-1945, tesi di laurea discussa presso la Facoltà di Lettere e Filosofia di Firenze nell’anno accademico 1976-77, e Id., Contributi alla formazione culturale e politica di Mario Alicata, in « Italia contemporanea », XXX (1978), n. 132, pp. 93-98. 21 In C. Pavese, Lettere 1924-1944, cit., p. 589 (9 maggio 1941); il 21 novembre 1941 Alicata suggeriva a Einaudi la possibilità di rilevare alcuni volumi della casa editrice Ribet Buratti di Torino (Comisso, Arturo Loria, Stuparich, Sbarbaro, Slataper), e l'11 novembre 1942 la necessità di ristampare l’Ibsex di Slataper, «che non solo è interessante per la personalità tutta dell’autore, del cui acuto problema morale risente, ma rimane per se stesso un documento critico prezioso sull'opera ibseniana » (AE, Alicata). 287 Il fascismo e il consenso degli intellettuali I toni fortemente elogiativi — anche se attenuati in una lettera a Einaudi ?* — della recensione che di Paesi tuoi fece Alicata su « Oggi » ”’, la vivace rivista di Arrigo Benedetti e Mario Panunzio, furono ripresi da Eugenio Galvano su « Primato » — «ogni lettore può ritrovarvi gli accenti di una sua esperienza passata e perduta, e il senso di un paese ritrovato » °° —; e intensi furono i le- gami fra l’ambiente della rivista di Bottai, cui collaborava anche Pavese, e la casa editrice, esemplificati dalla pub- blicazione in volume, presso Einaudi, de L’isola di Stupa- rich (1942), già apparsa su « Primato ». Rimase un caso isolato il giudizio negativo riservato da Alfonso Gatto a La strada che va in città di Alessandra Tornimparte #! — pseudonimo di Natalia Ginzburg —, e non tale comunque da essere paragonato alle forti riserve di carattere morale avanzate da « La Civiltà cattolica » nei confronti di Pavese e della Ginzburg, i cui racconti, osservava Einaudi, riscos- sero «i più vivi consensi e dissensi » proprio per la no- vità di stile e di contenuto ?*: mentre in Paesi tuoi l’or- gano dei gesuiti vedeva ritratta una « gente di campagna » 28 «Ho apprezzato molto il libro di Pavese, che mi sembra soprat- tutto un racconto e per questo merita grandi lodi. Quantunque risenta, è chiaro, l’influenza a volte eccessiva di certi americani e nel gusto d’usare la lingua e la sintassi, e nel sapore e tono che attribuisce agli uomini e ai loro gesti » (AE, Alicata, 1 giugno 1941). 29 Ora in M. Alicata, Scritti letterari, introduzione di N. Sapegno, Milano, Il Saggiatore, 1968, pp. 84-88. Cfr. anche la notizia che Alicata ne dava su «Primato», affermando che Pavese «rompe un silenzio lungo e fruttuoso durante il quale egli sembra essere scampato alla reto- rica, agli schemi che affliggono certa narrativa italiana contemporanea: come prima sensazione d’una lettura che almeno prende e allaccia in un suo tempo libero e prepotente » (II (1941), n. 11, p. 16, nel « Corriere delle lettere » di Don Ferrante). 230 « Primato », II (1941), n. 14, p. 15; pur osservando che «le rea- zioni psicologiche del personaggio narratore rimangono moralmente fiac- che », Luigi Vigliani trovava «felicissima» l’utilizzazione del dialetto piemontese (« Leonardo », XII (1941), p. 218). 231 Nel volume «la realtà osservata è ferma alla crisi di una società ‘confusa [...]. Forse questo racconto piacerà, disposti come sono oggi molti letterati, giunti in ritardo al ripensamento di un proprio compito umano, a vedersi duri e manuali. Il racconto della Tornimparte è fradicio di quest’enfasi moderna, semplicistico e blando altresi nella sua stessa ‘acrisia », osservava Gatto (« Primato », III (1942), p. 107). 232 Einaudi a Ginzburg, 2 aprile 1942 (AE, Ginzburg). 288 Le origini della casa editrice Einaudi che « non è quella che noi generalmente conosciamo. Qui sembra piuttosto gente di malavita, dove predominano tendenze istintive e animalesche », nella « dura » prosa della Ginzburg coglieva « un indice di ciò che si è comin- ciato a raccogliere anche in Italia dall’abbondante semina- gione d’una sfrontata romanzeria straniera, e specialmente americana » ”*. Alla ricerca di valori umani, laici e reli- giosi, si muovevano anche i nuovi titoli della collana dei « Poeti », già avviata nel 1939 con la riedizione degli Ossi di seppia e la nuova raccolta de Le occasioni di Montale **: accanto a una nuova edizione di Lavorare stanca di Pavese apparvero infatti Con me e con gli alpini di Jahier la cui fortuna fra i soldati era testimoniata dai reduci dalla Russia — « l'hanno aperto per caso e non se ne staccano più. “Fare il bene con disperazione” è diventato il loro motto » 5 —, e le Poesie di Rilke nella traduzione di Pintor, in cui Giansiro Ferrata, occupandosene su « Pri- mato », vedeva l’opera di un poeta « da difendere contro la sua stessa generosità di vita e contro un frequente estetismo per seguirne la grande voce umana, semplice infine come un grido ma dal fondo d’una religiosità vissuta nei suoi slanci e nelle sue ferite » ?*. In questi stessi anni gli aspetti « emotivi » presenti nella produzione letteraria trovano modo, come vedremo, di tradursi in un più marcato impegno civile nei volumi della « Biblioteca di cultura storica » e in quelli della nuova collana « Universale ». Persistono tuttavia, almeno fino al 1942, e in particolare nei « Saggi » — dove pur appaiono le Memorie di madame de Rémusat, la cui critica a Napo- leone era leggibile in senso antitirannico —, molti dei mo- tivi spiritualistici d’anteguerra non disgiunti da elementi contraddittori, che trovarono forse nel cattolico Felice Balbo un sostenitore: « Balbo — è stato ricordato — non aveva difese contro le proposte e le idee. Tutte le 233 «La Civiltà cattolica », 93 (1942), vol. III, pp. 56 e 371. 24 Per le vicende di queste edizioni cfr. E. Ferrero, Come nacquero « Le occasioni », in « Libri nuovi Einaudi », IX (1977), n. 1. 235 AE, dalla redazione romana a Jahier (9 luglio 1943). 236 « Primato », III (1942), p. 232. 289 Il fascismo e il consenso degli intellettuali proposte e tutte le idee gli piacevano, lo sollecitavano, lo mettevano in fermento » ?”. Se non ha luogo la proposta di Balbo di tradurre The mystical elements of religion di von Hiigel, il modernista « lodato da Loisy pur essendo rimasto cattolico », e Bobbio non accetta La preghiera dell’uomo di Alfredo Poggi per il suo insufficiente appro- fondimento teorico, pur considerando che il saggio « sia ispirato ad un alto senso religioso e morale, e sviluppi una concezione razionale della vita religiosa, rifuggendo dal dilagante irrazionalismo »; o mentre resta inedito, per le vicende legate alla caduta del fascismo, L'infinito e il divino terminato da Giuseppe Tarozzi nell’aprile 1943 ?*, Einaudi pubblica nel 1942 Le origini del cristianesimo di Loisy — che giungerà alla terza edizione l’anno successivo — e, su suggerimento di Gioele Solari, Ragione e fede di Piero Martinetti: con ciò la casa editrice si faceva banditrice di una « religione della libertà » che, se potè essere accostata a quella crociana, se ne differenziava nettamente per l’im- portanza che l’animatore della « Rivista di filosofia » attri- buiva all'elemento religioso, cui Martinetti aggiungeva negli ultimi anni di vita, di fronte allo spettacolo della guerra e della « barbarie », la riflessione sul pessimismo di Schopenhauer tesa ad accettare « la realtà del male come principio radicale, autonomo, forse non riducibile ad al- tri » 2°. Accanto a Martinetti, nel 1941 Einaudi ripropone Huizinga con la monografia del 1924 su Erasmo che aveva già provocato forti riserve, non solo storiografiche, da parte di Cantimori, per la « troppo evidente tendenza a mostrare in Erasmo il tipo classico del dotto-gentiluomo, moralista e umorista, lontano dagli interessi politici e religiosi che possono scuotere e commuovere » °°; ma forse proprio per questo, per la presentazione dell’umanesimo erasmiano 23 N. Ginzburg, Lessico famigliare, Milano, Mondadori, 1972, p. 143. 28 Cfr. Balbo a Bobbio, 1 aprile 1943, e Bobbio a Finaudi, s.d. (AE, Bobbio), e il carteggio Tarozzi-Einaudi del 1942-43 (AE, Tarozzi). 239 Cfr. Bobbio a Finaudi, 21 maggio 1943 (AE, Bobbio}; E. Garin, Cronache di filosofia italiana, cit., pp. 387-391; e la testimonianza di G. Mita, dee prefazione di L. Salvatorelli, Vicenza, Neri Pozza, 1968, pp. 75-76. 20 « Rivista storica italiana », s. V, I (1936), fasc. IV, p. 91. 290 Le origini della casa editrice Einaudî « come un raffinato giuoco intellettuale entro le mura di un nobile castello oltre le tempeste del mondo e le vicende del tempo » ?, « Civiltà moderna » poteva accogliere nel lavoro l’indicazione della « originalità umanistica » rispetto al Medioevo, ma con l’accordo « fra l'esigenza del risorto classicismo e quella del rigenerato cristianesimo »; men- tre il recensore della « Rivista storica italiana », oppo- nendo all’umanesimo « negativo » di Erasmo quello « co- struttivo » del Rinascimento italiano impersonato da Gior- dano Bruno, prendeva le distanze dall’autore per « quella tipica mentalità pacifista che, per contingenze storiche fa- cilmente individuabili, tende a fare dell’equilibrio e della moderazione la massima espressione della civiltà uma- na » dii x Alle immagini catastrofiche de La crisi della civiltà sembra invece richiamarsi, pur senza citare Huizinga, Uomo e valore di Luigi Bandini — un allievo di Limentani che aveva pubblicato presso Laterza un saggio su Shaftes- bury —, che sviluppa il tema del contrasto fra progresso economico e libertà individuale con accenti indubbiamente retrivi. Il volume — che sarà ristampato nel 1949 con una introduzione in cui l’autore manifesterà un atteggia- mento paternalistico verso le masse popolari — è un atto di accusa nei confronti del liberismo e del liberalismo dell’800 che avrebbero portato « ad uno stato di cose risolventesi proprio in un massimo di serviti per una gran quantità di soggetti umani: il caso, precisamente, dell’indu- strialismo moderno », per cui si era avuto il « rovescia- mento del rapporto fra uomo e cosa », con l’« innalzamento ad ideale supremo della realtà economica ». Ma la con- danna del progresso si traduce nella istituzione di un preciso rapporto tra la « morte » del cristianesimo, « la religione 2 Cfr. l'introduzione di E. Garin a J. Huizinga, L'autunno del Medio evo, Firenze, Sansoni, 1961, p. XIII. 2 A. Corsano in «Civiltà moderna », XIII (1941), pp. 355-356, ed E. Guglielmino in « Rivista storica italiana », LIX (1942), pp. 286-287. Mario M. Rossi coglieva invece in Huizinga la « disapprovazione per Erasmo », e giudicava l’Encbiridion militis christiani « opera d’un banale bigotto » (« Nuova rivista storica », XXV (1941), pp. 304, 308). 291 Il fascismo e il consenso degli intellettuali della esaltazione dell’individuo », « la enorme avidità di possesso e di successo che caratterizza l'umanità moderna » e, soprattutto, lo sviluppo del marxismo: una tale dottrina della necessità radicale ed ineliminabile dell’odio di classe si sostituisce bruscamente e senza passaggi intermedi proprio alla concezione cristiana nell'animo degli appartenenti ai ceti sociali più umili, trovando d’altronde nelle effettive condizioni della società moderna, nel suo sempre più esasperato affarismo, gli elementi suggestivi più adatti a conferire ad essa la massima efficacia di persuasione 28, Si comprende quindi come il ragionamento di Bandini incontrasse le simpatie de « La Civiltà cattolica » 24, mentre offriva a Luigi Einaudi l’occasione per attribuire al capita- lismo « storico » dell’800 la responsabilità della tendenza verso i monopoli, « verso ciò che incatena ed asserve gli uomini e di cui l’ultima e più perfetta e diabolica espres- sione è il comunismo russo », ma anche per dissociarsi dalla tesi « che la tendenza verso il colossale, distruttivo dell’uomo, come persona autonoma, sia propria dell’eco- nomia contemporanea, capitalistica o trafficante », poiché la liberazione dell’uomo dalle cose era frutto precipuo dell'economia di concorrenza’. Tesa a dimostrare la necessità della religione contro il materialismo contem- poraneo è anche un’opera di Bernhard Bavink che racco- glieva alcune conferenze tenute in Germania prima della « rivoluzione » del 1933, la cui traduzione, uscita nel i 23 L. Bandini, Uomo e valore, Torino, Einaudi, 1942, pp. 25, 35, 161, 71, 179. 24 « La Civiltà cattolica », 93 (1942), vol. IV, p. 251. 5 L. Einaudi, Dell’uomo, fine o mezzo, e dei beni d’ozio, in « Rivista di storia economica », VII (1942), pp. 121, 125. Pur riconoscendo la tendenza monopolistica rilevata da Bandini, Mario Dal Pra osservava: « Ciò non toglie tuttavia che i diritti e le pi profonde esigenze dell’indi- vidualità non possano essere salvaguardate, ad esempio, mediante l’attua- zione di quella terza via che lo stesso Luigi Einaudi propone, fra l’indi- vidualismo da una parte e il collettivismo dall’altra » (« La Nuova Italia », XIV (1943), p. 39). Nel 1946 Antonio Giolitti — allora collaboratore della casa editrice — criticherà Bandini per non aver saputo vedere che il problema dell’individuo è problema politico e sociale, risolvibile sul piano di quella lotta di classe che l’autore negava recisamente (« Studi filosofici », VII (1946), pp. 81-84). 292 Le origini della casa editrice Einaudi 1944, era già stata messa in cantiere nel 1942. In essa l’autore sosteneva che da scienziati « assai religiosi » come Galileo, Keplero e Newton, si era sviluppata una tendenza culturale approdata « ad un materialismo e ad un ateismo completo ed aperto, quale è attualmente la concezione uffi- ciale del mondo nella Russia bolscevica » — alla quale era contrapposto l’esempio positivo della concezione so- ciale e statale fascista e nazista —; la fisica moderna, con Bohr e Planck, aveva invece « definitivamente distrutto certe troppo frettolose obbiezioni contro la fede », abo- lendo «il concetto classico di sostanza », e quindi ogni meccanicismo, per cui si poteva concludere che ormai « fare della fisica non significa, in fondo, far altro che ricapitolare gli atti elementari compiuti da Dio » ?4 Un richiamo ai valori dello spirito poteva comunque passare anche da altre vie meno sospette, dai grandi ro- manzieri ottocenteschi o da I/ problema dell’inconscio di Jung, tradotto nel 1942: l’opera infatti trova favorevole accoglienza su « Primato », dove Muscetta considera « me- rito fondamentale » di Jung aver ricordato che la psicologia è scienza dell’anima e che nessuna indagine fisio- patologica potrà mai risolvere lo spirito nella materia, la sua miste- riosa e libera spontaneità, nell’evidente e misurabile rigore delle leggi fisiche [...]. Pagine di vent’anni fa, che per vie assai lontane dalla nostra cultura ci portano affascinanti conferme a quella fede nei valori spirituali da cui non potremo mai aberrare senza recidere le radici dell’essere nostro 29. 2% B. Bavink, La scienza naturale sulla via della religione, Torino, Einaudi, 1944 (ediz. originale 1933), pp. 3, 50, 104; contro il bolscevismo, « questa terribile filosofia sociale e storica, che distrugge ogni esistenza degna dell’uomo, il “fascismo” yitaliano e tedesco propugna una conce- zione sociale e statale " organica” per la quale lo Stato non è una costru- zione artificiale, razionale, ma anzi la forma matura di una vera vita, della vita del proprio popolo » (p. 24). Il 30 marzo 1942 Einaudi aveva chiesto ad Alicata di sottoporre il volume di Bavink all’approvazione del Mini- stero della cultura popolare (AE, Alicata). 21 « Primato », III (1942), p. 381; «la psicologia è una scienza cre- tina », osservava invece Pintor dopo aver letto Jung nell’ottobre 1941 (Doppio diario, cit., p. 152). Il 22 maggio 1942 Alicata aveva fatto pre- sente all’editore l’esistenza di difficoltà per l’autorizzazione della stampa di Jung, per « certe idee morali e sociali dello Jung non completamente conformiste » (AE, Alicata). 293 Il fascismo e il consenso degli intellettuali Lo stesso Ernesto De Martino vedeva nello teoria jun- giana — che riteneva « suscettibile di una traduzione in termini storicistici » — « una tipica espressione del tra- vaglio spirituale, dei bisogni e delle aspirazioni della nostra epoca. Noi siamo giunti a un punto in cui sentiamo viva la necessità di riprendere possesso della nostra anima, e di esplorarne le sue profondità sconosciute » **. Diver- so, sia pure ambiguo, era il messaggio che si poteva rica- vare dal pensiero degli eretici e degli utopisti, attorno al quale si assiste, durante la guerra, a un risveglio d’interesse in vari settori dell’intellettualità italiana, di cui sono testi- monianza esemplare gli studi di Cantimori e la « Collana degli utopisti » dell’editore Colombo. Nel 1941 esce, come secondo volume della « Nuova raccolta di classici ita- liani annotati », La città del sole di Campanella, un’edi- zione critica condotta sul testo italiano del 1602, quella più decisa in senso ereticale, da Norberto Bobbio: respinte come fittizie le visioni di un Campanella precursore del socialismo o dello Stato totalitario, in discussione con i recenti tentativi di rivalutazione cattolica Bobbio ricorre all’« idea della simulazione » per spiegare la conversione del frate all’ortodossia, provocando le riserve de « La Civiltà cattolica », che si appuntano anche sulle frasi di Bobbio « che accennano con un velo di simpatia “ alle menti stanche ma non asservite, agli animi sfiduciati ma non vinti degli eretici isolati” » *°. A queste si potrebbe aggiun- gere un accenno contro « la morale della potenza »; ma il discorso di Bobbio si mantiene volutamente generico, nel sottolineare il « fondamentale antistoricismo » del pensiero di Campanella, per cui « c'è in quell’utopia qual- cosa di selvaggiamente primitivo, che richiama alla mente le comunità degli indigeni delle Nuove Indie; e c’è nello stesso tempo qualcosa di lucidamente attuale, che fa pen- sare ad una città operaia dell'America moderna » ?°. E 28 « Primato », IV (1943), p. 11. 24 « La Civiltà cattolica », 93 (1942), vol. IV, p. 50. 250 T. Campanella, La città del sole, testo italiano e testo latino a cura di N. Bobbio, Torino, Einaudi, 1941, pp. 45, 50. Il 4 aprile 1941 Ginzburg avvertiva Einaudi che Tommaso Fiore stava curando l’edizione de L'utopia 294 Le origini della casa editrice Einaudi Luigi Einaudi poteva trarne spunto per sostenere che una storia delle utopie non doveva analizzare i « tipi di società comunistiche immaginati dagli utopisti » sulla base di una problematica economica, ma «rigettare nel limbo delle cose che non furono mai scritte le esercitazioni frigide di letterati in cerca d’argomento in apparenza nuovo e met- tere in luce le poche le quali risposero veramente ad un’e- sigenza dello spirito » ?!: un modo, ancora una volta, per esorcizzare il pericolo di un richiamo eterodosso, sia pur « utopistico », ai problemi concreti della società contem- poranea. 9. L’anticonformismo storiografico e l’« Universale » Il settore che, ancora una volta, dimostra meglio di altri e sempre più l’anticonformismo della casa editrice, è quello storico, dove troviamo ora impegnati anche due « laici », in diversa maniera crociani, come Giorgio Falco e Adolfo Omodeo. Il primo — che, costretto dalle leggi razziali a nascondersi dietro pseudonimo, era venuto affian- cando agli originari interessi medievalistici o a quelli per l’illuminismo, dopo la definitiva sconfitta dello Stato liberale, un’attenzione a figure significative del Risorgi- mento, come Pisacane — si occupò in particolare fin dal 1941, assieme ad Alicata, Morra, Ginzburg, Giolitti, Benedetti e Venturi, di quel progetto della collana « Scrit- tori di storia » che avrà attuazione solo negli anni ’50, anche per le difficoltà allora opposte dalla censura — la Histoire de la conquéte d’Angleterre di Thierry, ad esem- pio, fu bocciata come « inopportuna » nel 1942 ?*. Omo- di Moro che uscirà nel 1942 presso Laterza (AE, Ginzburg). 21 L. Einaudi, Delle utopie: a proposito della Città del sole, in «R+ vista di storia economica », VI (1941), pp. 126-127. Luigi Bulferetti invi- tava invece a collocare l’opera di Campanella nella realtà culturale e poli- tica del Mezzogiorno («Rivista storica italiana », LVIII (1941), pp. 400-401). 252 Su Falco cfr. le osservazioni di A. Garosci, Una cosa non ancora del tutto chiara..., in « Rivista storica italiana », LXXIX (1967), pp. 7-27. 253 Lettera di Alicata all’editore, 24 giugno 1942 (AE, Alicata). 295 Il fascismo e il consenso degli intellettuali deo, contattato nel 1939 da Ginzburg, fu prodigo di sug- gerimenti — da testi di antichistica o di religione a I/ medioevo barbarico di Gabriele Pepe o il Murat di Angela Valente —, e si era assunto anche l’impegno, come ricor- derà ad Einaudi, di trovare per la casa editrice « colla- boratori italiani, per equilibrare le traduzioni da lingue estere: dovevo formare un complesso di collaboratori giovani, perché nella situazione presente, con i “valvas- sori” avviliti e rimbecilliti dalla speranza della feluca accademica, non c’è nulla da fare » 4. Un contrasto con Falco lo spinse tuttavia a passare nel 1941, con i suoi progetti di lavoro, all’ISPI”5; ma aveva frattanto assi- curato alla casa editrice due suoi lavori caratterizzati da una dura polemica, da un punto di vista liberale, nei confronti della corrente storiografia fascista sul Risor- gimento. La leggenda di Carlo Alberto, che raccoglieva saggi già apparsi sulla « Critica », viene ad affiancare la revisione della figura del sovrano piemontese condotta « con spie- tato rigore » da Guido Porzio sulla « Nuova rivista sto- rica », ed è una requisitoria feroce contro la storiografia sabaudista espressa da Alessandro Luzio, di cui è messo in luce « il semplicismo del giudizio moralistico e. l’indi- stinzione dei valori storici », per investire anche Rodolico, rappresentante di « una nuova sofistica che vuol confon- dere il moralismo casistico con l’intellezione etico-politica del processo umano ». Tributato un caldo riconoscimento alla Storia del Risorgimento e dell'Unità d’Italia intrapresa 254 Cfr. le lettere a Einaudi del 25 agosto 1939, 28 ottobre e 24 novembre 1940, 3 gennaio, 13 febbraio, 8 marzo, 22° maggio, 2 e 17 giugno, 2 luglio 1941 (A. Omodeo, Lettere 1910-1946, Torino, Einaudi, 1963, pp. 612, 629-631, 635-636, 638-641, 644-651). 255 Cfr. la lettera a Einaudi del 9 settembre 1941 (ibidem, pp. 655- 656) e varie lettere in AE, Falco, Pepe: il contrasto riguardava rà ntrodu- zione agli studi storici medievali di Pepe proposto da Omodeo; Muscetta a Einaudi, 29 dicembre 1941 (AE, Muscetta); Ginzburg a Finaudi, 21 novembre 1941: « Ho visto il programma della nuova “Biblioteca storica” dell’ISPI, che non solo nel nome, ma anche nelle opere mi sembra derivi dalla Vostra, dato che i volumi annunciati sono tutte opere rifiutate da Voi, se ben ricordo » (AE, Ginzburg); Carteggio Croce-Omodeo, a cura di M. Gigante, Napoli, Istituto italiano per gli studi storici, 1978, passize. 296 Le origini della casa editrice Einaudi da Cesare Spellanzon — « opera che da sola riabilita i recenti studi risorgimentali, che in genere non brillano per doti superiori » —, Omodeo nega recisamente, contro gli apologeti di Carlo Alberto, l’esistenza di una profonda opera riformatrice nel primo decennio di regno e di un preciso e segreto disegno politico nazionale prima del 1848, e fa del sovrano « il discepolo ideale di Giuseppe de Maistre », un convinto « cattolico-legittimista », accusando lo stravolgimento dei veri valori del Risorgimento operato da quegli storici che non condannavano le repressioni del 1833, pur cogliendo l’occasione, da buon liberale, per una non necessaria puntata antisovietica *. La forza delle argo- mentazioni critiche di Omodeo è tale da ottenere un ricono- scimento anche sulla codina « Rassegna storica del Risor- gimento », ma il significato civile e politico del suo lavoro provoca subito sulla stessa rivista un duro intervento di De Vecchi ?”. Tuttavia l’invito rivolto a Luigi Russo da Omo- deo — ferito da questa e da altre critiche —, che «si 25% A. Omodeo, La leggenda di Carlo Alberto nella recente storio- grafia, Torino, Einaudi, 1940, pp. 10, 13, 15 n., 27, 45, 47, 49, 111, 120; e a p. 16, criticando lo scarso peso dato dagli storici di tendenza naziona- lista ai processi del 1833: «È vero che gli odierni processi di polizia di cui è maestra la Russia di oggi hanno ottuso la nostra sensibilità morale, e che al confronto i processi del ’33 possono apparire cosa mitissima... ». Dell’importanza di questo volume, come del Gioberti, non tiene conto A. Garosci, Adolfo Omodeo. III. Guida morale e guida politica, in « Ri- vista storica italiana », LXXVIII (1966), pp. 140-183. 25 Cfr. la recensione di Paolo Romano (Paolo Alatri) in « Rassegna storica del Risorgimento », XXVIII (1941), pp. 555-557; ma C.M. De Vecchi di Val Cismon, Ancora di Carlo Alberto: «Questo cercare di attaccarsi a forme razionalistiche della storia affermando o demolendo uomini la cui azione può avere riflessi sulla vita presente, è da una parte errore di storico ma è, peggio, mancanza al dovere di uno storico in quanto cittadino [...] rilevando le cattive intenzioni politiche di codesti ingiusti giustizieri [di Carlo Alberto] e non rinunziando a definirli secondo i loro meriti, vogliamo astenerci dal scendere nel campo della politica cui pure saremmo chiamati dal contegno loro » (« Rassegna sto- rica del Risorgimento », XXVIII (1941), pp. 608, 613). Negativo il giudizio di G. Ferretti (La leggenda di Carlo Alberto, in « Primato », I (1940), n. 14, pp. 15-17), mentre Luigi Bulferetti, pur prendendo le distanze da alcune affermazioni di Omodeo, riteneva, a proposito dello Statuto, che «si avvicinasse molto più alle dottrine di Carlo Alberto (e fosse quindi più nel vero) l’interpretazione datane nel decennio dai reazionari, che non quella dei liberali di sinistra » (« Rivista storica ita- liana », s. V, V (1940), p. 463). 297 Il fascismo e il consenso degli intellettuali prendesse da parte di persone di buona volontà posizione nelle riviste di Codignola e in qualche altra che ci fosse aperta » 2*, fu subito raccolto, a testimonianza dell’eco non solo storiografica suscitata dall'opera: cosi non solo « La Nuova Italia » con Vinciguerra o « Civiltà moderna » con Pieri, ma anche altre riviste ormai di fronda come « Oggi », con Umberto Morra — tutti intellettuali legat. in vario modo alla casa editrice —, si lanciano in lodi incondizionate al volume, fino ad arrivare a una vera e propria difesa politica dell’autore sulla « Nuova rivista storica », sempre ad opera di Pieri: dopo aver affermato — riecheggiando la recensione di Edmondo Cione al Mazzini di Bonomi — che «certa storiografia del Risorgimento pare tenda a risolversi in un capovolgimento di valori, nel- l’apologia di reazionari, di capibanda, di aguzzini, e nella diffamazione dei nostri cospiratori e dei nostri martiri », Pieri ricordava come Omodeo, che ha vissuto sul Carso e sul Piave, prima che negli archivi e nelle biblioteche, la passione del Risorgimento italiano, e che fin da allora rinunziò agli agi e alle prebende delle retrovie, può a buon diritto assumersi il nuovo onere e il nuovo onore. Quanto grande del resto sia oggi l’influenza dell’Omodeo, negli studi del nostro Risorgimento, presso ogni categoria di studiosi, non esclusi i suoi più illustri avver- sari, è ormai a tutti manifesto. Questo è il premio maggiore, per il chiaro studioso, e la migliore prova del generale consenso che le sue vedute vanno acquistando, nonché del posto preminente che oggi a lui compete nel campo della nostra cultura storica 299. Analoga risonanza ha, nelle riviste di fronda, il volu- metto su Gioberti, che sfata l’immagine gentiliana del « profeta » del Risorgimento dal « pensiero in sommo grado speculativo insieme e realistico », per mettere in rilievo, accanto alle continue oscillazioni politiche, le ca- renze filosofiche e il sacrificio giobertiano « dell’idea libe- rale al cattolicismo », contrapponendogli il « liberalismo laico » di Cavour che, « ben lungi dall’essere agnostico, 258 Lettera del 7 ottobre 1940 (A. Omodeo, Lettere, cit., p. 628). 259 « La Nuova Italia », XIII (1942), pp. 64-66; « Civiltà moderna », XIII (1941), pp. 91-94; «Oggi», 16 novembre 1940; «Nuova rivista storica », XXV (1941), pp. 126-131. 298 Le origini della casa editrice Finaudi garantiva lo svolgimento autonomo delle fedi intrinseche alla cultura ». E mentre Gentile vedeva nell’azione « popo- lare » di Gioberti « uno degli ammonimenti tuttora più vivi della sua politica nazionale », « Omodeo dichiarava la neces- sità di insistere sui suoi « difetti » ed « errori » « per ricor- dare a certo neoguelfismo di cattiva lega, che va risorgendo, a certo neogiobertismo che ammicca vantandosi furbo, che l’esperienza giobertiana è irriproducibile, non ha possibilità di sviluppi in linea retta; il suo retaggio attivo fu assor- bito nella sana politica del Cavour » 2°. Un’interpretazione laica, questa, che proveniva dall'ambiente crociano, il cui legame con la casa editrice è attestato anche dall’attenzione che alla produzione storiografica di Einaudi riserva « La Critica ». Spicca in particolare la recensione al Medioevo barbarico d’Italia di Gabriele Pepe (1941) — che era stato stroncato dai giudici dell’Accademia d’Italia! —, ritenuto invece da Croce « una delle opere più pregevoli » della « nuova storiografia » cresciuta in Italia negli ultimi quindici anni, non cronachistica o filologica, materialistica, economica, nazionalista ed etnologica, « ma semplicemente e puramente umana, cioè etica (il che non vuol dire mora- listica) », trovando in ciò concorde il giudizio di Luigi Ei- naudi; e, con evidente allusione all’alleanza del fascismo con la Chiesa e col nazismo, Croce faceva sue le tesi prin- cipali del volume — giudicate con perplessità o come troppo tendenziose da altri recensori —, secondo le quali i Longobardi « furono sostanzialmente un elemento nega- tivo » nella storia d’Italia, cosî come il potere temporale della Chiesa « non solo fu dannoso alla moralità e alla civiltà, sî anche dannoso alla stessa azione, quale che sia, 260 A. Omodeo, Vincenzo Gioberti e la sua evoluzione politica, Torino, Einaudi, 1941, pp. 25, 38, 56, 62; per i giudizi di Gentile, quali si erano venuti configurando fin dal 1919, cfr. ora G. Gentile, I profeti del Risorgimento italiano, terza edizione accresciuta, Firenze, Sansoni, 1944, pp. 69, 125. L’anonimo recensore della « Nuova rivista storica » notava che il carattere di Gioberti « fu piuttosto di teorico e di sognatore, an- ziché di politico mirante alla realtà dei fenomeni politici e nazionali » (XXVI (1942), p. 112); analogo il giudizio di U. Morra, Gioberti e Garibaldi, « Oggi », 25 ottobre 1941. 261 Cfr. G. Turi, Le istituzioni culturali del regime fascista durante la seconda guerra mondiale, cit., p. 11. 299 Il fascismo e il consenso degli intellettuali della Chiesa in quanto istituto religioso [...] perché il potere temporale non le dava ma le toglieva forza, non le accresceva o garantiva libertà, ma la legava. Né è detto che anche ai nostri giorni essa non abbia sollecitato e accettato un dono, un piccolo dono, di Danai » ?°. Sulla linea di una continuità di intervento liberale compare ancora una volta Salvatorelli col Profilo della storia d'Europa, in cui è sempre presente l’interpretazione multisecolare dell’unità della storia italiana, e torna un motivo che abbiamo già trovato in Dawson, quello di una « civiltà unitaria europea » la cui otigine è retrodatata rispetto all'opera dello storico inglese, con forti — e attua- lizzati — elementi di differenziazione dall’Oriente, in quanto la civiltà europea sarebbe stata « preparata dai caratteri comuni che i popoli europei già all’inizio dell’età storica presentavano rispetto all’Oriente [...]. Fin da adesso, insomma, l'Europa di fronte all’Asia rappresenta l’individualità di fronte al collettivismo, la libertà di fronte al dispotismo, il progresso di fronte all’immobilità » 2°. Espressione, come il Sommario della storia d’Italia, di quel « nervoso e moderno enciclopedismo » di cui ha parlato Sasso °*, il Profilo non esprime particolari valutazioni sulle vicende della storia europea, se non nell’unificazione, tipi- camente liberale, dell’esperienza della Russia bolscevica e dei regimi fascista e nazista sotto la stessa etichetta di « Europa autoritaria », e ciò nonostante nel volume ap- paiano, come novità nella storiografia di Salvatorelli, fre- quenti accenni alla storia economico-sociale, anche se in prevalenza relativi alla storia antica, e non senza impto- prie attualizzazioni °°. Ma, forse proprio per avere le stesse 22 «La Critica », XXXIX (1941), pp. 372-374; L. Einaudi, Sui fattori (economici morali ecc.) delle variazioni storiche, in «Rivista di storia economica », VI (1941), pp. 184-189. Una certa « tendenziosità » di Pepe era colta da E. Chichiarelli (« Nuova rivista storica », XXVI (1942), pp. 301-302) ed E. Farneti (« Oggi », 22 novembre 1941). 23 L. Salvatorelli, Profilo della storia d'Europa, Torino, Einaudi, 1942, pp. 24-25. Ri Sasso, La «Cultura» nella storia della cultura italiana, cit., p. A %5 Ad esempio, a proposito di Atene nel VI secolo a.C.: «È da 300 Le origini della casa editrice Einaudi caratteristiche del Somzzario, la fortuna dell’opera fu note- vole, secondo la profezia di Ginzburg — per il quale il Profilo, scriveva dal confino il 5 marzo 1942, « di sicuro aumenterà considerevolmente la diffusione della vostra col- lezione storica » #4 —, e non certo indifferenziata, se nel concedere il nulla osta ai volumi della casa editrice da introdurre in Germania il Ministero della cultura popolare suggeri di «levar via il Salvatorelli » ”, Infatti, pur lasciando scontenti i cattolici e i crociani — lamentandosi, i primi, delle « due pagine striminzite dedicate all’avvento del cristianesimo », e, i secondi, della mancanza di una « superiore giustificazione ideale delle notizie raccolte » a differenza della Storia d'Europa di Croce ?* —, il volume riscuoterà nel 1943 l’elogio appassionato di Giovanni Mira, ospitato anch'egli, già aderente al Partito d'Azione, sulle pagine della « Nuova rivista storica »: Nella nostra età tempestosa — egli scriveva —, lontani come siamo dal dogmatismo della storiografia cattolica, dall’orgoglio razio- nale della volteriana, dall’ottimismo progressista della ottocentesca, questo sforzo compiuto dal Salvatorelli per stringere in breve la storia del nostro continente, per far capire anche agli ignari come i fatti si sono svolti, con una narrazione cosi lucida da non aver bisogno di commento, con una parola cosî piana da essere intesa da tutti, col solo interesse di stimolare in sé e negli altri il riesame del passato, con la sola morale di ritrovare nei fatti umani il lume del- l’umanità: quest’opera è forse il più sano cominciamento che si possa dare alla storiografia di domani ?9. notare come tra i grandi proprietari ed i piccoli agricoltori si fosse for- mato un partito medio, che potremmo chiamare della borghesia » (Profilo della storia d'Europa, cit., p. 39). #6 AE, Ginzburg. 26 Alicata a Einaudi, 30 maggio 1942 (AE, Alicata). 268 Cfr. «La Civiltà cattolica », 94 (1943), vol. II, p. 52, e la recen- sione di E. Chichiarelli ne «La Nuova Italia », XIV (1943), p. 37. 26 « Nuova rivista storica », XXVII (1943), p. 123. L'opera di Salva- torelli era presentata da Pietro Amendola al fratello Antonio, in una lettera del 28 aprile 1941, come una « cronaca », « tranne che per quanto concerne le questioni religiose o dei rapporti tra gli Stati e la Chiesa, che è come sai il cavallo di battaglia del Salvatorelli: allora abbiamo della storia vera e propria » (in Lettere di antifascisti dal carcere e dal SEO, peo di Giancarlo Pajetta, Roma, Editori Riuniti, 1962, vol. , P. 349). 301 Il fascismo e il consenso degli intellettuali Il volume di Salvatorelli testimonia la necessità, av- vertita dalla casa editrice nel corso della guerra, di confron- tarsi con le vicende degli altri paesi e di ripensare grandi momenti o figure del passato, in saggi che, se si eccettua la cattiva cronaca del Cavour e Napoleone III di Giulio Del Bono (1941) ”°, accoppiano sempre alla dignità scientifica una notevole capacità narrativa, e quasi sempre si fanno portatori di un messaggio politico. Nel 1941 appaiono due studi di George Macaulay Trevelyan: la Storia dell’In- ghilterra nel secolo XIX, tradotta da Umberto Morra, riscosse il plauso di intellettuali di diverso orientamento, come Eugenio Curiel, che la giudicò « uno dei pit bei libri di storia usciti in questi ultimi tempi » per l’« acutissima indagine sociale », ed Ernesto Rossi, che la riteneva « frut- tuosa, per la formazione della educazione politica. Contro l’irrazionalismo, oggi tanto diffuso, mostrare gli sforzi coro- nati dal successo di tanti uomini egregi del secolo scorso, che si proposero di modificare l'ordinamento esistente per renderlo più adeguato ad un ideale di superiore civiltà [...] significa fare una iniezione di ottimismo, e stimolare all’azione consapevolmente diretta al pubblico bene » ?!. La rivoluzione inglese del 1688-89 era presentata da Ginz- burg come quella che aveva «improntato del proprio formalismo e conservatorismo tutta la vita pubblica nazio- nale » fino ad allora, tramandando tuttavia anche il prin- cipio della tolleranza politica e religiosa — e Ginzburg invitava il lettore italiano a leggere le conclusioni di Tre- velyan, che vedeva nella rivoluzione « una vittoria della moderazione », e valorizzava il sistema parlamentare in- 290 Giudicato dall’editore libro « magistralmente condotto» (lettera del 21 ottobre 1941, in AE, Del Bono), il lavoro era negativamente recen- sito sulla « Rassegna storica del Risorgimento » (XXX (1943), pp. 511-512) da Paolo Romano (Alatri), che gli contrapponeva l’interpretazione omo- deiana di Cavour. 21 Cfr. E. Curiel, Scritti 1935-1945, a cura di F. Frassati, Roma, Editori Riuniti, 1973, p. 229 (segnalazione apparsa nel « Bollettino del Fronte della gioventii » del febbraio 1944), e la lettera di Ernesto Rossi a Luigi Einaudi del 18 novembre 1941 (AFE, Rossi). Salvatorelli apprezzò l’opera in quanto correggeva l’immagine stereotipa della vita politica inglese come semplice contrapposizione di due partiti (« Nuova rivista storica », XXVI (1942), pp. 81-86). 302 Le origini della casa editrice Einaudi glese nei confronti di « poteri accentrati di un nuovo tipo e ben più formidabile che non quelli dell'Europa dell’ ancien régime », quali quelli instauratisi in Europa nel dopoguerra 7°. Il significato politico dell’opera è confer- mato dai giudizi negativi di Carlo Morandi, per il quale, di fronte alle novità del secolo XX, l'Inghilterra non era stata in grado di rivedere le sue posizioni, « preferendo rinchiudersi nella difesa del passato » — « Ora, veramente, i motivi fecondi della rivoluzione liberale del 1688 possono dirsi esauriti » ?? —, e di Cantimori, pur già in contatto con la casa editrice, che la giudicava « un saggio di apolo- getica costituzionale » dalla visione conservatrice, dato l’« insistente paragone, a tutto detrimento di quest’ultima, con la Rivoluzione francese », e un documento « della men- talità degli ambienti universitari più vicini alla classe politica attualmente dominante in Inghilterra » ?*. Sempre nel 1941 appare — non sappiamo se prima della guerra all’URSS — la Storia della rivoluzione russa di William H. Chamberlin, un’opera che l’editore aveva in preparazione fin dal 1938 — opponendola, come « obiet- tiva », a quella degli Webb proposta da Schiavi ?° —, e tradotta da Mario Vinciguerra: un lavoro in cui l’autore dell’Età del ferro, pur attenuando gli accenti apocalittici della prima opera per tentare una esposizione « narrativa » degli avvenimenti russi dal 1917 al 1921, si presta a una lettura fortemente antisovietica da parte di Omodeo, il quale osservava che, « per quanto in vari punti l’autore indulga a correnti punti di vista materialistico-storici e a connessi schemi classistici », sfuggiva in realtà « agli schemi generici e vuoti del marxismo », per presentare come deus ex machina della rivoluzione « la non amabile persona di Vladimir Ulianov detto Lenin », uomo spregiudicato, con I G.M. Trevelyan, La rivoluzione inglese del 1688-89, traduzione di C. Pavese, Torino, Einaudi, 1941 (ediz. originale 1938), pp. IX-XI Pia di L. Ginzburg), 168, 171 (citiamo dalla seconda edizione del 1945). 2733 « Primato », I (1940), n. 15, p. 20 (siglato CM.). 274 «Leonardo », XI (1940), pp. 321-322; analogo il giudizio di Tullio Vecchietti {« Rivista storica italiana », LVIII (1941) pp. 106-113). 215 Finaudi a Schiavi, 18 febbraio 1938 (AE, Schiavi). UA) Il fascismo e il consenso degli intellettuali « un legame scarsissimo col mondo circostante », caratteriz- zato dal « doppio aspetto del fanatismo implacabile e della scaltrezza opportunistica », forgiatore di un partito che « ricorda insieme il primitivo Islìm e la Compagnia di Gesù » e « concepisce la dittatura sugli schemi del regime zaristico: dispotismo di polizia » ?°. Analoghi motivi di discussione politica sono suscitati anche dalla presentazione di grandi individualità storiche di un più lontano passato, e provocano ora incrinature all’ interno della casa editrice, e fra questa e l’ambiente di « Primato » o de « La Critica ». Il Richelieu di Carl J. Burckhardt è visto dal curatore dell’opera Bruno Revel, sulla traccia dell’interpretazione di Belloc — contestata da Salvatorelli —, come fondatore dell'Europa moderna e del nazionalismo, artefice di quell’ordine, che proprio ora ci sta crollando davanti cosi spettacolosamente, fino a incidere anche nell’ambito della sfera privata. Tanto più se una quasi ironica coincidenza di suoni con- fonda due nomi cosî ambigui come Versaglia e Vesfaglia; sf che nou sai se la travolgente e frastuonante insurrezione contro alla pace di Versaglia non travalichi ora tali limiti, e non si spinga per avventura più addietro nei secoli, scalzando dalle basi precisamente l’intero ordinamento europeo, quale era stato introdotto e legalizzato nella storia dalla pace di Vesfaglia 27. E contrastanti sono, nel 1942, due opere che presentano la differente concezione dello Stato di rilevanti persona- lità della Grecia antica: da un lato l’ Alessandro il grande di Georges Radet, che percorre le vicende del biografato alla 2î6 La recensione, apparsa su «La Critica» del 1943, è ora in A. Omodeo, I/ senso della storia, a cura di L. Russo, Torino, Einaudi, 1970, pp. 362-365. 297 C.J. Burckhardt, Richelieu, traduzione di B. Revel, Torino, Einau- di, 1941 (ediz. originale 1900), p. 9. Oltre a contestare la tesi di Belloc, Salvatorelli sosteneva anche l’esistenza di contrasti fra poteri temporale e spirituale nel Medioevo: «Fa della mitologia, o della fantasia, il Revel quando ci parla nella sua prefazione di “quella felice coincidenza di una cattedra sovrumana e di un ordinamento terreno” che sarebbe esistita prima dell’età moderna » (Assolutismo del Richelieu, in «Pri- mato », II (1941), n. 20, pp. 15-16). Notava l’analogia con la tesi di oc anche Mario M. Rossi nella recensione all’edizione tedesca del 1937 («Nuova rivista storica », XXIII (1939), pp. 266-267). 304 Le origini della casa editrice Einaudî luce della sua ispirazione religiosa — suscitando la critica di Omodeo che invitava a una più concreta analisi storico- politica —, fa dire al curatore che nell’opera di Radet si vede «sorgere e progressivamente attuarsi il gene- roso ideale dell’eguaglianza di tutte le genti in un mon- do pacificato e concorde » ?*; dall’altro Werner Jaeger — contro gli storici tedeschi dell’800 che, come Droysen, avevano esaltato l’opera di unificazione « nazionale » di Filippo il Macedone e di Alessandro, visti come precut- sori di Guglielmo I — difende il « martire della libertà greca », Demostene: ed è significativo che mentre su « Pri- mato » Gennaro Perrotta valorizza la politica egemonica di Filippo e di Alessandro contro l’« angusta » difesa della libertà di Atene fatta da Demostene — « ch'era libertà comunale, municipale » —, più tardi, sulla « Nuova rivista storica », Giovanni Costa sosterrà la tesi di Jaeger facen- done proprie le parole — «la lotta di Demostene è im- mortale, per mortale che sia stata la nazione per cui com- batté ». Una tesi che già dieci anni prima la stessa rivista aveva fatto propria, prendendo spunto dal Demostene e la libertà greca pubblicato nel 1933 da Piero Treves presso Laterza ?°. Non mancano quindi elementi di contraddizione all’in- terno della casa editrice, al di là dei limiti posti dalla censura che non permettevano di superare la linea liberale di Omodeo o quella moderata di Trevelyan. Sembra tuttavia di avvertire, al tempo stesso, una maggiore cautela verso la casa editrice da parte dell'ambiente crociano — come nel caso di Chamberlin — e di « Primato » che, con l’inasprirsi 8 G. Radet, Alessandro il Grande, traduzione di M. Mazziotti, To- rino, Einaudi, 1942 (ediz. originale 1931), p. XII. La recensione di Omo- deo, apparsa su «La Critica » del 1943, è ora in A. Omodeo, Il senso della storia, cit., pp. 48-52. Secondo Giovanni Costa Radet operava una « esagerazione magnificatrice » dell’opera di Alessandro, nel quale invece « si sente l’autocrate, pi che l’uomo di genio » (« Nuova rivista storica », XXVIII-XXIX (1944-45), pp. 338-339). 29 W. Jaeger, Demostene, traduzione di A. D'Andrea, Torino, Fina di, 1942 (ediz. originale 1938); G. Perrotta, Demostene, gli antichi © i moderni, in «Primato », III (1942), pp. 417-418; G. Costa in « Nuova rivista storica», XXVIII-XXIX (1944-45), pp. 335-337; E. Cione in « Nuova rivista storica », XVII (1933), pp. 557-559. 10) Il fascismo e il consenso degli intellettuali della guerra, si arrocca in una posizione di minore « aper- tura » culturale, accompagnata, alla fine del ’42, dalla ces- sazione della collaborazione di Alicata e dal diradarsi di quella di Muscetta. Uno sguardo ai progetti della casa editrice in questo periodo, che riguardano in particolare il settore storico, può aiutarci a spiegare questa iniziale presa di distanza. Alcune proposte, in questo campo, tendono infatti a ricostruire una tradizione democratica nel pensiero politico italiano a partire dalla Rivoluzione francese, e non perdono il loro significato per il fatto di cadere nel nulla — anche per le traversie della casa editrice dopo il 25 luglio —, o di essere realizzate, in gran parte, dopo la Liberazione. Si comprende come, in questo quadro, non abbiano esito le proposte avanzate da Maturi nel 1942 ?”, scarsa- mente innovative nella tematica e, forse, ritenute poco attraenti pet i legami di Maturi con Volpe, o quella di Vittorio Gorresio, che nel 1941 aveva terminato un saggio sulla « storia del bolscevismo in Italia dal 1917 al 1921 » in cui sottolineava « l’isolamento del partito comunista dal grande tronco del socialismo », ma che fu sottoposto al giudizio di Pavese che lo ritenne « superficiale » ?!. Nel 1941 Piero Pieri, che nella « Nuova rivista storica » aveva segnalato con simpatia alcuni dei titoli più innovativi di Einaudi, propose una raccolta di saggi di storia militare che « non furono terminati per il Volpe, perché io non volli più sottostare alle osservazioni e mutilazioni di due militari di professione messi alle costole all’Accademico », tanto da dover subire le « sue basse vendette » 2; e mentre Cantimori, fra gli altri progetti, avanza quello di una rie- dizione de La repubblica romana del 1849 del mazziniano ministro degli esteri della repubblica Carlo Rusconi ?* 280 Maturi propose volumi su Lord Bentinck e i Borboni di Sicilia, Nigra, e Le interpretazioni del Risorgimento, frutto del corso pisano del 1942-43 (AE, Maturi). 281 Gorresio a Einaudi, 20 novembre 1941 (AE, Gorresio}; Einaudi ad Alicata, 13 gennaio 1942 (AE, Alicata). 282 Pieri a Einaudi, 6 luglio 1941 (AE, Pieri). 283 Nel 1941-42 l’editore si dimostrava interessato a questa e ad altre 306 Le origini della casa editrice Einaudi Falco propone, pur con riserve legate alla tendenza « mate- rialistica » dell’autore, il volume di Domenico Dematco su Il tramonto dello Stato pontificio — che sarà pubblicato nel 1949 —, e una scelta di scritti di Giuseppe Montanelli in cui, osservava, « andrebbe conservato quanto riguarda la coltura del tempo, problemi vivi anche ai nostri giorni, come la democrazia, il socialismo, la personalità del Mon- tanelli, soprattutto in relazione coi pensatori e politici contemporanei » ‘4. Alessandro Schiavi, che aveva già pro- mosso presso Laterza la pubblicazione di alcune memorie di esponenti socialisti, con la speranza di poter continuare una battaglia politica ”, propone nel 1941 — senza suc- cesso per il timore dell’editore di incorrere nella censura — un saggio di Zibordi sulla Storia del partito socialista italiano nei suoi congressi, e nel 1942 un proprio volume su I contadini e i socialisti italiani che si sarebbe giovato di note stese da Nullo Baldini. Il 1° settembre 1942, infine, Schiavi inviava a Einaudi tre cartelle di un suo Proezzio al carteggio Turati-Kuliscioff, suscitando l’interesse dell’ editore, che cercherà di avviare la pubblicazione nell'agosto 1943 perché « il libro — scriveva — potrà riuscire som- mamente opportuno e formativo, nelle prossime lotte sociali »; gli scopi politici dell’edizione erano ben chiari anche a Schiavi, per il quale la giovane generazione, che non ha avuto modo di conoscere i pionieri e gli artieri del movimento sociale in Italia trascinati via dalla morte e dall’esilio, inibita di leggerne la vita e l’opera nei libri perché arsi e sequestrati come apportatori di veleni, ignara del senso di libertà che tien deste e aperte le menti alle varie correnti del pensiero e dell’opinione e della critica che le scerne e le affina, e che non è quindi in grado di giudicare di quel movimento che fece di una plebe un popolo, proposte di Cantimori, come la traduzione di Politik als Beruf e Wissen- schaft als Beruf di Max Weber (AE, Cantimori). 284 AE, Falco. 285 Significativa la lettera inviata il 24 gennaio 1932 da Schiavi a Felice Anzi per incoraggiarlo a scrivere le sue memorie: «Non tutto sparisce colla inerzia imposta, oltreché dalle circostanze, dagli anni, e un po’ della semente gettata germoglierà, e il nostro spirito rinascerà in quelle particelle che andranno a formare la società quale noi l’abbiamo sognata. Ed in tal senso il nostro io non morirà » (ACS, Casellario politico centrale, b. 4689, fasc. 6133). 307 Il fascismo e il consenso degli intellettuali attraverso lotte, errori, cadute, e sforzi innumerevoli, se non nelle leggende sconce e vituperose di avversari senza fede in un ideale, senza rispetti umani, e sol gonfi di sé medesimi, potrà imparare da queste lettere di che ‘lagrime e di che sangue l’ascensione delle classi lavoratrici italiane voluta, preparata ed avviata da un pugno di uomini colla sola forza della persuasione e della comprensione, della solidarietà e della educazione [sic] 286. Sempre nel 1942 Alicata, mentre rifiutava la proposta di tradurre Qu'est-ce que la proprieté? di Proudhon, perché « a parte il coraggio di certe formule diventate famose, è un po’ fiacco nell’analisi dialettica », si faceva portatore della proposta di Gastone Manacorda — il quale nell’ot- tobre dichiarava di averne già terminato la traduzione — di pubblicare la Storia della congiura degli uguali di Filippo Buonarroti — indicato nel 1937 da Franco Venturi, su « Giustizia e Libertà », come il « primo egualitario ita- liano » ” —, e del Sistemza politico degli uguali di Babeuf. Il primo testo — che sarà pubblicato nel 1946 — incontrò l’approvazione di Einaudi ?*, che nello stesso anno pubblicò il Saggio su la Rivoluzione di Pisacane. Dai progetti si era ormai passati alle prime realizzazioni; e la storia di questa edizione non è meno significativa delle pagine di prefa- zione scritte da Pintor e dell’eco che essa suscitò. Nell’e- state del 1941 Aldo Romano, che nel corso degli anni ’30 si era già occupato della figura di Pisacane, aveva proposto a Einaudi una scelta di suoi scritti, che in un primo tempo avrebbe dovuto curare per la collana « Studi e documenti di storia del Risorgimento » diretta da Gentile e Menghini presso Le Monnier, e che non prevedeva il saggio sulla 286 Schiavi a Einaudi, 29 agosto 1941 e 1 settembre 1942, ed Einaudi a Schiavi, 3 agosto 1943 (AE, Schiavi). 281 Gianfranchi [F. Venturi], F. Buonarroti, primo egualitario italiano 1837-1937, in « Giustizia e Libertà », 13 agosto 1937. 288 Per Proudhon cfr. Alicata a Einaudi, 18 giugno 1942 (AE, Alicata); per Babeuf e Buonarroti, Alicata a Einaudi, 11 maggio 1942 (AE, Alicata); il 18 luglio 1942 Fabrizio Onofri scriveva all'editore di avere esaminato assieme ad Alicata una scelta di scritti di Babeuf (AE, Onofri); nel marzo 1943 Alessandro Galante Garrone inviava lo schema di un suo volume su Mazzini e Buonarroti, mentre l’editore lo avvertiva che dal giugno 1942 Gastone Manacorda era stato incaricato di tradurre la Conspi- ration pour l’égalité di Buonarroti (AE, Galante Garrone). 308 Le origini della casa editrice Einaudi Rivoluzione. Alle obiezioni dell'editore, che chiedeva solo quest’ultimo, Romano rispondeva che il terzo saggio era « solo una parte dell’opera di Pisacane, ma non certo la più importante. Staccata dalle altre rappresenta un fram- mento che ora non vale la pena di pubblicare [...]. Il terzo saggio contiene, nelle sue pagine migliori, il pensiero sulla quistione sociale, ma non certo tutto il pensiero poli- tico del Pisacane: le pagine migliori si trovano nel IV saggio che, collegate a quelle poche del secondo, rappre- sentano il pensiero del Pisacane sulla guerra, la sua filosofia della guerra come creatrice di eventi »; ma il 2 settembre 1942 Einaudi gli rispondeva di aver affidato la Rivoluzione a un suo collaboratore’. Non è probabilmente senza motivo — o motivi — che il nome del democratico meri- dionale, annoverato alla fine dell’800 fra i precursori del socialismo, ma di cui nel 1932 Nello Rosselli aveva messo in luce le contraddizioni del pensiero sociale per ricavarne l’ammonimento che « il riscatto di un popolo dalla tirannia, dalla serviti, dalla cronica fiacchezza politica, è anzitutto problema morale » — e Ferruccio Parri non mancò di rilevare la riduttività del giudizio di Rosselli ?° —, tornasse a circolare con lo scoppio della guerra: con patticolare riferimento alla Guerra combattuta ne parlarono Giansiro Ferrata su « Primato » e, su « Argomenti », Raffaello Ra- mat, che pose però l’accento anche sul pensiero politico e sociale di Pisacane ?!. In questo contesto, la scelta einau- diana trovava già predisposto uno spazio di intervento, ma assumeva anche particolare rilievo, come ha ricordato Gerratana affermando che essa « fu in quel periodo uno 289 AE, Romano. 29 Cfr. N. Rosselli, Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano, con un saggio di W. Maturi, Torino, Einaudi, 1977, p. IX, e la recensione di Parri (siglata F. Pr.) al volume di Rosselli, che notava in Pisacane delle « rigide postulazioni di comunismo autoritario e spregiudicato, le quali sono — sembra a me in qualche dissenso da Rosselli — più che fredde e formali e provvisorie acquisizioni ideologiche », e suggeriva di dare maggiore spazio all’influenza di Marx su Pisacane {« Nuova rivista storica », XVII (1933), pp. 157, 161). DI G. Ferrata, Strategia di Pisacane, « Primato », I (1940), n. 17, pp. 13-14; R.R. [R. Ramat], Per un'antologia di scritti del Pisacane, in « Argomenti », I (1941), pp. 101-104. 309 Il fascismo e il consenso degli intellettuali dei più importanti contributi alla cultura antifascista della nostra generazione » ??, Infatti nella presentazione del Saggio Pintor operava una netta rottura con l’interpreta- zione di Rosselli: pur mettendo in luce i limiti teorici e politici di Pisacane, coglieva in lui l’intreccio di motivi maz- ziniani e marxiani e, soprattutto, lo indicava come « l’unico socialista intransigente dell’Italia pre-unitaria, e un socia- lista per temperamento e per metodi assai più vicino ai moderni teorici che ai vecchi dottrinari di un’utopia collet- tivista », in quanto « l’affermazione cosi frequente in Pisa- cane che le idee derivano dai fatti, e non questi da quelle, corrisponde nella sua sommaria enunciazione al cosiddetto “rovesciamento della dialettica hegeliana” operato da Marx » ?3, Era un’affermazione che, al di là della sua cor- rettezza interpretativa, ebbe un’eco significativa: alcuni la passarono sotto silenzio, come il recensore di « Critica fascista » che si limitò a sottolineare l’autonomia di pen- siero e l'imperativo morale del patriota, o la contestarono, come Gabriele Pepe, che dopo aver messo in luce l’astrat- tezza di pensiero e la lontananza dal marxismo di Pisacane, assegnò al Saggio un significato « esclusivamente patriot- tico »; ma subito, nel 1942, Muscetta salutò su « Primato » la ristampa di « un classico della pix schietta tradizione rivoluzionaria italiana », mentre sulla « Rivista storica ita- liana » Armando Saitta difese il valore teorico del suo pensiero, in particolare l’intuizione, a suo parere marxista e sociologica insieme, del popolo come « classe politica », e più tardi, nell’inverno 1943, Paolo Alatri potrà affermare che « alla base di tutto il Saggio è una convinzione che diffi- cilmente anche oggi, a circa un secolo di distanza nel tempo da quando esso fu scritto, ci si sentirebbe di rifiutare: che cioè una rivoluzione, per mutare veramente un mondo, deve 22. Introduzione a G. Pintor, I/ sangue d'Europa, cit., p. XL.. 293 Cfr. la prefazione al Saggio, del 1942, ora in G. Pintor, I/ sangue d'Europa, cit., pp. 113-117. Nonostante la conclusione della vicenda editoriale, il 16 febbraio 1943 Pintor ammoniva Einaudi: «ti ricordo l'opportunità di non buttare a mare completamente i collaboratori che ti sono antipatici: i calci in faccia dati a Romano e la distruzione del suo volume risultano ora piuttosto dannosi giacché una scelta degli scritti di Pisacane non si improvvisa e il volume è rarissimo » (AE, Pintor). 310 Le origini della casa editrice Einaudi essere sovvertimento di un ordine costituito non soltanto politico ma anche e soprattutto sociale » ?*. Resta l’interrogativo di come, nello stesso tempo, Pintor potesse consigliare a Einaudi la pubblicazione, avvenuta nel 1943, de I proscritti di Ernst von Salomon, uno degli assassini di Rathenau, un volume che l’editore propagandò perché vi era rievocata la guerriglia « per strappare le re- gioni baltiche alla minaccia bolscevica », e al quale già nel 41 aveva dichiarato di tenere molto, assieme a Volk obne Raum del pangermanista Hans Grimm, « per il loro tono documentario nazionalsocialista » ?5; una proposta che Pin- tor cercherà di « riscattare » nella recensione al volume — pubblicata postuma —, tesa ad analizzare, con moduli can- timoriani, anche se concettualmente assai più fragili, la vi- cenda dei « reazionari di sinistra » tedeschi del primo dopo- guerra, vista come testimonianza del « destino di un'epoca in cui la tolleranza doveva diventare una colpa e la morte fisica scendere con inaudita violenza su intere generazio- ni» 2, L’interrogativo posto per Pintor ci sembra valido anche per l’editore, che nel 1939 aveva consigliato cautela a 24 P. Succi in «Critica fascista », XX (1942), p. 234; G. Pepe ne « La Nuova Italia », XIV (1943), pp. 37-38; Don Santigliano [Muscetta] in « Primato », III (1942), p. 159; A. Saitta in « Rivista storica italiana », LIX (1942), pp. 279-282; P. Romano [Alatri], in « Leonardo», XIV (1943), p. 247. 295 Cfr. Attività Einaudi anno XXI (ACS, Segreteria particolare del duce, Carteggio ordinario, n. 528771, sottofasc. 1); Einaudi ad Alicata, 24 novembre 1941 (AE, Alicata); G. Pintor, Doppio diario, cit., p. 203 n. 10. 2% G. Pintor, Il sangue d’Europa, cit., pp. 162, 164. Recensendo più tardi il volume Croce, dopo aver ricordato la nobile figura di Rathenau e la «radicale negazione della moralità » dei « mistici » tedeschi, in questo simili ai fascisti italiani, concludeva con velata ironia: «La tra- duzione italiana del libro del Salomon, è stata pubblicata nel marzo 1943, nel tempo dell’ancora imperante fascismo, e dovette perciò avere il lascia- passare di quel regime: al quale è da credere che tale libro sembrasse edificante, confortante, educativo, persuasivo per gli italiani, perché dettato nello stesso spirito di talune delle nobili sentenze che allora si facevano imprimere dappertutto sui muri delle case urbane e rurali. Ma l’accorto editore, provvedendo a quella traduzione, avrà avuto di mira, crediamo, l’intento opposto» (Misticismo politico tedesco («La Critica », 1944), ora in B. Croce, Pagine politiche (luglio-dicembre 1944), Bari, Laterza, 1945, pp. 9-16). 3il Il fascismo e il consenso degli intellettuali Spellanzon nella cura delle Considerazioni sulle cose d’Italia nel 1848 di Cattaneo: poiché « la materia è, a novant'anni di distanza, ancora cosi incandescente », scriveva Einaudi, era « indispensabile far precedere il testo di Cattaneo da un’introduzione, che serva un po’ da antidoto, un’intro- duzione che non sia naturalmente di piaggeria carlalbertina, ma renda equilibratamente ragione dell’occasione e dell’in- tonazione dell'Archivio triennale e di questi scritti che ne formano l’ossatura ». Ma all’editore di Omodeo, spietato critico della « leggenda » di Carlo Alberto, Spellanzon aveva risposto di non essere sicuro di poter scrivere una introduzione-« antidoto », perché si sentiva « meno caldo di furore di quell’uomo inesorabile e severo, vero Farinata del secolo decimonono. Ma {...] all’infuori del toro, e all’infuori di qualche sua deduzione troppo consequenziaria, io condivido molta parte dei giudizi del fiero lombardo! » ?”. Infatti nella presentazione dell’opera pubblicata nel 1942 — che nella ristampa del 1949 sarà dedicata a Salvemini —, Spellanzon faceva sue le critiche del democratico mila- nese alla politica di Carlo Alberto, e coglieva negli scritti dell’« Archivio triennale » «un acerbo disdegno per i subdoli maneggi di servi cortigiani e gesuitanti, un caldo amore di libertà inseparabile da ogni impresa di civile progresso. Anche in queste pagine, il Cattaneo ci appare quel che fu durante l’epico momento delle Cinque Gior- nate: il Farinata della rivoluzione nazionale italiana » ?*. Scontate appaiono quindi, da un lato, le critiche de « La Civiltà cattolica » e, dall’altro, la favorevole accoglienza di Pieri, per il quale con questo volume « la tanto auspicata ricostruzione della storia del nostro Risorgimento è final- mente in atto, nelle sue correnti ideali, nel suo travaglio politico, nello sforzo d’elevazione morale di tutta la vita italiana »; ma anche Carlo Morandi, su « Primato », invi- tava ad una lettura del Cattaneo democratico ben diversa da quella proposta nel ’39 da Luigi Einaudi: « Nella storia, 297 Einaudi a Spellanzon, 24 giugno 1939, e Spellanzon a Einaudi, 7 luglio 1939 (AE, Spellanzon). 28 C. Cattaneo, Considerazioni sulle cose d’Italia nel 1848, a cura di C. Spellanzon, Torino, Einaudi, 1942, p. XCII. 312 Le origini della casa editrice Einaudi se l’obbiettività è un’utopia, la probità è un dovere. Sa- rebbe eccessivo affermare che la probità del Cattaneo, anche in queste pagine, non è inferiore a quella degli scrittori suoi contemporanei di parte avversa? Crediamo di no » ?” Ma poco prima del 25 luglio, alla vigilia di una nuova fase nella vita della casa editrice, Einaudi cercava un punto di equilibrio affidando ancora una volta a Salvatorelli il compito di riassumere in rapida sintesi una riflessione del Risorgimento che unificasse la concezione liberal-moderata di Omodeo e quella democratica di Spellanzon, pur in una visione sempre etico-politica della storia. In Pensiero e azione del Risorgimento, individuata nella circolazione delle idee del '700 europeo la matrice del processo risorgimen- tale, Salvatorelli superava sue precedenti incertezze inter- pretative ripercorrendone le tappe attorno al nesso di « pensiero e azione », che vedeva per la prima volta in- carnato dai giacobini italiani, per passare poi nell’inse- gnamento di Mazzini e spiegare la « funzione capitale » svolta dal Partito d’Azione. Pur contestando la sottovalu- tazione di Cavour e l’unico punto — relativo alla rivolu- zione del 1848 — in cui l’autore accennava al problema sociale — e il recensore sottolineava la « difettosa impo- stazione etico-giutidica di tutti i moti socialistici » —, Omodeo poteva salutare, su « La Critica » del 20 luglio 1943, « un’opera meritoria » nella dura polemica contro « certi indirizzi semi-camorristici che con la prepotenza han preteso imporre risultati prestabiliti alla ricerca storica »; e Curiel inviterà a leggere il volume, perché metteva in luce « le forze progressive della democrazia, indicandone le insufficienze per cui il moto rivoluzionario per l’unità d’Italia sboccò nel compromesso monarchico e nel pseudo- liberalismo antidemocratico » *”. Infatti dalla ricostruzione ._ 29 «La Civiltà cattolica», 93 (1942), vol. IV, p. 252; Pieri in « Nuova rivista storica », XXVII (1943), p. 143; Morandi in « Primato », III (1942), p. 179. Cfr. anche, più tardi, la recensione di Bianca Ceva ne « «La Nuova Italia », XIV (1943), n. 7-12, pp. 88-90. «La Critica », XLI (1943), pp. 219-221; E. Curiel, Scritti 1935- 1945, cit., vol. II, p. 229 (segnalazione sul « Bollettino del Fronte della gioventd » del febbraio 1944). Anche Carlo Morandi, pur non condivi- dendo alcune osservazioni particolari di Salvatorelli, ne sposava comple- :313 Il fascismo e il consenso degli intellettuali storiografica — che arrivava ad accennare alla crisi del dopoguerra, pur senza nominare il fascismo — Salvatorelli faceva scaturire nella pagina conclusiva un chiaro messag- gio politico, invitando a « non subire le deformazioni e i traviamenti delle visuali nazionalistiche »; ma a « preser- vare la libertà di pensiero e d’azione, guardare dall’alto e lontano, ascoltare e riflettere, preparare e costruire, se- condo le direttive di principio espresse dalla coscienza storico-morale dell’umanità, in cammino verso la sua meta divina: la pienezza di vita dello spirito nella fraternità universale » *! A valori umani e civili non confinabili in un ambito nazionalistico intendeva ispirarsi anche la nuova collana « Universale » che cominciò a uscire nel 1942 sotto la direzione di Muscetta, invitato dall’editore ad accelerarne i tempi di pubblicazione « di fronte alle minacce di con- correnza che si annunziano da varie parti » ®*”, Il 15 giugno 1942, infatti, « Primato » presentava con soddisfazione l'uscita di due collane « universali » ritenute necessarie, in quanto « fra le caratteristiche di questa guerra, gli sto- rici ricorderanno anche la fede nei valori della cultura, l'ardente bisogno di dissetarsi alle sorgenti di vita eter- na » ®*: la « Corona » di Bompiani e la collana einau- diana, cui avrebbe fatto seguito, nel 1943, la « Meridiana » di Sansoni, con volumi il cui piccolo formato era imposto tamente la tesi generale sulle origini non autoctone del Risorgimento, legate alla Rivoluzione francese (La polemica sul Risorgimento, in « Pri- mato », IV (1943), 1-15 agosto, pp. 267-268). %! L. Salvatorelli, Pensiero e azione del Risorgimento, Torino, Einaudi, 1943 (finito di stampare il 18 marzo), p. 222. 302 Einaudi a Muscetta, 23 marzo 1942 (AE, Muscetta). La discus- sione sulle caratteristiche della nuova collana fu assai vivace nell’autunno del 1941, quando l’editore pensava di suddividerla in due sezioni, una « Biblioteca classica universale », dove avrebbe potuto apparire l'Aesthetica in nuce di Croce, e una « Biblioteca moderna universale »: cfr. G. Pintor, Doppio diario, cit., pp. 157, 163; Muscetta a Einaudi, 29 ottobre 1941 (AE, Muscetta); Einaudi ad” Alicata, 27 ottobre 1941 (AE, Alicata). 303 Vice, Il problema delle « Universali », in « Primato », III (1942), p. 233. A proposito della nuova collana, il redattore capo della rivista, Giorgio Cabella, il 20 maggio 1942 scriveva a Einaudi: « Non mancherò di farne parlare su “Primato” con quella cura e attenzione che abbiamo sempre usato per le Vostre pubblicazioni e che questa collezione merita » (AE, Cabella). 314 Le origini della casa editrice Einaudi anche da un dato oggettivo, la carenza di carta. Da parte fascista si cercò di cogliere in queste iniziative la prova di un sostegno della cultura alla « guerra italiana », « come se lo spirito — affermava Lorenzo Gigli in un articolo della « Gazzetta del popolo » fatto proprio da « Primato » — voglia in pieno conflitto proclamare e dimostrare il rag- giunto grado della sua emancipazione e sottintendere fin d’ora un impegno fondamentale nel processo ricostruttivo di tutti i valori morali e materiali che seguirà alla conqui- stata indipendenza politica ed economica della Nazione come frutto della guerra vinta » ®*. La nuova collana di Einaudi si presentò tuttavia, fin dall’inizio, come espres- sione di un rinnovamento culturale della casa editrice, che intendeva ora allargare il suo pubblico con volumi agili e a basso prezzo — non è un caso che dai 29 volumi del 1941 si balzasse ai 53 del 1942, per attestarsi sui 41 nel 1943. Anche se l’annuncio editoriale era necessariamente ambi- guo — la collana « non vuole assecondare diffuse abitu- dini culturali, ma orientare il pubblico secondo un gusto italiano, aperto alle esperienze moderne, ma sempre viva- mente sensibile alla nostra secolare tradizione umanisti- ca » ® —, il giudizio espresso nel dopoguerra, nella fase di preparazione di « Politecnico biblioteca », da Vitto- rini, al quale la vecchia « Universale » appariva « com- promessa dalle inclusioni di opere esplicitamente reazio- narie » **, non solo prescinde dalla necessaria collocazione storica dell’iniziativa, ma risulta anche inesatto, e oppor- tunamente contraddetto da Concetto Marchesi che, all’u- 30 Vice, Calendario, in « Primato », III (1942), p. 292. 305 Cit. da C. Cordiè in « Leonardo », XIII (1942), p. 135. 36 Vittorini a Einaudi, 3 luglio 1945, in E. Vittorini, Gli anni del « Politecnico ». Lettere 1945-1951, a cura di C. Minoia, Torino, Einaudi, 1977, p. 8. Nella comunicazione a Einaudi di un colloquio avvenuto il 4 luglio 1945 tra Vittorini e Pavese a proposito dell’« Universale », si dirà che Vittorini «intende aprire la collezione a moderna letteratura progressiva — sia creativa sia polemica — la quale escluderebbe natural- mente molti titoli che in passato entrarono nella collezione. Treifschke e Novalis non possono sopravvivere quando entri, cosî per dite, il teatro di Saroyan, la poesia di Toller, la polemica di un oratore sovietico. A Pavese pare che possano » (AE, Corrispondenza editoriale Torino-Roma 1945). 315 Il fascismo e il consenso degli intellettuali scita dei primi volumi della collana, lodava Einaudi per aver « fatto entrare la sua attività editoriale nella storia della nostra cultura italiana che tanti maltrattamenti e oscuramenti ha dovuto sopportare » *” Ciò non significa che non siano numerosi titoli pura- mente letterari non inquadrabili nelle finalità di un orien- tamento politico, prima e dopo il 25 luglio, o che non fossero scartate proposte di testi più incisivi da questo punto di vista **. Ma è bene ricordare che alcune esclusioni sono da attribuirsi alla necessità di un compromesso con la censura: « Bottai potrebbe dire una parola a Pavolini — scriveva l’editore a Muscetta l’8 aprile 1942, rivelando un rapporto privilegiato con il ministro dell’Educazione nazionale — [...]. Noi faremo molti italiani e quindi anche qualche straniero [...]. Accetteremo nello svolgimento del piano i loro consigli, e sospenderemo nel caso qualche vo- lume che può essere inopportuno. Ma occorre che anche loro collaborino con noi » *°. E tuttavia Einaudi poteva a buon diritto scrivere ad Arrigo Benedetti che con l’« Uni- versale » gli pareva di venire incontro « a un vero bisogno della nostra cultura nazionale. Tengo molto a che questa collezione non passi per un tentativo di volgarizzamento di cui non si sentiva affatto la necessità, ma per un con- tributo fattivo a un riesame serio e consapevole del patri- monio culturale universale. In quest'ultimo senso vorrei appunto che fosse inteso l’attributo della mia collezio- 30? Marchesi a Einaudi, 23 maggio 1942 (AE, Marchesi). 308 Per i vari progetti di pubblicazione cfr. AE, Muscetta. Fra i testi non realizzati figurano: La rivoluzione e i rivoluzionari in Italia di Ferrari, affidato nel giugno 1942 a Mario Ceva e poi, nell’ottobre, a Cantimori AE, M. Ceva, Cantimori); i Pensieri politici di Vincenzo Russo scartati dall’editore che, d'accordo con Alicata, accantonò anche il progetto di pubblicazione del saggio sulla libertà di Labriola — non sappiamo se quello Della libertà morale del 1873 o quello Del concetto della libertà del 1878 —, in quanto «le osservazioni interessanti per lo sviluppo futuro del suo pensiero sono appena marginali; siamo ancora in piena disqui- sizione psicologistica herbartiana, priva di interesse per noi» (lettere a Muscetta del 24 agosto 1942 e ad Alicata del 26 agosto 1942, in AE, Muscetta, Alicata). Il 25 giugno 1943 Ginzburg inviava il sommario di un’antologia di scritti di Cattaneo (AE, Ginzburg). 39 AE, Muscetta. 316 Le origini della casa editrice Einaudi ne » *°. In effetti, le finalità di apertura cosmopolitica della collana vennero rispettate, se dal 1942 al 1946 i titoli ita- liani risultano solo 17 su un totale di 69, di cui 5 su 10 nel 1942 e 7 su 19 nel 1943; e le prefazioni, stringate ma spesso assai incisive, furono affidate in molti casi a intel- lettuali antifascisti, anche se non tutti quelli contattati, come Marchesi, poterono rispondere all’appello. Cosi, mentre i Canti del popolo greco di Tommaseo assumono oggettivamente, all’inizio del 1943, un signifi- cato politico, l’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters, da tempo segnalata da Pavese che vi vedeva « un meraviglioso mondo che ci parve qualcosa di più che una cultura: una promessa di vita, un richiamo del destino », suggerisce alla curatrice, Fernanda Pivano, l’osservazione che « solo le anime semplici riescono a trionfare nella vita » *!, E Ginzburg, se ne La sonata a Kreutzer di Tol- stoj indicava i motivi artistici come prevalenti su quelli sociali, terminava la prefazione a La figlia del capitano ricordando l’epigrafe di Puskin — « tieni da conto l’onore fin da giovane » ?* —, mentre presentando Cristianità 0 Europa di Novalis Mario Manacorda metteva in luce la « statolatria reazionaria » dell’autore, che trasferisce allo stato « etico », nazionale e monarchico, quei compiti ideali di civiltà che l’illuminismo assegnava allo stato razionale e cosmopolitico, e, confondendo evidentemente stato e società, dà una cattiva versione romantica dell’esser cive quando afferma che « il più umano dei bisogni è quello di uno stato » e predica la necessità che lo stato sia dovunque visibile anche nei distintivi e nelle uniformi 313. 310 Einaudi a Benedetti, 16 maggio 1942 (AE, Benedetti). La scelta delle novelle di Maupassant fatta da Benedetti non ottenne il nulla osta della censura per l’inclusione di quelle riguardanti la guerra del 1870 (Alicata all'editore, 30 marzo e 24 giugno 1942, in AE, Alicata); il 30 luglio 1943 l’editore scriveva a Benedetti: «Facciamo subito il Mau- passant. Dovresti tradurre le novelle di guerra escluse in un primo tempo » (AE, Benedetti). 311 E. Lee Masters, Antologia di Spoon River, a cura di F. Pivano, Torino, Einaudi, 1943, p. XII; C. Pavese, La letteratura americana, cit., p. 64. 32 Ora in L. Ginzburg, Scritti, cit., pp. 153, 289. 313 Novalis, Cristianità o Europa, a cura di M. Manacorda, Torino, Einaudi, 1942, pp. XII-XIII. 317 Il fascismo e il consenso degli intellettuali Accenti antigentiliani, non privi talvolta di risvolti politici, sono avvertibili anche nella presentazione di molti letterati e uomini politici italiani dell’800: accanto alla valorizzazione del cristianesimo di Capponi, ritenuto da Umberto Morra « più vivo » di quello manzoniano *!, o all’inclusione di esponenti moderati del Risorgimento cari alla concezione liberale di un Luigi Einaudi o di un Omo- deo, come Cavour — di cui Cantimori cura una scelta dei Discorsi parlamentari sottolineandone il realismo poli- tico *° —, appaiono autori propri della genealogia risorgi- mentale di Gentile — Cuoco, Foscolo o Alfieri —, ma profondamente rivisitati. Significativo non solo in questo senso, ma anche come una sorta di manifesto di tutta la collana, è il primo titolo pubblicato, le Ultizze lettere di Jacopo Ortis, che offriva a Muscetta l’opportunità di far proprie le affermazioni pacifiste di un commentatore di Foscolo — « Un popolo non deve snudare la spada se non per difendere o conquistare la propria indipendenza. Se attacca i vicini per aggiogarli, si disonora; se invade il loro territorio col pretesto di fondarvi la libertà, o è ingannato o s’inganna » —, e di riproporre la concezione democratica e antitirannica espressa in « pagine dimen- ticatissime » da Cattaneo, per il quale Foscolo fu il primo a gettare in Italia quella vanissima sentenza, che il « rimedio vero sta nel riunire in una sola opinione tutte le sètte ». È idea chinese, idea bizantina; e per essa la Grecia, sf feconda quand'era piena di sètte, giacque per mille anni nel letargo della sepolcrale ortodossia bizantina. Ogni setta che invoca questo sofisma intende solo imporre silenzio alle altre tutte, fuorché a se stessa, e regnare unica e sola3!. 314 G. Capponi, Ricordi e pensieri, a cura di U. Morra, Torino, Einau- di, 1942, p.X. 315 C. Benso di Cavour, Discorsi parlamentari, a cura di D. Cantimoti, Torino, Einaudi, 1942, p. XII. Scrivendo a Finaudi il 28 aprile 1943, Ragghianti giudicava alcune note di Cantimori « tendenziose, con un profu- mino di “marxismo” aggiornato, che dà noia » (AE, Ragghianti). 316 U. Foscolo, Ultime lettere di Jacopo Ortis, a cura di C. Muscetta, Torino, Einaudi, 1942, pp. XIV-XV. «La Civiltà cattolica » noterà che l’opera di Foscolo era posta all'Indice (a. 94, 1943, vol. II, p. 388). Nel 1943 Manlio Mazziotti presentava Il Congresso di Vienna (1814-1815) di Heinrich von Treitschke affermando che per l’autore lo Stato era forza, 318 Le origini della casa editrice Einaudî 10. I quarantacinque giorni, la Liberazione e il Fronte della cultura Entusiasmo e frenesia di iniziative contraddistinguo- no il periodo immediatamente successivo alla caduta di Mussolini, quando ai tentativi di acquisire il controllo su un giornale — già il 26 luglio, quando « Roma vive il primo giorno di libertà », Muscetta invitava Einaudi a « metter le mani » su « Primato » *” — si aggiungono a ritmo serrato, fino all’8 settembre, proposte di nuovi vo- lumi e collane, destinate per la maggior parte ad essere definitivamente accantonate o sospese fino alla Liberazione, non solo per l’incertezza della situazione politica generale. Inizia infatti un processo di riassestamento della casa edi- trice di non facile soluzione — tanto che si ripresenterà, aggravato, dopo il 25 aprile 1945 —, dove ai problemi ma che «una forza che calpesta ogni diritto deve finalmente andare in rovina, perché nel mondo morale nulla si regge che non abbia virtî di resistere » (p. IX). 7 AE, Muscetta. Intense furono le trattative per l'acquisto di altri Genta Si pensò, da parte di Muscetta e Ginzburg, a « La Ruota » da trasformare in settimanale sotto la direzione di Mario Vinciguerra (AE, Vinciguerra, 30 agosto 1943; Muscetta, 11 agosto 1943), anche se Pintor affermava: « Resta da decidere se l’acquisto di una rivista in questo mo- mento e con le prospettive oscure che ci attendono sia un gesto oppor- tuno e resta da fissare l’indirizzo politico della rivista. Un uomo come Vinciguerra, degnissimo ma ufficialmente legato a un partito, non mi pare il più adatto per la direzione » (AE, Pintor, 9 agosto 1943). Vi furono trattative anche per « Il Lavoro italiano », per cui Pintor entrò in contatto con Piccardi che non voleva — scriveva Pintor a Einaudi — « affi- darlo a elementi troppo di destra, dato che si tratta del Quotidiano dei Lavoratori. Temeva che tu avessi le idee di tuo padre» (AE, Pintor, 30 luglio 1943; Muscetta, 18 agosto 1943). Per la « Gazzetta del popolo », che Einaudi avrebbe voluto affidare alla direzione di Felice Balbo, si chiese l'appoggio di Bonomi presso l’IRI, ma Pintor non riuscî a convin- cere Menichella che — comunicava all’editore — « vede nerissimo, pre- vede il regno dei grossi capitalisti e un attacco in grande stile contro l’IRI. La “Gazzetta del popolo” come la faremmo noi costituirebbe una provocazione contro i pescicani e affretterebbe la catastrofe » (AE, Pintor, 3 e 31 agosto 1943; Bonomi, 31 luglio 1943). Il 18 agosto 1943 Einaudi scriveva ad Alicata: «Il periodico di educazione popolare che saluterei con simpatia, sarebbe quello che votrei faceste tu e Vittorini [...] questo dovrebbe essere il giornale spregiudicato e vivo, dei tempi nuovi [...] qui tutte le manifestazioni della vita, politiche ma sovratutto di costume dovrebbero essere rappresentate » (AE, Alicata). 319 Il fascismo e il consenso degli intellettuali organizzativi si intrecciano le divergenze fra i collabo- ratori, che acquistano ora rilevanza politica. Il 21 luglio 1943 Einaudi riteneva « necessario l’accentramento in Piemonte dei servizi relativi al funzionamento worzzale della casa editrice », mentre nell’agosto incaricava Ginz- burg, liberato dal confino, di dirigere la sede romana *: ed è da questa, dove nell’agosto è presente anche Franco Venturi, che scaturisce una forte pressione degli azionisti — nelle loro diverse componenti, dai liberalsocialisti ai « crociani » — che cercano di condizionare a loro favore le scelte editoriali. Il senato romano (presenti Ginzburg, Muscetta, Pintor, Giolitti, Venturi) — scriveva Muscetta a Einaudi il 7 agosto 1943 — ha discusso e progettato, ad unanimità, una collezione di attualità poli- tica, a cui si darebbe il nome di « Orientamenti ». Suggerisce di pubblicare, preferibilmente a Roma, per ovvi motivi, una serie di volumetti formato « universale » [...]. Come è chiaro dalla parola « Orientamento » la collana dovrebbe accogliere scritti delle pi serie tendenze odierne per illuminare il pubblico sulle condizioni reali dell’Italia e dell'Europa, per disegnare delle prospettive di concreta ricostruzione politica, per offrire dei contributi al chiari- mento dei più urgenti problemi, non esclusi quelli ideologici 39, Ma le proposte concrete privilegiavano un indirizzo azionista della collana, prevedendo i saggi di Guido Calo- gero su Giustizia e Libertà — dall’ambizioso sottotitolo « breviario di politica » —, di Altiero Spinelli sull’unità europea, di Manlio Rossi Doria sul problema agrario in Italia, quello sul Risorgimento che Ginzburg stava prepa- rando dalla primavera del 1943, e una storia del socialismo di Franco Venturi. Queste proposte — di cui si fece porta- tore, pur con riserve su Calogero, anche Pintor? — LI 318 Disposizioni di Finaudi per la sede romana del 21 luglio e del- l’agosto 1943 (AE, Corrispondenza editoriale Roma-Torino 1941-1944). 319 AE, Muscetta. 320 AE, Pintor (7 agosto 1943). Fra le altre proposte « romane », Dal socialismo al fascismo di Bonomi (già edito da Formiggini), Synthèse de l'Europe di Sforza, La terreur fasciste di Salvemini, il Pisacane di Ros- selli e la traduzione — da affidare a Franco Rodano — de Les sources et le sens du communisme russe del pensatore religioso, ex-marxista e ora antisovietico, Nikolaj A. Berdjaev (AE, Corrispondenza editoriale Roma-Torino 1941-1944, 30 luglio e 30 agosto 1943), un’opera che sarà 320 Le origini della casa editrice Einaudi furono respinte dal gruppo torinese, che invece approvò la ristampa di Nazionalfascismo di Salvatorelli, un’antolo- gia di scritti di Gobetti che avrebbe dovuto curare Carlo Levi, un volume di Mario Vinciguerra — Storia di cento anni (1848-1948) —, e la richiesta a Guido Dorso di pre- parare una biografia di Mussolini *. Un netto e signifi- cativo rifiuto riceve invece, a Torino, la proposta di racco- gliere gli scritti politici di De Sanctis — il suggerimento, tramite Muscetta, era arrivato da Croce # —, mentre viene lasciata aperta la possibilità di pubblicare Guerra e dopo- guerra di Giacomo Perticone, una storia della « crisi della coscienza politica italiana tra il 1914 e il 1922 » ritenuta interessante da Antonio Giolitti, che suggeriva l’eventuale opportunità di una collezione specifica che potrebbe pre- sentarsi come « Contributi alla storia del fascismo », intendendo naturalmente il fascismo in senso lato, come crisi, per dir cosî, della democrazia nazionale italiana; e allora rientrerebbero in quei contri- buti anche le indagini sulla storia dell’Italia dopo il 1870 le quali sappiano vedere il fascismo già latente in certi aspetti della vita politica dello Stato italiano, e non lo considerino soltanto come un mostro emerso improvvisamente da chissà quali profondità, o come la criminosa avventura di un gruppetto di sopraffattori: un’indicazione di ricerca che superava la visione crociana della « parentesi », ma che sarebbe stata raccolta molto tardi dalla cultura storiografica italiana, anche se Einaudi si dimostrò interessato alla proposta, cui cercherà di dar seguito dopo il 1945 ®. Di fronte alle posizioni del « senato romano » — di- tradotta nel 1944 da Giacomo Perticone (Roma, Edizioni Roma); di Berdjaev Laterza aveva tradotto nel 1936 Il cristianesimo e la vita sociale, mentre Finaudi pubblicherà nel 1945 La concezione di Dostojevskij. 321 Cfr. C. Pavese, Lettere 1924-1944, cit., p. 721 (13 agosto 1943); AE, Pavese (11 agosto 1943), Vinciguerra (7 agosto 1943). 322 Muscetta a Pavese, 19 agosto 1943 (AE, Pavese); «Qui ognuno di noi si infischia sia del Perticone, sia degli scritti politici di De Sanctis », si rispose da Torino il 21 agosto 1943 (AE, Muscetta). 323 Giolitti a Einaudi, 24 agosto 1943 (AE, Giolitti); «si potrà discutere la proposta di Giolitti in merito a una collezione critica sul fascismo », scriveva Einaudi a Pintor il 25 agosto 1943 (AE, Pintor); e Pintor era favorevole: cfr. la lettera del 24 agosto a Pavese (in C. Pavese, Lettere 1924-1944, cit., p. 730). 321 Il fascismo e il consenso degli intellettuali viso al suo interno tra azionisti da un lato, Pintor e Giolitti dall’altro — e di un Pavese, « nauseato dall’indaffaramento politico della casa editrice » ’*, Pintor si dimostrava preoc- cupato dell’unità dell’indirizzo editoriale: il 7 agosto 1943 scriveva a Einaudi che « le possibilità di “rottura” si ac- centuano e che la crisi può intervenire da un momento all’altro », occasionata originariamente dal « breviario poli- tico » di Calogero; « le varie discussioni — aggiungeva il 9 agosto — hanno messo in evidenza un problema che doveva inevitabilmente maturare. Non si tratta pit cioè di dissensi personali che hanno sempre alimentato l’attività della casa, ma di un contrasto di posizioni, che secondo me non è insanabile, ma che deve essere chiarito se non vogliamo che diventi un elemento pericoloso di erosio- ne » ?5, Da queste preoccupazioni scaturisce il deciso inter- vento di Einaudi che provoca il naufragio della collana « Orientamenti » considerata la « provvisorietà dell’inizia- tiva » **, e punta su Ginzburg — liberato il 26 luglio dal confino — e Alicata — uscito dal carcere il 7 agosto — come elementi moderatori delle diverse posizioni: tu avrai di fronte — scriveva ad Alicata il 18 agosto 1943 — [...] una persona che ha dato prova di grande serietà morale, e di w245- sima comprensione per tutte le idealità politiche degne di questo nome. Ritengo che tu possa lavorare con Ginzburg amichevolmente 324 Pavese a Pintor, 23 agosto 1943 (C. Pavese, Lettere 1924-1944, cit., p. 728). 325 « In particolare — aggiungeva Pintor il 9 agosto —, per “Orien- tamenti”, nonostante l’unanimità proclamata da Muscetta, io avrei diverse riserve: vorrei che si tenesse conto del programma originario di Balbo e vorrei che fosse consultato Vittorini »; e il 16 agosto scriveva a Einaudi: « Il mio atteggiamento personale è molto conciliante: il clima di lotta parlamentare che si è creato a Roma mi dà parecchio fastidio e non vorrei assolutamente che si riproducesse nel lavoro della casa » (AE, Pintor). 32% Einaudi ad Alicata, 18 agosto 1943 (AE, Alicata). La decisione di Einaudi parve «discutibile » a Pintor: «In questo modo si sfugge al primo problema posto dal coesistere delle diverse tendenze: l’accordo deve essere ottenuto attraverso una rigorosa selezione delle proposte [...], ma è indispensabile che la casa editrice segni il passaggio a una nuova fase uscendo dagli schemi delle vecchie collezioni e affrontando coraggio- samente l’attualità. A questo non bastano i progetti di giornali e riviste che cominciano a diventare invadenti ma occorre che si faccia qualcosa di nuovo anche nel campo editoriale » (a Einaudi, 19 agosto 1943, in AE, Pintor). 322 Le origini della casa editrice Einaudi e con rapidità di decisione [...]. Comunque la funzione di Ginzburg, in quanto collaboratore della casa, più che di difensore di principi diversi è quella di moderatore, anche nei riguardi della corrente che a lui può sembrare faccia capo. Tu usa con lui, collaborando alla casa, altrettanta moderazione, sia pure con intransigenza, in modo da arrivare nel nostro Senato anziché alla disgregazione temuta da Pintor, alla collaborazione spontanea ?7, In questa situazione, fatta di contrasti e di incertezze, cui si aggiungerà dopo 1’8 settembre la dispersione dei col- laboratori e la sostituzione di Giulio Einaudi — che si rifugerà in Svizzera — con il direttore dell’ISPI Pierfranco Gaslini e il commissario prefettizio Paolo Zappa, con i quali resta in contatto Muscetta, l’attività della casa edi- trice conosce, nel 1943-44, una stasi, anche se viene dato esito ad alcuni progetti precedenti. Non vengono pub- blicati, ovviamente, i testi più politicizzati suggeriti dalla sede romana e accettati a Torino, cosi come resta ine- dito E il gallo cantò di Augusto Monti che, scriveva l’au- tore, « pur trattando di casi relativamente remoti, è del- la più viva attualità, tanto che potrebbe avere per sotto- titolo: origini del fascismo e dell’antifascismo » ®*. Nella « Biblioteca di cultura storica » esce solo, nel 1944, La politica italiana da Porta Pia a Vittorio Veneto di Bono- mi *’, mentre nei « Saggi » alle Riflessioni di Montesquieu curate da Leone e Natalia Ginzburg per venire incontro a « un rinnovato interessamento per certi valori umani, pro- clamati dagli uomini del Settecento, e poi a lungo negletti 3 AE, Alicata. Ma era necessario tener conto, scriveva Pintor a Einaudi il 31 agosto 1943, che Alicata «è preso da un'attività quanto mai turbinosa e che negli ultimi giorni si è occupato quasi esclusivamente di fare arrestare fascisti sediziosi » (AE, Pintor); perciò l’editore scriveva a Ginzburg il 4 settembre: «La sua richiesta di sostituire Giolitti ad Alicata nel Comitato Politico mi pare utile. Giolitti dovrebbe essere una specie di supplente al quale Alicata delega, quando è impossibilitato a partecipare alle riunioni, il mandato di voto » (AE, Ginzburg). 328 Monti a Einaudi, 15 agosto 1943 (AE, Monti). 329 Di Bonomi non fu invece pubblicato Dd/ socialismo al fascismo, cui si dichiararono contrari Pavese, Balbo, Venturi e Ginzburg, favorevoli Pintor e Giolitti: cfr. Pavese a Muscetta, 13 agosto 1943 (C. Pavese, Lettere 1924-1944, cit., p. 721), e Muscetta a Pavese, 11 agosto 1943 (AE, Pavese). 323 Il fascismo e il consenso degli intellettuali da un troppo unilaterale storicismo » *°, fa da contrap- punto, nel 1943, la pubblicazione delle Memorie di Met- ternich in cui Gherardo Casini sottolinea l’« orrore » del cancelliere austriaco per la Rivoluzione francese e la sua testimonianza « sul sangue che è corso per le piazze di Francia, sulle violenze che hanno reso esecrabile questo evento, sulla brutalità con cui sono stati incrinati e calpe- stati i fondamenti dell’ordine » *!, Nell’unica collana che conserva una certa vitalità, anche per il minor costo che richiedeva, 1’« Universale », accanto a numerosi testi più propriamente letterari ne appaiono altri segnati da un chiaro, anche se non univoco, impegno civile: alla presen- tazione simpatetica del « buon senso » che traspare dagli Opuscoli politici di D’Azeglio fatta da Vittorio Gorresio **, si accompagna il Manoscritto di un prigioniero del mazzi- niano Carlo Bini, di cui Goffredo Bellonci illustra la conce- zione del Risorgimento come rivoluzione sociale capace di eliminare « le ineguaglianze materiali » **; nel Della tiran- nide di Alfieri Massimo Rago coglie « uno spirito veramente rivoluzionario » che cerca di « dar risalto alle forze che ostacolano l'affermazione della libertà, e questo chiarimento suona come un invito ad una più accurata osservazione delle esperienze sociali » *4; mentre presentando Conquista e usurpazione di Benjamin Constant Franco Venturi osserva come soltanto Jaurès e Mathiez avessero insegnato a vedere nella Rivoluzione francese « il nostro moderno problema di una rivoluzione sociale alle sue origini », come tale non compreso da Constant, di cui per altro è esaltato il libera- lismo che si manifesta nel « chiudere [...] la rivoluzione, ma non per negarla: per salvarne i principi rinati dall’espe- 330 Ch. De Montesquieu, Riflessioni e pensieri inediti 1716-1755, a cura di Leone e Natalia Ginzburg, Torino, Einaudi, 1943, p. XIV. 331 C. von Metternich, Merzorie, a cura di G. Casini, Torino, Einaudi, 1943, pp. XII-XIII. 332 M. D'Azeglio, Opuscoli politici, a cura di V. Gortresio, Torino, Einaudi, 1943, p. XVI. 333 C. Bini, Manoscritto di un prigioniero, prefazione di G. Bellonci, Torino, Einaudi, 1944, p. XIII. 334 V. Alfieri, Della tirannide, a cura di M. Rago, Torino, Einaudi, 1943, pp. IX, XVI. r 324 Le origini della casa editrice Einaudi rienza delle assemblee e del terrore » * L’unico elemento di novità, n@ il 25 luglio, è. È « Collana di cultura giuridica » ‘diretta da Norberto Bob- bio — uno dei primi collaboratori di Einaudi, la cui firma era apparsa anche ne « La Cultura » —, che già nel giugno 1943 era venuta configurandosi come distinta dal progetto di una collana filosofica formulato, come vedremo, nel 1941. Pavese gli comunicò la proposta di Manlio Maz-. ziotti di una « collezione di classici del diritto, la quale servirebbe a svegliare il sonno dogmatico dei giuristi ita- liani, i quali credono che la loro scienza consista nell’inter- pretazione e non nella creazione della legge », e Bobbio rispose di essere anch’egli convinto che « nel campo de- gli studi giuridici ci sia molto da fare per la diffusione di. una cultura seria e creatrice: dalla scuola del diritto naturale ai grandi giuristi tedeschi del secolo scorso; dalla moderna sociologia giuridica alla dottrina pura del Kelsen. Che io sappia non è stata mai tentata in Italia un ‘impresa del genere, che raccolga con un certo ordine e con inten- dimenti culturali, e non tecnici, opere d’argomento giuri- dico », a parte i « Classici del diritto » di Formiggini, fer- matisi tuttavia nel 1933 al primo volume, I difetti della giurisprudenza di Muratori ** Coadiuvato da Antonio Giolitti, Bobbio cercò di dar vita alla collana con due opere già da lui preparate nel 1942 per la « Biblioteca di cultura filosofica » *#’: nel 1943 appare il Giovazni Althusius di Otto von Gierke, il conti- nuatore della scuola storica di Savigny che considerava il 335 B. Constant, Conquista e usurpazione, prefazione di F. Venturi, Torino, Einaudi, 1944, pp. 9-10. Già proiettato esplicitamente nel futuro è il commento a E. Quinet, La repubblica, a cura di E. Lussu, Torino, Einaudi, 1944, dove si afferma che gli italiani sono «arretrati d’un secolo, ché tutti i fondamentali problemi di democrazia che il Risorgi- mento poneva sono rimasti insoluti », e che «in Italia, dopo la disfatta del 1920-22, che ha in comune con quella francese del 1848 solo l’imma- turità politica e non l’epopea, la classe operaia va lentamente ricompo- nendo le sue forze e maturando l’esperienza del passato, conscia del compito ch’essa è chiamata ad assolvere » (pp. VII, X). 36 Pavese a Bobbio, 23 giugno 1943, e Bobbio a Einaudi, 29 giugno 1943 (AE, Bobbio). . ? Bobbio a Einaudi, 15 novembre 1942 (AE, Bobbio). 325 Il fascismo e il consenso degli intellettuali diritto come « espressione della coscienza del popolo », e con lo studio del giurista Althusius aveva seguito « la via attraverso cui il pensiero moderno è passato per elaborare quei concetti da cui è uscita la concezione dello Stato di diritto, tanto più oggi preziosa — scriveva Bobbio —, quanto più minacciata, e tanto più viva quanto più con- dannata dagl’impazienti, dai fanatici, dagli indotti di tutte le fazioni » **. Nel 1945 seguirà La fondazione della filo- sofia del diritto di Julius Binder, « il più intransigente e for- tunato assertore della rinascita hegeliana in Germania », la cui opera, osservava Bobbio, serviva a scagionare la filo- sofia italiana recente dall’accusa di provincialismo, « qua- lunque sia poi il giudizio che si voglia formulare sul neo- hegelismo italiano, al quale peraltro non si potrà discono- scere il merito di aver tenuto il pensiero italiano lontano da quegli stessi estremi dell’intellettualismo e dell’intuizio- nismo » contro cui combatté Binder *’, Ma dopo questi due titoli — che venivano ad allargare ulteriormente i già nu- metosi interessi della casa editrice — la collana perderà i suoi connotati per trasformarsi nel 1950 in « Biblioteca di cultura politica e giuridica », nonostante gli sforzi di Bobbio di mantenerle l’identità originaria, convinto, come scriveva nel 1945, che « in un momento in cui è diventato argo- mento di pubbliche e private discussioni il rinnovamento delle istituzioni giuridiche tradizionali, dalla proprietà allo stato, dall’eredità al sistema penale, si ridesta l’interesse per i problemi del diritto e nello stesso tempo si rivela la ignoranza degli stessi da parte dei più », per cui la collana poteva giovare « anche agli specialisti, i quali, abituati a ripetere le solite formule senza ripensarle, ignari per lo più 338 O. von Gierke, Giovanni Altbusius e lo sviluppo storico delle teorie politiche giusnaturalistiche. Contributo alla storia della sistematica del diritto, a cura di A. Giolitti, Torino, Einaudi, 1943, pp. VIII, X. 339 J. Binder, La fondazione della filosofia del diritto, traduzione di A. Giolitti, Torino, Einaudi, 1945, pp. VII, IX-X. In «Società» si nota comunque che Binder finisce, come Hegel, col fondare « una metafisica dello Stato e della storia », e si ricorda che in altre sue opere « lo Stato nazionalsocialista viene presentato come la pit rilevante incarnazione del- TOR a etico» (V. Palazzolo, in «Società», III (1946), pp. 235-238). 326 Le origini della casa editrice Einaudi dei grandi movimenti giuridici stranieri, sono incapaci di cogliere il significato universale di una tecnica, di vedere in una formula il risultato di un determinato orientamento del pensiero » *° La breve, intensa ma caotica esperienza dei quaranta- cinque giorni non aveva comunque permesso di definire con precisione quella « nuova » collocazione culturale e politica della casa editrice sulla quale gli azionisti avevano cercato di mettere un’ipoteca. Il problema si ripresenta quindi all'indomani della Liberazione, con una intensità acuita dalla necessità di individuare una prospettiva di pit lungo periodo, non più resa precaria dalle contingenze bel- liche #. Il dibattito politico interno acquista ora rile- vanza maggiore in quanto si intreccia con il confronto aperto e aspro fra i partiti ai quali aderiscono vari collabo- ratori di primo piano della casa editrice, e risente delle spinte diverse provenienti dai vari centri culturali, la cui collocazione geografica rispecchia la variegata situazione politica creata nel paese dalla lotta di Resistenza *°. A quelle di Torino e di Roma si aggiunge nel 1945 la nuova sede di Milano con Elio Vittorini, l’intellettuale che aderisce al partito comunista assieme a Pavese, col quale aveva condi- viso negli anni ’30 l’interesse per la letteratura americana contemporanea, cogliendovi tuttavia — a differenza di Pavese — soprattutto quegli elementi positivi di un popolo « nuovo » e quella conferma della superiorità della cultura sulla politica che trasferirà ne « Il Politecnico » e in alcune iniziative della casa editrice ®. Grava sulla civiltà americana la stupidità di una frase: civiltà 30 Appunto sulla « Collana di cultura giuridica », cui seguono, nume- rose proposte di pubblicazione (AE, Bobbio). 31 Questa necessità era ben chiara, oltre che a Balbo — come ve- dremo —, a Bobbio, che 1’8 luglio 1945 ammoniva Einaudi: « Mi pare che ci stiamo lasciando tutti quanti tentare dalla seduzione dell’attualità. Ti ripeto una frase memorabile: le case editrici si misurano a decenni, non a mesi » (Archivio privato Bobbio). #2 Cfr. le osservazioni di E. Garin, Cronache di filosofia italiana, cit., pp. 501-502. 33 Cfr. E. Catalano, La forma della coscienza. L'ideologia letteraria del primo Vittorini, Bari, Dedalo, 1977, in particolare pp. 225, 243. 327 Il fascismo e il consenso degli intellettuali materialistica. Civiltà di produttori: questo è l’orgoglio di una razza che non ha sacrificato le proprie forze a velleità ideologiche e non è caduta nel facile trabocchetto dei « valori spirituali » [...]. Questa America non ha bisogno di Colombo, essa è scoperta dentro di noi, è la terra a cui si tende con la stessa speranza e la stessa fiducia dei primi emigranti e di chiunque sia deciso a difendere a prezzo di fatiche e di errori la dignità della condizione umana, aveva scritto Pintor cogliendo il messaggio di Americana di Vittorini **. Caduti nella lotta di Resistenza Pintor e Ginzburg, mentre Alicata si trova assorbito dall’attività politica, accanto a Vittorini e Pavese emergono fra i colla- boratori della casa editrice altri intellettuali comunisti, come Antonio Giolitti e Delio Cantimori, o l’esponente del movimento cattolico-comunista Felice Balbo. Nonostante la matrice comunista di questi intellettuali sia tutt'altro che omogenea, tale da non impedire l’insorgere di contrasti, i rapporti di forza interni tendono a spostarsi verso il PCI che, privo all’inizio di propri centri editoriali, individua in Einaudi un interlocutore privilegiato: ed è attorno al tema dell’orientamento politico della casa editrice che nelle pagine seguenti concentreremo l’attenzione, per cercare di coglierne alcune linee di tendenza nell’immediato dopo- guerra, utili, nell’ambito di una ricerca che ha il suo centro nel periodo fascista, a verificarne ulteriormente caratteri- stiche originarie e capacità di rinnovamento. Il 10 maggio 1945 Felice Balbo, da Torino, scriveva preoccupato a Einaudi che « anche per la Casa vale quello che vale per i partiti politici: qui la situazione è attualmente molto spostata a sinistra e molto fluida specie negli ambienti intellettuali per gran parte disorientati ed in attesa di poli- tica concreta, di costume, di tecnica. Non dobbiamo lasciarci sfuggire l’occasione favorevole perché poi le posizioni rea- zionarie potrebbero fissarsi nuovamente » #5. Ma proposte concrete arrivavano contemporaneamente da Milano: Il nostro programma editoriale milanese — si scriveva sempre il 10 maggio a Einaudi — risponde ai criteri da te stabiliti: iniziare 34 G. Pintor, I/ sangue d’Europa, cit., pp. 155, 159. 35 AE, Corrispondenza editoriale Torino-Roma 1945. 328 Le origini della casa editrice Einaudi la pubblicazione di una rivista di punta che dovrebbe essere quella dal titolo « Il nuovo politecnico », organo centrale del Fronte della Cultura, iniziativa di carattere nazionale sorta da Curiel, Banfi, Vit- torini che ne costituiscono il comitato d’iniziativa nazionale, il quale a sua volta si appoggerà ai vari comitati regionali che saranno creati successivamente. Questo Fronte della Cultura è destinato a interes- sarsi a tutti i problemi di cultura, artistici e scientifici, per una loro rivalutazione, o superamento, da elementi appartenenti a qualsiasi ideologia o partito ma sinceramente orientati su un piano progressi- sta: è un fronte quindi aperto a tutto il popolo italiano. Ma subito dopo si precisava che il bollettino del Fronte si sarebbe occupato dello « studio alla luce del marxismo di tutti i fenomeni e le situazioni politico-culturali », avvalen- dosi delle collaborazioni di Vittorini, Banfi, Remo Cantoni, Giansiro Ferrata, Pietro Zveteremich, e si accennava all’ini- ziativa di una « collana marxista » **. L’estrazione politica dei membri del Comitato nazionale del Fronte della Cultura ne esprimeva del resto chiaramente l’orientamento: due esponenti del partito comunista (Banfi e Vittorini), due rispettivamente di quello socialista e del partito d’azione, uno (Mario Motta) per i Lavoratori cattolici *’. Einaudi, pur convinto che « a Milano si giuoca una grande partita per noi » **, si preoccupava tuttavia dell’insorgere di attriti fra i responsabili delle varie sedi, e suggeriva una diversi- ficazione di funzioni fra di esse. Perciò, mentre raccoman- dava la necessità di una « fraterna intesa fra Torino, Mi- lano e Roma, in modo da costituire un unico fronte pro- gressivo di cultura senza settarismi, aperto alla collabora- zione di ogni sincero democratico », nell’impostare il pro- gramma delle riviste del Fronte proponeva, per Roma, « Risorgimento » e « Cultura sovietica » — dal carattere, soprattutto la prima, pit « aperto » —, una rivista di studi meridionali per Napoli, un settimanale politico-culturale per Milano — « Il Politecnico » — e, per Torino, un perio- dico economico, « sui problemi della ricostruzione »: « in 36 Renata Aldrovandi a Einaudi (AE, Corrispondenza editoriale To- rino-Roma 1945). 3? Ibidem. 38 Einaudi a Renata Aldrovandi, 26 maggio 1945 (ibidem). 329 Il fascismo e il consenso degli intellettuali tal modo — osservava — alle diverse sedi si darebbe un significato concreto di legame tra gli intellettuali e i pro- blemi che più interessano le masse immediatamente circo- stanti, dando un pieno significato nazionale ai problemi che più sono sentiti nelle diverse regioni » *. Al tempo stesso, tuttavia, il contatto con l’ambiente politico romano gli suggeriva di correggere l'orientamento che si intendeva dare a Milano al Fronte della Cultura: « su un piano più generale politico di lavoro — scriveva a Vittorini il 9 luglio 1945 — tra gli intellettuali la linea attuale come si va definendo a Roma è quella di fronte contro i residui del fascismo, fronte nel quale si possono accogliere elementi di partiti cosiddetti conservatori, che siano però sinceramente antifascisti e quindi sostanzial- mente progressivi. Questa linea è meno settaria di quella definita nell’ultima nota riunione di Milano, dove si pen- sava in sostanza di fare un fronte delle sinistre » ®*, Era la linea cui si ispirava il PCI, e che sarà espressa — pochi giorni dopo la costituzione del primo governo De Gasperi — al suo V congresso (29 dicembre 1945 - 6 gennaio 1946), dove Togliatti rivolse un appello all’unità di tutte le forze democratiche aprendo le porte del partito a quanti ne condividessero la linea politica, « indipendentemente dalla convinzione religiosa e filosofica », anche se Alicata si premurava di precisare che compito degli intellettuali doveva essere la battaglia contro l’idealismo, espressione della « cristallizzazione del provincialismo della cultura ita- liana » !, L'indirizzo sostenuto da Einaudi è rispecchiato fedel- mente dalle riviste edite a Roma, in patticolare da « Risor- gimento », ma anche da « La cultura sovietica ». Questa ultima, rivista trimestrale dell’Associazione italiana per i rapporti culturali con l'Unione Sovietica, diretta nel 1945- 39 Einaudi a Renata Aldrovandi (e, per conoscenza, a Balbo e Vitto- rini), 16 maggio 1945 (ibidem). 350 AE, Corrispondenza editoriale Torino-Roma 1945. 31 Cfr. P. Togliatti, Opere scelte, a cura di G. Santomassimo, Roma, Editori Riuniti, 1974, p. 452; N. Ajello, Intellettuali e Pci 1944-1958, Bari, Laterza, 1979, pp. 62-66. 330 Le origini della casa editrice Einaudi 46 da Gastone Manacorda, si proponeva di mettere in cir- colazione quegli elementi di conoscenza della realtà sovie- tica che erano stati impediti dal fascismo, il quale — si ricordava nella Presentazione, alludendo anche all’« oppo- sizione » liberale durante il regime — « andò oltre la gros- solana propaganda calunniatrice e, studiandosi di fuorviare gli intelletti dalla conoscenza del vero con tutti i mezzi pit subdoli, diede diritto di cittadinanza, con benevola tolle- ranza, a tutto ciò che fosse antisovietico anche se fuori del- l’ortodossia reazionaria » *7. E, pur svolgendo un’opera di acritica esaltazione delle realizzazioni sovietiche — pubbli- cando ad esempio alcune pagine de I/ sistema finanziario dell’URSS di Michail Bogolepov che apparirà nel 1947 nelle edizioni Einaudi —, o di passiva presentazione di opere come la Storia del partito comunista (bolscevico) dell'URSS, della quale Manacorda faceva proprio anche il giudizio sui « germi controrivoluzionari » presenti in Trotzki anche quando egli era « apparentemente rivoluzionario » ®*, « La cultura sovietica » si preoccupò soprattutto di mettere in circolazione, tramite Ettore Lo Gatto e Angelo Maria Ripel- lino, la letteratura russa contemporanea. Né è senza signi- ficato che l’articolo di apertura della rivista fosse affidato a un intellettuale azionista, la cui recente polemica con lo storicismo crociano non era priva di elementi retorici, come Guido De Ruggiero, teso a dimostrare la necessità di « ele- vare la politica alla cultura » per superare ogni chiusura nazionalistica, e pronto a riconoscere che nell’Unione Sovie- tica « s'è compiuta nell’ultimo trentennio la più profonda trasformazione che la storia ricordi, e dal cui contatto con 352 Ma, si continuava, il tentativo non riusci: « ognuno ricorda quale interesse quel mondo abbia sempre suscitato da noi; come avidamente si leggesse fra le righe di testimonianze settarie e antisovietiche, le sole cui fosse concesso il privilegio della pubblicazione o della traduzione; come rapidamente si esaurissero quelle poche opere, generalmente tradotte dalla produzione di altri paesi, ispirate ad obiettività d’informazione e a serenità di giudizio, che qualche editore coraggioso riusciva di tanto in so) a mettere in circolazione » (« La Cultura sovietica », I (1945), pp. 5-6). 353 « La Cultura sovietica », I (1945), pp. 196-197. 331 Il fascismo e il consenso degli intellettuali la civiltà occidentale potranno scaturire altri mutamenti non meno profondi » ** Sempre con l’intento di combattere la pretesa « neutra- lità » della cultura, in quanto tale ritenuta anch’essa respon- sabile della nascita e dello sviluppo del fascismo, usciva il 15 aprile 1945, sotto la direzione di Carlo Salinari, « Risor- gimento »: decisa a operare « dentro la mischia », la rivista voleva essere organo non di un gruppo, ma di una tendenza, « organo di cultura di una società aperta e progressiva », unificante intellettuali di fedi diverse che si erano trovati uniti nella lotta antifascista °°. « Risorgimento », scriveva Salinari a Vittorini il 25 maggio, « vuol essere una rivista d’incontro delle correnti progressive della cultura italiana: ma, sorta fra un cumulo di diffidenze ed energicamente sabotata dal PdA, deve naturalmente nei primi numeri avere un carattere un po’ vago, se vuol mantenere la sua linea e non diventare una rivista di partito. Noi qui a Roma ci troviamo di fronte a difficoltà che voi forse neppure concepite! »; e, nonostante Vittorini fosse invitato a « iniet- tare nella [...] rivista del buon sangue del Nord » **, que- 35 G. De Ruggiero, Cultura e politica, in «La Cultura sovietica », I (1945), pp. 9-10. Su De Ruggiero, « fra le pit caratteristiche espressioni delle ambiguità e delle incertezze degli “intellettuali” italiani della prima metà del secolo », cfr. E. Garin, Intellettuali italiani del XX secolo, cit., in particolare pp. 105-106. « È un fatto — si aggiungeva — che non s'è avuta in Italia una cultura dichiaratamente fascista e c'è chi si vanta di questa impermeabilità come di un’anticipata condanna del fascismo. Ma la verità è che di fronte al fascismo non bastava assumere un atteggiamento di distacco fra sde- gnoso e prudente ma bisognava lottare apertamente in difesa di una col- lettività spinta sempre più verso la schiaviti e la rovina » (Presentazione, in « Risorgimento », I (1945), pp. 3-4). 35 AE, Vittorini: «Non appena potrà prendere la sua reale figura », continuava Salinari, la rivista avrebbe dovuto, fra l’altro, sostenere la -«« democrazia progressiva » e l’« antinazionalismo », e « promuovere, per quanto è possibile, una letteratura maggiormente legata alle aspirazioni delle masse popolari». Il 9 luglio 1945 Salinari scriveva a Vittorini di essere stato incaricato da Einaudi di «raccogliere il materiale per il Politecnico » utilizzando l’organizzazione di « Risorgimento », e faceva proposte di collaboratori anche se, aggiungeva, « dubito che vi sia oggi in Italia un numero d'’intellettuali tanto progressivi da poter alimentare una rivista del genere. Per lo meno nell’Italia centro-meridionale » (ibi- dem). In un verbale del 6 giugno 1945 relativo ad una riunione per « Risorgimento », si dice: « Onofri vorrebbe che la rivista si decidesse ad n 332 Le origini della casa editrice Einaudi sta mantenne il suo carattere « vago » ed eclettico che la espose alle critiche di « Società » *”: condizionata dalla realtà della lotta politica, che rendeva sempre meno efficaci gli appelli all’unità della Resistenza, la rivista finî col quinto numero del 1945, senza poter realizzare il programma pre- visto per il momento in cui essa avrebbe potuto « prendere la sua reale figura ». Cosi, all’articolo di apertura su L'Italia e la democrazia di Sturzo, per il quale « chi potrà operare la rinascita e la redenzione del proprio paese non sarà né un uomo né una classe, ma tutto il popolo animato dal sof- fio di un ideale e dalla forza di una volontà » **, seguiva l’Esperienza di Spagna di Togliatti; assieme alle testimo- nianze sul fascismo e sulla Resistenza, apparvero articoli di Salvatorelli sui rapporti Italia-Jugoslavia o su Weimar, come di Grifone sul problema bancario. Tuttavia nelle note e nelle recensioni — di Salinari, Cantimori o Giolitti — le prese di posizione erano più omogenee: a proposito del dibattito sui rapporti fra liberismo e liberalismo veniva negata l’identificazione operata da Luigi Einaudi, per affer- mare che « la libertà politica può essere garantita anche da una economia pianificata e collettivistica » *°, mentre nella polemica fra De Ruggiero e Croce sullo storicismo si inter- assumere un tono più polemico nei confronti delle altre tendenze e delle altre riviste » (AE, Corrispondenza editoriale Torino-Roma 1945). 357 « Risorgimento » ha un carattere antologico, affermavano G. Pie- raccini e R. Bilenchi: «manca appunto quello sforzo collettivo uni- tario che forma lo spirito di una rivista. Anche il carattere progressista di questo periodico non riesce ad affermarsi con un serio contributo » (« So- cietà », I (1945), p. 305). Nell’Archivio privato di Felice Balbo si trovano degli « Appunti per “Risorgimento” », senza data e non firmati, ma dove è rilevabile la mano dell’esponente cattolico-comunista: « Concetto infor- matore: dopo l'oppressione della tirannia fascista il Risorgimento riprende il suo cammino nazionale nelle nuove condizioni obiettive sociali, cioè avendo come spina dorsale, la classe operaia nella sua storica funzione di classe di governo e classe nazionale; il Risorgimento continua vera- mente solo su questa strada. Funzione della nuova classe dirigente rispetto agli intellettuali ed ai tecnici. Funzione degli intellettuali con la nuova classe dirigente nella costruzione della democrazia progressiva post-fascista. In una frase il concetto è: pianificare e articolare la rivo- luzione come è pianificata e articolata la reazione ». Segue una esempli- ficazione assai puntuale del contenuto « ideale » della rivista. 358 « Risorgimento », I (1945), p. 8. 359 C.S. [Carlo Salinari], Libertà politica e liberismo economico, in « Risorgimento », I (1945), p. 95. 333 Il fascismo e il consenso degli intellettuali veniva per sostenere la necessità che la filosofia crociana fosse « superata da uno storicismo che affondi le radici più profondamente nel movimento dialettico della storia degli uomini, da uno storicismo che non sia appannaggio del conservatorismo, ma potente leva di una società nuova. Ma che sia sempre storicismo, immanentismo assoluto » *° E sulle pagine di « Risorgimento », nel fascicolo del 25 luglio, con la Lettera a un intellettuale del Nord Fabrizio Onofri preannunciava i termini del dibattito sulla « nuova cultura » che si aprirà su « Il Politecnico » il 29 settembre, rivolgendosi a Vittorini per affermare la necessità che un intellettuale veramente progressivo, e perciò in primo luogo antifascista, oggi come ieri debba necessariamente militare, se non in questo o in quel partito, certo al fianco di quelle forze sociali organizzate che più e meglio garantiscono l’abolizione dalla vita nazionale di tutte le forme di oppressione fascista; debba cioè neces- sariamente « occuparsi di politica », che è ora il modo migliore di occuparsi della propria sorte di intellettuale, ossia badare a che non si ricreino sulla sua terra le condizioni di schiavità in tutti i campi che contrassegnavano il fascismo, e che si creino invece le condizioni politiche e sociali di quella libertà di cui egli ha bisogno anche e proprio come intellettuale ?9, Ci è parso opportuno accennare alle riviste meno cono- sciute del Fronte della cultura, per rilevare l’ampiezza delle iniziative della casa editrice tese, in accordo col PCI, a mantenere aperto, nel primo biennio post-bellico, un dia- logo con tutte le forze democratiche, anche a prezzo di dis- sonanze e di polemiche interne; ciò vale — pur con una sfasatura cronologica — anche per le più note e discusse ri- viste edite in quel periodo da Einaudi: « Società », nata con una propria fisionomia autonoma e critica — tanto che l’intransigenza di Luporini o di Cantimori verso il crocia- nesimo creò motivi di frizione con « Rinascita » —, e solo alla fine del 1946 sottoposta a un pi rigido controllo del partito *; e « Il Politecnico » che, invece, solo con la nuova 36 C. S. [Carlo Salinari], Lo storicismo, in ibidem, p. 96. 361 F. Onofri, Lettera a un intellettuale del Nord, in ibidem, p. 327. 362 Cfr. ora, pur senza i necessari approfondimenti, G. Di Domenico, Saggio su « Società ». Marxismo e politica culturale nel dopoguerra e negli 334 Le origini della casa editrice Einaudi serie mensile inaugurata il 1° maggio 1946 passerà dall’in- genuo dogmatismo del direttore a quella rivendicazione di indipendenza e « apertura » che fu criticata da Togliatti come « ricerca astratta del nuovo, del diverso, del sorpren- dente » *#. Ma al nostro discorso interessa soprattutto notare che motivi di polemica antivittoriniana erano pre- senti all’interno della stessa casa editrice, tali da investirne l'orientamento complessivo nei suoi rapporti col partito comunista. Il 21 maggio 1945 Pavese scriveva a Einaudi, anche a nome di Balbo, che Vittorini e Giansiro Ferrata avevano radici troppo fonde in Milano per poterli einaudizzare, cioè piemon- tesizzare. Vittorini sarà l’uomo del Nuovo Politecnico, edizione Einaudi, organo del Fronte della Cultura, e del relativo bollettino, stampati entrambi a Milano; Ferrata darà consigli specialmente sui libri marxisti in cui è ferratissimo [...]. Io invece, sino a nuovo ordine, approvo l’eclettismo politico che la Casa conserva. Se mai, sulla purezza d'orientamento giudichi uno solo (per esempio Balbo, incorruttibile) non tutti i cani e porci che, muniti di tessera, salte- ranno fuori, anni cinquanta, Napoli, Liguori, 1979. Nello stesso senso la testimonianza di Cesare Luporini riportata da N. Ajello, Intellettuali e Pci, cit., p. 71. A Einaudi, che il 3 maggio ’45 si era offerto di diffondere «Società » a Roma e nell’Italia centro-settentrionale, il 22 maggio Luporini rispon- deva accettando, e affermava che la rivista aveva «carattere di alta cul- tura, anche se non strettamente tecnico, organica e decisa nella tendenza, ma del tutto aperta quanto ai problemi e agli argomenti presi in consi- derazione » (AE, Luporini). Nelle «condizioni » poste da Einaudi, si diceva al punto 3: «La Casa propone di stabilire un collegamento reda- zionale tra “Società” e gli altri periodici della Casa, attraverso Carlo Salinari, responsabile editoriale delle riviste della Casa» (l'editore a Bianchi Bandinelli, 7 luglio 1945, in AE, Bianchi Bandinelli). 363 Ora in P. Togliatti, La politica culturale, cit., p. 80. Su « Il Poli- tecnico » come rivista del Fronte della cultura cfr. M. Zancan, « Il Poli- tecnico » e il Pci tra Resistenza e dopoguerra, in «Il Ponte», XXIX (1973), pp. 994-1010. All’inizio Vittorini si era preoccupato di far appa- rire la rivista legata al PCI: «Bisogna che la Casa Einaudi si faccia conoscere come casa legata al P.C., che “Il Politecnico” sia riconosciuto come settimanale di cultura legato al P.C.», scriveva a Einaudi il 6 luglio 1945 (E. Vittorini, Gli cuni del «Politecnico », cit., p. 11); si comprende come una collaboratrice di Einaudi, Bianca Garufi, cercando di diffondere le riviste della casa editrice, e in particolare «Il Poli- tecnico », in ambiente azionista, si fosse sentita rispondere che «è assurdo pensare ad un interessamento anche minimo del Partito d’Azione per un giornale cosî evidentemente comunista » (a Einaudi, 16 novem- bre 1945, in AE, Corrispondenza editoriale Milano-Roma 1945). 335 Il fascismo e il consenso degli intellettuali concludeva duramente Pavese dopo aver riferito il malcon- tento dei milanesi per la pubblicazione di Ore decisive, le memorie dell’ex sottosegretario di Stato di Roosevelt Sum- ner Welles che nel marzo 1940 aveva cercato un accordo con Mussolini. Einaudi, pur prendendo le difese di Vitto- rini e Ferrata — « È appunto perché essi hanno radici fonde a Milano che a noi interessano » —, ribadiva la sua conce- zione non partitica del fronte culturale: La Casa ormai si è acquistata la fiducia più assoluta negli am- bienti che ci interessano, la nostra linea di attività è stata ampia- mente discussa e trovata la migliore, ed è cosa voluta l’assenza di ogni settarismo, per concorrere col nostro lavoro all’affermazione di quel fronte progressivo aperto, di quella unità, che è indispensabile raggiungere per ragioni politiche, morali e culturali. Questo fronte, ditelo anche a Milano, ove forse c’è ancora un po’ di settarismo, comporta l’iriclusione, sul piano internazionale, anche dei Sumner Welles quando tutti non sono dei Wallace ##, affermava evocando il nome di quello che si stava dimo- strando uno dei più aperti esponenti democratici statu- nitensi. Ma a mettere in crisi il « settarismo » dei milanesi con- tribu probabilmente un intervento di Felice Balbo *, in questo momento forse il più lucido consigliere di Einau- di, interlocutore autorevole sia di Pavese che di Vittorini, e l’unico — a quanto risulta — capace di formulare una visione e un programma complessivi della casa editrice, non senza, tuttavia, elementi di utopia e di contradditto- rietà. Riferendosi in particolare all’articolo di Remo Can- toni su Che cosa è il materialismo storico, apparso sui nu- 364 AE, Corrispondenza editoriale Torino-Roma 1945; Einaudi a Balbo, 26 maggio 1945 (ibidem). Il 18 maggio Balbo aveva scritto a Finaudi: « attento a prendere delle decisioni per il Nord senza esservi presente [...]. A Milano bisogna andare con piedi veloci ma di piombo [...]. Vit- torini è tutt'altro che acquisito » (ibidem). Su di lui cfr. il saggio, assai « interno » e discutibile, di G. Invitto, Le idee di Felice Balbo. Una filosofia pragmatica dello sviluppo, Bologna, il Mulino, 1979; sul movimento cattolico-comunista, cui parteciparono alcuni collaboratori della casa editrice come Mario Motta e Franco Rodano, cfr. C.F. Casula, Cattolici-comunisti e sinistra cristiana (1938-1945), Bo- logna, il Mulino, 1976. 336 Le origini della casa editrice Einaudi meri 2 e 3 de « Il Politecnico », il 20 ottobre 1945 Balbo scriveva a Einaudi che il tutto rappresenta un tentativo un poco mistico, un tentativo di sostituire un mito vecchio con un mito nuovo e quindi è in fondo. antieducativo. Si dovrebbe, mi pare, tendere a formare in tutti i lettori quella mentalità nuova che è scientifica, critica, sperimentale e aperta mentre Politecnico presenta il materialismo storico troppo come una pietra filosofale. Se si deve fare un giornale di cultura e non di propaganda, come credo debba essere anche se prima d’ora lo era solo in parte, è necessario, proprio sui piani di cultura in senso stretto (e in questo caso del materialismo storico), affrontare le critiche, non eluderle dogmaticamente attraverso impostazioni che ripetano le formule in cui il materialismo storico è sorto. Un mate- rialismo storico cosî « affettivo » soffoca ed elude lo stesso sforzo di apertura di Cantoni. A conferma dell’autorevolezza del suo intervento, que- ste critiche saranno fatte proprie dall’editoriale che conclu- deva, il 6 aprile 1946, « Il Politecnico » settimanale: Noi non abbiamo avuto, col settimanale, una funzione propria- mente creativa, o, comunque, formativa. L'altra funzione, la divul- gativa, ci ha preso, a poco a poco, e sempre di più, la mano. Ci siamo lasciati andare ad essa. Abbiamo compilato, abbiamo tradotto, abbiamo esposto, abbiamo informato, abbiamo anche polemizzato, ma abbiamo detto ben poco di nuovo. In quasi tutte le posizioni che abbiamo prese, pur senza mai sbagliare indirizzo, ci siamo limi- tati a gridare mentre avremmo dovuto dimostrare. E troppo spesso abbiamo dato sotto forma di manifesto quello che avremmo dovuto dare sotto forma di studio [...]. Ci siamo trovati cosî a divulgare delle verità già conquistate mentre avremmo dovuto cooperare alla ricerca della verità. Nella stessa lettera del 20 ottobre Balbo allargava il discorso all’attività complessiva della casa editrice, indivi- duandone la carenza di fondo nella mancanza di una precisa strategia di politica culturale: L’ottimismo non è sufficiente alla lotta. Ci vuole positività e 36 AE, Corrispondenza editoriale Milano-Roma 1945. Remo Cantoni propose un Dizionario marxista per aggiornare il lettore « su quel sapere: che è stato oggetto di ricerca e di analisi specifica da parte dei marxisti » (AE, Cantoni). 337 Il fascismo e il consenso degli intellettuali quindi contatto continuo con i dati veri della totale situazione ita- liana. Tra l’altro, Milano, ricordiamolo, è di natura troppo euforica: a Milano, come osservava Gobetti, è possibile ogni avventura, da quella di Marinetti a quella del Popolo d’Italia [...]. Il punto di vista è, malgrado tutto, Roma [...]. In noi c'è ancora troppa men- talità insurrezionalistica e cioè: a) precipitazione; b) estremismo anzi piuttosto « avanzatismo »; c) visione asfittica o almeno sempli- cistica di tutti i problemi sia culturali che politici; d) mancato appro- fondimento del « a che punto siamo » sia politicamente sia, per noi, soprattutto culturalmente [...]. Come conseguenza di una matura- zione mancata o non avvenuta, si scivola, sembra impossibile ma è cosf, su modi e impostazioni ancora fascisti o almeno vecchi. In- somma Einaudi 1945 è in fondo, capiscimi, pit fascista di Einaudi 1940. Proporzionalmente siamo calati di tono invece di crescere; e concludeva individuando un arretramento di posizioni ri- spetto agli avversari e l’incapacità di sfruttare appieno « le grandissime possibilità che abbiamo, in uomini e in possi- bile chiarezza di idee ». Le critiche — e l’apparente paradosso — di Balbo ave- vano la loro ragion d’essere non solo in rapporto al suo idea- le di cultura e al suo modello di una casa editrice « critica- mente » progressista, ma anche, come vedremo, rispetto alle concrete iniziative di Einaudi, che riflettono, in molti casi, un'eredità difficile da superare. Ma in queste ebbe probabil- mente un'influenza lo stesso Balbo, che cercava di coniugare un’analisi ispirata al marxismo con soluzioni di stampo cat- tolico. Il suo concetto dinamico di cultura, che ne vedeva il mutamento col mutare dei rapporti di produzione, e coglieva gramscianamente la lentezza del processo di adeguamento degli intellettuali ai nuovi stadi via via raggiunti dalla socie- tà, invitava — senza i toni ingenui di un Vittorini — a quel- l’avvicinamento fra cultura e realtà che tuttavia — contrad- dittoriamente — il cattolico Balbo riteneva raggiunto in mo- do esemplare nel medioevo, perché « nella sua produzione, sia agricola che artigiana, architettonica o scientifica, nelle ideologie politiche come in quelle religiose, si rivela una sin- golare unità, superiore ai contrasti, che è quella del concetto feudale della proprietà o del nascente diritto comunale ». Al contrario, la cultura contemporanea, gelosa della pro- pria indipendenza e « irresponsabilità » di fronte alla classe 338 Le origini della casa editrice Einaudi dominante e ai processi produttivi dell’epoca industriale, aveva dato luogo, tra le due guerre, a quell’irrazionalismo « che rese possibili tutte le mitologie disumane che hanno vagato e forse vagano ancora, paurose, sui continenti », mettendosi di fatto al servizio dei « privilegiati », per cui « la cultura del capitalismo è scritta sulle facciate delle metropoli moderne, è la grande officina, la produzione cro- nometrata, l’esercito motorizzato, la grande stampa, il cine- ma ». Con un rigore e una violenza intellettuali ben mag- giori dell’editoriale con cui Vittorini apri « Il Politecni- co » — e per il quale questo scritto avrebbe forse dovuto servire da traccia —, l’esponente cattolico-comunista con- tinuava: Rimproveriamo dunque all’idealismo di Croce, all’umanesimo di Thomas Mann e allo spirito « non prevenuto » di Gide, o meglio agli idealismi, umanesimi, cristianesimi, spiritualismi, esistenzialismi ecc. che da quelli provengono (e per quella parte almeno d’essi e dei loro discepoli che vorrebbe farci credere d’aver trionfato con la Carta Atlantica e la bomba atomica) d’essere insufficientemente critica con se stessa e perciò sterile, imbalsamata, defunta — regressiva [....]. Lottare per una nuova cultura intellettuale [...] equivale a lottare per una nuova società e ad affermare — concludeva in conformità con la propria concezione filosofico-religiosa — « il concetto di persona umana o di uomo obbiettivo e origine d’ogni cultura, inteso come l'individuo nella coscienza della propria correlazione col prossimo e delle proprie determinazioni storiche » *?. Nel quadro di questo discorso, nel quale appare decisa- mente superato ogni residuo crociano della sua formazione originaria **, Balbo presentava un « abbozzo di teoria gene- rale di una casa editrice culturale in senso stretto », in cui il notevole sforzo di chiarificazione teorica era finalizzato a 367 F. Balbo, Una nuova cultura, dattiloscritto senza data ma con l'indicazione «per servire alla elaborazione dell’editoriale. Si chiede da 3 lo stile con baffi e favoriti, da falso-Cattaneo » (Archivio privato 0). 38 Diversamente da quanto sostiene G. Invitto, Le idee di Felice Balbo, cit., in particolare p. 29. 339 Il fascismo e il consenso degli intellettuali trovare i mezzi necessari alla promozione degli « essenziali valori dell’uomo » *. 11. La ricerca di un nuovo orientamento e l’eredità del passato Le critiche e le proposte di Balbo — che ritornerà su questi temi insistentemente, fino al suo distacco dal marxismo e dalla casa editrice — miravano ad un fronte « critico » della cultura che lasciava tuttavia ampi spazi per ritorni mistici o più propriamente tomistici, come avvertirà più tardi Bobbio. Ma, nonostante alcuni testi pubblicati portino il segno — esplicito o implicito — della sua pre- senza, fra il suo modello di casa editrice di cultura e gli indirizzi editoriali effettivamente attuati esiste un notevole scarto, non attribuibile soltanto ad una « sordità » dei suoi interlocutori o ad un loro consapevole rifiuto delle sue proposte, ma, soprattutto, alla situazione oggettiva. Il suo progetto editoriale si affidava infatti ai tempi lunghi e non teneva sufficientemente conto — come riconoscerà alcuni anni dopo lo stesso Balbo — dei contrasti ideologici e poli- tici all’interno della casa editrice, del peso della tradizione che questa si era formata nel decennio precedente — di cui Balbo contribui a tenere in vita alcuni aspetti —, e dei reali rapporti di forza esistenti nella vita politica italiana, o del loro rapido mutamento, che portò nel giro di due anni 369 I compiti della casa editrice erano individuati nel « puntare alla egemonia editoriale nel suo genere », e nello scegliere «quelle opere che in se stesse ed in riferimento alla situazione storica che si svolge, siano realmente necessarie o utili a far maturare e sviluppare il potenziale culturale dell’intero pubblico colto »; la « capacità di scelta » della casa editrice si doveva misurare sul piano filosofico e su quello scientifico: « La capacità filosofica significa essere in grado di giudicare i valori cul- turali in sé, secondo la nozione di valore e disvalore, e quindi il saper riconoscere tutti gli essenziali valori dell’uomo, ossia l’essenziale di ciò che è indispensabile alla sua pienezza. La capacità scientifica significa essere in grado di giudicare i valori culturali per riferimento al movimento storico în cui ci si trova, significa quindi comprendere le necessità della rivoluzione » (Appunti sulla casa editrice, dattiloscritto senza data in Archivio privato Balbo). 340 Le origini della casa editrice Einaudi alla rottura dell’unità antifascista e alla guerra fredda, con pesanti riflessi — non certo favorevoli a visioni critiche o problematiche — anche negli schieramenti culturali. Oltre al difficile equilibrio politico fra le varie sedi e fra i diret- tori delle collane *°, all’organico orientamento della casa editrice richiesto da Balbo si opponeva la sua stessa multi- forme attività rilevata da Pavese e da Giolitti, per i quali essa manteneva la caratteristica originaria di « eclettica officina di cultura » — « non c'è altro editore in Italia che copra un campo cosi vasto » ”! —, moltiplicando contrasti e contraddizioni: ad esempio, mentre la redazione romana « si oppone energicamente » e con successo alla pubblica- zione dei Cinquant'anni di vita intellettuale italiana in onore di Croce proposta da Carlo Antoni, l'edizione delle Lezioni di filosofia di Guido Calogero vede la netta opposi- zione di Pavese, Balbo e Giolitti, ma l'approvazione — vin- cente — di Bobbio”. Nei volumi pubblicati nell’imme- diato dopoguerra possiamo del resto constatare, accanto ad una notevole opera di sprovincializzazione della cultura ita- 30 Il 6 agosto 1945 Einaudi inviava a Pavese un « Pro-memoria della Direzione » inteso a riorganizzare il lavoro editoriale: Pavese e Vittorini consulenti, Natalia Ginzburg vice-consulente per « Poeti», « Narratori contemporanei », « Giganti », « Narratori stranieri tradotti »; Pavese e Vittorini consulenti, Balbo vice-consulente per la progettata collana « Cor- rente »; Mila consulente, Pavese e Balbo vice-consulenti per i « Saggi »; Chabod consulente esterno, Manacorda e Giolitti vice-consulenti per « Bi- blioteca di cultura storica » e « Scrittori di storia »; Bobbio consulente esterno, Balbo vice-consulente per « Biblioteca di cultura filosofica »; Ceria- ni consulente esterno, Giolitti vice-consulente per « Biblioteca di cultura e- conomica » e « Problemi contemporanei »; Cantimori consulente esterno, Manacorda vice-consulente per « Biblioteca marxista »; Balbo e Rodano consulenti, Giolitti vice-consulente per « Problemi italiani »; Giolitti e Vit- torini consulenti, Salinari vice-consulente per «Testimonianze »; Vit- torini consulente, Pavese e Balbo vice-consulenti per la « Vittoriniana » che avrebbe dovuto sostituire l’« Universale »; Aloisi consulente esterno, Mana- corda relatore al consiglio per « Biblioteca di cultura scientifica »; Rag- ghianti direttore della « Biblioteca d’arte »; Debenedetti direttore della « Nuova raccolta di classici italiani annotati » (AE, Pavese: dove ci sono altre proposte di Einaudi e la risposta di Pavese del 7 settembre, con alcune osservazioni critiche). 371 Pavese e Giolitti alla Direzione di sede di Roma, 25 ottobre 1945 (AE, Corrispondenza editoriale Milano-Roma 1945). 37 « Pro-memoria per la Direzione Generale » della redazione romana, sulla proposta di Antoni del 22 ottobre 1945, e sulla proposta di Calo- gero del 20 ottobre 1945 (ibidem). 341 Il fascismo e il consenso degli intellettuali liana, motivi di disorientamento, schematiche attualizza- zioni politiche di problemi storiografici, assieme ad ecces- sive cautele e perfino a tendenze conservatrici — se misu- rate sul metro dei propositi enunciati da Einaudi nel 1945 — che i giudizi delle stesse riviste einaudiane, cosi come di « Rinascita », non mancano di mettere in evidenza. Senza ripetere, come in precedenza, quell’analisi a tap- peto dei volumi, e delle relative recensioni, che era indi- spensabile per la produzione del periodo fascista, quando era importante sottolineare anche singole affermazioni sfug- gite alle maglie della censura, ci soffermeremo soltanto sui testi di alcune collane — i « Saggi », la « Biblioteca di cul- tura economica », la nuova serie dei « Problemi contem- poranei », i « Problemi italiani » e la « Biblioteca di cultura filosofica » — che permettono di individuare l’orientamento generale, culturale e politico, della casa editrice all’indo- mani del 1945. Ciò non ci esime, tuttavia, dall’accennare al significato di alcuni titoli delle collane letterarie o stori- che: nei « Narratori stranieri tradotti » apparvero, accanto ai classici, Kafka e Proust, mentre i « Narratori contempo- ranei » si aprirono alla produzione straniera con I/ muro di Sartre — non senza contrasti ” — e con Fiesta e Avere e non avere di Hemingway, il cui carattere « rivoluzionario », rivendicato da Vittorini, era sprezzantemente negato e ri- dotto ad una somma di sensazioni « elementari » ed « egoi- stiche » da Alicata, che giudicò « superficiale » anche i Dieci giorni che sconvolsero il mondo di Reed con cui si 393 «Il libro è indubbiamente molto bello e anche l’ultimo racconto, però può capitare che un pubblico non molto preparato caschi facilmente in equivoco. Forse libro e autore andrebbero presentati. Resta da vedere cosa ha fatto Sartre durante l'occupazione nazista — pare che due o tre suoi libri siano stati pubblicati dalla N.R.F. in questo periodo », si scriveva da Roma all’editore il 4 giugno 1945 (AE, Corrispondenza edito- riale Torino-Roma 1945). Il libro era già stato suggerito da Pintor in una lettera a Pavese del 21 aprile 1943 (in C. Pavese, Lettere 1924-1944, cit. p. 694). Il muro fu denunciato per oltraggio al pudore; il 4 aprile 1947 Pavese ne dava notizia a Corrado Alvaro il quale, in veste di presi- dente del sindacato nazionale scrittori, con lettera a Pavese del 25 aprile si metteva a disposizione della casa editrice: «se non ci difen- diamo, si preparano per noi giorni assai peggiori di quelli sotto il paterno Ministero della cultura popolare » (AE, Alvaro). 342 Le origini della casa editrice Einaudi inaugurò nel 1946 la vittoriniana « Politecnico bibliote- ca » 3. La « Biblioteca di cultura storica », posta sotto la dire- zione di Federico Chabod — e con l’attenta consulenza di Franco Venturi, sensibile in particolare alla produzione storiografica francese e russa ** —, riprese le pubblicazioni con i Saggi sul Risorgimento di Nello Rosselli — con la pre- fazione di Salvemini — per continuare, a testimonianza di un interesse più generale della casa editrice per la « demo- crazia » americana, con America. La storia di un popolo libero di Allan Nevins e Henry S. Commager, e aprirsi quindi alle opere di Mathiez e Lefebvre sulla Rivoluzione francese o, più tardi, alla scuola delle « Annales » con Bloch e Braudel, nonostante l’opposizione di Cantimori 7%, Non possono tuttavia essere sottaciute alcune iniziali cadute di tono della collana, rappresentate dalla ripresa dell’oria- 374 La corrente « Politecnico » (1946), ora in M. Alicata, Intellettuali e azione politica, cit., p. 63. Sempre con Hemingway si apri nel 1947 la collana «I Millenni », dove nel 1948 apparirà Le mille e una notte a cura di Francesco Gabrieli, di cui si suggeriva, per la pubblicità, di mettere in luce il «carattere sociale »: «il libro è sempre stato frain- teso come mondo delle fate e delle meraviglie, mentre, adesso che lo facciamo noi, è ora di vederlo nel suo vero carattere di straordinario documento su una medioevale società agreste, con naturale democrazia tra gli umili (fornai, mendicanti, pellegrini, mercanti, schiavi, donne conculcate ecc.) » (da Roma a Renata Aldrovandi, 14 novembre 1945, in AE, Corrispondenza editoriale Milano-Roma 1945). 375 Numerose sono le proposte in AE, Chabod, Venturi. Il 29 novem- bre 1945 Chabod scriveva a Einaudi di assumersi la direzione della « Biblioteca di cultura storica» e degli «Scrittori di storia », annun- ciando, per le traduzioni, « un piano di lavoro che contemperi opportu- namente biografie e studi monografici, lavori di grossa mole e studi assai più smilzi », in modo da « toccare un po’ tutti i principali problemi della storia europea e nord-americana » (AE, Corrispondenza editoriale Torino- Roma 1945). 376 Parte del giudizio di Cantimori su La Méditerranée di Braudel è riportato da G. Miccoli, Delio Cantimori. La ricerca di una nuova critica storiografica, Torino, Einaudi, 1970, p. 257, che nel cap. XVIII ricostruisce puntualmente la collaborazione dello storico con la casa editrice; nello stesso giudizio, del 1949, Cantimori investiva tutta la scuola delle « Annales »: « non ritengo utile, anzi dannoso, diffondere, per mezzo della traduzione di un’opera cosi ben scritta — brillante, affascinante anche per la sua facilità ed evasività e superficialità di rifles- sione e di concetti — il metodo, o il sistema, o il regime o l’arte o la retorica, chiamateli come credete, del gruppo di L. Febvre, Morazé, Braudel » (AE, Cantimori). 343 Il fascismo e il consenso degli intellettuali nesimo nell’Axzistoria d’Italia di Fabio Cusin ?” e da Robe- spierre e il quarto stato di Ralph Korngold dove, come in altre opere dedicate al giacobinismo, l’intento di rivalutare un movimento politico dimenticato o disprezzato dall’idea- lismo e dal fascismo si accompagna a schematiche e ambigue attualizzazioni — «Si può dire che tanto la dittatura fascista quanto quella comunista si siano servite di un me- todo giacobino perfezionato », affermava Korngold ?*, La concezione della storia come elemento costitutivo dell’educazione civile continuerà tuttavia a caratterizzare la collana: assai significativa in questo senso — e degna di essere citata per esteso — è l'offerta a Cantimori di scrivere una storia d’Italia dal punto di vista marxista. E altrettanto significativo è che portatore — e ispiratore, assieme ad Einaudi — della proposta fosse proprio quel Balbo che abbiamo visto tanto cauto rispetto a pericolose fughe in avanti: L'Italia manca fino ad oggi di un’opera storica marxista nel senso più profondo ed esatto che dia la reale fisionomia della sua storia dall’indipendenza ai giorni nostri — scriveva Balbo a Cantimori il 27 giugno 1947 —. Questa mancanza si fa duramente sentire oggi non solo nel campo degli studiosi ma soprattutto nella scuola e addi- rittura nella vita politica. Non è esagerato affermare infatti che questa mancanza è in qualche modo determinante dello stesso svi- luppo democratico del nostro paese. L'azione concretamente ideo- logica da parte delle forze progressive sta diventando sempre più necessaria: il proletariato non ha di fronte a sé soltanto, ad esem- pio, il problema meridionale, ma anche il problema cattolico e il problema crociano che sono poi aspetti dello stesso problema meri- dionale [...]. La proposta è questa: non sarebbe possibile rispon- dere ai bisogni rivoluzionari in questo campo? non sarebbe possi. bile cominciare con una Storia dell’Italia moderna o anche solo contemporanea? Potrebbe essere un nutrito Somzzario che desse l’avvio a tutti gli studi particolari e per intanto rappresentasse il 377 Cfr. la recensione di R. Zangheri in « Società », IV (1948), pp. 280-285. Perplessità sulla pubblicazione del volume avanzarono sia Chabod (lettera a Giolitti del 20 dicembre 1945, in AE, Corrispondenza edito- riale Torino-Roma 1945), sia Salinari (a Giolitti, s.d., in AE, Cusin). 318 R. Korngold, Robespierre e il quarto stato, traduzione di F. Papa, Torino, Einaudi, 1947 (ediz. originale 1941), p. 87. Una volta stampato il libro, ci si rese conto dell’« incongruenza storica e critica » di questa e di altre affermazioni (Balbo a Giolitti, 22 aprile 1947, in AE, Giolitti). 344 Le origini della casa editrice Einaudi canovaccio, la direttiva generale per un rinnovamento dei manuali scolastici. Potrebbe essere invece una grande Storia, a largo respiro, da concretarsi attraverso un lavoro collettivo [...]. Se pensi cosa ha rappresentato il Sommario di storia della filosofia del De Ruggiero nel senso della egemonizzazione borghese della cultura italiana, puoi pensare cosa rappresenterebbe un Sommario storico fatto da te! Ma anche qui non credo che proprio io debba sottolineare a te l’im- portanza di questo lavoro. Voglio solo confermarti che c’è in tutti i compagni, anzi in tutta la cultura italiana, una profonda aspettativa in tal senso?”?, Nell'ambito della casa editrice il marxista Cantimori avrebbe dovuto sostituire il liberale Salvatorelli, ma lo scru- polo scientifico del primo impedî quello che ancora nel 1956 — ricordando un’analoga proposta di Alicata, consi- derata un preannuncio di « Zdanovismo » — Cantimori titerrà un rovesciamento solo ideologico dell’interpretazione crociana, in assenza di studi preparatori **. A un intento educativo immediato risponde invece prima delle altre, anche per la sua maggiore flessibilità, la collana-cardine di Einaudi, i « Saggi », che — assieme alla nuova collana « Testimonianze » — affronta temi di attua- lità politica, da Marcia su Roma e dintorni di Emilio Lussu a Leningrado di Alexander Werth a Fascismo e anticomu- nismo di Lucio Lombardo Radice, che inizia la riflessione su una tematica ripresa dal Lurgo viaggio di Ruggero Zan- grandi *', e presenta uno dei best sellers del tempo, Cristo 379 AE, Cantimori (Balbo parlava anche a nome di Einaudi); sempre il 27 giugno 1947 Einaudi scriveva a Giolitti di « una Storia d'Italia degli ultimi cento anni che noi vorremmo far fare a Cantimori inchiodandolo per uno, due, tre, dieci anni a tavolino per costruire il monumento più importante che in questo momento gli studiosi devono impostare: quello IR ST della storia d’Italia, soprattutto di quella ultima » (AE, jolitti). 380 Pro e contra, in « Movimento operaio », VII (1956), p. 330. 381 In questo quadro Balbo propose — trovando favorevoli Giolitti, Salinari, Manacorda e Pavese — un’opera collettanea su La guerra di liberazione in Italia, con documenti, testimonianze, biografie ecc., che sarebbe servita « alla nazione italiana per una migliore conoscenza del pi grande moto popolare che la sua storia ha fino ad oggi avuto; e per una esatta valutazione di quelle che sono state le vere forze della liberazione popolare e che sono le vere forze del suo avvenire (si vedranno finalmente quelli che hanno lottato e quelli che sono compatsi solo a oa alla consulta) » (AE, Corrispondenza editoriale Milano-Roma 1945). 345 Il fascismo e il consenso degli intellettuali si è fermato a Eboli di Carlo Levi, denuncia efficace — no- nostante le riserve di « Società » °° — di quella realtà che contemporaneamente, nei « Problemi italiani », era argo- mento della Rivoluzione meridionale di Guido Dorso, già apparsa nel 1925 nelle edizioni Gobetti. E mentre un volu- me molto caro a Cajumi, La crisi della coscienza europea di Hazard, rientra nell’interesse per l’illuminismo manife- stato dalla casa editrice fin dai suoi esordi, il nuovo clima di libertà permette la realizzazione di progetti già in can- tiere negli anni del fascismo, come la Congiura per l’egua- glianza o di Babeuf di Filippo Buonarroti, il primo, secondo Gastone Manacorda, a fornire una « interpretazione clas- sista della grande Rivoluzione », nonostante la persistenza di quegli elementi utopistici ** che non erano invece tenuti presenti da Giuseppe Berti nella presentazione del Filippo Buonarroti di Samuel Bernstein: tesi entrambi, autore e prefatore, ad attualizzare oltre il lecito il significato del giacobinismo — « Buonarroti fu, con Babeuf, uno dei grandi precursori di Marx e di Engels » **. Ma un motivo che ci preme segnalare — a testimonianza di un’altra e più profonda continuità col decennio prece- 382 Gianfranco Piazzesi, pur affermando che era «uno dei pochi libri dove abbiamo potuto apprendere qualcosa sulla “questione meri- dionale” », notava che Levi « resta sempre spettatore, intelligente quanto volete, ma di un’altra classe, rispetto a questi contadini, e non sa mai trovare il modo di farli parlare sinceramente, come si parla da pati a pari, perché manifestino le loro riposte esigenze» (« Società, II (1946), p. 260). 38 F. Buonarroti, Congiura per l'eguaglianza o di Babeuf, introdu- zione e traduzione di G. Manacorda, Torino, Einaudi, 1946, pp. XVII, XX. La proposta di pubblicare Buonarroti e Babeuf era stata rilanciata anche da Vittorini nella prospettiva di un rinnovamento dell’« Univer- sale » dove — scriveva a Einaudi il 3 luglio 1945 — « potremmo inclu- dere anche autori antichi ma che segnino un punto nella evoluzione del pensiero progressista » (E. Vittorini, Gli anni del «Politecnico », cit., . 8). È 34 S. Bernstein, Filippo Buonarroti, traduzione e prefazione di G. Berti, Torino, Einaudi, 1946, pp. 61-62; il saggio era apparso nel 1942 ne « Lo Stato operaio ». Cfr. le critiche di Sergio Romagnoli in « Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa», lettere, storia e filosofia, s. II, vol. XVI, 1947, fasc. I-II, p. 103. Ancora nel 1948 Bernstein pub- blicò su «Società » un articolo su Buonarroti storico e teorico comu- nista, affermando che il giacobino italiano «si avvicina di molto al socia- lismo scientifico » («Società », IV (1948), p. 383). 346 Le origini della casa editrice Einaudi dente — è la permanenza dell’interesse per la tematica religiosa, sostenuto ora da nuovi collaboratori cattolici della casa editrice che affiancano Balbo, come Franco Rodano e Mario Motta. Questo interesse ha varie manifestazioni: supera ogni misticismo nella riflessione di Balbo — L’uomo senza miti e Il laboratorio dell’uomo —, teso a indicare, in un altro momento di profonda crisi di valori, il fallimento della filosofia tradizionale e la necessità di nuove « formule di liberazione » dell’uomo, che non lo isolino dal contesto storico-sociale *°; ha un’intonazione nettamente spiritualista in Che cos'è il personalismo? di Emmanuel Mounier; si pre- senta a sostegno di un vasto e generico affresco « alla Hui- zinga », in cui la realtà storica è piegata alla dimostrazione di una tesi — secondo la quale, nella deprecata età del pro- gresso tecnico, « il cammino della secolarizzazione della cul- tura non può essere percorso sino all’estremo » — nel Profilo d’un umanesimo cristiano di H. W. Riissel, che in- vitava a ricucire la frattura fra umanesimo e cristianesimo operata dalla Riforma, facendo propria quella che gli pareva « la grande verità della teologia umanistica », la non anti- teticità della filosofia greca e del cristianesimo: tesi non con- divisa nella prefazione postuma di un intellettuale dalla tormentata vicenda culturale e politica come Giuseppe Rensi — che pur aveva proposto e curato il volume nel 1940 —, mentre Bobbio riconosceva «la necessità e la perennità di un umanesimo cristiano » per combattere la « filosofia della crisi » originata da Kirkegaard ®*. 385 Pur riconoscendo ne L’uomzo senza miti il tentativo di liberarsi dalla spiritualità dello storicismo immanentistico di Croce, Ludovico Geymonat riteneva dogmatico il metodo di ricerca di Balbo (« Rivista di filosofia », terza serie, I (1946), pp. 86-88); cfr. anche le critiche di Croce, ora in Nuove pagine sparse, serie seconda, Napoli, Ricciardi, 1959, pp. 157-160. 38 H. W. Riissel, Profilo d’un umanesimo cristiano, traduzione di G. Rensi, Torino, Einaudi, 1945 (ediz. originale 1940), pp. IX, 2. Nel 1940 la pubblicazione del volume era stata impedita dalla censura; Rensi pro- pose anche la traduzione di Platonismus und Christentum di C. Ritter (AE, Rensi). La recensione di Bobbio è in « Rivista di filosofia », n.s., IV (1945), pp. 101-103. Nel 1949 Cantimoti, in un parere editoriale su Erasmo e il Rinascimento di Siro A. Nulli — che sarà pubblicato da Einaudi nel 1955 —, dichiarerà di condividerne le idee, « tanto per quel che riguarda le interpretazioni del pensiero e della attività di Erasmo, 347 Il fascismo e il consenso degli intellettuali Alla tematica religiosa si volge anche l’interesse dei « laici »: è del 1949 la proposta di Remo Cantoni — accet- tata da Balbo ma poi non realizzata — del volume Critiche allo spiritualismo *"; del 1950 Nuova socialità e riforma religiosa di Capitini — il cui liberalsocialismo era presen- tato come una concezione sociale e religiosa « postcomu- nista » —, proposto da Cantimori come « opera importante per la storia religiosa-politica e culturale del periodo 1926- 1944 e oltre: come cronaca, documentazione, e storia del- l’unico movimento antifascista e anticlericale autoctono e- spontaneo nel terreno italiano dopo il fascismo, consape- volmente diverso dal comunismo, ma mai anticomuni- sta » **. Antonio Banfi, formatosi alla scuola di Martinetti, presentò inoltre il progetto di una « Collana di studi reli- giosi », che si sarebbe proposta di far conoscere in Italia a un pubblico più vasto dei consueti centri di cultura religiosa, sia cattolici che di altre confessioni, quelle opere, per lo pi recenti, che testimonino di una problematica viva e nuova nel campo del pensiero religioso; opere che si propongono tutte un mutamento sensibile nella considerazione del rapporto fra singolo e collettività appunto in relazione con una differente valutazione dei principi della confessione di fede; opere che propongono infine, quanto per quel che riguarda la severa critica allo Huizinga, al Toffanin, al Riissel, e compagnia. Si tratta di un energico richiamo alla realtà storica di quel che furono, in quanto affermazione di idee nuove e critica di una Fiserggi storica culturale, l’'Umanesimo e il Rinascimento » (AE, Can- timori). 387 Cantoni a Balbo, 13 aprile e 24 giugno 1949: «La critica allo spiritualismo teologico e metafisico è il grande tema culturale degli ultimi cento anni. Vorrei presentare criticamente tutte le variazioni storiche sul tema, da Feuerbach a Marx, da Kirkegaard a Stirner, arrivando fino alla filosofia contemporanea. E si tratta di ricostruire le ragioni sociali per le quali muta la sensibilità metafisica » (AE, Cantoni). 388 A. Capitini, Nuova socialità e riforma religiosa, Torino, Einaudi, 1950, pp. 26-27; Cantimori a Einaudi, 12 gennaio 1949 (AE, Cantimori). Nel 1946 Capitini aveva proposto «un volume quasi pronto » su Anti- fascismo della non violenza e della non menzogna a Pisa nel ’32 ed uno, già terminato, dal titolo Saggio sul soggetto della storia — anche questo non accettato, ma preso in visione per consiglio di Cantimori —, in cui conduceva «un'indagine oltre lo storicismo crociano per accertare l’autentico soggetto, collettivo e corale, della storia, per fondare quella che io chiamo la compresenza di tutti alla produzione del valore; pro- blema nel quale rientra quello sociale e quello religioso » (Capitini a Giolitti, 13. gennaio 1946, e a Einaudi, 14 luglio 1946, in AE, Capitini). 348 Le origini della casa editrice Einaudi tutte, una precisa presa di posizione per il credente, in ordine alla vita politica: opere ispirate allo storicismo — e si facevano i nomi di Newman, Blondel, Barth, Jiger, Troeltsch, Weber — e che, si specificava, prevedono una rottura con le forme tradizionali di direzione politica definite dalla autorità della Chiesa come le sole possibili e conse- guenti ed anzi prevedono un mutamento radicale di prospettiva in tal senso consentendo al credente la più ampia libertà di ricerca della propria prospettiva politica e la possibilità di affiancare la pro- pria azione a quella di forze politiche progressive di ideologia dif- ferente 599, La presenza di queste riflessioni e di queste proposte relative a tematiche religiose, se da un lato si collegano a un filone già presente nella casa editrice, dall’altro testimo- niano l’attenzione che in questo periodo i comunisti dedi- cano al problema cattolico. Non bisogna tuttavia dimenti- care che, contemporaneamente, una visione tradizionale del cristianesimo è il punto di riferimento obbligato di quegli intellettuali che — sulla falsariga di Huizinga — lamen- tano le degenerazioni della politica e del progresso contem- poranei per riproporre un assetto conservatore della società. È il caso de Le democrazie alla prova di Julien Benda — un libro la cui edizione francese era positivamente recensita su « Società », con qualche appunto sul tono aristocratico e moralistico dell’esponente della « letteratura della cri- si » °® —: se nel momento in cui fu scritto (1941) si giusti- ficava nel suo assunto principale, sostenendo che le demo- crazie, più deboli in guerra dei totalitarismi, debbono difen- dersi anche a costo di limitare le libertà — « un popolo veramente libero è tanto più grande quanto più sa ridurre le sue libertà » —, si faceva poi forte delle argomentazioni di Constant, Kant e Spencer contro quelle di Bonald, De Maistre, Hegel, Nietzsche e Marx — tutti accomunati come %° A Banfi, che accettò, Balbo chiese nel 1947 di fare la prefazione agli Scritti teologici giovanili di Hegel previsti per la collana filosofica (AE, Banfi). 39 Recensione di Vezio Crisafulli, in « Società », I (1945), pp. 267-269. 349 Il fascismo e il consenso degli intellettuali antidemocratici — per affermare che « i principi democra- tici sono dei comandamenti della coscienza, e non già degli insegnamenti dell’esperienza e del costume »; di origine socratico-cristiana, la democrazia era realizzata solo in Sviz- zera e negli Stati Uniti, e non sopportava « abusi » del prin- cipio egualitario come il suffragio universale, osservava Benda, per concludere che « lo sviluppo di qualsiasi orga- nizzazione terrena importa sempre qualche violenza contro i comandamenti divini di giustizia e di libertà »: « il filo- sofo non può riporre le sue speranze se non in quei sistemi, come il cristianesimo, omogeneo in questo alla democrazia, i quali dell’uomo non glorificano altro che la sua natura divina » ?!, A fini decisamente reazionari il cristianesimo era utiliz- zato ne La crisi sociale del nostro tempo di Wilhelm Ropke, l'economista teorico della « terza via », « in tante cose affine al Croce e dal Croce assai pregiato » per il rifiuto del concetto e del termine « capitalismo », come osservava Cantimori *. Nel volume, uscito originariamente nel 1941 e già in traduzione presso Einaudi prima del 25 luglio ’”, l’autore criticava « le incomparabili conquiste meccanico- quantitative della civiltà tecnica » per lamentare, in una società caratterizzata dalla grande industria e dalla concen- trazione delle proprietà, la decadenza del cristianesimo — « una delle più formidabili forze costruttrici della nostra civiltà, da essa inseparabile » — e della famiglia, oppure « la diserzione delle comunità rurali e la decadenza del vil. laggio a favore della città e dell’urbanizzazione e commer- cializzazione della campagna stessa ». Una critica che ricorda il leit motiv di Luigi Einaudi — difesa della piccola pro- 39 J. Benda, Le democrazie alla prova. Saggio sui principi demo- cratici, traduzione di G. Crescenzi, Torino, Einaudi, 1945, in particolare pp. 6, 25, 40, 51, 58, 87, 96-97, 157. 392 D. Cantimori, Studi sulle origini e lo spirito del capitalismo, pub- blicato su « Società » nel 1946, ora in Studi di storia, Torino, Einaudi, 1959, p. 130. 393 In una lettera del 2 luglio 1943 alla sede romana, l’editore scri- veva di iniziare la traduzione del volume di Répke, affidandola a Ernesto Rossi (AE, Corrispondenza editoriale Torino-Roma 1941-1944); scrivendo a Pavese il 9 agosto 1943, Pintor giudicava il volume «di grande attua- lità » (AE, Pintor). 350 Le origini della casa editrice Einaudî prietà contadina e condanna del « gigantismo » economi- co —, e da cui Ropke partiva per indicare una « terza via » o « umanesimo economico » — il modello era individuato nella Svizzera —, che si risolveva in pratica nella ripro- posta del liberismo classico in opposizione al socialismo °*: era quanto notava Cantimori, ricordando che le lodi rivolte all'autore nel 1942-43 da Luigi Einaudi e da Croce « furono uno degli ultimi episodi più notevoli, data la personalità degli autori, della lotta intellettuale condotta sotto il do- minio del fascismo dal gruppo “crociano” e diretta da una parte contro il fascismo e dall’altra contro il comuni- smo » °?. Un liberalismo, quello del futuro collaboratore de « Il Mondo », che sarà messo in dubbio da Togliatti, per il quale era solo una mascheratura dello « sconcio ghigno hitleriano » **. Del resto, se consideriamo i volumi pubblicati fino al 1946 nella nuova serie dei « Problemi contemporanei » — nella quale non aveva più diretta influenza Luigi Einaudi — e nella « Biblioteca di cultura economica » — che secondo Balbo e Giolitti avrebbe dovuto avere un carattere « non istituzionale e teorico, ma storico-informativo » #” —, pos- 34 W. Ropke, La crisi sociale del nostro tempo, traduzione di E. Bassan, Roma, Einaudi, 1946, pp. 7, 12-13, 22-23, 32, 34-35. 395 Nella recensione a Civitas Humana di Répke, pubblicata su « So- cietà » nel 1946, ora in Studi di storia, cit., p. 715. Luigi Einaudi aveva visto rispecchiate le proprie idee di politica economica nel volume di Ropke, mosso dall’intento di « salvare la civiltà occidentale dall’avvento di una democrazia livellatrice e collettivistica » (Economia di concorrenza e capitalismo storico. La terza via fra i secoli XVIII e XIX, in « Rivista. di storia economica », VII (1942), n. 2, pp. 49-72). 3% Il giudizio di Togliatti, del 1952, è citato da N. Ajello, Intellettuali e Pci, cit., p. 259; già nel 1947, in una recensione di Bilancio europeo del collettivismo pubblicato nei Quaderni di «Rinascita liberale », si osservava su «Rinascita »: «se i liberali tedeschi non sono mai stati altro che questo, si capisce benissimo come la Germania sia sempre stato un paese reazionario e con tanta facilità abbia potuto Hitler pren- dervi e tenere il potere » (« Rinascita », IV (1947), p. 271). Dell’« assidua collaborazione » di Ròpke a « Il Mondo », che nei suoi primi anni si ispi- rava al liberismo di Luigi Einaudi, parla P. Bonetti, « I{ Mondo » 1949-66. Ragione È illusione borghese, prefazione di V. Gorresio, Bari, Laterza, 1975, p. 16. 39 Balbo (anche a nome di Giolitti) alla sede di Milano, 10 ottobre 1945 (AE, Corrispondenza editoriale Milano-Roma 1945). È da rilevare, tuttavia, che il 5 febbraio 1946 la casa editrice assicurava Luigi Einaudi 351 Il fascismo e il consenso degli intellettuali siamo notare che Ropke è soltanto la punta estrema di un ‘orientamento che non si oppone drasticamente alla linea liberista: la casa editrice non fa altro che rispecchiare l’arre- tratezza della sinistra nel campo della cultura economica, e la sua rinuncia, in questo momento, a porre in discussione il ruolo dell’iniziativa privata nella ricostruzione ®**. È in- fatti significativo, da un lato, che nel primo biennio post- bellico l’unica voce favorevole alla pianificazione sia quella di Pasquale Saraceno *”, e, dall’altro, che gli studiosi ai quali si guarda con maggiore attenzione siano statunitensi, cosî che il liberatorio « mito » americano di Pavese e di Vitto- rini — temperato negli anni ’30 dalla critica dei liberisti al New Deal rooseveltiano — trova ora una sua realistica traduzione nell’immagine che gli economisti e gli uomini politici americani danno del loro paese, impegnato a supe- rare con la somma delle sue energie individuali la nuova « frontiera » posta dall’eredità della guerra. Cosî, mentre l’opera collettanea di Friedrich von Hayek, N.G. Pierson, Ludwig von Mises e Georg Halm, Pianifi- cazione economica collettivistica (1946), è, come annuncia il sottotitolo — « Studi critici sulle possibilità del socia- lismo » — e il nome del prefatore, Bresciani-Turroni, una decisa esaltazione del liberismo ‘*, a incarnare il nuovo mito riappare Henry A. Wallace, l’esponente democratico che alla fine del 1946 aveva rotto con Truman a proposito della della prossima pubblicazione — poi non avvenuta — di The Road to Serfdom di Hayek: «La nostra Casa, come Lei sa, non persegue un indi- rizzo politico di partito, ma pubblica opere di varie tendenze — da Togliatti a Lippmann a Répke a Schumpeter — secondo la linea già corag- giosamente seguita, nei limiti del possibile, sotto il fascismo » (AE, L. Einaudi). 398 È quanto osserva, anche in riferimento alle edizioni Einaudi, G. Santomassimo, Il dibattito economico, in «Italia contemporanea », XXVI (1974), n. 116, p. 45. 39 Cfr. la prefazione di Saraceno a G. Bienstock, S.M. Schwarz, A. Yugow, La direzione delle aziende industriali e agricole nell'Unione Sovietica, traduzione di P. Saraceno, Torino, Einaudi, 1946 (ediz. origi- nale 1944). 40 Von Mises — tanto lodato, assieme a Robbins e Hayek, da Ernesto Rossi nelle sue lettere del periodo bellico a Einaudi (AE, Rossi) — sarà giudicato da Piero Sraffa « un reazionario antidiluviano » (a Balbo, 23 gennaio 1950, in AE, Sraffa). 352 Le origini della casa editrice Einaudi politica del governo americano verso l’URSS ‘!: in un’ope- retta dall’accattivante titolo Lavoro per tutti dichiarava che gli USA non avevano nulla da temere dal comunismo « se il nostro sistema di libera iniziativa si dimostrerà all’al- tezza delle sue possibilità », e di fronte all’aprirsi di nuovi mercati per l'economia statunitense si mostrava fiducioso che « la guida economica americana potrà recare alla regione del Pacifico un grande vantaggio materiale ed una grande benedizione al mondo » ‘°; e l’esperimento di colonizza- zione interna nella valle del Tennessee che Wallace propo- neva a modello per il mondo intero, era puntualmente esa- minato da David E. Lilienthal in Democrazia in cammino (1946). Un energico richiamo al liberismo, contro i pianifi- catori di qualsiasi colore, fossero fascisti, comunisti, o i sostenitori del « collettivismo graduale » degli Stati demo- cratici, veniva da un altro esponente democratico ameri- cano, Walter Lippmann: ne La giusta società — la cui edi- zione originale era del 1936 — egli si dichiarava debitore della « critica a una economia razionalizzata » svolta da von Mises e von Hayek, ma anche da Keynes — « la cui opera è tutta volta a dimostrare che l’economia moderna può essere regolata senza ricorrere alle dittature ed è com- patibile con istituzioni libere » —, e cercava di dimostrare che la libertà dell'individuo era assicurata dai principi origi- nari del liberismo depurato di quelle degenerazioni che ave- vano portato a processi di concentrazione produttiva — « il principio basilare del liberalismo è [...] che il mercato deve essere lasciato libero di funzionare, ed anzi perfezio- nato, come regolatore principe e primo della divisione del lavoro » —, non senza usare toni apocalittici di sapore puri- tano che ritroviamo in altri esponenti del mondo anglosas- sone: « Gli uomini vivono in un mondo torbido, dove non si guarda più con fiducia alla Provvidenza divina, quale ente regolatore delle cose umane, dove il costume eredi- tato ha cessato d’essere di guida e la tradizione non pi 41 Cfr., per l’attenzione di cui era oggetto da parte comunista, Inter- vista con Wallace, in «l’Unità », 17 aprile 1947. 42 H.A. Wallace, Lavoro per tutti, traduzione di G. Olivetti, Torino, Einaudi, 1946 (ediz. originale 1945), pp. 17, 147. 353 Il fascismo e il consenso degli intellettuali santifica le vie fino adesso battute » ‘*. È lo stesso Lipp- mann che ne La politica estera degli Stati Uniti e ne Gli scopi di guerra degli Stati Uniti (1946) manifesta la sua tendenza democratica sostenendo la necessità di un accordo USA-URSS per il mantenimento della pace mondiale, ma al tempo stesso giustifica l’espansionismo americano e coglie l’occasione per ammonire l’URSS che « per quanto corrette possano essere le nostre relazioni diplomatiche, esse non saranno quelle relazioni veramente buone quali dovrebbero essere, finché nell'Unione Sovietica non saranno state in- staurate le fondamentali libertà politiche e umane » ‘*. 12. La rottura dell’unità antifascista e il rapporto col PCI La spaccatura politica che si ha nel paese nel mag- gio 1947 ha profonde ripercussioni sulla casa editrice, i cui legami col PCI si stringono ulteriormente provocando un sensibile mutamento negli indirizzi culturali. Anche dopo la fine dei governi di unità antifascista, all’interno del PCI non scomparve completamente la prospettiva di una al- leanza con gli intellettuali democratici: se al VI congresso del gennaio 1948 Togliatti invitava a serrare le fila — « La nostra attività ideale non può non avere, come l’attività pratica, l'impronta di partito » ‘ —, nel dicembre dello stesso anno Alicata, pur notando che «la borghesia del nostro paese sta compiendo un tentativo estremo per rior- ganizzare in senso reazionario la cultura italiana, per tra- sformarla ancora una volta in una efficiente barriera ideo- logica contro il marxismo », con la collusione di cattolici e liberali in un « blocco antirazionalista », invitava a « conti- nuare a lavorare per costituire un fronte della cultura il #3 W. Lippmann, La giusta società, a cura di G. Cosmelli, Roma, Einaudi, 1945, pp. 6, 9, 41, 221. Lippmann era autore anche di A Preface to Moradls (1929). 44 W. Lippmann, Gli scopi di guerra degli Stati Uniti, Torino, Einaudi, 1946 (ediz. originale 1944), p. 136. 45 Rapporto al VI congresso del PCI del 5-10 gennaio 1948, in P. Togliatti, La politica culturale, cit., p. 90. 354 Le origini della casa editrice Einaudi più possibile ampio » ‘*. La situazione oggettiva non ren- deva tuttavia immediatamente praticabile, come nel 1945- 46, questa indicazione, e il rapporto privilegiato che si venne istituendo fra PCI ed Einaudi provocò profonde lace- razioni — di cui è esempio la vicenda de « Il Politecnico » — e contrasti interni fra i collaboratori. La casa editrice riuscf comunque a mantenere una sua sfera di autonomia — basti pensare ai settori letterario, storico e filosofico — che le permise di non essere isolata e, al tempo stesso, di non istituzionalizzare il suo legame col partito. Proprio il carattere non ufficiale del suo rapporto col PCI aveva permesso che questo individuasse in Einaudi il canale più adatto, anche se non unico, per diffondere la conoscenza del marxismo nella cultura italiana. La deci- sione di affidare a Einaudi, piuttosto che all’editoria di par- tito, gli scritti di Gramsci, si situa appunto in un quadro che vedeva la pubblicazione, da parte della casa editrice, di testi di Monti, Sforza, Sturzo, Nenni, Togliatti, Grifone e Sereni, e la proposta di edizione delle opere di Salve- mini o, su suggerimento anche di Togliatti, di quelle di Dorso e dei Discorsi di Giovanni Giolitti *”. L’uscita, nel 1947, delle Lettere di Gramsci — che, come osservava 46 M. Alicata, Una linea per l’unità degli intellettuali progressivi, ora in Inzellettuali e azione politica, cit., pp. 81, 84. 40 In una lettera all’editore del 23 gennaio 1947 Muscetta avver- tiva, a proposito di Dorso di cui curerà le opere: « Bada che il Partito Comunista, appena Togliatti avrà visto i manoscritti inediti, desidera farsi promotore dell’edizione »; il 20 settembre scriveva che Togliatti desiderava che fosse Einaudi a stampare Dorso (cfr. anche l'esplicita richiesta di Togliatti a Einaudi del 24 settembre 1947, in AE, Togliatti), e il 1° dicembre si scusava per non aver inviato i manoscritti di Dorso: « Ma non era mica io a tenermeli. Era Togliatti, e ce n'è voluto per riaverli »; il 4 marzo 1949 Giolitti avvertiva l’editore che Togliatti aveva approvato la prefazione alle opere di Dorso (AE, Muscetta, Giolitti). Il contributo di Dorso — morto all’inizio del 1947 — « dal marxismo può essere accettato per essere sisterzato », affermò Franco Rodano (Guido Dorso, in «Rinascita », IV (1947), p. 11). Il 31 ottobre 1946 Muscetta proponeva a Pavese i Discorsi di Giolitti con prefazione di Salvatorelli, e il 16 marzo 1947 gli scriveva: « Giolitti è stato già da tempo gradito dal Togliatti » (AE, Muscetta). Inoltre, il 2 dicembre 1947, Bobbio interpellava Dal Pane per una raccolta di scritti rari o inediti di Labriola, « magari come inizio di una più ampia raccolta dell’opera filosofica e storica del Labriola » (Archivio privato Bobbio). 355 Il fascismo e il consenso degli intellettuali Felice Platone, « sono in buona parte come una introdu- zione generale agli scritti che verranno dopo e ambiente- ranno il lettore meglio di qualsiasi prefazione » —, costituî un inusitato successo editoriale, se nel giugno 1949 la tira- tura era arrivata a 43.526 copie, di cui 37.254 vendute ‘*. Nel 1948 cominciò la pubblicazione dei Quaderni del car- cere, che fu accompagnata tuttavia, da parte della casa editrice, da impazienze e dubbi sulle reali intenzioni del partito, se il 15 maggio 1947 Cantimori poteva scrivere a Einaudi che con quelli della edizione di Gramsci bisognerebbe usare mezzi feroci. Mi han fatto vedere il volume sulla storia degli intellettuali, o com'è il titolo preciso, quello insomma dove si parla di Croce, e dei problemi filosofici: è pronto (a meno di una revisione del dattilo- scritto pessimo), e chi sa perché non lo fanno uscire [...]. Sembra che qualcuno abbia scrupoli per le critiche al Croce che ci sono in quel volume [...]. Ho protestato contro questi scrupoli, con chi voleva sentire e con chi non voleva, Ma che cosa aspettano, che Croce sia morto, per poi farsi dire da qualche stupido che non si è avuto coraggio di pubblicare le critiche Croce vivo? E lo stupido sembrerebbe aver ragione! Appena tornerò a Roma mi butterò alla carica 49. E il 15 ottobre 1948 gli faceva eco Einaudi che, prote- stando con Togliatti per il ritardo del « si stampi » per i quaderni su Gli intellettuali e l’organizzazione della cul- tura, invitava il dirigente comunista a evitare « una tempo- ranea battuta di arresto », essendo 48 AE, Platone. Già il 7 giugno 1945 Togliatti aveva scritto a Einaudi: « siamo perfettamente d’accordo sulle sue proposte riguardanti l’edizione completa delle opere di Gramsci. Vogliamo solo porre due condizioni: 1) Eventuali prefazioni e note di singoli volumi che Ella vorrà pubbli- care in collane particolari, debbono avere la nostra approvazione. 2) La Direzione del P.C.I., pur concedendo a Lei tutti i diritti per questa edi- zione e le successive ristampe, si riserva la proprietà letteraria dell’opera » (AE, Corrispondenza editoriale Torino-Roma 1945). 49 Cantimori a Einaudi, 15 maggio 1947; lo stesso giorno Cantimori scriveva a Balbo: «La Direzione del Partito farebbe meglio a spicciarsi a consegnarvi le opere di Gramsci invece di farle conoscere a spizzico [...], o di avere scrupoli perché si critica Croce »; il 30 settembre 1947 Balbo — su suggerimento di Einaudi — inviava a Cantimori le bozze de // materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce «in via privatissima affinché tu potessi, dando una scorsa veloce, segnalarci eventuali notevoli lacune » (AE, Cantimori). 356 Le origini della casa editrice Einaudi ormai chiaro a tutti che Gramsci serve ai nostri compagni per raf- forzarsi ideologicamente, per imparare a ragionare e a porsi dei problemi, che Gramsci serve agli intellettuali non comunisti per far loro misurare nella sua pienezza la nostra forza ideologica. Non solo, ma è dimostrato che attraverso Gramsci molti intellettuali si avvicinano al nostro partito e, sovratutto, si creano delle alleanze 41°. L’operazione che riusci con Gramsci non ebbe suc- cesso — anche per la difficoltà di trovare i testi originali e traduttori preparati — per il progetto di una « Collana marxista » di cui Einaudi aveva parlato a Lucio Lombardo Radice già il 5 gennaio 1945 ‘, e che nella fase di prepa- razione occupò, fra gli altri, Manacorda, Cantimori, Emma Cantimori Mezzomonti, Luporini, Massolo, Bobbio, Balbo e Giolitti. Su questo terreno si era già impegnata, subito dopo la liberazione di Roma, l’editrice comunista Nuova Biblioteca diretta da Carlo Bernari e per la quale Cantimori era stato incaricato di dirigere la collana « Pensiero sociale moderno » ‘“; l’iniziativa non ebbe tuttavia seguito e, prima che fosse ripresa dalle edizioni Rinascita, alcuni dei cura- tori previsti confluirono nel progetto einaudiano. Ma già nel luglio 1945 la collana veniva definita « minor » ‘, e 40 AE, Togliatti. 41 « Nell’intendimento di soddisfare un’esigenza oggi largamente dif- fusa, la mia casa ha deciso la pubblicazione di una “Collana Marxista” »; a Lombardo Radice Finaudi offriva la cura dell’Indirizzo inaugurale di Marx del 1864 (AE, L. Lombardo Radice). 412 Cfr. G. Manacorda, Lo storico e la politica. Delio Cantimori e il partito comunista, in Storia e storiografia. Studi su Delio Cantimori. Atti del convegno tenuto a Russi (Ravenna) il 7-8 ottobre 1978, a cura di B. V. Bandini, Roma, Editori Riuniti, 1979, pp. 67-70. 413 .Manacorda a Bobbio, 18 luglio 1945; i testi già « in lavorazione », non esistendo più il pericolo di interferire con la Nuova Biblioteca, che «non fa praticamente nulla », erano: Manifesto e scritti preparatori (Emma Cantimori), Guerra civile in Francia (Enzo Lapiccirella), Lotte di classe in Francia (Mario Manacorda), Ideologia tedesca (Arturo Mas- solo e Cesare Luporini), l’Imzperiglismo di Lenin (Bianca Maria Luporini) (Archivio privato Bobbio). Il 10 maggio 1945 Renata Aldrovandi scriveva da Milano a Einaudi che «con Misha {Michele Kamenetzki, che assumerà in seguito lo pseudonimo di Ugo Stille] è stata discussa una collezione di civiltà marxista — raccolta di autori meno classici di quelli del tuo programma ma imperniata sui problemi pit partico- lari e attuali (es. il libro di Sereni sull’agricoltura in Italia, ecc.): questa collana sarebbe costituita in parte con libri che ha Vittorini, e in parte con la critica di libri italiani visti alla luce marxista » (AE, Corrispon- denza editoriale Torino-Roma 1945). 357 I fascismo e il consenso degli intellettuali una circolare editoriale annunciava testi brevi di Marx; Engels, Lenin e Stalin, col sussidio di un commento espli- cativo, per « orientare il lettore verso certi punti fermi del marxismo, e di introdurre allo studio del marxismo, evi- tando quegli accostamenti attraverso materiale di seconda mano finora tanto frequenti e tanto nocivi » ‘*. Il progetto naufragò definitivamente nel dicembre 1946, quando Balbo propose a Giolitti di inserire i vari testi marxisti nelle col- lane esistenti e di farne una scelta accurata in modo da « mantenere le nostre caratteristiche di Casa editrice rivolta a un pubblico abbastanza colto o addirittura di studiosi » ‘. Non mancarono le proteste del PCI per il fallimento della collana, finché nel 1948, in coincidenza con la pubblica- zione del primo testo, Le lotte di classe in Francia di Marx — nell’« Universale » #9 —, Togliatti scrisse a Einaudi che « per i classici io non sarei favorevole a passare a te l'iniziativa editoriale » ‘”. Si registrava cosî un pesante ri- tardo nella diffusione del marxismo, reso evidente, ad esempio, dal fatto che ancora nel 1947 « Rinascita » pub- blicava elenchi di testi di Marx ed Engels, in varie lingue e 414 Circolare s.d. (ibidem). . 45. Balbo a Giolitti, 10 dicembre ’46; nella risposta del 24 dicembre, Giolitti si dichiarava d’accordo (AE, Giolitti). Assai riduttiva era invece la proposta di Muscetta, che per il Manifesto suggeriva «la classica traduzione di Pompeo Bettini e una prefazione di un tipo come Um- berto Morra: proprio adatta al gran pubblico dei non marxisti» (all’e- ditore, 21 giugno 1947, in AE, Muscetta). . #16 Il 5 settembre 1947 Einaudi scriveva a Cantimori che, «in se- guito allo smistamento della ex-collana marxista », aveva proposto a Chabod di includere il volume negli «Scrittori di storia »; Cantimori rispondeva di non essere d'accordo perché le Lotte di classe costituivano «un grande esempio di analisi critica politico-sociale, economico-politica, ma non un libro di storia come invece può essere considerato il 18 Brumaio che tratta lo stesso argomento ma a svolgimento storico con- chiuso »; il 13 settembre Chabod dichiarava a Einaudi di condividere le ‘osservazioni di Cantimori, in quanto l’opera di Marx era « un'analisi politico-sociale, che è al tempo stesso un programma d'azione. Sul genere, insomma, dei Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio del Machiavelli » (AE, Cantimori, Chabod). . 4? AE, Togliatti. Le proteste del PCI per il fallimento della « Col- lana marxista » sono registrate, ad esempio, da una lettera di Gio- litti all'editore del 16 aprile 1947: «Togliatti, impazientito per i ritardi di queste pubblicazioni, ha esortato le edizioni del Partito a pubblicare senza indugi» (AE, Giolitti). 358 Le origini della casa editrice Einaudi in vecchie edizioni, presenti nelle biblioteche italiane. È in questo quadro, di disinformazione e disorienta- mento, che si colloca il « caso » di Gustavo Wetter,. il gesuita austriaco professore al Pontificio Istituto Orien- tale in Roma, autore de I/ materialismo dialettico sovietico. Il libro era stato presentato da Balbo come opera « seria ed onesta, di carattere informativo, filologicamente cor- retta e documentata, compiuta tutta su testi originali non accessibili agli studiosi italiani per molto tempo. Le poche osservazioni critiche, naturalmente condotte con metodo scolastico, sono però sempre intelligenti e non settarie ». Bobbio ne prendeva atto, pur con qualche dubbio, e un anno dopo Cantimori — particolarmente incline a presen- tare come opere « documentarie » i testi di autori spiritua- leggianti, come Capitini o Toynbee — esprimeva il suo parere positivo: « è chiaro che è il libro d’un gesuita e non di un comunista; è un libro utile, per le discussioni e retti- ficazioni che provocherà » ‘. Ma, se Miccoli nota opportu- namente che il libro fu pubblicato un anno dopo questo parere, « in un momento infelicissimo per le “discussioni e rettificazioni”, evidentemente pacate, alle quali pensava Cantimori » ‘, è difficile non cogliere l’atteggiamento patti- giano dell’autore, che nel 1953 dedicherà su « La Civiltà cattolica » un ritratto a Giuseppe Stalin demone dell’antire- ligione. Nonostante l'avvertenza editoriale — che presen- tava l’opera come « informatissima e aggiornata » dichia- rando al tempo stesso un « fondamentale dissenso dalle premesse e dalle conclusioni dell'Autore » —, Wetter affermava infatti che per i sovietici la filosofia era ancella della politica, coglieva una presunta « affinità tra la filo- sofia di Lenin e la filosofia religiosa russa » — « nell’intui- zione d’un nesso e d’un’unità reali in cui fra loro si uni- 418 Balbo a Bobbio, 17 ottobre 1945 (Archivio privato Bobbio); Bobbio a Balbo, 20 ottobre 1945 (Archivio privato Balbo). Il 10 dicembre 46 Balbo scriveva a Giolitti che il testo era stato revisionato da Can- timori, mentre il 19 giugno 1947 Giolitti, in una lettera a Serini, diceva di aver preparato l’avvertenza al volume (AE, Giolitti). 419 G, Miccoli, Delio Cantimori, cit., p. 253 (anche per il siind a Toynbee}. Su tutta la vicenda cfr. anche G. Manacorda, Lo storico -e la politica. Delio Cantimori e il partito comunista, cit., pp. 78-81. 359 Il fascismo e il consenso degli intellettuali scono tutte le cose del mondo » —, e concludeva che «i materialisti dialettici sovietici, per non esser costretti ad assoggettarsi a Dio, si gettano nelle braccia d’un idolo. È forse altro, invero, quella materia a cui, negato Iddio, ven- gono trasferite tutte le prerogative divine? » ‘’. Erano quindi giustificate le lodi de « La Civiltà cattolica » *" e la violenta stroncatura del volume da parte di Giuseppe Berti, che ne sottolineava gli errori, la tendenziosità antisovietica, il privilegiamento di sconosciuti intellettuali sovietici, e accusava di « incredibile leggerezza » quei marxisti che ‘ave- vano consigliato la sua pubblicazione ** — che fu un « er- rore », come riconoscerà più tardi lo stesso Cantimori ‘* Una riflessione sul marxismo priva di preconcetti rimase quindi limitata, in questi anni, a Ordine e vita del biologo inglese Joseph Needham (1946), un volume già proposto da Alicata nel 1941 .che concludeva la sua analisi scienti- fica con l’accettazione del materialismo dialettico ‘4; mentre una conoscenza dell’Unione Sovietica più equilibrata di quel. la fornita dagli studiosi statunitensi fu avviata — prima che nel 1950 fosse tradotta l’opera dei coniugi Webb respinta da Giulio Einaudi nel 1938 ‘5 — con la traduzione di saggi di altri autori inglesi, significativamente caratterizzati da un acritico confronto con l’esperienza del cristianesimo primi- tivo. In Un sesto del mondo è socialista l’alto prelato angli- 40 G.A. Wetter S.J., Il materialismo dialettico sovietico, Torino, Einaudi, 1948, pp. XI, 393, 397, 399. A. Brucculeri, Scientismo marxista, in « La Civiltà cattolica », 99 (1948), vol. I, pp. 508-512; cfr. anche, contro la critica di ‘« Voprosy filosofii » all’edizione tedesca del volume, U.A. Floridi, Materialismo dialettico e critica sovietica, in «La Civiltà cattolica», 104 (1953), vol. Rio pp. 302-308. ° « Società », III (1947), pp. 705-716. n G. Miccoli, Delio Cantimori, cit., p. 253 n 44 Cfr. Alicata a Einaudi, 27 novembre 1941 (AE, Alicata), e la favorevole recensione di Lucio Lombardo Radice in « Rinascita », III (1946), pp. 134-135. 45 Il 3 dicembre 1948 Mario Motta scriveva a Einaudi: «I sondaggi sul Webb sono stati eseguiti. Tutto bene. Il libro non è mai stato attaccato nell'Unione. Tanto Togliatti che Sereni sono d'accordo sulla sua diffusione anche all’interno del Partito. Togliatti però pensa ‘che forse sarebbe bene alleggerire l’opera di tutte quelle parti documentarie che non hanno più un interesse attuale (per es. la costituzione sovietica ecc.) » (AE. Motta). 360 Le origini della casa editrice Einaudi cano Hewlett Johnson partiva infatti dalla constatazione dell’assenza di una base morale nel « sistema » occidentale per cogliere nell’organizzazione della società sovietica la possibilità di sviluppo di quei valori umani che « sono per chi scrive indissolubilmente legati con la religione e la tradizione cristiana » ‘9; un analogo afflato religioso per- corre Fede, ragione e civiltà del laburista Harold J. Laski, per il quale è difficile vedere su quali basi possa essere ricostruita la tradizione della civiltà; all’infuori di quelle su cui si fonda l’idea della rivolu- zione russa. Essa corrisponde, prescindendo dagli elementi sopranna- turali, con esattezza considerevole al clima spirituale nel quale il cristianesimo divenne la religione ufficiale dell'Occidente [...]. Ovun- que si è affermata, l’idea della rivoluzione russa ha suscitato nei suoi esponenti un’aspirazione ardente alla salvezza spirituale 47 I più stretti rapporti instaurati nel 1947 col PCI tro- vano comunque espressione soprattutto nella pubblicazione di testi di politica e di economia. Esce nel 1948 Il Mezzo- giorno all’opposizione (Dal taccuino di un ministro în con- gedo) di Emilio Sereni che, sollecitato nel febbraio dello stesso anno da Balbo a fornire un parere sulla traduzione di The great conspiracy in cui Michael Sayers e Albert E. Kahn analizzavano la « cospirazione antisovietica » dalla Rivoluzione d’ottobre al secondo dopoguerra — un libro, affermava Balbo, « estremamente utile in se stesso, e oggi, per la campagna elettorale » —, chiedeva, anche a nome di Togliatti, di accelerarne la pubblicazione perché il vo- lume — tradotto nel 1948 in « Politecnico biblioteca » — era « ancor nuovo e di grande interesse per il pubblico italiano e può avere ora una grande efficacia propagandi- 46 H. Johnson, Un sesto del mondo è socialista, a cura di A. Taglia- cozzo, Torino, Einaudi, 1946 (ediz. originale 1944), pp. 7, 9; cfr. la recensione di Mario Montagnana i in « Rinascita », III (1946), pp. "333 -334. 42 H.J. Laski, Fede, ragione e civiltà. Saggio di analisi storica, tradu- zione di È. Bedetti Aloisi Torino, Einaudi, 1947 (ediz. originale 1944), p. 60. Del leader laburista fu pubblicato su «l'Unità » del 12 settem- DE sai l’articolo «Ux popolo veramente libero » crea la nuova Ceco- slovacchia. 361 H fascismo e il consenso degli intellettuali stica » ‘**, Alla fine del 1949, in un momento in cui il pro- blema della terra si era riacutizzato con le lotte contadine nel Mezzogiorno, Balbo si rivolgeva ancora a Sereni per invitarlo a scrivere quella storia dell’agricoltura italiana di cui si avvertiva il bisogno in un paese « che nella risolu- zione del problema agricolo ha uno degli aspetti più deli- cati dell’intero problema politico del suo sviluppo » * legata all’attualità politica era anche l’Introduzione alla riforma agraria pubblicata nel 1949 da Ruggero Grieco, che nello stesso anno, di fronte a « una palese offensiva contro la costituzione delle Regioni » da parte della DC propo- neva una raccolta di suoi scritti su Unità statale e decentra- mento regionale in Italia*®, E una più stretta collabora- zione fra la casa editrice e il partito veniva chiesta da Einau- di a Togliatti nel 1948 per promuovere in Italia una mag- giore conoscenza della cultura sovietica, che avrebbe dovuto essere rappresentata non solo da I/ marxismo e la questione nazionale e coloniale di Stalin (1948), ma anche da « un’am- pia scelta di scritti di Zdanov » curata personalmente da Togliatti ‘!. È inoltre in questo periodo che si intensifica il ruolo di Antonio Giolitti nell'esame e nella proposta di testi di eco- nomia, con la consulenza, da Londra, di Piero Sraffa. Ebbe 48 Balbo a Sereni, 3 febbraio 1948, e Sereni a Einaudi, 12 febbraio 1948 8 (AE, Sereni). 429 Balbo a Sereni 27 dicembre 1949, e Sereni — che accettava — a Balbo, 19 gennaio 1950; nel 1947 Sereni propose anche un'antologia intitolata Bertoldo, i canti dell’oppressione, del lavoro, della lotta (AE, Sereni). 4 «La nostra posizione sull’ordinamento regionale e, quindi, a sostegno della creazione delle Regioni, parte da due considerazioni fondamentali: dal fatto che noi siamo sinceri fautori del decentramento amministrativo regionale (l’ordinamento regionale cosi com’è stato sancito dalla Costituzione non è dovuto al nostro concorso, se non in parte) e dal fatto che la Costituzione deve essere applicata: se si comincia con il rivedere questo o quel punto della Costituzione, si finirà col far crollare la Repubblica », scriveva Grieco a Einaudi il 30 maggio 1949 (AE, Grieco). 41 Einaudi a Togliatti, 15 ottobre 1948; il 19 ottobre Togliatti rispondeva di essere d’accordo anche per la scelta di scritti di Zdanov: «Quella che fa il partito non uscirà dalla cerchia del partito. L'hanno cacciata in una collezione che si intitola: “Educazione comunista”. E chi votrà farsi educare da noi? » (AE, Togliatti). 362 Le origini della casa editrice Einaudi peso il suo giudizio negativo sull’opportunità di tradurre il saggio di Sidney Hook sul marxismo — accusato di « trotskismo » da Togliatti 4 —, cosî come la presenta- zione di Political economy and capitalism di Maurice Dobb, che sarà tradotto nel 1950: in un parere editoriale dell’ot- tobre 1947, che mette in evidenza il distacco dalla prece- dente produzione della casa editrice in campo economico, Giolitti attribuiva a Dobb il merito di cogliere il nesso tra Marx e l’economia classica, di cui sono dimostrati ‘il vigore scientifico e il carattere progressivo, mentre le successive teorie « soggettive » del valore (scuola austriaca, « utilità margi- nale », ecc.) manifestano — a un’indagine critica che sappia situarle storicamente — il loro significato ideologico conservatore. La teoria marxista del valore è convalidata sul terreno sperimentale, nella sua capacità di interpretazione e di previsione di fronte ai fenomeni più moderni dell’economia capitalistica (crisi, monopoli, ecc.). Un bel- lissimo capitolo sull’imperialismo analizza le origini economiche del fascismo. L’ultimo capitolo — sulla validità delle leggi economiche nell’economia socialista — risponde efficacemente alle obiezioni mosse da Hayek, von Mises e C. alla pianificazione economica col- lettivistica: e dimostra la perfetta coerenza dell’economia pianificata con le posizioni veramente valide e feconde dell’economia classica {la scoperta di questo nesso costituisce forse l’elemento più interes- sante di tutto il libro, che proprio per questo segna una data nella scienza economica) 43, Si profila cosi un orientamento che, sia pure con ritardo, pone fine all’ideologia liberista che aveva fin allora carat- terizzato la casa editrice. Mentre Cesare Dami, collabora- tore di « Società » per i problemi economici, mette a con- fronto in due testi del 1947 e del 1950 l’economia liberale con quella pianificata, con una chiara preferenza per que- st’ultima *, la Relazione su l’impiego integrale del lavoro 43 Cfr. G. Manacorda, Lo storico e la politica. Delio Cantimori e il partito comunista, cit., p. 70. Anche Giolitti, scrivendo a Einaudi il 29 agosto 1946, giudicava trotzkista l’autore: «Ora tu sai che la tua casa è stata accusata di zoppicare un po’ da questa gamba (Reed, Franklin, Hemingway); perciò reputerei politicamente inopportuna la pubblicazione, da parte tua, di un libro di S. Hook » (AE, Giolitti). Si trattava, probabilmente, di From Hegel to Marx: studies in the develop- ment of Karl Marx (1936). 43 AE, Giolitti. 44 C. Dami, Economia collettivista ed economia individualista (1947), ed Esperienze di economia pianificata (1950). 363 Il fascismo e il consenso degli intellettuali in una società libera di William Beveridge (1948) e Gli insegnamenti economici del decennio 1930-1940 di H. W. Arndt (1949) suggeriscono l’intervento regolatore dello Stato nell'economia, venendo incontro all’esigenza, espressa da Giulio Einaudi, di « fare libri che tengano conto del- l'economia dei paesi occidentali e ne facciano una critica. Non trascurare certi filoni del laburismo inglese i quali ten- gono conto dell’economia classica e la criticano continua- mente al vaglio delle riforme richieste dalla crisi dell’impe- rialismo » *, La realizzazione di questo nuovo indirizzo apparve tut- tavia insoddisfacente a chi, come Balbo, pur consigliando testi come quello di Wetter, concepiva il lavoro editoriale come continuo suggerimento di problemi, senza la pretesa di orientare dall’alto, didatticamente, il lettore. Prendendo spunto dalla pubblicazione de La teoria del diritto nel- l'Unione sovietica di Rudolf Schlesinger (1952), Balbo si rivolgerà a Einaudi, in uno dei suoi ultimi interventi prima del distacco dalla casa editrice, per affermare che libri « sulla linea di Schlesinger, Cole, Webb, Hook prima ma- niera, Wallace ecc., insomma libri anglosassoni progressivi e corretti verso URSS e comunismo sono libri utili, se vuoi, ad una provvisoria propaganda ma non sono libri di vera cultura. Paiono vicinissimi a capire; in realtà milioni di anni luce li separano da una vera comprensione. Nel loro fondo, che non tutti avvertono esplicitamente ma che tutti sentono subcoscientemente, quei libri sono oppio sottile: fanno in maniera più inavvertibile e quindi anche meno significativa culturalmente e più pericolosa, ciò che fece Croce in modo scoperto, chiaro e cosciente » ‘#. Nel gen- naio 1949, intervenendo a una riunione editoriale sulla « Biblioteca di cultura economica », egli aveva affermato che il PCI « non deve prendere posizione, avallando la collana; ma di volta in volta può consigliare o meno i vo- lumi. La Casa deve svolgere la funzione di Casa editrice e 435 AE, Verbali delle riunioni editoriali 1949-1950 (riunione del 12-13 gennaio 1949). 4% Pro-memoria per il dott. Einaudi (AE, Balbo). 364 Le origini della casa editrice Einaudi non può fare biblioteche di partito » ‘”. Era una critica im- pietosa — nel paragone con Croce — e forse « anacroni- stica », in quanto non teneva conto dei condizionamenti imposti dall’imperante clima di guerra fredda: una critica alla propaganda e al monolitismo culturale che veniva in parte a contraddire il positivo accoglimento, da parte di Balbo, del nuovo orientamento assunto dalla casa editrice nel 1947. La fine dell’eclettismo e delle incertezze proprie della produzione editoriale del 1945-46 era stata anzi auspi- cata da Balbo, che aveva accolto la « svolta » del 1947 non come indice di una subordinazione al PCI, ma come l’inizio di una politica d’intervento più organica e avanzata. Già nel dicembre 1946, informando Franco Rodano di un suo ooqui con l’editore, affermava che Einaudi aveva deciso i mettersi a fare l’editore sul serio, cioè di affidare la fabbricazione dei libri specialmente di tema politico-economico e strutturale (mi capisci!) ecc. alle forze migliori che oggi sono inserite nel processo democratico del paese. A farla breve si tratta di creare tutta una rosa di libri seri, impegnativi e urgenti sui problemi che possono concre- tare sul serio il nuovo corso: capitalismo di stato in concreto, per- manenza amministrativa del fascismo, situazione culturale generale da un punto di vista direi di geografia culturale, problema igienico nazionale, problema agrario ecc. Si tratta naturalmente anche di dare inizio finalmente a certi temi di marxismo teorico consoni alle esi- genze attuali 48, concludeva proprio nello stesso momento in cui — anche col suo avallo — naufragava il progetto di una « Collana marxista ». Il « nuovo corso » della casa editrice suggerî a Balbo una serie di scritti programmatici che si collocano nel pe- riodo immediatamente successivo alla crisi del maggio 1947, e che hanno il loro principale obiettivo polemico nell’idealismo crociano. Il 21 giugno di quell’anno egli inviava a Einaudi una serie di proposte, accomunate dal titolo significativo « L’Anticroce », che Giolitti farà pro- 437 AE, Verbali delle riunioni editoriali 1949-1950 (riunione del 12-13 gennaio 1949). 438 AE, Rodano. 365 Il fascismo e il consenso degli intellettuali prie, relative al rinnovamento delle varie collane — preve- dendone una nuova di « cultura sociale-politica » —, par- tendo dalla considerazione che la cultura idealistica, « inva- lidando per principio le possibilità stesse degli studi socio- logici e in genere degli studi umanistici condotti con metodi scientifici o fenomenologici », aveva soffocato una nascita autonoma di questi studi in Italia **. Poco dopo, in un articolo di risposta alla recensione fatta da Croce, nel luglio 1947, alle Lettere di Gramsci, prendeva spunto da una frase di Croce — « gli odierni intellettuali comunisti ita- liani troppo si discostano dall’esempio del Gramsci, dalla sua apertura verso la verità da qualsiasi parte gli giun- gesse » — per affermare: Riconosciamo che in ciò vi è del vero, che molti di noi si manten- gono al di sotto di quel livello sia nelle intenzioni, sia nelle realiz- zazioni. Ma dobbiamo anche ricordare a Croce che molti intellettuali comunisti cercano sul serio di migliorarsi e di imparare e che co- munque il livello degli altri intellettuali italiani è forse ancora più basso del nostro, se non si vuole continuare a scambiare per cultura l’arcadia, la raffinatezza fine a se stessa, l’educazione ipocrita. Soprat- tutto dobbiamo ricordare a Croce la realtà che egli più ha dimen- ticato nel suo pensiero e che ne è certo stata la ragione più grave di debolezza: questa realtà è il popolo, il popolo oppresso, spesso ignorante e violento, quel « volgo » che egli disprezza e che è pur formato di uomini come noi e come lui [...]. Forse allora compren- derebbe che Gramsci non può essere diviso dal suo partito, che Gramsci appartiene a tutta la cultura italiana, ma che il partito comunista italiano è parte integrante della cultura e del pensiero di Gramsci, è parte integrante della cultura italiana #0, Può quindi apparire tUn’ironia della storia che l’inter- vento più organico del Balbo « militante », sulla Cultura antifascista, fosse nato come promemoria per Einaudi e che, al tempo stesso, venisse pubblicato con alcune modifiche, nel dicembre 1947, nel numero col quale « Il Politecnico », dopo le critiche di parte comunista, fu costretto a termi- nare le pubblicazioni. E di AE, Balbo; cfr. anche Giolitti a Einaudi, 4 luglio 1947 (AE, iolitti). 40 AE, Balbo (articolo per «l'Unità »); la recensione di Croce è ora in Due anni di vita politica italiana (1946-1947), Bari, Laterza, 1948, pp. 146-149. 366 Le origini della casa editrice Einaudi Oggi l’Italia è tutta piena di Benedetto Croce (e, nota, del Croce deteriore) e ancora è tutta piena, contrariamente alle apparenze, di Gentile — scriveva Balbo — [...]. La mentalità papiniana, giuliot- tesca, prezzoliniana è rimasta come un substrato generalizzato e dif- fuso nel retroterra culturale di ognuno. Le categorie di giudizio, sia culturale, sia politico, si muovono ancora completamente su di un terreno che va da quello di Mussolini stesso in persona a quello della Civiltà Cattolica, a quello del più stracco spiritualismo cattolico di importazione francese e di un esistenzialismo universitario ed estrin- seco. Insomma in Italia si è rimasti senza Gramsci, senza Dorso e senza Gobetti. E, rivolgendosi in particolare a Einaudi, affermava che la casa editrice per la sua struttura, per il suo passato, per i suoi quadri interni ed esterni, attuali e possibili, può svolgere un compito fondamentale nel movimento per l’abbattimento della vecchia egemonia culturale bor- ghese e per la creazione metodica e sensibile della nuova egemonia culturale proletaria e finalmente moderna [...]. Strumento e base per la ricerca qualificata e per la socializzazione è oggi non tanto l’università o la scuola quanto l’editoria; e, in armonia con una tradizione culturale cara all’editore torinese, concludeva insistendo per la pubblicazione delle opere di Gobetti, che avrebbero costituito « uno specchio nel quale la borghesia più intelligente potrebbe scorgere la “sua vera faccia” e, per rivalsa, la “falsa faccia” di una borghesia che vuole a tutti i costi illudersi di saper soprav- vivere al fascismo » ‘'. Cosî, proprio quando lo scontro nel paese si faceva più duro, a Balbo sembrò giunto il momento opportuno per realizzare il suo « modello » di casa editrice: sotto la spinta dell’ottimismo maturarono nella sua fervida mente nuovi progetti, da quello di una « rivista di ricerche e sviluppo storico-ideologico » per la quale alla fine del 1947 aveva già impostato il lavoro assieme a Rodano, Motta, Giolitti e Gerratana, a quello del 1948 — sostitu- tivo della rivista — di una collana « Il nuovo politecnico » assieme a Vittorini, fino alla proposta, realizzata nel 1950, di trasformare la « Collana di cultura giuridica » in « Bi- 41 AE, Balbo. 367 Il fascismo e il consenso degli intellettuali blioteca di cultura politica e giuridica » *. Ma il terreno sul quale Balbo concentrò i suoi sforzi per realizzare una cul- tura « critica », tale tuttavia da scontrarsi duramente col laicismo di Bobbio, fu quello filosofico. Il primo progetto di una « Biblioteca di cultura filoso- fica » era stato formulato nel 1941 da Bobbio, che aveva preso contatti con Abbagnano, dal quale vennero le propo- ste di tradurre la Metapbysik di Jaspers e, sempre sull’esi- stenzialismo, L'illusione della filosofia della Hersch, pub- blicato nel 1942 nei « Saggi ». Nel marzo del 1943, dopo ulteriori contatti con Della Volpe, Banfi, Levi e Garin, Bobbio ritenne giunto il momento di annunciare l’uscita della collana filosofica che, al di sopra di ogni pregiudizio d’indirizzi e al di là di una visione tecnicamente angusta della filosofia, raccoglierà opere antiche e mo- derne, tanto più accette quanto più trascurate dagli storici della filo- sofia, e considererà come suo principale fine e suo rigoroso dovere tener conto della infinita problematicità del pensiero filosofico attra- verso le sue inesauribili incarnazioni nei diversi tempi e nei diversi campi del sapere. La collana, che avrebbe dovuto configurarsi come una via mediana tra i « Classici » Laterza e la « Cultura del- l’anima » Carabba, prevedeva opere di Butler e di Hume per l’illuminismo, per 1’800 tedesco Avenarius e i Principi di una filosofia dell'avvenire di Feuerbach, Kirkegaard e Jaspers per l’esistenzialismo, Juvalta e Martinetti come rappresentanti della filosofia italiana contemporanea **. Nel 1943 l’inizio della « Collana di cultura giuridica », con l’in- clusione delle opere di Binder e Gierke originariamente previste per la collana filosofica, fece fallire per il momento l’iniziativa, senza che per questo si fermasse l’attività di Bobbio, che in una lettera a Banfi presentava la collana progettata come una raccolta di « libri rappresentativi di quella filosofia costruttiva (contrapposta alla filosofia spe- 42 Cfr. in particolare, per questi e altri progetti, i documenti dell’Ar- chivio privato Balbo. 43 Cfr. in particolare le lettere di Bobbio a Einaudi del 3 agosto 1941, 26 aprile 1942, 8 marzo e 29 aprile 1943 (AE, Bobbio). 368 Le origini della casa editrice Einaud? culativa) che la filosofia italiana ufficiale, e la stessa storia. della filosofia scritta dagli scrittori ufficiali ha quasi sempre: ignorato, e che è poi l’unica filosofia veramente “peren- ne” »; e citava, fra gli altri, scritti di Cattaneo e di Frege,. per rafforzare la caratterizzazione neo-positivista della col- lana da lui voluta contro la presenza, che pur non riuscirà a evitare, di un filone esistenzialista. Erano affermazioni coraggiose nel clima culturale dell’epoca, rese più esplicite nel luglio 1945 quando Bobbio, nell’atto di dare finalmente: avvio alla collana, parlò di « libri rappresentativi di tutte: quelle correnti filosofiche che nel mondo filosofico-accade- mico italiano — diviso tra idealisti e neo-tomisti in lotta. fra loro — erano respinte con maggior o minor impeto come: filosofia non ufficiale » ‘*. La collana diretta da Bobbio e Balbo iniziò in tono: minore, nel 1945, con I limiti del razionalismo etico di Erminio Juvalta, di cui tuttavia Geymonat — che lo aveva proposto — metteva in luce il rifiuto per le « soluzioni puramente verbali », « il valore impegnativo e profondo di tutta l’attività politica, sociale ed economica », e la nega- zione del carattere anti-individualistico del socialismo ** Continuò con le Lezioni di filosofia di Calogero, caldeggiate da Bobbio ‘, e La mia filosofia di Jaspers, un testo dal quale: Bobbio prendeva le distanze, ma che, affermava, « potrà servire ad eliminare diffidenze preconcette e altrettanto in- consulti entusiasmi », e venire incontro « ad un’aspetta- tiva talora eccessiva che è in molti » *”. Senza pretendere: #4 AF, Banfi; Archivio privato Bobbio (Bobbio alla sede romana, 13 luglio °’45). Il 20 ottobre ’45 Bobbio si dichiarava d’accordo con Balbo per presentare « le opere rappresentative dei principali indirizzi di pensiero moderno, da Hegel in poi, senza correr dietro alla moda» (Archivio privato Balbo). 45 E. Juvalta, I limziti del razionalismo etico, a cura di L. Geymonat, Torino, Einaudi, 1945, pp. VIII, X-XII. Cfr. anche le lettere dell’editore alla figlia di Juvalta, 1 agosto 1942 (AE, Juvalta), e di Geymonat a Pavese, 19 febbraio 1943 (AE, Geymonat). #6 Cfr. « Pro-memoria per la Direzione Generale » della redazione romana, in AE, Corrispondenza editoriale Milano-Roma 1945. Sul « moralismo » dell’opera di Calogero cfr. le osservazioni di Nicola Ba- daloni in « Società », III (1947), pp. 140-141. 47 K. Jaspers, La mia filosofia, traduzione di R. De Rosa, Torino,. Einaudi, 1946, pp. VII-XI (avvertenza di N. B.). 369 Il fascismo e il consenso degli intellettuali di dare un giudizio complessivo sulla collana, ci sembra sufficiente accennare al suo carattere articolato, non uni- tario, che riflette le diverse « preferenze » dei suoi ispira- tori. Sono ad esempio significativi i giudizi espressi da Bobbio e da Balbo sui Principi della filosofia dell’avvenire di Feuerbach: presentando la prima edizione dell’opera, nel 1946, Bobbio osservava che la filosofia di Feuerbach si collocava « tra la crisi del romanticismo e la nascita del posi- tivismo », e che dal secondo accoglieva « una netta aspira- zione antispeculativa, un’accettazione supina ed ingenua della realtà dei sensi; ma accoglie pure, dal primo, un’invin- cibile ripugnanza a toccare veramente il fondo del problema concreto, la tendenza ad un sentimentalismo un po’ faci- le » #*. In occasione della ristampa del 1948, invece, Balbo notava l’affinità tra il nostro mondo attuale in particolare italiano, e quello in cui si formò il pensiero di Feuerbach e in cui ebbe origine il grande movi- mento marxista. La crisi culturale apertasi con la dissoluzione della filosofia di Hegel è tutt’altro che chiusa, Ancora permangono sia pure in una diversa fase di sviluppo i motivi sociali ed economici che l'hanno determinata. E, in Italia, specialmente per via della filosofia di Croce e di Gentile e del fascismo, c’è stato un ritardo ideologico nel prendere piena coscienza della crisi. Croce e Gentile in questo senso sono stati veramente epigoni hegeliani perché hanno mantenuto vivo di Hegel proprio ciò che di pit «teologico » in senso feuerbacchiano c’era nella filosofia di Hegel; e osservava che la passione, il violento bisogno di aria e di luce reale, « sensibile », con cui Feuerbach rompe il sistema della « Teologia razionale » di Hegel, l’entusiasmo di Marx e di Engels nel leggerlo, sono ancora cose nostre, sono esperienze di molti e molti giovani studiosi e uomini di cultura, in Italia che ancora oggi cercano di rompere l’idea- lismo e ritrovare il mondo, la realtà ‘9. Un giudizio, questo, da cui è ricavabile non solo la di- vergenza con Bobbio — che sarà esplicita nel 1950 nel #8 L. Feuerbach, Principi della filosofia dell'avvenire, a cura di N. Bobbio, Torino, Einaudi, 1946, p. IX. «9 Significato di una ristampa, in Archivio privato Balbo. 370 Le origini della casa editrice Einaudî dibattito fra i due sulla « Rivista di filosofia » ‘*, e indica una spaccatura all’interno della casa editrice —, ma anche, nello stesso Balbo, la tensione fra la necessità di proposte positive — in questo caso, Feuerbach in funzione antiidea- lista — e l’asserita problematicità del lavoro editoriale. Mentre dimostrava con questo giudizio il suo « settari- smo » — per usare in senso non dispregiativo un termine che egli respingeva —, in alcuni « Appunti per l’imposta- zione delle pubblicazioni filosofiche Einaudi » Balbo lamen- tava il rinchiudersi del mondo accademico italiano in scuole e sette, osservava che il giudizio sulle collane filosofiche dipende in primo luogo dal deci- dere se si tratta di accettare, « riflettere » e conservare la situazione storico-sociale presente, o se si tratta di « conoscerla », criticarla e mutarla [...] — e, al tempo stesso, che — una casa editrice di « op- posizione culturale » come la Einaudi manca al suo carattere se in un momento storico in cui messuno ha la soluzione dei gravissimi pro- blemi dell’ora si schiera da una parte o partito o setta sia pure la pit « intelligente » 0 « colta » o « ben educata » o « progressiva ». Una casa editrice di opposizione culturale è una casa editrice che chiede, in tutti i modi che le sono propri, la soluzione ai problemi dell'ora attraverso alle manifestazioni di bisogni, problemi aperti, prospettive nuove, fornitura di servizi per la ricerca teoretica, sensibilità alle voci degli oppressi, degli esclusi, dei dimenticati ecc. E aggiungeva, lasciando aperta la possibilità di un recu- pero di forme differenziate di speculazione filosofica: « Se la situazione culturale è di crisi radicale significa che nulla più della passata filosofia ci serve per lo meno cosi come storicamente si è data. Ma quando w%/la più serve o c’è la fine assoluta o tutto serve » *!. 40 Ora in F. Balbo, Opere 1945-1964, con introduzione di M. Ran- chetti, Torino, Boringhieri, 1966. 4531 Archivio privato Balbo. Riflettendo ancora su «Senso e funzione delle pubblicazioni filosofiche Einaudi », Balbo affermava che una collana filosofica andava concepita «come un servizio da rendersi alla società italiana », alle « minoranze rivoluzionarie (che innanzi tutto si formano con la filosofia)», ma che «l’idea di servizio implica la concezione dei fruitori come totalità, ed esclude quindi a priori una qualsivoglia ten- denza a identificarsi con i blocchi dominanti »: «la collana deve mirare a completare, ad allargare e a tenere aperto, cioè a far progredire 7 va l’orizzonte problematico della situazione filosofica italiana » ibidem). 371 Il fascismo e il consenso degli intellettuali Quando si passò alle scelte concrete, il dissidio tra Bobbio e Balbo — che intendeva riservare un settore della collana al tomismo — non poté essere che profondo. Il punto su cui siamo d'accordo è questo: massima apertura — gli scriveva Bobbio il 6 aprile 1952 — [...]. Il guaio è che la tua parte di chiusura (le correnti empiristiche) coincide perfettamente con la mia apertura, e la mia parte di chiusura (il misticismo medio- evale e medioevalizzante) coincide altrettanto decisamente con la tua apertura. Ti dico francamente che la presenza di testi come lo Pseudo-Dionigi e Bòhme, in una collana filosofica di una casa editrice che si presenta come una casa di avanguardia culturale, mi ha fatto rabbrividire [....]. Doveva essere ben decaduta la filosofia nel medio- evo se lo Pseudo-Dionigi era destinato a diventare, come tu giusta- mente riconosci, un fatto decisivo per il pensiero medioevale [....]. La verità è che tutta la tua impostazione, nonostante la pretesa di essere della massima apertura, è guidata da una polemica molto chiara: la polemica contro il pensiero moderno. La cultura universitaria, aggiungeva Bobbio, soffre di grande nostalgia per il pensiero teologico, perché sembra che le idee (e anche le cattedre) siano meglio garantite dalla credenza nei cori angelici di Pseudo-Dionigi che dal dubbio cartesiano [...]. Credi, se oggi in Italia c’è un lavoro culturale da fare, è per fermare lo zelo antilluministico, non già per aiutare i zelatori della Contro- riforma a chiuderci la bocca. Bada che a giudicare come vorresti tu « massimamente insufficienti » le « posizioni più avanzate », si rischia di fare cosa non tanto nuova né tanto peregrina in Italia, dove se c'è una vecchia e persistente e sempre contagiosa passione è la pas- sione per le posizioni più reazionarie non per quelle più avanzate, e dove le posizioni più avanzate hanno fatto di solito la nota e tragica fine che sappiamo #2. Le parole di Bobbio erano indice della difficoltà estrema in cui veniva a trovarsi la cultura progressista ancora nel 1952, l’anno della morte di Croce, quando anche Togliatti 452 Archivio privato Balbo. Il 15 febbraio 1952 Bobbio gli aveva scritto che «in un ambiente filosofico come il nostro saturo di spiri- tualismo sedicente cristiano (che è la filosofia della pigrizia mentale) un po’ di cultura empiristica che abitui alla analisi rigorosa e paziente fa- rebbe molto bene [...] Ma già tu hai scritto contro l’empirismo e hai portato tanta acqua al mulino di tutti i reazionari della filosofia, di tutti gli spiritualisti... » (ibidem). Sul tomismo di Balbo cfr. G. Invitto, Le idee di Felice Balbo, cit., pp. 104 ss. 372 Le origini della casa editrice Einaudi — come abbiamo visto — riconosceva nella politica cultu- rale del PCI « discontinuità, asprezze, capitolazioni non necessarie, oscillazioni tra la pura propaganda e l’azione culturale di più ampia portata, e anche contraddizioni » ‘*. La Casa sta attraversando una crisi grossa, la più grossa dopo quella del 1935 quando restai letteralmente solo — scriveva Einaudi a Balbo il 10 dicembre 1951 — [...] al fronte antifascista chiaro e compatto del periodo fascista, che era tenuto da tutti gli strati sani della nazione, si è sostituito un fronte anticomunista che è tenuto da strati sani ed insani della borghesia, e da irrequiete e intelligenti forze intellettuali. Ma il suo appello all’unità contro il fronte anticomu- nista non poteva essere più raccolto da Balbo, divenuto critico implacabile del « settarismo » del PCI. Se tu davvero presentassi la linea della Casa come lotta contro la cultura ufficiale insipida e decadente avresti presto o tardi attorno a te le forze sane della cultura — rispondeva Balbo all'editore il 12 dicembre 1951 —. Ma come fai a presentarti così se accetti di fatto direttamente o meno, la direzione culturale comunista? Oggi non esiste cultura più ufficiale e insipida di quella comunista: questo è un fatto ‘%. E le riflessioni amare stese da Balbo sulla casa edi- trice — una specie di sua « storia » —, che gli servirono per chiarire a se stesso il proprio distacco da Einaudi, cer- cavano di spiegarne la crisi alla luce di quelle che gli sem- bravano le sue caratteristiche originarie: La casa editrice Einaudi è nata da profonde esigenze di rinnova- mento che si manifestarono in Italia dopo l'affermarsi stabile del fascismo che rivelava il problema del male della civiltà moderna. Non è stata perciò mai definita unicamente dall’antifascismo {...] ha sempre teso al postfascismo, alla vittoria costruttiva sul fascismo. A questo si lega anche la sua adesione al comunismo: in quanto il comunismo in Italia per opera di Gramsci-Togliatti si presentò come la più forte garanzia e promessa di un effettivo rinnovamento, di una costruttiva vittoria sul fascismo. In tal senso era più forte del- l’arbitrio dei singoli il suo tendere a congiungersi al comunismo. E 43 Togliatti, La politica culturale, cit., p. 196. 44 Archivio privato Balbo. 373 Il fascismo e il consenso degli intellettuali va anche da sé che cosi si spiega come tale adesione non sia mai stata di « soggezione » né di « mitigazione » del comunismo ma da potenza a potenza ossia da realtà a realtà. Veramente era falso dire che la casa editrice Einaudi fosse una casa editrice comunista ed era pure falso dire che fosse paracomunista. Anzi, aggiungeva, l’elemento che aveva accomunato Ginzburg, Pavese, Venturi, Muscetta, Pintor, Balbo, Gio- litti, Bobbio, Alicata e Vittorini, « non era il laicismo, non era il razionalismo, non era il comunismo core tale nean- che per i comunisti. Era la causa del rinnovamento, la causa rivoluzionaria »; ma l’incontro di questi intellettuali era soggetto « a fatale decomposizione su due fondamentali sollecitazioni: quella interna della crescita organizzativa e quella esterna della situazione storica generale [...]. Con la morte di Pavese venne a mancare l’ultimo residuo puntello dell’autonomia della casa editrice », la quale si era quindi trasformata in « terza forza paracomunista » incapace di costituire un « servizio » per la cultura italiana nel suo complesso ‘°. Il giudizio di Balbo — sulla cui posizione ci siamo sof- fermati perché emblematica dei problemi e dei difficili equi- libri nei quali doveva muoversi la casa editrice — conte- neva alcuni elementi di verità, ma anche profonde contrad- dizioni, nell’individuare in un primo tempo, ad esempio, il « rinnovamento » col comunismo, per poi mettere in netta contrapposizione i due termini. Esso peccava inoltre, come quello di Giulio Einaudi, di una visione idillica delle ten- denze originarie della casa editrice, fosse il « fronte antifa- scista chiaro e compatto » o la « vittoria costruttiva sul fascismo ». Senza voler nulla togliere al peso delle « inten- zioni », le concrete vicende della casa editrice non indicano infatti una univoca e lineare direttiva culturale e politica. Alla cultura del regime essa non rispose soltanto col silenzio nei riguardi del fascismo, ma in modi differenziati, che ac- canto a coraggiose prese di posizione de « La Cultura » 455 Dattiloscritto s.d.; ma nella lettera del 12 dicembre 1951 a Finaudi Balbo diceva di aver «preparato una specie di storia della casa editrice » (Archivio privato Balbo). 374 Le origini della casa editrice Einaudi vide a lungo la battaglia liberista di Luigi Einaudi, assai più conservatrice di quella crociana, tanto da trovare punti di convergenza con le scelte culturali e politiche dominanti, anche al di là del comune antisocialismo; una forte presenza di intellettuali aderenti a Giustizia e Libertà, al liberalsocia- lismo e quindi al Partito d’Azione, il cui scontro con i comunisti — non uniti al loro interno — sarà assai duro nell'immediato dopoguerra, proprio attorno al modo con- creto di intendere il « rinnovamento »; e infine — ma è un dato rilevante fino alla decisa riaffermazione del laicismo da parte di Bobbio — un filone spiritualista o religioso e catto- lico che, se poté avere una funzione di stimolo alla rifles- sione e al dubbio di fronte alle certezze del regime, conte- neva in nuce notevoli elementi di ambiguità in quanto con- notato, in molti casi, da un potenziale ideologico reazio- nario, o, nelle voci più aperte, da una tendenziale fuga dalla realtà: una tematica religiosa che confluirà nel 1948, con ben altro respiro, nella « Collezione di studi religiosi, etno- logici e psicologici » voluta da Pavese e da Ernesto De Mar- tino. Può forse sorprendere che questi motivi perman- gano a caratterizzare la casa editrice fino, almeno, al 1947, che costituisce la vera data periodizzante della sua storia, tale da concluderne, a nostro avviso, il capitolo delle origini. La « battuta » di Balbo, secondo la quale l’Einaudi del 1945 era « più fascista di Einaudi 1940 », indicava infatti la persistenza di un passato dal quale era difficile sbaraz- zarsi rapidamente: una « tradizione » di cui abbiamo cer- cato di mettere in luce la complessità, e che la semplice categoria di « antifascismo » è insufficiente a « contenere » e a spiegare in tutte le sue articolazioni. 375 INDICI Indice dei nomi Abba, G. C., 176. Abbagnano, N, 368. Abramo, 136. Abrate, M, 209. Agnoletto, A. 165. Agosti, A., 198, 281. Agostino, 143. Ajello, N., 330, 335, 351. Alatri, P. 7 297, 302, 310, 311. Alberti, À, 174, 175. Aldrovandi, R., ‘329, 330, 343, 357. Alessandro I, zar di Russia, 125. Alessandro Magno, 305. Alfassio Grimaldi, U., 6. Alfieri, V., 126, 127, 252, 253, 318, 324.. Alicata, M., 279, 283, 286, 287, 288, 293, 306, 308, 311, 314, 319, 322, 323, 328, 343, 345, 354, 355, Alighieri, D., Alimenti, C., 235. Aliotta, A., 58. Almagia, R., 22, 25, 28, 80, 181, 183. Aloisi, M., 341. Althusius, G., 326. Alvaro, C., 342. Amendola, A., 301. Amendola, Giorgio, 5, 74, 161, 284, 285. Amendola, Giovanni, 169, 188. Amendola, P., 301. Amiel, H., 275. Anderson, S., 202, 247. Andreucci, F., 104, 165, 191, 240. Andriulli, G., 189. Angiolini, A., 173. Anile, A., 19. Antoni, C., 6, 88, 114, 341. Antonicelli, F., 198, 202, 238, 241, 276, 277. Anzi, F., 221, 307. 284, 285, 295, 301, 316, 317, 330, 342, 360, 374. 120, 124, 241, 278. Aquatrone, A., 50, 85. Arangio Ruiz, V., 61. ARGS: R., "164, 167, 168, 174, A 212, 216. Armndt, H. W., "364. Argenson, R-L. W. d’, 212. Arpinati, L., 60. Arrivabene, G. G., 33. Ascoli, G. I., 159. Asor Rosa, A., 5, 7, 24, 73, 74, 155. Avenarius, R., 368. Azimonti, C. F., 221. Babel, I. E., 202. Babeuf, F. N., 308, 346. Badaloni, N., 74, 100, 369. Balbo, C., 252, 255, 256. Balbo, F., 12, 285, 289, 290, 319, Baldini, N., 307. Ballarini, F., 236. Bandini, B. V., 357. Bandini, L., 291, 292. Banfi, A., 58, 142, 329, 348, 349, 368, 369. Baratono, A., 59. Barbagallo, C., 107, 174, 181. Barbera, G., 153. Barbera, M., 149. Barbera, P., 19, 26, 27, 173. Baretti, G., 174. Bargellini, P., 200. Barié, G. E., 240. Barker, E., 213. Barone, G., 197, 225. 379 Indice dei nomi Barth, K., 349. Bassan, E., 351. Bassani, G., 287. Bassi, E., 17, 105. Basso, L., 240. Battaglia, F., 86, 87, 88, 89, 90, 91, 92, 103, 125, 127, 232, 238. Baur, F. C., 136. Bavink, B., 292, 293. Beccaria, C., 251, 252. Bedarida, H., 243. Bellezza, V. A., 14, 35, 54. Belloc, H., 304. Bellonci, G., 324. Belluzzo, G., 59. Bemporad, E., 26, 30. Benda, J., 349, 350. Benedetti, A., 317. Benedetti Aloisi, E., 361. Benedetto, L. F., 134. Berdjaev, N. A., 320, 321. , 241, 266. Ber Jey, G.F. 'H, 243. Bernari, C., 357. Bernstein, $, 346. Berti, G., 346, 360. Berti, L., 280. Bertin, G. M., 266. Bertoni, G., 153. i Jovine, D., 24, 37, 166. Bettini, P., 358. Bettinotti, "M, 221. Bevione, Gi 104. Beveridge, W., 364. Bianchi Bandinelli, R., 335. Biasutti, R., 80. Bienstock, G., 352. Bilenchi, R., 333. Binder, bi. vi 368. Bini, C., Ra a di, 86 Bissolati, L, 104, 189, 258, 259. Bloch, M, 343. Blondel, M, 241, 349. Blum, L., 215. Bobbio, A., 77. Bobbio, N., 5, 12, 73, 82, 102, 103, 108, 198, 200, 201, 202, 220, 380 287, 288, 295, 316, 238, 240, 243, 253, 290, 294, 325, 326, 327, 340, 341, 347, 355, 357, 359, 368, 369, 370, 372, 374, 375. Bohr, NH. D., 293. Bollati, A. 259. Bompiani, Vv, 198, 200, 245. Bonald, L. G., 349. Bonaparte, N., 289. Bonetti, P., 351. Bonfante, P., 25, 55. Bonghi, R., 26. Bongiovanni, B., 9. Bonifacio VIII, 256. Bonomi, I., 28, 104, 189, 250, 257, 258, 259, 298, 319, 320, 323. Bontempelli, M., 163. Borsa, G., 230. Borso d’Este, 32, 33, Bortone, L., 78. Bosco, U., 39, 52, 75, 90, 238. Boselli, P., 59. Bossi, E., 198. Bottacchiari, R., 29. Bottai, G., 6, 16, 45, 46, 83, 84, 200, 204, 205, 212, 216, 282, 283, 286, 288, 316. Bottasso, E., 40. Bourgin, G., 116, 126. ti, G., 138. Braudel. F., "343. Bravo, G M, 281. Bresciani-Turroni, C., 236, 237, 352. Briamonte, N., 264. Bricarelli, C., 68, 147, 148. Brissot, J. P., 117. Brofferio, A., 208. Broglie C.-J-V. A. de, 281. Brown, D. V., 227. Brucculeri, A., 225, 264, 265, 267, 268, 360. Bruers, A., 188. Bruguier, G., 216, 236. Brunello, B., 256. Bruno, G., 104, 107, 174, 291. Bryce, J., 88. Bulferetti, L., 25, 81, 260, 262, 295, 297. Buonaiuti, E., 27, 69, 133, 135, 138, 139, 144, 160, 164, 169, 170, 174, 176, 177, 179, 182, 183, 187. Buonarroti, F., 308, 346. Burckhardt, C. J., 304. Burdach, K., 122. Busnelli, G., 68, 70, 130, 135, 141, 148, 149. Butler, S., 272, 368. Cabella, G., 283, 314. Cabiati, A., 206, 238, 239. Cabrini, A., 104. Cadorna, L., 26, 55. Caffè, F., 209. Caggese, R., 58. Cagnetta, M., 275. Cajumi, A., 202, 203, 206, 238, 239, 240, 241, 242, 243, 244, 270, 276, 277, 346. Calabi, G., 29. Calamandrei, P., 58. Calderoni, M., 169. Caldwell, E. P., 200. Calò, G., 58, 166, 184. Calogero, G., 54, 71, 80, 130, 238, 239, 320, 322, 341, 369. Calosso, U., 230. Campanella, T., 294, 295. Camurani, È ,256. Canella, M. È, 275. Cannistraro, P. V., 197. Cantimori, 128, 133, 140, 196, 265, 266, 306, 307, 316, 334, 341, 343, 344, 348, 350, 351, 356, 359, 360. Cantimori Mezzomonti, E., 357. Cantoni, C., 168. Cantoni, R., 329, 336, 337, 348. Caparelli, F., 85. Capasso, C., 134, Capitini, A., 196, 197, 272, 273, 348, 359 , S., 59, 134, 169, 170. Carducci, G., 23, 24, 163, 276. 222, 225, 235, D., 6, 15, 98, ill, 124, 160, 193, 194, 290, 294, 303, 318, 328, 333, 345, 347, 357, 358, Indice dei nomi Carducci, N., 246. Carli, G., 237. Carlini, A., 36, 58, 91, 281. Carlo Alberto, 121, 128, 243, 260, 297, 312. Carlo Emanuele I, 128. Carlo Magno, 120. Carocci, A., 203, 204, 246. Carrara, E., 63, 240. Casamassa, A., 142. Casali, A., 196. Casati, A., 56, 59, 61. Casini, G., 265, 283, 324. Cassirer, E., 118, 242, 274. Castelli, D., 159. Castris, A. L. de, 7. Castronovo, V., 5, 26, 33, 34, 208.. Casula, C. F., 336. Catalano, E., 247, 327. Cattaneo, C., 203, 218, 219, 220, 252, 312, 313, 316, 318, 339, 369. Caviglione, C., 138. Cavuor, C. Benso, conte di, 176, 212, 250, 252, 253, 276, 298, 299, 302, 313, 318. Cechov, A., 202. er I; "38, ‘112 Cesarini, M, 266. Ceva, B. 313. Ceva, M., 316. Chabod, F., 24, 33, 58, 88, 97, 98, 99, 111, 115, 116, 117, 118, 122, 123, 124, 125, 140, 241, 268, 270, 341, 343, 344, 358. Chamberlin, E, 3a Chamberlin, w H., 231, 232, 303,. 305. Chiappelli, A., 42, 159. Chiavolini, A, 62. Chichiarelli, E., 253, 300, 301. Chiesa, F., 163. Chiovenda, G., 26, 28. Chiuminatto, A., 247. Ciacchi, E., 173. Ciamician, G., 26. Ciampini, R., 275, 276. Ciarlantini, F., 197. Ciasca, R., 58. Ciccotti, E., 59, 181, 274, 275. Ciliberto, M., 6, 113, 122. 381 Indice dei nomi Cilibrizzi, S., 24. Cione, E., 242, 258, 298, 305. Ciuffoletti, Z., 194. Codignola, E., 29, 36, 58, 62, 143, 149, 198, 199, 200, 232, 249, 253, 298. Codignola, T., 200, 210. Cognasso, F., 134. Cola di Rienzo, 120, 124. Colapietra, R., 14, 46, 49. Cole, G. D. H., 364. Colombo, C., 328. Colorni, E., 240. Colozza, G. A., 166. Comandini, U., 27. Comisso, G., 287. Conrad, J., 279. Constant, B., 324, 325, 349. Contini, G., 278. Cooper, A. D., 261. Corbino, E., 229. Corbino, O. M., 28, Cordié, C., 315. Corradini, E., 33, 86. Corsano, A., 291. Cortese, N., 58, 128. Corticelli, A., 198. Cosmelli, G., 354. Cosmo, U., 238, 241. Costa, G., 275, 305. Costamagna, C., 84. Costantino, D., 153. Craveri, R., 274. Credaro, L., 165, 184. Crescenzi, G., 350. Cripps, S., 215. Crisafulli, V., 349. Crispolti, F., 24. Croce, B., 6, 10, 14, 15, 17, 18, 19, 23, 24, 27, 28, 30, 31, 335, 36, 42, 46, 48, 56, 61, 64, 71, 74, 81, 82, 83, 94, 97, 98, 102, 111, 113, 114, 116, 125, 148, 149, 155, 166, 168, 171, 182, 183, 202, 211, 213, 219, 241, 242, 254, 299, 301, 314, 339, 341, 350, 356, 364, 365, 366, 367, 370, 372 Crocioni, G., 173. Cronin, A. J., 200. Crosa, E., 117. Cuoco, V., 127, 253, 318. Curiel, E, 264, 302, 313, 329. Cusin, F., 344. Dal Fabbro, B., 271, 286. Dal Pane, L., 105, 210, 212, 220, 221, 230, 257, 355. Dal Pra, M., 292. D'Amelio, M., 147. Dami, C., 363. D'Andrea, A., 86, 305. D'Antonio, F., 220. Darwin, C., 174, 175, 272. D'Azeglio, M., 260, 324. Dawson, C., 266, 268, 269, 270, 300. Debenedetti, $S., 277, 341. De Bernardi, M., 227, 229, 238. De Cecco, M., 208. De Cristofaro, M., 130. De Felice, R., 6, 25, 65, 78, 152, 186, 197, 204, 263. De Gasperi, A., 8. Degli Occhi, L., 88. De Grand, A. J., 46. De Karolis, A., 179. Del Bono, G., 259, 302. Delitzsch, F., 159. Della Torre, L., 26, 204. Della Volpe, G., 368. Delle Piane, M., 270. De Lollis, C., 238, 239, 241, 277. De Luca, G., 72, 132, 137, 200. De Man, H., 106, 191, 199. Demarco, D., 307. Demarsico, D., 19. De Martino, E., 294, 375. De Mattei, R., 73. De Michelis, E., 245, Demostene, 305. De Rosa, G., 20. De Rosa, R., 369. De Ruggiero, G., 94, 167, 199, 276, 331, 332, 333, 345. De Sanctis, F., 49, 171, 285, 321. De Sanctis, G., 55, 63, 75, 78, 133. De Stefani, A., 55, 209, 234. Detti, T., 104, 165, 191, 240. De Vecchi, C. M., 251, 253, 297. De Vendittis, L., 278. De Viti De Marco, A., 217, 234. Devoto, G., 72. Dickens, C., 271. Diderot, D., 243, 280, 281. Di Domenico, G., 334. Dilthey, W., 274. Dobb, M., 222, 363. Dos Passos, J. R., 247. Dostojevskij, F., 202, 279. Droysen, J. G., 305. Dvotak, M., 147. EFerembeemt, L. van den, 136. Efirov, S. A., 13. Egidi, P., 33. Einaudi, G., 10, 197, 201, 202, 206, 207, 211, 238, 243, 258, 272, 283, 290, 303, 311, 317, 323, 332, 342, 352, 362, 365, 368, 375. 10, 27, 55, 59, 63, 205, 206, 207, 208, 211, 212, 213, 217, 218, 219, 220, 225, 226, 228, 233, 234, 235, 240, 244, 247, 276, 292, 295, 312, 318, 333, 351, 352, 375. Einaudi, M., 214, 227, 238. Emanuele Filiberto, 39, 128, 178. Emery, L., 245. Engels, F., 80, 346, 358, 370. 12, 195, 196, 205, Indice dei nomi Enriques, F., 56, 58, 81, 276. Erasmo, 290, 291, 347. Ercole, F., 87, 88, 116, 121, 122, 203. Evola, J., 263. Faggi, A., 169. Falco, G., 121, 124, 181, 242, 295, 296, 307. Falqui, E., 276. Fanelli, G. A., 77, 78, 84. Fanfani, A., 221. Fanno, M., 217, 236. Farinacci, R., 16, 37, 43, 51. Farinata degli Uberti, 312. Farinelli, A., 28, 42. Farneti, E., 300. Faucci, R., 175. Fausti, R., 139. Favaro, G., 148. Fazio-Allmayer, V., 58, 82, 106. Febvre, L., 210, 343. Fedele, P., 37, 64. Federici, L., 235. Federico II d’Hohenstaufen, 120. Federico II di Prussia, 118, 245. Federzoni, L., 46, 86. Fenoaltea, S., 226, 232. Fenoglio, P., 26. Ferrante, Don, (cfr. Alicata M.) Ferrara, F., 212. Ferrara, M., 182, 188. Ferrari, A., 243, 257, 316. Ferrari, G., 252. Ferrari, S., 163. Ferrata, G., 219, 275, 289, 309, 329, 335, 336. Ferrero, E., 289. Ferrero, G., 181. Ferretti, G., 297. Feuerbach, L., 104, 348, 368, 370, 371. Fichte, J. G., 91. Filangieri, G., 252. Filippo il Macedone, 305. Filograssi, G., 142. Fiore, G. da, 139. Fiore, T., 267, 294. Firenzi, G., 143. Firpo, L., 101, 102, 125. Fisher, H. A.L., 214. Fitzpatrick, S., 22. Flora, F., 205. 383 Indice dei nomi Floridi, U. A., 360. Foot Moore, G., 67. Forges Davanzati, R., 60. ‘Formiggini, A. È, 8, 12, 19, 20, 22, 26, 27, 28, 29, 30, 31, 38, 41° 4T, SÌ, 55, 151, 152, 153 157, 158, 159, 160, , 163, 164, 165, 166, 171, 172, 173, 174, 179, 180, 181, 182, 185, 186, 187, 188, 192, 196, 257, 325. Fortini, F., 10, 285. Fortunato, G., 213, 285. Foscolo, U., 127, 318. Fracastoro, M. G., 281. Fracchia, U., 34. Franceschini, E., 192. Franchetti, L., 213. Franco, F., 257. Franklin, F., 363. Frassati, F., 302. Frassinelli, C., 198, 202, 246. Frateili, A., 71. Frege, G., 281, 369. Freud, S., 265. Freund, R., 267. Frezza Bicocchi, D., 38. Frébel, F. W. A., 165. Frugoni, C., 281. Fubini, M., 198. Gabrieli, F., 343. Gabrieli, V., 272. “Galante Garrone, A., 252, 253, 255, 308. Galassi Paluzzi, C., 38. ‘Galiani, F., 93. Galilei, G., 169, 174, 281, 293. Gallenga Stuart, R. À, 27, 183. *Galletti, A., 176. Galli della Loggia, E., 5. ‘Galvano, E., 288. Gambino, A., 237. Garibaldi, G., 86. Garin, E., 10, 11, 13, 14, 18, 19, 21, 35, 74, 105, 106, 124, 130, 154, 155, 156, 160, 164, 167, 171, 199) 200, 263, 273, 283, 290, 291, 327, 332, 368. ‘Garosci, A., 98, 216, 295, 297. Garufi, B., 335. Gaslini, P., 323. 384 Gatto, A., 288. Gava, G., 12. Gazzetti, F., 229. Gemelli, A., 58, 65, 68, 69, 71, 131, 132, 138, 143, 145, 147, 149, 169, 177. Gencarelli, E., 240. Gennaro, 136. Gentile, E., 6. Gentile, G., 13, 14, 15, 16, 18, 19, 20, 21, 23, 26, 28, 29, 31, 33, 34, 35, 36, 37, 38, 39, 40, 41, 42, 43, 44, 45, 46, 47, 48, 49, 50, 51, 52, 54, 55, 56, 57, 60, 61, 62, 63, 64, 65, 66, 67, 69, 70, 71 72, 74) 75, 76, 78, 807 81, 82” 83, 84, 85, 86, 90, 91, 92, 95, %, 97, 100, 102, 107, 113, 122, 130, 136, 143, 150, 171, 185, , 250, WI 2 da 308, 318, "367, 370. Gerbi, A., DAL. Gerratana, V., 22, 160, 180, 285, 309, 367. Geymonat, L., 281, 347, 369. Ghisalberti, A. M., 89, 117, 119, 121. Giachino, É., 272. Gianfranchi, (pseudonimo di Ven- turi F.) 308. Giannantoni, S., 16, 171. Giannini, A., 28, 29. Giannone, P., 146. Gide, A., 339. Gierke, O., von, 325, 326, 368. Gifuni, G. B., 23, 25. Gigante, M., 296. Gigli, L., 315. Giglioli, G.Q., 29, 64. Ginzburg, L., 10, 195, 202, 205, 213, 245, 246, 250, 279, 280, 294, 295, 296, 301, 302, 303, 316, 317, 319, 320, 322, 323, 324, 328, 374. Ginzburg, N., 279, 288, 290, 323, 324, 341. 203, 278, Gioberti, V., 66, 253, 298, 299. Gioia, M., 252. Giolitti, A., 292, 322, 323, 325, 341, 344, 345, 348, 351, 357, 358, 359, 362, 363, 366, 367, 374. Giolitti, G., 20, 23, 25, 355. Giretti, E., 217, 233, 234, 238. Giretti, L., 233, 234. Giuliano, B., 59. Giuriati, G., 59. Giuseppe II, 118. Giusti, S., 200. Gobetti, P., 17, 18, 24, 27, 127, 156, 188, 202, 218, 242) 255, 321, 338, 367. Goethe, J. W., 280. Gogol, N. V., 202. Gonciarov, I., 279. Gorresio ,V., 306, 324, 351. Grabmann, M., 138. Gramatica, L., 64, 67, 132, 133. Gramsci, A., 5, 16, 17, 22, 26, 33, 86, 131, 150, 175, 180, 189, 191, 211, 239, 355, 356, 357, 366, 367, 373. Grassi, V., 55. Gravina, M., 105. Graziani, A., 97, 105. Gregorio, 269. Grieco, R., 237, 362. Grifone, P., 237, 333, 355. Grimm, H., 311. Grozio, U., 265. Gruppi, L., 194. Gualino, R., 33. Guanda, U., 263. Guénon, R., 263, 264. Guerri, G. B., 6, 46. Guglielmino, E., 253, 291. Guglielmo I, 305. Guiducci, A., 246. Guzzo, A., 58, 103, 142, 143. 128, 129, 252, 295, 326, 320, 328, 321, 333, 355, 365, Hall, R. L., 222. Halm, G., 352. Harris, H. S., 14, 47. Harris, S. E., 227. Hayek, F. von, 352, 353, 363. Hazard, P., 242, 243, 346. Hegel, G.W.F, 91, 101, 103, 104, Indice deî nomi 142, 170, 171, 174, 241, 326, 349, 369, 370. Helvétius, G A., 108. E, 278, 342, 343, Hersch, J., 368. Hitler, A., 245, 351. Hobbes, T., 104. Hobsbawm, E. J., 13. Hook, S., 363, 364. Hiigel, F. von, 290. Huizinga, J., 264, 265, 266, 267, 270, 290, 291, 347, 348, 349. Hull, C., 227. Hume, D., 368. Huxley, A., 266, 273. Interlandi, T., 59, 60, 61, 62. Invitto, G., 336, 339, 372. Iraci, A., 83. Isnenghi, M,, 6, 23, 163, 195. Jacini, S., 213. Jaeger, W., 305, 349. Jahier, P., 278, 289. James, H., 278, 279. Jaspers, K., 368, 369. Jaurés, J., 324. Jemolo, A. C., 58, 140. Johnson, H., 361. Joyce, J., 202. Jung, C. G., 293. Juvalta, E., "169, 368, 369. Kafka, F., 342. Kahn, A. E., 361. Kamenetzki, M., 357. Kant, I., 103, 171, 349. Kelsen, H., 325. Keplero, J., 293. Keynes, J. M., 212, 224, 226, 353. Keyserling, H., 266. Kirkegaard, S., 347, 348, 368. Korngold, R., 344. Kuliscioff, A., 307. Labanca, B., 159, 160, 173, 174, 176, 177. Labriola, A., 105, 106, 160, 171, 175, 199, 220, 221, 257, 316, 355. Lajolo, D., 246. Lalla, M. di, 14, 35. 385 Indice dei nomi Lanaro, S., 7, 32, 96. Landolfi, T., 272. Langer, W., 245. La Penna, A., 180. Lapiccirella, E., 357. Laski, H. J., 214, 215, 361. Lassalle, F., 80. Laterza, G., 199, 205, 250, 263, 321. Lattes, D., 187. Lavoisier, A. L., 174. Lazzari, G., 12. Lee Masters, E., 317. Lefebvre, G., 343. Leibniz, G. W., 240. Lemmi, F., 118. Le Monnier, F., 153. Lenin, V.I., 303, 357, 358, 359. Leonardo da Vinci, 148, 175. Leontieff, W., 227. Leopardi, M, 254. Le cha ( P.G.F., 213. Levi, A., 106, 164, 165, 166, 168, 169, 178, 187, 188. Levi, (A 321, 346, 368. Levi, F., 9. Levi della Vida, G., 63, 71, 78, 79, 130, 187, 238. Lewis, S., 200. Lilienthal, D. E., 353. Limentani, L., 59, 167, 184, 291. Lippmann, e 352, 353, 354. Locke, J., 103. Lo Gatto, E., 278, 279, 331. Loisy, À., 134, 290. Lombardo Radice, G., 16, 29. Lombardo Radice, 360. Lombroso, C., 174. Longhi, S., 55. Longo, G. A., 262. Loria, A., 59, 86, 164, 174, 175, 176, 211, 287. Losacco, M., 170. Lo Schiavo, A., 14, 67. Losini, F., 177. Lukécs, G., 13. Luperini, R., 9. Luporini, B. M., 357. Luporini, C., 17, 104, 334, 335, 357. Lussu, E., 325, 345. 386 L., 345, 357, Lutero, M., 134, 141. Luti, G., 204. Luzi, A., 219. Luzio, A., 258, 296. Luzzatti, L., 26. Luzzatto, G., 115, 196, 209, 210, 270. Lyttelton, A., 6. Macchioro, A., 134, 217. Machiavelli, N., 121, 122, 358. Magini, M., 192. Magrini, Li 216 (pseudonimo di ; A) 124, Garosci Maini, R., 285. Maiocchi, R., 38. Maistre, } de 128, 297, 349. Malagodi, O Malagola prc V., 226. Malthus, T. R., 174, 175. Manacorda, G. 204, 308, 331, 341, 345, 346, 357, 359, 363. Manacorda, M., 317, 357. Mancini, P, S., "129. Mangoni, L., 6, 131, 283. Mann, T,, 339. Manzini, E., 163. Matanini, G., 198. Marchesi, C., 134, 174, 176, 191, 192, 194, 195, 315, 316, 317. Marchesini, 6. 168, 169. Marchi, G., 287. Marchiafava, E., 55. Marco Aurelio, 271. Marcolongo, R., 82. Marconi, G., 26, 76. Marescalchi, A., 235. Margherita, S. della, 254, Margiotta, U., 16. Margiotta Broglio, F., 65. Mariano, R., 159. Marinetti, F. T., 338. Martoi, F., 96. Marramao, G., 109. Marshall, A., 225, 230. Martinelli, R., 17, 285. Martinelli, S., 262. Martinetti, P., 197, 240, 290, 348, 368. Martini, F., 19, 20, 22, 23, 24, 25, 26, 27, 28, 29, 30, 31, 34, 39, 55. Marx, K., 17, 80, 104, 106, 108, + 174, 175, 177, 189, 241, 309, 310, 346, 348, 349, 357, 358, 363, 370. Mason, E. S., 227. Massolo, A., 357. Mathiez, A., 198, 261, 324, 343. Matisse, H., 278. Matteotti, So 188. Mattioli, R, 6, 88. Maturi, w., 111, 113, 114, 122, 125, 126, 127, 128, 144, 145) 146, 252, 306, Maupassant, G. de, 317. Maurras, C., 128. Mautino, A., 220, 221. Mazza, F. P., 281. Mazzini, G., 66, 86, 128, 129, 165, 176, 203, 250, 252, 253, 258, 260, 313. Mazziotti, M., 305, 318, 325. Meinecke, F., 125. Melograni, P., 74. Melville, H., 202, 279, 280. Menghini, M., 20, 25, 26, 30, 55, 104, 113, 250, 308. Menichella, D., 319. Meredith, G., 279. Meschini, M. A., 284. Metternich, C. von, 283, 324. Miccoli, G., 343, 359, 360. Michaelstadter, C., 168, 272, 273. Michel, E., 181. Michels, R., 82, 110. Mieli, A., 181, Migliorini, B., 238. Migone, G. G., 223. Mila, M., 278, 341. Milano, E., 11, 163. Milano, P., 191. Mill, J.$., 188. Minocchi, S., 134, 165. Minoia, C., 315. Minoletti; B., 236. Mira, G., 290, 301. Mises, L. von, 226, 352, 353, 363. Momigliano, A., 6, 64, 73, 74, 110, 111, 119; 165. Momigliano, F., 164, 165, 174, 176, 177. Indice dei nomi Mondo, L., 203, 246. Mondolfo, R., 58, 73, 100, 104, 105, 106, 107, 108, 109, 110, 166, 167, 184. Mondolfo, U. G., 17 Montagnana, M., 361. Montale, E., 289. Montanelli, G., 251, 307. Montenegro, A., 6, 82. Montesquieu, C. de, 108, 323, 324. Monti, A., 202, 206, 238, 248, 323, 355. Morandi, C., 111, 116, 144, 185, 261, 303, 312, 313. Morandi, R, 198, 199, 240. Morazé, C., 343. Morelly, 117. Morgagni, G., 174. Morghen, R., 145. Mori, G., 11, 34. Mornet, D., 241. Moro, R., 8, 263, 268, 295. Morra, U., 278, 295, 298, 299, 302, 318, 358. Mosca, G., 59, 82, 114. Mosé, 137. Motta, M., 329, 336, 347, 360, 367. Mounier, E., 347. Muratori, L. A., 251, 252, 325. Murri, R., 26, 176. Muscetta, C., 74, 100, 284, 286, 293, 296, 306, 310, 311, 314, 316, 318, 319) 320, 321) 322, 323, 355, 358, 374. Mussolini, B., 15, 16, 33, 36, 37, 45, 46, 50, 54, 55, 60, 64, 65, 77, 78, 79, 83, 84, 85, 87, 94, 129, 141, 146, 159, 186, 187, 188, 225, 228, 232, 235, 259, 319, 321, 336, 367. Nallino, C., 56. Napoleone III, 86. Napoleoni, C., 226. Natoli, G., 280. Needham, J., 360. Negri, A., 114. Negri, G., 159. Negri, L., 245. Nenni, P., 355. Neri, F., 238. 387 Indice dei nomi Nevins, A., 343. Newman, J. H., 349. Newton, I., 174, 293. Niccoli, M., 138, 139, 144. Nicolini, F., 114, 145, 146. Nietzsche, F., 349. Nitti, F. S., 20, 23. Nobili Massuero, F., 29. Novalis, 317. Nulli, S. A., 347. Odoacre, 119. Ojetti, U., 24, 34, 42, 48, 55, 56, 136 Olivetti, G., 353. Olivo, A. M., 281. Omodeo, A., 16, 67, 68, 69, 70, 76, 132, 133, 134, 135, 136, 137, 140, 141, 145, 146, 172, 194, 199, 212, 250, 256, 295, 296, 297, 298, 299, 303, 304, 305, 312, 313, 318. Onofri, F., 308, 332, 334. Operti, P., 201. Orano, P., 167. Osimo, V., 172. e N. 111, 112, 113, 121, Ovidio, 152. Owen, R., 108. Paci, E., 265. Pagliaro, A., 58, 133. Pajetta, E., 248. Pajetta, G., 301. Palacio, J. M., 221. Palazzi, F., 163. Palazzolo, V., 326. Palla, M., 11. Palmarocchi, R., 140. Pannunzio, M., 48, 288. Papa, È. R., 49. Papa, F., 344, Papini, G., 167, 174. Parente, A., 267. Pareto, V., 82, 218, 225, 226. Paribeni, R., 25, 26. Parodi, T., 276. Parri, F., 309. Pasquali, G., 134. Passamonti, E., 259. Pastonchi, F., 163. Pastore, A., 169. 388 Pater, W., 271. Pavese, C., 193, 203, 238, 245, 270, 271, 278, 287, 288, 289, 317, 321, 322, 328, 335, 336, 350, 352, 395, Pavlov, I. P., 281. Pavolini, A., 316. Peano, G., 281. Pellegrini, C., 198. Pelster, F., 138. Pende, N., 56. Pepe, G., 139, 255, 270, 299, 300, 310, 311. Peroni, B., 243. Perosa, S., 247. Perrotta, G., 239, 305. Perticone, G., 321. Pesante, M. L., 7. Pétain, H. P.H., 270. Petrarca, F., 124. Petrini, D., 198. Petrucci, A., 197. Pettazzoni, R., 59, 67. Piazzesi, G., 346. Picasso, P., 278. Piccardi, L., 319. Pieraccini, G., 333. Pieri, P., 298, 306, 312, 313. Pierson, N. Ga 352. Pietro il Grande, 231. Pigou, A.C., 216, 226, 230. Pincherle, A, 52, 58, 68, 69, 70, 72, 135, 140, 141, 142, 182, 238. Pintor, F., 63. Pintor, G., 246, 284, 285, 289, 293, 308, 310, 311, 314, 319, 320, 321, 322, 323, 328, 342, 350, 374. Pio XI, 256, 265. Piovani, P., 75. Pirandello, L., 163. Pirenne, H., 270. Pisacane, C., 295, 308, 309, 310. Pivano, F., 280, 281, 317. Pivato, S., 131. Pizzetti, S., 88, 98, 121. Planck, M., 281, 293. Platone, F., 233, 356. Poggi, À., 165, 190, 290. 369, 374, 296, Pogliani, A., 26. Pogliano, C., 281. Polese, P., 253. Polledro, A., 198, 201, 278. Pomba, G., 40, 153. Porena, M., 127. Porzio, G., 296. Pozzani, S., 219. Pratolini, V., 279, 280. Praz, M., 239. Preziosi, G., 77, 93. Prezzolini, G., 24, 27, 29, 35, 37, 44, 158, 163, 173, 174, 181, 182, 184, 187, 188, 247. Proudhon, P. J., 308. Proust, M., 278, 342. Pseudo-Dionigi, 372. Pugliatti, S., 93. Puskin, A. S., 317. Quadrotta, G., 160. Querealpiti Candia, P. A., 287. Quazza, G., Quinet, E., 2 ‘325. Racca, V., 226, 227. Racinaro, R., 82. Radet, G., 304, 305. Ragghianti, C. L, 318, 341. Ragionieri, E., 7, ‘11, 35, 111. Rago, M., 324. Ramat, R., 253, 309. Ranchetti, M., 11, 371. Ranfagni, P., 131. Rapisardi Mirabelli, A., 232. Rathenau, W., 311. Ravà, A., 170. Reed, J., 342, 363. Reichlin, A., 285. Rémusat, C.-E. de, 289. Renan, E., 271. Renouvin, P., 244 Rensi, 191, 197, 347. Rensis, C., 145. Repaci, F. A., 207, 236. Revel, B., 304 Ricardo, D., 212. Ricci, C., 28. Ricciardi, R., 173. Ricciotti, G., 78, 135, 145. Ricuperati, G., 242. Rigola, R., 221. G., 164, 170, 187, 190, Indice dei nomi Ripellino, A. M.,, 331. Ritter, C., 347. Riva, Gi, ds. Rizzoli, A, Robbins, sm TA 225, 226, 232, 233, 352) Robespierre, M.F.I., 118. Robotti, P., 196. Rocco, A., 46, 85. Rodano, F., 320, 336, 341, 347, 355, 365, 367. Sola N., 119, 121, 127, 134, 296. Romagnoli, E., 163, 181. Romagnoli, S., 346. Romagnosi, G. D., 178. Romanelli, R., 7. Romano, A., 308, 309, 310. Romano, P., (cfr. Alatri P.) Romano, R., 209. Romano, S., 55, 56. Romeo, R., 126, 209. Roosevelt, F. D., 223, 225, 336. Ropke, W., 350, 351, 352. Rops, D., 264. Rosa, E., 58, 64, 68, 142. Rosada, A., 104. Rosada, M. G., 172. Rosselli, A., 251. Rosselli, Ci 109. Rosselli, N, 189,”194, 203, 204, 205, "250, 251, 309, 310, 320, 343. Rossi, A., 32. Rossi, E., 33, 192, 233, 302, 350, 352. Rossi, L., 89. Rossi, M G., 8. Rossi, M. M., 266, 268, 291, 304. Rossi, P., 32, ‘65. Rossi, Vv. 28, 29, 240. Rossi Doria, M., 320. Rossini, G., 131. Rostovzev, M. U., 210. Rota, E., 126, 134. Rousseau, J. J., 88, 95, 101, 104, 108. Ruffini, E., 89, 90. Ruffini, F., 59, 63, 204, 206. Ruggiero, A., 227, 228. Rusconi, C., 306. 389 Indice dei nomi Riissel, H. W., 347, 348. Russo, L., 29, 49, 58, 153, 154, 183, 184, 199, 212, 239, 240, 250, 251, 276, 278, 297, 304. Russo, V., 316. Saitta, A., 270, 310, 311. Saitta, G., 60, 68, 85, 129, 145. Salandra, A., 25, 57, 59, 182. Salata, F., 55, 104, 138. Salinari, C., 285, 332, 333, 334, 335, 341, 344, 345. Salomon, E. von, 311. Salvadori, G., 71. Salvadori, M. L., 114, 125. Salvatorelli, L., 194, 241, 243, 244, 245, 250, 251, 253, 254, 259, 257, 268, 274, 290, 300, 301, 304, 313, 314, 321, 333, 345, 355. Salvemini, G., 29, 54, 55, 57, 113, 181, 218, 312, 320, 343, 355. Santamaria, E., 160, 164, 165, 166, 178, 181, 183. Santangelo, P. E., 259, 260. FADUBIANO: Don, (cfr. Muscetta .) Santoli, V., 238, 239, 270, 277. Santomassimo, G., 7, 92, 94, 330, 352. Sapegno, N., 288. Saraceno, P., 352. Saroyan, W., 315. Sarpi, P., 174. Sartre, TL P., 342. Sasso, G. , 239, 300. Savonarola, Gi 140, 176. Sayers, M, 361. Sbarbaro, C., 278, 287. Scaduto, M., 65. Schiavi, A., 231, 303, 307, 308. Schipa, M., 58. Schlesinger, R., 364. Schlosser, J. von, 147, 148. Schopenhauer, A., 290. Schumpeter, J. A., 227, 352. Schwarz, S. M., 352. Scialoia, V., 28. Scoppola, P., 8, 131, 160. Selmi, N., 11. Semeria, G., 138. 242, 252, 265, 302, 390 Sereni, E., 237, 359, 357, 359, 360, 361, 362. Serra, R., 163, 173, 239. Serri, M., 285. Sestan, E., 98, 116, 119, 124, 125, 253, 270. Setti, G., 173. Severi, F., 281. Sforza, C., 320, 355. Sgroi, C., 259. Shaftesbury, A. A. C., 291. Silva, P., 56, dr pe 181. Simonetti, M, Sismondi, I. C. T , 206, 208. Slataper, Ss, 287. Smith, A., 212, 218, 228. Solari, G., 73, 91, 100, 101, 102, 103, 104, 127, 220, 290. Solari, L., 240. Solari, P., 214. Soldani, S., 11, 112. Solmi, A., 120, 159, 254. Solmi, S., 238, Sombart, W., 98, 100. Sonnino, S., 213. Sonzogno, E., 172. Sorel, G., 106, 110, 168, 221, 241, 243, 244, 264. Spadolini, G., 253. Spaini, A., 278, 280. Spampanato, V., 134, 171. Spann, O., 216. Spaventa, B., 95, 170, 171. Spellanzon, C., 219, 297, 312, 313. Spencer, H., 349. Spengler, O., 243, 244. Speranza, I., (cfr. De Luca G.) Spinelli, A., 320. Spini, G., 223. Spinoza, B., 104, 190. Spirito, U., 14, 75, 80, 81, 84, 85, 87, 92, 93, 94, 95, 96, 97, 98, 101, 103, 117, 147. Spriano, P., 17, 24, 127, 156. Sraffa, A., 147. Sraffa, P., 352, 362. Stalin, J., 231, 358, 362. Stein, G., 278, 279. Steinbeck, J., 200. Steiner, R., 264. Stille, U., (cfr. Kamenetzki, M.) Stirner, M., 348. Storoni Mazzolani, L., 271. Strada, V., 22, 127. Stringher, B., 25, 26, 34, 59. Stuart Hughes, H., 21. Stuparich, G., 287, 288. Sturzo, L., 333, 355. Succi, P., 311. Tacchi Venturi, P., 58, 64, 65, 67, 68, 69, 77, 132, 138. Tagliacozzo, A., 361. Tagliacozzo, E., 213, 250, 253, 257. Talleyrand, C. M., 261. Tardieu, A., 244. Tarnlé, E. V., 198. Tarozzi, G., 164, 174, 181, 184, 187, 290. Taylor, O. H., 227. Telesio, B., 171, 174, 178. Teodori, M., 223. Testoni, S., 82, 87. Thackeray, W. M., 271. Thaon di Revel, P., 55. Thierry, J. N. A., 295. Thiess, F., 262. Thode, H., 122. Tilgher, A., 42, 164, 170, 182, 197. Timpanaro, S., 181. Tocco, F., 104, 107, 160, 170, 171. Todaro-Faranda, M., 195. Toffanin, G., 348. Togliatti, P., 7, 35, 75, 194, 330, 333, 335, 351, 352, 354, 355, 356, 357, 358, 360, 361, 362, 363, 372, 373. Toller, E., 315. Tolstoj, L., 176, 177, 202, 271, 280, 317. Tomasi, T., 37. Tommaseo, N., 275, 276, 317. Toniolo, G., 7. Tornimparte, A. (pseudonimo di Ginzburg, N.) 288. Torrini, M., 11, 165. Tortorella, A., 285. Tortorelli, G., 156, 287. Tosi, L., 27. Toynbee, A. J., 359. Tramontano, R., 137. Tranfaglia, N., 9. Travi, N. (pseudonimo di Ventu- ri L.) 79. Treccani, E., 219. Treccani, G., 20, 23, 25, 31, 32, Indice dei nomi 33, 34, 38, 39, 40, 41, 42, 43, 48, 51, 53, 54, 55, 56, 62, 64, 65, 66, 67, 74, 76, 83. Treitschke, H. von, 318. Trevelyan, G. M., 303, 305. Treves, E., 19, 34. Treves, Paolo, 254. Treves, Piero, 26, 165, 182, 239, 305. Trevisani, P., 157. Tricomi, F., 281. Troeltsch, E., 349. Troilo, E., 167, 168, 169, 170, 174, 177, 178, 179, 181. Trombadori, A., 284. Trompeo, P. P., 71, 238, 277, 278. Trotzki, L. D., 331. Truman, H. S., 352. Tumminelli, C., 34, 48, 55, 70. Turati, F., 62, 182, 187, 307. Turchi, N., 182. Turgenev, I., 177, 202. Tutgot, R. J., 108. Turi, G., 9, 38, 194, 271, 299. Turiello, P., 213. Vacca, G., 181. Vaccari, A., 68, 136, 137. Vailati, G., 168, 169. Valente, A., 296. Valeri, N., 251. Valiani, L., 253. Valitutti, S., 99. Vallecchi, A., 34, 157, 200. Valli, L., 169. Varisco, B., 166, 169, 179, 184. Vasoli, C., 65. Vaudagna, M., 223. Vecchietti, T., 303. Vecchio, G. del, 86. Venturi, F., 127, 213, 308, 320, 323, 324, 325, 343, 374. Venturi, L., 79, 253, 295. Venturini, L., 45. Verri, P., 252. Vian, N., 71 Vico, G. B., 106, 127, 169, 170, 171, 219. Vidari, G., 245. Vieusseux, G. P., 153. Vigliani, L., 288. Villari, P., 213. Villat, L., 260. 391 Indice dei nomi Vinciguerra, M., 255, 261, 298, Wallace, H. A., 228, 229, 230, 303, 319, 321. 336, 352, 353, 364. Visconti, F. M., 251. Weber, M., 98, 100, 307, 349. Vita Finzi, P., 189. Welles, S., 336. Vitichindo, 242. Werth, A., 345. Vittoria, A., 284. Wetter, G. A., 359, 360, 364. Vittorini, E., 200, 204, 315, 319, Whitman, W., 248, 278. 322, 327, 328, 329, 330, 332, Wick,G.C., 281. 334, 335, 336, 338, 339, 341, Wicksell, K.., 217. 342, 346, 352, 357, 367, 374. Wicksteed, P.H., 226. Vittorio Amedeo II, 120. Woolf, S. J., 208. Vittorio Emanuele III, 54, 276. Wotan, 242. Vivanti, C., 12. Volpe, G., 15, 21, 22, 33, 38, 41, Yugow,A., 352. 51, 56, 57, 58, 63, 64, 71, 72, 87, 110, 111, 112, 113, 114, 118, Zaccaria, G., 101. 119, 120, 121, 122, 123, 125, Zama,P. 276. 126, 127, 128, 134, 138, 146, Zancan, M., 335. 147, 190, 194, 221, 249, 250, Zanella, E., 221. 251, 253, 254, 306. Zangheri, R., 344. Volpicelli, A., 81, 89, 92, 96, 98, Zangrandi, R., 345, 101. Zappa, P., 323. Volpicelli, L., 112. Zdanov, A., 362. Volta, A., 175. Zibordi, G., 221, 307. Voltaire, F. M. Arouet de, 243, Zini, Z., 189, 238, 244. 274. Zoccoli, E., 161, 162. Volterra, V., 25, 26. Zveteremich, P., 329. 392 Indice del volume Introduzione II. III. Ideologia e cultura del fascismo: l’« Enciclo- pedia italiana » 1. Il 3 gennaio 1925 e la ricerca del consenso. - 2. Il progetto di Martini e Formiggini. - 3. L’in- tervento di Treccani e Gentile. - 4. Lo « specchio fedele e completo della cultura scientifica italiana ». - 5. La « politica di conciliazione » di Gentile. - 6. I collaboratori e le proteste del fascismo estremista. - 7. L’ipoteca cattolica. - 8. Il controllo del regime. - 9. Le voci politiche e l’ideologia del fascismo. - 10. L’assimilazione dei « competenti »: Gioele So- lari e Rodolfo Mondolfo. - 11. Gentile, Volpe e il nazionalismo storiografico. - 12. Le voci religiose: presenza e conflittualità dei cattolici. A.F. Formiggini: un editore tra socialismo e fascismo 1. La parola, veicolo di « fraternità universale ». - 2. Positivisti, modernisti, socialisti. - 3. Intenti di- vulgativi. - 4. Una cultura « al di sopra della mi- schia ». - 5. La sconfitta di un’illusione e una tenue « resistenza ». I limiti del consenso: le origini della casa edi- trice Einaudi 1. Iniziative editoriali negli anni ’30. - 2. L'ideologia conservatrice di Luigi Einaudi. - 3. L’impronta libe- rista sulla casa editrice. - 4. «La Cultura » e la tradizione gobettiana. - 5. Storiografia e impegno civile. - 6. « Cultura della crisi » e spiritualismo. - 13 151 193 393 7.Una cultura eclettica: i « Saggi ». - 8. La « svolta » della guerra e i collaboratori « romani ». - 9. L’anti- conformismo storiografico e l’« Universale ». - 10. I quarantacinque giorni, la Liberazione e il Fronte della cultura. - 11. La ricerca di un nuovo orienta- mento e l’eredità del passato. - 12. La rottura dell’u- nità antifascista e il rapporto col PCI. Indice dei nomi 394 p. 379 Finito di stampare nel novembre 1980 dalle Grafiche Galeati di Imola ‘Gabriele Turi IL FASCISMO E.IL CONSENSO: DEGLI INTELLETTUALI Questo; Volume offre‘ Un. contributo ui grende interesse alla storia detla ‘cultura italiana del. ‘900, -ana:izzando aleini: momenti. di ” gregazione culturale particolarmente. rilevanti, ta' iatnascitale la caduta del fascismo. — la fondazione: (dell’è@Enciclopedia-italiana», Pattività\edi‘origle di A. Formiggini, la nascita della ‘casa’ edi trice. Einaudi — chevpetmettonò i; collegare significativamante gli Itinerar di’ singoli intellettuali con Je vicende politiche ‘delipaese e di individuare, anche negli anni. del‘ regime, accanto «a condi: zionamenti;»autocensure e compromessi, il. permanere oil inuscere di. «schieramenti » i! cui significato «non ‘è' soltanto. culturale, ma anche: politico. L'« Encicloped'a italiana»; fondata nel: 1925: sotto la direzione.ci Giovanni Gentile e con la collaborazione dil'intetlettuali anche_antirascisti, testimonia i esistenza di-una cultura fascista; sia pur. eclettica e forlsmente condizionata dalla ‘presenza: cattolica MAt- torno-alla casa. editrice. Formiggini si erano. raccolti, «fin. dal 1908, intellettuali di formazione. positivistache cercheranno diresisiere alia politica culturale del. regime appellandosi ad. una ormal’illù- soriavautonsmia della cultura. Nella casa. editrice fondata da -Giu- lio Einaudi, infine; ii liberalismo. conservatore*‘di . Luigi Einaudi convive.negli ‘anni; ‘30. con l'orientamento di intellettuali. legati a «{iustizis © libertà» e,vin seguito, con orientamenti: di matrice: azionista e. comunista: che. prevartranno. nettamente nel'-1945— con la-presenza delle forti personalità di Pavese; Vittorini, Canti- moti, Balbo « Bobbio — cercando’ di dar vitava un ampios«fronte de:'atcultura +» destinato (a. dissoiversi nel 1947 con la rottura dele l'unità-antifascista, Indice» dsl volume: Introduzione. -tIdeologia «e. cultura: del'fa- scismo:nl-Enciclopedia. italiana #6 2, A. F. Formiggini» un. editore trasocialismo e fascismo, - 3, I-limiti déell'consenso: le origini: della casa editrice Einaudi. Gabriele. Turi insegna a Firenze..Storia dell'Italia’ contemporanea nella Facoltà: di ;Lettere e Filosofia. Ha studiato! periodo della riforme ‘setteceritesche e. dell'occupazione francese in, Italia; «pub- blicanido nel:1969 il volume « “Viva Maria”, La reazione alle riforme leopoldine--(1790-1799)-».-Da ‘alcuni ‘annicsi occupa della*cultura ita- liana del "90%, ema sul auzls ha prbblicato diversi Contributi. Gak labora alle riviste Studi scoricì..; « Movimento onsraio e socia lista» e « [talia contemtoranea a, Prezzo:Î, 15.000 (i.i.) ©0GO
Wednesday, April 6, 2022
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